A brand new world (A brand new me)

di Ray Wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Marea. ***
Capitolo 3: *** Anfitrione. ***
Capitolo 4: *** Naufragio. ***
Capitolo 5: *** Impatto. ***
Capitolo 6: *** Simbionti. ***
Capitolo 7: *** Sabotaggio. ***
Capitolo 8: *** Antropologo. ***
Capitolo 9: *** Falla. ***
Capitolo 10: *** Commiato. ***
Capitolo 11: *** Armistizio. ***
Capitolo 12: *** Rendez vous. ***
Capitolo 13: *** Ardimento. ***
Capitolo 14: *** Apnea. ***
Capitolo 15: *** Convergenza evolutiva. ***
Capitolo 16: *** Redenzione. ***
Capitolo 17: *** Frode. ***
Capitolo 18: *** Genesi. (Parte 1) ***
Capitolo 19: *** Genesi. (Parte 2) ***
Capitolo 20: *** Espugnazione ***
Capitolo 21: *** Anabiosi. ***
Capitolo 22: *** Poker Face. ***
Capitolo 23: *** Scacco Matto ***
Capitolo 24: *** Aurora. ***
Capitolo 25: *** Zombie. ***
Capitolo 26: *** Eclissi. ***
Capitolo 27: *** Ritorno. ***
Capitolo 28: *** Idiosincrasia. ***
Capitolo 29: *** Gagliardia. ***
Capitolo 30: *** Palpitazione. ***
Capitolo 31: *** Prodezza. ***
Capitolo 32: *** Abiura. ***
Capitolo 33: *** I am Home. ***
Capitolo 34: *** Epilogo. ***
Capitolo 35: *** Then. ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


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A brand new world (a brand new me)


So I run, hide and tear myself up
I'll start again with a brand new name
And eyes that see into infinity

I will disappear
I told you once and I'll say it again
I want my message read clear
I'll show you the way, the way I'm going

So I run, hide and tell myself
I'll start again with a brand new name
And eyes that see into infinity
I was almost there
Just a moment away from becoming unclear
Ever get the feeling you're gone
I'll show you the way, the way I'm going
So I run, hide and tell myself
I'll start again with a brand new name
And eyes that see into infinity

So I run, start again
With a brand new name
With a brand new name

So I run and hide and tell myself (so I run)
I'll start again with a brand new name (start again)
And eyes that see into infinity (with a brand new name)

I will disappear


{ Capricorn – 30 seconds to mars }


...Presentazione...


In una presentazione si presume che una persona si presenti, giusto? Ma la cosa ha importanza? Fuori c'è la fine del mondo e a voi veramente interessa un'anonima sopravvissuta come me? E poi cosa volete che vi dica? Chi sono....o chi ero?
Beh...il chi ero è ancora più irrilevante del chi sono, perciò, se proprio ci tenete, direi di partire da quest'ultimo. Il mio nome è Ocean, ho 26 anni e non vi dirò da dove vengo, perchè non ho un luogo di provenienza. Ad oggi giro per la Georgia cercando di sopravvivere, come fanno tutti gli esseri umani ultimamente. Visto? Io vi avevo avvertito che era una cosa assolutamente irrilevante. E ancora più irrilevante è il "chi ero".
Prima che il mondo diventassse l'Inferno il mio nome era Alice, sempre 26 anni ed ero venuta dall'Italia con furore. So cosa vi starete chiedendo: Che diavolo ci fa un'italiana in Georgia in piena apocalisse? Circostanze, destino, direbbe qualcuno. Sfiga nera, dico io! Per la prima volta che decido di spostarmi oltreoceano, bam!! Becco l'apocalisse. Ditemi se non è sfortuna. "Solo un paio di settimane, mamma" dicevo "facciamo il nostro lavoro, ci godiamo qualche giorno di sana America e poi mi vedrai di ritorno. Non sentirai nemmeno la mia mancanza". Sì, proprio così è andata, come no?!
Il mio risentimento però rimarrà tale per un bel po', e continuerò ancora a lungo a chiedermi se a casa le cose stanno andando alla stesso modo o se l'oceano è riuscito a limitare la catastrofe a noi poveri scemi. Ciò non toglie però che il mondo ormai è cambiato, è un mondo nuovo di zecca, per quanto non possa piacere (ma questo è tutto soggettivo). Bello o brutto che sia....è un mondo nuovo di zecca, e anche io sono ormai nuova di zecca.

Adesso mi chiamo Ocean....come quell'immensa distesa d'acqua salata che mi separa da quella che era casa mia.

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Capitolo 2
*** Marea. ***


Marea

Un villaggio come un altro, in una terra come un'altra, in un supermercato come un altro, una ragazza come un'altra si trovava di fronte allo scaffale del cibo in scatola. Niente di più comune...se non fosse stato che il villaggio era deserto, se non per qualche zombie vagante, e la ragazza era l'unico essere che respirava in quel luogo. Il suo abbigliamento, in occasioni normali, sarebbe stato ritenuto singolare e sarebbe stata vittima di derisioni, ma ora che il mondo era finito cosa gliene importava delle prese in giro? Chi avrebbe potuto schernirla? Aveva approfittato della sua seconda chance, della sua rinascita, per decidere lei stessa chi sarebbe diventata. Il mondo le aveva imposto di cambiare vita e lei aveva colto l'occasione per darle il senso che più desiderava. Per questo indossava abiti di rimando medievale: un lungo gilet in pelle nero, sopra una camicia da uomo nera anch'essa. Pantaloni neri si infilavano poi in dei pesanti stivali in pelle, che terminavano all'altezza del polpaccio. Portava in vita una cintura da dove pendeva una spada bastarda, al petto altre cinghie erano legate, che sorreggevano un paio di daghe, e dietro alla schiena, appesi alla spalla, un arco e delle freccie. All'occorenza, sotto la camicia, indossava una cotta di maglia, che più volte le aveva salvato la vita da qualche zombie che aveva tentato di morderla ma si era trovato tra i denti solo anelli di ferro, senza riuscire ad arrivare alla carne. Era però una scelta che non sempre faceva: la cotta era troppo pesante per lei e a volte non faceva altro che stancarla e rallentarla, senza nessun vantaggio. Per proteggersi dal freddo della notte spesso utilizzava un vecchio mantello di lana nero, rovinato ormai, ma sempre un buon alleato. Anche quella, però, era una scelta che non sempre faceva: troppo ingombrante, le impediva di scappare, e non sempre faceva poi così freddo. All'inizio si era sentita scomoda e impacciata dentro quegli infiniti strati di indumenti, ma poi ci aveva fatto l'abitudine. Il bisogno della sopravvivenza le aveva insegnato tante cose.
Dentro quel market abbandonato, canticchiando a labbra serrate e ondeggiando con la testa, Ocean si ritrovava a dover fare una delle cose che spesso aveva odiato anche in precedenza: la spesa. Di fianco a lei, seduto, che la fissava scodinzolante, in attesa di un buon pasto, c'era un cane bianco e nero, con una piccola chiazza marrone su un orecchio, appartenente a quella razza che un tempo era diventata famosa grazie a una simpatica pubblicità anni 90: un Border Collie.
«È rimasto ben poco anche qui.» comunicò Ocean al suo amico. «Ti vanno i fagioli?» chiese poi, voltandosi verso il cane, che, sentendosi preso in causa, abbassò le orecchie.
«Sono molto nutrienti sai? Non fare quella faccia.» disse ancora la ragazza, infilando in una grossa sacca quante più scatole potesse. Fagioli, ceci e lenticchie, tutti ciò che al momento era disponibile.
«Passiamo oltre e vediamo cos'altro offre la casa» disse tra sè e sè, spostandosi per raggiungere lo scaffale successivo. «Dio, ammazzerei qualcuno per avere un po' cibo fresco. Formaggi, affettati, latte, uova, frutta e verdura... sembra passata una vita dall'ultima volta che ne ho sentito il profumo.» continuò. Il cane la seguì e si mise di nuovo a sedere vicino a lei, di nuovo scodinzolante, e di nuovo in attesa.
Ocean lo guardò con occhi vagamente sorpresi, come se avesse visto solo in quel momento la presenza dell'animale accanto a sè. Afferrò una scatoletta di carne e tirando la linguetta l'aprì, poi aiutandosi con un dito rovesciò il contenuto sul pavimento. 
«Per ora accontentati, non abbiamo tempo di fermarci per cena. Farai un pasto più sostanzioso più tardi» disse, leccandosi il dito sporco di carne, per poi riprendere a riempiere la sacca con tutto ciò che era recuperabile e disponibile. Il cane ai suoi piedi nel frattempo aveva già lucidato a dovere il pavimento. Ocean valutò la pesantezza della sacca: doveva sempre fare attenzione a non esagerare, la fuga non doveva mai essere impedita e la stanchezza doveva sempre essere mantenuta il più lontano possibile.
«Direi che per un po' siamo a posto.» valutò. «Ci conviene andare adesso.» odiava restare troppo tempo ferma nello stesso luogo, la faceva sentire insicura, come se qualcosa la stesse costantemente rincorrendo.
«Forza Max, lascia perdere quel pavimento, non t'accanire, tanto tornerà sporco tra non molto» al sentir nominare il suo nome, il cane sollevò le orecchie, ma non smise di leccare il pavimento. L'aroma della carne l'aveva reso irresistibile.
«Max, guarda che ti lascio qui! Andiamo, forza!» brontolò Ocean, cercando sempre di tenere un tono di voce adeguato. Cominciò ad avviarsi verso l'uscita, fermandosi ad ogni angolo, piantando le spalle bene contro il muro dei reparti, prima di sporgersi lentamente e controllare che non ci fossero ospiti indesiderati. Stesi a terra c'erano decine di cadaveri, ma per fortuna nessuno di loro per ora aveva avuto la brillante idea di alzarsi. Per ora.
Riuscirono ad arrivare alle casse senza intoppi, anch'esse decorate con un paio di cadaveri di allestimento.
«Dovrò capirla prima o poi questa nuova moda» scherzò Ocean, avvicinandosi con cautela. Aveva appeso la sacca piena di cibo in spalla e aveva sfilato una delle sue daghe, stringendola forte tra le dita. La lama era smussata in un paio di punti, e c'era del sangue incrostato sopra che non era riuscita a togliere, ma era ancora funzionale e affilata quanto bastava per perforare i crani di quegli esseri. L'importante era sopravvivere, non essere bella pronta per una sfilata di moda. Si avvicinò alla cassa, dove oltre c'era poi l'uscita, e passò di fianco al cadavere facendo ben attenzione a non sfiorarlo nemmeno, tenendogli gli occhi puntati addosso. 
«Prova ad alzarti e vedi che ti combino» lo minacciò, come se questo avesse potuto realmente spaventarlo e impedirgli di farlo. Max seguiva attentamento ogni suo singolo passo, imitandola a dovere e tenendosi quanto più quatto riusciva. Quei giorni di fughe e lotte avevano insegnato tanto anche a lui, prima fra tutte le cose: essere silenziosi. Seconda regola: non mordere gli uomini che puzzavano di morte. Le prime volte che ci aveva provato, ovviamente senza riuscirci, aveva ricevuto tanti sculaccioni e sgridate da Ocean.
Superato il cadavere, la strada che portava all'uscita sembrava tranquilla e i due poterono procedere spediti, anche se, come sempre, attenti a tutto quello che succedeva intorno a loro. Raggiunsero la porta a vetri sfondata che dava sull'esterno e Ocean si protese lentamente in avanti, dando un'occhiata fuori prima di uscire. Era abbastanza sicura che non ci fosse nulla da temere, se ci fosse stato uno zombie nei paraggi sicuramente Max lo avrebbe fiutato e avrebbe ringhiato, oppure avrebbe nitrito il cavallo che la stava aspettando legato fuori. Invece c'era il silenzio più assoluto. Ma la prudenza non doveva mai essere troppa. Uscendo fuori lentamente si guardò attorno: le strade erano deserte e quei pochi cadaveri che si potevano scorgere sembravano non muoversi. Fece un gesto con la mano a Max per invitarlo a seguirla e si diresse verso il cavallo marrone, legato a un palo lì vicino.
«Eccoci, Peggy.» sussurrò all'orecchio della cavalla per tranquillizzarla: anche se il villaggio sembrava sicuro c'era sempre quell'odore di morte a tormentarli e questo lasciava sempre turbati i suoi animali. Le fece una carezza sul muso: era agitata, lo vedeva. Era bene allontanarsi quanto prima.
Si avvicinò alla sella e cominciò a legare la sacca col cibo, dall'altra parte dove solitamente teneva mantello e cotta, così da controbilanciare il peso. L'evitare l'esagerazione era sempre una delle sue priorità: non si può andar molto lontani con una cavalla stanca e appesantita. Ovviamente questo aveva però il suo contro: dovevano fermarsi spesso per riposare e per fare scorte.
Nell'istante in cui aveva cominciato a legare la sacca, sentì Max ringhiare rocamente. Cercava sempre di tenere il tono di voce più basso possibile: tanto aveva capito che bastava il minimo per avvertire la sua padrona. Ocean si voltò e si guardò attorno con ancora la sacca tra le mani, non ancora fissata, e vide non molto lontano a loro una di quelle cose morte che si stava avvicinando.
«Merda.» sussurrò, cercando di sbrigarsi. Peggy cominciò a essere fin troppo agitata, muovendosi e rallentando l'impresa di Ocean. Max arretrò di un paio di passi, aumentando il tono del ringhio e lasciandosi sfuggire un leggero abbaio.
«Ssh!!» lo ammonì Ocean. Si rese conto di essere alle strette e non avere tempo di calmare il cavallo e finire di legare la sua sacca, perciò lasciò perdere, facendola cadere a terra. Si voltò verso lo zombie, che intanto li aveva notati e aveva accellerato il passo.
«Potevi aspettare un altro po', no, vero?» gli disse sarcastica, prima di spingersi in avanti verso lo zombie, che ormai si trovava a pochi centimetri da loro. Conficcò la sua daga nella tempia del mostro più di una volta, per essere sicura di essere arrivata a fondo. Era sempre così disgustoso farlo, soprattutto quando il loro putrido sangue le schizzava addosso. Odiava rimanere con quell'odore sui vestiti per giorni, ma ormai ci aveva rinunciato a cercare di lavarsi. Tanto poi ritornava a puzzare dopo poco.
Max abbaiò e Ocean all'avviso alzò gli occhi dalla sua vittima. Ne stavano arrivando altri. Sbucavano da ogni angolo, uscivano da auto e da case.
«Come diavolo hanno fatto a sentirci?» ma la risposta non fu difficile da trovare: la sacca che aveva lasciato cadere a terra per correre incontro al loro assalitore era pieno di lattine e scatolette. Nel cadere a terra avevano fatto il giusto rumore per attirare gli altri, che magari fino a poco prima erano rimasti stesi da qualche parte.
«Merda.» si lasciò sfuggire e si alzò velocemente dallo zombie appena steso, correndo verso la sua cavalla, che ormai era quasi incontrollabile. Indietreggiava e strattonava le redini legate al palo, desiderosa di staccarsi da lì e scappar via. Ocean afferrò la sacca e se la rimise in spalla. 
«Max la festa sta diventando troppo movimentata per i miei gusti, che dici di andarcene?» chiese, mentre cercava di slegare la cavalla dal palo. 
«Buona Peggy, buona!» le disse, avvicinandosi con la mano tesa per riuscire ad accarezzarla. Per fortuna Peggy riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per permettere a Ocean di salire, ma non appena questa si voltò per mettersi in fuga si trovò di fronte un paio di zombie che le erano arrivati alle spalle. Peggy impennò, nitrendo spaventata, e Ocean dovette fare una fatica immensa per non essere disarcionata. La sacca piena di provviste le scivolò dalla spalla, aprendosi e svuotandosi per la maggior parte, facendo cadere altre scatolette sull'asfalto.
«Neanche la speranza che qualcuno di loro non ci abbia sentiti! Dopo tutto 'sto fracasso, è sicuro che l'intera città ora si diriga qui.» brontolò Ocean, sempre nello sforzo di controllare la sua cavalla.
Max li affiancò: sapeva che poteva essere al sicuro solo se fossero rimasti uniti. Non appena Peggy tornò su quattro zampe, Ocean sfoderò la sua spada e taglio le teste agli zombie che aveva davanti. Sapeva che questo non li avrebbe uccisi, ma almeno gli avrebbe permesso la fuga. Un calcio e ne buttò a terra un altro.
«Non abbiamo altra scelta Peggy! Forza!» si sbrigò a dire e la speronò, affinché obbedisse ai suoi comandi. Dovevano allontanarsi quanto prima, se fossero rimasti fermi lì sarebbe stata la fine. Finalmente, con tanta fatica per domare la cavalla e convincerla a fare come diceva la sua padrona, Peggy prese a correre e Max, vedendoli allontanarsi velocemente, cercò subito di raggiungerli dando quanta più forza poteva alle zampe. La sua fortuna era che gli zombie erano più attirati dalla preda grossa che da lui e solo grazie a questo riusciva a sopravvivere, anche se non aveva la velocità e l'agilità del cavallo. Peggy riuscì a spintonarne via qualcuno e a schivarne altri, che non avevano tempo di afferrarla. Ocean, dal canto suo, cercando di rimanere ben ferma sulla sella, tentava con la spada di farsi strada, colpendo quelli che riusciva e che erano troppo vicini e pericolosi. Ma Max non aveva le sue stesse capacità e rimase un po' indietro, ritrovandosi circondato da zombie. Continuò a correre più veloce che potè, senza fermarsi, passando in mezzo a gambe e braccia penzoloni, schivando con agilità e maestria quei pochi che tentavano di afferrarlo. Era evidente che l'avesse già fatto altre volte: sapeva come muoversi. D'altra parte, come già detto, la sua fortuna più grande era che la maggior parte di loro tentava di afferrare il cavallo, ignorando la sua presenza, così le mani da schivare erano decisamente meno.
Dopo pochi minuti Ocean riuscì a uscire dall'orda, riscontrando nessuna ferita o morso, solo un po' di dolori dovuti agli scossoni e alla forza da imprimere a gambe e braccia per riuscire a rimanere in sella. Una volta ritenuta la distanza sicura, fermò il cavallo e cercò di voltarsi velocemente per guardarsi alle spalle. Gli zombie stavano ancora cercando di inseguirli, ma loro avevano qualche metro di vantaggio.
«Max!» sussurrò Ocean, preoccupata, cercando di scorgere tra loro il batuffolo di pelo nero e bianco che era rimasto indietro. E ancora una volta si ritrovò a pregare un Dio in cui non credeva.
«Dove sei, amico?» ancora qualche secondo per guardare, ma poi sarebbe dovuta correre di nuovo via o li avrebbero raggiunti. Inoltre Peggy non riusciva a stare ferma, voleva fuggire, e controllarla era veramente un'impresa.
Poi, all'improvviso, lo vide: uscì dall'orda come una scheggia. Una piccola nuvoletta che correva più che poteva, con le orecchie e la coda basse per diminuire l'attrito dell'aria e la lingua che penzolava a lato per la stanchezza. Cercò di schivare una gamba, ma non riuscì pienamente nell'impresa e la urtò col busto, scaraventando a terra lo zombie colpito. Roba che in altre occasioni sarebbe stata da riprendere e inviare a qualche programma televisivo di sketch. Raggiunse poi il suo piccolo gruppo.
«Grande Max! » rise Ocean, prima di riprendere la corsa insieme al suo cane.
Quando, poco dopo, si sentirono stanchi e sicuri, rallentarono e proseguirono verso meta ignota. La speranza era di incontrare presto un altro villaggio, magari più tranquillo del precedente, dove avrebbero potuto riprendere le scorte di cibo perse durante la fuga.


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Capitolo 3
*** Anfitrione. ***


Anfitrione

Fattoria di Hershel, prima mattina.

<< Buongiorno >> disse Glenn ad Andrea, non appena gli passò davanti, uscita dal camper. Il gruppo si era svegliato da poco e già tutti erano indaffarati nelle loro faccende, immersi ognuno nei propri pensieri e preoccupazioni. Sophia, gli zombie nel fienile e il nuovo bambino in arrivo di Lori. Ognuno padrone del proprio pensiero, ognuno intento a domare la propria fiera personale. Solo l'uomo delle pesche, così soprannominato quella mattina Glenn, si ritrovava ad affrontarne non una, ma tutte e tre insieme! Unico padrone di tre preoccupazioni, di cui due segrete, e unico incapace a mantenerli.
<< Buongiorno >> rispose Andrea prima di allontanarsi velocemente, dirigendosi verso Rick e gli atri che come ogni mattina stavano organizzando le ricerche per trovare la piccola Sophia, smarrita qualche giorno prima, speranzosi tutti di trovarla viva.
<< Tieni Dale, qui ci sono delle pesche >> disse ancora Glenn passandogliene qualcuna. Gli occhi smarriti si guardavano attorno, guardinghi, quasi terrorizzato, come se avesse una grossa macchia sulla faccia di cui si vergognava. E questo non sfuggì a T-Dog, nonostante si stesse stropicciando gli occhi intento ancora a svegliarsi << Che succede? >> chiese guardandolo. Domanda che fece aumentare quella macchia e quello sguardo piena di terrore e vergogna << Niente. >> si affrettò a rispondere, continuando a guardarsi attorno terrorizzato. Gli occhi spalancati corsero da T-Dog a Dale con rapidità, per poi tornare a T-Dog e Dale non potè fare a meno di inarcare le sopracciglia chiedendosi "che diavolo ha stamattina il ragazzo?". Poi Glenn, incapace di sopportare quegli sguardi che sembravano scavargli all'interno, afferrò il suo cesto delle pesche e si allontanò velocemente dirigendosi verso Lori, per chiederle come si sarebbe comportata con Rick e il bambino in arrivo.
Andrea prima di andare da Rick andò da Daryl per chiedergli come stava: dopo che lo aveva quasi ucciso sparandogli addosso i sensi di colpa la tormentavano. Voleva solo provare l'ebrezza di sparare, di essere utile al gruppo difendendolo e dimostrando a tutti la sua forza e il suo valore. E invece aveva fatto un buco nell'acqua....e un graffio sulla fronte di Daryl.
Glenn venne richiamato da Shane per avere il suo binocolo e magari riuscire a scroccare qualche pesca, e ancora una volta Glenn mostrò tutto il suo lato da ragazzo sincero, non riuscendo a fare la faccia da poker. Qualcosa tormentava il ragazzo, ormai tutti se n'erano accorti, ma pochi se ne preoccuparono. Sapevano che da poco aveva cominciato ad avere una certa complicità con Maggie, la figlia di Hershel, e probabilmente i suoi erano solo i primi piccoli problemi di cuore. Per il momento la cosa più importante era trovare Sophia, non c'era altro nelle loro teste. Tranne che nella testa di Shane che vedeva in tutto questo solo una perdita di tempo: la bambina è morta, era questo che sosteneva e non voleva mettere a repentaglio la sicurezza del gruppo per un cadavere. Ma il capo ora era Rick...non lui. Bisognava obbedirgli.
Patricia e Beth si avvicinarono al gruppo di Ricck, chiedendo imbarazzate di poter partecipare all'addestramento di sparo che Shane stava organizzando, fuori dalla fattoria, e ricevendo come risposta un << Devo parlare con Hershel >> da parte di Rick, che già aveva avuto discussioni riguardo a chi deve badare chi.
Nel frattempo il piccolo Carl era solitario, in disparte, intento ad appuntire un bastone con un coltello, per qualche strano motivo che nemmeno lui riusciva a cogliere. Era semplicemente un "qualcosa da fare". Desiderava anche lui imparare a sparare, desiderava anche lui aiutare e proteggere il gruppo...era grande adesso! Voleva rendersi utile, non essere solo un impiccio, un fagotto da portarsi dietro e da proteggere. Ma questo suo padre e soprattutto sua madre non l'avrebbero mai capito: lui era solo un bambino ai loro occhi, e mai avrebbero acconsentito ad un suo avanzamento di livello. Troppo pericoloso, avrebbero pensato, quasi ignorando che ormai tutto il mondo, la stessa sopravvivenza, era troppo pericolosa.
Nascosto sotto il suo enorme cappello donatogli dal padre continuava a rimuginare su tutto questo, all'ombra del camper, mentre gli adulti continuavano a parlare tra loro di ricerche da organizzare, addestramento e cercare di convivere con Hershel che non sembrava molto ben disposto a tenere i suoi ospiti in casa sua.
Sbuffò tra sè e sè, e lanciò lontano il legnetto, facendo due passi per sbollentare e farsi passare quei pensieri. Doveva trovare il modo di convincere i suoi genitori.
Girò intorno al camper, calciando un sassolino che aveva trovato la sfortuna di ritrovarsi sotto i suoi piedi, poi, quasi spinto da chissà quale forza, alzò lo sguardo all'orizzonte, verso la recinzione più esterna della fattoria e lì i suoi occhi fecero una scoperta. Due puntini neri, lontani, si stavano avvicinando abbastanza velocemente. Che fossero stati zombie? Socchiuse gli occhi, cercando di contrastare il sole e cercando di puntare lo sguardo il più lontano possibile. Fece due passi avanti, sempre con la speranza di capire cosa fossero quelle due macchioline che si avvicinavano spedite, ma ancora senza successo.
<< Papà! >> chiamò allora. Suo padre avrebbe avuto le risposte, lui ce le aveva sempre, e avrebbe saputo cosa fare...come sempre. Rick girò velocemente la testa in direzione di suo figlio, leggermente allarmato della chiamata, allarme che aumentò ancora di più quando vide Carl indicargli un punto lontano da loro, oltre la staccionata. Spostò lo sguardo dove Carl gli suggeriva e anche lui vide le macchioline nere che si avvicinavano, ma anche lui non capì subito cosa fossero. Troppo sole...e troppo lontane. Shane, anche lui giratosi alla chiamata, approfittò subito del suo binocolo appena conquistato da Glenn e se lo portò al volto, cercando di vedere cosa si stesse avvicinando, e facendo due passi avanti.
<< Cosa sono? Zombie? >> chiese Rick al suo amico, già preparandosi a correre in quella direzione per andare ad uccidere eventuali invasori. Ma l'espressione di Shane in qualche modo placò la sua fretta e gli lasciò solo tanta curiosità.
<< Ma guarda un po' >> si lasciò sfuggire Shane, sorridendo divertito dalla scoperta << Guarda tu stesso >> disse ancora, porgendo a Rick il binocolo, ancora sorridendo. Cosa aveva visto di tanto divertente? Sicuramente non zombie...non avrebbe reagito in quella maniera. Rick inarcò le sopracciglia alla vista dell'espressione divertita dell'amico e si portò lentamente il binocolo alla faccia. Poi anche lui sorrise << Incredibile >>
<< Cosa? >> chiese Jimmy, il fidanzato di Beth, non capendo cosa ci fosse di tanto divertente ai confini di casa sua. Intanto Shane aveva già cominciato a correre incontro alle due macchioline nere, pronto ad accoglierle << Vieni Carl >> aveva chiamato, e il bambino non se l'era lasciato ripetere due volte. Non aveva idea di cosa avessero visto suo padre e Shane, ma si fidava di lui, e se non c'era bisogno di armarsi un motivo c'era.
Rick sorrise e abbassò il binocolo << Una singolare coppia sta venendo a farci visita >> rise.

Carl sembrava entusiasta mentre giocava col cane appena arrivato e quasi aveva dimenticato il suo desiderio irrefrenabile di imparare a sparare. Rideva mentre il Border Collie gli leccava il viso, e rideva ancora più forte le volte che il cane cercava di alzarsi su due zampe, posando le anteriori sul petto del ragazzino e finendo col spingerlo a terra. Quella scena era la cosa migliore che succedeva negli ultimi mesi, una cosa così banale, che un tempo sarebbe stato quotidiano e non certo stimolo di tanta felicità. Ma in momenti come quelli vedere un bambino giocare divertito con un cane, e ridere così forte, era una scena paradisiaca. Lori, seduta sulle scale all'entrata di casa, aveva quasi le lacrime nel vedere suo figlio, e si stringeva forte a se stessa. Aveva dimenticato la risata di suo figlio, e ora che la riascoltava sembrava che il paradiso avesse aperto le sue porte.
<< E' davvero incredibile >> disse Maggie avvicinandosi alla donna seduta << Sembra un segnale di Dio. Ci ha voluto mandare un segno di speranza. Non credi? >>
Lori tirò su col naso, e voltandosi verso la ragazza si limitò semplicemente ad annuire. Aveva un nodo in gola, e non voleva rischiare di scoppiare a piangere in quel momento, proprio mentre le era stata fatta una domanda.
<< Papà, possiamo tenerlo? >> chiese Carl, voltandosi verso suo padre e correndogli incontro, inseguito dal cane che non aveva smesso un attimo di scodinzolare. Suo padre si trovava di fianco al cavallo che era arrivato insieme al cane, insieme a Hershel, che gli aveva portato acqua e fieno per nutrirlo, e Dale. E stranamente avevano una faccia cupa. La gioia della scoperta, il divertimento nel vedere arrivare un cavallo al seguito di un cane, era sparito nell'istante in cui avevano notato che il cavallo era sellato...ma sulla sua schiena non c'era nessun cavaliere. E di questo stava parlando in quel momento con gli altri due uomini, ma Carl questo non lo notò nemmeno. Nel momento in cui, prima, Shane si era avvicinato ai due animali il cane si era fermato di colpo e aveva cominciato subito a ringhiare e a mostrare i denti. Il cavallo, obbediente si era fermato dietro di lui a brucare un po' d'erba. Shane aveva provato ad avvicinarsi lentamente, cercando di sembrare il meno minaccioso possibile, rivolgendogli parole tranquille, ma il cane aveva risposto con altri ringhi ed altri abbai. Ma non appena era arrivato anche Carl tutto era cambiato. Il cane d'istinto aveva tirato una scondinzolata appena visto il ragazzino, e anche se era rimasto guardingo e malfidente, sembrava essere indeciso sul da farsi. Aveva smesso di ringhiare e aveva cominciato ad arretrare piano piano. Carl aveva sorriso, affascinato dall'animale, e chinandosi in avanti aveva sporto una mano verso il cane, aspettando che fosse lui ad avvicinarsi e ad annusarlo.
<< Vieni >> lo aveva incoraggiato, facendo qualche piccolo passo in avanti << Va tutto bene >> aveva continuato, e il cane era sembrato l'avesse capito perchè aveva scodinzolato ancora un paio di volte. Poi si era acquattato e allungando il muso il più possibile aveva cercato di avvicinarsi lentamente al ragazzino, gli aveva annusato la mano, aveva capito che non era come la gente che puzzava di morte, che lui era buono e subito si era sbilanciato in avanti leccandogli una guancia. Era stato amore a prima vista.
<< Certo Carl che puoi tenerlo >> sorrise suo padre e lo incoraggiò con un gesto della mano a ritornare a giocare, cosa che fece subito << Ti chiamerò Jack! >> disse felice Carl verso il suo nuovo animale. Poi Carl corse via, inseguito dal cane che probabilmente da tempo non si sentiva libero di divertirsi data l'energia e la gioia che dimostrava con le sue scodinzolate e i suoi abbai.
<< Allora capo, che ne pensi? >> chiese Shane, avvicinandosi a Rick.
<< Questo cavallo apparteneva a qualcuno, e probabilmente questo qualcuno ha tentato per un po' la fuga. >> indicò la sella << C'è del sangue rappreso. >>
<< Probabilmente allora anche il cane apparteneva alla stessa persona, visto che viaggiavano assieme. >>
<< Già. Ora la domanda è se questo qualcuno è morto o è ancora vivo da qualche parte. Gli animali seguono l'istinto, forse sono fuggiti via da una situazione pericolosa lasciando il loro padrone. >> disse ancora Rick, facendo congetture campate in aria.
<< I cani non fanno queste cose >> intervenne Dale << Se il padrone è in pericolo loro lo difendono fino alla morte. >>
<< Io penso che se il cane fosse veramente fidato come dici tu, e se il padrone si fosse trovato in pericolo, a quest'ora lui non sarebbe qui, ma sarebbe rimasto accanto a lui finendo con l'essere sbranato. >> disse Hershel mentre si occupava del cavallo << E poi vorrei farvi notare che le redini del cavallo sono tagliate di netto. >> le mostrò agli altri uomini << Sono state tagliate con un coltello, o qualcosa giù di lì, e anche con molta fretta data l'imprecisione del taglio. Forse il suo padrone, in una situazione di allarme, ha tagliato le redini per liberarlo e permettergli la fuga. >>
<< Stai dicendo che secondo te è stato il padrone stesso a mandargli via, a farli fuggire? >> chiese Rick, e in tutta risposta ricevette da parte dell'uomo un mugolio che stava a significare "forse".
<< Vi state facendo troppe fantasie secondo me. E qualsiasi sia la risposta penso che sia irrilevante, non sono faccende che ci riguardano, non sappiamo nemmeno chi sia questa persona. >> disse Shane, e Rick sapeva che sotto sotto aveva ragione. Ciò nonostante non riusciva a non essere turbato, e sentirsi in qualche modo tirato in causa. Una sensazione, una voce, gli diceva che quegli animali erano arrivati lì in cerca di aiuto. E se fosse stato proprio il padrone a mandarli? Con la speranza che magari qualcuno li avesse trovati, e fosse tornato a salvarlo? Non riusciva a non porsi queste domande.

Fattoria di Hershel, mezzanotte passata

<< Carl, tesoro vieni nella tenda. Devi dormire. >> disse Lori a suo figlio, che si trovava in piedi, vicino a un albero. Si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. Sapeva cosa stava osservando e riusciva a cogliere la sua preoccupazione e dispiacere.
<< Non si è più mosso di lì, neanche quando sono andato a prenderlo. >> rispose il ragazzino. Gli occhi erano puntati sul suo nuovo amico, Jack, il Border Collie che era giunto correndo dal bosco e seguito da un cavallo. In quel momento l'animale era steso su un masso leggermente sopraelevato, la coda che cadeva giù morbida, le orecchie abbassate e lo sguardo fisso sul bosco oltre la staccionata della fattoria. Da quando era scesa notte si era messo lì e più s'era mosso, non aveva più scodinzolato nè cercato il ragazzino per qualche coccola. Se ne stava lì, solo, ignorando chiunque gli si avvicinasse e piangendo senza tregua, intervallando i guaiti ogni tanto con dei leggeri ululati. Il tutto sempre molto basso, per non fare troppo rumore, com'era stato abituato. Lori guardò il cane e riuscì anche lei a percepire il dolore che provava.
<< Gli manca il suo padrone. >> disse Carl, capendo al volo cosa poteva passare per la testa del suo nuovo amico << Lo sta aspettando, per questo guarda in quella direzione. >> la tristezza nelle parole di suo figlio erano più dolorose dei guaiti del cane. Lori lo abbracciò e cercò di portarlo nella tenda, ma Carl con una scrollata di spalle si separò da sua madre e andò a sedersi vicino a Jack, facendogli qualche carezza sulla testa. Ma anche quello sembrò non coinvolgerlo minimamente: Jack rimase immobile, come se non avesse percepito la presenza del ragazzino, e continuò a piangere e aspettare con ansia di veder sbucare dal bosco una sagoma nera dall'odore familiare.

Nello stesso momento, in un villaggio non molto lontano da lì.

Una trentina di zombie potevano essere contati, se lì ci fosse stato qualcuno a farlo. Ammassati e rumorosi, porgevano le loro braccia fameliche verso l'alto, come se l'insistenza prima o poi li avrebbero ricompensati, come se prima o poi quelle mani avessero potuto miracolosamente allungarsi e afferrare il loro succulento pasto. Alcuni di loro, quelli più vicini al tronco dell'albero che avevano accerchiato, graffiano con le unghie la corteccia, in un primitivo tentativo di arrampicarsi. Tentativo ovviamente fallimentare, data la loro scarsa capacità di movimento e la loro pessima intelligenza che non li faceva appigliare in maniera adeguata. Ma l'ostinazione era una delle loro migliori caratteristiche, e finchè la preda sarebbe rimasta lì loro avrebbero continuato a tentare, come avevano fatto in quei due giorni. Mai si erano allontanati perchè lei era lì, profumata e invitante, e diamine prima o poi l'avrebbero presa, ne erano certi!!
E a lei puntavano i loro occhi putrefatti, e lei richiamavano con le loro voci roche e disumane. Lei, la preda, che si trovava proprio sopra le loro teste, stesa su di un grosso ramo, con braccia e gambe penzoloni, ormai esausta, assetata e affamata. Due giorni, forse tre ormai, era rimasta lì, senza acqua nè cibo, sotto il sole cocente del giorno e il vento gelido della notte, e quel ronzio continuo degli zombie sotto di lei. La testa penzolava da un lato e gli occhi erano chiusi, in cerca di riposo, ma senza trovarlo pienamente. La paura di perdere l'equilibrio nel sonno e cadere dal suo rifugio era troppo grande. Ma cominciava veramente a non farcela più. Aveva sete ed era esausta. Ma l'istinto di sopravvivenza e la sua forza di volontà la tenevano ancora ben salda su quel tronco. Finchè sarebbe rimasta lì sopra sarebbe stata al sicuro da quei mostri, e l'importante era non diventare la cena. Non sarebbe stato carino.
Un occhio si aprì debolmente, ma poi si richiuse. La testa penzolava e cercava di rimanere sveglia penzolando da un lato all'altro, cercando di tenersi sempre attiva. Ogni tanto sonnecchiava, si appisolava, ma al minimo cenno di perdita dell'equilibrio saltava svegliandosi e aggrappandosi al ramo sotto di sè. E intanto i mostri sotto di lei continuavano a far rumore e a brontolare << Piuttosto divento cena degli avvoltoi. Non ve la do la soddisfazione di avermi. >> borbottò rivolta agli zombie sotto di lei. Sospirò e ciondolò ancora la testa, e ancora e ancora, mentre un pensiero ricorrente le teneva compagnia.
<< Max. >>

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Capitolo 4
*** Naufragio. ***


Naufragio

Sentiva il rumore dell'oceano e il calore del sole sulla pelle. Era sulla spiaggia, lo sentiva, quella meravigliosa spiaggia che dava sulla distesa d'acqua più grande che abbia mai potuto vedere. Non ricordava di aver mai provato una sensazione simile, era la cosa più bella che avesse mai potuto vedere.
<< Niente di diverso dal nostro Mar Mediterraneo. >> aveva detto una delle persone che erano lì con lei. Ma non era vero, non era affatto come quella pozzanghera che c'era a casa sua e che non capiva per quale logica veniva chiamato Mare. L'Oceano! L'oceano era padrone di tutto, lo sentiva, sentiva il suo potere e la sua immensità, si sentiva come di fronte a un Dio. Freddo e inaccogliente, pieno di pericoli e dal fondo così lontano delle volte da risultare irraggiungibile. Chissà quali segreti e misteri nascondeva e copriva con tanta premura, cose che a nessuno era dato vedere, cose da cui l'essere umano era stato tenuto lontano e che erano state protette. Teneva lontani,proteggeva, ma il suo fascino era irresistibile. L'aria salmastra le riempiva i polmoni donandole nuova vita, era come se fino ad allora lei non avesse mai respirato veramente. Solo ora capiva cosa voleva dire respirare l'aria, e solo ora capiva quanto ciò fosse importante e assolutamente fantastico.
Sentiva il rumore dell'oceano.
Poi qualcosa d'improvviso eliminò qualsiasi cosa: ricordi, sensazioni, percezioni. Confusione improvvisa e la paura si impossessò di lei. Conficcò le mani alla prima cosa che le capitò sotto tirò e cercò di irrigidirsi, guardandosi confusa attorno, cercando di riprendere l'equilibrio e capire dove si trovasse.
Dov'era l'oceano?
Ah...era solo un sogno. Il meraviglioso via vai delle onde ora non c'era più e aveva lasciato il posto ai lamenti, ai grugniti e a versi di ogni genere. Gli zombie sotto di lei ancora allungavano le braccia e si arrabbiavano di non riuscire a raggiungere la loro vittima. Il cuore di Ocean, che si stava calmando nel momento in cui aveva sentito riprendere l'equilibrio, riprese di nuovo a correre impazzito quando si rese conto, ricordandosi, di essere in pericolo, e di aver sfiorato la tragedia.
<< Cacchio, mi ero addormentata!! >> disse guardando l'albero su cui era appigliata, per fortuna era riuscita a non cadere. Il piccolo movimento che aveva fatto il corpo che stava per cadere, perdendo l'equilibrio, l'aveva svegliata e le aveva permesso di aggrapparsi appena in tempo.
<< Ma non vi arrendete mai?! Andate a cercare qualcun altro da torturare, tanto io resto qui! >> urlò Ocean contro quegli esseri informi sotto di lei. Le stavano dando sui nervi, perchè non se ne andavano lasciandola in pace?! Ah, già. Perchè era l'unica cosa rimasta commestibile nel giro di qualche kilometro.
<< Spero di restarvi indigesta, se mai doveste riuscire a prendermi! Vi farò venire la gastrite, ve lo giuro. Brutti schifosi. >> disse sistemandosi meglio sul ramo che la sorreggeva e cercando di rilassarsi. Il sole era alto in cielo, forse era il primo pomeriggio, e il caldo non faceva sentire la sua mancanza. Ocean alzò gli occhi sopra di lei, socchiudendoli per proteggerli dalla luce del sole, e scrutò la distesa azzurra: non c'era neanche l'ombra di una nuvola. E all'orizzonte non c'era anima viva.
<< Neanche per caso passa gente di qua. >> ormai le speranze di salvarsi l'avevano abbandonata, ma era una ragazza testarda e si era ripromessa che qualunque sarebbe stata la sua fine non sarebbe mai stata per mano (o bocca) dei Putridi. Mai gli avrebbe dato questa soddisfazione....si erano già presi troppo.
Poi, come se lo avesse chiamato, un rumore non molto distante. Ocean si rizzò, stendendo la schiena e cercando di puntare lo sguardo il più lontano possibile, mettendosi a cavalcioni sul ramo. Da dove proveniva?
<< Una macchina! >> riconobbe. Era il rumore di una macchina! E dove c'era una macchina che andava c'era sicuramente qualcuno vivo...a meno che gli zombie non avessero imparato a guidare.
Anche gli zombie sotto di lei la sentirono e in molti voltarono le teste verso la provenienza del rumore, ma non tutti ne furono attirati: la preda sopra di lei era più gustosa e concreta di un rumore; era a portata di mano. Alcuni si spostarono, cercando la fonte del rumore, ma molti, troppi, rimasero fermi lì ancora a cercare di afferrare la vittima sopra di lei.
<< E state zitti!! >> li brontolò Ocean, e poggiando una mano sul tronco dietro di lei tentò di tirarsi in piedi, con la speranza di riuscire a vedere la macchina che sembrava essersi fermata nei paraggi. Si guardò attorno con insistenza, ma non c'era verso. Una macchina era arrivata lì, in quello stesso villaggio, a pochi metri da lei probabilmente, ma le case le impedivano di vedere dove fosse di preciso e di chiedere eventualmente aiuto.
Rimase ferma, rigida nella sua posizione a lungo, col cuore che le martellava in petto e la speranza che non l'abbandonava. Sperava di vedere arrivare delle persone, sperava di essere vista e che avessero provato a fare qualcosa per tirarla giù di lì. Finchè non avesse sentito la macchina ripartire e allontanarsi ci sarebbe stata speranza. Continuò a guardare, il cuore continuò a correre, a tamburellare, e la testa pensava solo "Dai, venite fuori! Fatevi vedere! Dove siete?".
Poi uno sparo. Ocean sussultò al rumore improvviso e portò gli occhi in basso, ai suoi cacciatori per vedere come avrebbero reagito loro. Ma di nuovo solo un paio di mossero di lì, attirati dal rumore improvviso.
<< Beh? Non avete sentito? Perchè non andate anche voi a vedere cos'è stato, eh? >> disse e fece un gesto con la mano << Sciò sciò! >> ma certamente non riuscì a convincerli.
"Testardi" pensò riportando gli occhi davanti a lei e tornando di nuovo a cercare e aspettare, anche se la speranza cominciava già a scemare: se avevano sparato c'era stato sicuramente un motivo valido. Se avevano sparato erano stati attaccati, e allora sarebbero fuggiti, senza neanche vederla, o sarebbero stati uccisi.
Un altro sparo, e poi un altro, e un altro ancora. La persona (o le persone) che erano giunte in automobile si trovavano in difficoltà, ormai ne era certa. Quel posto brulicava di zombie, non faceva fatica a credere che fossero sbucati da ogni dove e li stessero accerchiando, nonostante una gran quantità già si trovava sotto di lei. Le parve di sentire una voce, le parve di sentire qualcuno che chiamava un certo << Andrea >>, ma la voce era sopraffatta dal rumore degli spari e non era sicura di aver capito bene. Sentì la macchina mettersi di nuovo in moto e lì cominciò ad arrivare il panico << Se ne vanno!!! >> urlò Ocean, non sapendo dove guardare e dove dirigere la voce << Aiuto!! Non andatevene! >> urlò prima in italiano, poi in inglese. Ma ovviamente non fu sentita, troppo chiasso, zombie, distanza, pistola e automobile: tutto questo impediva alla voce di Ocean di raggiungere le persone che erano lì.
<< Aspettate!! Sono qui!! >> urlò ancora, saltellando appena, poco per evitare che il ramo si spezzasse, ma non riusciva a stare ferma. Desiderava saltare giù e correre via, inseguire quelli in macchina per mettersi in salvo. Ma saltare da quell'altezza e sperare di non essere presa dagli zombie era pura utopia. Non si sarebbe rialzata in tempo, sempre se prima non si fosse rotta una gamba.
Ma la speranza tornò a batterle in petto, qualcuno doveva aver ascoltato le sue preghiere perchè sentì l'automobile avvicinarsi, non allontanarsi. Probabilmente non avrebbero fatto la stessa strada dell'andata, e Ocean pregò che passasserò di la. Spalancò gli occhi, cercando di seguire con la testa il rumore dell'auto per capire da dove sarebbe sbucata, e si preparò a dimenarsi per farsi vedere. E poi eccola: un auto color verde pisello sbiadito svoltò l'angolo e corse lungo la strada che passava sotto il suo albero. L'avrebbero vista per forza, era lì davanti a loro e le sarebbero passati accanto! Un sorriso si fece largo sul suo viso, ma subito scomparve, non era ancora tempo di cantar vittoria, e cominciò immediatamente a sventolare una mano e dimenarsi << Ehi!! >> urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni << Ehi!! Aiutatemi!! >> urlò ancora, ma l'auto non dava cenno neanche di rallentare. Ocean riuscì a scorgere, una volta abbastanza vicina, le due persone che stavano all'interno: un uomo alla guida, con un cappellino da baseball e lo sguardo incazzato nero, al suo fianco una donna dai capelli biondi e scompigliati. Entrambi guardavano fissi la strada davanti a loro con lo sguardo più duro che Ocean avesse mai visto. Sventolò ancora la mano, allungandosi, senza però lasciare mai il tronco di fianco a sè con l'altra mano.
<< Aiuto! >> urlò di nuovo prima di vedere l'auto filare via, senza neanche dare cenno di rallentare. Il sorriso scomparve sul volto di Ocean: perchè la lasciavano lì? Notò che dietro di loro si facevano strada zoppicando, inciappando e dimenandosi altri zombie, e si sforzò di giustificarli: erano in fuga, se si fossero fermati avrebbero rischiato la vita. Ma...davvero la lasciavano lì? Neanche ci provavano? Li guardò andare via con la morte nel cuore, e ancora una volta si ritrovò di fronte alla verità che nella legge di sopravvivenza non c'era posto per l'altruismo.

Fattoria di Hershel, poco dopo.

Shane e Andrea scesero dall'auto dopo esseri andati a perlustrare il villagio in cerca di Sophia, e aver trovato solo zombie. Ad aspettarli c'era Dale, con uno sguardo quasi più impaurito che preoccupato. Non si fidava di Shane, non si fidava per niente, e l'idea che si stesse portando dalla sua la sua cara Andrea lo metteva in agitazione: quell'uomo era un folle, e Andrea doveva stargli lontana, non doveva diventare come lui. Ma la sua influenza non era abbastanza forte da impedire alla sua cara amica di evitare di frequentare quella terribile compagnia. Carol si avvicinò subito a loro, guardandoli colma di speranza e subito chiese << Allora? >>. Sperava dicessero che aveva trovato qualcosa, ma non aveva visto Sophia con loro, quindi probabilmente il loro era stato un viaggio a vuoto. Sospetto che venne confermato dal << Mi dispiace >> di Andrea << Domani copriremo una zona più vasta. >> disse sperando di infonderle un minimo di speranza. Dale colse gli sguardi imbarazzati e confusi dei due e subito volle sapere cosa era successo, ma Andrea non rispose. Balbettò, farfugliò, ma non disse niente e volse il suo sguardo a Shane, in cerca di una risposta. Shane rispose al suo sguardo quasi con severità << Quel posto era stato invaso. >> Annunciò al vecchio barbuto, facendogli capire che se erano così turbati era solo perchè avevano affrontato zombie. Andrea annuì, confermando le parole dell'uomo e poi seguì Carol verso casa, dove si sarebbe lavata e sistemata, lasciando i due uomini soli che subito cominciarono a discutere. Dale voleva che Shane se ne andasse e tentò di fargli capire che non l'avrebbe fregato e che lui sapeva che era pericoloso, ma Shane...Shane non gliela avrebbe lasciata vinta. Cosa voleva quel vecchiaccio da lui? Dovevano solo essergli grati, invece di rompere tanto le scatole e continuare a puntargli il dito contro. Lui si sacrificava per il gruppo, era pronto a tutto per loro, soprattutto per Lori e Carl, e loro continuavano a non accettarlo e vederlo come una minaccia. Non avevano capito proprio niente! Era lui che teneva in vita il gruppo, non certo Rick che si catapultava ovunque ci fosse pericolo solo per una strana forma di egocentrismo, sempre pronto a correre in aiuto di chiunque anche verso chi non aveva nulla a che fare.
Per questo non aveva nessuna intenzione di dire una sola parola sulla ragazza vista in cima a quell'albero. E Andrea doveva fare altrettanto. Per il bene del gruppo.

L'ora di pranzo arrivò in fretta, o almeno la fame arrivò in fretta: ormai non esistevano più le ore e l'unico tempo che si seguiva era quello biologico. La casa di Hershel era come al solito off limits, perciò si ritrovarono di nuovo a mangiare tutti assieme fuori, sotto l'ombra di un albero, intorno al fuoco e circondati dalle proprie tende. L'aria era tesa, e tutti avevano un peso sul cuore che li spingeva a rimanere in silenzio, con lo sguardo fisso sul proprio piatto. Il bambino di Lori, la piccola Sophia che non si trovava, gli zombie nel fienile...e ora, ma solo nella mente di Andrea, si faceva strada quella scena vista poco prima, in città: quella ragazza che si dimenava sopra quell'albero, supplicando aiuto, e loro che non avevano neanche rallentato per vedere se stava bene o meno. Shane le aveva imposto di tacere e le aveva dato delle buone motivazioni: << Rick partirebbe alla riscossa per salvarla, e finirebbero tutti uccisi >>. La città era invasa, e sotto di lei c'erano una ventina di zombie, non sarebbero mai riusciti a salvarla senza perdere nessuno. Era meglio aver fatto finta di non vedere, era meglio per tutti. Ma l'idea di aver lasciato una persona sola a morire non lasciava in pace la coscienza di Andrea. Come faceva Shane ad essere così tranquillo? Voleva assolutamente diventare come lui...stava bene con se stesso, e faceva le sue scelte senza ripensamenti.
<< Ehm >> la voce di Glenn cercò di rompere quell'aura di imbarazzo, ma lui stesso non si sentiva tranquillo e il tentativo non riuscì bene. << Sentite >> tentò di nuovo di cominciare, di cercare le parole, ma come dirlo? Qual era il modo migliore? Sospirò, temporeggiando ancora, poi alla fine si arrese e disse quello che doveva senza troppi ricami inutili << Il fienile è pieno di zombie >> ed ecco che ebbe addosso l'attenzione di tutti. Sembrava una cosa assurda, da non credere! Era il posto più sicuro che avessero trovato...e invece avevano il nemico proprio dentro casa.
Shane fu il primo a partire e dirigersi verso il casolare, subito seguito poi da tutti gli altri, per andare a controllare, increduli e per niente tranquilli.
<< Non ci saremmo dovuti fermare qui! >> sottolineò subito Shane, agitato dall'idea che avessero quei mostri a due passi da dove avevano dormito tranquilli per giorni. Erano stati in pericolo e non lo sapevano: la cosa lo spaventava. Ma come al solito era l'unico di quel parere e ne nacque una discussione: non potevano andarsene, dovevano trovare Sophia! Era questa la verità che tutti sostenevano, era questo che impediva a chiunque di seguirlo, o forse era anche il semplice fatto che finalmente avevano trovato la tranquillità. Non era più solo un ipotesi...lì avevano vissuto normalmente, ed era solo questo che desideravano. Nessuno voleva andarsene...e ora che Lori era incinta Rick era agguerrito più che mai, e non avrebbe rinunciato a quel posto per niente al mondo. Lì Lori avrebbe potuto partorire tranquilla, e il loro nuovo nascituro sarebbe potuto crescere senza scappare ogni giorno. Dovevano restare lì. E dovevano trovare Sophia...a sostenere questa causa era soprattutto Daryl: aveva rischiato la sua vita per quella bambina, e ora che aveva trovato la sua bambola e aveva una pista non avrebbe rinunciato per niente al mondo.
E come al solito ne nacque una litigata, tutti che offendevano tutti, tutti pronti a sostenere la propria causa, tutti contro Shane. Rick disse che voleva prima parlarne con Hershel, non avrebbe mosso un dito senza il suo consenso: voleva il suo favore, e sarebbe stato pur disposto ad accettare degli zombie domestici chiusi in un fienile.
La discussione non portò a niente se non a farsi sentire dagli zombie che si agitarono e si schiacciarono contro la porta sigillata, facendola vibrare.
<< Ci conviene allontanarci da qua. >> disse Rick << Andrò a parlare con Hershel. >> disse guardando Shane. Non voleva che lui si azzardasse a muovere un dito contro quel fienile, doveva aspettare! Rick avrebbe deciso, come sempre, non Shane!
E la cosa come al solito si acquietò così, con l'ultima parola di Rick, Shane che si allontanava sbuffando e torturandosi la testa e tutti gli altri che tornavano a farsi gli affari propri come se il problema non li riguardasse.
Andrea rimase per qualche secondo a fissare il fienile, ad ascoltare le urla e i lamenti degli zombie all'interno e alla fine prese una decisione.
<< Rick! >> lo chiamò raggiungendolo in fretta, ormai che era solo poteva parlargli, Shane non avrebbe potuto impedirglielo. Rick si fermò e si voltò, aspettandola per ascoltare ciò che aveva da dire << So che ora hai altro per la testa e problemi maggiori, ma... >> si prese una pausa riflessiva prima di continuare << Oggi io e Shane siamo andati in quella città, ricordi? A cercare Sophia. >>
<< Avete trovato qualcosa? >> si informò subito Rick, speranzoso che almeno una buona notizia gli arrivasse.
<< Sì, abbiamo trovato qualcosa. >> disse Andrea prima di aggiungere << Ma non c'entra con Sophia. >>Rick aggrottò la fronte: di che stava parlando la bionda?
Andrea fece un sospiro prima di continuare << Shane mi aveva chiesto di non parlartene per proteggere il gruppo, perchè sapeva che saresti andato lì, e forse e proprio perchè spero che tu vada lì che te lo sto dicendo: C'era una ragazza. Era sopra un albero, circondata da zombie, al sicuro per ora ma non credo possa resistere a lungo senza acqua nè cibo, e chissà da quanto tempo era già lì. Ha chiesto aiuto più volte, cercando di farsi notare da noi, ma abbiamo profeguito lasciandola lì. >> e finito di spiegare alzò gli occhi, cercando le risposte in quello dell'uomo, che rimase incredibilmente impassibile.
<< Non posso partire al salvataggio di qualsiasi sconosciuto incrociamo. Shane ha ragione: sarebbe troppo pericoloso. >>
<< Sicuramente lo sarebbe, infatti non volevo chiederti di andare tu lì. Io più tardi torno in città e cercherò di aiutarla...speravo tu ti aggregassi. Da sola sarebbe più difficile. >>
Rick rimase ancora impassibile, forse fermo nella sua convinzione, per questo Andrea aggiunse subito << L'ho guardata negli occhi in quella frazione di tempo. Ho visto la speranza bruciare dentro di lei e poi morire soffocata quando ha visto che non rallentavamo. Non posso restare impassibile, quello sguardo mi tormenterebbe. Noi le abbiamo tolto quella scintilla, mi sento quasi in obbligo nei suoi confronti, come se l'avessi derubata della vita. >>
Rick abbassò lo sguardo sospirando, in un certo senso sapeva come si poteva sentire la bionda: anche a lui spesso capitava. Sapeva che quando ci si ritrova di fronte a una richiesta d'aiuto tirarsi indietro diventa impossibile: era questo bisogno di soddisfare le persone che chiedevano aiuto che lo aveva spinto a diventare un poliziotto.
<< Va bene. Vado a parlare con Hershel, tu intanto prepara le armi. Appena ho finito torniamo in quella città, sperando di trovarla ancora su quell'albero. >> disse infine.
Andrea sorrise rivolgendogli gratitudine e si allontanò subito, dirigendosi verso il camper per prendere le armi necessarie.

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Capitolo 5
*** Impatto. ***


Impatto

<< Tu avresti bisogno di un vero uomo, che si sveglia al mattino..... >> canticchiò Ocean, picchiettando il piede contro il ramo su cui era seduta, dandosi il ritmo, e proseguendo spesso con una serie di "nanana". Tanto sapeva che nessuno avrebbe obiettato la sua carenza di memoria in fatto di canzoni, chi poteva farlo? La mandria di informi che aveva sotto? Ma se neanche capivano cosa c'avevano intorno?!
Sempre canticchiando distrattamente portò il suo sguardo alle sue dita: tra le unghie ormai nere ce n'era una spezzata che da giorni le stava dando il tormento.
<< Hei, bello. Hai mica una forbicina? >> disse ad alta voce rivolta a qualcuno di imprecisato sotto di lei. In altre occasioni avrebbe provato a utilizzare i denti, ma in tempi come quelli era un rischio qualsiasi cosa si mettesse in bocca. Chissà cosa aveva sotto quelle unghie: tutto quel nero poteva essere infetto. Anche bere era diventato un rischio, e spesso evitava di bere da fonti o da ruscelli, ma quando poteva preferiva usufruire di qualche bottiglia di acqua minerale superstite. Si sentiva più sicura. Ma purtroppo non sempre era possibile: le bottiglie erano carenti, molti avevano avuto la sua idea, e spesso le trovava aperte o rotte con l'acqua riversata sul pavimento.
Abbassò lo sguardo al suo popolo di fan, e alzò un sopracciglio al sentirli ancora urlare e lamentarsi: erano stupidi, ma testardi. Non s'arrendevano proprio.
<< Bastava dire di no >> disse ancora, in risposta a uno di loro che aveva urlato più forte degli altri, visibilmente infastidito dall'impossibilità di raggiungere la sua preda. Tirò fuori dal fodero una delle sue daghe e usando la punta con cautela cercò di pulirsi un po' le unghie: non era un bene tenere tutto quello schifo forse infetto addosso. Era meglio liberarsene quanto prima.
Rise di sè: ormai aveva un piede nella fossa, e ancora si preoccupava di cose così futili. Evidentemente la speranza, l'illusione di potercela ancora fare, non l'aveva ancora paradossalmente abbandonata. E aveva fatto bene, altrimenti non avrebbe resistito con tanta tenacia fino a quel momento. Fino a quel momento...quando...Bang!
Il suono improvviso la spaventò, e quasi si conficcò la daga nell'unghia. Alzò lo sguardo: era così maledettamente vicino! Chi aveva sparato?!
Poi la vide: poco distante da lei, a distanza di sicurezza ma abbastanza vicino da poter diventare una preda facile, una donna. La riconobbe! Era la donna bionda dell'auto vista quella mattina! Allora l'avevano vista! Erano tornati a prenderla!
La guardò colma di speranza e rinfoderò la daga, poi si alzò in piedi sul ramo, cercando di rimanere in equilibrio, così da essere più visibile, anche se non ce n'era bisogno perchè da quella distanza sicuramente l'aveva vista.
Lo sparo aveva colpito uno degli zombie sotto di lei, e gli altri non persero tempo a voltarsi verso la fonte dello sparo, più vicino rispetto a quella mattina, quindi con una preda più accessibile e più invitante.
<< Ah, ora ne venite attirati, eh? Maledetti!! E stamattina? Niente! >> brontolò Ocean, puntandosi una mano al fianco e guardando i suoi aguzzini con ostilità. Gli zombie cominciarono ad avanzare verso la bionda, cercando di acquistare più velocità che potevano, nonostante i loro arti disarticolati e traballanti non glielo permettessero troppo.
"Che fa? Si vuol far mangiare al posto mio?" pensò Ocean osservando la donna "gesto nobile, ma alquanto stupido. Beh, fatti suoi" pensò ancora e spostò lo sguardo sotto di lei, per vedere se il campo era libero per un eventuale fuga. Sarebbe stata una situazione complessa, non mangiava da giorni ed era senza energie, e non aveva mezzi di trasporto a disposizione ma doveva fare affidamento solo sulle sue gambe: avrebbe retto si e no 2 metri, poi sarebbe morta. Però almeno l'impressione di averci provato le avrebbe dato una morte gloriosa...meglio che star ferme a prendere il sole su un albero, se avesse continuato in quella maniera presto qualcuno sarebbe dovuto venire per girare il lato cottura. Ma i suoi piani vennero ancora una volta distrutti dalla donna, che le urlò qualcosa.
<< Si, certo, perchè io secondo te ti sento se parli da laggiù col sottofondo di zombie affamati! >> brontolò ancora Ocean e si fece segno alle orecchie, per indicare che non aveva sentito. La donna indietreggiò sparando ancora un colpo, e solo allora Ocean notò una macchina parcheggiata a pochi metri di distanza da lei, con un uomo dentro che aspettava.
"Allora ha una via di fuga. Allora quello che si dice sulle bionde non è sempre vero. " pensò Ocean mentre strizzava gli occhi, sperando che la lettura del labiale potesse aiutarla a capire cosa stava cercando di comunicargli la donna...e se le aveva fatto perdere tutto quel tempo solo per dirle "bel vestito che hai" era già pronta a sparargli dritto in testa quell'ultima freccia che le era rimasta nella faretra.
Ancora una volta non capì, la voce arrivò confusa, e, nonostante l'inglese ormai lo masticasse a colazione, leggere un labiale inglese (ancor peggio: americano! ) era ancora una sfida ardua per lei. Ma nonostante le difficoltà le parve di cogliere la parola " Saltare".
<< Saltare dove? >> disse Ocean perplessa, tra sè e sè, e nel mentre fece un piccolo saltello sul posto, così, solo perchè ormai il cervello non era più collegato a tutto il resto del corpo << Va bene, fatto e ora? >> ridacchiò. E lei stessa si meravigliò di come, nonostante la morte imminente, il senso dell'umorismo non voleva lasciarla andare. Sarebbe stata da prendere a schiaffi.
La donna bionda, dopo essersi tirata incontro gli zombi, prese a correre verso l'auto e ci salì sopra appena in tempo per partire più velocemente possibile.
<< Ehi!!!! M'hai fatto perdere tempo ad ascoltarti e poi mi molli qui? >> si arrabbiò e subito tornò a prendere in considerazione la sua prima idea: scendere e tentare la fuga a piedi. Per poi morire 2 metri dopo. Beh, almeno avrebbe avuto ben 2 metri di pura speranza e libertà!
Ma la macchina, dopo una manovra degna del gran prix, girò su se stessa e tornò indietro, dirigendosi velocemente verso l'albero ormai rimasto quasi vuoto. Riuscì a schivare la maggior parte degli zombie, investendone solo alcuni che subito vennero scaraventati a lato della strada, lasciando libero il passaggio. La bionda si affacciò al finestrino mentre si avvicinava e urlò << Dai! Salta, presto! >> e l'uomo gli fece eco da dentro << Presto! >>.
<< Ecco cosa volevi dirmi! >> si illuminò Ocean e facendo attenzione a non capitombolare giù, cercò di far appello a tutte le sue capacità (inesistenti) di equilibrista per potersi spingere il più estarnamente possibile, pronta a scendere giù in strada con un salto (non da poco, ma era l'unico modo per velocizzare la sua scesa).
L'auto si fermò di colpo, frenando tanto da fischiare, e lo sportello dietro venne aperto quasi contemporaneamente sempre dalla donna bionda, messa a lato passeggero, che le facevo segno con insistenza di entrare. Ocean, spintasi il più in la possibile, non appena sentì il ramo che cominciava a cedere si frmò, si chinò, lo afferrò con le mani e chiedendo loro già scusa per il trauma che stavano per subire, si lasciò cadere giù, rimanendo appesa: così diminuiva la distanza da terra e non si sarebbe rotta una caviglia. Le mani piansero i graffi che subirono nello strofinare contro il ramo ruvido e nel trovarsi improvvisamente cariche di 50 kili d'uomo. Poi Ocean, trattenendo il respiro, si lasciò cadere. L'atterraggio come immaginava non fu dei migliori, le ginocchia cedettero, e inevitabilmente la ragazza si spiaccicò al suolo come una pera matura, ma per fortuna non si ruppe niente e cercò di riprendersi quanto prima, nonostante le mancasse il fiato per il colpo subito, e si trascinò verso l'auto. Si accasciò sul sedile posteriore, senza riuscire a entrare completamente e l'auto ripartì all'istante, ma non abbastanza in tempo: uno zombie aveva afferrato la caviglia di Ocean che era rimasta penzoloni fuori, e cercava di combattere la forza dell'aria per riuscire ad arrivare con i denti alla carne tanto bramata. La donna bionda si lasciò sfuggire un grido e cercò di voltarsi per puntare la pistola al passeggero indesiderato, ma non fece in tempo a sparare: Ocean, stesa su sedile, guardò lo schifoso attaccato al suo piede divincolarsi, e senza scomporsi troppo o agitarsi, con il piede libero gli tirò un calcio sul mento.
<< E levati!! >> brontolò assestandogli un altro calcio che fece fare al collo dello zombie un sinistro rumore e gli lasciò la testa rimase reclinata all'indietro.
<< E dai, che qui non ti vuole nessuno! Fai l'autostop a qualcun altro! >> brontolò ancora e con un altro calcio riuscì finalmente a staccarsi l'ospite dalla caviglia. Intanto la macchina continuava a correre a tutta velocità sulle strade della città, cercando di uscirvi. Lo sportello ancora aperto saltellava e sbatteva in continuzione, sia per il vento che per gli urti. La donna bionda si riprese subito dallo shock di avere uno zombie in auto, sembrava la cosa non la turbasse poi troppo, e tornò a guardare la strada di fronte a sè.
Ocean, dietro, stesa sui sedili posteriori si lasciò cadere la testa sospirando colma di sollievo. Aveva ancora i piedi che penzolavano fuori dall'auto, ma ormai che era al sicuro, la forza di ritrarli e chiudere quel maledetto sportello le mancava. E in pochi attimi tutto si fece buio, e il sonno la prese come da tempo non faceva. Finalmente.

<< E' viva? >> una voce distante, ofuscata le arrivò all'orecchio. Stava sognando, lo sentiva. Non era rale, somigliava più a un eco che a una voce, non poteva esserlo.
<< E' stata morsa? >> ancora la stessa voce. O era un'altra? Era un uomo? Donna? O forse bambino? Non riusciva a distinguerle, sentiva solo voci perse in un fluido...ovattate, morbide, ondulate. Un fluido che si stendeva e si ritirava. Voci perse nell'Oceano.
<< Manu, e se provassimo a tornare? >> ancora voci. Ancora sogni. Il rumore che si può sentire nel poggiare un orecchio alla conchiglia. Non voleva lasciarla andare via.
<< Senza provviste, senza acqua, senza saper navigare e senza nave. Come facciamo a tornare? >> questa era così distinta, ma ancora immersa nell'acqua. Aveva uno strano eco.
<< Ho paura. E se a casa fosse successo... >> cosa? Fosse successo cosa? Lo stesso? Cosa era accaduto oltre l'oceano? Ma nonostante le voci si accalcassero una sull'altra, nonostante i rumori e le parole, la vista continuava a non avere ruolo in tutto questo: il buio più completo.
<< Manu!!!! >> un urlo squarciò quel buio, voce che se non fosse stata così distinta nelle sue parole le avrebbe scambiate per un tuono. Un vicinissimo tuono.
<< Alice! >> fiamme. Dolore. Voleva fuggire. Rimaneva bloccata lì, l'equlibrio le venne a mancare. Cadde. O stette ferma? Appigli non ce n'erano. Vuoto. L'aria mancava. E ancora urla. E un volto improvviso, putrefatto, denti marci e sangue su mento: un sorriso affamato. Un macabro sorriso affamato.
Il cuore saltò.
Ancora un urlo.
E aprì gli occhi: dove diavolo era? Non capì niente, non sapeva dov'era e che ci faceva lì. Dov'era Manu? E gli altri? Che ci faceva dentro un auto e perchè diavolo dei perfetti sconosciuti l'avevano accerchiata e la osservavano?
Indietreggiò terrorizzata, gli occhi spalancati correvano senza un ordine preciso aggiungendo confusione alla confusione, poi le spalle si schiacciarono contro lo sportello opposto. Un uomo si fece avanti, allungando le mani mostrando i palmi, in un gesto che serviva a tranquillizzarla, ma in quel momento tutto risultava minaccioso e pericoloso: anche i sorrisi. Soprattutti i sorrisi.
<< Va tutto bene. >> cercò di dirgli l'uomo << Tranquilla, sei al sicuro. >>
<< Non sono ancora morta!! >> urlò Ocean colma di terrore mentre con la mano andava a tastoni dietro di lei, cercando la maniglia per aprire la portiera. Che voleva quell'uomo da lui? Mangiarla? Che andassero a caccia e la lasciassero in pace!
<< Non sono ancora morta!! >> urlò ancora e finalmente trovò la maniglia.
<< Calmati! >> cercò di dirle ancora l'uomo. Ocean aprì lo sportello dietro di sè, ma le spalle erano premute su esso nel tentativo di allontanarsi e la loro pressione lo fece spalancare all'improvviso, facendo mancare l'appoggio alla ragazza che cadde all'indietro, fuori dalla macchina e d'istinto rotolò per raddrizzarsi. Non riusciva a mettersi in piedi, ma continuò a strisciare, indietreggiando. Il terrore le annebbiava la vista, e tutto era così confuso, come mosso dalle onde. Le girava la testa. Dove si trovava? Chi erano quelle persone.
Un lamento le uscì dalla gola, un lamento sottile ma che tanto somigliava a un pianto e gli occhi cominciarono a bruciare.
<< NON SONO ANCORA MORTA!! >> urlò di nuovo. Perchè lo faceva? Non lo sapeva bene...voleva in qualche modo annunciare il fatto che era ancora viva, e quindi non era pronta per diventare la portata principale di nessuno. Non voleva essere mangiata, anche se le probabilità che quelle persone volessero mangiarla erano quasi nulle, non erano zombie, e di certo agli zombie non gliene importa se sei viva o morta, ma al momento però non era in grado di stilare un ragionamento logico. Puro terrore era quello che la percorreva la mente e nient'altro. Solo la paura accumulata in quei tempi passati a scappare da bocche fameliche.
Poi un abbaio. Le sembrò di ricevere un sonoro schiaffo su una guancia perchè improvvisamente tutto si fece più chiaro: un filo conduttore in tutte quelle immagini ammucchiate tra loro, sovrapposte e troppo veloci. Si voltò e vide una macchiolina nera e bianca, un arruffo di pelo che correva impazzito verso di lei, tanto forte che la coda per l'attrito dell'aria strofinava a terra.
<< No, Carl! >> urlò l'uomo che cercava di avvicinarsi << Tienilo! E' confusa! La spaventerà! >> Ma ormai era troppo tardi, il cane era già partito, e comunque le parole dell'uomo vennero smentite all'istante, tanto che la "à" finale era diventata solo un sussurro.
<< MAAAAXXX!!! >> urlò la ragazza a terra allargando le braccia e accogliendo il cane, che dalla forza con cui arrivò la scaraventò a terra, facendole sbattere la testa. Le risa di Ocean inondarono il campo, mentre il cane non le dava tregua leccandole insistentemente il viso, benchè lei cercasse di voltarsi per il fastidio della lingua umida sulla sua pelle. La scena lasciò senza parole tutti i presenti: la risposta era ovvia, ma ci mise un po' ad arrivare tanto pareva inverosimile: quella ragazza era il padrone del cane ritrovato il giorno prima, e probabilmente anche del cavallo che era con lui.
<< Sei il cane più cazzuto che abbia mai conosciuto! >> disse Ocean con decisione abbracciando e accarezzando il suo animale. Nel momento in cui lo aveva sentito abbaiare e se l'era visto correre incontro i ricordi erano affiorati improvvisamente, e si era ricordata chi era, cosa ci faceva lì...e dov'era Manu. Si era ricordata tutto, e la confusione era passata all'istante: l'uomo che aveva cercato di avvicinarsi era lo stesso che le aveva salvato la vita poco prima, recuperandola dall'albero, insieme alla donna bionda che stava accanto a lui. Non aveva la più pallida idea di chi fossero gli altri, ma poco importava...se stavano con lui forse erano suoi amici. E probabilmente ora si trovavano al rifugio che si erano costruiti, vista la tranquillità della zona.
La bionda le si avvicinò cauta, timorosa un po' all'idea che potesse riprendere a delirare, e le porse lentamente una mano per aiutarla ad alzarsi << Va tutto bene? >> le chiese.
Ocean, sempre accarezzando il suo animale, che non smetteva di scodinzolare e strofinarsi contro di lei in cerca di coccole, si alzò a sedere e alzò lo sguardo a lei
<< Sì. Sto bene. >> e afferrò la mano della bionda facendo forza per riuscire ad alzarsi. Le gambe tremavano e non riuscivano a sorreggerla a dovere. La bionda questo lo capì perchè si avvicinò velocemente e l'afferrò da sotto il braccio per aiutarla a stare in piedi << Ma se entro pochi minuti non mi date cibo e acqua potrete andare in giro a raccontare con orgoglio di aver salvato un cadavere. >> disse e continuò a guardare Max che accanto a lei si dimenava, scodinzolava e le correva intorno euforico, non risparmiandosi gli abbai.
<< Ci penso io, tu portala dentro da Hershel. >> disse un cinesino col cappellino da baseball alla bionda, riferendosi alla richiesta di acqua e cibo.
<< Sh! Max, silenzio! >> lo ammonì Ocean con la sguardo severo, e il cane aprì la bocca per abbaiare ancora, ma gli uscì solo un lamento seguito da un abbiao soffocato. Era troppo felice per stare completamente zitto, faceva davvero fatica a trattenersi come invece di solito doveva fare. Ocean l'ammonì con lo sguardo << Zitto! E accompagnami. >> aggiunse poi sorridendo mentre cominciava a zoppicare verso la gigantesca casa che aveva davanti, sempre sorreggendosi alla donna che l'aveva salvata.
<< Mi chiamo Andrea, comunque. >> disse poi, e Ocean ebbe un colpo per un attimo. Si voltò verso la donna con lo sguardo serio e corrucciato << Come hai detto? >> le chiese incredula. Cosa che mise molto in imbarazzo la donna: che aveva detto di male?
<< Andrea. E' il mio nome. Mi piacerebbe sapere il tuo. >> balbettò un po'.
Ocean non rispose subito, ma rimase per qualche secondo pensierosa a fissarla. Poi abbassò lo sguardo, sempre serio, e aggiunse dopo un'interminabile pausa << Ocean. Ti ringrazio per avermi salvata. >> poi un altro ricordo le balenò alla mente che le fece sollevare la testa di scatto << Ehi!! >> urlò e si drizzò, staccandosi da Andrea e restando miracolosamente in piedi. Andrea la guardò sorpresa e non potè far a meno di pensare che forse quella della debolezza era solo una messa in scena: sembrava aver ripreso all'improvviso le sue forze.
<< Dov'è?!?! >> chiese improvvisamente arrabbiata, guardandosi attorno. Certo che ce n'era di gente in quel posto!
<< Dov'è?! >> disse ancora subito dopo, senza dar tempo a nessuno di rispondere. Ma subito vide chi stava cercando: appoggiato a un tronco Shane abbassò la testa un po' imbarazzato, portandosi la mani dove prima c'erano capelli folti e accarezzandosi la nuca. Gesto che faceva quando qualcosa gli frullava in testa.
Ocean senza pensarci due volte sguainò la spada che aveva ancora appesa in vita, facendo sobbalzare tutti i presenti e si avvicinò con grosse falcate all'uomo che la guardò con un po' l'aria da sfida. Probabilmente era uno di quelli che in faccia alla morte rideva e poi sputava.
<< Lurido schifoso pezzente sudicio stronzo sciolto uscito dalle fogne del peggior quartiere della peggiore città pieno di merde che vomitano altre merde! >> e puntò la punta della spada sul collo dell'uomo, che ancora non si scompose...ma anzi sembrava sorridere. Cos'aveva da ridere? Ocean aveva tutto il diritto di tagliargli la testa lì, seduta stante. Cazzo, l'aveva lasciata lì su quell'albero a morire! E non era certo stato lui a tornare a prenderla!
<< Vaffanculo!! >> sputacchiò caricando l'offesa di tutto il sentimento che aveva dentro e premette la punta della sua spada contro la sua pelle, non tanto da ferirlo, ma abbastanza da lasciargli il segno. Sentì un rumore alla sua destra, il rumore di un arma che veniva impugnata, e girando gli occhi vide una freccia sfiorarle la tempia. Una freccia caricata dentro una balestra, balestra sorretta e mira presa da un uomo dalla barbetta appena accennata, e l'atteggiamento di chi vuol fare il duro e sa di esserlo. Max appena vide Ocean sotto tiro abbaiò minaccioso, e corse a mettersi al fianco della ragazza, la schiena appoggiata su una sua gamba, la testa abbassata e gli occhi fissi sull'uomo. Ringhiava e mostrava i denti, ma la cosa parve non scomporre l'uomo. Al contrario fece sussultare il ragazzino che si trovava lì nel cerchio di persone.
<< Hai delle frecce? >> gli chiese Ocean senza muoversi, scrutandolo con lo sguardo. L'uomo aggrottò la fronte alla domanda, non riuscendo a cogliere dove volesse parare la ragazza, pensando anzi lo stesse in qualche modo confondendo e prendendo in giro.
In realtà Ocean era veramente interessata alla cosa! Non voleva prenderlo in giro...lei era rimasta senza, ne aveva una sola.
<< A quanto le fai? Sono interessata. >> continuò lei, senza scostarsi da lì. Le piaceva lasciare lo stronzo sulle spine, anche se temeva che a lui non gliene importasse niente.
<< Togliti di mezzo. >> rispose lui, ignorando completamente la domanda della ragazza, convinto che lo stesse solo prendendo in giro << E lascia qui le armi. >> continuò dando un veloce sguardo al suo armamento. Era ben attrezzata, probabilmente era grazie a loro se era sopravvissuta tanto a lungo.
<< Scordatelo, loro sono le mie braccia e non le lascio certo a voi. >> disse, ma nonostante la negazione decise che era il momento di finire il giochetto, e abbassò la spada lasciando libero Shane che si portò una mano alla gola. Si era sentito sicuro, sapeva non poteva capitargli nulla, ma nonostante questo avere una lama (forse anche infetta, con tutto quello che aveva potuto tagliare) puntata alla gola non era una pacchia. Ocean si voltò completamente verso l'uomo con la balestra trovandosi la punta della freccia puntata tra i suoi occhi, e rinfoderò la spada, in segno di pace, ma l'uomo non sembrava pronto ad accordare l'armistizio.
<< Le armi. >> disse ancora il balestriere. Ma Ocean rimase ferma dov'era, sostenendo il suo sguardo con assoluta calma e tranquillità. L'uomo che le aveva salvato la vita si avvicinò ai due alzando a entrambi le mani, e solo allora il balestriere scostò gli occhi dalla ragazza per portarlo a lui.
<< Va tutto bene. >> disse a entrambi e lanciò uno sguardo al balestriere che parve rilassarsi, ma non abbassò l'arma e continuò a tenerla sotto tiro. Solo allora Ocean intuì che lui probabilmente doveva essere quello che comunemente si chiama "capo", il quale si rivolse alla ragazza, sempre con i palmi alzati in segno di pace << Qui nessuno di noi gira armato. E' una nostra regola. >> le spiegò cercando di dare una motivazione più accettabile alla richiesta del balestriere.
<< Allora ciccio, mi sa che devi rivedere un po' le tue capacità di leader. Qui c'è un tuo suddito che non sta rispettando la regola. >> disse Ocean indicando il balestriere con un cenno del capo.
<< Lui...va bene così. Ora le metterà giù anche lui. >> spiegò ancora il Capo, dando un altro sguardo al balestriere, cercando probabilmente un segno di assenso.
<< Il cocchino, eh? >> sorrise Ocean, assumendo un tono quasi dolce e affettuoso << Che carini che siete >> disse arricciando il naso, ma il sarcasmo parve non piacere al balestriere che si irrigidì e partì a sputar offese a gratis, ma il Capo cercò di calmarlo ancora alzando di nuovo il palmo verso di lui e dicendogli un << Calmo Daryl! >> ...e ora anche il balestriere aveva un nome.
<< Ascolta, in questo momento tu hai bisogno di aiuto e noi siamo in grado di offrirtelo, ma devi stare alle nostre regole o ti riporto su quell'albero. >>
<< E così passiamo alle minacce. >> sospirò Ocean alzando gli occhi al cielo, ma suo malgrado...il Capo aveva ragione. Lei aveva bisogno di aiuto: aveva bisogno di cibo, acqua e riposo. E inevitabilmente si trovava nel loro territorio, ed era circondata. Sì, era in netto svantaggio e non poteva fare altro che dar loro ascolto. Se fosse fuggita avrebbe fatto i due metri che non aveva fatto prima, poi sarebbe morta. E cercare di "ribellarsi" per prendere d'assedio il posto era da matti: c'erano una decina di persone lì, sarebbe morta al primo fendente.
Si voltò di nuovo verso il balestriere sorridendogli sarcastica (di certo non rinunanciava per loro anche al suo orgoglio), alzò le mani in segno di resa e si tolse la faretra dalla spalla lanciandola ai suoi piedi. All'interno era rimasta solo una freccia. L'arco non ce l'aveva, probabilmente nella confusione l'aveva lasciato in macchina, o forse le era caduto in giro. Si sganciò le cinghie dal petto che legavano le daghe e anche quelle le lanciò ai piedi di Daryl, cercando quasi di colpirli di proposito, ma la cosa non lo fece scomporre. Piuttosto si sarebbe fratturato un piede, ma non avrebbe mollato la mira. Era un duro, e la cosa divertiva Ocean...era divertente vedere fin dove poteva spingersi con quel tipo di persone, ed era divertente trovare il loro punto di frattura per poi vederli crollare. Stuzzicarli e avere quasi il permesso di torturarli, perchè tanto non si sarebbero scomposti per orgoglio, fino a quando non avrebbe superato il fantomatico limite. Era un gioco che si era sempre divertita a fare, anche se a volte poteva risultare pericoloso. Ma forse proprio per questo era divertente.
Per ultima Ocean si slacciò la spada e anche quella la lanciò ai piedi di Daryl: era sicura questa volta di averli presi. Ma come immaginava l'uomo non diede cenno di dolore neanche con lo sguardo, che continuava a lanciar fulmini e saette contro la ragazza, quasi volesse ucciderla con la sola forza del pensiero. Passarono secondi, avvolti nel silenzio, ancora tesi e intenti a capire come si sarebbero messe le cose, mentre la nuova arrivata e Daryl continuavano a lanciarsi sguardi di fuoco, in un gioco di forze invisibili.
<< Bello, stai puntando un'arma contro una donna disarmata. >> disse poi Ocean, con il tono di chi fa notare una dimenticanza. Daryl lanciò uno sguardo al Capo che annuì e solo allora lui abbassò l'arma con decisione, la, fissò negli occhi ancora per pochi secondi e infine si chinò, prese le cose che Ocean gli aveva lanciato e si allontanò senza dire una parola.
La ragazza lo guardò allontanarsi sorridendo: si era divertita in quel testa testa. Da molto non aveva avuto contatti con gli umani, e ora che era tornata ad averne aveva trovato su chi sfogare i suoi istinti misantropi. Era sempre un piacere trovare una valvola di sfogo per la propria tensione. Poi quel tempo passata sola non avevano certo aiutato: aveva sviluppato un certo menefreghismo e una certa misantropia, che la portava a voler prendere a calci tutto ciò che camminava su due gambe, e non solo zombie.
Soprattutto chi la vedeva su un albero in pericolo e la lasciava lì.
Si voltò verso lo Stronzo lanciandogli uno sguardo disgustato e furioso, ma ancora una volta in tutta risposta ricevette un ghigno.
<< Questo non ti salva da ciò che sei. >> gli disse riferendosi a Daryl che era corso in sua difesa: l'aveva protetto dalla sua lama, ma merda era e merda rimaneva e per quello non c'era nessuno che poteva difenderlo. Ma ovviamente le parole rimasero campate in aria e non lo scalfirono minimamente. Chissà anzi se le aveva capite.
<< Ehm. >> il cinese cercò di attirare l'attenzione con imbarazzo << Ho l'acqua e un panino >>
<< Oh mio Dio, mio salvatore, lascia che ti rendi grazie con un sacrificio umano! >> disse Ocean tutto d'un fiato mentre si avvicinava al lui, gli occhi spalancati puntati sulla sua fonte di vita: la bottiglietta d'acqua. L'afferrò e se la bevve tutta in un sorso, rischiando quasi di rimanere soffocata tanto bevette con foga e voracia. Gli animi si calmarono, e tutti tornarono a fare quello che stavano facendo prima dell'arrivo dell'uragano Ocean. Anche Max tornò a fare quello che faceva prima: tornò da Carl scodinzolando e pronto a riprendere i giochi. E questo non sfuggì agli occhi attenti di Ocean.
<< E così hai trovato con chi sostituirmi, eh, mascalzone? >> disse Ocean a Max mentre gli grattava un orecchio. Il vecchio dottore, che pareva chiamarsi Hershel, era chino su di lei con un misuratore di pressione e uno stetoscopio, intento a farle una visita degna dei migliori ospedali. E Ocean lo lasciava fare, prestandogli il minimo dell'attenzione: stava bene, sapeva di esserlo, aveva solo bisogno di riprendersi con un po' di riposo. Ma a quanto pare in quel posto erano ossessionati dalla salute delle persone perchè il vecchio dottore ancora non voleva lasciarla andare.
<< Allora questo cane è tuo. >> osservò il Capo entrando nella sala da pranzo dove si trovavano loro.
<< No. >> rispose semplicemente Ocean, senza aggiungere ulteriori spiegazioni.
Il Capo alzò un sopracciglio: lo stava prendendo sicuramente in giro. Era ovvio che era suo! Prese una sedia e la spostò in modo da potersi sedere di fronte alla ragazza, così da poter parlare tranquilli. Avevano acconsentito a tenerla lì con loro, ma per farlo doveva capire chi era. Era da sprovveduti accogliere gente in quel periodo senza sapere niente di loro, avrebbe potuto metterli in pericolo, e lui doveva impedirlo.
Ocean alzò gli occhi, ma non la testa, ancora rivolta al cane ai suoi piedi, e lo guardò sedersi. Poi tornò a guardare il cane, e accettò di fornirgli maggior spiegazioni, visto il suo sguardo confuso e poco convinto.
<< L'ho trovato quasi all'inizio di questo romanzo di fantascienza. Da poco vagavo sola con Peggy, la mia cavalla. Era infilato in un vicolo, schiacciato in un angolo che ringhiava a tutto ciò che si muovesse, perfino gli insetti. Non permetteva a nessuno di avvicinarsi, e da lì ho capito che era un cane cazzuto. Sopravissuto e che sapeva il fatto suo. >>
<< Ma a te ha permesso di avvicinarsi, e così avete cominciato a viaggiare insieme, giusto? >> accennò un sorriso il Capo.
<< No di nuovo. >> Ocean alzò di nuovo gli occhi verso di lui << Mi ha quasi portato via un braccio con un morso. Ha cominciato a seguirmi quando ha sentito odore di cibo nella mia sacca. >>
<< Beh...sapeva il fatto suo, no? >> disse di nuovo il Capo, ricollegandosi a ciò che lei stessa aveva detto inizialmente del cane.
<< Te l'ho detto. E' un cane cazzuto. Non morirà tanto facilmente, Capo, te lo dico io. Ha la pellaccia dura...e un debole per i ragazzini, a quanto pare. >> aggiunse poi Ocean con un sorrisetto << Probabilmente nella sua famiglia c'era dei ragazzini. >>
<< Sì, si è legato subito a Carl. >> disse il Capo abbassando lo sguardo e sorridendo. << Quindi tu viaggi sola. >> aggiunse subito, per prendere il discorso che gli interessava.
<< Assolutamente. E approfitto per dirti che ringrazio la vostra ospitalità, ma non ho intenzione di disturbarvi molto. Il tempo di riprendermi, trovare un mezzo che non vada a benzina, e vi lascerò di nuovo in pace. >>
<< Il mezzo che non va a benzina già ce l'hai. >> intervenne Hershel, intento ad ascoltare il battito della ragazza << La tua Peggy è qui, nella mia stalla. Viaggiavano insieme i tuoi animali, sono arrivati qui ieri. >>
<< Sul serio? >> chiese Ocean rizzandosi e voltando la testa verso il vecchio dottore, aspettò un cenno di assenso e tornònella sua posizione originale. Un enorme sorriso si dipinse sul suo volto, chiaramente orgogliosa dei suoi due compagni, e felice di poterli riabbracciare di nuovo.
<< A proposito, mi chiamo Rick. Non mi sono ancora presentato. Tu chi sei invece? >>
<< Ocean. >> rispose trascinando la parola, come se le scocciasse stare lì a parlare con lui del niente. E in effetti era un po' così.
<< Da dove vieni? Hai un accento strano, non sei di qua. >> chiese Rick.
Ocean alzò di nuovo gli occhi su di lui, ma questa volta non per osservare i suoi movimenti. Il suo sguardo era chiaramente infastidito, e talmente affilato da far capire a Rick di aver fatto una domanda di troppo.
<< Ha importanza? >> chiese Ocean con tono basso.
Hershel finì la sua visita, e si limito a comunicare a nessuno in particolare << Sta bene, solo disidratata. Nessun contagio. >>, poi raccolse le sue cose, ignorando la chiacchierata che si stava svolgendo tra i due e si preparò a tornare ai suoi affari.
Ocean si sistemò i vestiti che nella visita erano stati messi in subbuglio, e si sollevò in piedi prima che Rick potesse aggiungere altro e gli disse << Sai, dovresti preoccuparti di più del futuro, invece di pensare a cosa c'è stato prima, perchè tanto qualsiasi cosa ci sia stato ora non conta più niente. E' inesistente. "Dove andremo? Cosa faremo? Cosa darò da mangiare a mio figlio domani?" Son queste le domande che contano, andare a chiedere a una perfetta sconosciuta "Ehi dov'eri prima di tutto questo" non aiuterà a proteggere la tua famiglia. E non venirmi a dire che la tua era pura curiosità, non sono scema, è ovvio che tutto ciò che ti interessa di me è se sono una potenziale minaccia, a meno che tu non sia veramente scemo, cosa che sinceramente dubito. Quindi eccoti la tua risposta: No, non sono una minaccia. Viaggio sola, non mi interessano i gruppi, non sopporto le persone e odio stare ferma troppo tempo nello stesso luogo, perciò tra qualche giorno, quando mi sentirò meglio prenderò i miei animali e toglieremo il disturbo così tu e i tuoi amici potete continuare a fare la vita di campagna senza problemi inutili, ed entrambi presto ci dimenticheremo del nostro incontro. >> e finì di rivestirsi, prima di cominciare a dirigersi verso l'uscita. Da tempo aveva cominciato a soffrire di una strana forma di claustrofobia: le case, anche se grandi, non erano più luogo adatto ad ospitarla. Preferiva respirare l'aria aperta e perdere il suo sguardo all'orizzonte. E poi aveva appena saputo che Peggy era lì, e voleva andare a salutarla!
Rick si alzò subito e si voltò, rivolgendole la parola prima che potesse uscire e lasciare inconcluso il suo interrogatorio << Allora proprio perchè parli di futuro... >> aspettò che Ocean si fermasse ad ascoltarlo prima di proseguire << Non è mia consuetudine... ma vorrei chiederti di restare. >>
Ocean aggrottò le sopracciglia, incredula di ciò che aveva appena sentito. Cosa voleva quel tipo da lei? Manco la conosceva, anzi quasi aveva ucciso un membro del suo gruppo dopo neanche 2 minuti che ci era entrata, già era in conflitto anche con un altro membro, e le chiedeva di restare con loro? A che pro? Qual era il suo scopo?
Si voltò lentamente, guardandolo con aria interrogativa << Prego? >> chiese delucidazioni la ragazza.
<< Vedi... >> Rick abbassò lo sguardo un attimo, forse anche lui incredulo e imbarazzato della sua richiesta << ...ecco si tratta di Carl. >>
<< Il ragazzino? >> chiese Ocean. I nomi non erano mai stati il suo forte...preferiva i soprannomi personalizzati. Più facili da ricordare, anche se spesso banali.
<< E' mio figlio. >>
<< Congratulazioni cresce bene. >> rispose con sarcasmo Ocean, il cui vero significato della frase lo si poteva trovare in un banalissimo "E a me che importa?".
<< Si è molto legato al tuo cane. >>
<< Compragli un cucciolo tutto suo. >> disse di nuovo Ocean, impedendo a Rick di formulare una frase intera, interrompendolo di nuovo.
<< Potrebbe essere una soluzione >> sorrise Rick << Ma vedi al momento potrebbe non essere così semplice. E poi temo non sarebbe la stessa cosa, credo che Carl si sia legato a Max non tanto perchè è un bel cane quanto perchè vederlo sbucare da quella foresta è stato per tutti un simbolo...quasi...di speranza. Ci ha ricordati che la vita esiste ancora la fuori, e che le cose belle non sono state tutte perse. >>
<< Brutta cosa la depressione, eh? >> continuò a ironizzare Ocean, che era già pronta a non accettare richieste come "lasciami il tuo cane". Max veniva con lei...e lei non voleva fermarsi con quella gente. Non voleva avere niente a che fare con gli umani, non più. Ma Rick, che in un certo senso aveva capito come prendere la ragazza, continuò, ignorando i suoi moti di spirito.
<< Ho paura che questo mondo stia trasformando mio figlio. Non ragiona più come un ragazzino, e non solo perchè sta crescendo ma perchè si sta indurendo e raffreddando. Per la prima volta dopo tanto tempo ho visto mio figlio ridere e giocare, e non cercare di maneggiare una pistola col desiderio di sparare a qualche testa. Non so se tu avevi figli prima, data la giovane età, ma spero che riesca lo stesso a capire cosa voglia dire questo per un padre. Ho bisogno che Max resti qui con mio figlio. >>
<< Apprezzo che tu non voglia rubarmi il cane e spararmi alla testa, ma me lo stia chiedendo cortesemente. >> rispose Ocean.
<< Il cane ha passato la notte a piangere, e la mattinata in solitudine >> continuò Rick << Carl ha dovuto insistere tanto per riuscire a tranquillizzarlo e anche lui ha passato la notte in bianco dispiacendosi per Max. Se tu stai qui Max resta qui ed è felice, e se Max è felice anche Carl è felice. >>
<< E' questo rende felice anche te, ma vedi in tutta questa esplosione di ilarità c'è una nota discordante che penso potrebbe rovinarti questa dolce sinfonia di risa: Io non viaggio in gruppo. >> sottolineò l'ultima frase e fece una pausa, ma non permise a Rick di riprendere e insistere. La sua scelta l'aveva fatta, non c'era altro da aggiungere << Storia molto toccante, davvero. >> e si avviò di nuovo verso l'uscita << Compra a tuo figlio un cucciolo. >>.

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Capitolo 6
*** Simbionti. ***


Simbionti

Il rumore delle cicale in lontananza era l'unico che si riusciva a percepire. Il sole caldo nel cielo faceva risplendere la distesa dorata che le si parava di fronte: una distesa di campi, e nient'altro. Un fienile in lontananza, abbandonato forse, ma era l'unica costruzione nel giro di molti metri. E poi, più in la, quasi al confine dell'orizzonte, un bosco che circondava e nascondeva l'intera fattoria. Probabilmente era grazie a quel bosco se erano riusciti a vivere lì a lungo, in pace e serenità, senza temere niente. E la recizione aveva aiutato molto.
Ocean guardò davanti a sè, osservando lo spettacolo che aveva davanti con un pizzico di gioia. Delle scintille le solleticavano il cuore, ed era una sensazione che non provava da talmente tanto tempo che quasi risultava una novità, come se mai avesse avuto modo di essere felice in precedenza. Dimentica di quanto invece una volta aveva riso. Tutto era cambiato talmente tanto in fretta e con tanta irruenza che la sua vita era stata spazzata via da un'onda, e ora non c'erano altro che sterpaglie superstiti e terriccio fangoso. L'oceano aveva trascinato in sè ogni cosa.
Fece un respiro profondo, socchiudendno gli occhi e apprezzando dopo tanto tempo l'aria tiepida che le attravarsava le narici, arrivando all'altezza del petto e donandole leggerezza. Una leggera brezza si sollevo all'ombra di quella verandina, facendole svolazzare la punta dei capelli raccolti in una coda di cavallo, e qualche ciocca ribelle che mai stava al suo posto. E così, con gli occhi socchiusi, immersa in quella pace e leggerezza, con solo il rumore del silenzio e delle cicale in sottofondo, un'immagine si fece strada nella sua mente e la fece di nuovo sorridere. Incredibile come in così poco tempo aveva sorriso così tante volte, stava veramente cominciando a credere nella magia di quel posto. Una piccola villetta di campagna, questo vide. Dal colore giallino un po' sbiadito dal sole, i campi alle sue spalle, non troppo grandi ma abbastanza da accogliere molti alberi e piantagioni, e un cortiletto sterrato di fronte. Era una giornata d'estate, le cicale cantavano incessanti, allegre e piene di energia, le tendine alle finestre aperte della casa svolazzavano a ogni soffio di vento. Dall'interno della casa era possibile sentir uscire il delizioso profumo del sugo appena messo sul fuoco, un sugo che era stato appena preparato passando i pomodori maturi raccolti proprio quella mattina, e lasciando il loro inebriante profumo per tutto il cortile. E lì, in quel cortile profumato, una bambina di 8 anni correva e girava sopra la sua biciclettina, suonando ogni tanto il campanello, senza motivo apparente, solo perchè la divertiva. Aveva corti capelli neri, leggermente mossi, ma talmente arruffati per i suoi giochi che era impossibile capire quale fosse la sua reale piega, e una frangettina le ricadeva sugli occhi, tanto fastidiosa che a volte con una veloce manata se li scostava di lato, arrufandoseli ancora di più. Pomeriggi interi passati a correre e girare su quella bicicletta, sentendo il delizioso profumo che veniva dalla casa, ogni volta diverso, ma sempre presente, come si in quella casa non si facesse altro che cucinare. Poi quando si stancava faceva cadere la bicicletta rosa per terra, incurante del fatto che potesse rovinarsi, e correva sulla veranda, dove si stendeva sul pavimento in marmo, all'ombra, e leggeva qualche libro che la mamma gli regalava abitudinariamente. Le sue storie preferite erano quelle di cavalieri, draghi e elfi, che si lanciavano all'avventura, armati di spade e archi, pronti a sconfiggere il male, sopravvivendo anche alle peggiori condizioni.
Ocean riaprì gli occhi lentamente, abbandonando a malincuore quel sogno ad occhi aperti, e tornando alla realtà che le si piazzava davanti. La zona era pacifica, non si vedeva nessuno zombie in lontananza e tutti si comportavano normalmente per niente spaventati, era sicuramente un'oasi quella in cui era incappata. Ma un'oasi che presto sarebbe svanita, lasciando spazio solo a sabbia e alla consapevolezza che era stato solo un miraggio. Niente in quel mondo si salvava...prima o poi anche quel meraviglioso miraggio sarebbe svanito lasciando i suoi superstiti assetati e affranti.
Percorse la veranda velocemente, ascoltando con piacevolezza il rumore che i suoi stivali in pelle producevano, e scese per le scalette avviandosi alla ricerca della stalla, dove avrebbe riabbracciato la sua Peggy. Chissà quanto sarebbe stata felice di rivederla. Avevano affrontato insieme le peggiori condizioni e questo le aveva rese ancora più legate. Aveva sempre sentito parlare della favolosa amicizia che poteva instaurarsi tra cavallo e cavaliere, ma solo vivendolo aveva potuto capire realmente cosa fosse: si diceva che un cavallo poteva arrivare a fidarsi talmente tanto del suo cavaliere che si sarebbe lanciato senza timore perfino nella lava, se glielo avesse ordinato, nonostante i cavalli fossero famosi per il loro poco coraggio. Solo per questo motivo i cavalli potevano essere portati in battaglia, ai tempi in cui si combattevano le guerre con le spade. Nessun animale si sarebbe mai lanciato con tanto furore e sicurezza contro un esercito armato che urla e spara frecce, qualunque animale sarebbe fuggito in preda al panico, ma non i cavalli. I cavalli restavano lì, fieri e orgogliosi, e correvano quanto il loro cavaliere ordinava, perchè nel cuore sentivano che finchè sarebbero stati insieme niente avrebbe potuto far loro del male.
Costeggiò la casa, girandole praticamente attorno, finchè non riuscì a trovare la stalla di cui Heshel aveva parlato. Sorrise, già pregustandosi il momento in cui Peggy l'avrebbe rivista, e si avvicinò velocemente. La stanchezza, la debolezza e la fame le aveva messe da parte. Aveva avuto modo di bere, mangiare e riposare un po', ma il sole era ancora alto nel cielo e lei non aveva intenzione di starsene chiusa in casa. E poi starsene nel letto a far nulla le metteva agitazione.
Si avvicinò all'entrata e percepì l'inconfondibile "odore di cavallo": fieno, sterco e gli odori degli animali. Si sentì a casa, ma qualcuno ruppe la magia.
<< Lasciami in pace! >> sentì dire con un certo astio da qualcuno all'interno, con un voce sofferta. Si affacciò curiosa di capire chi stesse litigando, senza preoccuparsi di farsi notare...i tempi cambiavano ma gli istinti pettegoli delle donne no. E Ocean era sempre stata una a cui piaceva farsi gli affari degli altri.
Un uomo si avviava verso l'uscita della stalla, lasciando sola una donna dallo sguardo preoccupato. Le ci volle un po' ad attribuire i nomi ai volti: Daryl e Carol. Daryl sembrava zoppicasse leggermente, e si stringeva il fianco con una mano, probabilmente poco prima doveva aver avuto una qualche disavventura che l'aveva lasciato non poco ferito. Carol invece restava dritta, in silenzio, con lo sguardo fisso sull'uomo che prima di uscire dal fienile non si trattenne in uno << Stupida puttana >>. Ocean si scostò, facendo passare lo scimmione incazzato, non vergognandosi però di fissarlo, mentre si allontanava, con uno sguardo un po' divertito. Era sicura che qualunque cosa avesse fatto Carol per farlo incazzare, non era certo abbastanza da meritare un simile trattamento. Non faticava a credere che Daryl l'avesse trattata male gratuitamento, il suo caratteraccio scorbutico glielo si poteva leggere in faccia.
Ma lui, passandole davanti, neanche la degnò di uno sguardo e proseguì dritto per la sua strada, non impedendo ai vari dolori di evitargli una camminnata ondeggiante da figo, che pensandoci bene Ocean non gliela vide neanche troppo fuori luogo. Alla fine se una si fermava a osservarlo bene, cercando di andare oltre gli occhi che uccidono e l'aura da cretino stronzo, si poteva scorgere sotto quello spesso strato di sudore puzzolente un fisico che sembrava abbastanza ben fatto. E accennando un sorriso malizioso, continuando a fargli una radiografia accurata mentre si allontanava, Ocean si ritrovò a pensare "Però! Gli zombie hanno scelto bene chi risparmiare."
Perso di vista Daryl, si decise alla fine ad entrare a salutare la sua Peggy che sicuramente aveva già esultato da tempo, sentendo il suo odore. Aveva perciò perso il momento migliore, che peccato.
<< Carino, eh?! >> disse ironica rivolta a Carol, non certo riferendosi alla sua scoperta in fatto di bellezza fisiche attualmente presenti, quelli erano pensieri che era meglio tenere per sè, ma riferendosi al "carinissimo" modo in cui era stata trattata la povera donna. Ma a quanto pare lei non capì niente, perchè rispose arrossendo e balbettando.
Ocean si avvicinò alla sua cavalla e cominciò ad accarezzarla, avvicinandosi col volto alle sue orecchie e cominciando a sussurrarle parole confortanti e di saluto. Poi tornò a guardare Carol, un po' scocciata che la sua affermazione non fosse stata compresa << Intendevo per come ti ha trattata! >> specificò sbuffando. Ma che aveva da balbettare tanto, non era certo da meravigliarsi se Mister Muscolo avesse fatto strage di cuori in quel campus, e di certo non le interessava sapere tutti i retroscena amorosi, non amava Beautiful in passato, figuriamoci ora che aveva sviluppato quel profondo odio nauseato verso chiunque.
<< Ah >> Carol sembrò tirare un sospiro di solievo << E' normale. Fa così con tutti. >>
<< Immagino >> disse ancora sarcastica Oecan, continuando ad accarezzare la sua cara Peggy, e continuando di tanto in tanto ad appoggiare il suo viso sul collo dell'animale. Un contatto fisico in un chiaro segno d'affetto. Erano state lontane tre giorni, e aveva temuto di averla perduta per sempre, e probabilmente anche la cavalla aveva avuto lo stesso timore. Sola senza la protezione e la sicurezza delle carezze e delle parole della sua padroncina, probabilmente per questo motivo aveva seguito Max fino alla fattoria. Era l'unico su cui poteva fidarsi, l'unico che gli era rimasto e che conosceva. Sapeva di esserle mancata, lo percepiva, percepiva il suo stato d'animo ora rilassato, e lo immaginava anche, per questo non smise di parlarle, usando sempre un tono di voce molto basso e calmo, per infonderle tranquillità, e anche per mantenere una certa privacy data la presenza di una sconosciuta.
<< Tu... >> prese la parola Carol, col tono di una che ha tutta l'intenzione di cambiare discorso << ...Sei stata sola lì fuori a lungo? >>
<< Tu quanto tempo sei stata "lì fuori"? >> le chiese di rimando Ocean. Che razza di domande facevano abitudinariamente in quel gruppo? O avevano una pessima fantasia e un pessimo buon senso, o avevano una pessima capacità relazionale.
<< Abbastanza direi. Ma io non ero sola. >> rispose Carol avvicinandosi alla ragazza. Ok, voleva fare amicizia, ormai era appurato. Ocean la squadrò per un secondo, la sua intenzione era di fermarsi lì solo qualche giorno, fare amicizia era l'ultimo dei suoi desideri. Quelle persone dovevano lasciarla in pace! Ma non negò a se stessa che fare due chiacchiere con un essere umano era piacevole, così non le negò le sue risposte.
<< Neanche io. >> disse guardando la sua Peggy << Avevo lei.E Max. >>
<< Max? >> chiese Carol non capendo subito di chi stesse parlando, ma presto la lampadina si accese perchè disse << Ah, il cane! Ma...io intendevo compagnia umana. >>
<< No, nessuno. Sola. >> disse Ocean regalandole addirittura un sorriso << E non sai quanto sia stata felice di questo per tutto questo tempo. >>
<< Come hai fatto? >> chiese Carol voltando lo sguardo alla cavalla, e stranamente la domanda sembrava interessarle più del dovuto << Come hai fatto a sopravvivere sola? Senza nessuno che ti... >>
<< Che mi proteggesse? >> l'anticipò Ocean << Cara, non siamo menomate paraplegiche! Due braccina ce l'hai anche tu, puoi usarle per fare qualcosa che non sia fare il bucato, sai? >>
<< Si, ma...io non sarei stata capace. Sono così...debole. >> nel tono della donna si poteva cogliere tutto il desiderio di non essere così, tutto il desiderio di diventare più forte ed essere in grado di difendersi da sola. Il desiderio di fare qualcosa....ma la paura di non riuscirci.
Ocean colse tutto questo, e stupendosi con se stessa, quasi arrabbiandosi perchè stava superando il limite che si era posta, provò compassione.
<< Non ho fatto educazione fisica a scuola negli ultimi 3 anni. Avevo le mestruazioni tutte le settimane...o comunque questo era quello che dicevo al mio professore. Ero un tricheco in ogni cosa, mi vergognavo troppo, eppure non ero così grassa...ero semplicemente imbranata. E debole. Poi ho passato il resto dei miei anni seduta su un divano a giocare ai videogames e studiare di tanto in tanto, anche se a dire degli altri avrei dovuto dare priorità alla seconda. Ti sembra la storia di una ragazza forte? >> disse Ocean mentre apriva il cancellino del box del cavallo, per entrarvi, e cercò con lo sguardo la sella. La SUA sella. Carol si lasciò scappare un sorriso e negò con la testa.
<< Comincia a impugnare un coltello con intenzioni diverse da quelle di voler tagliare il pane, e comincia a ficcarti in testa che l'unica persona che veramente può pararti il culo e proteggerti sei solo tu stessa. Gli altri sono scudi di passaggio, mandati dalla fortuna. Devi convincerti che sei sola in tutto questo, non mettere la tua vita in mano agli altri potrebbero lasciarla cadere per sbaglio e allora non avrai neanche il tempo di piangerti addosso. >> disse prima di afferrare la sella, posta lì vicino e riavvicinarsi alla sua cavalla << Ci andiamo a fare una passeggiata, Peggy? Che dici? >> disse alla cavalla sempre col suo tono dolce e pacato, completamente diverso da quello che solitamente rivolgeva alle persone. E cominciò a fissare la sella sul dorso dell'animale.
Carol sembrava persa nei suoi pensieri, per quanto le cose che Ocean le aveva detto fossero delle più stupide e banali, a cui ci poteva arrivare anche da sola, le aveva dato molto da pensare. E Ocean ebbe il tempo di fissare la sella a dovere, senza ulteriori interruzioni. Poi prese le redini e cominciò ad avviarsi verso l'uscita, e solo allora Carol sembrò svegliarsi dal suo incantesimo e con voce un po' imbarazzata le rivolse nuovamente parola, benchè ormai fosse di spalle e distante da lei << Sai... >> cominciò per attirare la sua attenzione, e fece un'altra piccola pausa imbarazzata << ...Mia figlia...mia figlia è lì fuori. Sola. >> E abbassò lo sguardo, sofferente e malinconica.
Ocean stette in silenzio, aspettando che aggiungesse altro, perchè era questo che sembrava volesse fare e invece stette zitta. << Mi dispiace. >> le disse allora, per rompere il silenzio, anche se sentiva che le sue parole erano dettate solo dalla circostanza. Non erano sentite davvero.
<< E' ancora una ragazzina. >> piagnucolò Carol << La stiamo cercando, è così che Andrea e Rick ti hanno trovata. Vorrei tanto che in questo momento fosse come te... >> e aspettò. Aspettò una risposta...una parola di conforto da parte di quella donna che non conosceva affatto, ma che le aveva subito dato una buona impressione. Le dava l'idea che fosse una donna forte, coraggiosa e con un cuore grande, anche se voleva nasconderlo. Chi altro poteva sopravvivere a lungo sola in quell'inferno e portarsi dietro due animali che sembrava amare più di chiunque altro?
Ma la parola bramata non arrivò.
Ocean restò ferma in silenzio per qualche secondo, e Carol pensò stesse solo pensando a che parole usare, invece poi uscì dalla stalla senza aggiungere niente, nemmeno un affermazione, lasciandola sola con il suo vuoto, il suo dolore e la sua sete di risposte.

<< Cosa s'aspettava che le dicessi? >> domandò Ocean alla sua cavalla che brucava l'erba davanti a lei. S'era allontanata dal campo, facendo una cavalcata lungo tutta la fattoria, correndo in tondo come faceva quella bambina sulla sua bicicletta nel suo sogno. I capelli scompigliati e la frangetta che finiva negli occhi. Il vento che risuonava forte nelle orecchie e il desiderio di correre ancora più veloce, sognando di essere inseguita da chissà qualche strana creatura fantastica, o sognando lei stessa di inseguirla. Sognando di spiccare il volo. Poi, quando si era stancata, si era fermata all'ombra di un albero, distante dagli altri, con le spalle poggiate al tronco e aveva lasciato la sua cavalla libera di brucare e riposare. Come una bambina...che lascia a terra la sua bicicletta, libera di farsi gli affari suoi, e si riposa sotto una veranda leggendo e sognando di chissà quale avventura.
<< Tu credi che avrei dovuto dirle cosa? Cosa pretendeva da me? Neanche di conosciamo! >> brontolò ancora. Sapeva che Peggy la stava ascoltando, l'ascoltava sempre, lei non la tradiva mai.
<< Ma certo che la ritroverete sana e salva, si sarà fatta un sacco di amichetti folletti e avrà trovato un unicorno rosa da cavalcare. >> continuò << Ma ovvio che è morta! E' una ragazzina, lì fuori ci sono più zombie che insetti, come può salvarsi? >> e, al contrario di quello che si aspettava, dato che di solito era silenziosa, Peggy rispose con uno sbruffo. Ocean spalancò gli occhi e si rizzò sulla schiena, restando però sempre seduta con le braccia conserte << Cosa?!?! >> chiese indignata << Hai da ridire? Tu davvero credi che io stia sbagliando? Credi davvero che sia salva da qualche parte? Oh, andiamo, che sciocchezze!! >> e si lasciò ricadere con la schiena appoggiata al tronco. Pensierosa alzò gli occhi al cielo: stava cominciando a tramontare.
<< Certo, è anche vero che io al tempo avrei avuto meno chance si salvarmi di lei. I primi tempi ho rischiato la vita tante di quelle volte, e se ora sono qui è solo grazie alla mia fortuna spaccaculi. Ero davvero così imbranata! Al tempo sapevo solo....suonare e ballicchiare. >> disse le ultime due parole con un certo disgusto e astio << Avrei potuto fare l'incantatrice di zombie, che dici? >> disse ancora rivolgendosi al cavallo, assumendo un tono quasi illuminato, come se davvero fosse stata una buona idea. Il cavallo sbruffò ancora. E Ocean scoppiò a ridere << Ti sono mancata di' la verità! >> e si alzò in piedi << Andiamo, torniamo a casina che dici? Mi sta venendo una certa fame, e credo che l'erba mi starebbe indigesta, mica come te. Mangiona. >> Si avvicinò a Peggy, le fece altre due carezze sul collo, poi le saltò in groppa e si avviarono lentamente verso la stalla.
<< Vedi però di non abituarti troppo, bella mia. Non ho nessuna intenzione di socializzare con queste persone. Ho chiuso con gli esseri umani, lo sai. Non affezionarti anche tu come ha fatto Max, che poi mi tocca tenermi non uno ma ben due animali piangioni. >>
Durante il viaggio di ritorno Ocean spesso si era fermata sotto a degli alberi, cercando di strappare qualche rametto piccolo e ammucchiandoli in una sacchetta appesa in sella. Era rimasta a corto di frecce, se ne sarebbe fatte di altre: bastava dare un minimo di punta a quei rametti. Non era un'esperta, non lo era mai stata e non sapeva nemmeno se fosse stata una buona idea...ma, così come per la spada e le daghe, non le importava essere esperta. Le importava essere capace di uccidere, il resto era superfluo.
Lasciò la sua cavalla alla stalla, preoccupandosi di controllare che avesse acqua e cibo a sufficienza, le tolse la sella di dosso per darle più libertà, le diede una veloce pulita e infine la salutò con una carezza e un bacio sul collo. Il cavallo in risposta sbruffò di nuovo.
Si avvicinò "al campo", la zona di giardino dove erano state piantate tende e dove sembravano essersi stabilite tutte quelle persone << La casa puzza troppo di muffa? >> chiese alla moretta che stava china vicino al fuoco, che alzò lo sguardo un po' spaventata, probabilmente sorpresa per la domanda improvvisa...e forse perchè neanche l'aveva sentita avvicinarsi, presa com'era dai suoi pensieri.
<< Come? >> chiese Lori guardando la ragazza nuova.
<< Siete tutti qui fuori e nessuno usufruisce di quello splendore laggiù. Mi chiedevo se non ci fosse qualche fantasma dentro. >>
<< Oh, no. Hershel..quella è casa sua. Noi siamo suoi ospiti. >> spiegò vagamente.
<< Allora siete voi quelli che puzzano. Non ho mai visto nessuno trattare così degli ospiti. >> disse Ocean guardandosi attorno, voleva studiare un po' la zona, visto che doveva viverci qualche giorno voleva sapere dove dirigersi per le sue esigenze.
<< No >> disse ancora Lori accennando un sorriso << Lui...ci siamo appena conosciuti, ecco. E' un po'... >>
<< Capisco. >> la interruppe Ocean << Nonnetto scorbutico e spaventato, come tutti noi del resto. Ormai non ci si fida più nemmeno della nostra stessa ombra. >> E Lori rispose con un sorriso di accordo e un cenno del capo.
<< Senti, hai idea di dove posso trovare un coltello. Uno bello affilato magari. >> chiese Ocean cambiando discorso. In realtà era solo quello che voleva chiederle, non le interessavano i retroscena tra coinquilini, ma aveva sbagliato la domanda di "prima confidenza".
Lori parve turbata della richiesta e si guardò attorno, come se la risposte si trovasse scritta lì da qualche parte << No...io non credo tu... ecco... >>
<< Oh, capisco. La nuova arrivata che subito ha cercato di uccidere il cretino, perchè fidarsi, certo. >> la interruppe di nuovo Ocean e dopo un sorriso di cortesia, che sembrava più una presa in giro, le mostrò uno dei rami che aveva raccolto << Non voglio uccidere nessuno. Se vuoi me ne resto qui mentre il tuo amico mi tiene la pistola puntata alla tempia, se ti fa sentire più sicura. Ho finito le frecce, voglio solo farmene di nuove. >> E lori parve sollevata. Anche se le avevano detto di non fidarsi troppo di lei, comunque le era sembrata convincente. Ma titubò ancora. E Ocean si lasciò cadere a terra, lì dov'era, incrociando le ginocchia << Sto qui. Non mi muovo, Giuro. Sparami se non lo faccio. >> odiava elemosinare in quella maniera, l'avevano praticamente "spogliata" e la tenevano prigioniera. Dove diavolo era andata a finire? Era grata per il salvataggio, grata per il cibo e l'acqua, ma a che prezzo? Senza armi e con un'esplicita richiesta di restare perchè serviva, che sembrava più una minaccia che una richiesta. Già li detestava.
Lori annuì e si alzò, andando a prendere il famoso coltello. Ocean rimase così qualche minuto sola, e ne approfittò per guardarsi ancora attorno. C'era un camper parcheggiato lì vicino, e aveva notato che non mancava mai nessuno sul suo tetto a guardare il panorama. Doveva essere la "torretta di guardia". Poi alcune macchine parcheggiate lì vicino, e vide lì Rick, Andrea e lo Stronzo (che avevano detto si chiamava Shane, ma Stronzo suonava meglio) che discutevano tra loro, guardando qualcosa poggiato sul cofano. Ricordò le parole di Carol: "Stanno cercando sua figlia."
Spostò ancora lo sguardo verso sinistra, studiando tutto quello che la circondava. Vide non troppo distanti il suo Max che giocava col ragazzino:non avevano smesso un secondo quel giorno, se non per mangiare. Continuavano a correre, ridere, fare gare e giochi di vario tipo. Sembravano felici tutti e due.
Sentì un rumore alla sua destra, e subito si voltò a guardare che succedeva. Una delle tende si era aperta e il balestriere era uscito fuori, sempre con il suo sguardo truce, gli occhi piccoli già di loro erano quasi sempre socchiusi, a scrutare, perlustrare e fulminare. Che problemi aveva quel ragazzo col mondo? Perchè sembrava costantemente incazzato?
Ovviamente non potè fare a meno di notare l'ospite indesiderata, resa forse ancora più curiosa dal fatto che fosse buttata a terra, invece di utilizzare una delle tante sedie da campeggio che c'erano lì. La guardò qualche secondo, restando fermo nella sua posizione, probabilmente chiedendosi cosa ci facesse lì....o semplicemente escogitando un modo per farla fuori e farlo sembrare un incidente.
Ocean ricambiò lo sguardo deciso, anche se con meno determinazione, e alla fine decise di fare lei il primo passo, altrimenti lì sarebbero stati per secoli a guardarsi senza far nulla e i piccioni avrebbero potuto scambiarli per statue e cagarci sopra.
<< Che vuoi? >> gli chiese semplicemente, con tranquillità e anche una certa curiosità. Che aveva da guardare?
<< Che fai qui? >> chiese lui di rimando, infastidito probabilmente.
Ocean si chiese per l'ennesima volta in quella giornata perchè tutti facessero domande così idiote, senza un minimo di buon senso. Cosa diavolo poteva farci lì, secondo lui? A raccogliere margherite? Dove doveva stare altrimenti? Dopo aver aspettato qualche secondo, giusto per far passare lo stupore, si spostò dalla sua posizione, dandosi spinte col sedere, senza alzarsi e spostandosi di qualche centimentro da dove era prima, e chiese << Qui va bene? >>
Daryl finalmente si mosse dalla sua posizione, uscendo completamente dalla tenda e andandosi a sedere su una di quelle sedie da campeggio posizionate intorno a quella sottospecie di fuoco che sembrava perennemente acceso.
<< Da dove vieni tu avete tutti quest'irritante senso dell'umorismo? >> chiese mentre si chinava in avanti, verso quello che sembrava un pentolone e raccolse qualcosa con il mestolo, rovesciandolo poi dentro il piatto che aveva in mano, e che Ocean non aveva notato prima.
<< No, sono l'unica fortunata. Sono una specie in via d'estinzione sai? Dovreste preservarmi invece che trattarmi in questa maniera. Il wwf vi farà causa. >> Ma la battuta non scompose minimamente Daryl. Sembrava anzi averlo infastidito ancora di più. Afferò il suo cucchiaio e lo usò per raccogliere il cibo dal suo piatto prima di portarselo alla bocca...e lì Ocean le vide.
Si alzò in piedi di colpo, fulminando Daryl e il suo piatto e irrigidendosi improvvisamente << Oh mio Dio, quelle sono patate?!?! >> urlò quasi grugnendo, con lo sguardo di un lupo affamato che ha appena visto un agnellino indifeso. Daryl la guardò mettendo per la prima volta dello stupore nel suo sguardo, oltre all'ostilità.
<< Le voglio anche io!!! >> insistette lei, ed ora era passata dal lupo affamato a essere una bambina capricciosa dentro un negozio di caramelle.
Lori tornò con il coltello richiesto e glielo porse, incurante di quello che stava succedendo al momento e non notante la famelicità della ragazza che aveva puntato al piatto di Daryl come un aquila punta un topino. Ocean guardò il coltello, lo prese e poi guardò Lori << E con questo che ci faccio? Dov'è il mio piatto? >>
<< Ma... tu avevi chiesto... >> disse Lori confusa, irritandosi un po' per il modo in cui veniva trattata e presa in giro, ma prima che potesse aggiungere altro Ocean sembrò ritornare in sè << Ah, già, te l'avevo chiesto per le frecce. >> e lo lasciò cadere a terra, come una lattina vuota ormai inutile, e tornò a guardare il pentolone.
<< Penso abbia fame. >> disse Daryl a Lori, anticipando qualsiasi altro delirio della ragazza, evitando di mandare ulteriormente in confusione la donna.
<< Oh, si tantissima fame! Tantissima. Fame. >> disse Ocean guardando Lori con occhi supplichevoli. La cosa metteva in imbarazzo la donna, che per un attimo le sembrò di trovarsi di fronte a comico che stava solo cercando di fargli uno scherzo, ma non rifiutò la richiesta e fornì anche ad Ocean di un piatto e un cucchiaio.
Ocean si fiondò letteramente sulla sua porzione, e quasi le si inumidirono gli occhi.
<< Dio, sono la cosa più buona abbia mai mangiato. >> disse prima di mettersi in bocca un'altra cucchiaiata e in pochi secondi il piatto venne spazzolato. Era stato uno dei momenti che da tempo aveva sognato: poter mangiare cibo fresco, magari delle verdure, e non più stupide scatolette insapori. Quello sicuramente era un valido argomento per restare qualche giorno in più...non per sempre, ma allungare magari la sua permanenza di qualche giorno.
<< Mi chiedo come ci siate riusciti a fare la bellavita qui, mentre il mondo fuori va in fiamme. Sembra ci sia una specie di cupola sopra questa fattoria che la protegge. >> disse Ocean porgendo il piatto spazzolato a Lori.
<< Si, siamo stati fortunati a trovarla. >> disse la donna.
<< No, siete fortunati che ancora non vi sia successo nulla! >> quasi la corresse Ocean prima di decidere di tornare all'impiego che voleva fare inizialmente. Daryl stava ancora lì, che mangiava molto lentamente e continuava a osservare la nuova arrivata, probabilmente non molto convinto sulla sua tranquillità e sul fatto che fosse innoqua.
Lori invece, che lì non doveva fare niente, si allontanò tornando agli affari suoi, lasciando Ocean al suo lavoro di costruzione frecce, che non sembrava andare troppo bene. Aveva creduto sarebbe stato più semplice, invece quel maledetto coltello non scorreva dove doveva, e spesso e volentieri si incastrava in un taglio troppo profondo, non proseguendo e Ocean doveva riprendere dall'inizio.
Al terzo ramo eliminato perchè ormai distrutto e per nulla affilato come desiderava Daryl non potè che constatare << Sei un'imbranata. >>
<< Prego, scusa?! >> chiese Ocean infastidita dal commento non richiesto. Era già abbastanza umiliante e imbarazzante senza che un cretino qualsiasi intervenisse a commentare.
<< Sei un'incapace. >> sottolineò ancora lui.
<< Scusami tanto se non sono nata imparata come te, Stallone, ma è la prima volta che ci provo! >> brontolò Ocean innervosita e puntandogli il coltello contro, a mo' di minaccia.
<< Fin'ora frecce infinite? >> chiese con ironia Daryl.
<< Le raccoglievo in giro...e poi non le usavo molto. Preferisco il corpo a corpo. >> ma perchè si fermava a dar giustificazioni a lui, poi? Perchè diavolo gli rispondeva pure?
<< Cioè sei un incapace anche a tirar con l'arco. >> continuò lui. Ocean trattenne un urlo, ma non lo sguardo fulminante. Respirò qualche secondo per ritrovar la calma e poi rispose semplicemente << Ma perchè non vai a importunare qualcun altro? Che so....qualche zombie ad esempio? Magari con un bastoncino e basta. E' molto divertente, te lo assicuro. >>
<< L'unica cosa che hai di affilato è la lingua, e magari neanche quella. Mi chiedo con che miracolo tu sia sopravvissuta finora. >> continuò lui incurante delle risposte della ragazza.
Ocean d'istinto tirò fuori la lingua, mostrandogliela, e la indicò cercando di dire (per quanto uno riesca a parlare con la lingua fuori) << Non è affilata, guarda! E' normale! >> e la ricacciò dentro << E poi che t'importa "Come" sono sopravvissuta? L'importante è che l'ho fatto! >>
<< Mi chiedevo cosa avresti fatto se non fosse arrivato Rick a prenderti. >> continuò Daryl. Sembrava averci preso gusto. Perchè non tornava a starsene zitto come aveva fatto finora? Cosa gli era preso tutto all'improvviso? Tutta quella loquacità improvvisa avrebbe potuto ucciderlo...Ocean avrebbe potuto ucciderlo.
<< Li cucinavo per cena, così mi sfamavo. >> disse con sarcasmo pungente << Mai successo di aver bisogno di una mano da parte di qualcuno, diamine? >>
<< Non che io ricordi, e comunque sia se ne avessi avuto bisogno avrei certo evitato di viaggiare solo. >>
<< Ma cosa cazzo avete tutti contro chi viaggia solo? >> gridò Ocean esasperata alzandosi in piedi. Era l'ennesima volta che glielo "veniva rinfacciato" quel giorno, tutti a sottolineare quel punto, come se un gruppo fosse essenziale per riuscire ad andare avanti. Lei non aveva un gruppo, eppure era viva, era così sbagliato?
<< Non voglio ritrovarmi attaccata al culo teste di cazzo come te, che rompono i coglioni su quanto sia imbranata a spuntare degli stupidi ramoscelli per farne delle frecce! >> gridò ancora lanciando il ramoscello che aveva in mano contro il ragazzo, non colpendolo, ma non era quella la sua intenzione. Mollò tutto lì, facendo cadere a terra il coltello che le era stato prestato, e tirando un calcio al resto dei ramoscelli si allontanò velocemente. Non era lì neanche da un giorno e già non li sopportava più e desiderava andarsene.
<< Non credi di aver esagerato un pochino? >> chiese una voce femminile alla sinistra di Daryl: era Andrea. Aveva finito di pianificare e discutere con Rick, che ora era rientrato a parlare di nuovo con Hershel. L'indomani mattina avrebbero ripreso le ricerche di Sophia, ora era troppo tardi, il tramonto era ormai inoltrato e presto si sarebbe fatto buio.
<< Forse dovremo cercare di essere un po' più accoglienti con lei. E' stata tre giorni su un albero con la morte sotto i piedi, e ora ha bisogno di rimettersi. Capisco che il gesto improvviso contro Shane possa aver spaventato, ma capisco che era arrabbiata perchè l'aveva lasciata lì, non credo debba esser...>> ma Daryl la interruppe con un "puah" e un << Tutti vorrebbero uccidere Shane. >> e si alzò in piedi pronto per andarsene.
<< E allora perchè ti comporti così con lei? >> chiese ancora Andrea prima di lasciarlo andare via.
<< Non sappiamo chi è e cosa sappia fare, per ora è solo una bocca in più da sfamare. >> rispose lui mentre già si incamminava, senza darle tempo di ribattere ancora. Era una giornataccia, lo dovevano lasciare in pace.

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Capitolo 7
*** Sabotaggio. ***


Sabotaggio

La notte calò...e portò buio non solo al cielo sopra le loro teste.
Il gruppo si era riunito come di consueto, dopo una giornata piena di impegni e problemi, arrivava l'ora del ritrovo. Non era stato dettato ufficialmente...si riunivano e basta. Quando ormai il buio impediva di fare altri progetti e rimandava tutto a domani, e quando la fame comunicava l'ora di cena, i membri del gruppo si stringevano intorno al fuoco, ognuno prendeva un piatto e si riscaldavano della loro semplice compagnia, non sempre scambiandosi parole. E così anche quella sera, al calar del sole, uno dopo l'altro si avvicinarono al fuoco e lì rimasero a cenare, e scambiarsi qualche parola ogni tanto.
Tutti, tranne Ocean.
Hershel l'aveva richiamata in casa poco prima, voleva visitarla di nuovo, per assicurarsi che si stesse rimettendo e per fornirle altra acqua che doveva bere assolutamente, per reintegrare i liquidi persi. Si era raccomandato di mangiare e di stare a riposo, poi l'aveva mandata via. Era ospite di Rick, non suo, e Rick doveva occuparsi di darle un posto dove stare. Ma Ocean non raggiunse il gruppo come le era stato detto. Uscì dalla porta di casa bevendo subito qualche sorso della sua bottiglia d'acqua obbligatoria, e si fermò lì, non andando oltre, piantanto gli occhi sullo scenario di fronte a lei. Un gruppo intorno al fuoco. Un semplice gruppo intorno al fuoco, niente di più banale. Ma, come già detto, il buio non calò solo sul cielo sopra la sua testa.
La sua espressione si incupì improvvisamente, e dopo aver chiuso distrattamente la bottiglia, lasciò cadere le braccia stese lungo i fianchi. Le era stato detto di raggiungerli. Ma non voleva...improvvisamente non voleva neanche più mangiare. Fece due passi avanti, attraversando la verandina buia, e si mise a sedere sui gradini, continuando a osservare la scena davanti a lei con lo sguardo pieno di tristezza. Un enorme masso sembrava essere caduto dal cielo colpendola in pieno petto, ecco cosa era successo. E un altro sentimento si fece largo su quel viso: rabbia.

Max riposava ai piedi di Carl, aveva mangiucchiato qualcosa e bevuto un po' d'acqua, poi si era poggiato lì e non si era più mosso, continuando a osservare la casa di fronte a loro. Sapeva che la sua padroncina era lì dentro e presto li avrebbe raggiunti, perciò aspettava.
Poi improvvisamente alzò la testa, rizzando le orecchie e puntando lo sguardo davanti a sè. L'atteggiamento improvviso attirò l'attenzione di Carl, che portò anche lui lo sguardo alla casa, curioso di capire cosa avesse attirato l'attenzione del cane, il quale si era subito alzato e scodinzolando si era diretto velocemente in quella direzione. Il buio impediva di vedere chiaramente cosa ci fosse, ma nonostante questo si poteva vedere una figura nera seduta sugli scalini della veranda, immobile.
Max raggiunse Ocean in pochi secondi, scodinzolando contento di poter stare finalmente un po' con lei, e Ocean lo premiò con una grattata sotto l'orecchio, ma l'espressione cupa rimase indelebile.
Poi un'ombra attirò l'attenzione della ragazza, che spostò lo sguardo dal cane rivolgendola a essa, e in breve riconobbe la donna che quel pomeriggio le aveva salvato la vita.
<< Vieni lì con noi. >> le disse Andrea, cercando di sembrare il più cordiale possibile, convinta forse che l'unica cosa che impediva a Ocean di raggiungerli fosse la timidezza << Avrai freddo qui. E abbiamo una porzione di cibo in più, dovresti mangiare. Te lo ha detto Hershel. >> continuò. Ocean guardò la donna davanti a sè senza dire una parola, continuò a osservarla, e anche se non poteva vedere il gruppo dietro di lei sapeva che aveva tutti gli occhi puntati contro. E la cosa la irritò più di quanto già non lo fosse. Dovevano lasciarla in pace! Lei non voleva avere niente a che fare con quel gruppo di persone, e non si sarebbe ridotta a far combriccola intorno a un fuoco come dei ragazzini al campeggio! No, non lo avrebbe fatto. Non più.
Guardò la donna con un certo disprezzo, come se le avesse lanciato un terribile insulto, poi si alzò e senza dire una parola di allontanò, inoltrandosi nel buio della fattoria, cercando un angolo solitario che fosse suo e di nessun altro. Solo la compagnia di Max era tollerata, che la seguì senza indugio, lasciando il resto del gruppo pensieroso.
Non le fu difficile trovare subito il suo angolo di paradiso, lo aveva sempre saputo e lo aveva sempre avuto: il suo posto era insieme ai suoi unici compagni di viaggio, Max e Peggy. Perciò, per quanto la cosa poteva a un occhio esterno non allettare troppo, si diresse verso la stalla, aprì il cancellino del box di Peggy e vi entrò, permettendo anche a Max di entrare. Peggy li salutò con uno sbruffo, poi tornò a dormire e riposare tranquilla, nonostante la presenza dei due ospiti.
Ocean era riuscita quel giorno a farsi ridare le cose che aveva lasciato sopra al cavallo al momento della loro separazione, le aveva custodite Dale in quei giorni pensando che potessero tornare utili, ma dato che la legittima proprietaria era tornata si era visto costretto a ridargliele. E solo grazie a quello che Ocean riuscì a non congelare quella notte. Si coprì col suo mantello ritrovato, tirandosi su il cappuccio per coprire anche il viso, e si rannicchio sopra un mucchio di fieno. Max le si avvicinò, annusando un po' la zona, poi scelse anche lui il suo posto per passare la notte, ranicchiandosi e stringendosi contro la sua padroncina, che come sempre gli dedicava qualche carezza e coccola prima di cadere addormentato. Sentiva però che qualcosa la turbava, riusciva a percepire le sue emozioni, per questo motivo non si addormentò immediatamente ma tentò prima di fornirle un po' di conforto spingendo il muso contro la sua mano e cercando di darle qualche leccata di consolazione. Ocean capì il tentivo del cane e non potè fare a meno di sorridere intenerita << Sai sempre come prendermi, tu, vero? >> sussurrò prima di fargli un grattino sotto al collo. Sospirò e si strinse ancor più all'animale, circondandolo con un braccio, stringendolo un po' a sè come farebbe una bambina col proprio orsetto di peluche in una notte di temporali. Max la lasciò fare, e sistemandosi ancora un po', riuscì a trovare una posizione comoda prima di addormentarsi definitivamente. Per Ocean non fu così semplice. Il silenzio divagava intorno a lei, eppure non potè fare a meno di considerare quella notte una delle più rumorose che avesse mai sentito prima. E tutto quel baccano le impedì di prendere sonno per molto tempo, fino a quando, ormai prossimi all'alba, la stanchezza non prese il sopravvento.
Ma, nonostante il sonno, continuò per tutta la notte a vedere un gruppo di persone intorno a un fuoco.

Il risveglio, come poteva immaginare, non fu dei migliori. La notte passata completamente in bianco le aveva lasciato come souvenir un martellante ed estenuante mal di testa, e un profondo senso di confusione. A farle aprire gli occhi fu qualcosa di...ruvido e umido.
"Ma che diavolo...che fastidio!!" pensò già innervosita, mentre pian piano riprendeva conoscenza, agitandosi per quel qualcosa sul viso che continuava a strofinare senza darle tregua. Riuscì finalmente ad aprire un occhio, e un muso gigantesco con dei denti enormi si trovava pericolosamente vicino alla sua faccia, e continuava insistentemente a strofinare la sua lingua altrettanto enorme sul viso della ragazza ancora confusa.
<< Oh, che diavolo! Peggy! >> brontolò la ragazza cercando di proteggersi con le braccia e allontanare l'animale dalla sua faccia. Le sembrava di aver infilato la faccia in una bacinella di gelatina, tanto si sentiva viscida e umida. Doveva immediatamente correre a lavarsi, era disgustoso, ma non potè negare di essere quasi divertita.
Finalmente la cavalla si fece da parte, permettendo alla ragazza di sollevarsi a sedere. Il sole splendeva già da tempo probabilmente, era abbastanza caldo da averle permesso una bella sudata con quel mantello pesante addosso. La testa sembrava pesare 10 kili in più, e credeva di avere qualcuno dentro che stesse martellando...anzi era certa di averlo.
Si massaggiò una tempia, e aprì gli occhi lentamente: sentiva che perfino la luce le faceva aumentare il mal di testa.
<< Oh mio Dio!! >> urlò terrorizzata, sobbalzando e indietreggiando appena di qualche passo.
<< Sei impazzita?!?! >> urlò contro Carol, che si trovava in piedi davanti all'entrata del box e la fissava immobile << Non lo fare mai più, vuoi farmi morire d'infarto? >> brontolò ancora Ocean, col cuore che le correva impazzito nel petto (ulteriore tortura per il suo mal di testa). Appena aperti gli occhi si era ritrovata quella figura immobile a fissarla da chissà quanto tempo, la cosa poteva far morire di crepacuore qualcuno, avrebbe dovuto immaginarlo! Soprattutto in tempi come quelli.
<< Scusami >> disse Carol sinceramente << Ho pensato tu avessi fame. Ti ho portato qualcosa. >> e solo allora Ocean notò che teneva tra le mani un piatto. La ragazza capì le buone intenzioni della donna, e una parte di lei le diceva di chiederle scusa per la brutta reazione avuta, ma non poteva fare a meno di provare fastidio. Fastidio che fosse lì, intorno a lei, a considerarla e cercare ancora di fare amicizia trattandola con gentilezza e quasi con preoccupazione. Perciò combattuta tra la pietà e il nervoso, optò per il silenzio. Si alzò lentamente in piedi, togliendosi di dosso il mantello e lasciandolo appeso a bordo box, sospirò e uscì seguita da Max che ancora si trovava lì con lei. Carol si fece da parte per permetterle di prendersi i suoi spazi, e restò in attesa col piatto in mano, finchè Ocean, dopo essersi stirata un po', lo afferrò e fece due passi verso l'uscita della stalla, guardando fuori: il campo era praticamente deserto, e solo ogni tanto si poteva vedere sbucare la testa di una delle donne che andavano in giro a far faccende o ad occuparsi del bestiame e del raccolto. Ocean afferrò la forchetta e tirò su un po' di quello che c'era nel piatto, senza neanche guardare cosa fosse e lo portò alla bocca, mentre Carol alle sue spalle le si avvicinava, in attesa di chissà quale ringraziamento. O forse solo per poter controllare se mangiava, visto che la sera prima era stata a digiuno, al contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Chissà perchè tutti si preoccupavano così per lei, cosa gliene importava se stava male? Erano affari suoi.
Solo alla prima masticata Ocean capì cosa stava mangiando, e non potè trattenere un espressione leggermente disgustata << Sono uova? >> chiese masticando un po' a fatica, biascicando ciò che aveva in bocca e cercando di mandarla giù. Carol si preoccupò per la sua reazione, lo si potè vedere dalla sua espressione quasi mortificata << Strapazzate >> spiegò subito << Fresche! Appena raccolte. Non ti piacciono? >>
Ocean mandò giù il boccone a fatica, e nel frattempo, per dare una risposta repentina alla donna, negò con la testa che però rimase in silenzio ad aspettare una spiegazione verbale, e non solo gesti e mugolii.
<< No, sono deliziose. Scusami, non sono abituata a mangiar uova di prima mattina. E' stato...strano. >> latte e cereali, ecco la giusta colazione italiana! Il salato di prima mattina era quasi veleno per le sue papille gustative, abituate da sempre a buttar giù dolci e al massimo un caffè amaro al punto giusto. Quasi piangeva al ricordo del caffè...ecco un'altra cosa per cui avrebbe potuto uccidere.
Carol parve in parte sollevata dalla risposta della ragazza, ma l'imbarazzo e la mortificazione persistevano. Probabilmente era una di quelle donne che tendevano a darsi la colpa di ogni cosa, anche quando a venir colpite erano loro.
<< Beh, tecnicamente non è prima mattina. >> disse Carol e Ocean le lanciò uno sguardo quasi spaventato....che ore erano?!?! Quanto diavolo aveva dormito?
<< Sarà passato mezzodì. Il sole è sorto ormai da molto tempo. >> spiegò ancora la donna brizzolata, sollevando gli occhi al cielo, a cercar conferma nel sole.
Ocean rimase per un po' immobile, a guardarla quasi sconvolta. Era la prima volta che si spingeva a tanto, era la prima volta dopo tanto tempo che dormiva così a lungo...e se Peggy non l'avesse svegliata avrebbe volentieri dormito un'altra era. Era veramente a pezzi, a quanto pareva.
<< Cavoli, che sorpresa! >> si limitò a dire prima di finire velocemente il suo piatto. Non era il massimo, e il salato appena sveglia le faceva venire i brividi, ma era l'unica cosa a portata di mano e sapeva che doveva mangiare qualcosa. Restituì il piatto a Carol, si pulì velocemente la bocca con la manica e si diresse nuovamente verso il box, dove aveva lasciato la sua bottiglia d'acqua che doveva assolutamente finire. Ma aveva appena messo piede nel box quando con la coda dell'occhio vide qualcosa fuori dallo sportello, a lato, appoggiato alla staccionata, e senza muoversi cercò solo di sporgersi all'infuori con la testa per vedere meglio.
Una piccola catasta di rametti ben appuntiti era stata appoggiata lì ordinatamente.
Il mal di testa di Ocean diede un altro colpo ben assestato e per un attimo il suo sguardo si incendiò. Si chinò velocemente e ne afferrò uno, poi rialzandosi con altrettanta velocità si voltò verso Carol e glielo puntò al viso << Che diavolo significa? >> chiese furibonda, terrorizzando di nuovo la donna che sobbalzò e quasi si lasciò sfuggire il piatto di mano.
<< Io...non lo so. >> disse lei e si poteva leggere sincerità in quello sguardo.
<< Tu non lo sai? >> chiese Ocean gonfiandosi come un pallone che stava per scoppiare, urlando sempre più forte << TU NON LO SAI? >> Urlò ancora << TE LO DICO IO COSA SONO QUESTI!! >> sembrava posseduta da un demonio, l'ira funesta la stava accecando e per un attimo Carol temette volesse picchiarla, perchè non smetteva di gonfiare il petto e di avvicinarsi a lei col viso. Ma invece Ocean non glielo disse cosa erano...sapeva che lei non c'entrava niente. Si voltò di nuovo, muovendosi con rapidità e con scatti decisi, la testa in fiamme per il dolore e la rabbia che peggiorava il tutto, si poteva vedere la sua voglia di uccidere qualcuno nei tremolii delle mani, e afferrò alla ben e meglio la catasta di ramoscelli, lasciandone cadere qualcuno, fregandosene, e si allontanò a grandi falcate.
Arrivò al campo dove erano sistemate le tende che ancora lanciava fulmini dagli occhi, e la presa sui ramoscelli era tanto precaria che aveva lasciato dietro di lei una scia, manco fosse Hansel che doveva tornare a casa con la sua sorellina Gretel. Si guardò attorno, ma neanche vide chi era presente che cominciò a urlare << Dov'è? Dove sta quel figlio di buonadonna?!?! >> Glenn guardò la ragazza con un certo timore e girandosi un po' col corpo, ma sempre tenendola sott'occhio, disse ad alta voce << Oh, no. Rick! Di nuovo! >> Ocean si voltò verso il cinesino, scrutandolo. Non era lui che voleva. Rick le si avvicinò con le mani alzate, convinto ormai di trovarsi di fronte a una matta uscita dal manicomio...stava veramente cominciando a chiedersi chi fosse prima quella ragazza e se prima davvero non fosse soggetta a qualche disturbo mentale.
<< Calma, Ocean. Che succede? >> cercò di placarla. Ocean lo guardò, non era neanche lui che voleva. Alle sue spalle si trovava Shane, che sghignazzava e se la rideva, cercando di nascondere un po' la cosa, abbassando la testa e grattandosi la nuca. Probabilmente anche lui credeva fosse pazza. Ma non era neanche lui che voleva.
<< Dov'è? >> chiese ancora Ocean, non trovando chi realmente stava cercando.
<< Chi? Dov'è chi? >> chiese Rick, sperando di riuscire in qualche modo a placare la sua furia, magari stando un po' al suo gioco.
<< Cosino, lì! Come si chiama?! >> la rabbia e il mal di testa non erano alleati alla sua già scarsa memoria dei nomi << Harry! >> Shane non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. E per Rick fu difficile non fare altrettanto << Chi? >> chiese continuando a darle corda.
<< Harry! Berry! Denny! Come cavolo si chiama?!?! Mister figone sono io! Il balestriere! >> continuò Ocean, ignorando Shane che voltato continuava a sghignazzare. Trovava esilarante la scena, ma Ocean era davvero furiosa, e appena lo avrebbe trovato gli avrebbe staccato la testa come minimo. Poi sarebbe tornata ad occuparsi di quel cretino di Shane, che nonostante il trattamento che le aveva riservato, si prendeva pure la libertà di ridere di lei.
<< Ah, Daryl! >> la illuminò Glenn, capendo per primo chi stava cercando.
<< Quello che è! >> tagliò corto Ocean << Dov'è? Dimmelo! Ora! >>.
Glenn guardò Rick con timore, cosa doveva fare? La ragazza sembrava intenzionata a far guai di nuovo. Ma Rick sapeva che non avrebbe mai potuto far del male a nessuno, era disarmata e certamente non poteva competere con Daryl in quanto a forza fisica.
<< Alla fontana laggiù. >> le indicò semplicemente, lasciandola andare, ignorando il perchè di tanto furore, ma cercando di capirlo insieme agli altri osservando la scena che stava per compiersi tra i due. Non avrebbero sentito bene cosa si sarebbero detti, ma con la rabbia di Ocean probabilmente i gesti avrebbero parlato più delle parole.
<< Molto divertente, davvero! >> urlò Ocean lanciando con tutta la forza che aveva la sua catasta di ramoscelli addosso a Daryl, che l'aveva ignorata fino al momento in cui gli aveva rivolto la parola e al momento in cui si era ritrovato addosso una pioggia di rami.
<< Ehi, sei impazzita? >> le chiese lui voltandosi a guardarla sconvolto e forse anche un po' offeso.
<< Poi sono io quella col senso dell'umorismo pessimo, vero? >> continuò a urlargli contro Ocean, non dandogli nemmeno ascolto: tutto ciò che avrebbe detto sarebbe stato irrilevanto. Era un cretino stronzo, non meritava ascolto. E Ocean aveva scoperto di odiarlo.
<< Ma certo, bravo, sei un figo tu! Bravo! >> gli applaudì << Prendiamo in giro la ragazza imbranata, che poi gli faccio vedere io quanto son figo che riesco a far le cose meglio di lei. Guardami, sono bello e muscolo, bravo a far tutto io, al contrario tuo stupida ragazzina imbranata che neanche riesci a costruirti delle frecce da dei ramoscelli del cazzo! >> proseguì facendogli il verso e incazzandosi sempre di più, ma mano che proseguiva, alzando sempre più il tono della voce.
<< Tu sei tutta matta! >> si limitò a dirle Daryl, prima di rivoltarsi verso la fontana, dove fino a poco prima stava cercando di darsi una pulita. Ma Ocean lo spinse per una spalla costringendolo a rivoltarsi << Io sono la matta! Pure questo ora! Ma chi cavolo sei tu per giudicarmi, si può sapere? Neanche sai come mi chiamo, e ti permetti di giudicarmi e prenderti gioco di me. Bello, io sono sopravvissuta mesi lì fuori da sola, al contrario tuo che dovevi sempre avere qualcuno che ti parasse il tuo bel culetto da super modello! >>
<< Non toccarmi più! >> le gridò Daryl innervosendosi e puntandole un dito minaccioso contro << Dovresti essermi grata invece! Eri senza frecce, no? Ti ho fatto un favore! >>
<< Bel favore del cazzo! Certo, ora il tuo intento era solo quello di essermi amico e farmi un favore, non certo dimostrarmi che io son imbranata e tu un figo. >> Ocean gli fece una grossa risata sarcastica << Divertente come un dito nel culo! >>
<< Certo meglio del tuo modo di ringraziare! Ti abbiamo salvato il culo, bella! >>
<< Voi avete.... >> Ocean si bloccò, prima incredula, rimanendo a bocca aperta, poi ricevendo come un'illuminazione, e un sorriso sarcastico si dipinse sul suo volto << Ora ho capito. >> e pian piano riprese a urlare << Adesso ho capito tutto!! Tu... e i tuoi cari amichetti My Little Pony state cercando di comprarmi! Tutte ste carinerie, le cure mediche, la colazione a letto e i tuoi stupidi legnetti a presa per il culo! Volete convincermi che ho bisogno di un gruppo, così resto qui e il figlioletto del tuo caro fidanzatino Rick può vivere felice e contento col MIO cane!! >>
<< Non permetterti di offendermi! >> sputacchiò Daryl, avvicinandosi al suo viso di colpo, minaccioso, pronto a sferrar pugni se fosse stato necessario.
<< E tu non giudicarmi! Non sono imbranata, se lo fossi stata sarei morta al primo angolo! E smettetela tutti di essere così disgustosamente carini con me! Io me ne andrò, e Max viene via con me! >> continuò a urlare Ocean.
<< Vai! Ci faresti solo un favore! Meno cibo andato sprecato! >> rispose Daryl urlando << Nessuno ti trattiene, puttana! >>
<< Questa cos'è psicologia inversa? E quell'offesa? Puttana? PUTTANA? Non sai fare di meglio? Molto maturo complimenti! Vai al diavolo tu e quel gruppo di idioti che ti porti appresso! E non permettetevi mai più di avvicinarvi a me e ai miei animali! >> disse Ocean, completando la frase con un gesto violento del braccio, usato solo per sfogare la rabbia, ma che voleva essere anche un gesto minaccioso.
<< Razza di imbecilli >> grugnì infine Ocean prima di voltarsi e andarsene.
<< Stupida puttana! >> grugnì Daryl di rimando, tirando un calcio a uno dei ramoscelli ai suoi piedi, prima di tornare a ciò che stava facendo.
<< Vaffanculo! >>
<< Vaffanculo tu! >> si urlarono alla fine. E Ocean ritornò sui suoi passi, con i pugni serrati e lo sguardo fisso davanti a sè. Passò davanti al resto del gruppo, tutti attirati dalla lite, e nessuno riuscì a essere discreto nell'osservarla mentre si allontanava, ma Ocean non li degnò di considerazione e tornò alla stalla, dalla sua Peggy, borbottando tra sè e sè offese e imprecazioni di ogni tipo.
Nel giro di pochissimi minuti la cavalla era sellata e pronta per una bella cavalcata, e Ocean vi salì sopra, attraversando la strada che la divideva dal campo al trotto, e fermandosi davanti alla roulotte.
<< Vecchio!! >> urlò Ocean da fuori, mentre scendeva da cavallo << Vecchio!! >> chiamò ancora, e Dale si affacciò curioso e confuso da sopra il tettuccio del camper. Ocean lo guardò e disse subito decisa << Dammi le mie armi. So che le tieni tu, insieme a tutte le altre. >>
<< Non posso. >> si limitò a rispondere Dale.
<< Vado nel bosco a farmi una passeggiata, vuoi avermi sulla coscienza per quel poco che ti rimane della tua vita? Dammi le mie armi, ora. >> insistette Ocean, mandando alle ortiche le buone maniera. Non era proprio in vena di carineria e fiocchetti ornamentali.
Dale la guardò un po' pensieroso, e sicuramente anche un po' irritato per i modo poco cordiali, ma non aveva intenzione di ribattere ancora. Di certo non si sarebbe messo a far storie in quel momento, e se veramente la ragazza andava nel bosco allora le armi le servivano davvero. Perciò dopo aver tirato un sospiro di rassegnazione scese dal tettuccio del camper, entrò all'interno e dopo pochi minuti uscì con tutte le armi di Ocean.
<< Tieni. E non farmene pentire. Portale fuori di qui e quando ritorni me le riporti, chiaro? >>
<< Sempre se ritorno. >> si lasciò sfuggire Ocean mentre si allacciava le cinture che tenevano su la sua spada e le sue daghe, ma Dale si rese conto che la frase non era rivolta a lui, e non sentì il bisogno di intervenire. La rabbia usciva da ogni poro della sua pelle, probabilmente era solo una frase di circostanza.
Mentre finiva di allacciarsi l'ultima cintura, Ocean si riavvicinò a Peggy e saltò di nuovo in groppa, allontanandosi velocemente, senza rivolgere neanche uno sguardo all'uomo che gli stava di fronte. E se uno sguardo era stato così d'oro, figuriamoci un "grazie".
Passò di fianco a Carl, che già stava tentando di coinvolgere Max in qualche gioco, e lanciò un fischio, aggiungendo solo un << Max >> di richiamo. Nient'altro. Ma ciò bastò perchè l'animale si voltò subito verso di lei, e quando la vide allontanarsi in groppa a Peggy corse loro dietro, consapevole che si sarebbero andati a fare una passeggiatina e probabilmente Ocean aveva bisogno di lui. Si sentiva più sicura se c'era Max insieme a lei, perchè lui riusciva a sentire il pericolo avvicinarsi, e per Ocean era facile capire quando era l'ora di togliere le tende, bastava ascoltare i suoi due animali.
Corsero velocemente verso la staccionata ai confini del campo, e la superarono, dirigendosi verso il bosco davanti a loro. Hershel avrebbe avuto sicuramente da ridire, Ocean era ancora troppo debole per permettersi cavalcate sotto al sole e in mezzo al pericolo della "gente malata", ma tanto Hershel non l'aveva vista andar via, perciò non aveva avuto modo di romperle le scatole.
In pochi minuti furono circondati da alberi, e non si vedeva altro nel giro di molti metri. In lontananza si poteva udire il rumore di un ruscello, ma niente più. Ocean stette in silenzio, cercando di rendere silenzioso anche il suo respiro, e proseguì lentamente seguendo una direzione non ben precisa a lungo, seguita da Max che se ne stava quatto e annusava ogni cosa. Tesi come corde di violino, ma senza troppa fatica, ormai ci erano abituati.
Ocean fece svoltare il cavallo, decisa che andare a caso non era il metodo migliore per muoversi: doveva trovare un filo da seguire, e lì l'unica cosa di diverso e di lineare era il ruscello, perciò si mosse verso esso. Il sole che passava delicato attraverso le foglie degli alberi era quasi piacevole, come era piacevole la leggera brezza che ogni tanto le scompigliava i capelli e il rumore delicato degli zoccoli della sua Peggy sul terreno secco, lontano da piogge che ormai da giorni si facevano desiderare.
Arrivarono al ruscello e la prima cosa che Ocean fece fu guardarsi attorno, seguendo con gli occhi il corso dell'acqua e poi nel senso inverso, controllando che non ci fosse nessuno...o meglio che non ci fosse "niente". Max subito si avvicinò all'acqua che scorreva davanti a loro, l'annusò a lungo poi diede due rapide leccate, buttandosi un po' di quel liquido fresco e dissetante in gola.
"Pensa come una ragazzina" si ritrovò a dirsi, cercando di trovare una pista. Non aveva chiesto informazioni a nessuno prima di partire, la rabbia si era presto tramutata in orgoglio, e mai sarebbe andata da loro a dirgli "nonostante vi odii a morte ho intenzione di aiutarvi nelle ricerche della figlia di Carol". Perchè poi volesse farlo era un mistero, forse per noia, anzi no, molto probabilmente era così. E questo colpo di orgoglio, che le aveva portato una carenza di informazioni preziose, di certo non l'avrebbero aiutata nella ricerca. Però era sempre una scusa per restare lontana dalla fattoria per un po', starsene finalmente sola, senza gente fastidiosa ed egoista.
Seguire il ruscello sarebbe stata la scelta più saggia da prendere, se uno aveva intenzione di farsi trovare, ma sicuramente non quella che avrebbe preso una ragazzina, inesperta e terrorizzata. In quelle condizioni, secondo Ocean, l'unica cosa che poteva volere era cercare un nascondiglio, e starsene sulla riva del ruscello l'avrebbe tenuta troppo scoperta. Gli alberi erano sicuramente più allettanti. Ma eccola di nuovo al punto d'inizio: se si fosse inoltrata nella foresta avrebbe vagato senza una meta precisa, e la cosa non avrebbe aiutato.
Però...forse era la cosa migliore. Chi scappa non ha una meta precisa, va dove capita. E se lei per trovarla doveva calarsi nei suoi panni, allora doveva vagare alla stessa maniera. E poi, alla fine, che altra scelta aveva?
<< Va bene, proviamoci. >> disse tra sè e sè e, superando il ruscello, cominciò a vagare per il bosco senza seguire un ordine preciso, semplicemente spostandosi come le suggeriva il cuore e l'istinto. Non era la scelta migliore, ma con un po' di fortuna...chissà.

Era già da molto che girovagava per il bosco, forse ore, e la fame cominciava a farsi risentire, ma decise di mettersi un tappo allo stomaco e di tirare ancora per un po'. Il sole era ancora alto in cielo, c'era ancora tempo per tornare, e la rabbia non era ancora sbollita del tutto. Anzi, più ci ripensava e più si innervosiva. Perciò era meglio starsene sola ancora un po', così la fame sarebbe stata una buona motivazione per tornare, superando quella che la spingeva ad andarsene immediatamente.
Cavalcava, ormai persa nei suoi pensieri: aveva smesso di dare troppe attenzioni e ascolto al mondo che la circondava già da un po', tanto non c'era niente che meritasse attenzione, quando poi all'improvviso sentì Max ringhiare. Si tese immediatamente in sella al suo cavallo e cominciò a guardarsi attorno, cercando di cogliere ogni minimo movimento o anomalia nel circondario. Max stava osservando un punto ben preciso però, perciò Ocean aveva più o meno un'idea già chiara di dove doveva rivolgere lo sguardo attento. Scese da cavallo, legandola lì vicino. Preferiva tenerla distante dai campi di battaglia, era la sua via di fuga, e poi si muoveva meglio a piedi se doveva puntare sull'invisibilità e la silenziosità. Sfoderò la spada, e si tenne china mentre si avvicinava al gruppo di cespugli che Max puntava, fino a quando cominciò anche lei a sentire i loro lamenti. Zombie. Non sapeva se lì dietro, quanto dietro, o se direttamente dentro i cespugli, ma c'erano zombie lì. Ed era meglio dare un'occhiata, chissà che non trovasse qualcosa di interessante. Si portò un dito alle labbra, facendosi vedere da Max e cercando di trasmettergli uno sguardo severo, di comando, che lo obbligasse a stare zitto. Non dovevano attirare l'attenzione.
Man mano che si avvicinava il cuore batteva sempre più forte, e il respiro quasi veniva a mancare. Si presume che dopo così tanto tempo una si fosse abituata a certe cose, ma non era così semplice. Ogni volta era come la prima volta, e il non sapere da dove sarebbero sbucati la teneva in agitazione. Non era tanto lo scontro fisico che la spaventava, aveva appurato che le difficoltà erano poche, quelli si muovevano lenti e disorganizzati, se non erano in troppi era facile riuscire a farli fuori, ma la terrorizzava l'effetto sorpresa. Sapeva erano lì, li sentiva, ma lì dove precisamente? E se appena avesse alzato la testa per guardare se ne fosse trovato uno davanti? Non avrebbe fatto a tempo. Ma la paura però non era abbastanza convincente da farla tornare indietro. Dentro sè, aveva proprio voglia di tirare due fendenti e tagliare qualche testa, ne sentiva quasi il bisogno, era una valvola di sfogo non sottovalutabile.
Alzò la punta della lama all'altezza degli occhi, avvicinandola al viso, e piano piano provo a raddrizzarsi per portare lo sguardo oltre il sottobosco e vedere dov'era e quanti erano. In quella maniera se anche se fosse trovato uno di loro davanti sarebbe stato facile ucciderlo all'istante, bastava spingere la lama avanti.
Riuscì a vederli: 4 di loro erano chini su qualcosa, intenti probabilmente a pranzare. Non l'avevano ancora notata, ma non ci avrebbero messo molto: era l'unica cosa che profumava di vivo nel circondario. Ocean si guardò velocemente intorno, per assicurarsi che non ce ne fossero altri, poi fece la sua mossa. Si rilassò, abbassò la lama, impugnandola con una mano sola mentre con l'altra spostò i cesugli per passarci attraverso e si fece lentamente avanti.
<< Stai lì, Max >> disse, fregandosene se l'avessero sentita, anzi era proprio quello che voleva. Non voleva avvicinarsi oltre, preferiva che si muovessero loro, così avrebbe avuto più possibilità di trovarsene addosso solo uno alla volta, piuttosto che tuffarsi in mezzo a loro.
<< E' buono? Non preferireste dei deliziosi Cereali Cheerios? >> disse con ironia Ocean, attirando così l'attenzione dei 4 cosi, che si voltarono dapprima lentamente, con le labbra ancora grondanti di sangue e i denti marci scoperti, poi si alzarono e cercarono di avvicinarsi a lei prendendo velocità, grugnendo, ruggendo e facendo ogni tipo di verso gutturale potesse uscirgli.
<< Disgustoso. >> osservò Ocean tra sè e sè, guardando come uno di quei due arrancava e inciampava sulle sue stesse budella che penzolavano fino ai piedi. E infine partì. Un fendente dritto sulla testa del primo, che si accasciò subito, e con un singolo movimento Ocean staccò la spada dal suo cranio e con un dritto tondo tagliò la testa al secondo, che rotolò un paio di metri in là. Il sorriso era stampato sul viso di Ocean, era macabro, ma si divertiva. Quelle non erano più persone, erano mostri, e quello che stava commettendo non era omicidio, ma un atto di eroismo. Incredibile come il confine tra le due cose fosse così labile e sottile.
Si avvicinò il terzo, a braccia tese, urlando e già a bocca aperta, in attesa del suo pasto. Con un montante Ocean gli aprì il ventre, destabilizzandolo, e urlando per darsi carica fece un passo in avanti in un affondo che portò la lama ad attraversare da parte a parte il cranio del mostro davanti a lei. Il sangue nero, marcio, schizzò dappertutto, sporcandole i vestiti, accumulando puzzo e marciume ad altro puzzo e marciume, arrivando anche al viso, macchiandole una guancia. L'odore era da nausea, ma anche a quello ormai ci era abituata. Ricordava come un tempo, quando ancora era Alice, non poteva neanche aprire il bidoncino dell'organico perchè l'odore che ne saliva la faceva correre in bagno con i conati di vomito. Ocean invece non era così debole di stomaco, Ocean avrebbe potuto farcisi un bagno in quello schifo e stare bene per giorni, non sentendosi neanche a disagio.
Smosse la lama all'interno della testa del mostro, procurando rumori di ossa sbriciolate da far accapponare la pell, e si assicurò di aver colpito le zone giuste. Poi estrasse la lama, e portandosi di nuovo in posizione iniziale di combattimento, fissò il quarto e ultimo mostro, quello che inciampava nelle sue budella e che per questo era stato più lento degli altri. Ocean sorrise di nuovo, sapendo che non avrebbe avuto nessuna chance e lanciò un altro urlo di carica prima di prendere la spinta giusta da dare alla spada, pronta a tagliare un'altra testa, ma qualcosa la precedette. Un colpo di pistola la fece sobbalzare, da dove diavolo era arrivato? Si voltò velocemente verso la direzione di provenienza, e vide a pochi metri da lei, con i piedi ben piantati a terra ma il corpo tremolante e lo sguardo terrorizzato, il ragazzino che voleva approppriarsi del suo cane. La rabbia scoppiò nei suoi occhi: che cacchio ci faceva lì?!?! Ma non ebbe tempo di dire, o fare niente: il colpo aveva mancato il bersaglio, e lo zombie non si era lasciato distrarre come Ocean e aveva approfittato della sua distrazione per saltarle addosso.
Ocean urlò quando si rese conto di cosa stava succedendo, urlò più di rabbia che di paura e d'istinto lasciò cadere la spada a terra, per poter utilizzare entrambe le mani per fermare la faccia dello zombie che cercava di avvicinarsi a lei. Non era mai stata tanto forte, e quei mesi di addestramento a fughe e combattimenti l'avevano sicuramente migliorata, ma non abbastanza. Lo zombie tentò di spingere il suo viso contro quello della ragazza, continuando a mordere l'aria, speranzoso di afferrare presto qualcos'altro e nel frattempo portò le sue mani alle spalle delle ragazza. Non appena Ocean sentì le sue dita spingere contro i suoi vestiti nell'intento di afferrarla il panico insorse in lei: l'avrebbe graffiata! Si sarebbe trasformata! E tutto per colpa di quello sciocco ragazzino che non si faceva gli affari suoi!
<< No, no!! >> urlò e facendo appello a tutto le sue energie cercò di fare forza e di spingere a lato lo zombie, facendolo cadere e sperando di riuscire a staccarsi le sue mani di dosso. Riuscì, la disperazione fa fare cose sovraumane, ma sentì uno "strap" che le fece palpitare il cuore. Sfoderò una delle sue daghe e senza aspettare oltre si lasciò cadere sullo zombie a terra, che già aveva ripreso ad allungare le braccia nella sua direzione e le aveva quasi afferrato una caviglia. Ma Ocean riuscì a conficcargliela prima che potesse fare altro e lo uccise all'istante.
Sfoderò subito la daga e la lasciò cadere a terra, cominciando a guardarsi terrorizzata, in cerca di eventuali graffi e già sentendo il nodo in gola che bruciava. Vide che la manica della sua camicia era stata strappata, e capì che era stata lei a fare quel rumore. Allargò il buco e guardò la sua pelle all'interno, con ossessione e terrore, guardandola più volte, tastandola, cercando anche il più piccolo e invisibile graffietto, ma per fortuna era ancora tutta integra. Nella caduta lo zombie aveva afferrato la sua camicia ma non la sua pelle. Si sentì la ragazza più fortunata del mondo in quel momento ed ebbe un calo di pressione, segno della tensione che era calata improvvisamente. Fece grandi respiri e si poggiò con una mano a terra, chiudendo gli occhi e cercando di far calmare il cuore. La testa aveva ripreso a pulsare, a scoppiare, ma in quel momento era il male minore. Se l'era quasi fatta nei pantaloni, diavolo!
Afferrò la daga non appena si sentì in grado di mettersi in piedi, e la rifoderò, ma la spada dovette aspettare ancora un po' perchè c'era prima qualcos'altro che andava fatto: si voltò e si alzò di scatto, col solo desiderio di menar ceffoni a quello stupido, e gli si avvicinò a grandi falcate. Il ragazzino era pallido in viso, ancora tremolante, ancora confuso e spaventato, ma la cosa non intenerì Ocean che lo prese per un braccio e portò il suo viso all'altezza di quello del ragazzino
<< Che cazzo fai qui? Sei impazzito? >> gli disse colma d'ira, me senza urlare.
<< Mi hai quasi fatto uccidere, razza di cretino! I ragazzini come te dovrebbero starsene a casa a giocare con le macchinine, non maneggiare certe cose senza neanche saperle usare! >> ma Carl ancora non rispose, la guardò semplicemente, ancora scombussolato, forse facendo fatica a capire quello che Ocean gli stava dicendo.
<< Andiamocene di qua, il tuo gesto eroico avrà attirato altri di loro, e non voglio rischiare di nuovo la vita per colpa tua. Meriteresti una sculacciata >> e cominciò a trascinarlo per il braccio, ritornando da Peggy. Max era con lei che si guardava attorno guardingo, attento che non ci fossero altre minacce nei paraggi, ma non rimase sorpreso quando vide i due avvicinarsi. Probabilmente aveva fiutato Carl.
<< Forza, sali a cavallo! >> disse Ocean spingendo Carl verso la sua Peggy. Carl la guardò senza dire niente, si massaggiò il braccio dove la presa ferrea di Ocean gli aveva quasi fatto male, e si avvicinò timoroso al cavallo. Non aveva mai cavalcato prima d'ora, e quasi neanche arrivava alla sella. Cercò di alzare un piede, infilandolo nella staffa, ma non riuscì a trovare un appiglio sicuro che potesse aiutarlo a tirarsi su, e saltellò un po', senza concludere niente.
Ocean, che era stata un po' a guardarlo a braccia conserte, alzò gli occhi al cielo scocciata, sbuffando e si avvicinò a lui << C'è qualcosa che sai fare? >> brontolò e afferrandolo per l'altro piede, quello rimasto a terra. Lo sollevò da terra e gli diede la spinta ideale per permettergli di arrivare alla sella. Carl si sistemò e si lasciò sfuggire un sorriso: era bello stare lassù. Ti faceva sentire potente, ti faceva sentire grande, e lui adorava essere grande.
<< Fatti più avanti ragazzino, e togli i piedi di lì. Devi farmi posto. >> ordinò Ocean, e non appena Carl tolse i piedi dalle staffe, Ocean le usò per tirarsi su e posizionarsi in groppa dietro di lui.
<< Oggi carico doppio, Peggy. Sai chi ringraziare. >> disse sarcastica e scocciata alla cavalla << Andiamo, su. Consegnamo il pacco. >> e sempre seguita dal suo cane cominciò ad avviarsi abbastanza velocemente verso la fattoria. Aveva programmato di star fuori tutto il giorno, di starsene sola per un po' e godersi la pace della solitudine, e invece i suoi piani erano andati in fumo. Anche il tentativo di cercare la ragazzina era andato perso, sempre grazie all'intervento pessimo di Carl. Non c'era niente ancora che la convincesse a restare con quel gruppo, niente che le suggerisse che in fondo erano simpatici, niente che le piacesse di loro. E odiava l'idea che avrebbe dovuto stare con loro almeno un altro po', ma sapeva che non aveva scelta. Aveva bisogno del loro cibo, della loro acqua e del riposo che solo quell'angolo di paradiso poteva concederle. E sotto sotto, anche se non l'avrebbe mai ammesso neanche a se stessa, stava cercando scuse, stava temporeggiando, per cercare di rimandare il più in la possibile il momento in cui sarebbe stata costretta a separare il ragazzino da Max. Sapeva Max ci avrebbe sofferto, lo faceva per lui, certo...ma anche per Carl. Nel suo inconscio pulsava il dispiacere per la tristezza che avrebbe portato a Carl nel separarli, nel suo inconscio qualcosa si stava scatenando, Alice stava facendo sentire la sua voce, ma Ocean le tappava la bocca, non voleva ascoltarla, e rispondeva con rabbia alle sue richieste, cercando scuse e giustificazioni. Negando a se stessa tutto ciò che portava chiuso in una cassaforte dentro di lei.

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Capitolo 8
*** Antropologo. ***


Antropologo

<< Non dire a nessuno della pistola! >> le aveva detto Carl durante il viaggio di ritorno, dopo il tempo necessario a far placare i cuori di entrambi.
<< Ah, no? E perchè non dovrei? >> chiese Ocean visibilmente più tranquilla. Irritata, come sempre, ma non più furiosa. Il vento sulla faccia, il rumore degli zoccoli sul suolo e la meravigliosa scoperta di essere ancora viva l'avevano in breve tempo tranquillizzata.
<< Perchè... >> cominciò Carl abbassando lo sguardo, non sapendo come proseguire. Gli adulti non avrebbero capito, era questo che voleva dire, ma anche Ocean era un adulto...quindi anche lei non poteva capire. E allora che dirle?
<< La mamma ti sculaccerebbe, non è così? >> disse Ocean, con un velo di ironia. Sapeva che Carl ormai era grande per le sculacciate, ma considerarlo un bimbo e farglielo quasi pesare la divertiva. Carl aveva esilaranti e eclatanti reazioni quando si metteva in dubbio la sua maturità. E come si era aspettata, infatti, Carl reagì con rabbia, brontolando.
<< Sai, quando ero ragazzina, come è capitato a tutti i ragazzini, anche se non tutti lo ammettono, ho voluto provare a fumare. >> disse Ocean, interrompendo lo sproloquio di giustificazioni di Carl, il quale la guardò con fare interrogativo << E allora? >> chiese scocciato.
<< Era un periodo molto stressante per me, immagino sai cosa voglia dire avere 14 anni. Tutto il mondo sembra remarti contro. Così una mattina decisi di "fare l'adulta" >> rise alle ultime due parole << La mamma dormiva ancora. Io andai a cacciar le mani nella sua borsa, presi il suo pacchetto di sigarette e gliene rubai una. Ov viamente la buttai dopo la prima boccata, era disgustosa. >> continuò a raccontare lei, sotto lo sguardo ancora poco fiducioso del ragazzino. Dove diavolo voleva arrivare?
<< Quel pomeriggio presi il ceffone più inaspettato e doloroso della mia vita. >> fece una pausa abbassando lo sguardo verso il ragazzino, cercando i suoi occhi, curiosa di vedere quale fosse la reazione al suo racconto. Ancora confusione. Che centrava questo con quello che le aveva detto Carl?
<< Non ti sei chiesto come ha fatto a scoprirmi? >> chiese Ocean.
<< Qualcuno glielo avrà detto. >> fece spallucce lui.
<< Nessuno lo sapeva. Nessuno poteva dirglielo. L'ha scoperto perchè già lo sapeva prima che lo sapessi io! Le madri hanno un potere speciale: conoscono i pensieri dei figli prima che questi li pensano! Assurdo vero? Eppure....lo sapeva. Ed è per questo che da qualche giorno avanti contava sempre il numero di sigarette che lasciava nel pacchetto. Si aspettava che io da un giorno a un altro gliene avrei presa una per provarla. >> Ocean tirò le redini di Peggy. Stavano arrivando alla staccionata, era bene rallentare un po'. Il pericolo ormai era passato, e sicuramente Peggy era un po' stanca.
<< Credo di aver capito. >> disse Carl riportando lo sguardo davanti a sè << Pensi che lei lo sappia già, vero? >>
<< Penso che se non lo sa ancora, lo saprà tra poco. E non ci sarà bisogno che glielo dica io. >> e ovviamente la cosa non andò giù al ragazzino.

In pochi minuti raggiunsero il campo, dove Ocean rallentò e fece fermare Peggy per permettere a Carl di scendere. Lori li raggiunse correndo, bianca in viso e gli occhi spalancati << Oh mio Dio! Carl, cos'è successo? Dov'eri? >> chiese con quel poco di voce che le era rimasto. La paura e l'agitazione rubavano fin troppe delle sue energie.
Carl rimase per un attimo in silenzio, con lo sguardo fisso davanti a sè, senza cedere, sperando di dimostrare così tutta la sua forza e maturità.
<< Ha avuto paura ce ne andassimo. >> intervenne Ocean << Ci ha voluti seguire per convincermi nel caso a tornare indietro. >> e la scusa sembrò convincere la madre apprensiva che già stringeva a sè il figlio, nonostante dimostrasse di non gradire troppo tutte quelle manifestazioni d'affetto.
<< Sei ferita? >> chiese Carol avvicinandosi preoccupata alla cavalla. Era stata l'unica a notare il sangue putrido sparso sui vestiti e sul viso della ragazza, e l'unica a notare i vestiti malconci, sporchi di terriccio, e strappati. Lori era stata troppo impegnata ad abbracciare suo figlio. E forse sarebbe stato meglio così: avrebbe risparmiato l'imbarazzo di Ocean a dover ammettere << Ci hanno attaccati degli zombie. >> perchè era in imbarazzo? Perchè già sapeva che l'avrebbero per questo riempita ulteriormente di attenzioni e carinerie, preoccupati per il suo stato di salute. E così fecero.
<< Ti hanno morsa? Stai bene? >> chiese ancora Carol guardando la ragazza con preoccupazione, la quale ancora non si decideva a scendere dalla sella.
<< No, sto bene. >> disse semplicemente.
<< Hai salvato la vita di mio figlio. >> constatò Lori, guardando la ragazza come si guarda un angelo sceso in terra. Ocean avrebbe volentieri risposto con un acido "a dir il vero sono quasi morta per colpa di quella carogna che tieni tra le braccia! Salvarlo non era proprio mia intenzione!" ma non voleva scendere ulteriormente nei particolari. Era già abbastanza così. Così si limitò ad alzare le spalle, cercando di scrollare l'evento di tutta quella importanza che stavano cercando di dargli.
<< Grazie. Grazie infinite. >> piagnucolò ancora la madre, senza mollare Carl per un istante.
<< Puoi andare a farti una doccia, se vuoi! >> intervenne Carol avvicinandosi a lei, toccandole una gamba << Porto io Peggy alla stalla! Immagino sentirai il bisogno di rilassarti un po'. >> e, andando contro a tutti i suoi proposito, Ocean scese da cavallo e accettò la proposta senza farselo ripetere due volte. Non si faceva una doccia da non sapeva neanche lei quanto, e al diavolo l'orgoglio! Sarebbe stata una scema a rifiutare una proposta così allettante. Non dovette manco farselo ripetere due volte che già le aveva mollato le redini a si stava avviando verso la villa super lusso Greene, senza neanche chiedersi se era proprio della loro doccia che stava parlando Carol o magari di qualche secchiata d'acqua gelata all'interno di una doccia improvvisata da canne di bambù.
<< Ti avevo detto di stare a riposo >> l'ammonì Harshel sul pianerottolo di casa, vedendola arrivare malconcia e intuendo cosa fosse successo. Non che la cosa gli importasse seriamente, la ragazza poteva fare quello che voleva, non la conosceva nemmeno, ma il suo orgoglio medico gli impediva di concedere troppo alle persone intorno a lui di ammazzarsi senza ritegno.
Ocean scrollò le spalle, senza neanche guardarlo in viso e lo superò << Vado a farmi una doccia. >> disse....non chiese. Disse e basta. E l'uomo, dandosi qualche secondo per riprendersi dalla sorpresa di trovarsi di fronte una ragazza tanto maleducata, stava già per rispondere offeso quando però la figlia, Maggie, lo precedette, ammonendolo con uno sguardo << Ti prendo degli asciugamani! Il bagno è di sopra. >> disse palesemente in disaccordo con l'inospitabilità del padre. In fondo quelle persone avevano visto più volte la morte in faccia, al contrario loro che se n'erano stati abbastanza tranquilli chiusi nella loro fattoria isolata da tutti. Perchè impedire loro di poter finalmente godere di un po' di pace? E la ragazza era appena tornata da un'escursione che si era rivelata piuttosto pericolosa, una doccia era più che meritata ai suoi occhi.
<< Prenditi pure il tempo che ti serve >> sorrise ancora Maggie, seguendo Ocean dentro casa << Quando avrai finito vedrò di farti trovare pronto qualcosa da mangiare. Hai bisogno di riprendere energie, immagino. >>
<< Non sarebbe una cattiva idea. >> disse Ocean in un tono che nel suo gergo voleva dire un accennato "grazie".

Era incredibile la quantità di acqua nera che colava giù dal suo corpo. Non aveva mai neppure immaginato fosse possibile accumulare tanto sporco addosso: terra, sangue e sudore. Tutto scivolava via lasciando solo quel roseo strato di pelle che quasi non riconosceva più come suo. Ed ebbe dopo tanto tempo occasione di riguardarsi: la malnutrizione aveva dato i suoi frutti, facendole raggiungere un grado di magrezza che non aveva mai pensato fosse per lei possibile. Si era sempre considerata di costituzione "rotonda", non era mai stata grassa, ma neppure magra. Era una di quelle che rientravano nella categoria Curvy, con i fianchi un po' troppo prorompenti, un leggero strato di pancetta e gambe decisamente al di fuori dello standard di bellezza di un tempo. Ma col tempo si era abituata, e aveva imparato ad accettarsi, anche perchè nonostante la sua forma "fuori forma", poteva permettersi di indossare qualsiasi cosa senza vergogna e questo le bastava, e col tempo si era convinta che sarebbe rimasta così per sempre, che il suo fisico mai le avrebbe permesso di assomigliare alle modelle che si vedevano nelle riviste in edicola. Ora la sua amata pancetta le mancava, quelle costole che erano spuntate così accentuate non le piacevano per niente! Non era più morbida come una volta. Anche i fianchi erano diventati abbastanza ossuti. Ora sì che si vergognava del suo fisico. Certo, non somigliava a quegli scheletri che solitamente teneva appesi negli armadi ad Halloween per spaventare suo fratello, le ossa che al suo sguardo erano enormi in realtà erano appena accennate, ma davvero le mancava quella rotondità e morbidezza di una volta. Alice l'aveva abbandonata del tutto, anche nel fisico, lasciando spazio solo a una fredda, ossuta e spigolosa Ocean.
Prese la saponetta che le aveva dato Maggie e cominciò a passarsela delicatamente su un braccio, osservando con cautela e meraviglia la pelle che man mano veniva scoperta, lasciandola libera dallo strato di marrone, rosso, grigio, nero e altre sfumature di colore provenienti da chissà quale schifezza che aveva addosso da chissà quanto tempo. Si era un po' impallidità. Anche quello lo notò facilmente...aveva perso un po' il colore mediterraneo della sua terra d'origine. Passò la saponetta sul resto del corpo, grattando con insistenza laddove lo sporco si era incrostato, arrivando perfino a farsi male, ma voleva rivedersi! Improvvisamente sentì di possedere qualcosa...improvvisamente l'aveva rivisto. Il suo corpo, la sua vita, la sua sè. Era lì e voleva rivedersi e ripulirsi! Per così tanto tempo era sembrato tutto così...lontano. E invece ora era lì...si teneva tra le mani, si accarezza e si abbracciava, come si può riabbracciare una vecchia amica che da tempo non si era più rivista.

Dov'eri?
Ma qui, sempre accanto a te!
Non riuscivo a vederti!
Apri gli occhi. Ocean...apri gli occhi. Io sono qui.
Qui dove? Tu...tu non sei Alice.
Lo ero.

Si sciolse i capelli e lasciò che l'acqua potesse scorrerci attraverso, godendo delle carezze che le provocava lungo la cute, facendole venire i brividi. Da quanto tempo non veniva accarezzata.
Si passò una mano sulla testa, facendola scorrere per tutta la lunghezza dei capelli, fino alle punte, accarezzandosi di nuovo, come una volta aveva accarezzato il proprio gatto. Si prese i capelli tra le mani e ci fece scorrere le dita attraverso...altro nero si accumulò sul fondo della doccia, intasando quasi il tubo di scarico e ciocche di capelli le rimanevano incastrate tra le dita, staccandosi con una tale facilità da far intuire a Ocean che da tempo ormai si erano staccati dalla cute, ma che erano rimasti impigliati lì, annodati e legati, mai caduti, accumulandosi e aggiungendo nodi ai nodi.
Cominciò a pettinarsi grossolanamente, facendo scorrere le dita più volte, forzando quando trovava un nodo, ma non sempre riuscendoci: alcuni erano talmente ben fatti e compatti che era impossibile scioglierli...come quelli che aveva sempre tenuto in gola e che all'inizio bruciavano così tanto, ma di cui poi era riuscita a dimenticarsene.
La doccia rinfrescante che doveva durare solo 10 minuti, tanto per darsi una sciacquata veloce e rilassarsi un istante, era alla fine durata più di un'ora, e non solo perchè lo sporco era ostinato. L'acqua che scorreva sulla pelle toglieva un altro tipo di sudiciume, riportando alla luce tante altre cose, tanti altri piaceri dimenticati. In primis quello di essere accarezzata. E pensare che una volta Alice non era mai stata amante del contatto fisico, la facevano sentire violata.
Uscì dalla doccia e si concedette una lenta analisi allo specchio: come si era trasformata. E neanche se n'era mai resa conto. I capelli si erano allungati, arrivandole fin sotto il seno (che aveva perso minimo una taglia), le guance si erano un po' scavate e due grosse occhiaie dipingevano di nero i suoi occhi.
<< Se non fosse per il dono della parola io stessa farei fatica a distinguermi da quei Vaganti. >> si disse sfiorandosi il mento con due dita, cercando ancora del contatto fisico in lei stessa. Prese una spazzola e delle forbici e concluse l'opera iniziata nella doccia, spazzolandosi furiosamente e tagliando per disperazione quei nodi che proprio non volevano accennare a sparire dalla circolazione. Per fortuna la maggior parte erano nella parte finale dei capelli, verso le punte, e nella zona dietro la nuca, così non si sarebbe vista troppo l'opera di smaltimento. Sorrise rendendosi conto che ancora un certo canone di bellezza e presentabilità l'aveva tenuto, nonostante la fine del mondo una parte di lei si preoccupava ancora in minima parte di sembrare vagamente carina e presentabile.
<< Per il resto...tanto cibo, tanta acqua e tanto riposo. E chissà che questo viso non recuperi un po' di umanità >> concluse guardandosi ancora allo specchio. L'unica parte di sè che non era peggiorata, ma che aveva anzi addirittura aumentato il suo vigore, oltre a qualche muscolo, erano gli occhi: forse era solo una sua impressione, ma sembravano più grandi, più profondi, più scuri e taglienti. Era come guardare dentro un pozzo: metteva le vertigini, ma i più temerari potevano scoprire sul fondo un sacco di tesori nascosti.
Si guardò attorno, in cerca dei suoi vestiti, e non si stupì di non trovarli. Sospirò << Immagino qualcuno li abbia ritenuti troppo sporchi e trasandati per essere riutilizzati, vero? >> urlò l'ultima parola spalancando la porta del bagno, ignorando il fatto di essere in asciugamano, completamente zuppa e si guardò attorno in cerca del criminale che le aveva fatto questo furto. Il pudore l'aveva perso mesi prima, nell'istante in cui uno zombie aveva cercato di morderle una chiappa. Vergognarsi della sua nudità in tempi come quelli le sembrava ridicolo.
<< Maggie? Cosa dovrei indossare io ora, me lo spieghi? >> chiamò ancora cominciando a inoltrarsi nel corridoio. Aveva detto che a fine doccia avrebbe trovato cibo pronto, probabilmente allora si trovava in cucina.
"Se hai avuto la brillante idea di concedermi il favore di pulire i miei vestiti, abbi la stessa genialità nel constatare che qualcosa da mettere al loro posto mi servirebbe!" pensò scocciata, fregandosene delle stampate umide che lasciava dietro di sè con i piedi scalzi, e andò verso le scale. Cavoli loro se avrebbero poi dovuto pulire, dovevano pensarci prima alle controindicazioni delle loro azioni.
<< Mag... >> cominciò a chiamare scocciata facendo i primi due scalini, poi si fermò. Un ostacolo le impedì di andare oltre: il balestriere si trovava di fronte a lei, intento a fare quelle stesse scale ma in senso inverso. Lei scendeva, lui saliva, e inevitabilmente si trovarono faccia a faccia, intralciandosi a vicenda. Ocean assunse uno sguardo duro, ancora più scocciato, uno sguardo che chiaramente urlava "togliti dai piedi!". Daryl la guardò semplicemente da capo a piedi, senza far trapelare i suoi pensieri, probabilmente però chiedendosi cosa diavolo stesse facendo quelle pazza in giro per casa completamente fradicia e con addosso solo un asciugamano lungo neanche abbastanza da coprirle le ginocchia. Poi si spostò a destra, imponendosi di ignorare l'inconveniente, e sperando di passarle oltre...ma la stessa idea ebbe Ocean, che si spostò nella stessa direzione, piantandosi ancora una volta di fronte a lui. Un leggero imbarazzo per la gaffe venne subito sostituita dal fastidio di aversi ancora di fronte quell'essere. Entrambi si spostarono nuovamente, sperando di deviare l'ostacolo, ma trovandoselo ancora di fronte. Altro imbarazzo per un'altra figuraccia: questa volta fu difficile nasconderlo.
<< Hai visto Maggie? >> disse subito Ocean, spezzando un po' la tensione, cercando ancora di sviare dalla situazione imbarazzante e fastidiosa.
<< No >> rispose lui semplicemente, senza scomporsi, continuando a fissarla in impaziente attesa di proseguire per la sua strada.
<< Bene. >> disse lei in un automatismo, e allungando un dito indicò la strada di fronte a sè << Io vado di qua >> disse mostrando lievemente il suo imbarazzo per la situazione abbastanza ridicola.
<< Bene >> rispose Daryl e subito si spostò prendendo la sua strada e riprendendo la salita.
<< Ocean!! >> la chiamò una voce femminile da sopra la rampa di scale, dietro di lei.
<< Eccoti!! Ma diamine, non mi avevi sentito che ti chiamavo? >> brontolò Ocean verso Maggie, voltandosi e risalendo quei tre scalini che poco prima aveva percorso in discesa. Passò nuovamente di fianco a Daryl e superandolo raggiunse velocemente la ragazza visibilmente imbarazzata. Probabilmente il pudore che mancava in Ocean si trovava in Maggie, che la guardava vergognandosi lei al posto dell'altra per il suo andare in giro praticamente nuda.
<< Ti ho lasciato un biglietto sul mobile lì vicino. Non l'hai visto? >> chiese cominciando ad avviarsi verso una delle stanze del piano, seguita da Ocean, lasciandosi alle spalle un Daryl scrutatore che di nuovo si era fermato ad osservarla, facendo chissà quali piani omicidi per liberarsi il prima possibile della presenza scomoda.
<< Credo di averlo ignorato. >> disse con leggerezza Ocean.
<< Ho portato a lavare i tuoi vestiti. Non sapevo la tua taglia e cosa ti piace indossare, per questo ti ho scritto che in questa stanza >> e la indicò prima di entrarci << C'è un armadio pieno di roba. Puoi scegliere quello che vuoi. Sono cose mie, spero ti stiano. >> disse guardando l'ospite, e facendo mentalmente i calcoli. L'unica differenza tra le due era l'altezza, probabilmente quello sarebbe stato l'unico ostacolo. Al contrario della alta Maggie, Ocean era una piccola nanerottola. Gli stivali che indossava di solito tendevano ad alzarla un pochino, facendola sembrare una semplice ragazza bassa, ma nella norma. Ora che girava scalza era visibile tutta la sua piccolezza. I suoi ben visibili 155 cm scarsi la tradivano spesso, facendola sembrare più delicata e vulnerabile di quello che era in realtà. Ma le cicatrici che portava addosso e i bicipiti ben formati contraddicevano le aspettative. Era piccola, ma tosta, su questo non c'era dubbio. E chissà cosa aveva dovuto passare quel corpicino per continuare a mostrarsi sicuro e ben piazzato a terra.
<< Una coperta con un paio di buchi per le braccia può andar bene. >> disse Ocean puntando l'armadio e dirigendosi sicura, come fosse casa sua. Maggie chiuse la porta alle sue spalle per concedere alla ragazza la privacy necessaria per cambiarsi, rimanendo solo lei in stanza nel caso Ocean avesse avuto bisogno di qualcosa...e anche nella speranza di fare due chiacchiere. Era dal giorno prima che avevano questa nuova ospite in casa e ancora non aveva avuto modo di capire chi fosse, conosceva solo il suo nome ma solo perchè glielo aveva detto Glenn. Tanto, pensava, se non l'aveva disturbata stare in asciugamano di fronte a Daryl, come poteva disturbarla la sua presenza?
<< Hai un accento molto particolare. Non sei di qui, vero? >> chiese Maggie cercando di trovare un punto da cui cominciare. Ocean si fermò nella sua ricerca d'abito, provando di nuovo quel forte fastidio: perchè tutti erano così dannatamente attaccati alle sue origini? Perchè non le chiedevano altro? Che scocciatura. Fece un sospiro profondo, cercando di attenuare il nervoso, alla fine la poveraccia non meritava un simile trattamento, si stava rendendo disponibile per lei.
<< La cosa non ha importanza. >> si limitò a rispondere prima di rivolgere nuovamente lo sguardo all'armadio. Maggie colse il fastidio nella sua voce e si limitò ad annuire, per non andare a infierire oltre. Probabilmente aveva toccato un tasto dolente. Ocean si tolse l'asciugamano di dosso, per permettersi più libertà nei movimenti, e se lo avvolse sulla testa, raccogliendo i capelli, per aiutarli nell'asciugatura e evitare che bagnassero i vestiti che avrebbe indossato. E Maggie, ora che avevaOcean davanti completamente nuda, potè notare oltre a qualche piccola cicatrice, sparsa un po' qua e la, una più marcata delle altre sul fianco sinistro, una di quelle cicatrici che erano più marchi di fabbrica che piccoli frammenti di passato, una di quelle cicatrici che urlano "Io sono".
<< Devi aver passato l'inferno lì fuori. >> disse Maggie osservandola curiosa, ma con dispiacere. Ocean si fermò di nuovo, voltandosi a guardarla, chiedendosi cosa avesse mosso quel pensiero, e notò i suoi occhi puntati sulla sua cicatrice. La guardò anche lei,e i suoi occhi presto si trasformarono, diventando sfuggevoli e ostili. E scappò di nuovo. Tornò al presente, tornò all'armadio, senza guardarlo realmente, ma cercando in lui la porta per fuggire. Di nuovo. Come sempre.
<< Questo è il paradiso. Cosa c'è la fuori veramente voi qui non potete neanche immaginarlo! >> disse caricando di astio la frase. Non ce l'aveva con lei, no, povera Maggie lei non c'entrava niente, era solo stata fortunata. Era con "la fuori" che ce l'aveva. Era lì il marcio e lo schifo, la fuori c'era la sua rabbia, la fuori Ocean era nata e probabilmente sarebbe morta.
<< No. >> disse Maggie, abbassando gli occhi, dispiaciuta ma soprattutto spaventata << No, non lo sappiamo. >> e Ocean questo lo colse. Colse tutta la paura e il dispiacere di quel tono, quasi un senso di colpa per essere stata così a lungo viva mentre altri morivano. Sospirò, quasi dispiacendosi, e capì che di nuovo avevano toccato un tasto dolente. Ma in un periodo come quello...quale non era un tasto dolente?
<< Siamo messi a dura prova, tutti quanti. Non ci sono i fortunati o meno. Ci sono i forti...e poi ci sono i morti. >> disse riprendendo a guardare veramente gli abiti che aveva davanti. Non aveva perso tanto tempo a scegliere qualcosa da vestire neanche nei negozi, al tempo in cui ce n'erano ancora! Molte cose non erano decisamente di suo gusto, e molte altre fuori dalla sua portata, come ad esempio i pantaloni dalle gambe troppo lunghe per essere indossati da lei. Poi una nota dissonante: in mezzo a jeans e magliette abbastanza casual, sbucò un vestito. Un vestitino corto, azzurro dalla fantasia floreale e la gonna a ruota che scendeva giù morbida. Lo prese e lo studiò attentamente, accarezzando il tessuto morbido con la mano.
<< Carino vero? >> chiese Maggie guardandola << Non l'ho mai indossato, non è il mio genere di cose. Me lo regalò Annette, sperando così di conquistare la mia simpatia. >>
<< Chi è Annette? >> chiese Ocean portandosi davanti allo specchio, e facendo ciondolare il vestito di fronte a lei, cercando di vedere come poteva stargli. Ma riflessa allo specchio vide Alice. Una sorridente e spensierata Alice, all'interno di un negozio, dentro un camerino, che cercava di provarsi un nuovo vestito, contenta di poterne aggiungere un altro al suo armadio, anche se forse poi non l'avrebbe mai indossato. Vestiti e sandali, con qualche accessorio come cappelli (adorava i cappelli!), collane e bracciali. Era questo l'unico abbigliamento che sfoggiava nei mesi estivi: lo trovava così carino. E tutti quelli che la conoscevano l'adoravano per questo: era una bambolina. Una bimba troppo cresciuta, semplice e sempre col sorriso stampato in faccia, che si divertiva a rincorrere il suo cane sulla spiaggia, lasciandosi bagnare delicatamente i piedi dalle onde.
<< La mia matrigna. >> disse Maggie, riportando Ocean a se stessa << Perchè non te lo provi? >> disse poi velocemente, impedendo a Ocean di fare altre domande. Tutti avevano dei segreti e dei pesi che portavano dentro in quel periodo, Ocean lo sapeva bene. Nessuno viveva più col sorriso da tempo. E sapeva bene anche quanto fosse scomodo e inaproppriato interrogare le persone su questi segreti e pesi...riportare a galla certe cose non era un bene.
<< Non credo faccia per me. >> disse Ocean prima di ritornare all'armadio, intenzionata a metterlo via.
<< Io credo ti starebbe bene! Dai, provalo. >> insistette la ragazza, probabilmente in un disperato tentativo di socializzare un po'.
Ma sì! Tanto era solo una cosa momentanea in attesa dei suoi vestiti, e di certo non sarebbe stato un abito a distruggere tutto quello che aveva costruito. Non doveva temere niente. Sorrise, e si convinse, non rendendosi conto di come fosse stata Alice a rispondere a quell'esigenza e non più Ocean.
Lo indossò e riprese a guardarsi allo specchio. In effetti non stava male, era carino. E poi che altra scelta aveva? Non poteva certo girare nuda per casa, e odiava i pantaloni che andavano a infilarsi sotto i piedi. Senza considerare che ormai si era abituata alla sensazione di libertà che le davano i pantaloni larghi in cotone, un paio di jeans stretti come quelli l'avrebbero fatta impazzire.
Indossò un paio di infradito di Beth, l'unica con un numero di piede che si avvicinava al suo misero 36, e uscì in veranda, a godersi ancora l'aria tiempida e il silenzio di quel luogo. Si sentiva bene. Era da tempo che non capitava. L'ambiente era così tranquillo e rilassante, lo stomaco era pieno e la paura aveva smesso di tormentarle i sogni. Lì si sentiva al sicuro. Era una piccola oasi. E per un attimo ebbe un cedimento: un leggero desiderio di restare lì fece capolino nel suo cuore, ma spaventata da una tale verità si apprestò a ricacciarlo via. Era solo una cosa momentanea! Se l'era ripromesso! Non poteva restare lì.
Vide non molto lontano, al campo, Carol che appendeva i suoi abiti a un filo improvvisato per permettere loro di asciugarsi. Glenn era sopra il tettuccio di un auto, che parlava con Shane, di sotto, con lo sguardo corrucciato e chissà quale pensiero incazzato per la testa. La maggior parte degli altri era per i fatti suoi, ognuno a fare qualcosa per tenere la mente occupata. Il resto era in giro chissà dove, occupati probabilmente nella missione di recupero della figlia di Carol. Tutti annoiati, ma tutti indaffarati, combattendo ogni singolo giorno per la sopravvivenza.
Ocean rimase un po' a guardarli, annoiata anche lei, e capì perchè tutti cercavano di trovarsi qualcosa da fare, qualsiasi cosa da fare. I pensieri non dovevano avere la meglio.
<< Allora cosa si fa qui per divertirsi? >> chiese a Carol una volta raggiunta << Oh, si lavano i panni, interessante. Un vero spasso. >> disse ironica e sbuffando si appoggiò alla corteccia dell'albero lì vicino.
<< Ocean! >> si meravigliò la donna di vederla e sorrise nel vedere il cambiamento di stile della ragazza. Fino a qualche minuto prima era così mascolina, così rozza, e ora girava con un vestito e i capelli ancora umidi, che cominciavano a prendere una piega mossa, lasciati solti, liberi di svolazzare e asciugarsi con l'aria tiepida del pomeriggio. Sembrava un'altra persona.
<< Certo, e si cucina anche! >> rispose di rimando, cercando di essere altrettanto ironica, ma con poca voglia di ridere. Era distrutta dentro, glielo si leggeva in faccia, e per quanto si sforzasse di sembrare normale non riusciva a pieno.
<< Wow! >> disse Ocean, per niente entusiasta, guardandosi ancora attorno sbuffando di tanto in tanto << Quindi è così che siete sopravvissuti. Cucinando e lavando i vestiti. A saperlo prima... >> e la cosa fece stranamente ridere Carol. Forse per la naturalezza con cui la ragazza l'aveva detto.
<< Beh, gli uomini si occupano della protezione. Noi donne pensiamo a rendere il posto in cui siamo il più accogliente possibile. >>
<< Ed ecco che in tempo di crisi il patriarca fa sentire la sua voce. Strano che allora non abbiano preso a picchiarvi quando la cena fa schifo e a urlarvi "donna, sesso, ora!". >> disse Ocean, continuando a parlarne con distacco. La cosa non la toccava minimante, lei non era schiava di nessuno, sapeva badare a se stessa e portava ben stampata in faccia un nuovo manifesto femminista, il cui slogan avrebbe potuto recitare "Le donne san mordere più degli zombie". Non ne voleva sapere, e mai si sarebbe ridotta a cucinare e lavar mutande per un rude che andava in giro a sparare alle foglie.
<< No, loro non lo fanno. >> rispose semplicemente Carol, guardando con fin troppo strana attenzione i panni che stava appendendo al filo, e con una tonalità di voce che troppo sfiorava la vergogna. E quello era un altro segnale che diceva che Ocean si stava inoltrando in terre pericolose, ed era meglio girare alla larga.
<< Eccoti. >> una voce maschile interruppe i loro ben poveri discorsi. Entrambe si voltarono e videro Daryl avvicinarsi, il quale prima di volgere il suo sguardo a Carol, la persona che stava cercando, lanciò uno sguardo fulminante a Ocean. Rapido e perforante, come una freccia. I due non si potevano vedere, la cosa ormai era appurata e palese tanto che anche Carol sentì nell'aria le scintille che i due si lanciarono.
<< Che vuoi? >> gli chiese acida Ocean. Cosa aveva da guardarla? Non aveva fatto niente quella volta, che aveva da fulminarla? Ma Daryl la guardò ancora sottecchi, prima di spostare gli occhi su Carol e ammorbidirsi all'istante << Ti cercavo. Vieni con me un attimo. >>
<< Devo finire di... >> cominciò a dire Carol, ma fu subito interrotta << Finisce lei! Almeno si rende utile in qualcosa. >> disse Daryl indicando Ocean con un cenno del capo.
<< Cosa?! >> urlò Ocean strabuzzando gli occhi. << Scordatelo! Io non ti stendo le mutande, damerino! Ma per chi mi hai preso? >>
<< Così è a Carol che fai il torto. >> disse lui rispondendo con tono pacato, e allungando una mano verso la donna per incitarla a seguirlo, che non esitò a farlo. La curiosità di sapere cosa voleva, e il desiderio di stare un po' con lui le impedirono di portare a termine il suo lavoro.
<< Fate come volete, ma scordati che mi metto a stender panni per voi. >> disse Ocean volgendogli le spalle e cominciando ad avviarsi verso meta ignota, ma lontano da quella situazione e lontano dai doveri di casalinga che volevano assegnarle. Odiava far pulizie quando era ancora Alice, figuriamoci ora. Non sarebbe stata la casalinga di nessuno, lei era autonoma, lei cacciava e lottava per la sopravvivenza. Mai più avrebbe lottato contro lo sporco incrostato dei panni da lavare, mai più sarebbe tornata ad essere la donnetta di un tempo. Si era indurita ed era diventata più mascolina, lo riconosceva, non voleva più essere la donna dei canoni di un tempo. Solo così avrebbe potuto sopravvivere.
Daryl si portò via Carol, diretto al fiumiciattolo dove aveva visto una di quelle rose Cherokee che da qualche giorno le dedicava, per indurle speranza, per incoraggiarla e convincerla che Sophia prima o poi l'avrebbero ritrovata. Non era mai stato bravo negli atti di dolcezza e nei regali, ma nonostante questo cercava davvero di mettercela tutta per aiutare la sua amica. E voleva in un certo senso chiederle scusa per la brutta reazione avuta quella mattina.

Angolino dell'autrice

Eeeeee rieccomi!!! Volevo inanzitutto chiedere scusa a chi stava seguendo la storia per il lungo periodo di pausa, ho avuto un bel po' di impegni e casini che mi hanno impedito di scrivere e di conseguenza pubblicare. Indi per cuiii... Sorry xP ora se Dio vuole dovrei riuscire a tornare sui miei passi e riprendere una pubblicazione regolare....forse....spero -.-
Comunque grazie a chi non mi ha abbandonato nonostante tutto xD Grazie a chi continua a leggere e seguire la storia, e soprattutto grazie a chi recensisce :) E' sempre bello leggere i vostri commenti e sapere cosa ne pensate. 
Quindiiiii niente. Io stacco qui ed evito di fare un angolino più grande del capitolo in sè e riempirlo di tanti "grazie" e "scusa" ahaha 

Un saluto a tutti! 
Mi raccomando recensiteeeeeee :P

Ray.

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Capitolo 9
*** Falla. ***


Falla

Era tornata sulla verandina, luogo che aveva scoperto preferire, ma l'aveva già trovata occupata. Patricia, Beth e Carl erano intorno a un tavolino, a giocare a chissà quale gioco da tavolo, mentre Glenn e Maggie erano seduti sugli scalini che parlottavano amorevolmente tra loro.
Si fermò a guardarli e ancora una volta sentì che quello non era il suo posto. Cercò con gli occhi un buco isolato, un angolo tutto suo dove potersi rifugiare...c'era paura nel suo cuore. La stessa paura che può provare un cucciolo di fronte a degli estranei dopo aver subito un trauma, quando anche la sua ombra ha provato a pugnalarlo. Angolo isolato e buio, lontano dagli occhi e dalle orecchie, come se non esistesse, era quello il suo posto. Superò Glenn e Maggie, cercando di ignorare i loro occhi che la seguirono curiosi, e andò ad appoggiarsi con i gomiti alla ringhiera, qualche metro più in la e di nuovo puntò gli occhi all'orizzonte. In lontananza vide avvicinarsi velocemente T-dog e Andrea, e capì dai loro occhi e dalla pesantezza delle loro falcate che c'era aria tesa. Qualcosa non andava. E presto lo capirono tutti. Glenn si alzò in piedi, guardandoli curioso e sicuramente speranzoso di avere una risposta, e chiese << Sai che sta succedendo? >>
Andrea gli rispose con un'altra domanda << Dove sono tutti? >> e una serie di domande si susseguirono, facendo presagire l'arrivo di un qualche problema. Qualcosa non era come doveva essere, loro lo sentivano , ormai tutti erano diventati ottimi fiutatori del pericolo e cercarono di capire cosa esattamente non fosse al suo posto. Su una cosa però erano d'accordo << Dov'è Rick? >> chiese Glenn, poi chiese di nuovo Daryl che stava tornando dalla sua scampagnata insieme a Carol. Rick: tutto girava intorno a lui, era il pilastro portante del gruppo, questo lo aveva dimostrato più volte e se il pilastro non era al suo posto tutta la struttura vacillava. Ecco perchè erano tutti così tesi: stavano vacillando.
<< Non lo so, dovevamo andare a cercare Sophia circa un piao d'ore fa ma poi si è allontanato con Harshel. >> spiegò Andrea.
<< Rick ha detto andava a fare un giro. >> aggiunse Carol, aggiungendo un'informazione.
<< Ma perchè nessuno prende la cosa sul serio? >> cominciò ad alterarsi Daryl camminando nervosamente << Abbiamo una dannata traccia!! >> disse con un gesto plateale del braccio, segno del suo già abbastanza evidente nervosismo. Di che traccia si trattasse Ocean non lo sapeva, ma probabilmente si riferivano sempre alla ragazzina scomparsa.
<< Ah, ecco qua. >> disse ancora Daryl col tono di chi ha appena trovato tutte le sue risposte, e si diresse verso Shane che stava arrivando proprio in quell'istante. Ocean gli piantò gli occhi addosso, quel tipo proprio non la convinceva: aveva gli occhi da psicopatico. E anche in quel momento nel suo sguardo c'era qualcosa che non andava, un dico e non dico, un sono colpevole, ma di quale reato era ancora mistero. Shane si avvicinò armato fino ai denti, con un'enorme sacca sulle spalle che dava l'idea di pesare quintali, e un ghigno furioso. Non disse niente per spiegare il suo stato d'animo palesemente incazzato nero, ma sembrò non ce ne fosse bisogno perchè chiese semplicemente << Sei con me amico? >> rivolto a Daryl, e lui non disse altro che << Sì >> afferrando un fucile. Sapevano già cosa stava rendendo così Shane, era evidenteper tutti...tranne che per Ocean. Probabilmente era arrivata troppo tardi per delle spiegazioni. Peccato, quei retroscena da Beautiful l'avevano sempre incuriosita e divertita. Shane cominciò a spargere armi tra il gruppo, che inizialmente lo guardò un po' spaventato accennando un << Ma non possiamo >>, ma nessuno rifiutò l'arma e tutti pendevano dalle labbra del loro (così sembrava) vice.
<< Sono statoil primo a restarmene qui fermo a raccogliere margherite pensando che questo posto fosse sicuro, ma ora sappiamo che non lo è! >> esordì Shane.
Ocean si raddrizzò accennando un sorriso: le cose si stavano facendo interessanti, finalmente avrebbero smesso di passare le giornate a fare le belle contadinelle come se fuori fosse tutto normale. Che si stessero svegliando? O forse c'era dell'altro. Shane rivolse lo sguardo anche a lei, e la cosa la scosse: preferiva di gran lunga fare il pubblico, non voleva entrare in mezzo a certe questioni...e comunque sia era pur sempre una novità per lei.
<< Sai usare una pistola? >> disse avvicinandosi a lei e porgendogliene una. Ocean alzò le mani e negò sorridendo, rifiutando come si può rifiutare una caramella da un amico, quasi divertita << Mio padre aveva una pistola a pallini quando ero piccola. Mi era permesso solo guardarlo mentre tentava di non rovinare il muro di casa. >>
Per un attimo Shane sembrò volesse dirle "ma vaffanculo, non servi a niente", ma queste parole non uscirono mai dalle sue labbra. Questo non significhi però non l'abbia pensato veramente. Si voltò e si avvicinò a Glenn porgendogli un altro fucile << Vuoi rendere sicuro questo posto? >> e Glenn dopo un attimo di riflessione si decise ad afferrarlo. I litigi però furono inevitabili, prima Maggie poi Lori gli dissero di smetterla, perchè andava contro la regola del "niente armi in casa Hershel", ma la cosa non lo scalfì minimamente. La decisione era presa, e da come si comportava sembrava una decisione che era stata riflettuta da molto tempo.
Poi qualcosa attirò l'attenzione prima di Ocean, poi di T-Dog: dei versi che ben riconosceva e che la riportarono spaventosamente coi piedi per terra. Era stata solo un giorno in quel posto, e già si stava abituando alla tranquillità del luogo, tanto da spaventarsi a quei versi come succedeva le prime volte.
<< Oh, cazzo! >> disse T-Dog, dando voce ai pensieri della ragazza, che osservandone la provenienza aveva cominciato a dirigersi velocemente verso quella direzione, per poter vedere meglio. Gli occhi spalancati per l'incredulità.
Rick e Hershel avevano due zombie al guinzaglio. E non metaforicamente! Avevano proprio due zombie legati a una specie di guinzaglio e se li stavano portando a spasso, certo non con poca fatica, ma erano a spasso con due dannati zombie al guinzaglio!
<< E' questo dunque il vostro passatempo? L'accalappia-zombie? >> urlò Ocean rivolgendo per la prima volta la voce a tutto il gruppo. Si voltò, guardandoli tutti, fulminandoli uno a uno << Che diavolo vi passa per la testa? >> disse ancora gesticolando. Ma si accorse solo in quel momento che tutti avevano lo stesso stupore e paura negli occhi: che non ne sapessero niente neanche loro? Shane, tra tutti, era quello con lo sguardo più furibondo e allucinato, e fu proprio lui il primo a cominciare a correre nella direzione del caposquadra, dicendo tra sè e sè << Ma sono pazzi?? Sono pazzi!!! >> e il resto del gruppo lo seguì subito alla stessa velocità. Ecco cos'era fuori posto, ecco perchè la struttura stava vacillando. Non erano un gruppo di matti, Rick era matto e Hershel più di lui. Ocean li lasciò correre, guardandoli preoccupata e agitata. Si avvicinò al borsone di armi lasciato lì, senza distogliere lo sguardo dalla scena, prese una pistola qualunque sperando fosse già carica e si avviò dietro a loro con passo più lento ma non per questo meno deciso.
Shane arrivò trafelato, urlando << Che cazzo state facendo!!! >> e subito usò la scena a suo vantaggio rivolgendo la parola agli altri suoi compagni << Vedete? Vedete cosa stanno portando? >>, frase a cui Hershel rispose subito con un << Io vedo CHI sto portando!! >>. Ecco allora cosa passava per la testa del vecchio: non vedeva in loro zombie, mostri, morti che camminano, ma vedeva ancora in loro delle persone. Ma come poteva ancora considerarle persone?!?!
E la discussione partì di nuovo: non facevano che litigare in quel gruppo! Ma nonostante l'odio viscerale che Ocean provava per Shane lo psicopatico, in quell'occasione (e probabilmente sarebbe stata l'unica) doveva dargli ragione. Che cazzo stavano facendo? Davvero credevano che quelle cose fossero ancora persone? Davvero credevano che collezionandole nel fienile (perchè era lì che si stavano dirigendo) un giorno avrebbero potuto riabbracciarle? E così avevano intenzione di mettere tutti in pericolo solo perchè uno svitato ancora non vedeva bene cosa aveva di fronte e non accettava la realtà? E poi si meravigliavano che Ocean fosse sopravvisuta da sola! Lei ora si stava meravigliando che loro fossero sopravvissuti, fuori di testa com'erano!
Shane cominciò a sparare a uno degli zombie urlando sempre più furioso, sempre più deciso << Una persona vivente sopravvivrebbe a questo? E a questo? Come fa a essere ancora in piedi dopo questo? Eh? >> e a ogni sparo Rick rispondeva con altrettanta disperazione << Basta! Shane, ho detto basta! >> richiesta che alla fine arrivò al suo amico, ma non come sperava.
<< Sì, amico. Hai ragione. Basta così. >> e si avvicinò allo zombie che aveva impallinato per bene e gli diede il colpo di grazia con uno sparo alla testa. Hesherl cadde in ginocchio, e il silenzio piombò tra i presenti. Era una situazione delicata, probabilmente la cosa aveva addirittura fatto male a Hershel, come se avessero sparato a una sua amica di fronte ai suoi occhi, ma Shane aveva ragione e aveva fatto la cosa più giusta.
Ocean raggiunse finalmente il gruppo, aveva assistito a tutta la scena e le urla avevano permesso anche alle parole di arrivare alle sue orecchie e permetterle di capire per filo e per segno tutta la discussione. Li raggiunse, ma rimase nelle retrovie, insieme a Max attirato dal fracasso, che si guardò attorno con orecchie e coda bassa, i denti leggermente scoperti e si fece anche scappare un ringhio, subito ammonito da un << Sh sh sh >> e da un gesto con la mano di Ocean.
Shane riprese il suo discorso plateale, ormai stufo e deciso per la sua via. Nessuno l'avrebbe più fermato.
<< Basta. >> disse << Basta rischiare le nostre vite per una ragazzina ormai morta!!! >> urlò guardando Carol, la quale sussultò e probabilmente trattenne una lacrima.
<< Basta vivere accanto a un fienile pieno di zombie che vogliono ucciderci!! Basta! >> e mentre Shane continuava a fare il presidente della situazione, evitando solo di copiare frasi già conosciute come "I have a dream", Ocean, sempre rimanendo in fondo al gruppo, lo percorse in parallelo portandosi alle spalle di Hershel e osservandolo. Osservò l'espressione quasi spenta, ma non priva di disperazione e sorpresa, come quando ci si sveglia da un bel sogno e ci si rende conto che è la realtà che ci circonda, la putrida e schifosa realtà, quella che non puoi modificare a piacere, quella che non segue i tuoi desideri ma va esattamente nel verso opposto. La realtà che non ti appartiene, ma a cui TU appartieni, quella che ti tiene per il guinzaglio e che può fare di te quello che vuole. Ci si risveglia solo con un suono molto forte e brusco, con una scossa....con un urlo di disperazione e paura. E per il resto dei tuoi giorni non farai altro che chiederti perchè il destino ha voluto beffarsi tanto di te.
<< Se volete vivere! Se volete sopravvivere! Dovete lottare per forza! >> continuò Shane, incitando i suoi compagni a seguirlo nel gesto disperato che stava per compiere. Rick cominciò a richiamare Hershel, chiedendogli di tenere il suo zombie, perchè doveva avere le mani libere per impedire al suo amico di compiere un gesto sensato, ma che forse avrebbe portato problemi di chissà quale natura. Chissà perchè Rick, uomo tanto di polso e con la testa sulle spalle, tanto da essere diventato il capogruppo, stava facendo una cosa così stupida come quella di proteggere gli zombie dentro il suo fienile. Ma Hershel ormai non sentiva, Hershel era sotto shock e non avrebbe sentito per un po' di tempo. Shane corse verso il fienile e con un piccole cominciò a buttar giù la porta. Le persone armate presenti cominciarono a sollevare fucili e pistole, pronte a fare fuoco, solidali con l'uomo che stava rumorosamente portando quei mostri allo scoperto. Maggie andò da suo padre e l'abbracciò piangendo, Lori portò suo figlio dietro di lei in un disperato gesto di protezione e Rick ancora non smetteva di pregare il suo amico di non fare quello che stava per fare, chissà con quale vana speranza. Ma ormai era troppo tardi...le porte erano state aperte e gli zombie oltre a farsi sentire cominciarono a farsi vedere. Shane per primo aprì il fuoco e fu subito seguito dai suoi alleati: uno a uno gli zombie che man mano uscivano dal fienile caddero a terra sotto una scarica infinita di colpi e odio. Non era solo bisogno di protezione quella che li spingeva in quel gesto disperato, ma era odio. Odio puro e profondo verso quelle immonde creature che per troppo tempo li avevano fatti dormire con il cuore in gola e la lacrima pronta a scendere per i cari che in sogno tornavano a salutare. Odio verso quel mondo che non si capiva perchè fosse arrivato a tanto. Odio verso Dio che aveva deciso di punirli in quella maniera così orribile: erano diventati cibo per i loro stessi cari. Mangiati da chi si amava. Costretti a scegliere tra la propria vita e il senso di colpa che conseguiva al proiettile che veniva sparato verso chi per anni si era solo protetto. Odio per Dio che li aveva trasformati tutti in mostri, i vivi e i morti alla stessa maniera.
E Ocean solo allora capì che quelle persone che tanto aveva disprezzato per i loro sorrisi non meritati, che tanto aveva disprezzato per quell'amore che spargevano l'uno verso l'altro mentre il mondo andava in pezzi, come si può disprezzare il riccone che si abbuffa di fronte al bambino che sta morendo di fame, capì solo allora che non erano poi tanto diversi da lei. I sorrisi non erano altro che maschere che si erano costruiti loro stessi nella speranza che questo bastasse a renderli di nuovo felici e permettergli di costruirsi una nuova vita. Maschere...proprio come la sua.
Fece un sospiro di dolore e compassione, chiuse gli occhi per un attimo, sperando così di calmare il cuore che aveva cominciato a battere forte, strinse la pistola tra le sue mani e si avvicinò lentamente alla prima fila di uomini, quella intenta a sparare furiosamente contro chi aveva di nuovo distrutto ogni speranza. Passò vicino a Herhsel e gli posò una mano sulla spalla, facendola poi scivolare via per proseguire verso i cecchini, in un leggero e sfuggevole gesto solidale, e quando si fu allineata a loro alzò la pistola all'altezza degli occhi...e fece fuoco. Non aveva mai sparato prima di allora, aveva solo visto persone farlo: conosceva la teoria, ma mai fatto pratica. Per quel motivo il colpo partì con successo ma andò a piantarsi contro il fienile, mancando alla grande ogni bersaglio. Colpa anche del suo sussulto: il rumore improvviso l'aveva spaventata. Si aspettava di sentire critiche volare da ogni dove, sempre pronti a giudicarla, e invece non la degnarono neanche di uno sguardo, ignorando il suo insuccesso e la sua figuraccia. Forse troppo presi dal loro obiettivo per considerarla, o forse semplicemente grati per averci almeno provato. Questo la invogliò a riprovare: puntò bene i piedi a terra, cercò di prendere la mira meglio che poteva e fece di nuovo fuoco. Prese la spalla di uno zombie che barcollò e poi fu buttato a terra da un colpo partito da chissà chi dei suoi vicini. E provò ancora, e ancora, riuscendo a buttarne giù solo uno tra i 5 o 6 tentivi fatti. Poi finalmente gli zombie finirono e tutti, riprendendo finalmente a respirare, osservarono la macabra scena che gli si piazzava davanti. Un tappeto di zombie, uno ammucchiato sull'altro. C'è chi si riteneva soddisfatto, chi si sentiva finalmente sollevato, chi era preoccupato e chi invece disperato. Tanti sentimenti diversi in così poche persone.
Ma presto un suono fece loro capire che non avevano ancora finito. Un mugolio, un respiro affannoso proveniva da dentro il fienile. Ce n'era dentro ancora almeno uno. E l'attimo di respiro che si erano presi cessò di nuovo. Gli occhi si puntarono sull'entrata buia del fienile e attesero che il, o i superstiti, si mostrasse. E quando lo fece...nessuno alzò la pistola. Nessuno riprese a respirare. Il tempo si era fermato.
Andrea si sentì mancare il fiato e fece un paio di singhiozzi.
Un brivido percorse la schiena di Ocean, anche se non l'aveva mai vista...sapeva che era lei. Lo sapeva.
Carol si lasciò sfuggire un urlo, un singhiozzo e cominciò a correre in direzione del fienile urlando << Oddio >>, singhiozzando per quanto riuscisse dato l'aria che le veniva a mancare. Daryl si voltò in tempo e riuscì ad afferrarla prima che si gettasse tra le braccia dello zombie. Nessuno riusciva a dire niente, nonostante il dolore dentro loro volesse prendere voce.
<< Sophia. >> mugulò Carol, lasciandosi cadere a terra, incapace di tenersi in piedi.
Ocean chiuse gli occhi e sentì un pugno alla bocca dello stomaco che la costrinse a trattenere il fiato e a voltarsi, vergognandosi del dolore che provava, cercando nell'invisibilità rifiugio per il suo orgoglio. La gola cominciò a bruciare e il suo fuoco si faceva sempre più intenso ad ogni lamento di Carol. Altri singhiozzi sentì provenire dal gruppo alle sue spalle, e la tensione e la paura all'improvviso si trasformò in dolore puro, capace di schiacciare anche i cuori più forti come quello di Shane, e impedì a tutti di alzare di nuovo la pistola e puntarla verso la ragazzina che lentamente si avvicinava a loro. Sapevano che quello sparo sarebbe stato il triste "the end" di una lunga storia a cui avevano dato tanta speranza. E nessuno dei presenti si sentiva tanto forte di prendersi la responsabilità di terminare quella storia.
Ecco. Era quello l'odio verso Dio che intendeva Ocean, l'odio verso l'entità che ti costringeva ad alzare la pistola e sparare in testa a tua figlia. Perchè è così che va fatto. L'odio che in quel momento scatenò Rick, solo in quel momento e che lo spinse ad avanzare velocemente, prendendo la situazione in mano, dimostrando ancora una volta di essere il pilastro portante perchè lui solo aveva trovato il coraggio di alzare quella pistola e si sentirsi responsabile di quel Bang.
The end.

Il sole era alto nel cielo da tempo, doveva essere sicuramente pomeriggio inoltrato, eppure la luce era così fioca e opaca. Il vento ogni tanto sussultava, sospirando, prendendo fiato di tanto in tanto come una madre in preda ai singhiozzi di fronte al cadavere della propria figlia. Ma così leggeri e caldi da essere quasi pesanti. Lungi dall'essere piacevoli. Quel posto non era più così piacevole come lo era stato fino a qualche ora prima. Ocean, seduta ai piedi di un albero, con le ginocchia raccolte e Max steso al suo fianco, aveva gli occhi fissi all'orizzonte, come sempre faceva da quando era lì. L'orizzonte era lo stesso che aveva sempre visto da bambina, così dolce e pieno di ricordi da attirare sempre la sua attenzione. Ma quella volta era così diverso. I ricordi di quella bambina che correva sulla sua bicicletta nel cortile stavano andando scemando, affievolendosi, scomparendo nella nebbia. Solo allora si accorse di quanto anche lei avesse combattuto tanto in quei giorni per crearsi un angolo di paradiso, senza esserne pienamente consapevole. Quello che doveva solo essere uno stallo provvisorio in realtà stava diventando la sua casa, e non se ne stava rendendo conto. Ora che invece il castello di sabbia era stato distrutto dall'onda tutto era tornato chiaro, e improvvisamente si sentì tanto sciocca nell'aver pensato di poter essere di nuovo felice. Le lacrime cadevano anche su quella bella terra.
Abbassò lo sguardo e si guardò i piedi grigi di terra e con qualche filo d'erba secco tra le dita. Le infradito non erano le calzature migliori per un posto del genere. Poi notò una macchiolina scura sul lato del piede: sangue rappreso.
Le infradito non erano le calzature migliori per quel mondo.
Strofinò la mano sulla macchia tentando di toglierla, di eliminarla, non tanto in un folle desiderio di pulizia ma quanto in un ultimo disperato tentativo di eliminare la realtà, di tornare lontana da tutto, ma non ci riuscì. Era lì per ricordarle che non doveva riposare, era lì per ricordarle che non doveva chiudere gli occhi perchè bastava un attimo e il sangue dilagava senza che se ne rendesse conto. Si sentiva sciocca...eppure aveva davvero sperato che almeno quella gente potesse essere felice. Aveva davvero sperato che esistesse ancora un modo per sorridere e vivere. E aveva sperato davvero di veder presto Carol insieme alla sua bambina, in dimostrazione del fatto che l'umanità poteva ancora farcela! Una sfida contro il Dio che costringeva ad uccidersi a vicenda, una battaglia vinta che avrebbe portato speranza e risorse in più al fine di vincere la guerra.
Ma era un mondo nuovo di zecca.
Avrebbe dovuto accettarlo prima o poi.
Spostò lo sguardo alla sua destra, dove in lontananza Andrea, T-Dog e gli altri stavano seppellendo i corpi dei loro cari. E li trovò così stupidi. Ancora legati a quell'arcaica forma di celebrazione dei morti: cosa c'era da celebrare? Non ci vedeva nulla di umano in quelle cose e loro le celebravano! Il funerale era roba da vecchio mondo, in questo mondo nuovo non aveva nessun senso perchè tanto i morti tornavano.
<< I morti ritornano. >> bisbigliò a sottolineare il suo pensiero << I vivi no. >> aggiunse prima di accarezzare Max al suo fianco, in un gesto adibito a dargli conforto << I vivi non tornano. I vivi se ne vanno e basta. >> e per la prima volta dopo mesi si ritrovò a farsi una domanda che aveva dimenticato da tempo, una domanda che più non formulava convinta di aver già trovato la risposta o che trovarla fosse assolutamente inutile.
"Riuscirò a tornare a casa?"
Carol e lei avevano avuto qualcosa in comune per un po' di tempo, forse anche senza saperlo, ma ecco qual era il motivo che spingeva le due ad essere così vicine e a cercarsi sempre. Entrambe erano state in stallo, immerse in una gigantesco punto interrogativo, chiedendosi se al momento di ritrovo con la propria famiglia qualcuno avrebbe cercato di mangiare l'altro. Chiedendosi se mai ci sarebbe stato un ritrovo. Ed era lo stesso motivo per cui tanto dolore aveva sommerso Ocean al momento della verità: era una risposta.
Non c'è speranza.
Uno cercherà di mangiare l'altro, se mai arriverete a rivedervi. E sarai costretta a puntare la pistola alla fronte della tua stessa famiglia. Perchè era questa la nuova legge della natura.
Si alzò in piedi, dandosi una scrollata al vestito pieno d'erba e che improvvisamente sembrò così scomodo. Max alzò la testa, sempre sul chi-va-la, e seguì i movimenti della sua padrona, pronto ad andare con lei in qualsiasi direzione si sarebbe inoltrata. E Ocean non aveva nemmeno bisogno di chiamarlo a volte, lui sapeva già cosa andava fatto, le leggeva i piensieri. Lui la sentiva più di chiunque altro.
Ocean si allontanò dall'albero seguita dal suo fedele cane, e si diresse verso il camper, dove aveva visto entrare Carol. Non sapeva neanche lei perchè stava andando in quella direzione, non sapeva neanche lei perchè voleva vederla e cosa voleva dirle, ma sentiva il bisogno di avvicinarla. Forse anche perchè ancora non le aveva rivolto a voce il suo dispiacere.
Arrivò e trovò il camper già affollato: c'erano oltre a Carol anche Daryl e Lori, entrambi lì per la loro amica, per darle in qualche modo conforto e anche per chiederle di andare "al funerale" della figlia, cosa che sembrava non intenzionata a fare.
<< La mia bambina è morta molto tempo fa. Nel bosco. >> sosteneva, e mentre lo diceva teneva gli occhi lontano da qualsiasi cosa, in cerca di un distacco netto dalla realtà. Aveva bisogno di proteggersi, allontanandosi dal dolore. << Quella non è la mia bambina. >>
A sentir quelle parole piene di distacco, quasi mancanti di rispetto verso la bambina stesa al suolo, coperta da un sacco, Lori e Daryl se ne andarono senza dire una parola, e quasi con una certa riluttanza. Come se fossero stati offesi personalmente. Ocean si fece da parte e li fece passare, evitando di guardarli così come loro evitarono di guardare lei. Si sentivano ancora estranei gli uni agli altri, e la sofferenza del momento sentivano non era condivisibile. Ocean rimase per un po' ferma lì, in imbarazzo, non sapendo cosa stava facendo e cosa avrebbe detto, ma incapace di andar via. Si guardò un po' attorno, fece qualche sospiro e sembrò cercare le risposte intorno a lei. Poi decise di entrare.
Lentamente salì gli scalini del camper, cercando di essere silenziosa abbastanza da non disturbare il dolore della donna che meritava tutto il rispetto. Carol la guardò, forse più per cercare risposta alla domanda "chi è entrato?" che per un gesto di condivisione, poi tornò a guardare fuori dal finestrino e a essere distaccata. L'abisso che cercava di porre tra loro due era percepibile a pelle.
Ocean si appoggiò al mobiletto dietro di lei, incrociò i piedi e cercò di assumere una posizione che la facesse sentire a suo agio: dura e fredda. I pianti e i "mi dispiace tanto" non facevano più parte di lei. Rimase per un attimo in silenzio e portò gli occhi a un qualsiasi altro punto del camper, lontano dalla donna. Poi dopo una lunga pausa decise finalmente di dire qualcosa.
<< Undici ore di volo. >> disse semplicemente, aspettando di avere l'attenzione della donna che non tardò a mancare. Ocean abbassò lo sguardo un po' in imbarazzo e un po' in cerca della freddezza che le serviva. Era la prima volta che affrontava questo discorso, e voleva prenderlo il più alla leggera possibile per proteggersi dal dolore e per non sovrastare quello della donna di fronte a lei. Non era andata lì in cerca di compassione, non era lei quella che ne aveva bisogno al momento.
<< Casa mia...è a undici ore di volo da qui. Sempre rientrando nei canoni del vecchio mondo, quando ancora si utilizzavano gli aerei. Mi trovavo da queste parti per uno sciagurato caso. >> Fece ancora una pausa sentendosi l'aria mancare per un attimo. In compenso aveva ottenuto tutta l'attenzione della donna.
<< Avevo.... Ho >> si corresse << Una madre, dei fratelli... nonni, zii, cugini e amici. Tutti a undici ore di volo da qui. >> fece un altro sospiro affaticato. L'aria cominciava a mancare. I ricordi le stavano andando di traverso. Spostò lo sguardo agli occhi della donna, cercando di sembrare il più convincente possibile << Non ho idea di cosa sia successo laggiù. I contatti si sono interrotti molto prima. Non so se sono vivi, morti o zombie. Non so nemmeno se anche da loro è successo. E probabilmente anche loro si staranno chiedendo se sono ancora viva o meno, o forse mi hanno già data per morta. >> tornò a guardarsi i piedi e si morse un labbro << Sono risposte che non avrò mai. >> Carol colse tutta la pesantezza e il dolore di quest'ultima frase, e per un attimo si sentì schiacciare anche lei.
<< Non ho la pretesa di tornare a casa, so già che vivrò il resto dei miei giorni schiacciata da questo interrogativo, e ormai mi sono data per vinta. Non combatterò ancora per sapere, non avrebbe senso, ho già perso in partenza, ma avessi anche solo una piccolissima chanche non me la farei scappare e correrei da loro non solo nella speranza di riuscire a riabbracciarli ma anche solo per sapere!! Il dubbio e peggio di qualsiasi truce verità. L'uomo non è fatto per stare in bilico, ha bisogno del respiro che solo un punto e a capo gli sa dare. Una fine. Credo sia questo il senso dei funerali, quando una persona muore spesso è tutto troppo veloce e lascia molte cose in sospeso... si deve mettere un punto a tutto. E da lì si ricomincia. E io... vorrei solo sapere....e l'unica pretesa che avrei sarebbe quella di poter loro dire Addio come si deve e poter ripetere per l'ultima volta "Vi voglio bene". Quando ci siamo lasciati non ne ho avuto la possibilità, e non immaginavo ce ne sarebbe stato il bisogno. Ma mi basterebbe poter dire loro, vivi o morti che siano, "Addio. Vi amo alla follia." e tutto tornerebbe ad avere un senso. >>
Carol capì cosa stava cercando di dirle la ragazza, oltre ad apprezzare il fatto che si fosse aperta con lei per prima. Ocean avrebbe pagato oro per essere nella situazione di Carol: sapere, mettersi finalmente il cuore in pace, e poter dire quelle fantomatiche parole alle persone amate. Farglielo sapere...anche se ormai morte. Fargli sapere che nonostante tutto se le sarebbe portate nel cuore fino alla fine. Quando Sophia era scappata non aveva avuto tempo di dirle Addio e di ricordarle quanto l'amasse, non aveva avuto tempo di ricordarle che la mamma è sempre vicino a lei. Quella era l'occasione giusta. Era questo che cercava di dirle Ocean.
Carol le fece un piccolo sorriso di assenso e di gratitudine (o forse solo per compiacerla), e Ocean ricambiò prima di uscire dal camper in silenzio e dirigersi lentamente verso il gruppo di persone riunite di fronte alle tombe improvvisate, intente a dare il loro ultimo saluto e il loro rispetto a coloro che li avevano tristemente lasciati. Non vedevano zombie la sotto, vedevano solo chi c'era prima, e questo era ciò che ancora li teneva in piedi. Sapere che la propria identità, il proprio te stesso, non te la ruba neanche la morte.
Che si continua a Essere anche quando non ci si è più.

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Capitolo 10
*** Commiato. ***


Commiato

Afferrò i suoi vestiti appesi: erano ancora fradici. Poco importava. Voleva togliersi subito le cose che aveva addosso, voleva subito tornare ad essere Ocean. L'attimo di dolore che era nato in quel pomeriggio, di fronte a quei tragici eventi, aveva subito lasciato il posto a un altro tipo di dolore, un dolore legato alla paura e che insieme ad esso diventava strazio. Lori, che si trovava lì, tentò di dirle << No, sono ancora bagnati! >>, ma non ebbe neanche tempo di pronunciare la frase che la ragazza era già di spalle che si allontanava dopo aver letteralmente strappato via i vestiti dal filo. C'era fretta nei suoi passi, una fretta che rasentava l'urgenza. Ma ormai Lori aveva smesso di cercare di capirla, e lasciò che si allontanasse senza neanche chiedersi cosa le passasse per la testa., senza neanche notare il volto corrucciato della ragazza che sembrava stesse per scoppiare a piangere.
Ocean raggiunse la stalla dove c'era come sempre la sua cara Peggy e il resto delle sue cose: sacca, cotta di maglia, mantello e altri ciottoli utili alla sopravvivenza. Anche le sue armi erano lì: le aveva recuperate nel momento in cui la regola "niente armi" era stata calpestata più volte da Shane. Raggiunse il box della sua cavalla che quasi ormai correva e cominciò subito a spogliarsi, ignorando ancora una volta il pudore che in altre occasioni le avrebbe impedito di farlo. Si tolse il vestito con tanta urgenza che quasi fece fatica, rimanendo per un attimo incastrata all'interno, e arrotolando su se stesso lo scaraventò a terra con un verso colmo di fatica e astio. Prese la sua camicia nera e la indossò alla ben e meglio, prese i pantaloni e di nuovo per colpa della fretta arrancò. Un altro verso le uscì dalla gola, uguale al precedente: fatica, astio, dolore. E si fecero sempre più frequenti. Inciampò e si appoggiò a Peggy, continuando a spingere violentemente col piede. Altri versi. E altri. E alla fine divennero singhiozzi. Si lasciò cadere in ginocchio colma di rabbia e dolore, sbilanciandosi in avanti e atterrando sulle mani. Ignorò il dolore e strinse tra le dita terra e fieno. Sassolini si conficcarono sotto le unghie. Nessun dolore fisico poteva superare quello che provava dentro sè.
I lamenti e i singhiozzi erano così forti, così schiaccianti, così difficili da tenere dentro che quasi la strozzavano e le impedivano di respirare. Cosa aveva scatenato tutto quello? Niente che già non le facesse male anche prima. Lei non voleva restare lì, non aveva mai voluto! Lei voleva restare sola, niente più gruppi.
Niente più affetti.
Era questo che si era ripromessa. Niente più dolore. Niente più perdite. Non voleva più niente di tutto quello, ne aveva già avuto abbastanza! Il suo passato continuava a non volerla lasciare in pace.
La gola bruciava e l'aria mancava, eppure ancora sembrava non essere abbastanza. Si sentiva morire dentro, uno squarcio era stato aperto dentro di lei nel momento in cui si era ritrovata sola, rendendosi conto di cosa stava vivendo. Un gruppo di persone che si amavano che andavano decimandosi. Lei aveva davvero sperato...
Aveva davvero aperto il suo cuore. Senza volerlo e senza aspettarselo, non si era mai resa conto di quanto avesse bisogno di qualcuno a cui voler bene. Ma lei davvero, anche se solo per un paio di giorni, in quel gruppo ci era stata! E non solo fisicamente. E ora era tornata a soffrire per qualcuno che andava perso dietro di loro nel cammino. E non aveva potuto fare a meno di ripensare, stramaledettamente ricordare, rivivere il SUO inizio. Il giorno in cui Alice era diventata Ocean. Il giorno in cui Alice, dopo essere stata torturata e lasciata sola, era stata infine uccisa.
Sbattè i pugni a terra, cercando sfogo per la rabbia che non trovava soddisfazione nei semplici lamenti, nei semplici signhiozzi e nelle lacrime. La pancia cominciò a dolerle e in pochi minuti arrivò anche il senso di nausea. Lanciò un urlo. Non lo aveva mai fatto e si era sempre ripromessa di non farlo. Era pericoloso. Ma aveva bisogno...aveva bisogno di buttar fuori quel fuoco che la stava divorando dall'interno.
Alzò gli occhi pieni di lacrime, il viso zuppo si stava pian piano macchiando di nero per colpa della terra e della polvere del luogo, muco e saliva completavano l'opera. La gola bruciava troppo per riuscire a deglutire.
Gli occhi appannati andarono a posarsi sulla sua sacca, il suo "zaino" primordiale, che era buttata a terra aperta, e dalla quale uscivano alcune delle sue cose. Tra queste una attirò la sua attenzione. Forse l'unica cosa che Alice si era sentita di voler conservare. Ocean gattonò velocemente verso essa e l'afferrò: era un piccolo flauto traverso in legno, lungo non più di 15 cm, e il cui suono era decisamente più acuto e affilato del flauto dolce classico. Era il suo ultimo legame col passato.
Ocean lo guardò e mille ricordi le riaffiorarono alla mente, uno più bello dell'altro: colori e balli, risate, canti e tanta gioia. Tamburi che battevano al tramonto, sotto un castello in festa, sonagli e cornamuse, la gente raccolta in cerchio intorno ai musici, vestiti di mille colori e frattaglie, che urlavano e cantavano con tutto il fiato che avevano fino a diventar paonazzi. E poi lei, lei che mai si fermava, lei che saltava, lei che ballava, lei che afferrava i bambini per mano e improvvisava un girotondo, e suonava, e sonagli ai suoi piedi facevano sembrare il suo passo quello di una fata che andava di fiore in fiore, i capelli raccolti, ma con ciocche disordinate al vento che non trovavano pace nella sua folle danza. Lei che cantava, lei che raccontava storie che mai erano esistite...lei che rideva.
Era tutto così bello quando era Prima.
Ocean strinse il flauto al petto, continuando a singhiozzare e cercare l'aria che i ricordi le stavano portando via, uccidendola lentamente.

Finì di rivestirsi, asciugandosi gli occhi alla meglio e pulendosi il viso con l'acqua di una delle bottigliette che le aveva dato Hershel. Il minimo per evitare che qualcuno le chiedesse con preoccupazione se avesse pianto: non voleva più saperne di nessuno, non voleva più dar di conto a nessuno. Aveva raggiunto quel limite che da un paio di giorni decantava: ora era tempo di andarsene. Sistemò le sue cose sulla cavalla, e si legò ben addosso le sue armi. Ora cominciava a sentirsi a suo agio, ora cominciava a tirare qualche sospiro di sollievo, finalmente si sentiva al sicuro dentro quella corazza che con tanta fatica si era costruita.
Si infilò il flauto grossolanamente nella cintura, prese Peggy per le redini e uscì dalla stalla seguita come sempre dal suo fedele Max. Ognuno era preso dalle proprie cose, come sempre, e nessuno fece caso alla ragazza, la quale comunque evitava di incrociare le strade degli altri. Si spinse verso il confine, ma non quello più esterno: prima andò a dare il suo ultimo saluto ai defunti. Non si era fermata quando c'era tutto il gruppo, inizialmente aveva pensato che la cosa non la riguardava: non era i suoi morti. Quindi sentendosi ancora estranea a tutto si era allontanata e basta, lasciandosi alle spalle il funerale e da lì erano cominciati i pensieri. Ma ora ne sentiva il bisogno, sentiva che anche lei doveva dare il suo contributo: quelle persone erano morte esattamente come molte altre, nella maniera più brutta che poteva capitare in quel periodo. E poi anche lei alla fine aveva pianto per loro, anche se non le conosceva personalmente.
Legò momentaneamente Peggy a una staccionata lì vicino e si avvicinò lentamente alle tombe ormai deserte. Non aveva niente per la testa, nessun pensiero particolare, solo tanta tristezza e dispiacere, soprattutto per la piccola Sophia che tanto aveva fatto piangere la sua mamma, e che tanto aveva probabilmente pianto lei prima di essere uccisa e trasformata. Si inginocchiò e sfiorò la terra, la fece scorrere tra le dita e continuò la sua preghiera silenziosa. Non credeva in Dio, le preghiere canoniche non facevano per lei, non sarebbero state sincere, ma decise comunque di esprimere il suo dolore a voce usando una forma più adatta a lei. Si alzò in piedi, ben dritta su se stessa e alzò la testa al sole in lontananza. Poi afferrò il suo flauto e, dapprima un po' titubante (era così tanto tempo che non lo usava! Lo aveva sempre tenuto sepolto nella borsa, riluttante anche solo nel vederlo), poi con decisione se lo portò alle labbra e suono qualche lunga e bassa nota, che una ad una andavano disperdendosi e allontanandosi. Delicate come gocce di pioggia che cadono in un fiume, un fiume che scorre sereno e si perde in lontananza. Verso l'orizzonte. Solo poche note, come un richiamo agli angeli, un incipit a voler ricevere attenzione dal Divino, per poi proseguire con un canto. Una liturgia in latino, un "planctus" veniva chiamato. Un canto dedicato ai morti di derivazione medievale. Quello in particolare era il planctus dedicato al defunto Carlo Magno, non c'entrava molto con la situazione attuale ma era l'unico Planctus che Ocean conosceva. Fece risuonare la sua voce, come se volesse raggiungere il cielo, e cantò lentamente e solennemente quelle poche strofe che conosceva, che parlavano di dolore per la grave perdita che la terra aveva subito, dolore che accumunava per la prima volta tutti gli uomini. Il planctus era in realtà molto più lungo, ma non l'aveva mai imparato tutto. Terminò di cantare e riportò il flauto alle labbra, concludendo la sua liturgia con le stesse note delicate con cui aveva cominciato. Terminò nel più completo silenzio. Tutta la campagna sembrava essersi zittita in onore dei morti. Ocean rimase per qualche altro secondo ferma nella sua posizione, guardando le tombe, dedicando loro ancora tempo e dolore, poi fece un sospiro e si voltò verso Max che sentendosi osservato cominciò subito a scodinzolare. Era sempre una gioia quando Ocean gli dedicava qualche attenzione.
La ragazza si inginocchiò e accarezzò il suo compagno sorridendo teneramente << E' ora di andare >> disse. Si voltò di nuovo verso le tombe, questa volta sorridendo teneramente, prese un po' di terra da vicino ai suoi piedi e allungando una mano la fece cadere delicatamente sopra la tomba che aveva di fronte, in un ultimo gesto funebre. Un modo per dare il proprio addio.
<< Andiamo. >> disse alzandosi in piedi, riprese Peggy per le redini e si avviò verso il confine esterno, da dove poi avrebbe ricominciato la sua avventura solitaria, fino a quando il destino glielo avrebbe permesso. E si sarebbe di nuovo lasciata andare nelle sue mani e lui avrebbe deciso quando e come sarebbe morta e avrebbe raggiunto chi già da tempo non toccava più quel suolo.

Stava camminando a piedi, concedendo a Peggy un po' di leggerezza, non voleva approfittare di lei: fin tanto che riusciva a camminare da sola lo avrebbe fatto. E poi aveva proprio bisogno di sgranchirsi un po' le gambe, in quei giorni si può dire avesse poltrito abbastanza, camminare le faceva bene. Si allontanò dalla fattoria cercando di ignorare lo stato di vuoto che andava formandosi sempre più dentro di lei, ad ogni passo lasciava un granello dietro sè, come i piccoli Hansel e Gretel. Una parte di lei sentiva era la cosa sbagliata, una parte di lei sentiva di voler restare lì con loro, sentiva di aver bisogno del calore umano. Ora che l'aveva riprovato sentiva che le piaceva, e le mancava. Ed era la stessa parte di lei che si sentiva in colpa per essersene andata così, senza dire niente a nessuno, sparendo semplicemente dalla circolazione, chiedendosi cosa avrebbero detto quando sarebbero andati a cercarla. Sperava che avrebbero reagito con l'indifferenza, sarebbe stato meglio per tutti quanti. E per Carl...beh, se ne sarebbe fatto una ragione! In fondo non era poi così male che si raffreddasse un po', l'avrebbe aiutato a sopravvivere.
Risalì un piccola collinetta e solo quando fu quasi in cima riuscì a scorgere inginocchiato sotto un muretto diroccato, ad affilare ramoscelli, una figura fin troppo familiare: Daryl. Che diavolo ci faceva così lontano dalla fattoria? Poco importava! Non le interessava, e sicuramente anche lui non si sarebbe interessato del suo passaggio. Anzi, probabilmente avrebbe festeggiato.
E sotto queste considerazione Ocean decise di ignorare la sua presenza e continuare per il suo cammino, anche se voleva dire passargli accanto. E come immaginava non la degnò neanche di uno sguardo quando passò davanti a lui.
O forse aveva parlato troppo presto.
<< Te ne vai? >> disse lui senza alzare gli occhi dal suo ramoscello su cui si stava accanendo particolarmente.
Ocean si fermò dov'era, neanche un metro oltre il ragazzo, e lo guardò solo con la coda dell'occhio, senza voltare completamente il volto.
<< E' stato un piacere conoscervi. >> si limitò a dire, risultando poco convincente perfino a se stessa.
<< No, non è vero. >> disse lui con un leggero sforzo nella voce, ancora intento nel suo lavoro.
Ocean fece spallucce, senza rispondere, ma facendo intuire al ragazzo i suoi pensieri "poco importa", e riprese a camminare. Solo allora Daryl alzò il volto e la guardò, provando un evidente senso di fastidio. Già si odiava per quello che stava per fare. Sospirò e si alzò in piedi << Non dovresti. >> disse evidentemente scocciato. Ocean si fermò di nuovo ma questa volta si voltò a guardarlo e inarcando un sopracciglio, assumendo un espressione palesemente sorpresa, disse semplicemente << Prego? >> invitando il ragazzo a spiegarsi meglio. Forse aveva capito male. Anzi, sicuramente aveva capito male! Stava cercando di...fermarla?!?!?!
<< Con noi saresti più al sicuro. >> si giustificò lui.
<< Oh certo, e poi il tuo fidanzatino sarebbe contrariato non è vero? Lo fai per Rick, non fare il finto perbenista! So benissimo che di me non te ne frega niente. >>
<< La smetti di offendere? Non sei simpatica. >> disse Daryl scocciato, evitando di rispondere a tono alla provocazione.
<< Non ho intenzione di esserlo, soprattutto con te. >>
<< Come ti pare. >> disse Daryl con un gesto scocciato e tornò a sedersi << Ma non dovresti andartene. >>

<< Oh, beh. Grazie per l'informazione. >> rispose Ocean caricando la frase di sarcasmo. Fece un finto sorriso e tornò a ripercorrere la strada che aveva cominciato, ignorando completamente il suggerimento del ragazzo, che aveva provato a fare "il suo dovere", ma l'orgoglio e soprattutto la rabbia che gli ribolliva nelle vene in quel momento gli avevano impedito di essere più convincente di così. Ocean aveva ragione, lo faceva soprattutto per Rick, sapeva quanto era stato felice di vedere suo figlio giocare con quel cane e sapeva anche lui che un sorriso di un bambino in momenti così difficili era oro puro. Ma era anche vero che alla fine la ragazza era sopravvissuta fino a quel momento per puro miracolo, e andarsene voleva dire morire. Non ce l'avrebbe fatta a lungo, di questo era certo. Era un'imbranata, non poteva che far conto sulla sua fortuna che prima o poi le avrebbe voltato le spalle. La guardò che se ne andava: l'avrebbe davvero lasciata andare? Non era suo dovere! Nessuno gli aveva detto tieni al guinzaglio la ragazza, quindi se lei se ne andava e Carl tornava a essere il ragazzino freddo che stava diventando non era certo responsabilità sua. Anzi, aveva fatto fin troppo! E anche se la ragazza fosse morta non era responsabilità sua! Lui l'aveva avvertita, cavoli suoi se non l'aveva ascoltato.

Ma qualcosa dentro lui non trovava pace. Una specie di senso del dovere e della giustizia, la parte di sè che continuamente nascondeva, la parte di sè che l'aveva portato ad essere il braccio destro di Rick, la parte di sè che l'aveva spinto sempre oltre nella ricerca di Sophia. Era odiosa, ma gli attorcirgliava le budella.
Decise di ignorarla, continuando a ripetersi che non era responsabilità sua e non erano cose che lo riguardavano. E osservò la ragazza inoltrarsi nel bosco, lasciando definitivamente la fattoria.
Affari suoi, continuava a ripetersi.
Sarebbe morta. Cavoli suoi! Lui l'aveva avvertita. Cavoli, com'era testarda e antipatica quella ragazza! Era una delle donne più fastidiose e rompiscatole della terra, incredibile come il destino abbia voluto risparmiare una delle peggiori. Fece un altro taglio al suo bastoncino serrando la mascella.
E alla fine sbuffò << Vaffanculo! >> disse lanciando il legnetto e si alzò in piedi. Prese in spalla la sua balestra, qualche freccia improvvisata e la seguì. Non la vedeva già più, si era allontanata molto, ma sarebbe bastato seguire le tracce del suo cavallo che erano le più visibili e non avrebbe fatto fatica a ritrovarla.

<< Ha cercato di fermarmi. >> disse Ocean parlando con i suoi animali, cosa che faceva spesso quando era sola. Non le piaceva stare completamente in silenzio, e da quando era rimasta sola esprimere a voce alta i suoi pensieri era diventato più facile: gli unici ascoltatori erano i suoi animali, e loro non giudicavano. Loro erano sempre dalla sua parte.
<< Vi rendeto conto? >> disse ancora accennando una risata divertita << Non vedeva l'ora di mandarmi via, e poi cerca di impedirmelo. Ma che problemi ha quel ragazzo? >> e come se davvero stesse partecipando alla discussione Peggy sbruffò.
<< Si, ha ragione. >> disse Ocean interpretando il suono della cavalla a modo suo << Dev'essere stato in passato uno di quei ragazzi disgraziati che vivono...che so'...in qualche roulotte con zii delinquenti che lo malmenavano e sfruttavano, senza genitori perchè assassinati e roba del genere. Lo si vede dai suoi modi di fare, di parlare e anche vestire. >> si voltò a guardare Max e sogghignò divertita << Lui è un duro! >> disse ironica e aggiunse una risata prima di tornare a guardare davanti a sè. Solo alberi, cespugli e arbusti, niente di nuovo. Non aveva idea di dove si stava dirigendo, seguiva una direzione senza sapere dove portasse, tanto prima o poi da qualche parte sarebbe sbucata.
<< Carino però. >> proseguì ammiccando tra sè e sè e assumendo un espressione vagamente maliziosa << Come al solito il destino si diverte a prendersi gioco di te: ti piazza di fronte un bel tipo, dopo tanto tempo di completa solitudine e astinenza, palestrato, figo, occhi del cielo e un culo che parla....ma più stronzo di tutti gli stronzi che potevano esserci al mondo, e l'unico istinto che ti scatena dentro non è l'ormone ma la furia omicida. Che palle, eh? >> disse ancora voltandosi a guardare Max, che rispose ancora alle attenzioni della padrona con una scodinzolata e un'espressione allegra.
<< Bon per te, caro Max, che tanti problemi non ne hai. Ti accoppi seguendo l'istinto del momento, e poi via...chi si è visto si è visto. Tanti saluti. Bella vita quella da cani. >> continuò a parlare, non riuscendo proprio a stare zitta, e scostò un ramo di un albero che era caduto in mezzo alla via e che gli impediva di vedere ciò che c'era davanti a lei. Si fermò e guardò la sua nuova scoperta: una chiesa. La zona sembrava tranquilla, non sentiva rumori di zombie e non ne vedeva in lontananza, benchè il bosco riprendesse subito oltre. Era solo una piccola valle quella che aveva scoperto, con una chiesa nel centro.
<< Che cacchio ci fa una chiesa qui in mezzo al nulla? >> si chiese inarcando un sopracciglio, restando immobile nella sua posizione e continuando a studiarla. Come tutte le cose ultimamemente, anche lei sembrava abbandonata a diroccata.
<< Bah. Che strani sti americani. >> fece spallucce e si avvicinò alla struttura << Diamo un'occhiata, magari proprio perchè qui in mezzo al nulla non è stata saccheggiata e riusciamo a trovare qualcosa di utile. >> Non c'erano staccionate o pali nelle vicinanze, così legò Peggy a un albero lì vicino, ma distante un paio di metri dall'entrata, e insieme a Max si avvicinò al portone d'ingresso. Sfoderò la sua spada, preparandosi ad un eventuale faccia a faccia. Il cuore cominciò a pulsarle nel petto, era stata solo due giorni in piena tranquillità ma sembrava passata una vita, e già si era dimenticata cos'era la paura. Non era più abituata a quell'adrenalina. Max si mise sull'attenti e cominciò come suo solito a fiutare l'aria, pronto ad avvertire la sua padrona qualora ci fosse qualche problema. Si avvicinò all'entrata della chiesa e abbassò il muso all'altezza dello spiffero sotto la porta, annusando l'interno. Fece un piccolo ringhio, ma che Ocean non interpretò come certezza assoluta. Più volte Max si era sbagliato, soprattutto negli spazi chiusi: l'aria era pregna di morte, non sempre era facile distinguere gli zombie dai semplici cadaveri.

Daryl non fece fatica a seguire le tracce, era molto più semplice che seguire quelle di Sophia: il cavallo aveva il passo pesante, lasciava sul terreno orme inconfondibili. E un attento osservatore poteva riuscire a scorgere vicino a essere anche tracce di stivali, marcate tanto quasi quelle del cavallo. La ragazza aveva il passo pesante, non proprio una donzella leggiadra. Infondo più volte aveva appurato e aveva avuto di fronte l'evidenza: Ocean aveva la femminilità di un camionista. L'unico momento in cui aveva avuto la conferma che era una donna (perchè sì, con un atteggiamento simile aveva addirittura dubitato a volte, benchè i lineamenti affermassero il contrario) era stato quando quel pomeriggio aveva girato in gonnella. Per un attimo aveva avuto come l'impressione di vedere in lei qualcosa che fosse veramente suo, e non fosse solo un'armatura. Perchè l'aveva notato subito, si vedeva lontano un miglio, che quella era solo una maschera, un'apparenza, e che in realtà nascondeva qualcosa dentro lei. C'erano cose che non erano state mostrate e che lei proteggeva scrupolosamente, ed era stato uno dei motivi per cui non si era fidato molto. Poteva essere qualsiasi cosa, e se qualcuno aveva dei segreti rischiava di essere una minaccia per il gruppo. Ma ciò nonostante non era sicuro che quello che Ocean nascondeva fosse qualcosa di malvagio. Dale, che tra tutti era quello che riusciva a vedere meglio dentro le persone, aveva detto qualcosa la prima sera di permanenza di Ocean, quella dove aveva rifiutato l'aiuto di Andrea e se n'era andata, qualcosa che gli aveva messo in moto dei pensieri.
Shane era stato il primo a commentare il gesto della ragazza con parole poco carine, considerandola una possibile minaccia e suggerendo, tra le varie cose, di ucciderla nella notte così via i problemi e il cane sarebbe potuto rimanere con Carl. Proposta che ovviamente non fu accettata da nessuno nel gruppo, ancora legati alla loro umanità. Proposta che a Daryl non importava molto: se il gruppo avesse deciso di farla fuori lui l'avrebbe fatto, se il gruppo avesse deciso di no allora si sarebbe comportato di conseguenza. Non gli importava, e poi era Rick che prendeva le decisioni e lui le aveva sempre rispettate e condivise.
Ma Dale....Dale che poco parlava ma quando lo faceva ciò che diceva valeva più di mille discorsi, Dale che sempre vedeva dove altri non riuscivamo, disse << Avevo trovato un gatto così una volta. Scappava, soffiava e graffiava chiunque provava ad avvicinarsi, e si era fatto una cattiva reputazione nel quartiere, da tutti considerato feroce e pericoloso. La verità è che l'unica volta che quel gatto aveva provato ad avvicinarsi ad un umano, da cucciolo, nella speranza di ricevere carezze e magari un po' di cibo, dei ragazzini l'avevano legato per la coda e avevano provato a usarlo come esca per la pesca, buttandolo nel fiume. >>
<< Penso anche io che non sia cattiva. E' solo un brutto periodo. >> aveva confermato Carol, l'unica che tentava sempre di avvicinarsi alla ragazza nel tentativo di avvicinarsela un po'. Credeva che nessuno meritasse di restare solo, e che anche lei avesse bisogno di un'amica anche se sembrava così schiva.
I discorsi di quella sera non l'avevano portato a rivalutare la ragazza, la considerava ancora una grandissima rompiscatole e non poteva sopportarla, credeva che tutte quelle attenzioni fossero eccessive, ma avevano un po' acceso la sua curiosità e l'avevano portato a pensare che se il gruppo voleva darle una possibilità lui avrebbe fatto altrettanto. Chissà che magari non avesse solo bisogno di essere sbloccata e calmata. Come quel gatto. Come lui stesso.
Era stato questo il motivo per cui quella notte, sentendosi lievemente dispiaciuto per averla trattata male quel pomeriggio, le aveva fatto le frecce. Era una specie di armistizio, un gesto che simboleggiava il suo "proviamo a venirci incontro".
Ma aveva ancora avuto la conferma che era una matta rompiscatole la mattina dopo quando era andata da lui sbraitando come una matta. L'istinto di strozzarla era stato forte... ma era riuscito a trattenersi.
E anche in quel momento continuava a chiedersi chi glielo stesse facendo fare. Perchè doveva correrle dietro, cosa meritava? Perchè rischiare la vita per una rompiscatole che aveva già deciso il suo destino? Continuò a sbuffare più volte, scocciato, ma proseguendo e deciso a trovarla e riportarla indietro.
Riconobbe la strada, l'aveva già percorsa quando cercavano Sophia e intuì dove potesse essersi fermata Ocean: probabilmente era arrivata alla chiesa, e probabilmente stava cercando lì qualche scorta. Perciò, dato che era vicino, lasciò perdere le tracce ormai quasi sicuro di sapere dove portassero e proseguì abbastanza spedito.
Si fermò di colpo dietro un albero!
La chiesa stava per essere presa d'assedio dagli zombie. Li vide pochi metri più indietro, era uno sciame che si dirigevano verso la struttura, probabilmente attirato dal rumore che il cavallo faceva sbruffando nervosamente e tirando zoccolate in terra. O forse attirati dall'odore.
Cercò di non farsi vedere dallo sciame e guardò la piccola valle e la chiesa: c'era solo la cavalla legata a un alberello. Il resto era deserto. Probabilmente Ocean era dentro con Max.
Daryl aveva poco tempo per riflettere e prese decisioni mosse dall'istinto: corse verso la chiesa con la balestra puntata davanti a sè, nel caso fosse sbucato qualche zombie imprevisto. Il portone era aperto. Si piantò con le spalle allo stipite, si preparò psicologicamente, ascoltò i rumori provenire dall'interno, e si girò di colpo, rivolgendo lo sguardo all'interno e puntando la balestra sempre davanti a sè, pronto a sparare. Si guardò attorno velocemente, e cominciò ad avanzare cercando di essere il più rapido e silenzioso possibile. Perfino Gesù in croce, che fino a poco tempo prima era fonte di tranquillità e pace, ora trasmetteva paura. Era diventato un luogo così macabro.
<< Ocean! >> chiamò cercando di non alzare troppo la voce, ma l'eco la fece sembrare assordante. La cavalla fuori nitrì nervosa, si agitò e alla fine Daryl sentì il rumore delle redini spezzate. Corse di nuovo all'entrata, controllando fuori, e come immaginava vide lo sciame avvicinarsi velocemente: il rumore di Peggy aveva messo fretta nei loro piedi zoppi. Ma la cavalla si sarebbe salvata: con un colpo di collo mosso dal terrore aveva spezzato le redini e ora stava fuggendo via. La stessa sorte probabilmente non sarebbe toccata a loro! Cercò di ragionare velocemente, aveva poco tempo, gli zombie l'avevano visto e stavano correndo (per quanto potessero correre) verso di lui. Fece l'unica cosa che al momento gli sembrava sensata: spingendo di spalle il portone lo chiuse e cercò di bloccarlo provvisoriamente con una trave lì vicino. Si allontanò di un paio di passi, osservando la porta che cigolava e si inarcava a ogni colpo subito dall'esterno.
Doveva sbrigarsi a trovare Ocean, non avrebbe retto molto, loro sarebbero poi usciti dal retro. Maledetta ragazza, in che guaio l'aveva cacciato!! Impugnò di nuovo la balestra e dando le spalle alla porta ripercosse il corridoio formato dalle panche, avvicinandosi all'altare e tornò a guardarsi attorno, a cercare la matta. Vide sulla sinistra una porta, probabilmente di quelle che davano agli alloggi del prete, e vi entrò velocemente puntando la balestra ad ogni angolo. Percorse un piccolo corridoietto, poi entrò in un'altra porta aperta sulla destra e lì trovò la ragazza china nella dispensa che scartava barattoli vuoti. Max lo sentì subito e si voltò a guardarlo, ma riconoscendo la figura non emise suono. Ocean dal canto suo era troppo presa a scegliere il pranzo per accorgersi della presenza nella stanza e Daryl ebbe di nuovo conferma dei suoi pensieri: era solo fortuna se era ancora viva. Se non fosse arrivato lui a quell'ora lei sarebbe stata attaccata da uno degli zombie che si trovava all'esterno, e neanche se ne sarebbe accorta fino a quando non avrebbe sentito il dolore del morso. Alzò gli occhi al cielo e fece un passo avanti per mettere una mano sulla spalla alla ragazza. Voleva la sua attenzione ma senza troppi rumori: c'era una finestra lì vicino, se gli avessero sentiti sarebbero potuti entrare anche da là. Ma la mano non arrivò alla spalla: il piede di Daryl sul parquet in legno quasi marcio lo fece cigolare. Ocean sussultò e gridò << Oddio!! >> , si voltò velocemente e tirò un barattolo che aveva tra le mani contro chi gli stava alle spalle, colpendo Daryl dritto in fronte, che rispose con un istintivo << AHI! >>, anche abbastanza incazzato. Ocean, arrancò, perdendo l'equilibrio, e cadde all'indietro fece uno strike di barattoli degno del campione di Bowling, facendosene cadere anche qualcuno in testa dai ripiani più alti.
E meno male Daryl voleva puntare sul silenzio.
<< Mi hai colpito!! >> disse Daryl incazzato a Ocean. Che diavolo le diceva la testa?
<< Sei matto? Mi hai fatto morire di paura!! >> gridò Ocean in risposta alle accuse del ragazzo.
<< Sono venuto ad aiutarti! >> brontolò ancora Daryl, nero di rabbia. Perchè diavolo doveva essere sempre così ingrata!
Ocean aprì la bocca con tutta l'intenzione di rispondere ancora, incazzata a sua volta per averla presa così di spalle, ma degli zombie bussarono amichevolemente alla finestra interrompendo il loro sproloquio di gentilezze e carinerie. Ocean si alzò in piedi di scatto, afferrando di volata le sue cose e la sacca con i 3 barattoli di numero raccolti e seguì Daryl che già era uscito nel corridoietto.
<< Dobbiamo uscire dal retro! Il portone d'ingresso è infestato. >>
<< Potevi avvertirmi che ti eri portato dietro degli amici! >> Ocean cercò di smorzare la tensione con qualche battuta di spirito, ma al momento Daryl non era dell'umore adatto per ridere. Anzi le trovò abbastanza fastidiose.
Sentirono altri rumori provenire dalle loro spalle, dall'interno della chiesa, segno che gli zombie erano riusciti a buttar giù la porta marcia ed erano entrati. Questo metteva loro una certa fretta.
<< Dov'è il retro? >> chiese Ocean guardando le porte che aveva intorno. La chiesa era piccola, ma di stanze ce n'erano almeno 4 e probabilmente alcune erano solo sgabuzzini.
<< Non lo so. >> disse Daryl guardando le porte intorno a lui, indeciso su dove tentare la fortuna.
<< E come sai che lì non ci sono zombie? >> chiese ancora Ocean.
<< Vuoi stare zitta? Sto cercando di pensare! >> si innervosì Daryl volgendole uno sguardo di fuoco.
<< Non parlarmi così, sai? >> si innervosì anche Ocean puntandogli un dito contro. Ma ancora una volta furono interrotti da zombie che pian piano entrarono nel corridoio. Daryl puntò la balestra contro il primo di loro e lo buttò giù al primo colpo. Ocean sfoderò la spada e andò loro incontro: l'entrata del corridoio era stretta per fortuna, sarebbero stati costretti ad entrare poco per volta, aveva modo di gestirli, e così fece. Con un affondo perforò la testa del secondo e subito, dandosi una spinta col piede, cercò di sfilare via la spada per colpire il terzo vicino a lui.
<< Aprine una a caso, no?? >> gridò Ocean impegnata a cercare di tenersi in vita. Daryl avrebbe voluto evitare quel gesto, non sapeva cosa ci fosse dietro le porte e rischiavano di andare dalla padella alla brace, ma la situazione era tragica. Un rumore di vetri rotti fece capire loro che la finestra nella stanza accanto era stata sfondata e presto si sarebbero trovati sopraffati.
<< E va bene. >> sospirò tra sè e sè Daryl pregando nella sua fortuna. Sparò un'altra freccia a uno degli zombie che Ocean aveva davanti per aiutarla, poi afferrò il primo pomello che aveva accanto e l'aprì. Ocean vide zombie arrivare da dentro la stanza, di fianco a lei, poco più indietro e capì che non poteva restare lì o sarebbe stata circondata. Si voltò e corse dietro, verso il ragazzo, pronta a seguirlo verso l'uscita, ma dovette inchiodare e arretrare di un passo mentre Daryl cercava di richiudere la porta.
<< Merda! Anche l'uscita sul retro è infestata. >> constatò Daryl.
<< Ma quanti ce n'è? >> chiese disperata Ocean buttando giù uno zombie che li aveva raggiunti. Daryl aprì un'altra porta, di fianco a loro, pregando fosse libera: aveva bisogno di una via di fuga! La stanza dentro era completamente buia e dentro sembrava esserci solo uno zombie che stava già correndo verso loro. Daryl lo buttò giù con una freccia. Max non si trattenne e cominciò ad abbaiare preso dal panico, forse in un disperato tentativo di riuscire a spaventarli e cacciarli via, poi si infilò tra le gambe del ragazzo ed entrò nella stanza appena libera. Daryl afferrò Ocean per un braccio e la trascinò dentro sbrigandosi a chiudere la porta alle sue spalle. Ocean, ripresa dal frastornamento dell'essere stata tirata e spintonata, si scagliò contro la porta aiutando Daryl a chiuderla contrastando la forza degli zombie dietro che spingevano e allungavano braccia nella fessura d'entrata per riuscire ad afferrare le prede. Max li guardò agitato e continuò ad abbaiare contro i loro aggressori, ringhiando, mostrando i denti e simulando attacchi.
<< Max, se ti azzardi a morderli ti prendo a calci in culo! >> lo ammonì Ocean storpiando le parole per colpa della fatica. Finalmente, dopo tanti sforzi, riuscirono a vincere le deboli forze che c'erano all'esterno e chiusero la porta, che Ocean si sbrigò a chiudere con delle mandate di chiave.
<< Una chiave! Ingegnoso. >> disse con finto stupore la ragazza, sempre con un pizzico di sarcasmo, rivolta al metodo di sicurezza trovato. Chissà perchè nei film horror non ci pensavano mai a chiudere le porte a chiave invece che usare travi mezze marce.
Ocean si lasciò cadere a terra per riprendere fiato: non si era mai trovata a fare così tanta fatica prima di quel momento. Daryl, che non si sentiva del tutto sicuro, si guardò attornò con la balestra puntata al vuoto: la stanza era completamente buia, era difficile distinguere dove si trovassero. Sperava di non essersi messo nei guai da solo. Max, anche lui ancora nervoso per la situazione, cominciò a scrutare la stanza e ad annusare l'aria e il pavimento, controllando che non ci fosse qualche pericolo. Il posto sembrava tranquillo, se mai ci fosse stato uno zombie a quell'ora sarebbe già saltato addosso al gruppetto, ma questo pensiero nacque solo nella mente di Ocean.
Daryl cominciò a camminare, andando un po' a tentoni data l'oscurità e sperando che la sua vista si abituasse quanto prima. Riuscì a trovare solo scaffali pieni di ragratele e robaccia. Ocean prese la sua sacca e cominciò a rufolarci dentro, anche abbastanza rumorosamente, dando sui nervi a Daryl, fino a quando non trovò quello che stava cercando.
<< Forse così andrà meglio. >> disse e accese un fiammifero. La luce era minima, ma gli permetteva di vedere almeno ciò che la circondava. Si alzò in piedi alzando il fiammifero sopra la sua testa, sperando di vedere meglio e anche lei cominciò a girovagare per la stanza che si dimostrò molto più piccola di quello che credeva. Tempo pochi secondi il fiammifero bruciò tanto da arrivare alle sue dita e Ocean lo lasciò cadere a terra con un << Ahi! >>.
Si ciucciò il dito bruciato, poi ne prese un altro e lo accese, continuando nella sua perlustrazione. Daryl le si era affiancato, sfruttando anche lui la luce del fiammifero.
<< Sai, questo mi ricorda tanto un libro di Stephen King. >> disse Ocean prima di lasciar cadere a terra il secondo fiammifero dopo essersi bruciata ancora nel tentativo di sfruttarlo al massimo.
<< Dei ragazzini quando scendono dentro una fogna per cercare It usano lo stesso metodo per farsi luce. Anche la presenza di mostri direi che è pertinente. >>
<< Ma tu non stai mai zitta? >> brontolò Daryl. Non sopportava più la sua voce e il suo voler sdrammatizzare. Erano nei guai! Dovevano uscire di lì e quella pensava ai libri!
Ocean lo guardò male e spense il fiammifero che aveva in mano con un soffio proprio vicino alla sua faccia. Così, giusto per infastidirlo. Era odioso!
<< Li ho finiti. Mi dispiace. >> disse acida poi.
<< Comunque sembra siamo finiti dentro uno sgabuzzino. Farebbe comodo un po' di luce per vedere se c'è qualcosa tra questi scaffali che può servirci. >>
<< Arrangiati. Cerca da solo. Io me ne starò zitta qui nell'angolo, così non sarò più un impiccio a sua Maestà. >> brontolò Ocean. Era rimasta palesemente offesa da ciò che Daryl le aveva detto e ora stava facendo l'orgogliosa.
<< Guarda che è colpa tua se ci troviamo in questo casino!! >> brontolò ancora Daryl, scocciato dall'atteggiamento infantile della ragazza. Non stava prendendo sul serio la situazione! Sembrava che niente fosse preso sul serio da quella ragazza. Meritava di finire in pasto agli zombie, così magari si sarebbe svegliata un po' e avrebbe cominciato a dare il giusto peso alle sue azioni.
<< Colpa mia? >> brontolò Ocean alzando la voce di un'ottava. Cosa che non piacque agli zombie fuori dalla porta che cominciarono a far di nuovo casino e cercare di buttarla giù.
<< Chiudi quella bocca!! >> brontolò ancora Daryl cercando di sussurrare, benchè l'istinto fosse quello di urlare. La porta era chiusa, era vero, ma con una giusta forza avrebbero potuta buttarla giù, e allora non avrebbero avuto speranze.
<< Sei tu che sei venuto a rompere le scatole! >> proseguì Ocean cercando di risultare minacciosa nonostate stesse sussurrando.
<< Se non venivo io quelle cose là fuori a quest'ora ti avevano spolpata per bene! >> brontolò ancora Daryl avvicinando il suo volto a quello della ragazza per risultare ancora più minaccioso. Che voglia aveva di prenderla a sberle!
<< Se tu non mi facevi prendere quel colpo non avrei fatto rumore, Max avrebbe fiutato il pericolo e io a quest'ora sarei già fuori a cavalcare sulla mia.... >> improvvisamente si ricordò << Oh, no!! Peggy!!! >> si allarmò assumendo il panico nella voce.
<< La tua cavalla sta bene. E' scappata. >> disse Daryl semplicemente, prima di voltarsi e tornare a studiare gli scaffali con quel poco di visibilità che aveva e cercando di affidarsi al tatto. Voleva rassicurarla, ma era troppo arrabbiato al momento per cercare di essere pacato, e tutto ciò che diceva risultava minaccioso e incazzato. Ocean tirò un sospiro di sollievo, ma non disse altro. Piano piano stava cominciando a realizzare: era bloccata in uno sgabuzzino, con fuori un'orda di zombie che mai le avrebbero permesso di scappare. Era in trappola..se non fosse morta mangiata, sarebbe morta di fame o di sete.
<< Forse ho trovato qualcosa. >> comunicò Daryl con tono pacato, come se la cosa avesse poca importanza. E forse era così. Come sarebbero usciti da lì?
Ocean sentì armeggiare e poi vide una fioca luce che dapprima l'accecò, poi una volta abituata riuscì a riconoscere l'oggetto che aveva in mano Daryl: una lampada elettrica da giardino.
<< Speriamo duri abbastanza la batteria. >> disse ancora Daryl forse più a se stesso che alla ragazza e finì il suo giro di perlustrazione sfruttando la piccola luce trovata. Ocean si avvicinò al muro e si lasciò cadere a terra, seduta, poggiando la schiena. Max le si avvicinò e le si accucciò accanto. Era agitato e impaurito anche lui, ma sapeva che c'era ben poco da fare, così si stese vicino alla sua padrona, stringendosi a lei per ricevere coccole, calore e conforto. E Ocean non mancò alle aspettative: aveva anche lei bisogno di conforto. Ora che l'adrenalina andava scemando lasciava spazio al sentimento peggiore di tutti: la paura. Non fece niente per cercare l'uscita, al momento era demoralizzata, stanca e troppo giù per pensare che forse ci sarebbe stato un modo per scappare. In qualche modo, anche se mai l'avrebbe riconosciuto a se stessa, si mise nelle mani di Daryl e aspettò fosse lui a trovare una soluzione. Non per malafede, non per cattiveria o per prigrizia, semplicemente stava perdendo di coraggio e di forza di volontà....e in qualche modo, in una maniera tutta sua, si fidava di Daryl e sapeva che se mai ci fosse stata una possibilità per loro, lui l'avrebbe trovata. Era una persona forte. Questo non era da negare. E le aveva salvato la vita, anche se questo l'avrebbe negato molto volentieri.
Lasciò la testa ricadere in avanti e sentì come un calo di pressione: l'adrenalina aveva avuto un calo spaventoso e troppo velocemente, lasciandole dentro solo tanta debolezza. Gli occhi si annebbiarono, la testa le girò e con un ultimo sospiro si lasciò andare e si addormentò...o forse svenne. Non seppe mai qual'era delle due cose.



Angolino Autrice :P

Niente....volevo solo aggiungere un info (importantissimissima!!!! u.u)
Ho messo un'immaginetta a inizio storia, nel capitolo "Presentazione" ^_^
Perchè è importantissimissima? Perchè c'ho perso un'intera mattina  a farla!!!! xD e dato che è il mio primo lavoro in Photoshop, e che mi sembra venuto vagamente decente, ne vado orgogliosamente fiera! Indi per cuiii...tutti a vedere l'immagine!!!!
E per i pigri la inserisco qui xD


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Capitolo 11
*** Armistizio. ***


Armistizio

Daryl aveva ormai perlustrato ogni centimetro di quel minuscolo loculo in cui erano finiti, ed era giunto alla conclusione che le possibilità di uscire da quel casino erano davvero scarse, ma non nulle. Un buon piano avrebbe potuto salvarli. Bisognava solo trovarlo.
Spense la piccola lampada da giardino per evitare che si consumasse completamente, gli sarebbe stata utile più tardi, e si sedette vicino ad Ocean a riposare e aspettare che si svegliasse. La ragazza era decisamente imbranata, e probabilmente aveva avuto un crollo di energia spropositato tale che non solo si era addormentata all'istante, ma era scivolata con la schiena contro il muro ed era caduta di faccia a terra. La cosa però non l'aveva disturbata, e aveva continuato a dormire. E se non era riuscita a svegliarla una musata allora voleva dire che neanche un paio di scrollate e richiami avrebbero funzionato, perciò avrebbe aspettato. Tanto lì dentro al momento erano al sicuro, non aveva fretta di andarsene, e Ocean aveva bisogno del suo tempo per riprendersi. Così avrebbe avuto tempo anche di pensare con calma e silenzio per trovare un piano.
Si sedette vicino alla sua testa, con la schiena poggiata al muro, un ginocchio sollevato e un braccio poggiato sopra esso, penzoloni, rilassato. Poggiò la balestra vicino a lui, tirò un sospiro cercando di rilassarsi anche lui e chiuse gli occhi in cerca di concentrazione, tanto la stanza era completamente buia, a malapena riusciva a vedere oltre al suo naso, quindi non c'era vantaggio a tenere gli occhi aperti. Non aveva un piano ancora, non era riuscito a pensare a niente di sensato che non fosse "corriamo fuori e spariamo a tutto quello che abbiamo davanti" perchè in quelle condizioni non riusciva a trovare altra aternativa. Lasciò cadere la testa all'indietro, sospirando e chiedendosi ancora una volta chi glielo avesse fatto fare. Tese le orecchie ad ascoltare i suoni che lo circondavano, cercando di distinguerne la provenienza, utilizzando quel metodo come una specie di mappatore per capire chi si trovasse dove e cosa c'era la fuori. Più volte si era affidato solo al suo udito, soprattutto quando andava a caccia, ed esso non l'aveva mai tradito. Era più facile anzi che a tradirlo fossero gli occhi. Non si fidava dei suoi occhi, questo l'aveva imparato col tempo, anche se magari poteva essere difficile da credere visto che era un balestriere e puntava tutto sulla vista.
Improvvisamente udì un rumore sospetto all'interno della loro stanza e spalancò gli occhi: aveva sentito una voce. Allungò una mano già pronto a riaccendere la lampada, tendendo le orecchie e sforzandosi di guardare oltre all'oscurita. Chi aveva parlato? C'era qualcuno? Qualcosa? Possibile non l'avesse visto prima? Che fosse lo zombie morto che faceva loro compagnia dentro quello sgabuzzino con una delle sue frecce conficcate in un occhio?
Ma non ci fu bisogno di accendere la lampada perchè la voce si ripetè e questa volta ne capì subito la provenienza: Ocean accanto a lui, stesa nella sua scomoda posizione, bofonchiava parole a lui incomprensibili, non solo per il tono troppo basso ma anche perchè non le riconobbe: stava parlando in una lingua che non conosceva.
<< Neanche mentre dormi riesci a stare zitta. >> disse tra sè e sè tornando a rilassarsi e riportando a sè la mano che era rimasta tesa a mezz'aria. La ragazza parlava nel sonno, era increddibile! Riusciva a essere fastidiosa anche mentre dormiva, e non era roba da poco.
Ma di nuovo aveva giudicato troppo presto. Non solo parole, ma anche un lamento uscì dalle sue labbra. Daryl d'istinto voltò la testa verso lei, e per un istante ebbe come l'impressione di vederla anche attraverso l'oscurità, raccolta in se stessa e tremolante. Ma si era sbagliato. La visiblità era decisamente troppo scarsa e l'unica cosa che scorgeva era un ombra confusa vicino a lui. Sentì poi uno spostamento d'aria e l'annusare del cane che era con loro avvicinarsi al viso della ragazza. Un altro lamento, così simile a un singhiozzo, ruppe il silenzio, smorzato, soffocato, ma, proprio per questo suo voler restare celato, così curioso e profondo. Il cane, annusata la zona per trovare la padroncina, si lasciò cadere con il muso vicino al viso di Ocean, e il corpo stretto a lei, in un gesto così naturale e automatico che mostrava tutta la sua quotidianità. Al contatto con Max Ocean smise di lamentarsi, e si mosse, stringendosi di più al manto morbido del suo fedele amico.
Quante altre volte Max aveva asciugato le sue lacrime la notte?
Daryl vide di nuovo il gatto di Dale, immerso nell'oscurità, raggomitolato in un angolo, tremante e aggressivo nel suo allontanare chiunque, anche le coperte che teneramente gli venivano offerte: avrebbero potuto soffocarlo. O almeno questo era quello che lui credeva.
Allungò una mano e la posò sulla testa arruffata del cane, concedendogli due carezze di gratifica, come se spettasse a lui premiarlo e rendergli grazie. Ma probabilmente Ocean non sapeva neanche di doverlo fare.

A svegliarla fu un forte mal di testa. Si sentiva confusa e frastornata, e inizialmente si chiese se qualcuno non l'avesse colpita alla testa. Cercò di aprire gli occhi facendo uno sforzo che poche volte si era ritrovata a fare e si massaggiò una tempia: che diavolo era successo? Non ricordava niente. Per quanto aveva dormito? Aveva sognato...solo questo ricordava. Aveva sognato la lunga linea dell'orizzonte al di là di un'immensa distesa d'acqua.
L'oceano.
Solo questo ricordava.
Aggrottò la fronte quando aperti gli occhi si trovò immersa nell'oscurità. Dove diavolo era? Cercò di guardarsi attorno senza successo e si sollevò su un gomito, sforzando la sua memoria a riaffiorire. Una lingua improvvisa e umidiccia sul suo volto le segnalò la presenza di Max al suo fianco. Questo bastava a tranquillizzarla almeno in parte. Si pulì la saliva del cane con la manica della camicia e finì di tirarsi su, sedendosi, sperando di riuscire a vedere qualcosa una volta abituata al buio, ma aveva fatto male qualche calcolo: lei era già stata al buio, non poteva certo abituarsi più di così.
Riusciva a distinguere a malapena i contorni degli scaffali intorno a lei.
Voltò poi la testa e vide una sagoma appoggiata al muro di fianco a lei. Trasalì, non riconoscendola, e arretrò acquattata com'era con una fretta improvvisa, arrancando e gemendo.
<< Stai calma! >> le disse Daryl, sorpreso della reazione della ragazza, mostrando i palmi e allungando un po' le mani verso lei. Per un attimo credette di aver sentito un gatto soffiare, ma anche quello era solo frutto della sua fantasia.
Si sbrigò ad afferrare la lampada che aveva trovato e ad accenderla per permettere a Ocean di riconoscere il luogo e soprattutto lui: il risveglio non era stato dei migliori, la ragazza era in un palese stato confusionale. Se fosse stato colpa della botta in testa o dello svenimento questo non seppe dirlo. La luce improvvisa accecò gli occhi di Ocean che si portò d'istinto una mano al viso per proteggersi e arretrò ancora.
<< Oh, che diavolo!! Spegni quell'affare! >> si lamentò tornata improvvisamente in sè. I ricordi stavano tornando piano piano, ma era riuscita a riconoscere subito la voce di Daryl dopo averla sentita e questo le aveva permesso di far scattare il meccanismo che la stava riportando lì, in quel luogo e in quel tempo.
<< Stai bene? >> chiese Daryl più imbarazzato che preoccupato e spense nuovamente la lampada.
<< Perchè diavolo mi hai colpita? >> chiese Ocean con la voce ancora impastata, ignorando la domanda del ragazzo.
<< Colpita? Io non ti ho colpita! >>
<< E allora chi è stato? Ero seduta a riposare, poi all'improvviso non ricordo nulla e adesso ho un gran mal di testa! Qualcuno deve avermi colpita! >> disse ancora lei, mentre cercava di far scrocchiare qualche osso dolorante per la posizione scomoda in cui aveva dormito.
<< Penso tu sia svenuta. >> disse Daryl un po' scocciato dal fatto che devesse darle giustificazioni.
<< Certo. >> rispose sarcastica Ocean, probabilmente non credendo alle sue parole, e dopo essersi stirata a dovere tornò a sedersi dov'era, mettendosi comoda << Allora. Che facciamo? >> chiese poi, dando per scontato che Daryl avesse già un piano studiatissimo in mente.
<< Non ne ho la più pallida idea! Siamo in un vicolo cieco. Dovremmo uscire da dove siamo entrati. >>
<< Perfetto! Molto più semplice di quello che credevo. >> disse ancora piena di sarcasmo.
<< Hai un talento naturale tu nel metterti nei guai! E ora hai trascinato anche me nei tuoi casini. >> brontolò Daryl, innervosito sempre più dal tono di Ocean. Tutto quel sarcasmo gratuito e assolutamente inutile gli dava sui nervi, soprattutto perchè era solo colpa sua se erano lì.
<< Ringraziami. Almeno non sei più alla fattoria ad annoiarti. Un po' di brio! >> sorrise Ocean.
Daryl rispose con uno sbuffo e il silenzio calò di nuovo.

Non seppero mai quanto tempo passò veramente, a loro sembrarono ore, ma avrebbero potuto anche essere semplicemente minuti. Ognuno perso nella propria mente, nei propri pensieri, speranzosi che la soluzione in qualche modo cadesse loro dal cielo, o forse semplicemente aspettando che l'altro la trovasse, incolpandosi a vicenda e scaricandosi reciprocamente le responsabilità.
"E' colpa tua se siamo qui dentro, ora trova una soluzione." pensavano.
O forse stavano solo approfittando della calma di quel luogo relativamente sicuro per riprendere le energie prima di tuffarsi a capofitto nella folla divoratrice che c'era fuori, e sperare di uscirne incolumi. Serviva forza, ma soprattutto coraggio e il rimandare per ora sembrava la soluzione migliore. Aspettare nella speranza che un qualsiasi evento fortunato portasse l'orda da un'altra parte.
<< Beh, se restiamo qui prima o poi ci verranno a cercare. >> disse Ocean. Era la prima e unica cosa che le era venuta in mente, anche se, doveva essere sincera, non si era sforzata molto.
<< Vuoi viaggiare da sola e poi conti sull'aiuto degli altri. >>
<< No, conto sul fatto che questi "altri" sono amici tuoi e prima o poi si chiederanno che fine hai fatto. >> rispose con tranquillità Ocean. Nonostante il pericolo imminente erano stranamente tranquilli, come se avessero avuto la certezza di uscire di lì prima o poi, dovevano solo aspettare. Da dove gli arrivasse questa certezza non sapevano neanche loro, e con molta probabilità era una sciocchezza.
<< Ma perchè? >> si lasciò uscire infine Daryl con tono quasi esasperato. La domanda chiaramente non era legata al discorso che stavano affrontando, sicuramente a portarlo lì era stato un filo di ragionamento completamente diverso, solo che quale fosse non era chiaro a Ocean.
<< Perchè ti vogliono bene? >> rispose lei con una domanda, legandola al contesto delle loro chiacchiere, tanto per poter rispondere qualcosa, anche se sapeva che non c'entravano niente l'uno con l'altro.
<< No!! >> lo spostamento d'aria accanto a lei, e le ombre che si muovevano che rusciva a vedere con la coda dell'occhio, le fecero intuire che Daryl stesse gesticolando nervosamente << Perchè diavolo fai così? Cosa cavolo c'hai in quella testa? Vuoi farti davvero ammazzare? >>
<< Di che stai parlando scusa? Non mi pare di aver fatto nulla? >> chiese Ocean con altrettanto nervosismo.
<< Non capisci che qui un passo falso ti uccide? Fare l'orgogliosa non ti aiuterà ad andare molto lontano! >>
<< Io orgogliosa? Guarda che stai sbagliando strada! >> cercò di rispondere Ocean con falsa calma.
<< Ah no? "Io non viaggio in gruppo, io sto sola e non conto su nessuno!" non ti sembra un ragionamento orgoglioso? >>
<< Mi spieghi perchè diamine tu e i tuoi amici mi dovete stare così appiccicati? Perchè cavolo mi hai seguita? Non mi conosci! Non capisco perchè dai così tanta importanza alla mia vita! >> brontolò Ocean voltandosi, puntando gli occhi sull'ombra che aveva di fronte, assumendo uno sguardo minaccioso, anche se sapeva lui non avrebbe potuto vederla.
<< Ci sono già abbastanza morti che camminano, vorrei evitare di alimentare la faccenda. >> si giustificò Daryl.
<< Oh, ma davvero? Io credo invece tu sia tale e quale al tuo amichetto Rick, con le manie da eroe! Ti butti all'arrembaggio alla prima situazione pericolosa solo per mostrare al mondo quanto sei forte e come riesci a uscirne fuori con coraggio e splendore! Ti manca solo la colonna sonora. >>
<< Ti sbagli! >> si limitò a dire Daryl, senza calmarsi.
<< No, non mi sbaglio invece! A malapena sapevi che la ragazzina si chiamava Sophia, eppure sei stato tu quello che si è fatto quasi uccidere per trovarla! >> disse Ocean caricando il suo discorso di enfasi con l'aiuto di un gesto.
<< E tu come diavolo sai queste cose? >>
<< La tua amica Andrea è una gran chiacchierona. Mi ha spiegato e raccontato un po' di cose sperando di integrarmi nel gruppo in questa modo. >>
<< Non sono faccende che ti riguardano, ad ogni modo! Avevo i miei motivi. >> disse Daryl.
<< Li conosciamo i tuoi motivi. Superman senza pericoli e nemici non sarebbe l'eroe famoso che è ora. >> disse Ocean accarezzando Max, e sperando di ritrovare un po' di calma in quel gesto.
Daryl inizialmente si limitò a rispondere con un verso scocciato, poi dopo qualche secondo di riflessione gli scappò un sorriso sarcastico.
<< Non riesci proprio, vero? >>
<< Tu non riesci proprio a parlare chiaramente, vero? Andiamo avanti per enigmi. >> rispose subito Ocean senza dargli il tempo di proseguire.
<< L'hai fatto di nuovo! >> sorrise ancora Daryl, quasi divertito dalla sua "scoperta" << Sposti l'attenzione del discorso sugli altri! Non hai risposto alla mia domanda e hai portato l'attenzione su di me. >>
Ocean scoppiò a ridere nel sentirlo << Senti, senti, che macchinatrice che sono! Non lo sapevo neanche io. >>
<< Tu nascondi qualcosa. >> disse infine Daryl, mettendo un punto a tutto quel discorso.
<< Tutti nascondiamo qualcosa oggi come oggi. >> rispose Ocean, mettendo lo stesso punto conclusivo.
E il silenzio scese di nuovo. Ma questa volta i pensieri che volavano dentro quella stanza non erano rivolti alla ricerca di una soluzione, anzi quasi si erano dimenticati di trovarsi dov'erano. Il pericolo, gli zombie, erano diventati così quotidiani che non spaventavano nemmeno più.
Ocean sospirò seccamente, qualcosa gli attorcigliava le budella. Provava fastidio, un profondo fastidio, che inizialmente attribuì alla vicinanza di quell'uomo così odioso, ma che pian piano riuscì a riportare sui suoi binari e a capire che in realtà era legato all'idea che lui, come forse anche gli altri del gruppo, la considerassero pericolosa, solo perchè aveva il suo silenzio. Max e Peggy l'avevano accettata per quello che era in quel momento, senza porsi domande o costringerla a rivelare cose che non voleva nemmeno ricordare, l'avevano accettata come Ocean e basta. Perchè loro no? Perchè non riuscivano a vedere oltre, e capire che certe cose era meglio non tirarle fuori? Ci aveva messo così tanta fatica a dar vita ad Ocean, perchè ora veniva messa in discussione?
Ma soprattutto...perchè diamine gliene importava così tanto da starci male? Non voleva saperne di quel gruppo, a malapena lo conosceva, e mai ne avrebbe fatto parte, perchè allora per lei era così importante che l'accettassero? Non voleva credere di aver bisogno di loro, non avrebbe mai accettato l'ipotesi che lei avesse bisogno di qualcuno accanto a sè. Mai.
Strinse i pugni, detestando tutto quello, e decise di togliersi un piccolo sassolino dalla scarpa, sperando che poi la convivenza col resto del fastidio sarebbe stata più semplice.
<< Non voglio avere gente intorno a me. >> disse velocemente, come un proiettile che viene sparato fuori prima che la mano che ha premuto il grilletto tentenni. Il primo passo era fatto...ora sembrava tutto più semplice.
Fece un respiro profondo ma silenzioso, cercando di non far trapelare la sua tensione << Voglio restare sola perchè odio le persone e odio la compagnia. Chiamami pure misantropa, se vuoi darmi un appellativo. Il lavoro di squadra non fa proprio per me. >> e tornò a calare il silenzio. Daryl non rispose, e non diede nemmeno cenno di averla ascoltata, ma le tensioni erano sciolte, era percepibile. Almeno ora si poteva respirare aria più pulita all'interno di quella stanza.
Ocean alzò la testa di colpo.
Aria pulita! C'era aria pulita in quella stanza!
Prese la lampada ai loro piedi e si alzò di colpo, sotto lo sguardo attonito di Daryl, chiedendosi quale idea geniale l'avesse illuminata tanto, ma ricevendo subito anche lui la stessa risposta. Un leggero spiffero d'aria fresca gli era arrivato al volto. Si alzò anche lui e Ocean accese la lampada, guardandosi attorno.
<< Da dove arriva? >> chiese Ocean. Anche Max alzò il muso e annusò incuriosito, sentendo anche lui il leggero cambiamento.
<< Non ci sono buchi, gli avrei visti! >> disse Daryl ispezionando le 4 mura intorno a lui.
<< Ho un'idea. >> disse Ocean prima di spegnere la lampada e passarla a Daryl. Cercò di fare un passo verso una qualsiasi direzione e allungò le mani davanti a sè << Cacchio non vedo nulla! >> disse avanzando lentamente usando le mani come "occhi".
<< Ma davvero?! >> si lasciò sfuggire beffardo Daryl. Quella ragazza aveva qualcosa che non andava, ne era certo.
Ocean arrivò finalmente a toccare il muro di fronte a sè e ci schiacciò la faccia contro voltandosi prima a destra, poi a sinistra, e trovando ciò che cercava.
Flebile, quasi invisibile, forse anche per l'oscurità della sera che stava arrivando, si riusciva a intravedere dietro uno degli scaffali poggiati lì una leggera striscia luminosa.
<< Eccola! Ci dev'essere o una finestra o comunque un buco nel muro qui dietro! >> Daryl accese di nuovo la luce della lampada e si avvicinò alla ragazza.
<< Tieni. >> disse porgendogliela. Ocean si spostò, facendo posto al ragazzo, e afferrò la lampada che gli aveva dato, permettendogli così di avere le mani libere per poter afferrare lo scaffale e tentare di spostarlo. Era molto pesante, ma non fu per questo motivo che Daryl spostò lentamente il mobile in ferro: non sapevano cosa ci poteva essere oltre al buco e avere la stanza invasa era l'ultima cosa che volevano.
<< E' una finestra! >> disse Ocean studiando il muro che pian piano veniva scoperto << Probabilmente l'ha messo qui l'uomo che si era nascosto qui dentro nella speranza di salvarsi. >> disse Ocean voltandosi a guardare il cadavere che giaceva a terra, poco lontano da loro.
<< Riesci a vedere oltre? >> chiese Daryl spostando lo scaffale di qualche altro centimetro << Riesci a vedere se la via è libera? >>
Ocean sfoderò una delle sue daghe, se la portò davanti, pronta a colpire e schiacciandosi tra lo scaffale e il muro tentò di avvicinarsi all'apertura, tenendo ben salda la presa della sua daga, pronta a difendersi qualora qualcosa di poco carino fosse sbucato all'improvviso. Il vetro era rotto, e questo permetteva a una leggera brezza di entrare...ma non solo la brezza esterna avrebbe potuto varcare quella soglia. Ocean doveva stare attenta, lo sapeva.
<< Non ci arrivo!! >> disse trovandosi troppo schiacciata e incapace di proseguire ancora oltre << Devi spostarla ancora! >> sapevano entrambi che la cosa sarebbe potuta essere molto rischiosa, così come ci passava Ocean avrebbero potuto passarci gli zombie, e nel caso Daryl non avrebbe neanche potuto rispingere lo scaffale per tempo: avrebbe dovuto aspettare che Ocean uscisse. Ma che scelta avevano?
<< Quest'affare fa troppo rumore quando lo sposto! Così rischiamo solo di trovarci ancora più nei casini! >> aggiunse Daryl, sperando di convincere Ocean a trovare un'altra soluzione che fosse meno rumorosa e pericolosa.
<< Devi spostarla di più! Non ci passo, non vedo! >> insistette Ocean. Daryl fece un sospiro prima di sussurrare tra sè e sè << E va bene >> e tirò ancora, lasciando liberi altri 2 cm, pregando fossero sufficienti. Ocean si spinse ancora più avanti, sentendosi lo sterno schiacciare sempre più e un forte senso di claustrofobia le chiuse la gola, ma non le impedì di andare oltre.
<< Merda!! >> Daryl la sentì quasi urlare prima di sentire altri versi che sicuramente non appartenevano alla ragazza. Zombie!! Afferrò la sua balestra e corse vicino al muro, schiacciandosi contro esso e puntando la balestra davanti a sè, pronto a sparare per aiutarla. Ma non ce ne fu bisogno: Ocean aveva già fatto da sè conficcandogli più volte la daga in fronte. Ora lo zombie giaceva appeso alla finestra, con testa e un braccio all'interno e il resto fuori. Per ora era l'unico, ma sapevano entrambi che se ce n'era uno probabilmente ce n'erano altri e non avevano troppo tempo.
<< Prendilo!! Portalo dentro, ho un'idea! >> disse Daryl facendo un gesto con la mano per invogliarla a sbrigarsi.
<< Oh, certo e che ci vuole!! >> bofonchiò sarcastica Ocean. Era così schiacciata che le era impossibile girarsi, e con una mano sola non sarebbe stato facile afferrare il cadavere e trascinarselo dietro. Provò a prenderlo per il colletto, sperando fosse abbastanza morto e che non avesse tentato di rialzarsi, e lo tirò, ma come poteva immaginare non riuscì. Troppo stretto, lo zombie non passava ed era pure incastrato, avendo l'altro braccio penzoloni fuori. Senza considerare la sua pesantezza.
<< Ok, senti, sposto ancora di più lo scaffale ma farò un bel po' di rumore, dovrai essere velocissima. >> disse Daryl riportandosi la balestra alla spalla e si riposizionò di fianco allo scaffale, afferrandolo con entrambe le mani e puntando bene i piedi a terra, pronto a tirare.
<< Sei pronta? >> le chiese.
<< Quante scelte ho? >> chiese retoricamente Ocean prima di lanciare la daga dietro sè, oltre lo scaffale: era solo d'impiccio e non poteva rimetterla via nella posizione scomoda in cui era.
<< Vado!! >> annunciò Daryl prima di tirare più forte che poteva, spostando lo scaffale di un bel po'. Ocean potè così girarsi e usare entrambe le mani. Afferrò lo zombie sotto le ascelle e lo tirò dentro, piantando un piede contro il muro per aiutarsi. D'istinto guardò fuori dalla finestra e vide il sollecito di cui aveva bisogno per fare più in fretta: una decina di zombie, che fino a quel momento avevano passeggiato tranquilli nel giardino, li avevano sentiti e si stavano dirigendo verso loro a gran velocità.
<< Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!!! >> ripetè più volte mentre metteva fretta al suo corpo. Riuscì a tirare lo zombie dentro, e arretrò velocemente cercando di uscire da lì dietro il prima possibile << Chiudi, chiudi, chiudi!!!! >> urlò al ragazzo mentre varcava gli ultimi centimetri prima dell'uscita. Aveva visto qualche braccio marcio protarsi all'interno, pronto ad entrare, ma non riuscì a vedere il resto della scena perchè la velocità con cui aveva arretrato e il peso che si trascinava dietro la fecero sbilanciare e cadere all'indietro. Sentì un tonfo: forse aveva fatto in tempo.
Un dolore acuto alla base della spina dorsale: il suo osso sacro non ringraziava per la caduta. Cominciò a rimettere ordine a quanto accaduto e percepì un peso sopra di sè che le impediva di muoversi. Aprì gli occhi cercando di capire cosa fosse successo in quei secondi in cui era caduta, abbassò gli occhi, guardandosi e vide lo zombie che aveva tirato steso sopra di lei con la testa poggiata sul suo seno. Trattenne un conato di vomito e lo spintonò via in malo modo << Oh, andiamo!!! Non mi hai neanche invitato a cena e già ci provi! >> disse scansandosi da quell'ammasso di carne puzzolente. Alzò gli occhi e vide Daryl con le spalle poggiate allo scaffale (il quale era riuscito a rimetterlo al suo posto), che prendeva fiato e la guardava. Che aveva da guardare?
<< Stai bene? >> le chiese dopo qualche secondo.
<< Spero sia una grande idea la tua, o avrò rischiato di essere stuprata da un cadavere inutilmente. >> disse Ocean alzandosi e dandosi colpi al vestito per togliersi lo sporco di dosso.
<< Non penso ne sarebbe stato in grado. >> disse Daryl accennando un sorriso divertito, sforzandosi di tenerlo nascosto, forse per orgoglio, ma senza riuscirci molto. Non voleva ammettere che la scena e la battuta di Ocean erano stati esilaranti. Ocean notò il suo sorriso e per un attimo si bloccò. Non aveva mai messo in conto che forse anche lui era in grado di sorridere, l'aveva sempre visto burbero e corrucciato, e chissà cosa le aveva suggerito che lui non era in grado di divertirsi.
La cosa le piacque.
Di solito le sue battute erano fini a se stesse, servivano solo a sciogliere la tensione, a calmarla mettendo tutto sul piano dello scherzo e a non prendere sul serio le situazioni che aveva di fronte, facendo sembrare tutto più semplice. La vita era più facile da affrontare se si rideva invece di piangere. Invece quella volta la sua battuta non era stata solo per se stessa, anche lui l'aveva colta e aveva sorriso divertito.
Non se l'aspettava.
Fu colta da un piacere così improvviso da farla arrossire e sorridere imbarazzata.
<< Bene >> disse voltandosi verso l'altro zombie, gesto che in realtà era solo una scusa per non far vedere il suo volto << Quale sarebbe la tua idea? >>
Daryl si spostò da dov'era e si affiancò alla ragazza, guardando i due cadaveri che aveva di fronte, lasciandosi alle spalle l'argomento "battuta". Aveva colto il rossore in volto e il sorriso imbarazzato di Ocean, anche se aveva cercato di nasconderlo, e l'aveva addirittura trovato carino. Quindi, sì, era meglio lasciar perdere per non cadere in situazioni imbarazzanti.
<< Useremo lo stesso metodo che hanno usato Glenn e Rick ad Atlanta. >> comunicò Daryl prima di avvicinarsi a uno dei due corpi. Ocean per un attimo sussultò << Siete stati ad Atlanta? >> ma la sua domanda cadde nel vuoto << Indosseremo i loro abiti, e ci sporcheremo con le loro interiora, così puzzeremo come loro e gli altri ci scambieranno per due di loro. Non ci dovrebbero attaccare in questo modo. >> continuò Daryl cominciando a spogliare il corpo steso a terra.
<< Com'era? >> chiese Ocean inginocchiandosi vicino al ragazzo << Altanta. Com'era? >> chiese lei ancora, cercando di mascherare la domanda a semplice curiosità, senza troppo successo. Il cuore aveva preso a martellarle il petto.
Daryl la guardò sottecchi, non chiedendosi come mai ci tenesse tanto a saperlo, intuiva che probabilmente lì c'era o c'era stato qualcuno che conosceva.
<< Vuoi proprio che te lo racconti? >> disse acidamente, ma la sua era una domanda retorica. Ocean capì cosa stava cercando di dirle e abbassò lo sguardo, perdendosi per qualche istante nei suoi pensieri, e cercando poco dopo di trascinarsi con forza di nuovo in sè.
<< Cosa dicevi, allora? Vestirci come loro... >> disse lei cercando di riprendere il discorso di Daryl e lasciarsi alle spalle l'argomento Atlanta. Daryl la osservò ancora qualche istante: lo sguardo si era posato sui suoi occhi, e si era reso conto che c'era qualcosa al loro interno, qualcosa che per un attimo era riemerso e che Ocean stava cercando di rimandare indietro con forza. Guardava il cadavere davanti a sè, ma non lo vedeva veramente.
<< Sì. Ci scambieranno per due dei loro. >> disse poi, deciso anche lui a lasciarsi alle spalle quella parantesi, senza però negare a se stesso che la cosa l'aveva incuriosito.
<< E Max? >> chiese Ocean assumendo un'espressione un po' offesa: non l'aveva considerato?
<< Il cane....corre veloce, no? >>
<< Scordatelo! Non lo mando allo sbaraglio, troppo pericoloso. >> disse Ocean avvicinandosi al secondo corpo e, sguendo l'esempio di Daryl, cominciò a togliergli i vestiti di dosso.
<< Ok, ho trovato! >> disse poi Daryl alzandosi e dirigendosi verso un angolo buio della stanza. Uscì dall'oscurità con un grosso scatolone vuoto e un piccolo carrello, ma non diede spiegazioni e tornò all'opera sul cadavere. Tolti i vestiti se li mise addosso, sopra i suoi, e Ocean fece altrettanto. Poi prese uno dei suoi coltelli e lo usò per aprire la pancia al suo cadavere: sangue nero, ormai putrido, schizzò da tutte le parti.
<< Che schifo. >> si lasciò sfuggire Ocean.
<< Prendi e spalmatelo bene addosso. >> disse Daryl porgendogli un pezzo di intestino, molliccio, grondante e puzzolente.
<< Sai, forse non è poi così grande questa tua idea. >> disse lei un po' restia, disgustata, chiedendosi come facesse lui a sentirsi così tranquillo con delle budella tra le mani. Ma l'alzata di occhi scocciata di Daryl la convinse << E va bene! Stai calmo! >>. Finirono di sporcarsi a dovere, cercando di evitare il più possibile il contatto diretto con la pelle, e passarono alla fase successiva. Fecero salire Max sul carrello e lo coprirono con lo scatolone ribaltato. Max inizialmente si agitò non capendo, ma Ocean lo tranquillizzò e gli fece capire di stare fermo e zitto. Fermo e zitto erano due comandi che ormai aveva capito bene. Daryl sistemò vicino allo scatolone i due corpi, uno a sinistra e uno a destra, anche questi utili a coprire l'odore del cane e diede le ultime istruzioni << Il carrello non ci passa dalla finestra, dobbiamo per forza passare dalla porta. Aspettiamo che entrino gli zombi, così magari il corridoio si svuota un po' e riusciamo a farci strada. Non dobbiamo correre e dobbiamo cercare di essere il più silenziosi possibile. Chiaro? >> disse posizionandosi vicino alla porta, pronto ad aprirla. Sapeva sarebbe bastato poco per farli entrare, gli zombie fuori erano irrequieti per i troppi rumori all'interno della stanza. Ocean fece un gran respiro per raccogliere il coraggio, poi con una mano strinse la sua daga e con l'altra il carrello, pronta a trascinarselo dietro.
Fece cenno con la testa per comunicare al ragazzo che era pronta e lui aprì la porta.
Le scene successive furono per Ocean confuse e veloci, la paura l'aveva assalita nell'istante in cui aveva visto gli zombie entrare nella stanza. Restare immobile, aspettare che le passassero accanto e che l'annusassero, era una delle esperienze peggiori che avesse mai provato. Il cuore aveva preso a fracassarle il petto, il fiato le mancava e l'istinto di scappare era forte. Cominciò a tremare come mai aveva fatto prima, si sentiva così vulnerabile, accerchiata, con l'ordine di non reagire e non muoversi. Chiuse gli occhi e deglutì, ripetendosi mentalmente di stare calma o la paura l'avrebbe tradita e uccisa. Sentiva le loro bocche putride così vicine e i loro fiati sul collo. Nessuno aveva tentato di morderla, e questo doveva essere per lei un rincuoro, ma non riusciva neanche a pensarci. Sentiva che da un momento all'altro avrebbe provato un dolore lancinante, sentiva che da un momento all'altro uno di loro l'avrebbe morsa, ne era certa, sarebbe morta! "Non posso restare qua!!" pensò colta dal panico e cercò di far trovare alle gambe la forza sufficiente a muoversi, ma sentiva che se avesse mosso solo un muscolo sarebbe stato inevitabile per lei cominciare a correre terrorizzata. Sentiva gli aliti sul suo collo. Sentiva di averli addosso. Sentiva i denti conficcarsi nella sua pelle, anche se non era così. Qualcosa la colpì brutalmente alla spalla e seguì subito il verso di uno zombie: l'aveva colpita!! Spalancò gli occhi e si morse il labbro, impedendosi di urlare, ma un verso leggero uscì ugualmente dalle sue labbra. Stava per scoppiare a piangere. Intorno a lei era tutto così confuso. Ovunque si voltava vedeva occhi marci che la guardavano, la fissavano: loro sapevano! Bocche squarciate, grondanti di sangue erano aperte, tutte intorno a lei, pronte per morderla. L'odore di morte annunciava già la sua fine. Versi gutturali di fame e disumanità. Non sentiva altro. Non vedeva altro. Si lasciò scappare un altro lamento e non riuscì a restare ancora ferma. Arretrò di un passo, quasi inciampando sul carrello dietro di lei. Max dentro la scatola scattò spaventandosi, facendo muovere di poco la scatola, ma per fortuna era stato tutto così debole che gli zombie non se ne accorsero e lui non cadde dal carrello. Ocean voltò nuovamente la testa, cercando una via di fuga, respirando a fatica, ma non vedeva altro che bocche aperte e occhi che la fissavano, la scrutavano e aspettavano solo un suo movimento falso per scattare e acchiapparla.
La mano tremante quasi lasciò cadere la daga e gli occhi, già colmi di terrore, le si stavano inumidendo di lacrime. Era la fine. Non avrebbe funzionato. Era la fine.
Poi qualcosa le afferrò il braccio. Si voltò di scatto, guardandosi, lasciandosi sfuggire un altro lamento terrorizzato. Una mano ferrea le stringeva il bicipite, tanto forte da farle male. Trasalì e cercò con uno scatto del braccio di liberarsi dalla presa, senza riuscirci. Alzò gli occhi davanti a sè per guardare il suo assalitore e improvvisamente la confusione svanì. Intorno a lei tutto era mare, tutto ondeggiava, si avvicinava e si allontanava, occhi iniettati di sangue e bocche spalancate, ma davanti a sè trovò il suo punto fermo. Occhi azzurri la fissavano. Erano come una finestra che davano all'esterno . La sua via d'uscita. E non li perse di vista.
Il cuore lentamente si calmò, il respiro si fece più lento e tranquillo, e pian piano le bocche spalancate intorno a sè diventarono ombra. Tutto si oscurò tranne quegli spalancati occhi azzurri che restavano ancora la sua ancora, il suo attracco che le evitava di andare alla deriva. La presa al braccio smise di fare male, anche se non si era allentata, e riuscì a ritrovare le facoltà per tornare a gestire lei il suo corpo.
Prese a camminare lentamente, trascinandosi dietro il carrello, seguendo il viso di Daryl che avanzava di fianco a lei, un paio di passi più avanti, tenendole il braccio e tirandosela dietro. Era serio e concentrato. I suoi occhi non trapelavano paura, anche se Ocean faceva fatica a credere che non ne provasse. Era così sicuro di sè lui, così composto e forte. Non tentennava neanche un istante. Se non fosse stato per lui, Ocean sarebbe morta. L'ammise...ma solo a se stessa. Troppo orgogliosa.
Non sapeva dov'erano, non sapevano se avessero fatto molta strada o fossero ancora sulla porta, evitava di guardare davanti a sè per evitare di cadere di nuovo nel panico. Seguiva Daryl e basta, tenendo gli occhi puntati su di lui, e lasciando fosse lui a decidere la strada. Era l'unico modo per mantenere la calma.
Poi, dopo qualche interminabile minuto, si fermarono. Daryl si guardò attorno: c'era attenzione nei suoi occhi, stava studiando l'ambiente intorno a sè.
<< Ocean. >> sussurrò e il suono della sua voce fu come una sveglia per la ragazza, che sbattè più volte le palpebre e cercò di combattere contro la confusione che stava tornando a fare capolino. Doveva tornare alla realtà, con i piedi ben saldi a terra.
<< Riprenditi. >> disse ancora Daryl prima di voltarsi e guardarla << Dobbiamo correre adesso. >>
Ocean tenne ancora per qualche secondo gli occhi fissi nei suoi, perdendocisi e sentendo l'irrefrenabile desiderio di non staccarsene, come quando non ci si vuole svegliare da un bel sogno. Le trasmettevano la sicurezza e la tranquillità di cui aveva bisogno, sapeva che se fosse tornata a guardare intorno a lei allora avrebbe dovuto rinunciare al suo attracco e tornare a remare con le sue forze. Non era sicura di essere pronta. Daryl la scosse per il braccio che ancora non lasciava << Forza! Devi essere veloce adesso! >> non c'era cattiveria nel suo tono, impazienza sì, voleva andarsene da lì, ma era possibile cogliere anche una leggera nota di compassione.
Ocean si sforzò di separarsi dai suoi occhi azzurri e si costrinse ad abbassare lo sguardo al suolo. Fece qualche sospiro, cercando nella sua mente i pensieri adeguati a risvegliare la vera Ocean che c'era in lei, quella forte, coraggiosa ma soprattutto incazzata.
Scosse violentemente la testa e deglutì << Ci sono. >> comunicò prima di riaprire gli occhi e guardarsi attorno. Erano fuori dalla chiesa, sul pianerottolo in legno. Di fronte a loro il campo era pieno di zombie che vagavano senza una direzione precisa, seguendo chissà quale istinto primordiale. Guardò gli scalini che erano costretti a scendere per poter mettere piede sull'erba e capì perchè la necessità di correre: il carrello si sarebbe ribaltato se avessero provato a trascinarcelo sopra. Dovevano far uscire Max e correre lontano.
Il cuore si placò, ora che erano fuori da quell'incubo e che davanti a sè aveva una vera via d'uscita stava cominciando a tornare la stessa Ocean di prima. "Che stupida!" pensò mettendo ordine ai pensieri e rendendosi conto di quello che era successo poco prima: aveva avuto un vero e proprio attacco di panico. La stanza angusta riempita di quei cosi le aveva fatto perdere la testa. Che stupida era stata. E che figuraccia! Daryl le avrebbe dato dell'imbranata ancora per tanto tempo. Non lo sopportava. Lei non era imbaranata! Solo che ogni tanto...cadeva.
Era la Ocean incazzata di cui aveva bisogno quella che strinse la daga tra le dita e sfoderò anche la seconda. I suoi occhi si fecero piccoli mentre osservava con attenzione il campo davanti a sè. La mascella serrata e il desiderio di dare sfogo a tutto quello che aveva dentro. Quei mostri...era tutta colpa loro. Era sempre stata colpa loro.
Sferrò un violento calcio alla scatola, lanciandola lontana e permettendo a Max di uscire e scavalcò con un salto la staccionata, senza dare nessun altro preavviso a Daryl che si trovò indietro. Aveva creduto la ragazza dovesse aver bisogno di più tempo, invece si era ripresa più velocemente di quanto avesse immaginato.
<< Max, andiamo!! >> urlò. Uno zombie le si piantò davanti, ma non la rallentò. Gli diede uno spintone con la spalla e lo scaraventò a terrra, Daryl alzò la balestra e gli piantò una freccia nel cranio. Poi cominciò a correre anche lui con la balestra alzata, pronto a sparare a chi gli si piantasse davanti. Lanciò un'occhiata a Ocean per assicurarsi fosse ancora in piedi e la vide andare incontro a uno degli zombie, con la daga ben alzata, e conficcargliela poi in testa sicura e arrabbiata. Il fuoco bruciava nei suoi occhi. Con uno scatto della mano la sfilò e lasciò cadere lo zombie a terra. Deviò leggermente, correndo incontro a un altro di quei mostri, saltò su una roccia dandosi lo slancio e atterrò sopra quello, buttandolo a terra, e usando tutta la rabbia che aveva fece cadere le daghe dall'alto e lo uccise. Si rialzò con una capriola e con un altro rapido movimento della daga a mezz'ora aprì la faccia in due a un altro zombie che aveva davanti. I suoi movimenti erano fluidi e decisi, come se li avesse pianificati poco prima, non sembravano proprio frutto del solo istinto. Aveva uno schema in testa, o almeno questo era quello che sembrava a occhio esterno. Ma non era così. Ocean colpiva e basta, senza pensare a come o quando. Si voltava, vedeva il nemico e lo atterrava. Punto. Era la rabbia a guidarla, era la sua vera sè tornata a galla, quella che per mesi l'aveva guidata a tenuta in vita. L'ocean che era arrivata al campo e che senza troppi problemi aveva puntato la spada alla gola di Shane. A vederla in quel momento sembrava di aver di fronte un'eroina di qualche vecchia leggenda, quelle sicure che arriveranno alla fine e sconfiggeranno il male, difficilmente si poteva credere che fosse una ragazza che come altre aveva affrontato la paura di morire e che tuttora tentava solo di sopravvivere. Era la sicurezza nelle sue mosse a suggerire tutto quello e il suo correre incontro al nemico, quasi fosse lei stessa a cercarlo. Era una battaglia la sua, non una fuga. Una guerriera in cerca di vendetta che guardava alla morte come a un'altra sfida da affrontare, non a una condanna da fuggire. Una dannata che ormai non aveva altro da perdere.

Max era il più veloce dei tre e su quello puntava per salvarsi: schivava mani facendo slalom tra le gambe e in pochi minuti arrivò tra gli alberi. Si voltò a cercare i due suoi compagni e abbaiò per richiamarli, forse per mettergli fretta, un modo per incitarli a sbrigarsi.
Ocean fu la prima a raggiungere il suo animale: era veloce! Più di quanto Daryl potesse immaginare, soprattutto vista la quantità di roba che si trascinava dietro. Gli fece una veloce carezza prima di riprendere a correre << Veloce Max! Dobbiamo seminarli! >> disse senza guardarsi indietro, trovando lo sfogo di cui aveva bisogno nella forza che imprimeva alle gambe, sempre più veloci. Avrebbe voluto volare. Avrebbe voluto urlare e volare via da tutto quello. Avrebbe voluto mollare tutto e tornare a correre sulla sua bicicletta dai freni un po' difettosi per le strade del suo paesino di periferia. Il vento tra i capelli. I saluti delle persone che incrociava. Un sorriso dedicato a un piccolo randagio intento a cercare il pranzo nella pattumiera di un ristorante. Le macchine che suonavano contrariate per il suo essere spericolata su due ruote. Il vestito che svolazzava lasciando intravedere le gambe. Il suo campanello che annunciava il suo arrivo e la sua voce acuta che urlava
<< Manu!! Sono qui, scendi! >>.

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Capitolo 12
*** Rendez vous. ***


Rendez vous

Rallentò la sua corsa frenetica solo quando sentì di non farcela proprio più. I polmoni le bruciavano avidi di aria e il cuore sembrava stesse per esplodere. Si fermò lentamente, col fiatone, e si poggiò con una mano a un albero in cerca di riposo. Max le si avvicinò scodinzolante e con la lingua penzoloni fuori, lui si era divertito un sacco, quell'infinita corsa era stato per lui più un gioco che una fuga. Era da un po' che non si divertiva così e di solito mai con Ocean, solo con Carl aveva avuto modo di giocare un po' alla corsa. Si abbassò sulle zampe anteriori, lasciando ben dritte quelle posteriori e assumendo la classica posa del "dai giochiamo ancora!!", ma Ocean era troppo stanca per continuare. Max provò a insistere ancora, provocandola con un salto e un giro su se stesso, provando a correre poco lontano per poi tornare e leccandole la faccia, ma la reazione ottenuta nella ragazza fu solo una sonora risata.
<< No, Max. Non ce la faccio più. Più tardi te la ridò la rivincita. >>
Daryl li raggiunse con calma, rallentando poco prima, per niente affaticato come magari lo era Ocean e le passò accanto, superandola con una certa fretta << Forza, si sta facendo buio! Dobbiamo ritornare alla fattoria. >>
Ocean si raddrizzò, cercando ancora di catturare quanta più aria possibile con i suoi grossi respiri.
<< Buon rientro. Io vado a cercare Peggy. >> disse semplicemente. Non era assolutamente intenzionata a seguirlo, anche se Peggy fosse stata lì con loro. Aveva deciso di andarsene e così sarebbe stato.
<< Col buio non la troverai mai! >> disse Daryl fermandosi e voltandosi a guardarla, ferma nella sua posizione, i piedi ben piantati a terra e lo sguardo severo. Si era improvvisamente raffreddata tanto, i suoi occhi si erano fatti più piccoli, lo sguardo affilato e distante.
<< Allora aspetterò domani mattina. >> disse Ocean.
<< Forse è già tornata alla fattoria! Sa che lì è sicuro! Non possiamo passare la notte fuori, è pericoloso! >> tentò ancora di convincera Daryl.
<< Non voglio rischiare. La fattoria dista qualche ora da qui, comunque passeremo parte della notte fuori, il sole è già praticamente calato! E se non fosse tornata lì avrei solo perso tempo prezioso. Potrebbe essere in pericolo! >> disse risoluta Ocean, già ferma nella sua decisione. << Torna a casa tua, Daryl. >> concluse guardandolo negli occhi prima di voltarsi e allontanarsi, facendo trapelare da quello sguardo tutta la sua fermezza. Doveva trovare un posto sicuro dove passare la notte per poi riprendere le ricerche l'indomani. Pregò che quella notte non sarebbe stata troppo fredda, il mantello era rimasto appeso alla sella insieme a molte altre cose, per quella notte avrebbe dovuto arrangiarsi. Daryl la guardò, riprendendo a provare fastidio e intolleranza nei suoi confronti: avrebbe voluto lasciarla lì, lasciarla in pasto agli zombie, perchè era quello che meritava! Ma ancora una volta il suo senso della giustizia non lo lasciava in pace. Che Ocean avesse ragione? Che avesse la sindrome dell'eroe? Perchè era quello che sembrava. La ragazza non era responsabilità sua, nessuno gli aveva detto di badare a lei, eppure non riusciva a lasciarla andare, certo che non sarebbe andata troppo lontana, che sarebbe morta di lì a poco. Continuava a essere convinto che solo la fortuna l'avesse portata alla fattoria sana e salva, e forse era proprio quello che il destino voleva per lei: un posto sicuro. L'aveva vista combattere, l'aveva vista difendersi e lottare per la sua vita, non era stata male, aveva tutte le capacità, ma a volte sembrava si tappasse gli occhi, pronta a buttarsi tra le braccia della morte. Era come se stesse cercando un pretesto per morire.
Ocean si fermò qualche passo più avanti, comportandosi come se improvvisamente si fosse ricordata qualcosa. Si girò con occhi interrogativi e guardò il ragazzo che era rimasto immobile nella sua posizione, indeciso se seguirla o meno, o forse semplicemente sperando fosse lei a cambiare idea sentendo il bisogno di avere le spalle coperte.
<< Anche tu non hai risposto alla mia domanda. >> disse lei.
Daryl aggrottò la fronte: di quale domanda parlava? Ocean intuì l'interrogativo che si era posto e portò subito una spiegazione alla sua affermazione << Non mi conosci nemmeno. Perchè ti preoccupi per la mia vita? Perchè hai rischiato la tua per Sophia? >>
Daryl distolse lo sguardo, ma non con imbarazzo, con arroganza. Era come se si fosse offeso, come se avesse trovato la domanda impertinente, e forse era proprio così. Si sistemò meglio la balestra in spalla e prese a camminare verso di lei, senza guardarla << Sindrome dell'eroe. Era questa la risposta, no? >> si limitò a rispondere arrogante.
<< Questa è la risposta che mi sono data io, ma vorrei sentire la tua versione. Mi hai detto che mi sbagliavo, ma non mi hai dato una tua risposta. >> disse Ocean guardandolo, chiedendosi, tra le altre cose, dove cavolo si stesse dirigendo. Doveva tornare alla fattoria! Non seguirla! Non voleva più averlo tra i piedi. Era stato carino da parte sua aiutarla, ma ora era tempo di lasciarsi la cosa alle spalle. Lui aveva una casa in cui tornare, in cui DOVEVA tornare. Ocean no.
<< Ehi! Stai zitta, ok? La tua voce è fastidiosa. >> disse Dary voltandosi a guardarla freddamente una volta raggiunta << Cerchiamo un posto dove accamparci. >> comunicò subito, tagliando corto.
<< Vai alla fattoria! >> quasi ordinò Ocean seguendolo nell'istante in cui aveva ripreso a camminare. Qual era la direzione poco importava a questo punto, bastava trovare un punto dove fermarsi che non fosse troppo distante. Doveva trovare Peggy quanto prima.
<< Non è prudente viaggiare col buio. >> spiegò ancora lui, guardando fisso davanti a sè, evitando lo sguardo interrogativo della ragazza come si evita la peste. Non che avesse qualcosa da nascondere, ma lo infastidiva. Quelle domande, quel voler sapere di lui, lo infastidivano terribilmente. Non era certo tipo da confidenze adolescenziali sul proprio stato d'animo e sui propri sentimenti, e se mai avesse cominciato a esserlo certamente non sarebbe stato con un'odiosa ragazza trovata per strada. Il perchè era irrilevante, sentiva che certe cose andavano fatte e basta.
Ocean lo seguì restando zitta i primi momenti, persa nei suoi interrogativi, ma lo stare zitta non era contemplato, soprattutto quando era qualcun altro a ordinarglielo!
<< Non puoi riportarmi indietro, lo sai? >> disse, ma Daryl non rispose.
<< Insisti nel volermi stare accanto perchè speri che superati certi "capricci" io mi convinca a seguirti alla fattoria, ma ti sbagli, lo sai vero? >> continuò a dire Ocean, ma continuò a non avere risposte. << Cazzo, odio essere ignorata! >> sbraitò lei a un certo punto e accellerò il passo, piantandosi davanti al ragazzo e spintonandolo per una spalla.
<< Non toccarmi! Te lo avevo già detto! >> rispose altrettanto incazzato lui alzandole un dito contro.
<< E tu non ignorarmi! >> lo fulminò Ocean portandosi le mani ai fianchi e cercando di assumere una posizione altrettanto minacciosa. Rimasero in silenzio qualche secondo, fissandosi negli occhi intenti in una lotta di sguardi, una lotta a chi era più autoritario e forte. Poi, dopo un paio di minuti, entrambi capirono che non sarebbero arrivati mai dove volevano e che era meglio lasciar cadere lì il discorso, se non volevano passare la notte a fissarsi. Daryl riprese a camminare per primo, superandola nuovamente, e Ocean, dopo un'ultima fulminata, riprese a seguirlo in silenzio.

Trovarono un piccolo spiazzo vuoto, leggermente sopraelevato così da tenere sotto controllo la zona intorno a loro, circondato da alberi, dove potersi fermare e magari accendere un fuoco per scaldarsi. Non era il massimo della sicurezza, ma al momento niente era il massimo della sicurezza.
<< Faremo dei turni. >> disse Daryl mentre sistemava una piccola catasta di legno, circondata da sassi, così da evitare di dar fuoco al bosco e con l'aiuto del suo accendino accese la loro fonte di luce e calore.
<< Max è in grado di sentire se arriva qualcuno, anche se dorme, non c'è bisogno di stare svegli. E' vigile e attento. >> spiegò con disinteresse Ocean guardandosi attorno, sorvegliando la zona. Tutto sembrava tranquillo al momento. Alzò gli occhi all'albero che aveva di fronte, accarezzò la corteccia, studiandola e tirò fuori la daga. Con due rapide mosse riuscì a tirarsi su e arrampicarsi fino al primo ramo in basso, da cui proseguì a mani nude, di ramo in ramo, senza aiutarsi con l'arma. Daryl la guardò chiedendosi cosa avesse per la testa, ma la cosa non gli interessava davvero. Finì di accendere il fuoco e Ocean raggiunse la cima dell'albero. Si sporse, cercando di vedere oltre le foglie e reggendosi ai rami attorno. Quando era ragazzina si arrampicava spesso sugli alberi della sua campagna, le piaceva andare a raccogliere i frutti a mani nude, con una busta di plastica, era sempre stata brava ed era stato per lei fonte di divertimento. Ora la necessità di trovare luoghi sicuri l'avevano portata a rispolverare le basi dell'arrampicata, ed era rimerso anche il piacere di vedere il mondo dall'alto. L'albero su cui era salita non era dei più alti, ma era sufficiente per permetterle di guardare qualche metro intorno a loro. Solo alberi e alberi. In lontananza vedeva la chiesa che si erano lasciati alle spalle e si chiese se non fossero ancora troppo vicini, non voleva rischiare di beccarsi un assalto nella notte. Ma si rese conto che alla fine erano più distanti di quanto credevano, e se mai l'orda si fosse spostata nella loro direzione comunque sia Max li avrebbe sentiti arrivare dall'odore, avrebbero avuto tempo di scappare o quanto meno mettersi in salvo sugli alberi. Riucì a scorgere, anche se con un po' di difficoltà, un interruzione degli alberi: probabilmente lì c'era una strada. Poi qualsiasi altra cosa ci fosse intorno a loro era nascosta dal bosco, e non era possibile per lei studiare oltre la zona. Ma non scese subito, le piaceva stare lì, sollevata dal suolo, a farsi scuotere dal vento, sentendosi per un attimo padrona del mondo. Sorrise, provando piacere. Chiuse gli occhi per un attimo e si lasciò cullare dal rumore delle foglie e dal venticello tiepido che le scompigliava i capelli.
Era come volare.
Passò un po' di tempo prima che decidesse di scendere, stava troppo bene lì, ma aveva un po' fame e aveva lasciato giù la sacca con quelle due scatolette contate che era riuscita a portar via. Con facilità e un paio di salti riuscì a scendere con la stessa agilità con cui era salita e si avvicinò al fuoco acceso, lasciandosi cadere per terra e mettendosi a sedere a gambe incrociate. Afferrò la sacca, tirò fuori una scatola e la lanciò a Daryl mentre l'altra la tenne per sè. Non aggiunse altro, non voleva sembrare un gesto socievole o peggio caritatevole, e sapeva che non aggiungere altro, lasciando che la cosa risultasse normale, era il modo migliore. Daryl la prese e non fece complimenti, l'aprì e si servì dei fagioli all'interno. Ocean fece altrettanto, usando le mani per mangiare, non avendo posate dietro (non aveva più questa abitudine) e facendone cadere un po' a terra vicino a sè per permettere anche a Max di cenare.
<< Quando ero ragazzina giocavo a fare il capitano di una nave pirata. >> disse lei che zitta proprio non riusciva a starci. Le piaceva parlare, le piaceva raccontare, e questo era una caratteristica che mai si era riuscita a togliere di dosso. Quando era sola parlava con Max, e la cosa era divertente perchè ascoltava e sembrava capire a volte, ma ora che era in compagnia di un essere umano con cui poter interagire la cosa la stuzzicava e la invogliava ancora di più, anche se la persona in questione non era proprio la miglior compagnia da salotto che si potesse avere.
<< Salivo fino all'ultimo ramo disponibile, in alto, quello più precario, in modo che il vento anche se leggero riusciva a farmi ciondolare abbastanza da darmi la sensazione della barca che ciondola sulle onde del mare. Mia madre mi odiava per questo, anche perchè l'albero che più mi piaceva aveva sotto di sè un paio di fichi d'india. >> alzò gli occhi verso Daryl, chiedendosi se la stesse ascoltando, e lo vide con gli occhi bassi sul suo barattolo intento a mangiare << Quello con le spine! >> specificò lei un po' acida, palesemente provocatoria.
<< So cos'è un fico d'india! >> disse lui scocciato non deludendo le aspettative della ragazza. Voleva in qualche modo interagire con lui, si annoiava, e almeno così aveva potuto sentire la sua voce e avere il riscontro che voleva. Sorrise soddisfatta e tornò a mangiare.
<< Ma probabilmente era proprio per quel motivo che era il mio albero preferito. Mi piaceva il senso del pericolo che dava, mi faceva sembrare il gioco più divertente. >>
<< Hai sempre provato ad ammazzarti fin da bambina. >> disse Daryl parlando finalmente, e Ocean scoppiò a ridere << Ehi, non sono matta! Mi piace l'adrenalina. >>
<< Penso ti piacerebbe meno se tu ti facessi male realmente. >> disse Daryl riferendosi anche alla situazione attuale. Che fosse quel suo "amare il pericolo" che la portava a far cose tanto sconsiderate?
<< Sono caduta un sacco di volte! Avevo sempre il ginocchio sbucciato per un motivo o un altro e, dolore a parte, che ammetto non era piacevole, mi divertivo lo stesso e appena pronta tornavo a correre o arrampicarmi. Soprattutto arrampicarmi, mi è sempre piaciuto vedere il mondo dall'alto e avere la sensazione del vuoto sotto i piedi. >>
<< Fammi indovinare, eri una di quelle che sognava di poter volare. >> disse ancora Daryl col tono di chi in realtà non desidera una risposta perchè non gliene importa niente.
Ocean rise ancora << Poco originale, vero? >>
Anche cavalcare era un'attività che le piaceva molto. Tutto ciò che le dava la sensazione di volare era qualcosa di fantastico per lei.
Ma l'argomento si chiuse lì, e Ocean non trovò più appigli per proseguire. Il silenzio cadde nuovamente tra i due e la cosa sinceramente innervosiva un po' Ocean. Il silenzio le permetteva di sentire meglio quello che aveva attorno, e questo le metteva ansia: ogni singolo rumore pareva amplificato e terrificante. E il silenzio faceva sembrare i suoi pensieri ancora più assordanti di com'erano già. Parlare l'aiutava a staccare la testa e calmarsi, non dare peso a ogni singola cosa. Ma di cosa avrebbe potuto parlare con uno antipatico come Daryl così poco incline alla conversazione?
Sospirò e si raccolse le ginocchia, abbracciandosi. Nonostante il fuoco acceso il freddo non le dava tregua, avrebbe avuto bisogno del suo mantello, anche perchè avvolgendosi in esso aveva più il senso di sicurezza. Così si sentiva scoperta e vulnerabile. Accarezzò Max accanto a sè, sforzandosi di trovare tranquillità in quel gesto di routine e sorrise nel vederlo scodinzolare nonostante gli occhi chiusi e l'apparente sonno in cui sembrava immerso.
Sentì la mancanza di Peggy. Era una gran compagnia anche lei, anche se all'apparenza non sembrava. Ascoltava più di chiunque altro, e le piaceva sentire Ocean cantare.
Era diventato ormai una loro abitudine la sera, prima di mettersi a dormire, aspettare e ascoltare Ocean intonare una canzone. La voce delicata della ragazza, quasi sussurrata per non destare i pericoli nei dintorni, era così dolce che quasi risultava una ninna nanna, riscaldava il cuore, anche della ragazza stessa, e permetteva loro di scacciare ogni tanto gli incubi.
Ocean tenne gli occhi su Max, intenerita e addolcita, e quasi dimenticandosi della compagnia eccezionale che aveva, come tutte le sere, si fece venire in mente una qualche melodia e la intonò dapprima a labbra serrate, poi delicatamente le discuse e parole quasi borbottate uscirono dalla sua bocca. Daryl le lanciò un'occhiata curioso,ma tornò subito a concentrarsi sulla sua cena, lasciandola fare, sentendosi anche lui ammorbidito nonostante le parole che Ocean pronunciava non le capisse. Era una lingua che non conosceva, probabilmente la stessa usata nei suoi sogni, e si chiese con curiosità che lingua fosse, da dove venisse quella ragazza che tanto desiderava fare l'eroina della storia ma che finiva solo col combinare pasticci. Ma furono domande che tenne per sè. E per il momento godette della melodia e basta.
<< C'era in un tempo candido, su qualche cielo magico, stanza di organza e nuvole e dentro una vita fragile. 
Tutto sembrava facile; crescere, che è un'incudine.
Dove li metto gli attimi? Come conservo i brividi?
Non ti dimentico, non mi dimentico.
Piega le lacrime, che bisogna andare via da quest'isola, via dalla scatola, scrivi una favola e vola via. Via!
E vola via.
Vola e rimani qua, lascia i ricordi o portali via. Via!
Siamo talenti o sagome, vite tutte da scrivere solo per chi sa leggere sogni fatti di nuvole.
Voglia di vivere, voglia di correre, liberi, liberi, che bisogna andare via da quest'isola, via dalla scatola
Scrivi una favola e vola via. Via!
E volo via!
Vola e rimani qua. Lascia i ricordi o portali via. Porta lontano la fantasia.
Via.
Via da quest'isola, via dalla scatola.
Scrisse una favola e volò via...
>> Max aveva alzato la testa a metà canzone e aveva proseguito ad ascoltarla, guardandola. Anche a lui piaceva sentirla cantare, la sua voce diventava così dolce e delicata. Era come se sussurrasse dei segreti. Era bello.
Ocean gli sorrise teneramente e gli fece un'altra carezza più vigorosa sotto l'orecchio, dove gli piaceva tanto. Max le leccò la mano, in segno d'affetto, poi si acciambellò vicino a lei e riprese a dormicchiare beato, sotto lo sguardo vigile e intenerito della padrona.
<< Capitano di una nave di pirati, eh? >> chiese divertito Daryl dopo qualche minuto di silenzio, sorprendendo Ocean, la quale alzò subito gli occhi verso di lui e lo trovò sorridente, un po' irriverente, ma non provocatorio o arrogante. Si era un po' ammorbidito, glielo si leggeva negli occhi. La canzone aveva colpito anche lui, non aveva capito le parole, ma il tono suggeriva tutta la sua malinconia. E non è facile restare indifferente di fronte al dolore delle persone. I tempi che correvano portavano a dimenticare che cosa fossero i sentimenti e che qualcuno ancora poteva provarne. Era sempre una bella sorpresa quando venivano smentite certe credenze.
<< Certo! Cos'hai contro i pirati? >> chiese Ocean lasciandosi sfuggire anche lei un sorriso divertito. Daryl alzò lo braccia in segno di resa e si fece scappare una risatina << Niente, assolutamente. >> la conversazione non era proseguita oltre, ma non era stata fine a se stessa. Qualcosa era di nuovo scattato, lasciando da parte intolleranze ed astii, facendo vivere la compagnia dell'altro con piacevolezza e sicurezza. Alla fine non c'era un vero e proprio motivo per cui odiarsi a vicenda, non andavano d'accordo molte volte e sicuramente avevano due caratteri contrastanti, ma nessuno dei due aveva fatto un vero e proprio torto all'altro, quindi perchè farsi la guerra?
Ocean si stese, prendendo posizione e cercando di mettersi il più comoda possibile, per quanto una possa star comoda stesa a terra in mezzo all'erba, e cercò di trovare la pace ideale per permettersi un po' di sonno. Non era così ambiziosa da pretendere un'intera notte di riposo, sapeva era impossibile, ma chiudere gli occhi un pochino le avrebbe fatto bene e magari l'avrebbe resa meno nervosa.
Passò la prima ora a fissare il vuoto, un vuoto buio davanti a sè con ombre che si allungavano e distendeva e che la terrorizzavano con le loro forme spaventose, così simili ai suoi incubi peggiori, ma poi la stanchezza ebbe la meglio e riuscì finalmente ad abbandonarsi al tepore del sonno.

Un fruscio e dei rumori la fecero svegliare di soprassalto, e per un attimo temette che le fosse esploso il cuore il petto. Bastava così poco per ucciderla di paura. Spalancò gli occhi e sussultando si alzò a sedere e a guardarsi attorno. Le ci volle qualche secondo per mettere bene a fuoco cosa avesse attorno, e molto di più per riuscire a tranquillizzarsi. Max dormiva ancora accanto a lei, aveva rizzato un po' le orecchie, ma non sembrava agitato. Il fuoco era ancora vivo e scoppiettava sui suoi legnetti, forse gli ultimi a disposizione. Il cielo era buio e pieno di stelle, anche se in lontananza cominciava a schiarirsi. Era presto ancora, ma non avrebbe avuto bisogno di aspettare molto per l'alba. Seduto a braccia conserte, poggiato con la schiena allo stesso tronco a cui l'aveva lasciato prima di addormentarsi, c'era Daryl, gli occhi chiusi, la testa cadente in avanti, immerso in un apparente sonno, ma che subito smentì questa evidenza alzando la testa, guardando la ragazza con lo sguardo di chi non ha chiuso occhio tutta la notte e disse << Era solo un animale. Puoi tornare a dormire, c'è ancora tempo. >> il suo tono era serio, quasi discostante, ma Ocean riuscì a cogliere in quelle parole tanta dolcezza, una dolcezza che da tempo non provava. Probabilmente non era stata intenzione di Daryl, ma alla fine si era preoccupato di tranquillizzarla invitandola a riposare ancora, ignorando la sua stessa regola "faremo i turni". Era rimasto sveglio tutta la notte per permettere a Ocean di riposare.
Era da così tanto tempo che qualcuno non si preoccupava per lei. Anche quella era una dolce novità, considerata ormai così strana e inusuale da farla sentire per un attimo un pesce fuor d'acqua, imbarazzata, stranita, ma anche un po' intimorita: era ancora possibile una cosa simile? Che fosse solo un trucco? Era stato carino...ma ai tempi attuali nessuno era più carino. Che ci fosse l'inganno?
La ragazza sorrise appena e si levò a sedere, sistemandosi i capelli con un gesto automatico, cercando di sorvolare l'accaduto e si stirò la schiena << Non riuscirei a prendere sonno. Ormai sono sveglia e agitata. Perchè non dormi un pochino tu invece? Ne avrai bisogno. >>
<< Non mi fido di te. >> rispose semplicemente lui, facendosi sfuggire un sorriso impertinente. Ocean si fece passare tutti i pensieri dolci e tutte le carinerie che le stavano venendo alla mente, lasciando spazio a un'ira improvvisa e funesta. E quasi si sentì sollevata di questo: allora era tutto normale!
<< Cosa?! >> brontolò, tornando a fulminarlo con lo sguardo. Vide Daryl ridere sotto i baffi, prima di riabbassare la testa e richiudere gli occhi. Lo lasciò perdere, si divertiva a stuzzicarla, era questo il motivo e lei non doveva dargliela vinta.
Portò gli occhi al fuoco davanti a sè e sospirò cercando ancora la calma che non era riuscita a ritrovare dopo il risveglio. L'aria del mattino si stava facendo sentire, era più fredda e pungente di quella della sera prima, le faceva venire la pelle d'oca e le pizzicava le guance, ma era piacevole anche quello. Le ricordava le mattine d'inverno quando si caricava un pesantissimo zaino gigante sulle spalle e faceva la strada a piedi per andare a prendere il pulmino che l'avrebbe portata a scuola. Al tempo odiava quella routine, ora a distanza di anni le mancava. Era tutto così semplice, e perfino la brezza mattutina tanto violenta delle volte poteva essere in realtà fonte di vita e piacere. Un brivido la scosse e tornò subito a riabbracciarsi le ginocchia, cercando calore in se stessa. Il fiato che usciva dalle sue labbra screpolate faceva una simpatica nuvoletta bianca, e anche con quella al tempo si era divertita un sacco: "Guarda, fumo!" era il classico gioco dei bambini.
Daryl riaprì gli occhi e chinandosi verso il fuoco ci lanciò dentro un altro pezzo di legno << Non appena salirà il sole si dovrebbe cominciare a stare meglio. >> disse e Ocean annuì cominciando a pregare che il sole sorgesse prima del previsto. Aveva freddo.
Pensò a Peggy: chissà dove era andata a cacciarsi. Sola, impaurita e forse infreddolita anche lei. Sperava fosse davvero tornata alla fattoria, lì sarebbe stata bene, anche se voleva dire ritornare e ri-affrontare chi avrebbe cercato di fermare la sua partenza solitaria. Ma preferiva seguire le tracce, piuttosto che andare per tentativi: non voleva sprecare tempo. E voleva evitare di tornare indietro per niente.
<< Avvicinati. >> la incitò Daryl, attizando il fuoco e guardandola con degli occhi strani. Aveva qualcosa in mente, glielo si leggeva in faccia, era come se avesse qualcosa da dire ma non volesse farlo. Ed era effettivamente così: Ocean si era lamentata nel sonno anche quella notte. Ma non voleva metterla in imbarazzo con domande troppo personali.
La ragazza accettò il suggerimento e tirandosi avanti col sedere si avvicinò alle fiamme, allungò le mani verso esse e godette del calore sui palmi. Non era il massimo, non riusciva a darle il piacere di cui aveva bisogno, ma andava bene comunque.
Daryl restò in silenzio qualche minuto ad osservare le fiamme che si contorcevano e si rincorrevano, immerso nei suoi pensieri, e per la prima volta Ocean si chiese cosa avesse per la testa.
Sospirò, un sospiro quasi arrendevole, e abbassò gli occhi << Perchè nessuno l'ha mai fatto per me. >> disse senza contestualizzare la frase. Ocean aggrottò la fronte e cercò di capire da sola a cosa si stesse riferendo il ragazzo, senza successo. Si portò le mani ormai calde alle labbra, le chiuse a bozzolo e ci soffiò dentro, cercando ancora calore in un gesto di routine.
Daryl assunse un espressione fredda e distaccata e si aiutò a uscire dall'imbarazzo con un gesto disinvolto della mano << Il perchè ho sacrificato tanto per Sophia e ti sto venendo dietro. La verità è questa: Nessuno l'ha mai fatto o l'avrebbe mai fatto per me, neanche mio fratello. >> e per la prima volta Ocean non vide in lui il ragazzo scorbutico e arrogante che sempre cercava di essere. Non capiva assolutamente il senso di tutto quello, non riusciva a capire perchè diamine Daryl gli stesse dicendo quelle cose, ma comunque ciò le fece piacere. Era una prova di umanità in mezzo a tanto schifo, la prova che le persone erano ancora in grado di provare sentimenti ed essere legati al proprio passato. Esistevano ancora cose del genere: credeva che non avrebbe mai avuto modo di ritrovarlo. E poi sapere che anche Daryl era in grado di provare sentimenti era comunque sia una bella notizia, allora forse non era poi il ragazzo antipatico che voleva dimostrare. Per la prima volta si sentì veramente vicino a lui. Non tanto perchè si era aperto a lei, anche se non ne capiva il motivo, ma perchè quella rivelazione che le era stata fatta aveva mostrato qualcosa di più: loro due erano più simili di quello che si poteva pensare. La sua frase voleva dire molto più di così, un accenno a quello che era stato il suo passato e probabilmente era proprio quel passato ad averlo reso così duro.
La corazza che si erano costruiti loro due era dello stesso tipo.
Ocean abbassò gli occhi, imbarazzata come ci si può sentire di fronte a chi ti dice che gli è morto un caro parente: non sai mai quali siano le parole più adatte, e tutto sembra stupido e superficiale.
<< E così hai un fratello, eh? >> riuscì a dire, aggrappandosi all'unica cosa che le sembrava più capace di allontanarli da quella situazione imbarazzante.
Daryl si lasciò sfuggire un sorriso sarcastico e un po' infastidito << Merle. >> annuì, e tale era stato il suo tono che Ocean fece fatica a capire che quello pronunciato era un nome e non un verso di disgusto << Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta e l'ha lasciato lì. >> raccontò come si può raccontare un divertente annedoto dell'infanzia.
Ocean spalancò gli occhi sorpresa, non sapendo se dispiacersi o ridere << Davvero? Eppure Rick sembra così...giusto. >> ci aveva messo un po' a trovare la parola adatta, anche se quella non lo era per niente.
<< Lo è. E' mio fratello che non lo era. Non è mai stato la perla del gruppo, anzi non è mai stato la perla di nessuno. Era un po' troppo... >> cercò anche lui la parola adatta senza trovarla, e fece spallucce << Lui era Merle. >> niente poteva definirlo meglio di così.
<< Mi dispiace molto. >> disse Ocean. Era una forma standard di condoglianze, di quelle che alla fine non si provano davvero, ma è solo un modo come un altro per dimostrare un minimo di umanità.
Daryl fece spallucce e alzò gli occhi al cielo << Non è detto sia morto. Siamo tornati a cercarlo e ho trovato solo la sua mano. Le tracce lasciate fanno pensare sia riuscito però a scappare. >> disse ancora con una tranquillità che in altre situazioni non sarebbe stata plausibile. Non dava il giusto peso alla faccenda per non permettergli di schiacciarlo.
Ocean lo guardò un po', meravigliandosi ancora di come si fossero ridotti a certe confidenze, loro due che non potevano vedersi e che probabilmente ancora sarebbero tornati a detestarsi. Era un momento di pace, era zona franca, le armi erano state riposte momentanemante per concedersi una pausa in cui condividere il boccale e la sigaretta, ma non per questo la guerra era finita. Ciò non toglieva però che la cosa fosse piacevole. Non sapeva come erano arrivati lì e non sapeva il perchè, ma dopo tanto tempo finalmente si sentiva accanto del calore umano. Dopo tanto tempo era tornata a provar piacere della vicinanza di una persona e quasi desiderò che quel momento non finisse mai.
Sorrise e tornò a fissare le fiamme << E' vivo. >> disse con sicurezza.
Daryl alzò gli occhi speranzoso: che sapesse qualcosa? Si era dimostrata così sicura nella voce che magari prima l'aveva incontrato, magari aveva sue notizie. Ma si dovette subito ricredere, lei non lo conosceva, era facile da capire che il suo sguardo era solo di supporto.
<< Come fai a dirlo? >> chiese lui alzando un sopracciglio, per niente convinto che dicesse la verità, ma lieto che stesse provando a rassicurarlo in qualche modo.
<< Nei film dell'orrore gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire. >> si giustificò semplicemente Ocean facendo trapelare tutta la sua ironia, volta semplicemente a strappare un sorriso al suo compagno e allietare la conversazione. Atto che sembrò avere i suoi frutti provocando una leggera risata in Daryl, divertito e forse addirittura convinto e veramente rassicurato. Suo fratello era un duro, uno veramente tosto, non si sarebbe fatto buttare giù con tanta facilità e per quanto l'affermazione di Ocean era solo di simpatia e circostanza, forse forse un fondo di verità l'aveva. Ed era questo fondo di verità che lo divertiva.
<< Era dai tempi in cui viaggiavo con Merle che non passavo la notte solo nel bosco. >> continuò lui, cercando di tenere vivo e acceso quel clima confidenziale che tanto stava rendendo piacevole il loro soggiorno in quel posto. << Devo dire che non mi mancava per niente. >> concluse.
Ocean continuò a fissare distrattamente le fiamme davanti a sè << Vi state ammosciando a stare chiusi lì. Prima o poi dovrete andarvene, e allora non sarete più pronti. >>
<< Cosa ti fa pensare che sarà così. E' stato un posto sicuro a lungo, può continuare a esserlo ancora. >>
<< Nessun posto è sicuro >> parlava con cognizione di causa. Lo si sentiva. Daryl stava per ribattere, ma Ocean lo anticipò << Cosa credi ci sarà domani? >> il suo sguardo distratto si trasformò e divenne profondo, uno sguardo che bucava e andava oltre a tutto quello che aveva davanti. Serrò la mascella e alzò gli occhi, guardando in viso il suo interlocutore << Questo mondo non è lo stesso che conosciavamo tempo fa. Puoi allungare il brodo, cercare di tirare il più possibile, ma non è altro che un ritardare l'inevitabile. Il mondo non ci appartiene più, stiamo lottando per qualcosa che ormai non è più nostro e prima o poi saremo costretti a rinunciarvi. Abbiamo già perso! >>
<< Per ora mi limito a tenermi addosso la pelle. >> rispose semplicemente Daryl. E Ocean non aggiunse altro, ricevendo un altra prova di come loro due fossero così simili. Era meglio per tutti lasciar da parte certi pensieri, la totale assenza di futuro e speranza uccideva i più deboli più di una lama di un coltello.
Il cielo cominciò a schiarirsi, il sole stava sorgendo. Il tempo era passato più velocemente di quello che credevano, e presto si sarebbero rimessi in cammino. La stanchezza gravava su entrambi, ma non li avrebbe fermati o li avrebbe ammazzati.
Ocean sospirò arrendevole e alzò gli occhi al cielo, assumendo un'espressione visibilmente infastidita e scocciata prima di dire col tono di chi accetta delle condizioni che non tanto gli vanno a genio << Alice. >>
Daryl aggrottò la fronte non capendo assolutamente di cosa stesse parlando e il perchè di quell'atteggiamento << Cosa? >>
Ocean cercò di rendere il tutto più superficiale e meno importante possibile, aiutandosi con gestualità ed espressioni << E' il mio vero nome. >>
L'aveva fatto.
Aveva seppellito tutto quanto e aveva lottato a lungo per tenere il tutto dov'era, per seprarsene e non averne più a che fare, ma quella sera qualcosa era scattato in lei. A dire il vero era più un bisogno di sdebitarsi che quello di aprirsi. Non voleva far riaffiorire niente della vita di Alice, ma Daryl aveva rivelato così tanto di sè, aprendosi anche più del dovuto e del richiesto, e lei sentiva che sarebbe stato doveroso richiambiare in qualche modo e fare altrettanto. Occhio per occhio. Ma che non sperasse di andare oltre! Aveva già superato un grosso limite che si era imposta e non avrebbe fatto un passo in più. Che si accontentasse di quello, perchè mai avrebbe riportato a galla quel forziere.
Alla fine, infondo, era solo un nome. Avrebbe anche potuto sopportarlo...forse.
<< Alice >> provò a ripetere lui ma pronunciando il nome all'americana.
<< No! Alice. >> scandì bene lei, forzando l'accento italiano. Cavoli gli aveva appena donato una grossa parte di sè, che la trattasse per bene senza rovinarla e storpiarla! Daryl provò più volte a ripeterlo, cercando di ottenere la giusta pronuncia, sbagliando sempre qualcosa e costringendo Ocean, intollerante, a ripeterlo ancora e ancora, finendo con il divertire il balestriere che quasi aveva preso a sbagliare di proposito, per vederla ancora innervosirsi e continuare come una meastrina a scuola. E alla fine Ocean si arrese << Dillo come ti pare! >> mandando Daryl a quel paese con un gesto del braccio, il quale scoppiò a ridere e rivelò le sue vere intenzioni << Va bene, va bene, ho capito. Alice. >> disse bene alla fine. E per un attimo a Ocean passò tutto il nervoso, ritrovandosi a scacciar via pensieri poco consoni al momento. Aveva sempre trovato molto sensuali gli americani che con il loro forte accento tentavano di pronunciare parole italiane, e in quel momento ne trovò nuovamente piena conferma.
Era stato sexy.
Ma tutto questo non lo fece trapelare. Si trattenne dal chiedergli di pronunciarlo ancora, non voleva che il fighetto si caricasse di ancora più vanità e si sentisse legittimato a far esplodere il proprio testosterone. Non l'avrebbe sopportato, erano cose detestabili! E poi non era proprio il momento per certe cose!
<< Mi piace molto di più Alice di Ocean. >> fermi tutti! Che stava combinando?! Chi gli aveva concesso certe libertà? Nessuno aveva chiesto il suo parere! Che aveva intenzione di fare? Diventare amici?
"Bello, non hai capito niente! Stattene al tuo posto!" pensò Ocean in un misto di fastidio e forte imbarazzo. Quello voleva essere una specie di complimento, forse? Non ne voleva sapere niente, la situazione si stava facendo anche fin troppo intima e la cosa non le piaceva e la faceva sentire fortemente a disagio. Sentì le guance prendere improvvisamente fuoco e rendendosene conto, temendo la cosa fosse visibile e temendo di dare segnali sbagliati al ragazzo che aveva di fronte, rise ironicamente, facendo sembrare la cosa stupida e si alzò, voltandosi con la scusa di tornare al suo posto e raccogliere le sue cose per prepararsi alla partenza. Il sole non era ancora altissimo nel cielo, ma poco importava: loro erano svegli, e lei voleva fuggire via da quella situazione. Era caduta dalle nuvole e si era improvvisamente resa conto di quello che stava realmente succedendo: stava socializzando! Stava disgustosamente socializzando. E ringraziò il cielo che non si fosse addirittura spinta oltre e non avesse cominciato pure a flirtare. Ma che stava facendo?!
<< Posso chiamarti così? >> continuò Daryl, che in cuor suo non aveva nessuna intenzione particolare, voleva solo cercare di allentare un po' le tensioni, avvicinarsi un po', e magari pian piano convincerla che avere qualcuno accanto che ti protegge il culo non era poi così male. Lui stesso i primi tempi era così, solitario, viveva solo con suo fratello e quello doveva essere il suo obiettivo, ma da quando aveva trovato questa nuova famiglia tutto era cambiato e mai e poi mai sarebbe tornato indietro. Aveva trovato quello che mai aveva avuto: qualcuno da proteggere, e qualcuno che proteggesse lui, dandogli il giusto valore. Forse era anche per quello che si era incaponito tanto.
Loro due erano uguali.
E se lui aveva trovato così tanto nel gruppo, poteva trovarlo anche lei e allora lo avrebbe ringraziato.
<< No, lo detesto. >> rispose con semplicità Ocean, pentendosi di quello che aveva appena fatto. Il suo gesto non voleva essere un incipit a conoscersi meglio, non gliene importava nulla di lui e del suo passato, così come lui avrebbe dovuto lasciare in pace lei. Voleva solo "sdebitarsi". Stava andando decisamente oltre e la cosa la faceva innervosire non poco. Daryl sorrise sottecchi, rendendosi conto dell'umore della ragazza che si stava adirando e trovando ancora divertente quel suo modo di fare. Bastava poco per farle scattare i nervi, e non si rendeva conto di quanto potesse sembrare ridicola nel prendersela tanto per così poco.
Si alzò in piedi anche lui, cominciando a buttare terra sul fuoco per spegnerlo, preparandosi a riprendere il cammino: avrebbero dovuto trovare la cavalla alla svelta per poi tornare indietro, sicuramente gli altri si erano resi conto della loro assenza e sperava non si fossero buttati a capofitto nella ricerca, non dovevano mettersi in pericolo per loro. Ma non poteva certo mandargli un sms con scritto "torno subito, abbiate pazienza". I telefonini disgraziatamente non funzionavano più.
<< Alice. >> ripetè ancora tra sè e sè riflettendoci sopra. Ogni volta che lo pronunciava qualcosa esplodeva in Ocean, e le budella non le si attorcigliavano solo perchè lo trovava sexy, ma anche perchè sentiva ne stava abusando. Lei non aveva più usato quel nome da mesi, e non voleva più sentirlo nè averci niente a che fare, ma lui a questo non ci arrivava. Era una cosa che doveva morire lì.
<< E' un nome europeo, o sbaglio? >> chiese dopo qualche secondo di riflessione mentre finiva di spegnere il fuoco.
Ocean si voltò di scatto, arrivando al limite, e gli punto un minaccioso dito contro << Ehi, bello! Non allargarti, va bene? Non credere che ora io sia la tua amichetta del cuore. >> Daryl scoppiò a ridere nel sentirla << Figurati! >> neanche a lui gli era passato minimamente per la testa che la chiacchierata di quella notte potesse in qualche modo aver cambiato le cose tra loro. Era stato piacevole, soprattutto perchè avevano avuto modo di capire che entrambi alla fine erano umani e non avevano cattive intenzioni, solo una vita alle spalle che pressava sul presente, ma continuava a credere che fosse un'imbranata acida.
Le armi erano state riprese, anche metaforicamente. La zona franca era stata lasciata e i due si preparavano a tornare in guerra, anche se forse, nonostante nessuno dei due volesse ammetterlo, qualcosa era cambiato davvero. Non si può arrivare a toccare le zone più intime di qualcuno e poi voltarsi come se niente fosse, qualcosa rimane in entrambi, qualcosa che spesso si traduce in complicità e affinità. Anche se non erano ancora pronti per ammetterlo.
Ocean battè le mani a voler attirare l'attenzione e disse ad alta voce << Max, in piedi! Cerca Peggy, Max! Dov'è Peggy? >> lo stimolò. Max non era mai stato con probabilità un cane da caccia, e seguire le tracce non era proprio quello che sapeva fare meglio, ma comunque aveva l'olfatto migliore tra i presenti e Ocean contava molto su di lui. Max sbadigliò, si stiracchiò e cominciò ad annusare l'aria in cerca di qualche indizio. Provò a fare qualche passo nei ditorni, annusando il terreno, cercando ancora una pista. Daryl, finito di sistemarsi e presa la balestra in spalla, sì avviò con decisione e tranquillità verso una direzione precisa, e passando accanto ai due disse << Di qua. >>
<< Oh, ma guarda! Sei un cane da caccia e non lo sapevo. Bravo Fido! >> disse ironica Ocean incrociando le braccia al petto, trovandosi nuovamente indispettita per i modi di fare così sicuri del ragazzo che spesso sembravano volerla umiliare appositamente, sottolineando quanto, secondo lui, lei fosse incapace.
<< Conserva il tuo sarcasmo, chissà che magari non ti potrà salvare in futuro. Infondo è l'unica arma che hai, se non fai affidamento su quella... >> rispose Daryl a tono senza rallentare. Il sangue di Ocean le salì al cervello e tornò a provare il forte desiderio di strozzarlo e impiccarlo. Ma probabilmente le sarebbe stato utile ancora per un po', sapeva seguire le tracce, l'avrebbe portata da Peggy...e poi l'avrebbe impiccato.
Trattenne quindi per il momento l'istinto omicida e prese a seguirlo in silenzio, preparandosi però mille altre risposte adeguate da potergli rifilare alla prima occasione. Il suo orgoglio le impediva di dargliela vinta. E poi era odioso, non meritava di sembrare figo solo lui. Si dava troppe arie per i suoi gusti.



Angolino dell'autrice!

Aaaaaaaaaaallora...intanto buongiorno a todos :P un grazie pubblico a chi segue la mia storia, a chi legge e soprattutto a voi anime pie che recensite stimolandomi a sbrigarmi nel continuare e proseguire * lacrimuccia commossa * sappiate lo apprezzo tantissimo!!
Pppppppppoi...i credits: la canzone che canta Ocean/Alice è "Vola via" di Ilaria Porceddu (e per i curiosi eccola :P la trovo bellissimissima!!! E adoro la voce di questa donna! http://www.youtube.com/watch?v=gabsQmR1NgY vi invito ad ascoltarla ).
E infine altra comunicazione di servizio: ho messo in corsivo le parti in cui lei (o lui quando cerca di pronunciare il suo nome) parla italiano e non inglese, così da riuscire a differenziare la lingua capita da tutti e condivisa dalla sua di origine, e che quindi non capisce nessuno ahahah
Continuerò così anche nei prossimi capitoli, quindi laddove vedete corsivo sappiate è italiano (anche se è facile lo specificherò al momento del racconto). Il nome Alice l'ho riportato in corsivo in questo capitolo per differenziarlo dall'Alice americano (""Elis"") che Daryl dice inizialmente, ma nei prossimi (perchè sì, come potrete immaginare verrà usato anche nei prossimi) lo riporto normalmente per evitare di star sempre a "incorsivare" ahahah però sappiate è "Alice" all'italiana u.u
Bene...mi sembra di aver detto tutto.
Un saluto.

Ray.

Ps. RECENSITEEEEEE u.u è un ordine! Ahahaha no, scherzo. E' che le recensioni mi stimolano a fare di più :P se vengo ignorata mi deprimo e nessuno vuole una scrittrice depressa u.u

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Capitolo 13
*** Ardimento. ***


Ardimento

Fu il viaggio più noioso che Ocean avesse mai affrontato.
Daryl davanti a lei faceva da guida turistica, e l'unica cosa gli mancava era solo l'ombrello alzato da seguire per completare l'opera, ma non proferì parola per tutto il tempo. Stessa cosa per Ocean che lo seguiva pigramente, con i pollici infilati nella cintura: sentiva tanto la mancanza di un paio di tasche a volte. E infine Max, silenzioso come un'ombra. L'unico rumore che si poteva percepire nel giro di kilometri erano foglie mosse dal vento, scricchiolii di rami spezzati sotto i loro piedi e qualche verso, forse animali o forse zombie. Daryl procedeva spedito senza indugiare, seguendo tracce che Ocean neanche sapeva esistessero, riuscendo a intravedere ogni tanto, quando proprio si impegnava, una zoccolata in zone di terreno un po' più fangoso.
La stanchezza la rendeva un po' confusa e le faceva venire il mal di testa, il silenzio peggiorava il suo abbiocco pomeridiano, e la sicurezza di avere due ottime guardie del corpo erano la ciliegina sulla torta: perse il senso dello spazio, e proseguì per inerzia, smettendo a un certo punto di chiedersi dove fossero. Tanto nemmeno la conosceva quella terra, la girava solo da pochi mesi. Non era mai riuscita a conoscere bene neanche il paesino in cui era vissuta, figuriamoci quel luogo in cui alloggiava da così poco! Non aveva grandissimo senso dell'orientamento ed era pessima in geografia: per imparare una strada aveva bisogno di concentrazione e un ripasso più o meno accurato un paio di volte. Quindi, dopo un paio d'ore, si spense completamente, smettendo addirittura di vedere dove metteva i piedi e affidandosi solo alla fortuna per evitare di cadere in qualche buca.
Fu uno sbadiglio a ridestarla, facendole tornare alla mente che si trovava in un bosco di un paese sperduto in America in cerca di un cavallo insieme ad un caro amico e un animale (e Max era il caro amico). Si guardò attorno sperduta chiedendosi per la prima volta dopo ore dove cavolo fossero finiti. Era assurdo che Peggy fosse corsa così lontano.
<< Di la verità mi stai attirando in un luogo isolato per ammazzarmi, vero? >> chiese distrattamente mentre si stropicciava un occhio. Aveva decisamente bisogno di riposare. Daryl la zittì con uno "sh" e un gesto della mano, e questo la fece come sempre infuriare << Non dire "sh" a me!! >> brontolò alzando il tono della voce, ottenendo in risposta solo uno sguardo omicida che faceva trapelare tutto il suo "se non ti tappi quella bocca ci penso io a farti tacere!".
Un fruscio poco lontano diede una motivazione a quel gesto del balestriere, facendo sussultare per un attimo Ocean. Zombie? Si portò d'istinto la mano alla spada, ma Daryl stese il braccio di fronte a lei, invitandola a stare ferma e indietro, e si portò la balestra davanti al viso, prendendo la mira contro un nemico che ancora non voleva mostrarsi.
Ocean si sentì il fiato mancare, non tanto per la paura ma quanto perchè doveva fare silenzio e in quel momento perfino il suo respiro sembrava un rumore assordante. Pronta a veder sbucare chissà quale putrida creatura zoppicante continuò a fissare il punto da dove era arrivato il fruscio e dove Daryl teneva puntata la sua balestra. Poi... Un coniglio grigio saltò fuori e si guardò attorno, le orecchie alzate e i muscoli tesi, il nasino che si muoveva ritmicamente, annusando e studiando la situazione. Sentiva c'era qualcosa che non andava intorno a lui, fiutava il pericolo ed era pronto a scappare in caso di necessità.
<< Che carino!!! >> disse Ocean a un tono esageratamente alto, facendo spaventare il coniglio e facendolo scappare. Daryl provò a sparare lo stesso, in un gesto frettoloso e disperato, ma mancò la preda che andò a infilarsi e nascondersi sotto un albero.
<< L'hai fatto scappare!! >> si girò incazzato Daryl, fulminando la sua compagna di viaggio.
<< Volevi ucciderlo? >> chiese Ocean sconcertata, come se avesse appena detto una blasfemia.
<< Certo che volevo ucciderlo! Che avevi intenzione di mangiare più tardi altrimenti?! >> brontolò ancora lui prima di avviarsi per recuperare la freccia sprecata, i passi pesanti e le mani ben serrate dimostravano tutta la sua rabbia.
<< Mangiare? Io non avrei mai mangiato Bugs! E non l'avrei permesso neanche a te! >> Daryl spalancò gli occhi a sentirla parlare così, e si voltò a guardarla incredulo, pensando fosse decisamente fuori di testa.
<< Bugs? Gli hai ...dato un nome? >> chiese non sapendo se ridere o piangere dell'assurdità. Che razza di persona era? Cosa aveva per la testa? Non poteva essere così fulminata, sicuramente lo stava facendo apposta. Ma sì, non potevano esserci altre spiegazioni. Stava solo cercando di confonderlo e farlo incazzare.
<< Bugs Bunny!! >> disse lei sorridendo quasi orgogliosa per la trovata "originale". << Non lo trovi carino? >>
Daryl scosse lentamente la testa, cercando di rimettere ordine ai pensieri << Ok. >> cominciò prima di riafferrare la freccia da terra << Tu hai qualcosa che non va'. >> concluse cercando di lasciar perdere o avrebbe tirato pazzo anche a lui.
<< Comunque ora mi devi una cena. >> aggiunse infine prima di riprendere a camminare.
Ocean trattenne una risata e riprese a seguirlo. Non era veramente pazza, le piaceva sembrarlo. Di solito quando era sola cercava sempre di tenere la mente impegnata e lontana da cattivi pensieri, per non rischiare veramente di uscirne pazza e tentare il suicidio, e spesso il suo unico modo era la beffa. Scherzava su ciò che la circondava, ironizzava, alleggerendo la situazione e permettendole così di continuare a mantenere la mente lucida. E poi non era mai andata a caccia prima d'ora, si era sempre arrangiata come poteva rufolando nelle dispense delle case o nei supermarket, facendo la fame qualche giorno piuttosto, ma, nonostante non fosse vegetariana, l'idea di uccidere o vedere uccidere un animale non le piaceva e preferiva rimandare qualora ce ne fosse stata la possibilità.
<< Al prossimo Mc Donald ci fermiamo e offro io. >> disse con tranquillità riprendendo a stropicciarsi la faccia. Sentiva il bisogno di un caffè, erano mesi che non ne beveva uno e gli mancava terribilmente. Mannaggia ai vizi italiani!
Daryl evitò di rispondere ancora, ormai aveva capito qual era l'andazzo. Finchè gli avrebbe dato corda lei avrebbe continuato a dir cose assolutamente senza senso. Lo faceva apposta, era palese che lo faceva apposta.
Proseguirono per un'altra ora, o almeno così credette Ocean. Il luogo intorno a lei era sempre uguale, nonostante le ore di viaggio, tutto era rimasto immutato: alberi...ancora alberi...altri alberi...e, oh! Un cespuglio. Wow. Camminavano ma sembrava di stare fermi o al massimo di girare attorno. Eppure Daryl sembrava così sicuro e deciso, si guardava attorno, guardava il cielo e poi tornava a guardare la terra e seguire tracce invisibili agli occhi di Ocean. Come faceva?
La ragazza proseguì alternando i momenti di silenzio, con quelli in cui sbadigliava e altri in cui canticchiava e cercava di tenersi sveglia e impegnata. Si chiedeva abbastanza spazientita quando sarebbero arrivati e a ogni passo aumentava la sensazione che Daryl la stesse prendendo in giro: possibile davvero che la cavalla fosse corsa così lontano?
Daryl si fermò e si guardò attorno destando la curiosità di Ocean. Che era successo? Lo vide avvicinarsi a un albero, scrutarlo, toccarlo e poi chinarsi a terra a guardare il suolo, spostando le foglie con un leggero tocco e continuando ad osservare. Ocean gli si avvicinò curiosa di capire cosa avesse provocato quell'interruzione e lo osservò mentre studiava il suolo come un professore può osservare uno studente fare un compito in classe.
<< Ci siamo persi eh? >> disse poi lei, non notando niente di strano per terra se non foglie, erba, terra e polvere.
<< Non ci siamo persi. >> rispose lui scocciato.
<< Voi uomini siete sempre così orgogliosi quando si tratta di conoscere la strada, non volete mai ammettere che vi siete persi. >> continuò lei sbadigliando ancora, annoiata e si appoggiò con la schiena al tronco dell'albero a cui erano vicini, guardandosi attorno pigramente.
<< So perfettamente dove siamo, non ci siamo persi. >> continuò lui prima di alzarsi in piedi e guardare nella direzione in cui riprese a proseguire. Ocean si staccò dall'albero e lo raggiunse << Fermati, abbassa il finestrino e chiedi indicazioni. >> consigliò lei, cercando di sembrare il più naturale possibile. Ma non era difficile, la noia e la stanchezza le facevano dire le cose con una tale pigrizia che poteva essere scambiata per sicurezza. Daryl per un attimo si fermò, cercando di assimiliare l'informazione, poi la guardò stranito prima di riprendere a camminare << Mi prendi in giro? >> Ocean in risposta sbuffò e si stirò la schiena allungando le braccia verso l'alto.
<< Sei stanca? Ti vuoi fermare? >> chiese Daryl tornando serio. Era abbastanza stufo di sentirla mugolare, sbadigliare e sbuffare.
<< No, no. Va bene così. Vediamo di arrivare quanto prima e basta. >> rispose lei prima di voltarsi a guardare nella direzione dove aveva sentito provenire un verso che ormai aveva imparato a riconoscere. C'era uno zombie, poco lontano da loro, che girovagava solo diretto chissà dove. Era più facile vederli raccolti in sciami, ma le apparizioni singole non erano rare. Daryl lo ignorò e proseguì, era uno solo, non avrebbe dato problemi e poi sembrava non averli visti. Avrebbe volentieri evitato di sprecare una freccia.
<< To', guarda! >> esordì lei invece assumendo un sorriso, divertita dalla coincidenza << Un onesto cittadino pronto a darci una mano! >> e si avvicinò di qualche passo allo zombie, alzando una mano a voler attirare la sua attenzione << Mi scusi! Signore! Ha per caso visto passare di qua una cavalla bruna? >> Daryl si voltò a guardarla sconcertato: c'era limite alla stupidità di quella ragazza? Lo zombie ovviamente la sentì, si voltò verso lei e cominciò a correrle incontro aumentando la frequenza e il tono dei suoi versi gutturali affamati.
<< Oh, lo sa! >> continuò Ocean rivolgendosi a Daryl, che invece non aveva il suo stesso entusiasmo e in pochi secondi afferrò la balestra e sparò una freccia in fronte allo zombie che stava correndo loro incontro.
<< Oh, andiamo!! Hai ucciso l'unico stronzo nei paraggi che poteva darci un'informazione! >> si finse scocciata lei prima di avvicinarsi al cadavere. Gli diede un paio di colpi in viso con la punta dello stivale assicurandosi fosse veramente morto, poi sempre con lo stivale gli voltò la faccia dall'altro lato, posò il suo piede sulla sua guancia e fece pressione. Sentì le ossa marcie scricchiolare e un fiotto di sangue nero uscì dal suo naso. Rimanendo con il piede poggiato sulla sua guancia posò l'altro ginocchio a terra, vicino a lui, si infilò i suoi guanti in pelle che aveva tenuto nella cintura fino a poco prima, e si chinò in avanti. Afferrò la freccia nella sua fronte e con uno strappo deciso la tirò via. Daryl le si avvicinò nel frattempo chiedendosi ancora, e ancora, e ancora chi glielo avesse fatto fare.
<< Perchè fai così, si può sapere? Se nei paraggi ce n'erano altri saremmo stati assediati. >>
<< Era solo l'hai visto anche tu. >> rispose lei porgendogli la freccia << E poi mi annoiavo. >> ammise seria prima di cominciare a frugare nelle tasche dello zombie che avevano appena atterrato. Il piede sinistro era ben premuto contro la sua guancia, ad assicurarsi così che se mai avesse deciso di non essere abbastanza morto e di rialzarsi non avrebbe avuto modo di attaccarla repentinamente, perchè prima doveva liberarsi dal suo piede, e questo le avrebbe dato tempo di dargli il colpo di grazia.
Trovò un portafogli nella prima tasca interna della giacca, era un po' molliccio per il sangue e puzzolente, ma ancora intero. Lo aprì, tirò fuori un paio di banconote da cinquanta e le porse a Daryl << Ecco i soldi per la cena al Mc che ti dovevo. >> disse sarcastica prima di lanciarle via, facendole svolazzare poco lontano. In una taschina interna al portafoglio, con copertura trasparente, vide la patente e si soffermò a leggerla. Faceva sempre uno strano effetto l'evidenza: quelle cose prima erano persone normali, come loro. Faceva venire uno strano morso in gola e sensi di colpa, dispiaceri e tutto tornava ad essere spaventoso: anche loro sarebbero potuti diventare così.
<< Brutta giornata, eh, Daniel? >> disse Ocean tentando di essere come al solito sarcastica, per alleggerire la situazione, ma non riuscendoci e dalle sue labbra uscì solo un tono dispiaciuto e rammaricato. Compassionevole. Girando il porta-carte del portafoglio trovò un'altra tasca trasparente dove erano state infilate due foto, una di una bella donna dai capelli rossi e gli occhiali da lettura, e una di una bambina sui sei anni con gli stessi capelli rossi legati in una coda di cavallo, le lentigini e un sorriso in grado di illuminare il cielo. Ocean chiuse per un attimo gli occhi, sospirando, sentendosi attanagliare dal dispiacere. Daryl semplicemente voltò la testa e si allontanò di qualche passo, aspettando in disparte che Ocean finisse la sua perlustrazione.
La ragazza richiuse il portafoglio e lo infilò accuratamente all'interno della tasca dove l'aveva trovato, trattandolo con rispetto. Riprese a frugare anche nelle altre tasche, cercando di essere però meno invasiva e più delicata. L'unica cosa che trovò ancora furono un paio di chiavi, che rimise al loro posto, un accendino ancora funzionante e un fazzoletto in tessuto. Prese questi ultimi due, spostò il piede dalla guancia di Daniel e gli coprì il viso col fazzoletto trovato. Poi si intascò l'accendino, si alzò e raggiunse Daryl riprendendo la loro marcia silenziosa.
<< Ce n'era proprio bisogno? >> chiese serio Daryl dopo pochi minuti di riflessione.
<< La gente impazzisce a cercare cose dentro le case abbandonate, ma in pochi si preoccupano di controllare le tasche dei morti. Si trovano cose interessanti. >> rispose Ocean.
<< No, dico... sapevi che dentro un portafoglio non avresti trovato niente di utile. C'era bisogno di aprirlo? >>
Ocean alzò le spalle e fece un sorriso << Magari trovavo un preservativo. Quelli fan sempre comodo. >> e contrariamente a quanto pansava, la frase non fece scocciare Daryl per il suo solito sarcasmo, ma lo fece ridere. Si ritrovò ad arrossire ancora. Era meglio quando non le dava conto, riusciva a prendere tutto con più leggerezza e a non sentirsi scema per certe battute che per lei erano ormai diventate routine.
<< Conosci il tuo nemico. >> tornò seria lei, cercando di riportare la discussione sui suoi binari << E' una forma d'onore. Un tempo erano molto legati a certe formalità, permettere al proprio avversario di avere un nome e un'identità li rendeva uomini d'onore, e a seconda dell'importanza del nome era anche più gloriosa la vittoria. >> spiegò lei.
<< E' cambiato qualcosa ora che sai chi era? >> chiese un po' provocatorio Daryl. In un mondo come quello dove uccidere era diventato routine, tutto era più semplice se non c'era coinvolgimento emotivo. Non bisognava vacillare o la testa che sarebbe stata mozzata sarebbe potuto essere la tua.
<< No. >> rispose seria Ocean prima di proseguire << Ma non essere egoista, lasciagli il loro nome. E' l'ultima cosa che gli resta. >> Daryl non era d'accordo su questo, preferiva restassero creature anonime non solo perchè così era più facile, ma anche perchè secondo lui loro non erano più chi erano prima. Quelle cose non avevano nome, non erano nessuno, erano cose e basta. Ma non replicò. Una fiamma negli occhi e nella voce di Ocean gli avevano detto che era meglio così.
Proseguirono un altro kilometro, veloci e silenziosi, poi deviarono, sempre seguendo le tracce della cavalla, e in pochi minuti sbucarono su una strada. Sia a destra che a sinistra si perdeva all'orizzonte, immersa negli alberi, sommersa ormai dalle foglie secche. Solo una macchina si riusciva a intravedere poco lontano, macchina che Daryl ignorò completamente ma non Ocean che si fermò e la studiò da lontano, prima di avvicinarsi.
Il ragazzo stava cominciando a stufarsi di tutte quelle interruzioni, ma ancora non disse niente. Ocean non aveva accompagnato la sua iniziativa con delle battute sarcastiche, allora forse almeno quella volta c'era un buon motivo, così la lasciò andare e dopo aver memorizzato il punto da dove riprendere poi il cammino, la seguì chiedendosi cosa avesse attirato così la sua attenzione.
Ocean si rimise di nuovo i pollici nella cintura, appendendo le mani, e cominciò a girare attorno alla macchina studiandola e forse cercando qualcosa. Un'ombra le annebbiava il viso e gli occhi erano tornati ad essere piccoli e affilati. Si fermò davanti al finestrino chiuso al lato del passeggero e guardò dentro, tenendosi qualche centimetro distante, cercando di vedere oltre le macchie di sangue per capire cosa ci fosse dentro, anche se data la sua sicurezza probabilmente già poteva ben immaginare. Niente sembrò muoversi all'interno della vettura fino a quando Ocean non diede un leggero calcio allo sportello. Una faccia sbucò dal nulla e si schiacciò contro il finestrino, lamentandosi, rabbiosa perchè non riusciva a uscire per raggiungere la preda vista. Uno zombie. Daryl si affiancò alla ragazza e anche lui rimase qualche secondo a fissare lo zombie dentro l'auto che si dimenava e si schiacciava contro il finestrino desideroso di uscire fuori a fare il suo pasto. Guardò Ocean chiedendosi cosa avesse in mente: che volesse perquisire anche quello? Probabilmente sì, perchè la vide tirar fuori dal fodero una delle sue daghe, impugnandola a mo' di pugnale e avvicinarsi allo sportello. Daryl imbracciò la balestra e la puntò contro la testa dello zombie, pronto a sparare in caso di necessità.
Ocean fu rapidissima, più di quanto lui avesse potuto immaginare: aprì lo sportello, afferrò lo zombie per la gola prima che potesse lanciarsi contro le sue prede e con un unico colpo secco gli infilo completamente la daga tra gli occhi. Accompagnò poi lo zombie nella sua caduta, facendolo stendere delicatamente sui sedili dietro di lui. E Daryl trovò subito la risposta alla domanda che gli era sorta spontanea "perchè tanta premura?": ciò che non aveva notato subito, ma solo in quell'ultimo istante, era che lo zombie in questione era una donna dai capelli rossi. Che fosse...? Beh in questo modo si sarebbe spiegato perchè lo zombie di poco prima girovagasse solo a breve distanza da lì. Ocean sfilò la daga dalla testa della donna e se la rimise nel fodero: l'avrebbe pulita più avanti. Guardò all'interno della vettura, studiando il luogo e forse cercando qualcosa di interessante che magari avrebbe potuto farle comodo. Poi notò che lo zombie appena ucciso stringeva ancora tra le dita qualcosa: un cappottino. Lo afferrò con un'improvvisa urgenza e lo studiò velocemente. C'era un nome scritto all'interno dell'etichetta.
<< Molly >> lesse a bassa voce. Strinse il cappottino tra le mani e si guardò nuovamente attorno. Entrò parzialmente nella vettura, posando un ginocchio sul primo sedile e spingendosi il più oltre possibile, cercando segni e indizi e continuando intanto a ripetere tra sè e sè << Molly. Molly. >> Non trovò niente, la macchina era vuota e non c'era nessun indizio che facesse pensare a un corpo di bambina sventrato all'interno. La fretta aumentò in Ocean: se lì dentro non c'era segno della presenza della bambina allora voleva dire che era uscita fuori e probabilmente era riuscita a scappare, per questo la donna aveva tra le dita il suo cappottino, probabilmente aveva provato ad afferrarla senza riuscirci. Uscì dalla macchina e si guardò attorno, cercando con gli occhi tra gli alberi o lungo la strada. Lei non sapeva seguire le tracce e non aveva idea di dove andare a guardare o cominciare a cercare. Daryl la guardò chiedendosi ancora cosa stesse cercando di fare. Notò il cappottino stretto tra le mani e cominciò a intuire, senza però dimostrare la stessa speranza che leggeva invece negli occhi della ragazza. Max si avvicinò all'auto annusando all'interno, senza però avvicinarsi troppo, semplicemente allungando il collo e alzando il naso. Ocean fece due passi verso il bosco dietro di lei, continuando a cercare con gli occhi qualcosa che le dicesse dove poteva esssere andata la piccola proprietaria di quel cappotto. Sentì poi Max passarle dietro annusando rumorosamente la zona intorno alla macchina. Daryl aveva abbassato la balestra, guardando i due, senza intervenire, semplicemente aspettando e tenendo d'occhio la situazione intorno a loro. Facendo "da palo". Si sentiva scoperto in mezzo alla strada, se fossero sbucati zombie lì li avrebbero visti di sicuro e avrebbero dovuto andarsene velocemente a quel punto.
Poi Max rizzò la testa improvvisamente, con le orecchie ben tese verso l'alto. Si guardò attorno velocemente per poi dirigersi con sicurezza sul retro dell'auto, annusando la fessura della chiusura del bagagliaio. Ocean capì che il suo amico aveva trovato qualcosa e corse vicino a lui, premette il pulsante per l'apertura dello sportello e lo spalancò alzandolo verso l'alto. Daryl si diede un rapido sguardo intorno prima di raggiungerli, tenendo alta la balestra sempre pronto a sparare, circospetto e attento. Ocean restò immobile, lo sguardo fisso sull'angolo sinistro del bagagliaio, il cuore che batteva all'impazzata e un guizzo di paura. Non per sè...ma per lei. Molly. Una bambina dai capelli rossi, raccolti in una coda di cavallo, ranicchiata nell'angolo, col viso nascosto, una bambola di pezza stretta tra le dita e il sangue che le ricopriva il vestito,nascondendo il suo colore originale. Non si mosse. Daryl alzò la balestra puntandogliela contro provando la stesso timore che provava Ocean: era viva? O era anche lei diventata zombie? Finchè non avesse mostrato il viso non l'avrebbero capito. Rimasero immobili a fissarla, indecisi sul da farsi, pregando e aspettando.
Poi la bambina cominciò a tremare come una foglia e dei lamenti uscirono soffocati. Max poggiò le due zampe anteriori sul bordo del bagagliaio e si spinse dentro col muso, le orecchie abbassate, avvicinandosi alla bimba e annusando. L'atteggiamento di Max faceva ben sperare, se fosse stata uno zombie probabilmente avrebbe ringhiato e non si sarebbe avvicinato. Così Ocean prese l'iniziativa e provò ad avvicinarsi cautamente alla bimba, lasciandosi però una via di fuga: fece in modo di non impedire la mira a Daryl così da permettergli di salvarle la vita nel caso fosse stato un morto ad alzare la testa.
<< Molly. >> chiamò dolcemente avvicinandosi con cautela anche per non spaventarla. La bimba si irrigidì nel sentire la voce della ragazza e pian piano sollevò la testa, titubante e impaurita, e mostrò poco dopo i suoi occhi azzurri, arrossati dai pianti, ma ben lontani dal sembrare quelli di un morto. Si schiacciò un po' di più all'angolo del bagagliaio guardando le persone che si trovava di fronte. Era terrorizzata. Daryl abbassò la balestra, non c'era bisogno di continuare a puntargliela contro alimentando le sue paure. Max saltò definitivamente dentro l'auto e sempre con lentezza avvicinò il muso al viso della bimba, che arretrò e si strinse alla sua bambola.
<< Sta' tranquilla, piccina. Non vogliamo farti del male. >> provò a dirle Ocean, ma Molly continuò a fissare il cane impaurita mentre lui curioso cercava di avvicinarsi di più.
<< Lui è Max. E' un bravo cucciolone. >> sorrise dolcemente la ragazza prima di fare una carezza sulla testa del cane, una specie di dimostrazione dell'animo buono dell'animale. Molly allentò un po' la presa della sua bambola, rilassandosi, ma continuava a guardare spaventata il gruppo che aveva di fronte, indecisa se fidarsi o meno. Ocean si illuminò all'improvviso e si tolse la sacca dalla spalla, poggiandola di fronte a lei, aprendola e cominiciando a cercarci qualcosa dentro << Forse ho con me qualcosa che può farti stare meglio. >> disse prima di tirar fuori un piccolissimo incarto rosa che porse alla bimba.
<< Purtroppo non me ne sono rimaste molte. E' alla fragola, ti piace? Prendila. >> gli occhi della bambina si staccarono lentamente dalla faccia della ragazza che aveva china di fronte, titubanti, intimoriti forse che se avesse smesso di tenerla d'occhio le si sarebbe lanciata contro, e si andarono a posare sulla caramella che teneva in mano. Guardò di nuovo la ragazza, controllando che fosse ancora lì, o forse cercando approvazione, e allungò lentamente la mano tremolante verso lo zuccherino che sicuramente le faceva gola. Ocean le sorrise incoraggiante e aspettò che Molly prendesse la caramella. La guardò mentre la scartava ancora incerta e lentamente se la metteva in bocca.
<< E' buona vero? >> cercò conferma, ma la bimba ancora non parlò. Però annuì, dimostrando così di capire e facendo qualche passo avanti nel tentativo di Ocean di acquisire la sua fiducia.
Daryl alzò d'improvviso la testa, rivolgendo lo sguardo oltre l'auto e disse a voce non troppo alta << Ocean. Dovremmo andare adesso. >> il suo tono faceva trapelare tutta l'urgenza della situazione e Ocean capì al volo che stava succedendo: zombie. Si stavano avvicinando.
<< Ok. >> disse cercando di avvicinarsi un po' di più alla bambina, cosa che la fece spaventare e sussultare << Molly. >> la guardò negli occhi sperando di guadagnarsi la sua fiducia con quelle poche banali parole. Aveva poco tempo a disposizione per fare amicizia. << Devi venire con noi. E' pericoloso qui. >> tentò di riavvicinarsi alla bambina, che si irrigidì di nuovo, arretrò, schiacciandosi contro l'auto e negò con la testa. Nei suoi occhi c'era solo terrore. Ocean provò a sorriderle ancora, sapeva che se lei stessa faceva trasparire agitazione la bimba non si sarebbe mai tranquillizzata.
<< Andrà tutto bene, vedrai. Mi ha mandato qui tuo padre, Daniel. E' così che si chiama, vero? >> sapeva di aver fatto una mossa azzardata, ma doveva provarle tutte. Se la bimba sapeva che suo padre era morto non le avrebbe mai creduto.
Molly si illuminò a sentir nominare suo padre e annuì in risposta alla domanda della ragazza, che sorrise ancora, contenta di aver fatto centro.
<< Ocean. >> le mise fretta Daryl prima di imbracciare nuovamente la balestra e allontanarsi, probabilmente per dargli ancora qualche secondo di tempo, ma ormai erano alle strette. Si potevano sentire i versi gutturali delle creature che si avvicinavano.
<< L'ho incontrato e gli ho detto che dove stiamo noi è un bel posto. Ci sono tante cose buone da mangiare, dei giochi e un altro bambino con cui stare. Si chiama Carl, è molto simpatico. >> in realtà non lo credeva, non provava particolare simpatia per il ragazzino, ma doveva descrivere la fattoria come il paese dei balocchi per convincere Molly a seguirla.
<< Mi ha chiesto di venirti a prendere e di portarti lì. Ah! E poi c'è Max. >> aggiunse Ocean accarezzando di nuovo il cane << E' un gran giocherellone! >> sorrise ancora, facendosi scivolare addosso l'ansia che cresceva man mano che sentiva versi avvicinarsi e la voce di Daryl che la chiamava e le metteva fretta. Molly sentì anche lei quei versi che sicuramente riconobbe, riempiendosi di paura stringendo prima la sua bambola, poi gattonando si lanciò tra le braccia di Ocean, stringendola forte e tremando come una foglia. La sua era una disperata richiesta d'aiuto. Max scese dall'auto e ringhiò, acquattandosi e fissando un punto vicino all'auto. Ocean entrò completamente nel bagagliaio, sedendosi con la schiena poggiata al retro dei sedili posteriori, così da avere una visuale di ciò che le stava accadendo dietro ed evitare di essere presa alle spalle. Si sistemò la bambina in braccio, spingendole la testa contro la propria spalla << Molly, ora facciamo un gioco eh?! Ti va? >> disse cercando come sempre di sembrare il più tranquilla possibile, anche se la paura trapelava inevitabilmente.
<< Tieni gli occhi chiusi, resta pure poggiata qui. >> disse invitandola a posare gli occhi sulla sua spalla, per aiutarla a tenerli chiusi << E mi canti una canzone, eh? E io poi indovino che canzone è. Conosci qualche bella canzone da provare a farmi indovinare? >> ma la bimba non rispose, non aprì bocca e a malapena la sentì negare con la testa.
<< No? >> tentò di sistemarsi la sacca sull'altra spalla, per permettersi di avere le mani libere e poter sorreggere la bambina. Uno zombie sbucò ma non ebbe tempo di voltarsi e vederle che Ocean gli aveva già assestato un calcio pesante sulla guancia, facendogli voltare la testa con un sonoro "crack". Ma non fu sufficiente ad atterrarlo.
<< Allora canto io e tu indovini. Ascoltami bene, non perdere neanche una parola. Concentrati solo sulla mia voce, Molly. Assolutamente solo sulla mia voce. >> riferì prima di tirare un altro calcio sullo stesso punto facendo questa volta barcollare lo zombie, che tentava di tuffarsi sulla sua preda senza successo, venendo spintonato via in continuazione. Sentì Max abbaiare, poco lontano, vicino al muso dell'auto. Un altro calcio e riuscì a buttarlo a terra, lontano dall'entrata del porta bagagli.
<< Ok, pronta? Comincio! >> comunicò prima di darsi la spinta con gli addominali per alzarsi e spingersi fuori dall'auto poco alla volta, attenta a non essere colta di sorpresa. Data una veloce occhiata fuori si alzò e si allontanò subito dall'auto, voltandosi a guardarsi le spalle e notando la strada completamente invasa dagli zombie che ormai avevano accerchiato la macchina. Erano una ventina, forse più. Daryl tentava di abbatterne quanti più possibile, ma era accerchiato e aveva poco spazio di manovra. Max abbaiando tentava di attirarli e pian piano si allontanava: per entrambi la priorità era permettere a Ocean di avere la via di fuga libera per portar via la bambina. Ocean cominciò a cantare Alice in Wonderland di Avril Lavigne, la prima canzone che le era venuta alla mente e che poteva secondo lei essere a portata di bambina. Voleva evitare di cantarle qualcosa che con tutta probabilità non conosceva o non le avrebbe dato ascolto. Cantava, cercando di dare quanto più spazio possibile alla sua voce in mezzo a quel frastuono, sperando fosse abbastanza per permettere a Molly di non concentrarsi sul pericolointorno a loro. Uno zombie si avvicinò e Ocean gli diede uno spintone con la spalla libera, scaraventandolo a terra e completando l'opera con un calcio, facendogli saltare la testa, senza mai smettere di cantare, benchè lo sforzo fisico non le permetteva di rendere al meglio. Ma era necessario. Si sistemò Molly su un braccio solo, sforzando i bicipiti come poche volte aveva fatto, per sostenere la bambina, e con la mano libera sfoderò una delle sue daghe. Corse verso il fianco della macchina, intenzionata a raggiungere il suo compagno di viaggio che si stava allontanando sempre più, arretrando verso il bosco unica via di fuga. Ocean impugnò nuovamente la daga a mo' di pugnale e facendole fare un giro a mezz'aria lo conficcò nella tempia di uno zombie che si era trovato di fianco a loro. Molly la strinse ancora di più. La voce della ragazza non era abbastanza forte da coprire quei rumori. Aveva paura. Tremava.
Ocean tirò via la daga e buttò a terra un altro zombie con una spinta, dandosi del tempo. Una freccia si conficcò nell'occhio di un altro di loro che le era arrivato alle spalle e Ocean ebbe appena il tempo di guardare il balestriere, ringraziandolo con gli occhi, prima di tornare a lottare per la vita. Posò la mano che stringeva la daga dietro la schiena di Molly, facendo attenzione a non farle male, ma abbastanza forte da riuscire a reggerla, e alzando un piede tirò un altro calcio all'altezza della vita a un altro di quei putridi, scaraventandolo contro il finestrino dell'auto che si fracassò. Si voltò per tornare a correre verso il bosco, ma se ne trovò davanti altri. Un paio vennero abbattuti dalle freccie del balestriere, ma non fu sufficiente. Ocean arretrò di un passo, continuando a cantare e sentendosi per un attimo circondata e senza fiato. Si voltò di scatto e posò la mano armata sul cofano che aveva alle spalle, aiutandosi con quella a darsi la spinta necessaria per salirci sopra. Si voltò immediatamente, a guardarsi le spalle e arretrò di qualche passo. Non era abbastanza, gli zombie salivano con facilità e si allungavano per prenderla.
<< I'll Survive. >> Cantò ancora, affaticata, ma senza far cedere la voce. Si voltò nuovamente e salì sul tettuccio dell'auto, passando sopra il parabrezza, sentendolo scricchiolare sotto il peso dei suoi stivali e vedendolo incrinare. Ma riuscì ad arrivare in cima con un paio di falcate.
<<
When the world's crashin' down, When I fall and hit the ground >> Continuò con il fiatone. Si voltò nuovamentea guardarsi le spalle. L'auto era circondata, le frecce di Daryl non erano abbastanza per salvarla e gli abbai di Max non abbastanza da attirarli lontano, anche perchè dovevano già provvedere a salvare prima la propria di pelle. Vide gli zombie salire sul cofano e poi strisciare su per il parabrezza, cercando di raggiungerla.
<< I will turn myself around >> Ocean si riavvicinò velocemente al parabrezza e con un paio di calci ben assestati riuscì a infrangerlo, guadagnando altro tempo. Ma era solo qualche secondo in più. Non era salva. Aveva solo preso qualche secondo in più per permetterle di pensare a una soluzione. Abbracciò Molly, stringendola, cercando di darle sicurezza e si guardò attorno.
<< Don't you try to stop me! >> i polmoni cercavano aria, ma la sua voce non smetteva di dar vita alla canzone che sperava servisse a rincuorare in parte la bambina che aveva cominciato a piangerle sulla spalla. Alla fine prese la decisione. Guardò Daryl non molto lontano, con alle spalle ormai il bosco e davanti qualche zombie che poteva benissimo seminare, ma titubava, guardandola occasionalmente, chiedendole con gli occhi di raggiungerli, cercando un modo per aiutarla, ma riuscendo solo ad arretrare ancora. Max abbaiò ma non per attirare gli zombie, ma per richiamare la sua padrona, pregarla di raggiungerli perchè l'orda gli stava separando. Rinfoderò la daga, ormai solo d'impiccio, corse fino alla parte posteriore dell'auto e da lì prese la rincorsa, facendo risuonare il tettuccio come un tamburo sotto i suoi pesanti stivali.
<< I won't Cry! >> cantò alla fine trasformando il "Cry" finale in un vero e proprio urlo. Poggiò il piede sulla schiena del primo zombie che stava salendo sul tettuccio dell'auto, e usandolo come trampolino si diede lo slancio e saltò. Abbracciò più forte che potè Molly e chiuse gli occhi.
La sensazione di vuoto che ebbe per un istante quasi la uccise, soprattutto perchè sapeva che sotto di lei c'era un orda di zombie che probabilmente stavano a bracce alzate, pronti ad afferrarla appena sarebbe cominciata la discesa. Non aveva il coraggio di guardare. Non aveva il coraggio di vedere dove stava atterrando, per paura di non essersi data la spinta necessaria a superarli.
Poi l'impatto.
Le ginocchia non ressero davanti al peso extra della bambina e Ocean cadde in avanti. Strinse Molly e cercò di voltarsi a mezz'aria, permettendole così di cadere col fianco e non schiacciare la piccola che ancora teneva stretta al petto. Rotolò un paio di volte poi finalmente si fermò. Si affrettò ad aprire gli occhi: ancora nessun morso. Era ancora viva. Forse aveva una speranza. Ma l'impatto era stato peggiore di quello che aveva creduto e il fianco dolorante le annebbiò la vista per qualche secondo. Si sentiva mancare il fiato. Si sforzò di tirarsi su con un braccio, senza lasciare la bimba neanche per un istante e strinse i denti di fronte alla fatica. Poi un peso le atterrò sulla schiena, facendola ristendere a terra con violenza, schiacciando Molly che di fronte alla paura e al dolore lanciò un urlo. Ocean riacquistò un'improvvisa e strana lucidità, la stessa che a volte ti prende davanti a morte certa e ti permette di reagire salvandoti per il rotto della cuffia. Sentì un fiato puzzolente sul collo e seguì l'istinto. Portò la mano libera, aperta, dietro la sua spalla e riuscì ad afferrare la fronte dello zombie sopra di lei. Fece forza e cercò così di tenere lontana la sua faccia e soprattutto la sua bocca dalla sua carne. Sentiva lo zombie sbattere più volte i denti, pronto ad afferrare e stritolare, spingendosi in avanti e riuscendo pian piano a guadagnare terreno, sovrastando la forza della ragazza che colta dalla disperazione cominciò a divincolarsi. Cercò di liberarsi dal peso che le impediva di moversi, senza riuscirci. Molly sotto di lei continuava a piangere e urlare, schiacciata da entrambi e terrorizzata. Ocean raccolse le forze e provò ancora. Lanciò un urlo di sforzo e disperazione, sentendo di non riuscirci, sentendo ormai che non c'era più niente da fare.
Poi un'ombra sopra di lei. Un ringhio soffuso.
E improvvisamente si sentì leggera.
Alzò gli occhi spalancati, guardandosi attorno, non capendo cosa fosse successo e cercò subito di rialzarsi. Riprese Molly che era ormai talmente terrorizzata da conficcarle le unghie nella spalla nella sua presa disperata. Poi voltandosi ancora, studiando la situazione intorno a lei, un po' confusa, capì cosa era successo e chi le aveva salvato la vita. Poco lontano da lei Max teneva tra i denti il colletto della maglia dello zombie e camminando a ritroso lo stava trascinando via, ringhiando e scuotendo di tanto in tanto per confondere l'avversario e impedirgli di liberarsi, avversario che intanto cercava di allungare le braccia sopra di sè e voltarsi per afferrare il suo aggressore. Daryl arrivò correndo, dopo aver spintonato via un altro di quei mostri, e afferrò Ocean per il braccio, aiutandola ad alzarsi velocemente.
<< Andiamo! >> la incitò cominciando a trascinarla una volta in piedi. Ocean voltò la testa, mentre correva via, guardando il suo amico che continuava la sua lotta.
<< Max!! >> lo chiamò disperata. Non voleva lasciarlo lì! Lui l'aveva salvata. Non poteva abbandonarlo.
<< Max! >> chiamò ancora urlando più forte. Daryl la strattonò ancora, incitandola a muoversi, e Ocean fu costretta a tornare a guardare davanti, lasciandosi alle spalle il suo amico. Riuscirono dopo pochi metri a uscire dall'orda, ma non erano ancora abbastanza lontani da garantirsi la sicurezza. Ocean con uno strattone si liberò della presa di Daryl e si voltò a guardarlo. Gli occhi erano colmi di disperazione.
<< Prendila tu, Daryl! >> disse e cercò di avvicinare la spalla che reggeva la bambina al ragazzo. Ma Molly non sembrava intenzionata a mollare la presa, non voleva staccarsi da Ocean, l'unica di cui al momento si fidava. Daryl la prese di nuovo per il braccio e cercò di trascinarla via di nuovo, dovevano allontanarsi, ma Ocean si scrollò di nuovo e urlò << No!! >>.
<< Andrà tutto bene, Molly. Daryl è con noi, è mio amico. Vai con lui. >> e prima che Daryl potesse fermarla di nuovo si ritrovò in braccio la bambina, che come aveva fatto finora con la ragazza, strinse le braccia intorno al suo collo con tutta la forza che aveva.
<< Andate! >> li incitò Ocean cominciando a correre per tornare indietro, enfatizzando il suo ordine con un gesto della mano prima di portarla alla spada appesa al suo fianco.
<< No, aspetta! >> tentò di fermarla Daryl, ma gli zombie stavano arrivando e lui aveva tra le braccia una creaturina terrorizzata che aveva assolutamente bisogno di essere portata in salvo. La sua preoccupazione urlava di correre dietro a Ocean e aiutarla, ma il senso del dovere era più forte e gli ordinava di pensare prima a Molly, perchè tra le due era quella che ne aveva più bisogno. La sentì singhiozzare sulla sua spalla e non ebbe bisogno di altri incentivi.
Corse via.

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Capitolo 14
*** Apnea. ***


Apnea

Il buio era calato ormai, e quella notte le stelle avevano deciso di non mostrarsi agli occhi dei terrestri, padrone severe del cielo.
L'unica fonte di luce su cui poteva contare la donna seduta sulla veranda della villa era una fiaccola piantata al suolo, poco distante da lei, e la luce elettrica che filtrava dalle finestra alle sue spalle. Davanti a lei un oblio le rendeva incapace di vedere la staccionata, ma questo non la persuase a distogliere lo sguardo e impedire di cercare con gli occhi. Il cuore le continuava a sussurrare imperterrito parole di conforto e di speranza. Non poteva averla abbandonata anche lui. Non in un momento come quello. Sarebbe tornato.
Daryl avrebbe bucato quell'oscurità e sarebbe tornato da lei.
Rick e gli altri del gruppo si erano molto preoccupati quando avevano realizzato che non c'era più, che era sparito, e solo successivamente era emerso che anche Ocean era sparita. Cosa fosse successo tra i due nessuno lo sapeva, ma dati gli astii che correvano alcuni avevano sollevato il dubbio che si fossero ammazzati a vicenda. Era una cosa impossibile, Daryl non uccideva nessuno, Daryl era buono ed era forte, non si sarebbe fatto ammazzare da una ragazza. E allora cosa era successo? Dov'erano finiti? Perchè nessuno dei due era tornato la sera prima, e non stavano tornando neanche quella sera? Nonostante le preoccupazioni però non era stata organizzata nessuna operazione di ricerca, e questa la mandava in bestia, anche se tenne questo sentimento per sè. Si fidavano di Daryl, sapevano sarebbe tornato prima o poi, e poi al momento c'era una questione più importante di cui occuparsi.
Carol si strinse di più la coperta sulle spalle e cercò di nuovo di ricacciare le lacrime indietro. Aveva così tanta paura di non rivederlo più. Aveva avuto la forte tentazione di rubare un'arma e partire lei stessa alla ricerca, visto che nessuno del suo gruppo ancora si decideva, ma era sicura che avrebbe fatto due passi e sarebbe morta. Lei non era in grado.
Si guardò schivamente il ventre, cercando di rimanere discreta, e scostò leggermente la coperta, intravedendo il riflettere di una lama.
<< Comincia a impugnare un coltello con intenzioni diverse da quelle di voler tagliare il pane >> le aveva detto Ocean durante una delle loro prime chiacchierate, e non era mai riuscita a dimenticare quelle parole. Era solo la volontà a impedirle di diventare forte, era questo che diceva Ocean, e voleva crederci. Voleva credere che anche lei avrebbe potuto salvare delle vite. E sapeva già da quale voleva cominciare. Strinse tra le dita l'impugnatura, scaricando su di essa tutto il suo risentimento, risentimento che per anni aveva coltivato dentro sè e cercò in esso la forza necessaria ad alzarsi, armarsi di tutto punto, e partire. Ma il coraggio non arrivò. Sospirò, allentò la presa e tornò a nascondere il coltello sotto la coperta che teneva sulle spalle.
Ma un giorno ce l'avrebbe fatta.

Nel frattempo si aggrappava anche lei alla speranza e alla fiducia che riponeva nel ragazzo, sperando fosse abbastanza per salvargli la vita e riportarlo a casa.
Una mano le si posò sulla spalla, la guardò curiosa e risalì il braccio con lo sguardo incrociando infine il volto preoccupato di Lori.
<< Vieni dentro, Carol, ti gelerai a stare qui fuori. >> cercò di convincerla caricando la sua frase di compassione e dolcezza. Carol non rispose, abbassò gli occhi e poi li riportò all'oscurità che aveva davanti, continuando ad aspettare e sperare.
<< Daryl è forte, tornerà di sicuro, vedrai. Rick dice che dobbiamo solo aspettare, e se entro un paio di giorni ancora non si fa vivo allora cominceremo a organizzare delle ricerche. >>
<< Due giorni sono passati. Domani è il terzo. >> comunicò Carol non nascondendo una buona dose di acidità.
<< Allora vuol dire che domani Rick andrà a cercarlo. >> rispose Lori prima di inginocchiarsi accanto alla donna << Dobbiamo avere fiducia negli uomini del gruppo, loro sanno come cavarsela. >>
Carol strinse di nuovo l'impugnatura del coltello da sotto le coperte, senza farsi vedere dalla donna inginocchiata accanto a lei. Un palpitio le aveva fatto sobbalzare il cuore "Non solo gli uomini. Non devono essere solo gli uomini a sapere come cavarsela." pensò rimuginando ancora sulle parole di Ocean. Lei era una donna, eppure sapeva cavarsela. Anche Andrea era una donna, e anche lei stava dimostrando di avere forza e coraggio. Tutti potevano essere forti, anche lei, non solo gli uomini. Non doveva essere così, non più.
Poi all'improvviso mollò la presa e spalancò gli occhi, guardando oltre a quello che l'oscurità che permetteva, sforzandosi. Lori notò il cambio di espressione della donna e volse lo sguardo nella stessa direzione.
Un'ombra. Un'ombra nell'oscurità si stava avvicinando alla villetta.
Si alzò in piedi sperando di aumentare così il campo visivo disponibile, cercando di intravedere chi fosse. Entrambe colte da speranza, gioia e sorpresa.
<< Rick!! >> chiamò Lori l'uomo all'interno della villetta, che sentendosi convocare con tale urgenza corse subito fuori, seguito dagli altri. Si fermarono sulla veranda della villetta ad osservare l'ombra che si avvicinava, poi Rick fece il primo passo, scese le scale e corse incontro a chi stava arrivando,illuminandosi, felice, e soprendendosi.
Daryl camminava spedito, lo sguardo truce rivolto in basso. Sentiva che i suoi compagni gli stavano correndo incontro, probabilmente preoccupati per la sua assenza, e Rick fu il primo ad aprire bocca per fargli delle domande, chiedergli che fine aveva fatto e soprattutto
<< Chi è lei? >> rivolgendosi al fagotto che il ragazzo teneva in braccio. Ma Daryl non rispose, superò i suoi compagni continuando a camminare spedito verso la villetta. Carol si alzò in piedi quando gli passò accanto, ma non proferì parola, non la degnò neanche di uno sguardo. Guardò stupita e con un cenno di emozione la bambina dai capelli rossi che dormiva con la testa poggiata sulla sua spalla, aveva ancora il viso rigato di nero per colpa delle lacrime, e ogni tanto sussultava nel sonno ancora colta da alcuni singhiozzi. Un braccio era ben saldo intorno al collo del suo salvatore e la mano era portata alle labbra, in un primordiale istinto di succhiarsi il pollice in cerca di conforto e sicurezza. Con l'altra mano invece, schiacciata tra lei e il petto di Daryl, stringeva una bambola di pezza malconcia. Sulle spalle aveva poggiato grossonalamente un cappottino rosa, unico riparo per il freddo, cappottino che Daryl sistemò meglio in un tenero gesto dopo i sussulti causati dal suo salire gli scalini della veranda.
Daryl arrivò alla porta della casa senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti, lasciando ancora una volta tutti immersi in un immenso punto interrogativo. Cosa era successo? Chi era la bimba? Dove l'aveva trovata? E dov'era Ocean?
Hershel uscì fuori da casa solo in quell'istante e guardò tutti i presenti confuso e con il suo solito sguardo severo da capo branco.
<< Cos'è successo? >> chiese rivolgendosi a Daryl che solo in quel momento alzò gli occhi, rivolgendoli al vecchio davanti a lui e già prima di cominciare a parlare per dare le sue spiegazioni sollevò delicatamente la bambina dalla sua spalla, facendo ben attenzione a non destarla dal suo sonno, e la porse a Hershel << Sistemala in uno dei tuoi letti, ha bisogno di stare tranquilla per un po'. Controlla per favore se sta bene e dalle qualcosa da mangiare e bere. Non so quanto tempo è stata sola. >> e nonostante i muscoli fossero tesi, nonostante il viso e gli occhi corrucciati, nervosi, il tono con cui diede istruzioni al vecchio era stato pacato e dolce. Hershel prese in braccio la bambina, facendo la stessa attenzione a non svegliarla, annuì in accordo a quanto detto, ma non smise di guardarlo interrogativo. Tutti si aspettavano delle spiegazioni e una storia, ma nessuna delle due arrivò. Nel passaggio del testimone da Daryl a Hershel la mano di Molly che stringeva la bambola si allentò, facendola cadere a terra e Daryl non esitò a chinarsi subito per raccoglierla, facendo trapelare ancora una volta una sottile dolcezza che non era da lui. La sistemò delicatamente tra Hershel e Molly, così da impedirle di cadere ancora, poi senza aggiungere altro si voltò e cominciò ad avviarsi nuovamente verso l'oscurità da cui era emerso.
<< Daryl! Aspetta, dove vai? >> lo fermò Rick piazzandosi davanti a lui e poggiandogli una mano amichevole sulla spalla, spalla che Daryl scrollò nervosamente e istintivamente, liberandosi dalla presa e continuando ad avanzare, guardando fisso davanti a sè.
<< Ehi! Amico! >> lo richiamò ancora Rick, correndogli ancora dietro e mettendosi di nuovo davanti a lui << Aspetta, ti prego. Ho bisogno di te qui. >> e nonostante la preghiera il tono usato era poco amichevole. Era autoritario e persuasivo. Non voleva che Daryl se ne andasse di nuovo, aveva bisogno di lui, soprattutto con la storia di Randall appena emersa. Era un brutto momento per andarsene. Daryl lo guardò negli occhi, fulminandolo e caricando il suo sguardo di tutta la determinazione che avrebbe impedito a Rick di fermarlo, o almeno questo credeva. Lo sceriffo era un osso duro, non a caso era il capo.
<< C'è una faccenda... >> cominciò a spiegare Rick, senza entrare troppo nei particolari << Che devi aiutarmi a risolvere. >> ma lo sguardo di Daryl ancora non cedeva << Senti, non so cosa sia successo lì fuori e se non vuoi spiegarmelo non importa. Ma la cosa che conta ora è che tu sia qui, a casa tua, con i tuoi compagni che tu hai il dovere di proteggere. >> aggiunse Rick rimarcando molto le parole "tua" e "tuoi", un modo per sottolineare quali erano le priorità. E solo allora Daryl abbassò gli occhi, pensieroso, sulla via della convinzione ma ancora molto combattuto, per poi voltarsi a guardare il bosco in cui sentiva avrebbe dovuto correre.
<< Nessuno viene lasciato indietro. L'hai detto tu. >> disse Daryl senza staccare gli occhi dal bosco.
<< Le cose stanno un po' cambiando. >> ammise Rick con un certo imbarazzo << Ma le priorità restano comunque le stesse. Devi prima di tutto pensare al tuo gruppo e alla sua sicurezza. Ocean non fa parte del gruppo. >> disse Rick intuendo quale fosse il motivo che spingeva Daryl ad andarsene di nuovo. Probabilmente aveva lasciato indietro Ocean, forse in qualche situazione pericolosa, e voleva tornare a prenderla. Daryl serrò la mascella, non riuscendo ancora a trovar pace. Sapeva che Rick aveva ragione, non poteva lasciarli di nuovo, doveva restare con loro, pensare a loro, e poi si era detto più volte che qualsiasi decisione prendesse Rick a lui andava bene. Ma la coscienza continuava a non trovare pace. L'aveva lasciata sola. Aveva tanto decantato l'importanza di un gruppo, di qualcuno che ti sta vicino e ti aiuta, e poi aveva fatto tutto il contrario, lasciandola sola, abbandonandola in mezzo al pericolo. E non era neanche sicuro ce l'avrebbe fatta a salvarsi. E se Max non ce l'avesse fatta? Non aveva più neanche Peggy e senza lui a guidarla probabilmente non l'avrebbe più ritrovata. Era completamente sola, lasciarla al suo destino sarebbe stata veramente una carognata.
<< E' una ragazza forte, ce l'ha dimostrato fin dall'inizio. Se la caverà. >> cercò ancora di persuaderlo Rick, anche se proprio non riusciva a capire come all'improvviso Ocean fosse tanto importante per Daryl, dopo che aveva più volte esplicitato il suo dissenso a tenerla con loro, e la poca fiducia che riponeva in lei. Ma erano stati fuori quasi due giorni...sicuramente qualcosa doveva essere successo. << Siamo noi ora ad aver bisogno di te. Io... >> disse caricando la parola di tutta la pesantezza che poteva avere << ...ho bisogno di te. >>. Daryl abbassò nuovamente lo sguardo, sentendosi ancora le budella contorcersi, il senso di colpa non voleva lasciarlo in pace. Ma capiva.
Alzò gli occhi, guardando di nuovo il suo amico e annuì silenziosamente, arrendevole, e senza aggiungere altro ripercorse i suoi passi e si diresse verso la villetta, dove erano riuniti tutti, probabilmente a cenare. Anche lui aveva bisogno di mangiare qualcosa, era dalla sera prima che non buttava giù cibo, anche se al momento un forte senso di nausea gli impediva di avere fame. Era più il buon senso a spingerlo.

Rick sapeva già quello che avrebbe dovuto fare, ma sapere che Daryl lo sosteneva era motivo in più per agire. Aveva bisogno che qualcuno lo sostenesse delle difficili decisioni da prendere, e Daryl tra tutti era quello che aveva più forza per agire nel giusto, anche se questo giusto per molti sarebbe stato immorale. Il mattino successivo caricò Randall sul bagagliaio dell'auto, bendato e con un paio di cuffie alle orecchie, impedendoli di orientarsi, e insieme a Shane partì, diretto in qualsiasi città fosse abbastanza distante dalla loro fattoria. Voleva dargli una chance, anche se decisamente scarsa, ma non se la sentiva di fare il boia della situazione. Con molta probabilità non se la sarebbe cavata, ma a quel punto non era più responsabilità sua. Anche se la necessità di un posto sicuro lo stava portando a trasformarsi, a diventare più duro e freddo, disperato nel suo tentativo di garantire al futuro nascituro una possibilità di vita, comunque non aveva ancora perso del tutto la sua umanità. Ancora non aveva cuore di guardare negli occhi chi stava uccidendo.
Daryl li guardò allontanarsi, seduto alla ringhiera della verandina, senza uno scopo preciso, intento solo a passare il tempo. La sua casa ormai era quella, lo sapeva anche lui e non la disdegnava affatto, aveva dato così tanto al gruppo che tornare indietro non era possibile. Eppure sentiva di aver sbagliato qualcosa, e sapeva cosa. Tenne lo sguardo fisso all'orizzonte, cercando di perforare quei boschi con gli occhi, provando l'irrefrenabile desiderio di poter vedere oltre. La sua coscienza sarebbe stata più leggera e pulita se quell'assenza fosse stata giustificata, se fosse stata lei alla fine a dire "no", o magari il gruppo. Ma non così. L'aveva lasciata a se stessa, l'aveva abbandonata proprio quando più di ogni momento lei aveva bisogno di aiuto. Non sapere se era morta o meno lo tormentava. Non sapere se l'aveva uccisa o meno. Sapeva che ormai tornare indietro a cercarla era inutile, era passato troppo tempo, l'avrebbe trovata morta o non l'avrebbe trovata affatto, intenta ancora a cercare la sua cavalla e a portare avanti la sua disperata sopravvivenza solitaria. Doveva mettersi il cuore in pace, quello, nel bene o nel male, era stato un addio, e lui aveva fatto l'unica cosa giusta da fare al momento. Lui non aveva sbagliato niente.
Uno scricchiolio alle sue spalle annunciò la presenza di qualcuno. Si voltò e vide Hershel, con una luce diversa in volto, non più intollerante alla presenza di ospiti nella sua proprietà. Qualcosa era cambiato.
<< Molly sta bene. >> gli disse semplicemente, senza aggiungere altro. Stava ancora assimilando le novità di quei giorni, aveva bisogno di tempo, non si sarebbe subito messo a chiedere scusa e a fare l'amicone con tutti. Daryl ignorò la sua frase e con la faccia di chi non gliene importa niente, tornò a guardare il bosco. Hershel titubò un po', sapeva che il ragazzo non era tipo da smancerie e dimostrazioni d'affetto, ma andava fatto << Penso tu debba andare a trovarla. >> disse.
<< Solo perchè l'ho portata qui non vuol dire che sono la sua balia. Chiedi a Carol di occuparsi di lei. >> rispose con un tono scocciato.
<< Non ti ho chiesto di badare a lei. Ti ho chiesto di andare a trovarla. >> ma Daryl ancora non sembrava gliene importasse qualcosa. Non voleva gli scaricassero una bambina, non avrebbe mai fatto il papà amorevole che rimbocca le coperte. Lui l'aveva portata in salvo, il suo compito era terminato lì.
Hershel titubò ancora, evidentemente la questione era più delicata di quello che sembrava, e non tardò a comunicarlo, sperando fosse il modo migliore per convincere il ragazzo a fare come diceva.
<< Si è svegliata questa mattina presto. Non si è mossa dal letto, ma soprattutto non ha ancora aperto bocca. Non parla. Non so se sia un caso di mutismo, ma dato il suo atteggiamento e le circostanze sono più propenso a pensare sia una reazione al trauma. Spesso capita che le persone smettino di parlare dopo aver subito un trauma. >>
<< E io che c'entro con questo? >> chiese ancora scocciato Daryl, che voleva essere lasciato fuori da quella storia. Non ne voleva sapere niente, non ne sapeva niente di bambini e certamente non avrebbe cominciato in quel momento.
<< Sei la persona che l'ha portata in salvo. A volte può succede che il salvato cominci a provare improvvisamente un forte senso di affetto verso il salvatore, come un colpo di fulmine. Se tu andassi lì magari riusciresti a tranquillizzarla e l'aiuteresti a superare il... >> ma Hershel non riuscì a terminare la frase che Daryl si alzò in piedi, gli occhi piccoli e affilati, i muscoli tesi per il nervoso, e lo interruppe con un deciso << Ti sbagli. >>.
Il vecchio si zittì, non capendo.
<< Non sono io il figlio di puttana che l'ha salvata. Io l'ho solo portata qui. >> disse prima di andarsene e finire lì la conversazione. Stava cominciando a irritarsi. Hershel aveva riportato alla mente di nuovo quella scena, di nuovo quei ricordi, di nuovo quei sensi di colpa. L'aveva ritenuta imbranata, l'aveva maltrattata e considerata male, ma alla fine era stata lei a tirare fuori le palle necessarie a fare la cosa giusta, salvando la bambina, rituffandosi tra gli zombie per salvare il suo amico, mentre lui...lui era solo scappato. Ma che scelta aveva avuto? Questo però non toglieva che Ocean non se lo meritava.
Ma ciò che dentro covava e che cercava in tutti i modi di nascondere anche a se stesso, sotto una strato di giustizia e sensi di colpa, era che quei due giorni passati fuori erano stati piacevoli. La sua compagnia era stata piacevole, le sue stupide battute sarcastiche erano state piacevoli, i suoi colpi di testa e quel suo continuo provocare e stuzzicare, solo per tenere vivo un fuoco, per non cadere nella quotidianità e monotonia, solo per avere qualcosa da ricordare e di cui sorridere più avanti, alla faccia di tutta la merda che li circondava. Allora l'avrebbe strozzata più volte, ora lo pensava ancora ma lo faceva col sorriso di chi ricorda un divertente anneddoto.
Ocean era una di quelle persone a cui si augura solo il bene e la fortuna, perchè è ciò che si merita.
Sperava tanto che fosse ancora viva. Ovunque fosse, ma viva.
Passò spedito vicino al campo, diretto verso non sapeva bene neanche lui dove. Qualcuno, non seppe bene chi visto che quasi non l'ascoltò, gli chiese dove stesse andando e lui si limitò a rispondere con un seccato << A fare una passeggiata. >>
Muoversi gli avrebbe fatto bene. Doveva sfogare la rabbia.

Maggie entrò delicatamente nella stanza della bambina, la nuova arrivata, così piccola e indifesa ma che già era stata testimone di chissà quali orribili cose. Daryl aveva spiegato brevemente la sera prima che l'avevano trovata nel cofano di un auto e che poco prima avevano visto la sua foto nel portafoglio di uno zombie, quello che probabilmente era suo padre. Ma la cosa peggiore era che la madre, ancora chiusa nell'auto, trasformata, stringeva tra le mani il suo cappottino, quindi probabilmente lei aveva visto la madre trasformarsi ed era scappata al tentativo di questa di mangiarla. Doveva essere stato uno shock enorme per quel povero scricciolino, e anche se per ora erano solo ipotesi, era comunque una storia che aveva commosso tutti.
Entrò con un vassoio e si richiuse la porta alle spalle. La bambina era stesa a letto, girata di spalle, raccolta in posizione fetale probabilmente ancora abbracciata alla sua bambola che non mollava un attimo.
<< Ciao Molly. >> salutò dolcemente la ragazza, prima di posare il vassoio vicino al comodino.
<< Ti ho portato un po' di cose buone da mangiare. Hai fame, piccola? >> era dalla sera prima che stavano provando a farla mangiare, ma il massimo che aveva fatto era stato smangiucchiare un po' di pane, lasciando tutto il resto, e una barretta di cioccolato. Aveva fame, lo si vedeva, ma probabilmente lo stomaco era chiuso e le impediva di cibarsi come avrebbe dovuto. La bambina, ferma nella sua posizione negò con la testa. Maggie si sedette a bordo letto, vicino a lei e le poggiò una mano sulla spalla, accarezzandola dolcemente. Le passò la mano sui capelli sciolti, che cadevano sul cuscino come tante piccole lingue di fuoco, e sorrise teneramente.
<< Che bei capelli che hai. Che ne dici se li spazzoliamo un po'? Così saranno ancora più belli. >> voleva coinvolgere in qualche modo la bambina, trovare un modo di distrarla, farla divertire, darle un po' di dolcezza per tranquillizzarla. Molly inizialmente non fece niente, poi al secondo sollecito di Maggie si alzò a sedere sul letto e guardò la ragazza che aveva con sè nella stanza. Maggie prese una spazzola dal cassetto del comodino accanto e le fece cenno di girarsi. Molly obbedì e si mise di spalle rispetto a lei, sempre stringendo la sua bambola, e Maggie cominciò a pettinarla dolcemente, facendo passare con delicatezza le morbide setole tra i capelli.
<< Quando ero piccola adoravo essere spazzolata. Mi rilassava sentire il pettine sulla testa, era come una carezza. >> ma ancora nessuna risposta da parte della piccola. Maggie prese a passare anche le sue dita tra i capelli, evitando di tirar via nodi troppo bruscamente, cercando di rendere l'azione più delicata di quanto fosse possibile. Le piangeva il cuore a vedere un tale fiorellino rovinato così dal sangue. Nessuno in quel periodo meritava tanta violenza e cattiveria, i bambini meno di tutti.
Poi all'improvviso sentì la porta alle sue spalle aprirsi e si voltò a guardare chi stesse entrando. Fermo sulla porta, forse un po' sorpreso di vedere la stanza affollata, c'era Daryl, silenzioso e cupo come sempre. Fece per andarsene, motivato dal fatto che la bambina avesse già compagnia, ma Maggie lo fermò << Aspetta! Me ne stavo andando. >> disse alzandosi dal letto. Poggiò la spazzola sul comodino, vicino alle cose da mangiare, e uscì via di fretta, prima che Daryl potesse cambiare idea. Sapeva che suo padre aveva provato a convincerlo ad andare a trovarla perchè credeva che forse l'avrebbe aiutata, ma aveva saputo che la risposta era stato un secco no. Vederlo arrivare era stata una piacevole sorpresa.
Maggie uscì silenziosa come un'ombra, senza dire o fare niente che potesse dissuadere il ragazzo dal restare. Molly si voltò lentamente, chiedendosi probabilmente chi fosse arrivato ora a visitarla. Ultimamente venivano un sacco di persone, ma quelle che vedeva di più erano il dottore e la signorina che era venuta prima a pettinarla. Si prendevano tanta cura di lei, anche se le visite del dottore non sempre erano piacevoli. Le faceva spalancare la bocca, le metteva quel disco gelido sulla schiena e le accecava un occhio con una lucina. Era fastidioso...ma era gentile e le aveva portato lui il cioccolato. Questa volta però non era nessuno dei due, ma era una delle uniche due persone che desiderava veramente vedere. Il signore dalla pelle calda e le braccia grosse che l'aveva portata via da quell'inferno. Il viso le si illuminò appena e si spostò a sedere con la schiena poggiata al muro dietro di sè. Daryl lasciò intravedere un po' di imbarazzo, non sapeva come ci si comportava con i bambini e non sapeva nemmeno perchè alla fine aveva accettato di andare da lei. Si chiuse la porta alle spalle, si diresse verso una sedia lì vicino e ci si sedette cavalcioni, con lo schienale davanti a sè, su cui ci posò un braccio. Entrambi rimasero qualche secondo a fissarsi in silenzio, non sapendo che fare o, nel caso di Daryl, che dire.
<< Dovresti mangiare qualcosa. >> disse dopo un po' lui, trovando appiglio all'unico argomento che al momento gli veniva in mente. Indicò il vassoio ancora pieno << Su' >> la incoraggiò con un gesto della testa. Molly si voltò a guardare il vassoio e si strinse un po' in se stessa, in un misto di colpa e vergogna, forse perchè non aveva mangiato e perchè il tono di Daryl sembrava un riprovero.
Daryl si alzò, avvicinandosi al vassoio e porse alla bimba il piatto con all'interno della minestra ormai tiepida.
<< Non crescerai mai se non mangi. >> era la classica frase di circostanza da dire ai bambini quando non volevano mangiare, certamente peccava di scarsa fantasia. Molly prese timidamente il piatto e pian piano cominciò a portarsi qualche cucchiaio alla bocca, guardando l'uomo in piedi accanto a lei, in cerca di approvazione. Ma lui sembrava ancora così duro in viso, come se la stesse ancora brontolando. Daryl tornò a sedersi nella stessa posizione di prima e rimase lì, in silenzio, a guardarla mentre mangiava, per controllarla pensava lei, per fare il suo dovere pensava lui. Gli era stato chiesto di andare a trovarla, così forse l'avrebbe aiutata a riprendersi dal trauma, ed era quello che stava facendo. Era andato a trovarla.
Molly finì di mangiare e guardò di nuovo il suo ospite in cerca di approvazione. Daryl rimase immobile qualche secondo, poi fece un sospiro e si alzò di nuovo. Prese il piatto dalle mani della bambina e lo rimise al suo posto, senza un cenno di congratulazioni o un gesto carino, sempre col suo sguardo severo e scostante, come un maestro della scuola che sta dando i compiti ai suoi alunni. Si voltò, facendo quasi per andarsene, ormai convinto che non potesse fare altro, ma si fermò di nuovo, pensieroso, e questa volta anche un po' imbarazzato. Si sentiva stupido, non si era mai trovato in una situazione del genere, e poi era sempre imbarazzante quando doveva dimostrarsi vicino a qualcuno. Si tirò fuori dalla tasca qualcosa e se la rigirò un momento tra le mani prima di avvicinarsi alla bimba con rapidità e porgerglielo, tenendosi abbastanza distante, restando comunque con parte del corpo rivolto verso la porta e il braccio teso, dando segno quasi di avere fretta e cercando di far sembrare quel tenero gesto il meno tenero possibile.
<< E' un cane. >> disse lui non riuscendo a nascondere l'imbarazzo. La bimba prese il foglietto che l'uomo le stava porgendo e si ritrovò tra le mani un origami, uno di quei giochi di piegature della carta che alla fine dava vita a qualche forma strana. Quello in particolare era il muso di un cane.
<< E' l'unico che ho mai imparato a fare, me lo insegnò un vecchio amico del quartiere quando avevo la tua età. >> e si allontanò di nuovo << E' una stupidata. Lascia stare. >> disse in conclusione, come se si fosse reso conto solo allora che aveva fatto una cazzata. Era un gesto carino, e i gesti carini lui non li sapeva fare, o almeno così credeva, e lo imbarazzavano. Come il fiore che aveva portato a Carol.
Molly guardo il pezzettino di carta che aveva tra le mani e per la prima volta dopo tempo sorrise, anche se forse l'uomo non la vide. Era carino, proprio un bel cane. E poi era un suo regalo. Allora non voleva brontolarla. Non ce l'aveva con lei!
Daryl posò la mano sulla maniglia della porta per andarsene ma si bloccò e irrigidì improvvisamente quando sentì la voce delicata della bimba dire << Alice. >> Rimase pietrificato, non solo perchè finalmente era riuscita a parlare, ma per quello che aveva detto. Come sapeva lei...
No, forse aveva capito male.
<< Come hai detto? >> le chiese voltandosi perplesso a guardarla.
<< Alice. >> ripetè ancora la bambina mentre giocava con l'origami che aveva tra le mani. Muovendolo sembrava che il cane abbaiasse. Daryl rimase senza parole mentre la testa gli si affolava di mille pensieri, tutti diversi, ma tutti collegati a quella mattina all'alba, a Ocean che cercava di insegnargli a pronunciare il suo vero nome.
Molly si voltò a guardare l'uomo che aveva accanto e che ancora non aveva detto niente << E' il titolo della canzone. >> Daryl cominciò a riprendersi e capire. La bimba allora non conosceva veramente Ocean, non sapeva il suo nome. Che stupido aver subito pensato a una cosa del genere!
<< La canzone? Quella che ti ha cantato mentre... >> si interruppe, non andando oltre per non ricordare quel momento che probabilmente era troppo spaventoso per lei, ma sapendo che tanto avrebbe capito.
Molly annuì semplicemente, continuando a giocare col suo cane cartaceo e accompagnando il suo annuire con un "mh-mh" allegro e soddisfatto.
<< Glielo devo dire. Ho indovinato. Lo devo dire alla bella signora col cane. >> disse ancora, prima di interrompersi, come se si fosse ricordata qualcosa e si voltò verso Daryl << Le dici di venire qui? Le devo dire che ho indovinato! >> Daryl tornò a stabilizzarsi, c'era stato un malinteso, un malinteso che era facile da evitare, ma l'aver rievocato quel nome così improvvisamente non aveva impedito ai suoi pensieri di vagare. Era incredibile come il suo primo pensiero a sentir quel nome, che poteva indicare qualsiasi cosa se uno fosse stato più lucido, l'avesse subito riportato a lei.
<< Lei ora...non c'è. >> disse semplicemente Daryl, non sapendo come dire alla bimba che Ocean probabilmente non l'avrebbe più rivista.
<< Ma quando torna glielo dici? >> insistette la bambina, non cogliendo probabilmente ciò che l'uomo stava cercando di dirle, ma credendo semplicemente che la bella signora col cane fosse via per un servizio, ma poi tornasse. Daryl sorrise imbarazzato e annuì << Sì, appena torna glielo dico. >> forse aveva mentito, ma qualcosa era nato dentro lui. Una vana speranza. L'innocenza con cui la bambina credeva che l'avrebbe poi rivista lo aveva in qualche modo contagiato. Perchè pensar negativo? E se si fosse salvata? E se fosse tornata? A questo non aveva mai pensato. Magari aveva colto tutto quello che Daryl aveva cercato di dirle, magari quella piccola avventura insieme l'aveva in qualche modo convinta, e chissà che anche lei non stesse pensando sorridendo a quanto avrebbe avuto voglia di strozzarlo. Così, solo perchè era lui. Sì. Probabilmente era così. Non poteva essere stato una semplice scampagnata, lei gli aveva detto qualcosa di sè, gli aveva lasciato qualcosa, erano entrati pù in confidenza di quanto avessero immaginato, non poteva lasciarsi tutto alle spalle.
Sì, lei sarebbe tornata. Se era sopravvissuta, lei sarebbe tornata.
Non seppe neanche lui perchè cominciò improvviamante a sperarci tanto, forse per mettere pace ai sensi di colpa, forse perchè il suo ritorno avrebbe dimostrato che non aveva risentimento nei suoi confronti per averla abbandonata, o forse semplicemente perchè lo aveva divertito. Quella piccola avventura era stata piacevole, e lei bene o male, anche se a volte in maniera soffusa, lo divertiva. E poi se l'era presa a cuore, anche se questo non lo avrebbe mai ammesso o accettato, dal momento in cui le era corso dietro quando se n'era andata, lui l'aveva presa a cuore, aveva preso a cuore la sua sopravvivenza, la sua vita, in qualche modo si era fatto carico di lei.
Ocean aveva bisogno di aiuto. Non lo aveva mai detto, e mai lo avrebbe fatto, ma un occhio attento non poteva non cogliere quei segnali. Aveva bisogno di aiuto. Come il gatto selvatico di Dale. E forse era proprio l'istinto protettore di Daryl ad averlo spinto, visto quanto imbranata poteva essere lei a volte. Lei aveva bisogno di qualcuno che la tirasse su quando inciapava nelle radici degli alberi, e lui aveva piacere di averla dietro di sè, che gli copriva le spalle, che, come aveva detto lei, gli "salvasse quel bel culo da fotomodello".
La sindrome dell'eroe.
Non ci aveva creduto inizialmente, era veramente una sciocchezza, ma più passavano i giorni e più si convinceva che lei avesse visto più lontano di quanto potesse immaginare. Lo aveva preso un po' in giro per questa sua mania di correre in aiuto degli sconosciuti, e lui aveva riso di una tale cavolata, ma era vero. Lui aveva bisogno di salvare vite. Stava cominciando a stancarsi di lasciarsi alle spalle cadaveri.
E poi...erano uguali. Duri nei modi, cercando di prendere le distanze, solo per poter in qualche modo proteggere se stessi o perchè le circostanze gli avevano insegnato che così si fa. Ma inevitabilmente si finiva con l'affezionarsi troppo facilmente. Il bisogno di aiutare e di trovare la sicurezza che tanto si desiderava negli occhi delle persone che li circondavano.
Ma tutto questo era qualcosa di talmente profondo che non emerse nella mente di Daryl: lui sentì solo speranza, determinazione, sicurezza e un minimo di tenerezza nei confronti della piccola dai capelli di fuoco.
La guardò giocare col suo cane di carta, chiedendosi come facesse a trovarlo così speciale, alla fine era solo un pezzo di carta colorato. Gli scappò un sorriso, guardò la maniglia che ancora stringeva tra le dita e infine tirò indietro la mano.
<< Vuoi che ti faccio vedere come si fa? >> chiese cambiando completamente espressione. L'imbarazzo non c'era più, anche quella vena scorbutica era sparita. Ora nei suoi piccoli occhi azzurri c'era complicità e simpatia. Molly allargò le labbra in un immenso sorriso, un sorriso che Daryl non aveva mai visto prima, un sorriso in grado di illuminare il cielo, e annuì energicamente, felice di poter passare un po' di tempo con quell'uomo tanto buono e gentile.
Prese di nuovo la sedia su cui si era seduto precedentemente e la trascinò vicino al bordo del letto, dove poi ci si sedette lasciando lo schienale al posto giusto, così da non avere niente che si mettesse tra lui e la bambina. Prese un pezzo di carta straccia da uno dei cassetti del comodino e si chinò verso Molly, che intanto si era avvicinata, buttando sottosopra coperte e lenzuola, per poter vedere bene come andava fatto.

Hershel salì le scale di casa sua, e si diresse abbastanza tranquillo e spedito verso la camera della sua piccola paziente. Niente di importante, solo un controllo di routine per vedere se stava bene e se aveva mangiato. Ma non entrò subito nella stanza.
Davanti alla porta, piegata con un orecchio appoggiata a essa, c'era sua figlia Maggie intenta ad origliare. Ma Hershel non ebbe bisogno di fare altrettanto per capire cosa stesse succedendo all'interno della stanza: sentiva ben distinte le risate di Molly che si mischiava ogni tanto alla voce di Daryl, intento a dar corda ai suoi giochi. Non sapeva bene cosa stavano combinando quei due, ma presto lo avrebbe scoperto, intanto si limitò a immaginarlo dando un filo logico ai continui << Cavoli hai vinto di nuovo tu! >> di Daryl. Maggie aveva gli occhi lucidi e un sorriso emozionato, finalmente la piccola si era ripresa e sentirla ridere era più dolce che sentire il canto degli uccellini alla mattina. Non solo perchè era lei, non solo perchè dimostrava di essersi ripresa, ma anche perchè era da tempo che non sentiva qualcuno ridere così di gusto ed essere così felice. In quei tempi l'unica cosa udibile erano urla e pianti. Lei era la voce fuori dal coro che portava calore in quella casa che troppo tempo era rimasta gelida.
<< No, non devi fare così!! >> rise ancora la bimba usando tutta la voce che aveva, incurante di chi potesse sentirla, presa solo a divertirsi.
Hershel sorrise e fece un passo avanti, facendo spostare Maggie e bussando alla porta. Sentì Molly fare una serie di "shh shh" e dire a una voce più bassa rispetto a prima, ma ancora abbastanza alta da essere sentita fuori << Facciamo finta che non c'è nessuno. >>.
Questa volta a ridere furono tutti gli altri, Daryl dentro, e i due fuori. Hershel aprì la porta entrando solo parzialmente e senza nascondere un sorriso divertito guardò nella stanza. Daryl era sempre seduto sulla sedia, gambe divaricate, chinato in avanti, verso il letto e tra le dita ancora un filo di lana che probabilmente prima aveva fatto parte dei loro giochi. Lo vide sorridere divertito e imbarazzato per essere stato colto in flagrante. Posò il filo sul comodino e si alzò, avviandosi verso la porta, pronto a lasciare il posto al dottore. Solo allora Hershel notò uno "strano" rigonfiamento sul letto, sotto le coperte, che si muoveva a tempo di respiro e da cui ogni tanto uscivano risatine soffuse.
<< Lei ha detto di dirti che non è qui. >> si limitò a dire Daryl con un certo imbarazzo, non complice al 100% del suo scherzo.
<< Ma così lo capisce!!! Non devi dire così! >> urlò la bimba contrariata da sotto le coperte. Daryl cercò di nascondere un altro sorriso divertito prima di uscire dalla stanza, in cui invece entrò Hershel chiudendo di nuovo la porta alle spalle.
<< Vedo con piacere che hai mangiato tutto. >> disse lui avvicinandosi al letto. Molly si tolse nervosamente le coperte da sopra, sbuffando contrariata << Daryl non sa giocare!! >> brontolò, provocando di nuovo la risata di Hershel.
<< No, è vero. Nessuno gli ha mai insegnato come si fa. >> disse lui prendendo in mano lo stetoscopio e facendo cenno alla bimba di avvicinarsi. Le alzò la maglietta e le poggiò quel gelido disco sulla pelle nuda, restando in ascolto qualche secondo. Poi lo posò sulla schiena e fece altrettanto. E continuò con i suoi controlli di routine per qualche minuto.
<< Non è difficile! Glielo posso insegnare io. >> disse Molly dopo qualche minuto di attenta riflessione, come un vera donnina che esamina un problema e se ne prende carico responsabilmente.
<< Sarebbe grandioso! >> l'assecondò Hershel prima di mettere via tutto, lasciandola in pace.
<< Posso alzarmi ora dal letto, Signor dottore? >> chiese la bimba speranzosa. Si annoiava a stare lì, non c'era niente di bello da fare, l'unico momento divertente era stato prima con Daryl. Voleva andare un po' in giro ad esplorare, aveva visto dalla finestra che c'era un bel giardino, voleva andare lì a giocare, e magari conoscere quel Carl di cui le aveva parlato la bella signora col cane.
La signora Alice.
Così aveva detto Daryl che si chiamava. Come il titolo della sua canzone. Però le aveva anche detto che quello era un segreto e non doveva dirlo a nessuno, perchè era un eroina, come quelle dei cartoni animati, e tutti gli eroi dei cartoni hanno una doppia identità. La sua si chiamava Ocean, ed era così che doveva chiamarla se non voleva tradirla e smascherarla.
<< Hai un po' di febbre, Molly. E' meglio se resti a letto ancora un po'. Verrà qualcuno qui con te a giocare, va bene? >> quella di Hershel poteva sembrare una richiesta, ma lui era un dottore, e tutte le richieste dei dottori in realtà sono ordini e vanno ubbiditi senza discutere. Glielo aveva insegnato la mamma.
Sbuffò scocciata e si lasciò uscire un << E va bene >> così trascinato che non sarebbe mai potuto essere scambiato per un vero consenso. Hershel sorrise di nuovo, quella bimba era vita pura, il sole brillava sul suo volto e nella sua voce, non poteva non mettere allegria a chiunque la vedesse o la sentisse. Quando l'uomo uscì dalla stanza, fuori c'era già pronta Maggie che aveva sentito tutto ed era già corsa per casa a cercare di procurarsi qualche gioco da poter far fare alla bambina, così da evitare si annoiasse. Aveva in braccio un vecchio gioco in scatola e un paio di libri. Sperava fossero stati abbastanza per lei.
<< Non ha ancora chiesto dei suoi genitori. >> comunicò Hershel a sua figlia, usando un tono abbastanza basso da evitare di essere sentito dalla sua piccola paziente << Se passi del tempo con lei sii consapevole che potrebbe chiedere in qualsiasi momento, e allora dovrai essere pronta a dirglielo. >>
Maggie annuì. Sapeva cosa intendeva suo padre, parlare di morte con bambini così piccoli è sempre troppo difficile e non andrebbe mai fatto. Senza considerare il fatto che quella specifica bambina era quasi stata mangiata dalla sua stessa mamma, e probabilmente avrebbe chiesto spiegazioni anche su questo. Bisognava essere pacati, ma sinceri. I bambini sono creature tanto intelligenti quanto fragili. Una sola parola sbagliata e sarebbe crollata in pezzi.

<< Ehi, Glenn! >> urlò Daryl sotto al camper, costringendo il coreano ad alzarsi dalla sua sedia per sporgersi e guardarlo, chiedendosi cosa volesse da lui << Vatti a fare una pausa. Ci penso io qui. >> l'offerta era certamente allettante quanto stramba. Daryl NON stava di guardia. Daryl girava, perlustrava, cacciava e aiutava Rick, ma non stava fermo lì sopra a godersi il panorama.
Daryl lesse la sorpresa sul suo volto e incalzò << Sul serio, fratello. Tanto non ho niente da fare per le prossime ore. >> disse cominciando a salire su per la scaletta. Glenn gli porse il binocolo e continuò a guardarlo stranito << Stai bene? >> chiese con innocenza.
<< Voglio prendere un po' di sole. >> rispose sarcastico Daryl avvicinandosi alla sedia da campeggio piazzata lì sopra, fece cadere la balestra ai suoi piedi e si lasciò cadere su di essa con la stessa poca grazia della prima. Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette, ne estrasse una, se la portò alle labbra e l'accese. Glenn, anche se non capiva cosa fosse successo, decise di approfittare della gentil concessione di Daryl e scese dal camper, avviandosi verso casa Hershel per approfittare del suo tempo libero per stare un po' con Maggie, non sapendo che lei era impegnata in giochi e racconti con la nuova arrivata.

La sigaretta arrivò al filtro.
Si spense.
Un'altra prese il suo posto. Seguì il suo stesso destino.
Si spense.
E di nuovo sostituita. Il sole nel cielo correva indisturbato, ignaro che quella che stava cercando di riscaldare e illuminare non fosse ormai più la sua terra, la terra di una volta. E correva. Non si fermava. E pian piano calava. Ma l'uomo di vedetta non si mosse. Impietrito, determinato o semplicemente folle. Non si mosse neanche per cambiare posizione. Il cielo sopra di lui mutò colore al calar della sera, ma niente sembrava essere mutato invece su quel camper. Un segugio che non toglie gli occhi dalla sua preda, che rimane immobile sulla scia.
<< Ehi, Daryl. Posso riprendere io ora. >> disse Glenn da sotto il camper, sempre più convinto ci fosse qualcosa che non andava. Erano passate ore, e lui aveva fatto altro che guardare davanti a sè, muovere al massimo il braccio per portare un paio di volte il binocolo agli occhi e fumare.
<< Lascia stare, amico. >> disse Daryl muovendosi per la prima volta, stirandosi la schiena e raddrizzando la sua postura. Tirò fuori dalla tasca nuovamente il pacchetto di sigarette e lo scosse, rimanendo deluso del suo silenzio, e lo lanciò al suo compagno di sotto << Vedi se ne trovi altre in giro, fammi il favore. >> disse prima di tornare nella sua originaria disordinata posizione, le gambe allungate davanti a lui, la schiena incurvata e ingobbita, rilassata e le dita delle mani incastrate tra loro, poggiate sul ventre. Glenn prese al volo il pacchetto e dopo aver dato un altro sguardo a quella statua che una volta era stato suo compagno, si allontanò lentamente, guardando la confezione schiacciaticcia che gli era stata data.
<< Che succede, Glenn? >> chiese Dale poco distante, vedendoselo passare accanto assorto e un po' confuso. Lui si voltò a guardarlo e mostrò il pacchetto, restando qualche secondo in silenzio, a bocca aperta, non convinto neanche lui di cosa dovesse dire.
<< Sai mica dove posso trovarne altre? >> chiese infine.
<< Forse nelle tende trovi qualcosa. Magari in quella di Shane. >> rispose Dale vagamente, prima di voltarsi a guardare Daryl seduto sul tettuccio del camper, immobile come lo aveva lasciato qualche ora prima.
<< Starà aspettando Rick? >> chiese Glenn pescando tra le soluzioni plausibili l'unica che gli sembrasse degna di nota.
<< No. >> disse Dale prendendosi una delle sue solite pause << Non credo Rick. >> Glenn si voltò a guardare il vecchio inarcando le sopracciglia. E chi allora? Dale sospirò ancora prima di tornare alle sue faccende << Sono stati là fuori insieme due giorni. Sono lunghi due giorni. >> disse concludendo lì il discorso e lasciando Glenn pensieroso.
Arrivò la sera e l'unica cosa che fece ritorno fu la macchina di Rick e Shane. Daryl da sopra la sua torre di guardia, la guardò parcheggiare nel vialetto, un po' frettolosa e nervosa, e lui senza muoversi di lì continuò a guardare tutte le scene che si susseguirono. Shane e Rick scesero dall'auto malconci, ricoperti di sangue, nervosi e affaticati. Lori corse incontro a suo marito, preoccupata, chiedendogli cosa fosse successo e Rick dando spiegazioni a lei e al resto del gruppo che li aveva raggiunti, giustificò perchè Randall si trovasse ancora nel retro della loro auto.
<< Conosce Maggie. Non possiamo permettergli di allontanarsi. Sa dove trovarci. >> disse mentre Shane apriva il baule dell'auto e con l'aiuto di T-Dog trascinava di nuovo il ragazzo dentro il capanno. Non insistettero molto su cosa dovessero fare adesso, era meglio per i due che si prendessero del tempo per riposare e curarsi le ferite, avrebbero deciso dopo come comportarsi, e sicuramente la situazione sarebbe stata ripresa tra le mani l'indomani. Ora il sole stava calando, portando a dormire con sè tutti i problemi e le responsabilità. Era tempo di una pausa.
Daryl portò di nuovo lo sguardo al bosco davanti a lui, aspettandosi ancora di veder sbucare da un momento all'altro una figura accompagnata da un cane e possibilmente anche una cavalla. Ma ancora tutto rimase immobile, e l'immagine davanti ai suoi occhi non mutò.
Sospirò e rimandò anche lui a domani. Si alzò e si sgranchì le gambe prima di riafferrare la sua balestra e scendere dal camper, cedendo il posto a chi di conseguenza.

La lunga notte aveva portato nervoso ad accumularsi su altro nervoso. Non riusciva a trovar pace. Ocean non era ancora tornata, ed era passato un intero giorno dalla loro separazione...perchè tutti quelli che cercava di aiutare poi non facevano ritorno? Perchè non riusciva a portare a termine una sola missione di quelle che si era imposto? Non era riuscito a ritrovare neanche suo fratello.
Quella notte aveva sognato Sophia, aveva sognato di trovarla, ma di trovarla morta e lui non aveva armi funzionanti a portata di mano. Aveva sognato Sophia che lo divorava.
Uscì dalla sua tenda procedendo a passi pesanti e spediti verso il capanno di Randall, Rick gli aveva già detto cosa desiderava che facesse e lui sapeva già come comportarsi. Era di pessimo umore, e quando un uomo è di pessimo umore è capace di andare oltre al limite, ottenendo per forza ciò che vuole. Carol lo guardò preoccupata, come ormai faceva da quando era tornato. Aveva provato ad avvicinarsi ma lui aveva continuato a respingerla in malo modo. Non voleva saperne niente di lei, non voleva saperne niente di nessuno. Aprì la porta, entrò e se la richiuse alle spalle sbattendola con quanta più forza aveva, facendo sussultare e piagnucolare il ragazzo che già sapeva quale destino gli aspettava. E così cominciò il suo interrogatorio. Gli tolse la benda dagli occhi strappandogliela via: doveva guardarlo negli occhi, doveva avere paura.
Rimase chiuso lì dentro per ben 2 ore, alternando pugni a domande, a minacce e torture di vario genere con il suo coltello, mentre il ragazzo sempre piangendo cercava di spiegargli che non sapeva niente, che non voleva far del male a nessuno, ma l'uomo sopra di lui non sembrava essere soddisfatto e continuava a fargli del male. Inutili erano i suoi lamenti e le sue preghiere. Daryl continuava a picchiare, sfruttando quell'occasione anche a suo vantaggio, scaricando la rabbia e il nervoso sulle sue braccia che diventavano così più pesanti.
Perchè non era tornata? Perchè ancora non tornava?
Un'ombra gli pesava sul cuore: la paura di vederla arrivare ma non con l'intento di stare con loro, ma con quello di mangiarli. Proprio come la piccola Sophia. Aveva dato così tanto ad entrambe, ed entrambe l'avevano in qualche modo tradito, lasciandolo solo con i suoi fallimenti e i suoi rimorsi. I "se solo..." si susseguivano, nonostante gli altri gli dicevano che lui aveva fatto tutto il possibile. No, se così fosse stato davvero, allora Sophia sarebbe viva e Ocean sarebbe lì con loro, sana e salva. Sarebbe lì con Molly che nel suo letto guardava dalla finestra in attesa di vederla tornare.
Doveva dirle il titolo di quella dannatissima canzone!
Un altro pungo cadde più forte degli altri.
Anche quello stronzo di suo fratello sarebbe stato lì, se lui avesse fatto quel fottutissimo passo in più.
Se solo fosse arrivato prima!
E ancora.
Perchè Ocean non tornava? Un altro. Perchè Sophia era morta? E un altro. Perchè aveva perso suo fratello? E un altro ancora. Rabbia che cresceva come fuoco. Fuoco che bruciava e che, scintilla di una pistola, sparava pugni come proiettili.
E ancora.
Finchè il ragazzo ormai esausto non si alzò più, con a malapena la forza di piagnucolare.
Si alzò da sopra di lui, riprendendo fiato e cercando di muovere la mano ormai dolorante. Decise che era abbastanza, tanto in quelle condizioni il ragazzo non avrebbe potuto dire niente di più, e uscì lasciandolo lì, ridotto a uno straccio che ancora coggiolava muco, sangue e lacrime. Si avvicinò a Rick, per dargli il suo responso
<< Hanno artiglieria pesante e non cercano nuovi amici. >> disse guardando sia lui che Shane al suo fianco << Se passassero di qui ucciderebbero gli uomini e le donne le violenterebbero. >> continuò, pendendo dalle labbra di tutto il gruppo lì presente, preoccupati e spaventati.
<< Che cosa hai fatto? >> chiese Carol, ignorando le sue notizie, concentrandosi solo sulla sua mano mal ridotta, rivolgendogli un tono preoccupato e un po' severo, come una madre col proprio figlio dopo una rissa coi compagni di scuola.
<< Una chiacchierata. >> disse semplicemente Daryl, tranquillo, come se davvero fosse stato così, ma lasciando intravedere nelle sue parole tutta la loro menzogna.
E Rick tirò le somme << E' una minaccia. Dobbiamo eliminare la minaccia. >>
Dale si avvicinò con sguardo spaventato e cupo << Quindi lo ammazzerai? >>
<< E' deciso. >> disse Rick prima di allontanarsi, seguito da Dale, ancora intenzionato a parlargli e fargli capire la follia del suo gesto. Ammazzare un ragazzino, solo perchè forse sarebbe potuto essere una minaccia, senza dargli modo di dimostrarlo era qualcosa di crudele, qualcosa che non era Rick.
Daryl si allontanò dal resto del gruppo prima che qualcuno potesse rivolgergli parola, era stufo, voleva starsene in pace. Si diresse verso la casa di Hershel, salì gli scalini della veranda e si fermò per un attimo, riflettendo, combattendo una guerra dentro sè. Si voltò di nuovo a guardare il bosco in lontananza e strinse gli occhi, cercando di guardare ancora oltre, sforzando la sua vista, ancora speranzoso di vedere una sagoma uscire da un momento all'altro da quegli alberi che a lungo avevano protetto le loro vite. Ma l'immagine davanti a sè rimase ancora immutata, come un quadro, un quadro che stava cominciando a detestare. Lasciò la balestra lì fuori, imponendosi di evitare di entrare armato in casa, e si diresse verso la stanza di Molly. Nessuno gli aveva chiesto di tornare a farle visita, quella volta era semplicemente stato lui stesso a desiderarlo.
La bambina era come al solito seduta a letto, coperta sulle ginocchia, con addosso una vestaglietta decisamente troppo grande per lei, e stava giocando con la sua bambola: le pettinava i capelli con le dita e le sistemava il vestito addosso.
<< Ieri hanno urlato. >> disse lei interrompendo il silenzio, continuando a giocare con la sua bambola, ma con un tono che non era per niente divertito. Era meno vitale del giorno prima, forse era successo qualcosa, o forse semplicemente stava cominciando ad annoiarsi o farsi qualche domanda.
<< Chi ha urlato? >> chiese Daryl, seduto come sempre con lo schienale della sedia davanti a lui, poggiandosi con il braccio e guardando la bambina mentre giocava con la sua bambola. Non avevano parlato molto appena era entrato in stanza, e Molly lo aveva semplicemente salutato sorridendo, senza nessuna esuberanza, ma non per questo era meno piacevole stare in sua compagnia. Era rimasto a guardare mentre giocava, semplicemente facendole compagnia, vegliando su di lei.
<< Maggie e qualcun altro. Nella stanza accanto. La signora dai capelli neri è venuta a chiamarla mentre giocava con me e mi ha lasciata sola. Dopo un po' ho sentito che urlava con qualcun altro. >> raccontò.
<< Ti hanno spaventata? >> chiese Daryl con una piccola dose di dolcezza e compassione. Tutta la rabbia covata, la frustazione, era sparita nell'istante in cui aveva messo piede lì dentro. Come se nell'aria di quella stanza ci fosse una qualche sorta di calmante.
Molly annuì timidamente, vergognandosi un po' e forse ancora intimorita.
<< E' sua sorella. Stavano semplicemente litigando...come quando tu litighi con qualche amica della scuola perchè ti ruba il giocattolo. Ti è mai successo? >> Molly ci pensò su un attimo, alzando gli occhi al soffitto per stimolare la memoria e dopo qualche secondo di riflessione annuì e tornò a pettinare la sua bambola. Daryl continuò a guardarla, restando ancora in silenzio per qualche secondo.
<< Come si chiama? >> chiese poi sorridendo. Molly alzò gli occhi sull'uomo, capendo poco dopo che si stava riferendo alla sua bambola e rispose prontamente << Rosie. Signorina Rosie. >> rispose lei sorridendo prima di voltarla e di avvicinarla a Daryl con un braccio alzato << Piacere di conoscerla, Signor Daryl. >> disse ancora Molly cercando di camuffare la voce, rendendola un pochino più acuta. Daryl rimase per un attimo disorientato, non capendo cosa volesse fare, e la bambina da dietro la bambola diede il suggerimento sussurrando << Devi stringerle la mano. >>
Daryl accennò un sorriso divertito e con molto imbarazzo allungò la mano, afferrando la punta del braccio della bambola, quella che doveva essere una mano, e lo mosse lentamente su e giù.
<< E' un'ottima ballerina. >> disse Molly prima di prendere la sua bambola per le braccia e, facendola saltellare sulle punte sopra il letto, canticchiò a labbra serrate.
Daryl continuò a osservarla mentre giocava, senza proferire parola, semplicemente osservando e vegliando. Poi decise di fare quella domanda un po' scomoda che dal giorno prima tutti evitavano di porre, ma che continuavano a farsi.
<< Molly. >> richiamò la sua attenzione e sperò di riuscire a essere il più delicato possibile << Perchè ancora non hai chiesto dove sono i tuoi genitori? >> Molly interruppe i suoi giochi e guardò l'uomo un po' allibita, come se gli avesse fatto una domanda assurda.
<< Perchè io lo so dove sono. >> disse poi con tranquillità, facendo ancora pesare la domanda come qualcosa di stupido e banale. Daryl rimase un po' confuso: lo sapeva...ed era così tranquilla? Com'era possibile? Una bambina come può restare così indifferente di fronte alla morte dei propri genitori?
Molly tornò a concentrarsi sulla sua Signorina Rosie prima di proseguire << Si sono persi nel bosco. E Alice è andata a cercarli, per questo ancora non è tornata. >> Daryl rimase ancora più disorientato, e fu improvvisamente colto da una profonda tristezza. Da dove aveva tirato fuori quella storia Molly? Come aveva fatto a costruirsi una tale spiegazione? Eppure a sentirla parlare sembrava che tutto filasse. Era così ovvio che era così.
Daryl non ebbe cuore di distruggere le sue speranze, il coraggio gli mancò, e si limitò ad annuire, mentendo ancora, solo per evitare che lei cadesse a pezzi, solo per proteggerla. Con calma poi avrebbe pensato a qualcosa da dirle quando sarebbe stato evidente che nè i suoi genitori nè Alice sarebbero tornati.

Rimase a guardare ancora quel quadro invariabile davanti a sè. Rimse a fissarlo a lungo, cominciando a provare di nuovo un forte senso di fastidio, rabbia che esplodeva ancora più forte di prima. Non erano solo le sue speranze ad aver bisogno di trovare soddisfazione, ora c'era qualcosa di più. Molly aveva bisogno di lei. Aveva bisogno che almeno lei tornasse. I suoi genitori sarebbero rimasti per sempre in quel bosco, mai sarebbe stati ritrovati e riportati indietro, ma lei...Ocean... c'era ancora speranza. E doveva tornare. DOVEVA. Per Molly. Non doveva permettere che anche la bambina cadesse in pezzi.
Ma ancora nessuna ombra. Era pieno pomeriggio, ormai erano passati quasi due giorni, e ancora non tornava.
Tirò un calcio a un sasso, cercando ancora di sfogare la sua rabbia, e prese nuovamente una decisione. Sarebbe tornato lì dentro e sarebbe andato a cercarla. Al diavolo il gruppo, tanto non c'era più nessun gruppo! E lui se la sarebbe cavata meglio da solo.
Si allontanò e, arrivato a una distanza soddisfacente che gli permettesse di tenere ancora lontano i membri del gruppo, si appoggiò a un albero e cominciò a preparare le sue cose, pronto ad andarsene.
Ma poco dopo Dale lo trovò e lo raggiunse. Sbuffò scocciato, non voleva avere ancora loro tra i piedi << Sono venuto quaggiù per stare lontano da voi. >> comunicò al vecchio, sperando di convincerlo ad andarsene.
<< Allontanarti un po' non basta. >> rispose distrattamente Dale, cercando nel frattempo di mettere insieme le parole adatte a chiedere ciò per cui era andato veramente.
<< Ti ha mandato Carol? >> chiese ancora Daryl, credendo di sapere già la risposta. Da quando aveva sacrificato la sua vita per salvare sua figlia, Carol non gli si era più staccata di dosso, preoccupandosi per lui anche più del dovuto.
<< Carol non è l'unica a preoccuparsi per te e per il...tuo nuovo ruolo nel gruppo. >> spiegò Dale, ricevendo in risposta un'occhiataccia da parte del ragazzo << Non mi serve uno strizzacervelli. >> disse Daryl << Il gruppo non esiste più. Me la caverò meglio da solo. >> comunicò ancora.
<< Sembra che non t'importi. >> disse Dale squadrandolo, rendendosi conto che non era il solito Daryl a parlare, ma c'era molto dentro lui che lo spingeva dove stava andando.
<< Sì, perchè è così. >> rispose Daryl infilandosi la giacca, cercando di convincere il vecchio che non aveva speranze di dissuaderlo.
<< Allora non t'importa se Randall vive o muore. >> centrò il segno Dale.
<< No. >> rispose Daryl secco e deciso, guardandolo negli occhi, prima di continuare a prepararsi.
<< Dammi ragione, cerca di salvargli la vita, se davvero per te non fa differenza. >> chiese, quasi supplicò, Dale.
<< Non ti facevo un disperato figlio di puttana. >> disse Daryl.
<< La tua opinione fa la differenza! >> insistette Dale.
<< Amico, qui nessuno ascolta quello che dico. >>
<< Carol sì! E anche io in questo momento. E ovviamente Rick ti da ascolto! >> continuò Dale la sua opera di convincimento. Ma questo fece solo alterare di più Daryl. Rick NON gli dava ascolto. Questo era appurato! O l'avrebbe lasciato andare a cercare Alice, qualche sera prima.
<< Rick ascolta solo Shane. Lascialo fare. >>rispose scocciato il balestriere, prima di voltarsi e tentare di andarsene. Ma Dale lo fermò ancora << T'importava cos'era successo a Sophia! Che cosa significava per il gruppo. >> Daryl si infuriò ancora di più. Voleva dimenticare quella faccenda. Non doveva insistere, nessuno doveva rimarcare il lavoro fatto per cercare Sophia, nessuno doveva riportare a galla il suo fallimento << Torturare la gente. >> continuò Dale << Tu non sei così! Tu sei una brava persona! E anche Rick! >> lo difese. Poi continuò con una certa dose di disapprovazione e preoccupazione << Shane è diverso. >>
<< E perchè? Perchè ha ucciso Otis? >> disse Daryl, centrando il bersaglio, cercando di puzecchiarlo come Dale stava puzzecchiando lui.
Dale spalancò gli occhi, sorpreso che Daryl sapesse di Otis << Te l'ha detto lui? >> chiese speranzoso quasi di avere delle prove, una confessione da parte del colpevole.
<< Ha raccontato una storia, di come Otis lo ha protetto salvandogli il culo. Si è presentato con l'arma del morto. Rick non è stupido, se non l'ha capito è perchè non voleva. >> spiegò Daryl, ancora severo nello sguardo, spiegando, mostrando al vecchio, come stavano andando veramente le cose << E' come dico io: il gruppo non c'è più. >> concluse prima di andarsene, tornando al suo cammino, lasciando il vecchio solo e pensieroso, abbattuto di fronte a tale triste verità.
Prese la sua moto, unica "amica" che non voleva lasciare indietro, e partì, seguendo la strada. Sarebbe arrivato all'auto di Molly e lì sperava di riuscire a trovare qualcosa, qualsiasi cosa lo portasse da Alice, ovunque lei fosse.
Sopra la sua moto ci mise solo una mezz'ora ad arrivare al luogo, che trovò ormai deserto. Si fermò e la lasciò costeggiata a bordo strada, non molto lontano, percorrendo quegli ultimi metri a piedi, lentamente e circospetto. La balestra impugnata davanti al suo viso, pronto a sparare alla prima avvistata, ma non ce fu bisogno. Non c'era più niente se non cadaveri stesi a terra e sangue. Sangue ovunque, nero e rosso, vivo e morto. Si guardò attorno sentendo rabbia crescere ancora dentro sè. Non c'era più niente e nessuno. Aveva lasciato il luogo invaso, aveva lasciato lì Alice, ma ora non c'era più neanche il suo cadavere. Provò a inoltrarsi appena nel bosco, a lato dell'auto, dove Max aveva salvato la vita della sua amica, sperando di trovare qualcosa di più. L'aria puzzava di morte e pericolo. Degli uccelli presero rumorosamente il volo, pochi metri da lui, e lo fecero scattare, puntando la balestra in un punto non ben preciso, allarmato. Non scorse niente. A terra c'erano stesi sì e no 15 cadaveri, forse di più, molti fatti a pezzi. Qualcuno aveva arti ben recisi, tagliati di netto dalla lama di Alice.
Aveva combattuto.
Continuò a guardarsi attorno, cercando tracce invisibili nel sangue. Tutto era confuso. Ma i corpi di Alice e di Max non c'erano...che ci fosse speranza? O forse si erano trasformati e se n'erano andati insieme all'orda. Niente gli diceva cosa fosse successo. Il silenzio regnava.
Non aveva neanche la più pallida idea di dove cominciare a cercare, le orme si sparpagliavano ovunque, senza un ordine preciso. Confusione, solo ed esclusivamente confusione.
Poi un piccolo indizio: uno degli zombie stesi a terra, senza la testa, teneva ben stretto tra le mani qualcosa, un frammento di tessuto scuro. Si avvicinò velocemente, si chinò e cercò di estrarre quel pezzo di stoffa nero dalle mani del morto. Era un guanto. Uno dei suoi guanti. Si guardò attorno allarmato, cercando ancora, e trovò. Poco lontano stampata su un tronco c'era l'impronta insanguinata di una mano.
"L'hanno morsa." pensò Daryl, cercando di rimettere insieme i pezzi, cercando di ricostruire il passato. Lo zombie doveva averla afferrata per la mano, sfilandole il guanto, ma non senza prima averla morsa, ecco perchè la mano era insanguinata quando si era poggiata sul tronco.
<< Merda. >> gli uscì preoccupato, ma l'urgenza cominciava a scemare. Stava cominciando a pensare che stava di nuovo cercando un morto.
<< No, cazzo. >> disse ancora incazzato prima di sferrare un pugno a quel tronco. Il fiato cominciò a mancargli di fronte all'evidenza di aver atteso per due giorni il ritorno di un cadavere. Non poteva essere morta. Lei..sapeva cavarsela.
Era tutta colpa sua. Non doveva lasciarla sola. Era stata colpa sua se lei era morta. Trovò ancora qualche impronta nel sangue che allagava e colorava il terreno, passi pesanti che avevano arrancato e un corpo che era caduto a terra pochi metri dopo. Doveva essere il punto in cui era crollata e in cui era morta. Poco dopo probabilmente si era rialzata, ma non era più lei. Il punto in cui si poteva scorgere l'affosamento del terreno sotto il peso del corpo era un bagno di sangue e budella.
Si inginocchiò laddove Alice era caduta. Il respiro gli mancava. Era tutta colpa sua. Sarebbe dovuto tornare indietro.
<< Cazzo. >> la voce gli uscì sofferente, quasi piagnucolante, e i sensi di colpa ormai lo divoravano mentre una mano torturava i suoi capelli, colpevole di un crimine che non aveva commesso.
L'aveva uccisa. L'aveva lasciata uccidere. Lui doveva proteggerla, lei glielo aveva chiesto, lei ne aveva bisogno, e ancora una volta non c'era riuscito.
<< Vaffanculo!!! >> urlò alzandosi di colpo, nero in volto, e sfoderando uno dei suoi coltelli si scagliò contro il primo cadavere che gli capitò sotto tiro, fendendo colpi contro un corpo che già non si muoveva.
<< Vaffanculo. Vaffanculo. >> continuava a ripetere ad ogni colpo, facendo uscire tutto il suo rancore, caricandone ogni coltellata, finendo addirittura con l'affaticarsi. Poi gli occhi caddero su qualcosa, poco più avanti, incastrato sotto una radice di un albero: un fagotto nero. Lasciò la sua vittima ormai condannata e si avvicinò velocemente alla sua scoperta: non fu difficile tirarlo fuori, probabilmente era semplicemente caduta di spalla e poi calpestata, finendo con l'incastrarsi lì sotto. La sacca di Alice. Se la rigirò più volte tra le mani, stringendola tra le dita con rabbia, disperazione e astio. Si guardò attorno, ancora speranzoso di vederla uscire, con qualche sua solita battuta sarcastica sul fatto che lui stesse cercando di derubarla, ma niente di tutto questo avvenne. Il silenzio pesava più di qualsiasi parola. Fece un ultimo sospiro, adibito a calmar eil cuore e ritrovare aria per i polmoni, ormai arrendendosi di fronte all'evidenza.
Non c'era più nessuno da aspettare.
Si alzò in piedi, si appese la sacca di Alice alle spalle e tornò verso la strada, dove c'era la sua adorata moto ad aspettarlo, pronta a portarlo lontano da quel campo di battaglia.
Ma non si diresse subito da lei. Qualcosa aveva attirato Alice a quell'auto due giorni prima, e qualcosa attirava ora lui. Niente di evidente, solo una voce nel cuore che gli diceva di non andarsene senza prima controllare. E fu solo un bene.
Spalancò gli occhi, sorpreso, un po' divertito, anche se al momento c'era ben poco spazio per il sorriso, quando vide scritto col sangue sul finestrino posteriore dell'auto, dall'interno "Sindrome dell'eroe."
Alice gli aveva lasciato un messaggio. Che fosse lì dentro?
Corse verso la vettura: aveva tutti e 4 gli sportelli chiusi, cosa singolare che aveva notato solo in quel momento: loro non avevano lasciato gli sportelli chiusi. Dopo aver salvato Molly la macchina era rimasta aperta. Ora invece era chiusa, ben sigillata. Con la manica pulì il finestrino imbrattato di polvere e sangue e cercò di scorgerne l'interno.
<< Max!! >> sussurrò non riuscendo a trattenere per sè i pensieri. Aprì lo sprotello con fretta e si chinò verso il cane, dormiente, esausto, con una zampa insanguinata, ma che ancora respirava.
<< Ehi, amico! >> tentò di accarezzarlo, sperando fosse ancora vivo e in grado di sentirlo, di reagire. La coda si mosse lievemente in un breve e piccolo sprizzo di allegria. Era al limite, aveva bisogno di cure e aiuto. Lo prese in braccio e si diresse velocemente verso la sua moto: doveva portarlo da Hershel. Lui era un veterinario, gli avrebbe salvato la vita. Doveva salvargli la vita! Almeno lui...doveva farcela.
<< Resisti, amico. >> disse legandolo provvisoriamente con delle corde al sedile, dietro di lui, cercando di non stringere troppo ma abbastanza da impedire al cane di saltare via durante la loro corsa. Non era attrezzato a portarsi dietro animali feriti, ma sapeva arrangiarsi.
Alice non aveva lasciato altro dietro di sè. Probabilmente in un ultimo disperato gesto aveva nascosto Max nell'auto per proteggerlo, chiudendolo dentro per evitare che fosse mangiato, e lasciando infine un messaggio improvvisato in modo che Daryl, che sicuramente secondo lei sarebbe tornato, data l'entità del messaggio, l'avrebbe notato e soccorso, pregando solo fosse arrivato in tempo. Daryl ringraziò il suo istinto che l'aveva spinto nuovamente laggiù, gli aveva permesso di tentare di salvare almeno la vita del cane.
Sarebbe dovuto andare però quando il cuore glielo aveva detto la prima volta. Forse non solo la vita di Max sarebbe stata salvata.
Hershel diagnosticò solo una piccola frattura, con varie ferite che sarebbero guarite nel giro di pochi giorni. La situazione non era poi così grave, ma l'aver aspettato ben 2 giorni prima di ricevere soccorsi l'aveva peggiorata. Ma non per questo era inguaribile. Poche ore in più di attesa e allora sì che non ci sarebbe più stato niente da fare.
Max era salvo. Almeno di questo poteva gioire.
<< Sei tornato la fuori? >> gli chiese quasi indignato Rick, gli aveva espressamente chiesto di restare con loro, di restare con lui, e invece aveva tentato di andarsene e di tornare a cercare la ragazza. Era certamente ben felice che il cane fosse tornato, era stata un'immensa fonte di gioia per suo figlio, ma al momento aveva ben altro da pensare. Daryl non rispose, semplicemente lo guardò con i suoi occhi affilati, facendogli capire che doveva assolutamente lasciarlo in pace. E Rick accantonò l'accaduto, lasciando perdere. Non era il momento.
<< Dobbiamo parlare. Tutti insieme.Vieni dentro, ci sono già gli altri. >> fece strada lo sceriffo.
Daryl rimase in disparte, un gomito poggiato su un mobile all'ingresso, senza proferire parola, ascoltando semplicemente quella che tanto sembrava un'assemblea, anche se in realtà lo era solo nell'apparenza, assemblea che sicuramente era stata richiesta da Dale e non da Rick stesso. La decisione, fosse stato per lui, sarebbe già stata presa, ma Dale voleva a tutti i costi salvare la vita di quel ragazzo, Randall. Obiettò, cercò di convincere il gruppo, ma in pochi erano dalla sua parte e solo perchè non volevano tradirlo, perchè gli volevano bene, e non perchè pensavano veramente avesse ragione. Ma nonostante tutto la decisione era presa, e tutti sapevano che era la cosa migliore: per il bene di tutti, per la sicurezza del gruppo, era bene che Randall morisse. Ma questo Dale non riusciva ad accettarlo. Lui tra tutti era quello rimasto più umano. E insistette, brontolò, supplicò, quasi si mise a piangere. Ma non ci fu niente da fare. Rick guardò i presenti, chiedendo con gli occhi chi fosse d'accordo col vecchio, chi pensasse fosse meglio lasciarlo vivere, ma tutti tenevano gli occhi bassi, non avendo il coraggio di incrociare il loro sguardo con quello di Dale o dello sceriffo.
<< Una volta tu mi hai detto che noi non uccidiamo i vivi. >> tentò l'ultima spiaggia Dale, disperato. Non voleva che quel povero ragazzo ci rimettesse, lui non aveva fatto niente di male, Randall era assolutamente innocente, perchè ucciderlo e non dargli una possiblità? Era solo un ragazzo.
<< Beh, questo è stato prima che i vivi cercassero di uccidere noi. >> spiegò Rick con una certa dose di autorità, cercando di mettere a tacere le polemiche assolutamente inutili di Dale, ma senza successo. Non si dava pace. Quel povero ragazzo doveva avere una possibilità.
<< Ok, chi abbia qualcosa da dire prima di prendere la decisione finale, parli pure. >> concluse Rick, dando una possibilità a Dale, non volendo essere colui che comanda e basta, e pensando che forse anche altri avessero qualcosa da ridire o volessero prendere la posizione di Dale. Semplicemente dandogli una possibilità. Ma tutti distolsero lo sguardo, si voltarono dall'altra parte o puntarono gli occhi ai propri piedi. Sapevano tutti cosa era giusto e cosa andava fatto.
E questo torturava il cuore di Dale che disperatamente voleva aiutarlo. Le lacrime stavano arrossendo i suoi occhi, e il suo povero cappellino veniva torturato tra le sue mani, valvola di sfogo di ansia e nervoso. Perchè nessuno era dalla sua parte? Perchè nessuno capiva quello che voleva dire? Quel mondo stava trasformando anche loro, perdendosi anche quel minimo di umanità che avevano conservato, perchè nessuno se ne rendeva conto? Perchè tutti voltavano così le spalle a ciò che era giusto e ciò che erano sempre stati?
Non lo tollerava. Non ce la faceva. Era troppo.
<< Io non ne sarò partecipe. >> concluse prima di andarsene, fermandosi prima qualche secondo al fianco di Daryl e confermando << Questo gruppo non c'è più. >>
Quella sera Shane, Rick e Daryl trascinarono un corpo ormai morto, anche se ancora divincolante, per lo sterrato che conduceva al fienile, e inutili furono le sue preghiere. Ciò che andava fatto andava fatto, basta.
Shane gli mise una benda intorno agli occhi cercando un minimo di rassicurarlo, per quanto uno possa essere rassicurato in momenti come quelli << Presto finirà tutto. >> gli diceva con tono quasi amorevole. I singhiozzi di Randall riempirono il fienile << Aspettate. No, vi prego. >> continuava a ripetere scosso e percosso dal dolore, ma nessuno dei tre presenti diede cenno di cedere neanche un istante.
<< Preferisci stare in piedi o in ginocchio? >> chiese Rick, rispettando ancora quelle formule standard che gli erano state insegnate, cercando di rendere la disumanità del gesto il meno disumano possibile. Randall non rispose, singhiozzò e tremò. Shane prese la decisione per lui costringendolo a inginocchiarsi. Rick si sentì il cuore pulsare in petto, non era completamente freddo e cambiato, era ancora il vecchio Rick che desiderava salvare le persone a tutti i costi, ma ora aveva delle responsabilità. Il gruppo contava su di lui. Lori, con suo figlio in arrivo, andavano protetti ad ogni costo, bisognava permettere al nascituro di poter godere di un ottimo posto dove crescere sicuro.
Ad ogni costo.
<< Hai un ultimo desiderio? >> chiese ancora Rick sforzando la sua voce di restare ferma e pacata, nascondendo tutto il dolore e la paura che stava crescendo in lui man mano che il momento della condanna a morte si avvicinava. Uccidere una persona era qualcosa che ti segnava dentro. Era un marchio che ti portavi addosso per tutta la vita, gli schizzi di sangue mai sarebbero stati lavati via dalle tue mani, indelebili come tatuaggi. Tatuaggi che urlavano "Assassino".
Ma andava fatto. Per forza!
Ancora la risposta di Randall furono singhiozzi e preghiere, singhiozzi che pesavano sempre più su quella pistola rendendola sempre più difficile da alzare e usare. Sempre più pesante. Rick cercò di mandar giù il nodo alla gola, e sospirando scavò in profondità dentro sè in cerca della forza necessaria. Si allontanò di un passo, alzò la pistola e la puntò alla testa del ragazzo. Tolse la sicura, facendo un lieve rumore ma assordante in un momento come quello, e Randall sussultò a udirlo, singhiozzando ancora più forte. La mano di Rick tentennava, insicura del suo gesto, terrorizzata. Ma bisognava farlo! Doveva farlo!
Stava per trovare il coraggio, stava per premere quel grilletto andando oltre tutte le voci che urlavano dentro di lui << Assassino. >> quando la voce infantile di un bambino sulla soglia dell'adolescenza immobilizò il tempo.
<< Fallo papà. >> disse Carl all'entrata del fienile << Fallo. >> cercò ancora di incoraggiarlo. Voleva solo far vedere a suo padre che ormai era grande abbastanza da giocare con la morte, era in grado, come gli adulti, di tenere una pistola, premere il grilletto sulla testa di un uomo, era in grado di fare la cosa giusta anche se era la più scomoda, proprio come suo padre. Ma non fu questo il messaggio che arrivò a Rick, che lo guardò spaesato e terrorizzato: suo figlio lo stava guardando uccidere. Che razza di insegnamento gli stava dando? Desiderava tanto che Carl crescesse come tutti i ragazzini normali, giocando e ridendo alla vita, invece non faceva altro che vedere morte, lacrime, e ora addirittura suo padre, il suo esempio, che si macchiava di una tale vergogna. Lanciò uno sguardo spaventato a Shane che colse immediatamente il messaggio e si avvicinò al ragazzino nervoso << Allora mi prendi in giro? Che cosa ti avevo detto? Che cosa ti avevo detto? >> ribadì con voce rauca e severa.
La pistola divenne troppo pesante per essere sorretta dal suo braccio, e il nodo in gola tornò a incendiarlo. No, non doveva andare così. Carl non doveva essere testimone di una tale barbaria. Carl doveva essere protetto da tutto quello, ancora per un po', era ancora troppo piccolo.
<< Portalo via. >> disse agitato, ormai incapace di andare oltre << Portalo via! >> incalzò sotto lo sguardo incredulo e accusatorio di Shane. Daryl si avvicinò immediatamente al ragazzo, lo afferrò per la maglia e lo sollevò di peso << Alzati!! >> gli disse con tono minaccioso. Nonostante l'inconveniente Randall doveva tenere comunque bene a mente chi comandava e che quello era solo un rinvio. Lo spintonò e trascinò e lo portò via, come gli era stato chiesto. Shane perse la calma e tirò un calcio alla porta del fienile, spalancandola e proseguì spedito per la sua strada, serrando i pugni e digrignando i denti. Non doveva andare così! Rick non era in grado di fare il capo, era troppo debole, e la sua debolezza stava mettendo in pericolo il suo gruppo, la SUA Lori.
Ritornarono al campo dopo aver lasciato Randall al capanno e Rick comunicò al resto del gruppo << Lo teniamo in custodia, per ora. >> non specificando altro. Andrea sorrise felice e in qualche modo soddisfatta prima di dire << Vado a cercare Dale. >>. Doveva dargli la buona notizia, lo avrebbe reso felicissimo.
Daryl rientrò subito nella sua tenda, chiudendosela alle spalle e si lasciò cadere sulla brandina, chiudendo gli occhi e facendo respiri profondi in cerca della calma in grado di conciliare il sonno. L'aria in quella fattoria era diventata più pesante e irrespirabile.
Si stropicciò la faccia e gli occhi, stirando i muscoli e massaggiando. Poi riaprì gli occhi e guardò l'oscurità intorno a sè. La pesante e assordante oscurità. Sentì Rick sussurrare fuori dalla tenda, parlando con Lori, probabilmente spiegandogli la situazione. Non gli interessava di Randall, non gli interesava davvero, avrebbero potuto fare quello che volevano, ma non solo Rick aveva sentito pesare quella pistola. Morte e ancora morte. Tutti morivano, nessuno restava o tornava. Stava veramente cominciando a stancarsi. Per la prima volta dopo tanto tempo il suo pensiero tornò a suo fratello. Anche lui non era tornato. Che fosse morto? No, suo fratello era un dannatissimo stronzo figlio di puttana.
E gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire nei film horror.
Lasciò la testa cadere lateralmente, puntando gli occhi su un angolo della tenda, avvolta nell'oscurità, ma da cui riusciva a cogliere la sagoma di una sacca. Non c'era cibo dentro, era rimasta senza quando l'aveva lasciata, eppure era abbastanza pesante, conteneva sicuramente altre cose, forse utili alla sopravvivenza, o forse fotografie dentro portafogli che portavano il suo nome.
Alice.
"Lasciagli almeno il loro nome. E' l'ultima cosa che gli resta."
Ma lei si era voluta sbarazzare anche di quello. Alice non esisteva più, se n'era voluta liberare già quando era in vita, dando vita a una fredda inutile Ocean, un Ocean il cui unico scopo era tirare avanti finchè non fosse caduta, un Ocean che si lanciava nel braccio della morte senza neanche preoccuparsene troppo, perchè tanto ormai era già morta.
Ci teneva a lasciare ai morti i propri nomi...ma il suo l'aveva eliminato da chissà quanto tempo.
E per la prima volta Daryl si ritrovò a chiedersi cosa le fosse capitato prima di così terribile da portarla a uccidersi con le sue stesse mani, da portarla a eliminare la sua identità con un taglio netto, lei che sembrava così legata invece a tutto quello.
Sospirando si sollevò dalla brandina, mettendosi a sedere e continuando a fissare la sacca davanti a sè, indeciso, titubante, prima di allungare una mano e afferrarla, avvicinandosela. La osservò qualche istante, poi infilando un dito nella fessura in alto, allargò la coulisse che la chiudeva, aprendola pronto a scoprire cosa si portava sempre dietro Alice prima di morire, sempre se ce ne fosse stata ancora traccia. Come immaginava gran parte delle cose che trovò erano funzionali alla sua sopravvivenza: un coltellino svizzero rosso, dei fiammiferi, qualche accendino che probabilmente aveva sgraffignato dalle tasche degli zombie, della corda, una pietra probabilmente utilizzata per l'affilatura della lama, fazzoletti, qualche carta di caramella vuota del suo contenuto, un paio di spazzole per animali, elastici per capelli e un flauto in legno, piccolo, singolare. Nient'altro. Nessun portafoglio con foto e nome. Posò l'ultima cosa estratta dalla sacca sulla brandina, vicina al resto delle cose e osservò la sacca ormai vuota e sporca. Era vuota...ma non leggera come avrebbe dovuto essere. La scosse un po' e sentì tintinnare qualcosa dall'interno. La studiò: era completamente vuota. Cosa tintinnava? Poi notò uno strano rigonfiamento a un lato, che non aveva notato prima. Una specie di tasca interna, ma senza apertura. Esaminando l'interno della sacca con attenzione riuscì a cogliere una cucitura sopra il rigonfiamento, frettolosa, per niente ordinata, ma ben stretta. Prese il coltellino svizzero che aveva estratto precedentemente e utilizzò la sua lama per tagliare con cura il filo che teneva ben chiusa la tasca interna. Qualsiasi cosa ci fosse stato dentro era qualcosa che Ocean non aveva avuto il coraggio di lasciarsi alle spalle, ma nemmeno di averci a che fare tutti i giorni. Un peso che si portava dietro ma che non voleva vedere.
Riuscì con poca fatica ad aprirla e guardò all'interno, trovando quello che effettivamente stava cercando. Un portafoglio, un mazzo di chiavi, un biglietto aereo e una macchinetta digitale. Prese la macchinetta, l'esaminò e provò ad accenderla. La luce lampeggiò in segno di batteria scarica, ma riuscì comunque a concedergli la vista a un'unica foto, forse l'ultima fatta, la foto di una ragazza su una spiaggia, il vestito azzurro che svolazzava in giro, una mano ferma sulla testa a reggere il cappello che tentava di volar via, capelli scuri che le ricadevano sulle spalle, scompigliati e un enorme sorriso che le illuminava il volto. Era leggermente china in avanti, la mano libera allungata davanti a sè a richiamare l'attenzione di un piccolo cane bianco, uno dei cani più piccoli che avesse mai visto, dal pelo lungo, riccio e arruffato, che correva nella sua direzione con la lingua fuori. Poi si spense. Era riuscito a riconoscere nella ragazza Alice, ma il suo sorriso gli aveva dato qualche difficoltà. Era totalmente diversa quando sorrideva. Era totalmente diversa prima.
Posò la macchinetta e prese il mazzo di chiavi, guardando con curiosità i portachiavi appesi: un cuore, un mini pupazzo di un orsetto, qualche portafortuna e una strana piccola boccetta con dentro della polverina colorata e qualche brillantino, con l'etichetta che diceva "polvere di fata". Infine una targhetta, con scritto a mano una parola che non conosceva, forse nella sua lingua d'origine: "Casa". A quel punto fu la volta del biglietto aereo: un biglietto di ritorno che recitava partenza Atlanta e arrivo Roma, Italia. La data di prenotazione era ormai superata da mesi.
<< Italia. >> disse tra sè e sè, scoprendo finalmente da dove proveniva quel suo accento tanto singolare, e solo allora fece caso che somigliava lievemente a Super Mario Bros. Così lontana da casa...e sarebbe dovuta tornare qualche giorno dopo l'assalto di Atlanta. L'apocalisse l'aveva intrappolata lì. Provò uno strano senso di claustrofobia solo a pensare una cosa del genere.
Lasciò da parte anche il biglietto, accompagnando il gesto con un sospiro, e prese l'ultimo oggetto contenuto nella tasca nascosta. Il portafoglio. Non c'era più banconote dentro, solo qualche spicciolo, qualche carta, degli scontrini e dei biglietti da visita. A lato, in una tasca trasparente, c'erano delle fotografie: una di un bambino e un'altra, una specie di fototessera, dove c'era lei, ancora sorridente, con gli occhi luminosi, insieme a un ragazzo dallo sguardo imbarazzato, i corti capelli arruffati, il viso allungato, neanche il cenno di una barbetta e degli occhiali da vista rettangolari poggiati sul naso. Non c'era altro. Nè una patente nè un documento. Niente che indicasse il suo nome. Solo brevi cenni del passato, probabilmente incapace di buttarli via, li aveva nascosti e aveva impedito a se stessa di andarli a cercare.
Ma lei non aveva un nome.
Tornò a guardare le due foto trovate: che fosse la sua famiglia? Magari erano marito e figlio. Era molto giovane, ma probabilmente era una di quelle che si sposano presto e mettono subito su famiglia. Ma nonostante questo lei girava sola, probabilmente aveva perso quelle persone. E anche lei era morta. Cominciò a pensare che forse era stato meglio così. Ora non aveva più pesi da trascinarsi dietro.
Lasciò il portafoglio cadere disordinatamente dentro la sacca, non rimettendolo al suo posto d'origine e si voltò a prendere il resto delle sue cose, cominciando a rimettere di nuovo tutto dentro, una dopo l'altra. Ma non arrivò a metà.
Un urlo improvviso attirò la sua attenzione, un urlo accompagnato da versi gutturali e disgustosi all'udito. Si alzò in piedi di colpo, lasciando cadere sacca e oggetti lì dov'erano e uscì di corsa dalla tenda, guardando i suoi compagni fare altrettanto e chiedersi << Che succede? >>.
<< T-Dog prendi subito il fucile! >> ordinò Rick cominciando a incamminarsi verso la provenienza del suono. Tutti, uno dopo l'altro presero le torce e corsero, riconoscendo la voce che stava urlando.
<< Dale!! >> chiamò Andrea disperata, pregando non fosse davvero lui, pregando stesse bene, pregando di arrivare in tempo qualsiasi cosa stesse succedendo.
Le urla di paura e fatica diventarono urla di dolore e strazio, facendo congelare il sangue nelle vene a tutti i presenti. Daryl fu il primo ad arrivare sulla scena e vide Dale steso a terra con uno zombie sopra di lui che tentava di morderlo. Con un salto afferrò lo zombie e lo scaraventò a terra poco lontano, ponendo a tacere le sue urla rabbiose con un colpo netto del coltello in piena fronte. Lasciò lo zombie lì dov'era e corse da Dale, trovandolo ormai sventrato. Il panico prese possesso del suo corpo, non sapeva che fare, cosa dire, come muoversi. Si agitò e alzò le braccia sventolandole e gridando agli altri che lo stavano raggiungendo << Aiuto!! Da questa parte! Aiuto! >> la disperazione era leggibile nella sua voce. Continuando ad agitarsi, terrorizzato, impotente, si chinò su Dale dicendogli l'unica cosa che gli veniva alla mente << Resisti amico. >> anche se sapeva bene che c'era ben poco da resistere. Aveva la pancia completamente aperta. Com'era potuto succedere una cosa simile? Quel posto era sicuro! Era sicuro!! E Dale...no, non Dale! Non poteva andarsene proprio lui. Era il cuore del gruppo, era il calore umano che ancora avvolge chi non ne ha più. Si morse un pugno, camminando convulsamente avanti e indietro, guardando il suo amico e distogliendo lo sguardo subito dopo. Che fare? Non poteva lasciarlo lì. Non doveva morire, non lì, non davanti a loro. Ma che fare? Gli altro lo raggiunsero, sconvolti quanto lui. Andrea e Rick provarono a parlargli, cercando di tenerlo attento e sveglio, e mandarono qualcuno a chiamare Hershel.
<< Ascoltami. Ascolta la mia voce. Siamo qui. >> continuava a ripetere Rick toccandogli il viso per tenerlo sveglio << Chiamate Hershel! >> urlò ancora disperato e autoritario.
Hershel arrivò trafelato, chiedendo indicazioni, guardando la situazione, ma subito sembrò calmarsi, rassegnarsi. Non c'era niente da fare. Dale non sarebbe arrivato vivo in casa.
<< Allora dovrai fare l'operazione qui! >> insistette Rick, incapace di accettare una cosa simile.
Cominciò a dar ordini, che qualcuno portasse l'attrezzatura, ma Hershel lo fermò di nuovo << Rick!! >> lo richiamò prima di fare cenno di no con la testa. Non c'era niente da fare. Non sarebbe sopravvissuto.
Rick si lasciò uscire un lamento e anche lui cominciò a camminare disordinatamente, cercando di scaricare la disperazione e continuando a piagnucolare << No! >>.
Andrea e Glenn scoppiarono a piangere, seguiti poi da tutti gli altri, mentre Dale invano cercava di prendere aria per i polmoni ormai all'aria aperta e stringeva i pugni per il dolore.
<< Sta soffrendo. >> pianse Andrea, facendo risuonare in quella singola frase tutta la sua supplica: se non era possibile salvarlo che qualcuno ponesse fine alle sue sofferenze.
Dale guardò Rick, anche lui chiedendo aiuto con i suoi occhi rossi per lo sforzo e il dolore.
<< Fate qualcosa. >> pianse ancora Andrea, accarezzando il corpo del suo amico.
Rick, ancora agitato, senza pace, estrasse la pistola, trovando ancora una volta una forza che non aveva. Era lui il capo, spettava a lui avere certe responsabilità. E la cosa gli pesava. Gli pesava terribilmente, ma era così che andava fatto. La puntò contro la fronte di Dale, trattenendo le lacrime, ma senza impedire ai suoi occhi di appannarsi. Il fiato gli mancava, la gola bruciava e le mani tremavano convulsamente non riuscendo a tenere ben fermo il mirino. Un lamento gli uscì dalla gola mentre lottava contro qualsiasi cosa in una disperata ricerca di forza, doveva premere quel dannato grilletto.
Daryl gli si affiancò e gli fece abbassare l'arma.
<< Non devi farlo sempre tu, amico. >> disse in un esplosione di compassione. Troppe responsabilità gravavano sulle spalle dello sceriffo, era giusto aiutarlo ad alleggerirsi le spalle ogni tanto. Si inginocchiò vicino a Dale, portando la pistola a pochi centimetri dalla sua fronte. Dale con le poche energie che gli rimanevano alzò il collo, poggiando la fronte contro la canna della pistola, invitandolo a sparare. Daryl lo guardò negli occhi un'ultima volta.
<< Scusa, fratello. >> disse prima di fare quel passo in più che Rick non era riuscito a fare.

<< Dale riusciva ad irritarti. Di certo irritava me perchè non aveva paura di dire esattamente quello che pensava, quello che provava. Quel genere di onestà è rara e molto coraggiosa. Ogni volta che prendevo una decisione guardavo Dale. Mi avrebbe fissato con quel suo sguardo. A tutti prima o poi è capitato. Non sempre riuscivo a capirlo, ma lui riusciva a capire noi. Vedeva le persone per quello che erano. Sapeva delle cose su di noi...la verità! Chi fossimo davvero. E in fin dei conti ci stava dicendo di non perdere la nostra umanità.
Ha detto che questo gruppo non c'era più... Il modo migliore per onorarlo è riformare il gruppo, mettere da parte le nostre differenze per stare uniti. Smettere di piangerci addosso e riprendere il controllo delle nostre vite. Della nostra sicurezza. Del nostro futuro.
Il gruppo c'è ancora.
Noi lo smentiremo.
D'ora in poi faremo a modo suo. Così renderemo onore a Dale! >>
Queste le parole di Rick.

Angolino dell'autrice.
Honeyyyy I'm comingggg :P
Ci ho messo un po' ad aggiornare, chiedo venia. Come potete vedere questo capitolo è un po' più lungo degli altri, e come tale mi ha preso più tempo per essere scritto. Inoltre essendo un POV Daryl è stato davvero moooooooooolto complicato! E' un duro, certo, è burbero, ma credo dentro sia tutt'altro che cattivo e che abbia un cuore grande, e riuscire a rendere tutto questo è stato difficile (e ametto non sono nemmeno certa di esserci riuscita. Temo di essere sforata nell'eccessivo sentimentalismo.)
E poi l'ammetto sono andata al Lucca Comics!!! Perciò il week end è saltato ahahah
Però eccomi di nuovo qui!! ^_^
Spero vi piaccia questo capitolo eeee...aspetto torce e forconi per via di Ocean/Alice xD
Un saluto.

Ray.

Ps. Ma quanto è carina Molly?!?!?!? :3 (sì, lo so cosa starete dicendo "l'ha creata lei e si fa pure i complimenti da sola". La verità è che i miei personaggi non li creo io, nascono da sè e hanno vita propria. Io non sono artefice di niente...quindi mi prendo la libertà di giudicare :P ahahaha)

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Capitolo 15
*** Convergenza evolutiva. ***


Convergenza evolutiva

<< Prendila tu, Daryl! >> urlavano i suoi sogni, fumo che andava disperdendosi nella silenziosa notte.
<< Andate!! >> echi in lontananza, che tornavano, flebili, ma chiari nel loro tentativo di schiacciare chi era presente.
<< Andate! >>
<< No, aspetta. >>
<< Andrà tutto bene, Molly. >>
Sogni su sogni, echi che scacciavano i precedenti, che tornavano, rimbalzavano, si allontanavano e poi colpivano senza sosta quella nera figura seduta a terra, raggomitolata tra le radici sporgenti di un albero, schiacciata a esso, sentendosi un coniglio incapace di tornare nella sua tana. Incapace di tornare a casa sua. Solo nel suo pericolo.
Le braccia tese coprivano, quasi schiacciavano, il viso, nascondendolo e proteggendolo. Aveva freddo. Aveva paura.
Ed era irrimediabilmente sola.
<< Max! >> un altro urlo, disperato in tutta la sua forza, risvegliò altri sogni, ricordi, paure.

<< Prendila tu, Daryl! >> aveva implorato Ocean quella mattina, cercando di porgere la bambina a Daryl, compagno di quel piccolo viaggio che, incredibilmente, l'aveva reso il più grande dopo così tanto tempo. Il resto era stato tutto così rapido che nessuno dei due era riuscito a quantificare il tempo e a decifrare bene le azioni svolte, in pochi attimi Ocean si era liberata di Molly, lasciandola a Daryl, e lui era fuggito via senza voltarsi. Senza tornare indietro. Ed era stata la cosa più giusta che potesse scegliere di fare.
Ocean aveva sfoderato la spada nell'istante in cui li aveva incitati a correre via e si era buttata a capofitto in quell'onda violenta, uno tsunami che aveva fronteggiato con forza e coraggio, richiamando energie che neanche sapeva di possedere. Non si era voltata indietro, non si era assicurata che Daryl avesse seguito il suo suggerimento, ma sapeva che l'aveva fatto. Aveva una bambina da proteggere. Gli zombie erano più numerosi di quello che aveva calcolato inizialmente, probabilmente i rumori della battaglia ne stavano attirando altri che fino ad allora erano rimasti nel bosco a vagare e mangiare scoiattoli che non sempre riuscivano a fuggire. Tagliò la testa al primo, afferrando il corpo prima che cadesse al suolo e lo lanciò contro chi aveva di fronte. Non voleva ucciderli tutti, non ne sarebbe stata capace, doveva solo riuscire a passare e portare via il suo amico. Era più facile scappare. Con un colpo di spada dal basso verso l'alto aprì il ventre di un altro di quei Putridi che la stavano circondando, questo ovviamente non lo uccise, ma il colpo inferto lo fece cadere all'indetro e guadagnare altro tempo. Corse. Uno davanti a lei era già pronto, fauci spalancate, per riceverla e addentarla, incurante dello sguardo ben fermo e deciso della ragazza mentre gli correva incontro. Sapeva che non erano il top della resistenza, avevano un equilibrio precario e bastava poco a piegarli, tutto causato dalle loro ossa e muscoli ormai in putrefazione e marci. E su quel principio si basò quando gli arrivò addosso con una spalla, ben china su se stessa, scaraventandolo a terra e rotolando lei stessa poco più lontano. Era riuscita così a crearsi un varco tra di loro, arrivando al suo obiettivo, anche se nella caduta, non seppe bene come, lo zombie aveva trattenuto a sè uno dei suoi guanti, forse nel tentativo di afferrarla. Max, poco lontano da lei, continuava ad abbaiare rabbioso contro chi gli si stava lanciando addosso, correndo, arretrando, cercando una disperata via d'uscita.
Un altro dei Putridi avanzò, cercando di afferrarlo e lui ancora si voltò velocemente e scappò, infilandosi tra le loro gambe, cercando di uscire dall'orda, e ritornò sulla strada, vicino all'auto. Ocean si alzò cercando di riprendere a respirare: nella caduta a terra aveva sbattuto il fianco e il fiato le era mancato per il dolore. Uno di loro le arrivò alle spalle, cogliendola di sorpresa, ma per fortuna non abbastanza da morderla prima che potesse difendersi: era sempre pronta, da quando era cominciato tutto, a reagire alle sorprese. Il suo carattere l'aveva aiutata molto: nelle situazioni di pericolo, spesso (ma non sempre, a quanto pare, dato ciò che era successo alla chiesa) il suo cervello rallentava le azioni intorno a lei e le donava una lucidità unica, capace di trovare soluzioni in pochi attimi. E per quello riuscì a salvarsi: si portò istintivamente una mano dietro la spalla, afferrando lo zombie per fronte e capelli. Non avrebbe potuto tenerlo a lungo, loro non sentono dolore e la loro pelle marcia rende tutto più difficile a volte: la pelle e il cuoio capelluto si stava staccando dal suo proprietario, non impedendogli di avanzare verso la sua carne. E all'urgenza si stava sommando urgenza: davanti a lei un altro di loro stava per lanciarsi verso la sua preda. Lasciò cadere la spada a terra, sfoderò la daga, più comoda in certe occasioni, e la conficcò nella testa che aveva quasi sfiorato la sua spalla. Non ebbe tempo di sfilarla e liberarsi del corpo, l'altro zombie l'aveva raggiunta. Alzò un piede e sferrò un calcio davanti a sè, spingendolo via. Il contraccolpo e il peso che ancora aveva aggrappato alla schiena le fecero perdere l'equilibrio e cadere all'indietro, atterrando pesantemente sul corpo del Putrido, che, dato la sua fragilità e il peso della ragazza atterrata sopra di lui, si aprì come un palloncino pieno d'acqua, riversando sotto di lei qualsiasi cosa contenesse: budella, sangue e cibo appena ingurgitato. Si alzò subito, scuotendo la testa frastornata, ma dovette tornare subito in sè, non c'era tempo. Si chinò sullo zombie schiacciato, ormai impacciata per via di confusione e dolori sparsi qua e là, e afferrò la sua daga per sfilarla, ma era incastrata e non venne via. La sua debolezza completava l'opera: cominciava ad essere veramente stanca. Puntò i piedi per terra e tirò all'indietro usando la forza che le rimaneva alle gambe per fare leva. La daga era conficcata così in profondità e incastrata così bene che Ocean dovette trascinarsi dietro il corpo per un po' prima di riavere la sua proprietà. La violenza con cui poi venne via le fece perdere ulteriormente l'equilibrio, barcollando all'indietro, lasciandosi sfuggire un grido, ma fortuna volle che dietro di lei ci fosse un albero su cui potè poggiarsi per evitare di finire nuovamente a terra. Si poggiò sul tronco con una mano, cercando di riprendere subito l'equilibrio, e riprendendo immediatamente a correre, senza neanche notare l'impronta insanguinata che aveva lasciato sulla corteggia ben disegnata. Sfoderò un altro paio di colpi, aprendosi un'altra strada, riafferrò la spada lasciata a terra e corse di nuovo verso il suo amico, zoppicando e arrancando. Riuscì a vederlo di nuovo: le spalle schiacciate contro l'auto, tre zombie che lo avevano circondato di nuovo e stavano avanzando verso lui che ancora faceva l'unica cosa che poteva fare: abbaiare, nella speranza di spaventarli.
<< Max!! >> urlò Ocean correndogli incotro.
Uno dei Putridi si lanciò in avanti, braccia tese, pronto ad afferrarlo, e Max disperato si voltò velocemente e cercò di saltare sul cofano dell'auto. Mugolò quando sentì una fitta alla zampa e una forza che lo tratteneva nel salto, facendolo sbattere contro il cofano, impedendogli di salire del tutto. L'aveva preso. Gli aveva afferrato la zampa e lo aveva trattenuto, facendolo sbattere. Max, orecchie basse e sguardo disperato, tentò di usare le unghie per salire sull'auto come programmato ma scivolava e lo zombie non lo lasciava. La zampa gli doleva.
<< Max!! >> urlò ancora Ocean riuscendo finalmente a raggiungerlo, si lasciò cadere in avanti in un disperato tentativo di arrivare prima, la spada ben tesa davanti a sè andò a colpire la giuntura del gomito del Putrido che non voleva lasciare il suo amico. L'impatto tagliò di netto il suo braccio, ma la forza impressa contro esso tirò giù anche la parte di braccio attaccata alla zampa del cane, trascinandoselo dietro e facendolo cadere sull'asfalto con un tonfo. Un altro guaito prima di cominciare a divincolarsi per rimettersi in piedi. Ocean tentò anche lei di rialzarsi, ma voltando la testa fece appena in tempo a vedere il volto del suo aggressore mentre le cadeva addosso con le fauci spalancate. Neanche lei seppe bene con quale forza e quale destrezza riuscì a piroettare la spada, nonostante la scomoda posizione, e a recidergli il cranio, aprendoglielo e uccidendolo. Sangue e cervello colarono sul suo viso. Il disgusto e la voglia di vomitare le diederò la forza per spingere violentemente via il corpo morto che le stava sopra.
Vomitò, non riuscendosi più a trattenere. E si odiò per questo: era un pessimo momento per fermarsi per certi bisogni fisiologici. Cercò di correre via subito, arrancando, ancora sporca di qualsiasi cosa ci fosse intorno a lei. Si poggiò al cofano, debole, dolorante, sicuramente ferita e le gambe che tremavano per sforzo e paura. Ma la mano che reggeva la spada non cedeva. Con un colpo orizzontale, deciso, aprì il volto a un altro di loro, facendosi strada. Vide Max, davanti al muso dell'auto, che si guardava attorno ormai impanicato, ferito anche lui e con la zampa che era stata afferrata sollevata in alto, incapace di posarla a terra senza sentire un dolore atroce. Inciampò nella sua maldestria, sbattendo il muso di nuovo contro l'asfalto. Ocean gli corse incontro, barcollante anche lei, rinfoderò la spada e usò entrambe le braccia per raccogliere il suo amico e tirarselo su. Si guardò attorno in cerca di una via d'uscita: non ce n'erano.
I suoi occhi si tinsero di disperazione.
Non così. Non poteva finire così.
Aveva paura. Ma non per sè...Max. Max doveva salvarsi!
Arretrò velocemente, sbattendo contro il muso dell'auto e senza pensarci due volte si arrampicò su essa e si infilò dentro, passando dal parabrezza che lei stessa aveva sfondato poco prima. Fece cadere Max sul sedile posteriore e lo seguì con la stessa grazia, spingendosi e cadendo, ma arrancando riuscì a fare ciò che andava fatto prima che fosse troppo tardi. Si spinse dietro, verso il portabagagli e con forza lo chiuse. Prese poi il divisore in plastica dura che separava il portabagagli dal resto della vettura e ancora con una velocità che solo la paura di morire poteva dargli si spinse sui sedili anteriori e lo schiacciò sul parabrezza frantumato, improvvisando un tappo che non avrebbe sicuramente retto se non qualche secondo. Riuscì a fermarlo legando i suoi lacci elastici a delle piccole sporgenze ai lati del parabrezza, resti di vetri o di carrozeria: insomma niente di resistente. Ma non sapeva che altro fare. Intanto uno dei Putridi cercò di entrare nell'auto dallo sportello accanto a sè spalancato. Lanciò un urlo e con un altro paio di calci riuscì a spingerlo via e chiudere lo sportello. Spinse poi le sue spalle contro il tappo improvvisato, usando anche la sua forza per impedire che venisse tolto. Solo la disperazione continuava a tenerla in vita. Era chiusa in un auto che mai avrebbe retto al peso dei Putridi sul parabrezza, che mai sarebbe stata sicura e libera. Mai sarebbero usciti di lì. Lanciò un urlo cercando di raccogliere le forze per continuare a resistere alle spinte che venivano date alle sue spalle. Una lacrima le rigò il viso. Erano finiti. Non potevano farcela. Un singhiozzo.
Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?
Max steso sui sedili posteriori ormai non si muoveva più e Ocean l'avrebbe creduto morto se non fosse stato per i suoi gauiti flebili.
Ancora un urlo disperato. Una richiesta di aiuto che mai sarebbe arrivata a chi di dovere.
<< Aiutatemi. >> singhiozzò ancora.
E all'improvviso si ritrovò a urlare con quanto più fiato avesse, mossa dall'istinto, qualcosa che la sorprese << Daryl!!!>>.
Aveva sempre creduto di potercela fare da sola. Era sempre stata sola, non aveva bisogno di nessuno, non voleva nessuno, eppure in quel momento, dopo tutto quello che era successo, aveva pregato di averlo accanto. Perchè sapeva lui l'avrebbe potuta tirare fuori dai guai. Lui aveva vegliato su lei in quei due giorni, e per la prima volta dopo tanto tempo si era sentita sicura. A lungo era fuggita dalle persone, non volendo più avere niente a che fare con loro, disprezzandole e scansandole. Tutte!! Nessuno escluso. E aveva pensato che soprattutto quel Daryl era da evitare come la peste, perchè era il peggiore di tutti, lo si vedeva, era uno stronzo a prima vista. Ma l'aveva giudicato male. Ora... aveva bisogno di lui. Solo allora se ne rese conto. Era stato l'unico essere umano con cui aveva avuto a che fare dopo così tanto tempo, l'unico essere umano che l'aveva fatta sorridere e fatta star bene dopo quel giorno...E lui sarebbe tornato...sì, sarebbe tornato a salvarla! Lo aveva fatto prima, perchè non poteva succedere di nuovo? Lui...aveva la sindrome dell'eroe. Non l'avrebbe mai lasciata sola.
Ma avrebbe resistito fino ad allora?
Un altro colpo arrivò dalle sue spalle, spingendola un po' in avanti, quasi sfondando il suo tappo provvisorio, ma con un colpo di spalle riuscì a far tornare tutto al suo posto.
No, non avrebbe resistito un minuto di più.
<< E va bene. >> disse tra sè e sè ormai decisa. Si spostò velocemente dal tappo, pregando reggesse ancora qualche secondo da solo senza sostegno e si lanciò verso i sedili posteriori, dove era steso Max. Aveva la mano sporca di sangue, sia suangue loro che suo, era abbastanza per permetterle di scrivere qualcosa. Una disperata richiesta d'aiuto. Un addio.
"Sindrome dell'eroe".
Avrebbe sicuramente attirato la sua attenzione quando sarebbe tornato, era un messaggio rivolto solo a lui, la sapeva, ed era anche un suo personalissimo addio con una delle sue battute sarcastiche tanto "gli piacevano". Perchè di quello si trattava, due sole parole per dire così tanto: aiutami. Sapevo che saresti tornato. Non puoi proprio fare a meno di correre ad aiutare le persone. Io te l'avevo detto.
Addio.
Fece un respiro raccoglitore.
<< Andrà tutto bene, Max. >> disse non sapendo bene chi dei due stava cercando di rincuorare, e con uno sprizzo di coraggio che non aveva spalancò la portiera con forza, spingendo via gli zombie che ci si erano appoggiati sopra, uscì e la richiuse velocemente prima di allontanarsi di qualche passo. Si voltò a guardare quelli che si stavano affaccendando sull'auto e lanciò un urlo << Ehi!! >> gridò due, tre volte, sempre più forte, dimenandosi e sbracciandosi << Sono qui!! >>.
Molti la sentirono e furono attirati dal suo rumore, altri invece erano ancora attratti dall'odore del cane dentro l'auto. Ocean si chinò a raccogliere un sasso, arretrò di qualche passo per allontanarsi da chi si stava già dirigendo verso lei e lo lanciò verso quegli zombie che ancora non la consideravano.
<< Prendetemi! Forza! >> Si voltò, guardando di nuovo il bosco a lato strada: non poteva correre per strada, non aveva modo di nascondersi, non sarebbe riuscita a liberarsi di loro. Cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva, continuando ad attirare la loro attenzione, voleva portarseli tutti dietro. Dovevano lasciare in pace Max. Lui doveva salvarsi. Daryl sarebbe riuscito a salvare almeno lui. Lo sapeva.
Corse nel bosco, continuando a farsi strada da chi si trovava di fronte, utilizzando quasi solo spintoni e spallate, non aveva tempo di giocare alla guerra. Riuscì a inoltrarsi nuovamente tra gli alberi, ma era ancora sul campo di battaglia.
Si sentì improvvisamente strattonare all'indietro e lanciò un altro urlo, spaventata. Si voltò e vide che uno degli zombie che le erano sbucato di fianco l'aveva afferrata per la sacca. Cercò di strattonarla per liberarla: era sua! C'erano le sue cose dentro. Ma lo zombie non mollava la presa e lei non aveva tempo da perdere, doveva scappare o si sarebbe di nuovo trovata circondata.
<< Vaffanculo!! >> urlò tra le lacrime quando lasciò la presa, lanciando addosso al Putrido il suo bottino e scappando via, urlando ancora, sbattendo la spada contro pietre e alberi, attirandoli lontani dal suo amico. Dolore e fatica. Non c'erano altro in lei. Voleva fermarsi, voleva riposare, non riusciva che a zoppicare, ma la sua disperata voglia di vivere la spingeva sempre più avanti, arrancando, inciampando ma senza fermarsi.
Non ancora.
La notte era calata da tempo, l'oscurità nascondeva non solo lei, ma anche tutti i possibili pericoli che poteva avere attorno. Aveva dolori ovunque, lividi e ferite che ancora vomitavano sangue. I muscoli avevano lavorato più di quanto era per loro possibile e ora non facevano che chiedere pietà, riposo e cure. Il freddo la faceva tremare come una foglia. La paura ancora non se n'era andata, aggiungendo scosse ad altre scosse. Ma nonostante tutto questo lei dormiva. Si era lasciata andare nel momento in cui era crollata a terra, tra quelle radici, come un animale che tenta disperatamente di nascondersi, e non aveva neanche fatto in tempo a sistemarsi per cercare una posizione comoda che gli occhi si erano chiusi e l'oblio era calato su lei.
Passò un l'intero pomeriggio e la notte che seguiva a dormire, un sonno senza sogni, solo qualche ricordo che tornava come un esplosione, si mostrava, spaventava e poi lentamente si diradava.
Qualche zombie era passato di lì più volte, notandola, ma lasciandola stare: era ricoperta di sangue marcio e interiora, puzzava come uno di loro, ed era immobile se non per qualche lamento e movimento causato dal continuo irrigidirsi del muscoli. La scambiavano per una di loro, non profumava affatto di cibo, e proseguivano per la loro strada.
Il giorno successivo, dopo quasi 24 ore di sonno, Ocean riaprì gli occhi e si sentì peggio di un cadavere. Aveva la nausea e sentiva ancora più dolore del giorno prima, gli occhi bruciavano, la gola secca continuava a procurarle tosse e il mal di testa non voleva lasciarla in pace. Si puntellò su un braccio e tentò di rialzarsi, guardandosi attorno, sollevandosi con fatica e cercando di rimettere ordine ai pensieri. Per sua sfortuna ricordava tutto quello che era successo. Aiutandosi con l'albero che aveva alle spalle si sollevò in piedi, gemendo a ogni movimento: i muscoli sembravano essere diventati di pietra.
Aveva sete. Doveva trovare dell'acqua.
Così cominciò a camminare verso l'unica direzione che conosceva, lenta, muovendo a fatica le gambe, e zoppicando. Il sangue era incrostato ovunque e alimentava la sua nausea con quel suo odore disgustoso.
Non si chiese cosa avesse dovuto fare ora. Era una domanda che non voleva porsi, perchè già sapeva che non avrebbe trovato risposta. Era sola e senza un obiettivo, senza sapere cosa avrebbe fatto ora della sua vita, e per ora si limitava a seguire l'istinto e andare alla ricerca di una fonte d'acqua.
Qualsiasi pensiero le venisse alla mente lo scacciava in malo modo: ora l'acqua! Ora solo l'acqua!
Camminò a lungo, o forse così le sembrò data la sua lentezza, quando raggiunse una casa isolata, una di quelle villette nel bosco che tanto piaceva alla gente. Forse lì dentro c'era dell'acqua, forse c'era ancora acqua corrente. Cercò di accelerare il passo, digrignando i denti per il dolore, e raggiunse velocemente il pianerottolo esterno. Salì gli scalini e si avvicinò alla porta a vetri. Lanciò uno sguardo dentro, cercando di vedere oltre l'opacità causata dalla polvere. Sembrava tranquillo.
Bussò, per sicurezza. Nel caso ci fosse stato qualche zombie il rumore l'avrebbe attirato e lei non sarebbe stata colta impreparata.
Nessuna risposta. Posò la mano sulla maniglia e aprì, entrando lentamente e cautamente. La sala sembrava deserta. Si chiuse la porta alle spalle e zoppicando cominciò ad avanzare, cercando un bagno o una cucina. Qualsiasi cosa avesse un lavandino.
Entrò nella cucina, separata dal resto della casa da una tendina a perline che scendeva dall'alto, molto all'antica, e cercò il lavandino con gli occhi.
Un paio di occhi bianchi all'improvviso la fecero sussultare. Rimase pietrificata mentre lo zombie che le si era piazzato davanti la scrutava.
"Merda!" pensò mentre l'istinto le portò velocemente la mano alla spada. Ma non la estrasse.
Cosa aspettava ad attaccarla?
Lo zombie fece qualche verso, lamentò, sembrò guardarsi attorno e poi si voltò e si allontanò lasciando Ocean completamente disorientata. Si guardò i vestiti, curiosa di capire cosa avesse tenuto a distanza la morte, e subitò capì che si era salvata solo grazie al sangue di quei due o tre zombie che il giorno prima avevano riversato su di lei tutto ciò che contenevano.
<< Scambiata per un morto. >> parlottò tra sè e sè e provò a ridere, ma dalla sua bocca uscì solo qualche colpo di tosse che le raschiò la gola come la lama di un coltello seghettato. Si portò una mano al collo d'istinto e fece una smorfia di dolore.
Aveva trovato la situazione così ironica. Per la prima volta non era lei a fare del sarcasmo sugli altri, ma era stata la vita stessa a farlo su lei. Era morta dentro, Alice era morta da un pezzo, e ora vagava come uno di loro, barcollando, e veniva addirittura accettata nella comunità dei mangiatori di carne come fosse davvero uno di loro.
<< Sono un morto che cammina anche io ora. >> rise ancora, tossendo, lamentando dolore. Lo zombie si voltò attirato dallo strano rumore, ma Ocean non gli diede tempo di realizzare che la sua compagna di stanza era cibo. Gli si avvicinò con assoluta tranquillità, sapendo che fretta non ce n'era finchè era conciata in quella maniera, estrasse la daga e cercando di dare quanta più forza potesse nel braccio la conficcò nella fronte del Putrido. Lo lasciò cadere a terra, controllando fosse morto davvero, e si diresse infine verso la sua fonte d'acqua. Aprì il rubinetto e quasi si commosse quando la vide scorrere. Piegò la testa e infilò le labbra sotto il getto, bevendo avida, sentendo il liquido fresco placare un po' il fuoco che aveva in gola. Si lavò poi mani e faccia, chiuse il rubinetto e decise di perlustrare la casa prima di mettersi a suo agio. Era bene assicurarsi fosse sicura. Perlustrò ogni singola stanza, ogni angolo, ogni armadio e sotto ogni letto. Ovunque potesse nascondersi del pericolo. Trovò un altro paio di zombie nelle altre stanze, probabilmente membri della famiglia che abitava lì, ma nessuno tentò di attaccarla e Ocean riuscì a porre fine al loro vagare quasi con dolcezza.
Voleva farsi un bagno quanto prima, aveva visto avevano una vasca e desiderava affondare nell'acqua il prima possibile, anche se sicuramente sarebbe stata gelata. Ma aveva ancora una stanza da controllare.
L'aprì e il cuore si fermò. Sulle pareti azzurre erano disegnati personaggi di cartoni animati. La moquette era piena di giocattoli. Sul letto era stesa una copertina in pile con sopra pianeti e navicelle spaziali. Ocean fece un passo entrando all'interno della stanza e la gola tornò a bruciare. Gli occhi si appannarono e senza rendersene conto un lamento le uscì dalle labbra. Quei personaggi dei cartoni, alle pareti, erano macchiati di sangue. La coperta in pile era strappata. Alcuni giocattoli anche loro macchiati di quel terribile destino. Per terra, la moquette, era in alcuni punti impiastricciata e incrostata. Si portò una mano alla bocca cercando di soffocare i lamenti.
Il mondo era diventato l'Inferno, e l'Inferno si sa è per i peccatori, per coloro che in vita avevano commesso crimini e violenze, per questo era così facile colpire e sopravvivere. Se quello era l'inferno, i Putridi erano i dannati e come tali avevano sicuramente fatto qualcosa per meritare tutto quello. Loro meritavano la loro fine, per forza! Era colpa loro se erano diventati così. Ma i bambini...i bambini riportavano alla violenta realtà. Loro che colpa potevano avere? I bambini erano innocenti, non meritavano quel destino. Perchè tutto questo? E solo allora realizzò che non c'era spiegazione logica che teneva: era la fine del mondo, e nessuno scappava. Prima o poi chiunque giungeva al proprio destino, anche i buoni e gli innocenti. Il crudele Dio era sceso in terra e stava divorando ogni cosa.
Nessuno scappava.
Si voltò a guardare il mobile che era poggiato alla parete alla sua destra, sopra erano riposti altri giocattoli. Ne prese uno e un altro singhiozzo la scosse, facendo scivolare via una lacrima dai suoi occhi. Sorrise, ma era un sorriso triste. Un pupazzetto snodabile di IronMan. Ne aveva già visto uno simile, lei stessa l'aveva comprato e regalato...a qualcuno. Qualche ricordo guizzò, come pesciolini che saltano fuori dall'acqua, riempiendola di tristezza e malinconia, e anche se poi rispariscono subito sotto la superficie, i cerchi formati restano a lungo, allargandosi, prendendosi sempre più spazio dentro quel piccolo laghetto di malinconia.
"Abbiamo giocato tante volte assieme con questo" pensò muovendo le braccia del pupazzetto e mettendolo in posizione di attacco, come sempre aveva fatto in precedenza. Ricordava c'era un pulsantino dietro la schiena, se premuto faceva il rumore di IronMan nel film quando sparava. Lo voltò e lo premette. Il rumore si prolungò fintanto che Ocean tenne premuto, un eco dei suoi pensieri. Poi un altro rumore si aggiunse nella stanza, facendola sussultare. Versi. Versi che conosceva bene.
<< No. No, ti prego. >> sussurrò tra sè e sè pregando di essersi sbagliata, pregando che voltandosi non avrebbe visto ciò che temeva. Un nodo le chiuse la gola.
E si voltò.
<< No. >> lamentò con un singhiozzo.
Uno zombie si stava avvicinando a lei, attratto dal rumore del pupazzetto. Uno zombie che arrancava sui suoi piedini, che spesso inciampava e continuava a gattoni, lento. Uno zombie non più alto di 80 cm e che allungando le sue manine paffute, nel tentativo di afferrare la preda, rendeva tutto più triste di quanto già fosse.
Era la prima volta da quando era successo tutto che incontrava un bambino. I capelli neri, lisci, ormai secchi e diradati incorniciavano il suo viso tondo, violaceo. Ocean arretrò di un passo, trovandosi improvvisamente a singhiozzare, e andò a sbattere contro l'angolo del mobile dietro di lei.
<< No, ti prego. >> singhiozzò ancora. Portò una mano alla daga, tremando come mai aveva fatto prima. Sapeva quello che andava fatto. Non era più un bambino, era un mostro, come tutti gli altri e andava ucciso prima che lui avesse ucciso lei. Ma non ce la faceva. Come poteva farlo, con che cuore avrebbe piantato un arma affilata nella testa di una creatura così piccola.
Sfilò la daga dal fodero, tremando ancora e si inginocchiò, lasciando cadere il pupazzetto a terra, guardando il bimbo mentre avanzava e lentamente si avvicinava. Singhiozzò ancora, non riuscendosi a fermare.
Afferrò il collo del bambino con la mano libera, bloccandolo, impedendogli così di avvicinarsi oltre e morderla. La sua pelle era così fredda. Alzò la daga, cercando dentro sè la forza per farla cadere sulla sua testa, per fare il suo dovere. Altre lacrime si riversarono sulla sua guancia mentre il bambino bloccato si dimenava, allungando le braccia verso lei, chiudendo ritmicamente la bocca desideroso di mordere.
Gli occhi le si appannarono, impedendole di vedere. La mano che reggeva la daga si portò velocemente al suo viso e con la manica si asciugò, prima di tornare alla sua posizione. Ma la vista le giocò un brutto scherzo. Quel bambino prese improvvisamente sembianze che non aveva, ma che lei conosceva così bene e che custodiva da tempo dentro sè. Le sembianze di quel bambino che aveva portato a lungo gelosamente con sè, dentro il suo portafoglio.
La mano alzata cadde improvvisamente, arresa, facendo scivolare via la daga sul pavimento.
<< Non ce la faccio. >> sussurrò << Non ce la faccio. Mi dispiace. >>.
Si alzò in piedi, sollevando il bambino, sempre tenendolo ben fermo per la gola impedendogli così di morderla e si diresse verso il lato sinistro della stanza, dove era poggiato un box con sbarre alte e altri giochi all'interno. Lo poggiò lì dentro e si allontanò velocemente di un passo. Il bambino si sollevò di nuovo in piedi e arrancò fino alle sbarre del box, contro cui si schiacciò e allungò le manine verso la ragazza, lamentando, dimenandosi. Ocean lo guardò per qualche secondo, non pensando a niente di preciso, cercando solo di liberarsi da quel dolore che le attanagliava il cuore, poi si voltò, prese il pupazzetto di IronMan che aveva lasciato a terra, lo raccolse e lo portò dal bambino, facendoglielo cadere nel box. Abbassò gli occhi dispiaciuta, triste e silenziosamente uscì dalla stanza chiudendosi accuratamente la porta alle spalle.
La casa era ripulita a dovere. Ora poteva godersi il suo bagno.

Il tempo passò veloce e silenzioso. Un'ombra. Si sentiva ormai un'ombra che passava come tutte le altre, senza scopo, pronta a morire al calare del sole. Soddisfò tutti i suoi bisogni, lavandosi, mangiando qualche scatola vecchia che era rimasta nella dispensa della casa, bevendo e cercando di curarsi qualche graffio con delle medicine trovate nello stipetto del bagno.
Si lasciò cadere sul divano, sedendosi a gambe divaricate e le braccia stese lungo i fianchi, gli occhi puntati su un televisore spento e che sarebbe rimasto spento a lungo. Il silenzio era il suo unico compagno. Il televisore era spento, ma i suoi occhi vedevano scorrere su di lui immagini di un programma comico italiano. Era sola su quel divano, ma sentiva accanto a sè delle persone, che ridevano di quel programma, commentavano e le chiedevano divertiti se avesse capito la battuta. Un bambino le corse davanti ai piedi con un aereo tra le mani, simulando il rumore del suo volo, correndo per la stanza, e la voce di una donna l'ammonì dicendogli di stare in silenzio, di andare nella sua stanza a giocare perchè lì disturbava. Un piccolo batuffolo bianco, tutto spettinato, saltò sul divano, arrancando un po' date le sue zampette corte, e si sistemò vicino a lei, posando il musetto su una sua gamba e cominciando a dormire beato.
Un'altra battuta. Risate.
<< L'hai capita Alice? >> rise la signora anziana accanto a sè.
<< Sì, nonna l'ho capita. >> sorrise lei, intenerita dal suo bisogno di coinvolgere ed essere coinvolta nelle sue attività ludiche. Il bambino tornò correndo davanti a loro.
<< Zia Alice!! Giochi con me? Dai, vieni? >> le afferrò il pantalone e cominciò a tirare.
<< Andrea!! >> lo ammonì una giovane donna accanto a sè << Lascia stare tua zia! Ha lavorato tutto il giorno, è stanca. Vai a giocare da solo. >> Il bambino sbuffò e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, scocciato e contrariato.
Alice rise e gli scompigliò i capelli.
<< Giochiamo insieme dopo cena, che ne dici? Perchè non vai a chiedere alla nonna tra quanto si mangia? Magari ha bisogno di aiuto. >> suggerì, cercando lo stesso di coinvolgere il bambino in qualcosa che non lo annoiasse. Andrea sorrise e annuì prima di correre verso la cucina.
<< Chiara, non essere così severa con lui. >> disse la nonna alla ragazza seduta vicino ad Alice, quella che aveva brontolato il piccolo Andrea << E' un bambino, è normale voglia giocare. >>
<< A volte mi chiedo dove abbia le batterie e soprattutto di che marca sono. >> sospirò la ragazza << Non si stanca mai! Vorrei essere come lui. >>
<< Tu sei una gran pigrona invece! >> rise Alice.
<< Proprio come te, sorella sciagurata!! >> brontolò Chiara dando uno spintone a quella che spesso diceva di essere il suo riflesso allo specchio. Nessuno avrebbe sbagliato nella loro parentela, erano assolutamente identiche, l'unica irrilevante differenza stava nel fatto che Chiara era più vecchia di Alice di ben 10 minuti. La nonna ammonì le loro chiassose risa con un netto "ssh", sforzandosi di sentire la televisione << Questo è forte! Fatemi sentire che dice! >> e seguì un gesto della mano ad indicare di abbassare la voce. Alice sorrise ancora e accarezzò il cane che ancora dormiva beato appoggiato alla sua gamba. Era così piccolo che chiunque avrebbe potuto confoderlo per un peluche.
Una donna si affacciò alla porta con uno straccio in mano, asciugandosele, i capelli scuri legati in una crocchia, occhiali rettangolari sul naso e un abbigliamento sempre elegante
<< Mamma, vieni di là a guardarlo. E' pronto da mangiare. >> disse rivolta alla vecchia seduta, con una coperta sulle ginocchia, vicino ad Alice.
Il bambino corse veloce dalla cucina verso l'ingresso dell'appartamente, urlando di gioia << E' tornato papà!!! >> e subito si sentì il rumore della porta che si apriva.
<< Eccolo qua il mio mostriciattolo! >> si sentì dire dalla voce di un uomo sulla soglia dei 30 anni. Chiara fu la prima a seguire il figlio, andando verso quello che presto sarebbe diventato suo marito, per salutarlo. Una famiglia allargata la loro, necessaria per via delle terribili condizioni economiche in cui vivevano che non permetteva a ciascuno di loro di avere un proprio appartamento. Ma andava bene così. Erano insieme, questo era l'importante. E Alice aveva potuto così fare non solo da zia, ma anche da seconda madre, sorella maggiore e migliore amica del piccolo Andrea, la luce di quella casa. Il giorno in cui Chiara e Leonardo si sarebbero sistemati con i soldi, e si sarebbero sposati, sarebbe stato il peggiore della sua vita perchè non solo avrebbe dovuto separarsi dalla sua gemella, ma anche dal suo cuoricino Andrea. Ma nessuno le avrebbe impedito di andare a trovarli ogni giorno.
O almeno questo era quello che pensava al tempo.
Alice seguì la sorella, andando a salutare educata il cognato.
<< Ciao Alice. >> salutò Leonardo, alzando il viso, guardandola con i suoi occhi bianchi, i denti scoperti, insanguinati, i capelli diradati e la pelle verdastra. Alice sussultò, arretrando e andando a sbattere contro una persona dietro di sè. Si voltò e si trovò davanti sua madre, con le stesse caratteristiche di suo cognato, putrida, marcia, che la guardava famelica << Che succede, bambina mia? >> chiese con una voce che non era la sua mentre digrignando i denti si avvicinava a lei, annusandola. Alice si lasciò sfuggire un urlo e arretrò ancora, schiacciandosi contro la parete dietro di lei.
<< Alice. Stai bene? >> chiese a sua volta la sorella, o almeno quella che credeva essere sua sorella, anche lei ormai trasformata e che si avvicinava pericolosamente. Alice si guardò attorno, disperata, terrorizzata. Cosa stava succedendo? Dov'era la sua famiglia? Gli zombie nell'atrio continuavano ad avvicinarsi a lei, accerchiandola, impedendole la via di fuga. Alice cominciò a tremare e pregare. Volevano mangiarla! Erano morti! Non sapeva per quale delle due cose disperarsi di più. La sua famiglia...dov'era la sua famiglia? Si sentì tirare la maglia verso il basso e si voltò a guardare chi stesse richiamando la sua attenzione. Andrea, in piedi vicino a lei, era come gli altri, trasformato. Alzò la testa verso la zia e lì il suo viso mutò, diventando quello del bambino trovato nella stanza di quella casa abbandonata nel bosco. In Georgia.
<< Zia, giochi con me? >> chiese e mai una richiesta era sembrata più minacciosa. Alice urlò terrorizzata, allontanandosi di colpo dal bambino, inciampando, cadendo....

Si svegliò di soprassalto, sollevando la testa. Il cuore le martellava in petto. Si era fatto di nuovo buio fuori, nemmeno un filo di luce penetrava dalle finestra rendendo la stanza un buco nero. Gli occhi corsero convulsamente intorno a sè, guardando, scrutando ogni angolo, assimilando ciò che era successo: si era di nuovo addormentata, e aveva di nuovo fatto incubi. Tirò un sospiro di sollievo, ma che aveva sfumature di esasperazione, stufa ormai di dover subire tutto quel terrore gratuito, e lasciò nuovamente ricadere la testa all'indietro, rilassandosi.
<< Che palle... >> sussurrò esternando tutta il suo esaurimento con quel espressione che aveva dell'infantile. Si lasciò scivolare sul divano, togliendosi dalla posizione seduta e stendendosi realmente per rilassare i muscoli e magari placare qualche crampo e qualche fitta. Fissò il buio soffitto senza un reale interesse. Niente aveva un reale interesse. Non sapeva più cosa voleva, cosa doveva fare, non sapeva più niente. Doveva solo sopravvivere, senza avere un piano, e questa la mandava fuori di testa. Aveva lasciato indietro degli amici, era vero, ma erano passati quasi due giorni da quando aveva lasciato Max nell'auto, sicuramente Daryl era già tornato a l'aveva preso con sè, tornare indietro era inutile oltre che rischioso. Avrebbe potuto imbattersi nuovamente nell'orda. Quel luogo per ora sembrava sicuro e sarebbe rimasta lì un po'. Tornare dal gruppo? No, non ce la faceva. Non voleva. Nella disperazione aveva desiderato avere Daryl accanto a sè, ma ora era tornata quella di prima. Era solo il panico ad averla fatta parlare. Non voleva. Lei era sola e sarebbe rimasta sola. E sotto quelle mentite spoglie cercò di nascondere la vera ragione della sua solitudine: la paura di essere di nuovo lasciata sola e tradita. E poi....era fuggita. Lei stessa se n'era andata, gli aveva ritenuti buoni a nulla, maltrattati e mal giudicati. Con che faccia sarebbe tornata da loro? Sicuramente non l'avrebbero più voluta con loro. Non poteva tornare indietro.
E Peggy...
Sapeva dov'era Peggy. Lo sapeva fin dal primo giorno di ricerca, quando Daryl non toglieva gli occhi dal suolo seguendo segni di zoccoli lungo la via. Aveva riconosciuto la strada che stavano percorrendo.
Peggy era tornata a casa. E lei non aveva nessuna intenzione di raggiungerla. Forse era anche per quel motivo che non aveva detto a Daryl che conosceva la strada, impedendogli di proseguire con così tanta lentezza. Non voleva tornare in quel posto, e in qualche modo sperava che il balestriere avrebbe sbagliato qualcosa, che non sarebbero giunti a destinazione. O comunque ciò ritardava il loro arrivo, e lei aveva avuto il tempo di riflettere sul da farsi, anche se le conclusioni non erano arrivate come aveva sperato. Il destino aveva fatto tutto per lei. La loro separazione era in qualche modo servita a salvarla. Ora poteva vagare sola come aveva desiderato, era riuscita a liberarsi di quel gruppo, aveva ottenuto ciò che diceva desiderava. E non era neanche più obbligata a tornare in quel luogo, dove sicuramente Peggy si era rifugiata, anche se non era convinta che "rifugiata" fosse il termine adatto. Per quanto ne sapeva poteva essere anche invaso, così come l'aveva lasciato l'ultima volta.
Un bicchiere si ruppe sul pavimento della cucina.
Ocean sussultò e d'istinto si rizzo a sedere, puntando gli occhi verso il corridoio dietro di lei, da dove si raggiungeva la cucina. Solo allora fece caso agli strani scricchiolii che provenivano da quella stanza. C'era qualcuno. O qualcosa. Quando era entrato? Mentre dormiva?
Sentì il rumore dei vetri calpestati. Uno stipetto scricchiolò aprendosi. Gli zombie non sapevano aprire gli stipetti, forse era qualcuno di vivo.
<< Cazzo. >> sussurrò rotolando giù dal divano, cercando di essere il più silenziosa possibile, sperando il pavimento non le giocasse qualche cattivo scherzo facendo rumori che non erano richiesti. Strisciò fino a bordo divano e guardò di nuovo l'entrata della stanza, assicurandosi che il suo ospite non fosse ancora entrato. Si alzò, posandosi sui piedi, ma rimanendo china e con le mani poggiate al pavimento. Guardò ancora l'entrata prima di fare un silenzioso scatto verso la poltrona accanto e si nascose dietro a essa. Allungò una mano e afferrò le armi che aveva posato lì sopra prima di stendersi sul divano. Si legò velocemente le varie cinghie. Uno scricchiolio nel corridoio: stava arrivando. Si sbrigò nel suo riassemblarsi e afferrò per ultimo arco e frecce. Si mise la faretra dietro la schiena, prese una freccia e la incoccò. Restò qualche secondo con le spalle schiacciate contro il fianco della poltrona, nascosta, affidandosi solo al suo udito, anche se il rumore del suo respiro affannoso e del suo cuore le assordava le orecchie.
Aveva imparato per esperienza che bisognava avere più paura dei vivi che dei morti.
Sentì il rumore di passi pesanti e decisi entrare nella sala e camminare velocemente verso il divano. Il respiro di Ocean non le diede pace, il petto le faceva male nel suo disperato tentativo di cercare sempre più aria: stava rischiando l'iperventilazione. Non riusciva a calmarsi. Tentò di arretrare, cercando di scivolare lungo il fianco della poltrona per arrivarle dietro e continuare a essere nascosta al suo ospite, ma le sue scarpe la tradirono facendo rumore nel piegarsi sotto ai suoi passi. Il cuore le si fermò. E anche i passi dell'uomo si fermarono. L'aveva sentita.
La sicura di una pistola venne tolta con un sinistro suono che preannunciava guai. Ocean cominciò a tremare.
Il bambino al piano di sopra lanciò un leggero urlo, attirato da chissà cosa, ma qualsiasi cosa fosse Ocean lo ringraziò. Sapeva che così come aveva attirato lei avrebbe potuto attirare anche l'uomo. Approfittò del momento sbucando all'improvviso con la freccia e la testa da dietro la poltrona, prendendo rapidamente la mira e scoccando la sua freccia verso la figura nera, in piedi, con lo sguardo alzato al soffito. Ma la freccia mancò il bersaglio, graffiando semplicemente la guancia dell'uomo e facendolo sussultare. Un eco odioso risuonò in quel momento nelle orecchie di Ocean: "Imbranata" diceva la voce di Daryl, e avrebbe volentieri ucciso lui in quel momento. L'uomo si voltò di colpo, e senza pensarci due volte fece fuoco.
Fiamme improvvise si impossessarono della spalla di Ocean che cadde a terra e senza rendersene conto cominciò a urlare. Era la prima volta veniva colpita da un proiettile, e non pensava fosse qualcosa di così doloroso. Sentiva fisicamente l'oggetto inserito nella sua spalla muoversi a ogni suo divincolo. Con la mano tremante si strinse la ferita in un disperato tentativo di placare il dolore. Un grosso piede con stivali militari si posò pesantemente davanti al suo viso steso a terra. Con la coda dell'occhio Ocean cercò di risalire la gamba, guardando in volto il suo aggressore. Un uomo grosso, vestito con abiti militari, un pesante giubbetto di pelle imbottito di pelo di chissà quale animale e un sigaro stretto tra i denti la guardava sorridendo quasi soddisfatto.
<< Ciao, bambolina. >> disse.
La paura più profonda si impossessò di lei. Cominciò a sentire il fiato mancarle e la vescica premere per potersi liberare all'istante sotto lo sforzo. Avrebbe singhiozzato. Ma era talmente pietrificata che neanche quello riuscì a fare.
"Non di nuovo, ti prego" riusciva solo a pensare e all'improvviso desiderò essere morta.
L'uomo si chinò su di lei e le puntò la pistola alla tempia, continuando a guardarla col suo sorriso divertito e probabilmente soddisfatto della sua scoperta.
<< Vediamo di non muoverci, eh?! >> le disse prima di portare le mani alle sua armi, togliendole di dosso, senza certo precocuparsi di non toccare cose, parti del corpo, che certamente non erano di sua proprietà. La disarmò, allontanando le sue cose per evitare che potesse riprenderle, poi l'afferrò per il braccio sano e la costrinse ad alzarsi. Il dolore alla spalla la fece lamentare tra i denti. L'uomo la trascinò e la lanciò sul divano, facendola sedere.
<< Togliti questa roba. >> disse indicando la sua camicia con la canna della pistola. Ocean voleva scoppiare a piangere, ma si sforzò di mantenere una certa dignità. Sapeva che certe cose piacevano di più agli uomini che si dedicavano a certe attività schifose solo per poter urlare al mondo il loro testosterone. Il loro dominio. Piangere avrebbe dato a lui tutto questo. Strinse i pugni e continuò a guardare il suo aggressore negli occhi, non facendo ciò che gli aveva detto. I suoi occhi urlavano tutta la sua rabbia e il disgusto che le stava facendo venire da vomitare.
<< Forza, non fare la capricciosa e non farmi perdere tempo. >> continuò lui dandole un colpo alla spalla ferita con la sua pistola. Ocean si lamentò ancora e chiuse gli occhi per il dolore, ma continuò a rimanere immobile.
<< Figlio di troia >> disse in Italiano. Non gli avrebbe certo concesso l'onore di poter comunicare con lei. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di fargli credere che ciò che lui diceva era capito, così magari avrebbe scoraggiato anche tutte le frasi di circostanza che le facevano venire il vomito.
"Vedrai, ti piacerà" o "Sarà veloce". Era qualcosa che scatenavano tutta la sua furia e il suo disgusto, avrebbe ucciso solo per quello. Non voleva sentirle. E poi parlare in inglese era qualcosa che aveva sempre fatto solo per poter beneficiare il suo interlocutore, lei avrebbe volentieri parlato solo Italiano. Era una forma di rispetto e concessione che faceva all'altro. E lui certo non meritava questo.
<< Una straniera, eh. Che carina. >> sorrise ancora aspramente, condendo la frase di una certa dose di ironia. Rinfoderò la pistola e si calò su lei con una tale velocità da non darle neanche il tempo di provare a scappare. Le mise una mano al collo, bloccandola, e con l'altra cominciò a toglierle la camicia, sbottonando ogni singolo bottone, cosa che in un certo senso gli avrebbe anche addirittura fatto onore: così poteva rivestirsi dopo e non era poi costretta a girare nuda con i vestiti stracciati per tutta la Georgia. Quand'ebbe finito con un colpo secco la spintonò e la fece stendere a pancia in giù sul divano, le posizionò un ginocchio tra le scapole impedendole di muoversi. Ocean strinse ancora i pungi, cercando di mantenere la calma. In quelle occasioni l'unica era ragionare lucidamente, non dimenarsi e non farsi prendere dal panico. Sarebbe solo stato un inutile spreco di energie. Senza contare che ancora aveva dolori ovunque, se si fosse agitata si sarebbe fatta solo ancora più male. L'uomo le afferrò i polsi e glieli legò con un pezzo di corda, così stretti da fargli male, ma non abbastanza da rischiare di fargliele perdere per mancanza di circolazione. Fece la stessa cosa con i piedi, dopo averle sfilato gli stivali, e dopo averle sistemato le mani dietro la schiena la rialzò a sedere, trattandola come si può trattare una bambola. Gli occhi di Ocean bruciavano, ma non pianse. Solo rabbia, fierezza e disgusto dovevano uscire dal suo sguardo. Non la paura. Doveva restare ferma, fiera, doveva mantenere dignità dimostrando di non essere in suo potere. Lui non era superiore, solo aveva la pistola dalla parte del manico. Per ora. Era questo che doveva dimostrare. Lei non era in suo potere, lei non era sua.
<< Piangerai un po'. >> ridacchiò lui prima di tirar fuori un coltello. Ocean spalancò gli occhi presa da un attimo di terrore: che diavolo voleva fare? L'uomo piantò bene il suo bracciò contro il petto della ragazza, vicino all'attaccatura del collo, e posò un ginocchiò sulle sue gambe, immobilizzandola. Senza dar tempo alla ragazza di capire che cacchio avesse intenzione di fare l'uomo aveva infilato la punta del suo coltello nella ferita della ragazza e senza nessun riguardo cominciò a muoverlo all'interno. Ocean urlò con tutto il fiato che aveva. Il dolore era indescrivibile, qualcosa che non aveva mai neanche immaginato. Cercò di dimenarsi desiderando solo scappare da quella tortura, ma ogni minimo movimento faceva finire il coltello dove non doveva facendole ancora più male.
<< E chiudi quella bocca. >> brontolò l'uomo ancora intento a rigirare il suo coltello all'interno del buco creato dal suo proiettile. Ocean strinse i denti, ma non riuscì a fermare i lamenti, il suo corpo urlava dolore e non riusciva a fermarlo. Sbuffò, scosse la testa, strinse i pugni e urlo fino a quando l'uomo non ebbe finito. Il tempo era sembrato infinito e non seppe bene quanto gli ci era voluto, sapeva solo che in quegli interminabili attimi aveva ancora una volta desiderato morire.
<< Eccolo qua il figlio di puttana! >> rise l'uomo rigirandosi tra le mani il proiettile insanguinato come una reliquia, non sembrando per niente disgustato. Chissà quante altre volte lo aveva fatto, o quante volte aveva sventrato qualcuno per mostrare una tale disinvoltura. Ocean non lo guardò, voleva essere lasciata in pace e basta. Lasciò cadere la testa all'indietro, esausta, cercando di riprendere fiato. Il braccio le pulsava.
<< Sei stata fortunata. >> continuò lui, infischiandosene del fatto che lei non potesse capirlo, o almeno questa era l'impressione che lei gli aveva dato. Si tirò fuori da una grossa tasca dei suoi pantaloni una piccola fiaschetta che aprì con i denti, bevve un sorso e poi si richinò sulla ragazza.
<< Non abbiamo finito, tesoro. >> disse prima di versare sulla ferita il liquido contenuto dentro la sua fiaschetta. Il braccio le sembrò prendesse fuoco e un alto lamento le uscì dai denti ben serrati. Strinse il tessuto del divano tra le dita, dietro di sè, si irrigidì, e si chiese quanto sarebbe andato ancora avanti. L'uomo prese un fazzoletto sempre da una delle sue tasche e lo premette contro la ferita, schiacciandola poco delicatamente, aggiungendo dolore al dolore. Il braccio le formicolava. Ma il peggio sembrava passato.
Con lo stesso fazzoletto l'uomo fece un nodo intorno alla sua spalla, bello stretto, arrangiando una fasciatura. L'aveva aiutata, le aveva curato la ferita, avrebbe dovuto ringraziarlo, ma era ancora legata nuda su un divano, era ancora troppo presto per cantar vittoria. L'avrebbe ringraziato e forse gli avrebbe chiesto anche scusa solo quando le avrebbe permesso di andarsene senza toccarla ancora.
<< Se ti fossi mostrata subito, senza fare strane sorprese questo non sarebbe successo. Impara dai tuoi errori, tesoro. >> disse lui avvicinando il suo viso a quello della ragazza, facendole sentire tutto il suo alito fetido di sigaro e alcol, e dandole leggeri schiaffi alla guancia. La ragazza fece una smorfia disgustata, e continuò a non rispondere, voltando la testa dall'altra parte. L'uomo sorrise, si chinò e l'afferrò per i fianchi sollevandola di peso e con pochi gesti rapidi se la caricò sulle spalle come un sacco di patate, facendola gemere ancora.
<< Penso di non dover continuare la perlustrazione, con le tue urla se ci fosse stato qualcuno o qualcosa sarebbe già arrivato di corsa. >> disse cominciando a camminare e dirigendosi verso le scale che portavano al piano di sopra, lasciando in quella sala la camicia e le armi di Ocean.
<< Andiamo, bella. Che ora mi diverto un po' io. >> sghignazzò lui colpendole il sedere che sporgeva dalla sua spalla, prima di cominciare a salire le scale. Ad ogni passo le fitte diventavano sempre più dolorose, ma la paura era tale che il dolore passava in secondo piano. Voleva scappare. Preferiva buttarsi in pasto ai Putridi piuttosto. Ma non quello...non di nuovo! Odiava gli uomini, che davanti alla morte ancora non smettevano di pensare ad altro che al loro pene, e che anzi spesso approfittavano di certe occasioni per soddisfare bisogni che in occasioni normali non avrebbero potuto. Erano diventati tutti stupratori da quando era successo il casino. Da quando non c'era più una legge a punirli. Ne aveva incontrati a bizzeffe, anche se spesso era riuscita a cavarsela, e la caratteristica che li accumunava quasi tutti era che dopo la violenza lasciavano in vita le vittime, anzi le armavano. Volevano che le donne restassero vive così un giorno avrebbero potuto "riusarle". Ed era quello lo stesso motivo per cui quella specie di militare le aveva curato la ferita da proiettile, non voleva morisse. Poteva servirgli ancora. Con la mano libera buttò giù un altro sorso del liquido altamente alcolico che conteneva la sua fiaschetta, un lungo e profondo sorso con la chiara intenzione di ubriacarsi. Sarebbe stato più divertente. Questo pensava lui. Ocean in quei secondi che la separavano dalla camera da letto pensò a qualsiasi cosa, cercò di trovare qualsiasi soluzione che fosse rubargli la pistola, o cercare di aprire la porta dove aveva tenuto in vita il bambino, così magari se lo sarebbe mangiato, ma nessuna di quelle erano plausibili. Lei era legata, non poteva muoversi troppo, e poi un bambino avrebbe certo potuto morderlo, ma non divorarlo. Lui l'avrebbe ucciso prima, e prima che si trasformasse avrebbe potuto violentarla altre 10 volte. Pensò a un modo di difendersi, di picchiarlo, ma era troppo debole, malconcia e le corde che la legavano non le permettevano movimenti. Senza contare la massa muscolare che aveva lui in confronto alla sua misera. Non ce l'avrebbe mai fatta.
Lasciò cadere la testa, arrendevole. L'avrebbe tenuta in vita. Magari era solo questione di resistere qualche minuto, il tempo che finisse, e poi l'avrebbe lasciata andare. Nessuno poteva aiutarla.
Arrivarono alla camera. L'uomo la lanciò sul letto, proprio come un suo giocattolino. Sghignazzando diede un calcio alla porta che rimase però accostata, senza chiudersi. Ma cosa importava? Posò il sigaro sul comodino e cominciò a spogliarsi. Ocean guardò dall'altra parte e nel frattempo, disperata, cercò di dimenare le mani dietro la schiena con la vana speranza di riuscire a slegarsi. Le facevano male, sentiva le corde bruciare e tagliare la sua pelle, ma non si allentavano neanche un po'.
Cominciò a tremare e d'istinto tentò di allontanarsi quando lui, ormai nudo, le si avvicinò, le slegò le caviglie e cominciò a toglierle i pantaloni. L'odore di alcol impregnava la stanza, ma Ocean sentiva solo quello della paura. Cercò di restare forte, cercò di mantenere la calma, doveva restare lucida, ma era tutto così difficile. L'uomo la toccò, senza smettere di sghignazzare, ormai inebriato dal suo desiderio. E Ocean tentò un gesto disperato, alzando un piede e cercando di dirigere un calcio verso la sua parte debole ormai scoperta. Il dolore l'avrebbe tramortito un po', e lei ormai libera alle caviglie avrebbe potuto scappare. Ma lui fu più rapido e riuscì a bloccare il colpo, fermandole il piede.
<< Ribelle! Sapevo che quegli occhi così severi erano solo una maschera. Stai tremando. >> sghignazzò ancora prima di lanciarsi sulla sua vittima. Ma la fortuna aveva salvato più volte la ragazza, e ancora sembrava non volerla lasciare sola, cosa di cui Ocean era molto grata. Si sentì un rumore di finestra rotta dal piano di sotto, versi gutturali che provenivano da fuori e un continuo sbattere alla porta d'ingresso.
<< Che cazzo... >> brontolò l'uomo sollevandosi, lasciandola libera. Afferrò i pantaloni e se li infilò scocciato << Devono essere state le tue stupide urla! >> afferrò la pistola e scese al piano di sotto a torso nudo e piedi scalzi. Ocean non perse tempo e rotolò giù dal letto. Si alzò velocemente, corse verso le cose del militare che aveva lasciato lì, stese a terra e cominciò a cercare col piede, sperando di riuscire a trovare il coltello che si portava dietro. Ma non lo trovò. Probabilmente era rimasto nei pantaloni che aveva indossato. Sentì il rumore della battaglia al piano di sotto, l'uomo non stava sparando evitando di attirarne altri, ma sentiva i corpi cadere per terra. Probabilmente stava usando quel coltello che lei non aveva trovato. Lanciò un'occhiata alla porta della camera, controllando che non arrivasse nessuno e si diresse verso il comò. Doveva pur trovare qualcosa! Delle forbici, uno specchio, qualsiasi cosa fosse minimamente affilato! Si voltò e aprì il cassettò con le mani ancora legate dietro la schiena e guardò dentro. Si voltò di nuovo e provò a spostare un po' di vestiti. Niente. Disperata si guardò attorno. Doveva sbrigarsi o l'uomo o gli zombie l'avrebbero trovata e presa. Corse verso l'armadio e l'aprì. E lì trovò qualcosa che le diede un minimo di speranza: un set di cucito. Usò i piedi per aprirlo e per cercare dentro trovando ciò che voleva: un paio di forbici da sarta. Le prese con le mani dietro la schiena e facendo affidamento a tutta la sua disperazione cercò di utilizzarle per tagliare quelle stramaledette corde! Riuscì a maneggiarle, con grande difficoltà e fitte ai polsi, ma ci riuscì! E pian piano sentì il rumore di corda che veniva tagliata.
Un colpo attirò la sua attenzione e alzò lo sguardo verso la porta.
Uno zombie era riuscito a salire al piano di sopra e ora la guardava, seduta sul letto, disarmata e pronta per essere servita a cena. Fece uno dei suoi versi prima di avvicinarsi velocemente a lei.
<< Cazzo, cazzo, cazzo. >> ripetè tra i denti mentre cercava di velocizzarsi per tagliare le corde. Si alzò in piedi sul letto e si allontanò quando lo zombie si lanciò in avanti per afferrarla. Arretrò e si voltò per scendere dall'altro lato e scappare via, ma inciampò nelle lenzuola sfatte e cadde a terra sbattendo pancia e petto. Il fiato le mancò e per un attimo la vista si annerì. Pensò di svenire. Ma la disperazione e l'adrenalina la tennero sveglia e la spinsero a strisciare velocemente verso le forbici che nella caduta era volate poco lontane. Si voltò, riprendendole e ricominciando a tagliare, ma lo zombie in quell'occasione era stato più veloce di lei, raggiungendola e atterrandole sopra.
Riuscì nell'istante prima di ricevere il morso a liberarsi le mani e con una velocità che solo la paura poteva darle conficcò la punta delle forbici nella testa del suo aggressore, uccidendolo sul colpo.
<< Oh mio dio. >> le sfuggì nell'istante in cui realizzò che era ancora viva. Per un puro miracolo si era salvata. Si prese qualche secondo per sè, per riprendere a respirare e ritrovare la calma. Una lacrima le rigò il viso, senza neanche rendersi conto che aveva di nuovo cominciato a piangere. Respirando profondamente e cercando di ritrovare la calma cominciò a spingere via il cadavere da sopra di sè. Lo fece scivolare giù e si rialzò. Barcollò e si tenne con una mano poggiandola sul muro. Se prima aveva dolori ovunque ora non sapeva neanche come riuscire a definire quello che provava. Qualsiasi parte del suo corpo bruciava e formicolava. Tenne ancora stretta tra le dita le forbici che le avevano salvato la vita e cercò di riprendersi scrollando la testa.
<< Lurida puttana. >> bofonchiò una voce maschile sull'uscio della porta. Ocean sobbalzò e si voltò a guardarlo, portandosi istintivamente le forbici davanti, pronta a difendersi, anche se erano tentativi vani i suoi. Lui era più forte e armato di pistola. Le forbici non lo avrebbero neanche fatto spaventare. Notò però che era diverso da come se n'era andato: affaticato, irrigidito ma sopratutto ricoperto di sangue. Aveva sangue che gli usciva da un angolo della bocca, sangue sul petto e solo allora Ocean notò un enorme squarcio su di esso, con carne lacerata che penzolava. Era stato morso.
<< Io ti ammazzo, stronza! >> disse avvicinandosi velocemente verso di lei e allungando le mani per afferrarla. Non aveva neanche guardato la pistola, nè il coltello: voleva ucciderla a mani nude e sfogare così tutto il suo risentimento. Come se fosse stata colpa sua se era stato morso.
Le afferrò il polso che stringeva le forbici, prima che potesse usarle e le spinse all'indietro. La fece sbattere contro il muro, facendola urlare. Ocean tentò di usare quel minimo di forza che le era rimasta per maneggiare quella misera arma che ancora stringeva in pugno, ma era tutto inutile, lui era più forte. La spinse nuovamente sul letto. Cercò di gattonare via ma lui la prese per la caviglia e se la trascinò a sè, facendola urlare ancora. La fece voltare con uno strattone violento e le diede un ceffone su una guancia. Certo, la guancia mancava alla lista dei dolori. Ocean cercò ancora di usare le forbici e lui di nuovo le bloccò i polsi. Un altro ceffone.
<< Che cazzo vuoi fare eh? >> la provocò, furioso stringendole entrambi i polsi con una sola mano. La mano libera andò a posarsi su uno dei suoi seni e strinse anche quello. Urla, ancora urla. Dolori che si aggiungevano ai dolori.
<< Ti ho detto di chiudere quella cazzo di bocca! >> disse portando la mano che stringeva il seno sulle sue labbra per tenergliele chiuse. Ocean incrociò per pure errore i suoi occhi ed ebbe paura: una furia bruciava dentro lui. L'avrebbe uccisa. La mano sulla sua bocca si fece più pesante e andò a coprire anche il naso, schiacciandolo, privando ad entrambi dell'aria necessaria ai polmoni. Ocean provò a scuotere la testa per liberarsi dalla presa, ma fu tutto inutile. Scalciò, si dimenò e cercò di fare appello a tutte le sue forze. Da sotto la mano dell'uomo provenivano i suoi lamenti terrorizzati, richieste d'aiuto che mai sarebbero arrivate a qualcuno. Il panico stava arrivando man mano che i polmoni bruciavano, bramosi di un aria che gli era stata proibita. Doveva respirare! Cercò ancora di scuotersi e pian piano provò ad aprire leggermente la bocca, sforzando la mascella per combattere la forza che la mano imprimeva su lei. Poi morse. L'uomo si irrigidì e si lamentò, ma non mollò la presa. Ocean provò a stringere più forte, ma il suo aggressore stava dimostrando di avere più resistenza e determinazione di quanto imaginasse. Non ce la faceva più. Stava impazzendo! Doveva respirare! Aveva bisogno di aria! Ed eccola che arrivava: la lucidità che solo i momenti di vera tragedia poteva portarle. Quell'attimo di vuoto prima della fine che le permetteva di vedere veramente ciò che la circondava e pensare velocemente e con ingegno come mai aveva fatto altre volte. Solo perchè voleva disperatamente vivere. In quei pochi secondi che sentiva di avere ancora a disposizione riuscì a concentrare tutte le sue energie sulle sue mani, evitando di stancarsi ulteriormente. Quelle poche forze rimaste doveva darle a loro che ancora avevano tra le dita le forbici, unica speranza. Riuscì con grande fatica e girarle, con quei pochi movimenti concessi alle dita che non erano serrate nel pugno dell'uomo riuscì a puntargliele contro le mani e aprirle. Poi le richiuse con forza e decisione.
L'uomo lanciò un urlo sentendo un dolore improvviso alla mano sinistra, tra le dita. Ocean aveva tagliato di netto un centimetro, forse poco più, della parte di mano che tiene unite le due dita, la parte più sottile e delicata. Non mollò la presa, troppo furioso e troppo resistente, ma la sorpresa fece cedere un poco la presa, quel tanto che bastava a dare a Ocean un minimo di vantaggio che con un colpo secco ritirò le braccia verso sè, liberandosi. L'uomo tentò di riafferrarle, e riuscì a catturare subito la sinistra, ma non fece in tempo a raggiungere la destra, quella che stringeva ancora le sue forbici, che Ocean conficcò con quanta più forza aveva, di punta, nella sua giugulare. Gli occhi dell'uomo si spalancarono all'improvviso, sorpreso, sentendosi soffocare dal sangue che usciva a fiotti, sentendosi strozzare. Allentò la presa sulla bocca di Ocean che si liberò subito anche di quella e cercò di riprendere quanta più aria possibile boccheggiando e tirando grossi respiri. Tossì un paio di volte sentendo i polmoni grattare e bruciare e lentamente scivolò via, trascinandosi sul letto, allontanandosi dal suo aggressore che ancora era in ginocchio, boccheggiante, con sangue che usciva da bocca e gola. Guardò la ragazza, che non riuscì bene a interpretare cosa volesse dirle. Probabilmente un ulteriore "Puttana". L'uomo cadde, le forbici ancora conficcare nella sua gola, il sangue che sembrava non volesse fermarsi. Ocean lo guardò qualche secondo, tranquillizzandosi del fatto che fosse veramente morto, che ormai non poteva più farle del male. Era fatta. Aveva ucciso per la prima volta un essere umano. Da quando era cominciato tutto aveva avuto modo di uccidere solo morti, mai si era ritrovata a dover puntare la propria spada contro la gola di un vivo. Aveva per la prima volta ucciso qualcuno. E anche se si trattava di uno della peggior specie, era pur sempre un essere vivente. Aveva messo fine a una vita. Ed era una delle sensazioni peggiori che avesse mai provato. Crollò, stesa sul letto, cercando riposo, e scoppiò a piangere come poche volte aveva fatto, urlando come una bambina, non cercando neanche di trattenersi. Aveva accumulato troppa tensione, non riusciva più a tenersela dentro. Aveva avuto così tanta paura. Ed era stanca...stanca di essere aggredita, stanca di dover correre, stanca di dover combattere, di doversi curare ferite che mai sarebbero guarite. Stanca di avere paura.
Stanca di stare lì.
Aveva bisogno di riposare. Di smettere di correre, di chiudere gli occhi sapendo che sicuramente poi li avrebbe riaperti, senza temere di trovarsi al risveglio un uomo o uno zombie intento a divorarla, ognuno a modo suo.
Singhiozzò e urlò ancora.
Voleva tornare a casa.

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Capitolo 16
*** Redenzione. ***


Redenzione

La vista le si stava nuovamente appannando, e ancora era pronta a cadere in un profondo sonno ristoratore. Erano due giorni che non faceva che dormire, eppure non era mai abbastanza. Il fisico debilitato non faceva che peggiorare le sue condizioni giorno dopo giorno. Sentiva il cuore pulsare in petto, così forte che sembrava volesse esplodere, creandole continui cali di pressione. L'ossigeno non era mai abbastanza e continuava a catturarne il più possibile, avida, con la gola che raschiava in continuazione. Si tirò su puntandosi su un braccio, tremante e affaticato e un conato di vomito le chiuse la gola in un istante, costringendola ad abbassarsi di nuovo, rovesciando sul pavimento quel poco che conteneva il suo stomaco. Tossì e cercò di pulirsi la bocca col torso della mano, sentendo faticoso ed estenuante qualsiasi genere di movimento. L'uomo steso accanto a sè, ormai morto, fece uscire dalla sua gola un verso, probabilmente causato dal un altro getto di sangue che era sgorgato, ma la ragazza ormai sotto shock interpretò quel suono in un'unica spaventosa maniera: "si è trasformato!" Si tirò su di colpo, afferrò il coltello dalla tasca dei suoi pantaloni e lo piantò con rapidità nella fronte del cadavere. E ancora. E ancora. Terrorizzata. Furiosa. Sfogando in quei colpi tutto il risentimento che covava dentro da tempo e che era esploso ancora una volta di fronte al pericolo.
Si fermò quando proprio non ce la fece più, quando ormai il cranio dell'uomo vicino a sè era spappolato a dovere. Cercò ancora avida l'ossigeno intorno a sè facendo respiri così profondi da farle girare la testa. Con una mano tremante andò ad aprire la fondina del cadavere accanto a sè e afferrò la pistola, stringendola tra le dita sporche. Lentamente si alzò dal letto, trovando la forza solo esclusivamente nella sua rabbia e la paura che ancora non voleva lasciarla andare. Inciampò nelle lenzuola e si poggiò al comodino, vicino al letto, in ginocchio. Versi uscivano dalla sua gola, versi colmi di dolore e ira, cercando in loro la determinazione per non lasciarsi andare proprio in quel momento. Digrignò i denti e con uno sforzo incredibile riuscì a rimettersi in piedi. Afferrò l'uomo per la caviglia e cominciò a trascinarlo puntando i piedi ben a terra, facendo forza su quelli, essendo ormai stremata. Con grande fatica, dolore e impiegando un sacco di tempo riuscì finalmente a portare il cadavere dove desiderava: nella stanza del bambino che aveva lasciato in vita, all'interno del suo box. Era ancora lì, che si dimenava attirato dai rumori. Trascinò il cadavere al centro della stanza e lo lasciò lì. Si avvicinò poi zoppicante al box e aprì lo sportellino che c'era a lato, senza spalancarlo, lasciando che fosse lui ad aprirlo con i suoi tempi, così avrebbe avuto modo prima di allontanarsi e uscire dalla stanza, evitando di diventare lei stessa la cena del piccolo zombie. Quando arrivò alla porta della stanza si voltò a guardare la scena dietro di sè. Il bambino era riuscito, come immaginava, ad aprire lo sportello semplicemente appoggiandosi accidentalmente ad esso. Spalancò la bocca verso la ragazza ma si voltò a guardare il corpo steso poco lontano da lui, ancora profumante di cibo, e più vicino e accessibile della ragazza in piedi alla porta.
Ocean guardò per un attimo, con gli occhi colmi di furia e soddisfazione, il piccolo muovere i passi verso la sua portata.
<< Ho vinto io. >> disse rauca prima di chiudere la porta con un tonfo. Non era contenta di quello che era successo, di quello che aveva fatto, ma l'uomo aveva ricevuto ciò che meritava e lei era ancora fottutamente viva! Nonostante tutto lei era ancora lì, e quel mostro che voleva vederla morta e sottomessa invece era diventato la portata principale di un piccolo carnivoro. Lui era morto. Lei ora lo guardava mentre finiva nel peggiore dei modi.
Ocean era ancora lì! Era ancora in piedi.
Si lasciò alle spalle la stanza che ora si riempiva di suoni poco gradevoli di carne lacerata, versi gutturali, famelici, colmi di soddisfazione, e si diresse verso il bagno poggiandosi al muro per trovare sostegno. Nella mano destra stringeva ancora la pistola, e nella sinistra, quella che si poggiava alla parete, il coltello. Sperava di non usarle per un po' entrambe. Non sapeva perchè aveva preso la pistola, non amava quel genere di arma, troppo rumorosa e lei troppo imprecisa, ma al momento stringerla tra le dita le dava forza e sicurezza. Si poggiò al lavandino del bagno dopo essersi chiusa la porta alle spalle, forma di precauzione nel caso qualche zombie fosse rimasto in casa a circolare, e si lavò via il sangue di dosso. L'acqua fredda al contatto con la pelle la faceva tremare e a tratti le faceva male, ma vedere il sangue correre via fin dentro la tubatura era come una purificazione. Doveva togliersi di dosso quella merda. Notò aveva tratti di pelle violacea che al tocco la facevano gemere. Era piena di lividi. Si guardò allo specchio crinato: la guancia era rossa e si stava gonfiando. Aveva tagli in più punti, causati dalla battaglia del giorno prima e da quella di quella sera. Ferite che si mischiavano a ferite, che si riaprivano, che si aggiungevano rovinando sempre più il suo corpo, segnandolo e marchiandolo. Si sfiorò la spalla sinistra, quella dove era stata sparata: il fazzoletto avvolto era pregno di sangue. Aprì lo stipetto del bagno dove c'era qualche medicina, qualche garza e vari flaconcini. Li scosse per sentire se c'era qualcosa dentro: molti erano vuoti, e li fece cadere dentro il lavandino. Gli antidolorifici erano finiti, ma per fortuna trovò un antibiotico con ancora ancora qualche pasticca dentro. Ne buttò giù una e posò le altre sullo specchio, fissandosi mentalmente il promemoria di portarselo dietro. Si tolse la fasciatura dalla spalla facendola rigurgitare un po', prese delle bende sterilizzate, ancora chiuse nella confezione e si rifece la fasciatura, aiutandosi con i denti, stringendo il più possibile per tentare di fermare l'emoragia. Si lavò con cura le ferite, tentando di coprire le più grandi con della carta e altre bende. Mancavano cerotti e acqua ossigenata, non poteva che arrangiarsi come poteva. Si sciacquò infine la bocca, prese gli antibiotici e le armi e uscì nuovamente dal bagno, zoppicando, barcollando, reggendosi in continuazione a ciò che trovava attorno a sè. Tornò in camera, prese i suoi pantaloni e se li rinfilò cercando di strofinare il meno possibile contro i graffi e le sbucciature che aveva sparse per le gambe. Rimase al piano di sopra qualche minuto, in cima alla rampa di scale, affidandosi solo al suo udito, cercando di capire come fosse la situazione al piano di sotto. Il silenzio suggeriva che era tutto tranquillo, ma il buio non le dava la giusta sicurezza a scendere. Tossì e tentò di attenuare il rumore con una mano, serrando le labbra. Si poggiò una mano alla testa che pulsava a ogni battito del cuore e decise di rimandare la sua visita al piano di sotto. Tornò nella stanza dove aveva rischiato di morire, chiuse la porta alle sue spalle e con grande sforzo riuscì a bloccarla con il comò, spostandoglielo davanti. Lanciò un ulteriore sguardo alla stanza, assicurandosi fosse tranquillo e che lo zombie morto ai piedi del letto fosse veramente morto. Non si muoveva, non reagiva ai rumori ma lei non riusciva a sentirsi tranquilla. La paura ancora l'attanagliava. Aveva rischiato troppo. Lo afferrò e sollevandolo appena, data la sua stanchezza, riuscì a trascinarlo fino all'armadio. Lo infilò all'interno, chiuse lo sportello e lo bloccò con la corda che l'uomo aveva usato per legare le sue caviglie. Nel caso si fosse risvegliato non sarebbe uscito di là tanto facilmente. Poi si lasciò cadere con pesantezza sul letto, e tenendo ancora stretta tra le dita pistola e coltello, si lasciò cadere in un profondo sonno, sperando questa volta sarebbe stato finalmente ristoratore e senza incubi.

Si svegliò nella stessa identica posizione in cui si era addormentata. Era talmente stanca e affaticata che non era riuscita nella notte a cambiare posizione quando il corpo ne sentiva l'esigenza. Si alzò lamentando dolori, si stirò la schiena e cercò di scrocchiare qualche articolazione. Non c'era parte del corpo che non le facesse male e si sentiva gonfia in viso. Si alzò, aprì la porta, assicurandosi fuori non ci fossero brutte sorprese, e scese lentamente al piano di sotto, aiutata questa volta dalla luce del sole. C'erano cadaveri un po' ovunque, e vetri sparsi sul pavimento. Le finestre erano rotte, così come molte altre cose. Guardinga e con cautela entrò nella sala, camminando a piedi scalzi sui vetri, facendoli scricchiolare, ignorando il dolore che questi provocavano nel momento in cui le tagliavano la pianta. Dei graffi sotto i piedi erano il suo ultimo problema. Strinse la pistola tra le dita e si avvicinò con al divano. Uno zombie morto c'era steso sopra. Lo spostò, facendolo cadere a terra con un tonfo e lei prese il suo posto. Riprese la sua camicia, i suoi stivali, le sue armi e si rivestì con velocità. Si diresse poi verso la cucina, passando accanto ai corpi, ignorandoli, ormai assuefatta da tutta quella morte: non ci faceva neanche più caso. Cercò tra i barattoli rimasti qualcuno che contenesse ancora qualcosa e divorò con avidità tutto il loro contenuto. Aveva ancora lo stomaco sotto sopra, ma doveva mettere qualcosa sotto i denti o sarebbe collassata. Bevve l'acqua del rubinetto, buttandola giù a grandi sorsi, sentendo la gola bruciare meno grazie al liquido fresco, e sentendosi finalmente pronta uscì dalla casa, lasciandosi tutta quell'incredibile notte alle spalle.
Camminava con fatica, strascinando i piedi, stanca e dolorante, ma non rallentava neanche un po'. Non era sicura di sapere dove si stava dirigendo e perchè: seguiva l'istinto, seguiva i piedi che la portavano dove desideravano loro, senza interrogarli o accusarli. Ovunque sarebbe arrivata andava bene. Ormai niente aveva più importanza.

Il sole stava tramontando per l'ennesima volta. Aveva camminato tutto il giorno, fermandosi solo quando proprio non ce la faceva più, per riposare, bere e mangiare qualche boccone. Tutto in assoluto silenzio. Accompagnata solo dal rumore dei suoi stessi gemiti. Aveva vagato a lungo come uno di quei mostri, trascinandosi, lamentandosi, senza sapere dove stava andando. Ma ora, col sole che stava di nuovo morendo a ovest, lasciando nei vivi il dubbio se mai sarebbe tornato su come quei mostri che ormai governavano la terra, il dubbio aveva di nuovo preso a divorarla. Così come Peggy aveva seguito l'istinto fino a casa sua, lo stesso aveva fatto il suo, facendole sorgere paura solo quando ormai non molti passi la separavano da quel luogo. Si era fermata in mezzo a una strada deserta se non per qualche foglia che volava via a ogni soffio di vento, e lì si era seduta, con lo sguardo fisso sul sentiero davanti a sè, sapendo perfettamente dove l'avrebbe portata.
Non voleva.
Aveva paura...non voleva tornare lì.
Era come l'entrata nella selva oscura di Dante, riusciva perfettamente a sentire una voce provenire da la dentro sussurrarle "
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate".
Ma che scelta aveva? Era sola, stanca, ferita. Almeno lì avrebbe trovato Peggy, e non sarebbe stata più sola. Senza considerare che sarebbe stato più facile per lei farsi trasportare dalla cavalla, anzichè dai suoi piedi, e sarebbe stata più veloce nel caso ci fosse stato bisogno di scappare. Non voleva più stare sola. Aveva troppa paura, non voleva più stare sola. Chinò la testa, poggiando la fronte sulle ginocchia davanti a sè e lì rimase a lungo, riflettendo su una decisione che era già stata presa. Doveva solo trovare il coraggio di affrontarla.
In lontananza sentì il rumore di un motore: una macchina che correva su quella strada. Alzò la testa di colpo e si guardò attorno: ancora non si vedeva all'orizzonte, il mondo attorno a lei era così silenzioso da permetterle di sentire una macchina così distante. Si alzò velocemente e arrancando si affrettò a infilarsi tra gli alberi prima che chiunque stesse guidando quel mezzo la vedesse. Si schiacciò contro un albero, dando le spalle alla strada e attese che il pericolo passasse. Senza farsi vedere, tenendosi ben nascosta, spinta dalla curiosità, si sporse a guardare la vettura che le passava accanto a tutta velocità. Era una specie di furgoncino, con cassone aperto dietro, e 4 o 5 uomini armati all'interno con lo sguardo severo e sicuro e la sigaretta tra i denti. Uno in particolare la colpì: era quello con la faccia più stronza di tutti, un ghigno ben disegnato in volto e una specie di armatura a un braccio, che teneva ben in vista, quasi orgoglioso del suo operato, con un coltellaccio infilato dentro. Passarono senza vederla, proseguendo per la loro strada, e Ocean, una volta sola, tirò un sospiro di sollievo, anche se dentro sè era in qualche modo delusa. Aveva silenziosamente sperato che fossero Rick e il suo gruppo. Se fossero stati loro a trovare lei, a riprenderla con loro, sarebbe stato tutto più semplice. Lei non voleva tornare, non ce la faceva a ripercorrere i suoi passi, e non era solo l'orgoglio a impedirglielo, c'era dentro lei una profonda paura. Ma se loro avessero di nuovo insistito, glielo avessero chiesto di nuovo, sarebbe stato più facile dirgli sì. Come un bimbo che guarda insistentemente un dolce e teme nel chiederlo alla mamma, intimorito da una sgridata, da un rifiuto, dovuta anche dalla sua intolleranza agli zuccheri, ma che spera sia lei stessa a chiedergli "lo vuoi?", leggendo nei suoi occhi il desiderio proibito.
Lasciò che la macchina si allontanasse prima di riprendere il cammino, e fare quei 100 metri in più che tanto temeva di fare.
Arrivò nel suo incubo peggiore. Quello che per lei era l'Inferno Dantesco.
Davanti a lei si apriva una piccola radura, con qualche campo e un recinto dove far correre i cavalli. Al centro di essa era costruita una casupola un po' diroccata, abbandonata. Una fattoria. Piccola rispetto a quella di Hershel, neanche la metà, ma era anch'essa una fattoria.
Ocean deglutì, cercando di buttar giù il nodo che si stava formando in gola. La pancia cominciò a dolerle, un fuoco si alzava da essa e le arrivava fino agli occhi, bruciandola. Fece un passo traballante, improvvisamente senza equilibrio, e dovette poggiarsi alla recinzione lì di fianco per evitare di cadere. La testa le girò vorticosamente. Stava arrivando la confusione, stava arrivando il panico.
"Devo solo prendere Peggy. Solo prendere Peggy" cercò di tranquillizzarsi. Puntò gli occhi ai suoi piedi e cominciò ad avanzare, evitando di alzare lo sguardo. Procedette spedita, con improvvisa urgenza, a testa bassa.
"Così va bene" pensò cercando di farsi coraggio, dandosi la forza per proseguire. Sarebbe arrivata alla stalla, avrebbe preso la sua cavalla e senza voltarsi indietro sarebbe scappata di nuovo.
"Così va bene" proseguì sforzando i suoi muscoli di collaborare, di non cedere. Non seppe bene a che punto della fattoria era, probabilmente verso metà, ce la stava facendo, le bastava procedere in quella maniera. Bastava non guardare. Ma un verso le costrinse ad alzare il volto. Alzò gli occhi pieni di panico, guardò in faccia il suo aggressore, e tutto ciò che per mesi era rimasto seppellito sotto metri e metri d'acqua improvvisamente esplose, si spalancò, e fece uscire tutti i suoi fantasmi. Un vaso di Pandora.
Ocean urlò e arretrò, non riuscendo più a togliere gli occhi di dosso allo zombie che stava avanzando, andandole incontro. Inciampò e cadde a terra. Arretrò ancora. Il mondo intorno a lei si fece così confuso. Si sentì mancare l'aria, si sentì schiacciare, senza nessuna via di fuga. Perduta in un labirinto che andava restringendosi, comprimendola. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma neanche l'aria uscì. Stava diventando una statua. Il mondò sembrò cadere nell'ombra intorno a lei.
Lo zombie conservava ancora molto del corpo originale che era. I corti capelli castani, le lunghe basette e la folta barba ispida. Mancavano le guance rosse che sempre aveva avuto da vivo, ora sostituite da buchi nella carne che mostravano i denti marci. Ma ancora portava la sua divisa, il suo nero costume medievale.
Ocean si sentì improvvisamente svuotata. Come in un sogno, si sentì incapace di muoversi e scappare via, mentre lo zombie barcollando si avvicinava con chiare intenzioni. Gli occhi vitrei sembravano cibarsi di quella che era la sua anima, anticipando ciò che la sua bocca avrebbe fatto con la sua carne.
<< Ti prego. >> riuscì a piagnucolare lei, sperando bastasse quello a convincerlo a lasciarla stare. Sperando stupidamente che qualcosa dentro di lui lo facesse improvvisamente tornare in sè, ricordare, e allontanarsi.
Voleva chiudere gli occhi e svegliarsi. Era un sogno, uno dei suoi soliti incubi, lo sapeva. Per forza doveva essere così. Doveva svegliarsi.
Lo osservò mentre, ormai vicino, si lasciava cadere in ginocchio e con foga portava la sua bocca al collo della ragazza, incapace di reagire, incapace addirittura di avere paura. Ormai vuota di ogni cosa. Solo un involucro.
Ma sparò.
Neanche se ne rese pienamente conto, la mano si era mossa da sola, stringendo la pistola e facendo fuoco alla tempia dello zombie. Il colpo sembrò risvegliare la ragazza che spalancò gli occhi, e raccolse tra le braccia il corpo esanime del suo aggressore prima che potesse cadere a terra con un tonfo. Lo strinse a sè, affondando il viso nell'incavo del suo collo, stringendolo tra le braccia con quanta più forza e rabbia aveva e su di lui riversò lacrime che a lungo aveva dimenticato.
<< Mi dispiace. >> pianse, scivolando al suolo insieme al cadavere, continuando a stringerlo a sè, continuando a nascondere il suo viso su di lui, ignorando l'odore sgradevole della morte. Poggiò la testa sul suo petto e strinse i suoi abiti tra le dita, affondando, colpendo, strattonando.
<< Perchè? >> urlò improvvisamente alzando il volto, guardando furiosa quello del cadavere steso a terra << Perchè mi avete lasciato sola! Siete degli stronzi egoisti! Perchè mi avete lasciato sola in questo schifo di terra!! >> urlò ancora strattonandolo per il vestito con fare aggressivo << Come avete potuto farmi una cosa simile! Io non sono in grado, lo sapete! Non dovevate farlo! Non dovevate farlo! >> gli diede uno schiaffo su una delle guance aperte, singhiozzando ancora, e poggiò la fronte sul suo petto, colpendolo con un paio di pugni << E' tutta colpa vostra! Voi mi avete portata qui! >> si sforzò di dire sentendo la voce morirle in gola.
<< Dovevamo tornare a casa! >> urlò infine con tutto il fiato che aveva a pochi centimetri dal suo viso, sfogando rabbia contro chi ormai non poteva più sentirla, cosa che sembrò dimenticarsi. Lo guardò, zittendosi improvvisamente, rendendosi conto di cosa aveva veramente tra le mani. Rimase qualche secondo in silenzio, immersa in quello che tanto sembrava un risveglio. Lo scosse ancora, ma non per sfogare la rabbia, lo scosse nello stesso modo in cui si cerca di svegliare qualcuno che dorme profondamente.
<< Mario. >> lo chiamò sottovoce, scuotendolo sempre più forte << Mario, dai guardami. >> chiamò sempre più forte.
<< Dai, non sono più arrabbiata. >> singhiozzò sforzando un sorriso. Era incredibile, ma tutta la rabbia e la confusione nata sul momento quasi le avevano fatto dimenticare cosa stava succedendo, aveva veramente creduto di parlare con un vivo, aveva veramente creduto fosse tutto un sogno, un'illusione. E ora...ora aveva tra le mani il corpo del suo vecchio amico che non si muoveva. Non poteva essere morto. No, stava dormendo. Sicuramente, ora avrebbe riaperto gli occhi e l'avrebbe presa in giro per le sue sciocche lacrime. Sarebbe andata così per forza.
<< Dai, guardami. Mario... >> lo scosse ancora, sempre più forte << Torniamo a casa. >> disse tornando pian piano alla realtà, rimettendo ordine nella confusione che si era creata intorno a lei, realizzando sempre più quello che veramente aveva attorno.
<< Ti prego, guardami. >> pianse a dirotto lasciandosi di nuovo cadere su di lui << Da sola non ce la faccio. Non lasciarmi. Non lasciatemi. Non ce la faccio. Ti prego, aiutami. Non lasciarmi sola, non ne sono capace. Ci ho provato. Guarda come mi sono ridotta! Non posso farcela da sola! >> ma tutte le preghiere continuarono ad andare a vuoto, nessuna giunse a destinatario e nessuna venne realizzata. Era sola, e non poteva fare niente per tornare indietro.
<< Non lasciatemi. >> disse ormai priva di forze, allentando la presa sull'abito dell'uomo e lasciando cadere la testa in avanti, pesante.
<< Mi mancate così tanto. >>
Pianse a lungo, senza riuscire a fermarsi neanche un'istante, senza rendersi conto del tempo che era passato, continuando a sperare di svegliarsi da quell'incubo da un momento a un altro, senza però che questo suo profondo desiderio venisse realizzato.
Ma le speranze erano vane, non era difficile capirlo: era difficile accettarlo.
Alzò gli occhi dal corpo del suo amico e si guardò attorno. Non c'era niente da fare. Tutto era perduto e lei era sola. Il campo intorno a sè che aveva evitato di guardare era come aveva temuto: ricoperto di cadaveri. Riconobbe i loro volti, o almeno quelli che erano ancora riconoscibili e non spappolati. Loro erano stati l'ultimo ricordo di Alice prima di morire. Loro erano stati coloro che l'avevano uccisa. E lì, in quel luogo, era nata dal sangue Ocean.
Si alzò in piedi, stanca, e tornò a percorrere i suoi passi, lasciandosi alle spalle i cadaveri. Voltando nuovamente le spalle a ciò che era stata, calpestando nuovamente Alice che aveva tentato di tornare disperatamente. Non c'era niente che poteva fare ormai. Le cose erano andate in quel modo, il suo gruppo non c'era più e lei era sola. Era fuggita quella notte, quando tutto era finito, ancora stava fuggendo e probabilmente mai avrebbe smesso.

Raggiunse la stalla dove, come immaginava trovò Peggy infilata in quello che al tempo era stato il suo box. La fortuna l'aveva tenuta in vita, proprio come la sua padrona. Ocean le si avvicinò e le fece due carezze, salutandola. Prese subito dalla sella il suo mantello, finalmente avrebbe avuto qualcosa con cui coprirsi la notte per non soffrire il freddo, e chiuse il box. Il sole era calato, la notte stava prendendo possesso nuovamente di quella terra, e non c'era altro da fare che aspettare. Si diresse verso l'uscita ma si bloccò, trattenuta da un pensiero, e voltò la testa verso sinistra, guardando un ammasso di fieno accantonato lì. I suoi occhi andarono a posarsi su un oggetto e non sembrò per niente sorpresa di trovarlo: lei l'aveva lasciato lì prima di andarsene l'ultima volta che era stata in quel luogo. Si avvicinò e lo prese tra le dita: era una collana rudimentale, fatta con un cordoncino e un grosso ciondolo in legno. Lo accarezzò, togliendogli da sopra uno spesso strato di polvere e se lo rigirò tra le mani. Era un fiore, una margherita, con i piccoli petali attaccati a un gancio che permetteva di staccarli. Alcuni già mancavano. Non era bello, ma questo non le importava e mai le aveva impedito di portarselo dietro. Lo voltò guardandone il retro e lesse la scritta incisa: "Remember the time". Con un paio di righe, anch'esse incise, era stato cancellato il "The time", lasciando solo "Remember".
Ricorda.
Uscì dalla stalla avendo cura di chiuderla bene, per evitare che qualche zombie durante la notte avesse potuto intrufolarsi e far fuori l'unica amica rimasta. Poi si diresse, lenta e pesante, verso la casa dove avrebbe affrontato fantasmi e incubi. Sarebbe stata una lunga notte, quel luogo emanava ricordi da ogni singolo angolo: ogni trave, ogni mattone o mobile sussurrava parole al suo orecchio, e non sempre erano belle. Si infilò il mantello, portandosi il cappuccio sopra la testa, entrò nella casa, chiudendosi la porta alle spalle, anche se sapeva era tutto inutile: le finestre erano sfondate, chiunque poteva entrare. I suoi passi fecero scricchiolare il pavimento, solo quel rumore suggeriva la presenza di qualcuno. Anche lei quella sera faceva parte dei fantasmi che infestavano quelle pareti. Scese in cantina, unico posto rimasto sicuro dato che sotterraneo e di nuovo si chiuse la porta alle spalle, bloccadola, in modo che se non fosse arrivata alla mattina dopo non sarebbe stata colpa di zombie o persone, ma solo dei fantasmi. Si fece luce con la torcia che aveva raccolto da sopra, prima di scendere e raggiunse l'angolo più buio e umido di tutta la stanza. Si raggomitolò lì, con il ciondolo tra le dita, e rimase immobile ad aspettare il giorno, chiedendosi cosa avrebbe fatto poi. Si sarebbe messa in sella della sua cavalla e sarebbe andata... non aveva la più pallida idea di dove. Niente sembrava avere più un senso. Avrebbe continuato a vagare aspettando di essere uccisa, come aveva fatto fino a quel momento. Ma questa non era una risposta.
La notte stava risultando più rumorosa del previsto, e non solo per i versi degli zombie in lontananza, nel bosco, per le cicale o i gufi. Come aveva immaginato tutto intorno a lei sussurrava e spaventava, non facendola dormire.
E stufa, dopo qualche ora di sopportazione, decise di ricorrere a metodi drastici di sostegno. Ricordava che quando erano stati lì, dopo aver esplorato la casa, avevano trovato un piccolo tesoro proprio lì in cantina. Accese la torcia e prese un piede di porco poggiato al muro poco lontano da lei. Con quello, usando tutta la forza che aveva, caricando di nuovo i suoi colpi di rabbia per potersi svuotare di tutto quel risentimento, colpì ripetutamente un piccolo armadietto in legno, infilando la sbarra metallica tra le ante e riuscendo con della leva finalmente ad aprirlo. Delle bottiglie caddero fuori, scivolando, non rompendosi per fortuna. Ocean prese la prima che le capitò tra le mani, una delle poche che erano ancora quasi piena e ritornò nel suo angolino. Aprì il tappo e ne buttò giù un sorso, senza neanche preoccuparsi di leggere cosa avesse preso, ma riconoscendo dal sapore forte la Vodka. Fece una smorfia e scosse la testa, frastornata da quell'improvviso sapore e dal calore che subito le era salito dallo stomaco. Si sistemò come megliò potè e continuò a bere, cercando di portarsi sempre più oltre, aspettando con ansia i primi capogiri che avrebbero zittito tutti quei sussurri così fastidiosi e che li avrebbero tenuti a bada per il resto della notte.

<< Quel rompipalle sarà solo un brutto ricordo. >> disse Daryl a Rick, entrambi sulla veranda della fattoria di Hershel, sguardo all'orizzonte e una mappa sotto le loro mani, intenti a decidere dove avrebbero mollato Randall. Perchè era quello ora il piano, in onore di Dale, avrebbero tenuto Randall in vita. Lo avrebbero lasciato da qualche parte, lontano dalla fattoria, dandogli una speranza, ma lontano da loro.
<< Carol sta preparando per lui delle provviste. Saranno abbastanza per qualche giorno. >> disse Rick, guardandosi attorno, contemplando quella che era diventata finalmente casa loro. Lì sarebbe stati al sicuro, lì il loro bambino avrebbe potuto vivere. Bastava solo rendere il confine ancora più sicuro, fare turni di guardia e restare sempre ben armati. Potevano farcela. Aveva fiducia.
Shane arrivò con la macchina, il bagagliaio aperto, sempre intento nel loro trascolo, e dopo essere sceso si avvicinò a Rick. Daryl non aveva nessuna intenzione di stare lì, ad ascoltare quell'uomo blaterare, e sicuramente era con Rick che voleva parlare, perciò si alzò e si allontanò con la scusa più banale del mondo << Vado a pisciare. >> facendo trapelare tutto il suo fastidio in quelle parole. Entrò in casa e si diresse verso il bagno, con la mano già poggiata ai pantaloni, pronto a slacciarseli, quando Andrea aprì la porta dietro di lui, la fretta nei movimenti e negli occhi una strana luce << Presto, vieni! >> disse accennando un sorriso, e uscendo di nuovo. Daryl rimase per un po' immobile, chiedendosi cosa diavolo volesse, cosa stesse succedendo, poi la raggiunse non dimostrando la fretta che poteva avere invece la donna.
Uscì fuori, Andrea era già corsa poco lontano, in fondo alle scale della verandina c'era Carol e vicino a lui, sulla porta invece Hershel con uno scatolone in mano. Tutti però guardavano una sola direzione e fu in quella direzione che anche Daryl rivolse il suo sguardo, restando dapprima perplesso, chiedendosi se i suoi occhi non lo stessero ingannando, poi sorpreso, sollevato...in qualche modo era addirittura felice.
<< Qualcuno sentiva la nostra mancanza. >> ridacchiò Hershel prima di voltarsi per entrare in casa dove avrebbe portato lo scatolone. Daryl guardò la figura nera a cavallo che si avvicinava alla casa e fece qualche passo in avanti. Era davvero lei? Era viva? Possibile?! E...stava tornando. Poi qualcosa tranciò di netto tutta la possibile gioia che poteva nascere dalla scoperta: la figura a cavallo, che solo allora notò traballava e ciondolava, scivolò dalla sella e cadde a terra.
<< Non sta bene! >> sussultò Carol cominciando a correre verso di lei, dietro ad Andrea e seguita subito anche da Daryl. T-Dog arrivò in quel momento e vedendo correre via Daryl si pose mille interrogativi, si voltò verso Hershel che era uscito di nuovo e gli chiese non capendo << Ma che succede? >>
<< Succede che non smetto mai di lavorare. >> constatò il vecchio guardando la scena in lontananza. Andrea fu la prima ad arrivare dalla ragazza ed inchinarsi su di lei, rivolgendole qualche parola, richiamandola. Daryl arrivò subito dopo e anche lui si inginocchiò a guardarla. Era ridotta a uno straccio, con una guancia gonfia, dei tagli in viso, un livido sul collo e chissà quali altre ferite sparse per il corpo. Ma la cosa che più colpiva tutti quanti era la terribile puzza di alcol che emanava, e solo allora videro che dalle dita le era scivolata via una bottiglia di Vodka quasi vuota.
<< Cosa cazzo ti è successo?! >> chiese Daryl retoricamente mentre si chinava su di lei e le infilava un braccio sotto al collo, per poterla sollevare, prendere in braccio e portare in casa.
<< Ehy, D. >> bofonchiò Ocean, dimostrando di essere sveglia nonostante gli occhi chiusi e la completa assenza di energie. Provò a ridere ma le uscirono dalla gola solo colpi di tosse << Ti puzza l'alito. >> sorrise e si lasciò andare, fece un ultimo sospiro, prima di rilassarsi completamente sorretta dal braccio di Daryl, lasciando cadere la testa di lato.
<< E' morta? >> chiese spaventata Carol, giungendo solo in quel momento e vedendo la ragazza così abbandonata e ridotta in quelle pessime condizioni. Daryl le infilò l'altro braccio sotto le gambe e la sollevò, alzandosi. Guardò Carol, cercando di nascondere un sorriso, ma senza riuscirci bene e le disse << Sta dormendo. >>
Ed era vero. Ocean aveva resistito, cercando di restare in sella fino a quando non era entrata nella proprietà di Hershel. Quando aveva notato che l'avevano vista si era lasciata andare, ormai stremata, ed era caduta a terra. Ma la tranquillità che le aveva permesso di addormentarsi e riposarsi era arrivata solo quando aveva sentito la voce di Daryl: era vivo, ce l'aveva fatta, e ora finalmente non era più sola. Un grosso peso le era scivolato via. Ora stava bene. E aveva voluto farlo sapere al suo amico nella sua personalissima maniera, continuando a emanare orgoglio e sarcasmo. Finchè aveva la forza di far battute voleva dire che stava bene.
Daryl passò di fianco a Carol, e la donna notò che anche Ocean stava sorridendo nonostante il profondo sonno in cui sembrava essere crollata. Era ridotta malissimo, ma nonostante questo il suo volto emanava pace e serenità, la stessa pace che era possibile godere alla fine di una lunga e violenta tempesta, quando ormai le nuvole si diradano e lasciano spazio a un bellissimo arcobaleno.

<< Guarda, te lo ripeto ancora una volta! >> una voce limpida diradò un po' l'oscurità che aveva attorno a sè. Sentì pian piano riprendere la sensibilità del proprio corpo, cominciando dapprima a sentir dolori, poi le dita dei piedi che formicolavano.
<< Io muovo questo così! E quindi ho vinto io. >> di nuovo la cristallina e delicata voce femminile che pian piano l'afferrava, stringendole delicatamente la mano e che la tirava a sè.
<< Così allora ho vinto io. >> a parlare questa volta non fu la voce femminile, ma un'altra più roca, bassa, un po' raschiante e sicuramente maschile. Non fu difficile riconoscerla. Le scaldava il cuore.
<< Ma no!!! Non capisci proprio niente! >> non aveva idea di chi fosse la voce, ma era così dolce e l'affermazione appena fatta, con tutta la singolare rabbia che conteneva, la fece sorridere, divertita. Aprì lentamente gli occhi curiosa di capire chi stesse urlando nelle sue orecchie aggiungendo mal di testa a quello già presente, e prima di trovar risposta non riuscì a trattenere un bofonchiato << Lo dico sempre anche io. >>
Il silenzio calò per qualche secondo, il tempo di assicurarsi fosse stata davvero lei a parlare. Ocean riuscì ad aprire gli occhi e le figure appannate davanti a sè presero pian piano una forma più definita: Daryl e Molly erano seduti ai due capi di un piccolo tavolino, vicino a lei, che invece si trovava stesa su di un letto. Non ricordava niente di quanto successo e non aveva la più pallida idea di come fosse finita lì. L'ultima cosa che ricordava era Mario steso a terra, che dormiva, ma che non si svegliava nonostante le sue urla. Forse poi aveva perso i sensi per colpa di tutte quelle ferite. Molly spalancò gli occhi e sorrise come poche volte Ocean aveva visto fare a qualcuno << Ti sei svegliata!! >> urlò prima di alzarsi e correre sul letto vicino a lei, facendola sobbalzare e gemere per i dolori che sentiva praticamente ovunque. Si poggiò su un braccio e cercò di sollevarsi a sedere, facendo fatica ma riuscendo. Sentiva la spalla sinistra pulsare e tutto il resto del corpo formicolare.
<< Daryl non voleva che venissimo qui a giocare, diceva ti avremmo svegliata, ma io volevo aspettare qui! >> comunicò Molly piena di entusiasmo e un po' contrariata dal divieto che aveva cercato di imporle il ragazzo.
<< Ma, nonostante il fracasso che facevamo, continuavi a russare come un ubriacone. >> le comunicò Daryl prendendola un po' in giro. Ocean si limitò a guardarlo contrariata, era un po' stanca e aveva poca voglia di parlare. La gola le faceva ancora malissimo.
<< Vado a dire ad Hershel che sei sveglia. Vorrà controllarti. >> disse poi lui alzandosi e uscendo dalla stanza, lasciando le due sole.
<< Hershel è il dottore! >> disse Molly sedendosi con le gambe incrociate vicino alla ragazza << Però secondo me non è proprio un vero dottore. >> sussurrò guardandosi attorno, come se avesse detto un segreto. Ocean la guardò interrogativa, aspettando le spiegazioni che non tardarono ad arrivare << Mi ha dato della cioccolata! La mamma mi diceva sempre che la cioccolata fa venire il mal di pancia. Se era un vero dottore doveva saperlo. >> Ocean non riuscì a trattenere delle risa alla spiegazione della bambina. Non faceva una piega, ed era proprio per questo che faceva ridere. La gola non le diede però la possibilità di ridere come voleva e si ritrovò subito a tossire violentemente. Molly si alzò e andò vicino al comodino. Prese con entrambe le mani la bottiglia dell'acqua, troppo grande per lei, e ne versò un po' dentro un bicchiere, facendone cadere maldestramente qualche goccia intorno. Poi prese il bicchiere e lo diede alla ragazza << Tieni. >> disse assumendo l'espressione un po' preoccupata. Ocean sorrise teneramente, afferrò il bicchiere e buttò giù il contenuto tutto d'un sorso rendendosi conto solo in quel momento dell'incredibile sete che aveva. Riprese fiato, finito di bere e porse di nuovo il bicchiere alla bimba ringraziando.
<< Ne vuoi ancora? >> chiese premurosa Molly e Ocean annuì. La piccola infermierina servì ben 4 bicchieri d'acqua alla sua paziente prima che la porta si aprisse e Hershel facesse capolino. Sorrise alla bambina prima di dirle << Puoi lasciarci soli, Molly? >> Molly guardò Ocean, chiedendo con gli occhi il permesso di restare, sperando fosse lei stessa a dire "No, lasciala qui". Ma Ocean annuì, facendo intuire di dar ascolto al dottore e la bimba uscì dalla stanza sbuffando, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Hershel si avvicinò alla nuova paziente e si mise a sedere vicino al letto << Ti aspettava. Pensa che tu sia andata a cercare i suoi genitori. >> disse << Dovremo poi trovare il modo di dirle che non li hai trovati. Prima o poi dovrà sapere di essere rimasta sola. >> c'era tanta tristezza nelle parole del dottore. E Ocean abbassò gli occhi, riempiendosi della stessavtristezza. Sapeva cosa voleva dire restare soli, senza più le tue ancore di salvezza, senza più qualcuno che ti abbracci e ti protegga.
<< E se non fossi tornata? >> chiese Ocean pensando ad alta voce. La stava aspettando. E la sua intenzione era quella di non tornare. Le avrebbe fatto ancora più del male.
<< Beh, allora le brutte notizie sarebbero state due. Ma ora tu sei qui, e questo è già una buona cosa. >> Ocean non era proprio d'accordo. C'era qualcosa che non le dava pace. Non era sicura che tornare fosse stata una buona idea.
<< Che cosa è successo? >> chiese confusa, sperando almeno il vecchio potesse informarla sul grosso buco nero che aveva in testa.
<< Io non ne ho idea. >> disse Hershel con tono ovvio << So solo quello che ho visto: che hai varcato i confini della mia fattoria in groppa alla tua Peggy ubriaca fradicia. >>
<< Ubriaca? >> chiese Ocean mettendo al giusto posto la notizia. Si portò una mano alla fronte rendendosi conto solo in quel momento che era fasciata << Ora è tutto chiaro. >>
Hershel fece una breve pausa prima si raddrizzarsi sulla sedia, fare un sospiro e infilare la mano in una tasca della sua camicia. Ne estrasse un piccolo flaconcino che ancora risuonava di qualche pasticca.
<< Ho trovato questo >> disse semplicemente porgendo il flaconcino a Ocean per mostrarglielo. Erano gli antibiotici che aveva trovato nella casa nel bosco.
<< Ocean, quanti ne hai presi? >> chiese visibilmente preoccupato. Ocean non rispose subito, cercando di capire negli occhi del dottore cosa stesse cercando di dirle. E non ci mise molto ad arrivare alla risposta. Hershel temeva Ocean avesse cercato di suicidarsi prendendo troppe pillole, e magari peggiorando la situazione con l'assunzione di alcol.
<< Non abbastanza. >> si limitò lei a rispondere, acida, un po' provocatoria, forse infastidita per il tipo di supposizione che aveva fatto il dottore, ma cercando lo stesso di tranquillizzarlo ed evitare di urlare al suicidio.
<< Bene. >> rispose Hershel infilandosi nuovamente il flaconcino in tasca, sollevato dalla risposta << Non voglio dirti cosa fare della tua vita, Ocean, ci conosciamo appena e oltretutto non mi permetto di dire alle mie figlie cosa fare della propria, figuriamoci. Non so cosa ti sia successo, e non pretendo di saperlo, capisco possa essere doloroso rievocare, io stesso provo queste cose. Ma vorrei solo farti notare che se l'ebrezza dell'alcol, dopo aver ofuscato la tua coscienza, ti ha riportato qui forse un motivo c'è. Cerca di riflettere bene su questo, perchè forse potrebbe essere il tuo appiglio per il futuro. >>
<< Non volevo suicidarmi, dottore. Non c'è bisogno venga tu a dirmi che farmene del mio futuro. >> rispose ancora acida. Odiava le lezioni di vita, soprattutto se a impartirgliele era qualcuno che neanche sapeva qual era il suo nome.
<< Era solo un consiglio. Decidi tu che fartene. >> rispose Hershel con tranquillità prima di alzarsi e andare a prendere le sue cose da medico. Era un uomo tutto d'un pezzo, sapeva qual'era il suo posto, e questo gli faceva onore. Come spesso accadeva, la vecchiaia oltre ai capelli bianchi gli aveva portato anche una buona dose di saggezza. Come quel Dale. Ed era una qualità che Ocean apprezzava molto. Il resto della visita si svolse in assoluto silenzio. Hershel cambiò le bende a Ocean, disinfettando ancora, somministrandole alcuni farmaci e ordinandole di bere e mangiare. Poi uscì, lasciandola sola. Ocean si alzò dal letto, sentendo dolore a qualsiasi movimento, ma non abbastanza da fermarla. Non se ne sarebbe stata chiusa in quella stanza a dormire come se fosse stata in un hotel. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori: alcuni membri del gruppo erano intenti a sistemare delle cose su di una macchina, altri vagavano chiacchierando tra loro e poi c'era Carl, seduto all'ombra di un albero, che accarezzava Max, anche lui steso lì sotto, con una zampa fasciata. Un sorriso le si dipinse in viso: era vivo! Daryl era tornato ed era riuscito a salvarlo. Non aveva deluso le sue aspettative. Il suo più caro amico era ancora con lei, e doveva tutto a quel scorbutico ometto infighettato che tanto diceva di disprezzare. Gli era molto grata. Aveva fatto molto più lui in quei 4 o 5 giorni che chiunque altro in tutta la sua vita.
Aveva trovato il motivo per cui era tornata.
Hershel aveva ragione.
Ora vedeva qualcosa. Era stata 3 giorni sola, con davanti a sè solo buio e morte, ma ora, davanti a quella finestra, spettatrice di scene di quotidiana felicità in cui era visibile anche il suo migliore amico, scene che non credeva sarebbero mai state possibili, vedeva la strada che doveva percorrere. Non voleva più stare sola, la solitudine l'aveva quasi uccisa, aveva bisogno di essere scaldata dal calore delle persone, aveva bisogno di qualcuno che la sollevasse quando cadeva e che l'abbracciasse quando aveva freddo. Guardò le persone che come formiche si affaccendavano sotto di lei, in quel campo, fregandosene di avere progetti sul futuro, intente solo a sostenersi l'uno con l'altro e sorrise trovando tutto ciò bellissimo.
<< Voglio restare qui. >> mugolò mentre si asciugava una lacrima col dorso della mano. Per la prima volta dopo tanto tempo le lacrime che percorrevano il suo viso erano così calde, colme di gioia. Si era dimenticata che era possibile piangere di gioia.
Aveva finalmente chiuso quella porta alle sue spalle che a lungo l'aveva infreddolita con la sua corrente. Era finalmente pronta ad aprire un'altra porta, varcarla nella speranza di trovare dall'altro lato sole, fiori e farfalle.
Vide Molly scendere le scale della verandina di corsa, facendo svolazzare la sua gonna arancione e dirigersi velocemente verso Daryl, piena di energia e vitalità. Lo afferrò per il lembo del gilet e lo strattonò per richiamare la sua attenzione. Lui la guardò, e lei gli disse qualcosa, che Ocean non potè sentire, dondolando sui piedi, non riuscendo proprio a stare ferma. Era così tenera. Daryl le fece cenno con la testa verso Carl e Max, aprendo appena le labbra, probabilmente dando una risposta secca e netta alla bambina, che guardò nella direzione indicata e corse verso essa, urlando qualcosa, forse chiamandoli e mettendosi poi vicino a loro, sorridente e chiacchierona. Ocean la trovò così tenera. Era la nota dissonante in tutto quello, era la stella che brillava nelle notti più buie e illuminava la via dei viandanti.
Daryl, dopo averla seguita con lo sguardo, tornò al suo lavoro di allestimento della macchina, preparandola per chissà che cosa, ma prima gli occhi andarono senza un motivo ben preciso alla finestra in alto, vedendo la ragazza dietro al vetro. Tenne gli occhi fissi su di lei per qualche secondo, senza far trapelare nessun pensiero dal suo sguardo di ghiaccio, poi tornò al suo lavoro.
Ocean si allontanò dalla finestra ormai alleggerita di qualsiasi peso avesse potuto avere sulle spalle fino a quella mattina. Si diede un'occhiata addosso: era ricoperta di lividi, e dove non c'erano lividi c'erano cerotti e bende. Sembrava appena uscita dal macello. Ma la cosa non le pesava più.
Prese i suoi abiti, puliti alla ben e meglio e ricuciti, poggiati sulla sedia. Qualcuno si era preso la briga di ripulirli, senza però trattenerli a lungo, dandole modo di ritrovarli al risveglio, e di sistemare i vari buchi che ormai lo tappezzavano ovunque. Si rivestì con cautela e lentezza, cercando di stringere i denti ai vari doloretti. Riusciva a camminare, anche se zoppicante, e questo era l'importante. Non voleva starsene chiusa lì. C'era una cosa che doveva assolutamente fare o sarebbe stata soffocata dal dubbio. Doveva parlare con Rick. Non voleva autoinvitarsi all'interno del gruppo, senza averne il permesso. E si sarebbe impegnata per ottenerlo, rimediando ai suoi precedenti errori. Non voleva tornare sola, anche se aveva sempre insitito per farlo. Probabilmente avrebbe sempre convissuto con le sue paure, col timore di essere abbandonata di nuovo, di affezionarsi e vedere tutto svanire di nuovo, ma la paura c'era anche quando era sola ed era anzi anche più terribile. Lì almeno avrebbe per un po' provato l'ebrezza di sperare, di nuovo. E qualcosa era cambiato: non era più la ragazzina debole, intimorita e indifesa che sapeva solo scappare. Ora sapeva combattere, e l'avrebbe fatto. Aveva paura di essere felice, la caduta sarebbe stata più dura poi, ma alla fine aveva ceduto al bisogno di prendere fiato ogni tanto.
Avrebbe smesso di vagare senza meta, aspettando di essere uccisa. Ora avrebbe avuto uno scopo: aiutare gli altri, tenerli in vita. Questo era l'appiglio a cui si sarebbe aggrappata per il futuro. Avere un motivo per vivere rendeva tutto più semplice.
Non uscì subito, prima aveva bisogno di togliersi un altro sassolino dalla scarpa. Per ricominciare da capo bisognava prima mettere un punto a tutto ciò che c'era stato prima. Aprì i vari cassetti presenti nella stanza, comò e comodini, e trovò quello di cui aveva bisogno: carta e penna. Si inginocchiò vicino al comodino, poggiando la carta lì e cominciò a scrivere.

"Claudio.
Mario.
Federico.
Gabriele.
Marta.
Luca.
Lorenzo.
Simone.
Susy.
Nicola.
Micky.
Manuele.
Alice.

Domus est ubi cor est!"

Fece un sospiro, mandando via il peso che stava nuovamente cercando di attanagliarle il cuore. Arrotolò il foglietto, prese la bottiglia che conteneva ancora un po' di acqua e la svuotò, bevendo il resto. Poi infilò dentro il biglietto arrotolato. Si alzò, mugolando ancora per il dolore, e si diresse verso il tavolino dove c'erano sistemate le cose che teneva alla cintura: le sue armi e il ciondolo trovato alla fattoria. Staccò uno dei suoi petali, sforzando il polso e tornò alla sua bottiglia. Lo infilo dentro, insieme al foglietto e infine la chiuse col suo tappo.
Appena si sarebbe rimessa in forza avrebbe ripreso ogni tanto a vagare intorno a quella zona, esplorando, cercando magari qualcosa di utile, come sempre aveva fatto, e al primo corso d'acqua che avrebbe trovato ce l'avrebbe buttata dentro confidando che tutti i fiumi sfociano nell'Oceano.
Loro erano i suoi morti.
Loro sarebbero tornati a casa.
Insieme.

Domus est ubi cor est: Casa è dove si trova il cuore. 
(Plinio il Vecchio)

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Capitolo 17
*** Frode. ***


Frode

<< Non dovresti stare a letto? >> chiese rapidamente T-Dog, prima di entrare in casa, sempre intento in quello che sembrava un trasloco, senza aspettare realmente una risposta. Era stata più una forma di cortesia, un saluto, una battuta morta lì tanto per rivolgerle la parola.
Ocean sorrise appena prima di poggiare la mano alla ringhiera della veranda, sostenendosi a essa per facilitare la discesa degli scalini. Le ossa cigolavano a ogni movimento, ma l'aria di quel luogo la donava di nuova vita e camminare non era faticoso come lo era stato i giorni precedenti, quando era costretta ad avanzare. Ora poteva rispettare il suo dolore e prendersi i tempi che il corpo richiedeva. A dir il vero, sarebbe stata volentieri a letto, era da qualche giorno che non godeva della tranquillità che un letto morbido, caldo e sicuro poteva dare, ma il desiderio di uscire a prendere aria e di parlare con chi di dovere aveva avuto la meglio.
<< Dov'è Rick? >> chiese a Daryl, sempre vicino all'auto, mentre sistemava quelli che sembravano pacchetti.
<< Laggiù, è con Shane. >> rispose lui semplicemente, indicando, senza scomporsi troppo dalle sue faccende. Ocean voltò la testa a cercare con gli occhi il capo squadra prima di raggiungerlo, lentamente, zoppicando, senza nessuna fretta. Non più.
Guardò da lontano la scena che gli si parava davanti: Shane disse qualcosa a Rick, qualcosa che probabilmente a nessuno dei due piacque, poi gli mise davanti una pistola e si allontanò ciondolando le spalle, col suo fare strafottente e perennemente incazzato. Ocean raggiunse finalmente Rick, senza togliere gli occhi di dosso a Shane, continuando a fare i suoi conti su quel tipo. Non le piaceva. Non le piaceva proprio.
<< Quando ero in Italia... >> cominciò a dire lei, anticipando il suo arrivo << ...Perchè,sì! Vengo dall'Italia. Ormai credo sia giusto tu lo sappia. >> ed era incredibile come riuscisse a dirlo senza sentirsi la gola serrare. Si avvicinò a Rick, salendo sulla veranda dove si trovava lui, evitando così di urlare e farsi sentire da tutta la fattoria << Quando ero a casa, qualche anno fa, mia sorella conobbe un tipo. Nel giro di neanche una settimana lo portò a casa e ce lo presentò. Un tipo distinto, che vestiva con golfino color pastello e camicia: classico topo di libreria. Lo guardai negli occhi la prima volta e poi dissi "Chiara, non mi convince. Ha una strana luce negli occhi". Ci mise un anno a scoprire che era uno di quelli che addescava ragazzine sui Social Network. >> si mise a sedere vicino a lui, con la stessa premura e attenzione che può avere un anziano con i suoi acciacchi, annessi lamenti e sbuffi. Rick la guardò chiedendosi dove volesse arrivare e Ocean lo dovette far aspettare prima di dargli una risposta: doveva prima sedersi e rilassarsi << Sono una gran chiacchierona. >> sorrise lei, giustificandosi << In realtà volevo dar tempo a Shane di allontanarsi il necessario, o mi avrebbe fatto saltare la testa all'istante. >>
<< Non è stato contento del tuo ritorno, no. >> annuì Rick tornando a guardare di fronte a sè.
<< Non mi importa. >> tagliò corto lei << Ha gli occhi da psicopatico. Non mi piace. Guardati le spalle, amico. >> disse con assoluta sincerità, senza troppi rigiri o fiocchetti. Rick abbassò gli occhi, riflettendo sulla cosa, poi guardò la ragazza, sorrise, annuì per comunicarle di aver colto il messaggio e tornò a guardare davanti a sè, senza aggiungere altro. Probabilmente c'era già qualcosa dietro, se fosse stata un'affermazione assolutamente fuori luogo avrebbe reagito in maniera platealmente diversa. Ocean lasciò calare il silenzio, prendendosi anche lei i suoi tempi, capendo che l'argomento Shane era meglio concluderlo lì, poi abbassò gli occhi alla ricerca delle parole più adatte che le risparmiassero imabarazzanti suppliche e richieste di perdono.
<< Senti, io... >> cominciò, ma Rick la interruppe immediatamente con un rapido << Sono felice che sei tornata. >> affermazione che lasciò di stucco la ragazza, apprezzando poi le sue intenzioni di evitarle il discorso. L'uomo aveva colto subito il motivo di quella visita, ed era saltato lui a conclusioni evitando alla ragazza un travaglioso elenco di parole più o meno azzeccate.
<< C'è aria diversa ora. Molly ti aspettava. Carl è di nuovo tornato a sorridere da quando è tornato Max, e il cane sta bene solo se sta con te. Anche Carol è molto felice di averti rivista, è una di quelle che era pronta a scommettere tutto su di te. E anche Daryl. >>
<< Daryl? >> chiese d'istinto Ocean un po' incredula. La detestava e la considerava imbaranata. Perchè Daryl? Rick si limitò a sorridere, senza dar ulteriore spiegazioni e concluse con un << Sei la benvenuta. >> prima di cominciare ad incamminarsi verso l'auto che sembrava quasi pronta per chissà quale spedizione. Era talmente carica che sembravano stessero per partire per qualche giono.
<< Rick. >> lo richiamò ancora lei prima di lasciarlo andar via << Puoi contare su di me. >>

Raggiunse quello che loro chiavano "l'accampamento", ma che ormai si stava riducendo a ben poco. Pian piano il gruppo stava traslocando all'interno della casa, Hershel aveva finalmente dato il suo consenso e stava diventando un vecchietto più ospitale, convinto da chissà cosa. Seduta sola, come spesso faceva ultimamente, con in mano dei vestiti che guardava, ripiegava, poi li disfaceva e li ripiegava, mai contenta del suo operato, c'era Carol. Probabilmente troppo assorta dai suoi pensieri per dar veramente conto al suo lavoro. Sentì arrivare Ocean, era difficile non farci caso data la pesantezza con cui si trascinava in giro, ma non si voltò a salutarla e continuò il suo lavoro. Ocean le si affiancò e la osservò a lungo, in silenzio, il suo ciondolo stretto tra le mani che veniva più volte rigirato e accarezzato. Nessuna delle due sapeva bene cosa dire all'altra, ma Carol era più tranquilla rispetto a quando l'aveva lasciata, era tornata a sorridere alcune volte, e anche allora lo fece: si voltò dopo un po', la guardò in volto e le sorrise dolcemente. Era la prima volta che Ocean poteva vedere i suoi occhi brillare. Ne rimase piacevolmente sorpresa, poi tornò a guardare ancora il suo ciondolo e non staccò gli occhi da esso.
<< Ricorda. >> lesse ad alta voce.
Lanciò un rapido sorriso a Carol, afferrò con forza uno dei petali del suo fiore e, con uno sforzo che allora le parve disumano, lo staccò. L'imbarazzo era leggibile sul suo volto, questo lo sapeva e non faceva che peggiorare il suo senso di disagio.
<< Per tua figlia. Per non dimenticare. >> si limitò a dire tenendo ancora ben stretto il petalo tra le sue dita. Ciondolò un po', tentando di cacciar via l'imbarazzo e il senso di fastidio che le stava prendendo la bocca dello stomaco.
<< Me lo regalò mio nonno prima di morire, tempo fa. Lui credeva che il tempo fosse la cosa più importante del mondo, perchè è indipendente, scorre e ti sfugge dalle dita, ma ti appartiene. Non puoi fermarlo, puoi solo decidere come usarlo. Mi costruì questo ciondolo per questo. "Ricorda il tempo" c'era scritto prima >> lo mostrò velocemente alla donna, facendo vedere la cancellatura << Ogni petalo che manca è un giorno che hai perso. >> le sfuggì un sorriso << Era una cosa che metteva un po' ansi: lo vedevi giorno dopo giorno sempre più spoglio, ma era così di proposito. Ti ricordava lo scorrere del tempo e ti spronava a non perderne neanche un secondo. Nessun petalo doveva cadere senza portarsi dietro un ricordo. >>
Abbassò nuovamente gli occhi, accantonando la vena malinconica che accompagnava quelle prime parole, lasciando spazio solo a una profonda tristezza << Ho smesso di contare il tempo. Ho smesso di ricordarlo. Non ha più valore per me. Ora ricordo e basta. E invece di contare i minuti che perdo...conto le anime. E il fiore sempre più spoglio mi sprona a impegnarmi per non perderne più. >> restò un secondo in silenzio, pensierosa, continuando a guardare il fiore e il petalo che stringeva tra le dita.
<< Nessun petalo deve cadere senza portarsi dietro un ricordo. Nessun petalo dev'essere sentito come "sfuggito" e sprecato. >> mormorò tra sè e sè.
Per quel motivo l'aveva lasciato alla fattoria, insieme ai cadaveri del suo vecchio gruppo: non aveva più nessuno da perdere, non ne voleva più avere, non aveva più nessuno da contare. Nessuno da ricordare.
Ma ora sarebbe stato diverso.
Un improvviso sorriso imbarazzato si dipinse sul suo volto << Che cosa stupida. Scusami. >> disse prima di voltarsi per andarsene, e lasciar nuovamente sola la donna. Ma Carol si alzò subito e la prese per un braccio, fermandola << No, aspetta. >> disse e sorridendo addolcita, intenerita e commossa allungò la mano << E' per la mia Sophia? >>.
Ocean restò qualche secondo in silenzio, immobile, ancora indecisa e imbarazzata per quello che riteneva essere un gesto stupido, anche se lei aveva sempre dato molta importanza a quei petali. Ma era il suo fiore, i suoi petali, e a chi doveva interessare la storia di suo nonno se non a lei? Ma Carol sembrò comprensiva, e forse veramente aveva apprezzato il gesto. Ocean guardò ancora il suo petalo poi lo porse alla donna << Per non dimenticare. >> sussurrò ancora, più a se stessa che alla donna, la quale guardò il dono con commozione e ringraziò prima di lasciarla andare.

<< E ora tocca a te. >> disse Ocean raggiungendo l'albero sotto cui erano seduti Carl, Max e Molly, intenti a chiacchierare tra loro, anche se Carl non sembrava entusiasta e loquace come la piccola rossa.
<< Ocean! >> salutò Molly illuminandosi nel vederla << Sei in piedi! >>
<< Sì, ma per poco. >> disse sofferente mentre si appoggiava al tronco e cercava di sedersi a terra, vicino alla bambina << Fatemi un po' di posto. >> Molly alla richiesta si spostò leggermente, facendo sedere la ragazza vicino a sè e la guardò sorridente.
Ocean si sistemò con un sospiro sollevato, poggiò la schiena al tronco dietro di sè e alzò gli occhi al cielo, pensierosa. Poi si voltò a guardare Carl e gli disse << Puoi lasciarci sole un attimo? >>
Carl non rispose, si alzò senza farglielo ripetere due volte, e si allontanò accompagnato dal cane che zoppicava tenendo la zampetta fasciata alzata, senza poggiarla a terra.
<< Allora. >> cominciò Ocean cercando di mettere in ordine nella sua testa le parole giuste << Mi hanno detto che mi stavi aspettando. >>
Molly annuì e subito si rabbuiò, imbronciandosi e abbassando lo sguardo << Sì, ma non li hai trovati vero? >>
Ocean rimase per un attimo in silenzio, timorosa, chiedendosi quale fosse il modo migliore per parlare di morte con una bambina, sapendo che comunque, qualsiasi cosa avrebbe detto, nessuno avrebbe impedito alle sue lacrime di sgorgare.
<< Sì, li ho trovati. >> disse Ocean, facendo voltare la bambina speranzosa << Ma non sono potuti restare qui. Dio li ha chiamati in cielo, da lui, e li ha trasformati in due bellissimi angeli. Ha detto che così avrebbero potuto proteggerti meglio. >>
<< Sono andati in cielo? >> chiese la bimba con tono di disperazione. Gli occhi già avevano cominciato a rovesciare lacrime. Si alzò in piedi mettendosi di fronte alla ragazza, i pugni serrati che strofinavano i suoi occhi già rossi << Perchè se ne sono andati? Perchè mi hanno lasciata qua da sola? >> pianse disperata. Ocean cercò di tirarsi su, in ginocchio, e si avvicinò alla bambina prendendola tra le braccia, stringendola cercando di darle conforto << Non ti hanno lasciata sola!Ci siamo qua io, Daryl, Carol, Carl, Max, Rick, Hershel e tutti gli altri. >>
<< Ma io voglio la mia mamma e il mio papà! >>
<< Mi dispiace, Molly. >> si limitò a dire la ragazza, non sapendo cos'altro aggiungere per riuscire a calmare i suoi pianti disperati.
<< Non li rivedrò più? >>
<< Certo che li rivedrai! Tutte le notti, quando ti metterai a dormire, loro verranno da te e starete insieme fino al mattino. >> disse Ocean e si allontanò dalla bambina per guardarla in viso e asciugare le sue lacrime << Non piangere, dai. Loro possono vederti anche ora e sicuramente non sono contenti di vedere il tuo bel visino rovinato da questa smorfia. Sorridimi. Se più bella quando sorridi. >> ma la bimba ovviamente non era consolabile, e l'unica cosa da fare al momento era starle vicino, facendole sentire il meno possibile la mancanza dei genitori e dandole il tempo necessario a metabolizzare la cosa. Ocean la tirò a sè e si rimise a sedere con la schiena poggiata all'albero, le fece posare il volto sulla sua spalla e lasciò che piangesse fin quanto ne sentiva il bisogno, accarezzandole i capelli, cercando di dare quanto più conforto poteva con abbracci e carezze.
<< Andrà tutto bene. Ci penseremo noi a te. Non sarai sola. Andrà tutto bene. >>

Molly pianse tanto che alla fine si addormentò, stremata, scossa dai singhiozzi. Ocean la guardò colma di dispiacere, povera piccola sarebbe stata dura per lei più di chiunque altro. Era un tale fiorellino. Promise a se stessa che finchè sarebbe stata viva non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Sentì qualcosa nascere in lei, una determinazione che da tempo non provava, il desiderio di lottare davvero per qualcosa. Non si sarebbe più trascinata senza scopo, non sarebbe più stata un fantasma, ora brandiva la lama col chiaro intento di uccidere chi gli si parava di fronte. Ora avrebbe lottato.
<< Ci penserò io a te. >> sussurrò ancora una volta accarezzandole i capelli.
Si tirò Molly addosso, facendole posare il viso sulla spalla ancora sana e caricò il suo peso su quel lato del corpo. Poi tentò di alzarsi, facendo una fatica disumana considerato anche il peso aggiuntivo, ma riuscendo con costanza e determinazione a sollevarsi in piedi con la bimba in braccio, e si avviò lentamente verso la villa. Maggie la vide da lontano e la raggiunse di corsa, allungando le braccia per afferrare la piccola << Lascia, faccio io. >> disse aiutando Ocean.
<< Grazie. >> rispose lei passando volentieri il peso alla ragazza << Ha pianto fino ad addormentarsi. >> informò. Maggie guardò la bimba che aveva in braccio con uno sguardo triste e commosso, poi senza dire niente la portò dentro, dove l'avrebbe messa a letto. Ocean le camminò dietro, anche se la perse dopo il primo scalino, troppo lenta per stare al suo passo, intenzionata a tornare a letto anche lei,ma si bloccò quando sentì urlare:
<< Rick!! >> chiamò T-Dog arrivando di corsa, visibilmente agitato << Rick! Randall non c'è! >> gridò ancora una volta arrivato alla villa. Rick uscì con rapidità dalla casa e raggiunse subito il suo amico, con lo sguardo cupo. Non disse niente e si avviò velocemente verso un capanno poco lontano da lì, seguito dagli altri, tutti confusi e agitati. Ocean fece altrettanto, anche se non conosceva la situazione, non condivideva il loro dramma, ma era curiosa di sapere che stesse succedendo e comunque sia voleva farne parte.
Mai più sola.
Daryl aprì il capanno, lanciando una rapida occhiata all'interno, ma si fece subito da parte, facendo entrare Rick, pronto a indagare, e restando all'esterno a guardarsi intorno e cercare tracce al suolo.
<< Che succede? >> chiese Lori, allarmata, una volta raggiunto il luogo.
<< Randall è scomparso. >> informò T-Dog studiando la zona intorno a loro, guardando nella speranza di trovare indizi.
<< Chi diavolo è Randall? >> chiese Ocean. Si era persa qualcosa, li aveva lasciati l'ultima volta che avevano zombie allevati nel fienile, e ora parlavano di qualcuno che mai aveva sentito nominare. Ma alla fine era stata fuori per 5 giorni, poteva essere successo di tutto nel frattempo.
<< E' una lunga storia. Lo tenevamo nel capanno. Avremmo dovuto lasciarlo libero oggi stesso, lontano da qui, ma ora non c'è più. >> raccontò brevemente sempre T-Dog, il più loquace tra tutti.
"Un prigioniero, eh?" pensò Ocean. Quel gruppo aveva più retroscena di quanto avesse creduto, e la cosa in qualche modo le piaceva. Erano piccole cose che suggerivano che non erano un gruppo di idioti, che anche loro affrontavano le loro difficoltà come tutti e che forse non erano solamente fortunati. Era qualcosa che le piaceva perchè sapeva che nel caso di emergenza non sarebbero stati colti impreparati come invece pensava qualche giorno prima, quando non vedeva altro in loro che dei contadinelli sorridenti.
<< Da quanto tempo è scomparso? >> chiese Hershel, cercando di farsi strada per vedere all'interno del capanno << Come è successo? >> chiese ancora Lori, accavallando domande su domande. Ocean non sapeva chi era questo Randall, ma a vedere gli animi scossi, probabilmente era qualcuno di pericoloso, e cominciò a provare i loro stessi sentimenti allarmati. Gli occhi corsero istintivamente al bosco davanti a sè, cercando, ma odiava non sapere bene cosa o chi stava cercando!
<< Le manette sono chiuse, dev'essersele sfilate. >> comunicò Rick uscendo dal capanno, riattirando così a sè l'attenzione della ragazza, e continuando a guardare la situazione intorno a lui, cercando altri indizi che comunicassero dove fosse potuto andare il fuggitivo. Susseguirono una serie di ipotesi e altre osservazioni, una più caotica e nervosa dell'altra, tanto confuse che per poco non sfociarono nel ridicolo. Lori fece notare l'assenza di Shane e fu quello a spingere Rick a ordinare subito di cominciare le ricerche: temeva per il suo amico. Forse l'unico. Ma non ci fu bisogno di cominciare nessuna ricerca. Shane sbucò dagli alberi, il viso insanguinato, lo sguardo un po' vacuo, cosa che lasciò un po' insospettita Ocean, ma tenne certe osservazioni per sè. Shane richiamò l'attenzione dei suoi amici mentre si avvicinava a loro << E' armato. Ha la mia pistola! >> informò. Carl si fece avanti, chiedendo preoccupato se stesse bene, date le sue pessime condizione e lui continuò a raccontare << Sì, ma quel piccolo bastardo mi ha preso alle spalle. Mi ha colpito in faccia! >> disse cercando di caricare l'ultima affermazione di un'ira che non c'era.
<< D'accordo! Hershel, T-Dog riportate gli altri in casa. Glenn, Daryl, venite con noi. >> ordinò il caposquadra, organizzando quella che sarebbe stata una spedizione d'emergenza. Ocean si guardò attorno, ossevando i suoi compagni che cominciavano ad affaccendarsi per obbedire agli ordini e sentì anche lei il bisogno di rendersi disponibile, di far sentire la sua voce, di dire "ehi, ci sono anche io e posso essere d'aiuto!". Non era una stupida sprovveduta, i mesi passati sola a combattere per una vita che non desiderava più l'avevano indurita più di quanto potessero immaginare. Sarebbe stata in grado di spostare massi anche in quelle condizioni se ci fosse stato bisogno. E gli altri dovevano saperlo. Dovevano sapere che lei non era lì per rubare cibo, non era una sciocca ragazzina capricciosa, ma era un arma in più che avrebbe potuto salvargli la vita. Doveva dimostrare che valeva la storia che portava sulle sue spalle.
<< Posso aiutarvi! >> disse a Rick, facendo un passo in avanti per farsi notare.
<< No! >> le ordinò l'uomo << Non saresti molto d'aiuto ridotta in quelle condizioni. Non ti reggi in piedi. Porta in casa gli altri e tenetevi le armi, nel caso dovesse tornare. >> si allontanò di qualche passo insieme ai suoi compagni prima di ordinare di nuovo << Tenete gli occhi aperti! >>
<< Lasciatelo andare. >> disse Carol, mossa da compassione verso il ragazzo << Il piano non era quello di lasciarlo andare? >>
<< Il piano era lasciarlo lontano da qui, non davanti alla casa con una pistola. >> spiegò Rick, e Carol tentò ancora il tutto per tutto con una preghiera sterile << Non andate! >>. Ma la decisione di Rick era indiscutibile e ordinò di nuovo di entrare in casa e di chiudersi dentro, senza aggiungere altro.
<< Forza, andiamo. >> sollecitò Andrea prendendo Carol per un braccio e cercando di tirarla via, seguendo poi gli altri che già si erano avviati velocemente verso il loro rifugio.
Si sedettero in salotto, chi silenzioso e pensieroso, chi invece continuava a far congetture e ipotesi. Ocean si sedette a bordo della finestra, spostò leggermente la tendina con due dita e rimase ferma lì, con gli occhi puntati fuori, a tener d'occhio la situazione all'esterno. Sentiva una strana adrenalina in corpo, non riusciva a star ferma e muoveva la gamba convulsamente. Non sapeva chi era questo Randall, e sentiva di non averne neanche troppa paura, alla fine era uno solo contro un intero gruppo, non poteva fare troppi danni. Ma era la prima volta nella sua vita che si ritrovava a doversi sentir responsabile di qualcuno, era la prima volta che sentiva di avere il compito e il dovere di proteggere qualcuno, che sentiva di non essere lei quella che doveva essere abbracciata e rassicurata. E la cosa le piaceva. Aveva una gran voglia di correre fuori e andarlo a cercare lei stessa quel Randall, fare ciò che andava fatto, forse anche per dimostrare agli altri che potevano fidarsi di lei, per dimostrare a Rick che davvero poteva contare su di lei. Si era data un compito e voleva portarlo a termine. Ma erano già in quattro la fuori, ed erano sicuramente i quattro più bravi, ce l'avrebbero fatta, non avevano bisogno di lei, e poi Rick aveva ragione, ridotta in quelle condizioni poteva fare ben poco. Così si limitò a stersene seduta, attenta e concentrata, cercando di cogliere anche i più piccoli movimenti, pronta a difendere quella che stava cercando di far diventare la sua nuova casa.
Andrea si sedette vicino a lei e osservò i suoi compagni, uno più preoccupato dell'altro. Anche lei dimostrava una certa agitazione, ma a differenza di moti, sembrava nasconderla meglio. O forse la sua era solo una smisurata fiducia.
<< Chi è Randall? >> chiese ancora Ocean, senza staccare gli occhi da fuori. Le spiegazioni di T-Dog non avevano messo freno alla sua curiosità, e poi desiderava capire quanto fosse pericoloso questo fuggiasco che aveva messo così in subbuglio più di 10 persone.
<< Dopo l'attacco al fienile >> cominciò a spiegare Andrea << Hershel si è allontanato. E' andato in città da solo e si è infilato in un bar vuoto per ubriacarsi. Rick e Glenn l'hanno ritrovato e l'intenzione era quella di riportarlo a casa, ma mentre erano lì hanno incrociato un altro gruppo e poco dopo hanno cominciato a spararsi addosso. Poi sono arrivati gli zombie, quelli dell'altro gruppo sono scappati, ma si sono lasciati dietro Randall che era rimasto incastrato con una gamba a una ringhiera. E' solo un ragazzo, ma il timore è che possa portare da noi quelli del suo gruppo e possano attaccarci. Per questo l'abbiamo tenuto chiuso per un po' nel capanno, in attesa di giudizio. >> e sicuramente fu un racconto più esaustivo del primo.
<< E avete poi deciso di lasciarlo andare? >> chiese incredula Ocean, voltando gli occhi perplessi verso la bionda. Poteva essere un pericolo e loro lo volevano davvero lasciare libero?
Andrea abbassò gli occhi, colta da chissà quale truce stato d'animo e disse, giustificandosi << E' solo un ragazzo. E noi non uccidiamo i vivi. Dale avrebbe voluto così. >>
Ocean tornò a guardare fuori, cogliendo il messaggio nascosto in quelle parole e rendendosi conto solo in quel momento che all'appelo mancava una persona. Nel caos del risveglio non ci aveva proprio fatto caso, e poi non aveva avuto modo nei giorni precedenti di legarsi a loro quanto bastava per ricordarsi di tutti. Ma il vecchio non c'era più. Quel simpatico vecchietto che tanto le ricordava suo nonno il giorno che lo portarono in piazza per una partita dei mondiali, più confuso e disorientato di una talpa con la labirintite.
Ma che incredibilmente sorreggeva tutta la struttura.
<< Cosa gli è successo? >> chiese con delicatezza e un briciolo di dolore nella voce. L'avevano perso, era questo quello che era successo, era morto in quei giorni in cui era mancata e il dolore era ancora palpabile.
<< Uno zombie. >> disse semplicemente Andrea, sentendosi morire la voce in gola. Ocean abbassò di nuovo gli occhi, addolorata, e sussurrò << Mi dispiace. >>, una sentita condoglianza che andò a intenerire la sua interlocutrice, e a sentirsi un minimo sollevata di fronte alla condivisione del suo dolore.
Andrea la guardò, concedendole un triste sorriso complice, e Ocean rispose alla stessa maniera. Era un modo semplice per terminare lì la conversazione e le condoglianze, senza interrompere quel piccolo momento di complicità e condivisione che tanto faceva piacere al cuore.
Il resto del tempo lo passarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno spaventato e agitato a modo suo, cercando conforto nella vicinanza dell'altro. Ocean rimase tutto il tempo, fino a notte fonda, seduta alla finestra, vicino ad Andrea, guardando fuori occasionalmente, pronta a reagire al minimo accenno di pericolo. Aveva tenuto a lungo d'occhio la situazione fuori dalla finestra, ma niente si era mosso, e alla fine aveva ceduto un po' alla stanchezza, poggiando la testa dietro di sè, allo stipite, e chiudendo gli occhi, in cerca di un breve riposo. Non stava proprio dormendo, era ancora vigile e cercava di affidarsi all'udito per continuare a montare la guardia, tanto col silenzio che era piombato in casa era facile distinguere ogni rumore proveniente dall'esterno. Lori le si avvicinò con un piatto in mano, e a Ocean bastò sentire i suoi passi per farle aprire gli occhi. Guardò la donna che le porgeva da mangiare e accettò di buon grado, data la fame che cominciava nuovamente a farsi sentire.
<< Ce la faranno, andrà tutto bene. >> disse la donna in piedi senza che nessuno le avesse chiesto niente, cosa che fece pensare stesse solo parlando per rassicurare se stessa. Ocean si limitò ad annuire, assecondando la sua speranza. In realtà anche lei stava cominciando ad avere un po' lo stomaco sotto sopra per l'ansia, erano passate ore, il buio era calato, e quei 4 erano fuori insieme a uno con gli occhi da psicopatico. Poteva succedere di tutto, perfino essere traditi e presi alle spalle dal loro stesso compagno! Sapevano quanto era pericoloso girare col buio. E allora perchè non facevano ritorno? Non voleva pensare fosse successo qualcosa, preferiva accettare e tenersi stretta l'idea che fossero testardi e che ancora non avessero trovato Randall. Spostò nuovamente la tendina, lanciando un veloce sguardo fuori, ma questa volta non con l'intenzione di controllare ci fosse qualche pericolo in arrivo. Sperava di vedere sbucare dagli alberi 4 ombre, tranquille, sorridenti e trionfanti, senza nemmeno un graffio. Ma l'oscurità non concesse ancora niente, e Ocean tornò a mangiare, non lasciando però andare la speranza che da un momento all'altro li avrebbe visti di ritorno.
Dopo qualche altro minuto interminabile, Max improvvisamente alzò la testa, guardando verso la porta, le orecchie ben ritte e lo sguardo attento. Aveva sentito qualcosa! Ocean lo notò e si sollevò in piedi, pronta a dirigersi verso la porta: qualcosa aveva attirato la sua attenzione, e col tempo aveva imparato sempre a fidarsi delle sue percezioni. Più di una volta le avevano salvato la vita.
Non sapeva se era una buona o brutta notizia, non sapeva chi o cosa stava arrivando, ma Max sembrava tranquillo, per niente innervosito, quindi con probabilità era qualcuno e non qualcosa. Ma non fece in tempo ad uscire a controllare. La porta di casa si spalancò ed entrarono velocemente Glenn e Daryl, con lo sguardo colmo di preoccupazione, e senza dire una parola cominciarono subito a guardarsi attorno.
<< Rick e Shane sono tornati? >> chiese Daryl, dopo qualche secondo, ma qualcuno rispose negativamente.
<< Ho sentito uno sparo. >> continuò il ragazzo.
<< Avranno trovato Randall. >> ipotizzò Lori.
<< L'abbiamo trovato noi. >> rispose seccamente Daryl, facendo sentire tutta la pesantezza di quelle parole << E' uno zombie. >>
<< Avete trovato lo zombie che l'ha morso? >> chiese Hershel, preoccupandosi che la sua fattoria non stesse cominciando a essere infestata.
<< Non c'è bisogno che uno zombie morda, per farti diventare come lui. >> disse rapidamente Ocean, meravigliandosi un po' che loro questo non lo sapessero, ma non facendogliene una colpa. Erano stati a lungo fuori dal mondo, probabilmente certe scoperte non avevano avuto modo di farle. La comunicazione lasciò per un istante tutti senza parole, spaventati dalla novità, incapaci di scegliere le domande adeguate, anche perchè al momento c'era anche altro di cui preoccuparsi, e non sapevano a cosa dare la priorità.
<< Se muori, ti trasformi. Punto. >> spiegò Ocean, guardando il vecchio negli occhi e cogliendo in essi tutto il terrore e lo stravolgimento che una notizia del genere poteva portare con sè. Daryl annuì in accordo con le parole della ragazza e riprese a spiegare << Aveva il collo spezzato. Nessun morso. E' morto per il collo spezzato. >> poi aggiunse << Le orme di Randall e Shane erano sovrapposte, e Shane non è un segugio. Quindi non è andato a cercarlo. Camminavano insieme. >> non ci fu bisogno di aggiungere altro per intuire ciò che stava cercando di dirgli: era stato Shane a uccidere Randall. Ocean scosse la testa, in segno di negazione, e abbassò di nuovo gli occhi, pensierosa "Ha gli occhi da psicopatico. Lo avevo detto". Un enorme masso sembro cadere su tutti i presenti: perchè Shane aveva mentito? Perchè inventarsi una storia del genere? Che avesse cattive intenzioni? Ocean fu una delle poche che seppe rispondere a quest'ultima domanda, in cuor suo aveva sempre saputo che prima o poi quel matto avrebbe fatto qualcosa di sbagliato.
"Guardati le spalle, amico" aveva detto a Rick quello stesso pomeriggio, e mai come in quel momento si era ritrovata a sperare così tanto che il suo consiglio fosse stato preso in attenta considerazione. Temeva per la vita dell'uomo.
<< Per favore torni fuori a cercare Rick e Shane e vedi cosa diavolo succede? >> chiese Lori a Daryl, preoccupatissima, mettendo da parte momentaneamente le informazioni che il ragazzo aveva portato con sè, concentrandosi solo su quello che al momento riteneva più importante: suo marito.
<< Contaci. >> rispose Daryl senza farsi troppi problemi e tornando verso la porta. Lori ringraziò e si strinse le mani davanti al viso, come in una sorta di preghiera, terrorizzata all'idea che potesse essere successo qualcosa a uno qualsiasi dei due. Uscirono sulla veranda, pronti a partire per qualche spedizione notturna d'emergenza, ma qualcosa li bloccò e attirò la loro attenzione. Versi e ombre. Gli occhi vennero puntati all'orizzonte, oltre il fienile. E da lì la paura avanzava, lenta e implacabile come pece bollente.
<< Cazzo. >> sussurrò Ocean zoppicando verso la ringhiera, guardando in lontananza, pregando che i suoi occhi si stessero sbagliando. Max sulla porta ringhiò soffusamente e indietreggiò rientrando in casa.
Una mandria enorme di zombie si stava dirigendo nella loro direzione.
<< Patricia. Spegni le luci! >> ordinò sottovoce Herhsel.
<< Magari stanno solo passando. >> ipotizzò Glenn, speranzoso più che veritiero << Basterà chiudersi in casa. >>
<< No, quelli raderebbero al suolo la casa. >> rispose Daryl.
<< Non possiamo restare qui! >> disse Ocean cercando di mantenere il tono di voce basso, voltandosi verso gli altri del gruppo.
<< Carl è sparito! >> disse Lori improvvisamente arrivando trafelata, messa in agitazione ancora di più da ciò che si stava avvicinando, con gli occhi già colmi di lacrime << Era di sopra non riesco più a trovarlo. >> il panico si stava impadronendo della donna, il panico si stava impadronendo di tutti quanti.
<< Non me ne vado senza mio figlio! >> disse agitata prima di correre di sopra insieme a Carol, incitandola e incoraggiandola << Cerchiamolo, lo troveremo! >>
Andrea li raggiunse col borsone delle armi, e Hershel cominciò a distribuirle a tutti i presenti, preparandosi ad affrontare una guerra.
<< Ho fatto due conti, non ne vale la pena. >> disse Daryl al vecchio, cercando di dissuaderlo a sprecare colpi.
<< Puoi andartene se vuoi. >> rispose a tono Hershel, caricandosi di rabbia.
<< Non potete farli fuori tutti! >> cercò di farlo ragionare Ocean, indicando con un gesto del braccio l'orda che si avvicinava, come se ancora il vecchio non ci avesse fatto caso. Erano decisamente troppi, non sarebbero mai riusciti a vincere!
<< Alcuni li uccideremo. Attiriamo gli altri lontano dalla fattoria con le auto. >> spiegò Andrea prendendo la sua arma e preparandosi con rapidità.
<< Cosa? >> chiese Ocean incredula, alzando la voce di un'ottava, non perchè non avesse capito, ma perchè riteneva il piano davvero stupido. Era troppo pericoloso, e quei cosi erano decisamente troppi per riuscire a gestirli tutti.
<< Dite sul serio? >> la seguì Daryl, incredulo quanto lei.
<< Questa è la mia fattoria. Io morirò qui. >> disse risoluto Hershel prima di caricare il colpo in canna e allontanarsi con sguardo severo.
Ocean lo seguì un po' con lo sguardo, credendo ancora stesse facendo una follia. Era da matti pensare di riuscire a gestire una roba del genere. Era la mandria più grande che avesse mai visto. Si voltò a cercare complicità negli occhi di Daryl, l'unico tra i presenti che aveva dimostrato di pensarla come lei, e ritrovò in essi lo stesso sentimento incredulo, ma nessuna determinazione a fermarli.
<< E se così dev'essere.... >> fece spallucce Ocean, arrendendosi. Il vecchio era stato deciso, gli altri erano d'accordo con lui, chi era lei per giudicare e dissuaderli? Se era quello che volevano fare, l'avrebbe fatto.
<< Tanta strada, tanta fatica, per venire a morire qui. Manco fosse casa mia. >> Ironizzò mentre si avvicinava ad Andrea, ancora china sulla sacca << Dammi una pistola per favore, non basteranno due urlacci ad attirarli. >> e allungò una mano in attesa. Andrea gli porse la prima pistola che gli capitò tra le mani, continuando a gestire e rufolare all'interno.
<< Che hai intenzione di fare? >> le chiese Daryl avvicinandosi e mettendole una mano sul braccio, facendo parlare il suo istinto contrariato al vederla ributtarsi in chissà quale follia. Aveva appurato che la ragazza non aveva freni inibitori, sarebbe stata capace di lanciarsi tra le loro braccia senza troppi problemi, e non era certamente la tecnica migliore. Senza considerare che ridotta com'era sarebbe stata battuta in velocità, non sarebbe stata in grado di scappare.
<< Ha detto che bisogna attirarli lontano no? Ho già fatto da carota d'asino una volta, posso farlo ancora. E questa volta con me c'è Peggy. E' veloce, sarà facile. >> disse semplicemente prima di allontanarsi, sentendo la presa di Daryl allentarsi.
<< D'accordo. >> scrollò le spalle anche lui << E' una sera come un'altra. >> disse prima di scavalcare la ringhiera della veranda. Ocean cercò di mettere velocità alle sue gambe ormai distrutte e raggiunse la stalla, dove Peggy già aveva cominciato ad agitarsi.
<< Ehi, bella. Va tutto bene! >> disse facendole due carezze sul muso << Ci divertiremo, vedrai. >> non aveva la più pallida idea del perchè avesse detto una cosa tanto stupida, ma aveva bisogno di sistemare le sue emozioni, mettere da parte la paura e l'ansia, e il modo migliore che conosceva era il sorriso e il prendere tutto con estrema leggerezza. E poi quella volta non sarebbe stata sola. Quella volta aveva qualcuno a guardarle le spalle. Questo bastava a renderla un minimo più tranquilla.
Uscì dalla stalla al galoppo e raggiunse i suoi compagni già saliti in auto e che già si stavano dirigendo verso il fienile, dove sembrava si stavano raccogliendo tutti. Percorsero in parallelo la prima recinzione, quella che divideva la casa dal fienile e cominciarono a sparare, buttandone giù qualcuno. Ocean tenne le redini con la sinistra e, continuando a correre dietro le auto, usò la destra per sparare qualche colpo, riuscendo a colpirne solo uno tra tanti.
<< Avrei dovuto prendere lezioni di tiro. >> brontolò tra sè e sè, ironizzando ancora per evitare di disperarsi. La pistola non faceva proprio per lei, ma la spalla sinistra ancora dolorante per colpa dello sparo le impediva di usare l'arco, non riusciva a fare troppa forza con quel braccio.
Ognuno prese la sua strada e il gruppo si divise, con l'intenzione di accerchiarli, racchiunderli in un'unica zona e poi attirarla lontano. Ocen si voltò a guardare la situazione al fienile e si meravigliò di trovarlo in fiamme: porta e finestre erano spalancate, e all'interno si vedeva bruciare ogni cosa. Era la bocca del diavolo che vomitava le sue creature incendiate. Vide poi il camper dirigersi in quella direzione, probabilmente pensando, come lei stessa aveva fatto, che se era in fiamme qualcuno doveva averlo appiccato il fuoco: probabilmente Rick o Shane, gli unici due ancora in giro. Non potè restare troppo tempo ferma ad osservare il fienile perchè un gruppo di zombie l'avevano raggiunta e stavano buttando giù la sottile recinzione in ferro, passando oltre. Ocean sparò un colpo ravvicinato, riuscendo a colpirne uno in testa poi riprese a correrre, tornando indietro, incrociando la strada con una delle auto, continuando a sparare benchè fosse quasi sempre inutile. Non aveva proprio mira e il contraccolpo della pistola spesso le faceva cedere il braccio già debole, deviando il proiettole.
Hershel rimasto solo davanti alla villa tentava in tutti i modi di difenderla, tenendoli lontani, sparando a chi si avvicinava, ma la situazione stava diventando decisamente critica: erano troppi, non riuscivano a gestirli.
All'ennesimo colpo sprecato Ocean perse la pazienza, tanto ormai avevano già fatto abbastanza rumore << Va' al diavolo!! >> disse rivolta alla sua pistola prima di infilarsela nella cintura. Sfoderò la spada dal fianco, usando come sempre solo la mano destra << E torniamo alle vecchie maniere. >> disse prima di voltarsi e correre incontro a Hershel, quasi accerchiato, lanciandosi in mezzo all'orda e tagliando la testa a tutti quelli a cui passava a fianco.
<< Vedi di non sbagliare, vecchio! Io sono quella a cavallo! >> gli urlò prima di voltarsi ancora, una volta raggiunto, e correre di nuovo indietro, di nuovo in mezzo a loro, uccidendone quanti più possibile, stringendo i denti per la stanchezza e il dolore che il peso della spada procurava al suo braccio.
Sentì alle sue spalle la voce di Lori urlare disperata, chiamando suo figlio, sparito chissà dove. Si voltò a guardare la villa cercando di capire cosa cavolo stesse succedendo, e vide le ragazze uscire dall'ingresso, richiamando Hershel, decise ad andarsene.
Beth teneva in braccio Molly, ancora un po' addormentata, ma che si stava svegliando per via dei rumori e delle urla.
<< Tieni la testa sulla mia spalla. >> la invitò la ragazza: non voleva vedesse cosa stava succedendo, si sarebbe spaventata troppo come già stavano facendo loro.
<< Max!! >> urlò Ocean correndo verso di loro, avvicinandosi per farsi sentire << Max va' con loro!! >> ordinò al cane che era uscito dalla casa e che di nuovo tentava disperatamente di difendersi abbaiando. Ocean tagliò via la testa a uno zombie che le si era avvicinato e riprese a muoversi, a correre avanti e indietro per non farsi prendere e continuare a sfoltire l'orda.
<< Max, muoviti! Segui Carol! >> urlò ancora in un istante di pace in cui ebbe modo di rivoltarsi a guardare il suo amico. Max guardò la sua padrona agitato, ma la sua intelligenza ancora si mostrò ben allenata perchè parve capire e corse dietro alle ragazze che si stavano dirigendo in auto. Ocean tornò a concetrarsi sugli zombie ed ebbe un sussulto quando se ne trovò davanti più di quanto immaginasse. Peggy impennò e nitrì terrorizzata, e Ocean le fece coro con un urlo, prima di perdere l'equilibrio e sentir cedere il braccio che reggeva le redini. Scivolò giù dalla sella e si ritrovò con la faccia a terra. Aveva bisogno di più tempo, aveva bisogno di riprendere fiato data la caduta, ma i versi di zombie proprio dietro le sue orecchie la fecero tornare lucida prima di quanto pensasse e senza pensarci troppo si alzò in piedi arrancando e scappò via, saltellando per evitare che il suo zoppicare la rallentasse troppo.
<< Peggy!! >> urlò guardandosi attorno, cercando la sua cavalla. Un'altra orda le sbucò da destra e la costrinse a deviare la sua fuga trascinata.
<< Peggy!! >> urlò ancora disperata, sentendosi al limite, sentendo di non potercela fare, stanca e troppo lenta. Non riusciva a correre come avrebbe voluto e quei mostri sbucavano da ogni dove. Ovunque guardasse vedeva la fine. Non sapeva cosa fare. Senza il sostegno della sua cavalla era solo un sacco che si trascinava e che mai avrebbe percorso più di qualche metro. Cercò aiuto con gli occhi, qualsiasi tipo di aiuto, ma non c'è che fiamme e morte.
<< No, no! >> si lamentò sentendo le fiamme scoppiare anche nel suo stomaco, disperata di fronte all'evidenza che questa volta non ce l'avrebbe fatta.
<< Peggy!! >> urlò ancora usando tutto il fiato che aveva, stonando di voce, ma sforzandosi di farla arrivare il più lontano possibile.
<< Ocean! >> una voce altrettando disperata la raggiunse di rimando, facendole riaprire gli occhi, facendole rinascere un briciolo di speranza. Non era sola! Si voltò e vide Carol correrle vicino. Le prese un braccio e se lo portò al collo, aiutandola e sorreggendola << Presto, andiamo! >> con l'aiuto di Carol, Ocean riuscì a correre un po' più rapidamente e con meno fatica, ma questo non stava loro salvando la vita, non sarebbero mai riuscite a scappar via da sole in quelle condizioni.
<< Peggy!! >> urlò nuovamente con tutta la forza che aveva nei polmoni e il suo cuore ebbe un sussulto di felicità quando sentì il suo nitrito di risposta e la vide comparire correndo da dietro il capanno. Ocean sorrise felice e la richiamò più volte, riuscendo a farla arrivare velocemente.
<< Presto, presto!! >> urlò ancora incitando Carol a salire, restando a terra e aiutandola a issarsi sulla sella. Si guardò attorno, tenendo monitorata la situazione: stavano per venire accerchiati, avevano i secondi contati e la paura le stava mettendo una fretta e un'impazienza che poche volte aveva avuto.
<< Dai, veloce!! >> incitò e non appena Carol fu sopra mise un piede nella staffa e si tirò su, aiutata anche dalla stessa Carol che l'afferrò per il vestito e la tirò con forza.
<< Vai, vai, vai! >> urlò alla cavalla anche se non era ancora salita completamente, ormai allo stremo del tempo, proprio quando uno degli zombie stava per afferrarla e Peggy non se lo fece ripetere due volte, agitata com'era prese a galoppare come poche volte aveva fatto.
<< Reggiti a me! >> ordinò la ragazza alla donna seduta dietro di lei, una volta sistemata a dovere sulla sella. Non era omologata per due e ci stavano molto strette, ma l'urgenza e il bisogno di darsela a gambe non guardava in fiaccia a certe frivolezza. Carol mise le braccia intorno alla vita di Ocean e strinse più che potè, facendole anche male, ma la ragazza non si lamentò e si concetrò solo sulla loro fuga. Erano ovunque e riuscire a capirci qualcosa sulla strada da percorrere era davvero un'impresa, ovunque si girava ce n'era a decine che le andavano incontro. Il cuore prese a correre più veloce del suo cavallo, ma strinse i denti: non doveva cedere alla paura e al panico. Aveva un compito adesso. Non era solo per la sua sicurezza che doveva lottare ma anche per quella di Carol che terrorizzata la teneva stretta a sè, suo scoglio e sua ancora. Sapeva cosa voleva dire aggrapparsi disperatamente a qualcuno, sapeva cosa voleva dire avere il terrore in gola e sentire che la persona a cui sei stretta è l'unica tua via di salvezza, sapeva che in quei casi non c'era desiderio e fiducia più grande. E lei non voleva tradirla. Si guardò attorno convulsamente, in cerca di una via d'uscita, e vide in lontananza le auto dei suoi compagni che se ne andavano, ognuno per una strada diversa. Stavano scappando. Non potevano salvare la loro fattoria. Non c'era altro da fare, ma per lo meno erano vivi.
Ocean sarebbe scappata di nuovo, ma questa volta non avrebbe lasciato i suoi compagni al loro destino, non avrebbe voltato le spalle a chi urlava disperatamente aiuto, preoccupandosi solo di salvare se stessa.
Corse nel tentativo di seguirne una, una qualsiasi, poco importava chi ci fosse dentro, non voleva restare sola, dovevano restare insieme. Ma gli zombie gli si piazzarono di nuovo davanti, impedendole di proseguire.
<< Merda. >> sussurrò mentre si voltava nuovamente, riprendendo la fuga nella direzione opposta. Trovò la sua via, il suo buco libero, ma avrebbero dovuto saltare una delle recizioni in ferro , dopodichè avrebbero corso via dai loro compagni, separandosi e chiedendosi se mai si sarebbero ritrovati.
<< Dobbiamo saltare! >> urlò a Carol per informarla, che all'ennesimo scossone urlò terrorizzata.
<< Carol, ascoltami, fai quello che dico! Dobbiamo saltare! >> spiegò ancora, voltando appena la sua testa per farsi sentire meglio. Carol era terrorizzata, tanto da tenere gli occhi serrati e la testa schiacciata contro la schiena della sua amica, ma sembrava aver capito. Ocean le diede due direttive per prepararsi al salto, pregando avesse capito, poi fece altrettanto aggiungendo un ultimo << Tieniti più forte che puoi! >>
Arrivarono al recinto in corsa e riuscirono ad oltrepassarlo, urlando entrambe, Carol terrorizzata, Ocean per darsi la forza necessaria a sorreggere entrambe ed evitare di volare via da sella di nuovo. Peggy atterrò con successo dall'altro lato, senza nessun danno apparente se non qualche scossone di troppo alle due in sella, e riprese a correre tra gli alberi, in una direzione qualsiasi, non sapendo minimamente dove si stava dirigendo. Ma ovunque andava bene, purchè non fosse lì, alla fattoria ormai sotto assedio e infestata. L'unico pensiero che ora assillava la mente di Ocean era "Come li ritroveremo?". Non voleva darsi per vinta, non voleva rinunciare così, Carol era legata al gruppo e sicuramente voleva ritrovarli, e lei ce l'avrebbe riportata! Inoltre, anche lei stessa voleva ritrovarli. Voleva ritrovare il gruppo di persone che più volte l'avevano accolta e salvata, anche se non la conoscevano, come fosse una di loro; quel gruppo di persone che avevano cominciato a curarle l'anima e che dopo tanto tempo le avevano di nuovo fatto trovare la voglia di vivere. Doveva tornare. Doveva riabbracciare Max, e Molly...e Daryl, a cui ancora non aveva avuto modo di dire "grazie".
Il pericolo era passato. Se l'era lasciato alle spalle. Ma il sospiro di sollievo non sarebbe arrivato finchè non fosse scesa da cavallo con la chiara intenzione di correre incontro all'abbraccio della bambina del suo fedele amico. Perchè il suo angolo di paradiso non era il dove, ma era il con chi. La casa, quella meravigliosa casa che tanto le ricordava la sua infanzia, dove i bambini potevano giocare, se la stavano lasciando alle spalle, distrutta e in fiamme, una dimostrazione all'evidente fine del mondo. Non c'era pace. Non poteva esistere in quel mondo.
Un altro addio. Un'altra fuga. Ma non tutto era perduto.
"Vi ritroveremo."

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Capitolo 18
*** Genesi. (Parte 1) ***


Genesi (Parte 1)


Mama, life had just begun,
But now I've gone and thrown it all away.
Mama, didn't mean to make you cry,
If I'm not back again this time tomorrow,
Carry on.
Carry on as if nothing really matters.

(Bohemian Rhapsody - Queen)



<< Alice!! >> una voce soffusa, nascosta da una porta, seguiva incessanti e allarmati "knock knock", alternandosi, aspettando di vedere chi dei due sarebbe stato più convincente.
<< Alice!! >> chiamò nuovamente la voce maschile, impaziente, facendo sbuffare la ragazza che ferma davanti all'enorme specchio della sua stanza stava dilettandosi nel far roteare la gonna del vestito, osservando le dolci balze svolazzare come petali di un fiore.
<< Arrivo. >> annunciò scocciata lei avvicinandosi lentamente alla porta, oltre la quale c'era il suo insistente interlocutore. Girò la chiave della serratura e aprì lentamente, facendo prima uscire lo sguardo, a controllare di aver indovinato chi fosse la persona che tanto fremeva nell'entrare nella sua stanza. Un uragano spalancò la porta, e in pochi secondi Manuele fu dentro, senza dar tempo alla ragazza di capir niente di ciò che stava combinando, affrettandosi a chiuderla poi alle spalle.
<< Che diavolo! Che ti prende? >> brontolò Alice allargando le braccia incredula. Manuele, un ragazzo alto e magro, tanto da far sempre sembrare i suoi vestiti vuoti, capelli così chiari da essere quasi biondi, ma che ancora tenevano ben stretti la loro sfumatura castana, gli occhi verdi, opachi, fissi sulla porta che ora aveva davanti a sè. Indossava già il suo costume medievale, il costume da musico che li aveva portati lì, in quella stanza d'hotel ad Atlanta, insieme alla sua amica e al resto del suo gruppo, convocati con gioia da quello che si definiva semplicemente "uno dei tanti organizzatori della fiera più fica di tutta Atlanta". Una fiera fantasy, ma sì sa che il fantasy e il medievale sono sempre andati a braccetto, e sarebbe stato fantastico per loro avere come ospiti quei ragazzi così pieni di energia che mai smettevano di cantare, ballare e suonare, neanche quando i visi, ormai paonazzi, sembrava stessero per scoppiare . E poi c'era Alice. L'angelo. I campanelli ai suoi piedi la facevano sembrare una fata, e non solo ballava e cantava, non solo incoraggiava, incitava il pubblico, non solo coinvolgeva i bambini, ma era il cuore. Lei era il sogno. Lei era il sole. Illuminava sentieri mai toccati prima, mostrava la via che conduceva a giganteschi castelli e enormi draghi sputafuoco, e lì armava i suoi piccoli cavalieri improvvisati di spada e scudo e li conduceva verso la gloria. Solo parole uscivano dalla sua bocca, ma gli occhi della gente che si fermava intorno a lei restava incantato di fronte alle mille immagini che quelle semplici parole riuscivano a proiettare e rendere così reali. Lei raccontava, lei mostrava e poi cantava di nuovo. Inarrestabile.
<< Hai sentito la tv? >> chiese Manuele guardando l'amica con gli occhi più terrorizzati che Alice avesse mai visto.
<< No, mi stavo preparando, non ho avuto tempo... >> disse lei disorientata, non capendo cosa stesse accadendo. Manuele corse verso il letto matrimoniale posto a lato della stanza e ci si lasciò cadere sopra, sedendosi sul bordo. Afferrò il telecomando della televisione appesa alla parete, poco sopra di lui e l'accese. Non ci fu bisogno di scegliere il canale, ovunque girasse c'era sempre la solita notizia.
<< Influenza >>, << Follia >> e << Evacuazione >> erano le parole più ripetute insieme al nome di Atlanta. Alice si avvicinò al suo amico e lentamente si mise a sedere vicino a lui, senza togliere gli occhi dalla tele, incredula e incatata di fronte a una tale emergenza di cui non si aspettava.
<< Ho sentito di questo nuovo virus. E' da tempo che ne parlano, ma non hanno mai spiegato bene cosa... >> cominciò a parlare lei.
<< Beh, ora lo spiegano!! >> la interruppe Manuele col panico nella voce. Alice continuò a guardare le immagini correre davanti a lei, accompagnate da un fiume di parole che neanche più ascoltava. Tanto dicevano tutti la stessa cosa: era bene restare ben chiusi in casa, non uscire, e se si aveva la possibilità era bene raggiungere Atlanta, dove stavano organizzando dei rifugi e dei soccorsi.
<< Ma non capisco, è così terribile? >> chiese ancora innocentemente Alice, negando anche a se stessa ciò che la tele stava cercando di comunicare.
Manuele strinse il telecomando e cambiò un paio di canali, cercando probabilmente la risposta alla sua domanda in altre immagini. Immagini che non tardarono a mostrare tutta la loro terribile verità. Gente in fuga, mostri dalle sembianze umane che li inseguivano, spalancando le loro fauci spesso smembrate, i denti scoperti con la chiara intenzione di mordere e lacerare. Alice scosse la testa, incredula, e si lasciò sfuggire un sorriso: la stava prendendo in giro. Aprì la bocca, intenzionata a dir qualcosa, ma le parole fecero attendere qualche secondo prima di uscire dal loro loculo.
<< Non esistono cose del genere. >> disse cercando di ridere ancora << Dai, è solo un'esagerazione! Ci stanno solo spaventando. E' terrorismo mediatico. >> e si voltò a cercar conferma negli occhi del suo compagno, ma li trovò cupi, lontani da lei, fermi su un punto così distante da risultare annebbiato. E le speranze cominciarono a sgretolarsi.
<< Manu. >> lo richiamò scuotendolo per un braccio, e solo allora l'amico sembrò destarsi. Si voltò a guardarla, ma ancora la paura non aveva lasciato i suoi occhi e questo tolse dal cuore di Alice ogni tentativo di agganciarsi ancora all'illusione che fosse tutto uno scherzo.
<< Io non so. >> disse lui semplicemente, volendo dire qualcosa ma non sapendo bene cosa. Era confuso quanto lei.
<< E' solo un'influenza. >> insistette Alice con un filo di voce, ma trovò ancora una volta un muro davanti a sè. Nessun appiglio.
<< Dai, smetti! Mi stai spaventando! >> brontolò ancora, senza di nuovo ricevere risposta.
Improvvisamente sentirono delle voci scatenarsi nel corridoio, impetuose e colme d'ira, tanto da accavallarsi e impedirsi l'una all'altra di manifestarsi a pieno. Manuele e Alice riconobbero quelle voci: erano alcuni dei membri della compagnia di spada medievale che erano andati con loro, anche loro invitati alla famosa fiera fantasy. Avevano quasi sempre viaggiato assieme, si esercitavano nella stessa palestra, si conoscevano bene e avevano finito col considerarsi un'unica squadra, tanto che Alice aveva inventato qualche storia anche su loro e spesso le raccontava alle presentazioni della compagnia. I due si alzarono rapidamente dal letto e corsero alla porta, spalancandola e uscendo, curiosi di capire che stesse succedendo.
Tre di loro stavano parlando con altri due, sulla porta di una stanza poco lontana dalla loro, presi tanto dalla discussione che quasi sembrava volessero arrivare alle mani. Uno di loro, Simone, si accorse di Manuele e Alice e abbandonò la litigata momentaneamente, dirigendosi velocemente verso i suoi compagni.
<< Che succede? >> chiese Manuele non appena lui li raggiunse.
<< Stiamo per andarcene. >> spiegò velocemente Simone.
<< Cosa? >> chiese incredula Alice, spalancando gli occhi.
<< Beh, non tutti. Stiamo provando a convincere quanti più dei nostri, ma non tutti sembra siano in grado di capire la gravità della situazione. >> disse ancora Simone.
<< Per la storia dell'influenza? >> chiese Alice.
<< Non è una semplice influenza! E ' molto di più, e bisogna correre ai ripari quanto prima o qui facciamo tutti una brutta fine. >> Manuele rimase in ascolto del suo amico, senza proferire parola, ma lo sguardo deciso faceva intuire tutta la sua intenzione a seguirlo, ovunque fossero andati. Solo Alice non si era ancora resa conto di quello che realmente stava accadendo intorno a lei. Non capiva perchè, se la situazione era davvero così tragica, i suoi amici volessero andarsene.
<< Qui è sicuro! Stanno riunendo tutti ad Atlanta per proteggerci! >> disse.
<< Appunto per questo dobbiamo andarcene! >> insistette il ragazzo, anche lui già vestito nel suo abito nero medievale/fantasy, già pronto come gli altri ad andare alla fiera che mai si sarebbe tenuta.
<< Ma che dici? >> disse Alice cominciando a considerarlo pazzo.
<< Alice >> cominciò lui comprensivo, posandole una mano sulla spalla. Ma non terminò la frase, sovrastato da Manuele che comunicò, riflettendo ad alta voce << La peste del 48. >>
Alice si voltò a guardarlo e ancora una volta lo sguardo assorto, pensieroso, impaurito del suo amico le fece cadere ogni forma di resistenza. Vedere la realtà attraverso i suoi occhi era terrificante, perchè la più veritiera.
<< Esatto. I luoghi più affollati erano i più pericolosi. >> confermò Simone, prima di tornare a guardare Alice << Non so come si diffonda questo virus, ma sembra davvero che basti pochissimo per far scatenare tutto. Un solo morso e sei come loro, impegnato a inseguire e mangiare i tuoi compagni. >>
<< Ma... ma magari è solo una cosa passeggera! Magari basta tenerli isolati, poi passa e ritornano... >> e Simone la interruppe caricando la frase di un sarcasmo che infastidì non poco la ragazza << Normali? >> un sorriso gli scappò << No. No, Alice, loro non tornano. >>
<< Oh, andiamo è appena successo! Non possono già averla studiata, cosa ne sai? >>
<< Alice, sono morti!! >> disse alla fine spazientito Simone, prima di essere richiamato dai suoi compagni con un "forza, andiamo!".
<< Cosa? >> chiese la ragazza con un filo di voce.
<< La gente muore...e poi si rialza per uccidere anche gli altri. >> a parlare era stato Manuele, con lo stesso filo di voce << E' così che funziona. L'ho appena visto. >> in quel momento l'attenzione di tutti i presenti si centrò su di lui, imbarazzato, visibilmente traumatizzato, che tremante alzava gli occhi e spiegava con quel poco di voce che aveva << Il ristoratore, giù al piano di sotto si è... >> deglutì, trovando difficoltà ad andare avanti << Sono sceso e l'ho trovato appeso per il collo che ancora si dimenava. Poi ha smesso. E poi ha ripreso. Ha cercato di afferrarmi. >>
Alice guardò sconvolta Manuele, incredula che potesse essere successo davvero una cosa simile, sembrava impossibile, nemmeno lei nelle sue fiabe aveva mai immaginato una cosa tanto assurda. Ma stava succedendo davvero. Non ci credeva ancora, eppure il cuore le diceva che doveva smettere di combattere.
<< E' impossibile. >> sussurrò lei, non riuscendo ancora ad accettare la chiara realtà.
<< Dobbiamo andarcene di qua, prima che ci impediscano di farlo. Quando vedranno il panico scatenarsi, quando vedranno che le loro mura non sono abbastanza per proteggere la città, ci metteranno una specie di quarantena per contenerci e controllarci. >> esortò Simone afferrando Alice per un braccio e cominciando a trascinarla via.
<< Aspetta! Ma...le nostre cose? >> chiese lei opponendo la minima resistenza.
<< Non c'è tempo! Dobbiamo andare ora! >>
<< Ma dove? Dove andremo? >> chiese ancora lei, sull'orlo di una crisi di pianto. Era un incubo, tutto un terribile incubo, non poteva essere altrimenti!
<< Al porto! Gli aerei ormai non partono più, è inutile anche tentare. Andremo al porto, magari c'è qualche nave che ancora salpa. Torniamo a casa e ce ne andiamo di qua, è la cosa migliore. >> spiegò ancora Simone, camminando spedito, trascinandosi una ragazza che ancora puntava i piedi, non convinta.
<< Aspetta!! >> urlò ancora lei, scuotendosi e riuscendo a liberarsi.
<< Che c'è ora? >> chiese lui spazientito.
<< Micky! Non lo lascio qui! >> urlò in risposta, determinata, prima di correre via, ignorando i richiami dei due ragazzi. Arrivò velocemente in camera e si guardò attorno, colta da un'improvvisa fretta. Non era convinta ed era terrorizzata all'idea di correre fuori dall'unico punto di riferimento che avevano, andandosi a perdere in una terra che non conosceva neanche sulla cartina. Ma se i suoi amici se ne andavano, lei sarebbe andata con loro. Non voleva restare sola per nessuna ragione.
<< Micky, dove sei?! Dobbiamo andarcene! >> chiamò lei mentre correva al suo comodino e afferrava la sua borsa in tessuto rosso, morbida e comoda, cucitogli a mano da sua nonna. Aprì i cassetti e ci infilò dentro le prime cose che trovò, qualche fazzoletto, qualche mutanda, una bottiglia d'acqua e cianfrusaglie varie. Afferrò anche il suo biglietto di ritorno, con il suo posto prenotato che ora non sarebbe servito più, e tutti i soldi che si era portata dietro. Portafoglio e macchinetta già le aveva dentro, insieme alle chiavi di casa. Il minimo indispensabile.
<< Micky!! >> chiamò ancora, innervosendosi un po' per il fatto che il suo cagnolino dispettoso non rispondesse e chissà dove diavolo era andato a cacciarsi. Non aveva tempo da perdere!
Delle urla, seguito da uno sparo, proveniente dal piano di sotto la fecero sussultare. Era la prima volta che sentiva sparare, e quasi non se l'era fatta sotto.
Il ristoratore, si ricordò.
Rimase per qualche secondo schiacciata al muro dietro di sè, il cuore che correva all'impazzata, il fiato che mancava, e sentì improvvisamente tutta l'urgenza che tanto decantava Simone.
<< Dobbiamo andare. >> sussurrò a se stessa, cercando di darsi forza e sottolineando a se stessa quanto poco tempo avesse da perdere in cavolate.
<< Micky, dobbiamo andare! >> ripetè facendo due passi rapidi verso il bagno, unico posto dove poteva essersi rifugiata la piccola palla di pelo, visto che non la vedeva da nessuna parte. Spalancò la porta e il cuore le salì così in alto in gola da soffocarla e impedirle perfino di urlare.
Rimase paralizzata di fronte al mostro dagli occhi di ghiaccio, la bocca ricoperta di sangue, impegnata ad affondare i propri denti tra il pelo bianco insanguinato, arruffato, del suo piccolo compagno di viaggio. Lo zombie alzò gli occhi, sentendo una presenza al suo fianco, e guardò la ragazza immobile a un paio di metri da lui. Le rivolse quello che tanto sembrava una specie di ruggito e lasciò cadere il corpicino inerme a terra, prima di alzarsi e barcollare verso la sua nuova preda, che poco sembrava intenzionata a fuggire via.
<< Oh mio Dio. >> riuscì solo a sussurrare Alice, incapace di dire altro, incapace di respirare. Il petto si muoveva in avanti e indietro, dilatandosi come mai aveva fatto prima, ma l'aria non arrivava dove doveva.
<< Tu... cosa.... >> non sapeva neanche lei cosa stesse cercando di dire al suo ospite indesiderato, non sapeva neanche lei se essere più terrorizzata di fronte a una scena tanto cruda e macabra o disperata per la perdita del suo adorato Micky.
<< L'hai mangiato. >> disse con un filo di voce, guardando l'assalitore che non sembrava essersi saziato con ciò che il suo amico gli aveva offerto e voleva prendersi la portata principale. Ma questo Alice non riusciva a metterlo a fuoco. Era tutto così assurdo. Tutto così inverosimile. Non poteva essere reale. Micky non era morto davvero. Quel mostro non era vero.
Ora si sarebbe svegliata.
Certo. Micky l'avrebbe svegliata con un paio di leccate.
Una mano si serrò intorno al suo braccio, stringendola tanto da farle male, e la tirò via appena in tempo, prima che lo zombie potesse scaraventarsi su di lei.
Alice non vide chi l'aveva afferrata e non vide dove stava andando. Sentiva solo che veniva tirata e d'inerzia correva. Scappava da un incubo. Ma negli incubi non si scappa davvero. Negli incubi il tempo si ferma...e poi ci si sveglia.
Delle voci intorno a lei parlavano, ma erano ovattate, indecifrabili. Forse qualcuno la chiamava.
Forse qualcuno la stava svegliando.
Ma perchè non apriva gli occhi?
<< Alice! >>


<< Alice!!! >> una gioiosa voce melodiosa la costrinse ad alzare lo sguardo. Era esausta, la vista era annebbiata e si reggeva sulla sella a stento. Più volte quella notte era riuscita a non cadere solo grazie al sostegno delle graziose mani delicate dell'amica seduta dietro di lei. Carol.
Aveva creduto di non farcela. Aveva bisogno di dormire, riposare, mangiare e soprattutto controllarsi. Sentiva la mano sinistra umidiccia, ed era quasi certa di aver sentito Carol sussultare allarmata dicendo << Stai sanguinando! >> ma forse se l'era solo sognato.
Ma improvvisamente divenne tutto luminoso.
Aveva seguito alla lettera le istruzioni di Carol, seguendo l'unica strada che al momento le veniva alla mente, l'unico punto di riferimento che avevano ancora: l'interstatale, dove avevano lasciato i rifornimenti per Sophia. Non era sicura che lì avrebbero trovato gli altri, ma almeno ci sarebbe stato qualcosa da mangiare e da bere, e magari avrebbero potuto infilarsi in qualche macchina a riposare. Avevano proseguito tutta la notte, e quella meravigliosa voce, colma di gioia, le aveva fatto aprire gli occhi e guardare davanti a sè.
Erano arrivati.
Un nodo le si formò alla gola quando vide il gruppo dei suoi amici riuniti poco lontani da loro. Solo allora si rese conto che aveva temuto davvero di non rivederli. Aveva proseguito senza davvero avere un vero obiettivo, guidata solo dalla voce di Carol che dolcemente le supplicava di portarla in un posto sicuro. Ma nonostante il desiderio e la determinazione, non era stata davvero sicura di poterli ritrovare. La vita più volte le aveva portato via da sotto il naso la felicità appena concessa. Sembrava volesse giocare con lei.
Ma non quella volta.
Quella volta aveva vinto lei.
<< Oh mio Dio! >> si lasciò sfuggire in un sussurro, colta da un'improvvisa ondata di gioia, una felicità che per un secondo le diede vita nuova.
Scese velocemente da cavallo, lasciandolo all'ignoto, non preoccupandosi di tenerlo o di assicurarsi che il suo passeggero stesse bene. Scese e lo lasciò lì: qualcuno lo avrebbe ripreso. Poco importava al momento.
Fece qualche rapido passo in avanti prima di lasciarsi cadere a terra, inginocchiarsi e allargare le braccia, pronta ad accogliere la piccola scheggia dai capelli rossi e gli occhi pieni di lacrime. L'aveva chiamata col suo vero nome, ma era stata così felice di rivederla che aveva ignorato l'accaduto, senza nemmeno chiedersi come faceva a saperlo. La strinse forte a sè, affondando il viso tra i suoi morbidi capelli,e stringendo i suoi vestiti tra le dita, con rabbia e disperazione che andavano dissipandosi nel calore di quell'abbraccio.
<< Stai bene! >> pianse Ocean, un'affermazione rivolta a se stessa, per constatare che era vero ciò che vedeva e stringeva. Non stava sognando. La strinse ancora più forte, non preoccupandosi se le faceva male o meno, tanto la bambina era così presa a piangere e abbracciarla a sua volta che nemmeno ci faceva caso. Poi allontanò il suo viso dalla sua spalla e cercò con gli occhi quello di Molly, che trovò rigato di lacrime, ma illuminato da un sorriso splendente.
<< Stai bene. >> disse ancora Ocean scostandole una ciocca di capelli dagli occhi << Stai bene. >> pianse ancora, non trattenendosi, proprio come la tenera figura che ancora stringeva tra le dita e che annuiva ad ogni frase. Molly si lanciò di nuovo tra le sue braccia, e la strinse ancora. Ocean ricambiò il suo abbraccio disperato, prima di allentare un po' la presa, smettendo di stritolarla a sè, constatato ormai che stava bene ed era lì con lei. Alzò gli occhi verso gli altri componenti del gruppo e assistette commossa al loro ritrovo. Carol si fece il giro di tutti, abbracciandoli, piangendo, non risparmiando nessuno e nessuno si fece risparmiare. Sembrava fossero stati via da anni, era incredibile pensare che invece era passata solo esclusivamente una notte. Una terribile notte di fuoco.
Max scese da un auto, lentamente a causa della sua zampetta ancora dolorante, e abbaiò scodinzolando follemente. Ocean prese Molly in braccio, che ancora non sembrava decisa a mollarla, e si avvicinò velocemente al suo fedele compagno, altrettanto contento di rivederla. Si inchinò nuovamente e lo strinse a sè.
<< Max, amico mio! >> sussurrò commossa, accarezzandolo e strofinando il suo viso contro il lungo pelo ispido del suo collo e lasciando che lui la ricambiasse con qualche slinguazzata. Era così felice che mugolava e questo la riempiva ancora più di gioia. Improvvisamente una mano si posò sulla sua spalla, costringendola a voltarsi, richiamata, e incrociò il volto commosso e altrettanto in lacrime di Maggie. Ocean si alzò, raggiungendo la sua altezza, ma Maggie non aspettò che fosse completamente in piedi per stringere le sue braccia intorno al collo della ragazza.
Da quanto tempo non veniva abbracciata.
Non riuscì a trattenere altre lacrime. Davvero stava accadendo? In passato non ci avrebbe mai scommesso neanche un soldo. Aveva sempre pensato che sarebbe morta sola, e anche quando aveva incontrato il gruppo di Rick aveva sempre pensato la stessa cosa. Sentiva di non far parte di quella realtà, benchè le sarebbe piaciuto. Lei non era parte della famiglia.
Ma Maggie stava smentendo anche quella credenza, che andava ad accumularsi a tutte le altre che in quei giorni l'avevano finalmente lasciata in pace. Strinse i pugni e si sentì impotente di fronte al fiume di singhiozzi che uscirono dalla sua gola, senza darle neanche la possibilità di prepararsi con un preavviso.
Era sempre stata debole. Aveva sempre pianto in quei giorni, ma quella fu la prima volta che mostrò quella fragile umanità anche agli altri suoi compagni. Beth le si avvicinò, intenerita, e le posò una mano sul braccio, accarezzandola, facendole sentire la sua presenza e sperando di confortarla in qualche modo. Maggie la strinse ancora di più. Una coperta, calda e soffice, a curare le sue ferite e smettere di farla tremare intimorita dalle ombre della notte.
Da quanto tempo non veniva abbracciata.


<< Hanno preso Micky. >> continuò a singhiozzare la ragazza seduta a terra, raccolta in se stessa, in mezzo agli alberi, finalmente lontani da quella città che già cominciava a dare i primi segni di cedimento. Intorno a lei c'era qualcuno dei suoi compagni, alcuni con volti spazientiti, altri dispiaciuti. Manuele era l'unico inginocchiato a terra, con una mano poggiata sul suo braccio, che cercava di confortarla con delle carezze.
<< Lo hanno mangiato davanti ai miei occhi. In camera mia. >> spiegò ancora scossa dai singhiozzi. Nessuno dei presenti riusciva a proferire parola, a interrompere il suo dolore. Erano tutti spaventati, ma erano ancora lucidi il necessario a capire cosa andava fatto. Lei no. La disperazione l'aveva accecata. Si era lasciata cadere a terra, quando si era ripresa dal suo trance, quando aveva cominciato a capire e mettere a fuoco gli eventi, e lì era rimasta a piangere, costringendo tutti a fermarsi. Non voleva proseguire. Dove avevano intenzione di andare? Non conoscevano quel posto, non conoscevano nessuno. Erano lontani centinaia di chilometri da casa, come potevano sentirsi così tranquilli e sicuri? Perchè anche loro non cadevano nella sua stessa disperazione?
<< Cosa diavolo era? >> urlò alzando gli occhi, puntandoli verso l'unico che finora sembrava saperne più degli altri: Simone. Era stato lui, insieme a Lorenzo e Federico, a parlarne per primo, a ipotizzare che la cosa migliore fosse andarsene e a cercare di reclutare quanta più gente possibile. Era stato lui a guidarli fuori dalla città, aiutati da un cittadino che come lui aveva avuto la sua stessa trovata. Fuori appena in tempo, prima che i militari cominciassero a impedirlo, esasperati di fronte a tutto quel caos, così come era stato previsto.
<< Non lo sappiamo. >> cercò di rispondere Manuele con dolcezza.
<< Quelle cose...mangiano i vivi! Hanno mangiato Micky!! >> urlò ancora Alice, cominciando a far spazio alla rabbia, sfogando come poteva tutto quel terrore che si stava impossessando di lei.
<< Fai silenzio, Alice! >> l'ammonì Claudio.
<< Se urli li porterai qui! Seguono i rumori. >> informò Marta visibilmente innervosita da quel contrattempo così pericoloso.
<< Cosa? Cosa porterò qui? >> urlò ancora Alice << Cosa sono? >> chiese con più incisività.
<< Non ne abbiamo idea. >> rispose con altrettanta fermezza Manuele di fronte a lei, costringendola a guardarlo << Ne sappiamo quanto chiunque altro! E ciò basta. Ora devi alzarti e camminare. Dobbiamo andarcene da qui. >> Alice sembrò calmarsi un po', all'ordine così deciso del suo amico non potè che rispondere con la tranquillità che pretendeva. Non smise di piangere, ma smise di urlare e di provare rabbia.
<< Ma dove andremo? >> sussurrò lei con un filo di voce, facendo trapelare questa volta tutta la sua disperazione.
<< All'Oceano. >> rispose Simone, guardando verso una direzione ben precisa, probabilmente quella che avrebbero preso. Nessuno l'aveva nominato Capo-spedizione, ma non era stato necessario. Sembrava il più informato e il più sicuro, a differenza di tutti gli altri che neanche sapevano dove dirigere lo sguardo. Lo avrebbero seguito perchè lui aveva una strada da percorrere. Si voltò a guardare i suoi amici << Gli aerei non partono più, ed è inutile anche solo provarci. Penso che in qualche giorno di cammino dovremmo riuscire ad arrivarci, se proseguiamo dritto e non ci perdiamo. Lì ci sarà pure un porto. Troveremo una nave, un traghetto, una cazzo di zattera, qualsiasi cosa! >> si rivoltò a guardare nella direzione precedente << Torniamo a casa. >>


Una suonata di Clacson comunicò alla seconda macchina, davanti a lui, e a Daryl sulla sua moto a capo della fila, che qualcosa non andava e bisognava fermarsi. Dalla macchina che aveva suonato, l'ultima della coda, scese Rick, nervoso più che mai: glielo si leggeva nei movimenti. Si avvicinò a Daryl che gli chiese, intuendo, se era senza benzina.
<< Neanche un goccio. >> rispose Rick col tono più nervoso e scocciato che Ocean avesse mai sentito prima. Si avvicinò al resto del gruppo, trottando sulla sua Peggy, che fino a quel momento aveva pazientemente corso dietro alle macchine, a chiudere la fila, col compromesso che però loro non fossero andati troppo veloci, o l'avrebbero uccisa di fatica.
<< Vedi la fortuna di avere un mezzo che non va a benzina? >> disse distrattamente, senza la reale intenzione di comunicare.
<< Non ci stiamo tutti in un auto. >> disse Glenn, cercando il più velocemente una soluzione che non li costringesse a fermarsi.
<< Domani dobbiamo andare a cercare la benzina. >> comunicò Rick, facendo intuire quali fossero i suoi progetti per la serata.
<< E passare la notte qui? >> Carol esternò a voce i pensieri di tutti.
<< Sto gelando. >> piagnucolò Carl, stringendosi a se stesso e schiacciandosi con la schiena a sua madre, che cercò di rassicurarlo, per quel poco che era possibile, con un << Accenderemo un fuoco. >>
<< Non possiamo stare qui con i culi al vento. >> disse Maggie con tranquillità: la sua non era una richiesta. Suo padre l'ammonì e cercò di calmare gli animi che già si stavano scaldando con un << Niente panico. Date retta a Rick. >>
Da quando la sua fattoria era caduta sembrava diventato un'altra persona. Aveva messo completamente da parte i pregiudizi e gli asti, e si era completamente abbandonato alla fiducia per il loro Capo squadra. Non sapeva bene qual era stato il meccanismo, ma ora sentiva che Rick era la cosa più importante e fortunata che fosse mai capitata sulla sua (ormai non più) terra.
Rick cominciò a dare come suo solito direttive, a organizzare i turni di guardia e cercare di rendere sicuro quel posto desolato in mezzo al nulla, accerchiato dagli alberi che impedivano di vedere chi si stesse avvicinando. Era uno dei posti più pericolosi mai scelti per accamparsi, ma che alternativa avevano?
Per quanto Ocean si sentisse fortunata a non avere un mezzo a benzina, non era comunque libera di proseguire spedita per ore. Peggy era stanca, aveva bisogno di riposare, e quella pausa avrebbe fatto bene anche a lei. Le accarezzò il collo, sempre affettuosa verso chi più volte le aveva salvato il culo, e scese, liberandola di un peso. Non si era ancora ripresa, era stanca e dolorante, e la ferita alla spalla si era riaperta nella fuga dalla fattoria, per quel motivo si era sentita la mano umida. Aveva perso molto sangue e non era in gran forma. Per quel motivo dovette ancora una volta reprimere il suo desiderio di offrirsi per fare un giro e magari andare a cercare qualcosa di utile. Hershel le aveva sistemato alla ben e meglio la ferita, con quel poco trovato nelle auto intorno a loro, ma questo non le aveva concesso una sicura guarigione. Doveva stare attenta, o sarebbe morta senza bisogno che qualcuno la uccidesse.
<< Max e Peggy hanno un buon fiuto. Se qualcosa si avvicina se ne accorgerebbero. >> cercò di intervenire lei nelle rassicurazioni. Era sempre stata quella grande verità a salvarla per mesi e farla girare con relativa sicurezza, ma i suoi compagni non sembravano affidarsi invece tanto come lei. Forse perchè non si erano mai trovati nella situazione di dover scappare sentendo il cane ringhiare: non avevano prove. Poco importava. Ocean sapeva che era così, e ciò bastava.
<< Lo so che la situazione è brutta! >> rispose Rick alle continue obiezioni dei suoi compagni, che ancora non sembravano tranquilli e convinti << Tutto questo è stato un inferno ma almeno ci siamo ritrovati. Ormai non ci speravo più, ma ce l'abbiamo fatta! Stiamo insieme, adesso. Continuiamo così. >> fece una pausa, sforzandosi di mandar via le angoscie che schiacciavano la sua gola. Era responsabile di un intero gruppo, era lui che doveva pensare a salvarli e rassicurarli, e si sentiva impotente, ma questo non doveva trapelare. Loro si aggrappavano a lui, e lui doveva continuare a sostenerli, costasse quel che costasse.
<< Troveremo rifugio da qualche parte, ne sono convinto! >> concluse sperando di essere abbastanza convincente. Speranza vana. Glenn ribattè << Guardati attorno! Ci sono zombie dappertutto. >>
Ma Rick non si diede ancora per vinto << Ci dev'essere un posto che non sia solo un rifugio, ma che possiamo fortificare! Dobbiamo solo trovarlo. >>
<< Anche se lo trovassimo, non sapremo per quanto sarebbe sicuro. Guarda cos'è successo alla fattoria: ci siamo illusi che fosse sicura. >> a rispondere questa volta era stata Maggie.
<< Non faremo lo stesso errore di nuovo. >> l'ammonì suo padre.
<< Ok, sentite... >> intervenì Ocean << So che non ho voce in capitolo, nessuno ascolta mai la nuova arrivata, ma io credo (e dovreste crederlo anche voi) che quello che ora ci sta succedendo non è poi una così brutta situazione. >>
<< Stai scherzando, vero? >> disse Glenn cercando di trattenere una risata sarcastica, come se avesse appena sentito una barzelletta.
<< Il morire là! >> alzò la voce Ocean, puntando il dito in direzione della fattoria abbandonata << Sarebbe stata una brutta situazione. Il trovarci soli, ognuno per i fatti propri, sarebbe stata una brutta situazione. O rimanere bloccati dentro casa, senza aver possibilità di uscire neanche per andare a cercare da mangiare. >> guardò Glenn dritto negli occhi << Quelle sarebbero state brutte situazioni. Ma non questa. Siamo vivi, lontano dall'orda, e soprattutto insieme! >>
<< Si, ma non sai ancora per quanto! >> rispose a tono Glenn, ricambiando il suo sguardo deciso e facendo un passo in avanti verso di lei.
<< Basterà tenere gli occhi aperti e guardarci le spalle gli uni con gli altri. >> continuò a insistere Ocean << E Rick mi pare abbia dimostrato più volte di saper gestire la situazione, può farlo ancora. Basterà ascoltarlo. >>
<< No, non basterà, l'hai visto alla fattoria! >> disse ancora Glenn, scaldandosi decisamente troppo.
<< Alla fattoria eravate tutti dei buoni a nulla, aggrappati alla vostra convinzione che mai vi sarebbe successo niente e non guardavate più in là del vostro naso! >> anche Ocean stava cominciando ad alterarsi, incredula di fronte a una tale scena: erano ancora assieme. Non erano morti! E lui ancora non capiva che doveva solo ringraziare, e non buttare all'aria ogni speranza. Avevano una possibilità, e loro non la vedevano.
<< E dovremmo aggrapparci ora alla convinzione che andrà tutto bene? Ora che siamo sperduti in mezzo al nulla, circondati da chissà cosa che potrebbe attaccarci da un momento all'altro? >>
<< Non sto dicendo questo, dico solo che dovresti perlomeno ringraziare e tirar fuori le palle, finalmente, invece che buttarti per vinto e disperarti! Abbiamo ancora una possibilità! >>
<< Dove la vedi qui questa possibilità?! >> urlò Glenn, arrivando al culmine della sua rabbia.
<< Ok, ora basta! >> intervenì Rick, ponendosi nel mezzo tra loro due e fulminandoli entrambi, convincendoli con così poco a ritornare ai propri posti. Era pur sempre il leader.
Non aggiunse altro, non diede il suo punto di vista, o avrebbe alimentato il fuoco del litigio. Accantonò il tutto, e tornò a concentrarsi su quello che andava fatto, cominciando a mettere dentro la sua testa ogni pezzo al proprio posto.
<< Ci accamperemo laggiù, stanotte. E all'alba ci metteremo in cammino. >>
<< Credi sia la cosa giusta? >> chiese Carol a Daryl, forse cercando sostegno alla loro tesi del non fermarsi, o forse solo perchè continuava ad avere un occhio di riguardo nei suoi confronti e desiderava solo avere la sua opinione: poco le importava del resto del gruppo.
<< E se arrivassero degli zombie? O gente come gli amici di Randall? >> chiese Beth, per niente provocatoria, solo incredibilmente spaventata. Daryl si ricordò, a sentire la domanda, di un'informazione che doveva dare a Rick << Sai che ho trovato Randall. Era uno zombie e non era stato morso. >> Ocean aveva già detto la sua in proposito, ma le sue spiegazioni erano state così vane da non aver soddisfatto per niente la curiosità dei presenti. E poi loro avevano bisogno di sentirselo dire da chi di dovere, non dalla prima sconosciuta capitata in casa loro.
<< Cos'è successo? Dimmelo. >> disse Lori, ponendo la frase sotto forma di richiesta, ma il tono con cui l'aveva pronunciata faceva intuire che non lo era. Rick non parlò. E non li guardò. Non si aspettava di dover raccontare quell'episodio proprio in quel momento, ed era ancora tutto troppo vicino a lui, gli faceva ancora male.
<< Shane ha ucciso Randall come voleva fare dall'inizio. >> a parlare era stato Daryl, espondendo le sue conclusioni, e a giudicare dal silenzio di Rick sembrava aver indovinato.
<< E gli zombie l'hanno raggiunto? >> chiese Lori non capendo cosa in realtà fosse successo. Rick continuò a non rispondere, pensieroso, trovando la forza per poter dare la triste notizia. Si prese il suo tempo. E poi riuscì
<< Siamo tutti infetti. Qualsiasi cosa sia ci ha contagiati tutti. >>
<< E non ci hai detto niente? >> chiese Carol incredula.
<< Tu lo hai sempre saputo? >> gli fece eco Glenn, esprimendo la stessa incredulità e lo stesso rancore che pian piano, silenzioso, cresceva nei loro cuori. Era plausibile, non tanto perchè Rick avesse davvero sbagliato, ma perchè la tensione che si portavano dentro per gli eventi della giornata era troppa e per forza dovevano aggrapparsi a qualcosa per potersi liberare. Dovevano sfogare rabbia e delusione, ma avevano bisogno di un capro espiatorio.
<< Avrebbe fatto differenza? >> si giustificò Rick, giustificazione che alle orecchie di Ocean sembrava ok.
<< Non spetta a te deciderlo! Quando io ho scoperto gli zombie nel fienile l'ho detto! Per il bene di tutti! >> continuò Glenn, che tra tutti stava dimostrando di essere quello più alterato.
<< Ho pensato che fosse meglio che non lo sapeste. >> rispose Rick sfoggiando il suo sguardo più severo e duro. Si stava scatenando una specie di ribellione tra i suoi compagni e doveva spegnere le scintille da subito, prima che scoppiasse un incendio. Doveva far appello a tutta la sua forza e tutta la sua superiorità. Cosa che sembrò funzionare. Guardò i suoi compagni negli occhi, uno ad uno, continuando a trasmettere a ciascuno di loro la furia che si stava scatenando dentro lui. Dovevano stare al loro posto. Lui era quello carico di responsabilità, lui era quello a cui si erano appoggiati per salvarsi il culo, e ora dovevano solo stare zitti e continuare a fare quello che diceva. Visto che per così tanto tempo lo avevano caricato di responsabilità, ora era bene rispettassero i ruoli.
Lasciò il gruppo in silenzio, e si allontanò.

<< Cazzo! >> urlò Simone lanciando via un mattone raccolto da terra. Davanti a lui si apriva e si perdeva all'orizzonte il fiume Savannah che portava all'Oceano, spettacolo che aveva lasciato senza fiato Alice la prima volta che l'aveva visto, prima di arrivare d Atlanta, quando si erano concessi due giorni di vacanza a spasso per l'America.
<< No! >> urlò ancora sfogando la rabbia con gesti plateali, sbattendo i piedi e continuando a gesticolare. La furia si leggeva nei suoi occhi, e chi poteva negargliela? Erano arrivati a destinazione. Ci avevano messo più del dovuto, quasi due settimane erano passate da quando avevano lasciato Atlanta affogare nella sua melma. Erano stati costretti a deviare più volte, cercando di evitare i villaggi e le cittadine, cercando di restare sempre coperti dagli alberi. Al momento il pericolo si concentrava nelle città, pochi zombie avevano incontrato lungo la via tra i boschi e i campi, ed erano riusciti a cavarsela fuggendo via. Ma questo non era sempre bastato. L'acqua era finita in pochi giorni e il cibo aveva cominciato a far sentire veramente la sua mancanza. Erano stati costretti ad inoltrarsi nei villaggi qualche volta per cercare rifornimenti. Avevano sempre trovato il necessario, non tutto era stato ancora saccheggiato, e la fortuna li aveva portati a trovare anche il magazzino di un ferramenta dove avevano trovato le pietre e la mola necessarie ad affilare le loro spade. I ragazzi della compagnia d'arme se le erano portate saggiamente dietro, prevedendo che forse ce ne sarebbe stato bisogno. Purtroppo la fortuna non aveva sorriso sempre in quelle due settimane.
Susy era stata persa quasi subito, a Lithonia.
Poco dopo, nell'ombra della notte, dei mangiatori di carne avevano preso Nicola e Marta, durante una loro momentanea fuga amorosa tra gli alberi.
E per concludere Federico era stato morso il giorno prima del loro arrivo al porto di Savannah, il più importante della Georgia, edificato proprio lì sull'omonimo fiume. Si trascinava in giro, dolorante e affaticato, ma reggeva e Simone era intenzionato a riportarlo a casa ad ogni costo.
Ma al tempo non sapevano ancora cosa poteva fare un morso.
E ora erano lì, davanti all'immensa distesa d'acqua, circondati da casolari e container.
Tutto assolutamente abbandonato.
Non c'era più nessuno nei paraggi se non qualche zombie che vagava solitario sul ponte dell'unica nave rimasta. E loro certo non avevano idea di come si guidasse una nave, nè tanto meno avevano il coraggio di salire e affrontare chissà quanti zombie col rischio di rimanerci tutti secchi.
Federico ebbe un cedimento e quasi non rischiò di cadere a terra se non fosse intervenuta subito Alice a sorreggerlo. Lo guardò preoccupata: era pallido, bollente e respirava a fatica.
Simone cominciò a fare avanti e indietro, camminando nervosamente, torturandosi i capelli con una mano, continuando a bofonchiare bestemmie e ringhiare come una bestia. Erano due settimane che giravano per quella terra, senza niente, tre dei suoi amici erano morti sotto i loro occhi e questo lo aveva completamente distrutto. Stava cominciando a perdere la testa, a non farcela più. Era arrivato al porto appoggiandosi a quell'ultima disperata via d'uscita, e ora anche quella non c'era più.
<< C'è uno Yacht la'. Magari riusciamo a farlo funzionare. >> provò a intervenire Gabriele.
<< Come cazzo pretendi di attraversare l'oceano con uno Yacht! Ci bloccheremmo in mezzo al nulla senza benzina. >> urlò Simone, ormai allo stremo, attaccandolo e dimenticandosi per un attimo che erano tutti sulla stessa barca.
<< Magari con dei remi, o delle vele, riusciamo a... >> provò a supporre sempre Gabriele, alla disperata ricerca di un modo per andarsene, ma credendoci ben poco anche lui.
<< Remi o vele? >> chiese incredulo Simone. Nei suoi occhi si poteva leggere la furia di un orso. Si avvicinò all'amico a grandi passi, minaccioso, serrando i pugni e cominciando a urlare << Remi o vele? Mi prendi per il culo?! >>
<< Stai calmo amico, stavo solo cercando di aiutarti. >> rispose Gabriele infastidito per il tono con cui si era rivolto Simone a lui.
<< Metti le ali, se vuoi veramente aiutarmi e portaci lontano da quest'inferno! >> gridò ancora allargando le braccia a indicare tutto quello che li circondava.
<< Datti una calmata, ok! >> urlò Gabriele incazzandosi veramente. Era fuori di testa, non riusciva più nemmeno a distinguere i nemici dagli amici. Simone fece un paio di respiri profondi, bofonchiando incredulo << Io devo calmarmi? >> e annuendo nervosamente si voltò a guardare la distesa d'acqua dietro di lui. Fece un altro paio di respiri profondi, ma non riuscì a trovare la pace necessaria. Era accecato dalla rabbia, anche se Gabriele certo non ne aveva colpa, e seguì l'istinto quando si voltò di scatto e gli diede un cazzotto in faccia. Tutti i presenti lanciarono delle urla, spaventati e sorpresi, Gabriele di suo invece, datosi il tempo per capire cosa fosse successo, si ricompose subito e rispose al colpo.
<< Ehi, no! >> urlò Mario, il più grande della compagnia, e si avvicinò subito ai suoi amici cercando di fermare l'inevitabile rissa che si stava scatenando. Bloccò Simone, mentre Caludio, raggiunti gli amici, si piazzò davanti a Gabriele, impedendo ai due di incontrarsi.
<< Basta, calmatevi! >> urlarono all'unisono Mario e Claudio.
<< Tu hai qualcosa che non va, Simone! Datti una regolata! >> gli urlò Gabriele dalla spalla del suo amico.
<< Io vi ho portati fin qui! Io vi ho portati fin qui! >> continuava a urlare Simone, accecato dalla rabbia di fronte alla dura verità: giorni interi di cammino, fame, sete e fatica, tre morti e un ferito, per arrivare assolutamente al nulla! Lui aveva costretto i suoi amici ad andare avanti, era colpa sua se erano in quelle condizioni e se alcuni di loro erano morti. Era tutta una sua responsabilità. Lui li aveva spronati a camminare anche quando chiedevano di riposare. Dovevano raggiungere l'oceano, era il suo unico pensiero, la sua unica ossessione.
Ed era stato tutto inutile.
<< Basta, smettetela! >> urlò Alice, sperando di riuscire a calmarli almeno un po', ma non venne ascoltata. Federico appoggiata a lei tossì sangue e si accasciò a terra, tirandosi la sua amica dietro, non riuscendo più a sorreggerlo. Simone e Gabriele continuavano a urlarsi addosso, facendo un baccano per niente produttivo. Molti degli zombie che vagavano intorno a loro li sentirono e cominciarono ad avvicinarsi, anche se lentamente.
Manuele si guardò attorno, capendo la gravità della situazione. Corse vicino ai due e cercò di tenere il tono basso << Ora, basta, dobbiamo andarcene! >> disse, senza essere veramente ascoltato. I continui << Smettetela >> furono inutili. E Federico nel frattempo continuava a tossire, tremando, e cercare aria per i polmoni, sentendo lo sforzo inutile.
<< Federico sta male! >> urlò Alice, esasperata, colta dal panico nel vedere il ragazzo poggiato a lei ridursi in quelle condizioni.
<< Federico sta male! >> urlò ancora più forte, e incredibilmente riuscì ad avere l'attenzione dei suoi compagni. Corsero tutti e cinque dal ragazzo a terra, incapace di tenersi in piedi. E finalmente sentirono anche i versi gutturali del pericolo che si avvicinava.
<< Dobbiamo andarcene di qui. >> ribadì Manuele, facendo trapelare il panico dalla sua voce. Alice cominciò a piangere, disperata, non sapendo che fare per aiutare l'amico che sembrava non volesse smettere di tossire. Gli accarezzava la schiena e tentava di sorreggerlo, ma tutto sembrava inutile.
<< Andatevene. >> riuscì a un certo punto a dire Federico tra i colpi di tosse.
<< Scordatelo, non ti lascio qui amico. >> disse Simone che sembrava momentaneamente tornato in sè. Sfoderò la sua spada, ormai affilata a dovere, si avvicinò velocemente al primo zombie e con decisione gli aprì un profondo solco nel cranio, uccidendolo.
<< Ho visto delle auto abbandonate qui fuori, forse riusciamo a prenderne un paio. >> propose Luca.
<< Meglio che continuare a camminare. >> asserì Mario sollevando Federico di peso, e con l'aiuto dei suoi amici se lo caricò in spalla, pronto a correre via. Simone ne uccise altri tre, trovando il modo di sfogare tutta quella rabbia accumulata, e si allontanò solo quando i suoi amici lo richiamarono, ormai lontani.
<< Andrà tutto bene, Fede. Vedrai. Ora andiamo a cercare un dottore. Ti rimetterai. >> sussurrò Mario all'amico che sentì abbandonarsi sulle sue spalle, scosso ancora solo da qualche altro colpo di tosse.

La notte era calata già da un po'. T-Dog era in cima a una roccia, a montare la guardia. Gli altri sotto erano raccolti intorno al fuoco, infreddoliti, mentre Daryl ostinatamente continuava a portare legnetti per alimentarlo ed impedirgli di spegnersi. Avevano bisogno di calore e di luce. Il silenzio regnava, tutti immersi nella propria tragedia, chiedendosi dove sarebbero andati, cosa avrebbero fatto ora che tutto sembrava perduto. Ora che niente era più al proprio posto.
<< Non siamo al sicuro con lui. >> sussurrò Carol a Daryl, chino vicino a lei, intento ad alimentare la fiamma. Lo guardò, cercando nei suoi occhi complicità, poi si voltò a guardare Ocean, seduta dall'altro lato. Molly si era addormentata con la testa sulle sue ginocchia, e le mani della ragazza continuavano ad intrecciarsi tra i suoi rossi capelli che pian piano andavano rovinandosi, increspandosi, perdendo la loro morbidezza.
<< Nasconderci una cosa simile. >> continuò Carol, prima di tornare a guardare Daryl << Tu non hai bisogno di lui, ti farà fare una brutta fine! >> insistette, continuando a sputar sentenze, ma continuando a non avere appoggio dai suoi due amici. Daryl a malapena la guardava, e Ocean faceva finta di non sentirla. Le voleva bene, ma sosteneva Rick, e si era ripromessa che mai lo avrebbe tradito. Lui, il suo gruppo, la sua bontà l'avevano tenuta in vita e lei era in debito. Sarebbe stato un braccio in più per lui, non appena si sarebbe ripresa.
<< No, si è comportato bene con me. >> rispose Daryl con tranquillità.
<< Sei il suo scagnozzo, lo capisci? >> insistette lei << E io sono solo un peso. Meriti di meglio. >> disse prima di abbassare lo sguardo, un po' imbarazzata per tutti quei sentimenti espressi in una sola frase.
Daryl la fissò qualche secondo, studiandola, prima di chiederle un po' stizzito << Che cosa vuoi? >>
<< Un uomo d'onore! >> rispose Carol decisa, caricando la sua frase di significato.
<< Rick lo è. >> concluse Daryl, riuscendo a zittire la donna e la carica di stupidate che sembrava stesse dicendo. Solo perchè aveva nascosto loro un'informazione di relativa utilità ora lo trattavano come un criminale, dimenticando che era solo grazie a lui se erano ancora vivi. La cosa faceva salire il nervoso a Ocean, ma si concentrò solo sulla bambina che aveva sulle ginocchia, evitando di dar sfogo al suo desiderio di urlare "Siete tutti degli imbecilli!".
Daryl, finito di alimentare il fuoco, si alzò, aggirò Carol e si avvicinò a Ocean << Devi riposare. >> le disse, lasciando da parte il discorso appena affrontato con Carol.
<< Non vuole stare da sola. >> informò lei guardando la bimba che nonostante il sonno stringeva i vestiti della sua protrettrice tra le dita. Il suo tono era stato lo stesso che avrebbe potuto usare una madre col figlio, tanto dolce da far cadere tutto il resto in secondo piano. << E' spaventata. >> informò ancora.
Daryl guardò la piccola coperta dal mantello di Ocean, decisamente più caldo del suo piccolo cappottino, e rannicchiata col viso nascosto tra i vestiti della ragazza. Sospirò, si chinò e provò a infilare una mano sotto Molly, cominciando a sollevarla e tirarla via delicatamente << Lascia, ci penso io. Tu stenditi e prova a riposare. >> Ocean apprezzò il gesto carino dell'uomo e lasciò che raccogliesse la bimba, aiutandolo per evitare che si svegliasse. Daryl si lasciò cadere lì dov'era, mettendosi a sedere e delicatamente si portò la bambina in braccio, facendola stendere sulle sue gambe e tenendole la testa con il braccio. Molly si agitò un po' nel sentirsi sballottolare da una parte all'altra, ma non appena sistemata in braccio a Daryl si rilassò di nuovo tornando a dormire tranquilla. Ocean posò il suo mantello sopra di lei per tenerla al caldo, poi lì dov'era, desiderosa di restare almeno vicino al fuoco, si stese a terra e cercò di trovare pace e riposo. Ma non ebbe modo di dormire come desiderava e come Daryl gentilmente le aveva concesso. Un rumore di rami e foglie spezzate fece scattare tutti in piedi.
<< Che cosa è stato? >> chiese Beth, guardando nella direzione di provenienza del rumore.
<< Potrebbe essere di tutto. Un procione, un oppossum... >> cominciò Daryl, guardando anche lui in quella direzione, ma senza muoversi troppo. Solo avvicinandosi la balestra, pronto a usarla nel caso ci fosse stato bisogno.
<< Uno zombie. >> intervenne Hershel, interrompendo lo sproloquio di supposizioni del ragazzo. Ocean si tirò su, mettendosi in ginocchio e prendendo tra le mani la sua spada: forma di precauzione.
<< Dobbiamo andarcene di qua! >> piagnucolò Lori, troppo tesa e impaurita per ragionare freddamente.
<< L'ultima cosa che ci serve e metterci a correre nell'oscurità! >> comunicò Rick, guardando i suoi compagni, tutti in piedi a fissare il buio aspettandosi di veder uscire chissà cosa << Non abbiamo veicoli e non possiamo andare a piedi. >> la durezza di Rick quel giorno era palpabile a pelle, qualsiasi cosa dicesse risuanava come una minaccia e metteva paura, ma come biasimarlo dopo tutto quello che era successo?
<< Niente panico. >> disse Hershel, sostenendo Rick sempre e comunque.
Maggie si guardò attorno, sicuramente andando contro il suggerimento di suo padre, e, impugnando il suo fucile disse infine << Io non starò qui ad aspettare il passaggio di un'altra mandria di zombie! Dobbiamo muoverci subito! >>.
<< Nessuno va da nessuna parte! >> la zittì bruscamente Rick fulminandola.
<< Fa' qualcosa! >> lo incitò Carol, spaventata e agitata.
<< Sto facendo qualcosa!!! >> rispose Rick soffocando la voce che voleva uscire con rabbia, stufo delle accuse e delle critiche << Sto tenendo questo gruppo unito! E in vita! Lo sto facendo fin dall'inizio e ad ogni costo! Non l'ho voluto io questo! Ho ucciso il mio migliore amico per voi, per l'amor di Dio!! >> confessò alla fine, facendo sobbalzare molti cuori, risuonando in quel piccolo accampamento più che i respiri agitati. Ocean abbassò gli occhi, sospirando affranta, e negò debolmente con la testa. Sentiva era successo qualcosa di strano tra quei due quando non c'erano la sera prima, sentiva che non c'era da fidarsi di Shane, e ora ne aveva avuto la prova concreta. Nessuno riuscì a esprimere a parole l'incredulità e il disgusto che quella notizia aveva portato con sè, ma Rick lo lesse nei loro occhi e continuò a dar martellate all'incudine, giustificandosi e proseguendo a raccontare << Avete visto quello che faceva, come mi provocava, come ci ha compromessi tutti... e come ci ha minacciati. Si è inventato la storia di Randall, mi ha attirato per potermi sparare alle spalle, non mi ha dato altra scelta! Era il mio migliore amico, ma mi ha attaccato! >> gli sguardi accusatori continuarono a colpirlo, senza sosta, nonostante le continue spiegazioni di Rick. Carl cominciò a piangere e abbracciò sua madre.
<< Le mie mani sono pulite. >> concluse Rick, non cedendo ancora, continuando ancora a sostenere la sua innocenza e la sua non responsabilità in quello che era successo. I membri del gruppo, visibilmente contrariati, cominciarono ad abbassare gli occhi, voltando lo sguardo, negandogli perfino quello, come se non li meritasse.
<< Magari stareste molto meglio senza di me. Andate pure. >> li provocò Rick << Io dico che c'è un altro posto sicuro ma magari è solo un'altra illusione, magari ci sto sperando invano. Perchè non ve ne andate per i fatti vostri, adesso? Mandatemi una cartolina. Andate, quella è la porta. >> continuò a provocare. Sapeva che in realtà nessuno se ne sarebbe andato: loro avevano bisogno di lui, dovevano solo capirlo. << Potete fare di meglio? Vediamo quanto andate lontano. >> i membri del gruppo si guardarono tutti negli occhi, cercando tra loro una risposta, cercando tra loro la verità, forse anche il coraggio di fare come gli era stato suggerito e sfogare le proprie gambe in una fuga senza tregua. Ma nessuno si mosse. Nessuno parlò.
<< Nessuno? >> chiese Rick, per niente sorpreso. << Bene, ma mettiamo le cose in chiaro: se restate...questa non sarà più una democrazia. >> e finalmente riuscì a zittire tutte quelle voci, tutte quelle accuse, finalmente riuscì a farli smettere. Loro con la loro presunzione e il loro credere di sapere cosa fare e come farlo meglio. Tutti presi a giudicare, tutti colpevolizzando il proprio capro espiatorio, ma nessuno in grado di rinunciare a una forza come la sua. Sapevano che Rick era la loro unica speranza. Non volevano lasciarla.


La pioggia cadeva incessante da giorni ormai. Le due macchine trovate al porto erano durate per un paio d'ore, ma erano già da un po' entrate in riserva e presto li abbandonarono al loro destino. Non avevano la più pallida idea di dove andare a cercare la benzina, non sapevano dov'erano i distributori e anche fosse erano certi che li avrebbero trovati deserti e ormai secchi. Avevano provato a proseguire a piedi, diretti di nuovo verso Atlanta, aggrappandosi all'unica speranza rimasta: se mai qualcuno fosse arrivato per salvarli, sicuramente si sarebbe diretto alla capitale. Dovevano restare nei paraggi, farsi trovare quando ci sarebbe stato bisogno. Ma pochi metri erano riusciti a fare con Federico, prima che esalasse l'ultimo respiro. I pianti e i richiami erano stati inutili, i suoi occhi non si erano riaperti...fino a quando non aveva tentato di mordere Alice, china sul suo petto in lacrime. Manuele l'aveva tirata indietro appena in tempo, e Mario con un colpo secco alla testa aveva dato fine alle sue sofferenze. Erano rimasti qualche ora lì fermi, sconvolti, persi nel loro vuoto, caduti ancora di fronte alla verità, pregando in un risveglio. Non poteva essere vero.
<< Si sarebbe laureato a breve. >> singhiozzò Alice. Tra tutti era quella che meno accettava quella situazione. Il suo cuore, sempre delicato, gioioso, si muoveva come un fiore smosso dal vento, profumo emanava, sorrisi regalava. Quella tempesta stava distruggendo i suoi petali prima di ogni cosa.
<< Lui... >> singhiozzava tanto che non riusciva neanche a parlare << Lui...era buono. Sorrideva sempre a chiunque. >>
<< Era quello che cedeva il proprio panino dicendo di non avere fame, solo perchè qualcuno di noi l'aveva dimenticato. >> disse Mario con voce roca, il capo chino, schiacciato sotto il peso di tutta quella fatica, intento a raccogliere i propri pezzi che andava perdendo ad ogni passo. Quella terra li stava divorando tutti.
<< Andiamo. >> aveva detto Simone, basso e deciso, dimostrandosi ancorauna volta il muro portante di quella struttura che sempre più traballava scossa da un interminabile terremoto.
La pioggia cadeva incessante da giorni, ormai.
Piangeva il cielo, segreto spettatore di una tragedia senza fine. E ancora piangeva quando il gruppo giunse a quella fattoria abbandonata, fradici, infreddoliti e affamati. Non erano arrivati a destinazione, ma la strada era ancora breve, avrebbero potuto proseguire in un secondo momento. Ora era necessario trovare cibo e calore. Claudio fu il primo ad avanzare, avido, verso il tesoro appena scoperto. Simone subito dietro di lui, seguito a sua volta dal resto del gruppo, cuccioli senza branco nè dimora. Entrarono, spaventati, con cautela, tremando al sentir gli scricchiolii dei fantasmi. Gabriele e Simone davanti, armati, tesi, pronti a difendersi. Dietro di loro Claudio e Mario, Luca e Lorenzo, e infine Manuele sempre di fianco alla sua cara amica, che più di tutti aveva bisogno di sicurezza e protezione.
Uno zombie sbucò dalla sala da pranzo e Alice, spaventata, benchè si trovasse indietro, lanciò un urlo e d'istinto si corpì il viso. Simone lo atterrò e proseguì. Dal piano di sopra provennero altri rumori: altri ospiti. Sempre lui, senza chiedere l'aiuto di nessuno, sicuro nei suoi movimenti, salì velocemente le scale e corse ad affrontare la minaccia. I rumori di una battaglia vennero dall'alto. Poi tutto cessò.
La pioggia terminò.
<< Siamo al sicuro ora. >>


La bambina piantò i piedi a terra. Strattonò la mano, liberandosi dalla presa che aveva su di essa. Le braccia tese lungo il corpo. Lo sguardo severo rivolto a terra.
<< Molly, che succede? >> chiese Ocean preoccupata, fermandosi e tornando subito indietro, inginocchiandosi davanti a lei per cercare di leggere le risposte nei suoi occhi. Stavano marciando da un po', lungo un sentiero sterrato, in cerca della piccola casupola abbandonata che era stata avvistata quello stesso pomeriggio. Avevano lasciato le auto alla strada, seppur nascoste, e stavano proseguendo a piedi. Non sarebbe stato il rifugio definitivo, era diroccato, a sentire i resoconti di Daryl, ma per quella notte avrebbe dato loro un tetto e forse un po' di cibo.
<< Sono stanca! >> lamentò la bambina, nervosa e agitata << Ho fame e ho paura! >>
Il resto del gruppo, davanti a loro, si fermò e si voltò a guardare la piccola che stava rallentando la loro marcia. Agitati, desiderosi di arrivare a destinazione quanto prima, ma senza riuscire a trattenere il dispiacere. Erano tutti in quelle condizioni, non solo la piccola rossa. Lei era solo lo specchio che rifletteva il loro cuore. E faceva paura. Era così triste.
Daryl fece retromarcia e si avvicinò alle due. Senza dire una parola si fece scivolare la balestra dalla spalla e la porse a Ocean, che la prese, curiosa, non capendo le intenzioni del suo compagno.
<< Vieni. >> disse lui chinandosi e prendendo in braccio Molly, che non si ribellò alle braccia che la sollevarono da terra, anzi vi si aggrappò con tutta la disperazione che aveva.
<< Ho fame. >> piagnucolò, senza rabbia questa volta, una volta poggiato il viso sulla spalla dell'uomo.
<< Lo so. Anche io. >> rispose lui dolcemente, mostrando comprensione, stringendo la piccola a sè. Si voltò nuovamente e riprese il cammino da dove l'aveva interrotto, affiancato da Ocean che si sistemò la sua balestra in spalla. Il gruppo riprese la marcia, continuando a non proferire parola, tutti feriti e stravolti da quell'infinita rincorsa a una sopravvivenza che sembrava non gli spettasse.
Arrivarono al casolare e Rick, Glenn, T-Dog, Ocean e Carl furono i primi a correre verso l'entrata, armati, pronti a ripulire la casa se ce ne sarebbe stato bisogno.
Fecero come al solito un ottimo lavoro, assicurando un luogo sicuro per il gruppo, almeno per quella notte, e serrate bene finestre e porte, si sistemarono tutti nella sala centrare, incapaci di stare separati gli uni dagli altri. La solitudine faceva troppa paura.
Ocean si diresse subito verso la cucina e cominciò a rovistare tra le cose che erano rimaste: assolutamente niente, se non un paio di scatolette di tonno, infilate dietro la dispensa, probabilmente rimaste lì perchè cadute e invisibili agli occhi dei saccheggiatori. Tornò in sala, lenta e con i suoi soliti passi pesanti, affranta, stanca, ma non per questo meno ferma sui suoi piedi. Si era un po' ripresa in quei giorni, le ferite avevano smesso di far male e stavano cicatrizzando, e anche se la mancanza di cibo non aiutava la sua guarigione, era comunque tornata a un livello di autonomia e forza sufficente a dare una mano. Si avvicinò a Lori e lanciò a lei una scatoletta, poi si diresse da Daryl, che ancora teneva Molly tra le braccia, decisa a non volerlo lasciar andare, e diede a lui l'altra << Dille di lasciarne metà per Carl. >> disse prima di lasciarsi cadere a terra pesantemente, stanca. Lo stomaco brontolava rumorosamente, e non solo il suo, ma sapeva bene che se tra di loro c'era qualcuno che aveva più bisogno di mangiare erano i bambini e Lori che era incinta.
<< Non ho fame! Tienila tu. >> disse Carl, sempre altruista, anche se spesso sconsiderato nei suoi gesti, spinto troppo dalla sua voglia di farsi valere e di fare il grande.
<< Possiamo dividerla! >> disse Lori guardando preoccupata i suoi compagni.
<< Sarebbe un assaggio per ciascuno e basta. Ci farebbe solo venire ancora più fame. >> disse Ocean col tono quasi offeso, nascondendo in realtà il suo reale intento di lasciare che fosse lei a godere del piccolo tesoro trovato.
<< Pensa al bambino. >> le rammentò Carol, sorridendo complice, cercando di rassicurarla e convincerla a seguire il consiglio della ragazza. Lori guardò i suoi compagni, sentendosi in colpa, ma capendo anche lei che era la cosa migliore da fare. Daryl aprì la scatoletta per Molly e lei ci infilò subito le dita dentro, cercando di prendere quanto più tonno possibile e portarselo alla bocca, avida e affamata.
<< Lasciala anche a Carl. >> ripetè Ocean autoritaria.
<< No, tienila. >> ripetè Carl.
<< Carl! >> l'ammonì suo padre << Mangia. >> il ragazzino provò ancora a ribellarsi, ma Rick non volle sentire ragioni, e alla fine lo convinse a dare due bocconi a ciò che avevano trovato.
<< Domani andrò a caccia. >> comunicò Daryl << Troveremo qualcosa di più sostanzioso. >> continuò cercando di infondere speranza, ma senza riuscirci appieno. Le pancie rumorose impedivano alla sua voce di arrivare dove di dovere. Molly si sistemò nuovamente tra le sue braccia, si sentiva al sicuro lì, ed era sempre caldo, la faceva stare bene. Daryl la lasciò fare e cercò di assecondarla nella sua ricerca di comodità. Erano mesi che andava avanti così, aveva trovato in lui un grande punto di riferimento, e lui non aveva disprezzato di esserlo. Il cuore gli urlava di stringerla e proteggerla, e lui l'avrebbe fatto.
<< Questa è casa nostra? >> chiese Molly una volta che si fu sistemata, con gli occhi già chiusi, pronta per crollare nel mondo dei sogni. Daryl non riuscì a rispondere subito, ma si costrinse a farlo, benchè non ne avesse le forze, anticipando la voce da un gesto di negazione della testa.
<< No, non lo è. >>
<< E dov'è casa nostra? >> chiese ancora la bambina, con la voce già ovattata dal sonno che stava prendendo velocemente possesso di lei.
<< E' qui vicino. Presto la troveremo. >> a rispondere quella volta era stato Rick, ancora determinato nella sua missione, mosso da compassione verso l'ingenua domanda di Molly.
I profondi respiri ritmati di Molly comunicarono la sua entrata nella pace del sonno, e per qualche secondo fu l'unico rumore udibile all'interno della stanza. Poi, sorprendentemente, parlò ancora, determinata a dire la sua, ma ancora più sorprendente fu ciò che disse << Sarà bellissima, vedrai, Daddy. >>
Tutti avevano sentito la stessa cosa, non potevano essersi sbagliati. Forse confusa dal sonno, forse già in preda a qualche sogno, Molly aveva veramente chiamato Daryl "Daddy". Probabilmente era semplicemente stato un errore di incespicamento di lingua, una R di Daryl trasformata per sbaglio di D, forse a causa del sonno. Ma era veramente andata così. Molly lo aveva chiamato Daddy. E questo aveva lasciato tutti sospesi, sentendo di nuovo battere un cuore che in molti si erano dimenticati di avere. Sussulti. Un piccolo arcobaleno, sbucato, e velocemente sparito.
<< Molly. >> sussurrò Daryl imbarazzato. Aveva cominciato a tremare e neanche se n'era reso conto << Io non sono tuo padre. >> le disse sentendosi in dovere di correggere quell'errore, riportandolo sulla sua strada, evidenziandolo per quello che era veramente: solo e semplicemente un errore. Niente di più. Come le volte che i bambini in prima elementare chiamano "Mamma" la Maestra.
Molly sorrise nel sonno, un sorriso divertito, forse credendo di aver sentito qualche sciocchezza.
<< Lo so. >> e con quelle ultime parole confuse in un sospiro crollò definitivamente nel sonno.


Angolino dell'autrice

Allooora...inizialmente era tutto un unico capitolo, ma visto l'immensità a cui stavo andando incontro, ho deciso di dividerlo in due :) ma tranquilli, laseconda parte è già quasi conclusa, quindi tempo un paio di giorni massimo e arriva.
Chiedo scusa se ci ho messo così tanto, spero di non avervi fatto arrabbiare T__T
Spero il capitolo vi piaccia, è ora di spiegare per filo e per segno la Genesi (ecco perchè quel titolo) di Ocean. E un po' di cose verranno chiarite.
Ah, volevo fare una piccola osservazione riguardo all'ultima parte, quando Molly chiama "Daddy" Daryl. Ho preferito lasciarlo "nell'originale" inglese perchè il "papy" italiano non avrebbe reso il gioco di parole :P Infatti, come si può notare, il salto che va da "Daryl" e "Daddy" è davvero molto piccolo. Basta cambiare un paio di lettere, e per una bambina mezza addormentata e un paio di traumi alle spalle è facile che possa essere caduta in questo piccolo inghippo.
Vabbè, detto ciòòòò....ho cambiato tutti i titoli dei capitoli! XD Mi sono decisa che "capitolo 1, 2, 3 ecc" erano noiosi.
Eeee basta. Nient'altro :)
Byeeeee

Ray.

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Capitolo 19
*** Genesi. (Parte 2) ***


Genesi (Parte 2)

<< Tra poco è Natale. >> sussurrò Alice, malinconica, guardando fuori dalla grande finestra della sala. Seduta lì, rilassata, con un libro in mano, trovato tra gli scaffali di una camera di sopra, ma senza leggerlo veramente.
Manuele, seduto per terra, la schiena poggiata al divano dietro, gli occhi chiusi in un apparente riposo, sorrise a quell'affermazione.
<< Le luci infinite lungo il vialone che portava al centro. >> sussurrò in risposta all'amica, senza aprire gli occhi. Alice si voltò a guardarlo e sorrise a sua volta << Le infinite canzoni di Natale dentro ogni singolo negozio. >>
<< Sempre le solite. >> ridacchiò l'amico.
<< Già che noia. >> rise Alice, prima di alzare la testa, alla ricerca di chissà quale pensiero stampato sul soffitto << L'albero all'angolo della stanza, sempre pieno di regali. Te li ricordi? >>
<< Erano quasi tutti per Andrea. >> scoppiò a ridere Manuele, seguito subito dalla sua amica.
<< E la cena? Tua madre e mia madre erano inarrestabili, si piazzavano in cucina e lì restavano tutta la sera continuando a riempire la tavola di ogni cosa. >> proseguì la ragazza, persa nei suoi ricordi.
<< Mamma mia, quante volte sono stato male!! >> rise ancora Manuele aprendo gli occhi e voltandosi a cercare quelli di Alice. Ma una volta trovati, non si scatenò la complicità che credevano. Trovati, si resero conto che quello che stavano facendo era solo ed esclusivamente ricordare. E questo li riempì di tristezza. Mai avrebbero rivisto i regali, l'albero, la tavola imbandita e le luci sul vialone.
<< A casa mia si mangiava sempre l'agnello a Natale! >> intervenne Claudio entrando nella stanza con una carica di legna per il camino, che li avrebbe tenuti caldi anche quella sera.
<< Ma quello non si mangia a pasqua? >> chiese Alice sull'orlo di un'altra risata, trovata strana la notizia del suo amico.
<< Sì, ma chi glielo diceva a mia nonna?! Era lei a decidere il menù! Povera donna, ormai non riusciva manco più a distinguere il sale dallo zucchero. >> disse lasciando cadere la catasta di legna a terra. Alice rise alla sua rivelazione, seguita subito da Manuele, entrambi divertiti dalle disgrazie altrui. Ma le loro risate furono immediatamente interrotte da un forte rumore proveniente dal cortile fuori. Tutti e tre corsero alla finestra e guardarono all'esterno della casa, che ormai avevano fatta propria. Delle auto blindate erano arrivate veloci e avevano frenato solo quando ormai si erano ritrovati a un passo dall'entrata dell'abitazione. L'aria si fece improvvisamente tesa. Non sapevano chi fossero, ma niente sembrava suggerire fossero semplicemente di passaggio. Manuele corse a prendere l'arco e salì al piano di sopra, da dove avrebbe monitorato la situazione, pronto a difendere i suoi amici in caso di bisogno, nascosto e preciso come un cecchino.
<< Resta qui. >> disse Claudio ad Alice prima di prendere la sua arma e uscire all'esterno.
Dalle tre auto uscirono una decina di uomini, armati, dagli sguardi severi e sicuri. Alice sentì dei brividi percorrergli la schiena. Simone si fece avanti di un paio di passi, guardando torvo gli ospiti, ma mostrando ancora una volta tutta la sua sicurezza e superiorità.
<< Salve! >> parlò in inglese uno degli uomini, forse quello che poteva essere definito capo, facendo un paio di passi in avanti e andando incontro a Simone a braccia aperte, come fosse un vecchio amico. Era alto e magro, capelli castani ben curati, e ben vestito.
<< Cosa volete? >> chiese Simone senza mostrare la stessa cordialità. L'uomo si guardò attorno, studiando la zona intorno a lui, prima di parlare ancora << Vi siete sistemati bene. >> la sua voce era morbida e soffice ed era per quel motivo che metteva così tanta paura: non sembrava malvagio, al contrario di quello che probabilmente era in realtà.
<< Un rifugio come un altro. >> rispose Simone, minimizzando.
<< A noi basta. >> sorrise l'uomo << Possiamo trovare un accordo. Possiamo darvi la possibilità di allontanarvi senza costringerci a sparare. >> un paio di uomini dietro di lui sorrisero mostrando i loro fucili. Un avvertimento, o una minaccia.
<< Perchè invece non andate a cercarvi un posto tutto vostro? >> chiese Simone guardandoli minaccioso. Chi erano quegli uomini? Come si permettevano di venire nel loro rifugio a minacciarli di andarsene, dopo tutto quello che avevano passato per riuscire a metterlo su?
L'uomo sorrise di nuovo, facendo venire ancora una volta i brividi ad Alice, poi sussurrò << L'abbiamo trovato. >> e in un attimo tirò fuori la pistola, puntò alla testa di Lorenzo, pochi metri dietro Simone, e fece fuoco colpendolo e uccidendolo.
Il tempo si congelò per un istante, quel tanto che bastava per permettere all'eco dello sparo di dissiparsi nella vallata e allontanarsi, lasciando quella fattoria come avrebbero forse dovuto fare loro. Una freccia colpì poi la spalla di uno degli scagnozzi dell'uomo, facendolo urlare più di rabbia che di dolore. L'uomo a capo puntò subito la pistola alle finestre in alto e fece fuoco diretto alla prima dove vide un'ombra. Alice urlò, non riuscendo a trattenersi, ma la sua voce venne sopraffatta dall'urlo di Mario << Lore!!! >> Solo i suoi singhiozzi furono poi udibili, e le sue urla di rabbia e dolore.
<< Bastardo!! >> urlò Claudio, il secondo ripresosi da quello che stava accadendo, e sfoderando la sua spada, speranzoso di chissà quale vendetta, si lanciò contro l'uomo che aveva sparato, cadendo a terra ucciso ben prima di arrivare a destinazione. Solo il panico poi si impadronì della fattoria, urla e gente che fuggiva, colpi di pistola, diretti chissà a chi, ma che sempre facevano centro. Alice in casa indietreggiò, allontanandosi dalla finestra, colta dal panico, non sapendo cosa fare. Si sentì afferrare per una spalla e si voltò a guardare chi l'avesse presa, terrorizzata all'idea che potessero essere quegli uomini là fuori.
<< Ciao. >> disse un uomo dallo sguardo più terrificante che lei avesse mai visto. Le faceva paura e schifo. Si leggeva la fame nei suoi occhi, e non fame di cibo. Urlò ancora, chiedendosi da dove fosse entrato, e cercò di divincolarsi. L'uomo ridacchiò prima di spintonarla a terra, facendola sbattere, facendole male. Alice tentò di scivolare via, ma il peso dell'uomo sopra di lei, appena abbassatosi, glielo impediva. Fu costretta a voltarsi, a guardare il viso del demone che stava già assaporando con mano la carne che presto avrebbe fatto sua. Fuori da casa intanto il delirio si scatenava. Urla, lacrime e spari. L'inferno.
Alice urlò ancora, cercando di divincolarsi, rabbrividendo sotto il tocco dell'uomo, sentendosi ritornare su una cena che non aveva consumato, schifata e terrorizzata.
<< No. >> urlò ancora dimenandosi. Poi la salvezza arrivò. Qualcosa spintonò via il suo carnefice, colpendolo in piena faccia, tramortendolo. Alice alzò gli occhi guardandosi convulsivamente attorno, col cuore in gola, colta dal terrore. Una mano scese su di lei e l'afferrò per un braccio, costringendola a sollevarsi. Temette il peggio, ma fu solo il viso di Manuele quello che si trovò davanti, con gli occhi enormi spalancati, terrorizzato, gli occhiali incrinati, ma ancora intero << Presto, dal retro! >> le disse prima di trascinarla via. Scapparono a testa bassa, passando inosservati da dietro la casa, lasciandosi alle spalle una sparatoia senza pace nè pietà. Alice seguì il suo amico, trascinata scappava, ma la testa si voltò a guardare: i suoi amici, tutti i suoi amici, stavano cadendo uccisi, uno dopo l'altro nessuno risparmiato. E lei stava scappando silenziosa nell'ombra, coperta dagli alberi. Una richiesta d'aiuto arrivò alle sue orecchie, chissà da chi, ma lei continuò a scappare. Fino a che divenne lei stessa un'ombra.

La freccia puntata, sicura, ma che ancora temporeggiava, era pronta a seguire la sua traiettoria, già decisa in partenza. La ragazza deglutì, concentrata. Poi lasciò andare la corda del suo arco, silenzioso, se non per il suo ultimo "stock" di contraccolpo. Gli occhi castani si spalancarono alla ricerca della sua preda: aveva sparato, l'aveva presa?
Una freccia era conficcata in un piccolo coniglio grigio, steso a terra, ormai inerme, e la gioia stava per sbocciare in piccoli esulti, ma tutto questo svanì nell'istante in cui Ocean realizzò che la freccia che aveva colpito e ucciso il coniglio non era la sua.
Daryl le passò accanto, cercando di nascondere un sorriso, senza riuscirci pienamente.
<< La prossima volta ce la farai. >> le disse tentando un incoraggiamento che tanto risuonava come una beffa.
<< E' colpa tua! >> brontolò Ocean seguendo il suo compagno << Hai sparato prima di me, atterrando e fermando il coniglio prima che la mia freccia potesse colpirlo. >>
Daryl la guardò sottecchi, continuando a trovare divertente quel suo modo di fare tanto imbranato e infantile. Aveva provato a insegnarle come utilizzare al meglio il suo arco, visto che non sembrava esserne in grado, era stata lei stessa a chiederglielo, ma questo non aveva risolto molto la situazione. La ragazza aveva una pessima mira, doveva migliorare molto prima di riuscire a contare di procurarsi la cena da sola. Tolse la freccia dal coniglio, tenendola ben stretta tra le dita, e proseguì caricandosi l'animale morto. Non era molto, ma almeno avrebbero avuto qualcosa da spolpare quel pomeriggio.
<< Fai troppo rumore, spaventi gli animali. >> disse lui.
<< Ma non è vero! >> rispose stizzita lei.
<< Hai il respiro troppo pesante. >> insistette lui, canzonandola, facendola infuriare sempre più, tanto che alla fine smise perfino di replicare. Faceva così quando arrivava al limite: toglieva al suo interlocutore il piacere della parola. O almeno per i 2 minuti successivi.
<< E' solo colpa della spalla. Mi fa ancora male. >> disse lei roteandola un po', sgranchendola. Era una mezza verità. E questo Daryl lo sapeva bene.
Proseguirono ancora per un po' silenziosi e attenti, scrutando gli alberi intorno a loro, speranzosi di trovare qualcosa di più consistente per riuscire a placare le loro rumorose pance, in verità senza troppe speranze. Erano mesi che arrancavano, erano mesi che tutto andava male. Avevano cominciato ad andare avanti per inerzia, senza un reale obiettivo, solo trascinandosi sempre un po' più in la, aspettando con ansia che una qualche fata turchina comparisse e realizzasse il desiderio di Rick. Il desiderio di tutti.
Un fruscio li fece bloccare all'istante. Daryl alzò la balestra, puntandola davanti a sè e cercando con gli occhi la sua fonte, e Ocean fece altrettanto con il suo arco. Con un rapido scatto si voltò, arrivando a sfiorare con le sue spalle quelle di Daryl, guardando nella direzione opposta alla sua. Schiena contro schiena, attenti a proteggere a dovere il proprio compagno, fiduciosi che l'altro dietro avrebbe fatto altrettanto.
Un altro fruscio, verso sinistra, davanti a Ocean che trovata la provenienza la indicò con un gesto della mano al ragazzo. Daryl annuì con la testa e aspettò che Ocean cominciasse a incamminarsi, restandole dietro, continuando a guardarsi attorno guardingo e attento. Pochi passi più avanti si ritrovarono di fronte a un rialzo, un enorme scalino di terra che arrivava fin sopra le loro teste. Non sapevano cosa c'era oltre, non arrivavano a vedere, ma erano sicuri che il fruscio provenisse da lì. Poteva essere uno zombie, e allora sarebbero dovuti stare attenti, ma poteva essere anche un animale, bello grosso in quel caso, e in quel caso avrebbero dovuto fare tutto con ancora più cautela per evitare di spaventarlo e riuscire a catturarlo. Ocean si guardò velocemente attorno, sistemandosi in spalla nuovamente freccia e arco, poi trovò quello di cui aveva bisogno: un albero abbastanza alto da permetterle di vedere cosa ci fosse al di là del cumulo di terra. Si avvicinò, sfoderò la daga e la usò come una rampino fino ad arrivare al primo ramo, da cui poi proseguì velocemente saltando di ramo in ramo. Daryl rimase a terra, compiacendosi dell'agilità con cui la ragazza si arrampicava, osservandola ammirato per qualche secondo, poi tornò a montare la guardia, puntando la balestra in qualsiasi punto davanti a lui, assicurandosi che niente di strano si avvicinasse a loro.
Ocean arrivò abbastanza in alto da riuscire a volgere lo sguardo dove desiderava. Gli occhi si spalancarono per un attimo, deliziandosi di ciò che la vista le forniva: un piccolo lago, pochi metri più avanti, rompeva la monotonia del bosco intorno a loro. Poi tornò a concentrarsi sul suo obiettivo: cosa aveva fatto rumore? Trovò facilmente le sue risposte, e non furono piacevoli come la vista del lago che rifletteva i raggi del sole. Un cervo era steso a terra, preda succulenta, ma non solo per i loro occhi. Un paio di zombie infatti erano chini su di lui, intenti a saziarsi della sua carne.
<< E che cacchio. >> borbottò sospirando affranta per essere arrivata così tardi. Chissà da quanto erano lì, chissà se magari, arrivando un po' prima, quella sarebbe stata la loro cena. Una cosa era certa: era come essere lo schiavo a un banchetto di ricconi. Faceva venire l'acquolina in bocca, ma non potevano far niente se non osservare, o sarebbero finiti anche loro sul menù. Daryl la guardò, aspettando informazioni, e lei fece un segno di negazione con la testa, facendogli capire che qualsiasi cosa ci fosse non era roba per loro. Cominciò a scendere dall'albero, e arrivata in fondo Daryl l'aiutò nell'atterraggio prendendola per i fianchi e ammortizzando un po' il suo ultimo salto e la sua caduta, impedendole di farsi male.
<< Un cervo. Ma c'è già chi è arrivato prima. >> spiegò lei sistemandosi subito dopo.
<< Zombie. >> constatò l'amico, aspettando però la conferma da parte della ragazza, che non tardò ad arrivare.
<< Però... >> aggiunse lei << ... Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembrava ancora un po' cucciolo. Non sono esperta, forse potrei sbagliarmi. >>
<< Magari la madre è ancora nei paraggi. >> concluse Daryl, anticipandola.
<< E poi c'è un lago. >> sorrise lei entusiasta.
<< Acqua fresca! >> intuì ancora lui.
<< E pesci. Magari possiamo pescare qualcosa. >> disse ancora lei prima di tornare a guardarsi attorno, cercando un punto dove salire. Daryl fu il primo a prendere una direzione arbitraria, seguito sempre con fiducia dalla sua collega e amica, fino a quando non trovarono una specie di salita, degli appigli nel terreno leggermente inclinato. Avrebbero potuto arrampicarsi fin sopra con relativa facilità.
<< Vado prima io. >> si offrì Daryl. Sapeva che le capacità di arrampicata di Ocean probabilmente erano superiori alle sue, ma preferiva anticiparla, nel caso una volta arrivati in cima ci sarebbe stato bisogno di forza bruta contro una potenziale minaccia. Si mise la balestra in spalla e afferrò il primo groviglio di radici e arrampicanti, infilò il piede in un buco e si sollevò, percorrendo la ripida salita fino in cima. Controllò attentamente che non ci fosse niente nei paraggi, pronto a scattare contro chi tentatava alla loro vita, poi si voltò verso Ocean e le fece cenno di salire.
<< Oh Romeo, Romeo, perchè sei tu Romeo? >> sorrise lei beffarda, prima di seguire l'esempio dell'amico e cominciare la scalata. Daryl si stese per terra e allungò una mano verso lei per aiutarla, tirandola su.
<< Non era Giulietta quella al balcone e Romeo quello che la chiamava da sotto? >> disse lui, seguendo la scia dei pensieri di Ocean, sforzando la frase quando afferrò la sua mano e la sollevò di peso, facendole fare meno fatica.
<< Aggiornati, mio caro, i tempi cambiano e ora son le donne che tentano l'approccio. E' finita l'era del principe azzurro a cavallo. >> disse lei tirandosi in piedi e dandosi due colpi al vestito per togliersi la polvere di dosso.
<< Ora son le principesse che arrivano a cavallo. >> sorrise lei facendogli un occhiolino malizioso. Daryl sorrise a sua volta, intuendo il significato che la ragazza aveva dato alla battuta: parlava di sè. E sempre su quella scia, replicò, divertito << Che fai? Tenti l'approccio? >> disse utilizzando le sue stesse parole, sempre per sottolineare come stesse seguendo il suo gioco. Ocean scoppiò a ridere << Con te? Figurati! >>
Daryl sorrise ancora, divertito da quello scambio di battute, poi si voltò e prese la direzione che portava al lago, interrompendo le risa della ragazza con un << Andiamo. >>
Arrivarono vicino ai due zombie, intenti a mangiare la loro preda, e Daryl li atterrò con un paio di frecce. Si avvicinò, si riprese le sue proprietà e controllò lo stato del cervo.
<< Credi ci sia qualcosa che può ancora essere buono? >> chiese Ocean avvicinandosi a lui e guardando l'animale da dietro la sua spalla.
<< Forse. La domanda è: te la senti di rischiare? >> era una domanda retorica quella di Daryl, e Ocean ne colse tutta la pesantezza. Sospirò affranta e non ci fu bisogno di annuire per fargli capire che era d'accordo con lui. Si rizzò nuovamente, guardandosi attorno, sperando di vedere la madre del piccolo che era appena stato servito per cena. Ma niente si muoveva nei dintorni.
<< Ci sono tracce? >> chiese ancora a Daryl.
<< Solo del piccolo. Ma magari seguendole a ritroso troviamo il punto in cui si è separato dalla madre e riusciamo a trovare lei. >> spiegò lui, guardando le tracce che proseguivano in direzione del lago. Si alzò rapidamente e partirono per la loro piccola ricerca.
Arrivarono fino alla riva e Daryl si fermò per un istante, inginocchiandosi e osservando ancora il terreno, spostando qualche foglia secca.
<< Ha proseguito per un po' lungo la riva. >> comunicò guardando in lontananza, nella direzione che dovevano appena prendere. Si alzò, deciso ad andare avanti, ma Ocean richiamò la sua attenzione con un urlo. Daryl sussultando si voltò appena in tempo per vederla scivolare giù, lungo la riva rialzata di 20 o 30 centimetri dall'acqua, prima di cadere dentro il lago. Ocean aveva messo un piede su un punto sbagliato e sotto il suo peso era franato, facendola cadere in acqua.
Daryl tirò un sospiro di sollievo: si era spaventato, nel sentirla urlare aveva temuto il peggio, invece era solamente inciampata e caduta. La solita imbaranata. Sorrise e negò debolmente con la testa << Non riesci proprio a evitare di fare guai. >> disse ironizzando. Ma il sorriso gli morì sulle labbra quando vide che il tempo passava e Ocean non tornava a galla.
<< Alice! >> chiamò correndo sul punto dove era caduta. Guardò convulsamente il pelo dell'acqua. Perchè non tornava su?! Il cuore cominciò a battergli forte in petto, non riuscendo a vedere bene oltre l'acqua opaca e verdognola del laghetto.
<< Merda. >> bofonchiò tra sè e sè prima di cominciare a togliersi la balestra di spalla e liberarsi dei pesi inutili << Alice!!! >> la chiamò ancora, spaventato, senza ricevere risposta di nessun tipo. In pochi secondi era pronto, e si tuffò in acqua, nuotando il più velocemente possibile, lottando contro il bruciore degli occhi a contatto con l'acqua sporca. Continuò a guardarsi attorno, impanicato, non riuscendo a vederla.
Nuotò ancora, andando più in profondità e finalmente la vide: si dimenava scoordinata, con gli occhi spalancati, trascinata giù dal peso dei suoi vestiti. Gli occhi urlavano aiuto. Daryl si spinse velocemente verso lei e l'afferrò per la vita, la strinse a sè e con una mano tentò di risalire in superfice. Senza successo. E Ocean continuava a dimenarsi, presa dal panico. Le afferrò il polso, stringendoglielo quasi con rabbia e la guardò negli occhi, ammonendola con lo sguardo. La presa sul suo braccio che la teneva ferma le fece capire qual era il problema, e smise di agitarsi, tranquillizzandosi quando si rese conto che non era sola. Daryl si portò il suo braccio dietro al collo, e fece altrettanto con l'altro, costringendo Ocean ad abbracciarlo e stringersi a lui. Così avrebbe avuto entrambe le mani libere e sarebbe stato più semplice. I polmoni cominciarono a bruciare, avidi di aria, sentendo di avere ancora pochissimi secondi a disposizione. Con un paio di bracciate Daryl riuscì a darsi la spinta sufficiente a sollevarsi e andare un po' in direzione del terreno, a cui poi si aggrappò, utilizzando le varie alghe e arbusti e aiutandosi anche con quelli per arrivare fino alla superfice.
Fecero enormi respiri quando riuscirono finalmente a uscire dall'acqua, cacciatori di aria che non sembrava ancora sufficiente, costringendoli a respirare profondamente ancora a lungo, mentre il cuore cominciava a battere all'impazzata colto da quelle ondate improvvise di ossigeno incontrollato. Ocean si staccò da Daryl, aggrappandosi all'erba sulla riva e cercò di tirarsi su per uscire dall'acqua. Daryl da sotto l'aiuto, spingendola verso l'alto. Una volta al sicuro si lasciò cadere a terra, tossendo e sentendo rigurgiti continui bruciarle la gola. Aveva bevuto acqua e sentiva in fiamme ogni cosa fosse collegato alle sue vie respiratorie. Daryl dietro di lei si diede lo slancio necessario a raggiungerla e affiancarsi a lei, facendosi a sua volta cadere a terra, stanco per l'incredibile sforzo servito a riportarla a galla.
<< E così... >> cominciò a parlare Daryl tra i respiri << Non sai nuotare, eh? >>

Erano passati tre giorni da quando erano scappati dalla fattoria, abbandonando i loro amici al loro destino. Alice non faceva che piangere e fare incubi. Aveva smesso di parlare, non riusciva più a farlo. Erano stati i compagni di una vita. Alla mente continuavano ad arrivarle i ricordi dei momenti passati assieme. Le fiere. Le sere quando si riunivano per esercitarsi. Le riunioni. Le uscite al pub il sabato per ubriacarsi in compagnia. Anche i litigi. Il loro viaggio di 11 ore in aereo per arrivare alla tanto mirata America. I canti e le burle. Tutto.
Ogni cosa raccontava di un passato che più sarebbe tornato.
Tutto morto.
Tutti morti.
Mangiava a malapena, beveva solo quando necessario, dormiva solo quando crollava, non riuscendo più a trattenersi, e apriva bocca solo per respirare. Nemmeno una parola era uscita dalle sue labbra da quel giorno. Inutili erano stati i tentativi di Manuele. L'unico che erano riusciti a ritrovare era stato Simone, scappato, e salvatosi miracolosamente. Insieme erano corsi nel bosco a lungo, fino a crollare in un punto imprecisato, stanchi perfino per piangere. Avevano proseguito la mattina dopo, arrivando a un villaggio e lì rubando un auto. Manuele si era messo alla guida, aveva deciso lui, dopo un litigio con Simone, che la cosa migliore era ritornare alla spiaggia. Erano più visibili, al primo elicottero avrebbero segnalato la loro presenza e avrebbero aspettato una barca, una nave, qualsiasi cosa fosse tornata indietro. Perchè prima o poi qualcosa sarebbe arrivato a salvarli. E poi la zona intorno ad Atlanta faceva troppa paura. Inconsapevolmente avevano seguito il loro più profondo desiderio di allontanarsi da lì, e avvicinarsi il più possibile a casa. Bloccarsi di fronte al muro che impediva il cammino, aspettando lì che crollasse miracolosamente. Dando le spalle al pericolo, al dolore e a tutto ciò che si erano lasciati dietro. Scappando. Scappando. E ancora scappando. Cos'altro potevano fare? Cos'altro avrebbero potuto sperare?
Tornarono all'Oceano e si accamparono sulla spiaggia. Erano più visibili, ma così avrebbero potuto guardarsi bene attorno, anticipando l'arrivo di un'altra auto blindata con sopra degli assassini o di un'orda di mangiatori di carne. Sperando in qualsiasi cosa passasse, li vedesse e li riportasse a casa. Lontano da quell'incubo.
<< Alice, hai fame? >> chiese Manuele, chino su di lei, seduta in silenzio, lo sguardo vuoto perso nel fuoco che scoppiettava. Non rispose. Manuele la scosse << Alice, vuoi mangiare qualcosa? >> le disse porgendole una scatola di carne a lunga conservazione, cercando di lasciargliela tra le mani, sperando l'afferrasse e cominciasse a mangiare.
<< Lasciala perdere. >> disse Simone con tono scocciato prima di stendersi a guardare le stelle sopra di loro.
<< Deve mangiare!!! >> ringhiò Manuele, contrariato dal menefreghismo che l'amico stava dimostrando. Poi tornò a guardare la sua amica, e spingerle la scatola tra le mani << Dai, Alice. Mangia. >> e insistette ancora, e ancora, fino a quando Simone, stufo di sentirlo parlare con un cadevere si alzò rabbioso e si inginocchiò vicino ad Alice. Le prese il volto tra le mani, stringendoglielo senza poca delicatezza << Senti, bella! Qui è una merda per tutti, forza! Mangia e non rompere i coglioni! >> infilò due dita nel barattolo, raccogliendo un po' di carne e tenendo sempre ben fermo il suo volto cercò di infilarle il cibo in bocca con la forza. Alice tentò di ribellarsi, sentendosi bloccata e sentendo tutta la violenza del gesto. Cercò di voltare la testa, ma non riusciva a muoversi << Mangia! >> insistette Simone, continuando a fare violenza.
<< Ma che cazzo fai? >> urlò Manuele spingendolo via, facendolo cadere sulla sabbia << Le fai male, coglione! >>
<< Volevi che mangiasse no? >> brontolò Simone a sua discolpa.
<< Ma che diavolo ti sta succedendo? >> gridò Manuele alzandosi in piedi << Tu non sei così! >>
<< Ho visto i miei migliori amici morire! >> gridò Simone, alzandosi a sua volta, avvicinandosi a muso duro al ragazzo, cercando di prevalere nello sguardo, come due animali pronti a fronteggiarsi che si ingrossano per intimorire l'altro.
<< Tutti li abbiamo visti, questo non ti da il diritto di comportarti da stronzo! >> lo spinse ancora Manuele e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Simone partì con un destro, colpendolo in pieno viso e tra i due scoppiò la rissa. Alice li guardò terrorizzata e indietreggiò, arrancando sulla sabbia. Aveva paura. Stavano litigando. Si stavano picchiando. Erano entrambi andati fuori di testa: si sarebbero uccisi! E magari avrebbero ucciso anche lei! Ormai il passo che portava alla morte era così semplice da compiere, bastava così poco per arrivare alla fine. Bastava così poco per uccidere.
Si alzò e scappò via, ignorando il buio in cui andava inoltrandosi, preoccupata solo di scappare via dall'eventuale pericolo, dimentica che il vero pericolo si trovava tra quegli alberi in cui andava perdendosi.
<< Alice!! >> la chiamò Manuele, vedendola correre via, notandola solo quando ormai era lontana. Spintonò via Simone, deciso a lasciarlo perdere e corse dietro alla sua amica. Non avrebbe perso anche lei! Mai! Era come una sorella, la conosceva da quando erano piccoli, vicini di casa, compagni di scuola e figli di due migliori amiche. Avevano passato assieme qualsiasi momento della loro vita, compleanni, feste, domeniche, natali e pasque. In ogni suo singolo ricordo c'era lei. Non voleva perdere quell'ultimo frammento di casa sua.
Simone sbuffò e si chinò a raccogliere un ramo che ardeva. Lo alzò sopra la testa e utilizzandolo come torcia partì anche lui alla ricerca della ragazza scappata. Per niente felice di ciò che stava accadendo, scocciato solo di essere costretto ad allontanarsi dal fuoco caldo, ma voleva evitare che quei due sconsiderati si portassero dietro al ritorno una qualche minaccia. Aveva smesso di aver fiducia. Aveva smesso di voler bene. Aveva smesso di essere se stesso già al primo morso che aveva preso Susy. Si era trasformato, e ora era diventato l'equivalente vivo dei mangiatori di carne. Freddo e costantemente arrabbiato. Incazzato nero con tutto quello che lo circondava. Desideroso di uccidere e distruggere tutto ciò che l'aveva portato lì e che l'aveva costretto ad assistere alla fine dei suoi compagni. Incazzato per non essere riuscito a mantenere la promessa di portarli in salvo. Vendetta. Solo questo voleva. Contro chi o cosa non sapeva, ma voleva vendetta.

<< Stai meglio? >> le chiese Daryl, preoccupato, dopo qualche minuto. Ocean tremava, e non solo per il freddo. Aveva avuto una paura folle. E quello sarebbe anche stato il modo peggiore per morire: si sentiva una stupida.
<< Non sono un'imbranata! >> si sbrigò a dire, nonostante la voce roca nell'uscire dalla gola grattasse.
<< Non è stata colpa tua. >> disse Daryl, sorprendendola. Stava cercando di consolarla, non stava trattandola come una sprovveduta come invece spesso faceva. Questo la fece rilassare. Odiava sentirsi giudicata, odiava mostrare di essere debole. Non sarebbe più stata la sciocca ragazzina che piangendo scappava nel bosco.
Si girò, sentendosi pesante, e si mise a sedere, puntando gli occhi al lago dietro di loro. Occhi che si rimpierono di tristezza e rammarico, occhi che urlavano sensi di colpa.
<< Non ho mai imparato. >> disse con un filo di voce, il necessario per comunicare senza sentirsi portare via le corde vocali.
<< Se l'avessi saputo mi sarei tuffato prima per recuperarti, senza aspettare tanto. >> questo fu l'unico rimprovero che Daryl le fece. Si era spaventato tantissimo quando non l'aveva vista tornare su, in qualche modo doveva sfogare la tensione che era cresciuta in lui in così poco tempo.
<< Oh, certo, e io così dal nulla vengo a dirti "Ehy, D. lo sai non so nuotare?!" >> disse lei sarcastica << Non ho mai avuto occasione di parlartene. Non era certo una cosa fondamentale. >>
Daryl si alzò in piedi << Ora lo era. >> disse semplicemente, prima di voltarsi a recuperare le sue cose.
<< Oh, merda! >> brontolò, attirando l'attenzione di Ocean.
<< Che succede? >> chiese lei, sporgendosi oltre le sue gambe per vedere la scena che l'aveva fatto bestemmiare.
<< Qualche sciacallo figlio di puttana dev'essere passato di qua mentre eravamo sotto. >> disse caricandosi la balestra in spalla. Ocean notò solo allora che all'appello mancava il coniglio che avevano cacciato quella mattina. La loro cena era andata.
<< Ne prendiamo un altro. >> disse lei cercando di alzarsi in piedi, pronta a tornare sulla via della caccia.
<< Siamo fradici, è meglio tornare indietro. Se ci ammaliamo non ci sono medicine che possono curarci. >> suggerì lui << Riproveremo nel pomeriggio. >>
<< Ma non possiamo tornare a mani vuote! >> disse lei, sentendosi tremendamente in colpa. Era colpa sua se qualche animale aveva rubato la loro cena.
Daryl scrollò le spalle, non dando alla sua frase tutto quel peso, e prese a incamminarsi, senza aspettarla, ma contando come sempre sul fatto che l'avrebbe seguito. Come faceva ogni volta.

Manuele correva tra gli alberi a perdifiato. Il panico nei suoi occhi. La disperazione nel cuore nell'istante in cui, cercando Alice, l'aveva sentita urlare e piangere, non molto distante da lì. La daga stretta tra le mani era pronta a essere scagliata verso qualsiasi cosa stesse cercando di ferire il suo piccolo stralcio di passato. L'angelo che per anni aveva accompagnato il suo cammino, tenendogli la mano, senza mai lasciarla neanche quando sarebbe stato più vantaggioso per lei. E colmo del terrore che precludeva un eventuale addio un insieme di ricordi gli piombarono alla mente. Il loro giochi da bambini, nel cortile in campagna della villa dei suoi nonni. Le volte che lei gli aveva fatto i suoi compiti di matematica, o l'aveva aiutato nelle verifiche. La prima volta che lui l'aveva presentata al suo gruppo di musici, portandosela dietro anche in quel cammino. I loro viaggi. Le loro esplorazioni e le loro scoperte. Le volte che si arrampicavano sugli alberi, giocando ad essere dei pirati. Il giorno che andarono a prendere Micky al canile. E le mille serate passate insieme, riuniti intorno a un falò, a consumare carne alla brace mentre bambini correvano a sedersi intorno a loro, ascoltando le storie che lei raccontava. La sua dolce risata.
<< Alice!!! >> la chiamò, sul picco di un baratro, pronto a scivolare e cadere giù.
Corse e giunse dove vide qualcosa che mai neanche si sarebbe potuto immaginare. Alice, cucciolo ferito e disperato, era steso a terra, gli abiti stracciati, le lacrime che le coprivano il volto. E Simone, che l'aveva trovata e aveva chissà per quale motivo deciso che quello doveva essere il suo scopo. Gli occhi soddisfatti, un ghigno sul volto e la mano che ancora cercava di riallacciarsi i pantaloni.
<< Cosa hai fatto? >> sussurrò senza neanche rendersi conto. Un fuoco stava impossessandosi di lui, ogni muscolo bruciava, gli occhi si stavano annebbiando e la vista presto sarebbe svanita.
<< Siamo probabilmente i pochi umani sopravvissuti. Dobbiamo ripopolare. Almeno così si rende utile a qualcosa e smette di essere solo un peso. >> disse Simone con tutta la tranquillità del mondo, indicando la ragazza disperata a terra con un gesto del capo. La leggerezza con cui ne aveva parlato fu la scintilla che fece esplodere la bomba.
Il buio più completo.
Vuoto. Un attimo di trascendenza che sembrava un secolo. Interminabile ma così rapido da non essere quantificabile.
Forse sentì un urlo. Forse.
Vita che scorreva. La fine. L'inizio.
Dov'era?
Cos'era?
Ancora un urlo. Il suo nome.
Qualcuno aveva urlato il suo nome.
E la luce che ritorna. Il risveglio.
Ma ormai era tardi.
Gli occhi confusi corsero in cerca di risposte. Dov'era? Nel bosco.
Chi aveva urlato? Alice. Alice aveva urlato il suo nome. Aveva parlato! Finalmente dopo giorni aveva riparlato. Lo aveva chiamato. Ma perchè?
Abbassò gli occhi e lo vide: il motivo di quel caos.
Simone steso a terra in una pozza di sangue, la faccia completamente aperta, colpita probabilmente più volte con sempre più furia. Chi? Chi era stato?
<< Oh Mio Dio! >> sussurrò, spaventato. Indietreggio. Chi era stato a uccidere uno dei suoi migliori amici? Cadde e fu costretto ad appoggiarsi con una mano a terra per non farsi male. Stringeva qualcosa. Ora lo sentiva. Alice piangeva, disperata, scossa sempre più dai singhiozzi e ancora lo chiamava.
Guardò cosa aveva tra le mani:una daga. Piena di sangue.
La lasciò cadere, terrorizzato. Le sue mani! Le sue mani erano piene di sangue! Urlò.
<< L'ho ucciso. Ho ucciso io Simone. >>
La voce cedette. E crollò giù da quel picco, nel baratro, sempre più veloce, sempre più disperato nel suo desiderio di finirla e arrivare finalmente a toccare il fondo. La fine. Nient'altro che la fine.

Daryl si sedette all'entrata della casupola. La balestra ben stretta, gli occhi puntati davanti a sè, attento a qualsiasi ombra si muovesse nella notte. Era il suo turno di guardia, Molly si era addormentata da poco ed era riuscita a farlo solo quando aveva avuto lui vicino. Per questo aveva dovuto rinunciare al suo primo turno, lasciando il posto a Ocean che gentilmente si era offerta di dargli il cambio, permettendogli così di stare con la bambina il tempo necessario a tranquillizzarla. Si sgranchì la schiena e lanciò uno sguardo al cielo. Poche volte l'aveva visto così pieno di stelle.
Si sfilò un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne estrasse una e l'accese tirando subito due boccate. Era incredibile come ancora riuscisse a trovarne in giro, bene o male. La maggior parte delle volte erano nelle tasche degli zombie, probabilmente per quello ce n'erano ancora così tante: nessuno frugava tra le tasche dei morti. E ancora meno lo facevano quando si rialzavano.
Rilassò i nervi ispirando dell'altro fumo e per un attimo chiuse gli occhi.
Sentì dei passi dietro sè e subito si voltò a guardare chi fosse, attento e guardingo.
Ocean arrivò al suo fianco, lenta e rilassata, i passi che cadevano pesanti, come al solito, e lo sguardo rivolto al cielo. Sul suo volto si potevano leggere insieme tristezza, malinconia e gioia.
Daryl la squadrò per qualche secondo, poi tornò a fissare di fronte a sè, attento e sul chi va la. La notte era così silenziosa che sarebbero stati in grado di sentire uno screpitio di sassi a kilometri di distanza. Ma l'aria non era pesante. Fresca e leggera, liberava l'anima.
<< Era una notte come questa. >> sussurrò lei prima di affiancarsi al ragazzo e lasciarsi cadere vicino a lui, sedendosi << Bella e terrificante, come una Dea. >>
Daryl non aveva la più pallida idea di cosa si stesse riferendo, ma non fece domande, lasciando fosse lei ad esprimere i suoi pensieri come meglio credeva.
Ocean abbassò gli occhi, puntandoli sulle sue mani, intrecciate sulle ginocchia, sottili come mai erano state prima. La fame la stava trasformando. Quel mondo la stava trasformando.
<< La notte quando tutto è finito. >> aggiunse poi facendo tremare la voce. Non sapeva perchè stava rievocando, ma le faceva male e bene allo stesso tempo. Sentiva che lì, in quel luogo sacro, isolato dal mondo, in compagnia di quell'uomo lei poteva condividersi. Poteva liberarsi. Era il cuore a suggerirglielo.
Daryl si sfilò nuovamente il pacchetto di sigarette dalla tasca e lo porse alla ragazza che lo guardò dapprima titubante. Poi si arrese e ne sfilò una portandosela alle labbra con le mani che ancora tremavano. Daryl mise via il pacchetto e subito si allungò col braccio accendendogliela. Ocean fece una smorfia e tirò su due boccate rapide.
Erano anni che non fumava, aveva smesso molto prima, ma quello certo sembrava un buon momento per ricominciare. Tanto che importava? Se fosse morta di cancro ai polmoni sarebbe stato più dignitoso che morire sbranata da quelle cose che costantemente alitavano famelici sui loro culi.
<< Non sei costretta a raccontarlo. >> bofonchiò lui storpiando le parole per via della sigaretta che teneva appesa alle labbra. Ocean sorrise intenerita da quel piccolo gesto di dolcezza che tanto si era impegnato a nascondere. Era molto più di quello che voleva far vedere, Daryl non era il duro che tanto decantava. Aveva un cuore grande e lo dimostrava ogni giorno di più.
Probabilmente era stato questo a convincerla a tornare.
<< Non ti ho più ringraziato. >> disse lei tirando un'altra boccata alla sua sigaretta.
<< C'era qualcosa di cui dovevi ringraziarmi? >> chiese lui continuando a guardare davati a sè, continuando a dare leggerezza alle sue parole.
<< Per esempio di avermi salvato la vita? >> disse lei accennando una risata.
Daryl tirò una profonda boccata alla sua sigaretta, facendo risuonare lo sfrigolio della carta che veniva bruciata. Soffiò rumorosamente il fumo, ma non rispose. Ma nonostante questo Ocean riuscì a cogliere il suo "prego", dolce e compassionevole. Restarono qualche secondo in silenzio, fumando per i fatti loro, godendo di quel momento di silenziosa intimità che la notte gli stava concedendo. Un momento tutto loro, come quello della notte in cui si erano aperti per la prima volta l'uno a l'altro. La notte in cui Alice era emersa per la prima volta e aveva dolcemente mostrato il suo sorriso all'uomo, il quale era stato in grado di leggere la morte nei suoi occhi.
<< Perchè Ocean? >> chiese lui a un certo punto, rompendo il silenzio, mentre spegneva la sigaretta ormai consumata sullo scalino su cui erano seduti << Con tutti i nomi che potevi sceglierti. Perchè proprio Ocean? >>
Ocean sorrise e guardò la miccia della sua sigaretta che lentamente arrivava alle sue dita, come un piccolo conto alla rovescia.
<< Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, alleati con lui. >>

Prese lentamente coscienza di sè. Sentì dapprima il suo respiro, lento e caldo, fiammeggiante quasi, uscirle dalle labbra secche e screpolate. Avrebbe pagato oro per poter avere dell'acqua. Aveva sete. Sentì un dolce sussurro, incantevole e ammaliante, come una sirena. Percepì calore sulla pelle. E poi arrivarono anche i dolori: aveva qualche livido sparso, colpa della poca grazia che Simone aveva serbato per lei la sera prima. L'aveva scaraventata a terra con uno schiaffo, quando l'aveva ritrovata, urlandole insulti di ogni genere, prima di usarla a suo piacimento. Lei aveva pianto. Che stava succedendo? Avevano cantato insieme, lei e Simone, sull'aereo. Avevano condiviso risate e battute, e lui l'aveva canzonata per il suo eccessivo affetto rivolto al piccolo Micky, smentendosi successivamente facendosi trovare impegnato in giochi e coccole. Cos'era successo? Quello non era più stato lui. Non poteva essere lui.
Era diventato un mostro divoratore di carne, con la sola differenza che lui non usava i denti per recidere.
Quel mondo aveva rovinato tutti. Erano tutti morti.
E anche se lei e Manuele ancora camminavano su quella terra, consapevoli, vedendo il mare sconfinato davanti ai loro occhi, anche loro erano morti. E non potevano negarlo.
Soli e disperati, due stelle in un cielo completamente nero e vuoto, uniche nel loro flebile brillare, consapevoli che mai questo sarebbe servito al loro scopo e che al sorgere del sole non sarebbero scampate. Era solo questione di tempo...il cielo cominciava ad albeggiare.
Muti i loro addii.
Riuscì a trovare la forza di aprire gli occhi, benchè bruciassero forse anche più della gola. La luce del sole l'accecò, impedendole di scorgere bene cosa avesse intorno a sè. E questo la spaventava.
Si tirò in piedi, facendosi scivolare di dosso il mantello che Manuele le aveva messo sulle spalle quella notte, prima che si addormentasse. Tentò di combattere la luce accecante e cercò intorno a lei l'unica cosa di cui aveva bisogno al momento: Manuele.
Ma non lo trovò.
Si voltò più volte, rapida e disperata. Dov'era? Aveva bisogno di lui! Aveva visto cos'era successo quando era restata sola! Non poteva restare sola. Sarebbe morta! Lei...non sapeva cosa doveva fare.
Non sarebbe mai sopravvissuta. Non sapeva neanche tenere in mano il coltello del pane, come poteva da sola badare a se stessa? Aveva bisogno di qualcuno che le stringesse le spalle la notte sussurrandole "Non abbatterti. Ci sono io qui con te."
<< Manu! >> chiamò sentendo già il cuore tentare l'esplosione.
Dov'era?
Fece due passi sulla sabbia. Sentì ancora quel sussurro ammaliante accarezzarle l'orecchio e si voltò: l'oceano. Erano le onde dell'oceano a sussurrare, l'oceano era la seducente sirena, incantevole e terrificante, bella e malvagia, pronta ad affascinare e poi inghiottire, divorare, spietatamente, senza remure, inglobando il mondo dentro sè. Una semplice tavola...ma che celava misteri, segreti, tesori, ma anche mostri, malefatte, inferi e demoni. Tutto dentro sè, ben custodito, ben curato. Tutto suo, avida, ma gelosa.
E lì lo vide.
<< Manu!!! >> urlò facendo qualche passo verso la battigia, accarezzata più volte dalle onde. Il ragazzo però non sembrò sentirla. Era distante ormai, l'acqua gli arrivava al petto, e guardava in lontananza, l'orizzonte. Cercava casa sua.

<< Manu! >> chiamò ancora senza successo. Cosa stava facendo?
Alice tentò di avvicinarsi a lui, immergendo i piedi in acqua e combattendo la forza delle onde che violentemente tentavano di riportarla a riva, lontana da lui.
Chiamò ancora, cominciando a sentire un nodo in gola e gli occhi gonfiarsi. Il cuore le stava dando una risposta, ma non aveva nessuna intenzione di ascoltarlo. Non poteva andarsene.
Si fermò, notando come finalmente i suoi richiami raggiunsero il loro destinatario, costringendolo a voltarsi. Si fermò quando vide che i suoi occhi. Vuoti e disperati come mai li aveva visti prima. Lui era quello forte, quello sicuro, quello che tranquillo si voltava e indicava la via come se fosse sempre stata lì. Era quello che ti faceva sentire un po' stupida perchè, dai, la risposta era così banale. Mai lo vedeva barcollare. Era silenzioso e immobile come una montagna. La sua montagna. E ora si stava sgretolando sotto un'inarrestabile frana.
Manuele la guardò, ma sembrò non vederla, i suoi occhi erano muti come le sue labbra, e senza ancora dire niente si rivoltò verso l'orizzonte e ne accorciò le distanze.
Alice sussultò.
Manuele stava camminando sempre più in la, e l'acqua sempre più saliva lungo il suo corpo sommergendolo. Le spalle. Il collo. Il mento.
<< No, no! >> urlò lei e impresse forza nelle sue gambe tentando di lottare contro la corrente, cercando di correre verso il suo amico, dannandosi per non essere più veloce.
<< No, non lasciarmi! >> urlò ancora, urle che cadevano nell'acqua. L'oceano la teneva lontana da casa sua, l'oceano le aveva negato ogni via di fuga e ora si stava portando via l'ultima cosa che ancora stringeva tra le mani. Unica fune che le impediva di cadere.
Pianse ancora una volta.
E la testa di Manuele scomparve sotto il pelo dell'acqua.
Tentò di chiamarlo, di dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscivano solo versi e lamenti.
Andò avanti, fin quando i piedi non riuscirono più ad arrivare al fondo. Tentò di nuotare, tentò di muovere le braccia e proseguire.
Doveva raggiungerlo! Afferrarlo e trascinarlo via. Non poteva lasciarla. Non lui! Non così!
Dovevano tornare a casa insieme!
Inutili furono i suoi sforzi, non aveva mai imparato a nuotare e presto si ritrovò a combattere contro l'acqua che violentemente tentava di scendere giù dalla sua gola e dal suo naso, facendola soffocare e bruciare i polmoni.
Lottò ancora. Invano.
Riusciva solo a cadere ancora più giù.
Non poteva salvarlo. Non poteva salvarsi.
L'oceano li aveva presi entrambi e li aveva fatti suoi, come quei relitti pieni di oro e ombre che mai erano arrivati al porto.
Smise di lottare. Non seppe più nemmeno se stava piangendo, le lacrime salate si confondevano con l'acqua del mare. Vide i raggi del sole attraversare l'acqua, e non provò niente.
Sprofondava nel suo destino.
Inutile lottare.
Ormai era morta.
Anche lei, come le sue speranze, inghiottita da un avida sirena senza scrupoli di nome Oceano.

Uno zombie vagava senza meta. Gli occhi a terra. Ciondolava sotto il peso della sua inutile esistenza carnale. Barcollava ai soffi di vento. Camminava perchè sentiva che doveva farlo. Ma non voleva.
Cosa voleva?
Non lo sapeva.
Chi era? Dove andava? Qual era il suo scopo? Una volta erano domande di routine che si ponevano curiosi i vecchi pensatori, quelli che guardandosi allo specchio vedevano una forma vagamente somigliante a Dio, e si chiedevano come fosse possibile.
Si riflettè in una vetrina: la sua figura somigliava vagamente al demonio. Ma non si chiese perchè.
Ciondolò ancora e proseguì.
Si lasciò cadere, stremata, senza più ragione di andare oltre, e si appoggiò a quel telefono pubblico che solitario regnava sulla strada.
Strinse la cornetta tra le mani e se la portò all'orecchio.
Silenzio.
Tremò.
<< Mamma. >> una voce uscì dalle sue labbra, ma non la riconobbe, non era più la sua << Mamma. Voglio tornare a casa. >> la gola le raschiò e la voce morì per qualche secondo << Qui è l'inferno. I morti si cibano dei vivi. E i vivi fanno altrettanto. Sono sola. Mostri hanno provato a mangiarmi. Uno sconosciuto ha provato a violentarmi e Simone c'è riuscito. >> singhiozzò senza rendersene conto << Manuele si è suicidato. Non l'ho mai visto così prima d'ora. Aveva gli occhi di uno spettro. >> crollò a terra, inginocchiandosi, lasciando scivolare via la cornetta muta, lungo i fianchi << Mi dispiace. Mi dispiace, io non tornerò a casa. Mi dispiace. >> singhiozzò ancora e lì rimase, solitaria a vegliare sulla strada, insieme alla sua cabina.
Lo sguardo vitreo puntato sulla strada. In attesa della sua fine, pregando solo che non fosse troppo dolorosa.
Il sole calò a ovest.
Sentì qualcosa arrivare davanti a lei, ma non alzò lo sguardo. Fu per questo motivo che la figura stessa si avvicinò, ponendosi all'interno suo campo visivo, costringendola a guardarlo anche se non voleva.
Un Border Collie la stava osservando curioso, la lingua penzoloni di fuori, la coda alzata, per niente spaventato o agitato. Solo curioso della sua nuova scoperta. Provò ad avvicinarsi alla figura seduta a bordo del marciapiede, abbandonata a se stessa, annusandola per scoprire se era viva o era uno di quei cosi che più volte gli erano corsi dietro. Dall'odore non sembrava cattiva.
<< Va via. >> bofonchiò lei cercando di nuovo di portare gli occhi lontani dal cane, che non accettò il consiglio e si avvicinò ancora.
<< Vattene!!! >> urlò lei, rabbiosa, desiderosa di essere lasciata in pace, sola nella sua attesa della fine. Il sole era ormai troppo abbagliante, e quella piccola stella, l'ultima del cielo, stava sparendo definitivamente. Doveva solo aspettare.
Il cane ancora non ascoltò e continuò a guardarla, costringendola, esasperata, a cacciarlo via tirandogli un sasso.
Fuggì e la lasciò finalmente sola.
Fece un sospiro e restò lì. Ad aspettare.
Passò forse più di un'ora, il sole era già quasi calato cominciando a far spazio all'oscurità della sera, quando il cane tornò dove aveva trovato la piccola stella caduta dal cielo. Ma questa volta non era lì solo per osservare.
Si avvicinò a lei, cauto e silenzioso, le orecchie abbassate e gli occhi quasi spaventati, attento a non destarla troppo e non farla scappare via, come si può fare con un piccolo cucciolo abbandonato per strada. Una volta vicino fece cadere ai suoi piedi un topo e si allontanò di un passo. La ragazza si voltò scocciata, stufa di vederlo di nuovo lì e lo fulminò, prima di notare la piccola preda lasciata ai suoi piedi.
<< Cosa vuoi? >> gli chiese poco amichevole. Il cane tentò di avvicinarsi e spinse col muso il topo ancora più vicino a lei, la quale spostò su di esso il suo sguardo. Sentì qualcosa nascere dentro sè.
<< Mi hai...portato la cena? >> chiese incredula incapace di trattenere un sorriso divertito. Se n'era andato quel pomeriggio, ma si era impegnato a dar la caccia ai topi, manco fosse stato un gatto, per poterle portare qualcosa da mangiare. Era il gesto più carino e ingenuo che qualcuno aveva fatto per lei negli ultimi giorni. Poco importava se il topo non era commestibile per lei, il poveretto non poteva saperlo, contava il gesto: si era preoccupato di ritentare l'approccio con una negoziazione di cibo.
La piccola scintilla divenne presto qualcosa di più vivo e caldo. Qualcosa che riprese a tenerla in vita. Sorrise ancora, senza sapere bene come, e smise di farsi domande sul proprio destino. Forse c'era ancora un posto per lei in quel mondo. Forse non tutto era perduto. Ma niente sarebbe stato come prima.
<< Vieni. >> sorrise grata al cane, allungando una mano. Il Border Collie si avvicinò cauto, scodinzolando appena, felice della nuova amica che si stava facendo e si fece accarezzare.
<< Sei solo? >> gli chiese, sapendo che non poteva rispondergli, ma poco importava e continuò ad accarezzarlo. Sentì tra le dita, sotto al suo collo, qualcosa di duro e metallico e si rese conto allora che aveva su una medaglietta. Con discrezione la sollevò e lesse le incisioni << Max. >>
<< Hai perso i tuoi padroni, Max? >> chiese e il cane si rizzò nel sentir nominare il proprio nome.
<< Li ho persi anche io. >> disse con malinconia, abbassando lo sguardo. Ma subito si ricompose e si alzò in piedi << Devo andare a riprendere le mie cose. Le ho lasciate lontano da qui. E delle armi. Vieni con me? >> chiese sorridente al cane, che non parve contrariato.
Un nuovo inizio.
<< Mi chiamo Ocean. >>
Niente sarebbe stato come prima.
Non più.


Parlami di lui, ovunque sia
Parlagli di me, di questa notte che non passa mai.
Luna, digli che io sono qui
Aspettando canto, come polvere tra gli angoli.
Luna, digli che non passerà
Non dimentico gli attimi di felicità, gli occhi lucidi
Corri, digli che io sono qua, a difenderci
Che la pioggia non cancellerà tutti i brividi.
Luna, digli dove sono, adesso uccidi il tempo
E dimmi ancora che tornerà!
E adesso vattene a cercare il giorno, lasciami l'inverno e dimmi ancora che tornerà!
Se pioverà
Felicità dagli occhi.
Parlagli di me, ovunque sia
Parlagli di noi, di quel passato che non passa mai.
Luna, digli che io sono qui
Qui che attendo danze sotto piume di ali e di angeli.
Posa su di lui la verità
Croci e lividi
Specchialo sulla felicità di quegli attimi.
Fà che veda cosa perderà
Almeno illudimi che una goccia lo risveglierà con i brividi.
Luna, digli dove sono, adesso uccidi il tempo
E dimmi ancora che tornerà!
E adesso vattene a cercare il giorno, lasciami l'inverno e dimmi ancora che tornerà!
Se pioverà
E dimmi ancora che tornerà!
Se pioverà
Felicità dagli occhi.
D'estate, le mani, scivolavamo piano.
Tre gocce, veleno.
E trema un po' la mano.
Sudare.
Si vive.
Si muore.

(Luna -Ilaria Porceddu)

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Capitolo 20
*** Espugnazione ***


Espugnazione.

Altra corsa, altra sosta. Erano mesi che giravano per le strade della Georgia, disperati alla ricerca di qualcosa che al momento sembrava presente solo nei loro sogni. Molti si chiedevano cosa si aspettasse di trovare Rick. Diceva voleva qualcosa di fortificato, di sicuro, ma cosa esattamente? Cosa sperava di trovare? Una fortezza? Un castello? Che intendeva per fortificato? Non c'erano che case e quelle certo non erano fortificate. Senza considerare le madrie di zombie che mese dopo mese aumentavano a vista d'occhio, diventando sempre più pericolosi.
Si fermarono nuovamente per la strada, dopo l'ennesima fuga e Rick si poggiò sul cofano dell'auto con la cartina, sperando fosse essa stessa a darlgi la soluzione. Ogni singolo giorno cercava la risposta lì sopra, ma non c'era niente da fare, restava immutata, senza via di fuga. E Lori intanto arrivava allo scadere del suo tempo. Ocean si fermò col cavallo vicino all'auto con lo sportello aperto, dove all'interno era seduta scomodamente la donna visibilmente incinta quanto visibilmente scocciata. Scese e si avvicinò a lei, preoccupata.
<< Tutto bene? >> le chiese affacciandosi a guardarla. Lori si mosse come se fosse stata appena svegliata, era costantemente immersa nei suoi pensieri e nei suoi timori. Le fece un sorriso distratto e annuì. Non avevano mai legato troppo le due, Ocean l'aveva sempre considerata un po' antipatica con la sua aria da strafottente, solo perchè la moglie del capo, ma ciò non toglieva che era incinta. Si ricordava di quando aveva assistito sua sorella nella gravidanza: sempre piena di dolori, con la schiena incurvata e il bisogno di tenere le gambe al caldo. Non riusciva a immaginare come fosse possibile sopportare un tale peso in quel periodo, tra fuggi fuggi, paure e spaventi.
<< Hai bisogno di qualcosa? >> chiese ancora, ignorando i discorsi che Rick, Hershel, Maggie e Glenn facevano guardando la cartina, sapendo che tanto non sarebbe mai stata utile.
<< No, grazie. >> sorrise ancora Lori. Un sorriso di cortesia, solo per ringraziarla di aver pensato a lei. In realtà aveva bisogno di tutto: cibo, acqua, calore e un letto morbido. Stava impazzendo. Ma sapeva che l'unica via possibile era quella della sopportazione. Ocean annuì e si allontanò, lasciandola sola con i proprio pensieri, di cui al momento sembrava tanto gelosa, vista la fatica che faceva a staccarsene.
<< D'accordo! >> concluse T-Dog la loro riunione, mentre Daryl riavvolgeva la cartina e si apprestava a metterla via << Facciamo un salto al riuscello prima di andare, dobbiamo rifornirci d'acqua. La bolliremo più tardi. >> disse e si allontanò accompagnato da Glenn e Maggie, lasciando solo Rick con Herhsel che subito non esitò a dire la sua << Non può continuare a spsostarsi. >> disse riferendosi a Lori, e intraprendendo così una discussione con l'uomo.
<< Bene. >> disse Ocean sgranchendosi la schiena e avvicinandosi a Daryl, le lunghe cavalcate di quei giorni la stavano facendo a pezzi, sentiva anche lei il bisogno di un letto morbido, e non era incinta!
<< Visto che qui è prevista una sosta, mi sa che ne approfitto per fare un giro nei paraggi. Magari troviamo qualcosa di utile, e mi sgranchisco un po' le gambe: sono a pezzi. >> comunicò continuando a contorcersi nel tentativo di stirare muscoli e scrocchiare articolazioni quasi bloccate.
<< Vengo con te. >> disse Daryl sistemando la cartina nel borsone appeso alla sua moto << Quel gufo di prima non ci ha sfamati abbastanza. >> disse lasciando sottointendere le sue intenzioni di andare a caccia. Prese la balestra e se la caricò in spalla, prima di avviarsi insieme alla sua compagna, seguita dal suo fedele Max, e inoltrarsi poi nel bosco.
Il cane camminava davanti alla coppia, scodinzolando e annusando l'aria, sempre entusiasta, come se non capisse veramente quello che stava succedendo intorno a loro, o forse senza dargli il giusto peso. Più volte Ocean aveva invidiato il suo essere sempre felice e il suo accontentarsi delle piccole cose. Un bastone lanciato lontano e diventava il cane più felice del mondo.
<< Ehy, sacco di pulci! >> lo richiamò Daryl, senza essere veramente scortese: era semplicemente il suo modo di fare << Perchè non usi il tuo fiuto per trovare qualcosa da mangiare? >>
<< Non è un cane da caccia. >> lo corresse Ocean, lanciandogli un'occhiataccia.
<< Andrebbe addestrato. >> continuò Daryl sulla sua linea di pensiero, guardandosi attentamente attorno, cercando qualsiasi cosa potesse portare loro al cibo.
Seguirono dei binari, con l'unico scopo di poter ritrovare facilmente la strada del ritorno e proseguirono per neanche una mezz'oretta, quando a un tratto Max si fermò e si voltò verso la sua destra, guardando oltre un'apertura concessa dagli alberi. Daryl non ci fece caso e proseguì, guardandosi attorno e cercando. Ocean, raggiunto il cane, si fermò a guardare nella sua direzione.
<< Ehy, D! >> chiamò il suo compagno << Guarda. >>
Daryl la raggiunse velocemente e guardò a sua volta: una prigione. Avevano recinti e mura. Il luogo fortificato, ecco cosa stavano andando cercando, e non era stata una cartina a suggerire loro la via, ma solo il caso. Il destino.
Peccato solo fosse invasa dagli zombie.
<< Che peccato. >> disse Daryl, lasciando cadere nel vuoto le speranze. Sarebbe stato un posto perfetto, benchè in altre occasioni mai avrebbe creduto di arrivare a credere che una prigione potesse essere una casa perfetta.
<< Parliamone con Rick. >> insistette lei << Forse riusciamo a trovare un modo per entrare. >> disse prima di fare dietrofront, senza aspettare il suo amico, e dirigendosi velocemente verso la strada con un'esplosione di entusiasmo degna del suo cane. Daryl continuò a osservare a lungo il luogo scoperto, indeciso, prima di seguire Ocean che già aveva cominciato a correre.
Potevano farcela. Sentiva era possibile.
A lungo era scappata la speranza dalle loro mani, e ora che era tornata facevano quasi fatica a riconoscerla.
<< Possiamo farcela. >> fu la decisione di un Rick emozionato e trepitante di riuscire a chiamare di nuovo casa un luogo fisso.

Rick aprì un varco nella prima recinzione con delle tenaglie, fece passare velocemente i suoi compagni oltre, guardandosi attorno con agitazione, intimorito all'idea di essere attaccati dall'orda prima di riuscire a mettersi in salvo.
<< Svelti!! >> li sollecitò. Entrò per ultimo anche lui, e Daryl e Glenn subito si affaccendarono per chiudere con dei cavi in ferro l'apertura appena fatta. Si ritrovarono tra due fuochi, zombie a sinistra e zombie a destra, incastrati in un vialetto in ghiaia che collegava le torri di guardia esterne.
Corsero silenziosi, Daryl a capo, Ocean vicino a Lori con Molly sulle spalle, troppo lenta per correre da sola, che stringeva la sua presa sulla ragazza con tutta la forza che aveva, intimorita all'idea di cadere, sapendo che Ocean poteva sorreggerla ben poco: doveva avere le mani libere per poter usare la spada. Gli zombie che andavano accalcandosi alle recizioni davano la fretta necessaria. Il lavoro andava fatto con rapidità e attenzione.
Arrivarono al grosso cancello che dava sul cortile e da lì all'entrata della prigione e si fermarono, cominciando a prepararsi per ciò che andava fatto. Ocean fece scendere Molly dalle sue spalle, concedendole come sempre qualche carezza e un sorriso.
<< Andrà tutto bene, vedrai. Presto avrai un lettino tutto tuo. >> le sussurrò per tranquillizzarla. Molly si strinse a lei, aggrappandosi alla sua gamba, scaricando in quell'abbraccio tutta la paura e l'agitazione che le correva in corpo << Mi fanno paura questi mostri. >> sussurrò, nascondendo il viso tra i suoi abiti.
<< Ora io, Rick e Daryl andiamo a cacciarli via. Tu resta sempre insieme a Lori e Carol, non allontanarti per nessuna ragione, capito? >> ordinò, ricevendo in risposta un movimento d'annuizione della testa.
<< Chiudiamo quel cancello. >> cominciò a comunicare Rick, attirando i suoi compagni, pronti ad ascoltare e obbedire << Tutti questi li uccidiamo. Entro stasera il cortile è nostro. >>
<< Come chiudiamo il cancello? >> chiese Hershel.
<< Ci penso io. Sono il più veloce. >> si offrì Glenn, ricevendo uno sguardo terrorizzato di Maggie. Probabilemente era d'accordo con lui, ma l'idea di vederlo correre solo in mezzo agli zombie sicuramente non era di suo gradimento.
<< No. Tu, Maggie, Beth e Ocean li attirate da quella parte. Daryl, tu ti sposti sull'altra torre. Carol, hai una buona mira ormai, prenditi il tuo tempo, non abbiamo munizioni da sprecare. Hershel, tu e Carl salite su questa torre. Io corro verso il cancello. >> disse dando le direttive, e non ci fu nessuno che ebbe niente da obiettare, ma tutti erano già corsi ai propri posti, pronti e pieni di energie, decisi a conquistare casa loro.
Ocean, insieme agli altri, cominciò a urlare, cercando di attirarli e corse nella direzione indicata da Rick, sollecitando anche Max ad abbaiare. Si poggiò alla rete quando fu ormai distante, e con la spada perforò i crani di quelli che l'avevano seguita, passando attraverso i fori della recinzione.
<< Forza! >> urlò ancora perquotendo la rete con la spada, facendo quanto più rumore possibile.
Rick entrò nel cortile, silenzioso, curvo in avanti, attento e velocissimo. Sparò a qualche zombie troppo vicino, cercando di non farsi fermare da questo e contando sulla copertura che i suoi compagni sulle torri gli stavano fornendo. Riuscì ad arrivare al cancello, diede un calcio a uno zombie sulla soglia, allontanandolo, e con una forza che poche volte gli era stato richiesto di utilizzare lo chiuse, bloccandolo con dei moschettoni e una catena. Il rumore fece girare molti degli zombie nel cortile, che smisero di dare ascolto alle prede dietro la rete e si diressero verso di lui. Sparò qualche colpo, riuscendo incredibilmente a mantenere il sangue freddo quando vide che stava per venire accerchiato, trovo una via di fuga e ci si infilò, correndo verso un'altra torre e chiudendocisi velocemente dentro, protetto.
<< Sparate!!! >> ordinò Daryl quando vide che il loro amico era in salvo, e con un'esecuzione degna dei peggiori campi nazisti in pochi minuti tutto ciò che camminava nel cortile si trovò steso a terra, privo di vita.
Il sole stava calando e loro avevano una nuova casa.
Il sorriso si dipinse sui loro volti, ormai consapevoli che potevano rilassarsi e si mossero verso il cortile per godersi la loro meritata sicurezza. Daryl fece i complimenti a Carol per l'ottima mira dimostrata e sorrise nel vedere la sua amica così entusiasta. Passò vicino a Molly che guardava i suoi compagni ancora intimorita: chissà se mai si sarebbe abituata a tutto quello. Daryl si fermò, si sistemò nuovamente la balestra in spalla e la sollevò da terra, prendendola in braccio. Non che avesse bisogno di aiuto per camminare, ma sapeva che tenerla stretta al petto era il modo migliore per farla sentire al sicuro << Andiamo, mostriciattolo. >> disse sforzando la voce nell'istante in cui la sollevò. Molly si fece prendere con tranquillità, e sistemò immediatamente la testa sulla sua spalla, stringendo la sua camicia tra le dita, in cerca di calore e conforto.
Ocean corse verso l'entrata del cortile, tenuta aperta da un'ormai enorme Lori. Gli occhi spalancati di fronte a tanta meraviglia: era immenso! Era sicuro! Ed era tutto loro. Avevano cercato a lungo, rischiando la vita ogni singolo giorno, perdendo ogni speranza, sicuri che ormai non ci fosse che da rassegnarsi e aspettare la fine dentro una casupola qualunque, in attesa del giorno che non sarebbero più riusciti a scappare. Aspettando che il figlio di Lori li avrebbe uccisi, attirando gli zombie con i suoi pianti . E invece no. Tutte quelle terribili verità erano andate cadendo in un istante, seguendo l'esempio degli zombie che ora giacevano al suolo privi di ogni forma di vita. Si fermo per un istante, ammirando l'immenso spazio concesso. I recinti avrebbero donato loro tutto ciò di cui avevano bisogno. Non aveva più paura di un gruppo, non aveva più paura di perderli o di vedere il proprio territorio invaso da dei pazzi con delle armi, perchè sapeva che tutto sarebbe stato diverso. Il nuovo gruppo, il gruppo di Rick, sapeva difendersi a differenza del suo, che all'inizio erano solo dei poveri sprovveduti disperati. Sapeva che con loro ce l'avrebbe sicuramente fatta. Erano persone con forza e coraggio, lei stessa ora aveva forza e coraggio. Tutto sarebbe andato per il meglio.
Il cuore le esplose di gioia e si voltò istintivamente, guardando le persone dietro di lei. Era il posto più bello del mondo, loro erano le persone più belle del mondo. Non si era sentita così felice da tanto tempo. Incrociò per un attimo gli occhi di Daryl, che non potè che ricambiare il suo sorriso: era la prima volta che vedeva quel volto. Lo stesso di quella fotografia digitalizzata su una macchinetta ormai scarica e abbandonata in una fattoria in fiamme. Gli occhi le brillavano e il sorriso le illuminava il volto. Era totalmente diversa da quando l'aveva conosciuta. Gli occhi di Ocean corsero via e andarono a posarsi sul cane che camminava sempre dritto e fiero dietro di loro, mai abbattuto.
<< Andiamo Max!!! >> lo chiamò prima di correre via, donando alle sue gambe tutta l'energia che ancora possedeva. L'adrenalina le stava facendo venire voglia di saltare. Max, coinvolto nell'entusiasmo della padrona, scattò e la inseguì, scodinzolando come un folle, abbaiando, sentendo che gli era concesso. Ocean si voltò a guardarlo, continuando la sua corsa all'indietro, e ridendo allargò le braccia per stimolarlo ancora << Vieni!! >>, urlò prima di inciampare, non abituata certo a correre al contrario, e rotolare un paio di volte nell'erba. Si scosse frastornata, ma non privata della sua allegria, allegria che esplose ancora in risate quando il cane la raggiunse e le si scaraventò addosso, leccandole il viso senza darle possibilità di fuga.
<< Non avevamo tanto spazio da quando abbiamo lasciato la fattoria! >> rise Carol, entrando a sua volta nel campo e correndo allegra verso Rick, dall'altra parte, godendosi lo spazio appena conquistato. I suoi amici le fecero coro con urla entusiaste e risa, tutti felici per poter finalmente dire:
<< Daddy, questa è casa nostra? >>
<< Sì, Molly. E' casa nostra. >> e Daryl le sorrise sincero, prima di scompigliarle amorevolmente i capelli.

La sera calò e per la prima volta, dopo così tanto tempo, non fu una notte di paura e ansia. Il fuoco acceso davanti a loro riscaldava i cuori, oltre che il corpo, e il cibo che si stavano gustando era il loro meritato premio. Stavano morendo di fame e stanchezza, ma avrebbero volentieri resistito ancora un po': ormai non dovevano più scappare. Non dovevano avere più fretta. Con calma avrebbero sistemato quel posto e l'avrebbero reso una casa perfetta.
Daryl montava la guardia all'entrata del cortile, camminando avanti e indietro sopra un auto che era stata trascinata e poggiata lì. L'unico che non fruiva del calore del fuoco. Ma era bene che, nonostante la sicurezza, non si lasciassero andare completamente e continuassero ad avere lo stesso un occhio aperto. In quel momento Daryl era il loro occhio.
<< Ti piace? >> chiese Ocean a Molly, seduta a terra, davanti a lei, tra le sue gambe e la schiena poggiata al suo petto. Molly sorrise e annuì, continuando a spolpare con accanimento quell'ossicino che stringeva tra le dita. Ocean le sorrise di rimando e, lasciandola mangiare, senza disturbarla troppo, le sfece la coda dei capelli, cercando poi di pettinarli alla bene e meglio con le dita.
<< Domani raduneremo i corpi >> disse T-Dog << Voglio tenerli lontani dall'acqua. Se riuscissimo a scavare un canale sotterraneo sotto il recinto, avremmo acqua fresca a volontà. >>
<< Il terreno è buono. >> disse Hershel, continuando a fare piani, seguendo la scia di pensieri di T-Dog << Potremmo coltivare dei semi, dei pomodori, dei cetrioli, della soia. >> poi il suo sguardo si spostò su Rick, l'unico, apparte Daryl, che non era lì con loro. Aveva passato tutta la sera solo, a passeggiare intorno al recinto, controllando di tanto in tanto la stabilità di esso.
<< Questo è il terzo giro che fa. >> constatò il vecchio << Se ci fosse stata una parte danneggiata l'avrebbe vista. >> ma nonostante l'evidente preoccupazione di tutti, il discorso cadde lì. Da quando avevano lasciato la fattoria, da quando Rick aveva scoperto che sua moglie era incinta, da quando aveva ucciso il suo migliore amico, non era stato tranquillo nemmeno per un attimo. E sicuramente tutto quell'accumulo di stress prima o poi l'avrebbe distrutto, se già non stava cominciando a farlo.
<< Qui non è male per partorire il bambino. >> disse Beth a Lori << Sei al sicuro. >> e Lori non potè che sorridere. Era preocupata, e forse il posto non la convinceva come gli altri, ma probabilmente era solo perchè ancora non riusciva ad accettare l'idea che non avesse avuto dei medici a sostenerla e un ospedale disinfettato a cui dare in mano la vita del suo bambino. Ancora faceva tanta fatica ad abituarsi alla loro nuova vita.
<< Posso averne ancora? >> chiese Molly, guardando i presenti, intimorita all'idea di ricevere un no come risposta. Glenn sorrise, intenerito e si allungò per primo ad afferrare un altro cosciotto sulla padella improvvisata e porgendoglielo con un << Tieni. Devi crescere. >>
Molly non se lo fece ripetere due volte e riprese subito a mangiare, affamata come poche volte lo era stata.
<< Come si dice? >> l'ammonì Ocean, con lo stesso tono di una mamma, riprendendo ad aggiustare i suoi capelli tutti arruffati.
<< Grazie, Glenn. >> disse timida la bambina, nascondendo il viso tra le spalle, imbarazzata per non essersi ricordata da sola di essere beneducata. Glenn rise, rispondendo con un << Prego >> di cortesia.
<< Bethy. >> chiamò Hershel, voltando la testa verso sua figlia << Canta Teddy Riley per me. Non lo sento da quando tua madre era ancora viva. Potresti cantare The Parting Glass. >> sorrise l'uomo, mettendo in evidente imbarazzo la ragazza.
<< Non la vuole sentire nessuno. >> disse Beth, sostenendo lo sguardo del padre, cercando di suggerirgli con gli occhi di non insistere.
<< Perchè no? >> sorrise Glenn, amichevole. Era un giorno di festa, la musica avrebbe accompagnato divinamente il loro salottino allegro. Beth arrossì e si lasciò convincere, facendo poi risuonare la voce delicata e morbida, come un ruscello che scorre tra le rocce di una montagna. Il silenzio era l'unico accompagnamento che la ragazza aveva, tutti attenti e concentrati, alleggeriti e riscaldati. Era uno dei pochi momenti in cui potevano concedersi di chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Daryl e Carol tornarono dal loro posto di guardia, e come gli altri non proferirono parola, lasciando fosse solo la dolcezza del canto ad accompagnare la loro serata. Molly finì di spolpare anche quell'ossicino e silenziosamente si accoccolò tra le braccia della ragazza dietro di lei, poggiando il viso tra i suoi vestiti, calda e sicura, si sentiva finalmente bene. Ocean sorridendo le scostò una ciocca di capelli dal viso, accarezzandoglielo, e la tenne stretta a sè, osservando i suoi occhi che lentamente si chiudevano lasciandosi prendere dal sonno, cullata da quella dolce ninna nanna. Maggie sorrise e guardando complice la sorella cominciò a cantare insieme a lei, perdendosi nel loro mare di ricordi. Malinconici ma felici, perchè ormai potevano permettersi di ricordare, smettendo di rincorrere un futuro che costantemente scivolava dalle dita. Potevano fermarsi e guardare indietro, sorridendo alle persone lasciatesi alle spalle. Anche Rick li raggiunse e si inginocchiò tra sua moglie e suo figlio, ammorbidito anche lui, ma non abbastanza.
<< Bellissimo. >> commentò commosso Hershel al termine della melodia delle sue figlie, che aveva lasciato tutti più leggeri e col cuore pacifico.
<< Meglio andare a dormire. >> intervenne poi Rick, rompendo un po' la magia << Domani sarà un giorno importante. Io starò di guardia laggiù. >>
<< Che vuoi dire? >> chiese Glenn, non capendo cos'altro ci fosse da fare. Si erano conquistati il loro posto, cos'altro serviva?
<< So che siete tutti esausti. >> cominciò Rick, mostrando di avere ancora un po' di umanità nonostante il nervoso lo schiacciasse << E' stata una grande vittoria, ma purtroppo dobbiamo fare ancora un piccolo sforzo. Gli zombie sono quasi tutti guardie o prigionieri, hanno preso questo posto anche fin troppo presto, significa che le provviste saranno ancora intatte. Potrebbe esserci un'infermeria, magari uno spaccio. >>
<< Un'armeria. >> aggiunse Daryl, sottolineando ancora come fosse necessario non abbassare la guardia. Avevano poche munizioni, dovevano fare rifornimento nel caso fosse stato necessario usarle ancora.
<< Dovrebbe essere fuori dalla prigione, ma non troppo lontana. >> rispose Rick << Nell'ufficio del direttore ci saranno informazioni per locarlizzarla. Armi, cibo, medicine! Questo posto potrebbe essere una miniera d'oro! >>
<< Le munizioni sono troppo poche. >> fece notare Herhsel, preoccupato che quella ricerca e lavoro di cui parlava Rick avrebbe portato loro più problemi che veri vantaggi. E se non ci fosse stato niente?
<< E' per questo che dobbiamo entrare! Uno affianco all'altro. >> insistette invece Rick << Dopo quello che abbiamo passato... Possiamo farcela, ne sono sicuro! Questi stronzi non hanno speranze. >> concluse, esortandoli a fare ancora di più. E così li lasciò, permettendo loro di prendersi la notte per riposare corpo e mente, pronti per lottare ancora.

Il giorno successivo arrivò in fretta, forse anche troppo. Ocean si alzò in piedi e tentò di portare le braccia più in alto possibile, stirandosi e cercando la forza di fare altro lavoro. Rick era già intento a dare ordini e distribuire i compiti, distrutto più di tutti, ma pur sempre il capo branco e su di lui si contava.
<< Io, Daryl, Glenn, Maggie e T-Dog entriamo. >> comunicò. Ocean li raggiunse, cogliendo solo quell'ultima parte delle direttive fornite e intervenne << Scordatelo che rimango dietro la rete questa volta! >> disse piegandosi e raccogliendo da terra la sua cotta di maglia, che troppo spesso non aveva utilizzato, nonostante ne avesse avuto bisogno. Rallentava con la sua pesantezza. Ma da quanto aveva capito in quella missione non serviva la velocità, solo l'attenzione e la precisione. Rick la osservò mentre si infilava la pesante maglia ad anelli addosso, sopra i suoi vestiti e se la sistemava con un paio di scrollate.
<< Non sono solo quella che si arrampica sugli alberi per raccogliere frutti. >> disse avvicinandosi ai suoi compagni sempre intenta a sciogliersi e sistemarsi per impedire alla pesante cotta di intralciarla. Rick annuì, acconsentendo alla sua proposta, ritenendo anche lui che un aiuto in più non avrebbe fatto male. E Ocean aveva dimostrato più volte di essere un'ottima risorsa, ma troppo spesso preferiva lasciarla nelle retrovie per permetterle di occuparsi di Molly e a protezione di chi da solo non ce l'avrebbe fatta.
<< Ti sta enorme. >> constatò Daryl con un sorriso divertito vedendola arrivare con quella camicia in ferro che sarebbe dovuta arrivare alla vita e che invece a lei quasi arrivava alle ginocchia.
<< Non era mia. Ma ti assicuro che è molto utile. >> disse voltandosi, mostrando una spalla, dove un paio di anelli erano incrostati di sangue e un paio anche spezzati << Morso da zombie. >> spiegò. Era stato solo grazie a quell'ingrombrante e pesantissima camicia se era sopravvissuta qualche volta.
<< Ok, andiamo! >> incitò Rick, avvicinandosi al cancello che lui stesso aveva chiuso il pomeriggio prima << Mi raccomando, stiamo vicini. >> ordinò ancora. Entrarono velocemente e si sistemarono in cerchio, dandosi le spalle a vicendo, guardando in ogni direzione, pronti a colpire e salvare le spalle degli altri dietro di loro. Gli zombie cominciarono ad attaccare, e, come si potè immaginare, si andarono a schiacciare contro quello che in pratica era un riccio. Camminavano lentamente, passetto per passetto, incitati sempre dalla voce di Rick, spaventato all'idea di perdere la formazione, e atterrando tutti gli zombie che trovavano sulla via.
Gli altri del gruppo, rimasti dietro la rete metallica, cominciarono a fare rumore urlando e scuotendola, cercando di attirarli da loro e allontanarli dal gruppo che continuava a fendere colpi.
<< Mi sto quasi divertendo. >> disse Ocean mentre estraeva la sua spada dal viso di uno di quelli che aveva appena atterrato.
<< Ocean!! >> la richiamò Rick, notando che si era allontanata troppo per finirlo. Ocean rispose al richiamo e tornò velocemente in formazione. Un solo errore e sarebbero morti tutti, dovevano restare uniti, ne valeva la vita anche degli altri.
<< T!! Maggie!! >> chiamò ancora, richiamando anche loro e costringendoli a tornare velocemente ai loro posti.
Si guardarono attorno, avevano percorso il piccolo cortiletto prima dell'entrata della prigione e lentamente erano riusciti a liberarlo. Potevano entrare.
<< Ci siamo quasi. >> incoraggiò Glenn i suoi amici, già stanchi e affaticati nonostante avessero fatto ben poco. Ma sulle spalle avevano mesi di corse e combattimenti, la stanchezza era più che plausibile.
Rick aprì una porta in ferro che conduceva all'interno e diede un'occhiata dentro, assicurandosi non ci fosse nessuno, poi si avvicinò alla seconda parte del cortile, separato dal primo da delle colonne. Diede un'occhiata dall'altra parte e si schiacciò immediatamente contro il muro.
<< Indietro! >> sussurrò ai suoi compagni che lo imitarono. Un numero indefinito di zombie li aspettavano, molti di più che quelli appena uccisi. Inoltre qualcuno di loro, che già si stava avvicinando, erano corazzati. Probabilmente erano vecchie guardie. La cosa avrebbe reso più difficile la loro missione.
Un paio di loro li videro e si avvicinarono rapidamente. Daryl provò a scoccare una freccia ma rimbalzò sul loro casco protettivo.
Nessuno disse << Cazzo! >> ma tutti lo pensarono. Rick guardò i suoi compagni, cercando il loro sostegno, poi si lanciò verso il nemico, cercando del coraggio sperduto dentro lui. Si stavano giocando il tutto per tutto. I suoi compagni fecero altrettanto e cercarono di combattere la nuova minaccia, senza troppi successi inizialmente. L'unica cosa che riuscivano a fare era allontanarli e tentare invano di colpirli per tentare di sfondare la corazza. Ocean ne spintonò via uno, avvicinatosi troppo e si voltò a guardare chiunque avesse accanto << Sotto il casco! Mirate al collo! >> suggerì a Maggie, l'unica vicino abbastanza da sentirla e cogliere l'informazione. Non era sicura che quello bastasse a ucciderli, ma a suggerirle l'idea erano stati sempre i vecchi racconti e le storie di quando ancora era Alice. Al tempo dei cavalieri, quando vennero fuori le armature, tutti credevano fossero impenetrabili e le temevano, ma in realtà bastava conoscerle un pelo per sapere che potevano essere aggirate con facilità: le giunture erano i punti deboli, i punti scoperti, e il collo. Non fece in tempo a guardare se la ragazza aveva seguito il suo consiglio che si lanciò contro uno di loro, spingendolo con una spalla e cercando di imprimere la forza necessaria in quello spintone per buttarlo a terra. La pesantezza della cotta l'aiutò a farlo cadere, sotto il suo peso, e atterrata su di lui si affrettò ad afferrargli il casco, spingerglielo indietro, sollevandogli così la testa e infilzando la sua spada sotto il suo mento. Rotolando scese da sopra il corpo ormai morto e atterrò sulla schiena, stanca e affaticata. T-Dog si avvicinò a lei appena in tempo per uccidere uno zombie che già gli si era lanciato contro, approfittando della sua posizione scomoda e distrazione. Le porse la mano e l'aiutò ad alzarsi << Grazie. >> gli disse lei accettando ben volentieri l'aiuto. Gli ultimi due furono uccisi da Rick e Daryl che avevano appena chiuso il cancello di un altro cortile, pieno zeppo di quei cosi.
<< Sembra sicuro. >> constatò Glenn guardandosi attorno.
<< Non consideri quel cortile laggiù. >> indicò Daryl, smentendo le sue affrettate speranze << E questa è una civile. >> disse ancora indicando un cadavere poco lontano da loro.
<< Potrebbe esserci un'apertura da qualche parte. >> constatò Rick.
<< E se fosse crollato un muro? Non possiamo ricostruire tutto. >> disse Glenn.
<< Non possiamo rischiare che ci sia un punto debole. >> ribattè Rick << Dobbiamo entrare per forza. >> disse prima di avviarsi verso uno degli ingressi.
Daryl, dietro di lui, aprì la porta, permettendogli di avere le mani libere nel caso avesse dovuto sparare, ma per fortuna non ce ne fu bisogno. Dentro sembrava tranquillo, o almeno a vederlo da lì. L'unica pecca era il buio che impediva di guardare più in la di un paio di metri. C'era qualche finestra, ma erano opache e la luce che penetrava era appena sufficiente. Si sparpagliarono, controllando la prima saletta, dove sembrava fosse passato un uragano. Tavoli spostati, cartacce per terra e tutto sottosopra. Rick silenziosamente con dei gesti indicò le zone da controllare, e come sempre i suoi compagni obbedirono scrupolosamente. Con passi leggeri e lenti si inoltrarono nella sala, controllando porte, angoli e finestre. C'era una scala che portava a un sopralivello, una specie di cabina di controllo e lì si inoltrò Rick, silenzioso, acquattato e con l'arma pronta davanti a sè. Percorse gli ultimi scalini correndo, caricandosi per un eventuale combattimento, ma arrivato in cima conferì che non ce n'era bisogno. L'unico cadavere presente, seduto sulla sedia, la testa reclinata all'indietro, non sambrava intenzionato ad alzarsi. Controllò con la punta del coltello che non fosse solo dormiente e lentamente si chinò su di lui, prendendogli le chiavi dalla cintura. I loro fiati erano così rumorosi, echeggiavano per tutto l'ingresso, quasi quanto i loro cuori palpitanti e intimoriti. Rick mostrò le chiavi ai suoi compagni, che annuirono e tornò da loro.
Si avvicinarono alla prima porta a sbarre, l'aprirono facendola cigolare rumorosamente, ed entrarono rapidi e silenziosi. Le armi spiegate davanti a loro, sempre pronti, senza permettere a nessuna distrazione di attentare alla loro vita.
Erano entrati nel primo blocco. Il blocco C.
Lo percorsero, controllando tutte le celle al pian terreno. Sembravano vuote, e se non lo erano comunque i cadaveri restavano fermi a terra, senza nessuna intenzione apparente di alzarsi e tentare di morderli. Daryl cominciò a salire le scale che portavano al piano superiore, e Ocean gli andò dietro. Anche lì molte celle erano vuote. Rick li raggiunse velocemente non appena ebbe finito di controllare il piano inferiore e li seguì lungo il corridoio che percorreva tutto il perimetro della stanza.
Il cuore sobbalzò quando uno zombie, attirato dai rumori, si schiacciò contro la sua cella, allungando le mani all'esterno nel vano tentativo di afferrarli. Un altro, vicino a lui, fece altrettanto. Fortuna volle che le due celle erano chiuse e loro non potevano far altro che rumoreggiare e spingersi sempre più contro le sbarre. Daryl e Ocean li uccisero, ponendo fine ai loro lamenti, conficcando le proprie lame nella loro testa e sospirarono, cercando di rilassarsi e guardandosi attorno.
<< Sembra sicuro. >> constatò lei affacciandosi di sotto dal parapetto e dando un'ulteriore controllata << Certo ci vorrebbe una bella ripulita. >>
Rick annuì, sorridendo come poche volte aveva fatto ultimamente, e scese le scale << Andiamo a chiamare gli altri. >> Glenn e Maggie uscirono, facendo quello che era stato ordinato. T-Dog afferrò lo zombie nella prima cella e cominciò a trascinarlo, seguendo il consiglio di Ocean e cominciando a dare la famosa "ripulita". La ragazza tirando un sospiro di sollievo cominciò a sfilarsi la cotta di dosso, aiutata da Daryl che, vicino a lei, la vedeva un po' impacciata nei movimenti. Uscita di lì, lasciò a Daryl l'indumento, permettendole di alleggerirsi, e lei cominciò a roteare le spalle e allungare la schiena << Mio Dio, quell'affare mi uccide tutte le volte. >>
<< Prima o poi ti farai le ossa. >> disse Daryl dandole una pacca incoraggiante su una spalla, prima di allontanarsi e lasciar cadere la cotta di Ocean su una panca lì vicino.
<< Sinceramente, spero di non doverla più indossare. >> disse lei seguendolo e scendendo le scale, pronti a dare una mano a T-Dog.
Lori e gli altri arrivarono, portandosi dietro le proprie cose, guardandosi attorno e cercando di familiarizzare con quei muri.
<< Che ne dite? >> chiese Rick al suo gruppo vedendolo arrivare.
<< Casa dolce casa. >> rispose Glenn, visibilmente entusiasta, come gli altri, di aver finalmente un posto fortificato dove rifugiarsi.
<< E' sicura? >> chiese Lori, ancora un po' preoccupata.
<< Quest'ala sì. >> rispose suo marito, sorridendo ancora, felice anche lui di aver finalmente realizzato quel desiderio espresso quasi otto mesi prima, quando erano fuggiti dalla fattoria e miracolosamente si erano ritrovati.
<< E il resto della prigione? >> chiese Hershel.
<< Domattina cercheremo la mensa e l'infermeria. >> informò ancora Rick.
<< Quindi dormiremo nelle celle? >> la voce di Beth trasmetteva tutta la sua incredulità. Sembrava assurdo che fossero stati loro stessi a correre e lottare per andare a chiudersi dentro una cella di prigione.
<< Ho trovato le chiavi addosso a una guardia. Anche Daryl ne ha una copia. >> spiegò ancora il capo gruppo.
<< Io non dormo in gabbia! >> informò Daryl, facendo trasparire la sua riluttanza e il suo spirito libero e ribelle << Mi metto nella guardiola. >>
Il gruppo si guardò nuovamente attorno, incredulo, ma compiaciuto.
<< Benvenuti, signori e signore, al Grand Hotel 5 stelle, tutto compreso, gestito dalla stimatissima società Rick & co. >> invenì Ocean, mascherando la voce quel tanto che bastava a somigliarla a quella dei grandi commentatori del circo, enfatizzandola a dismisura. Allargò le braccia e improvvisò un inchino, strappando, con quella sua ondata di teatralità, qualche risata.
<< Prego scegliete pure la stanza che più vi aggrada. >> continuò lei la recita, facendosi da parte per permettere al gruppo di passarle davanti, ma restando inchinata e col braccio teso verso le celle << Potrete godere di tutti i confort che solo un Hotel di lusso come il nostro può offrire. >> Carol le passò davanti ridendo, prima di entrare dentro una delle celle, pronta a sistemare le proprie cose << C'è anche la colazione in camera? >> chiese divertita.
<< E' il minimo! >> rispose Ocean, lasciandosi scappare anche lei una risatina, contenta di vedere come fosse riuscita nel suo intento di alleggerire i cuori e permettere un po' di ilarità. Si voltò verso le scale, dietro di lei, e cominciò a salirle velocemente a due a due << Vieni Max! >> chiamò e come sempre il cane obbedì.
Si infilò in una cella qualunque, la penultima prima della guardiola dove stava Daryl e la osservò un po' prima di entrare, studiando quella che sarebbe diventata la sua camera da letto.
<< Io dormo sopra! >> disse frettolosamente, come un ragazzetto in viaggio con i compagni di classe, lanciandosi sul letto a castello, e con un salto, dandosi la spinta sul lettino sotto, arrivo a quello di sopra e ci si lasciò cadere pesantemente, sentendo finalmente pace per i muscoli irrigiditi dalla fatica e dalle mille volte che era stata costretta a dormire per terra.
Max saltò sul lettino sotto e anche lui cercò il suo posto confortevole prima di acciambellarsi e chiudere gli occhi, già pronto a godersi il suo meritato riposo. Dei leggeri passi destarono la ragazza, che aprì gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che si stava già addormentando e si alzò a controllare chi stesse facendo visita alla sua cella.
Molly era arrivata all'entrata, stringendo come sempre la sua bambola e guardando Ocean un po' titubante. Le voleva bene, così come voleva bene a Daryl, però loro spesso erano via e passavano poco tempo con lei. Le avevano spiegato che era per il suo bene, andavano in giro per assicurarsi di trovare cibo e un posto sicuro, per questo non stavano spesso con lei, ma questo l'aveva sempre intimorita. Aveva paura di restare di nuovo sola. E aveva paura che loro si dimenticassero di lei, anche perchè le volte che tornavano erano sempre presi da tante altre cose, e andavano sempre dove diceva Rick.
<< Molly. >> sorrise Ocean << Vieni!! >> la invitò ad entrare. La bambina non se lo fece ripetere due volte e corse verso il letto, allargando le braccia e allungandole verso la ragazza la quale si stese di pancia, e sporgendosi verso di lei l'afferrò e la tirò su. La fece stendere tra lei e il muro dietro, assicurandosi così che non sarebbe caduta se si fosse girata nel sonno, la strinse a sè e rapidamente, senza neanche rendersi pienamente conto, cadde nel sonno più profondo.

<< Niente male. >> disse Rick esaminando il piccolo tesoro riversato sul tavolo, tesoro che avevano rubato quella mattina stessa ai cadaveri delle guardie uccise il giorno prima << Granate accecanti e stordenti. Roba forte. >>
<< Ma che ore sono? >> bofonchiò Ocean, interrompendoli e costringendoli a voltarsi per vederla arrivare barcollante, i capelli ancora spettinati e una mano che torturava selvaggiamente un occhio che non decideva ad aprirsi. Fece uno sbadiglio e si avvicinò al tavolo.
<< Buongiorno. >> disse Rick, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.
<< Siete già a lavoro! Non mi avete chiamata, perchè? >> lamentò lei dando un'occhiata alle cose poggiate sul tavolo.
<< Sembrava tu stessi dormendo bene, ci dispiaceva disturbarti. >> disse ancora Rick, non riuscendo nuovamente a nascondere un sorriso divertito. Sorriso che comparve anche sui volti degli altri suoi compagni, complici in quella beffa sempre più evidente, ma che Ocean non riusciva a cogliere. Che avevano da essere tanto divertiti?
<< La prossima volta sarebbe gradito tu facessi dormire anche noi. >> disse T-Dog, l'unico ad accennare a cosa stavano pensando.
<< Che? >> chiese ancora Ocean, confusa, cominciando a essere un minimo infastidita. Che aveva fatto? Perchè la prendevano in giro in quella maniera?
<< Russavi come il peggiore degli ubriaconi la notte di capodanno. >> arrivò la delucidazione di Daryl, l'unico che come al solito non si faceva problemi a sputarti in faccia ogni sorta di schifosa verità. Ocean spalancò gli occhi, sentendosi sveglia improvvisamente, imbarazzata come poche volte era successo.
<< Era Max! >> provò a salvarsi, giustificandosi, e facendo ancora ridacchiare Rick, che lasciò cadere lì il discorso e tornò al suo lavoro di ispezione.
Daryl alzò uno dei caschi, guardandolo disgustato mentre rovesciava sul pavimento un liquido nerastro e appiccicaticcio << Io non mi metto questa merda. >>
<< Potremmo bollirli. >> disse T-Dog cercando una soluzione.
<< Non basterebbe tutta la legna del bosco. >> rispose ancora Daryl, deciso a non voler rischiare, e visibilmente disgustato << E poi siamo arrivati fin qui senza quei cosi. >> disse ancora cominciando a provare qualche colpo nell'aria con un bastone in ferro.
<< Hershel. >> a chiamare fu Carol, arrivata in quel momento << Puoi venire un momento? >>
<< Va tutto bene? >> chiese subito Rick, preoccupato per sua moglie. Erano in crisi da mesi, a malapena si parlavano, ma lui continuava ad amarla e a preoccuparsi che avesse solo il meglio.
<< Sì. Niente di cui preoccuparsi. >> sorrise la donna prima di dirigersi nuovamente verso la cella da cui era arrivata, seguita dal vecchio, lasciando solo il gruppetto.
<< Cos'è questo? >> chiese Ocean, cominciando a svegliarsi veramente, prendendo in mano quella che sembrava una granata, ma senza esserne troppo sicura. Se la rigirò tra le mani un paio di volte prima che Daryl gliela strappasse via con una certa violenza << Torna ai tuoi pisolini. >> le disse prima di rimettere l'oggetto sul tavolo.
Ocean lo fulminò: lo odiava quando si comportava così, con quell'aria da superiore e saccentino. Odiava quando la trattava come una sprovveduta.
<< Non parlarmi così! >> rispose acida, già sull'orlo di un'incazzatura, prima di prendere un altro oggetto a caso dalla tavola, senza guardarlo troppo, solo per il gusto di "trasgredire le regole" e dimostrare che non avrebbe fatto come diceva lui. Si accorse troppo tardi dell'errore, quando ormai il liquido appiccicoso che colava da quello che sembrava un parastinchi le aveva riempito la mano. Fece un espressione disgustata e lentamente riposò l'oggetto sulla tavola, sotto gli occhi divertiti e quasi soddisfatti di Daryl, che ancora affermava la sua superiorità.

Ritornato Hershel dal suo incontro con Lori il gruppo si riunì all'entrata del blocco C e lì si prepararono per un'altra retata. Alcune delle corazze prese dalle guardie erano riusciti a pulirle a sufficienza e se le stavano mettendo, utili a proteggerli. Daryl, come aveva detto, rifiutò di infilarsi quegli affari che troppo erano stati a contatto con budella e chissà quale schifezza marcia. Ocean fece altrettanto, tanto aveva già la sua cotta a proteggerla e il casco le avrebbe solo impedito di guardarsi bene attorno. Stava bene com'era. Carl provò a infilarsi uno dei caschi, senza successo: troppo grande, scivolava via; e suo padre subito intervenne prendendoglielo dalle mani.
<< Questo non ti serve. Voglio che tu rimanga qui. >> spiegò lui.
<< Stai scherzando?! >> chiese incredulo suo figlio, sempre pieno della voglia di lanciarsi contro il pericolo e dimostrare il suo valore.
<< Non sappiamo cosa troveremo lì. Se dovesse succedere qualcosa tu saresti l'unico uomo rimasto a proteggere il gruppo. Voglio che tu gestisca le cose qui. >> spiegò suo padre.
<< Sicuro. >> annuì Carl, sorprendendo i presenti, convinti che si sarebbe ribellato ancora, come spesso faceva ultimamente.
<< Grandioso. Andiamo! >> concluse Rick prima di voltarsi nuovamente verso il suo gruppo e aspettare fossero tutti usciti, per poi seguirli. Percorsero i corridoi del blocco C, che già avevano testato essere sicuri e arrivarono di fronte alla "prima porta del mistero". Cosa c'era oltre era tutto un interrogativo, ma presto avrebbero avuto le loro risposte. Daryl infilò la chiave nella fessura della porta a sbarre e l'aprì lentamente, sperando di evitare rumore, invano. Schiacciati contro il muro, guardinghi, con solo l'aiuto delle loro torcie a illuminargli la via e i respiri così affannosi da sembrare assordanti, camminarono lungo il primo corridoio, più o meno in fila dietro Rick. La bianca luce delle torcie correva da un angolo a un altro di quei muri grigiastri, sporchi e a tratti spaventosi, con le loro strane e minacciose ombre.
Al primo svincolo trovarono le prime celle, aperte, che proiettavano la loro ombra a righe su dei cadaveri stesi a terra, apparentemente immobili, ricoperti di polvere e forse un po' di muffa. Rick si avvicinò lentamente, restando coperto dai suoi amici, e controllando con tutto il tempo che riteneva necessario l'affidabilità del passaggio. Glenn con una vernice spray disegnò una freccia su un muro, per permettersi di ritrovare successivamente la via del ritorno, e rivoltandosi andò a sbattere contro una spaventatissima Maggie, che non riuscì a trattenere un verso di soprassalto, ma che si riprese subito con un paio di respiri.
Ocean fiancheggiò Rick e si avvicinò al primo cadavere a terra, posò la punta del suo stivale su un fianco e lo smosse un po', scuotendolo, aspettando di vedere se si svegliasse: ma restò immobile e questo tranquillizzò in parte il gruppo. La ragazza guardò il capogruppo, senza proferire parola, intimorita dagli echi che avrebbero comunicato la loro presenza altrove, a chissà quale mostro nascosto dietro quale angolo. Bastò il suo sguardo a comunicare con lui: "sono morti". Passarono rapidamente, buttando gli occhi a qualsiasi cella incontrassero lungo il loro cammino, pronti a uccidere qualsiasi cosa si muovesse contro le loro aspettative. Si schiacciarono di nuovo contro il muro quando arrivarono allo svincolo successivo, dietro Rick, aspettando che guardasse oltre e controllasse lo stato del passaggio successivo. Fece nuovamente correre la torcia su ogni muro, guardò i suoi compagni, lasciando fossero nuovamente gli occhi a parlare, e col cuore che gli batteva quasi in gola si incamminò per il secondo corridoio, che sembrava completamente vuoto. Con la torcia indicò il punto a Glenn dove fare la seconda freccia, e a Ocean, sempre di fianco a lui, dove dare un'occhiata per assicurarsi fosse sicuro. I suoi compagni obbedirono all'istante, poi finito l'incarico, tornarono ad affiancarsi a lui.
E lentamente arrivarono al terzo svincolo, dove oltre già si potevano sentire i primi versi gutturali che annunciavano la presenza di ospiti indesiderati. Con rapidità Rick guardò oltre, per constatare quanti fossero e capire se erano abbattibili o meno, ma appena svoltato l'angolo si trovò di fronte a una mandria di numero imprecisato, tutti accalcati sull'altro, e questo lo convinse a non tentare nemmeno...per il momento. Allungò un braccio, bloccando il cammino a Daryl, accanto a lui, e fece un rapido passo indietro, schiacciandosi e nascondendosi dietro l'angolo, ma ciò non bastò perchè la luce delle torce attirò i mangiatori di carne, che aumentando famelici i loro versi, cominciarono a dirigersi verso le loro prede cercando di aumentare il passo per quanto possibile.
<< Indietro! Torniamo indietro! >> disse Daryl voltandosi e cominciando a ripercorrere velocemente i suoi passi.
<< Via!! >> gridò Rick ai suoi compagni, autoritario, spaventato per l'ostacolo appena incontrato. Hershel indietreggio, inciampando in un cadere e quasi cadendo a terra, mentre i suoi compagni gli passavano davanti affrettati, correndo via. Si rimise velocemente in piedi e li seguì. Daryl puntava la balestra a ogni angolo, prima di svoltare, sapendo bene anche lui stesso che non avrebbe avuto tempo di contrastare eventuali mandrie se se li fossero trovati davanti.
<< Da questa parte! >> urlò nuovamente Daryl, colto dalla fretta, mentre correva lungo i corridoi che a malapena faceva in tempo di vedere, sentendo già il fiato puzzolente dei putridi sul suo collo. Maggie e Glenn, davanti a tutti, correndo più rapidamente degli altri, arrivarono a un ulteriore svincolo, dove Maggie si trovò di fronte altri zombie e sarebbe stata afferrata se non ci fosse stato Glenn a tirarla indietro << No, di qua no! >> comunicò prima di correre dall'altra parte e seguire il gruppo che già aveva svoltato dove di dovere. Corsero rapidi, cercando di stare uniti, ma altri zombie, sbucati dalla loro sinistra, costrinsero Maggie e Glenn a fermarsi e deviare, separandosi dal resto del gruppo, e infilandosi dentro la prima porta trovata, con la speranza che fosse abbastanza per restare al sicuro almeno per un po'.
Il resto del gruppo riuscì, dopo mille corridoi superati e angoli svoltati, a seminare i loro inseguitori, a discapito del loro orientamento che stavano cominciando a perdere. Si inginocchiarono sotto una grata, riuscendo a tenere sotto controllo un corridoio dall'altra parte, e a stare al sicuro per qualche secondo, finchè non sarebbero stati trovati.
<< Dove sono Glenn e Maggie? >> chiese Rick sottovoce, accorgendosi solo in quell'istante dell'assenza dei suoi amici.
<< Dobbiamo tornare indietro! >> disse Hershel, preoccupato per sua figlia, riuscendo in maniera strabiliante a nascondere il panico che già si stava impossessando di lui. Aveva un incredibile sangue freddo, e questa era una qualità eccellente.
<< Si, ma da che parte? >> chiese Daryl, non sapendo cosa intendesse con "tornare indietro" visto che avevano corso a lungo e non sapevano dov'erano e dove avevano perso i loro compagni.
La mandria passò oltre e i versi si allontanarono, fino a quando non li sentirono più e Rick fu il primo ad alzarsi e tornare sui suoi passi, sperando di ritrovare i compagni persi. Superarono un corriodio, andando oltre, ma non prima che Hershel si fermasse e cercasse di chiamare sua figlia, invano. Proseguirono silenziosi, con l'unico sottofondo dei loro cuori, e la voce di Hershel, dietro di loro, che continuamente chiamava sottovoce << Maggie! Glenn! >>.
Poi all'improvviso la sua voce fu interrotta da delle urla di dolore, e il resto del gruppo si voltò immediatamente, riconoscendo nei versi il loro compagno Hershel. Rick superò gli altri e fu il primo a giungere dal vecchio, sparando in testa allo zombie che stava strappando via la carne dal suo polpaccio. Il rumore dello sparo indicò la via anche ai due ragazzi che si erano persi, giungendo immediatamente sul luogo, dove Maggie non riuscì a trattenere un urlo disperato rivolto al padre a terra, ferito, e inevitabilmente sul punto di morte. Ma lo sparo non richiamò solo l'attenzione dei due ragazzi, e ben presto gli zombie che erano riusciti a seminare, tornarono sui loro passi, ritrovandoli e andando loro incontro.
<< Presto! >> incitò Ocean, passando oltre Rick e Glenn che cercavano di tirare in piedi Hershel per portarlo via, e si avvicinò ai primi zombie che andavano loro incontro, impugnando la sua spada, e aprendo il cranio a chi era pericolosamente troppo vicino ai suoi amici. Daryl sparò una freccia in faccia a un altro, che quasi aveva morso la ragazza, la quale impegnata a uccidere i primi due non l'aveva visto avvicinarsi. Ocean indietreggiò, guardando con attenzione quelli che continuavano ad avanzare e lanciando un occhio rapido alle sue spalle per controllare se gli altri erano riusciti ad alzare Hershel e portarlo via. Ma voltandosi non vide solo i suoi amici intenti a scappare, ma anche un ulteriore fonte di preoccupazione: un'altra mandria stava arrivando loro alle spalle.
<< Siamo bloccati! >> annunciò Rick prima di imboccare un corridoio qualsiasi sulla sinistra << Indietro! Indietro! >> ordinò ancora ai suoi compagni. Ocean si guardò attorno, confusa e spaventata, prima di essere destata dalla mano di Daryl che afferrandola per il polso la trascinò via, seguendo il resto del gruppo.
Si trovarono chiusi in un altro vicolo cieco: il corridoio imboccato non portava da nessuna parte e l'unica via di fuga era un portone chiuso con dei catenacci e dei lucchetti.
<< T-Dog! Apri la porta! >> chiese Rick, impegnato a tenere in piedi il vecchio, e Maggie gli fece eco. Il ragazzo si lanciò contro la porta, e cercò di sfondare il lucchetto colpendolo col retro in ferro della sua arma. Daryl sparò a un altro zombie, ormai troppo vicini, e cercò di allontanarne un altro con un calcio.
<< Forza! >> incitò ancora Rick, colto dal panico: se T-Dog non sarebbe riuscito ad aprire la porta velocemente sarebbero stati sopraffatti.
Daryl sparò a un altro zombie, cercando di indietreggiare per non essere afferrato, ma uno di loro, al fianco di quello atterrato, gli si lanciò contro a fauci aperte, non dandogli il tempo di realizzare e agire. Ocean con uno scatto si piazzò davanti al suo amico, facendolo indietreggiare un il braccio sinistro e alzò il destro, intercettando il morso dello zombie. Si sentì un raccapricciante rumore, simile a delle unghie su una lavagna, che fece venire la pelle d'oca a tutti. Daryl era già pronto a gridare al disastro vedendo lo zombie con la bocca che si stringeva intorno al braccio della sua amica, messasi davanti a lui per salvarlo. Ma la paura e la disperazione scemarono all'istante, quando si ricordò e vide che Ocean era ben protetta dalla cotta di maglia, che cigolava sotto i denti ben serrati del mostro. Ocean conficcò la spada nella sua fronte, tenendo ben saldo il braccio, come se fosse stata lei ad afferrare lui e non il contrario, poi su incitazione di Rick indietreggiò e si infilò all'interno della stanza appena aperta da T-Dog.
<< Chiudi!! >> ordinò di nuovo Rick ai compagni dietro di lui, e di nuovo T-Dog intervenì, schiacciandosi contro la porta, cercando di bloccarla con la sua forza. Daryl si poggiò al secondo sportellone, di fianco a lui e Ocean fece altrettanto, sperando di essere d'aiuto ai suoi amici con la sua misera forza.
<< Ehy! >> chiese aiuto Rick, che assisteva il suo amico steso a terra, dolorante che lamentava la sua paura e la sua sofferenza.
<< Vai, vai! >> disse Daryl a Ocean, invitandola ad andare da Rick << Ce la facciamo. >>
Ocean annuì e andò in aiuto del suo amico, il quale comunicava con gli occhi tutto il panico che si stava impadronendo di lui. La ragazza si inginocchiò vicino a Hershel, insieme a Glenn e Maggie che piangeva disperata, accarezzando il viso di suo padre.
<< Andrà tutto bene. >> disse Rick cercando di far coraggio forse più a se stesso che agli altri, e cominciò a slacciarsi la cintura dei pantaloni. La tirò via dalle asole e l'avvolse intorno alla coscia del vecchio, stringendola più forte che poteva, nel disperato tentativo di bloccare la circolazione del sangue. Ocean capì cosa stava per apprestarsi a fare, e capì anche perchè era stata chiamata ad aiutarlo: cercò di far uso del peso del suo corpo, sbilanciandosi in avanti e poggiando le mani sulle due gambe dell'uomo. Doveva tenerlo fermo, se si fosse agitato e divincolato avrebbero rischiato di fargli del male e basta.
<< D'accordo. C'è solo un modo per salvarlo. >> disse Rick, sollevando un'ascia, sperando e pregando che avesse ragione. Guardò Ocean, che gli diede il consenso con un gesto del capo, comunicandogli che era pronta e facendo un sospiro raccoglitore fece cadere l'arma sulla gamba dell'uomo, un bel pezzo prima del morso, con tutta la forza che aveva, cercando energia anche nelle urla che accompagnavano i suoi colpi. Il sangue schizzò ovunque, colpendoli in viso, ma non era certo questo che costrinse Ocean a voltarsi e chiudere gli occhi, mentre lottava contro gli spasmi del vecchio, che si divincolava per il dolore a ogni colpo, e tentava disperatamente di tenerlo fermo. Era il dolore. Il dolore nel sentirlo urlare e nel vedere e constatare che, se mai fossero realmente riusciti a salvarlo, il poveretto non sarebbe più stato in grado di camminare da solo. E in un periodo come quello, dove correre era alla base della sopravvivenza, questa era una situazione disperata.
<< Andrà tutto bene. >> Ocean cercò di rassicurare il poveretto, guardandolo in viso e cercando di trattenere la paura di fronte a quello sguardo deturpato dalla disperazione e dal dolore. Dopo qualche colpo Hershel smise di urlare, nonostante Rick continuasse a colpire, e svenne incapace di sopportare ancora quel dolore.
Rick finì il suo lavoro e il suo volto disgustato si trasformò immediatamente, cercando di ricomporsi, di riprendersi e di rilassarsi. Aveva tagliato via una gamba da un uomo vivo, da un uomo che era uno dei suoi migliori amici, si sentiva morire dentro, e in cuor suo sperava che tutto quello non fosse stato fatto invano. Guardò in volto i suoi amici, cercando nei loro occhi il coraggio e la rassicurazione: aveva agito d'impulso. Aveva agito bene? Erano d'accordo con quanto fatto? Potevano loro dargli la rassicurazione che cercava?
Ocean sospirando abbassò la testa, cercando di distendere anche lei i nervi e lasciando finalmente la presa sull'anziano steso a terra. Ora potevano respirare: avevano corso fino a quel momento, senza darsi il tempo di capire cosa stesse succedendo, dove andare e cosa fare. Era successo e basta. Ora avevano bisogno di stopparsi un attimo, prendere fiato e rimettere in ordine le cose. La più importante di tutte era che erano ancora vivi. Quasi non ci credevano, ma erano ancora tutti lì, nonostante il pericolo scampato e la paura avuta. Erano lì tutti, insieme, al sicuro. E pregarono che Hershel non sarebbe stato da meno. Respirava ancora, era ancora vivo, ma chissà ancora per quanto.
<< State giù! >> sussurrò Daryl, dalla porta, lasciandola un attimo incustodita, sovraccaricando le energie di T-Dog. Rick si abbassò immediatamente, senza neanche voltarsi per vedere il motivo di tale ordine, fidandosi ciecamente del suo amico, e così fecero gli altri, acquattandosi.
Ocean, l'unica che poteva vedere cosa c'era alle spalle di Rick, standogli di fronte, lanciò uno sguardo in direzione di Daryl, seguendo poi i suoi occhi per vedere cosa avesse destato il loro compagno, che repentino aveva alzato la balestra e la torcia, puntandoli verso le ombre dietro a una rete e avvicinandosi cautamente a loro, pronto a sparare se fosse stato necessario.
Delle divise blu si intravedevano, ombre che li osservavano, volti, uomini, ma chi erano? Amici? Nemici? Mangiatori di carne? Da quella posizione Ocean non riusciva a capire, erano troppo distanti e troppo nell'ombra per riuscire a scorgere bene i loro volti. Non si dimenavano, non facevano versi gutturali affamati, questo faceva sperare non fossero zombie. Anche se questo non era proprio fonte di rassicurazione: i vivi erano peggiori dei morti. Su questo tutti erano d'accordo. Gli zombie era relativamente facile aggirarli e ucciderli, i vivi avevano l'intelligenza necessaria a contrastarli, ingannarli e sparare un colpo di pistola prima di dar loro tempo di alzare le armi.
<< Porca puttana. >> sussurrò uno degli individui dietro la rete. Ecco le loro risposte.
Erano vivi.
La domanda ora era: erano nei guai?


Angolino dell'autrice
Oooooohhhhh e ce l'abbiamo fatta ad aggiornare pure sta volta xD mamma mia, faccio sempre più fatica a rispettare i tempi. Spero non mi vogliate male per questo T__T
Comunque...volevo solo approfittare di questo spazietto per farvi gli auguri di Natale, tutto qui :) E già che ci sono anche gli auguri di Buon Anno ( a meno che miracolosamente non riesca ad aggiornare prima xD)
Un saluto.

Ray.

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Capitolo 21
*** Anabiosi. ***


Anabiosi.

<< Chi diavolo siete? >> chiese Daryl roco e minaccioso: un cane rabbioso pronto a sbranare la gamba di chi malauguratamente gli si era piazzato davanti.
<< Chi diavolo siete voi? >> chiese di rimando uno degli uomini dietro la grata, che osservava la scena come degli spettatori osservano gli animali allo zoo, ma con l'aria sicuramente meno gioviale.
<< Perde molto sangue! >> disse Ocean, abbandonando l'attenzione posta alle persone scoperte, preoccupandosi solo del loro anziano amico svenuto e senza gamba, steso in una pozza di sangue tra le braccia di sua figlia << Rick, dobbiamo andarcene di qui. >> aggiunse, cercando di mettere nell'uomo una fretta che già possedeva e che non aveva bisogno di essere destata.
<< Fai pressione qui. >> disse Rick alla ragazza, indicando il punto della gamba che andava chiuso, cercando in tutti i modi di fermare quella maledetta emorragia che stava uccidendo Hershel. Ocean si affrettò ad eseguire gli ordini, pregando bastasse a salvargli la vita. Il cuore aveva cominciato a battergli in gola, tanto da farglielo bruciare e impedire di respirare come era giusto facesse. Le mani tremavano convulsamente, e questo le impediva di essere precisa. Non sapeva cosa pensare. Era successo tutto così velocemente da non essere ancora stata in grado di capire cosa veramente aveva davanti agli occhi: un carissimo amico le stava morendo tra le braccia. Dopo così tanto tempo....vide di nuovo occhi vitrei e vuoti scendere sotto il pelo dell'acqua.
Diede uno sguardo veloce a Daryl, impegnato a proteggerli dalla loro nuova scoperta, tenendo il gruppo di uomini sotto tiro, per niente intimorito dall'inferiorità numerica, e cominciò ad aver paura anche di quello. Chi erano? Cosa volevano? E se avessero fatto male a qualcuno di loro? Poi tornò da Hershel. Posò entrambe le mani intorno alla ferita del vecchio e cercò di fare quanta più forza poteva, mentre Rick tentava di stringere ancora di più la presa della sua cintura, stritolando la gamba e sperando di rallentare il sanguinamento. Ocean si concentrò esclusivamente sulle sue mani instabili, litigando con loro stesse, urlandoli mentalmente di smettere di agitarsi o non sarebbero state d'aiuto. Una mano improvvisa si venne a posare con dolcezza sulle sue, bloccando per un attimo il tempo. Alzò gli occhi e incontrò quelli calmi e decisi di Rick: aveva notato che stava tremando, voleva tranquillizzarla, farle riprendere il controllo di sè. Aveva paura, ma aveva bisogno di lei, del suo aiuto: non doveva cedere! Ocean fece un grosso sospiro, continuando a guardare Rick negli occhi, cercando in loro la sicurezza che tanto si sforzavano di trasmettere. Deglutì e le mani smisero un po' di agitarsi. Riabbassò lo sguardo, Rick ritirò la mano ed entrambi tornarono al loro lavoro con più lucidità.
<< Che gli è successo? >> chiese uno degli uomini appena scoperti mentre usciva dal suo nascondiglio, guardando Hershel preoccupato e agitato. Ocean diede un altro occhio veloce alla situazione davanti a loro, non potendo fare a meno di concentrare le sue attenzioni anche in quella direzione, preoccupata per il semplice motivo che in caso di bisogno non sarebbe potuta intervenire repentinamente in aiuto di Daryl, impegnata com'era a seguire le istruzioni di Rick. Odiava non potergli coprire le spalle, faceva sentire scoperta anche lei.
<< E' stato morso. >> spiegò Daryl sempre sincero, con pochi rigiri, poco preoccupato dalle conseguenze della sua frase. Questo fece allarmare i nuovi presenti, tanto che d'istinto uno di loro si portò la mano a una pistola infilata nei pantaloni, ma dovette bloccarsi sotto ordine dello stesso Daryl e T-Dog che nel frattempo era riuscito a bloccare la porta e liberarsi le mani.
<< Buono. Buono. Nessuno deve farsi male! >> bisbigliò autoritario, come si può bisbigliare ad un animale che si sta cercando di addestrare. Sapeva come farsi rispettare, incuteva timore solo nello sguardo, e questa era una cosa che era sempre piaciuta a Ocean, perchè anche lei desiderava arrivare a essere così. Forte tanto da spaventare anche solo con gli occhi e la voce, tuoni e fulmini all'orizzonte ad annunciar tempesta.
Maggie lasciò delicatamente la testa di suo padre, posandola a terra, e, aggirandolo, si avvicinò a Rick per poterlo aiutare nella medicazione improvvisata. Ocean, vedendo arrivare i rinforzi, trovò modo di liberarsi dai suoi incarichi e alzarsi in piedi per andare a fiancheggiare il suo amico. Rapidamente estrasse una pistola dalla cintura dei pantaloni e se la portò davanti al viso: odiava quegli affari che facevano così tanto baccano e che puntualmente mancavano il bersaglio (o almeno fin quando si trovavano nelle sue mani), ma Rick aveva insistito per dargliene una, diceva, giustamente, che era meno ingombrante del suo arco e poteva facilmente portarselo dietro insieme alla sua spada. Fece un paio di passi verso i detenuti e velocemente li esaminò, facendo correre gli occhi da uno a un altro, attenta a ogni movimento. Qualsiasi iniziativa avessero deciso di prendere, lei voleva anticiparli di almeno il doppio del tempo. Doveva essere sempre a un passo davanti a loro.
<< Mettete le armi a terra. >> ordinò guardandoli di traverso da sopra il mirino della sua pistola, puntando a tutto ciò che osservava. Alcuni di loro alzarono le mani in segno di resa, più sorpresi per la novità che realmente spaventati. Probabilmente non erano una mincaccia, da come si comportavano le ricordava tanto il suo vecchio gruppo, spaesato e disorientato, poveri scemi che ancora chiedevano scusa agli zombie a cui pestavano i piedi.
Glenn passò velocemente oltre la ragazza, ignorando quasi la presenza e l'eventuale pericolosità degli sconosciuti, e corse all'interno dello stanzino da dove erano arrivati chiedendo a nessuno in particolare << Avete delle scorte mediche? >> non attese risposta ed entrò a controllare lui stesso, ignorando l'esclamazione un po' contrariata di quegli uomini.
Gli zombie fecero sentire le loro presenze da dietro la porta, sbattendo e rumoreggiando, facendo versi famelici e poco pazienti. Gli uomini si guardarono ancora attorno con gli occhi spalancati, terrorizzati e confusi.
<< Si può sapere chi diavolo siete? Non sembrate una squadra di soccorso. >> disse il biondo, subito dietro il moro con la pistola.
<< Scordatevi i soccorsi! >> rispose Rick, intervenendo per la prima volta nei loro discorsi, forzando la voce nel tentativo di sollevare Hershel da terra per portarlo via, aiutato da una costantemente preoccupata Maggie. Ocean rimase un attimo perplessa,forse anche addirittura intenerita, rilassando i muscoli inconsapevolmente: aspettavano i soccorsi? Quali soccorsi?Davvero credevano ne esistessero? Possibile che ancora ci sperassero? Sembrava assurdo, perfino lei che era stata sempre un'illusa sognatrice ottimista aveva presto perso ogni speranza. Da dove arrivavano quelli? Erano addirittura pù sprovveduti di lei e del suo vecchio gruppo.
<< Coraggio dobbiamo andare! >> disse ancora Rick rivolto ai suoi compagni, troppo preoccupato dai suoi già evidenti problemi per permettersi di dare spazio anche a loro. Non aveva nessuna intenzione di predersi a carico altre preoccupazioni al momento. Prima dovevano portare al sicuro Hershel.
Glenn arrivò di corsa con un carrello in metallo, pronto a usarlo provvisoriamente da barella, ingombrante ma veloce, avrebbe fatto sicuramente comodo.
Aiutato ancora da Glenn e Maggie cercò di sollevare il vecchio e di farlo stendere sul carello, coordinando i loro movimenti, facendo trasparire tutta la sua agitazione dalla voce costantemente alta e rapida nello sparar parole.
<< Siete pazzi! Non aprite! >> disse un altro dei detenuti, appena capì la chiara intenzione di Rick di aprire la porta appena serrata per andarsene via.
<< Possiamo farcela! >> tagliò corto Rick cominciando a spingere la barella. T-Dog corse alla porta e l'aprì senza esitazione, spostandosi immediatamente, pronto a contrastare chi avrebbe cercato di attaccarlo. Avevano superato con successo situazioni ben peggiori, non avevano nessuna paura di quello che li aspettava fuori, e lo dimostravano. Uno zombie si fece subito avanti, entrando nella stanza, ma senza avere la possibilità di andare molto lontano: fu schiacciato alla porta da T-Dog e ucciso in pochi secondi, tutto sotto lo sguardo attonito del gruppo di detenuti, ancora tenuti sotto tiro da Ocean e Daryl, i quali furono subito richiamati dal caposquadra. Dovevano muoversi.
Ocean fu la prima a indietreggiare lentamente, subito imitata dal suo compagno, pronti a reagire, fin quando non furono fuori, nei corridoi. L'orda che li aveva seguiti fino alla stanza si era sparpagliata non appena vista l'impossibilità di godere del pasto, probabilmente attirata altrove dagli echi della prigione, lasciando miracolosamente quasi libero il passaggio al gruppo che cercava, per quanto possibile, di correre, spingendo la barella.
Fu una folle corsa, tanto rapida e prorompente, che si sentirono come lanciati su delle rapide a bordo solo di un gommone. Era un continuo sbattere contro gli angoli, schivare ombre, voltarsi, indietreggiare e tornare a correre, spintonandosi l'un con l'altro, intralciandosi addirittura.
Ma alla fine riuscirono a raggiungere il blocco C e Daryl aprì velocemente la prima porta col mazzo di chiavi che gli aveva dato Rick, facendosi poi subito da parte per permettere ai suoi amici di passare. Ocean corse verso la seconda porta, passando davanti a Rick, anticipando il suo arrivo con richiami rivolti agli altri compagni << Presto! Aprite! Carl! >> urlò arrivando ben prima degli altri alle sbarre che li dividevano dal loro blocco, e cominciando a sbattere contro esse per attirare l'attenzione. Carl non si fece aspettare molto, agitato dalle urla e dai richiami accorse immediatamente e aprì evitando alle mani che già tremavano di tradirlo. Beth fu la prima a urlare nel vederli arrivare, chiamando suo padre, non appena visto steso sulla barella senza una gamba. Cominciò a piangere. Ocean le si mise accanto, lasciando che fossero Rick, Glenn e Maggie a gestire Hershel e si preoccupò solo di afferrare la ragazza e tirarla a sè, abbracciandola << Starà bene! Tranquilla. >> ma la sua voce tremante la tradiva. Beth non disse niente, continuò a piangere, stringendo gli abiti di Ocean tra le dita, sfogando in quell'abbraccio il dolore all'improvviso caricatosi dentro lei. Era la prima volta che le due si avvicinavano tanto, era la prima volta che Ocean dimostrava così tanto affetto e sensibilità verso qualcuno della compagnia che non fosse Molly, ma l'eccezionalità della situazione seppelliva quel bizzarro evento, facendolo apparire stranamente normale e nessuno si pose nessuna domanda.
Hershel fu poggiato nel frattempo su un lettino, uno dei primi incontrati, evitando di trascinarlo ancora oltre,e Carol, l'unica che aveva imparato qualcosa in medicina in più rispetto agli altri, subito si rimboccò le maniche e fece il possibile per assicurare al loro vecchio amico la sopravvivenza.
Beth si staccò dall'abbraccio di Ocean,dimenticandola ben presto e correndo da suo padre, preoccupata e desiderosa anche di poter fare qualcosa. La ragazza ormai sola sospirò, cercando di ripristinare l'ossigeno dentro lei a livelli normali, e rilassandosi fece due passi indietro, andando a posare le spalle al muro, poggiandosi in cerca di sostegno. Si portò una mano alla testa, massaggiandosela appena. Non lo dava a vedere, ma era probabilmente una delle più agitate tra i presenti. Per un attimo la sua mente aveva giocato con lei, mostrandole flashback che a dir il vero era poco opportuni. Era stata otto mesi insieme a quel gruppo, tra fughe e fame, ma era la prima volta che veramente stavano rischiando di perdere qualcuno. Si era affezionata e, sciocca, si era abituata ad averli attorno, certa che sarebbe stato così per sempre. Solo allora si rese conto che stava cominciando ad amarli veramente. Ma la realtà di nuovo aveva bussato alla loro porta ricordandogli che non dovevano indugiare, nemmeno per un istante.
Stavano per perdere.
Dopo mesi, lei di nuovo stava per perdere qualcuno.
Stupidamente tornò a pensare a Manuele, ai suoi occhi sperduti, vitrei, spettrali, già morti mentre si lasciava andare sempre più in basso, mentre si lasciava portare via dal loro, ormai, flagello. Aveva pianto così tanto che se mai sarebbe stato possibile morire di dolore sicuramente lo avrebbe fatto. Non voleva viverlo di nuovo. Non più.
Si ricordò del perchè per mesi si era ordinata: niente più compagnie, niente più affetti. Sciocca, cosa aveva creduto di fare? La scommessa con la Morte non si vince mai. E' un'astuta truffatrice, vince sempre.
<< Alice. >> la delicata voce spaurita di Molly che la chiamava da sopra la rampa di scale la riportarono furiosamente con i piedi per terra, con una tale aggressività che per un attimo le girò la testa, e si voltò a guardarla, sorpresa, come se si fosse dimenticata della sua esistenza.
<< Molly! Vai nella tua cella, che fai qui? >> quasi la rimproverò prima di correre verso di lei per portarla via. Era bene che non vedesse quello che stava accadendo. Avere un uomo con una gamba mozzata vicino aveva dato il voltastomaco a lei, voleva risparmiare gli incubi anche per quella bambina.
Daryl, rimasto all'ingresso, si posizionò di fronte alla porta del blocco aperta, con la balestra ben puntata di fronte a lui. Si erano resi conto a metà strada che i detenuti trovati li avevano seguiti, e lui era pronto a dar loro il benvenuto. Arrivarono ed entrarono silenziosamente e cautamente, cuccioli in esplorazione, terrorizzati nell'aver perduto la propria mamma, e non si sorpresero troppo di trovarsi una balestra puntata contro. In qualche modo se lo aspettavano. Ma d'altronde non volevano fare niente se non curiosare. Erano mesi che non vedevano nessuno e non avevano notizie da di fuori, quella scoperta era stata una grandissima fonte di adrenalina. Chi erano? Da dove venivano? Sapevano niente dei soccorsi? Quando sarebbero andati a prenderli?
<< Non fate un altro passo! >> ordinò loro Daryl, cercando di risultare il più aggressivo e autoritario che poteva. E ciò bastò a farli bloccare lì all'entrata.
<< Blocco C. >> cominciò a dire il moro << Cella 4. E' la mia. Lasciami entrare. >>
Ma Daryl non si scompose e continuò con il suo tono duro << Oggi è il vostro giorno fortunato, siete stati graziati. Siete liberi di andarvene. >> più che una concessione risultava come una minaccia, e alla fine era quella che veramente voleva essere.
Ma loro restarono dov'erano.
Un fischio attirò la loro attenzione: si voltarono e videro tornare nuovamente Ocean con la pistola ben dritta davanti al suo viso. Non disse una parola, ma i suoi occhi parlarono per lei: dovevano starsene a cuccia o avrebbero fatto una strage. Erano meno armati, meno organizzati e sicuramente meno incazzati.
<< Daddy. >> la voce timorosa di Molly comparve da dietro le spalle di Ocean, appena dietro le sbarre, nascosta come poteva dal muretto. Strinse la sua bambola, impaurita. Stava succedendo qualcosa di terribile, sentiva tutti urlare, e quegli uomini che erano appena arrivati le facevano venire i brividi. Chi erano? Perchè Daryl e Alice puntavano le loro armi contro di loro? Erano sicuramente uomini cattivi, e ne aveva paura.
<< Molly, vai dentro immediatamente! >> la sgridò Daryl, senza voltarsi, facendo risuonare in tutta la prigione la sua voce furibonda. Molly sussultò e sgranò gli occhi: poche volte lo aveva visto così furioso e mai con lei. Le faceva paura. Indietreggiò e corse via, tornando a nascondersi nella zona più remota del blocco C, stringendo la sua signorina Rosie e parlando con lei per ricevere conforto, sola e dimenticata da tutti.
<< Andiamo, rifletti. >> intervenì a quel punto il nero, parlando al suo compagno, quello che tra tutti sembrava il più aggressivo e rompiscatole << La gamba del vecchio è messa male, siamo liberi. Che cosa aspettiamo? >>
<< L'amico ha ragione! >> esordì di nuovo Daryl.
<< Io devo trovare la mia vecchia. >> disse malinconico e un po' preoccupato il secondo nero della compagnia. Discorsi che fecero capire a Ocean quanto un cazzo sapessero di ciò che stava succedendo fuori da quelle mura: solo uno stupido avrebbe voluto andarsene. Ma loro dovevano liberarsi delle compagnie scomode, e se andarsene era quello che volevano fare di certo non li avrebbero fermati loro. Non era affar loro di cosa sarebbero morti là fuori.
<< Se un gruppo di civili tra tanti posti preferisce barricarsi in una prigione, vuol dire che noi la fuori non sapremmo dove andare! >> disse ancora il moro, l'unico con un po' di buon senso tanto da arrivare a fare intuizioni tanto argute. Ma questo, al contrario, non aiutava alla causa del gruppo di Rick.
<< Perchè non lo scoprite? >> provocò ancora Daryl.
<< Magari ora è meglio andarcene. >> disse il biondo con i baffoni, intuendo che lì non avrebbero risolto granchè e che la situazione cominciava a essere decisamente troppo pericolosa.
<< No, noi non ce ne andremo. >> disse ancora il moro, inveenendo contro il suo amico.
<< Ma qui non ci restate!! >> intervenne T-Dog arrivando in soccorso dei suoi amici, puntando una pistola contro i detenuti.
<< Questa è casa mia, le regole le faccio io. >> brontolò ancora il moro.
<< Non credo proprio. >> bofonchiò minaccio Ocean mentre toglieva la sicura alla sua arma, facendo ben risuonare il suo rumore: ultimo avvertimento. Dovevano sparire all'istante. Il biondo, probabilmente il più fifone di tutti, sussultò e allungò le mani davanti a sè << Dai, ragazzi, stiamo calmi. >> disse guardandosi attorno, in cerca di sostegno, intimorito, anzi terrorizzato.
Ma nessuno dava ascolto alla sua paura. Il moro continuò a insistere a lungo sul suo diritto di possessione sulla prigione, e in risposta riceveva solo minacce e urla. Non avrebbero sparato a meno che non fossero stati costretti, ma volevano liberarsene. Sempre il moro, scosso da rabbia e disperazione, fece poi un passo in avanti, tentando di inoltrarsi nella direzione che l'avrebbe portato alla sua cella.
<< Non fare un altro passo! >> gli urlò Daryl, scuotendo leggermente la balestra, minacciando di sparare.
<< Altrimenti? >> chiese lui provocatorio. Ocean spostò velocemente l'arma da uno qualsiasi dei detenuti alle sue spalle a lui direttamente, con un fuoco negli occhi che da tempo non provava: una furia che l'avrebbe aiutata a premere quel dannato grilletto senza sentire gli echi dei sensi di colpa fermarla << Altrimenti ti faccio saltare quella testa di cazzo che ti ritrovi attaccata al collo, stronzo. >> disse tagliando l'aria con la sua voce affilata, tanto da far venire un brivido lungo la schiena del biondo coi baffoni. La ragazza non scherzava, e questo lo spaventava. Raramente si era ritrovato di fronte una ragazza che invece di piangere terrorizzata chiedendo di smettere di litigare ai due amici che si pestavano in discoteca, puntava un'arma alla testa di uno di questo minacciando di farla saltare con una tale naturalezza da sembrare qualcosa che faceva ogni giorno appena alzata al mattino. Il litigio andò avanti ancora un po' finchè finalmente intervenne Rick, incredibilmente e surrealmente tranquillo, parlando come parlerebbe a una combriccola di vecchi amici. Non a caso era il capo. Sangue freddo e diplomazia.
<< Ehi, calmatevi tutti. >> disse facendo cenno al moro di abbassare l'arma. Il detenuto squadrò Rick, incredulo quasi, prima di chiedere << Quanti siete li dentro? >>
<< Più di quanti voi riusciate a gestire. >> rispose Rick risoluto.
<< Avete svaligiato una banca? >> chiese il moro continuando nella sua perplessità << Perchè non lo portate in ospedale? >> disse riferendosi a Hershel ferito.
A quella domanda T-Dog voltò gli occhi in cerca di quelli dei suoi amici, incredulo e imbarazzato, chiedendosi probabilmente se non fosse una qualche candid camera, e incontrando lo stesso stupore e imbarazzo in loro. Ocean si fece scappare una risata << Ospedale? >> chiese seriamente divertita. Davvero erano rimasti così indietro? Possibile che fossero stati così fuori dal mondo? Il moro la guardò come se avesse detto chissà quale bestemmia, sentendosi probabilmente offeso per quella derisione e irritandosi, anche perchè non capiva che ci fosse di tanto divertente.
<< No, amico, dici sul serio? >> continuò la ragazza.
<< Si, dico sul serio! >> rispose acido il biondo coi baffoni, non tanto perchè veramente la pensava così, ma perchè si sentiva infastidito quanto il moro per quella derisione gratuita. Che diavolo avevano da prendere in giro?
<< Quanto tempo siete rimasti chiusi in quella mensa? >> chiese Rick con tono basso, preoccupato.
Il moro si guardò attorno, ormai aveva capito che c'era qualcosa di molto strano in tutto quello, qualcosa che non sapevano e che invece avrebbero dovuto, e così con imbarazzo ammise << Direi, circa 10 mesi. >>
<< C'è stata una sommossa. Mai visto niente del genere. >> cominciò a raccontare e spiegare il nero << All'ennesima potenza, amico. Persone diventate cannibali. Morte e tornate in vita. Da pazzi. >> proseguì facendo travisare dal suo tono tutta la paura che aveva probabilmente avuto al tempo.
<< Una guardia ci ha difesi. >> proseguì il moro << Ci ha chiusi li dentro. Dovevamo aspettarlo. La pistola era sua, doveva tornare subito. >>
<< Sono passati 292 giorni. >> specificò l'altro nero, facendo sentire tutta la pesantezza di quell'infinita attesa.
<< Pensavamo che l'esercito o la guardia nazionale sarebbe arrivata prima o poi. >> osservò il biondo.
Rick fece un sospiro, dannandosi per essere toccata a lui la responsabilità di mettere al mondo quei poveracci che erano stati isolati così a lungo << Non c'è nessun esercito. Non c'è nessun governo, nè ospedali, nè polizia. Non c'è più niente. >>
<< Dici davvero? >> chiese incredulo il biondo, squadrando le persone che aveva davanti, cercando nei loro occhi una menzogna troppo comoda e che mai sarebbe arrivata. Ocean abbassò gli occhi, non incrociandoli con quelli loro, e lasciando fosse quel suo gesto a dir loro la verità.
<< Davvero. >> confermò pesantemente Rick.
<< Che ne è stato di mia madre? >> chiese il primo nero, ponendosi per la prima volta dopo mesi una domanda a cui avrebbe già dovuto dare risposta.
<< E i miei figli? E la mia vecchia? >> continuò l'altro nero, prima di avvicinarsi << Ehi, per caso avete un cellulare per farci chiamare le nostre famiglie? >> Ocean ebbe per un attimo un tuffo al cuore, mentre nella sua mente si palesava l'ultimo ricordo che aveva di un Alice distrutta che parlava a un telefono muto, chiedendo a una madre che non c'era se stesse bene.
<< Proprio non capite, eh?! >> chiese quasi con disprezzo Daryl, mostrando il peggior tatto che una persona avesse mai potuto avere.
<< Niente telefoni, niente computer. Da quanto abbiamo visto almeno la metà della popolazione è morta. Probabilmente di più. >> continuò Rick.
<< Non è possibile. >> riuscì a dire il moro dopo qualche secondo di soffocante silenzio, cercando di negare anche a lui stesso una verità così scomoda da non sapere dove metterla. Era appena stata distrutta la loro vita, come potevano accettarlo?
<< Allora guardate voi stessi. >> incitò Rick prima di incamminarsi verso l'uscita del blocco, diretto al cortile e seguito dagli altri, compagni e non. Li fece camminare davanti a sè e li fece uscire all'aria aperta, un'aria che non sentivano più da dieci mesi, un sole che erano pronti a riabbracciare come vecchi amici. Era bellissimo e terrificante allo stesso tempo. Rick aveva ragione, lo stavano scoprendo solo in quell'istante, fermi davanti a uno sciame di zombie accalcati ai recinti e che tanto bravano di poter mangiare quelle carni lontane dalle loro mani. Ai loro piedi ancora si apriva un tappeto di cadaveri, volti conosciuti, deturpati, a cui non era stato permesso dire addio.
<< Santo Dio! Sono tutti morti! >> disse il biondo, lasciando uscire dalle sue labbra i pensieri.
<< Voi come siete riusciti a entrare qui? >> chiese un altro dei ragazzi.
<< Un buco nella recinzione, vicino alla torre di guardia. >> spiegò Daryl, indicando il punto dove avevano tagliato con delle tronchesine il ferro della grata per poter passare.
Il nero con il suo bastone punzecchiò uno dei cadaveri a terra, chiedendosi probabilmente se era veramente morto, e guardò Rick accanto a sè chiedendo << Quindi è una spece di malattia? >>
<< Sì. >> rispose lui, sempre sincero e diplomatico << E siamo tutti infetti. >>
<< Che intendi con infetti? >> chiese nervoso il biondo, ma non solo la sua attenzione fu attirati da quella conversazione << Tipo AIDS o roba del genere? >>
<< Se muori, ti rialzi. Punto. Anche se a ucciderti è stato un raffreddore del cazzo. >> spiegò Ocean con fermezza, senza troppi fiocchetti, restando ben piantata sui suoi piedi e la braccia conserte. Un albero che non sarebbe stato abbattuto con facilità, benchè la sua piccola statura avesse potuto inizialmente suggerire il contrario. E poi lo chiamano "sesso debole"!
<< Succederà a tutti noi. >> mise in chiaro Daryl, concludendo il suo discorso, e riuscendo a terrorizzarli ancora di più.
<< E' impossibile che voi Robin Hood siate riusciti a uccidere tutti questi. >> disse uno dei ragazzi guardando i cadaveri a terra.
<< No, non impossibile. >> rispose Ocean semplicemente con un sorriso sornione, che faceva trasparire tutto l'orgoglio che poneva nella loro opera. In realtà era un altro modo per intimorirli e dissuaderli dal fare gesti sconsiderati. Non volevano grane, ognuno per la sua strada e tutti vivi e felici. E il biondo rabbrividì ancora. Quella ragazza gli faceva venire la pelle d'oca, aveva l'aria da serial killer.
<< Da dove venite? >> chiese il moro, continuando il loro dialogo di circostanza, utile solo a mettere a posto le cose, soprattutto i loro cuori agitati.
<< Atlanta. >> rispose Rick con un pizzico di dolore nella voce.
Il moro annuì e fece la domanda successiva << Dove siete diretti? >> non si leggevano buone intenzioni nei suoi occhi. Aveva qualcosa in mente, e la cosa non piaceva a nessuno, ma sapevano tutti che Rick era un uomo di polso e avrebbe risolto la situazione, qualsiasi fosse stato il metodo.
<< Per ora da nessuna parte. >> rispose guardando severo negli occhi il suo interlocutore, che si avvicinò a lui, in un gioco di sguardi che preannunciava una battaglia. No, quel tipo non gli piaceva proprio.
<< Potete prendere quell'area laggiù, vicino all'acqua. Dovrebbe essere comoda. >> disse ancora il moro indicando una zona poco distante, cercando di fare il capo della situazione, non capendo che, tra tutti, quelli che dovevano chiedere se potevano restare erano proprio loro. Non avevano possibilità e non dovevano rompere le scatole.
Rick annuì e disse << Useremo quel campo per coltivare. >>
<< Vi aiuteremo ad andare fuori. >> continuò il moro e Rick gli piazzò la verità davanti agli occhi << Ah, no. Non sarà necessario. Abbiamo ucciso noi quegli zombie, la prigione è nostra. >>
Il moro ridacchiò e cercò di tenere in pugno una situazione che già gli era sfuggita di mano senza neanche rendersene conto << Rallenta CowBoy. >> cercò di fare dell'umorismo, ma nessuno rise.
<< Avete rotto i lucchetti delle nostre porte! >> lamentò uno dei suoi compagni affiancandolo.
<< Ve ne daremo di nuovi, se è questo il problema. >> si limitò a rispondere Rick, tenendo ancora la situazione in pugno.
<< E' la nostra prigione. Eravamo qui da prima! >> disse il moro.
<< Chiusi in uno sgabuzzino? >> Rick si lasciò scappare una risata, una delle rare che Ocean avesse mia visto (in effetti non lo aveva mai visto ridere), anche se quella non era una risata divertita, quanto provocatoria << Noi l'abbiamo conquistata pagando con il sangue. >>
<< Ora noi ce ne torniamo nel nostro blocco. >> continuò a insistere il detenuto, che neanche sembrava ascoltare.
<< Dovrete trovarvene un altro! >>
<< E' mio! C'è ancora la mia roba là! Non potrebbe essere più mio di così! >> si lasciò sfuggire un ringhio il moro prima di sfilarsi di nuovo la pistola dalla cintura, minaccioso, ma non arrivando ad alzarla che Daryl aveva già una freccia ben puntata contro la sua tempia.
<< Aspettate, cerchiamo di trovare un accordo! Una soluzione che vada bene a tutti! >> disse il biondo mettendosi nel mezzo a quella che si preannunciava una rissa.
<< Io non torno dentro quella mensa neanche per un minuto. >>
<< Potreste andarvene! >> ripropose Daryl, provocatorio, sottolineando come la loro unica possibilità fosse stare alle loro regole. Le tensioni erano palpabili, e ben presto il moro capì di essere in netta minoranza e che doveva stare al loro gioco. Si guardò attorno quasi imbarazzato, cercando gli occhi dei suoi compagni e se ne uscì con un << Se questi finocchi ce l'hanno fatta a sopravvivere tutto questo tempo, noi come minimo conquistiamo un altro blocco. >>
<< Con cosa? >> chiese il nero dietro di lui.
<< Atlanta, qui, ci presterà un po' di armi vere. Non è vero? >> chiese ancora lui guardando Rick, cercando di far cedere l'uomo con i suoi sguardi e frasi provocatori, senza mai riuscirci.
<< Quanto è rifornita la mensa? Dev'esserci tanto cibo: 5 uomini per quasi un anno. >> si limitò a dire Rick, lasciando alla loro intuizione quale fosse il suo vero scopo. Una specie di patto: cibo in cambio di un blocco. Sembrava plausibile.
<< Ce n'è rimasto ben poco. >> disse il moro, ma non rifiutò apertamente: sembrava più un tentativo di scoraggiamento.
<< Ne prenderemo metà e in cambio vi aiuteremo a ripulire un blocco. >> comunicò Rick.
<< Non l'hai sentito? Ce n'è rimasto ben poco! >> brontolò il nero amico del moro.
<< Avete più cibo che scelte. Voi pagate e noi vi aiutiamo. Vi ripuliamo un blocco e ve lo tenete. >> Sembravano riluttanti, sicuramente lo erano, ma alla fine accettarono. Che scelta potevano avere? Il coltello dalla parte del manico non l'avevano loro, era evidente a tutti.
<< Ma voglio essere ben chiaro. Se vi vediamo qua fuori, se vi avvicinate al nostro gruppo, se solo sento il vostro odore sappiate che vi ucciderò. >> minacciò Rick, avvicinandosi ancora al detenuto, investendolo con la sua carica di determinazione. E ancora una volta, riluttanti, accettarono.
Silenziosamente ma rapidamente il gruppo di detenuti scortò Rick, Ocean, Daryl e T-Dog alla mensa, dove avrebbero mostrato loro il cibo che gli era rimasto e avrebbero quindi dato il loro "pagamento anticipato". Rick fu il primo ad entrare, lento, seguito dai suoi compagni, e per un attimo scommise di aver sentito il coro di angeli del paradiso. Erano mesi che non vedeva tanto cibo tutto in una volta.
<< Meno male era poco. >> disse sarcastica Ocean facendo uscire dai suoi occhi e dal suo tono di voce tutto lo stupore e la meraviglia di fronte a tutto quel ben di Dio. Non cominciò a sbavare solo per dignità, ma la bocca spalancata, per niente decisa a richiudersi, avrebbe potuto tradirla da un momento all'altro. Sentiva già lo stomaco urlare famelico di tuffarcisi senza pensare a niente se non morire di troppo cibo. Daryl entrò dopo di lei con una torcia in mano, studiando con più attenzione quello che aveva davanti e senza riuscire a trattenere un rabbioso << Questo per voi è poco cibo? >>
Rick e T-Dog afferrarono la loro razione e la portarono veloci nel loro blocco con un sorriso che andava da orecchio a orecchio: un tempo avrebbero volentieri lasciato quelle cose sullo scaffale del supermercato, ma con i tempi che correvano quelle scatole erano caviale e Champagne. Ocean e Daryl rimasero con i prigionieri nel frattempo, a tenerli d'occhio, anche se a detta loro era il contrario. Poi si riunirono e discuterono, preparandosi, e Rick, come al solito, coordinò e diede le direttive. Per loro era facile ascoltarlo, ormai erano abituati a seguire gli ordini del loro Generale, ma per i detenuti non era così semplice. Non sapevano niente di zombie e non sapevano niente del loro gruppo. Per questo il moro provò a ribattere, sentendosi anche abbastanza infighettato, tirando fuori la sua solita pistola, orgoglioso come si può essere nel tirar fuori il proprio pene davanti a un branco di impotenti, e dicendo scorbutico << Perchè usare questo. >> cominciò indicando un piede di porco << Quando ho questa? >> il suo sorriso sornione diceva tutto riguardo alla felicità che provava nel tenere una pistola in mano, e la cosa certo non andava giù a nessuno dei presenti.
<< Il rumore li attira, li irrita. >> spiegò Daryl in poche parole.
<< Andremo a due a due. Daryl e Ocean staranno davanti, dietro T-Dog con te. >> e indicò uno di loro << E poi io e tu. >> e ne indicò un altro. << Restate sempre in formazione, anche se si avvicinano gli zombie! Se uno esce dai ranghi, potremmo morire tutti. Se uno scappa può venire scambiato per uno zombie e finire con un'ascia in testa. >>
<< E' lì che dovete mirare. Si abbattono solo con un colpo alla testa. >> spiegò ancora Daryl.
<< Non spiegateci come far fuori un uomo. >> disse riluttante il moro, sentendosi probabilmente offeso dal comportamento superiore che stavano assumendo quelle persone, non riuscendo a capire che era più che plausibile che ne sapessero più loro di lui.
<< Peccato che questi non siano uomini. >> intervenne Ocean, che poco parlava ultimamente, e se ne stava abbastanza in disparte, con le spalle poggiate al muro e le braccia conserte. Non le piaceva mostrarsi agli sconosciuti, anche con Rick e gli altri i primi giorni era risultata fredda e distaccata, quasi priva di sentimenti e sull'orlo continuo del premestruo. Era il suo modo di fare per assicurarsi di essere lasciata in pace, per tener lontane le minacce. La sua, ormai amica, corazza di spine.
<< Belli miei, siete stati chiusi lì dentro quasi per un anno, e nel frattempo fuori c'è stata l'apocalisse. Questo non è più il vostro mondo, quindi date retta a papino senza fare le teste di cazzo, eh?! >> disse ancora avvicinandosi al tavolo lentamente e completando la frase con un sorrisetto stizzito e un paio di schiaffetti affettuosi alla guancia del moro, che nervoso si tirò subito indietro, si scosse per non farsi toccare e con una rapidità degna di un falco a caccia afferrò violentemente il suo polso, bloccandola. Ocean continuò a tenere i suoi occhi affilati fissi in quelli dell'uomo, in una lotta invisibile a dimostrare l'anima di chi dei due era più forte, senza temere neanche per un istante la presa ferrea e sudaticcia che aveva su di lei. Poi con uno scatto deciso tirò via la mano, liberandosi e indietreggiò di un passo. Sfilò la sua spada, sorrise nel vedere con la coda dell'occhio che alcuni di loro avevano sussultato e si allontanò di nuovo, affiancandosi a un Daryl che già aveva cominciato a stringere fin troppo la sua balestra.
<< Ho una fame da lupi, vediamo di muoverci. Chi resta indietro, rimane indietro! >> minacciò ancora lei prima di rivolgere lo sguardo a Rick e aspettare il suo consenso.
<< Non dimenticate di puntare al cervello! >> sottolineò ancora l'uomo prima di guardare uno a uno i nuovi ospiti, un modo per tenerli al guinzaglio piuttosto che vedere se avevano capito, e partire per primo, sempre ben coperto dai suoi amici. Gli altri lo seguirono, preoccupati, probabilmente terrorizzati, ma solo il moro continuava ad essere infastidito e stizzito da tutto. Il suo testosterone urlava vendetta, chissà poi per cosa. Si accostò al biondo, al suo fianco e bisbigliò provocatorio << Mandano una donna in prima linea per aprirci la strada, che stronzata. Arriveremo poco lontani. >>
Ocean, appena davanti a lui, recepì quelle parole, che non sembravano essere dette per restare celate visto il tono di voce usato e sentì un fuoco nascerle alla bocca dello stomaco. Odiava gli uomini più degli zombie, e ancora una volta le avevano dato dimostrazione di quanto fossero stronzi. Ma dovette trattenere l'istinto omicida che le era nato e che le faceva tremare le braccia e si limitò a dire, senza dargli neanche la soddisfazione di guardarlo in volto << Vediamo se ripeti le stesse cose quando questa donna ti salverà il culo da qualche zombie che tenterà di masticartelo a dovere. >> credeva davvero di essere migliore di lei? Lui che era stato chiuso a cacarsi sotto per 10 mesi mentre lei già aveva perso il conto del numero di zombie uccisi e del numero di volte che aveva salvato la vita a se stessa e al suo gruppo. Testosterone, solo ed esclusivamente testosterone. E lei lo detestava. Soprattutto in un periodo come quello dove la disparità dei sessi non valeva più un cazzo.
Il moro sorrise alla provocazione, facendosela scivolare addosso, o forse divertito nel vedere che le sue parole erano andate a segno, facendo nascere in lei una reazione, e tornò a bisbigliare al suo amico, ridacchiando divertito, << So io che gli farei a quel culo. >> Ocean si irrigidì ancora di più, tanto che fu costretta a fermarsi e dovette chiudere gli occhi e fare un profondo respiro per evitare di dar libero sfogo alla rabbia, tagliandogli la testa all'istante. Stava già pensando al modo migliore per rispondere alla provocazione, zittendolo, ma evitando inutili spargimenti di sangue, voltandosi lentamente, quando all'improvviso si rese conto che il suo intervento non era più necessario. Daryl, che fino a quel momento era stato accanto a lei, nel sentir pronunciare quella frase si era voltato improvvisamente, ma deciso, senza mostrare l'ira che a volte annebbia la vista, ma solo una decisa e determinata furia omicida, quella che porta a vedere anche fin troppo bene quali movimenti compiere per arrivare all'obiettivo. Aveva spinto il moro contro il muro, facendogli sbattere la schiena. Gli portò l'avanbraccio al collo per impedirgli di muoversi e di respirare e puntò la lama del suo coltello sempre al collo, premendo appena la punta, tanto da fargli uscire un piccolo rivolo di sangue. Lo guardava negli occhi, facendo travisare tutta la sua furia anche a chi gli stava attorno. Il moro aveva fatto in tempo a sfilare la sua pistola, mentre veniva aggredito, e gliela stava puntando alla tempia, ma questo non spaventava minimamente Daryl che gli sibilò, quasi sputacchiò, in faccia un << Prova anche solo a pensarlo un'altra volta. >>

Angolo Autrice

Pant Pant!! Ce l'ho fattaaaaa xD Mamma mia come sta diventando difficile aggiornare regolarmente. Mi dispiace con chi mi sta seguendo che deve aspettare tutte le volte eoni prima di poter leggere il seguito, ma siamo sotto esami e si sa che la sopravvivenza in questo periodo è a rischio xD
Ma a fine febbraio dovrei tornare a essere regolare :) abbiate fedeeeeee...non mollo!! xD
Un saluto.

Ray.

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Capitolo 22
*** Poker Face. ***


Poker Face.

Nessuno fece subito qualcosa, nessuno intervenì, i detenuti probabilmente spaventati e desiderosi di non farli arrabbiare ancora: alla fine li stavano aiutando, Rick perchè non gliene portava un cazzo di quel deficiente, ed era bene che si cacasse un po' addosso, visto il suo comportamento per niente produttivo. Ocean rimase a guardare la scena compiaciuta, sentendosi improvvisamente libera da ogni furore e provando solo un forte senso di sollievo e anche un pizzico di gioia. Aveva dimenticato quando era stata l'ultima volta che un uomo aveva reagito con tale veemenza solo per lei, aveva dimenticato quando era stata l'ultima volta che un uomo l'aveva trattata come donna, proteggendola e difendendola, e non come oggetto per il proprio piacere. Anzi, no...lo ricordava bene quando era stata l'ultima volta. La volta che Manuele aveva ucciso Simone. Ma allora non era stato piacevole come in quel momento. Daryl non era solito lasciarsi andare a lascive dimostrazioni d'affetto, e quello era il suo modo personalissimo di dire "Ci penso io a te, piccola". In quell'aggressione erano celati tutti gli abbracci e i "ti voglio bene" che mai venivano rivolti a lei, ma che erano comunque presenti nei suoi occhi di ghiaccio.
La cosa la fece sorridere.
Ma nessuno dei presenti era in grado di leggerle il pensiero, e interpretarono così quel sorriso solo come un minaccioso avviso: "non ci facciamo scrupoli a uccidere chiunque non annuisca e chini la testa".
Dopo qualche interminabile secondo Rick si fece avanti con un sospiro rassegnato, avvicinandosi lentamente e posando una mano sulla spalla di Daryl lo convinse ad allontanarsi, lasciando in pace quel povero disgraziato, che cercò in tutti i modi di nascondere il bisogno di recuperare tutto l'ossigeno che quella stretta gli aveva negato.
<< Niente scherzi. >> minacciò Rick prima di tornare in formazione, davanti al gruppo e intimare a proseguire con autorità. Il moro lasciò passare davanti a sè tutto il gruppo, prima di mettersi in fondo e seguirli, con gli occhi di chi ha già scelto la prossima vittima. Il balestriere, che era tornato serio e silenzioso, vicino ad una Ocean che lo fissava con un sorrisino ebete in faccia, aveva superato un limite.
Si inoltrarono nel primo corridoio e Daryl, a capo del gruppo, svoltava gli angoli osservando con attenzione tutto ciò che il buio aveva da offrirgli. Ocean, dietro di lui, teneva ben alzata la spada e si muoveva lentamente ma decisa, senza tentennare o barcollare, come se quella ormai fosse casa sua. E in un certo senso era così. Non aveva più paura del buio, sapeva quali pericoli c'erano nascosti e sapeva che poteva contrastarli. C'era un uomo nero sotto il suo letto, ma lei conosceva il suo punto debole. I suoi piedi e i suoi occhi, nel muoversi in direzioni esatte, dimostravano tutta la quotidianità di quei movimenti.
<< E' maledettamente buio qui dentro. >> lamentò uno dei detenuti, spaventato e che non aveva certo la stessa sicurezza di Ocean e il suo gruppo.
<< Li sentirete prima di vederli. >> informò di nuovo Daryl, dando ancora lezioni di sopravvivenza zombie.
Dei passi in lontananza fecero sussultare il biondo, che si lasciò scappare un << Arrivano! >> decisamente troppo forte. Fu ammonito con uno "sh" e Daryl fece cenno di fermarsi e aspettare. Gli zombie cominciarono a mostrarsi da dietro un angolo. Uno, poi due e probabilmente anche altri dietro di loro, ma bisognava tenere la calma e la formazione. Silenziosamente, con un gesto della mano, Daryl fece loro cenno di stare fermi e cominciò a contare per andare avanti in un attacco coordinato.
1....2....
Ma il tre non arrivò mai. I detenuti, esplosi nella loro agitazione e adrenalina, corsero verso gli zombie urlando come matti e le armi ben alte sopra di loro. Il balestriere, sopraffatto e sorpreso, li lasciò passare avanti, non sapendo che pensare se non un "Deficienti.". Ocean spalancò gli occhi e lasciò cadere le spalle, perdendo la sua rigidità e portandosi scoraggiata una mano alla fronte, soprattutto quando vide che la loro tecnica di attacco erano colpi allo stomaco, calci e pugni. Sospirò: non avevano capito niente. In un misto tra fastidio, divertimento (per la loro figuraccia) e scoraggiamento si avvicinò velocemente al biondo che si stava accanendo contro uno degli zombie bloccato alle spalle dal nero, dandogli continui colpi allo stomaco e urlando quasi compiaciuto << Prendi questo! E questo! >>. Con uno spintone scocciato lo fece spostare, alzò la spada all'altezza del viso e le fece tagliare l'aria dritto davanti a sè, andandosi a impiantare dritto tra gli occhi del mangiatore di carne, facendo così cessare all'istante i suoi grugniti e i suoi movimenti. Il nero lo lasciò andare, un po' sorpreso, riluttante, ma sempre agitato, facendo accasciare a terra il corpo ormai in fin di vita dello zombie e Ocean approfittò del suo peso per strappare la spada con facilità e riprenderne il possesso. Si voltò di scatto, avvicinando il suo volto al biondo e dedicandogli lo sguardo più incazzato che avesse mai sfoderato dal suo repertorio sibilò << Puntate alla testa! >>. L'uomo indietreggiò con la testa e ancora una volta ebbe paura di quella ragazza che tanto femmina non sembrava. Daryl e Rick la raggiunsero poco dopo, abbattendo gli altri due zombie ormai sbudellati, ma non per niente decisi a cadere a terra e guardarono tutto quel gruppo con gli occhi di un maestro che sta per dare una grave punizione all'alunno disobbediente.
<< Il cervello! Non il cuore o lo stomaco. Solo il cervello. >> sottolineò ancora Daryl, che ormai aveva capito qual era l'andazzo. Il biondo annuì deglutendo e confermò rapido e imbarazzato << Riceuto. Il cervello. >>.
Si rimisero in formazione e proseguirono ancora. Altri zombie si fecero avanti, ma finchè erano uno o due, era meglio lasciare fossero i detenuti ad agire, per permettere loro di imparare qualcosa. Il nero colpì il primo alla testa, che cadde a terra e lo guardò soddisfatto di essere riuscito a vincere da solo e senza la fatica che aveva fatto prima. Poi fu la volta del biondo, che lo imitò e chiese conferma << Così? >>. E dopo fu la volta di tutti gli altri. Rick, Daryl, Ocean e T-Dog continuarono a restare in seconda fila, lasciando smenare i detenuti che ormai sembravano aver capito e si stavano dando da fare con successo. Loro semplicemente controllavano che tutto filasse liscio, intervenendo solo se necessario, così avrebbero anche evitato di stancarsi per chi forse neanche lo meritava.
Poi un urlo improvviso, alle loro spalle, fece sussultare tutti. Rick si voltò e corse in soccorso di uno dei neri, il più grosso, che aveva indietreggiato impaurito e si era ritrovato circondato dagli zombie. Non aveva visto cosa l'aveva fatto urlare, ma si era fatto avanti immediatamente correndo in suo aiuto e abbattendo uno degli zombie che stava per farlo vittima. Improvvisamente dei colpi di pistola, che in quel silenzio risuonarono più forti che mai, tanto da stordire le orecchie. Tutti si voltarono a guardare il folle che aveva ritenuto necessario un gesto tanto sconsiderato. Nessuno si meravigliò di vedere che era stato il moro. Rick, davanti a lui, gli rivolgeva non solo uno sguardo furioso per aver sparato inutilmente, ma anche impaurito: l'aveva sfiorato. Sarebbe bastato qualche centimetro più a sinistra e quelle pallottole se le sarebbe beccate lui. Sapeva già di non potersi fidare, soprattutto di lui, che sembrava essere il più ribelle del gruppo, ma quella fu l'ultima goccia: ora sapeva che doveva essere pronto a usare l'arma al primo segnale. Quello stava tentando di ucciderlo, forse per impadronirsi anche del suo blocco. Lasciò l'accaduto in sospeso, facendone tesoro, e tornò a guardare il nero accanto a sè che lamentava dolore e perdeva sangue da una spalla.
<< Voltati. Fammi vedere. >> ordinò Rick che intanto veniva raggiunto dal resto del gruppo. Come sospettava...per il nero non c'era speranza. Era stato graffiato, non sarebbe sopravvissuto a lungo, e provò a spiegarglielo, anche se pacamente.
<< Ve l'assicuro! Non sento niente! E' solo un graffio. >> continuò a dire lui, sperando di minimizzare la cosa, sperando probabilmente che si stessero sbagliando. Stava bene...come poteva morire da un momento all'altro solo per uno stupido graffio?
<< Hai tagliato la gamba di quell'anziano per salvargli la vita! >> brontolò l'amico del nero.
<< Guarda dov'è il graffio! >> rispose Rick. Che si aspettava? Che gli tagliasse via il busto? Il nero cominciò a sudare, forse per la paura, o forse per l'infezione che cominciava a dilagarsi nel suo corpo e continuò a insistere che stava bene. I suoi compagni continuarono ad avanzare ipotesi, qualsiasi cosa pur di salvare il loro amico, proponevano di tutto, perfino di rinchiuderlo in quarantena e Rick dovette ancora una volta insistere << Non c'è niente da fare. >> senza però continuare a essere accettato dalla comunità di detenuti, che cominciarono addirittura a prendersela con di lui. Ma a porre fine al discorso fu il moro, che senza un minimo di tentennamento fece cadere la sua ascia sulla testa dell'amico ferito e lo uccise sul colpo, lasciando tutti senza parole. Non soddisfatto poi diede lui il colpo di grazia colpendolo più volte alla testa, fino a spappolargliela, con una furia e un'adrenalina che ancora testimoniavano fosse uno psicopatico da cui tenersi alla larga. Sembrava provasse piacere nei colpi inferti. D'istinto Rick indietreggiò, e Daryl invece fece un passo in avanti, posizionandosi davanti a Ocean, ancora mosso da un forte istinto protettivo nei suoi confronti. Quando il moro ebbe finito guardò i presenti con lo sguardo di chi è appena sceso da una giostra, il fiatone, e gli occhi che urlavano minacce taglienti e affilate. Faceva paura. Poi silenzioso riprese il cammino. La formazione precedentemente stabilita venne sciolta e Rick, Daryl e Ocean si spostarono in fondo, dietro al resto del gruppo: i due uomini per tener d'occhio quel gruppo di pazzi, soprattutto il moro, Ocean per evitare che qualcun altro guardasse e commentasse il suo culo. E poi Daryl non le aveva dato scelta e l'aveva tirata con sè, costringendola a stare dietro di lui.
<< Hai visto il suo sguardo? >> disse poi a Rick sottovoce, guardando il moro davanti a sè << Se fa una mossa, basta che mi fai un cenno. >> Rick non rispose, ma sapeva non ce n'era bisogno. Sapevano tutti quello che stava succedendo.
Entrarono in quella che doveva essere la lavanderia e pian piano si sparpagliarono, esaminando ogni angolo. C'era una grande porta sulla destra, chiusa, da cui si sentivano arrivare i mugolii degli zombie da dietro. Si posizionarono tutti intorno e aspettarono che Rick la raggiungesse, guardandola, e studiando un piano. Lanciò il mazzo di chiavi ai piedi del moro, di fianco a lui e lo guardò deciso.
<< Io non la apro! >> disse il detenuto intuendo ciò che Rick voleva.
<< Si, invece. >> rispose Rick risoluto << Se volete questo blocco dovete aprire quella porta. Solo un'anta! Non tutte e due. Dobbiamo poterli controllare. >>
Il moro si chinò a raccogliere il mazzo di chiavi, ma non distolse lo sguardo minaccioso dal capo della compagnia, probabilmente pensando ancora a chissà quale minaccia o piano di omicidio. Si avvicinò alla porta e cominciò a smanettare con le chiavi, cercando quella giusta per aprire quella dannata porta. I suoi compagni intorno a lui si strinsero e impugnarono saldamente le armi. Non sapevano quanti ne sarebbero usciti da li, e la cosa li spaventava.
<< Stammi vicino. >> sussurrò Daryl a Ocean, affermazione che fece destare la sua indignazione e la portò a rispondere offesa, sempre sussurrando << So badare a me stessa! >>
Daryl le rivolse uno sguardo, cercando i suoi occhi, cercando la sua complicità e aggiunse, sempre evitando di farsi sentire dagli altri << Non è degli zombie che ho paura. >>. Ocean guardò quegli occhi che tanto l'avevano cercata e lasciò che parlassero, sostenendo il suo sguardo, senza fiatare, leggendo quasi i suoi pensieri da quelle piccole porticine azzurre che a volte si aprivano così tanto solo per lei. Sapeva bene a cosa si riferiva, e non aveva cuore di dargli torto. Gli zombie era facile ucciderli, se si aveva uno schema, un'organizzazione. Gli uomini la spaventavano un po' di più. E in cuor suo avere Daryl accanto la faceva sentire più tranquilla. Così accettò le condizioni, anche se non lo disse apertamente, e si posizionò, preparandosi alla battaglia, restando ben vicina al suo compagno.
<< Siete pronti, stronzetti? >> chiese il moro, prima di cominciare a tirar calci alla porta, cercando di aprirla con rapidità in modo da avere tempo di mettersi a riparo e impugnare bene la sua arma. Ma la porta non si aprì al primo colpo e dovette colpirla più volte. Poi fece un'altra delle sue cazzate e spalancò entrambe le ante, prima di correre a posizionarsi nelle retro vie. Rick l'ammonì, urlandogli contro rabbioso << Ho detto: solo un'anta!!! >>, urlo a cui il moro rispose con un finto << Non l'ho fatto apposta!! >> prima di cominciare a dar fendenti in giro. Un'orda di zombie si riversò nella stanza, accerchiati dai detenuti e dal gruppo di Rick che tentava di tenerli a bada, uccidendoli con rapidità e attenzione, sperando di non perdere nessuno di vista o sarebbe stata la fine. Ocean si fece avanti, cercando di restare sotto lo sguardo accuditore di Daryl e con un colpo di spada tagliò in obliquo la testa di uno degli zombie. Fece un passo indietro, riprendendo l'ordine mentale in quel caos, e si lanciò subito di nuovo contro un altro, infilzandogli di punta la spada nel cranio. La estrasse, aiutandosi con un urlo e tornò a guardare davanti a sè. Un freccia di Daryl le passò affianco colpendo uno zombie davanti a lei, che non si fece distrarre troppo dall'accaduto e tornò a guardare di fronte a sè, pronta a colpire gli altri, quando lo vide: il moro afferrò uno zombie per la divisa e nel tentativo, mal riuscito, di farlo sembrare un incidente, lo lanciò contro Rick, facendo cadere entrambi a terra. Ocean spaventata uscì immediatamente dalla sua formazione, inoltrandosi tra i detenuti, spintonandone un paio per cercare di raggiungere il prima possibile il capogruppo. Sfoderò una delle daghe e la conficcò immediatamente nel cranio dello zombie che stava cercando di mordere il suo amico, riuscendo così a salvargli la vita. Rick spintonò via con furia il corpo esanime da sopra di lui e Ocean gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. L'uomo le diede una pacca di ringraziamento sulla spalla nell'istintante in cui fu in piedi e raggiunse subito di nuovo il suo posto vicino al moro, squadrandolo come si fa con chi ha appena dato uno schiaffo a tua moglie. Il moro fece finta di niente, guardandosi attorno, cercando di sembrare agitato per poi rivolgersi a Rick, notando il suo sguardo incriminatore e alzando le spalle disse << Mi stava venendo addosso. >> cercando così di giustificarsi. Daryl, nonostante gli zombie fossero a terra, continuava a tenere alzata la balestra, che questa volta era puntata sul detenuto. Ocean rimase dov'era, un paio di passi indietro, ma sempre tenendo lo sguardo attento e ben puntato sulla scena, pronta a reagire qualora fosse stato necessario o Rick glielo avesse chiesto. Quel figlio di puttana aveva provato a ucciderlo, altro che incidente.
<< Si, capisco. >> disse Rick annuendo e sorridendo, ma non riuscendo a impedire al corpo di reagire al suo nervoso, continuando a spostarsi da un piede a un altro << Capisco. Non l'hai fatto apposta. >> i due continuarono a fissarsi per un interminabile istante, il moro cercando di convincere con gli occhi Rick e Rick con un finto sorriso stampato in faccia ma gli occhi di chi sta per tirarti un cazzotto in faccia. Ma non fu un semplice cazzotto ad arrivare su quella faccia. Un colpo secco, veloce e senza preavviso, e la lama del suo macete fu ben presto impiantata nella testa dell'interlocutore, fin quasi a una delle sopracciglia. Il nero, il più piccolo, si fece avanti con la mazza da baseball ben tesa, guardando terrorizzato l'assalitore del suo amico e provò a colpirlo, ma fu buttato a terra da un calcio. Daryl fece un passo avanti, con la balestra ben puntata davanti a sè, e Ocean e T-Dog fecero altrettanto, puntando le proprie armi contro i detenuti, ormai i pochi rimasti, intimandoli di stare calmi e fermi. Il ragazzo a terra si guardò intorno terrorizzato, prima di rimettersi velocemente in piedi e scappare via.
<< Lo prendo io! >> disse Rick cominciando a corrergli dietro, lasciando soli i suoi tre compagni con i due detenuti rimasti.
<< Mettiti in ginocchio, ora. >> ordinò Daryl a quello che teneva sottotiro. Ocean si avvicinò al biondo, sulla sua destra, e gli puntò con assoluta tranquillità la lama della sua spada alla gola << Vediamo di non fare altri scherzi, eh? >> e tremolante lui obbedì, alzando le mani e posando l'arma a terra. Guardò il suo amico e terrorizzato si affrettò a dire << Con quello che è appena successo noi non c'entriamo niente!!! Diglielo, Oscar! >>, vacillando sull'orlo del pianto.
<< Basta parlare, amico. >> rispose però il nero, negando debolmente con la testa. Forse il più intelligente della compagnia, glielo si leggeva negli occhi il suo voler lasciar perdere, il suo voler solo stare tranquillo e in pace, senza creare altri guai. Ocean si sgranchì la schiena, sempre senza muovere troppo la sua lama dalla sua vittima e sbuffò << Tutto questo tempo perso per niente. >> e poi aggiunse sospirando scocciata << Sto morendo di fame. Ehy! >> si illuminò all'improvviso << Se facciamo fuori anche questi due possiamo prenderci anche l'altra metà delle scorte! >> sorrise quasi entusiasta. Non diceva sul serio, non era un'assassina, solo una volta aveva ucciso un uomo per legittima difesa e quello era ancora uno dei suoi peggiori incubi. Però sapeva che in certi casi era bene tenere il guinzaglio teso. Più avrebbero avuto paura, più avrebbero evitato di fare altre sciocchezze. La sua frase parve avere un certo effetto, soprattutto sul biondo, in quanto piagnucolò un << Oh Dio, no. >>
Non aggiunse altro, si limitò a sorridere divertita da quel giochetto e soddisfatta del risultato. Alzò lo sguardo, cercando forse la complicità dei suoi compagni e incrociò gli occhi di un T-Dog ammonitore. Era lo stesso sguardo che le faceva sua madre quando da bambina le uscivano dalla bocca cose che non doveva dire. Ocean alzò le spalle innocentemente, come se non avesse appena fatto niente, e si voltò a guardare Daryl, a cercare almeno in lui il sostegno, la complicità, la stessa che poteva avere con sua sorella, sempre nelle stesse occasioni: anche lui nascondeva un sorriso dietro la balestra e guardandola scosse delicatamente la testa, facendo travisare il suo "che imbecille" divertito.
Rick tornò poco dopo, ben fermo sui suoi piedi, e soprattutto solo. Non disse niente, ma i suoi compagni capirono che il ragazzo non ce l'aveva fatta. Appena sopraggiunto, puntò la pistola alla fronte del nero sulla destra, ancora in ginocchio e chiese spiegazioni. Provarono a dirgli, entrambi i prigionieri, che con quello successo non c'entravano niente, ma Rick sembrava fermo e risoluto nella sua decisione di premere quel grilletto. Ocean sapeva bene che alla fine li avrebbe lasciati andare, non avevano fatto niente, e non avrebbe certo avuto cuore di ucciderli a sangue freddo senza un motivo apparente, ma doveva fare la parte del duro e dello spietato per costringerli a portar rispetto, convincerli così a non fare altre stronzate e confessare nel caso fossero stati in combutta con lo stronzo a terra. Il poliziotto buono lo aveva già fatto troppe volte, ora era il turno di quello cattivo.
Spostò la pistola e andò dal biondo, quello che tra i due aveva più paura e ordinò << Daryl, basta, facciamola finita! >>, ordine che fece scoppiare a piangere l'uomo a terra, come un bambino che si è appena sbucciato un ginocchio e supplichevole continuò a dire << Dovete crederci! Erano loro quelli cattivi, non noi! >>
<< Ah, che bravi ragazzi! >> disse sarcastico Rick, continuando ad avvicinare la sua pistola alla sua testa. Infondo era risaputo che solo i bravi ragazzi finivano in prigione.
<< Avete visto cosa ha fatto a Tiny?! Lui era mio amico. >> pianse ancora << Vi prego. Noi non siamo così. A me piacciono le droghe ma non sono un assassino! Oscar è uno scassinatore, e neanche tanto bravo! >> Ocean dovette voltarsi con discrezione e coprirsi con una mano per riuscire a nascondere la risata che stava nascendo da quell'ultima affermazione, dovevano mantenere l'aria da duri per portarli al limite, e per fortuna riuscì a non farsi notare << Non siamo tipi violenti, loro sì! Vi prego, io ve lo giuro su Dio! Voglio vivere! >> singhiozzò ancora. Rick rimase qualche altro secondo a scrutarlo, scavando fino in fondo alla sua anima, riversata in lacrime; poi si voltò di colpo e tornò a concentrarsi sul nero, che continuava ad avere uno sguardo deciso, ma si leggeva sul suo viso la sua innocenza.
<< Tu che mi dici? >> chiese Rick.
<< Non ho mai scongiurato nessuno per continuare a vivere. Non voglio certo cominciare ora. Fate quello che dovete fare. >> al contrario dell'amico lui dimostrava sicuramente più palle. Ma questo non portò Rick a pensare fosse colpevole, non tanto più del suo amico piagnucolone. Perciò decise di lasciarlo andare. Rick prese il biondo, che disse di chiamarsi Axel, e lo trascinò con poca grazia lungo il corridoio. T-Dog fece altrettanto col nero, Oscar, mentre Daryl camminava in testa e Ocean in coda, a chiudere la fila e tener d'occhio le cose nelle retrovie. Vennero aperte le porte del blocco A e i due detenuti furono letteralmente lanciati dentro.
<< Oh, merda. >> si lasciò scappare Axel, quello che tra i due non riusciva proprio a tenere la bocca chiusa << Li conoscevo. >> disse guardando i corpi di altri detenuti stesi a terra << Erano brave persone. >>
<< Andiamo. >> incitò Rick ai suoi, prima di avviarsi verso la porta. Lì non avevano più niente da fare.
<< Quindi ci lascerete qui? Ma è disgustoso! >> disse Oscar, quasi indignato, non capendo in realtà che gentil concessione avessero loro fatto, pulendo il blocco.
<< Chiuderemo questo blocco. D'ora in poi questa parte della prigione è vostra. Prendere o lasciare, era l'accordo. >> disse Rick prima di uscire, senza aggiungere altro, senza voler parlare ancora. Non c'era niente di cui discutere. Fine della storia. T-Dog lo seguì in silenzio, e dopo Daryl, ma non senza prima essersi accostato ai due detenuti << Questo è disgustoso? Meglio che tu non sappia cosa c'è la fuori. >> disse.
<< Questa volta consideratevi fortunati. >> disse ancora Rick da dietro la porta prima di proseguire per tornare a casa loro. Daryl si fermò ancora un po', continuando a guardarli compassionevole e rivolse loro ancora altre parole, non più però di minacce o astio. Non c'era più motivo.
<< Mi dispiace molto per i vostri amici. >> disse abbassando leggermente gli occhi, dimostrando le sue reali condoglianze. Ocean gli passò accanto a testa bassa, e gli posò una mano delicata su un braccio << Andiamo. >> disse. Aveva completamente perso quell'aria da dura che l'aveva accompagnata per tutto il tragitto, ormai sentendo inutile proseguire. Erano arrivati alla fine, non c'era più bisogno di mantenere alti gli animi e incutere timore. Daryl le rivolse uno sguardo, incrociando i suoi occhi e annuì prima di incamminarsi, seguito subito dalla ragazza. T-Dog diede loro consiglio di bruciare i corpi, un consiglio amichevole, e infine anche lui abbandonò del tutto la coppia. Soli nel loro personalissimo Limbo.
Tornarono al loro blocco e Rick subito si avvicinò alla stanza di Hershel per vedere come stava. Carl disse che aveva smesso di respirare per un po', ma Lori era riuscita a salvarlo, e ora stava bene. Ancora niente febbre. Chissà che non fossero realmente riusciti a salvarlo.
Se solo si fosse risvegliato.
Ocean rimase fuori in disparte, ascoltando semplicemente, guardandosi le mani pregne di sangue e provando inutilmente a pulirle con un fazzoletto già sporco. Solo un modo per tenere la mente impegnata, senza dare veramente a quei gesti uno scopo. Daryl invece si avvicinò a Molly, seduta sul primo scalino che portava al livello superiore, la bambola sulle ginocchia e la testa poggiata sulle mani. Aveva lo sguardo triste e rammaricato, sentiva ancora l'urlo di Daryl nelle sue orecchie e non smetteva di sentirsi triste per questo. Lui silenzioso le si avvicinò e le si inginocchiò di fronte , toccandole le ginocchia, cercando di darle contatto umano. Si era reso conto di aver forse un po' esagerato, ma era stata una mossa troppo azzardata, aveva avuto paura ed era furioso e nervoso.
<< Ehy. >> sussurrò dolce vicino al suo viso, prima di infilarsi una mano in tasca << Guarda che ho trovato. >> la estrasse fuori, ancora stretta a pugno e gliela aprì sotto gli occhi mostrando al suo interno un lecca lecca, ancora ben chiuso e pulito. Lo aveva raccolto da sotto un letto, quando erano entrati a "pulire" le celle. Qualche golosone, dopo esserselo fatto portare di contrabbando, non aveva potuto goderselo prima di morire, ed essendo ben sigillato e quindi pulito Daryl aveva pensato di portare quel pensiero alla bambina. Molly si illuminò nel vederlo, era quasi un anno che non ne mangiava, e l'ultimo dolce era stata la caramella che Ocean le aveva dato quando l'aveva trovata chiusa nel portabagagli dell'auto. Lo prese immediatamente, ma si bloccò prima di aprirlo, guardando Daryl e aspettando il suo permesso. Il ragazzo sorrise e le disse << Allora? Che aspetti? >> e Molly non se lo fece ripetere due volte. Lo scartò con rapidità e se lo infilò subito in bocca, sentendo le papille gustative cominciare a cantare e ballare. Era buonissimo. Alla coca cola. Da quanto tempo non beveva coca-cola!
<< Mi dispiace essermi arrabbiato con te. Non volevo urlarti in quel modo. Ma devi fare più attenzione, e restare al sicuro! Intesi? >> disse lui guardando dritta negli occhi la bambina, che annuì timida, vergognandosi di essersi comportata in quella maniera. Promise di obbedire e continuò a mangiare con ingordigia il suo lecca lecca. Daryl sorrise ancora e le scompigliò i capelli << Bene. >> disse e andò anche lui alla cella di Hershel. Erano tutti li per lui, sulle spine e col cuore in lacrime, pregando chissà quale Dio, ognuno il proprio, affinchè fosse restituito loro il loro più caro amico. Tutti tranne Ocean, che in disparte cercava di tenere la mente altrove. Non voleva più perdere. Non lo avrebbe sopportato ancora. Doveva prendere le distanze prima che l'impatto dell'esplosione la investisse. Non voleva vederlo, non voleva farne parte,dimentica che ormai era troppo tardi e non sarebbe riuscita a impedire al suo cuore di piangere la perdita, l'ennesima. Non voleva più vedere occhi vuoti che affondavano nell'Oceano, abbandonati da ogni speranza. Lei, abbandonata. Niente più legami, niente più lacrime, niente più addii, niente più telefoni muti sul ciglio della strada.
Si accanì sulle sue mani, sfregando con tale forza da farsi quasi male. Basta sangue sulle sue mani, a rammentarle di come non sarebbe potuta più scappare. Colpevole di un delitto non commesso. Colpevole di essere rimasta in vita,a guardare gli altri affondare e affogare.
Non più! Lei non sarebbe più rimasta a discapito degli altri! Sicura nella sua corazza, mentre gli veniva urlato aiuto, e in lontananza si perdevano gli echi di vittime che gridavano al tradimento.
Cominciò a tremare.
Stava perdendo. In lontanza lo vedeva: la fattoria assediata e il viso in lacrime di chi non riesce a seguirla nella sua fuga. Non voleva voltargli le spalle...ma veniva trascinata. La sua mano allungata, in preghiera: "vieni con me!"
Fantasmi rispondevano: "Non mi è possibile!"
Strofinò e si lamentò. Perchè non riusciva a liberarsi di quel maledetto sangue sulle mani! Impermeabile come un tatuaggio.
Furiosa lanciò via lo strofinaccio inutile, ormai pregno di quel rosso incriminatore, e si inginocchiò portandosi entrambe le mani tra i capelli. La testa china e gli occhi chiusi. Non voleva vedere.
"Statemi lontano!" urlava a quei fantasmi che erano venuti a ricordarle chi era.
Colpevole di essere viva.
<< Papà! >> la voce improvvisa di Maggie fece dissolvere tutto in un istante. I fantasmi, giudici severi, sparirono scacciati da una luce accesa all'improvviso. Alzò la testa, puntando gli occhi alla cella di Hershel. Riusciva distintamente a vedere la mano scheletrica della morte che si allontanava.
<< Papà! >> chiamò di nuovo Beth, colma di emozione. Si alzò in piedi e velocemente con grandi passi raggiunse la cella, affacciandosi in tempo per vedere gli occhi di Hershel aperti che correvano da un viso a un altro dei presenti.
<< Oh mio Dio. >> si lasciò scappare in un sussurro, portandosi il dorso della mano tremante alla bocca. Sorrise emozionata e sentì gli occhi inumidirsi. Ce l'avevano fatta. L'avevano battuta. Quella maledetta meretrice che nessuno risparmiava, che mai perdeva la sua partita, era stata allontanata almeno quella volta. Maggie e Beth piansero tutte le lacrime che avevano mentre stringevano la mano del padre, sorridendo come ultimamente mai facevano.
E Ocean tirò un sospiro di sollievo, sentendosi alleggerire, e poggiò la fronte a una delle sbarre della cella, cercando appoggio e sostegno...E sentendosi una grandissima idiota per essere quasi stata distrutta dalle ombre che ormai, in pieno mezzogiorno, non si allungavano più.

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Capitolo 23
*** Scacco Matto ***


Scacco Matto.

Il sole stava calando ad ovest, incorniciando di un bel rosso perlato i prati visibili in lontananza. Sfortunatamente gli alberi del bosco impedivano alla vista di perdersi oltre la collina che come una madre vegliava sulla prigione ormai non più abbandonata. Il vento scuoteva le foglie, cantando, dolcemente. E una ragazza a cavallo ne era silenziosa spettatrice.
Cosa avrebbe dato per poter speronare la sua cavalla in una folle corsa senza tempo, in lontananza, l'aria tra i capelli che soffia rumorosa nelle orecchie e fa lacrimare gli occhi, e la sensazione di essere irraggiungibile e perfetta padrona del mondo.
Ma i suoi desideri avrebbero dovuto aspettare.
Mai più avrebbe rivisto sconfinate praterie su cui poter dar forza ai propri piedi.
Chiusa in una scatoletta, come quelle tanto bramate della mensa appena svuotata per metà. Misera...eppure non così tanto male.
<< Ocean. Sbrigati. >> la richiamò Rick al cancello, pronto a chiudere di nuovo le porte della loro libertà per dar loro motivo di continuare a bramarla, senza abbandonarsi all'oscurità della fine.
<< Arrivo. >> avvertì Ocean prima di speronare Peggy e correre all'interno del cortile, ormai ripulito, ma ancora pieno di fantasmi.
Daryl e Carol scesero da due auto, senza preoccuparsi di chiuderle, vizio ormai perduto del mondo antico, e si avvicinarono al loro capo che come sempre aveva suggerimenti e ordini pronti per essere sfornati. Tutto nella sua mente era perfettamente organizzato, e quella era la loro forza.
<< Poi... >> proseguì Rick, interrompendosi solo per guardare Ocean che li aveva appena raggiunti << ..Dobbiamo ammucchiare quei cadaveri per poterli bruciare. >> E tutti seguirono il movimento del suo braccio che indicava dove bisognava spaccare le proprie schiene.
<< Sarà una lunga giornata. >> sospirò T-Dog già stanco al solo pensiero.
<< Dove sono Glenn e Maggie? Ci servirebbe una mano. >> chiese Carol avvicinandosi al gruppo, restringendo le distanze tra loro.
<< Sulla torretta di guardia. >> comunicò Daryl, indicando con uno dei suoi soliti gesti plateali, ondeggiando le braccia come se lo spazio intorno a lui fosse tutto suo e avesse diritto a usarlo come più gli aggradava.
<< Sulla torretta di guardia? >> chiese Rick mostrando sconcerto << Ci sono stati anche ieri sera. >>
E Ocean non riuscì a trattenere una risata, dando manifestazione esterna dell'evidente divertimento che stava cogliendo tutti. Non era difficile capire perchè quei due avessero tanto desiderio a starsene soli e appartati.
<< Glenn!! Maggie!! >> chiamò Daryl, divertito, ma subito ammonito da un'altrettanto divertita Ocean << Oh, andiamo! Lasciali in pace! >> rise lei prima di allontanarsi trotterellando in groppa a una Peggy che non riusciva a stare ferma, irrequieta, proprio come lei. Non agitata, ma quanto più eccitata. Da molto tempo non si sentiva così bene, tanto da aver desiderio di urlare e sfogare tutta l'adrenalina in una folle corsa. Glenn si affacciò preoccupato, senza maglietta e ancora intento ad allacciarsi i pantaloni. Reazione che scaturì l'ilarità del resto del gruppo, soprattutto quando Daryl, continuando nel suo giochetto, gli fece una battuta a doppio senso con un << State venendo? Che fate, venite? Ci serve aiuto. >>
Ocean continuò a ridere tra sè e sè, divertita e alleggerita finalmente dopo tanto tempo di tutte le tensioni che le impedivano di guardarsi attorno e poter apprezzare le cose che la circondavano: una casa e una famiglia. Il tanto gradito abbraccio che Ocean a lungo aveva temuto, fuggendo da quelle minacciose mani che altro non volevano che accarezzare le sue ferite. A lungo avevano trattenuto il respiro in una folle caduta nel baratro, chiedendosi quando sarebbero arrivati sul fondo, anzi se mai ci sarebbe stato un fondo. E ora eccoli di nuovo lì, a ridere sganasciamente senza temere occhi attratti dalle loro voci.
Trottava ancora lungo il recinto, permettendo a Peggy di sgranchirsi gli zoccoli, quando vide avvicinarsi, oltre a esso, i due detenuti che il giorno prima avevano lasciato soli nel loro blocco. Il sorriso le morì sulle labbra: non aveva idea di cosa avessero intenzione di fare, anche se non sembravano minacciosi, ma sapeva che qualunque cosa fosse stata non avrebbe reso felice Rick.
<< Ehy, capo! >> chiamò prima di voltarsi e percorrere qualche metro in direzione del suo gruppo. Rick si girò richiamato dalla sua compagna e anche il suo sorriso morì all'istante: come si aspettava, la cosa non lo rese felice. I muscoli si tesero all'improvviso e un'ombra calò sui suoi occhi mentre a grandi falcate percorreva il cortile in direzione degli ospiti indesiderati, con la mano già serrata sulla pistola nella fondina.
<< Avevamo un accordo! >> gracchiò minaccioso.
<< Ti prego, Signore! Lo sappiamo! Ma cerca di essere comprensivo: non possiamo vivere in quel buco un minuto di più. >> piagnucolò ancora il biondo, intento ad abbracciarsi, dandosi conforto da solo. Ocean ebbe l'impressione fosse una persona molto sola e impaurita: un bambino lanciato in mezzo alla folla di un concerto metal. E ne ebbe pietà.
Il cuore era tornato a bruciare molto tempo prima, quando aveva voltato le spalle ai suoi fantasmi per abbracciare dei nuovi corpi, e ora fermarlo sembrava impossibile.
<< Ti prego. Tutte quelle persone morte, pezzi di cervello, sangue ovunque... Ci sono i fantasmi. >>
<< Perchè non portate fuori i corpi? Dovete bruciarli. >> li ammonì Daryl, quasi li sgridò, padre severo quale era.
<< Ci abbiamo provato! Davvero! Ma c'è un varco nel recinto della parte posteriore, ogni volta che ne portiamo fuori uno, gli zombie si avvicinano. Molliamo i corpi e torniamo dentro. >> spiegò Oscar, sicuramente meno frignone del primo, usando sempre un tono serio e diplomatico, ma non per questo meno spaventato e solo.
<< Senti. Non c'entravamo niente con Thomas e Andrew! Niente! Vuoi provare qualcosa? L'hai provato, fratello! Faremo qualunque cosa per far parte del vostro gruppo! >> disse ancora Axel azzardando ad avvicinarsi ancora. Nei suoi occhi c'era la verità e soprattutto la disperazione. Non mentiva, glielo si poteva leggere in faccia, ma loro avevano scrutato ombre in fin troppi volti per tornare a credere anche alla più misera scintilla. Le suppliche avevano lo stesso sapore amaro del tradimento, lo stesso che Shane aveva fatto loro mesi addietro.
<< Il nostro accordo non è trattabile. >> disse freddamente Rick, senza aggiungere altro.
<< Te l'avevo detto che era una perdita di tempo. Evidentemente non sono diversi da quegli stronzi che hanno freddato i nostri amici! >> disse Oscar al suo amico, Axel, prima di tornare a guardare Rick con fare deciso, determinato, quasi cattivo e provocatorio << Sapete quanti corpi di nostri amici abbiamo buttato via? Come fossero spazzatura? Erano bravi ragazzi! Bravi ragazzi che ci proteggevano dalla brutta gente della prigione, come Thomas e Andrew. Abbiamo fatto tutti degli errori per finire qua dentro, capo, e non fingerò di essere un santo ma ti prego di credermi! Abbiamo espiato le nostre colpe e preferiremmo starcene in strada piuttosto che tornarcene dentro quel buco di merda. >>
"Ti avrebbero dato l'Oscar....Oscar." pensò Ocean, trattenendo a stento un ghigno alla battuta che lei stessa aveva appena realizzato, utilizzando il nome del detenuto "Bel discorso."
Ma l'accordo non era trattabile...neanche da Robert De Niro.
Rick si voltò a cercare l'appoggio dei suoi compagni, ma in realtà i suoi occhi andarono a posarsi sull'unica persona a cui veramente avrebbe dato ascolto: Daryl, il quale deciso negò con la testa. Non volevano fidarsi.
Questo Ocean non lo capì. Erano dei disgraziati, disperati, glielo si leggeva in faccia, con un paio di precauzioni avrebbero potuto tenerli con loro. Alla fine avevano preso lei sotto la propria ala, lei che aveva tanto dimostrato di non essere il tipo da compagnia, lei che aveva fatto di tutto per farsi odiare...perchè ora rifiutare chi pregava un po' d'aiuto?
Ma il discorso era chiuso. Niente trattative.
O rientravano lì dentro, o se ne andavano.
E incredibilmente, o più spaventati dai fantasmi delle loro menti che dagli zombie lì fuori, decisero di andarsene.
Daryl li spinse fuori dal cortile, dovevano stare lontani dalla loro zona, poi chiuse il cancello che li separava, assicurandosi di fissare una catena ben solida e un lucchetto ben chiuso. Li avrebbero poi lasciati andare con delle scorte e forse qualche arma.
<< Rick. >> richiamò l'attenzione del capo T-Dog, una volta che furono abbastanza distanti, coperti alle spalle da una delle auto, abbastanza riservati.
<< Lascia che vengano con noi. Potranno stare nella cella vicino alla mia. >>
<< Dici sul serio? >> chiese incredulo Rick, ma senza riuscire a nascondere la sua indecisione: aveva ancora il cuore del poliziotto che per chissà quanti anni era corso in salvo di chi supplicava aiuto. Lo stava abbandonando solo ultimamente, ma ancora doveva pienamente farci i conti.
<< Non aspetteranno altro che prendere le nostre armi. Vuoi tornare a dormire con un occhio aperto? >> provocò Rick, cercando di essere chiaro nei suoi timori.
<< Io non ho mai smesso! >> rispose a tono T-Dog.
<< Sono solo dei poveri disgraziati, non credo farebbero una cosa simile. >> si intromise Ocean facendo un paio di passi verso l'amico di colore, piazzandosi anche lei di fronte a Rick per permettergli di guardarla negli occhi.
Ma la loro era una battaglia già persa in partenza: solo Ocean e T-Dog sembravano desiderosi di dar loro una possibilità. Maggie, Glenn e Carol esternarono i loro dubbi senza timore, facendo ben intuire che non erano disposti a condividere la loro sicurezza con quei detenuti. Giustamente impauriti, ma forse troppo.
<< Avete accolto me! Perchè non loro? >> insistette Ocean.
<< Non sembrano tipi a posto. >> spiegò Glenn, insistendo.
<< Io lo sembravo? >> provocò ancora lei.
<< Tu sembravi solo una sciocca ragazzina che giocava col fuoco per dimostrare di essere grande. >> rispose Daryl, aprendo bocca per la prima volta.
<< Tu chiudi il becco, nessuno ha chiesto la tua opinione! >> rispose Ocean in piena collera, voltandosi per rivolgergli uno dei suoi soliti sguardi di fuoco. Voleva bene a Daryl, avevano legato molto, ma a volte sembrava un tale stronzo. Non riusciva a sopportare i suoi modi da fighetto.
<< Conosco i tipi come loro, sono cresciuto con gente simile. Sono degenarati, ma non psicopatici. >> continuò lui, ma questa volta rivolto al resto del gruppo, non solo a lei, accantonando quel loro piccolo battibecco: tanto era la routine. Almeno una volta al giorno finivano a litigare, non era certo la novità.
<< Avevo la stessa probabilità di essere li con loro che qui con voi. >>
T-Dog annuì soddisfatto, sapeva che avere l'appoggio di Daryl era come avere l'80% di possibilità di vittoria. Era come un vice-capo all'interno del gruppo, valeva più di qualsiasi altra persona.
<< Quindi sei d'accordo con noi. >> disse, ma Daryl distrusse immediatamente ogni speranza con uno stizzito << No, per niente. >>
<< E allora cosa parli a sproposito? >> brontolò Ocean, che le erano cadute le braccia a sentire quella risposta dopo un bel discorsino così ben fatto.
<< Io non parlo a sproposito. >> rispose questa volta lui, senza lasciar di nuovo volar via le sue parole.
<< Non fare lo stronzo. >> disse lei a denti stretti avvicinandosi al suo volto con aria di sfida.
<< Lasciamo che si mettano alla prova sulla strada, come abbiamo fatto noi. >>
<< Lo sai benissimo anche tu che noi non saremmo andati da nessuna parte se non ci fossimo aiutati l'un con l'altro! Io stessa sarei morta, lo sai! Non mi saresti venuto a cercare, altrimenti. >>
<< Adesso sei pro-gruppo. >> la provocò lui avvicinandosi e gesticolando, come spesso faceva << E tutte quelle stronzate sull'essere riuscita a salvarti il culo da sola per mesi? >>
<< C'era Max con me, non ero sola! Non so pro-gruppo...sono pro-aiuto. Se vedo un disperato sul ciglio della strada con in mano nient'altro che un passato ormai distrutto e inutilizzabile mi faccio avanti e gli offro un pasto caldo. Come avete sempre fatto anche voi. >>
<< Ero appena entrato in servizio. >> Rick interruppe il loro ormai troppo lungo litigio, che li stava portando ad alzare anche fin troppo i toni << Arrestammo un ragazzo. Aveva 19 anni, ricercato per aver accoltellato la fidanzata. Pianse a dirotto come un bambino durante l'interrogatorio e durante il processo! Riuscì a fregare la giuria: venne assolto per mancanza di prove e poi, due settimane dopo, sparò a una ragazza. >> fece una pausa per permettere a tutti di cogliere l'antifona << Ne abbiamo viste troppe. Vale l'accordo che abbiamo fatto. >> concluse Rick, ormai deciso a non andare oltre.
Ocean si limitò a sospirare incredula, senza aggiungere altro, rendendosi conto che la sua era una battaglia persa. Non aveva speranze di convincere nessuno. Ma alla fine...come biasimarli? Lei stessa era cambiata per colpa di quel mondo così duro che o ti uccide o ti fa venire i calli. Non doveva certo stupirsi se anche quel meraviglioso gruppo di contadinelli raccoglitori di margherite che erano prima, ora si stava trasformando in cane rabbioso geloso del proprio osso. Ciò però non toglieva che avrebbero potuto chiudere un occhio, così come lo aveva fatto lei quando aveva deciso di stare con loro.
<< Daremo ai detenuti provviste per una settimana. Dovrebbero bastarli fin quando non trovano un posto loro. >> disse Rick cominciando a incamminarsi verso il cancello, dove aveva lasciato le altre auto, con l'intento di portarle dentro e finire il lavoro cominciato precedentemente. Daryl gli andò dietro, puntando già la sua motocicletta: la piccolina che a lungo l'aveva accompagnato in quel folle viaggio e a cui sembrava dare più amore che a chiunque altro lì dentro, anche se forse era solo un'apparenza. Ma Ocean lo fermò per un istante, puntandogli una mano aperta sul petto e bloccandogli il cammino << Li state mandando a morire. >> disse seria, cercando di abbandonare quel conflitto personale per un attimo e sperando di andare ad afferrare quella complicità che spesso aveva unito i loro pensieri. Ma non quella volta.
<< Non sono affari che ci riguardano. >> rispose seccamente lui, prima di proseguire per la sua strada, ignorandola.
<< Sei un figlio di puttana. >> sibilò Ocean ancora, ma quelle parole sembrarono scivolargli addosso, tanto che la ragazza per un attimo ebbe il dubbio che non l'avesse sentita.

La giornata era ancora lunga, quello dei detenuti era stato solo un piccolo intoppo, ma loro avevano del lavoro da svolgere. T-Dog e Carol rimasero nel recinto a sistemare le auto, mentre Daryl, Glenn e Rick uscirono fuori alla ricerca di legna, restando nei paraggi, con l'intenzione poi di bruciare i corpi di quei cadaveri che ancora giacevano sul loro campo. Ocean promise loro di raggiungerli quanto prima per aiutarli, ma prima si avvicinò ai prigionieri, ancora chiusi dall'altra parte del loro cortile, ancora ben protetti dal recinto, ma ben separati dalla loro meta. Porse loro una scatola con dentro delle provviste << Dovrebbero andar bene per una settimana. >> disse prima di fare un passo indietro e chiudere il cancello che li separava.
<< Grazie mille, sei gentile. >> disse educato Axel, anche se tanto risuonava come un tentativo di fare ancora socializzazione nella speranza di diventare amici. Il lucchetto fu ben chiuso, ma Ocean restò ancora lì, pensierosa. Aveva ricevuto ordini ben precisi, ma la coscienza non voleva darle pace. Non voleva più sentire richieste d'aiuto a cui non avrebbe potuto rispondere. Ma quale potere aveva? Lì non comandava lei. Una mano ancora una volta l'aveva afferrata e la stava trascinando al sicuro a discapito di altri. Sembrava che ormai non ci fosse altra moneta di scambio in quel misero mondo.
Compra la tua vita con i cadaveri delle persone. 
La generosità era al bando, non si poteva più contrattare.
Hai paura? Allora chiudi gli occhi e porgi il tuo pagamento.
<< Sentite. >> sospirò << State lontani dalle grandi città. Là fuori è una merda: nessuno vi aiuterà, ma tutti cercheranno di prendervi ciò che vi resta. La lotta del più forte. Non fidatevi di nessuno. >> Axel annuì al suo consiglio, continuando a sembrare amichevole e Ocean, con le mani appese alla sua cintura si voltò a testa bassa e fece due passi per allontanarsi ignorando ancora gli echi di chi gridava il suo nome, prima di venir ammutolito da un colpo di pistola. Alzò gli occhi, puntandoli sui suoi amici poco lontano. Non riusciva a darsi pace. Non voleva condannare a morte quei poveracci. Se Max, quel giorno, non si fosse fermato ad aiutarla ma avesse voltalo lei le spalle come stavano facendo loro in quell'istante sicuramente non sarebbe arrivata fin lì, ma sarebbe morta su quel marciapiede, vicino a quel dannato telefono muto.
Si voltò di nuovo, irrequieta, e tornò sui suoi passi, guardando in viso i suoi interlocutori << Bruciare i corpi dei vostri amici morti non è la cosa peggiore che fosse potuta succedervi. >> abbassò lo sguardo, incapace di mantenere rigida la sua corazza, sentendo lo stomaco non darle pace << Potevate vederli morire. Affondare lentamente. Guardarli negli occhi fino all'ultimo istante. O fuggire via, incapaci di salvarli, mentre le loro voci urlano e squarciano il cielo sopraffatti da qualcosa di più grande. >> alzò di nuovo gli occhi, incontrando quelli stupefatti, spaventati e rammaricati di Axel << Non li avete visti venirvi incontro con solo l'intenzione di mangiarvi, dimentichi di ciò che erano una volta. >> negò debolmente con la testa, sottolineando con quel gesto il suo triste "no, voi non l'avete fatto." << La fuori è una merda. Guardatevi le spalle. >> concluse. Poi una voce troppo alta la costrinse a voltarsi, incuriosita da ciò che stava accadendo alle sue spalle.
<< Vai così, Hershel! >> aveva gridato Glenn.
"Hershel?" si era chiesta lei prima di voltarsi e vedere la fantastica scena del suo vecchio amico che lentamente e un po' instabile tentava di camminare sulle sue nuove gambe in ferro. Insieme a lui c'erano tutti gli altri: Lori, Beth, Carl, Max e Molly. Tutti fuori a prendere finalmente una boccata d'aria. Ocean avrebbe volentieri evitato di far uscire Molly finchè i cadaveri ancora allestivano il cortile, ma lo spiazzo dove stavano camminando era pulito, e il sorriso sul volto della bambina cancellava ogni suo timore. Era felice di poter di nuovo uscire a vedere il sole. Max scodinzolante correva intorno al gruppetto, altrettanto felice di poter prendere un po' d'aria e poter sgranchire le zampe. Molly ridendo cominciò a rincorrerlo, allontanandosi dal suo gruppo, ma non troppo, restando in zona, sotto stretta sorveglianza, e ridendo rumorosamente continuò a lungo a far svolazzare la sua gonna nel tentativo di afferrare il cane. Era una di quelle immagini che mai si vedevano in quei tempi e che tanto avrebbero meritato una fotografia: per non dimenticare cos'è un sorriso.
<< Hai una bella bambina. >> disse Axel, guardando la scena di fronte a loro. Ocean stranamente non si sentì turbata da quel complimento improvviso: era ancora convinta che non fossero cattivi, solo tanto spaventati e bisognosi di aiuto. Si voltò a guardare i due, che quasi si sorpresero di vedere di fronte a loro un'altra ragazza. Stava sorridendo, gli occhi scuri le brillavano, e non sembrava più esserci quell'ombra che sempre l'aveva accompagnata in quei giorni. Ora sembrava una ragazza comune...solo tanto spaventata.
<< Lei? Non è mia! L'ho trovata. >> spiegò semplicemente << Mi sto solo prendendo cura di lei. >>
<< Tu e Mister arrogantello? >> chiese ancora Axel, non più intimorito dalle parole che diceva, rendendosi conto che con lei poteva parlare da civile e poteva permettersi certe libertà. Lei rispondeva, non chiudeva le porte in faccia. L'espressione, infatti, non turbò la ragazza, anzi la fece scoppiare a ridere << Chi? Daryl? E' un figlio di puttana, ma è un bravo ragazzo. >>
<< Vi vuole bene. >> questa volta a parlare fu il nero, Oscar. Era di poche parole, ma non per questo asociale e meno interessato di Axel a entrare a far parte di quel gruppo.
<< Sì, è vero. >> confermò Ocean, ormai di buon umore, tornando a guardare la scena di fronte a sè con gioia e tenerezza. Max era un birbante, si fermava ad aspettarla, provocandola con qualche abbaio, abbassando il muso e tenendo ben sollevato il sedere, la coda dritta ma sempre in movimento. Poi quando Molly lo raggiungeva scappava di nuovo via con rapidità, costringendo la piccola a una corsa infinita.
Ma il sorriso morì sul viso di tutti i presenti e il cielo parve crollare all'improvviso sulle loro teste, distruggendoli.
<< Zombie!! >> la voce terrorizzata di Carl aveva dato una tagliente consistenza alla realtà che si palesava alle sue spalle, proprio all'interno di quel cortile che tanto si erano impegnati a liberare, pulire e chiudere. Cosa diavolo stava succedendo?
<< Molly!!! >> gridò Ocean, lei stessa colta all'improvviso dalla sua voce, uscita senza rendersene conto. Le gambe si diedero lo slancio necessario a lasciarsi alle spalle un bel polverone, e poco importava che la spada al fianco continuava a colpirla alla coscia nella sua folle corsa. Doveva raggiungerla.
La sua bambina era in pericolo.
<< Molly!!! >> le fece eco Daryl liberando una voce che mai aveva avuto prima, e cominciò a correre anche lui, dietro un altrettanto disperato Rick.
All'interno del cortile Lori cominciò immediatamente a sparare, centrando qualche testa. Hershel si schiacciò contro il recinto e cercò di percorrerne il perimetro il più velocemente possibile, sapendo che la sua gamba gli avrebbe impedito di andare troppo veloce doveva allontanarsi quanto prima. Beth andò con lui, aiutandolo come poteva.
Carl, Maggie, T-Dog e Carol cominciarono a sparare, cercando di abbattere l'orda che si avvicinava e sembrava farsi sempre più numerosa. Da dove arrivavano? Com'era possibile?
La piccola bambina rossa rimase paralizzata. Separata dal resto del gruppo, a un angolo del casolare, insieme a Max, che aveva smesso di scodinzolare e aveva cominciato a ringhiare selvaggiamente, non sapendo cos'altro fare. Gli zombie si misero tra lei e il resto dei suoi compagni, impedendole una fuga che neanche aveva avuto coraggio di cominciare.
Maggie chiamò Lori e corse via insieme a Carl. Anche T-Dog e Carol, scappando, riuscirono a imboccare una direzione libera.
<< Molly!!! Scappa!!! >> urlò con tutto il fiato che aveva Ocean mentre disperata cercava di dare quanta più forza aveva alle gambe. Lo sforzo e la disperazione fecero uscire la sua voce stridula e acuta, simile a delle unghie su una lavagna.
Max cominciò ad abbaiare, non sapendo cos'altro fare, simulando attacchi di tanto in tanto, senza però ottenere l'effetto voluto, come sempre, d'altrone: non riusciva a spaventarli. Ma rimase lì, mettendosi tra Molly e gli zombie che avevano cominciato a camminare più velocemente, trovata una facile preda. Voleva proteggerla, ma che fare?
Daryl la chiamò ancora, urlando più che poteva, e sbattè furioso i pugni contro la rete metallica. Solo allora la bambina sembrò destarsi, alla voce del suo Daddy, e si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi pieni di lacrime, il petto si muoveva troppo velocemente sotto la pressione del respiro affannato e il cuore le faceva male al petto.
<< Va via!! Va via!! >> gridò ancora Daryl facendole gesti con il braccio, mentre Rick, pochi metri da lui, disperato tentava di aprire il cancello, tradito dalle sue stesse mani che tremolanti non gli permettevano di tenere ferme le chiavi. Uno zombie si lanciò in avanti, ormai raggiunta la piccola preda, ma la sua caduta fu deviata da Max che afferrandolo per i vestiti riuscì a trattenerlo prima che la sua mano afferrasse la bambina. Molly urlò, spaventata e cercò di indietreggiare, ma la fredda mano del suo assalitore riuscì, nella sua caduta in avanti, ad afferrare i suoi capelli legati in una graziosa treccia laterale che Ocean aveva agghindato quel pomeriggio con qualche molletta colorata.
Max tirò ancora i vestiti dello zombie, ma fu costretto a mollare la presa perchè un altro di loro, alle sue spalle, l'aveva puntato e si era chinato per afferrarlo. Il cane guaì e si dimenò tanto che riuscì a liberarsi dalla presa, ma aveva perso di vista la situazione. Si voltò appena in tempo per vedere delle ciocche di capelli rossi fuggire dietro l'angolo del casolare. Saltò in testa allo zombie in terra, che ancora stringeva tra le mani il suo premio: grosse ciocche di fuoco, e la seguì.
<< Non la vedo più! Dov'è?! >> gridò ancora Ocean, riuscendo finalmente a raggiungere il gruppo di suoi amici, che ormai era entrato all'interno del cortile. Rick corse da Beth e Hershel, rifugiati dietro una grata, e chiese loro dov'erano gli altri. Ma non sapevano niente. Nessuno aveva visto niente, nel folle tentativo di scappare da quell'imboscata.
Daryl e Glenn cominciarono subito a uccidere gli zombie che stavano tentando di riconquistare la loro proprietà. Ocean non li guardò neanche: corse verso la zona dove aveva visto Molly. Doveva seguirla, trovarla e proteggerla. Era solo una bambina, che diavolo!
Sfoderò la spada e tagliò di netto la testa a uno degli zombie che le stavano andando incontro. Daryl la guardò, impaziente, agitato: voleva correre con lei, andare a cercare Molly, ma sapeva che Rick aveva bisogno di lui lì. Dovevano uccidere tutti quegli zombie. Sparò una freccia in testa a un altro. E ancora lo sgaurdo andò a Ocean, che si era avvicinata al luogo dove era stata immobilizzata e afferrata la bambina. C'erano zombie ovunque, anche se era riuscita a scappare non voleva dire che era viva.
Rick si voltò, finito di parlare con Beth, e sparò a uno zombie. Guardò Daryl e lo vide voltare lo sguardo verso la ragazza per la terza volta: glielo si leggeva in faccia il desiderio di correre a cercare la bambina. La sua ansia, il suo essere impotente, lo stavano mangiando dentro.
Rick si avvicinò a lui e gli diede una leggera spinta alla spalla << Va'! Va'! >> gli disse, invitandolo a seguire Ocean, prima di sparare a un altro zombie. Lui e Glenn se la sarebbero cavata. Daryl non se lo fece ripetere un'altra volta e corse verso Ocean, la quale era ora inginocchiata, in lacrime e teneva tra le mani le ciocche dei capelli strappate, appena rubate dalle mani di uno zombie ormai steso a terra inerme. Guardò Daryl avvicinarsi e non ci fu bisogno di parlare: il ragazzo osservò il contenuto delle sue mani e corse immediatamente nella direzione dove l'aveva vista scappare via, invitando Ocean a seguirlo.
Ma si bloccarono un attimo, spaventati, terrorizzati, quando la situazione degenerò completamente: un allarme cominciò a urlare inondando non solo l'intera prigione,ma anche tutto il circondario. Era la voce della morte che giocava con i loro cuori, bambina capricciosa. Probabilmente non avrebbe accettato un'altra sconfitta.
Rick urlò sempre più disperato e si avvicinò ai due detenuti con l'arma tesa, pronto a scommettere fosse stata opera loro.
<< Oh, no. >> si lasciò sfuggire un'Ocean a dir poco terrorizzata. Daryl lanciò uno sguardo dietro di sè, a guardare i sue amici battibeccare con i due detenuti, poi tirò Ocean per un braccio << Andiamo! >> disse. Le cose si stavano mettendo decisamente male, dovevano trovare Molly all'istante!
Percorsero per qualche metro il perimetro del casolare, seguendo solo l'istinto. Daryl sparò a un paio di zombie e proseguirono, rapidi, non sapendo bene dove andare a rivolgere lo sguardo.La strada procedeva dritta fino alla fine del perimetro, ben stretta dalla rete, non c'erano troppe possibilità di muoversi, e da quella parte stavano arrivando altri zombie.
<< Non può essere andata di là! >> disse Ocean ormai sul colmo della disperazione, la voce non smetteva di uscire impetuosa e stridula nel suo sforzo. Si guardò attorno, ma la paura l'accecava e non riusciva bene a cogliere le cose che incrociava con lo sguardo. Vide a stento una porta poco più avanti e ci si tuffò. Afferrò la maniglia e l'aprì senza scrupolo, convita, speranzosa, di trovarsi davanti solo la bambina rossa, in lacrime, ma intera. Ma l'istinto sbagliò e a uscire, pronto a tuffarsi tra le sue braccia, non fu la sua bambina ma un altro di quegli zombie che nell'impeto della caduta e nella fame di divorarla la spinse tanto da schiacciare le sue spalle contro la rete dietro. Daryl scattò in avanti, pronto ad aiutarla un'altra volta, ma non ce ne fu bisogno: la furia bruciava tanto dentro lei da darle la forza di affrontare a mani nude anche più di uno di loro. Lo spintonò via, urlando per darsi carica o per sfogare la rabbia e lo lanciò contro un altro che stava uscendo sempre dalla stessa porta, facendo cadere entrambi a terra. Con un colpo di lama poi tagliò via i crani ad entrambi prima che potessero rialzarsi. Daryl sparò un paio di frecce ad altri zombie che stavano arrivando alle loro spalle e Ocean si lanciò nuovamente contro la porta spalancata, guardando dentro, pregando questa volta di trovarla deserta. Se c'erano zombie dentro sperava che Molly non avesse provato ad inoltrarsi. La porta si apriva su dei corridoi che davano all'interno della prigione e Ocean non perse tempo: cominciò subito a percorrerli, ma non fece che qualche metro, richiamata fuori dalla voce di Daryl.
<< Guarda! >> disse lui proseguendo di qualche passo lungo il perimetro esterno, per poi chinarsi vicino alla rete metallica. Ocean lo raggiunse velocemente, richiudendosi la porta alle spalle per evitare ne uscissero altri e guardò dove l'amico le indicava. Il terreno in quel punto era scavato, ben profondo procedeva sotto la rete che si era leggermente deformata verso l'alto. E lì, stesa a terra, ormai disarticolata e senza più il suo bel vestitino rosa, giaceva la Signorina Rosie, completamente sventrata. Parte della sua imbottitura era ancora incastrata tra i ferri appuntiti della rete. Daryl strinse tra le mani la bambola, scacciando di forza il pessimismo che stava cercando di annebbiargli la vista. Era ancora viva. Era scappata sotto la rete, si era salvata. Doveva essere così!
<< Hanno scavato! >> realizzò Ocean << Max ha scavato! >> disse commuovendosi, riempiendosi di così miste e varie emozioni da non riuscire più a capire di cosa stava piangendo. Il buco era abbastanza ampio da far passare un cane e una bambina, ma non di certo un uomo o una donna. << Guardami le spalle! >> disse allora Daryl prima di stendersi a terra e sporgere almeno la testa oltre il buco, osservando attento il suolo davanti a lui. Ocean si voltò a guardarsi attorno, lasciando al suo amico il tempo necessario, e pensò solo ad abbattere gli infiltrati che ancora non smettevano di sbucare da ogni dove.
L'allarme cessò di suonare, permettendo di tirare un breve e illusorio sospiro di sollievo: avrebbe smesso di attirarne altri.
<< Daryl!! >> lo richiamò, rendendosi conto che stava cominciando a essere sopraffatta. Ce n'erano troppi.
<< Sono andati di là! Vieni!! >> disse lui finalmente, alzandosi da terra e affrettandosi ad aiutare l'amica a abbattere il gruppo di zombie che li stavano accerchiando.
<< Presto! Presto! >> disse ancora procedendo per primo, aprendo la strada. Tornarono indietro sui loro passi, svoltando nuovamente l'angolo, diretti al cancello. I due erano da qualche parte nel cortile esterno e loro lo avrebbero dovuto raggiungere per la via maestra. Daryl, che era qualche passo più avanti, non fu però spettatore di ciò che accadde dietro di lui: uno zombie era uscito da dietro una colonna non appena era passato, schiacciandosi contro Ocean, la quale, nel disperato tentativo di svincolarsi e salvarsi, si era slanciata indietro, spingendo via il suo aggressore, ma finendo solo con il cadere di schiena indietro. Il suo urlo di dolore richiamò l'attenzione di Daryl che tornando velocemente sui suoi passi uccise all'istante lo zombie che schiacciava la ragazza col suo peso, pronto ad affondare i denti nella sua carne. Sempre se non l'avesse già fatto.
La guardò.
Un tuono squarciò il cielo azzurro e assolutamente libero da nuvole. Forse era solo stato frutto della sua fantasia. Eppure sembrava così reale...e terrificante.
Ocean era stata morsa.
Gli occhi spalancati urlarono al posto della sua bocca, che invece continuava a restare ben serrata. Spostò il peso del cadavere sopra di lei, per permetterle di prendere fiato e si chinò per aiutarla a sollevarsi da terra. Non poteva perderla. Non così! Non in quel modo! Si era voltato solo un istante, l'aveva persa di vista solo per un fottuto secondo, e lei non aveva perso tempo a cadere, approfittando quasi della sua distrazione, per non essere afferrata. Non quella volta. Era sempre stato lì, pronto a prenderla al volo, non le avrebbe permesso di farsi del male, maledizione! Si era distratto un solo fottuto momento!
Non riuscì a dire niente. Non sapeva cosa dire.
Era tutto sbagliato.
Non poteva essere vero.
Tutto così veloce...prima Molly, poi lei. Non poteva di nuovo restare solo. Non poteva di nuovo fallire! Aveva giurato di proteggerle, perchè cazzo non riusciva mai a mantenere le sue promesse?!
Ocean cercò di sollevarsi da terra, aggrappandosi all'amico e tirandosi su col braccio buono, ma cedette. Si poggiò alla gamba di Daryl per non andare a sbattere con la testa per terra e finalmente aprì gli occhi per guardarlo. Stringeva i denti per il dolore. Ma non disse niente. Confusa.
Daryl aveva cominciato a tremare. Quando diavolo era successo?
Non toglieva gli occhi di dosso dalla sua spalla sanguinante, sperando, sciocco, che da un momento a un altro si rimarginasse come per magia.
Poi un suono ruppe quello specchio, facendolo crollare in mille pezzi e mostrando i mostri che nascondeva dietro di sè. O forse erano solo ombre.
La sua risata.
Si svegliò all'improvviso dal suo incantesimo, e si rese conto che aveva lo stomaco a pezzi, era un miracolo se non avesse vomitato. La testa gli girava e il fiato gli era mancato. Per un attimo era quasi morto, la paura così improvvisa l'aveva completamente annebbiato. Si era scioccamente ritrovato a pensare a tutti i bei momenti passati insieme a lei, cominciando a ripercorrere a ritroso il loro bel film romantico, vergognandosene successivamente, vergognandosi ancora di più della sua vulnerabilità quando se l'era vista scivolare via dalle mani verso il baratro. Ma ora...rideva.
Provò rabbia.
Che diavolo aveva da ridere?!
Lui aveva appena perso dieci anni di vita e lei rideva?
<< Cazzo, giuro che sarei quasi tentata di lasciartelo credere ancora per un po' solo per poter continuare a veder quel tuo sguardo da cucciolo! >> disse lei, sforzando la voce per il dolore alla spalla.
Daryl inarcò le sopracciglia, confuso e furioso. Che diavolo stava farneticando?
<< Sei tenerissimo quando ti preoccupi, D. >> ammise lei. Ma lui ancora non apriva bocca, non sapendo neanche bene quale domanda porgerle.
Ocean aspettò ancora qualche secondo, continuando ad osservarlo mentre abbandonava la sua preoccupazione e lasciava spazio alla rabbia e al fastidio di essere denigrato in quel modo, poi rivelò, quasi sbeffeggiandolo << Non mi ha morsa!!! Sono atterrata contro quel cazzo di pezzo di ferro lì! >> disse indicando col braccio buono un tubo in ferro che spuntava da un muro. L'estremità che dava all'esterno era seghettata, probabilmente spezzata, e soprattutto pregna di sangue.
La luce improvvisa permise a Daryl di guardarsi a uno specchio: aveva la faccia del coglione più coglione del mondo.
<< Vaffanculo! >> si lasciò sfuggire, prendendosela con lei, tentato anche di lasciarla stesa lì a terra, ma alla fine il sollievo di poterla ancora avere per un po' al suo fianco prese il sopravvento e l'aiutò ad alzarsi da terra.
In quel momento Rick, Glenn, Axel e Oscar uscirono di corsa dall'interno della prigione, chiamando Hershel, che stava uscendo dalla sua gabbiola, ormai sicuro che almeno il cortile fosse pulito.
<< Dove sono gli altri? >> chiese Hershel.
<< Speravo fossero tornati qui. >> ammise Rick.
<< E T? Carol? >> chiese ancora Hershel. Rick si portò una mano alle labbra, prima di ammettere << Non ce l'hanno fatta. >> e in quell'istante Glenn sollevò il foulard che ultimamente Carol soleva tenersi legato alla testa.
Ocean per poco non crollò a terra, sentendo le ginocchia cedere all'improvviso << Cosa? >> chiese con un filo di voce spalancando gli occhi.Si avvicinò rapida a Glenn e gli strappò letteralmente il foulard dalle mani.
Lo riconobbe.
Carol...com'era possibile? Non lei! Era così presa e concentrata su Molly che aveva dimenticato che non era l'unica in pericolo. Eppure sapeva cavarsela? Non era vero! Non poteva esserlo!
<< No. >> sussurrò stringendolo tra le dita e portandoselo al volto, scoppiando a piangere, senza trattenersi, lasciando che il suo dolore trovasse sfogo nei lamenti e nelle urla che soffocava in quella reliquia. I singhiozzi la scossero e si lasciò cadere in ginocchio, inutilmente sorretta da Glenn. Era successo di nuovo...ma questa volta non aveva sentito le sue urla chiamarla. E solo allora capì che era stato ben peggio.
Se n'era andata senza neanche avere modo di dirle addio, senza avvertirla. Senza avere modo di guardare un'ultima volta i suoi occhi. Qual era stata l'ultima cosa che le aveva detto? Neanche se lo ricordava! Che diamine, nei film se lo ricordavano sempre. Non aveva rimorsi, nè rimpianti, ma nemmeno bei ricordi che le permettesero di sorridere. Sciocca, perchè non ci aveva fatto attenzione? Le ultime parole, gli ultimi sguardi, le ultime risa...niente. Vuoto. Le faceva mancare l'aria. Niente, solo qualche inutile parola di circostanza, pronunciata chissà quando e chissà dove.
<< No!!! >> urlò ancora, facendo morire quel dolore ancora tra le sue dita.
Era sua amica.
Questo lo ricordava.
Carol era stata la prima ad avvicinarsi a lei, a insistere nel tentativo di socializzare, e questo Ocean, anche se non l'aveva mai ammesso, l'aveva sempre apprezzato. Era stata la prima a donarle un sorriso dopo tanto tanto tempo.
Il suo dolore l'attanagliava tanto che nemmeno sentì la voce dura e fredda di Daryl comunicare << Vado a cercare Molly. >>, non sentì niente di tutto il resto, nè gli ordini di Rick, nè le parole di Hershel. Niente.
Non poteva essere morta. Loro non morivano. Loro non erano sprovveduti.
Speranze vane crollate così all'improvviso da non averle neanche dato tempo di guardarle un'ultima volta.
Aveva perso. La morte aveva giocato le sue carte, vincendo quando meno se l'era aspettato.
Come aveva potuto credere nell'azzurro del mare? Non era altro che un imbroglio. Lo aveva sempre saputo. Come aveva potuto dimenticarsene.
Poi una piccola sveglia in quell'oblio senza risveglio
<< Oh mio Dio, Molly!! >> la voce colma di emozione di Daryl l'aveva riportata alla realtà. Aprì gli occhi e si voltò di colpo.
Molly era in piedi, spaventata, confusa, vicino a Max, completamente sporchi di terra ma apparentemente interi. Daryl fece cadere a terra la balestra: peso inutile che l'avrebbe rallentato, e si lanciò letteralmente a terra davanti all bambina, stritolandola.
<< Max e io ci siamo nascosti lì dentro. >> spiegò la bambina con apatia indicando una porta in ferro alla loro sinistra: era sotto shock << Poi vi abbiamo sentiti e siamo usciti. >> continuò lei, non capendo cosa avesse intorno. Persa in chissà quale brutto sogno.
Ocean cercò di alzarsi e anche lei si lanciò contro la bambina abbracciandola, prima di controllarla, scostandole i capelli << Stai bene? Sei ferita? >> le chiese con ancora il viso rigato dalle lacrime. Ma la bambina non rispose, si limitò a guardare la ragazza.
<< Dio del cielo ti ringrazio! >> piagnucolò Ocean, felice di aver ricevuto indietro almeno una parte del suo tesoro. La strinse ancora, prima di voltarsi verso Max e riservare lo stesso trattamente anche a lui << Le hai salvato la vita, amico! Sei il miglior cane del mondo. >> disse accarezzandolo e abbracciandolo, ancora in preda a lacrime e singhiozzi.
<< Daryl! >> chiamò Rick, interrompendo il quadretto familiare << Vieni con me, andiamo dentro, noi cercheremo nel.... >>ma la sua voce morì, facendogli addirittura dimenticare quello che stava per dire, quando sentì il pianto di un bambino. Cristallino, zittì il mondo.
Il cuore perse un battito e tutti si voltarono a guardare da dove provenisse un tale incanto.
Maggie stava uscendo insieme a Carl da una porta: le mani insanguinate, il viso rigato dalle lacrime e un fagotto rosa macchiato di rosso che piagnucolava tra le sue braccia.
Non ci fu bisogno di spiegazioni, sapevano tutti da dove veniva quel bambino.
Rick si avvicinò a Maggie che non smetteva di singhiozzare. L'ascia che ancora stringeva tra le mani cadde a terra, e probabilmente neanche se ne accorse. Si avvicinò alla ragazza, ma non la raggiunse, come un cane che gira indeciso su un boccone, senza sapere se sarà saporito o avvelenato.
Si passò una mano alla testa e balbettò qualcosa, non riuscendo a pronunciare niente. Stava già piangendo, ma probabilmente non se ne stava rendendo conto.
Dovette concentrarsi per riuscire a fare la domanda che tanto lo spaventava e di cui non voleva sapere la risposta.
<< Dov'è Lori? >>
Maggie non riuscì a rispondere.
Rick partì a grandi passi, diretto verso l'interno del corridoio: doveva vederla! Lei stava bene, l'aspettava lì. Doveva vederla.
Passò accanto a suo figlio: lo sguardo vitreo perso nel vuoto. Quello sguardo che Ocean aveva già visto in passato sul volto del suo migliore amico, prima di suicidarsi nell'Oceano. Lo sguardo vuoto, piccola finestrella che apre all'interno della persona, ormai priva di ogni cosa. Solo un involucro che sta per sgretolarsi sotto i colpi della tempesta.
Rick non ebbe cuore di entrare. Non ce n'era bisogno, sapeva che ogni speranza era persa. Cosa sperava di ottenere?
Ciondolò ancora un po', poi anche lui morì in un pianto senza forze.

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Capitolo 24
*** Aurora. ***


Aurora.

Ocean si lasciò cadere a terra, cercando ristoro sul cemento scomodo, o forse semplicemente incapace di reggersi ancora sulle sue tremolanti gambe. Qualcosa era esploso dentro lei, lo sentiva bruciare e distruggere. Si appoggiò con la schiena al muro lì vicino, scostata dal resto del gruppo, le braccia inermi, la testa reclinata in avanti, gli occhi vitrei spalancati a guardare il nulla e la sola compagnia di Max, preoccupato, e Molly, seduta accanto a sè, come lei, con lo sguardo vuoto fisso su chissà quale terrificante fantasma. Due anime sole e disperate che inutilmente cercavano di darsi calore con la vicinanza. Il foulard di Carol era ancora ben stretto tra le sue mani. Non voleva lasciarlo andare. Non voleva lasciarLA andare.
Niente gruppi!
Urlava la voce nella sua testa, ormai così remota.
Niente più persone da piangere.
Perchè? Perchè non si era ascoltata? Perchè ancora non riusciva ad accettare tutto questo? Il colpo le era arrivato così ben assestato da ridurla in brandelli. Max cercò di destarla, leccandole una guancia, lavandole via lo sporco del terreno, del sangue e delle lacrime. Niente. Non serviva a niente. Stava annegando anche lei, di nuovo, ancora e ancora, dentro quel maledetto Oceano.
<< Alice. >> una voce, un sussurro, pronunciò il suo nome d'origine. Come si era permesso? Lei non era più Alice! Alice era morta! Non voleva più saperne niente. Doveva fuggire da lì! Era colpa di Alice se di nuovo si stava ritrovando a piangere per qualcun altro. Alice doveva essere distrutta, non riesumata!
Alzò lo sguardo furiosa, incontrando occhi di ghiaccio, ma avvolti da una tenera foschia, come la brina sull'erba le mattine di primavera. Una scena idilliaca, ma per niente suggestiva. Non in quel momento. Riconobbe gli occhi, riconobbe il volto. Non riconobbe però la sua preoccupazione e la sua dolcezza.
Era colpa sua.
Il fuoco dentrò sè avvampò.
Era stato lui a portarla lì. A convincerla a restare e a strapparle di nuovo un lembo d'anima, uno dei pochi rimasti.
<< Ti ho detto che odio quel dannato nome!!! >> urlò con tutta la rabbia che aveva, nonostante il viso del ragazzo si trovasse a soli pochi centimetri dal suo. Un animale che ringhia sul muso di un altro con solo l'intenzione di allontanarlo, o lo avrebbe aggredito e ucciso.
Daryl si irrigidì. Non ne fu spaventato, nè dispiaciuto, solo tanto arrabbiato. Era quello il suo modo di ringraziare? Che diavolo le prendeva ora?
<< Mi stavo solo chiedendo se stavi bene! >> ringhiò soffusamente, in risposta al suo aggressore. Avrebbe intrapreso la lotta se ci fosse stato del tempo << Ma fa' come ti pare. >>.
<< Va' al diavolo, Daryl! Non ho bisogno di te e della tua assillante presenza. Devi starmi lontano, te l'ho già ripetuto altre volte! Lasciami in pace! >> continuò a invenire lei, ormai fuori controllo, in preda a una crisi d'ira, persa nei flutti del suo personale Stige, incapace di risalire a prendere aria, affogata da mani di cui non ne riconosceva la provenienza, evanescenti e informi.
Daryl non aspettò ancora: si alzò in piedi e si allontanò velocemente, senza rivolgerle altro sguardo o altra parola se non un ultimo << Puttana! >>. Odiava quel suo modo di fare. Era sempre stata una ragazza fastidiosa e scocciante, ma da quando si era unita ufficialmente a loro si era calmata molto, tanto che erano arrivati ad avere quel bellissimo rapporto che si era costruito nel tempo. Ora, però, sembrava tornata ai primi giorni, quando bastava niente per farla scattare come un animale selvaggio, irriconoscente e che vedeva il male anche nel semplice favore di farle delle frecce da degli stupidi legnetti. Non la sopportava quando faceva così, lei e i suoi capricci idioti da ragazzina vittimista, come se solo lei fosse quella che stava perdendo qualcosa in quei tempi. Anche lui aveva perso il fratello e molti amici, eppure non faceva tutte quelle sceneggiate isteriche. Era solo una stupida.
Glenn e Maggie seguirono il ragazzo con altrettanta urgenza, passando davanti a Ocean e dedicandole solo uno sguardo compassionevole. Ma questo lei non lo vide perchè era tornata ad osservare il foulard che stringeva tra le mani e che giaceva sulle sue ginocchia stese.
Max mugolò triste e si accucciò accanto a lei, percependo il suo dolore.
Beth si avvicinò a Molly e le si inginocchiò accanto << Molly, vieni con me? Ho bisogno del tuo aiuto. >> disse concedendole una carezza e un sorriso. Non era vero, ma voleva farla alzare e aiutarla a distrarsi. La bambina alzò gli occhi dapprima passivamente, poi improvvisamente si accese e scattò in piedi: velocemente corse via, inseguendo il trio che si stava avvicinando alle auto vicino ai cancelli. Non diede loro tempo quasi di notarla che già si era lanciata su Daryl, stringendogli la vita e affondando il viso nella sua camicia.
<< Non lasciarmi di nuovo, ti prego! >> piagnucolò senza alzare gli occhi, soffocando le parole tra i vestiti del ragazzo. Daryl si inginocchiò, facendola staccare da sè, per poterla guardare in viso << Torno presto, promesso. >>
Molly si coprì gli occhi con il braccio, asciugando malamente le lacrime che avevano cominciato a scendere copiose e lasciando parlare solo i suoi singhiozzi e lamenti.
Beth arrivò di corsa, trafelata e dispiaciuta di essersela lasciata scappare via. Si avvicinò a Molly e cercò di portarla via prendendola per mano, ma lei si ribellò di nuovo, strattonandosi, e si lanciò di nuovo contro Daryl, abbracciandolo << Non andare via! >>
<< Devo. >> disse semplicemente lui, stringendo le sue spalle con un braccio << Torno presto, davvero. >> poi si illuminò e cacciò una mano nella tasca posteriore dei jeans << Ehy! Guarda chi ho trovato. >> disse porgendo alla bambina la sua bambola, ridotta a uno straccio, ma ancora riconoscibile.
<< Bisognerà darle una sistemata, perchè non chiedi a Beth di aiutarti? >> disse.
Molly prese la sua bambola tra le mani: sembrava essersi calmata un po', anche se continuava a essere scossa dai singhiozzi. La presenza della sua bambola le dava sicurezza: era l'unica che non si trasformava, era l'unica che non moriva e mai l'avrebbe lasciata sola.
<< Beth non è un dottore. Hershel lo è...lui sa ricucire le persone. >> disse.
<< Esatto! Chiedi a Hershel di ricucirla e curarla, e nel frattempo vedrai che sarò di ritorno. >> cercò di dedicarle uno dei suoi sorrisi più dolci e convincenti, anche se gli riuscivano un po' male, soprattutto quando era in presenza degli altri.
<< Promesso? >> chiese lei ancora titubante e per niente convinta. Ma se Daddy diceva che sarebbe tornato allora lo avrebbe fatto. Lo faceva sempre.
<< Promesso. >> assicurò lui prima di alzarsi in piedi << Andiamo. >> disse poi rivoltò a Maggie e si mise in sella alla sua motocicletta.

Hershel controllò la bambina appena nata, vittima come sempre del suo istinto da medico: scrupoloso e attento, anche quando gli strumenti carenti non gliene davano troppo la possibilità. Sembrava però stesse bene, l'unica cosa di cui aveva bisogno era cibo (e presto sarebbe arrivato) e calore. Perciò appena Beth tornò insieme a Molly la chiamò a sè e gliela porse << Tornate dentro, tienila al caldo in una coperta, io arrivo subito. >> la figlia annuì, prese la piccola e, prima di seguire le indicazioni del padre, si avvicinò a Carl: aveva bisogno anche lui di una mano amica. All'improvviso si sentì sovraccarica, piena di preoccupazioni: Molly, Carl, la bambina...tutti contavano su di lei. All'improvviso si sentì così sola. Prima c'erano Lori e Carol ad aiutarla.
Quanto avevano perso in così poco tempo.
Si ritrovò di nuovo a chiedersi se ce l'avrebbero fatta.
<< Dottore! >> chiamò Molly avvicinandosi a lui, prima di seguire Beth, sua nuova balia per il momento << Hershel. Puoi guarirla? >> chiese porgendogli la sua bambola sventrata.
<< Oh, poverina. Com'è ridotta male. >> osservò Hershel prima di prenderla tra le mani e osservarla da vicino, sotto l'occhio attento e preoccupato della piccola rossa << Sarà un'operazione difficile, avrò bisogno di una buona assistente. >>
<< Posso aiutarti io! >> disse Molly istintivamente, poi si fermò a riflettere << Posso? >> chiese, insicura. Lei non aveva compiti nel gruppo, spesso passava le giornate ad annoiarsi con qualche foglio di carta e Max che rincorreva le palline che lei formava. Tutti sempre si affaccendavano e correvano, perfino Carl, ma lei doveva sempre e solo "restare lì e aspettare". Avrebbe davvero potuto fare qualcosa?
<< Certo! >> sorrise amichevole Hershel << Vai dentro con Beth e prepara per me la sala operatoria. >> disse facendole un occhiolino e porgendole di nuovo la sua Signorina Rosie. Molly la prese tra le braccia come fosse stata una bambina, imitando ancora una volta chi aveva intorno a sè, e seguì Beth verso l'interno della prigione dove poi avrebbe allestito un tavolino con ago, filo e qualche batuffolo di cotone che Beth avrebbe preso per lei da qualche cuscino inutilizzato.
Hershel li lasciò andar via e si avvicinò, sempre lento e barcollante, a un'altra persona che aveva bisogno del suo intervento anche se non glielo aveva chiesto esplicitamente << Ocean. >> disse << Fammi dare un'occhiata a quella spalla. >>
<< Va' via! >> si limitò a rispondere la ragazza, senza sforzare nemmeno troppo la voce. La rabbia nei confronti di Hershel certo non era come quella verso Daryl, ma non voleva più avere nessuno attorno a sè.
<< Ci potrebbero volere dei punti. >> insistè lui, fermandosi vicino alla ragazza e guardandola severo, come un padre guarda la propria figlia capricciosa che non vuol prendere la medicina.
<< Lasciami in pace. >> bofonchiò lei prima di sollevarsi in piedi, a fatica, aiutandosi col braccio ancora buono.
<< Ocean! Come stai? >> chiese Glenn, raggiungendo il gruppetto in quel momento, dopo aver lasciato la sua Maggie nelle mani di Daryl. La ragazza, sorpresa nel sentire la sua voce, non aspettandosi attenzioni anche da parte sua, sussultò e lo guardò spaventata e furiosa.
<< Lasciatemi in pace! >> urlò più forte mentre si allontanava rapidamente, cercando di rendere la sua richiesta più convincente da un plateale gesto del braccio. I due non insistettero ancora. Quella situazione aveva lasciato scossi un po' tutti, e li aveva quasi distrutti. Avevano perso tre dei loro, e i pochi rimasti erano abbattuti e arrabbiati. Carl non apriva bocca, Rick era sparito nei corridoi della prigione con un'ascia ben stretta in mano, e ora anche Ocean sembrava essere tornata la scontrosa che era all'inizio: schiva e cinica. Daryl e Maggie erano corsi a cercare cibo per la bambina, e neanche avevano avuto modo di permettere ai rimasti di preoccuparsi in un loro eventuale ritorno: non c'era tempo nè testa. Glenn scappò nei corridoi della prigione a cercare Rick per tentare di riportarlo indietro. Hershel seguì la figlia verso le loro celle: aveva una bambina di cui occuparsi e una bambola da rianimare. I due detenuti, rimasti senza parole e soli, si guardarono attorno dispiaciuti e confusi. Sembrava di trovarsi all'interno di un incubo, e i morti intorno a loro davano la giusta atmosfera. Si guardarono tra loro, chiedendosi cosa avrebbero fatto, ma lasciando la domanda campata per aria. Loro avrebbero dovuto aspettare, c'era altro di cui occuparsi e preoccuparsi. Delle persone erano morte quel giorno, era giusto dar a loro e al lutto la priorità.

Daryl e Maggie partirono per la cittadina che Glenn aveva indicato, diretti all'ipermercato, nella speranza di trovare qualcosa di utile, almeno momentaneamente, per la neonata. Ma non la raggiunsero: la strada bloccata li costrinse a fare una deviazione, e, quasi per miracolo, si trovarono di fronte un asilo. Decisero di tentare la sorte: chissà che non l'avesse messa sulla loro strada di proposito.
Maggie fu la prima a entrare, sfondando una finestra, seguita poco dopo da Daryl che intanto aveva dato un'occhiata nei paraggi per assicurarsi che strane sorprese non li cogliessero impreparati. Ispezionarono silenziosi il posto, aprendo ogni porta. Ma l'asilo sembrava tranquillo e abbandonato, se non per un opossum che aveva trovato rifugio (e forse cibo) in un armadio: non sarebbe uscito di lì se non appeso alla cintura di Daryl.
<< Ciao, cena. >> disse lui sorridendo soddisfatto del premio mentre si chinava a raccoglierlo.
<< Io non lo metto nel mio zaino. >> disse Maggie disgustata voltandosi, ormai tirato un sospiro di sollievo, per controllare gli scaffali e gli stipetti di quella che sembrava una cucina. Ringraziando ancora una volta Dio per averli aiutati, trovò quello che cercava. Certo non erano quantità industriali, ma per un po' sarebbero bastate. Cominciò a riempire il suo zaino, pensierosa.
<< Non avresti dovuto trattarla così. >> trovò poi il coraggio di parlare.
<< Trattare chi? >> chiese Daryl, non capendo da subito a cosa si stesse riferendo, ma intuendolo e cominciando già a provare un forte senso di irritazione.
<< Sai di chi parlo. >> sospirò lei, evitando di incrociare i suoi occhi e continuando a lavorare al suo raccimolo, anche se ormai aveva preso tutto quello che doveva << Ocean è solo ferita e spaventata. >>
<< Lo siamo tutti. Deve crescere. >> brontolò lui, cominciando a mettere più forza nel suo lavoro, non tanto per necessità, quanto per bisogno di sfogare in qualche modo la rabbia che stava nascendo in lui al ricordo della ragazza isterica che si era appena lasciato alle spalle, un Ocean che insisteva nel dar colpe agli altri, senza prendersi un briciolo di responsabilità.
Maggie sospirò ancora e si voltò, guardandolo questa volta << E' fragile! >>
Daryl si alzò in piedi, finendo di legarsi alla cintura la preda appena catturata, impegnando ancora i muscoli, e si voltò anche lui a guardare la ragazza, incrociando i suoi occhi, trasmettendo con i suoi tutta la rabbia che covava dentro << Non è affar mio. >> sibilò prima di incamminarsi lungo il corridoio, diretto alla seconda stanza, dove avrebbero cercato altro cibo e altri beni di prima necessità. Maggie gli andò dietro, insistendo << Certo che lo è! Sei la persona che al momento gli è più cara. >> ma Daryl questa volta non rispose, ignorandola, lascianola ai suoi discorsi.
Maggie sospirò ancora, prima di seguirlo all'interno di un'altra stanza << Tu sei innegabilmente più forte di lei, sai attutire meglio i colpi. Puoi essere forte per entrambi! >>
Daryl si fermò, guardandola di nuovo, sbuffando ma senza dire niente, e cominciando a rovistare tra gli scaffali della stanza appena imboccata. Trovò un paio di scatole e le porse a Maggie che le infilò distrattamente nel suo zaino, senza neanche guardare cosa stesse prendendo, aspettando una risposta che non sembrava voler venir fuori.
<< Non sono suo padre. Che si arrangi. Io non mi spacco la schiena e le palle per stare dietro a una ragazzina capricciosa che non vuole essere aiutata. Ribadisce che può farcela da sola, che vuol stare da sola. Bene! Che faccia pure! >> brontolò poi lui.
<< Non è la verità! Lo sai tu e lo sa lei. >> Maggie abbassò un attimo gli occhi, anticipando l'intimità della confessione che stava per fargli << Quando papà è stato morso ho creduto di averlo perso per sempre. Ero a pezzi, completamente distrutta, e me la rifacevo col mondo intero perchè a qualcuno dovevo pur dare la colpa! Me la sono presa anche con Glenn, ingiustamente. Ma lui è rimasto. E io non posso che ringraziarlo per averlo fatto. Avevo bisogno di lui allora più che mai, anche se dicevo il contrario solo perchè arrabbiata col mondo. >>
Daryl la guardò ancora, senza rispondere e uscì di nuovo dalla stanza, diretto alla successiva. Maggie continuò ad andargli dietro come un cagnolino, nella speranza capisse cosa stava cercando di dirgli.
Ma ancora senza soddisfazione. Era testardo e orgoglioso!
<< Daryl, per favore! >> disse lei, stufa di corrergli dietro inutilmente, fermandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi.
<< Stalle tu dietro visto che ci tieni tanto! >> disse lui incazzato nell'istante in cui fu costretto a voltarsi dalla sua mano. Con un colpo del braccio si staccò con violenza dalla leggera presa della ragazza, lasciando fosse quel gesto a farle capire che doveva lasciarlo in pace.
<< Lei non ha bisogno di me, ha bisogno di te! >>
<< Stronzate! >> brontolò ancora riprendendo il suo percorso.
<< E' la verità! Tu sei più che un semplice amico... >> ma venne interrotta bruscamente da un << Cosa?! >> stizzito e ancora più furioso e si voltò a guardarla con la fronte aggrottata.
<< Io cosa?! >> sbuffò, trattenendo risate sarcastiche. Aveva il fuoco negli occhi << Hai letto troppi romanzi d'amore, principessa. Io e lei non stiamo insieme. Non sono nessuno, ok? >>
Maggie ne fu quasi spaventata, si leggeva chiaramente nel suo volto la rabbia che ora nasceva anche nei suoi confronti: forse per aver insistito tanto, o forse per aver insinuato che tra i due ci fosse chissà quale rapporto. Cercò di pensare a cosa rispondergli, non voleva farlo incazzare di più, ma ai suoi occhi era palese che tra i due non ci fosse il semplice affetto che poteva esserci tra amici. Tutti avevano notato gli sguardi, i sorrisi e i toni che i due avevano solo l'uno per l'altra. E tutti, anche loro stessi, avevano notato il bisogno fisico che avevano di aversi vicino. Per nessun motivo in particolare, se non quello di sentire una calda e rassicurante presenza che scalda loro la notte e allontana gli incubi.
<< Vado a fuori a fumarmi una sigaretta. >> disse poi lui, approfittando del silenzio riflessivo della ragazza: aveva bisogno di stare solo. Doveva sbollire. << Chiama se hai bisogno. Sono qui fuori. >> aggiunse prima di avviarsi verso la finestra da dove erano entrati.

Herhsel aveva appena concluso i suoi compiti. La bambina era al sicuro con Beth, al caldo, anche se tormentata dalla fame e probabilmente dalla paura. Carl con lei non le toglieva gli occhi di dosso, ma ancora non aveva aperto bocca. Molly era stata con lui mentre ricuciva come poteva la bambola, aggiungendo un po' d'imbottitura. Lei sembrava felice di poterla di nuovo abbracciare, ma Hershel non potè che notare come l'inquietante cicatrice che ora storpiava la povera Signorina Rosie facesse sembrare anche lei uno di loro: uno zombie. Anche lei morta e tornata in vita storpia e imbruttita dalla sua ferita. Anche lei non era riuscita a salvarsi da quel mondo così marcio che tutto prendeva e tutto uccideva. Aveva poi accompagnato la bambina nella sua stanza, dove era stato con lei per qualche minuto, raccontandole storie e passi della Bibbia nella speranza di rassenerare almeno in parte il suo cuore distrutto e terrorizzato. L'aveva appena lasciata dormire, stanca, distrutta da un pomeriggio che non si era meritata e che mai avrebbe dovuto passare. Glenn era tornato sui suoi passi, rientrando in cella, spaventato dal suo incontro con Rick.
<< E' uscito di testa. >> aveva comunicato prima di raccontare come l'amico l'avesse aggredito, probabilmente non riconoscendolo.
I due detenuti si erano offerti di aiutare in un momento così tragico, e così si erano appostati sulla torretta, di vedetta. Era l'unico modo che avevano per riempire la sera che andava calando. Non facevano parte di quella famiglia, non erano apprezzati nel loro blocco e le loro condoglianze suonavano così vuote e inutili.
<< Guarda. >> disse Axel all'amico, indicando un punto a ovest sull'ultima rete che dava all'esterno, dove erano raggruppati, schiacciati una decina di zombie. Oscar seguì il braccio dell'amico fino a trovare la figura nera, ricoperta di polvere e sangue, che aveva attirato la sua attenzione. Ocean era ferma immobile, in piedi, ben dritta, davanti alla rete, davanti ai suoi aguzzini che ringhiavano famelici, tanto vicina a loro da poter sentire la puzza dei loro aliti. Sarebbe bastato che uno di loro avesse avuto un dito più lungo e sarebbe arrivato ad afferrarla.
<< E' lì ferma da un'ora, sicuramente. >> disse ancora Axel senza toglierle gli occhi di dosso: lo spaventava e inquietava. Aveva visto i suoi occhi prima di allontanarsi, urlando contro i suoi amici: sembravano quelli di molti criminali che erano stati chiusi con loro per aver ammazzato in un momento di follia chissà quale parente o amico.
E il fatto che da così a lungo lei stesse in quella posizione, così vicina a loro, quasi a provocarli, confermava la sua idea che fosse una pazza schizzata.
Hershel uscì di nuovo e preoccupato si avvicinò al primo recinto, quello che dava sul cortile. Vide Ocean e la osservò qualche minuto. Aveva ancora la spalla che perdeva sangue, non aveva neanche provato a curarsi da sola. Andava controllata con urgenza. Ma soprattutto andava aiutata. Aveva visto anche lui i suoi occhi: non erano gli occhi di una pazza criminale, erano gli occhi di una donna distrutta dall'esistenza e che non desidera altro che chiuderli per sempre.
Si avvicinò a lei, percorrendo il vialetto che attraversava il cortile, oltre il cancello che portava all'altro viale, quello che percorreva tutto il perimetro esterno della prigione, e senza preoccuparsi di farsi sentire si avvicinò, ma rimase qualche metro distante, alle sue spalle, lasciandola sola in quello spazio che sembrava essersi ritagliata solo per sè. Riusciva ora a vedere il suo volto. Gli occhi piantati selvaggiamente in quelli di uno zombie che mugolava, ringhiava, a pochi centimetri dal suo naso. Alitava su di lei, ne sentiva il puzzo, e irrequieto cercava di mordere la rete per arrivare a quella carne che tanto portava bramava. La fronte aggrottata tanto da incurvare le sopracciglia sugli occhi stessi, facendo calare su essi un'ombra nera e spaventosa. La mascella contratta con tale forza da far sporgere una vena sul suo collo, e i denti lievemente scoperti. Un lupo pronto a saltare e azzannare chi lo sta minacciando. La mano sinistra avvolgeva l'elsa della sua spada al fianco, ancora grondande di sangue. Il petto sporto lievemente in fuori e la schiena ben dritta sottolineavano ancora la sua intenzionalità ad attaccare e smembrare la sua vittima, priva di ogni paura, accecata solo dalla furia. Aveva sentito arrivare Hershel, era difficile non sentirlo con le stampelle che ticchettavano a ogni passo sulla ghiaia, ma non ne aveva dato peso.
Restarono in silenzio: Ocean persa ancora nel suo mondo dantesco, colmo di dannati e demoni inquisitori, Herhsel triste spettatore di quel dramma che andava verificandosi davanti ai suoi occhi ma, ahimè, non su un palcoscenico.
<< Carol mancherà a tutti. E anche T-Dog. Era un bravo ragazzo. E Lori... >> sospese la frase sentendo un improvviso nodo bloccargli la gola. Aveva promesso così tanto a quella donna che ora giaceva sventrata nei corridoi, promesse che sentiva di aver mancato. Era incredibile, era stato l'ultimo a essere interpellato, eppure probabilmente era quello con più sensi di colpa.
Andrà tutto bene, vedrai.
<< Andrà tutto bene, vedrai. >> persona diversa, stessa promessa. L'avrebbe infranta?
Non sei sola.
<< Non sei sola. >> e fu proprio quell'ultima affermazione che fece irrigidire Ocean, accennando per la prima volta una risposta, seppur non verbale. Si voltò lentamente con gli occhi ancora infuocati.
<< Non sono sola. >> bisbigliò incredula. Il cuore in gola non le dava pace, martellava e bruciava: fuoco ardente, inferno in terra, brucia questa dannata peccatrice. Colpevole per l'eternità.
Si voltò di nuovo lentamente verso lo zombie davanti a sè, tornò a guardarlo e a lui ripetè in una smorzata risata sarcastica << Non sono sola. >>
Fece qualche respiro profondo. La rabbia aveva accecato i suoi occhi.
<< No, non lo sono. >> mugolò, ancora rigida e tesa. Poi scattò. Diede un colpo alla rete davanti a sè con entrambi i palmi aperti, talmente forte da farsi male, ma che gliene importava?
<< No, non lo sono! >> ripetè ancora lasciando che la voce rabbiosa uscisse gracchiante dalla sua gola, ancora rivolta al suo aguzzino perchè era proprio a lui che si stava rivolgendo << Ci siete voi con me, schifosi bastardi! Per sempre compagni di giochi, non è così? E' bello, divertente! Oh, ma certo, guarda come mi diverto con i miei compagni! >> urlò ancora e ancora, continuando a colpire la rete, riuscendo ad evitare le dita fameliche dei suoi interlocutori solo perchè repentinamente staccava le mani da lì. Un calciò colpì ancora e Hershel sussultò, spaventato per un attimo che l'avrebbe buttata giù. Ma rimase dov'era, incapace sicuramente di fermarla, ma anche perchè non ce n'era stato più bisogno. Lei stessa si era calmata e ora aveva cominciato a camminare nervosamente in cerchio, avanti e indietro, continuando ad avvicinarsi a loro, urlandogli in viso, tornando indietro e invenendo e bestemmiando contro quelli che ormai erano i padroni del mondo.
<< Maledizione, Hershel, guardaci! Siamo fuggiti per mesi, non dormendo la notte, e ora, al primo rifugio sicuro, perdiamo non uno ma ben 3 dei nostri! >> disse questa volta rivolta al vecchio, continuando a gesticolare nel folle desiderio di sfogarsi << Come puoi tornare a dormire sogni tranquilli? >>
Lo fissò qualche secondo, forte nella sua affermazione, affogata nella sua paura. Hershel non rispose. E lei tornò a camminare.
<< Lì dentro c'è chi ha ancora bisogno di te. >> disse Hershel dopo qualche minuto di riflessione, utile più a far sbollire i nervi della sua compagna che a fargli pensare la risposta migliore << Non è abbastanza? >>
<< Voi avete bisogno di me? >> gli urlò contro Ocean << E di cosa ho bisogno io non importa? >>
<< Nessuno ha detto questo. >> rispose con lo stesso tono Hershel, padre severo che non accetta il tono presuntuoso della figlia. Si avvicinò di un altro passo, facendo un sospiro tranquillizzante, poi tornò ad essere il solito calmo e dolce Hershel << Ocean, costa stai cercando qui fuori? >>
Incredibile come bastò quella semplice domanda per aprire una porta, far entrare luce, accecando la malcapitata che girava in tondo in una stanza completamente buia. Il fuoco dei suoi occhi si spense, lasciando fosse solo accecante e soffocante fumo a cingerla. Le spalle si rilassarono, abbassandosi di qualche centimetro. Si avvicinò di nuovo allo zombie che aveva di fronte e tornò a guardarlo, ma non più con aria di sfida. Stava cercando.
Stava diventando matta.
Doveva trovarlo.
Era quella la verità. Cercava.
Ma cosa?
<< Non lo so. >> bisbigliò. Deglutì mandando giù quel nodo che le aveva fatto morire in gola l'ultima sillaba << La fine. Credo. >>
Tanti erano i punti rimasti in sospeso. Tanti i pensieri che correvano in lei in quel momento, tante mani che la tiravano giù, sul fondo. La sua famiglia. Il suo gruppo. Manu.
Tanti addii mancati.
Tante frasi cominciate, senza mai essere terminate, lunghe, immense, piene di paroloni... toglievano il fiato.
Cercava Alice. Lei era uno zombie, era come loro, lei lo sapeva. Cercava Alice. Doveva ucciderla.
Prima che Ocean morisse.
Indietreggiò, quasi spaventata, incapace di sostenere quel peso. Voleva fuggire, ma non sapeva dove. Negò con la testa e cominciò a camminare velocemente verso la prigione, aggiungendo un ultimo confuso << Non lo so. >>
Hershel però la fermò, afferrandola con una mano.
<< Non lasciare che il tuo passato ti strappi via dal presente. Non so cosa sia accaduto al tuo vecchio gruppo, non hai mai parlato con nessuno di noi, tranne forse che con Daryl, ma qualsiasi cosa sia stata sicuramente ti ha segnato. Sei rimasta lì con loro troppo a lungo, Ocean. Ora lasciali andare. >>
Ocean volse un altro sguardo al gruppo di zombie che famelico era accalcato alla rete, disperati e ormai invisibili. Occhi vitrei ormai privi di vita. Aveva visto zombie che non erano zombie, aveva vissuto con zombie che non erano zombie, ma solo ombre e fantasmi.
Doveva lasciarli andare.
Un'espressione di dolore deformò per un attimo il suo viso, prima che venisse coperto dalle sue mani.
<< Chiedevano aiuto. >> mugolò lei tra i singhiozzi << Sono scappata. >> tentò di prendere aria, di respirare, ma sembrava che l'ossigeno quel giorno non le spettasse.
<< Non voglio più restar sola. >> ammise infine.
Perchè era questo che più di tutti attanagliava il suo cuore. Era stata abbandonata. Trascinata lontana da tutto ciò che aveva più caro, per poi essere lasciata sola. Manuele, quel giorno, si era dimenticato di lei. Per la prima volta in tutta la sua vita. Era la persona di cui più si fidava, il suo punto di riferimento, proprio come lo stava diventando quel gruppo. E l'aveva abbadonata.
Era un pensiero terribilmente egoista, tanto infantile da risultare quasi insensato.
Ma era la verità del suo cuore.
Non voleva più che accadesse.
Era una sciocca bambina che aveva paura del buio!
Tutti se ne andavano, nessuno restava. Legarsi a loro significava aspettare, di nuovo, di essere abbandonata.
<< Vieni, andiamo dentro. Tra poco farà buio e io voglio controllarti quella spalla. >> disse poi Hershel, abbandonando lì il discorso. Aveva tirato fuori il tizzone che l'ardeva, ora doveva solo aspettare che il fumo si diradasse.
Percorsero insieme il vialetto che conduceva al cortile e poi all'entrata della prigione.
La fece sedere al tavolino all'entrata, dove aveva radunato un po' dei suoi attrezzi e delle medicine e cominciò ancora una volta il suo lavoro. Ocean, di spalle davanti a sè, attendeva con la testa china in avanti e la maglietta calata sulle spalle, che il dottore finisse la sua visita.
<< Sei stata una sciocca ad aspettare tanto prima di farmela vedere. Ora mi toccherà il doppio del lavoro per riuscire a ripulirtela e cucirtela. >>
<< Mi dispiace. >> disse apatica Ocean, distratta da chissà quale altro fantasma nella sua mente.
Lasciali andare.

<< Dimmi un po'. >> riprese a parlare Hershel, intenzionato a non lasciarla sola nel suo oblio << Che cosa ti ha spinto a tornare? E' una domanda che ci siamo sempre posti ma nessuno ha mai avuto il coraggio di porgertela. >>
<< Non mangio nessuno, se avete delle domande potete pure farmele. >> rispose Ocean, ancora con tono basso e sforzato, ma non per questo meno intenzionata a lasciar il vecchio parlare da solo.
<< No, ma si evita sempre di far domande a chi ha dei dolorosi segreti da nascondere. >>
<< Era così evidente? >> chiese lei prima di lasciarsi scappare una smorfia di dolore, dovuta alle operazioni alla sua spalla.
<< Solo quando Daryl ha cominciato a chiamarti Alice. >> ci pensò un attimo su poi aggiunse << No, in effetti c'era stato il sospetto anche molto prima. >>
Ocean si ritrovò a sorridere ripensando alla sera con Daryl, davanti al fuoco, quando gli aveva detto di Alice. E lui le aveva invece parlato di Merle, suo fratello stronzo ancora vivo in chissà quale angolo di mondo e senza una mano.
Hershel colse il sorriso e non potè che compiacersene.
<< E' un bravo ragazzo. Ma siete entrambi così...scostanti. >> aveva cercato a lungo la parola da dire, ma non era riuscito a soddisfarlo lo stesso << Dovreste parlare un po' di più. >>
<< Parlare? Più di così? >> ridacchiò Ocean. Si sentiva diversa. Ma non ci fece caso. Era bastato nominare Daryl per riportarla su altri binari, completamente diversi dai precedenti. E benchè gli avesse urlato contro, poco prima, di andarsene al diavolo, sapeva perfettamente quanto in realtà le piacesse essere chiamata in quel modo da lui. Solo da lui. Da nessun altro, apparte Molly. Era il loro piccolo e intimo contatto, come le occhiate fugaci che si erano mandati più volte nei boschi mentre tentavano di catturare qualche scoiattolo. O i sorriso al chiaro di luna, con una sigaretta in mano e un tenero silenzio di compagnia.
<< Dire qualcosa solo per intraprendere un dialogo di circostanza non è parlare. >>
<< Aspetta. >> interruppe Ocean, tirando su le spalle e voltandosi a guardare il vecchio, costringendolo a interrompere il suo lavoro << Che stai cercando di insinuare? >> arricciò il naso. Aveva un brutto presentimento.
<< Ma niente, dico solo che quando il buio ti spaventa e ti senti sola...un'abbraccio può essere un ottimo amico e alleato. >> disse con un pizzico di malizia negli occhi.
<< No. >> sorrise imbarazzata Ocean e anche un pochetto infastidita << Tra me e Daryl non c'è niente! >>
<< Lo so. >> ammise l'anziano amico, costringendola a rivoltarsi per concludere la fasciatura che aveva appena sistemato, facendola girare intorno al braccio e sotto l'ascella << Ed è un peccato. >> ammise poi.
Ocean rispose con uno sbuffo sarcastico, per niente convinto e anche derisorio. Il vecchio stava delirando. Quante sciocchezze in così poco tempo. Gli voleva bene, era un ottimo amico ed era bello averlo accanto, ma da lì a dire che avrebbero potuto stare insieme...no. Mai.
Non ne voleva sapere niente dell'amore! E tanto meno con un tipo come Daryl, che tutto avrebbe fatto tranne che portare fiori o cioccolatini.
<< Sei a posto. Grazie per avermi permesso di guardarti. >> disse Hershel raddrizzandosi sulla sedia dove si era seduto per effettuare le sue operazioni. Ocean si tirò la camicia sulle spalle, coprendosi e si alzò, diretta alla sua cella, ma non senza prima essersi fermata a rivolgere all'anziano amico un sentito << Hershel... Grazie. >>
E non era per la spalla.

Un lieve rumore soffuso. Onde che andavano stendendosi e ritirandosi. Granuli bollenti tra le dita. Ma non scottavano. Erano caldi, anche troppo, ma le dita non bruciavano. Aprì gli occhi. Il sole era accecante.
Si guardò confusa attorno.
Sapeva dov'era... e ne aveva paura.
Si sollevò di scatto, pronta a dirigersi dove avrebbe trovato la solita figura nera dagli occhi vitrei sprofondare sotto il pelo dell'acqua. Come ogni notte...tentava di salvarlo. Ma finiva con l'affogare insieme a lui.
I primi passi nel mare rumoreggiarono fastidiosi. La vide. Era lì, davanti a sè, evanescente e terrificante. Scura e irraggiungibile. Ma lei era testarda e l'avrebbe raggiunta. Prima o poi ce l'avrebbe fatta.
<< Manu! >> chiamò, ma non sentì la sua voce.
Poi si bloccò.
No.
Doveva lasciarlo andare.
Abbassò gli occhi al mare che le accarezzava i polpacci. Era rosso amaranto. Un Oceano di sangue.
Alzò gli occhi di nuovo alla figura davanti a sè.
Sì, l'avrebbe lasciata andare. Non avrebbe più tentato quella folle e inutile corsa, che come tutte le notti si concludeva nel respiro che mancava e l'acqua nei polmoni che rubava tutto ciò che di più caro aveva. E quella figura dagli occhi vitrei non l'avrebbe vista.
La fissò.
Si stava voltando. Avrebbe visto quegli occhi vuoti e disperati ancora un'ultima volta.
Ma il cuore sobbalzò quando per la prima volta non si trovò ciò che si aspettava. Gli occhi che aveva incrociato non erano verdi, non erano mascherati da degli occhiali, non erano quelli che a lungo l'avevano abbandonata.
Il fiato le mancò e cominciò a correre.
<< No. >> mormorò. Sforzò le gambe e si aiutò con le braccia ad andare più veloce.
<< No! Ti prego, no! >> pianse. Lo raggiunse. Era riuscita! Allungò una mano verso lui: l'avrebbe afferrato e finalmente stretto a sè. Mai più sola. Avrebbe vinto.
Ma il terreno mancò improvvisamente, i suoi piedi caddero non trovando più un appoggio e la mano che aveva allungato sfiorò solamente la figura che ancora immobile la fissava, in attesa, e un ultimo grido prima che l'acqua soffocasse ancora i suoi polmoni << Daryl! >>
Le mani inutilmente si allungavano verso l'alto. Non sapeva nuotare. Non sarebbe arrivata in cima. Non avrebbe più preso fiato. Sarebbe morta...come tutte le volte. Il rosso macchiava i suoi occhi. Aveva paura.
Di nuovo.
Li chiuse.
Stava piangendo? Ne sentiva il bisogno, ma l'acqua intorno a lei le impedivano di capire cosa fosse il liquido che inumidiva le sue guance.
Anche lui. Sola ancora una volta.
Senza rendersene conto aveva riposto in lui la stessa sicurezza che aveva riposto qualche mese prima in Manuele. Il suo punto fisso, il pupazzo da stringere la notte per non temere il buio. L'aveva trovato di nuovo. E lo stava perdendo di nuovo.
Non l'hai lasciato andare una voce brontolò dentro lei.
Non voglio pianse in risposta.
Qualcosa afferrò la sua mano. Una presa ferrea, quasi da farle male.
Aprì gli cochi appena in tempo per vederlo: la stringeva, la baciava e insieme risalivano e sconfissero l'oceano. Gli occhi azzurri, lembi strappati al cielo, ora erano chiusi, serrati in un'espressione disperata.
Si lasciò stritolare dalle sue braccia ormai troppo grosse per le sue minute spalle. Si abbandonò.
Poteva farlo. Lo sapeva.
E insieme ripresero fiato.

<< Oh mio Dio! >> balbettò Ocean, seduta sul suo letto, gli occhi sbarrati in una chiara espressione allibita. Il lenzuolo ben stretto, stritolato, tra le sue dita.
<< Che diavolo mi ha fatto quel vecchio?! >> brontolò spostandosi lentamente, ancora shockata per quanto aveva appena sognato. Lasciò cadere le gambe penzoloni giù dal letto a castello.
Si fermò un istante. Un altro ricordo improvviso era balenato. La fulminavano in continuazione. Immagini tanto assurde per la sua mente razionale, da sfiorare l'incubo.
Che diavolo! Aveva appena finito di dire che non avrebbe mai voluto una storia d'amore, tanto meno con un tipo come lui e poi andava a fare certi sogni.
<< Mi deve aver iniettato un antidolorifico troppo forte. >> giunse alla conclusione, non riuscendo proprio a comprendere come la sua mente fosse riuscita a produrre un film del genere. Scese dal letto e si rese conto solo allora delle voci che provenivano dall'intero della prigione. Le voci del suo gruppo. Stavano parlando tra loro all'entrata, nella prima saletta, dove c'era il tavolino che Hershel aveva usato come sala operatoria. Uscì dalla sua cella stiracchiandosi e grattandosi pigramente la testa. Uno sbadiglio uscì dalle sue labbra, storpiando il suo volto. Porbabilmente aveva dormito male: si sentiva a pezzi.
E questo spigava anche il perchè di certi sogni.
<< Sì. >> disse una voce molto dolce e così delicata nel suo sussurro da far venire dei dubbi a Ocean sulla sua provenienza. Riconosceva la voce, ma non il tono. Non l'aveva mai sentito così.
<< Ti piace? Eh? >> chiese ancora il solito tono amorevole.
Arrivò al cancello e da lì si affacciò, cercando di guardare cosa stesse succedendo.
Era stato Daryl a parlare. Allora aveva sentito bene! Era la sua voce. Teneva in braccio la bambina di Rick: il suo tocco su di lei era così leggero e la sua voce così morbida da non sembrare lui. La stava allattando e dondolando. Era così dolce.
<< Piccola spaccaculi. >> il nomignolo fece ridere tutti i presenti, Ocean compresa. Sì, era proprio lui. Non si era sbagliata e quello era stato il suo marchio di fabbrica.
<< Ti piace, tesoro? Piccola Spaccaculi. >> continuò a sussurrare al piccolo scrigno delicato che aveva tra le braccia. Ocean non riuscì a togliergli gli occhi di dosso: era così diverso dal solito. Possibile che fosse sempre lui? Non l'aveva mai visto circondato da quell'aura così calda. Solo qualche volta, quando aveva parlato con Molly, ma era stato un po' diverso con lei. Forse perchè più grandicella, o forse semplicemente perchè solo ora stava venendo fuori quel lato di sè.
Si poggiò con la testa allo stipite della porta in ferro e continuò a osservarlo intenerita e completamente rapita da quel lato di sè che tanto aveva tenuto nascosto.
Era stata una sciocca quel pomeriggio. Si era lasciata abbattere, si era lasciata distruggere, dimenticando cosa ancora poteva stringere a sè. Non era ancora la fine, non doveva mollare. Lei non sarebbe stata quel Manuele che disperato si lasciava affogare nell'Oceano, dimenticandosi di chi ancora aveva bisogno di lui.
Sospirò abbassando lo sguardo, pensierosa, e decise di uscire a prendere un po' d'aria. Daryl ancora non le aveva rivolto lo sguardo e probabilmente non l'avrebbe fatto ancora per molto. Era stata una vera stronza quel pomeriggio, non si meritava di essere trattato così. Se non le avesse rivolto la parola ancora a lungo lei lo avrebbe capito e compreso.
Si sistemò gli abiti addosso e si avviò verso l'uscita della prigione. Aveva bisogno di prendere un po' d'aria: aveva bisogno di veder le stelle.
Andò sulla torretta di guardia dove c'era Oscar, ancora in disparte, ma ancora impegnato nella sua campagna d'amicizia.
<< Sto io qua >> gli disse << Vai pure a riposare un po'. >> sorrise cercando di essere convincente e amichevole. Oscar accettò la gentil concessione, era stato tutto il giorno lì, aveva bisogno di staccare un po'. La ringraziò e la lasciò sola con i suoi pensieri, gli addii ai fantasmi e le sue stelle.

Non seppe bene quanto tempo passò, forse solo pochi minuti, quando sentì dei passi leggeri e quasi timidi dietro di lei. Poggiata coi gomiti alla ringhiera di fronte si voltò, senza spostarsi di lì, osservando chi era andato a farle compagnia nella sua solitaria notte.
Si sorprese, ma fu felice, quando vide che era Daryl. Aveva lasciato la bambina probabilmente a Carl o Beth e l'aveva raggiunta. Si sfilò il solito pacchetto di sigarette dalla tasca, ne estrasse una, che si portò alle labbra e poi ne offrì un'altra alla sua compagna, che ben accetto. Altrettanto generoso fu nel offrire il suo accendino.
E rimasero in silenzio. Di nuovo immersi nel loro consolatorio e dolce silenzio che tutto diceva.
Hershel sbagliava quando diceva che avevano bisogno di parlare. Loro già si dicevano tutto così.
Ma una cosa andava detta a voce.
<< Mi dispiace per oggi. >> disse Ocean, riuscendo a fatica a metter da parte l'orgoglio. Poi si voltò a guardarlo << Puoi chiamarmi Alice, se ti piace. >>
Daryl ricambiò il suo sguardo e annuì semplicemente, senza aggiungere altro, prima di tornare a fissare davanti a sè. Era così pensieroso.
Il silenzio calò di nuovo, ma quella volta non fu dolce e complice, come tutti gli altri. Era strano.
Quasi...imbarazzante.
Dovreste parlare.
Lei è fragile.
Sei la persona che gli è più cara in questo momento.
Noi non stiamo insieme!
Lo so...ed è un peccato.

Non voglio più esser sola.

<< Senti, io... >> si voltò, e fino a quel momento avrebbe giurato di sapere perfettamente cosa gli stava per dire. Gli stava per dire qualcosa di importante... ne era certa! Era qualcosa che doveva essere detto. O forse una semplice frase di circostanza? Una delle loro solite?
Non lo seppe più.
Dimenticò tutto nell'istante in cui alle sue labbra fu impedito di andare oltre, bloccate e ammutolite da un disperato, quanto altrettanto incazzato, bacio.



N.D.A

Aaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh credevate eh!!! "Pf, questa aggiorna una volta ogni morte di Papa, chissà quando arriverà il prossimo", ahahah e invece stavolta vi ho fregati! Tiè beccatevi questo capitolo nuovo di zecca (oltre al mondo nuovo di zecca e alla ragazza nuova di zecca e...così via).
Ok, lo ammetto...ho tirato le tre per ben 3 notti pur di scriverlo >__> E l'ho riletto una volta sola (quindi confido nel mio occhio addormentato di prima mattina, pregando non mi abbia tradito o ingannato xD). Volevo postarlo u.u non ce la facevo.
Eeeee quindi niente... BAM!

Ah! Approfitto di questo angolin...one... per spiegarvi (almeno per 'sta volta :P) il titolo del capitolo u.u sono tre motivi:
1) Aurora è il nome della principessa che viene svegliata da un bacio.
2) Aurora è il nome della fase di passaggio dalla notte al giorno (e quindi rieccolo il "risveglio", il passaggio dalle tenebre alla luce ecc ecc).
E infineeeeeeeeee 3) Da wiki: "
La luce dell'aurora è di colore inizialmente lilla-lavanda, poi tende al pesca-arancio. La luminosità deriva dalla rifrazione dei raggi solari: infatti i raggi, che possiamo considerare paralleli, nell'aurora debbono attraversare strati più profondi dell'atmosfera." ...quindi...niente...durante l'Aurora si va più in profondità.
Fico è? :P
E' tutto!!
Un saluto.

Ray.

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Capitolo 25
*** Zombie. ***


Zombie.

Ocean scese rapida gli scalini che dividevano la sua cella dal livello sottoelevato, dove si erano stabiliti la maggior partedei membri del gruppo. Sembrava un'altra persona rispetto al giorno prima, l'angoscia e la paura erano svanite nel nulla. Si era svuotata del tutto ed era tornata la stessa Ocean determinata e combattiva che era una volta. E quella mattina era pronta a rimettersi al lavoro: aveva tanti progetti in testa. Voleva parlare con Molly, stare un po' con lei, ristabilire un contatto. Era stata una giornata da incubo anche per lei,anzi, forse soprattutto per lei, ed era stata così egoista da lasciarla sola. Poi avevano un cortile da ripulire completamente, equilibri da ristabilire, e voleva al più presto sellare la sua Peggy e ritornare a fare qualche corsa nei dintorni, esplorando la zona nella speranza di trovar qualcosa di utile. Era quello il suo compito, era quello il suo destino: restar rinchiusa la soffocava. Ogni tanto doveva uscire, girare, esplorare. Voleva adrenalina nelle vene.
Si strinse la coda dei capelli appena sistemata e mise il piede sull'ultimo scalino quando si trovò la strada bloccata da un imbarazzato, ma sorridente, Glenn. Le guance avvamparono e gli occhi fuggirono lontani.
<< Ciao. >> disse infine lui dopo aver più volte tentato di aprir bocca.
Ocean cercò di sorridere cordiale, ma riuscire a incrociare i suoi occhi risultava ancora impossibile.
<< Buongiorno. >> disse schiva prima di scappar via, ma fu fermata di nuovo da Glenn che la richiamò alle sue spalle << Senti... scusa per ieri sera. >> ammise sincero << Non pensavo...voi... >>

Già...la sera prima. Probabilmente il vero motivo per cui quella mattina era così piena di energie.
Anche se lo riteneva incredibile e assolutamente non plausibile.
Daryl non l'aveva fatta parlare, qualsiasi cosa lei avesse avuto da dire era caduta nel vuoto all'istante. Non aveva la più pallida idea del perchè, ma l'aveva baciata. E, suo malgrado, aveva dovuto ammetere che non era stato per niente male. Sapeva di fumo e fatica, ma le sue labbra erano morbide e delicate. E lei si era ritrovata completamente spiazzata dal quel gesto improvviso. Aveva smesso di ragionare, inebriata, non era riuscita a capire cosa stesse accadendo: sentiva solo che le piaceva. La presa su di lei si era fatta ferrea, avida e gelosa, un bambino che stringe il suo giocattolo per proteggerlo da chi vuol portarglielo via. E anche quello incredibilmente le era piaciuto. Aveva sentito il muro freddo dietro la schiena: quando ci era arrivata? Come? L'aveva spinta? Eppure non se n'era resa conto. Aveva la mente nel vuoto, guidata solo da istinti primordiali, priva di ogni forma di critica e razionalità.
Aveva sentito il suo corpo schiacciarsi tra il muro e quello del ragazzo davanti a sè. Il collo sollevato, per riuscire a raggiungere la sua altezza, aveva cominciato a dolerle, ma non le importava. Voleva andare avanti. Aveva sentito i suoi capelli ruvidi e rovinati scorrerle tra le dita. La leggera barba accennata le pizzicava il mento. La mano di Daryl poggiata sulla sua guancia la accarezzava, dolce, ma brusca ed esigente continuava a tirarla a sè. Non voleva lasciarla andare.
Sarebbe finito tutto in una nuvola di fumo. L'ultimo sbuffo.
Lo sapevano. E non volevano.
Probabilmente neanche lui sapeva bene cosa stesse facendo. Ma lo faceva. E bastava.
Zombie, morti, addii e speranze perdute. Tutto ammucchiato momentaneamente in un angolo. L'avrebbero poi affrontato insieme.
Quello era il loro abbraccio disperato nel buio nel tentativo di bastarsi a vicenda.
E disperato era quel bacio, così violento, ma rispettoso e delicato nello sfiorare le ferite.
Poi tutto era finito troppo bruscamente con il rumore di una porta che si spalancava e la voce di Glenn che comunicava << Ehy, ragazzi vi do il cambio? >>
O almeno quello era ciò che aveva cercato di dire, prima che la bocca glielo avesse impedito, restando spalancata nell'istante in cui aveva visto i due avvinghiati e schiacciati al muro. Una remota parte di lui aveva pregato che non fosse stato sentito e cercò di arretrare silenzioso portandosi dietro la porta, ma vane erano state le sue speranze. I due avevano già puntato i loro occhi sorpresi e imbarazzati al coreano che aveva tentato di salvarsi con un ultimo << Scusate. >>
Daryl e Ocean erano rimasti qualche secondo confusi, risvegliati troppo bruscamente da una sveglia troppo rumorosa. Si erano guardati e si erano allontanati l'uno dall'altro con gli occhi di chi ha appena fatto una grandissima cazzata.
<< No... Io... >> aveva cominciato Ocean abbassando gli occhi e passandosi una mano sulla testa per sistemarsi i capelli << Io stavo andando via. >> e si era allontanata con la stessa velocità di un ladro che ha appena rubato il portafoglio a una vecchietta.

<< Non hai interrotto niente. >> cercò di smorzare l'imbarazzo << E' stato solo un gesto impulsivo. >> non era poi troppo errato. Alla fine non c'era stato niente. Era solo stato un attimo di confusione e debolezza...o almeno credeva.
<< Ora... >> continuò lei sempre balbettante, indicando un punto invisibile alle sue spalle << ...devo andare. >>
<< Certo! >> annuì schivo Glenn permettendole di allontanarsi.
Arrivò alla saletta fuori dalla zona celle, appena dopo il primo cancello, la loro "area ristoro" e lì trovò tutti gli altri, seduti un po' ovunque, a mangiare chissà quale schifezza arrangiata tra quelle trovate alla mensa.
<< Buongiorno! >> salutò raggiungendo con rapidità il tavolino rotondo dove erano posate un po' di scatole aperte. Scompigliò i rossi capelli di Molly, lì seduta, con la testa che a malapena riusciva ad arrivare alla tazza e le gambe penzoloni sotto lo sgabello. Le diede un bacio sulla testa e si inginocchiò avvicinando il viso alla bambina, la quale si voltò a guardarla sorpresa.
<< Hai impegni per oggi, principessa? >> sussurrò nel silenzio dei suoi compagni, allungando una mano sul tavolo e afferrando uno dei biscotti che uscivano da una delle scatole. Molly negò con la testa, senza ancora parlare, ancora abbattuta per quanto successo.
<< Bene, allora sei tutta mia. >> sorrise ancora e la tirò con una mano a sè per poterle stampare un altro bacio sulla tempia, cosa che la bimba sembrò apprezzare visto il sorriso che nacque sul suo volto.
Si alzò di nuovo, diretta alle celle dove si sarebbe preparata. Non voleva perdere tempo, non quel giorno. Non voleva fermarsi. Si era svegliata carica e doveva restare in quelle condizioni. E quale modo migliore per tenere lontani malinconia e fantasmi se non quello di tenersi impegnati? Herhsel aveva ragione. Loro avevano ancora bisogno di lei. Non doveva mollare. Aveva fatto una promessa.
<< Sei di buon umore, oggi. >> constatò Hershel, costringendola a voltarsi per dedicare uno sguardo anche a lui. L'affermazione l'aveva lasciata un po' confusa inizialmente, soprattutto perchè aveva sentito un pizzico di malizia nella sua voce, ma la risposta alla sua domanda le balenò in mente non appena, voltandosi, vide gli sguardi ridenti dei suoi compagni scendere lentamente da lei alla tazza che tenevano tra le mani. A Beth scappò un risolino e il suo sguardo si spostò verso Carl, seduto vicino a lei, incrociandosi, complici.
Sapevano.
Glenn non era riuscito a tenere la bocca chiusa, come suo solito, e già di prima mattina tutta la prigione urlava pettegolezzi inutili e inapproppriati. Aprì bocca per dir qualcosa, ma l'imbarazzo gliela fece richiudere. Guardò Daryl, forse cercando supporto, ma lui sembrava non preoccuparsi della situazione e continuava tranquillo a divorare il suo pasto frugale. O forse era solo un modo per tenersene fuori.
<< Bambini. >> si lasciò sfuggire infine Ocean, scocciata per le derisioni. Alla fine era solo stato un bacio, cosa c'era di strano? Neanche alle elementari l'avevano tanto presa in giro per aver stretto la mano al compagno che le piaceva.
L'affermazione fece scattare qualche risata soffusa, non più di derisione, ma solo divertite per il suo modo di reagire e adibite a smorzare un po' la tensione. Una di quelle risate che dicono "Non preoccuparti, stiamo solo scherzando."
Stava per rivoltarsi di nuovo e tornare sui suoi passi quando videro Rick sbucare dal corridoio ed entrare nel blocco. Non aveva più gli occhi di un folle, sembrava che la notte passata a sfidare la morte fosse bastata a permettergli di sfogarsi e tornare il solito Rick pacato e razionale di un tempo. O almeno queste furono le impressioni.
Si avvicinò a suo figlio, sotto lo sguardo preoccupato di tutti i presenti, e comunicò con semplicità << Ho ripulito il blocco delle caldaie. >>
<< Quanti ce n'erano? >> chiese Daryl preoccupato.
<< Non lo so. >> ammise Rick << Dieci...venti... >> fece un sospiro << Devo tornare là. Volevo solo vedere come stava Carl. >> disse ancora prima di cercare di allontanarsi, ma Glenn si alzò rapidamente e cercò di andargli incontro, chiamandolo.
<< Possiamo portare noi fuori i corpi. Non devi farlo tu. >> disse sperando di convincerlo a calmarsi, dedicarsi un po' di tempo per sè e per riposare. Ma Rick tagliò subito i ponti dicendo, col tono di chi fa un favore a qualcuno, che l'avrebbe fatto lui.
Si avvicinò rapido a Daryl chiedendo se aveva pistola e coltello, e lui rispose affermativamente, senza togliergli di dosso gli occhi preoccupati, aggiungendo subito dopo che avevano però poche munizioni e che sarebbe dovuto essere scrupoloso nell'usarle.
<< Maggie e io volevamo fare un giro questo pomeriggio. >> comunicò Glenn << Possiamo cercare pallottole e latte artificiale. >>
<< Andrò con loro. Possiamo coprire una zona più ampia e magari sperare che questo ci porti più fortuna. >> annunciò Ocean.
<< La stanza del generatore è pulita. Axel lo sta riparando, in caso d'emergenza. Ripuliremo anche i piano inferiori. >> disse infine Daryl. E Ocean ebbe una strana sensazione...come di smarrimento. Era la prima volta in quasi un anno che a stabilire cosa fare e come farlo non era Rick, ma esattamente l'opposto. Si stavano autogestendo, il loro pilastro non li sorreggeva più e loro dovevano far forza sulle loro capacità. La struttura stava cominciando a vacillare. Erano forti, avrebbero resistito probabilmente, ma non avere più una sicurezza ben ferma era comunque disarmante.
Rick approvò, senza aggiungere troppo e fuggì via, quasi fosse di fretta, senza neanche ascoltare il richiamo insistente e preoccupato di Hershel, lasciandosi dietro un altro rumoroso silenzio.

Ocean rientrò nella sua cella e decise di aspettare la fine della colazione della bambina per conto proprio, aprofittando di quel vuoto per pulire e affilare un po' la lama che in quei giorni aveva trascurato. Rimpianse di non avere di nuovo con sè la sua sacca con tutte le sue cose. Stupidaggini per la gran parte, niente che veramente gli fosse servito, ma era una sicurezza che si portava sempre appresso. Lì dentro c'erano le sue cose. Ora non erano altro che giocattoli per zombie, o tesori per qualche passante. Prese la spada da sopra il piccolo tavolino vicino al suo letto a castello, ma il movimento dell'oggetto pesante fece cadere a terra la cotta che era mal riposta proprio sotto di lei. La raccolse e la piegò malamente per rimetterla lì, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un piccolo cimelio abbandonato in fondo al mare, di cui si era dimenticata.
Il suo ciondolo.
Il ciondolo che le aveva costruito e regalato suo nonno poco prima di morire, e che, a sua volta, aveva già cominciato a morire, perdendo qualche petalo. Lo guardò per un istante, sentendo di nuovo la mano gelida dei suoi fantasmi sfiorarle la schiena, ma non si lasciò abbattere. Lo afferrò e guardandolo indietreggiò di qualche passo fino a raggiungere il letto dietro sè e sedersi. La cotta cadde rumorosamente a terra e le mani, ormai entrambe libere, si impegnarono in carezze ed esplorazioni, come se fosse un oggetto appena scoperto. Lo voltò e lesse la sua scritta.
Ricorda.
Un triste sorriso ravvivò un po' quel volto che di nuovo stava perdendosi nelle ombre. Accarezzò la scritta.
Il tempo ti sfugge dalle dita, bambina mia, come i petali di questo fiore. Ne perdi qualcuno, sempre, inevitabilmente. E quando il fiore sarà ormai morto e privo di petali ti renderai conto di quanto era bello in realtà in passato. Ma allora sarà ormai troppo tardi per saggiarne il profumo.
Ricordati del tempo. Non dimenticartelo o ti scapperà via e tu neanche lo vedrai.
Ricordati.

Lei se n'era dimenticata. Aveva commesso l'errore che quel ciondolo le aveva impedito più volte di commettere. Non aveva guardato e approfittato del suo fiore quando era ancora bello, e ora che era morto...ora che Carol, T-Dog e Lori erano morti, lei non poteva più saggiarne il profumo. E lo rimpiangeva.
<< Mi dispiace, nonno. >> sussurrò tra sè e sè.
Max entrò nella cella, scodinzolante come sempre, leccandosi i baffi ancora sporchi di chissà quale saziante pasto. Si avvicinò alla sua padrona e annusò quello strano oggetto che teneva tra le mani, incuriosito. Ocean sorrise guardando gli occhi vivaci e sempre brillanti del suo amico. Lo invidiava così tanto. Si infilò la collana, nascondendo il ciondolo sotto la camicia e dedicò qualche minuto al compagno migliore che avesse mai avuto con carezze e grattate dietro l'orecchio.
<< Vado a vedere come sta Rick. >> sentì dire da Hershel al piano di sotto, seguito da altre voci confuse e soffuse. Si stavano sparpagliando: la colazione era finita.
<< Ci andiamo a fare un giretto oggi. Eh, amico? Come i vecchi tempi, solo io e te. Contento? >> disse Ocean alzandosi in piedi. Max rispose con un'altra scodinzolata, lasciando a Ocean la tenera convinzione che avesse capito. Uscì dalla sua cella e scese di nuovo i gradini, dirigendosi verso la solita saletta ristoro. Incrociò Daryl sulla porta, seguito da Oscar e Carl, ma questi ultimi due proseguirono lasciandoli soli.
<< Vado con Carl e Oscar a fare un giro nei corridoi. Controlliamo che non ci sia rimasto nessuno zombie da ieri. >> informò lui, come se fosse stato tenuto a farlo. Ocean annuì << Ok. Io resto un po' con Molly. Ha bisogno che qualcuno le stia più dietro, quella bambina è troppo sola. >>
Questa volta ad annuire fu Daryl. Sapevano entrambi quanto Molly soffrisse quella situazione, sola e sempre in fuga, e anche ora che finalmente avevano trovato un posto tranquillo non poteva che starsene per conto proprio a giocare con la sua bambola, in compagnia, qualche volta, di Beth o Carol. Ma ora Carol era morta e Beth era sempre impegnata a tenere la nuova nascitura.
<< Bene. >> disse lui semplicemente prima di riprendere il suo percorso, dietro ai due che l'avevano lasciato poco prima, diretto alla sua "camera" per prendere balestra e frecce.
<< Daryl, senti... >> lo fermò Ocean voltandosi immediatamente, senza aspettare che fosse troppo lontano per parlargli. Il ragazzo si fermò a guardarla, aspettando di sapere cosa avesse da dirgli. Possibile non ci arrivasse da solo? Possibile non avesse niente da dire riguardo alla sera prima? Sembrava se ne fosse dimenticato: nè un cenno, nè uno sguardo o una parola. Come se niente fosse. Ma lo stesso non valeva per lei. Aveva passato una notte in bianco a rimuginare e sentire lo stomaco attorcigliarsi più volte, cercando di snodarsi e uscire da quel labirinto, cercando di capire cosa fosse successo e soprattutto perchè.
Ma alla fine...cosa si aspettava? Lei era una ragazza, era ovvio che a certe cose dava peso. Lui... beh, non sembrava proprio il tipo.
Una botta e via, dicevano in Italia.
<< ...per ieri sera... >> cominciò lei abbassando gli occhi e accarezzandosi la nuca imbarazzata << ...Io non...non volevo, ecco. Non voglio rovinare tutto, è stato... >>
<< ...Un attimo di confusione. >> la anticipò lui. Ma allora era d'accordo con lei! Ci aveva pensato, non si era dimenticato. Ocean alzò lo sguardo soddisfatta, si era tolta un peso dal cuore, e annuì sorridente << Sì. Abbiamo passato una brutta giornata, eravamo stanchi e confusi, non eravamo lucidi. >> aveva smesso di balbettare. Si era sentita decisamente meglio.
Era stato bello, sicuramente un'esperienza da ricordare, ma non voleva che niente cambiasse. Lei non provava niente per Daryl se non profondo affetto, non era decisamente il tipo con cui avrebbe intrapreso una relazione. Ma non voleva perderlo per una sciocchezza da ragazzini in preda agli ormoni.
<< Certo. >> annuì lui abbassando per un attimo gli occhi e allontanandosi subito dopo.
Qualcosa era andato storto.
Ocean aggrottò la fronte: erano d'accordo, avevano pensato la stessa cosa, lui stesso l'aveva anticipata dicendo che era stato un errore, eppure era stato così strano. Raramente i suoi occhi permettevano di vedere cosa ci fosse lì dentro, erano spesso velati da uno spesso strato di disprezzo e violenza. Non che fosse davvero così, ma faceva la parte del cattivo ragazzo. Eppure le era parso, quella volta, di cogliere qualcosa in quegli occhi schivi e freddi, qualcosa che tanto somigliava...alla delusione.
Che ci fosse rimasto male?
Scosse la testa. Probabilmente l'aveva solo immaginato. Forse erano solo i suoi desideri proiettati nei suoi occhi: alla fine, per quanto sentisse che era giusto così, la sua parte femminile urlava sdegnata per essere stata "usata", anche se era ridicolo. Ma quale donna accetta di essere trattata come quella sera per poi essere "scaricata"? Anche se era proprio quello che voleva. Orgoglio.
Sì, probabilmente si era sbagliata.

Entrò nella saletta e si guardò attorno. Ormai era deserta, ognuno era tornato ai propri posti e ai propri incarichi. Solo una figura giaceva a terra, seduta con la schiena poggiata al muro, e i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle. Ocean le si avvicinò e silenziosa si mise a sedere vicino a lei. Non era più la bambina allegra e vitale che era stata un tempo. Quel mondo stava uccidendo anche lei. Doveva salvarla.
Si allungò a prendere uno dei fogli di carta che aveva di fronte, unica fonte di distrazione che a volte aveva e sempre in silenzio tornò a poggiarsi al muro, piegando più volte il foglio tra le mani.
Ne costruì un aereoplanino, alitò sulla punta e poi lo fece volare, facendolo cadere neanche un metro da loro. Molly guardò l'aereo sorpresa, ma non disse niente.
Ocean si piegò in avanti, prese un altro foglio e fece un altro aereo.
<< Tieni. Prova tu. >> disse porgendolo alla rossa. Molly afferrò il foglietto piegato come aveva visto fare alla ragazza e lo guardò per un minuto curiosa e sorpresa, prima di lanciarlo come poteva, facendolo schiantare di punta proprio davanti ai suoi piedi.
Ocean rise divertita e lo afferrò di nuovo. Stirò le pieghe che si erano formate nella caduta e lo porse nuovamente alla bambina, ma non senza prima aver di nuovo alitato sulla punta. Non sapeva a cosa servisse, non l'aveva mai saputo, ma sapeva che andava fatto così.
<< Lancialo così. >> spiegò afferrando la manina piccola e delicata nella bambina e guidandola nella sua traiettoria.
Questa volta l'aereoplano andò poco più lontano. Non raggiunse il compagno, ma almeno un po' era volato.
<< Mi insegni? >> chiese Molly voltandosi a guardarla con gli occhi incuriositi << Mi insegni a costruirlo? >>
<< Certo! >> disse Ocean entusiasta, prendendo il terzo foglio di carta che aveva davanti e cominciando la sua lezione di "piegamento".
<< Ora prova tu. >> invitò, lasciando che la piccola se la cavasse da sola. Ci mise un po', sbagliando qualche passaggio all'inizio, ma dopo un paio di correzioni Molly riuscì a costruire il suo primo aereoplanino di carta. Provò a lanciarlo...e di nuovo cadde davanti ai suoi piedi.
Ocean rise ancora << Imparerai. Devi esercitarti tanto. >> sorrise e Molly corse a prendere altri fogli. Si sedette di nuovo vicino alla ragazza e riprese a costruire aereoplani, sotto lo sguardo attento e vigile di una mammina che tanto aveva promesso e che, come tutte le mamme, poi se n'era dimenticata.
<< Sai cosa mi manca più di tutti? >> mormorò dopo un po', poggiando la testa dietro di sè. Sorrise e si voltò a guardare la piccola che aveva interrotto i suoi esercizi per poterla ascoltare curiosa.
<< Il gelato! >> ammise la ragazza avvicinandosi al suo orecchio, come fosse stato un segreto. Molly annuì energicamente << Anche a me! >> poi ci pensò un po' << Tu mangiavi il gelato? >>
Ocean la guardò sdegnata e offesa << Se mangiavo il gelato? Tesoro, io ero la Regina dei mangiatori di gelato! Il mio preferito era quello al cioccolato. >>
<< Anche il mio! >> esultò la bambina, sorridendo. Nei suoi occhi opachi si intravide una piccola scintilla. Ancora troppo debole e sola, ma pur sempre un inizio.
<< No? >> chiese Ocean fingendo incredulità << Sul serio? Non ci credo! Allora abbiamo gli stessi gusti! >>
<< E il tè alla pesca! >> disse la bimba ancora.
<< Adoro il tè alla pesca! >> assecondò Ocean << E la pizza! Ti piaceva la pizza? >> Molly annuì ancora e Ocean tornò a guardare davanti a sè, sentendosi l'acquolina in bocca << Una sottile pizza napoletana, come quella che faceva la pizzeria di fiducia dietro casa mia, la più buona del mondo, col bordo alto,tanta mozzarella, funghi e prosciutto cotto. >> lo stomaco brontolò rumorosamente in risposta alle sue languide fantasie e questo fece scoppiare a ridere tutte e due.
Il sole era sorto di nuovo.
Nessuna delle due si era posta il problema che quelle fossero e sarebbero rimaste solo fantasie. Non importava. Anche solo ricordare certe cose bastava.
E il sole raggiunse il suo punto più alto con una velocità che da tempo non ricordava.

<< Devi proprio andare? >> chiese Molly tirando i pantaloni di Ocean per attirare la sua attenzione, distraendola dal suo lavoro: stava sellando Peggy, preparandosi per seguire Maggie e Glenn nella cittadina lì vicino. Poi si sarebbero separati e avrebbero cercato ognuno per conto proprio. Era una gioia per Ocean, anche se uscire metteva paura: adorava girovagare in sella alla sua adorata Peggy, a fianco del suo fidato Max. Lo aveva fatto così a lungo, e ora invece era diventata una rarità. Ne sentiva la mancanza.
Si voltò a guardare la bambina << Torno presto. >> sorrise.
Molly non sembrò convinta << Resti con me? Possiamo giocare ancora! >> cercò di convincerla.
Ocean sorrise ancora intenerita e le diede un bacio sulla fronte << Quando torno giocheremo tantissimo. E ti prometto che ti porterò un regalo. Magari qualche gioco nuovo. >>
Molly sembrò illuminarsi << Vorrei un libro! >>
<> chiese Ocean sorprendendosi di sentire una tale richiesta. Credeva che bambine della sua età pensansero solo a bambole, ciottoli e altri giochi del genere.
<< La mamma mi leggeva sempre un libro prima di andare a letto. >> arrossì di colpo << Magari potresti leggermelo, qualche volta, la sera. >>
Il cuore di Ocean sembrò esplodere. C'era così tanta tenerezza, tristezza e malinconia in così poco. Gli occhi le si inumidirono e per non farsi vedere in quello stato, abbracciò la bambina.
<< Ti porterò il libro più bello che ci sia. >> sussurrò lottando contro il nodo che si stava formando in gola per la commozione.
<< Ora vai. Hershel ti sta aspettando. Ha bisogno di una buona assistente. >> le fece l'occhiolino e Molly si esaltò ancora << Sì, ha detto che sono stata brava con la Signorina Rosie! Vuole ancora il mio aiuto! >>
<< Bravissima! Vai! >> la incoraggiò << Ci vediamo più tardi. >> salutò vedendola correre via nella sua gonna sempre troppo ingombrante. Si fermò, si voltò e alzando la mano sopra la testa salutò energicamente << Ciao a dopo! Torna presto! >>
<< Pronta, Ocean? >> chiese Glenn prima di dirigersi all'auto, distraendo la ragazza dal suo saluto intimo con il suo piccolo tesoro.
<< Sì, datemi un ultimo minuto. >> disse prima di allontanarsi tenendo tra le mani le redini della cavalla. Si avvicinò rapidamente alle lapidi improvvisate che avevano dedicato alle tre morti del giorno prima. Il funerale era stato rapido e doloroso, anche perchè c'era ancora tanto da fare e Rick continuava a stare nascosto nei corridoi della prigione. E lei...beh, aveva osservato un po' da lontano. Non si era voluta inserire. Non aveva voluto piangere. Ma non per questo li aveva dimenticati.
Si fermò a osservare le lapidi qualche istante, pensierosa e rammaricata. Il foulard di Carol era stato legato e ben stretto intorno al suo bicipite, in segno di lutto. E probabilmente sarebbe rimasto lì a lungo. Abbassò gli occhi e sospirò.
Lasciali andare.
Infilò la mano dentro la camicia e tirò fuori il suo ciondolo a fiore. Si avvicinò alla prima lapide, quella dedicata a Lori e si inginocchiò lì davanti. Staccò un petalo dal suo fiore, sforzandosi un po', fece poi una piccola buca con le dita e lo posò dentro. Ricordò il sorriso di Lori mentre ricopriva quel piccolo pegno. Ricordò la sua voce. Il suo amore per Carl.
Non avevano mai legato troppo, ma non per questo non meritava di essere ricordata e salutata. Lei era il cuore di Rick, e ora che era morta Rick era caduto. E senza lui tutti loro erano in bilico e distrutti.
Si spostò di qualche passo, arrivando di fronte alla lapide di T-Dog e ripetè la stessa operazione. Staccò un petalo e lo sotterrò lì davanti.
E ricordò.
Ricordò il suo silenzioso sostegno, il suo essere sempre pronto ad aiutare e buttarsi nel pericolo solo per poter salvare una vita in più.
E un altro petalo per Carol.
Sorrise nel ricordare la prima volta che le aveva offerto la colazione nel tentativo di far amicizia. Sorrise nel ricordare le domande che le faceva, curiosa e desiderosa di avere la sua forza non sapendo che già ce l'aveva; nel ricordare la loro fuga dalla fattoria, la dolcezza con cui lei le parlava e tentava di farla ridere; il sostegno; le battute che le rivolgeva quando lei imparava a sparare mentre Ocean continuava a restare la solita imbranata.
Una lacrima le rigò il viso, lacrima che venne subito asciugata dal dorso della mano.
Accarezzò il petalo a lei destinato prima di sotterrarlo.
<< Addio, amica mia. >> disse senza impedire ancora alle lacrime di bagnarle il viso. Non ne venne distrutta, ma lasciava che scorressero via e dava loro il giusto rispetto.
Restò lì con loro qualche altro minuto, poi ricacciò il ciondolo dentro la camicia e tornò al cancello con Peggy, dove ad aspettarla ansiosi c'erano già pronti Glenn, Maggie e Max.
<< Siamo pronti! Possiamo andare! >> annunciò cercando di ricomporsi. Salì a cavallo tornando a rimirare il mondo da lassù. Max salì in macchina insieme alla coppia. Axel aprì il cancello, permettendoli di uscire, e il mondo si preparò a riceverli.

<< Ci ritroviamo qui tra un paio d'ore. >> comunicò Ocean, mentre aspettava che Max fosse scaricato dall'auto << Perlustro la zona a ovest, voi andate a est. >>
<< Ok, a più tardi. >> disse Maggie dal finestrino abbassato.
<< Non allontanarti troppo, dobbiamo essere a portata di sparo se succede qualcosa! >> disse Glenn dal lato del guidatore.
<< Sì, non temere! >> rassicurò Ocean prima di partire nella sua direzione, separandosi dalla coppia, seguita da Max. Si inoltrarono per le stradine deserte della piccola città rurale: era davvero molto piccola, ci avrebbero messo poco a visitarla tutta. Forse due ore erano anche troppe.
Scese da cavallo alla prima casa incontrata e legò Peggy a un palo lì vicino.
Sfoderò la sua spada e incitando il cane a seguirla si avvicinò silenziosa all'entrata. Aveva il cuore che batteva a mille, l'adrenalina era tornata a scorrere nelle sue vene, ed era felice di poter di nuovo girare da sola, senza preoccuparsi di guardare le spalle degli altri.
Diede un paio di colpi alla porta chiusa, aspettando per sentire se c'era movimento all'interno. Silenzio. Entrò aprendo lentamente. La casa, come molte altre, era sottosopra. Silenziosa e rapida entrò nella prima stanza, poi nella seconda e con tranquillità ispezionò l'abitazione completa.
<< Neanche un pannolino. >> brontolò uscendo, seguita come al solito da Max << Pare che questa famiglia non avesse figli, non c'è neanche un giocattolo. >> disse avvicinandosi a Peggy e cominciando a slegarla.
Uno sparo.
Sobbalzò.
Guardò verso est. Proveniva da lì.
Il cuore cominciò a martellarle in petto.
Glenn...Maggie!
<< Merda! >> brontolò cominciando a tremare. Lo sparo improvviso l'aveva terrorizzata. Credeva fosse deserto quel posto, non aveva visto mandrie in giro. Che diavolo era successo? Slegò Peggy il più rapidamente possibile e salì in sella, prima di correre più veloce che potè verso il luogo.
Rimasero nell'ombra, coperti dagli alberi.
Fece cenno a Max di stare buono e in silenzio, e ringraziò l'intelligenza del cane.
C'era una persona seduta in terra e teneva Maggie ben stretta, con una pistola puntata alla sua tempia.
<< Io lo conosco. >> sussurrò mentre un flash le balenò in testa. Quella era l'uomo che aveva visto passare in jeep tempo prima, quando era andata in giro sola, senza Max e Peggy, poco prima di ritornare alla fattoria del suo vecchio gruppo. Le era rimasto impresso il coltellaccio che aveva al posto di una mano: neanche fosse stato capitan uncino!
<< Sali in macchina Glenn! Guidi tu! >> minacciò.
"Lo conosce" pensò. Glenn non sarebbe stato mai così idiota da dire il suo nome al primo malcapitato, sicuramente se lui sapeva come si chiama era perchè si conoscevano già da prima.
"
Chi diavolo è?" pensò ancora mentre vedeva la scena svolgersi davanti a sè. Glenn fece come disse l'uomo, entrarono tutti e tre in macchina e in poco tempo partirono.
<< Max stai qui! >> ordinò facendogli un cenno con la mano. Avrebbe dovuto correre per riuscire a stargli dietro, il cane non avrebbe retto a lungo. Max mugolando, triste per non poter stare insieme alla sua padrona, si acquattò, abbassando le orecchie.
<< Bravo. Stai qui! >> ordinò ancora prima di speronare la cavalla e correre rapida dietro l'auto, qualche metro dietro, sempre tenendosi più o meno nascosta dagli alberi a bordo strada, in modo da non farsi notare. Se si fosse buttata a capofitto in un salvataggio da sola probabilmente ne sarebbe uscita distrutta. Doveva agire nell'ombra, scoprire dove li stava portando prima di tutto e poi sarebbe tornata alla prigione, avrebbe riunito il gruppo e sarebbero andati a salvarli insieme.

Legò la cavalla a un albero. Il sole stava cominciando a calare, la sera stava arrivando. Le fece una carezza sul muso e le dedicò un po' di dolcezza, sperando di tranquillizzarla.
<< Arrivo. >> bisbigliò << Mi avvicino solo per vedere meglio. Torno subito. >>
Seguendo l'auto era arrivata a quella che sembrava una città fortificata. C'erano mura di pneumatici tutte intorno, ma da dentro arrivavano voci e rumori, segno che era abitato. Delle persone facevano avanti e indietro sulla cima del muro, come sentinelle, ben armate. Quatta e coperta dall'ombra della sera e dagli alberi si avvicinò a sufficienza per riuscire a vedere la scena che si stava svolgendo a quella che sembrava un'entrata secondaria.
Un uomo uscì dal cancello e si avvicinò al finestrino dell'auto, chinandosi per parlare con chi stava dentro. Fu una conversazione rapida perchè tempo qualche secondo e l'auto ripartì, entrando in città, seguita poco dopo dall'uomo che aveva parlato con loro.
Ocean ebbe un tuffo al cuore.
<< No. >> si sorprese a sussurrare.
Lo conosceva! Conosceva quella persona! Come avrebbe potuto scordarla?
Si sentì mancare.
I fantasmi erano tornati a urlare "aiuto" in lontananza.
Serrò la mascella e costrinse una lacrima a tornare indietro.
<< Vaffanculo. >> si ritrovò a singhiozzare in Italiano. Strinse tra le dita quel ramo che aveva afferrato, per spostarlo un po' e permetterle di vedere. Lo strinse talmente forte che lo spezzò.
Lasciali andare suggerì una voce nella sua testa.
<<
Non questa volta. >> ringhiò prima di sfoderare la pistola << Non questa volta. >>

Un colpo di pistola costrinse l'uomo di guardia sul muro a voltarsi, sussultando. Un suo amico, da sotto, lo guardò spalancando gli occhi << Era fottutamente vicino!! >> disse e si avvicinò al camioncino parcheggiato poco lontano. Afferrò un fucile e se lo appese in spalla, prima di correre verso il cancello << Presto, apri! John! >> chiamò << Vieni con me, sbrigati! >>
Un altro ragazzo dai capelli degni di Bob Marley corse verso di lui, litigando con il fucile che faticava a stare in spalla.
<< Sta facendo buio. Tenete gli occhi aperti! >> suggerì l'amico sul muro.
Il cancello si aprì e i due corsero fuori, dirigendosi verso il punto dove avevano sentito il colpo di pistola. Nel frattempo un gruppo di 4 o 5 zombie sbucò dagli alberi, sulla destra del cancello. Il ragazzo di guardia puntò i suoi occhi, e il mirino del suo fucile con silenziatore, verso gli intrusi. L'altro uomo, l'addetto alla chiusura e apertura del cancello, si affacciò, prima di fare il suo lavoro, e diede una mano al compagno con la sua pistola.
Presi dal loro lavoro, nessuno notò l'ombra che acquattata era sgattaiolata dietro l'uomo al cancello, dentro le mura e si era infilata nel primo cespuglio a sinistra, appena dentro.
Ocean uscì lentamente la testa, controllando la situazione. C'era un paio di uomini che passeggiavano non molto lontano, ma non erano troppi e sicuramente non erano preoccupati di un'eventuale intrusione.
Cercando di restare bassa e silenziosa sgattoiolò dietro un bidone della spazzatura, poco lontano dal suo cespuglio, e di nuovo si sporse per guardare e controllare che nessuno l'avesse vista. Il ragazzo addetto al cancello rientrò, chiudendoselo alle spalle, e l'uomo sul muro tornò a passeggiare avanti e indietro. Avevano fatto fuori gli zombie che Ocean aveva attirato lì con l'intenzione di distrarli, e gli altri due erano ancora persi tra gli alberi a cercare la pistola che aveva sparato. A cercare la sua pistola. Quella che in realtà sarebbe dovuta servire solo per comunicare a Glenn e Maggie che era in pericolo.
Aspettò che il tipo sul muro le voltasse le spalle per controllare la zona dietro e cominciò a correre, sempre bassa, lungo il perimetro della casa che fiancheggiava. Svoltando l'angolo si trovò di fronte a un piccolo cortiletto, con qualche sedia sparsa, qualche rottame e un'auto abbandonata. Non sembrava esserci nessuno. Poco più avanti continuava un vialetto, diretto chissà dove. Ocean schiacciò le spalle al muro e attraverò il cortile, diretta al vialetto. Non aveva la più pallida idea di dove stesse andando, aveva solo un obiettivo in testa e cercava di seguire l'istinto. Ma non conosceva il luogo e non sapeva dove poteva essersi cacciato. Ma chissà che alla fine cercando cercando non l'avrebbe trovato.
Si fermò a una porta, probabilmente un'entrata sul retro di quella che sembrava una baracca, e lì fu costretta a inchiodarsi, quando essa si aprì. Un uomo uscì a passo leggero e sicuro, con una sigaretta tra le labbra, mormorando qualcosa a chissà chi dietro di lui, poi la socchiuse. Ocean strinse la pistola che aveva tra le mani: la odiava. Ma metteva paura. E questo bastava.
Si avvicinò rapidamente,approfittando delle sue momentanee spalle e gli puntò la pistola alla testa, togliendo la sicura. Il rumore metallico fece irrigidire tanto l'uomo che la sigaretta gli scappò dalle labbra e alzò lentamente le mani.
<< Ciao. >> salutò lei tranquilla e sicura << Mi inviti a cena? >> chiese sarcastica.
L'uomo cercò di cacciare gli occhi indietro nel tentativo di capire chi lo stesse minacciando << Cosa vuoi? >> chiese semplicemente.
<< Sto cercando un tuo amico. Poco più basso di te, quattro capelli neri in testa ben diradati, baffetti ridicoli e occhi color vomito. >>
L'uomo aggrottò la fronte, non riuscendo a capire di chi diavolo stesse parlando << Indossava una stupida camicia a quadri rossa, stasera. L'ho visto fuori dal cancello, è andato a parlare con i due prigionieri che avete preso stasera. >>
<< Noi non abbiamo nessun prigioniero. >> disse l'uomo.
<< Stronzate!! >> sibilò Ocean premendo la canna della pistola contro la sua nuca, costringendolo a ripetere a mitragliatrice << Ok, ok, ok. >> impaurito.
<< C'è un tuo amico dentro? >> chiese Ocean riferendosi alla persona con cui aveva parlottato prima di ricevere la sua pistola alla testa << Digli di chiamarlo. Se provi ad accennargli che sono qui ti ammazzo! >>
L'uomo non aggiunse altro e lentamente si voltò e provò ad abbassare le mani << Tienile su!!! >> minacciò Ocean premendo ancora la pistola contro la vittima.
<< Se mi vede con le mani alzate sospetterà qualcosa, non credi? >> provocò l'uomo.
Ocean si fece avanti di un passo e prese la sua mano sinistra, l'alzò e la premette contro la porta che ora era accostata << Lei sta qui. >> suggerrì << L'altra al muro. Lì, ben alzata. Così sembrarà che tu sia solo appoggiato. Apro io la porta. >>
L'uomo così si fissò con le mani alte e ben piantate una alla porta leggermente socchiusa e l'altra al muro vicino. Ocean accanto a lui cercò di restare nascosta, ma teneva sempre d'occhio e sotto tiro l'uomo che aveva davanti. Aprì di qualche centimetro la porta, quel tanto che bastava per permettergli di affacciarsi e lo incalzò a parlare.
<< Ehy, Rob. >> chiamò all'interno. Il suo amico rispose a monosillabo, dalla voce sembrava distante qualche metro, forse in fondo al corridoio dove si affacciava l'uomo.
<< Va' a chiamare Mickey, per farvore. >>
<< Vattelo a chiamare da solo, amico! Non rompere le palle a me. >> borbottò la voce scocciata dall'interno.
<< Rob!!! >> lo richiamò ancora.
<< Non fare facce, ti vedo. >> bisbigliò Ocean, tenendolo d'occhio.
<< Fai come ti ho detto! E' urgente, per favore! >> brontolò l'uomo sotto pressione. Stava cominciando a sudare freddo. A nessuno piace avere una pistola carica puntata alla nuca.
<< Che palle, va bene, vado. >> sbuffò la voce.
Si sentirono dei passi allontanarsi e i due rimasero per un attimo tesi, poi l'uomo tirò un sospiro e ritirò indietro il viso, cercando di guardare la ragazza.
<< Ho fatto come volevi. Ora lasciami andare. >>
Ocean scoppiò a ridere << Sono donna, non scema! >>
<< Cos'hai intenzione di fare, si può sapere? >> brontolò l'uomo, visibilmente irritato per quella situazione.
<< I miei ragazzi sono qui nei paraggi, hanno accerchiato il vostro campo, siamo un centinaio. Appena li faccio un cenno loro invaderanno la vostra cittadina del cazzo. >>
<< Menti. >>
<< Vuoi provare? >> sorrise maliziosa Ocean << Ma dimmi. Come vanno le cose a casa, eh? Tutto bene? Moglie? Figli? >> sorrise ancora. E risultò ancora più inquietante. C'era una luce nei suoi occhi, un fuoco ardente, ma il suo viso angelico ingannava. Era come l'immagine di una bambina che aveva il diavolo negli occhi: metteva i brividi.
L'uomo deglutì ma non rispose.
<< Andiamo. Non vorrai deludermi. >> insistette Ocean.
<< Non ho moglie. >> ammise lui. Era un fascio di nervi, glielo si poteva vedere perfino nelle dita che se avessero potuto avrebbero scavato solchi nel metallo della porta e del muro.
<< Ah no? E com'è che ti chiami? Potrebbe interessarmi. >> sorrise lei maliziosa. Si stava prendendo gioco di lui, glielo si leggeva negli occhi. E questo lo mandava ancora di più su tutte le furie. Non rispose, ma la loro chiacchierata fu interrotta da un sonoro e agitato << Ehy!!! >> provenire dalle spalle di Ocean.
Si voltarono entrambi e lei ebbe la prontezza di afferrare all'istante l'uomo per il collo della maglia e tirarselo davanti, costringendolo sempre con la pistola a seguire i suoi movimenti. Degli spari partirono, ma Ocean non ebbe tempo nè modo di vedere chi fosse stato ad averli aggrediti. I proiettili avevano colpito l'uomo che aveva usato da scudo, poi velocemente si era infilata all'interno della baracca ed era scappata lungo il corridoio. Sentì il cigolio della porta all'entrata: chiunque l'avesse vista e aggredita era entrato, ma ancora riuscì a evitare gli spari, svoltando appena in tempo.
<< Ferma!! >> urlò ancora la voce.
<< Che succede? >> gli fece eco un'altra sbucata da chissà dove.
Ocean si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e si fiondò contro un'altra porta, sperando di aver indovinato e che avesse dato sull'esterno. La spalancò e uscì fuori senza neanche guardare, preoccupata solo di chiudersela alle spalle in tempo per fermare i proiettili che ancora tentavano di raggiungerla.
<< E tu chi diavolo sei? >> un'altra voce. Sfoderò la spada ben prima di voltarsi e la puntò al suo interlocutore.
Spalancò gli occhi e serrò la mascella.
<< Tu. >> sibilò.
L'aveva trovato.
L'uomo intuì che la ragazza lo conosceva perciò arricciò le sopracciglia, cercando di mettere a fuoco.
Poi si illuminò.
<< Mi ricordo di te. >> disse poco prima di assumere un ghigno. Un misto tra l'assurdo e il divertito.
<< Sei ancora viva. >> aggiunse incredulo.
<< Tornata dalla tomba per ucciderti. In ginocchio! >> ordinò, notando che l'uomo ancora non aveva sfilato dalla fondina la sua arma. Alle sue spalle la porta in ferro si spalancò e ne uscirono tre uomini, che subito andarono ad accerchiare la coppia.
<< Andiamo, non fare sciocchezze. Non vedi che sei decisamente messa male? >> constatò con sicurezza l'uomo dalla camicia a quadri rossa. Ma Ocean non sembrò voler cedere. Aveva il fiato pesante che le faceva alzare e abbassare ritmicamente le spalle. I denti ben serrati avevano cominciato a farle male. Lo sguardo sembrava stesse uccidendo al posto della spada.
Non si rendeva pienamente conto di ciò che stava succedendo. Non vedeva niente intorno a sè. Nè la cittadina sconosciuta, nè gli uomini. Nessuno. Solo quel fottuto stronzo dalla camicia rossa a quadri. E detestava vederlo ancora in piedi che respirava e parlava.
<< In ginocchio. >> sibilò ancora, minacciosa.
<< Abbassa l'arma. Non hai nessuna possibilità. >> invitò ancora l'uomo e coraggiosamente portò una mano davanti a sè, poggiandola sulla spada e cercando di scansarla lentamente.
<< Brava. Così. >> disse vedendo come il suo atto sembrava stesse riuscendo. La lama stava cominciando ad abbassarsi sotto al suo tocco.
<< Possiamo parlare. Non ti faremo del male se collabori. >> continuò la sua opera di convincimento.
E quasi sembrava esserci riuscito, quando Ocean con un colpo secco roteò la spada e la fece volare verso l'alto, portandosi dietro il dito mignolo dell'uomo, il quale urlò dal dolore e non potè che chinarsi in avanti, sopraffatto e sorpreso.
Lanciò alla ragazza davanti a sè lo sguardo più furioso che avesse mai sfoderato prima di allora.
<< Finirai all'Inferno, ragazzina. >> minacciò lui.
<< Tu verrai con me. >>


N.D.A

Ciaooo sono sempre iooo, il vostro capoooo *cit* xD
Sono super rapidissima in questo periodo!!! *swiiiiiishhhh*
Ok.... perchè il capitolo si intitola Zombie se in realtà gli zombie non si vedono manco una volta?? (apparte quelli che lei attira alle mura di Woodbury... Ma sono solo state comparse, non le ho manco pagate se non in buoni pasti da 5 euro u.u)
Perchè qui lo zombie è lei.
E' uno zombie quando accecata dalla rabbia dimentica il piano originale (tornare alla prigione e avvertire gli altri) ma si tuffa senza manco un piano in mezzo al nemico. Guidata solo da istinto, niente razionalità, e, sempre mossa dal suo istinto e dalla sua "fame", prosegue.
E' uno zombie quando dice "tornata dalla tomba per ucciderti". Sì, perchè lei è tornata...doveva essere morta e invece è tornata.
Maaaa...chi sarà questo misterioso uomo dalla camicia a quadri rossa? :3 lo scoprirete nel prossimo episodio!
*parte la sigla* naranaaaannaaaa narananaaaa naràààà nanaranannaaaaaa naranannaaaaaaaa narààà....

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Capitolo 26
*** Eclissi. ***


Eclissi.

<< Max? >> la voce di Daryl echeggiò nella prigione. Lanciò uno sguardo al gruppo che stava entrando, rumoroso e barcollante: Rick teneva sottospalla una ragazza di colore, seguito da Hershel, Beth e Carl; quest'ultimo portava con sè un cestino rosso con delle scorte. Al seguito, o meglio sarebbe dire: davanti a tutti, c'era Max. Solo Max.
Daryl guardò ancora il gruppo, confuso. Che diavolo stava succedendo?
<< Dove sono gli altri? >> chiese avvicinandosi a grandi passi al suo compagno, il quale stava posando a terra la nera ansimante e piena di sangue.
<< Non lo so. >> rispose distrattamente Rick, mentre cercava di svegliare la ragazza. Le rovesciò dell'acqua fresca addosso e questo sembrò destarla appena.
<< Come sarebbe a dire che non lo sai? Max è qui! >> chiese ancora Daryl, ignorando la presenza della nera, preoccupato solo di sapere cosa fosse successo.
<< Non lo so! >> rispose più deciso e un po' infastidito Rick, voltandosi rapidamente per guardarlo << Era con lei! >> indicò la ragazza stesa a terra.
Daryl la guardò e la scosse un po' con un piede, spintonandole la spalla << Ehy!! Dove sono i nostri amici?! >> chiese minaccioso, mostrando quel lato duro di sè che spesso non si risparmiava. Ma la nera non rispose: era confusa e intontita. Era ferita ad una gamba, ma probabilmente non era l'unica cosa che le faceva male.
Rick lo fece allontanare, doveva lasciarle aria, doveva riprendersi, non poteva rispondere in quelle condizioni! Ma l'amico era troppo agitato anche solo per pensarci.
<< Ehy. Come ti chiami? >> chiese Rick, cercando di stabilire un contatto con la nuova arrivata.
La nera si guardò attorno terrorizzata poi con uno scatto del braccio provò ad afferrare la sua katana, ma Rick l'allontanò col piede << Non ti faremo del male! A meno che tu non faccia qualcosa di stupido. >> le permise di sollevarsi su un gomito, sempre tenendola però ben ferma e sotto controllo. Chiese più volte il suo nome, cercando di mettere sempre più determinazione a ogni frase.
Ma lei ancora non rispose.

Il mal di testa la obbligò a svegliarsi. Gli occhi erano appannati e confusi. Si sentiva strana. Ogni articolazione era rigida e i muscoli facevano male. Ma niente, certo, superava il dolore alla testa.
Tentò di aprire gli occhi: vedeva tutto appannato, confuso, sagome troppo veloci per lei.
Le voci meccaniche. Non riusciva a capire che stessero dicendo.
Scosse la testa e sforzò nuovamente la vista.
Cominciava a vedere.
Una figura era china su di lei: stava dicendo qualcosa.
Sentì i polsi e le caviglie dolerle e cercò di muoverli, ma fu impossibile.
<< Mi senti? >> riuscì a capire.
Tutto girava, ma stava riacquistando la sensibilità pian piano.
<< Ehy, ragazza! >> brontolò la voce << Avanti! Svegliati. >>
La figura davanti a sè cominciò a prendere una forma ben definita: sembrava un ragazzo brasiliano, con la carnagione lievemente scura. I capelli neri sembravano solo un disegno sulla testa, tanto erano corti, e si legavano alla barbetta che gli incorniciava le labbra. Era vestito con una semplice canotta sporca e un paio di jeans.
<< Chi sei? >> chiese lui, senza attendere troppo che si riprendesse.
Ocean non rispose. Cercò di guardarsi attorno con discrezione: l'ultimo ricordo che aveva era quel confronto con quello che pareva chiamarsi Mickey. Poi il buio. E ora si trovava legata a una sedia, scomoda e dolorante, con un mal di testa degno dei peggiori tumori e chiusa in una specie di box esterno in lamina puzzolente. Poggiata su un tavolino vicino alla porta c'era la sua spada e la pistola.
<< Ragazza! >> la destò di nuovo, afferrandole il mento e costringendola a guardarlo << Dimmi il tuo nome. >>
Ma Ocean non rispose di nuovo. Tenne lo sguardo fisso su di lui, sostenendolo, per niente intimorita. Si era cacciata da sola in quel pasticcio, lei e la sua stupida impulsività, e ora l'orgoglio non le avrebbe permesso di frignare.
Il ragazzo aspettò qualche secondo una risposta che non arrivò. Afferrò una bottiglietta d'acqua dal tavolino, l'aprì e si avvicinò di nuovo a lei << Hai sete? >> gliela porse, cercando di avvicinarla alle sue labbra.
Moriva dalla sete.
Ma voltò la testa dall'altro lato.
Sarebbe potuta essere avvelenata, per quanto ne sapeva.
<< Come vuoi. >> disse di nuovo il ragazzo allontanandosi e posando nuovamente la bottiglia sul tavolino.
<< Dimmi il tuo nome. >> Non era una richiesta.
Ma ancora nessuna risposta. Sospirò e si avvicinò nuovamente a lei. L'afferrò per il viso e se la tirò davanti, stringendo talmente tanto da farle male << Senti, tesoro, sei nella merda. Lo sai questo vero? Avremmo potuto accettarti nella nostra comunità se desideravi. Ma hai ucciso ben due dei nostri. I debiti vanno pagati. Vedi di collaborare, se non vuoi peggiorare le cose. >> disse spingendole di nuovo via il viso con la chiara intenzione di farle battere la schiena, inclinata in avanti nella sua presa, alla sedia. E ci riuscì.
Ucciso due uomini? Quando? Tentò di fare un veloce ripristino all'interno della sua memoria, cercando disperatamente quelle informazioni. Poi le vide.
L'uomo alla porta, colpito da dei proiettili che erano invece destinati a lei.
E l'uomo dalla camicia a quadri rossa. Mickey.
Gli aveva tagliato la testa con un colpo netto, prima che qualcuno la colpisse alla nuca e la facesse svenire. Probabilmente doveva addirittura ringraziare di non essere stata uccisa.
<< E' quello che si meritava. >> bisbigliò nella sua lingua d'origine. Il ragazzo parve mezzo soddisfatto nel sentirla parlare, ma la cosa non era ancora pienamente di suo gradimento: non capiva quella lingua.
<< So' che conosci la nostra lingua. Lì fuori l'hai parlata anche troppo. Non giocare con me. >> disse lui afferrando una mazza da baseball che aveva poggiato lì vicino e cominciando a rigirarsela tra le mani, guardandola minaccioso.
<< Puoi ammazzarmi! Non saprai niente da me. >> disse lei, insistendo nell'usare la sua lingua d'origine. Non si meritava di condividere con lei la linea di comunicazione.
Il ragazzo si avvicinò a lei e senza neanche rivolgerle un ultimo avvertimento le piantò un sonoro ceffone in faccia, così forte da farle voltare la testa. Ocean si concesse qualche secondo per riprendersi dal frastornamento, poi tornò a voltarsi e guardarlo nuovamente con aria di sfida.
<< Viscido serpente. >> gli sibilò in viso, e in risposta si beccò un altro ceffone, sull'altra guancia. Questo fece ancora più male. Si sentì il viso gonfiare.
<< Vuoi giocare alla ragazza dura ancora per molto? >> chiese lui alitandole in faccia.
All'improvviso la porta si spalancò. Entrambi si voltarono a guardare chi fosse arrivato.
Ocean ebbe un brivido lungo la schiena quando vide la lama sbucare dal braccio, al posto della mano, dell'uomo che aspettava sulla soglia.
Era la persona che aveva rapito Glenn e Maggie.
Già...i suoi amici. Era stata una sciocca. Non aveva pensato a loro, e probabilmente li aveva condannati. Se fosse tornata indietro ad avvertire Rick sarebbero potuti andare a salvarli. Ma lei era stata colta da un attimo di follia. Non aveva pensato ad altro che a uccidere Mickey.
<< Martinez. Vai pure, ci penso io qui. >> disse l'uomo con voce roca, mentre, entrando, si lucidava la lama del coltello/mano con un panno troppo sporco per essere in grado veramente di pulire qualcosa.
Improvvisamente ebbe paura.

<< Devi dirci come ci hai trovati? >> chiese Rick, rientrando nella cella della ragazza nera trovata << E perchè avevi il latte artificiale? >>
La ragazza si alzò, impaurita e tesa, guardando il gruppo che aveva di fronte. Daryl ora portava la sua balestra e la teneva ben puntata sul suo viso.
<< L'ha lasciato un ragazzo asiatico. E una bella ragazza bianca. >> rispose lei, dopo qualche secondo.
<< Sono morti? >> chiese ancora Rick.
<< Sono stati catturati. >> rispose ancora lei, anche se sembrava le scocciasse farlo.
<< Catturati? >> chiese ancora Rick << Da chi? >>
<< Dallo stesso stronzo che mi ha sparato. >>
<< Non erano soli. >> comunicò Daryl, prendendo parola per la prima volta.Ondeggiava avanti e indietro, irrequieto << C'era una ragazza bianca con loro, capelli scuri, lunghi, legati. Camicia, pantaloni e stivali neri. Era a cavallo. >>
La nera si voltò a guardarlo, prendendosi come al solito il suo tempo << Nessuna ragazza a cavallo. Non c'era nessuno oltre a loro due. >>
<< Come hai trovato il cane? >> chiese ancora Daryl.
<< Lui ha trovato me. Era nascosto tra gli alberi. Appena mi sono avvicinata al cestino è sbucato...e mi ha portata qui. >>
Daryl lanciò uno sguardo a Rick, che ricambiò, apprensivo e pensieroso: Ocean non era con loro al momento della cattura. E se Max si trovava tra gli alberi, allora anche lei forse era lì. Ma allora perchè non era tornata indietro?
<< Facevano parte del nostro gruppo! Dicci dove trovarli. >> incitò Rick. Cercava di restare calmo, ma il nervoso lo stava rendendo folle. La ragazza titubò e lui la incitò ancora, avvicinandosi di colpo e stringendo la sua ferita per farle del male e convincerla a parlare. Lei si alzò di scattò e tentò di ribellarsi << Non provare a toccarmi! >> minacciò. Daryl si avvicinò con la balestra, facendo sfiorare la punta della sua freccia al suo naso << E' meglio se cominci a parlare, o la ferita d'arma da fuoco sarà l'ultimo dei tuoi problemi! >> disse respirando a stento. Il cuore non smetteva di pulsare e il fiato si ribellava alla gabbia toracica. Si stava sforzando per non esplodere.
<< Non vi dirò dove trovarli! >> minacciò ancora lei. Rick capì che bisognava cercare di stabilire un contatto diverso, la ragazza era tosta e soprattutto spaventata: invitò Daryl ad abbassare la balestra. La nera parve calmarsi, sicuramente si sentiva più tranquilla senza una freccia puntata agli occhi.
<< Sei venuta qui per un motivo. >> constatò Rick. La nera doveva capire che tra i due quelli col coltello dalla parte del manico erano loro.
E così fu.
Cedette.
<< C'è una città: Woodbury. Con 75 sopravvissuti. Li avranno portati lì. >>

Lanciò un urlo mentre un altro colpo veniva inferto. Le usciva sangue dal naso e uno zigomo la stava uccidendo dal dolore. L'aveva minacciata più volte col suo coltellaccio, puntandoglielo al ventre, premendoglielo alla gola, ma alla fine si era limitato a picchiarla.
Una domanda era sorta spontanea: "cosa vogliono da me? Perchè mi tengono in vita?"
<< Allora, bambolina? Non ne hai ancora abbastanza? >> chiese l'uomo avvicinandosi al suo viso. Era disgustoso. Puzzava di alcol e di marcio.
<< Mai conosciuto una doccia? >> disse Ocean chiudendo gli occhi e voltandosi dall'altro lato. Aveva la nausea. L'uomo stette fermo in quella posizione, continuando a tenere il suo naso a pochi centimetri dalla sua guancia e lentamente il suo viso si stopriò in quello che doveva essere un sorriso malizioso.
Le vennero ancora una volta i brividi. Aveva gli occhi da psicopatico.
<< Capisco dove vuoi arrivare. Ti stai chiedendo perchè ancora non ti abbiamo ucciso, vero? E sicuramente starai pensando che probabilmente ci servi a qualcosa, altrimenti ti avremmo già fatto fuori, non è così? >> Si portò la lama del suo coltello davanti gli occhi e cominciò a studiarla, come un padre che ammira suo figlio nei suoi primi passi << Ma vedi... qui sbagli. Io l'ordine di ucciderti ce l'ho. >> spostò lentamente la sua lama fino a posarla appena sotto il suo seno, accarezzandolo con la punta. Sarebbe bastato un gesto un po' brusco e l'avrebbe ferita. Ma non fu quel pensiero a farla tremare e gemere. Non voleva più essere l'oggetto dei divertimenti degli uomini, non l'avrebbe più sopportato. Una volta era bastato. Avrebbe preferito mille volte essere uccisa: non voleva più essere trattata come una bambolina.
L'uomo sembrò soddisfatto della sua reazione: aveva centrato il bersaglio. Il suo punto debole.
<< Io sto cercando di aiutarti. Sarebbe un tale spreco. >> avvicinò ancora i suoi occhi a quelli della ragazza, sogghignando, e lei cacciò indietro al testa per evitarlo. Rideva. Rideva di lei. Di quello che le avrebbe fatto.
Non sono un fantoccio!
Sfruttò la poca rincorsa che aveva, ma che in una situazione disperata come quella sarebbe bastata, e lanciando velocemente la testa in avanti lo colpì con la fronte al naso. L'uomo indietreggiò per il colpo, ma l'istinto di difendersi (o, più probabilmente, di punirla per il suo affronto) lo portò a muovere velocemente il braccio alla quale era legata la lama e a colpirla sul viso.
Ocean ne uscì con un semplice graffio obliquo che partiva dallo zigomo e arrivava fino al sopracciglio. Sarebbe bastato mezzo centimetro più a sinistra e il figlio di puttana l'avrebbe resa cieca dall'occhio destro.
L'uomo si sgranchì il collo, ridendo quasi soddisfatto.
<< Sei combattiva, bellezza. >> disse come se la cosa gli piacesse.
Ancora disgusto.
Ocean rimase con la testa leggermente reclinata, le sopracciglia aggrottate e subito da sotto di esse sbucavano gli occhi: fissi e glaciali. Lo stava sfidando.
Era in una posizione di svantaggio, questo lo sapeva, ma l'orgoglio urlava più della sua paura.
La lama andò a poggiarsi sotto il suo mento e la costrinse ad alzare la testa. Sentiva il tocco freddo del metallo, ma non rabbrividì.
Non gli avrebbe più dato questa soddisfazione.
La lama si spostò verso il basso, accarezzandole la pelle con la sua punta affilata, facendo ancora sentire il suo gelido tocco, e scese fino al collo della sua camicia, contro cui premette, abbassandola appena.
L'uomo continuava a guardarla con lo stessa aria di sfida.
Avrebbe vinto lui. Ovviamente. Ma il tutto stava nel "come" avrebbe vinto.
Non avrebbe pianto...nè urlato.
Stava per dare il taglio netto, per aprirgliela con uno strappo, denudandola per l'ennesima volta come avevano fatto altri prima di lui. Ma la porta si aprì nuovamente, e il viso del ragazzo brasiliano che l'aveva picchiata per primo fece capolino.
<< Merle, vieni. Il Governatore vuole parlarti. >> disse.
Merle?!
Gli occhi di Ocean si spalancarono a sentir pronunciare quel nome.
Merle. Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta e l'ha lasciato lì.
Recitò una calda voce nella sua testa, così calda da sembrare un dolce ricordo. E forse lo era.
E' vivo. Nei film dell'orrore gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire.
Scoppiò a ridere.
Quanto era stato fottutamente vero.

<< Daryl!! Aspetta! >> lo richiamò Rick seguendolo, quasi rincorrendolo lungo il vialottolo che portava alle auto e alla sua motocicletta, sopra la quale stava già salendo.
<< Vado a cercarla. >> disse lui semplicemente. Non aveva bisogno di aggiungere altro, ne avevano già discusso.
<< Hai sicuramente più probabilità di trovarla se andiamo tutti insieme! >> disse Rick ancora, riuscendo a raggiungerlo << Glenn e Maggie sono stati catturati, c'è un'intera città a sorvegliarli, ho bisogno di te! >> disse ancora piantando i suoi occhi in quelli del balestriere.
<< Ocean non era con loro, ma non è neanche tornata! Non sappiamo cosa le sia successo, domani potrebbe essere troppo tardi! >> disse Daryl, cercando di effettuare la stessa opera di convincimento dello sceriffo.
<< Lo so! Lo so! >> annuì << Anche io non voglio perderla, è una risorsa preziosa e una buona amica. Lo sai che voglio anche io ritrovarla! >>
<< E allora lasciami andare. >> suonava più come una minaccia che come richiesta, ma tutto ciò che usciva dalla bocca di Daryl poteva sembrare una minaccia.
<< Ascolta, cerca di ragionare. Non possiamo dividerci, i nostri amici hanno bisogno di noi. >> guardò ancora Daryl, il quale non sembrava muoversi dalla sua decisione << Potrebbe essere lì! >> si illuminò Rick, facendo saltar fuori un'ipotesi campata per aria, forse assurda, ma non da scartare. << Magari li ha visti andar via e li ha seguiti. >> continuò << E non puoi neanche scartare l'ipotesi che l'abbiano poi vista e presa. >>
Daryl negò con la testa, ma non parlò. Conosceva Ocean: era sconsiderata, ma solo con gli zombie. Lei aveva paura delle persone. Non si sarebbe mai lanciata da sola nel salvataggio, ma non poteva scartare l'ipotesi dell'inseguimento. Si era legata tanto in quei mesi a loro, soprattutto a Maggie, oltre che Carol. C'era la possibilità che Rick avesse ragione. Ma se così non fosse stato?
<< Abbiamo troppe poche braccia, lo sai. Non voglio rischiare di perdere tutti e tre. Ho bisogno che vieni con me. >> insistette Rick notando la sua indecisione. Daryl lo guardò qualche secondo, riflettendo e probabilmente lottando contro l'istinto di lasciar perdere tutto e correre via.
Alla fine sospirò << Deve sempre cacciarsi nei guai. >> brontolò incazzato e si alzò dalla sella della sua moto << Spero tu abbia ragione. Ma se così non fosse, appena salvati Glenn e Maggie io vado a cercarla. Non aspetto domani. >>
<< Se sarà così io verrò con te. >> disse Rick mettendogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Era grato di poter contare su un amico come Daryl, era un po' la sua arma segreta. Sapeva che mai l'avrebbe tradito e questo lo rincuorava. Ma quando si trattava di Ocean lui improvvisamente cedeva. L'aveva fatto la sera che era tornato con Molly e tutte le volte che la ragazza era finita in qualche pasticcio.
Voleva bene a Ocean, e benchè fosse una gran pasticciona, più volte era stata il sospiro tra la vita e la morte. Più volte l'aveva aiutato, sostenuto e salvato. Era una delle braccia migliori che aveva, un'amica fidata, al pari livello di Glenn e Maggie, e perderla sarebbe stato un duro colpo.
Anche perchè così avrebbe perso anche Daryl.

<< Merle? >> la voce di Ocean smorzata dalla risata bloccò i suoi passi diretti alla porta << Tu sei Merle Dixon? >> chiese incredula, continuando a ridere come se le avessero appena raccontato una divertentissima barzelletta.
Merle si voltò, sempre col suo sorriso beffardo e disse << Ma allora la parli la nostra lingua. >> disse quasi provocatorio. Poi pian piano il sorriso scomparve lasciando spazio a un'espressione interrogativa << Conosci il mio nome? >>
Ocean non rispose e continuò a ridere. Non lo stava prendendo in giro o provocando, trovava solo davvero esilarante la situazione. Tanto da farle venire le lacrime agli occhi.
Torturata e quasi uccisa (o forse peggio) dal fratello del ragazzo che la sera prima l'aveva baciata. Dal fratello del ragazzo che al momento considerava la cosa più importante che aveva.
Le sembrava assurdo che quei due fossero fratelli, anche se forse il tipo di stronzaggine sarebbe potuto essere un buon indicatore. Era incredibile come il destino avesse voluto giocare così tanto con lei. E ora poteva capire anche perchè lui conoscesse Maggie e Glenn.
Merle le afferrò il viso, costringendola a guardarlo << Ehy! >> disse con tono minaccioso << Fai ridere anche me! >>
Ocean lo guardò, non temendolo più. Non che ora fosse meno pericoloso, ma quella situazione le sembrava tutta un'assurda candid camera: aveva perso di credibilità.
<< Sai... >> cominciò lei, interrompendosi ogni tanto con dei risolini, rimasugli della precedente ilarità << ...Stavo pensando a cosa dirà Daryl quando gli racconterò questa storia. >>
La maschera da cattivo ragazzo cadde improvvisamente quando Merle sentì pronunciare il nome di suo fratello, e in lui rimase solo stupore e confusione << Tu conosci mio fratello? >> chiese trattenendo il respiro. Era palese il suo desiderio di ritrovarlo.
Ocean rimase in silenzio qualche secondo, assaporando il rovescio della medaglia: ora era lei quella con il coltello dalla parte del manico. O almeno così credeva e sperava.
Guardò la porta e disse << E' un figlio di puttana. Sicuramente a quest'ora è già fuori dalle mura della vostra città che starà aspettando il momento migliore per entrare e venire a prendermi. >> assunse un'espressione quasi infastidita, ma era palese che stesse solo giocando << Deve sempre impicciarsi quel ragazzo, non riesce proprio a non correre in aiuto delle persone, anche se nessuno gli ha chiesto niente. Incredibile che siate fratelli, non vi somigliate affatto. >> concluse guardando Merle raddrizzarsi e riprendere una certa dignità, dopo aver messo da parte lo stupore e probabilmente la gioia di avere modo di avere qualche informazione in più. Glenn e Maggie non volevano parlare, ma forse quella ragazza....forse a lei sarebbe riuscito a strappare qualcosa.
Lanciò uno sbuffo rivolto alla sua frase e disse, quasi con provocazione << Non riesce a non correre in aiuto delle persone... tranne quando si tratta di suo fratello. >> brontolò, voltandosi e ritornando a guardare la porta. Il Governatore voleva parlargli, avrebbe ripreso la chiacchierata con la ragazza più tardi.
<< Lui è venuto a cercarti! >> l'urlo improvviso, colmo di così tanta rabbia, lo sorprese di nuovo e di nuovo lo costrinse a bloccarsi.
Ridacchiò mentre si voltava a guardarla << Ma quanto siamo incazzati! Ti ho offeso in qualche modo, principessa? >> rise ancora guardandola di traverso, prendendosi gioco di lei.
Ocean non rispose. Si era esposta troppo. Serrò la mascellà e continuò a fulminarlo con gli occhi. Eppure, benchè cercasse di divincolarsi, di uscire da quel casino, di evitare lui approfondisse troppo, furono proprio i suoi occhi incazzati a tradirla e a dare a Merle una risposta, che non riuscì a trattenere le risate, divertito.
<< Lui ti piace! >> rise ancora nel vedere i suoi occhi furiosi scappare via << Ci ho preso in pieno, non è vero? >>

Nè Ocean nè Merle avevano aggiunto altro. A lui per il momento erano bastate quelle poche informazioni. Sapeva che la ragazza poteva guidarlo da suo fratello, e sapeva, cosa più importante, qual'era il suo punto debole: sempre suo fratello. Era bastato accennare a un suo piccolo errore, anche se non era proprio classificabile come tale, per mandarla su tutte le furie. Non sarebbe stato difficile usare quell'arma: conosceva abbastanza Daryl da poterlo infangare quanto bastava per farla scoppiare. Ma avrebbe rimandato. Aveva cose importanti da discutere con il Governatore.
E Ocean rimase per la prima volta sola in quel luogo puzzolente.
Approfittò della solitudine per cercare di trovare il modo di liberarsi. Ma fu tutto inutile: quei bastardi sapevano fare i nodi. Più si dimenava e più caviglie e polsi bruciavano.
<< Maledizione. >> bisbigliò dopo l'ennesimo tentativo fallimentare.
Quel luogo non le piaceva. Era troppo silenzioso...lasciava parlare troppo il suo cuore.
Pensò a Glenn e Maggie. Dio solo sapeva quanto si sentiva in colpa.
Li aveva abbandonati. Avrebbe dovuto aiutarli, correre in loro soccorso, erano i suoi amici! Perchè era stata così egoista?
Pregò, nonostante non credesse in Dio. Pregò che Rick in qualche modo, in qualsiasi modo, fosse venuto a sapere della situazione. Che riuscisse a scoprire quella città e andasse a salvarli. Di lei quasi non le importava più, sperava solo che Glenn e Maggie si fossero salvati. Lei probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di fare ritorno dopo un tradimento simile.
O forse sì...
Molly la stava aspettando. Perchè non aveva pensato a lei? Le aveva chiesto un libro. Voleva che glielo leggesse la sera.
Herhsel aveva ragione.
Era stato di nuovo colpa del suo passato. Non li aveva lasciati andare, e quel suo morboso attaccamento a ciò che era stato aveva portato alla rovina di tutti.
E Daryl...
Sorrise amaramente.
Già sentiva la mancanza di quegli occhi sempre così affilati da risultare fastidiosi. Eppure non riusciva proprio a non volergli bene.
Avrebbe voluto pregare anche per lui, affinchè la ritrovasse e la riportasse a casa, come aveva sempre fatto. Il suo eroe personale. Lui con la sua sindrome, aveva fatto ammalare anche lei di una malattia che poteva essere chiamata "la sindrome della vittima". Era incredibile il numero di volte che si era cacciata nei guai e che aveva voltato gli occhi per cercarlo, per vederlo arrivare e ancora una volta portarla via.
<< Che idiota. >> sussurrò lasciandosi scappare un alro sorriso.
Senza rendersene conto aveva recitato la parte fastidiosa della donzella in pericolo che aspetta il principe azzurro. Eppure era stata lei stessa a vantarsi che nei tempi moderni erano le principesse che arrivavano a cavallo.
Era stata Alice.
Era sempre stata lei quella piagnucolona che aspetta l'arrivo del principe a cavallo. E Daryl, a furia di chiamarla così, l'aveva riesumata. No, era inutile dare la colpa agli altri. Era solo stata colpa sua. Lei era fatta così. Daryl era diventato il pilastro su cui poggiare, sostituendo in qualche modo il vecchio gentile e sempre presente Manuele. Il suo migliore amico.
No. Ancora una volta si era sbagliata.
Lui non era Manuele.
Manuele l'aveva abbandonata.
Daryl l'aveva ritrovata.

La porta si aprì nuovamente. Quanto tempo era passato? Dentro quello scatolotto tutto era così confuso. Il tempo era così strano, sembrava non passare mai.
Alzò la testa, puntando gli occhi all'ombra che si stava avvicinando. Si era addormentata. Il dolore e la stanchezza le avevano annebbiato la mente.
Ma quando riconobbe l'ombra che le stava andando incontro qualcosa scattò nuovamente in lei. E tornò ad essere l'egoista legata al passato che era stata un tempo.
L'uomo vestito elegante si richiuse la porta alle spalle e si poggiò al tavolino lì vicino, guardando la ragazza.
<< Allora... >> cominciò lui. Risentire dopo così tanto tempo quella voce la fece sussultare. << ...Perchè hai ucciso il povero Mickey? Aveva una figlia, lo sai? >> disse e se Ocean non si fosse trovata legata a una sedia, piena di lividi, un graffio in faccia e tanti brutti ricordi, sicuramente si sarebbe sentita in colpa per quanto fatto.
Non rispose.
<< Sei tornata al silenzio? >>
<< Tu sarai il prossimo. >> disse lei questa volta. L'affermazione fece assumere al Governatore un'espressione sorpresa e incredula. Lei in quelle condizioni credeva di poter fare minacce?
<< Ci conosciamo? >> chiese poi lui inclinando la testa e guardandola interrogativo << No, perchè non mi ricordo di te. Eppure da come ti comporti sembra che tu invece conosca noi. >>
La rabbia di Ocean sembrò cadere nel vuoto. Non si ricordava? Incredibile come la cosa la lasciasse delusa. Un anno intero a sognare vendetta contro un uomo che nemmeno ricordava lei e quello che le aveva fatto. Così insignificante.
<< La fattoria vicino ad Atlanta. >> disse lei semplicemente, sperando che questo bastasse a destarlo. Era ridicolo. Era stato qualcosa di così importante per lei che vedere l'indifferenza negli occhi di quell'uomo la facevano sentire quasi stupida. Una bambina che insegue le ombre.
L'uomo corrucciò la fronte << Non ricordo di nessuna fattoria. >>
<< Tu li hai uccisi! Non puoi non ricordare! Sei stato tu e il tuo gruppo di stronzi! Avete sparato a tavolino contro i miei compagni! >> inevitabilemente una lacrima era scesa nell'urlargli contro. Era così doloroso ricordare, così doloroso avere davanti l'uomo che aveva dato inizio a tutto e vederlo così indifferente della cosa, tanto da non ricordarsi nemmeno.
Il Governatore negò, senza aggiungere altro, assumendo l'espressione di uno che può addirittura dispiacersi della cosa.
<< Mickey era lì quel giorno? Per questo l'hai ucciso? E ora vuoi uccidere anche me per lo stesso motivo? >> chiese conferma il Governatore.
Ma Ocean voltò lo sguardo e non rispose ancora.
Non voleva più saperne.
Aveva inseguito la vendetta come un'eroina di cui si sarebbe poi potuto scrivere un racconto. Ma chi l'avrebbe scritto se lei era l'unica a ricordare? E che soddisfazione avrebbe avuto dalla cosa se quell'uomo non aveva la consapevolezza del suo errore? Lei era un folle come tante. Nessun epica battaglia contro il male. E questo fece inevitabilmente cadere anche il suo dolore in una vasca di stupidità.
<< Sai, non mi interessava troppo di Mickey. >> cominciò a parlare ancora lui, avvicinandosi lentamente alla ragazza con le mani nelle tasche << E nemmeno dell'altro uomo che hai lasciato morire sulla porta sul retro. Tu invece sembri una ragazza forte: sei arrivata sola fin qui, entrando senza farti vedere e se non fosse stato per un sciocco errore forse a quest'ora saresti riuscita a portare a termine la tua vendetta. Sei in gamba. >>
Chi diavolo era lui? Il polizotto buono? Non avrebbe ceduto neanche a lui, qualsiasi cosa volessero. E tanto meno avrebbe accettato quei complimenti avvelenati.
Il Governatore si chianò in avanti, poggiando le mani ai braccioli della sedia e avvicinando il suo viso a quello della ragazza, per costringerla a guardarlo negli occhi.
<< Ho chiesto ai miei ragazzi di lasciarti in vita perchè, chissà, magari ci saremmo potuti accordare e saresti potuta diventare una dei nostri. >>
Ocean sbruffò. Erano solo stronzate.
<< Ma le cose sono andate un po' diversamente. >> continuò lui.
Che caso pensò sarcastica Ocean.
<< Tu conosci il fratello di Merle, non è così? >> e questa volta riuscì ad avere la sua attenzione. Il Governatore tornò a sollevarsi, si avvicinò al tavolino e afferrò la mazza da baseball lasciata lì da prima.
La paura tornò ad impossessarsi di lei.
<< La situazione si è un po' complicata e...vedi... ti dico solo che non è nei miei interessi attualmente far tornare Merle da lui. >>
Si rigirò la mazza tra le mani e si riavvicinò a lei << Trauma cranico. Potrebbe essere stato qualunque dei miei ragazzi durante gli interrogatori precedenti. Certi effetti si vedono sempre dopo. >> disse e sembrò addirittura convincente. Quella sarebbe stata la scusa con cui avrebbe giustificato la sua morte: non voleva che i sospetti fossero ricaduti su di lui.
Alzò le spalle << Mi dispiace. >> disse, anche se non era per niente credibile.
Il suo braccio si sollevò...e tutto divenne nero.

<< Daryl! Di qua!! >> lo richiamò Rick impanicato. La serata si era scaldata troppo. Il salvataggio di Glenn e Maggie si era rivelato un doppio salvataggio dopo che Daryl stesso, rimasto indietro per coprirli le spalle, si era fatto prendere, probabilmente di proposito, e si era ritrovato in un arena a combattere contro il suo stesso fratello. Glenn era in condizioni pietosi, Maggie terrorizzata, ma per fortuna vivi. Li avevano portati fuori e poi erano tornati dentro per Daryl. I fumogeni avevano aiutato molto la loro fuga tra i proiettili, e le urla della gente intorno copriva le proprie nel tentativo di scappare, rendendoli più o meno invisibili.
Avevano quasi raggiunto l'uscita quando Daryl, aprofittando di aver lasciato indietro i loro inseguitori, inchiodò e fermò Rick per un braccio, obbligando anche gli altri compagni a fermarsi << Non posso andarmene! >> disse, senza aggiungere altro.
<< Daryl, non è il momento! >> disse Rick. Si leggeva paura e preoccupazione nei suoi occhi. Al momento la fuga era la cosa di cui avevano più bisogno.
<< Lei potrebbe essere qui, non lo sappiamo ancora! E se sanno che fa parte del nostro gruppo potrebbero ucciderla! >> insistette lui << Non posso abbandonarla! >>
Merle rimase in silenzio, ascoltando le sue parole, ma soprattutto leggendo i suoi occhi. Capì di chi parlava. E conosceva suo fratello: non l'avrebbero dissuaso facilmente. La ragazza doveva essere davvero importante per lui per indurlo a comportarsi in quel modo.
Assistette al piccolo litigio in disparte, ma sentiva i passi dei loro inseguitori alle spalle.
<< Non c'era nessun altro qui. >> disse infine << Avevamo solo Glenn e la figlia del fattore come ostaggi. >>
<< Visto? Non è qui! La cercheremo, ora però dobbiamo andarcene! >> insistè Rick, approfittando della confessione di Merle, anche se lui stesso non si fidava. Daryl titubò un attimo, non pienamente convinto, ma una sciocca voce dentro lui lo convinse ad ascoltare suo fratello.
Fuggirono via.
Merle lanciò un ultimo sguardo al casolare in lamina che si intravedeva appena da dove erano loro. Quel casolare che aveva mentito nel suggerire fosse vuoto.
Poi sollecitato dagli spari seguì il gruppo.
E se ne andò.



N.D.A

Salveeeeeeeee :D
Allora, confessatelo..quanto odiate Merle? u.u ahahahh
E quindi ecco scoperto chi era Mickey (nome stupido, lo so XP) e soprattutto il suo ruolo: chi si ricorda il capitolo "Genesi" saprà della storia del gruppo di Ocean. Erano stati ammazzati tutti alla fattoria "da un uomo e la sua banda". Ecco l'uomo e la sua banda u.u il Governatore *musica ad effetto* e ovviamente Mickey era con loro.
Le due frasi che Ocean ricorda (Merle. Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta e l'ha lasciato lì. E' vivo. Nei film dell'orrore gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire.) fanno parte di un dialogo avvenuto in precedenza (per chi non ricordasse) tra lei e Daryl. La loro prima confessione davanti al fuoco (capitolo "Rendez-Vouis").

E infineeeee....Eclissi. Perchè Eclissi? No, non è una citazione a Twilight, mi dispiace u.u
*parte musica di Quark* letteralmente: "
L'eclissi è un evento astronomico che avviene quando un corpo celeste (Merle), come un pianeta o un satellite, si interpone tra una sorgente di luce (Daryl) e un altro corpo (Ocean)". Quindi Merle che si mette tra Daryl e Ocean, impedendo al primo di raggiungerla, è un ""eclissi"".
Bene. Fine delle spiegazioni xD
Concludo ringraziando le ragazze che hanno recensito il capitolo precedente *-* Clary2010, Diosmira, E25weasley, Anmami e CrazY_09 grazie tante! E un ringraziamento speciale a Sarawawa che mai mi abbandona.
(Mamma mia, oh, manco mi avessero dato l'Oscar xD quante sceneggiate ahahahah)
Ri-saluto tutti :3
Ciaoooooooooooo

Ray.

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Capitolo 27
*** Ritorno. ***


Ritorno.

La testa era così pesante. Un macigno di cui si sarebbe liberata volentieri.
Era tutto buio. Dov'era? Era morta? Non riusciva a ricordare niente. Si sentiva confusa e disorientata come un bambino appena nato. Ma non era poi così male. C'era calma, silenzio.
Poi una figura si stagliò dalla penombra. Evanescente.
Allora era morta davvero.
Stava bene. Non soffriva più.
Il viso di Manuele la guardava sorridendo, colmo di pietà e dispiacere.
Era così strano, così poco definito.
<< Alice. >> la chiamò. La sua voce si perse nell'aria, arrivando ovattata e lontana alle sue orecchie, un eco coperto dalle foglie degli alberi.
Un delicato tocco gli sfiorò la guancia. Non aveva percezione del suo corpo, ma sentì improvvisamente la guancia scaldarsi. Era così dolce.
<< Perchè l'hai fatto? >> chiese ancora Manuele, rimproverandola. Il suo sguardo era severo. Già...perchè? Aveva promesso si sarebbe liberata per sempre del suo passato. Aveva cominciato una nuova vita. E invece c'era ricaduta, mettendo a rischio la sua vita e quella dei suoi amici.
Manuele e il resto dei suoi compagni ora stavano bene. Se la morte era così dolce allora non aveva niente da rimpiangere. Loro stavano bene, perchè aveva voluto a tutti i costi riesumarli, tenerli stretti a sè in un mondo misero come il suo?
<< Mi dispiace. >> mugugnò, sincera nella sua colpa.
Manuele sorrise intenerito e prima di scomparire aggiunse << Va tutto bene. Ora andiamo a casa. >>. Si sentì improvvisamente leggera.
Sorrise.
Casa...
E tutto tornò buio.
Neanche si era chiesta perchè avessero conversato in inglese.

Merle si guardò attorno. Daryl dietro di lui aveva la balestra puntata davanti a sè e osservava tutto ciò che poteva apparire improvvisamente dalle ombre della notte, pronto a difendere le spalle di suo fratello.
<< Aspetta. >> gli aveva detto poco prima, sulla porta d'uscita. Stava già negando con la testa, incredulo lui stesso di quello che stava per fare << Seguimi, fratellino. Ti porto dalla tua fidanzatina. >> aveva sibilato con il suo solito tono malizioso e provocatorio. Ma era sincero. E ora erano lì, davanti a un casolare in lamina, stranamente soli. Forse perchè tutti gli altri erano presi a inseguire dei fantasmi che erano già usciti dalla porta d'ingresso. Rick e gli altri avevano detto li avrebbero aspettati fuori, lì dove li avevano lasciati, ma si erano raccomandati di sbrigarsi. Non avevano insistito oltre nel convincerli ad andar via, sapevano sarebbe stato inutile. Se Ocean si trovava veramente lì, nessuno avrebbe potuto fermarlo.
Merle spalancò la porta e Daryl si sbrigò a guardare all'interno, lasciando la sua postazione di palo. Il cuore perse un battito quando la vide abbandonata sulla sedia, la testa reclinata in avanti che perdeva sangue da un punto vicino all'orecchio e le impiastricciava tutti i capelli.
Aveva spostato malamente suo fratello ed era corso da lei.
<< Alice! >> l'aveva chiamata preoccupato. L e posò una mano sulla guancia, sollevandole il viso per poter controllare che fosse ancora viva. Era conciata da schifo, ma riusciva chiaramente a sentire il fiato uscirle dalle labbra screpolate. Prese il suo coltello e le tagliò lo scotch che la teneva legata. Era furioso. Cosa diavolo aveva combinato?! Perchè doveva essere sempre così folle e non ragionare?!
<< Perchè l'hai fatto? >> si lasciò sfuggire severo mentre cercava di liberarle i polsi.
Un sospiro era uscito dalle labbra della ragazza, flebile, ma distinto nel suo sincero rammarico << Mi dispiace. >>
Finì di liberarle i piedi e le diede un'ultima carezza sul viso, scostandole i capelli appiccicosi, lasciando libero il suo volto così beato che sembrava stesse dormendo. Era dolce, ma la cosa lo preoccupava ancora di più. La stava perdendo. Sospirò e strinse i suoi capelli tra le dita. Avrebbe voluto urlarle ogni titpo di accidente, avrebbe voluto prenderla a pugni tanto era arrabbiato con lei, ma vederla così, sull'orlo della morte, lo riempiva solo di dolore e angoscia.
<< Va tutto bene. >> cercò di rassicurarla. Era sinceramente addolorata per quanto successo, non c'era bisogno di infierire ancora di più. Aveva solo bisogno di rilassarsi, riprendersi e non lasciarsi andare. Non doveva lasciarlo andare.
<< Ora andiamo a casa. >> disse prendendola in braccio e avviandosi verso l'uscita.
<< Sbrigati, fratellino. >> lo incalzò Merle guardandosi le spalle. Sentiva le voci della gente avvicinarsi, era pericoloso restare lì, dovevano andarsene quanto prima.
<< Merle, la spada. Prendi la sua spada. >> disse Daryl prima di uscire dalla porta che il fratello teneva spalancata per lui.
Merle guardò il tavolino lì vicino, afferrò le armi della ragazza e seguì suo fratello verso l'uscita.
Rick sbucò con la testa dal varco nella muraglia che gli aveva concesso di entrare e quando li vide arrivare li incalzò << Sbrigatevi, forza! >> disse guardandosi attorno.
Erano fuori da quell'incubo finalmente.

Il buio cominciò a dissiparsi. E al contrario di esso il dolore tornò a farsi sentire, prepotente nel suo martellare. Sentì però un tocco fresco e delicato sulla fronte. Le diede sollievo per un breve istante e tornò a rilassarsi. Aveva il fiato corto. Tentò di aprire gli occhi, lottando contro la luce che sembrava acceccante.
Vide sopra di lei, con un sorriso intenerito, un volto familiare. Le stava accarezzando la fronte. Era lei a dar sollievo.
<< Carol? >> domandò prima di sorridere << Allora sono veramente morta. >> disse quasi con sollievo.
Carol sorrise ancora e pian piano prese ad avere lineamenti più decisi: non era più solo un'ombra sfocata.
<< No, tesoro. Non sei morta. >> le disse dolcemente. Ocean ci mise un po' a metabolizzare l'informazione e aprì di nuovo gli occhi, questa volta chiedendo a loro uno sforzo in più. Non era morta?
Si guardò attorno e riconobbe la cella della prigione. Si sollevò su un gomito, aiutata dalla donna
<< Fai piano. >> le disse Carol preoccupata.
Deglutì. Era veramente alla prigione.
Max dormiva sul letto, ai suoi piedi, ma quando la sentì muoversi alzò la testa, guardandola e scodinzolando. Sentì delle voci provenire da fuori della sua cella: Hershel, Molly e Beth. Forse anche Carl. C'erano tutti.
Non era morta.
Si voltò verso Carol e sentì un nodo stringerle la gola. Carol era con lei! Era viva!
<< Oh mio Dio. >> le uscì in un sussurro prima di lanciarsi al collo della donna, abbracciandola. Carol ricambiò la presa ferrea ed entrambe non resistettero e lasciarono cadere incessanti le lacrime.
<< Sei viva! >> piagnucolò Ocean stringendo la sua camicetta tra le dita << Come...com'è possibile? >> le chiese ancora separandosi da lei e guardandola in viso. Era stato uno dei risvegli più belli che avesse mai avuto. Si era disperata così tanto quando aveva saputo che l'aveva lasciata, e invece eccola lì. Meraviglioso regalo.
<< Mi ero rifugiata in uno sgabuzzino. Daryl mi ha trovata. >> pianse anche lei.
<< Grazie al cielo. >> si lasciò sfuggire abbracciandola di nuovo, intenzionata a non lasciarla andare tanto facilmente.
<< E Glenn? Maggie? >> chiese ancora Ocean preoccupandosi e tornando ad avere paura.
<< Stanno bene. Rick vi ha portato tutti e tre in salvo. >> spiegò ancora Carol. Ocean si lasciò cadere sul letto, rilassandosi. La gioia esplose in lei. Stavano bene! Quella brutta avventura era finita!
<< Sia lodato lo sceriffo. >> disse ridendo e la donna accanto a sè le fece compagnia.
Ocean rimase nel letto a lungo, riposando, cercando di recuperare le forze. Ogni tanto qualcuno andava a trovarla: Molly, Maggie, Hershel...soprattutto Hershel. Rimase in convalescenza qualche ora, tra pisolini, saluti, scherzi e chiacchiere. Le dissero che erano riusciti a trovare e recuperare anche Peggy. Era spaventata, ma viva, per fortuna. Nessuno le chiese perchè avesse fatto quel gesto sconsiderato. E la cosa la rincuorò. Ma c'era una persona che in tutto quello le mancava: una persona ancora non era andato a trovarla e la cosa la rattristò.
Così, in un momento in cui Carol era di nuovo lì a cambiarle le bende prese il coraggio a due mani e domandò << Perchè Daryl non è ancora venuto? E' arrabbiato con me? >> era questo che temeva. Conosceva Daryl e non era difficile che fosse arrivato a tanto. Sapeva quanto detestava i suoi gesti sconsiderati, quanto si arrabbiava quando faceva qualcosa di non ragionato ma mossa dall'istinto. Era facile che non fosse andato da lei per rabbia. E la cosa le metteva tristezza: le mancava. Voleva parlargli, voleva dirgli che aveva trovato suo fratello, voleva poterlo riabbracciare. Riaperti gli occhi era stata la prima cosa che avrebbe voluto vedere, e invece, dopo ore, ancora non aveva sentito neanche la sua voce echeggiare nella prigione.
Carol abbassò lo sguardo imbarazzato e non rispose.
<< Tra poco sarai di nuovo in grado di rimetterti in piedi. >> disse cercando di cambiare argomento.
Ma mentire era una cosa che non le riusciva molto bene. Ocean si accigliò e si tirò a sedere, fissandola intensamente << Carol. Ti ho fatto una domanda. >> le disse severa. Era successo qualcosa. Ne era sicura! Carol non si sarebbe comportata così, altrimenti.
<< Non dovresti alzarti, non ancora. >> disse lei preoccupata cercando di farla ristendere.
<< Non ho bisogno di stendermi! >> urlò Ocean, lasciandosi scappare la rabbia. Non ce l'aveva con lei, era solamente terrorizzata. Perchè non voleva dirle di Daryl?! Perchè cambiava argomento? Perchè quegli occhi così imbarazzati e rammaricati? Cosa gli era successo?
Una piccola idea fece capolino nella sua mente, ma Ocean la cacciò subito via.
Non voleva crederci, non l'avrebbe mai fatto!
Daryl non poteva essere morto. Era inconcepibile.
<< Ti prego, calmati. Non dovresti agitarti. >> cercò di gestire la situazione Carol, portando le mani davanti a sè. Vedeva il buio negli occhi della ragazza, era accecata dalla follia.
<< Non dirmi che non devo agitarmi! Sei tu che mi fai agitare, dimmi dove cazzo è Daryl! >> urlò così tanto che il riverbero della sua voce rimase nell'aria della prigione a lungo. Sentì le voci al piano di sotto ammutolirsi, probabilmente scosse e preoccupate per quel litigio. Beth con la bimba in braccio fece capolino alla sua cella, guardandola preoccupata e dispiaciuta, poi silenziosa come era arrivata si allontanò.
<< Sta bene! >> si affrettò a dire Carol, vedendo il volto disperato dell'amica e il suo petto che si allargava e si stringeva, sotto il peso del respiro, troppo velocemente.
Ocean parve calmarsi. Continuò a restare agitata, ma almeno la furia l'aveva abbandonata. Deglutì e si rese conto solo ora di quanto stava tremando. Continuò a fissare Carol, in attesa che le dicesse di più, e quella sua insistenza convinse la donna a sputare il rospo.
<< Lui...lui se n'è andato. >>
Il mondo parve crollarle addosso. Sentì le spalle improvvisamente pesanti e per poco non cadde a terra, sotto il peso di quell'assurda quanto dolorosa verità.
<< Cosa? >> chiese incredula.
Non poteva essersene andato. Non poteva! Lui non si sarebbe mai dimenticato di lei. Non l'avrebbe mai abbandonata. Non era quel tipo di persona, lui le voleva bene ed era forte. Non voleva crederci. Non poteva crederci! Era assurdo.
<< Ha ritrovato Merle, suo fratello. Ed è voluto restare con lui. >> continuò a spiegare Carol. La cosa cominciava ad avere senso, almeno non era stato perchè aveva voluto mollare tutto, abbandonando i suoi cari. Era per suo fratello. Sapeva quanto Daryl tenesse a lui, anche se non ne parlava mai. Glielo si leggeva negli occhi, e le volte che Ocean gli aveva chiesto di parlarne lui aveva sempre detto poco per poi lasciar cadere la cosa, mosso troppo dal dolore. Si calmò un po'. La cosa aveva senso. Non l'aveva abbandonata, aveva solo seguito il suo cuore.
<< E' rimasto a Woodbury? >> chiese ancora col fiato corto. Avrebbe potuto perdonarlo, non era arrabbiata con lui, lo comprendeva, ma questo voleva dire che non solo non l'avrebbe più rivisto, ma probabilmente se lo sarebbe ritrovato contro in un eventuale scontro. Si era unito a chi le aveva distrutto la vita.
Era tutto così doloroso.
Sentiva la gola serrarsi. Lo voleva accanto a sè. Le mancava l'aria. Era diventato così essenziale per lei, così di vitale importanza.
<< No. Merle è stato cacciato da Woodbury. Sono soli là fuori. >> spiegò ancora Carol e Ocean aggrottò le sopracciglia. Era felice, certo, che non era diventato suo nemico, ma...qualcosa non quadrava.
<< Perchè non sono venuti con noi? >> chiese non capendo. Se Merle non era più legato al Governatore, perchè non erano tornati a casa con loro? Perchè preferire restare soli, là fuori, in pericolo, piuttosto che tornare a casa, con la propria famiglia e al sicuro dietro delle mura così solide?
<< Merle è uno stronzo. >> disse Carol con imbarazzo << Nessuno lo voleva qui. >>
La rabbia tornò a impossessarsi di lei. Che razza di motivazione era?
<< Avete mandato via Daryl per un capriccio del genere? >> chiese indignata.
<< Stai calma, ti prego! E' un uomo pericoloso! Guarda cosa ti ha fatto! >> disse indicandola, indicando le sue ferite.
<< Io sarei stata disposta a uccidere degli innocenti se Rick me lo avesse ordinato! >> disse ancora Ocean alzando nuovamente il tono della voce. Trovava plausibile che Merle si fosse comportato in quel modo: in fondo lei era balenata in casa loro ammazzando senza pietà i loro amici, era ovvio che sollecitato dal Governatore lui l'avesse ridotta così. Non era arrabbiata con lui. Carol non rispose subito, probabilmente preoccupata più di riuscire a tranquillizzarla che a dirle la verità, ma non sapendo più come fare. Era fuori di sè e la capiva. Per questo aveva aspettato tanto per parlarle di Daryl, avrebbe voluto che prima si fosse rimessa. Speranza vana.
Ocean si tolse il lenzuolo di dosso e si tirò velocemente a sedere. Non c'era ferita e dolore che tenesse, lei lì non ci sarebbe rimasta un minuto di più. Doveva vedere Rick, parlarne con lui, era il capo, sicuramente aveva avuto l'ultima parola in quella folle decisione.
<< Ocean, ti prego. >> cercò ancora di tamponare Carol, vedendo la sua amica alzarsi e infilarsi gli stivali. Aveva dolori ovunque, ma era in grado di camminare, e la rabbia la portava a farlo anche abbastanza rapidamente. Senza dar altro tempo a Carol di dire o fare qualcosa era fuori dalla cella.
Passò davanti agli altri suoi compagni, sparpagliati per la prigione, ma nessuno disse niente. Era bastato sentire le sue urla per capire che forse era meglio starsene fuori e lasciarla andare. Chi avrebbe potuto consolarla?
Spalancò la porta della prigione con tanta foga da farla sbattere contro il muro dietro e si diresse verso l'uscita, afferrando velocemente la sua spada poggiata lì sul tavolo. Non che avese cattive intenzioni, ma odiava girare disarmata. Sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa. Non aveva visto Rick lì, probabilmente era fuori nel cortile e lì era diretta. Carol la inseguì per un po', non sapendo bene cosa dire, poi si arrese e la lasciò andare.
Rick era fuori dalla recinzione, appoggiato alla rete come uno degli zombie e davanti a lui, dall'altro lato, c'era Hershel. I due stavano parlando, ma quando la videro arrivare col passo spedito, la mano sull'elsa della spada e gli occhi infuriati, tacerono.
<< Tu l'hai mandato via! >> urlò ben prima di raggiungerli. Herhsel si fece avanti e provò a fermarla, per convincerla a lasciarlo stare. Era così arrabbiata che nemmeno aveva visto il sudore sulla fronte dell'uomo, gli occhi disperati e sperduti di chi cerca fantasmi tra gli alberi. Non c'era niente! Non in quel momento.
Rick non rispose subito, forse cercando di capire di chi stesse parlando, e comunque non proprio nelle condizioni di litigare. Stava cercando Lori, l'aveva vista. Lei era lì! Doveva trovarla.
<< Perchè l'hai mandato via, sei impazzito? >> gridò ancora arrivandogli di fronte e sbattendo le mani aperte contro la rete per sfogare la rabbia.
<< E' stata una sua scelta. >> disse Rick, cercando di darle ascolto e corda, anche se non riusciva a smettere di pensare alla sua Lori.
<< No, è stata una tua scelta! >> continuò a urlare Ocean.
<< Lui voleva restare con Merle.... >> cominciò a spiegare Rick, ma Ocean lo interruppe << Certo che voleva stare con Merle! E' naturale, è suo fratello! Cosa credevi? Che l'avrebbe lasciato a morire? >>
<< Non l'ho mandato via io. >> si giustificò ancora lo sceriffo.
<< Perchè non li hai fatti venire con noi? >> chiese Ocean urlandogli letteralmente in faccia.
<< Merle non può stare qui. >> rispose Rick con la tranquillità di chi al momento ha ben altro a cui pensare, continuando ogni tanto a voltare lo sguardo per guardarsi attorno.
<< L'avremmo potuto chiudere in una cella! L'avremmo potuto legare, far tener d'occhio da Max, tenerlo fuori! Qualsiasi cosa! >>
<< Come puoi dire questo, dopo quello che ti ha fatto? >> chiese ancora Rick, indignandosi appena di fronte a tutto quell'astio gratuito.
Una lampadina si accese nella mente di Ocean << Come avete fatto a trovarmi? >> chiese provocatoria. Rick non rispose.
<< Avanti! Dimmelo! Come avete fatto a trovarmi? Solo lui sapeva dov'ero! Nessuno di voi sapeva che ero lì. Avanti, Rick. Rispondimi. Come avete fatto a trovarmi? >> i suoi occhi puntati in quelli dello sceriffo avrebbero potuto ucciderlo, se ne avessero avuto la capacità. Come poteva anche solo aver pensato di mandar via Daryl solo perchè suo fratello sarebbe potuto essere pericoloso, cosa a cui lei non credeva neanche molto. Non erano disposti a sacrificarsi un po', prendendo qualche precauzione? Erano dovuti arrivare a tanto? A rinunciare a così tanto? Possibile che solo lei avesse a cuore Daryl?
<< E' stato Merle. >> bofonchiò Rick imbarazzato, abbassando gli occhi, capendo dove Ocean voleva arrivare << Ci ha indicato lui dove trovarti. >>
Ocean assunse uno sguardo soddisfatto ma ancora provocatorio, uno sguardo che urlava "Visto?! Il tuo pericoloso criminale mi ha salvato la vita".
<< Esatto. >> concluse lei inviperita << E' stato Merle. >> e si allontanò rapida come era arrivata.
Rick tornò ad immergersi nei suoi fantasmi, troppo catturato e scosso per dar veramente conto a quanto appena accaduto. Aveva cose più importanti a cui pensare al momento. Per questo solo Herhsel ebbe la prontezza di chiederle, preoccupato << Dove stai andando? >>
<< A cercarli! >>
<< Ocean! >> la richiamò ancora Hershel << Non sei in grado di cavalcare in quelle condizioni! >>
Ma la ragazza era già andata.

Axel fece appena in tempo ad aprire il cancello esterno che la ragazza cavalcò via, con una tale velocità e fretta che se non ci fosse stato lui l'avrebbe buttato giù. Hershel, ancora fermò nella sua posizione, la guardò andar via. Riusciva a tenerlo in parte nascosto, ma stava cominciando ad avere veramente paura.
Ci stiamo sgretolando, Rick. Ti prego, torna in te. Ne abbiamo bisogno.
Pensò facendo un sospiro, tornando ad osservare l'uomo di fronte a sè che guardava la vegetazione in cerca della moglie morta.
Ocean proseguì dritta lungo la strada, chinata in avanti cercava, come poteva, di seguire i movimenti della sua cavalla in corsa, permettendole di acquistare quanta più velocità potesse. Non aveva idea di dove cercare, ma al momento era un problema che non si era posta. Correva ed era tutto ciò che desiderava.
Il vento le scompigliava i capelli, gli zoccoli di Peggy screpitavano e rumoreggiavano, attirando chissà quale orecchie scoveniente. Gli alberi intorno a lei erano diventati un'unica macchia verde che correva nella direzione opposta. Saltò un cadaverere steso in mezzo alla strada, incurante, e proseguì istigando l'animale sotto di lei a dare il massimo.
Poi, man mano che la rabbia e la paura andarono dissipandosi, trascinati via dal vento, il dolore fisico tornò ad avere la meglio e la costrinse a rallentare. Sarebbe crollata se fosse andata avanti con quel vigore. Probabilmente non aveva fatto neanche un paio di chilometri, non seppe dirlo con certezza. Non aveva guardato il paesaggio intorno a sè, e certamente non aveva tenuto conto del tempo o della distanza coperta. Sapeva solo che probabilmente non era passato molto. Fece rallentare Peggy, e solo allora cominciò veramente a cercare. Non avrebbe avuto speranze, non sapeva nemmeno dove Daryl era stato lasciato con suo fratello, non aveva idea della strada da seguire. Ma non fu questo a convincerla a tornare indietro.
Aveva ripreso la strada che riportava a Woodbury, avrebbe cercato in quella zona, e aveva tagliato attraverso gli alberi del bosco quando sentì degli spari. Sussultò. Erano ovattati e soffusi, segno che non erano nei paraggi e l'eco le impediva di distinguere chiaramente da dove arrivassero, ma il cuore le suggerì di tornare indietro. Era arrabbiata con loro, e se avesse trovato Daryl lo avrebbe probabilmente seguito, ma ciò non toglieva che erano pur sempre suoi amici e se erano in pericolo mai avrebbe avuto cuore di voltarli le spalle.
Incalzò la cavalla e ripercorse la strada a ritroso con la stessa velocità con cui l'aveva fatta all'andata. Uscì nuovamente sul vialetto sterrato che l'aveva portata così lontana, appena in tempo per vedere un furgoncino bianco e rosso procedere a tutta velocità nella sua stessa direzione. Stava andando verso la prigione con troppa fretta.
Non aveva idea di chi fossero nè cosa volessero, ma non si diede il tempo neanche di porgersele certe domande. Col cuore che batteva a mille riprese la sua folle corsa, sperando di non arrivare troppo tardi. Sperando di riuscire a fare la differenza, di non sentirli chiedere aiuto senza aver la possibilità di raggiungere le loro mani supplichevoli.
Aveva perso le tracce del furgoncino, ma incrociò un'altra auto: una jeep gialla correva in senso opposto e le passò accanto, non curandosi della sua presenza, ma i suoi occhi, in quel frangente di secondo si incrociarono con quelli del Governatore alla guida. L'aveva vista, aveva ghignato, ma l'aveva lasciata andare.
Lui era stato lì. Alla prigione.
Aveva motivo di credere che fosse sicuramente collegato con gli spari sentiti e la fretta divenne incalzante. Corse a perdifiato, chiedendo un grosso sforzo alla cavalla, sempre di più e sempre più rapida. Poi vide le torri farsi più grandi e la recizione sbucare dagli alberi.
Era tutto invaso dagli zombie e i suoi compagni erano in piena guerra. Si voltò, destata da un urlo, e vide Rick assediato, quasi ucciso da uno zombie, ma salvato appena in tempo da Daryl e Merle.
Erano tornati.
Rivederlo fece esplodere l'adrenalina, un guizzo nel cuore, e l'inarrestabile desiderio di ucciderli tutti, salvar loro la vita, ma soprattutto dimostrare che non era una sciocca ragazzina capricciosa e sprovedduta. Sfoderò la spada e corse loro incontro, ormai accerchiati. Con un balzo della cavalla entrò nel cerchio dov'erano i suoi amici e tagliò la testa al primo zombie malcapitato. Si voltò, dando le spalle ai suoi amici, e cercò come sempre di guidare Peggy in modo da facilitarle il combattimento, anche se certe manovre preferiva farle a terra. Tagliò un altro paio di teste, prima che Rick la richiamasse << Hershel! >> urlò disperato indicando un puntino bianco nascosto tra l'erba all'interno del cortile, prima di riprendere la battaglia. Loro stavano bene, se la stavano cavando, ma Hershel era nei guai.
<< Max!!! >> chiamò Ocean cominciando a correre lungo la recinzione, fiancheggiandola, facendo strofinare la punta della sua spada contro la rete metallica, producendo di proposito un gran baccano intenzionata ad attirarli e allontanarli dal vecchio. Max, che si era trovato malaguratamente coinvolto nell'attacco, non faceva ora che abbaiare feroce contro gli invasori, ma vedendo la sua padrona in lontananza e sentendosi chiamare cominciò a correre verso lei, schivando le putride braccia che si allungavano al suo passaggio.
Ocean entrò nel cortile attraverso il cancello sfondato e lì rivide il camioncino rosso e bianco che era passato poco prima, ed ebbe la sua conferma: non era niente di buono. Probabilmente era stato lui a portare gli zombie.
<< Di là! Portali di là! >> ordinò al cane smenando con un braccio per indicargli un punto lontano. Il cane prese ad abbaiare e correre nella direzione indicata da Ocean, cercando di attirare ancora di più l'attenzione dei loro inseguitori afferrandone ogni tanto uno per la camicia e strattonandolo, mollandolo non appena questo si girava.
Carl si sporse dal suo nascondiglio e vide l'operato del cane, preoccupandosi per lui cominciò a corrergli incontro e a sparare a quelli che lo raggiungevano troppo, proteggendolo.
Ocean nel frattempo corse, sempre in groppa a Peggy, verso Hershel, decapitando un paio di quei putridi lungo il tragitto e non appena raggiunto gli si piazzò davanti. Scese in fretta e si abbassò ad aiutare il vecchio ad alzarsi. Il rumore di una freccia tagliò l'aria, facendole sollevare la testa appena in tempo per vedere un altro zombie cadere morto ai suoi piedi, col cranio perforato da una delle frecce di Daryl. Si sarebbe voltata a ringraziarlo in altre occasioni, ma decise di rimandare l'opera di cortesia. Hershel riuscì a sollevarsi e Ocean lo spintonò verso la cavalla, cercando ancora di aiutarlo, per quanto potesse.
<< Sali! Forza! >> disse mentre il vecchio si issava sulla sella, aiutato dalla ragazza, un po' barcollante non potendo fare affidamento sull'altro piede.
<< C'è posto per me? >> domandò distrattamente mentre ancora cercava di tenersi stretta la vita. Con un affondo trapassò la testa di un altro zombie, poi rirprese il possesso della sua arma spingendolo via col piede, troppo stanca per utilizzare solo la forza delle braccia. Si guardò velocemente attorno. Ne arrivavano altri, ma calcolò di avere il tempo di riuscire a montare a cavallo. E così fece, sistemandosi dietro all'anziano amico e cominciando a cavalcare rapidamente verso il cancello più interno, quello ancora rimasto intatto e da cui facevano copertura Maggie, Carl e Carol. Maggie lo spalancò per loro, lasciandoli entrare e si affrettò poi a richiuderlo alle loro spalle. Peggy rallentò subito e si fermò in mezzo al cortile, permettendo ai suoi due ospiti di scendere. La prima fu Ocean, che, ormai tranquilla e stremata, appena mise il piede a terra sentì il ginocchio cedere e cadde a terra come una pera, seguita da un impacciato << Oh, porca.... >>. Ma non fece nulla per issarsi di nuovo, nè per impedire la caduta. Chiuse gli occhi, stesa a terra con gambe e braccia divaricate, sotto l'occhio preoccupato dei suoi compagni e qualche risolino divertito. Il calore del sole le accarezzava la pelle e il fresco vento della sera che cominciava ad arrivare timida era altrettanto delicato. Ora non aveva più motivo di correre nel bosco chiedendo alla fortuna di assisterla, ora si sarebbe potuta godere il suo letto per un po', finalmente...fino a quando il Governatore non sarebbe tornato alla carica. Ma quello, al momento, voleva essere l'ultimo dei suoi pensieri.
<< Stai bene? >> una voce la destò, costringendola a riaprire gli occhi e si trovò il viso di Maggie chino sul suo. Annuì rassicurandola e accettò volentieri la sua mano che si era protesa verso lei nel tentativo di darle aiuto nel rialzarsi.
<< Grazie per aver salvato mio padre. >> disse ancora.
E' il minimo, dopo aver quasi fatto uccidere te e Glenn. Pensò, ma lo tenne per sè. Rispose invece con un banalissimo << Di niente. >>
Dei passi si diressero spediti verso il cancello e Ocean si voltò appena in tempo per vedere entrare Rick, Daryl e Merle. Uno con la faccia più incazzata dell'altro. E ben presto anche i suoi compagni assunsero la stessa espressione, puntando i loro occhi sull'uomo con una mano sola. L'odio era palpabile. I tre proceddetero spediti verso l'entrata della prigione, passando accanto ai loro silenziosi compagni, ma Ocean non era intenzionata a farli passare come se niente fosse, al contrario degli altri. Sfoderò la sua spada e la puntò rapida e silenziosa alla gola di Daryl non appena questo fu vicino abbastanza, costringendolo a fermarsi. Non era solo un gesto esibizionista il suo: era un vero e proprio gesto intimidatorio. Se n'era andato! L'aveva lasciata sola! Se n'era andato senza porsi il problema di come avrebbe potuto reagire lei, o Molly. Senza neanche salutarla o darle spiegazioni. E cosa ancora più detestabile era la sua indifferenza nel rientrare, come se niente fosse stato, ignorandola addirittura.
Si erano lasciati nel peggiore dei modi, con un punto di domanda enorme sopra le loro teste, dopo qualcosa che ancora non avevano avuto il coraggio di prendere a due mani. Qualcosa che avevano semplicemente rifiutato, intimoriti dalla sua grandezza ed estraneità.
Daryl non sembrò accennare a un sussulto, come se in qualche modo se lo aspettasse. Incrociò gli occhi rigidi e severi della ragazza e aspettò. Anche gli altri, intorno a loro, non sembrarono sorprendersi e rimasero semplicemente in attesa. L'unico leggermente turbato nel vedere quella folle tenere la lama di una spada poggiata sulla gola del ragazzo era suo fratello, Merle, che già aveva fatto scivolare la mano sul coltello appeso alla cintura.
Il viso di Ocean tramutò in un sorriso sarcastico << Ho un leggero deja–vù >> e Daryl non potè che sorridere: l'aveva avuto anche lui. Il loro primo incontro era stato proprio come quello, con uno dei due che puntava l'arma alla testa dell'altro, anche se quella volta i ruoli erano stati capovolti.
Ocean mosse gli occhi, posandoli su Merle, poco dietro di lui, e sorrise ancora << Pare che una qualche alchimia impedisca a me e a un Dixon di incrociarci senza che uno tenti di ammazzare l'altro. >> disse abbassando la lama, ponendo fine alla sua sceneggiata e rinfoderandola. Voleva solo attirare la sua attenzione, e ci era riuscita.
<< Come quella che impedisce a te di non fare qualche stronzata. >> disse Daryl, aprendo bocca per la prima volta da quando era tornato.
<< Sei un bastardo. >> rispose Ocean puntandogli un minaccioso dito contro e fulminandolo con gli occhi, anche se il tono usato era contrastante, dato che sarebbe stato più ideale per un "mi sei mancato". Ma forse era proprio quello il suo significato. Poi non resistè più e percorse quei pochi passi che la separavano da lui con una velocità tale da non permetterle di rendersene conto, e pochi istanti dopo era stretta a lui. Il viso soffocato sulla sua spalla e le braccia serrate al suo collo, tanto strette quasi da strozzarlo, in una morsa tale che gli avrebbe impedito di allontanarsi di nuovo.
<< Ho avuto paura che non sarei più riuscita a farlo. >> bofonchiò smorzando le parole su di lui, riferendosi a quel suo disperato abbraccio. Il suo odore acre, pungente, era in realtà miele per il cuore. Non ne voleva più fare a meno. Lo aveva capito. Anche se tardi, ma lo aveva capito. Daryl la strinse di più, anche se impercettibilmente e chiuse gli occhi, nascondendo anche lui il suo viso tra i suoi capelli.
<< Daddy!!! >> una cristallina voce colma di disperazione, interrotta da un singhiozzo, costrinse i due a separarsi e permettere alla bimba rossa di avere anche lei la sua razione di abbracci. Piangeva disperata e continuava a strofinarsi gli occhi, anche quando Daryl l'ebbe presa in braccio.
<< Perchè sei andato via? Sei un bugiardo! Avevi detto che saresti tornato! >> pianse dandogli dei colpi alla spalla, non forti, ma abbastanza decisi per far trasparire tutto il loro rancore e spavento. Daryl riprese a camminare, diretto all'entrata, con la bambina ancora in lacrime in braccio, e senza dire una parola si portò una mano dietro la schiena e tirò fuori da una tasca posteriore un vecchio orsetto di pezza. L'aveva raccolto da un auto mentre tornavano e si era impuntato nel non dare spiegazioni a Merle. Non avrebbe capito.
<< Così la Signorina Rosie non sarà più sola. >> bisbigliò solo a lei in una piccola confidenza << Ti piace? >>
Molly parve calmarsi appena e non esitò a stringere l'animale di pezza al petto e annuire in risposta.

<< Fammi vedere. >> bisbigliò Ocean, seduta sul terzo scalino del loro blocco, alla bambina vicino a lei, la quale subito le porse il suo nuovo orsetto << Oh, è proprio carino. >> sorrise, cercando di dedicarle quanta più attenzione poteva, anche se in realtà le sue orecchie erano impegnate di più ad ascoltare la discussione che stava avvenendo proprio in quel momento all'interno del suo gruppo. L'assalto del Governatore aveva terrorizzato tutti, sapevano che era più organizzato e più armato, era un uomo pericoloso e se veramente aveva messo gli occhi su di loro erano nei guai.
<< Ha già un nome? >> chiese ancora Ocean cercando di distrarre la bimba da quei discorsi non adatti a lei.
<< Non ancora...ma ci sto pensando. >> ammise Molly rirpendendo l'orso tra le mani e muovendolo goffamente tenendolo per le mani. L'adorava. Era orribile, spelacchiato e puzzolente, ma era ai suoi occhi il più bello di tutti perchè glielo aveva regalato Daddy.
Nel frattempo, all'ennesimo "Che facciamo?" Rick, come aveva spesso fatto in quei giorni, voltò le spalle al suo gruppo, diretto rapido verso l'esterno per restar solo. Hershel lo costrinse a fermarsi: era stufo del suo comportamento. Comprensibile, erano tutti addolorati per lui, ma avevano bisogno di Rick e aspettare ancora poteva essere il passo decisivo che li avrebbe portati tutti alla morte.
<< Ora schiarisciti le idee e poi fai qualcosa! >> disse ancora il vecchio con autorità. Rick non rispose e uscì, lasciando un mare di sospiri alle sue spalle.
E pieni di ipotesi, pensieri, e consigli campati per aria tutti si sparpagliarono, tornando ognuno alle proprie celle.
Ocean si alzò e diede un bacio sulla fronte della bambina << Pensaci bene, un nome è una cosa importante. >> sorrise prima di aggiungere << Gioca con Max. Io arrivo subito. >>
Scese rapida quei tre scalini che la separavano dal pian terreno e svoltando verso il sottoscala si avvicinò alla ragazza nera che al momento era impegnata a lucidare la sua katana.
<< Non abbiamo avuto modo di presentarci. >> disse lei allungando una mano << Sono Ocean. >> nessuno le aveva detto chi era e da dove era sbucata quella donna, tutti troppo presi da cose più importanti, e ora che la riunione era finita e ognuno era tornato agli affari propri le era sembrato un buon momento. Ma la donna non sembrò ricambiare il suo desiderio, perchè la guardò di traverso prima di tornare al suo silenzioso lavoro.
<< Loquace, eh?! >> brontolò Ocean alzando gli occhi al cielo, prima di voltarsi e tornare sui suoi passi. Si avvicinò alla cella dove avevano rinchiuso Merle giusto in tempo per sentirlo ghignare verso suo fratello << Ti sei sistemato bene, eh fratellino? Un letto comodo , un cesso dove pisciare, cibo a volontà, una bella ragazza che ti fa i pompini e una bambina che addirittura ti chiama papà. >> rise alla sua ultima constatazione, trovandola ridicola, probabilmente.
<< Non sono suo padre. E non parlare così di Ocean! >> rispose Daryl con astio quasi lanciandogli il barattolo contenente la sua cena attraverso le sbarre.
<< Pensavo si chiamasse Alice. >> disse Merle alzando un sopracciglio, ma continuando nella sua espressione denigratoria. Da quando l'aveva conosciuto, Ocean, non l'aveva ancora visto fare una faccia che non fosse stata provocatoria e derisoria, come se lui fosse costantemente al di sopra di tutti e fosse circondato solo da bambini idioti. Ecco uno dei motivi principali per cui tutti lo detestavano.
<< Ocean per te. >> intervenne lei avvicinandosi a Daryl a braccia incrociate e continuando a guardare Merle << Tu lo conosci. >> disse subito, cambiando discorso e lasciando cadere nel vuoto quello che aveva appena detto di lei. Non meritava considerazione.
<< Il Governatore, dico. >> aggiunse subito, specificando di chi stava parlando << Lo conosci. Conosci i suoi punti deboli. >>
<< Certo che lo conosco, e so bene che a quest'ora dobbiamo dire grazie di essere ancora vivi. >> rispose Merle con sarcasmo.
Ocean sorrise provocatoria << Pisciasotto. >> lo etichettò prima che i suoi occhi corressero verso Carl, che in quel momento stava rientrando. Aveva seguito suo padre non appena era andato via, ma era rimasto con lui solo qualche minuto. Merle aveva già ricominciato a parlare, brontolando, e sparando chissà quale stronzata, ma Ocean aveva già smesso di ascoltarlo. Diede una carezza sulla spalla di Daryl, un gesto di saluto, poi si diresse anche lei verso l'esterno, seguendo i passi che il capogruppo aveva percorso poco prima.
Lo trovò in piedi, chino sulle sue spalle ormai troppo pesanti, e gli occhi nel binocolo, ancora intento a cercare. Era così assordato dai suoi pensieri che non sentì i passi della ragazza dietro sè, e non si rese conto della sua presenza fin quando lei non aprì bocca.
<< Trovato niente? >> chiese, destandolo, e sorrise ironica. Rick si voltò a guardarla, ma non disse niente e lentamente tornò a guardare di nuovo dentro il suo binocolo. Ocean sospirò e abbassò gli occhi, pensierosa anche lei. Silenziosa si avvicinò, affiancandosi a lui e puntò gli occhi in lontananza.
<< So cosa stai cercando. >> aggiunse cambiando tono, non più ironica: ora la sua voce risuonava bassa e pesante. Un segreto che non doveva andare disperdendosi nella vallata.
<< E' la stessa cosa che cercavo anche io. >> continuò lei, facendo un altro minuscolo passo verso la rete, arrivando a sfiorarne la maglia in ferro con il naso e le sue dita vi si incastrarono attraverso.
<< Si chiamava Manuele. >> continuò lei. Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce, dopo così tanto tempo. Non ne soffrì, ma anzi sentì un dolce senso di conforto avvolgerla. Si era dimenticata quanto fosse piacevole.
<< Era il mio migliore amico. Un fratello. >> sorrise malinconica << L'ho visto suicidarsi, tanto tempo fa, affogandosi. >> Abbassò gli occhi, deglutendo. Questa aveva fatto male. Aveva gli occhi di Rick puntati su di sè, li sentiva, e anche se non sembrava intenzionato a parlare con lei, le bastava che stesse ad ascoltare << L'ho cercato a lungo. Ero così ossessionata dal mio desiderio di riaverlo con me che ho cominciato a perdere me stessa. >> sorrise pensando a ciò che stava per dire << Un uomo saggio una volta mi disse "non lasciare che il passato ti porti via dal presente. Lasciali andare". Io non l'ho voluto fare, e ho combinato un sacco di pasticci. >> sorrise voltandosi a guardare Rick, incrociando i suoi occhi << Ma poi l'ho trovato. Anzi, lui ha trovato me. Mentre ero chiusa in quella baracca in lamina, svenuta, l'ho visto. E ho capito un sacco di cose.
A lungo l'ho accusato di essere stato un egoista per avermi abbandonata, per avermi dimenticata, ma in realtà l'egoista ero io che volevo a tutti i costi riportalo indietro. Loro stanno bene dove stanno, Rick, siamo noi che dobbiamo essere compatiti e pianti, noi che siamo costretti a vivere ancora in questo inferno. Non cercare di riportare a tutti i costi indietro Lori, lasciala dov'è. Ora sta bene, ora non soffre più. Lasciala andare, Rick. Non essere egoista. >> tornò a guardare oltre la rete e Rick aprì bocca, nel tentativo di dire qualcosa, ma indugiò e Ocean ne approfittò per continuare il suo monologo << Pensi voglia dirti qualcosa, non è così? Pensi che se continua ad apparire un motivo c'è. E io dico che hai ragione. Vuole dirti qualcosa. Ma non è qualcosa di illuminante e a te estraneo...secondo me vuole solo ricordarti una tua dimenticanza. >> Rick aggrottò la fronte, non capendo cosa volesse dire, e Ocean non attese molto prima di dar lui spiegazioni << Rick...hai una figlia lì dentro che ancora non ha neanche un nome! >> questo lasciò pensieroso l'uomo << Un'altra cosa ho capito quando ho visto Manuele. Lui... >> indugiò, sentendosi cedere per un attimo, poi con la voce vibrante disse << ...Lui mi ha detto "torniamo a casa". A lungo ho guardato l'orizzonte pregando che un qualsiasi miracolo fosse riuscito a riportarmi a casa, dalla mia famiglia. Avrei dovuto essere felice di questo, sarei tornata a casa, finalmente, come avevo sperato e pregato per quasi un anno. Ma mi sono trovata sorpresa di fronte a un altro sentimento: non gioia, non impazienza, ma paura. Ho capito di non volerlo. Non lo volevo perchè sapevo cosa mi stava succedendo: Manuele è morto, se lo vedevo voleva solo dire che lo stavo raggiungendo. Se fossi tornata con lui sarei morta anche io. Ma quando ha detto "casa" io ho visto qualcosa di diverso da quello che credevo. Io.... >> sorrise imbarazzata << ...Io ho visto voi. Siete voi la mia casa ora. >> balbettò l'ultima frase << Mi dispiace, ti sto riempiendo di inutili storie sulla mia vita, cose che sicuramente a te non interessano, ma ti assicuro c'è un motivo. Io non posso far a meno di pensare che si sia sacrificato per permettermi di avere ciò di cui avevo più bisogno al momento: se lui non mi avesse mai lasciato sola i miei passi non mi avrebbero mai portata da voi. Se lui non fosse morto io non avrei mai più avuto una famiglia, e sarei morta, prima o poi, sola e disperata. >>
<< Mi stai dicendo che la morte di Lori ha avuto una buona ragione? >> chiese Rick sarcastico tornando a guardare di fronte a sè << Mi dispiace, non la vedo. >>
<< Devo ripeterti che hai una bambina, lì dentro, che ancora non ha neanche un nome? >>
<< Ha importanza? >>
<< Il nome è identità. Se non ha un nome è come se non esistesse. >>
<< Per questo tu hai voluto lasciare il tuo? >> chiese ancora lui, provocandola un po', cercando solo di spostare di nuovo il centro dell'attenzione a lei e non più lui.
<< Sì, per questo. >> rispose rapida e decisa Ocean, sorprendendolo. Era la prima volta che ammetteva con così tanta leggerezza e sicurezza una sua debolezza. E il tentativo di Rick di provocarla, convincendola così a lasciar perdere lui e i suoi pensieri, risultò fallimentare.
I due parvero rilassarsi e tornarono ognuno a guardare il proprio orizzonte.
<< Non pretendo tu capisca subito, avrai bisogno del tuo tempo. Io ho avuto bisogno di ben un anno, quindi...beh....spero tu ce ne metta un po' di meno. >> ridacchiò lei cercando di allentare la tensione. E un minimo sembrò riuscirci.
<< Lori è morta perchè ha voluto salvare la tua bambina. E' morta per dare vita. Perchè tu vuoi vanificare così il suo sacrificio? Perchè vuoi negare quella vita, non darle il giusto rispetto che meriterebbe, visto che in lei batte ancora il cuore di tua moglie? >> rimase pensierosa per qualche secondo poi aggiunse, in conclusione alla linea dei suoi pensieri << Sì, credo sia questo il motivo. Quella bambina è vita...è un fiore che sboccia tra le rocce di una città distrutta dalla lava. Va curato e protetto. E' segno che ancora c'è la possibilità di rinascere e crescere. Non siamo perduti. E tu hai dovere di custodirlo, di custodire il nostro simbolo di speranza. >>
Rick sorrise appena di fronte al tentativo di Ocean di cercare con forza delle buone ragioni. Erano valide, ma così idealizzate da sembrare sciocche. Lori era morta e basta, non c'era nessun simbolo di speranza dietro a tutto quello, solo la tristezza di aver perso la propria compagna di vita. Però la spiegazione che la ragazza gli aveva fornito era così dolce che decise che forse tenerla un po' stretta a sè non avrebbe fatto male. Lo avrebbe consolato, come una madre con il figlio appena sveglio da un incubo.
Abbassò gli occhi prima di dire << Mi dispiace per il tuo amico. >>
Ocean sorrise, annuì in segno di gratitudine e rispose << E a me dispiace per tua moglie. >>
<< Ora...lei sta bene. >> disse lui sforzandosi di metabolizzare quello che la ragazza aveva cercato di dirgli.
Ocean annuì ancora << Ora non soffre più. E' bello, no? >>
Rick sorrise e ammise imbarazzato << Credo di invidiarla. >> che sciocca confessione. In pratica aveva appena ammesso il suo desiderio ad ammazzarsi, anche se non l'avrebbe mai fatto e mai ne avrebbe avuto cuore e coraggio. Troppe cose lo tenevano ancora legato lì.
<< Anche io. >> ammise Ocean, facendo sentire l'uomo meno sciocco. Magari era normale pensare al suicidio di quei tempi. Incredibile come la voglia di andare avanti, la speranza, il desiderio di sopravvivenza li tenesse così ancorati a quella sciocca e macabra realtà. Che ci fosse un qualche istinto masochista? Un inconscio desiderio a soffrire? A scontare le pene? O forse solo tanta paura nello scoprire "cosa c'è di là".
Infondo...se i morti avevano deciso di tornare indietro, un motivo ci doveva essere stato, no?


NDA.

Ccccccciao :) rieccomi. Allora, intanto comincio a dire che non ho risposto intenzionalmente alle recensioni del capitolo precedente perchè sono brutta e cattiva u.u no, scherzo. E' che trovavo difficile riuscire a rispondere senza anticipare niente di quest altro capitolo.
Come avete potuto vedere il salvataggio di Ocean è stato sempliciotto xD però mi son divertita a lasciar suspance nel capitolo scorso u.u
Questo è più tranquillo. E' tutto pensieri e sentimenti xD (apparte l'attacco del Governatore u.u)
Il titoloooooo... non avevo fantasia questa volta, mi dispiace xD (ultimamente son carente di inventiva ._. no buono!)
Ritorno! Tutti ritornano! Daryl è tornato a prendere Ocean. Ocean è tornata a casa. Poi Daryl e Merle ritornano. E ora anche Rick piano piano sta "ritornando", uscendo po' dal suo limbo. Il Governatore "ritorna" ad affrontare il gruppo.
'Nzomma tutti tornano xD
E pure io tornerò presto *minaccia*
Un saluto.
Ray.

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Capitolo 28
*** Idiosincrasia. ***


Idiosincrasia.

<< Sta' tu di guarda. Occhi aperti e testa bassa. >> disse Rick a Maggie, rientrando nella prigione insieme a Ocean, dopo la loro chiacchierata << La zona è piena di zombie, ma non ho visto nessun cecchino là fuori. Maggie starà di guardia. >> Hershel, Glenn, la ragazza nera (che Rick le aveva detto di chiamarsi Michonne) e Daryl si riunirono intorno a lui, ascoltando ciò che finalmente il capo gruppo aveva da dire. Aveva smesso di scappare dietro ai fantasmi, o almeno si sperava, e la cosa dava finalmente un sospiro di sollievo.
<< Salgo sulla torretta. Eliminò metà degli zombie mentre gli altri riparano il recinto. >> si offrì Daryl.
<< Con le auto possiamo riparare l'autobus. >> disse ancora Michonne.
<< Non possiamo arrivare lì senza usare tutte le pallottole. >> constatò Hershel negando leggermente con la testa. Era un problema: avevano quasi finito tutte le munizioni. Sprecate per gli zombie non ce ne sarebbero più rimaste per un eventuale guerra col Governatore.
<< Siamo intrappolati qui dentro. >> invenì Glenn nervosamente << Siamo quasi a corto di cibo e munizioni. >>
<< Ci siamo già passati. Ce la caveremo. >> constatò Daryl.
<< Quando eravamo solo noi! >> Glenn non aveva neanche finito la frase che Daryl aveva già alzato gli occhi furiosi su di lui << Prima che avessimo una sepre in seno! >> continuò il coreano indicando la cella di Merle con un gesto della mano. Daryl si avvicinò a lui di un passo, continuando a guardarlo negli occhi, con lo sguardo di uno che non transige << Amico, vogliamo parlarne ancora? >> chiese provocatorio il ragazzo << Merle resta qui. E' con noi adesso! Facci l'abitudine. >> Rick provò ad avvicinarsi, richiamandolo, vista l'aria tesa che si stava venendo a creare, ma Daryl schivò la sua mano amichevole e fece correre lo sguardo da Glenn a lui << Fatecela tutti! >> disse repentino prima di allontanarsi velocemente, non volendo più sentire altro.
<< Daryl! >> lo richiamò Ocean vedendolo salire le scale che portavano al sopra-livello, ma lui non l'ascoltò e si infilò velocemente in una delle celle, la più lontana dal gruppo, per permettersi di stare solo. Ocean sospirò affranta abbassando gli occhi. Avrebbe voluto dire qualcosa a Glenn, infastidita da quella situazione, da quei compagni che continuavano ad allontare Daryl solo perchè suo fratello era un po' testa di cazzo. Nessuno riusciva a chiudere un occhio per lui. E la cosa la mandava in bestia.
Non conosceva Merle, era vero, ma aveva sentito abbastanza da Daryl. E poi, comunque, le aveva salvato la vita. Non era convinta che fosse totalmente un bastardo da mandare al rogo.
<< Ci penso io. >> disse allontanandosi dal gruppo, seguendo Daryl. Lo fece non solo per poter andare a parlare col suo amico, ma anche perchè Glenn aveva ripreso a brontolare contro Rick perchè Merle era lì con loro, ed era stufa di sentirlo. Se fosse rimasta lì avrebbe sicuramente preso a pugni qualcuno.
Entrò nella cella di Daryl e silenziosa si avvicinò a lui, seduto sul letto, curvo in avanti con una sigaretta accesa tra le dita. Gli occhi fissi su un punto immaginario davanti a sè lanciavano fuoco e fiamme. Come biasimarlo?
<< Non dovresti fumare qui, ci sono dei bambini. >> disse lei per cercare di smorzare un po' la tensione.
<< Se sei venuta a farmi la morale puoi anche andartene. >> rispose acidamente lui.
<< Ehy! Non parlarmi così! >> lo richiamò lei, fulminandolo. Lui le lanciò un'occhiata scocciata e poi tornò a concentrarsi sul suo punto immaginario. Ocean sospirò ancora prima di trovarsi anche lei il suo personale punto sul muro da fissare.
<< Hai visto com'è ridotto Glenn? >> chiese poi lei tornando nel suo tono basso di confidenza. Non voleva certo dargli contro, lei era con lui, anche lei voleva far restare Merle, ma avrebbe solo voluto porre fine a quei litigi, e l'unico modo era far avvicinare entrambi alle ragioni dell'altro. A partire da Daryl, ma solo perchè era l'unico con cui sapeva poteva avere un dialogo. Con Glenn non aveva tutta quella complicità.
<< Anche tu sei ridotta male. >> biascicò lui prima di tirare dalla sua sigaretta.
Ocean ridacchiò << Già. >> ormai non le sentiva neanche più. Da quando era cominciato tutto aveva preso tanti di quei colpi che ormai il suo corpo era diventato il cimitero delle cicatrici.
<< Vedi questa? >> disse indicando l'enorme graffio che le sfigurava lo zigomo, passando vicino all'occhio e arrivando alla tempia << Me l'ha fatta tuo fratello. >> poi aggiunse, con un sorriso divertito << Dopo che io ho cercato di rompergli il naso. >>
<< Ho già detto che Merle resta qui! >> disse lui prendendo quella piccola confessione come un attacco contro suo fratello.
<< Anche io voglio che resti qui. >> si affrettò a dire, sorprendendo il ragazzo che non si aspettava di trovare una complice nel suo desiderio, soprattutto se la complice era colei che quasi era stata uccisa da suo fratello.
<< Non sono arrabbiata con lui. Aveva le sue buone ragioni per farmi quello che mi ha fatto, ero io dalla parte del torto. Aveva un po' meno buone ragioni per fare a Glenn quello che gli ha fatto, ma posso comprenderlo: voleva ritrovarti, Glenn non sembrava intenzionato a lasciarglielo fare e lui ha agito d'impulso spinto dalla paura di non potersi fidare di lui e dal legame che aveva col Governatore. >> seguì qualche secondo di silenzio, ma Ocean potè vedere la rabbia negli occhi di Daryl andare perdendosi. Sapere di avere qualcuno dalla sua lo tranquillizzava, ed era anche più felice del fatto che questo qualcuno fosse proprio lei. Ancora una volta la loro affinità era stata palesata e aveva riscaldato il cuore.
<< Che figlio di puttana, eh? >> disse lui con un sorriso, portando il dialogo su binari più pacifici e meno tesi. Ocean rise insieme a lui. Era riuscita a calmarlo, a dargli un po' di serenità e conforto e la cosa la rendeva felice. La sua mano cercò quella del ragazzo e quando la trovò, sul suo ginocchio, la strinse, incrociando le dita con le sue. Daryl si voltò a guardarla e il suo viso sorridente e sereno gli diede ancora più conforto, addolcendo l'atmosfera. Gli piaceva stare in sua compagnia, si sentiva sempre a casa quando era con lei. Sentiva era il suo porto sicuro, mai l'avrebbe tradito.
<< Sono felice che sei tornato. >> ammise lei senza vergognarsi di mostrare i suoi reali sentimenti << Io...quando ho saputo che eri andato via sono uscita di testa. Sono partita per venirvi a cercare. >>
<< Ecco perchè eri lì fuori a cavallo, nonostante le tue condizioni. >> constatò lui tirando un altro po' della sua sigaretta.
<< Mi dispiace. >> ammise lei imbarazzata, poi aggrottò la fronte e rialzò subito la testa, fulminandolo << No, mi dispiace un corno! Non azzardarti mai più a sparire in questo modo, hai capito?! >> l'affermazione improvvisa detta con tale astio non potè che divertire il ragazzo che rise del suo cambio d'umore. Gli scaldava il cuore. Solo lei ne era veramente in grado, e come fosse possibile ancora non sapeva spiegarselo. Strinse la sua mano che ancora teneva legata alla propria. No, non l'avrebbe più lasciata andare.
<< Devo ricordarti che tra i due la prima a sparire sei stata tu. Lo fai sempre. >>
Questa volta a ridere fu lei. Daryl aveva maledettamente ragione, era sempre lei quella che si cacciava nei guai. E quando era così si sentiva sempre giustificata, mentre per quell'unica volta che era stato lui ad allontanarsi l'avrebbe preso a pugni. Com'era infantile. Ma la cosa la divertiva.
<< Ti sei preoccupato? >> chiese punzecchiandolo un po'. Arrossì quando non ricevette risposta: la sua semplice battuta aveva un fondo di verità.Un dolcissimo fondo di verità.
Daryl voltò gli occhi, sbuffando, e tornò a guardare il suo puntino immaginario. Ocean sorrise e abbassò gli occhi a guardare le loro mani intrecciate. Era così calda la sua, con qualche ruvido callo, probabilmente dovuto da tutte le lotte che aveva fatto e che continuava a fare, ma stranamente morbida e delicata.
<< Perchè l'hai fatto? >> chiese poi lui improvvisamente cogliendo impreparata la ragazza. Il suo sguardo fisso sul muro era tornato serio e pensieroso.
<< Perchè sei andata lì? Non è da te. >>
<< Sono una ragazza sconsiderata, lo sai bene. >> disse lei con lo stesso tono serio, facendo scappare via anche i suoi occhi. La mente stava tornando a tutto quello che era successo. A Mickey, al Governatore, al suo gruppo e a Manuele. La rabbia bruciava dentro lei, intenzionata a crescere, ma al momento sentiva dentro solo tanta tristezza e rammarico.
<< Non con le persone. Tu hai paura degli uomini. >> constatò Daryl.
Ocean sorrise imbarazzata e abbassò gli occhi, prima di ammettere balbettante << Mi conosci bene, eh? >>
Nessuna risposta arrivò. Il ragazzo era intenzionato a non lasciar cadere il discorso, non quella volta. Se non fosse stato per l'atto di bontà improvviso di Merle non l'avrebbe mai ritrovata, e sarebbe morta. Solo l'idea gli faceva attorcigliare le budella. Lo mandava su tutte le furie, non avrebbe lasciato andare, non quella volta. Doveva sapere perchè aveva rischiato di perderla. E quel silenzio convinse la ragazza a parlare. L'aveva fatto altre volte, in fondo. Aveva parlato con Rick proprio poco prima, non sarebbe stato difficile parlare di nuovo di loro.
O almeno sperava.
La sua mano si staccò da quella di Daryl: voleva restare sola. E questo lo sorprese: capì di aver toccato un tasto dolente. Aveva ragione, allora. C'era un motivo serio sotto, non era stata semplice follia. Qualcosa l'aveva turbata e spinta ad affrontare i mostri che più temeva. Un'intera città da sola.
Volse lo sguardo curioso e preoccupato a lei, cercando di cogliere i suoi occhi, e Ocean pose fine alle sue curiosità e i suoi dubbi.
<< Avevo un gruppo prima. Non ho sempre girato sola. Quando tutto è cominciato io ero in vacanza ad Atlanta con un numeroso gruppo di amici. Io insieme ad alcuni di loro siamo scappati via dalla città non appena abbiamo sentito le prime notizie, giusto in tempo per non restare coinvolti nel disastro. Abbiamo viaggiato un po', nella speranza di trovare qualsiasi mezzo che ci avesse riportati in Italia, a casa. Poi è arrivato il Governatore.... >> interruppe lì il suo racconto, non riuscendo ad andare oltre, ma ciò bastò per permettere a Daryl di capire tutto.
Le avrebbe voluto chiedere scusa per averle posto quella domanda così delicata, ma sentì che non ne era poi così dispiaciuto. A lungo si era chiesto quali passi avessero portato Ocean da loro, sola e spaventata, con solo un cane come compagno, un nome che non le apparteneva e la paura di avere delle persone accanto a sè. Ora lo capiva. E capì la follia che l'aveva portata ad entrare nella tana del nemico senza nessun tipo di precauzione.
<< Dovremmo andarcene da qui. >> disse poi lei, prendendo per la prima volta in mano il discorso su "cosa si dovesse fare". Non ne aveva parlato fino a quel momento, probabilmente solo perchè non voleva vedere il problema. Troppo spaventoso per essere reale, e lei l'aveva negata.
Daryl sospirò e allungò una mano, afferrando la sua e stringendola forte, incrociando le loro dita. Il gesto così improvviso e pieno di sentimento nel suo stritolarla la costrinse ad alzare gli occhi su di lui, incrociando i suoi fermi e determinati << Non resterai di nuovo sola. La storia non si ripeterà. Gli faremo vedere chi siamo e lo cacceremo via a calci nel culo. Te lo prometto. >>
Ocean sentì una sensazione dolce di calore sprigionarsi dalla bocca dello stomaco e salire fino alla gola, investendo completamente il cuore, permettendole di percepirlo più forte e chiaro nel suo insistente tamburellare. Un sorriso le si dipinse in volto. Avrebbe voluto piangere di gioia, ma si sarebbe sentita stupida. Erano parole campate in aria, niente di concreto, cosa la spinse a crederci veramente non lo seppe neanche lei. Daryl si raddrizò con la schiena e la tirò a sè con la mano che ancora teneva stretta alla sua. Ocean non si oppose e si lasciò cadere contro il suo petto, immergendoci il volto. Avvolse le sue braccia su di lui, stringendo tra le dita i suoi abiti e chiuse gli occhi, assaporando il momento. Poteva sentir battere il suo cuore, forte e insistente, quasi quanto il suo.
Si sentiva così bene. Era da tanto, o forse mai era successo, che non provava quella sensazione di tale benessere e dolcezza.
Lo strinse ancora una volta prima di allentare la presa e permettersi di alzare il viso, incrociando i suoi occhi azzurri, piccole schegge di vetro, nascosti probabilmente per proteggerli dai curiosoni che avrebbero potuto guardare fin troppo a fondo, dove non era permesso arrivare.
Ma lei, in quella posizione così ravvicinata, riuscì a farlo. Le era permesso. E trovò in loro uno specchio in cui riuscì a riflettercisi, e riuscì a ritrovarsi.
Daryl sollevò una mano e gliela portò sulla guancia, delicata, intimorito all'idea di sciupare un così bel fiore. Guardò l'enorme fregio che suo fratello le aveva fatto e lo sfiorò con la punta del dito.
<< Sta guarendo. >> bisbigliò.
<< Lascerà una bella cicatrice. >> sorrise lei imbarazzata.
Daryl scrollò le spalle << Non importa. >> sussurrò ancora. Ocean si sorprese a trattenere il fiato e senza rendersene conto avvicinò il viso a quello del ragazzo. Il fuoco che le era preso poco prima alla bocca dello stomaco ora era un vero e proprio incendio inarrestabile che aveva catturato e spaziato oltre il petto, prendendo la pancia, le gambe, le braccia...tutto. Si sentiva bruciare dentro e ne provava piacere.
Cosa non importava? L'avrebbe trovata bella comunque? Non lo sapeva, ma non chiese delucidazioni su quella frase. Era bello così. Voleva portarsela dietro così. Si sentiva stupida, una ragazzina alla sua prima cotta, ed era imbarazzata allo stesso modo. Ma non le importava. Non le importava niente.
Daryl rimase fermo dov'era, non aveva provato ad allontanarsi e questo non rifiuto la incoraggiò a spingersi ancora più avanti. Tremava e sentiva di avere le mani sudate. Chiuse gli occhi e sorrise a pochi centimetri dalle sue labbra << Non so cosa sto facendo. >> sussurrò raggiunto ormai il punto di non ritorno. Nella sua testa c'era solo tanta cofusione, ma in mezzo a tutto quel frastuono una sola voce le arrivava chiara, la voce che la spingeva a fare quel passo in più, anche se forse poi se ne sarebbe (di nuovo) pentita. Non le importava. Non sentiva altro che il calore della sua pelle, del suo corpo poggiato al suo , e il suo odore che le faceva letteralmente girare la testa.
<< Io sì. >> sussurrò Daryl così piano che per un attimo Ocean credette di averlo solo immaginato, ma poi tutto si dissolse quando finalmente sentì le labbra del ragazzo schiacciarsi contro le sue. E tutto esplose. Il tempo perse il suo giro, lo spazio intorno a loro sembrò inesistente, i corpi evanescenti avevano perso consistenza. Loro erano solo quelle bocche che continuavano nella loro danza e che più desideravano fermarsi.

<< Dovremmo parlarne. >> suggerì Ocean stesa sul letto, la testa poggiata su una spalla di Daryl, entrambi impegnati a giocherellare ognuno con le proprie cose, ognuno perso nel proprio mondo. Ma più vicini di quanto mai lo erano stati prima.
Daryl si voltò a guardarla, accennando un sorriso e mugulò un << Nah. >> prima di tornare a giocherellare con una delle sue frecce. Ocean ridacchiò, divertita da quel suo apparente disinteressamento. Stavano bene così, lo sapeva, lo sentiva anche lei, e anche se era giusto parlarne...perchè farlo col rischio di rovinare tutto?
Una voce proveniente dall'esterno della cella, intenta a sforzarsi in chissà quale lavoro, li spinse ad alzare gli occhi e videro entrare barcollante e affaticata, con decisamente troppe cose in mano, Molly.Teneva con entrambe le mani una specie di vassoio con sopra un piatto, una bottiglia d'acqua, dei fiori e il suo orsetto sotto braccio. Ocean si alzò dal letto velocemente, allungandosi verso la bambina per aiutarla nel suo incarico.
<< Nonno Hershel ha detto che devi mangiare, Alice! >> quasi la rimproverò la bambina, onorata ancora una volta di potersi rendere utile come assistente del dottore.
<< Nonno Hershel? >> chiese Ocean ridendo. Più passava il tempo e più quel semplice gruppo stava diventando una vera e propria famiglia. Ed era la cosa migliore per tutti, non solo per i bambini.
<< Ha detto posso chiamarlo così. >> si giustificò la piccola prima di afferrare il mazzetto di fiori di campo poggiati sul vassoio e porgerli alla ragazza << Li ho appena raccolti per te! >> sorrise entusiasta. Ocean li prese, incredula, ma non ci mise molto a fare due più due << Sei stata fuori da sola? >> chiese spaventata, guardandola severa. Cosa le era passato per la testa? Avevano appena lasciato il cortile esterno ancora invaso, sarebbe bastato un piccolissimo incidente e sarebbe potuta finir male per lei. E poi Ocean odiava che Molly avesse a che fare con creature del genere, sentiva era ancora troppo piccola. Doveva tenersene lontana.
<< Non ero sola! C'era zio Merle con me! >> spiegò ancora la piccola, lasciando entrambi i presenti letteralmente a bocca aperta.
<< La piccoletta voleva prendere una boccata d'aria, e visto che voi due eravate tanto impegnati ci ho pensato io. >> la voce di Merle, sempre provocatoria, fece il suo ingresso insieme all'uomo ghignante e che probabilmente cercava di mimare un bacio con quella teatralità che dava alle labbra e alla lingua.
Ocean inarcò il sopracciglio e alzò lo sguardo divertito << Zio Merle? >> chiese ridacchiando. Davvero le aveva detto di chiamarlo zio? Stava cercando di prenderli in giro o era serio?
<< E' la figlia di mio fratello. >> disse lui.
<< Non sono suo padre, te l'ho già detto. >> intervenne Daryl cercando di tener calma una certa rabbia che quasi sempre veniva fuori quando si rivolgeva a lui.
<< L'hai adottata, no? >> e tra i due nacque un'ulteriore discussione: Merle continuava a provocare e Daryl continuava a incitarlo a stare zitto e togliersi dai piedi.
<< Grazie, Merle. >> interruppe Ocean, riuscendo miracolosamente a zittire entrambi. Daryl si sarebbe aspettato che Ocean la furia si fosse scagliata contro il fratello per aver esposto a un pericolo la bambina, mentre Merle....forse era la prima volta che qualcuno di estraneo gli diceva grazie per qualcosa che aveva fatto. Lo colse impreparato. Soprattutto in un ambiente come quello, dove tutti gli erano ostili. Lesse negli occhi della ragazza che quasi aveva ucciso dolcezza e sincera gratitudine. Che razza di essere era quello? Davvero non era adirata con lui? Dopo tutto quello che aveva fatto? Cominciò a pensare che non ci stesse tanto con la testa.
<< Sai, zio Merle mi ha fatto tenere in mano un coltello. >> raccontò Molly, ritenendo, chissà per quale motivo, il momento migliore per farlo.
L'espressione di Ocean mutò di colpo << Tu cosa? >> chiese fulminando Merle.
<< E tanti saluti al "grazie Merle". >> sbuffò lui voltandosi con l'intenzione di andarsene.
Ocean poggiò il piatto sul letto dov'era seduta e si alzò per seguirlo << No, ascolta, bello! >> lo richiamò andandogli dietro << Non azzardarti mai più a far cose del genere, capito? >>
<< Di cosa hai paura? >> le chiese Merle.
<< E' una bambina! >> sottolineò lei << Non si danno coltelli a una bambina! >>
Merle si fermò e le puntò gli occhi addosso << Una bambina non dovrebbe nemmeno avere degli zombie da giardino, allora. >>
<< Infatti la teniamo al sicuro qui! >>
<< Vuoi tenerla prigioniera per sempre? >> chiese Merle prima di riprendere a camminare, desideroso di andare a fare chissà quale commissione << Svegliati, bambolina! Qui nessuno è al sicuro. Se continuerai a costringerla a stare attaccata alla tua gonna, il giorno che sarai costretta a voltarti per salvarti il culo poi non la ritroverai. >>
<< Quando sarà più grande le insegneremo a difendersi. >> disse Ocean, ferma nelle se convinzioni.
<< Potrebbe essere troppo tardi. Quanti anni ha? Cinque? >>
<< Sette. >>
<< E' grande abbastanza. >>
Ocean aprì bocca con l'intenzione di rispondere ancora, per niente d'accordo con l'uomo, ma Carl interruppe ogni sorta di conversazione che stava avvenendo in quel momento.
<< Papà! Andrea! C'è Andrea al cancello! >> chiamò dalla porta. Rick si avvicinò velocemente a lui e chiamò a raccolta << Daryl! Ocean! Beth! >> ma a seguirlo non furono solo loro ma anche Michonne e Merle. Glenn corse a uno dei punti di guardia, insieme a Carol, tutti armati e allarmati. Uscirono all'aperto silenziosi e si andarono a rifugiare dietro la prima auto.
<< Di là. >> indicò Rick a Ocean il punto di osservazione che avrebbe dovuto raggiungere. La ragazza alzò gli occhi sopra l'auto, si guardò attorno e procedette bassa, quasi in ginocchio, veloce fino all'auto accanto. Si portò il fucile che le era stato dato alla spalla, poggiandolo, e alzò di nuovo gli occhi sopra la macchina, guardandosi attorno. Non vide nessuno nei paraggi, se non Andrea che procedeva rapida con uno zombie legato a un'asta di ferro.
Non aveva avuto tempo di chiedere e meravigliarsi, ma quella per lei era stata una vera e propria sorpresa. Era convinta che Andrea fosse morta alla fattoria, e invece ora se la vedeva arrivare tutta intera, ben vestita e pettinata, con uno zombie al guinzaglio. E la cosa che la sorprendeva ancora di più era il fatto che i suoi compagni non erano meravigliati quanto lei. Che già sapessero? E poi perchè accoglierla con le armi? Era stata via solo un pomeriggio, eppure le sembrava di esser mancata mesi.
Fece un cenno con la testa a Rick per comunicargli che la strada era libera, e rimase in postazione, continuando a fare da vedetta, mentre i suoi amici si avvicinavano velocemente al cancello.
Rick sbattè Andrea alla recinzione prima di perquisirla, poi la fece inginocchiare, e finì di controllare il perimetro. Tutto sembrava tranquillo: Andrea era sola, non armata e nessuno era nei paraggi. Ocean si sollevò e si rilassò, mettendo via il fucile e avvicinandosi rapida a lei.
<< Andrea! >> la salutò nel momento in cui Rick le permise di rialzarsi e corse ad abbracciarla.
<< Sei viva! Come... io credevo che... >> cominciò Ocean, curiosa di sapere tante cose, ma cosa di preciso era un mistero.
<< Sto bene. E anche tu! Vedo ti sei adattata bene. >> Sorrise Andrea, prima di ricevere un altro stritolante abbraccio della ragazza << Non ho mai avuto occasione di ringraziarti. Mi hai tirata giù tu da quell'albero, ti devo tanto. >>
Andrea le sorrise e Rick la invitò di nuovo a seguirlo.
<< Vieni, saranno tutti felici di rivederti. >> disse Ocean andando avanti, inconsapevole di cosa in realtà significasse quella visita.
La prima e unica a riabbracciarla con le lacrime agli occhi fu Carol, poi Andrea guardò il resto dei suoi compagni. C'era imbarazzo, c'era gioia, c'era paura e preoccupazione. Era tutto così strano. Ma erano di nuovo insieme. In quel momento uscì Molly dal blocco delle celle e corse verso Ocean. Si nascose dietro le sue gambe, stringendo tra le dita i suoi pantaloni, e guardando intimorita Andrea. La conosceva, sapeva che era buona, ma se tutti erano così tesi e spaventati dalla sua presenza un motivo doveva esserci. Ocean le accarezzò i capelli per tranquillizzarla e tornò a guardare Andrea, la quale aveva rivolto uno sguardo addolcito verso la bambina prima di dire << Come sei cresciuta. >>
<< Dov'è Shane? >> chiese poi guardandosi attorno, non riuscendo a ritrovare alcuni dei vecchi volti che aveva lasciato alla fattoria. Nessuno rispose. Il suo cuore mancò un battito.
<< E Lori? >> chiese ancora.
Nessuna risposta.
Ma Hershel aggiunse poco dopo << Ha avuto una bambina. Lori non è sopravvissuta. >>
<< E nemmeno T-Dog. >> aggiunse Maggie.
<< Mi dispiace tanto. >> piagnucolò la bionda. Provò ad avvicinarsi a Carl, forse per abbracciarlo, ma lui fece un passo indietro. Poi tentò la stessa cosa con Rick, ma ricevette lo stesso servizio. Avevano paura. Non si fidavano. Perchè? Cosa sapevano che Ocean non sapeva?
Ma Andrea parve accettarlo e chiese ancora << Vivete tutti qui? >>
<< Qui e nel blocco delle celle. >> rispose Glenn.
<< Lì? >> chiese lei indicando << Posso vedere? >>
<< Non ti è permesso. >> le si piantò davanti Rick, allarmato.
<< Non sono un nemico, Rick. >> cercò di tranquillizzarlo lei.
<< Avevamo tutto il campo e il cortile, finchè il tuo uomo non ha sfondato il recinto con un furgone e non ci ha sparato addosso. >> spiegò Rick, dandole un buon motivo per considerarla "nemico".
<< Cosa? >> chiese Ocean incredula << Un tuo uomo? >> si rivolse a Andrea << Tu stai col Governatore? >> ma non aspettò la risposta, già la conosceva. Ora capiva il perchè di tutto quel timore. Quello che aveva temuto con Daryl si era avverato con Andrea: lei ora era il nemico.
<< Ha detto che avevate sparato prima voi. >> disse Andrea a Rick. Aveva la faccia di chi chiaramente non ci stava capendo niente.
<< Ti ha mentito. >> disse Rick.
<< Ha ucciso un carcerato che era sopravvissuto qui dentro. >> specificò Hershel, sottolineando la crudeltà di quel folle uomo.
<< Ci piaceva. Era uno di noi. >> disse Daryl riferito ad Axel. Ocean abbassò lo sguardo, volgendolo a Molly. Una scusa qualunque per non doverli tenere alti. Le era dispiaciuto per Axel, era quello che più di tutti pregava per tenersi stretta la vita, e il destino aveva voluto giocare con lui. Era un bravo ragazzo, sarebbero andati d'accordo...se solo non fosse arrivato il Governatore. Ancora una volta.
<< Io non ne sapevo niente. Appena l'ho scoperto sono venuta subito. >> spiegò Andrea con le lacrime agli occhi, affranta e dispiaciuta per quanto successo << Non sapevo nemmeno che voi foste a Woodbury dopo la sparatoria! >>
<< Sono passati due giorni. >> la rimproverò Glenn.
<< Te l'ho detto! Sono venuta appena ho potuto. >> continuò Andrea, ma ancora non ricevette consensi.
<< Che cose gli hai raccontato? >> chiese a Michonne, accusandola di chissà quale crimine, crimine da cui lei si discolpevolizzò immediatamente con un disinteressato << Niente. >>
<< Non capisco. Ho lasciato Atlanta con voi e ora sono una sconosciuta? >>
<< Ha quasi ucciso Michonne, e avrebbe ucciso anche noi. >> disse Glenn, trovando il motivo di tanta colpevolezza.
<< Col suo dito sul grilletto! >> urlò Andrea puntando un dito contro Merle << Non è lui che vi ha rapiti e picchiati? >> ma ancora nessuna risposta arrivò. Non le avrebbero dato conto. Era appurato. Era col nemico, e per tanto era nemico anche lei.
<< Ascoltate. >> sospirò alla fine lei, affranta ma arrendevole << Non posso scusare nè spiegare quello che ha fatto Philip, ma sono qui per cercare di farvi avvicinare. Dobbiamo risolvere la situazione. >>
Ocean non riuscì a trattenere uno sbuffo ironico, come avesse appena sentito una divertente battuta. Avvicinarsi al Governatore. Ridicolo. Dopo quello che aveva fatto, non meritava nessun tipo di considerazione. E Rick parve pensarla come lei << Non c'è niente da risolvere. Dobbiamo ucciderlo. Non so come o quando, ma lo faremo. >>
<< Possiamo trovare un accordo. >> lo stava difendendo. Andrea stava difendendo il Governatore. Ecco qual era la differenza tra lei e Merle. Era Merle quello che teneva la mano sul grilletto, ma lo aveva fatto perchè non aveva avuto altra scelta. Lei lo stava facendo invece semplicemente perchè voleva.
Ecco perchè non si sarebbero fidati.
<< Sappiate che a Woodbury c'è posto per tutti voi. >>
<< Sì, certo, incatenati fin quando non decideranno di ucciderci. >> disse ancora Ocean, che come sempre non riusciva a tenere per sè i suoi pensieri.
<< Possiamo parlarne, sono sicura che Philip capirà... >> ma Ocean la interruppe << Il tuo carissimo Philip >> storpiò il suo nome, era disgustoso che ne avesse uno. Ed era disgustoso che Andrea lo chiamasse così, dandogli un'identità, legandosi a lui come Daryl aveva fatto con lei quando aveva cominciato a chiamarla Alice << Non desidera altro che vedere le nostre teste su delle picche. >>
<< Questo non è vero. >> cercò ancora di parlare la bionda ma Ocean ormai era incontrollabile << Ha ucciso i miei amici! E quasi ucciso me e i miei compagni! Il motivo? Che ne so...onnipotenza, probabilmente. >> Molly strinse ancora di più i suoi vestiti, attirando la sua attenzione. Non le piaceva quando urlava, le faceva paura. Ocean le fece un'altra carezza sulla testa, sospirò, poi concluse << Io non voglio neanche vederlo. Non mi fido...e non dovresti neanche tu. >>
<< Che cosa ti fa pensare che quell'uomo abbia voglia di negoziare? Te l'ha detto lui? >> chiese Hershel e Andrea rispose un po' turbata << No. >>
<< E allora perchè sei venuta qui? >> chiese Rick.
<< Perchè lui si sta preparando alla guerra. La gente è terrorizzata, vi vedono come degli assassini! Si addestrano per un attacco. >>
<< Sai che ti dico? >> a parlare questa volta fu Daryl << Quando rivedrai Philip digli che gli caverò l'altro occhio. >> era stato silenzioso fino a quel momento, ma era bastata quella semplice frase per far capire che il suo livello di rabbia era pari, o forse superiore, a quello dei suoi compagni. Gli aveva, e gli stava tutt'ora portando via troppo.
<< Abbiamo subìto troppo per troppo tempo. Vuole una guerra? L'avrà. >> disse Glenn.
<< Rick. >> Andrea si rivolse a lui, non riuscendo ad avere il consenso di tutti gli altri, sperando che almeno il capo le avesse dato ascolto << Se non ti impegni per risolvere la situazione, non so cosa potrà succedere. Lui ha un'intera città. >> si voltò verso gli altri << Guardatevi! Avete già perso così tanto. >>
<< Vuoi rimediare la situazione? >> chiese Rick spostandosi e piazzandosi di fronte a lei << Facci entrare. >>
<< No. >>disse semplicemente lei e ciò bastò a Rick per allontanarsi velocemente con un << Allora non abbiamo niente di cui parlare. >> senza neanche sentire il suo << Ci sono persone innocenti! >>
Ocean si voltò verso Molly e la prese in braccio << Torna dal piccolo Philip. >> disse con astio. Detestava quell'uomo e detestava sentire che c'era chi lo difendeva, soprattutto se questa qualcuno una volta era loro amica << Mi dispiace, hai fatto un viaggio a vuoto. >> e si incamminò dietro Rick, rientrando nelle celle.
Rientrò nella cella dove aveva lasciato il suo piatto e lo trovò ben spazzolato da un furbacchione che aveva approfittato della distrazione dei presenti.
<< Oh, Max! >> brontolò lei posando Molly a terra. Guardò il suo piatto: ormai era rimasto ben poco. Sospirò << Chiederò a Nonno Hershel se mi prepara qualcos'altro. >> disse rivolta a Molly, cercando di sorriderle. Ma la bambina non sembrò ricambiare. Percepiva sempre l'aria della prigione e chissà quali sue personali conclusioni ne tirava.
Si mise a sedere sul letto e riprese il suo orsetto, giocandoci distrattamente poi chiese << Perchè Andrea è diventata cattiva? >>
<< Andrea non è cattiva. >> disse Ocean mettendosi a sedere vicino a lei. Le dispiaceva vederla triste, e, per un bambino, dire che una persona era cattiva era qualcosa di orribile. Non voleva metterle in testa questo triste pensiero, non era giusto che lei venisse coinvolta in così terribili verità.
<< Ma siete tutti arrabbiati con lei! >>
<< Non la pensiamo allo stesso modo riguardo a una faccenda. Ma lascia perdere le cose da grandi, tu. >> disse lei cercando di sorriderle incoraggiante. Adorava il suo radioso sorriso, voleva sempre vederglielo in volto. Ma purtroppo quel mondo tanto buio era in grado di sovrastare anche la più grande stella.
<< Io sono grande! >> disse Molly quasi con astio, aggiungendo subito poi, prima che Ocean potesse rispondere altro << Ho chiesto io a zio Merle di farmi provare il coltello. >>
Ocean ne rimase un attimo turbata. Era stata convinta che fosse stato lui a forzare la sua crescita, per questo si era arrabbiata tanto, non voleva che Merle mettesse bocca in certe faccende "da genitori", e invece lui aveva solo accontentato un desiderio che lei non era riuscita ad ascoltare.
<< Voglio imparare a combattere, voglio essere in grado di difendere te e Daddy. Voglio proteggervi, così potremo sempre stare insieme. >>
Ocean sospirò, non sapendo bene cosa dire. Doveva metabolizzare quell'informazione, capirne il significato, farla propria. Non riusciva bene a capire dove metterla. Aveva bisogno di un po' di tempo. Era così incredibile che quella bambolina, unica perla luminosa ai suoi occhi, scintilla che ancora brillava, desiderava mischiarsi a loro comuni mortali. Perchè non voleva solo fare la bambina? Perchè non potevano più esserci solo bambine?
<< Vado a prendere qualcosa da mangiare. >> disse semplicemente, lasciando lì la piccola rossa e allontanandosi.
<< Sei arrabiata con me? >> chiese Molly quando Ocean era già sulla porta, costringendola a bloccarsi. La ragazza si voltò rivolgendole un sorriso, pregando fosse abbastanza convincente e disse con tranquillità << No. Non sono arrabbiata. >>

Rimase seduta al tavolino all'ingresso, con una forchetta che pigramente si infilzava in continuazione dentro la poca carne in scatola rimasto sul fondo. Ne aveva mangiata più di metà e ne avrebbe mangiata ancora se solo lo stomaco avesse smesso di attorcigliarsi su se stesso. Daryl la raggiunse alle spalle e a lei bastò sentire i suoi passi per ricoscerlo.
<< Molly ha detto che vuole imparare a usare il coltello. >> comunicò sempre intenta nel suo stupro al cibo in scatola. Daryl le si sedette accanto e sospirò << Lo so. >>
<< Non pensi sia sbagliato? >> chiese ancora lei.
Daryl alzò lievemente le spalle << E' bene impari a difendersi. >>
<< No, intendo.... >> ma si interruppe, prendendosi una pausa riflessiva. Guardò il povero martoriato sotto la sua forchetta e le sfuggì un malinconico sorriso << Alla sua età io chiesi a mia madre di insegnarmi a cucire. >> Il silenzio che ne seguì fu pieno di parole. Parole su quanto fosse triste la realtà a cui appartenevano, parole su quanto le mancasse la sua vecchia vita, su quanto le mancasse casa, parole su quanto il mondo fosse così sbagliato.
<< Non mi abbituerò mai completamente. >> disse ancora lei, riferendosi a ciò che stavano vivendo.
<< Lascia che le cose vadano come devono. >> sospirò ancora lui << Non accanirti. >>
Ocean sorrise e si voltò a guardarlo << E' riferito anche a noi? >> chiese lei. Non riusciva a darsi pace, non riusciva a capire cosa fossero, dove dovessero andare, aveva bisogno di saperlo. Daryl sorrise prima di abbassare lo sguardo, divertito e forse un po' imbarazzato << Forse. >>
Ocean sorrise addolcendosi e tornò a guardare il suo cibo: lo stomaco stava calmandosi appena e forse sarebbe riuscita a finirlo.
<< Ti voglio bene, Daryl. >> disse forse senza pensarci, ma non senza rimpianti. Aveva solo detto quello che aveva pensato. Ma la reazione non fu quella aspettata: Daryl sbruffò così sonoramente e vistosamente che sputacchiò saliva sul tavolo, le diede una spinta al braccio poi si alzò e si allontano. Ocean lo guardò con gli occhi sgranati e un sorriso divertito << Che c'è? >> chiese smorzando la frase con una risata. Che gli era preso? Non aveva avuto mai un trattamento del genere neanche quando aveva provato a raccontare a qualche amico una stupida freddura sentita al peggiore show comico televisivo del tempo.
<< Che ho detto? >> chiese ancora ridendo, chiedendosi in quale parola si trovasse la cazzata che aveva scaturito quella reazione così contrariata. Ma ancora non ricevette risposta e Daryl la lasciò sola con le sue risate confuse.

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Capitolo 29
*** Gagliardia. ***


Gagliardia.

Molly corse nel cortile esterno, chiedendosi perchè Alice l'avesse chiamata lì. Il sole era sorto da poco, aveva appena avuto tempo di far colazione. Si guardò attorno, cercando la mora, quando improvvisamente fu bloccata da un bastone che quasi la colpì al petto. Si voltò a guardare chi lo stesso sorreggendo e lì trovò Ocean, seduta a terra con le ginocchia sollevate e le braccia poggiate su di esse. La guardava seria e fredda, come poche volte aveva fatto.
<< Prendilo. >> le disse e la bambina obbedì, chiedendosi ancora cosa avesse in mente. Ocean si alzò pigramente da terra e si piazzò di fronte a lei, dritta e ben ferma sui suoi piedi, come un albero secolare. I pollici erano infilati nella sua cintura, sorreggendosi a essa.
<< Prova a colpirmi. >> la invitò.
Molly guardò il bastone che aveva tra le mani e poi guardò nuovamente Ocean. Non la stava prendendo in giro, faceva maledettamente sul serio. I suoi occhi freddi ne erano la prova. Voleva davvero insegnarle a combattere.
Strinse il bastone con entrambe le mani, sentendosi emozionata all'idea di poter finalmente entrare a far parte della cerchia dei grandi e lo sollevò sopra la testa. Corse incontro alla ragazza e provò a colpirla, ma lei con un semplice spostamento obliquo schivò il colpo.
<< Sei lenta. Prova ancora, non fermarti fin quando non riuscirai a colpirmi. >> le disse Ocean e Molly ricominciò subito a tirar colpi a destra e a manca, scoordinata e senza un senso logico, cercando solo di prendere la ragazza che riusciva sempre ad avere il tempo di capire la traiettoria del suo lento bastone e schivarlo.
Molly fece ancora qualche passo in avanti, cercando di starle vicino per riuscire a colpirla, ma inciampò nella sua gonna troppo lunga e cadde a terra. Portò appena in tempo le mani in avanti per evitare una rovinosa caduta di faccia, ma le ginocchia colpirono miseramente il suolo.
<< Ahi! >> piagnucolò guardandosi le mani sbucciate. Stava già per mettersi a piangere quando Ocean l'afferrò per un braccio e la sollevò di pesa da terra << Il nemico non starà lì ad aspettare che tu smetta di piangere e le lacrime annebbiano la vista, non lo vedresti più. >> l'ammonì prima di sfoderare una delle sue daghe dalle cinghie legate al petto. Afferrò la gonna di Molly e con un colpo netto ne taglio la parte in fondo, appena sotto le ginocchia. Le fece fare un giro completo e finì di tagliare la sua gonna.
<< Così non hai più impicci. Vedrò di procurarti un paio di pantaloni in questi giorni. >>
Molly stette in silenzio, ascoltando le sue parole e sentendosi una strana sensazione dentro. Non era mai stata così fredda con lei, l'aveva sempre trattata come la più preziosa delle bamboline, ora invece aveva addirittura paura che al prossimo errore le sarebbe arrivato un ceffone. Si guardò le ginocchia sollevando appena il resto della gonna: c'era una sbucciatura che perdeva un po' di sangue e questo la spaventò.
<< Ma brucia. >> piagnucolò ancora.
<< Il giorno che ti troverai di fronte a un uomo cattivo o uno di quei mostri lì, le ginocchia che bruciano saranno il minore dei tuoi problemi. Sopporta il dolore. >> ordinò.
<< Non ce la faccio. >> piagnucolò ancora.
<< Vuoi imparare a difenderci e poi piangi per così poco? >> la sgridò prima di afferrare il bastone << Torna dentro, non sei pronta. Torna a giocare con le bambole. >>
<< No, io voglio imparare! >> brontolò Molly.
Ocean si chinò su di lei e la guardò dritta negli occhi << Per imparare a combattere, per imparare a difenderti, devi essere forte. Devi! Ma non forte qui... >> indicò una delle sue braccia << Devi essere forte qui. >> indicò la sua testa, all'altezza della fronte << Se ti fai male non piangi! Se hai paura non urli! Impara a controllare te stessa, solo dopo potrai controllare un'arma. Tu sei forte, quella sbucciatura non fa male. Dillo! >>
<< Io sono forte... >> piagnucolò ancora << ...Io sono forte! Non fa male! Io sono forte. >> urlò alla fine decisa e determinata.
<< Brava, bambina. >> le scompigliò affettuosamente i capelli e le ripassò il bastone << E ora forza. Colpiscimi. >> si riposizionò di fronte a lei e l'allenamento riprese, rumoroso e faticoso, con Molly che urlava a ogni colpo per darsi carica, Ocean che l'ammoniva ogni qual volta lei sbagliasse e la piccola che, ormai stanca, aveva preso a bisbigliare tra sè a ogni colpo << Io sono forte. Non fa male. >>
Era l'ora di pranzo quando finalmente Ocean decise di lasciarla andare: aveva il fiatone, i capelli rossi erano tutti appiccicati alla fronte sudata, aveva le gambe sporche per via della polvere sollevata nel correre e le ginocchia ferite per colpa di altre 2 o 3 cadute.
Ocean le si avvicinò mentre lei era china su se stessa a soffiarsi sulle ginocchia doloranti, con le lacrime agli occhi, ma determinata a non piangere. La prese in braccio e si avviò verso l'interno della prigione sorridendole, finalmente, amorevole << Sei stata bravissima. >> si congratulò.
<< Ti ho colpita solo una volta. >> si lamentò lei insoddisfatta.
<< Sì, ma mi hai fatto un gran male. >> rise Ocean dandole un affettuoso buffetto sul naso << Oggi pomeriggio se non sei troppo stanca puoi chiedere a Daddy se ti da qualche lezione di tiro, eh? >>
<< Oh, sì! >> si illuminò lei improvvisamente << Spariamo alle bottiglie! Lo zio lo faceva spesso con papà! >>
Entrarono nella prigione e lasciò Molly a terra, così che potesse correre verso Daryl, seduto su degli scalini a mangiare il contenuto di una delle scatole prese alla mensa, e rapida come un uragano cominciò a raccontargli la sua mattina. Aveva già dimenticato le ginocchia doloranti e la stanchezza.
Daryl sembrava non ascoltarla, aveva sempre la faccia inespressiva, ma sapevano tutti che in realtà non era così e probabilmente stava cogliendo anche le virgole del racconto della piccola. Poi le porse la scatoletta che aveva tra le mani, chiedendole in un momento di tranquillità << Hai fame? >>
<< Sì! >> rispose lei entusiasta afferrandola e strappandogliela di mano, ma non potè affondare subito i denti nel cibo che Ocean intervenne di nuovo << Cosa hai intenzione di fare conciata in quello stato? Sei nera di terra perfino sulle labbra, prima ci andiamo a dare una pulita. >> e gli strappò di mano l'ambita cibaria, non senza tirarsi dietro però un sacco di lamenti.
<< Falla mangiare e dopo la porti a pulirsi. Ha fame. >> disse Daryl rivolto a Ocean.
<< Così gli viene chissà quale anonima malattia, con tutto lo schifo che c'è fuori. >>
Daryl scrollò le spalle << Anticorpi. >>
<< Andiamo! >> disse risoluta a Molly tirandola per una mano, senza ascoltare Daryl, anzi quasi ridendone. Era uno degli uomini più trasandati che avesse mai incontrato, e probabilmente l'apocalisse zombie non era il motivo di questo.
<< Che mammina rompi palle. >> rise Merle dall'altro lato della stanza, dopo aver assistito a tutta la scena. Ocean gli offrì un affettuoso dito medio mentre constringeva Molly ad andare in quello che avevano decretato essere una specie di bagno. C'era una bacinella piena d'acqua, raccolta da una delle pompe che loro stessi avevano costruito in modo da raccogliere l'acqua del canale lì vicino. Ci immerse un panno, lo strizzò dall'acqua in eccesso e lo passò prima sulle mani della bambina e poi sulla faccia. Diede una pulita veloce e generale al resto, ma senza accanirsi troppo, tanto si sarebbe risporcata da lì a pochi minuti e non ne valeva la pena. Ma almeno il grosso era stato tolto.
<< Ora posso andare? >> lamentò Molly.
Ocean rise e la spintonò leggermente << Vai, forza. Neanche ti avessi torturato! >> la bambina corse via e tornò da Daryl, rubandogli di nuovo di mano il pranzo e divorandolo come poche volte aveva fatto. Finito di mangiare non ebbe neanche la forza di alzarsi e andare nella sua cella: si addormentò sullo scalino su cui era seduto il ragazzo, il quale poi la prese in braccio e la portò a letto.
Anche Ocean pranzò con quel poco che era rimasto, poi si avvicinò alle armi raggruppate in un angolo della stanza e afferrò un fucile << Vado a dare il cambio a Maggie. >> informò prima di sparire, diretta al corridio in rete che dava sull'esterno, sopra il cortile e che collegava due zone distinte della prigione.
<< Vai a mangiare qualcosa. >> disse a Maggie mettendole una mano sulla spalla per annunciare il suo arrivo. La ragazza sorrise, ringraziò con un gesto della testa e cominciò ad allontanarsi. Aveva gli occhi velati, da quando erano tornati da quella disavventura a Woodbury tutto era cambiato: Glenn era sempre su di giri, pronto a menar colpi alla prima occasione e Maggie, sempre silenziosa, non alzava più gli occhi da terra. Non aveva avuto cuoredi chiedere cosa fosse successo: qualsiasi cosa fosse stato li aveva scossi entrambi.
<< Maggie. >> la richiamò Ocean prima di vederla sparire alla porta << Mi dispiace per Woodbury. >> disse semplicemente. Non riusciva a smettere di sentirsi in colpa: se solo lei non avesse avuto quel colpo di testa forse sarebbe riuscita ad aiutarli prima, e magari a impedire ciò che era successo.
<< Non è stata colpa tua. >> si limitò a rispondere la ragazza, con un sorriso rassicurante, prima di andare via. Non stavano bene, lo sentiva. Nessuno stava bene. Il Governatore li stava distruggendo dall'interno.
Sospirò e volse lo sguardo all'orizzonte.

<< Rick non è ancora tornato? >> chiese Ocean rientrando nella prigione e passando il fucile a Glenn, che le avrebbe dato il cambio alla guardia.
<< No. >> rispose il coreano afferrando il testimone.
<< Il sole sta tramontando, sono fuori da troppo tempo, sto cominciando a preoccuparmi. >> ammise lei.
<< Torneranno. Sta' tranquilla. >> sorrise incoraggiante Carol avvicinandosi a lei con Judith in braccio. Finalmente la "Piccola Spaccaculi" aveva un nome.
<< La tieni un attimo? >> chiese cominciando a spostare il braccio sotto la sua testa per poterla passare a Ocean. Ma la ragazza si rabbuiò improvvisamente e fece un passo indietro << No...io non... non sono capace. >> disse balbettando e portando le mani avanti.
<< Oh, andiamo non è difficile. >> disse Carol senza badare troppo al suo sguardo impanicato. Ocean non ebbe tempo di ribellarsi ancora che aveva già la piccola tra le braccia e la donna stava sparendo dentro il blocco delle celle. Si guardò attorno, sperando di trovare qualcuno che potesse tenerla al posto suo, ma al momento gli unici presenti erano Max e i due fratelli Dixon, intenti a parlottare tra loro dall'altra parte della stanza.
La bambina tra le sue braccia si agitò e cominciò a piangere. Sentiva la sua tensione e la cosa la spaventava.
<< No, no. >> bisbigliò lei afferrandola meglio e sistemandosela al petto. Le mani tremavano e il cuore sembrava impazzito. Un ricordo si fece largo in lei e la costrinse a un malinconico sorriso.

-Lo tieni tu un attimo?-
-Chiara! No, aspetta...non so tenere i bambini. -
-Non è difficile.-
-Chiara! Sorellina! Andrea sta piangendo! Che devo fare?-
-Stai tranquilla! Cantagli una canzone.-

Una dolce melodia nacque quella sera, sotto il sole in tramonto, e inondò tutta la prigione silenziosa. Una melodia dalle parole incomprensibili per molti, ma la cui morbidezza e dolcezza era palpabile a pelle. Judith smise di piangere, cullata e incatata dalla morbida voce che la ragazza dedicava solo a lei.
Non era una ninna nanna, ma era la canzone che Alice sempre cantava ad Andrea, il suo piccolo nipotino, quando piangeva e che sempre riusciva a calmarlo. Una canzone d'amore che solo un genitore avrebbe potuto dedicare al proprio figlio.

-Zia Alice!!!-

Una lacrima le rigò la guancia e non se ne accorse fin quando non cadde sulla fronte della piccola semi addormentata tra le sue braccia. La malinconia le aveva attanagliato il cuore, ma ora non la temeva più.
Quanto le mancava sua sorella, suo nipote, sua madre, il cognato e la nonna. Tutta la sua famiglia. Chissà se stavano bene.
La stessa domanda.
Nessuna risposta.
Accarezzò la manina della piccola, chiusa a pugno, ma che al contatto di schiuse e afferrò con forza il suo dito, stringendo. Legandola a sè.
Finì la cazone, ma continuò a canticchiare a labbra serrate, per non lasciarla sola nel silenzio, per continuare a tenerla tranquilla, a farla sentire coccolata e protetta.
Daryl le poggiò una mano sulla spalla: aveva lasciato suo fratello al muro e si era avvicinato, ma lei non l'aveva sentito.
<< Dalla a me. >> disse semplicemente chinandosi in avanti per prendere il piccolo fagotto. Si era ricordato della foto trovata nel suo portafoglio, tempo prima, quando aveva aperto il suo zaino: la foto di un bambino che portava i suoi stessi occhi.
<< Asciugati. >> aggiunse porgendole un fazzoletto rosso che teneva sempre appeso alla tasca posteriore dei pantaloni. Non era stato di molte parole, ma era stato facile sentire e cogliere il suo tono dolce e comprensivo. Ocean si rese conto di avere le guance umide e se ne vergognò.
<< Che stupida. >> commentò mentre passava la bambina al ragazzo e prendeva il suo fazzoletto. Si asciugò le lacrime e si sforzò di riacquistare il sorriso il prima possibile.
Daryl non le fece domande, e questo Ocean lo apprezzò tanto. Sapeva essere discreto e sensibile, era una grande qualità, soprattutto in periodi bui come quelli.
Dopo qualche minuto tornò Carol con un biberon in mano << E' ora di pranzo, Piccola Spaccaculi. >> comunicò sorridente prendendo il fagotto dalle braccia del ragazzo.
<< Era una bella canzone. >> sorrise poi Carol a Ocean, anche lei dimostrando tatto e dolcezza.
La ragazza, seduta un paio di scalini più in basso rispetto a Darl, rispose al sorriso << Mia madre ce la cantava sempre. >> poi aggiunse, rendendosi conto della mancanza di un'informazione << A me e mia sorella. >>
Carol diede il biberon alla bambina che già aveva cominciato ad agitarsi tra le sue braccia, affamata << Avevi una sorella? >> chiese incuriosita.
<< Gemella. Si chiamava Chiara. >> sorrise ancora Ocean. E ancora constatò che non le faceva più male pensare a loro, solo tanta tristezza e malinconia. Le mancava.
<< Sarebbe stato interessante se tu ce l'avessi presentata. >> disse malizioso Merle, beccandosi le occhiatacce di tutti i presenti, tranne che di Ocean stessa che, al contrario di quanto gli altri si sarebbero potuti aspettare, scoppiò a ridere per l'affermazione << Non credo tu avresti avuto qualche chance, Merle. >>
Merle staccò le spalle dal muro su cui era appoggiato e allargò le braccia,gonfiando il petto << Che c'è? Non sono il suo tipo? >> e Ocean rise ancora. Merle era un idiota, e forse proprio per questo la faceva ridere. Non lo trovava poi così male, aveva solo il difetto di dire quello che pensava senza troppi freni inibitori e in maniera poco delicata, ma bastava saperlo prendere.
<< Era sposata. >> spiegò lei e lanciò una fugace occhiata a Judith << E aveva un bambino. >>
<< Così giovane? >> chiese sconcertata Carol.
<< Beh, abbiamo 27 anni. E' un'età giusta. >> spiegò Ocean arrossendo un po'. A nessuno sfuggì l'accidentale uso del presente. Un desiderio sfuggito al controllo del suo prepotente e stracarico inconscio.
In quel momento Molly sbucò dal blocco delle celle, ancora mezza addormentata, con i capelli spettinati e le manine che si stropicciavano gli occhi. Non disse niente, ancora troppo assonnata per parlare.
<< Buongiorno, dormigliona! >> la salutò Ocean sorridendo. Molly le corse incontro e le si tuffò in braccio, poggiando la testa sulla sua spalla. La ragazza cominciò ad accarezzarle i capelli, nel tentativo di sistemarli grossolanamente e con un dolce sorriso stampato in faccia sussurrò << Stai ancora dormendo, eh? >>
Molly annuì e basta, guardandosi poi attorno con gli occhi semichiusi, cercando probabilmente di capire dove fosse e che ore fossero.
<< Hai dormito tutto il pomeriggio lo sai? >> le disse ancora dolcemente, sempre intenta a sistemarle i capelli.
<< Dovevo sparare alle bottiglie con Daddy. >> mugulò lei delusa, con la voce ancora gracchiante.
<< Lo faremo domani mattina. >> sorrise Daryl, guardando la rossa dalla posizione sopraelevata in cui si trovava.
In quel momento la porta del loro blocco si aprì e rientrarono finalmente Rick, Michonne e Carl, con un volto scuro, preoccupato e una decisione.
<< Parleremo con il Governatore. >>

<< Rick, fammi venire con voi! >> lo implorò ancora Ocean, la mattina del loro incontro. Ne avevano già parlato a lungo, più volte in quei giorni, ma l'uomo era sempre risultato irremovibile.
<< No, ho già detto che verranno con me solo Daryl e Hershel. >> disse l'uomo
<< Ti prego! Non posso restare chiusa qui dentro mentre voi... >>
<< Hai già avuto il tuo momento con il Governatore, e non è andata bene. Sappiamo tutti che tipo di rapporto c'è tra voi due. >> disse Rick cercando di essere risoluto.
<< Non farò cose stupide. Lo prometto! Starò buona, non mi lascerò andare all'istinto. Seguirò le tue istruzioni. E poi ci sarà Daryl con me, lo sai che.... >> arrossì un po' << ...Beh, lui riesce a controllarmi. >>
<< Daryl non può stare dietro a te. >> la stava trattando come una capricciosa ragazzina e questo la mandava in bestia.
<< Non lo farà! So badare a me stessa. >>
<< No, non è vero. >> rispose Rick con un certo astio e provocazione, voltandosi per fulminarla. Discutendo e litigando erano ormai arrivati alle auto già pronte per partire. Daryl stava sistemando le ultime cose alla sua moto, ed Hershel era dentro l'auto, che finiva di sistemarsi un coltello legato a quel che rimaneva della gamba tagliata.
<< Se le cose si mettono male non potrai fare affidamento solo sulla balestra di Daryl, è troppo poco. >> disse Ocean sostenendo il suo sguardo, senza lasciarsi intimorire e facendosi scivolare quelle accuse addosso. Era arrabbiato con lei. Non glielo aveva mai detto, ma ora era impossibile non notarlo: era arrabbiato per quello che aveva fatto. Per essersi messa in pericolo a Woodbury e probabilmente perchè così aveva messo in pericolo anche Daryl, che sarebbe stato disposto a buttare tutto all'aria pur di salvarla.
<< Il Governatore arriverà lì ben armato e protetto, lo sai. Forse non li vedrete ma ci saranno uomini nascosti pronti a intervenire, e voi sarete in due più uno zoppo, credi di riuscire a farcela? >>
<< Dobbiamo risultare pacifici, se ci vede arrivare in troppi si allarmerà. >> stava per entrare nell'auto quando Ocean lo afferrò per la camicia e lo tirò di nuovo indietro, costringendolo a voltarsi << Rick, per favore! >> sibilò tra i denti.
<< Perchè ci tieni tanto a venire? >> chiese lui non capendo la tanta insistenza, se le sue intenzioni non erano quelle di venire per ucciderlo.
<< Perchè non riesco a stare qui. Voi....se vi succedeste qualcosa e io non fossi lì...Dio, uscirei di testa. >> Rick riuscì a cogliere il panico negli occhi della ragazza, panico che era nato solo dall'ipotesi che dovesse succedere qualcosa. Voltò lo sguardo verso Daryl, intento a chiudere l'ultima borsa della sua motocicletta: sapeva che era solo lui il vero problema. In quei giorni lui e Ocean avevano cominciato insieme qualcosa di più grande, ormai era noto a tutti, e riusciva a capire la follia che le avrebbe preso al saperlo solo in mezzo a un mare di pallottole. Oltretutto, la presenza del Governatore la spaventava ancora di più: era terrorizzata dall'idea che lui le avesse portato via la cosa che le era più cara al momento, un'altra volta.
<< Se la caverà. Tornerà, vedrai. >> disse più tranquillo, cercando solo di risultare convincente e non aggressivo. Anche Ocean si voltò, seguendo lo sguardo dell'uomo e posò gli occhi su Daryl. Aveva colto il segno. Ma non era solo quello.
<< Devo vederlo. >> ammise abbassando la testa << Lui deve vedermi. Deve vedere che ha fallito un'altra volta. Lui....non si ricordava di me. Non sapeva chi ero! Ora... >> non sapeva neanche lei come farglielo capire senza attorcigliarsi in scuse banali << Voglio che sappia con chi ha a che fare. >> era solo orgoglio il suo, ne era consapevole, ma ne stava diventando ossessionata.
Rick abbassò gli occhi, pensieroso e sospirò.
<< Per favore. La prigione è sicura! Ci sono Merle, qui, e Maggie, Glenn, Carl, Michonne, Carol. Sono tutti bravi con le armi, possono difenderla. Una persona in più che differenza fa? Giuro non ho cattive intenzioni, ho solo bisogno di essere lì e... controllare... credo... farò attenzione! Non farò cose stupide! >>
Rick sospirò e le diede una leggera pacca alla spalla, ormai stufo di sentirla parlare << Sali, forza. >>
Ocean sorrise << Grazie. >> e si tuffò sui sedili posteriori dell'auto, chiudendosi la portiera alle spalle.
Arrivarono al luogo: una specie di cisterna abbandonata, con vecchi casolari arrugginiti e ammuffiti. Un posto lugubre. Rick e Ocean uscirono silenziosi dall'auto, e il primo fece cenno a Hershel di aspettare. Daryl si mise a capo del piccolo gruppetto, con la balestra ben spianata davanti, avanzava silenzioso, osservando ogni ombra e ascoltando ogni minimo rumore. Dietro di lui veniva Rick e infine Ocean a chiudere la fila, guardava loro le spalle. Rimasero nascosti dietro le vecchie cisterne, giungendo al casolare dal retro, sperando questo li avrebbe protetti da un eventuale imboscata. Daryl si fermò a osservare uno zombie a terra, controllando fosse morto e Rick nel frattempo corse avanti. Fece cenno ai suoi due compagni di aggirare il grande casolare che avevano raggiunto: lui sarebbe entrato da dietro, loro due sarebbero andati davanti a controllare la situazione.
Daryl e Ocean, obbedendo, cominciarono dopo poco a sentire delle voci provenire da dentro e non fu difficile capire di chi fossero: Rick e il Governatore avevano cominciato la loro chiacchierata. Daryl precedeva la ragazza, tenendosela dietro e andando per primo in avanscoperta. Arrivò a una finestra e tenendosi nascosto cercò di sbirciare dentro. Ocean, dietro di lui, fece altrettanto. Come immaginavano il Governatore era già lì e stavano parlando, anche se Rick aveva già puntato la pistola contro il suo viso. Erano tutti tesissimi e nessuno sapeva come sarebbe andata a finire quella giornata. Erano soli in mezzo al nulla col nemico, le probabilità di uscirne indenni erano poche.
<< Vado a fare un giro. >> Bisbigliò il balestriere alla ragazza << Tu resta qui, tieni d'occhio la situazione. >>
<< Ok. >> annuì lei mettendosi al suo posto, chinata sotto la finestra, con la testa appena sporta per guardare dentro.
Daryl fece qualche passo, poi si voltò nuovamente e aggiunse << Non fare cose stupide! >>
Ocean alzò gli occhi al cielo e sbuffò: questa improvvisa mancanza di fiducia da parte di tutti la stava scocciando. Fino all'episodio di Woodbury nessuno l'aveva tormentata tanto sul suo modo di fare.
Daryl si allontanò e la lasciò sola, ad origliare la conversazione tra uno dei suoi più grandi amici e l'uomo che avrebbe voluto veder saltare in aria.
Erano passati neanche due minuti da quando Daryl si era allontanato e si era fermato a parlare con Hershel, in macchina, sulla strada poco lontano, che sentirono arrivare spedita un auto. Ocean si raddrizzò, allontanandosi dalla finestra e si avvicinò al gruppo per controllare chi stesse arrivando, puntando repentina la pistola di fronte a sè.
Una jeep color crema arrivò quasi sfondando il recinto e si fermò a pochi metri da Daryl, da cui uscirono repentini Andrea, un uomo che nessuno aveva mai visto, dallo sguardo scocciato e una camicia stupida e Martinez.
Ocean si avvicinò fino ad affiancare Daryl e continuò a tenere sotto tiro il gruppo, ignorando il fatto che con loro ci fosse Andrea.
<< Perchè il tuo uomo era già dentro? >> ringhiò Daryl alla bionda.
Andrea si guardò attorno un po' spaesata, prima di chiedere << E' qui? >>
<< Sì. >> ringhiò ancora lui.
Andrea sbuffò e corse dentro il casolare.
Martinez guardò il gruppetto che aveva di fronte e strabuzzò un po' gli occhi, ma con discrezione, quando vide che tra loro c'era Ocean, in piedi e ancora viva. Ocean notò il suo sguardo sorpreso e ne fu felice: l'aveva riconosciuta. Ora sapevano che era maledettamente e pericolosamente viva.
Si lasciò scappare un sorriso provocatorio prima di dire << Ciao, Martinez. >>

<< Forse è il caso che io entri. >> suggerì Hershel, dopo mezz'ora di attesa. Inizialmente c'era stata un po' di tensione, tutti avevano colto il tono provocatorio della ragazza al saluto, ma per fortuna Ocean aveva mantenuto la promessa e non aveva fatto niente di stupido. Ora era seduta sul cofano dell'auto, un ginocchio tirato su e su cui poggiava il braccio pigramente, e non faceva niente se non guardarsi attorno.
<< Il Governatore riteneva opportuno che lui e Rick parlassero da soli. >> intervenne l'altro ragazzo, quello dietro Martinez, che ora era poggiato all'auto ed era impegnato a scrivere chissà cosa su un foglio di carta.
<< E tu chi diavolo sei? >> chiese Daryl abbastanza innervosito dal suo modo di fare da saccentino.
<< Milton Mamet. >> si presentò lui tranquillo. Aveva l'aria da topo di biblioteca e di uno che non sa ancora un cazzo.
<< Grandioso...ha portato il maggiordomo. >> brontolò Daryl visibilmente irritato. La frase fece ridere Martinez, anche lui poggiato al cofano della sua auto, ma non ebbe lo stesso effetto su Milton che spiegò scocciato << Sono il suo consigliere. >>
<< Oh. >> affermò Ocean, intervenendo nella discussione con l'aria di chi ha appena avuto una brillante idea << Allora sappiamo a chi dare la colpa. E io, sciocca, pensavo fosse stato tutto frutto della mente malata del Governatore. >> disse. Se era lui a dar consigli al Governatore allora stava facendo un pessimo lavoro, dati i pessimi risultati.
<< Che tipo di consigli dai? >> chiese ancora Daryl provocandolo.
<< Pianificazioni, zombie...ma chiedo scusa, non mi sento in dovere di giustificarmi con un tirapiedi. >> rispose quattrocchi.
<< Bada a come parli, raggio di sole. >>
<< Se dobbiamo stare qui tutto il giorno a puntarci addosso le armi... >> intervenne Martinez rivolto a Daryl << ...fammi il favore di chiudere il becco. >>
L'affermazione ebbe un pessimo effetto su Daryl: detestava chi gli metteva i piedi in testa. Gli si avvicinò minaccioso, fissandolo negli occhi come un cane che sta per saltare alla gola del suo avversario. Martinez non lo temette e si raddrizzò sostenendo il suo sguardo. Restarono qualche secondo e fissarsi negli occhi, in una lotta di sguardi, quando Ocean ridacchiò << Non fare niente di stupido, Ocean. >>
Avevano ammonito a lungo lei, rompendole le scatole sul suo modo di fare impulsivo e poi il primo ad attaccar briga era proprio lui. Ma Daryl non sembrò darle retta, non lo faceva mai, seguiva sempre e solo il suo testosterone e questo la fece sbuffare << Andiamo, D! Lascia perdere. >>
<< Sì, D. >> lo canzonò Martinez << Ascolta la fidanzatina, lascia stare. >>
Ocean in meno di mezzo secondo scivolò giù dal cofano della sua auto e si avvicinò a passi veloci a Milton, puntandogli la pistola alla tempia. Tutti sobbalzarono, Milton per primo mugolò terrorizzato, Martinez puntò la sua pistola a Ocean, mentre Daryl e Hershel la puntarono a quest'ultimo e il tempo sembrò fermarsi, costringendo tutti a trattenere il fiato.
<< Sei simpatico, ma io lo sono di più. Vuoi vedere un bel giochetto? Io ammazzo la talpa qui presente, loro ammazzano te >> disse indicando con un gesto della testa Daryl e Hershel << dopodichè irrompiamo lì dentro e fine della faccenda. Il tuo Governatore sarà anche un figlio di puttana ma certo non può farcela da solo contro quattro. >>
<< Cerchiamo tutti di tranquillizzarci! >> cercò di tamponare Hershel, l'unico che ancora riusciva a mantenere il sangue freddo << Ocean! Abbassa la pistola. >>
Ma la ragazza restò ben ferma sui suoi piedi senza staccare lo sguardo duro e freddo da Martinez. La furia bruciava nei suoi occhi.
<< Ocean!!! >>

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Capitolo 30
*** Palpitazione. ***


Palpitazione.


La mano di Ocean tremò sul grilletto, l'idea di farli tutti fuori la stuzzicava. Inoltre voleva dare una lezione a quell'idiota di Martinez.
Serrò la mascella. Milton chiuse gli occhi, spaventato e cominciò a borbottare tra sè e sè, forse a pregare.
Poi mollò improvvisamente la presa. Sempre tenendo lo sguardo fisso sul ragazzo, alzò la pistola, allontanandola dalla tempia di Milton, il quale tirò un sospiro di sollievo, e fece un passo indietro. Aveva ancora tutti i muscoli tesi quando disse << Tieni a freno la lingua e io terrò a freno la pistola. >> e tornò a sedersi sul cofano. Anche Hershel e Daryl abbassarono l'arma, seguiti subito dallo stesso Martinez, e ognuno tornò al proprio posto.
Daryl si avvicinò alla macchina su cui era seduta Ocean e si poggiò al cofano, vicino a lei. Tirò fuori dalla tasca delle sigarette, gliene porse una e un'altra la tenne per sè. Un gesto di solidarietà, forse un modo per ringraziarla, sicuramente per tranquillizzarla. Erano tutti su di giri, ma lei più degli altri, e Daryl questo lo sentiva e lo capiva.
La sigaretta era quasi arrivata al termine quando Andrea uscì di nuovo dal casolare, sospirando nervosa, e si andò a sedere su una panchina, lontana da tutti. La trattativa dentro stava tirando per le lunghe e probabilmente non andava bene, vista l'espressione della bionda.

Il tempo passava lentamente e più volte Ocean aveva alzato la testa per controllare la posizione del sole, ma sembrava non muoversi.
Non si sentiva niente in quel piccolo campetto che si era andato formando, se non i passi nervosi di Daryl, che non smetteva di fare avanti e indietro, e gli sbuffi annoiati di tutti gli altri.
Milton, dopo un po', si fece coraggiosamente avanti con un ridicolo tentativo di socializzazione << Possiamo approfittare del tempo che dobbiamo passare insieme per parlare anche noi della questione. >>
Ma Martinez l'ammonì subito << Il capo ha detto di aspettare in silenzio. >>
<< Intendi il Governatore! >> lo corresse Daryl, sottolineando il distacco tra la parola "capo" e la persona che era chiusa dentro con Rick. Lui non era capo di nessuno, soprattutto loro.
<< E' un bene che parlino, soprattutto dopo quello che è successo. >> disse ancora Milton. Ocean lo guardò sottecchi e non potè che chiedersi da dove fosse sbucato quell'idiota, ancora così legato alla burocrazia e ai valori di un mondo che ormai era marcio. Le ricordava tanto il compagno secchione che era sempre stato preso di mira nella sua classe al liceo.
<< Risolveranno. >> continuò lui << Nessuno vuole un'altra battaglia. >>
<< Non la chiamerei "battaglia". >> intervenne ancora Daryl, infastidito.
<< La chiamerei battaglia. >> disse risoluto Milton << e l'ho fatto. L'ho raccontata. >> disse, alzando un quadernetto e mostrandolo a tutti orgoglioso.
Ocean ridacchiò e intervenne ancora << Ci scrivi anche il nome dei tuoi fidanzatini, lì dentro? >> poi si lasciò cadere sull'auto, stendendosi in modo che il sole potesse scaldarle il viso. Si portò entrambe le mani dietro la nuca e rimase ancora in ascolto delle cazzate che avevano da sparare.
Ovviamente Milton non rispose alla provocazione, ma rispose al << Perchè? >> di Daryl.
<< Qualcuno deve descrivere quello che abbiamo passato. Sarà parte della nostra storia. >>
Ocean si sollevò su un gomito, puntando gli occhi sull'uomo, alzando un sopracciglio e chiedendo sconcertata << Cosa?! >>
Storia? Quale storia? Non c'era più vita e non ce ne sarebbe stata, chi avrebbe letto la "storia"?
Ma Hershel forse non sembrava dello stesso parere perchè disse, dopo qualche secondo di riflessione, << Ha senso quello che dici. >>
Milton fece un sorriso, soddisfatto di aver trovato qualcuno con cui condividere i suoi pensieri, sentendosi finalmente capito e sostenuto. Si avvicinò al vecchio, cominciando a raccontare << Ho raccolto decine di interviste che... >> ma fu interrotto da dei versi gutturali provenienti da un punto alle loro spalle: alcuni zombie si stavano avvicinando.
Ocean saltò di nuovo giù dall'auto e sfoderò la spada che portava in vita. Daryl fu il primo a partire, seguito anche da Martinez e Andrea. Passarono oltre un cancello in lamina e seguirono i versi fino a dietro due cisterne. Un paio di zombie stavano andando loro incontro, solo due, niente di cui preoccuparsi.
Daryl si fermò e guardò provocatorio Martinez << Dopo di te. >> disse con un gesto plateale del braccio.
<< Ma scherzi? >> rispose con la stessa provocazione l'altro << Dopo di te. >>
Andrea e Ocean, dietro di loro, li guardarono a bocca aperta, incredule. Erano uomini: finchè non si fossero presi a cazzotti non sarebbero stati soddisfatti. Sospirarono insieme, alzando gli occhi al cielo, e passando in mezzo ai due, spintonandoli appena per riuscire a passare, si lanciarono sui vaganti. Andrea ne abbattè uno dopo averlo schiacciato contro la cisterna e avergli infilzato il cranio con il suo coltellino. Ocean, invece, con un colpo obliquo dal basso tagliò a metà la testa del secondo. Entrambi gli zombie caddero a terra e le due ragazze tornarono sui loro passi. Ocean lanciò uno sguardo divertito a Daryl, quando gli passò davanti per tornare alle auto, sguardo a cui lui rispose. Permisero per qualche secondo ai loro occhi di incrociarsi, cercando e ritrovando sempre la loro confortevole complicità.
Il modo di fare da duro del ragazzo era da stupidi, e proprio per questo la divertiva.
<< Femminuccia. >> lo canzonò Martinez, prima di avvicinarsi a un terzo che stava arrivando proprio in quel momento, e, con un colpo della sua mazza da baseball, gli fece saltare la testa. Si voltò ammiccante verso Daryl, provocandolo ancora, il quale poi alzò la balestra e abbattè un quarto vagante, proprio poco più avanti. E dopo di nuovo Martinez, e così via, in una gara a chi ce l'aveva più grosso.
Andrea alzò gli occhi al cielo, prima di seguire la ragazza, e tornare anche lei alle auto.
Hershel e Milton intanto avevano intrapreso una lunga chiacchierata e i due sembavano essersi trovati.
La bionda si sedette nuovamente sulla panchina, sorreggendosi il viso con le mani e sbuffò, aspettando. Ocean si fermò un istante a guardarla, pensierosa, poi decise di avvicinarsi.
<< Mi dispiace per quello che è successo alla prigione. >> cominciò << Non volevo attaccarti in quel modo. Ma...perchè stai con lui? >> chiese, proprio non capendo.
<< Ci sono delle persone a Woodbury, sono innocenti. Philip le protegge. >> sorrise Andrea, cercando di farlo sembrare palusibile.
<< Certo. >> annuì Ocean poco convinta, prima di aggiungere << Sai che Philip mi ha quasi uccisa? Un colpo di mazza da baseball alla testa. Non voleva che Merle tornasse da suo fratello e sapeva che io potevo portarcelo. >>
Andrea la guardò spalancando gli occhi, incredula alle sue orecchie, e Ocean continuò << Già. Sono svenuta poi, non so cosa sia successo, so solo che quando mi sono risvegliata ero a casa. Credo che i ragazzi siano arrivati in tempo per salvarmi. >>
<< Non è possibile, io non.... >> poi si fermò, colta da un pensiero << ...tu cosa ci facevi lì? >>
A Ocean scappò un risolino e d'istinto alzò lo sguardo, puntandolo davanti a sè. Riuscì a vedere la sagoma di Daryl dietro il cancello in lamina, stava offrendo una sigaretta a Martinez.
<< E' una lunga storia. >> disse semplicemente, prima di alzarsi e avviarsi un'altra volta alla sua auto << Vado a prendere il sole. >> aggiunse, e risalendo sul cofano si stese nuovamente.

Daryl offrì una sigaretta a Martinez: infondo era un tipo tosto, meritava il suo rispetto. Anche se dalla parte di due fazioni opposte, erano tutti nella stessa barca.
<< No. >> disse lui << Le preferisco al mentolo. >>
<< Coglione. >> bisbigliò Daryl, accendendosi la sua << Sei un militare? >> chiese poi, curioso, giusto per intraprendere un dialogo qualunque. Aveva combattuto bene e sembrava saperci fare, per questo aveva pensato al militare.
<< No. E' che odio quei cosi...dopo quello che hanno fatto a mia moglie. >> ammise Martinez, giocherellando con la sua mazza insanguinata.
<< Mi dispiace. >> disse repentino Daryl. A chiunque capitasse, era sempre una brutta faccenda.
Ne seguì un piccolo silenzio, che permise ad entrambi di starsene in pace con se stessi. Poi Martinez alzò gli occhi, li puntò sull'auto dove era stesa Ocean e accennò un sorriso << E' la tua ragazza? >> chiese, indicandola con un gesto della testa. Daryl si voltò a guardare in quella direzione e fissò Ocean per qualche secondo. Poi abbassò di nuovo la testa e guardò di sottecchi Martinez al suo fianco. Fece un tiro dalla sua sigaretta, accennando un sorriso che proprio non riuscì a trattenere e ammise << Una specie. >>
<< E' carina. >> sorrise ammiccante Martinez.
<< E' in gamba. >> disse Daryl, quasi fosse una correzione a quanto aveva detto il primo, il quale annuì << Sì, è vero. >> e poi aggiunse sospirando << Ha ucciso due dei nostri. >>
<< Lo so. >> rispose il primo, duro e fermo, già pronto a scattare in sua difesa se solo si fosse azzardato a dir qualcosa di sbagliato.
<< Erano brave persone. >> continuò Martinez.
<< Aveva le sue buone ragioni. >> continuò a sua volta Daryl, imperterrito. Ognuno fermo sulle sue convinzioni.
E la risposta migliore fu proprio quella che seguì: il silenzio.

Le porte si spalancarono all'improvviso con un gran baccano. Ocean si alzò di colpo, destandosi improvvisamente da quello che si era trasformato in un sonnellino e puntò gli occhi sui due appena usciti. Il Governatore passò per primo e inizialmente parve non notare la ragazza stesa sull'auto, ma il suo occhio buono colse qualcosa. La voce della ragazza, che lo chiamava bassa e quasi solenne nel suo falso saluto, fu l'invito definitivo a voltarsi e controllare quale volto portasse quella figura nera alla sua sinistra. La sopresa che nacque sul suo viso fu quasi impercettibile, ma Ocean, attenta osservatrice, riuscì a coglierla. Credeva di averla uccisa. Era questa la verità: aveva pensato che quel colpo di mazza l'avesse finita e invece era ancora in piedi, viva, proprio davanti ai suoi occhi, come se niente fosse successo.
Il Governatore accennò un fugace sorriso di sfida, poi si allontanò ed entrò nella propria auto radunando i suoi uomini. Ocean scese da quel cofano e osservò Rick mentre camminava in quella direzione: aveva una faccia strana. Chissà cosa si erano detti i due in quelle ore che erano rimasti rinchiusi nel casolare. Si fece da parte, permettendogli di entrare nella vettura e si andò a sistemare sui sedili posteriori, dove si stese disordinatamente, intesa a riprendere il suo sonnellino, anche se i pensieri ora erano troppo rumorosi per concederle ristoro.
Pensieri che facevano invece invidia al silenzio tormentato che li accompagnò per tutto il viaggio di ritorno.

Tornarono alla prigione e quando scesero tutti gli altri si radunarono lì intorno, curiosi di sapere cosa fosse successo, curiosità che aumentò nell'osservare i volti assorti dei loro compagni appena tornati.
Rick si guardò attorno, notò gli sguardi dei suoi compagni, si assicurò che i cancelli fossero ben chiusi e si avviò verso la prigione richiamando gli altri.
Una volta dentro, accerchiato da tutti, uno più curioso e preoccupato dell'altro, fece un sospiro e cominciò a parlare << Allora, ho incontrato quel Governatore. Abbiamo chiacchierato un bel po'. >>
<< Solo voi due? >> chiese Merle.
Rick annuì << Sì, solo noi due. >> e la cosa parve non piacergli: sospirò e allontanandosi disse << Dovevamo andarcene quando potevamo. >>
<< Lui vuole la prigione. >> continuò Rick, mettendo da parte l'inconveniente Merle << Ci vuole cacciare... Uccidere.... Ci vuole uccidere per quello che abbiamo fatto a Woodbury. >> fece una pausa, permettendo a tutti di avere tempo di metabolizzare quanto detto, poi annunciò << Entreremo in guerra. >> e con questo si allontanò, lasciandosi alle spalle tanti cuori terrorizzati.

L'aria quella sera era più fredda del solito e costrinse Ocean a uscire con addosso il suo caldo e pesante mantello. Salì in cima alla solita torre di guardia, sola e isolata, con l'unica intenzione di immergere i propri pensieri in quelle stelle, che quella sera sembravano più luminose che mai. Il fiato che usciva dalle sue labbra facevano strani disegni in sbuffi di vapore e lei li osservò incuriosita.
In realtà, tutto ciò di cui realmente aveva bisogno era poter staccare la spina.
Quella giornata, piena di tensione e che si era conclusa con una delle notizie peggiori, l'aveva scossa abbastanza. Si dimostrava forte, cercava di rassicurare chi aveva paura e puntava la pistola con disinvoltura contro il nemico, ma in realtà aveva una paura folle.
Poggiò i gomiti sulla ringhiera e si portò entrambe le mani alle labbra, incrociando tra loro le dita e ci soffiò sopra, cercando calore e ristoro. Un freddo venticello le fece svolazzare alcuni ciuffi della frangia e questo la convinse a portarsi il cappuccio sopra la testa. Sospirò ancora e si piegò in avanti, poggiando pigramente il mento sulle braccia ora stese sulla ringhiera.
Era una notte così triste.
La porta alle sue spalle si aprì e lei sentì di non aver bisogno di voltarsi per controllare chi fosse.
Era il loro solito appuntamento notturno, quello dove fumavano, ogni tanto parlavano, ma la maggior parte del tempo lo passavano vicino l'uno all'altra, bisognosi solo di sentire calore umano a confortare i loro tristi e impauriti animi.
<< Fa freddo stasera. >> constatò Daryl, avvicinandosi alla ringhiera e offrendo la solita sigaretta alla sua compagna.
<< Già. >> rispose lei semplicemente, facendo il primo tiro e restando poi in silenzio, a osservare la carta che lentamente bruciava e il fumo che da essa si sprigionava.
<< Che situazione del cazzo. >> sospirò lui prima di fare un tiro dalla sua. Ocean annuì, e ancora non disse niente. Non aveva niente da dire: aveva solo tanta paura. Non c'era niente da commentare. Daryl la guardò di sottecchi, cogliendo di sfuggita i suoi occhi, nascosti dal cappuccio, e la testa china che fissava la sigaretta stretta tra le sue dita.
<< Hai paura? >> chiese poi.
Ocean si voltò di scatto, sorpresa, e chiese di rimando << Tu no? >>
Daryl abbassò gli occhi prima di annuire e ammettere con tono basso << Sì, anche io ho paura. >>
La ragazza si sentì vicina a lui in quel momento più che mai. Raramente lui parlava di sè e di ciò che provava, lasciava tutto ai suoi occhi e all'interpretazione che gli altri ne facevano. Sentirlo ammettere di avere paura rendeva tutto più reale, terrorizzava, ma lo metteva al suo stesso livello e non la faceva sentire una sciocca intimorita dalle ombre.
Si staccò dalla ringhiera su cui era poggiata e senza indugio gli circondò il busto con le braccia, posò il viso sulla sua spalla e si strinse a lui. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sentirlo legato a sè, di sentire la robustezza del suo corpo a infonderle sicurezza, il suo calore, le sue braccia a rammentarle che non era sola.
<< Noi siamo forti. >> bisbigliò lei, più per se stessa che per il suo compagno. Daryl sospirò nel sentirla dire quelle cose e la strinse a sè, mormorando al suo orecchio << E' tutto ok. >>
Lei si sorprese a tremare. Nella sua mente il sorriso sghembo del Governatore non se ne voleva andare.
<< Ho paura, Daryl. >> mugolò, stringendo la sua giacca tra le dita.
<< Guardami. >> la invitò severo, sollevandole il mento, costringendola ad alzare il viso << Non ci riuscirà. Te l'ho promesso. >> continuò a osservare i suoi occhi spaventati e insistè ancora, scuotendola appena << Hai capito? >>.
Avevano tutti paura, ma lui avrebbe fatto il possibile per impedire che il Governatore avesse avuto la meglio, anche a costo della sua stessa vita.
Ocean sorrise appena, adorava vederlo così per lei, le piaceva vedere quando la corazza Dixon crollava e ultimamente succedeva spesso. Annuì e rispose con serenità << Sì, ho capito. >>
<< Bene. >> sorrise anche lui accarezzandole di nuovo il viso: aveva sempre i capelli davanti agli occhi, qualche ciocca non stava mai dove doveva e a lui piaceva avere la scusa di liberarle il volto per poterla toccare.
<< Sei stata forte, oggi. >> disse poi, sorridendo ancora, allentando la tensione, ma tenendola lo stesso stretta a sè. Non voleva liberarsene. << Quando hai puntato la pistola alla testa di quel coglione. >>
Ocean rise: era stata una reazione istintiva, solo a posteriori la trovava stupida, tanto da risultare quasi divertente.
<< Pensavo tu avresti puntato la balestra a me. >> confessò lei.
<< Perchè avrei dovuto? >> chiese lui sghignazzando.
<< Niente cose stupide, Ocean! >> ripetè ancora lei, cercando di scimmiottare la sua voce.
Daryl rise, divertito da quella ridicola imitazione, e rispose repentino << Tu sei stupida! Chiederti non fare cose stupide è stupido. >>
Ocean sbattè gli occhi un paio di volte: non aveva più voglia di ridere, ma solo di ucciderlo.
<< Come scusa? >> chiese acida, pronta a sfoderare tutto il suo repertorio di offese e insulti. Come si permetteva a darle della stupida? E poi aveva cominciato lui quell'idiota discussione sterile con Martinez, lei era solo intervenuta a sua difesa, se c'era uno stupido era lui. Daryl ridacchiò e non rispose. Ocean gonfiò il petto e si preparò a sputar fuori a mitragliatrice tutte le parole poco carine che aveva per la testa, ma tutto morì lì quando lui si abbassò fino a trovare ancora una volta le sue labbra. Fu una sorpresa ed un emozione, come la prima volta, ma venne tutto più naturale e non sembrava più strano o spaventoso.
Le cose sarebbero andate come dovevano.
E anche se, dentro sè, cresceva sempre più la consapevolezza che ora sarebbe stato tutto più difficile, la lasciava lì, a crogiolarsi in se stessa, mentre lei cogliela l'attimo presente e ne faceva tesoro. Aveva paura, paura che se un giorno tutto fosse finito, se mai un giorno fosse ricominciato il supplizio della solitudine, probabilmente non avrebbe retto come era riuscita la prima volta e si sarebbe ammazzata quanto prima. Ma non faceva niente. Non faceva niente perchè lei avrebbe fatto l'impossibile per impedirlo, per impedire che tutto le venisse strappato di nuovo di mano, per impedire che lui le venisse strappato di mano.
Ormai si appartenevano l'un l'altra e mai più sarebbe stato diversamente.
Daryl le afferrò il viso con entrambe le mani e fece completamente sua quella bocca, prendendola quasi con prepotenza e rabbia. E probabilmente era così: c'era rabbia in tutto quello, la rabbia di non poter vivere certe esperienze da normali, ma dover sempre restare col timore che da un momento all'altro tutto sarebbe potuto cadere nell'oblio.
La spinse contro il muro, come aveva già fatto la prima volta e premette il suo corpo contro quello della ragazza.
Ocean si sentì completamente sopraffatta, Daryl la stava "prendendo" in senso letterale. Sentì la prepotenza del suo desiderio di averla, non per una sera, non per qualche tempo ma sempre. Averla, come si sarebbe potuto desiderare di avere una bella casa, una macchina, o un cucciolo. Qualcosa di cui poter dire "è roba mia, mi appartiene". Lo sentì nel suo far di lei quello che desiderava: l'accarezzava, la stringeva, premeva il bacino contro il suo, le baciava il collo e poi tornava alle labbra. Tutto troppo velocemente per poterle dar modo anche solo di prendere fiato.
Il fuoco la divorava dentro, il fiato le mancava, la testa girava, ma non voleva che finisse.
<< Se adesso entra Glenn, lo uccido. >> mormorò lui sulle sue labbra, facendola ridere, ma non concedendo alla sua ilarità troppo tempo, tornando subito sulle sue labbra, chiudendogliele, facendole sue.
Ocean allungò una mano alla sua sinistra, procedendo a tentoni, in cerca di una maniglia che non voleva farsi trovare. Si spostò leggermente in quella direzione, portandosi dietro un irrefrenabile Daryl, che non sembrava volerla lasciar andare neanche per un istante.
Finalmente la trovò e aprì la porta di quello che era probabilmente un ripostiglio. Scivolarono dentro, nel buio totale di una stanza che era grande quanto un bagno pubblico e si chiusero la porta alle spalle, lasciando fuori quel silenzioso e tenebroso mondo.
Finchè a est non sorse il sole.

La leggera luce del mattino filtrava da una piccolissima finestrella, sopra le loro teste. Ma non sembrò disturbare. Ocean era già sveglia da un pezzo, anzi, probabilmente il suo non poteva nemmeno essere considerato sonno, dato che aveva chiuso occhio solo per qualche minuto. Ancora nuda, stesa a terra, non smetteva di osservare il delicato peso che giaceva su di lei, con la testa poggiata al suo petto, profondamente addormentato, al contrario suo. Era crollato immediatamente, così com'era, e tuttora non dava cenno di svegliarsi: era stravolto e probabilmente il senso di relax dopo il rapporto gli aveva dato il colpo di grazia. Entrambi avvolti nel mantello di Ocean, unica fonte di calore, non sembravano preoccuparsi di ciò che stava accadendo fuori. Si erano ritagliati un meraviglioso angolino solo per se stessi.
Il respiro di Daryl si fece più silenzioso e meno profondo, segno che probabilmente stava cominciando a destarsi. Ocean sorrise addolcita e gli scostò i capelli, ormai troppo lunghi, dal viso. Lui si mosse lentamente in un sospiro, stringendosi di più all'esile corpo sotto al suo, ma ancora non aprì gli occhi. Era sveglio, ma rilassato e ancora troppo legato a quel dolce momento per lasciarlo andare. Era come un bambino che faceva finta di dormire, nella speranza di essere preso in braccio dal padre.
<< Hai russato. >> gli comunicò Ocean in un sussurro, scherzosa, continuando ad accarezzargli amorevolmente i capelli.
<< Erano gli zombie. >> mormorò lui pigramente, con la voce ancora troppo fiacca e roca, faticosa da usare. Ocean rise divertita e lo lasciò nel suo rilassato silenzio. Aveva ancora il respiro pesante, nonostante ormai fosse sveglio.
Lo trovava dolce, ed era la prima volta che faceva certi pensieri su di lui. Credeva di conoscerlo, credeva di sapere che tipo di persona era, e invece continuava a sorprenderla. Aveva così tanto dentro di lui che mai mostrava, solo ora se ne rendeva conto e si chiese quanto ancora avesse da scoprire.
<< Ti stanno crescendo un sacco. >> sussurrò ancora, osservando i suoi capelli. Quando l'aveva conosciuto erano molto più corti, poi aveva cominciato a fregarsene e ora quasi arrivavano a coprirgli gli occhi.
<< Me li farò tagliare da Carol. >> rispose ancora lui, sempre nella stessa posizione, con la stessa voce pigra e gli occhi chiusi.
<< A me piacciono così. >> sorrise Ocean << Ti fanno più macho. >> lo canzonò un po', ridendo lei stessadella sua affermazione, ma dicendo il vero. Lo preferiva con i capelli un po' più lunghi. Questa volta Daryl aprì gli occhi e si sollevò lentamente, con un sospiro rilassato, raggiungendo nuovamente le sue labbra, facendole ancora una volta sue, separandosene poco dopo, con lentezza, quasi fosse stato un terribile sforzo. Rimase qualche secondo a fissarla negli occhi, senza lasciar trapelare niente, tranquillo, ma assorto in chissà quali pensieri. Poi si sollevò, alzandosi e allontanandosi da lei con un rassegnato quanto preoccupato << Cazzo. >> mormorato tra sè e sè.
Ocean si allamò e chiese << Cosa? Che c'è? >>
<< Niente. >> rispose con tranquillità lui nel momento in cui prese a rivestirsi, volgendole le spalle.
<< No, non è niente. Non si dice "cazzo" per niente. >> insistè lui, agitata. Cosa gli era passato per la testa? Erano stati così bene fino a pochi minuti prima.
<< Sono libero di dire "cazzo" quando voglio. >> disse lui, ridendo sotto i baffi.
<< Non quando ti svegli nudo vicino a una ragazza! >> brontolò lei, alzandosi e vestendosi a sua volta. Daryl scoppiò a ridere e le si avvicinò, non permettendole di completare il suo lavoro: la cinse per i fianchi, tirandosela contro, e la guardò in viso con un ghigno << E' di questo che hai paura? >> chiese.
Ocean arrossì e si mostrò infastidita: si sentiva sciocca.
<< No... >> si affrettò a rispondere, neanche lei pienamente convinta << ...Forse... non lo so. >> e fece fuggire via gli occhi. Daryl la stava facendo sentire stupida, ma era veramente intimorita all'idea di essere stata solo uno "stupido errore". Lei era stata bene, perchè distruggere tutto?
<< Tu credi io sia quel tipo di persona? >> chiese lui quasi offeso, cercando i suoi occhi.
Ocean gli consentì di raggiungerli e lo guardò un po' provocatorio, squadrandolo prima di rispondere << Non dovrei? >>
Daryl accennò un sorriso divertito << Sono uno stronzo, eh? >> e Ocean annuì convinta << Sì, lo sei. >>
<< E tu sei fastidiosa, capricciosa e irritante. >> confessò lui.
<< Che bella coppia che siamo! >> scoppiò a ridere lei, ma ancora una volta fu ammotilita da un improvviso bacio.
<< Sono uno stronzo innamorato. >> bisbigliò sulle sue labbra, non appena l'ebbe lasciata libera, e senza aggiungere altro, con una normalità ancora più disarmante delle parole appena confessate, uscì dal ripostiglio comunicando << Vado dagli altri. Ci staranno cercando. Sbrigati a rivestirti, prima che ti trovi qualcuno. >>
Ocean non ebbe coraggio di muoversi per i 10 minuti successivi, completamente confusa e chiedendosi in continuazione se avesse capito bene.

<< Ocean. >> la salutò Hershel, vedendola arrivare dentro il blocco C << Tutto bene? >> chiese. Era difficile non notare il suo sguardo sperso e l'irrequietezza dei suoi movimenti.
Ocean alzò gli occhi e lo guardò, ma continuò a muoversi verso una direzione ignota, una qualsiasi << Sì. >> cercò di sorridere << Dove sono gli altri? >> chiese vedendo come fosse tutto stranamente deserto.
<< Carol è con Judith, Beth e Molly, dentro le celle, Rick in giro, Daryl sta cercando suo fratello, Michonne e Glenn sono fuori a sistemare i cancelli e Maggie fa la guardia. >>
<< Ok. >> disse distrattamente, e Hershel si chiese se avesse veramente ascoltato << Vado a fare un giro. Devo a Molly un paio di pantaloni e un libro. >>
<< Vai sola? >> chiese l'anziano, preoccupato.
<< Sì. >> disse ancora lei << Io ho bisogno.... >> si interruppe, pensando tra sè e sè, e concluse solo successivamente la frase con un balbettante << Io vado sola. >> e si allontanò, andando a prendere le sue armi, che si sistemò subito addosso.
<< Sicura di stare bene? >> chiese ancora Hershel, avvicinandosi a lei e notando come le mani le tremassero nel tentativo di agganciarsi in vita la spada.
<< Sì. Sì, sto bene. >> sorrise ancora, poco convincente. In quel momento la cintura scivolò dalla sua mano, slacciandosi per quel poco che era agganciata, e l'arma cadde a terra con un rumoroso tonfo. Ocean sospirò affranta, prima di abbassarsi a raccoglierla, rendendosi conto di quanto risultasse stupida in quel momento.
<< Ho dormito poco. Sai...il Governatore... >> si giustificò, e probabilmente sembrò credibile. Hershel annuì e le sorrise comprensivo << Se hai bisogno di parlare con qualcuno... >>
<< Lo so. >> sorrise ancora lei, alzandosi e riuscendo a finire di sistemarsi le sue cose addosso << Posso contare su di te. Lo so, ti ringrazio. >>
Si affacciò al blocco delle celle e chiamò Max, che non tardò a farsi vedere, scodinzolante come sempre e contento di poter passare del tempo con la sua padroncina.
<< Andiamo a fare un giro. >> comunicò al cane, ma anche a Carol che era sbucata in quel momento, sentendo la sua voce << Resteremo nei paraggi. Torneremo per l'ora di pranzo. >>
<< Ocean. >> la richiamò ancora Hershel, preoccupato e sicuramente intenerito nel vederla così confusa e agitata << E' già ora di pranzo. >>
Ocean trattenne il fiato: si sentiva un'idiota. Accennò un sorriso sdrammatizzato, ma le uscì pessimo. Scosse la testa, sempre più confusa: voleva allontanarsi di lì quanto prima. Stava andando in tilt.
<< Torniamo presto. >> disse sempliemente allontanandosi con gran velocità, seguita da Max che dovette trotterellare per riuscire a starle dietro. Corse fuori, dove come al solito, in giro per il cortile a brucare quel poco d'erba che riusciva, dato che il cortile esterno era stato preso d'assedio, c'era Peggy. Ocean la sellò e in pochi minuti era già in corsa verso chissà quale meta, solo per il gusto di prendersi un po' di tempo per sè, sola con i suoi animali. Come ai vecchi tempi, quando l'unica preoccupazione era riuscire a mangiare un boccone e scappare prima di diventare loro stessi un boccone.

Il sole aveva percorso un bel tratto sopra la sua testa,e lei, seduta sotto un albero, intenta a mangiare uno yogurt scaduto, trovato in un vecchio frigo abbandonato, rimase lì ad osservarlo a lungo. Max riposava al suo fianco, dopo aver corso per un po' nel tentativo di starle dietro. Avevano setacciato un paio di case in un villaggio lì vicino e Ocean era riuscita a trovare dei pantaloni per Molly e un libro. Li aveva infilati nella sua borsa e poi si era fermata per pensare. Peggy brucava l'erba lì vicino. Tutto sembrava tranquillo, tranne il suo cuore. Non riusciva a togliersi dalla testa quello che Daryl le aveva detto.
Non poteva dire sul serio.
Probabilmente aveva capito male.
<< Insomma... non può essere veramente... >> non riuscì a dire "innamorato", e si voltò verso Max, al suo fianco, attento ascoltatore << Siamo stati insieme solo una notte! >> poi si fermò a riflettere << Anche se a dir il vero ci conosciamo da un anno. Quindi...non è poi così assurda. >> si portò alla bocca un'altra cucchiata di yogurt e assunse un'espressione disgustata << Questo yogurt fa schifo. >> ammise.
<< Tu che ne pensi? >> chiese al cane, sperando in chissà quale risposta.
<< Io non so che dire. E così strano...insomma.. è Daryl! Non il principe azzurro a cavallo! >> chissà quale connessione nella sua mente la portava a contrapporre Daryl a qualsiasi cosa fosse amore, forse il suo modo di fare, anche se più volte aveva dimostrato di avere cuore e sensibilità. Non era un extraterrestre, non c'era niente di strano, ma non riusciva proprio a vedercelo.
Alla fine, affranta e sopraffatta da tutti i suoi pensieri ammise << Abbiam fatto una cazzata. >>
Un verso gutturale la costrinse ad alzare la testa dal suo yogurt, e vide arrivare uno zombie nella sua direzione.
<< E tu che vuoi? Lo yogurt è acido, non te lo consiglio. >> disse rivolgendosi a lui. Giocherellò col cucchiaino ancora un po', prima di decidere di posarlo, quando ormai lo zombie era a pochi passi da lei. Rapidamente si alzò, sfoderò la spada e lo uccise. Lo lasciò cadere a terra, osservandolo per un po', poi decisa annunciò << Torniamo a casa. >>
Non aveva risolto niente, era ancora confusa e su di giri, non stava capendo quello che stava succedendo, si sentiva una Alice sperduta nel Paese delle Meraviglie. Ma di una cosa era certa: non voleva stargli lontano. Qualsiasi cosa fosse successa, tra di loro, o a loro, per mano degli zombie, del Governatore o di loro stessi...qualsiasi cosa.... lei sarebbe restata lì. Con la sua famiglia.
Solo questo sapeva, e a ciò si sarebbe aggrappata follemente.


NDA

Ari-ciao :P
Allora, comincio subito con i ringraziamenti. Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e le preferite (siete tantissimi *____* tanto love <3 ), e ringrazio chi si prende la briga di recensirmi. Grazie del vostro tempo e delle belle parole che mi dedicate.
Il titolo del capitolo, Palpitazione....beh...palpitazione, batticuore....c'è da spiegarlo? XD 'nzomma è intuibile, no? Con tutto quello che è successo.
Volevo comunque comunicarvi che questa serie di cap. ""tranquilli"" per ora finiscono qui. Nel prossimo ci sarà un po' d'azione *rumore di spade e spari in sottofondo* e credo che rientrerà nella classifica dei miei capitoli preferiti :3 eheheheheheh
Vi do una piccola anticipazione, così, tanto per mettervi angoscia ahahahaha (tanto son già scritti i prossimi, devo solo rileggerli, quindi arrivano presto.)
"<< E così l'hai lasciata andare, eh? >> chiese lei, mettendo un piede sul parabrezza e cominciando a rovistare tra la sporcizia presente in giro, in cerca di una sigaretta.
Merle intuì i suoi desideri e gliene offrì una delle sue. Silenzioso, come se non fosse successo niente, come se intorno a loro non stessero radunandosi decine di zombie.
<< Che intenzioni hai? >> chiese lui buttando giù un lungo sorso di wisky, trovato in chissà quale angolo segreto di quel mondo abbandonato. Ocean fece entrare Max nella vettura, che andò a posizionarsi sui sedili posteriori, e si affrettò a chiudere finestrini e portiere.
<< Non lascerò a te tutto il merito di aver ucciso il Governatore. >>"

Baaaammm!! Chissà che succederà (io lo so già *si sente onnipotente* mhuahhaaha).
Vi mando un saluto.
A prestooooooooooooo :*

Ray.

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Capitolo 31
*** Prodezza. ***


Prodezza.

<< Che diavolo succede? >> si chiese.
Era appena salita in sella, pronta a tornare a casa, quando improvvisamente sentì partire l'allarme di un auto, non molto lontano da lì.
<< Saranno stati gli zombie? >> chiese ancora, chissà a chi in particolare.
<< Andiamo. >> invitò Peggy, facendole fare retrofront, e dirigendosi verso il luogo dove aveva sentito il suono. La sua era mera curiosità, ma anche precauzione: il controllo non doveva mai mancare. Doveva sempre sapere quello che aveva attorno per poterlo combattere.
Stava per svoltare l'angolo, arrivando così sul luogo, quando sentì la voce di Michonne gridare << Merle!!! Muoviti, Merle!!! >>
Corse nella sua direzione e scese all'istante da cavallo, appena in tempo per sfoderare la sua spada e perforare il cranio di uno degli zombie che stava per mordere la ragazza. La guardò velocemente, avendo poco tempo da dedicarle, e l'unica cosa che notò furono i suoi polsi incatenati a un palo << Che ci fai legata? >> chiese velocemente, prima di essere costretta a voltarsi e riprendere lo scontro, senza riuscire ad avere una risposta. Decine di zombie si stavano radunando davanti a quella villetta, attirati dal baccano che quell'idiota di Merle stava facendo con l'auto, intento com'era a cercare di manometterla per farla partire.
Si allontanò da Michonne, avvicinandosi all'uomo steso sotto il sedile del guidatore e con un altro colpo di spada tagliò la testa a uno degli zombie, prima che potesse mordergli la caviglia.
<< Ocean! Merle! >> chiamò ancora Michonne, di nuovo nei guai. Legata com'era non poteva fare molto e Ocean fu costretta di nuovo a intervenire per salvarla. Correva da una parte all'altra del cortiletto, recidendo teste per proteggere non uno, ma ben due dei suoi. Sola contro una madria, sentiva rabbia nei confronti dell'idiota che ancora macchineggiava nell'auto.
Improvvisamente il rumore cessò e lui uscì dalla vettura appena in tempo per trafiggere la testa di un altro zombie. Ocean, a due passi da lui, gli si scaraventò addosso e gli puntò la spada al viso,afferrandolo per il colletto
<< Che cazzo stai combinando? >> chiese.
<< Oh, ciao bambolina. >> salutò Merle con uno dei suoi sorrisi beffardi, liberandosi dalla sua presa con facilità e ritornando da Michonne.
<< Che fai? Che diavolo fai? >> brontolò ancora lei, alzando sempre più il tono della voce.
<< Come? Non lo sai? >> provocò ancora Merle, trascinando la nera verso l'auto.
<< Non so cosa, cazzo? >> cercò ancora di fermarlo, mettendogli una mano sul petto.
<< Il caro Governatore ha dato una scelta a Rick. Se questo gli consegnerà Michonne, lui promette di lasciarvi in pace. >> spiegò << E ora fatti da parte. >> minacciò, passando oltre.
<< Non vedo Rick, qui! Stai mentendo! >>
<< Rick non ha le palle. >> continuò a spiegare l'uomo.
<< E così ci pensi tu? Ma che gentile. >> gli disse sarcastica, incrociando le braccia al petto.
<< Libera di non crederci. >> alzò le spalle lui, prima di spingere la testa di Michonne nell'auto.
<< Fermo! Non ti permetterò di portarla via! >> gli si piazzò davanti, spingendolo.
<< Hai ucciso due uomini per vendetta, io ne sacrifico una per il bene di mio fratello e dei tuoi amichetti, non sei nella posizione di muovere decisioni del genere, tu! >>
Ocean lo guardò, sentendosi spiazzata. Aveva ragione, lei aveva ucciso degli uomini, di cui uno anche innocente. Era peggio di lui, non aveva diritto di dire niente. Merle chiuse la portiera e si avviò al lato guidatore.
<< Stai facendo un errore! Non dimostrare ancora una volta quello che non sei, Merle. >> cercò ancora di convincerlo. Lui la squadrò, aggrottando la fronte e disse << Che cazzo ne sai tu di come sono io? >>
<< Non lo so. >> alzò le spalle lei, ormai non sapendo più dove andare ad appigliarsi per convincerlo << Ma voglio fidarmi di te. Vuoi davvero tradire la fiducia dell'unica persona che te ne sta dando? >>
Merle rise sarcastico, poi, ignorandola, salì in macchina. Ocean si piazzò davanti al cofano, impedendogli di procedere e ci poggiò sopra le mani << Fermo! Non te lo permetterò. >>
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, ma non sapeva dove altro andare a parare con lui.
Merle uscì con la testa dal finestrino, si tirò via una pistola dai pantaloni e gliela puntò contro << Non costringermi a farlo. >> Ocean parve non muoversi. Decisa e determinata. Non sapeva cosa stesse succedendo, non sapeva di Rick e dell'accordo e forse una parte di lei non si fidava delle sue parole, ma aveva sentito abbastanza: Merle stava andando da solo contro il Governatore. Nè lui nè Michonne sarebbero tornati a casa. E il Governatore avrebbe comunque marciato contro la prigione.
Continuò a fissarlo, sperando di intimorirlo con lo sguardo. Sperando non avesse il coraggio di spararle o investirla.
Merle tolse la sicura alla pistola.
Tentativo vano.
Quanto odiava le armi da fuoco!
Si fece da parte e Merle partì.
<< Cazzo. >> borbottò tra sè e sè, correndo da Peggy e salendoci sopra << Andiamo, forza! >> la speronò e, come sempre seguita da Max, partì all'inseguimento dell'uomo.
Stava di nuovo facendo qualcosa di folle.
Ma che scelta aveva?
Se fosse tornata indietro dagli altri, poi non sarebbero arrivati in tempo per salvare Michonne. Non poteva aspettare oltre, doveva riuscire a fermarlo, in qualche modo.

La macchina era da qualche minuto ferma di fronte a un vecchio negozio abbandonato. Si riusciva a sentire la musica a tutto volume, provenire da lì dentro, anche da qualche metro di distanza. Ocean scese da cavallo e si avvicinò a essa con disinvoltura, senza preoccuparsi di essere vista.
Aprì lo sportello del passeggero ed entrò dentro, affiancandosi a Merle, unica persona lì presente.
Michonne era stata scaricata per strada poco prima, l'aveva incontrata, ma aveva deciso lo stesso di proseguire.
Il cuore le urlava di non lasciarlo solo.
Lo era stato già troppo.
<< E così l'hai lasciata andare, eh? >> chiese lei, mettendo un piede sul parabrezza e cominciando a rovistare tra la sporcizia presente in giro, in cerca di una sigaretta.
Merle intuì i suoi desideri e gliene offrì una delle sue, silenzioso come se non fosse successo niente, come se intorno a loro non stessero radunandosi decine di zombie.
<< Che intenzioni hai? >> chiese lui buttando giù un lungo sorso di whisky, trovato in chissà quale angolo segreto di quel mondo abbandonato. Ocean fece entrare Max nella vettura, che andò a posizionarsi sui sedili posteriori, e si affrettò a chiudere finestrini e portiere.
<< Non ti prenderai tu tutto il merito di aver ucciso il Governatore. >>
Merle rise, prima di dire, col tono di chi sta parlando con un'idiota << Tornatene a casa, bambolina. >>
<< Non puoi farcela da solo. >>
<< Tu credi? >> chiese provocatorio Merle, prima di tornare serio << Daryl piangerà più per te che per me, lo sappiamo entrambi. >>
<< Ma io non morirò...e neanche tu. >>
<< Stai venendo per proteggermi? >> chiese Merle prima di scoppiare a ridere << Questa è bella, una troietta che si sente in dovere di proteggere me. >>
<< Bada a come parli, Romeo. >> disse tranquilla, lievemente minacciosa, ispirando dalla sua sigaretta. Gli zombie cominciarono ad accumularsi intorno all'auto e Peggy, poco lontano, lasciata libera di proposito, scappò via. Sapeva come tornare a casa.
Merle alzò il volume della musica e fece qualche metro in avanti, trascinandosi dietro la coda di vaganti che si era formata all'esterno.
<< Non è vero che Daryl piangerà più per me che per te. Lui ti vuole bene. >> disse poi lei.
Merle rise ancora, ma non rispose alla sua affermazione. << Sto facendo questo soprattutto per lui. >> disse << se tu muori io sarò lo stronzo. >>
<< Sei il nostro capro espiatorio, giusto? >> rispose Ocean, sfoderando una delle sue daghe e utilizzandola per togliersi lo sporco da sotto le unghie.
<< Tornatene a casa, fidati. Non voglio averti tra i piedi. >> ordinò ancora Merle << Sei ancora in tempo. >>
<< Sì, è vero. >> annuì lei, ma non si mosse da lì.
Poi fece un sospiro, e confidò << Sai che stanotte tuo fratello ha detto di amarmi? >>
Merle scoppiò a ridere così rumorosamente da far sobbalzare l'auto più di quanto già riuscisse la musica.
<< Sì, molto divertente. >> disse lei sarcastica << Sei suo fratello. Se lui è legato a me, allora anche tu lo sei. >>
<< Non ti conosco nemmeno. >> sbruffò lui, per niente d'accordo, ma continuando a ridere per quanto sentito poco prima.
<< No, è vero. >> disse Ocean, prima di ammiccare << Però mi trovi adorabile, dì la verità! >> e gli diede un paio di sgomitate.
<< Tu sei fuori di testa. >> rise ancora lui facendo qualche altro metro avanti con l'auto, e le offrì la sua bottiglia.
<< Me lo dicono in tanti. >> confessò lei, accettando l'offerta e buttando giù un lungo e amaro sorso d'alcol << Che schifo. >> commentò poi pulendosi la bocca con la manica.
<< Mi piaci, ragazza. Hai le palle...quelle che non ha mio fratello. >> disse ancora lui continuando a procedere con l'automobile, lentamente per non perdere l'orda che li stava seguendo.
<< Oh, no, ti assicuro che ce l'ha anche lui. >> ammiccò la ragazza, maliziosa, e questo fece di nuovo scoppiare a ridere Merle, che ammise poi << Spero che tu non muoia. >>
Ocean lo fissò qualche secondo, prima di tornare a guardare di fronte a sè, fumando la sua sigaretta storta << Pensa a non morire tu, piuttosto. A me so badare. >> e non sentirsi dire "non è vero, ci deve pensare Daryl a te" fu un gran sollievo. Non ne poteva più di quelle cantilene.
Arrivarono alla zona delle cisterne, quella dove si erano incontrati il giorno prima Rick e il Governatore. Merle, stringendo il suo fucile, cominciò ad aprire la portiera, lasciando l'auto camminare da sola << Salta giù! >> disse alla ragazza, che già lo stava imitando, insieme a Max.
Scesero dall'auto in corsa e velocemente si andarono a rifugiare dietro una cisterna, per scappare dall'orda che ancora seguiva imperterrita la fonte del suono, e soprattutto per cercare di sfruttare l'effetto sorpresa.
<< Hai un'arma? >> le chiese Merle.
<< Odio quegli aggeggi, fanno solo tanto baccano e non colpiscono mai dove dovrebbero. >> confesso Ocean << Tienili impegnati. Confusi come saranno dal casino, non mi vedranno arrivare se passo da dietro. Punto dritto al Governatore, senza troppi rigiri, e fine della storia. >>
Merle annuì e le diede una pacca sul sedere, incitandola << Vai! >>
Ocean sussultò al contatto e si voltò di nuovo, lentamente, verso lui, con la spada sguainata.
<< Provaci di nuovo e ti taglio le palle. >> lo fulminò, facendolo sghignazzare ancora.
Lasciò da parte l'inconveniente e si allontanò: corse in parallelo al gruppo di casolari (3 o 4, uno di fianco all'altro) che aveva di fronte, nascosta dalle lamine abbandonate e dal recinto. Cercò di tenersi bassa, per non farsi vedere. Ben presto gli scagnozzi del Governatore furono attirati dal diversivo. Sentì i primi colpi di pistola e capì che doveva sbrigarsi.
<< Resta qui. >> disse al cane, una volta trovato un buon nascondiglio tra le siepi.
<< Non muoverti. Aspetta che torno. >> ordinò ancora, facendogli un gesto che lui aveva imparato bene ormai. Spesso Ocean gli chiedeva di starsene in disparte, ormai aveva capito che quando diceva "stai qui" lui doveva stare lì, o avrebbe subito la sua ira.
E così fece.
Ocean, nel frattempo, aggirò il casolare e si schiacciò con le spalle al muro. Controllò che non ci fosse nessuno e continuò ad avvicinarsi a quello del Governatore, il quale ora era fuori insieme a tutti gli altri. Anche lui, con la sua pistola, stava sparando agli zombie. Ocean controllò la situazione: erano tutti molto più avanti rispetto a lui, quasi in mezzo all'orda e sicuramente molto impegnati a tenersi in vita. Il Governatore invece era a pochi passi da lei, proprio davanti alla porta aperta del suo casolare: sarebbe bastato arrivargli silenziosa alle spalle e tutto sarebbe finito. Nessuno l'avrebbe notata, fino a che non avrebbero sentito le urla del loro capo.
Deglutì e fece il primo passo, silenziosa e bassa. Le mani le sudavano e non smetteva di guardarsi attorno.
Un altro passo.
Poi qualcosa andò storto.
Il Governatore si voltò immediatamente verso destra e si precipitò da quella parte urlando << Lascialo a me! >>
Ocean si schiacciò di nuovo contro il muro dietro di sè, abbassandosi talmente tanto da sfiorare il suolo con una spalla. Si voltò a guardare nella direzione dove lui era corso, chiedendosi cosa fosse successo, ma dalla sua posizione non riusciva a vedere niente.
Sentiva però il rumore di un pestaggio e bastò quello, collegato alla frase del Governatore, per capire.
<< Cazzo, Merle! >> sussurrò e velocemente tornò dietro il casolare. Il cuore le pulsava in petto, c'era in lei più adrenalina in corpo che globuli rossi.
Aveva una paura fottuta.
Fece un pezzo della strada a ritroso, correndo verso il retro del casolare dove si trovava Merle in quel momento. Si affacciò a controllare il cortile dove erano radunati tutti gli altri, e li vide allontanarsi per tornare a combattere la minaccia dei Vaganti. Li lasciò lì dov'erano e si avvicinò alla porta che aveva pochi passi affianco. Ora riusciva perfettamente a percepire la voce sforzata di Merle, impegnato in una rissa di quartiere, che avrebbe però permesso solo a uno dei due di uscire vivi da lì.
Sbirciò dentro sperando di non essere vista: lui e il Governatore si stavano picchiando furiosamente, ma Merle aveva la peggio. Era steso a terra, ricoperto di sangue e non faceva che lamentarsi e tentare la fortuna con colpi a caso. Il Governatore gli assestò un altro calcio. Ocean riuscì a entrare senza farsi vedere, approfittando della sua posizione di spalle rispetto a lei.
Troppo impegnato com'era a tirar calci all'uomo a terra non badava che intorno ci fosse qualcun altro.
Fece un altro passo verso lui.
Ne sarebbe bastato un altro ancora e sarebbe riuscita a prenderlo con la spada.
Alzò il piede da terra...ma il pavimento cigolò.
Trattenne il respiro.
E si lanciò contro l'uomo nell'istante in cui questo si era voltato con l'arma spianata, pronto a uccidere chiunque si trovasse alle sue spalle.
Un colpo di pistola partì.
Il Governatore cadde a terra, sollecitato anche da un colpo arrivatogli alla caviglia da Merle, ancora steso a terra.
Ocean lo afferrò per il collo, si sedette sul suo stomaco e gli puntò la spada alla gola. Aveva le orecchie che fischiavano e non era ancora riuscita a capire se fosse stata colpita o meno. L'adrenalina in corpo era troppa per riuscire a sentire dolore. Aveva il fiato corto e le girava la testa.
Ma, nonostante la situazione nettamente svantaggiosa del Governatore, lui sorrideva.
Il perchè lo capì un'istante dopo: nella sua mano era ancora stretta la pistola che adesso era dritta puntata a Merle, inginocchiato a terra alla sua sinistra.
<< Fallo...e io sparo. >> la minacciò, sorridente << Ho dei buoni riflessi. Il dito è già sul grilletto. Basta un leggero spasmo e muore. >>
Ocean serrò la mascella. I muscoli erano tutti tesi e l'aria sembrava sempre insufficiente. Il cuore le batteva nelle orecchie, peggiorando ancora ulteriormente il suo udito.
<< Fallo, ragazza! >> la incitò Merle, severo e incazzato. Ma lei ancora esitò. Non voleva che morisse, lo aveva seguito apposta! Daryl voleva suo fratello accanto e lei non voleva tradirlo. Quell'idiota e scorbutico uomo meritava una seconda possibilità.
<< Fallo, stupida!!! >> urlò Merle, ancora più incazzato. Erano a un passo dalla vittoria, non gliene fregava niente di morire, nessuno lo avrebbe pianto, ma il Governatore meritava di andare con lui. Aveva già messo in conto che probabilmente non avrebbe fatto ritorno. Non doveva esitare!
La mano di Ocean tremò. Non ce la faceva. Non riusciva.
E questo diede modo al Governatore di ribaltare la situazione. Riuscì ad afferrare un ferro vecchio con la mano libera, e, approfittando della distrazione della ragazza, la colpì in testa con tale violenza da farla cadere. La spada le scivolò di mano, e lei rimase tramortita a terra qualche secondo. Non riusciva a vedere niente, la vista si era annerita, sentiva solo un forte fischio alle orecchie. Merle si alzò e si scaraventò di nuovo contro il Governatore, ma era debole e non sarebbe riuscito a reggere ancora a lungo.
Un altro colpo di pistola, e questo Ocean riuscì a sentirlo. Sussultò e cercò disperatamente di guardarsi attorno: voleva vedere! Che succedeva? Le aveva sparato? Ma tutto continuava a essere buio. Si sentì afferrare e trascinare, e cercò di dimenarsi contro il nemico invisibile. Ma sembrava tutto inutile.
"Sono cieca?" si domandò impanicata.
"Che cazzo sta succedendo?" cercò di divincolarsi, ma qualcosa la teneva stretta.
Per fortuna però la vista le tornò pian piano. Era solo stato il terribile colpo ad averla confusa. Ben presto la luce tornò a colpire i suoi occhi, e lei riuscì a distinguere dapprima immagini sfocate, poi sempre più chiare.
Tutto sembrava calmo.
Gli uomini non stavano più lottando tra loro.
Nebbia.
Scosse la testa.
Una figura era in piedi, pochi passi da lei.
Ancora nebbia.
Sforzò la vista.
Si stava avvicinando.
Cercò di muoversi, ma sentì i polsi farle male. Un palo era ben fisso dietro la sua schiena e non riusciva a separarsene.
"Mi hanno legata!" riuscì a capire.
Ma chi fosse la persona che le stava andando incontro era ancora un mistero.
Il viso era annebbiato.
Tutto troppo confuso.
Poi colse il suo indizio: non aveva una mano.
<< Merle? >> chiese.
Ce l'aveva fatta! Era solo lui, in piedi. Il Governatore non lo vedeva da nessuna parte. Era riuscito a ucciderlo e sopravvivere.
<< Merle, liberami! >> chiese, vedendolo arrivarle incontro.
Ma qualcosa non andava.
Non reagiva.
La vista migliorò...e lo vide.
Un profondo buco sul petto...la pelle troppo bianca per essere naturale...e gli occhi...gli occhi non erano più i suoi.
Il cuore cessò di battere.
Un verso uscì dalla gola dell'uomo.
Un verso che aveva perso tutta la sua umanità.
Era morto!
Era trasformato.
E si stava avvicinando.
Si dimenò più forte, nel disperato tentativo di liberarsi.
I polsi bruciavano.
Non ci riuscì.
Le lacrime le bagnarono il viso.
Il panico nella sua voce.
<< Merle!!!! >>

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Capitolo 32
*** Abiura. ***


Abiura.

Daryl attraversò silenzioso il cortile esterno. I suoi passi l'avevano condotto lì, a quelle cisterne. Il cortile che aveva lasciato vuoto, pochi giorni prima, ora brulicava di cadaveri e zombie intenti a cibarsene. Passò oltre, deciso a non sprecare frecce con chi non lo vedeva neanche.
Si avvicinò al casolare principale, guardandosi attorno. Nessuno era in piedi se non qualche zombie, e il cuore ringraziava quando vedeva che non conosceva nessuno di loro.
Delle tracce di sangu: qualcuno aveva combattutto lì.
Guardò la porta schiusa di fronte a sè e si avvicinò.
C'era silenzio dentro.
L'aprì velocemente ed entrò, puntando la balestra di fronte a sè.
Smise di respirare e le braccia cedettero, costringendolo ad abbassare l'arma.
Merle era steso a terra, in una pozza di sangue e Alice si trovava vicino a lui, stesa anche lei a terra, al suo fianco, ma con la testa poggiata sul suo petto. Sotto il braccio, come fosse stato un pupazzo nel letto di una bambina, giaceva Max.
Nessuno di loro si muoveva: avevano sangue sparso ovunque.
Un nodo gli si formò in gola e senza che se ne redesse conto si ritrovò a singhiozzare.
<< No. >> tremò coprendosi il volto con una mano. Non riusciva ad avvicinarsi, non aveva il coraggio. Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, guardando i tre corpi a terra, distogliendo subito lo sguardo e continuando a piangere e singhiozzare. Entrambi...il destino li aveva portati via entrambi lo stesso giorno. Era tutto così terrificante che non riusciva a crederci. Aveva perso tutto in così poco tempo.
Poi uno spasmo scosse Alice.
Daryl scattò e alzò la balestra, puntandogliela alla testa.
Non si mosse più.
Lui si asciugò le lacrime velocemente, che gli impedivano di avere una visuale nitida, e rimase a guardarla. Non riusciva a vederle il volto, era girata verso quello di Merle, dall'altra parte.
Fece un passo verso lei.
Le mani tremavano così tanto da far agitare troppo la balestra per poter veramente colpire qualcosa, in caso di necessità.
Allungò un piede e provò a scuoterla.
La vide contrarsi al tocco. Si rannicchiò su se stessa e le sue dita si strinsero nel pelo insanguinato del cane. Ora che le era vicino poteva vederla tremare.
Era viva!
Lasciò cadere la balestra ai suoi piedi e si inginocchiò su di lei, costringendola a voltarsi.
Ocean alzò velocemente un braccio e lo spintonò << Va' via. >> mugolò.
Ma Daryl parve non sentirla: l'afferrò per le braccia e la tirò verso sè. Lei si dimenò, strattonando per cercare di liberarsi. Si tirò a sedere e cercò di spingersi lontano, continuando a dimenare le braccia nel vano tentativo di liberarsi dalla ferrea presa del ragazzo. Scoppiò a piangere.
<< Lasciami! Vattene!!! >> urlò, scalciando.
Daryl continuò a ignorare la sua furia e riuscì finalmente ad avvicinarsi quanto bastava per poterla abbracciare. C'era disperazione in lui e nelle sue tremolanti braccia. Suo fratello giaceva ai suoi piedi, e per un attimo aveva temuto di aver perso anche lei. Invece era lì. Viva. Ferita probabilmente, ma viva, disperata quanto lui e incazzata.
Non l'avrebbe lasciata andare neanche se lo avesse preso a coltellate.
La sentì singhiozzare vicino al suo orecchio, nel momento in cui la cotrinse ad affondare il volto sulla sua spalla.
<< Ho ucciso tuo fratello. >> sussurrò, e lo fece più volte, sempre con più rabbia e angoscia. Daryl la strinse, non sapendo neanche lui chi dei due in realtà stesse cercando di consolare, dato che non era possibile quantificare chi tra loro stesse piangendo di più.
Ma non fu possibile per loro restare lì a lungo. I versi degli zombie fuori fecero loro capire che dovevano muoversi, se non volevano finire mangiati.
Daryl le afferrò il viso con le mani che tremavano come impazzite e cercando di nascondere la sua smorfia di dolore, senza riuscirci troppo bene, le chiese << Tu stai bene? Sei ferita? >>
Voleva concentrarsi su lei, solo su di lei, l'unico motivo per continuare a respirare. Se si fosse fermato su suo fratello, probabilmente, non sarebbe più uscito da lì.
Ocean continuò a fuggire dal suo sguardo, puntando gli occhi altrove, lontano e non rispose subito. Probabilmente non intenzionata a farlo. Poi si costrinse ad annuire << Sì. Sì, sto bene. >>
Daryl annuì, ancora intento a cercar di catturare un timido coraggio impaurito, sfuggente al suo controllo, prima di alzarsi in piedi e prendere la ragazza per mano << Andiamo. Sbrigati. >>
Ocean, come spaventata, appena si sentì tirare strattonò via la mano e si lanciò di nuovo sul cane, stringendo il suo pelo.
<< Max. >> mugolò tra i singhiozzi. Daryl si chinò per afferrarla di nuovo << Dobbiamo andare. >> e lei ancora si dimenò << Non posso lasciarlo qui. Se lo mangeranno. >> pianse ancora, accarezzandogli il muso ormai immobile e così disgustosamente sporco.
Daryl, capendo di non poter fare altrimenti, l'aggirò, si chinò e raccolse il corpo del suo piccolo amico.
<< Dai. >> disse lui con un filo di voce. Tremava quasi quanto lei.
Raggiunse la porta e si voltò, per la prima volta, a guardare suo fratello. Era stato tutto così veloce. Non aveva avuto neanche il tempo di piangerlo. Eppure faceva così male. Si costrinse a distogliere lo sguardo o non sarebbe riuscito ad andarsene. Strinse i denti, soffocando un altro singhiozzo. Tutto il corpo sembrava diventato di marmellata, non riusciva quasi a reggersi in piedi, solo i versi gutturali dei mostri che li stavano per trovare riuscivano a dissuaderlo dal restare e disperarsi lì, in quel luogo, in quel tempo, finchè avrebbe avuto aria da respirare.
Ocean non seguì subito Daryl. Resto immobile di fianco al corpo di Merle, sperando in chissà quale miracolo, sperando, stupidamente, di risentire la sua voce impertinente ridere come aveva fatto poco prima nell'auto. Ma tutto ciò che avrebbe ascoltato ancora a lungo, fino alla fine dei suoi giorni, sarebbe stato "Fallo, Stupida!!!", rimbombante nelle sue orecchie, impossibile a liberarsene. Abbassò lo sguardo, tremando, poi si portò entrambi le mani al collo. Estrasse il ciondolo da sotto la camicia e se lo sfilò.
Aveva ancora tre petali.
Singhiozzò nuovamente.
Prese la mano di Merle, ce lo posò dentro e gli richiuse le dita.
Ancora un singhiozzo.
Poi seguì Daryl, anche se per sempre tutto ciò che aveva avuto sarebbe rimasto dentro quel maledetto capanno.

Il sole era ormai prossimo a sparire oltre l'orizzonte.
Il freddo della sera stava cominciando a sferrare i primi duri colpi.
Una figura nera, raggomitolata su se stessa, non sentiva però ancora la necessità di alzarsi da quel manto d'erba. Immobile di fronte a una croce improvvisata con travi di legno. Su di esse appeso c'era un vecchio collarino, la cui medaglietta incisa recitava "Max".
Carol uscì all'esterno e trovò subito Daryl sugli scalini dell'entrata, seduto con le mani tra i capelli e la testa china in avanti. Si fermò alle sue spalle e lo osservò. Lo sentiva piangere e urlare, anche se erano suoni che non ascoltava con le orecchie. Tutto taceva, ma lui urlava. Lo percepiva dentro sè. Poi fece correre il suo sguardo lungo il cortile, fino a trovare la figura nera seduta davanti alla tomba. Ocean non si era più mossa da lì.
Si avvicinò al ragazzo e gli posò una mano sulla spalla, destandolo. Daryl alzò la testa, incontrando gli occhi affranti e comprensivi della sua amica. Poi anche lui guardò nuovamente la ragazza seduta sul prato.
<< Non vuole parlare. Non vuole mangiare. Non vuole bere, nè farsi curare. >> disse lui.
<< Tra poco farà buio. >> constatò la donna << E domani avremo bisogno anche di lei. >>
Daryl non rispose, sospirò e restò a guardarla. Erano passate più di tre ore e non si era mossa. Sentiva di averla persa. Il cuore gli suggeriva che lei era rimasta lì, dentro quel capanno, stesa sul petto di Merle, abbracciata al corpo del suo migliore amico. Max.
Alice era morta nell'oceano, trascinata da Manuele.
Max aveva dato vita a Ocean.
Max l'aveva uccisa, trascinandola con sè.
Lei non era mai stata forte abbastanza.
Ora non restava più niente, solo un fantasma che aspetta la luce del giorno per dissiparsi. E lui, probabilmente, l'avrebbe cercata ancora nelle ombre, mischiandosi a loro, inutilmente, per chissà quanto altro tempo, sotto l'occhio severo di un fratello che mai era riuscito ad abbandonare realmente.
Anche Daryl era in realtà ancora dentro quel capanno.
<< Valle a parlare. >> consigliò Carol << Tu sei l'unico che può riuscire a consolarla. >>
<< Ci ho già provato. >> lamentò lui.
<< Provaci ancora. >> cercò di insistere la donna. Daryl si alzò in piedi, si voltò, la guardò un'ultima volta e poi tornò nella prigione. Non avrebbe accettato il suo consiglio.
Qualcosa si era appena rotto. Il fragoroso eco ancora non cessava di far palpitare il cuore.
E il sole sparì.

Un mantello le cadde sulle spalle, per niente aggraziato, ma almeno era qualcosa con cui scaldarsi. Non alzò la testa per guardare chi fosse. Non le interessava.
<< Vieni dentro. >> le disse una voce maschile. Non era una richiesta.
Si sorprese di constatare che non era stato Daryl, ma Rick, a parlare.
Non l'ascoltò.
L'uomo dietro sè sospirò e smosse un po' di terra con un piede, tanto per avere qualcosa da fare.
<< Lascialo andare. Ora lui sta bene, siamo noi quelli da compatire. >> quasi recitò << Me l'hai detto tu stessa. >>
Ma Ocean ancora non rispose e non si mosse, raggomitolata in se stessa, non toglieva gli occhi da quella medaglietta che ciondolava, smossa dal vento.
Non era arrabbiata, sul suo volto non c'era tristezza nè disperazione, nè dolore nè frustrazione. Non c'era niente. Solo il vuoto. Ed era la cosa che più metteva paura.
Lei non era lì.
Rick sospirò << Capisco la tua costernazione. Nessun "mi dispiace" ti aiuterà, io lo so bene. Ma... >> fece una piccola pausa, cercando dentro sè le parole e il coraggio << ...mi obbligasti a tornare sui miei passi. A tornare tra voi, perchè io avevo una bambina da proteggere e non potevo permettermi di rincorrere i fantasmi. >> ancora una pausa, guardando la ragazza, sperando di vedere in lei qualche reazione.
Niente.
<< Io adesso ti chiedo lo stesso. >> ammise << Domani.... >> Ocean si mosse per la prima volta, costringendolo a interrompersi, sorpreso dalla novità. Si alzò in piedi lentamente tenendosi il mantello sulle spalle per non farlo cadere. I suoi occhi erano cambiati improvvisamente. Faceva quasi paura.
<< Domani vi aiuterò a sconfiggere il Governatore. >> disse lei aprendo bocca per la prima volta. La voce era bassa e così calma da apparire surreale. Si voltò a guardarlo negli occhi, fredda come il ghiaccio, lontana come la Luna << Poi me ne andrò. >>
<< Cosa? Perchè? >> chiese Rick shockato. Cosa le era successo così all'improvviso? La morte di Max stava avendo un effetto peggiore di quello che si sarebbe potuto immaginare.
<< Perchè questa è la mia decisione. >> disse lei, semplicemente, prima di avviarsi verso l'interno della prigione.
<< No, Ocean! >> cercò di fermarla lui, afferrandole un braccio. Lei si bloccò e puntò gli occhi sulla mano dell'uomo che la teneva << Pensa a Daryl! A Molly! Sul serio vuoi dargli un dolore così grande? >>
<< Lasciami. >>
<< Non essere stupida! >> continuò Rick, ignorando la sua richiesta.
Ocean spostò gli occhi affilati dalla mano al viso dell'uomo << Toglimi le mani di dosso. >> minacciò.
Rick capì il bisogno di fare un passo indietro: non avrebbe aiutato la situazione tenerla e farla incazzare ancora di più, così la lasciò. La ragazzaperò ignorò le sue parole e riprese a camminare verso la prigione.
<< Ocean! Tu non sei così. >> continuò lui, deciso. Lei si voltò ancora, guardandolo di nuovo con gli stessi occhi, occhi che tanto sembravano quelli di un criminale omicida.
<< Sì, io sono così. >> sussurrò con tale freddezza che Rick ebbe un brivido lungo la schiena. Non l'aveva vista con quegli occhi neanche i primi giorni, quando li considerava un branco di idioti. Allora era stata schiva e fredda, ma i suoi occhi era comunque vivi, pieni e profondi.Gli occhi di una persona che ha tanto dentro sè. Ora, invece, erano tutto l'opposto. Occhi così morti e vuoti da far invidia alle bestie che ancora rumoreggiavano al recinto. Le parole gli mancarono, così come il fiato, e incapace di aggiungere altro, freddato da quanto appena visto, l'osservò semplicemente, mentre si allontanava. Ocean si agganciò il mantello alle spalle e tirò su il cappuccio, nonostante dentro facesse meno freddo. Nascose il suo viso al suo passaggio, viso che in molti cercavano nel tentativo di osservarlo. Inutilmente.
Raggiunse la sua cella sotto gli occhi incuriositi di tutti i presenti, salì sul suo letto e si stese lasciando alle sue spalle una ventata ghiacciata che congelò momentaneamente tutti i suoi compagni.
Molly comparve alla sua porta, timida e intimorita: da quando era tornata era così strana. Strinse tra le mani l'unico libro che era presente nella prigione: la bibbia di Hershel. In realtà non sapeva cos'era, ma non importava, era pur sempre un libro.
<< Alice. >> chiamò. Ma non venne ascoltata << Alice, me lo leggi? >> chiese alzandolo. Sperava che con quel gesto lei sarebbe tornata la stessa. Era stata così felice quando le aveva detto che voleva che lei le leggesse un libro, voleva che fosse di nuovo così. Voleva ancora vederla sorridere. Voleva che tornasse a essere dolce con lei. Le mancava così tanto.
<< Alice. >> chiamò di nuovo, non ricevendo risposta.
<< Lasciami in pace, Molly. >> sospirò la ragazza scocciata, voltandosi verso il muro, volgendo a esso lo sguardo. Molly abbassò gli occhi, che già si stavano riempiendo di lacrime, e mormorò con la voce tremante << Ok. >>
Carol andò da lei e cinse le sue spalle << Vieni, piccola. >> cercò di dirle amorevolmente, trascinandola via.
Rick entrò nella prigione poco dopo, con gli occhi al suolo, pensieroso e preoccupato. Fu subito preso d'assalto da Daryl, che lo fermò puntandogli una mano sul petto. Non ci fu bisogno di esprimere a parole la domanda, lo sceriffo sapeva perfettamente cosa l'amico voleva sapere. Ma le parole non sembravano intenzionate a collaborare e rimase in silenzio qualche secondo.
Tutti gli altri pian piano si avvicinarono, incuriositi e intuendo che c'era qualcosa che non andava. Il giorno dopo sarebbe stato un giorno di fuoco, non c'era spazio per problemi di altro tipo.
<< Rick! >> lo richiamò Hershel, preoccupato più che mai, sentendo l'ansia crescere ogni secondo di più.
Rick fece un sospiro, raccogliendo l'energie, poi alzò la testa e disse con fermezza << Vuole andarsene. >>
<< Cosa? >> chiese Maggie, non credendo alle proprie orecchie.
<< Non...non può >> balbettò Glenn, al suo fianco << Domani... >>
<< Domani ci aiuterà. >> si sbrigò a rispondere Rick << E poi se ne andrà. >>
Il mormorio contrariato si alzò repentinamente, tutti parlavano con tutti, tutti avanzavano ipotesi e soluzioni campate per aria, ma nessuno riusciva pienamente a capire cosa stesse passando per la testa della ragazza in quel momento.
L'unico che non disse niente fu proprio Daryl, che si allontanò a grandi passi, diretto all'esterno, tanto spedito da sbattere contro la spalla di Glenn. Non si voltò per chiedergli scusa e proseguì adirato.
<< Daryl! >> provò a chiamarlo il coreano, ma gli sembrò di aver urlato contro il muro.
<< Lascialo andare. >> suggerì Rick, allontanandosi dal gruppo chiacchierone, andando a prendere la piccola Judith, per tenerla un po' stretta al petto. Il cuore aveva bisogno del suo contatto. Spesso era lei quella che accudiva il padre, non il contrario, anche se un occhio inesperto non sarebbe mai riuscito a notarlo.
<< Rick! >> lo inseguì sempre Glenn << Rick, davvero la lascerai andare? >>
<< Non posso costringerla. >> disse il capogruppo cullando il suo prezioso tesoro.
<< Devi fare qualcosa! Dobbiamo restare uniti. Lo sai meglio di me che se Ocean se ne va.... >>
<< Ci sarà una grossa falla. >> concluse Rick. Sospirò e alzò gli occhi << Molly ne risentirà, probabilmente anche Carol e forse Maggie. Hanno legato molto. >> poi aggiunse sforzandosi di ammetterlo << Ma soprattutto perderemo Daryl. >>
<< E Hershel. >> aggiunse Glenn << E te, Rick! >>
Rick annuì, accennando un sorriso << Abbiamo fatto molto affidamento su di lei negli ultimi mesi, sì. >> improvvisamente tutto era stato chiaro. Aveva agito nell'ombra, spesso mascherandosi da scontrosa ribelle, aizzando qualche litigio di volta in volta, ma era stata in realtà come un collante per loro. Molte crisi, molte paure avevano superato, e in tutte queste lei era sempre stata lì a tenerli uniti. Parlando, consolando, anche litigando se necessario. Ma li teneva lì e non li faceva andare via. Aveva aiutato e aveva creato pasticci. Aveva fatto molte cose, a dire il vero. Ma la cosa più importante era che, in qualsiasi istante, lei era lì con una mano aperta, pronta ad essere afferrata da chiunque ne avesse sentito il bisogno. Silenziosa, ma costante. Non era mai caduta...fino a quel giorno.
<< Non può andarsene. >> ribadì Glenn.
<< Fermala. Io non ci sono riuscito. >> concluse Rick tornando a concentrarsi su sua figlia. Glenn si guardò attorno un po' spaesato: neanche lui aveva la minima idea di come muoversi. Fece un passo indietro e disse l'unica cosa che gli venne in mente << Deve parlare con Daryl. >> e si allontanò.

Ocean, stesa sul suo letto, il volto puntato contro il muro, non chiuse occhio. Tutto quel mormorio fuori dalla sua cella la disturbava. Tutto quel mormorio dentro la sua testa la disturbava.
Chiuse gli occhi.
Vide Merle. Stava tentanto di morderla.
Li riaprì.
Sospirò.
Era stato un sogno. Ma era così stanca...
Li richiuse.
Vide Max. Era entrato nel casolare. Aveva afferrato Merle e lo aveva trascinato lontano.
Merle aveva cercato questa volta di afferrare e mordere lui.
Lei aveva trovato un frammento di vetro.
Aveva tagliato le corde che le legavano i polsi.
Un guaito.
Merle stava mangiando Max.
Ocean aveva ucciso Merle.

Un'altra volta.

<< Mi chiedevo se tu avessi bisogno di qualcosa. >> la voce di Hershel, improvvisa, la fece sussultare e solo allora capì che si stava di nuovo addormentando. Le immagini viste erano state frammenti di un sogno che stava facendo e che proprio non voleva lasciarla in pace.
<< Sto dormendo, Hershel. >> lamentò lei, senza voltarsi a guardarlo.
<< Non hai fame? Sete? >> chiese ancora il vecchio.
Non ricevette risposta.
Hershel sospirò prima di riprendere a parlare << Quando morì mia moglie, credetti di aver perso tutt... >>
<< Oh, per favore! >> lo interruppe Ocean con un sospiro contrariato, voltandosi a guardarlo << Risparmiami le tue storielline del cazzo. E non citarmi passi della Bibbia, mi fanno solo ridere. >>
<< Beh, ridere sarebbe già un passo in avanti. >>
<< Sparisci, vecchio. Ho promesso di aiutarvi domani, ma se continuerete a rompermi le palle me ne andrò stanotte stessa. >> brontolò tornandosene a guardare il muro.
Hershel sospirò ancora. Neanche quando l'avevano conosciuta era stata così dura con loro.
<< Puoi combattere la tua paura, non lasciarti governare da essa. Ti fa fare cose stupide. >> disse ancora lui, e Ocean rise << Paura? Tu credi sia paura? >> ma non aggiunse altro, continuando a sghignazzare tra sè e sè.
<< Se non è paura, allora cos'è? Perchè non me ne parli? Così posso capirlo anche io e smetterei di "romperti le palle" >>
Ocean si voltò a guardarlo con un ghigno divertito in volto, prima di dire con un velo di sarcasmo << Paura. E' paura. >> e tornò nuovamente nella sua posizione.
<< Sto solo cercando di aiutarti. >> ammise Hershel << E' ovvio che tu abbia qualche problema. Scappare non lo risolverà. >>
Questa volta Ocean aspettò qualche secondo prima di dirgli acida << Levati dai piedi, vecchio. Mi stai scocciando. Lasciami dormire. >>
<< Va bene. >> si arrese infine Hershel, alzandosi dalla sedia dove era poggiato e avviandosi all'uscita dalla cella << Se hai bisogno di qualcosa sono nella cella vicino alla tua. >> ma ovviamente entrambi sapevano che mai sarebbe servito quell'avviso.

<< Siamo pronti. >> disse Michonne a Rick, caricando l'ultima borsa sull'auto. Mai una notte era durata tanto, mai era stata così rumorosa e chiassosa, piena di sbuffi e pensieri, fantasmi che urlavano, incubi che emergevano e nell'ombra danzavano.
Ma alla fine la mattina era arrivata.
Ocean aveva già sistemato le sue cose, pronta per la partenza. Aveva buttato tutto in una vecchia borsa che aveva trovato in giro, in uno dei suoi sopralluoghi. Infilò per ultima una bottiglietta d'acqua e guardò la sua cotta di maglia. Troppo pesante. E Peggy sarebbe rimasta lì con loro, non aveva intenzione di portarsela dietro, non l'avrebbe più esposta a inutili pericoli, perciò non poteva caricarsi troppo. Probabilmente avrebbe fatto più comodo a loro che a lei.
La lasciò sul letto.
Si voltò a controllare quello che era diventato il suo comodino.
Una fotografia.
Si avvicinò e la guardò: era una polaroid, scattata con la macchinetta fotografica che aveva trovato Glenn. Era abbastanza recente: Molly sorreggeva a stendo la balestra di Daryl, aiutata da quest'ultimo, che chino su di lei le indicava un punto lontano. L'aveva scattata qualche mattina prima, durante la prima "lezione di tiro" della bambina.
La osservò a lungo.
Poi lasciò anche quella sul letto.
E uscì.

Gli spari cominciarono, incessanti. Riusciva a sentirli ovattati. Esplosioni, urla e colpi di fucile. Contro i muri, contro gli zombie e i recinti.
Ocean rimase ben coperta nel suo nascondiglio, leggermente sopraelevato, ma non troppo lontano dall'entrata. Era nascosta dietro a delle protezioni improvvisate, vestita con le vecchie divise delle guardie della prigione, e come gli altri aspettava il segnale. Il Governatore, come previsto, sfondò i cancelli ed entrò. Nel frattempo Daryl e Rick manomisero le loro camionette e tornarono a nascondersi tra la vegetazione.
L'attesa sembrava interminabile.
Poi il segnale.
L'allarme della prigione cominciò a suonare, rimbombando severa, urlando come il peggior mostro che fosse mai esistito. Gli uomini del Governatore uscirono, fuggendo, e lì entrarono in azione gli altri. Ognuno dal proprio nascondiglio cominciò a sparare, puntando ai piedi. Non c'era l'intezione di ucciderli, se non il Governatore, ma solo spaventarli e cacciarli via.
Non fu difficile, l'effetto sorpresa giocò molto a loro vantaggio e nel giro di qualche minuto scapparono tutti. Fu la battaglia più rapida e facile che avessero mai affrontato. Gli uomini del Governatore erano persone inesperte e terrorizzate perfino dalle proprie ombre, ingannarli e spaventarli non era stato per niente difficile.
Ocean si sollevò, ormai non più costretta a restare nascosta e osservò il mondo fuori. Gli zombie erano tutti morti, la prigione era stata sgombrata, ora bisognava solo sistemare i cancelli, ma per il resto poteva finalmente chiamarsi "posto sicuro".
Sicuramente il Governatore avrebbe fatto marcia indietro il prima possibile, sarebbe tornato di nuovo all'attacco, ma quel giorno lei non si sarebbe trovata lì per vederlo.

<< Ce l'abbiamo fatta. >> constatò Rick guardando il cortile ormai deserto, se non per qualche auto e camionetta sparsa << Li abbiamo respinti. >>
<< Dobbiamo inseguirli. >> suggerì Michonne.
<< Dovremmo farla finita. >> le diede corda Daryl.
<< E' finita! Sono scappati a gambe levate! >> disse Maggie che, al contrario dei due compagni, preferiva godersi casa sua immersa nel suo caldo e confortante ottimismo.
<< Potrebbero tornare. >> a parlare questa volta fu Carol, non sentendosi sicura come l'amica.
<< Non possiamo rischiare, lui non si fermerà. >> disse Glenn.
<< Hanno ragione, non possiamo continuare a vivere così. >> continuò Carol.
<< Li attacchiamo a Woodbury? Siamo tornati a stento l'ultima volta! >> disse ancora Maggie.
<< Non mi importa. >> sussurrò Daryl, lanciandole un'occhiata decisa. Suo fratello era morto per mano sua, e anche Max, e questo aveva portato via Ocean, alla quale già una volta le aveva rovinato la vita. Non meritava pietà o perdono. Doveva pagare. E lui doveva mantenere una promessa, anche se si chiedeva quanto ancora contasse.
<< Dov'è Ocean? >> disse a un certo punto Rick, guardandosi attorno, rendendosi conto che mancava solo lei all'appello. Anche gli altri cominciarono a cercare, voltandosi continuamente, chiedendosi dove fosse. Puntarono lo sguardo al punto dove lei era stata messa per sparare. Non videro nessuno.
Dentro loro sapevano cosa stava succedendo.
<< Vado a cercarla. >> comunicò Maggie, allarmata.
<< Vengo con te. >> disse Rick << Voi altri controllate che non sia rimasto nessuno. >> e corsero via, diretti al suo nascondiglio.

Rick si piegò a raccogliere la giacca protettiva che aveva lasciato a Ocean. C'erano lì anche il caschetto, il resto delle protezioni e il fucile. Era tutto lì, abbandonato al suo posto, ma lei non c'era.
<< Allora è vero? >> chiese Maggie abbassando gli occhi, sentendo una fitta al cuore << Se n'è andata. >>
Rick sospirò abbassando la testa.
Non c'era.
E sicuramente non sarebbe stata da nessun'altra parte.
Poi un pensiero gli balenò in testa e, dubbioso, scostò le cose a terra, controllando.
<< Cosa c'è? >> chiese Maggie, notando che stava cercando qualcosa.
Rick si alzò, finita la sua ispezione, e si guardò attorno, prima di comunicare << Le avevo dato anche una pistola. Non c'è. >>
<< Se l'è portata via? >> chiese Maggie, non capendo come la cosa potesse scuotere così lo sceriffo. Era un'arma, che male c'era a portarsela?
Rick annuì << Non aveva proiettili. Solo quelli caricati. >>
<< Lei odia le armi da fuoco, magari non ci ha pensato. >> constatò Maggie.
<< Già. >> annuì ancora Rick << Lei odia le armi da fuoco. >> ripetè.
C'era qualcosa di strano in tutta quella faccenda.
E i dubbi aumentarono quando videro Beth correre verso la prigione, urlando e sbracciandosi
<< Rick! Rick! Ocean! Devi andare a cercarla! Rick! >>

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Capitolo 33
*** I am Home. ***


I am Home.

<< Beth!!! >> la chiamò Rick, raggiungendola nel cortile. La ragazza si piegò su se stessa, cercando di recuperare fiato, stanca dalla corsa che aveva appena fatto, mentre i suoi compagni la accerchiavano.
<< Ehy, che succede? >> chiese Glenn, seguito dagli altri. Nel sentire le sue urla era stata inevitabile la preoccupazione in tutti i presenti.
<< Ocean. >> ripetè Beth tra un sospiro e un altro << Se n'è andata... >>
<< Sì, lo sappiamo. Ho trovato le sue cose. >> disse Rick.
<< No!! >> lo interruppe Beth, deglutendo e alla fine confessò tutto d'un fiato << E' stata morsa. >>
Daryl, nelle retrovie, si irrigidì e voltò immediatamente lo sguardo verso la bionda.
<< Io l'ho vista! Stava scappando e ho provato a fermarla. Ha un morso sul braccio. E' per quello che sta andando via. >> continuò a spiegare Beth, approfittando della piena attenzione che aveva da parte di tutti.
<< Te l'ha detto lei? >> intervenne Carol << ...Che stava andando via per quel motivo. >> si spiegò.
Beth negò, ma diede le sue motivazioni << Stava piangendo. >>
<< La pistola! >> intervenne Rick, illuminandosi << Manca la pistola! Vuole...farlo da sola. >>
<< Non voleva che la piangessimo. >> mugolò Carol, portandosi una mano alla bocca, istintivo gesto di tristezza e preoccupazione.
Daryl si avvicinò spedito a Beth e le chiese << Da che parte è andata? >>
La ragazza indicò una direzione alle sue spalle << Di là, ma si è inoltrata nel bosco, potrebbe essere ovunque ora. >>
Ma Daryl era già corso via, non ascoltando il resto della frase. Nessuno cercò di fermarlo.
Sapevano che doveva farlo.

L'impronta degli stivali di Alice era ben visibile e marcata: aveva corso. Arrivò in un punto in cui, invece, erano più radunate: si era fermata, forse a prendere fiato. Poi aveva ripreso a correre.
Scostò un cespuglio del sottobosco, passò oltre e si fermò.
La ragazza giaceva ai piedi di un albero, raggomitolata in se stessa, la testa nascosta tra le ginocchia e una pistola stretta in una mano. Piangeva così forte che Daryl potè sentirla anche da dove si trovava, a qualche metro di distanza. Le spalle le si scuotevano a ogni sospiro.
Fece un passo verso di lei e il rumore delle foglie sotto i suoi piedi annunciarono la sua presenza.
Alice alzò la testa e lo guardò: aveva il viso ricoperto di sporcizia, e più tentava di asciugarsi le lacrime con le mani sporche di terra, più peggiorava la situazione. Daryl ne rimase scosso per un istante: era la prima volta che vedeva il suo viso così deturpato dal dolore. L'aveva già vista piangere, ma mai come quella volta. Riuscì a percepire sulla propria pelle la paura e la disperazione. Intrappolata in un vicolo cieco, le mancava il fiato. La sua corsa si era arrestata lì, davanti ai suoi occhi c'era solo la morte, affamata e sghignazzante nella consapevolezza del suo potere. Della sua vittoria.
<< Non ce la faccio. >> mormorò tra i singhiozzi, con una voce così sottile che a malapena era stata udibile. Quella fredda e dura corazza che l'aveva portata lì fuori era stata abbandonata chissà dove, lasciando scoperto il suo strato più interno: quello più debole e fragile. Era come stare davanti a una bambina che ha appena perso i genitori.
Daryl strinse la sua balestra tra le mani prima di lasciarla cadere a terra << Sei una stupida! >> le disse percorrendo, con una velocità strabiliante, quei pochi passi che li separavano. Le si inginocchiò accanto e Ocean allargò le braccia, stringendolo non appena fu a portata di mano.
<< Mi dispiace. >> gli sussurrò all'orecchio, costernata << Io... io non volevo che voi mi vedeste morire! Non volevo che perdeste qualcun altro. >> balbettò << Io non volevo che tu perdessi qualcun altro. Non volevo farti del male. >>
<< Non fa niente. >> cercò di zittirla lui, ripetendo più volte la frase per riuscire veramente a convincerla a star zitta e non aggiungere altro. Non gli interessavano più le motivazioni.
Non gli interessava più niente.

<< No, fermo! La sveglierai! >> una dolce e sottile voce, delicata come una carezza, la fece sorridere.
La conosceva.
<< Ha la febbre alta. >> aggiunse.
<< Passerà. >> lo rassicurò un'altra voce, maschile, altrettanto dolce e delicata, ma sicuramente più adulta. Si sentiva così leggera. Il calore del sole contrastava con un fresco venticello.
Era bello lì.
Non sentiva più dolore.
<< Dormigliona. >> ora la seconda voce era così vicina al suo orecchio. Un delicato sussurro, un leggero bacio << La mamma ha preparato l'arrosto. Alice! >> Aprì gli occhi. Conosceva quel viso.
<< Manu. >> sorrise. Era bello rivederlo. Anche lui sorrideva, dietro ai suoi occhiali.
<< Andrea è molto preoccupato per te. Vieni, Alice. Tua madre ti sta aspettando. >> aveva lo sguardo più dolce del mondo. Mai l'aveva visto così. Le porse una mano, ma lei non l'afferrò. Un timore nel cuore le impedì di farlo. Quella non era la sua stanza. E lei...lei stava morendo. Sentiva la fatica che faceva il suo cuore per battere e l'ossigeno non riusciva più a darle l'energia necessaria.
<< Vieni, zia Alice! >> la incoraggiò un piccolo bambino dai capelli scuri, scompigliati, inginocchiato ai piedi del suo letto. << Andiamo a casa, Alice. Finalmente possiamo farlo. >> disse Manuele.
Si puntellò sui gomiti e cercò di sollevarsi a sedere.
<< Non sforzarti troppo. Sei ferita. >> Un'altra morbida voce, femminile questa volta, provenne dalla sua destra, e la costrinse a voltarsi. Era come guardarsi allo specchio: lo aveva detto più volte, ma non l'avrebbe fatto in quel momento. Ora erano così diverse.
<< Chiara. >> mugulò, non riuscendo a trattenere le lacrime. Era così bella con i leggeri capelli che le ricadevano sulle spalle, perfettamente pettinati e un filo di trucco sul viso. Al contrario suo, invece, che più passava il tempo e più somigliava ai morti.
<< Potrò rivedervi. >> disse Alice, asciugandosi il viso col dorso della mano tremante. Era passato più di un anno, era così bello averli di nuovo accanto a sè, anche se...non erano reali.
<< Con chi stai parlando? >> chiese Daryl, comparso all'improvviso alla porta della sua stanza. Aveva il viso chino e gli occhi stanchi. Sapeva qual era la risposta, ma probabilmente non voleva sentirla, non l'avrebbe ascoltata. Era solo stato un modo per riprendersela, in quegli ultimi istanti, per impedirle di seguire i suoi fantasmi. Molly era stretta a lui, la testa poggiata sulla spalla. Era ancora scossa dai singhiozzi, benché sembrava stesse dormendo.
Alice sorrise, non sentendolo neanche un compito troppo gravoso.
<< Nessuno. Sognavo. >> confessò riuscendo finalmente a mettersi seduta. Allungò le braccia in avanti, verso loro << Portala qua. >> disse.
Daryl si avvicinò e le passò delicatamente la bambina, aiutandola per farla stendere sul letto accanto a lei. Alice le spostò una ciocca di capelli dalla fronte e approfittò per accarezzare il suo viso. Quel piccolo viso che fin troppe volte, purtroppo, aveva visto piangere. Proprio come stava facendo in quel momento.
<< Non me lo perdonerà mai. >> constatò, continuando ad osservare la bimba stesa accanto a sè. Un colpo di tosse improvviso la scosse e si costrinse a voltarsi velocemente, dall'altra parte, piegata fuori dal letto.
Daryl scattò in avanti e si chinò su di lei, aiutandola a sorreggersi, mentre la tosse non sembrava volersi fermare. Era bollente al tocco e ricoperta di sudore.
<< Sto bene! >> si sbrigò a dire lei, sperando di tranquillizzare il ragazzo vicino a sè. Si pulì la bocca con la mano ancora tremante e la osservò: c'era del sangue.
Sospirò e si accasciò sul letto.
<< Hai parlato con Rick? >> chiese lei, respirando a fatica, allargando il petto esageratamente. Daryl la guardò a lungo, sforzandosi di non far trasparire i sentimenti e le angosce, ma non riuscendoci pienamente. Poi annuì.
<< Non voglio che sia tu a farlo. >> continuò lei << Non voglio darti anche questo fardello e dolore. >>
<< Lo è già. >>
Alice si voltò di colpo, ad osservarlo, colpita da quella sua affermazione. Lesse decisione nei suoi occhi, lesse dolore, lesse rabbia, soprattutto rabbia. La rabbia di non essere riuscito a proteggerla, la rabbia di aver perso così tanto in così poco tempo. Erano gli occhi di un uomo che stava crollando.
E se ne rammaricò.
Il silenzio perdurò a lungo, incapaci di dirsi qualcosa che non racchiudesse un addio che a tutti i costi non volevano pronunciare.
Era così inverosimile.
Si erano appena trovati, nel buio, tra i morsi della morte, si erano appena trovati e ora qualcosa di più forte li stava separando bruscamente. Un avvertimento: non c'è spazio per la felicità, qui. Non più.
Poi Daryl sospirò e si avvicinò a lei, chinandosi e infilandole un braccio dietro la schiena e l'altro sotto le gambe.
<< Andiamo. >> disse sollevandola di peso, senza darle tempo di capire che stesse succedendo.
La strinse a sè, sorreggendola delicatamente, come un tesoro da custodire, un cucciolo ferito a cui si teme di far del male. E Alice si adagiò tra le sue braccia, rilassandosi, sentendo di non avere niente da temere.
Percorse silenzioso e lento la prigione, sotto gli occhi discreti dei suoi compagni, che si affacciavano ma che cercavano di concedere loro la privacy che meritavano. Avevano già dato il loro addio, avevano già pianto la loro incombente perdita, sicuramente lo avrebbero fatto a lungo, ma ora, quella sera, l'ultima, toccava a loro. Il loro ultimo, infinito, indicibile e pressante addio.
La loro ultima sigaretta silenziosa al chiaro di luna.

Il mantello non sembrava abbastanza, il freddo quella sera era quasi insopportabile, ma lo smanicato di Daryl suggeriva che lei era l'unica a sentire su di sè quel problema. Colpa della sua febbre troppo alta. Strinse i denti, sforzandosi di non tremare, non voleva dare al suo compagno ulteriori preoccupazioni.
Daryl bloccò la sigaretta tra le labbra e utilizzò il braccio libero per cingere le spalle della ragazza, seduta accanto a sè, poggiata al muro. Alice si fece scivolare, fino a poggiare la testa sulle sue gambe. Era troppo debole anche per restar seduta. Il fiato pesante non smetteva di farle muovere spropositatamente le spalle. Non era mai abbastanza. Sentiva quasi il desiderio di aprirsi il petto, per riuscire a catturare ancora più ossigeno. Daryl le posò la mano sul braccio, accarezzandola impercettibilmente e osservandola silenzioso. Aveva tante cose da dire, tante stupide e sciocche cose, ma non le avrebbe dette. Non le avrebbe mai dette.
Alice allungò una mano, facendosela correre sul braccio, fino a incontrare quella del ragazzo. La afferrò delicata e se la portò vicino al viso, osservandola e accarezzandola con la punta delle dita. Quella mano su cui, così a lungo, aveva contato. Di cui si era fidata ciecamente, anche quando si era avventurata nella sua parte più profonda. Non ne aveva mai avuto paura. L'unica mano al mondo che veramente non temeva. La rigirò, trattandola come fosse una sua proprietà, con sicurezza e delicatezza, e se la portò alle labbra, baciandone la punta delle dita. Anche da quella posizione riuscì a sentire il fiato di Daryl tremare improvvisamente, e le gambe, su cui era poggiata, irrigidirsi. Poteva tacere le sue emozioni, ma non le sensazioni. E quelle spesso erano più esplicative di qualsiasi parola. Lo sentì mentre faceva un lungo tiro dalla sua sigaretta, nascondendo in quel gesto un sospiro affranto.
<< Ehy D. >> richiamò la sua attenzione << Voglio che mi prometti una cosa. >> attese una risposta, che non arrivò. Ma sapeva che la stava ascoltando, così proseguì << Resta vivo. Qualsiasi cosa accada. Tu hai la sindrome dell'eroe, ricordatelo. Tu salvi le persone. Promettimi che resterai qui. Il mondo ha bisogno di un super Dixon. >> sorrise. Daryl non le rispose, anzi sbuffò, ritenendo probabilmente la frase sciocca, ma ne avrebbe fatto tesoro. Quella promessa l'avrebbe mantenuta, ad ogni costo.
Alice si cacciò una mano dentro il mantello, raggiungendo la sua cintura e ne estrasse, serrato tra essa e il suo corpo, un piccolo oggetto. Lo strinse tra le dita prima di raggiungere nuovamente la mano di Daryl, davanti a sè. Lo posò sul suo palmo e ne strinse le dita intorno. Daryl abbassò improvvisamente gli occhi e lentamente tirò via la mano, riaprendola per osservarne il contenuto.
<< Che cos'è? >> chiese, facendo ciondolare un pupazzetto in pezza davanti al suo naso. Era grande quanto il suo pollice, minuscolo, ma ben dettagliato. Portava dei jeans, sporchi e strappati, una camicia nera e un altrettanto minuscolo gillet in pelle con delle ali bianche disegnate dietro la schiena. Dei fili marroncini erano attaccati al centro della testa e cadevano sugli occhi: due puntini neri in filo anch'essi. Infine uno stuzzicadenti spezzato era attaccato dietro la schiena, a simulare una balestra.
Alice sorrise << Volevo dartelo a Natale. Ma credo che, a questo punto, non ci arriverò. A dire il vero volevo dartelo quello appena passato, ma sono riuscita a trovare le cose che mi servivano, e a finirlo, solo l'altro ieri. >> si voltò, sforzandosi, fino a volgere lo sguardo al viso del suo compagno: era indecifrabile, come al solito.
<< Ti somiglia! >> sorrise divertita lei.
<< E' una stronzata. >> commentò lui, voltandosi dall'altro lato. Ma, nonostante il commento facesse pensare a un rifiuto del dono, discreto e naturale, se lo infilò invece in tasca.
Alice non smise di sorridere, nonostante il commento poco carino rivolto al suo regalo, e lentamente chiuse gli occhi, in cerca di riposo. Daryl la guardò, allarmato, ma si rilassò quando vide che respirava ancora.
<< A casa mia l'albero lo facevamo l'otto di dicembre. Ogni anno con puntualità. La mamma comprava le decorazioni, sistemava l'albero nell'angolo della sala, quello vicino alla finestra, poi lasciava sole me e mia sorella con uno scatolone pieno di palline e festoni. >> una risatina la scosse appena << I primi anni era veramente brutto! Eravamo troppo piccole e incapaci, sembrava l'albero di Frankenstein. Ricordo che una volta io volevo farlo azzurro, lei invece rosa. Litigammo e alla fine ci dividemmo le zone di nostra competenza. Mezzo albero era completamente blu, l'altro rosa. >> rise ancora, ma avendo gli occhi chiusi, non potè notare il sorriso divertito dipinto sul viso di Daryl. Riuscì però a sentire lo stesso il suo sghignazzo trattenuto. E ne fu felice.
<< Il giorno di Natale mangiavamo di tutto. Mia mamma e mia nonna litigavano in cucina come me e mia sorella di fronte all'albero. E si finiva col preparare ben due cenoni della vigilia e ben due pranzi di Natale. Non riuscivamo mai a finire tutto, perciò, piuttosto che buttarlo via, ce ne andavamo in giro per tutto il pomeriggio, in centro città, a portare quello che era avanzato ai senzatetto. Così anche per loro era Natale. Era un'idea di mia nonna, lei era molto religiosa , credeva nel bene, nell'amore verso il prossimo e tutte quelle cose lì. >> sospirò, rilassandosi e si strinse più a lui, nascondendo il viso nella sua camicia, cercando calore e conforto.
<< A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se tra quei senzatetto io avessi trovato anche un bambino con gli occhi azzurri, sottili, i capelli chiari, diradati, e dall'aria scorbutica, accompagnato da un fratello violento, stronzo e rompipalle. >>
<< Non ero un senzatetto. >> disse lui, con voce bassa e dura.
<< Lo so, ma son sicura che lo stesso ti avrei trovato per strada a Natale, magari intento a rubare qualche caramella nei negozi. >> Daryl si irrigidì, spense la sua sigaretta, ma ne accese subito un'altra. Certo non era un argomento che affrontava volentieri, soprattutto in quel momento. Ma lasciò che proseguisse le sue fantasticherie.
<< Ti avrei portato ogni giorno qualcosa, avrei provato a far amicizia con te. Penso mi saresti stato simpatico. Chissà, magari sarei riuscita a donare anche a te un po' del mio Natale. >> poi sospirò, improvvisamente malinconica << Sarei voluta arrivare prima. >> confessò.
Un sorriso divertito esplose sul suo volto << Sarebbe stato divertente. >> delle immagini stavano prendendo il posto della realtà. In un altro momento sarebbero stati solo pensieri, ma in quelle condizioni erano invece così vivide da sembrare ricordi. E in quei ricordi immaginari c'era un bambino scorbutico e imbronciato, al bordo della strada, intento a torturare una lucertola con un bastone. E una bambina dai lunghi capelli scuri, inginocchiata accanto a lui, ad osservarlo, contrariata, ma almeno vicina. Magari gli avrebbe allungato qualche dono: un pezzo di focaccia, una fetta di torta o un semplice giocattolo. E lui l'avrebbe ignorata, minacciandola, per farsi lasciare in pace. Lei non l'avrebbe fatto. Avrebbe continuato a cercarlo, avrebbe continuato a stargli vicino anche quando faceva qualcosa di orribile, solo per potergli regalare un sorriso in mezzo a tutti quei ricordi bui e dolorosi. Una scintilla da portarsi dietro per sempre.
Sì, sarebbe andata così.

<< Lei non voleva farci soffrire. Preferiva portarsi dietro l'odio della gente, piuttosto che la loro sofferenza. Per questo a volte ci regalava il peggio di sè.
Lei diceva sempre di essere forte, e io non ci ho mai creduto.
Ma sbagliavo.
Sbagliavo perchè non capivo di che tipo di forza parlasse. Cadeva sempre, combinava guai, riusciva a uccidere uno zombie, ma altri due avevano tempo di prenderla alle spalle. Doveva essere seguita e accudita: una bambina che ancora non capiva la differenza tra bene e male. Non rifletteva, agiva d'istinto, forse mossa anche da una certa dose di convinzione che la sua morte non sarebbe stata importante.
La sua forza non era niente di tutto questo.
La sua forza si trovava nei passi che faceva e nelle spalle che sempre teneva ben dritte, nonostante i pesi che si portava dietro. Era sola e probabilmente ha continuato a sentire di esserlo, ma nonostante tutto era qui, per proteggerci, pronta a tuffarsi nel pericolo. Non piangeva per le sue ferite, anche quando servivano dei punti, ma piangeva se uno di noi si tagliava con la carta. Teneva in sè le cose brutte, le raccoglieva sparse per la prigione, ogni singola ombra, ogni singolo fantasma, lo prendeva e lo stringeva a sè, liberandocene se riusciva e donando a noi sempre e solo il suo meglio.
Lei aveva paura. Più di tutti noi. Era terrorizzata da ogni cosa, perfino da se stessa, tanto da fuggirne. E quella era la sua unica debolezza...quella stessa paura che l'ha uccisa. La paura di non riuscire a impedire che altre lacrime sgorgassero.
E' morta nel tentativo di salvare noi dal Governatore e nel tentativo di salvare Merle da se stesso.
E' morta per noi.
Per tutti noi.
La sua paura, la sua debolezza è diventata la sua forza e con quella lei ha lottato.
Io voglio ricordarla così. >>
Così recitò Rick, di fronte a quella tomba, sistemata di fianco alla croce in legno col collarino appeso.
Il loro ultimo saluto.
Si dedicarono del tempo, in silenzio, pensierosi, ma coraggiosi. Avrebbero guardato al futuro, anche se sulle loro spalle avrebbe gravato sempre più il fardello del passato.
Carol si allontanò, non appena ritenuto finito il suo momento. Non appena si sentì pronta a lasciarla andare. Andò sopra la torretta, al posto di guardia e quando aprì la porta trovò chi stava cercando: seduto a terra, con la schiena poggiata al muro c'era Daryl. Come la sera prima, ma quella volta era solo.
<< Si sentiva la tua mancanza. >> disse lei. Daryl non rispose. Aveva qualcosa tra le mani con cui gicherellava insistentemente, senza distogliere lo sguardo.
<< Tu più di tutti saresti dovuto essere là. >>
<< L'ho già salutata. >> disse lui con voce roca. Carol sospirò e si andò a sedere lì vicino.
<< Ho ancora la sensazione di non conoscerla davvero, come il primo giorno. >> sorrise lei, malinconica.
<< Nessuno di noi la conosceva davvero. >>
<< Tu sì. >> sorrise ancora lei. Daryl esitò, ancora preso a giocherellare con quello che aveva tra le mani, poi ammise << No. Nemmeno io. >>
Carol restò in silenzio ancora un po'; infine disse con tristezza << Si è portata via così tanto. Era strana...eppure metteva il sorriso. Quando stavi con lei sembrava che niente ci fosse lì fuori: niente zombie, niente morti. Ci faceva sentire a casa. >>
Daryl guardò l'amica sottecchi, silenzioso, poi si allungò alla sua sinistra, afferrando la balestra lì poggiata. Tramite un cordoncino legò, vicino all'impugnatura, l'oggetto che aveva in mano: un ridicolo pupazzetto fatto di stracci che somigliava a lui.
Si fermò un attimo, sospirando pensieroso, poi ammise << E' stato Merle. >>
Carol lo guardò non capendo.
<< Lei l'ha seguito. >> spiegò lui, terminando il suo lavoro e osservando il pupazzetto ciondolare al vento << Sapeva che stava andando dal Governatore ed è andata con lui. Voleva aiutarlo ed evitare che si ammazzasse. >> fece una pausa e poi concluse << Merle l'ha morsa. >>
<< Non è stato tuo fratello a ucciderla. E' stato il Governatore. >> disse repentina Carol. Ma la sua frase parve cadere nel vuoto.
<< Mi ha detto che si sarebbe dovuta aspettare che sarebbe stato un Dixon a rovinarla. C'erano tutti i precedenti. >> sorrise divertito e malinconico allo stesso tempo. Carol gli fece compagnia, anche lei divertita da una tale affermazione, tipica di Alice. Daryl le aveva stravolto la vita, dal primo istante, quando lui le aveva puntato la balestra alla testa e lei aveva cercato di fratturargli un piede con la sua spada. Da allora tutto era cambiato. Prima l'odio, l'antipatia, i litigi, il considerarsi a vicenda degli idioti. E poi la complicità, l'amicizia, le notti condivise, le mani sempre strette. Ogni giorno litigavano, peggio di marito e moglie, due teste calde, così diversi eppure così uguali. Ma poi la sera tornavano a guardar le stelle insieme.
Gli aveva detto quella frase poco prima di tirar l'ultimo respiro. Non aveva nessuna intenzione di andarsene tra lacrime e rimpianti. Cercava sempre di sdrammatizzare, come aveva fatto più volte per nascondere la dura verità.
<< Sei una stupida. >> aveva detto lui, divertito dalla sua battuta, anche se non aveva la minima voglia di ridere.
Lei aveva sorriso.
<< Sono una stupida innamorata. >>
E tutto era finito.
Ma questo lo tenne per sè.

<< E' a casa, ora. >>


Scrisse una favola...e volò via.
[Ilaria Porceddu – Vola via]



N.D.A.

Io-non-c'entro-niente-ciao!!! * fugge via per evitare il linciaggio *
Ebbene sì...se ve lo state chiedendo: è davvero la fine. Beh, prima o poi andava finita, no? XP Non l'avrei portata avanti per sempre. Sono stata troppo cattiva? Vi assicuro, però, che con molta probabilità sto piangendo più io di chiunque altro. E' stato come lasciare un figlio ormai abbastanza cresciuto per vivere da solo. Mi sento una madre abbandonata T__T e mi sono odiata per quello che ho fatto ad Ocean, ma, purtroppo, era così che doveva andare. E' stata con me per 8 mesi (un parto!!! xD) è dura dirle addio.
Ma, coraggiosamente, lo farò u.u
Passando a voi: vi ringrazio infinitamente! Probabilmente non sarei arrivata fin qui senza il vostro sostegno (manco avessi vinto l'Oscar -.-). Ringrazio tutte voi che hanno recensito questi 33 capitoli (gli anni di Cristo *W* sarà un caso? *sbuca Adam Kadmon urlando "gli illuminatiiiiiiiiiiiiiii"*), grazie a chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e grazie anche ai lettori silenziosi che mi hanno donato una media di 150 visualizzazioni a capitolo. Tanti kiss per voi.
Spero di non avervi distrutto troppo psicologicamente e spero di non avere il vostro odio ora xD
Beh, dai...così Daryl non sarà poi preso da Ocean e potrà più avanti concentrarsi su Beth, come da serie tv. Così non ho scombussolato niente: l'avevo detto che volevo restare fedelissima.
"E Molly?" * urla una voce dalla platea *
SILENZIO! U.U ho tutto sotto controllo.
Come potrete notare, non ho ancora segnato "conclusa" la storia (benchè, vi assicuro, questa è davvero la fine). Questo perchè aggiungerò un epilogo e forse ancora un altro mini capitoletto di conclusione (una specie di "scena dopo i titoli di coda" xDD) quindiiiii...state seduti, non abbandonate la sala (a meno che non ve ne freghi nulla), perchè avrò ancora una cosa da dirvi.
Tornando alla storia...la strada di Ocean termina qui, ma ho adorato * pffff! Questa si adora da sola * l'idea di fare in modo che i suoi segni rimanessero nel tempo. A partire dal "capello lungo che a lei piace così perchè è più macho" alla richiesta di non morire, di continuare a essere l'eroe. Come se fosse stata lei a stimolarlo a proseguire, nonostante tutto, portandolo anche a raccattare gente in giro, salvare vite ecc ecc.
Volevo farvelo notare perchè forse son cose che non si notano, sono "nascoste", ma siccome ci tengo le sbandiero in giro u.u
Ok...direi basta.
Vi ringrazio ancora.
Siete stati fondamentali per la riuscita (o non riuscita, a seconda dei punti di vista) di questa storia.
Bene, ora sono pronta ad essere offesa pesantemente xD
Byeeeeeeeeeeeeeee


Ray.

Ps. Per chi fosse troppo innamorato di me per lasciarmi (eheh) posso comunicarvi che sono ancora all'opera. Se avete ancora voglia di rovinarvi la vita, fate un giro sulla mia pagina xD Al momento, attiva ho un'Originale Romantica ambientata a Hollywood...per chi ha voglia di un po' di love love.

Pps. Ora posso dirvelo: spoiler celati incompresi xD La canzone all'inizio del prologo già vi annunciava la fine della mia storia u.u Nessuna domanda sul "I will disappear" finale? Tiè u.u

ppps. (sto esagerando? xD) chiedo scusa se ci ho messo tantissimo ad aggiornare, ma capitemi T__T non riuscivo a dirle addio. Temporeggiavo e trovavo ogni scusa per dire "no, non è ancora pronta!"
Beh....basta....ciaooooo xP

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Capitolo 34
*** Epilogo. ***


Epilogo.

<< Mamma! Mamma! Andrò in America! >> un annuncio tanto entusiasta non era stato fatto neanche da Jack di Titanic. Il cuore era in palpitazione, poco sarebbe importato se non sarebbero stati d'accordo, se avrebbero sentito la sua mancanza.
<< Due settimane! Tornerò presto. >> quello era l'importante. Sarebbe stata via, non avrebbe rivisto i loro volti, i loro sorrisi, gli occhi vispi che nascondevano la tristezza di una vita mediocre, in continua lotta con un pasto in tavola che spesso faticava a presentarsi. Maledetta Italia. Avrebbe viaggiato, riso, avrebbe vissuto un sogno.
Ma poi sarebbe tornata.
Si sarebbe svegliata in una fresca mattina di Primavera, con quel sottile raggio di sole, che ribelle sarebbe riuscito lo stesso a passare oltre gli scuri della finestra e che, puntuale alle 8, avrebbe colpito la sua guancia destra. Si sarebbe risvegliata con le urla agitate di sua sorella, in ritardo per l'ennesimo colloquio, e di Andrea, che aveva sempre troppo sonno per andare a scuola.
Si sarebbe svegliata con l'aroma del caffè e qualche brutta notizia al telegiornale, così lontana da sembrare solo un racconto dell'orrore.
Poi ci si sveglia.
Ci si sveglia con un bacio e una carezza, un "buongiorno" impastricciato e un biscotto al cioccolato.
Il richiamo di un padre, già strozzato nella sua cravatta << Allora, ti sbrighi? Dov'è la tua cartella? >>
<< Mi fa male la pancia. Ho la febbre. >>
5 anni di pura pigrizia, come sua madre, che da bambina appoggiava il termometro sulla lampada, ancora troppo piccola e inesperta per capire che 54° C non era una temperatura adeguata ai suoi scopi.
Il saluto di una nonna, annoiata davanti alla tv: chissà da quante ore il sonno già le mancava.

<< Mamma! Mamma! Vado in America! >> aveva corso per la strada, ignorando e litigando con automobilisti fermi davanti a un semaforo verde, ingiustamente costretti ad aspettare una ragazza avvolta dall'euforia di un sogno preannunciato.
<< Tornerò presto. Vedrai! >>
Sarebbe tornata.
Si sarebbe svegliata e sorridente avrebbe raccontato il suo magnifico sogno.
<< Ma almeno hai conosciuto un bel ragazzo? >> avrebbe chiesto sua madre.
<< Tuo nonno era proprio bello! E non a caso era americano. E' come tuo nonno? >> avrebbe chiesto sua nonna, con gli occhi coperti da spessi occhiali, concentrati su un filo di lana che danzava tra le sue mani.
<< Biondo! Un bel cognato biondo e americano! E occhi azzurri, ovviamente! >> avrebbe partecipato anche Chiara: mai si tirava indietro se c'era di mezzo sua sorella. Lei doveva sempre essere la prima a sapere e valutare. Solo una persona degna poteva prendere il suo posto nella gerarchia delle importanze.
<< Che non sia tipo da fast food! >>
<< E che abbia un'aria da misterioso! Tenebroso! >>
<< Sì, uno alla Jude Law! >>
<< Oh, per favore! Jude Law è terribile! Richard Gere è un vero sex symbol! >>
<< Richard Gere è vecchio, l'americano di Alice deve essere giovane! >>
E avrebbe riso. Avrebbe riso di fronte al loro bisogno di organizzare per filo e per segno la sua vita sentimentale, come se lei non fosse ancora in grado di farlo.
E avevano ragione.
<< Trovati un uomo, Alice! Non arrivi allo scaffale in alto! >> aveva ripetuto sua madre più volte, velando di comicità il bisogno che sentiva di avere un altro cognato. Il suo viaggio in America aveva acceso la fantasia di tutte le presenti, soprattutto dopo la meravigliosa esperienza di sua nonna, che si era trovata un affascinante americano con cui aveva costruito una vita e una famiglia.
E, ridendo, avrebbe raccontato il suo sogno.
Una splendente America, feste fino a notte fonda, paesaggi mozzafiato, una rapida gita nella vecchia città di suo nonno, immersa nella malinconia di una nipote che a lungo non ascolta più le storie "dei suoi tempi, quando lui era piccolo e raccoglieva monetine vicino ai marciapiedi, lustrando le scarpe ai gentleman." E l'oceano. Avrebbe visto l'oceano. Ne avrebbe appreso i segreti.
Si sarebbe svegliata.
E li avrebbe raccontati a chi aveva orecchie per ascoltare, coraggio per esplorare, cuore per amare e qualcosa a cui rinunciare.
Perché tutto ha un prezzo.


<< Mamma! Sono stata in America. Ho trovato il mio americano. Occhi azzurri, capelli chiari, anche se non biondi. Tenebroso e misterioso. Non un tipo da fast food. Forse un po' alla Jude Law o forse un po' alla Richard Gere, da giovane però. Lui arriva allo scaffale in alto. Non mi ha salvato la vita, non è arrivato in tempo, ma è riuscito a donarmene una nuova. Una vita nuova di zecca, meno sporca e più pregiata. Mi ha afferrata e trascinata, burbero, ma mi ha guardata negli occhi e dalla melma mi ha salvata. Mi ha dato dei nuovi abiti, corredati di un bel sorriso. Me l'ha costruito lui, con le sue rozze mani. Ha creato solo ed esclusivamente per me un sorriso brillante e delicato. Non potevo che indossarlo ogni giorno, per lui, per ringraziarlo.
Avrei voluto fartelo conoscere, ti sarebbe piaciuto. Lo avresti invitato a cena ogni sera e avresti preparato per lui ogni tipo di lecornia, perchè lui avrebbe mangiato con gusto, intimorito un po' da tutto quel brillare di casa nostra, ma avrebbe accettato. Gli avresti detto che è un bravo ragazzo, lui si sarebbe arrabbiato, ma il giorno dopo sarebbe tornato a cena, che tu avresti preparato solo esclusivamente per lui. Un giorno ti avrebbe portato un coniglio, cacciato apposta per te, per ringraziarti di avergli dato una casa. E tu lo avresti fatto alla cacciatora, buono solo come tu sei in grado di fare. La nonna avrebbe preparato per lui un orrendo maglioncino, con sopra qualche stupido animaletto. Non lo avrebbe mai indossato, ma l'avrebbe incorniciato nella sua stanza, se veramente ne ha mai avuta una. Avreste ascoltato i nostri litigi con uno stupido sorriso sulle labbra, senza intervenire, divertiti, perchè tanto avreste saputo che quello non sarebbe significata mai la fine. Lui sarebbe tornato, ogni sera, anche sotto le tempeste invernali. Avrebbe portato un coniglio per te e io sarei scesa a salutarlo, indossando il sorriso che lui aveva costruito solo ed esclusivamente per me.
Mamma! Sono stata in America. Ho lasciato tante cose lì. Ma ne ho trovate di nuove. Ho creduto di essere sola, ma poi mi è stata indicata la via. Ho trovato dei sorrisi e degli abbracci, delle carezze e delle coperte calde. Un pasto da dividere e una ninna nanna a dar la buonanotte. Ho trovato chi stavo cercando e molto di più.
Una notte ho fatto un bel sogno!
Eravamo tutti insieme. Molly giocava con Andrea a nascondino, Max e Micky si rincorrevano e litigavano per un osso, la nonna invece parlava di ricordi con Herhsel. Una lunga chiacchierata piena di "ai miei tempi", quando ancora c'erano dei Tempi. Beth e Maggie parlavano di vestiti con Chiara. E tu eri con Carol a discutere di ricette di cucina, a imparare come si fanno i biscotti e insegnare a tua volta a fare un'ottima lasagna all'italiana. Leonardo era con Rick a discutere di sport. E poi c'era Manuele, T-Dog, Claudio, Susy, Federico, anche Shane, Lori, Andrea, Michonne e tutti gli altri.
E io ero seduta, sorridente, a guardarvi. L'albero blu e rosa, vicino alla finestra, sembrava sorridere con me.
Sono poi tornata a guardare il mio americano. Quello che arriva agli scaffali in alto e che non mangia ai fast food. Sono tornata a guardarlo, solo, con una sigaretta tra le sottili labbra e un cielo stellato a illuminargli il volto. Mi ha sorriso e io ho sorriso a lui. Mi ha sussurrato un segreto.
-Bentornata a casa. -
Poi mi sono svegliata.
Mamma! Sono stata in America. Ho visto l'Oceano. Ho parlato a lungo con lui. E' un gran chiacchierone, ha tante cose da raccontare, gli piace parlare, parla sempre, in ogni istante. Ma le persone non lo stanno ad ascoltare. Mi ha rivelato tutti i suoi segreti e io, avida, ho ascoltato a lungo, così a lungo da farli miei. Ho dimenticato chi ero, sono diventata lui. Sono diventata una malinconica custode di segreti e tormenti, che nessuno ascolta, che inghiotte sempre più, affamato di tesori, rumorosa, pericolosa, ma incompresa e sola.
Mamma. Sono stata in America. Ho ascoltato, ho imparato, sono stata coraggiosa, ho amato...e infine ho rinunciato a qualcosa.
Perchè tutto ha un prezzo.

Mamma.
Ho fatto un sogno incredibile, che per un attimo è sembrato un incubo. Ma non tornerò a raccontartelo.
Io, questa volta, non mi sveglierò.

Perchè tutto ha un prezzo.
E io, il mio, l'ho appena pagato. >>

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Capitolo 35
*** Then. ***


Then.


Qualche anno dopo.


Era il tramonto. Non sapeva l'ora: il suo orologio da polso aveva smesso di funzionare da un po', anche se rimaneva lì, ben stretto al suo braccio, quasi a rammentargli che una volta il tempo esisteva davvero. Che una volta era il loro padrone. Ora tutto era fermo. Immobile, immutabile, se non per quelle sottili rughe, sempre più profonde. Erano loro, ora, a scaglionare il tempo.
Era il tramonto.
Il sole era già sparito dietro la linea dell'orizzonte, ma la sua fioca luce ancora faticava ad andarsene completamente. Questione di minuti. L'aria fredda della sera lo costrinse a stringere le spalle nelle sua giacca. Con la punta di un bastone andò a stuzzicare i tizzoni che bruciavano, a pochi passi da lui. Il fuoco si vivacizzò appena, ma questo non sembrò bastare al suo scopo. In quell'attimo di barlume l'unica cosa che fece fu quella di illuminare appena i capelli sporchi della persona seduta davanti a lui. Quei lunghi capelli, che da tempo più tagliava e che ora nascondevano gelosamente gli occhi di chi vuol smettere di vedere. Di chi vuol smettere di farsi vedere. Occhi così pieni di eventi passati da esserne sovraccaricati. E lui li nascondeva, forse vergognandosi, forse semplicemente geloso dell'unica cosa che gli era rimasta. I ricordi. Voleva morire con loro.
Non glielo aveva mai detto, ma lui lo sapeva.
Lo urlava. Il suo silenzio urlava questa dolorosa verità.
Rick si soffermò sulla figura che aveva di fronte, quella figura che un tempo aveva chiamato "fratello". Ora ne era solo l'ombra.
Poggiato all'albero alle sue spalle, la testa china in avanti, sembrava stesse dormendo, ma sapeva che non era così. Accanto a lui sedeva, fedele amica, la sua balestra. L'unica che ancora non l'avesse abbandonato. Giaceva, ora, a terra, steso tra la polvere e il fango, immagine di quel che era realmente, un pupazzo grande quanto un dito, dalla giacca di pelle e lunghi capelli a corprirgli gli occhi. Un tragico squarcio gli aveva quasi svuotato il petto dalla sua imbottitura, ma erano riusciti a salvarlo. Qualche punto, una piccola toppa. Era stato un momento di pura disperazione per il suo proprietario. Quello era un piccolo frammento di anima che portava gelosamente. E Rick, per quanto lo ritenesse assurdo, sapeva che finchè quel pupazzo sarebbe rimasto lì, intero, appeso alla sua balestra, lui avrebbe ancora avuto un motivo per aprire gli occhi la mattina. L'ultima parte di sè, l'ultima speranza. Quello sciocco e orribile pupazzetto, rammendato e sporco, appeso letteralmente a un filo, rappresentava il suo ultimo appiglio alla vita. Racchiudeva un vecchio, lontano, malinconico "Promettimi che vivrai".
<< Daryl. >> lo chiamò, non ricevendo risposta alcuna << E' cotto. Mangia qualcosa. >> disse porgendogli quel misero boccone di carne: un vecchio topo catturato in una casa marcia, qualche giorno prima.
<< Sono a posto. >> bofonchiò Daryl, senza alzare la testa.
<< No. Non lo sei. >> quanta verità in quelle poche parole.
Ancora nessuna risposta. Rick sospirò e tornò a posare gli occhi sul pupazzo steso a terra. La luce vibrante del fuoco gli donava una terrificante espressione colma di dolore. Ma sapeva che era in realtà solo frutto della sua immaginazione.
<< Mi dispiace per ciò che hai perso. Forse non te l'ho mai detto. >> ammise, sperando di destare in lui una qualsiasi reazione. Una qualunque, anche un cazzotto in faccia sarebbe andato bene, purchè avesse reagito, purchè avesse dimostrato di essere ancora lì, su quella terra, insieme a lui.
Ma ancora una volta l'unico movimento fu quello della sua ombra, agitata dal fuoco.
<< Devi reagire. Lo hai promesso a lei. >> non disse il suo nome, da anni più lo faceva, da quando l'ultima volta, nel sentirlo, Daryl aveva reagito con una tale furia da risultare pericoloso per chi gli era attorno. Bastava nominarla e usciva tutto quello che aveva dentro, una diga che si rompeva e metteva in pericolo la cittadina ai suoi piedi.
Ma il continuo silenzio in cui si era chiuso portò lo sceriffo a compiere quel passo sconsiderato. Come già detto, qualsiasi reazione poteva andare bene, anche un cazzotto in faccia, purchè avesse reagito.
<< Lo hai promesso ad Alice. >> ribadì.
<< Le ho promesso di vivere. >> rispose Daryl serrando la mascella. Una scintilla bruciò nei suoi occhi, ora, finalmente, puntati sul viso di Rick. La diga si stava crepando.
<< Questo non è vivere! >>
<< Che cazzo ne sai tu di cos'è vivere? >> urlò. E l'acqua inondò la pianura. << Questo è vivere? Soli in questo fottuto bosco del cazzo con uno schifoso topo per cena! >> si alzò in piedi, dando sfogo alla sua rabbia in una scenografia di gesti, calci e passi continui, avanti e indietro << Circondati da quei figli di puttana che non aspettano altro di poter assaggiare questa merda che siamo diventati. >>
<< Rimettiti a sedere, per favore. >> lo invitò Rick, cercando di stare calmo, sperando che quello servisse a rimettere in parte le cose a posto. Le sue urla erano giustificate, ma pericolose. La morte camminava a pochi passi da loro, non era prudente attirare la sua attenzione.
<< Fottiti. >> mormorò Daryl, chinandosi a prendere la sua balestra. Se la sistemò in spalla e si incamminò verso la zona buia, al di fuori del cerchio che era diventato il loro punto ristoro.
<< Dove vai? >> lo richiamò Rick, alzandosi a sua volta.
<< A pisciare. >> rispose a tono il balestriere.
<< Fermati! >> lo inseguì, posandogli, una volta raggiunto, una mano sulla spalla. Daryl si liberò della presa con uno strattone e, mosso dalla scia della sua furia, si scagliò su di lui, schiacciandolo contro l'albero più vicino. Il braccio era premuto alla sua gola, minaccioso.
<< Daryl! Calmati! >> cercò di convincerlo << Sto solo cercando di aiutarti! >>
<< Non ho bisogno del tuo aiuto. >> sibilò il balestriere, prima di lasciarlo andare e voltargli nuovamente le spalle, diretto da nessuna parte in particolare.
Rick lo guardò allontanarsi di qualche passo, prima di urlargli << Io sì! >>
<< Aiutati da solo. >> gli rispose a tono, camminando spedito. Voleva restare solo, voleva perdersi nell'oscurità e non uscirne più, trovare un pretesto per morire, senza dover ammetere "sono stato io." Aveva promesso di vivere, non voleva venirne meno. Ma se fosse stato ucciso, lui non avrebbe avuto nessuna responsabilità in merito.
Sentì però i passi di Rick ancora dietro di sè, intenzionato a non lasciarlo andare.
<< Non lasciare che gli eventi ti schiaccino, Daryl. Il mondo ha ancora bisogno di te. >>
"Il mondo ha bisogno di un super Dixon" sussurrò una voce nella sua testa, rimbombo di quanto le orecchie avevano appena ascoltato. Una voce dolce e lontana, come l'impercettibile eco di un sogno. Irreale. Eppure esistente. Stretta ai suoi ricordi riuscì a riconoscerla.
Ne ebbe paura.
E l'odiò per questo.
<< Non c'è più nessun mondo! >> ringhiò voltandosi << Dale, Lori, T-Dog, Shane, Hershel, Alice, Molly e Beth! E ora tutti gli altri. Chi è rimasto? Per quale fottuto mondo stai ancora lottando? Perfino Carl e Judith non ci sono più! >>
L'unica risposta che riuscì ad ottenere però fu un violento cazzoto in faccia, in pieno zigomo. Perse l'equilibrio per un istante, ma riuscì a riprendersi e ad alzare gli occhi appena in tempo per vedere Rick scagliarsi contro di lui, braccia tese e un'espressione furiosa in volto. La polvere li avvolse mentre i due sfogavano paure e risentimenti l'uno contro l'altro. Pugni, calci e spinte perseguirono per infiniti minuti, ignorando chi (o meglio: cosa) avrebbe potuto sentirli.
Un pugno fece saltare un dente allo sceriffo e per un po' gli avrebbe lasciato la guancia livida. Un altro in risposta centrò in pieno l'occhio di Daryl: anche lui ne avrebbe avuto per giorni il segno. Una ginocchiata nello stomaco, una spinta, la schiena che sbatte violentemente al suolo.
Ancora e ancora.
Poi finalmente la stanchezza prese il posto della furia.
Rick afferrò Daryl per il collo della maglia, in un momento in cui era chino, stremato, e lo spintonò contro un albero, spingendo verso l'alto tanto da tenergli ben sollevato il mento.
<< Carl e Judith sono ancora vivi! >> sibilò a pochi centimetri dal suo volto << E anche tutti gli altri! Ci siamo già separati in passato e ci siamo ritrovati. Lo faremo ancora. Non puoi darli per morti. Io non lo farò. >> lo lasciò andare e si allontanò di un passo. Daryl scrollò le spalle, risistemandosi la maglia con un atteggiamento superiore. Lo fissò, per niente intimorito poi voltò la testa e sputò un grumo di sangue a terra. Andò a riprendere la sua balestra e tornò verso il fuoco che ancora bruciava, intenzionato a riposare e ignorarlo. Si era dimenticato la ridicola scusa con cui aveva cercato di allontanarsi.
Rick lo seguì, intenzionato a imitarlo. Voleva riposare e il buio della notte che andava inoltrandosi gli metteva agitazione. Odiava non riuscire a vedere cosa avesse attorno.
<< Daryl. >> richiamò la sua attenzione, una volta tornati al loro misero accampamento << Molly è viva. >>
Daryl fece scivolare al suolo la sua balestra, posandola vicino a un sasso, facendo di nuovo cadere il suo piccolo sè di pezza in mezzo al fango. E rimase lì, fermo ad osservarlo, con la testa china, i capelli di nuovo a nascondere e proteggere i suoi occhi vulnerabili, gli occhi di chi si sta guardando allo specchio e ciò che vede non gli piace.
<< Aveva con sè la daga che Alice le aveva regalato e con un padre cazzuto come te sicuramente qualcosa ha imparato in quell'anno di addestramento. >> insistè Rick.
<< Aveva solo 8 anni. >> rispose Daryl, basso ma deciso. Non nutriva speranze, e da quando anche Beth se n'era andata aveva perfino smesso di ricordare cosa fosse "la speranza". Il suo futuro era rimasto in quel maledetto ospedale. Da allora aveva solo vagato.
<< Lo so. Ma l'hai vista scappare via, non morire. >> era successo tutto il giorno che avevano perso la prigione. Il giorno che si erano divisi, prima di ritrovarsi a Terminus. Molly, in preda al terrore, sotto la pioggia di proiettili, aveva seguito il suo istinto ed era scappata via. Nessuno l'aveva più rivista da allora.
Daryl, dal momento che aveva visto le sue rosse trecce sparire nel bosco, non aveva neanche provato a cercarla.
Era solo una bambina.
E da allora erano passati tanti anni.
Non poteva essere sopravvissuta.
<< Non ho intenzione di perdere di nuovo tempo a cercare una bambina morta. >>
<< Sophia era una bambina. Molly non lo era più, già da anni, da quando l'avete trovata nel portabagagli di quell'auto. >> Rick si sedette, lasciandosi pesantemente cadere per terra << Molly è viva. E tu lo sai. >>
Quanto desiderava potergli credere.



N.D.A.

Aaaaaand this is the end! Questa volta per davvero xD Ho voluto aggiungere un epilogo per dare l'ultima parola ai pensieri di Alice, per dargli l'ultimo spazio. Infondo la storia era sua.
Eeee...indovinate un po' perchè ho sentito il bisogno di aggiungere quest'ultimo capitoletto? Per permettere a Daryl e Rick di prendersi a pugni u.u così, giusto perchè sono due omaccioni cazzuti...no, scherzo xD
Suggerimento.
Il titolo del cap: "Then".
Poi.
Un avverbio di tempo, una parola che collega un qualcosa di concluso a un qualcosa che comincerà.
Va bene, basta coi giochetti. Ebbene sì...ci sarà (al 90 % >__>) un seguito.
Lascio alla vostra immaginazione il cosa potrebbe essere (anche se non è difficile, dai ahahah).
Non so bene QUANDO farla arrivare, al momento sono un po' presa da altre cose (ho due long in sospeso e una OS sulla lista delle cose da fare xD), ma questo non vuol necessariamente dire che arriverà tra molto tempo. Può essere anche domani u.u Sono ancora molto presa dalla scia di questa ff, quindi capace che mi metto subito a scriverla ignorando la mia work list (ammetto di aver già buttato giù il prologo >__>).
Comunque sia aspettatevi di tutto xD e spero di ritrovarvi/risentirvi anche lì.
Io approfitto di quest'ultimo spazietto per ringraziarvi ancora tutti quanti. Grazie davvero!
Un grazie particolare anche a BatmandyDaryl che, entusiasta della mia storia, mi ha chiesto di riportarla anche su Wattpad *__* (la trovate qui --> http://www.wattpad.com/story/36938952-a-brand-new-world-a-brand-new-me )
Che carina *-*
Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee.... che dire? Alla prossima!!! (che ci sarà sicuramente, seguito o non seguito, son troppo presa da TWD per abbandonare il fandom ahahah)

:*

PS. Ricordo che, per chi volesse (per chiacchiere, suggerimenti, anticipazioni, spettegolezzi, fangirlate, offese, insulti e Nutella gratis), mi può trovare anche su facebook!!! Cercate Ray Wings, oppure andate alla mia pagina autrice qui su EFP e cliccate sulla F blu di Facebook :) (o..Fuck You... sono interpretazioni, insomma).
Io accetto tutti, non sono razzista xD

BYEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE


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