A brand new world (A brand new me) di Ray Wings (/viewuser.php?uid=60366)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Marea. ***
Capitolo 3: *** Anfitrione. ***
Capitolo 4: *** Naufragio. ***
Capitolo 5: *** Impatto. ***
Capitolo 6: *** Simbionti. ***
Capitolo 7: *** Sabotaggio. ***
Capitolo 8: *** Antropologo. ***
Capitolo 9: *** Falla. ***
Capitolo 10: *** Commiato. ***
Capitolo 11: *** Armistizio. ***
Capitolo 12: *** Rendez vous. ***
Capitolo 13: *** Ardimento. ***
Capitolo 14: *** Apnea. ***
Capitolo 15: *** Convergenza evolutiva. ***
Capitolo 16: *** Redenzione. ***
Capitolo 17: *** Frode. ***
Capitolo 18: *** Genesi. (Parte 1) ***
Capitolo 19: *** Genesi. (Parte 2) ***
Capitolo 20: *** Espugnazione ***
Capitolo 21: *** Anabiosi. ***
Capitolo 22: *** Poker Face. ***
Capitolo 23: *** Scacco Matto ***
Capitolo 24: *** Aurora. ***
Capitolo 25: *** Zombie. ***
Capitolo 26: *** Eclissi. ***
Capitolo 27: *** Ritorno. ***
Capitolo 28: *** Idiosincrasia. ***
Capitolo 29: *** Gagliardia. ***
Capitolo 30: *** Palpitazione. ***
Capitolo 31: *** Prodezza. ***
Capitolo 32: *** Abiura. ***
Capitolo 33: *** I am Home. ***
Capitolo 34: *** Epilogo. ***
Capitolo 35: *** Then. ***
Capitolo 1 *** Presentazione ***
A
brand new world (a brand new me)
So
I run, hide and tear myself up
I'll start again with a brand new
name
And eyes that see into infinity
I will disappear
I
told you once and I'll say it again
I want my message read
clear
I'll show you the way, the way I'm going
So I run,
hide and tell myself
I'll start again with a brand new name
And
eyes that see into infinity
I was almost there
Just a moment
away from becoming unclear
Ever get the feeling you're gone
I'll
show you the way, the way I'm going
So I run, hide and tell
myself
I'll start again with a brand new name
And eyes that see
into infinity
So I run, start again
With a brand new
name
With a brand new name
So I run and hide and tell
myself (so I run)
I'll start again with a brand new name (start
again)
And eyes that see into infinity (with a brand new name)
I
will disappear
{
Capricorn – 30 seconds to mars }
...Presentazione...
In
una presentazione si presume che una persona si presenti, giusto? Ma
la cosa ha importanza? Fuori c'è la fine del mondo e a voi
veramente interessa un'anonima sopravvissuta come me? E poi cosa volete che
vi dica? Chi sono....o chi ero?
Beh...il
chi ero è ancora più irrilevante del chi sono,
perciò, se proprio
ci tenete, direi di partire da quest'ultimo. Il mio nome è
Ocean, ho
26 anni e non vi dirò da dove vengo, perchè non
ho un luogo di
provenienza. Ad oggi giro per la Georgia cercando di sopravvivere,
come fanno tutti gli esseri umani ultimamente. Visto? Io vi avevo
avvertito che era una cosa assolutamente irrilevante. E ancora
più
irrilevante è il "chi ero".
Prima che il mondo
diventassse l'Inferno il mio nome era Alice, sempre 26 anni ed ero venuta dall'Italia con furore. So cosa vi starete
chiedendo: Che diavolo ci fa un'italiana in Georgia in piena
apocalisse? Circostanze, destino, direbbe qualcuno. Sfiga
nera, dico io! Per la prima volta che decido di spostarmi
oltreoceano, bam!! Becco l'apocalisse. Ditemi se non è
sfortuna.
"Solo un paio di settimane, mamma" dicevo "facciamo il
nostro lavoro, ci godiamo qualche giorno di sana America e poi mi
vedrai di ritorno. Non sentirai nemmeno la mia mancanza".
Sì, proprio così è andata, come no?!
Il
mio risentimento però rimarrà tale per un bel
po', e continuerò
ancora a lungo a chiedermi se a casa le cose stanno andando alla
stesso modo o se l'oceano è riuscito a limitare la
catastrofe a
noi poveri scemi. Ciò non toglie però che il
mondo ormai è
cambiato, è un mondo nuovo di zecca, per quanto non possa
piacere (ma questo è tutto soggettivo). Bello o brutto che
sia....è un mondo
nuovo di zecca, e anche io sono ormai nuova di zecca.
Adesso
mi chiamo Ocean....come quell'immensa distesa d'acqua salata che mi
separa da quella che era casa mia.
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Capitolo 2 *** Marea. ***
Marea
Un
villaggio come un altro, in una terra come un'altra, in un
supermercato come un altro, una ragazza come un'altra si trovava di
fronte allo scaffale del cibo in scatola. Niente di più
comune...se
non fosse stato che il villaggio era deserto, se non per qualche
zombie vagante, e la ragazza era l'unico essere che respirava in quel
luogo. Il suo abbigliamento, in occasioni normali, sarebbe stato
ritenuto singolare e sarebbe stata vittima di derisioni, ma ora che
il mondo era finito cosa gliene importava delle prese in giro? Chi
avrebbe potuto schernirla? Aveva approfittato della sua
seconda chance, della sua rinascita, per decidere lei stessa chi
sarebbe diventata. Il mondo le aveva imposto di cambiare vita e lei
aveva colto l'occasione per darle il senso che
più
desiderava. Per questo indossava abiti di rimando medievale: un lungo
gilet in pelle nero, sopra una camicia da uomo nera anch'essa.
Pantaloni neri si infilavano poi in dei pesanti stivali in pelle, che
terminavano all'altezza del polpaccio. Portava in vita una cintura da
dove pendeva una spada bastarda, al petto altre cinghie erano legate,
che sorreggevano un paio di daghe, e dietro alla schiena, appesi alla
spalla, un arco e delle freccie. All'occorenza, sotto la camicia,
indossava una cotta di maglia, che più volte le aveva
salvato
la vita
da qualche zombie che aveva tentato di morderla ma si era trovato tra
i denti solo anelli di ferro, senza riuscire ad arrivare alla carne.
Era però una scelta che non sempre faceva: la cotta era
troppo pesante
per lei e a volte non faceva altro che stancarla e rallentarla, senza
nessun vantaggio. Per proteggersi
dal freddo della notte spesso utilizzava un vecchio mantello di lana
nero, rovinato ormai, ma sempre un buon alleato. Anche quella,
però, era
una scelta che non sempre faceva: troppo ingombrante, le impediva di
scappare, e non sempre faceva poi così freddo.
All'inizio si era sentita scomoda e impacciata dentro quegli infiniti
strati di indumenti, ma poi ci aveva fatto l'abitudine. Il bisogno
della sopravvivenza le aveva insegnato tante cose.
Dentro quel
market abbandonato, canticchiando a labbra serrate e ondeggiando con
la testa, Ocean si ritrovava a dover fare una delle cose che spesso
aveva odiato anche in precedenza: la spesa. Di fianco a lei, seduto,
che la fissava scodinzolante, in attesa di un buon pasto, c'era un
cane bianco e nero, con una piccola chiazza marrone su un orecchio,
appartenente a quella razza che un tempo era diventata famosa grazie
a una simpatica pubblicità anni 90: un Border Collie.
«È rimasto ben poco anche qui.»
comunicò
Ocean al suo amico. «Ti vanno i fagioli?» chiese
poi, voltandosi verso il
cane, che, sentendosi preso in causa, abbassò le
orecchie.
«Sono molto nutrienti sai? Non fare quella faccia.»
disse
ancora la ragazza, infilando in una grossa sacca quante più
scatole
potesse. Fagioli, ceci e lenticchie, tutti ciò che al
momento
era
disponibile.
«Passiamo oltre e vediamo cos'altro offre la casa»
disse
tra
sè e sè, spostandosi per raggiungere lo scaffale
successivo. «Dio, ammazzerei qualcuno per avere un po' cibo
fresco. Formaggi,
affettati, latte, uova, frutta e verdura... sembra passata una vita
dall'ultima volta che ne ho sentito il profumo.»
continuò. Il cane la seguì e
si mise di nuovo a
sedere vicino a lei, di nuovo scodinzolante, e di nuovo in attesa.
Ocean
lo guardò con occhi vagamente sorpresi, come se avesse visto
solo in
quel momento la presenza dell'animale accanto a sè.
Afferrò una
scatoletta di carne e tirando la linguetta l'aprì, poi
aiutandosi
con un dito rovesciò il contenuto sul pavimento.
«Per ora
accontentati, non abbiamo tempo di fermarci per cena. Farai un pasto
più sostanzioso più tardi» disse,
leccandosi il dito sporco
di carne, per poi riprendere a riempiere la sacca con tutto
ciò che era recuperabile e
disponibile. Il cane ai suoi piedi nel frattempo aveva già
lucidato
a dovere il pavimento. Ocean valutò la pesantezza della
sacca:
doveva sempre fare attenzione a non esagerare, la fuga non doveva mai
essere impedita e la stanchezza doveva sempre essere mantenuta il
più
lontano possibile.
«Direi che per un po' siamo a posto.»
valutò. «Ci
conviene andare adesso.» odiava restare troppo tempo
ferma
nello stesso luogo, la faceva sentire insicura, come se qualcosa la
stesse costantemente rincorrendo.
«Forza Max, lascia perdere quel pavimento, non t'accanire,
tanto
tornerà sporco tra non molto» al sentir
nominare il suo nome,
il cane sollevò le orecchie, ma non smise di leccare il
pavimento.
L'aroma della carne l'aveva reso irresistibile.
«Max, guarda che ti lascio qui! Andiamo, forza!»
brontolò
Ocean, cercando sempre di tenere un tono di voce adeguato.
Cominciò
ad avviarsi verso l'uscita, fermandosi ad ogni angolo, piantando le
spalle bene contro il muro dei reparti, prima di sporgersi lentamente
e controllare che non ci fossero ospiti indesiderati. Stesi a terra
c'erano decine di cadaveri, ma per fortuna nessuno di loro per ora
aveva avuto la brillante idea di alzarsi. Per ora.
Riuscirono
ad arrivare alle casse senza intoppi, anch'esse decorate con un paio
di cadaveri di allestimento.
«Dovrò capirla
prima o poi
questa nuova moda» scherzò Ocean,
avvicinandosi con cautela.
Aveva appeso la sacca piena di cibo in spalla e aveva sfilato una
delle sue daghe, stringendola forte tra le dita.
La lama era smussata in un paio di punti, e c'era del sangue
incrostato sopra che non era riuscita a togliere, ma era ancora
funzionale e affilata quanto bastava per perforare i crani di quegli
esseri. L'importante era sopravvivere, non essere bella pronta per
una sfilata di moda. Si avvicinò alla cassa, dove oltre
c'era poi
l'uscita, e passò di fianco al cadavere facendo ben
attenzione a non
sfiorarlo nemmeno, tenendogli gli occhi puntati addosso.
«Prova ad alzarti e vedi che ti combino» lo
minacciò, come se
questo avesse potuto realmente spaventarlo e impedirgli di farlo. Max
seguiva attentamento ogni suo singolo passo, imitandola a dovere e
tenendosi quanto più quatto riusciva. Quei giorni di fughe e
lotte
avevano insegnato tanto anche a lui, prima fra tutte le cose: essere
silenziosi. Seconda regola: non mordere gli
uomini che
puzzavano di morte. Le prime volte che ci aveva provato, ovviamente
senza riuscirci, aveva ricevuto tanti sculaccioni e sgridate da
Ocean.
Superato
il cadavere, la strada che portava all'uscita sembrava tranquilla e i
due poterono procedere spediti, anche se, come sempre, attenti a tutto
quello
che succedeva intorno a loro. Raggiunsero la porta a vetri sfondata
che dava sull'esterno e Ocean si protese lentamente in avanti, dando
un'occhiata fuori prima di uscire. Era abbastanza sicura che non ci
fosse nulla da temere, se ci fosse stato uno zombie nei paraggi
sicuramente
Max lo avrebbe fiutato e avrebbe ringhiato, oppure avrebbe nitrito il
cavallo che la stava aspettando legato fuori. Invece c'era il
silenzio più assoluto. Ma la prudenza non doveva mai essere
troppa.
Uscendo
fuori lentamente si guardò attorno: le strade erano deserte
e quei
pochi cadaveri che si potevano scorgere sembravano non muoversi. Fece
un gesto con la mano a Max per invitarlo a seguirla e si diresse
verso il cavallo marrone, legato a un palo lì vicino.
«Eccoci, Peggy.» sussurrò all'orecchio
della
cavalla per
tranquillizzarla: anche se il villaggio sembrava sicuro c'era sempre
quell'odore di morte a tormentarli e questo lasciava sempre turbati
i suoi animali. Le fece una carezza sul muso: era agitata, lo vedeva.
Era bene allontanarsi quanto prima.
Si avvicinò alla sella e cominciò a legare la
sacca col cibo,
dall'altra parte dove solitamente teneva mantello e cotta,
così da
controbilanciare il peso. L'evitare l'esagerazione era sempre una
delle sue priorità: non si può andar molto
lontani con una cavalla
stanca e appesantita. Ovviamente questo aveva però il suo
contro:
dovevano fermarsi spesso per riposare e per fare scorte.
Nell'istante
in cui aveva cominciato a legare la sacca, sentì Max
ringhiare
rocamente. Cercava sempre di tenere il tono di voce più
basso
possibile: tanto aveva capito che bastava il minimo per avvertire la
sua padrona. Ocean si voltò e si guardò attorno
con ancora la
sacca tra le mani, non ancora fissata, e vide non molto lontano a
loro una di quelle cose morte che si stava avvicinando.
«Merda.» sussurrò, cercando di
sbrigarsi. Peggy cominciò a essere fin troppo agitata,
muovendosi e
rallentando l'impresa di Ocean. Max arretrò di un paio di
passi,
aumentando il tono del ringhio e lasciandosi sfuggire un leggero
abbaio.
«Ssh!!» lo ammonì Ocean. Si rese conto
di
essere alle strette e non avere tempo di calmare il cavallo e finire
di legare la sua sacca, perciò lasciò perdere,
facendola cadere a
terra. Si voltò verso lo zombie, che intanto li aveva notati
e aveva
accellerato il passo.
«Potevi aspettare un altro po', no, vero?» gli
disse sarcastica, prima di spingersi in avanti verso
lo zombie, che ormai si trovava a pochi centimetri da loro.
Conficcò
la sua daga nella tempia del mostro più di una volta, per
essere
sicura di essere arrivata a fondo. Era sempre così
disgustoso farlo,
soprattutto quando il loro putrido sangue le schizzava addosso.
Odiava rimanere con quell'odore sui vestiti per giorni, ma ormai ci
aveva rinunciato a cercare di lavarsi. Tanto poi ritornava a
puzzare dopo poco.
Max
abbaiò e Ocean all'avviso alzò gli occhi dalla
sua vittima. Ne
stavano arrivando altri. Sbucavano da ogni angolo, uscivano da auto e
da case.
«Come diavolo hanno fatto a sentirci?» ma
la risposta non fu difficile da trovare: la
sacca che
aveva lasciato cadere a terra per correre incontro al loro assalitore
era pieno di lattine e scatolette. Nel cadere a terra avevano fatto
il giusto rumore per attirare gli altri, che magari fino a poco prima
erano rimasti stesi da qualche parte.
«Merda.» si lasciò sfuggire e si
alzò velocemente dallo
zombie appena steso, correndo verso la sua cavalla, che ormai era
quasi incontrollabile. Indietreggiava e strattonava le redini legate
al palo, desiderosa di staccarsi da lì e scappar via. Ocean
afferrò
la sacca e se la rimise in spalla.
«Max la festa sta
diventando troppo movimentata per i miei gusti, che dici di
andarcene?» chiese, mentre cercava di slegare la
cavalla
dal palo.
«Buona Peggy, buona!» le disse,
avvicinandosi con la mano tesa per riuscire ad accarezzarla. Per
fortuna
Peggy riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per
permettere a
Ocean di salire, ma non appena questa si voltò per mettersi
in fuga
si
trovò di fronte un paio di zombie che le erano arrivati
alle
spalle. Peggy impennò, nitrendo spaventata, e Ocean dovette
fare una
fatica immensa per non essere disarcionata. La sacca piena di
provviste le scivolò dalla spalla, aprendosi e svuotandosi
per la
maggior parte, facendo cadere altre scatolette sull'asfalto.
«Neanche la speranza che qualcuno di loro non ci abbia
sentiti! Dopo
tutto 'sto fracasso, è sicuro che l'intera città
ora si diriga qui.» brontolò Ocean, sempre nello
sforzo di
controllare la sua cavalla.
Max
li affiancò: sapeva che poteva essere al sicuro solo se
fossero
rimasti uniti. Non appena Peggy tornò su quattro zampe,
Ocean
sfoderò la sua spada e taglio le teste agli zombie che
aveva
davanti. Sapeva che questo non li avrebbe uccisi, ma almeno gli avrebbe
permesso la fuga. Un calcio e
ne buttò a terra un altro.
«Non abbiamo altra scelta Peggy! Forza!» si
sbrigò a dire e la speronò, affinché
obbedisse ai suoi comandi.
Dovevano
allontanarsi quanto prima, se fossero rimasti fermi lì
sarebbe
stata la fine. Finalmente, con tanta fatica per domare la cavalla e
convincerla a fare come diceva la sua padrona, Peggy prese a correre
e Max, vedendoli allontanarsi velocemente, cercò subito di
raggiungerli dando quanta più forza poteva alle zampe. La
sua
fortuna era che gli zombie erano più attirati dalla preda
grossa che
da lui e solo grazie a questo riusciva a sopravvivere, anche se non
aveva
la velocità e l'agilità del cavallo. Peggy
riuscì a spintonarne
via qualcuno e a schivarne altri, che non avevano tempo di
afferrarla. Ocean, dal canto suo,
cercando di
rimanere ben ferma sulla sella, tentava con la spada di farsi strada,
colpendo quelli che riusciva e che erano troppo vicini
e pericolosi. Ma Max non aveva le sue stesse capacità e
rimase un
po' indietro, ritrovandosi circondato da zombie. Continuò a
correre più
veloce che potè, senza fermarsi, passando in
mezzo a gambe e braccia penzoloni, schivando con agilità e
maestria quei pochi che tentavano
di afferrarlo. Era evidente che l'avesse
già
fatto altre volte: sapeva come muoversi. D'altra parte, come
già
detto, la sua fortuna più grande era che la maggior parte di
loro
tentava di afferrare il cavallo, ignorando la sua presenza,
così le
mani da schivare erano decisamente meno.
Dopo
pochi minuti Ocean riuscì a uscire dall'orda, riscontrando
nessuna
ferita o morso, solo un po' di dolori dovuti agli scossoni e alla
forza da imprimere a gambe e braccia per riuscire a rimanere in sella.
Una
volta
ritenuta la distanza sicura, fermò il
cavallo
e cercò di voltarsi velocemente per guardarsi alle spalle.
Gli
zombie stavano ancora cercando di inseguirli, ma loro avevano qualche
metro di vantaggio.
«Max!» sussurrò Ocean, preoccupata,
cercando
di scorgere tra
loro il batuffolo di pelo nero e bianco che era rimasto indietro. E
ancora una volta si ritrovò a pregare un Dio in cui non
credeva.
«Dove sei, amico?» ancora qualche secondo per
guardare,
ma poi
sarebbe dovuta correre di nuovo via o li avrebbero raggiunti. Inoltre
Peggy non riusciva a stare ferma, voleva fuggire, e
controllarla era veramente un'impresa.
Poi,
all'improvviso, lo vide: uscì dall'orda come una scheggia.
Una
piccola nuvoletta che correva più che poteva, con le
orecchie e la
coda basse per diminuire l'attrito dell'aria e la lingua che
penzolava a lato per la stanchezza. Cercò di schivare una
gamba, ma
non riuscì pienamente nell'impresa e la urtò col
busto,
scaraventando a terra lo zombie colpito. Roba che in altre occasioni
sarebbe stata da
riprendere e inviare a qualche programma televisivo di sketch.
Raggiunse poi
il suo piccolo gruppo.
«Grande Max! » rise Ocean, prima di riprendere la
corsa
insieme
al suo cane.
Quando, poco dopo, si sentirono stanchi e sicuri, rallentarono e
proseguirono verso meta ignota. La speranza era di
incontrare presto un altro villaggio, magari più tranquillo
del
precedente, dove avrebbero potuto riprendere le scorte di cibo perse
durante la fuga.
|
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Capitolo 3 *** Anfitrione. ***
Anfitrione
Fattoria
di Hershel, prima mattina.
<<
Buongiorno >> disse Glenn ad Andrea, non appena gli
passò
davanti, uscita dal camper. Il gruppo si era svegliato da poco e
già
tutti erano indaffarati nelle loro faccende, immersi ognuno nei
propri pensieri e preoccupazioni. Sophia, gli zombie nel fienile e il
nuovo bambino in arrivo di Lori. Ognuno padrone del proprio pensiero,
ognuno intento a domare la propria fiera personale. Solo l'uomo delle
pesche, così soprannominato quella mattina Glenn, si
ritrovava ad
affrontarne non una, ma tutte e tre insieme! Unico padrone di tre
preoccupazioni, di cui due segrete, e unico incapace a mantenerli.
<<
Buongiorno >> rispose Andrea prima di allontanarsi
velocemente,
dirigendosi verso Rick e gli atri che come ogni mattina stavano
organizzando le ricerche per trovare la piccola Sophia, smarrita
qualche giorno prima, speranzosi tutti di trovarla viva.
<<
Tieni Dale, qui ci sono delle pesche >> disse ancora
Glenn
passandogliene qualcuna. Gli occhi smarriti si guardavano attorno,
guardinghi, quasi terrorizzato, come se avesse una grossa macchia
sulla faccia di cui si vergognava. E questo non sfuggì a
T-Dog,
nonostante si stesse stropicciando gli occhi intento ancora a
svegliarsi << Che succede? >> chiese
guardandolo. Domanda
che fece aumentare quella macchia e quello sguardo piena di terrore e
vergogna << Niente. >> si
affrettò a rispondere,
continuando a guardarsi attorno terrorizzato. Gli occhi spalancati
corsero da T-Dog a Dale con rapidità, per poi tornare a
T-Dog e Dale
non potè fare a meno di inarcare le sopracciglia chiedendosi
"che
diavolo ha stamattina il ragazzo?". Poi Glenn, incapace di
sopportare quegli sguardi che sembravano scavargli all'interno,
afferrò il suo cesto delle pesche e si allontanò
velocemente
dirigendosi verso Lori, per chiederle come si sarebbe comportata con
Rick e il bambino in arrivo.
Andrea
prima di andare da Rick andò da Daryl per chiedergli come
stava:
dopo che lo aveva quasi ucciso sparandogli addosso i sensi di colpa
la tormentavano. Voleva solo provare l'ebrezza di sparare, di essere
utile al gruppo difendendolo e dimostrando a tutti la sua forza e il
suo valore. E invece aveva fatto un buco nell'acqua....e un graffio
sulla fronte di Daryl.
Glenn
venne richiamato da Shane per avere il suo binocolo e magari riuscire
a scroccare qualche pesca, e ancora una volta Glenn mostrò
tutto il
suo lato da ragazzo sincero, non riuscendo a fare la faccia da poker.
Qualcosa tormentava il ragazzo, ormai tutti se n'erano accorti, ma
pochi se ne preoccuparono. Sapevano che da poco aveva cominciato ad
avere una certa complicità con Maggie, la figlia di Hershel,
e
probabilmente i suoi erano solo i primi piccoli problemi di cuore.
Per il momento la cosa più importante era trovare Sophia,
non c'era
altro nelle loro teste. Tranne che nella testa di Shane che vedeva in
tutto questo solo una perdita di tempo: la bambina è morta,
era
questo che sosteneva e non voleva mettere a repentaglio la sicurezza
del gruppo per un cadavere. Ma il capo ora era Rick...non lui.
Bisognava obbedirgli.
Patricia
e Beth si avvicinarono al gruppo di Ricck, chiedendo imbarazzate di
poter partecipare all'addestramento di sparo che Shane stava
organizzando, fuori dalla fattoria, e ricevendo come risposta un
<<
Devo parlare con Hershel >> da parte di Rick, che
già aveva
avuto discussioni riguardo a chi deve badare chi.
Nel
frattempo il piccolo Carl era solitario, in disparte, intento ad
appuntire un bastone con un coltello, per qualche strano motivo che
nemmeno lui riusciva a cogliere. Era semplicemente un "qualcosa
da fare". Desiderava anche lui imparare a sparare, desiderava
anche lui aiutare e proteggere il gruppo...era grande adesso! Voleva
rendersi utile, non essere solo un impiccio, un fagotto da portarsi
dietro e da proteggere. Ma questo suo padre e soprattutto sua madre
non l'avrebbero mai capito: lui era solo un bambino ai loro occhi, e
mai avrebbero acconsentito ad un suo avanzamento di livello. Troppo
pericoloso, avrebbero pensato, quasi ignorando che ormai tutto il
mondo, la stessa sopravvivenza, era troppo pericolosa.
Nascosto
sotto il suo enorme cappello donatogli dal padre continuava a
rimuginare su tutto questo, all'ombra del camper, mentre gli adulti
continuavano a parlare tra loro di ricerche da organizzare,
addestramento e cercare di convivere con Hershel che non sembrava
molto ben disposto a tenere i suoi ospiti in casa sua.
Sbuffò
tra sè e sè, e lanciò lontano il
legnetto, facendo due passi per
sbollentare e farsi passare quei pensieri. Doveva trovare il modo di
convincere i suoi genitori.
Girò
intorno al camper, calciando un sassolino che aveva trovato la
sfortuna di ritrovarsi sotto i suoi piedi, poi, quasi spinto da
chissà quale forza, alzò lo sguardo
all'orizzonte, verso la
recinzione più esterna della fattoria e lì i suoi
occhi fecero una
scoperta. Due puntini neri, lontani, si stavano avvicinando
abbastanza velocemente. Che fossero stati zombie? Socchiuse gli
occhi, cercando di contrastare il sole e cercando di puntare lo
sguardo il più lontano possibile. Fece due passi avanti,
sempre con
la speranza di capire cosa fossero quelle due macchioline che si
avvicinavano spedite, ma ancora senza successo.
<<
Papà! >> chiamò allora. Suo padre
avrebbe avuto le risposte,
lui ce le aveva sempre, e avrebbe saputo cosa fare...come sempre.
Rick girò velocemente la testa in direzione di suo figlio,
leggermente allarmato della chiamata, allarme che aumentò
ancora di
più quando vide Carl indicargli un punto lontano da loro,
oltre la
staccionata. Spostò lo sguardo dove Carl gli suggeriva e
anche lui
vide le macchioline nere che si avvicinavano, ma anche lui non
capì
subito cosa fossero. Troppo sole...e troppo lontane. Shane, anche lui
giratosi alla chiamata, approfittò subito del suo binocolo
appena
conquistato da Glenn e se lo portò al volto, cercando di
vedere cosa
si stesse avvicinando, e facendo due passi avanti.
<<
Cosa sono? Zombie? >> chiese Rick al suo amico,
già
preparandosi a correre in quella direzione per andare ad uccidere
eventuali invasori. Ma l'espressione di Shane in qualche modo
placò
la sua fretta e gli lasciò solo tanta curiosità.
<<
Ma guarda un po' >> si lasciò sfuggire Shane,
sorridendo
divertito dalla scoperta << Guarda tu stesso
>> disse
ancora, porgendo a Rick il binocolo, ancora sorridendo. Cosa aveva
visto di tanto divertente? Sicuramente non zombie...non avrebbe
reagito in quella maniera. Rick inarcò le sopracciglia alla
vista
dell'espressione divertita dell'amico e si portò lentamente
il
binocolo alla faccia. Poi anche lui sorrise <<
Incredibile >>
<<
Cosa? >> chiese Jimmy, il fidanzato di Beth, non capendo
cosa
ci fosse di tanto divertente ai confini di casa sua. Intanto Shane
aveva già cominciato a correre incontro alle due macchioline
nere,
pronto ad accoglierle << Vieni Carl >>
aveva chiamato, e
il bambino non se l'era lasciato ripetere due volte. Non aveva idea
di cosa avessero visto suo padre e Shane, ma si fidava di lui, e se
non c'era bisogno di armarsi un motivo c'era.
Rick
sorrise e abbassò il binocolo << Una singolare
coppia sta
venendo a farci visita >> rise.
Carl
sembrava entusiasta mentre giocava col cane appena arrivato e quasi
aveva dimenticato il suo desiderio irrefrenabile di imparare a
sparare. Rideva mentre il Border Collie gli leccava il viso, e rideva
ancora più forte le volte che il cane cercava di alzarsi su
due
zampe, posando le anteriori sul petto del ragazzino e finendo col
spingerlo a terra. Quella scena era la cosa migliore che succedeva
negli ultimi mesi, una cosa così banale, che un tempo
sarebbe stato
quotidiano e non certo stimolo di tanta felicità. Ma in
momenti come
quelli vedere un bambino giocare divertito con un cane, e ridere
così
forte, era una scena paradisiaca. Lori, seduta sulle scale
all'entrata di casa, aveva quasi le lacrime nel vedere suo figlio, e
si stringeva forte a se stessa. Aveva dimenticato la risata di suo
figlio, e ora che la riascoltava sembrava che il paradiso avesse
aperto le sue porte.
<<
E' davvero incredibile >> disse Maggie avvicinandosi alla
donna
seduta << Sembra un segnale di Dio. Ci ha voluto mandare
un
segno di speranza. Non credi? >>
Lori
tirò su col naso, e voltandosi verso la ragazza si
limitò
semplicemente ad annuire. Aveva un nodo in gola, e non voleva
rischiare di scoppiare a piangere in quel momento, proprio mentre le
era stata fatta una domanda.
<<
Papà, possiamo tenerlo? >> chiese Carl,
voltandosi verso suo
padre e correndogli incontro, inseguito dal cane che non aveva smesso
un attimo di scodinzolare. Suo padre si trovava di fianco al cavallo
che era arrivato insieme al cane, insieme a Hershel, che gli aveva
portato acqua e fieno per nutrirlo, e Dale. E stranamente avevano una
faccia cupa. La gioia della scoperta, il divertimento nel vedere
arrivare un cavallo al seguito di un cane, era sparito nell'istante
in cui avevano notato che il cavallo era sellato...ma sulla sua
schiena non c'era nessun cavaliere. E di questo stava parlando in
quel momento con gli altri due uomini, ma Carl questo non lo
notò
nemmeno. Nel momento in cui, prima, Shane si era avvicinato ai due
animali il cane si era fermato di colpo e aveva cominciato subito a
ringhiare e a mostrare i denti. Il cavallo, obbediente si era fermato
dietro di lui a brucare un po' d'erba. Shane aveva provato ad
avvicinarsi lentamente, cercando di sembrare il meno minaccioso
possibile, rivolgendogli parole tranquille, ma il cane aveva risposto
con altri ringhi ed altri abbai. Ma non appena era arrivato anche
Carl tutto era cambiato. Il cane d'istinto aveva tirato una
scondinzolata appena visto il ragazzino, e anche se era rimasto
guardingo e malfidente, sembrava essere indeciso sul da farsi. Aveva
smesso di ringhiare e aveva cominciato ad arretrare piano piano. Carl
aveva sorriso, affascinato dall'animale, e chinandosi in avanti aveva
sporto una mano verso il cane, aspettando che fosse lui ad
avvicinarsi e ad annusarlo.
<<
Vieni >> lo aveva incoraggiato, facendo qualche piccolo
passo
in avanti << Va tutto bene >> aveva
continuato, e il cane
era sembrato l'avesse capito perchè aveva scodinzolato
ancora un
paio di volte. Poi si era acquattato e allungando il muso il
più
possibile aveva cercato di avvicinarsi lentamente al ragazzino, gli
aveva annusato la mano, aveva capito che non era come la gente che
puzzava di morte, che lui era buono e subito si era sbilanciato in
avanti leccandogli una guancia. Era stato amore a prima vista.
<<
Certo Carl che puoi tenerlo >> sorrise suo padre e lo
incoraggiò con un gesto della mano a ritornare a giocare,
cosa che
fece subito << Ti chiamerò Jack!
>> disse felice Carl
verso il suo nuovo animale. Poi Carl corse via, inseguito dal cane
che probabilmente da tempo non si sentiva libero di divertirsi data
l'energia e la gioia che dimostrava con le sue scodinzolate e i suoi
abbai.
<<
Allora capo, che ne pensi? >> chiese Shane, avvicinandosi
a
Rick.
<<
Questo cavallo apparteneva a qualcuno, e probabilmente questo
qualcuno ha tentato per un po' la fuga. >>
indicò la sella <<
C'è del sangue rappreso. >>
<<
Probabilmente allora anche il cane apparteneva alla stessa persona,
visto che viaggiavano assieme. >>
<<
Già. Ora la domanda è se questo qualcuno
è morto o è ancora vivo
da qualche parte. Gli animali seguono l'istinto, forse sono fuggiti
via da una situazione pericolosa lasciando il loro padrone.
>>
disse ancora Rick, facendo congetture campate in aria.
<<
I cani non fanno queste cose >> intervenne Dale
<< Se il
padrone è in pericolo loro lo difendono fino alla morte.
>>
<<
Io penso che se il cane fosse veramente fidato come dici tu, e se il
padrone si fosse trovato in pericolo, a quest'ora lui non sarebbe
qui, ma sarebbe rimasto accanto a lui finendo con l'essere sbranato.
>> disse Hershel mentre si occupava del cavallo
<< E poi
vorrei farvi notare che le redini del cavallo sono tagliate di netto.
>> le mostrò agli altri uomini
<< Sono state tagliate
con un coltello, o qualcosa giù di lì, e anche
con molta fretta
data l'imprecisione del taglio. Forse il suo padrone, in una
situazione di allarme, ha tagliato le redini per liberarlo e
permettergli la fuga. >>
<< Stai dicendo che secondo
te è stato il padrone stesso a mandargli via, a farli
fuggire? >>
chiese Rick, e in tutta risposta ricevette da parte dell'uomo un
mugolio che stava a significare "forse".
<<
Vi state facendo troppe fantasie secondo me. E qualsiasi sia la
risposta penso che sia irrilevante, non sono faccende che ci
riguardano, non sappiamo nemmeno chi sia questa persona.
>>
disse Shane, e Rick sapeva che sotto sotto aveva ragione.
Ciò
nonostante non riusciva a non essere turbato, e sentirsi in qualche
modo tirato in causa. Una sensazione, una voce, gli diceva che quegli
animali erano arrivati lì in cerca di aiuto. E se fosse
stato
proprio il padrone a mandarli? Con la speranza che magari qualcuno
li avesse trovati, e fosse tornato a salvarlo? Non riusciva a non
porsi queste domande.
Fattoria
di Hershel, mezzanotte passata
<<
Carl, tesoro vieni nella tenda. Devi dormire. >> disse
Lori a
suo figlio, che si trovava in piedi, vicino a un albero. Si
avvicinò
a lui e gli mise una mano sulla spalla. Sapeva cosa stava osservando
e riusciva a cogliere la sua preoccupazione e dispiacere.
<<
Non si è più mosso di lì, neanche
quando sono andato a prenderlo.
>> rispose il ragazzino. Gli occhi erano puntati sul suo
nuovo
amico, Jack, il Border Collie che era giunto correndo dal bosco e
seguito da un cavallo. In quel momento l'animale era steso su un
masso leggermente sopraelevato, la coda che cadeva giù
morbida, le
orecchie abbassate e lo sguardo fisso sul bosco oltre la staccionata
della fattoria. Da quando era scesa notte si era messo lì e
più
s'era mosso, non aveva più scodinzolato nè
cercato il ragazzino per
qualche coccola. Se ne stava lì, solo, ignorando chiunque
gli si
avvicinasse e piangendo senza tregua, intervallando i guaiti ogni
tanto con dei leggeri ululati. Il tutto sempre molto basso, per non
fare troppo rumore, com'era stato abituato. Lori guardò il
cane e
riuscì anche lei a percepire il dolore che provava.
<<
Gli manca il suo padrone. >> disse Carl, capendo al volo
cosa
poteva passare per la testa del suo nuovo amico << Lo sta
aspettando, per questo guarda in quella direzione. >> la
tristezza nelle parole di suo figlio erano più dolorose dei
guaiti
del cane. Lori lo abbracciò e cercò di portarlo
nella tenda, ma
Carl con una scrollata di spalle si separò da sua madre e
andò a
sedersi vicino a Jack, facendogli qualche carezza sulla testa. Ma
anche quello sembrò non coinvolgerlo minimamente: Jack
rimase
immobile, come se non avesse percepito la presenza del ragazzino, e
continuò a piangere e aspettare con ansia di veder sbucare
dal bosco
una sagoma nera dall'odore familiare.
Nello
stesso momento, in un villaggio non molto lontano da lì.
Una
trentina di zombie potevano essere contati, se lì ci fosse
stato
qualcuno a farlo. Ammassati e rumorosi, porgevano le loro braccia
fameliche verso l'alto, come se l'insistenza prima o poi li avrebbero
ricompensati, come se prima o poi quelle mani avessero potuto
miracolosamente allungarsi e afferrare il loro succulento pasto.
Alcuni di loro, quelli più vicini al tronco dell'albero che
avevano
accerchiato, graffiano con le unghie la corteccia, in un primitivo
tentativo di arrampicarsi. Tentativo ovviamente fallimentare, data la
loro scarsa capacità di movimento e la loro pessima
intelligenza che
non li faceva appigliare in maniera adeguata. Ma l'ostinazione era
una delle loro migliori caratteristiche, e finchè la preda
sarebbe
rimasta lì loro avrebbero continuato a tentare, come avevano
fatto
in quei due giorni. Mai si erano allontanati perchè lei era
lì,
profumata e invitante, e diamine prima o poi l'avrebbero presa, ne
erano certi!!
E a lei puntavano i loro occhi putrefatti, e lei
richiamavano con le loro voci roche e disumane. Lei, la preda, che si
trovava proprio sopra le loro teste, stesa su di un grosso ramo, con
braccia e gambe penzoloni, ormai esausta, assetata e affamata. Due
giorni, forse tre ormai, era rimasta lì, senza acqua
nè cibo, sotto
il sole cocente del giorno e il vento gelido della notte, e quel
ronzio continuo degli zombie sotto di lei. La testa penzolava da un
lato e gli occhi erano chiusi, in cerca di riposo, ma senza trovarlo
pienamente. La paura di perdere l'equilibrio nel sonno e cadere dal
suo rifugio era troppo grande. Ma cominciava veramente a non farcela
più. Aveva sete ed era esausta. Ma l'istinto di
sopravvivenza e la
sua forza di volontà la tenevano ancora ben salda su quel
tronco.
Finchè sarebbe rimasta lì sopra sarebbe stata al
sicuro da quei
mostri, e l'importante era non diventare la cena. Non sarebbe stato
carino.
Un
occhio si aprì debolmente, ma poi si richiuse. La testa
penzolava e
cercava di rimanere sveglia penzolando da un lato all'altro, cercando
di tenersi sempre attiva. Ogni tanto sonnecchiava, si appisolava, ma
al minimo cenno di perdita dell'equilibrio saltava svegliandosi e
aggrappandosi al ramo sotto di sè. E intanto i mostri sotto
di lei
continuavano a far rumore e a brontolare << Piuttosto
divento
cena degli avvoltoi. Non ve la do la soddisfazione di avermi.
>>
borbottò rivolta agli zombie sotto di lei.
Sospirò e ciondolò
ancora la testa, e ancora e ancora, mentre un pensiero ricorrente le
teneva compagnia.
<<
Max. >>
|
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Capitolo 4 *** Naufragio. ***
Naufragio
Sentiva
il rumore dell'oceano e il calore del sole sulla pelle. Era sulla
spiaggia, lo sentiva, quella meravigliosa spiaggia che dava sulla
distesa d'acqua più grande che abbia mai potuto vedere. Non
ricordava di aver mai provato una sensazione simile, era la cosa
più
bella che avesse mai potuto vedere.
<<
Niente di diverso dal nostro Mar Mediterraneo. >> aveva
detto
una delle persone che erano lì con lei. Ma non era vero, non
era
affatto come quella pozzanghera che c'era a casa sua e che non capiva
per quale logica veniva chiamato Mare. L'Oceano! L'oceano era padrone
di tutto, lo sentiva, sentiva il suo potere e la sua
immensità, si
sentiva come di fronte a un Dio. Freddo e inaccogliente, pieno di
pericoli e dal fondo così lontano delle volte da risultare
irraggiungibile. Chissà quali segreti e misteri nascondeva e
copriva
con tanta premura, cose che a nessuno era dato vedere, cose da cui
l'essere umano era stato tenuto lontano e che erano state protette.
Teneva lontani,proteggeva, ma il suo fascino era irresistibile.
L'aria salmastra le riempiva i polmoni donandole nuova vita, era come
se fino ad allora lei non avesse mai respirato veramente. Solo ora
capiva cosa voleva dire respirare l'aria, e solo ora capiva quanto
ciò fosse importante e assolutamente fantastico.
Sentiva
il rumore dell'oceano.
Poi
qualcosa d'improvviso eliminò qualsiasi cosa: ricordi,
sensazioni,
percezioni. Confusione improvvisa e la paura si impossessò
di lei.
Conficcò le mani alla prima cosa che le capitò
sotto tirò e cercò
di irrigidirsi, guardandosi confusa attorno, cercando di riprendere
l'equilibrio e capire dove si trovasse.
Dov'era
l'oceano?
Ah...era
solo un sogno. Il meraviglioso via vai delle onde ora non c'era
più
e aveva lasciato il posto ai lamenti, ai grugniti e a versi di ogni
genere. Gli zombie sotto di lei ancora allungavano le braccia e si
arrabbiavano di non riuscire a raggiungere la loro vittima. Il cuore
di Ocean, che si stava calmando nel momento in cui aveva sentito
riprendere l'equilibrio, riprese di nuovo a correre impazzito quando
si rese conto, ricordandosi, di essere in pericolo, e di aver
sfiorato la tragedia.
<<
Cacchio, mi ero addormentata!! >> disse guardando
l'albero su
cui era appigliata, per fortuna era riuscita a non cadere. Il piccolo
movimento che aveva fatto il corpo che stava per cadere, perdendo
l'equilibrio, l'aveva svegliata e le aveva permesso di aggrapparsi
appena in tempo.
<<
Ma non vi arrendete mai?! Andate a cercare qualcun altro da
torturare, tanto io resto qui! >> urlò Ocean
contro quegli
esseri informi sotto di lei. Le stavano dando sui nervi,
perchè non
se ne andavano lasciandola in pace?! Ah, già.
Perchè era l'unica
cosa rimasta commestibile nel giro di qualche kilometro.
<<
Spero di restarvi indigesta, se mai doveste riuscire a prendermi! Vi
farò venire la gastrite, ve lo giuro. Brutti schifosi.
>>
disse sistemandosi meglio sul ramo che la sorreggeva e cercando di
rilassarsi. Il sole era alto in cielo, forse era il primo pomeriggio,
e il caldo non faceva sentire la sua mancanza. Ocean alzò
gli occhi
sopra di lei, socchiudendoli per proteggerli dalla luce del sole, e
scrutò la distesa azzurra: non c'era neanche l'ombra di una
nuvola.
E all'orizzonte non c'era anima viva.
<<
Neanche per caso passa gente di qua. >> ormai le speranze
di
salvarsi l'avevano abbandonata, ma era una ragazza testarda e si era
ripromessa che qualunque sarebbe stata la sua fine non sarebbe mai
stata per mano (o bocca) dei Putridi. Mai gli avrebbe dato questa
soddisfazione....si erano già presi troppo.
Poi,
come se lo avesse chiamato, un rumore non molto distante. Ocean si
rizzò, stendendo la schiena e cercando di puntare lo sguardo
il più
lontano possibile, mettendosi a cavalcioni sul ramo. Da dove
proveniva?
<<
Una macchina! >> riconobbe. Era il rumore di una
macchina! E
dove c'era una macchina che andava c'era sicuramente qualcuno
vivo...a meno che gli zombie non avessero imparato a guidare.
Anche
gli zombie sotto di lei la sentirono e in molti voltarono le teste
verso la provenienza del rumore, ma non tutti ne furono attirati: la
preda sopra di lei era più gustosa e concreta di un rumore;
era a
portata di mano. Alcuni si spostarono, cercando la fonte del rumore,
ma molti, troppi, rimasero fermi lì ancora a cercare di
afferrare la
vittima sopra di lei.
<<
E state zitti!! >> li brontolò Ocean, e
poggiando una mano sul
tronco dietro di lei tentò di tirarsi in piedi, con la
speranza di
riuscire a vedere la macchina che sembrava essersi fermata nei
paraggi. Si guardò attorno con insistenza, ma non c'era
verso. Una
macchina era arrivata lì, in quello stesso villaggio, a
pochi metri
da lei probabilmente, ma le case le impedivano di vedere dove fosse
di preciso e di chiedere eventualmente aiuto.
Rimase
ferma, rigida nella sua posizione a lungo, col cuore che le
martellava in petto e la speranza che non l'abbandonava. Sperava di
vedere arrivare delle persone, sperava di essere vista e che avessero
provato a fare qualcosa per tirarla giù di lì.
Finchè non avesse
sentito la macchina ripartire e allontanarsi ci sarebbe stata
speranza. Continuò a guardare, il cuore continuò
a correre, a
tamburellare, e la testa pensava solo "Dai, venite fuori! Fatevi
vedere! Dove siete?".
Poi
uno sparo. Ocean sussultò al rumore improvviso e
portò gli occhi in
basso, ai suoi cacciatori per vedere come avrebbero reagito loro. Ma
di nuovo solo un paio di mossero di lì, attirati dal rumore
improvviso.
<<
Beh? Non avete sentito? Perchè non andate anche voi a vedere
cos'è
stato, eh? >> disse e fece un gesto con la mano
<< Sciò
sciò! >> ma certamente non riuscì a
convincerli.
"Testardi"
pensò riportando gli occhi davanti a lei e tornando di nuovo
a
cercare e aspettare, anche se la speranza cominciava già a
scemare:
se avevano sparato c'era stato sicuramente un motivo valido. Se
avevano sparato erano stati attaccati, e allora sarebbero fuggiti,
senza neanche vederla, o sarebbero stati uccisi.
Un
altro sparo, e poi un altro, e un altro ancora. La persona (o le
persone) che erano giunte in automobile si trovavano in
difficoltà,
ormai ne era certa. Quel posto brulicava di zombie, non faceva fatica
a credere che fossero sbucati da ogni dove e li stessero
accerchiando, nonostante una gran quantità già si
trovava sotto di
lei. Le parve di sentire una voce, le parve di sentire qualcuno che
chiamava un certo << Andrea >>, ma la voce
era
sopraffatta dal rumore degli spari e non era sicura di aver capito
bene. Sentì la macchina mettersi di nuovo in moto e
lì cominciò ad
arrivare il panico << Se ne vanno!!! >>
urlò Ocean, non
sapendo dove guardare e dove dirigere la voce << Aiuto!!
Non
andatevene! >> urlò prima in italiano, poi in
inglese. Ma
ovviamente non fu sentita, troppo chiasso, zombie, distanza, pistola
e automobile: tutto questo impediva alla voce di Ocean di raggiungere
le persone che erano lì.
<<
Aspettate!! Sono qui!! >> urlò ancora,
saltellando appena,
poco per evitare che il ramo si spezzasse, ma non riusciva a stare
ferma. Desiderava saltare giù e correre via, inseguire
quelli in
macchina per mettersi in salvo. Ma saltare da quell'altezza e sperare
di non essere presa dagli zombie era pura utopia. Non si sarebbe
rialzata in tempo, sempre se prima non si fosse rotta una gamba.
Ma
la speranza tornò a batterle in petto, qualcuno doveva aver
ascoltato le sue preghiere perchè sentì
l'automobile avvicinarsi,
non allontanarsi. Probabilmente non avrebbero fatto la stessa strada
dell'andata, e Ocean pregò che passasserò di la.
Spalancò gli
occhi, cercando di seguire con la testa il rumore dell'auto per
capire da dove sarebbe sbucata, e si preparò a dimenarsi per
farsi
vedere. E poi eccola: un auto color verde pisello sbiadito
svoltò
l'angolo e corse lungo la strada che passava sotto il suo albero.
L'avrebbero vista per forza, era lì davanti a loro e le
sarebbero
passati accanto! Un sorriso si fece largo sul suo viso, ma subito
scomparve, non era ancora tempo di cantar vittoria, e
cominciò
immediatamente a sventolare una mano e dimenarsi << Ehi!!
>>
urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni
<< Ehi!!
Aiutatemi!! >> urlò ancora, ma l'auto non dava
cenno neanche
di rallentare. Ocean riuscì a scorgere, una volta abbastanza
vicina,
le due persone che stavano all'interno: un uomo alla guida, con un
cappellino da baseball e lo sguardo incazzato nero, al suo fianco una
donna dai capelli biondi e scompigliati. Entrambi guardavano fissi la
strada davanti a loro con lo sguardo più duro che Ocean
avesse mai
visto. Sventolò ancora la mano, allungandosi, senza
però lasciare
mai il tronco di fianco a sè con l'altra mano.
<<
Aiuto! >> urlò di nuovo prima di vedere l'auto
filare via,
senza neanche dare cenno di rallentare. Il sorriso scomparve sul
volto di Ocean: perchè la lasciavano lì?
Notò che dietro di loro
si facevano strada zoppicando, inciappando e dimenandosi altri
zombie, e si sforzò di giustificarli: erano in fuga, se si
fossero
fermati avrebbero rischiato la vita. Ma...davvero la lasciavano
lì?
Neanche ci provavano? Li guardò andare via con la morte nel
cuore, e
ancora una volta si ritrovò di fronte alla verità
che nella legge
di sopravvivenza non c'era posto per l'altruismo.
Fattoria
di Hershel, poco dopo.
Shane
e Andrea scesero dall'auto dopo esseri andati a perlustrare il
villagio in cerca di Sophia, e aver trovato solo zombie. Ad
aspettarli c'era Dale, con uno sguardo quasi più impaurito
che
preoccupato. Non si fidava di Shane, non si fidava per niente, e
l'idea che si stesse portando dalla sua la sua cara Andrea lo
metteva in agitazione: quell'uomo era un folle, e Andrea doveva
stargli lontana, non doveva diventare come lui. Ma la sua influenza
non era abbastanza forte da impedire alla sua cara amica di evitare
di frequentare quella terribile compagnia. Carol si avvicinò
subito
a loro, guardandoli colma di speranza e subito chiese <<
Allora? >>. Sperava dicessero che aveva trovato qualcosa,
ma
non aveva visto Sophia con loro, quindi probabilmente il loro era
stato un viaggio a vuoto. Sospetto che venne confermato dal
<<
Mi dispiace >> di Andrea << Domani
copriremo una zona più
vasta. >> disse sperando di infonderle un minimo di
speranza.
Dale colse gli sguardi imbarazzati e confusi dei due e subito volle
sapere cosa era successo, ma Andrea non rispose. Balbettò,
farfugliò, ma non disse niente e volse il suo sguardo a
Shane, in
cerca di una risposta. Shane rispose al suo sguardo quasi con
severità << Quel posto era stato invaso.
>> Annunciò al
vecchio barbuto, facendogli capire che se erano così turbati
era
solo perchè avevano affrontato zombie. Andrea
annuì, confermando le
parole dell'uomo e poi seguì Carol verso casa, dove si
sarebbe
lavata e sistemata, lasciando i due uomini soli che subito
cominciarono a discutere. Dale voleva che Shane se ne andasse e
tentò
di fargli capire che non l'avrebbe fregato e che lui sapeva che era
pericoloso, ma Shane...Shane non gliela avrebbe lasciata vinta. Cosa
voleva quel vecchiaccio da lui? Dovevano solo essergli grati, invece
di rompere tanto le scatole e continuare a puntargli il dito contro.
Lui si sacrificava per il gruppo, era pronto a tutto per loro,
soprattutto per Lori e Carl, e loro continuavano a non accettarlo e
vederlo come una minaccia. Non avevano capito proprio niente! Era lui
che teneva in vita il gruppo, non certo Rick che si catapultava
ovunque ci fosse pericolo solo per una strana forma di egocentrismo,
sempre pronto a correre in aiuto di chiunque anche verso chi non
aveva nulla a che fare.
Per
questo non aveva nessuna intenzione di dire una sola parola sulla
ragazza vista in cima a quell'albero. E Andrea doveva fare
altrettanto. Per il bene del gruppo.
L'ora
di pranzo arrivò in fretta, o almeno la fame
arrivò in fretta:
ormai non esistevano più le ore e l'unico tempo che si
seguiva era
quello biologico. La casa di Hershel era come al solito off limits,
perciò si ritrovarono di nuovo a mangiare tutti assieme
fuori, sotto
l'ombra di un albero, intorno al fuoco e circondati dalle proprie
tende. L'aria era tesa, e tutti avevano un peso sul cuore che li
spingeva a rimanere in silenzio, con lo sguardo fisso sul proprio
piatto. Il bambino di Lori, la piccola Sophia che non si trovava, gli
zombie nel fienile...e ora, ma solo nella mente di Andrea, si faceva
strada quella scena vista poco prima, in città: quella
ragazza che
si dimenava sopra quell'albero, supplicando aiuto, e loro che non
avevano neanche rallentato per vedere se stava bene o meno. Shane le
aveva imposto di tacere e le aveva dato delle buone motivazioni:
<<
Rick partirebbe alla riscossa per salvarla, e finirebbero tutti
uccisi >>. La città era invasa, e sotto di lei
c'erano una
ventina di zombie, non sarebbero mai riusciti a salvarla senza
perdere nessuno. Era meglio aver fatto finta di non vedere, era
meglio per tutti. Ma l'idea di aver lasciato una persona sola a
morire non lasciava in pace la coscienza di Andrea. Come faceva Shane
ad essere così tranquillo? Voleva assolutamente diventare
come
lui...stava bene con se stesso, e faceva le sue scelte senza
ripensamenti.
<<
Ehm >> la voce di Glenn cercò di rompere
quell'aura di
imbarazzo, ma lui stesso non si sentiva tranquillo e il tentativo non
riuscì bene. << Sentite >>
tentò di nuovo di
cominciare, di cercare le parole, ma come dirlo? Qual era il modo
migliore? Sospirò, temporeggiando ancora, poi alla fine si
arrese e
disse quello che doveva senza troppi ricami inutili << Il
fienile è pieno di zombie >> ed ecco che ebbe
addosso
l'attenzione di tutti. Sembrava una cosa assurda, da non credere! Era
il posto più sicuro che avessero trovato...e invece avevano
il
nemico proprio dentro casa.
Shane
fu il primo a partire e dirigersi verso il casolare, subito seguito
poi da tutti gli altri, per andare a controllare, increduli e per
niente tranquilli.
<<
Non ci saremmo dovuti fermare qui! >>
sottolineò subito Shane,
agitato dall'idea che avessero quei mostri a due passi da dove
avevano dormito tranquilli per giorni. Erano stati in pericolo e non
lo sapevano: la cosa lo spaventava. Ma come al solito era l'unico di
quel parere e ne nacque una discussione: non potevano andarsene,
dovevano trovare Sophia! Era questa la verità che tutti
sostenevano,
era questo che impediva a chiunque di seguirlo, o forse era anche il
semplice fatto che finalmente avevano trovato la
tranquillità. Non
era più solo un ipotesi...lì avevano vissuto
normalmente, ed era
solo questo che desideravano. Nessuno voleva andarsene...e ora che
Lori era incinta Rick era agguerrito più che mai, e non
avrebbe
rinunciato a quel posto per niente al mondo. Lì Lori avrebbe
potuto
partorire tranquilla, e il loro nuovo nascituro sarebbe potuto
crescere senza scappare ogni giorno. Dovevano restare lì. E
dovevano
trovare Sophia...a sostenere questa causa era soprattutto Daryl:
aveva rischiato la sua vita per quella bambina, e ora che aveva
trovato la sua bambola e aveva una pista non avrebbe rinunciato per
niente al mondo.
E
come al solito ne nacque una litigata, tutti che offendevano tutti,
tutti pronti a sostenere la propria causa, tutti contro Shane. Rick
disse che voleva prima parlarne con Hershel, non avrebbe mosso un
dito senza il suo consenso: voleva il suo favore, e sarebbe stato pur
disposto ad accettare degli zombie domestici chiusi in un fienile.
La
discussione non portò a niente se non a farsi sentire dagli
zombie
che si agitarono e si schiacciarono contro la porta sigillata,
facendola vibrare.
<<
Ci conviene allontanarci da qua. >> disse Rick
<< Andrò
a parlare con Hershel. >> disse guardando Shane. Non
voleva che
lui si azzardasse a muovere un dito contro quel fienile, doveva
aspettare! Rick avrebbe deciso, come sempre, non Shane!
E
la cosa come al solito si acquietò così, con
l'ultima parola di
Rick, Shane che si allontanava sbuffando e torturandosi la testa e
tutti gli altri che tornavano a farsi gli affari propri come se il
problema non li riguardasse.
Andrea
rimase per qualche secondo a fissare il fienile, ad ascoltare le urla
e i lamenti degli zombie all'interno e alla fine prese una decisione.
<<
Rick! >> lo chiamò raggiungendolo in fretta,
ormai che era
solo poteva parlargli, Shane non avrebbe potuto impedirglielo. Rick
si fermò e si voltò, aspettandola per ascoltare
ciò che aveva da
dire << So che ora hai altro per la testa e problemi
maggiori,
ma... >> si prese una pausa riflessiva prima di
continuare <<
Oggi io e Shane siamo andati in quella città, ricordi? A
cercare
Sophia. >>
<<
Avete trovato qualcosa? >> si informò subito
Rick, speranzoso
che almeno una buona notizia gli arrivasse.
<<
Sì, abbiamo trovato qualcosa. >> disse Andrea
prima di
aggiungere << Ma non c'entra con Sophia.
>>Rick aggrottò
la fronte: di che stava parlando la bionda?
Andrea
fece un sospiro prima di continuare << Shane mi aveva
chiesto
di non parlartene per proteggere il gruppo, perchè sapeva
che
saresti andato lì, e forse e proprio perchè spero
che tu vada lì
che te lo sto dicendo: C'era una ragazza. Era sopra un albero,
circondata da zombie, al sicuro per ora ma non credo possa resistere
a lungo senza acqua nè cibo, e chissà da quanto
tempo era già lì.
Ha chiesto aiuto più volte, cercando di farsi notare da noi,
ma
abbiamo profeguito lasciandola lì. >> e finito
di spiegare
alzò gli occhi, cercando le risposte in quello dell'uomo,
che rimase
incredibilmente impassibile.
<<
Non posso partire al salvataggio di qualsiasi sconosciuto incrociamo.
Shane ha ragione: sarebbe troppo pericoloso. >>
<<
Sicuramente lo sarebbe, infatti non volevo chiederti di andare tu
lì.
Io più tardi torno in città e cercherò
di aiutarla...speravo tu ti
aggregassi. Da sola sarebbe più difficile. >>
Rick
rimase ancora impassibile, forse fermo nella sua convinzione, per
questo Andrea aggiunse subito << L'ho guardata negli
occhi in
quella frazione di tempo. Ho visto la speranza bruciare dentro di lei
e poi morire soffocata quando ha visto che non rallentavamo. Non
posso restare impassibile, quello sguardo mi tormenterebbe. Noi le
abbiamo tolto quella scintilla, mi sento quasi in obbligo nei suoi
confronti, come se l'avessi derubata della vita. >>
Rick
abbassò lo sguardo sospirando, in un certo senso sapeva come
si
poteva sentire la bionda: anche a lui spesso capitava. Sapeva che
quando ci si ritrova di fronte a una richiesta d'aiuto tirarsi
indietro diventa impossibile: era questo bisogno di soddisfare le
persone che chiedevano aiuto che lo aveva spinto a diventare un
poliziotto.
<<
Va bene. Vado a parlare con Hershel, tu intanto prepara le armi.
Appena ho finito torniamo in quella città, sperando di
trovarla
ancora su quell'albero. >> disse infine.
Andrea
sorrise rivolgendogli gratitudine e si allontanò subito,
dirigendosi
verso il camper per prendere le armi necessarie.
|
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Capitolo 5 *** Impatto. ***
Impatto
<<
Tu avresti bisogno di un vero uomo, che si sveglia al mattino.....
>>
canticchiò Ocean, picchiettando il piede contro il ramo su
cui era
seduta, dandosi il ritmo, e proseguendo spesso con una serie di
"nanana". Tanto sapeva che nessuno avrebbe obiettato la sua
carenza di memoria in fatto di canzoni, chi poteva farlo? La mandria
di informi che aveva sotto? Ma se neanche capivano cosa c'avevano
intorno?!
Sempre
canticchiando distrattamente portò il suo sguardo alle sue
dita: tra
le unghie ormai nere ce n'era una spezzata che da giorni le stava
dando il tormento.
<<
Hei, bello. Hai mica una forbicina? >> disse ad alta voce
rivolta a qualcuno di imprecisato sotto di lei. In altre occasioni
avrebbe provato a utilizzare i denti, ma in tempi come quelli era un
rischio qualsiasi cosa si mettesse in bocca. Chissà cosa
aveva sotto
quelle unghie: tutto quel nero poteva essere infetto. Anche bere era
diventato un rischio, e spesso evitava di bere da fonti o da
ruscelli, ma quando poteva preferiva usufruire di qualche bottiglia
di acqua minerale superstite. Si sentiva più sicura. Ma
purtroppo
non sempre era possibile: le bottiglie erano carenti, molti avevano
avuto la sua idea, e spesso le trovava aperte o rotte con l'acqua
riversata sul pavimento.
Abbassò
lo sguardo al suo popolo di fan, e alzò un sopracciglio al
sentirli
ancora urlare e lamentarsi: erano stupidi, ma testardi. Non
s'arrendevano proprio.
<<
Bastava dire di no >> disse ancora, in risposta a uno di
loro
che aveva urlato più forte degli altri, visibilmente
infastidito
dall'impossibilità di raggiungere la sua preda.
Tirò fuori dal
fodero una delle sue daghe e usando la punta con cautela
cercò di
pulirsi un po' le unghie: non era un bene tenere tutto quello schifo
forse infetto addosso. Era meglio liberarsene quanto prima.
Rise
di sè: ormai aveva un piede nella fossa, e ancora si
preoccupava di
cose così futili. Evidentemente la speranza, l'illusione di
potercela ancora fare, non l'aveva ancora paradossalmente
abbandonata. E aveva fatto bene, altrimenti non avrebbe resistito con
tanta tenacia fino a quel momento. Fino a quel
momento...quando...Bang!
Il
suono improvviso la spaventò, e quasi si conficcò
la daga
nell'unghia. Alzò lo sguardo: era così
maledettamente vicino! Chi
aveva sparato?!
Poi
la vide: poco distante da lei, a distanza di sicurezza ma abbastanza
vicino da poter diventare una preda facile, una donna. La riconobbe!
Era la donna bionda dell'auto vista quella mattina! Allora l'avevano
vista! Erano tornati a prenderla!
La
guardò colma di speranza e rinfoderò la daga, poi
si alzò in piedi
sul ramo, cercando di rimanere in equilibrio, così da essere
più
visibile, anche se non ce n'era bisogno perchè da quella
distanza
sicuramente l'aveva vista.
Lo
sparo aveva colpito uno degli zombie sotto di lei, e gli altri non
persero tempo a voltarsi verso la fonte dello sparo, più
vicino
rispetto a quella mattina, quindi con una preda più
accessibile e
più invitante.
<<
Ah, ora ne venite attirati, eh? Maledetti!! E stamattina? Niente!
>>
brontolò Ocean, puntandosi una mano al fianco e guardando i
suoi
aguzzini con ostilità. Gli zombie cominciarono ad avanzare
verso la
bionda, cercando di acquistare più velocità che
potevano,
nonostante i loro arti disarticolati e traballanti non glielo
permettessero troppo.
"Che
fa? Si vuol far mangiare al posto mio?" pensò Ocean
osservando
la donna "gesto nobile, ma alquanto stupido. Beh, fatti suoi"
pensò ancora e spostò lo sguardo sotto di lei,
per vedere se il
campo era libero per un eventuale fuga. Sarebbe stata una situazione
complessa, non mangiava da giorni ed era senza energie, e non aveva
mezzi di trasporto a disposizione ma doveva fare affidamento solo
sulle sue gambe: avrebbe retto si e no 2 metri, poi sarebbe morta.
Però almeno l'impressione di averci provato le avrebbe dato
una
morte gloriosa...meglio che star ferme a prendere il sole su un
albero, se avesse continuato in quella maniera presto qualcuno
sarebbe dovuto venire per girare il lato cottura. Ma i suoi piani
vennero ancora una volta distrutti dalla donna, che le urlò
qualcosa.
<<
Si, certo, perchè io secondo te ti sento se parli da
laggiù col
sottofondo di zombie affamati! >> brontolò
ancora Ocean e si
fece segno alle orecchie, per indicare che non aveva sentito. La
donna indietreggiò sparando ancora un colpo, e solo allora
Ocean
notò una macchina parcheggiata a pochi metri di distanza da
lei, con
un uomo dentro che aspettava.
"Allora
ha una via di fuga. Allora quello che si dice sulle bionde non
è
sempre vero. " pensò Ocean mentre strizzava gli occhi,
sperando
che la lettura del labiale potesse aiutarla a capire cosa stava
cercando di comunicargli la donna...e se le aveva fatto perdere tutto
quel tempo solo per dirle "bel vestito che hai" era già
pronta a sparargli dritto in testa quell'ultima freccia che le era
rimasta nella faretra.
Ancora
una volta non capì, la voce arrivò confusa, e,
nonostante l'inglese
ormai lo masticasse a colazione, leggere un labiale inglese (ancor
peggio: americano! ) era ancora una sfida ardua per lei. Ma
nonostante le difficoltà le parve di cogliere la parola "
Saltare".
<<
Saltare dove? >> disse Ocean perplessa, tra sè
e sè, e nel
mentre fece un piccolo saltello sul posto, così, solo
perchè ormai
il cervello non era più collegato a tutto il resto del corpo
<<
Va bene, fatto e ora? >> ridacchiò. E lei
stessa si meravigliò
di come, nonostante la morte imminente, il senso dell'umorismo non
voleva lasciarla andare. Sarebbe stata da prendere a schiaffi.
La
donna bionda, dopo essersi tirata incontro gli zombi, prese a correre
verso l'auto e ci salì sopra appena in tempo per partire
più
velocemente possibile.
<<
Ehi!!!! M'hai fatto perdere tempo ad ascoltarti e poi mi molli qui?
>> si arrabbiò e subito tornò a
prendere in considerazione la
sua prima idea: scendere e tentare la fuga a piedi. Per poi morire 2
metri dopo. Beh, almeno avrebbe avuto ben 2 metri di pura speranza e
libertà!
Ma
la macchina, dopo una manovra degna del gran prix, girò su
se stessa
e tornò indietro, dirigendosi velocemente verso l'albero
ormai
rimasto quasi vuoto. Riuscì a schivare la maggior parte
degli
zombie, investendone solo alcuni che subito vennero scaraventati a
lato della strada, lasciando libero il passaggio. La bionda si
affacciò al finestrino mentre si avvicinava e
urlò << Dai!
Salta, presto! >> e l'uomo gli fece eco da dentro
<<
Presto! >>.
<<
Ecco cosa volevi dirmi! >> si illuminò Ocean e
facendo
attenzione a non capitombolare giù, cercò di far
appello a tutte le
sue capacità (inesistenti) di equilibrista per potersi
spingere il
più estarnamente possibile, pronta a scendere giù
in strada con un
salto (non da poco, ma era l'unico modo per velocizzare la sua
scesa).
L'auto
si fermò di colpo, frenando tanto da fischiare, e lo
sportello
dietro venne aperto quasi contemporaneamente sempre dalla donna
bionda, messa a lato passeggero, che le facevo segno con insistenza
di entrare. Ocean, spintasi il più in la possibile, non
appena sentì
il ramo che cominciava a cedere si frmò, si
chinò, lo afferrò con
le mani e chiedendo loro già scusa per il trauma che stavano
per
subire, si lasciò cadere giù, rimanendo appesa:
così diminuiva la
distanza da terra e non si sarebbe rotta una caviglia. Le mani
piansero i graffi che subirono nello strofinare contro il ramo ruvido
e nel trovarsi improvvisamente cariche di 50 kili d'uomo. Poi Ocean,
trattenendo il respiro, si lasciò cadere. L'atterraggio come
immaginava non fu dei migliori, le ginocchia cedettero, e
inevitabilmente la ragazza si spiaccicò al suolo come una
pera
matura, ma per fortuna non si ruppe niente e cercò di
riprendersi
quanto prima, nonostante le mancasse il fiato per il colpo subito, e
si trascinò verso l'auto. Si accasciò sul sedile
posteriore, senza
riuscire a entrare completamente e l'auto ripartì
all'istante, ma
non abbastanza in tempo: uno zombie aveva afferrato la caviglia di
Ocean che era rimasta penzoloni fuori, e cercava di combattere la
forza dell'aria per riuscire ad arrivare con i denti alla carne tanto
bramata. La donna bionda si lasciò sfuggire un grido e
cercò di
voltarsi per puntare la pistola al passeggero indesiderato, ma non
fece in tempo a sparare: Ocean, stesa su sedile, guardò lo
schifoso
attaccato al suo piede divincolarsi, e senza scomporsi troppo o
agitarsi, con il piede libero gli tirò un calcio sul mento.
<<
E levati!! >> brontolò assestandogli un altro
calcio che fece
fare al collo dello zombie un sinistro rumore e gli lasciò
la testa
rimase reclinata all'indietro.
<<
E dai, che qui non ti vuole nessuno! Fai l'autostop a qualcun altro!
>> brontolò ancora e con un altro calcio
riuscì finalmente a
staccarsi l'ospite dalla caviglia. Intanto la macchina continuava a
correre a tutta velocità sulle strade della
città, cercando di
uscirvi. Lo sportello ancora aperto saltellava e sbatteva in
continuzione, sia per il vento che per gli urti. La donna bionda si
riprese subito dallo shock di avere uno zombie in auto, sembrava la
cosa non la turbasse poi troppo, e tornò a guardare la
strada di
fronte a sè.
Ocean,
dietro, stesa sui sedili posteriori si lasciò cadere la
testa
sospirando colma di sollievo. Aveva ancora i piedi che penzolavano
fuori dall'auto, ma ormai che era al sicuro, la forza di ritrarli e
chiudere quel maledetto sportello le mancava. E in pochi attimi tutto
si fece buio, e il sonno la prese come da tempo non faceva.
Finalmente.
<<
E' viva? >> una voce distante, ofuscata le
arrivò
all'orecchio. Stava sognando, lo sentiva. Non era rale, somigliava
più a un eco che a una voce, non poteva esserlo.
<<
E' stata morsa? >> ancora la stessa voce. O era un'altra?
Era
un uomo? Donna? O forse bambino? Non riusciva a distinguerle, sentiva
solo voci perse in un fluido...ovattate, morbide, ondulate. Un fluido
che si stendeva e si ritirava. Voci perse nell'Oceano.
<<
Manu, e se provassimo a tornare? >> ancora voci. Ancora
sogni.
Il rumore che si può sentire nel poggiare un orecchio alla
conchiglia. Non voleva lasciarla andare via.
<<
Senza provviste, senza acqua, senza saper navigare e senza nave. Come
facciamo a tornare? >> questa era così
distinta, ma ancora
immersa nell'acqua. Aveva uno strano eco.
<<
Ho paura. E se a casa fosse successo... >> cosa? Fosse
successo
cosa? Lo stesso? Cosa era accaduto oltre l'oceano? Ma nonostante le
voci si accalcassero una sull'altra, nonostante i rumori e le parole,
la vista continuava a non avere ruolo in tutto questo: il buio
più
completo.
<<
Manu!!!! >> un urlo squarciò quel buio, voce
che se non fosse
stata così distinta nelle sue parole le avrebbe scambiate
per un
tuono. Un vicinissimo tuono.
<<
Alice! >> fiamme. Dolore. Voleva fuggire. Rimaneva
bloccata lì,
l'equlibrio le venne a mancare. Cadde. O stette ferma? Appigli non ce
n'erano. Vuoto. L'aria mancava. E ancora urla. E un volto improvviso,
putrefatto, denti marci e sangue su mento: un sorriso affamato. Un
macabro sorriso affamato.
Il
cuore saltò.
Ancora
un urlo.
E
aprì gli occhi: dove diavolo era? Non capì
niente, non sapeva
dov'era e che ci faceva lì. Dov'era Manu? E gli altri? Che
ci faceva
dentro un auto e perchè diavolo dei perfetti sconosciuti
l'avevano
accerchiata e la osservavano?
Indietreggiò
terrorizzata, gli occhi spalancati correvano senza un ordine preciso
aggiungendo confusione alla confusione, poi le spalle si
schiacciarono contro lo sportello opposto. Un uomo si fece avanti,
allungando le mani mostrando i palmi, in un gesto che serviva a
tranquillizzarla, ma in quel momento tutto risultava minaccioso e
pericoloso: anche i sorrisi. Soprattutti i sorrisi.
<<
Va tutto bene. >> cercò di dirgli l'uomo
<< Tranquilla,
sei al sicuro. >>
<<
Non sono ancora morta!! >> urlò Ocean colma di
terrore mentre
con la mano andava a tastoni dietro di lei, cercando la maniglia per
aprire la portiera. Che voleva quell'uomo da lui? Mangiarla? Che
andassero a caccia e la lasciassero in pace!
<<
Non sono ancora morta!! >> urlò ancora e
finalmente trovò la
maniglia.
<<
Calmati! >> cercò di dirle ancora l'uomo.
Ocean aprì lo
sportello dietro di sè, ma le spalle erano premute su esso
nel
tentativo di allontanarsi e la loro pressione lo fece spalancare
all'improvviso, facendo mancare l'appoggio alla ragazza che cadde
all'indietro, fuori dalla macchina e d'istinto rotolò per
raddrizzarsi. Non riusciva a mettersi in piedi, ma continuò
a
strisciare, indietreggiando. Il terrore le annebbiava la vista, e
tutto era così confuso, come mosso dalle onde. Le girava la
testa.
Dove si trovava? Chi erano quelle persone.
Un
lamento le uscì dalla gola, un lamento sottile ma che tanto
somigliava a un pianto e gli occhi cominciarono a bruciare.
<<
NON SONO ANCORA MORTA!! >> urlò di nuovo.
Perchè lo faceva?
Non lo sapeva bene...voleva in qualche modo annunciare il fatto che
era ancora viva, e quindi non era pronta per diventare la portata
principale di nessuno. Non voleva essere mangiata, anche se le
probabilità che quelle persone volessero mangiarla erano
quasi
nulle, non erano zombie, e di certo agli zombie non gliene importa se
sei viva o morta, ma al momento però non era in grado di
stilare un
ragionamento logico. Puro terrore era quello che la percorreva la
mente e nient'altro. Solo la paura accumulata in quei tempi passati
a scappare da bocche fameliche.
Poi
un abbaio. Le sembrò di ricevere un sonoro schiaffo su una
guancia
perchè improvvisamente tutto si fece più chiaro:
un filo conduttore
in tutte quelle immagini ammucchiate tra loro, sovrapposte e troppo
veloci. Si voltò e vide una macchiolina nera e bianca, un
arruffo di
pelo che correva impazzito verso di lei, tanto forte che la coda per
l'attrito dell'aria strofinava a terra.
<<
No, Carl! >> urlò l'uomo che cercava di
avvicinarsi <<
Tienilo! E' confusa! La spaventerà! >> Ma
ormai era troppo
tardi, il cane era già partito, e comunque le parole
dell'uomo
vennero smentite all'istante, tanto che la "à" finale era
diventata solo un sussurro.
<<
MAAAAXXX!!! >> urlò la ragazza a terra
allargando le braccia e
accogliendo il cane, che dalla forza con cui arrivò la
scaraventò a
terra, facendole sbattere la testa. Le risa di Ocean inondarono il
campo, mentre il cane non le dava tregua leccandole insistentemente
il viso, benchè lei cercasse di voltarsi per il fastidio
della
lingua umida sulla sua pelle. La scena lasciò senza parole
tutti i
presenti: la risposta era ovvia, ma ci mise un po' ad arrivare tanto
pareva inverosimile: quella ragazza era il padrone del cane ritrovato
il giorno prima, e probabilmente anche del cavallo che era con lui.
<<
Sei il cane più cazzuto che abbia mai conosciuto!
>> disse
Ocean con decisione abbracciando e accarezzando il suo animale. Nel
momento in cui lo aveva sentito abbaiare e se l'era visto correre
incontro i ricordi erano affiorati improvvisamente, e si era
ricordata chi era, cosa ci faceva lì...e dov'era Manu. Si
era
ricordata tutto, e la confusione era passata all'istante: l'uomo che
aveva cercato di avvicinarsi era lo stesso che le aveva salvato la
vita poco prima, recuperandola dall'albero, insieme alla donna bionda
che stava accanto a lui. Non aveva la più pallida idea di
chi
fossero gli altri, ma poco importava...se stavano con lui forse erano
suoi amici. E probabilmente ora si trovavano al rifugio che si erano
costruiti, vista la tranquillità della zona.
La
bionda le si avvicinò cauta, timorosa un po' all'idea che
potesse
riprendere a delirare, e le porse lentamente una mano per aiutarla ad
alzarsi << Va tutto bene? >> le chiese.
Ocean,
sempre accarezzando il suo animale, che non smetteva di scodinzolare
e strofinarsi contro di lei in cerca di coccole, si alzò a
sedere e
alzò lo sguardo a lei
<<
Sì. Sto bene. >> e afferrò la mano
della bionda facendo forza
per riuscire ad alzarsi. Le gambe tremavano e non riuscivano a
sorreggerla a dovere. La bionda questo lo capì
perchè si avvicinò
velocemente e l'afferrò da sotto il braccio per aiutarla a
stare in
piedi << Ma se entro pochi minuti non mi date cibo e
acqua
potrete andare in giro a raccontare con orgoglio di aver salvato un
cadavere. >> disse e continuò a guardare Max
che accanto a lei
si dimenava, scodinzolava e le correva intorno euforico, non
risparmiandosi gli abbai.
<<
Ci penso io, tu portala dentro da Hershel. >> disse un
cinesino
col cappellino da baseball alla bionda, riferendosi alla richiesta di
acqua e cibo.
<<
Sh! Max, silenzio! >> lo ammonì Ocean con la
sguardo severo, e
il cane aprì la bocca per abbaiare ancora, ma gli
uscì solo un
lamento seguito da un abbiao soffocato. Era troppo felice per stare
completamente zitto, faceva davvero fatica a trattenersi come invece
di solito doveva fare. Ocean l'ammonì con lo sguardo
<< Zitto!
E accompagnami. >> aggiunse poi sorridendo mentre
cominciava a
zoppicare verso la gigantesca casa che aveva davanti, sempre
sorreggendosi alla donna che l'aveva salvata.
<<
Mi chiamo Andrea, comunque. >> disse poi, e Ocean ebbe un
colpo per un attimo. Si voltò verso la donna con lo sguardo
serio e
corrucciato << Come hai detto? >> le chiese
incredula.
Cosa che mise molto in imbarazzo la donna: che aveva detto di male?
<<
Andrea. E' il mio nome. Mi piacerebbe sapere il tuo. >>
balbettò un po'.
Ocean
non rispose subito, ma rimase per qualche secondo pensierosa a
fissarla. Poi abbassò lo sguardo, sempre serio, e aggiunse
dopo
un'interminabile pausa << Ocean. Ti ringrazio per avermi
salvata. >> poi un altro ricordo le balenò
alla mente che le
fece sollevare la testa di scatto << Ehi!!
>> urlò e si
drizzò, staccandosi da Andrea e restando miracolosamente in
piedi.
Andrea la guardò sorpresa e non potè far a meno
di pensare che
forse quella della debolezza era solo una messa in scena: sembrava
aver ripreso all'improvviso le sue forze.
<<
Dov'è?!?! >> chiese improvvisamente
arrabbiata, guardandosi
attorno. Certo che ce n'era di gente in quel posto!
<<
Dov'è?! >> disse ancora subito dopo, senza dar
tempo a nessuno
di rispondere. Ma subito vide chi stava cercando: appoggiato a un
tronco Shane abbassò la testa un po' imbarazzato, portandosi
la mani
dove prima c'erano capelli folti e accarezzandosi la nuca. Gesto che
faceva quando qualcosa gli frullava in testa.
Ocean
senza pensarci due volte sguainò la spada che aveva ancora
appesa in
vita, facendo sobbalzare tutti i presenti e si avvicinò con
grosse
falcate all'uomo che la guardò con un po' l'aria da sfida.
Probabilmente era uno di quelli che in faccia alla morte rideva e poi
sputava.
<<
Lurido schifoso pezzente sudicio stronzo sciolto uscito dalle fogne
del peggior quartiere della peggiore città pieno di merde
che
vomitano altre merde! >> e puntò la punta
della spada sul
collo dell'uomo, che ancora non si scompose...ma anzi sembrava
sorridere. Cos'aveva da ridere? Ocean aveva tutto il diritto di
tagliargli la testa lì, seduta stante. Cazzo, l'aveva
lasciata lì
su quell'albero a morire! E non era certo stato lui a tornare a
prenderla!
<<
Vaffanculo!! >> sputacchiò caricando l'offesa
di tutto il
sentimento che aveva dentro e premette la punta della sua spada
contro la sua pelle, non tanto da ferirlo, ma abbastanza da
lasciargli il segno. Sentì un rumore alla sua destra, il
rumore di
un arma che veniva impugnata, e girando gli occhi vide una freccia
sfiorarle la tempia. Una freccia caricata dentro una balestra,
balestra sorretta e mira presa da un uomo dalla barbetta appena
accennata, e l'atteggiamento di chi vuol fare il duro e sa di
esserlo. Max appena vide Ocean sotto tiro abbaiò minaccioso,
e corse
a mettersi al fianco della ragazza, la schiena appoggiata su una sua
gamba, la testa abbassata e gli occhi fissi sull'uomo. Ringhiava e
mostrava i denti, ma la cosa parve non scomporre l'uomo. Al contrario
fece sussultare il ragazzino che si trovava lì nel cerchio
di
persone.
<<
Hai delle frecce? >> gli chiese Ocean senza muoversi,
scrutandolo con lo sguardo. L'uomo aggrottò la fronte alla
domanda,
non riuscendo a cogliere dove volesse parare la ragazza, pensando
anzi lo stesse in qualche modo confondendo e prendendo in giro.
In
realtà Ocean era veramente interessata alla cosa! Non voleva
prenderlo in giro...lei era rimasta senza, ne aveva una sola.
<<
A quanto le fai? Sono interessata. >> continuò
lei, senza
scostarsi da lì. Le piaceva lasciare lo stronzo sulle spine,
anche
se temeva che a lui non gliene importasse niente.
<<
Togliti di mezzo. >> rispose lui, ignorando completamente
la
domanda della ragazza, convinto che lo stesse solo prendendo in giro
<< E lascia qui le armi. >>
continuò dando un veloce
sguardo al suo armamento. Era ben attrezzata, probabilmente era
grazie a loro se era sopravvissuta tanto a lungo.
<<
Scordatelo, loro sono le mie braccia e non le lascio certo a voi.
>>
disse, ma nonostante la negazione decise che era il momento di finire
il giochetto, e abbassò la spada lasciando libero Shane che
si portò
una mano alla gola. Si era sentito sicuro, sapeva non poteva
capitargli nulla, ma nonostante questo avere una lama (forse anche
infetta, con tutto quello che aveva potuto tagliare) puntata alla
gola non era una pacchia. Ocean si voltò completamente verso
l'uomo
con la balestra trovandosi la punta della freccia puntata tra i suoi
occhi, e rinfoderò la spada, in segno di pace, ma l'uomo non
sembrava pronto ad accordare l'armistizio.
<<
Le armi. >> disse ancora il balestriere. Ma Ocean rimase
ferma
dov'era, sostenendo il suo sguardo con assoluta calma e
tranquillità.
L'uomo che le aveva salvato la vita si avvicinò ai due
alzando a
entrambi le mani, e solo allora il balestriere scostò gli
occhi
dalla ragazza per portarlo a lui.
<<
Va tutto bene. >> disse a entrambi e lanciò
uno sguardo al
balestriere che parve rilassarsi, ma non abbassò l'arma e
continuò
a tenerla sotto tiro. Solo allora Ocean intuì che lui
probabilmente
doveva essere quello che comunemente si chiama "capo", il
quale si rivolse alla ragazza, sempre con i palmi alzati in segno di
pace << Qui nessuno di noi gira armato. E' una nostra
regola.
>> le spiegò cercando di dare una motivazione
più accettabile
alla richiesta del balestriere.
<<
Allora ciccio, mi sa che devi rivedere un po' le tue
capacità di
leader. Qui c'è un tuo suddito che non sta rispettando la
regola. >>
disse Ocean indicando il balestriere con un cenno del capo.
<<
Lui...va bene così. Ora le metterà giù
anche lui. >> spiegò
ancora il Capo, dando un altro sguardo al balestriere, cercando
probabilmente un segno di assenso.
<<
Il cocchino, eh? >> sorrise Ocean, assumendo un tono
quasi
dolce e affettuoso << Che carini che siete
>> disse
arricciando il naso, ma il sarcasmo parve non piacere al balestriere
che si irrigidì e partì a sputar offese a gratis,
ma il Capo cercò
di calmarlo ancora alzando di nuovo il palmo verso di lui e
dicendogli un << Calmo Daryl! >> ...e ora
anche il
balestriere aveva un nome.
<<
Ascolta, in questo momento tu hai bisogno di aiuto e noi siamo in
grado di offrirtelo, ma devi stare alle nostre regole o ti riporto su
quell'albero. >>
<<
E così passiamo alle minacce. >>
sospirò Ocean alzando gli
occhi al cielo, ma suo malgrado...il Capo aveva ragione. Lei aveva
bisogno di aiuto: aveva bisogno di cibo, acqua e riposo. E
inevitabilmente si trovava nel loro territorio, ed era circondata.
Sì, era in netto svantaggio e non poteva fare altro che dar
loro
ascolto. Se fosse fuggita avrebbe fatto i due metri che non aveva
fatto prima, poi sarebbe morta. E cercare di "ribellarsi"
per prendere d'assedio il posto era da matti: c'erano una decina di
persone lì, sarebbe morta al primo fendente.
Si
voltò di nuovo verso il balestriere sorridendogli sarcastica
(di
certo non rinunanciava per loro anche al suo orgoglio), alzò
le mani
in segno di resa e si tolse la faretra dalla spalla lanciandola ai
suoi piedi. All'interno era rimasta solo una freccia. L'arco non ce
l'aveva, probabilmente nella confusione l'aveva lasciato in macchina,
o forse le era caduto in giro. Si sganciò le cinghie dal
petto che
legavano le daghe e anche quelle le lanciò ai piedi di
Daryl,
cercando quasi di colpirli di proposito, ma la cosa non lo fece
scomporre. Piuttosto si sarebbe fratturato un piede, ma non avrebbe
mollato la mira. Era un duro, e la cosa divertiva Ocean...era
divertente vedere fin dove poteva spingersi con quel tipo di persone,
ed era divertente trovare il loro punto di frattura per poi vederli
crollare. Stuzzicarli e avere quasi il permesso di torturarli,
perchè
tanto non si sarebbero scomposti per orgoglio, fino a quando non
avrebbe superato il fantomatico limite. Era un gioco che si era
sempre divertita a fare, anche se a volte poteva risultare
pericoloso. Ma forse proprio per questo era divertente.
Per
ultima Ocean si slacciò la spada e anche quella la
lanciò ai piedi
di Daryl: era sicura questa volta di averli presi. Ma come immaginava
l'uomo non diede cenno di dolore neanche con lo sguardo, che
continuava a lanciar fulmini e saette contro la ragazza, quasi
volesse ucciderla con la sola forza del pensiero. Passarono secondi,
avvolti nel silenzio, ancora tesi e intenti a capire come si
sarebbero messe le cose, mentre la nuova arrivata e Daryl
continuavano a lanciarsi sguardi di fuoco, in un gioco di forze
invisibili.
<<
Bello, stai puntando un'arma contro una donna disarmata.
>>
disse poi Ocean, con il tono di chi fa notare una dimenticanza. Daryl
lanciò uno sguardo al Capo che annuì e solo
allora lui abbassò
l'arma con decisione, la, fissò negli occhi ancora per pochi
secondi
e infine si chinò, prese le cose che Ocean gli aveva
lanciato e si
allontanò senza dire una parola.
La
ragazza lo guardò allontanarsi sorridendo: si era divertita
in quel
testa testa. Da molto non aveva avuto contatti con gli umani, e ora
che era tornata ad averne aveva trovato su chi sfogare i suoi istinti
misantropi. Era sempre un piacere trovare una valvola di sfogo per la
propria tensione. Poi quel tempo passata sola non avevano certo
aiutato: aveva sviluppato un certo menefreghismo e una certa
misantropia, che la portava a voler prendere a calci tutto
ciò che
camminava su due gambe, e non solo zombie.
Soprattutto
chi la vedeva su un albero in pericolo e la lasciava lì.
Si
voltò verso lo Stronzo lanciandogli uno sguardo disgustato e
furioso, ma ancora una volta in tutta risposta ricevette un ghigno.
<<
Questo non ti salva da ciò che sei. >> gli
disse riferendosi a
Daryl che era corso in sua difesa: l'aveva protetto dalla sua lama,
ma merda era e merda rimaneva e per quello non c'era nessuno che
poteva difenderlo. Ma ovviamente le parole rimasero campate in aria e
non lo scalfirono minimamente. Chissà anzi se le aveva
capite.
<<
Ehm. >> il cinese cercò di attirare
l'attenzione con imbarazzo
<< Ho l'acqua e un panino >>
<<
Oh mio Dio, mio salvatore, lascia che ti rendi grazie con un
sacrificio umano! >> disse Ocean tutto d'un fiato mentre
si
avvicinava al lui, gli occhi spalancati puntati sulla sua fonte di
vita: la bottiglietta d'acqua. L'afferrò e se la bevve tutta
in un
sorso, rischiando quasi di rimanere soffocata tanto bevette con foga
e voracia. Gli animi si calmarono, e tutti tornarono a fare quello
che stavano facendo prima dell'arrivo dell'uragano Ocean. Anche Max
tornò a fare quello che faceva prima: tornò da
Carl scodinzolando e
pronto a riprendere i giochi. E questo non sfuggì agli occhi
attenti
di Ocean.
<<
E così hai trovato con chi sostituirmi, eh, mascalzone?
>>
disse Ocean a Max mentre gli grattava un orecchio. Il vecchio
dottore, che pareva chiamarsi Hershel, era chino su di lei con un
misuratore di pressione e uno stetoscopio, intento a farle una visita
degna dei migliori ospedali. E Ocean lo lasciava fare, prestandogli
il minimo dell'attenzione: stava bene, sapeva di esserlo, aveva solo
bisogno di riprendersi con un po' di riposo. Ma a quanto pare in quel
posto erano ossessionati dalla salute delle persone perchè
il
vecchio dottore ancora non voleva lasciarla andare.
<<
Allora questo cane è tuo. >>
osservò il Capo entrando nella
sala da pranzo dove si trovavano loro.
<<
No. >> rispose semplicemente Ocean, senza aggiungere
ulteriori
spiegazioni.
Il
Capo alzò un sopracciglio: lo stava prendendo sicuramente in
giro.
Era ovvio che era suo! Prese una sedia e la spostò in modo
da
potersi sedere di fronte alla ragazza, così da poter parlare
tranquilli. Avevano acconsentito a tenerla lì con loro, ma
per farlo
doveva capire chi era. Era da sprovveduti accogliere gente in quel
periodo senza sapere niente di loro, avrebbe potuto metterli in
pericolo, e lui doveva impedirlo.
Ocean
alzò gli occhi, ma non la testa, ancora rivolta al cane ai
suoi
piedi, e lo guardò sedersi. Poi tornò a guardare
il cane, e accettò
di fornirgli maggior spiegazioni, visto il suo sguardo confuso e poco
convinto.
<<
L'ho trovato quasi all'inizio di questo romanzo di fantascienza. Da
poco vagavo sola con Peggy, la mia cavalla. Era infilato in un
vicolo, schiacciato in un angolo che ringhiava a tutto ciò
che si
muovesse, perfino gli insetti. Non permetteva a nessuno di
avvicinarsi, e da lì ho capito che era un cane cazzuto.
Sopravissuto
e che sapeva il fatto suo. >>
<<
Ma a te ha permesso di avvicinarsi, e così avete cominciato
a
viaggiare insieme, giusto? >> accennò un
sorriso il Capo.
<<
No di nuovo. >> Ocean alzò di nuovo gli occhi
verso di lui <<
Mi ha quasi portato via un braccio con un morso. Ha cominciato a
seguirmi quando ha sentito odore di cibo nella mia sacca.
>>
<<
Beh...sapeva il fatto suo, no? >> disse di nuovo il Capo,
ricollegandosi a ciò che lei stessa aveva detto inizialmente
del
cane.
<<
Te l'ho detto. E' un cane cazzuto. Non morirà tanto
facilmente,
Capo, te lo dico io. Ha la pellaccia dura...e un debole per i
ragazzini, a quanto pare. >> aggiunse poi Ocean con un
sorrisetto << Probabilmente nella sua famiglia c'era dei
ragazzini. >>
<<
Sì, si è legato subito a Carl. >>
disse il Capo abbassando lo
sguardo e sorridendo. << Quindi tu viaggi sola.
>>
aggiunse subito, per prendere il discorso che gli interessava.
<<
Assolutamente. E approfitto per dirti che ringrazio la vostra
ospitalità, ma non ho intenzione di disturbarvi molto. Il
tempo di
riprendermi, trovare un mezzo che non vada a benzina, e vi
lascerò
di nuovo in pace. >>
<<
Il mezzo che non va a benzina già ce l'hai. >>
intervenne
Hershel, intento ad ascoltare il battito della ragazza <<
La
tua Peggy è qui, nella mia stalla. Viaggiavano insieme i
tuoi
animali, sono arrivati qui ieri. >>
<<
Sul serio? >> chiese Ocean rizzandosi e voltando la testa
verso
il vecchio dottore, aspettò un cenno di assenso e
tornònella sua
posizione originale. Un enorme sorriso si dipinse sul suo volto,
chiaramente orgogliosa dei suoi due compagni, e felice di poterli
riabbracciare di nuovo.
<<
A proposito, mi chiamo Rick. Non mi sono ancora presentato. Tu chi
sei invece? >>
<<
Ocean. >> rispose trascinando la parola, come se le
scocciasse
stare lì a parlare con lui del niente. E in effetti era un
po' così.
<<
Da dove vieni? Hai un accento strano, non sei di qua. >>
chiese
Rick.
Ocean
alzò di nuovo gli occhi su di lui, ma questa volta non per
osservare
i suoi movimenti. Il suo sguardo era chiaramente infastidito, e
talmente affilato da far capire a Rick di aver fatto una domanda di
troppo.
<<
Ha importanza? >> chiese Ocean con tono basso.
Hershel
finì la sua visita, e si limito a comunicare a nessuno in
particolare << Sta bene, solo disidratata. Nessun
contagio. >>,
poi raccolse le sue cose, ignorando la chiacchierata che si stava
svolgendo tra i due e si preparò a tornare ai suoi affari.
Ocean
si sistemò i vestiti che nella visita erano stati messi in
subbuglio, e si sollevò in piedi prima che Rick potesse
aggiungere
altro e gli disse << Sai, dovresti preoccuparti di
più del
futuro, invece di pensare a cosa c'è stato prima,
perchè tanto
qualsiasi cosa ci sia stato ora non conta più niente. E'
inesistente. "Dove andremo? Cosa faremo? Cosa darò da
mangiare
a mio figlio domani?" Son queste le domande che contano, andare
a chiedere a una perfetta sconosciuta "Ehi dov'eri prima di
tutto questo" non aiuterà a proteggere la tua famiglia. E
non
venirmi a dire che la tua era pura curiosità, non sono
scema, è
ovvio che tutto ciò che ti interessa di me è se
sono una potenziale
minaccia, a meno che tu non sia veramente scemo, cosa che
sinceramente dubito. Quindi eccoti la tua risposta: No, non sono una
minaccia. Viaggio sola, non mi interessano i gruppi, non sopporto le
persone e odio stare ferma troppo tempo nello stesso luogo,
perciò
tra qualche giorno, quando mi sentirò meglio
prenderò i miei
animali e toglieremo il disturbo così tu e i tuoi amici
potete
continuare a fare la vita di campagna senza problemi inutili, ed
entrambi presto ci dimenticheremo del nostro incontro. >>
e
finì di rivestirsi, prima di cominciare a dirigersi verso
l'uscita.
Da tempo aveva cominciato a soffrire di una strana forma di
claustrofobia: le case, anche se grandi, non erano più luogo
adatto
ad ospitarla. Preferiva respirare l'aria aperta e perdere il suo
sguardo all'orizzonte. E poi aveva appena saputo che Peggy era
lì, e
voleva andare a salutarla!
Rick
si alzò subito e si voltò, rivolgendole la parola
prima che potesse
uscire e lasciare inconcluso il suo interrogatorio <<
Allora
proprio perchè parli di futuro... >>
aspettò che Ocean si
fermasse ad ascoltarlo prima di proseguire << Non
è mia
consuetudine... ma vorrei chiederti di restare. >>
Ocean
aggrottò le sopracciglia, incredula di ciò che
aveva appena
sentito. Cosa voleva quel tipo da lei? Manco la conosceva, anzi quasi
aveva ucciso un membro del suo gruppo dopo neanche 2 minuti che ci
era entrata, già era in conflitto anche con un altro membro,
e le
chiedeva di restare con loro? A che pro? Qual era il suo scopo?
Si
voltò lentamente, guardandolo con aria interrogativa
<< Prego?
>> chiese delucidazioni la ragazza.
<<
Vedi... >> Rick abbassò lo sguardo un attimo,
forse anche lui
incredulo e imbarazzato della sua richiesta << ...ecco si
tratta di Carl. >>
<<
Il ragazzino? >> chiese Ocean. I nomi non erano mai stati
il
suo forte...preferiva i soprannomi personalizzati. Più
facili da
ricordare, anche se spesso banali.
<<
E' mio figlio. >>
<<
Congratulazioni cresce bene. >> rispose con sarcasmo
Ocean, il
cui vero significato della frase lo si poteva trovare in un
banalissimo "E a me che importa?".
<<
Si è molto legato al tuo cane. >>
<<
Compragli un cucciolo tutto suo. >> disse di nuovo Ocean,
impedendo a Rick di formulare una frase intera, interrompendolo di
nuovo.
<<
Potrebbe essere una soluzione >> sorrise Rick
<< Ma vedi
al momento potrebbe non essere così semplice. E poi temo non
sarebbe
la stessa cosa, credo che Carl si sia legato a Max non tanto
perchè
è un bel cane quanto perchè vederlo sbucare da
quella foresta è
stato per tutti un simbolo...quasi...di speranza. Ci ha ricordati che
la vita esiste ancora la fuori, e che le cose belle non sono state
tutte perse. >>
<<
Brutta cosa la depressione, eh? >> continuò a
ironizzare
Ocean, che era già pronta a non accettare richieste come
"lasciami
il tuo cane". Max veniva con lei...e lei non voleva fermarsi con
quella gente. Non voleva avere niente a che fare con gli umani, non
più. Ma Rick, che in un certo senso aveva capito come
prendere la
ragazza, continuò, ignorando i suoi moti di spirito.
<<
Ho paura che questo mondo stia trasformando mio figlio. Non ragiona
più come un ragazzino, e non solo perchè sta
crescendo ma perchè
si sta indurendo e raffreddando. Per la prima volta dopo tanto tempo
ho visto mio figlio ridere e giocare, e non cercare di maneggiare una
pistola col desiderio di sparare a qualche testa. Non so se tu avevi
figli prima, data la giovane età, ma spero che riesca lo
stesso a
capire cosa voglia dire questo per un padre. Ho bisogno che Max resti
qui con mio figlio. >>
<<
Apprezzo che tu non voglia rubarmi il cane e spararmi alla testa, ma
me lo stia chiedendo cortesemente. >> rispose Ocean.
<<
Il cane ha passato la notte a piangere, e la mattinata in solitudine
>> continuò Rick << Carl ha
dovuto insistere tanto per
riuscire a tranquillizzarlo e anche lui ha passato la notte in bianco
dispiacendosi per Max. Se tu stai qui Max resta qui ed è
felice, e
se Max è felice anche Carl è felice.
>>
<<
E' questo rende felice anche te, ma vedi in tutta questa esplosione
di ilarità c'è una nota discordante che penso
potrebbe rovinarti
questa dolce sinfonia di risa: Io non viaggio in gruppo.
>>
sottolineò l'ultima frase e fece una pausa, ma non permise a
Rick di
riprendere e insistere. La sua scelta l'aveva fatta, non c'era altro
da aggiungere << Storia molto toccante, davvero.
>> e si
avviò di nuovo verso l'uscita << Compra a tuo
figlio un
cucciolo. >>.
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Capitolo 6 *** Simbionti. ***
Simbionti
Il
rumore delle cicale in lontananza era l'unico che si riusciva a
percepire. Il sole caldo nel cielo faceva risplendere la distesa
dorata che le si parava di fronte: una distesa di campi, e
nient'altro. Un fienile in lontananza, abbandonato forse, ma era
l'unica costruzione nel giro di molti metri. E poi, più in
la, quasi
al confine dell'orizzonte, un bosco che circondava e nascondeva
l'intera fattoria. Probabilmente era grazie a quel bosco se erano
riusciti a vivere lì a lungo, in pace e serenità,
senza temere
niente. E la recizione aveva aiutato molto.
Ocean
guardò davanti a sè, osservando lo spettacolo che
aveva davanti con
un pizzico di gioia. Delle scintille le solleticavano il cuore, ed
era una sensazione che non provava da talmente tanto tempo che quasi
risultava una novità, come se mai avesse avuto modo di
essere felice
in precedenza. Dimentica di quanto invece una volta aveva riso. Tutto
era cambiato talmente tanto in fretta e con tanta irruenza che la sua
vita era stata spazzata via da un'onda, e ora non c'erano altro che
sterpaglie superstiti e terriccio fangoso. L'oceano aveva trascinato
in sè ogni cosa.
Fece
un respiro profondo, socchiudendno gli occhi e apprezzando dopo tanto
tempo l'aria tiepida che le attravarsava le narici, arrivando
all'altezza del petto e donandole leggerezza. Una leggera brezza si
sollevo all'ombra di quella verandina, facendole svolazzare la punta
dei capelli raccolti in una coda di cavallo, e qualche ciocca ribelle
che mai stava al suo posto. E così, con gli occhi socchiusi,
immersa
in quella pace e leggerezza, con solo il rumore del silenzio e delle
cicale in sottofondo, un'immagine si fece strada nella sua mente e la
fece di nuovo sorridere. Incredibile come in così poco tempo
aveva
sorriso così tante volte, stava veramente cominciando a
credere
nella magia di quel posto. Una piccola villetta di campagna, questo
vide. Dal colore giallino un po' sbiadito dal sole, i campi alle sue
spalle, non troppo grandi ma abbastanza da accogliere molti alberi e
piantagioni, e un cortiletto sterrato di fronte. Era una giornata
d'estate, le cicale cantavano incessanti, allegre e piene di energia,
le tendine alle finestre aperte della casa svolazzavano a ogni soffio
di vento. Dall'interno della casa era possibile sentir uscire il
delizioso profumo del sugo appena messo sul fuoco, un sugo che era
stato appena preparato passando i pomodori maturi raccolti proprio
quella mattina, e lasciando il loro inebriante profumo per tutto il
cortile. E lì, in quel cortile profumato, una bambina di 8
anni
correva e girava sopra la sua biciclettina, suonando ogni tanto il
campanello, senza motivo apparente, solo perchè la
divertiva. Aveva
corti capelli neri, leggermente mossi, ma talmente arruffati per i
suoi giochi che era impossibile capire quale fosse la sua reale
piega, e una frangettina le ricadeva sugli occhi, tanto fastidiosa
che a volte con una veloce manata se li scostava di lato,
arrufandoseli ancora di più. Pomeriggi interi passati a
correre e
girare su quella bicicletta, sentendo il delizioso profumo che veniva
dalla casa, ogni volta diverso, ma sempre presente, come si in quella
casa non si facesse altro che cucinare. Poi quando si stancava faceva
cadere la bicicletta rosa per terra, incurante del fatto che potesse
rovinarsi, e correva sulla veranda, dove si stendeva sul pavimento in
marmo, all'ombra, e leggeva qualche libro che la mamma gli regalava
abitudinariamente. Le sue storie preferite erano quelle di cavalieri,
draghi e elfi, che si lanciavano all'avventura, armati di spade e
archi, pronti a sconfiggere il male, sopravvivendo anche alle
peggiori condizioni.
Ocean
riaprì gli occhi lentamente, abbandonando a malincuore quel
sogno ad
occhi aperti, e tornando alla realtà che le si piazzava
davanti. La
zona era pacifica, non si vedeva nessuno zombie in lontananza e tutti
si comportavano normalmente per niente spaventati, era sicuramente
un'oasi quella in cui era incappata. Ma un'oasi che presto sarebbe
svanita, lasciando spazio solo a sabbia e alla consapevolezza che era
stato solo un miraggio. Niente in quel mondo si salvava...prima o poi
anche quel meraviglioso miraggio sarebbe svanito lasciando i suoi
superstiti assetati e affranti.
Percorse
la veranda velocemente, ascoltando con piacevolezza il rumore che i
suoi stivali in pelle producevano, e scese per le scalette avviandosi
alla ricerca della stalla, dove avrebbe riabbracciato la sua Peggy.
Chissà quanto sarebbe stata felice di rivederla. Avevano
affrontato
insieme le peggiori condizioni e questo le aveva rese ancora
più
legate. Aveva sempre sentito parlare della favolosa amicizia che
poteva instaurarsi tra cavallo e cavaliere, ma solo vivendolo aveva
potuto capire realmente cosa fosse: si diceva che un cavallo poteva
arrivare a fidarsi talmente tanto del suo cavaliere che si sarebbe
lanciato senza timore perfino nella lava, se glielo avesse ordinato,
nonostante i cavalli fossero famosi per il loro poco coraggio. Solo
per questo motivo i cavalli potevano essere portati in battaglia, ai
tempi in cui si combattevano le guerre con le spade. Nessun animale
si sarebbe mai lanciato con tanto furore e sicurezza contro un
esercito armato che urla e spara frecce, qualunque animale sarebbe
fuggito in preda al panico, ma non i cavalli. I cavalli restavano
lì,
fieri e orgogliosi, e correvano quanto il loro cavaliere ordinava,
perchè nel cuore sentivano che finchè sarebbero
stati insieme
niente avrebbe potuto far loro del male.
Costeggiò
la casa, girandole praticamente attorno, finchè non
riuscì a
trovare la stalla di cui Heshel aveva parlato. Sorrise, già
pregustandosi il momento in cui Peggy l'avrebbe rivista, e si
avvicinò velocemente. La stanchezza, la debolezza e la fame
le aveva
messe da parte. Aveva avuto modo di bere, mangiare e riposare un po',
ma il sole era ancora alto nel cielo e lei non aveva intenzione di
starsene chiusa in casa. E poi starsene nel letto a far nulla le
metteva agitazione.
Si
avvicinò all'entrata e percepì l'inconfondibile
"odore di
cavallo": fieno, sterco e gli odori degli animali. Si sentì
a
casa, ma qualcuno ruppe la magia.
<<
Lasciami in pace! >> sentì dire con un certo
astio da qualcuno
all'interno, con un voce sofferta. Si affacciò curiosa di
capire chi
stesse litigando, senza preoccuparsi di farsi notare...i tempi
cambiavano ma gli istinti pettegoli delle donne no. E Ocean era
sempre stata una a cui piaceva farsi gli affari degli altri.
Un
uomo si avviava verso l'uscita della stalla, lasciando sola una donna
dallo sguardo preoccupato. Le ci volle un po' ad attribuire i nomi ai
volti: Daryl e Carol. Daryl sembrava zoppicasse leggermente, e si
stringeva il fianco con una mano, probabilmente poco prima doveva
aver avuto una qualche disavventura che l'aveva lasciato non poco
ferito. Carol invece restava dritta, in silenzio, con lo sguardo
fisso sull'uomo che prima di uscire dal fienile non si trattenne in
uno << Stupida puttana >>. Ocean si
scostò, facendo
passare lo scimmione incazzato, non vergognandosi però di
fissarlo,
mentre si allontanava, con uno sguardo un po' divertito. Era sicura
che qualunque cosa avesse fatto Carol per farlo incazzare, non era
certo abbastanza da meritare un simile trattamento. Non faticava a
credere che Daryl l'avesse trattata male gratuitamento, il suo
caratteraccio scorbutico glielo si poteva leggere in faccia.
Ma
lui, passandole davanti, neanche la degnò di uno sguardo e
proseguì
dritto per la sua strada, non impedendo ai vari dolori di evitargli
una camminnata ondeggiante da figo, che pensandoci bene Ocean non
gliela vide neanche troppo fuori luogo. Alla fine se una si fermava a
osservarlo bene, cercando di andare oltre gli occhi che uccidono e
l'aura da cretino stronzo, si poteva scorgere sotto quello spesso
strato di sudore puzzolente un fisico che sembrava abbastanza ben
fatto. E accennando un sorriso malizioso, continuando a fargli una
radiografia accurata mentre si allontanava, Ocean si ritrovò
a
pensare "Però! Gli zombie hanno scelto bene chi risparmiare."
Perso
di vista Daryl, si decise alla fine ad entrare a salutare la sua
Peggy che sicuramente aveva già esultato da tempo, sentendo
il suo
odore. Aveva perciò perso il momento migliore, che peccato.
<<
Carino, eh?! >> disse ironica rivolta a Carol, non certo
riferendosi alla sua scoperta in fatto di bellezza fisiche
attualmente presenti, quelli erano pensieri che era meglio tenere per
sè, ma riferendosi al "carinissimo" modo in cui era stata
trattata la povera donna. Ma a quanto pare lei non capì
niente,
perchè rispose arrossendo e balbettando.
Ocean
si avvicinò alla sua cavalla e cominciò ad
accarezzarla,
avvicinandosi col volto alle sue orecchie e cominciando a sussurrarle
parole confortanti e di saluto. Poi tornò a guardare Carol,
un po'
scocciata che la sua affermazione non fosse stata compresa
<<
Intendevo per come ti ha trattata! >>
specificò sbuffando. Ma
che aveva da balbettare tanto, non era certo da meravigliarsi se
Mister Muscolo avesse fatto strage di cuori in quel campus, e di
certo non le interessava sapere tutti i retroscena amorosi, non amava
Beautiful in passato, figuriamoci ora che aveva sviluppato quel
profondo odio nauseato verso chiunque.
<<
Ah >> Carol sembrò tirare un sospiro di
solievo << E'
normale. Fa così con tutti. >>
<<
Immagino >> disse ancora sarcastica Oecan, continuando ad
accarezzare la sua cara Peggy, e continuando di tanto in tanto ad
appoggiare il suo viso sul collo dell'animale. Un contatto fisico in
un chiaro segno d'affetto. Erano state lontane tre giorni, e aveva
temuto di averla perduta per sempre, e probabilmente anche la cavalla
aveva avuto lo stesso timore. Sola senza la protezione e la sicurezza
delle carezze e delle parole della sua padroncina, probabilmente per
questo motivo aveva seguito Max fino alla fattoria. Era l'unico su
cui poteva fidarsi, l'unico che gli era rimasto e che conosceva.
Sapeva di esserle mancata, lo percepiva, percepiva il suo stato
d'animo ora rilassato, e lo immaginava anche, per questo non smise di
parlarle, usando sempre un tono di voce molto basso e calmo, per
infonderle tranquillità, e anche per mantenere una certa
privacy
data la presenza di una sconosciuta.
<<
Tu... >> prese la parola Carol, col tono di una che ha
tutta
l'intenzione di cambiare discorso << ...Sei stata sola
lì
fuori a lungo? >>
<<
Tu quanto tempo sei stata "lì fuori"? >> le
chiese
di rimando Ocean. Che razza di domande facevano abitudinariamente in
quel gruppo? O avevano una pessima fantasia e un pessimo buon senso,
o avevano una pessima capacità relazionale.
<<
Abbastanza direi. Ma io non ero sola. >> rispose Carol
avvicinandosi alla ragazza. Ok, voleva fare amicizia, ormai era
appurato. Ocean la squadrò per un secondo, la sua intenzione
era di
fermarsi lì solo qualche giorno, fare amicizia era l'ultimo
dei suoi
desideri. Quelle persone dovevano lasciarla in pace! Ma non
negò a
se stessa che fare due chiacchiere con un essere umano era piacevole,
così non le negò le sue risposte.
<<
Neanche io. >> disse guardando la sua Peggy
<< Avevo
lei.E Max. >>
<<
Max? >> chiese Carol non capendo subito di chi stesse
parlando,
ma presto la lampadina si accese perchè disse
<< Ah, il cane!
Ma...io intendevo compagnia umana. >>
<<
No, nessuno. Sola. >> disse Ocean regalandole addirittura
un
sorriso << E non sai quanto sia stata felice di questo
per
tutto questo tempo. >>
<<
Come hai fatto? >> chiese Carol voltando lo sguardo alla
cavalla, e stranamente la domanda sembrava interessarle più
del
dovuto << Come hai fatto a sopravvivere sola? Senza
nessuno che
ti... >>
<<
Che mi proteggesse? >> l'anticipò Ocean
<< Cara, non
siamo menomate paraplegiche! Due braccina ce l'hai anche tu, puoi
usarle per fare qualcosa che non sia fare il bucato, sai?
>>
<<
Si, ma...io non sarei stata capace. Sono così...debole.
>> nel
tono della donna si poteva cogliere tutto il desiderio di non essere
così, tutto il desiderio di diventare più forte
ed essere in grado
di difendersi da sola. Il desiderio di fare qualcosa....ma la paura
di non riuscirci.
Ocean
colse tutto questo, e stupendosi con se stessa, quasi arrabbiandosi
perchè stava superando il limite che si era posta,
provò
compassione.
<<
Non ho fatto educazione fisica a scuola negli ultimi 3 anni. Avevo le
mestruazioni tutte le settimane...o comunque questo era quello che
dicevo al mio professore. Ero un tricheco in ogni cosa, mi vergognavo
troppo, eppure non ero così grassa...ero semplicemente
imbranata. E
debole. Poi ho passato il resto dei miei anni seduta su un divano a
giocare ai videogames e studiare di tanto in tanto, anche se a dire
degli altri avrei dovuto dare priorità alla seconda. Ti
sembra la
storia di una ragazza forte? >> disse Ocean mentre apriva
il
cancellino del box del cavallo, per entrarvi, e cercò con lo
sguardo
la sella. La SUA sella. Carol si lasciò scappare un sorriso
e negò
con la testa.
<<
Comincia a impugnare un coltello con intenzioni diverse da quelle di
voler tagliare il pane, e comincia a ficcarti in testa che l'unica
persona che veramente può pararti il culo e proteggerti sei
solo tu
stessa. Gli altri sono scudi di passaggio, mandati dalla fortuna.
Devi convincerti che sei sola in tutto questo, non mettere la tua
vita in mano agli altri potrebbero lasciarla cadere per sbaglio e
allora non avrai neanche il tempo di piangerti addosso.
>>
disse prima di afferrare la sella, posta lì vicino e
riavvicinarsi
alla sua cavalla << Ci andiamo a fare una passeggiata,
Peggy?
Che dici? >> disse alla cavalla sempre col suo tono dolce
e
pacato, completamente diverso da quello che solitamente rivolgeva
alle persone. E cominciò a fissare la sella sul dorso
dell'animale.
Carol
sembrava persa nei suoi pensieri, per quanto le cose che Ocean le
aveva detto fossero delle più stupide e banali, a cui ci
poteva
arrivare anche da sola, le aveva dato molto da pensare. E Ocean ebbe
il tempo di fissare la sella a dovere, senza ulteriori interruzioni.
Poi prese le redini e cominciò ad avviarsi verso l'uscita, e
solo
allora Carol sembrò svegliarsi dal suo incantesimo e con
voce un po'
imbarazzata le rivolse nuovamente parola, benchè ormai fosse
di
spalle e distante da lei << Sai... >>
cominciò per
attirare la sua attenzione, e fece un'altra piccola pausa imbarazzata
<< ...Mia figlia...mia figlia è lì
fuori. Sola. >> E
abbassò lo sguardo, sofferente e malinconica.
Ocean
stette in silenzio, aspettando che aggiungesse altro, perchè
era
questo che sembrava volesse fare e invece stette zitta.
<< Mi
dispiace. >> le disse allora, per rompere il silenzio,
anche se
sentiva che le sue parole erano dettate solo dalla circostanza. Non
erano sentite davvero.
<<
E' ancora una ragazzina. >> piagnucolò Carol
<< La
stiamo cercando, è così che Andrea e Rick ti
hanno trovata. Vorrei
tanto che in questo momento fosse come te... >> e
aspettò.
Aspettò una risposta...una parola di conforto da parte di
quella
donna che non conosceva affatto, ma che le aveva subito dato una
buona impressione. Le dava l'idea che fosse una donna forte,
coraggiosa e con un cuore grande, anche se voleva nasconderlo. Chi
altro poteva sopravvivere a lungo sola in quell'inferno e portarsi
dietro due animali che sembrava amare più di chiunque altro?
Ma
la parola bramata non arrivò.
Ocean
restò ferma in silenzio per qualche secondo, e Carol
pensò stesse
solo pensando a che parole usare, invece poi uscì dalla
stalla senza
aggiungere niente, nemmeno un affermazione, lasciandola sola con il
suo vuoto, il suo dolore e la sua sete di risposte.
<<
Cosa s'aspettava che le dicessi? >> domandò
Ocean alla sua
cavalla che brucava l'erba davanti a lei. S'era allontanata dal
campo, facendo una cavalcata lungo tutta la fattoria, correndo in
tondo come faceva quella bambina sulla sua bicicletta nel suo sogno.
I capelli scompigliati e la frangetta che finiva negli occhi. Il
vento che risuonava forte nelle orecchie e il desiderio di correre
ancora più veloce, sognando di essere inseguita da
chissà qualche
strana creatura fantastica, o sognando lei stessa di inseguirla.
Sognando di spiccare il volo. Poi, quando si era stancata, si era
fermata all'ombra di un albero, distante dagli altri, con le spalle
poggiate al tronco e aveva lasciato la sua cavalla libera di brucare
e riposare. Come una bambina...che lascia a terra la sua bicicletta,
libera di farsi gli affari suoi, e si riposa sotto una veranda
leggendo e sognando di chissà quale avventura.
<<
Tu credi che avrei dovuto dirle cosa? Cosa pretendeva da me? Neanche
di conosciamo! >> brontolò ancora. Sapeva che
Peggy la stava
ascoltando, l'ascoltava sempre, lei non la tradiva mai.
<<
Ma certo che la ritroverete sana e salva, si sarà fatta un
sacco di
amichetti folletti e avrà trovato un unicorno rosa da
cavalcare. >>
continuò << Ma ovvio che è morta!
E' una ragazzina, lì fuori
ci sono più zombie che insetti, come può
salvarsi? >> e, al
contrario di quello che si aspettava, dato che di solito era
silenziosa, Peggy rispose con uno sbruffo. Ocean spalancò
gli occhi
e si rizzò sulla schiena, restando però sempre
seduta con le
braccia conserte << Cosa?!?! >> chiese
indignata <<
Hai da ridire? Tu davvero credi che io stia sbagliando? Credi davvero
che sia salva da qualche parte? Oh, andiamo, che sciocchezze!!
>>
e si lasciò ricadere con la schiena appoggiata al tronco.
Pensierosa
alzò gli occhi al cielo: stava cominciando a tramontare.
<<
Certo, è anche vero che io al tempo avrei avuto meno chance
si
salvarmi di lei. I primi tempi ho rischiato la vita tante di quelle
volte, e se ora sono qui è solo grazie alla mia fortuna
spaccaculi.
Ero davvero così imbranata! Al tempo sapevo solo....suonare
e
ballicchiare. >> disse le ultime due parole con un certo
disgusto e astio << Avrei potuto fare l'incantatrice di
zombie,
che dici? >> disse ancora rivolgendosi al cavallo,
assumendo un
tono quasi illuminato, come se davvero fosse stata una buona idea. Il
cavallo sbruffò ancora. E Ocean scoppiò a ridere
<< Ti sono
mancata di' la verità! >> e si alzò
in piedi <<
Andiamo, torniamo a casina che dici? Mi sta venendo una certa fame, e
credo che l'erba mi starebbe indigesta, mica come te. Mangiona.
>>
Si avvicinò a Peggy, le fece altre due carezze sul collo,
poi le
saltò in groppa e si avviarono lentamente verso la stalla.
<<
Vedi però di non abituarti troppo, bella mia. Non ho nessuna
intenzione di socializzare con queste persone. Ho chiuso con gli
esseri umani, lo sai. Non affezionarti anche tu come ha fatto Max,
che poi mi tocca tenermi non uno ma ben due animali piangioni.
>>
Durante
il viaggio di ritorno Ocean spesso si era fermata sotto a degli
alberi, cercando di strappare qualche rametto piccolo e
ammucchiandoli in una sacchetta appesa in sella. Era rimasta a corto
di frecce, se ne sarebbe fatte di altre: bastava dare un minimo di
punta a quei rametti. Non era un'esperta, non lo era mai stata e non
sapeva nemmeno se fosse stata una buona idea...ma, così come
per la
spada e le daghe, non le importava essere esperta. Le importava
essere capace di uccidere, il resto era superfluo.
Lasciò
la sua cavalla alla stalla, preoccupandosi di controllare che avesse
acqua e cibo a sufficienza, le tolse la sella di dosso per darle
più
libertà, le diede una veloce pulita e infine la
salutò con una
carezza e un bacio sul collo. Il cavallo in risposta sbruffò
di
nuovo.
Si
avvicinò "al campo", la zona di giardino dove erano state
piantate tende e dove sembravano essersi stabilite tutte quelle
persone << La casa puzza troppo di muffa?
>> chiese alla
moretta che stava china vicino al fuoco, che alzò lo sguardo
un po'
spaventata, probabilmente sorpresa per la domanda improvvisa...e
forse perchè neanche l'aveva sentita avvicinarsi, presa
com'era dai
suoi pensieri.
<<
Come? >> chiese Lori guardando la ragazza nuova.
<<
Siete tutti qui fuori e nessuno usufruisce di quello splendore
laggiù. Mi chiedevo se non ci fosse qualche fantasma dentro.
>>
<<
Oh, no. Hershel..quella è casa sua. Noi siamo suoi ospiti.
>>
spiegò vagamente.
<<
Allora siete voi quelli che puzzano. Non ho mai visto nessuno
trattare così degli ospiti. >> disse Ocean
guardandosi
attorno, voleva studiare un po' la zona, visto che doveva viverci
qualche giorno voleva sapere dove dirigersi per le sue esigenze.
<<
No >> disse ancora Lori accennando un sorriso
<< Lui...ci
siamo appena conosciuti, ecco. E' un po'... >>
<<
Capisco. >> la interruppe Ocean << Nonnetto
scorbutico e
spaventato, come tutti noi del resto. Ormai non ci si fida
più
nemmeno della nostra stessa ombra. >> E Lori rispose con
un
sorriso di accordo e un cenno del capo.
<<
Senti, hai idea di dove posso trovare un coltello. Uno bello affilato
magari. >> chiese Ocean cambiando discorso. In
realtà era solo
quello che voleva chiederle, non le interessavano i retroscena tra
coinquilini, ma aveva sbagliato la domanda di "prima
confidenza".
Lori
parve turbata della richiesta e si guardò attorno, come se
la
risposte si trovasse scritta lì da qualche parte
<< No...io
non credo tu... ecco... >>
<<
Oh, capisco. La nuova arrivata che subito ha cercato di uccidere il
cretino, perchè fidarsi, certo. >> la
interruppe di nuovo
Ocean e dopo un sorriso di cortesia, che sembrava più una
presa in
giro, le mostrò uno dei rami che aveva raccolto
<< Non voglio
uccidere nessuno. Se vuoi me ne resto qui mentre il tuo amico mi
tiene la pistola puntata alla tempia, se ti fa sentire più
sicura.
Ho finito le frecce, voglio solo farmene di nuove. >> E
lori
parve sollevata. Anche se le avevano detto di non fidarsi troppo di
lei, comunque le era sembrata convincente. Ma titubò ancora.
E Ocean
si lasciò cadere a terra, lì dov'era, incrociando
le ginocchia <<
Sto qui. Non mi muovo, Giuro. Sparami se non lo faccio.
>>
odiava elemosinare in quella maniera, l'avevano praticamente
"spogliata" e la tenevano prigioniera. Dove diavolo era
andata a finire? Era grata per il salvataggio, grata per il cibo e
l'acqua, ma a che prezzo? Senza armi e con un'esplicita richiesta di
restare perchè serviva, che sembrava più una
minaccia che una
richiesta. Già li detestava.
Lori
annuì e si alzò, andando a prendere il famoso
coltello. Ocean
rimase così qualche minuto sola, e ne approfittò
per guardarsi
ancora attorno. C'era un camper parcheggiato lì vicino, e
aveva
notato che non mancava mai nessuno sul suo tetto a guardare il
panorama. Doveva essere la "torretta di guardia". Poi
alcune macchine parcheggiate lì vicino, e vide lì
Rick, Andrea e lo
Stronzo (che avevano detto si chiamava Shane, ma Stronzo suonava
meglio) che discutevano tra loro, guardando qualcosa poggiato sul
cofano. Ricordò le parole di Carol: "Stanno cercando sua
figlia."
Spostò
ancora lo sguardo verso sinistra, studiando tutto quello che la
circondava. Vide non troppo distanti il suo Max che giocava col
ragazzino:non avevano smesso un secondo quel giorno, se non per
mangiare. Continuavano a correre, ridere, fare gare e giochi di vario
tipo. Sembravano felici tutti e due.
Sentì
un rumore alla sua destra, e subito si voltò a guardare che
succedeva. Una delle tende si era aperta e il balestriere era uscito
fuori, sempre con il suo sguardo truce, gli occhi piccoli
già di
loro erano quasi sempre socchiusi, a scrutare, perlustrare e
fulminare. Che problemi aveva quel ragazzo col mondo? Perchè
sembrava costantemente incazzato?
Ovviamente
non potè fare a meno di notare l'ospite indesiderata, resa
forse
ancora più curiosa dal fatto che fosse buttata a terra,
invece di
utilizzare una delle tante sedie da campeggio che c'erano
lì. La
guardò qualche secondo, restando fermo nella sua posizione,
probabilmente chiedendosi cosa ci facesse lì....o
semplicemente
escogitando un modo per farla fuori e farlo sembrare un incidente.
Ocean
ricambiò lo sguardo deciso, anche se con meno
determinazione, e alla
fine decise di fare lei il primo passo, altrimenti lì
sarebbero
stati per secoli a guardarsi senza far nulla e i piccioni avrebbero
potuto scambiarli per statue e cagarci sopra.
<<
Che vuoi? >> gli chiese semplicemente, con
tranquillità e
anche una certa curiosità. Che aveva da guardare?
<<
Che fai qui? >> chiese lui di rimando, infastidito
probabilmente.
Ocean
si chiese per l'ennesima volta in quella giornata perchè
tutti
facessero domande così idiote, senza un minimo di buon
senso. Cosa
diavolo poteva farci lì, secondo lui? A raccogliere
margherite? Dove
doveva stare altrimenti? Dopo aver aspettato qualche secondo, giusto
per far passare lo stupore, si spostò dalla sua posizione,
dandosi
spinte col sedere, senza alzarsi e spostandosi di qualche centimentro
da dove era prima, e chiese << Qui va bene?
>>
Daryl
finalmente si mosse dalla sua posizione, uscendo completamente dalla
tenda e andandosi a sedere su una di quelle sedie da campeggio
posizionate intorno a quella sottospecie di fuoco che sembrava
perennemente acceso.
<<
Da dove vieni tu avete tutti quest'irritante senso dell'umorismo?
>>
chiese mentre si chinava in avanti, verso quello che sembrava un
pentolone e raccolse qualcosa con il mestolo, rovesciandolo poi
dentro il piatto che aveva in mano, e che Ocean non aveva notato
prima.
<<
No, sono l'unica fortunata. Sono una specie in via d'estinzione sai?
Dovreste preservarmi invece che trattarmi in questa maniera. Il wwf
vi farà causa. >> Ma la battuta non scompose
minimamente
Daryl. Sembrava anzi averlo infastidito ancora di più.
Afferò il
suo cucchiaio e lo usò per raccogliere il cibo dal suo
piatto prima
di portarselo alla bocca...e lì Ocean le vide.
Si
alzò in piedi di colpo, fulminando Daryl e il suo piatto e
irrigidendosi improvvisamente << Oh mio Dio, quelle sono
patate?!?! >> urlò quasi grugnendo, con lo
sguardo di un lupo
affamato che ha appena visto un agnellino indifeso. Daryl la
guardò
mettendo per la prima volta dello stupore nel suo sguardo, oltre
all'ostilità.
<<
Le voglio anche io!!! >> insistette lei, ed ora era
passata dal
lupo affamato a essere una bambina capricciosa dentro un negozio di
caramelle.
Lori
tornò con il coltello richiesto e glielo porse, incurante di
quello
che stava succedendo al momento e non notante la famelicità
della
ragazza che aveva puntato al piatto di Daryl come un aquila punta un
topino. Ocean guardò il coltello, lo prese e poi
guardò Lori <<
E con questo che ci faccio? Dov'è il mio piatto?
>>
<<
Ma... tu avevi chiesto... >> disse Lori confusa,
irritandosi un
po' per il modo in cui veniva trattata e presa in giro, ma prima che
potesse aggiungere altro Ocean sembrò ritornare in
sè << Ah,
già, te l'avevo chiesto per le frecce. >> e lo
lasciò cadere
a terra, come una lattina vuota ormai inutile, e tornò a
guardare il
pentolone.
<<
Penso abbia fame. >> disse Daryl a Lori, anticipando
qualsiasi
altro delirio della ragazza, evitando di mandare ulteriormente in
confusione la donna.
<<
Oh, si tantissima fame! Tantissima. Fame. >> disse Ocean
guardando Lori con occhi supplichevoli. La cosa metteva in imbarazzo
la donna, che per un attimo le sembrò di trovarsi di fronte
a comico
che stava solo cercando di fargli uno scherzo, ma non
rifiutò la
richiesta e fornì anche ad Ocean di un piatto e un cucchiaio.
Ocean
si fiondò letteramente sulla sua porzione, e quasi le si
inumidirono
gli occhi.
<<
Dio, sono la cosa più buona abbia mai mangiato.
>> disse prima
di mettersi in bocca un'altra cucchiaiata e in pochi secondi il
piatto venne spazzolato. Era stato uno dei momenti che da tempo aveva
sognato: poter mangiare cibo fresco, magari delle verdure, e non
più
stupide scatolette insapori. Quello sicuramente era un valido
argomento per restare qualche giorno in più...non per
sempre, ma
allungare magari la sua permanenza di qualche giorno.
<<
Mi chiedo come ci siate riusciti a fare la bellavita qui, mentre il
mondo fuori va in fiamme. Sembra ci sia una specie di cupola sopra
questa fattoria che la protegge. >> disse Ocean porgendo
il
piatto spazzolato a Lori.
<<
Si, siamo stati fortunati a trovarla. >> disse la donna.
<<
No, siete fortunati che ancora non vi sia successo nulla!
>>
quasi la corresse Ocean prima di decidere di tornare all'impiego che
voleva fare inizialmente. Daryl stava ancora lì, che
mangiava molto
lentamente e continuava a osservare la nuova arrivata, probabilmente
non molto convinto sulla sua tranquillità e sul fatto che
fosse
innoqua.
Lori
invece, che lì non doveva fare niente, si
allontanò tornando agli
affari suoi, lasciando Ocean al suo lavoro di costruzione frecce, che
non sembrava andare troppo bene. Aveva creduto sarebbe stato
più
semplice, invece quel maledetto coltello non scorreva dove doveva, e
spesso e volentieri si incastrava in un taglio troppo profondo, non
proseguendo e Ocean doveva riprendere dall'inizio.
Al
terzo ramo eliminato perchè ormai distrutto e per nulla
affilato
come desiderava Daryl non potè che constatare
<< Sei
un'imbranata. >>
<<
Prego, scusa?! >> chiese Ocean infastidita dal commento
non
richiesto. Era già abbastanza umiliante e imbarazzante senza
che un
cretino qualsiasi intervenisse a commentare.
<<
Sei un'incapace. >> sottolineò ancora lui.
<<
Scusami tanto se non sono nata imparata come te, Stallone, ma
è la
prima volta che ci provo! >> brontolò Ocean
innervosita e
puntandogli il coltello contro, a mo' di minaccia.
<<
Fin'ora frecce infinite? >> chiese con ironia Daryl.
<<
Le raccoglievo in giro...e poi non le usavo molto. Preferisco il
corpo a corpo. >> ma perchè si fermava a dar
giustificazioni a
lui, poi? Perchè diavolo gli rispondeva pure?
<<
Cioè sei un incapace anche a tirar con l'arco.
>> continuò
lui. Ocean trattenne un urlo, ma non lo sguardo fulminante.
Respirò
qualche secondo per ritrovar la calma e poi rispose semplicemente
<<
Ma perchè non vai a importunare qualcun altro? Che
so....qualche
zombie ad esempio? Magari con un bastoncino e basta. E' molto
divertente, te lo assicuro. >>
<<
L'unica cosa che hai di affilato è la lingua, e magari
neanche
quella. Mi chiedo con che miracolo tu sia sopravvissuta finora.
>>
continuò lui incurante delle risposte della ragazza.
Ocean
d'istinto tirò fuori la lingua, mostrandogliela, e la
indicò
cercando di dire (per quanto uno riesca a parlare con la lingua
fuori) << Non è affilata, guarda! E' normale!
>> e la
ricacciò dentro << E poi che t'importa "Come"
sono
sopravvissuta? L'importante è che l'ho fatto!
>>
<<
Mi chiedevo cosa avresti fatto se non fosse arrivato Rick a
prenderti. >> continuò Daryl. Sembrava averci
preso gusto.
Perchè non tornava a starsene zitto come aveva fatto finora?
Cosa
gli era preso tutto all'improvviso? Tutta quella loquacità
improvvisa avrebbe potuto ucciderlo...Ocean avrebbe potuto ucciderlo.
<<
Li cucinavo per cena, così mi sfamavo. >>
disse con sarcasmo
pungente << Mai successo di aver bisogno di una mano da
parte
di qualcuno, diamine? >>
<<
Non che io ricordi, e comunque sia se ne avessi avuto bisogno avrei
certo evitato di viaggiare solo. >>
<<
Ma cosa cazzo avete tutti contro chi viaggia solo? >>
gridò
Ocean esasperata alzandosi in piedi. Era l'ennesima volta che glielo
"veniva rinfacciato" quel giorno, tutti a sottolineare quel
punto, come se un gruppo fosse essenziale per riuscire ad andare
avanti. Lei non aveva un gruppo, eppure era viva, era così
sbagliato?
<<
Non voglio ritrovarmi attaccata al culo teste di cazzo come te, che
rompono i coglioni su quanto sia imbranata a spuntare degli stupidi
ramoscelli per farne delle frecce! >> gridò
ancora lanciando
il ramoscello che aveva in mano contro il ragazzo, non colpendolo, ma
non era quella la sua intenzione. Mollò tutto lì,
facendo cadere a
terra il coltello che le era stato prestato, e tirando un calcio al
resto dei ramoscelli si allontanò velocemente. Non era
lì neanche
da un giorno e già non li sopportava più e
desiderava andarsene.
<<
Non credi di aver esagerato un pochino? >> chiese una
voce
femminile alla sinistra di Daryl: era Andrea. Aveva finito di
pianificare e discutere con Rick, che ora era rientrato a parlare di
nuovo con Hershel. L'indomani mattina avrebbero ripreso le ricerche
di Sophia, ora era troppo tardi, il tramonto era ormai inoltrato e
presto si sarebbe fatto buio.
<<
Forse dovremo cercare di essere un po' più accoglienti con
lei. E'
stata tre giorni su un albero con la morte sotto i piedi, e ora ha
bisogno di rimettersi. Capisco che il gesto improvviso contro Shane
possa aver spaventato, ma capisco che era arrabbiata perchè
l'aveva
lasciata lì, non credo debba esser...>> ma
Daryl la interruppe
con un "puah" e un << Tutti vorrebbero uccidere
Shane. >> e si alzò in piedi pronto per
andarsene.
<<
E allora perchè ti comporti così con lei?
>> chiese ancora
Andrea prima di lasciarlo andare via.
<<
Non sappiamo chi è e cosa sappia fare, per ora è
solo una bocca in
più da sfamare. >> rispose lui mentre
già si incamminava,
senza darle tempo di ribattere ancora. Era una giornataccia, lo
dovevano lasciare in pace.
|
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Capitolo 7 *** Sabotaggio. ***
Sabotaggio
La
notte calò...e portò buio non solo al cielo sopra
le loro teste.
Il
gruppo si era riunito come di consueto, dopo una giornata piena di
impegni e problemi, arrivava l'ora del ritrovo. Non era stato dettato
ufficialmente...si riunivano e basta. Quando ormai il buio impediva
di fare altri progetti e rimandava tutto a domani, e quando la fame
comunicava l'ora di cena, i membri del gruppo si stringevano intorno
al fuoco, ognuno prendeva un piatto e si riscaldavano della loro
semplice compagnia, non sempre scambiandosi parole. E così
anche
quella sera, al calar del sole, uno dopo l'altro si avvicinarono al
fuoco e lì rimasero a cenare, e scambiarsi qualche parola
ogni
tanto.
Tutti,
tranne Ocean.
Hershel
l'aveva richiamata in casa poco prima, voleva visitarla di nuovo, per
assicurarsi che si stesse rimettendo e per fornirle altra acqua che
doveva bere assolutamente, per reintegrare i liquidi persi. Si era
raccomandato di mangiare e di stare a riposo, poi l'aveva mandata
via. Era ospite di Rick, non suo, e Rick doveva occuparsi di darle un
posto dove stare. Ma Ocean non raggiunse il gruppo come le era stato
detto. Uscì dalla porta di casa bevendo subito qualche sorso
della
sua bottiglia d'acqua obbligatoria, e si fermò
lì, non andando
oltre, piantanto gli occhi sullo scenario di fronte a lei. Un gruppo
intorno al fuoco. Un semplice gruppo intorno al fuoco, niente di
più
banale. Ma, come già detto, il buio non calò solo
sul cielo sopra
la sua testa.
La
sua espressione si incupì improvvisamente, e dopo aver
chiuso
distrattamente la bottiglia, lasciò cadere le braccia stese
lungo i
fianchi. Le era stato detto di raggiungerli. Ma non
voleva...improvvisamente non voleva neanche più mangiare.
Fece due
passi avanti, attraversando la verandina buia, e si mise a sedere sui
gradini, continuando a osservare la scena davanti a lei con lo
sguardo pieno di tristezza. Un enorme masso sembrava essere caduto
dal cielo colpendola in pieno petto, ecco cosa era successo. E un
altro sentimento si fece largo su quel viso: rabbia.
Max
riposava ai piedi di Carl, aveva mangiucchiato qualcosa e bevuto un
po' d'acqua, poi si era poggiato lì e non si era
più mosso,
continuando a osservare la casa di fronte a loro. Sapeva che la sua
padroncina era lì dentro e presto li avrebbe raggiunti,
perciò
aspettava.
Poi
improvvisamente alzò la testa, rizzando le orecchie e
puntando lo
sguardo davanti a sè. L'atteggiamento improvviso
attirò
l'attenzione di Carl, che portò anche lui lo sguardo alla
casa,
curioso di capire cosa avesse attirato l'attenzione del cane, il
quale si era subito alzato e scodinzolando si era diretto velocemente
in quella direzione. Il buio impediva di vedere chiaramente cosa ci
fosse, ma nonostante questo si poteva vedere una figura nera seduta
sugli scalini della veranda, immobile.
Max
raggiunse Ocean in pochi secondi, scodinzolando contento di poter
stare finalmente un po' con lei, e Ocean lo premiò con una
grattata
sotto l'orecchio, ma l'espressione cupa rimase indelebile.
Poi
un'ombra attirò l'attenzione della ragazza, che
spostò lo sguardo
dal cane rivolgendola a essa, e in breve riconobbe la donna che quel
pomeriggio le aveva salvato la vita.
<<
Vieni lì con noi. >> le disse Andrea, cercando
di sembrare il
più cordiale possibile, convinta forse che l'unica cosa che
impediva
a Ocean di raggiungerli fosse la timidezza << Avrai
freddo qui.
E abbiamo una porzione di cibo in più, dovresti mangiare. Te
lo ha
detto Hershel. >> continuò. Ocean
guardò la donna davanti a
sè senza dire una parola, continuò a osservarla,
e anche se non
poteva vedere il gruppo dietro di lei sapeva che aveva tutti gli
occhi puntati contro. E la cosa la irritò più di
quanto già non lo
fosse. Dovevano lasciarla in pace! Lei non voleva avere niente a che
fare con quel gruppo di persone, e non si sarebbe ridotta a far
combriccola intorno a un fuoco come dei ragazzini al campeggio! No,
non lo avrebbe fatto. Non più.
Guardò
la donna con un certo disprezzo, come se le avesse lanciato un
terribile insulto, poi si alzò e senza dire una parola di
allontanò,
inoltrandosi nel buio della fattoria, cercando un angolo solitario
che fosse suo e di nessun altro. Solo la compagnia di Max era
tollerata, che la seguì senza indugio, lasciando il resto
del gruppo
pensieroso.
Non
le fu difficile trovare subito il suo angolo di paradiso, lo aveva
sempre saputo e lo aveva sempre avuto: il suo posto era insieme ai
suoi unici compagni di viaggio, Max e Peggy. Perciò, per
quanto la
cosa poteva a un occhio esterno non allettare troppo, si diresse
verso la stalla, aprì il cancellino del box di Peggy e vi
entrò,
permettendo anche a Max di entrare. Peggy li salutò con uno
sbruffo,
poi tornò a dormire e riposare tranquilla, nonostante la
presenza
dei due ospiti.
Ocean
era riuscita quel giorno a farsi ridare le cose che aveva lasciato
sopra al cavallo al momento della loro separazione, le aveva
custodite Dale in quei giorni pensando che potessero tornare utili,
ma dato che la legittima proprietaria era tornata si era visto
costretto a ridargliele. E solo grazie a quello che Ocean
riuscì a
non congelare quella notte. Si coprì col suo mantello
ritrovato,
tirandosi su il cappuccio per coprire anche il viso, e si rannicchio
sopra un mucchio di fieno. Max le si avvicinò, annusando un
po' la
zona, poi scelse anche lui il suo posto per passare la notte,
ranicchiandosi e stringendosi contro la sua padroncina, che come
sempre gli dedicava qualche carezza e coccola prima di cadere
addormentato. Sentiva però che qualcosa la turbava, riusciva
a
percepire le sue emozioni, per questo motivo non si
addormentò
immediatamente ma tentò prima di fornirle un po' di conforto
spingendo il muso contro la sua mano e cercando di darle qualche
leccata di consolazione. Ocean capì il tentivo del cane e
non potè
fare a meno di sorridere intenerita << Sai sempre come
prendermi, tu, vero? >> sussurrò prima di
fargli un grattino
sotto al collo. Sospirò e si strinse ancor più
all'animale,
circondandolo con un braccio, stringendolo un po' a sè come
farebbe
una bambina col proprio orsetto di peluche in una notte di temporali.
Max la lasciò fare, e sistemandosi ancora un po',
riuscì a trovare
una posizione comoda prima di addormentarsi definitivamente. Per
Ocean non fu così semplice. Il silenzio divagava intorno a
lei,
eppure non potè fare a meno di considerare quella notte una
delle
più rumorose che avesse mai sentito prima. E tutto quel
baccano le
impedì di prendere sonno per molto tempo, fino a quando,
ormai
prossimi all'alba, la stanchezza non prese il sopravvento.
Ma,
nonostante il sonno, continuò per tutta la notte a vedere un
gruppo
di persone intorno a un fuoco.
Il
risveglio, come poteva immaginare, non fu dei migliori. La notte
passata completamente in bianco le aveva lasciato come souvenir un
martellante ed estenuante mal di testa, e un profondo senso di
confusione. A farle aprire gli occhi fu qualcosa di...ruvido e umido.
"Ma
che diavolo...che fastidio!!" pensò già
innervosita, mentre
pian piano riprendeva conoscenza, agitandosi per quel qualcosa sul
viso che continuava a strofinare senza darle tregua. Riuscì
finalmente ad aprire un occhio, e un muso gigantesco con dei denti
enormi si trovava pericolosamente vicino alla sua faccia, e
continuava insistentemente a strofinare la sua lingua altrettanto
enorme sul viso della ragazza ancora confusa.
<<
Oh, che diavolo! Peggy! >> brontolò la ragazza
cercando di
proteggersi con le braccia e allontanare l'animale dalla sua faccia.
Le sembrava di aver infilato la faccia in una bacinella di gelatina,
tanto si sentiva viscida e umida. Doveva immediatamente correre a
lavarsi, era disgustoso, ma non potè negare di essere quasi
divertita.
Finalmente
la cavalla si fece da parte, permettendo alla ragazza di sollevarsi a
sedere. Il sole splendeva già da tempo probabilmente, era
abbastanza
caldo da averle permesso una bella sudata con quel mantello pesante
addosso. La testa sembrava pesare 10 kili in più, e credeva
di avere
qualcuno dentro che stesse martellando...anzi era certa di averlo.
Si
massaggiò una tempia, e aprì gli occhi
lentamente: sentiva che
perfino la luce le faceva aumentare il mal di testa.
<<
Oh mio Dio!! >> urlò terrorizzata, sobbalzando
e
indietreggiando appena di qualche passo.
<<
Sei impazzita?!?! >> urlò contro Carol, che si
trovava in
piedi davanti all'entrata del box e la fissava immobile
<< Non
lo fare mai più, vuoi farmi morire d'infarto?
>> brontolò
ancora Ocean, col cuore che le correva impazzito nel petto (ulteriore
tortura per il suo mal di testa). Appena aperti gli occhi si era
ritrovata quella figura immobile a fissarla da chissà quanto
tempo,
la cosa poteva far morire di crepacuore qualcuno, avrebbe dovuto
immaginarlo! Soprattutto in tempi come quelli.
<<
Scusami >> disse Carol sinceramente << Ho
pensato tu
avessi fame. Ti ho portato qualcosa. >> e solo allora
Ocean
notò che teneva tra le mani un piatto. La ragazza
capì le buone
intenzioni della donna, e una parte di lei le diceva di chiederle
scusa per la brutta reazione avuta, ma non poteva fare a meno di
provare fastidio. Fastidio che fosse lì, intorno a lei, a
considerarla e cercare ancora di fare amicizia trattandola con
gentilezza e quasi con preoccupazione. Perciò combattuta tra
la
pietà e il nervoso, optò per il silenzio. Si
alzò lentamente in
piedi, togliendosi di dosso il mantello e lasciandolo appeso a bordo
box, sospirò e uscì seguita da Max che ancora si
trovava lì con
lei. Carol si fece da parte per permetterle di prendersi i suoi
spazi, e restò in attesa col piatto in mano,
finchè Ocean, dopo
essersi stirata un po', lo afferrò e fece due passi verso
l'uscita
della stalla, guardando fuori: il campo era praticamente deserto, e
solo ogni tanto si poteva vedere sbucare la testa di una delle donne
che andavano in giro a far faccende o ad occuparsi del bestiame e del
raccolto. Ocean afferrò la forchetta e tirò su un
po' di quello che
c'era nel piatto, senza neanche guardare cosa fosse e lo
portò alla
bocca, mentre Carol alle sue spalle le si avvicinava, in attesa di
chissà quale ringraziamento. O forse solo per poter
controllare se
mangiava, visto che la sera prima era stata a digiuno, al contrario
di quello che avrebbe dovuto fare. Chissà perchè
tutti si
preoccupavano così per lei, cosa gliene importava se stava
male?
Erano affari suoi.
Solo
alla prima masticata Ocean capì cosa stava mangiando, e non
potè
trattenere un espressione leggermente disgustata << Sono
uova?
>> chiese masticando un po' a fatica, biascicando
ciò che
aveva in bocca e cercando di mandarla giù. Carol si
preoccupò per
la sua reazione, lo si potè vedere dalla sua espressione
quasi
mortificata << Strapazzate >>
spiegò subito <<
Fresche! Appena raccolte. Non ti piacciono? >>
Ocean
mandò giù il boccone a fatica, e nel frattempo,
per dare una
risposta repentina alla donna, negò con la testa che
però rimase in
silenzio ad aspettare una spiegazione verbale, e non solo gesti e
mugolii.
<<
No, sono deliziose. Scusami, non sono abituata a mangiar uova di
prima mattina. E' stato...strano. >> latte e cereali,
ecco la
giusta colazione italiana! Il salato di prima mattina era quasi
veleno per le sue papille gustative, abituate da sempre a buttar
giù
dolci e al massimo un caffè amaro al punto giusto. Quasi
piangeva al
ricordo del caffè...ecco un'altra cosa per cui avrebbe
potuto
uccidere.
Carol
parve in parte sollevata dalla risposta della ragazza, ma l'imbarazzo
e la mortificazione persistevano. Probabilmente era una di quelle
donne che tendevano a darsi la colpa di ogni cosa, anche quando a
venir colpite erano loro.
<<
Beh, tecnicamente non è prima mattina. >>
disse Carol e Ocean
le lanciò uno sguardo quasi spaventato....che ore erano?!?!
Quanto
diavolo aveva dormito?
<<
Sarà passato mezzodì. Il sole è sorto
ormai da molto tempo. >>
spiegò ancora la donna brizzolata, sollevando gli occhi al
cielo, a
cercar conferma nel sole.
Ocean
rimase per un po' immobile, a guardarla quasi sconvolta. Era la prima
volta che si spingeva a tanto, era la prima volta dopo tanto tempo
che dormiva così a lungo...e se Peggy non l'avesse svegliata
avrebbe
volentieri dormito un'altra era. Era veramente a pezzi, a quanto
pareva.
<<
Cavoli, che sorpresa! >> si limitò a dire
prima di finire
velocemente il suo piatto. Non era il massimo, e il salato appena
sveglia le faceva venire i brividi, ma era l'unica cosa a portata di
mano e sapeva che doveva mangiare qualcosa. Restituì il
piatto a
Carol, si pulì velocemente la bocca con la manica e si
diresse
nuovamente verso il box, dove aveva lasciato la sua bottiglia d'acqua
che doveva assolutamente finire. Ma aveva appena messo piede nel box
quando con la coda dell'occhio vide qualcosa fuori dallo sportello, a
lato, appoggiato alla staccionata, e senza muoversi cercò
solo di
sporgersi all'infuori con la testa per vedere meglio.
Una
piccola catasta di rametti ben appuntiti era stata appoggiata
lì
ordinatamente.
Il
mal di testa di Ocean diede un altro colpo ben assestato e per un
attimo il suo sguardo si incendiò. Si chinò
velocemente e ne
afferrò uno, poi rialzandosi con altrettanta
velocità si voltò
verso Carol e glielo puntò al viso << Che
diavolo significa?
>> chiese furibonda, terrorizzando di nuovo la donna che
sobbalzò e quasi si lasciò sfuggire il piatto di
mano.
<<
Io...non lo so. >> disse lei e si poteva leggere
sincerità in
quello sguardo.
<<
Tu non lo sai? >> chiese Ocean gonfiandosi come un
pallone che
stava per scoppiare, urlando sempre più forte
<< TU NON LO
SAI? >> Urlò ancora << TE LO
DICO IO COSA SONO QUESTI!!
>> sembrava posseduta da un demonio, l'ira funesta la
stava
accecando e per un attimo Carol temette volesse picchiarla,
perchè
non smetteva di gonfiare il petto e di avvicinarsi a lei col viso. Ma
invece Ocean non glielo disse cosa erano...sapeva che lei non
c'entrava niente. Si voltò di nuovo, muovendosi con
rapidità e con
scatti decisi, la testa in fiamme per il dolore e la rabbia che
peggiorava il tutto, si poteva vedere la sua voglia di uccidere
qualcuno nei tremolii delle mani, e afferrò alla ben e
meglio la
catasta di ramoscelli, lasciandone cadere qualcuno, fregandosene, e
si allontanò a grandi falcate.
Arrivò
al campo dove erano sistemate le tende che ancora lanciava fulmini
dagli occhi, e la presa sui ramoscelli era tanto precaria che aveva
lasciato dietro di lei una scia, manco fosse Hansel che doveva
tornare a casa con la sua sorellina Gretel. Si guardò
attorno, ma
neanche vide chi era presente che cominciò a urlare
<< Dov'è?
Dove sta quel figlio di buonadonna?!?! >> Glenn
guardò la
ragazza con un certo timore e girandosi un po' col corpo, ma sempre
tenendola sott'occhio, disse ad alta voce << Oh, no.
Rick! Di
nuovo! >> Ocean si voltò verso il cinesino,
scrutandolo. Non
era lui che voleva. Rick le si avvicinò con le mani alzate,
convinto
ormai di trovarsi di fronte a una matta uscita dal manicomio...stava
veramente cominciando a chiedersi chi fosse prima quella ragazza e se
prima davvero non fosse soggetta a qualche disturbo mentale.
<<
Calma, Ocean. Che succede? >> cercò di
placarla. Ocean lo
guardò, non era neanche lui che voleva. Alle sue spalle si
trovava
Shane, che sghignazzava e se la rideva, cercando di nascondere un po'
la cosa, abbassando la testa e grattandosi la nuca. Probabilmente
anche lui credeva fosse pazza. Ma non era neanche lui che voleva.
<<
Dov'è? >> chiese ancora Ocean, non trovando
chi realmente
stava cercando.
<<
Chi? Dov'è chi? >> chiese Rick, sperando di
riuscire in
qualche modo a placare la sua furia, magari stando un po' al suo
gioco.
<<
Cosino, lì! Come si chiama?! >> la rabbia e il
mal di testa
non erano alleati alla sua già scarsa memoria dei nomi
<<
Harry! >> Shane non riuscì a trattenersi e
scoppiò a ridere.
E per Rick fu difficile non fare altrettanto << Chi?
>>
chiese continuando a darle corda.
<<
Harry! Berry! Denny! Come cavolo si chiama?!?! Mister figone sono io!
Il balestriere! >> continuò Ocean, ignorando
Shane che voltato
continuava a sghignazzare. Trovava esilarante la scena, ma Ocean era
davvero furiosa, e appena lo avrebbe trovato gli avrebbe staccato la
testa come minimo. Poi sarebbe tornata ad occuparsi di quel cretino
di Shane, che nonostante il trattamento che le aveva riservato, si
prendeva pure la libertà di ridere di lei.
<<
Ah, Daryl! >> la illuminò Glenn, capendo per
primo chi stava
cercando.
<<
Quello che è! >> tagliò corto Ocean
<< Dov'è? Dimmelo!
Ora! >>.
Glenn
guardò Rick con timore, cosa doveva fare? La ragazza
sembrava
intenzionata a far guai di nuovo. Ma Rick sapeva che non avrebbe mai
potuto far del male a nessuno, era disarmata e certamente non poteva
competere con Daryl in quanto a forza fisica.
<<
Alla fontana laggiù. >> le indicò
semplicemente, lasciandola
andare, ignorando il perchè di tanto furore, ma cercando di
capirlo
insieme agli altri osservando la scena che stava per compiersi tra i
due. Non avrebbero sentito bene cosa si sarebbero detti, ma con la
rabbia di Ocean probabilmente i gesti avrebbero parlato più
delle
parole.
<<
Molto divertente, davvero! >> urlò Ocean
lanciando con tutta
la forza che aveva la sua catasta di ramoscelli addosso a Daryl, che
l'aveva ignorata fino al momento in cui gli aveva rivolto la parola e
al momento in cui si era ritrovato addosso una pioggia di rami.
<<
Ehi, sei impazzita? >> le chiese lui voltandosi a
guardarla
sconvolto e forse anche un po' offeso.
<<
Poi sono io quella col senso dell'umorismo pessimo, vero?
>>
continuò a urlargli contro Ocean, non dandogli nemmeno
ascolto:
tutto ciò che avrebbe detto sarebbe stato irrilevanto. Era
un
cretino stronzo, non meritava ascolto. E Ocean aveva scoperto di
odiarlo.
<<
Ma certo, bravo, sei un figo tu! Bravo! >> gli
applaudì <<
Prendiamo in giro la ragazza imbranata, che poi gli faccio vedere io
quanto son figo che riesco a far le cose meglio di lei. Guardami,
sono bello e muscolo, bravo a far tutto io, al contrario tuo stupida
ragazzina imbranata che neanche riesci a costruirti delle frecce da
dei ramoscelli del cazzo! >> proseguì
facendogli il verso e
incazzandosi sempre di più, ma mano che proseguiva, alzando
sempre
più il tono della voce.
<<
Tu sei tutta matta! >> si limitò a dirle
Daryl, prima di
rivoltarsi verso la fontana, dove fino a poco prima stava cercando di
darsi una pulita. Ma Ocean lo spinse per una spalla costringendolo a
rivoltarsi << Io sono la matta! Pure questo ora! Ma chi
cavolo
sei tu per giudicarmi, si può sapere? Neanche sai come mi
chiamo, e
ti permetti di giudicarmi e prenderti gioco di me. Bello, io sono
sopravvissuta mesi lì fuori da sola, al contrario tuo che
dovevi
sempre avere qualcuno che ti parasse il tuo bel culetto da super
modello! >>
<<
Non toccarmi più! >> le gridò Daryl
innervosendosi e
puntandole un dito minaccioso contro << Dovresti essermi
grata
invece! Eri senza frecce, no? Ti ho fatto un favore! >>
<<
Bel favore del cazzo! Certo, ora il tuo intento era solo quello di
essermi amico e farmi un favore, non certo dimostrarmi che io son
imbranata e tu un figo. >> Ocean gli fece una grossa
risata
sarcastica << Divertente come un dito nel culo!
>>
<<
Certo meglio del tuo modo di ringraziare! Ti abbiamo salvato il culo,
bella! >>
<<
Voi avete.... >> Ocean si bloccò, prima
incredula, rimanendo a
bocca aperta, poi ricevendo come un'illuminazione, e un sorriso
sarcastico si dipinse sul suo volto << Ora ho capito.
>>
e pian piano riprese a urlare << Adesso ho capito tutto!!
Tu...
e i tuoi cari amichetti My Little Pony state cercando di comprarmi!
Tutte ste carinerie, le cure mediche, la colazione a letto e i tuoi
stupidi legnetti a presa per il culo! Volete convincermi che ho
bisogno di un gruppo, così resto qui e il figlioletto del
tuo caro
fidanzatino Rick può vivere felice e contento col MIO cane!!
>>
<<
Non permetterti di offendermi! >> sputacchiò
Daryl,
avvicinandosi al suo viso di colpo, minaccioso, pronto a sferrar
pugni se fosse stato necessario.
<<
E tu non giudicarmi! Non sono imbranata, se lo fossi stata sarei
morta al primo angolo! E smettetela tutti di essere così
disgustosamente carini con me! Io me ne andrò, e Max viene
via con
me! >> continuò a urlare Ocean.
<<
Vai! Ci faresti solo un favore! Meno cibo andato sprecato!
>>
rispose Daryl urlando << Nessuno ti trattiene, puttana!
>>
<<
Questa cos'è psicologia inversa? E quell'offesa? Puttana?
PUTTANA?
Non sai fare di meglio? Molto maturo complimenti! Vai al diavolo tu e
quel gruppo di idioti che ti porti appresso! E non permettetevi mai
più di avvicinarvi a me e ai miei animali! >>
disse Ocean,
completando la frase con un gesto violento del braccio, usato solo
per sfogare la rabbia, ma che voleva essere anche un gesto
minaccioso.
<<
Razza di imbecilli >> grugnì infine Ocean
prima di voltarsi e
andarsene.
<<
Stupida puttana! >> grugnì Daryl di rimando,
tirando un calcio
a uno dei ramoscelli ai suoi piedi, prima di tornare a ciò
che stava
facendo.
<<
Vaffanculo! >>
<<
Vaffanculo tu! >> si urlarono alla fine. E Ocean
ritornò sui
suoi passi, con i pugni serrati e lo sguardo fisso davanti a
sè.
Passò davanti al resto del gruppo, tutti attirati dalla
lite, e
nessuno riuscì a essere discreto nell'osservarla mentre si
allontanava, ma Ocean non li degnò di considerazione e
tornò alla
stalla, dalla sua Peggy, borbottando tra sè e sè
offese e
imprecazioni di ogni tipo.
Nel
giro di pochissimi minuti la cavalla era sellata e pronta per una
bella cavalcata, e Ocean vi salì sopra, attraversando la
strada che
la divideva dal campo al trotto, e fermandosi davanti alla roulotte.
<<
Vecchio!! >> urlò Ocean da fuori, mentre
scendeva da cavallo
<< Vecchio!! >> chiamò ancora, e
Dale si affacciò
curioso e confuso da sopra il tettuccio del camper. Ocean lo
guardò
e disse subito decisa << Dammi le mie armi. So che le
tieni tu,
insieme a tutte le altre. >>
<<
Non posso. >> si limitò a rispondere Dale.
<<
Vado nel bosco a farmi una passeggiata, vuoi avermi sulla coscienza
per quel poco che ti rimane della tua vita? Dammi le mie armi, ora.
>> insistette Ocean, mandando alle ortiche le buone
maniera.
Non era proprio in vena di carineria e fiocchetti ornamentali.
Dale
la guardò un po' pensieroso, e sicuramente anche un po'
irritato per
i modo poco cordiali, ma non aveva intenzione di ribattere ancora. Di
certo non si sarebbe messo a far storie in quel momento, e se
veramente la ragazza andava nel bosco allora le armi le servivano
davvero. Perciò dopo aver tirato un sospiro di rassegnazione
scese
dal tettuccio del camper, entrò all'interno e dopo pochi
minuti uscì
con tutte le armi di Ocean.
<<
Tieni. E non farmene pentire. Portale fuori di qui e quando ritorni
me le riporti, chiaro? >>
<<
Sempre se ritorno. >> si lasciò sfuggire Ocean
mentre si
allacciava le cinture che tenevano su la sua spada e le sue daghe, ma
Dale si rese conto che la frase non era rivolta a lui, e non
sentì
il bisogno di intervenire. La rabbia usciva da ogni poro della sua
pelle, probabilmente era solo una frase di circostanza.
Mentre
finiva di allacciarsi l'ultima cintura, Ocean si riavvicinò
a Peggy
e saltò di nuovo in groppa, allontanandosi velocemente,
senza
rivolgere neanche uno sguardo all'uomo che gli stava di fronte. E se
uno sguardo era stato così d'oro, figuriamoci un "grazie".
Passò
di fianco a Carl, che già stava tentando di coinvolgere Max
in
qualche gioco, e lanciò un fischio, aggiungendo solo un
<< Max
>> di richiamo. Nient'altro. Ma ciò
bastò perchè l'animale
si voltò subito verso di lei, e quando la vide allontanarsi
in
groppa a Peggy corse loro dietro, consapevole che si sarebbero andati
a fare una passeggiatina e probabilmente Ocean aveva bisogno di lui.
Si sentiva più sicura se c'era Max insieme a lei,
perchè lui
riusciva a sentire il pericolo avvicinarsi, e per Ocean era facile
capire quando era l'ora di togliere le tende, bastava ascoltare i
suoi due animali.
Corsero
velocemente verso la staccionata ai confini del campo, e la
superarono, dirigendosi verso il bosco davanti a loro. Hershel
avrebbe avuto sicuramente da ridire, Ocean era ancora troppo debole
per permettersi cavalcate sotto al sole e in mezzo al pericolo della
"gente malata", ma tanto Hershel non l'aveva vista andar
via, perciò non aveva avuto modo di romperle le scatole.
In
pochi minuti furono circondati da alberi, e non si vedeva altro nel
giro di molti metri. In lontananza si poteva udire il rumore di un
ruscello, ma niente più. Ocean stette in silenzio, cercando
di
rendere silenzioso anche il suo respiro, e proseguì
lentamente
seguendo una direzione non ben precisa a lungo, seguita da Max che se
ne stava quatto e annusava ogni cosa. Tesi come corde di violino, ma
senza troppa fatica, ormai ci erano abituati.
Ocean
fece svoltare il cavallo, decisa che andare a caso non era il metodo
migliore per muoversi: doveva trovare un filo da seguire, e
lì
l'unica cosa di diverso e di lineare era il ruscello, perciò
si
mosse verso esso. Il sole che passava delicato attraverso le foglie
degli alberi era quasi piacevole, come era piacevole la leggera
brezza che ogni tanto le scompigliava i capelli e il rumore delicato
degli zoccoli della sua Peggy sul terreno secco, lontano da piogge
che ormai da giorni si facevano desiderare.
Arrivarono
al ruscello e la prima cosa che Ocean fece fu guardarsi attorno,
seguendo con gli occhi il corso dell'acqua e poi nel senso inverso,
controllando che non ci fosse nessuno...o meglio che non ci fosse
"niente". Max subito si avvicinò all'acqua che scorreva
davanti a loro, l'annusò a lungo poi diede due rapide
leccate,
buttandosi un po' di quel liquido fresco e dissetante in gola.
"Pensa
come una ragazzina" si ritrovò a dirsi, cercando di trovare
una
pista. Non aveva chiesto informazioni a nessuno prima di partire, la
rabbia si era presto tramutata in orgoglio, e mai sarebbe andata da
loro a dirgli "nonostante vi odii a morte ho intenzione di
aiutarvi nelle ricerche della figlia di Carol". Perchè poi
volesse farlo era un mistero, forse per noia, anzi no, molto
probabilmente era così. E questo colpo di orgoglio, che le
aveva
portato una carenza di informazioni preziose, di certo non
l'avrebbero aiutata nella ricerca. Però era sempre una scusa
per
restare lontana dalla fattoria per un po', starsene finalmente sola,
senza gente fastidiosa ed egoista.
Seguire
il ruscello sarebbe stata la scelta più saggia da prendere,
se uno
aveva intenzione di farsi trovare, ma sicuramente non quella che
avrebbe preso una ragazzina, inesperta e terrorizzata. In quelle
condizioni, secondo Ocean, l'unica cosa che poteva volere era cercare
un nascondiglio, e starsene sulla riva del ruscello l'avrebbe tenuta
troppo scoperta. Gli alberi erano sicuramente più
allettanti. Ma
eccola di nuovo al punto d'inizio: se si fosse inoltrata nella
foresta avrebbe vagato senza una meta precisa, e la cosa non avrebbe
aiutato.
Però...forse
era la cosa migliore. Chi scappa non ha una meta precisa, va dove
capita. E se lei per trovarla doveva calarsi nei suoi panni, allora
doveva vagare alla stessa maniera. E poi, alla fine, che altra scelta
aveva?
<<
Va bene, proviamoci. >> disse tra sè e
sè e, superando il
ruscello, cominciò a vagare per il bosco senza seguire un
ordine
preciso, semplicemente spostandosi come le suggeriva il cuore e
l'istinto. Non era la scelta migliore, ma con un po' di
fortuna...chissà.
Era
già da molto che girovagava per il bosco, forse ore, e la
fame
cominciava a farsi risentire, ma decise di mettersi un tappo allo
stomaco e di tirare ancora per un po'. Il sole era ancora alto in
cielo, c'era ancora tempo per tornare, e la rabbia non era ancora
sbollita del tutto. Anzi, più ci ripensava e più
si innervosiva.
Perciò era meglio starsene sola ancora un po',
così la fame sarebbe
stata una buona motivazione per tornare, superando quella che la
spingeva ad andarsene immediatamente.
Cavalcava,
ormai persa nei suoi pensieri: aveva smesso di dare troppe attenzioni
e ascolto al mondo che la circondava già da un po', tanto
non c'era
niente che meritasse attenzione, quando poi all'improvviso
sentì Max
ringhiare. Si tese immediatamente in sella al suo cavallo e
cominciò
a guardarsi attorno, cercando di cogliere ogni minimo movimento o
anomalia nel circondario. Max stava osservando un punto ben preciso
però, perciò Ocean aveva più o meno
un'idea già chiara di dove
doveva rivolgere lo sguardo attento. Scese da cavallo, legandola
lì
vicino. Preferiva tenerla distante dai campi di battaglia, era la sua
via di fuga, e poi si muoveva meglio a piedi se doveva puntare
sull'invisibilità e la silenziosità.
Sfoderò la spada, e si tenne
china mentre si avvicinava al gruppo di cespugli che Max puntava,
fino a quando cominciò anche lei a sentire i loro lamenti.
Zombie.
Non sapeva se lì dietro, quanto dietro, o se direttamente
dentro i
cespugli, ma c'erano zombie lì. Ed era meglio dare
un'occhiata,
chissà che non trovasse qualcosa di interessante. Si
portò un dito
alle labbra, facendosi vedere da Max e cercando di trasmettergli uno
sguardo severo, di comando, che lo obbligasse a stare zitto. Non
dovevano attirare l'attenzione.
Man
mano che si avvicinava il cuore batteva sempre più forte, e
il
respiro quasi veniva a mancare. Si presume che dopo così
tanto tempo
una si fosse abituata a certe cose, ma non era così
semplice. Ogni
volta era come la prima volta, e il non sapere da dove sarebbero
sbucati la teneva in agitazione. Non era tanto lo scontro fisico che
la spaventava, aveva appurato che le difficoltà erano poche,
quelli
si muovevano lenti e disorganizzati, se non erano in troppi era
facile riuscire a farli fuori, ma la terrorizzava l'effetto sorpresa.
Sapeva erano lì, li sentiva, ma lì dove
precisamente? E se appena
avesse alzato la testa per guardare se ne fosse trovato uno davanti?
Non avrebbe fatto a tempo. Ma la paura però non era
abbastanza
convincente da farla tornare indietro. Dentro sè, aveva
proprio
voglia di tirare due fendenti e tagliare qualche testa, ne sentiva
quasi il bisogno, era una valvola di sfogo non sottovalutabile.
Alzò
la punta della lama all'altezza degli occhi, avvicinandola al viso, e
piano piano provo a raddrizzarsi per portare lo sguardo oltre il
sottobosco e vedere dov'era e quanti erano. In quella maniera se
anche se fosse trovato uno di loro davanti sarebbe stato facile
ucciderlo all'istante, bastava spingere la lama avanti.
Riuscì
a vederli: 4 di loro erano chini su qualcosa, intenti probabilmente a
pranzare. Non l'avevano ancora notata, ma non ci avrebbero messo
molto: era l'unica cosa che profumava di vivo nel circondario. Ocean
si guardò velocemente intorno, per assicurarsi che non ce ne
fossero
altri, poi fece la sua mossa. Si rilassò, abbassò
la lama,
impugnandola con una mano sola mentre con l'altra spostò i
cesugli
per passarci attraverso e si fece lentamente avanti.
<<
Stai lì, Max >> disse, fregandosene se
l'avessero sentita,
anzi era proprio quello che voleva. Non voleva avvicinarsi oltre,
preferiva che si muovessero loro, così avrebbe avuto
più
possibilità di trovarsene addosso solo uno alla volta,
piuttosto che
tuffarsi in mezzo a loro.
<<
E' buono? Non preferireste dei deliziosi Cereali Cheerios?
>>
disse con ironia Ocean, attirando così l'attenzione dei 4
cosi, che
si voltarono dapprima lentamente, con le labbra ancora grondanti di
sangue e i denti marci scoperti, poi si alzarono e cercarono di
avvicinarsi a lei prendendo velocità, grugnendo, ruggendo e
facendo
ogni tipo di verso gutturale potesse uscirgli.
<<
Disgustoso. >> osservò Ocean tra sè
e sè, guardando come uno
di quei due arrancava e inciampava sulle sue stesse budella che
penzolavano fino ai piedi. E infine partì. Un fendente
dritto sulla
testa del primo, che si accasciò subito, e con un singolo
movimento
Ocean staccò la spada dal suo cranio e con un dritto tondo
tagliò
la testa al secondo, che rotolò un paio di metri in
là. Il sorriso
era stampato sul viso di Ocean, era macabro, ma si divertiva. Quelle
non erano più persone, erano mostri, e quello che stava
commettendo
non era omicidio, ma un atto di eroismo. Incredibile come il confine
tra le due cose fosse così labile e sottile.
Si
avvicinò il terzo, a braccia tese, urlando e già
a bocca aperta, in
attesa del suo pasto. Con un montante Ocean gli aprì il
ventre,
destabilizzandolo, e urlando per darsi carica fece un passo in avanti
in un affondo che portò la lama ad attraversare da parte a
parte il
cranio del mostro davanti a lei. Il sangue nero, marcio,
schizzò
dappertutto, sporcandole i vestiti, accumulando puzzo e marciume ad
altro puzzo e marciume, arrivando anche al viso, macchiandole una
guancia. L'odore era da nausea, ma anche a quello ormai ci era
abituata. Ricordava come un tempo, quando ancora era Alice, non
poteva neanche aprire il bidoncino dell'organico perchè
l'odore che
ne saliva la faceva correre in bagno con i conati di vomito. Ocean
invece non era così debole di stomaco, Ocean avrebbe potuto
farcisi
un bagno in quello schifo e stare bene per giorni, non sentendosi
neanche a disagio.
Smosse
la lama all'interno della testa del mostro, procurando rumori di ossa
sbriciolate da far accapponare la pell, e si assicurò di
aver
colpito le zone giuste. Poi estrasse la lama, e portandosi di nuovo
in posizione iniziale di combattimento, fissò il quarto e
ultimo
mostro, quello che inciampava nelle sue budella e che per questo era
stato più lento degli altri. Ocean sorrise di nuovo, sapendo
che non
avrebbe avuto nessuna chance e lanciò un altro urlo di
carica prima
di prendere la spinta giusta da dare alla spada, pronta a tagliare
un'altra testa, ma qualcosa la precedette. Un colpo di pistola la
fece sobbalzare, da dove diavolo era arrivato? Si voltò
velocemente
verso la direzione di provenienza, e vide a pochi metri da lei, con i
piedi ben piantati a terra ma il corpo tremolante e lo sguardo
terrorizzato, il ragazzino che voleva approppriarsi del suo cane. La
rabbia scoppiò nei suoi occhi: che cacchio ci faceva
lì?!?! Ma non
ebbe tempo di dire, o fare niente: il colpo aveva mancato il
bersaglio, e lo zombie non si era lasciato distrarre come Ocean e
aveva approfittato della sua distrazione per saltarle addosso.
Ocean
urlò quando si rese conto di cosa stava succedendo,
urlò più di
rabbia che di paura e d'istinto lasciò cadere la spada a
terra, per
poter utilizzare entrambe le mani per fermare la faccia dello zombie
che cercava di avvicinarsi a lei. Non era mai stata tanto forte, e
quei mesi di addestramento a fughe e combattimenti l'avevano
sicuramente migliorata, ma non abbastanza. Lo zombie tentò
di
spingere il suo viso contro quello della ragazza, continuando a
mordere l'aria, speranzoso di afferrare presto qualcos'altro e nel
frattempo portò le sue mani alle spalle delle ragazza. Non
appena
Ocean sentì le sue dita spingere contro i suoi vestiti
nell'intento
di afferrarla il panico insorse in lei: l'avrebbe graffiata! Si
sarebbe trasformata! E tutto per colpa di quello sciocco ragazzino
che non si faceva gli affari suoi!
<<
No, no!! >> urlò e facendo appello a tutto le
sue energie
cercò di fare forza e di spingere a lato lo zombie,
facendolo cadere
e sperando di riuscire a staccarsi le sue mani di dosso.
Riuscì, la
disperazione fa fare cose sovraumane, ma sentì uno "strap"
che le fece palpitare il cuore. Sfoderò una delle sue daghe
e senza
aspettare oltre si lasciò cadere sullo zombie a terra, che
già
aveva ripreso ad allungare le braccia nella sua direzione e le aveva
quasi afferrato una caviglia. Ma Ocean riuscì a
conficcargliela
prima che potesse fare altro e lo uccise all'istante.
Sfoderò
subito la daga e la lasciò cadere a terra, cominciando a
guardarsi
terrorizzata, in cerca di eventuali graffi e già sentendo il
nodo in
gola che bruciava. Vide che la manica della sua camicia era stata
strappata, e capì che era stata lei a fare quel rumore.
Allargò il
buco e guardò la sua pelle all'interno, con ossessione e
terrore,
guardandola più volte, tastandola, cercando anche il
più piccolo e
invisibile graffietto, ma per fortuna era ancora tutta integra. Nella
caduta lo zombie aveva afferrato la sua camicia ma non la sua pelle.
Si sentì la ragazza più fortunata del mondo in
quel momento ed ebbe
un calo di pressione, segno della tensione che era calata
improvvisamente. Fece grandi respiri e si poggiò con una
mano a
terra, chiudendo gli occhi e cercando di far calmare il cuore. La
testa aveva ripreso a pulsare, a scoppiare, ma in quel momento era il
male minore. Se l'era quasi fatta nei pantaloni, diavolo!
Afferrò
la daga non appena si sentì in grado di mettersi in piedi, e
la
rifoderò, ma la spada dovette aspettare ancora un po'
perchè c'era
prima qualcos'altro che andava fatto: si voltò e si
alzò di scatto,
col solo desiderio di menar ceffoni a quello stupido, e gli si
avvicinò a grandi falcate. Il ragazzino era pallido in viso,
ancora
tremolante, ancora confuso e spaventato, ma la cosa non
intenerì
Ocean che lo prese per un braccio e portò il suo viso
all'altezza di
quello del ragazzino
<<
Che cazzo fai qui? Sei impazzito? >> gli disse colma
d'ira, me
senza urlare.
<<
Mi hai quasi fatto uccidere, razza di cretino! I ragazzini come te
dovrebbero starsene a casa a giocare con le macchinine, non
maneggiare certe cose senza neanche saperle usare! >> ma
Carl
ancora non rispose, la guardò semplicemente, ancora
scombussolato,
forse facendo fatica a capire quello che Ocean gli stava dicendo.
<<
Andiamocene di qua, il tuo gesto eroico avrà attirato altri
di loro,
e non voglio rischiare di nuovo la vita per colpa tua. Meriteresti
una sculacciata >> e cominciò a trascinarlo
per il braccio,
ritornando da Peggy. Max era con lei che si guardava attorno
guardingo, attento che non ci fossero altre minacce nei paraggi, ma
non rimase sorpreso quando vide i due avvicinarsi. Probabilmente
aveva fiutato Carl.
<<
Forza, sali a cavallo! >> disse Ocean spingendo Carl
verso la
sua Peggy. Carl la guardò senza dire niente, si
massaggiò il
braccio dove la presa ferrea di Ocean gli aveva quasi fatto male, e
si avvicinò timoroso al cavallo. Non aveva mai cavalcato
prima
d'ora, e quasi neanche arrivava alla sella. Cercò di alzare
un
piede, infilandolo nella staffa, ma non riuscì a trovare un
appiglio
sicuro che potesse aiutarlo a tirarsi su, e saltellò un po',
senza
concludere niente.
Ocean,
che era stata un po' a guardarlo a braccia conserte, alzò
gli occhi
al cielo scocciata, sbuffando e si avvicinò a lui
<< C'è
qualcosa che sai fare? >> brontolò e
afferrandolo per l'altro
piede, quello rimasto a terra. Lo sollevò da terra e gli
diede la
spinta ideale per permettergli di arrivare alla sella. Carl si
sistemò e si lasciò sfuggire un sorriso: era
bello stare lassù. Ti
faceva sentire potente, ti faceva sentire grande, e lui adorava
essere grande.
<<
Fatti più avanti ragazzino, e togli i piedi di
lì. Devi farmi
posto. >> ordinò Ocean, e non appena Carl
tolse i piedi dalle
staffe, Ocean le usò per tirarsi su e posizionarsi in groppa
dietro
di lui.
<<
Oggi carico doppio, Peggy. Sai chi ringraziare. >> disse
sarcastica e scocciata alla cavalla << Andiamo, su.
Consegnamo
il pacco. >> e sempre seguita dal suo cane
cominciò ad
avviarsi abbastanza velocemente verso la fattoria. Aveva programmato
di star fuori tutto il giorno, di starsene sola per un po' e godersi
la pace della solitudine, e invece i suoi piani erano andati in fumo.
Anche il tentativo di cercare la ragazzina era andato perso, sempre
grazie all'intervento pessimo di Carl. Non c'era niente ancora che la
convincesse a restare con quel gruppo, niente che le suggerisse che
in fondo erano simpatici, niente che le piacesse di loro. E odiava
l'idea che avrebbe dovuto stare con loro almeno un altro po', ma
sapeva che non aveva scelta. Aveva bisogno del loro cibo, della loro
acqua e del riposo che solo quell'angolo di paradiso poteva
concederle. E sotto sotto, anche se non l'avrebbe mai ammesso neanche
a se stessa, stava cercando scuse, stava temporeggiando, per cercare
di rimandare il più in la possibile il momento in cui
sarebbe stata
costretta a separare il ragazzino da Max. Sapeva Max ci avrebbe
sofferto, lo faceva per lui, certo...ma anche per Carl. Nel suo
inconscio pulsava il dispiacere per la tristezza che avrebbe portato
a Carl nel separarli, nel suo inconscio qualcosa si stava scatenando,
Alice stava facendo sentire la sua voce, ma Ocean le tappava la
bocca, non voleva ascoltarla, e rispondeva con rabbia alle sue
richieste, cercando scuse e giustificazioni. Negando a se stessa
tutto ciò che portava chiuso in una cassaforte dentro di lei.
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Capitolo 8 *** Antropologo. ***
Antropologo
<<
Non dire a nessuno della pistola! >> le aveva detto Carl
durante il viaggio di ritorno, dopo il tempo necessario a far placare
i cuori di entrambi.
<<
Ah, no? E perchè non dovrei? >> chiese Ocean
visibilmente più
tranquilla. Irritata, come sempre, ma non più furiosa. Il
vento
sulla faccia, il rumore degli zoccoli sul suolo e la meravigliosa
scoperta di essere ancora viva l'avevano in breve tempo
tranquillizzata.
<<
Perchè... >> cominciò Carl
abbassando lo sguardo, non sapendo
come proseguire. Gli adulti non avrebbero capito, era questo che
voleva dire, ma anche Ocean era un adulto...quindi anche lei non
poteva capire. E allora che dirle?
<<
La mamma ti sculaccerebbe, non è così?
>> disse Ocean, con un
velo di ironia. Sapeva che Carl ormai era grande per le sculacciate,
ma considerarlo un bimbo e farglielo quasi pesare la divertiva. Carl
aveva esilaranti e eclatanti reazioni quando si metteva in dubbio la
sua maturità. E come si era aspettata, infatti, Carl
reagì con
rabbia, brontolando.
<<
Sai, quando ero ragazzina, come è capitato a tutti i
ragazzini,
anche se non tutti lo ammettono, ho voluto provare a fumare.
>>
disse Ocean, interrompendo lo sproloquio di giustificazioni di Carl,
il quale la guardò con fare interrogativo << E
allora? >>
chiese scocciato.
<<
Era un periodo molto stressante per me, immagino sai cosa voglia dire
avere 14 anni. Tutto il mondo sembra remarti contro. Così
una
mattina decisi di "fare l'adulta" >> rise alle ultime
due parole << La mamma dormiva ancora. Io andai a cacciar
le
mani nella sua borsa, presi il suo pacchetto di sigarette e gliene
rubai una. Ov viamente la buttai dopo la prima boccata, era
disgustosa. >> continuò a raccontare lei,
sotto lo sguardo
ancora poco fiducioso del ragazzino. Dove diavolo voleva arrivare?
<<
Quel pomeriggio presi il ceffone più inaspettato e doloroso
della
mia vita. >> fece una pausa abbassando lo sguardo verso
il
ragazzino, cercando i suoi occhi, curiosa di vedere quale fosse la
reazione al suo racconto. Ancora confusione. Che centrava questo con
quello che le aveva detto Carl?
<<
Non ti sei chiesto come ha fatto a scoprirmi? >> chiese
Ocean.
<<
Qualcuno glielo avrà detto. >> fece spallucce
lui.
<<
Nessuno lo sapeva. Nessuno poteva dirglielo. L'ha scoperto
perchè
già lo sapeva prima che lo sapessi io! Le madri hanno un
potere
speciale: conoscono i pensieri dei figli prima che questi li pensano!
Assurdo vero? Eppure....lo sapeva. Ed è per questo che da
qualche
giorno avanti contava sempre il numero di sigarette che lasciava nel
pacchetto. Si aspettava che io da un giorno a un altro gliene avrei
presa una per provarla. >> Ocean tirò le
redini di Peggy.
Stavano arrivando alla staccionata, era bene rallentare un po'. Il
pericolo ormai era passato, e sicuramente Peggy era un po' stanca.
<<
Credo di aver capito. >> disse Carl riportando lo sguardo
davanti a sè << Pensi che lei lo sappia
già, vero? >>
<<
Penso che se non lo sa ancora, lo saprà tra poco. E non ci
sarà
bisogno che glielo dica io. >> e ovviamente la cosa non
andò
giù al ragazzino.
In
pochi minuti raggiunsero il campo, dove Ocean rallentò e
fece
fermare Peggy per permettere a Carl di scendere. Lori li raggiunse
correndo, bianca in viso e gli occhi spalancati << Oh mio
Dio!
Carl, cos'è successo? Dov'eri? >> chiese con
quel poco di voce
che le era rimasto. La paura e l'agitazione rubavano fin troppe delle
sue energie.
Carl
rimase per un attimo in silenzio, con lo sguardo fisso davanti a
sè,
senza cedere, sperando di dimostrare così tutta la sua forza
e
maturità.
<<
Ha avuto paura ce ne andassimo. >> intervenne Ocean
<< Ci
ha voluti seguire per convincermi nel caso a tornare indietro.
>>
e la scusa sembrò convincere la madre apprensiva che
già stringeva
a sè il figlio, nonostante dimostrasse di non gradire troppo
tutte
quelle manifestazioni d'affetto.
<<
Sei ferita? >> chiese Carol avvicinandosi preoccupata
alla
cavalla. Era stata l'unica a notare il sangue putrido sparso sui
vestiti e sul viso della ragazza, e l'unica a notare i vestiti
malconci, sporchi di terriccio, e strappati. Lori era stata troppo
impegnata ad abbracciare suo figlio. E forse sarebbe stato meglio
così: avrebbe risparmiato l'imbarazzo di Ocean a dover
ammettere <<
Ci hanno attaccati degli zombie. >> perchè era
in imbarazzo?
Perchè già sapeva che l'avrebbero per questo
riempita ulteriormente
di attenzioni e carinerie, preoccupati per il suo stato di salute. E
così fecero.
<<
Ti hanno morsa? Stai bene? >> chiese ancora Carol
guardando la
ragazza con preoccupazione, la quale ancora non si decideva a
scendere dalla sella.
<<
No, sto bene. >> disse semplicemente.
<<
Hai salvato la vita di mio figlio. >> constatò
Lori, guardando
la ragazza come si guarda un angelo sceso in terra. Ocean avrebbe
volentieri risposto con un acido "a dir il vero sono quasi morta
per colpa di quella carogna che tieni tra le braccia! Salvarlo non
era proprio mia intenzione!" ma non voleva scendere
ulteriormente nei particolari. Era già abbastanza
così. Così si
limitò ad alzare le spalle, cercando di scrollare l'evento
di tutta
quella importanza che stavano cercando di dargli.
<<
Grazie. Grazie infinite. >> piagnucolò ancora
la madre, senza
mollare Carl per un istante.
<<
Puoi andare a farti una doccia, se vuoi! >> intervenne
Carol
avvicinandosi a lei, toccandole una gamba << Porto io
Peggy
alla stalla! Immagino sentirai il bisogno di rilassarti un po'.
>>
e, andando contro a tutti i suoi proposito, Ocean scese da cavallo e
accettò la proposta senza farselo ripetere due volte. Non si
faceva
una doccia da non sapeva neanche lei quanto, e al diavolo l'orgoglio!
Sarebbe stata una scema a rifiutare una proposta così
allettante.
Non dovette manco farselo ripetere due volte che già le
aveva
mollato le redini a si stava avviando verso la villa super lusso
Greene, senza neanche chiedersi se era proprio della loro doccia che
stava parlando Carol o magari di qualche secchiata d'acqua gelata
all'interno di una doccia improvvisata da canne di bambù.
<<
Ti avevo detto di stare a riposo >> l'ammonì
Harshel sul
pianerottolo di casa, vedendola arrivare malconcia e intuendo cosa
fosse successo. Non che la cosa gli importasse seriamente, la ragazza
poteva fare quello che voleva, non la conosceva nemmeno, ma il suo
orgoglio medico gli impediva di concedere troppo alle persone intorno
a lui di ammazzarsi senza ritegno.
Ocean
scrollò le spalle, senza neanche guardarlo in viso e lo
superò <<
Vado a farmi una doccia. >> disse....non chiese. Disse e
basta.
E l'uomo, dandosi qualche secondo per riprendersi dalla sorpresa di
trovarsi di fronte una ragazza tanto maleducata, stava già
per
rispondere offeso quando però la figlia, Maggie, lo
precedette,
ammonendolo con uno sguardo << Ti prendo degli
asciugamani! Il
bagno è di sopra. >> disse palesemente in
disaccordo con
l'inospitabilità del padre. In fondo quelle persone avevano
visto
più volte la morte in faccia, al contrario loro che se
n'erano stati
abbastanza tranquilli chiusi nella loro fattoria isolata da tutti.
Perchè impedire loro di poter finalmente godere di un po' di
pace? E
la ragazza era appena tornata da un'escursione che si era rivelata
piuttosto pericolosa, una doccia era più che meritata ai
suoi occhi.
<<
Prenditi pure il tempo che ti serve >> sorrise ancora
Maggie,
seguendo Ocean dentro casa << Quando avrai finito
vedrò di
farti trovare pronto qualcosa da mangiare. Hai bisogno di riprendere
energie, immagino. >>
<<
Non sarebbe una cattiva idea. >> disse Ocean in un tono
che nel
suo gergo voleva dire un accennato "grazie".
Era
incredibile la quantità di acqua nera che colava
giù dal suo corpo.
Non aveva mai neppure immaginato fosse possibile accumulare tanto
sporco addosso: terra, sangue e sudore. Tutto scivolava via lasciando
solo quel roseo strato di pelle che quasi non riconosceva
più come
suo. Ed ebbe dopo tanto tempo occasione di riguardarsi: la
malnutrizione aveva dato i suoi frutti, facendole raggiungere un
grado di magrezza che non aveva mai pensato fosse per lei possibile.
Si era sempre considerata di costituzione "rotonda", non
era mai stata grassa, ma neppure magra. Era una di quelle che
rientravano nella categoria Curvy, con i fianchi un po' troppo
prorompenti, un leggero strato di pancetta e gambe decisamente al di
fuori dello standard di bellezza di un tempo. Ma col tempo si era
abituata, e aveva imparato ad accettarsi, anche perchè
nonostante la
sua forma "fuori forma", poteva permettersi di indossare
qualsiasi cosa senza vergogna e questo le bastava, e col tempo si era
convinta che sarebbe rimasta così per sempre, che il suo
fisico mai
le avrebbe permesso di assomigliare alle modelle che si vedevano
nelle riviste in edicola. Ora la sua amata pancetta le mancava,
quelle costole che erano spuntate così accentuate non le
piacevano
per niente! Non era più morbida come una volta. Anche i
fianchi
erano diventati abbastanza ossuti. Ora sì che si vergognava
del suo
fisico. Certo, non somigliava a quegli scheletri che solitamente
teneva appesi negli armadi ad Halloween per spaventare suo fratello,
le ossa che al suo sguardo erano enormi in realtà erano
appena
accennate, ma davvero le mancava quella rotondità e
morbidezza di
una volta. Alice l'aveva abbandonata del tutto, anche nel fisico,
lasciando spazio solo a una fredda, ossuta e spigolosa Ocean.
Prese
la saponetta che le aveva dato Maggie e cominciò a
passarsela
delicatamente su un braccio, osservando con cautela e meraviglia la
pelle che man mano veniva scoperta, lasciandola libera dallo strato
di marrone, rosso, grigio, nero e altre sfumature di colore
provenienti da chissà quale schifezza che aveva addosso da
chissà
quanto tempo. Si era un po' impallidità. Anche quello lo
notò
facilmente...aveva perso un po' il colore mediterraneo della sua
terra d'origine. Passò la saponetta sul resto del corpo,
grattando
con insistenza laddove lo sporco si era incrostato, arrivando perfino
a farsi male, ma voleva rivedersi! Improvvisamente sentì di
possedere qualcosa...improvvisamente l'aveva rivisto. Il suo corpo,
la sua vita, la sua sè. Era lì e voleva rivedersi
e ripulirsi! Per
così tanto tempo era sembrato tutto
così...lontano. E invece ora
era lì...si teneva tra le mani, si accarezza e si
abbracciava, come
si può riabbracciare una vecchia amica che da tempo non si
era più
rivista.
Dov'eri?
Ma
qui, sempre accanto a te!
Non riuscivo a vederti!
Apri
gli occhi. Ocean...apri gli occhi. Io sono qui.
Qui
dove? Tu...tu non sei Alice.
Lo
ero.
Si
sciolse i capelli e lasciò che l'acqua potesse scorrerci
attraverso,
godendo delle carezze che le provocava lungo la cute, facendole
venire i brividi. Da quanto tempo non veniva accarezzata.
Si
passò una mano sulla testa, facendola scorrere per tutta la
lunghezza dei capelli, fino alle punte, accarezzandosi di nuovo, come
una volta aveva accarezzato il proprio gatto. Si prese i capelli tra
le mani e ci fece scorrere le dita attraverso...altro nero si
accumulò sul fondo della doccia, intasando quasi il tubo di
scarico
e ciocche di capelli le rimanevano incastrate tra le dita,
staccandosi con una tale facilità da far intuire a Ocean che
da
tempo ormai si erano staccati dalla cute, ma che erano rimasti
impigliati lì, annodati e legati, mai caduti, accumulandosi
e
aggiungendo nodi ai nodi.
Cominciò
a pettinarsi grossolanamente, facendo scorrere le dita più
volte,
forzando quando trovava un nodo, ma non sempre riuscendoci: alcuni
erano talmente ben fatti e compatti che era impossibile
scioglierli...come quelli che aveva sempre tenuto in gola e che
all'inizio bruciavano così tanto, ma di cui poi era riuscita
a
dimenticarsene.
La
doccia rinfrescante che doveva durare solo 10 minuti, tanto per darsi
una sciacquata veloce e rilassarsi un istante, era alla fine durata
più di un'ora, e non solo perchè lo sporco era
ostinato. L'acqua
che scorreva sulla pelle toglieva un altro tipo di sudiciume,
riportando alla luce tante altre cose, tanti altri piaceri
dimenticati. In primis quello di essere accarezzata. E pensare che
una volta Alice non era mai stata amante del contatto fisico, la
facevano sentire violata.
Uscì
dalla doccia e si concedette una lenta analisi allo specchio: come si
era trasformata. E neanche se n'era mai resa conto. I capelli si
erano allungati, arrivandole fin sotto il seno (che aveva perso
minimo una taglia), le guance si erano un po' scavate e due grosse
occhiaie dipingevano di nero i suoi occhi.
<<
Se non fosse per il dono della parola io stessa farei fatica a
distinguermi da quei Vaganti. >> si disse sfiorandosi il
mento
con due dita, cercando ancora del contatto fisico in lei stessa.
Prese una spazzola e delle forbici e concluse l'opera iniziata nella
doccia, spazzolandosi furiosamente e tagliando per disperazione quei
nodi che proprio non volevano accennare a sparire dalla circolazione.
Per fortuna la maggior parte erano nella parte finale dei capelli,
verso le punte, e nella zona dietro la nuca, così non si
sarebbe
vista troppo l'opera di smaltimento. Sorrise rendendosi conto che
ancora un certo canone di bellezza e presentabilità l'aveva
tenuto,
nonostante la fine del mondo una parte di lei si preoccupava ancora
in minima parte di sembrare vagamente carina e presentabile.
<<
Per il resto...tanto cibo, tanta acqua e tanto riposo. E
chissà che
questo viso non recuperi un po' di umanità >>
concluse
guardandosi ancora allo specchio. L'unica parte di sè che
non era
peggiorata, ma che aveva anzi addirittura aumentato il suo vigore,
oltre a qualche muscolo, erano gli occhi: forse era solo una sua
impressione, ma sembravano più grandi, più
profondi, più scuri e
taglienti. Era come guardare dentro un pozzo: metteva le vertigini,
ma i più temerari potevano scoprire sul fondo un sacco di
tesori
nascosti.
Si
guardò attorno, in cerca dei suoi vestiti, e non si
stupì di non
trovarli. Sospirò << Immagino qualcuno li
abbia ritenuti
troppo sporchi e trasandati per essere riutilizzati, vero?
>>
urlò l'ultima parola spalancando la porta del bagno,
ignorando il
fatto di essere in asciugamano, completamente zuppa e si
guardò
attorno in cerca del criminale che le aveva fatto questo furto. Il
pudore l'aveva perso mesi prima, nell'istante in cui uno zombie aveva
cercato di morderle una chiappa. Vergognarsi della sua
nudità in
tempi come quelli le sembrava ridicolo.
<<
Maggie? Cosa dovrei indossare io ora, me lo spieghi? >>
chiamò
ancora cominciando a inoltrarsi nel corridoio. Aveva detto che a fine
doccia avrebbe trovato cibo pronto, probabilmente allora si trovava
in cucina.
"Se
hai avuto la brillante idea di concedermi il favore di pulire i miei
vestiti, abbi la stessa genialità nel constatare che
qualcosa da
mettere al loro posto mi servirebbe!" pensò scocciata,
fregandosene delle stampate umide che lasciava dietro di sè
con i
piedi scalzi, e andò verso le scale. Cavoli loro se
avrebbero poi
dovuto pulire, dovevano pensarci prima alle controindicazioni delle
loro azioni.
<<
Mag... >> cominciò a chiamare scocciata
facendo i primi due
scalini, poi si fermò. Un ostacolo le impedì di
andare oltre: il
balestriere si trovava di fronte a lei, intento a fare quelle stesse
scale ma in senso inverso. Lei scendeva, lui saliva, e
inevitabilmente si trovarono faccia a faccia, intralciandosi a
vicenda. Ocean assunse uno sguardo duro, ancora più
scocciato, uno
sguardo che chiaramente urlava "togliti dai piedi!". Daryl
la guardò semplicemente da capo a piedi, senza far trapelare
i suoi
pensieri, probabilmente però chiedendosi cosa diavolo stesse
facendo
quelle pazza in giro per casa completamente fradicia e con addosso
solo un asciugamano lungo neanche abbastanza da coprirle le
ginocchia. Poi si spostò a destra, imponendosi di ignorare
l'inconveniente, e sperando di passarle oltre...ma la stessa idea
ebbe Ocean, che si spostò nella stessa direzione,
piantandosi ancora
una volta di fronte a lui. Un leggero imbarazzo per la gaffe venne
subito sostituita dal fastidio di aversi ancora di fronte
quell'essere. Entrambi si spostarono nuovamente, sperando di deviare
l'ostacolo, ma trovandoselo ancora di fronte. Altro imbarazzo per
un'altra figuraccia: questa volta fu difficile nasconderlo.
<<
Hai visto Maggie? >> disse subito Ocean, spezzando un po'
la
tensione, cercando ancora di sviare dalla situazione imbarazzante e
fastidiosa.
<<
No >> rispose lui semplicemente, senza scomporsi,
continuando a
fissarla in impaziente attesa di proseguire per la sua strada.
<<
Bene. >> disse lei in un automatismo, e allungando un
dito
indicò la strada di fronte a sè <<
Io vado di qua >>
disse mostrando lievemente il suo imbarazzo per la situazione
abbastanza ridicola.
<<
Bene >> rispose Daryl e subito si spostò
prendendo la sua
strada e riprendendo la salita.
<<
Ocean!! >> la chiamò una voce femminile da
sopra la rampa di
scale, dietro di lei.
<<
Eccoti!! Ma diamine, non mi avevi sentito che ti chiamavo?
>>
brontolò Ocean verso Maggie, voltandosi e risalendo quei tre
scalini
che poco prima aveva percorso in discesa. Passò nuovamente
di fianco
a Daryl e superandolo raggiunse velocemente la ragazza visibilmente
imbarazzata. Probabilmente il pudore che mancava in Ocean si trovava
in Maggie, che la guardava vergognandosi lei al posto dell'altra per
il suo andare in giro praticamente nuda.
<<
Ti ho lasciato un biglietto sul mobile lì vicino. Non l'hai
visto?
>> chiese cominciando ad avviarsi verso una delle stanze
del
piano, seguita da Ocean, lasciandosi alle spalle un Daryl scrutatore
che di nuovo si era fermato ad osservarla, facendo chissà
quali
piani omicidi per liberarsi il prima possibile della presenza
scomoda.
<<
Credo di averlo ignorato. >> disse con leggerezza Ocean.
<<
Ho portato a lavare i tuoi vestiti. Non sapevo la tua taglia e cosa
ti piace indossare, per questo ti ho scritto che in questa stanza
>>
e la indicò prima di entrarci <<
C'è un armadio pieno di
roba. Puoi scegliere quello che vuoi. Sono cose mie, spero ti stiano.
>> disse guardando l'ospite, e facendo mentalmente i
calcoli.
L'unica differenza tra le due era l'altezza, probabilmente quello
sarebbe stato l'unico ostacolo. Al contrario della alta Maggie, Ocean
era una piccola nanerottola. Gli stivali che indossava di solito
tendevano ad alzarla un pochino, facendola sembrare una semplice
ragazza bassa, ma nella norma. Ora che girava scalza era visibile
tutta la sua piccolezza. I suoi ben visibili 155 cm scarsi la
tradivano spesso, facendola sembrare più delicata e
vulnerabile di
quello che era in realtà. Ma le cicatrici che portava
addosso e i
bicipiti ben formati contraddicevano le aspettative. Era piccola, ma
tosta, su questo non c'era dubbio. E chissà cosa aveva
dovuto
passare quel corpicino per continuare a mostrarsi sicuro e ben
piazzato a terra.
<<
Una coperta con un paio di buchi per le braccia può andar
bene. >>
disse Ocean puntando l'armadio e dirigendosi sicura, come fosse casa
sua. Maggie chiuse la porta alle sue spalle per concedere alla
ragazza la privacy necessaria per cambiarsi, rimanendo solo lei in
stanza nel caso Ocean avesse avuto bisogno di qualcosa...e anche
nella speranza di fare due chiacchiere. Era dal giorno prima che
avevano questa nuova ospite in casa e ancora non aveva avuto modo di
capire chi fosse, conosceva solo il suo nome ma solo perchè
glielo
aveva detto Glenn. Tanto, pensava, se non l'aveva disturbata stare in
asciugamano di fronte a Daryl, come poteva disturbarla la sua
presenza?
<<
Hai un accento molto particolare. Non sei di qui, vero?
>>
chiese Maggie cercando di trovare un punto da cui cominciare. Ocean
si fermò nella sua ricerca d'abito, provando di nuovo quel
forte
fastidio: perchè tutti erano così dannatamente
attaccati alle sue
origini? Perchè non le chiedevano altro? Che scocciatura.
Fece un
sospiro profondo, cercando di attenuare il nervoso, alla fine la
poveraccia non meritava un simile trattamento, si stava rendendo
disponibile per lei.
<<
La cosa non ha importanza. >> si limitò a
rispondere prima di
rivolgere nuovamente lo sguardo all'armadio. Maggie colse il fastidio
nella sua voce e si limitò ad annuire, per non andare a
infierire
oltre. Probabilmente aveva toccato un tasto dolente. Ocean si tolse
l'asciugamano di dosso, per permettersi più
libertà nei movimenti,
e se lo avvolse sulla testa, raccogliendo i capelli, per aiutarli
nell'asciugatura e evitare che bagnassero i vestiti che avrebbe
indossato. E Maggie, ora che avevaOcean davanti completamente nuda,
potè notare oltre a qualche piccola cicatrice, sparsa un po'
qua e
la, una più marcata delle altre sul fianco sinistro, una di
quelle
cicatrici che erano più marchi di fabbrica che piccoli
frammenti di
passato, una di quelle cicatrici che urlano "Io sono".
<<
Devi aver passato l'inferno lì fuori. >> disse
Maggie
osservandola curiosa, ma con dispiacere. Ocean si fermò di
nuovo,
voltandosi a guardarla, chiedendosi cosa avesse mosso quel pensiero,
e notò i suoi occhi puntati sulla sua cicatrice. La
guardò anche
lei,e i suoi occhi presto si trasformarono, diventando sfuggevoli e
ostili. E scappò di nuovo. Tornò al presente,
tornò all'armadio,
senza guardarlo realmente, ma cercando in lui la porta per fuggire.
Di nuovo. Come sempre.
<<
Questo è il paradiso. Cosa c'è la fuori veramente
voi qui non
potete neanche immaginarlo! >> disse caricando di astio
la
frase. Non ce l'aveva con lei, no, povera Maggie lei non c'entrava
niente, era solo stata fortunata. Era con "la fuori" che ce
l'aveva. Era lì il marcio e lo schifo, la fuori c'era la sua
rabbia,
la fuori Ocean era nata e probabilmente sarebbe morta.
<<
No. >> disse Maggie, abbassando gli occhi, dispiaciuta ma
soprattutto spaventata << No, non lo sappiamo.
>> e Ocean
questo lo colse. Colse tutta la paura e il dispiacere di quel tono,
quasi un senso di colpa per essere stata così a lungo viva
mentre
altri morivano. Sospirò, quasi dispiacendosi, e
capì che di nuovo
avevano toccato un tasto dolente. Ma in un periodo come
quello...quale non era un tasto dolente?
<<
Siamo messi a dura prova, tutti quanti. Non ci sono i fortunati o
meno. Ci sono i forti...e poi ci sono i morti. >> disse
riprendendo a guardare veramente gli abiti che aveva davanti. Non
aveva perso tanto tempo a scegliere qualcosa da vestire neanche nei
negozi, al tempo in cui ce n'erano ancora! Molte cose non erano
decisamente di suo gusto, e molte altre fuori dalla sua portata, come
ad esempio i pantaloni dalle gambe troppo lunghe per essere indossati
da lei. Poi una nota dissonante: in mezzo a jeans e magliette
abbastanza casual, sbucò un vestito. Un vestitino corto,
azzurro
dalla fantasia floreale e la gonna a ruota che scendeva giù
morbida.
Lo prese e lo studiò attentamente, accarezzando il tessuto
morbido
con la mano.
<<
Carino vero? >> chiese Maggie guardandola
<< Non l'ho mai
indossato, non è il mio genere di cose. Me lo
regalò Annette,
sperando così di conquistare la mia simpatia.
>>
<<
Chi è Annette? >> chiese Ocean portandosi
davanti allo
specchio, e facendo ciondolare il vestito di fronte a lei, cercando
di vedere come poteva stargli. Ma riflessa allo specchio vide Alice.
Una sorridente e spensierata Alice, all'interno di un negozio, dentro
un camerino, che cercava di provarsi un nuovo vestito, contenta di
poterne aggiungere un altro al suo armadio, anche se forse poi non
l'avrebbe mai indossato. Vestiti e sandali, con qualche accessorio
come cappelli (adorava i cappelli!), collane e bracciali. Era questo
l'unico abbigliamento che sfoggiava nei mesi estivi: lo trovava
così
carino. E tutti quelli che la conoscevano l'adoravano per questo: era
una bambolina. Una bimba troppo cresciuta, semplice e sempre col
sorriso stampato in faccia, che si divertiva a rincorrere il suo cane
sulla spiaggia, lasciandosi bagnare delicatamente i piedi dalle onde.
<<
La mia matrigna. >> disse Maggie, riportando Ocean a se
stessa
<< Perchè non te lo provi? >>
disse poi velocemente,
impedendo a Ocean di fare altre domande. Tutti avevano dei segreti e
dei pesi che portavano dentro in quel periodo, Ocean lo sapeva bene.
Nessuno viveva più col sorriso da tempo. E sapeva bene anche
quanto
fosse scomodo e inaproppriato interrogare le persone su questi
segreti e pesi...riportare a galla certe cose non era un bene.
<<
Non credo faccia per me. >> disse Ocean prima di
ritornare
all'armadio, intenzionata a metterlo via.
<<
Io credo ti starebbe bene! Dai, provalo. >> insistette la
ragazza, probabilmente in un disperato tentativo di socializzare un
po'.
Ma
sì! Tanto era solo una cosa momentanea in attesa dei suoi
vestiti, e
di certo non sarebbe stato un abito a distruggere tutto quello che
aveva costruito. Non doveva temere niente. Sorrise, e si convinse,
non rendendosi conto di come fosse stata Alice a rispondere a
quell'esigenza e non più Ocean.
Lo
indossò e riprese a guardarsi allo specchio. In effetti non
stava
male, era carino. E poi che altra scelta aveva? Non poteva certo
girare nuda per casa, e odiava i pantaloni che andavano a infilarsi
sotto i piedi. Senza considerare che ormai si era abituata alla
sensazione di libertà che le davano i pantaloni larghi in
cotone, un
paio di jeans stretti come quelli l'avrebbero fatta impazzire.
Indossò
un paio di infradito di Beth, l'unica con un numero di piede che si
avvicinava al suo misero 36, e uscì in veranda, a godersi
ancora
l'aria tiempida e il silenzio di quel luogo. Si sentiva bene. Era da
tempo che non capitava. L'ambiente era così tranquillo e
rilassante,
lo stomaco era pieno e la paura aveva smesso di tormentarle i sogni.
Lì si sentiva al sicuro. Era una piccola oasi. E per un
attimo ebbe
un cedimento: un leggero desiderio di restare lì fece
capolino nel
suo cuore, ma spaventata da una tale verità si
apprestò a
ricacciarlo via. Era solo una cosa momentanea! Se l'era ripromesso!
Non poteva restare lì.
Vide
non molto lontano, al campo, Carol che appendeva i suoi abiti a un
filo improvvisato per permettere loro di asciugarsi. Glenn era sopra
il tettuccio di un auto, che parlava con Shane, di sotto, con lo
sguardo corrucciato e chissà quale pensiero incazzato per la
testa.
La maggior parte degli altri era per i fatti suoi, ognuno a fare
qualcosa per tenere la mente occupata. Il resto era in giro
chissà
dove, occupati probabilmente nella missione di recupero della figlia
di Carol. Tutti annoiati, ma tutti indaffarati, combattendo ogni
singolo giorno per la sopravvivenza.
Ocean
rimase un po' a guardarli, annoiata anche lei, e capì
perchè tutti
cercavano di trovarsi qualcosa da fare, qualsiasi cosa da fare. I
pensieri non dovevano avere la meglio.
<<
Allora cosa si fa qui per divertirsi? >> chiese a Carol
una
volta raggiunta << Oh, si lavano i panni, interessante.
Un vero
spasso. >> disse ironica e sbuffando si
appoggiò alla
corteccia dell'albero lì vicino.
<<
Ocean! >> si meravigliò la donna di vederla e
sorrise nel
vedere il cambiamento di stile della ragazza. Fino a qualche minuto
prima era così mascolina, così rozza, e ora
girava con un vestito e
i capelli ancora umidi, che cominciavano a prendere una piega mossa,
lasciati solti, liberi di svolazzare e asciugarsi con l'aria tiepida
del pomeriggio. Sembrava un'altra persona.
<<
Certo, e si cucina anche! >> rispose di rimando, cercando
di
essere altrettanto ironica, ma con poca voglia di ridere. Era
distrutta dentro, glielo si leggeva in faccia, e per quanto si
sforzasse di sembrare normale non riusciva a pieno.
<<
Wow! >> disse Ocean, per niente entusiasta, guardandosi
ancora
attorno sbuffando di tanto in tanto << Quindi
è così che
siete sopravvissuti. Cucinando e lavando i vestiti. A saperlo
prima... >> e la cosa fece stranamente ridere Carol.
Forse per
la naturalezza con cui la ragazza l'aveva detto.
<<
Beh, gli uomini si occupano della protezione. Noi donne pensiamo a
rendere il posto in cui siamo il più accogliente possibile.
>>
<<
Ed ecco che in tempo di crisi il patriarca fa sentire la sua voce.
Strano che allora non abbiano preso a picchiarvi quando la cena fa
schifo e a urlarvi "donna, sesso, ora!". >> disse
Ocean, continuando a parlarne con distacco. La cosa non la toccava
minimante, lei non era schiava di nessuno, sapeva badare a se stessa
e portava ben stampata in faccia un nuovo manifesto femminista, il
cui slogan avrebbe potuto recitare "Le donne san mordere più
degli zombie". Non ne voleva sapere, e mai si sarebbe ridotta a
cucinare e lavar mutande per un rude che andava in giro a sparare
alle foglie.
<<
No, loro non lo fanno. >> rispose semplicemente Carol,
guardando con fin troppo strana attenzione i panni che stava
appendendo al filo, e con una tonalità di voce che troppo
sfiorava
la vergogna. E quello era un altro segnale che diceva che Ocean si
stava inoltrando in terre pericolose, ed era meglio girare alla
larga.
<<
Eccoti. >> una voce maschile interruppe i loro ben poveri
discorsi. Entrambe si voltarono e videro Daryl avvicinarsi, il quale
prima di volgere il suo sguardo a Carol, la persona che stava
cercando, lanciò uno sguardo fulminante a Ocean. Rapido e
perforante, come una freccia. I due non si potevano vedere, la cosa
ormai era appurata e palese tanto che anche Carol sentì
nell'aria le
scintille che i due si lanciarono.
<<
Che vuoi? >> gli chiese acida Ocean. Cosa aveva da
guardarla?
Non aveva fatto niente quella volta, che aveva da fulminarla? Ma
Daryl la guardò ancora sottecchi, prima di spostare gli
occhi su
Carol e ammorbidirsi all'istante << Ti cercavo. Vieni con
me
un attimo. >>
<<
Devo finire di... >> cominciò a dire Carol, ma
fu subito
interrotta << Finisce lei! Almeno si rende utile in
qualcosa.
>> disse Daryl indicando Ocean con un cenno del capo.
<<
Cosa?! >> urlò Ocean strabuzzando gli occhi.
<<
Scordatelo! Io non ti stendo le mutande, damerino! Ma per chi mi hai
preso? >>
<<
Così è a Carol che fai il torto. >>
disse lui rispondendo con
tono pacato, e allungando una mano verso la donna per incitarla a
seguirlo, che non esitò a farlo. La curiosità di
sapere cosa
voleva, e il desiderio di stare un po' con lui le impedirono di
portare a termine il suo lavoro.
<<
Fate come volete, ma scordati che mi metto a stender panni per voi.
>> disse Ocean volgendogli le spalle e cominciando ad
avviarsi
verso meta ignota, ma lontano da quella situazione e lontano dai
doveri di casalinga che volevano assegnarle. Odiava far pulizie
quando era ancora Alice, figuriamoci ora. Non sarebbe stata la
casalinga di nessuno, lei era autonoma, lei cacciava e lottava per la
sopravvivenza. Mai più avrebbe lottato contro lo sporco
incrostato
dei panni da lavare, mai più sarebbe tornata ad essere la
donnetta
di un tempo. Si era indurita ed era diventata più mascolina,
lo
riconosceva, non voleva più essere la donna dei canoni di un
tempo.
Solo così avrebbe potuto sopravvivere.
Daryl
si portò via Carol, diretto al fiumiciattolo dove aveva
visto una di
quelle rose Cherokee che da qualche giorno le dedicava, per indurle
speranza, per incoraggiarla e convincerla che Sophia prima o poi
l'avrebbero ritrovata. Non era mai stato bravo negli atti di dolcezza
e nei regali, ma nonostante questo cercava davvero di mettercela
tutta per aiutare la sua amica. E voleva in un certo senso chiederle
scusa per la brutta reazione avuta quella mattina.
Angolino
dell'autrice
Eeeeee
rieccomi!!! Volevo inanzitutto chiedere scusa a chi stava seguendo la
storia per il lungo periodo di pausa, ho avuto un bel po' di impegni e
casini che mi hanno impedito di scrivere e di conseguenza pubblicare.
Indi per cuiii... Sorry xP ora se Dio vuole dovrei riuscire a tornare
sui miei passi e riprendere una pubblicazione
regolare....forse....spero -.-
Comunque grazie a chi non mi ha abbandonato nonostante tutto xD Grazie
a chi continua a leggere e seguire la storia, e soprattutto grazie a
chi recensisce :) E' sempre bello leggere i vostri commenti e sapere
cosa ne pensate.
Quindiiiii niente. Io stacco qui ed evito di fare un angolino
più grande del capitolo in sè e riempirlo di
tanti "grazie" e "scusa" ahaha
Un saluto a
tutti!
Mi raccomando recensiteeeeeee :P
Ray.
|
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Capitolo 9 *** Falla. ***
Falla
Era
tornata sulla verandina, luogo che aveva scoperto preferire, ma
l'aveva già trovata occupata. Patricia, Beth e Carl erano
intorno a
un tavolino, a giocare a chissà quale gioco da tavolo,
mentre Glenn
e Maggie erano seduti sugli scalini che parlottavano amorevolmente
tra loro.
Si
fermò a guardarli e ancora una volta sentì che
quello non era il
suo posto. Cercò con gli occhi un buco isolato, un angolo
tutto suo
dove potersi rifugiare...c'era paura nel suo cuore. La stessa paura
che può provare un cucciolo di fronte a degli estranei dopo
aver
subito un trauma, quando anche la sua ombra ha provato a pugnalarlo.
Angolo isolato e buio, lontano dagli occhi e dalle orecchie, come se
non esistesse, era quello il suo posto. Superò Glenn e
Maggie,
cercando di ignorare i loro occhi che la seguirono curiosi, e
andò
ad appoggiarsi con i gomiti alla ringhiera, qualche metro
più in la
e di nuovo puntò gli occhi all'orizzonte. In lontananza vide
avvicinarsi velocemente T-dog e Andrea, e capì dai loro
occhi e
dalla pesantezza delle loro falcate che c'era aria tesa. Qualcosa non
andava. E presto lo capirono tutti. Glenn si alzò in piedi,
guardandoli curioso e sicuramente speranzoso di avere una risposta, e
chiese << Sai che sta succedendo? >>
Andrea
gli rispose con un'altra domanda << Dove sono tutti?
>> e
una serie di domande si susseguirono, facendo presagire l'arrivo di
un qualche problema. Qualcosa non era come doveva essere, loro lo
sentivano , ormai tutti erano diventati ottimi fiutatori del pericolo
e cercarono di capire cosa esattamente non fosse al suo posto. Su una
cosa però erano d'accordo << Dov'è
Rick? >> chiese
Glenn, poi chiese di nuovo Daryl che stava tornando dalla sua
scampagnata insieme a Carol. Rick: tutto girava intorno a lui, era il
pilastro portante del gruppo, questo lo aveva dimostrato più
volte e
se il pilastro non era al suo posto tutta la struttura vacillava.
Ecco perchè erano tutti così tesi: stavano
vacillando.
<<
Non lo so, dovevamo andare a cercare Sophia circa un piao d'ore fa ma
poi si è allontanato con Harshel. >>
spiegò Andrea.
<<
Rick ha detto andava a fare un giro. >> aggiunse Carol,
aggiungendo un'informazione.
<<
Ma perchè nessuno prende la cosa sul serio? >>
cominciò ad
alterarsi Daryl camminando nervosamente << Abbiamo una
dannata
traccia!! >> disse con un gesto plateale del braccio,
segno del
suo già abbastanza evidente nervosismo. Di che traccia si
trattasse
Ocean non lo sapeva, ma probabilmente si riferivano sempre alla
ragazzina scomparsa.
<<
Ah, ecco qua. >> disse ancora Daryl col tono di chi ha
appena
trovato tutte le sue risposte, e si diresse verso Shane che stava
arrivando proprio in quell'istante. Ocean gli piantò gli
occhi
addosso, quel tipo proprio non la convinceva: aveva gli occhi da
psicopatico. E anche in quel momento nel suo sguardo c'era qualcosa
che non andava, un dico e non dico, un sono colpevole, ma di quale
reato era ancora mistero. Shane si avvicinò armato fino ai
denti,
con un'enorme sacca sulle spalle che dava l'idea di pesare quintali,
e un ghigno furioso. Non disse niente per spiegare il suo stato
d'animo palesemente incazzato nero, ma sembrò non ce ne
fosse
bisogno perchè chiese semplicemente << Sei con
me amico? >>
rivolto a Daryl, e lui non disse altro che <<
Sì >>
afferrando un fucile. Sapevano già cosa stava rendendo
così Shane,
era evidenteper tutti...tranne che per Ocean. Probabilmente era
arrivata troppo tardi per delle spiegazioni. Peccato, quei retroscena
da Beautiful l'avevano sempre incuriosita e divertita. Shane
cominciò
a spargere armi tra il gruppo, che inizialmente lo guardò un
po'
spaventato accennando un << Ma non possiamo
>>, ma
nessuno rifiutò l'arma e tutti pendevano dalle labbra del
loro (così
sembrava) vice.
<<
Sono statoil primo a restarmene qui fermo a raccogliere margherite
pensando che questo posto fosse sicuro, ma ora sappiamo che non lo
è!
>> esordì Shane.
Ocean
si raddrizzò accennando un sorriso: le cose si stavano
facendo
interessanti, finalmente avrebbero smesso di passare le giornate a
fare le belle contadinelle come se fuori fosse tutto normale. Che si
stessero svegliando? O forse c'era dell'altro. Shane rivolse lo
sguardo anche a lei, e la cosa la scosse: preferiva di gran lunga
fare il pubblico, non voleva entrare in mezzo a certe questioni...e
comunque sia era pur sempre una novità per lei.
<<
Sai usare una pistola? >> disse avvicinandosi a lei e
porgendogliene una. Ocean alzò le mani e negò
sorridendo,
rifiutando come si può rifiutare una caramella da un amico,
quasi
divertita << Mio padre aveva una pistola a pallini quando
ero
piccola. Mi era permesso solo guardarlo mentre tentava di non
rovinare il muro di casa. >>
Per
un attimo Shane sembrò volesse dirle "ma vaffanculo, non
servi
a niente", ma queste parole non uscirono mai dalle sue labbra.
Questo non significhi però non l'abbia pensato veramente. Si
voltò
e si avvicinò a Glenn porgendogli un altro fucile
<< Vuoi
rendere sicuro questo posto? >> e Glenn dopo un attimo di
riflessione si decise ad afferrarlo. I litigi però furono
inevitabili, prima Maggie poi Lori gli dissero di smetterla,
perchè
andava contro la regola del "niente armi in casa Hershel",
ma la cosa non lo scalfì minimamente. La decisione era
presa, e da
come si comportava sembrava una decisione che era stata riflettuta da
molto tempo.
Poi
qualcosa attirò l'attenzione prima di Ocean, poi di T-Dog:
dei versi
che ben riconosceva e che la riportarono spaventosamente coi piedi
per terra. Era stata solo un giorno in quel posto, e già si
stava
abituando alla tranquillità del luogo, tanto da spaventarsi
a quei
versi come succedeva le prime volte.
<<
Oh, cazzo! >> disse T-Dog, dando voce ai pensieri della
ragazza, che osservandone la provenienza aveva cominciato a dirigersi
velocemente verso quella direzione, per poter vedere meglio. Gli
occhi spalancati per l'incredulità.
Rick
e Hershel avevano due zombie al guinzaglio. E non metaforicamente!
Avevano proprio due zombie legati a una specie di guinzaglio e se li
stavano portando a spasso, certo non con poca fatica, ma erano a
spasso con due dannati zombie al guinzaglio!
<<
E' questo dunque il vostro passatempo? L'accalappia-zombie?
>>
urlò Ocean rivolgendo per la prima volta la voce a tutto il
gruppo.
Si voltò, guardandoli tutti, fulminandoli uno a uno
<< Che
diavolo vi passa per la testa? >> disse ancora
gesticolando. Ma
si accorse solo in quel momento che tutti avevano lo stesso stupore e
paura negli occhi: che non ne sapessero niente neanche loro? Shane,
tra tutti, era quello con lo sguardo più furibondo e
allucinato, e
fu proprio lui il primo a cominciare a correre nella direzione del
caposquadra, dicendo tra sè e sè <<
Ma sono pazzi?? Sono
pazzi!!! >> e il resto del gruppo lo seguì
subito alla stessa
velocità. Ecco cos'era fuori posto, ecco perchè
la struttura stava
vacillando. Non erano un gruppo di matti, Rick era matto e Hershel
più di lui. Ocean li lasciò correre, guardandoli
preoccupata e
agitata. Si avvicinò al borsone di armi lasciato
lì, senza
distogliere lo sguardo dalla scena, prese una pistola qualunque
sperando fosse già carica e si avviò dietro a
loro con passo più
lento ma non per questo meno deciso.
Shane
arrivò trafelato, urlando << Che cazzo state
facendo!!! >>
e subito usò la scena a suo vantaggio rivolgendo la parola
agli
altri suoi compagni << Vedete? Vedete cosa stanno
portando? >>,
frase a cui Hershel rispose subito con un << Io vedo CHI
sto
portando!! >>. Ecco allora cosa passava per la testa del
vecchio: non vedeva in loro zombie, mostri, morti che camminano, ma
vedeva ancora in loro delle persone. Ma come poteva ancora
considerarle persone?!?!
E
la discussione partì di nuovo: non facevano che litigare in
quel
gruppo! Ma nonostante l'odio viscerale che Ocean provava per Shane lo
psicopatico, in quell'occasione (e probabilmente sarebbe stata
l'unica) doveva dargli ragione. Che cazzo stavano facendo? Davvero
credevano che quelle cose fossero ancora persone? Davvero credevano
che collezionandole nel fienile (perchè era lì
che si stavano
dirigendo) un giorno avrebbero potuto riabbracciarle? E così
avevano
intenzione di mettere tutti in pericolo solo perchè uno
svitato
ancora non vedeva bene cosa aveva di fronte e non accettava la
realtà? E poi si meravigliavano che Ocean fosse sopravvisuta
da
sola! Lei ora si stava meravigliando che loro fossero sopravvissuti,
fuori di testa com'erano!
Shane
cominciò a sparare a uno degli zombie urlando sempre
più furioso,
sempre più deciso << Una persona vivente
sopravvivrebbe a
questo? E a questo? Come fa a essere ancora in piedi dopo questo? Eh?
>> e a ogni sparo Rick rispondeva con altrettanta
disperazione
<< Basta! Shane, ho detto basta! >>
richiesta che alla
fine arrivò al suo amico, ma non come sperava.
<<
Sì, amico. Hai ragione. Basta così.
>> e si avvicinò allo
zombie che aveva impallinato per bene e gli diede il colpo di grazia
con uno sparo alla testa. Hesherl cadde in ginocchio, e il silenzio
piombò tra i presenti. Era una situazione delicata,
probabilmente la
cosa aveva addirittura fatto male a Hershel, come se avessero sparato
a una sua amica di fronte ai suoi occhi, ma Shane aveva ragione e
aveva fatto la cosa più giusta.
Ocean
raggiunse finalmente il gruppo, aveva assistito a tutta la scena e le
urla avevano permesso anche alle parole di arrivare alle sue orecchie
e permetterle di capire per filo e per segno tutta la discussione. Li
raggiunse, ma rimase nelle retrovie, insieme a Max attirato dal
fracasso, che si guardò attorno con orecchie e coda bassa, i
denti
leggermente scoperti e si fece anche scappare un ringhio, subito
ammonito da un << Sh sh sh >> e da un gesto
con la mano
di Ocean.
Shane
riprese il suo discorso plateale, ormai stufo e deciso per la sua
via. Nessuno l'avrebbe più fermato.
<<
Basta. >> disse << Basta rischiare le
nostre vite per una
ragazzina ormai morta!!! >> urlò guardando
Carol, la quale
sussultò e probabilmente trattenne una lacrima.
<<
Basta vivere accanto a un fienile pieno di zombie che vogliono
ucciderci!! Basta! >> e mentre Shane continuava a fare il
presidente della situazione, evitando solo di copiare frasi
già
conosciute come "I have a dream", Ocean, sempre rimanendo
in fondo al gruppo, lo percorse in parallelo portandosi alle spalle
di Hershel e osservandolo. Osservò l'espressione quasi
spenta, ma
non priva di disperazione e sorpresa, come quando ci si sveglia da un
bel sogno e ci si rende conto che è la realtà che
ci circonda, la
putrida e schifosa realtà, quella che non puoi modificare a
piacere,
quella che non segue i tuoi desideri ma va esattamente nel verso
opposto. La realtà che non ti appartiene, ma a cui TU
appartieni,
quella che ti tiene per il guinzaglio e che può fare di te
quello
che vuole. Ci si risveglia solo con un suono molto forte e brusco,
con una scossa....con un urlo di disperazione e paura. E per il resto
dei tuoi giorni non farai altro che chiederti perchè il
destino ha
voluto beffarsi tanto di te.
<<
Se volete vivere! Se volete sopravvivere! Dovete lottare per forza!
>> continuò Shane, incitando i suoi compagni a
seguirlo nel
gesto disperato che stava per compiere. Rick cominciò a
richiamare
Hershel, chiedendogli di tenere il suo zombie, perchè doveva
avere
le mani libere per impedire al suo amico di compiere un gesto
sensato, ma che forse avrebbe portato problemi di chissà
quale
natura. Chissà perchè Rick, uomo tanto di polso e
con la testa
sulle spalle, tanto da essere diventato il capogruppo, stava facendo
una cosa così stupida come quella di proteggere gli zombie
dentro il
suo fienile. Ma Hershel ormai non sentiva, Hershel era sotto shock e
non avrebbe sentito per un po' di tempo. Shane corse verso il fienile
e con un piccole cominciò a buttar giù la porta.
Le persone armate presenti cominciarono a sollevare fucili e pistole,
pronte a fare
fuoco, solidali con l'uomo che stava rumorosamente portando quei
mostri allo scoperto. Maggie andò da suo padre e
l'abbracciò
piangendo, Lori portò suo figlio dietro di lei in un
disperato gesto
di protezione e Rick ancora non smetteva di pregare il suo amico di
non fare quello che stava per fare, chissà con quale vana
speranza.
Ma ormai era troppo tardi...le porte erano state aperte e gli zombie
oltre a farsi sentire cominciarono a farsi vedere. Shane per primo
aprì il fuoco e fu subito seguito dai suoi alleati: uno a
uno gli
zombie che man mano uscivano dal fienile caddero a terra sotto una
scarica infinita di colpi e odio. Non era solo bisogno di protezione
quella che li spingeva in quel gesto disperato, ma era odio. Odio
puro e profondo verso quelle immonde creature che per troppo tempo li
avevano fatti dormire con il cuore in gola e la lacrima pronta a
scendere per i cari che in sogno tornavano a salutare. Odio verso
quel mondo che non si capiva perchè fosse arrivato a tanto.
Odio
verso Dio che aveva deciso di punirli in quella maniera così
orribile: erano diventati cibo per i loro stessi cari. Mangiati da
chi si amava. Costretti a scegliere tra la propria vita e il senso di
colpa che conseguiva al proiettile che veniva sparato verso chi per
anni si era solo protetto. Odio per Dio che li aveva trasformati
tutti in mostri, i vivi e i morti alla stessa maniera.
E
Ocean solo allora capì che quelle persone che tanto aveva
disprezzato per i loro sorrisi non meritati, che tanto aveva
disprezzato per quell'amore che spargevano l'uno verso l'altro mentre
il mondo andava in pezzi, come si può disprezzare il riccone
che si
abbuffa di fronte al bambino che sta morendo di fame, capì
solo
allora che non erano poi tanto diversi da lei. I sorrisi non erano
altro che maschere che si erano costruiti loro stessi nella speranza
che questo bastasse a renderli di nuovo felici e permettergli di
costruirsi una nuova vita. Maschere...proprio come la sua.
Fece
un sospiro di dolore e compassione, chiuse gli occhi per un attimo,
sperando così di calmare il cuore che aveva cominciato a
battere
forte, strinse la pistola tra le sue mani e si avvicinò
lentamente
alla prima fila di uomini, quella intenta a sparare furiosamente
contro chi aveva di nuovo distrutto ogni speranza. Passò
vicino a
Herhsel e gli posò una mano sulla spalla, facendola poi
scivolare
via per proseguire verso i cecchini, in un leggero e sfuggevole gesto
solidale, e quando si fu allineata a loro alzò la pistola
all'altezza degli occhi...e fece fuoco. Non aveva mai sparato prima
di allora, aveva solo visto persone farlo: conosceva la teoria, ma
mai fatto pratica. Per quel motivo il colpo partì con
successo ma
andò a piantarsi contro il fienile, mancando alla grande
ogni
bersaglio. Colpa anche del suo sussulto: il rumore improvviso l'aveva
spaventata. Si aspettava di sentire critiche volare da ogni dove,
sempre pronti a giudicarla, e invece non la degnarono neanche di uno
sguardo, ignorando il suo insuccesso e la sua figuraccia. Forse
troppo presi dal loro obiettivo per considerarla, o forse
semplicemente grati per averci almeno provato. Questo la
invogliò a
riprovare: puntò bene i piedi a terra, cercò di
prendere la mira
meglio che poteva e fece di nuovo fuoco. Prese la spalla di uno
zombie che barcollò e poi fu buttato a terra da un colpo
partito da
chissà chi dei suoi vicini. E provò ancora, e
ancora, riuscendo a
buttarne giù solo uno tra i 5 o 6 tentivi fatti. Poi
finalmente gli
zombie finirono e tutti, riprendendo finalmente a respirare,
osservarono la macabra scena che gli si piazzava davanti. Un tappeto
di zombie, uno ammucchiato sull'altro. C'è chi si riteneva
soddisfatto, chi si sentiva finalmente sollevato, chi era preoccupato
e chi invece disperato. Tanti sentimenti diversi in così
poche
persone.
Ma
presto un suono fece loro capire che non avevano ancora finito. Un
mugolio, un respiro affannoso proveniva da dentro il fienile. Ce
n'era dentro ancora almeno uno. E l'attimo di respiro che si erano
presi cessò di nuovo. Gli occhi si puntarono sull'entrata
buia del
fienile e attesero che il, o i superstiti, si mostrasse. E quando lo
fece...nessuno alzò la pistola. Nessuno riprese a respirare.
Il
tempo si era fermato.
Andrea
si sentì mancare il fiato e fece un paio di singhiozzi.
Un
brivido percorse la schiena di Ocean, anche se non l'aveva mai
vista...sapeva che era lei. Lo sapeva.
Carol
si lasciò sfuggire un urlo, un singhiozzo e
cominciò a correre in
direzione del fienile urlando << Oddio >>,
singhiozzando
per quanto riuscisse dato l'aria che le veniva a mancare. Daryl si
voltò in tempo e riuscì ad afferrarla prima che
si gettasse tra le
braccia dello zombie. Nessuno riusciva a dire niente, nonostante il
dolore dentro loro volesse prendere voce.
<<
Sophia. >> mugulò Carol, lasciandosi cadere a
terra, incapace
di tenersi in piedi.
Ocean
chiuse gli occhi e sentì un pugno alla bocca dello stomaco
che la
costrinse a trattenere il fiato e a voltarsi, vergognandosi del
dolore che provava, cercando nell'invisibilità rifiugio per
il suo
orgoglio. La gola cominciò a bruciare e il suo fuoco si
faceva
sempre più intenso ad ogni lamento di Carol. Altri
singhiozzi sentì
provenire dal gruppo alle sue spalle, e la tensione e la paura
all'improvviso si trasformò in dolore puro, capace di
schiacciare
anche i cuori più forti come quello di Shane, e
impedì a tutti di
alzare di nuovo la pistola e puntarla verso la ragazzina che
lentamente si avvicinava a loro. Sapevano che quello sparo sarebbe
stato il triste "the end" di una lunga storia a cui avevano
dato tanta speranza. E nessuno dei presenti si sentiva tanto forte di
prendersi la responsabilità di terminare quella storia.
Ecco.
Era quello l'odio verso Dio che intendeva Ocean, l'odio verso
l'entità che ti costringeva ad alzare la pistola e sparare
in testa
a tua figlia. Perchè è così che va
fatto. L'odio che in quel
momento scatenò Rick, solo in quel momento e che lo spinse
ad
avanzare velocemente, prendendo la situazione in mano, dimostrando
ancora una volta di essere il pilastro portante perchè lui
solo
aveva trovato il coraggio di alzare quella pistola e si sentirsi
responsabile di quel Bang.
The
end.
Il
sole era alto nel cielo da tempo, doveva essere sicuramente
pomeriggio inoltrato, eppure la luce era così fioca e opaca.
Il
vento ogni tanto sussultava, sospirando, prendendo fiato di tanto in
tanto come una madre in preda ai singhiozzi di fronte al cadavere
della propria figlia. Ma così leggeri e caldi da essere
quasi
pesanti. Lungi dall'essere piacevoli. Quel posto non era più
così
piacevole come lo era stato fino a qualche ora prima. Ocean, seduta
ai piedi di un albero, con le ginocchia raccolte e Max steso al suo
fianco, aveva gli occhi fissi all'orizzonte, come sempre faceva da
quando era lì. L'orizzonte era lo stesso che aveva sempre
visto da
bambina, così dolce e pieno di ricordi da attirare sempre la
sua
attenzione. Ma quella volta era così diverso. I ricordi di
quella
bambina che correva sulla sua bicicletta nel cortile stavano andando
scemando, affievolendosi, scomparendo nella nebbia. Solo allora si
accorse di quanto anche lei avesse combattuto tanto in quei giorni
per crearsi un angolo di paradiso, senza esserne pienamente
consapevole. Quello che doveva solo essere uno stallo provvisorio in
realtà stava diventando la sua casa, e non se ne stava
rendendo
conto. Ora che invece il castello di sabbia era stato distrutto
dall'onda tutto era tornato chiaro, e improvvisamente si
sentì tanto
sciocca nell'aver pensato di poter essere di nuovo felice. Le lacrime
cadevano anche su quella bella terra.
Abbassò
lo sguardo e si guardò i piedi grigi di terra e con qualche
filo
d'erba secco tra le dita. Le infradito non erano le calzature
migliori per un posto del genere. Poi notò una macchiolina
scura sul
lato del piede: sangue rappreso.
Le
infradito non erano le calzature migliori per quel mondo.
Strofinò
la mano sulla macchia tentando di toglierla, di eliminarla, non tanto
in un folle desiderio di pulizia ma quanto in un ultimo disperato
tentativo di eliminare la realtà, di tornare lontana da
tutto, ma
non ci riuscì. Era lì per ricordarle che non
doveva riposare, era
lì per ricordarle che non doveva chiudere gli occhi
perchè bastava
un attimo e il sangue dilagava senza che se ne rendesse conto. Si
sentiva sciocca...eppure aveva davvero sperato che almeno quella
gente potesse essere felice. Aveva davvero sperato che esistesse
ancora un modo per sorridere e vivere. E aveva sperato davvero di
veder presto Carol insieme alla sua bambina, in dimostrazione del
fatto che l'umanità poteva ancora farcela! Una sfida contro
il Dio
che costringeva ad uccidersi a vicenda, una battaglia vinta che
avrebbe portato speranza e risorse in più al fine di vincere
la
guerra.
Ma
era un mondo nuovo di zecca.
Avrebbe
dovuto accettarlo prima o poi.
Spostò
lo sguardo alla sua destra, dove in lontananza Andrea, T-Dog e gli
altri stavano seppellendo i corpi dei loro cari. E li trovò
così
stupidi. Ancora legati a quell'arcaica forma di celebrazione dei
morti: cosa c'era da celebrare? Non ci vedeva nulla di umano in
quelle cose e loro le celebravano! Il funerale era roba da vecchio
mondo, in questo mondo nuovo non aveva nessun senso perchè
tanto i
morti tornavano.
<<
I morti ritornano. >> bisbigliò a sottolineare
il suo pensiero
<< I vivi no. >> aggiunse prima di
accarezzare Max al suo
fianco, in un gesto adibito a dargli conforto << I vivi
non
tornano. I vivi se ne vanno e basta. >> e per la prima
volta
dopo mesi si ritrovò a farsi una domanda che aveva
dimenticato da
tempo, una domanda che più non formulava convinta di aver
già
trovato la risposta o che trovarla fosse assolutamente inutile.
"Riuscirò
a tornare a casa?"
Carol
e lei avevano avuto qualcosa in comune per un po' di tempo, forse
anche senza saperlo, ma ecco qual era il motivo che spingeva le due
ad essere così vicine e a cercarsi sempre. Entrambe erano
state in
stallo, immerse in una gigantesco punto interrogativo, chiedendosi se
al momento di ritrovo con la propria famiglia qualcuno avrebbe
cercato di mangiare l'altro. Chiedendosi se mai ci sarebbe stato un
ritrovo. Ed era lo stesso motivo per cui tanto dolore aveva sommerso
Ocean al momento della verità: era una risposta.
Non
c'è speranza.
Uno
cercherà di mangiare l'altro, se mai arriverete a rivedervi.
E sarai
costretta a puntare la pistola alla fronte della tua stessa famiglia.
Perchè era questa la nuova legge della natura.
Si
alzò in piedi, dandosi una scrollata al vestito pieno d'erba
e che
improvvisamente sembrò così scomodo. Max
alzò la testa, sempre sul
chi-va-la, e seguì i movimenti della sua padrona, pronto ad
andare
con lei in qualsiasi direzione si sarebbe inoltrata. E Ocean non
aveva nemmeno bisogno di chiamarlo a volte, lui sapeva già
cosa
andava fatto, le leggeva i piensieri. Lui la sentiva più di
chiunque
altro.
Ocean
si allontanò dall'albero seguita dal suo fedele cane, e si
diresse
verso il camper, dove aveva visto entrare Carol. Non sapeva neanche
lei perchè stava andando in quella direzione, non sapeva
neanche lei
perchè voleva vederla e cosa voleva dirle, ma sentiva il
bisogno di
avvicinarla. Forse anche perchè ancora non le aveva rivolto
a voce
il suo dispiacere.
Arrivò
e trovò il camper già affollato: c'erano oltre a
Carol anche Daryl
e Lori, entrambi lì per la loro amica, per darle in qualche
modo
conforto e anche per chiederle di andare "al funerale"
della figlia, cosa che sembrava non intenzionata a fare.
<<
La mia bambina è morta molto tempo fa. Nel bosco.
>>
sosteneva, e mentre lo diceva teneva gli occhi lontano da qualsiasi
cosa, in cerca di un distacco netto dalla realtà. Aveva
bisogno di
proteggersi, allontanandosi dal dolore. << Quella non
è la mia
bambina. >>
A
sentir quelle parole piene di distacco, quasi mancanti di rispetto
verso la bambina stesa al suolo, coperta da un sacco, Lori e Daryl se
ne andarono senza dire una parola, e quasi con una certa riluttanza.
Come se fossero stati offesi personalmente. Ocean si fece da parte e
li fece passare, evitando di guardarli così come loro
evitarono di
guardare lei. Si sentivano ancora estranei gli uni agli altri, e la
sofferenza del momento sentivano non era condivisibile. Ocean rimase
per un po' ferma lì, in imbarazzo, non sapendo cosa stava
facendo e
cosa avrebbe detto, ma incapace di andar via. Si guardò un
po'
attorno, fece qualche sospiro e sembrò cercare le risposte
intorno a
lei. Poi decise di entrare.
Lentamente
salì gli scalini del camper, cercando di essere silenziosa
abbastanza da non disturbare il dolore della donna che meritava tutto
il rispetto. Carol la guardò, forse più per
cercare risposta alla
domanda "chi è entrato?" che per un gesto di condivisione,
poi tornò a guardare fuori dal finestrino e a essere
distaccata.
L'abisso che cercava di porre tra loro due era percepibile a pelle.
Ocean
si appoggiò al mobiletto dietro di lei, incrociò
i piedi e cercò
di assumere una posizione che la facesse sentire a suo agio: dura e
fredda. I pianti e i "mi dispiace tanto" non facevano più
parte di lei. Rimase per un attimo in silenzio e portò gli
occhi a
un qualsiasi altro punto del camper, lontano dalla donna. Poi dopo
una lunga pausa decise finalmente di dire qualcosa.
<<
Undici ore di volo. >> disse semplicemente, aspettando di
avere
l'attenzione della donna che non tardò a mancare. Ocean
abbassò lo
sguardo un po' in imbarazzo e un po' in cerca della freddezza che le
serviva. Era la prima volta che affrontava questo discorso, e voleva
prenderlo il più alla leggera possibile per proteggersi dal
dolore e
per non sovrastare quello della donna di fronte a lei. Non era andata
lì in cerca di compassione, non era lei quella che ne aveva
bisogno
al momento.
<<
Casa mia...è a undici ore di volo da qui. Sempre rientrando
nei
canoni del vecchio mondo, quando ancora si utilizzavano gli aerei. Mi
trovavo da queste parti per uno sciagurato caso. >> Fece
ancora
una pausa sentendosi l'aria mancare per un attimo. In compenso aveva
ottenuto tutta l'attenzione della donna.
<<
Avevo.... Ho >> si corresse << Una madre,
dei fratelli...
nonni, zii, cugini e amici. Tutti a undici ore di volo da qui.
>>
fece un altro sospiro affaticato. L'aria cominciava a mancare. I
ricordi le stavano andando di traverso. Spostò lo sguardo
agli occhi
della donna, cercando di sembrare il più convincente
possibile <<
Non ho idea di cosa sia successo laggiù. I contatti si sono
interrotti molto prima. Non so se sono vivi, morti o zombie. Non so
nemmeno se anche da loro è successo. E probabilmente anche
loro si
staranno chiedendo se sono ancora viva o meno, o forse mi hanno
già
data per morta. >> tornò a guardarsi i piedi e
si morse un
labbro << Sono risposte che non avrò mai.
>> Carol colse
tutta la pesantezza e il dolore di quest'ultima frase, e per un
attimo si sentì schiacciare anche lei.
<<
Non ho la pretesa di tornare a casa, so già che
vivrò il resto dei
miei giorni schiacciata da questo interrogativo, e ormai mi sono data
per vinta. Non combatterò ancora per sapere, non avrebbe
senso, ho
già perso in partenza, ma avessi anche solo una piccolissima
chanche
non me la farei scappare e correrei da loro non solo nella speranza
di riuscire a riabbracciarli ma anche solo per sapere!! Il dubbio e
peggio di qualsiasi truce verità. L'uomo non è
fatto per stare in
bilico, ha bisogno del respiro che solo un punto e a capo gli sa
dare. Una fine. Credo sia questo il senso dei funerali, quando una
persona muore spesso è tutto troppo veloce e lascia molte
cose in
sospeso... si deve mettere un punto a tutto. E da lì si
ricomincia.
E io... vorrei solo sapere....e l'unica pretesa che avrei sarebbe
quella di poter loro dire Addio come si deve e poter ripetere per
l'ultima volta "Vi voglio bene". Quando ci siamo lasciati
non ne ho avuto la possibilità, e non immaginavo ce ne
sarebbe stato
il bisogno. Ma mi basterebbe poter dire loro, vivi o morti che siano,
"Addio. Vi amo alla follia." e tutto tornerebbe ad avere un
senso. >>
Carol
capì cosa stava cercando di dirle la ragazza, oltre ad
apprezzare il
fatto che si fosse aperta con lei per prima. Ocean avrebbe pagato oro
per essere nella situazione di Carol: sapere, mettersi finalmente il
cuore in pace, e poter dire quelle fantomatiche parole alle persone
amate. Farglielo sapere...anche se ormai morte. Fargli sapere che
nonostante tutto se le sarebbe portate nel cuore fino alla fine.
Quando Sophia era scappata non aveva avuto tempo di dirle Addio e di
ricordarle quanto l'amasse, non aveva avuto tempo di ricordarle che
la mamma è sempre vicino a lei. Quella era l'occasione
giusta. Era
questo che cercava di dirle Ocean.
Carol
le fece un piccolo sorriso di assenso e di gratitudine (o forse solo
per compiacerla), e Ocean ricambiò prima di uscire dal
camper in
silenzio e dirigersi lentamente verso il gruppo di persone riunite di
fronte alle tombe improvvisate, intente a dare il loro ultimo saluto
e il loro rispetto a coloro che li avevano tristemente lasciati. Non
vedevano zombie la sotto, vedevano solo chi c'era prima, e questo era
ciò che ancora li teneva in piedi. Sapere che la propria
identità,
il proprio te stesso, non te la ruba neanche la morte.
Che
si continua a Essere anche quando non ci si è più.
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Capitolo 10 *** Commiato. ***
Commiato
Afferrò
i suoi vestiti appesi: erano ancora fradici. Poco importava. Voleva
togliersi subito le cose che aveva addosso, voleva subito tornare ad
essere Ocean. L'attimo di dolore che era nato in quel pomeriggio, di
fronte a quei tragici eventi, aveva subito lasciato il posto a un
altro tipo di dolore, un dolore legato alla paura e che insieme ad
esso diventava strazio. Lori, che si trovava lì,
tentò di dirle <<
No, sono ancora bagnati! >>, ma non ebbe neanche tempo di
pronunciare la frase che la ragazza era già di spalle che si
allontanava dopo aver letteralmente strappato via i vestiti dal filo.
C'era fretta nei suoi passi, una fretta che rasentava l'urgenza. Ma
ormai Lori aveva smesso di cercare di capirla, e lasciò che
si
allontanasse senza neanche chiedersi cosa le passasse per la testa.,
senza neanche notare il volto corrucciato della ragazza che sembrava
stesse per scoppiare a piangere.
Ocean
raggiunse la stalla dove c'era come sempre la sua cara Peggy e il
resto delle sue cose: sacca, cotta di maglia, mantello e altri
ciottoli utili alla sopravvivenza. Anche le sue armi erano
lì: le
aveva recuperate nel momento in cui la regola "niente armi"
era stata calpestata più volte da Shane. Raggiunse il box
della sua
cavalla che quasi ormai correva e cominciò subito a
spogliarsi,
ignorando ancora una volta il pudore che in altre occasioni le
avrebbe impedito di farlo. Si tolse il vestito con tanta urgenza che
quasi fece fatica, rimanendo per un attimo incastrata all'interno, e
arrotolando su se stesso lo scaraventò a terra con un verso
colmo di
fatica e astio. Prese la sua camicia nera e la indossò alla
ben e
meglio, prese i pantaloni e di nuovo per colpa della fretta
arrancò.
Un altro verso le uscì dalla gola, uguale al precedente:
fatica,
astio, dolore. E si fecero sempre più frequenti.
Inciampò e si
appoggiò a Peggy, continuando a spingere violentemente col
piede.
Altri versi. E altri. E alla fine divennero singhiozzi. Si
lasciò
cadere in ginocchio colma di rabbia e dolore, sbilanciandosi in
avanti e atterrando sulle mani. Ignorò il dolore e strinse
tra le
dita terra e fieno. Sassolini si conficcarono sotto le unghie. Nessun
dolore fisico poteva superare quello che provava dentro sè.
I
lamenti e i singhiozzi erano così forti, così
schiaccianti, così
difficili da tenere dentro che quasi la strozzavano e le impedivano
di respirare. Cosa aveva scatenato tutto quello? Niente che
già non
le facesse male anche prima. Lei non voleva restare lì, non
aveva
mai voluto! Lei voleva restare sola, niente più gruppi.
Niente
più affetti.
Era
questo che si era ripromessa. Niente più dolore. Niente
più
perdite. Non voleva più niente di tutto quello, ne aveva
già avuto
abbastanza! Il suo passato continuava a non volerla lasciare in pace.
La
gola bruciava e l'aria mancava, eppure ancora sembrava non essere
abbastanza. Si sentiva morire dentro, uno squarcio era stato aperto
dentro di lei nel momento in cui si era ritrovata sola, rendendosi
conto di cosa stava vivendo. Un gruppo di persone che si amavano che
andavano decimandosi. Lei aveva davvero sperato...
Aveva
davvero aperto il suo cuore. Senza volerlo e senza aspettarselo, non
si era mai resa conto di quanto avesse bisogno di qualcuno a cui
voler bene. Ma lei davvero, anche se solo per un paio di giorni, in
quel gruppo ci era stata! E non solo fisicamente. E ora era tornata a
soffrire per qualcuno che andava perso dietro di loro nel cammino. E
non aveva potuto fare a meno di ripensare, stramaledettamente
ricordare, rivivere il SUO inizio. Il giorno in cui Alice era
diventata Ocean. Il giorno in cui Alice, dopo essere stata torturata
e lasciata sola, era stata infine uccisa.
Sbattè
i pugni a terra, cercando sfogo per la rabbia che non trovava
soddisfazione nei semplici lamenti, nei semplici signhiozzi e nelle
lacrime. La pancia cominciò a dolerle e in pochi minuti
arrivò
anche il senso di nausea. Lanciò un urlo. Non lo aveva mai
fatto e
si era sempre ripromessa di non farlo. Era pericoloso. Ma aveva
bisogno...aveva bisogno di buttar fuori quel fuoco che la stava
divorando dall'interno.
Alzò
gli occhi pieni di lacrime, il viso zuppo si stava pian piano
macchiando di nero per colpa della terra e della polvere del luogo,
muco e saliva completavano l'opera. La gola bruciava troppo per
riuscire a deglutire.
Gli
occhi appannati andarono a posarsi sulla sua sacca, il suo "zaino"
primordiale, che era buttata a terra aperta, e dalla quale uscivano
alcune delle sue cose. Tra queste una attirò la sua
attenzione.
Forse l'unica cosa che Alice si era sentita di voler conservare.
Ocean gattonò velocemente verso essa e l'afferrò:
era un piccolo
flauto traverso in legno, lungo non più di 15 cm, e il cui
suono era
decisamente più acuto e affilato del flauto dolce classico.
Era il
suo ultimo legame col passato.
Ocean
lo guardò e mille ricordi le riaffiorarono alla mente, uno
più
bello dell'altro: colori e balli, risate, canti e tanta gioia.
Tamburi che battevano al tramonto, sotto un castello in festa,
sonagli e cornamuse, la gente raccolta in cerchio intorno ai musici,
vestiti di mille colori e frattaglie, che urlavano e cantavano con
tutto il fiato che avevano fino a diventar paonazzi. E poi lei, lei
che mai si fermava, lei che saltava, lei che ballava, lei che
afferrava i bambini per mano e improvvisava un girotondo, e suonava,
e sonagli ai suoi piedi facevano sembrare il suo passo quello di una
fata che andava di fiore in fiore, i capelli raccolti, ma con ciocche
disordinate al vento che non trovavano pace nella sua folle danza.
Lei che cantava, lei che raccontava storie che mai erano
esistite...lei che rideva.
Era
tutto così bello quando era Prima.
Ocean
strinse il flauto al petto, continuando a singhiozzare e cercare
l'aria che i ricordi le stavano portando via, uccidendola lentamente.
Finì
di rivestirsi, asciugandosi gli occhi alla meglio e pulendosi il viso
con l'acqua di una delle bottigliette che le aveva dato Hershel. Il
minimo per evitare che qualcuno le chiedesse con preoccupazione se
avesse pianto: non voleva più saperne di nessuno, non voleva
più
dar di conto a nessuno. Aveva raggiunto quel limite che da un paio di
giorni decantava: ora era tempo di andarsene. Sistemò le sue
cose
sulla cavalla, e si legò ben addosso le sue armi. Ora
cominciava a
sentirsi a suo agio, ora cominciava a tirare qualche sospiro di
sollievo, finalmente si sentiva al sicuro dentro quella corazza che
con tanta fatica si era costruita.
Si
infilò il flauto grossolanamente nella cintura, prese Peggy
per le
redini e uscì dalla stalla seguita come sempre dal suo
fedele Max.
Ognuno era preso dalle proprie cose, come sempre, e nessuno fece caso
alla ragazza, la quale comunque evitava di incrociare le strade degli
altri. Si spinse verso il confine, ma non quello più
esterno: prima
andò a dare il suo ultimo saluto ai defunti. Non si era
fermata
quando c'era tutto il gruppo, inizialmente aveva pensato che la cosa
non la riguardava: non era i suoi morti. Quindi sentendosi ancora
estranea a tutto si era allontanata e basta, lasciandosi alle spalle
il funerale e da lì erano cominciati i pensieri. Ma ora ne
sentiva
il bisogno, sentiva che anche lei doveva dare il suo contributo:
quelle persone erano morte esattamente come molte altre, nella
maniera più brutta che poteva capitare in quel periodo. E
poi anche
lei alla fine aveva pianto per loro, anche se non le conosceva
personalmente.
Legò
momentaneamente Peggy a una staccionata lì vicino e si
avvicinò
lentamente alle tombe ormai deserte. Non aveva niente per la testa,
nessun pensiero particolare, solo tanta tristezza e dispiacere,
soprattutto per la piccola Sophia che tanto aveva fatto piangere la
sua mamma, e che tanto aveva probabilmente pianto lei prima di essere
uccisa e trasformata. Si inginocchiò e sfiorò la
terra, la fece
scorrere tra le dita e continuò la sua preghiera silenziosa.
Non
credeva in Dio, le preghiere canoniche non facevano per lei, non
sarebbero state sincere, ma decise comunque di esprimere il suo
dolore a voce usando una forma più adatta a lei. Si
alzò in piedi,
ben dritta su se stessa e alzò la testa al sole in
lontananza. Poi
afferrò il suo flauto e, dapprima un po' titubante (era
così tanto
tempo che non lo usava! Lo aveva sempre tenuto sepolto nella borsa,
riluttante anche solo nel vederlo), poi con decisione se lo
portò
alle labbra e suono qualche lunga e bassa nota, che una ad una
andavano disperdendosi e allontanandosi. Delicate come gocce di
pioggia che cadono in un fiume, un fiume che scorre sereno e si perde
in lontananza. Verso l'orizzonte. Solo poche note, come un richiamo
agli angeli, un incipit a voler ricevere attenzione dal Divino, per
poi proseguire con un canto. Una liturgia in latino, un "planctus"
veniva chiamato. Un canto dedicato ai morti di derivazione medievale.
Quello in particolare era il planctus dedicato al defunto Carlo
Magno, non c'entrava molto con la situazione attuale ma era l'unico
Planctus che Ocean conosceva. Fece risuonare la sua voce, come se
volesse raggiungere il cielo, e cantò lentamente e
solennemente
quelle poche strofe che conosceva, che parlavano di dolore per la
grave perdita che la terra aveva subito, dolore che accumunava per la
prima volta tutti gli uomini. Il planctus era in realtà
molto più
lungo, ma non l'aveva mai imparato tutto. Terminò di cantare
e
riportò il flauto alle labbra, concludendo la sua liturgia
con le
stesse note delicate con cui aveva cominciato. Terminò nel
più
completo silenzio. Tutta la campagna sembrava essersi zittita in
onore dei morti. Ocean rimase per qualche altro secondo ferma nella
sua posizione, guardando le tombe, dedicando loro ancora tempo e
dolore, poi fece un sospiro e si voltò verso Max che
sentendosi
osservato cominciò subito a scodinzolare. Era sempre una
gioia
quando Ocean gli dedicava qualche attenzione.
La
ragazza si inginocchiò e accarezzò il suo
compagno sorridendo
teneramente << E' ora di andare >> disse.
Si voltò di
nuovo verso le tombe, questa volta sorridendo teneramente, prese un
po' di terra da vicino ai suoi piedi e allungando una mano la fece
cadere delicatamente sopra la tomba che aveva di fronte, in un ultimo
gesto funebre. Un modo per dare il proprio addio.
<<
Andiamo. >> disse alzandosi in piedi, riprese Peggy per
le
redini e si avviò verso il confine esterno, da dove poi
avrebbe
ricominciato la sua avventura solitaria, fino a quando il destino
glielo avrebbe permesso. E si sarebbe di nuovo lasciata andare nelle
sue mani e lui avrebbe deciso quando e come sarebbe morta e avrebbe
raggiunto chi già da tempo non toccava più quel
suolo.
Stava
camminando a piedi, concedendo a Peggy un po' di leggerezza, non
voleva approfittare di lei: fin tanto che riusciva a camminare da
sola lo avrebbe fatto. E poi aveva proprio bisogno di sgranchirsi un
po' le gambe, in quei giorni si può dire avesse poltrito
abbastanza,
camminare le faceva bene. Si allontanò dalla fattoria
cercando di
ignorare lo stato di vuoto che andava formandosi sempre più
dentro
di lei, ad ogni passo lasciava un granello dietro sè, come i
piccoli
Hansel e Gretel. Una parte di lei sentiva era la cosa sbagliata, una
parte di lei sentiva di voler restare lì con loro, sentiva
di aver
bisogno del calore umano. Ora che l'aveva riprovato sentiva che le
piaceva, e le mancava. Ed era la stessa parte di lei che si sentiva
in colpa per essersene andata così, senza dire niente a
nessuno,
sparendo semplicemente dalla circolazione, chiedendosi cosa avrebbero
detto quando sarebbero andati a cercarla. Sperava che avrebbero
reagito con l'indifferenza, sarebbe stato meglio per tutti quanti. E
per Carl...beh, se ne sarebbe fatto una ragione! In fondo non era poi
così male che si raffreddasse un po', l'avrebbe aiutato a
sopravvivere.
Risalì
un piccola collinetta e solo quando fu quasi in cima riuscì
a
scorgere inginocchiato sotto un muretto diroccato, ad affilare
ramoscelli, una figura fin troppo familiare: Daryl. Che diavolo ci
faceva così lontano dalla fattoria? Poco importava! Non le
interessava, e sicuramente anche lui non si sarebbe interessato del
suo passaggio. Anzi, probabilmente avrebbe festeggiato.
E
sotto queste considerazione Ocean decise di ignorare la sua presenza
e continuare per il suo cammino, anche se voleva dire passargli
accanto. E come immaginava non la degnò neanche di uno
sguardo
quando passò davanti a lui.
O
forse aveva parlato troppo presto.
<<
Te ne vai? >> disse lui senza alzare gli occhi dal suo
ramoscello su cui si stava accanendo particolarmente.
Ocean
si fermò dov'era, neanche un metro oltre il ragazzo, e lo
guardò
solo con la coda dell'occhio, senza voltare completamente il volto.
<<
E' stato un piacere conoscervi. >> si limitò a
dire,
risultando poco convincente perfino a se stessa.
<<
No, non è vero. >> disse lui con un leggero
sforzo nella voce,
ancora intento nel suo lavoro.
Ocean
fece spallucce, senza rispondere, ma facendo intuire al ragazzo i
suoi pensieri "poco importa", e riprese a camminare. Solo
allora Daryl alzò il volto e la guardò, provando
un evidente senso
di fastidio. Già si odiava per quello che stava per fare.
Sospirò e
si alzò in piedi << Non dovresti.
>> disse evidentemente
scocciato. Ocean si fermò di nuovo ma questa volta si
voltò a
guardarlo e inarcando un sopracciglio, assumendo un espressione
palesemente sorpresa, disse semplicemente << Prego?
>>
invitando il ragazzo a spiegarsi meglio. Forse aveva capito male.
Anzi, sicuramente aveva capito male! Stava cercando
di...fermarla?!?!?!
<<
Con noi saresti più al sicuro. >> si
giustificò lui.
<<
Oh certo, e poi il tuo fidanzatino sarebbe contrariato non è
vero?
Lo fai per Rick, non fare il finto perbenista! So benissimo che di
me non te ne frega niente. >>
<<
La smetti di offendere? Non sei simpatica. >> disse Daryl
scocciato, evitando di rispondere a tono alla provocazione.
<<
Non ho intenzione di esserlo, soprattutto con te. >>
<<
Come ti pare. >> disse Daryl con un gesto scocciato e
tornò a
sedersi << Ma non dovresti andartene. >>
<< Oh,
beh. Grazie per l'informazione. >> rispose Ocean
caricando la frase di sarcasmo. Fece un finto sorriso e
tornò a ripercorrere la strada che aveva cominciato,
ignorando completamente il suggerimento del ragazzo, che aveva provato
a fare "il suo dovere", ma l'orgoglio e soprattutto la rabbia che gli
ribolliva nelle vene in quel momento gli avevano impedito di essere
più convincente di così. Ocean aveva ragione, lo
faceva soprattutto per Rick, sapeva quanto era stato felice di vedere
suo figlio giocare con quel cane e sapeva anche lui che un sorriso di
un bambino in momenti così difficili era oro puro. Ma era
anche vero che alla fine la ragazza era sopravvissuta fino a quel
momento per puro miracolo, e andarsene voleva dire morire. Non ce
l'avrebbe fatta a lungo, di questo era certo. Era un'imbranata, non
poteva che far conto sulla sua fortuna che prima o poi le avrebbe
voltato le spalle. La guardò che se ne andava: l'avrebbe
davvero lasciata andare? Non era suo dovere! Nessuno gli aveva detto
tieni al guinzaglio la ragazza, quindi se lei se ne andava e Carl
tornava a essere il ragazzino freddo che stava diventando non era certo
responsabilità sua. Anzi, aveva fatto fin troppo! E anche se
la ragazza fosse morta non era responsabilità sua! Lui
l'aveva avvertita, cavoli suoi se non l'aveva ascoltato.
- Ma qualcosa dentro lui
non trovava pace. Una specie di senso del dovere e della giustizia, la
parte di sè che continuamente nascondeva, la parte di
sè che l'aveva portato ad essere il braccio destro di Rick,
la parte di sè che l'aveva spinto sempre oltre nella ricerca
di Sophia. Era odiosa, ma gli attorcirgliava le budella.
- Decise di ignorarla,
continuando a ripetersi che non era responsabilità sua e non
erano cose che lo riguardavano. E osservò la ragazza
inoltrarsi nel bosco, lasciando definitivamente la fattoria.
- Affari suoi, continuava a
ripetersi.
- Sarebbe morta. Cavoli
suoi! Lui l'aveva avvertita. Cavoli, com'era testarda e antipatica
quella ragazza! Era una delle donne più fastidiose e
rompiscatole della terra, incredibile come il destino abbia voluto
risparmiare una delle peggiori. Fece un altro taglio al suo bastoncino
serrando la mascella.
- E alla fine
sbuffò << Vaffanculo! >> disse
lanciando il legnetto e si alzò in piedi. Prese in spalla la
sua balestra, qualche freccia improvvisata e la seguì. Non
la vedeva già più, si era allontanata molto, ma
sarebbe bastato seguire le tracce del suo cavallo che erano le
più visibili e non avrebbe fatto fatica a ritrovarla.
<<
Ha cercato di fermarmi. >> disse Ocean parlando con i
suoi
animali, cosa che faceva spesso quando era sola. Non le piaceva stare
completamente in silenzio, e da quando era rimasta sola esprimere a
voce alta i suoi pensieri era diventato più facile: gli
unici
ascoltatori erano i suoi animali, e loro non giudicavano. Loro erano
sempre dalla sua parte.
<<
Vi rendeto conto? >> disse ancora accennando una risata
divertita << Non vedeva l'ora di mandarmi via, e poi
cerca di
impedirmelo. Ma che problemi ha quel ragazzo? >> e come
se
davvero stesse partecipando alla discussione Peggy sbruffò.
<<
Si, ha ragione. >> disse Ocean interpretando il suono
della
cavalla a modo suo << Dev'essere stato in passato uno di
quei
ragazzi disgraziati che vivono...che so'...in qualche roulotte con
zii delinquenti che lo malmenavano e sfruttavano, senza genitori
perchè assassinati e roba del genere. Lo si vede dai suoi
modi di
fare, di parlare e anche vestire. >> si voltò
a guardare Max e
sogghignò divertita << Lui è un
duro! >> disse ironica
e aggiunse una risata prima di tornare a guardare davanti a
sè. Solo
alberi, cespugli e arbusti, niente di nuovo. Non aveva idea di dove
si stava dirigendo, seguiva una direzione senza sapere dove portasse,
tanto prima o poi da qualche parte sarebbe sbucata.
<<
Carino però. >> proseguì ammiccando
tra sè e sè e assumendo
un espressione vagamente maliziosa << Come al solito il
destino
si diverte a prendersi gioco di te: ti piazza di fronte un bel tipo,
dopo tanto tempo di completa solitudine e astinenza, palestrato,
figo, occhi del cielo e un culo che parla....ma più stronzo
di
tutti gli stronzi che potevano esserci al mondo, e l'unico istinto
che ti scatena dentro non è l'ormone ma la furia omicida.
Che palle,
eh? >> disse ancora voltandosi a guardare Max, che
rispose
ancora alle attenzioni della padrona con una scodinzolata e
un'espressione allegra.
<<
Bon per te, caro Max, che tanti problemi non ne hai. Ti accoppi
seguendo l'istinto del momento, e poi via...chi si è visto
si è
visto. Tanti saluti. Bella vita quella da cani. >>
continuò a
parlare, non riuscendo proprio a stare zitta, e scostò un
ramo di un
albero che era caduto in mezzo alla via e che gli impediva di vedere
ciò che c'era davanti a lei. Si fermò e
guardò la sua nuova
scoperta: una chiesa. La zona sembrava tranquilla, non sentiva rumori
di zombie e non ne vedeva in lontananza, benchè il bosco
riprendesse
subito oltre. Era solo una piccola valle quella che aveva scoperto,
con una chiesa nel centro.
<<
Che cacchio ci fa una chiesa qui in mezzo al nulla? >> si
chiese inarcando un sopracciglio, restando immobile nella sua
posizione e continuando a studiarla. Come tutte le cose
ultimamemente, anche lei sembrava abbandonata a diroccata.
<<
Bah. Che strani sti americani. >> fece spallucce e si
avvicinò
alla struttura << Diamo un'occhiata, magari proprio
perchè qui
in mezzo al nulla non è stata saccheggiata e riusciamo a
trovare
qualcosa di utile. >> Non c'erano staccionate o pali
nelle
vicinanze, così legò Peggy a un albero
lì vicino, ma distante un
paio di metri dall'entrata, e insieme a Max si avvicinò al
portone
d'ingresso. Sfoderò la sua spada, preparandosi ad un
eventuale
faccia a faccia. Il cuore cominciò a pulsarle nel petto, era
stata
solo due giorni in piena tranquillità ma sembrava passata
una vita,
e già si era dimenticata cos'era la paura. Non era
più abituata a
quell'adrenalina. Max si mise sull'attenti e cominciò come
suo
solito a fiutare l'aria, pronto ad avvertire la sua padrona qualora
ci fosse qualche problema. Si avvicinò all'entrata della
chiesa e
abbassò il muso all'altezza dello spiffero sotto la porta,
annusando
l'interno. Fece un piccolo ringhio, ma che Ocean non
interpretò come
certezza assoluta. Più volte Max si era sbagliato,
soprattutto negli
spazi chiusi: l'aria era pregna di morte, non sempre era facile
distinguere gli zombie dai semplici cadaveri.
Daryl
non fece fatica a seguire le tracce, era molto più semplice
che
seguire quelle di Sophia: il cavallo aveva il passo pesante, lasciava
sul terreno orme inconfondibili. E un attento osservatore poteva
riuscire a scorgere vicino a essere anche tracce di stivali, marcate
tanto quasi quelle del cavallo. La ragazza aveva il passo pesante,
non proprio una donzella leggiadra. Infondo più volte aveva
appurato
e aveva avuto di fronte l'evidenza: Ocean aveva la
femminilità di un
camionista. L'unico momento in cui aveva avuto la conferma che era
una donna (perchè sì, con un atteggiamento simile
aveva addirittura
dubitato a volte, benchè i lineamenti affermassero il
contrario) era
stato quando quel pomeriggio aveva girato in gonnella. Per un attimo
aveva avuto come l'impressione di vedere in lei qualcosa che fosse
veramente suo, e non fosse solo un'armatura. Perchè l'aveva
notato
subito, si vedeva lontano un miglio, che quella era solo una
maschera, un'apparenza, e che in realtà nascondeva qualcosa
dentro
lei. C'erano cose che non erano state mostrate e che lei proteggeva
scrupolosamente, ed era stato uno dei motivi per cui non si era
fidato molto. Poteva essere qualsiasi cosa, e se qualcuno aveva dei
segreti rischiava di essere una minaccia per il gruppo. Ma
ciò
nonostante non era sicuro che quello che Ocean nascondeva fosse
qualcosa di malvagio. Dale, che tra tutti era quello che riusciva a
vedere meglio dentro le persone, aveva detto qualcosa la prima sera
di permanenza di Ocean, quella dove aveva rifiutato l'aiuto di Andrea
e se n'era andata, qualcosa che gli aveva messo in moto dei pensieri.
Shane
era stato il primo a commentare il gesto della ragazza con parole
poco carine, considerandola una possibile minaccia e suggerendo, tra
le varie cose, di ucciderla nella notte così via i problemi
e il
cane sarebbe potuto rimanere con Carl. Proposta che ovviamente non fu
accettata da nessuno nel gruppo, ancora legati alla loro
umanità.
Proposta che a Daryl non importava molto: se il gruppo avesse deciso
di farla fuori lui l'avrebbe fatto, se il gruppo avesse deciso di no
allora si sarebbe comportato di conseguenza. Non gli importava, e poi
era Rick che prendeva le decisioni e lui le aveva sempre rispettate e
condivise.
Ma
Dale....Dale che poco parlava ma quando lo faceva ciò che
diceva
valeva più di mille discorsi, Dale che sempre vedeva dove
altri non
riuscivamo, disse << Avevo trovato un gatto
così una volta.
Scappava, soffiava e graffiava chiunque provava ad avvicinarsi, e si
era fatto una cattiva reputazione nel quartiere, da tutti considerato
feroce e pericoloso. La verità è che l'unica
volta che quel gatto
aveva provato ad avvicinarsi ad un umano, da cucciolo, nella speranza
di ricevere carezze e magari un po' di cibo, dei ragazzini l'avevano
legato per la coda e avevano provato a usarlo come esca per la pesca,
buttandolo nel fiume. >>
<<
Penso anche io che non sia cattiva. E' solo un brutto periodo.
>>
aveva confermato Carol, l'unica che tentava sempre di avvicinarsi
alla ragazza nel tentativo di avvicinarsela un po'. Credeva che
nessuno meritasse di restare solo, e che anche lei avesse bisogno di
un'amica anche se sembrava così schiva.
I
discorsi di quella sera non l'avevano portato a rivalutare la
ragazza, la considerava ancora una grandissima rompiscatole e non
poteva sopportarla, credeva che tutte quelle attenzioni fossero
eccessive, ma avevano un po' acceso la sua curiosità e
l'avevano
portato a pensare che se il gruppo voleva darle una
possibilità lui
avrebbe fatto altrettanto. Chissà che magari non avesse solo
bisogno
di essere sbloccata e calmata. Come quel gatto. Come lui stesso.
Era
stato questo il motivo per cui quella notte, sentendosi lievemente
dispiaciuto per averla trattata male quel pomeriggio, le aveva fatto
le frecce. Era una specie di armistizio, un gesto che simboleggiava
il suo "proviamo a venirci incontro".
Ma
aveva ancora avuto la conferma che era una matta rompiscatole la
mattina dopo quando era andata da lui sbraitando come una matta.
L'istinto di strozzarla era stato forte... ma era riuscito a
trattenersi.
E
anche in quel momento continuava a chiedersi chi glielo stesse
facendo fare. Perchè doveva correrle dietro, cosa meritava?
Perchè
rischiare la vita per una rompiscatole che aveva già deciso
il suo
destino? Continuò a sbuffare più volte,
scocciato, ma proseguendo e
deciso a trovarla e riportarla indietro.
Riconobbe la strada,
l'aveva già percorsa quando cercavano Sophia e
intuì dove potesse
essersi fermata Ocean: probabilmente era arrivata alla chiesa, e
probabilmente stava cercando lì qualche scorta.
Perciò, dato che
era vicino, lasciò perdere le tracce ormai quasi sicuro di
sapere
dove portassero e proseguì abbastanza spedito.
Si fermò di
colpo dietro un albero!
La
chiesa stava per essere presa d'assedio dagli zombie. Li vide pochi
metri più indietro, era uno sciame che si dirigevano verso
la
struttura, probabilmente attirato dal rumore che il cavallo faceva
sbruffando nervosamente e tirando zoccolate in terra. O forse
attirati dall'odore.
Cercò
di non farsi vedere dallo sciame e guardò la piccola valle e
la
chiesa: c'era solo la cavalla legata a un alberello. Il resto era
deserto. Probabilmente Ocean era dentro con Max.
Daryl
aveva poco tempo per riflettere e prese decisioni mosse dall'istinto:
corse verso la chiesa con la balestra puntata davanti a sè,
nel caso
fosse sbucato qualche zombie imprevisto. Il portone era aperto. Si
piantò con le spalle allo stipite, si preparò
psicologicamente,
ascoltò i rumori provenire dall'interno, e si
girò di colpo,
rivolgendo lo sguardo all'interno e puntando la balestra sempre
davanti a sè, pronto a sparare. Si guardò attorno
velocemente, e
cominciò ad avanzare cercando di essere il più
rapido e silenzioso
possibile. Perfino Gesù in croce, che fino a poco tempo
prima era
fonte di tranquillità e pace, ora trasmetteva paura. Era
diventato
un luogo così macabro.
<<
Ocean! >> chiamò cercando di non alzare troppo
la voce, ma
l'eco la fece sembrare assordante. La cavalla fuori nitrì
nervosa,
si agitò e alla fine Daryl sentì il rumore delle
redini spezzate.
Corse di nuovo all'entrata, controllando fuori, e come immaginava
vide lo sciame avvicinarsi velocemente: il rumore di Peggy aveva
messo fretta nei loro piedi zoppi. Ma la cavalla si sarebbe salvata:
con un colpo di collo mosso dal terrore aveva spezzato le redini e
ora stava fuggendo via. La stessa sorte probabilmente non sarebbe
toccata a loro! Cercò di ragionare velocemente, aveva poco
tempo,
gli zombie l'avevano visto e stavano correndo (per quanto potessero
correre) verso di lui. Fece l'unica cosa che al momento gli sembrava
sensata: spingendo di spalle il portone lo chiuse e cercò di
bloccarlo provvisoriamente con una trave lì vicino. Si
allontanò di
un paio di passi, osservando la porta che cigolava e si inarcava a
ogni colpo subito dall'esterno.
Doveva
sbrigarsi a trovare Ocean, non avrebbe retto molto, loro sarebbero
poi usciti dal retro. Maledetta ragazza, in che guaio l'aveva
cacciato!! Impugnò di nuovo la balestra e dando le spalle
alla porta
ripercosse il corridoio formato dalle panche, avvicinandosi
all'altare e tornò a guardarsi attorno, a cercare la matta.
Vide
sulla sinistra una porta, probabilmente di quelle che davano agli
alloggi del prete, e vi entrò velocemente puntando la
balestra ad
ogni angolo. Percorse un piccolo corridoietto, poi entrò in
un'altra
porta aperta sulla destra e lì trovò la ragazza
china nella
dispensa che scartava barattoli vuoti. Max lo sentì subito e
si
voltò a guardarlo, ma riconoscendo la figura non emise
suono. Ocean
dal canto suo era troppo presa a scegliere il pranzo per accorgersi
della presenza nella stanza e Daryl ebbe di nuovo conferma dei suoi
pensieri: era solo fortuna se era ancora viva. Se non fosse arrivato
lui a quell'ora lei sarebbe stata attaccata da uno degli zombie che
si trovava all'esterno, e neanche se ne sarebbe accorta fino a quando
non avrebbe sentito il dolore del morso. Alzò gli occhi al
cielo e
fece un passo avanti per mettere una mano sulla spalla alla ragazza.
Voleva la sua attenzione ma senza troppi rumori: c'era una finestra
lì vicino, se gli avessero sentiti sarebbero potuti entrare
anche da
là. Ma la mano non arrivò alla spalla: il piede
di Daryl sul
parquet in legno quasi marcio lo fece cigolare. Ocean
sussultò e
gridò << Oddio!! >> , si
voltò velocemente e tirò un
barattolo che aveva tra le mani contro chi gli stava alle spalle,
colpendo Daryl dritto in fronte, che rispose con un istintivo
<<
AHI! >>, anche abbastanza incazzato. Ocean,
arrancò, perdendo
l'equilibrio, e cadde all'indietro fece uno strike di barattoli degno
del campione di Bowling, facendosene cadere anche qualcuno in testa
dai ripiani più alti.
E
meno male Daryl voleva puntare sul silenzio.
<<
Mi hai colpito!! >> disse Daryl incazzato a Ocean. Che
diavolo
le diceva la testa?
<<
Sei matto? Mi hai fatto morire di paura!! >>
gridò Ocean in
risposta alle accuse del ragazzo.
<<
Sono venuto ad aiutarti! >> brontolò ancora
Daryl, nero di
rabbia. Perchè diavolo doveva essere sempre così
ingrata!
Ocean
aprì la bocca con tutta l'intenzione di rispondere ancora,
incazzata
a sua volta per averla presa così di spalle, ma degli zombie
bussarono amichevolemente alla finestra interrompendo il loro
sproloquio di gentilezze e carinerie. Ocean si alzò in piedi
di
scatto, afferrando di volata le sue cose e la sacca con i 3 barattoli
di numero raccolti e seguì Daryl che già era
uscito nel
corridoietto.
<<
Dobbiamo uscire dal retro! Il portone d'ingresso è
infestato. >>
<<
Potevi avvertirmi che ti eri portato dietro degli amici!
>>
Ocean cercò di smorzare la tensione con qualche battuta di
spirito,
ma al momento Daryl non era dell'umore adatto per ridere. Anzi le
trovò abbastanza fastidiose.
Sentirono
altri rumori provenire dalle loro spalle, dall'interno della chiesa,
segno che gli zombie erano riusciti a buttar giù la porta
marcia ed
erano entrati. Questo metteva loro una certa fretta.
<<
Dov'è il retro? >> chiese Ocean guardando le
porte che aveva
intorno. La chiesa era piccola, ma di stanze ce n'erano almeno 4 e
probabilmente alcune erano solo sgabuzzini.
<<
Non lo so. >> disse Daryl guardando le porte intorno a
lui,
indeciso su dove tentare la fortuna.
<<
E come sai che lì non ci sono zombie? >>
chiese ancora Ocean.
<<
Vuoi stare zitta? Sto cercando di pensare! >> si
innervosì
Daryl volgendole uno sguardo di fuoco.
<<
Non parlarmi così, sai? >> si
innervosì anche Ocean
puntandogli un dito contro. Ma ancora una volta furono interrotti da
zombie che pian piano entrarono nel corridoio. Daryl puntò
la
balestra contro il primo di loro e lo buttò giù
al primo colpo.
Ocean sfoderò la spada e andò loro incontro:
l'entrata del
corridoio era stretta per fortuna, sarebbero stati costretti ad
entrare poco per volta, aveva modo di gestirli, e così fece.
Con un
affondo perforò la testa del secondo e subito, dandosi una
spinta
col piede, cercò di sfilare via la spada per colpire il
terzo vicino
a lui.
<<
Aprine una a caso, no?? >> gridò Ocean
impegnata a cercare di
tenersi in vita. Daryl avrebbe voluto evitare quel gesto, non sapeva
cosa ci fosse dietro le porte e rischiavano di andare dalla padella
alla brace, ma la situazione era tragica. Un rumore di vetri rotti
fece capire loro che la finestra nella stanza accanto era stata
sfondata e presto si sarebbero trovati sopraffati.
<<
E va bene. >> sospirò tra sè e
sè Daryl pregando nella sua
fortuna. Sparò un'altra freccia a uno degli zombie che Ocean
aveva
davanti per aiutarla, poi afferrò il primo pomello che aveva
accanto
e l'aprì. Ocean vide zombie arrivare da dentro la stanza, di
fianco
a lei, poco più indietro e capì che non poteva
restare lì o
sarebbe stata circondata. Si voltò e corse dietro, verso il
ragazzo,
pronta a seguirlo verso l'uscita, ma dovette inchiodare e arretrare
di un passo mentre Daryl cercava di richiudere la porta.
<<
Merda! Anche l'uscita sul retro è infestata.
>> constatò
Daryl.
<<
Ma quanti ce n'è? >> chiese disperata Ocean
buttando giù uno
zombie che li aveva raggiunti. Daryl aprì un'altra porta, di
fianco
a loro, pregando fosse libera: aveva bisogno di una via di fuga! La
stanza dentro era completamente buia e dentro sembrava esserci solo
uno zombie che stava già correndo verso loro. Daryl lo
buttò giù
con una freccia. Max non si trattenne e cominciò ad abbaiare
preso
dal panico, forse in un disperato tentativo di riuscire a spaventarli
e cacciarli via, poi si infilò tra le gambe del ragazzo ed
entrò
nella stanza appena libera. Daryl afferrò Ocean per un
braccio e la
trascinò dentro sbrigandosi a chiudere la porta alle sue
spalle.
Ocean, ripresa dal frastornamento dell'essere stata tirata e
spintonata, si scagliò contro la porta aiutando Daryl a
chiuderla
contrastando la forza degli zombie dietro che spingevano e
allungavano braccia nella fessura d'entrata per riuscire ad afferrare
le prede. Max li guardò agitato e continuò ad
abbaiare contro i
loro aggressori, ringhiando, mostrando i denti e simulando attacchi.
<<
Max, se ti azzardi a morderli ti prendo a calci in culo!
>> lo
ammonì Ocean storpiando le parole per colpa della fatica.
Finalmente, dopo tanti sforzi, riuscirono a vincere le deboli forze
che c'erano all'esterno e chiusero la porta, che Ocean si
sbrigò a
chiudere con delle mandate di chiave.
<<
Una chiave! Ingegnoso. >> disse con finto stupore la
ragazza, sempre con
un pizzico di sarcasmo, rivolta al metodo di sicurezza trovato.
Chissà perchè nei film horror non ci pensavano
mai a chiudere le
porte a chiave invece che usare travi mezze marce.
Ocean
si lasciò cadere a terra per riprendere fiato: non si era
mai
trovata a fare così tanta fatica prima di quel momento.
Daryl, che
non si sentiva del tutto sicuro, si guardò
attornò con la balestra
puntata al vuoto: la stanza era completamente buia, era difficile
distinguere dove si trovassero. Sperava di non essersi messo nei guai
da solo. Max, anche lui ancora nervoso per la situazione,
cominciò a
scrutare la stanza e ad annusare l'aria e il pavimento, controllando
che non ci fosse qualche pericolo. Il posto sembrava tranquillo, se
mai ci fosse stato uno zombie a quell'ora sarebbe già
saltato
addosso al gruppetto, ma questo pensiero nacque solo nella mente di
Ocean.
Daryl
cominciò a camminare, andando un po' a tentoni data
l'oscurità e
sperando che la sua vista si abituasse quanto prima. Riuscì
a
trovare solo scaffali pieni di ragratele e robaccia. Ocean prese la
sua sacca e cominciò a rufolarci dentro, anche abbastanza
rumorosamente, dando sui nervi a Daryl, fino a quando non
trovò
quello che stava cercando.
<<
Forse così andrà meglio. >> disse e
accese un fiammifero. La
luce era minima, ma gli permetteva di vedere almeno ciò che
la
circondava. Si alzò in piedi alzando il fiammifero sopra la
sua
testa, sperando di vedere meglio e anche lei cominciò a
girovagare
per la stanza che si dimostrò molto più piccola
di quello che
credeva. Tempo pochi secondi il fiammifero bruciò tanto da
arrivare
alle sue dita e Ocean lo lasciò cadere a terra con un
<< Ahi!
>>.
Si
ciucciò il dito bruciato, poi ne prese un altro e lo accese,
continuando nella sua perlustrazione. Daryl le si era affiancato,
sfruttando anche lui la luce del fiammifero.
<<
Sai, questo mi ricorda tanto un libro di Stephen King. >>
disse
Ocean prima di lasciar cadere a terra il secondo fiammifero dopo
essersi bruciata ancora nel tentativo di sfruttarlo al massimo.
<<
Dei ragazzini quando scendono dentro una fogna per cercare It usano
lo stesso metodo per farsi luce. Anche la presenza di mostri direi
che è pertinente. >>
<<
Ma tu non stai mai zitta? >> brontolò Daryl.
Non sopportava
più la sua voce e il suo voler sdrammatizzare. Erano nei
guai!
Dovevano uscire di lì e quella pensava ai libri!
Ocean
lo guardò male e spense il fiammifero che aveva in mano con
un
soffio proprio vicino alla sua faccia. Così, giusto per
infastidirlo. Era odioso!
<<
Li ho finiti. Mi dispiace. >> disse acida poi.
<<
Comunque sembra siamo finiti dentro uno sgabuzzino. Farebbe comodo un
po' di luce per vedere se c'è qualcosa tra questi scaffali
che può
servirci. >>
<<
Arrangiati. Cerca da solo. Io me ne starò zitta qui
nell'angolo,
così non sarò più un impiccio a sua
Maestà. >> brontolò
Ocean. Era rimasta palesemente offesa da ciò che Daryl le
aveva
detto e ora stava facendo l'orgogliosa.
<<
Guarda che è colpa tua se ci troviamo in questo casino!!
>> brontolò ancora Daryl, scocciato
dall'atteggiamento infantile della
ragazza. Non stava prendendo sul serio la situazione! Sembrava che
niente fosse preso sul serio da quella ragazza. Meritava di finire in
pasto agli zombie, così magari si sarebbe svegliata un po' e
avrebbe
cominciato a dare il giusto peso alle sue azioni.
<<
Colpa mia? >> brontolò Ocean alzando la voce
di un'ottava.
Cosa che non piacque agli zombie fuori dalla porta che cominciarono a
far di nuovo casino e cercare di buttarla giù.
<<
Chiudi quella bocca!! >> brontolò ancora Daryl
cercando di
sussurrare, benchè l'istinto fosse quello di urlare. La
porta era
chiusa, era vero, ma con una giusta forza avrebbero potuta buttarla
giù, e allora non avrebbero avuto speranze.
<<
Sei tu che sei venuto a rompere le scatole! >>
proseguì Ocean
cercando di risultare minacciosa nonostate stesse sussurrando.
<<
Se non venivo io quelle cose là fuori a quest'ora ti avevano
spolpata per bene! >> brontolò ancora Daryl
avvicinando il suo
volto a quello della ragazza per risultare ancora più
minaccioso.
Che voglia aveva di prenderla a sberle!
<<
Se tu non mi facevi prendere quel colpo non avrei fatto rumore, Max
avrebbe fiutato il pericolo e io a quest'ora sarei già fuori
a
cavalcare sulla mia.... >> improvvisamente si
ricordò <<
Oh, no!! Peggy!!! >> si allarmò assumendo il
panico nella
voce.
<<
La tua cavalla sta bene. E' scappata. >> disse Daryl
semplicemente, prima di voltarsi e tornare a studiare gli scaffali
con quel poco di visibilità che aveva e cercando di
affidarsi al
tatto. Voleva rassicurarla, ma era troppo arrabbiato al momento per
cercare di essere pacato, e tutto ciò che diceva risultava
minaccioso e incazzato. Ocean tirò un sospiro di sollievo,
ma non
disse altro. Piano piano stava cominciando a realizzare: era bloccata
in uno sgabuzzino, con fuori un'orda di zombie che mai le avrebbero
permesso di scappare. Era in trappola..se non fosse morta mangiata,
sarebbe morta di fame o di sete.
<<
Forse ho trovato qualcosa. >> comunicò Daryl
con tono pacato,
come se la cosa avesse poca importanza. E forse era così.
Come
sarebbero usciti da lì?
Ocean
sentì armeggiare e poi vide una fioca luce che dapprima
l'accecò,
poi una volta abituata riuscì a riconoscere l'oggetto che
aveva in
mano Daryl: una lampada elettrica da giardino.
<<
Speriamo duri abbastanza la batteria. >> disse ancora
Daryl
forse più a se stesso che alla ragazza e finì il
suo giro di
perlustrazione sfruttando la piccola luce trovata. Ocean si
avvicinò
al muro e si lasciò cadere a terra, seduta, poggiando la
schiena.
Max le si avvicinò e le si accucciò accanto. Era
agitato e
impaurito anche lui, ma sapeva che c'era ben poco da fare,
così si
stese vicino alla sua padrona, stringendosi a lei per ricevere
coccole, calore e conforto. E Ocean non mancò alle
aspettative:
aveva anche lei bisogno di conforto. Ora che l'adrenalina andava
scemando lasciava spazio al sentimento peggiore di tutti: la paura.
Non fece niente per cercare l'uscita, al momento era demoralizzata,
stanca e troppo giù per pensare che forse ci sarebbe stato
un modo
per scappare. In qualche modo, anche se mai l'avrebbe riconosciuto a
se stessa, si mise nelle mani di Daryl e aspettò fosse lui a
trovare
una soluzione. Non per malafede, non per cattiveria o per prigrizia,
semplicemente stava perdendo di coraggio e di forza di
volontà....e
in qualche modo, in una maniera tutta sua, si fidava di Daryl e
sapeva che se mai ci fosse stata una possibilità per loro,
lui
l'avrebbe trovata. Era una persona forte. Questo non era da negare. E
le aveva salvato la vita, anche se questo l'avrebbe negato molto
volentieri.
Lasciò
la testa ricadere in avanti e sentì come un calo di
pressione:
l'adrenalina aveva avuto un calo spaventoso e troppo velocemente,
lasciandole dentro solo tanta debolezza. Gli occhi si annebbiarono,
la testa le girò e con un ultimo sospiro si
lasciò andare e si
addormentò...o forse svenne. Non seppe mai qual'era delle
due cose.
Angolino
Autrice :P
Niente....volevo solo aggiungere un info
(importantissimissima!!!! u.u)
Ho messo un'immaginetta a inizio storia, nel capitolo "Presentazione"
^_^
Perchè è importantissimissima? Perchè
c'ho perso un'intera mattina a farla!!!! xD e dato che
è il mio primo lavoro in Photoshop, e che mi sembra venuto
vagamente decente, ne vado orgogliosamente fiera! Indi per
cuiii...tutti a vedere l'immagine!!!!
E per i pigri la inserisco qui xD
|
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Capitolo 11 *** Armistizio. ***
Armistizio
Daryl
aveva ormai perlustrato ogni centimetro di quel minuscolo loculo in
cui erano finiti, ed era giunto alla conclusione che le
possibilità
di uscire da quel casino erano davvero scarse, ma non nulle. Un buon
piano avrebbe potuto salvarli. Bisognava solo trovarlo.
Spense
la piccola lampada da giardino per evitare che si consumasse
completamente, gli sarebbe stata utile più tardi, e si
sedette
vicino ad Ocean a riposare e aspettare che si svegliasse. La ragazza
era decisamente imbranata, e probabilmente aveva avuto un crollo di
energia spropositato tale che non solo si era addormentata
all'istante, ma era scivolata con la schiena contro il muro ed era
caduta di faccia a terra. La cosa però non l'aveva
disturbata, e
aveva continuato a dormire. E se non era riuscita a svegliarla una
musata allora voleva dire che neanche un paio di scrollate e richiami
avrebbero funzionato, perciò avrebbe aspettato. Tanto
lì dentro al
momento erano al sicuro, non aveva fretta di andarsene, e Ocean aveva
bisogno del suo tempo per riprendersi. Così avrebbe avuto
tempo
anche di pensare con calma e silenzio per trovare un piano.
Si
sedette vicino alla sua testa, con la schiena poggiata al muro, un
ginocchio sollevato e un braccio poggiato sopra esso, penzoloni,
rilassato. Poggiò la balestra vicino a lui, tirò
un sospiro
cercando di rilassarsi anche lui e chiuse gli occhi in cerca di
concentrazione, tanto la stanza era completamente buia, a malapena
riusciva a vedere oltre al suo naso, quindi non c'era vantaggio a
tenere gli occhi aperti. Non aveva un piano ancora, non era riuscito
a pensare a niente di sensato che non fosse "corriamo fuori e
spariamo a tutto quello che abbiamo davanti" perchè in
quelle
condizioni non riusciva a trovare altra aternativa. Lasciò
cadere la
testa all'indietro, sospirando e chiedendosi ancora una volta chi
glielo avesse fatto fare. Tese le orecchie ad ascoltare i suoni che
lo circondavano, cercando di distinguerne la provenienza, utilizzando
quel metodo come una specie di mappatore per capire chi si trovasse
dove e cosa c'era la fuori. Più volte si era affidato solo
al suo
udito, soprattutto quando andava a caccia, ed esso non l'aveva mai
tradito. Era più facile anzi che a tradirlo fossero gli
occhi. Non
si fidava dei suoi occhi, questo l'aveva imparato col tempo, anche se
magari poteva essere difficile da credere visto che era un
balestriere e puntava tutto sulla vista.
Improvvisamente
udì un rumore sospetto all'interno della loro stanza e
spalancò gli
occhi: aveva sentito una voce. Allungò una mano
già pronto a
riaccendere la lampada, tendendo le orecchie e sforzandosi di
guardare oltre all'oscurita. Chi aveva parlato? C'era qualcuno?
Qualcosa? Possibile non l'avesse visto prima? Che fosse lo zombie
morto che faceva loro compagnia dentro quello sgabuzzino con una
delle sue frecce conficcate in un occhio?
Ma
non ci fu bisogno di accendere la lampada perchè la voce si
ripetè
e questa volta ne capì subito la provenienza: Ocean accanto
a lui,
stesa nella sua scomoda posizione, bofonchiava parole a lui
incomprensibili, non solo per il tono troppo basso ma anche
perchè
non le riconobbe: stava parlando in una lingua che non conosceva.
<<
Neanche mentre dormi riesci a stare zitta. >> disse tra
sè e
sè tornando a rilassarsi e riportando a sè la
mano che era rimasta
tesa a mezz'aria. La ragazza parlava nel sonno, era increddibile!
Riusciva a essere fastidiosa anche mentre dormiva, e non era roba da
poco.
Ma
di nuovo aveva giudicato troppo presto. Non solo parole, ma anche un
lamento uscì dalle sue labbra. Daryl d'istinto
voltò la testa verso
lei, e per un istante ebbe come l'impressione di vederla anche
attraverso l'oscurità, raccolta in se stessa e tremolante.
Ma si era
sbagliato. La visiblità era decisamente troppo scarsa e
l'unica cosa
che scorgeva era un ombra confusa vicino a lui. Sentì poi
uno
spostamento d'aria e l'annusare del cane che era con loro avvicinarsi
al viso della ragazza. Un altro lamento, così simile a un
singhiozzo, ruppe il silenzio, smorzato, soffocato, ma, proprio per
questo suo voler restare celato, così curioso e profondo. Il
cane,
annusata la zona per trovare la padroncina, si lasciò cadere
con il
muso vicino al viso di Ocean, e il corpo stretto a lei, in un gesto
così naturale e automatico che mostrava tutta la sua
quotidianità.
Al contatto con Max Ocean smise di lamentarsi, e si mosse,
stringendosi di più al manto morbido del suo fedele amico.
Quante
altre volte Max aveva asciugato le sue lacrime la notte?
Daryl
vide di nuovo il gatto di Dale, immerso nell'oscurità,
raggomitolato
in un angolo, tremante e aggressivo nel suo allontanare chiunque,
anche le coperte che teneramente gli venivano offerte: avrebbero
potuto soffocarlo. O almeno questo era quello che lui credeva.
Allungò
una mano e la posò sulla testa arruffata del cane,
concedendogli due
carezze di gratifica, come se spettasse a lui premiarlo e rendergli
grazie. Ma probabilmente Ocean non sapeva neanche di doverlo fare.
A
svegliarla fu un forte mal di testa. Si sentiva confusa e
frastornata, e inizialmente si chiese se qualcuno non l'avesse
colpita alla testa. Cercò di aprire gli occhi facendo uno
sforzo che
poche volte si era ritrovata a fare e si massaggiò una
tempia: che
diavolo era successo? Non ricordava niente. Per quanto aveva dormito?
Aveva sognato...solo questo ricordava. Aveva sognato la lunga linea
dell'orizzonte al di là di un'immensa distesa d'acqua.
L'oceano.
Solo
questo ricordava.
Aggrottò
la fronte quando aperti gli occhi si trovò immersa
nell'oscurità.
Dove diavolo era? Cercò di guardarsi attorno senza successo
e si
sollevò su un gomito, sforzando la sua memoria a
riaffiorire. Una
lingua improvvisa e umidiccia sul suo volto le segnalò la
presenza
di Max al suo fianco. Questo bastava a tranquillizzarla almeno in
parte. Si pulì la saliva del cane con la manica della
camicia e finì
di tirarsi su, sedendosi, sperando di riuscire a vedere qualcosa una
volta abituata al buio, ma aveva fatto male qualche calcolo: lei era
già stata al buio, non poteva certo abituarsi più
di così.
Riusciva
a distinguere a malapena i contorni degli scaffali intorno a lei.
Voltò
poi la testa e vide una sagoma appoggiata al muro di fianco a lei.
Trasalì, non riconoscendola, e arretrò acquattata
com'era con una
fretta improvvisa, arrancando e gemendo.
<<
Stai calma! >> le disse Daryl, sorpreso della reazione
della
ragazza, mostrando i palmi e allungando un po' le mani verso lei. Per
un attimo credette di aver sentito un gatto soffiare, ma anche quello
era solo frutto della sua fantasia.
Si
sbrigò ad afferrare la lampada che aveva trovato e ad
accenderla per
permettere a Ocean di riconoscere il luogo e soprattutto lui: il
risveglio non era stato dei migliori, la ragazza era in un palese
stato confusionale. Se fosse stato colpa della botta in testa o dello
svenimento questo non seppe dirlo. La luce improvvisa accecò
gli
occhi di Ocean che si portò d'istinto una mano al viso per
proteggersi e arretrò ancora.
<<
Oh, che diavolo!! Spegni quell'affare! >> si
lamentò tornata
improvvisamente in sè. I ricordi stavano tornando piano
piano, ma
era riuscita a riconoscere subito la voce di Daryl dopo averla
sentita e questo le aveva permesso di far scattare il meccanismo che
la stava riportando lì, in quel luogo e in quel tempo.
<<
Stai bene? >> chiese Daryl più imbarazzato che
preoccupato e
spense nuovamente la lampada.
<<
Perchè diavolo mi hai colpita? >> chiese Ocean
con la voce
ancora impastata, ignorando la domanda del ragazzo.
<<
Colpita? Io non ti ho colpita! >>
<<
E allora chi è stato? Ero seduta a riposare, poi
all'improvviso non
ricordo nulla e adesso ho un gran mal di testa! Qualcuno deve avermi
colpita! >> disse ancora lei, mentre cercava di far
scrocchiare
qualche osso dolorante per la posizione scomoda in cui aveva dormito.
<<
Penso tu sia svenuta. >> disse Daryl un po' scocciato dal
fatto
che devesse darle giustificazioni.
<<
Certo. >> rispose sarcastica Ocean, probabilmente non
credendo
alle sue parole, e dopo essersi stirata a dovere tornò a
sedersi
dov'era, mettendosi comoda << Allora. Che facciamo?
>>
chiese poi, dando per scontato che Daryl avesse già un piano
studiatissimo in mente.
<<
Non ne ho la più pallida idea! Siamo in un vicolo cieco.
Dovremmo
uscire da dove siamo entrati. >>
<<
Perfetto! Molto più semplice di quello che credevo.
>> disse
ancora piena di sarcasmo.
<<
Hai un talento naturale tu nel metterti nei guai! E ora hai
trascinato anche me nei tuoi casini. >>
brontolò Daryl,
innervosito sempre più dal tono di Ocean. Tutto quel
sarcasmo
gratuito e assolutamente inutile gli dava sui nervi, soprattutto
perchè era solo colpa sua se erano lì.
<<
Ringraziami. Almeno non sei più alla fattoria ad annoiarti.
Un po'
di brio! >> sorrise Ocean.
Daryl
rispose con uno sbuffo e il silenzio calò di nuovo.
Non
seppero mai quanto tempo passò veramente, a loro sembrarono
ore, ma
avrebbero potuto anche essere semplicemente minuti. Ognuno perso
nella propria mente, nei propri pensieri, speranzosi che la soluzione
in qualche modo cadesse loro dal cielo, o forse semplicemente
aspettando che l'altro la trovasse, incolpandosi a vicenda e
scaricandosi reciprocamente le responsabilità.
"E'
colpa tua se siamo qui dentro, ora trova una soluzione."
pensavano.
O
forse stavano solo approfittando della calma di quel luogo
relativamente sicuro per riprendere le energie prima di tuffarsi a
capofitto nella folla divoratrice che c'era fuori, e sperare di
uscirne incolumi. Serviva forza, ma soprattutto coraggio e il
rimandare per ora sembrava la soluzione migliore. Aspettare nella
speranza che un qualsiasi evento fortunato portasse l'orda da
un'altra parte.
<<
Beh, se restiamo qui prima o poi ci verranno a cercare.
>>
disse Ocean. Era la prima e unica cosa che le era venuta in mente,
anche se, doveva essere sincera, non si era sforzata molto.
<<
Vuoi viaggiare da sola e poi conti sull'aiuto degli altri.
>>
<<
No, conto sul fatto che questi "altri" sono amici tuoi e
prima o poi si chiederanno che fine hai fatto. >> rispose
con
tranquillità Ocean. Nonostante il pericolo imminente erano
stranamente tranquilli, come se avessero avuto la certezza di uscire
di lì prima o poi, dovevano solo aspettare. Da dove gli
arrivasse
questa certezza non sapevano neanche loro, e con molta
probabilità
era una sciocchezza.
<<
Ma perchè? >> si lasciò uscire
infine Daryl con tono quasi
esasperato. La domanda chiaramente non era legata al discorso che
stavano affrontando, sicuramente a portarlo lì era stato un
filo di
ragionamento completamente diverso, solo che quale fosse non era
chiaro a Ocean.
<<
Perchè ti vogliono bene? >> rispose lei con
una domanda,
legandola al contesto delle loro chiacchiere, tanto per poter
rispondere qualcosa, anche se sapeva che non c'entravano niente l'uno
con l'altro.
<<
No!! >> lo spostamento d'aria accanto a lei, e le ombre
che si
muovevano che rusciva a vedere con la coda dell'occhio, le fecero
intuire che Daryl stesse gesticolando nervosamente <<
Perchè
diavolo fai così? Cosa cavolo c'hai in quella testa? Vuoi
farti
davvero ammazzare? >>
<<
Di che stai parlando scusa? Non mi pare di aver fatto nulla?
>>
chiese Ocean con altrettanto nervosismo.
<<
Non capisci che qui un passo falso ti uccide? Fare l'orgogliosa non
ti aiuterà ad andare molto lontano! >>
<<
Io orgogliosa? Guarda che stai sbagliando strada! >>
cercò di
rispondere Ocean con falsa calma.
<<
Ah no? "Io non viaggio in gruppo, io sto sola e non conto su
nessuno!" non ti sembra un ragionamento orgoglioso? >>
<<
Mi spieghi perchè diamine tu e i tuoi amici mi dovete stare
così
appiccicati? Perchè cavolo mi hai seguita? Non mi conosci!
Non
capisco perchè dai così tanta importanza alla mia
vita! >>
brontolò Ocean voltandosi, puntando gli occhi sull'ombra che
aveva
di fronte, assumendo uno sguardo minaccioso, anche se sapeva lui non
avrebbe potuto vederla.
<<
Ci sono già abbastanza morti che camminano, vorrei evitare
di
alimentare la faccenda. >> si giustificò Daryl.
<<
Oh, ma davvero? Io credo invece tu sia tale e quale al tuo amichetto
Rick, con le manie da eroe! Ti butti all'arrembaggio alla prima
situazione pericolosa solo per mostrare al mondo quanto sei forte e
come riesci a uscirne fuori con coraggio e splendore! Ti manca solo
la colonna sonora. >>
<<
Ti sbagli! >> si limitò a dire Daryl, senza
calmarsi.
<<
No, non mi sbaglio invece! A malapena sapevi che la ragazzina si
chiamava Sophia, eppure sei stato tu quello che si è fatto
quasi
uccidere per trovarla! >> disse Ocean caricando il suo
discorso
di enfasi con l'aiuto di un gesto.
<<
E tu come diavolo sai queste cose? >>
<<
La tua amica Andrea è una gran chiacchierona. Mi ha spiegato
e
raccontato un po' di cose sperando di integrarmi nel gruppo in questa
modo. >>
<<
Non sono faccende che ti riguardano, ad ogni modo! Avevo i miei
motivi. >> disse Daryl.
<<
Li conosciamo i tuoi motivi. Superman senza pericoli e nemici non
sarebbe l'eroe famoso che è ora. >> disse
Ocean accarezzando
Max, e sperando di ritrovare un po' di calma in quel gesto.
Daryl
inizialmente si limitò a rispondere con un verso scocciato,
poi dopo
qualche secondo di riflessione gli scappò un sorriso
sarcastico.
<<
Non riesci proprio, vero? >>
<<
Tu non riesci proprio a parlare chiaramente, vero? Andiamo avanti per
enigmi. >> rispose subito Ocean senza dargli il tempo di
proseguire.
<<
L'hai fatto di nuovo! >> sorrise ancora Daryl, quasi
divertito
dalla sua "scoperta" << Sposti l'attenzione del
discorso sugli altri! Non hai risposto alla mia domanda e hai portato
l'attenzione su di me. >>
Ocean
scoppiò a ridere nel sentirlo << Senti, senti,
che
macchinatrice che sono! Non lo sapevo neanche io. >>
<<
Tu nascondi qualcosa. >> disse infine Daryl, mettendo un
punto
a tutto quel discorso.
<<
Tutti nascondiamo qualcosa oggi come oggi. >> rispose
Ocean,
mettendo lo stesso punto conclusivo.
E
il silenzio scese di nuovo. Ma questa volta i pensieri che volavano
dentro quella stanza non erano rivolti alla ricerca di una soluzione,
anzi quasi si erano dimenticati di trovarsi dov'erano. Il pericolo,
gli zombie, erano diventati così quotidiani che non
spaventavano
nemmeno più.
Ocean
sospirò seccamente, qualcosa gli attorcigliava le budella.
Provava
fastidio, un profondo fastidio, che inizialmente attribuì
alla
vicinanza di quell'uomo così odioso, ma che pian piano
riuscì a
riportare sui suoi binari e a capire che in realtà era
legato
all'idea che lui, come forse anche gli altri del gruppo, la
considerassero pericolosa, solo perchè aveva il suo
silenzio. Max e
Peggy l'avevano accettata per quello che era in quel momento, senza
porsi domande o costringerla a rivelare cose che non voleva nemmeno
ricordare, l'avevano accettata come Ocean e basta. Perchè
loro no?
Perchè non riuscivano a vedere oltre, e capire che certe
cose era
meglio non tirarle fuori? Ci aveva messo così tanta fatica a
dar
vita ad Ocean, perchè ora veniva messa in discussione?
Ma
soprattutto...perchè diamine gliene importava
così tanto da starci
male? Non voleva saperne di quel gruppo, a malapena lo conosceva, e
mai ne avrebbe fatto parte, perchè allora per lei era
così
importante che l'accettassero? Non voleva credere di aver bisogno di
loro, non avrebbe mai accettato l'ipotesi che lei avesse bisogno di
qualcuno accanto a sè. Mai.
Strinse
i pugni, detestando tutto quello, e decise di togliersi un piccolo
sassolino dalla scarpa, sperando che poi la convivenza col resto del
fastidio sarebbe stata più semplice.
<<
Non voglio avere gente intorno a me. >> disse
velocemente, come
un proiettile che viene sparato fuori prima che la mano che ha
premuto il grilletto tentenni. Il primo passo era fatto...ora
sembrava tutto più semplice.
Fece
un respiro profondo ma silenzioso, cercando di non far trapelare la
sua tensione << Voglio restare sola perchè
odio le persone e
odio la compagnia. Chiamami pure misantropa, se vuoi darmi un
appellativo. Il lavoro di squadra non fa proprio per me.
>> e
tornò a calare il silenzio. Daryl non rispose, e non diede
nemmeno
cenno di averla ascoltata, ma le tensioni erano sciolte, era
percepibile. Almeno ora si poteva respirare aria più pulita
all'interno di quella stanza.
Ocean
alzò la testa di colpo.
Aria
pulita! C'era aria pulita in quella stanza!
Prese
la lampada ai loro piedi e si alzò di colpo, sotto lo
sguardo
attonito di Daryl, chiedendosi quale idea geniale l'avesse illuminata
tanto, ma ricevendo subito anche lui la stessa risposta. Un leggero
spiffero d'aria fresca gli era arrivato al volto. Si alzò
anche lui
e Ocean accese la lampada, guardandosi attorno.
<<
Da dove arriva? >> chiese Ocean. Anche Max
alzò il muso e
annusò incuriosito, sentendo anche lui il leggero
cambiamento.
<<
Non ci sono buchi, gli avrei visti! >> disse Daryl
ispezionando
le 4 mura intorno a lui.
<<
Ho un'idea. >> disse Ocean prima di spegnere la lampada e
passarla a Daryl. Cercò di fare un passo verso una qualsiasi
direzione e allungò le mani davanti a sè
<< Cacchio non vedo
nulla! >> disse avanzando lentamente usando le mani come
"occhi".
<<
Ma davvero?! >> si lasciò sfuggire beffardo
Daryl. Quella
ragazza aveva qualcosa che non andava, ne era certo.
Ocean
arrivò finalmente a toccare il muro di fronte a
sè e ci schiacciò
la faccia contro voltandosi prima a destra, poi a sinistra, e
trovando ciò che cercava.
Flebile,
quasi invisibile, forse anche per l'oscurità della sera che
stava
arrivando, si riusciva a intravedere dietro uno degli scaffali
poggiati lì una leggera striscia luminosa.
<<
Eccola! Ci dev'essere o una finestra o comunque un buco nel muro qui
dietro! >> Daryl accese di nuovo la luce della lampada e
si
avvicinò alla ragazza.
<<
Tieni. >> disse porgendogliela. Ocean si
spostò, facendo posto
al ragazzo, e afferrò la lampada che gli aveva dato,
permettendogli
così di avere le mani libere per poter afferrare lo scaffale
e
tentare di spostarlo. Era molto pesante, ma non fu per questo motivo
che Daryl spostò lentamente il mobile in ferro: non sapevano
cosa ci
poteva essere oltre al buco e avere la stanza invasa era l'ultima
cosa che volevano.
<<
E' una finestra! >> disse Ocean studiando il muro che
pian
piano veniva scoperto << Probabilmente l'ha messo qui
l'uomo
che si era nascosto qui dentro nella speranza di salvarsi.
>>
disse Ocean voltandosi a guardare il cadavere che giaceva a terra,
poco lontano da loro.
<<
Riesci a vedere oltre? >> chiese Daryl spostando lo
scaffale di
qualche altro centimetro << Riesci a vedere se la via
è
libera? >>
Ocean sfoderò una delle sue daghe, se la portò
davanti, pronta a colpire e schiacciandosi tra lo scaffale e il muro
tentò di avvicinarsi all'apertura, tenendo ben salda la
presa della
sua daga, pronta a difendersi qualora qualcosa di poco carino fosse
sbucato all'improvviso. Il vetro era rotto, e questo permetteva a una
leggera brezza di entrare...ma non solo la brezza esterna avrebbe
potuto varcare quella soglia. Ocean doveva stare attenta, lo sapeva.
<<
Non ci arrivo!! >> disse trovandosi troppo schiacciata e
incapace di proseguire ancora oltre << Devi spostarla
ancora!
>> sapevano entrambi che la cosa sarebbe potuta essere
molto
rischiosa, così come ci passava Ocean avrebbero potuto
passarci gli
zombie, e nel caso Daryl non avrebbe neanche potuto rispingere lo
scaffale per tempo: avrebbe dovuto aspettare che Ocean uscisse. Ma
che scelta avevano?
<<
Quest'affare fa troppo rumore quando lo sposto! Così
rischiamo solo
di trovarci ancora più nei casini! >> aggiunse
Daryl, sperando
di convincere Ocean a trovare un'altra soluzione che fosse meno
rumorosa e pericolosa.
<<
Devi spostarla di più! Non ci passo, non vedo!
>> insistette
Ocean. Daryl fece un sospiro prima di sussurrare tra sè e
sè <<
E va bene >> e tirò ancora, lasciando liberi
altri 2 cm,
pregando fossero sufficienti. Ocean si spinse ancora più
avanti,
sentendosi lo sterno schiacciare sempre più e un forte senso
di
claustrofobia le chiuse la gola, ma non le impedì di andare
oltre.
<<
Merda!! >> Daryl la sentì quasi urlare prima
di sentire altri
versi che sicuramente non appartenevano alla ragazza. Zombie!!
Afferrò la sua balestra e corse vicino al muro,
schiacciandosi
contro esso e puntando la balestra davanti a sè, pronto a
sparare
per aiutarla. Ma non ce ne fu bisogno: Ocean aveva già fatto
da sè
conficcandogli più volte la daga in fronte. Ora lo zombie
giaceva
appeso alla finestra, con testa e un braccio all'interno e il resto
fuori. Per ora era l'unico, ma sapevano entrambi che se ce n'era uno
probabilmente ce n'erano altri e non avevano troppo tempo.
<<
Prendilo!! Portalo dentro, ho un'idea! >> disse Daryl
facendo
un gesto con la mano per invogliarla a sbrigarsi.
<<
Oh, certo e che ci vuole!! >> bofonchiò
sarcastica Ocean. Era
così schiacciata che le era impossibile girarsi, e con una
mano sola
non sarebbe stato facile afferrare il cadavere e trascinarselo
dietro. Provò a prenderlo per il colletto, sperando fosse
abbastanza
morto e che non avesse tentato di rialzarsi, e lo tirò, ma
come
poteva immaginare non riuscì. Troppo stretto, lo zombie non
passava
ed era pure incastrato, avendo l'altro braccio penzoloni fuori. Senza
considerare la sua pesantezza.
<<
Ok, senti, sposto ancora di più lo scaffale ma
farò un bel po' di
rumore, dovrai essere velocissima. >> disse Daryl
riportandosi
la balestra alla spalla e si riposizionò di fianco allo
scaffale,
afferrandolo con entrambe le mani e puntando bene i piedi a terra,
pronto a tirare.
<<
Sei pronta? >> le chiese.
<<
Quante scelte ho? >> chiese retoricamente Ocean prima di
lanciare la daga dietro sè, oltre lo scaffale: era solo
d'impiccio e
non poteva rimetterla via nella posizione scomoda in cui era.
<<
Vado!! >> annunciò Daryl prima di tirare
più forte che
poteva, spostando lo scaffale di un bel po'. Ocean potè
così
girarsi e usare entrambe le mani. Afferrò lo zombie sotto le
ascelle
e lo tirò dentro, piantando un piede contro il muro per
aiutarsi.
D'istinto guardò fuori dalla finestra e vide il sollecito di
cui
aveva bisogno per fare più in fretta: una decina di zombie,
che
fino a quel momento avevano passeggiato tranquilli nel giardino, li
avevano sentiti e si stavano dirigendo verso loro a gran
velocità.
<<
Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!!! >> ripetè
più volte mentre
metteva fretta al suo corpo. Riuscì a tirare lo zombie
dentro, e
arretrò velocemente cercando di uscire da lì
dietro il prima
possibile << Chiudi, chiudi, chiudi!!!! >>
urlò al
ragazzo mentre varcava gli ultimi centimetri prima dell'uscita. Aveva
visto qualche braccio marcio protarsi all'interno, pronto ad entrare,
ma non riuscì a vedere il resto della scena
perchè la velocità con
cui aveva arretrato e il peso che si trascinava dietro la fecero
sbilanciare e cadere all'indietro. Sentì un tonfo: forse
aveva fatto
in tempo.
Un
dolore acuto alla base della spina dorsale: il suo osso sacro non
ringraziava per la caduta. Cominciò a rimettere ordine a
quanto
accaduto e percepì un peso sopra di sè che le
impediva di muoversi.
Aprì gli occhi cercando di capire cosa fosse successo in
quei
secondi in cui era caduta, abbassò gli occhi, guardandosi e
vide lo
zombie che aveva tirato steso sopra di lei con la testa poggiata sul
suo seno. Trattenne un conato di vomito e lo spintonò via in
malo
modo << Oh, andiamo!!! Non mi hai neanche invitato a cena
e già
ci provi! >> disse scansandosi da quell'ammasso di carne
puzzolente. Alzò gli occhi e vide Daryl con le spalle
poggiate allo
scaffale (il quale era riuscito a rimetterlo al suo posto), che
prendeva fiato e la guardava. Che aveva da guardare?
<<
Stai bene? >> le chiese dopo qualche secondo.
<<
Spero sia una grande idea la tua, o avrò rischiato di essere
stuprata da un cadavere inutilmente. >> disse Ocean
alzandosi e
dandosi colpi al vestito per togliersi lo sporco di dosso.
<<
Non penso ne sarebbe stato in grado. >> disse Daryl
accennando
un sorriso divertito, sforzandosi di tenerlo nascosto, forse per
orgoglio, ma senza riuscirci molto. Non voleva ammettere che la scena
e la battuta di Ocean erano stati esilaranti. Ocean notò il
suo
sorriso e per un attimo si bloccò. Non aveva mai messo in
conto che
forse anche lui era in grado di sorridere, l'aveva sempre visto
burbero e corrucciato, e chissà cosa le aveva suggerito che
lui non
era in grado di divertirsi.
La
cosa le piacque.
Di
solito le sue battute erano fini a se stesse, servivano solo a
sciogliere la tensione, a calmarla mettendo tutto sul piano dello
scherzo e a non prendere sul serio le situazioni che aveva di fronte,
facendo sembrare tutto più semplice. La vita era
più facile da
affrontare se si rideva invece di piangere. Invece quella volta la
sua battuta non era stata solo per se stessa, anche lui l'aveva colta
e aveva sorriso divertito.
Non
se l'aspettava.
Fu
colta da un piacere così improvviso da farla arrossire e
sorridere
imbarazzata.
<<
Bene >> disse voltandosi verso l'altro zombie, gesto che
in
realtà era solo una scusa per non far vedere il suo volto
<<
Quale sarebbe la tua idea? >>
Daryl
si spostò da dov'era e si affiancò alla ragazza,
guardando i due
cadaveri che aveva di fronte, lasciandosi alle spalle l'argomento
"battuta". Aveva colto il rossore in volto e il sorriso
imbarazzato di Ocean, anche se aveva cercato di nasconderlo, e
l'aveva addirittura trovato carino. Quindi, sì, era meglio
lasciar
perdere per non cadere in situazioni imbarazzanti.
<<
Useremo lo stesso metodo che hanno usato Glenn e Rick ad Atlanta.
>>
comunicò Daryl prima di avvicinarsi a uno dei due corpi.
Ocean per
un attimo sussultò << Siete stati ad Atlanta?
>> ma la
sua domanda cadde nel vuoto << Indosseremo i loro abiti,
e ci
sporcheremo con le loro interiora, così puzzeremo come loro
e gli
altri ci scambieranno per due di loro. Non ci dovrebbero attaccare in
questo modo. >> continuò Daryl cominciando a
spogliare il
corpo steso a terra.
<<
Com'era? >> chiese Ocean inginocchiandosi vicino al
ragazzo <<
Altanta. Com'era? >> chiese lei ancora, cercando di
mascherare
la domanda a semplice curiosità, senza troppo successo. Il
cuore
aveva preso a martellarle il petto.
Daryl
la guardò sottecchi, non chiedendosi come mai ci tenesse
tanto a
saperlo, intuiva che probabilmente lì c'era o c'era stato
qualcuno
che conosceva.
<<
Vuoi proprio che te lo racconti? >> disse acidamente, ma
la sua
era una domanda retorica. Ocean capì cosa stava cercando di
dirle e
abbassò lo sguardo, perdendosi per qualche istante nei suoi
pensieri, e cercando poco dopo di trascinarsi con forza di nuovo in
sè.
<<
Cosa dicevi, allora? Vestirci come loro... >> disse lei
cercando di riprendere il discorso di Daryl e lasciarsi alle spalle
l'argomento Atlanta. Daryl la osservò ancora qualche
istante: lo
sguardo si era posato sui suoi occhi, e si era reso conto che c'era
qualcosa al loro interno, qualcosa che per un attimo era riemerso e
che Ocean stava cercando di rimandare indietro con forza. Guardava il
cadavere davanti a sè, ma non lo vedeva veramente.
<<
Sì. Ci scambieranno per due dei loro. >> disse
poi, deciso
anche lui a lasciarsi alle spalle quella parantesi, senza
però
negare a se stesso che la cosa l'aveva incuriosito.
<<
E Max? >> chiese Ocean assumendo un'espressione un po'
offesa:
non l'aveva considerato?
<<
Il cane....corre veloce, no? >>
<<
Scordatelo! Non lo mando allo sbaraglio, troppo pericoloso.
>>
disse Ocean avvicinandosi al secondo corpo e, sguendo l'esempio di
Daryl, cominciò a togliergli i vestiti di dosso.
<<
Ok, ho trovato! >> disse poi Daryl alzandosi e
dirigendosi
verso un angolo buio della stanza. Uscì
dall'oscurità con un grosso
scatolone vuoto e un piccolo carrello, ma non diede spiegazioni e
tornò all'opera sul cadavere. Tolti i vestiti se li mise
addosso,
sopra i suoi, e Ocean fece altrettanto. Poi prese uno dei suoi
coltelli e lo usò per aprire la pancia al suo cadavere:
sangue nero,
ormai putrido, schizzò da tutte le parti.
<<
Che schifo. >> si lasciò sfuggire Ocean.
<<
Prendi e spalmatelo bene addosso. >> disse Daryl
porgendogli un
pezzo di intestino, molliccio, grondante e puzzolente.
<<
Sai, forse non è poi così grande questa tua idea.
>> disse
lei un po' restia, disgustata, chiedendosi come facesse lui a
sentirsi così tranquillo con delle budella tra le mani. Ma
l'alzata
di occhi scocciata di Daryl la convinse << E va bene!
Stai
calmo! >>. Finirono di sporcarsi a dovere, cercando di
evitare
il più possibile il contatto diretto con la pelle, e
passarono alla
fase successiva. Fecero salire Max sul carrello e lo coprirono con lo
scatolone ribaltato. Max inizialmente si agitò non capendo,
ma Ocean
lo tranquillizzò e gli fece capire di stare fermo e zitto.
Fermo e
zitto erano due comandi che ormai aveva capito bene. Daryl
sistemò
vicino allo scatolone i due corpi, uno a sinistra e uno a destra,
anche questi utili a coprire l'odore del cane e diede le ultime
istruzioni << Il carrello non ci passa dalla finestra,
dobbiamo
per forza passare dalla porta. Aspettiamo che entrino gli zombi,
così
magari il corridoio si svuota un po' e riusciamo a farci strada. Non
dobbiamo correre e dobbiamo cercare di essere il più
silenziosi
possibile. Chiaro? >> disse posizionandosi vicino alla
porta,
pronto ad aprirla. Sapeva sarebbe bastato poco per farli entrare, gli
zombie fuori erano irrequieti per i troppi rumori all'interno della
stanza. Ocean fece un gran respiro per raccogliere il coraggio, poi
con una mano strinse la sua daga e con l'altra il carrello, pronta a
trascinarselo dietro.
Fece
cenno con la testa per comunicare al ragazzo che era pronta e lui
aprì la porta.
Le
scene successive furono per Ocean confuse e veloci, la paura l'aveva
assalita nell'istante in cui aveva visto gli zombie entrare nella
stanza. Restare immobile, aspettare che le passassero accanto e che
l'annusassero, era una delle esperienze peggiori che avesse mai
provato. Il cuore aveva preso a fracassarle il petto, il fiato le
mancava e l'istinto di scappare era forte. Cominciò a
tremare come
mai aveva fatto prima, si sentiva così vulnerabile,
accerchiata, con
l'ordine di non reagire e non muoversi. Chiuse gli occhi e
deglutì,
ripetendosi mentalmente di stare calma o la paura l'avrebbe tradita e
uccisa. Sentiva le loro bocche putride così vicine e i loro
fiati
sul collo. Nessuno aveva tentato di morderla, e questo doveva essere
per lei un rincuoro, ma non riusciva neanche a pensarci. Sentiva che
da un momento all'altro avrebbe provato un dolore lancinante, sentiva
che da un momento all'altro uno di loro l'avrebbe morsa, ne era
certa, sarebbe morta! "Non posso restare qua!!" pensò
colta dal panico e cercò di far trovare alle gambe la forza
sufficiente a muoversi, ma sentiva che se avesse mosso solo un
muscolo sarebbe stato inevitabile per lei cominciare a correre
terrorizzata. Sentiva gli aliti sul suo collo. Sentiva di averli
addosso. Sentiva i denti conficcarsi nella sua pelle, anche se non
era così. Qualcosa la colpì brutalmente alla
spalla e seguì subito
il verso di uno zombie: l'aveva colpita!! Spalancò gli occhi
e si
morse il labbro, impedendosi di urlare, ma un verso leggero
uscì
ugualmente dalle sue labbra. Stava per scoppiare a piangere. Intorno
a lei era tutto così confuso. Ovunque si voltava vedeva
occhi marci
che la guardavano, la fissavano: loro sapevano! Bocche squarciate,
grondanti di sangue erano aperte, tutte intorno a lei, pronte per
morderla. L'odore di morte annunciava già la sua fine. Versi
gutturali di fame e disumanità. Non sentiva altro. Non
vedeva altro.
Si lasciò scappare un altro lamento e non riuscì
a restare ancora
ferma. Arretrò di un passo, quasi inciampando sul carrello
dietro di
lei. Max dentro la scatola scattò spaventandosi, facendo
muovere di
poco la scatola, ma per fortuna era stato tutto così debole
che gli
zombie non se ne accorsero e lui non cadde dal carrello. Ocean
voltò
nuovamente la testa, cercando una via di fuga, respirando a fatica,
ma non vedeva altro che bocche aperte e occhi che la fissavano, la
scrutavano e aspettavano solo un suo movimento falso per scattare e
acchiapparla.
La
mano tremante quasi lasciò cadere la daga e gli occhi,
già colmi di
terrore, le si stavano inumidendo di lacrime. Era la fine. Non
avrebbe funzionato. Era la fine.
Poi
qualcosa le afferrò il braccio. Si voltò di
scatto, guardandosi,
lasciandosi sfuggire un altro lamento terrorizzato. Una mano ferrea
le stringeva il bicipite, tanto forte da farle male. Trasalì
e cercò
con uno scatto del braccio di liberarsi dalla presa, senza riuscirci.
Alzò gli occhi davanti a sè per guardare il suo
assalitore e
improvvisamente la confusione svanì. Intorno a lei tutto era
mare,
tutto ondeggiava, si avvicinava e si allontanava, occhi iniettati di
sangue e bocche spalancate, ma davanti a sè trovò
il suo punto
fermo. Occhi azzurri la fissavano. Erano come una finestra che davano
all'esterno . La sua via d'uscita. E non li perse di vista.
Il
cuore lentamente si calmò, il respiro si fece più
lento e
tranquillo, e pian piano le bocche spalancate intorno a sè
diventarono ombra. Tutto si oscurò tranne quegli spalancati
occhi
azzurri che restavano ancora la sua ancora, il suo attracco che le
evitava di andare alla deriva. La presa al braccio smise di fare
male, anche se non si era allentata, e riuscì a ritrovare le
facoltà
per tornare a gestire lei il suo corpo.
Prese
a camminare lentamente, trascinandosi dietro il carrello, seguendo il
viso di Daryl che avanzava di fianco a lei, un paio di passi
più
avanti, tenendole il braccio e tirandosela dietro. Era serio e
concentrato. I suoi occhi non trapelavano paura, anche se Ocean
faceva fatica a credere che non ne provasse. Era così sicuro
di sè
lui, così composto e forte. Non tentennava neanche un
istante. Se
non fosse stato per lui, Ocean sarebbe morta. L'ammise...ma solo a se
stessa. Troppo orgogliosa.
Non
sapeva dov'erano, non sapevano se avessero fatto molta strada o
fossero ancora sulla porta, evitava di guardare davanti a sè
per
evitare di cadere di nuovo nel panico. Seguiva Daryl e basta, tenendo
gli occhi puntati su di lui, e lasciando fosse lui a decidere la
strada. Era l'unico modo per mantenere la calma.
Poi,
dopo qualche interminabile minuto, si fermarono. Daryl si
guardò
attorno: c'era attenzione nei suoi occhi, stava studiando l'ambiente
intorno a sè.
<<
Ocean. >> sussurrò e il suono della sua voce
fu come una
sveglia per la ragazza, che sbattè più volte le
palpebre e cercò
di combattere contro la confusione che stava tornando a fare
capolino. Doveva tornare alla realtà, con i piedi ben saldi
a terra.
<<
Riprenditi. >> disse ancora Daryl prima di voltarsi e
guardarla
<< Dobbiamo correre adesso. >>
Ocean
tenne ancora per qualche secondo gli occhi fissi nei suoi,
perdendocisi e sentendo l'irrefrenabile desiderio di non staccarsene,
come quando non ci si vuole svegliare da un bel sogno. Le
trasmettevano la sicurezza e la tranquillità di cui aveva
bisogno,
sapeva che se fosse tornata a guardare intorno a lei allora avrebbe
dovuto rinunciare al suo attracco e tornare a remare con le sue
forze. Non era sicura di essere pronta. Daryl la scosse per il
braccio che ancora non lasciava << Forza! Devi essere
veloce
adesso! >> non c'era cattiveria nel suo tono, impazienza
sì,
voleva andarsene da lì, ma era possibile cogliere anche una
leggera
nota di compassione.
Ocean
si sforzò di separarsi dai suoi occhi azzurri e si costrinse
ad
abbassare lo sguardo al suolo. Fece qualche sospiro, cercando nella
sua mente i pensieri adeguati a risvegliare la vera Ocean che c'era
in lei, quella forte, coraggiosa ma soprattutto incazzata.
Scosse
violentemente la testa e deglutì << Ci sono.
>> comunicò
prima di riaprire gli occhi e guardarsi attorno. Erano fuori dalla
chiesa, sul pianerottolo in legno. Di fronte a loro il campo era
pieno di zombie che vagavano senza una direzione precisa, seguendo
chissà quale istinto primordiale. Guardò gli
scalini che erano
costretti a scendere per poter mettere piede sull'erba e
capì perchè
la necessità di correre: il carrello si sarebbe ribaltato se
avessero provato a trascinarcelo sopra. Dovevano far uscire Max e
correre lontano.
Il
cuore si placò, ora che erano fuori da quell'incubo e che
davanti a
sè aveva una vera via d'uscita stava cominciando a tornare
la stessa
Ocean di prima. "Che stupida!" pensò mettendo ordine ai
pensieri e rendendosi conto di quello che era successo poco prima:
aveva avuto un vero e proprio attacco di panico. La stanza angusta
riempita di quei cosi le aveva fatto perdere la testa. Che stupida
era stata. E che figuraccia! Daryl le avrebbe dato dell'imbranata
ancora per tanto tempo. Non lo sopportava. Lei non era imbaranata!
Solo che ogni tanto...cadeva.
Era
la Ocean incazzata di cui aveva bisogno quella che strinse la daga
tra le dita e sfoderò anche la seconda. I suoi occhi si
fecero
piccoli mentre osservava con attenzione il campo davanti a
sè. La
mascella serrata e il desiderio di dare sfogo a tutto quello che
aveva dentro. Quei mostri...era tutta colpa loro. Era sempre stata
colpa loro.
Sferrò
un violento calcio alla scatola, lanciandola lontana e permettendo a
Max di uscire e scavalcò con un salto la staccionata, senza
dare
nessun altro preavviso a Daryl che si trovò indietro. Aveva
creduto
la ragazza dovesse aver bisogno di più tempo, invece si era
ripresa
più velocemente di quanto avesse immaginato.
<<
Max, andiamo!! >> urlò. Uno zombie le si
piantò davanti, ma
non la rallentò. Gli diede uno spintone con la spalla e lo
scaraventò a terrra, Daryl alzò la balestra e gli
piantò una
freccia nel cranio. Poi cominciò a correre anche lui con la
balestra
alzata, pronto a sparare a chi gli si piantasse davanti.
Lanciò
un'occhiata a Ocean per assicurarsi fosse ancora in piedi e la vide
andare incontro a uno degli zombie, con la daga ben alzata, e
conficcargliela poi in testa sicura e arrabbiata. Il fuoco bruciava
nei suoi occhi. Con uno scatto della mano la sfilò e
lasciò cadere
lo zombie a terra. Deviò leggermente, correndo incontro a un
altro
di quei mostri, saltò su una roccia dandosi lo slancio e
atterrò
sopra quello, buttandolo a terra, e usando tutta la rabbia che aveva
fece cadere le daghe dall'alto e lo uccise. Si rialzò con
una
capriola e con un altro rapido movimento della daga a mezz'ora
aprì
la faccia in due a un altro zombie che aveva davanti. I suoi
movimenti erano fluidi e decisi, come se li avesse pianificati poco
prima, non sembravano proprio frutto del solo istinto. Aveva uno
schema in testa, o almeno questo era quello che sembrava a occhio
esterno. Ma non era così. Ocean colpiva e basta, senza
pensare a
come o quando. Si voltava, vedeva il nemico e lo atterrava. Punto.
Era la rabbia a guidarla, era la sua vera sè tornata a
galla, quella
che per mesi l'aveva guidata a tenuta in vita. L'ocean che era
arrivata al campo e che senza troppi problemi aveva puntato la spada
alla gola di Shane. A vederla in quel momento sembrava di aver di
fronte un'eroina di qualche vecchia leggenda, quelle sicure che
arriveranno alla fine e sconfiggeranno il male, difficilmente si
poteva credere che fosse una ragazza che come altre aveva affrontato
la paura di morire e che tuttora tentava solo di sopravvivere. Era la
sicurezza nelle sue mosse a suggerire tutto quello e il suo correre
incontro al nemico, quasi fosse lei stessa a cercarlo. Era una
battaglia la sua, non una fuga. Una guerriera in cerca di vendetta
che guardava alla morte come a un'altra sfida da affrontare, non a
una condanna da fuggire. Una dannata che ormai non aveva altro da
perdere.
Max
era il più veloce dei tre e su quello puntava per salvarsi:
schivava
mani facendo slalom tra le gambe e in pochi minuti arrivò
tra gli
alberi. Si voltò a cercare i due suoi compagni e
abbaiò per
richiamarli, forse per mettergli fretta, un modo per incitarli a
sbrigarsi.
Ocean
fu la prima a raggiungere il suo animale: era veloce! Più di
quanto
Daryl potesse immaginare, soprattutto vista la quantità di
roba che
si trascinava dietro. Gli fece una veloce carezza prima di riprendere
a correre << Veloce Max! Dobbiamo seminarli!
>> disse
senza guardarsi indietro, trovando lo sfogo di cui aveva bisogno
nella forza che imprimeva alle gambe, sempre più veloci.
Avrebbe
voluto volare. Avrebbe voluto urlare e volare via da tutto quello.
Avrebbe voluto mollare tutto e tornare a correre sulla sua bicicletta
dai freni un po' difettosi per le strade del suo paesino di
periferia. Il vento tra i capelli. I saluti delle persone che
incrociava. Un sorriso dedicato a un piccolo randagio intento a
cercare il pranzo nella pattumiera di un ristorante. Le macchine che
suonavano contrariate per il suo essere spericolata su due ruote. Il
vestito che svolazzava lasciando intravedere le gambe. Il suo
campanello che annunciava il suo arrivo e la sua voce acuta che
urlava
<<
Manu!! Sono qui, scendi! >>.
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Capitolo 12 *** Rendez vous. ***
Rendez vous
Rallentò
la sua corsa frenetica solo quando sentì di non farcela
proprio più.
I polmoni le bruciavano avidi di aria e il cuore sembrava stesse per
esplodere. Si fermò lentamente, col fiatone, e si
poggiò con una
mano a un albero in cerca di riposo. Max le si avvicinò
scodinzolante e con la lingua penzoloni fuori, lui si era divertito
un sacco, quell'infinita corsa era stato per lui più un
gioco che
una fuga. Era da un po' che non si divertiva così e di
solito mai
con Ocean, solo con Carl aveva avuto modo di giocare un po' alla
corsa. Si abbassò sulle zampe anteriori, lasciando ben
dritte quelle
posteriori e assumendo la classica posa del "dai giochiamo
ancora!!", ma Ocean era troppo stanca per continuare. Max
provò
a insistere ancora, provocandola con un salto e un giro su se stesso,
provando a correre poco lontano per poi tornare e leccandole la
faccia, ma la reazione ottenuta nella ragazza fu solo una sonora
risata.
<<
No, Max. Non ce la faccio più. Più tardi te la
ridò la rivincita.
>>
Daryl
li raggiunse con calma, rallentando poco prima, per niente affaticato
come magari lo era Ocean e le passò accanto, superandola con
una
certa fretta << Forza, si sta facendo buio! Dobbiamo
ritornare
alla fattoria. >>
Ocean
si raddrizzò, cercando ancora di catturare quanta
più aria
possibile con i suoi grossi respiri.
<<
Buon rientro. Io vado a cercare Peggy. >> disse
semplicemente.
Non era assolutamente intenzionata a seguirlo, anche se Peggy fosse
stata lì con loro. Aveva deciso di andarsene e
così sarebbe stato.
<<
Col buio non la troverai mai! >> disse Daryl fermandosi e
voltandosi a guardarla, ferma nella sua posizione, i piedi ben
piantati a terra e lo sguardo severo. Si era improvvisamente
raffreddata tanto, i suoi occhi si erano fatti più piccoli,
lo
sguardo affilato e distante.
<<
Allora aspetterò domani mattina. >> disse
Ocean.
<<
Forse è già tornata alla fattoria! Sa che
lì è sicuro! Non
possiamo passare la notte fuori, è pericoloso!
>> tentò
ancora di convincera Daryl.
<<
Non voglio rischiare. La fattoria dista qualche ora da qui, comunque
passeremo parte della notte fuori, il sole è già
praticamente
calato! E se non fosse tornata lì avrei solo perso tempo
prezioso.
Potrebbe essere in pericolo! >> disse risoluta Ocean,
già
ferma nella sua decisione. << Torna a casa tua, Daryl.
>>
concluse guardandolo negli occhi prima di voltarsi e allontanarsi,
facendo trapelare da quello sguardo tutta la sua fermezza. Doveva
trovare un posto sicuro dove passare la notte per poi riprendere le
ricerche l'indomani. Pregò che quella notte non sarebbe
stata troppo
fredda, il mantello era rimasto appeso alla sella insieme a molte
altre cose, per quella notte avrebbe dovuto arrangiarsi. Daryl la
guardò, riprendendo a provare fastidio e intolleranza nei
suoi
confronti: avrebbe voluto lasciarla lì, lasciarla in pasto
agli
zombie, perchè era quello che meritava! Ma ancora una volta
il suo
senso della giustizia non lo lasciava in pace. Che Ocean avesse
ragione? Che avesse la sindrome dell'eroe? Perchè era quello
che
sembrava. La ragazza non era responsabilità sua, nessuno gli
aveva
detto di badare a lei, eppure non riusciva a lasciarla andare, certo
che non sarebbe andata troppo lontana, che sarebbe morta di
lì a
poco. Continuava a essere convinto che solo la fortuna l'avesse
portata alla fattoria sana e salva, e forse era proprio quello che il
destino voleva per lei: un posto sicuro. L'aveva vista combattere,
l'aveva vista difendersi e lottare per la sua vita, non era stata
male, aveva tutte le capacità, ma a volte sembrava si
tappasse gli
occhi, pronta a buttarsi tra le braccia della morte. Era come se
stesse cercando un pretesto per morire.
Ocean
si fermò qualche passo più avanti, comportandosi
come se
improvvisamente si fosse ricordata qualcosa. Si girò con
occhi
interrogativi e guardò il ragazzo che era rimasto immobile
nella sua
posizione, indeciso se seguirla o meno, o forse semplicemente
sperando fosse lei a cambiare idea sentendo il bisogno di avere le
spalle coperte.
<<
Anche tu non hai risposto alla mia domanda. >> disse lei.
Daryl
aggrottò la fronte: di quale domanda parlava? Ocean
intuì
l'interrogativo che si era posto e portò subito una
spiegazione alla
sua affermazione << Non mi conosci nemmeno.
Perchè ti
preoccupi per la mia vita? Perchè hai rischiato la tua per
Sophia?
>>
Daryl
distolse lo sguardo, ma non con imbarazzo, con arroganza. Era come se
si fosse offeso, come se avesse trovato la domanda impertinente, e
forse era proprio così. Si sistemò meglio la
balestra in spalla e
prese a camminare verso di lei, senza guardarla <<
Sindrome
dell'eroe. Era questa la risposta, no? >> si
limitò a
rispondere arrogante.
<<
Questa è la risposta che mi sono data io, ma vorrei sentire
la tua
versione. Mi hai detto che mi sbagliavo, ma non mi hai dato una tua
risposta. >> disse Ocean guardandolo, chiedendosi, tra le
altre
cose, dove cavolo si stesse dirigendo. Doveva tornare alla fattoria!
Non seguirla! Non voleva più averlo tra i piedi. Era stato
carino da
parte sua aiutarla, ma ora era tempo di lasciarsi la cosa alle
spalle. Lui aveva una casa in cui tornare, in cui DOVEVA tornare.
Ocean no.
<<
Ehi! Stai zitta, ok? La tua voce è fastidiosa.
>> disse Dary
voltandosi a guardarla freddamente una volta raggiunta <<
Cerchiamo un posto dove accamparci. >>
comunicò subito,
tagliando corto.
<<
Vai alla fattoria! >> quasi ordinò Ocean
seguendolo
nell'istante in cui aveva ripreso a camminare. Qual era la direzione
poco importava a questo punto, bastava trovare un punto dove fermarsi
che non fosse troppo distante. Doveva trovare Peggy quanto prima.
<<
Non è prudente viaggiare col buio. >>
spiegò ancora lui,
guardando fisso davanti a sè, evitando lo sguardo
interrogativo
della ragazza come si evita la peste. Non che avesse qualcosa da
nascondere, ma lo infastidiva. Quelle domande, quel voler sapere di
lui, lo infastidivano terribilmente. Non era certo tipo da confidenze
adolescenziali sul proprio stato d'animo e sui propri sentimenti, e
se mai avesse cominciato a esserlo certamente non sarebbe stato con
un'odiosa ragazza trovata per strada. Il perchè era
irrilevante,
sentiva che certe cose andavano fatte e basta.
Ocean
lo seguì restando zitta i primi momenti, persa nei suoi
interrogativi, ma lo stare zitta non era contemplato, soprattutto
quando era qualcun altro a ordinarglielo!
<<
Non puoi riportarmi indietro, lo sai? >> disse, ma Daryl
non
rispose.
<<
Insisti nel volermi stare accanto perchè speri che superati
certi
"capricci" io mi convinca a seguirti alla fattoria, ma ti
sbagli, lo sai vero? >> continuò a dire Ocean,
ma continuò a
non avere risposte. << Cazzo, odio essere ignorata!
>>
sbraitò lei a un certo punto e accellerò il
passo, piantandosi
davanti al ragazzo e spintonandolo per una spalla.
<<
Non toccarmi! Te lo avevo già detto! >>
rispose altrettanto
incazzato lui alzandole un dito contro.
<<
E tu non ignorarmi! >> lo fulminò Ocean
portandosi le mani ai
fianchi e cercando di assumere una posizione altrettanto minacciosa.
Rimasero in silenzio qualche secondo, fissandosi negli occhi intenti
in una lotta di sguardi, una lotta a chi era più autoritario
e
forte. Poi, dopo un paio di minuti, entrambi capirono che non
sarebbero arrivati mai dove volevano e che era meglio lasciar cadere
lì il discorso, se non volevano passare la notte a fissarsi.
Daryl
riprese a camminare per primo, superandola nuovamente, e Ocean, dopo
un'ultima fulminata, riprese a seguirlo in silenzio.
Trovarono
un piccolo spiazzo vuoto, leggermente sopraelevato così da
tenere
sotto controllo la zona intorno a loro, circondato da alberi, dove
potersi fermare e magari accendere un fuoco per scaldarsi. Non era il
massimo della sicurezza, ma al momento niente era il massimo della
sicurezza.
<<
Faremo dei turni. >> disse Daryl mentre sistemava una
piccola
catasta di legno, circondata da sassi, così da evitare di
dar fuoco
al bosco e con l'aiuto del suo accendino accese la loro fonte di luce
e calore.
<<
Max è in grado di sentire se arriva qualcuno, anche se
dorme, non
c'è bisogno di stare svegli. E' vigile e attento.
>> spiegò
con disinteresse Ocean guardandosi attorno, sorvegliando la zona.
Tutto sembrava tranquillo al momento. Alzò gli occhi
all'albero che
aveva di fronte, accarezzò la corteccia, studiandola e
tirò fuori
la daga. Con due rapide mosse riuscì a tirarsi su e
arrampicarsi
fino al primo ramo in basso, da cui proseguì a mani nude, di
ramo in
ramo, senza aiutarsi con l'arma. Daryl la guardò chiedendosi
cosa
avesse per la testa, ma la cosa non gli interessava davvero.
Finì di
accendere il fuoco e Ocean raggiunse la cima dell'albero. Si sporse,
cercando di vedere oltre le foglie e reggendosi ai rami attorno.
Quando era ragazzina si arrampicava spesso sugli alberi della sua
campagna, le piaceva andare a raccogliere i frutti a mani nude, con
una busta di plastica, era sempre stata brava ed era stato per lei
fonte di divertimento. Ora la necessità di trovare luoghi
sicuri
l'avevano portata a rispolverare le basi dell'arrampicata, ed era
rimerso anche il piacere di vedere il mondo dall'alto. L'albero su
cui era salita non era dei più alti, ma era sufficiente per
permetterle di guardare qualche metro intorno a loro. Solo alberi e
alberi. In lontananza vedeva la chiesa che si erano lasciati alle
spalle e si chiese se non fossero ancora troppo vicini, non voleva
rischiare di beccarsi un assalto nella notte. Ma si rese conto che
alla fine erano più distanti di quanto credevano, e se mai
l'orda si
fosse spostata nella loro direzione comunque sia Max li avrebbe
sentiti arrivare dall'odore, avrebbero avuto tempo di scappare o
quanto meno mettersi in salvo sugli alberi. Riucì a
scorgere, anche
se con un po' di difficoltà, un interruzione degli alberi:
probabilmente lì c'era una strada. Poi qualsiasi altra cosa
ci fosse
intorno a loro era nascosta dal bosco, e non era possibile per lei
studiare oltre la zona. Ma non scese subito, le piaceva stare
lì,
sollevata dal suolo, a farsi scuotere dal vento, sentendosi per un
attimo padrona del mondo. Sorrise, provando piacere. Chiuse gli occhi
per un attimo e si lasciò cullare dal rumore delle foglie e
dal
venticello tiepido che le scompigliava i capelli.
Era
come volare.
Passò
un po' di tempo prima che decidesse di scendere, stava troppo bene
lì, ma aveva un po' fame e aveva lasciato giù la
sacca con quelle
due scatolette contate che era riuscita a portar via. Con
facilità e
un paio di salti riuscì a scendere con la stessa
agilità con cui
era salita e si avvicinò al fuoco acceso, lasciandosi cadere
per
terra e mettendosi a sedere a gambe incrociate. Afferrò la
sacca,
tirò fuori una scatola e la lanciò a Daryl mentre
l'altra la tenne
per sè. Non aggiunse altro, non voleva sembrare un gesto
socievole o
peggio caritatevole, e sapeva che non aggiungere altro, lasciando che
la cosa risultasse normale, era il modo migliore. Daryl la prese e
non fece complimenti, l'aprì e si servì dei
fagioli all'interno.
Ocean fece altrettanto, usando le mani per mangiare, non avendo
posate dietro (non aveva più questa abitudine) e facendone
cadere un
po' a terra vicino a sè per permettere anche a Max di cenare.
<<
Quando ero ragazzina giocavo a fare il capitano di una nave pirata.
>> disse lei che zitta proprio non riusciva a starci. Le
piaceva parlare, le piaceva raccontare, e questo era una
caratteristica che mai si era riuscita a togliere di dosso. Quando
era sola parlava con Max, e la cosa era divertente perchè
ascoltava
e sembrava capire a volte, ma ora che era in compagnia di un essere
umano con cui poter interagire la cosa la stuzzicava e la invogliava
ancora di più, anche se la persona in questione non era
proprio la
miglior compagnia da salotto che si potesse avere.
<<
Salivo fino all'ultimo ramo disponibile, in alto, quello più
precario, in modo che il vento anche se leggero riusciva a farmi
ciondolare abbastanza da darmi la sensazione della barca che ciondola
sulle onde del mare. Mia madre mi odiava per questo, anche
perchè
l'albero che più mi piaceva aveva sotto di sè un
paio di fichi
d'india. >> alzò gli occhi verso Daryl,
chiedendosi se la
stesse ascoltando, e lo vide con gli occhi bassi sul suo barattolo
intento a mangiare << Quello con le spine!
>> specificò
lei un po' acida, palesemente provocatoria.
<<
So cos'è un fico d'india! >> disse lui
scocciato non deludendo
le aspettative della ragazza. Voleva in qualche modo interagire con
lui, si annoiava, e almeno così aveva potuto sentire la sua
voce e
avere il riscontro che voleva. Sorrise soddisfatta e tornò a
mangiare.
<<
Ma probabilmente era proprio per quel motivo che era il mio albero
preferito. Mi piaceva il senso del pericolo che dava, mi faceva
sembrare il gioco più divertente. >>
<<
Hai sempre provato ad ammazzarti fin da bambina. >> disse
Daryl
parlando finalmente, e Ocean scoppiò a ridere
<< Ehi, non sono
matta! Mi piace l'adrenalina. >>
<<
Penso ti piacerebbe meno se tu ti facessi male realmente.
>>
disse Daryl riferendosi anche alla situazione attuale. Che fosse quel
suo "amare il pericolo" che la portava a far cose tanto
sconsiderate?
<<
Sono caduta un sacco di volte! Avevo sempre il ginocchio sbucciato
per un motivo o un altro e, dolore a parte, che ammetto non era
piacevole, mi divertivo lo stesso e appena pronta tornavo a correre o
arrampicarmi. Soprattutto arrampicarmi, mi è sempre piaciuto
vedere
il mondo dall'alto e avere la sensazione del vuoto sotto i piedi.
>>
<<
Fammi indovinare, eri una di quelle che sognava di poter volare.
>>
disse ancora Daryl col tono di chi in realtà non desidera
una
risposta perchè non gliene importa niente.
Ocean
rise ancora << Poco originale, vero? >>
Anche
cavalcare era un'attività che le piaceva molto. Tutto
ciò che le
dava la sensazione di volare era qualcosa di fantastico per lei.
Ma
l'argomento si chiuse lì, e Ocean non trovò
più appigli per
proseguire. Il silenzio cadde nuovamente tra i due e la cosa
sinceramente innervosiva un po' Ocean. Il silenzio le permetteva di
sentire meglio quello che aveva attorno, e questo le metteva ansia:
ogni singolo rumore pareva amplificato e terrificante. E il silenzio
faceva sembrare i suoi pensieri ancora più assordanti di
com'erano
già. Parlare l'aiutava a staccare la testa e calmarsi, non
dare peso
a ogni singola cosa. Ma di cosa avrebbe potuto parlare con uno
antipatico come Daryl così poco incline alla conversazione?
Sospirò
e si raccolse le ginocchia, abbracciandosi. Nonostante il fuoco
acceso il freddo non le dava tregua, avrebbe avuto bisogno del suo
mantello, anche perchè avvolgendosi in esso aveva
più il senso di
sicurezza. Così si sentiva scoperta e vulnerabile.
Accarezzò Max
accanto a sè, sforzandosi di trovare tranquillità
in quel gesto di
routine e sorrise nel vederlo scodinzolare nonostante gli occhi
chiusi e l'apparente sonno in cui sembrava immerso.
Sentì
la mancanza di Peggy. Era una gran compagnia anche lei, anche se
all'apparenza non sembrava. Ascoltava più di chiunque altro,
e le
piaceva sentire Ocean cantare.
Era
diventato ormai una loro abitudine la sera, prima di mettersi a
dormire, aspettare e ascoltare Ocean intonare una canzone. La voce
delicata della ragazza, quasi sussurrata per non destare i pericoli
nei dintorni, era così dolce che quasi risultava una ninna
nanna,
riscaldava il cuore, anche della ragazza stessa, e permetteva loro di
scacciare ogni tanto gli incubi.
Ocean
tenne gli occhi su Max, intenerita e addolcita, e quasi
dimenticandosi della compagnia eccezionale che aveva, come tutte le
sere, si fece venire in mente una qualche melodia e la
intonò
dapprima a labbra serrate, poi delicatamente le discuse e parole quasi
borbottate uscirono dalla sua bocca. Daryl le lanciò
un'occhiata curioso,ma tornò subito a concentrarsi sulla sua
cena,
lasciandola fare, sentendosi anche lui ammorbidito nonostante le
parole che Ocean pronunciava non le capisse. Era una lingua che non
conosceva, probabilmente la stessa usata nei suoi sogni, e si chiese
con curiosità che lingua fosse, da dove venisse quella
ragazza che
tanto desiderava fare l'eroina della storia ma che finiva solo col
combinare pasticci. Ma furono domande che tenne per sè. E
per il
momento godette della melodia e basta.
<<
C'era in un tempo candido, su qualche cielo
magico, stanza
di organza e nuvole e dentro una vita fragile.
Tutto sembrava facile;
crescere, che è un'incudine.
Dove li metto gli attimi? Come
conservo i brividi?
Non ti dimentico, non mi dimentico.
Piega
le lacrime, che bisogna andare via da quest'isola, via dalla scatola,
scrivi una favola e vola via. Via!
E vola via.
Vola e rimani
qua, lascia i ricordi o portali via. Via!
Siamo talenti o sagome,
vite tutte da scrivere solo per chi sa leggere sogni fatti di
nuvole.
Voglia di vivere, voglia di correre, liberi, liberi, che
bisogna andare via da quest'isola, via dalla scatola
Scrivi
una favola e vola via. Via!
E volo via!
Vola e rimani qua.
Lascia i ricordi o portali via. Porta lontano la fantasia.
Via.
Via
da quest'isola, via dalla scatola.
Scrisse una favola e volò
via... >> Max aveva alzato la testa a
metà canzone e aveva
proseguito ad ascoltarla, guardandola. Anche a lui piaceva sentirla
cantare, la sua voce diventava così dolce e delicata. Era
come se
sussurrasse dei segreti. Era bello.
Ocean
gli sorrise teneramente e gli fece un'altra carezza più
vigorosa
sotto l'orecchio, dove gli piaceva tanto. Max le leccò la
mano, in
segno d'affetto, poi si acciambellò vicino a lei e riprese a
dormicchiare beato, sotto lo sguardo vigile e intenerito della
padrona.
<<
Capitano di una nave di pirati, eh? >> chiese divertito
Daryl
dopo qualche minuto di silenzio, sorprendendo Ocean, la quale
alzò
subito gli occhi verso di lui e lo trovò sorridente, un po'
irriverente, ma non provocatorio o arrogante. Si era un po'
ammorbidito, glielo si leggeva negli occhi. La canzone aveva colpito
anche lui, non aveva capito le parole, ma il tono suggeriva tutta la
sua malinconia. E non è facile restare indifferente di
fronte al
dolore delle persone. I tempi che correvano portavano a dimenticare
che cosa fossero i sentimenti e che qualcuno ancora poteva provarne.
Era sempre una bella sorpresa quando venivano smentite certe
credenze.
<<
Certo! Cos'hai contro i pirati? >> chiese Ocean
lasciandosi
sfuggire anche lei un sorriso divertito. Daryl alzò lo
braccia in
segno di resa e si fece scappare una risatina << Niente,
assolutamente. >> la conversazione non era proseguita
oltre, ma
non era stata fine a se stessa. Qualcosa era di nuovo scattato,
lasciando da parte intolleranze ed astii, facendo vivere la compagnia
dell'altro con piacevolezza e sicurezza. Alla fine non c'era un vero
e proprio motivo per cui odiarsi a vicenda, non andavano d'accordo
molte volte e sicuramente avevano due caratteri contrastanti, ma
nessuno dei due aveva fatto un vero e proprio torto all'altro, quindi
perchè farsi la guerra?
Ocean
si stese, prendendo posizione e cercando di mettersi il più
comoda
possibile, per quanto una possa star comoda stesa a terra in mezzo
all'erba, e cercò di trovare la pace ideale per permettersi
un po'
di sonno. Non era così ambiziosa da pretendere un'intera
notte di
riposo, sapeva era impossibile, ma chiudere gli occhi un pochino le
avrebbe fatto bene e magari l'avrebbe resa meno nervosa.
Passò
la prima ora a fissare il vuoto, un vuoto buio davanti a sè
con
ombre che si allungavano e distendeva e che la terrorizzavano con le
loro forme spaventose, così simili ai suoi incubi peggiori,
ma poi
la stanchezza ebbe la meglio e riuscì finalmente ad
abbandonarsi al
tepore del sonno.
Un
fruscio e dei rumori la fecero svegliare di soprassalto, e per un
attimo temette che le fosse esploso il cuore il petto. Bastava
così
poco per ucciderla di paura. Spalancò gli occhi e
sussultando si
alzò a sedere e a guardarsi attorno. Le ci volle qualche
secondo per
mettere bene a fuoco cosa avesse attorno, e molto di più per
riuscire a tranquillizzarsi. Max dormiva ancora accanto a lei, aveva
rizzato un po' le orecchie, ma non sembrava agitato. Il fuoco era
ancora vivo e scoppiettava sui suoi legnetti, forse gli ultimi a
disposizione. Il cielo era buio e pieno di stelle, anche se in
lontananza cominciava a schiarirsi. Era presto ancora, ma non avrebbe
avuto bisogno di aspettare molto per l'alba. Seduto a braccia
conserte, poggiato con la schiena allo stesso tronco a cui l'aveva
lasciato prima di addormentarsi, c'era Daryl, gli occhi chiusi, la
testa cadente in avanti, immerso in un apparente sonno, ma che subito
smentì questa evidenza alzando la testa, guardando la
ragazza con lo
sguardo di chi non ha chiuso occhio tutta la notte e disse
<<
Era solo un animale. Puoi tornare a dormire, c'è ancora
tempo. >>
il suo tono era serio, quasi discostante, ma Ocean riuscì a
cogliere
in quelle parole tanta dolcezza, una dolcezza che da tempo non
provava. Probabilmente non era stata intenzione di Daryl, ma alla
fine si era preoccupato di tranquillizzarla invitandola a riposare
ancora, ignorando la sua stessa regola "faremo i turni".
Era rimasto sveglio tutta la notte per permettere a Ocean di
riposare.
Era
da così tanto tempo che qualcuno non si preoccupava per lei.
Anche
quella era una dolce novità, considerata ormai
così strana e
inusuale da farla sentire per un attimo un pesce fuor d'acqua,
imbarazzata, stranita, ma anche un po' intimorita: era ancora
possibile una cosa simile? Che fosse solo un trucco? Era stato
carino...ma ai tempi attuali nessuno era più carino. Che ci
fosse
l'inganno?
La
ragazza sorrise appena e si levò a sedere, sistemandosi i
capelli
con un gesto automatico, cercando di sorvolare l'accaduto e si
stirò
la schiena << Non riuscirei a prendere sonno. Ormai sono
sveglia e agitata. Perchè non dormi un pochino tu invece? Ne
avrai
bisogno. >>
<<
Non mi fido di te. >> rispose semplicemente lui,
facendosi
sfuggire un sorriso impertinente. Ocean si fece passare tutti i
pensieri dolci e tutte le carinerie che le stavano venendo alla
mente, lasciando spazio a un'ira improvvisa e funesta. E quasi si
sentì sollevata di questo: allora era tutto normale!
<<
Cosa?! >> brontolò, tornando a fulminarlo con
lo sguardo. Vide
Daryl ridere sotto i baffi, prima di riabbassare la testa e
richiudere gli occhi. Lo lasciò perdere, si divertiva a
stuzzicarla,
era questo il motivo e lei non doveva dargliela vinta.
Portò
gli occhi al fuoco davanti a sè e sospirò
cercando ancora la calma
che non era riuscita a ritrovare dopo il risveglio. L'aria del
mattino si stava facendo sentire, era più fredda e pungente
di
quella della sera prima, le faceva venire la pelle d'oca e le
pizzicava le guance, ma era piacevole anche quello. Le ricordava le
mattine d'inverno quando si caricava un pesantissimo zaino gigante
sulle spalle e faceva la strada a piedi per andare a prendere il
pulmino che l'avrebbe portata a scuola. Al tempo odiava quella
routine, ora a distanza di anni le mancava. Era tutto così
semplice,
e perfino la brezza mattutina tanto violenta delle volte poteva
essere in realtà fonte di vita e piacere. Un brivido la
scosse e
tornò subito a riabbracciarsi le ginocchia, cercando calore
in se
stessa. Il fiato che usciva dalle sue labbra screpolate faceva una
simpatica nuvoletta bianca, e anche con quella al tempo si era
divertita un sacco: "Guarda, fumo!" era il classico gioco
dei bambini.
Daryl
riaprì gli occhi e chinandosi verso il fuoco ci
lanciò dentro un
altro pezzo di legno << Non appena salirà il
sole si dovrebbe
cominciare a stare meglio. >> disse e Ocean
annuì cominciando
a pregare che il sole sorgesse prima del previsto. Aveva freddo.
Pensò
a Peggy: chissà dove era andata a cacciarsi. Sola, impaurita
e forse
infreddolita anche lei. Sperava fosse davvero tornata alla fattoria,
lì sarebbe stata bene, anche se voleva dire ritornare e
ri-affrontare chi avrebbe cercato di fermare la sua partenza
solitaria. Ma preferiva seguire le tracce, piuttosto che andare per
tentativi: non voleva sprecare tempo. E voleva evitare di tornare
indietro per niente.
<<
Avvicinati. >> la incitò Daryl, attizando il
fuoco e
guardandola con degli occhi strani. Aveva qualcosa in mente, glielo
si leggeva in faccia, era come se avesse qualcosa da dire ma non
volesse farlo. Ed era effettivamente così: Ocean si era
lamentata
nel sonno anche quella notte. Ma non voleva metterla in imbarazzo con
domande troppo personali.
La
ragazza accettò il suggerimento e tirandosi avanti col
sedere si
avvicinò alle fiamme, allungò le mani verso esse
e godette del
calore sui palmi. Non era il massimo, non riusciva a darle il piacere
di cui aveva bisogno, ma andava bene comunque.
Daryl
restò in silenzio qualche minuto ad osservare le fiamme che
si
contorcevano e si rincorrevano, immerso nei suoi pensieri, e per la
prima volta Ocean si chiese cosa avesse per la testa.
Sospirò,
un sospiro quasi arrendevole, e abbassò gli occhi
<< Perchè
nessuno l'ha mai fatto per me. >> disse senza
contestualizzare
la frase. Ocean aggrottò la fronte e cercò di
capire da sola a cosa
si stesse riferendo il ragazzo, senza successo. Si portò le
mani
ormai calde alle labbra, le chiuse a bozzolo e ci soffiò
dentro,
cercando ancora calore in un gesto di routine.
Daryl
assunse un espressione fredda e distaccata e si aiutò a
uscire
dall'imbarazzo con un gesto disinvolto della mano << Il
perchè
ho sacrificato tanto per Sophia e ti sto venendo dietro. La
verità è
questa: Nessuno l'ha mai fatto o l'avrebbe mai fatto per me, neanche
mio fratello. >> e per la prima volta Ocean non vide in
lui il
ragazzo scorbutico e arrogante che sempre cercava di essere. Non
capiva assolutamente il senso di tutto quello, non riusciva a capire
perchè diamine Daryl gli stesse dicendo quelle cose, ma
comunque ciò
le fece piacere. Era una prova di umanità in mezzo a tanto
schifo,
la prova che le persone erano ancora in grado di provare sentimenti
ed essere legati al proprio passato. Esistevano ancora cose del
genere: credeva che non avrebbe mai avuto modo di ritrovarlo. E poi
sapere che anche Daryl era in grado di provare sentimenti era
comunque sia una bella notizia, allora forse non era poi il ragazzo
antipatico che voleva dimostrare. Per la prima volta si
sentì
veramente vicino a lui. Non tanto perchè si era aperto a
lei, anche
se non ne capiva il motivo, ma perchè quella rivelazione che
le era
stata fatta aveva mostrato qualcosa di più: loro due erano
più
simili di quello che si poteva pensare. La sua frase voleva dire
molto più di così, un accenno a quello che era
stato il suo passato
e probabilmente era proprio quel passato ad averlo reso così
duro.
La
corazza che si erano costruiti loro due era dello stesso tipo.
Ocean
abbassò gli occhi, imbarazzata come ci si può
sentire di fronte a
chi ti dice che gli è morto un caro parente: non sai mai
quali siano
le parole più adatte, e tutto sembra stupido e superficiale.
<<
E così hai un fratello, eh? >>
riuscì a dire, aggrappandosi
all'unica cosa che le sembrava più capace di allontanarli da
quella
situazione imbarazzante.
Daryl
si lasciò sfuggire un sorriso sarcastico e un po'
infastidito <<
Merle. >> annuì, e tale era stato il suo tono
che Ocean fece
fatica a capire che quello pronunciato era un nome e non un verso di
disgusto << Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta
e l'ha
lasciato lì. >> raccontò come si
può raccontare un
divertente annedoto dell'infanzia.
Ocean
spalancò gli occhi sorpresa, non sapendo se dispiacersi o
ridere <<
Davvero? Eppure Rick sembra così...giusto. >>
ci aveva messo
un po' a trovare la parola adatta, anche se quella non lo era per
niente.
<<
Lo è. E' mio fratello che non lo era. Non è mai
stato la perla del
gruppo, anzi non è mai stato la perla di nessuno. Era un po'
troppo... >> cercò anche lui la parola adatta
senza trovarla,
e fece spallucce << Lui era Merle. >>
niente poteva
definirlo meglio di così.
<<
Mi dispiace molto. >> disse Ocean. Era una forma standard
di
condoglianze, di quelle che alla fine non si provano davvero, ma
è
solo un modo come un altro per dimostrare un minimo di
umanità.
Daryl
fece spallucce e alzò gli occhi al cielo <<
Non è detto sia
morto. Siamo tornati a cercarlo e ho trovato solo la sua mano. Le
tracce lasciate fanno pensare sia riuscito però a scappare.
>>
disse ancora con una tranquillità che in altre situazioni
non
sarebbe stata plausibile. Non dava il giusto peso alla faccenda per
non permettergli di schiacciarlo.
Ocean
lo guardò un po', meravigliandosi ancora di come si fossero
ridotti
a certe confidenze, loro due che non potevano vedersi e che
probabilmente ancora sarebbero tornati a detestarsi. Era un momento
di pace, era zona franca, le armi erano state riposte momentanemante
per concedersi una pausa in cui condividere il boccale e la
sigaretta, ma non per questo la guerra era finita. Ciò non
toglieva
però che la cosa fosse piacevole. Non sapeva come erano
arrivati lì
e non sapeva il perchè, ma dopo tanto tempo finalmente si
sentiva
accanto del calore umano. Dopo tanto tempo era tornata a provar
piacere della vicinanza di una persona e quasi desiderò che
quel
momento non finisse mai.
Sorrise
e tornò a fissare le fiamme << E' vivo.
>> disse con
sicurezza.
Daryl
alzò gli occhi speranzoso: che sapesse qualcosa? Si era
dimostrata
così sicura nella voce che magari prima l'aveva incontrato,
magari
aveva sue notizie. Ma si dovette subito ricredere, lei non lo
conosceva, era facile da capire che il suo sguardo era solo di
supporto.
<<
Come fai a dirlo? >> chiese lui alzando un sopracciglio,
per
niente convinto che dicesse la verità, ma lieto che stesse
provando
a rassicurarlo in qualche modo.
<<
Nei film dell'orrore gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire.
>>
si giustificò semplicemente Ocean facendo trapelare tutta la
sua
ironia, volta semplicemente a strappare un sorriso al suo compagno e
allietare la conversazione. Atto che sembrò avere i suoi
frutti
provocando una leggera risata in Daryl, divertito e forse addirittura
convinto e veramente rassicurato. Suo fratello era un duro, uno
veramente tosto, non si sarebbe fatto buttare giù con tanta
facilità
e per quanto l'affermazione di Ocean era solo di simpatia e
circostanza, forse forse un fondo di verità l'aveva. Ed era
questo
fondo di verità che lo divertiva.
<< Era dai tempi in cui viaggiavo con Merle che non
passavo la notte
solo nel bosco. >> continuò lui, cercando di
tenere vivo e
acceso quel clima confidenziale che tanto stava rendendo piacevole il
loro soggiorno in quel posto. << Devo dire che non mi
mancava
per niente. >> concluse.
Ocean
continuò a fissare distrattamente le fiamme davanti a
sè <<
Vi state ammosciando a stare chiusi lì. Prima o poi dovrete
andarvene, e allora non sarete più pronti. >>
<<
Cosa ti fa pensare che sarà così. E' stato un
posto sicuro a lungo,
può continuare a esserlo ancora. >>
<<
Nessun posto è sicuro >> parlava con
cognizione di causa. Lo
si sentiva. Daryl stava per ribattere, ma Ocean lo anticipò
<<
Cosa credi ci sarà domani? >> il suo sguardo
distratto si
trasformò e divenne profondo, uno sguardo che bucava e
andava oltre
a tutto quello che aveva davanti. Serrò la mascella e
alzò gli
occhi, guardando in viso il suo interlocutore << Questo
mondo
non è lo stesso che conosciavamo tempo fa. Puoi allungare il
brodo,
cercare di tirare il più possibile, ma non è
altro che un ritardare
l'inevitabile. Il mondo non ci appartiene più, stiamo
lottando per
qualcosa che ormai non è più nostro e prima o poi
saremo costretti
a rinunciarvi. Abbiamo già perso! >>
<< Per ora mi limito a tenermi addosso la pelle.
>> rispose
semplicemente Daryl. E Ocean non aggiunse altro, ricevendo un altra
prova di come loro due fossero così simili. Era meglio per
tutti
lasciar da parte certi pensieri, la totale assenza di futuro e
speranza uccideva i più deboli più di una lama di
un coltello.
Il
cielo cominciò a schiarirsi, il sole stava sorgendo. Il
tempo era
passato più velocemente di quello che credevano, e presto si
sarebbero rimessi in cammino. La stanchezza gravava su entrambi, ma
non li avrebbe fermati o li avrebbe ammazzati.
Ocean
sospirò arrendevole e alzò gli occhi al cielo,
assumendo
un'espressione visibilmente infastidita e scocciata prima di dire col
tono di chi accetta delle condizioni che non tanto gli vanno a genio
<< Alice. >>
Daryl
aggrottò la fronte non capendo assolutamente di cosa stesse
parlando
e il perchè di quell'atteggiamento << Cosa?
>>
Ocean
cercò di rendere il tutto più superficiale e meno
importante
possibile, aiutandosi con gestualità ed espressioni
<< E' il
mio vero nome. >>
L'aveva
fatto.
Aveva
seppellito tutto quanto e aveva lottato a lungo per tenere il tutto
dov'era, per seprarsene e non averne più a che fare, ma
quella sera
qualcosa era scattato in lei. A dire il vero era più un
bisogno di
sdebitarsi che quello di aprirsi. Non voleva far riaffiorire niente
della vita di Alice, ma Daryl aveva rivelato così tanto di
sè,
aprendosi anche più del dovuto e del richiesto, e lei
sentiva che
sarebbe stato doveroso richiambiare in qualche modo e fare
altrettanto. Occhio per occhio. Ma che non sperasse di andare oltre!
Aveva già superato un grosso limite che si era imposta e non
avrebbe
fatto un passo in più. Che si accontentasse di quello,
perchè mai
avrebbe riportato a galla quel forziere.
Alla
fine, infondo, era solo un nome. Avrebbe anche potuto
sopportarlo...forse.
<<
Alice >> provò a ripetere lui ma pronunciando
il nome
all'americana.
<<
No! Alice. >> scandì bene
lei, forzando l'accento
italiano. Cavoli gli aveva appena donato una grossa parte di
sè, che
la trattasse per bene senza rovinarla e storpiarla! Daryl
provò più
volte a ripeterlo, cercando di ottenere la giusta pronuncia,
sbagliando sempre qualcosa e costringendo Ocean, intollerante, a
ripeterlo ancora e ancora, finendo con il divertire il balestriere
che quasi aveva preso a sbagliare di proposito, per vederla ancora
innervosirsi e continuare come una meastrina a scuola. E alla fine
Ocean si arrese << Dillo come ti pare! >>
mandando Daryl
a quel paese con un gesto del braccio, il quale scoppiò a
ridere e
rivelò le sue vere intenzioni << Va bene, va
bene, ho capito.
Alice. >> disse bene alla fine. E per
un attimo a Ocean
passò tutto il nervoso, ritrovandosi a scacciar via pensieri
poco
consoni al momento. Aveva sempre trovato molto sensuali gli americani
che con il loro forte accento tentavano di pronunciare parole
italiane, e in quel momento ne trovò nuovamente piena
conferma.
Era
stato sexy.
Ma
tutto questo non lo fece trapelare. Si trattenne dal chiedergli di
pronunciarlo ancora, non voleva che il fighetto si caricasse di
ancora più vanità e si sentisse legittimato a far
esplodere il
proprio testosterone. Non l'avrebbe sopportato, erano cose
detestabili! E poi non era proprio il momento per certe cose!
<<
Mi piace molto di più Alice di Ocean.
>> fermi tutti!
Che stava combinando?! Chi gli aveva concesso certe libertà?
Nessuno
aveva chiesto il suo parere! Che aveva intenzione di fare? Diventare
amici?
"Bello, non hai capito niente! Stattene al tuo
posto!" pensò Ocean in un misto di fastidio e forte
imbarazzo.
Quello voleva essere una specie di complimento, forse? Non ne voleva
sapere niente, la situazione si stava facendo anche fin troppo intima
e la cosa non le piaceva e la faceva sentire fortemente a disagio.
Sentì le guance prendere improvvisamente fuoco e
rendendosene conto,
temendo la cosa fosse visibile e temendo di dare segnali sbagliati al
ragazzo che aveva di fronte, rise ironicamente, facendo sembrare la
cosa stupida e si alzò, voltandosi con la scusa di tornare
al suo
posto e raccogliere le sue cose per prepararsi alla partenza. Il sole
non era ancora altissimo nel cielo, ma poco importava: loro erano
svegli, e lei voleva fuggire via da quella situazione. Era caduta
dalle nuvole e si era improvvisamente resa conto di quello che stava
realmente succedendo: stava socializzando! Stava disgustosamente
socializzando. E ringraziò il cielo che non si fosse
addirittura
spinta oltre e non avesse cominciato pure a flirtare. Ma che stava
facendo?!
<<
Posso chiamarti così? >> continuò
Daryl, che in cuor suo non
aveva nessuna intenzione particolare, voleva solo cercare di
allentare un po' le tensioni, avvicinarsi un po', e magari pian piano
convincerla che avere qualcuno accanto che ti protegge il culo non
era poi così male. Lui stesso i primi tempi era
così, solitario,
viveva solo con suo fratello e quello doveva essere il suo obiettivo,
ma da quando aveva trovato questa nuova famiglia tutto era cambiato e
mai e poi mai sarebbe tornato indietro. Aveva trovato quello che mai
aveva avuto: qualcuno da proteggere, e qualcuno che proteggesse lui,
dandogli il giusto valore. Forse era anche per quello che si era
incaponito tanto.
Loro
due erano uguali.
E
se lui aveva trovato così tanto nel gruppo, poteva trovarlo
anche
lei e allora lo avrebbe ringraziato.
<<
No, lo detesto. >> rispose con semplicità
Ocean, pentendosi di
quello che aveva appena fatto. Il suo gesto non voleva essere un
incipit a conoscersi meglio, non gliene importava nulla di lui e del
suo passato, così come lui avrebbe dovuto lasciare in pace
lei.
Voleva solo "sdebitarsi". Stava andando decisamente oltre e
la cosa la faceva innervosire non poco. Daryl sorrise sottecchi,
rendendosi conto dell'umore della ragazza che si stava adirando e
trovando ancora divertente quel suo modo di fare. Bastava poco per
farle scattare i nervi, e non si rendeva conto di quanto potesse
sembrare ridicola nel prendersela tanto per così poco.
Si
alzò in piedi anche lui, cominciando a buttare terra sul
fuoco per
spegnerlo, preparandosi a riprendere il cammino: avrebbero dovuto
trovare la cavalla alla svelta per poi tornare indietro, sicuramente
gli altri si erano resi conto della loro assenza e sperava non si
fossero buttati a capofitto nella ricerca, non dovevano mettersi in
pericolo per loro. Ma non poteva certo mandargli un sms con scritto
"torno subito, abbiate pazienza". I telefonini
disgraziatamente non funzionavano più.
<<
Alice. >> ripetè ancora tra
sè e sè riflettendoci
sopra. Ogni volta che lo pronunciava qualcosa esplodeva in Ocean, e
le budella non le si attorcigliavano solo perchè lo trovava
sexy, ma
anche perchè sentiva ne stava abusando. Lei non aveva
più usato
quel nome da mesi, e non voleva più sentirlo nè
averci niente a che
fare, ma lui a questo non ci arrivava. Era una cosa che doveva morire
lì.
<<
E' un nome europeo, o sbaglio? >> chiese dopo qualche
secondo
di riflessione mentre finiva di spegnere il fuoco.
Ocean
si voltò di scatto, arrivando al limite, e gli punto un
minaccioso
dito contro << Ehi, bello! Non allargarti, va bene? Non
credere
che ora io sia la tua amichetta del cuore. >> Daryl
scoppiò a
ridere nel sentirla << Figurati! >> neanche
a lui gli
era passato minimamente per la testa che la chiacchierata di quella
notte potesse in qualche modo aver cambiato le cose tra loro. Era
stato piacevole, soprattutto perchè avevano avuto modo di
capire che
entrambi alla fine erano umani e non avevano cattive intenzioni, solo
una vita alle spalle che pressava sul presente, ma continuava a
credere che fosse un'imbranata acida.
Le
armi erano state riprese, anche metaforicamente. La zona franca era
stata lasciata e i due si preparavano a tornare in guerra, anche se
forse, nonostante nessuno dei due volesse ammetterlo, qualcosa era
cambiato davvero. Non si può arrivare a toccare le zone
più intime
di qualcuno e poi voltarsi come se niente fosse, qualcosa rimane in
entrambi, qualcosa che spesso si traduce in complicità e
affinità.
Anche se non erano ancora pronti per ammetterlo.
Ocean
battè le mani a voler attirare l'attenzione e disse ad alta
voce <<
Max, in piedi! Cerca Peggy, Max! Dov'è Peggy?
>> lo stimolò.
Max non era mai stato con probabilità un cane da caccia, e
seguire
le tracce non era proprio quello che sapeva fare meglio, ma comunque
aveva l'olfatto migliore tra i presenti e Ocean contava molto su di
lui. Max sbadigliò, si stiracchiò e
cominciò ad annusare l'aria in
cerca di qualche indizio. Provò a fare qualche passo nei
ditorni,
annusando il terreno, cercando ancora una pista. Daryl, finito di
sistemarsi e presa la balestra in spalla, sì
avviò con decisione e
tranquillità verso una direzione precisa, e passando accanto
ai due
disse << Di qua. >>
<<
Oh, ma guarda! Sei un cane da caccia e non lo sapevo. Bravo Fido!
>>
disse ironica Ocean incrociando le braccia al petto, trovandosi
nuovamente indispettita per i modi di fare così sicuri del
ragazzo
che spesso sembravano volerla umiliare appositamente, sottolineando
quanto, secondo lui, lei fosse incapace.
<<
Conserva il tuo sarcasmo, chissà che magari non ti
potrà salvare in
futuro. Infondo è l'unica arma che hai, se non fai
affidamento su
quella... >> rispose Daryl a tono senza rallentare. Il
sangue
di Ocean le salì al cervello e tornò a provare il
forte desiderio
di strozzarlo e impiccarlo. Ma probabilmente le sarebbe stato utile
ancora per un po', sapeva seguire le tracce, l'avrebbe portata da
Peggy...e poi l'avrebbe impiccato.
Trattenne
quindi per il momento l'istinto omicida e prese a seguirlo in
silenzio, preparandosi però mille altre risposte adeguate da
potergli rifilare alla prima occasione. Il suo orgoglio le impediva
di dargliela vinta. E poi era odioso, non meritava di sembrare figo
solo lui. Si dava troppe arie per i suoi gusti.
Angolino
dell'autrice!
Aaaaaaaaaaallora...intanto
buongiorno a todos :P un grazie pubblico a chi segue la mia storia, a
chi legge e soprattutto a voi anime pie che recensite stimolandomi a
sbrigarmi nel continuare e proseguire * lacrimuccia commossa *
sappiate lo apprezzo tantissimo!!
Pppppppppoi...i credits: la
canzone che canta Ocean/Alice è "Vola via" di Ilaria
Porceddu (e per i curiosi eccola :P la trovo bellissimissima!!! E
adoro la voce di questa donna!
http://www.youtube.com/watch?v=gabsQmR1NgY
vi invito ad ascoltarla ).
E infine altra comunicazione di
servizio: ho messo in corsivo le parti in cui lei (o lui quando cerca
di pronunciare il suo nome) parla italiano e non inglese,
così da
riuscire a differenziare la lingua capita da tutti e condivisa dalla
sua di origine, e che quindi non capisce nessuno ahahah
Continuerò
così anche nei prossimi capitoli, quindi laddove vedete
corsivo
sappiate è italiano (anche se è facile lo
specificherò al momento
del racconto). Il nome Alice l'ho riportato in corsivo in questo
capitolo per differenziarlo dall'Alice americano (""Elis"")
che Daryl dice inizialmente, ma nei prossimi (perchè
sì, come
potrete immaginare verrà usato anche nei prossimi) lo
riporto
normalmente per evitare di star sempre a "incorsivare"
ahahah però sappiate è "Alice" all'italiana u.u
Bene...mi sembra di aver detto tutto.
Un saluto.
Ray.
Ps.
RECENSITEEEEEE u.u è un ordine! Ahahaha no, scherzo. E' che
le
recensioni mi stimolano a fare di più :P se vengo ignorata
mi
deprimo e nessuno vuole una scrittrice depressa u.u
|
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Capitolo 13 *** Ardimento. ***
Ardimento
Fu
il viaggio più noioso che Ocean avesse mai affrontato.
Daryl
davanti a lei faceva da guida turistica, e l'unica cosa gli mancava
era solo l'ombrello alzato da seguire per completare l'opera, ma non
proferì parola per tutto il tempo. Stessa cosa per Ocean che
lo
seguiva pigramente, con i pollici infilati nella cintura: sentiva
tanto la mancanza di un paio di tasche a volte. E infine Max,
silenzioso come un'ombra. L'unico rumore che si poteva percepire nel
giro di kilometri erano foglie mosse dal vento, scricchiolii di rami
spezzati sotto i loro piedi e qualche verso, forse animali o forse
zombie. Daryl procedeva spedito senza indugiare, seguendo tracce che
Ocean neanche sapeva esistessero, riuscendo a intravedere ogni tanto,
quando proprio si impegnava, una zoccolata in zone di terreno un po'
più fangoso.
La
stanchezza la rendeva un po' confusa e le faceva venire il mal di
testa, il silenzio peggiorava il suo abbiocco pomeridiano, e la
sicurezza di avere due ottime guardie del corpo erano la ciliegina
sulla torta: perse il senso dello spazio, e proseguì per
inerzia,
smettendo a un certo punto di chiedersi dove fossero. Tanto nemmeno
la conosceva quella terra, la girava solo da pochi mesi. Non era mai
riuscita a conoscere bene neanche il paesino in cui era vissuta,
figuriamoci quel luogo in cui alloggiava da così poco! Non
aveva
grandissimo senso dell'orientamento ed era pessima in geografia: per
imparare una strada aveva bisogno di concentrazione e un ripasso
più
o meno accurato un paio di volte. Quindi, dopo un paio d'ore, si
spense completamente, smettendo addirittura di vedere dove metteva i
piedi e affidandosi solo alla fortuna per evitare di cadere in
qualche buca.
Fu
uno sbadiglio a ridestarla, facendole tornare alla mente che si
trovava in un bosco di un paese sperduto in America in cerca di un
cavallo insieme ad un caro amico e un animale (e Max era il caro
amico). Si guardò attorno sperduta chiedendosi per la prima
volta
dopo ore dove cavolo fossero finiti. Era assurdo che Peggy fosse
corsa così lontano.
<<
Di la verità mi stai attirando in un luogo isolato per
ammazzarmi,
vero? >> chiese distrattamente mentre si stropicciava un
occhio. Aveva decisamente bisogno di riposare. Daryl la
zittì con
uno "sh" e un gesto della mano, e questo la fece come
sempre infuriare << Non dire "sh" a me!! >>
brontolò alzando il tono della voce, ottenendo in risposta
solo uno
sguardo omicida che faceva trapelare tutto il suo "se non ti
tappi quella bocca ci penso io a farti tacere!".
Un
fruscio poco lontano diede una motivazione a quel gesto del
balestriere, facendo sussultare per un attimo Ocean. Zombie? Si
portò
d'istinto la mano alla spada, ma Daryl stese il braccio di fronte a
lei, invitandola a stare ferma e indietro, e si portò la
balestra
davanti al viso, prendendo la mira contro un nemico che ancora non
voleva mostrarsi.
Ocean
si sentì il fiato mancare, non tanto per la paura ma quanto
perchè
doveva fare silenzio e in quel momento perfino il suo respiro
sembrava un rumore assordante. Pronta a veder sbucare chissà
quale
putrida creatura zoppicante continuò a fissare il punto da
dove era
arrivato il fruscio e dove Daryl teneva puntata la sua balestra.
Poi... Un coniglio grigio saltò fuori e si guardò
attorno, le
orecchie alzate e i muscoli tesi, il nasino che si muoveva
ritmicamente, annusando e studiando la situazione. Sentiva c'era
qualcosa che non andava intorno a lui, fiutava il pericolo ed era
pronto a scappare in caso di necessità.
<<
Che carino!!! >> disse Ocean a un tono esageratamente
alto,
facendo spaventare il coniglio e facendolo scappare. Daryl
provò a
sparare lo stesso, in un gesto frettoloso e disperato, ma
mancò la
preda che andò a infilarsi e nascondersi sotto un albero.
<<
L'hai fatto scappare!! >> si girò incazzato
Daryl, fulminando
la sua compagna di viaggio.
<<
Volevi ucciderlo? >> chiese Ocean sconcertata, come se
avesse
appena detto una blasfemia.
<<
Certo che volevo ucciderlo! Che avevi intenzione di mangiare
più
tardi altrimenti?! >> brontolò ancora lui
prima di avviarsi
per recuperare la freccia sprecata, i passi pesanti e le mani ben
serrate dimostravano tutta la sua rabbia.
<<
Mangiare? Io non avrei mai mangiato Bugs! E non l'avrei permesso
neanche a te! >> Daryl spalancò gli occhi a
sentirla parlare
così, e si voltò a guardarla incredulo, pensando
fosse decisamente
fuori di testa.
<<
Bugs? Gli hai ...dato un nome? >> chiese non sapendo se
ridere
o piangere dell'assurdità. Che razza di persona era? Cosa
aveva per
la testa? Non poteva essere così fulminata, sicuramente lo
stava
facendo apposta. Ma sì, non potevano esserci altre
spiegazioni.
Stava solo cercando di confonderlo e farlo incazzare.
<<
Bugs Bunny!! >> disse lei sorridendo quasi orgogliosa per
la
trovata "originale". << Non lo trovi carino?
>>
Daryl
scosse lentamente la testa, cercando di rimettere ordine ai pensieri
<< Ok. >> cominciò prima di
riafferrare la freccia da
terra << Tu hai qualcosa che non va'. >>
concluse
cercando di lasciar perdere o avrebbe tirato pazzo anche a lui.
<<
Comunque ora mi devi una cena. >> aggiunse infine prima
di
riprendere a camminare.
Ocean
trattenne una risata e riprese a seguirlo. Non era veramente pazza,
le piaceva sembrarlo. Di solito quando era sola cercava sempre di
tenere la mente impegnata e lontana da cattivi pensieri, per non
rischiare veramente di uscirne pazza e tentare il suicidio, e spesso
il suo unico modo era la beffa. Scherzava su ciò che la
circondava,
ironizzava, alleggerendo la situazione e permettendole così
di
continuare a mantenere la mente lucida. E poi non era mai andata a
caccia prima d'ora, si era sempre arrangiata come poteva rufolando
nelle dispense delle case o nei supermarket, facendo la fame qualche
giorno piuttosto, ma, nonostante non fosse vegetariana, l'idea di
uccidere o vedere uccidere un animale non le piaceva e preferiva
rimandare qualora ce ne fosse stata la possibilità.
<<
Al prossimo Mc Donald ci fermiamo e offro io. >> disse
con
tranquillità riprendendo a stropicciarsi la faccia. Sentiva
il
bisogno di un caffè, erano mesi che non ne beveva uno e gli
mancava
terribilmente. Mannaggia ai vizi italiani!
Daryl
evitò di rispondere ancora, ormai aveva capito qual era
l'andazzo.
Finchè gli avrebbe dato corda lei avrebbe continuato a dir
cose
assolutamente senza senso. Lo faceva apposta, era palese che lo
faceva apposta.
Proseguirono
per un'altra ora, o almeno così credette Ocean. Il luogo
intorno a
lei era sempre uguale, nonostante le ore di viaggio, tutto era
rimasto immutato: alberi...ancora alberi...altri alberi...e, oh! Un
cespuglio. Wow. Camminavano ma sembrava di stare fermi o al massimo
di girare attorno. Eppure Daryl sembrava così sicuro e
deciso, si
guardava attorno, guardava il cielo e poi tornava a guardare la terra
e seguire tracce invisibili agli occhi di Ocean. Come faceva?
La
ragazza proseguì alternando i momenti di silenzio, con
quelli in cui
sbadigliava e altri in cui canticchiava e cercava di tenersi sveglia
e impegnata. Si chiedeva abbastanza spazientita quando sarebbero
arrivati e a ogni passo aumentava la sensazione che Daryl la stesse
prendendo in giro: possibile davvero che la cavalla fosse corsa
così
lontano?
Daryl
si fermò e si guardò attorno destando la
curiosità di Ocean. Che
era successo? Lo vide avvicinarsi a un albero, scrutarlo, toccarlo e
poi chinarsi a terra a guardare il suolo, spostando le foglie con un
leggero tocco e continuando ad osservare. Ocean gli si
avvicinò
curiosa di capire cosa avesse provocato quell'interruzione e lo
osservò mentre studiava il suolo come un professore
può osservare
uno studente fare un compito in classe.
<<
Ci siamo persi eh? >> disse poi lei, non notando niente
di
strano per terra se non foglie, erba, terra e polvere.
<<
Non ci siamo persi. >> rispose lui scocciato.
<<
Voi uomini siete sempre così orgogliosi quando si tratta di
conoscere la strada, non volete mai ammettere che vi siete persi.
>>
continuò lei sbadigliando ancora, annoiata e si
appoggiò con la
schiena al tronco dell'albero a cui erano vicini, guardandosi attorno
pigramente.
<<
So perfettamente dove siamo, non ci siamo persi. >>
continuò
lui prima di alzarsi in piedi e guardare nella direzione in cui
riprese a proseguire. Ocean si staccò dall'albero e lo
raggiunse <<
Fermati, abbassa il finestrino e chiedi indicazioni. >>
consigliò lei, cercando di sembrare il più
naturale possibile. Ma
non era difficile, la noia e la stanchezza le facevano dire le cose
con una tale pigrizia che poteva essere scambiata per sicurezza.
Daryl per un attimo si fermò, cercando di assimiliare
l'informazione, poi la guardò stranito prima di riprendere a
camminare << Mi prendi in giro? >> Ocean in
risposta
sbuffò e si stirò la schiena allungando le
braccia verso l'alto.
<<
Sei stanca? Ti vuoi fermare? >> chiese Daryl tornando
serio.
Era abbastanza stufo di sentirla mugolare, sbadigliare e sbuffare.
<<
No, no. Va bene così. Vediamo di arrivare quanto prima e
basta. >>
rispose lei prima di voltarsi a guardare nella direzione dove aveva
sentito provenire un verso che ormai aveva imparato a riconoscere.
C'era uno zombie, poco lontano da loro, che girovagava solo diretto
chissà dove. Era più facile vederli raccolti in
sciami, ma le
apparizioni singole non erano rare. Daryl lo ignorò e
proseguì, era
uno solo, non avrebbe dato problemi e poi sembrava non averli visti.
Avrebbe volentieri evitato di sprecare una freccia.
<<
To', guarda! >> esordì lei invece assumendo un
sorriso,
divertita dalla coincidenza << Un onesto cittadino pronto
a
darci una mano! >> e si avvicinò di qualche
passo allo zombie,
alzando una mano a voler attirare la sua attenzione << Mi
scusi! Signore! Ha per caso visto passare di qua una cavalla bruna?
>> Daryl si voltò a guardarla sconcertato:
c'era limite alla
stupidità di quella ragazza? Lo zombie ovviamente la
sentì, si
voltò verso lei e cominciò a correrle incontro
aumentando la
frequenza e il tono dei suoi versi gutturali affamati.
<<
Oh, lo sa! >> continuò Ocean rivolgendosi a
Daryl, che invece
non aveva il suo stesso entusiasmo e in pochi secondi
afferrò la
balestra e sparò una freccia in fronte allo zombie che stava
correndo loro incontro.
<<
Oh, andiamo!! Hai ucciso l'unico stronzo nei paraggi che poteva darci
un'informazione! >> si finse scocciata lei prima di
avvicinarsi
al cadavere. Gli diede un paio di colpi in viso con la punta dello
stivale assicurandosi fosse veramente morto, poi sempre con lo
stivale gli voltò la faccia dall'altro lato, posò
il suo piede
sulla sua guancia e fece pressione. Sentì le ossa marcie
scricchiolare e un fiotto di sangue nero uscì dal suo naso.
Rimanendo con il piede poggiato sulla sua guancia posò
l'altro
ginocchio a terra, vicino a lui, si infilò i suoi guanti in
pelle
che aveva tenuto nella cintura fino a poco prima, e si chinò
in
avanti. Afferrò la freccia nella sua fronte e con uno
strappo deciso
la tirò via. Daryl le si avvicinò nel frattempo
chiedendosi ancora,
e ancora, e ancora chi glielo avesse fatto fare.
<<
Perchè fai così, si può sapere? Se nei
paraggi ce n'erano altri
saremmo stati assediati. >>
<<
Era solo l'hai visto anche tu. >> rispose lei porgendogli
la
freccia << E poi mi annoiavo. >> ammise
seria prima di
cominciare a frugare nelle tasche dello zombie che avevano appena
atterrato. Il piede sinistro era ben premuto contro la sua guancia,
ad assicurarsi così che se mai avesse deciso di non essere
abbastanza morto e di rialzarsi non avrebbe avuto modo di attaccarla
repentinamente, perchè prima doveva liberarsi dal suo piede,
e
questo le avrebbe dato tempo di dargli il colpo di grazia.
Trovò
un portafogli nella prima tasca interna della giacca, era un po'
molliccio per il sangue e puzzolente, ma ancora intero. Lo
aprì,
tirò fuori un paio di banconote da cinquanta e le porse a
Daryl <<
Ecco i soldi per la cena al Mc che ti dovevo. >> disse
sarcastica prima di lanciarle via, facendole svolazzare poco lontano.
In una taschina interna al portafoglio, con copertura trasparente,
vide la patente e si soffermò a leggerla. Faceva sempre uno
strano
effetto l'evidenza: quelle cose prima erano persone normali, come
loro. Faceva venire uno strano morso in gola e sensi di colpa,
dispiaceri e tutto tornava ad essere spaventoso: anche loro sarebbero
potuti diventare così.
<<
Brutta giornata, eh, Daniel? >> disse Ocean tentando di
essere
come al solito sarcastica, per alleggerire la situazione, ma non
riuscendoci e dalle sue labbra uscì solo un tono dispiaciuto
e
rammaricato. Compassionevole. Girando il porta-carte del portafoglio
trovò un'altra tasca trasparente dove erano state infilate
due foto,
una di una bella donna dai capelli rossi e gli occhiali da lettura, e
una di una bambina sui sei anni con gli stessi capelli rossi legati
in una coda di cavallo, le lentigini e un sorriso in grado di
illuminare il cielo. Ocean chiuse per un attimo gli occhi,
sospirando, sentendosi attanagliare dal dispiacere. Daryl
semplicemente voltò la testa e si allontanò di
qualche passo,
aspettando in disparte che Ocean finisse la sua perlustrazione.
La
ragazza richiuse il portafoglio e lo infilò accuratamente
all'interno della tasca dove l'aveva trovato, trattandolo con
rispetto. Riprese a frugare anche nelle altre tasche, cercando di
essere però meno invasiva e più delicata. L'unica
cosa che trovò
ancora furono un paio di chiavi, che rimise al loro posto, un
accendino ancora funzionante e un fazzoletto in tessuto. Prese questi
ultimi due, spostò il piede dalla guancia di Daniel e gli
coprì il
viso col fazzoletto trovato. Poi si intascò l'accendino, si
alzò e
raggiunse Daryl riprendendo la loro marcia silenziosa.
<<
Ce n'era proprio bisogno? >> chiese serio Daryl dopo
pochi
minuti di riflessione.
<<
La gente impazzisce a cercare cose dentro le case abbandonate, ma in
pochi si preoccupano di controllare le tasche dei morti. Si trovano
cose interessanti. >> rispose Ocean.
<<
No, dico... sapevi che dentro un portafoglio non avresti trovato
niente di utile. C'era bisogno di aprirlo? >>
Ocean
alzò le spalle e fece un sorriso << Magari
trovavo un
preservativo. Quelli fan sempre comodo. >> e
contrariamente a
quanto pansava, la frase non fece scocciare Daryl per il suo solito
sarcasmo, ma lo fece ridere. Si ritrovò ad arrossire ancora.
Era
meglio quando non le dava conto, riusciva a prendere tutto con
più
leggerezza e a non sentirsi scema per certe battute che per lei erano
ormai diventate routine.
<<
Conosci il tuo nemico. >> tornò seria lei,
cercando di
riportare la discussione sui suoi binari << E' una forma
d'onore. Un tempo erano molto legati a certe formalità,
permettere
al proprio avversario di avere un nome e un'identità li
rendeva
uomini d'onore, e a seconda dell'importanza del nome era anche
più
gloriosa la vittoria. >> spiegò lei.
<<
E' cambiato qualcosa ora che sai chi era? >> chiese un
po'
provocatorio Daryl. In un mondo come quello dove uccidere era
diventato routine, tutto era più semplice se non c'era
coinvolgimento emotivo. Non bisognava vacillare o la testa che
sarebbe stata mozzata sarebbe potuto essere la tua.
<<
No. >> rispose seria Ocean prima di proseguire
<< Ma non
essere egoista, lasciagli il loro nome. E' l'ultima cosa che gli
resta. >> Daryl non era d'accordo su questo, preferiva
restassero creature anonime non solo perchè così
era più facile,
ma anche perchè secondo lui loro non erano più
chi erano prima.
Quelle cose non avevano nome, non erano nessuno, erano cose e basta.
Ma non replicò. Una fiamma negli occhi e nella voce di Ocean
gli
avevano detto che era meglio così.
Proseguirono
un altro kilometro, veloci e silenziosi, poi deviarono, sempre
seguendo le tracce della cavalla, e in pochi minuti sbucarono su una
strada. Sia a destra che a sinistra si perdeva all'orizzonte, immersa
negli alberi, sommersa ormai dalle foglie secche. Solo una macchina
si riusciva a intravedere poco lontano, macchina che Daryl
ignorò
completamente ma non Ocean che si fermò e la
studiò da lontano,
prima di avvicinarsi.
Il
ragazzo stava cominciando a stufarsi di tutte quelle interruzioni, ma
ancora non disse niente. Ocean non aveva accompagnato la sua
iniziativa con delle battute sarcastiche, allora forse almeno quella
volta c'era un buon motivo, così la lasciò andare
e dopo aver
memorizzato il punto da dove riprendere poi il cammino, la
seguì
chiedendosi cosa avesse attirato così la sua attenzione.
Ocean
si rimise di nuovo i pollici nella cintura, appendendo le mani, e
cominciò a girare attorno alla macchina studiandola e forse
cercando
qualcosa. Un'ombra le annebbiava il viso e gli occhi erano tornati ad
essere piccoli e affilati. Si fermò davanti al finestrino
chiuso al
lato del passeggero e guardò dentro, tenendosi qualche
centimetro
distante, cercando di vedere oltre le macchie di sangue per capire
cosa ci fosse dentro, anche se data la sua sicurezza probabilmente
già poteva ben immaginare. Niente sembrò muoversi
all'interno della
vettura fino a quando Ocean non diede un leggero calcio allo
sportello. Una faccia sbucò dal nulla e si
schiacciò contro il
finestrino, lamentandosi, rabbiosa perchè non riusciva a
uscire per
raggiungere la preda vista. Uno zombie. Daryl si affiancò
alla
ragazza e anche lui rimase qualche secondo a fissare lo zombie dentro
l'auto che si dimenava e si schiacciava contro il finestrino
desideroso di uscire fuori a fare il suo pasto. Guardò Ocean
chiedendosi cosa avesse in mente: che volesse perquisire anche
quello? Probabilmente sì, perchè la vide tirar
fuori dal fodero una
delle sue daghe, impugnandola a mo' di pugnale e avvicinarsi allo
sportello. Daryl imbracciò la balestra e la puntò
contro la testa
dello zombie, pronto a sparare in caso di necessità.
Ocean
fu rapidissima, più di quanto lui avesse potuto immaginare:
aprì lo
sportello, afferrò lo zombie per la gola prima che potesse
lanciarsi contro le sue prede e con un unico colpo secco gli infilo
completamente la daga tra gli occhi. Accompagnò poi lo
zombie nella
sua caduta, facendolo stendere delicatamente sui sedili dietro di
lui. E Daryl trovò subito la risposta alla domanda che gli
era sorta
spontanea "perchè tanta premura?": ciò che non
aveva
notato subito, ma solo in quell'ultimo istante, era che lo zombie in
questione era una donna dai capelli rossi. Che fosse...? Beh in
questo modo si sarebbe spiegato perchè lo zombie di poco
prima
girovagasse solo a breve distanza da lì. Ocean
sfilò la daga dalla
testa della donna e se la rimise nel fodero: l'avrebbe pulita
più
avanti. Guardò all'interno della vettura, studiando il luogo
e forse
cercando qualcosa di interessante che magari avrebbe potuto farle
comodo. Poi notò che lo zombie appena ucciso stringeva
ancora tra le
dita qualcosa: un cappottino. Lo afferrò con un'improvvisa
urgenza e
lo studiò velocemente. C'era un nome scritto all'interno
dell'etichetta.
<<
Molly >> lesse a bassa voce. Strinse il cappottino tra le
mani
e si guardò nuovamente attorno. Entrò
parzialmente nella vettura,
posando un ginocchio sul primo sedile e spingendosi il più
oltre
possibile, cercando segni e indizi e continuando intanto a ripetere
tra sè e sè << Molly. Molly.
>> Non trovò niente, la
macchina era vuota e non c'era nessun indizio che facesse pensare a
un corpo di bambina sventrato all'interno. La fretta aumentò
in
Ocean: se lì dentro non c'era segno della presenza della
bambina
allora voleva dire che era uscita fuori e probabilmente era riuscita
a scappare, per questo la donna aveva tra le dita il suo cappottino,
probabilmente aveva provato ad afferrarla senza riuscirci.
Uscì
dalla macchina e si guardò attorno, cercando con gli occhi
tra gli
alberi o lungo la strada. Lei non sapeva seguire le tracce e non
aveva idea di dove andare a guardare o cominciare a cercare. Daryl la
guardò chiedendosi ancora cosa stesse cercando di fare.
Notò il
cappottino stretto tra le mani e cominciò a intuire, senza
però
dimostrare la stessa speranza che leggeva invece negli occhi della
ragazza. Max si avvicinò all'auto annusando all'interno,
senza però
avvicinarsi troppo, semplicemente allungando il collo e alzando il
naso. Ocean fece due passi verso il bosco dietro di lei, continuando
a cercare con gli occhi qualcosa che le dicesse dove poteva esssere
andata la piccola proprietaria di quel cappotto. Sentì poi
Max
passarle dietro annusando rumorosamente la zona intorno alla
macchina. Daryl aveva abbassato la balestra, guardando i due, senza
intervenire, semplicemente aspettando e tenendo d'occhio la
situazione intorno a loro. Facendo "da palo". Si sentiva
scoperto in mezzo alla strada, se fossero sbucati zombie lì
li
avrebbero visti di sicuro e avrebbero dovuto andarsene velocemente a
quel punto.
Poi
Max rizzò la testa improvvisamente, con le orecchie ben tese
verso
l'alto. Si guardò attorno velocemente per poi dirigersi con
sicurezza sul retro dell'auto, annusando la fessura della chiusura
del bagagliaio. Ocean capì che il suo amico aveva trovato
qualcosa e
corse vicino a lui, premette il pulsante per l'apertura dello
sportello e lo spalancò alzandolo verso l'alto. Daryl si
diede un
rapido sguardo intorno prima di raggiungerli, tenendo alta la
balestra sempre pronto a sparare, circospetto e attento. Ocean
restò
immobile, lo sguardo fisso sull'angolo sinistro del bagagliaio, il
cuore che batteva all'impazzata e un guizzo di paura. Non per
sè...ma
per lei. Molly. Una bambina dai capelli rossi, raccolti in una coda
di cavallo, ranicchiata nell'angolo, col viso nascosto, una bambola
di pezza stretta tra le dita e il sangue che le ricopriva il
vestito,nascondendo il suo colore originale. Non si mosse. Daryl
alzò
la balestra puntandogliela contro provando la stesso timore che
provava Ocean: era viva? O era anche lei diventata zombie?
Finchè
non avesse mostrato il viso non l'avrebbero capito. Rimasero immobili
a fissarla, indecisi sul da farsi, pregando e aspettando.
Poi
la bambina cominciò a tremare come una foglia e dei lamenti
uscirono
soffocati. Max poggiò le due zampe anteriori sul bordo del
bagagliaio e si spinse dentro col muso, le orecchie abbassate,
avvicinandosi alla bimba e annusando. L'atteggiamento di Max faceva
ben sperare, se fosse stata uno zombie probabilmente avrebbe
ringhiato e non si sarebbe avvicinato. Così Ocean prese
l'iniziativa
e provò ad avvicinarsi cautamente alla bimba, lasciandosi
però una
via di fuga: fece in modo di non impedire la mira a Daryl
così da
permettergli di salvarle la vita nel caso fosse stato un morto ad
alzare la testa.
<<
Molly. >> chiamò dolcemente avvicinandosi con
cautela anche
per non spaventarla. La bimba si irrigidì nel sentire la
voce della
ragazza e pian piano sollevò la testa, titubante e
impaurita, e
mostrò poco dopo i suoi occhi azzurri, arrossati dai pianti,
ma ben
lontani dal sembrare quelli di un morto. Si schiacciò un po'
di più
all'angolo del bagagliaio guardando le persone che si trovava di
fronte. Era terrorizzata. Daryl abbassò la balestra, non
c'era
bisogno di continuare a puntargliela contro alimentando le sue paure.
Max saltò definitivamente dentro l'auto e sempre con
lentezza
avvicinò il muso al viso della bimba, che arretrò
e si strinse alla
sua bambola.
<<
Sta' tranquilla, piccina. Non vogliamo farti del male. >>
provò
a dirle Ocean, ma Molly continuò a fissare il cane impaurita
mentre
lui curioso cercava di avvicinarsi di più.
<<
Lui è Max. E' un bravo cucciolone. >> sorrise
dolcemente la
ragazza prima di fare una carezza sulla testa del cane, una specie di
dimostrazione dell'animo buono dell'animale. Molly allentò
un po' la
presa della sua bambola, rilassandosi, ma continuava a guardare
spaventata il gruppo che aveva di fronte, indecisa se fidarsi o meno.
Ocean si illuminò all'improvviso e si tolse la sacca dalla
spalla,
poggiandola di fronte a lei, aprendola e cominiciando a cercarci
qualcosa dentro << Forse ho con me qualcosa che
può farti
stare meglio. >> disse prima di tirar fuori un
piccolissimo
incarto rosa che porse alla bimba.
<<
Purtroppo non me ne sono rimaste molte. E' alla fragola, ti piace?
Prendila. >> gli occhi della bambina si staccarono
lentamente
dalla faccia della ragazza che aveva china di fronte, titubanti,
intimoriti forse che se avesse smesso di tenerla d'occhio le si
sarebbe lanciata contro, e si andarono a posare sulla caramella che
teneva in mano. Guardò di nuovo la ragazza, controllando che
fosse
ancora lì, o forse cercando approvazione, e
allungò lentamente la
mano tremolante verso lo zuccherino che sicuramente le faceva gola.
Ocean le sorrise incoraggiante e aspettò che Molly prendesse
la
caramella. La guardò mentre la scartava ancora incerta e
lentamente
se la metteva in bocca.
<<
E' buona vero? >> cercò conferma, ma la bimba
ancora non
parlò. Però annuì, dimostrando
così di capire e facendo qualche
passo avanti nel tentativo di Ocean di acquisire la sua fiducia.
Daryl
alzò d'improvviso la testa, rivolgendo lo sguardo oltre
l'auto e
disse a voce non troppo alta << Ocean. Dovremmo andare
adesso.
>> il suo tono faceva trapelare tutta l'urgenza della
situazione e Ocean capì al volo che stava succedendo:
zombie. Si
stavano avvicinando.
<<
Ok. >> disse cercando di avvicinarsi un po' di
più alla
bambina, cosa che la fece spaventare e sussultare <<
Molly. >>
la guardò negli occhi sperando di guadagnarsi la sua fiducia
con
quelle poche banali parole. Aveva poco tempo a disposizione per fare
amicizia. << Devi venire con noi. E' pericoloso qui.
>>
tentò di riavvicinarsi alla bambina, che si
irrigidì di nuovo,
arretrò, schiacciandosi contro l'auto e negò con
la testa. Nei suoi
occhi c'era solo terrore. Ocean provò a sorriderle ancora,
sapeva
che se lei stessa faceva trasparire agitazione la bimba non si
sarebbe mai tranquillizzata.
<<
Andrà tutto bene, vedrai. Mi ha mandato qui tuo padre,
Daniel. E'
così che si chiama, vero? >> sapeva di aver
fatto una mossa
azzardata, ma doveva provarle tutte. Se la bimba sapeva che suo padre
era morto non le avrebbe mai creduto.
Molly
si illuminò a sentir nominare suo padre e annuì
in risposta alla
domanda della ragazza, che sorrise ancora, contenta di aver fatto
centro.
<<
Ocean. >> le mise fretta Daryl prima di imbracciare
nuovamente
la balestra e allontanarsi, probabilmente per dargli ancora qualche
secondo di tempo, ma ormai erano alle strette. Si potevano sentire i
versi gutturali delle creature che si avvicinavano.
<<
L'ho incontrato e gli ho detto che dove stiamo noi è un bel
posto.
Ci sono tante cose buone da mangiare, dei giochi e un altro bambino
con cui stare. Si chiama Carl, è molto simpatico.
>> in realtà
non lo credeva, non provava particolare simpatia per il ragazzino, ma
doveva descrivere la fattoria come il paese dei balocchi per
convincere Molly a seguirla.
<<
Mi ha chiesto di venirti a prendere e di portarti lì. Ah! E
poi c'è
Max. >> aggiunse Ocean accarezzando di nuovo il cane
<<
E' un gran giocherellone! >> sorrise ancora, facendosi
scivolare addosso l'ansia che cresceva man mano che sentiva versi
avvicinarsi e la voce di Daryl che la chiamava e le metteva fretta.
Molly sentì anche lei quei versi che sicuramente riconobbe,
riempiendosi di paura stringendo prima la sua bambola, poi
gattonando si lanciò tra le braccia di Ocean, stringendola
forte e
tremando come una foglia. La sua era una disperata richiesta d'aiuto.
Max scese dall'auto e ringhiò, acquattandosi e fissando un
punto
vicino all'auto. Ocean entrò completamente nel bagagliaio,
sedendosi
con la schiena poggiata al retro dei sedili posteriori, così
da
avere una visuale di ciò che le stava accadendo dietro ed
evitare di
essere presa alle spalle. Si sistemò la bambina in braccio,
spingendole la testa contro la propria spalla << Molly,
ora
facciamo un gioco eh?! Ti va? >> disse cercando come
sempre di
sembrare il più tranquilla possibile, anche se la paura
trapelava
inevitabilmente.
<<
Tieni gli occhi chiusi, resta pure poggiata qui. >> disse
invitandola a posare gli occhi sulla sua spalla, per aiutarla a
tenerli chiusi << E mi canti una canzone, eh? E io poi
indovino
che canzone è. Conosci qualche bella canzone da provare a
farmi
indovinare? >> ma la bimba non rispose, non
aprì bocca e a
malapena la sentì negare con la testa.
<<
No? >> tentò di sistemarsi la sacca sull'altra
spalla, per
permettersi di avere le mani libere e poter sorreggere la bambina.
Uno zombie sbucò ma non ebbe tempo di voltarsi e vederle che
Ocean
gli aveva già assestato un calcio pesante sulla guancia,
facendogli
voltare la testa con un sonoro "crack". Ma non fu
sufficiente ad atterrarlo.
<<
Allora canto io e tu indovini. Ascoltami bene, non perdere neanche
una parola. Concentrati solo sulla mia voce, Molly. Assolutamente
solo sulla mia voce. >> riferì prima di tirare
un altro calcio
sullo stesso punto facendo questa volta barcollare lo zombie, che
tentava di tuffarsi sulla sua preda senza successo, venendo
spintonato via in continuazione. Sentì Max abbaiare, poco
lontano,
vicino al muso dell'auto. Un altro calcio e riuscì a
buttarlo a
terra, lontano dall'entrata del porta bagagli.
<<
Ok, pronta? Comincio! >> comunicò prima di
darsi la spinta con
gli addominali per alzarsi e spingersi fuori dall'auto poco alla
volta, attenta a non essere colta di sorpresa. Data una veloce
occhiata fuori si alzò e si allontanò subito
dall'auto, voltandosi
a guardarsi le spalle e notando la strada completamente invasa dagli
zombie che ormai avevano accerchiato la macchina. Erano una ventina,
forse più. Daryl tentava di abbatterne quanti più
possibile, ma era
accerchiato e aveva poco spazio di manovra. Max abbaiando tentava di
attirarli e pian piano si allontanava: per entrambi la
priorità era
permettere a Ocean di avere la via di fuga libera per portar via la
bambina. Ocean cominciò a cantare Alice in Wonderland di
Avril
Lavigne, la prima canzone che le era venuta alla mente e che poteva
secondo lei essere a portata di bambina. Voleva evitare di cantarle
qualcosa che con tutta probabilità non conosceva o non le
avrebbe
dato ascolto. Cantava, cercando di dare quanto più spazio
possibile
alla sua voce in mezzo a quel frastuono, sperando fosse abbastanza
per permettere a Molly di non concentrarsi sul pericolointorno a
loro. Uno zombie si avvicinò e Ocean gli diede uno spintone
con la
spalla libera, scaraventandolo a terra e completando l'opera con un
calcio, facendogli saltare la testa, senza mai smettere di cantare,
benchè lo sforzo fisico non le permetteva di rendere al
meglio. Ma
era necessario. Si sistemò Molly su un braccio solo,
sforzando i
bicipiti come poche volte aveva fatto, per sostenere la bambina, e
con la mano libera sfoderò una delle sue daghe. Corse verso
il
fianco della macchina, intenzionata a raggiungere il suo compagno di
viaggio che si stava allontanando sempre più, arretrando
verso il
bosco unica via di fuga. Ocean impugnò nuovamente la daga a
mo' di
pugnale e facendole fare un giro a mezz'aria lo conficcò
nella
tempia di uno zombie che si era trovato di fianco a loro. Molly la
strinse ancora di più. La voce della ragazza non era
abbastanza
forte da coprire quei rumori. Aveva paura. Tremava.
Ocean
tirò via la daga e buttò a terra un altro zombie
con una spinta,
dandosi del tempo. Una freccia si conficcò nell'occhio di un
altro
di loro che le era arrivato alle spalle e Ocean ebbe appena il tempo
di guardare il balestriere, ringraziandolo con gli occhi, prima di
tornare a lottare per la vita. Posò la mano che stringeva la
daga
dietro la schiena di Molly, facendo attenzione a non farle male, ma
abbastanza forte da riuscire a reggerla, e alzando un piede
tirò un
altro calcio all'altezza della vita a un altro di quei putridi,
scaraventandolo contro il finestrino dell'auto che si
fracassò. Si
voltò per tornare a correre verso il bosco, ma se ne
trovò davanti
altri. Un paio vennero abbattuti dalle freccie del balestriere, ma
non fu sufficiente. Ocean arretrò di un passo, continuando a
cantare
e sentendosi per un attimo circondata e senza fiato. Si
voltò di
scatto e posò la mano armata sul cofano che aveva alle
spalle,
aiutandosi con quella a darsi la spinta necessaria per salirci sopra.
Si voltò immediatamente, a guardarsi le spalle e
arretrò di qualche
passo. Non era abbastanza, gli zombie salivano con facilità
e si
allungavano per prenderla.
<<
I'll Survive. >> Cantò ancora, affaticata, ma
senza far cedere
la voce. Si voltò nuovamente e salì sul tettuccio
dell'auto,
passando sopra il parabrezza, sentendolo scricchiolare sotto il peso
dei suoi stivali e vedendolo incrinare. Ma riuscì ad
arrivare in
cima con un paio di falcate.
<<
When the world's crashin' down,
When I fall and
hit the ground >> Continuò con il fiatone. Si
voltò
nuovamentea guardarsi le spalle. L'auto era circondata, le frecce di
Daryl non erano abbastanza per salvarla e gli abbai di Max non
abbastanza da attirarli lontano, anche perchè dovevano
già
provvedere a salvare prima la propria di pelle. Vide gli zombie
salire sul cofano e poi strisciare su per il parabrezza, cercando di
raggiungerla.
<< I will turn myself
around >> Ocean si riavvicinò velocemente al
parabrezza e con
un paio di calci ben assestati riuscì a infrangerlo,
guadagnando
altro tempo. Ma era solo qualche secondo in più. Non era
salva.
Aveva solo preso qualche secondo in più per permetterle di
pensare a
una soluzione. Abbracciò Molly, stringendola, cercando di
darle
sicurezza e si guardò attorno.
<< Don't you try to
stop me! >> i polmoni cercavano aria, ma la sua voce non
smetteva di dar vita alla canzone che sperava servisse a rincuorare
in parte la bambina che aveva cominciato a piangerle sulla spalla.
Alla fine prese la decisione. Guardò Daryl non molto
lontano, con
alle spalle ormai il bosco e davanti qualche zombie che poteva
benissimo seminare, ma titubava, guardandola occasionalmente,
chiedendole con gli occhi di raggiungerli, cercando un modo per
aiutarla, ma riuscendo solo ad arretrare ancora. Max abbaiò
ma non
per attirare gli zombie, ma per richiamare la sua padrona, pregarla
di raggiungerli perchè l'orda gli stava separando.
Rinfoderò la
daga, ormai solo d'impiccio, corse fino alla parte posteriore
dell'auto e da lì prese la rincorsa, facendo risuonare il
tettuccio
come un tamburo sotto i suoi pesanti stivali.
<< I won't Cry! >>
cantò alla fine trasformando il "Cry" finale in un vero e
proprio urlo. Poggiò il piede sulla schiena del primo zombie
che
stava salendo sul tettuccio dell'auto, e usandolo come trampolino si
diede lo slancio e saltò. Abbracciò
più forte che potè Molly e
chiuse gli occhi.
La
sensazione di vuoto che ebbe per un istante quasi la uccise,
soprattutto perchè sapeva che sotto di lei c'era un orda di
zombie
che probabilmente stavano a bracce alzate, pronti ad afferrarla
appena sarebbe cominciata la discesa. Non aveva il coraggio di
guardare. Non aveva il coraggio di vedere dove stava atterrando, per
paura di non essersi data la spinta necessaria a superarli.
Poi
l'impatto.
Le
ginocchia non ressero davanti al peso extra della bambina e Ocean
cadde in avanti. Strinse Molly e cercò di voltarsi a
mezz'aria,
permettendole così di cadere col fianco e non schiacciare la
piccola
che ancora teneva stretta al petto. Rotolò un paio di volte
poi
finalmente si fermò. Si affrettò ad aprire gli
occhi: ancora nessun
morso. Era ancora viva. Forse aveva una speranza. Ma l'impatto era
stato peggiore di quello che aveva creduto e il fianco dolorante le
annebbiò la vista per qualche secondo. Si sentiva mancare il
fiato.
Si sforzò di tirarsi su con un braccio, senza lasciare la
bimba
neanche per un istante e strinse i denti di fronte alla fatica. Poi
un peso le atterrò sulla schiena, facendola ristendere a
terra con
violenza, schiacciando Molly che di fronte alla paura e al dolore
lanciò un urlo. Ocean riacquistò un'improvvisa e
strana lucidità,
la stessa che a volte ti prende davanti a morte certa e ti permette
di reagire salvandoti per il rotto della cuffia. Sentì un
fiato
puzzolente sul collo e seguì l'istinto. Portò la
mano libera,
aperta, dietro la sua spalla e riuscì ad afferrare la fronte
dello
zombie sopra di lei. Fece forza e cercò così di
tenere lontana la
sua faccia e soprattutto la sua bocca dalla sua carne. Sentiva lo
zombie sbattere più volte i denti, pronto ad afferrare e
stritolare,
spingendosi in avanti e riuscendo pian piano a guadagnare terreno,
sovrastando la forza della ragazza che colta dalla disperazione
cominciò a divincolarsi. Cercò di liberarsi dal
peso che le
impediva di moversi, senza riuscirci. Molly sotto di lei continuava a
piangere e urlare, schiacciata da entrambi e terrorizzata. Ocean
raccolse le forze e provò ancora. Lanciò un urlo
di sforzo e
disperazione, sentendo di non riuscirci, sentendo ormai che non c'era
più niente da fare.
Poi
un'ombra sopra di lei. Un ringhio soffuso.
E
improvvisamente si sentì leggera.
Alzò
gli occhi spalancati, guardandosi attorno, non capendo cosa fosse
successo e cercò subito di rialzarsi. Riprese Molly che era
ormai
talmente terrorizzata da conficcarle le unghie nella spalla nella sua
presa disperata. Poi voltandosi ancora, studiando la situazione
intorno a lei, un po' confusa, capì cosa era successo e chi
le aveva
salvato la vita. Poco lontano da lei Max teneva tra i denti il
colletto della maglia dello zombie e camminando a ritroso lo stava
trascinando via, ringhiando e scuotendo di tanto in tanto per
confondere l'avversario e impedirgli di liberarsi, avversario che
intanto cercava di allungare le braccia sopra di sè e
voltarsi per
afferrare il suo aggressore. Daryl arrivò correndo, dopo
aver
spintonato via un altro di quei mostri, e afferrò Ocean per
il
braccio, aiutandola ad alzarsi velocemente.
<<
Andiamo! >> la incitò cominciando a
trascinarla una volta in
piedi. Ocean voltò la testa, mentre correva via, guardando
il suo
amico che continuava la sua lotta.
<<
Max!! >> lo chiamò disperata. Non voleva
lasciarlo lì! Lui
l'aveva salvata. Non poteva abbandonarlo.
<<
Max! >> chiamò ancora urlando più
forte. Daryl la strattonò
ancora, incitandola a muoversi, e Ocean fu costretta a tornare a
guardare davanti, lasciandosi alle spalle il suo amico. Riuscirono
dopo pochi metri a uscire dall'orda, ma non erano ancora abbastanza
lontani da garantirsi la sicurezza. Ocean con uno strattone si
liberò
della presa di Daryl e si voltò a guardarlo. Gli occhi erano
colmi
di disperazione.
<<
Prendila tu, Daryl! >> disse e cercò di
avvicinare la spalla
che reggeva la bambina al ragazzo. Ma Molly non sembrava intenzionata
a mollare la presa, non voleva staccarsi da Ocean, l'unica di cui al
momento si fidava. Daryl la prese di nuovo per il braccio e
cercò di
trascinarla via di nuovo, dovevano allontanarsi, ma Ocean si
scrollò
di nuovo e urlò << No!! >>.
<<
Andrà tutto bene, Molly. Daryl è con noi,
è mio amico. Vai con
lui. >> e prima che Daryl potesse fermarla di nuovo si
ritrovò
in braccio la bambina, che come aveva fatto finora con la ragazza,
strinse le braccia intorno al suo collo con tutta la forza che aveva.
<<
Andate! >> li incitò Ocean cominciando a
correre per tornare
indietro, enfatizzando il suo ordine con un gesto della mano prima di
portarla alla spada appesa al suo fianco.
<<
No, aspetta! >> tentò di fermarla Daryl, ma
gli zombie stavano
arrivando e lui aveva tra le braccia una creaturina terrorizzata che
aveva assolutamente bisogno di essere portata in salvo. La sua
preoccupazione urlava di correre dietro a Ocean e aiutarla, ma il
senso del dovere era più forte e gli ordinava di pensare
prima a
Molly, perchè tra le due era quella che ne aveva
più bisogno. La
sentì singhiozzare sulla sua spalla e non ebbe bisogno di
altri
incentivi.
Corse
via.
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Capitolo 14 *** Apnea. ***
Apnea
Il
buio era calato ormai, e quella notte le stelle avevano deciso di
non mostrarsi agli occhi dei terrestri, padrone severe del cielo.
L'unica
fonte di luce su cui poteva contare la donna seduta sulla veranda
della villa era una fiaccola piantata al suolo, poco distante da lei,
e la luce elettrica che filtrava dalle finestra alle sue spalle.
Davanti a lei un oblio le rendeva incapace di vedere la staccionata,
ma questo non la persuase a distogliere lo sguardo e impedire di
cercare con gli occhi. Il cuore le continuava a sussurrare
imperterrito parole di conforto e di speranza. Non poteva averla
abbandonata anche lui. Non in un momento come quello. Sarebbe
tornato.
Daryl avrebbe bucato quell'oscurità e sarebbe tornato
da lei.
Rick
e gli altri del gruppo si erano molto preoccupati quando avevano
realizzato che non c'era più, che era sparito, e solo
successivamente era emerso che anche Ocean era sparita. Cosa fosse
successo tra i due nessuno lo sapeva, ma dati gli astii che correvano
alcuni avevano sollevato il dubbio che si fossero ammazzati a
vicenda. Era una cosa impossibile, Daryl non uccideva nessuno, Daryl
era buono ed era forte, non si sarebbe fatto ammazzare da una
ragazza. E allora cosa era successo? Dov'erano finiti?
Perchè
nessuno dei due era tornato la sera prima, e non stavano tornando
neanche quella sera? Nonostante le preoccupazioni però non
era stata
organizzata nessuna operazione di ricerca, e questa la mandava in
bestia, anche se tenne questo sentimento per sè. Si fidavano
di
Daryl, sapevano sarebbe tornato prima o poi, e poi al momento c'era
una questione più importante di cui occuparsi.
Carol si strinse
di più la coperta sulle spalle e cercò di nuovo
di ricacciare le
lacrime indietro. Aveva così tanta paura di non rivederlo
più.
Aveva avuto la forte tentazione di rubare un'arma e partire lei
stessa alla ricerca, visto che nessuno del suo gruppo ancora si
decideva, ma era sicura che avrebbe fatto due passi e sarebbe morta.
Lei non era in grado.
Si
guardò schivamente il ventre, cercando di rimanere discreta,
e
scostò leggermente la coperta, intravedendo il riflettere di
una
lama.
<< Comincia
a impugnare un coltello
con intenzioni diverse da quelle di voler tagliare il pane
>>
le aveva detto Ocean durante una delle loro prime chiacchierate, e
non era mai riuscita a dimenticare quelle parole. Era solo la
volontà
a impedirle di diventare forte, era questo che diceva Ocean, e voleva
crederci. Voleva credere che anche lei avrebbe potuto salvare delle
vite. E sapeva già da quale voleva cominciare. Strinse tra
le dita l'impugnatura, scaricando su di essa tutto il suo risentimento,
risentimento che per anni aveva coltivato dentro sè e
cercò in esso
la forza necessaria ad alzarsi, armarsi di tutto punto, e partire. Ma
il coraggio non arrivò. Sospirò,
allentò la presa e tornò a
nascondere il coltello sotto la coperta che teneva sulle spalle.
Ma
un giorno ce l'avrebbe fatta.
Nel
frattempo si aggrappava anche lei alla speranza e alla fiducia che
riponeva nel ragazzo, sperando fosse abbastanza per salvargli la vita
e riportarlo a casa.
Una
mano le si posò sulla spalla, la guardò curiosa e
risalì il
braccio con lo sguardo incrociando infine il volto preoccupato di
Lori.
<<
Vieni dentro, Carol, ti gelerai a stare qui fuori. >>
cercò di
convincerla caricando la sua frase di compassione e dolcezza. Carol
non rispose, abbassò gli occhi e poi li riportò
all'oscurità che
aveva davanti, continuando ad aspettare e sperare.
<<
Daryl è forte, tornerà di sicuro, vedrai. Rick
dice che dobbiamo
solo aspettare, e se entro un paio di giorni ancora non si fa vivo
allora cominceremo a organizzare delle ricerche. >>
<<
Due giorni sono passati. Domani è il terzo. >>
comunicò Carol
non nascondendo una buona dose di acidità.
<<
Allora vuol dire che domani Rick andrà a cercarlo.
>> rispose
Lori prima di inginocchiarsi accanto alla donna <<
Dobbiamo
avere fiducia negli uomini del gruppo, loro sanno come cavarsela.
>>
Carol
strinse di nuovo l'impugnatura del coltello da sotto le coperte,
senza farsi vedere dalla donna inginocchiata accanto a lei. Un
palpitio le aveva fatto sobbalzare il cuore "Non solo gli
uomini. Non devono essere solo gli uomini a sapere come cavarsela."
pensò rimuginando ancora sulle parole di Ocean. Lei era una
donna,
eppure sapeva cavarsela. Anche Andrea era una donna, e anche lei
stava dimostrando di avere forza e coraggio. Tutti potevano essere
forti, anche lei, non solo gli uomini. Non doveva essere
così, non
più.
Poi
all'improvviso mollò la presa e spalancò gli
occhi, guardando oltre
a quello che l'oscurità che permetteva, sforzandosi. Lori
notò il
cambio di espressione della donna e volse lo sguardo nella stessa
direzione.
Un'ombra.
Un'ombra nell'oscurità si stava avvicinando alla villetta.
Si
alzò in piedi sperando di aumentare così il campo
visivo
disponibile, cercando di intravedere chi fosse. Entrambe colte da
speranza, gioia e sorpresa.
<<
Rick!! >> chiamò Lori l'uomo all'interno della
villetta, che
sentendosi convocare con tale urgenza corse subito fuori, seguito
dagli altri. Si fermarono sulla veranda della villetta ad osservare
l'ombra che si avvicinava, poi Rick fece il primo passo, scese le
scale e corse incontro a chi stava arrivando,illuminandosi, felice, e
soprendendosi.
Daryl
camminava spedito, lo sguardo truce rivolto in basso. Sentiva che i
suoi compagni gli stavano correndo incontro, probabilmente
preoccupati per la sua assenza, e Rick fu il primo ad aprire bocca
per fargli delle domande, chiedergli che fine aveva fatto e
soprattutto
<<
Chi è lei? >> rivolgendosi al fagotto che il
ragazzo teneva in
braccio. Ma Daryl non rispose, superò i suoi compagni
continuando a
camminare spedito verso la villetta. Carol si alzò in piedi
quando
gli passò accanto, ma non proferì parola, non la
degnò neanche di
uno sguardo. Guardò stupita e con un cenno di emozione la
bambina
dai capelli rossi che dormiva con la testa poggiata sulla sua spalla,
aveva ancora il viso rigato di nero per colpa delle lacrime, e ogni
tanto sussultava nel sonno ancora colta da alcuni singhiozzi. Un
braccio era ben saldo intorno al collo del suo salvatore e la mano
era portata alle labbra, in un primordiale istinto di succhiarsi il
pollice in cerca di conforto e sicurezza. Con l'altra mano invece,
schiacciata tra lei e il petto di Daryl, stringeva una bambola di
pezza malconcia. Sulle spalle aveva poggiato grossonalamente un
cappottino rosa, unico riparo per il freddo, cappottino che Daryl
sistemò meglio in un tenero gesto dopo i sussulti causati
dal suo
salire gli scalini della veranda.
Daryl
arrivò alla porta della casa senza degnare di uno sguardo
nessuno
dei presenti, lasciando ancora una volta tutti immersi in un immenso
punto interrogativo. Cosa era successo? Chi era la bimba? Dove
l'aveva trovata? E dov'era Ocean?
Hershel uscì fuori da casa solo
in quell'istante e guardò tutti i presenti confuso e con il
suo
solito sguardo severo da capo branco.
<<
Cos'è successo? >> chiese rivolgendosi a Daryl
che solo in
quel momento alzò gli occhi, rivolgendoli al vecchio davanti
a lui e
già prima di cominciare a parlare per dare le sue
spiegazioni
sollevò delicatamente la bambina dalla sua spalla, facendo
ben
attenzione a non destarla dal suo sonno, e la porse a Hershel
<<
Sistemala in uno dei tuoi letti, ha bisogno di stare tranquilla per
un po'. Controlla per favore se sta bene e dalle qualcosa da mangiare
e bere. Non so quanto tempo è stata sola. >> e
nonostante i
muscoli fossero tesi, nonostante il viso e gli occhi corrucciati,
nervosi, il tono con cui diede istruzioni al vecchio era stato pacato
e dolce. Hershel prese in braccio la bambina, facendo la stessa
attenzione a non svegliarla, annuì in accordo a quanto
detto, ma non
smise di guardarlo interrogativo. Tutti si aspettavano delle
spiegazioni e una storia, ma nessuna delle due arrivò. Nel
passaggio
del testimone da Daryl a Hershel la mano di Molly che stringeva la
bambola si allentò, facendola cadere a terra e Daryl non
esitò a
chinarsi subito per raccoglierla, facendo trapelare ancora una volta
una sottile dolcezza che non era da lui. La sistemò
delicatamente
tra Hershel e Molly, così da impedirle di cadere ancora, poi
senza
aggiungere altro si voltò e cominciò ad avviarsi
nuovamente verso
l'oscurità da cui era emerso.
<<
Daryl! Aspetta, dove vai? >> lo fermò Rick
piazzandosi davanti
a lui e poggiandogli una mano amichevole sulla spalla, spalla che
Daryl scrollò nervosamente e istintivamente, liberandosi
dalla presa
e continuando ad avanzare, guardando fisso davanti a sè.
<<
Ehi! Amico! >> lo richiamò ancora Rick,
correndogli ancora
dietro e mettendosi di nuovo davanti a lui << Aspetta, ti
prego. Ho bisogno di te qui. >> e nonostante la preghiera
il
tono usato era poco amichevole. Era autoritario e persuasivo. Non
voleva che Daryl se ne andasse di nuovo, aveva bisogno di lui,
soprattutto con la storia di Randall appena emersa. Era un brutto
momento per andarsene. Daryl lo guardò negli occhi,
fulminandolo e
caricando il suo sguardo di tutta la determinazione che avrebbe
impedito a Rick di fermarlo, o almeno questo credeva. Lo sceriffo era
un osso duro, non a caso era il capo.
<<
C'è una faccenda... >> cominciò a
spiegare Rick, senza
entrare troppo nei particolari << Che devi aiutarmi a
risolvere. >> ma lo sguardo di Daryl ancora non cedeva
<<
Senti, non so cosa sia successo lì fuori e se non vuoi
spiegarmelo
non importa. Ma la cosa che conta ora è che tu sia qui, a
casa tua,
con i tuoi compagni che tu hai il dovere di proteggere.
>>
aggiunse Rick rimarcando molto le parole "tua" e "tuoi",
un modo per sottolineare quali erano le priorità. E solo
allora
Daryl abbassò gli occhi, pensieroso, sulla via della
convinzione ma
ancora molto combattuto, per poi voltarsi a guardare il bosco in cui
sentiva avrebbe dovuto correre.
<<
Nessuno viene lasciato indietro. L'hai detto tu. >> disse
Daryl
senza staccare gli occhi dal bosco.
<<
Le cose stanno un po' cambiando. >> ammise Rick con un
certo
imbarazzo << Ma le priorità restano comunque
le stesse. Devi
prima di tutto pensare al tuo gruppo e alla sua sicurezza. Ocean non
fa parte del gruppo. >> disse Rick intuendo quale fosse
il
motivo che spingeva Daryl ad andarsene di nuovo. Probabilmente aveva
lasciato indietro Ocean, forse in qualche situazione pericolosa, e
voleva tornare a prenderla. Daryl serrò la mascella, non
riuscendo
ancora a trovar pace. Sapeva che Rick aveva ragione, non poteva
lasciarli di nuovo, doveva restare con loro, pensare a loro, e poi si
era detto più volte che qualsiasi decisione prendesse Rick a
lui
andava bene. Ma la coscienza continuava a non trovare pace. L'aveva
lasciata sola. Aveva tanto decantato l'importanza di un gruppo, di
qualcuno che ti sta vicino e ti aiuta, e poi aveva fatto tutto il
contrario, lasciandola sola, abbandonandola in mezzo al pericolo. E
non era neanche sicuro ce l'avrebbe fatta a salvarsi. E se Max non ce
l'avesse fatta? Non aveva più neanche Peggy e senza lui a
guidarla
probabilmente non l'avrebbe più ritrovata. Era completamente
sola,
lasciarla al suo destino sarebbe stata veramente una carognata.
<<
E' una ragazza forte, ce l'ha dimostrato fin dall'inizio. Se la
caverà. >> cercò ancora di
persuaderlo Rick, anche se proprio
non riusciva a capire come all'improvviso Ocean fosse tanto
importante per Daryl, dopo che aveva più volte esplicitato
il suo
dissenso a tenerla con loro, e la poca fiducia che riponeva in lei.
Ma erano stati fuori quasi due giorni...sicuramente qualcosa doveva
essere successo. << Siamo noi ora ad aver bisogno di te.
Io...
>> disse caricando la parola di tutta la pesantezza che
poteva
avere << ...ho bisogno di te. >>. Daryl
abbassò
nuovamente lo sguardo, sentendosi ancora le budella contorcersi, il
senso di colpa non voleva lasciarlo in pace. Ma capiva.
Alzò
gli occhi, guardando di nuovo il suo amico e annuì
silenziosamente,
arrendevole, e senza aggiungere altro ripercorse i suoi passi e si
diresse verso la villetta, dove erano riuniti tutti, probabilmente a
cenare. Anche lui aveva bisogno di mangiare qualcosa, era dalla sera
prima che non buttava giù cibo, anche se al momento un forte
senso
di nausea gli impediva di avere fame. Era più il buon senso
a
spingerlo.
Rick
sapeva già quello che avrebbe dovuto fare, ma sapere che
Daryl lo
sosteneva era motivo in più per agire. Aveva bisogno che
qualcuno lo
sostenesse delle difficili decisioni da prendere, e Daryl tra tutti
era quello che aveva più forza per agire nel giusto, anche
se questo
giusto per molti sarebbe stato immorale. Il mattino successivo
caricò
Randall sul bagagliaio dell'auto, bendato e con un paio di cuffie
alle orecchie, impedendoli di orientarsi, e insieme a Shane
partì,
diretto in qualsiasi città fosse abbastanza distante dalla
loro
fattoria. Voleva dargli una chance, anche se decisamente scarsa, ma
non se la sentiva di fare il boia della situazione. Con molta
probabilità non se la sarebbe cavata, ma a quel punto non
era più
responsabilità sua. Anche se la necessità di un
posto sicuro lo
stava portando a trasformarsi, a diventare più duro e
freddo,
disperato nel suo tentativo di garantire al futuro nascituro una
possibilità di vita, comunque non aveva ancora perso del
tutto la
sua umanità. Ancora non aveva cuore di guardare negli occhi
chi
stava uccidendo.
Daryl
li guardò allontanarsi, seduto alla ringhiera della
verandina, senza
uno scopo preciso, intento solo a passare il tempo. La sua casa ormai
era quella, lo sapeva anche lui e non la disdegnava affatto, aveva
dato così tanto al gruppo che tornare indietro non era
possibile.
Eppure sentiva di aver sbagliato qualcosa, e sapeva cosa. Tenne lo
sguardo fisso all'orizzonte, cercando di perforare quei boschi con
gli occhi, provando l'irrefrenabile desiderio di poter vedere oltre.
La sua coscienza sarebbe stata più leggera e pulita se
quell'assenza
fosse stata giustificata, se fosse stata lei alla fine a dire "no",
o magari il gruppo. Ma non così. L'aveva lasciata a se
stessa,
l'aveva abbandonata proprio quando più di ogni momento lei
aveva
bisogno di aiuto. Non sapere se era morta o meno lo tormentava. Non
sapere se l'aveva uccisa o meno. Sapeva che ormai tornare indietro a
cercarla era inutile, era passato troppo tempo, l'avrebbe trovata
morta o non l'avrebbe trovata affatto, intenta ancora a cercare la
sua cavalla e a portare avanti la sua disperata sopravvivenza
solitaria. Doveva mettersi il cuore in pace, quello, nel bene o nel
male, era stato un addio, e lui aveva fatto l'unica cosa giusta da
fare al momento. Lui non aveva sbagliato niente.
Uno
scricchiolio alle sue spalle annunciò la presenza di
qualcuno. Si
voltò e vide Hershel, con una luce diversa in volto, non
più
intollerante alla presenza di ospiti nella sua proprietà.
Qualcosa
era cambiato.
<<
Molly sta bene. >> gli disse semplicemente, senza
aggiungere
altro. Stava ancora assimilando le novità di quei giorni,
aveva
bisogno di tempo, non si sarebbe subito messo a chiedere scusa e a
fare l'amicone con tutti. Daryl ignorò la sua frase e con la
faccia
di chi non gliene importa niente, tornò a guardare il bosco.
Hershel
titubò un po', sapeva che il ragazzo non era tipo da
smancerie e
dimostrazioni d'affetto, ma andava fatto << Penso tu
debba
andare a trovarla. >> disse.
<<
Solo perchè l'ho portata qui non vuol dire che sono la sua
balia.
Chiedi a Carol di occuparsi di lei. >> rispose con un
tono
scocciato.
<<
Non ti ho chiesto di badare a lei. Ti ho chiesto di andare a
trovarla. >> ma Daryl ancora non sembrava gliene
importasse
qualcosa. Non voleva gli scaricassero una bambina, non avrebbe mai
fatto il papà amorevole che rimbocca le coperte. Lui l'aveva
portata
in salvo, il suo compito era terminato lì.
Hershel
titubò ancora, evidentemente la questione era più
delicata di
quello che sembrava, e non tardò a comunicarlo, sperando
fosse il
modo migliore per convincere il ragazzo a fare come diceva.
<<
Si è svegliata questa mattina presto. Non si è
mossa dal letto, ma
soprattutto non ha ancora aperto bocca. Non parla. Non so se sia un
caso di mutismo, ma dato il suo atteggiamento e le circostanze sono
più propenso a pensare sia una reazione al trauma. Spesso
capita che
le persone smettino di parlare dopo aver subito un trauma.
>>
<<
E io che c'entro con questo? >> chiese ancora scocciato
Daryl,
che voleva essere lasciato fuori da quella storia. Non ne voleva
sapere niente, non ne sapeva niente di bambini e certamente non
avrebbe cominciato in quel momento.
<<
Sei la persona che l'ha portata in salvo. A volte può
succede che il
salvato cominci a provare improvvisamente un forte senso di affetto
verso il salvatore, come un colpo di fulmine. Se tu andassi
lì
magari riusciresti a tranquillizzarla e l'aiuteresti a superare il...
>> ma Hershel non riuscì a terminare la frase
che Daryl si
alzò in piedi, gli occhi piccoli e affilati, i muscoli tesi
per il
nervoso, e lo interruppe con un deciso << Ti sbagli.
>>.
Il
vecchio si zittì, non capendo.
<<
Non sono io il figlio di puttana che l'ha salvata. Io l'ho solo
portata qui. >> disse prima di andarsene e finire
lì la
conversazione. Stava cominciando a irritarsi. Hershel aveva riportato
alla mente di nuovo quella scena, di nuovo quei ricordi, di nuovo
quei sensi di colpa. L'aveva ritenuta imbranata, l'aveva maltrattata
e considerata male, ma alla fine era stata lei a tirare fuori le
palle necessarie a fare la cosa giusta, salvando la bambina,
rituffandosi tra gli zombie per salvare il suo amico, mentre
lui...lui era solo scappato. Ma che scelta aveva avuto? Questo
però
non toglieva che Ocean non se lo meritava.
Ma
ciò che dentro covava e che cercava in tutti i modi di
nascondere
anche a se stesso, sotto una strato di giustizia e sensi di colpa,
era che quei due giorni passati fuori erano stati piacevoli. La sua
compagnia era stata piacevole, le sue stupide battute sarcastiche
erano state piacevoli, i suoi colpi di testa e quel suo continuo
provocare e stuzzicare, solo per tenere vivo un fuoco, per non cadere
nella quotidianità e monotonia, solo per avere qualcosa da
ricordare
e di cui sorridere più avanti, alla faccia di tutta la merda
che li
circondava. Allora l'avrebbe strozzata più volte, ora lo
pensava
ancora ma lo faceva col sorriso di chi ricorda un divertente
anneddoto.
Ocean
era una di quelle persone a cui si augura solo il bene e la fortuna,
perchè è ciò che si merita.
Sperava
tanto che fosse ancora viva. Ovunque fosse, ma viva.
Passò
spedito vicino al campo, diretto verso non sapeva bene neanche lui
dove. Qualcuno, non seppe bene chi visto che quasi non
l'ascoltò,
gli chiese dove stesse andando e lui si limitò a rispondere
con un
seccato << A fare una passeggiata. >>
Muoversi
gli avrebbe fatto bene. Doveva sfogare la rabbia.
Maggie
entrò delicatamente nella stanza della bambina, la nuova
arrivata,
così piccola e indifesa ma che già era stata
testimone di chissà
quali orribili cose. Daryl aveva spiegato brevemente la sera prima
che l'avevano trovata nel cofano di un auto e che poco prima avevano
visto la sua foto nel portafoglio di uno zombie, quello che
probabilmente era suo padre. Ma la cosa peggiore era che la madre,
ancora chiusa nell'auto, trasformata, stringeva tra le mani il suo
cappottino, quindi probabilmente lei aveva visto la madre
trasformarsi ed era scappata al tentativo di questa di mangiarla.
Doveva essere stato uno shock enorme per quel povero scricciolino, e
anche se per ora erano solo ipotesi, era comunque una storia che
aveva commosso tutti.
Entrò
con un vassoio e si richiuse la porta alle spalle. La bambina era
stesa a letto, girata di spalle, raccolta in posizione fetale
probabilmente ancora abbracciata alla sua bambola che non mollava un
attimo.
<<
Ciao Molly. >> salutò dolcemente la ragazza,
prima di posare
il vassoio vicino al comodino.
<<
Ti ho portato un po' di cose buone da mangiare. Hai fame, piccola?
>>
era dalla sera prima che stavano provando a farla mangiare, ma il
massimo che aveva fatto era stato smangiucchiare un po' di pane,
lasciando tutto il resto, e una barretta di cioccolato. Aveva fame,
lo si vedeva, ma probabilmente lo stomaco era chiuso e le impediva di
cibarsi come avrebbe dovuto. La bambina, ferma nella sua posizione
negò con la testa. Maggie si sedette a bordo letto, vicino a
lei e
le poggiò una mano sulla spalla, accarezzandola dolcemente.
Le passò
la mano sui capelli sciolti, che cadevano sul cuscino come tante
piccole lingue di fuoco, e sorrise teneramente.
<<
Che bei capelli che hai. Che ne dici se li spazzoliamo un po'?
Così
saranno ancora più belli. >> voleva
coinvolgere in qualche
modo la bambina, trovare un modo di distrarla, farla divertire, darle
un po' di dolcezza per tranquillizzarla. Molly inizialmente non fece
niente, poi al secondo sollecito di Maggie si alzò a sedere
sul
letto e guardò la ragazza che aveva con sè nella
stanza. Maggie
prese una spazzola dal cassetto del comodino accanto e le fece cenno
di girarsi. Molly obbedì e si mise di spalle rispetto a lei,
sempre
stringendo la sua bambola, e Maggie cominciò a pettinarla
dolcemente, facendo passare con delicatezza le morbide setole tra i
capelli.
<<
Quando ero piccola adoravo essere spazzolata. Mi rilassava sentire il
pettine sulla testa, era come una carezza. >> ma ancora
nessuna
risposta da parte della piccola. Maggie prese a passare anche le sue
dita tra i capelli, evitando di tirar via nodi troppo bruscamente,
cercando di rendere l'azione più delicata di quanto fosse
possibile.
Le piangeva il cuore a vedere un tale fiorellino rovinato
così dal
sangue. Nessuno in quel periodo meritava tanta violenza e cattiveria,
i bambini meno di tutti.
Poi
all'improvviso sentì la porta alle sue spalle aprirsi e si
voltò a
guardare chi stesse entrando. Fermo sulla porta, forse un po'
sorpreso di vedere la stanza affollata, c'era Daryl, silenzioso e
cupo come sempre. Fece per andarsene, motivato dal fatto che la
bambina avesse già compagnia, ma Maggie lo fermò
<< Aspetta!
Me ne stavo andando. >> disse alzandosi dal letto.
Poggiò la
spazzola sul comodino, vicino alle cose da mangiare, e uscì
via di
fretta, prima che Daryl potesse cambiare idea. Sapeva che suo padre
aveva provato a convincerlo ad andare a trovarla perchè
credeva che
forse l'avrebbe aiutata, ma aveva saputo che la risposta era stato un
secco no. Vederlo arrivare era stata una piacevole sorpresa.
Maggie
uscì silenziosa come un'ombra, senza dire o fare niente che
potesse
dissuadere il ragazzo dal restare. Molly si voltò
lentamente,
chiedendosi probabilmente chi fosse arrivato ora a visitarla.
Ultimamente venivano un sacco di persone, ma quelle che vedeva di
più
erano il dottore e la signorina che era venuta prima a pettinarla. Si
prendevano tanta cura di lei, anche se le visite del dottore non
sempre erano piacevoli. Le faceva spalancare la bocca, le metteva
quel disco gelido sulla schiena e le accecava un occhio con una
lucina. Era fastidioso...ma era gentile e le aveva portato lui il
cioccolato. Questa volta però non era nessuno dei due, ma
era una
delle uniche due persone che desiderava veramente vedere. Il signore
dalla pelle calda e le braccia grosse che l'aveva portata via da
quell'inferno. Il viso le si illuminò appena e si
spostò a sedere
con la schiena poggiata al muro dietro di sè. Daryl
lasciò
intravedere un po' di imbarazzo, non sapeva come ci si comportava con
i bambini e non sapeva nemmeno perchè alla fine aveva
accettato di
andare da lei. Si chiuse la porta alle spalle, si diresse verso una
sedia lì vicino e ci si sedette cavalcioni, con lo schienale
davanti
a sè, su cui ci posò un braccio. Entrambi
rimasero qualche secondo
a fissarsi in silenzio, non sapendo che fare o, nel caso di Daryl,
che dire.
<<
Dovresti mangiare qualcosa. >> disse dopo un po' lui,
trovando
appiglio all'unico argomento che al momento gli veniva in mente.
Indicò il vassoio ancora pieno << Su'
>> la incoraggiò
con un gesto della testa. Molly si voltò a guardare il
vassoio e si
strinse un po' in se stessa, in un misto di colpa e vergogna, forse
perchè non aveva mangiato e perchè il tono di
Daryl sembrava un
riprovero.
Daryl
si alzò, avvicinandosi al vassoio e porse alla bimba il
piatto con
all'interno della minestra ormai tiepida.
<<
Non crescerai mai se non mangi. >> era la classica frase
di
circostanza da dire ai bambini quando non volevano mangiare,
certamente peccava di scarsa fantasia. Molly prese timidamente il
piatto e pian piano cominciò a portarsi qualche cucchiaio
alla
bocca, guardando l'uomo in piedi accanto a lei, in cerca di
approvazione. Ma lui sembrava ancora così duro in viso, come
se la
stesse ancora brontolando. Daryl tornò a sedersi nella
stessa
posizione di prima e rimase lì, in silenzio, a guardarla
mentre
mangiava, per controllarla pensava lei, per fare il suo dovere
pensava lui. Gli era stato chiesto di andare a trovarla,
così forse
l'avrebbe aiutata a riprendersi dal trauma, ed era quello che stava
facendo. Era andato a trovarla.
Molly
finì di mangiare e guardò di nuovo il suo ospite
in cerca di
approvazione. Daryl rimase immobile qualche secondo, poi fece un
sospiro e si alzò di nuovo. Prese il piatto dalle mani della
bambina
e lo rimise al suo posto, senza un cenno di congratulazioni o un
gesto carino, sempre col suo sguardo severo e scostante, come un
maestro della scuola che sta dando i compiti ai suoi alunni. Si
voltò, facendo quasi per andarsene, ormai convinto che non
potesse
fare altro, ma si fermò di nuovo, pensieroso, e questa volta
anche
un po' imbarazzato. Si sentiva stupido, non si era mai trovato in una
situazione del genere, e poi era sempre imbarazzante quando doveva
dimostrarsi vicino a qualcuno. Si tirò fuori dalla tasca
qualcosa e
se la rigirò un momento tra le mani prima di avvicinarsi
alla bimba
con rapidità e porgerglielo, tenendosi abbastanza distante,
restando
comunque con parte del corpo rivolto verso la porta e il braccio
teso, dando segno quasi di avere fretta e cercando di far sembrare
quel tenero gesto il meno tenero possibile.
<<
E' un cane. >> disse lui non riuscendo a nascondere
l'imbarazzo. La bimba prese il foglietto che l'uomo le stava porgendo
e si ritrovò tra le mani un origami, uno di quei giochi di
piegature
della carta che alla fine dava vita a qualche forma strana. Quello in
particolare era il muso di un cane.
<<
E' l'unico che ho mai imparato a fare, me lo insegnò un
vecchio
amico del quartiere quando avevo la tua età.
>> e si allontanò
di nuovo << E' una stupidata. Lascia stare.
>> disse in
conclusione, come se si fosse reso conto solo allora che aveva fatto
una cazzata. Era un gesto carino, e i gesti carini lui non li sapeva
fare, o almeno così credeva, e lo imbarazzavano. Come il
fiore che
aveva portato a Carol.
Molly
guardo il pezzettino di carta che aveva tra le mani e per la prima
volta dopo tempo sorrise, anche se forse l'uomo non la vide. Era
carino, proprio un bel cane. E poi era un suo regalo. Allora non
voleva brontolarla. Non ce l'aveva con lei!
Daryl
posò la mano sulla maniglia della porta per andarsene ma si
bloccò
e irrigidì improvvisamente quando sentì la voce
delicata della
bimba dire << Alice. >> Rimase
pietrificato, non solo
perchè finalmente era riuscita a parlare, ma per quello che
aveva
detto. Come sapeva lei...
No,
forse aveva capito male.
<<
Come hai detto? >> le chiese voltandosi perplesso a
guardarla.
<<
Alice. >> ripetè ancora la bambina mentre
giocava con
l'origami che aveva tra le mani. Muovendolo sembrava che il cane
abbaiasse. Daryl rimase senza parole mentre la testa gli si affolava
di mille pensieri, tutti diversi, ma tutti collegati a quella mattina
all'alba, a Ocean che cercava di insegnargli a pronunciare il suo
vero nome.
Molly
si voltò a guardare l'uomo che aveva accanto e che ancora
non aveva
detto niente << E' il titolo della canzone.
>> Daryl
cominciò a riprendersi e capire. La bimba allora non
conosceva
veramente Ocean, non sapeva il suo nome. Che stupido aver subito
pensato a una cosa del genere!
<<
La canzone? Quella che ti ha cantato mentre... >> si
interruppe, non andando oltre per non ricordare quel momento che
probabilmente era troppo spaventoso per lei, ma sapendo che tanto
avrebbe capito.
Molly
annuì semplicemente, continuando a giocare col suo cane
cartaceo e
accompagnando il suo annuire con un "mh-mh" allegro e
soddisfatto.
<<
Glielo devo dire. Ho indovinato. Lo devo dire alla bella signora col
cane. >> disse ancora, prima di interrompersi, come se si
fosse
ricordata qualcosa e si voltò verso Daryl <<
Le dici di venire
qui? Le devo dire che ho indovinato! >> Daryl
tornò a
stabilizzarsi, c'era stato un malinteso, un malinteso che era facile
da evitare, ma l'aver rievocato quel nome così
improvvisamente non
aveva impedito ai suoi pensieri di vagare. Era incredibile come il
suo primo pensiero a sentir quel nome, che poteva indicare qualsiasi
cosa se uno fosse stato più lucido, l'avesse subito
riportato a lei.
<<
Lei ora...non c'è. >> disse semplicemente
Daryl, non sapendo
come dire alla bimba che Ocean probabilmente non l'avrebbe
più
rivista.
<<
Ma quando torna glielo dici? >> insistette la bambina,
non
cogliendo probabilmente ciò che l'uomo stava cercando di
dirle, ma
credendo semplicemente che la bella signora col cane fosse via per un
servizio, ma poi tornasse. Daryl sorrise imbarazzato e annuì
<<
Sì, appena torna glielo dico. >> forse aveva
mentito, ma
qualcosa era nato dentro lui. Una vana speranza. L'innocenza con cui
la bambina credeva che l'avrebbe poi rivista lo aveva in qualche modo
contagiato. Perchè pensar negativo? E se si fosse salvata? E
se
fosse tornata? A questo non aveva mai pensato. Magari aveva colto
tutto quello che Daryl aveva cercato di dirle, magari quella piccola
avventura insieme l'aveva in qualche modo convinta, e chissà
che
anche lei non stesse pensando sorridendo a quanto avrebbe avuto
voglia di strozzarlo. Così, solo perchè era lui.
Sì. Probabilmente
era così. Non poteva essere stato una semplice scampagnata,
lei gli
aveva detto qualcosa di sè, gli aveva lasciato qualcosa,
erano
entrati pù in confidenza di quanto avessero immaginato, non
poteva
lasciarsi tutto alle spalle.
Sì,
lei sarebbe tornata. Se era sopravvissuta, lei sarebbe tornata.
Non
seppe neanche lui perchè cominciò improvviamante
a sperarci tanto,
forse per mettere pace ai sensi di colpa, forse perchè il
suo
ritorno avrebbe dimostrato che non aveva risentimento nei suoi
confronti per averla abbandonata, o forse semplicemente
perchè lo
aveva divertito. Quella piccola avventura era stata piacevole, e lei
bene o male, anche se a volte in maniera soffusa, lo divertiva. E poi
se l'era presa a cuore, anche se questo non lo avrebbe mai ammesso o
accettato, dal momento in cui le era corso dietro quando se n'era
andata, lui l'aveva presa a cuore, aveva preso a cuore la sua
sopravvivenza, la sua vita, in qualche modo si era fatto carico di
lei.
Ocean aveva bisogno di aiuto. Non lo aveva mai detto, e mai
lo avrebbe fatto, ma un occhio attento non poteva non cogliere quei
segnali. Aveva bisogno di aiuto. Come il gatto selvatico di Dale. E
forse era proprio l'istinto protettore di Daryl ad averlo spinto,
visto quanto imbranata poteva essere lei a volte. Lei aveva bisogno
di qualcuno che la tirasse su quando inciapava nelle radici degli
alberi, e lui aveva piacere di averla dietro di sè, che gli
copriva
le spalle, che, come aveva detto lei, gli "salvasse quel bel
culo da fotomodello".
La
sindrome dell'eroe.
Non
ci aveva creduto inizialmente, era veramente una sciocchezza, ma
più
passavano i giorni e più si convinceva che lei avesse visto
più
lontano di quanto potesse immaginare. Lo aveva preso un po' in giro
per questa sua mania di correre in aiuto degli sconosciuti, e lui
aveva riso di una tale cavolata, ma era vero. Lui aveva bisogno di
salvare vite. Stava cominciando a stancarsi di lasciarsi alle spalle
cadaveri.
E
poi...erano uguali. Duri nei modi, cercando di prendere le distanze,
solo per poter in qualche modo proteggere se stessi o perchè
le
circostanze gli avevano insegnato che così si fa. Ma
inevitabilmente
si finiva con l'affezionarsi troppo facilmente. Il bisogno di aiutare
e di trovare la sicurezza che tanto si desiderava negli occhi delle
persone che li circondavano.
Ma tutto questo era qualcosa di
talmente profondo che non emerse nella mente di Daryl: lui
sentì
solo speranza, determinazione, sicurezza e un minimo di tenerezza nei
confronti della piccola dai capelli di fuoco.
La
guardò giocare col suo cane di carta, chiedendosi come
facesse a
trovarlo così speciale, alla fine era solo un pezzo di carta
colorato. Gli scappò un sorriso, guardò la
maniglia che ancora
stringeva tra le dita e infine tirò indietro la mano.
<<
Vuoi che ti faccio vedere come si fa? >> chiese cambiando
completamente espressione. L'imbarazzo non c'era più, anche
quella
vena scorbutica era sparita. Ora nei suoi piccoli occhi azzurri c'era
complicità e simpatia. Molly allargò le labbra in
un immenso
sorriso, un sorriso che Daryl non aveva mai visto prima, un sorriso
in grado di illuminare il cielo, e annuì energicamente,
felice di
poter passare un po' di tempo con quell'uomo tanto buono e gentile.
Prese
di nuovo la sedia su cui si era seduto precedentemente e la
trascinò
vicino al bordo del letto, dove poi ci si sedette lasciando lo
schienale al posto giusto, così da non avere niente che si
mettesse
tra lui e la bambina. Prese un pezzo di carta straccia da uno dei
cassetti del comodino e si chinò verso Molly, che intanto si
era
avvicinata, buttando sottosopra coperte e lenzuola, per poter vedere
bene come andava fatto.
Hershel
salì le scale di casa sua, e si diresse abbastanza
tranquillo e
spedito verso la camera della sua piccola paziente. Niente di
importante, solo un controllo di routine per vedere se stava bene e
se aveva mangiato. Ma non entrò subito nella stanza.
Davanti
alla porta, piegata con un orecchio appoggiata a essa, c'era sua
figlia Maggie intenta ad origliare. Ma Hershel non ebbe bisogno di
fare altrettanto per capire cosa stesse succedendo all'interno della
stanza: sentiva ben distinte le risate di Molly che si mischiava ogni
tanto alla voce di Daryl, intento a dar corda ai suoi giochi. Non
sapeva bene cosa stavano combinando quei due, ma presto lo avrebbe
scoperto, intanto si limitò a immaginarlo dando un filo
logico ai
continui << Cavoli hai vinto di nuovo tu!
>> di Daryl.
Maggie aveva gli occhi lucidi e un sorriso emozionato, finalmente la
piccola si era ripresa e sentirla ridere era più dolce che
sentire
il canto degli uccellini alla mattina. Non solo perchè era
lei, non
solo perchè dimostrava di essersi ripresa, ma anche
perchè era da
tempo che non sentiva qualcuno ridere così di gusto ed
essere così
felice. In quei tempi l'unica cosa udibile erano urla e pianti. Lei
era la voce fuori dal coro che portava calore in quella casa che
troppo tempo era rimasta gelida.
<<
No, non devi fare così!! >> rise ancora la
bimba usando tutta
la voce che aveva, incurante di chi potesse sentirla, presa solo a
divertirsi.
Hershel
sorrise e fece un passo avanti, facendo spostare Maggie e bussando
alla porta. Sentì Molly fare una serie di "shh shh" e dire
a una voce più bassa rispetto a prima, ma ancora abbastanza
alta da
essere sentita fuori << Facciamo finta che non
c'è nessuno.
>>.
Questa
volta a ridere furono tutti gli altri, Daryl dentro, e i due fuori.
Hershel aprì la porta entrando solo parzialmente e senza
nascondere
un sorriso divertito guardò nella stanza. Daryl era sempre
seduto
sulla sedia, gambe divaricate, chinato in avanti, verso il letto e
tra le dita ancora un filo di lana che probabilmente prima aveva
fatto parte dei loro giochi. Lo vide sorridere divertito e
imbarazzato per essere stato colto in flagrante. Posò il
filo sul
comodino e si alzò, avviandosi verso la porta, pronto a
lasciare il
posto al dottore. Solo allora Hershel notò uno "strano"
rigonfiamento sul letto, sotto le coperte, che si muoveva a tempo di
respiro e da cui ogni tanto uscivano risatine soffuse.
<<
Lei ha detto di dirti che non è qui. >> si
limitò a dire
Daryl con un certo imbarazzo, non complice al 100% del suo scherzo.
<<
Ma così lo capisce!!! Non devi dire così!
>> urlò la bimba
contrariata da sotto le coperte. Daryl cercò di nascondere
un altro
sorriso divertito prima di uscire dalla stanza, in cui invece
entrò
Hershel chiudendo di nuovo la porta alle spalle.
<<
Vedo con piacere che hai mangiato tutto. >> disse lui
avvicinandosi al letto. Molly si tolse nervosamente le coperte da
sopra, sbuffando contrariata << Daryl non sa giocare!!
>>
brontolò, provocando di nuovo la risata di Hershel.
<<
No, è vero. Nessuno gli ha mai insegnato come si fa.
>> disse
lui prendendo in mano lo stetoscopio e facendo cenno alla bimba di
avvicinarsi. Le alzò la maglietta e le poggiò
quel gelido disco
sulla pelle nuda, restando in ascolto qualche secondo. Poi lo
posò
sulla schiena e fece altrettanto. E continuò con i suoi
controlli di
routine per qualche minuto.
<<
Non è difficile! Glielo posso insegnare io. >>
disse Molly
dopo qualche minuto di attenta riflessione, come un vera donnina che
esamina un problema e se ne prende carico responsabilmente.
<<
Sarebbe grandioso! >> l'assecondò Hershel
prima di mettere via
tutto, lasciandola in pace.
<<
Posso alzarmi ora dal letto, Signor dottore? >> chiese la
bimba
speranzosa. Si annoiava a stare lì, non c'era niente di
bello da
fare, l'unico momento divertente era stato prima con Daryl. Voleva
andare un po' in giro ad esplorare, aveva visto dalla finestra che
c'era un bel giardino, voleva andare lì a giocare, e magari
conoscere quel Carl di cui le aveva parlato la bella signora col
cane.
La signora Alice.
Così
aveva detto Daryl che si chiamava. Come il titolo della sua canzone.
Però le aveva anche detto che quello era un segreto e non
doveva
dirlo a nessuno, perchè era un eroina, come quelle dei
cartoni
animati, e tutti gli eroi dei cartoni hanno una doppia
identità. La
sua si chiamava Ocean, ed era così che doveva chiamarla se
non
voleva tradirla e smascherarla.
<<
Hai un po' di febbre, Molly. E' meglio se resti a letto ancora un
po'. Verrà qualcuno qui con te a giocare, va bene?
>> quella
di Hershel poteva sembrare una richiesta, ma lui era un dottore, e
tutte le richieste dei dottori in realtà sono ordini e vanno
ubbiditi senza discutere. Glielo aveva insegnato la mamma.
Sbuffò
scocciata e si lasciò uscire un << E va bene
>> così
trascinato che non sarebbe mai potuto essere scambiato per un vero
consenso. Hershel sorrise di nuovo, quella bimba era vita pura, il
sole brillava sul suo volto e nella sua voce, non poteva non mettere
allegria a chiunque la vedesse o la sentisse. Quando l'uomo
uscì
dalla stanza, fuori c'era già pronta Maggie che aveva
sentito tutto
ed era già corsa per casa a cercare di procurarsi qualche
gioco da
poter far fare alla bambina, così da evitare si annoiasse.
Aveva in
braccio un vecchio gioco in scatola e un paio di libri. Sperava
fossero stati abbastanza per lei.
<<
Non ha ancora chiesto dei suoi genitori. >>
comunicò Hershel a
sua figlia, usando un tono abbastanza basso da evitare di essere
sentito dalla sua piccola paziente << Se passi del tempo
con
lei sii consapevole che potrebbe chiedere in qualsiasi momento, e
allora dovrai essere pronta a dirglielo. >>
Maggie annuì.
Sapeva cosa intendeva suo padre, parlare di morte con bambini
così
piccoli è sempre troppo difficile e non andrebbe mai fatto.
Senza
considerare il fatto che quella specifica bambina era quasi stata
mangiata dalla sua stessa mamma, e probabilmente avrebbe chiesto
spiegazioni anche su questo. Bisognava essere pacati, ma sinceri. I
bambini sono creature tanto intelligenti quanto fragili. Una sola
parola sbagliata e sarebbe crollata in pezzi.
<<
Ehi, Glenn! >> urlò Daryl sotto al camper,
costringendo il
coreano ad alzarsi dalla sua sedia per sporgersi e guardarlo,
chiedendosi cosa volesse da lui << Vatti a fare una
pausa. Ci
penso io qui. >> l'offerta era certamente allettante
quanto
stramba. Daryl NON stava di guardia. Daryl girava, perlustrava,
cacciava e aiutava Rick, ma non stava fermo lì sopra a
godersi il
panorama.
Daryl
lesse la sorpresa sul suo volto e incalzò <<
Sul serio,
fratello. Tanto non ho niente da fare per le prossime ore.
>>
disse cominciando a salire su per la scaletta. Glenn gli porse il
binocolo e continuò a guardarlo stranito <<
Stai bene? >>
chiese con innocenza.
<<
Voglio prendere un po' di sole. >> rispose sarcastico
Daryl
avvicinandosi alla sedia da campeggio piazzata lì sopra,
fece cadere
la balestra ai suoi piedi e si lasciò cadere su di essa con
la
stessa poca grazia della prima. Tirò fuori dalla tasca un
pacchetto
di sigarette, ne estrasse una, se la portò alle labbra e
l'accese.
Glenn, anche se non capiva cosa fosse successo, decise di
approfittare della gentil concessione di Daryl e scese dal camper,
avviandosi verso casa Hershel per approfittare del suo tempo libero
per stare un po' con Maggie, non sapendo che lei era impegnata in
giochi e racconti con la nuova arrivata.
La
sigaretta arrivò al filtro.
Si spense.
Un'altra prese il suo
posto. Seguì il suo stesso destino.
Si spense.
E di nuovo
sostituita. Il sole nel cielo correva indisturbato, ignaro che quella
che stava cercando di riscaldare e illuminare non fosse ormai
più la
sua terra, la terra di una volta. E correva. Non si fermava. E pian
piano calava. Ma l'uomo di vedetta non si mosse. Impietrito,
determinato o semplicemente folle. Non si mosse neanche per cambiare
posizione. Il cielo sopra di lui mutò colore al calar della
sera, ma
niente sembrava essere mutato invece su quel camper. Un segugio che
non toglie gli occhi dalla sua preda, che rimane immobile sulla scia.
<<
Ehi, Daryl. Posso riprendere io ora. >> disse Glenn da
sotto il
camper, sempre più convinto ci fosse qualcosa che non
andava. Erano
passate ore, e lui aveva fatto altro che guardare davanti a
sè,
muovere al massimo il braccio per portare un paio di volte il
binocolo agli occhi e fumare.
<<
Lascia stare, amico. >> disse Daryl muovendosi per la
prima
volta, stirandosi la schiena e raddrizzando la sua postura.
Tirò
fuori dalla tasca nuovamente il pacchetto di sigarette e lo scosse,
rimanendo deluso del suo silenzio, e lo lanciò al suo
compagno di
sotto << Vedi se ne trovi altre in giro, fammi il favore.
>>
disse prima di tornare nella sua originaria disordinata posizione, le
gambe allungate davanti a lui, la schiena incurvata e ingobbita,
rilassata e le dita delle mani incastrate tra loro, poggiate sul
ventre. Glenn prese al volo il pacchetto e dopo aver dato un altro
sguardo a quella statua che una volta era stato suo compagno, si
allontanò lentamente, guardando la confezione
schiacciaticcia che
gli era stata data.
<<
Che succede, Glenn? >> chiese Dale poco distante,
vedendoselo
passare accanto assorto e un po' confuso. Lui si voltò a
guardarlo e
mostrò il pacchetto, restando qualche secondo in silenzio, a
bocca
aperta, non convinto neanche lui di cosa dovesse dire.
<<
Sai mica dove posso trovarne altre? >> chiese infine.
<<
Forse nelle tende trovi qualcosa. Magari in quella di Shane.
>>
rispose Dale vagamente, prima di voltarsi a guardare Daryl seduto sul
tettuccio del camper, immobile come lo aveva lasciato qualche ora
prima.
<<
Starà aspettando Rick? >> chiese Glenn
pescando tra le
soluzioni plausibili l'unica che gli sembrasse degna di nota.
<<
No. >> disse Dale prendendosi una delle sue solite pause
<<
Non credo Rick. >> Glenn si voltò a guardare
il vecchio
inarcando le sopracciglia. E chi allora? Dale sospirò ancora
prima
di tornare alle sue faccende << Sono stati là
fuori insieme
due giorni. Sono lunghi due giorni. >> disse concludendo
lì il
discorso e lasciando Glenn pensieroso.
Arrivò
la sera e l'unica cosa che fece ritorno fu la macchina di Rick e
Shane. Daryl da sopra la sua torre di guardia, la guardò
parcheggiare nel vialetto, un po' frettolosa e nervosa, e lui senza
muoversi di lì continuò a guardare tutte le scene
che si
susseguirono. Shane e Rick scesero dall'auto malconci, ricoperti di
sangue, nervosi e affaticati. Lori corse incontro a suo marito,
preoccupata, chiedendogli cosa fosse successo e Rick dando
spiegazioni a lei e al resto del gruppo che li aveva raggiunti,
giustificò perchè Randall si trovasse ancora nel
retro della loro
auto.
<< Conosce Maggie. Non possiamo permettergli di
allontanarsi. Sa dove trovarci. >> disse mentre Shane
apriva il
baule dell'auto e con l'aiuto di T-Dog trascinava di nuovo il ragazzo
dentro il capanno. Non insistettero molto su cosa dovessero fare
adesso, era meglio per i due che si prendessero del tempo per
riposare e curarsi le ferite, avrebbero deciso dopo come comportarsi,
e sicuramente la situazione sarebbe stata ripresa tra le mani
l'indomani. Ora il sole stava calando, portando a dormire con
sè
tutti i problemi e le responsabilità. Era tempo di una
pausa.
Daryl
portò di nuovo lo sguardo al bosco davanti a lui,
aspettandosi
ancora di veder sbucare da un momento all'altro una figura
accompagnata da un cane e possibilmente anche una cavalla. Ma ancora
tutto rimase immobile, e l'immagine davanti ai suoi occhi non
mutò.
Sospirò e rimandò anche lui a domani. Si
alzò e si sgranchì
le gambe prima di riafferrare la sua balestra e scendere dal camper,
cedendo il posto a chi di conseguenza.
La
lunga notte aveva portato nervoso ad accumularsi su altro nervoso.
Non riusciva a trovar pace. Ocean non era ancora tornata, ed era
passato un intero giorno dalla loro separazione...perchè
tutti
quelli che cercava di aiutare poi non facevano ritorno?
Perchè non
riusciva a portare a termine una sola missione di quelle che si era
imposto? Non era riuscito a ritrovare neanche suo fratello.
Quella
notte aveva sognato Sophia, aveva sognato di trovarla, ma di trovarla
morta e lui non aveva armi funzionanti a portata di mano. Aveva
sognato Sophia che lo divorava.
Uscì dalla sua tenda procedendo a
passi pesanti e spediti verso il capanno di Randall, Rick gli aveva
già detto cosa desiderava che facesse e lui sapeva
già come
comportarsi. Era di pessimo umore, e quando un uomo è di
pessimo
umore è capace di andare oltre al limite, ottenendo per
forza ciò
che vuole. Carol lo guardò preoccupata, come ormai faceva da
quando
era tornato. Aveva provato ad avvicinarsi ma lui aveva continuato a
respingerla in malo modo. Non voleva saperne niente di lei, non
voleva saperne niente di nessuno. Aprì la porta,
entrò e se la
richiuse alle spalle sbattendola con quanta più forza aveva,
facendo
sussultare e piagnucolare il ragazzo che già sapeva quale
destino
gli aspettava. E così cominciò il suo
interrogatorio. Gli tolse la
benda dagli occhi strappandogliela via: doveva guardarlo negli occhi,
doveva avere paura.
Rimase chiuso lì dentro per ben 2 ore,
alternando pugni a domande, a minacce e torture di vario genere con
il suo coltello, mentre il ragazzo sempre piangendo cercava di
spiegargli che non sapeva niente, che non voleva far del male a
nessuno, ma l'uomo sopra di lui non sembrava essere soddisfatto e
continuava a fargli del male. Inutili erano i suoi lamenti e le sue
preghiere. Daryl continuava a picchiare, sfruttando quell'occasione
anche a suo vantaggio, scaricando la rabbia e il nervoso sulle sue
braccia che diventavano così più pesanti.
Perchè non era
tornata? Perchè ancora non tornava?
Un'ombra gli pesava sul
cuore: la paura di vederla arrivare ma non con l'intento di stare con
loro, ma con quello di mangiarli. Proprio come la piccola Sophia.
Aveva dato così tanto ad entrambe, ed entrambe l'avevano in
qualche
modo tradito, lasciandolo solo con i suoi fallimenti e i suoi
rimorsi. I "se solo..." si susseguivano, nonostante gli
altri gli dicevano che lui aveva fatto tutto il possibile. No, se
così fosse stato davvero, allora Sophia sarebbe viva e Ocean
sarebbe
lì con loro, sana e salva. Sarebbe lì con Molly
che nel suo letto
guardava dalla finestra in attesa di vederla tornare.
Doveva
dirle il titolo di quella dannatissima canzone!
Un altro pungo
cadde più forte degli altri.
Anche quello stronzo di suo
fratello sarebbe stato lì, se lui avesse fatto quel
fottutissimo
passo in più.
Se solo fosse arrivato prima!
E ancora.
Perchè
Ocean non tornava? Un altro. Perchè Sophia era morta? E un
altro.
Perchè aveva perso suo fratello? E un altro ancora. Rabbia
che
cresceva come fuoco. Fuoco che bruciava e che, scintilla di una
pistola, sparava pugni come proiettili.
E
ancora.
Finchè il ragazzo ormai esausto non si alzò
più, con a
malapena la forza di piagnucolare.
Si alzò da sopra di lui,
riprendendo fiato e cercando di muovere la mano ormai dolorante.
Decise che era abbastanza, tanto in quelle condizioni il ragazzo non
avrebbe potuto dire niente di più, e uscì
lasciandolo lì, ridotto
a uno straccio che ancora coggiolava muco, sangue e lacrime. Si
avvicinò a Rick, per dargli il suo responso
<<
Hanno artiglieria pesante e non cercano nuovi amici. >>
disse
guardando sia lui che Shane al suo fianco << Se
passassero di
qui ucciderebbero gli uomini e le donne le violenterebbero.
>>
continuò, pendendo dalle labbra di tutto il gruppo
lì presente,
preoccupati e spaventati.
<< Che cosa hai fatto? >>
chiese Carol, ignorando le sue notizie, concentrandosi solo sulla sua
mano mal ridotta, rivolgendogli un tono preoccupato e un po' severo,
come una madre col proprio figlio dopo una rissa coi compagni di
scuola.
<<
Una chiacchierata. >> disse semplicemente Daryl,
tranquillo,
come se davvero fosse stato così, ma lasciando intravedere
nelle sue
parole tutta la loro menzogna.
E
Rick tirò le somme << E' una minaccia.
Dobbiamo eliminare la
minaccia. >>
Dale
si avvicinò con sguardo spaventato e cupo <<
Quindi lo
ammazzerai? >>
<< E' deciso. >> disse Rick prima
di allontanarsi, seguito da Dale, ancora intenzionato a parlargli e
fargli capire la follia del suo gesto. Ammazzare un ragazzino, solo
perchè forse sarebbe potuto essere una minaccia, senza
dargli modo
di dimostrarlo era qualcosa di crudele, qualcosa che non era Rick.
Daryl
si allontanò dal resto del gruppo prima che qualcuno potesse
rivolgergli parola, era stufo, voleva starsene in pace. Si diresse
verso la casa di Hershel, salì gli scalini della veranda e
si fermò
per un attimo, riflettendo, combattendo una guerra dentro
sè. Si
voltò di nuovo a guardare il bosco in lontananza e strinse
gli
occhi, cercando di guardare ancora oltre, sforzando la sua vista,
ancora speranzoso di vedere una sagoma uscire da un momento all'altro
da quegli alberi che a lungo avevano protetto le loro vite. Ma
l'immagine davanti a sè rimase ancora immutata, come un
quadro, un
quadro che stava cominciando a detestare. Lasciò la balestra
lì
fuori, imponendosi di evitare di entrare armato in casa, e si diresse
verso la stanza di Molly. Nessuno gli aveva chiesto di tornare a
farle visita, quella volta era semplicemente stato lui stesso a
desiderarlo.
La
bambina era come al solito seduta a letto, coperta sulle ginocchia,
con addosso una vestaglietta decisamente troppo grande per lei, e
stava giocando con la sua bambola: le pettinava i capelli con le dita
e le sistemava il vestito addosso.
<<
Ieri hanno urlato. >> disse lei interrompendo il
silenzio,
continuando a giocare con la sua bambola, ma con un tono che non era
per niente divertito. Era meno vitale del giorno prima, forse era
successo qualcosa, o forse semplicemente stava cominciando ad
annoiarsi o farsi qualche domanda.
<<
Chi ha urlato? >> chiese Daryl, seduto come sempre con lo
schienale della sedia davanti a lui, poggiandosi con il braccio e
guardando la bambina mentre giocava con la sua bambola. Non avevano
parlato molto appena era entrato in stanza, e Molly lo aveva
semplicemente salutato sorridendo, senza nessuna esuberanza, ma non
per questo era meno piacevole stare in sua compagnia. Era rimasto a
guardare mentre giocava, semplicemente facendole compagnia, vegliando
su di lei.
<<
Maggie e qualcun altro. Nella stanza accanto. La signora dai capelli
neri è venuta a chiamarla mentre giocava con me e mi ha
lasciata
sola. Dopo un po' ho sentito che urlava con qualcun altro.
>>
raccontò.
<< Ti hanno spaventata? >> chiese Daryl con
una piccola dose di dolcezza e compassione. Tutta la rabbia covata,
la frustazione, era sparita nell'istante in cui aveva messo piede
lì
dentro. Come se nell'aria di quella stanza ci fosse una qualche sorta
di calmante.
Molly
annuì timidamente, vergognandosi un po' e forse ancora
intimorita.
<<
E' sua sorella. Stavano semplicemente litigando...come quando tu
litighi con qualche amica della scuola perchè ti ruba il
giocattolo.
Ti è mai successo? >> Molly ci
pensò su un attimo, alzando
gli occhi al soffitto per stimolare la memoria e dopo qualche secondo
di riflessione annuì e tornò a pettinare la sua
bambola. Daryl
continuò a guardarla, restando ancora in silenzio per
qualche
secondo.
<<
Come si chiama? >> chiese poi sorridendo. Molly
alzò gli occhi
sull'uomo, capendo poco dopo che si stava riferendo alla sua bambola
e rispose prontamente << Rosie. Signorina Rosie.
>>
rispose lei sorridendo prima di voltarla e di avvicinarla a Daryl con
un braccio alzato << Piacere di conoscerla, Signor Daryl.
>>
disse ancora Molly cercando di camuffare la voce, rendendola un
pochino più acuta. Daryl rimase per un attimo disorientato,
non
capendo cosa volesse fare, e la bambina da dietro la bambola diede il
suggerimento sussurrando << Devi stringerle la mano.
>>
Daryl
accennò un sorriso divertito e con molto imbarazzo
allungò la mano,
afferrando la punta del braccio della bambola, quella che doveva
essere una mano, e lo mosse lentamente su e giù.
<<
E' un'ottima ballerina. >> disse Molly prima di prendere
la sua
bambola per le braccia e, facendola saltellare sulle punte sopra il
letto, canticchiò a labbra serrate.
Daryl
continuò a osservarla mentre giocava, senza proferire
parola,
semplicemente osservando e vegliando. Poi decise di fare quella
domanda un po' scomoda che dal giorno prima tutti evitavano di porre,
ma che continuavano a farsi.
<<
Molly. >> richiamò la sua attenzione e
sperò di riuscire a
essere il più delicato possibile <<
Perchè ancora non hai
chiesto dove sono i tuoi genitori? >> Molly interruppe i
suoi
giochi e guardò l'uomo un po' allibita, come se gli avesse
fatto una
domanda assurda.
<<
Perchè io lo so dove sono. >> disse poi con
tranquillità,
facendo ancora pesare la domanda come qualcosa di stupido e banale.
Daryl rimase un po' confuso: lo sapeva...ed era così
tranquilla?
Com'era possibile? Una bambina come può restare
così indifferente
di fronte alla morte dei propri genitori?
Molly tornò a
concentrarsi sulla sua Signorina Rosie prima di proseguire
<<
Si sono persi nel bosco. E Alice è andata a cercarli, per
questo
ancora non è tornata. >> Daryl rimase ancora
più
disorientato, e fu improvvisamente colto da una profonda tristezza.
Da dove aveva tirato fuori quella storia Molly? Come aveva fatto a
costruirsi una tale spiegazione? Eppure a sentirla parlare sembrava
che tutto filasse. Era così ovvio che era così.
Daryl non ebbe
cuore di distruggere le sue speranze, il coraggio gli mancò,
e si
limitò ad annuire, mentendo ancora, solo per evitare che lei
cadesse
a pezzi, solo per proteggerla. Con calma poi avrebbe pensato a
qualcosa da dirle quando sarebbe stato evidente che nè i
suoi
genitori nè Alice sarebbero tornati.
Rimase
a guardare ancora quel quadro invariabile davanti a sè.
Rimse a
fissarlo a lungo, cominciando a provare di nuovo un forte senso di
fastidio, rabbia che esplodeva ancora più forte di prima.
Non erano
solo le sue speranze ad aver bisogno di trovare soddisfazione, ora
c'era qualcosa di più. Molly aveva bisogno di lei. Aveva
bisogno che
almeno lei tornasse. I suoi genitori sarebbero rimasti per sempre in
quel bosco, mai sarebbe stati ritrovati e riportati indietro, ma
lei...Ocean... c'era ancora speranza. E doveva tornare. DOVEVA. Per
Molly. Non doveva permettere che anche la bambina cadesse in pezzi.
Ma
ancora nessuna ombra. Era pieno pomeriggio, ormai erano passati quasi
due giorni, e ancora non tornava.
Tirò
un calcio a un sasso, cercando ancora di sfogare la sua rabbia, e
prese nuovamente una decisione. Sarebbe tornato lì dentro e
sarebbe
andato a cercarla. Al diavolo il gruppo, tanto non c'era più
nessun
gruppo! E lui se la sarebbe cavata meglio da solo.
Si
allontanò e, arrivato a una distanza soddisfacente che gli
permettesse di tenere ancora lontano i membri del gruppo, si
appoggiò
a un albero e cominciò a preparare le sue cose, pronto ad
andarsene.
Ma poco dopo Dale lo trovò e lo raggiunse. Sbuffò
scocciato, non voleva avere ancora loro tra i piedi <<
Sono
venuto quaggiù per stare lontano da voi. >>
comunicò al
vecchio, sperando di convincerlo ad andarsene.
<<
Allontanarti un po' non basta. >> rispose distrattamente
Dale,
cercando nel frattempo di mettere insieme le parole adatte a chiedere
ciò per cui era andato veramente.
<< Ti ha mandato Carol?
>> chiese ancora Daryl, credendo di sapere già
la risposta. Da
quando aveva sacrificato la sua vita per salvare sua figlia, Carol
non gli si era più staccata di dosso, preoccupandosi per lui
anche
più del dovuto.
<< Carol non è l'unica a preoccuparsi per
te e per il...tuo nuovo ruolo nel gruppo. >>
spiegò Dale,
ricevendo in risposta un'occhiataccia da parte del ragazzo
<<
Non mi serve uno strizzacervelli. >> disse Daryl
<< Il
gruppo non esiste più. Me la caverò meglio da
solo. >>
comunicò ancora.
<< Sembra che non t'importi. >>
disse Dale squadrandolo, rendendosi conto che non era il solito Daryl
a parlare, ma c'era molto dentro lui che lo spingeva dove stava
andando.
<< Sì, perchè è
così. >> rispose Daryl
infilandosi la giacca, cercando di convincere il vecchio che non
aveva speranze di dissuaderlo.
<< Allora non t'importa se
Randall vive o muore. >> centrò il segno Dale.
<< No.
>> rispose Daryl secco e deciso, guardandolo negli occhi,
prima
di continuare a prepararsi.
<< Dammi ragione, cerca di
salvargli la vita, se davvero per te non fa differenza.
>>
chiese, quasi supplicò, Dale.
<< Non ti facevo un disperato
figlio di puttana. >> disse Daryl.
<< La tua opinione
fa la differenza! >> insistette Dale.
<<
Amico, qui nessuno ascolta quello che dico. >>
<<
Carol sì! E anche io in questo momento. E ovviamente Rick ti
da
ascolto! >> continuò Dale la sua opera di
convincimento. Ma
questo fece solo alterare di più Daryl. Rick NON gli dava
ascolto.
Questo era appurato! O l'avrebbe lasciato andare a cercare Alice,
qualche sera prima.
<< Rick ascolta solo Shane. Lascialo
fare. >>rispose scocciato il balestriere, prima di
voltarsi e
tentare di andarsene. Ma Dale lo fermò ancora
<< T'importava
cos'era successo a Sophia! Che cosa significava per il gruppo.
>>
Daryl si infuriò ancora di più. Voleva
dimenticare quella faccenda.
Non doveva insistere, nessuno doveva rimarcare il lavoro fatto per
cercare Sophia, nessuno doveva riportare a galla il suo fallimento
<<
Torturare la gente. >> continuò Dale
<< Tu non sei così!
Tu sei una brava persona! E anche Rick! >> lo difese. Poi
continuò con una certa dose di disapprovazione e
preoccupazione <<
Shane è diverso. >>
<<
E perchè? Perchè ha ucciso Otis? >>
disse Daryl, centrando il
bersaglio, cercando di puzecchiarlo come Dale stava puzzecchiando
lui.
Dale spalancò gli occhi, sorpreso che Daryl sapesse di Otis
<< Te l'ha detto lui? >> chiese speranzoso
quasi di avere
delle prove, una confessione da parte del colpevole.
<< Ha
raccontato una storia, di come Otis lo ha protetto salvandogli il
culo. Si è presentato con l'arma del morto. Rick non
è stupido, se
non l'ha capito è perchè non voleva.
>> spiegò Daryl, ancora
severo nello sguardo, spiegando, mostrando al vecchio, come stavano
andando veramente le cose << E' come dico io: il gruppo
non c'è
più. >> concluse prima di andarsene, tornando
al suo cammino,
lasciando il vecchio solo e pensieroso, abbattuto di fronte a tale
triste verità.
Prese la sua moto, unica "amica" che
non voleva lasciare indietro, e partì, seguendo la strada.
Sarebbe
arrivato all'auto di Molly e lì sperava di riuscire a
trovare
qualcosa, qualsiasi cosa lo portasse da Alice, ovunque lei fosse.
Sopra
la sua moto ci mise solo una mezz'ora ad arrivare al luogo, che
trovò
ormai deserto. Si fermò e la lasciò costeggiata a
bordo strada, non
molto lontano, percorrendo quegli ultimi metri a piedi, lentamente e
circospetto. La balestra impugnata davanti al suo viso, pronto a
sparare alla prima avvistata, ma non ce fu bisogno. Non c'era
più
niente se non cadaveri stesi a terra e sangue. Sangue ovunque, nero e
rosso, vivo e morto. Si guardò attorno sentendo rabbia
crescere
ancora dentro sè. Non c'era più niente e nessuno.
Aveva lasciato il
luogo invaso, aveva lasciato lì Alice, ma ora non c'era
più neanche
il suo cadavere. Provò a inoltrarsi appena nel bosco, a lato
dell'auto, dove Max aveva salvato la vita della sua amica, sperando
di trovare qualcosa di più. L'aria puzzava di morte e
pericolo.
Degli uccelli presero rumorosamente il volo, pochi metri da lui, e lo
fecero scattare, puntando la balestra in un punto non ben preciso,
allarmato. Non scorse niente. A terra c'erano stesi sì e no
15
cadaveri, forse di più, molti fatti a pezzi. Qualcuno aveva
arti ben
recisi, tagliati di netto dalla lama di Alice.
Aveva combattuto.
Continuò
a guardarsi attorno, cercando tracce invisibili nel sangue. Tutto era
confuso. Ma i corpi di Alice e di Max non c'erano...che ci fosse
speranza? O forse si erano trasformati e se n'erano andati insieme
all'orda. Niente gli diceva cosa fosse successo. Il silenzio regnava.
Non
aveva neanche la più pallida idea di dove cominciare a
cercare, le
orme si sparpagliavano ovunque, senza un ordine preciso. Confusione,
solo ed esclusivamente confusione.
Poi un piccolo indizio: uno
degli zombie stesi a terra, senza la testa, teneva ben stretto tra le
mani qualcosa, un frammento di tessuto scuro. Si avvicinò
velocemente, si chinò e cercò di estrarre quel
pezzo di stoffa nero
dalle mani del morto. Era un guanto. Uno dei suoi guanti. Si
guardò
attorno allarmato, cercando ancora, e trovò. Poco lontano
stampata
su un tronco c'era l'impronta insanguinata di una mano.
"L'hanno
morsa." pensò Daryl, cercando di rimettere insieme i pezzi,
cercando di ricostruire il passato. Lo zombie doveva averla afferrata
per la mano, sfilandole il guanto, ma non senza prima averla morsa,
ecco perchè la mano era insanguinata quando si era poggiata
sul
tronco.
<<
Merda. >> gli uscì preoccupato, ma l'urgenza
cominciava a
scemare. Stava cominciando a pensare che stava di nuovo cercando un
morto.
<< No,
cazzo. >> disse ancora incazzato prima di sferrare un
pugno a
quel tronco. Il fiato cominciò a mancargli di fronte
all'evidenza di
aver atteso per due giorni il ritorno di un cadavere. Non poteva
essere morta. Lei..sapeva cavarsela.
Era tutta colpa sua. Non
doveva lasciarla sola. Era stata colpa sua se lei era morta.
Trovò
ancora qualche impronta nel sangue che allagava e colorava il
terreno, passi pesanti che avevano arrancato e un corpo che era
caduto a terra pochi metri dopo. Doveva essere il punto in cui era
crollata e in cui era morta. Poco dopo probabilmente si era rialzata,
ma non era più lei. Il punto in cui si poteva scorgere
l'affosamento
del terreno sotto il peso del corpo era un bagno di sangue e budella.
Si
inginocchiò laddove Alice era caduta. Il respiro gli
mancava. Era
tutta colpa sua. Sarebbe dovuto tornare indietro.
<<
Cazzo. >> la voce gli uscì sofferente, quasi
piagnucolante, e
i sensi di colpa ormai lo divoravano mentre una mano torturava i suoi
capelli, colpevole di un crimine che non aveva commesso.
L'aveva
uccisa. L'aveva lasciata uccidere. Lui doveva proteggerla, lei glielo
aveva chiesto, lei ne aveva bisogno, e ancora una volta non c'era
riuscito.
<<
Vaffanculo!!! >> urlò alzandosi di colpo, nero
in volto, e
sfoderando uno dei suoi coltelli si scagliò contro il primo
cadavere
che gli capitò sotto tiro, fendendo colpi contro un corpo
che già
non si muoveva.
<<
Vaffanculo. Vaffanculo. >> continuava a ripetere ad ogni
colpo,
facendo uscire tutto il suo rancore, caricandone ogni coltellata,
finendo addirittura con l'affaticarsi. Poi gli occhi caddero su
qualcosa, poco più avanti, incastrato sotto una radice di un
albero:
un fagotto nero. Lasciò la sua vittima ormai condannata e si
avvicinò velocemente alla sua scoperta: non fu difficile
tirarlo
fuori, probabilmente era semplicemente caduta di spalla e poi
calpestata, finendo con l'incastrarsi lì sotto. La sacca di
Alice.
Se la rigirò più volte tra le mani, stringendola
tra le dita con
rabbia, disperazione e astio. Si guardò attorno, ancora
speranzoso
di vederla uscire, con qualche sua solita battuta sarcastica sul
fatto che lui stesse cercando di derubarla, ma niente di tutto questo
avvenne. Il silenzio pesava più di qualsiasi parola. Fece un
ultimo
sospiro, adibito a calmar eil cuore e ritrovare aria per i polmoni,
ormai arrendendosi di fronte all'evidenza.
Non
c'era più nessuno da aspettare.
Si
alzò in piedi, si appese la sacca di Alice alle spalle e
tornò
verso la strada, dove c'era la sua adorata moto ad aspettarlo, pronta
a portarlo lontano da quel campo di battaglia.
Ma
non si diresse subito da lei. Qualcosa aveva attirato Alice a
quell'auto due giorni prima, e qualcosa attirava ora lui. Niente di
evidente, solo una voce nel cuore che gli diceva di non andarsene
senza prima controllare. E fu solo un bene.
Spalancò gli occhi,
sorpreso, un po' divertito, anche se al momento c'era ben poco spazio
per il sorriso, quando vide scritto col sangue sul finestrino
posteriore dell'auto, dall'interno "Sindrome dell'eroe."
Alice
gli aveva lasciato un messaggio. Che fosse lì dentro?
Corse verso
la vettura: aveva tutti e 4 gli sportelli chiusi, cosa singolare che
aveva notato solo in quel momento: loro non avevano lasciato gli
sportelli chiusi. Dopo aver salvato Molly la macchina era rimasta
aperta. Ora invece era chiusa, ben sigillata. Con la manica
pulì il
finestrino imbrattato di polvere e sangue e cercò di
scorgerne
l'interno.
<<
Max!! >> sussurrò non riuscendo a trattenere
per sè i
pensieri. Aprì lo sprotello con fretta e si chinò
verso il cane,
dormiente, esausto, con una zampa insanguinata, ma che ancora
respirava.
<<
Ehi, amico! >> tentò di accarezzarlo, sperando
fosse ancora
vivo e in grado di sentirlo, di reagire. La coda si mosse lievemente
in un breve e piccolo sprizzo di allegria. Era al limite, aveva
bisogno di cure e aiuto. Lo prese in braccio e si diresse velocemente
verso la sua moto: doveva portarlo da Hershel. Lui era un
veterinario, gli avrebbe salvato la vita. Doveva salvargli la vita!
Almeno lui...doveva farcela.
<<
Resisti, amico. >> disse legandolo provvisoriamente con
delle
corde al sedile, dietro di lui, cercando di non stringere troppo ma
abbastanza da impedire al cane di saltare via durante la loro corsa.
Non era attrezzato a portarsi dietro animali feriti, ma sapeva
arrangiarsi.
Alice
non aveva lasciato altro dietro di sè. Probabilmente in un
ultimo
disperato gesto aveva nascosto Max nell'auto per proteggerlo,
chiudendolo dentro per evitare che fosse mangiato, e lasciando infine
un messaggio improvvisato in modo che Daryl, che sicuramente secondo
lei sarebbe tornato, data l'entità del messaggio, l'avrebbe
notato e
soccorso, pregando solo fosse arrivato in tempo. Daryl
ringraziò il
suo istinto che l'aveva spinto nuovamente laggiù, gli aveva
permesso
di tentare di salvare almeno la vita del cane.
Sarebbe
dovuto andare però quando il cuore glielo aveva detto la
prima
volta. Forse non solo la vita di Max sarebbe stata salvata.
Hershel
diagnosticò solo una piccola frattura, con varie ferite che
sarebbero guarite nel giro di pochi giorni. La situazione non era poi
così grave, ma l'aver aspettato ben 2 giorni prima di
ricevere
soccorsi l'aveva peggiorata. Ma non per questo era inguaribile. Poche
ore in più di attesa e allora sì che non ci
sarebbe più stato
niente da fare.
Max era salvo. Almeno di questo poteva gioire.
<<
Sei tornato la fuori? >> gli chiese quasi indignato Rick,
gli
aveva espressamente chiesto di restare con loro, di restare con lui,
e invece aveva tentato di andarsene e di tornare a cercare la
ragazza. Era certamente ben felice che il cane fosse tornato, era
stata un'immensa fonte di gioia per suo figlio, ma al momento aveva
ben altro da pensare. Daryl non rispose, semplicemente lo
guardò con
i suoi occhi affilati, facendogli capire che doveva assolutamente
lasciarlo in pace. E Rick accantonò l'accaduto, lasciando
perdere.
Non era il momento.
<<
Dobbiamo parlare. Tutti insieme.Vieni dentro, ci sono già
gli altri.
>> fece strada lo sceriffo.
Daryl rimase in disparte, un
gomito poggiato su un mobile all'ingresso, senza proferire parola,
ascoltando semplicemente quella che tanto sembrava un'assemblea,
anche se in realtà lo era solo nell'apparenza, assemblea che
sicuramente era stata richiesta da Dale e non da Rick stesso. La
decisione, fosse stato per lui, sarebbe già stata presa, ma
Dale
voleva a tutti i costi salvare la vita di quel ragazzo, Randall.
Obiettò, cercò di convincere il gruppo, ma in
pochi erano dalla sua
parte e solo perchè non volevano tradirlo, perchè
gli volevano
bene, e non perchè pensavano veramente avesse ragione. Ma
nonostante
tutto la decisione era presa, e tutti sapevano che era la cosa
migliore: per il bene di tutti, per la sicurezza del gruppo, era bene
che Randall morisse. Ma questo Dale non riusciva ad accettarlo. Lui
tra tutti era quello rimasto più umano. E insistette,
brontolò,
supplicò, quasi si mise a piangere. Ma non ci fu niente da
fare.
Rick guardò i presenti, chiedendo con gli occhi chi fosse
d'accordo
col vecchio, chi pensasse fosse meglio lasciarlo vivere, ma tutti
tenevano gli occhi bassi, non avendo il coraggio di incrociare il
loro sguardo con quello di Dale o dello sceriffo.
<<
Una volta tu mi hai detto che noi non uccidiamo i vivi.
>>
tentò l'ultima spiaggia Dale, disperato. Non voleva che quel
povero
ragazzo ci rimettesse, lui non aveva fatto niente di male, Randall
era assolutamente innocente, perchè ucciderlo e non dargli
una
possiblità? Era solo un ragazzo.
<<
Beh, questo è stato prima che i vivi cercassero di uccidere
noi. >>
spiegò Rick con una certa dose di autorità,
cercando di mettere a
tacere le polemiche assolutamente inutili di Dale, ma senza successo.
Non si dava pace. Quel povero ragazzo doveva avere una
possibilità.
<<
Ok, chi abbia qualcosa da dire prima di prendere la decisione finale,
parli pure. >> concluse Rick, dando una
possibilità a Dale,
non volendo essere colui che comanda e basta, e pensando che forse
anche altri avessero qualcosa da ridire o volessero prendere la
posizione di Dale. Semplicemente dandogli una possibilità.
Ma tutti
distolsero lo sguardo, si voltarono dall'altra parte o puntarono gli
occhi ai propri piedi. Sapevano tutti cosa era giusto e cosa andava
fatto.
E questo torturava il cuore di Dale che disperatamente
voleva aiutarlo. Le lacrime stavano arrossendo i suoi occhi, e il suo
povero cappellino veniva torturato tra le sue mani, valvola di sfogo
di ansia e nervoso. Perchè nessuno era dalla sua parte?
Perchè
nessuno capiva quello che voleva dire? Quel mondo stava trasformando
anche loro, perdendosi anche quel minimo di umanità che
avevano
conservato, perchè nessuno se ne rendeva conto?
Perchè tutti
voltavano così le spalle a ciò che era giusto e
ciò che erano
sempre stati?
Non lo tollerava. Non ce la faceva. Era troppo.
<<
Io non ne sarò partecipe. >> concluse prima di
andarsene,
fermandosi prima qualche secondo al fianco di Daryl e confermando
<<
Questo gruppo non c'è più. >>
Quella sera Shane, Rick
e Daryl trascinarono un corpo ormai morto, anche se ancora
divincolante, per lo sterrato che conduceva al fienile, e inutili
furono le sue preghiere. Ciò che andava fatto andava fatto,
basta.
Shane
gli mise una benda intorno agli occhi cercando un minimo di
rassicurarlo, per quanto uno possa essere rassicurato in momenti come
quelli << Presto finirà tutto.
>> gli diceva con tono
quasi amorevole. I singhiozzi di Randall riempirono il fienile
<<
Aspettate. No, vi prego. >> continuava a ripetere scosso
e
percosso dal dolore, ma nessuno dei tre presenti diede cenno di
cedere neanche un istante.
<<
Preferisci stare in piedi o in ginocchio? >> chiese Rick,
rispettando ancora quelle formule standard che gli erano state
insegnate, cercando di rendere la disumanità del gesto il
meno
disumano possibile. Randall non rispose, singhiozzò e
tremò. Shane
prese la decisione per lui costringendolo a inginocchiarsi. Rick si
sentì il cuore pulsare in petto, non era completamente
freddo e
cambiato, era ancora il vecchio Rick che desiderava salvare le
persone a tutti i costi, ma ora aveva delle responsabilità.
Il
gruppo contava su di lui. Lori, con suo figlio in arrivo, andavano
protetti ad ogni costo, bisognava permettere al nascituro di poter
godere di un ottimo posto dove crescere sicuro.
Ad
ogni costo.
<< Hai un ultimo desiderio? >> chiese
ancora Rick sforzando la sua voce di restare ferma e pacata,
nascondendo tutto il dolore e la paura che stava crescendo in lui man
mano che il momento della condanna a morte si avvicinava. Uccidere
una persona era qualcosa che ti segnava dentro. Era un marchio che ti
portavi addosso per tutta la vita, gli schizzi di sangue mai
sarebbero stati lavati via dalle tue mani, indelebili come tatuaggi.
Tatuaggi che urlavano "Assassino".
Ma andava fatto. Per
forza!
Ancora la risposta di Randall furono singhiozzi e
preghiere, singhiozzi che pesavano sempre più su quella
pistola
rendendola sempre più difficile da alzare e usare. Sempre
più
pesante. Rick cercò di mandar giù il nodo alla
gola, e sospirando
scavò in profondità dentro sè in cerca
della forza necessaria. Si
allontanò di un passo, alzò la pistola e la
puntò alla testa del
ragazzo. Tolse la sicura, facendo un lieve rumore ma assordante in un
momento come quello, e Randall sussultò a udirlo,
singhiozzando
ancora più forte. La mano di Rick tentennava, insicura del
suo
gesto, terrorizzata. Ma bisognava farlo! Doveva farlo!
Stava per
trovare il coraggio, stava per premere quel grilletto andando oltre
tutte le voci che urlavano dentro di lui << Assassino.
>>
quando la voce infantile di un bambino sulla soglia dell'adolescenza
immobilizò il tempo.
<<
Fallo papà. >> disse Carl all'entrata del
fienile <<
Fallo. >> cercò ancora di incoraggiarlo.
Voleva solo far
vedere a suo padre che ormai era grande abbastanza da giocare con la
morte, era in grado, come gli adulti, di tenere una pistola, premere
il grilletto sulla testa di un uomo, era in grado di fare la cosa
giusta anche se era la più scomoda, proprio come suo padre.
Ma non
fu questo il messaggio che arrivò a Rick, che lo
guardò spaesato e
terrorizzato: suo figlio lo stava guardando uccidere. Che razza di
insegnamento gli stava dando? Desiderava tanto che Carl crescesse
come tutti i ragazzini normali, giocando e ridendo alla vita, invece
non faceva altro che vedere morte, lacrime, e ora addirittura suo
padre, il suo esempio, che si macchiava di una tale vergogna.
Lanciò
uno sguardo spaventato a Shane che colse immediatamente il messaggio
e si avvicinò al ragazzino nervoso << Allora
mi prendi in
giro? Che cosa ti avevo detto? Che cosa ti avevo detto?
>>
ribadì con voce rauca e severa.
La
pistola divenne troppo pesante per essere sorretta dal suo braccio, e
il nodo in gola tornò a incendiarlo. No, non doveva andare
così.
Carl non doveva essere testimone di una tale barbaria. Carl doveva
essere protetto da tutto quello, ancora per un po', era ancora troppo
piccolo.
<<
Portalo via. >> disse agitato, ormai incapace di andare
oltre
<< Portalo via! >> incalzò sotto
lo sguardo incredulo e
accusatorio di Shane. Daryl si avvicinò immediatamente al
ragazzo,
lo afferrò per la maglia e lo sollevò di peso
<< Alzati!! >>
gli disse con tono minaccioso. Nonostante l'inconveniente Randall
doveva tenere comunque bene a mente chi comandava e che quello era
solo un rinvio. Lo spintonò e trascinò e lo
portò via, come gli
era stato chiesto. Shane perse la calma e tirò un calcio
alla porta
del fienile, spalancandola e proseguì spedito per la sua
strada,
serrando i pugni e digrignando i denti. Non doveva andare
così! Rick
non era in grado di fare il capo, era troppo debole, e la sua
debolezza stava mettendo in pericolo il suo gruppo, la SUA Lori.
Ritornarono
al campo dopo aver lasciato Randall al capanno e Rick
comunicò al
resto del gruppo << Lo teniamo in custodia, per ora.
>>
non specificando altro. Andrea sorrise felice e in qualche modo
soddisfatta prima di dire << Vado a cercare Dale.
>>.
Doveva dargli la buona notizia, lo avrebbe reso felicissimo.
Daryl
rientrò subito nella sua tenda, chiudendosela alle spalle e
si
lasciò cadere sulla brandina, chiudendo gli occhi e facendo
respiri
profondi in cerca della calma in grado di conciliare il sonno. L'aria
in quella fattoria era diventata più pesante e irrespirabile.
Si
stropicciò la faccia e gli occhi, stirando i muscoli e
massaggiando.
Poi riaprì gli occhi e guardò
l'oscurità intorno a sè. La pesante
e assordante oscurità. Sentì Rick sussurrare
fuori dalla tenda,
parlando con Lori, probabilmente spiegandogli la situazione. Non gli
interessava di Randall, non gli interesava davvero, avrebbero potuto
fare quello che volevano, ma non solo Rick aveva sentito pesare
quella pistola. Morte e ancora morte. Tutti morivano, nessuno restava
o tornava. Stava veramente cominciando a stancarsi. Per la prima
volta dopo tanto tempo il suo pensiero tornò a suo fratello.
Anche
lui non era tornato. Che fosse morto? No, suo fratello era un
dannatissimo stronzo figlio di puttana.
E gli stronzi sono sempre
gli ultimi a morire nei film horror.
Lasciò
la testa cadere lateralmente, puntando gli occhi su un angolo della
tenda, avvolta nell'oscurità, ma da cui riusciva a cogliere
la
sagoma di una sacca. Non c'era cibo dentro, era rimasta senza quando
l'aveva lasciata, eppure era abbastanza pesante, conteneva
sicuramente altre cose, forse utili alla sopravvivenza, o forse
fotografie dentro portafogli che portavano il suo nome.
Alice.
"Lasciagli
almeno il loro nome. E' l'ultima cosa che gli resta."
Ma
lei si era voluta sbarazzare anche di quello. Alice non esisteva
più,
se n'era voluta liberare già quando era in vita, dando vita
a una
fredda inutile Ocean, un Ocean il cui unico scopo era tirare avanti
finchè non fosse caduta, un Ocean che si lanciava nel
braccio della
morte senza neanche preoccuparsene troppo, perchè tanto
ormai era
già morta.
Ci teneva a lasciare ai morti i propri nomi...ma il
suo l'aveva eliminato da chissà quanto tempo.
E per la prima
volta Daryl si ritrovò a chiedersi cosa le fosse capitato
prima di
così terribile da portarla a uccidersi con le sue stesse
mani, da
portarla a eliminare la sua identità con un taglio netto,
lei che
sembrava così legata invece a tutto quello.
Sospirando si
sollevò dalla brandina, mettendosi a sedere e continuando a
fissare
la sacca davanti a sè, indeciso, titubante, prima di
allungare una
mano e afferrarla, avvicinandosela. La osservò qualche
istante, poi
infilando un dito nella fessura in alto, allargò la coulisse
che la
chiudeva, aprendola pronto a scoprire cosa si portava sempre dietro
Alice prima di morire, sempre se ce ne fosse stata ancora traccia.
Come immaginava gran parte delle cose che trovò erano
funzionali
alla sua sopravvivenza: un coltellino svizzero rosso, dei fiammiferi,
qualche accendino che probabilmente aveva sgraffignato dalle tasche
degli zombie, della corda, una pietra probabilmente utilizzata per
l'affilatura della lama, fazzoletti, qualche carta di caramella vuota
del suo contenuto, un paio di spazzole per animali, elastici per
capelli e un flauto in legno, piccolo, singolare. Nient'altro. Nessun
portafoglio con foto e nome. Posò l'ultima cosa estratta
dalla sacca
sulla brandina, vicina al resto delle cose e osservò la
sacca ormai
vuota e sporca. Era vuota...ma non leggera come avrebbe dovuto
essere. La scosse un po' e sentì tintinnare qualcosa
dall'interno.
La studiò: era completamente vuota. Cosa tintinnava? Poi
notò uno
strano rigonfiamento a un lato, che non aveva notato prima. Una
specie di tasca interna, ma senza apertura. Esaminando l'interno
della sacca con attenzione riuscì a cogliere una cucitura
sopra il
rigonfiamento, frettolosa, per niente ordinata, ma ben stretta. Prese
il coltellino svizzero che aveva estratto precedentemente e
utilizzò
la sua lama per tagliare con cura il filo che teneva ben chiusa la
tasca interna. Qualsiasi cosa ci fosse stato dentro era qualcosa che
Ocean non aveva avuto il coraggio di lasciarsi alle spalle, ma
nemmeno di averci a che fare tutti i giorni. Un peso che si portava
dietro ma che non voleva vedere.
Riuscì con poca fatica ad
aprirla e guardò all'interno, trovando quello che
effettivamente
stava cercando. Un portafoglio, un mazzo di chiavi, un biglietto
aereo e una macchinetta digitale. Prese la macchinetta,
l'esaminò e
provò ad accenderla. La luce lampeggiò in segno
di batteria
scarica, ma riuscì comunque a concedergli la vista a
un'unica foto,
forse l'ultima fatta, la foto di una ragazza su una spiaggia, il
vestito azzurro che svolazzava in giro, una mano ferma sulla testa a
reggere il cappello che tentava di volar via, capelli scuri che le
ricadevano sulle spalle, scompigliati e un enorme sorriso che le
illuminava il volto. Era leggermente china in avanti, la mano libera
allungata davanti a sè a richiamare l'attenzione di un
piccolo cane
bianco, uno dei cani più piccoli che avesse mai visto, dal
pelo
lungo, riccio e arruffato, che correva nella sua direzione con la
lingua fuori. Poi si spense. Era riuscito a riconoscere nella ragazza
Alice, ma il suo sorriso gli aveva dato qualche difficoltà.
Era
totalmente diversa quando sorrideva. Era totalmente diversa prima.
Posò la macchinetta e prese il mazzo di chiavi, guardando
con
curiosità i portachiavi appesi: un cuore, un mini pupazzo di
un
orsetto, qualche portafortuna e una strana piccola boccetta con
dentro della polverina colorata e qualche brillantino, con
l'etichetta che diceva "polvere di fata". Infine una
targhetta, con scritto a mano una parola che non conosceva, forse
nella sua lingua d'origine: "Casa". A quel punto fu
la volta del biglietto aereo: un biglietto di ritorno che recitava
partenza Atlanta e arrivo Roma, Italia. La data di prenotazione era
ormai superata da mesi.
<<
Italia. >> disse tra sè e sè,
scoprendo finalmente da dove
proveniva quel suo accento tanto singolare, e solo allora fece caso
che somigliava lievemente a Super Mario Bros. Così lontana
da
casa...e sarebbe dovuta tornare qualche giorno dopo l'assalto di
Atlanta. L'apocalisse l'aveva intrappolata lì.
Provò uno strano
senso di claustrofobia solo a pensare una cosa del genere.
Lasciò
da parte anche il biglietto, accompagnando il gesto con un sospiro, e
prese l'ultimo oggetto contenuto nella tasca nascosta. Il
portafoglio. Non c'era più banconote dentro, solo qualche
spicciolo,
qualche carta, degli scontrini e dei biglietti da visita. A lato, in
una tasca trasparente, c'erano delle fotografie: una di un bambino e
un'altra, una specie di fototessera, dove c'era lei, ancora
sorridente, con gli occhi luminosi, insieme a un ragazzo dallo
sguardo imbarazzato, i corti capelli arruffati, il viso allungato,
neanche il cenno di una barbetta e degli occhiali da vista
rettangolari poggiati sul naso. Non c'era altro. Nè una
patente nè
un documento. Niente che indicasse il suo nome. Solo brevi cenni del
passato, probabilmente incapace di buttarli via, li aveva nascosti e
aveva impedito a se stessa di andarli a cercare.
Ma lei non aveva
un nome.
Tornò a guardare le due foto trovate: che fosse la sua
famiglia? Magari erano marito e figlio. Era molto giovane, ma
probabilmente era una di quelle che si sposano presto e mettono
subito su famiglia. Ma nonostante questo lei girava sola,
probabilmente aveva perso quelle persone. E anche lei era morta.
Cominciò a pensare che forse era stato meglio
così. Ora non aveva
più pesi da trascinarsi dietro.
Lasciò il portafoglio cadere
disordinatamente dentro la sacca, non rimettendolo al suo posto
d'origine e si voltò a prendere il resto delle sue cose,
cominciando
a rimettere di nuovo tutto dentro, una dopo l'altra. Ma non
arrivò a
metà.
Un urlo improvviso attirò la sua attenzione, un urlo
accompagnato da versi gutturali e disgustosi all'udito. Si
alzò in
piedi di colpo, lasciando cadere sacca e oggetti lì
dov'erano e uscì
di corsa dalla tenda, guardando i suoi compagni fare altrettanto e
chiedersi << Che succede? >>.
<< T-Dog prendi
subito il fucile! >> ordinò Rick cominciando a
incamminarsi
verso la provenienza del suono. Tutti, uno dopo l'altro presero le
torce e corsero, riconoscendo la voce che stava urlando.
<<
Dale!! >> chiamò Andrea disperata, pregando
non fosse davvero
lui, pregando stesse bene, pregando di arrivare in tempo qualsiasi
cosa stesse succedendo.
Le urla di paura e fatica diventarono urla
di dolore e strazio, facendo congelare il sangue nelle vene a tutti i
presenti. Daryl fu il primo ad arrivare sulla scena e vide Dale steso
a terra con uno zombie sopra di lui che tentava di morderlo. Con un
salto afferrò lo zombie e lo scaraventò a terra
poco lontano,
ponendo a tacere le sue urla rabbiose con un colpo netto del coltello
in piena fronte. Lasciò lo zombie lì dov'era e
corse da Dale,
trovandolo ormai sventrato. Il panico prese possesso del suo corpo,
non sapeva che fare, cosa dire, come muoversi. Si agitò e
alzò le
braccia sventolandole e gridando agli altri che lo stavano
raggiungendo << Aiuto!! Da questa parte! Aiuto!
>> la
disperazione era leggibile nella sua voce. Continuando ad agitarsi,
terrorizzato, impotente, si chinò su Dale dicendogli l'unica
cosa
che gli veniva alla mente << Resisti amico.
>> anche se
sapeva bene che c'era ben poco da resistere. Aveva la pancia
completamente aperta. Com'era potuto succedere una cosa simile? Quel
posto era sicuro! Era sicuro!! E Dale...no, non Dale! Non poteva
andarsene proprio lui. Era il cuore del gruppo, era il calore umano
che ancora avvolge chi non ne ha più. Si morse un pugno,
camminando
convulsamente avanti e indietro, guardando il suo amico e
distogliendo lo sguardo subito dopo. Che fare? Non poteva lasciarlo
lì. Non doveva morire, non lì, non davanti a
loro. Ma che fare? Gli
altro lo raggiunsero, sconvolti quanto lui. Andrea e Rick provarono a
parlargli, cercando di tenerlo attento e sveglio, e mandarono
qualcuno a chiamare Hershel.
<<
Ascoltami. Ascolta la mia voce. Siamo qui. >> continuava
a
ripetere Rick toccandogli il viso per tenerlo sveglio <<
Chiamate Hershel! >> urlò ancora disperato e
autoritario.
Hershel
arrivò trafelato, chiedendo indicazioni, guardando la
situazione, ma
subito sembrò calmarsi, rassegnarsi. Non c'era niente da
fare. Dale
non sarebbe arrivato vivo in casa.
<<
Allora dovrai fare l'operazione qui! >> insistette Rick,
incapace di accettare una cosa simile.
Cominciò a dar ordini, che
qualcuno portasse l'attrezzatura, ma Hershel lo fermò di
nuovo <<
Rick!! >> lo richiamò prima di fare cenno di
no con la testa.
Non c'era niente da fare. Non sarebbe sopravvissuto.
Rick
si lasciò uscire un lamento e anche lui cominciò
a camminare
disordinatamente, cercando di scaricare la disperazione e continuando
a piagnucolare << No! >>.
Andrea e Glenn scoppiarono a
piangere, seguiti poi da tutti gli altri, mentre Dale invano cercava
di prendere aria per i polmoni ormai all'aria aperta e stringeva i
pugni per il dolore.
<<
Sta soffrendo. >> pianse Andrea, facendo risuonare in
quella
singola frase tutta la sua supplica: se non era possibile salvarlo
che qualcuno ponesse fine alle sue sofferenze.
Dale guardò Rick,
anche lui chiedendo aiuto con i suoi occhi rossi per lo sforzo e il
dolore.
<<
Fate qualcosa. >> pianse ancora Andrea, accarezzando il
corpo
del suo amico.
Rick, ancora agitato, senza pace, estrasse la
pistola, trovando ancora una volta una forza che non aveva. Era lui
il capo, spettava a lui avere certe responsabilità. E la
cosa gli
pesava. Gli pesava terribilmente, ma era così che andava
fatto. La
puntò contro la fronte di Dale, trattenendo le lacrime, ma
senza
impedire ai suoi occhi di appannarsi. Il fiato gli mancava, la gola
bruciava e le mani tremavano convulsamente non riuscendo a tenere ben
fermo il mirino. Un lamento gli uscì dalla gola mentre
lottava
contro qualsiasi cosa in una disperata ricerca di forza, doveva
premere quel dannato grilletto.
Daryl gli si affiancò e gli fece
abbassare l'arma.
<< Non devi farlo sempre tu, amico. >>
disse in un esplosione di compassione. Troppe responsabilità
gravavano sulle spalle dello sceriffo, era giusto aiutarlo ad
alleggerirsi le spalle ogni tanto. Si inginocchiò vicino a
Dale,
portando la pistola a pochi centimetri dalla sua fronte. Dale con le
poche energie che gli rimanevano alzò il collo, poggiando la
fronte
contro la canna della pistola, invitandolo a sparare. Daryl lo
guardò
negli occhi un'ultima volta.
<<
Scusa, fratello. >> disse prima di fare quel passo in
più che
Rick non era riuscito a fare.
<<
Dale riusciva ad irritarti. Di certo irritava me perchè non
aveva
paura di dire esattamente quello che pensava, quello che provava.
Quel genere di onestà è rara e molto coraggiosa.
Ogni volta che
prendevo una decisione guardavo Dale. Mi avrebbe fissato con quel suo
sguardo. A tutti prima o poi è capitato. Non sempre riuscivo
a
capirlo, ma lui riusciva a capire noi. Vedeva le persone per quello
che erano. Sapeva delle cose su di noi...la verità! Chi
fossimo
davvero. E in fin dei conti ci stava dicendo di non perdere la nostra
umanità.
Ha detto che questo gruppo non c'era più... Il modo
migliore per onorarlo è riformare il gruppo, mettere da
parte le
nostre differenze per stare uniti. Smettere di piangerci addosso e
riprendere il controllo delle nostre vite. Della nostra sicurezza.
Del nostro futuro.
Il gruppo c'è ancora.
Noi lo smentiremo.
D'ora in poi faremo a modo suo. Così renderemo onore a Dale!
>>
Queste le parole di Rick.
Angolino
dell'autrice.
Honeyyyy I'm comingggg :P
Ci ho messo
un po' ad aggiornare, chiedo venia. Come potete vedere questo
capitolo è un po' più lungo degli altri, e come
tale mi ha preso
più tempo per essere scritto. Inoltre essendo un POV Daryl
è stato
davvero moooooooooolto complicato! E' un duro, certo, è
burbero, ma
credo dentro sia tutt'altro che cattivo e che abbia un cuore grande,
e riuscire a rendere tutto questo è stato difficile (e
ametto non
sono nemmeno certa di esserci riuscita. Temo di essere sforata
nell'eccessivo sentimentalismo.)
E poi l'ammetto sono andata al
Lucca Comics!!! Perciò il week end è saltato
ahahah
Però
eccomi di nuovo qui!! ^_^
Spero vi piaccia questo capitolo
eeee...aspetto torce e forconi per via di Ocean/Alice xD
Un
saluto.
Ray.
Ps. Ma quanto è carina Molly?!?!?!? :3 (sì, lo so
cosa starete dicendo "l'ha creata lei e si fa pure i
complimenti da sola". La verità è che i miei
personaggi non li
creo io, nascono da sè e hanno vita propria. Io non sono
artefice di
niente...quindi mi prendo la libertà di giudicare :P ahahaha)
|
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Capitolo 15 *** Convergenza evolutiva. ***
Convergenza evolutiva
<<
Prendila tu, Daryl! >> urlavano i suoi sogni, fumo che
andava
disperdendosi nella silenziosa notte.
<< Andate!! >>
echi in lontananza, che tornavano, flebili, ma chiari nel loro
tentativo di schiacciare chi era presente.
<<
Andate! >>
<<
No, aspetta. >>
<<
Andrà tutto bene, Molly. >>
Sogni
su sogni, echi che scacciavano i precedenti, che tornavano,
rimbalzavano, si allontanavano e poi colpivano senza sosta quella
nera figura seduta a terra, raggomitolata tra le radici sporgenti di
un albero, schiacciata a esso, sentendosi un coniglio incapace di
tornare nella sua tana. Incapace di tornare a casa sua. Solo nel suo
pericolo.
Le
braccia tese coprivano, quasi schiacciavano, il viso, nascondendolo e
proteggendolo. Aveva freddo. Aveva paura.
Ed
era irrimediabilmente sola.
<<
Max! >> un altro urlo, disperato in tutta la sua forza,
risvegliò altri sogni, ricordi, paure.
<<
Prendila tu, Daryl! >> aveva implorato Ocean quella
mattina,
cercando di porgere la bambina a Daryl, compagno di quel piccolo
viaggio che, incredibilmente, l'aveva reso il più grande
dopo così
tanto tempo. Il resto era stato tutto così rapido che
nessuno dei
due era riuscito a quantificare il tempo e a decifrare bene le azioni
svolte, in pochi attimi Ocean si era liberata di Molly, lasciandola a
Daryl, e lui era fuggito via senza voltarsi. Senza tornare indietro.
Ed era stata la cosa più giusta che potesse scegliere di
fare.
Ocean
aveva sfoderato la spada nell'istante in cui li aveva incitati a
correre via e si era buttata a capofitto in quell'onda violenta, uno
tsunami che aveva fronteggiato con forza e coraggio, richiamando
energie che neanche sapeva di possedere. Non si era voltata indietro,
non si era assicurata che Daryl avesse seguito il suo suggerimento,
ma sapeva che l'aveva fatto. Aveva una bambina da proteggere. Gli
zombie erano più numerosi di quello che aveva calcolato
inizialmente, probabilmente i rumori della battaglia ne stavano
attirando altri che fino ad allora erano rimasti nel bosco a vagare e
mangiare scoiattoli che non sempre riuscivano a fuggire.
Tagliò la
testa al primo, afferrando il corpo prima che cadesse al suolo e lo
lanciò contro chi aveva di fronte. Non voleva ucciderli
tutti, non
ne sarebbe stata capace, doveva solo riuscire a passare e portare via
il suo amico. Era più facile scappare. Con un colpo di spada
dal
basso verso l'alto aprì il ventre di un altro di quei
Putridi che la
stavano circondando, questo ovviamente non lo uccise, ma il colpo
inferto lo fece cadere all'indetro e guadagnare altro tempo. Corse.
Uno davanti a lei era già pronto, fauci spalancate, per
riceverla e
addentarla, incurante dello sguardo ben fermo e deciso della ragazza
mentre gli correva incontro. Sapeva che non erano il top della
resistenza, avevano un equilibrio precario e bastava poco a piegarli,
tutto causato dalle loro ossa e muscoli ormai in putrefazione e
marci. E su quel principio si basò quando gli
arrivò addosso con
una spalla, ben china su se stessa, scaraventandolo a terra e
rotolando lei stessa poco più lontano. Era riuscita
così a crearsi
un varco tra di loro, arrivando al suo obiettivo, anche se nella
caduta, non seppe bene come, lo zombie aveva trattenuto a sè
uno dei
suoi guanti, forse nel tentativo di afferrarla. Max, poco lontano da
lei, continuava ad abbaiare rabbioso contro chi gli si stava
lanciando addosso, correndo, arretrando, cercando una disperata via
d'uscita.
Un
altro dei Putridi avanzò, cercando di afferrarlo e lui
ancora si
voltò velocemente e scappò, infilandosi tra le
loro gambe, cercando
di uscire dall'orda, e ritornò sulla strada, vicino
all'auto. Ocean
si alzò cercando di riprendere a respirare: nella caduta a
terra
aveva sbattuto il fianco e il fiato le era mancato per il dolore. Uno
di loro le arrivò alle spalle, cogliendola di sorpresa, ma
per
fortuna non abbastanza da morderla prima che potesse difendersi: era
sempre pronta, da quando era cominciato tutto, a reagire alle
sorprese. Il suo carattere l'aveva aiutata molto: nelle situazioni di
pericolo, spesso (ma non sempre, a quanto pare, dato ciò che
era
successo alla chiesa) il suo cervello rallentava le azioni intorno a
lei e le donava una lucidità unica, capace di trovare
soluzioni in
pochi attimi. E per quello riuscì a salvarsi: si
portò
istintivamente una mano dietro la spalla, afferrando lo zombie per
fronte e capelli. Non avrebbe potuto tenerlo a lungo, loro non
sentono dolore e la loro pelle marcia rende tutto più
difficile a
volte: la pelle e il cuoio capelluto si stava staccando dal suo
proprietario, non impedendogli di avanzare verso la sua carne. E
all'urgenza si stava sommando urgenza: davanti a lei un altro di loro
stava per lanciarsi verso la sua preda. Lasciò cadere la
spada a
terra, sfoderò la daga, più comoda in certe
occasioni, e la
conficcò nella testa che aveva quasi sfiorato la sua spalla.
Non
ebbe tempo di sfilarla e liberarsi del corpo, l'altro zombie l'aveva
raggiunta. Alzò un piede e sferrò un calcio
davanti a sè,
spingendolo via. Il contraccolpo e il peso che ancora aveva
aggrappato alla schiena le fecero perdere l'equilibrio e cadere
all'indietro, atterrando pesantemente sul corpo del Putrido, che,
dato la sua fragilità e il peso della ragazza atterrata
sopra di
lui, si aprì come un palloncino pieno d'acqua, riversando
sotto di
lei qualsiasi cosa contenesse: budella, sangue e cibo appena
ingurgitato. Si alzò subito, scuotendo la testa frastornata,
ma
dovette tornare subito in sè, non c'era tempo. Si
chinò sullo
zombie schiacciato, ormai impacciata per via di confusione e dolori
sparsi qua e là, e afferrò la sua daga per
sfilarla, ma era
incastrata e non venne via. La sua debolezza completava l'opera:
cominciava ad essere veramente stanca. Puntò i piedi per
terra e
tirò all'indietro usando la forza che le rimaneva alle gambe
per
fare leva. La daga era conficcata così in
profondità e incastrata
così bene che Ocean dovette trascinarsi dietro il corpo per
un po'
prima di riavere la sua proprietà. La violenza con cui poi
venne via
le fece perdere ulteriormente l'equilibrio, barcollando all'indietro,
lasciandosi sfuggire un grido, ma fortuna volle che dietro di lei ci
fosse un albero su cui potè poggiarsi per evitare di finire
nuovamente a terra. Si poggiò sul tronco con una mano,
cercando di
riprendere subito l'equilibrio, e riprendendo immediatamente a
correre, senza neanche notare l'impronta insanguinata che aveva
lasciato sulla corteggia ben disegnata. Sfoderò un altro
paio di
colpi, aprendosi un'altra strada, riafferrò la spada
lasciata a
terra e corse di nuovo verso il suo amico, zoppicando e arrancando.
Riuscì a vederlo di nuovo: le spalle schiacciate contro
l'auto, tre
zombie che lo avevano circondato di nuovo e stavano avanzando verso
lui che ancora faceva l'unica cosa che poteva fare: abbaiare, nella
speranza di spaventarli.
<<
Max!! >> urlò Ocean correndogli incotro.
Uno
dei Putridi si lanciò in avanti, braccia tese, pronto ad
afferrarlo,
e Max disperato si voltò velocemente e cercò di
saltare sul cofano
dell'auto. Mugolò quando sentì una fitta alla
zampa e una forza che
lo tratteneva nel salto, facendolo sbattere contro il cofano,
impedendogli di salire del tutto. L'aveva preso. Gli aveva afferrato
la zampa e lo aveva trattenuto, facendolo sbattere. Max, orecchie
basse e sguardo disperato, tentò di usare le unghie per
salire
sull'auto come programmato ma scivolava e lo zombie non lo lasciava.
La zampa gli doleva.
<<
Max!! >> urlò ancora Ocean riuscendo
finalmente a
raggiungerlo, si lasciò cadere in avanti in un disperato
tentativo
di arrivare prima, la spada ben tesa davanti a sè
andò a colpire la
giuntura del gomito del Putrido che non voleva lasciare il suo amico.
L'impatto tagliò di netto il suo braccio, ma la forza
impressa
contro esso tirò giù anche la parte di braccio
attaccata alla zampa
del cane, trascinandoselo dietro e facendolo cadere sull'asfalto con
un tonfo. Un altro guaito prima di cominciare a divincolarsi per
rimettersi in piedi. Ocean tentò anche lei di rialzarsi, ma
voltando
la testa fece appena in tempo a vedere il volto del suo aggressore
mentre le cadeva addosso con le fauci spalancate. Neanche lei seppe
bene con quale forza e quale destrezza riuscì a piroettare
la spada,
nonostante la scomoda posizione, e a recidergli il cranio,
aprendoglielo e uccidendolo. Sangue e cervello colarono sul suo viso.
Il disgusto e la voglia di vomitare le diederò la forza per
spingere
violentemente via il corpo morto che le stava sopra.
Vomitò,
non riuscendosi più a trattenere. E si odiò per
questo: era un
pessimo momento per fermarsi per certi bisogni fisiologici.
Cercò di
correre via subito, arrancando, ancora sporca di qualsiasi cosa ci
fosse intorno a lei. Si poggiò al cofano, debole, dolorante,
sicuramente ferita e le gambe che tremavano per sforzo e paura. Ma la
mano che reggeva la spada non cedeva. Con un colpo orizzontale,
deciso, aprì il volto a un altro di loro, facendosi strada.
Vide
Max, davanti al muso dell'auto, che si guardava attorno ormai
impanicato, ferito anche lui e con la zampa che era stata afferrata
sollevata in alto, incapace di posarla a terra senza sentire un
dolore atroce. Inciampò nella sua maldestria, sbattendo il
muso di
nuovo contro l'asfalto. Ocean gli corse incontro, barcollante anche
lei, rinfoderò la spada e usò entrambe le braccia
per raccogliere
il suo amico e tirarselo su. Si guardò attorno in cerca di
una via
d'uscita: non ce n'erano.
I
suoi occhi si tinsero di disperazione.
Non
così. Non poteva finire così.
Aveva
paura. Ma non per sè...Max. Max doveva salvarsi!
Arretrò
velocemente, sbattendo contro il muso dell'auto e senza pensarci due
volte si arrampicò su essa e si infilò dentro,
passando dal
parabrezza che lei stessa aveva sfondato poco prima. Fece cadere Max
sul sedile posteriore e lo seguì con la stessa grazia,
spingendosi e
cadendo, ma arrancando riuscì a fare ciò che
andava fatto prima che
fosse troppo tardi. Si spinse dietro, verso il portabagagli e con
forza lo chiuse. Prese poi il divisore in plastica dura che separava
il portabagagli dal resto della vettura e ancora con una
velocità
che solo la paura di morire poteva dargli si spinse sui sedili
anteriori e lo schiacciò sul parabrezza frantumato,
improvvisando un
tappo che non avrebbe sicuramente retto se non qualche secondo.
Riuscì a fermarlo legando i suoi lacci elastici a delle
piccole
sporgenze ai lati del parabrezza, resti di vetri o di carrozeria:
insomma niente di resistente. Ma non sapeva che altro fare. Intanto
uno dei Putridi cercò di entrare nell'auto dallo sportello
accanto a
sè spalancato. Lanciò un urlo e con un altro paio
di calci riuscì
a spingerlo via e chiudere lo sportello. Spinse poi le sue spalle
contro il tappo improvvisato, usando anche la sua forza per impedire
che venisse tolto. Solo la disperazione continuava a tenerla in
vita. Era chiusa in un auto che mai avrebbe retto al peso dei Putridi
sul parabrezza, che mai sarebbe stata sicura e libera. Mai sarebbero
usciti di lì. Lanciò un urlo cercando di
raccogliere le forze per
continuare a resistere alle spinte che venivano date alle sue spalle.
Una lacrima le rigò il viso. Erano finiti. Non potevano
farcela. Un
singhiozzo.
Cosa
doveva fare? Cosa poteva fare?
Max
steso sui sedili posteriori ormai non si muoveva più e Ocean
l'avrebbe creduto morto se non fosse stato per i suoi gauiti flebili.
Ancora
un urlo disperato. Una richiesta di aiuto che mai sarebbe arrivata a
chi di dovere.
<<
Aiutatemi. >> singhiozzò ancora.
E
all'improvviso si ritrovò a urlare con quanto più
fiato avesse,
mossa dall'istinto, qualcosa che la sorprese <<
Daryl!!!>>.
Aveva
sempre creduto di potercela fare da sola. Era sempre stata sola, non
aveva bisogno di nessuno, non voleva nessuno, eppure in quel momento,
dopo tutto quello che era successo, aveva pregato di averlo accanto.
Perchè sapeva lui l'avrebbe potuta tirare fuori dai guai.
Lui aveva
vegliato su lei in quei due giorni, e per la prima volta dopo tanto
tempo si era sentita sicura. A lungo era fuggita dalle persone, non
volendo più avere niente a che fare con loro, disprezzandole
e
scansandole. Tutte!! Nessuno escluso. E aveva pensato che soprattutto
quel Daryl era da evitare come la peste, perchè era il
peggiore di
tutti, lo si vedeva, era uno stronzo a prima vista. Ma l'aveva
giudicato male. Ora... aveva bisogno di lui. Solo allora se ne rese
conto. Era stato l'unico essere umano con cui aveva avuto a che fare
dopo così tanto tempo, l'unico essere umano che l'aveva
fatta
sorridere e fatta star bene dopo quel giorno...E lui sarebbe
tornato...sì, sarebbe tornato a salvarla! Lo aveva fatto
prima,
perchè non poteva succedere di nuovo? Lui...aveva la
sindrome
dell'eroe. Non l'avrebbe mai lasciata sola.
Ma
avrebbe resistito fino ad allora?
Un
altro colpo arrivò dalle sue spalle, spingendola un po' in
avanti,
quasi sfondando il suo tappo provvisorio, ma con un colpo di spalle
riuscì a far tornare tutto al suo posto.
No,
non avrebbe resistito un minuto di più.
<<
E va bene. >> disse tra sè e sè
ormai decisa. Si spostò
velocemente dal tappo, pregando reggesse ancora qualche secondo da
solo senza sostegno e si lanciò verso i sedili posteriori,
dove era
steso Max. Aveva la mano sporca di sangue, sia suangue loro che suo,
era abbastanza per permetterle di scrivere qualcosa. Una disperata
richiesta d'aiuto. Un addio.
"Sindrome
dell'eroe".
Avrebbe
sicuramente attirato la sua attenzione quando sarebbe tornato, era un
messaggio rivolto solo a lui, la sapeva, ed era anche un suo
personalissimo addio con una delle sue battute sarcastiche tanto "gli
piacevano". Perchè di quello si trattava, due sole parole
per
dire così tanto: aiutami. Sapevo che saresti tornato. Non
puoi
proprio fare a meno di correre ad aiutare le persone. Io te l'avevo
detto.
Addio.
Fece
un respiro raccoglitore.
<<
Andrà tutto bene, Max. >> disse non sapendo
bene chi dei due
stava cercando di rincuorare, e con uno sprizzo di coraggio che non
aveva spalancò la portiera con forza, spingendo via gli
zombie che
ci si erano appoggiati sopra, uscì e la richiuse velocemente
prima
di allontanarsi di qualche passo. Si voltò a guardare quelli
che si
stavano affaccendando sull'auto e lanciò un urlo
<< Ehi!! >>
gridò due, tre volte, sempre più forte,
dimenandosi e sbracciandosi
<< Sono qui!! >>.
Molti
la sentirono e furono attirati dal suo rumore, altri invece erano
ancora attratti dall'odore del cane dentro l'auto. Ocean si
chinò a
raccogliere un sasso, arretrò di qualche passo per
allontanarsi da
chi si stava già dirigendo verso lei e lo lanciò
verso quegli
zombie che ancora non la consideravano.
<<
Prendetemi! Forza! >> Si voltò, guardando di
nuovo il bosco a
lato strada: non poteva correre per strada, non aveva modo di
nascondersi, non sarebbe riuscita a liberarsi di loro.
Cominciò a
urlare con tutto il fiato che aveva, continuando ad attirare la loro
attenzione, voleva portarseli tutti dietro. Dovevano lasciare in pace
Max. Lui doveva salvarsi. Daryl sarebbe riuscito a salvare almeno
lui. Lo sapeva.
Corse
nel bosco, continuando a farsi strada da chi si trovava di fronte,
utilizzando quasi solo spintoni e spallate, non aveva tempo di
giocare alla guerra. Riuscì a inoltrarsi nuovamente tra gli
alberi,
ma era ancora sul campo di battaglia.
Si
sentì improvvisamente strattonare all'indietro e
lanciò un altro
urlo, spaventata. Si voltò e vide che uno degli zombie che
le erano
sbucato di fianco l'aveva afferrata per la sacca. Cercò di
strattonarla per liberarla: era sua! C'erano le sue cose dentro. Ma
lo zombie non mollava la presa e lei non aveva tempo da perdere,
doveva scappare o si sarebbe di nuovo trovata circondata.
<<
Vaffanculo!! >> urlò tra le lacrime quando
lasciò la presa,
lanciando addosso al Putrido il suo bottino e scappando via, urlando
ancora, sbattendo la spada contro pietre e alberi, attirandoli
lontani dal suo amico. Dolore e fatica. Non c'erano altro in lei.
Voleva fermarsi, voleva riposare, non riusciva che a zoppicare, ma la
sua disperata voglia di vivere la spingeva sempre più
avanti,
arrancando, inciampando ma senza fermarsi.
Non
ancora.
La notte era calata da tempo, l'oscurità nascondeva
non solo lei, ma anche tutti i possibili pericoli che poteva avere
attorno. Aveva dolori ovunque, lividi e ferite che ancora vomitavano
sangue. I muscoli avevano lavorato più di quanto era per
loro
possibile e ora non facevano che chiedere pietà, riposo e
cure. Il
freddo la faceva tremare come una foglia. La paura ancora non se
n'era andata, aggiungendo scosse ad altre scosse. Ma nonostante tutto
questo lei dormiva. Si era lasciata andare nel momento in cui era
crollata a terra, tra quelle radici, come un animale che tenta
disperatamente di nascondersi, e non aveva neanche fatto in tempo a
sistemarsi per cercare una posizione comoda che gli occhi si erano
chiusi e l'oblio era calato su lei.
Passò
un l'intero pomeriggio e la notte che seguiva a dormire, un sonno
senza sogni, solo qualche ricordo che tornava come un esplosione, si
mostrava, spaventava e poi lentamente si diradava.
Qualche
zombie era passato di lì più volte, notandola, ma
lasciandola
stare: era ricoperta di sangue marcio e interiora, puzzava come uno
di loro, ed era immobile se non per qualche lamento e movimento
causato dal continuo irrigidirsi del muscoli. La scambiavano per una
di loro, non profumava affatto di cibo, e proseguivano per la loro
strada.
Il
giorno successivo, dopo quasi 24 ore di sonno, Ocean riaprì
gli
occhi e si sentì peggio di un cadavere. Aveva la nausea e
sentiva
ancora più dolore del giorno prima, gli occhi bruciavano, la
gola
secca continuava a procurarle tosse e il mal di testa non voleva
lasciarla in pace. Si puntellò su un braccio e
tentò di rialzarsi,
guardandosi attorno, sollevandosi con fatica e cercando di rimettere
ordine ai pensieri. Per sua sfortuna ricordava tutto quello che era
successo. Aiutandosi con l'albero che aveva alle spalle si
sollevò
in piedi, gemendo a ogni movimento: i muscoli sembravano essere
diventati di pietra.
Aveva
sete. Doveva trovare dell'acqua.
Così
cominciò a camminare verso l'unica direzione che conosceva,
lenta,
muovendo a fatica le gambe, e zoppicando. Il sangue era incrostato
ovunque e alimentava la sua nausea con quel suo odore disgustoso.
Non
si chiese cosa avesse dovuto fare ora. Era una domanda che non voleva
porsi, perchè già sapeva che non avrebbe trovato
risposta. Era sola
e senza un obiettivo, senza sapere cosa avrebbe fatto ora della sua
vita, e per ora si limitava a seguire l'istinto e andare alla ricerca
di una fonte d'acqua.
Qualsiasi
pensiero le venisse alla mente lo scacciava in malo modo: ora
l'acqua! Ora solo l'acqua!
Camminò a lungo, o forse così le
sembrò data la sua lentezza, quando raggiunse una casa
isolata, una
di quelle villette nel bosco che tanto piaceva alla gente. Forse
lì
dentro c'era dell'acqua, forse c'era ancora acqua corrente.
Cercò di
accelerare il passo, digrignando i denti per il dolore, e raggiunse
velocemente il pianerottolo esterno. Salì gli scalini e si
avvicinò
alla porta a vetri. Lanciò uno sguardo dentro, cercando di
vedere
oltre l'opacità causata dalla polvere. Sembrava tranquillo.
Bussò,
per sicurezza. Nel caso ci fosse stato qualche zombie il rumore
l'avrebbe attirato e lei non sarebbe stata colta impreparata.
Nessuna
risposta. Posò la mano sulla maniglia e aprì,
entrando lentamente e
cautamente. La sala sembrava deserta. Si chiuse la porta alle spalle
e zoppicando cominciò ad avanzare, cercando un bagno o una
cucina.
Qualsiasi cosa avesse un lavandino.
Entrò
nella cucina, separata dal resto della casa da una tendina a perline
che scendeva dall'alto, molto all'antica, e cercò il
lavandino con
gli occhi.
Un
paio di occhi bianchi all'improvviso la fecero sussultare. Rimase
pietrificata mentre lo zombie che le si era piazzato davanti la
scrutava.
"Merda!"
pensò mentre l'istinto le portò velocemente la
mano alla spada. Ma
non la estrasse.
Cosa
aspettava ad attaccarla?
Lo zombie fece qualche verso, lamentò,
sembrò guardarsi attorno e poi si voltò e si
allontanò lasciando
Ocean completamente disorientata. Si guardò i vestiti,
curiosa di
capire cosa avesse tenuto a distanza la morte, e subitò
capì che si
era salvata solo grazie al sangue di quei due o tre zombie che il
giorno prima avevano riversato su di lei tutto ciò che
contenevano.
<<
Scambiata per un morto. >> parlottò tra
sè e sè e provò a
ridere, ma dalla sua bocca uscì solo qualche colpo di tosse
che le
raschiò la gola come la lama di un coltello seghettato. Si
portò
una mano al collo d'istinto e fece una smorfia di dolore.
Aveva
trovato la situazione così ironica. Per la prima volta non
era lei a
fare del sarcasmo sugli altri, ma era stata la vita stessa a farlo su
lei. Era morta dentro, Alice era morta da un pezzo, e ora vagava come
uno di loro, barcollando, e veniva addirittura accettata nella
comunità dei mangiatori di carne come fosse davvero uno di
loro.
<<
Sono un morto che cammina anche io ora. >> rise ancora,
tossendo, lamentando dolore. Lo zombie si voltò attirato
dallo
strano rumore, ma Ocean non gli diede tempo di realizzare che la sua
compagna di stanza era cibo. Gli si avvicinò con assoluta
tranquillità, sapendo che fretta non ce n'era
finchè era conciata
in quella maniera, estrasse la daga e cercando di dare quanta
più
forza potesse nel braccio la conficcò nella fronte del
Putrido. Lo
lasciò cadere a terra, controllando fosse morto davvero, e
si
diresse infine verso la sua fonte d'acqua. Aprì il rubinetto
e quasi
si commosse quando la vide scorrere. Piegò la testa e
infilò le
labbra sotto il getto, bevendo avida, sentendo il liquido fresco
placare un po' il fuoco che aveva in gola. Si lavò poi mani
e
faccia, chiuse il rubinetto e decise di perlustrare la casa prima di
mettersi a suo agio. Era bene assicurarsi fosse sicura.
Perlustrò
ogni singola stanza, ogni angolo, ogni armadio e sotto ogni letto.
Ovunque potesse nascondersi del pericolo. Trovò un altro
paio di
zombie nelle altre stanze, probabilmente membri della famiglia che
abitava lì, ma nessuno tentò di attaccarla e
Ocean riuscì a porre
fine al loro vagare quasi con dolcezza.
Voleva
farsi un bagno quanto prima, aveva visto avevano una vasca e
desiderava affondare nell'acqua il prima possibile, anche se
sicuramente sarebbe stata gelata. Ma aveva ancora una stanza da
controllare.
L'aprì
e il cuore si fermò. Sulle pareti azzurre erano disegnati
personaggi
di cartoni animati. La moquette era piena di giocattoli. Sul letto
era stesa una copertina in pile con sopra pianeti e navicelle
spaziali. Ocean fece un passo entrando all'interno della stanza e la
gola tornò a bruciare. Gli occhi si appannarono e senza
rendersene
conto un lamento le uscì dalle labbra. Quei personaggi dei
cartoni,
alle pareti, erano macchiati di sangue. La coperta in pile era
strappata. Alcuni giocattoli anche loro macchiati di quel terribile
destino. Per terra, la moquette, era in alcuni punti impiastricciata
e incrostata. Si portò una mano alla bocca cercando di
soffocare i
lamenti.
Il
mondo era diventato l'Inferno, e l'Inferno si sa è per i
peccatori,
per coloro che in vita avevano commesso crimini e violenze, per
questo era così facile colpire e sopravvivere. Se quello era
l'inferno, i Putridi erano i dannati e come tali avevano sicuramente
fatto qualcosa per meritare tutto quello. Loro meritavano la loro
fine, per forza! Era colpa loro se erano diventati così. Ma
i
bambini...i bambini riportavano alla violenta realtà. Loro
che colpa
potevano avere? I bambini erano innocenti, non meritavano quel
destino. Perchè tutto questo? E solo allora
realizzò che non c'era
spiegazione logica che teneva: era la fine del mondo, e nessuno
scappava. Prima o poi chiunque giungeva al proprio destino, anche i
buoni e gli innocenti. Il crudele Dio era sceso in terra e stava
divorando ogni cosa.
Nessuno
scappava.
Si
voltò a guardare il mobile che era poggiato alla parete alla
sua
destra, sopra erano riposti altri giocattoli. Ne prese uno e un altro
singhiozzo la scosse, facendo scivolare via una lacrima dai suoi
occhi. Sorrise, ma era un sorriso triste. Un pupazzetto snodabile di
IronMan. Ne aveva già visto uno simile, lei stessa l'aveva
comprato
e regalato...a qualcuno. Qualche ricordo guizzò, come
pesciolini che
saltano fuori dall'acqua, riempiendola di tristezza e malinconia, e
anche se poi rispariscono subito sotto la superficie, i cerchi
formati restano a lungo, allargandosi, prendendosi sempre
più spazio
dentro quel piccolo laghetto di malinconia.
"Abbiamo
giocato tante volte assieme con questo" pensò muovendo le
braccia del pupazzetto e mettendolo in posizione di attacco, come
sempre aveva fatto in precedenza. Ricordava c'era un pulsantino
dietro la schiena, se premuto faceva il rumore di IronMan nel film
quando sparava. Lo voltò e lo premette. Il rumore si
prolungò
fintanto che Ocean tenne premuto, un eco dei suoi pensieri. Poi un
altro rumore si aggiunse nella stanza, facendola sussultare. Versi.
Versi che conosceva bene.
<<
No. No, ti prego. >> sussurrò tra
sè e sè pregando di
essersi sbagliata, pregando che voltandosi non avrebbe visto
ciò che
temeva. Un nodo le chiuse la gola.
E si
voltò.
<<
No. >> lamentò con un singhiozzo.
Uno
zombie si stava avvicinando a lei, attratto dal rumore del
pupazzetto. Uno zombie che arrancava sui suoi piedini, che spesso
inciampava e continuava a gattoni, lento. Uno zombie non più
alto di
80 cm e che allungando le sue manine paffute, nel tentativo di
afferrare la preda, rendeva tutto più triste di quanto
già fosse.
Era
la prima volta da quando era successo tutto che incontrava un
bambino. I capelli neri, lisci, ormai secchi e diradati
incorniciavano il suo viso tondo, violaceo. Ocean arretrò di
un
passo, trovandosi improvvisamente a singhiozzare, e andò a
sbattere
contro l'angolo del mobile dietro di lei.
<<
No, ti prego. >> singhiozzò ancora.
Portò una mano alla daga,
tremando come mai aveva fatto prima. Sapeva quello che andava fatto.
Non era più un bambino, era un mostro, come tutti gli altri
e andava
ucciso prima che lui avesse ucciso lei. Ma non ce la faceva. Come
poteva farlo, con che cuore avrebbe piantato un arma affilata nella
testa di una creatura così piccola.
Sfilò
la daga dal fodero, tremando ancora e si inginocchiò,
lasciando
cadere il pupazzetto a terra, guardando il bimbo mentre avanzava e
lentamente si avvicinava. Singhiozzò ancora, non riuscendosi
a
fermare.
Afferrò
il collo del bambino con la mano libera, bloccandolo, impedendogli
così di avvicinarsi oltre e morderla. La sua pelle era
così fredda.
Alzò la daga, cercando dentro sè la forza per
farla cadere sulla
sua testa, per fare il suo dovere. Altre lacrime si riversarono sulla
sua guancia mentre il bambino bloccato si dimenava, allungando le
braccia verso lei, chiudendo ritmicamente la bocca desideroso di
mordere.
Gli
occhi le si appannarono, impedendole di vedere. La mano che reggeva
la daga si portò velocemente al suo viso e con la manica si
asciugò,
prima di tornare alla sua posizione. Ma la vista le giocò un
brutto
scherzo. Quel bambino prese improvvisamente sembianze che non aveva,
ma che lei conosceva così bene e che custodiva da tempo
dentro sè.
Le sembianze di quel bambino che aveva portato a lungo gelosamente
con sè, dentro il suo portafoglio.
La
mano alzata cadde improvvisamente, arresa, facendo scivolare via la
daga sul pavimento.
<<
Non ce la faccio. >> sussurrò <<
Non ce la faccio. Mi
dispiace. >>.
Si
alzò in piedi, sollevando il bambino, sempre tenendolo ben
fermo per
la gola impedendogli così di morderla e si diresse verso il
lato
sinistro della stanza, dove era poggiato un box con sbarre alte e
altri giochi all'interno. Lo poggiò lì dentro e
si allontanò
velocemente di un passo. Il bambino si sollevò di nuovo in
piedi e
arrancò fino alle sbarre del box, contro cui si
schiacciò e allungò
le manine verso la ragazza, lamentando, dimenandosi. Ocean lo
guardò
per qualche secondo, non pensando a niente di preciso, cercando solo
di liberarsi da quel dolore che le attanagliava il cuore, poi si
voltò, prese il pupazzetto di IronMan che aveva lasciato a
terra, lo
raccolse e lo portò dal bambino, facendoglielo cadere nel
box.
Abbassò gli occhi dispiaciuta, triste e silenziosamente
uscì dalla
stanza chiudendosi accuratamente la porta alle spalle.
La
casa era ripulita a dovere. Ora poteva godersi il suo bagno.
Il
tempo passò veloce e silenzioso. Un'ombra. Si sentiva ormai
un'ombra
che passava come tutte le altre, senza scopo, pronta a morire al
calare del sole. Soddisfò tutti i suoi bisogni, lavandosi,
mangiando
qualche scatola vecchia che era rimasta nella dispensa della casa,
bevendo e cercando di curarsi qualche graffio con delle medicine
trovate nello stipetto del bagno.
Si
lasciò cadere sul divano, sedendosi a gambe divaricate e le
braccia
stese lungo i fianchi, gli occhi puntati su un televisore spento e
che sarebbe rimasto spento a lungo. Il silenzio era il suo unico
compagno. Il televisore era spento, ma i suoi occhi vedevano scorrere
su di lui immagini di un programma comico italiano. Era sola su quel
divano, ma sentiva accanto a sè delle persone, che ridevano
di quel
programma, commentavano e le chiedevano divertiti se avesse capito la
battuta. Un bambino le corse davanti ai piedi con un aereo tra le
mani, simulando il rumore del suo volo, correndo per la stanza, e la
voce di una donna l'ammonì dicendogli di stare in silenzio,
di
andare nella sua stanza a giocare perchè lì
disturbava. Un piccolo
batuffolo bianco, tutto spettinato, saltò sul divano,
arrancando un
po' date le sue zampette corte, e si sistemò vicino a lei,
posando
il musetto su una sua gamba e cominciando a dormire beato.
Un'altra
battuta. Risate.
<<
L'hai capita Alice? >> rise la signora anziana accanto a
sè.
<<
Sì, nonna l'ho capita. >> sorrise lei,
intenerita dal suo
bisogno di coinvolgere ed essere coinvolta nelle sue
attività
ludiche. Il bambino tornò correndo davanti a loro.
<<
Zia Alice!! Giochi con me? Dai, vieni? >> le
afferrò il
pantalone e cominciò a tirare.
<<
Andrea!! >> lo ammonì una giovane donna
accanto a sè <<
Lascia stare tua zia! Ha lavorato tutto il giorno, è stanca.
Vai a
giocare da solo. >> Il bambino sbuffò e
lasciò cadere le
braccia lungo i fianchi, scocciato e contrariato.
Alice
rise e gli scompigliò i capelli.
<<
Giochiamo insieme dopo cena, che ne dici? Perchè non vai a
chiedere
alla nonna tra quanto si mangia? Magari ha bisogno di aiuto.
>>
suggerì, cercando lo stesso di coinvolgere il bambino in
qualcosa
che non lo annoiasse. Andrea sorrise e annuì prima di
correre verso
la cucina.
<<
Chiara, non essere così severa con lui. >>
disse la nonna alla
ragazza seduta vicino ad Alice, quella che aveva brontolato il
piccolo Andrea << E' un bambino, è normale
voglia giocare. >>
<<
A volte mi chiedo dove abbia le batterie e soprattutto di che marca
sono. >> sospirò la ragazza <<
Non si stanca mai! Vorrei
essere come lui. >>
<<
Tu sei una gran pigrona invece! >> rise Alice.
<<
Proprio come te, sorella sciagurata!! >>
brontolò Chiara dando
uno spintone a quella che spesso diceva di essere il suo riflesso
allo specchio. Nessuno avrebbe sbagliato nella loro parentela, erano
assolutamente identiche, l'unica irrilevante differenza stava nel
fatto che Chiara era più vecchia di Alice di ben 10 minuti.
La nonna
ammonì le loro chiassose risa con un netto "ssh",
sforzandosi di sentire la televisione << Questo
è forte!
Fatemi sentire che dice! >> e seguì un gesto
della mano ad
indicare di abbassare la voce. Alice sorrise ancora e
accarezzò il
cane che ancora dormiva beato appoggiato alla sua gamba. Era
così
piccolo che chiunque avrebbe potuto confoderlo per un peluche.
Una
donna si affacciò alla porta con uno straccio in mano,
asciugandosele, i capelli scuri legati in una crocchia, occhiali
rettangolari sul naso e un abbigliamento sempre elegante
<<
Mamma, vieni di là a guardarlo. E' pronto da mangiare.
>>
disse rivolta alla vecchia seduta, con una coperta sulle ginocchia,
vicino ad Alice.
Il
bambino corse veloce dalla cucina verso l'ingresso dell'appartamente,
urlando di gioia << E' tornato papà!!!
>> e subito si
sentì il rumore della porta che si apriva.
<<
Eccolo qua il mio mostriciattolo! >> si sentì
dire dalla voce
di un uomo sulla soglia dei 30 anni. Chiara fu la prima a seguire il
figlio, andando verso quello che presto sarebbe diventato suo marito,
per salutarlo. Una famiglia allargata la loro, necessaria per via
delle terribili condizioni economiche in cui vivevano che non
permetteva a ciascuno di loro di avere un proprio appartamento. Ma
andava bene così. Erano insieme, questo era l'importante. E
Alice
aveva potuto così fare non solo da zia, ma anche da seconda
madre,
sorella maggiore e migliore amica del piccolo Andrea, la luce di
quella casa. Il giorno in cui Chiara e Leonardo si sarebbero
sistemati con i soldi, e si sarebbero sposati, sarebbe stato il
peggiore della sua vita perchè non solo avrebbe dovuto
separarsi
dalla sua gemella, ma anche dal suo cuoricino Andrea. Ma nessuno le
avrebbe impedito di andare a trovarli ogni giorno.
O
almeno questo era quello che pensava al tempo.
Alice
seguì la sorella, andando a salutare educata il cognato.
<<
Ciao Alice. >> salutò Leonardo, alzando il
viso, guardandola
con i suoi occhi bianchi, i denti scoperti, insanguinati, i capelli
diradati e la pelle verdastra. Alice sussultò, arretrando e
andando
a sbattere contro una persona dietro di sè. Si
voltò e si trovò
davanti sua madre, con le stesse caratteristiche di suo cognato,
putrida, marcia, che la guardava famelica << Che succede,
bambina mia? >> chiese con una voce che non era la sua
mentre
digrignando i denti si avvicinava a lei, annusandola. Alice si
lasciò
sfuggire un urlo e arretrò ancora, schiacciandosi contro la
parete
dietro di lei.
<<
Alice. Stai bene? >> chiese a sua volta la sorella, o
almeno
quella che credeva essere sua sorella, anche lei ormai trasformata e
che si avvicinava pericolosamente. Alice si guardò attorno,
disperata, terrorizzata. Cosa stava succedendo? Dov'era la sua
famiglia? Gli zombie nell'atrio continuavano ad avvicinarsi a lei,
accerchiandola, impedendole la via di fuga. Alice cominciò a
tremare
e pregare. Volevano mangiarla! Erano morti! Non sapeva per quale
delle due cose disperarsi di più. La sua famiglia...dov'era
la sua
famiglia? Si sentì tirare la maglia verso il basso e si
voltò a
guardare chi stesse richiamando la sua attenzione. Andrea, in piedi
vicino a lei, era come gli altri, trasformato. Alzò la testa
verso
la zia e lì il suo viso mutò, diventando quello
del bambino trovato
nella stanza di quella casa abbandonata nel bosco. In Georgia.
<<
Zia, giochi con me? >> chiese e mai una richiesta era
sembrata
più minacciosa. Alice urlò terrorizzata,
allontanandosi di colpo
dal bambino, inciampando, cadendo....
Si
svegliò di soprassalto, sollevando la testa. Il cuore le
martellava
in petto. Si era fatto di nuovo buio fuori, nemmeno un filo di luce
penetrava dalle finestra rendendo la stanza un buco nero. Gli occhi
corsero convulsamente intorno a sè, guardando, scrutando
ogni
angolo, assimilando ciò che era successo: si era di nuovo
addormentata, e aveva di nuovo fatto incubi. Tirò un sospiro
di
sollievo, ma che aveva sfumature di esasperazione, stufa ormai di
dover subire tutto quel terrore gratuito, e lasciò
nuovamente
ricadere la testa all'indietro, rilassandosi.
<<
Che palle... >> sussurrò esternando tutta il
suo esaurimento
con quel espressione che aveva dell'infantile. Si lasciò
scivolare
sul divano, togliendosi dalla posizione seduta e stendendosi
realmente per rilassare i muscoli e magari placare qualche crampo e
qualche fitta. Fissò il buio soffitto senza un reale
interesse.
Niente aveva un reale interesse. Non sapeva più cosa voleva,
cosa
doveva fare, non sapeva più niente. Doveva solo
sopravvivere, senza
avere un piano, e questa la mandava fuori di testa. Aveva lasciato
indietro degli amici, era vero, ma erano passati quasi due giorni da
quando aveva lasciato Max nell'auto, sicuramente Daryl era
già
tornato a l'aveva preso con sè, tornare indietro era inutile
oltre
che rischioso. Avrebbe potuto imbattersi nuovamente nell'orda. Quel
luogo per ora sembrava sicuro e sarebbe rimasta lì un po'.
Tornare
dal gruppo? No, non ce la faceva. Non voleva. Nella disperazione
aveva desiderato avere Daryl accanto a sè, ma ora era
tornata quella
di prima. Era solo il panico ad averla fatta parlare. Non voleva. Lei
era sola e sarebbe rimasta sola. E sotto quelle mentite spoglie
cercò
di nascondere la vera ragione della sua solitudine: la paura di
essere di nuovo lasciata sola e tradita. E poi....era fuggita. Lei
stessa se n'era andata, gli aveva ritenuti buoni a nulla, maltrattati
e mal giudicati. Con che faccia sarebbe tornata da loro? Sicuramente
non l'avrebbero più voluta con loro. Non poteva tornare
indietro.
E
Peggy...
Sapeva
dov'era Peggy. Lo sapeva fin dal primo giorno di ricerca, quando
Daryl non toglieva gli occhi dal suolo seguendo segni di zoccoli
lungo la via. Aveva riconosciuto la strada che stavano percorrendo.
Peggy
era tornata a casa. E lei non aveva nessuna intenzione di
raggiungerla. Forse era anche per quel motivo che non aveva detto a
Daryl che conosceva la strada, impedendogli di proseguire con
così
tanta lentezza. Non voleva tornare in quel posto, e in qualche modo
sperava che il balestriere avrebbe sbagliato qualcosa, che non
sarebbero giunti a destinazione. O comunque ciò ritardava il
loro
arrivo, e lei aveva avuto il tempo di riflettere sul da farsi, anche
se le conclusioni non erano arrivate come aveva sperato. Il destino
aveva fatto tutto per lei. La loro separazione era in qualche modo
servita a salvarla. Ora poteva vagare sola come aveva desiderato, era
riuscita a liberarsi di quel gruppo, aveva ottenuto ciò che
diceva
desiderava. E non era neanche più obbligata a tornare in
quel luogo,
dove sicuramente Peggy si era rifugiata, anche se non era convinta
che "rifugiata" fosse il termine adatto. Per quanto ne
sapeva poteva essere anche invaso, così come l'aveva
lasciato
l'ultima volta.
Un
bicchiere si ruppe sul pavimento della cucina.
Ocean
sussultò e d'istinto si rizzo a sedere, puntando gli occhi
verso il
corridoio dietro di lei, da dove si raggiungeva la cucina. Solo
allora fece caso agli strani scricchiolii che provenivano da quella
stanza. C'era qualcuno. O qualcosa. Quando era entrato? Mentre
dormiva?
Sentì
il rumore dei vetri calpestati. Uno stipetto scricchiolò
aprendosi.
Gli zombie non sapevano aprire gli stipetti, forse era qualcuno di
vivo.
<<
Cazzo. >> sussurrò rotolando giù
dal divano, cercando di
essere il più silenziosa possibile, sperando il pavimento
non le
giocasse qualche cattivo scherzo facendo rumori che non erano
richiesti. Strisciò fino a bordo divano e guardò
di nuovo l'entrata
della stanza, assicurandosi che il suo ospite non fosse ancora
entrato. Si alzò, posandosi sui piedi, ma rimanendo china e
con le
mani poggiate al pavimento. Guardò ancora l'entrata prima di
fare un
silenzioso scatto verso la poltrona accanto e si nascose dietro a
essa. Allungò una mano e afferrò le armi che
aveva posato lì sopra
prima di stendersi sul divano. Si legò velocemente le varie
cinghie.
Uno scricchiolio nel corridoio: stava arrivando. Si sbrigò
nel suo
riassemblarsi e afferrò per ultimo arco e frecce. Si mise la
faretra
dietro la schiena, prese una freccia e la incoccò.
Restò qualche
secondo con le spalle schiacciate contro il fianco della poltrona,
nascosta, affidandosi solo al suo udito, anche se il rumore del suo
respiro affannoso e del suo cuore le assordava le orecchie.
Aveva
imparato per esperienza che bisognava avere più paura dei
vivi che
dei morti.
Sentì
il rumore di passi pesanti e decisi entrare nella sala e camminare
velocemente verso il divano. Il respiro di Ocean non le diede pace,
il petto le faceva male nel suo disperato tentativo di cercare sempre
più aria: stava rischiando l'iperventilazione. Non riusciva
a
calmarsi. Tentò di arretrare, cercando di scivolare lungo il
fianco
della poltrona per arrivarle dietro e continuare a essere nascosta al
suo ospite, ma le sue scarpe la tradirono facendo rumore nel piegarsi
sotto ai suoi passi. Il cuore le si fermò. E anche i passi
dell'uomo
si fermarono. L'aveva sentita.
La
sicura di una pistola venne tolta con un sinistro suono che
preannunciava guai. Ocean cominciò a tremare.
Il
bambino al piano di sopra lanciò un leggero urlo, attirato
da chissà
cosa, ma qualsiasi cosa fosse Ocean lo ringraziò. Sapeva che
così
come aveva attirato lei avrebbe potuto attirare anche l'uomo.
Approfittò del momento sbucando all'improvviso con la
freccia e la
testa da dietro la poltrona, prendendo rapidamente la mira e
scoccando la sua freccia verso la figura nera, in piedi, con lo
sguardo alzato al soffito. Ma la freccia mancò il bersaglio,
graffiando semplicemente la guancia dell'uomo e facendolo sussultare.
Un eco odioso risuonò in quel momento nelle orecchie di
Ocean:
"Imbranata" diceva la voce di Daryl, e avrebbe volentieri
ucciso lui in quel momento. L'uomo si voltò di colpo, e
senza
pensarci due volte fece fuoco.
Fiamme
improvvise si impossessarono della spalla di Ocean che cadde a terra
e senza rendersene conto cominciò a urlare. Era la prima
volta
veniva colpita da un proiettile, e non pensava fosse qualcosa di
così
doloroso. Sentiva fisicamente l'oggetto inserito nella sua spalla
muoversi a ogni suo divincolo. Con la mano tremante si strinse la
ferita in un disperato tentativo di placare il dolore. Un grosso
piede con stivali militari si posò pesantemente davanti al
suo viso
steso a terra. Con la coda dell'occhio Ocean cercò di
risalire la
gamba, guardando in volto il suo aggressore. Un uomo grosso, vestito
con abiti militari, un pesante giubbetto di pelle imbottito di pelo
di chissà quale animale e un sigaro stretto tra i denti la
guardava
sorridendo quasi soddisfatto.
<<
Ciao, bambolina. >> disse.
La
paura più profonda si impossessò di lei.
Cominciò a sentire il
fiato mancarle e la vescica premere per potersi liberare all'istante
sotto lo sforzo. Avrebbe singhiozzato. Ma era talmente pietrificata
che neanche quello riuscì a fare.
"Non
di nuovo, ti prego" riusciva solo a pensare e all'improvviso
desiderò essere morta.
L'uomo
si chinò su di lei e le puntò la pistola alla
tempia, continuando a
guardarla col suo sorriso divertito e probabilmente soddisfatto della
sua scoperta.
<<
Vediamo di non muoverci, eh?! >> le disse prima di
portare le
mani alle sua armi, togliendole di dosso, senza certo precocuparsi di
non toccare cose, parti del corpo, che certamente non erano di sua
proprietà. La disarmò, allontanando le sue cose
per evitare che
potesse riprenderle, poi l'afferrò per il braccio sano e la
costrinse ad alzarsi. Il dolore alla spalla la fece lamentare tra i
denti. L'uomo la trascinò e la lanciò sul divano,
facendola sedere.
<<
Togliti questa roba. >> disse indicando la sua camicia
con la
canna della pistola. Ocean voleva scoppiare a piangere, ma si
sforzò
di mantenere una certa dignità. Sapeva che certe cose
piacevano di
più agli uomini che si dedicavano a certe
attività schifose solo
per poter urlare al mondo il loro testosterone. Il loro dominio.
Piangere avrebbe dato a lui tutto questo. Strinse i pugni e
continuò
a guardare il suo aggressore negli occhi, non facendo ciò
che gli
aveva detto. I suoi occhi urlavano tutta la sua rabbia e il disgusto
che le stava facendo venire da vomitare.
<<
Forza, non fare la capricciosa e non farmi perdere tempo.
>>
continuò lui dandole un colpo alla spalla ferita con la sua
pistola.
Ocean si lamentò ancora e chiuse gli occhi per il dolore, ma
continuò a rimanere immobile.
<<
Figlio di troia >> disse in Italiano.
Non gli avrebbe
certo concesso l'onore di poter comunicare con lei. Non gli avrebbe
dato la soddisfazione di fargli credere che ciò che lui
diceva era
capito, così magari avrebbe scoraggiato anche tutte le frasi
di
circostanza che le facevano venire il vomito.
"Vedrai,
ti piacerà" o "Sarà veloce". Era qualcosa che
scatenavano tutta la sua furia e il suo disgusto, avrebbe ucciso solo
per quello. Non voleva sentirle. E poi parlare in inglese era
qualcosa che aveva sempre fatto solo per poter beneficiare il suo
interlocutore, lei avrebbe volentieri parlato solo Italiano. Era una
forma di rispetto e concessione che faceva all'altro. E lui certo non
meritava questo.
<<
Una straniera, eh. Che carina. >> sorrise ancora
aspramente,
condendo la frase di una certa dose di ironia. Rinfoderò la
pistola
e si calò su lei con una tale velocità da non
darle neanche il
tempo di provare a scappare. Le mise una mano al collo, bloccandola,
e con l'altra cominciò a toglierle la camicia, sbottonando
ogni
singolo bottone, cosa che in un certo senso gli avrebbe anche
addirittura fatto onore: così poteva rivestirsi dopo e non
era poi
costretta a girare nuda con i vestiti stracciati per tutta la
Georgia. Quand'ebbe finito con un colpo secco la spintonò e
la fece
stendere a pancia in giù sul divano, le posizionò
un ginocchio tra
le scapole impedendole di muoversi. Ocean strinse ancora i pungi,
cercando di mantenere la calma. In quelle occasioni l'unica era
ragionare lucidamente, non dimenarsi e non farsi prendere dal panico.
Sarebbe solo stato un inutile spreco di energie. Senza contare che
ancora aveva dolori ovunque, se si fosse agitata si sarebbe fatta
solo ancora più male. L'uomo le afferrò i polsi e
glieli legò con
un pezzo di corda, così stretti da fargli male, ma non
abbastanza da
rischiare di fargliele perdere per mancanza di circolazione. Fece la
stessa cosa con i piedi, dopo averle sfilato gli stivali, e dopo
averle sistemato le mani dietro la schiena la rialzò a
sedere,
trattandola come si può trattare una bambola. Gli occhi di
Ocean
bruciavano, ma non pianse. Solo rabbia, fierezza e disgusto dovevano
uscire dal suo sguardo. Non la paura. Doveva restare ferma, fiera,
doveva mantenere dignità dimostrando di non essere in suo
potere.
Lui non era superiore, solo aveva la pistola dalla parte del manico.
Per ora. Era questo che doveva dimostrare. Lei non era in suo potere,
lei non era sua.
<<
Piangerai un po'. >> ridacchiò lui prima di
tirar fuori un
coltello. Ocean spalancò gli occhi presa da un attimo di
terrore:
che diavolo voleva fare? L'uomo piantò bene il suo
bracciò contro
il petto della ragazza, vicino all'attaccatura del collo, e
posò un
ginocchiò sulle sue gambe, immobilizzandola. Senza dar tempo
alla
ragazza di capire che cacchio avesse intenzione di fare l'uomo aveva
infilato la punta del suo coltello nella ferita della ragazza e senza
nessun riguardo cominciò a muoverlo all'interno. Ocean
urlò con
tutto il fiato che aveva. Il dolore era indescrivibile, qualcosa che
non aveva mai neanche immaginato. Cercò di dimenarsi
desiderando
solo scappare da quella tortura, ma ogni minimo movimento faceva
finire il coltello dove non doveva facendole ancora più male.
<<
E chiudi quella bocca. >> brontolò l'uomo
ancora intento a
rigirare il suo coltello all'interno del buco creato dal suo
proiettile. Ocean strinse i denti, ma non riuscì a fermare i
lamenti, il suo corpo urlava dolore e non riusciva a fermarlo.
Sbuffò, scosse la testa, strinse i pugni e urlo fino a
quando l'uomo
non ebbe finito. Il tempo era sembrato infinito e non seppe bene
quanto gli ci era voluto, sapeva solo che in quegli interminabili
attimi aveva ancora una volta desiderato morire.
<<
Eccolo qua il figlio di puttana! >> rise l'uomo
rigirandosi tra
le mani il proiettile insanguinato come una reliquia, non sembrando
per niente disgustato. Chissà quante altre volte lo aveva
fatto, o
quante volte aveva sventrato qualcuno per mostrare una tale
disinvoltura. Ocean non lo guardò, voleva essere lasciata in
pace e
basta. Lasciò cadere la testa all'indietro, esausta,
cercando di
riprendere fiato. Il braccio le pulsava.
<<
Sei stata fortunata. >> continuò lui,
infischiandosene del
fatto che lei non potesse capirlo, o almeno questa era l'impressione
che lei gli aveva dato. Si tirò fuori da una grossa tasca
dei suoi
pantaloni una piccola fiaschetta che aprì con i denti, bevve
un
sorso e poi si richinò sulla ragazza.
<<
Non abbiamo finito, tesoro. >> disse prima di versare
sulla
ferita il liquido contenuto dentro la sua fiaschetta. Il braccio le
sembrò prendesse fuoco e un alto lamento le uscì
dai denti ben
serrati. Strinse il tessuto del divano tra le dita, dietro di
sè, si
irrigidì, e si chiese quanto sarebbe andato ancora avanti.
L'uomo
prese un fazzoletto sempre da una delle sue tasche e lo premette
contro la ferita, schiacciandola poco delicatamente, aggiungendo
dolore al dolore. Il braccio le formicolava. Ma il peggio sembrava
passato.
Con
lo stesso fazzoletto l'uomo fece un nodo intorno alla sua spalla,
bello stretto, arrangiando una fasciatura. L'aveva aiutata, le aveva
curato la ferita, avrebbe dovuto ringraziarlo, ma era ancora legata
nuda su un divano, era ancora troppo presto per cantar vittoria.
L'avrebbe ringraziato e forse gli avrebbe chiesto anche scusa solo
quando le avrebbe permesso di andarsene senza toccarla ancora.
<<
Se ti fossi mostrata subito, senza fare strane sorprese questo non
sarebbe successo. Impara dai tuoi errori, tesoro. >>
disse lui
avvicinando il suo viso a quello della ragazza, facendole sentire
tutto il suo alito fetido di sigaro e alcol, e dandole leggeri
schiaffi alla guancia. La ragazza fece una smorfia disgustata, e
continuò a non rispondere, voltando la testa dall'altra
parte.
L'uomo sorrise, si chinò e l'afferrò per i
fianchi sollevandola di
peso e con pochi gesti rapidi se la caricò sulle spalle come
un
sacco di patate, facendola gemere ancora.
<<
Penso di non dover continuare la perlustrazione, con le tue urla se
ci fosse stato qualcuno o qualcosa sarebbe già arrivato di
corsa. >>
disse cominciando a camminare e dirigendosi verso le scale che
portavano al piano di sopra, lasciando in quella sala la camicia e le
armi di Ocean.
<<
Andiamo, bella. Che ora mi diverto un po' io. >>
sghignazzò
lui colpendole il sedere che sporgeva dalla sua spalla, prima di
cominciare a salire le scale. Ad ogni passo le fitte diventavano
sempre più dolorose, ma la paura era tale che il dolore
passava in
secondo piano. Voleva scappare. Preferiva buttarsi in pasto ai
Putridi piuttosto. Ma non quello...non di nuovo! Odiava gli uomini,
che davanti alla morte ancora non smettevano di pensare ad altro che
al loro pene, e che anzi spesso approfittavano di certe occasioni per
soddisfare bisogni che in occasioni normali non avrebbero potuto.
Erano diventati tutti stupratori da quando era successo il casino. Da
quando non c'era più una legge a punirli. Ne aveva
incontrati a
bizzeffe, anche se spesso era riuscita a cavarsela, e la
caratteristica che li accumunava quasi tutti era che dopo la violenza
lasciavano in vita le vittime, anzi le armavano. Volevano che le
donne restassero vive così un giorno avrebbero potuto
"riusarle".
Ed era quello lo stesso motivo per cui quella specie di militare le
aveva curato la ferita da proiettile, non voleva morisse. Poteva
servirgli ancora. Con la mano libera buttò giù un
altro sorso del
liquido altamente alcolico che conteneva la sua fiaschetta, un lungo
e profondo sorso con la chiara intenzione di ubriacarsi. Sarebbe
stato più divertente. Questo pensava lui. Ocean in quei
secondi che
la separavano dalla camera da letto pensò a qualsiasi cosa,
cercò
di trovare qualsiasi soluzione che fosse rubargli la pistola, o
cercare di aprire la porta dove aveva tenuto in vita il bambino,
così
magari se lo sarebbe mangiato, ma nessuna di quelle erano plausibili.
Lei era legata, non poteva muoversi troppo, e poi un bambino avrebbe
certo potuto morderlo, ma non divorarlo. Lui l'avrebbe ucciso prima,
e prima che si trasformasse avrebbe potuto violentarla altre 10
volte. Pensò a un modo di difendersi, di picchiarlo, ma era
troppo
debole, malconcia e le corde che la legavano non le permettevano
movimenti. Senza contare la massa muscolare che aveva lui in
confronto alla sua misera. Non ce l'avrebbe mai fatta.
Lasciò
cadere la testa, arrendevole. L'avrebbe tenuta in vita. Magari era
solo questione di resistere qualche minuto, il tempo che finisse, e
poi l'avrebbe lasciata andare. Nessuno poteva aiutarla.
Arrivarono
alla camera. L'uomo la lanciò sul letto, proprio come un suo
giocattolino. Sghignazzando diede un calcio alla porta che rimase
però accostata, senza chiudersi. Ma cosa importava?
Posò il sigaro
sul comodino e cominciò a spogliarsi. Ocean
guardò dall'altra parte
e nel frattempo, disperata, cercò di dimenare le mani dietro
la
schiena con la vana speranza di riuscire a slegarsi. Le facevano
male, sentiva le corde bruciare e tagliare la sua pelle, ma non si
allentavano neanche un po'.
Cominciò
a tremare e d'istinto tentò di allontanarsi quando lui,
ormai nudo,
le si avvicinò, le slegò le caviglie e
cominciò a toglierle i
pantaloni. L'odore di alcol impregnava la stanza, ma Ocean sentiva
solo quello della paura. Cercò di restare forte,
cercò di mantenere
la calma, doveva restare lucida, ma era tutto così
difficile. L'uomo
la toccò, senza smettere di sghignazzare, ormai inebriato
dal suo
desiderio. E Ocean tentò un gesto disperato, alzando un
piede e
cercando di dirigere un calcio verso la sua parte debole ormai
scoperta. Il dolore l'avrebbe tramortito un po', e lei ormai libera
alle caviglie avrebbe potuto scappare. Ma lui fu più rapido
e riuscì
a bloccare il colpo, fermandole il piede.
<<
Ribelle! Sapevo che quegli occhi così severi erano solo una
maschera. Stai tremando. >> sghignazzò ancora
prima di
lanciarsi sulla sua vittima. Ma la fortuna aveva salvato più
volte
la ragazza, e ancora sembrava non volerla lasciare sola, cosa di cui
Ocean era molto grata. Si sentì un rumore di finestra rotta
dal
piano di sotto, versi gutturali che provenivano da fuori e un
continuo sbattere alla porta d'ingresso.
<<
Che cazzo... >> brontolò l'uomo sollevandosi,
lasciandola
libera. Afferrò i pantaloni e se li infilò
scocciato <<
Devono essere state le tue stupide urla! >>
afferrò la pistola
e scese al piano di sotto a torso nudo e piedi scalzi. Ocean non
perse tempo e rotolò giù dal letto. Si
alzò velocemente, corse
verso le cose del militare che aveva lasciato lì, stese a
terra e
cominciò a cercare col piede, sperando di riuscire a trovare
il
coltello che si portava dietro. Ma non lo trovò.
Probabilmente era
rimasto nei pantaloni che aveva indossato. Sentì il rumore
della
battaglia al piano di sotto, l'uomo non stava sparando evitando di
attirarne altri, ma sentiva i corpi cadere per terra. Probabilmente
stava usando quel coltello che lei non aveva trovato. Lanciò
un'occhiata alla porta della camera, controllando che non arrivasse
nessuno e si diresse verso il comò. Doveva pur trovare
qualcosa!
Delle forbici, uno specchio, qualsiasi cosa fosse minimamente
affilato! Si voltò e aprì il cassettò
con le mani ancora legate
dietro la schiena e guardò dentro. Si voltò di
nuovo e provò a
spostare un po' di vestiti. Niente. Disperata si guardò
attorno.
Doveva sbrigarsi o l'uomo o gli zombie l'avrebbero trovata e presa.
Corse verso l'armadio e l'aprì. E lì
trovò qualcosa che le diede
un minimo di speranza: un set di cucito. Usò i piedi per
aprirlo e
per cercare dentro trovando ciò che voleva: un paio di
forbici da
sarta. Le prese con le mani dietro la schiena e facendo affidamento a
tutta la sua disperazione cercò di utilizzarle per tagliare
quelle
stramaledette corde! Riuscì a maneggiarle, con grande
difficoltà e
fitte ai polsi, ma ci riuscì! E pian piano sentì
il rumore di corda
che veniva tagliata.
Un
colpo attirò la sua attenzione e alzò lo sguardo
verso la porta.
Uno
zombie era riuscito a salire al piano di sopra e ora la guardava,
seduta sul letto, disarmata e pronta per essere servita a cena. Fece
uno dei suoi versi prima di avvicinarsi velocemente a lei.
<<
Cazzo, cazzo, cazzo. >> ripetè tra i denti
mentre cercava di
velocizzarsi per tagliare le corde. Si alzò in piedi sul
letto e si
allontanò quando lo zombie si lanciò in avanti
per afferrarla.
Arretrò e si voltò per scendere dall'altro lato e
scappare via, ma
inciampò nelle lenzuola sfatte e cadde a terra sbattendo
pancia e
petto. Il fiato le mancò e per un attimo la vista si
annerì. Pensò
di svenire. Ma la disperazione e l'adrenalina la tennero sveglia e la
spinsero a strisciare velocemente verso le forbici che nella caduta
era volate poco lontane. Si voltò, riprendendole e
ricominciando a
tagliare, ma lo zombie in quell'occasione era stato più
veloce di
lei, raggiungendola e atterrandole sopra.
Riuscì
nell'istante prima di ricevere il morso a liberarsi le mani e con una
velocità che solo la paura poteva darle conficcò
la punta delle
forbici nella testa del suo aggressore, uccidendolo sul colpo.
<<
Oh mio dio. >> le sfuggì nell'istante in cui
realizzò che era
ancora viva. Per un puro miracolo si era salvata. Si prese qualche
secondo per sè, per riprendere a respirare e ritrovare la
calma. Una
lacrima le rigò il viso, senza neanche rendersi conto che
aveva di
nuovo cominciato a piangere. Respirando profondamente e cercando di
ritrovare la calma cominciò a spingere via il cadavere da
sopra di
sè. Lo fece scivolare giù e si rialzò.
Barcollò e si tenne con
una mano poggiandola sul muro. Se prima aveva dolori ovunque ora non
sapeva neanche come riuscire a definire quello che provava. Qualsiasi
parte del suo corpo bruciava e formicolava. Tenne ancora stretta tra
le dita le forbici che le avevano salvato la vita e cercò di
riprendersi scrollando la testa.
<<
Lurida puttana. >> bofonchiò una voce maschile
sull'uscio
della porta. Ocean sobbalzò e si voltò a
guardarlo, portandosi
istintivamente le forbici davanti, pronta a difendersi, anche se
erano tentativi vani i suoi. Lui era più forte e armato di
pistola.
Le forbici non lo avrebbero neanche fatto spaventare. Notò
però che
era diverso da come se n'era andato: affaticato, irrigidito ma
sopratutto ricoperto di sangue. Aveva sangue che gli usciva da un
angolo della bocca, sangue sul petto e solo allora Ocean
notò un
enorme squarcio su di esso, con carne lacerata che penzolava. Era
stato morso.
<<
Io ti ammazzo, stronza! >> disse avvicinandosi
velocemente
verso di lei e allungando le mani per afferrarla. Non aveva neanche
guardato la pistola, nè il coltello: voleva ucciderla a mani
nude e
sfogare così tutto il suo risentimento. Come se fosse stata
colpa
sua se era stato morso.
Le
afferrò il polso che stringeva le forbici, prima che potesse
usarle
e le spinse all'indietro. La fece sbattere contro il muro, facendola
urlare. Ocean tentò di usare quel minimo di forza che le era
rimasta
per maneggiare quella misera arma che ancora stringeva in pugno, ma
era tutto inutile, lui era più forte. La spinse nuovamente
sul
letto. Cercò di gattonare via ma lui la prese per la
caviglia e se
la trascinò a sè, facendola urlare ancora. La
fece voltare con uno
strattone violento e le diede un ceffone su una guancia. Certo, la
guancia mancava alla lista dei dolori. Ocean cercò ancora di
usare
le forbici e lui di nuovo le bloccò i polsi. Un altro
ceffone.
<<
Che cazzo vuoi fare eh? >> la provocò, furioso
stringendole
entrambi i polsi con una sola mano. La mano libera andò a
posarsi su
uno dei suoi seni e strinse anche quello. Urla, ancora urla. Dolori
che si aggiungevano ai dolori.
<<
Ti ho detto di chiudere quella cazzo di bocca! >> disse
portando la mano che stringeva il seno sulle sue labbra per
tenergliele chiuse. Ocean incrociò per pure errore i suoi
occhi ed
ebbe paura: una furia bruciava dentro lui. L'avrebbe uccisa. La mano
sulla sua bocca si fece più pesante e andò a
coprire anche il naso,
schiacciandolo, privando ad entrambi dell'aria necessaria ai
polmoni. Ocean provò a scuotere la testa per liberarsi dalla
presa,
ma fu tutto inutile. Scalciò, si dimenò e
cercò di fare appello a
tutte le sue forze. Da sotto la mano dell'uomo provenivano i suoi
lamenti terrorizzati, richieste d'aiuto che mai sarebbero arrivate a
qualcuno. Il panico stava arrivando man mano che i polmoni
bruciavano, bramosi di un aria che gli era stata proibita. Doveva
respirare! Cercò ancora di scuotersi e pian piano
provò ad aprire
leggermente la bocca, sforzando la mascella per combattere la forza
che la mano imprimeva su lei. Poi morse. L'uomo si irrigidì
e si
lamentò, ma non mollò la presa. Ocean
provò a stringere più
forte, ma il suo aggressore stava dimostrando di avere più
resistenza e determinazione di quanto imaginasse. Non ce la faceva
più. Stava impazzendo! Doveva respirare! Aveva bisogno di
aria! Ed
eccola che arrivava: la lucidità che solo i momenti di vera
tragedia
poteva portarle. Quell'attimo di vuoto prima della fine che le
permetteva di vedere veramente ciò che la circondava e
pensare
velocemente e con ingegno come mai aveva fatto altre volte. Solo
perchè voleva disperatamente vivere. In quei pochi secondi
che
sentiva di avere ancora a disposizione riuscì a concentrare
tutte le
sue energie sulle sue mani, evitando di stancarsi ulteriormente.
Quelle poche forze rimaste doveva darle a loro che ancora avevano tra
le dita le forbici, unica speranza. Riuscì con grande fatica
e
girarle, con quei pochi movimenti concessi alle dita che non erano
serrate nel pugno dell'uomo riuscì a puntargliele contro le
mani e
aprirle. Poi le richiuse con forza e decisione.
L'uomo
lanciò un urlo sentendo un dolore improvviso alla mano
sinistra, tra
le dita. Ocean aveva tagliato di netto un centimetro, forse poco
più,
della parte di mano che tiene unite le due dita, la parte
più
sottile e delicata. Non mollò la presa, troppo furioso e
troppo
resistente, ma la sorpresa fece cedere un poco la presa, quel tanto
che bastava a dare a Ocean un minimo di vantaggio che con un colpo
secco ritirò le braccia verso sè, liberandosi.
L'uomo tentò di
riafferrarle, e riuscì a catturare subito la sinistra, ma
non fece
in tempo a raggiungere la destra, quella che stringeva ancora le sue
forbici, che Ocean conficcò con quanta più forza
aveva, di punta,
nella sua giugulare. Gli occhi dell'uomo si spalancarono
all'improvviso, sorpreso, sentendosi soffocare dal sangue che usciva
a fiotti, sentendosi strozzare. Allentò la presa sulla bocca
di
Ocean che si liberò subito anche di quella e
cercò di riprendere
quanta più aria possibile boccheggiando e tirando grossi
respiri.
Tossì un paio di volte sentendo i polmoni grattare e
bruciare e
lentamente scivolò via, trascinandosi sul letto,
allontanandosi dal
suo aggressore che ancora era in ginocchio, boccheggiante, con sangue
che usciva da bocca e gola. Guardò la ragazza, che non
riuscì bene
a interpretare cosa volesse dirle. Probabilmente un ulteriore
"Puttana". L'uomo cadde, le forbici ancora conficcare nella
sua gola, il sangue che sembrava non volesse fermarsi. Ocean lo
guardò qualche secondo, tranquillizzandosi del fatto che
fosse
veramente morto, che ormai non poteva più farle del male.
Era fatta.
Aveva ucciso per la prima volta un essere umano. Da quando era
cominciato tutto aveva avuto modo di uccidere solo morti, mai si era
ritrovata a dover puntare la propria spada contro la gola di un vivo.
Aveva per la prima volta ucciso qualcuno. E anche se si trattava di
uno della peggior specie, era pur sempre un essere vivente. Aveva
messo fine a una vita. Ed era una delle sensazioni peggiori che
avesse mai provato. Crollò, stesa sul letto, cercando
riposo, e
scoppiò a piangere come poche volte aveva fatto, urlando
come una
bambina, non cercando neanche di trattenersi. Aveva accumulato troppa
tensione, non riusciva più a tenersela dentro. Aveva avuto
così
tanta paura. Ed era stanca...stanca di essere aggredita, stanca di
dover correre, stanca di dover combattere, di doversi curare ferite
che mai sarebbero guarite. Stanca di avere paura.
Stanca
di stare lì.
Aveva
bisogno di riposare. Di smettere di correre, di chiudere gli occhi
sapendo che sicuramente poi li avrebbe riaperti, senza temere di
trovarsi al risveglio un uomo o uno zombie intento a divorarla,
ognuno a modo suo.
Singhiozzò
e urlò ancora.
Voleva
tornare a casa.
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Capitolo 16 *** Redenzione. ***
Redenzione
La
vista le si stava nuovamente appannando, e ancora era pronta a cadere
in un profondo sonno ristoratore. Erano due giorni che non faceva che
dormire, eppure non era mai abbastanza. Il fisico debilitato non
faceva che peggiorare le sue condizioni giorno dopo giorno. Sentiva
il cuore pulsare in petto, così forte che sembrava volesse
esplodere, creandole continui cali di pressione. L'ossigeno non era
mai abbastanza e continuava a catturarne il più possibile,
avida,
con la gola che raschiava in continuazione. Si tirò su
puntandosi su
un braccio, tremante e affaticato e un conato di vomito le chiuse la
gola in un istante, costringendola ad abbassarsi di nuovo,
rovesciando sul pavimento quel poco che conteneva il suo stomaco.
Tossì e cercò di pulirsi la bocca col torso della
mano, sentendo
faticoso ed estenuante qualsiasi genere di movimento. L'uomo steso
accanto a sè, ormai morto, fece uscire dalla sua gola un
verso,
probabilmente causato dal un altro getto di sangue che era sgorgato,
ma la ragazza ormai sotto shock interpretò quel suono in
un'unica
spaventosa maniera: "si è trasformato!" Si tirò
su di
colpo, afferrò il coltello dalla tasca dei suoi pantaloni e
lo
piantò con rapidità nella fronte del cadavere. E
ancora. E ancora.
Terrorizzata. Furiosa. Sfogando in quei colpi tutto il risentimento
che covava dentro da tempo e che era esploso ancora una volta di
fronte al pericolo.
Si
fermò quando proprio non ce la fece più, quando
ormai il cranio
dell'uomo vicino a sè era spappolato a dovere.
Cercò ancora avida
l'ossigeno intorno a sè facendo respiri così
profondi da farle
girare la testa. Con una mano tremante andò ad aprire la
fondina del
cadavere accanto a sè e afferrò la pistola,
stringendola tra le
dita sporche. Lentamente si alzò dal letto, trovando la
forza solo
esclusivamente nella sua rabbia e la paura che ancora non voleva
lasciarla andare. Inciampò nelle lenzuola e si
poggiò al comodino,
vicino al letto, in ginocchio. Versi uscivano dalla sua gola, versi
colmi di dolore e ira, cercando in loro la determinazione per non
lasciarsi andare proprio in quel momento. Digrignò i denti e
con uno
sforzo incredibile riuscì a rimettersi in piedi.
Afferrò l'uomo per
la caviglia e cominciò a trascinarlo puntando i piedi ben a
terra,
facendo forza su quelli, essendo ormai stremata. Con grande fatica,
dolore e impiegando un sacco di tempo riuscì finalmente a
portare il
cadavere dove desiderava: nella stanza del bambino che aveva lasciato
in vita, all'interno del suo box. Era ancora lì, che si
dimenava
attirato dai rumori. Trascinò il cadavere al centro della
stanza e
lo lasciò lì. Si avvicinò poi
zoppicante al box e aprì lo
sportellino che c'era a lato, senza spalancarlo, lasciando che fosse
lui ad aprirlo con i suoi tempi, così avrebbe avuto modo
prima di
allontanarsi e uscire dalla stanza, evitando di diventare lei stessa
la cena del piccolo zombie. Quando arrivò alla porta della
stanza si
voltò a guardare la scena dietro di sè. Il
bambino era riuscito,
come immaginava, ad aprire lo sportello semplicemente appoggiandosi
accidentalmente ad esso. Spalancò la bocca verso la ragazza
ma si
voltò a guardare il corpo steso poco lontano da lui, ancora
profumante di cibo, e più vicino e accessibile della ragazza
in
piedi alla porta.
Ocean
guardò per un attimo, con gli occhi colmi di furia e
soddisfazione,
il piccolo muovere i passi verso la sua portata.
<<
Ho vinto io. >> disse rauca prima di chiudere la porta
con un
tonfo. Non era contenta di quello che era successo, di quello che
aveva fatto, ma l'uomo aveva ricevuto ciò che meritava e lei
era
ancora fottutamente viva! Nonostante tutto lei era ancora
lì, e quel
mostro che voleva vederla morta e sottomessa invece era diventato la
portata principale di un piccolo carnivoro. Lui era morto. Lei ora lo
guardava mentre finiva nel peggiore dei modi.
Ocean
era ancora lì! Era ancora in piedi.
Si
lasciò alle spalle la stanza che ora si riempiva di suoni
poco
gradevoli di carne lacerata, versi gutturali, famelici, colmi di
soddisfazione, e si diresse verso il bagno poggiandosi al muro per
trovare sostegno. Nella mano destra stringeva ancora la pistola, e
nella sinistra, quella che si poggiava alla parete, il coltello.
Sperava di non usarle per un po' entrambe. Non sapeva perchè
aveva
preso la pistola, non amava quel genere di arma, troppo rumorosa e
lei troppo imprecisa, ma al momento stringerla tra le dita le dava
forza e sicurezza. Si poggiò al lavandino del bagno dopo
essersi
chiusa la porta alle spalle, forma di precauzione nel caso qualche
zombie fosse rimasto in casa a circolare, e si lavò via il
sangue di
dosso. L'acqua fredda al contatto con la pelle la faceva tremare e a
tratti le faceva male, ma vedere il sangue correre via fin dentro la
tubatura era come una purificazione. Doveva togliersi di dosso quella
merda. Notò aveva tratti di pelle violacea che al tocco la
facevano
gemere. Era piena di lividi. Si guardò allo specchio
crinato: la
guancia era rossa e si stava gonfiando. Aveva tagli in più
punti,
causati dalla battaglia del giorno prima e da quella di quella sera.
Ferite che si mischiavano a ferite, che si riaprivano, che si
aggiungevano rovinando sempre più il suo corpo, segnandolo e
marchiandolo. Si sfiorò la spalla sinistra, quella dove era
stata
sparata: il fazzoletto avvolto era pregno di sangue. Aprì lo
stipetto del bagno dove c'era qualche medicina, qualche garza e vari
flaconcini. Li scosse per sentire se c'era qualcosa dentro: molti
erano vuoti, e li fece cadere dentro il lavandino. Gli antidolorifici
erano finiti, ma per fortuna trovò un antibiotico con ancora
ancora
qualche pasticca dentro. Ne buttò giù una e
posò le altre sullo
specchio, fissandosi mentalmente il promemoria di portarselo dietro.
Si tolse la fasciatura dalla spalla facendola rigurgitare un po',
prese delle bende sterilizzate, ancora chiuse nella confezione e si
rifece la fasciatura, aiutandosi con i denti, stringendo il
più
possibile per tentare di fermare l'emoragia. Si lavò con
cura le
ferite, tentando di coprire le più grandi con della carta e
altre
bende. Mancavano cerotti e acqua ossigenata, non poteva che
arrangiarsi come poteva. Si sciacquò infine la bocca, prese
gli
antibiotici e le armi e uscì nuovamente dal bagno,
zoppicando,
barcollando, reggendosi in continuazione a ciò che trovava
attorno a
sè. Tornò in camera, prese i suoi pantaloni e se
li rinfilò
cercando di strofinare il meno possibile contro i graffi e le
sbucciature che aveva sparse per le gambe. Rimase al piano di sopra
qualche minuto, in cima alla rampa di scale, affidandosi solo al suo
udito, cercando di capire come fosse la situazione al piano di sotto.
Il silenzio suggeriva che era tutto tranquillo, ma il buio non le
dava la giusta sicurezza a scendere. Tossì e
tentò di attenuare il
rumore con una mano, serrando le labbra. Si poggiò una mano
alla
testa che pulsava a ogni battito del cuore e decise di rimandare la
sua visita al piano di sotto. Tornò nella stanza dove aveva
rischiato di morire, chiuse la porta alle sue spalle e con grande
sforzo riuscì a bloccarla con il comò,
spostandoglielo davanti.
Lanciò un ulteriore sguardo alla stanza, assicurandosi fosse
tranquillo e che lo zombie morto ai piedi del letto fosse veramente
morto. Non si muoveva, non reagiva ai rumori ma lei non riusciva a
sentirsi tranquilla. La paura ancora l'attanagliava. Aveva rischiato
troppo. Lo afferrò e sollevandolo appena, data la sua
stanchezza,
riuscì a trascinarlo fino all'armadio. Lo infilò
all'interno,
chiuse lo sportello e lo bloccò con la corda che l'uomo
aveva usato
per legare le sue caviglie. Nel caso si fosse risvegliato non
sarebbe uscito di là tanto facilmente. Poi si
lasciò cadere con
pesantezza sul letto, e tenendo ancora stretta tra le dita pistola e
coltello, si lasciò cadere in un profondo sonno, sperando
questa
volta sarebbe stato finalmente ristoratore e senza incubi.
Si
svegliò nella stessa identica posizione in cui si era
addormentata.
Era talmente stanca e affaticata che non era riuscita nella notte a
cambiare posizione quando il corpo ne sentiva l'esigenza. Si
alzò
lamentando dolori, si stirò la schiena e cercò di
scrocchiare
qualche articolazione. Non c'era parte del corpo che non le facesse
male e si sentiva gonfia in viso. Si alzò, aprì
la porta,
assicurandosi fuori non ci fossero brutte sorprese, e scese
lentamente al piano di sotto, aiutata questa volta dalla luce del
sole. C'erano cadaveri un po' ovunque, e vetri sparsi sul pavimento.
Le finestre erano rotte, così come molte altre cose.
Guardinga e con
cautela entrò nella sala, camminando a piedi scalzi sui
vetri,
facendoli scricchiolare, ignorando il dolore che questi provocavano
nel momento in cui le tagliavano la pianta. Dei graffi sotto i piedi
erano il suo ultimo problema. Strinse la pistola tra le dita e si
avvicinò con al divano. Uno zombie morto c'era steso sopra.
Lo
spostò, facendolo cadere a terra con un tonfo e lei prese il
suo
posto. Riprese la sua camicia, i suoi stivali, le sue armi e si
rivestì con velocità. Si diresse poi verso la
cucina, passando
accanto ai corpi, ignorandoli, ormai assuefatta da tutta quella
morte: non ci faceva neanche più caso. Cercò tra
i barattoli
rimasti qualcuno che contenesse ancora qualcosa e divorò con
avidità
tutto il loro contenuto. Aveva ancora lo stomaco sotto sopra, ma
doveva mettere qualcosa sotto i denti o sarebbe collassata. Bevve
l'acqua del rubinetto, buttandola giù a grandi sorsi,
sentendo la
gola bruciare meno grazie al liquido fresco, e sentendosi finalmente
pronta uscì dalla casa, lasciandosi tutta quell'incredibile
notte
alle spalle.
Camminava
con fatica, strascinando i piedi, stanca e dolorante, ma non
rallentava neanche un po'. Non era sicura di sapere dove si stava
dirigendo e perchè: seguiva l'istinto, seguiva i piedi che
la
portavano dove desideravano loro, senza interrogarli o accusarli.
Ovunque sarebbe arrivata andava bene. Ormai niente aveva più
importanza.
Il
sole stava tramontando per l'ennesima volta. Aveva camminato tutto il
giorno, fermandosi solo quando proprio non ce la faceva più,
per
riposare, bere e mangiare qualche boccone. Tutto in assoluto
silenzio. Accompagnata solo dal rumore dei suoi stessi gemiti. Aveva
vagato a lungo come uno di quei mostri, trascinandosi, lamentandosi,
senza sapere dove stava andando. Ma ora, col sole che stava di nuovo
morendo a ovest, lasciando nei vivi il dubbio se mai sarebbe tornato
su come quei mostri che ormai governavano la terra, il dubbio aveva
di nuovo preso a divorarla. Così come Peggy aveva seguito
l'istinto
fino a casa sua, lo stesso aveva fatto il suo, facendole sorgere
paura solo quando ormai non molti passi la separavano da quel luogo.
Si era fermata in mezzo a una strada deserta se non per qualche
foglia che volava via a ogni soffio di vento, e lì si era
seduta,
con lo sguardo fisso sul sentiero davanti a sè, sapendo
perfettamente dove l'avrebbe portata.
Non
voleva.
Aveva
paura...non voleva tornare lì.
Era
come l'entrata nella selva oscura di Dante, riusciva perfettamente a
sentire una voce provenire da la dentro sussurrarle "Lasciate
ogni speranza, voi ch'intrate".
Ma
che scelta aveva? Era sola, stanca, ferita. Almeno lì
avrebbe
trovato Peggy, e non sarebbe stata più sola. Senza
considerare che
sarebbe stato più facile per lei farsi trasportare dalla
cavalla,
anzichè dai suoi piedi, e sarebbe stata più
veloce nel caso ci
fosse stato bisogno di scappare. Non voleva più stare sola.
Aveva
troppa paura, non voleva più stare sola. Chinò la
testa, poggiando
la fronte sulle ginocchia davanti a sè e lì
rimase a lungo,
riflettendo su una decisione che era già stata presa. Doveva
solo
trovare il coraggio di affrontarla.
In
lontananza sentì il rumore di un motore: una macchina che
correva su
quella strada. Alzò la testa di colpo e si guardò
attorno: ancora
non si vedeva all'orizzonte, il mondo attorno a lei era così
silenzioso da permetterle di sentire una macchina così
distante. Si
alzò velocemente e arrancando si affrettò a
infilarsi tra gli
alberi prima che chiunque stesse guidando quel mezzo la vedesse. Si
schiacciò contro un albero, dando le spalle alla strada e
attese che
il pericolo passasse. Senza farsi vedere, tenendosi ben nascosta,
spinta dalla curiosità, si sporse a guardare la vettura che
le
passava accanto a tutta velocità. Era una specie di
furgoncino, con
cassone aperto dietro, e 4 o 5 uomini armati all'interno con lo
sguardo severo e sicuro e la sigaretta tra i denti. Uno in
particolare la colpì: era quello con la faccia
più stronza di
tutti, un ghigno ben disegnato in volto e una specie di armatura a un
braccio, che teneva ben in vista, quasi orgoglioso del suo operato,
con un coltellaccio infilato dentro. Passarono senza vederla,
proseguendo per la loro strada, e Ocean, una volta sola,
tirò un
sospiro di sollievo, anche se dentro sè era in qualche modo
delusa.
Aveva silenziosamente sperato che fossero Rick e il suo gruppo. Se
fossero stati loro a trovare lei, a riprenderla con loro, sarebbe
stato tutto più semplice. Lei non voleva tornare, non ce la
faceva a
ripercorrere i suoi passi, e non era solo l'orgoglio a impedirglielo,
c'era dentro lei una profonda paura. Ma se loro avessero di nuovo
insistito, glielo avessero chiesto di nuovo, sarebbe stato
più
facile dirgli sì. Come un bimbo che guarda insistentemente
un dolce
e teme nel chiederlo alla mamma, intimorito da una sgridata, da un
rifiuto, dovuta anche dalla sua intolleranza agli zuccheri, ma che
spera sia lei stessa a chiedergli "lo vuoi?", leggendo nei
suoi occhi il desiderio proibito.
Lasciò
che la macchina si allontanasse prima di riprendere il cammino, e
fare quei 100 metri in più che tanto temeva di fare.
Arrivò
nel suo incubo peggiore. Quello che per lei era l'Inferno Dantesco.
Davanti
a lei si apriva una piccola radura, con qualche campo e un recinto
dove far correre i cavalli. Al centro di essa era costruita una
casupola un po' diroccata, abbandonata. Una fattoria. Piccola
rispetto a quella di Hershel, neanche la metà, ma era
anch'essa una
fattoria.
Ocean
deglutì, cercando di buttar giù il nodo che si
stava formando in
gola. La pancia cominciò a dolerle, un fuoco si alzava da
essa e le
arrivava fino agli occhi, bruciandola. Fece un passo traballante,
improvvisamente senza equilibrio, e dovette poggiarsi alla recinzione
lì di fianco per evitare di cadere. La testa le
girò
vorticosamente. Stava arrivando la confusione, stava arrivando il
panico.
"Devo
solo prendere Peggy. Solo prendere Peggy" cercò di
tranquillizzarsi. Puntò gli occhi ai suoi piedi e
cominciò ad
avanzare, evitando di alzare lo sguardo. Procedette spedita, con
improvvisa urgenza, a testa bassa.
"Così
va bene" pensò cercando di farsi coraggio, dandosi la forza
per
proseguire. Sarebbe arrivata alla stalla, avrebbe preso la sua
cavalla e senza voltarsi indietro sarebbe scappata di nuovo.
"Così
va bene" proseguì sforzando i suoi muscoli di collaborare,
di
non cedere. Non seppe bene a che punto della fattoria era,
probabilmente verso metà, ce la stava facendo, le bastava
procedere
in quella maniera. Bastava non guardare. Ma un verso le costrinse ad
alzare il volto. Alzò gli occhi pieni di panico,
guardò in faccia
il suo aggressore, e tutto ciò che per mesi era rimasto
seppellito
sotto metri e metri d'acqua improvvisamente esplose, si
spalancò, e
fece uscire tutti i suoi fantasmi. Un vaso di Pandora.
Ocean
urlò e arretrò, non riuscendo più a
togliere gli occhi di dosso
allo zombie che stava avanzando, andandole incontro.
Inciampò e
cadde a terra. Arretrò ancora. Il mondo intorno a lei si
fece così
confuso. Si sentì mancare l'aria, si sentì
schiacciare, senza
nessuna via di fuga. Perduta in un labirinto che andava
restringendosi, comprimendola. Aprì la bocca per dire
qualcosa, ma
neanche l'aria uscì. Stava diventando una statua. Il
mondò sembrò
cadere nell'ombra intorno a lei.
Lo
zombie conservava ancora molto del corpo originale che era. I corti
capelli castani, le lunghe basette e la folta barba ispida. Mancavano
le guance rosse che sempre aveva avuto da vivo, ora sostituite da
buchi nella carne che mostravano i denti marci. Ma ancora portava la
sua divisa, il suo nero costume medievale.
Ocean
si sentì improvvisamente svuotata. Come in un sogno, si
sentì
incapace di muoversi e scappare via, mentre lo zombie barcollando si
avvicinava con chiare intenzioni. Gli occhi vitrei sembravano cibarsi
di quella che era la sua anima, anticipando ciò che la sua
bocca
avrebbe fatto con la sua carne.
<<
Ti prego. >> riuscì a piagnucolare lei,
sperando bastasse
quello a convincerlo a lasciarla stare. Sperando stupidamente che
qualcosa dentro di lui lo facesse improvvisamente tornare in
sè,
ricordare, e allontanarsi.
Voleva
chiudere gli occhi e svegliarsi. Era un sogno, uno dei suoi soliti
incubi, lo sapeva. Per forza doveva essere così. Doveva
svegliarsi.
Lo
osservò mentre, ormai vicino, si lasciava cadere in
ginocchio e con
foga portava la sua bocca al collo della ragazza, incapace di
reagire, incapace addirittura di avere paura. Ormai vuota di ogni
cosa. Solo un involucro.
Ma
sparò.
Neanche
se ne rese pienamente conto, la mano si era mossa da sola, stringendo
la pistola e facendo fuoco alla tempia dello zombie. Il colpo
sembrò
risvegliare la ragazza che spalancò gli occhi, e raccolse
tra le
braccia il corpo esanime del suo aggressore prima che potesse cadere
a terra con un tonfo. Lo strinse a sè, affondando il viso
nell'incavo del suo collo, stringendolo tra le braccia con quanta
più
forza e rabbia aveva e su di lui riversò lacrime che a lungo
aveva
dimenticato.
<<
Mi dispiace. >> pianse, scivolando al suolo insieme al
cadavere, continuando a stringerlo a sè, continuando a
nascondere il
suo viso su di lui, ignorando l'odore sgradevole della morte.
Poggiò
la testa sul suo petto e strinse i suoi abiti tra le dita,
affondando, colpendo, strattonando.
<<
Perchè? >> urlò improvvisamente
alzando il volto, guardando
furiosa quello del cadavere steso a terra <<
Perchè mi avete
lasciato sola! Siete degli stronzi egoisti! Perchè mi avete
lasciato
sola in questo schifo di terra!! >> urlò
ancora strattonandolo
per il vestito con fare aggressivo << Come avete potuto
farmi
una cosa simile! Io non sono in grado, lo sapete! Non dovevate farlo!
Non dovevate farlo! >> gli diede uno schiaffo su una
delle
guance aperte, singhiozzando ancora, e poggiò la fronte sul
suo
petto, colpendolo con un paio di pugni << E' tutta colpa
vostra! Voi mi avete portata qui! >> si sforzò
di dire
sentendo la voce morirle in gola.
<<
Dovevamo tornare a casa! >> urlò infine con
tutto il fiato che
aveva a pochi centimetri dal suo viso, sfogando rabbia contro chi
ormai non poteva più sentirla, cosa che sembrò
dimenticarsi. Lo
guardò, zittendosi improvvisamente, rendendosi conto di cosa
aveva
veramente tra le mani. Rimase qualche secondo in silenzio, immersa in
quello che tanto sembrava un risveglio. Lo scosse ancora, ma non per
sfogare la rabbia, lo scosse nello stesso modo in cui si cerca di
svegliare qualcuno che dorme profondamente.
<<
Mario. >> lo chiamò sottovoce, scuotendolo
sempre più forte
<< Mario, dai guardami. >>
chiamò sempre più forte.
<<
Dai, non sono più arrabbiata. >>
singhiozzò sforzando un
sorriso. Era incredibile, ma tutta la rabbia e la confusione nata sul
momento quasi le avevano fatto dimenticare cosa stava succedendo,
aveva veramente creduto di parlare con un vivo, aveva veramente
creduto fosse tutto un sogno, un'illusione. E ora...ora aveva tra le
mani il corpo del suo vecchio amico che non si muoveva. Non poteva
essere morto. No, stava dormendo. Sicuramente, ora avrebbe riaperto
gli occhi e l'avrebbe presa in giro per le sue sciocche lacrime.
Sarebbe andata così per forza.
<<
Dai, guardami. Mario... >> lo scosse ancora, sempre
più forte
<< Torniamo a casa. >> disse tornando pian
piano alla
realtà, rimettendo ordine nella confusione che si era creata
intorno
a lei, realizzando sempre più quello che veramente aveva
attorno.
<<
Ti prego, guardami. >> pianse a dirotto lasciandosi di
nuovo
cadere su di lui << Da sola non ce la faccio. Non
lasciarmi.
Non lasciatemi. Non ce la faccio. Ti prego, aiutami. Non lasciarmi
sola, non ne sono capace. Ci ho provato. Guarda come mi sono ridotta!
Non posso farcela da sola! >> ma tutte le preghiere
continuarono ad andare a vuoto, nessuna giunse a destinatario e
nessuna venne realizzata. Era sola, e non poteva fare niente per
tornare indietro.
<<
Non lasciatemi. >> disse ormai priva di forze, allentando
la
presa sull'abito dell'uomo e lasciando cadere la testa in avanti,
pesante.
<<
Mi mancate così tanto. >>
Pianse
a lungo, senza riuscire a fermarsi neanche un'istante, senza rendersi
conto del tempo che era passato, continuando a sperare di svegliarsi
da quell'incubo da un momento a un altro, senza però che
questo suo
profondo desiderio venisse realizzato.
Ma
le speranze erano vane, non era difficile capirlo: era difficile
accettarlo.
Alzò
gli occhi dal corpo del suo amico e si guardò attorno. Non
c'era
niente da fare. Tutto era perduto e lei era sola. Il campo intorno a
sè che aveva evitato di guardare era come aveva temuto:
ricoperto di
cadaveri. Riconobbe i loro volti, o almeno quelli che erano ancora
riconoscibili e non spappolati. Loro erano stati l'ultimo ricordo di
Alice prima di morire. Loro erano stati coloro che l'avevano uccisa.
E lì, in quel luogo, era nata dal sangue Ocean.
Si
alzò in piedi, stanca, e tornò a percorrere i
suoi passi,
lasciandosi alle spalle i cadaveri. Voltando nuovamente le spalle a
ciò che era stata, calpestando nuovamente Alice che aveva
tentato di
tornare disperatamente. Non c'era niente che poteva fare ormai. Le
cose erano andate in quel modo, il suo gruppo non
c'era più e
lei era sola. Era fuggita quella notte, quando tutto era finito,
ancora stava fuggendo e probabilmente mai avrebbe smesso.
Raggiunse
la stalla dove, come immaginava trovò Peggy infilata in
quello che
al tempo era stato il suo box. La fortuna l'aveva tenuta in vita,
proprio come la sua padrona. Ocean le si avvicinò e le fece
due
carezze, salutandola. Prese subito dalla sella il suo mantello,
finalmente avrebbe avuto qualcosa con cui coprirsi la notte per non
soffrire il freddo, e chiuse il box. Il sole era calato, la notte
stava prendendo possesso nuovamente di quella terra, e non c'era
altro da fare che aspettare. Si diresse verso l'uscita ma si
bloccò,
trattenuta da un pensiero, e voltò la testa verso sinistra,
guardando un ammasso di fieno accantonato lì. I suoi occhi
andarono
a posarsi su un oggetto e non sembrò per niente sorpresa di
trovarlo: lei l'aveva lasciato lì prima di andarsene
l'ultima volta
che era stata in quel luogo. Si avvicinò e lo prese tra le
dita: era
una collana rudimentale, fatta con un cordoncino e un grosso ciondolo
in legno. Lo accarezzò, togliendogli da sopra uno spesso
strato di
polvere e se lo rigirò tra le mani. Era un fiore, una
margherita,
con i piccoli petali attaccati a un gancio che permetteva di
staccarli. Alcuni già mancavano. Non era bello, ma questo
non le
importava e mai le aveva impedito di portarselo dietro. Lo
voltò
guardandone il retro e lesse la scritta incisa: "Remember the
time". Con un paio di righe, anch'esse incise, era stato
cancellato il "The time", lasciando solo
"Remember".
Ricorda.
Uscì dalla stalla avendo cura
di chiuderla bene, per evitare che qualche zombie durante la notte
avesse potuto intrufolarsi e far fuori l'unica amica rimasta. Poi si
diresse, lenta e pesante, verso la casa dove avrebbe affrontato
fantasmi e incubi. Sarebbe stata una lunga notte, quel luogo emanava
ricordi da ogni singolo angolo: ogni trave, ogni mattone o mobile
sussurrava parole al suo orecchio, e non sempre erano belle. Si
infilò il mantello, portandosi il cappuccio sopra la testa,
entrò
nella casa, chiudendosi la porta alle spalle, anche se sapeva era
tutto inutile: le finestre erano sfondate, chiunque poteva entrare. I
suoi passi fecero scricchiolare il pavimento, solo quel rumore
suggeriva la presenza di qualcuno. Anche lei quella sera faceva parte
dei fantasmi che infestavano quelle pareti. Scese in cantina, unico
posto rimasto sicuro dato che sotterraneo e di nuovo si chiuse la
porta alle spalle, bloccadola, in modo che se non fosse arrivata alla
mattina dopo non sarebbe stata colpa di zombie o persone, ma solo dei
fantasmi. Si fece luce con la torcia che aveva raccolto da sopra,
prima di scendere e raggiunse l'angolo più buio e umido di
tutta la
stanza. Si raggomitolò lì, con il ciondolo tra le
dita, e rimase
immobile ad aspettare il giorno, chiedendosi cosa avrebbe fatto poi.
Si sarebbe messa in sella della sua cavalla e sarebbe andata... non
aveva la più pallida idea di dove. Niente sembrava avere
più un
senso. Avrebbe continuato a vagare aspettando di essere uccisa, come
aveva fatto fino a quel momento. Ma questa non era una risposta.
La
notte stava risultando più rumorosa del previsto, e non solo
per i
versi degli zombie in lontananza, nel bosco, per le cicale o i gufi.
Come aveva immaginato tutto intorno a lei sussurrava e spaventava,
non facendola dormire.
E
stufa, dopo qualche ora di sopportazione, decise di ricorrere a
metodi drastici di sostegno. Ricordava che quando erano stati
lì,
dopo aver esplorato la casa, avevano trovato un piccolo tesoro
proprio lì in cantina. Accese la torcia e prese un piede di
porco
poggiato al muro poco lontano da lei. Con quello, usando tutta la
forza che aveva, caricando di nuovo i suoi colpi di rabbia per
potersi svuotare di tutto quel risentimento, colpì
ripetutamente un
piccolo armadietto in legno, infilando la sbarra metallica tra le
ante e riuscendo con della leva finalmente ad aprirlo. Delle
bottiglie caddero fuori, scivolando, non rompendosi per fortuna.
Ocean prese la prima che le capitò tra le mani, una delle
poche che
erano ancora quasi piena e ritornò nel suo angolino.
Aprì il tappo
e ne buttò giù un sorso, senza neanche
preoccuparsi di leggere cosa
avesse preso, ma riconoscendo dal sapore forte la Vodka. Fece una
smorfia e scosse la testa, frastornata da quell'improvviso sapore e
dal calore che subito le era salito dallo stomaco. Si
sistemò come
megliò potè e continuò a bere,
cercando di portarsi sempre più
oltre, aspettando con ansia i primi capogiri che avrebbero zittito
tutti quei sussurri così fastidiosi e che li avrebbero
tenuti a bada
per il resto della notte.
<<
Quel rompipalle sarà solo un brutto ricordo.
>> disse Daryl a
Rick, entrambi sulla veranda della fattoria di Hershel, sguardo
all'orizzonte e una mappa sotto le loro mani, intenti a decidere dove
avrebbero mollato Randall. Perchè era quello ora il piano,
in onore
di Dale, avrebbero tenuto Randall in vita. Lo avrebbero lasciato da
qualche parte, lontano dalla fattoria, dandogli una speranza, ma
lontano da loro.
<<
Carol sta preparando per lui delle provviste. Saranno abbastanza per
qualche giorno. >> disse Rick, guardandosi attorno,
contemplando quella che era diventata finalmente casa loro.
Lì
sarebbe stati al sicuro, lì il loro bambino avrebbe potuto
vivere.
Bastava solo rendere il confine ancora più sicuro, fare
turni di
guardia e restare sempre ben armati. Potevano farcela. Aveva fiducia.
Shane
arrivò con la macchina, il bagagliaio aperto, sempre intento
nel
loro trascolo, e dopo essere sceso si avvicinò a Rick. Daryl
non
aveva nessuna intenzione di stare lì, ad ascoltare
quell'uomo
blaterare, e sicuramente era con Rick che voleva parlare,
perciò si
alzò e si allontanò con la scusa più
banale del mondo <<
Vado a pisciare. >> facendo trapelare tutto il suo
fastidio in
quelle parole. Entrò in casa e si diresse verso il bagno,
con la
mano già poggiata ai pantaloni, pronto a slacciarseli,
quando Andrea
aprì la porta dietro di lui, la fretta nei movimenti e negli
occhi
una strana luce << Presto, vieni! >> disse
accennando un
sorriso, e uscendo di nuovo. Daryl rimase per un po' immobile,
chiedendosi cosa diavolo volesse, cosa stesse succedendo, poi la
raggiunse non dimostrando la fretta che poteva avere invece la donna.
Uscì
fuori, Andrea era già corsa poco lontano, in fondo alle
scale della
verandina c'era Carol e vicino a lui, sulla porta invece Hershel con
uno scatolone in mano. Tutti però guardavano una sola
direzione e fu
in quella direzione che anche Daryl rivolse il suo sguardo, restando
dapprima perplesso, chiedendosi se i suoi occhi non lo stessero
ingannando, poi sorpreso, sollevato...in qualche modo era addirittura
felice.
<<
Qualcuno sentiva la nostra mancanza. >>
ridacchiò Hershel
prima di voltarsi per entrare in casa dove avrebbe portato lo
scatolone. Daryl guardò la figura nera a cavallo che si
avvicinava
alla casa e fece qualche passo in avanti. Era davvero lei? Era viva?
Possibile?! E...stava tornando. Poi qualcosa tranciò di
netto tutta
la possibile gioia che poteva nascere dalla scoperta: la figura a
cavallo, che solo allora notò traballava e ciondolava,
scivolò
dalla sella e cadde a terra.
<<
Non sta bene! >> sussultò Carol cominciando a
correre verso di
lei, dietro ad Andrea e seguita subito anche da Daryl. T-Dog
arrivò
in quel momento e vedendo correre via Daryl si pose mille
interrogativi, si voltò verso Hershel che era uscito di
nuovo e gli
chiese non capendo << Ma che succede? >>
<<
Succede che non smetto mai di lavorare. >>
constatò il vecchio
guardando la scena in lontananza. Andrea fu la prima ad arrivare
dalla ragazza ed inchinarsi su di lei, rivolgendole qualche parola,
richiamandola. Daryl arrivò subito dopo e anche lui si
inginocchiò
a guardarla. Era ridotta a uno straccio, con una guancia gonfia, dei
tagli in viso, un livido sul collo e chissà quali altre
ferite
sparse per il corpo. Ma la cosa che più colpiva tutti quanti
era la
terribile puzza di alcol che emanava, e solo allora videro che dalle
dita le era scivolata via una bottiglia di Vodka quasi vuota.
<< Cosa cazzo ti è successo?! >>
chiese Daryl retoricamente
mentre si chinava su di lei e le infilava un braccio sotto al collo,
per poterla sollevare, prendere in braccio e portare in casa.
<<
Ehy, D. >> bofonchiò Ocean, dimostrando di
essere sveglia
nonostante gli occhi chiusi e la completa assenza di energie.
Provò
a ridere ma le uscirono dalla gola solo colpi di tosse <<
Ti
puzza l'alito. >> sorrise e si lasciò andare,
fece un ultimo
sospiro, prima di rilassarsi completamente sorretta dal braccio di
Daryl, lasciando cadere la testa di lato.
<<
E' morta? >> chiese spaventata Carol, giungendo solo in
quel
momento e vedendo la ragazza così abbandonata e ridotta in
quelle
pessime condizioni. Daryl le infilò l'altro braccio sotto le
gambe e
la sollevò, alzandosi. Guardò Carol, cercando di
nascondere un
sorriso, ma senza riuscirci bene e le disse << Sta
dormendo. >>
Ed
era vero. Ocean aveva resistito, cercando di restare in sella fino a
quando non era entrata nella proprietà di Hershel. Quando
aveva
notato che l'avevano vista si era lasciata andare, ormai stremata, ed
era caduta a terra. Ma la tranquillità che le aveva permesso
di
addormentarsi e riposarsi era arrivata solo quando aveva sentito la
voce di Daryl: era vivo, ce l'aveva fatta, e ora finalmente non era
più sola. Un grosso peso le era scivolato via. Ora stava
bene. E
aveva voluto farlo sapere al suo amico nella sua personalissima
maniera, continuando a emanare orgoglio e sarcasmo. Finchè
aveva la
forza di far battute voleva dire che stava bene.
Daryl
passò di fianco a Carol, e la donna notò che
anche Ocean stava
sorridendo nonostante il profondo sonno in cui sembrava essere
crollata. Era ridotta malissimo, ma nonostante questo il suo volto
emanava pace e serenità, la stessa pace che era possibile
godere
alla fine di una lunga e violenta tempesta, quando ormai le nuvole si
diradano e lasciano spazio a un bellissimo arcobaleno.
<<
Guarda, te lo ripeto ancora una volta! >> una voce
limpida
diradò un po' l'oscurità che aveva attorno a
sè. Sentì pian piano
riprendere la sensibilità del proprio corpo, cominciando
dapprima a
sentir dolori, poi le dita dei piedi che formicolavano.
<<
Io muovo questo così! E quindi ho vinto io. >>
di nuovo la
cristallina e delicata voce femminile che pian piano l'afferrava,
stringendole delicatamente la mano e che la tirava a sè.
<<
Così allora ho vinto io. >> a parlare questa
volta non fu la
voce femminile, ma un'altra più roca, bassa, un po'
raschiante e
sicuramente maschile. Non fu difficile riconoscerla. Le scaldava il
cuore.
<<
Ma no!!! Non capisci proprio niente! >> non aveva idea di
chi
fosse la voce, ma era così dolce e l'affermazione appena
fatta, con
tutta la singolare rabbia che conteneva, la fece sorridere,
divertita. Aprì lentamente gli occhi curiosa di capire chi
stesse
urlando nelle sue orecchie aggiungendo mal di testa a quello
già
presente, e prima di trovar risposta non riuscì a trattenere
un
bofonchiato << Lo dico sempre anche io. >>
Il
silenzio calò per qualche secondo, il tempo di assicurarsi
fosse
stata davvero lei a parlare. Ocean riuscì ad aprire gli
occhi e le
figure appannate davanti a sè presero pian piano una forma
più
definita: Daryl e Molly erano seduti ai due capi di un piccolo
tavolino, vicino a lei, che invece si trovava stesa su di un letto.
Non ricordava niente di quanto successo e non aveva la più
pallida
idea di come fosse finita lì. L'ultima cosa che ricordava
era Mario
steso a terra, che dormiva, ma che non si svegliava nonostante le sue
urla. Forse poi aveva perso i sensi per colpa di tutte quelle ferite.
Molly spalancò gli occhi e sorrise come poche volte Ocean
aveva
visto fare a qualcuno << Ti sei svegliata!!
>> urlò
prima di alzarsi e correre sul letto vicino a lei, facendola
sobbalzare e gemere per i dolori che sentiva praticamente ovunque. Si
poggiò su un braccio e cercò di sollevarsi a
sedere, facendo fatica
ma riuscendo. Sentiva la spalla sinistra pulsare e tutto il resto del
corpo formicolare.
<<
Daryl non voleva che venissimo qui a giocare, diceva ti avremmo
svegliata, ma io volevo aspettare qui! >>
comunicò Molly piena
di entusiasmo e un po' contrariata dal divieto che aveva cercato di
imporle il ragazzo.
<<
Ma, nonostante il fracasso che facevamo, continuavi a russare come un
ubriacone. >> le comunicò Daryl prendendola un
po' in giro.
Ocean si limitò a guardarlo contrariata, era un po' stanca e
aveva
poca voglia di parlare. La gola le faceva ancora malissimo.
<<
Vado a dire ad Hershel che sei sveglia. Vorrà controllarti.
>>
disse poi lui alzandosi e uscendo dalla stanza, lasciando le due
sole.
<<
Hershel è il dottore! >> disse Molly sedendosi
con le gambe
incrociate vicino alla ragazza << Però secondo
me non è
proprio un vero dottore. >> sussurrò
guardandosi attorno, come
se avesse detto un segreto. Ocean la guardò interrogativa,
aspettando le spiegazioni che non tardarono ad arrivare
<< Mi
ha dato della cioccolata! La mamma mi diceva sempre che la cioccolata
fa venire il mal di pancia. Se era un vero dottore doveva saperlo.
>>
Ocean non riuscì a trattenere delle risa alla spiegazione
della
bambina. Non faceva una piega, ed era proprio per questo che faceva
ridere. La gola non le diede però la possibilità
di ridere come
voleva e si ritrovò subito a tossire violentemente. Molly si
alzò e
andò vicino al comodino. Prese con entrambe le mani la
bottiglia
dell'acqua, troppo grande per lei, e ne versò un po' dentro
un
bicchiere, facendone cadere maldestramente qualche goccia intorno.
Poi prese il bicchiere e lo diede alla ragazza << Tieni.
>>
disse assumendo l'espressione un po' preoccupata. Ocean sorrise
teneramente, afferrò il bicchiere e buttò
giù il contenuto tutto
d'un sorso rendendosi conto solo in quel momento dell'incredibile
sete che aveva. Riprese fiato, finito di bere e porse di nuovo il
bicchiere alla bimba ringraziando.
<<
Ne vuoi ancora? >> chiese premurosa Molly e Ocean
annuì. La
piccola infermierina servì ben 4 bicchieri d'acqua alla sua
paziente
prima che la porta si aprisse e Hershel facesse capolino. Sorrise
alla bambina prima di dirle << Puoi lasciarci soli,
Molly? >>
Molly guardò Ocean, chiedendo con gli occhi il permesso di
restare,
sperando fosse lei stessa a dire "No, lasciala qui". Ma
Ocean annuì, facendo intuire di dar ascolto al dottore e la
bimba
uscì dalla stanza sbuffando, chiudendosi poi la porta alle
spalle.
Hershel
si avvicinò alla nuova paziente e si mise a sedere vicino al
letto
<< Ti aspettava. Pensa che tu sia andata a cercare i suoi
genitori. >> disse << Dovremo poi trovare
il modo di
dirle che non li hai trovati. Prima o poi dovrà sapere di
essere
rimasta sola. >> c'era tanta tristezza nelle parole del
dottore. E Ocean abbassò gli occhi, riempiendosi della
stessavtristezza. Sapeva cosa voleva dire restare soli, senza
più le
tue ancore di salvezza, senza più qualcuno che ti abbracci e
ti
protegga.
<<
E se non fossi tornata? >> chiese Ocean pensando ad alta
voce.
La stava aspettando. E la sua intenzione era quella di non tornare.
Le avrebbe fatto ancora più del male.
<<
Beh, allora le brutte notizie sarebbero state due. Ma ora tu sei qui,
e questo è già una buona cosa. >>
Ocean non era proprio
d'accordo. C'era qualcosa che non le dava pace. Non era sicura che
tornare fosse stata una buona idea.
<<
Che cosa è successo? >> chiese confusa,
sperando almeno il
vecchio potesse informarla sul grosso buco nero che aveva in testa.
<<
Io non ne ho idea. >> disse Hershel con tono ovvio
<< So
solo quello che ho visto: che hai varcato i confini della mia
fattoria in groppa alla tua Peggy ubriaca fradicia. >>
<<
Ubriaca? >> chiese Ocean mettendo al giusto posto la
notizia.
Si portò una mano alla fronte rendendosi conto solo in quel
momento
che era fasciata << Ora è tutto chiaro.
>>
Hershel
fece una breve pausa prima si raddrizzarsi sulla sedia, fare un
sospiro e infilare la mano in una tasca della sua camicia. Ne
estrasse un piccolo flaconcino che ancora risuonava di qualche
pasticca.
<<
Ho trovato questo >> disse semplicemente porgendo il
flaconcino
a Ocean per mostrarglielo. Erano gli antibiotici che aveva trovato
nella casa nel bosco.
<<
Ocean, quanti ne hai presi? >> chiese visibilmente
preoccupato.
Ocean non rispose subito, cercando di capire negli occhi del dottore
cosa stesse cercando di dirle. E non ci mise molto ad arrivare alla
risposta. Hershel temeva Ocean avesse cercato di suicidarsi prendendo
troppe pillole, e magari peggiorando la situazione con l'assunzione
di alcol.
<<
Non abbastanza. >> si limitò lei a rispondere,
acida, un po'
provocatoria, forse infastidita per il tipo di supposizione che aveva
fatto il dottore, ma cercando lo stesso di tranquillizzarlo ed
evitare di urlare al suicidio.
<<
Bene. >> rispose Hershel infilandosi nuovamente il
flaconcino
in tasca, sollevato dalla risposta << Non voglio dirti
cosa
fare della tua vita, Ocean, ci conosciamo appena e oltretutto non mi
permetto di dire alle mie figlie cosa fare della propria,
figuriamoci. Non so cosa ti sia successo, e non pretendo di saperlo,
capisco possa essere doloroso rievocare, io stesso provo queste cose.
Ma vorrei solo farti notare che se l'ebrezza dell'alcol, dopo aver
ofuscato la tua coscienza, ti ha riportato qui forse un motivo
c'è.
Cerca di riflettere bene su questo, perchè forse potrebbe
essere il
tuo appiglio per il futuro. >>
<<
Non volevo suicidarmi, dottore. Non c'è bisogno venga tu a
dirmi che
farmene del mio futuro. >> rispose ancora acida. Odiava
le
lezioni di vita, soprattutto se a impartirgliele era qualcuno che
neanche sapeva qual era il suo nome.
<<
Era solo un consiglio. Decidi tu che fartene. >> rispose
Hershel con tranquillità prima di alzarsi e andare a
prendere le sue
cose da medico. Era un uomo tutto d'un pezzo, sapeva qual'era il suo
posto, e questo gli faceva onore. Come spesso accadeva, la vecchiaia
oltre ai capelli bianchi gli aveva portato anche una buona dose di
saggezza. Come quel Dale. Ed era una qualità che Ocean
apprezzava
molto. Il resto della visita si svolse in assoluto silenzio. Hershel
cambiò le bende a Ocean, disinfettando ancora,
somministrandole
alcuni farmaci e ordinandole di bere e mangiare. Poi uscì,
lasciandola sola. Ocean si alzò dal letto, sentendo dolore a
qualsiasi movimento, ma non abbastanza da fermarla. Non se ne sarebbe
stata chiusa in quella stanza a dormire come se fosse stata in un
hotel. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori:
alcuni membri del
gruppo erano intenti a sistemare delle cose su di una macchina, altri
vagavano chiacchierando tra loro e poi c'era Carl, seduto all'ombra
di un albero, che accarezzava Max, anche lui steso lì sotto,
con una
zampa fasciata. Un sorriso le si dipinse in viso: era vivo! Daryl era
tornato ed era riuscito a salvarlo. Non aveva deluso le sue
aspettative. Il suo più caro amico era ancora con lei, e
doveva
tutto a quel scorbutico ometto infighettato che tanto diceva di
disprezzare. Gli era molto grata. Aveva fatto molto più lui
in quei
4 o 5 giorni che chiunque altro in tutta la sua vita.
Aveva
trovato il motivo per cui era tornata.
Hershel
aveva ragione.
Ora
vedeva qualcosa. Era stata 3 giorni sola, con davanti a sè
solo buio
e morte, ma ora, davanti a quella finestra, spettatrice di scene di
quotidiana felicità in cui era visibile anche il suo
migliore amico,
scene che non credeva sarebbero mai state possibili, vedeva la strada
che doveva percorrere. Non voleva più stare sola, la
solitudine
l'aveva quasi uccisa, aveva bisogno di essere scaldata dal calore
delle persone, aveva bisogno di qualcuno che la sollevasse quando
cadeva e che l'abbracciasse quando aveva freddo. Guardò le
persone
che come formiche si affaccendavano sotto di lei, in quel campo,
fregandosene di avere progetti sul futuro, intente solo a sostenersi
l'uno con l'altro e sorrise trovando tutto ciò bellissimo.
<<
Voglio restare qui. >> mugolò mentre si
asciugava una lacrima
col dorso della mano. Per la prima volta dopo tanto tempo le lacrime
che percorrevano il suo viso erano così calde, colme di
gioia. Si
era dimenticata che era possibile piangere di gioia.
Aveva
finalmente chiuso quella porta alle sue spalle che a lungo l'aveva
infreddolita con la sua corrente. Era finalmente pronta ad aprire
un'altra porta, varcarla nella speranza di trovare dall'altro lato
sole, fiori e farfalle.
Vide
Molly scendere le scale della verandina di corsa, facendo svolazzare
la sua gonna arancione e dirigersi velocemente verso Daryl, piena di
energia e vitalità. Lo afferrò per il lembo del
gilet e lo
strattonò per richiamare la sua attenzione. Lui la
guardò, e lei
gli disse qualcosa, che Ocean non potè sentire, dondolando
sui
piedi, non riuscendo proprio a stare ferma. Era così tenera.
Daryl
le fece cenno con la testa verso Carl e Max, aprendo appena le
labbra, probabilmente dando una risposta secca e netta alla bambina,
che guardò nella direzione indicata e corse verso essa,
urlando
qualcosa, forse chiamandoli e mettendosi poi vicino a loro,
sorridente e chiacchierona. Ocean la trovò così
tenera. Era la nota
dissonante in tutto quello, era la stella che brillava nelle notti
più buie e illuminava la via dei viandanti.
Daryl,
dopo averla seguita con lo sguardo, tornò al suo lavoro di
allestimento della macchina, preparandola per chissà che
cosa, ma
prima gli occhi andarono senza un motivo ben preciso alla finestra in
alto, vedendo la ragazza dietro al vetro. Tenne gli occhi fissi su di
lei per qualche secondo, senza far trapelare nessun pensiero dal suo
sguardo di ghiaccio, poi tornò al suo lavoro.
Ocean
si allontanò dalla finestra ormai alleggerita di qualsiasi
peso
avesse potuto avere sulle spalle fino a quella mattina. Si diede
un'occhiata addosso: era ricoperta di lividi, e dove non c'erano
lividi c'erano cerotti e bende. Sembrava appena uscita dal macello.
Ma la cosa non le pesava più.
Prese
i suoi abiti, puliti alla ben e meglio e ricuciti, poggiati sulla
sedia. Qualcuno si era preso la briga di ripulirli, senza
però
trattenerli a lungo, dandole modo di ritrovarli al risveglio, e di
sistemare i vari buchi che ormai lo tappezzavano ovunque. Si
rivestì
con cautela e lentezza, cercando di stringere i denti ai vari
doloretti. Riusciva a camminare, anche se zoppicante, e questo era
l'importante. Non voleva starsene chiusa lì. C'era una cosa
che
doveva assolutamente fare o sarebbe stata soffocata dal dubbio.
Doveva parlare con Rick. Non voleva autoinvitarsi all'interno del
gruppo, senza averne il permesso. E si sarebbe impegnata per
ottenerlo, rimediando ai suoi precedenti errori. Non voleva tornare
sola, anche se aveva sempre insitito per farlo. Probabilmente avrebbe
sempre convissuto con le sue paure, col timore di essere abbandonata
di nuovo, di affezionarsi e vedere tutto svanire di nuovo, ma la
paura c'era anche quando era sola ed era anzi anche più
terribile.
Lì almeno avrebbe per un po' provato l'ebrezza di sperare,
di nuovo.
E qualcosa era cambiato: non era più la ragazzina debole,
intimorita
e indifesa che sapeva solo scappare. Ora sapeva combattere, e
l'avrebbe fatto. Aveva paura di essere felice, la caduta sarebbe
stata più dura poi, ma alla fine aveva ceduto al bisogno di
prendere
fiato ogni tanto.
Avrebbe smesso di vagare senza meta, aspettando
di essere uccisa. Ora avrebbe avuto uno scopo: aiutare gli altri,
tenerli in vita. Questo era l'appiglio a cui si sarebbe aggrappata
per il futuro. Avere un motivo per vivere rendeva tutto più
semplice.
Non
uscì subito, prima aveva bisogno di togliersi un altro
sassolino
dalla scarpa. Per ricominciare da capo bisognava prima mettere un
punto a tutto ciò che c'era stato prima. Aprì i
vari cassetti
presenti nella stanza, comò e comodini, e trovò
quello di cui aveva
bisogno: carta e penna. Si inginocchiò vicino al comodino,
poggiando
la carta lì e cominciò a scrivere.
"Claudio.
Mario.
Federico.
Gabriele.
Marta.
Luca.
Lorenzo.
Simone.
Susy.
Nicola.
Micky.
Manuele.
Alice.
Domus
est ubi cor est!"
Fece
un sospiro, mandando via il peso che stava nuovamente cercando di
attanagliarle il cuore. Arrotolò il foglietto, prese la
bottiglia
che conteneva ancora un po' di acqua e la svuotò, bevendo il
resto.
Poi infilò dentro il biglietto arrotolato. Si
alzò, mugolando
ancora per il dolore, e si diresse verso il tavolino dove c'erano
sistemate le cose che teneva alla cintura: le sue armi e il ciondolo
trovato alla fattoria. Staccò uno dei suoi petali, sforzando
il
polso e tornò alla sua bottiglia. Lo infilo dentro, insieme
al
foglietto e infine la chiuse col suo tappo.
Appena
si sarebbe rimessa in forza avrebbe ripreso ogni tanto a vagare
intorno a quella zona, esplorando, cercando magari qualcosa di utile,
come sempre aveva fatto, e al primo corso d'acqua che avrebbe trovato
ce l'avrebbe buttata dentro confidando che tutti i fiumi sfociano
nell'Oceano.
Loro
erano i suoi morti.
Loro
sarebbero tornati a casa.
Insieme.
Domus
est ubi cor est: Casa è dove si trova il cuore.
(Plinio il Vecchio)
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Capitolo 17 *** Frode. ***
Frode
<<
Non dovresti
stare a letto? >>
chiese rapidamente T-Dog, prima di entrare in casa, sempre intento in
quello che sembrava un trasloco, senza aspettare realmente una
risposta. Era stata più una forma di cortesia, un saluto,
una
battuta morta lì tanto per rivolgerle la parola.
Ocean
sorrise appena prima di poggiare la mano alla ringhiera della
veranda, sostenendosi a essa per facilitare la discesa degli scalini.
Le ossa cigolavano a ogni movimento, ma l'aria di quel luogo la
donava di nuova vita e camminare non era faticoso come lo era stato i
giorni precedenti, quando era costretta ad avanzare. Ora poteva
rispettare il suo dolore e prendersi i tempi che il corpo richiedeva.
A dir il vero, sarebbe stata volentieri a letto, era da qualche
giorno che non godeva della tranquillità che un letto
morbido, caldo
e sicuro poteva dare, ma il desiderio di uscire a prendere aria e di
parlare con chi di dovere aveva avuto la meglio.
<<
Dov'è Rick? >> chiese a Daryl, sempre vicino
all'auto, mentre
sistemava quelli che sembravano pacchetti.
<<
Laggiù, è con Shane. >> rispose lui
semplicemente, indicando,
senza scomporsi troppo dalle sue faccende. Ocean voltò la
testa a
cercare con gli occhi il capo squadra prima di raggiungerlo,
lentamente, zoppicando, senza nessuna fretta. Non più.
Guardò
da lontano la scena che gli si parava davanti: Shane disse qualcosa a
Rick, qualcosa che probabilmente a nessuno dei due piacque, poi gli
mise davanti una pistola e si allontanò ciondolando le
spalle, col
suo fare strafottente e perennemente incazzato. Ocean raggiunse
finalmente Rick, senza togliere gli occhi di dosso a Shane,
continuando a fare i suoi conti su quel tipo. Non le piaceva. Non le
piaceva proprio.
<<
Quando ero in Italia... >> cominciò a dire
lei, anticipando il
suo arrivo << ...Perchè,sì! Vengo
dall'Italia. Ormai credo
sia giusto tu lo sappia. >> ed era incredibile come
riuscisse a
dirlo senza sentirsi la gola serrare. Si avvicinò a Rick,
salendo
sulla veranda dove si trovava lui, evitando così di urlare e
farsi
sentire da tutta la fattoria << Quando ero a casa,
qualche anno
fa, mia sorella conobbe un tipo. Nel giro di neanche una settimana lo
portò a casa e ce lo presentò. Un tipo distinto,
che vestiva con
golfino color pastello e camicia: classico topo di libreria. Lo
guardai negli occhi la prima volta e poi dissi "Chiara, non mi
convince. Ha una strana luce negli occhi". Ci mise un anno a
scoprire che era uno di quelli che addescava ragazzine sui Social
Network. >> si mise a sedere vicino a lui, con la stessa
premura e attenzione che può avere un anziano con i suoi
acciacchi,
annessi lamenti e sbuffi. Rick la guardò chiedendosi dove
volesse
arrivare e Ocean lo dovette far aspettare prima di dargli una
risposta: doveva prima sedersi e rilassarsi << Sono una
gran
chiacchierona. >> sorrise lei, giustificandosi
<< In
realtà volevo dar tempo a Shane di allontanarsi il
necessario, o mi
avrebbe fatto saltare la testa all'istante. >>
<<
Non è stato contento del tuo ritorno, no. >>
annuì Rick
tornando a guardare di fronte a sè.
<<
Non mi importa. >> tagliò corto lei
<< Ha gli occhi da
psicopatico. Non mi piace. Guardati le spalle, amico. >>
disse
con assoluta sincerità, senza troppi rigiri o fiocchetti.
Rick
abbassò gli occhi, riflettendo sulla cosa, poi
guardò la ragazza,
sorrise, annuì per comunicarle di aver colto il messaggio e
tornò a
guardare davanti a sè, senza aggiungere altro. Probabilmente
c'era
già qualcosa dietro, se fosse stata un'affermazione
assolutamente
fuori luogo avrebbe reagito in maniera platealmente diversa. Ocean
lasciò calare il silenzio, prendendosi anche lei i suoi
tempi,
capendo che l'argomento Shane era meglio concluderlo lì, poi
abbassò
gli occhi alla ricerca delle parole più adatte che le
risparmiassero
imabarazzanti suppliche e richieste di perdono.
<<
Senti, io... >> cominciò, ma Rick la
interruppe immediatamente
con un rapido << Sono felice che sei tornata.
>>
affermazione che lasciò di stucco la ragazza, apprezzando
poi le sue
intenzioni di evitarle il discorso. L'uomo aveva colto subito il
motivo di quella visita, ed era saltato lui a conclusioni evitando
alla ragazza un travaglioso elenco di parole più o meno
azzeccate.
<<
C'è aria diversa ora. Molly ti aspettava. Carl è
di nuovo tornato a
sorridere da quando è tornato Max, e il cane sta bene solo
se sta
con te. Anche Carol è molto felice di averti rivista,
è una di
quelle che era pronta a scommettere tutto su di te. E anche Daryl.
>>
<<
Daryl? >> chiese d'istinto Ocean un po' incredula. La
detestava
e la considerava imbaranata. Perchè Daryl? Rick si
limitò a
sorridere, senza dar ulteriore spiegazioni e concluse con un
<<
Sei la benvenuta. >> prima di cominciare ad incamminarsi
verso
l'auto che sembrava quasi pronta per chissà quale
spedizione. Era
talmente carica che sembravano stessero per partire per qualche
giono.
<<
Rick. >> lo richiamò ancora lei prima di
lasciarlo andar via
<< Puoi contare su di me. >>
Raggiunse
quello che loro chiavano "l'accampamento", ma che ormai si
stava riducendo a ben poco. Pian piano il gruppo stava traslocando
all'interno della casa, Hershel aveva finalmente dato il suo consenso
e stava diventando un vecchietto più ospitale, convinto da
chissà
cosa. Seduta sola, come spesso faceva ultimamente, con in mano dei
vestiti che guardava, ripiegava, poi li disfaceva e li ripiegava, mai
contenta del suo operato, c'era Carol. Probabilmente troppo assorta
dai suoi pensieri per dar veramente conto al suo lavoro.
Sentì
arrivare Ocean, era difficile non farci caso data la pesantezza con
cui si trascinava in giro, ma non si voltò a salutarla e
continuò
il suo lavoro. Ocean le si affiancò e la osservò
a lungo, in
silenzio, il suo ciondolo stretto tra le mani che veniva più
volte
rigirato e accarezzato. Nessuna delle due sapeva bene cosa dire
all'altra, ma Carol era più tranquilla rispetto a quando
l'aveva
lasciata, era tornata a sorridere alcune volte, e anche allora lo
fece: si voltò dopo un po', la guardò in volto e
le sorrise
dolcemente. Era la prima volta che Ocean poteva vedere i suoi occhi
brillare. Ne rimase piacevolmente sorpresa, poi tornò a
guardare
ancora il suo ciondolo e non staccò gli occhi da esso.
<<
Ricorda. >> lesse ad alta voce.
Lanciò
un rapido sorriso a Carol, afferrò con forza uno dei petali
del suo
fiore e, con uno sforzo che allora le parve disumano, lo
staccò.
L'imbarazzo era leggibile sul suo volto, questo lo sapeva e non
faceva che peggiorare il suo senso di disagio.
<<
Per tua figlia. Per non dimenticare. >> si
limitò a dire
tenendo ancora ben stretto il petalo tra le sue dita.
Ciondolò un
po', tentando di cacciar via l'imbarazzo e il senso di fastidio che
le stava prendendo la bocca dello stomaco.
<<
Me lo regalò mio nonno prima di morire, tempo fa. Lui
credeva che il
tempo fosse la cosa più importante del mondo,
perchè è
indipendente, scorre e ti sfugge dalle dita, ma ti appartiene. Non
puoi fermarlo, puoi solo decidere come usarlo. Mi costruì
questo
ciondolo per questo. "Ricorda il tempo" c'era scritto
prima >> lo mostrò velocemente alla donna,
facendo vedere la
cancellatura << Ogni petalo che manca è un
giorno che hai
perso. >> le sfuggì un sorriso
<< Era una cosa che
metteva un po' ansi: lo vedevi giorno dopo giorno sempre più
spoglio, ma era così di proposito. Ti ricordava lo scorrere
del
tempo e ti spronava a non perderne neanche un secondo. Nessun petalo
doveva cadere senza portarsi dietro un ricordo. >>
Abbassò
nuovamente gli occhi, accantonando la vena malinconica che
accompagnava quelle prime parole, lasciando spazio solo a una
profonda tristezza << Ho smesso di contare il tempo. Ho
smesso
di ricordarlo. Non ha più valore per me. Ora ricordo e
basta. E
invece di contare i minuti che perdo...conto le anime. E il fiore
sempre più spoglio mi sprona a impegnarmi per non perderne
più. >>
restò un secondo in silenzio, pensierosa, continuando a
guardare il
fiore e il petalo che stringeva tra le dita.
<<
Nessun petalo deve cadere senza portarsi dietro un ricordo. Nessun
petalo dev'essere sentito come "sfuggito" e sprecato. >>
mormorò tra sè e sè.
Per
quel motivo l'aveva lasciato alla fattoria, insieme ai cadaveri del
suo vecchio gruppo: non aveva più nessuno da perdere, non ne
voleva
più avere, non aveva più nessuno da contare.
Nessuno da ricordare.
Ma
ora sarebbe stato diverso.
Un improvviso sorriso imbarazzato si
dipinse sul suo volto << Che cosa stupida. Scusami.
>>
disse prima di voltarsi per andarsene, e lasciar nuovamente sola la
donna. Ma Carol si alzò subito e la prese per un braccio,
fermandola
<< No, aspetta. >> disse e sorridendo
addolcita,
intenerita e commossa allungò la mano << E'
per la mia Sophia?
>>.
Ocean
restò qualche secondo in silenzio, immobile, ancora indecisa
e
imbarazzata per quello che riteneva essere un gesto stupido, anche se
lei aveva sempre dato molta importanza a quei petali. Ma era il suo
fiore, i suoi petali, e a chi doveva interessare la storia di suo
nonno se non a lei? Ma Carol sembrò comprensiva, e forse
veramente
aveva apprezzato il gesto. Ocean guardò ancora il suo petalo
poi lo
porse alla donna << Per non dimenticare. >>
sussurrò
ancora, più a se stessa che alla donna, la quale
guardò il dono con
commozione e ringraziò prima di lasciarla andare.
<<
E ora tocca a te. >> disse Ocean raggiungendo l'albero
sotto
cui erano seduti Carl, Max e Molly, intenti a chiacchierare tra loro,
anche se Carl non sembrava entusiasta e loquace come la piccola
rossa.
<<
Ocean! >> salutò Molly illuminandosi nel
vederla << Sei
in piedi! >>
<<
Sì, ma per poco. >> disse sofferente mentre si
appoggiava al
tronco e cercava di sedersi a terra, vicino alla bambina
<<
Fatemi un po' di posto. >> Molly alla richiesta si
spostò
leggermente, facendo sedere la ragazza vicino a sè e la
guardò
sorridente.
Ocean
si sistemò con un sospiro sollevato, poggiò la
schiena al tronco
dietro di sè e alzò gli occhi al cielo,
pensierosa. Poi si voltò a
guardare Carl e gli disse << Puoi lasciarci sole un
attimo? >>
Carl
non rispose, si alzò senza farglielo ripetere due volte, e
si
allontanò accompagnato dal cane che zoppicava tenendo la
zampetta
fasciata alzata, senza poggiarla a terra.
<<
Allora. >> cominciò Ocean cercando di mettere
in ordine nella
sua testa le parole giuste << Mi hanno detto che mi stavi
aspettando. >>
Molly
annuì e subito si rabbuiò, imbronciandosi e
abbassando lo sguardo
<< Sì, ma non li hai trovati vero?
>>
Ocean
rimase per un attimo in silenzio, timorosa, chiedendosi quale fosse
il modo migliore per parlare di morte con una bambina, sapendo che
comunque, qualsiasi cosa avrebbe detto, nessuno avrebbe impedito alle
sue lacrime di sgorgare.
<<
Sì, li ho trovati. >> disse Ocean, facendo
voltare la bambina
speranzosa << Ma non sono potuti restare qui. Dio li ha
chiamati in cielo, da lui, e li ha trasformati in due bellissimi
angeli. Ha detto che così avrebbero potuto proteggerti
meglio. >>
<<
Sono andati in cielo? >> chiese la bimba con tono di
disperazione. Gli occhi già avevano cominciato a rovesciare
lacrime.
Si alzò in piedi mettendosi di fronte alla ragazza, i pugni
serrati
che strofinavano i suoi occhi già rossi <<
Perchè se ne sono
andati? Perchè mi hanno lasciata qua da sola?
>> pianse
disperata. Ocean cercò di tirarsi su, in ginocchio, e si
avvicinò
alla bambina prendendola tra le braccia, stringendola cercando di
darle conforto << Non ti hanno lasciata sola!Ci siamo qua
io,
Daryl, Carol, Carl, Max, Rick, Hershel e tutti gli altri.
>>
<<
Ma io voglio la mia mamma e il mio papà! >>
<<
Mi dispiace, Molly. >> si limitò a dire la
ragazza, non
sapendo cos'altro aggiungere per riuscire a calmare i suoi pianti
disperati.
<<
Non li rivedrò più? >>
<<
Certo che li rivedrai! Tutte le notti, quando ti metterai a dormire,
loro verranno da te e starete insieme fino al mattino. >>
disse
Ocean e si allontanò dalla bambina per guardarla in viso e
asciugare
le sue lacrime << Non piangere, dai. Loro possono vederti
anche
ora e sicuramente non sono contenti di vedere il tuo bel visino
rovinato da questa smorfia. Sorridimi. Se più bella quando
sorridi.
>> ma la bimba ovviamente non era consolabile, e l'unica
cosa
da fare al momento era starle vicino, facendole sentire il meno
possibile la mancanza dei genitori e dandole il tempo necessario a
metabolizzare la cosa. Ocean la tirò a sè e si
rimise a sedere con
la schiena poggiata all'albero, le fece posare il volto sulla sua
spalla e lasciò che piangesse fin quanto ne sentiva il
bisogno,
accarezzandole i capelli, cercando di dare quanto più
conforto
poteva con abbracci e carezze.
<<
Andrà tutto bene. Ci penseremo noi a te. Non sarai sola.
Andrà
tutto bene. >>
Molly
pianse tanto che alla fine si addormentò, stremata, scossa
dai
singhiozzi. Ocean la guardò colma di dispiacere, povera
piccola
sarebbe stata dura per lei più di chiunque altro. Era un
tale
fiorellino. Promise a se stessa che finchè sarebbe stata
viva non
avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Sentì qualcosa
nascere
in lei, una determinazione che da tempo non provava, il desiderio di
lottare davvero per qualcosa. Non si sarebbe più trascinata
senza
scopo, non sarebbe più stata un fantasma, ora brandiva la
lama col
chiaro intento di uccidere chi gli si parava di fronte. Ora avrebbe
lottato.
<<
Ci penserò io a te. >> sussurrò
ancora una volta
accarezzandole i capelli.
Si
tirò Molly addosso, facendole posare il viso sulla spalla
ancora
sana e caricò il suo peso su quel lato del corpo. Poi
tentò di
alzarsi, facendo una fatica disumana considerato anche il peso
aggiuntivo, ma riuscendo con costanza e determinazione a sollevarsi
in piedi con la bimba in braccio, e si avviò lentamente
verso la
villa. Maggie la vide da lontano e la raggiunse di corsa, allungando
le braccia per afferrare la piccola << Lascia, faccio io.
>>
disse aiutando Ocean.
<<
Grazie. >> rispose lei passando volentieri il peso alla
ragazza
<< Ha pianto fino ad addormentarsi. >>
informò. Maggie
guardò la bimba che aveva in braccio con uno sguardo triste
e
commosso, poi senza dire niente la portò dentro, dove
l'avrebbe
messa a letto. Ocean le camminò dietro, anche se la perse
dopo il
primo scalino, troppo lenta per stare al suo passo, intenzionata a
tornare a letto anche lei,ma si bloccò quando
sentì urlare:
<<
Rick!! >> chiamò T-Dog arrivando di corsa,
visibilmente
agitato << Rick! Randall non c'è!
>> gridò ancora una
volta arrivato alla villa. Rick uscì con rapidità
dalla casa e
raggiunse subito il suo amico, con lo sguardo cupo. Non disse niente
e si avviò velocemente verso un capanno poco lontano da
lì, seguito
dagli altri, tutti confusi e agitati. Ocean fece altrettanto, anche
se non conosceva la situazione, non condivideva il loro dramma, ma
era curiosa di sapere che stesse succedendo e comunque sia voleva
farne parte.
Mai
più sola.
Daryl
aprì il capanno, lanciando una rapida occhiata all'interno,
ma si
fece subito da parte, facendo entrare Rick, pronto a indagare, e
restando all'esterno a guardarsi intorno e cercare tracce al suolo.
<<
Che succede? >> chiese Lori, allarmata, una volta
raggiunto il
luogo.
<<
Randall è scomparso. >> informò
T-Dog studiando la zona
intorno a loro, guardando nella speranza di trovare indizi.
<<
Chi diavolo è Randall? >> chiese Ocean. Si era
persa qualcosa,
li aveva lasciati l'ultima volta che avevano zombie allevati nel
fienile, e ora parlavano di qualcuno che mai aveva sentito nominare.
Ma alla fine era stata fuori per 5 giorni, poteva essere successo di
tutto nel frattempo.
<<
E' una lunga storia. Lo tenevamo nel capanno. Avremmo dovuto
lasciarlo libero oggi stesso, lontano da qui, ma ora non c'è
più.
>> raccontò brevemente sempre T-Dog, il
più loquace tra
tutti.
"Un
prigioniero, eh?" pensò Ocean. Quel gruppo aveva
più
retroscena di quanto avesse creduto, e la cosa in qualche modo le
piaceva. Erano piccole cose che suggerivano che non erano un gruppo
di idioti, che anche loro affrontavano le loro difficoltà
come tutti
e che forse non erano solamente fortunati. Era qualcosa che le
piaceva perchè sapeva che nel caso di emergenza non
sarebbero stati
colti impreparati come invece pensava qualche giorno prima, quando
non vedeva altro in loro che dei contadinelli sorridenti.
<<
Da quanto tempo è scomparso? >> chiese
Hershel, cercando di
farsi strada per vedere all'interno del capanno << Come
è
successo? >> chiese ancora Lori, accavallando domande su
domande. Ocean non sapeva chi era questo Randall, ma a vedere gli
animi scossi, probabilmente era qualcuno di pericoloso, e
cominciò a
provare i loro stessi sentimenti allarmati. Gli occhi corsero
istintivamente al bosco davanti a sè, cercando, ma odiava
non sapere
bene cosa o chi stava cercando!
<<
Le manette sono chiuse, dev'essersele sfilate. >>
comunicò
Rick uscendo dal capanno, riattirando così a sè
l'attenzione della
ragazza, e continuando a guardare la situazione intorno a lui,
cercando altri indizi che comunicassero dove fosse potuto andare il
fuggitivo. Susseguirono una serie di ipotesi e altre osservazioni,
una più caotica e nervosa dell'altra, tanto confuse che per
poco non
sfociarono nel ridicolo. Lori fece notare l'assenza di Shane e fu
quello a spingere Rick a ordinare subito di cominciare le ricerche:
temeva per il suo amico. Forse l'unico. Ma non ci fu bisogno di
cominciare nessuna ricerca. Shane sbucò dagli alberi, il
viso
insanguinato, lo sguardo un po' vacuo, cosa che lasciò un
po'
insospettita Ocean, ma tenne certe osservazioni per sè.
Shane
richiamò l'attenzione dei suoi amici mentre si avvicinava a
loro <<
E' armato. Ha la mia pistola! >> informò. Carl
si fece avanti,
chiedendo preoccupato se stesse bene, date le sue pessime condizione
e lui continuò a raccontare << Sì,
ma quel piccolo bastardo
mi ha preso alle spalle. Mi ha colpito in faccia! >>
disse
cercando di caricare l'ultima affermazione di un'ira che non c'era.
<<
D'accordo! Hershel, T-Dog riportate gli altri in casa. Glenn, Daryl,
venite con noi. >> ordinò il caposquadra,
organizzando quella
che sarebbe stata una spedizione d'emergenza. Ocean si
guardò
attorno, ossevando i suoi compagni che cominciavano ad affaccendarsi
per obbedire agli ordini e sentì anche lei il bisogno di
rendersi
disponibile, di far sentire la sua voce, di dire "ehi, ci sono
anche io e posso essere d'aiuto!". Non era una stupida
sprovveduta, i mesi passati sola a combattere per una vita che non
desiderava più l'avevano indurita più di quanto
potessero
immaginare. Sarebbe stata in grado di spostare massi anche in quelle
condizioni se ci fosse stato bisogno. E gli altri dovevano saperlo.
Dovevano sapere che lei non era lì per rubare cibo, non era
una
sciocca ragazzina capricciosa, ma era un arma in più che
avrebbe
potuto salvargli la vita. Doveva dimostrare che valeva la storia che
portava sulle sue spalle.
<<
Posso aiutarvi! >> disse a Rick, facendo un passo in
avanti per
farsi notare.
<<
No! >> le ordinò l'uomo << Non
saresti molto d'aiuto
ridotta in quelle condizioni. Non ti reggi in piedi. Porta in casa
gli altri e tenetevi le armi, nel caso dovesse tornare.
>> si
allontanò di qualche passo insieme ai suoi compagni prima di
ordinare di nuovo << Tenete gli occhi aperti!
>>
<<
Lasciatelo andare. >> disse Carol, mossa da compassione
verso
il ragazzo << Il piano non era quello di lasciarlo
andare? >>
<<
Il piano era lasciarlo lontano da qui, non davanti alla casa con una
pistola. >> spiegò Rick, e Carol
tentò ancora il tutto per
tutto con una preghiera sterile << Non andate!
>>. Ma la
decisione di Rick era indiscutibile e ordinò di nuovo di
entrare in
casa e di chiudersi dentro, senza aggiungere altro.
<<
Forza, andiamo. >> sollecitò Andrea prendendo
Carol per un
braccio e cercando di tirarla via, seguendo poi gli altri che
già si
erano avviati velocemente verso il loro rifugio.
Si
sedettero in salotto, chi silenzioso e pensieroso, chi invece
continuava a far congetture e ipotesi. Ocean si sedette a bordo della
finestra, spostò leggermente la tendina con due dita e
rimase ferma
lì, con gli occhi puntati fuori, a tener d'occhio la
situazione
all'esterno. Sentiva una strana adrenalina in corpo, non riusciva a
star ferma e muoveva la gamba convulsamente. Non sapeva chi era
questo Randall, e sentiva di non averne neanche troppa paura, alla
fine era uno solo contro un intero gruppo, non poteva fare troppi
danni. Ma era la prima volta nella sua vita che si ritrovava a
doversi sentir responsabile di qualcuno, era la prima volta che
sentiva di avere il compito e il dovere di proteggere qualcuno, che
sentiva di non essere lei quella che doveva essere abbracciata e
rassicurata. E la cosa le piaceva. Aveva una gran voglia di correre
fuori e andarlo a cercare lei stessa quel Randall, fare ciò
che
andava fatto, forse anche per dimostrare agli altri che potevano
fidarsi di lei, per dimostrare a Rick che davvero poteva contare su
di lei. Si era data un compito e voleva portarlo a termine. Ma erano
già in quattro la fuori, ed erano sicuramente i quattro
più bravi,
ce l'avrebbero fatta, non avevano bisogno di lei, e poi Rick aveva
ragione, ridotta in quelle condizioni poteva fare ben poco.
Così si
limitò a stersene seduta, attenta e concentrata, cercando di
cogliere anche i più piccoli movimenti, pronta a difendere
quella
che stava cercando di far diventare la sua nuova casa.
Andrea
si sedette vicino a lei e osservò i suoi compagni, uno
più
preoccupato dell'altro. Anche lei dimostrava una certa agitazione, ma
a differenza di moti, sembrava nasconderla meglio. O forse la sua era
solo una smisurata fiducia.
<<
Chi è Randall? >> chiese ancora Ocean, senza
staccare gli
occhi da fuori. Le spiegazioni di T-Dog non avevano messo freno alla
sua curiosità, e poi desiderava capire quanto fosse
pericoloso
questo fuggiasco che aveva messo così in subbuglio
più di 10
persone.
<<
Dopo l'attacco al fienile >> cominciò a
spiegare Andrea <<
Hershel si è allontanato. E' andato in città da
solo e si è
infilato in un bar vuoto per ubriacarsi. Rick e Glenn l'hanno
ritrovato e l'intenzione era quella di riportarlo a casa, ma mentre
erano lì hanno incrociato un altro gruppo e poco dopo hanno
cominciato a spararsi addosso. Poi sono arrivati gli zombie, quelli
dell'altro gruppo sono scappati, ma si sono lasciati dietro Randall
che era rimasto incastrato con una gamba a una ringhiera. E' solo un
ragazzo, ma il timore è che possa portare da noi quelli del
suo
gruppo e possano attaccarci. Per questo l'abbiamo tenuto chiuso per
un po' nel capanno, in attesa di giudizio. >> e
sicuramente fu
un racconto più esaustivo del primo.
<<
E avete poi deciso di lasciarlo andare? >> chiese
incredula
Ocean, voltando gli occhi perplessi verso la bionda. Poteva essere un
pericolo e loro lo volevano davvero lasciare libero?
Andrea
abbassò gli occhi, colta da chissà quale truce
stato d'animo e
disse, giustificandosi << E' solo un ragazzo. E noi non
uccidiamo i vivi. Dale avrebbe voluto così. >>
Ocean
tornò a guardare fuori, cogliendo il messaggio nascosto in
quelle
parole e rendendosi conto solo in quel momento che all'appelo mancava
una persona. Nel caos del risveglio non ci aveva proprio fatto caso,
e poi non aveva avuto modo nei giorni precedenti di legarsi a loro
quanto bastava per ricordarsi di tutti. Ma il vecchio non c'era
più.
Quel simpatico vecchietto che tanto le ricordava suo nonno il giorno
che lo portarono in piazza per una partita dei mondiali, più
confuso
e disorientato di una talpa con la labirintite.
Ma
che incredibilmente sorreggeva tutta la struttura.
<<
Cosa gli è successo? >> chiese con delicatezza
e un briciolo
di dolore nella voce. L'avevano perso, era questo quello che era
successo, era morto in quei giorni in cui era mancata e il dolore era
ancora palpabile.
<<
Uno zombie. >> disse semplicemente Andrea, sentendosi
morire la
voce in gola. Ocean abbassò di nuovo gli occhi, addolorata,
e
sussurrò << Mi dispiace. >>, una
sentita condoglianza
che andò a intenerire la sua interlocutrice, e a sentirsi un
minimo
sollevata di fronte alla condivisione del suo dolore.
Andrea
la guardò, concedendole un triste sorriso complice, e Ocean
rispose
alla stessa maniera. Era un modo semplice per terminare lì
la
conversazione e le condoglianze, senza interrompere quel piccolo
momento di complicità e condivisione che tanto faceva
piacere al
cuore.
Il
resto del tempo lo passarono in silenzio, ognuno immerso nei propri
pensieri, ognuno spaventato e agitato a modo suo, cercando conforto
nella vicinanza dell'altro. Ocean rimase tutto il tempo, fino a notte
fonda, seduta alla finestra, vicino ad Andrea, guardando fuori
occasionalmente, pronta a reagire al minimo accenno di pericolo.
Aveva tenuto a lungo d'occhio la situazione fuori dalla finestra, ma
niente si era mosso, e alla fine aveva ceduto un po' alla stanchezza,
poggiando la testa dietro di sè, allo stipite, e chiudendo
gli
occhi, in cerca di un breve riposo. Non stava proprio dormendo, era
ancora vigile e cercava di affidarsi all'udito per continuare a
montare la guardia, tanto col silenzio che era piombato in casa era
facile distinguere ogni rumore proveniente dall'esterno. Lori le si
avvicinò con un piatto in mano, e a Ocean bastò
sentire i suoi
passi per farle aprire gli occhi. Guardò la donna che le
porgeva da
mangiare e accettò di buon grado, data la fame che
cominciava
nuovamente a farsi sentire.
<<
Ce la faranno, andrà tutto bene. >> disse la
donna in piedi
senza che nessuno le avesse chiesto niente, cosa che fece pensare
stesse solo parlando per rassicurare se stessa. Ocean si
limitò ad
annuire, assecondando la sua speranza. In realtà anche lei
stava
cominciando ad avere un po' lo stomaco sotto sopra per l'ansia, erano
passate ore, il buio era calato, e quei 4 erano fuori insieme a uno
con gli occhi da psicopatico. Poteva succedere di tutto, perfino
essere traditi e presi alle spalle dal loro stesso compagno! Sapevano
quanto era pericoloso girare col buio. E allora perchè non
facevano
ritorno? Non voleva pensare fosse successo qualcosa, preferiva
accettare e tenersi stretta l'idea che fossero testardi e che ancora
non avessero trovato Randall. Spostò nuovamente la tendina,
lanciando un veloce sguardo fuori, ma questa volta non con
l'intenzione di controllare ci fosse qualche pericolo in arrivo.
Sperava di vedere sbucare dagli alberi 4 ombre, tranquille,
sorridenti e trionfanti, senza nemmeno un graffio. Ma
l'oscurità non
concesse ancora niente, e Ocean tornò a mangiare, non
lasciando però
andare la speranza che da un momento all'altro li avrebbe visti di
ritorno.
Dopo
qualche altro minuto interminabile, Max improvvisamente alzò
la
testa, guardando verso la porta, le orecchie ben ritte e lo sguardo
attento. Aveva sentito qualcosa! Ocean lo notò e si
sollevò in
piedi, pronta a dirigersi verso la porta: qualcosa aveva attirato la
sua attenzione, e col tempo aveva imparato sempre a fidarsi delle sue
percezioni. Più di una volta le avevano salvato la vita.
Non sapeva se era una buona o brutta notizia, non sapeva chi o cosa
stava arrivando, ma Max sembrava tranquillo, per niente innervosito,
quindi con probabilità era qualcuno e non qualcosa. Ma non
fece in
tempo ad uscire a controllare. La porta di casa si spalancò
ed
entrarono velocemente Glenn e Daryl, con lo sguardo colmo di
preoccupazione, e senza dire una parola cominciarono subito a
guardarsi attorno.
<<
Rick e Shane sono tornati? >> chiese Daryl, dopo qualche
secondo, ma qualcuno rispose negativamente.
<<
Ho sentito uno sparo. >> continuò il ragazzo.
<<
Avranno trovato Randall. >> ipotizzò Lori.
<<
L'abbiamo trovato noi. >> rispose seccamente Daryl,
facendo
sentire tutta la pesantezza di quelle parole << E' uno
zombie.
>>
<<
Avete trovato lo zombie che l'ha morso? >> chiese
Hershel,
preoccupandosi che la sua fattoria non stesse cominciando a essere
infestata.
<<
Non c'è bisogno che uno zombie morda, per farti diventare
come lui.
>> disse rapidamente Ocean, meravigliandosi un po' che
loro
questo non lo sapessero, ma non facendogliene una colpa. Erano stati
a lungo fuori dal mondo, probabilmente certe scoperte non avevano
avuto modo di farle. La comunicazione lasciò per un istante
tutti
senza parole, spaventati dalla novità, incapaci di scegliere
le
domande adeguate, anche perchè al momento c'era anche altro
di cui
preoccuparsi, e non sapevano a cosa dare la priorità.
<<
Se muori, ti trasformi. Punto. >> spiegò
Ocean, guardando il
vecchio negli occhi e cogliendo in essi tutto il terrore e lo
stravolgimento che una notizia del genere poteva portare con
sè.
Daryl annuì in accordo con le parole della ragazza e riprese
a
spiegare << Aveva il collo spezzato. Nessun morso. E'
morto per
il collo spezzato. >> poi aggiunse << Le
orme di Randall
e Shane erano sovrapposte, e Shane non è un segugio. Quindi
non è
andato a cercarlo. Camminavano insieme. >> non ci fu
bisogno di
aggiungere altro per intuire ciò che stava cercando di
dirgli: era
stato Shane a uccidere Randall. Ocean scosse la testa, in segno di
negazione, e abbassò di nuovo gli occhi, pensierosa "Ha gli
occhi da psicopatico. Lo avevo detto". Un enorme masso sembro
cadere su tutti i presenti: perchè Shane aveva mentito?
Perchè
inventarsi una storia del genere? Che avesse cattive intenzioni?
Ocean fu una delle poche che seppe rispondere a quest'ultima domanda,
in cuor suo aveva sempre saputo che prima o poi quel matto avrebbe
fatto qualcosa di sbagliato.
"Guardati le spalle, amico"
aveva detto a Rick quello stesso pomeriggio, e mai come in quel
momento si era ritrovata a sperare così tanto che il suo
consiglio
fosse stato preso in attenta considerazione. Temeva per la vita
dell'uomo.
<<
Per favore torni fuori a cercare Rick e Shane e vedi cosa diavolo
succede? >> chiese Lori a Daryl, preoccupatissima,
mettendo da
parte momentaneamente le informazioni che il ragazzo aveva portato
con sè, concentrandosi solo su quello che al momento
riteneva più
importante: suo marito.
<<
Contaci. >> rispose Daryl senza farsi troppi problemi e
tornando verso la porta. Lori ringraziò e si strinse le mani
davanti
al viso, come in una sorta di preghiera, terrorizzata all'idea che
potesse essere successo qualcosa a uno qualsiasi dei due. Uscirono
sulla veranda, pronti a partire per qualche spedizione notturna
d'emergenza, ma qualcosa li bloccò e attirò la
loro attenzione.
Versi e ombre. Gli occhi vennero puntati all'orizzonte, oltre il
fienile. E da lì la paura avanzava, lenta e implacabile come
pece
bollente.
<<
Cazzo. >> sussurrò Ocean zoppicando verso la
ringhiera,
guardando in lontananza, pregando che i suoi occhi si stessero
sbagliando. Max sulla porta ringhiò soffusamente e
indietreggiò
rientrando in casa.
Una
mandria enorme di zombie si stava dirigendo nella loro direzione.
<<
Patricia. Spegni le luci! >> ordinò sottovoce
Herhsel.
<<
Magari stanno solo passando. >> ipotizzò
Glenn, speranzoso più
che veritiero << Basterà chiudersi in casa.
>>
<<
No, quelli raderebbero al suolo la casa. >> rispose Daryl.
<<
Non possiamo restare qui! >> disse Ocean cercando di
mantenere
il tono di voce basso, voltandosi verso gli altri del gruppo.
<<
Carl è sparito! >> disse Lori improvvisamente
arrivando
trafelata, messa in agitazione ancora di più da
ciò che si stava
avvicinando, con gli occhi già colmi di lacrime
<< Era di
sopra non riesco più a trovarlo. >> il panico
si stava
impadronendo della donna, il panico si stava impadronendo di tutti
quanti.
<<
Non me ne vado senza mio figlio! >> disse agitata prima
di
correre di sopra insieme a Carol, incitandola e incoraggiandola
<<
Cerchiamolo, lo troveremo! >>
Andrea
li raggiunse col borsone delle armi, e Hershel cominciò a
distribuirle a tutti i presenti, preparandosi ad affrontare una
guerra.
<<
Ho fatto due conti, non ne vale la pena. >> disse Daryl
al
vecchio, cercando di dissuaderlo a sprecare colpi.
<<
Puoi andartene se vuoi. >> rispose a tono Hershel,
caricandosi
di rabbia.
<<
Non potete farli fuori tutti! >> cercò di
farlo ragionare
Ocean, indicando con un gesto del braccio l'orda che si avvicinava,
come se ancora il vecchio non ci avesse fatto caso. Erano decisamente
troppi, non sarebbero mai riusciti a vincere!
<<
Alcuni li uccideremo. Attiriamo gli altri lontano dalla fattoria con
le auto. >> spiegò Andrea prendendo la sua
arma e preparandosi
con rapidità.
<<
Cosa? >> chiese Ocean incredula, alzando la voce di
un'ottava,
non perchè non avesse capito, ma perchè riteneva
il piano davvero
stupido. Era troppo pericoloso, e quei cosi erano decisamente troppi
per riuscire a gestirli tutti.
<<
Dite sul serio? >> la seguì Daryl, incredulo
quanto lei.
<<
Questa è la mia fattoria. Io
morirò qui. >> disse
risoluto Hershel prima di caricare il colpo in canna e allontanarsi
con sguardo severo.
Ocean
lo seguì un po' con lo sguardo, credendo ancora stesse
facendo una
follia. Era da matti pensare di riuscire a gestire una roba del
genere. Era la mandria più grande che avesse mai visto. Si
voltò a
cercare complicità negli occhi di Daryl, l'unico tra i
presenti che
aveva dimostrato di pensarla come lei, e ritrovò in essi lo
stesso
sentimento incredulo, ma nessuna determinazione a fermarli.
<<
E se così dev'essere.... >> fece spallucce
Ocean,
arrendendosi. Il vecchio era stato deciso, gli altri erano d'accordo
con lui, chi era lei per giudicare e dissuaderli? Se era quello che
volevano fare, l'avrebbe fatto.
<<
Tanta strada, tanta fatica, per venire a morire qui. Manco fosse casa
mia. >> Ironizzò mentre si avvicinava ad
Andrea, ancora china
sulla sacca << Dammi una pistola per favore, non
basteranno due
urlacci ad attirarli. >> e allungò una mano in
attesa. Andrea
gli porse la prima pistola che gli capitò tra le mani,
continuando a
gestire e rufolare all'interno.
<<
Che hai intenzione di fare? >> le chiese Daryl
avvicinandosi e
mettendole una mano sul braccio, facendo parlare il suo istinto
contrariato al vederla ributtarsi in chissà quale follia.
Aveva
appurato che la ragazza non aveva freni inibitori, sarebbe stata
capace di lanciarsi tra le loro braccia senza troppi problemi, e non
era certamente la tecnica migliore. Senza considerare che ridotta
com'era sarebbe stata battuta in velocità, non sarebbe stata
in
grado di scappare.
<<
Ha detto che bisogna attirarli lontano no? Ho già fatto da
carota
d'asino una volta, posso farlo ancora. E questa volta con me
c'è
Peggy. E' veloce, sarà facile. >> disse
semplicemente prima di
allontanarsi, sentendo la presa di Daryl allentarsi.
<<
D'accordo. >> scrollò le spalle anche lui
<< E' una sera
come un'altra. >> disse prima di scavalcare la ringhiera
della
veranda. Ocean cercò di mettere velocità alle sue
gambe ormai
distrutte e raggiunse la stalla, dove Peggy già aveva
cominciato ad
agitarsi.
<<
Ehi, bella. Va tutto bene! >> disse facendole due carezze
sul
muso << Ci divertiremo, vedrai. >> non
aveva la più
pallida idea del perchè avesse detto una cosa tanto stupida,
ma
aveva bisogno di sistemare le sue emozioni, mettere da parte la paura
e l'ansia, e il modo migliore che conosceva era il sorriso e il
prendere tutto con estrema leggerezza. E poi quella volta non sarebbe
stata sola. Quella volta aveva qualcuno a guardarle le spalle. Questo
bastava a renderla un minimo più tranquilla.
Uscì
dalla stalla al galoppo e raggiunse i suoi compagni già
saliti in
auto e che già si stavano dirigendo verso il fienile, dove
sembrava
si stavano raccogliendo tutti. Percorsero in parallelo la prima
recinzione, quella che divideva la casa dal fienile e cominciarono a
sparare, buttandone giù qualcuno. Ocean tenne le redini con
la
sinistra e, continuando a correre dietro le auto, usò la
destra per
sparare qualche colpo, riuscendo a colpirne solo uno tra tanti.
<<
Avrei dovuto prendere lezioni di tiro. >>
brontolò tra sè e
sè, ironizzando ancora per evitare di disperarsi. La pistola
non
faceva proprio per lei, ma la spalla sinistra ancora dolorante per
colpa dello sparo le impediva di usare l'arco, non riusciva a fare
troppa forza con quel braccio.
Ognuno
prese la sua strada e il gruppo si divise, con l'intenzione di
accerchiarli, racchiunderli in un'unica zona e poi attirarla lontano.
Ocen si voltò a guardare la situazione al fienile e si
meravigliò
di trovarlo in fiamme: porta e finestre erano spalancate, e
all'interno si vedeva bruciare ogni cosa. Era la bocca del diavolo
che vomitava le sue creature incendiate. Vide poi il camper dirigersi
in quella direzione, probabilmente pensando, come lei stessa aveva
fatto, che se era in fiamme qualcuno doveva averlo appiccato il
fuoco: probabilmente Rick o Shane, gli unici due ancora in giro. Non
potè restare troppo tempo ferma ad osservare il fienile
perchè un
gruppo di zombie l'avevano raggiunta e stavano buttando giù
la
sottile recinzione in ferro, passando oltre. Ocean sparò un
colpo
ravvicinato, riuscendo a colpirne uno in testa poi riprese a
correrre, tornando indietro, incrociando la strada con una delle
auto, continuando a sparare benchè fosse quasi sempre
inutile. Non
aveva proprio mira e il contraccolpo della pistola spesso le faceva
cedere il braccio già debole, deviando il proiettole.
Hershel
rimasto solo davanti alla villa tentava in tutti i modi di
difenderla, tenendoli lontani, sparando a chi si avvicinava, ma la
situazione stava diventando decisamente critica: erano troppi, non
riuscivano a gestirli.
All'ennesimo
colpo sprecato Ocean perse la pazienza, tanto ormai avevano
già
fatto abbastanza rumore << Va' al diavolo!!
>> disse
rivolta alla sua pistola prima di infilarsela nella cintura.
Sfoderò
la spada dal fianco, usando come sempre solo la mano destra
<<
E torniamo alle vecchie maniere. >> disse prima di
voltarsi e
correre incontro a Hershel, quasi accerchiato, lanciandosi in mezzo
all'orda e tagliando la testa a tutti quelli a cui passava a fianco.
<<
Vedi di non sbagliare, vecchio! Io sono quella a cavallo!
>>
gli urlò prima di voltarsi ancora, una volta raggiunto, e
correre di
nuovo indietro, di nuovo in mezzo a loro, uccidendone quanti
più
possibile, stringendo i denti per la stanchezza e il dolore che il
peso della spada procurava al suo braccio.
Sentì
alle sue spalle la voce di Lori urlare disperata, chiamando suo
figlio, sparito chissà dove. Si voltò a guardare
la villa cercando
di capire cosa cavolo stesse succedendo, e vide le ragazze uscire
dall'ingresso, richiamando Hershel, decise ad andarsene.
Beth
teneva in braccio Molly, ancora un po' addormentata, ma che si stava
svegliando per via dei rumori e delle urla.
<<
Tieni la testa sulla mia spalla. >> la invitò
la ragazza: non
voleva vedesse cosa stava succedendo, si sarebbe spaventata troppo
come già stavano facendo loro.
<<
Max!! >> urlò Ocean correndo verso di loro,
avvicinandosi per
farsi sentire << Max va' con loro!! >>
ordinò al cane
che era uscito dalla casa e che di nuovo tentava disperatamente di
difendersi abbaiando. Ocean tagliò via la testa a uno zombie
che le
si era avvicinato e riprese a muoversi, a correre avanti e indietro
per non farsi prendere e continuare a sfoltire l'orda.
<<
Max, muoviti! Segui Carol! >> urlò ancora in
un istante di
pace in cui ebbe modo di rivoltarsi a guardare il suo amico. Max
guardò la sua padrona agitato, ma la sua intelligenza ancora
si
mostrò ben allenata perchè parve capire e corse
dietro alle ragazze
che si stavano dirigendo in auto. Ocean tornò a concetrarsi
sugli
zombie ed ebbe un sussulto quando se ne trovò davanti
più di quanto
immaginasse. Peggy impennò e nitrì terrorizzata,
e Ocean le fece
coro con un urlo, prima di perdere l'equilibrio e sentir cedere il
braccio che reggeva le redini. Scivolò giù dalla
sella e si ritrovò
con la faccia a terra. Aveva bisogno di più tempo, aveva
bisogno di
riprendere fiato data la caduta, ma i versi di zombie proprio dietro
le sue orecchie la fecero tornare lucida prima di quanto pensasse e
senza pensarci troppo si alzò in piedi arrancando e
scappò via,
saltellando per evitare che il suo zoppicare la rallentasse troppo.
<<
Peggy!! >> urlò guardandosi attorno, cercando
la sua cavalla.
Un'altra orda le sbucò da destra e la costrinse a deviare la
sua
fuga trascinata.
<<
Peggy!! >> urlò ancora disperata, sentendosi
al limite,
sentendo di non potercela fare, stanca e troppo lenta. Non riusciva a
correre come avrebbe voluto e quei mostri sbucavano da ogni dove.
Ovunque guardasse vedeva la fine. Non sapeva cosa fare. Senza il
sostegno della sua cavalla era solo un sacco che si trascinava e che
mai avrebbe percorso più di qualche metro. Cercò
aiuto con gli
occhi, qualsiasi tipo di aiuto, ma non c'è che fiamme e
morte.
<<
No, no! >> si lamentò sentendo le fiamme
scoppiare anche nel
suo stomaco, disperata di fronte all'evidenza che questa volta non ce
l'avrebbe fatta.
<<
Peggy!! >> urlò ancora usando tutto il fiato
che aveva,
stonando di voce, ma sforzandosi di farla arrivare il più
lontano
possibile.
<<
Ocean! >> una voce altrettando disperata la raggiunse di
rimando, facendole riaprire gli occhi, facendole rinascere un
briciolo di speranza. Non era sola! Si voltò e vide Carol
correrle
vicino. Le prese un braccio e se lo portò al collo,
aiutandola e
sorreggendola << Presto, andiamo! >> con
l'aiuto di
Carol, Ocean riuscì a correre un po' più
rapidamente e con meno
fatica, ma questo non stava loro salvando la vita, non sarebbero mai
riuscite a scappar via da sole in quelle condizioni.
<<
Peggy!! >> urlò nuovamente con tutta la forza
che aveva nei
polmoni e il suo cuore ebbe un sussulto di felicità quando
sentì il
suo nitrito di risposta e la vide comparire correndo da dietro il
capanno. Ocean sorrise felice e la richiamò più
volte, riuscendo a
farla arrivare velocemente.
<<
Presto, presto!! >> urlò ancora incitando
Carol a salire,
restando a terra e aiutandola a issarsi sulla sella. Si
guardò
attorno, tenendo monitorata la situazione: stavano per venire
accerchiati, avevano i secondi contati e la paura le stava mettendo
una fretta e un'impazienza che poche volte aveva avuto.
<<
Dai, veloce!! >> incitò e non appena Carol fu
sopra mise un
piede nella staffa e si tirò su, aiutata anche dalla stessa
Carol
che l'afferrò per il vestito e la tirò con forza.
<<
Vai, vai, vai! >> urlò alla cavalla anche se
non era ancora
salita completamente, ormai allo stremo del tempo, proprio quando uno
degli zombie stava per afferrarla e Peggy non se lo fece ripetere due
volte, agitata com'era prese a galoppare come poche volte aveva
fatto.
<<
Reggiti a me! >> ordinò la ragazza alla donna
seduta dietro di
lei, una volta sistemata a dovere sulla sella. Non era omologata per
due e ci stavano molto strette, ma l'urgenza e il bisogno di darsela a
gambe non guardava in fiaccia a certe frivolezza. Carol mise le
braccia intorno alla vita di Ocean e strinse più che
potè,
facendole anche male, ma la ragazza non si lamentò e si
concetrò
solo sulla loro fuga. Erano ovunque e riuscire a capirci qualcosa
sulla strada da percorrere era davvero un'impresa, ovunque si girava
ce n'era a decine che le andavano incontro. Il cuore prese a correre
più veloce del suo cavallo, ma strinse i denti: non doveva
cedere
alla paura e al panico. Aveva un compito adesso. Non era solo per la
sua sicurezza che doveva lottare ma anche per quella di Carol che
terrorizzata la teneva stretta a sè, suo scoglio e sua
ancora.
Sapeva cosa voleva dire aggrapparsi disperatamente a qualcuno, sapeva
cosa voleva dire avere il terrore in gola e sentire che la persona a
cui sei stretta è l'unica tua via di salvezza, sapeva che in
quei
casi non c'era desiderio e fiducia più grande. E lei non
voleva
tradirla. Si guardò attorno convulsamente, in cerca di una
via
d'uscita, e vide in lontananza le auto dei suoi compagni che se ne
andavano, ognuno per una strada diversa. Stavano scappando. Non
potevano salvare la loro fattoria. Non c'era altro da fare, ma per lo
meno erano vivi.
Ocean
sarebbe scappata di nuovo, ma questa volta non avrebbe lasciato i
suoi compagni al loro destino, non avrebbe voltato le spalle a chi
urlava disperatamente aiuto, preoccupandosi solo di salvare se
stessa.
Corse
nel tentativo di seguirne una, una qualsiasi, poco importava chi ci
fosse dentro, non voleva restare sola, dovevano restare insieme. Ma
gli zombie gli si piazzarono di nuovo davanti, impedendole di
proseguire.
<<
Merda. >> sussurrò mentre si voltava
nuovamente, riprendendo
la fuga nella direzione opposta. Trovò la sua via, il suo
buco
libero, ma avrebbero dovuto saltare una delle recizioni in ferro ,
dopodichè avrebbero corso via dai loro compagni, separandosi
e
chiedendosi se mai si sarebbero ritrovati.
<<
Dobbiamo saltare! >> urlò a Carol per
informarla, che
all'ennesimo scossone urlò terrorizzata.
<<
Carol, ascoltami, fai quello che dico! Dobbiamo saltare!
>>
spiegò ancora, voltando appena la sua testa per farsi
sentire
meglio. Carol era terrorizzata, tanto da tenere gli occhi serrati e
la testa schiacciata contro la schiena della sua amica, ma sembrava
aver capito. Ocean le diede due direttive per prepararsi al salto,
pregando avesse capito, poi fece altrettanto aggiungendo un ultimo
<<
Tieniti più forte che puoi! >>
Arrivarono
al recinto in corsa e riuscirono ad oltrepassarlo, urlando entrambe,
Carol terrorizzata, Ocean per darsi la forza necessaria a sorreggere
entrambe ed evitare di volare via da sella di nuovo. Peggy
atterrò
con successo dall'altro lato, senza nessun danno apparente se non
qualche scossone di troppo alle due in sella, e riprese a correre tra
gli alberi, in una direzione qualsiasi, non sapendo minimamente dove
si stava dirigendo. Ma ovunque andava bene, purchè non fosse
lì,
alla fattoria ormai sotto assedio e infestata. L'unico pensiero che
ora assillava la mente di Ocean era "Come li ritroveremo?".
Non voleva darsi per vinta, non voleva rinunciare così,
Carol era
legata al gruppo e sicuramente voleva ritrovarli, e lei ce l'avrebbe
riportata! Inoltre, anche lei stessa voleva ritrovarli. Voleva
ritrovare il gruppo di persone che più volte l'avevano
accolta e
salvata, anche se non la conoscevano, come fosse una di loro; quel
gruppo di persone che avevano cominciato a curarle l'anima e che dopo
tanto tempo le avevano di nuovo fatto trovare la voglia di vivere.
Doveva tornare. Doveva riabbracciare Max, e Molly...e Daryl, a cui
ancora non aveva avuto modo di dire "grazie".
Il
pericolo era passato. Se l'era lasciato alle spalle. Ma il sospiro di
sollievo non sarebbe arrivato finchè non fosse scesa da
cavallo con
la chiara intenzione di correre incontro all'abbraccio della bambina
del suo fedele amico. Perchè il suo angolo di paradiso non
era il
dove, ma era il con chi. La casa, quella meravigliosa casa che tanto
le ricordava la sua infanzia, dove i bambini potevano giocare, se la
stavano lasciando alle spalle, distrutta e in fiamme, una
dimostrazione all'evidente fine del mondo. Non c'era pace. Non poteva
esistere in quel mondo.
Un altro addio. Un'altra fuga. Ma non
tutto era perduto.
"Vi
ritroveremo."
|
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Capitolo 18 *** Genesi. (Parte 1) ***
Genesi
(Parte 1)
Mama,
life had just begun,
But
now I've gone and thrown it all away.
Mama,
didn't mean to make you cry,
If
I'm not back again this time tomorrow,
Carry
on.
Carry
on as if nothing really matters.
(Bohemian
Rhapsody - Queen)
<<
Alice!! >> una voce soffusa, nascosta da una porta,
seguiva
incessanti e allarmati "knock knock", alternandosi,
aspettando di vedere chi dei due sarebbe stato più
convincente.
<<
Alice!! >> chiamò nuovamente la voce maschile,
impaziente,
facendo sbuffare la ragazza che ferma davanti all'enorme specchio
della sua stanza stava dilettandosi nel far roteare la gonna del
vestito, osservando le dolci balze svolazzare come petali di un
fiore.
<<
Arrivo. >> annunciò scocciata lei
avvicinandosi lentamente
alla porta, oltre la quale c'era il suo insistente interlocutore.
Girò la chiave della serratura e aprì lentamente,
facendo prima
uscire lo sguardo, a controllare di aver indovinato chi fosse la
persona che tanto fremeva nell'entrare nella sua stanza. Un uragano
spalancò la porta, e in pochi secondi Manuele fu dentro,
senza dar
tempo alla ragazza di capir niente di ciò che stava
combinando,
affrettandosi a chiuderla poi alle spalle.
<<
Che diavolo! Che ti prende? >> brontolò Alice
allargando le
braccia incredula. Manuele, un ragazzo alto e magro, tanto da far
sempre sembrare i suoi vestiti vuoti, capelli così chiari da
essere
quasi biondi, ma che ancora tenevano ben stretti la loro sfumatura
castana, gli occhi verdi, opachi, fissi sulla porta che ora aveva
davanti a sè. Indossava già il suo costume
medievale, il costume da
musico che li aveva portati lì, in quella stanza d'hotel ad
Atlanta,
insieme alla sua amica e al resto del suo gruppo, convocati con gioia
da quello che si definiva semplicemente "uno dei tanti
organizzatori della fiera più fica di tutta Atlanta". Una
fiera
fantasy, ma sì sa che il fantasy e il medievale sono sempre
andati a
braccetto, e sarebbe stato fantastico per loro avere come ospiti quei
ragazzi così pieni di energia che mai smettevano di cantare,
ballare
e suonare, neanche quando i visi, ormai paonazzi, sembrava stessero
per scoppiare . E poi c'era Alice. L'angelo. I campanelli ai suoi
piedi la facevano sembrare una fata, e non solo ballava e cantava,
non solo incoraggiava, incitava il pubblico, non solo coinvolgeva i
bambini, ma era il cuore. Lei era il sogno. Lei era il sole.
Illuminava sentieri mai toccati prima, mostrava la via che conduceva
a giganteschi castelli e enormi draghi sputafuoco, e lì
armava i
suoi piccoli cavalieri improvvisati di spada e scudo e li conduceva
verso la gloria. Solo parole uscivano dalla sua bocca, ma gli occhi
della gente che si fermava intorno a lei restava incantato di fronte
alle mille immagini che quelle semplici parole riuscivano a
proiettare e rendere così reali. Lei raccontava, lei
mostrava e poi
cantava di nuovo. Inarrestabile.
<<
Hai sentito la tv? >> chiese Manuele guardando l'amica
con gli
occhi più terrorizzati che Alice avesse mai visto.
<<
No, mi stavo preparando, non ho avuto tempo... >> disse
lei
disorientata, non capendo cosa stesse accadendo. Manuele corse verso
il letto matrimoniale posto a lato della stanza e ci si
lasciò
cadere sopra, sedendosi sul bordo. Afferrò il telecomando
della
televisione appesa alla parete, poco sopra di lui e l'accese. Non ci
fu bisogno di scegliere il canale, ovunque girasse c'era sempre la
solita notizia.
<<
Influenza >>, << Follia >> e
<< Evacuazione
>> erano le parole più ripetute insieme al
nome di Atlanta.
Alice si avvicinò al suo amico e lentamente si mise a sedere
vicino
a lui, senza togliere gli occhi dalla tele, incredula e incatata di
fronte a una tale emergenza di cui non si aspettava.
<<
Ho sentito di questo nuovo virus. E' da tempo che ne parlano, ma non
hanno mai spiegato bene cosa... >> cominciò a
parlare lei.
<<
Beh, ora lo spiegano!! >> la interruppe Manuele col
panico
nella voce. Alice continuò a guardare le immagini correre
davanti a
lei, accompagnate da un fiume di parole che neanche più
ascoltava.
Tanto dicevano tutti la stessa cosa: era bene restare ben chiusi in
casa, non uscire, e se si aveva la possibilità era bene
raggiungere
Atlanta, dove stavano organizzando dei rifugi e dei soccorsi.
<<
Ma non capisco, è così terribile?
>> chiese ancora
innocentemente Alice, negando anche a se stessa ciò che la
tele
stava cercando di comunicare.
Manuele
strinse il telecomando e cambiò un paio di canali, cercando
probabilmente la risposta alla sua domanda in altre immagini.
Immagini che non tardarono a mostrare tutta la loro terribile
verità.
Gente in fuga, mostri dalle sembianze umane che li inseguivano,
spalancando le loro fauci spesso smembrate, i denti scoperti con la
chiara intenzione di mordere e lacerare. Alice scosse la testa,
incredula, e si lasciò sfuggire un sorriso: la stava
prendendo in
giro. Aprì la bocca, intenzionata a dir qualcosa, ma le
parole
fecero attendere qualche secondo prima di uscire dal loro loculo.
<<
Non esistono cose del genere. >> disse cercando di ridere
ancora << Dai, è solo un'esagerazione! Ci
stanno solo
spaventando. E' terrorismo mediatico. >> e si
voltò a cercar
conferma negli occhi del suo compagno, ma li trovò cupi,
lontani da
lei, fermi su un punto così distante da risultare
annebbiato. E le
speranze cominciarono a sgretolarsi.
<<
Manu. >> lo richiamò scuotendolo per un
braccio, e solo allora
l'amico sembrò destarsi. Si voltò a guardarla, ma
ancora la paura
non aveva lasciato i suoi occhi e questo tolse dal cuore di Alice
ogni tentativo di agganciarsi ancora all'illusione che fosse tutto
uno scherzo.
<<
Io non so. >> disse lui semplicemente, volendo dire
qualcosa ma
non sapendo bene cosa. Era confuso quanto lei.
<<
E' solo un'influenza. >> insistette Alice con un filo di
voce,
ma trovò ancora una volta un muro davanti a sè.
Nessun appiglio.
<<
Dai, smetti! Mi stai spaventando! >> brontolò
ancora, senza di
nuovo ricevere risposta.
Improvvisamente
sentirono delle voci scatenarsi nel corridoio, impetuose e colme
d'ira, tanto da accavallarsi e impedirsi l'una all'altra di
manifestarsi a pieno. Manuele e Alice riconobbero quelle voci: erano
alcuni dei membri della compagnia di spada medievale che erano andati
con loro, anche loro invitati alla famosa fiera fantasy. Avevano
quasi sempre viaggiato assieme, si esercitavano nella stessa
palestra, si conoscevano bene e avevano finito col considerarsi
un'unica squadra, tanto che Alice aveva inventato qualche storia
anche su loro e spesso le raccontava alle presentazioni della
compagnia. I due si alzarono rapidamente dal letto e corsero alla
porta, spalancandola e uscendo, curiosi di capire che stesse
succedendo.
Tre
di loro stavano parlando con altri due, sulla porta di una stanza
poco lontana dalla loro, presi tanto dalla discussione che quasi
sembrava volessero arrivare alle mani. Uno di loro, Simone, si
accorse di Manuele e Alice e abbandonò la litigata
momentaneamente,
dirigendosi velocemente verso i suoi compagni.
<<
Che succede? >> chiese Manuele non appena lui li
raggiunse.
<<
Stiamo per andarcene. >> spiegò velocemente
Simone.
<<
Cosa? >> chiese incredula Alice, spalancando gli occhi.
<<
Beh, non tutti. Stiamo provando a convincere quanti più dei
nostri,
ma non tutti sembra siano in grado di capire la gravità
della
situazione. >> disse ancora Simone.
<<
Per la storia dell'influenza? >> chiese Alice.
<<
Non è una semplice influenza! E ' molto di più, e
bisogna correre
ai ripari quanto prima o qui facciamo tutti una brutta fine.
>>
Manuele rimase in ascolto del suo amico, senza proferire parola, ma
lo sguardo deciso faceva intuire tutta la sua intenzione a seguirlo,
ovunque fossero andati. Solo Alice non si era ancora resa conto di
quello che realmente stava accadendo intorno a lei. Non capiva
perchè, se la situazione era davvero così
tragica, i suoi amici
volessero andarsene.
<<
Qui è sicuro! Stanno riunendo tutti ad Atlanta per
proteggerci! >>
disse.
<<
Appunto per questo dobbiamo andarcene! >> insistette il
ragazzo, anche lui già vestito nel suo abito nero
medievale/fantasy,
già pronto come gli altri ad andare alla fiera che mai si
sarebbe
tenuta.
<<
Ma che dici? >> disse Alice cominciando a considerarlo
pazzo.
<<
Alice >> cominciò lui comprensivo, posandole
una mano sulla
spalla. Ma non terminò la frase, sovrastato da Manuele che
comunicò,
riflettendo ad alta voce << La peste del 48.
>>
Alice
si voltò a guardarlo e ancora una volta lo sguardo assorto,
pensieroso, impaurito del suo amico le fece cadere ogni forma di
resistenza. Vedere la realtà attraverso i suoi occhi era
terrificante, perchè la più veritiera.
<<
Esatto. I luoghi più affollati erano i più
pericolosi. >>
confermò Simone, prima di tornare a guardare Alice
<< Non so
come si diffonda questo virus, ma sembra davvero che basti pochissimo
per far scatenare tutto. Un solo morso e sei come loro, impegnato a
inseguire e mangiare i tuoi compagni. >>
<<
Ma... ma magari è solo una cosa passeggera! Magari basta
tenerli
isolati, poi passa e ritornano... >> e Simone la
interruppe
caricando la frase di un sarcasmo che infastidì non poco la
ragazza
<< Normali? >> un sorriso gli
scappò << No. No,
Alice, loro non tornano. >>
<<
Oh, andiamo è appena successo! Non possono già
averla studiata,
cosa ne sai? >>
<<
Alice, sono morti!! >> disse alla fine spazientito
Simone,
prima di essere richiamato dai suoi compagni con un "forza,
andiamo!".
<<
Cosa? >> chiese la ragazza con un filo di voce.
<<
La gente muore...e poi si rialza per uccidere anche gli altri.
>>
a parlare era stato Manuele, con lo stesso filo di voce
<< E'
così che funziona. L'ho appena visto. >> in
quel momento
l'attenzione di tutti i presenti si centrò su di lui,
imbarazzato,
visibilmente traumatizzato, che tremante alzava gli occhi e spiegava
con quel poco di voce che aveva << Il ristoratore,
giù al
piano di sotto si è... >> deglutì,
trovando difficoltà ad
andare avanti << Sono sceso e l'ho trovato appeso per il
collo
che ancora si dimenava. Poi ha smesso. E poi ha ripreso. Ha cercato
di afferrarmi. >>
Alice
guardò sconvolta Manuele, incredula che potesse essere
successo
davvero una cosa simile, sembrava impossibile, nemmeno lei nelle sue
fiabe aveva mai immaginato una cosa tanto assurda. Ma stava
succedendo davvero. Non ci credeva ancora, eppure il cuore le diceva
che doveva smettere di combattere.
<<
E' impossibile. >> sussurrò lei, non riuscendo
ancora ad
accettare la chiara realtà.
<<
Dobbiamo andarcene di qua, prima che ci impediscano di farlo. Quando
vedranno il panico scatenarsi, quando vedranno che le loro mura non
sono abbastanza per proteggere la città, ci metteranno una
specie di
quarantena per contenerci e controllarci. >>
esortò Simone
afferrando Alice per un braccio e cominciando a trascinarla via.
<<
Aspetta! Ma...le nostre cose? >> chiese lei opponendo la
minima
resistenza.
<<
Non c'è tempo! Dobbiamo andare ora! >>
<<
Ma dove? Dove andremo? >> chiese ancora lei, sull'orlo di
una
crisi di pianto. Era un incubo, tutto un terribile incubo, non poteva
essere altrimenti!
<<
Al porto! Gli aerei ormai non partono più, è
inutile anche tentare.
Andremo al porto, magari c'è qualche nave che ancora salpa.
Torniamo
a casa e ce ne andiamo di qua, è la cosa migliore.
>> spiegò
ancora Simone, camminando spedito, trascinandosi una ragazza che
ancora puntava i piedi, non convinta.
<<
Aspetta!! >> urlò ancora lei, scuotendosi e
riuscendo a
liberarsi.
<<
Che c'è ora? >> chiese lui spazientito.
<<
Micky! Non lo lascio qui! >> urlò in risposta,
determinata,
prima di correre via, ignorando i richiami dei due ragazzi.
Arrivò
velocemente in camera e si guardò attorno, colta da
un'improvvisa
fretta. Non era convinta ed era terrorizzata all'idea di correre
fuori dall'unico punto di riferimento che avevano, andandosi a
perdere in una terra che non conosceva neanche sulla cartina. Ma se i
suoi amici se ne andavano, lei sarebbe andata con loro. Non voleva
restare sola per nessuna ragione.
<<
Micky, dove sei?! Dobbiamo andarcene! >>
chiamò lei mentre
correva al suo comodino e afferrava la sua borsa in tessuto rosso,
morbida e comoda, cucitogli a mano da sua nonna. Aprì i
cassetti e
ci infilò dentro le prime cose che trovò, qualche
fazzoletto,
qualche mutanda, una bottiglia d'acqua e cianfrusaglie varie.
Afferrò
anche il suo biglietto di ritorno, con il suo posto prenotato che ora
non sarebbe servito più, e tutti i soldi che si era portata
dietro.
Portafoglio e macchinetta già le aveva dentro, insieme alle
chiavi
di casa. Il minimo indispensabile.
<<
Micky!! >> chiamò ancora, innervosendosi un
po' per il fatto
che il suo cagnolino dispettoso non rispondesse e chissà
dove
diavolo era andato a cacciarsi. Non aveva tempo da perdere!
Delle
urla, seguito da uno sparo, proveniente dal piano di sotto la fecero
sussultare. Era la prima volta che sentiva sparare, e quasi non se
l'era fatta sotto.
Il
ristoratore, si ricordò.
Rimase
per qualche secondo schiacciata al muro dietro di sè, il
cuore che
correva all'impazzata, il fiato che mancava, e sentì
improvvisamente
tutta l'urgenza che tanto decantava Simone.
<<
Dobbiamo andare. >> sussurrò a se stessa,
cercando di darsi
forza e sottolineando a se stessa quanto poco tempo avesse da perdere
in cavolate.
<< Micky,
dobbiamo andare! >> ripetè facendo due passi
rapidi verso il
bagno, unico posto dove poteva essersi rifugiata la piccola palla di
pelo, visto che non la vedeva da nessuna parte. Spalancò la
porta e
il cuore le salì così in alto in gola da
soffocarla e impedirle
perfino di urlare.
Rimase
paralizzata di fronte al mostro dagli occhi di ghiaccio, la bocca
ricoperta di sangue, impegnata ad affondare i propri denti tra il
pelo bianco insanguinato, arruffato, del suo piccolo compagno di
viaggio. Lo zombie alzò gli occhi, sentendo una presenza al
suo
fianco, e guardò la ragazza immobile a un paio di metri da
lui. Le
rivolse quello che tanto sembrava una specie di ruggito e
lasciò
cadere il corpicino inerme a terra, prima di alzarsi e barcollare
verso la sua nuova preda, che poco sembrava intenzionata a fuggire
via.
<<
Oh mio Dio. >> riuscì solo a sussurrare Alice,
incapace di
dire altro, incapace di respirare. Il petto si muoveva in avanti e
indietro, dilatandosi come mai aveva fatto prima, ma l'aria non
arrivava dove doveva.
<<
Tu... cosa.... >> non sapeva neanche lei cosa stesse
cercando
di dire al suo ospite indesiderato, non sapeva neanche lei se essere
più terrorizzata di fronte a una scena tanto cruda e macabra
o
disperata per la perdita del suo adorato Micky.
<<
L'hai mangiato. >> disse con un filo di voce, guardando
l'assalitore che non sembrava essersi saziato con ciò che il
suo
amico gli aveva offerto e voleva prendersi la portata principale. Ma
questo Alice non riusciva a metterlo a fuoco. Era tutto così
assurdo. Tutto così inverosimile. Non poteva essere reale.
Micky non
era morto davvero. Quel mostro non era vero.
Ora
si sarebbe svegliata.
Certo.
Micky l'avrebbe svegliata con un paio di leccate.
Una
mano si serrò intorno al suo braccio, stringendola tanto da
farle
male, e la tirò via appena in tempo, prima che lo zombie
potesse
scaraventarsi su di lei.
Alice
non vide chi l'aveva afferrata e non vide dove stava andando. Sentiva
solo che veniva tirata e d'inerzia correva. Scappava da un incubo. Ma
negli incubi non si scappa davvero. Negli incubi il tempo si
ferma...e poi ci si sveglia.
Delle
voci intorno a lei parlavano, ma erano ovattate, indecifrabili. Forse
qualcuno la chiamava.
Forse
qualcuno la stava svegliando.
Ma
perchè non apriva gli occhi?
<<
Alice! >>
<<
Alice!!! >> una gioiosa voce melodiosa la costrinse ad
alzare
lo sguardo. Era esausta, la vista era annebbiata e si reggeva sulla
sella a stento. Più volte quella notte era riuscita a non
cadere
solo grazie al sostegno delle graziose mani delicate dell'amica
seduta dietro di lei. Carol.
Aveva
creduto di non farcela. Aveva bisogno di dormire, riposare, mangiare
e soprattutto controllarsi. Sentiva la mano sinistra umidiccia, ed
era quasi certa di aver sentito Carol sussultare allarmata dicendo
<<
Stai sanguinando! >> ma forse se l'era solo sognato.
Ma
improvvisamente divenne tutto luminoso.
Aveva
seguito alla lettera le istruzioni di Carol, seguendo l'unica strada
che al momento le veniva alla mente, l'unico punto di riferimento che
avevano ancora: l'interstatale, dove avevano lasciato i rifornimenti
per Sophia. Non era sicura che lì avrebbero trovato gli
altri, ma
almeno ci sarebbe stato qualcosa da mangiare e da bere, e magari
avrebbero potuto infilarsi in qualche macchina a riposare. Avevano
proseguito tutta la notte, e quella meravigliosa voce, colma di
gioia, le aveva fatto aprire gli occhi e guardare davanti a
sè.
Erano
arrivati.
Un
nodo le si formò alla gola quando vide il gruppo dei suoi
amici
riuniti poco lontani da loro. Solo allora si rese conto che aveva
temuto davvero di non rivederli. Aveva proseguito senza davvero avere
un vero obiettivo, guidata solo dalla voce di Carol che dolcemente le
supplicava di portarla in un posto sicuro. Ma nonostante il desiderio
e la determinazione, non era stata davvero sicura di poterli
ritrovare. La vita più volte le aveva portato via da sotto
il naso
la felicità appena concessa. Sembrava volesse giocare con
lei.
Ma
non quella volta.
Quella
volta aveva vinto lei.
<<
Oh mio Dio! >> si lasciò sfuggire in un
sussurro, colta da
un'improvvisa ondata di gioia, una felicità che per un
secondo le
diede vita nuova.
Scese
velocemente da cavallo, lasciandolo all'ignoto, non preoccupandosi di
tenerlo o di assicurarsi che il suo passeggero stesse bene. Scese e
lo lasciò lì: qualcuno lo avrebbe ripreso. Poco
importava al
momento.
Fece
qualche rapido passo in avanti prima di lasciarsi cadere a terra,
inginocchiarsi e allargare le braccia, pronta ad accogliere la
piccola scheggia dai capelli rossi e gli occhi pieni di lacrime.
L'aveva chiamata col suo vero nome, ma era stata così felice
di
rivederla che aveva ignorato l'accaduto, senza nemmeno chiedersi come
faceva a saperlo. La strinse forte a sè, affondando il viso
tra i
suoi morbidi capelli,e stringendo i suoi vestiti tra le dita, con
rabbia e disperazione che andavano dissipandosi nel calore di
quell'abbraccio.
<<
Stai bene! >> pianse Ocean, un'affermazione rivolta a se
stessa, per constatare che era vero ciò che vedeva e
stringeva. Non
stava sognando. La strinse ancora più forte, non
preoccupandosi se
le faceva male o meno, tanto la bambina era così presa a
piangere e
abbracciarla a sua volta che nemmeno ci faceva caso. Poi
allontanò
il suo viso dalla sua spalla e cercò con gli occhi quello di
Molly,
che trovò rigato di lacrime, ma illuminato da un sorriso
splendente.
<<
Stai bene. >> disse ancora Ocean scostandole una ciocca
di
capelli dagli occhi << Stai bene. >> pianse
ancora, non
trattenendosi, proprio come la tenera figura che ancora stringeva tra
le dita e che annuiva ad ogni frase. Molly si lanciò di
nuovo tra le
sue braccia, e la strinse ancora. Ocean ricambiò il suo
abbraccio
disperato, prima di allentare un po' la presa, smettendo di
stritolarla a sè, constatato ormai che stava bene ed era
lì con
lei. Alzò gli occhi verso gli altri componenti del gruppo e
assistette commossa al loro ritrovo. Carol si fece il giro di tutti,
abbracciandoli, piangendo, non risparmiando nessuno e nessuno si fece
risparmiare. Sembrava fossero stati via da anni, era incredibile
pensare che invece era passata solo esclusivamente una notte. Una
terribile notte di fuoco.
Max
scese da un auto, lentamente a causa della sua zampetta ancora
dolorante, e abbaiò scodinzolando follemente. Ocean prese
Molly in
braccio, che ancora non sembrava decisa a mollarla, e si
avvicinò
velocemente al suo fedele compagno, altrettanto contento di
rivederla. Si inchinò nuovamente e lo strinse a
sè.
<<
Max, amico mio! >> sussurrò commossa,
accarezzandolo e
strofinando il suo viso contro il lungo pelo ispido del suo collo e
lasciando che lui la ricambiasse con qualche slinguazzata. Era
così
felice che mugolava e questo la riempiva ancora più di
gioia.
Improvvisamente una mano si posò sulla sua spalla,
costringendola a
voltarsi, richiamata, e incrociò il volto commosso e
altrettanto in
lacrime di Maggie. Ocean si alzò, raggiungendo la sua
altezza, ma
Maggie non aspettò che fosse completamente in piedi per
stringere le
sue braccia intorno al collo della ragazza.
Da
quanto tempo non veniva abbracciata.
Non
riuscì a trattenere altre lacrime. Davvero stava accadendo?
In
passato non ci avrebbe mai scommesso neanche un soldo. Aveva sempre
pensato che sarebbe morta sola, e anche quando aveva incontrato il
gruppo di Rick aveva sempre pensato la stessa cosa. Sentiva di non
far parte di quella realtà, benchè le sarebbe
piaciuto. Lei non era
parte della famiglia.
Ma
Maggie stava smentendo anche quella credenza, che andava ad
accumularsi a tutte le altre che in quei giorni l'avevano finalmente
lasciata in pace. Strinse i pugni e si sentì impotente di
fronte al
fiume di singhiozzi che uscirono dalla sua gola, senza darle neanche
la possibilità di prepararsi con un preavviso.
Era
sempre stata debole. Aveva sempre pianto in quei giorni, ma quella fu
la prima volta che mostrò quella fragile umanità
anche agli altri
suoi compagni. Beth le si avvicinò, intenerita, e le
posò una mano
sul braccio, accarezzandola, facendole sentire la sua presenza e
sperando di confortarla in qualche modo. Maggie la strinse ancora di
più. Una coperta, calda e soffice, a curare le sue ferite e
smettere
di farla tremare intimorita dalle ombre della notte.
Da
quanto tempo non veniva abbracciata.
<<
Hanno preso Micky. >> continuò a singhiozzare
la ragazza
seduta a terra, raccolta in se stessa, in mezzo agli alberi,
finalmente lontani da quella città che già
cominciava a dare i
primi segni di cedimento. Intorno a lei c'era qualcuno dei suoi
compagni, alcuni con volti spazientiti, altri dispiaciuti. Manuele
era l'unico inginocchiato a terra, con una mano poggiata sul suo
braccio, che cercava di confortarla con delle carezze.
<<
Lo hanno mangiato davanti ai miei occhi. In camera mia.
>>
spiegò ancora scossa dai singhiozzi. Nessuno dei presenti
riusciva a
proferire parola, a interrompere il suo dolore. Erano tutti
spaventati, ma erano ancora lucidi il necessario a capire cosa andava
fatto. Lei no. La disperazione l'aveva accecata. Si era lasciata
cadere a terra, quando si era ripresa dal suo trance, quando aveva
cominciato a capire e mettere a fuoco gli eventi, e lì era
rimasta a
piangere, costringendo tutti a fermarsi. Non voleva proseguire. Dove
avevano intenzione di andare? Non conoscevano quel posto, non
conoscevano nessuno. Erano lontani centinaia di chilometri da casa,
come potevano sentirsi così tranquilli e sicuri?
Perchè anche loro
non cadevano nella sua stessa disperazione?
<<
Cosa diavolo era? >> urlò alzando gli occhi,
puntandoli verso
l'unico che finora sembrava saperne più degli altri: Simone.
Era
stato lui, insieme a Lorenzo e Federico, a parlarne per primo, a
ipotizzare che la cosa migliore fosse andarsene e a cercare di
reclutare quanta più gente possibile. Era stato lui a
guidarli fuori
dalla città, aiutati da un cittadino che come lui aveva
avuto la sua
stessa trovata. Fuori appena in tempo, prima che i militari
cominciassero a impedirlo, esasperati di fronte a tutto quel caos,
così come era stato previsto.
<<
Non lo sappiamo. >> cercò di rispondere
Manuele con dolcezza.
<<
Quelle cose...mangiano i vivi! Hanno mangiato Micky!! >>
urlò
ancora Alice, cominciando a far spazio alla rabbia, sfogando come
poteva tutto quel terrore che si stava impossessando di lei.
<<
Fai silenzio, Alice! >> l'ammonì Claudio.
<<
Se urli li porterai qui! Seguono i rumori. >>
informò Marta
visibilmente innervosita da quel contrattempo così
pericoloso.
<<
Cosa? Cosa porterò qui? >> urlò
ancora Alice << Cosa
sono? >> chiese con più incisività.
<<
Non ne abbiamo idea. >> rispose con altrettanta fermezza
Manuele di fronte a lei, costringendola a guardarlo << Ne
sappiamo quanto chiunque altro! E ciò basta. Ora devi
alzarti e
camminare. Dobbiamo andarcene da qui. >> Alice
sembrò calmarsi
un po', all'ordine così deciso del suo amico non
potè che
rispondere con la tranquillità che pretendeva. Non smise di
piangere, ma smise di urlare e di provare rabbia.
<<
Ma dove andremo? >> sussurrò lei con un filo
di voce, facendo
trapelare questa volta tutta la sua disperazione.
<<
All'Oceano. >> rispose Simone, guardando verso una
direzione
ben precisa, probabilmente quella che avrebbero preso. Nessuno
l'aveva nominato Capo-spedizione, ma non era stato necessario.
Sembrava il più informato e il più sicuro, a
differenza di tutti
gli altri che neanche sapevano dove dirigere lo sguardo. Lo avrebbero
seguito perchè lui aveva una strada da percorrere. Si
voltò a
guardare i suoi amici << Gli aerei non partono
più, ed è
inutile anche solo provarci. Penso che in qualche giorno di cammino
dovremmo riuscire ad arrivarci, se proseguiamo dritto e non ci
perdiamo. Lì ci sarà pure un porto. Troveremo una
nave, un
traghetto, una cazzo di zattera, qualsiasi cosa! >> si
rivoltò
a guardare nella direzione precedente << Torniamo a casa.
>>
Una
suonata di Clacson comunicò alla seconda macchina, davanti a
lui, e
a Daryl sulla sua moto a capo della fila, che qualcosa non andava e
bisognava fermarsi. Dalla macchina che aveva suonato, l'ultima della
coda, scese Rick, nervoso più che mai: glielo si leggeva nei
movimenti. Si avvicinò a Daryl che gli chiese, intuendo, se
era
senza benzina.
<<
Neanche un goccio. >> rispose Rick col tono
più nervoso e
scocciato che Ocean avesse mai sentito prima. Si avvicinò al
resto
del gruppo, trottando sulla sua Peggy, che fino a quel momento aveva
pazientemente corso dietro alle macchine, a chiudere la fila, col
compromesso che però loro non fossero andati troppo veloci,
o
l'avrebbero uccisa di fatica.
<<
Vedi la fortuna di avere un mezzo che non va a benzina?
>>
disse distrattamente, senza la reale intenzione di comunicare.
<<
Non ci stiamo tutti in un auto. >> disse Glenn, cercando
il più
velocemente una soluzione che non li costringesse a fermarsi.
<<
Domani dobbiamo andare a cercare la benzina. >>
comunicò Rick,
facendo intuire quali fossero i suoi progetti per la serata.
<<
E passare la notte qui? >> Carol esternò a
voce i pensieri di
tutti.
<<
Sto gelando. >> piagnucolò Carl, stringendosi
a se stesso e
schiacciandosi con la schiena a sua madre, che cercò di
rassicurarlo, per quel poco che era possibile, con un <<
Accenderemo un fuoco. >>
<<
Non possiamo stare qui con i culi al vento. >> disse
Maggie con
tranquillità: la sua non era una richiesta. Suo padre
l'ammonì e
cercò di calmare gli animi che già si stavano
scaldando con un <<
Niente panico. Date retta a Rick. >>
Da quando la sua
fattoria era caduta sembrava diventato un'altra persona. Aveva messo
completamente da parte i pregiudizi e gli asti, e si era
completamente abbandonato alla fiducia per il loro Capo squadra. Non
sapeva bene qual era stato il meccanismo, ma ora sentiva che Rick era
la cosa più importante e fortunata che fosse mai capitata
sulla sua
(ormai non più) terra.
Rick
cominciò a dare come suo solito direttive, a organizzare i
turni di
guardia e cercare di rendere sicuro quel posto desolato in mezzo al
nulla, accerchiato dagli alberi che impedivano di vedere chi si
stesse avvicinando. Era uno dei posti più pericolosi mai
scelti per
accamparsi, ma che alternativa avevano?
Per
quanto Ocean si sentisse fortunata a non avere un mezzo a benzina,
non era comunque libera di proseguire spedita per ore. Peggy era
stanca, aveva bisogno di riposare, e quella pausa avrebbe fatto bene
anche a lei. Le accarezzò il collo, sempre affettuosa verso
chi più
volte le aveva salvato il culo, e scese, liberandola di un peso. Non
si era ancora ripresa, era stanca e dolorante, e la ferita alla
spalla si era riaperta nella fuga dalla fattoria, per quel motivo si
era sentita la mano umida. Aveva perso molto sangue e non era in gran
forma. Per quel motivo dovette ancora una volta reprimere il suo
desiderio di offrirsi per fare un giro e magari andare a cercare
qualcosa di utile. Hershel le aveva sistemato alla ben e meglio la
ferita, con quel poco trovato nelle auto intorno a loro, ma questo
non le aveva concesso una sicura guarigione. Doveva stare attenta, o
sarebbe morta senza bisogno che qualcuno la uccidesse.
<<
Max e Peggy hanno un buon fiuto. Se qualcosa si avvicina se ne
accorgerebbero. >> cercò di intervenire lei
nelle
rassicurazioni. Era sempre stata quella grande verità a
salvarla per
mesi e farla girare con relativa sicurezza, ma i suoi compagni non
sembravano affidarsi invece tanto come lei. Forse perchè non
si
erano mai trovati nella situazione di dover scappare sentendo il cane
ringhiare: non avevano prove. Poco importava. Ocean sapeva che era
così, e ciò bastava.
<<
Lo so che la situazione è brutta! >> rispose
Rick alle
continue obiezioni dei suoi compagni, che ancora non sembravano
tranquilli e convinti << Tutto questo è stato
un inferno ma
almeno ci siamo ritrovati. Ormai non ci speravo più, ma ce
l'abbiamo
fatta! Stiamo insieme, adesso. Continuiamo così.
>> fece una
pausa, sforzandosi di mandar via le angoscie che schiacciavano la sua
gola. Era responsabile di un intero gruppo, era lui che doveva
pensare a salvarli e rassicurarli, e si sentiva impotente, ma questo
non doveva trapelare. Loro si aggrappavano a lui, e lui doveva
continuare a sostenerli, costasse quel che costasse.
<<
Troveremo rifugio da qualche parte, ne sono convinto! >>
concluse sperando di essere abbastanza convincente. Speranza vana.
Glenn ribattè << Guardati attorno! Ci sono
zombie dappertutto.
>>
Ma
Rick non si diede ancora per vinto << Ci dev'essere un
posto
che non sia solo un rifugio, ma che possiamo fortificare! Dobbiamo
solo trovarlo. >>
<<
Anche se lo trovassimo, non sapremo per quanto sarebbe sicuro. Guarda
cos'è successo alla fattoria: ci siamo illusi che fosse
sicura. >>
a rispondere questa volta era stata Maggie.
<<
Non faremo lo stesso errore di nuovo. >>
l'ammonì suo padre.
<<
Ok, sentite... >> intervenì Ocean
<< So che non ho voce
in capitolo, nessuno ascolta mai la nuova arrivata, ma io credo (e
dovreste crederlo anche voi) che quello che ora ci sta succedendo non
è poi una così brutta situazione. >>
<<
Stai scherzando, vero? >> disse Glenn cercando di
trattenere
una risata sarcastica, come se avesse appena sentito una barzelletta.
<<
Il morire là! >> alzò la voce
Ocean, puntando il dito in
direzione della fattoria abbandonata << Sarebbe stata una
brutta situazione. Il trovarci soli, ognuno per i fatti propri,
sarebbe stata una brutta situazione. O rimanere bloccati dentro casa,
senza aver possibilità di uscire neanche per andare a
cercare da
mangiare. >> guardò Glenn dritto negli occhi
<< Quelle
sarebbero state brutte situazioni. Ma non questa. Siamo vivi, lontano
dall'orda, e soprattutto insieme! >>
<<
Si, ma non sai ancora per quanto! >> rispose a tono
Glenn,
ricambiando il suo sguardo deciso e facendo un passo in avanti verso
di lei.
<<
Basterà tenere gli occhi aperti e guardarci le spalle gli
uni con
gli altri. >> continuò a insistere Ocean
<< E Rick mi
pare abbia dimostrato più volte di saper gestire la
situazione, può
farlo ancora. Basterà ascoltarlo. >>
<<
No, non basterà, l'hai visto alla fattoria! >>
disse ancora
Glenn, scaldandosi decisamente troppo.
<<
Alla fattoria eravate tutti dei buoni a nulla, aggrappati alla vostra
convinzione che mai vi sarebbe successo niente e non guardavate
più
in là del vostro naso! >> anche Ocean stava
cominciando ad
alterarsi, incredula di fronte a una tale scena: erano ancora
assieme. Non erano morti! E lui ancora non capiva che doveva solo
ringraziare, e non buttare all'aria ogni speranza. Avevano una
possibilità, e loro non la vedevano.
<<
E dovremmo aggrapparci ora alla convinzione che andrà tutto
bene?
Ora che siamo sperduti in mezzo al nulla, circondati da
chissà cosa
che potrebbe attaccarci da un momento all'altro? >>
<<
Non sto dicendo questo, dico solo che dovresti perlomeno ringraziare
e tirar fuori le palle, finalmente, invece che buttarti per vinto e
disperarti! Abbiamo ancora una possibilità! >>
<<
Dove la vedi qui questa possibilità?! >>
urlò Glenn,
arrivando al culmine della sua rabbia.
<<
Ok, ora basta! >> intervenì Rick, ponendosi
nel mezzo tra loro
due e fulminandoli entrambi, convincendoli con così poco a
ritornare
ai propri posti. Era pur sempre il leader.
Non
aggiunse altro, non diede il suo punto di vista, o avrebbe alimentato
il fuoco del litigio. Accantonò il tutto, e tornò
a concentrarsi su
quello che andava fatto, cominciando a mettere dentro la sua testa
ogni pezzo al proprio posto.
<<
Ci accamperemo laggiù, stanotte. E all'alba ci metteremo in
cammino.
>>
<<
Credi sia la cosa giusta? >> chiese Carol a Daryl, forse
cercando sostegno alla loro tesi del non fermarsi, o forse solo
perchè continuava ad avere un occhio di riguardo nei suoi
confronti
e desiderava solo avere la sua opinione: poco le importava del resto
del gruppo.
<<
E se arrivassero degli zombie? O gente come gli amici di Randall?
>>
chiese Beth, per niente provocatoria, solo incredibilmente
spaventata. Daryl si ricordò, a sentire la domanda, di
un'informazione che doveva dare a Rick << Sai che ho
trovato
Randall. Era uno zombie e non era stato morso. >> Ocean
aveva
già detto la sua in proposito, ma le sue spiegazioni erano
state
così vane da non aver soddisfatto per niente la
curiosità dei
presenti. E poi loro avevano bisogno di sentirselo dire da chi di
dovere, non dalla prima sconosciuta capitata in casa loro.
<<
Cos'è successo? Dimmelo. >> disse Lori,
ponendo la frase sotto
forma di richiesta, ma il tono con cui l'aveva pronunciata faceva
intuire che non lo era. Rick non parlò. E non li
guardò. Non si
aspettava di dover raccontare quell'episodio proprio in quel momento,
ed era ancora tutto troppo vicino a lui, gli faceva ancora male.
<<
Shane ha ucciso Randall come voleva fare dall'inizio. >>
a
parlare era stato Daryl, espondendo le sue conclusioni, e a giudicare
dal silenzio di Rick sembrava aver indovinato.
<<
E gli zombie l'hanno raggiunto? >> chiese Lori non
capendo cosa
in realtà fosse successo. Rick continuò a non
rispondere,
pensieroso, trovando la forza per poter dare la triste notizia. Si
prese il suo tempo. E poi riuscì
<<
Siamo tutti infetti. Qualsiasi cosa sia ci ha contagiati tutti.
>>
<<
E non ci hai detto niente? >> chiese Carol incredula.
<<
Tu lo hai sempre saputo? >> gli fece eco Glenn,
esprimendo la
stessa incredulità e lo stesso rancore che pian piano,
silenzioso,
cresceva nei loro cuori. Era plausibile, non tanto perchè
Rick
avesse davvero sbagliato, ma perchè la tensione che si
portavano
dentro per gli eventi della giornata era troppa e per forza dovevano
aggrapparsi a qualcosa per potersi liberare. Dovevano sfogare rabbia
e delusione, ma avevano bisogno di un capro espiatorio.
<<
Avrebbe fatto differenza? >> si giustificò
Rick,
giustificazione che alle orecchie di Ocean sembrava ok.
<<
Non spetta a te deciderlo! Quando io ho scoperto gli zombie nel
fienile l'ho detto! Per il bene di tutti! >>
continuò Glenn,
che tra tutti stava dimostrando di essere quello più
alterato.
<<
Ho pensato che fosse meglio che non lo sapeste. >>
rispose Rick
sfoggiando il suo sguardo più severo e duro. Si stava
scatenando una
specie di ribellione tra i suoi compagni e doveva spegnere le
scintille da subito, prima che scoppiasse un incendio. Doveva far
appello a tutta la sua forza e tutta la sua superiorità.
Cosa che
sembrò funzionare. Guardò i suoi compagni negli
occhi, uno ad uno,
continuando a trasmettere a ciascuno di loro la furia che si stava
scatenando dentro lui. Dovevano stare al loro posto. Lui era quello
carico di responsabilità, lui era quello a cui si erano
appoggiati
per salvarsi il culo, e ora dovevano solo stare zitti e continuare a
fare quello che diceva. Visto che per così tanto tempo lo
avevano
caricato di responsabilità, ora era bene rispettassero i
ruoli.
Lasciò
il gruppo in silenzio, e si allontanò.
<<
Cazzo! >> urlò Simone lanciando via un mattone
raccolto da
terra. Davanti a lui si apriva e si perdeva all'orizzonte il fiume
Savannah che portava all'Oceano, spettacolo che aveva lasciato senza
fiato Alice la prima volta che l'aveva visto, prima di arrivare d
Atlanta, quando si erano concessi due giorni di vacanza a spasso per
l'America.
<<
No! >> urlò ancora sfogando la rabbia con
gesti plateali,
sbattendo i piedi e continuando a gesticolare. La furia si leggeva
nei suoi occhi, e chi poteva negargliela? Erano arrivati a
destinazione. Ci avevano messo più del dovuto, quasi due
settimane
erano passate da quando avevano lasciato Atlanta affogare nella sua
melma. Erano stati costretti a deviare più volte, cercando
di
evitare i villaggi e le cittadine, cercando di restare sempre coperti
dagli alberi. Al momento il pericolo si concentrava nelle
città,
pochi zombie avevano incontrato lungo la via tra i boschi e i campi,
ed erano riusciti a cavarsela fuggendo via. Ma questo non era sempre
bastato. L'acqua era finita in pochi giorni e il cibo aveva
cominciato a far sentire veramente la sua mancanza. Erano stati
costretti ad inoltrarsi nei villaggi qualche volta per cercare
rifornimenti. Avevano sempre trovato il necessario, non tutto era
stato ancora saccheggiato, e la fortuna li aveva portati a trovare
anche il magazzino di un ferramenta dove avevano trovato le pietre e
la mola necessarie ad affilare le loro spade. I ragazzi della
compagnia d'arme se le erano portate saggiamente dietro, prevedendo
che forse ce ne sarebbe stato bisogno. Purtroppo la fortuna non aveva
sorriso sempre in quelle due settimane.
Susy
era stata persa quasi subito, a Lithonia.
Poco
dopo, nell'ombra della notte, dei mangiatori di carne avevano preso
Nicola e Marta, durante una loro momentanea fuga amorosa tra gli
alberi.
E
per concludere Federico era stato morso il giorno prima del loro
arrivo al porto di Savannah, il più importante della
Georgia,
edificato proprio lì sull'omonimo fiume. Si trascinava in
giro,
dolorante e affaticato, ma reggeva e Simone era intenzionato a
riportarlo a casa ad ogni costo.
Ma
al tempo non sapevano ancora cosa poteva fare un morso.
E
ora erano lì, davanti all'immensa distesa d'acqua,
circondati da
casolari e container.
Tutto
assolutamente abbandonato.
Non
c'era più nessuno nei paraggi se non qualche zombie che
vagava
solitario sul ponte dell'unica nave rimasta. E loro certo non avevano
idea di come si guidasse una nave, nè tanto meno avevano il
coraggio
di salire e affrontare chissà quanti zombie col rischio di
rimanerci
tutti secchi.
Federico
ebbe un cedimento e quasi non rischiò di cadere a terra se
non fosse
intervenuta subito Alice a sorreggerlo. Lo guardò
preoccupata: era
pallido, bollente e respirava a fatica.
Simone
cominciò a fare avanti e indietro, camminando nervosamente,
torturandosi i capelli con una mano, continuando a bofonchiare
bestemmie e ringhiare come una bestia. Erano due settimane che
giravano per quella terra, senza niente, tre dei suoi amici erano
morti sotto i loro occhi e questo lo aveva completamente distrutto.
Stava cominciando a perdere la testa, a non farcela più. Era
arrivato al porto appoggiandosi a quell'ultima disperata via
d'uscita, e ora anche quella non c'era più.
<<
C'è uno Yacht la'. Magari riusciamo a farlo funzionare.
>>
provò a intervenire Gabriele.
<<
Come cazzo pretendi di attraversare l'oceano con uno Yacht! Ci
bloccheremmo in mezzo al nulla senza benzina. >>
urlò Simone,
ormai allo stremo, attaccandolo e dimenticandosi per un attimo che
erano tutti sulla stessa barca.
<<
Magari con dei remi, o delle vele, riusciamo a... >>
provò a
supporre sempre Gabriele, alla disperata ricerca di un modo per
andarsene, ma credendoci ben poco anche lui.
<<
Remi o vele? >> chiese incredulo Simone. Nei suoi occhi
si
poteva leggere la furia di un orso. Si avvicinò all'amico a
grandi
passi, minaccioso, serrando i pugni e cominciando a urlare
<<
Remi o vele? Mi prendi per il culo?! >>
<<
Stai calmo amico, stavo solo cercando di aiutarti. >>
rispose
Gabriele infastidito per il tono con cui si era rivolto Simone a lui.
<<
Metti le ali, se vuoi veramente aiutarmi e portaci lontano da
quest'inferno! >> gridò ancora allargando le
braccia a
indicare tutto quello che li circondava.
<<
Datti una calmata, ok! >> urlò Gabriele
incazzandosi
veramente. Era fuori di testa, non riusciva più nemmeno a
distinguere i nemici dagli amici. Simone fece un paio di respiri
profondi, bofonchiando incredulo << Io devo calmarmi?
>>
e annuendo nervosamente si voltò a guardare la distesa
d'acqua
dietro di lui. Fece un altro paio di respiri profondi, ma non
riuscì
a trovare la pace necessaria. Era accecato dalla rabbia, anche se
Gabriele certo non ne aveva colpa, e seguì l'istinto quando
si voltò
di scatto e gli diede un cazzotto in faccia. Tutti i presenti
lanciarono delle urla, spaventati e sorpresi, Gabriele di suo invece,
datosi il tempo per capire cosa fosse successo, si ricompose subito e
rispose al colpo.
<<
Ehi, no! >> urlò Mario, il più
grande della compagnia, e si
avvicinò subito ai suoi amici cercando di fermare
l'inevitabile
rissa che si stava scatenando. Bloccò Simone, mentre
Caludio,
raggiunti gli amici, si piazzò davanti a Gabriele, impedendo
ai due
di incontrarsi.
<<
Basta, calmatevi! >> urlarono all'unisono Mario e Claudio.
<<
Tu hai qualcosa che non va, Simone! Datti una regolata!
>> gli
urlò Gabriele dalla spalla del suo amico.
<<
Io vi ho portati fin qui! Io vi ho portati fin qui! >>
continuava a urlare Simone, accecato dalla rabbia di fronte alla dura
verità: giorni interi di cammino, fame, sete e fatica, tre
morti e
un ferito, per arrivare assolutamente al nulla! Lui aveva costretto i
suoi amici ad andare avanti, era colpa sua se erano in quelle
condizioni e se alcuni di loro erano morti. Era tutta una sua
responsabilità. Lui li aveva spronati a camminare anche
quando
chiedevano di riposare. Dovevano raggiungere l'oceano, era il suo
unico pensiero, la sua unica ossessione.
Ed
era stato tutto inutile.
<<
Basta, smettetela! >> urlò Alice, sperando di
riuscire a
calmarli almeno un po', ma non venne ascoltata. Federico appoggiata a
lei tossì sangue e si accasciò a terra, tirandosi
la sua amica
dietro, non riuscendo più a sorreggerlo. Simone e Gabriele
continuavano a urlarsi addosso, facendo un baccano per niente
produttivo. Molti degli zombie che vagavano intorno a loro li
sentirono e cominciarono ad avvicinarsi, anche se lentamente.
Manuele
si guardò attorno, capendo la gravità della
situazione. Corse
vicino ai due e cercò di tenere il tono basso
<< Ora, basta,
dobbiamo andarcene! >> disse, senza essere veramente
ascoltato.
I continui << Smettetela >> furono inutili.
E Federico
nel frattempo continuava a tossire, tremando, e cercare aria per i
polmoni, sentendo lo sforzo inutile.
<<
Federico sta male! >> urlò Alice, esasperata,
colta dal panico
nel vedere il ragazzo poggiato a lei ridursi in quelle condizioni.
<<
Federico sta male! >> urlò ancora
più forte, e
incredibilmente riuscì ad avere l'attenzione dei suoi
compagni.
Corsero tutti e cinque dal ragazzo a terra, incapace di tenersi in
piedi. E finalmente sentirono anche i versi gutturali del pericolo
che si avvicinava.
<<
Dobbiamo andarcene di qui. >> ribadì Manuele,
facendo
trapelare il panico dalla sua voce. Alice cominciò a
piangere,
disperata, non sapendo che fare per aiutare l'amico che sembrava non
volesse smettere di tossire. Gli accarezzava la schiena e tentava di
sorreggerlo, ma tutto sembrava inutile.
<<
Andatevene. >> riuscì a un certo punto a dire
Federico tra i
colpi di tosse.
<<
Scordatelo, non ti lascio qui amico. >> disse Simone che
sembrava momentaneamente tornato in sè. Sfoderò
la sua spada, ormai
affilata a dovere, si avvicinò velocemente al primo zombie e
con
decisione gli aprì un profondo solco nel cranio, uccidendolo.
<<
Ho visto delle auto abbandonate qui fuori, forse riusciamo a
prenderne un paio. >> propose Luca.
<<
Meglio che continuare a camminare. >> asserì
Mario sollevando
Federico di peso, e con l'aiuto dei suoi amici se lo caricò
in
spalla, pronto a correre via. Simone ne uccise altri tre, trovando il
modo di sfogare tutta quella rabbia accumulata, e si
allontanò solo
quando i suoi amici lo richiamarono, ormai lontani.
<<
Andrà tutto bene, Fede. Vedrai. Ora andiamo a cercare un
dottore. Ti
rimetterai. >> sussurrò Mario all'amico che
sentì
abbandonarsi sulle sue spalle, scosso ancora solo da qualche altro
colpo di tosse.
La
notte era calata già da un po'. T-Dog era in cima a una
roccia, a
montare la guardia. Gli altri sotto erano raccolti intorno al fuoco,
infreddoliti, mentre Daryl ostinatamente continuava a portare
legnetti per alimentarlo ed impedirgli di spegnersi. Avevano bisogno
di calore e di luce. Il silenzio regnava, tutti immersi nella propria
tragedia, chiedendosi dove sarebbero andati, cosa avrebbero fatto ora
che tutto sembrava perduto. Ora che niente era più al
proprio posto.
<<
Non siamo al sicuro con lui. >> sussurrò Carol
a Daryl, chino
vicino a lei, intento ad alimentare la fiamma. Lo guardò,
cercando
nei suoi occhi complicità, poi si voltò a
guardare Ocean, seduta
dall'altro lato. Molly si era addormentata con la testa sulle sue
ginocchia, e le mani della ragazza continuavano ad intrecciarsi tra i
suoi rossi capelli che pian piano andavano rovinandosi,
increspandosi, perdendo la loro morbidezza.
<<
Nasconderci una cosa simile. >> continuò
Carol, prima di
tornare a guardare Daryl << Tu non hai bisogno di lui, ti
farà
fare una brutta fine! >> insistette, continuando a sputar
sentenze, ma continuando a non avere appoggio dai suoi due amici.
Daryl a malapena la guardava, e Ocean faceva finta di non sentirla.
Le voleva bene, ma sosteneva Rick, e si era ripromessa che mai lo
avrebbe tradito. Lui, il suo gruppo, la sua bontà l'avevano
tenuta
in vita e lei era in debito. Sarebbe stato un braccio in più
per
lui, non appena si sarebbe ripresa.
<<
No, si è comportato bene con me. >> rispose
Daryl con
tranquillità.
<<
Sei il suo scagnozzo, lo capisci? >> insistette lei
<< E
io sono solo un peso. Meriti di meglio. >> disse prima di
abbassare lo sguardo, un po' imbarazzata per tutti quei sentimenti
espressi in una sola frase.
Daryl
la fissò qualche secondo, studiandola, prima di chiederle un
po'
stizzito << Che cosa vuoi? >>
<<
Un uomo d'onore! >> rispose Carol decisa, caricando la
sua
frase di significato.
<<
Rick lo è. >> concluse Daryl, riuscendo a
zittire la donna e
la carica di stupidate che sembrava stesse dicendo. Solo
perchè
aveva nascosto loro un'informazione di relativa utilità ora
lo
trattavano come un criminale, dimenticando che era solo grazie a lui
se erano ancora vivi. La cosa faceva salire il nervoso a Ocean, ma si
concentrò solo sulla bambina che aveva sulle ginocchia,
evitando di
dar sfogo al suo desiderio di urlare "Siete tutti degli
imbecilli!".
Daryl,
finito di alimentare il fuoco, si alzò, aggirò
Carol e si avvicinò
a Ocean << Devi riposare. >> le disse,
lasciando da parte
il discorso appena affrontato con Carol.
<<
Non vuole stare da sola. >> informò lei
guardando la bimba che
nonostante il sonno stringeva i vestiti della sua protrettrice tra le
dita. Il suo tono era stato lo stesso che avrebbe potuto usare una
madre col figlio, tanto dolce da far cadere tutto il resto in secondo
piano. << E' spaventata. >>
informò ancora.
Daryl
guardò la piccola coperta dal mantello di Ocean, decisamente
più
caldo del suo piccolo cappottino, e rannicchiata col viso nascosto
tra i vestiti della ragazza. Sospirò, si chinò e
provò a infilare
una mano sotto Molly, cominciando a sollevarla e tirarla via
delicatamente << Lascia, ci penso io. Tu stenditi e prova
a
riposare. >> Ocean apprezzò il gesto carino
dell'uomo e lasciò
che raccogliesse la bimba, aiutandolo per evitare che si svegliasse.
Daryl si lasciò cadere lì dov'era, mettendosi a
sedere e
delicatamente si portò la bambina in braccio, facendola
stendere
sulle sue gambe e tenendole la testa con il braccio. Molly si
agitò
un po' nel sentirsi sballottolare da una parte all'altra, ma non
appena sistemata in braccio a Daryl si rilassò di nuovo
tornando a
dormire tranquilla. Ocean posò il suo mantello sopra di lei
per
tenerla al caldo, poi lì dov'era, desiderosa di restare
almeno
vicino al fuoco, si stese a terra e cercò di trovare pace e
riposo.
Ma non ebbe modo di dormire come desiderava e come Daryl gentilmente
le aveva concesso. Un rumore di rami e foglie spezzate fece scattare
tutti in piedi.
<<
Che cosa è stato? >> chiese Beth, guardando
nella direzione di
provenienza del rumore.
<<
Potrebbe essere di tutto. Un procione, un oppossum... >>
cominciò Daryl, guardando anche lui in quella direzione, ma
senza
muoversi troppo. Solo avvicinandosi la balestra, pronto a usarla nel
caso ci fosse stato bisogno.
<<
Uno zombie. >> intervenne Hershel, interrompendo lo
sproloquio
di supposizioni del ragazzo. Ocean si tirò su, mettendosi in
ginocchio e prendendo tra le mani la sua spada: forma di precauzione.
<<
Dobbiamo andarcene di qua! >> piagnucolò Lori,
troppo tesa e
impaurita per ragionare freddamente.
<<
L'ultima cosa che ci serve e metterci a correre
nell'oscurità! >>
comunicò Rick, guardando i suoi compagni, tutti in piedi a
fissare
il buio aspettandosi di veder uscire chissà cosa
<< Non
abbiamo veicoli e non possiamo andare a piedi. >> la
durezza di
Rick quel giorno era palpabile a pelle, qualsiasi cosa dicesse
risuanava come una minaccia e metteva paura, ma come biasimarlo dopo
tutto quello che era successo?
<<
Niente panico. >> disse Hershel, sostenendo Rick sempre e
comunque.
Maggie
si guardò attorno, sicuramente andando contro il
suggerimento di suo
padre, e, impugnando il suo fucile disse infine << Io non
starò
qui ad aspettare il passaggio di un'altra mandria di zombie! Dobbiamo
muoverci subito! >>.
<<
Nessuno va da nessuna parte! >> la zittì
bruscamente Rick
fulminandola.
<<
Fa' qualcosa! >> lo incitò Carol, spaventata e
agitata.
<<
Sto facendo qualcosa!!! >> rispose Rick soffocando la
voce che
voleva uscire con rabbia, stufo delle accuse e delle critiche
<<
Sto tenendo questo gruppo unito! E in vita! Lo sto facendo fin
dall'inizio e ad ogni costo! Non l'ho voluto io questo! Ho ucciso il
mio migliore amico per voi, per l'amor di Dio!! >>
confessò
alla fine, facendo sobbalzare molti cuori, risuonando in quel piccolo
accampamento più che i respiri agitati. Ocean
abbassò gli occhi,
sospirando affranta, e negò debolmente con la testa. Sentiva
era
successo qualcosa di strano tra quei due quando non c'erano la sera
prima, sentiva che non c'era da fidarsi di Shane, e ora ne aveva
avuto la prova concreta. Nessuno riuscì a esprimere a parole
l'incredulità e il disgusto che quella notizia aveva portato
con sè,
ma Rick lo lesse nei loro occhi e continuò a dar martellate
all'incudine, giustificandosi e proseguendo a raccontare
<<
Avete visto quello che faceva, come mi provocava, come ci ha
compromessi tutti... e come ci ha minacciati. Si è inventato
la
storia di Randall, mi ha attirato per potermi sparare alle spalle,
non mi ha dato altra scelta! Era il mio migliore amico, ma mi ha
attaccato! >> gli sguardi accusatori continuarono a
colpirlo,
senza sosta, nonostante le continue spiegazioni di Rick. Carl
cominciò a piangere e abbracciò sua madre.
<<
Le mie mani sono pulite. >> concluse Rick, non cedendo
ancora,
continuando ancora a sostenere la sua innocenza e la sua non
responsabilità in quello che era successo. I membri del
gruppo,
visibilmente contrariati, cominciarono ad abbassare gli occhi,
voltando lo sguardo, negandogli perfino quello, come se non li
meritasse.
<<
Magari stareste molto meglio senza di me. Andate pure. >>
li
provocò Rick << Io dico che c'è un
altro posto sicuro ma
magari è solo un'altra illusione, magari ci sto sperando
invano.
Perchè non ve ne andate per i fatti vostri, adesso?
Mandatemi una
cartolina. Andate, quella è la porta. >>
continuò a
provocare. Sapeva che in realtà nessuno se ne sarebbe
andato: loro
avevano bisogno di lui, dovevano solo capirlo. << Potete
fare
di meglio? Vediamo quanto andate lontano. >> i membri del
gruppo si guardarono tutti negli occhi, cercando tra loro una
risposta, cercando tra loro la verità, forse anche il
coraggio di
fare come gli era stato suggerito e sfogare le proprie gambe in una
fuga senza tregua. Ma nessuno si mosse. Nessuno parlò.
<<
Nessuno? >> chiese Rick, per niente sorpreso.
<< Bene, ma
mettiamo le cose in chiaro: se restate...questa non sarà
più una
democrazia. >> e finalmente riuscì a zittire
tutte quelle
voci, tutte quelle accuse, finalmente riuscì a farli
smettere. Loro
con la loro presunzione e il loro credere di sapere cosa fare e come
farlo meglio. Tutti presi a giudicare, tutti colpevolizzando il
proprio capro espiatorio, ma nessuno in grado di rinunciare a una
forza come la sua. Sapevano che Rick era la loro unica speranza. Non
volevano lasciarla.
La
pioggia cadeva incessante da giorni ormai. Le due macchine trovate al
porto erano durate per un paio d'ore, ma erano già da un po'
entrate
in riserva e presto li abbandonarono al loro destino. Non avevano la
più pallida idea di dove andare a cercare la benzina, non
sapevano
dov'erano i distributori e anche fosse erano certi che li avrebbero
trovati deserti e ormai secchi. Avevano provato a proseguire a piedi,
diretti di nuovo verso Atlanta, aggrappandosi all'unica speranza
rimasta: se mai qualcuno fosse arrivato per salvarli, sicuramente si
sarebbe diretto alla capitale. Dovevano restare nei paraggi, farsi
trovare quando ci sarebbe stato bisogno. Ma pochi metri erano
riusciti a fare con Federico, prima che esalasse l'ultimo respiro. I
pianti e i richiami erano stati inutili, i suoi occhi non si erano
riaperti...fino a quando non aveva tentato di mordere Alice, china
sul suo petto in lacrime. Manuele l'aveva tirata indietro appena in
tempo, e Mario con un colpo secco alla testa aveva dato fine alle sue
sofferenze. Erano rimasti qualche ora lì fermi, sconvolti,
persi nel
loro vuoto, caduti ancora di fronte alla verità, pregando in
un
risveglio. Non poteva essere vero.
<<
Si sarebbe laureato a breve. >> singhiozzò
Alice. Tra tutti
era quella che meno accettava quella situazione. Il suo cuore, sempre
delicato, gioioso, si muoveva come un fiore smosso dal vento, profumo
emanava, sorrisi regalava. Quella tempesta stava distruggendo i suoi
petali prima di ogni cosa.
<<
Lui... >> singhiozzava tanto che non riusciva neanche a
parlare
<< Lui...era buono. Sorrideva sempre a chiunque.
>>
<<
Era quello che cedeva il proprio panino dicendo di non avere fame,
solo perchè qualcuno di noi l'aveva dimenticato.
>> disse
Mario con voce roca, il capo chino, schiacciato sotto il peso di
tutta quella fatica, intento a raccogliere i propri pezzi che andava
perdendo ad ogni passo. Quella terra li stava divorando tutti.
<<
Andiamo. >> aveva detto Simone, basso e deciso,
dimostrandosi
ancorauna volta il muro portante di quella struttura che sempre
più
traballava scossa da un interminabile terremoto.
La
pioggia cadeva incessante da giorni, ormai.
Piangeva
il cielo, segreto spettatore di una tragedia senza fine. E ancora
piangeva quando il gruppo giunse a quella fattoria abbandonata,
fradici, infreddoliti e affamati. Non erano arrivati a destinazione,
ma la strada era ancora breve, avrebbero potuto proseguire in un
secondo momento. Ora era necessario trovare cibo e calore. Claudio fu
il primo ad avanzare, avido, verso il tesoro appena scoperto. Simone
subito dietro di lui, seguito a sua volta dal resto del gruppo,
cuccioli senza branco nè dimora. Entrarono, spaventati, con
cautela,
tremando al sentir gli scricchiolii dei fantasmi. Gabriele e Simone
davanti, armati, tesi, pronti a difendersi. Dietro di loro Claudio e
Mario, Luca e Lorenzo, e infine Manuele sempre di fianco alla sua
cara amica, che più di tutti aveva bisogno di sicurezza e
protezione.
Uno
zombie sbucò dalla sala da pranzo e Alice, spaventata,
benchè si
trovasse indietro, lanciò un urlo e d'istinto si
corpì il viso.
Simone lo atterrò e proseguì. Dal piano di sopra
provennero altri
rumori: altri ospiti. Sempre lui, senza chiedere l'aiuto di nessuno,
sicuro nei suoi movimenti, salì velocemente le scale e corse
ad
affrontare la minaccia. I rumori di una battaglia vennero dall'alto.
Poi tutto cessò.
La
pioggia terminò.
<<
Siamo al sicuro ora. >>
La
bambina piantò i piedi a terra. Strattonò la
mano, liberandosi
dalla presa che aveva su di essa. Le braccia tese lungo il corpo. Lo
sguardo severo rivolto a terra.
<<
Molly, che succede? >> chiese Ocean preoccupata,
fermandosi e
tornando subito indietro, inginocchiandosi davanti a lei per cercare
di leggere le risposte nei suoi occhi. Stavano marciando da un po',
lungo un sentiero sterrato, in cerca della piccola casupola
abbandonata che era stata avvistata quello stesso pomeriggio. Avevano
lasciato le auto alla strada, seppur nascoste, e stavano proseguendo
a piedi. Non sarebbe stato il rifugio definitivo, era diroccato, a
sentire i resoconti di Daryl, ma per quella notte avrebbe dato loro
un tetto e forse un po' di cibo.
<<
Sono stanca! >> lamentò la bambina, nervosa e
agitata <<
Ho fame e ho paura! >>
Il
resto del gruppo, davanti a loro, si fermò e si
voltò a guardare la
piccola che stava rallentando la loro marcia. Agitati, desiderosi di
arrivare a destinazione quanto prima, ma senza riuscire a trattenere
il dispiacere. Erano tutti in quelle condizioni, non solo la piccola
rossa. Lei era solo lo specchio che rifletteva il loro cuore. E
faceva paura. Era così triste.
Daryl
fece retromarcia e si avvicinò alle due. Senza dire una
parola si
fece scivolare la balestra dalla spalla e la porse a Ocean, che la
prese, curiosa, non capendo le intenzioni del suo compagno.
<<
Vieni. >> disse lui chinandosi e prendendo in braccio
Molly,
che non si ribellò alle braccia che la sollevarono da terra,
anzi vi
si aggrappò con tutta la disperazione che aveva.
<<
Ho fame. >> piagnucolò, senza rabbia questa
volta, una volta
poggiato il viso sulla spalla dell'uomo.
<<
Lo so. Anche io. >> rispose lui dolcemente, mostrando
comprensione, stringendo la piccola a sè. Si
voltò nuovamente e
riprese il cammino da dove l'aveva interrotto, affiancato da Ocean
che si sistemò la sua balestra in spalla. Il gruppo riprese
la
marcia, continuando a non proferire parola, tutti feriti e stravolti
da quell'infinita rincorsa a una sopravvivenza che sembrava non gli
spettasse.
Arrivarono
al casolare e Rick, Glenn, T-Dog, Ocean e Carl furono i primi a
correre verso l'entrata, armati, pronti a ripulire la casa se ce ne
sarebbe stato bisogno.
Fecero
come al solito un ottimo lavoro, assicurando un luogo sicuro per il
gruppo, almeno per quella notte, e serrate bene finestre e porte, si
sistemarono tutti nella sala centrare, incapaci di stare separati gli
uni dagli altri. La solitudine faceva troppa paura.
Ocean
si diresse subito verso la cucina e cominciò a rovistare tra
le cose
che erano rimaste: assolutamente niente, se non un paio di scatolette
di tonno, infilate dietro la dispensa, probabilmente rimaste
lì
perchè cadute e invisibili agli occhi dei saccheggiatori.
Tornò in
sala, lenta e con i suoi soliti passi pesanti, affranta, stanca, ma
non per questo meno ferma sui suoi piedi. Si era un po' ripresa in
quei giorni, le ferite avevano smesso di far male e stavano
cicatrizzando, e anche se la mancanza di cibo non aiutava la sua
guarigione, era comunque tornata a un livello di autonomia e forza
sufficente a dare una mano. Si avvicinò a Lori e
lanciò a lei una
scatoletta, poi si diresse da Daryl, che ancora teneva Molly tra le
braccia, decisa a non volerlo lasciar andare, e diede a lui l'altra
<< Dille di lasciarne metà per Carl.
>> disse prima di
lasciarsi cadere a terra pesantemente, stanca. Lo stomaco brontolava
rumorosamente, e non solo il suo, ma sapeva bene che se tra di loro
c'era qualcuno che aveva più bisogno di mangiare erano i
bambini e
Lori che era incinta.
<<
Non ho fame! Tienila tu. >> disse Carl, sempre altruista,
anche
se spesso sconsiderato nei suoi gesti, spinto troppo dalla sua voglia
di farsi valere e di fare il grande.
<<
Possiamo dividerla! >> disse Lori guardando preoccupata i
suoi
compagni.
<<
Sarebbe un assaggio per ciascuno e basta. Ci farebbe solo venire
ancora più fame. >> disse Ocean col tono quasi
offeso,
nascondendo in realtà il suo reale intento di lasciare che
fosse lei
a godere del piccolo tesoro trovato.
<<
Pensa al bambino. >> le rammentò Carol,
sorridendo complice,
cercando di rassicurarla e convincerla a seguire il consiglio della
ragazza. Lori guardò i suoi compagni, sentendosi in colpa,
ma
capendo anche lei che era la cosa migliore da fare. Daryl
aprì la
scatoletta per Molly e lei ci infilò subito le dita dentro,
cercando
di prendere quanto più tonno possibile e portarselo alla
bocca,
avida e affamata.
<<
Lasciala anche a Carl. >> ripetè Ocean
autoritaria.
<<
No, tienila. >> ripetè Carl.
<<
Carl! >> l'ammonì suo padre <<
Mangia. >> il
ragazzino provò ancora a ribellarsi, ma Rick non volle
sentire
ragioni, e alla fine lo convinse a dare due bocconi a ciò
che
avevano trovato.
<<
Domani andrò a caccia. >> comunicò
Daryl << Troveremo
qualcosa di più sostanzioso. >>
continuò cercando di
infondere speranza, ma senza riuscirci appieno. Le pancie rumorose
impedivano alla sua voce di arrivare dove di dovere. Molly si
sistemò
nuovamente tra le sue braccia, si sentiva al sicuro lì, ed
era
sempre caldo, la faceva stare bene. Daryl la lasciò fare e
cercò di
assecondarla nella sua ricerca di comodità. Erano mesi che
andava
avanti così, aveva trovato in lui un grande punto di
riferimento, e
lui non aveva disprezzato di esserlo. Il cuore gli urlava di
stringerla e proteggerla, e lui l'avrebbe fatto.
<<
Questa è casa nostra? >> chiese Molly una
volta che si fu
sistemata, con gli occhi già chiusi, pronta per crollare nel
mondo
dei sogni. Daryl non riuscì a rispondere subito, ma si
costrinse a
farlo, benchè non ne avesse le forze, anticipando la voce da
un
gesto di negazione della testa.
<<
No, non lo è. >>
<<
E dov'è casa nostra? >> chiese ancora la
bambina, con la voce
già ovattata dal sonno che stava prendendo velocemente
possesso di
lei.
<<
E' qui vicino. Presto la troveremo. >> a rispondere
quella
volta era stato Rick, ancora determinato nella sua missione, mosso da
compassione verso l'ingenua domanda di Molly.
I
profondi respiri ritmati di Molly comunicarono la sua entrata nella
pace del sonno, e per qualche secondo fu l'unico rumore udibile
all'interno della stanza. Poi, sorprendentemente, parlò
ancora,
determinata a dire la sua, ma ancora più sorprendente fu
ciò che
disse << Sarà bellissima, vedrai, Daddy.
>>
Tutti
avevano sentito la stessa cosa, non potevano essersi sbagliati. Forse
confusa dal sonno, forse già in preda a qualche sogno, Molly
aveva
veramente chiamato Daryl "Daddy". Probabilmente era
semplicemente stato un errore di incespicamento di lingua, una R di
Daryl trasformata per sbaglio di D, forse a causa del sonno. Ma era
veramente andata così. Molly lo aveva chiamato Daddy. E
questo aveva
lasciato tutti sospesi, sentendo di nuovo battere un cuore che in
molti si erano dimenticati di avere. Sussulti. Un piccolo arcobaleno,
sbucato, e velocemente sparito.
<<
Molly. >> sussurrò Daryl imbarazzato. Aveva
cominciato a
tremare e neanche se n'era reso conto << Io non sono tuo
padre.
>> le disse sentendosi in dovere di correggere
quell'errore,
riportandolo sulla sua strada, evidenziandolo per quello che era
veramente: solo e semplicemente un errore. Niente di più.
Come le
volte che i bambini in prima elementare chiamano "Mamma" la
Maestra.
Molly
sorrise nel sonno, un sorriso divertito, forse credendo di aver
sentito qualche sciocchezza.
<<
Lo so. >> e con quelle ultime parole confuse in un
sospiro
crollò definitivamente nel sonno.
Angolino
dell'autrice
Allooora...inizialmente
era tutto un unico capitolo, ma visto l'immensità a cui
stavo
andando incontro, ho deciso di dividerlo in due :) ma tranquilli,
laseconda parte è già quasi conclusa, quindi
tempo un paio di
giorni massimo e arriva.
Chiedo
scusa se ci ho messo così tanto, spero di non avervi fatto
arrabbiare T__T
Spero
il capitolo vi piaccia, è ora di spiegare per filo e per
segno la
Genesi (ecco perchè quel titolo) di Ocean. E un po' di cose
verranno
chiarite.
Ah,
volevo fare una piccola osservazione riguardo all'ultima parte,
quando Molly chiama "Daddy" Daryl. Ho preferito lasciarlo
"nell'originale" inglese perchè il "papy"
italiano non avrebbe reso il gioco di parole :P Infatti, come si
può
notare, il salto che va da "Daryl" e "Daddy" è
davvero molto piccolo. Basta cambiare un paio di lettere, e per una
bambina mezza addormentata e un paio di traumi alle spalle è
facile
che possa essere caduta in questo piccolo inghippo.
Vabbè, detto
ciòòòò....ho cambiato tutti
i titoli dei capitoli! XD Mi sono
decisa che "capitolo 1, 2, 3 ecc" erano noiosi.
Eeee
basta. Nient'altro :)
Byeeeee
Ray.
|
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Capitolo 19 *** Genesi. (Parte 2) ***
Genesi
(Parte 2)
<<
Tra poco è Natale. >> sussurrò
Alice, malinconica, guardando
fuori dalla grande finestra della sala. Seduta lì,
rilassata, con un
libro in mano, trovato tra gli scaffali di una camera di sopra, ma
senza leggerlo veramente.
Manuele,
seduto per terra, la schiena poggiata al divano dietro, gli occhi
chiusi in un apparente riposo, sorrise a quell'affermazione.
<<
Le luci infinite lungo il vialone che portava al centro.
>>
sussurrò in risposta all'amica, senza aprire gli occhi.
Alice si
voltò a guardarlo e sorrise a sua volta << Le
infinite canzoni
di Natale dentro ogni singolo negozio. >>
<<
Sempre le solite. >> ridacchiò l'amico.
<<
Già che noia. >> rise Alice, prima di alzare
la testa, alla
ricerca di chissà quale pensiero stampato sul soffitto
<<
L'albero all'angolo della stanza, sempre pieno di regali. Te li
ricordi? >>
<<
Erano quasi tutti per Andrea. >> scoppiò a
ridere Manuele,
seguito subito dalla sua amica.
<<
E la cena? Tua madre e mia madre erano inarrestabili, si piazzavano
in cucina e lì restavano tutta la sera continuando a
riempire la
tavola di ogni cosa. >> proseguì la ragazza,
persa nei suoi
ricordi.
<<
Mamma mia, quante volte sono stato male!! >> rise ancora
Manuele aprendo gli occhi e voltandosi a cercare quelli di Alice. Ma
una volta trovati, non si scatenò la complicità
che credevano.
Trovati, si resero conto che quello che stavano facendo era solo ed
esclusivamente ricordare. E questo li riempì di tristezza.
Mai
avrebbero rivisto i regali, l'albero, la tavola imbandita e le luci
sul vialone.
<<
A casa mia si mangiava sempre l'agnello a Natale! >>
intervenne
Claudio entrando nella stanza con una carica di legna per il camino,
che li avrebbe tenuti caldi anche quella sera.
<<
Ma quello non si mangia a pasqua? >> chiese Alice
sull'orlo di
un'altra risata, trovata strana la notizia del suo amico.
<<
Sì, ma chi glielo diceva a mia nonna?! Era lei a decidere il
menù!
Povera donna, ormai non riusciva manco più a distinguere il
sale
dallo zucchero. >> disse lasciando cadere la catasta di
legna a
terra. Alice rise alla sua rivelazione, seguita subito da Manuele,
entrambi divertiti dalle disgrazie altrui. Ma le loro risate furono
immediatamente interrotte da un forte rumore proveniente dal cortile
fuori. Tutti e tre corsero alla finestra e guardarono all'esterno
della casa, che ormai avevano fatta propria. Delle auto blindate
erano arrivate veloci e avevano frenato solo quando ormai si erano
ritrovati a un passo dall'entrata dell'abitazione. L'aria si fece
improvvisamente tesa. Non sapevano chi fossero, ma niente sembrava
suggerire fossero semplicemente di passaggio. Manuele corse a
prendere l'arco e salì al piano di sopra, da dove avrebbe
monitorato
la situazione, pronto a difendere i suoi amici in caso di bisogno,
nascosto e preciso come un cecchino.
<<
Resta qui. >> disse Claudio ad Alice prima di prendere la
sua
arma e uscire all'esterno.
Dalle
tre auto uscirono una decina di uomini, armati, dagli sguardi severi
e sicuri. Alice sentì dei brividi percorrergli la schiena.
Simone si
fece avanti di un paio di passi, guardando torvo gli ospiti, ma
mostrando ancora una volta tutta la sua sicurezza e
superiorità.
<<
Salve! >> parlò in inglese uno degli uomini,
forse quello che
poteva essere definito capo, facendo un paio di passi in avanti e
andando incontro a Simone a braccia aperte, come fosse un vecchio
amico. Era alto e magro, capelli castani ben curati, e ben vestito.
<<
Cosa volete? >> chiese Simone senza mostrare la stessa
cordialità. L'uomo si guardò attorno, studiando
la zona intorno a
lui, prima di parlare ancora << Vi siete sistemati bene.
>>
la sua voce era morbida e soffice ed era per quel motivo che metteva
così tanta paura: non sembrava malvagio, al contrario di
quello che
probabilmente era in realtà.
<<
Un rifugio come un altro. >> rispose Simone, minimizzando.
<<
A noi basta. >> sorrise l'uomo << Possiamo
trovare un
accordo. Possiamo darvi la possibilità di allontanarvi senza
costringerci a sparare. >> un paio di uomini dietro di
lui
sorrisero mostrando i loro fucili. Un avvertimento, o una minaccia.
<<
Perchè invece non andate a cercarvi un posto tutto vostro?
>>
chiese Simone guardandoli minaccioso. Chi erano quegli uomini? Come
si permettevano di venire nel loro rifugio a minacciarli di
andarsene, dopo tutto quello che avevano passato per riuscire a
metterlo su?
L'uomo
sorrise di nuovo, facendo venire ancora una volta i brividi ad Alice,
poi sussurrò << L'abbiamo trovato.
>> e in un attimo
tirò fuori la pistola, puntò alla testa di
Lorenzo, pochi metri
dietro Simone, e fece fuoco colpendolo e uccidendolo.
Il
tempo si congelò per un istante, quel tanto che bastava per
permettere all'eco dello sparo di dissiparsi nella vallata e
allontanarsi, lasciando quella fattoria come avrebbero forse dovuto
fare loro. Una freccia colpì poi la spalla di uno degli
scagnozzi
dell'uomo, facendolo urlare più di rabbia che di dolore.
L'uomo a
capo puntò subito la pistola alle finestre in alto e fece
fuoco
diretto alla prima dove vide un'ombra. Alice urlò, non
riuscendo a
trattenersi, ma la sua voce venne sopraffatta dall'urlo di Mario
<<
Lore!!! >> Solo i suoi singhiozzi furono poi udibili, e
le sue
urla di rabbia e dolore.
<<
Bastardo!! >> urlò Claudio, il secondo
ripresosi da quello che
stava accadendo, e sfoderando la sua spada, speranzoso di
chissà
quale vendetta, si lanciò contro l'uomo che aveva sparato,
cadendo a
terra ucciso ben prima di arrivare a destinazione. Solo il panico poi
si impadronì della fattoria, urla e gente che fuggiva, colpi
di
pistola, diretti chissà a chi, ma che sempre facevano
centro. Alice
in casa indietreggiò, allontanandosi dalla finestra, colta
dal
panico, non sapendo cosa fare. Si sentì afferrare per una
spalla e
si voltò a guardare chi l'avesse presa, terrorizzata
all'idea che
potessero essere quegli uomini là fuori.
<<
Ciao. >> disse un uomo dallo sguardo più
terrificante che lei
avesse mai visto. Le faceva paura e schifo. Si leggeva la fame nei
suoi occhi, e non fame di cibo. Urlò ancora, chiedendosi da
dove
fosse entrato, e cercò di divincolarsi. L'uomo
ridacchiò prima di
spintonarla a terra, facendola sbattere, facendole male. Alice
tentò
di scivolare via, ma il peso dell'uomo sopra di lei, appena
abbassatosi, glielo impediva. Fu costretta a voltarsi, a guardare il
viso del demone che stava già assaporando con mano la carne
che
presto avrebbe fatto sua. Fuori da casa intanto il delirio si
scatenava. Urla, lacrime e spari. L'inferno.
Alice
urlò ancora, cercando di divincolarsi, rabbrividendo sotto
il tocco
dell'uomo, sentendosi ritornare su una cena che non aveva consumato,
schifata e terrorizzata.
<<
No. >> urlò ancora dimenandosi. Poi la
salvezza arrivò.
Qualcosa spintonò via il suo carnefice, colpendolo in piena
faccia,
tramortendolo. Alice alzò gli occhi guardandosi
convulsivamente
attorno, col cuore in gola, colta dal terrore. Una mano scese su di
lei e l'afferrò per un braccio, costringendola a sollevarsi.
Temette
il peggio, ma fu solo il viso di Manuele quello che si trovò
davanti, con gli occhi enormi spalancati, terrorizzato, gli occhiali
incrinati, ma ancora intero << Presto, dal retro!
>> le
disse prima di trascinarla via. Scapparono a testa bassa, passando
inosservati da dietro la casa, lasciandosi alle spalle una sparatoia
senza pace nè pietà. Alice seguì il
suo amico, trascinata
scappava, ma la testa si voltò a guardare: i suoi amici,
tutti i
suoi amici, stavano cadendo uccisi, uno dopo l'altro nessuno
risparmiato. E lei stava scappando silenziosa nell'ombra, coperta
dagli alberi. Una richiesta d'aiuto arrivò alle sue
orecchie, chissà
da chi, ma lei continuò a scappare. Fino a che divenne lei
stessa
un'ombra.
La
freccia puntata, sicura, ma che ancora temporeggiava, era pronta a
seguire la sua traiettoria, già decisa in partenza. La
ragazza
deglutì, concentrata. Poi lasciò andare la corda
del suo arco,
silenzioso, se non per il suo ultimo "stock" di
contraccolpo. Gli occhi castani si spalancarono alla ricerca della
sua preda: aveva sparato, l'aveva presa?
Una
freccia era conficcata in un piccolo coniglio grigio, steso a terra,
ormai inerme, e la gioia stava per sbocciare in piccoli esulti, ma
tutto questo svanì nell'istante in cui Ocean
realizzò che la
freccia che aveva colpito e ucciso il coniglio non era la sua.
Daryl
le passò accanto, cercando di nascondere un sorriso, senza
riuscirci
pienamente.
<<
La prossima volta ce la farai. >> le disse tentando un
incoraggiamento che tanto risuonava come una beffa.
<<
E' colpa tua! >> brontolò Ocean seguendo il
suo compagno <<
Hai sparato prima di me, atterrando e fermando il coniglio prima che
la mia freccia potesse colpirlo. >>
Daryl
la guardò sottecchi, continuando a trovare divertente quel
suo modo
di fare tanto imbranato e infantile. Aveva provato a insegnarle come
utilizzare al meglio il suo arco, visto che non sembrava esserne in
grado, era stata lei stessa a chiederglielo, ma questo non aveva
risolto molto la situazione. La ragazza aveva una pessima mira,
doveva migliorare molto prima di riuscire a contare di procurarsi la
cena da sola. Tolse la freccia dal coniglio, tenendola ben stretta
tra le dita, e proseguì caricandosi l'animale morto. Non era
molto,
ma almeno avrebbero avuto qualcosa da spolpare quel pomeriggio.
<<
Fai troppo rumore, spaventi gli animali. >> disse lui.
<<
Ma non è vero! >> rispose stizzita lei.
<<
Hai il respiro troppo pesante. >> insistette lui,
canzonandola,
facendola infuriare sempre più, tanto che alla fine smise
perfino di
replicare. Faceva così quando arrivava al limite: toglieva
al suo
interlocutore il piacere della parola. O almeno per i 2 minuti
successivi.
<<
E' solo colpa della spalla. Mi fa ancora male. >> disse
lei
roteandola un po', sgranchendola. Era una mezza verità. E
questo
Daryl lo sapeva bene.
Proseguirono
ancora per un po' silenziosi e attenti, scrutando gli alberi intorno
a loro, speranzosi di trovare qualcosa di più consistente
per
riuscire a placare le loro rumorose pance, in verità senza
troppe
speranze. Erano mesi che arrancavano, erano mesi che tutto andava
male. Avevano cominciato ad andare avanti per inerzia, senza un reale
obiettivo, solo trascinandosi sempre un po' più in la,
aspettando
con ansia che una qualche fata turchina comparisse e realizzasse il
desiderio di Rick. Il desiderio di tutti.
Un
fruscio li fece bloccare all'istante. Daryl alzò la
balestra,
puntandola davanti a sè e cercando con gli occhi la sua
fonte, e
Ocean fece altrettanto con il suo arco. Con un rapido scatto si
voltò, arrivando a sfiorare con le sue spalle quelle di
Daryl,
guardando nella direzione opposta alla sua. Schiena contro schiena,
attenti a proteggere a dovere il proprio compagno, fiduciosi che
l'altro dietro avrebbe fatto altrettanto.
Un
altro fruscio, verso sinistra, davanti a Ocean che trovata la
provenienza la indicò con un gesto della mano al ragazzo.
Daryl
annuì con la testa e aspettò che Ocean
cominciasse a incamminarsi,
restandole dietro, continuando a guardarsi attorno guardingo e
attento. Pochi passi più avanti si ritrovarono di fronte a
un
rialzo, un enorme scalino di terra che arrivava fin sopra le loro
teste. Non sapevano cosa c'era oltre, non arrivavano a vedere, ma
erano sicuri che il fruscio provenisse da lì. Poteva essere
uno
zombie, e allora sarebbero dovuti stare attenti, ma poteva essere
anche un animale, bello grosso in quel caso, e in quel caso avrebbero
dovuto fare tutto con ancora più cautela per evitare di
spaventarlo
e riuscire a catturarlo. Ocean si guardò velocemente
attorno,
sistemandosi in spalla nuovamente freccia e arco, poi trovò
quello
di cui aveva bisogno: un albero abbastanza alto da permetterle di
vedere cosa ci fosse al di là del cumulo di terra. Si
avvicinò,
sfoderò la daga e la usò come una rampino fino ad
arrivare al primo
ramo, da cui poi proseguì velocemente saltando di ramo in
ramo.
Daryl rimase a terra, compiacendosi dell'agilità con cui la
ragazza
si arrampicava, osservandola ammirato per qualche secondo, poi
tornò
a montare la guardia, puntando la balestra in qualsiasi punto davanti
a lui, assicurandosi che niente di strano si avvicinasse a loro.
Ocean
arrivò abbastanza in alto da riuscire a volgere lo sguardo
dove
desiderava. Gli occhi si spalancarono per un attimo, deliziandosi di
ciò che la vista le forniva: un piccolo lago, pochi metri
più
avanti, rompeva la monotonia del bosco intorno a loro. Poi
tornò a
concentrarsi sul suo obiettivo: cosa aveva fatto rumore?
Trovò
facilmente le sue risposte, e non furono piacevoli come la vista del
lago che rifletteva i raggi del sole. Un cervo era steso a terra,
preda succulenta, ma non solo per i loro occhi. Un paio di zombie
infatti erano chini su di lui, intenti a saziarsi della sua carne.
<<
E che cacchio. >> borbottò sospirando affranta
per essere
arrivata così tardi. Chissà da quanto erano
lì, chissà se magari,
arrivando un po' prima, quella sarebbe stata la loro cena. Una cosa
era certa: era come essere lo schiavo a un banchetto di ricconi.
Faceva venire l'acquolina in bocca, ma non potevano far niente se non
osservare, o sarebbero finiti anche loro sul menù. Daryl la
guardò,
aspettando informazioni, e lei fece un segno di negazione con la
testa, facendogli capire che qualsiasi cosa ci fosse non era roba per
loro. Cominciò a scendere dall'albero, e arrivata in fondo
Daryl
l'aiutò nell'atterraggio prendendola per i fianchi e
ammortizzando
un po' il suo ultimo salto e la sua caduta, impedendole di farsi
male.
<<
Un cervo. Ma c'è già chi è arrivato
prima. >> spiegò lei
sistemandosi subito dopo.
<<
Zombie. >> constatò l'amico, aspettando
però la conferma da
parte della ragazza, che non tardò ad arrivare.
<<
Però... >> aggiunse lei << ...
Non vorrei sbagliarmi, ma
mi sembrava ancora un po' cucciolo. Non sono esperta, forse potrei
sbagliarmi. >>
<<
Magari la madre è ancora nei paraggi. >>
concluse Daryl,
anticipandola.
<<
E poi c'è un lago. >> sorrise lei entusiasta.
<<
Acqua fresca! >> intuì ancora lui.
<< E
pesci. Magari possiamo pescare qualcosa. >> disse ancora
lei
prima di tornare a guardarsi attorno, cercando un punto dove salire.
Daryl fu il primo a prendere una direzione arbitraria, seguito sempre
con fiducia dalla sua collega e amica, fino a quando non trovarono
una specie di salita, degli appigli nel terreno leggermente
inclinato. Avrebbero potuto arrampicarsi fin sopra con relativa
facilità.
<<
Vado prima io. >> si offrì Daryl. Sapeva che
le capacità di
arrampicata di Ocean probabilmente erano superiori alle sue, ma
preferiva anticiparla, nel caso una volta arrivati in cima ci sarebbe
stato bisogno di forza bruta contro una potenziale minaccia. Si mise
la balestra in spalla e afferrò il primo groviglio di radici
e
arrampicanti, infilò il piede in un buco e si
sollevò, percorrendo
la ripida salita fino in cima. Controllò attentamente che
non ci
fosse niente nei paraggi, pronto a scattare contro chi tentatava alla
loro vita, poi si voltò verso Ocean e le fece cenno di
salire.
<<
Oh Romeo, Romeo, perchè sei tu Romeo? >>
sorrise lei beffarda,
prima di seguire l'esempio dell'amico e cominciare la scalata. Daryl
si stese per terra e allungò una mano verso lei per
aiutarla,
tirandola su.
<<
Non era Giulietta quella al balcone e Romeo quello che la chiamava da
sotto? >> disse lui, seguendo la scia dei pensieri di
Ocean,
sforzando la frase quando afferrò la sua mano e la
sollevò di peso,
facendole fare meno fatica.
<<
Aggiornati, mio caro, i tempi cambiano e ora son le donne che tentano
l'approccio. E' finita l'era del principe azzurro a cavallo.
>>
disse lei tirandosi in piedi e dandosi due colpi al vestito per
togliersi la polvere di dosso.
<<
Ora son le principesse che arrivano a cavallo. >> sorrise
lei
facendogli un occhiolino malizioso. Daryl sorrise a sua volta,
intuendo il significato che la ragazza aveva dato alla battuta:
parlava di sè. E sempre su quella scia, replicò,
divertito <<
Che fai? Tenti l'approccio? >> disse utilizzando le sue
stesse
parole, sempre per sottolineare come stesse seguendo il suo gioco.
Ocean scoppiò a ridere << Con te? Figurati!
>>
Daryl
sorrise ancora, divertito da quello scambio di battute, poi si
voltò
e prese la direzione che portava al lago, interrompendo le risa della
ragazza con un << Andiamo. >>
Arrivarono
vicino ai due zombie, intenti a mangiare la loro preda, e Daryl li
atterrò con un paio di frecce. Si avvicinò, si
riprese le sue
proprietà e controllò lo stato del cervo.
<<
Credi ci sia qualcosa che può ancora essere buono?
>> chiese
Ocean avvicinandosi a lui e guardando l'animale da dietro la sua
spalla.
<<
Forse. La domanda è: te la senti di rischiare?
>> era una
domanda retorica quella di Daryl, e Ocean ne colse tutta la
pesantezza. Sospirò affranta e non ci fu bisogno di annuire
per
fargli capire che era d'accordo con lui. Si rizzò
nuovamente,
guardandosi attorno, sperando di vedere la madre del piccolo che era
appena stato servito per cena. Ma niente si muoveva nei dintorni.
<<
Ci sono tracce? >> chiese ancora a Daryl.
<<
Solo del piccolo. Ma magari seguendole a ritroso troviamo il punto in
cui si è separato dalla madre e riusciamo a trovare lei.
>>
spiegò lui, guardando le tracce che proseguivano in
direzione del
lago. Si alzò rapidamente e partirono per la loro piccola
ricerca.
Arrivarono
fino alla riva e Daryl si fermò per un istante,
inginocchiandosi e
osservando ancora il terreno, spostando qualche foglia secca.
<<
Ha proseguito per un po' lungo la riva. >>
comunicò guardando
in lontananza, nella direzione che dovevano appena prendere. Si
alzò,
deciso ad andare avanti, ma Ocean richiamò la sua attenzione
con un
urlo. Daryl sussultando si voltò appena in tempo per vederla
scivolare giù, lungo la riva rialzata di 20 o 30 centimetri
dall'acqua, prima di cadere dentro il lago. Ocean aveva messo un
piede su un punto sbagliato e sotto il suo peso era franato,
facendola cadere in acqua.
Daryl
tirò un sospiro di sollievo: si era spaventato, nel sentirla
urlare
aveva temuto il peggio, invece era solamente inciampata e caduta. La
solita imbaranata. Sorrise e negò debolmente con la testa
<<
Non riesci proprio a evitare di fare guai. >> disse
ironizzando. Ma il sorriso gli morì sulle labbra quando vide
che il
tempo passava e Ocean non tornava a galla.
<<
Alice! >> chiamò correndo sul punto dove era
caduta. Guardò
convulsamente il pelo dell'acqua. Perchè non tornava su?! Il
cuore
cominciò a battergli forte in petto, non riuscendo a vedere
bene
oltre l'acqua opaca e verdognola del laghetto.
<<
Merda. >> bofonchiò tra sè e
sè prima di cominciare a
togliersi la balestra di spalla e liberarsi dei pesi inutili
<<
Alice!!! >> la chiamò ancora, spaventato,
senza ricevere
risposta di nessun tipo. In pochi secondi era pronto, e si
tuffò in
acqua, nuotando il più velocemente possibile, lottando
contro il
bruciore degli occhi a contatto con l'acqua sporca. Continuò
a
guardarsi attorno, impanicato, non riuscendo a vederla.
Nuotò
ancora, andando più in profondità e finalmente la
vide: si dimenava
scoordinata, con gli occhi spalancati, trascinata giù dal
peso dei
suoi vestiti. Gli occhi urlavano aiuto. Daryl si spinse velocemente
verso lei e l'afferrò per la vita, la strinse a
sè e con una mano
tentò di risalire in superfice. Senza successo. E Ocean
continuava a
dimenarsi, presa dal panico. Le afferrò il polso,
stringendoglielo
quasi con rabbia e la guardò negli occhi, ammonendola con lo
sguardo. La presa sul suo braccio che la teneva ferma le fece capire
qual era il problema, e smise di agitarsi, tranquillizzandosi quando
si rese conto che non era sola. Daryl si portò il suo
braccio dietro
al collo, e fece altrettanto con l'altro, costringendo Ocean ad
abbracciarlo e stringersi a lui. Così avrebbe avuto entrambe
le mani
libere e sarebbe stato più semplice. I polmoni cominciarono
a
bruciare, avidi di aria, sentendo di avere ancora pochissimi secondi
a disposizione. Con un paio di bracciate Daryl riuscì a
darsi la
spinta sufficiente a sollevarsi e andare un po' in direzione del
terreno, a cui poi si aggrappò, utilizzando le varie alghe e
arbusti
e aiutandosi anche con quelli per arrivare fino alla superfice.
Fecero
enormi respiri quando riuscirono finalmente a uscire dall'acqua,
cacciatori di aria che non sembrava ancora sufficiente,
costringendoli a respirare profondamente ancora a lungo, mentre il
cuore cominciava a battere all'impazzata colto da quelle ondate
improvvise di ossigeno incontrollato. Ocean si staccò da
Daryl,
aggrappandosi all'erba sulla riva e cercò di tirarsi su per
uscire
dall'acqua. Daryl da sotto l'aiuto, spingendola verso l'alto. Una
volta al sicuro si lasciò cadere a terra, tossendo e
sentendo
rigurgiti continui bruciarle la gola. Aveva bevuto acqua e sentiva in
fiamme ogni cosa fosse collegato alle sue vie respiratorie. Daryl
dietro di lei si diede lo slancio necessario a raggiungerla e
affiancarsi a lei, facendosi a sua volta cadere a terra, stanco per
l'incredibile sforzo servito a riportarla a galla.
<<
E così... >> cominciò a parlare
Daryl tra i respiri <<
Non sai nuotare, eh? >>
Erano
passati tre giorni da quando erano scappati dalla fattoria,
abbandonando i loro amici al loro destino. Alice non faceva che
piangere e fare incubi. Aveva smesso di parlare, non riusciva
più a
farlo. Erano stati i compagni di una vita. Alla mente continuavano ad
arrivarle i ricordi dei momenti passati assieme. Le fiere. Le sere
quando si riunivano per esercitarsi. Le riunioni. Le uscite al pub il
sabato per ubriacarsi in compagnia. Anche i litigi. Il loro viaggio
di 11 ore in aereo per arrivare alla tanto mirata America. I canti e
le burle. Tutto.
Ogni
cosa raccontava di un passato che più sarebbe tornato.
Tutto
morto.
Tutti
morti.
Mangiava
a malapena, beveva solo quando necessario, dormiva solo quando
crollava, non riuscendo più a trattenersi, e apriva bocca
solo per
respirare. Nemmeno una parola era uscita dalle sue labbra da quel
giorno. Inutili erano stati i tentativi di Manuele. L'unico che erano
riusciti a ritrovare era stato Simone, scappato, e salvatosi
miracolosamente. Insieme erano corsi nel bosco a lungo, fino a
crollare in un punto imprecisato, stanchi perfino per piangere.
Avevano proseguito la mattina dopo, arrivando a un villaggio e
lì
rubando un auto. Manuele si era messo alla guida, aveva deciso lui,
dopo un litigio con Simone, che la cosa migliore era ritornare alla
spiaggia. Erano più visibili, al primo elicottero avrebbero
segnalato la loro presenza e avrebbero aspettato una barca, una nave,
qualsiasi cosa fosse tornata indietro. Perchè prima o poi
qualcosa
sarebbe arrivato a salvarli. E poi la zona intorno ad Atlanta faceva
troppa paura. Inconsapevolmente avevano seguito il loro più
profondo
desiderio di allontanarsi da lì, e avvicinarsi il
più possibile a
casa. Bloccarsi di fronte al muro che impediva il cammino, aspettando
lì che crollasse miracolosamente. Dando le spalle al
pericolo, al
dolore e a tutto ciò che si erano lasciati dietro.
Scappando.
Scappando. E ancora scappando. Cos'altro potevano fare? Cos'altro
avrebbero potuto sperare?
Tornarono
all'Oceano e si accamparono sulla spiaggia. Erano più
visibili, ma
così avrebbero potuto guardarsi bene attorno, anticipando
l'arrivo
di un'altra auto blindata con sopra degli assassini o di un'orda di
mangiatori di carne. Sperando in qualsiasi cosa passasse, li vedesse
e li riportasse a casa. Lontano da quell'incubo.
<<
Alice, hai fame? >> chiese Manuele, chino su di lei,
seduta in
silenzio, lo sguardo vuoto perso nel fuoco che scoppiettava. Non
rispose. Manuele la scosse << Alice, vuoi mangiare
qualcosa? >>
le disse porgendole una scatola di carne a lunga conservazione,
cercando di lasciargliela tra le mani, sperando l'afferrasse e
cominciasse a mangiare.
<<
Lasciala perdere. >> disse Simone con tono scocciato
prima di
stendersi a guardare le stelle sopra di loro.
<<
Deve mangiare!!! >> ringhiò Manuele,
contrariato dal
menefreghismo che l'amico stava dimostrando. Poi tornò a
guardare la
sua amica, e spingerle la scatola tra le mani << Dai,
Alice.
Mangia. >> e insistette ancora, e ancora, fino a quando
Simone,
stufo di sentirlo parlare con un cadevere si alzò rabbioso e
si
inginocchiò vicino ad Alice. Le prese il volto tra le mani,
stringendoglielo senza poca delicatezza << Senti, bella!
Qui è
una merda per tutti, forza! Mangia e non rompere i coglioni!
>>
infilò due dita nel barattolo, raccogliendo un po' di carne
e
tenendo sempre ben fermo il suo volto cercò di infilarle il
cibo in
bocca con la forza. Alice tentò di ribellarsi, sentendosi
bloccata e
sentendo tutta la violenza del gesto. Cercò di voltare la
testa, ma
non riusciva a muoversi << Mangia! >>
insistette Simone,
continuando a fare violenza.
<<
Ma che cazzo fai? >> urlò Manuele spingendolo
via, facendolo
cadere sulla sabbia << Le fai male, coglione!
>>
<<
Volevi che mangiasse no? >> brontolò Simone a
sua discolpa.
<<
Ma che diavolo ti sta succedendo? >> gridò
Manuele alzandosi
in piedi << Tu non sei così! >>
<<
Ho visto i miei migliori amici morire! >>
gridò Simone,
alzandosi a sua volta, avvicinandosi a muso duro al ragazzo, cercando
di prevalere nello sguardo, come due animali pronti a fronteggiarsi
che si ingrossano per intimorire l'altro.
<<
Tutti li abbiamo visti, questo non ti da il diritto di comportarti da
stronzo! >> lo spinse ancora Manuele e quella fu la
goccia che
fece traboccare il vaso. Simone partì con un destro,
colpendolo in
pieno viso e tra i due scoppiò la rissa. Alice li
guardò
terrorizzata e indietreggiò, arrancando sulla sabbia. Aveva
paura.
Stavano litigando. Si stavano picchiando. Erano entrambi andati fuori
di testa: si sarebbero uccisi! E magari avrebbero ucciso anche lei!
Ormai il passo che portava alla morte era così semplice da
compiere,
bastava così poco per arrivare alla fine. Bastava
così poco per
uccidere.
Si
alzò e scappò via, ignorando il buio in cui
andava inoltrandosi,
preoccupata solo di scappare via dall'eventuale pericolo, dimentica
che il vero pericolo si trovava tra quegli alberi in cui andava
perdendosi.
<<
Alice!! >> la chiamò Manuele, vedendola
correre via, notandola
solo quando ormai era lontana. Spintonò via Simone, deciso a
lasciarlo perdere e corse dietro alla sua amica. Non avrebbe perso
anche lei! Mai! Era come una sorella, la conosceva da quando erano
piccoli, vicini di casa, compagni di scuola e figli di due migliori
amiche. Avevano passato assieme qualsiasi momento della loro vita,
compleanni, feste, domeniche, natali e pasque. In ogni suo singolo
ricordo c'era lei. Non voleva perdere quell'ultimo frammento di casa
sua.
Simone
sbuffò e si chinò a raccogliere un ramo che
ardeva. Lo alzò sopra
la testa e utilizzandolo come torcia partì anche lui alla
ricerca
della ragazza scappata. Per niente felice di ciò che stava
accadendo, scocciato solo di essere costretto ad allontanarsi dal
fuoco caldo, ma voleva evitare che quei due sconsiderati si
portassero dietro al ritorno una qualche minaccia. Aveva smesso di
aver fiducia. Aveva smesso di voler bene. Aveva smesso di essere se
stesso già al primo morso che aveva preso Susy. Si era
trasformato,
e ora era diventato l'equivalente vivo dei mangiatori di carne.
Freddo e costantemente arrabbiato. Incazzato nero con tutto quello
che lo circondava. Desideroso di uccidere e distruggere tutto
ciò
che l'aveva portato lì e che l'aveva costretto ad assistere
alla
fine dei suoi compagni. Incazzato per non essere riuscito a mantenere
la promessa di portarli in salvo. Vendetta. Solo questo voleva.
Contro chi o cosa non sapeva, ma voleva vendetta.
<<
Stai meglio? >> le chiese Daryl, preoccupato, dopo
qualche
minuto. Ocean tremava, e non solo per il freddo. Aveva avuto una
paura folle. E quello sarebbe anche stato il modo peggiore per
morire: si sentiva una stupida.
<<
Non sono un'imbranata! >> si sbrigò a dire,
nonostante la voce
roca nell'uscire dalla gola grattasse.
<<
Non è stata colpa tua. >> disse Daryl,
sorprendendola. Stava
cercando di consolarla, non stava trattandola come una sprovveduta
come invece spesso faceva. Questo la fece rilassare. Odiava sentirsi
giudicata, odiava mostrare di essere debole. Non sarebbe più
stata
la sciocca ragazzina che piangendo scappava nel bosco.
Si
girò, sentendosi pesante, e si mise a sedere, puntando gli
occhi al
lago dietro di loro. Occhi che si rimpierono di tristezza e
rammarico, occhi che urlavano sensi di colpa.
<<
Non ho mai imparato. >> disse con un filo di voce, il
necessario per comunicare senza sentirsi portare via le corde vocali.
<<
Se l'avessi saputo mi sarei tuffato prima per recuperarti, senza
aspettare tanto. >> questo fu l'unico rimprovero che
Daryl le
fece. Si era spaventato tantissimo quando non l'aveva vista tornare
su, in qualche modo doveva sfogare la tensione che era cresciuta in
lui in così poco tempo.
<<
Oh, certo, e io così dal nulla vengo a dirti "Ehy, D. lo sai
non so nuotare?!" >> disse lei sarcastica
<< Non ho
mai avuto occasione di parlartene. Non era certo una cosa
fondamentale. >>
Daryl
si alzò in piedi << Ora lo era.
>> disse semplicemente,
prima di voltarsi a recuperare le sue cose.
<<
Oh, merda! >> brontolò, attirando l'attenzione
di Ocean.
<<
Che succede? >> chiese lei, sporgendosi oltre le sue
gambe per
vedere la scena che l'aveva fatto bestemmiare.
<<
Qualche sciacallo figlio di puttana dev'essere passato di qua mentre
eravamo sotto. >> disse caricandosi la balestra in
spalla.
Ocean notò solo allora che all'appello mancava il coniglio
che
avevano cacciato quella mattina. La loro cena era andata.
<<
Ne prendiamo un altro. >> disse lei cercando di alzarsi
in
piedi, pronta a tornare sulla via della caccia.
<<
Siamo fradici, è meglio tornare indietro. Se ci ammaliamo
non ci
sono medicine che possono curarci. >> suggerì
lui <<
Riproveremo nel pomeriggio. >>
<<
Ma non possiamo tornare a mani vuote! >> disse lei,
sentendosi
tremendamente in colpa. Era colpa sua se qualche animale aveva rubato
la loro cena.
Daryl
scrollò le spalle, non dando alla sua frase tutto quel peso,
e prese
a incamminarsi, senza aspettarla, ma contando come sempre sul fatto
che l'avrebbe seguito. Come faceva ogni volta.
Manuele
correva tra gli alberi a perdifiato. Il panico nei suoi occhi. La
disperazione nel cuore nell'istante in cui, cercando Alice, l'aveva
sentita urlare e piangere, non molto distante da lì. La daga
stretta
tra le mani era pronta a essere scagliata verso qualsiasi cosa stesse
cercando di ferire il suo piccolo stralcio di passato. L'angelo che
per anni aveva accompagnato il suo cammino, tenendogli la mano, senza
mai lasciarla neanche quando sarebbe stato più vantaggioso
per lei.
E colmo del terrore che precludeva un eventuale addio un insieme di
ricordi gli piombarono alla mente. Il loro giochi da bambini, nel
cortile in campagna della villa dei suoi nonni. Le volte che lei gli
aveva fatto i suoi compiti di matematica, o l'aveva aiutato nelle
verifiche. La prima volta che lui l'aveva presentata al suo gruppo di
musici, portandosela dietro anche in quel cammino. I loro viaggi. Le
loro esplorazioni e le loro scoperte. Le volte che si arrampicavano
sugli alberi, giocando ad essere dei pirati. Il giorno che andarono a
prendere Micky al canile. E le mille serate passate insieme, riuniti
intorno a un falò, a consumare carne alla brace mentre
bambini
correvano a sedersi intorno a loro, ascoltando le storie che lei
raccontava. La sua dolce risata.
<<
Alice!!! >> la chiamò, sul picco di un
baratro, pronto a
scivolare e cadere giù.
Corse
e giunse dove vide qualcosa che mai neanche si sarebbe potuto
immaginare. Alice, cucciolo ferito e disperato, era steso a terra,
gli abiti stracciati, le lacrime che le coprivano il volto. E Simone,
che l'aveva trovata e aveva chissà per quale motivo deciso
che
quello doveva essere il suo scopo. Gli occhi soddisfatti, un ghigno
sul volto e la mano che ancora cercava di riallacciarsi i pantaloni.
<<
Cosa hai fatto? >> sussurrò senza neanche
rendersi conto. Un
fuoco stava impossessandosi di lui, ogni muscolo bruciava, gli occhi
si stavano annebbiando e la vista presto sarebbe svanita.
<<
Siamo probabilmente i pochi umani sopravvissuti. Dobbiamo ripopolare.
Almeno così si rende utile a qualcosa e smette di essere
solo un
peso. >> disse Simone con tutta la
tranquillità del mondo,
indicando la ragazza disperata a terra con un gesto del capo. La
leggerezza con cui ne aveva parlato fu la scintilla che fece
esplodere la bomba.
Il
buio più completo.
Vuoto.
Un attimo di trascendenza che sembrava un secolo. Interminabile ma
così rapido da non essere quantificabile.
Forse
sentì un urlo. Forse.
Vita
che scorreva. La fine. L'inizio.
Dov'era?
Cos'era?
Ancora
un urlo. Il suo nome.
Qualcuno
aveva urlato il suo nome.
E
la luce che ritorna. Il risveglio.
Ma
ormai era tardi.
Gli
occhi confusi corsero in cerca di risposte. Dov'era? Nel bosco.
Chi
aveva urlato? Alice. Alice aveva urlato il suo nome. Aveva parlato!
Finalmente dopo giorni aveva riparlato. Lo aveva chiamato. Ma
perchè?
Abbassò
gli occhi e lo vide: il motivo di quel caos.
Simone
steso a terra in una pozza di sangue, la faccia completamente aperta,
colpita probabilmente più volte con sempre più
furia. Chi? Chi era
stato?
<<
Oh Mio Dio! >> sussurrò, spaventato.
Indietreggio. Chi era
stato a uccidere uno dei suoi migliori amici? Cadde e fu costretto ad
appoggiarsi con una mano a terra per non farsi male. Stringeva
qualcosa. Ora lo sentiva. Alice piangeva, disperata, scossa sempre
più dai singhiozzi e ancora lo chiamava.
Guardò
cosa aveva tra le mani:una daga. Piena di sangue.
La
lasciò cadere, terrorizzato. Le sue mani! Le sue mani erano
piene di
sangue! Urlò.
<<
L'ho ucciso. Ho ucciso io Simone. >>
La
voce cedette. E crollò giù da quel picco, nel
baratro, sempre più
veloce, sempre più disperato nel suo desiderio di finirla e
arrivare
finalmente a toccare il fondo. La fine. Nient'altro che la fine.
Daryl
si sedette all'entrata della casupola. La balestra ben stretta, gli
occhi puntati davanti a sè, attento a qualsiasi ombra si
muovesse
nella notte. Era il suo turno di guardia, Molly si era addormentata
da poco ed era riuscita a farlo solo quando aveva avuto lui vicino.
Per questo aveva dovuto rinunciare al suo primo turno, lasciando il
posto a Ocean che gentilmente si era offerta di dargli il cambio,
permettendogli così di stare con la bambina il tempo
necessario a
tranquillizzarla. Si sgranchì la schiena e lanciò
uno sguardo al
cielo. Poche volte l'aveva visto così pieno di stelle.
Si
sfilò un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne estrasse una
e
l'accese tirando subito due boccate. Era incredibile come ancora
riuscisse a trovarne in giro, bene o male. La maggior parte delle
volte erano nelle tasche degli zombie, probabilmente per quello ce
n'erano ancora così tante: nessuno frugava tra le tasche dei
morti.
E ancora meno lo facevano quando si rialzavano.
Rilassò
i nervi ispirando dell'altro fumo e per un attimo chiuse gli occhi.
Sentì
dei passi dietro sè e subito si voltò a guardare
chi fosse, attento
e guardingo.
Ocean
arrivò al suo fianco, lenta e rilassata, i passi che
cadevano
pesanti, come al solito, e lo sguardo rivolto al cielo. Sul suo volto
si potevano leggere insieme tristezza, malinconia e gioia.
Daryl
la squadrò per qualche secondo, poi tornò a
fissare di fronte a sè,
attento e sul chi va la. La notte era così silenziosa che
sarebbero
stati in grado di sentire uno screpitio di sassi a kilometri di
distanza. Ma l'aria non era pesante. Fresca e leggera, liberava
l'anima.
<<
Era una notte come questa. >> sussurrò lei
prima di
affiancarsi al ragazzo e lasciarsi cadere vicino a lui, sedendosi
<<
Bella e terrificante, come una Dea. >>
Daryl
non aveva la più pallida idea di cosa si stesse riferendo,
ma non
fece domande, lasciando fosse lei ad esprimere i suoi pensieri come
meglio credeva.
Ocean
abbassò gli occhi, puntandoli sulle sue mani, intrecciate
sulle
ginocchia, sottili come mai erano state prima. La fame la stava
trasformando. Quel mondo la stava trasformando.
<<
La notte quando tutto è finito. >> aggiunse
poi facendo
tremare la voce. Non sapeva perchè stava rievocando, ma le
faceva
male e bene allo stesso tempo. Sentiva che lì, in quel luogo
sacro,
isolato dal mondo, in compagnia di quell'uomo lei poteva
condividersi. Poteva liberarsi. Era il cuore a suggerirglielo.
Daryl
si sfilò nuovamente il pacchetto di sigarette dalla tasca e
lo porse
alla ragazza che lo guardò dapprima titubante. Poi si arrese
e ne
sfilò una portandosela alle labbra con le mani che ancora
tremavano.
Daryl mise via il pacchetto e subito si allungò col braccio
accendendogliela. Ocean fece una smorfia e tirò su due
boccate
rapide.
Erano
anni che non fumava, aveva smesso molto prima, ma quello certo
sembrava un buon momento per ricominciare. Tanto che importava? Se
fosse morta di cancro ai polmoni sarebbe stato più dignitoso
che
morire sbranata da quelle cose che costantemente alitavano famelici
sui loro culi.
<<
Non sei costretta a raccontarlo. >> bofonchiò
lui storpiando
le parole per via della sigaretta che teneva appesa alle labbra.
Ocean sorrise intenerita da quel piccolo gesto di dolcezza che tanto
si era impegnato a nascondere. Era molto più di quello che
voleva
far vedere, Daryl non era il duro che tanto decantava. Aveva un cuore
grande e lo dimostrava ogni giorno di più.
Probabilmente
era stato questo a convincerla a tornare.
<<
Non ti ho più ringraziato. >> disse lei
tirando un'altra
boccata alla sua sigaretta.
<<
C'era qualcosa di cui dovevi ringraziarmi? >> chiese lui
continuando a guardare davati a sè, continuando a dare
leggerezza
alle sue parole.
<<
Per esempio di avermi salvato la vita? >> disse lei
accennando
una risata.
Daryl
tirò una profonda boccata alla sua sigaretta, facendo
risuonare lo
sfrigolio della carta che veniva bruciata. Soffiò
rumorosamente il
fumo, ma non rispose. Ma nonostante questo Ocean riuscì a
cogliere
il suo "prego", dolce e compassionevole. Restarono qualche
secondo in silenzio, fumando per i fatti loro, godendo di quel
momento di silenziosa intimità che la notte gli stava
concedendo. Un
momento tutto loro, come quello della notte in cui si erano aperti
per la prima volta l'uno a l'altro. La notte in cui Alice era emersa
per la prima volta e aveva dolcemente mostrato il suo sorriso
all'uomo, il quale era stato in grado di leggere la morte nei suoi
occhi.
<<
Perchè Ocean? >> chiese lui a un certo punto,
rompendo il
silenzio, mentre spegneva la sigaretta ormai consumata sullo scalino
su cui erano seduti << Con tutti i nomi che potevi
sceglierti.
Perchè proprio Ocean? >>
Ocean
sorrise e guardò la miccia della sua sigaretta che
lentamente
arrivava alle sue dita, come un piccolo conto alla rovescia.
<<
Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, alleati con lui. >>
Prese
lentamente coscienza di sè. Sentì dapprima il suo
respiro, lento e
caldo, fiammeggiante quasi, uscirle dalle labbra secche e screpolate.
Avrebbe pagato oro per poter avere dell'acqua. Aveva sete.
Sentì un
dolce sussurro, incantevole e ammaliante, come una sirena.
Percepì
calore sulla pelle. E poi arrivarono anche i dolori: aveva qualche
livido sparso, colpa della poca grazia che Simone aveva serbato per
lei la sera prima. L'aveva scaraventata a terra con uno schiaffo,
quando l'aveva ritrovata, urlandole insulti di ogni genere, prima di
usarla a suo piacimento. Lei aveva pianto. Che stava succedendo?
Avevano cantato insieme, lei e Simone, sull'aereo. Avevano condiviso
risate e battute, e lui l'aveva canzonata per il suo eccessivo
affetto rivolto al piccolo Micky, smentendosi successivamente
facendosi trovare impegnato in giochi e coccole. Cos'era successo?
Quello non era più stato lui. Non poteva essere lui.
Era
diventato un mostro divoratore di carne, con la sola differenza che
lui non usava i denti per recidere.
Quel
mondo aveva rovinato tutti. Erano tutti morti.
E
anche se lei e Manuele ancora camminavano su quella terra,
consapevoli, vedendo il mare sconfinato davanti ai loro occhi, anche
loro erano morti. E non potevano negarlo.
Soli
e disperati, due stelle in un cielo completamente nero e vuoto,
uniche nel loro flebile brillare, consapevoli che mai questo sarebbe
servito al loro scopo e che al sorgere del sole non sarebbero
scampate. Era solo questione di tempo...il cielo cominciava ad
albeggiare.
Muti
i loro addii.
Riuscì
a trovare la forza di aprire gli occhi, benchè bruciassero
forse
anche più della gola. La luce del sole l'accecò,
impedendole di
scorgere bene cosa avesse intorno a sè. E questo la
spaventava.
Si
tirò in piedi, facendosi scivolare di dosso il mantello che
Manuele
le aveva messo sulle spalle quella notte, prima che si addormentasse.
Tentò di combattere la luce accecante e cercò
intorno a lei l'unica
cosa di cui aveva bisogno al momento: Manuele.
Ma
non lo trovò.
Si
voltò più volte, rapida e disperata. Dov'era?
Aveva bisogno di lui!
Aveva visto cos'era successo quando era restata sola! Non poteva
restare sola. Sarebbe morta! Lei...non sapeva cosa doveva fare.
Non
sarebbe mai sopravvissuta. Non sapeva neanche tenere in mano il
coltello del pane, come poteva da sola badare a se stessa? Aveva
bisogno di qualcuno che le stringesse le spalle la notte
sussurrandole "Non abbatterti. Ci sono io qui con te."
<<
Manu! >> chiamò sentendo già il
cuore tentare l'esplosione.
Dov'era?
Fece
due passi sulla sabbia. Sentì ancora quel sussurro
ammaliante
accarezzarle l'orecchio e si voltò: l'oceano. Erano le onde
dell'oceano a sussurrare, l'oceano era la seducente sirena,
incantevole e terrificante, bella e malvagia, pronta ad affascinare e
poi inghiottire, divorare, spietatamente, senza remure, inglobando il
mondo dentro sè. Una semplice tavola...ma che celava
misteri,
segreti, tesori, ma anche mostri, malefatte, inferi e demoni. Tutto
dentro sè, ben custodito, ben curato. Tutto suo, avida, ma
gelosa.
E
lì lo vide.
<<
Manu!!! >> urlò facendo qualche passo verso la
battigia,
accarezzata più volte dalle onde. Il ragazzo però
non sembrò
sentirla. Era distante ormai, l'acqua gli arrivava al petto, e
guardava in lontananza, l'orizzonte. Cercava casa sua.
<<
Manu! >> chiamò ancora senza successo. Cosa
stava facendo?
Alice
tentò di avvicinarsi a lui, immergendo i piedi in acqua e
combattendo la forza delle onde che violentemente tentavano di
riportarla a riva, lontana da lui.
Chiamò
ancora, cominciando a sentire un nodo in gola e gli occhi gonfiarsi.
Il cuore le stava dando una risposta, ma non aveva nessuna intenzione
di ascoltarlo. Non poteva andarsene.
Si
fermò, notando come finalmente i suoi richiami raggiunsero
il loro
destinatario, costringendolo a voltarsi. Si fermò quando
vide che i
suoi occhi. Vuoti e disperati come mai li aveva visti prima. Lui era
quello forte, quello sicuro, quello che tranquillo si voltava e
indicava la via come se fosse sempre stata lì. Era quello
che ti
faceva sentire un po' stupida perchè, dai, la risposta era
così
banale. Mai lo vedeva barcollare. Era silenzioso e immobile come una
montagna. La sua montagna. E ora si stava sgretolando sotto
un'inarrestabile frana.
Manuele
la guardò, ma sembrò non vederla, i suoi occhi
erano muti come le
sue labbra, e senza ancora dire niente si rivoltò verso
l'orizzonte
e ne accorciò le distanze.
Alice
sussultò.
Manuele
stava camminando sempre più in la, e l'acqua sempre
più saliva
lungo il suo corpo sommergendolo. Le spalle. Il collo. Il mento.
<<
No, no! >> urlò lei e impresse forza nelle sue
gambe tentando
di lottare contro la corrente, cercando di correre verso il suo
amico, dannandosi per non essere più veloce.
<<
No, non lasciarmi! >> urlò ancora, urle che
cadevano
nell'acqua. L'oceano la teneva lontana da casa sua, l'oceano le aveva
negato ogni via di fuga e ora si stava portando via l'ultima cosa che
ancora stringeva tra le mani. Unica fune che le impediva di cadere.
Pianse
ancora una volta.
E
la testa di Manuele scomparve sotto il pelo dell'acqua.
Tentò
di chiamarlo, di dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscivano solo
versi e lamenti.
Andò
avanti, fin quando i piedi non riuscirono più ad arrivare al
fondo.
Tentò di nuotare, tentò di muovere le braccia e
proseguire.
Doveva
raggiungerlo! Afferrarlo e trascinarlo via. Non poteva lasciarla. Non
lui! Non così!
Dovevano
tornare a casa insieme!
Inutili
furono i suoi sforzi, non aveva mai imparato a nuotare e presto si
ritrovò a combattere contro l'acqua che violentemente
tentava di
scendere giù dalla sua gola e dal suo naso, facendola
soffocare e
bruciare i polmoni.
Lottò
ancora. Invano.
Riusciva
solo a cadere ancora più giù.
Non
poteva salvarlo. Non poteva salvarsi.
L'oceano
li aveva presi entrambi e li aveva fatti suoi, come quei relitti
pieni di oro e ombre che mai erano arrivati al porto.
Smise
di lottare. Non seppe più nemmeno se stava piangendo, le
lacrime
salate si confondevano con l'acqua del mare. Vide i raggi del sole
attraversare l'acqua, e non provò niente.
Sprofondava
nel suo destino.
Inutile
lottare.
Ormai
era morta.
Anche
lei, come le sue speranze, inghiottita da un avida sirena senza
scrupoli di nome Oceano.
Uno
zombie vagava senza meta. Gli occhi a terra. Ciondolava sotto il peso
della sua inutile esistenza carnale. Barcollava ai soffi di vento.
Camminava perchè sentiva che doveva farlo. Ma non voleva.
Cosa
voleva?
Non
lo sapeva.
Chi
era? Dove andava? Qual era il suo scopo? Una volta erano domande di
routine che si ponevano curiosi i vecchi pensatori, quelli che
guardandosi allo specchio vedevano una forma vagamente somigliante a
Dio, e si chiedevano come fosse possibile.
Si
riflettè in una vetrina: la sua figura somigliava vagamente
al
demonio. Ma non si chiese perchè.
Ciondolò
ancora e proseguì.
Si
lasciò cadere, stremata, senza più ragione di
andare oltre, e si
appoggiò a quel telefono pubblico che solitario regnava
sulla
strada.
Strinse
la cornetta tra le mani e se la portò all'orecchio.
Silenzio.
Tremò.
<<
Mamma. >> una voce uscì dalle sue labbra, ma
non la riconobbe,
non era più la sua << Mamma. Voglio tornare a
casa. >>
la gola le raschiò e la voce morì per qualche
secondo << Qui
è l'inferno. I morti si cibano dei vivi. E i vivi fanno
altrettanto.
Sono sola. Mostri hanno provato a mangiarmi. Uno sconosciuto ha
provato a violentarmi e Simone c'è riuscito.
>> singhiozzò
senza rendersene conto << Manuele si è
suicidato. Non l'ho mai
visto così prima d'ora. Aveva gli occhi di uno spettro.
>>
crollò a terra, inginocchiandosi, lasciando scivolare via la
cornetta muta, lungo i fianchi << Mi dispiace. Mi
dispiace, io
non tornerò a casa. Mi dispiace. >>
singhiozzò ancora e lì
rimase, solitaria a vegliare sulla strada, insieme alla sua cabina.
Lo
sguardo vitreo puntato sulla strada. In attesa della sua fine,
pregando solo che non fosse troppo dolorosa.
Il
sole calò a ovest.
Sentì
qualcosa arrivare davanti a lei, ma non alzò lo sguardo. Fu
per
questo motivo che la figura stessa si avvicinò, ponendosi
all'interno suo campo visivo, costringendola a guardarlo anche se non
voleva.
Un
Border Collie la stava osservando curioso, la lingua penzoloni di
fuori, la coda alzata, per niente spaventato o agitato. Solo curioso
della sua nuova scoperta. Provò ad avvicinarsi alla figura
seduta a
bordo del marciapiede, abbandonata a se stessa, annusandola per
scoprire se era viva o era uno di quei cosi che più volte
gli erano
corsi dietro. Dall'odore non sembrava cattiva.
<<
Va via. >> bofonchiò lei cercando di nuovo di
portare gli
occhi lontani dal cane, che non accettò il consiglio e si
avvicinò
ancora.
<<
Vattene!!! >> urlò lei, rabbiosa, desiderosa
di essere
lasciata in pace, sola nella sua attesa della fine. Il sole era ormai
troppo abbagliante, e quella piccola stella, l'ultima del cielo,
stava sparendo definitivamente. Doveva solo aspettare.
Il
cane ancora non ascoltò e continuò a guardarla,
costringendola,
esasperata, a cacciarlo via tirandogli un sasso.
Fuggì
e la lasciò finalmente sola.
Fece
un sospiro e restò lì. Ad aspettare.
Passò
forse più di un'ora, il sole era già quasi calato
cominciando a far
spazio all'oscurità della sera, quando il cane
tornò dove aveva
trovato la piccola stella caduta dal cielo. Ma questa volta non era
lì solo per osservare.
Si
avvicinò a lei, cauto e silenzioso, le orecchie abbassate e
gli
occhi quasi spaventati, attento a non destarla troppo e non farla
scappare via, come si può fare con un piccolo cucciolo
abbandonato
per strada. Una volta vicino fece cadere ai suoi piedi un topo e si
allontanò di un passo. La ragazza si voltò
scocciata, stufa di
vederlo di nuovo lì e lo fulminò, prima di notare
la piccola preda
lasciata ai suoi piedi.
<<
Cosa vuoi? >> gli chiese poco amichevole. Il cane
tentò di
avvicinarsi e spinse col muso il topo ancora più vicino a
lei, la
quale spostò su di esso il suo sguardo. Sentì
qualcosa nascere
dentro sè.
<<
Mi hai...portato la cena? >> chiese incredula incapace di
trattenere un sorriso divertito. Se n'era andato quel pomeriggio, ma
si era impegnato a dar la caccia ai topi, manco fosse stato un gatto,
per poterle portare qualcosa da mangiare. Era il gesto più
carino e
ingenuo che qualcuno aveva fatto per lei negli ultimi giorni. Poco
importava se il topo non era commestibile per lei, il poveretto non
poteva saperlo, contava il gesto: si era preoccupato di ritentare
l'approccio con una negoziazione di cibo.
La
piccola scintilla divenne presto qualcosa di più vivo e
caldo.
Qualcosa che riprese a tenerla in vita. Sorrise ancora, senza sapere
bene come, e smise di farsi domande sul proprio destino. Forse c'era
ancora un posto per lei in quel mondo. Forse non tutto era perduto.
Ma niente sarebbe stato come prima.
<<
Vieni. >> sorrise grata al cane, allungando una mano. Il
Border
Collie si avvicinò cauto, scodinzolando appena, felice della
nuova
amica che si stava facendo e si fece accarezzare.
<<
Sei solo? >> gli chiese, sapendo che non poteva
rispondergli,
ma poco importava e continuò ad accarezzarlo.
Sentì tra le dita,
sotto al suo collo, qualcosa di duro e metallico e si rese conto
allora che aveva su una medaglietta. Con discrezione la
sollevò e
lesse le incisioni << Max. >>
<<
Hai perso i tuoi padroni, Max? >> chiese e il cane si
rizzò
nel sentir nominare il proprio nome.
<<
Li ho persi anche io. >> disse con malinconia, abbassando
lo
sguardo. Ma subito si ricompose e si alzò in piedi
<< Devo
andare a riprendere le mie cose. Le ho lasciate lontano da qui. E
delle armi. Vieni con me? >> chiese sorridente al cane,
che non
parve contrariato.
Un
nuovo inizio.
<<
Mi chiamo Ocean. >>
Niente
sarebbe stato come prima.
Non
più.
Parlami
di lui, ovunque sia
Parlagli di me, di questa notte che non passa
mai.
Luna, digli che io sono qui
Aspettando canto, come polvere
tra gli angoli.
Luna, digli che non passerà
Non dimentico gli
attimi di felicità, gli occhi lucidi
Corri, digli che io sono
qua, a difenderci
Che la pioggia non cancellerà tutti i
brividi.
Luna, digli dove sono, adesso uccidi il tempo
E dimmi
ancora che tornerà!
E adesso vattene a cercare il giorno,
lasciami l'inverno e dimmi ancora che tornerà!
Se
pioverà
Felicità dagli occhi.
Parlagli di me, ovunque
sia
Parlagli di noi, di quel passato che non passa mai.
Luna,
digli che io sono qui
Qui che attendo danze sotto piume di ali e
di angeli.
Posa su di lui la verità
Croci e lividi
Specchialo
sulla felicità di quegli attimi.
Fà che veda cosa perderà
Almeno
illudimi che una goccia lo risveglierà con i brividi.
Luna, digli
dove sono, adesso uccidi il tempo
E dimmi ancora che tornerà!
E
adesso vattene a cercare il giorno, lasciami l'inverno e dimmi ancora
che tornerà!
Se pioverà
E dimmi ancora che tornerà!
Se
pioverà
Felicità dagli occhi.
D'estate, le mani, scivolavamo
piano.
Tre gocce, veleno.
E
trema un po' la mano.
Sudare.
Si vive.
Si muore.
(Luna
-Ilaria Porceddu)
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Capitolo 20 *** Espugnazione ***
Espugnazione.
Altra
corsa, altra sosta. Erano mesi che giravano per le strade della
Georgia, disperati alla ricerca di qualcosa che al momento sembrava
presente solo nei loro sogni. Molti si chiedevano cosa si aspettasse
di trovare Rick. Diceva voleva qualcosa di fortificato, di sicuro, ma
cosa esattamente? Cosa sperava di trovare? Una fortezza? Un castello?
Che intendeva per fortificato? Non c'erano che case e quelle certo
non erano fortificate. Senza considerare le madrie di zombie che mese
dopo mese aumentavano a vista d'occhio, diventando sempre
più
pericolosi.
Si
fermarono nuovamente per la strada, dopo l'ennesima fuga e Rick si
poggiò sul cofano dell'auto con la cartina, sperando fosse
essa
stessa a darlgi la soluzione. Ogni singolo giorno cercava la risposta
lì sopra, ma non c'era niente da fare, restava immutata,
senza via
di fuga. E Lori intanto arrivava allo scadere del suo tempo. Ocean si
fermò col cavallo vicino all'auto con lo sportello aperto,
dove
all'interno era seduta scomodamente la donna visibilmente incinta
quanto visibilmente scocciata. Scese e si avvicinò a lei,
preoccupata.
<<
Tutto bene? >> le chiese affacciandosi a guardarla. Lori
si
mosse come se fosse stata appena svegliata, era costantemente
immersa nei suoi pensieri e nei suoi timori. Le fece un sorriso
distratto e annuì. Non avevano mai legato troppo le due,
Ocean
l'aveva sempre considerata un po' antipatica con la sua aria da
strafottente, solo perchè la moglie del capo, ma
ciò non toglieva
che era incinta. Si ricordava di quando aveva assistito sua sorella
nella gravidanza: sempre piena di dolori, con la schiena incurvata e
il bisogno di tenere le gambe al caldo. Non riusciva a immaginare
come fosse possibile sopportare un tale peso in quel periodo, tra
fuggi fuggi, paure e spaventi.
<<
Hai bisogno di qualcosa? >> chiese ancora, ignorando i
discorsi
che Rick, Hershel, Maggie e Glenn facevano guardando la cartina,
sapendo che tanto non sarebbe mai stata utile.
<<
No, grazie. >> sorrise ancora Lori. Un sorriso di
cortesia,
solo per ringraziarla di aver pensato a lei. In realtà aveva
bisogno
di tutto: cibo, acqua, calore e un letto morbido. Stava impazzendo.
Ma sapeva che l'unica via possibile era quella della sopportazione.
Ocean annuì e si allontanò, lasciandola sola con
i proprio
pensieri, di cui al momento sembrava tanto gelosa, vista la fatica
che faceva a staccarsene.
<<
D'accordo! >> concluse T-Dog la loro riunione, mentre
Daryl
riavvolgeva la cartina e si apprestava a metterla via <<
Facciamo un salto al riuscello prima di andare, dobbiamo rifornirci
d'acqua. La bolliremo più tardi. >> disse e si
allontanò
accompagnato da Glenn e Maggie, lasciando solo Rick con Herhsel che
subito non esitò a dire la sua << Non
può continuare a
spsostarsi. >> disse riferendosi a Lori, e intraprendendo
così
una discussione con l'uomo.
<<
Bene. >> disse Ocean sgranchendosi la schiena e
avvicinandosi a
Daryl, le lunghe cavalcate di quei giorni la stavano facendo a pezzi,
sentiva anche lei il bisogno di un letto morbido, e non era incinta!
<<
Visto che qui è prevista una sosta, mi sa che ne approfitto
per fare
un giro nei paraggi. Magari troviamo qualcosa di utile, e mi
sgranchisco un po' le gambe: sono a pezzi. >>
comunicò
continuando a contorcersi nel tentativo di stirare muscoli e
scrocchiare articolazioni quasi bloccate.
<<
Vengo con te. >> disse Daryl sistemando la cartina nel
borsone
appeso alla sua moto << Quel gufo di prima non ci ha
sfamati
abbastanza. >> disse lasciando sottointendere le sue
intenzioni
di andare a caccia. Prese la balestra e se la caricò in
spalla,
prima di avviarsi insieme alla sua compagna, seguita dal suo fedele
Max, e inoltrarsi poi nel bosco.
Il
cane camminava davanti alla coppia, scodinzolando e annusando l'aria,
sempre entusiasta, come se non capisse veramente quello che stava
succedendo intorno a loro, o forse senza dargli il giusto peso.
Più
volte Ocean aveva invidiato il suo essere sempre felice e il suo
accontentarsi delle piccole cose. Un bastone lanciato lontano e
diventava il cane più felice del mondo.
<<
Ehy, sacco di pulci! >> lo richiamò Daryl,
senza essere
veramente scortese: era semplicemente il suo modo di fare
<<
Perchè non usi il tuo fiuto per trovare qualcosa da
mangiare? >>
<<
Non è un cane da caccia. >> lo corresse Ocean,
lanciandogli
un'occhiataccia.
<<
Andrebbe addestrato. >> continuò Daryl sulla
sua linea di
pensiero, guardandosi attentamente attorno, cercando qualsiasi cosa
potesse portare loro al cibo.
Seguirono
dei binari, con l'unico scopo di poter ritrovare facilmente la strada
del ritorno e proseguirono per neanche una mezz'oretta, quando a un
tratto Max si fermò e si voltò verso la sua
destra, guardando oltre
un'apertura concessa dagli alberi. Daryl non ci fece caso e
proseguì,
guardandosi attorno e cercando. Ocean, raggiunto il cane, si
fermò a
guardare nella sua direzione.
<< Ehy, D! >> chiamò il
suo compagno << Guarda. >>
Daryl
la raggiunse velocemente e guardò a sua volta: una prigione.
Avevano
recinti e mura. Il luogo fortificato, ecco cosa stavano andando
cercando, e non era stata una cartina a suggerire loro la via, ma
solo il caso. Il destino.
Peccato
solo fosse invasa dagli zombie.
<<
Che peccato. >> disse Daryl, lasciando cadere nel vuoto
le
speranze. Sarebbe stato un posto perfetto, benchè in altre
occasioni
mai avrebbe creduto di arrivare a credere che una prigione potesse
essere una casa perfetta.
<<
Parliamone con Rick. >> insistette lei <<
Forse riusciamo
a trovare un modo per entrare. >> disse prima di fare
dietrofront, senza aspettare il suo amico, e dirigendosi velocemente
verso la strada con un'esplosione di entusiasmo degna del suo cane.
Daryl continuò a osservare a lungo il luogo scoperto,
indeciso,
prima di seguire Ocean che già aveva cominciato a correre.
Potevano
farcela. Sentiva era possibile.
A
lungo era scappata la speranza dalle loro mani, e ora che era tornata
facevano quasi fatica a riconoscerla.
<<
Possiamo farcela. >> fu la decisione di un Rick
emozionato e
trepitante di riuscire a chiamare di nuovo casa un luogo fisso.
Rick
aprì un varco nella prima recinzione con delle tenaglie,
fece
passare velocemente i suoi compagni oltre, guardandosi attorno con
agitazione, intimorito all'idea di essere attaccati dall'orda prima
di riuscire a mettersi in salvo.
<<
Svelti!! >> li sollecitò. Entrò per
ultimo anche lui, e Daryl
e Glenn subito si affaccendarono per chiudere con dei cavi in ferro
l'apertura appena fatta. Si ritrovarono tra due fuochi, zombie a
sinistra e zombie a destra, incastrati in un vialetto in ghiaia che
collegava le torri di guardia esterne.
Corsero
silenziosi, Daryl a capo, Ocean vicino a Lori con Molly sulle spalle,
troppo lenta per correre da sola, che stringeva la sua presa sulla
ragazza con tutta la forza che aveva, intimorita all'idea di cadere,
sapendo che Ocean poteva sorreggerla ben poco: doveva avere le mani
libere per poter usare la spada. Gli zombie che andavano accalcandosi
alle recizioni davano la fretta necessaria. Il lavoro andava fatto
con rapidità e attenzione.
Arrivarono
al grosso cancello che dava sul cortile e da lì all'entrata
della
prigione e si fermarono, cominciando a prepararsi per ciò
che andava
fatto. Ocean fece scendere Molly dalle sue spalle, concedendole come
sempre qualche carezza e un sorriso.
<<
Andrà tutto bene, vedrai. Presto avrai un lettino tutto tuo.
>>
le sussurrò per tranquillizzarla. Molly si strinse a lei,
aggrappandosi alla sua gamba, scaricando in quell'abbraccio tutta la
paura e l'agitazione che le correva in corpo << Mi fanno
paura
questi mostri. >> sussurrò, nascondendo il
viso tra i suoi
abiti.
<<
Ora io, Rick e Daryl andiamo a cacciarli via. Tu resta sempre insieme
a Lori e Carol, non allontanarti per nessuna ragione, capito?
>>
ordinò, ricevendo in risposta un movimento d'annuizione
della testa.
<<
Chiudiamo quel cancello. >> cominciò a
comunicare Rick,
attirando i suoi compagni, pronti ad ascoltare e obbedire
<<
Tutti questi li uccidiamo. Entro stasera il cortile è
nostro. >>
<<
Come chiudiamo il cancello? >> chiese Hershel.
<<
Ci penso io. Sono il più veloce. >> si
offrì Glenn, ricevendo
uno sguardo terrorizzato di Maggie. Probabilemente era d'accordo con
lui, ma l'idea di vederlo correre solo in mezzo agli zombie
sicuramente non era di suo gradimento.
<<
No. Tu, Maggie, Beth e Ocean li attirate da quella parte. Daryl, tu
ti sposti sull'altra torre. Carol, hai una buona mira ormai, prenditi
il tuo tempo, non abbiamo munizioni da sprecare. Hershel, tu e Carl
salite su questa torre. Io corro verso il cancello. >>
disse
dando le direttive, e non ci fu nessuno che ebbe niente da obiettare,
ma tutti erano già corsi ai propri posti, pronti e pieni di
energie,
decisi a conquistare casa loro.
Ocean,
insieme agli altri, cominciò a urlare, cercando di attirarli
e corse
nella direzione indicata da Rick, sollecitando anche Max ad abbaiare.
Si poggiò alla rete quando fu ormai distante, e con la spada
perforò
i crani di quelli che l'avevano seguita, passando attraverso i fori
della recinzione.
<<
Forza! >> urlò ancora perquotendo la rete con
la spada,
facendo quanto più rumore possibile.
Rick
entrò nel cortile, silenzioso, curvo in avanti, attento e
velocissimo. Sparò a qualche zombie troppo vicino, cercando
di non
farsi fermare da questo e contando sulla copertura che i suoi
compagni sulle torri gli stavano fornendo. Riuscì ad
arrivare al
cancello, diede un calcio a uno zombie sulla soglia, allontanandolo,
e con una forza che poche volte gli era stato richiesto di utilizzare
lo chiuse, bloccandolo con dei moschettoni e una catena. Il rumore
fece girare molti degli zombie nel cortile, che smisero di dare
ascolto alle prede dietro la rete e si diressero verso di lui.
Sparò
qualche colpo, riuscendo incredibilmente a mantenere il sangue freddo
quando vide che stava per venire accerchiato, trovo una via di fuga e
ci si infilò, correndo verso un'altra torre e chiudendocisi
velocemente dentro, protetto.
<<
Sparate!!! >> ordinò Daryl quando vide che il
loro amico era
in salvo, e con un'esecuzione degna dei peggiori campi nazisti in
pochi minuti tutto ciò che camminava nel cortile si
trovò steso a
terra, privo di vita.
Il
sole stava calando e loro avevano una nuova casa.
Il
sorriso si dipinse sui loro volti, ormai consapevoli che potevano
rilassarsi e si mossero verso il cortile per godersi la loro meritata
sicurezza. Daryl fece i complimenti a Carol per l'ottima mira
dimostrata e sorrise nel vedere la sua amica così
entusiasta. Passò
vicino a Molly che guardava i suoi compagni ancora intimorita:
chissà
se mai si sarebbe abituata a tutto quello. Daryl si fermò,
si
sistemò nuovamente la balestra in spalla e la
sollevò da terra,
prendendola in braccio. Non che avesse bisogno di aiuto per
camminare, ma sapeva che tenerla stretta al petto era il modo
migliore per farla sentire al sicuro << Andiamo,
mostriciattolo. >> disse sforzando la voce nell'istante
in cui
la sollevò. Molly si fece prendere con
tranquillità, e sistemò
immediatamente la testa sulla sua spalla, stringendo la sua camicia
tra le dita, in cerca di calore e conforto.
Ocean
corse verso l'entrata del cortile, tenuta aperta da un'ormai enorme
Lori. Gli occhi spalancati di fronte a tanta meraviglia: era immenso!
Era sicuro! Ed era tutto loro. Avevano cercato a lungo, rischiando la
vita ogni singolo giorno, perdendo ogni speranza, sicuri che ormai
non ci fosse che da rassegnarsi e aspettare la fine dentro una
casupola qualunque, in attesa del giorno che non sarebbero
più
riusciti a scappare. Aspettando che il figlio di Lori li avrebbe
uccisi, attirando gli zombie con i suoi pianti . E invece no. Tutte
quelle terribili verità erano andate cadendo in un istante,
seguendo
l'esempio degli zombie che ora giacevano al suolo privi di ogni forma
di vita. Si fermo per un istante, ammirando l'immenso spazio
concesso. I recinti avrebbero donato loro tutto ciò di cui
avevano
bisogno. Non aveva più paura di un gruppo, non aveva
più paura di
perderli o di vedere il proprio territorio invaso da dei pazzi con
delle armi, perchè sapeva che tutto sarebbe stato diverso.
Il nuovo
gruppo, il gruppo di Rick, sapeva difendersi a differenza del suo,
che all'inizio erano solo dei poveri sprovveduti disperati. Sapeva
che con loro ce l'avrebbe sicuramente fatta. Erano persone con forza
e coraggio, lei stessa ora aveva forza e coraggio. Tutto sarebbe
andato per il meglio.
Il cuore le esplose di gioia e si voltò
istintivamente, guardando le persone dietro di lei. Era il posto
più
bello del mondo, loro erano le persone più belle del mondo.
Non si
era sentita così felice da tanto tempo. Incrociò
per un attimo gli
occhi di Daryl, che non potè che ricambiare il suo sorriso:
era la
prima volta che vedeva quel volto. Lo stesso di quella fotografia
digitalizzata su una macchinetta ormai scarica e abbandonata in una
fattoria in fiamme. Gli occhi le brillavano e il sorriso le
illuminava il volto. Era totalmente diversa da quando l'aveva
conosciuta. Gli occhi di Ocean corsero via e andarono a posarsi sul
cane che camminava sempre dritto e fiero dietro di loro, mai
abbattuto.
<<
Andiamo Max!!! >> lo chiamò prima di correre
via, donando alle
sue gambe tutta l'energia che ancora possedeva. L'adrenalina le stava
facendo venire voglia di saltare. Max, coinvolto nell'entusiasmo
della padrona, scattò e la inseguì, scodinzolando
come un folle,
abbaiando, sentendo che gli era concesso. Ocean si voltò a
guardarlo, continuando la sua corsa all'indietro, e ridendo
allargò
le braccia per stimolarlo ancora << Vieni!!
>>, urlò
prima di inciampare, non abituata certo a correre al contrario, e
rotolare un paio di volte nell'erba. Si scosse frastornata, ma non
privata della sua allegria, allegria che esplose ancora in risate
quando il cane la raggiunse e le si scaraventò addosso,
leccandole
il viso senza darle possibilità di fuga.
<<
Non avevamo tanto spazio da quando abbiamo lasciato la fattoria!
>>
rise Carol, entrando a sua volta nel campo e correndo allegra verso
Rick, dall'altra parte, godendosi lo spazio appena conquistato. I
suoi amici le fecero coro con urla entusiaste e risa, tutti felici
per poter finalmente dire:
<<
Daddy, questa è casa nostra? >>
<<
Sì, Molly. E' casa nostra. >> e Daryl le
sorrise sincero,
prima di scompigliarle amorevolmente i capelli.
La
sera calò e per la prima volta, dopo così tanto
tempo, non fu una
notte di paura e ansia. Il fuoco acceso davanti a loro riscaldava i
cuori, oltre che il corpo, e il cibo che si stavano gustando era il
loro meritato premio. Stavano morendo di fame e stanchezza, ma
avrebbero volentieri resistito ancora un po': ormai non dovevano
più
scappare. Non dovevano avere più fretta. Con calma avrebbero
sistemato quel posto e l'avrebbero reso una casa perfetta.
Daryl
montava la guardia all'entrata del cortile, camminando avanti e
indietro sopra un auto che era stata trascinata e poggiata
lì.
L'unico che non fruiva del calore del fuoco. Ma era bene che,
nonostante la sicurezza, non si lasciassero andare completamente e
continuassero ad avere lo stesso un occhio aperto. In quel momento
Daryl era il loro occhio.
<<
Ti piace? >> chiese Ocean a Molly, seduta a terra,
davanti a
lei, tra le sue gambe e la schiena poggiata al suo petto. Molly
sorrise e annuì, continuando a spolpare con accanimento
quell'ossicino che stringeva tra le dita. Ocean le sorrise di rimando
e, lasciandola mangiare, senza disturbarla troppo, le sfece la coda
dei capelli, cercando poi di pettinarli alla bene e meglio con le
dita.
<<
Domani raduneremo i corpi >> disse T-Dog <<
Voglio
tenerli lontani dall'acqua. Se riuscissimo a scavare un canale
sotterraneo sotto il recinto, avremmo acqua fresca a
volontà. >>
<<
Il terreno è buono. >> disse Hershel,
continuando a fare
piani, seguendo la scia di pensieri di T-Dog << Potremmo
coltivare dei semi, dei pomodori, dei cetrioli, della soia.
>>
poi il suo sguardo si spostò su Rick, l'unico, apparte
Daryl, che
non era lì con loro. Aveva passato tutta la sera solo, a
passeggiare
intorno al recinto, controllando di tanto in tanto la
stabilità di
esso.
<<
Questo è il terzo giro che fa. >>
constatò il vecchio <<
Se ci fosse stata una parte danneggiata l'avrebbe vista.
>> ma
nonostante l'evidente preoccupazione di tutti, il discorso cadde
lì.
Da quando avevano lasciato la fattoria, da quando Rick aveva scoperto
che sua moglie era incinta, da quando aveva ucciso il suo migliore
amico, non era stato tranquillo nemmeno per un attimo. E sicuramente
tutto quell'accumulo di stress prima o poi l'avrebbe distrutto, se
già non stava cominciando a farlo.
<<
Qui non è male per partorire il bambino. >>
disse Beth a Lori
<< Sei al sicuro. >> e Lori non
potè che sorridere. Era
preocupata, e forse il posto non la convinceva come gli altri, ma
probabilmente era solo perchè ancora non riusciva ad
accettare
l'idea che non avesse avuto dei medici a sostenerla e un ospedale
disinfettato a cui dare in mano la vita del suo bambino. Ancora
faceva tanta fatica ad abituarsi alla loro nuova vita.
<<
Posso averne ancora? >> chiese Molly, guardando i
presenti,
intimorita all'idea di ricevere un no come risposta. Glenn sorrise,
intenerito e si allungò per primo ad afferrare un altro
cosciotto
sulla padella improvvisata e porgendoglielo con un <<
Tieni.
Devi crescere. >>
Molly
non se lo fece ripetere due volte e riprese subito a mangiare,
affamata come poche volte lo era stata.
<<
Come si dice? >> l'ammonì Ocean, con lo stesso
tono di una
mamma, riprendendo ad aggiustare i suoi capelli tutti arruffati.
<<
Grazie, Glenn. >> disse timida la bambina, nascondendo il
viso
tra le spalle, imbarazzata per non essersi ricordata da sola di
essere beneducata. Glenn rise, rispondendo con un <<
Prego >>
di cortesia.
<<
Bethy. >> chiamò Hershel, voltando la testa
verso sua figlia
<< Canta Teddy Riley per me. Non lo sento da quando tua
madre
era ancora viva. Potresti cantare The Parting Glass. >>
sorrise
l'uomo, mettendo in evidente imbarazzo la ragazza.
<<
Non la vuole sentire nessuno. >> disse Beth, sostenendo
lo
sguardo del padre, cercando di suggerirgli con gli occhi di non
insistere.
<<
Perchè no? >> sorrise Glenn, amichevole. Era
un giorno di
festa, la musica avrebbe accompagnato divinamente il loro salottino
allegro. Beth arrossì e si lasciò convincere,
facendo poi risuonare
la voce delicata e morbida, come un ruscello che scorre tra le rocce
di una montagna. Il silenzio era l'unico accompagnamento che la
ragazza aveva, tutti attenti e concentrati, alleggeriti e riscaldati.
Era uno dei pochi momenti in cui potevano concedersi di chiudere gli
occhi e lasciarsi andare.
Daryl
e Carol tornarono dal loro posto di guardia, e come gli altri non
proferirono parola, lasciando fosse solo la dolcezza del canto ad
accompagnare la loro serata. Molly finì di spolpare anche
quell'ossicino e silenziosamente si accoccolò tra le braccia
della
ragazza dietro di lei, poggiando il viso tra i suoi vestiti, calda e
sicura, si sentiva finalmente bene. Ocean sorridendo le
scostò una
ciocca di capelli dal viso, accarezzandoglielo, e la tenne stretta a
sè, osservando i suoi occhi che lentamente si chiudevano
lasciandosi
prendere dal sonno, cullata da quella dolce ninna nanna. Maggie
sorrise e guardando complice la sorella cominciò a cantare
insieme a
lei, perdendosi nel loro mare di ricordi. Malinconici ma felici,
perchè ormai potevano permettersi di ricordare, smettendo di
rincorrere un futuro che costantemente scivolava dalle dita. Potevano
fermarsi e guardare indietro, sorridendo alle persone lasciatesi alle
spalle. Anche Rick li raggiunse e si inginocchiò tra sua
moglie e
suo figlio, ammorbidito anche lui, ma non abbastanza.
<<
Bellissimo. >> commentò commosso Hershel al
termine della
melodia delle sue figlie, che aveva lasciato tutti più
leggeri e col
cuore pacifico.
<<
Meglio andare a dormire. >> intervenne poi Rick, rompendo
un
po' la magia << Domani sarà un giorno
importante. Io starò di
guardia laggiù. >>
<<
Che vuoi dire? >> chiese Glenn, non capendo cos'altro ci
fosse
da fare. Si erano conquistati il loro posto, cos'altro serviva?
<<
So che siete tutti esausti. >> cominciò Rick,
mostrando di
avere ancora un po' di umanità nonostante il nervoso lo
schiacciasse
<< E' stata una grande vittoria, ma purtroppo dobbiamo
fare
ancora un piccolo sforzo. Gli zombie sono quasi tutti guardie o
prigionieri, hanno preso questo posto anche fin troppo presto,
significa che le provviste saranno ancora intatte. Potrebbe esserci
un'infermeria, magari uno spaccio. >>
<<
Un'armeria. >> aggiunse Daryl, sottolineando ancora come
fosse
necessario non abbassare la guardia. Avevano poche munizioni,
dovevano fare rifornimento nel caso fosse stato necessario usarle
ancora.
<<
Dovrebbe essere fuori dalla prigione, ma non troppo lontana.
>>
rispose Rick << Nell'ufficio del direttore ci saranno
informazioni per locarlizzarla. Armi, cibo, medicine! Questo posto
potrebbe essere una miniera d'oro! >>
<<
Le munizioni sono troppo poche. >> fece notare Herhsel,
preoccupato che quella ricerca e lavoro di cui parlava Rick avrebbe
portato loro più problemi che veri vantaggi. E se non ci
fosse stato
niente?
<<
E' per questo che dobbiamo entrare! Uno affianco all'altro.
>>
insistette invece Rick << Dopo quello che abbiamo
passato...
Possiamo farcela, ne sono sicuro! Questi stronzi non hanno speranze.
>> concluse, esortandoli a fare ancora di più.
E così li
lasciò, permettendo loro di prendersi la notte per riposare
corpo e
mente, pronti per lottare ancora.
Il
giorno successivo arrivò in fretta, forse anche troppo.
Ocean si
alzò in piedi e tentò di portare le braccia
più in alto possibile,
stirandosi e cercando la forza di fare altro lavoro. Rick era
già
intento a dare ordini e distribuire i compiti, distrutto più
di
tutti, ma pur sempre il capo branco e su di lui si contava.
<<
Io, Daryl, Glenn, Maggie e T-Dog entriamo. >>
comunicò. Ocean
li raggiunse, cogliendo solo quell'ultima parte delle direttive
fornite e intervenne << Scordatelo che rimango dietro la
rete
questa volta! >> disse piegandosi e raccogliendo da terra
la
sua cotta di maglia, che troppo spesso non aveva utilizzato,
nonostante ne avesse avuto bisogno. Rallentava con la sua pesantezza.
Ma da quanto aveva capito in quella missione non serviva la
velocità,
solo l'attenzione e la precisione. Rick la osservò mentre si
infilava la pesante maglia ad anelli addosso, sopra i suoi vestiti e
se la sistemava con un paio di scrollate.
<<
Non sono solo quella che si arrampica sugli alberi per raccogliere
frutti. >> disse avvicinandosi ai suoi compagni sempre
intenta
a sciogliersi e sistemarsi per impedire alla pesante cotta di
intralciarla. Rick annuì, acconsentendo alla sua proposta,
ritenendo
anche lui che un aiuto in più non avrebbe fatto male. E
Ocean aveva
dimostrato più volte di essere un'ottima risorsa, ma troppo
spesso
preferiva lasciarla nelle retrovie per permetterle di occuparsi di
Molly e a protezione di chi da solo non ce l'avrebbe fatta.
<<
Ti sta enorme. >> constatò Daryl con un
sorriso divertito
vedendola arrivare con quella camicia in ferro che sarebbe dovuta
arrivare alla vita e che invece a lei quasi arrivava alle ginocchia.
<<
Non era mia. Ma ti assicuro che è molto utile.
>> disse
voltandosi, mostrando una spalla, dove un paio di anelli erano
incrostati di sangue e un paio anche spezzati << Morso da
zombie. >> spiegò. Era stato solo grazie a
quell'ingrombrante
e pesantissima camicia se era sopravvissuta qualche volta.
<<
Ok, andiamo! >> incitò Rick, avvicinandosi al
cancello che
lui stesso aveva chiuso il pomeriggio prima << Mi
raccomando,
stiamo vicini. >> ordinò ancora. Entrarono
velocemente e si
sistemarono in cerchio, dandosi le spalle a vicendo, guardando in
ogni direzione, pronti a colpire e salvare le spalle degli altri
dietro di loro. Gli zombie cominciarono ad attaccare, e, come si
potè
immaginare, si andarono a schiacciare contro quello che in pratica
era un riccio. Camminavano lentamente, passetto per passetto,
incitati sempre dalla voce di Rick, spaventato all'idea di perdere la
formazione, e atterrando tutti gli zombie che trovavano sulla via.
Gli
altri del gruppo, rimasti dietro la rete metallica, cominciarono a
fare rumore urlando e scuotendola, cercando di attirarli da loro e
allontanarli dal gruppo che continuava a fendere colpi.
<<
Mi sto quasi divertendo. >> disse Ocean mentre estraeva
la sua
spada dal viso di uno di quelli che aveva appena atterrato.
<<
Ocean!! >> la richiamò Rick, notando che si
era allontanata
troppo per finirlo. Ocean rispose al richiamo e tornò
velocemente in
formazione. Un solo errore e sarebbero morti tutti, dovevano restare
uniti, ne valeva la vita anche degli altri.
<<
T!! Maggie!! >> chiamò ancora, richiamando
anche loro e
costringendoli a tornare velocemente ai loro posti.
Si
guardarono attorno, avevano percorso il piccolo cortiletto prima
dell'entrata della prigione e lentamente erano riusciti a liberarlo.
Potevano entrare.
<<
Ci siamo quasi. >> incoraggiò Glenn i suoi
amici, già stanchi
e affaticati nonostante avessero fatto ben poco. Ma sulle spalle
avevano mesi di corse e combattimenti, la stanchezza era più
che
plausibile.
Rick
aprì una porta in ferro che conduceva all'interno e diede
un'occhiata dentro, assicurandosi non ci fosse nessuno, poi si
avvicinò alla seconda parte del cortile, separato dal primo
da delle
colonne. Diede un'occhiata dall'altra parte e si schiacciò
immediatamente contro il muro.
<<
Indietro! >> sussurrò ai suoi compagni che lo
imitarono. Un
numero indefinito di zombie li aspettavano, molti di più che
quelli
appena uccisi. Inoltre qualcuno di loro, che già si stava
avvicinando, erano corazzati. Probabilmente erano vecchie guardie. La
cosa avrebbe reso più difficile la loro missione.
Un
paio di loro li videro e si avvicinarono rapidamente. Daryl
provò a
scoccare una freccia ma rimbalzò sul loro casco protettivo.
Nessuno
disse << Cazzo! >> ma tutti lo pensarono.
Rick guardò i
suoi compagni, cercando il loro sostegno, poi si lanciò
verso il
nemico, cercando del coraggio sperduto dentro lui. Si stavano
giocando il tutto per tutto. I suoi compagni fecero altrettanto e
cercarono di combattere la nuova minaccia, senza troppi successi
inizialmente. L'unica cosa che riuscivano a fare era allontanarli e
tentare invano di colpirli per tentare di sfondare la corazza. Ocean
ne spintonò via uno, avvicinatosi troppo e si
voltò a guardare
chiunque avesse accanto << Sotto il casco! Mirate al
collo! >>
suggerì a Maggie, l'unica vicino abbastanza da sentirla e
cogliere
l'informazione. Non era sicura che quello bastasse a ucciderli, ma a
suggerirle l'idea erano stati sempre i vecchi racconti e le storie di
quando ancora era Alice. Al tempo dei cavalieri, quando vennero fuori
le armature, tutti credevano fossero impenetrabili e le temevano, ma
in realtà bastava conoscerle un pelo per sapere che potevano
essere
aggirate con facilità: le giunture erano i punti deboli, i
punti
scoperti, e il collo. Non fece in tempo a guardare se la ragazza
aveva seguito il suo consiglio che si lanciò contro uno di
loro,
spingendolo con una spalla e cercando di imprimere la forza
necessaria in quello spintone per buttarlo a terra. La pesantezza
della cotta l'aiutò a farlo cadere, sotto il suo peso, e
atterrata
su di lui si affrettò ad afferrargli il casco, spingerglielo
indietro, sollevandogli così la testa e infilzando la sua
spada
sotto il suo mento. Rotolando scese da sopra il corpo ormai morto e
atterrò sulla schiena, stanca e affaticata. T-Dog si
avvicinò a lei
appena in tempo per uccidere uno zombie che già gli si era
lanciato
contro, approfittando della sua posizione scomoda e distrazione. Le
porse la mano e l'aiutò ad alzarsi << Grazie.
>> gli
disse lei accettando ben volentieri l'aiuto. Gli ultimi due furono
uccisi da Rick e Daryl che avevano appena chiuso il cancello di un
altro cortile, pieno zeppo di quei cosi.
<<
Sembra sicuro. >> constatò Glenn guardandosi
attorno.
<<
Non consideri quel cortile laggiù. >>
indicò Daryl, smentendo
le sue affrettate speranze << E questa è una
civile. >>
disse ancora indicando un cadavere poco lontano da loro.
<<
Potrebbe esserci un'apertura da qualche parte. >>
constatò
Rick.
<<
E se fosse crollato un muro? Non possiamo ricostruire tutto.
>>
disse Glenn.
<<
Non possiamo rischiare che ci sia un punto debole. >>
ribattè
Rick << Dobbiamo entrare per forza. >>
disse prima di
avviarsi verso uno degli ingressi.
Daryl,
dietro di lui, aprì la porta, permettendogli di avere le
mani libere
nel caso avesse dovuto sparare, ma per fortuna non ce ne fu bisogno.
Dentro sembrava tranquillo, o almeno a vederlo da lì.
L'unica pecca
era il buio che impediva di guardare più in la di un paio di
metri.
C'era qualche finestra, ma erano opache e la luce che penetrava era
appena sufficiente. Si sparpagliarono, controllando la prima saletta,
dove sembrava fosse passato un uragano. Tavoli spostati, cartacce per
terra e tutto sottosopra. Rick silenziosamente con dei gesti
indicò
le zone da controllare, e come sempre i suoi compagni obbedirono
scrupolosamente. Con passi leggeri e lenti si inoltrarono nella sala,
controllando porte, angoli e finestre. C'era una scala che portava a
un sopralivello, una specie di cabina di controllo e lì si
inoltrò
Rick, silenzioso, acquattato e con l'arma pronta davanti a
sè.
Percorse gli ultimi scalini correndo, caricandosi per un eventuale
combattimento, ma arrivato in cima conferì che non ce n'era
bisogno.
L'unico cadavere presente, seduto sulla sedia, la testa reclinata
all'indietro, non sambrava intenzionato ad alzarsi.
Controllò con la
punta del coltello che non fosse solo dormiente e lentamente si
chinò
su di lui, prendendogli le chiavi dalla cintura. I loro fiati erano
così rumorosi, echeggiavano per tutto l'ingresso, quasi
quanto i
loro cuori palpitanti e intimoriti. Rick mostrò le chiavi ai
suoi
compagni, che annuirono e tornò da loro.
Si
avvicinarono alla prima porta a sbarre, l'aprirono facendola cigolare
rumorosamente, ed entrarono rapidi e silenziosi. Le armi spiegate
davanti a loro, sempre pronti, senza permettere a nessuna distrazione
di attentare alla loro vita.
Erano
entrati nel primo blocco. Il blocco C.
Lo
percorsero, controllando tutte le celle al pian terreno. Sembravano
vuote, e se non lo erano comunque i cadaveri restavano fermi a terra,
senza nessuna intenzione apparente di alzarsi e tentare di morderli.
Daryl cominciò a salire le scale che portavano al piano
superiore, e
Ocean gli andò dietro. Anche lì molte celle erano
vuote. Rick li
raggiunse velocemente non appena ebbe finito di controllare il piano
inferiore e li seguì lungo il corridoio che percorreva tutto
il
perimetro della stanza.
Il
cuore sobbalzò quando uno zombie, attirato dai rumori, si
schiacciò
contro la sua cella, allungando le mani all'esterno nel vano
tentativo di afferrarli. Un altro, vicino a lui, fece altrettanto.
Fortuna volle che le due celle erano chiuse e loro non potevano far
altro che rumoreggiare e spingersi sempre più contro le
sbarre.
Daryl e Ocean li uccisero, ponendo fine ai loro lamenti, conficcando
le proprie lame nella loro testa e sospirarono, cercando di
rilassarsi e guardandosi attorno.
<<
Sembra sicuro. >> constatò lei affacciandosi
di sotto dal
parapetto e dando un'ulteriore controllata << Certo ci
vorrebbe
una bella ripulita. >>
Rick
annuì, sorridendo come poche volte aveva fatto ultimamente,
e scese
le scale << Andiamo a chiamare gli altri.
>> Glenn e
Maggie uscirono, facendo quello che era stato ordinato. T-Dog
afferrò
lo zombie nella prima cella e cominciò a trascinarlo,
seguendo il
consiglio di Ocean e cominciando a dare la famosa "ripulita".
La ragazza tirando un sospiro di sollievo cominciò a
sfilarsi la
cotta di dosso, aiutata da Daryl che, vicino a lei, la vedeva un po'
impacciata nei movimenti. Uscita di lì, lasciò a
Daryl l'indumento,
permettendole di alleggerirsi, e lei cominciò a roteare le
spalle e
allungare la schiena << Mio Dio, quell'affare mi uccide
tutte
le volte. >>
<<
Prima o poi ti farai le ossa. >> disse Daryl dandole una
pacca
incoraggiante su una spalla, prima di allontanarsi e lasciar cadere
la cotta di Ocean su una panca lì vicino.
<<
Sinceramente, spero di non doverla più indossare.
>> disse lei
seguendolo e scendendo le scale, pronti a dare una mano a T-Dog.
Lori
e gli altri arrivarono, portandosi dietro le proprie cose,
guardandosi attorno e cercando di familiarizzare con quei muri.
<<
Che ne dite? >> chiese Rick al suo gruppo vedendolo
arrivare.
<<
Casa dolce casa. >> rispose Glenn, visibilmente
entusiasta,
come gli altri, di aver finalmente un posto fortificato dove
rifugiarsi.
<<
E' sicura? >> chiese Lori, ancora un po' preoccupata.
<<
Quest'ala sì. >> rispose suo marito,
sorridendo ancora, felice
anche lui di aver finalmente realizzato quel desiderio espresso quasi
otto mesi prima, quando erano fuggiti dalla fattoria e
miracolosamente si erano ritrovati.
<<
E il resto della prigione? >> chiese Hershel.
<<
Domattina cercheremo la mensa e l'infermeria. >>
informò
ancora Rick.
<<
Quindi dormiremo nelle celle? >> la voce di Beth
trasmetteva
tutta la sua incredulità. Sembrava assurdo che fossero stati
loro
stessi a correre e lottare per andare a chiudersi dentro una cella di
prigione.
<<
Ho trovato le chiavi addosso a una guardia. Anche Daryl ne ha una
copia. >> spiegò ancora il capo gruppo.
<<
Io non dormo in gabbia! >> informò Daryl,
facendo trasparire
la sua riluttanza e il suo spirito libero e ribelle << Mi
metto
nella guardiola. >>
Il
gruppo si guardò nuovamente attorno, incredulo, ma
compiaciuto.
<<
Benvenuti, signori e signore, al Grand Hotel 5 stelle, tutto
compreso, gestito dalla stimatissima società Rick &
co. >>
invenì Ocean, mascherando la voce quel tanto che bastava a
somigliarla a quella dei grandi commentatori del circo,
enfatizzandola a dismisura. Allargò le braccia e
improvvisò un
inchino, strappando, con quella sua ondata di teatralità,
qualche
risata.
<<
Prego scegliete pure la stanza che più vi aggrada.
>> continuò
lei la recita, facendosi da parte per permettere al gruppo di
passarle davanti, ma restando inchinata e col braccio teso verso le
celle << Potrete godere di tutti i confort che solo un
Hotel di
lusso come il nostro può offrire. >> Carol le
passò davanti
ridendo, prima di entrare dentro una delle celle, pronta a sistemare
le proprie cose << C'è anche la colazione in
camera? >>
chiese divertita.
<<
E' il minimo! >> rispose Ocean, lasciandosi scappare
anche lei
una risatina, contenta di vedere come fosse riuscita nel suo intento
di alleggerire i cuori e permettere un po' di ilarità. Si
voltò
verso le scale, dietro di lei, e cominciò a salirle
velocemente a
due a due << Vieni Max! >>
chiamò e come sempre il cane
obbedì.
Si
infilò in una cella qualunque, la penultima prima della
guardiola
dove stava Daryl e la osservò un po' prima di entrare,
studiando
quella che sarebbe diventata la sua camera da letto.
<<
Io dormo sopra! >> disse frettolosamente, come un
ragazzetto in
viaggio con i compagni di classe, lanciandosi sul letto a castello, e
con un salto, dandosi la spinta sul lettino sotto, arrivo a quello di
sopra e ci si lasciò cadere pesantemente, sentendo
finalmente pace
per i muscoli irrigiditi dalla fatica e dalle mille volte che era
stata costretta a dormire per terra.
Max
saltò sul lettino sotto e anche lui cercò il suo
posto confortevole
prima di acciambellarsi e chiudere gli occhi, già pronto a
godersi
il suo meritato riposo. Dei leggeri passi destarono la ragazza, che
aprì gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che si
stava
già addormentando e si alzò a controllare chi
stesse facendo visita
alla sua cella.
Molly
era arrivata all'entrata, stringendo come sempre la sua bambola e
guardando Ocean un po' titubante. Le voleva bene, così come
voleva
bene a Daryl, però loro spesso erano via e passavano poco
tempo con
lei. Le avevano spiegato che era per il suo bene, andavano in giro
per assicurarsi di trovare cibo e un posto sicuro, per questo non
stavano spesso con lei, ma questo l'aveva sempre intimorita. Aveva
paura di restare di nuovo sola. E aveva paura che loro si
dimenticassero di lei, anche perchè le volte che tornavano
erano
sempre presi da tante altre cose, e andavano sempre dove diceva Rick.
<<
Molly. >> sorrise Ocean << Vieni!!
>> la invitò ad
entrare. La bambina non se lo fece ripetere due volte e corse verso
il letto, allargando le braccia e allungandole verso la ragazza la
quale si stese di pancia, e sporgendosi verso di lei
l'afferrò e la
tirò su. La fece stendere tra lei e il muro dietro,
assicurandosi
così che non sarebbe caduta se si fosse girata nel sonno, la
strinse
a sè e rapidamente, senza neanche rendersi pienamente conto,
cadde
nel sonno più profondo.
<<
Niente male. >> disse Rick esaminando il piccolo tesoro
riversato sul tavolo, tesoro che avevano rubato quella mattina stessa
ai cadaveri delle guardie uccise il giorno prima <<
Granate
accecanti e stordenti. Roba forte. >>
<<
Ma che ore sono? >> bofonchiò Ocean,
interrompendoli e
costringendoli a voltarsi per vederla arrivare barcollante, i capelli
ancora spettinati e una mano che torturava selvaggiamente un occhio
che non decideva ad aprirsi. Fece uno sbadiglio e si
avvicinò al
tavolo.
<<
Buongiorno. >> disse Rick, senza riuscire a trattenere un
sorriso divertito.
<<
Siete già a lavoro! Non mi avete chiamata,
perchè? >> lamentò
lei dando un'occhiata alle cose poggiate sul tavolo.
<<
Sembrava tu stessi dormendo bene, ci dispiaceva disturbarti.
>>
disse ancora Rick, non riuscendo nuovamente a nascondere un sorriso
divertito. Sorriso che comparve anche sui volti degli altri suoi
compagni, complici in quella beffa sempre più evidente, ma
che Ocean
non riusciva a cogliere. Che avevano da essere tanto divertiti?
<<
La prossima volta sarebbe gradito tu facessi dormire anche noi.
>>
disse T-Dog, l'unico ad accennare a cosa stavano pensando.
<<
Che? >> chiese ancora Ocean, confusa, cominciando a
essere un
minimo infastidita. Che aveva fatto? Perchè la prendevano in
giro in
quella maniera?
<<
Russavi come il peggiore degli ubriaconi la notte di capodanno.
>>
arrivò la delucidazione di Daryl, l'unico che come al solito
non si
faceva problemi a sputarti in faccia ogni sorta di schifosa
verità.
Ocean spalancò gli occhi, sentendosi sveglia
improvvisamente,
imbarazzata come poche volte era successo.
<<
Era Max! >> provò a salvarsi, giustificandosi,
e facendo
ancora ridacchiare Rick, che lasciò cadere lì il
discorso e tornò
al suo lavoro di ispezione.
Daryl
alzò uno dei caschi, guardandolo disgustato mentre
rovesciava sul
pavimento un liquido nerastro e appiccicaticcio << Io non
mi
metto questa merda. >>
<<
Potremmo bollirli. >> disse T-Dog cercando una soluzione.
<<
Non basterebbe tutta la legna del bosco. >> rispose
ancora
Daryl, deciso a non voler rischiare, e visibilmente disgustato
<<
E poi siamo arrivati fin qui senza quei cosi. >> disse
ancora
cominciando a provare qualche colpo nell'aria con un bastone in
ferro.
<<
Hershel. >> a chiamare fu Carol, arrivata in quel momento
<<
Puoi venire un momento? >>
<<
Va tutto bene? >> chiese subito Rick, preoccupato per sua
moglie. Erano in crisi da mesi, a malapena si parlavano, ma lui
continuava ad amarla e a preoccuparsi che avesse solo il meglio.
<<
Sì. Niente di cui preoccuparsi. >> sorrise la
donna prima di
dirigersi nuovamente verso la cella da cui era arrivata, seguita dal
vecchio, lasciando solo il gruppetto.
<<
Cos'è questo? >> chiese Ocean, cominciando a
svegliarsi
veramente, prendendo in mano quella che sembrava una granata, ma
senza esserne troppo sicura. Se la rigirò tra le mani un
paio di
volte prima che Daryl gliela strappasse via con una certa violenza
<<
Torna ai tuoi pisolini. >> le disse prima di rimettere
l'oggetto sul tavolo.
Ocean
lo fulminò: lo odiava quando si comportava così,
con quell'aria da
superiore e saccentino. Odiava quando la trattava come una
sprovveduta.
<<
Non parlarmi così! >> rispose acida,
già sull'orlo di
un'incazzatura, prima di prendere un altro oggetto a caso dalla
tavola, senza guardarlo troppo, solo per il gusto di "trasgredire
le regole" e dimostrare che non avrebbe fatto come diceva lui.
Si accorse troppo tardi dell'errore, quando ormai il liquido
appiccicoso che colava da quello che sembrava un parastinchi le aveva
riempito la mano. Fece un espressione disgustata e lentamente
riposò
l'oggetto sulla tavola, sotto gli occhi divertiti e quasi soddisfatti
di Daryl, che ancora affermava la sua superiorità.
Ritornato
Hershel dal suo incontro con Lori il gruppo si riunì
all'entrata del
blocco C e lì si prepararono per un'altra retata. Alcune
delle
corazze prese dalle guardie erano riusciti a pulirle a sufficienza e
se le stavano mettendo, utili a proteggerli. Daryl, come aveva detto,
rifiutò di infilarsi quegli affari che troppo erano stati a
contatto con budella e chissà quale schifezza marcia. Ocean
fece
altrettanto, tanto aveva già la sua cotta a proteggerla e il
casco
le avrebbe solo impedito di guardarsi bene attorno. Stava bene
com'era. Carl provò a infilarsi uno dei caschi, senza
successo:
troppo grande, scivolava via; e suo padre subito intervenne
prendendoglielo dalle mani.
<<
Questo non ti serve. Voglio che tu rimanga qui. >>
spiegò lui.
<<
Stai scherzando?! >> chiese incredulo suo figlio, sempre
pieno
della voglia di lanciarsi contro il pericolo e dimostrare il suo
valore.
<<
Non sappiamo cosa troveremo lì. Se dovesse succedere
qualcosa tu
saresti l'unico uomo rimasto a proteggere il gruppo. Voglio che tu
gestisca le cose qui. >> spiegò suo padre.
<<
Sicuro. >> annuì Carl, sorprendendo i
presenti, convinti che
si sarebbe ribellato ancora, come spesso faceva ultimamente.
<<
Grandioso. Andiamo! >> concluse Rick prima di voltarsi
nuovamente verso il suo gruppo e aspettare fossero tutti usciti, per
poi seguirli. Percorsero i corridoi del blocco C, che già
avevano
testato essere sicuri e arrivarono di fronte alla "prima porta
del mistero". Cosa c'era oltre era tutto un interrogativo, ma
presto avrebbero avuto le loro risposte. Daryl infilò la
chiave
nella fessura della porta a sbarre e l'aprì lentamente,
sperando di
evitare rumore, invano. Schiacciati contro il muro, guardinghi, con
solo l'aiuto delle loro torcie a illuminargli la via e i respiri
così
affannosi da sembrare assordanti, camminarono lungo il primo
corridoio, più o meno in fila dietro Rick. La bianca luce
delle
torcie correva da un angolo a un altro di quei muri grigiastri,
sporchi e a tratti spaventosi, con le loro strane e minacciose ombre.
Al
primo svincolo trovarono le prime celle, aperte, che proiettavano la
loro ombra a righe su dei cadaveri stesi a terra, apparentemente
immobili, ricoperti di polvere e forse un po' di muffa. Rick si
avvicinò lentamente, restando coperto dai suoi amici, e
controllando
con tutto il tempo che riteneva necessario l'affidabilità
del
passaggio. Glenn con una vernice spray disegnò una freccia
su un
muro, per permettersi di ritrovare successivamente la via del
ritorno, e rivoltandosi andò a sbattere contro una
spaventatissima
Maggie, che non riuscì a trattenere un verso di soprassalto,
ma che
si riprese subito con un paio di respiri.
Ocean
fiancheggiò Rick e si avvicinò al primo cadavere
a terra, posò la
punta del suo stivale su un fianco e lo smosse un po', scuotendolo,
aspettando di vedere se si svegliasse: ma restò immobile e
questo
tranquillizzò in parte il gruppo. La ragazza
guardò il capogruppo,
senza proferire parola, intimorita dagli echi che avrebbero
comunicato la loro presenza altrove, a chissà quale mostro
nascosto
dietro quale angolo. Bastò il suo sguardo a comunicare con
lui:
"sono morti". Passarono rapidamente, buttando gli occhi a
qualsiasi cella incontrassero lungo il loro cammino, pronti a
uccidere qualsiasi cosa si muovesse contro le loro aspettative. Si
schiacciarono di nuovo contro il muro quando arrivarono allo svincolo
successivo, dietro Rick, aspettando che guardasse oltre e
controllasse lo stato del passaggio successivo. Fece nuovamente
correre la torcia su ogni muro, guardò i suoi compagni,
lasciando
fossero nuovamente gli occhi a parlare, e col cuore che gli batteva
quasi in gola si incamminò per il secondo corridoio, che
sembrava
completamente vuoto. Con la torcia indicò il punto a Glenn
dove fare
la seconda freccia, e a Ocean, sempre di fianco a lui, dove dare
un'occhiata per assicurarsi fosse sicuro. I suoi compagni obbedirono
all'istante, poi finito l'incarico, tornarono ad affiancarsi a lui.
E
lentamente arrivarono al terzo svincolo, dove oltre già si
potevano
sentire i primi versi gutturali che annunciavano la presenza di
ospiti indesiderati. Con rapidità Rick guardò
oltre, per constatare
quanti fossero e capire se erano abbattibili o meno, ma appena
svoltato l'angolo si trovò di fronte a una mandria di numero
imprecisato, tutti accalcati sull'altro, e questo lo convinse a non
tentare nemmeno...per il momento. Allungò un braccio,
bloccando il
cammino a Daryl, accanto a lui, e fece un rapido passo indietro,
schiacciandosi e nascondendosi dietro l'angolo, ma ciò non
bastò
perchè la luce delle torce attirò i mangiatori di
carne, che
aumentando famelici i loro versi, cominciarono a dirigersi verso le
loro prede cercando di aumentare il passo per quanto possibile.
<<
Indietro! Torniamo indietro! >> disse Daryl voltandosi e
cominciando a ripercorrere velocemente i suoi passi.
<<
Via!! >> gridò Rick ai suoi compagni,
autoritario, spaventato
per l'ostacolo appena incontrato. Hershel indietreggio, inciampando
in un cadere e quasi cadendo a terra, mentre i suoi compagni gli
passavano davanti affrettati, correndo via. Si rimise velocemente in
piedi e li seguì. Daryl puntava la balestra a ogni angolo,
prima di
svoltare, sapendo bene anche lui stesso che non avrebbe avuto tempo
di contrastare eventuali mandrie se se li fossero trovati davanti.
<<
Da questa parte! >> urlò nuovamente Daryl,
colto dalla fretta,
mentre correva lungo i corridoi che a malapena faceva in tempo di
vedere, sentendo già il fiato puzzolente dei putridi sul suo
collo.
Maggie e Glenn, davanti a tutti, correndo più rapidamente
degli
altri, arrivarono a un ulteriore svincolo, dove Maggie si
trovò di
fronte altri zombie e sarebbe stata afferrata se non ci fosse stato
Glenn a tirarla indietro << No, di qua no!
>> comunicò
prima di correre dall'altra parte e seguire il gruppo che
già aveva
svoltato dove di dovere. Corsero rapidi, cercando di stare uniti, ma
altri zombie, sbucati dalla loro sinistra, costrinsero Maggie e Glenn
a fermarsi e deviare, separandosi dal resto del gruppo, e infilandosi
dentro la prima porta trovata, con la speranza che fosse abbastanza
per restare al sicuro almeno per un po'.
Il
resto del gruppo riuscì, dopo mille corridoi superati e
angoli
svoltati, a seminare i loro inseguitori, a discapito del loro
orientamento che stavano cominciando a perdere. Si inginocchiarono
sotto una grata, riuscendo a tenere sotto controllo un corridoio
dall'altra parte, e a stare al sicuro per qualche secondo,
finchè
non sarebbero stati trovati.
<<
Dove sono Glenn e Maggie? >> chiese Rick sottovoce,
accorgendosi solo in quell'istante dell'assenza dei suoi amici.
<<
Dobbiamo tornare indietro! >> disse Hershel, preoccupato
per
sua figlia, riuscendo in maniera strabiliante a nascondere il panico
che già si stava impossessando di lui. Aveva un incredibile
sangue
freddo, e questa era una qualità eccellente.
<<
Si, ma da che parte? >> chiese Daryl, non sapendo cosa
intendesse con "tornare indietro" visto che avevano corso a
lungo e non sapevano dov'erano e dove avevano perso i loro compagni.
La
mandria passò oltre e i versi si allontanarono, fino a
quando non li
sentirono più e Rick fu il primo ad alzarsi e tornare sui
suoi
passi, sperando di ritrovare i compagni persi. Superarono un
corriodio, andando oltre, ma non prima che Hershel si fermasse e
cercasse di chiamare sua figlia, invano. Proseguirono silenziosi, con
l'unico sottofondo dei loro cuori, e la voce di Hershel, dietro di
loro, che continuamente chiamava sottovoce << Maggie!
Glenn!
>>.
Poi
all'improvviso la sua voce fu interrotta da delle urla di dolore, e
il resto del gruppo si voltò immediatamente, riconoscendo
nei versi
il loro compagno Hershel. Rick superò gli altri e fu il
primo a
giungere dal vecchio, sparando in testa allo zombie che stava
strappando via la carne dal suo polpaccio. Il rumore dello sparo
indicò la via anche ai due ragazzi che si erano persi,
giungendo
immediatamente sul luogo, dove Maggie non riuscì a
trattenere un
urlo disperato rivolto al padre a terra, ferito, e inevitabilmente
sul punto di morte. Ma lo sparo non richiamò solo
l'attenzione dei
due ragazzi, e ben presto gli zombie che erano riusciti a seminare,
tornarono sui loro passi, ritrovandoli e andando loro incontro.
<<
Presto! >> incitò Ocean, passando oltre Rick e
Glenn che
cercavano di tirare in piedi Hershel per portarlo via, e si
avvicinò
ai primi zombie che andavano loro incontro, impugnando la sua spada,
e aprendo il cranio a chi era pericolosamente troppo vicino ai suoi
amici. Daryl sparò una freccia in faccia a un altro, che
quasi aveva
morso la ragazza, la quale impegnata a uccidere i primi due non
l'aveva visto avvicinarsi. Ocean indietreggiò, guardando con
attenzione quelli che continuavano ad avanzare e lanciando un occhio
rapido alle sue spalle per controllare se gli altri erano riusciti ad
alzare Hershel e portarlo via. Ma voltandosi non vide solo i suoi
amici intenti a scappare, ma anche un ulteriore fonte di
preoccupazione: un'altra mandria stava arrivando loro alle spalle.
<<
Siamo bloccati! >> annunciò Rick prima di
imboccare un
corridoio qualsiasi sulla sinistra << Indietro! Indietro!
>>
ordinò ancora ai suoi compagni. Ocean si guardò
attorno, confusa e
spaventata, prima di essere destata dalla mano di Daryl che
afferrandola per il polso la trascinò via, seguendo il resto
del
gruppo.
Si
trovarono chiusi in un altro vicolo cieco: il corridoio imboccato non
portava da nessuna parte e l'unica via di fuga era un portone chiuso
con dei catenacci e dei lucchetti.
<<
T-Dog! Apri la porta! >> chiese Rick, impegnato a tenere
in
piedi il vecchio, e Maggie gli fece eco. Il ragazzo si
lanciò contro
la porta, e cercò di sfondare il lucchetto colpendolo col
retro in
ferro della sua arma. Daryl sparò a un altro zombie, ormai
troppo
vicini, e cercò di allontanarne un altro con un calcio.
<<
Forza! >> incitò ancora Rick, colto dal
panico: se T-Dog non
sarebbe riuscito ad aprire la porta velocemente sarebbero stati
sopraffatti.
Daryl
sparò a un altro zombie, cercando di indietreggiare per non
essere
afferrato, ma uno di loro, al fianco di quello atterrato, gli si
lanciò contro a fauci aperte, non dandogli il tempo di
realizzare e
agire. Ocean con uno scatto si piazzò davanti al suo amico,
facendolo indietreggiare un il braccio sinistro e alzò il
destro,
intercettando il morso dello zombie. Si sentì un
raccapricciante
rumore, simile a delle unghie su una lavagna, che fece venire la
pelle d'oca a tutti. Daryl era già pronto a gridare al
disastro
vedendo lo zombie con la bocca che si stringeva intorno al braccio
della sua amica, messasi davanti a lui per salvarlo. Ma la paura e la
disperazione scemarono all'istante, quando si ricordò e vide
che
Ocean era ben protetta dalla cotta di maglia, che cigolava sotto i
denti ben serrati del mostro. Ocean conficcò la spada nella
sua
fronte, tenendo ben saldo il braccio, come se fosse stata lei ad
afferrare lui e non il contrario, poi su incitazione di Rick
indietreggiò e si infilò all'interno della stanza
appena aperta da
T-Dog.
<<
Chiudi!! >> ordinò di nuovo Rick ai compagni
dietro di lui, e
di nuovo T-Dog intervenì, schiacciandosi contro la porta,
cercando
di bloccarla con la sua forza. Daryl si poggiò al secondo
sportellone, di fianco a lui e Ocean fece altrettanto, sperando di
essere d'aiuto ai suoi amici con la sua misera forza.
<<
Ehy! >> chiese aiuto Rick, che assisteva il suo amico
steso a
terra, dolorante che lamentava la sua paura e la sua sofferenza.
<<
Vai, vai! >> disse Daryl a Ocean, invitandola ad andare
da Rick
<< Ce la facciamo. >>
Ocean
annuì e andò in aiuto del suo amico, il quale
comunicava con gli
occhi tutto il panico che si stava impadronendo di lui. La ragazza si
inginocchiò vicino a Hershel, insieme a Glenn e Maggie che
piangeva
disperata, accarezzando il viso di suo padre.
<<
Andrà tutto bene. >> disse Rick cercando di
far coraggio forse
più a se stesso che agli altri, e cominciò a
slacciarsi la cintura
dei pantaloni. La tirò via dalle asole e l'avvolse intorno
alla
coscia del vecchio, stringendola più forte che poteva, nel
disperato
tentativo di bloccare la circolazione del sangue. Ocean capì
cosa
stava per apprestarsi a fare, e capì anche perchè
era stata
chiamata ad aiutarlo: cercò di far uso del peso del suo
corpo,
sbilanciandosi in avanti e poggiando le mani sulle due gambe
dell'uomo. Doveva tenerlo fermo, se si fosse agitato e divincolato
avrebbero rischiato di fargli del male e basta.
<<
D'accordo. C'è solo un modo per salvarlo. >>
disse Rick,
sollevando un'ascia, sperando e pregando che avesse ragione.
Guardò
Ocean, che gli diede il consenso con un gesto del capo,
comunicandogli che era pronta e facendo un sospiro raccoglitore fece
cadere l'arma sulla gamba dell'uomo, un bel pezzo prima del morso,
con tutta la forza che aveva, cercando energia anche nelle urla che
accompagnavano i suoi colpi. Il sangue schizzò ovunque,
colpendoli
in viso, ma non era certo questo che costrinse Ocean a voltarsi e
chiudere gli occhi, mentre lottava contro gli spasmi del vecchio, che
si divincolava per il dolore a ogni colpo, e tentava disperatamente
di tenerlo fermo. Era il dolore. Il dolore nel sentirlo urlare e nel
vedere e constatare che, se mai fossero realmente riusciti a
salvarlo, il poveretto non sarebbe più stato in grado di
camminare
da solo. E in un periodo come quello, dove correre era alla base
della sopravvivenza, questa era una situazione disperata.
<<
Andrà tutto bene. >> Ocean cercò di
rassicurare il poveretto,
guardandolo in viso e cercando di trattenere la paura di fronte a
quello sguardo deturpato dalla disperazione e dal dolore. Dopo
qualche colpo Hershel smise di urlare, nonostante Rick continuasse a
colpire, e svenne incapace di sopportare ancora quel dolore.
Rick
finì il suo lavoro e il suo volto disgustato si
trasformò
immediatamente, cercando di ricomporsi, di riprendersi e di
rilassarsi. Aveva tagliato via una gamba da un uomo vivo, da un uomo
che era uno dei suoi migliori amici, si sentiva morire dentro, e in
cuor suo sperava che tutto quello non fosse stato fatto invano.
Guardò in volto i suoi amici, cercando nei loro occhi il
coraggio e
la rassicurazione: aveva agito d'impulso. Aveva agito bene? Erano
d'accordo con quanto fatto? Potevano loro dargli la rassicurazione
che cercava?
Ocean
sospirando abbassò la testa, cercando di distendere anche
lei i
nervi e lasciando finalmente la presa sull'anziano steso a terra. Ora
potevano respirare: avevano corso fino a quel momento, senza darsi il
tempo di capire cosa stesse succedendo, dove andare e cosa fare. Era
successo e basta. Ora avevano bisogno di stopparsi un attimo,
prendere fiato e rimettere in ordine le cose. La più
importante di
tutte era che erano ancora vivi. Quasi non ci credevano, ma erano
ancora tutti lì, nonostante il pericolo scampato e la paura
avuta.
Erano lì tutti, insieme, al sicuro. E pregarono che Hershel
non
sarebbe stato da meno. Respirava ancora, era ancora vivo, ma
chissà
ancora per quanto.
<<
State giù! >> sussurrò Daryl, dalla
porta, lasciandola un
attimo incustodita, sovraccaricando le energie di T-Dog. Rick si
abbassò immediatamente, senza neanche voltarsi per vedere il
motivo
di tale ordine, fidandosi ciecamente del suo amico, e così
fecero
gli altri, acquattandosi.
Ocean,
l'unica che poteva vedere cosa c'era alle spalle di Rick, standogli
di fronte, lanciò uno sguardo in direzione di Daryl,
seguendo poi i
suoi occhi per vedere cosa avesse destato il loro compagno, che
repentino aveva alzato la balestra e la torcia, puntandoli verso le
ombre dietro a una rete e avvicinandosi cautamente a loro, pronto a
sparare se fosse stato necessario.
Delle
divise blu si intravedevano, ombre che li osservavano, volti, uomini,
ma chi erano? Amici? Nemici? Mangiatori di carne? Da quella posizione
Ocean non riusciva a capire, erano troppo distanti e troppo
nell'ombra per riuscire a scorgere bene i loro volti. Non si
dimenavano, non facevano versi gutturali affamati, questo faceva
sperare non fossero zombie. Anche se questo non era proprio fonte di
rassicurazione: i vivi erano peggiori dei morti. Su questo tutti
erano d'accordo. Gli zombie era relativamente facile aggirarli e
ucciderli, i vivi avevano l'intelligenza necessaria a contrastarli,
ingannarli e sparare un colpo di pistola prima di dar loro tempo di
alzare le armi.
<<
Porca puttana. >> sussurrò uno degli individui
dietro la rete.
Ecco le loro risposte.
Erano
vivi.
La
domanda ora era: erano nei guai?
Angolino
dell'autrice
Oooooohhhhh
e ce l'abbiamo fatta ad aggiornare pure sta volta xD mamma mia,
faccio sempre più fatica a rispettare i tempi. Spero non mi
vogliate
male per questo T__T
Comunque...volevo solo approfittare di questo
spazietto per farvi gli auguri di Natale, tutto qui :) E già
che ci
sono anche gli auguri di Buon Anno ( a meno che miracolosamente non
riesca ad aggiornare prima xD)
Un saluto.
Ray.
|
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Capitolo 21 *** Anabiosi. ***
Anabiosi.
<<
Chi diavolo siete? >> chiese Daryl roco e minaccioso: un
cane
rabbioso pronto a sbranare la gamba di chi malauguratamente gli si
era piazzato davanti.
<<
Chi diavolo siete voi? >> chiese di rimando uno degli
uomini
dietro la grata, che osservava la scena come degli spettatori
osservano gli animali allo zoo, ma con l'aria sicuramente meno
gioviale.
<<
Perde molto sangue! >> disse Ocean, abbandonando
l'attenzione
posta alle persone scoperte, preoccupandosi solo del loro anziano
amico svenuto e senza gamba, steso in una pozza di sangue tra le
braccia di sua figlia << Rick, dobbiamo andarcene di qui.
>>
aggiunse, cercando di mettere nell'uomo una fretta che già
possedeva
e che non aveva bisogno di essere destata.
<<
Fai pressione qui. >> disse Rick alla ragazza, indicando
il
punto della gamba che andava chiuso, cercando in tutti i modi di
fermare quella maledetta emorragia che stava uccidendo Hershel. Ocean
si affrettò ad eseguire gli ordini, pregando bastasse a
salvargli la
vita. Il cuore aveva cominciato a battergli in gola, tanto da
farglielo bruciare e impedire di respirare come era giusto facesse.
Le mani tremavano convulsamente, e questo le impediva di essere
precisa. Non sapeva cosa pensare. Era successo tutto così
velocemente da non essere ancora stata in grado di capire cosa
veramente aveva davanti agli occhi: un carissimo amico le stava
morendo tra le braccia. Dopo così tanto tempo....vide di
nuovo occhi
vitrei e vuoti scendere sotto il pelo dell'acqua.
Diede uno
sguardo veloce a Daryl, impegnato a proteggerli dalla loro nuova
scoperta, tenendo il gruppo di uomini sotto tiro, per niente
intimorito dall'inferiorità numerica, e cominciò
ad aver paura
anche di quello. Chi erano? Cosa volevano? E se avessero fatto male a
qualcuno di loro? Poi tornò da Hershel. Posò
entrambe le mani
intorno alla ferita del vecchio e cercò di fare quanta
più forza
poteva, mentre Rick tentava di stringere ancora di più la
presa
della sua cintura, stritolando la gamba e sperando di rallentare il
sanguinamento. Ocean si concentrò esclusivamente sulle sue
mani
instabili, litigando con loro stesse, urlandoli mentalmente di
smettere di agitarsi o non sarebbero state d'aiuto. Una mano
improvvisa si venne a posare con dolcezza sulle sue, bloccando per un
attimo il tempo. Alzò gli occhi e incontrò quelli
calmi e decisi di
Rick: aveva notato che stava tremando, voleva tranquillizzarla, farle
riprendere il controllo di sè. Aveva paura, ma aveva bisogno
di lei,
del suo aiuto: non doveva cedere! Ocean fece un grosso sospiro,
continuando a guardare Rick negli occhi, cercando in loro la
sicurezza che tanto si sforzavano di trasmettere. Deglutì e
le mani
smisero un po' di agitarsi. Riabbassò lo sguardo, Rick
ritirò la
mano ed entrambi tornarono al loro lavoro con più
lucidità.
<<
Che gli è successo? >> chiese uno degli uomini
appena scoperti
mentre usciva dal suo nascondiglio, guardando Hershel preoccupato e
agitato. Ocean diede un altro occhio veloce alla situazione davanti a
loro, non potendo fare a meno di concentrare le sue attenzioni anche
in quella direzione, preoccupata per il semplice motivo che in caso
di bisogno non sarebbe potuta intervenire repentinamente in aiuto di
Daryl, impegnata com'era a seguire le istruzioni di Rick. Odiava non
potergli coprire le spalle, faceva sentire scoperta anche lei.
<<
E' stato morso. >> spiegò Daryl sempre
sincero, con pochi
rigiri, poco preoccupato dalle conseguenze della sua frase. Questo
fece allarmare i nuovi presenti, tanto che d'istinto uno di loro si
portò la mano a una pistola infilata nei pantaloni, ma
dovette
bloccarsi sotto ordine dello stesso Daryl e T-Dog che nel frattempo
era riuscito a bloccare la porta e liberarsi le mani.
<<
Buono. Buono. Nessuno deve farsi male! >>
bisbigliò
autoritario, come si può bisbigliare ad un animale che si
sta
cercando di addestrare. Sapeva come farsi rispettare, incuteva timore
solo nello sguardo, e questa era una cosa che era sempre piaciuta a
Ocean, perchè anche lei desiderava arrivare a essere
così. Forte
tanto da spaventare anche solo con gli occhi e la voce, tuoni e
fulmini all'orizzonte ad annunciar tempesta.
Maggie
lasciò delicatamente la testa di suo padre, posandola a
terra, e,
aggirandolo, si avvicinò a Rick per poterlo aiutare nella
medicazione improvvisata. Ocean, vedendo arrivare i rinforzi,
trovò
modo di liberarsi dai suoi incarichi e alzarsi in piedi per andare a
fiancheggiare il suo amico. Rapidamente estrasse una pistola dalla
cintura dei pantaloni e se la portò davanti al viso: odiava
quegli
affari che facevano così tanto baccano e che puntualmente
mancavano
il bersaglio (o almeno fin quando si trovavano nelle sue mani), ma
Rick aveva insistito per dargliene una, diceva, giustamente, che era
meno ingombrante del suo arco e poteva facilmente portarselo dietro
insieme alla sua spada. Fece un paio di passi verso i detenuti e
velocemente li esaminò, facendo correre gli occhi da uno a
un altro,
attenta a ogni movimento. Qualsiasi iniziativa avessero deciso di
prendere, lei voleva anticiparli di almeno il doppio del tempo.
Doveva essere sempre a un passo davanti a loro.
<<
Mettete le armi a terra. >> ordinò guardandoli
di traverso da
sopra il mirino della sua pistola, puntando a tutto ciò che
osservava. Alcuni di loro alzarono le mani in segno di resa,
più
sorpresi per la novità che realmente spaventati.
Probabilmente non
erano una mincaccia, da come si comportavano le ricordava tanto il
suo vecchio gruppo, spaesato e disorientato, poveri scemi che ancora
chiedevano scusa agli zombie a cui pestavano i piedi.
Glenn
passò velocemente oltre la ragazza, ignorando quasi la
presenza e
l'eventuale pericolosità degli sconosciuti, e corse
all'interno
dello stanzino da dove erano arrivati chiedendo a nessuno in
particolare << Avete delle scorte mediche?
>> non attese
risposta ed entrò a controllare lui stesso, ignorando
l'esclamazione
un po' contrariata di quegli uomini.
Gli
zombie fecero sentire le loro presenze da dietro la porta, sbattendo
e rumoreggiando, facendo versi famelici e poco pazienti. Gli uomini
si guardarono ancora attorno con gli occhi spalancati, terrorizzati e
confusi.
<<
Si può sapere chi diavolo siete? Non sembrate una squadra di
soccorso. >> disse il biondo, subito dietro il moro con
la
pistola.
<<
Scordatevi i soccorsi! >> rispose Rick, intervenendo per
la
prima volta nei loro discorsi, forzando la voce nel tentativo di
sollevare Hershel da terra per portarlo via, aiutato da una
costantemente preoccupata Maggie. Ocean rimase un attimo
perplessa,forse anche addirittura intenerita, rilassando i muscoli
inconsapevolmente: aspettavano i soccorsi? Quali soccorsi?Davvero
credevano ne esistessero? Possibile che ancora ci sperassero?
Sembrava assurdo, perfino lei che era stata sempre un'illusa
sognatrice ottimista aveva presto perso ogni speranza. Da dove
arrivavano quelli? Erano addirittura pù sprovveduti di lei e
del suo
vecchio gruppo.
<<
Coraggio dobbiamo andare! >> disse ancora Rick rivolto ai
suoi
compagni, troppo preoccupato dai suoi già evidenti problemi
per
permettersi di dare spazio anche a loro. Non aveva nessuna intenzione
di predersi a carico altre preoccupazioni al momento. Prima dovevano
portare al sicuro Hershel.
Glenn
arrivò di corsa con un carrello in metallo, pronto a usarlo
provvisoriamente da barella, ingombrante ma veloce, avrebbe fatto
sicuramente comodo.
Aiutato
ancora da Glenn e Maggie cercò di sollevare il vecchio e di
farlo
stendere sul carello, coordinando i loro movimenti, facendo
trasparire tutta la sua agitazione dalla voce costantemente alta e
rapida nello sparar parole.
<<
Siete pazzi! Non aprite! >> disse un altro dei detenuti,
appena
capì la chiara intenzione di Rick di aprire la porta appena
serrata
per andarsene via.
<<
Possiamo farcela! >> tagliò corto Rick
cominciando a spingere
la barella. T-Dog corse alla porta e l'aprì senza
esitazione,
spostandosi immediatamente, pronto a contrastare chi avrebbe cercato
di attaccarlo. Avevano superato con successo situazioni ben peggiori,
non avevano nessuna paura di quello che li aspettava fuori, e lo
dimostravano. Uno zombie si fece subito avanti, entrando nella
stanza, ma senza avere la possibilità di andare molto
lontano: fu
schiacciato alla porta da T-Dog e ucciso in pochi secondi, tutto
sotto lo sguardo attonito del gruppo di detenuti, ancora tenuti sotto
tiro da Ocean e Daryl, i quali furono subito richiamati dal
caposquadra. Dovevano muoversi.
Ocean
fu la prima a indietreggiare lentamente, subito imitata dal suo
compagno, pronti a reagire, fin quando non furono fuori, nei
corridoi. L'orda che li aveva seguiti fino alla stanza si era
sparpagliata non appena vista l'impossibilità di godere del
pasto,
probabilmente attirata altrove dagli echi della prigione, lasciando
miracolosamente quasi libero il passaggio al gruppo che cercava, per
quanto possibile, di correre, spingendo la barella.
Fu una folle
corsa, tanto rapida e prorompente, che si sentirono come lanciati su
delle rapide a bordo solo di un gommone. Era un continuo sbattere
contro gli angoli, schivare ombre, voltarsi, indietreggiare e tornare
a correre, spintonandosi l'un con l'altro, intralciandosi
addirittura.
Ma
alla fine riuscirono a raggiungere il blocco C e Daryl aprì
velocemente la prima porta col mazzo di chiavi che gli aveva dato
Rick, facendosi poi subito da parte per permettere ai suoi amici di
passare. Ocean corse verso la seconda porta, passando davanti a Rick,
anticipando il suo arrivo con richiami rivolti agli altri compagni
<<
Presto! Aprite! Carl! >> urlò arrivando ben
prima degli altri
alle sbarre che li dividevano dal loro blocco, e cominciando a
sbattere contro esse per attirare l'attenzione. Carl non si fece
aspettare molto, agitato dalle urla e dai richiami accorse
immediatamente e aprì evitando alle mani che già
tremavano di
tradirlo. Beth fu la prima a urlare nel vederli arrivare, chiamando
suo padre, non appena visto steso sulla barella senza una gamba.
Cominciò a piangere. Ocean le si mise accanto, lasciando che
fossero
Rick, Glenn e Maggie a gestire Hershel e si preoccupò solo
di
afferrare la ragazza e tirarla a sè, abbracciandola
<< Starà
bene! Tranquilla. >> ma la sua voce tremante la tradiva.
Beth
non disse niente, continuò a piangere, stringendo gli abiti
di Ocean
tra le dita, sfogando in quell'abbraccio il dolore all'improvviso
caricatosi dentro lei. Era la prima volta che le due si avvicinavano
tanto, era la prima volta che Ocean dimostrava così tanto
affetto e
sensibilità verso qualcuno della compagnia che non fosse
Molly, ma
l'eccezionalità della situazione seppelliva quel bizzarro
evento,
facendolo apparire stranamente normale e nessuno si pose nessuna
domanda.
Hershel
fu poggiato nel frattempo su un lettino, uno dei primi incontrati,
evitando di trascinarlo ancora oltre,e Carol, l'unica che aveva
imparato qualcosa in medicina in più rispetto agli altri,
subito si
rimboccò le maniche e fece il possibile per assicurare al
loro
vecchio amico la sopravvivenza.
Beth
si staccò dall'abbraccio di Ocean,dimenticandola ben presto
e
correndo da suo padre, preoccupata e desiderosa anche di poter fare
qualcosa. La ragazza ormai sola sospirò, cercando di
ripristinare
l'ossigeno dentro lei a livelli normali, e rilassandosi fece due
passi indietro, andando a posare le spalle al muro, poggiandosi in
cerca di sostegno. Si portò una mano alla testa,
massaggiandosela
appena. Non lo dava a vedere, ma era probabilmente una delle
più
agitate tra i presenti. Per un attimo la sua mente aveva giocato con
lei, mostrandole flashback che a dir il vero era poco opportuni. Era
stata otto mesi insieme a quel gruppo, tra fughe e fame, ma era la
prima volta che veramente stavano rischiando di perdere qualcuno. Si
era affezionata e, sciocca, si era abituata ad averli attorno, certa
che sarebbe stato così per sempre. Solo allora si rese conto
che
stava cominciando ad amarli veramente. Ma la realtà di nuovo
aveva
bussato alla loro porta ricordandogli che non dovevano indugiare,
nemmeno per un istante.
Stavano
per perdere.
Dopo
mesi, lei di nuovo stava per perdere qualcuno.
Stupidamente
tornò a pensare a Manuele, ai suoi occhi sperduti, vitrei,
spettrali, già morti mentre si lasciava andare sempre
più in basso,
mentre si lasciava portare via dal loro, ormai, flagello. Aveva
pianto così tanto che se mai sarebbe stato possibile morire
di
dolore sicuramente lo avrebbe fatto. Non voleva viverlo di nuovo. Non
più.
Si
ricordò del perchè per mesi si era ordinata:
niente più compagnie,
niente più affetti. Sciocca, cosa aveva creduto di fare? La
scommessa con la Morte non si vince mai. E' un'astuta truffatrice,
vince sempre.
<<
Alice. >> la delicata voce spaurita di Molly che la
chiamava da
sopra la rampa di scale la riportarono furiosamente con i piedi per
terra, con una tale aggressività che per un attimo le
girò la
testa, e si voltò a guardarla, sorpresa, come se si fosse
dimenticata della sua esistenza.
<<
Molly! Vai nella tua cella, che fai qui? >> quasi la
rimproverò
prima di correre verso di lei per portarla via. Era bene che non
vedesse quello che stava accadendo. Avere un uomo con una gamba
mozzata vicino aveva dato il voltastomaco a lei, voleva risparmiare
gli incubi anche per quella bambina.
Daryl,
rimasto all'ingresso, si posizionò di fronte alla porta del
blocco
aperta, con la balestra ben puntata di fronte a lui. Si erano resi
conto a metà strada che i detenuti trovati li avevano
seguiti, e lui
era pronto a dar loro il benvenuto. Arrivarono ed entrarono
silenziosamente e cautamente, cuccioli in esplorazione, terrorizzati
nell'aver perduto la propria mamma, e non si sorpresero troppo di
trovarsi una balestra puntata contro. In qualche modo se lo
aspettavano. Ma d'altronde non volevano fare niente se non curiosare.
Erano mesi che non vedevano nessuno e non avevano notizie da di
fuori, quella scoperta era stata una grandissima fonte di adrenalina.
Chi erano? Da dove venivano? Sapevano niente dei soccorsi? Quando
sarebbero andati a prenderli?
<<
Non fate un altro passo! >> ordinò loro Daryl,
cercando di
risultare il più aggressivo e autoritario che poteva. E
ciò bastò
a farli bloccare lì all'entrata.
<<
Blocco C. >> cominciò a dire il moro
<< Cella 4. E' la
mia. Lasciami entrare. >>
Ma
Daryl non si scompose e continuò con il suo tono duro
<< Oggi
è il vostro giorno fortunato, siete stati graziati. Siete
liberi di
andarvene. >> più che una concessione
risultava come una
minaccia, e alla fine era quella che veramente voleva essere.
Ma
loro restarono dov'erano.
Un
fischio attirò la loro attenzione: si voltarono e videro
tornare
nuovamente Ocean con la pistola ben dritta davanti al suo viso. Non
disse una parola, ma i suoi occhi parlarono per lei: dovevano
starsene a cuccia o avrebbero fatto una strage. Erano meno armati,
meno organizzati e sicuramente meno incazzati.
<<
Daddy. >> la voce timorosa di Molly comparve da dietro le
spalle di Ocean, appena dietro le sbarre, nascosta come poteva dal
muretto. Strinse la sua bambola, impaurita. Stava succedendo qualcosa
di terribile, sentiva tutti urlare, e quegli uomini che erano appena
arrivati le facevano venire i brividi. Chi erano? Perchè
Daryl e
Alice puntavano le loro armi contro di loro? Erano sicuramente uomini
cattivi, e ne aveva paura.
<<
Molly, vai dentro immediatamente! >> la sgridò
Daryl, senza
voltarsi, facendo risuonare in tutta la prigione la sua voce
furibonda. Molly sussultò e sgranò gli occhi:
poche volte lo aveva
visto così furioso e mai con lei. Le faceva paura.
Indietreggiò e
corse via, tornando a nascondersi nella zona più remota del
blocco
C, stringendo la sua signorina Rosie e parlando con lei per ricevere
conforto, sola e dimenticata da tutti.
<<
Andiamo, rifletti. >> intervenì a quel punto
il nero, parlando
al suo compagno, quello che tra tutti sembrava il più
aggressivo e
rompiscatole << La gamba del vecchio è messa
male, siamo
liberi. Che cosa aspettiamo? >>
<<
L'amico ha ragione! >> esordì di nuovo Daryl.
<<
Io devo trovare la mia vecchia. >> disse malinconico e un
po'
preoccupato il secondo nero della compagnia. Discorsi che fecero
capire a Ocean quanto un cazzo sapessero di ciò che stava
succedendo
fuori da quelle mura: solo uno stupido avrebbe voluto andarsene. Ma
loro dovevano liberarsi delle compagnie scomode, e se andarsene era
quello che volevano fare di certo non li avrebbero fermati loro. Non
era affar loro di cosa sarebbero morti là fuori.
<<
Se un gruppo di civili tra tanti posti preferisce barricarsi in una
prigione, vuol dire che noi la fuori non sapremmo dove andare!
>>
disse ancora il moro, l'unico con un po' di buon senso tanto da
arrivare a fare intuizioni tanto argute. Ma questo, al contrario, non
aiutava alla causa del gruppo di Rick.
<<
Perchè non lo scoprite? >> provocò
ancora Daryl.
<<
Magari ora è meglio andarcene. >> disse il
biondo con i
baffoni, intuendo che lì non avrebbero risolto
granchè e che la
situazione cominciava a essere decisamente troppo pericolosa.
<<
No, noi non ce ne andremo. >> disse ancora il moro,
inveenendo
contro il suo amico.
<<
Ma qui non ci restate!! >> intervenne T-Dog arrivando in
soccorso dei suoi amici, puntando una pistola contro i detenuti.
<<
Questa è casa mia, le regole le faccio io. >>
brontolò ancora
il moro.
<<
Non credo proprio. >> bofonchiò minaccio Ocean
mentre toglieva
la sicura alla sua arma, facendo ben risuonare il suo rumore: ultimo
avvertimento. Dovevano sparire all'istante. Il biondo, probabilmente
il più fifone di tutti, sussultò e
allungò le mani davanti a sè
<< Dai, ragazzi, stiamo calmi. >> disse
guardandosi
attorno, in cerca di sostegno, intimorito, anzi terrorizzato.
Ma
nessuno dava ascolto alla sua paura. Il moro continuò a
insistere a
lungo sul suo diritto di possessione sulla prigione, e in risposta
riceveva solo minacce e urla. Non avrebbero sparato a meno che non
fossero stati costretti, ma volevano liberarsene. Sempre il moro,
scosso da rabbia e disperazione, fece poi un passo in avanti,
tentando di inoltrarsi nella direzione che l'avrebbe portato alla sua
cella.
<<
Non fare un altro passo! >> gli urlò Daryl,
scuotendo
leggermente la balestra, minacciando di sparare.
<<
Altrimenti? >> chiese lui provocatorio. Ocean
spostò
velocemente l'arma da uno qualsiasi dei detenuti alle sue spalle a
lui direttamente, con un fuoco negli occhi che da tempo non provava:
una furia che l'avrebbe aiutata a premere quel dannato grilletto
senza sentire gli echi dei sensi di colpa fermarla <<
Altrimenti ti faccio saltare quella testa di cazzo che ti ritrovi
attaccata al collo, stronzo. >> disse tagliando l'aria
con la
sua voce affilata, tanto da far venire un brivido lungo la schiena
del biondo coi baffoni. La ragazza non scherzava, e questo lo
spaventava. Raramente si era ritrovato di fronte una ragazza che
invece di piangere terrorizzata chiedendo di smettere di litigare ai
due amici che si pestavano in discoteca, puntava un'arma alla testa
di uno di questo minacciando di farla saltare con una tale
naturalezza da sembrare qualcosa che faceva ogni giorno appena alzata
al mattino. Il litigio andò avanti ancora un po'
finchè finalmente
intervenne Rick, incredibilmente e surrealmente tranquillo, parlando
come parlerebbe a una combriccola di vecchi amici. Non a caso era il
capo. Sangue freddo e diplomazia.
<<
Ehi, calmatevi tutti. >> disse facendo cenno al moro di
abbassare l'arma. Il detenuto squadrò Rick, incredulo quasi,
prima
di chiedere << Quanti siete li dentro? >>
<<
Più di quanti voi riusciate a gestire. >>
rispose Rick
risoluto.
<<
Avete svaligiato una banca? >> chiese il moro continuando
nella
sua perplessità << Perchè non lo
portate in ospedale? >>
disse riferendosi a Hershel ferito.
A
quella domanda T-Dog voltò gli occhi in cerca di quelli dei
suoi
amici, incredulo e imbarazzato, chiedendosi probabilmente se non
fosse una qualche candid camera, e incontrando lo stesso stupore e
imbarazzo in loro. Ocean si fece scappare una risata <<
Ospedale? >> chiese seriamente divertita. Davvero erano
rimasti
così indietro? Possibile che fossero stati così
fuori dal mondo? Il
moro la guardò come se avesse detto chissà quale
bestemmia,
sentendosi probabilmente offeso per quella derisione e irritandosi,
anche perchè non capiva che ci fosse di tanto divertente.
<<
No, amico, dici sul serio? >> continuò la
ragazza.
<<
Si, dico sul serio! >> rispose acido il biondo coi
baffoni, non
tanto perchè veramente la pensava così, ma
perchè si sentiva
infastidito quanto il moro per quella derisione gratuita. Che diavolo
avevano da prendere in giro?
<<
Quanto tempo siete rimasti chiusi in quella mensa? >>
chiese
Rick con tono basso, preoccupato.
Il
moro si guardò attorno, ormai aveva capito che c'era
qualcosa di
molto strano in tutto quello, qualcosa che non sapevano e che invece
avrebbero dovuto, e così con imbarazzo ammise
<< Direi, circa
10 mesi. >>
<<
C'è stata una sommossa. Mai visto niente del genere.
>>
cominciò a raccontare e spiegare il nero <<
All'ennesima
potenza, amico. Persone diventate cannibali. Morte e tornate in vita.
Da pazzi. >> proseguì facendo travisare dal
suo tono tutta la
paura che aveva probabilmente avuto al tempo.
<<
Una guardia ci ha difesi. >> proseguì il moro
<< Ci ha
chiusi li dentro. Dovevamo aspettarlo. La pistola era sua, doveva
tornare subito. >>
<<
Sono passati 292 giorni. >> specificò l'altro
nero, facendo
sentire tutta la pesantezza di quell'infinita attesa.
<<
Pensavamo che l'esercito o la guardia nazionale sarebbe arrivata
prima o poi. >> osservò il biondo.
Rick
fece un sospiro, dannandosi per essere toccata a lui la
responsabilità di mettere al mondo quei poveracci che erano
stati
isolati così a lungo << Non c'è
nessun esercito. Non c'è
nessun governo, nè ospedali, nè polizia. Non
c'è più niente. >>
<<
Dici davvero? >> chiese incredulo il biondo, squadrando
le
persone che aveva davanti, cercando nei loro occhi una menzogna
troppo comoda e che mai sarebbe arrivata. Ocean abbassò gli
occhi,
non incrociandoli con quelli loro, e lasciando fosse quel suo gesto a
dir loro la verità.
<<
Davvero. >> confermò pesantemente Rick.
<<
Che ne è stato di mia madre? >> chiese il
primo nero,
ponendosi per la prima volta dopo mesi una domanda a cui avrebbe
già
dovuto dare risposta.
<<
E i miei figli? E la mia vecchia? >> continuò
l'altro nero,
prima di avvicinarsi << Ehi, per caso avete un cellulare
per
farci chiamare le nostre famiglie? >> Ocean ebbe per un
attimo
un tuffo al cuore, mentre nella sua mente si palesava l'ultimo
ricordo che aveva di un Alice distrutta che parlava a un telefono
muto, chiedendo a una madre che non c'era se stesse bene.
<<
Proprio non capite, eh?! >> chiese quasi con disprezzo
Daryl,
mostrando il peggior tatto che una persona avesse mai potuto avere.
<<
Niente telefoni, niente computer. Da quanto abbiamo visto almeno la
metà della popolazione è morta. Probabilmente di
più. >>
continuò Rick.
<<
Non è possibile. >> riuscì a dire
il moro dopo qualche
secondo di soffocante silenzio, cercando di negare anche a lui stesso
una verità così scomoda da non sapere dove
metterla. Era appena
stata distrutta la loro vita, come potevano accettarlo?
<<
Allora guardate voi stessi. >> incitò Rick
prima di
incamminarsi verso l'uscita del blocco, diretto al cortile e seguito
dagli altri, compagni e non. Li fece camminare davanti a sè
e li
fece uscire all'aria aperta, un'aria che non sentivano più
da dieci
mesi, un sole che erano pronti a riabbracciare come vecchi amici. Era
bellissimo e terrificante allo stesso tempo. Rick aveva ragione, lo
stavano scoprendo solo in quell'istante, fermi davanti a uno sciame
di zombie accalcati ai recinti e che tanto bravano di poter mangiare
quelle carni lontane dalle loro mani. Ai loro piedi ancora si apriva
un tappeto di cadaveri, volti conosciuti, deturpati, a cui non era
stato permesso dire addio.
<<
Santo Dio! Sono tutti morti! >> disse il biondo,
lasciando
uscire dalle sue labbra i pensieri.
<<
Voi come siete riusciti a entrare qui? >> chiese un altro
dei
ragazzi.
<<
Un buco nella recinzione, vicino alla torre di guardia.
>>
spiegò Daryl, indicando il punto dove avevano tagliato con
delle
tronchesine il ferro della grata per poter passare.
Il
nero con il suo bastone punzecchiò uno dei cadaveri a terra,
chiedendosi probabilmente se era veramente morto, e guardò
Rick
accanto a sè chiedendo << Quindi è
una spece di malattia? >>
<<
Sì. >> rispose lui, sempre sincero e
diplomatico << E
siamo tutti infetti. >>
<<
Che intendi con infetti? >> chiese nervoso il biondo, ma
non
solo la sua attenzione fu attirati da quella conversazione
<<
Tipo AIDS o roba del genere? >>
<<
Se muori, ti rialzi. Punto. Anche se a ucciderti è stato un
raffreddore del cazzo. >> spiegò Ocean con
fermezza, senza
troppi fiocchetti, restando ben piantata sui suoi piedi e la braccia
conserte. Un albero che non sarebbe stato abbattuto con
facilità,
benchè la sua piccola statura avesse potuto inizialmente
suggerire
il contrario. E poi lo chiamano "sesso debole"!
<<
Succederà a tutti noi. >> mise in chiaro
Daryl, concludendo il
suo discorso, e riuscendo a terrorizzarli ancora di più.
<<
E' impossibile che voi Robin Hood siate riusciti a uccidere tutti
questi. >> disse uno dei ragazzi guardando i cadaveri a
terra.
<<
No, non impossibile. >> rispose Ocean semplicemente con
un
sorriso sornione, che faceva trasparire tutto l'orgoglio che poneva
nella loro opera. In realtà era un altro modo per
intimorirli e
dissuaderli dal fare gesti sconsiderati. Non volevano grane, ognuno
per la sua strada e tutti vivi e felici. E il biondo
rabbrividì
ancora. Quella ragazza gli faceva venire la pelle d'oca, aveva l'aria
da serial killer.
<<
Da dove venite? >> chiese il moro, continuando il loro
dialogo
di circostanza, utile solo a mettere a posto le cose, soprattutto i
loro cuori agitati.
<<
Atlanta. >> rispose Rick con un pizzico di dolore nella
voce.
Il
moro annuì e fece la domanda successiva <<
Dove siete diretti?
>> non si leggevano buone intenzioni nei suoi occhi.
Aveva
qualcosa in mente, e la cosa non piaceva a nessuno, ma sapevano tutti
che Rick era un uomo di polso e avrebbe risolto la situazione,
qualsiasi fosse stato il metodo.
<<
Per ora da nessuna parte. >> rispose guardando severo
negli
occhi il suo interlocutore, che si avvicinò a lui, in un
gioco di
sguardi che preannunciava una battaglia. No, quel tipo non gli
piaceva proprio.
<<
Potete prendere quell'area laggiù, vicino all'acqua.
Dovrebbe essere
comoda. >> disse ancora il moro indicando una zona poco
distante, cercando di fare il capo della situazione, non capendo che,
tra tutti, quelli che dovevano chiedere se potevano restare erano
proprio loro. Non avevano possibilità e non dovevano rompere
le
scatole.
Rick
annuì e disse << Useremo quel campo per
coltivare. >>
<<
Vi aiuteremo ad andare fuori. >> continuò il
moro e Rick gli
piazzò la verità davanti agli occhi
<< Ah, no. Non sarà
necessario. Abbiamo ucciso noi quegli zombie, la prigione è
nostra.
>>
Il
moro ridacchiò e cercò di tenere in pugno una
situazione che già
gli era sfuggita di mano senza neanche rendersene conto
<<
Rallenta CowBoy. >> cercò di fare
dell'umorismo, ma nessuno
rise.
<<
Avete rotto i lucchetti delle nostre porte! >>
lamentò uno dei
suoi compagni affiancandolo.
<<
Ve ne daremo di nuovi, se è questo il problema.
>> si limitò
a rispondere Rick, tenendo ancora la situazione in pugno.
<<
E' la nostra prigione. Eravamo qui da prima! >> disse il
moro.
<<
Chiusi in uno sgabuzzino? >> Rick si lasciò
scappare una
risata, una delle rare che Ocean avesse mia visto (in effetti non lo
aveva mai visto ridere), anche se quella non era una risata
divertita, quanto provocatoria << Noi l'abbiamo
conquistata
pagando con il sangue. >>
<<
Ora noi ce ne torniamo nel nostro blocco. >>
continuò a
insistere il detenuto, che neanche sembrava ascoltare.
<<
Dovrete trovarvene un altro! >>
<<
E' mio! C'è ancora la mia roba là! Non potrebbe
essere più mio di così! >> si
lasciò sfuggire un ringhio il moro prima di
sfilarsi di nuovo la pistola dalla cintura, minaccioso, ma non
arrivando ad alzarla che Daryl aveva già una freccia ben
puntata
contro la sua tempia.
<<
Aspettate, cerchiamo di trovare un accordo! Una soluzione che vada
bene a tutti! >> disse il biondo mettendosi nel mezzo a
quella
che si preannunciava una rissa.
<<
Io non torno dentro quella mensa neanche per un minuto. >>
<<
Potreste andarvene! >> ripropose Daryl, provocatorio,
sottolineando come la loro unica possibilità fosse stare
alle loro
regole. Le tensioni erano palpabili, e ben presto il moro
capì di
essere in netta minoranza e che doveva stare al loro gioco. Si
guardò
attorno quasi imbarazzato, cercando gli occhi dei suoi compagni e se
ne uscì con un << Se questi finocchi ce
l'hanno fatta a
sopravvivere tutto questo tempo, noi come minimo conquistiamo un
altro blocco. >>
<<
Con cosa? >> chiese il nero dietro di lui.
<<
Atlanta, qui, ci presterà un po' di armi vere. Non
è vero? >>
chiese ancora lui guardando Rick, cercando di far cedere l'uomo con i
suoi sguardi e frasi provocatori, senza mai riuscirci.
<<
Quanto è rifornita la mensa? Dev'esserci tanto cibo: 5
uomini per
quasi un anno. >> si limitò a dire Rick,
lasciando alla loro
intuizione quale fosse il suo vero scopo. Una specie di patto: cibo
in cambio di un blocco. Sembrava plausibile.
<<
Ce n'è rimasto ben poco. >> disse il moro, ma
non rifiutò
apertamente: sembrava più un tentativo di scoraggiamento.
<<
Ne prenderemo metà e in cambio vi aiuteremo a ripulire un
blocco. >>
comunicò Rick.
<<
Non l'hai sentito? Ce n'è rimasto ben poco! >>
brontolò il
nero amico del moro.
<<
Avete più cibo che scelte. Voi pagate e noi vi aiutiamo. Vi
ripuliamo un blocco e ve lo tenete. >> Sembravano
riluttanti,
sicuramente lo erano, ma alla fine accettarono. Che scelta potevano
avere? Il coltello dalla parte del manico non l'avevano loro, era
evidente a tutti.
<<
Ma voglio essere ben chiaro. Se vi vediamo qua fuori, se vi
avvicinate al nostro gruppo, se solo sento il vostro odore sappiate
che vi ucciderò. >> minacciò Rick,
avvicinandosi ancora al
detenuto, investendolo con la sua carica di determinazione. E ancora
una volta, riluttanti, accettarono.
Silenziosamente
ma rapidamente il gruppo di detenuti scortò Rick, Ocean,
Daryl e
T-Dog alla mensa, dove avrebbero mostrato loro il cibo che gli era
rimasto e avrebbero quindi dato il loro "pagamento anticipato".
Rick fu il primo ad entrare, lento, seguito dai suoi compagni, e per
un attimo scommise di aver sentito il coro di angeli del paradiso.
Erano mesi che non vedeva tanto cibo tutto in una volta.
<<
Meno male era poco. >> disse sarcastica Ocean facendo
uscire
dai suoi occhi e dal suo tono di voce tutto lo stupore e la
meraviglia di fronte a tutto quel ben di Dio. Non cominciò a
sbavare
solo per dignità, ma la bocca spalancata, per niente decisa
a
richiudersi, avrebbe potuto tradirla da un momento all'altro. Sentiva
già lo stomaco urlare famelico di tuffarcisi senza pensare a
niente
se non morire di troppo cibo. Daryl entrò dopo di lei con
una torcia
in mano, studiando con più attenzione quello che aveva
davanti e
senza riuscire a trattenere un rabbioso << Questo per voi
è
poco cibo? >>
Rick
e T-Dog afferrarono la loro razione e la portarono veloci nel loro
blocco con un sorriso che andava da orecchio a orecchio: un tempo
avrebbero volentieri lasciato quelle cose sullo scaffale del
supermercato, ma con i tempi che correvano quelle scatole erano
caviale e Champagne. Ocean e Daryl rimasero con i prigionieri nel
frattempo, a tenerli d'occhio, anche se a detta loro era il
contrario. Poi si riunirono e discuterono, preparandosi, e Rick, come
al solito, coordinò e diede le direttive. Per loro era
facile
ascoltarlo, ormai erano abituati a seguire gli ordini del loro
Generale, ma per i detenuti non era così semplice. Non
sapevano
niente di zombie e non sapevano niente del loro gruppo. Per questo il
moro provò a ribattere, sentendosi anche abbastanza
infighettato,
tirando fuori la sua solita pistola, orgoglioso come si può
essere
nel tirar fuori il proprio pene davanti a un branco di impotenti, e
dicendo scorbutico << Perchè usare questo.
>> cominciò
indicando un piede di porco << Quando ho questa?
>> il
suo sorriso sornione diceva tutto riguardo alla felicità che
provava
nel tenere una pistola in mano, e la cosa certo non andava
giù a
nessuno dei presenti.
<<
Il rumore li attira, li irrita. >> spiegò
Daryl in poche
parole.
<<
Andremo a due a due. Daryl e Ocean staranno davanti, dietro T-Dog con
te. >> e indicò uno di loro << E
poi io e tu. >> e
ne indicò un altro. << Restate sempre in
formazione, anche se
si avvicinano gli zombie! Se uno esce dai ranghi, potremmo morire
tutti. Se uno scappa può venire scambiato per uno zombie e
finire
con un'ascia in testa. >>
<<
E' lì che dovete mirare. Si abbattono solo con un colpo alla
testa.
>> spiegò ancora Daryl.
<<
Non spiegateci come far fuori un uomo. >> disse
riluttante il
moro, sentendosi probabilmente offeso dal comportamento superiore che
stavano assumendo quelle persone, non riuscendo a capire che era
più
che plausibile che ne sapessero più loro di lui.
<<
Peccato che questi non siano uomini. >> intervenne Ocean,
che
poco parlava ultimamente, e se ne stava abbastanza in disparte, con
le spalle poggiate al muro e le braccia conserte. Non le piaceva
mostrarsi agli sconosciuti, anche con Rick e gli altri i primi giorni
era risultata fredda e distaccata, quasi priva di sentimenti e
sull'orlo continuo del premestruo. Era il suo modo di fare per
assicurarsi di essere lasciata in pace, per tener lontane le minacce.
La sua, ormai amica, corazza di spine.
<<
Belli miei, siete stati chiusi lì dentro quasi per un anno,
e nel
frattempo fuori c'è stata l'apocalisse. Questo non
è più il vostro
mondo, quindi date retta a papino senza fare le teste di cazzo, eh?!
>> disse ancora avvicinandosi al tavolo lentamente e
completando la frase con un sorrisetto stizzito e un paio di
schiaffetti affettuosi alla guancia del moro, che nervoso si
tirò
subito indietro, si scosse per non farsi toccare e con una
rapidità
degna di un falco a caccia afferrò violentemente il suo
polso,
bloccandola. Ocean continuò a tenere i suoi occhi affilati
fissi in
quelli dell'uomo, in una lotta invisibile a dimostrare l'anima di chi
dei due era più forte, senza temere neanche per un istante
la presa
ferrea e sudaticcia che aveva su di lei. Poi con uno scatto deciso
tirò via la mano, liberandosi e indietreggiò di
un passo. Sfilò la
sua spada, sorrise nel vedere con la coda dell'occhio che alcuni di
loro avevano sussultato e si allontanò di nuovo,
affiancandosi a un
Daryl che già aveva cominciato a stringere fin troppo la sua
balestra.
<<
Ho una fame da lupi, vediamo di muoverci. Chi resta indietro, rimane
indietro! >> minacciò ancora lei prima di
rivolgere lo sguardo
a Rick e aspettare il suo consenso.
<<
Non dimenticate di puntare al cervello! >>
sottolineò ancora
l'uomo prima di guardare uno a uno i nuovi ospiti, un modo per
tenerli al guinzaglio piuttosto che vedere se avevano capito, e
partire per primo, sempre ben coperto dai suoi amici. Gli altri lo
seguirono, preoccupati, probabilmente terrorizzati, ma solo il moro
continuava ad essere infastidito e stizzito da tutto. Il suo
testosterone urlava vendetta, chissà poi per cosa. Si
accostò al
biondo, al suo fianco e bisbigliò provocatorio
<< Mandano una
donna in prima linea per aprirci la strada, che stronzata. Arriveremo
poco lontani. >>
Ocean,
appena davanti a lui, recepì quelle parole, che non
sembravano
essere dette per restare celate visto il tono di voce usato e
sentì
un fuoco nascerle alla bocca dello stomaco. Odiava gli uomini
più
degli zombie, e ancora una volta le avevano dato dimostrazione di
quanto fossero stronzi. Ma dovette trattenere l'istinto omicida che
le era nato e che le faceva tremare le braccia e si limitò a
dire,
senza dargli neanche la soddisfazione di guardarlo in volto
<<
Vediamo se ripeti le stesse cose quando questa donna
ti
salverà il culo da qualche zombie che tenterà di
masticartelo a
dovere. >> credeva davvero di essere migliore di lei? Lui
che
era stato chiuso a cacarsi sotto per 10 mesi mentre lei già
aveva
perso il conto del numero di zombie uccisi e del numero di volte che
aveva salvato la vita a se stessa e al suo gruppo. Testosterone, solo
ed esclusivamente testosterone. E lei lo detestava. Soprattutto in un
periodo come quello dove la disparità dei sessi non valeva
più un
cazzo.
Il
moro sorrise alla provocazione, facendosela scivolare addosso, o
forse divertito nel vedere che le sue parole erano andate a segno,
facendo nascere in lei una reazione, e tornò a bisbigliare
al suo
amico, ridacchiando divertito, << So io che gli farei a quel
culo. >> Ocean si irrigidì ancora di
più, tanto che fu
costretta a fermarsi e dovette chiudere gli occhi e fare un profondo
respiro per evitare di dar libero sfogo alla rabbia, tagliandogli la
testa all'istante. Stava già pensando al modo migliore per
rispondere alla provocazione, zittendolo, ma evitando inutili
spargimenti di sangue, voltandosi lentamente, quando all'improvviso
si rese conto che il suo intervento non era più necessario.
Daryl,
che fino a quel momento era stato accanto a lei, nel sentir
pronunciare quella frase si era voltato improvvisamente, ma deciso,
senza mostrare l'ira che a volte annebbia la vista, ma solo una
decisa e determinata furia omicida, quella che porta a vedere anche
fin troppo bene quali movimenti compiere per arrivare all'obiettivo.
Aveva spinto il moro contro il muro, facendogli sbattere la schiena.
Gli portò l'avanbraccio al collo per impedirgli di muoversi
e di
respirare e puntò la lama del suo coltello sempre al collo,
premendo
appena la punta, tanto da fargli uscire un piccolo rivolo di sangue.
Lo guardava negli occhi, facendo travisare tutta la sua furia anche a
chi gli stava attorno. Il moro aveva fatto in tempo a sfilare la sua
pistola, mentre veniva aggredito, e gliela stava puntando alla
tempia, ma questo non spaventava minimamente Daryl che gli
sibilò,
quasi sputacchiò, in faccia un << Prova anche
solo a pensarlo
un'altra volta. >>
Angolo
Autrice
Pant
Pant!! Ce l'ho fattaaaaa xD Mamma mia come sta diventando difficile
aggiornare regolarmente. Mi dispiace con chi mi sta seguendo che deve
aspettare tutte le volte eoni prima di poter leggere il seguito, ma
siamo sotto esami e si sa che la sopravvivenza in questo periodo
è a
rischio xD
Ma a fine febbraio dovrei tornare a essere regolare :)
abbiate fedeeeeee...non mollo!! xD
Un saluto.
Ray.
|
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Capitolo 22 *** Poker Face. ***
Poker
Face.
Nessuno fece subito
qualcosa, nessuno
intervenì, i detenuti probabilmente spaventati e desiderosi
di non
farli arrabbiare ancora: alla fine li stavano aiutando, Rick
perchè
non gliene portava un cazzo di quel deficiente, ed era bene che si
cacasse un po' addosso, visto il suo comportamento per niente
produttivo. Ocean rimase a guardare la scena compiaciuta, sentendosi
improvvisamente libera da ogni furore e provando solo un forte senso
di sollievo e anche un pizzico di gioia. Aveva dimenticato quando era
stata l'ultima volta che un uomo aveva reagito con tale veemenza solo
per lei, aveva dimenticato quando era stata l'ultima volta che un
uomo l'aveva trattata come donna, proteggendola e difendendola, e non
come oggetto per il proprio piacere. Anzi, no...lo ricordava bene
quando era stata l'ultima volta. La volta che Manuele aveva ucciso
Simone. Ma allora non era stato piacevole come in quel momento. Daryl
non era solito lasciarsi andare a lascive dimostrazioni d'affetto, e
quello era il suo modo personalissimo di dire "Ci penso io a te,
piccola". In quell'aggressione erano celati tutti gli abbracci e
i "ti voglio bene" che mai venivano rivolti a lei, ma che
erano comunque presenti nei suoi occhi di ghiaccio.
La
cosa la fece sorridere.
Ma
nessuno dei presenti era in grado di leggerle il pensiero, e
interpretarono così quel sorriso solo come un minaccioso
avviso:
"non ci facciamo scrupoli a uccidere chiunque non annuisca e
chini la testa".
Dopo
qualche interminabile secondo Rick si fece avanti con un sospiro
rassegnato, avvicinandosi lentamente e posando una mano sulla spalla
di Daryl lo convinse ad allontanarsi, lasciando in pace quel povero
disgraziato, che cercò in tutti i modi di nascondere il
bisogno di
recuperare tutto l'ossigeno che quella stretta gli aveva negato.
<<
Niente scherzi. >> minacciò Rick prima di
tornare in
formazione, davanti al gruppo e intimare a proseguire con
autorità.
Il moro lasciò passare davanti a sè tutto il
gruppo, prima di
mettersi in fondo e seguirli, con gli occhi di chi ha già
scelto la
prossima vittima. Il balestriere, che era tornato serio e silenzioso,
vicino ad una Ocean che lo fissava con un sorrisino ebete in faccia,
aveva superato un limite.
Si
inoltrarono nel primo corridoio e Daryl, a capo del gruppo, svoltava
gli angoli osservando con attenzione tutto ciò che il buio
aveva da
offrirgli. Ocean, dietro di lui, teneva ben alzata la spada e si
muoveva lentamente ma decisa, senza tentennare o barcollare, come se
quella ormai fosse casa sua. E in un certo senso era così.
Non aveva
più paura del buio, sapeva quali pericoli c'erano nascosti e
sapeva
che poteva contrastarli. C'era un uomo nero sotto il suo letto, ma
lei conosceva il suo punto debole. I suoi piedi e i suoi occhi, nel
muoversi in direzioni esatte, dimostravano tutta la
quotidianità di
quei movimenti.
<<
E' maledettamente buio qui dentro. >> lamentò
uno dei
detenuti, spaventato e che non aveva certo la stessa sicurezza di
Ocean e il suo gruppo.
<<
Li sentirete prima di vederli. >> informò di
nuovo Daryl,
dando ancora lezioni di sopravvivenza zombie.
Dei
passi in lontananza fecero sussultare il biondo, che si
lasciò
scappare un << Arrivano! >> decisamente
troppo forte. Fu
ammonito con uno "sh" e Daryl fece cenno di fermarsi e
aspettare. Gli zombie cominciarono a mostrarsi da dietro un angolo.
Uno, poi due e probabilmente anche altri dietro di loro, ma bisognava
tenere la calma e la formazione. Silenziosamente, con un gesto della
mano, Daryl fece loro cenno di stare fermi e cominciò a
contare per
andare avanti in un attacco coordinato.
1....2....
Ma
il tre non arrivò mai. I detenuti, esplosi nella loro
agitazione e
adrenalina, corsero verso gli zombie urlando come matti e le armi ben
alte sopra di loro. Il balestriere, sopraffatto e sorpreso, li
lasciò
passare avanti, non sapendo che pensare se non un "Deficienti.".
Ocean spalancò gli occhi e lasciò cadere le
spalle, perdendo la sua
rigidità e portandosi scoraggiata una mano alla fronte,
soprattutto
quando vide che la loro tecnica di attacco erano colpi allo stomaco,
calci e pugni. Sospirò: non avevano capito niente. In un
misto tra
fastidio, divertimento (per la loro figuraccia) e scoraggiamento si
avvicinò velocemente al biondo che si stava accanendo contro
uno
degli zombie bloccato alle spalle dal nero, dandogli continui colpi
allo stomaco e urlando quasi compiaciuto << Prendi
questo! E
questo! >>. Con uno spintone scocciato lo fece spostare,
alzò
la spada all'altezza del viso e le fece tagliare l'aria dritto
davanti a sè, andandosi a impiantare dritto tra gli occhi
del
mangiatore di carne, facendo così cessare all'istante i suoi
grugniti e i suoi movimenti. Il nero lo lasciò andare, un
po'
sorpreso, riluttante, ma sempre agitato, facendo accasciare a terra
il corpo ormai in fin di vita dello zombie e Ocean
approfittò del
suo peso per strappare la spada con facilità e riprenderne
il
possesso. Si voltò di scatto, avvicinando il suo volto al
biondo e
dedicandogli lo sguardo più incazzato che avesse mai
sfoderato dal
suo repertorio sibilò << Puntate alla testa!
>>. L'uomo
indietreggiò con la testa e ancora una volta ebbe paura di
quella
ragazza che tanto femmina non sembrava. Daryl e Rick la raggiunsero
poco dopo, abbattendo gli altri due zombie ormai sbudellati, ma non
per niente decisi a cadere a terra e guardarono tutto quel gruppo con
gli occhi di un maestro che sta per dare una grave punizione
all'alunno disobbediente.
<<
Il cervello! Non il cuore o lo stomaco. Solo il cervello.
>>
sottolineò ancora Daryl, che ormai aveva capito qual era
l'andazzo.
Il biondo annuì deglutendo e confermò rapido e
imbarazzato <<
Riceuto. Il cervello. >>.
Si rimisero in formazione e
proseguirono ancora. Altri zombie si fecero avanti, ma
finchè erano
uno o due, era meglio lasciare fossero i detenuti ad agire, per
permettere loro di imparare qualcosa. Il nero colpì il primo
alla
testa, che cadde a terra e lo guardò soddisfatto di essere
riuscito
a vincere da solo e senza la fatica che aveva fatto prima. Poi fu la
volta del biondo, che lo imitò e chiese conferma
<< Così? >>.
E dopo fu la volta di tutti gli altri. Rick, Daryl, Ocean e T-Dog
continuarono a restare in seconda fila, lasciando smenare i detenuti
che ormai sembravano aver capito e si stavano dando da fare con
successo. Loro semplicemente controllavano che tutto filasse liscio,
intervenendo solo se necessario, così avrebbero anche
evitato di
stancarsi per chi forse neanche lo meritava.
Poi
un urlo improvviso, alle loro spalle, fece sussultare tutti. Rick si
voltò e corse in soccorso di uno dei neri, il più
grosso, che aveva
indietreggiato impaurito e si era ritrovato circondato dagli zombie.
Non aveva visto cosa l'aveva fatto urlare, ma si era fatto avanti
immediatamente correndo in suo aiuto e abbattendo uno degli zombie
che stava per farlo vittima. Improvvisamente dei colpi di pistola,
che in quel silenzio risuonarono più forti che mai, tanto da
stordire le orecchie. Tutti si voltarono a guardare il folle che
aveva ritenuto necessario un gesto tanto sconsiderato. Nessuno si
meravigliò di vedere che era stato il moro. Rick, davanti a
lui, gli
rivolgeva non solo uno sguardo furioso per aver sparato inutilmente,
ma anche impaurito: l'aveva sfiorato. Sarebbe bastato qualche
centimetro più a sinistra e quelle pallottole se le sarebbe
beccate
lui. Sapeva già di non potersi fidare, soprattutto di lui,
che
sembrava essere il più ribelle del gruppo, ma quella fu
l'ultima
goccia: ora sapeva che doveva essere pronto a usare l'arma al primo
segnale. Quello stava tentando di ucciderlo, forse per impadronirsi
anche del suo blocco. Lasciò l'accaduto in sospeso,
facendone
tesoro, e tornò a guardare il nero accanto a sè
che lamentava
dolore e perdeva sangue da una spalla.
<<
Voltati. Fammi vedere. >> ordinò Rick che
intanto veniva
raggiunto dal resto del gruppo. Come sospettava...per il nero non
c'era speranza. Era stato graffiato, non sarebbe sopravvissuto a
lungo, e provò a spiegarglielo, anche se pacamente.
<<
Ve l'assicuro! Non sento niente! E' solo un graffio. >>
continuò a dire lui, sperando di minimizzare la cosa,
sperando
probabilmente che si stessero sbagliando. Stava bene...come poteva
morire da un momento all'altro solo per uno stupido graffio?
<<
Hai tagliato la gamba di quell'anziano per salvargli la vita!
>>
brontolò l'amico del nero.
<<
Guarda dov'è il graffio! >> rispose Rick. Che
si aspettava?
Che gli tagliasse via il busto? Il nero cominciò a sudare,
forse per
la paura, o forse per l'infezione che cominciava a dilagarsi nel suo
corpo e continuò a insistere che stava bene. I suoi compagni
continuarono ad avanzare ipotesi, qualsiasi cosa pur di salvare il
loro amico, proponevano di tutto, perfino di rinchiuderlo in
quarantena e Rick dovette ancora una volta insistere <<
Non c'è
niente da fare. >> senza però continuare a
essere accettato
dalla comunità di detenuti, che cominciarono addirittura a
prendersela con di lui. Ma a porre fine al discorso fu il moro, che
senza un minimo di tentennamento fece cadere la sua ascia sulla testa
dell'amico ferito e lo uccise sul colpo, lasciando tutti senza
parole. Non soddisfatto poi diede lui il colpo di grazia colpendolo
più volte alla testa, fino a spappolargliela, con una furia
e
un'adrenalina che ancora testimoniavano fosse uno psicopatico da cui
tenersi alla larga. Sembrava provasse piacere nei colpi inferti.
D'istinto Rick indietreggiò, e Daryl invece fece un passo in
avanti,
posizionandosi davanti a Ocean, ancora mosso da un forte istinto
protettivo nei suoi confronti. Quando il moro ebbe finito
guardò i
presenti con lo sguardo di chi è appena sceso da una
giostra, il
fiatone, e gli occhi che urlavano minacce taglienti e affilate.
Faceva paura. Poi silenzioso riprese il cammino. La formazione
precedentemente stabilita venne sciolta e Rick, Daryl e Ocean si
spostarono in fondo, dietro al resto del gruppo: i due uomini per
tener d'occhio quel gruppo di pazzi, soprattutto il moro, Ocean per
evitare che qualcun altro guardasse e commentasse il suo culo. E poi
Daryl non le aveva dato scelta e l'aveva tirata con sè,
costringendola a stare dietro di lui.
<<
Hai visto il suo sguardo? >> disse poi a Rick sottovoce,
guardando il moro davanti a sè << Se fa una
mossa, basta che
mi fai un cenno. >> Rick non rispose, ma sapeva non ce
n'era
bisogno. Sapevano tutti quello che stava succedendo.
Entrarono
in quella che doveva essere la lavanderia e pian piano si
sparpagliarono, esaminando ogni angolo. C'era una grande porta sulla
destra, chiusa, da cui si sentivano arrivare i mugolii degli zombie
da dietro. Si posizionarono tutti intorno e aspettarono che Rick la
raggiungesse, guardandola, e studiando un piano. Lanciò il
mazzo di
chiavi ai piedi del moro, di fianco a lui e lo guardò deciso.
<<
Io non la apro! >> disse il detenuto intuendo
ciò che Rick
voleva.
<<
Si, invece. >> rispose Rick risoluto << Se
volete questo
blocco dovete aprire quella porta. Solo un'anta! Non tutte e due.
Dobbiamo poterli controllare. >>
Il
moro si chinò a raccogliere il mazzo di chiavi, ma non
distolse lo
sguardo minaccioso dal capo della compagnia, probabilmente pensando
ancora a chissà quale minaccia o piano di omicidio. Si
avvicinò
alla porta e cominciò a smanettare con le chiavi, cercando
quella
giusta per aprire quella dannata porta. I suoi compagni intorno a lui
si strinsero e impugnarono saldamente le armi. Non sapevano quanti ne
sarebbero usciti da li, e la cosa li spaventava.
<<
Stammi vicino. >> sussurrò Daryl a Ocean,
affermazione che
fece destare la sua indignazione e la portò a rispondere
offesa,
sempre sussurrando << So badare a me stessa!
>>
Daryl
le rivolse uno sguardo, cercando i suoi occhi, cercando la sua
complicità e aggiunse, sempre evitando di farsi sentire
dagli altri
<< Non è degli zombie che ho paura.
>>. Ocean guardò
quegli occhi che tanto l'avevano cercata e lasciò che
parlassero,
sostenendo il suo sguardo, senza fiatare, leggendo quasi i suoi
pensieri da quelle piccole porticine azzurre che a volte si aprivano
così tanto solo per lei. Sapeva bene a cosa si riferiva, e
non aveva
cuore di dargli torto. Gli zombie era facile ucciderli, se si aveva
uno schema, un'organizzazione. Gli uomini la spaventavano un po' di
più. E in cuor suo avere Daryl accanto la faceva sentire
più
tranquilla. Così accettò le condizioni, anche se
non lo disse
apertamente, e si posizionò, preparandosi alla battaglia,
restando
ben vicina al suo compagno.
<<
Siete pronti, stronzetti? >> chiese il moro, prima di
cominciare a tirar calci alla porta, cercando di aprirla con
rapidità
in modo da avere tempo di mettersi a riparo e impugnare bene la sua
arma. Ma la porta non si aprì al primo colpo e dovette
colpirla più
volte. Poi fece un'altra delle sue cazzate e spalancò
entrambe le
ante, prima di correre a posizionarsi nelle retro vie. Rick
l'ammonì,
urlandogli contro rabbioso << Ho detto: solo un'anta!!!
>>,
urlo a cui il moro rispose con un finto << Non l'ho fatto
apposta!! >> prima di cominciare a dar fendenti in giro.
Un'orda di zombie si riversò nella stanza, accerchiati dai
detenuti
e dal gruppo di Rick che tentava di tenerli a bada, uccidendoli con
rapidità e attenzione, sperando di non perdere nessuno di
vista o
sarebbe stata la fine. Ocean si fece avanti, cercando di restare
sotto lo sguardo accuditore di Daryl e con un colpo di spada
tagliò
in obliquo la testa di uno degli zombie. Fece un passo indietro,
riprendendo l'ordine mentale in quel caos, e si lanciò
subito di
nuovo contro un altro, infilzandogli di punta la spada nel cranio. La
estrasse, aiutandosi con un urlo e tornò a guardare davanti
a sè.
Un freccia di Daryl le passò affianco colpendo uno zombie
davanti a
lei, che non si fece distrarre troppo dall'accaduto e tornò
a
guardare di fronte a sè, pronta a colpire gli altri, quando
lo vide:
il moro afferrò uno zombie per la divisa e nel tentativo,
mal
riuscito, di farlo sembrare un incidente, lo lanciò contro
Rick,
facendo cadere entrambi a terra. Ocean spaventata uscì
immediatamente dalla sua formazione, inoltrandosi tra i detenuti,
spintonandone un paio per cercare di raggiungere il prima possibile
il capogruppo. Sfoderò una delle daghe e la
conficcò immediatamente
nel cranio dello zombie che stava cercando di mordere il suo amico,
riuscendo così a salvargli la vita. Rick spintonò
via con furia il
corpo esanime da sopra di lui e Ocean gli porse una mano per aiutarlo
ad alzarsi. L'uomo le diede una pacca di ringraziamento sulla spalla
nell'istintante in cui fu in piedi e raggiunse subito di nuovo il suo
posto vicino al moro, squadrandolo come si fa con chi ha appena dato
uno schiaffo a tua moglie. Il moro fece finta di niente, guardandosi
attorno, cercando di sembrare agitato per poi rivolgersi a Rick,
notando il suo sguardo incriminatore e alzando le spalle disse
<<
Mi stava venendo addosso. >> cercando così di
giustificarsi.
Daryl, nonostante gli zombie fossero a terra, continuava a tenere
alzata la balestra, che questa volta era puntata sul detenuto. Ocean
rimase dov'era, un paio di passi indietro, ma sempre tenendo lo
sguardo attento e ben puntato sulla scena, pronta a reagire qualora
fosse stato necessario o Rick glielo avesse chiesto. Quel figlio di
puttana aveva provato a ucciderlo, altro che incidente.
<<
Si, capisco. >> disse Rick annuendo e sorridendo, ma non
riuscendo a impedire al corpo di reagire al suo nervoso, continuando
a spostarsi da un piede a un altro << Capisco. Non l'hai
fatto
apposta. >> i due continuarono a fissarsi per un
interminabile
istante, il moro cercando di convincere con gli occhi Rick e Rick con
un finto sorriso stampato in faccia ma gli occhi di chi sta per
tirarti un cazzotto in faccia. Ma non fu un semplice cazzotto ad
arrivare su quella faccia. Un colpo secco, veloce e senza preavviso,
e la lama del suo macete fu ben presto impiantata nella testa
dell'interlocutore, fin quasi a una delle sopracciglia. Il nero, il
più piccolo, si fece avanti con la mazza da baseball ben
tesa,
guardando terrorizzato l'assalitore del suo amico e provò a
colpirlo, ma fu buttato a terra da un calcio. Daryl fece un passo
avanti, con la balestra ben puntata davanti a sè, e Ocean e
T-Dog
fecero altrettanto, puntando le proprie armi contro i detenuti, ormai
i pochi rimasti, intimandoli di stare calmi e fermi. Il ragazzo a
terra si guardò intorno terrorizzato, prima di rimettersi
velocemente in piedi e scappare via.
<<
Lo prendo io! >> disse Rick cominciando a corrergli
dietro,
lasciando soli i suoi tre compagni con i due detenuti rimasti.
<<
Mettiti in ginocchio, ora. >> ordinò Daryl a
quello che teneva
sottotiro. Ocean si avvicinò al biondo, sulla sua destra, e
gli
puntò con assoluta tranquillità la lama della sua
spada alla gola
<< Vediamo di non fare altri scherzi, eh?
>> e tremolante
lui obbedì, alzando le mani e posando l'arma a terra.
Guardò il suo
amico e terrorizzato si affrettò a dire << Con
quello che è
appena successo noi non c'entriamo niente!!! Diglielo, Oscar!
>>,
vacillando sull'orlo del pianto.
<<
Basta parlare, amico. >> rispose però il nero,
negando
debolmente con la testa. Forse il più intelligente della
compagnia,
glielo si leggeva negli occhi il suo voler lasciar perdere, il suo
voler solo stare tranquillo e in pace, senza creare altri guai. Ocean
si sgranchì la schiena, sempre senza muovere troppo la sua
lama
dalla sua vittima e sbuffò << Tutto questo
tempo perso per
niente. >> e poi aggiunse sospirando scocciata
<< Sto
morendo di fame. Ehy! >> si illuminò
all'improvviso <<
Se facciamo fuori anche questi due possiamo prenderci anche l'altra
metà delle scorte! >> sorrise quasi
entusiasta. Non diceva sul
serio, non era un'assassina, solo una volta aveva ucciso un uomo per
legittima difesa e quello era ancora uno dei suoi peggiori incubi.
Però sapeva che in certi casi era bene tenere il guinzaglio
teso.
Più avrebbero avuto paura, più avrebbero evitato
di fare altre
sciocchezze. La sua frase parve avere un certo effetto, soprattutto
sul biondo, in quanto piagnucolò un << Oh Dio,
no. >>
Non
aggiunse altro, si limitò a sorridere divertita da quel
giochetto e
soddisfatta del risultato. Alzò lo sguardo, cercando forse
la
complicità dei suoi compagni e incrociò gli occhi
di un T-Dog
ammonitore. Era lo stesso sguardo che le faceva sua madre quando da
bambina le uscivano dalla bocca cose che non doveva dire. Ocean
alzò
le spalle innocentemente, come se non avesse appena fatto niente, e
si voltò a guardare Daryl, a cercare almeno in lui il
sostegno, la
complicità, la stessa che poteva avere con sua sorella,
sempre nelle
stesse occasioni: anche lui nascondeva un sorriso dietro la balestra
e guardandola scosse delicatamente la testa, facendo travisare il suo
"che imbecille" divertito.
Rick
tornò poco dopo, ben fermo sui suoi piedi, e soprattutto
solo. Non
disse niente, ma i suoi compagni capirono che il ragazzo non ce
l'aveva fatta. Appena sopraggiunto, puntò la pistola alla
fronte del
nero sulla destra, ancora in ginocchio e chiese spiegazioni.
Provarono a dirgli, entrambi i prigionieri, che con quello successo
non c'entravano niente, ma Rick sembrava fermo e risoluto nella sua
decisione di premere quel grilletto. Ocean sapeva bene che alla fine
li avrebbe lasciati andare, non avevano fatto niente, e non avrebbe
certo avuto cuore di ucciderli a sangue freddo senza un motivo
apparente, ma doveva fare la parte del duro e dello spietato per
costringerli a portar rispetto, convincerli così a non fare
altre
stronzate e confessare nel caso fossero stati in combutta con lo
stronzo a terra. Il poliziotto buono lo aveva già fatto
troppe
volte, ora era il turno di quello cattivo.
Spostò
la pistola e andò dal biondo, quello che tra i due aveva
più paura
e ordinò << Daryl, basta, facciamola finita!
>>, ordine
che fece scoppiare a piangere l'uomo a terra, come un bambino che si
è appena sbucciato un ginocchio e supplichevole
continuò a dire <<
Dovete crederci! Erano loro quelli cattivi, non noi! >>
<<
Ah, che bravi ragazzi! >> disse sarcastico Rick,
continuando ad
avvicinare la sua pistola alla sua testa. Infondo era risaputo che
solo i bravi ragazzi finivano in prigione.
<<
Avete visto cosa ha fatto a Tiny?! Lui era mio amico. >>
pianse
ancora << Vi prego. Noi non siamo così. A me
piacciono le
droghe ma non sono un assassino! Oscar è uno scassinatore, e
neanche
tanto bravo! >> Ocean dovette voltarsi con discrezione e
coprirsi con una mano per riuscire a nascondere la risata che stava
nascendo da quell'ultima affermazione, dovevano mantenere l'aria da
duri per portarli al limite, e per fortuna riuscì a non
farsi notare
<< Non siamo tipi violenti, loro sì! Vi prego,
io ve lo giuro
su Dio! Voglio vivere! >> singhiozzò ancora.
Rick rimase
qualche altro secondo a scrutarlo, scavando fino in fondo alla sua
anima, riversata in lacrime; poi si voltò di colpo e
tornò a
concentrarsi sul nero, che continuava ad avere uno sguardo deciso, ma
si leggeva sul suo viso la sua innocenza.
<<
Tu che mi dici? >> chiese Rick.
<<
Non ho mai scongiurato nessuno per continuare a vivere. Non voglio
certo cominciare ora. Fate quello che dovete fare. >> al
contrario dell'amico lui dimostrava sicuramente più palle.
Ma questo
non portò Rick a pensare fosse colpevole, non tanto
più del suo
amico piagnucolone. Perciò decise di lasciarlo andare. Rick
prese il
biondo, che disse di chiamarsi Axel, e lo trascinò con poca
grazia
lungo il corridoio. T-Dog fece altrettanto col nero, Oscar, mentre
Daryl camminava in testa e Ocean in coda, a chiudere la fila e tener
d'occhio le cose nelle retrovie. Vennero aperte le porte del blocco A
e i due detenuti furono letteralmente lanciati dentro.
<<
Oh, merda. >> si lasciò scappare Axel, quello
che tra i due
non riusciva proprio a tenere la bocca chiusa << Li
conoscevo.
>> disse guardando i corpi di altri detenuti stesi a
terra <<
Erano brave persone. >>
<<
Andiamo. >> incitò Rick ai suoi, prima di
avviarsi verso la
porta. Lì non avevano più niente da fare.
<<
Quindi ci lascerete qui? Ma è disgustoso! >>
disse Oscar,
quasi indignato, non capendo in realtà che gentil
concessione
avessero loro fatto, pulendo il blocco.
<<
Chiuderemo questo blocco. D'ora in poi questa parte della prigione
è
vostra. Prendere o lasciare, era l'accordo. >> disse Rick
prima
di uscire, senza aggiungere altro, senza voler parlare ancora. Non
c'era niente di cui discutere. Fine della storia. T-Dog lo
seguì in
silenzio, e dopo Daryl, ma non senza prima essersi accostato ai due
detenuti << Questo è disgustoso? Meglio che tu
non sappia cosa
c'è la fuori. >> disse.
<<
Questa volta consideratevi fortunati. >> disse ancora
Rick da
dietro la porta prima di proseguire per tornare a casa loro. Daryl si
fermò ancora un po', continuando a guardarli compassionevole
e
rivolse loro ancora altre parole, non più però di
minacce o astio.
Non c'era più motivo.
<<
Mi dispiace molto per i vostri amici. >> disse abbassando
leggermente gli occhi, dimostrando le sue reali condoglianze. Ocean
gli passò accanto a testa bassa, e gli posò una
mano delicata su un
braccio << Andiamo. >> disse. Aveva
completamente perso
quell'aria da dura che l'aveva accompagnata per tutto il tragitto,
ormai sentendo inutile proseguire. Erano arrivati alla fine, non
c'era più bisogno di mantenere alti gli animi e incutere
timore.
Daryl le rivolse uno sguardo, incrociando i suoi occhi e
annuì prima
di incamminarsi, seguito subito dalla ragazza. T-Dog diede loro
consiglio di bruciare i corpi, un consiglio amichevole, e infine
anche lui abbandonò del tutto la coppia. Soli nel loro
personalissimo Limbo.
Tornarono
al loro blocco e Rick subito si avvicinò alla stanza di
Hershel per
vedere come stava. Carl disse che aveva smesso di respirare per un
po', ma Lori era riuscita a salvarlo, e ora stava bene. Ancora niente
febbre. Chissà che non fossero realmente riusciti a
salvarlo.
Se
solo si fosse risvegliato.
Ocean rimase fuori in disparte,
ascoltando semplicemente, guardandosi le mani pregne di sangue e
provando inutilmente a pulirle con un fazzoletto già sporco.
Solo un
modo per tenere la mente impegnata, senza dare veramente a quei gesti
uno scopo. Daryl invece si avvicinò a Molly, seduta sul
primo
scalino che portava al livello superiore, la bambola sulle ginocchia
e la testa poggiata sulle mani. Aveva lo sguardo triste e
rammaricato, sentiva ancora l'urlo di Daryl nelle sue orecchie e non
smetteva di sentirsi triste per questo. Lui silenzioso le si
avvicinò
e le si inginocchiò di fronte , toccandole le ginocchia,
cercando di
darle contatto umano. Si era reso conto di aver forse un po'
esagerato, ma era stata una mossa troppo azzardata, aveva avuto paura
ed era furioso e nervoso.
<<
Ehy. >> sussurrò dolce vicino al suo viso,
prima di infilarsi
una mano in tasca << Guarda che ho trovato.
>> la
estrasse fuori, ancora stretta a pugno e gliela aprì sotto
gli occhi
mostrando al suo interno un lecca lecca, ancora ben chiuso e pulito.
Lo aveva raccolto da sotto un letto, quando erano entrati a "pulire"
le celle. Qualche golosone, dopo esserselo fatto portare di
contrabbando, non aveva potuto goderselo prima di morire, ed essendo
ben sigillato e quindi pulito Daryl aveva pensato di portare quel
pensiero alla bambina. Molly si illuminò nel vederlo, era
quasi un
anno che non ne mangiava, e l'ultimo dolce era stata la caramella che
Ocean le aveva dato quando l'aveva trovata chiusa nel portabagagli
dell'auto. Lo prese immediatamente, ma si bloccò prima di
aprirlo,
guardando Daryl e aspettando il suo permesso. Il ragazzo sorrise e le
disse << Allora? Che aspetti? >> e Molly
non se lo fece
ripetere due volte. Lo scartò con rapidità e se
lo infilò subito
in bocca, sentendo le papille gustative cominciare a cantare e
ballare. Era buonissimo. Alla coca cola. Da quanto tempo non beveva
coca-cola!
<<
Mi dispiace essermi arrabbiato con te. Non volevo urlarti in quel
modo. Ma devi fare più attenzione, e restare al sicuro!
Intesi? >>
disse lui guardando dritta negli occhi la bambina, che annuì
timida,
vergognandosi di essersi comportata in quella maniera. Promise di
obbedire e continuò a mangiare con ingordigia il suo lecca
lecca.
Daryl sorrise ancora e le scompigliò i capelli
<< Bene. >>
disse e andò anche lui alla cella di Hershel. Erano tutti li
per
lui, sulle spine e col cuore in lacrime, pregando chissà
quale Dio,
ognuno il proprio, affinchè fosse restituito loro il loro
più caro
amico. Tutti tranne Ocean, che in disparte cercava di tenere la mente
altrove. Non voleva più perdere. Non lo avrebbe sopportato
ancora.
Doveva prendere le distanze prima che l'impatto dell'esplosione la
investisse. Non voleva vederlo, non voleva farne parte,dimentica che
ormai era troppo tardi e non sarebbe riuscita a impedire al suo cuore
di piangere la perdita, l'ennesima. Non voleva più vedere
occhi
vuoti che affondavano nell'Oceano, abbandonati da ogni speranza. Lei,
abbandonata. Niente più legami, niente più
lacrime, niente più
addii, niente più telefoni muti sul ciglio della strada.
Si
accanì sulle sue mani, sfregando con tale forza da farsi
quasi male.
Basta sangue sulle sue mani, a rammentarle di come non sarebbe potuta
più scappare. Colpevole di un delitto non commesso.
Colpevole di
essere rimasta in vita,a guardare gli altri affondare e affogare.
Non più! Lei non sarebbe più rimasta a discapito
degli altri!
Sicura nella sua corazza, mentre gli veniva urlato aiuto, e in
lontananza si perdevano gli echi di vittime che gridavano al
tradimento.
Cominciò a tremare.
Stava perdendo. In lontanza
lo vedeva: la fattoria assediata e il viso in lacrime di chi non
riesce a seguirla nella sua fuga. Non voleva voltargli le spalle...ma
veniva trascinata. La sua mano allungata, in preghiera: "vieni
con me!"
Fantasmi rispondevano: "Non mi è
possibile!"
Strofinò e si lamentò. Perchè non
riusciva a
liberarsi di quel maledetto sangue sulle mani! Impermeabile come un
tatuaggio.
Furiosa
lanciò via lo strofinaccio inutile, ormai pregno di quel
rosso
incriminatore, e si inginocchiò portandosi entrambe le mani
tra i
capelli. La testa china e gli occhi chiusi. Non voleva vedere.
"Statemi
lontano!" urlava a quei fantasmi che erano venuti a ricordarle
chi era.
Colpevole
di essere viva.
<<
Papà! >> la voce improvvisa di Maggie fece
dissolvere tutto in
un istante. I fantasmi, giudici severi, sparirono scacciati da una
luce accesa all'improvviso. Alzò la testa, puntando gli
occhi alla
cella di Hershel. Riusciva distintamente a vedere la mano scheletrica
della morte che si allontanava.
<< Papà! >> chiamò
di nuovo Beth, colma di emozione. Si alzò in piedi e
velocemente con
grandi passi raggiunse la cella, affacciandosi in tempo per vedere
gli occhi di Hershel aperti che correvano da un viso a un altro dei
presenti.
<<
Oh mio Dio. >> si lasciò scappare in un
sussurro, portandosi
il dorso della mano tremante alla bocca. Sorrise emozionata e
sentì
gli occhi inumidirsi. Ce l'avevano fatta. L'avevano battuta. Quella
maledetta meretrice che nessuno risparmiava, che mai perdeva la sua
partita, era stata allontanata almeno quella volta. Maggie e Beth
piansero tutte le lacrime che avevano mentre stringevano la mano del
padre, sorridendo come ultimamente mai facevano.
E
Ocean tirò un sospiro di sollievo, sentendosi alleggerire, e
poggiò
la fronte a una delle sbarre della cella, cercando appoggio e
sostegno...E sentendosi una grandissima idiota per essere quasi stata
distrutta dalle ombre che ormai, in pieno mezzogiorno, non si
allungavano più.
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Capitolo 23 *** Scacco Matto ***
Scacco
Matto.
Il
sole stava calando ad ovest, incorniciando di un bel rosso perlato i
prati visibili in lontananza. Sfortunatamente gli alberi del bosco
impedivano alla vista di perdersi oltre la collina che come una madre
vegliava sulla prigione ormai non più abbandonata. Il vento
scuoteva
le foglie, cantando, dolcemente. E una ragazza a cavallo ne era
silenziosa spettatrice.
Cosa avrebbe dato per poter speronare la
sua cavalla in una folle corsa senza tempo, in lontananza, l'aria tra
i capelli che soffia rumorosa nelle orecchie e fa lacrimare gli
occhi, e la sensazione di essere irraggiungibile e perfetta padrona
del mondo.
Ma i
suoi desideri avrebbero dovuto aspettare.
Mai
più avrebbe rivisto sconfinate praterie su cui poter dar
forza ai
propri piedi.
Chiusa
in una scatoletta, come quelle tanto bramate della mensa appena
svuotata per metà. Misera...eppure non così tanto
male.
<<
Ocean. Sbrigati. >> la richiamò Rick al
cancello, pronto a
chiudere di nuovo le porte della loro libertà per dar loro
motivo di
continuare a bramarla, senza abbandonarsi all'oscurità della
fine.
<<
Arrivo. >> avvertì Ocean prima di speronare
Peggy e correre
all'interno del cortile, ormai ripulito, ma ancora pieno di fantasmi.
Daryl
e Carol scesero da due auto, senza preoccuparsi di chiuderle, vizio
ormai perduto del mondo antico, e si avvicinarono al loro capo che
come sempre aveva suggerimenti e ordini pronti per essere sfornati.
Tutto nella sua mente era perfettamente organizzato, e quella era la
loro forza.
<<
Poi... >> proseguì Rick, interrompendosi solo
per guardare
Ocean che li aveva appena raggiunti << ..Dobbiamo
ammucchiare
quei cadaveri per poterli bruciare. >> E tutti seguirono
il
movimento del suo braccio che indicava dove bisognava spaccare le
proprie schiene.
<<
Sarà una lunga giornata. >> sospirò
T-Dog già stanco al solo
pensiero.
<<
Dove sono Glenn e Maggie? Ci servirebbe una mano. >>
chiese
Carol avvicinandosi al gruppo, restringendo le distanze tra loro.
<<
Sulla torretta di guardia. >> comunicò Daryl,
indicando con
uno dei suoi soliti gesti plateali, ondeggiando le braccia come se lo
spazio intorno a lui fosse tutto suo e avesse diritto a usarlo come
più gli aggradava.
<<
Sulla torretta di guardia? >> chiese Rick mostrando
sconcerto
<< Ci sono stati anche ieri sera. >>
E
Ocean non riuscì a trattenere una risata, dando
manifestazione
esterna dell'evidente divertimento che stava cogliendo tutti. Non era
difficile capire perchè quei due avessero tanto desiderio a
starsene
soli e appartati.
<<
Glenn!! Maggie!! >> chiamò Daryl, divertito,
ma subito ammonito
da un'altrettanto divertita Ocean << Oh, andiamo!
Lasciali in
pace! >> rise lei prima di allontanarsi trotterellando in
groppa a una Peggy che non riusciva a stare ferma, irrequieta,
proprio come lei. Non agitata, ma quanto più eccitata. Da
molto
tempo non si sentiva così bene, tanto da aver desiderio di
urlare e
sfogare tutta l'adrenalina in una folle corsa. Glenn si
affacciò
preoccupato, senza maglietta e ancora intento ad allacciarsi i
pantaloni. Reazione che scaturì l'ilarità del
resto del gruppo,
soprattutto quando Daryl, continuando nel suo giochetto, gli fece una
battuta a doppio senso con un << State venendo? Che fate,
venite? Ci serve aiuto. >>
Ocean
continuò a ridere tra sè e sè,
divertita e alleggerita finalmente
dopo tanto tempo di tutte le tensioni che le impedivano di guardarsi
attorno e poter apprezzare le cose che la circondavano: una casa e
una famiglia. Il tanto gradito abbraccio che Ocean a lungo aveva
temuto, fuggendo da quelle minacciose mani che altro non volevano che
accarezzare le sue ferite. A lungo avevano trattenuto il respiro in
una folle caduta nel baratro, chiedendosi quando sarebbero arrivati
sul fondo, anzi se mai ci sarebbe stato un fondo. E ora eccoli di
nuovo lì, a ridere sganasciamente senza temere occhi
attratti dalle
loro voci.
Trottava
ancora lungo il recinto, permettendo a Peggy di sgranchirsi gli
zoccoli, quando vide avvicinarsi, oltre a esso, i due detenuti che il
giorno prima avevano lasciato soli nel loro blocco. Il sorriso le
morì sulle labbra: non aveva idea di cosa avessero
intenzione di
fare, anche se non sembravano minacciosi, ma sapeva che qualunque
cosa fosse stata non avrebbe reso felice Rick.
<<
Ehy, capo! >> chiamò prima di voltarsi e
percorrere qualche
metro in direzione del suo gruppo. Rick si girò richiamato
dalla sua
compagna e anche il suo sorriso morì all'istante: come si
aspettava,
la cosa non lo rese felice. I muscoli si tesero all'improvviso e
un'ombra calò sui suoi occhi mentre a grandi falcate
percorreva il
cortile in direzione degli ospiti indesiderati, con la mano
già
serrata sulla pistola nella fondina.
<<
Avevamo un accordo! >> gracchiò minaccioso.
<<
Ti prego, Signore! Lo sappiamo! Ma cerca di essere comprensivo: non
possiamo vivere in quel buco un minuto di più.
>> piagnucolò
ancora il biondo, intento ad abbracciarsi, dandosi conforto da solo.
Ocean ebbe l'impressione fosse una persona molto sola e impaurita: un
bambino lanciato in mezzo alla folla di un concerto metal. E ne ebbe
pietà.
Il
cuore era tornato a bruciare molto tempo prima, quando aveva voltato
le spalle ai suoi fantasmi per abbracciare dei nuovi corpi, e ora
fermarlo sembrava impossibile.
<<
Ti prego. Tutte quelle persone morte, pezzi di cervello, sangue
ovunque... Ci sono i fantasmi. >>
<<
Perchè non portate fuori i corpi? Dovete bruciarli.
>> li
ammonì Daryl, quasi li sgridò, padre severo quale
era.
<<
Ci abbiamo provato! Davvero! Ma c'è un varco nel recinto
della parte
posteriore, ogni volta che ne portiamo fuori uno, gli zombie si
avvicinano. Molliamo i corpi e torniamo dentro. >>
spiegò
Oscar, sicuramente meno frignone del primo, usando sempre un tono
serio e diplomatico, ma non per questo meno spaventato e solo.
<<
Senti. Non c'entravamo niente con Thomas e Andrew! Niente! Vuoi
provare qualcosa? L'hai provato, fratello! Faremo qualunque cosa per
far parte del vostro gruppo! >> disse ancora Axel
azzardando ad
avvicinarsi ancora. Nei suoi occhi c'era la verità e
soprattutto la
disperazione. Non mentiva, glielo si poteva leggere in faccia, ma
loro avevano scrutato ombre in fin troppi volti per tornare a credere
anche alla più misera scintilla. Le suppliche avevano lo
stesso
sapore amaro del tradimento, lo stesso che Shane aveva fatto loro
mesi addietro.
<<
Il nostro accordo non è trattabile. >> disse
freddamente Rick,
senza aggiungere altro.
<<
Te l'avevo detto che era una perdita di tempo. Evidentemente non sono
diversi da quegli stronzi che hanno freddato i nostri amici!
>>
disse Oscar al suo amico, Axel, prima di tornare a guardare Rick con
fare deciso, determinato, quasi cattivo e provocatorio <<
Sapete quanti corpi di nostri amici abbiamo buttato via? Come fossero
spazzatura? Erano bravi ragazzi! Bravi ragazzi che ci proteggevano
dalla brutta gente della prigione, come Thomas e Andrew. Abbiamo
fatto tutti degli errori per finire qua dentro, capo, e non
fingerò
di essere un santo ma ti prego di credermi! Abbiamo espiato le nostre
colpe e preferiremmo starcene in strada piuttosto che tornarcene
dentro quel buco di merda. >>
"Ti
avrebbero dato l'Oscar....Oscar." pensò Ocean,
trattenendo
a stento un ghigno alla battuta che lei stessa aveva appena
realizzato, utilizzando il nome del detenuto "Bel discorso."
Ma
l'accordo non era trattabile...neanche da Robert De Niro.
Rick
si voltò a cercare l'appoggio dei suoi compagni, ma in
realtà i
suoi occhi andarono a posarsi sull'unica persona a cui veramente
avrebbe dato ascolto: Daryl, il quale deciso negò con la
testa. Non
volevano fidarsi.
Questo
Ocean non lo capì. Erano dei disgraziati, disperati, glielo
si
leggeva in faccia, con un paio di precauzioni avrebbero potuto
tenerli con loro. Alla fine avevano preso lei sotto la propria ala,
lei che aveva tanto dimostrato di non essere il tipo da compagnia,
lei che aveva fatto di tutto per farsi odiare...perchè ora
rifiutare
chi pregava un po' d'aiuto?
Ma
il discorso era chiuso. Niente trattative.
O
rientravano lì dentro, o se ne andavano.
E
incredibilmente, o più spaventati dai fantasmi delle loro
menti che
dagli zombie lì fuori, decisero di andarsene.
Daryl
li spinse fuori dal cortile, dovevano stare lontani dalla loro zona,
poi chiuse il cancello che li separava, assicurandosi di fissare una
catena ben solida e un lucchetto ben chiuso. Li avrebbero poi
lasciati andare con delle scorte e forse qualche arma.
<<
Rick. >> richiamò l'attenzione del capo T-Dog,
una volta che
furono abbastanza distanti, coperti alle spalle da una delle auto,
abbastanza riservati.
<<
Lascia che vengano con noi. Potranno stare nella cella vicino alla
mia. >>
<<
Dici sul serio? >> chiese incredulo Rick, ma senza
riuscire a
nascondere la sua indecisione: aveva ancora il cuore del poliziotto
che per chissà quanti anni era corso in salvo di chi
supplicava
aiuto. Lo stava abbandonando solo ultimamente, ma ancora doveva
pienamente farci i conti.
<<
Non aspetteranno altro che prendere le nostre armi. Vuoi tornare a
dormire con un occhio aperto? >> provocò Rick,
cercando di
essere chiaro nei suoi timori.
<<
Io non ho mai smesso! >> rispose a tono T-Dog.
<<
Sono solo dei poveri disgraziati, non credo farebbero una cosa
simile. >> si intromise Ocean facendo un paio di passi
verso
l'amico di colore, piazzandosi anche lei di fronte a Rick per
permettergli di guardarla negli occhi.
Ma
la loro era una battaglia già persa in partenza: solo Ocean
e T-Dog
sembravano desiderosi di dar loro una possibilità. Maggie,
Glenn e
Carol esternarono i loro dubbi senza timore, facendo ben intuire che
non erano disposti a condividere la loro sicurezza con quei detenuti.
Giustamente impauriti, ma forse troppo.
<<
Avete accolto me! Perchè non loro? >>
insistette Ocean.
<<
Non sembrano tipi a posto. >> spiegò Glenn,
insistendo.
<<
Io lo sembravo? >> provocò ancora lei.
<<
Tu sembravi solo una sciocca ragazzina che giocava col fuoco per
dimostrare di essere grande. >> rispose Daryl, aprendo
bocca
per la prima volta.
<<
Tu chiudi il becco, nessuno ha chiesto la tua opinione!
>>
rispose Ocean in piena collera, voltandosi per rivolgergli uno dei
suoi soliti sguardi di fuoco. Voleva bene a Daryl, avevano legato
molto, ma a volte sembrava un tale stronzo. Non riusciva a sopportare
i suoi modi da fighetto.
<<
Conosco i tipi come loro, sono cresciuto con gente simile. Sono
degenarati, ma non psicopatici. >> continuò
lui, ma questa
volta rivolto al resto del gruppo, non solo a lei, accantonando quel
loro piccolo battibecco: tanto era la routine. Almeno una volta al
giorno finivano a litigare, non era certo la novità.
<<
Avevo la stessa probabilità di essere li con loro che qui
con voi.
>>
T-Dog
annuì soddisfatto, sapeva che avere l'appoggio di Daryl era
come
avere l'80% di possibilità di vittoria. Era come un
vice-capo
all'interno del gruppo, valeva più di qualsiasi altra
persona.
<<
Quindi sei d'accordo con noi. >> disse, ma Daryl
distrusse
immediatamente ogni speranza con uno stizzito << No, per
niente. >>
<<
E allora cosa parli a sproposito? >> brontolò
Ocean, che le
erano cadute le braccia a sentire quella risposta dopo un bel
discorsino così ben fatto.
<<
Io non parlo a sproposito. >> rispose questa volta lui,
senza
lasciar di nuovo volar via le sue parole.
<<
Non fare lo stronzo. >> disse lei a denti stretti
avvicinandosi
al suo volto con aria di sfida.
<<
Lasciamo che si mettano alla prova sulla strada, come abbiamo fatto
noi. >>
<<
Lo sai benissimo anche tu che noi non saremmo andati da nessuna parte
se non ci fossimo aiutati l'un con l'altro! Io stessa sarei morta, lo
sai! Non mi saresti venuto a cercare, altrimenti. >>
<<
Adesso sei pro-gruppo. >> la provocò lui
avvicinandosi e
gesticolando, come spesso faceva << E tutte quelle
stronzate
sull'essere riuscita a salvarti il culo da sola per mesi?
>>
<<
C'era Max con me, non ero sola! Non so pro-gruppo...sono pro-aiuto.
Se vedo un disperato sul ciglio della strada con in mano nient'altro
che un passato ormai distrutto e inutilizzabile mi faccio avanti e
gli offro un pasto caldo. Come avete sempre fatto anche voi.
>>
<<
Ero appena entrato in servizio. >> Rick interruppe il
loro
ormai troppo lungo litigio, che li stava portando ad alzare anche fin
troppo i toni << Arrestammo un ragazzo. Aveva 19 anni,
ricercato per aver accoltellato la fidanzata. Pianse a dirotto come
un bambino durante l'interrogatorio e durante il processo!
Riuscì a
fregare la giuria: venne assolto per mancanza di prove e poi, due
settimane dopo, sparò a una ragazza. >> fece
una pausa per
permettere a tutti di cogliere l'antifona << Ne abbiamo
viste
troppe. Vale l'accordo che abbiamo fatto. >> concluse
Rick,
ormai deciso a non andare oltre.
Ocean
si limitò a sospirare incredula, senza aggiungere altro,
rendendosi
conto che la sua era una battaglia persa. Non aveva speranze di
convincere nessuno. Ma alla fine...come biasimarli? Lei stessa era
cambiata per colpa di quel mondo così duro che o ti uccide o
ti fa
venire i calli. Non doveva certo stupirsi se anche quel meraviglioso
gruppo di contadinelli raccoglitori di margherite che erano prima,
ora si stava trasformando in cane rabbioso geloso del proprio osso.
Ciò però non toglieva che avrebbero potuto
chiudere un occhio, così
come lo aveva fatto lei quando aveva deciso di stare con loro.
<<
Daremo ai detenuti provviste per una settimana. Dovrebbero bastarli
fin quando non trovano un posto loro. >> disse Rick
cominciando
a incamminarsi verso il cancello, dove aveva lasciato le altre auto,
con l'intento di portarle dentro e finire il lavoro cominciato
precedentemente. Daryl gli andò dietro, puntando
già la sua
motocicletta: la piccolina che a lungo l'aveva accompagnato in quel
folle viaggio e a cui sembrava dare più amore che a chiunque
altro
lì dentro, anche se forse era solo un'apparenza. Ma Ocean lo
fermò
per un istante, puntandogli una mano aperta sul petto e bloccandogli
il cammino << Li state mandando a morire.
>> disse seria,
cercando di abbandonare quel conflitto personale per un attimo e
sperando di andare ad afferrare quella complicità che spesso
aveva
unito i loro pensieri. Ma non quella volta.
<<
Non sono affari che ci riguardano. >> rispose seccamente
lui,
prima di proseguire per la sua strada, ignorandola.
<<
Sei un figlio di puttana. >> sibilò Ocean
ancora, ma quelle
parole sembrarono scivolargli addosso, tanto che la ragazza per un
attimo ebbe il dubbio che non l'avesse sentita.
La
giornata era ancora lunga, quello dei detenuti era stato solo un
piccolo intoppo, ma loro avevano del lavoro da svolgere. T-Dog e
Carol rimasero nel recinto a sistemare le auto, mentre Daryl, Glenn e
Rick uscirono fuori alla ricerca di legna, restando nei paraggi, con
l'intenzione poi di bruciare i corpi di quei cadaveri che ancora
giacevano sul loro campo. Ocean promise loro di raggiungerli quanto
prima per aiutarli, ma prima si avvicinò ai prigionieri,
ancora
chiusi dall'altra parte del loro cortile, ancora ben protetti dal
recinto, ma ben separati dalla loro meta. Porse loro una scatola con
dentro delle provviste << Dovrebbero andar bene per una
settimana. >> disse prima di fare un passo indietro e
chiudere
il cancello che li separava.
<<
Grazie mille, sei gentile. >> disse educato Axel, anche
se
tanto risuonava come un tentativo di fare ancora socializzazione
nella speranza di diventare amici. Il lucchetto fu ben chiuso, ma
Ocean restò ancora lì, pensierosa. Aveva ricevuto
ordini ben
precisi, ma la coscienza non voleva darle pace. Non voleva
più
sentire richieste d'aiuto a cui non avrebbe potuto rispondere. Ma
quale potere aveva? Lì non comandava lei. Una mano ancora
una volta
l'aveva afferrata e la stava trascinando al sicuro a discapito di
altri. Sembrava che ormai non ci fosse altra moneta di scambio in
quel misero mondo.
Compra
la tua vita con i cadaveri delle persone.
La
generosità era al bando, non si poteva più
contrattare.
Hai
paura? Allora chiudi gli occhi e porgi il tuo pagamento.
<<
Sentite. >> sospirò << State
lontani dalle grandi città.
Là fuori è una merda: nessuno vi
aiuterà, ma tutti cercheranno di
prendervi ciò che vi resta. La lotta del più
forte. Non fidatevi di
nessuno. >> Axel annuì al suo consiglio,
continuando a
sembrare amichevole e Ocean, con le mani appese alla sua cintura si
voltò a testa bassa e fece due passi per allontanarsi
ignorando
ancora gli echi di chi gridava il suo nome, prima di venir ammutolito
da un colpo di pistola. Alzò gli occhi, puntandoli sui suoi
amici
poco lontano. Non riusciva a darsi pace. Non voleva condannare a
morte quei poveracci. Se Max, quel giorno, non si fosse fermato ad
aiutarla ma avesse voltalo lei le spalle come stavano facendo loro in
quell'istante sicuramente non sarebbe arrivata fin lì, ma
sarebbe
morta su quel marciapiede, vicino a quel dannato telefono muto.
Si
voltò di nuovo, irrequieta, e tornò sui suoi
passi, guardando in
viso i suoi interlocutori << Bruciare i corpi dei vostri
amici
morti non è la cosa peggiore che fosse potuta succedervi.
>>
abbassò lo sguardo, incapace di mantenere rigida la sua
corazza,
sentendo lo stomaco non darle pace << Potevate vederli
morire.
Affondare lentamente. Guardarli negli occhi fino all'ultimo istante.
O fuggire via, incapaci di salvarli, mentre le loro voci urlano e
squarciano il cielo sopraffatti da qualcosa di più grande.
>>
alzò di nuovo gli occhi, incontrando quelli stupefatti,
spaventati e
rammaricati di Axel << Non li avete visti venirvi
incontro con
solo l'intenzione di mangiarvi, dimentichi di ciò che erano
una
volta. >> negò debolmente con la testa,
sottolineando con quel
gesto il suo triste "no, voi non l'avete fatto." <<
La fuori è una merda. Guardatevi le spalle. >>
concluse. Poi
una voce troppo alta la costrinse a voltarsi, incuriosita da
ciò che
stava accadendo alle sue spalle.
<<
Vai così, Hershel! >> aveva gridato Glenn.
"Hershel?"
si era chiesta lei prima di voltarsi e vedere la fantastica scena del
suo vecchio amico che lentamente e un po' instabile tentava di
camminare sulle sue nuove gambe in ferro. Insieme a lui c'erano tutti
gli altri: Lori, Beth, Carl, Max e Molly. Tutti fuori a prendere
finalmente una boccata d'aria. Ocean avrebbe volentieri evitato di
far uscire Molly finchè i cadaveri ancora allestivano il
cortile, ma
lo spiazzo dove stavano camminando era pulito, e il sorriso sul volto
della bambina cancellava ogni suo timore. Era felice di poter di
nuovo uscire a vedere il sole. Max scodinzolante correva intorno al
gruppetto, altrettanto felice di poter prendere un po' d'aria e poter
sgranchire le zampe. Molly ridendo cominciò a rincorrerlo,
allontanandosi dal suo gruppo, ma non troppo, restando in zona, sotto
stretta sorveglianza, e ridendo rumorosamente continuò a
lungo a far
svolazzare la sua gonna nel tentativo di afferrare il cane. Era una
di quelle immagini che mai si vedevano in quei tempi e che tanto
avrebbero meritato una fotografia: per non dimenticare cos'è
un
sorriso.
<<
Hai una bella bambina. >> disse Axel, guardando la scena
di
fronte a loro. Ocean stranamente non si sentì turbata da
quel
complimento improvviso: era ancora convinta che non fossero cattivi,
solo tanto spaventati e bisognosi di aiuto. Si voltò a
guardare i
due, che quasi si sorpresero di vedere di fronte a loro un'altra
ragazza. Stava sorridendo, gli occhi scuri le brillavano, e non
sembrava più esserci quell'ombra che sempre l'aveva
accompagnata in
quei giorni. Ora sembrava una ragazza comune...solo tanto spaventata.
<<
Lei? Non è mia! L'ho trovata. >>
spiegò semplicemente <<
Mi sto solo prendendo cura di lei. >>
<<
Tu e Mister arrogantello? >> chiese ancora Axel, non
più
intimorito dalle parole che diceva, rendendosi conto che con lei
poteva parlare da civile e poteva permettersi certe libertà.
Lei
rispondeva, non chiudeva le porte in faccia. L'espressione, infatti,
non turbò la ragazza, anzi la fece scoppiare a ridere
<< Chi?
Daryl? E' un figlio di puttana, ma è un bravo ragazzo.
>>
<<
Vi vuole bene. >> questa volta a parlare fu il nero,
Oscar. Era
di poche parole, ma non per questo asociale e meno interessato di
Axel a entrare a far parte di quel gruppo.
<<
Sì, è vero. >> confermò
Ocean, ormai di buon umore, tornando
a guardare la scena di fronte a sè con gioia e tenerezza.
Max era un
birbante, si fermava ad aspettarla, provocandola con qualche abbaio,
abbassando il muso e tenendo ben sollevato il sedere, la coda dritta
ma sempre in movimento. Poi quando Molly lo raggiungeva scappava di
nuovo via con rapidità, costringendo la piccola a una corsa
infinita.
Ma
il sorriso morì sul viso di tutti i presenti e il cielo
parve
crollare all'improvviso sulle loro teste, distruggendoli.
<<
Zombie!! >> la voce terrorizzata di Carl aveva dato una
tagliente consistenza alla realtà che si palesava alle sue
spalle,
proprio all'interno di quel cortile che tanto si erano impegnati a
liberare, pulire e chiudere. Cosa diavolo stava succedendo?
<<
Molly!!! >> gridò Ocean, lei stessa colta
all'improvviso dalla
sua voce, uscita senza rendersene conto. Le gambe si diedero lo
slancio necessario a lasciarsi alle spalle un bel polverone, e poco
importava che la spada al fianco continuava a colpirla alla coscia
nella sua folle corsa. Doveva raggiungerla.
La
sua bambina era in pericolo.
<<
Molly!!! >> le fece eco Daryl liberando una voce che mai
aveva
avuto prima, e cominciò a correre anche lui, dietro un
altrettanto
disperato Rick.
All'interno
del cortile Lori cominciò immediatamente a sparare,
centrando
qualche testa. Hershel si schiacciò contro il recinto e
cercò di
percorrerne il perimetro il più velocemente possibile,
sapendo che
la sua gamba gli avrebbe impedito di andare troppo veloce doveva
allontanarsi quanto prima. Beth andò con lui, aiutandolo
come
poteva.
Carl,
Maggie, T-Dog e Carol cominciarono a sparare, cercando di abbattere
l'orda che si avvicinava e sembrava farsi sempre più
numerosa. Da
dove arrivavano? Com'era possibile?
La
piccola bambina rossa rimase paralizzata. Separata dal resto del
gruppo, a un angolo del casolare, insieme a Max, che aveva smesso di
scodinzolare e aveva cominciato a ringhiare selvaggiamente, non
sapendo cos'altro fare. Gli zombie si misero tra lei e il resto dei
suoi compagni, impedendole una fuga che neanche aveva avuto coraggio
di cominciare.
Maggie
chiamò Lori e corse via insieme a Carl. Anche T-Dog e Carol,
scappando, riuscirono a imboccare una direzione libera.
<<
Molly!!! Scappa!!! >> urlò con tutto il fiato
che aveva Ocean
mentre disperata cercava di dare quanta più forza aveva alle
gambe.
Lo sforzo e la disperazione fecero uscire la sua voce stridula e
acuta, simile a delle unghie su una lavagna.
Max
cominciò ad abbaiare, non sapendo cos'altro fare, simulando
attacchi
di tanto in tanto, senza però ottenere l'effetto voluto,
come
sempre, d'altrone: non riusciva a spaventarli. Ma rimase lì,
mettendosi tra Molly e gli zombie che avevano cominciato a camminare
più velocemente, trovata una facile preda. Voleva
proteggerla, ma
che fare?
Daryl
la chiamò ancora, urlando più che poteva, e
sbattè furioso i pugni
contro la rete metallica. Solo allora la bambina sembrò
destarsi,
alla voce del suo Daddy, e si voltò a guardarlo. Aveva gli
occhi
pieni di lacrime, il petto si muoveva troppo velocemente sotto la
pressione del respiro affannato e il cuore le faceva male al petto.
<<
Va via!! Va via!! >> gridò ancora Daryl
facendole gesti con il
braccio, mentre Rick, pochi metri da lui, disperato tentava di aprire
il cancello, tradito dalle sue stesse mani che tremolanti non gli
permettevano di tenere ferme le chiavi. Uno zombie si lanciò
in
avanti, ormai raggiunta la piccola preda, ma la sua caduta fu deviata
da Max che afferrandolo per i vestiti riuscì a trattenerlo
prima che
la sua mano afferrasse la bambina. Molly urlò, spaventata e
cercò
di indietreggiare, ma la fredda mano del suo assalitore
riuscì,
nella sua caduta in avanti, ad afferrare i suoi capelli legati in una
graziosa treccia laterale che Ocean aveva agghindato quel pomeriggio
con qualche molletta colorata.
Max
tirò ancora i vestiti dello zombie, ma fu costretto a
mollare la
presa perchè un altro di loro, alle sue spalle, l'aveva
puntato e si
era chinato per afferrarlo. Il cane guaì e si
dimenò tanto che
riuscì a liberarsi dalla presa, ma aveva perso di vista la
situazione. Si voltò appena in tempo per vedere delle
ciocche di
capelli rossi fuggire dietro l'angolo del casolare. Saltò in
testa
allo zombie in terra, che ancora stringeva tra le mani il suo premio:
grosse ciocche di fuoco, e la seguì.
<<
Non la vedo più! Dov'è?! >>
gridò ancora Ocean, riuscendo
finalmente a raggiungere il gruppo di suoi amici, che ormai era
entrato all'interno del cortile. Rick corse da Beth e Hershel,
rifugiati dietro una grata, e chiese loro dov'erano gli altri. Ma non
sapevano niente. Nessuno aveva visto niente, nel folle tentativo di
scappare da quell'imboscata.
Daryl
e Glenn cominciarono subito a uccidere gli zombie che stavano
tentando di riconquistare la loro proprietà. Ocean non li
guardò
neanche: corse verso la zona dove aveva visto Molly. Doveva seguirla,
trovarla e proteggerla. Era solo una bambina, che diavolo!
Sfoderò
la spada e tagliò di netto la testa a uno degli zombie che
le
stavano andando incontro. Daryl la guardò, impaziente,
agitato:
voleva correre con lei, andare a cercare Molly, ma sapeva che Rick
aveva bisogno di lui lì. Dovevano uccidere tutti quegli
zombie.
Sparò una freccia in testa a un altro. E ancora lo sgaurdo
andò a
Ocean, che si era avvicinata al luogo dove era stata immobilizzata e
afferrata la bambina. C'erano zombie ovunque, anche se era riuscita a
scappare non voleva dire che era viva.
Rick
si voltò, finito di parlare con Beth, e sparò a
uno zombie. Guardò
Daryl e lo vide voltare lo sguardo verso la ragazza per la terza
volta: glielo si leggeva in faccia il desiderio di correre a cercare
la bambina. La sua ansia, il suo essere impotente, lo stavano
mangiando dentro.
Rick
si avvicinò a lui e gli diede una leggera spinta alla spalla
<<
Va'! Va'! >> gli disse, invitandolo a seguire Ocean,
prima di
sparare a un altro zombie. Lui e Glenn se la sarebbero cavata. Daryl
non se lo fece ripetere un'altra volta e corse verso Ocean, la quale
era ora inginocchiata, in lacrime e teneva tra le mani le ciocche dei
capelli strappate, appena rubate dalle mani di uno zombie ormai steso
a terra inerme. Guardò Daryl avvicinarsi e non ci fu bisogno
di
parlare: il ragazzo osservò il contenuto delle sue mani e
corse
immediatamente nella direzione dove l'aveva vista scappare via,
invitando Ocean a seguirlo.
Ma
si bloccarono un attimo, spaventati, terrorizzati, quando la
situazione degenerò completamente: un allarme
cominciò a urlare
inondando non solo l'intera prigione,ma anche tutto il circondario.
Era la voce della morte che giocava con i loro cuori, bambina
capricciosa. Probabilmente non avrebbe accettato un'altra sconfitta.
Rick
urlò sempre più disperato e si
avvicinò ai due detenuti con l'arma
tesa, pronto a scommettere fosse stata opera loro.
<<
Oh, no. >> si lasciò sfuggire un'Ocean a dir
poco
terrorizzata. Daryl lanciò uno sguardo dietro di
sè, a guardare i
sue amici battibeccare con i due detenuti, poi tirò Ocean
per un
braccio << Andiamo! >> disse. Le cose si
stavano mettendo
decisamente male, dovevano trovare Molly all'istante!
Percorsero
per qualche metro il perimetro del casolare, seguendo solo l'istinto.
Daryl sparò a un paio di zombie e proseguirono, rapidi, non
sapendo
bene dove andare a rivolgere lo sguardo.La strada procedeva dritta
fino alla fine del perimetro, ben stretta dalla rete, non c'erano
troppe possibilità di muoversi, e da quella parte stavano
arrivando
altri zombie.
<<
Non può essere andata di là! >>
disse Ocean ormai sul colmo
della disperazione, la voce non smetteva di uscire impetuosa e
stridula nel suo sforzo. Si guardò attorno, ma la paura
l'accecava e
non riusciva bene a cogliere le cose che incrociava con lo sguardo.
Vide a stento una porta poco più avanti e ci si
tuffò. Afferrò la
maniglia e l'aprì senza scrupolo, convita, speranzosa, di
trovarsi
davanti solo la bambina rossa, in lacrime, ma intera. Ma l'istinto
sbagliò e a uscire, pronto a tuffarsi tra le sue braccia,
non fu la
sua bambina ma un altro di quegli zombie che nell'impeto della caduta
e nella fame di divorarla la spinse tanto da schiacciare le sue
spalle contro la rete dietro. Daryl scattò in avanti, pronto
ad
aiutarla un'altra volta, ma non ce ne fu bisogno: la furia bruciava
tanto dentro lei da darle la forza di affrontare a mani nude anche
più di uno di loro. Lo spintonò via, urlando per
darsi carica o per
sfogare la rabbia e lo lanciò contro un altro che stava
uscendo
sempre dalla stessa porta, facendo cadere entrambi a terra. Con un
colpo di lama poi tagliò via i crani ad entrambi prima che
potessero
rialzarsi. Daryl sparò un paio di frecce ad altri zombie che
stavano
arrivando alle loro spalle e Ocean si lanciò nuovamente
contro la
porta spalancata, guardando dentro, pregando questa volta di trovarla
deserta. Se c'erano zombie dentro sperava che Molly non avesse
provato ad inoltrarsi. La porta si apriva su dei corridoi che davano
all'interno della prigione e Ocean non perse tempo: cominciò
subito
a percorrerli, ma non fece che qualche metro, richiamata fuori dalla
voce di Daryl.
<<
Guarda! >> disse lui proseguendo di qualche passo lungo
il
perimetro esterno, per poi chinarsi vicino alla rete metallica. Ocean
lo raggiunse velocemente, richiudendosi la porta alle spalle per
evitare ne uscissero altri e guardò dove l'amico le
indicava. Il
terreno in quel punto era scavato, ben profondo procedeva sotto la
rete che si era leggermente deformata verso l'alto. E lì,
stesa a
terra, ormai disarticolata e senza più il suo bel vestitino
rosa,
giaceva la Signorina Rosie, completamente sventrata. Parte della sua
imbottitura era ancora incastrata tra i ferri appuntiti della rete.
Daryl strinse tra le mani la bambola, scacciando di forza il
pessimismo che stava cercando di annebbiargli la vista. Era ancora
viva. Era scappata sotto la rete, si era salvata. Doveva essere
così!
<<
Hanno scavato! >> realizzò Ocean
<< Max ha scavato! >>
disse commuovendosi, riempiendosi di così miste e varie
emozioni da
non riuscire più a capire di cosa stava piangendo. Il buco
era
abbastanza ampio da far passare un cane e una bambina, ma non di
certo un uomo o una donna. << Guardami le spalle!
>>
disse allora Daryl prima di stendersi a terra e sporgere almeno la
testa oltre il buco, osservando attento il suolo davanti a lui. Ocean
si voltò a guardarsi attorno, lasciando al suo amico il
tempo
necessario, e pensò solo ad abbattere gli infiltrati che
ancora non
smettevano di sbucare da ogni dove.
L'allarme
cessò di suonare, permettendo di tirare un breve e illusorio
sospiro
di sollievo: avrebbe smesso di attirarne altri.
<<
Daryl!! >> lo richiamò, rendendosi conto che
stava cominciando
a essere sopraffatta. Ce n'erano troppi.
<<
Sono andati di là! Vieni!! >> disse lui
finalmente, alzandosi
da terra e affrettandosi ad aiutare l'amica a abbattere il gruppo di
zombie che li stavano accerchiando.
<<
Presto! Presto! >> disse ancora procedendo per primo,
aprendo
la strada. Tornarono indietro sui loro passi, svoltando nuovamente
l'angolo, diretti al cancello. I due erano da qualche parte nel
cortile esterno e loro lo avrebbero dovuto raggiungere per la via
maestra. Daryl, che era qualche passo più avanti, non fu
però
spettatore di ciò che accadde dietro di lui: uno zombie era
uscito
da dietro una colonna non appena era passato, schiacciandosi contro
Ocean, la quale, nel disperato tentativo di svincolarsi e salvarsi,
si era slanciata indietro, spingendo via il suo aggressore, ma
finendo solo con il cadere di schiena indietro. Il suo urlo di dolore
richiamò l'attenzione di Daryl che tornando velocemente sui
suoi
passi uccise all'istante lo zombie che schiacciava la ragazza col suo
peso, pronto ad affondare i denti nella sua carne. Sempre se non
l'avesse già fatto.
La
guardò.
Un
tuono squarciò il cielo azzurro e assolutamente libero da
nuvole.
Forse era solo stato frutto della sua fantasia. Eppure sembrava
così
reale...e terrificante.
Ocean
era stata morsa.
Gli
occhi spalancati urlarono al posto della sua bocca, che invece
continuava a restare ben serrata. Spostò il peso del
cadavere sopra
di lei, per permetterle di prendere fiato e si chinò per
aiutarla a
sollevarsi da terra. Non poteva perderla. Non così! Non in
quel
modo! Si era voltato solo un istante, l'aveva persa di vista solo per
un fottuto secondo, e lei non aveva perso tempo a cadere,
approfittando quasi della sua distrazione, per non essere afferrata.
Non quella volta. Era sempre stato lì, pronto a prenderla al
volo,
non le avrebbe permesso di farsi del male, maledizione! Si era
distratto un solo fottuto momento!
Non
riuscì a dire niente. Non sapeva cosa dire.
Era
tutto sbagliato.
Non
poteva essere vero.
Tutto
così veloce...prima Molly, poi lei. Non poteva di nuovo
restare
solo. Non poteva di nuovo fallire! Aveva giurato di proteggerle,
perchè cazzo non riusciva mai a mantenere le sue promesse?!
Ocean
cercò di sollevarsi da terra, aggrappandosi all'amico e
tirandosi su
col braccio buono, ma cedette. Si poggiò alla gamba di Daryl
per non
andare a sbattere con la testa per terra e finalmente aprì
gli occhi
per guardarlo. Stringeva i denti per il dolore. Ma non disse niente.
Confusa.
Daryl
aveva cominciato a tremare. Quando diavolo era successo?
Non
toglieva gli occhi di dosso dalla sua spalla sanguinante, sperando,
sciocco, che da un momento a un altro si rimarginasse come per magia.
Poi
un suono ruppe quello specchio, facendolo crollare in mille pezzi e
mostrando i mostri che nascondeva dietro di sè. O forse
erano solo
ombre.
La
sua risata.
Si
svegliò all'improvviso dal suo incantesimo, e si rese conto
che
aveva lo stomaco a pezzi, era un miracolo se non avesse vomitato. La
testa gli girava e il fiato gli era mancato. Per un attimo era quasi
morto, la paura così improvvisa l'aveva completamente
annebbiato. Si
era scioccamente ritrovato a pensare a tutti i bei momenti passati
insieme a lei, cominciando a ripercorrere a ritroso il loro bel film
romantico, vergognandosene successivamente, vergognandosi ancora di
più della sua vulnerabilità quando se l'era vista
scivolare via
dalle mani verso il baratro. Ma ora...rideva.
Provò
rabbia.
Che
diavolo aveva da ridere?!
Lui
aveva appena perso dieci anni di vita e lei rideva?
<<
Cazzo, giuro che sarei quasi tentata di lasciartelo credere ancora
per un po' solo per poter continuare a veder quel tuo sguardo da
cucciolo! >> disse lei, sforzando la voce per il dolore
alla
spalla.
Daryl
inarcò le sopracciglia, confuso e furioso. Che diavolo stava
farneticando?
<<
Sei tenerissimo quando ti preoccupi, D. >> ammise lei. Ma
lui
ancora non apriva bocca, non sapendo neanche bene quale domanda
porgerle.
Ocean
aspettò ancora qualche secondo, continuando ad osservarlo
mentre
abbandonava la sua preoccupazione e lasciava spazio alla rabbia e al
fastidio di essere denigrato in quel modo, poi rivelò, quasi
sbeffeggiandolo << Non mi ha morsa!!! Sono atterrata
contro
quel cazzo di pezzo di ferro lì! >> disse
indicando col
braccio buono un tubo in ferro che spuntava da un muro.
L'estremità
che dava all'esterno era seghettata, probabilmente spezzata, e
soprattutto pregna di sangue.
La
luce improvvisa permise a Daryl di guardarsi a uno specchio: aveva la
faccia del coglione più coglione del mondo.
<<
Vaffanculo! >> si lasciò sfuggire,
prendendosela con lei,
tentato anche di lasciarla stesa lì a terra, ma alla fine il
sollievo di poterla ancora avere per un po' al suo fianco prese il
sopravvento e l'aiutò ad alzarsi da terra.
In
quel momento Rick, Glenn, Axel e Oscar uscirono di corsa dall'interno
della prigione, chiamando Hershel, che stava uscendo dalla sua
gabbiola, ormai sicuro che almeno il cortile fosse pulito.
<<
Dove sono gli altri? >> chiese Hershel.
<<
Speravo fossero tornati qui. >> ammise Rick.
<<
E T? Carol? >> chiese ancora Hershel. Rick si
portò una mano
alle labbra, prima di ammettere << Non ce l'hanno fatta.
>>
e in quell'istante Glenn sollevò il foulard che ultimamente
Carol
soleva tenersi legato alla testa.
Ocean
per poco non crollò a terra, sentendo le ginocchia cedere
all'improvviso << Cosa? >> chiese con un
filo di voce
spalancando gli occhi.Si avvicinò rapida a Glenn e gli
strappò
letteralmente il foulard dalle mani.
Lo
riconobbe.
Carol...com'era
possibile? Non lei! Era così presa e concentrata su Molly
che aveva
dimenticato che non era l'unica in pericolo. Eppure sapeva cavarsela?
Non era vero! Non poteva esserlo!
<<
No. >> sussurrò stringendolo tra le dita e
portandoselo al
volto, scoppiando a piangere, senza trattenersi, lasciando che il suo
dolore trovasse sfogo nei lamenti e nelle urla che soffocava in
quella reliquia. I singhiozzi la scossero e si lasciò cadere
in
ginocchio, inutilmente sorretta da Glenn. Era successo di nuovo...ma
questa volta non aveva sentito le sue urla chiamarla. E solo allora
capì che era stato ben peggio.
Se
n'era andata senza neanche avere modo di dirle addio, senza
avvertirla. Senza avere modo di guardare un'ultima volta i suoi
occhi. Qual era stata l'ultima cosa che le aveva detto? Neanche se lo
ricordava! Che diamine, nei film se lo ricordavano sempre. Non aveva
rimorsi, nè rimpianti, ma nemmeno bei ricordi che le
permettesero di
sorridere. Sciocca, perchè non ci aveva fatto attenzione? Le
ultime
parole, gli ultimi sguardi, le ultime risa...niente. Vuoto. Le faceva
mancare l'aria. Niente, solo qualche inutile parola di circostanza,
pronunciata chissà quando e chissà dove.
<<
No!!! >> urlò ancora, facendo morire quel
dolore ancora tra le
sue dita.
Era
sua amica.
Questo
lo ricordava.
Carol
era stata la prima ad avvicinarsi a lei, a insistere nel tentativo di
socializzare, e questo Ocean, anche se non l'aveva mai ammesso,
l'aveva sempre apprezzato. Era stata la prima a donarle un sorriso
dopo tanto tanto tempo.
Il
suo dolore l'attanagliava tanto che nemmeno sentì la voce
dura e
fredda di Daryl comunicare << Vado a cercare Molly.
>>,
non sentì niente di tutto il resto, nè gli ordini
di Rick, nè le
parole di Hershel. Niente.
Non
poteva essere morta. Loro non morivano. Loro non erano sprovveduti.
Speranze
vane crollate così all'improvviso da non averle neanche dato
tempo
di guardarle un'ultima volta.
Aveva
perso. La morte aveva giocato le sue carte, vincendo quando meno se
l'era aspettato.
Come
aveva potuto credere nell'azzurro del mare? Non era altro che un
imbroglio. Lo aveva sempre saputo. Come aveva potuto dimenticarsene.
Poi
una piccola sveglia in quell'oblio senza risveglio
<<
Oh mio Dio, Molly!! >> la voce colma di emozione di Daryl
l'aveva riportata alla realtà. Aprì gli occhi e
si voltò di colpo.
Molly
era in piedi, spaventata, confusa, vicino a Max, completamente
sporchi di terra ma apparentemente interi. Daryl fece cadere a terra
la balestra: peso inutile che l'avrebbe rallentato, e si
lanciò
letteralmente a terra davanti all bambina, stritolandola.
<<
Max e io ci siamo nascosti lì dentro. >>
spiegò la bambina
con apatia indicando una porta in ferro alla loro sinistra: era sotto
shock << Poi vi abbiamo sentiti e siamo usciti.
>>
continuò lei, non capendo cosa avesse intorno. Persa in
chissà
quale brutto sogno.
Ocean
cercò di alzarsi e anche lei si lanciò contro la
bambina
abbracciandola, prima di controllarla, scostandole i capelli
<<
Stai bene? Sei ferita? >> le chiese con ancora il viso
rigato
dalle lacrime. Ma la bambina non rispose, si limitò a
guardare la
ragazza.
<<
Dio del cielo ti ringrazio! >> piagnucolò
Ocean, felice di
aver ricevuto indietro almeno una parte del suo tesoro. La strinse
ancora, prima di voltarsi verso Max e riservare lo stesso trattamente
anche a lui << Le hai salvato la vita, amico! Sei il
miglior
cane del mondo. >> disse accarezzandolo e abbracciandolo,
ancora in preda a lacrime e singhiozzi.
<<
Daryl! >> chiamò Rick, interrompendo il
quadretto familiare <<
Vieni con me, andiamo dentro, noi cercheremo nel.... >>ma
la
sua voce morì, facendogli addirittura dimenticare quello che
stava
per dire, quando sentì il pianto di un bambino. Cristallino,
zittì
il mondo.
Il
cuore perse un battito e tutti si voltarono a guardare da dove
provenisse un tale incanto.
Maggie
stava uscendo insieme a Carl da una porta: le mani insanguinate, il
viso rigato dalle lacrime e un fagotto rosa macchiato di rosso che
piagnucolava tra le sue braccia.
Non
ci fu bisogno di spiegazioni, sapevano tutti da dove veniva quel
bambino.
Rick
si avvicinò a Maggie che non smetteva di singhiozzare.
L'ascia che
ancora stringeva tra le mani cadde a terra, e probabilmente neanche
se ne accorse. Si avvicinò alla ragazza, ma non la
raggiunse, come
un cane che gira indeciso su un boccone, senza sapere se
sarà
saporito o avvelenato.
Si
passò una mano alla testa e balbettò qualcosa,
non riuscendo a
pronunciare niente. Stava già piangendo, ma probabilmente
non se ne
stava rendendo conto.
Dovette
concentrarsi per riuscire a fare la domanda che tanto lo spaventava e
di cui non voleva sapere la risposta.
<<
Dov'è Lori? >>
Maggie
non riuscì a rispondere.
Rick
partì a grandi passi, diretto verso l'interno del corridoio:
doveva
vederla! Lei stava bene, l'aspettava lì. Doveva vederla.
Passò
accanto a suo figlio: lo sguardo vitreo perso nel vuoto. Quello
sguardo che Ocean aveva già visto in passato sul volto del
suo
migliore amico, prima di suicidarsi nell'Oceano. Lo sguardo vuoto,
piccola finestrella che apre all'interno della persona, ormai priva
di ogni cosa. Solo un involucro che sta per sgretolarsi sotto i colpi
della tempesta.
Rick
non ebbe cuore di entrare. Non ce n'era bisogno, sapeva che ogni
speranza era persa. Cosa sperava di ottenere?
Ciondolò
ancora un po', poi anche lui morì in un pianto senza forze.
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Capitolo 24 *** Aurora. ***
Aurora.
Ocean
si lasciò cadere a terra, cercando ristoro sul cemento
scomodo, o
forse semplicemente incapace di reggersi ancora sulle sue tremolanti
gambe. Qualcosa era esploso dentro lei, lo sentiva bruciare e
distruggere. Si appoggiò con la schiena al muro
lì vicino, scostata
dal resto del gruppo, le braccia inermi, la testa reclinata in
avanti, gli occhi vitrei spalancati a guardare il nulla e la sola
compagnia di Max, preoccupato, e Molly, seduta accanto a sè,
come
lei, con lo sguardo vuoto fisso su chissà quale terrificante
fantasma. Due anime sole e disperate che inutilmente cercavano di
darsi calore con la vicinanza. Il foulard di Carol era ancora ben
stretto tra le sue mani. Non voleva lasciarlo andare. Non voleva
lasciarLA andare.
Niente
gruppi!
Urlava
la voce nella sua testa, ormai così remota.
Niente
più persone da piangere.
Perchè?
Perchè non si era ascoltata? Perchè ancora non
riusciva ad
accettare tutto questo? Il colpo le era arrivato così ben
assestato
da ridurla in brandelli. Max cercò di destarla, leccandole
una
guancia, lavandole via lo sporco del terreno, del sangue e delle
lacrime. Niente. Non serviva a niente. Stava annegando anche lei, di
nuovo, ancora e ancora, dentro quel maledetto Oceano.
<<
Alice. >> una voce, un sussurro, pronunciò il
suo nome
d'origine. Come si era permesso? Lei non era più Alice!
Alice era
morta! Non voleva più saperne niente. Doveva fuggire da
lì! Era
colpa di Alice se di nuovo si stava ritrovando a piangere per qualcun
altro. Alice doveva essere distrutta, non riesumata!
Alzò
lo sguardo furiosa, incontrando occhi di ghiaccio, ma avvolti da una
tenera foschia, come la brina sull'erba le mattine di primavera. Una
scena idilliaca, ma per niente suggestiva. Non in quel momento.
Riconobbe gli occhi, riconobbe il volto. Non riconobbe però
la sua
preoccupazione e la sua dolcezza.
Era
colpa sua.
Il
fuoco dentrò sè avvampò.
Era
stato lui a portarla lì. A convincerla a restare e a
strapparle di
nuovo un lembo d'anima, uno dei pochi rimasti.
<<
Ti ho detto che odio quel dannato nome!!! >>
urlò con tutta la
rabbia che aveva, nonostante il viso del ragazzo si trovasse a soli
pochi centimetri dal suo. Un animale che ringhia sul muso di un altro
con solo l'intenzione di allontanarlo, o lo avrebbe aggredito e
ucciso.
Daryl
si irrigidì. Non ne fu spaventato, nè
dispiaciuto, solo tanto
arrabbiato. Era quello il suo modo di ringraziare? Che diavolo le
prendeva ora?
<<
Mi stavo solo chiedendo se stavi bene! >>
ringhiò
soffusamente, in risposta al suo aggressore. Avrebbe intrapreso la
lotta se ci fosse stato del tempo << Ma fa' come ti pare.
>>.
<<
Va' al diavolo, Daryl! Non ho bisogno di te e della tua assillante
presenza. Devi starmi lontano, te l'ho già ripetuto altre
volte!
Lasciami in pace! >> continuò a invenire lei,
ormai fuori
controllo, in preda a una crisi d'ira, persa nei flutti del suo
personale Stige, incapace di risalire a prendere aria, affogata da
mani di cui non ne riconosceva la provenienza, evanescenti e informi.
Daryl
non aspettò ancora: si alzò in piedi e si
allontanò velocemente,
senza rivolgerle altro sguardo o altra parola se non un ultimo
<<
Puttana! >>. Odiava quel suo modo di fare. Era sempre
stata una
ragazza fastidiosa e scocciante, ma da quando si era unita
ufficialmente a loro si era calmata molto, tanto che erano arrivati
ad avere quel bellissimo rapporto che si era costruito nel tempo.
Ora, però, sembrava tornata ai primi giorni, quando bastava
niente
per farla scattare come un animale selvaggio, irriconoscente e che
vedeva il male anche nel semplice favore di farle delle frecce da
degli stupidi legnetti. Non la sopportava quando faceva
così, lei e
i suoi capricci idioti da ragazzina vittimista, come se solo lei
fosse quella che stava perdendo qualcosa in quei tempi. Anche lui
aveva perso il fratello e molti amici, eppure non faceva tutte quelle
sceneggiate isteriche. Era solo una stupida.
Glenn
e Maggie seguirono il ragazzo con altrettanta urgenza, passando
davanti a Ocean e dedicandole solo uno sguardo compassionevole. Ma
questo lei non lo vide perchè era tornata ad osservare il
foulard
che stringeva tra le mani e che giaceva sulle sue ginocchia stese.
Max
mugolò triste e si accucciò accanto a lei,
percependo il suo
dolore.
Beth
si avvicinò a Molly e le si inginocchiò accanto
<< Molly,
vieni con me? Ho bisogno del tuo aiuto. >> disse
concedendole
una carezza e un sorriso. Non era vero, ma voleva farla alzare e
aiutarla a distrarsi. La bambina alzò gli occhi dapprima
passivamente, poi improvvisamente si accese e scattò in
piedi:
velocemente corse via, inseguendo il trio che si stava avvicinando
alle auto vicino ai cancelli. Non diede loro tempo quasi di notarla
che già si era lanciata su Daryl, stringendogli la vita e
affondando
il viso nella sua camicia.
<<
Non lasciarmi di nuovo, ti prego! >>
piagnucolò senza alzare
gli occhi, soffocando le parole tra i vestiti del ragazzo. Daryl si
inginocchiò, facendola staccare da sè, per
poterla guardare in viso
<< Torno presto, promesso. >>
Molly
si coprì gli occhi con il braccio, asciugando malamente le
lacrime
che avevano cominciato a scendere copiose e lasciando parlare solo i
suoi singhiozzi e lamenti.
Beth
arrivò di corsa, trafelata e dispiaciuta di essersela
lasciata
scappare via. Si avvicinò a Molly e cercò di
portarla via
prendendola per mano, ma lei si ribellò di nuovo,
strattonandosi, e
si lanciò di nuovo contro Daryl, abbracciandolo
<< Non andare
via! >>
<<
Devo. >> disse semplicemente lui, stringendo le sue
spalle con
un braccio << Torno presto, davvero. >> poi
si illuminò
e cacciò una mano nella tasca posteriore dei jeans
<< Ehy!
Guarda chi ho trovato. >> disse porgendo alla bambina la
sua
bambola, ridotta a uno straccio, ma ancora riconoscibile.
<<
Bisognerà darle una sistemata, perchè non chiedi
a Beth di
aiutarti? >> disse.
Molly
prese la sua bambola tra le mani: sembrava essersi calmata un po',
anche se continuava a essere scossa dai singhiozzi. La presenza della
sua bambola le dava sicurezza: era l'unica che non si trasformava,
era l'unica che non moriva e mai l'avrebbe lasciata sola.
<<
Beth non è un dottore. Hershel lo è...lui sa
ricucire le persone.
>> disse.
<<
Esatto! Chiedi a Hershel di ricucirla e curarla, e nel frattempo
vedrai che sarò di ritorno. >>
cercò di dedicarle uno dei
suoi sorrisi più dolci e convincenti, anche se gli
riuscivano un po'
male, soprattutto quando era in presenza degli altri.
<<
Promesso? >> chiese lei ancora titubante e per niente
convinta.
Ma se Daddy diceva che sarebbe tornato allora lo avrebbe fatto. Lo
faceva sempre.
<<
Promesso. >> assicurò lui prima di alzarsi in
piedi <<
Andiamo. >> disse poi rivoltò a Maggie e si
mise in sella alla
sua motocicletta.
Hershel
controllò la bambina appena nata, vittima come sempre del
suo
istinto da medico: scrupoloso e attento, anche quando gli strumenti
carenti non gliene davano troppo la possibilità. Sembrava
però
stesse bene, l'unica cosa di cui aveva bisogno era cibo (e presto
sarebbe arrivato) e calore. Perciò appena Beth
tornò insieme a
Molly la chiamò a sè e gliela porse
<< Tornate dentro,
tienila al caldo in una coperta, io arrivo subito. >> la
figlia
annuì, prese la piccola e, prima di seguire le indicazioni
del
padre, si avvicinò a Carl: aveva bisogno anche lui di una
mano
amica. All'improvviso si sentì sovraccarica, piena di
preoccupazioni: Molly, Carl, la bambina...tutti contavano su di lei.
All'improvviso si sentì così sola. Prima c'erano
Lori e Carol ad
aiutarla.
Quanto
avevano perso in così poco tempo.
Si
ritrovò di nuovo a chiedersi se ce l'avrebbero fatta.
<<
Dottore! >> chiamò Molly avvicinandosi a lui,
prima di seguire
Beth, sua nuova balia per il momento << Hershel. Puoi
guarirla?
>> chiese porgendogli la sua bambola sventrata.
<<
Oh, poverina. Com'è ridotta male. >>
osservò Hershel prima di
prenderla tra le mani e osservarla da vicino, sotto l'occhio attento
e preoccupato della piccola rossa << Sarà
un'operazione
difficile, avrò bisogno di una buona assistente.
>>
<<
Posso aiutarti io! >> disse Molly istintivamente, poi si
fermò
a riflettere << Posso? >> chiese, insicura.
Lei non aveva
compiti nel gruppo, spesso passava le giornate ad annoiarsi con
qualche foglio di carta e Max che rincorreva le palline che lei
formava. Tutti sempre si affaccendavano e correvano, perfino Carl, ma
lei doveva sempre e solo "restare lì e aspettare". Avrebbe
davvero potuto fare qualcosa?
<<
Certo! >> sorrise amichevole Hershel << Vai
dentro con
Beth e prepara per me la sala operatoria. >> disse
facendole un
occhiolino e porgendole di nuovo la sua Signorina Rosie. Molly la
prese tra le braccia come fosse stata una bambina, imitando ancora
una volta chi aveva intorno a sè, e seguì Beth
verso l'interno
della prigione dove poi avrebbe allestito un tavolino con ago, filo e
qualche batuffolo di cotone che Beth avrebbe preso per lei da qualche
cuscino inutilizzato.
Hershel
li lasciò andar via e si avvicinò, sempre lento e
barcollante, a
un'altra persona che aveva bisogno del suo intervento anche se non
glielo aveva chiesto esplicitamente << Ocean.
>> disse <<
Fammi dare un'occhiata a quella spalla. >>
<<
Va' via! >> si limitò a rispondere la ragazza,
senza sforzare
nemmeno troppo la voce. La rabbia nei confronti di Hershel certo non
era come quella verso Daryl, ma non voleva più avere nessuno
attorno
a sè.
<<
Ci potrebbero volere dei punti. >> insistè
lui, fermandosi
vicino alla ragazza e guardandola severo, come un padre guarda la
propria figlia capricciosa che non vuol prendere la medicina.
<<
Lasciami in pace. >> bofonchiò lei prima di
sollevarsi in
piedi, a fatica, aiutandosi col braccio ancora buono.
<<
Ocean! Come stai? >> chiese Glenn, raggiungendo il
gruppetto in
quel momento, dopo aver lasciato la sua Maggie nelle mani di Daryl.
La ragazza, sorpresa nel sentire la sua voce, non aspettandosi
attenzioni anche da parte sua, sussultò e lo
guardò spaventata e
furiosa.
<<
Lasciatemi in pace! >> urlò più
forte mentre si allontanava
rapidamente, cercando di rendere la sua richiesta più
convincente da
un plateale gesto del braccio. I due non insistettero ancora. Quella
situazione aveva lasciato scossi un po' tutti, e li aveva quasi
distrutti. Avevano perso tre dei loro, e i pochi rimasti erano
abbattuti e arrabbiati. Carl non apriva bocca, Rick era sparito nei
corridoi della prigione con un'ascia ben stretta in mano, e ora anche
Ocean sembrava essere tornata la scontrosa che era all'inizio: schiva
e cinica. Daryl e Maggie erano corsi a cercare cibo per la bambina, e
neanche avevano avuto modo di permettere ai rimasti di preoccuparsi
in un loro eventuale ritorno: non c'era tempo nè testa.
Glenn scappò
nei corridoi della prigione a cercare Rick per tentare di riportarlo
indietro. Hershel seguì la figlia verso le loro celle: aveva
una
bambina di cui occuparsi e una bambola da rianimare. I due detenuti,
rimasti senza parole e soli, si guardarono attorno dispiaciuti e
confusi. Sembrava di trovarsi all'interno di un incubo, e i morti
intorno a loro davano la giusta atmosfera. Si guardarono tra loro,
chiedendosi cosa avrebbero fatto, ma lasciando la domanda campata per
aria. Loro avrebbero dovuto aspettare, c'era altro di cui occuparsi e
preoccuparsi. Delle persone erano morte quel giorno, era giusto dar a
loro e al lutto la priorità.
Daryl
e Maggie partirono per la cittadina che Glenn aveva indicato, diretti
all'ipermercato, nella speranza di trovare qualcosa di utile, almeno
momentaneamente, per la neonata. Ma non la raggiunsero: la strada
bloccata li costrinse a fare una deviazione, e, quasi per miracolo,
si trovarono di fronte un asilo. Decisero di tentare la sorte:
chissà
che non l'avesse messa sulla loro strada di proposito.
Maggie
fu la prima a entrare, sfondando una finestra, seguita poco dopo da
Daryl che intanto aveva dato un'occhiata nei paraggi per assicurarsi
che strane sorprese non li cogliessero impreparati. Ispezionarono
silenziosi il posto, aprendo ogni porta. Ma l'asilo sembrava
tranquillo e abbandonato, se non per un opossum che aveva trovato
rifugio (e forse cibo) in un armadio: non sarebbe uscito di
lì se
non appeso alla cintura di Daryl.
<<
Ciao, cena. >> disse lui sorridendo soddisfatto del
premio
mentre si chinava a raccoglierlo.
<<
Io non lo metto nel mio zaino. >> disse Maggie disgustata
voltandosi, ormai tirato un sospiro di sollievo, per controllare gli
scaffali e gli stipetti di quella che sembrava una cucina.
Ringraziando ancora una volta Dio per averli aiutati, trovò
quello
che cercava. Certo non erano quantità industriali, ma per un
po'
sarebbero bastate. Cominciò a riempire il suo zaino,
pensierosa.
<<
Non avresti dovuto trattarla così. >>
trovò poi il coraggio
di parlare.
<<
Trattare chi? >> chiese Daryl, non capendo da subito a
cosa si
stesse riferendo, ma intuendolo e cominciando già a provare
un forte
senso di irritazione.
<<
Sai di chi parlo. >> sospirò lei, evitando di
incrociare i
suoi occhi e continuando a lavorare al suo raccimolo, anche se ormai
aveva preso tutto quello che doveva << Ocean è
solo ferita e
spaventata. >>
<<
Lo siamo tutti. Deve crescere. >> brontolò
lui, cominciando a
mettere più forza nel suo lavoro, non tanto per
necessità, quanto
per bisogno di sfogare in qualche modo la rabbia che stava nascendo
in lui al ricordo della ragazza isterica che si era appena lasciato
alle spalle, un Ocean che insisteva nel dar colpe agli altri, senza
prendersi un briciolo di responsabilità.
Maggie
sospirò ancora e si voltò, guardandolo questa
volta << E'
fragile! >>
Daryl
si alzò in piedi, finendo di legarsi alla cintura la preda
appena
catturata, impegnando ancora i muscoli, e si voltò anche lui
a
guardare la ragazza, incrociando i suoi occhi, trasmettendo con i
suoi tutta la rabbia che covava dentro << Non
è affar mio. >>
sibilò prima di incamminarsi lungo il corridoio, diretto
alla
seconda stanza, dove avrebbero cercato altro cibo e altri beni di
prima necessità. Maggie gli andò dietro,
insistendo << Certo
che lo è! Sei la persona che al momento gli è
più cara. >>
ma Daryl questa volta non rispose, ignorandola, lascianola ai suoi
discorsi.
Maggie
sospirò ancora, prima di seguirlo all'interno di un'altra
stanza <<
Tu sei innegabilmente più forte di lei, sai attutire meglio
i colpi.
Puoi essere forte per entrambi! >>
Daryl
si fermò, guardandola di nuovo, sbuffando ma senza dire
niente, e
cominciando a rovistare tra gli scaffali della stanza appena
imboccata. Trovò un paio di scatole e le porse a Maggie che
le
infilò distrattamente nel suo zaino, senza neanche guardare
cosa
stesse prendendo, aspettando una risposta che non sembrava voler
venir fuori.
<<
Non sono suo padre. Che si arrangi. Io non mi spacco la schiena e le
palle per stare dietro a una ragazzina capricciosa che non vuole
essere aiutata. Ribadisce che può farcela da sola, che vuol
stare da
sola. Bene! Che faccia pure! >> brontolò poi
lui.
<<
Non è la verità! Lo sai tu e lo sa lei.
>> Maggie abbassò un
attimo gli occhi, anticipando l'intimità della confessione
che stava
per fargli << Quando papà è stato
morso ho creduto di averlo
perso per sempre. Ero a pezzi, completamente distrutta, e me la
rifacevo col mondo intero perchè a qualcuno dovevo pur dare
la
colpa! Me la sono presa anche con Glenn, ingiustamente. Ma lui
è
rimasto. E io non posso che ringraziarlo per averlo fatto. Avevo
bisogno di lui allora più che mai, anche se dicevo il
contrario solo
perchè arrabbiata col mondo. >>
Daryl
la guardò ancora, senza rispondere e uscì di
nuovo dalla stanza,
diretto alla successiva. Maggie continuò ad andargli dietro
come un
cagnolino, nella speranza capisse cosa stava cercando di dirgli.
Ma
ancora senza soddisfazione. Era testardo e orgoglioso!
<<
Daryl, per favore! >> disse lei, stufa di corrergli
dietro
inutilmente, fermandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi.
<<
Stalle tu dietro visto che ci tieni tanto! >> disse lui
incazzato nell'istante in cui fu costretto a voltarsi dalla sua mano.
Con un colpo del braccio si staccò con violenza dalla
leggera presa
della ragazza, lasciando fosse quel gesto a farle capire che doveva
lasciarlo in pace.
<<
Lei non ha bisogno di me, ha bisogno di te! >>
<<
Stronzate! >> brontolò ancora riprendendo il
suo percorso.
<<
E' la verità! Tu sei più che un semplice amico...
>> ma venne
interrotta bruscamente da un << Cosa?! >>
stizzito e
ancora più furioso e si voltò a guardarla con la
fronte aggrottata.
<<
Io cosa?! >> sbuffò, trattenendo risate
sarcastiche. Aveva il
fuoco negli occhi << Hai letto troppi romanzi d'amore,
principessa. Io e lei non stiamo insieme. Non sono nessuno, ok?
>>
Maggie
ne fu quasi spaventata, si leggeva chiaramente nel suo volto la
rabbia che ora nasceva anche nei suoi confronti: forse per aver
insistito tanto, o forse per aver insinuato che tra i due ci fosse
chissà quale rapporto. Cercò di pensare a cosa
rispondergli, non
voleva farlo incazzare di più, ma ai suoi occhi era palese
che tra i
due non ci fosse il semplice affetto che poteva esserci tra amici.
Tutti avevano notato gli sguardi, i sorrisi e i toni che i due
avevano solo l'uno per l'altra. E tutti, anche loro stessi, avevano
notato il bisogno fisico che avevano di aversi vicino. Per nessun
motivo in particolare, se non quello di sentire una calda e
rassicurante presenza che scalda loro la notte e allontana gli
incubi.
<<
Vado a fuori a fumarmi una sigaretta. >> disse poi lui,
approfittando del silenzio riflessivo della ragazza: aveva bisogno di
stare solo. Doveva sbollire. << Chiama se hai bisogno.
Sono qui
fuori. >> aggiunse prima di avviarsi verso la finestra da
dove
erano entrati.
Herhsel
aveva appena concluso i suoi compiti. La bambina era al sicuro con
Beth, al caldo, anche se tormentata dalla fame e probabilmente dalla
paura. Carl con lei non le toglieva gli occhi di dosso, ma ancora non
aveva aperto bocca. Molly era stata con lui mentre ricuciva come
poteva la bambola, aggiungendo un po' d'imbottitura. Lei sembrava
felice di poterla di nuovo abbracciare, ma Hershel non potè
che
notare come l'inquietante cicatrice che ora storpiava la povera
Signorina Rosie facesse sembrare anche lei uno di loro: uno zombie.
Anche lei morta e tornata in vita storpia e imbruttita dalla sua
ferita. Anche lei non era riuscita a salvarsi da quel mondo
così
marcio che tutto prendeva e tutto uccideva. Aveva poi accompagnato la
bambina nella sua stanza, dove era stato con lei per qualche minuto,
raccontandole storie e passi della Bibbia nella speranza di
rassenerare almeno in parte il suo cuore distrutto e terrorizzato.
L'aveva appena lasciata dormire, stanca, distrutta da un pomeriggio
che non si era meritata e che mai avrebbe dovuto passare. Glenn era
tornato sui suoi passi, rientrando in cella, spaventato dal suo
incontro con Rick.
<<
E' uscito di testa. >> aveva comunicato prima di
raccontare
come l'amico l'avesse aggredito, probabilmente non riconoscendolo.
I
due detenuti si erano offerti di aiutare in un momento così
tragico,
e così si erano appostati sulla torretta, di vedetta. Era
l'unico
modo che avevano per riempire la sera che andava calando. Non
facevano parte di quella famiglia, non erano apprezzati nel loro
blocco e le loro condoglianze suonavano così vuote e inutili.
<<
Guarda. >> disse Axel all'amico, indicando un punto a
ovest
sull'ultima rete che dava all'esterno, dove erano raggruppati,
schiacciati una decina di zombie. Oscar seguì il braccio
dell'amico
fino a trovare la figura nera, ricoperta di polvere e sangue, che
aveva attirato la sua attenzione. Ocean era ferma immobile, in piedi,
ben dritta, davanti alla rete, davanti ai suoi aguzzini che
ringhiavano famelici, tanto vicina a loro da poter sentire la puzza
dei loro aliti. Sarebbe bastato che uno di loro avesse avuto un dito
più lungo e sarebbe arrivato ad afferrarla.
<<
E' lì ferma da un'ora, sicuramente. >> disse
ancora Axel senza
toglierle gli occhi di dosso: lo spaventava e inquietava. Aveva visto
i suoi occhi prima di allontanarsi, urlando contro i suoi amici:
sembravano quelli di molti criminali che erano stati chiusi con loro
per aver ammazzato in un momento di follia chissà quale
parente o
amico.
E il
fatto che da così a lungo lei stesse in quella posizione,
così
vicina a loro, quasi a provocarli, confermava la sua idea che fosse
una pazza schizzata.
Hershel
uscì di nuovo e preoccupato si avvicinò al primo
recinto, quello
che dava sul cortile. Vide Ocean e la osservò qualche
minuto. Aveva
ancora la spalla che perdeva sangue, non aveva neanche provato a
curarsi da sola. Andava controllata con urgenza. Ma soprattutto
andava aiutata. Aveva visto anche lui i suoi occhi: non erano gli
occhi di una pazza criminale, erano gli occhi di una donna distrutta
dall'esistenza e che non desidera altro che chiuderli per sempre.
Si
avvicinò a lei, percorrendo il vialetto che attraversava il
cortile,
oltre il cancello che portava all'altro viale, quello che percorreva
tutto il perimetro esterno della prigione, e senza preoccuparsi di
farsi sentire si avvicinò, ma rimase qualche metro distante,
alle
sue spalle, lasciandola sola in quello spazio che sembrava essersi
ritagliata solo per sè. Riusciva ora a vedere il suo volto.
Gli
occhi piantati selvaggiamente in quelli di uno zombie che mugolava,
ringhiava, a pochi centimetri dal suo naso. Alitava su di lei, ne
sentiva il puzzo, e irrequieto cercava di mordere la rete per
arrivare a quella carne che tanto portava bramava. La fronte
aggrottata tanto da incurvare le sopracciglia sugli occhi stessi,
facendo calare su essi un'ombra nera e spaventosa. La mascella
contratta con tale forza da far sporgere una vena sul suo collo, e i
denti lievemente scoperti. Un lupo pronto a saltare e azzannare chi
lo sta minacciando. La mano sinistra avvolgeva l'elsa della sua spada
al fianco, ancora grondande di sangue. Il petto sporto lievemente in
fuori e la schiena ben dritta sottolineavano ancora la sua
intenzionalità ad attaccare e smembrare la sua vittima,
priva di
ogni paura, accecata solo dalla furia. Aveva sentito arrivare
Hershel, era difficile non sentirlo con le stampelle che
ticchettavano a ogni passo sulla ghiaia, ma non ne aveva dato peso.
Restarono
in silenzio: Ocean persa ancora nel suo mondo dantesco, colmo di
dannati e demoni inquisitori, Herhsel triste spettatore di quel
dramma che andava verificandosi davanti ai suoi occhi ma,
ahimè, non
su un palcoscenico.
<<
Carol mancherà a tutti. E anche T-Dog. Era un bravo ragazzo.
E
Lori... >> sospese la frase sentendo un improvviso nodo
bloccargli la gola. Aveva promesso così tanto a quella donna
che ora
giaceva sventrata nei corridoi, promesse che sentiva di aver mancato.
Era incredibile, era stato l'ultimo a essere interpellato, eppure
probabilmente era quello con più sensi di colpa.
Andrà
tutto bene, vedrai.
<<
Andrà tutto bene, vedrai. >> persona diversa,
stessa promessa.
L'avrebbe infranta?
Non
sei sola.
<<
Non sei sola. >> e fu proprio quell'ultima affermazione
che
fece irrigidire Ocean, accennando per la prima volta una risposta,
seppur non verbale. Si voltò lentamente con gli occhi ancora
infuocati.
<<
Non sono sola. >> bisbigliò incredula. Il
cuore in gola non le
dava pace, martellava e bruciava: fuoco ardente, inferno in terra,
brucia questa dannata peccatrice. Colpevole per l'eternità.
Si
voltò di nuovo lentamente verso lo zombie davanti a
sè, tornò a
guardarlo e a lui ripetè in una smorzata risata sarcastica
<<
Non sono sola. >>
Fece
qualche respiro profondo. La rabbia aveva accecato i suoi occhi.
<<
No, non lo sono. >> mugolò, ancora rigida e
tesa. Poi scattò.
Diede un colpo alla rete davanti a sè con entrambi i palmi
aperti,
talmente forte da farsi male, ma che gliene importava?
<<
No, non lo sono! >> ripetè ancora lasciando
che la voce
rabbiosa uscisse gracchiante dalla sua gola, ancora rivolta al suo
aguzzino perchè era proprio a lui che si stava rivolgendo
<<
Ci siete voi con me, schifosi bastardi! Per sempre compagni di
giochi, non è così? E' bello, divertente! Oh, ma
certo, guarda come
mi diverto con i miei compagni! >> urlò ancora
e ancora,
continuando a colpire la rete, riuscendo ad evitare le dita fameliche
dei suoi interlocutori solo perchè repentinamente staccava
le mani
da lì. Un calciò colpì ancora e
Hershel sussultò, spaventato per
un attimo che l'avrebbe buttata giù. Ma rimase dov'era,
incapace
sicuramente di fermarla, ma anche perchè non ce n'era stato
più
bisogno. Lei stessa si era calmata e ora aveva cominciato a camminare
nervosamente in cerchio, avanti e indietro, continuando ad
avvicinarsi a loro, urlandogli in viso, tornando indietro e invenendo
e bestemmiando contro quelli che ormai erano i padroni del mondo.
<<
Maledizione, Hershel, guardaci! Siamo fuggiti per mesi, non dormendo
la notte, e ora, al primo rifugio sicuro, perdiamo non uno ma ben 3
dei nostri! >> disse questa volta rivolta al vecchio,
continuando a gesticolare nel folle desiderio di sfogarsi
<<
Come puoi tornare a dormire sogni tranquilli? >>
Lo
fissò qualche secondo, forte nella sua affermazione,
affogata nella
sua paura. Hershel non rispose. E lei tornò a camminare.
<<
Lì dentro c'è chi ha ancora bisogno di te.
>> disse Hershel
dopo qualche minuto di riflessione, utile più a far sbollire
i nervi
della sua compagna che a fargli pensare la risposta migliore
<<
Non è abbastanza? >>
<<
Voi avete bisogno di me? >> gli urlò contro
Ocean << E
di cosa ho bisogno io non importa? >>
<<
Nessuno ha detto questo. >> rispose con lo stesso tono
Hershel,
padre severo che non accetta il tono presuntuoso della figlia. Si
avvicinò di un altro passo, facendo un sospiro
tranquillizzante, poi
tornò ad essere il solito calmo e dolce Hershel
<< Ocean,
costa stai cercando qui fuori? >>
Incredibile
come bastò quella semplice domanda per aprire una porta, far
entrare
luce, accecando la malcapitata che girava in tondo in una stanza
completamente buia. Il fuoco dei suoi occhi si spense, lasciando
fosse solo accecante e soffocante fumo a cingerla. Le spalle si
rilassarono, abbassandosi di qualche centimetro. Si avvicinò
di
nuovo allo zombie che aveva di fronte e tornò a guardarlo,
ma non
più con aria di sfida. Stava cercando.
Stava
diventando matta.
Doveva
trovarlo.
Era
quella la verità. Cercava.
Ma
cosa?
<<
Non lo so. >> bisbigliò. Deglutì
mandando giù quel nodo che
le aveva fatto morire in gola l'ultima sillaba << La
fine.
Credo. >>
Tanti
erano i punti rimasti in sospeso. Tanti i pensieri che correvano in
lei in quel momento, tante mani che la tiravano giù, sul
fondo. La
sua famiglia. Il suo gruppo. Manu.
Tanti
addii mancati.
Tante
frasi cominciate, senza mai essere terminate, lunghe, immense, piene
di paroloni... toglievano il fiato.
Cercava
Alice. Lei era uno zombie, era come loro, lei lo sapeva. Cercava
Alice. Doveva ucciderla.
Prima
che Ocean morisse.
Indietreggiò,
quasi spaventata, incapace di sostenere quel peso. Voleva fuggire, ma
non sapeva dove. Negò con la testa e cominciò a
camminare
velocemente verso la prigione, aggiungendo un ultimo confuso
<<
Non lo so. >>
Hershel
però la fermò, afferrandola con una mano.
<<
Non lasciare che il tuo passato ti strappi via dal presente. Non so
cosa sia accaduto al tuo vecchio gruppo, non hai mai parlato con
nessuno di noi, tranne forse che con Daryl, ma qualsiasi cosa sia
stata sicuramente ti ha segnato. Sei rimasta lì con loro
troppo a
lungo, Ocean. Ora lasciali andare. >>
Ocean
volse un altro sguardo al gruppo di zombie che famelico era accalcato
alla rete, disperati e ormai invisibili. Occhi vitrei ormai privi di
vita. Aveva visto zombie che non erano zombie, aveva vissuto con
zombie che non erano zombie, ma solo ombre e fantasmi.
Doveva
lasciarli andare.
Un'espressione
di dolore deformò per un attimo il suo viso, prima che
venisse
coperto dalle sue mani.
<<
Chiedevano aiuto. >> mugolò lei tra i
singhiozzi << Sono
scappata. >> tentò di prendere aria, di
respirare, ma sembrava
che l'ossigeno quel giorno non le spettasse.
<<
Non voglio più restar sola. >> ammise infine.
Perchè
era questo che più di tutti attanagliava il suo cuore. Era
stata
abbandonata. Trascinata lontana da tutto ciò che aveva
più caro,
per poi essere lasciata sola. Manuele, quel giorno, si era
dimenticato di lei. Per la prima volta in tutta la sua vita. Era la
persona di cui più si fidava, il suo punto di riferimento,
proprio
come lo stava diventando quel gruppo. E l'aveva abbadonata.
Era
un pensiero terribilmente egoista, tanto infantile da risultare quasi
insensato.
Ma
era la verità del suo cuore.
Non
voleva più che accadesse.
Era
una sciocca bambina che aveva paura del buio!
Tutti
se ne andavano, nessuno restava. Legarsi a loro significava
aspettare, di nuovo, di essere abbandonata.
<<
Vieni, andiamo dentro. Tra poco farà buio e io voglio
controllarti
quella spalla. >> disse poi Hershel, abbandonando
lì il
discorso. Aveva tirato fuori il tizzone che l'ardeva, ora doveva solo
aspettare che il fumo si diradasse.
Percorsero
insieme il vialetto che conduceva al cortile e poi all'entrata della
prigione.
La
fece sedere al tavolino all'entrata, dove aveva radunato un po' dei
suoi attrezzi e delle medicine e cominciò ancora una volta
il suo
lavoro. Ocean, di spalle davanti a sè, attendeva con la
testa china
in avanti e la maglietta calata sulle spalle, che il dottore finisse
la sua visita.
<<
Sei stata una sciocca ad aspettare tanto prima di farmela vedere. Ora
mi toccherà il doppio del lavoro per riuscire a ripulirtela
e
cucirtela. >>
<<
Mi dispiace. >> disse apatica Ocean, distratta da
chissà quale
altro fantasma nella sua mente.
Lasciali
andare.
<<
Dimmi un po'. >> riprese a parlare Hershel, intenzionato
a non
lasciarla sola nel suo oblio << Che cosa ti ha spinto a
tornare? E' una domanda che ci siamo sempre posti ma nessuno ha mai
avuto il coraggio di porgertela. >>
<<
Non mangio nessuno, se avete delle domande potete pure farmele.
>>
rispose Ocean, ancora con tono basso e sforzato, ma non per questo
meno intenzionata a lasciar il vecchio parlare da solo.
<<
No, ma si evita sempre di far domande a chi ha dei dolorosi segreti
da nascondere. >>
<<
Era così evidente? >> chiese lei prima di
lasciarsi scappare
una smorfia di dolore, dovuta alle operazioni alla sua spalla.
<<
Solo quando Daryl ha cominciato a chiamarti Alice. >> ci
pensò
un attimo su poi aggiunse << No, in effetti c'era stato
il
sospetto anche molto prima. >>
Ocean
si ritrovò a sorridere ripensando alla sera con Daryl,
davanti al
fuoco, quando gli aveva detto di Alice. E lui le aveva invece parlato
di Merle, suo fratello stronzo ancora vivo in chissà quale
angolo di
mondo e senza una mano.
Hershel
colse il sorriso e non potè che compiacersene.
<<
E' un bravo ragazzo. Ma siete entrambi così...scostanti.
>>
aveva cercato a lungo la parola da dire, ma non era riuscito a
soddisfarlo lo stesso << Dovreste parlare un po' di
più. >>
<<
Parlare? Più di così? >>
ridacchiò Ocean. Si sentiva
diversa. Ma non ci fece caso. Era bastato nominare Daryl per
riportarla su altri binari, completamente diversi dai precedenti. E
benchè gli avesse urlato contro, poco prima, di andarsene al
diavolo, sapeva perfettamente quanto in realtà le piacesse
essere
chiamata in quel modo da lui. Solo da lui. Da nessun altro, apparte
Molly. Era il loro piccolo e intimo contatto, come le occhiate fugaci
che si erano mandati più volte nei boschi mentre tentavano
di
catturare qualche scoiattolo. O i sorriso al chiaro di luna, con una
sigaretta in mano e un tenero silenzio di compagnia.
<<
Dire qualcosa solo per intraprendere un dialogo di circostanza non
è
parlare. >>
<<
Aspetta. >> interruppe Ocean, tirando su le spalle e
voltandosi
a guardare il vecchio, costringendolo a interrompere il suo lavoro
<<
Che stai cercando di insinuare? >> arricciò il
naso. Aveva un
brutto presentimento.
<<
Ma niente, dico solo che quando il buio ti spaventa e ti senti
sola...un'abbraccio può essere un ottimo amico e alleato.
>>
disse con un pizzico di malizia negli occhi.
<<
No. >> sorrise imbarazzata Ocean e anche un pochetto
infastidita << Tra me e Daryl non c'è niente!
>>
<<
Lo so. >> ammise l'anziano amico, costringendola a
rivoltarsi
per concludere la fasciatura che aveva appena sistemato, facendola
girare intorno al braccio e sotto l'ascella << Ed
è un
peccato. >> ammise poi.
Ocean
rispose con uno sbuffo sarcastico, per niente convinto e anche
derisorio. Il vecchio stava delirando. Quante sciocchezze in
così
poco tempo. Gli voleva bene, era un ottimo amico ed era bello averlo
accanto, ma da lì a dire che avrebbero potuto stare
insieme...no.
Mai.
Non
ne voleva sapere niente dell'amore! E tanto meno con un tipo come
Daryl, che tutto avrebbe fatto tranne che portare fiori o
cioccolatini.
<<
Sei a posto. Grazie per avermi permesso di guardarti. >>
disse
Hershel raddrizzandosi sulla sedia dove si era seduto per effettuare
le sue operazioni. Ocean si tirò la camicia sulle spalle,
coprendosi
e si alzò, diretta alla sua cella, ma non senza prima
essersi
fermata a rivolgere all'anziano amico un sentito <<
Hershel...
Grazie. >>
E
non era per la spalla.
Un
lieve rumore soffuso. Onde che andavano stendendosi e ritirandosi.
Granuli bollenti tra le dita. Ma non scottavano. Erano caldi, anche
troppo, ma le dita non bruciavano. Aprì gli occhi. Il sole
era
accecante.
Si
guardò confusa attorno.
Sapeva
dov'era... e ne aveva paura.
Si
sollevò di scatto, pronta a dirigersi dove avrebbe trovato
la solita
figura nera dagli occhi vitrei sprofondare sotto il pelo dell'acqua.
Come ogni notte...tentava di salvarlo. Ma finiva con l'affogare
insieme a lui.
I
primi passi nel mare rumoreggiarono fastidiosi. La vide. Era
lì,
davanti a sè, evanescente e terrificante. Scura e
irraggiungibile.
Ma lei era testarda e l'avrebbe raggiunta. Prima o poi ce l'avrebbe
fatta.
<<
Manu! >> chiamò, ma non sentì la
sua voce.
Poi
si bloccò.
No.
Doveva
lasciarlo andare.
Abbassò
gli occhi al mare che le accarezzava i polpacci. Era rosso amaranto.
Un Oceano di sangue.
Alzò
gli occhi di nuovo alla figura davanti a sè.
Sì,
l'avrebbe lasciata andare. Non avrebbe più tentato quella
folle e
inutile corsa, che come tutte le notti si concludeva nel respiro che
mancava e l'acqua nei polmoni che rubava tutto ciò che di
più caro
aveva. E quella figura dagli occhi vitrei non l'avrebbe vista.
La
fissò.
Si
stava voltando. Avrebbe visto quegli occhi vuoti e disperati ancora
un'ultima volta.
Ma
il cuore sobbalzò quando per la prima volta non si
trovò ciò che
si aspettava. Gli occhi che aveva incrociato non erano verdi, non
erano mascherati da degli occhiali, non erano quelli che a lungo
l'avevano abbandonata.
Il
fiato le mancò e cominciò a correre.
<<
No. >> mormorò. Sforzò le gambe e
si aiutò con le braccia ad
andare più veloce.
<<
No! Ti prego, no! >> pianse. Lo raggiunse. Era riuscita!
Allungò una mano verso lui: l'avrebbe afferrato e finalmente
stretto
a sè. Mai più sola. Avrebbe vinto.
Ma
il terreno mancò improvvisamente, i suoi piedi caddero non
trovando
più un appoggio e la mano che aveva allungato
sfiorò solamente la
figura che ancora immobile la fissava, in attesa, e un ultimo grido
prima che l'acqua soffocasse ancora i suoi polmoni <<
Daryl! >>
Le
mani inutilmente si allungavano verso l'alto. Non sapeva nuotare. Non
sarebbe arrivata in cima. Non avrebbe più preso fiato.
Sarebbe
morta...come tutte le volte. Il rosso macchiava i suoi occhi. Aveva
paura.
Di
nuovo.
Li
chiuse.
Stava
piangendo? Ne sentiva il bisogno, ma l'acqua intorno a lei le
impedivano di capire cosa fosse il liquido che inumidiva le sue
guance.
Anche
lui. Sola ancora una volta.
Senza
rendersene conto aveva riposto in lui la stessa sicurezza che aveva
riposto qualche mese prima in Manuele. Il suo punto fisso, il pupazzo
da stringere la notte per non temere il buio. L'aveva trovato di
nuovo. E lo stava perdendo di nuovo.
Non
l'hai lasciato andare una
voce
brontolò dentro lei.
Non
voglio pianse
in risposta.
Qualcosa
afferrò la sua mano. Una presa ferrea, quasi da farle male.
Aprì
gli cochi appena in tempo per vederlo: la stringeva, la baciava e
insieme risalivano e sconfissero l'oceano. Gli occhi azzurri, lembi
strappati al cielo, ora erano chiusi, serrati in un'espressione
disperata.
Si
lasciò stritolare dalle sue braccia ormai troppo grosse per
le sue
minute spalle. Si abbandonò.
Poteva
farlo. Lo sapeva.
E
insieme ripresero fiato.
<<
Oh mio Dio! >> balbettò Ocean, seduta sul suo
letto, gli occhi
sbarrati in una chiara espressione allibita. Il lenzuolo ben
stretto, stritolato, tra le sue dita.
<<
Che diavolo mi ha fatto quel vecchio?! >>
brontolò spostandosi
lentamente, ancora shockata per quanto aveva appena sognato.
Lasciò
cadere le gambe penzoloni giù dal letto a castello.
Si
fermò un istante. Un altro ricordo improvviso era balenato.
La
fulminavano in continuazione. Immagini tanto assurde per la sua mente
razionale, da sfiorare l'incubo.
Che
diavolo! Aveva appena finito di dire che non avrebbe mai voluto una
storia d'amore, tanto meno con un tipo come lui e poi andava a fare
certi sogni.
<<
Mi deve aver iniettato un antidolorifico troppo forte. >>
giunse alla conclusione, non riuscendo proprio a comprendere come la
sua mente fosse riuscita a produrre un film del genere. Scese dal
letto e si rese conto solo allora delle voci che provenivano
dall'intero della prigione. Le voci del suo gruppo. Stavano parlando
tra loro all'entrata, nella prima saletta, dove c'era il tavolino che
Hershel aveva usato come sala operatoria. Uscì dalla sua
cella
stiracchiandosi e grattandosi pigramente la testa. Uno sbadiglio
uscì
dalle sue labbra, storpiando il suo volto. Porbabilmente aveva
dormito male: si sentiva a pezzi.
E
questo spigava anche il perchè di certi sogni.
<<
Sì. >> disse una voce molto dolce e
così delicata nel suo
sussurro da far venire dei dubbi a Ocean sulla sua provenienza.
Riconosceva la voce, ma non il tono. Non l'aveva mai sentito
così.
<<
Ti piace? Eh? >> chiese ancora il solito tono amorevole.
Arrivò
al cancello e da lì si affacciò, cercando di
guardare cosa stesse
succedendo.
Era
stato Daryl a parlare. Allora aveva sentito bene! Era la sua voce.
Teneva in braccio la bambina di Rick: il suo tocco su di lei era
così
leggero e la sua voce così morbida da non sembrare lui. La
stava
allattando e dondolando. Era così dolce.
<<
Piccola spaccaculi. >> il nomignolo fece ridere tutti i
presenti, Ocean compresa. Sì, era proprio lui. Non si era
sbagliata
e quello era stato il suo marchio di fabbrica.
<<
Ti piace, tesoro? Piccola Spaccaculi. >>
continuò a sussurrare
al piccolo scrigno delicato che aveva tra le braccia. Ocean non
riuscì a togliergli gli occhi di dosso: era così
diverso dal
solito. Possibile che fosse sempre lui? Non l'aveva mai visto
circondato da quell'aura così calda. Solo qualche volta,
quando
aveva parlato con Molly, ma era stato un po' diverso con lei. Forse
perchè più grandicella, o forse semplicemente
perchè solo ora
stava venendo fuori quel lato di sè.
Si
poggiò con la testa allo stipite della porta in ferro e
continuò a
osservarlo intenerita e completamente rapita da quel lato di
sè che
tanto aveva tenuto nascosto.
Era
stata una sciocca quel pomeriggio. Si era lasciata abbattere, si era
lasciata distruggere, dimenticando cosa ancora poteva stringere a
sè.
Non era ancora la fine, non doveva mollare. Lei non sarebbe stata
quel Manuele che disperato si lasciava affogare nell'Oceano,
dimenticandosi di chi ancora aveva bisogno di lui.
Sospirò
abbassando lo sguardo, pensierosa, e decise di uscire a prendere un
po' d'aria. Daryl ancora non le aveva rivolto lo sguardo e
probabilmente non l'avrebbe fatto ancora per molto. Era stata una
vera stronza quel pomeriggio, non si meritava di essere trattato
così. Se non le avesse rivolto la parola ancora a lungo lei
lo
avrebbe capito e compreso.
Si
sistemò gli abiti addosso e si avviò verso
l'uscita della prigione.
Aveva bisogno di prendere un po' d'aria: aveva bisogno di veder le
stelle.
Andò
sulla torretta di guardia dove c'era Oscar, ancora in disparte, ma
ancora impegnato nella sua campagna d'amicizia.
<<
Sto io qua >> gli disse << Vai pure a
riposare un po'. >>
sorrise cercando di essere convincente e amichevole. Oscar
accettò
la gentil concessione, era stato tutto il giorno lì, aveva
bisogno
di staccare un po'. La ringraziò e la lasciò sola
con i suoi
pensieri, gli addii ai fantasmi e le sue stelle.
Non
seppe bene quanto tempo passò, forse solo pochi minuti,
quando sentì
dei passi leggeri e quasi timidi dietro di lei. Poggiata coi gomiti
alla ringhiera di fronte si voltò, senza spostarsi di
lì,
osservando chi era andato a farle compagnia nella sua solitaria
notte.
Si
sorprese, ma fu felice, quando vide che era Daryl. Aveva lasciato la
bambina probabilmente a Carl o Beth e l'aveva raggiunta. Si
sfilò il
solito pacchetto di sigarette dalla tasca, ne estrasse una, che si
portò alle labbra e poi ne offrì un'altra alla
sua compagna, che
ben accetto. Altrettanto generoso fu nel offrire il suo accendino.
E
rimasero in silenzio. Di nuovo immersi nel loro consolatorio e dolce
silenzio che tutto diceva.
Hershel
sbagliava quando diceva che avevano bisogno di parlare. Loro
già si
dicevano tutto così.
Ma
una cosa andava detta a voce.
<<
Mi dispiace per oggi. >> disse Ocean, riuscendo a fatica
a
metter da parte l'orgoglio. Poi si voltò a guardarlo
<< Puoi
chiamarmi Alice, se ti piace. >>
Daryl
ricambiò il suo sguardo e annuì semplicemente,
senza aggiungere
altro, prima di tornare a fissare davanti a sè. Era
così
pensieroso.
Il
silenzio calò di nuovo, ma quella volta non fu dolce e
complice,
come tutti gli altri. Era strano.
Quasi...imbarazzante.
Dovreste
parlare.
Lei
è fragile.
Sei
la persona che gli è più cara in questo momento.
Noi
non stiamo insieme!
Lo
so...ed è un peccato.
Non
voglio più esser sola.
<<
Senti, io... >> si voltò, e fino a quel
momento avrebbe
giurato di sapere perfettamente cosa gli stava per dire. Gli stava
per dire qualcosa di importante... ne era certa! Era qualcosa che
doveva essere detto. O forse una semplice frase di
circostanza? Una delle loro solite?
Non
lo seppe più.
Dimenticò
tutto nell'istante in cui alle sue labbra fu impedito di andare
oltre, bloccate e ammutolite da un disperato, quanto altrettanto
incazzato, bacio.
N.D.A
Aaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh
credevate eh!!! "Pf, questa aggiorna una volta ogni morte di
Papa, chissà quando arriverà il prossimo", ahahah
e invece stavolta vi ho fregati! Tiè beccatevi
questo capitolo nuovo di zecca (oltre al mondo nuovo di zecca e alla
ragazza nuova di zecca e...così via).
Ok, lo ammetto...ho tirato
le tre per ben 3 notti pur di scriverlo >__> E l'ho
riletto una
volta sola (quindi confido nel mio occhio addormentato di prima
mattina, pregando non mi abbia tradito o ingannato xD). Volevo
postarlo u.u non ce la facevo.
Eeeee quindi niente... BAM!
Ah!
Approfitto di questo angolin...one... per spiegarvi (almeno per 'sta
volta :P) il titolo del capitolo u.u sono tre motivi:
1) Aurora è
il nome della principessa che viene svegliata da un bacio.
2)
Aurora è il nome della fase di passaggio dalla notte al
giorno (e
quindi rieccolo il "risveglio", il passaggio dalle tenebre
alla luce ecc ecc).
E infineeeeeeeeee 3) Da wiki: "La
luce dell'aurora è di colore inizialmente lilla-lavanda, poi
tende
al pesca-arancio. La luminosità deriva dalla rifrazione
dei raggi solari: infatti i raggi, che possiamo considerare
paralleli, nell'aurora debbono attraversare strati più
profondi
dell'atmosfera." ...quindi...niente...durante l'Aurora si va
più in
profondità.
Fico è? :P
E' tutto!!
Un saluto.
Ray.
|
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Capitolo 25 *** Zombie. ***
Zombie.
Ocean
scese rapida gli scalini che dividevano la sua cella dal livello
sottoelevato, dove si erano stabiliti la maggior partedei membri del
gruppo. Sembrava un'altra persona rispetto al giorno prima,
l'angoscia e la paura erano svanite nel nulla. Si era svuotata del
tutto ed era tornata la stessa Ocean determinata e combattiva che era
una volta. E quella mattina era pronta a rimettersi al lavoro: aveva
tanti progetti in testa. Voleva parlare con Molly, stare un po' con
lei, ristabilire un contatto. Era stata una giornata da incubo anche
per lei,anzi, forse soprattutto per lei, ed era stata così
egoista
da lasciarla sola. Poi avevano un cortile da ripulire completamente,
equilibri da ristabilire, e voleva al più presto sellare la
sua
Peggy e ritornare a fare qualche corsa nei dintorni, esplorando la
zona nella speranza di trovar qualcosa di utile. Era quello il suo
compito, era quello il suo destino: restar rinchiusa la soffocava.
Ogni tanto doveva uscire, girare, esplorare. Voleva adrenalina nelle
vene.
Si
strinse la coda dei capelli appena sistemata e mise il piede
sull'ultimo scalino quando si trovò la strada bloccata da un
imbarazzato, ma sorridente, Glenn. Le guance avvamparono e gli occhi
fuggirono lontani.
<<
Ciao. >> disse infine lui dopo aver più volte
tentato di aprir
bocca.
Ocean
cercò di sorridere cordiale, ma riuscire a incrociare i suoi
occhi
risultava ancora impossibile.
<<
Buongiorno. >> disse schiva prima di scappar via, ma fu
fermata
di nuovo da Glenn che la richiamò alle sue spalle
<< Senti...
scusa per ieri sera. >> ammise sincero <<
Non
pensavo...voi... >>
Già...la
sera prima. Probabilmente il vero motivo per cui quella mattina era
così piena di energie.
Anche
se lo riteneva incredibile e assolutamente non plausibile.
Daryl
non l'aveva fatta parlare, qualsiasi cosa lei avesse avuto da dire
era caduta nel vuoto all'istante. Non aveva la più pallida
idea del
perchè, ma l'aveva baciata. E, suo malgrado, aveva dovuto
ammetere
che non era stato per niente male. Sapeva di fumo e fatica, ma le sue
labbra erano morbide e delicate. E lei si era ritrovata completamente
spiazzata dal quel gesto improvviso. Aveva smesso di ragionare,
inebriata, non era riuscita a capire cosa stesse accadendo: sentiva
solo che le piaceva. La presa su di lei si era fatta ferrea, avida e
gelosa, un bambino che stringe il suo giocattolo per proteggerlo da
chi vuol portarglielo via. E anche quello incredibilmente le era
piaciuto. Aveva sentito il muro freddo dietro la schiena: quando ci
era arrivata? Come? L'aveva spinta? Eppure non se n'era resa conto.
Aveva la mente nel vuoto, guidata solo da istinti primordiali, priva
di ogni forma di critica e razionalità.
Aveva
sentito il suo corpo schiacciarsi tra il muro e quello del ragazzo
davanti a sè. Il collo sollevato, per riuscire a raggiungere
la sua
altezza, aveva cominciato a dolerle, ma non le importava. Voleva
andare avanti. Aveva sentito i suoi capelli ruvidi e rovinati
scorrerle tra le dita. La leggera barba accennata le pizzicava il
mento. La mano di Daryl poggiata sulla sua guancia la accarezzava,
dolce, ma brusca ed esigente continuava a tirarla a sè. Non
voleva
lasciarla andare.
Sarebbe
finito tutto in una nuvola di fumo. L'ultimo sbuffo.
Lo
sapevano. E non volevano.
Probabilmente
neanche lui sapeva bene cosa stesse facendo. Ma lo faceva. E bastava.
Zombie,
morti, addii e speranze perdute. Tutto ammucchiato momentaneamente in
un angolo. L'avrebbero poi affrontato insieme.
Quello
era il loro abbraccio disperato nel buio nel tentativo di bastarsi a
vicenda.
E
disperato era quel bacio, così violento, ma rispettoso e
delicato
nello sfiorare le ferite.
Poi
tutto era finito troppo bruscamente con il rumore di una porta che si
spalancava e la voce di Glenn che comunicava << Ehy,
ragazzi vi
do il cambio? >>
O
almeno quello era ciò che aveva cercato di dire, prima che
la bocca
glielo avesse impedito, restando spalancata nell'istante in cui aveva
visto i due avvinghiati e schiacciati al muro. Una remota parte di
lui aveva pregato che non fosse stato sentito e cercò di
arretrare
silenzioso portandosi dietro la porta, ma vane erano state le sue
speranze. I due avevano già puntato i loro occhi sorpresi e
imbarazzati al coreano che aveva tentato di salvarsi con un ultimo
<<
Scusate. >>
Daryl
e Ocean erano rimasti qualche secondo confusi, risvegliati troppo
bruscamente da una sveglia troppo rumorosa. Si erano guardati e si
erano allontanati l'uno dall'altro con gli occhi di chi ha appena
fatto una grandissima cazzata.
<<
No... Io... >> aveva cominciato Ocean abbassando gli
occhi e
passandosi una mano sulla testa per sistemarsi i capelli
<< Io
stavo andando via. >> e si era allontanata con la stessa
velocità di un ladro che ha appena rubato il portafoglio a
una
vecchietta.
<<
Non hai interrotto niente. >> cercò di
smorzare l'imbarazzo <<
E' stato solo un gesto impulsivo. >> non era poi troppo
errato.
Alla fine non c'era stato niente. Era solo stato un attimo di
confusione e debolezza...o almeno credeva.
<<
Ora... >> continuò lei sempre balbettante,
indicando un punto
invisibile alle sue spalle << ...devo andare.
>>
<<
Certo! >> annuì schivo Glenn permettendole di
allontanarsi.
Arrivò
alla saletta fuori dalla zona celle, appena dopo il primo cancello,
la loro "area ristoro" e lì trovò tutti gli
altri, seduti
un po' ovunque, a mangiare chissà quale schifezza arrangiata
tra
quelle trovate alla mensa.
<<
Buongiorno! >> salutò raggiungendo con
rapidità il tavolino
rotondo dove erano posate un po' di scatole aperte.
Scompigliò i
rossi capelli di Molly, lì seduta, con la testa che a
malapena
riusciva ad arrivare alla tazza e le gambe penzoloni sotto lo
sgabello. Le diede un bacio sulla testa e si inginocchiò
avvicinando
il viso alla bambina, la quale si voltò a guardarla sorpresa.
<<
Hai impegni per oggi, principessa? >> sussurrò
nel silenzio
dei suoi compagni, allungando una mano sul tavolo e afferrando uno
dei biscotti che uscivano da una delle scatole. Molly negò
con la
testa, senza ancora parlare, ancora abbattuta per quanto successo.
<<
Bene, allora sei tutta mia. >> sorrise ancora e la
tirò con
una mano a sè per poterle stampare un altro bacio sulla
tempia, cosa
che la bimba sembrò apprezzare visto il sorriso che nacque
sul suo
volto.
Si
alzò di nuovo, diretta alle celle dove si sarebbe preparata.
Non
voleva perdere tempo, non quel giorno. Non voleva fermarsi. Si era
svegliata carica e doveva restare in quelle condizioni. E quale modo
migliore per tenere lontani malinconia e fantasmi se non quello di
tenersi impegnati? Herhsel aveva ragione. Loro avevano ancora bisogno
di lei. Non doveva mollare. Aveva fatto una promessa.
<<
Sei di buon umore, oggi. >> constatò Hershel,
costringendola a
voltarsi per dedicare uno sguardo anche a lui. L'affermazione l'aveva
lasciata un po' confusa inizialmente, soprattutto perchè
aveva
sentito un pizzico di malizia nella sua voce, ma la risposta alla sua
domanda le balenò in mente non appena, voltandosi, vide gli
sguardi
ridenti dei suoi compagni scendere lentamente da lei alla tazza che
tenevano tra le mani. A Beth scappò un risolino e il suo
sguardo si
spostò verso Carl, seduto vicino a lei, incrociandosi,
complici.
Sapevano.
Glenn
non era riuscito a tenere la bocca chiusa, come suo solito, e
già di
prima mattina tutta la prigione urlava pettegolezzi inutili e
inapproppriati. Aprì bocca per dir qualcosa, ma l'imbarazzo
gliela
fece richiudere. Guardò Daryl, forse cercando supporto, ma
lui
sembrava non preoccuparsi della situazione e continuava tranquillo a
divorare il suo pasto frugale. O forse era solo un modo per tenersene
fuori.
<<
Bambini. >> si lasciò sfuggire infine Ocean,
scocciata per le
derisioni. Alla fine era solo stato un bacio, cosa c'era di strano?
Neanche alle elementari l'avevano tanto presa in giro per aver
stretto la mano al compagno che le piaceva.
L'affermazione
fece scattare qualche risata soffusa, non più di derisione,
ma solo
divertite per il suo modo di reagire e adibite a smorzare un po' la
tensione. Una di quelle risate che dicono "Non preoccuparti,
stiamo solo scherzando."
Stava
per rivoltarsi di nuovo e tornare sui suoi passi quando videro Rick
sbucare dal corridoio ed entrare nel blocco. Non aveva più
gli occhi
di un folle, sembrava che la notte passata a sfidare la morte fosse
bastata a permettergli di sfogarsi e tornare il solito Rick pacato e
razionale di un tempo. O almeno queste furono le impressioni.
Si
avvicinò a suo figlio, sotto lo sguardo preoccupato di tutti
i
presenti, e comunicò con semplicità
<< Ho ripulito il blocco
delle caldaie. >>
<<
Quanti ce n'erano? >> chiese Daryl preoccupato.
<<
Non lo so. >> ammise Rick <<
Dieci...venti... >>
fece un sospiro << Devo tornare là. Volevo
solo vedere come
stava Carl. >> disse ancora prima di cercare di
allontanarsi,
ma Glenn si alzò rapidamente e cercò di andargli
incontro,
chiamandolo.
<<
Possiamo portare noi fuori i corpi. Non devi farlo tu. >>
disse
sperando di convincerlo a calmarsi, dedicarsi un po' di tempo per
sè
e per riposare. Ma Rick tagliò subito i ponti dicendo, col
tono di
chi fa un favore a qualcuno, che l'avrebbe fatto lui.
Si
avvicinò rapido a Daryl chiedendo se aveva pistola e
coltello, e lui
rispose affermativamente, senza togliergli di dosso gli occhi
preoccupati, aggiungendo subito dopo che avevano però poche
munizioni e che sarebbe dovuto essere scrupoloso nell'usarle.
<<
Maggie e io volevamo fare un giro questo pomeriggio. >>
comunicò Glenn << Possiamo cercare pallottole
e latte
artificiale. >>
<<
Andrò con loro. Possiamo coprire una zona più
ampia e magari
sperare che questo ci porti più fortuna. >>
annunciò Ocean.
<<
La stanza del generatore è pulita. Axel lo sta riparando, in
caso
d'emergenza. Ripuliremo anche i piano inferiori. >> disse
infine Daryl. E Ocean ebbe una strana sensazione...come di
smarrimento. Era la prima volta in quasi un anno che a stabilire cosa
fare e come farlo non era Rick, ma esattamente l'opposto. Si stavano
autogestendo, il loro pilastro non li sorreggeva più e loro
dovevano
far forza sulle loro capacità. La struttura stava
cominciando a
vacillare. Erano forti, avrebbero resistito probabilmente, ma non
avere più una sicurezza ben ferma era comunque disarmante.
Rick
approvò, senza aggiungere troppo e fuggì via,
quasi fosse di
fretta, senza neanche ascoltare il richiamo insistente e preoccupato
di Hershel, lasciandosi dietro un altro rumoroso silenzio.
Ocean
rientrò nella sua cella e decise di aspettare la fine della
colazione della bambina per conto proprio, aprofittando di quel vuoto
per pulire e affilare un po' la lama che in quei giorni aveva
trascurato. Rimpianse di non avere di nuovo con sè la sua
sacca con
tutte le sue cose. Stupidaggini per la gran parte, niente che
veramente gli fosse servito, ma era una sicurezza che si portava
sempre appresso. Lì dentro c'erano le sue cose.
Ora non erano altro che giocattoli per zombie, o tesori per qualche
passante. Prese la spada da sopra il piccolo tavolino vicino al suo
letto a castello, ma il movimento dell'oggetto pesante fece cadere a
terra la cotta che era mal riposta proprio sotto di lei. La raccolse
e la piegò malamente per rimetterla lì, ma
qualcosa attirò la sua
attenzione. Un piccolo cimelio abbandonato in fondo al mare, di cui
si era dimenticata.
Il
suo ciondolo.
Il
ciondolo che le aveva costruito e regalato suo nonno poco prima di
morire, e che, a sua volta, aveva già cominciato a morire,
perdendo
qualche petalo. Lo guardò per un istante, sentendo di nuovo
la mano
gelida dei suoi fantasmi sfiorarle la schiena, ma non si
lasciò
abbattere. Lo afferrò e guardandolo indietreggiò
di qualche passo
fino a raggiungere il letto dietro sè e sedersi. La cotta
cadde
rumorosamente a terra e le mani, ormai entrambe libere, si
impegnarono in carezze ed esplorazioni, come se fosse un oggetto
appena scoperto. Lo voltò e lesse la sua scritta.
Ricorda.
Un
triste sorriso ravvivò un po' quel volto che di nuovo stava
perdendosi nelle ombre. Accarezzò la scritta.
Il
tempo ti sfugge dalle dita, bambina mia, come i petali di questo
fiore. Ne perdi qualcuno, sempre, inevitabilmente. E quando il fiore
sarà ormai morto e privo di petali ti renderai conto di
quanto era
bello in realtà in passato. Ma allora sarà ormai
troppo tardi per
saggiarne il profumo.
Ricordati
del tempo. Non dimenticartelo o ti scapperà via e tu neanche
lo
vedrai.
Ricordati.
Lei
se n'era dimenticata. Aveva commesso l'errore che quel ciondolo le
aveva impedito più volte di commettere. Non aveva guardato e
approfittato del suo fiore quando era ancora bello, e ora che era
morto...ora che Carol, T-Dog e Lori erano morti, lei non poteva
più
saggiarne il profumo. E lo rimpiangeva.
<<
Mi dispiace, nonno. >> sussurrò tra
sè e sè.
Max
entrò nella cella, scodinzolante come sempre, leccandosi i
baffi
ancora sporchi di chissà quale saziante pasto. Si
avvicinò alla sua
padrona e annusò quello strano oggetto che teneva tra le
mani,
incuriosito. Ocean sorrise guardando gli occhi vivaci e sempre
brillanti del suo amico. Lo invidiava così tanto. Si
infilò la
collana, nascondendo il ciondolo sotto la camicia e dedicò
qualche
minuto al compagno migliore che avesse mai avuto con carezze e
grattate dietro l'orecchio.
<<
Vado a vedere come sta Rick. >> sentì dire da
Hershel al piano
di sotto, seguito da altre voci confuse e soffuse. Si stavano
sparpagliando: la colazione era finita.
<<
Ci andiamo a fare un giretto oggi. Eh, amico? Come i vecchi tempi,
solo io e te. Contento? >> disse Ocean alzandosi in
piedi. Max
rispose con un'altra scodinzolata, lasciando a Ocean la tenera
convinzione che avesse capito. Uscì dalla sua cella e scese
di nuovo
i gradini, dirigendosi verso la solita saletta ristoro.
Incrociò
Daryl sulla porta, seguito da Oscar e Carl, ma questi ultimi due
proseguirono lasciandoli soli.
<<
Vado con Carl e Oscar a fare un giro nei corridoi. Controlliamo che
non ci sia rimasto nessuno zombie da ieri. >>
informò lui,
come se fosse stato tenuto a farlo. Ocean annuì
<< Ok. Io
resto un po' con Molly. Ha bisogno che qualcuno le stia più
dietro,
quella bambina è troppo sola. >>
Questa
volta ad annuire fu Daryl. Sapevano entrambi quanto Molly soffrisse
quella situazione, sola e sempre in fuga, e anche ora che finalmente
avevano trovato un posto tranquillo non poteva che starsene per conto
proprio a giocare con la sua bambola, in compagnia, qualche volta, di
Beth o Carol. Ma ora Carol era morta e Beth era sempre impegnata a
tenere la nuova nascitura.
<<
Bene. >> disse lui semplicemente prima di riprendere il
suo
percorso, dietro ai due che l'avevano lasciato poco prima, diretto
alla sua "camera" per prendere balestra e frecce.
<<
Daryl, senti... >> lo fermò Ocean voltandosi
immediatamente,
senza aspettare che fosse troppo lontano per parlargli. Il ragazzo si
fermò a guardarla, aspettando di sapere cosa avesse da
dirgli.
Possibile non ci arrivasse da solo? Possibile non avesse niente da
dire riguardo alla sera prima? Sembrava se ne fosse dimenticato:
nè
un cenno, nè uno sguardo o una parola. Come se niente fosse.
Ma lo
stesso non valeva per lei. Aveva passato una notte in bianco a
rimuginare e sentire lo stomaco attorcigliarsi più volte,
cercando
di snodarsi e uscire da quel labirinto, cercando di capire cosa fosse
successo e soprattutto perchè.
Ma
alla fine...cosa si aspettava? Lei era una ragazza, era ovvio che a
certe cose dava peso. Lui... beh, non sembrava proprio il tipo.
Una
botta e via, dicevano in Italia.
<<
...per ieri sera... >> cominciò lei abbassando
gli occhi e
accarezzandosi la nuca imbarazzata << ...Io non...non
volevo,
ecco. Non voglio rovinare tutto, è stato... >>
<<
...Un attimo di confusione. >> la anticipò
lui. Ma allora era
d'accordo con lei! Ci aveva pensato, non si era dimenticato. Ocean
alzò lo sguardo soddisfatta, si era tolta un peso dal cuore,
e annuì
sorridente << Sì. Abbiamo passato una brutta
giornata, eravamo
stanchi e confusi, non eravamo lucidi. >> aveva smesso di
balbettare. Si era sentita decisamente meglio.
Era
stato bello, sicuramente un'esperienza da ricordare, ma non voleva
che niente cambiasse. Lei non provava niente per Daryl se non
profondo affetto, non era decisamente il tipo con cui avrebbe
intrapreso una relazione. Ma non voleva perderlo per una sciocchezza
da ragazzini in preda agli ormoni.
<<
Certo. >> annuì lui abbassando per un attimo
gli occhi e
allontanandosi subito dopo.
Qualcosa
era andato storto.
Ocean
aggrottò la fronte: erano d'accordo, avevano pensato la
stessa cosa,
lui stesso l'aveva anticipata dicendo che era stato un errore, eppure
era stato così strano. Raramente i suoi occhi permettevano
di vedere
cosa ci fosse lì dentro, erano spesso velati da uno spesso
strato di
disprezzo e violenza. Non che fosse davvero così, ma faceva
la parte
del cattivo ragazzo. Eppure le era parso, quella volta, di cogliere
qualcosa in quegli occhi schivi e freddi, qualcosa che tanto
somigliava...alla delusione.
Che
ci fosse rimasto male?
Scosse
la testa. Probabilmente l'aveva solo immaginato. Forse erano solo i
suoi desideri proiettati nei suoi occhi: alla fine, per quanto
sentisse che era giusto così, la sua parte femminile urlava
sdegnata
per essere stata "usata", anche se era ridicolo. Ma quale
donna accetta di essere trattata come quella sera per poi essere
"scaricata"? Anche se era proprio quello che voleva.
Orgoglio.
Sì,
probabilmente si era sbagliata.
Entrò
nella saletta e si guardò attorno. Ormai era deserta, ognuno
era
tornato ai propri posti e ai propri incarichi. Solo una figura
giaceva a terra, seduta con la schiena poggiata al muro, e i lunghi
capelli rossi sciolti sulle spalle. Ocean le si avvicinò e
silenziosa si mise a sedere vicino a lei. Non era più la
bambina
allegra e vitale che era stata un tempo. Quel mondo stava uccidendo
anche lei. Doveva salvarla.
Si
allungò a prendere uno dei fogli di carta che aveva di
fronte, unica
fonte di distrazione che a volte aveva e sempre in silenzio
tornò a
poggiarsi al muro, piegando più volte il foglio tra le mani.
Ne
costruì un aereoplanino, alitò sulla punta e poi
lo fece volare,
facendolo cadere neanche un metro da loro. Molly guardò
l'aereo
sorpresa, ma non disse niente.
Ocean
si piegò in avanti, prese un altro foglio e fece un altro
aereo.
<<
Tieni. Prova tu. >> disse porgendolo alla rossa. Molly
afferrò
il foglietto piegato come aveva visto fare alla ragazza e lo
guardò
per un minuto curiosa e sorpresa, prima di lanciarlo come poteva,
facendolo schiantare di punta proprio davanti ai suoi piedi.
Ocean
rise divertita e lo afferrò di nuovo. Stirò le
pieghe che si erano
formate nella caduta e lo porse nuovamente alla bambina, ma non senza
prima aver di nuovo alitato sulla punta. Non sapeva a cosa servisse,
non l'aveva mai saputo, ma sapeva che andava fatto così.
<<
Lancialo così. >> spiegò afferrando
la manina piccola e
delicata nella bambina e guidandola nella sua traiettoria.
Questa
volta l'aereoplano andò poco più lontano. Non
raggiunse il
compagno, ma almeno un po' era volato.
<<
Mi insegni? >> chiese Molly voltandosi a guardarla con
gli
occhi incuriositi << Mi insegni a costruirlo?
>>
<<
Certo! >> disse Ocean entusiasta, prendendo il terzo
foglio di
carta che aveva davanti e cominciando la sua lezione di "piegamento".
<<
Ora prova tu. >> invitò, lasciando che la
piccola se la
cavasse da sola. Ci mise un po', sbagliando qualche passaggio
all'inizio, ma dopo un paio di correzioni Molly riuscì a
costruire
il suo primo aereoplanino di carta. Provò a lanciarlo...e di
nuovo
cadde davanti ai suoi piedi.
Ocean
rise ancora << Imparerai. Devi esercitarti tanto.
>>
sorrise e Molly corse a prendere altri fogli. Si sedette di nuovo
vicino alla ragazza e riprese a costruire aereoplani, sotto lo
sguardo attento e vigile di una mammina che tanto aveva promesso e
che, come tutte le mamme, poi se n'era dimenticata.
<<
Sai cosa mi manca più di tutti? >>
mormorò dopo un po',
poggiando la testa dietro di sè. Sorrise e si
voltò a guardare la
piccola che aveva interrotto i suoi esercizi per poterla ascoltare
curiosa.
<<
Il gelato! >> ammise la ragazza avvicinandosi al suo
orecchio,
come fosse stato un segreto. Molly annuì energicamente
<<
Anche a me! >> poi ci pensò un po'
<< Tu mangiavi il
gelato? >>
Ocean
la guardò sdegnata e offesa << Se mangiavo il
gelato? Tesoro,
io ero la Regina dei mangiatori di gelato! Il mio preferito era
quello al cioccolato. >>
<<
Anche il mio! >> esultò la bambina,
sorridendo. Nei suoi occhi
opachi si intravide una piccola scintilla. Ancora troppo debole e
sola, ma pur sempre un inizio.
<<
No? >> chiese Ocean fingendo incredulità
<< Sul serio?
Non ci credo! Allora abbiamo gli stessi gusti! >>
<<
E il tè alla pesca! >> disse la bimba ancora.
<<
Adoro il tè alla pesca! >>
assecondò Ocean << E la
pizza! Ti piaceva la pizza? >> Molly annuì
ancora e Ocean
tornò a guardare davanti a sè, sentendosi
l'acquolina in bocca <<
Una sottile pizza napoletana, come quella che faceva la pizzeria di
fiducia dietro casa mia, la più buona del mondo, col bordo
alto,tanta mozzarella, funghi e prosciutto cotto. >> lo
stomaco
brontolò rumorosamente in risposta alle sue languide
fantasie e
questo fece scoppiare a ridere tutte e due.
Il
sole era sorto di nuovo.
Nessuna
delle due si era posta il problema che quelle fossero e sarebbero
rimaste solo fantasie. Non importava. Anche solo ricordare certe cose
bastava.
E
il sole raggiunse il suo punto più alto con una
velocità che da
tempo non ricordava.
<<
Devi proprio andare? >> chiese Molly tirando i pantaloni
di
Ocean per attirare la sua attenzione, distraendola dal suo lavoro:
stava sellando Peggy, preparandosi per seguire Maggie e Glenn nella
cittadina lì vicino. Poi si sarebbero separati e avrebbero
cercato
ognuno per conto proprio. Era una gioia per Ocean, anche se uscire
metteva paura: adorava girovagare in sella alla sua adorata Peggy, a
fianco del suo fidato Max. Lo aveva fatto così a lungo, e
ora invece
era diventata una rarità. Ne sentiva la mancanza.
Si
voltò a guardare la bambina << Torno presto.
>> sorrise.
Molly
non sembrò convinta << Resti con me? Possiamo
giocare ancora!
>> cercò di convincerla.
Ocean
sorrise ancora intenerita e le diede un bacio sulla fronte
<<
Quando torno giocheremo tantissimo. E ti prometto che ti
porterò un
regalo. Magari qualche gioco nuovo. >>
Molly
sembrò illuminarsi << Vorrei un libro!
>>
<> chiese Ocean sorprendendosi di sentire una tale
richiesta. Credeva che bambine della sua età pensansero solo
a
bambole, ciottoli e altri giochi del genere.
<<
La mamma mi leggeva sempre un libro prima di andare a letto.
>>
arrossì di colpo << Magari potresti
leggermelo, qualche volta,
la sera. >>
Il
cuore di Ocean sembrò esplodere. C'era così tanta
tenerezza,
tristezza e malinconia in così poco. Gli occhi le si
inumidirono e
per non farsi vedere in quello stato, abbracciò la bambina.
<<
Ti porterò il libro più bello che ci sia.
>> sussurrò
lottando contro il nodo che si stava formando in gola per la
commozione.
<<
Ora vai. Hershel ti sta aspettando. Ha bisogno di una buona
assistente. >> le fece l'occhiolino e Molly si
esaltò ancora
<< Sì, ha detto che sono stata brava con la
Signorina Rosie!
Vuole ancora il mio aiuto! >>
<<
Bravissima! Vai! >> la incoraggiò
<< Ci vediamo più
tardi. >> salutò vedendola correre via nella
sua gonna sempre
troppo ingombrante. Si fermò, si voltò e alzando
la mano sopra la
testa salutò energicamente << Ciao a dopo!
Torna presto! >>
<<
Pronta, Ocean? >> chiese Glenn prima di dirigersi
all'auto,
distraendo la ragazza dal suo saluto intimo con il suo piccolo
tesoro.
<<
Sì, datemi un ultimo minuto. >> disse prima di
allontanarsi
tenendo tra le mani le redini della cavalla. Si avvicinò
rapidamente
alle lapidi improvvisate che avevano dedicato alle tre morti del
giorno prima. Il funerale era stato rapido e doloroso, anche
perchè
c'era ancora tanto da fare e Rick continuava a stare nascosto nei
corridoi della prigione. E lei...beh, aveva osservato un po' da
lontano. Non si era voluta inserire. Non aveva voluto piangere. Ma
non per questo li aveva dimenticati.
Si
fermò a osservare le lapidi qualche istante, pensierosa e
rammaricata. Il foulard di Carol era stato legato e ben stretto
intorno al suo bicipite, in segno di lutto. E probabilmente sarebbe
rimasto lì a lungo. Abbassò gli occhi e
sospirò.
Lasciali
andare.
Infilò
la mano dentro la camicia e tirò fuori il suo ciondolo a
fiore. Si
avvicinò alla prima lapide, quella dedicata a Lori e si
inginocchiò
lì davanti. Staccò un petalo dal suo fiore,
sforzandosi un po',
fece poi una piccola buca con le dita e lo posò dentro.
Ricordò il
sorriso di Lori mentre ricopriva quel piccolo pegno. Ricordò
la sua
voce. Il suo amore per Carl.
Non
avevano mai legato troppo, ma non per questo non meritava di essere
ricordata e salutata. Lei era il cuore di Rick, e ora che era morta
Rick era caduto. E senza lui tutti loro erano in bilico e distrutti.
Si
spostò di qualche passo, arrivando di fronte alla lapide di
T-Dog e
ripetè la stessa operazione. Staccò un petalo e
lo sotterrò lì
davanti.
E
ricordò.
Ricordò
il suo silenzioso sostegno, il suo essere sempre pronto ad aiutare e
buttarsi nel pericolo solo per poter salvare una vita in più.
E
un altro petalo per Carol.
Sorrise
nel ricordare la prima volta che le aveva offerto la colazione nel
tentativo di far amicizia. Sorrise nel ricordare le domande che le
faceva, curiosa e desiderosa di avere la sua forza non sapendo che
già ce l'aveva; nel ricordare la loro fuga dalla fattoria,
la
dolcezza con cui lei le parlava e tentava di farla ridere; il
sostegno; le battute che le rivolgeva quando lei imparava a sparare
mentre Ocean continuava a restare la solita imbranata.
Una
lacrima le rigò il viso, lacrima che venne subito asciugata
dal
dorso della mano.
Accarezzò
il petalo a lei destinato prima di sotterrarlo.
<<
Addio, amica mia. >> disse senza impedire ancora alle
lacrime
di bagnarle il viso. Non ne venne distrutta, ma lasciava che
scorressero via e dava loro il giusto rispetto.
Restò
lì con loro qualche altro minuto, poi ricacciò il
ciondolo dentro
la camicia e tornò al cancello con Peggy, dove ad aspettarla
ansiosi
c'erano già pronti Glenn, Maggie e Max.
<<
Siamo pronti! Possiamo andare! >> annunciò
cercando di
ricomporsi. Salì a cavallo tornando a rimirare il mondo da
lassù.
Max salì in macchina insieme alla coppia. Axel
aprì il cancello,
permettendoli di uscire, e il mondo si preparò a riceverli.
<<
Ci ritroviamo qui tra un paio d'ore. >>
comunicò Ocean, mentre
aspettava che Max fosse scaricato dall'auto << Perlustro
la
zona a ovest, voi andate a est. >>
<<
Ok, a più tardi. >> disse Maggie dal
finestrino abbassato.
<<
Non allontanarti troppo, dobbiamo essere a portata di sparo se
succede qualcosa! >> disse Glenn dal lato del guidatore.
<<
Sì, non temere! >> rassicurò Ocean
prima di partire nella sua
direzione, separandosi dalla coppia, seguita da Max. Si inoltrarono
per le stradine deserte della piccola città rurale: era
davvero
molto piccola, ci avrebbero messo poco a visitarla tutta. Forse due
ore erano anche troppe.
Scese
da cavallo alla prima casa incontrata e legò Peggy a un palo
lì
vicino.
Sfoderò
la sua spada e incitando il cane a seguirla si avvicinò
silenziosa
all'entrata. Aveva il cuore che batteva a mille, l'adrenalina era
tornata a scorrere nelle sue vene, ed era felice di poter di nuovo
girare da sola, senza preoccuparsi di guardare le spalle degli altri.
Diede
un paio di colpi alla porta chiusa, aspettando per sentire se c'era
movimento all'interno. Silenzio. Entrò aprendo lentamente.
La casa,
come molte altre, era sottosopra. Silenziosa e rapida entrò
nella
prima stanza, poi nella seconda e con tranquillità
ispezionò
l'abitazione completa.
<<
Neanche un pannolino. >> brontolò uscendo,
seguita come al
solito da Max << Pare che questa famiglia non avesse
figli, non
c'è neanche un giocattolo. >> disse
avvicinandosi a Peggy e
cominciando a slegarla.
Uno
sparo.
Sobbalzò.
Guardò
verso est. Proveniva da lì.
Il
cuore cominciò a martellarle in petto.
Glenn...Maggie!
<<
Merda! >> brontolò cominciando a tremare. Lo
sparo improvviso
l'aveva terrorizzata. Credeva fosse deserto quel posto, non aveva
visto mandrie in giro. Che diavolo era successo? Slegò Peggy
il più
rapidamente possibile e salì in sella, prima di correre
più veloce
che potè verso il luogo.
Rimasero
nell'ombra, coperti dagli alberi.
Fece
cenno a Max di stare buono e in silenzio, e ringraziò
l'intelligenza
del cane.
C'era
una persona seduta in terra e teneva Maggie ben stretta, con una
pistola puntata alla sua tempia.
<<
Io lo conosco. >> sussurrò mentre un flash le
balenò in
testa. Quella era l'uomo che aveva visto passare in jeep tempo prima,
quando era andata in giro sola, senza Max e Peggy, poco prima di
ritornare alla fattoria del suo vecchio gruppo. Le era rimasto
impresso il coltellaccio che aveva al posto di una mano: neanche
fosse stato capitan uncino!
<<
Sali in macchina Glenn! Guidi tu! >> minacciò.
"Lo
conosce"
pensò. Glenn non
sarebbe stato mai così idiota da dire il suo nome al primo
malcapitato, sicuramente se lui sapeva come si chiama era
perchè si
conoscevano già da prima.
"Chi
diavolo è?"
pensò ancora
mentre vedeva la scena svolgersi davanti a sè. Glenn fece
come disse
l'uomo, entrarono tutti e tre in macchina e in poco tempo partirono.
<<
Max stai qui! >> ordinò facendogli un cenno
con la mano.
Avrebbe dovuto correre per riuscire a stargli dietro, il cane non
avrebbe retto a lungo. Max mugolando, triste per non poter stare
insieme alla sua padrona, si acquattò, abbassando le
orecchie.
<<
Bravo. Stai qui! >> ordinò ancora prima di
speronare la
cavalla e correre rapida dietro l'auto, qualche metro dietro, sempre
tenendosi più o meno nascosta dagli alberi a bordo strada,
in modo
da non farsi notare. Se si fosse buttata a capofitto in un
salvataggio da sola probabilmente ne sarebbe uscita distrutta. Doveva
agire nell'ombra, scoprire dove li stava portando prima di tutto e
poi sarebbe tornata alla prigione, avrebbe riunito il gruppo e
sarebbero andati a salvarli insieme.
Legò
la cavalla a un albero. Il sole stava cominciando a calare, la sera
stava arrivando. Le fece una carezza sul muso e le dedicò un
po' di
dolcezza, sperando di tranquillizzarla.
<<
Arrivo. >> bisbigliò << Mi
avvicino solo per vedere
meglio. Torno subito. >>
Seguendo
l'auto era arrivata a quella che sembrava una città
fortificata.
C'erano mura di pneumatici tutte intorno, ma da dentro arrivavano
voci e rumori, segno che era abitato. Delle persone facevano avanti e
indietro sulla cima del muro, come sentinelle, ben armate. Quatta e
coperta dall'ombra della sera e dagli alberi si avvicinò a
sufficienza per riuscire a vedere la scena che si stava svolgendo a
quella che sembrava un'entrata secondaria.
Un
uomo uscì dal cancello e si avvicinò al
finestrino dell'auto,
chinandosi per parlare con chi stava dentro. Fu una conversazione
rapida perchè tempo qualche secondo e l'auto
ripartì, entrando in
città, seguita poco dopo dall'uomo che aveva parlato con
loro.
Ocean
ebbe un tuffo al cuore.
<<
No. >> si sorprese a sussurrare.
Lo
conosceva! Conosceva quella persona! Come avrebbe potuto scordarla?
Si
sentì mancare.
I
fantasmi erano tornati a urlare "aiuto" in lontananza.
Serrò
la mascella e costrinse una lacrima a tornare indietro.
<<
Vaffanculo. >>
si ritrovò a singhiozzare in Italiano. Strinse tra le dita
quel ramo
che aveva afferrato, per spostarlo un po' e permetterle di vedere. Lo
strinse talmente forte che lo spezzò.
Lasciali
andare
suggerì una voce nella
sua testa.
<<
Non questa volta. >>
ringhiò prima di sfoderare la pistola << Non
questa
volta. >>
Un
colpo di pistola costrinse l'uomo di guardia sul muro a voltarsi,
sussultando. Un suo amico, da sotto, lo guardò spalancando
gli occhi
<< Era fottutamente vicino!! >> disse e si
avvicinò al
camioncino parcheggiato poco lontano. Afferrò un fucile e se
lo
appese in spalla, prima di correre verso il cancello <<
Presto,
apri! John! >> chiamò << Vieni
con me, sbrigati! >>
Un
altro ragazzo dai capelli degni di Bob Marley corse verso di lui,
litigando con il fucile che faticava a stare in spalla.
<<
Sta facendo buio. Tenete gli occhi aperti! >>
suggerì l'amico
sul muro.
Il
cancello si aprì e i due corsero fuori, dirigendosi verso il
punto
dove avevano sentito il colpo di pistola. Nel frattempo un gruppo di
4 o 5 zombie sbucò dagli alberi, sulla destra del cancello.
Il
ragazzo di guardia puntò i suoi occhi, e il mirino del suo
fucile
con silenziatore, verso gli intrusi. L'altro uomo, l'addetto alla
chiusura e apertura del cancello, si affacciò, prima di fare
il suo
lavoro, e diede una mano al compagno con la sua pistola.
Presi
dal loro lavoro, nessuno notò l'ombra che acquattata era
sgattaiolata dietro l'uomo al cancello, dentro le mura e si era
infilata nel primo cespuglio a sinistra, appena dentro.
Ocean
uscì lentamente la testa, controllando la situazione. C'era
un paio
di uomini che passeggiavano non molto lontano, ma non erano troppi e
sicuramente non erano preoccupati di un'eventuale intrusione.
Cercando
di restare bassa e silenziosa sgattoiolò dietro un bidone
della
spazzatura, poco lontano dal suo cespuglio, e di nuovo si sporse per
guardare e controllare che nessuno l'avesse vista. Il ragazzo addetto
al cancello rientrò, chiudendoselo alle spalle, e l'uomo sul
muro
tornò a passeggiare avanti e indietro. Avevano fatto fuori
gli
zombie che Ocean aveva attirato lì con l'intenzione di
distrarli, e
gli altri due erano ancora persi tra gli alberi a cercare la pistola
che aveva sparato. A cercare la sua pistola. Quella che in
realtà
sarebbe dovuta servire solo per comunicare a Glenn e Maggie che era
in pericolo.
Aspettò
che il tipo sul muro le voltasse le spalle per controllare la zona
dietro e cominciò a correre, sempre bassa, lungo il
perimetro della
casa che fiancheggiava. Svoltando l'angolo si trovò di
fronte a un
piccolo cortiletto, con qualche sedia sparsa, qualche rottame e
un'auto abbandonata. Non sembrava esserci nessuno. Poco più
avanti
continuava un vialetto, diretto chissà dove. Ocean
schiacciò le
spalle al muro e attraverò il cortile, diretta al vialetto.
Non
aveva la più pallida idea di dove stesse andando, aveva solo
un
obiettivo in testa e cercava di seguire l'istinto. Ma non conosceva
il luogo e non sapeva dove poteva essersi cacciato. Ma
chissà che
alla fine cercando cercando non l'avrebbe trovato.
Si
fermò a una porta, probabilmente un'entrata sul retro di
quella che
sembrava una baracca, e lì fu costretta a inchiodarsi,
quando essa
si aprì. Un uomo uscì a passo leggero e sicuro,
con una sigaretta
tra le labbra, mormorando qualcosa a chissà chi dietro di
lui, poi
la socchiuse. Ocean strinse la pistola che aveva tra le mani: la
odiava. Ma metteva paura. E questo bastava.
Si
avvicinò rapidamente,approfittando delle sue momentanee
spalle e gli
puntò la pistola alla testa, togliendo la sicura. Il rumore
metallico fece irrigidire tanto l'uomo che la sigaretta gli
scappò
dalle labbra e alzò lentamente le mani.
<<
Ciao. >> salutò lei tranquilla e sicura
<< Mi inviti a
cena? >> chiese sarcastica.
L'uomo
cercò di cacciare gli occhi indietro nel tentativo di capire
chi lo
stesse minacciando << Cosa vuoi? >> chiese
semplicemente.
<<
Sto cercando un tuo amico. Poco più basso di te, quattro
capelli
neri in testa ben diradati, baffetti ridicoli e occhi color vomito.
>>
L'uomo
aggrottò la fronte, non riuscendo a capire di chi diavolo
stesse
parlando << Indossava una stupida camicia a quadri rossa,
stasera. L'ho visto fuori dal cancello, è andato a parlare
con i due
prigionieri che avete preso stasera. >>
<<
Noi non abbiamo nessun prigioniero. >> disse l'uomo.
<<
Stronzate!! >> sibilò Ocean premendo la canna
della pistola
contro la sua nuca, costringendolo a ripetere a mitragliatrice
<<
Ok, ok, ok. >> impaurito.
<<
C'è un tuo amico dentro? >> chiese Ocean
riferendosi alla
persona con cui aveva parlottato prima di ricevere la sua pistola
alla testa << Digli di chiamarlo. Se provi ad accennargli
che
sono qui ti ammazzo! >>
L'uomo
non aggiunse altro e lentamente si voltò e provò
ad abbassare le
mani << Tienile su!!! >>
minacciò Ocean premendo ancora
la pistola contro la vittima.
<<
Se mi vede con le mani alzate sospetterà qualcosa, non
credi? >>
provocò l'uomo.
Ocean
si fece avanti di un passo e prese la sua mano sinistra,
l'alzò e la
premette contro la porta che ora era accostata << Lei sta
qui.
>> suggerrì << L'altra al muro.
Lì, ben alzata. Così
sembrarà che tu sia solo appoggiato. Apro io la porta.
>>
L'uomo
così si fissò con le mani alte e ben piantate una
alla porta
leggermente socchiusa e l'altra al muro vicino. Ocean accanto a lui
cercò di restare nascosta, ma teneva sempre d'occhio e sotto
tiro
l'uomo che aveva davanti. Aprì di qualche centimetro la
porta, quel
tanto che bastava per permettergli di affacciarsi e lo
incalzò a
parlare.
<<
Ehy, Rob. >> chiamò all'interno. Il suo amico
rispose a
monosillabo, dalla voce sembrava distante qualche metro, forse in
fondo al corridoio dove si affacciava l'uomo.
<<
Va' a chiamare Mickey, per farvore. >>
<<
Vattelo a chiamare da solo, amico! Non rompere le palle a me.
>> borbottò la voce scocciata dall'interno.
<<
Rob!!! >> lo richiamò ancora.
<<
Non fare facce, ti vedo. >> bisbigliò Ocean,
tenendolo
d'occhio.
<<
Fai come ti ho detto! E' urgente, per favore! >>
brontolò
l'uomo sotto pressione. Stava cominciando a sudare freddo. A nessuno
piace avere una pistola carica puntata alla nuca.
<<
Che palle, va bene, vado. >> sbuffò la voce.
Si
sentirono dei passi allontanarsi e i due rimasero per un attimo tesi,
poi l'uomo tirò un sospiro e ritirò indietro il
viso, cercando di
guardare la ragazza.
<<
Ho fatto come volevi. Ora lasciami andare. >>
Ocean
scoppiò a ridere << Sono donna, non scema!
>>
<<
Cos'hai intenzione di fare, si può sapere? >>
brontolò
l'uomo, visibilmente irritato per quella situazione.
<<
I miei ragazzi sono qui nei paraggi, hanno accerchiato il vostro
campo, siamo un centinaio. Appena li faccio un cenno loro invaderanno
la vostra cittadina del cazzo. >>
<<
Menti. >>
<<
Vuoi provare? >> sorrise maliziosa Ocean <<
Ma dimmi.
Come vanno le cose a casa, eh? Tutto bene? Moglie? Figli?
>>
sorrise ancora. E risultò ancora più inquietante.
C'era una luce
nei suoi occhi, un fuoco ardente, ma il suo viso angelico ingannava.
Era come l'immagine di una bambina che aveva il diavolo negli occhi:
metteva i brividi.
L'uomo
deglutì ma non rispose.
<<
Andiamo. Non vorrai deludermi. >> insistette Ocean.
<<
Non ho moglie. >> ammise lui. Era un fascio di nervi,
glielo si
poteva vedere perfino nelle dita che se avessero potuto avrebbero
scavato solchi nel metallo della porta e del muro.
<<
Ah no? E com'è che ti chiami? Potrebbe interessarmi.
>>
sorrise lei maliziosa. Si stava prendendo gioco di lui, glielo si
leggeva negli occhi. E questo lo mandava ancora di più su
tutte le
furie. Non rispose, ma la loro chiacchierata fu interrotta da un
sonoro e agitato << Ehy!!! >> provenire
dalle spalle di
Ocean.
Si
voltarono entrambi e lei ebbe la prontezza di afferrare all'istante
l'uomo per il collo della maglia e tirarselo davanti, costringendolo
sempre con la pistola a seguire i suoi movimenti. Degli spari
partirono, ma Ocean non ebbe tempo nè modo di vedere chi
fosse stato
ad averli aggrediti. I proiettili avevano colpito l'uomo che aveva
usato da scudo, poi velocemente si era infilata all'interno della
baracca ed era scappata lungo il corridoio. Sentì il cigolio
della
porta all'entrata: chiunque l'avesse vista e aggredita era entrato,
ma ancora riuscì a evitare gli spari, svoltando appena in
tempo.
<<
Ferma!! >> urlò ancora la voce.
<<
Che succede? >> gli fece eco un'altra sbucata da
chissà dove.
Ocean
si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e si
fiondò contro
un'altra porta, sperando di aver indovinato e che avesse dato
sull'esterno. La spalancò e uscì fuori senza
neanche guardare,
preoccupata solo di chiudersela alle spalle in tempo per fermare i
proiettili che ancora tentavano di raggiungerla.
<<
E tu chi diavolo sei? >> un'altra voce.
Sfoderò la spada ben
prima di voltarsi e la puntò al suo interlocutore.
Spalancò
gli occhi e serrò la mascella.
<<
Tu. >> sibilò.
L'aveva
trovato.
L'uomo
intuì che la ragazza lo conosceva perciò
arricciò le sopracciglia,
cercando di mettere a fuoco.
Poi
si illuminò.
<<
Mi ricordo di te. >> disse poco prima di assumere un
ghigno. Un
misto tra l'assurdo e il divertito.
<<
Sei ancora viva. >> aggiunse incredulo.
<<
Tornata dalla tomba per ucciderti. In ginocchio! >>
ordinò,
notando che l'uomo ancora non aveva sfilato dalla fondina la sua
arma. Alle sue spalle la porta in ferro si spalancò e ne
uscirono
tre uomini, che subito andarono ad accerchiare la coppia.
<<
Andiamo, non fare sciocchezze. Non vedi che sei decisamente messa
male? >> constatò con sicurezza l'uomo dalla
camicia a quadri
rossa. Ma Ocean non sembrò voler cedere. Aveva il fiato
pesante che
le faceva alzare e abbassare ritmicamente le spalle. I denti ben
serrati avevano cominciato a farle male. Lo sguardo sembrava stesse
uccidendo al posto della spada.
Non
si rendeva pienamente conto di ciò che stava succedendo. Non
vedeva
niente intorno a sè. Nè la cittadina sconosciuta,
nè gli uomini.
Nessuno. Solo quel fottuto stronzo dalla camicia rossa a quadri. E
detestava vederlo ancora in piedi che respirava e parlava.
<<
In ginocchio. >> sibilò ancora, minacciosa.
<<
Abbassa l'arma. Non hai nessuna possibilità.
>> invitò ancora
l'uomo e coraggiosamente portò una mano davanti a
sè, poggiandola
sulla spada e cercando di scansarla lentamente.
<<
Brava. Così. >> disse vedendo come il suo atto
sembrava stesse
riuscendo. La lama stava cominciando ad abbassarsi sotto al suo
tocco.
<<
Possiamo parlare. Non ti faremo del male se collabori. >>
continuò la sua opera di convincimento.
E
quasi sembrava esserci riuscito, quando Ocean con un colpo secco
roteò la spada e la fece volare verso l'alto, portandosi
dietro il
dito mignolo dell'uomo, il quale urlò dal dolore e non
potè che
chinarsi in avanti, sopraffatto e sorpreso.
Lanciò
alla ragazza davanti a sè lo sguardo più furioso
che avesse mai
sfoderato prima di allora.
<<
Finirai all'Inferno, ragazzina. >> minacciò
lui.
<<
Tu verrai con me. >>
N.D.A
Ciaooo
sono sempre iooo, il vostro capoooo *cit*
xD
Sono
super rapidissima in questo periodo!!! *swiiiiiishhhh*
Ok....
perchè il capitolo si intitola Zombie se in
realtà gli zombie non
si vedono manco una volta?? (apparte quelli che lei attira alle mura
di Woodbury... Ma sono solo state comparse, non le ho manco pagate se
non in buoni pasti da 5 euro u.u)
Perchè qui lo zombie è lei.
E'
uno zombie quando accecata dalla rabbia dimentica il piano originale
(tornare alla prigione e avvertire gli altri) ma si tuffa senza manco
un piano in mezzo al nemico. Guidata solo da istinto, niente
razionalità, e, sempre mossa dal suo istinto e dalla sua
"fame",
prosegue.
E'
uno zombie quando dice "tornata dalla tomba per ucciderti".
Sì, perchè lei è tornata...doveva
essere morta e invece è
tornata.
Maaaa...chi
sarà questo misterioso uomo dalla camicia a quadri rossa? :3
lo
scoprirete nel prossimo episodio!
*parte la sigla* naranaaaannaaaa
narananaaaa naràààà
nanaranannaaaaaa naranannaaaaaaaa
narààà....
|
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Capitolo 26 *** Eclissi. ***
Eclissi.
<<
Max? >> la voce di Daryl echeggiò nella
prigione. Lanciò uno
sguardo al gruppo che stava entrando, rumoroso e barcollante: Rick
teneva sottospalla una ragazza di colore, seguito da Hershel, Beth e
Carl; quest'ultimo portava con sè un cestino rosso con delle
scorte.
Al seguito, o meglio sarebbe dire: davanti a tutti, c'era Max. Solo
Max.
Daryl
guardò ancora il gruppo, confuso. Che diavolo stava
succedendo?
<<
Dove sono gli altri? >> chiese avvicinandosi a grandi
passi al
suo compagno, il quale stava posando a terra la nera ansimante e
piena di sangue.
<<
Non lo so. >> rispose distrattamente Rick, mentre cercava
di
svegliare la ragazza. Le rovesciò dell'acqua fresca addosso
e questo
sembrò destarla appena.
<<
Come sarebbe a dire che non lo sai? Max è qui!
>> chiese
ancora Daryl, ignorando la presenza della nera, preoccupato solo di
sapere cosa fosse successo.
<<
Non lo so! >> rispose più deciso e un po'
infastidito Rick,
voltandosi rapidamente per guardarlo << Era con lei!
>>
indicò la ragazza stesa a terra.
Daryl
la guardò e la scosse un po' con un piede, spintonandole la
spalla
<< Ehy!! Dove sono i nostri amici?! >>
chiese minaccioso,
mostrando quel lato duro di sè che spesso non si
risparmiava. Ma la
nera non rispose: era confusa e intontita. Era ferita ad una gamba,
ma probabilmente non era l'unica cosa che le faceva male.
Rick
lo fece allontanare, doveva lasciarle aria, doveva riprendersi, non
poteva rispondere in quelle condizioni! Ma l'amico era troppo agitato
anche solo per pensarci.
<<
Ehy. Come ti chiami? >> chiese Rick, cercando di
stabilire un
contatto con la nuova arrivata.
La
nera si guardò attorno terrorizzata poi con uno scatto del
braccio
provò ad afferrare la sua katana, ma Rick
l'allontanò col piede <<
Non ti faremo del male! A meno che tu non faccia qualcosa di stupido.
>> le permise di sollevarsi su un gomito, sempre
tenendola però
ben ferma e sotto controllo. Chiese più volte il suo nome,
cercando
di mettere sempre più determinazione a ogni frase.
Ma
lei ancora non rispose.
Il
mal di testa la obbligò a svegliarsi. Gli occhi erano
appannati e
confusi. Si sentiva strana. Ogni articolazione era rigida e i muscoli
facevano male. Ma niente, certo, superava il dolore alla testa.
Tentò
di aprire gli occhi: vedeva tutto appannato, confuso, sagome troppo
veloci per lei.
Le
voci meccaniche. Non riusciva a capire che stessero dicendo.
Scosse
la testa e sforzò nuovamente la vista.
Cominciava
a vedere.
Una
figura era china su di lei: stava dicendo qualcosa.
Sentì
i polsi e le caviglie dolerle e cercò di muoverli, ma fu
impossibile.
<<
Mi senti? >> riuscì a capire.
Tutto
girava, ma stava riacquistando la sensibilità pian piano.
<<
Ehy, ragazza! >> brontolò la voce
<< Avanti! Svegliati.
>>
La
figura davanti a sè cominciò a prendere una forma
ben definita:
sembrava un ragazzo brasiliano, con la carnagione lievemente scura. I
capelli neri sembravano solo un disegno sulla testa, tanto erano
corti, e si legavano alla barbetta che gli incorniciava le labbra.
Era vestito con una semplice canotta sporca e un paio di jeans.
<<
Chi sei? >> chiese lui, senza attendere troppo che si
riprendesse.
Ocean
non rispose. Cercò di guardarsi attorno con discrezione:
l'ultimo
ricordo che aveva era quel confronto con quello che pareva chiamarsi
Mickey. Poi il buio. E ora si trovava legata a una sedia, scomoda e
dolorante, con un mal di testa degno dei peggiori tumori e chiusa in
una specie di box esterno in lamina puzzolente. Poggiata su un
tavolino vicino alla porta c'era la sua spada e la pistola.
<<
Ragazza! >> la destò di nuovo, afferrandole il
mento e
costringendola a guardarlo << Dimmi il tuo nome.
>>
Ma
Ocean non rispose di nuovo. Tenne lo sguardo fisso su di lui,
sostenendolo, per niente intimorita. Si era cacciata da sola in quel
pasticcio, lei e la sua stupida impulsività, e ora
l'orgoglio non le
avrebbe permesso di frignare.
Il
ragazzo aspettò qualche secondo una risposta che non
arrivò.
Afferrò una bottiglietta d'acqua dal tavolino,
l'aprì e si avvicinò
di nuovo a lei << Hai sete? >> gliela
porse, cercando di
avvicinarla alle sue labbra.
Moriva
dalla sete.
Ma
voltò la testa dall'altro lato.
Sarebbe
potuta essere avvelenata, per quanto ne sapeva.
<<
Come vuoi. >> disse di nuovo il ragazzo allontanandosi e
posando nuovamente la bottiglia sul tavolino.
<<
Dimmi il tuo nome. >> Non era una richiesta.
Ma
ancora nessuna risposta. Sospirò e si avvicinò
nuovamente a lei.
L'afferrò per il viso e se la tirò davanti,
stringendo talmente
tanto da farle male << Senti, tesoro, sei nella merda. Lo
sai
questo vero? Avremmo potuto accettarti nella nostra comunità
se
desideravi. Ma hai ucciso ben due dei nostri. I debiti vanno pagati.
Vedi di collaborare, se non vuoi peggiorare le cose. >>
disse
spingendole di nuovo via il viso con la chiara intenzione di farle
battere la schiena, inclinata in avanti nella sua presa, alla sedia.
E ci riuscì.
Ucciso
due uomini? Quando? Tentò di fare un veloce ripristino
all'interno
della sua memoria, cercando disperatamente quelle informazioni. Poi
le vide.
L'uomo
alla porta, colpito da dei proiettili che erano invece destinati a
lei.
E
l'uomo dalla camicia a quadri rossa. Mickey.
Gli
aveva tagliato la testa con un colpo netto, prima che qualcuno la
colpisse alla nuca e la facesse svenire. Probabilmente doveva
addirittura ringraziare di non essere stata uccisa.
<<
E' quello che si meritava. >>
bisbigliò nella sua
lingua d'origine. Il ragazzo parve mezzo soddisfatto nel sentirla
parlare, ma la cosa non era ancora pienamente di suo gradimento: non
capiva quella lingua.
<<
So' che conosci la nostra lingua. Lì fuori l'hai parlata
anche
troppo. Non giocare con me. >> disse lui afferrando una
mazza
da baseball che aveva poggiato lì vicino e cominciando a
rigirarsela
tra le mani, guardandola minaccioso.
<<
Puoi ammazzarmi! Non saprai niente da me. >>
disse lei,
insistendo nell'usare la sua lingua d'origine. Non si meritava di
condividere con lei la linea di comunicazione.
Il
ragazzo si avvicinò a lei e senza neanche rivolgerle un
ultimo
avvertimento le piantò un sonoro ceffone in faccia,
così forte da
farle voltare la testa. Ocean si concesse qualche secondo per
riprendersi dal frastornamento, poi tornò a voltarsi e
guardarlo
nuovamente con aria di sfida.
<<
Viscido serpente. >> gli
sibilò in viso, e in risposta
si beccò un altro ceffone, sull'altra guancia. Questo fece
ancora
più male. Si sentì il viso gonfiare.
<<
Vuoi giocare alla ragazza dura ancora per molto? >>
chiese lui alitandole in faccia.
All'improvviso
la porta si spalancò. Entrambi si voltarono a guardare chi
fosse
arrivato.
Ocean
ebbe un brivido lungo la schiena quando vide la lama sbucare dal
braccio, al posto della mano, dell'uomo che aspettava sulla soglia.
Era
la persona che aveva rapito Glenn e Maggie.
Già...i
suoi amici. Era stata una sciocca. Non aveva pensato a loro, e
probabilmente li aveva condannati. Se fosse tornata indietro ad
avvertire Rick sarebbero potuti andare a salvarli. Ma lei era stata
colta da un attimo di follia. Non aveva pensato ad altro che a
uccidere Mickey.
<<
Martinez. Vai pure, ci penso io qui. >> disse l'uomo con
voce
roca, mentre, entrando, si lucidava la lama del coltello/mano con un
panno troppo sporco per essere in grado veramente di pulire qualcosa.
Improvvisamente
ebbe paura.
<<
Devi dirci come ci hai trovati? >> chiese Rick,
rientrando
nella cella della ragazza nera trovata << E
perchè avevi il
latte artificiale? >>
La
ragazza si alzò, impaurita e tesa, guardando il gruppo che
aveva di
fronte. Daryl ora portava la sua balestra e la teneva ben puntata sul
suo viso.
<<
L'ha lasciato un ragazzo asiatico. E una bella ragazza bianca.
>>
rispose lei, dopo qualche secondo.
<<
Sono morti? >> chiese ancora Rick.
<<
Sono stati catturati. >> rispose ancora lei, anche se
sembrava
le scocciasse farlo.
<<
Catturati? >> chiese ancora Rick << Da chi?
>>
<<
Dallo stesso stronzo che mi ha sparato. >>
<<
Non erano soli. >> comunicò Daryl, prendendo
parola per la
prima volta.Ondeggiava avanti e indietro, irrequieto <<
C'era
una ragazza bianca con loro, capelli scuri, lunghi, legati. Camicia,
pantaloni e stivali neri. Era a cavallo. >>
La
nera si voltò a guardarlo, prendendosi come al solito il suo
tempo
<< Nessuna ragazza a cavallo. Non c'era nessuno oltre a
loro
due. >>
<<
Come hai trovato il cane? >> chiese ancora Daryl.
<<
Lui ha trovato me. Era nascosto tra gli alberi. Appena mi sono
avvicinata al cestino è sbucato...e mi ha portata qui.
>>
Daryl
lanciò uno sguardo a Rick, che ricambiò,
apprensivo e pensieroso:
Ocean non era con loro al momento della cattura. E se Max si trovava
tra gli alberi, allora anche lei forse era lì. Ma allora
perchè non
era tornata indietro?
<<
Facevano parte del nostro gruppo! Dicci dove trovarli. >>
incitò Rick. Cercava di restare calmo, ma il nervoso lo
stava
rendendo folle. La ragazza titubò e lui la incitò
ancora,
avvicinandosi di colpo e stringendo la sua ferita per farle del male
e convincerla a parlare. Lei si alzò di scattò e
tentò di
ribellarsi << Non provare a toccarmi! >>
minacciò. Daryl
si avvicinò con la balestra, facendo sfiorare la punta della
sua
freccia al suo naso << E' meglio se cominci a parlare, o
la
ferita d'arma da fuoco sarà l'ultimo dei tuoi problemi!
>>
disse respirando a stento. Il cuore non smetteva di pulsare e il
fiato si ribellava alla gabbia toracica. Si stava sforzando per non
esplodere.
<<
Non vi dirò dove trovarli! >>
minacciò ancora lei. Rick capì
che bisognava cercare di stabilire un contatto diverso, la ragazza
era tosta e soprattutto spaventata: invitò Daryl ad
abbassare la
balestra. La nera parve calmarsi, sicuramente si sentiva più
tranquilla senza una freccia puntata agli occhi.
<<
Sei venuta qui per un motivo. >> constatò
Rick. La nera doveva
capire che tra i due quelli col coltello dalla parte del manico erano
loro.
E
così fu.
Cedette.
<<
C'è una città: Woodbury. Con 75 sopravvissuti. Li
avranno portati
lì. >>
Lanciò
un urlo mentre un altro colpo veniva inferto. Le usciva sangue dal
naso e uno zigomo la stava uccidendo dal dolore. L'aveva minacciata
più volte col suo coltellaccio, puntandoglielo al ventre,
premendoglielo alla gola, ma alla fine si era limitato a picchiarla.
Una
domanda era sorta spontanea: "cosa vogliono da me?
Perchè mi
tengono in vita?"
<<
Allora, bambolina? Non ne hai ancora abbastanza? >>
chiese
l'uomo avvicinandosi al suo viso. Era disgustoso. Puzzava di alcol e
di marcio.
<<
Mai conosciuto una doccia? >> disse
Ocean chiudendo gli
occhi e voltandosi dall'altro lato. Aveva la nausea. L'uomo stette
fermo in quella posizione, continuando a tenere il suo naso a pochi
centimetri dalla sua guancia e lentamente il suo viso si
stopriò in
quello che doveva essere un sorriso malizioso.
Le
vennero ancora una volta i brividi. Aveva gli occhi da psicopatico.
<<
Capisco dove vuoi arrivare. Ti stai chiedendo perchè ancora
non ti
abbiamo ucciso, vero? E sicuramente starai pensando che probabilmente
ci servi a qualcosa, altrimenti ti avremmo già fatto fuori,
non è
così? >> Si portò la lama del suo
coltello davanti gli occhi
e cominciò a studiarla, come un padre che ammira suo figlio
nei suoi
primi passi << Ma vedi... qui sbagli. Io l'ordine di
ucciderti
ce l'ho. >> spostò lentamente la sua lama fino
a posarla
appena sotto il suo seno, accarezzandolo con la punta. Sarebbe
bastato un gesto un po' brusco e l'avrebbe ferita. Ma non fu quel
pensiero a farla tremare e gemere. Non voleva più essere
l'oggetto
dei divertimenti degli uomini, non l'avrebbe più sopportato.
Una
volta era bastato. Avrebbe preferito mille volte essere uccisa: non
voleva più essere trattata come una bambolina.
L'uomo
sembrò soddisfatto della sua reazione: aveva centrato il
bersaglio.
Il suo punto debole.
<<
Io sto cercando di aiutarti. Sarebbe un tale spreco. >>
avvicinò ancora i suoi occhi a quelli della ragazza,
sogghignando, e
lei cacciò indietro al testa per evitarlo. Rideva. Rideva di
lei. Di
quello che le avrebbe fatto.
Non
sono un fantoccio!
Sfruttò
la poca rincorsa che aveva, ma che in una situazione disperata come
quella sarebbe bastata, e lanciando velocemente la testa in avanti lo
colpì con la fronte al naso. L'uomo indietreggiò
per il colpo, ma
l'istinto di difendersi (o, più probabilmente, di punirla
per il suo
affronto) lo portò a muovere velocemente il braccio alla
quale era
legata la lama e a colpirla sul viso.
Ocean
ne uscì con un semplice graffio obliquo che partiva dallo
zigomo e
arrivava fino al sopracciglio. Sarebbe bastato mezzo centimetro
più
a sinistra e il figlio di puttana l'avrebbe resa cieca dall'occhio
destro.
L'uomo
si sgranchì il collo, ridendo quasi soddisfatto.
<<
Sei combattiva, bellezza. >> disse come se la cosa gli
piacesse.
Ancora
disgusto.
Ocean
rimase con la testa leggermente reclinata, le sopracciglia aggrottate
e subito da sotto di esse sbucavano gli occhi: fissi e glaciali. Lo
stava sfidando.
Era
in una posizione di svantaggio, questo lo sapeva, ma l'orgoglio
urlava più della sua paura.
La
lama andò a poggiarsi sotto il suo mento e la costrinse ad
alzare la
testa. Sentiva il tocco freddo del metallo, ma non
rabbrividì.
Non
gli avrebbe più dato questa soddisfazione.
La
lama si spostò verso il basso, accarezzandole la pelle con
la sua
punta affilata, facendo ancora sentire il suo gelido tocco, e scese
fino al collo della sua camicia, contro cui premette, abbassandola
appena.
L'uomo
continuava a guardarla con lo stessa aria di sfida.
Avrebbe
vinto lui. Ovviamente. Ma il tutto stava nel "come" avrebbe
vinto.
Non
avrebbe pianto...nè urlato.
Stava
per dare il taglio netto, per aprirgliela con uno strappo,
denudandola per l'ennesima volta come avevano fatto altri prima di
lui. Ma la porta si aprì nuovamente, e il viso del ragazzo
brasiliano che l'aveva picchiata per primo fece capolino.
<<
Merle, vieni. Il Governatore vuole parlarti. >> disse.
Merle?!
Gli
occhi di Ocean si spalancarono a sentir pronunciare quel nome.
Merle.
Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta e l'ha lasciato
lì.
Recitò
una calda voce nella sua testa, così calda da sembrare un
dolce
ricordo. E forse lo era.
E'
vivo. Nei film dell'orrore gli stronzi sono sempre gli ultimi a
morire.
Scoppiò
a ridere.
Quanto
era stato fottutamente vero.
<<
Daryl!! Aspetta! >> lo richiamò Rick
seguendolo, quasi
rincorrendolo lungo il vialottolo che portava alle auto e alla sua
motocicletta, sopra la quale stava già salendo.
<<
Vado a cercarla. >> disse lui semplicemente. Non aveva
bisogno
di aggiungere altro, ne avevano già discusso.
<<
Hai sicuramente più probabilità di trovarla se
andiamo tutti
insieme! >> disse Rick ancora, riuscendo a raggiungerlo
<<
Glenn e Maggie sono stati catturati, c'è un'intera
città a
sorvegliarli, ho bisogno di te! >> disse ancora piantando
i
suoi occhi in quelli del balestriere.
<<
Ocean non era con loro, ma non è neanche tornata! Non
sappiamo cosa
le sia successo, domani potrebbe essere troppo tardi! >>
disse
Daryl, cercando di effettuare la stessa opera di convincimento dello
sceriffo.
<<
Lo so! Lo so! >> annuì << Anche
io non voglio perderla,
è una risorsa preziosa e una buona amica. Lo sai che voglio
anche io
ritrovarla! >>
<<
E allora lasciami andare. >> suonava più come
una minaccia che
come richiesta, ma tutto ciò che usciva dalla bocca di Daryl
poteva
sembrare una minaccia.
<<
Ascolta, cerca di ragionare. Non possiamo dividerci, i nostri amici
hanno bisogno di noi. >> guardò ancora Daryl,
il quale non
sembrava muoversi dalla sua decisione << Potrebbe essere
lì!
>> si illuminò Rick, facendo saltar fuori
un'ipotesi campata
per aria, forse assurda, ma non da scartare. << Magari li
ha
visti andar via e li ha seguiti. >> continuò
<< E non
puoi neanche scartare l'ipotesi che l'abbiano poi vista e presa.
>>
Daryl
negò con la testa, ma non parlò. Conosceva Ocean:
era sconsiderata,
ma solo con gli zombie. Lei aveva paura delle persone. Non si sarebbe
mai lanciata da sola nel salvataggio, ma non poteva scartare
l'ipotesi dell'inseguimento. Si era legata tanto in quei mesi a loro,
soprattutto a Maggie, oltre che Carol. C'era la possibilità
che Rick
avesse ragione. Ma se così non fosse stato?
<<
Abbiamo troppe poche braccia, lo sai. Non voglio rischiare di perdere
tutti e tre. Ho bisogno che vieni con me. >> insistette
Rick
notando la sua indecisione. Daryl lo guardò qualche secondo,
riflettendo e probabilmente lottando contro l'istinto di lasciar
perdere tutto e correre via.
Alla
fine sospirò << Deve sempre cacciarsi nei
guai. >>
brontolò incazzato e si alzò dalla sella della
sua moto <<
Spero tu abbia ragione. Ma se così non fosse, appena salvati
Glenn e
Maggie io vado a cercarla. Non aspetto domani. >>
<<
Se sarà così io verrò con te.
>> disse Rick mettendogli
amichevolmente una mano sulla spalla.
Era
grato di poter contare su un amico come Daryl, era un po' la sua arma
segreta. Sapeva che mai l'avrebbe tradito e questo lo rincuorava. Ma
quando si trattava di Ocean lui improvvisamente cedeva. L'aveva fatto
la sera che era tornato con Molly e tutte le volte che la ragazza era
finita in qualche pasticcio.
Voleva
bene a Ocean, e benchè fosse una gran pasticciona,
più volte era
stata il sospiro tra la vita e la morte. Più volte l'aveva
aiutato,
sostenuto e salvato. Era una delle braccia migliori che aveva,
un'amica fidata, al pari livello di Glenn e Maggie, e perderla
sarebbe stato un duro colpo.
Anche
perchè così avrebbe perso anche Daryl.
<<
Merle? >> la voce di Ocean smorzata dalla risata
bloccò i suoi
passi diretti alla porta << Tu sei Merle Dixon?
>> chiese
incredula, continuando a ridere come se le avessero appena raccontato
una divertentissima barzelletta.
Merle
si voltò, sempre col suo sorriso beffardo e disse
<< Ma allora
la parli la nostra lingua. >> disse quasi provocatorio.
Poi
pian piano il sorriso scomparve lasciando spazio a un'espressione
interrogativa << Conosci il mio nome? >>
Ocean
non rispose e continuò a ridere. Non lo stava prendendo in
giro o
provocando, trovava solo davvero esilarante la situazione. Tanto da
farle venire le lacrime agli occhi.
Torturata
e quasi uccisa (o forse peggio) dal fratello del ragazzo che la sera
prima l'aveva baciata. Dal fratello del ragazzo che al momento
considerava la cosa più importante che aveva.
Le
sembrava assurdo che quei due fossero fratelli, anche se forse il
tipo di stronzaggine sarebbe potuto essere un buon indicatore. Era
incredibile come il destino avesse voluto giocare così tanto
con
lei. E ora poteva capire anche perchè lui conoscesse Maggie
e Glenn.
Merle
le afferrò il viso, costringendola a guardarlo
<< Ehy! >>
disse con tono minaccioso << Fai ridere anche me!
>>
Ocean
lo guardò, non temendolo più. Non che ora fosse
meno pericoloso, ma
quella situazione le sembrava tutta un'assurda candid camera: aveva
perso di credibilità.
<<
Sai... >> cominciò lei, interrompendosi ogni
tanto con dei
risolini, rimasugli della precedente ilarità
<< ...Stavo
pensando a cosa dirà Daryl quando gli racconterò
questa storia. >>
La
maschera da cattivo ragazzo cadde improvvisamente quando Merle
sentì
pronunciare il nome di suo fratello, e in lui rimase solo stupore e
confusione << Tu conosci mio fratello? >>
chiese
trattenendo il respiro. Era palese il suo desiderio di ritrovarlo.
Ocean
rimase in silenzio qualche secondo, assaporando il rovescio della
medaglia: ora era lei quella con il coltello dalla parte del manico.
O almeno così credeva e sperava.
Guardò
la porta e disse << E' un figlio di puttana. Sicuramente
a
quest'ora è già fuori dalle mura della vostra
città che starà
aspettando il momento migliore per entrare e venire a prendermi.
>>
assunse un'espressione quasi infastidita, ma era palese che stesse
solo giocando << Deve sempre impicciarsi quel ragazzo,
non
riesce proprio a non correre in aiuto delle persone, anche se nessuno
gli ha chiesto niente. Incredibile che siate fratelli, non vi
somigliate affatto. >> concluse guardando Merle
raddrizzarsi e
riprendere una certa dignità, dopo aver messo da parte lo
stupore e
probabilmente la gioia di avere modo di avere qualche informazione in
più. Glenn e Maggie non volevano parlare, ma forse quella
ragazza....forse a lei sarebbe riuscito a strappare qualcosa.
Lanciò
uno sbuffo rivolto alla sua frase e disse, quasi con provocazione
<<
Non riesce a non correre in aiuto delle persone... tranne quando si
tratta di suo fratello. >> brontolò,
voltandosi e ritornando a
guardare la porta. Il Governatore voleva parlargli, avrebbe ripreso
la chiacchierata con la ragazza più tardi.
<<
Lui è venuto a cercarti! >> l'urlo improvviso,
colmo di così
tanta rabbia, lo sorprese di nuovo e di nuovo lo costrinse a
bloccarsi.
Ridacchiò
mentre si voltava a guardarla << Ma quanto siamo
incazzati! Ti
ho offeso in qualche modo, principessa? >> rise ancora
guardandola di traverso, prendendosi gioco di lei.
Ocean
non rispose. Si era esposta troppo. Serrò la
mascellà e continuò a
fulminarlo con gli occhi. Eppure, benchè cercasse di
divincolarsi,
di uscire da quel casino, di evitare lui approfondisse troppo, furono
proprio i suoi occhi incazzati a tradirla e a dare a Merle una
risposta, che non riuscì a trattenere le risate, divertito.
<<
Lui ti piace! >> rise ancora nel vedere i suoi occhi
furiosi
scappare via << Ci ho preso in pieno, non è
vero? >>
Nè
Ocean nè Merle avevano aggiunto altro. A lui per il momento
erano
bastate quelle poche informazioni. Sapeva che la ragazza poteva
guidarlo da suo fratello, e sapeva, cosa più importante,
qual'era il
suo punto debole: sempre suo fratello. Era bastato accennare a un suo
piccolo errore, anche se non era proprio classificabile come tale,
per mandarla su tutte le furie. Non sarebbe stato difficile usare
quell'arma: conosceva abbastanza Daryl da poterlo infangare quanto
bastava per farla scoppiare. Ma avrebbe rimandato. Aveva cose
importanti da discutere con il Governatore.
E
Ocean rimase per la prima volta sola in quel luogo puzzolente.
Approfittò
della solitudine per cercare di trovare il modo di liberarsi. Ma fu
tutto inutile: quei bastardi sapevano fare i nodi. Più si
dimenava e
più caviglie e polsi bruciavano.
<<
Maledizione. >> bisbigliò dopo l'ennesimo
tentativo
fallimentare.
Quel
luogo non le piaceva. Era troppo silenzioso...lasciava parlare troppo
il suo cuore.
Pensò
a Glenn e Maggie. Dio solo sapeva quanto si sentiva in colpa.
Li
aveva abbandonati. Avrebbe dovuto aiutarli, correre in loro soccorso,
erano i suoi amici! Perchè era stata così egoista?
Pregò,
nonostante non credesse in Dio. Pregò che Rick in qualche
modo, in
qualsiasi modo, fosse venuto a sapere della situazione. Che riuscisse
a scoprire quella città e andasse a salvarli. Di lei quasi
non le
importava più, sperava solo che Glenn e Maggie si fossero
salvati.
Lei probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di fare ritorno dopo
un tradimento simile.
O
forse sì...
Molly
la stava aspettando. Perchè non aveva pensato a lei? Le
aveva
chiesto un libro. Voleva che glielo leggesse la sera.
Herhsel
aveva ragione.
Era
stato di nuovo colpa del suo passato. Non li aveva lasciati andare, e
quel suo morboso attaccamento a ciò che era stato aveva
portato alla
rovina di tutti.
E
Daryl...
Sorrise
amaramente.
Già
sentiva la mancanza di quegli occhi sempre così affilati da
risultare fastidiosi. Eppure non riusciva proprio a non volergli
bene.
Avrebbe
voluto pregare anche per lui, affinchè la ritrovasse e la
riportasse
a casa, come aveva sempre fatto. Il suo eroe personale. Lui con la
sua sindrome, aveva fatto ammalare anche lei di una malattia che
poteva essere chiamata "la sindrome della vittima". Era
incredibile il numero di volte che si era cacciata nei guai e che
aveva voltato gli occhi per cercarlo, per vederlo arrivare e ancora
una volta portarla via.
<<
Che idiota. >> sussurrò lasciandosi scappare
un alro sorriso.
Senza
rendersene conto aveva recitato la parte fastidiosa della donzella in
pericolo che aspetta il principe azzurro. Eppure era stata lei stessa
a vantarsi che nei tempi moderni erano le principesse che arrivavano
a cavallo.
Era
stata Alice.
Era
sempre stata lei quella piagnucolona che aspetta l'arrivo del
principe a cavallo. E Daryl, a furia di chiamarla così,
l'aveva
riesumata. No, era inutile dare la colpa agli altri. Era solo stata
colpa sua. Lei era fatta così. Daryl era diventato il
pilastro su
cui poggiare, sostituendo in qualche modo il vecchio gentile e sempre
presente Manuele. Il suo migliore amico.
No.
Ancora una volta si era sbagliata.
Lui
non era Manuele.
Manuele
l'aveva abbandonata.
Daryl
l'aveva ritrovata.
La
porta si aprì nuovamente. Quanto tempo era passato? Dentro
quello
scatolotto tutto era così confuso. Il tempo era
così strano,
sembrava non passare mai.
Alzò
la testa, puntando gli occhi all'ombra che si stava avvicinando. Si
era addormentata. Il dolore e la stanchezza le avevano annebbiato la
mente.
Ma
quando riconobbe l'ombra che le stava andando incontro qualcosa
scattò nuovamente in lei. E tornò ad essere
l'egoista legata al
passato che era stata un tempo.
L'uomo
vestito elegante si richiuse la porta alle spalle e si
poggiò al
tavolino lì vicino, guardando la ragazza.
<<
Allora... >> cominciò lui. Risentire dopo
così tanto tempo
quella voce la fece sussultare. << ...Perchè
hai ucciso il
povero Mickey? Aveva una figlia, lo sai? >> disse e se
Ocean
non si fosse trovata legata a una sedia, piena di lividi, un graffio
in faccia e tanti brutti ricordi, sicuramente si sarebbe sentita in
colpa per quanto fatto.
Non
rispose.
<<
Sei tornata al silenzio? >>
<<
Tu sarai il prossimo. >> disse lei questa volta.
L'affermazione
fece assumere al Governatore un'espressione sorpresa e incredula. Lei
in quelle condizioni credeva di poter fare minacce?
<<
Ci conosciamo? >> chiese poi lui inclinando la testa e
guardandola interrogativo << No, perchè non mi
ricordo di te.
Eppure da come ti comporti sembra che tu invece conosca noi.
>>
La
rabbia di Ocean sembrò cadere nel vuoto. Non si ricordava?
Incredibile come la cosa la lasciasse delusa. Un anno intero a
sognare vendetta contro un uomo che nemmeno ricordava lei e quello
che le aveva fatto. Così insignificante.
<<
La fattoria vicino ad Atlanta. >> disse lei
semplicemente,
sperando che questo bastasse a destarlo. Era ridicolo. Era stato
qualcosa di così importante per lei che vedere
l'indifferenza negli
occhi di quell'uomo la facevano sentire quasi stupida. Una bambina
che insegue le ombre.
L'uomo
corrucciò la fronte << Non ricordo di nessuna
fattoria. >>
<<
Tu li hai uccisi! Non puoi non ricordare! Sei stato tu e il tuo
gruppo di stronzi! Avete sparato a tavolino contro i miei compagni!
>> inevitabilemente una lacrima era scesa nell'urlargli
contro.
Era così doloroso ricordare, così doloroso avere
davanti l'uomo che
aveva dato inizio a tutto e vederlo così indifferente della
cosa,
tanto da non ricordarsi nemmeno.
Il
Governatore negò, senza aggiungere altro, assumendo
l'espressione di
uno che può addirittura dispiacersi della cosa.
<<
Mickey era lì quel giorno? Per questo l'hai ucciso? E ora
vuoi
uccidere anche me per lo stesso motivo? >> chiese
conferma il
Governatore.
Ma
Ocean voltò lo sguardo e non rispose ancora.
Non
voleva più saperne.
Aveva
inseguito la vendetta come un'eroina di cui si sarebbe poi potuto
scrivere un racconto. Ma chi l'avrebbe scritto se lei era l'unica a
ricordare? E che soddisfazione avrebbe avuto dalla cosa se quell'uomo
non aveva la consapevolezza del suo errore? Lei era un
folle come tante. Nessun epica battaglia contro il male. E questo
fece inevitabilmente cadere anche il suo dolore in una vasca di
stupidità.
<<
Sai, non mi interessava troppo di Mickey. >>
cominciò a
parlare ancora lui, avvicinandosi lentamente alla ragazza con le mani
nelle tasche << E nemmeno dell'altro uomo che hai
lasciato
morire sulla porta sul retro. Tu invece sembri una ragazza forte: sei
arrivata sola fin qui, entrando senza farti vedere e se non fosse
stato per un sciocco errore forse a quest'ora saresti riuscita a
portare a termine la tua vendetta. Sei in gamba. >>
Chi
diavolo era lui? Il polizotto buono? Non avrebbe ceduto neanche a
lui, qualsiasi cosa volessero. E tanto meno avrebbe accettato quei
complimenti avvelenati.
Il
Governatore si chianò in avanti, poggiando le mani ai
braccioli
della sedia e avvicinando il suo viso a quello della ragazza, per
costringerla a guardarlo negli occhi.
<<
Ho chiesto ai miei ragazzi di lasciarti in vita perchè,
chissà,
magari ci saremmo potuti accordare e saresti potuta diventare una dei
nostri. >>
Ocean
sbruffò. Erano solo stronzate.
<<
Ma le cose sono andate un po' diversamente. >>
continuò lui.
Che
caso pensò sarcastica Ocean.
<<
Tu conosci il fratello di Merle, non è così?
>> e questa
volta riuscì ad avere la sua attenzione. Il Governatore
tornò a
sollevarsi, si avvicinò al tavolino e afferrò la
mazza da baseball
lasciata lì da prima.
La
paura tornò ad impossessarsi di lei.
<<
La situazione si è un po' complicata e...vedi... ti dico
solo che
non è nei miei interessi attualmente far tornare Merle da
lui. >>
Si
rigirò la mazza tra le mani e si riavvicinò a lei
<< Trauma
cranico. Potrebbe essere stato qualunque dei miei ragazzi durante gli
interrogatori precedenti. Certi effetti si vedono sempre dopo.
>>
disse e sembrò addirittura convincente. Quella sarebbe stata
la
scusa con cui avrebbe giustificato la sua morte: non voleva che i
sospetti fossero ricaduti su di lui.
Alzò
le spalle << Mi dispiace. >> disse, anche
se non era per
niente credibile.
Il
suo braccio si sollevò...e tutto divenne nero.
<<
Daryl! Di qua!! >> lo richiamò Rick
impanicato. La serata si
era scaldata troppo. Il salvataggio di Glenn e Maggie si era rivelato
un doppio salvataggio dopo che Daryl stesso, rimasto indietro per
coprirli le spalle, si era fatto prendere, probabilmente di
proposito, e si era ritrovato in un arena a combattere contro il suo
stesso fratello. Glenn era in condizioni pietosi, Maggie
terrorizzata, ma per fortuna vivi. Li avevano portati fuori e poi
erano tornati dentro per Daryl. I fumogeni avevano aiutato molto la
loro fuga tra i proiettili, e le urla della gente intorno copriva le
proprie nel tentativo di scappare, rendendoli più o meno
invisibili.
Avevano
quasi raggiunto l'uscita quando Daryl, aprofittando di aver lasciato
indietro i loro inseguitori, inchiodò e fermò
Rick per un braccio,
obbligando anche gli altri compagni a fermarsi << Non
posso
andarmene! >> disse, senza aggiungere altro.
<<
Daryl, non è il momento! >> disse Rick. Si
leggeva paura e
preoccupazione nei suoi occhi. Al momento la fuga era la cosa di cui
avevano più bisogno.
<<
Lei potrebbe essere qui, non lo sappiamo ancora! E se sanno che fa
parte del nostro gruppo potrebbero ucciderla! >>
insistette lui
<< Non posso abbandonarla! >>
Merle
rimase in silenzio, ascoltando le sue parole, ma soprattutto leggendo
i suoi occhi. Capì di chi parlava. E conosceva suo fratello:
non
l'avrebbero dissuaso facilmente. La ragazza doveva essere davvero
importante per lui per indurlo a comportarsi in quel modo.
Assistette
al piccolo litigio in disparte, ma sentiva i passi dei loro
inseguitori alle spalle.
<<
Non c'era nessun altro qui. >> disse infine
<< Avevamo
solo Glenn e la figlia del fattore come ostaggi. >>
<<
Visto? Non è qui! La cercheremo, ora però
dobbiamo andarcene! >>
insistè Rick, approfittando della confessione di Merle,
anche se lui
stesso non si fidava. Daryl titubò un attimo, non pienamente
convinto, ma una sciocca voce dentro lui lo convinse ad ascoltare suo
fratello.
Fuggirono
via.
Merle
lanciò un ultimo sguardo al casolare in lamina che si
intravedeva
appena da dove erano loro. Quel casolare che aveva mentito nel
suggerire fosse vuoto.
Poi
sollecitato dagli spari seguì il gruppo.
E
se ne andò.
N.D.A
Salveeeeeeeee
:D
Allora, confessatelo..quanto odiate Merle? u.u ahahahh
E
quindi ecco scoperto chi era Mickey (nome stupido, lo so XP) e
soprattutto il suo ruolo: chi si ricorda il capitolo "Genesi"
saprà della storia del gruppo di Ocean. Erano stati
ammazzati tutti
alla fattoria "da un uomo e la sua banda". Ecco l'uomo e la
sua banda u.u il Governatore *musica ad effetto* e ovviamente Mickey
era con loro.
Le
due frasi che Ocean ricorda (Merle.
Rick l'ha ammanettato su un tetto di Atlanta e l'ha lasciato
lì. E' vivo. Nei film dell'orrore
gli stronzi sono sempre gli ultimi a morire.) fanno
parte di un dialogo avvenuto in precedenza (per chi non ricordasse)
tra lei e Daryl. La loro prima confessione davanti al fuoco (capitolo
"Rendez-Vouis").
E
infineeeee....Eclissi. Perchè Eclissi? No, non è
una citazione a
Twilight, mi dispiace u.u
*parte
musica di Quark* letteralmente: "L'eclissi
è un evento astronomico che avviene quando un corpo celeste
(Merle),
come un pianeta o un satellite, si interpone tra una sorgente di luce
(Daryl) e un altro corpo (Ocean)".
Quindi Merle che si mette tra Daryl e Ocean, impedendo al primo di
raggiungerla, è un ""eclissi"".
Bene. Fine
delle spiegazioni xD
Concludo ringraziando le ragazze che hanno
recensito il capitolo precedente *-* Clary2010, Diosmira, E25weasley,
Anmami e CrazY_09 grazie tante! E un ringraziamento speciale a
Sarawawa che mai mi abbandona.
(Mamma mia, oh, manco mi avessero
dato l'Oscar xD quante sceneggiate ahahahah)
Ri-saluto
tutti :3
Ciaoooooooooooo
Ray.
|
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Capitolo 27 *** Ritorno. ***
Ritorno.
La
testa era così pesante. Un macigno di cui si sarebbe
liberata
volentieri.
Era
tutto buio. Dov'era? Era morta? Non riusciva a ricordare niente. Si
sentiva confusa e disorientata come un bambino appena nato. Ma non
era poi così male. C'era calma, silenzio.
Poi
una figura si stagliò dalla penombra. Evanescente.
Allora
era morta davvero.
Stava
bene. Non soffriva più.
Il
viso di Manuele la guardava sorridendo, colmo di pietà e
dispiacere.
Era
così strano, così poco definito.
<<
Alice. >> la chiamò. La sua voce si perse
nell'aria, arrivando
ovattata e lontana alle sue orecchie, un eco coperto dalle foglie
degli alberi.
Un
delicato tocco gli sfiorò la guancia. Non aveva percezione
del suo
corpo, ma sentì improvvisamente la guancia scaldarsi. Era
così
dolce.
<<
Perchè l'hai fatto? >> chiese ancora Manuele,
rimproverandola.
Il suo sguardo era severo. Già...perchè? Aveva
promesso si sarebbe
liberata per sempre del suo passato. Aveva cominciato una nuova vita.
E invece c'era ricaduta, mettendo a rischio la sua vita e quella dei
suoi amici.
Manuele
e il resto dei suoi compagni ora stavano bene. Se la morte era
così
dolce allora non aveva niente da rimpiangere. Loro stavano bene,
perchè aveva voluto a tutti i costi riesumarli, tenerli
stretti a sè
in un mondo misero come il suo?
<<
Mi dispiace. >> mugugnò, sincera nella sua
colpa.
Manuele
sorrise intenerito e prima di scomparire aggiunse << Va
tutto
bene. Ora andiamo a casa. >>. Si sentì
improvvisamente
leggera.
Sorrise.
Casa...
E
tutto tornò buio.
Neanche
si era chiesta perchè avessero conversato in inglese.
Merle
si guardò attorno. Daryl dietro di lui aveva la balestra
puntata
davanti a sè e osservava tutto ciò che poteva
apparire
improvvisamente dalle ombre della notte, pronto a difendere le spalle
di suo fratello.
<<
Aspetta. >> gli aveva detto poco prima, sulla porta
d'uscita.
Stava già negando con la testa, incredulo lui stesso di
quello che
stava per fare << Seguimi, fratellino. Ti porto dalla tua
fidanzatina. >> aveva sibilato con il suo solito tono
malizioso
e provocatorio. Ma era sincero. E ora erano lì, davanti a un
casolare in lamina, stranamente soli. Forse perchè tutti gli
altri
erano presi a inseguire dei fantasmi che erano già usciti
dalla
porta d'ingresso. Rick e gli altri avevano detto li avrebbero
aspettati fuori, lì dove li avevano lasciati, ma si erano
raccomandati di sbrigarsi. Non avevano insistito oltre nel
convincerli ad andar via, sapevano sarebbe stato inutile. Se Ocean si
trovava veramente lì, nessuno avrebbe potuto fermarlo.
Merle
spalancò la porta e Daryl si sbrigò a guardare
all'interno,
lasciando la sua postazione di palo. Il cuore perse un battito quando
la vide abbandonata sulla sedia, la testa reclinata in avanti che
perdeva sangue da un punto vicino all'orecchio e le impiastricciava
tutti i capelli.
Aveva
spostato malamente suo fratello ed era corso da lei.
<<
Alice! >> l'aveva chiamata preoccupato. L e
posò una mano
sulla guancia, sollevandole il viso per poter controllare che fosse
ancora viva. Era conciata da schifo, ma riusciva chiaramente a
sentire il fiato uscirle dalle labbra screpolate. Prese il suo
coltello e le tagliò lo scotch che la teneva legata. Era
furioso.
Cosa diavolo aveva combinato?! Perchè doveva essere sempre
così
folle e non ragionare?!
<<
Perchè l'hai fatto? >> si lasciò
sfuggire severo mentre
cercava di liberarle i polsi.
Un
sospiro era uscito dalle labbra della ragazza, flebile, ma distinto
nel suo sincero rammarico << Mi dispiace. >>
Finì
di liberarle i piedi e le diede un'ultima carezza sul viso,
scostandole i capelli appiccicosi, lasciando libero il suo volto
così
beato che sembrava stesse dormendo. Era dolce, ma la cosa lo
preoccupava ancora di più. La stava perdendo.
Sospirò e strinse i
suoi capelli tra le dita. Avrebbe voluto urlarle ogni titpo di
accidente, avrebbe voluto prenderla a pugni tanto era arrabbiato con
lei, ma vederla così, sull'orlo della morte, lo riempiva
solo di
dolore e angoscia.
<<
Va tutto bene. >> cercò di rassicurarla. Era
sinceramente
addolorata per quanto successo, non c'era bisogno di infierire ancora
di più. Aveva solo bisogno di rilassarsi, riprendersi e non
lasciarsi andare. Non doveva lasciarlo andare.
<<
Ora andiamo a casa. >> disse prendendola in braccio e
avviandosi verso l'uscita.
<<
Sbrigati, fratellino. >> lo incalzò Merle
guardandosi le
spalle. Sentiva le voci della gente avvicinarsi, era pericoloso
restare lì, dovevano andarsene quanto prima.
<<
Merle, la spada. Prendi la sua spada. >> disse Daryl
prima di
uscire dalla porta che il fratello teneva spalancata per lui.
Merle
guardò il tavolino lì vicino, afferrò
le armi della ragazza e
seguì suo fratello verso l'uscita.
Rick
sbucò con la testa dal varco nella muraglia che gli aveva
concesso
di entrare e quando li vide arrivare li incalzò
<< Sbrigatevi,
forza! >> disse guardandosi attorno.
Erano
fuori da quell'incubo finalmente.
Il
buio cominciò a dissiparsi. E al contrario di esso il dolore
tornò
a farsi sentire, prepotente nel suo martellare. Sentì
però un tocco
fresco e delicato sulla fronte. Le diede sollievo per un breve
istante e tornò a rilassarsi. Aveva il fiato corto.
Tentò di aprire
gli occhi, lottando contro la luce che sembrava acceccante.
Vide
sopra di lei, con un sorriso intenerito, un volto familiare. Le stava
accarezzando la fronte. Era lei a dar sollievo.
<<
Carol? >> domandò prima di sorridere
<< Allora sono
veramente morta. >> disse quasi con sollievo.
Carol
sorrise ancora e pian piano prese ad avere lineamenti più
decisi:
non era più solo un'ombra sfocata.
<<
No, tesoro. Non sei morta. >> le disse dolcemente. Ocean
ci
mise un po' a metabolizzare l'informazione e aprì di nuovo
gli
occhi, questa volta chiedendo a loro uno sforzo in più. Non
era
morta?
Si
guardò attorno e riconobbe la cella della prigione. Si
sollevò su
un gomito, aiutata dalla donna
<<
Fai piano. >> le disse Carol preoccupata.
Deglutì.
Era veramente alla prigione.
Max
dormiva sul letto, ai suoi piedi, ma quando la sentì
muoversi alzò
la testa, guardandola e scodinzolando. Sentì delle voci
provenire
da fuori della sua cella: Hershel, Molly e Beth. Forse anche Carl.
C'erano tutti.
Non
era morta.
Si
voltò verso Carol e sentì un nodo stringerle la
gola. Carol era con
lei! Era viva!
<<
Oh mio Dio. >> le uscì in un sussurro prima di
lanciarsi al
collo della donna, abbracciandola. Carol ricambiò la presa
ferrea ed
entrambe non resistettero e lasciarono cadere incessanti le lacrime.
<<
Sei viva! >> piagnucolò Ocean stringendo la
sua camicetta tra
le dita << Come...com'è possibile?
>> le chiese ancora
separandosi da lei e guardandola in viso. Era stato uno dei risvegli
più belli che avesse mai avuto. Si era disperata
così tanto quando
aveva saputo che l'aveva lasciata, e invece eccola lì.
Meraviglioso
regalo.
<<
Mi ero rifugiata in uno sgabuzzino. Daryl mi ha trovata.
>>
pianse anche lei.
<<
Grazie al cielo. >> si lasciò sfuggire
abbracciandola di
nuovo, intenzionata a non lasciarla andare tanto facilmente.
<<
E Glenn? Maggie? >> chiese ancora Ocean preoccupandosi e
tornando ad avere paura.
<<
Stanno bene. Rick vi ha portato tutti e tre in salvo. >>
spiegò
ancora Carol. Ocean si lasciò cadere sul letto,
rilassandosi. La
gioia esplose in lei. Stavano bene! Quella brutta avventura era
finita!
<<
Sia lodato lo sceriffo. >> disse ridendo e la donna
accanto a
sè le fece compagnia.
Ocean
rimase nel letto a lungo, riposando, cercando di recuperare le forze.
Ogni tanto qualcuno andava a trovarla: Molly, Maggie,
Hershel...soprattutto Hershel. Rimase in convalescenza qualche ora,
tra pisolini, saluti, scherzi e chiacchiere. Le dissero che erano
riusciti a trovare e recuperare anche Peggy. Era spaventata, ma viva,
per fortuna. Nessuno le chiese perchè avesse fatto quel
gesto
sconsiderato. E la cosa la rincuorò. Ma c'era una persona
che in
tutto quello le mancava: una persona ancora non era andato a trovarla
e la cosa la rattristò.
Così,
in un momento in cui Carol era di nuovo lì a cambiarle le
bende
prese il coraggio a due mani e domandò <<
Perchè Daryl non è
ancora venuto? E' arrabbiato con me? >> era questo che
temeva.
Conosceva Daryl e non era difficile che fosse arrivato a tanto.
Sapeva quanto detestava i suoi gesti sconsiderati, quanto si
arrabbiava quando faceva qualcosa di non ragionato ma mossa
dall'istinto. Era facile che non fosse andato da lei per rabbia. E la
cosa le metteva tristezza: le mancava. Voleva parlargli, voleva
dirgli che aveva trovato suo fratello, voleva poterlo riabbracciare.
Riaperti gli occhi era stata la prima cosa che avrebbe voluto vedere,
e invece, dopo ore, ancora non aveva sentito neanche la sua voce
echeggiare nella prigione.
Carol
abbassò lo sguardo imbarazzato e non rispose.
<<
Tra poco sarai di nuovo in grado di rimetterti in piedi.
>>
disse cercando di cambiare argomento.
Ma
mentire era una cosa che non le riusciva molto bene. Ocean si
accigliò e si tirò a sedere, fissandola
intensamente <<
Carol. Ti ho fatto una domanda. >> le disse severa. Era
successo qualcosa. Ne era sicura! Carol non si sarebbe comportata
così, altrimenti.
<<
Non dovresti alzarti, non ancora. >> disse lei
preoccupata
cercando di farla ristendere.
<<
Non ho bisogno di stendermi! >> urlò Ocean,
lasciandosi
scappare la rabbia. Non ce l'aveva con lei, era solamente
terrorizzata. Perchè non voleva dirle di Daryl?!
Perchè cambiava
argomento? Perchè quegli occhi così imbarazzati e
rammaricati? Cosa
gli era successo?
Una
piccola idea fece capolino nella sua mente, ma Ocean la
cacciò
subito via.
Non
voleva crederci, non l'avrebbe mai fatto!
Daryl
non poteva essere morto. Era inconcepibile.
<<
Ti prego, calmati. Non dovresti agitarti. >>
cercò di gestire
la situazione Carol, portando le mani davanti a sè. Vedeva
il buio
negli occhi della ragazza, era accecata dalla follia.
<<
Non dirmi che non devo agitarmi! Sei tu che mi fai agitare, dimmi
dove cazzo è Daryl! >> urlò
così tanto che il riverbero
della sua voce rimase nell'aria della prigione a lungo.
Sentì le
voci al piano di sotto ammutolirsi, probabilmente scosse e
preoccupate per quel litigio. Beth con la bimba in braccio fece
capolino alla sua cella, guardandola preoccupata e dispiaciuta, poi
silenziosa come era arrivata si allontanò.
<<
Sta bene! >> si affrettò a dire Carol, vedendo
il volto
disperato dell'amica e il suo petto che si allargava e si stringeva,
sotto il peso del respiro, troppo velocemente.
Ocean
parve calmarsi. Continuò a restare agitata, ma almeno la
furia
l'aveva abbandonata. Deglutì e si rese conto solo ora di
quanto
stava tremando. Continuò a fissare Carol, in attesa che le
dicesse
di più, e quella sua insistenza convinse la donna a sputare
il
rospo.
<<
Lui...lui se n'è andato. >>
Il
mondo parve crollarle addosso. Sentì le spalle
improvvisamente
pesanti e per poco non cadde a terra, sotto il peso di quell'assurda
quanto dolorosa verità.
<<
Cosa? >> chiese incredula.
Non
poteva essersene andato. Non poteva! Lui non si sarebbe mai
dimenticato di lei. Non l'avrebbe mai abbandonata. Non era quel tipo
di persona, lui le voleva bene ed era forte. Non voleva crederci. Non
poteva crederci! Era assurdo.
<<
Ha ritrovato Merle, suo fratello. Ed è voluto restare con
lui. >>
continuò a spiegare Carol. La cosa cominciava ad avere
senso, almeno
non era stato perchè aveva voluto mollare tutto,
abbandonando i suoi
cari. Era per suo fratello. Sapeva quanto Daryl tenesse a lui, anche
se non ne parlava mai. Glielo si leggeva negli occhi, e le volte che
Ocean gli aveva chiesto di parlarne lui aveva sempre detto poco per
poi lasciar cadere la cosa, mosso troppo dal dolore. Si
calmò un
po'. La cosa aveva senso. Non l'aveva abbandonata, aveva solo seguito
il suo cuore.
<<
E' rimasto a Woodbury? >> chiese ancora col fiato corto.
Avrebbe potuto perdonarlo, non era arrabbiata con lui, lo
comprendeva, ma questo voleva dire che non solo non l'avrebbe
più
rivisto, ma probabilmente se lo sarebbe ritrovato contro in un
eventuale scontro. Si era unito a chi le aveva distrutto la vita.
Era
tutto così doloroso.
Sentiva
la gola serrarsi. Lo voleva accanto a sè. Le mancava l'aria.
Era
diventato così essenziale per lei, così di vitale
importanza.
<<
No. Merle è stato cacciato da Woodbury. Sono soli
là fuori. >>
spiegò ancora Carol e Ocean aggrottò le
sopracciglia. Era felice,
certo, che non era diventato suo nemico, ma...qualcosa non quadrava.
<<
Perchè non sono venuti con noi? >> chiese non
capendo. Se
Merle non era più legato al Governatore, perchè
non erano tornati a
casa con loro? Perchè preferire restare soli, là
fuori, in
pericolo, piuttosto che tornare a casa, con la propria famiglia e al
sicuro dietro delle mura così solide?
<<
Merle è uno stronzo. >> disse Carol con
imbarazzo <<
Nessuno lo voleva qui. >>
La
rabbia tornò a impossessarsi di lei. Che razza di
motivazione era?
<<
Avete mandato via Daryl per un capriccio del genere? >>
chiese
indignata.
<<
Stai calma, ti prego! E' un uomo pericoloso! Guarda cosa ti ha fatto!
>> disse indicandola, indicando le sue ferite.
<<
Io sarei stata disposta a uccidere degli innocenti se Rick me lo
avesse ordinato! >> disse ancora Ocean alzando nuovamente
il
tono della voce. Trovava plausibile che Merle si fosse comportato in
quel modo: in fondo lei era balenata in casa loro ammazzando senza
pietà i loro amici, era ovvio che sollecitato dal
Governatore lui
l'avesse ridotta così. Non era arrabbiata con lui. Carol non
rispose
subito, probabilmente preoccupata più di riuscire a
tranquillizzarla
che a dirle la verità, ma non sapendo più come
fare. Era fuori di
sè e la capiva. Per questo aveva aspettato tanto per
parlarle di
Daryl, avrebbe voluto che prima si fosse rimessa. Speranza vana.
Ocean
si tolse il lenzuolo di dosso e si tirò velocemente a
sedere. Non
c'era ferita e dolore che tenesse, lei lì non ci sarebbe
rimasta un
minuto di più. Doveva vedere Rick, parlarne con lui, era il
capo,
sicuramente aveva avuto l'ultima parola in quella folle decisione.
<<
Ocean, ti prego. >> cercò ancora di tamponare
Carol, vedendo
la sua amica alzarsi e infilarsi gli stivali. Aveva dolori ovunque,
ma era in grado di camminare, e la rabbia la portava a farlo anche
abbastanza rapidamente. Senza dar altro tempo a Carol di dire o fare
qualcosa era fuori dalla cella.
Passò
davanti agli altri suoi compagni, sparpagliati per la prigione, ma
nessuno disse niente. Era bastato sentire le sue urla per capire che
forse era meglio starsene fuori e lasciarla andare. Chi avrebbe
potuto consolarla?
Spalancò
la porta della prigione con tanta foga da farla sbattere contro il
muro dietro e si diresse verso l'uscita, afferrando velocemente la
sua spada poggiata lì sul tavolo. Non che avese cattive
intenzioni,
ma odiava girare disarmata. Sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa.
Non aveva visto Rick lì, probabilmente era fuori nel cortile
e lì
era diretta. Carol la inseguì per un po', non sapendo bene
cosa
dire, poi si arrese e la lasciò andare.
Rick
era fuori dalla recinzione, appoggiato alla rete come uno degli
zombie e davanti a lui, dall'altro lato, c'era Hershel. I due stavano
parlando, ma quando la videro arrivare col passo spedito, la mano
sull'elsa della spada e gli occhi infuriati, tacerono.
<<
Tu l'hai mandato via! >> urlò ben prima di
raggiungerli.
Herhsel si fece avanti e provò a fermarla, per convincerla a
lasciarlo stare. Era così arrabbiata che nemmeno aveva visto
il
sudore sulla fronte dell'uomo, gli occhi disperati e sperduti di chi
cerca fantasmi tra gli alberi. Non c'era niente! Non in quel momento.
Rick
non rispose subito, forse cercando di capire di chi stesse parlando,
e comunque non proprio nelle condizioni di litigare. Stava cercando
Lori, l'aveva vista. Lei era lì! Doveva trovarla.
<<
Perchè l'hai mandato via, sei impazzito? >>
gridò ancora
arrivandogli di fronte e sbattendo le mani aperte contro la rete per
sfogare la rabbia.
<<
E' stata una sua scelta. >> disse Rick, cercando di darle
ascolto e corda, anche se non riusciva a smettere di pensare alla sua
Lori.
<<
No, è stata una tua scelta! >>
continuò a urlare Ocean.
<<
Lui voleva restare con Merle.... >> cominciò a
spiegare Rick,
ma Ocean lo interruppe << Certo che voleva stare con
Merle! E'
naturale, è suo fratello! Cosa credevi? Che l'avrebbe
lasciato a
morire? >>
<<
Non l'ho mandato via io. >> si giustificò
ancora lo sceriffo.
<<
Perchè non li hai fatti venire con noi? >>
chiese Ocean
urlandogli letteralmente in faccia.
<<
Merle non può stare qui. >> rispose Rick con
la tranquillità
di chi al momento ha ben altro a cui pensare, continuando ogni tanto
a voltare lo sguardo per guardarsi attorno.
<<
L'avremmo potuto chiudere in una cella! L'avremmo potuto legare, far
tener d'occhio da Max, tenerlo fuori! Qualsiasi cosa! >>
<<
Come puoi dire questo, dopo quello che ti ha fatto? >>
chiese
ancora Rick, indignandosi appena di fronte a tutto quell'astio
gratuito.
Una
lampadina si accese nella mente di Ocean << Come avete
fatto a
trovarmi? >> chiese provocatoria. Rick non rispose.
<<
Avanti! Dimmelo! Come avete fatto a trovarmi? Solo lui sapeva
dov'ero! Nessuno di voi sapeva che ero lì. Avanti, Rick.
Rispondimi.
Come avete fatto a trovarmi? >> i suoi occhi puntati in
quelli
dello sceriffo avrebbero potuto ucciderlo, se ne avessero avuto la
capacità. Come poteva anche solo aver pensato di mandar via
Daryl
solo perchè suo fratello sarebbe potuto essere pericoloso,
cosa a
cui lei non credeva neanche molto. Non erano disposti a sacrificarsi
un po', prendendo qualche precauzione? Erano dovuti arrivare a tanto?
A rinunciare a così tanto? Possibile che solo lei avesse a
cuore
Daryl?
<<
E' stato Merle. >> bofonchiò Rick imbarazzato,
abbassando gli
occhi, capendo dove Ocean voleva arrivare << Ci ha
indicato lui
dove trovarti. >>
Ocean
assunse uno sguardo soddisfatto ma ancora provocatorio, uno sguardo
che urlava "Visto?! Il tuo pericoloso criminale mi ha salvato la
vita".
<<
Esatto. >> concluse lei inviperita << E'
stato Merle. >>
e si allontanò rapida come era arrivata.
Rick
tornò ad immergersi nei suoi fantasmi, troppo catturato e
scosso per
dar veramente conto a quanto appena accaduto. Aveva cose più
importanti a cui pensare al momento. Per questo solo Herhsel ebbe la
prontezza di chiederle, preoccupato << Dove stai andando?
>>
<<
A cercarli! >>
<<
Ocean! >> la richiamò ancora Hershel
<< Non sei in grado
di cavalcare in quelle condizioni! >>
Ma
la ragazza era già andata.
Axel
fece appena in tempo ad aprire il cancello esterno che la ragazza
cavalcò via, con una tale velocità e fretta che
se non ci fosse
stato lui l'avrebbe buttato giù. Hershel, ancora
fermò nella sua
posizione, la guardò andar via. Riusciva a tenerlo in parte
nascosto, ma stava cominciando ad avere veramente paura.
Ci
stiamo sgretolando, Rick. Ti prego, torna in te. Ne abbiamo bisogno.
Pensò
facendo un sospiro, tornando ad osservare l'uomo di fronte a
sè che
guardava la vegetazione in cerca della moglie morta.
Ocean
proseguì dritta lungo la strada, chinata in avanti cercava,
come
poteva, di seguire i movimenti della sua cavalla in corsa,
permettendole di acquistare quanta più velocità
potesse. Non aveva
idea di dove cercare, ma al momento era un problema che non si era
posta. Correva ed era tutto ciò che desiderava.
Il
vento le scompigliava i capelli, gli zoccoli di Peggy screpitavano e
rumoreggiavano, attirando chissà quale orecchie scoveniente.
Gli
alberi intorno a lei erano diventati un'unica macchia verde che
correva nella direzione opposta. Saltò un cadaverere steso
in mezzo
alla strada, incurante, e proseguì istigando l'animale sotto
di lei
a dare il massimo.
Poi,
man mano che la rabbia e la paura andarono dissipandosi, trascinati
via dal vento, il dolore fisico tornò ad avere la meglio e
la
costrinse a rallentare. Sarebbe crollata se fosse andata avanti con
quel vigore. Probabilmente non aveva fatto neanche un paio di
chilometri, non seppe dirlo con certezza. Non aveva guardato il
paesaggio intorno a sè, e certamente non aveva tenuto conto
del
tempo o della distanza coperta. Sapeva solo che probabilmente non era
passato molto. Fece rallentare Peggy, e solo allora cominciò
veramente a cercare. Non avrebbe avuto speranze, non sapeva nemmeno
dove Daryl era stato lasciato con suo fratello, non aveva idea della
strada da seguire. Ma non fu questo a convincerla a tornare indietro.
Aveva
ripreso la strada che riportava a Woodbury, avrebbe cercato in quella
zona, e aveva tagliato attraverso gli alberi del bosco quando
sentì
degli spari. Sussultò. Erano ovattati e soffusi, segno che
non erano
nei paraggi e l'eco le impediva di distinguere chiaramente da dove
arrivassero, ma il cuore le suggerì di tornare indietro. Era
arrabbiata con loro, e se avesse trovato Daryl lo avrebbe
probabilmente seguito, ma ciò non toglieva che erano pur
sempre suoi
amici e se erano in pericolo mai avrebbe avuto cuore di voltarli le
spalle.
Incalzò
la cavalla e ripercorse la strada a ritroso con la stessa
velocità
con cui l'aveva fatta all'andata. Uscì nuovamente sul
vialetto
sterrato che l'aveva portata così lontana, appena in tempo
per
vedere un furgoncino bianco e rosso procedere a tutta
velocità nella
sua stessa direzione. Stava andando verso la prigione con troppa
fretta.
Non
aveva idea di chi fossero nè cosa volessero, ma non si diede
il
tempo neanche di porgersele certe domande. Col cuore che batteva a
mille riprese la sua folle corsa, sperando di non arrivare troppo
tardi. Sperando di riuscire a fare la differenza, di non sentirli
chiedere aiuto senza aver la possibilità di raggiungere le
loro mani
supplichevoli.
Aveva
perso le tracce del furgoncino, ma incrociò un'altra auto:
una jeep
gialla correva in senso opposto e le passò accanto, non
curandosi
della sua presenza, ma i suoi occhi, in quel frangente di secondo si
incrociarono con quelli del Governatore alla guida. L'aveva vista,
aveva ghignato, ma l'aveva lasciata andare.
Lui
era stato lì. Alla prigione.
Aveva
motivo di credere che fosse sicuramente collegato con gli spari
sentiti e la fretta divenne incalzante. Corse a perdifiato, chiedendo
un grosso sforzo alla cavalla, sempre di più e sempre
più rapida.
Poi vide le torri farsi più grandi e la recizione sbucare
dagli
alberi.
Era
tutto invaso dagli zombie e i suoi compagni erano in piena guerra. Si
voltò, destata da un urlo, e vide Rick assediato, quasi
ucciso da
uno zombie, ma salvato appena in tempo da Daryl e Merle.
Erano
tornati.
Rivederlo
fece esplodere l'adrenalina, un guizzo nel cuore, e l'inarrestabile
desiderio di ucciderli tutti, salvar loro la vita, ma soprattutto
dimostrare che non era una sciocca ragazzina capricciosa e
sprovedduta. Sfoderò la spada e corse loro incontro, ormai
accerchiati. Con un balzo della cavalla entrò nel cerchio
dov'erano
i suoi amici e tagliò la testa al primo zombie malcapitato.
Si
voltò, dando le spalle ai suoi amici, e cercò
come sempre di
guidare Peggy in modo da facilitarle il combattimento, anche se certe
manovre preferiva farle a terra. Tagliò un altro paio di
teste,
prima che Rick la richiamasse << Hershel!
>> urlò
disperato indicando un puntino bianco nascosto tra l'erba all'interno
del cortile, prima di riprendere la battaglia. Loro stavano bene, se
la stavano cavando, ma Hershel era nei guai.
<<
Max!!! >> chiamò Ocean cominciando a correre
lungo la
recinzione, fiancheggiandola, facendo strofinare la punta della sua
spada contro la rete metallica, producendo di proposito un gran
baccano intenzionata ad attirarli e allontanarli dal vecchio. Max,
che si era trovato malaguratamente coinvolto nell'attacco, non faceva
ora che abbaiare feroce contro gli invasori, ma vedendo la sua
padrona in lontananza e sentendosi chiamare cominciò a
correre verso
lei, schivando le putride braccia che si allungavano al suo
passaggio.
Ocean
entrò nel cortile attraverso il cancello sfondato e
lì rivide il
camioncino rosso e bianco che era passato poco prima, ed ebbe la sua
conferma: non era niente di buono. Probabilmente era stato lui a
portare gli zombie.
<<
Di là! Portali di là! >>
ordinò al cane smenando con un
braccio per indicargli un punto lontano. Il cane prese ad abbaiare e
correre nella direzione indicata da Ocean, cercando di attirare
ancora di più l'attenzione dei loro inseguitori afferrandone
ogni
tanto uno per la camicia e strattonandolo, mollandolo non appena
questo si girava.
Carl
si sporse dal suo nascondiglio e vide l'operato del cane,
preoccupandosi per lui cominciò a corrergli incontro e a
sparare a
quelli che lo raggiungevano troppo, proteggendolo.
Ocean
nel frattempo corse, sempre in groppa a Peggy, verso Hershel,
decapitando un paio di quei putridi lungo il tragitto e non appena
raggiunto gli si piazzò davanti. Scese in fretta e si
abbassò ad
aiutare il vecchio ad alzarsi. Il rumore di una freccia
tagliò
l'aria, facendole sollevare la testa appena in tempo per vedere un
altro zombie cadere morto ai suoi piedi, col cranio perforato da una
delle frecce di Daryl. Si sarebbe voltata a ringraziarlo in altre
occasioni, ma decise di rimandare l'opera di cortesia. Hershel
riuscì
a sollevarsi e Ocean lo spintonò verso la cavalla, cercando
ancora
di aiutarlo, per quanto potesse.
<<
Sali! Forza! >> disse mentre il vecchio si issava sulla
sella,
aiutato dalla ragazza, un po' barcollante non potendo fare
affidamento sull'altro piede.
<<
C'è posto per me? >> domandò
distrattamente mentre ancora
cercava di tenersi stretta la vita. Con un affondo trapassò
la testa
di un altro zombie, poi rirprese il possesso della sua arma
spingendolo via col piede, troppo stanca per utilizzare solo la forza
delle braccia. Si guardò velocemente attorno. Ne arrivavano
altri,
ma calcolò di avere il tempo di riuscire a montare a
cavallo. E così
fece, sistemandosi dietro all'anziano amico e cominciando a cavalcare
rapidamente verso il cancello più interno, quello ancora
rimasto
intatto e da cui facevano copertura Maggie, Carl e Carol. Maggie lo
spalancò per loro, lasciandoli entrare e si
affrettò poi a
richiuderlo alle loro spalle. Peggy rallentò subito e si
fermò in
mezzo al cortile, permettendo ai suoi due ospiti di scendere. La
prima fu Ocean, che, ormai tranquilla e stremata, appena mise il
piede a terra sentì il ginocchio cedere e cadde a terra come
una
pera, seguita da un impacciato << Oh, porca....
>>. Ma
non fece nulla per issarsi di nuovo, nè per impedire la
caduta.
Chiuse gli occhi, stesa a terra con gambe e braccia divaricate, sotto
l'occhio preoccupato dei suoi compagni e qualche risolino divertito.
Il calore del sole le accarezzava la pelle e il fresco vento della
sera che cominciava ad arrivare timida era altrettanto delicato. Ora
non aveva più motivo di correre nel bosco chiedendo alla
fortuna di
assisterla, ora si sarebbe potuta godere il suo letto per un po',
finalmente...fino a quando il Governatore non sarebbe tornato alla
carica. Ma quello, al momento, voleva essere l'ultimo dei suoi
pensieri.
<<
Stai bene? >> una voce la destò,
costringendola a riaprire gli
occhi e si trovò il viso di Maggie chino sul suo.
Annuì
rassicurandola e accettò volentieri la sua mano che si era
protesa
verso lei nel tentativo di darle aiuto nel rialzarsi.
<<
Grazie per aver salvato mio padre. >> disse ancora.
E'
il minimo, dopo aver quasi fatto uccidere te e Glenn. Pensò,
ma lo tenne per sè. Rispose invece con un banalissimo
<< Di
niente. >>
Dei
passi si diressero spediti verso il cancello e Ocean si
voltò appena
in tempo per vedere entrare Rick, Daryl e Merle. Uno con la faccia
più incazzata dell'altro. E ben presto anche i suoi compagni
assunsero la stessa espressione, puntando i loro occhi sull'uomo con
una mano sola. L'odio era palpabile. I tre proceddetero spediti verso
l'entrata della prigione, passando accanto ai loro silenziosi
compagni, ma Ocean non era intenzionata a farli passare come se
niente fosse, al contrario degli altri. Sfoderò la sua spada
e la
puntò rapida e silenziosa alla gola di Daryl non appena
questo fu
vicino abbastanza, costringendolo a fermarsi. Non era solo un gesto
esibizionista il suo: era un vero e proprio gesto intimidatorio. Se
n'era andato! L'aveva lasciata sola! Se n'era andato senza porsi il
problema di come avrebbe potuto reagire lei, o Molly. Senza neanche
salutarla o darle spiegazioni. E cosa ancora più detestabile
era la
sua indifferenza nel rientrare, come se niente fosse stato,
ignorandola addirittura.
Si
erano lasciati nel peggiore dei modi, con un punto di domanda enorme
sopra le loro teste, dopo qualcosa che ancora non avevano avuto il
coraggio di prendere a due mani. Qualcosa che avevano semplicemente
rifiutato, intimoriti dalla sua grandezza ed estraneità.
Daryl
non sembrò accennare a un sussulto, come se in qualche modo
se lo
aspettasse. Incrociò gli occhi rigidi e severi della ragazza
e
aspettò. Anche gli altri, intorno a loro, non sembrarono
sorprendersi e rimasero semplicemente in attesa. L'unico leggermente
turbato nel vedere quella folle tenere la lama di una spada poggiata
sulla gola del ragazzo era suo fratello, Merle, che già
aveva fatto
scivolare la mano sul coltello appeso alla cintura.
Il
viso di Ocean tramutò in un sorriso sarcastico
<< Ho un
leggero deja–vù >> e Daryl non
potè che sorridere: l'aveva
avuto anche lui. Il loro primo incontro era stato proprio come
quello, con uno dei due che puntava l'arma alla testa dell'altro,
anche se quella volta i ruoli erano stati capovolti.
Ocean
mosse gli occhi, posandoli su Merle, poco dietro di lui, e sorrise
ancora << Pare che una qualche alchimia impedisca a me e
a un
Dixon di incrociarci senza che uno tenti di ammazzare l'altro.
>>
disse abbassando la lama, ponendo fine alla sua sceneggiata e
rinfoderandola. Voleva solo attirare la sua attenzione, e ci era
riuscita.
<<
Come quella che impedisce a te di non fare qualche stronzata.
>>
disse Daryl, aprendo bocca per la prima volta da quando era tornato.
<<
Sei un bastardo. >> rispose Ocean puntandogli un
minaccioso
dito contro e fulminandolo con gli occhi, anche se il tono usato era
contrastante, dato che sarebbe stato più ideale per un "mi
sei
mancato". Ma forse era proprio quello il suo significato. Poi
non resistè più e percorse quei pochi passi che
la separavano da
lui con una velocità tale da non permetterle di rendersene
conto, e
pochi istanti dopo era stretta a lui. Il viso soffocato sulla sua
spalla e le braccia serrate al suo collo, tanto strette quasi da
strozzarlo, in una morsa tale che gli avrebbe impedito di
allontanarsi di nuovo.
<<
Ho avuto paura che non sarei più riuscita a farlo.
>>
bofonchiò smorzando le parole su di lui, riferendosi a quel
suo
disperato abbraccio. Il suo odore acre, pungente, era in
realtà
miele per il cuore. Non ne voleva più fare a meno. Lo aveva
capito.
Anche se tardi, ma lo aveva capito. Daryl la strinse di più,
anche
se impercettibilmente e chiuse gli occhi, nascondendo anche lui il
suo viso tra i suoi capelli.
<<
Daddy!!! >> una cristallina voce colma di disperazione,
interrotta da un singhiozzo, costrinse i due a separarsi e permettere
alla bimba rossa di avere anche lei la sua razione di abbracci.
Piangeva disperata e continuava a strofinarsi gli occhi, anche quando
Daryl l'ebbe presa in braccio.
<<
Perchè sei andato via? Sei un bugiardo! Avevi detto che
saresti
tornato! >> pianse dandogli dei colpi alla spalla, non
forti,
ma abbastanza decisi per far trasparire tutto il loro rancore e
spavento. Daryl riprese a camminare, diretto all'entrata, con la
bambina ancora in lacrime in braccio, e senza dire una parola si
portò una mano dietro la schiena e tirò fuori da
una tasca
posteriore un vecchio orsetto di pezza. L'aveva raccolto da un auto
mentre tornavano e si era impuntato nel non dare spiegazioni a Merle.
Non avrebbe capito.
<<
Così la Signorina Rosie non sarà più
sola. >> bisbigliò
solo a lei in una piccola confidenza << Ti piace?
>>
Molly
parve calmarsi appena e non esitò a stringere l'animale di
pezza al
petto e annuire in risposta.
<<
Fammi vedere. >> bisbigliò Ocean, seduta sul
terzo scalino del
loro blocco, alla bambina vicino a lei, la quale subito le porse il
suo nuovo orsetto << Oh, è proprio carino.
>> sorrise,
cercando di dedicarle quanta più attenzione poteva, anche se
in
realtà le sue orecchie erano impegnate di più ad
ascoltare la
discussione che stava avvenendo proprio in quel momento all'interno
del suo gruppo. L'assalto del Governatore aveva terrorizzato tutti,
sapevano che era più organizzato e più armato,
era un uomo
pericoloso e se veramente aveva messo gli occhi su di loro erano nei
guai.
<<
Ha già un nome? >> chiese ancora Ocean
cercando di distrarre
la bimba da quei discorsi non adatti a lei.
<<
Non ancora...ma ci sto pensando. >> ammise Molly
rirpendendo
l'orso tra le mani e muovendolo goffamente tenendolo per le mani.
L'adorava. Era orribile, spelacchiato e puzzolente, ma era ai suoi
occhi il più bello di tutti perchè glielo aveva
regalato Daddy.
Nel
frattempo, all'ennesimo "Che facciamo?" Rick, come aveva
spesso fatto in quei giorni, voltò le spalle al suo gruppo,
diretto
rapido verso l'esterno per restar solo. Hershel lo costrinse a
fermarsi: era stufo del suo comportamento. Comprensibile, erano tutti
addolorati per lui, ma avevano bisogno di Rick e aspettare ancora
poteva essere il passo decisivo che li avrebbe portati tutti alla
morte.
<<
Ora schiarisciti le idee e poi fai qualcosa! >> disse
ancora il
vecchio con autorità. Rick non rispose e uscì,
lasciando un mare di
sospiri alle sue spalle.
E
pieni di ipotesi, pensieri, e consigli campati per aria tutti si
sparpagliarono, tornando ognuno alle proprie celle.
Ocean
si alzò e diede un bacio sulla fronte della bambina
<< Pensaci
bene, un nome è una cosa importante. >>
sorrise prima di
aggiungere << Gioca con Max. Io arrivo subito.
>>
Scese
rapida quei tre scalini che la separavano dal pian terreno e
svoltando verso il sottoscala si avvicinò alla ragazza nera
che al
momento era impegnata a lucidare la sua katana.
<<
Non abbiamo avuto modo di presentarci. >> disse lei
allungando
una mano << Sono Ocean. >> nessuno le aveva
detto chi era
e da dove era sbucata quella donna, tutti troppo presi da cose
più
importanti, e ora che la riunione era finita e ognuno era tornato
agli affari propri le era sembrato un buon momento. Ma la donna non
sembrò ricambiare il suo desiderio, perchè la
guardò di traverso
prima di tornare al suo silenzioso lavoro.
<<
Loquace, eh?! >> brontolò Ocean alzando gli
occhi al cielo,
prima di voltarsi e tornare sui suoi passi. Si avvicinò alla
cella
dove avevano rinchiuso Merle giusto in tempo per sentirlo ghignare
verso suo fratello << Ti sei sistemato bene, eh
fratellino? Un
letto comodo , un cesso dove pisciare, cibo a volontà, una
bella
ragazza che ti fa i pompini e una bambina che addirittura ti chiama
papà. >> rise alla sua ultima constatazione,
trovandola
ridicola, probabilmente.
<<
Non sono suo padre. E non parlare così di Ocean!
>> rispose
Daryl con astio quasi lanciandogli il barattolo contenente la sua
cena attraverso le sbarre.
<<
Pensavo si chiamasse Alice. >> disse Merle alzando un
sopracciglio, ma continuando nella sua espressione denigratoria. Da
quando l'aveva conosciuto, Ocean, non l'aveva ancora visto fare una
faccia che non fosse stata provocatoria e derisoria, come se lui
fosse costantemente al di sopra di tutti e fosse circondato solo da
bambini idioti. Ecco uno dei motivi principali per cui tutti lo
detestavano.
<<
Ocean per te. >> intervenne lei avvicinandosi a Daryl a
braccia
incrociate e continuando a guardare Merle << Tu lo
conosci. >>
disse subito, cambiando discorso e lasciando cadere nel vuoto quello
che aveva appena detto di lei. Non meritava considerazione.
<<
Il Governatore, dico. >> aggiunse subito, specificando di
chi
stava parlando << Lo conosci. Conosci i suoi punti
deboli. >>
<<
Certo che lo conosco, e so bene che a quest'ora dobbiamo dire grazie
di essere ancora vivi. >> rispose Merle con sarcasmo.
Ocean
sorrise provocatoria << Pisciasotto. >> lo
etichettò
prima che i suoi occhi corressero verso Carl, che in quel momento
stava rientrando. Aveva seguito suo padre non appena era andato via,
ma era rimasto con lui solo qualche minuto. Merle aveva già
ricominciato a parlare, brontolando, e sparando chissà quale
stronzata, ma Ocean aveva già smesso di ascoltarlo. Diede
una
carezza sulla spalla di Daryl, un gesto di saluto, poi si diresse
anche lei verso l'esterno, seguendo i passi che il capogruppo aveva
percorso poco prima.
Lo
trovò in piedi, chino sulle sue spalle ormai troppo pesanti,
e gli
occhi nel binocolo, ancora intento a cercare. Era così
assordato dai
suoi pensieri che non sentì i passi della ragazza dietro
sè, e non
si rese conto della sua presenza fin quando lei non aprì
bocca.
<<
Trovato niente? >> chiese, destandolo, e sorrise ironica.
Rick
si voltò a guardarla, ma non disse niente e lentamente
tornò a
guardare di nuovo dentro il suo binocolo. Ocean sospirò e
abbassò
gli occhi, pensierosa anche lei. Silenziosa si avvicinò,
affiancandosi a lui e puntò gli occhi in lontananza.
<<
So cosa stai cercando. >> aggiunse cambiando tono, non
più
ironica: ora la sua voce risuonava bassa e pesante. Un segreto che
non doveva andare disperdendosi nella vallata.
<<
E' la stessa cosa che cercavo anche io. >>
continuò lei,
facendo un altro minuscolo passo verso la rete, arrivando a sfiorarne
la maglia in ferro con il naso e le sue dita vi si incastrarono
attraverso.
<<
Si chiamava Manuele. >> continuò lei. Era la
prima volta che
pronunciava il suo nome ad alta voce, dopo così tanto tempo.
Non ne
soffrì, ma anzi sentì un dolce senso di conforto
avvolgerla. Si era
dimenticata quanto fosse piacevole.
<<
Era il mio migliore amico. Un fratello. >> sorrise
malinconica
<< L'ho visto suicidarsi, tanto tempo fa, affogandosi.
>>
Abbassò gli occhi, deglutendo. Questa aveva fatto male.
Aveva gli
occhi di Rick puntati su di sè, li sentiva, e anche se non
sembrava
intenzionato a parlare con lei, le bastava che stesse ad ascoltare
<<
L'ho cercato a lungo. Ero così ossessionata dal mio
desiderio di
riaverlo con me che ho cominciato a perdere me stessa. >>
sorrise pensando a ciò che stava per dire <<
Un uomo saggio
una volta mi disse "non lasciare che il passato ti porti via dal
presente. Lasciali andare". Io non l'ho voluto fare, e ho
combinato un sacco di pasticci. >> sorrise voltandosi a
guardare Rick, incrociando i suoi occhi << Ma poi l'ho
trovato.
Anzi, lui ha trovato me. Mentre ero chiusa in quella baracca in
lamina, svenuta, l'ho visto. E ho capito un sacco di cose.
A
lungo l'ho accusato di essere stato un egoista per avermi
abbandonata, per avermi dimenticata, ma in realtà l'egoista
ero io
che volevo a tutti i costi riportalo indietro. Loro stanno bene dove
stanno, Rick, siamo noi che dobbiamo essere compatiti e pianti, noi
che siamo costretti a vivere ancora in questo inferno. Non cercare di
riportare a tutti i costi indietro Lori, lasciala dov'è. Ora
sta
bene, ora non soffre più. Lasciala andare, Rick. Non essere
egoista.
>> tornò a guardare oltre la rete e Rick
aprì bocca, nel
tentativo di dire qualcosa, ma indugiò e Ocean ne
approfittò per
continuare il suo monologo << Pensi voglia dirti
qualcosa, non
è così? Pensi che se continua ad apparire un
motivo c'è. E io dico
che hai ragione. Vuole dirti qualcosa. Ma non è qualcosa di
illuminante e a te estraneo...secondo me vuole solo ricordarti una
tua dimenticanza. >> Rick aggrottò la fronte,
non capendo cosa
volesse dire, e Ocean non attese molto prima di dar lui spiegazioni
<< Rick...hai una figlia lì dentro che ancora
non ha neanche
un nome! >> questo lasciò pensieroso l'uomo
<< Un'altra
cosa ho capito quando ho visto Manuele. Lui... >>
indugiò,
sentendosi cedere per un attimo, poi con la voce vibrante disse
<<
...Lui mi ha detto "torniamo a casa". A lungo ho guardato
l'orizzonte pregando che un qualsiasi miracolo fosse riuscito a
riportarmi a casa, dalla mia famiglia. Avrei dovuto essere felice di
questo, sarei tornata a casa, finalmente, come avevo sperato e
pregato per quasi un anno. Ma mi sono trovata sorpresa di fronte a un
altro sentimento: non gioia, non impazienza, ma paura. Ho capito di
non volerlo. Non lo volevo perchè sapevo cosa mi stava
succedendo:
Manuele è morto, se lo vedevo voleva solo dire che lo stavo
raggiungendo. Se fossi tornata con lui sarei morta anche io. Ma
quando ha detto "casa" io ho visto qualcosa di diverso da
quello che credevo. Io.... >> sorrise imbarazzata
<<
...Io ho visto voi. Siete voi la mia casa ora. >>
balbettò
l'ultima frase << Mi dispiace, ti sto riempiendo di
inutili
storie sulla mia vita, cose che sicuramente a te non interessano, ma
ti assicuro c'è un motivo. Io non posso far a meno di
pensare che si
sia sacrificato per permettermi di avere ciò di cui avevo
più
bisogno al momento: se lui non mi avesse mai lasciato sola i miei
passi non mi avrebbero mai portata da voi. Se lui non fosse morto io
non avrei mai più avuto una famiglia, e sarei morta, prima o
poi,
sola e disperata. >>
<<
Mi stai dicendo che la morte di Lori ha avuto una buona ragione?
>>
chiese Rick sarcastico tornando a guardare di fronte a sè
<<
Mi dispiace, non la vedo. >>
<<
Devo ripeterti che hai una bambina, lì dentro, che ancora
non ha
neanche un nome? >>
<<
Ha importanza? >>
<<
Il nome è identità. Se non ha un nome
è come se non esistesse. >>
<<
Per questo tu hai voluto lasciare il tuo? >> chiese
ancora lui,
provocandola un po', cercando solo di spostare di nuovo il centro
dell'attenzione a lei e non più lui.
<<
Sì, per questo. >> rispose rapida e decisa
Ocean,
sorprendendolo. Era la prima volta che ammetteva con così
tanta
leggerezza e sicurezza una sua debolezza. E il tentativo di Rick di
provocarla, convincendola così a lasciar perdere lui e i
suoi
pensieri, risultò fallimentare.
I
due parvero rilassarsi e tornarono ognuno a guardare il proprio
orizzonte.
<<
Non pretendo tu capisca subito, avrai bisogno del tuo tempo. Io ho
avuto bisogno di ben un anno, quindi...beh....spero tu ce ne metta un
po' di meno. >> ridacchiò lei cercando di
allentare la
tensione. E un minimo sembrò riuscirci.
<<
Lori è morta perchè ha voluto salvare la tua
bambina. E' morta per
dare vita. Perchè tu vuoi vanificare così il suo
sacrificio? Perchè
vuoi negare quella vita, non darle il giusto rispetto che
meriterebbe, visto che in lei batte ancora il cuore di tua moglie?
>>
rimase pensierosa per qualche secondo poi aggiunse, in conclusione
alla linea dei suoi pensieri << Sì, credo sia
questo il
motivo. Quella bambina è vita...è un fiore che
sboccia tra le rocce
di una città distrutta dalla lava. Va curato e protetto. E'
segno
che ancora c'è la possibilità di rinascere e
crescere. Non siamo
perduti. E tu hai dovere di custodirlo, di custodire il nostro
simbolo di speranza. >>
Rick
sorrise appena di fronte al tentativo di Ocean di cercare con forza
delle buone ragioni. Erano valide, ma così idealizzate da
sembrare
sciocche. Lori era morta e basta, non c'era nessun simbolo di
speranza dietro a tutto quello, solo la tristezza di aver perso la
propria compagna di vita. Però la spiegazione che la ragazza
gli
aveva fornito era così dolce che decise che forse tenerla un
po'
stretta a sè non avrebbe fatto male. Lo avrebbe consolato,
come una
madre con il figlio appena sveglio da un incubo.
Abbassò
gli occhi prima di dire << Mi dispiace per il tuo amico.
>>
Ocean
sorrise, annuì in segno di gratitudine e rispose
<< E a me
dispiace per tua moglie. >>
<<
Ora...lei sta bene. >> disse lui sforzandosi di
metabolizzare
quello che la ragazza aveva cercato di dirgli.
Ocean
annuì ancora << Ora non soffre più.
E' bello, no? >>
Rick
sorrise e ammise imbarazzato << Credo di invidiarla.
>>
che sciocca confessione. In pratica aveva appena ammesso il suo
desiderio ad ammazzarsi, anche se non l'avrebbe mai fatto e mai ne
avrebbe avuto cuore e coraggio. Troppe cose lo tenevano ancora legato
lì.
<<
Anche io. >> ammise Ocean, facendo sentire l'uomo meno
sciocco.
Magari era normale pensare al suicidio di quei tempi. Incredibile
come la voglia di andare avanti, la speranza, il desiderio di
sopravvivenza li tenesse così ancorati a quella sciocca e
macabra
realtà. Che ci fosse un qualche istinto masochista? Un
inconscio
desiderio a soffrire? A scontare le pene? O forse solo tanta paura
nello scoprire "cosa c'è di là".
Infondo...se
i morti avevano deciso di tornare indietro, un motivo ci doveva
essere stato, no?
NDA.
Ccccccciao
:) rieccomi. Allora, intanto comincio a dire che non ho risposto
intenzionalmente alle recensioni del capitolo precedente
perchè sono
brutta e cattiva u.u no, scherzo. E' che trovavo difficile riuscire a
rispondere senza anticipare niente di quest altro capitolo.
Come
avete potuto vedere il salvataggio di Ocean è stato
sempliciotto xD
però mi son divertita a lasciar suspance nel capitolo scorso
u.u
Questo
è più tranquillo. E' tutto pensieri e sentimenti
xD (apparte
l'attacco del Governatore u.u)
Il titoloooooo... non avevo
fantasia questa volta, mi dispiace xD (ultimamente son carente di
inventiva ._. no buono!)
Ritorno! Tutti ritornano!
Daryl è tornato a prendere Ocean. Ocean è tornata
a casa. Poi Daryl
e Merle ritornano. E ora anche Rick piano piano sta "ritornando",
uscendo po' dal suo limbo. Il Governatore "ritorna" ad
affrontare il gruppo.
'Nzomma
tutti tornano xD
E
pure io tornerò presto *minaccia*
Un
saluto.
Ray.
|
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Capitolo 28 *** Idiosincrasia. ***
Idiosincrasia.
<<
Sta' tu di guarda. Occhi aperti e testa bassa. >> disse
Rick a
Maggie, rientrando nella prigione insieme a Ocean, dopo la loro
chiacchierata << La zona è piena di zombie, ma
non ho visto
nessun cecchino là fuori. Maggie starà di
guardia. >>
Hershel, Glenn, la ragazza nera (che Rick le aveva detto di chiamarsi
Michonne) e Daryl si riunirono intorno a lui, ascoltando ciò
che
finalmente il capo gruppo aveva da dire. Aveva smesso di scappare
dietro ai fantasmi, o almeno si sperava, e la cosa dava finalmente un
sospiro di sollievo.
<<
Salgo sulla torretta. Eliminò metà degli zombie
mentre gli altri
riparano il recinto. >> si offrì Daryl.
<<
Con le auto possiamo riparare l'autobus. >> disse ancora
Michonne.
<<
Non possiamo arrivare lì senza usare tutte le pallottole.
>>
constatò Hershel negando leggermente con la testa. Era un
problema:
avevano quasi finito tutte le munizioni. Sprecate per gli zombie non
ce ne sarebbero più rimaste per un eventuale guerra col
Governatore.
<<
Siamo intrappolati qui dentro. >> invenì Glenn
nervosamente <<
Siamo quasi a corto di cibo e munizioni. >>
<<
Ci siamo già passati. Ce la caveremo. >>
constatò Daryl.
<<
Quando eravamo solo noi! >> Glenn non aveva neanche
finito la
frase che Daryl aveva già alzato gli occhi furiosi su di lui
<<
Prima che avessimo una sepre in seno! >>
continuò il coreano
indicando la cella di Merle con un gesto della mano. Daryl si
avvicinò a lui di un passo, continuando a guardarlo negli
occhi, con
lo sguardo di uno che non transige << Amico, vogliamo
parlarne
ancora? >> chiese provocatorio il ragazzo
<< Merle resta
qui. E' con noi adesso! Facci l'abitudine. >> Rick
provò ad
avvicinarsi, richiamandolo, vista l'aria tesa che si stava venendo a
creare, ma Daryl schivò la sua mano amichevole e fece
correre lo
sguardo da Glenn a lui << Fatecela tutti!
>> disse
repentino prima di allontanarsi velocemente, non volendo più
sentire
altro.
<<
Daryl! >> lo richiamò Ocean vedendolo salire
le scale che
portavano al sopra-livello, ma lui non l'ascoltò e si
infilò
velocemente in una delle celle, la più lontana dal gruppo,
per
permettersi di stare solo. Ocean sospirò affranta abbassando
gli
occhi. Avrebbe voluto dire qualcosa a Glenn, infastidita da quella
situazione, da quei compagni che continuavano ad allontare Daryl solo
perchè suo fratello era un po' testa di cazzo. Nessuno
riusciva a
chiudere un occhio per lui. E la cosa la mandava in bestia.
Non
conosceva Merle, era vero, ma aveva sentito abbastanza da Daryl. E
poi, comunque, le aveva salvato la vita. Non era convinta che fosse
totalmente un bastardo da mandare al rogo.
<<
Ci penso io. >> disse allontanandosi dal gruppo, seguendo
Daryl. Lo fece non solo per poter andare a parlare col suo amico, ma
anche perchè Glenn aveva ripreso a brontolare contro Rick
perchè
Merle era lì con loro, ed era stufa di sentirlo. Se fosse
rimasta lì
avrebbe sicuramente preso a pugni qualcuno.
Entrò
nella cella di Daryl e silenziosa si avvicinò a lui, seduto
sul
letto, curvo in avanti con una sigaretta accesa tra le dita. Gli
occhi fissi su un punto immaginario davanti a sè lanciavano
fuoco e
fiamme. Come biasimarlo?
<<
Non dovresti fumare qui, ci sono dei bambini. >> disse
lei per
cercare di smorzare un po' la tensione.
<<
Se sei venuta a farmi la morale puoi anche andartene. >>
rispose acidamente lui.
<<
Ehy! Non parlarmi così! >> lo
richiamò lei, fulminandolo. Lui
le lanciò un'occhiata scocciata e poi tornò a
concentrarsi sul suo
punto immaginario. Ocean sospirò ancora prima di trovarsi
anche lei
il suo personale punto sul muro da fissare.
<<
Hai visto com'è ridotto Glenn? >> chiese poi
lei tornando nel
suo tono basso di confidenza. Non voleva certo dargli contro, lei era
con lui, anche lei voleva far restare Merle, ma avrebbe solo voluto
porre fine a quei litigi, e l'unico modo era far avvicinare entrambi
alle ragioni dell'altro. A partire da Daryl, ma solo perchè
era
l'unico con cui sapeva poteva avere un dialogo. Con Glenn non aveva
tutta quella complicità.
<<
Anche tu sei ridotta male. >> biascicò lui
prima di tirare
dalla sua sigaretta.
Ocean
ridacchiò << Già. >>
ormai non le sentiva neanche più.
Da quando era cominciato tutto aveva preso tanti di quei colpi che
ormai il suo corpo era diventato il cimitero delle cicatrici.
<<
Vedi questa? >> disse indicando l'enorme graffio che le
sfigurava lo zigomo, passando vicino all'occhio e arrivando alla
tempia << Me l'ha fatta tuo fratello. >>
poi aggiunse,
con un sorriso divertito << Dopo che io ho cercato di
rompergli
il naso. >>
<<
Ho già detto che Merle resta qui! >> disse lui
prendendo
quella piccola confessione come un attacco contro suo fratello.
<<
Anche io voglio che resti qui. >> si affrettò
a dire,
sorprendendo il ragazzo che non si aspettava di trovare una complice
nel suo desiderio, soprattutto se la complice era colei che quasi era
stata uccisa da suo fratello.
<<
Non sono arrabbiata con lui. Aveva le sue buone ragioni per farmi
quello che mi ha fatto, ero io dalla parte del torto. Aveva un po'
meno buone ragioni per fare a Glenn quello che gli ha fatto, ma posso
comprenderlo: voleva ritrovarti, Glenn non sembrava intenzionato a
lasciarglielo fare e lui ha agito d'impulso spinto dalla paura di non
potersi fidare di lui e dal legame che aveva col Governatore.
>>
seguì qualche secondo di silenzio, ma Ocean potè
vedere la rabbia
negli occhi di Daryl andare perdendosi. Sapere di avere qualcuno
dalla sua lo tranquillizzava, ed era anche più felice del
fatto che
questo qualcuno fosse proprio lei. Ancora una volta la loro
affinità
era stata palesata e aveva riscaldato il cuore.
<<
Che figlio di puttana, eh? >> disse lui con un sorriso,
portando il dialogo su binari più pacifici e meno tesi.
Ocean rise
insieme a lui. Era riuscita a calmarlo, a dargli un po' di
serenità
e conforto e la cosa la rendeva felice. La sua mano cercò
quella del
ragazzo e quando la trovò, sul suo ginocchio, la strinse,
incrociando le dita con le sue. Daryl si voltò a guardarla e
il suo
viso sorridente e sereno gli diede ancora più conforto,
addolcendo
l'atmosfera. Gli piaceva stare in sua compagnia, si sentiva sempre a
casa quando era con lei. Sentiva era il suo porto sicuro, mai
l'avrebbe tradito.
<<
Sono felice che sei tornato. >> ammise lei senza
vergognarsi di
mostrare i suoi reali sentimenti << Io...quando ho saputo
che
eri andato via sono uscita di testa. Sono partita per venirvi a
cercare. >>
<<
Ecco perchè eri lì fuori a cavallo, nonostante le
tue condizioni.
>> constatò lui tirando un altro po' della sua
sigaretta.
<<
Mi dispiace. >> ammise lei imbarazzata, poi
aggrottò la fronte
e rialzò subito la testa, fulminandolo << No,
mi dispiace un
corno! Non azzardarti mai più a sparire in questo modo, hai
capito?!
>> l'affermazione improvvisa detta con tale astio non
potè che
divertire il ragazzo che rise del suo cambio d'umore. Gli scaldava il
cuore. Solo lei ne era veramente in grado, e come fosse possibile
ancora non sapeva spiegarselo. Strinse la sua mano che ancora teneva
legata alla propria. No, non l'avrebbe più lasciata andare.
<<
Devo ricordarti che tra i due la prima a sparire sei stata tu. Lo fai
sempre. >>
Questa
volta a ridere fu lei. Daryl aveva maledettamente ragione, era sempre
lei quella che si cacciava nei guai. E quando era così si
sentiva
sempre giustificata, mentre per quell'unica volta che era stato lui
ad allontanarsi l'avrebbe preso a pugni. Com'era infantile. Ma la
cosa la divertiva.
<<
Ti sei preoccupato? >> chiese punzecchiandolo un po'.
Arrossì
quando non ricevette risposta: la sua semplice battuta aveva un fondo
di verità.Un dolcissimo fondo di verità.
Daryl
voltò gli occhi, sbuffando, e tornò a guardare il
suo puntino
immaginario. Ocean sorrise e abbassò gli occhi a guardare le
loro
mani intrecciate. Era così calda la sua, con qualche ruvido
callo,
probabilmente dovuto da tutte le lotte che aveva fatto e che
continuava a fare, ma stranamente morbida e delicata.
<<
Perchè l'hai fatto? >> chiese poi lui
improvvisamente
cogliendo impreparata la ragazza. Il suo sguardo fisso sul muro era
tornato serio e pensieroso.
<<
Perchè sei andata lì? Non è da te.
>>
<<
Sono una ragazza sconsiderata, lo sai bene. >> disse lei
con lo
stesso tono serio, facendo scappare via anche i suoi occhi. La mente
stava tornando a tutto quello che era successo. A Mickey, al
Governatore, al suo gruppo e a Manuele. La rabbia bruciava dentro
lei, intenzionata a crescere, ma al momento sentiva dentro solo tanta
tristezza e rammarico.
<<
Non con le persone. Tu hai paura degli uomini. >>
constatò
Daryl.
Ocean
sorrise imbarazzata e abbassò gli occhi, prima di ammettere
balbettante << Mi conosci bene, eh? >>
Nessuna
risposta arrivò. Il ragazzo era intenzionato a non lasciar
cadere il
discorso, non quella volta. Se non fosse stato per l'atto di
bontà
improvviso di Merle non l'avrebbe mai ritrovata, e sarebbe morta.
Solo l'idea gli faceva attorcigliare le budella. Lo mandava su tutte
le furie, non avrebbe lasciato andare, non quella volta. Doveva
sapere perchè aveva rischiato di perderla. E quel silenzio
convinse
la ragazza a parlare. L'aveva fatto altre volte, in fondo. Aveva
parlato con Rick proprio poco prima, non sarebbe stato difficile
parlare di nuovo di loro.
O
almeno sperava.
La
sua mano si staccò da quella di Daryl: voleva restare sola.
E questo
lo sorprese: capì di aver toccato un tasto dolente. Aveva
ragione,
allora. C'era un motivo serio sotto, non era stata semplice follia.
Qualcosa l'aveva turbata e spinta ad affrontare i mostri che
più
temeva. Un'intera città da sola.
Volse
lo sguardo curioso e preoccupato a lei, cercando di cogliere i suoi
occhi, e Ocean pose fine alle sue curiosità e i suoi dubbi.
<<
Avevo un gruppo prima. Non ho sempre girato sola. Quando tutto
è
cominciato io ero in vacanza ad Atlanta con un numeroso gruppo di
amici. Io insieme ad alcuni di loro siamo scappati via dalla
città
non appena abbiamo sentito le prime notizie, giusto in tempo per non
restare coinvolti nel disastro. Abbiamo viaggiato un po', nella
speranza di trovare qualsiasi mezzo che ci avesse riportati in
Italia, a casa. Poi è arrivato il Governatore....
>>
interruppe lì il suo racconto, non riuscendo ad andare
oltre, ma ciò
bastò per permettere a Daryl di capire tutto.
Le
avrebbe voluto chiedere scusa per averle posto quella domanda
così
delicata, ma sentì che non ne era poi così
dispiaciuto. A lungo si
era chiesto quali passi avessero portato Ocean da loro, sola e
spaventata, con solo un cane come compagno, un nome che non le
apparteneva e la paura di avere delle persone accanto a sè.
Ora lo
capiva. E capì la follia che l'aveva portata ad entrare
nella tana
del nemico senza nessun tipo di precauzione.
<<
Dovremmo andarcene da qui. >> disse poi lei, prendendo
per la
prima volta in mano il discorso su "cosa si dovesse fare".
Non ne aveva parlato fino a quel momento, probabilmente solo
perchè
non voleva vedere il problema. Troppo spaventoso per essere reale, e
lei l'aveva negata.
Daryl
sospirò e allungò una mano, afferrando la sua e
stringendola forte,
incrociando le loro dita. Il gesto così improvviso e pieno
di
sentimento nel suo stritolarla la costrinse ad alzare gli occhi su di
lui, incrociando i suoi fermi e determinati << Non
resterai di
nuovo sola. La storia non si ripeterà. Gli faremo vedere chi
siamo e
lo cacceremo via a calci nel culo. Te lo prometto. >>
Ocean
sentì una sensazione dolce di calore sprigionarsi dalla
bocca dello
stomaco e salire fino alla gola, investendo completamente il cuore,
permettendole di percepirlo più forte e chiaro nel suo
insistente
tamburellare. Un sorriso le si dipinse in volto. Avrebbe voluto
piangere di gioia, ma si sarebbe sentita stupida. Erano parole
campate in aria, niente di concreto, cosa la spinse a crederci
veramente non lo seppe neanche lei. Daryl si raddrizò con la
schiena
e la tirò a sè con la mano che ancora teneva
stretta alla sua.
Ocean non si oppose e si lasciò cadere contro il suo petto,
immergendoci il volto. Avvolse le sue braccia su di lui, stringendo
tra le dita i suoi abiti e chiuse gli occhi, assaporando il momento.
Poteva sentir battere il suo cuore, forte e insistente, quasi quanto
il suo.
Si
sentiva così bene. Era da tanto, o forse mai era successo,
che non
provava quella sensazione di tale benessere e dolcezza.
Lo
strinse ancora una volta prima di allentare la presa e permettersi di
alzare il viso, incrociando i suoi occhi azzurri, piccole schegge di
vetro, nascosti probabilmente per proteggerli dai curiosoni che
avrebbero potuto guardare fin troppo a fondo, dove non era permesso
arrivare.
Ma
lei, in quella posizione così ravvicinata, riuscì
a farlo. Le era
permesso. E trovò in loro uno specchio in cui
riuscì a
riflettercisi, e riuscì a ritrovarsi.
Daryl
sollevò una mano e gliela portò sulla guancia,
delicata, intimorito
all'idea di sciupare un così bel fiore. Guardò
l'enorme fregio che
suo fratello le aveva fatto e lo sfiorò con la punta del
dito.
<<
Sta guarendo. >> bisbigliò.
<<
Lascerà una bella cicatrice. >> sorrise lei
imbarazzata.
Daryl
scrollò le spalle << Non importa.
>> sussurrò ancora.
Ocean si sorprese a trattenere il fiato e senza rendersene conto
avvicinò il viso a quello del ragazzo. Il fuoco che le era
preso
poco prima alla bocca dello stomaco ora era un vero e proprio
incendio inarrestabile che aveva catturato e spaziato oltre il petto,
prendendo la pancia, le gambe, le braccia...tutto. Si sentiva
bruciare dentro e ne provava piacere.
Cosa
non importava? L'avrebbe trovata bella comunque? Non lo sapeva, ma
non chiese delucidazioni su quella frase. Era bello così.
Voleva
portarsela dietro così. Si sentiva stupida, una ragazzina
alla sua
prima cotta, ed era imbarazzata allo stesso modo. Ma non le
importava. Non le importava niente.
Daryl
rimase fermo dov'era, non aveva provato ad allontanarsi e questo non
rifiuto la incoraggiò a spingersi ancora più
avanti. Tremava e
sentiva di avere le mani sudate. Chiuse gli occhi e sorrise a pochi
centimetri dalle sue labbra << Non so cosa sto facendo.
>>
sussurrò raggiunto ormai il punto di non ritorno. Nella sua
testa
c'era solo tanta cofusione, ma in mezzo a tutto quel frastuono una
sola voce le arrivava chiara, la voce che la spingeva a fare quel
passo in più, anche se forse poi se ne sarebbe (di nuovo)
pentita.
Non le importava. Non sentiva altro che il calore della sua pelle,
del suo corpo poggiato al suo , e il suo odore che le faceva
letteralmente girare la testa.
<<
Io sì. >> sussurrò Daryl
così piano che per un attimo Ocean
credette di averlo solo immaginato, ma poi tutto si dissolse quando
finalmente sentì le labbra del ragazzo schiacciarsi contro
le sue. E
tutto esplose. Il tempo perse il suo giro, lo spazio intorno a loro
sembrò inesistente, i corpi evanescenti avevano perso
consistenza.
Loro erano solo quelle bocche che continuavano nella loro danza e che
più desideravano fermarsi.
<<
Dovremmo parlarne. >> suggerì Ocean stesa sul
letto, la testa
poggiata su una spalla di Daryl, entrambi impegnati a giocherellare
ognuno con le proprie cose, ognuno perso nel proprio mondo. Ma
più
vicini di quanto mai lo erano stati prima.
Daryl
si voltò a guardarla, accennando un sorriso e
mugulò un <<
Nah. >> prima di tornare a giocherellare con una delle
sue
frecce. Ocean ridacchiò, divertita da quel suo apparente
disinteressamento. Stavano bene così, lo sapeva, lo sentiva
anche
lei, e anche se era giusto parlarne...perchè farlo col
rischio di
rovinare tutto?
Una
voce proveniente dall'esterno della cella, intenta a sforzarsi in
chissà quale lavoro, li spinse ad alzare gli occhi e videro
entrare
barcollante e affaticata, con decisamente troppe cose in mano,
Molly.Teneva con entrambe le mani una specie di vassoio con sopra un
piatto, una bottiglia d'acqua, dei fiori e il suo orsetto sotto
braccio. Ocean si alzò dal letto velocemente, allungandosi
verso la
bambina per aiutarla nel suo incarico.
<<
Nonno Hershel ha detto che devi mangiare, Alice! >> quasi
la
rimproverò la bambina, onorata ancora una volta di potersi
rendere
utile come assistente del dottore.
<<
Nonno Hershel? >> chiese Ocean ridendo. Più
passava il tempo e
più quel semplice gruppo stava diventando una vera e propria
famiglia. Ed era la cosa migliore per tutti, non solo per i bambini.
<<
Ha detto posso chiamarlo così. >> si
giustificò la piccola
prima di afferrare il mazzetto di fiori di campo poggiati sul vassoio
e porgerli alla ragazza << Li ho appena raccolti per te!
>>
sorrise entusiasta. Ocean li prese, incredula, ma non ci mise molto a
fare due più due << Sei stata fuori da sola?
>> chiese
spaventata, guardandola severa. Cosa le era passato per la testa?
Avevano appena lasciato il cortile esterno ancora invaso, sarebbe
bastato un piccolissimo incidente e sarebbe potuta finir male per
lei. E poi Ocean odiava che Molly avesse a che fare con creature del
genere, sentiva era ancora troppo piccola. Doveva tenersene lontana.
<<
Non ero sola! C'era zio Merle con me! >>
spiegò ancora la
piccola, lasciando entrambi i presenti letteralmente a bocca aperta.
<<
La piccoletta voleva prendere una boccata d'aria, e visto che voi due
eravate tanto impegnati ci ho pensato io. >> la voce di
Merle,
sempre provocatoria, fece il suo ingresso insieme all'uomo ghignante
e che probabilmente cercava di mimare un bacio con quella
teatralità
che dava alle labbra e alla lingua.
Ocean
inarcò il sopracciglio e alzò lo sguardo
divertito << Zio
Merle? >> chiese ridacchiando. Davvero le aveva detto di
chiamarlo zio? Stava cercando di prenderli in giro o era serio?
<<
E' la figlia di mio fratello. >> disse lui.
<<
Non sono suo padre, te l'ho già detto. >>
intervenne Daryl
cercando di tener calma una certa rabbia che quasi sempre veniva
fuori quando si rivolgeva a lui.
<<
L'hai adottata, no? >> e tra i due nacque un'ulteriore
discussione: Merle continuava a provocare e Daryl continuava a
incitarlo a stare zitto e togliersi dai piedi.
<<
Grazie, Merle. >> interruppe Ocean, riuscendo
miracolosamente a
zittire entrambi. Daryl si sarebbe aspettato che Ocean la furia si
fosse scagliata contro il fratello per aver esposto a un pericolo la
bambina, mentre Merle....forse era la prima volta che qualcuno di
estraneo gli diceva grazie per qualcosa che aveva fatto. Lo colse
impreparato. Soprattutto in un ambiente come quello, dove tutti gli
erano ostili. Lesse negli occhi della ragazza che quasi aveva ucciso
dolcezza e sincera gratitudine. Che razza di essere era quello?
Davvero non era adirata con lui? Dopo tutto quello che aveva fatto?
Cominciò a pensare che non ci stesse tanto con la testa.
<<
Sai, zio Merle mi ha fatto tenere in mano un coltello. >>
raccontò Molly, ritenendo, chissà per quale
motivo, il momento
migliore per farlo.
L'espressione
di Ocean mutò di colpo << Tu cosa?
>> chiese fulminando
Merle.
<<
E tanti saluti al "grazie Merle". >> sbuffò
lui
voltandosi con l'intenzione di andarsene.
Ocean
poggiò il piatto sul letto dov'era seduta e si
alzò per seguirlo <<
No, ascolta, bello! >> lo richiamò andandogli
dietro <<
Non azzardarti mai più a far cose del genere, capito?
>>
<<
Di cosa hai paura? >> le chiese Merle.
<<
E' una bambina! >> sottolineò lei
<< Non si danno
coltelli a una bambina! >>
Merle
si fermò e le puntò gli occhi addosso
<< Una bambina non
dovrebbe nemmeno avere degli zombie da giardino, allora.
>>
<<
Infatti la teniamo al sicuro qui! >>
<<
Vuoi tenerla prigioniera per sempre? >> chiese Merle
prima di
riprendere a camminare, desideroso di andare a fare chissà
quale
commissione << Svegliati, bambolina! Qui nessuno
è al sicuro.
Se continuerai a costringerla a stare attaccata alla tua gonna, il
giorno che sarai costretta a voltarti per salvarti il culo poi non la
ritroverai. >>
<<
Quando sarà più grande le insegneremo a
difendersi. >> disse
Ocean, ferma nelle se convinzioni.
<<
Potrebbe essere troppo tardi. Quanti anni ha? Cinque? >>
<<
Sette. >>
<<
E' grande abbastanza. >>
Ocean
aprì bocca con l'intenzione di rispondere ancora, per niente
d'accordo con l'uomo, ma Carl interruppe ogni sorta di conversazione
che stava avvenendo in quel momento.
<<
Papà! Andrea! C'è Andrea al cancello!
>> chiamò dalla porta.
Rick si avvicinò velocemente a lui e chiamò a
raccolta <<
Daryl! Ocean! Beth! >> ma a seguirlo non furono solo loro
ma
anche Michonne e Merle. Glenn corse a uno dei punti di guardia,
insieme a Carol, tutti armati e allarmati. Uscirono all'aperto
silenziosi e si andarono a rifugiare dietro la prima auto.
<<
Di là. >> indicò Rick a Ocean il
punto di osservazione che
avrebbe dovuto raggiungere. La ragazza alzò gli occhi sopra
l'auto,
si guardò attorno e procedette bassa, quasi in ginocchio,
veloce
fino all'auto accanto. Si portò il fucile che le era stato
dato alla
spalla, poggiandolo, e alzò di nuovo gli occhi sopra la
macchina,
guardandosi attorno. Non vide nessuno nei paraggi, se non Andrea che
procedeva rapida con uno zombie legato a un'asta di ferro.
Non
aveva avuto tempo di chiedere e meravigliarsi, ma quella per lei era
stata una vera e propria sorpresa. Era convinta che Andrea fosse
morta alla fattoria, e invece ora se la vedeva arrivare tutta intera,
ben vestita e pettinata, con uno zombie al guinzaglio. E la cosa che
la sorprendeva ancora di più era il fatto che i suoi
compagni non
erano meravigliati quanto lei. Che già sapessero? E poi
perchè
accoglierla con le armi? Era stata via solo un pomeriggio, eppure le
sembrava di esser mancata mesi.
Fece
un cenno con la testa a Rick per comunicargli che la strada era
libera, e rimase in postazione, continuando a fare da vedetta, mentre
i suoi amici si avvicinavano velocemente al cancello.
Rick
sbattè Andrea alla recinzione prima di perquisirla, poi la
fece
inginocchiare, e finì di controllare il perimetro. Tutto
sembrava
tranquillo: Andrea era sola, non armata e nessuno era nei paraggi.
Ocean si sollevò e si rilassò, mettendo via il
fucile e
avvicinandosi rapida a lei.
<<
Andrea! >> la salutò nel momento in cui Rick
le permise di
rialzarsi e corse ad abbracciarla.
<<
Sei viva! Come... io credevo che... >>
cominciò Ocean, curiosa
di sapere tante cose, ma cosa di preciso era un mistero.
<<
Sto bene. E anche tu! Vedo ti sei adattata bene. >>
Sorrise
Andrea, prima di ricevere un altro stritolante abbraccio della
ragazza << Non ho mai avuto occasione di ringraziarti. Mi
hai
tirata giù tu da quell'albero, ti devo tanto.
>>
Andrea
le sorrise e Rick la invitò di nuovo a seguirlo.
<<
Vieni, saranno tutti felici di rivederti. >> disse Ocean
andando avanti, inconsapevole di cosa in realtà significasse
quella
visita.
La
prima e unica a riabbracciarla con le lacrime agli occhi fu Carol,
poi Andrea guardò il resto dei suoi compagni. C'era
imbarazzo, c'era
gioia, c'era paura e preoccupazione. Era tutto così strano.
Ma erano
di nuovo insieme. In quel momento uscì Molly dal blocco
delle celle
e corse verso Ocean. Si nascose dietro le sue gambe, stringendo tra
le dita i suoi pantaloni, e guardando intimorita Andrea. La
conosceva, sapeva che era buona, ma se tutti erano così tesi
e
spaventati dalla sua presenza un motivo doveva esserci. Ocean le
accarezzò i capelli per tranquillizzarla e tornò
a guardare Andrea,
la quale aveva rivolto uno sguardo addolcito verso la bambina prima
di dire << Come sei cresciuta. >>
<<
Dov'è Shane? >> chiese poi guardandosi
attorno, non riuscendo
a ritrovare alcuni dei vecchi volti che aveva lasciato alla fattoria.
Nessuno rispose. Il suo cuore mancò un battito.
<<
E Lori? >> chiese ancora.
Nessuna
risposta.
Ma
Hershel aggiunse poco dopo << Ha avuto una bambina. Lori
non è
sopravvissuta. >>
<<
E nemmeno T-Dog. >> aggiunse Maggie.
<<
Mi dispiace tanto. >> piagnucolò la bionda.
Provò ad
avvicinarsi a Carl, forse per abbracciarlo, ma lui fece un passo
indietro. Poi tentò la stessa cosa con Rick, ma ricevette lo
stesso
servizio. Avevano paura. Non si fidavano. Perchè? Cosa
sapevano che
Ocean non sapeva?
Ma
Andrea parve accettarlo e chiese ancora << Vivete tutti
qui? >>
<<
Qui e nel blocco delle celle. >> rispose Glenn.
<<
Lì? >> chiese lei indicando <<
Posso vedere? >>
<<
Non ti è permesso. >> le si piantò
davanti Rick, allarmato.
<<
Non sono un nemico, Rick. >> cercò di
tranquillizzarlo lei.
<<
Avevamo tutto il campo e il cortile, finchè il tuo uomo non
ha
sfondato il recinto con un furgone e non ci ha sparato addosso.
>>
spiegò Rick, dandole un buon motivo per considerarla
"nemico".
<<
Cosa? >> chiese Ocean incredula << Un tuo
uomo? >>
si rivolse a Andrea << Tu stai col Governatore?
>> ma non
aspettò la risposta, già la conosceva. Ora capiva
il perchè di
tutto quel timore. Quello che aveva temuto con Daryl si era avverato
con Andrea: lei ora era il nemico.
<<
Ha detto che avevate sparato prima voi. >> disse Andrea a
Rick.
Aveva la faccia di chi chiaramente non ci stava capendo niente.
<<
Ti ha mentito. >> disse Rick.
<<
Ha ucciso un carcerato che era sopravvissuto qui dentro.
>>
specificò Hershel, sottolineando la crudeltà di
quel folle uomo.
<<
Ci piaceva. Era uno di noi. >> disse Daryl riferito ad
Axel.
Ocean abbassò lo sguardo, volgendolo a Molly. Una scusa
qualunque
per non doverli tenere alti. Le era dispiaciuto per Axel, era quello
che più di tutti pregava per tenersi stretta la vita, e il
destino
aveva voluto giocare con lui. Era un bravo ragazzo, sarebbero andati
d'accordo...se solo non fosse arrivato il Governatore. Ancora una
volta.
<<
Io non ne sapevo niente. Appena l'ho scoperto sono venuta subito.
>>
spiegò Andrea con le lacrime agli occhi, affranta e
dispiaciuta per
quanto successo << Non sapevo nemmeno che voi foste a
Woodbury
dopo la sparatoria! >>
<<
Sono passati due giorni. >> la rimproverò
Glenn.
<<
Te l'ho detto! Sono venuta appena ho potuto. >>
continuò
Andrea, ma ancora non ricevette consensi.
<<
Che cose gli hai raccontato? >> chiese a Michonne,
accusandola
di chissà quale crimine, crimine da cui lei si
discolpevolizzò
immediatamente con un disinteressato << Niente.
>>
<<
Non capisco. Ho lasciato Atlanta con voi e ora sono una sconosciuta?
>>
<<
Ha quasi ucciso Michonne, e avrebbe ucciso anche noi. >>
disse
Glenn, trovando il motivo di tanta colpevolezza.
<<
Col suo dito sul grilletto! >> urlò Andrea
puntando un dito
contro Merle << Non è lui che vi ha rapiti e
picchiati? >>
ma ancora nessuna risposta arrivò. Non le avrebbero dato
conto. Era
appurato. Era col nemico, e per tanto era nemico anche lei.
<<
Ascoltate. >> sospirò alla fine lei, affranta
ma arrendevole
<< Non posso scusare nè spiegare quello che ha
fatto Philip,
ma sono qui per cercare di farvi avvicinare. Dobbiamo risolvere la
situazione. >>
Ocean
non riuscì a trattenere uno sbuffo ironico, come avesse
appena
sentito una divertente battuta. Avvicinarsi al Governatore. Ridicolo.
Dopo quello che aveva fatto, non meritava nessun tipo di
considerazione. E Rick parve pensarla come lei << Non
c'è
niente da risolvere. Dobbiamo ucciderlo. Non so come o quando, ma lo
faremo. >>
<<
Possiamo trovare un accordo. >> lo stava difendendo.
Andrea
stava difendendo il Governatore. Ecco qual era la differenza tra lei
e Merle. Era Merle quello che teneva la mano sul grilletto, ma lo
aveva fatto perchè non aveva avuto altra scelta. Lei lo
stava
facendo invece semplicemente perchè voleva.
Ecco
perchè non si sarebbero fidati.
<<
Sappiate che a Woodbury c'è posto per tutti voi.
>>
<<
Sì, certo, incatenati fin quando non decideranno di
ucciderci. >>
disse ancora Ocean, che come sempre non riusciva a tenere per
sè i
suoi pensieri.
<<
Possiamo parlarne, sono sicura che Philip capirà...
>> ma
Ocean la interruppe << Il tuo carissimo Philip
>> storpiò
il suo nome, era disgustoso che ne avesse uno. Ed era disgustoso che
Andrea lo chiamasse così, dandogli un'identità,
legandosi a lui
come Daryl aveva fatto con lei quando aveva cominciato a chiamarla
Alice << Non desidera altro che vedere le nostre teste su
delle
picche. >>
<<
Questo non è vero. >> cercò ancora
di parlare la bionda ma
Ocean ormai era incontrollabile << Ha ucciso i miei
amici! E
quasi ucciso me e i miei compagni! Il motivo? Che ne
so...onnipotenza, probabilmente. >> Molly strinse ancora
di
più i suoi vestiti, attirando la sua attenzione. Non le
piaceva
quando urlava, le faceva paura. Ocean le fece un'altra carezza sulla
testa, sospirò, poi concluse << Io non voglio
neanche vederlo.
Non mi fido...e non dovresti neanche tu. >>
<<
Che cosa ti fa pensare che quell'uomo abbia voglia di negoziare? Te
l'ha detto lui? >> chiese Hershel e Andrea rispose un po'
turbata << No. >>
<<
E allora perchè sei venuta qui? >> chiese Rick.
<<
Perchè lui si sta preparando alla guerra. La gente
è terrorizzata,
vi vedono come degli assassini! Si addestrano per un attacco.
>>
<<
Sai che ti dico? >> a parlare questa volta fu Daryl
<<
Quando rivedrai Philip digli che gli caverò l'altro occhio.
>>
era stato silenzioso fino a quel momento, ma era bastata quella
semplice frase per far capire che il suo livello di rabbia era pari,
o forse superiore, a quello dei suoi compagni. Gli aveva, e gli stava
tutt'ora portando via troppo.
<<
Abbiamo subìto troppo per troppo tempo. Vuole una guerra?
L'avrà.
>> disse Glenn.
<<
Rick. >> Andrea si rivolse a lui, non riuscendo ad avere
il
consenso di tutti gli altri, sperando che almeno il capo le avesse
dato ascolto << Se non ti impegni per risolvere la
situazione,
non so cosa potrà succedere. Lui ha un'intera
città. >> si
voltò verso gli altri << Guardatevi! Avete
già perso così
tanto. >>
<<
Vuoi rimediare la situazione? >> chiese Rick spostandosi
e
piazzandosi di fronte a lei << Facci entrare.
>>
<<
No. >>disse semplicemente lei e ciò
bastò a Rick per
allontanarsi velocemente con un << Allora non abbiamo
niente di
cui parlare. >> senza neanche sentire il suo
<< Ci sono
persone innocenti! >>
Ocean
si voltò verso Molly e la prese in braccio <<
Torna dal
piccolo Philip. >> disse con astio. Detestava quell'uomo
e
detestava sentire che c'era chi lo difendeva, soprattutto se questa
qualcuno una volta era loro amica << Mi dispiace, hai
fatto un
viaggio a vuoto. >> e si incamminò dietro
Rick, rientrando
nelle celle.
Rientrò
nella cella dove aveva lasciato il suo piatto e lo trovò ben
spazzolato da un furbacchione che aveva approfittato della
distrazione dei presenti.
<<
Oh, Max! >> brontolò lei posando Molly a
terra. Guardò il suo
piatto: ormai era rimasto ben poco. Sospirò <<
Chiederò a
Nonno Hershel se mi prepara qualcos'altro. >> disse
rivolta a
Molly, cercando di sorriderle. Ma la bambina non sembrò
ricambiare.
Percepiva sempre l'aria della prigione e chissà quali sue
personali
conclusioni ne tirava.
Si
mise a sedere sul letto e riprese il suo orsetto, giocandoci
distrattamente poi chiese << Perchè Andrea
è diventata
cattiva? >>
<<
Andrea non è cattiva. >> disse Ocean
mettendosi a sedere
vicino a lei. Le dispiaceva vederla triste, e, per un bambino, dire
che una persona era cattiva era qualcosa di orribile. Non voleva
metterle in testa questo triste pensiero, non era giusto che lei
venisse coinvolta in così terribili verità.
<<
Ma siete tutti arrabbiati con lei! >>
<<
Non la pensiamo allo stesso modo riguardo a una faccenda. Ma lascia
perdere le cose da grandi, tu. >> disse lei cercando di
sorriderle incoraggiante. Adorava il suo radioso sorriso, voleva
sempre vederglielo in volto. Ma purtroppo quel mondo tanto buio era
in grado di sovrastare anche la più grande stella.
<<
Io sono grande! >> disse Molly quasi con astio,
aggiungendo
subito poi, prima che Ocean potesse rispondere altro <<
Ho
chiesto io a zio Merle di farmi provare il coltello. >>
Ocean
ne rimase un attimo turbata. Era stata convinta che fosse stato lui a
forzare la sua crescita, per questo si era arrabbiata tanto, non
voleva che Merle mettesse bocca in certe faccende "da genitori",
e invece lui aveva solo accontentato un desiderio che lei non era
riuscita ad ascoltare.
<<
Voglio imparare a combattere, voglio essere in grado di difendere te
e Daddy. Voglio proteggervi, così potremo sempre stare
insieme. >>
Ocean
sospirò, non sapendo bene cosa dire. Doveva metabolizzare
quell'informazione, capirne il significato, farla propria. Non
riusciva bene a capire dove metterla. Aveva bisogno di un po' di
tempo. Era così incredibile che quella bambolina, unica
perla
luminosa ai suoi occhi, scintilla che ancora brillava, desiderava
mischiarsi a loro comuni mortali. Perchè non voleva solo
fare la
bambina? Perchè non potevano più esserci solo
bambine?
<<
Vado a prendere qualcosa da mangiare. >> disse
semplicemente,
lasciando lì la piccola rossa e allontanandosi.
<<
Sei arrabiata con me? >> chiese Molly quando Ocean era
già
sulla porta, costringendola a bloccarsi. La ragazza si voltò
rivolgendole un sorriso, pregando fosse abbastanza convincente e
disse con tranquillità << No. Non sono
arrabbiata. >>
Rimase
seduta al tavolino all'ingresso, con una forchetta che pigramente si
infilzava in continuazione dentro la poca carne in scatola rimasto
sul fondo. Ne aveva mangiata più di metà e ne
avrebbe mangiata
ancora se solo lo stomaco avesse smesso di attorcigliarsi su se
stesso. Daryl la raggiunse alle spalle e a lei bastò sentire
i suoi
passi per ricoscerlo.
<<
Molly ha detto che vuole imparare a usare il coltello. >>
comunicò sempre intenta nel suo stupro al cibo in scatola.
Daryl le
si sedette accanto e sospirò << Lo so.
>>
<<
Non pensi sia sbagliato? >> chiese ancora lei.
Daryl
alzò lievemente le spalle << E' bene impari a
difendersi. >>
<<
No, intendo.... >> ma si interruppe, prendendosi una
pausa
riflessiva. Guardò il povero martoriato sotto la sua
forchetta e le
sfuggì un malinconico sorriso << Alla sua
età io chiesi a mia
madre di insegnarmi a cucire. >> Il silenzio che ne
seguì fu
pieno di parole. Parole su quanto fosse triste la realtà a
cui
appartenevano, parole su quanto le mancasse la sua vecchia vita, su
quanto le mancasse casa, parole su quanto il mondo fosse
così
sbagliato.
<<
Non mi abbituerò mai completamente. >> disse
ancora lei,
riferendosi a ciò che stavano vivendo.
<<
Lascia che le cose vadano come devono. >>
sospirò ancora lui
<< Non accanirti. >>
Ocean
sorrise e si voltò a guardarlo << E' riferito
anche a noi? >>
chiese lei. Non riusciva a darsi pace, non riusciva a capire cosa
fossero, dove dovessero andare, aveva bisogno di saperlo. Daryl
sorrise prima di abbassare lo sguardo, divertito e forse un po'
imbarazzato << Forse. >>
Ocean
sorrise addolcendosi e tornò a guardare il suo cibo: lo
stomaco
stava calmandosi appena e forse sarebbe riuscita a finirlo.
<<
Ti voglio bene, Daryl. >> disse forse senza pensarci, ma
non
senza rimpianti. Aveva solo detto quello che aveva pensato. Ma la
reazione non fu quella aspettata: Daryl sbruffò
così sonoramente e
vistosamente che sputacchiò saliva sul tavolo, le diede una
spinta
al braccio poi si alzò e si allontano. Ocean lo
guardò con gli
occhi sgranati e un sorriso divertito << Che
c'è? >>
chiese smorzando la frase con una risata. Che gli era preso? Non
aveva avuto mai un trattamento del genere neanche quando aveva
provato a raccontare a qualche amico una stupida freddura sentita al
peggiore show comico televisivo del tempo.
<<
Che ho detto? >> chiese ancora ridendo, chiedendosi in
quale
parola si trovasse la cazzata che aveva scaturito quella reazione
così contrariata. Ma ancora non ricevette risposta e Daryl
la lasciò
sola con le sue risate confuse.
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Capitolo 29 *** Gagliardia. ***
Gagliardia.
Molly
corse nel cortile esterno, chiedendosi perchè Alice l'avesse
chiamata lì. Il sole era sorto da poco, aveva appena avuto
tempo di
far colazione. Si guardò attorno, cercando la mora, quando
improvvisamente fu bloccata da un bastone che quasi la colpì
al
petto. Si voltò a guardare chi lo stesso sorreggendo e
lì trovò
Ocean, seduta a terra con le ginocchia sollevate e le braccia
poggiate su di esse. La guardava seria e fredda, come poche volte
aveva fatto.
<<
Prendilo. >> le disse e la bambina obbedì,
chiedendosi ancora
cosa avesse in mente. Ocean si alzò pigramente da terra e si
piazzò
di fronte a lei, dritta e ben ferma sui suoi piedi, come un albero
secolare. I pollici erano infilati nella sua cintura, sorreggendosi a
essa.
<<
Prova a colpirmi. >> la invitò.
Molly
guardò il bastone che aveva tra le mani e poi
guardò nuovamente
Ocean. Non la stava prendendo in giro, faceva maledettamente sul
serio. I suoi occhi freddi ne erano la prova. Voleva davvero
insegnarle a combattere.
Strinse
il bastone con entrambe le mani, sentendosi emozionata all'idea di
poter finalmente entrare a far parte della cerchia dei grandi e lo
sollevò sopra la testa. Corse incontro alla ragazza e
provò a
colpirla, ma lei con un semplice spostamento obliquo schivò
il
colpo.
<<
Sei lenta. Prova ancora, non fermarti fin quando non riuscirai a
colpirmi. >> le disse Ocean e Molly ricominciò
subito a tirar
colpi a destra e a manca, scoordinata e senza un senso logico,
cercando solo di prendere la ragazza che riusciva sempre ad avere il
tempo di capire la traiettoria del suo lento bastone e schivarlo.
Molly
fece ancora qualche passo in avanti, cercando di starle vicino per
riuscire a colpirla, ma inciampò nella sua gonna troppo
lunga e
cadde a terra. Portò appena in tempo le mani in avanti per
evitare
una rovinosa caduta di faccia, ma le ginocchia colpirono miseramente
il suolo.
<<
Ahi! >> piagnucolò guardandosi le mani
sbucciate. Stava già
per mettersi a piangere quando Ocean l'afferrò per un
braccio e la
sollevò di pesa da terra << Il nemico non
starà lì ad
aspettare che tu smetta di piangere e le lacrime annebbiano la vista,
non lo vedresti più. >> l'ammonì
prima di sfoderare una delle
sue daghe dalle cinghie legate al petto. Afferrò la gonna di
Molly e
con un colpo netto ne taglio la parte in fondo, appena sotto le
ginocchia. Le fece fare un giro completo e finì di tagliare
la sua
gonna.
<<
Così non hai più impicci. Vedrò di
procurarti un paio di pantaloni
in questi giorni. >>
Molly
stette in silenzio, ascoltando le sue parole e sentendosi una strana
sensazione dentro. Non era mai stata così fredda con lei,
l'aveva
sempre trattata come la più preziosa delle bamboline, ora
invece
aveva addirittura paura che al prossimo errore le sarebbe arrivato un
ceffone. Si guardò le ginocchia sollevando appena il resto
della
gonna: c'era una sbucciatura che perdeva un po' di sangue e questo la
spaventò.
<<
Ma brucia. >> piagnucolò ancora.
<<
Il giorno che ti troverai di fronte a un uomo cattivo o uno di quei
mostri lì, le ginocchia che bruciano saranno il minore dei
tuoi
problemi. Sopporta il dolore. >> ordinò.
<<
Non ce la faccio. >> piagnucolò ancora.
<<
Vuoi imparare a difenderci e poi piangi per così poco?
>> la
sgridò prima di afferrare il bastone << Torna
dentro, non sei
pronta. Torna a giocare con le bambole. >>
<<
No, io voglio imparare! >> brontolò Molly.
Ocean
si chinò su di lei e la guardò dritta negli occhi
<< Per
imparare a combattere, per imparare a difenderti, devi essere forte.
Devi! Ma non forte qui... >> indicò una delle
sue braccia <<
Devi essere forte qui. >> indicò la sua testa,
all'altezza
della fronte << Se ti fai male non piangi! Se hai paura
non
urli! Impara a controllare te stessa, solo dopo potrai controllare
un'arma. Tu sei forte, quella sbucciatura non fa male. Dillo!
>>
<<
Io sono forte... >> piagnucolò ancora
<< ...Io sono
forte! Non fa male! Io sono forte. >> urlò
alla fine decisa e
determinata.
<<
Brava, bambina. >> le scompigliò
affettuosamente i capelli e
le ripassò il bastone << E ora forza.
Colpiscimi. >> si
riposizionò di fronte a lei e l'allenamento riprese,
rumoroso e
faticoso, con Molly che urlava a ogni colpo per darsi carica, Ocean
che l'ammoniva ogni qual volta lei sbagliasse e la piccola che, ormai
stanca, aveva preso a bisbigliare tra sè a ogni colpo
<< Io
sono forte. Non fa male. >>
Era
l'ora di pranzo quando finalmente Ocean decise di lasciarla andare:
aveva il fiatone, i capelli rossi erano tutti appiccicati alla fronte
sudata, aveva le gambe sporche per via della polvere sollevata nel
correre e le ginocchia ferite per colpa di altre 2 o 3 cadute.
Ocean
le si avvicinò mentre lei era china su se stessa a soffiarsi
sulle
ginocchia doloranti, con le lacrime agli occhi, ma determinata a non
piangere. La prese in braccio e si avviò verso l'interno
della
prigione sorridendole, finalmente, amorevole << Sei stata
bravissima. >> si congratulò.
<<
Ti ho colpita solo una volta. >> si lamentò
lei insoddisfatta.
<<
Sì, ma mi hai fatto un gran male. >> rise
Ocean dandole un
affettuoso buffetto sul naso << Oggi pomeriggio se non
sei
troppo stanca puoi chiedere a Daddy se ti da qualche lezione di
tiro, eh? >>
<<
Oh, sì! >> si illuminò lei
improvvisamente << Spariamo
alle bottiglie! Lo zio lo faceva spesso con papà!
>>
Entrarono
nella prigione e lasciò Molly a terra, così che
potesse correre
verso Daryl, seduto su degli scalini a mangiare il contenuto di una
delle scatole prese alla mensa, e rapida come un uragano
cominciò a
raccontargli la sua mattina. Aveva già dimenticato le
ginocchia
doloranti e la stanchezza.
Daryl
sembrava non ascoltarla, aveva sempre la faccia inespressiva, ma
sapevano tutti che in realtà non era così e
probabilmente stava
cogliendo anche le virgole del racconto della piccola. Poi le porse
la scatoletta che aveva tra le mani, chiedendole in un momento di
tranquillità << Hai fame? >>
<<
Sì! >> rispose lei entusiasta afferrandola e
strappandogliela
di mano, ma non potè affondare subito i denti nel cibo che
Ocean
intervenne di nuovo << Cosa hai intenzione di fare
conciata in
quello stato? Sei nera di terra perfino sulle labbra, prima ci
andiamo a dare una pulita. >> e gli strappò di
mano l'ambita
cibaria, non senza tirarsi dietro però un sacco di lamenti.
<<
Falla mangiare e dopo la porti a pulirsi. Ha fame. >>
disse
Daryl rivolto a Ocean.
<<
Così gli viene chissà quale anonima malattia, con
tutto lo schifo
che c'è fuori. >>
Daryl
scrollò le spalle << Anticorpi.
>>
<<
Andiamo! >> disse risoluta a Molly tirandola per una
mano,
senza ascoltare Daryl, anzi quasi ridendone. Era uno degli uomini
più
trasandati che avesse mai incontrato, e probabilmente l'apocalisse
zombie non era il motivo di questo.
<<
Che mammina rompi palle. >> rise Merle dall'altro lato
della
stanza, dopo aver assistito a tutta la scena. Ocean gli
offrì un
affettuoso dito medio mentre constringeva Molly ad andare in quello
che avevano decretato essere una specie di bagno. C'era una bacinella
piena d'acqua, raccolta da una delle pompe che loro stessi avevano
costruito in modo da raccogliere l'acqua del canale lì
vicino. Ci
immerse un panno, lo strizzò dall'acqua in eccesso e lo
passò prima
sulle mani della bambina e poi sulla faccia. Diede una pulita veloce
e generale al resto, ma senza accanirsi troppo, tanto si sarebbe
risporcata da lì a pochi minuti e non ne valeva la pena. Ma
almeno
il grosso era stato tolto.
<<
Ora posso andare? >> lamentò Molly.
Ocean
rise e la spintonò leggermente << Vai, forza.
Neanche ti
avessi torturato! >> la bambina corse via e
tornò da Daryl,
rubandogli di nuovo di mano il pranzo e divorandolo come poche volte
aveva fatto. Finito di mangiare non ebbe neanche la forza di alzarsi
e andare nella sua cella: si addormentò sullo scalino su cui
era
seduto il ragazzo, il quale poi la prese in braccio e la
portò a
letto.
Anche
Ocean pranzò con quel poco che era rimasto, poi si
avvicinò alle
armi raggruppate in un angolo della stanza e afferrò un
fucile <<
Vado a dare il cambio a Maggie. >> informò
prima di sparire,
diretta al corridio in rete che dava sull'esterno, sopra il cortile e
che collegava due zone distinte della prigione.
<<
Vai a mangiare qualcosa. >> disse a Maggie mettendole una
mano
sulla spalla per annunciare il suo arrivo. La ragazza sorrise,
ringraziò con un gesto della testa e cominciò ad
allontanarsi.
Aveva gli occhi velati, da quando erano tornati da quella
disavventura a Woodbury tutto era cambiato: Glenn era sempre su di
giri, pronto a menar colpi alla prima occasione e Maggie, sempre
silenziosa, non alzava più gli occhi da terra. Non aveva
avuto
cuoredi chiedere cosa fosse successo: qualsiasi cosa fosse stato li
aveva scossi entrambi.
<<
Maggie. >> la richiamò Ocean prima di vederla
sparire alla
porta << Mi dispiace per Woodbury. >> disse
semplicemente. Non riusciva a smettere di sentirsi in colpa: se solo
lei non avesse avuto quel colpo di testa forse sarebbe riuscita ad
aiutarli prima, e magari a impedire ciò che era successo.
<<
Non è stata colpa tua. >> si limitò
a rispondere la ragazza,
con un sorriso rassicurante, prima di andare via. Non stavano bene,
lo sentiva. Nessuno stava bene. Il Governatore li stava distruggendo
dall'interno.
Sospirò
e volse lo sguardo all'orizzonte.
<<
Rick non è ancora tornato? >> chiese Ocean
rientrando nella
prigione e passando il fucile a Glenn, che le avrebbe dato il cambio
alla guardia.
<<
No. >> rispose il coreano afferrando il testimone.
<<
Il sole sta tramontando, sono fuori da troppo tempo, sto cominciando
a preoccuparmi. >> ammise lei.
<<
Torneranno. Sta' tranquilla. >> sorrise incoraggiante
Carol
avvicinandosi a lei con Judith in braccio. Finalmente la "Piccola
Spaccaculi" aveva un nome.
<<
La tieni un attimo? >> chiese cominciando a spostare il
braccio
sotto la sua testa per poterla passare a Ocean. Ma la ragazza si
rabbuiò improvvisamente e fece un passo indietro
<< No...io
non... non sono capace. >> disse balbettando e portando
le mani
avanti.
<<
Oh, andiamo non è difficile. >> disse Carol
senza badare
troppo al suo sguardo impanicato. Ocean non ebbe tempo di ribellarsi
ancora che aveva già la piccola tra le braccia e la donna
stava
sparendo dentro il blocco delle celle. Si guardò attorno,
sperando
di trovare qualcuno che potesse tenerla al posto suo, ma al momento
gli unici presenti erano Max e i due fratelli Dixon, intenti a
parlottare tra loro dall'altra parte della stanza.
La
bambina tra le sue braccia si agitò e cominciò a
piangere. Sentiva
la sua tensione e la cosa la spaventava.
<<
No, no. >> bisbigliò lei afferrandola meglio e
sistemandosela
al petto. Le mani tremavano e il cuore sembrava impazzito. Un ricordo
si fece largo in lei e la costrinse a un malinconico sorriso.
-Lo tieni tu un attimo?-
-Chiara! No, aspetta...non so tenere i bambini. -
-Non
è difficile.-
-Chiara!
Sorellina! Andrea sta piangendo! Che devo fare?-
-Stai
tranquilla! Cantagli una canzone.-
Una
dolce melodia nacque quella sera, sotto il sole in tramonto, e
inondò
tutta la prigione silenziosa. Una melodia dalle parole
incomprensibili per molti, ma la cui morbidezza e dolcezza era
palpabile a pelle. Judith smise di piangere, cullata e incatata dalla
morbida voce che la ragazza dedicava solo a lei.
Non
era una ninna nanna, ma era la canzone che Alice sempre cantava ad
Andrea, il suo piccolo nipotino, quando piangeva e che sempre
riusciva a calmarlo. Una canzone d'amore che solo un genitore avrebbe
potuto dedicare al proprio figlio.
-Zia
Alice!!!-
Una
lacrima le rigò la guancia e non se ne accorse fin quando
non cadde
sulla fronte della piccola semi addormentata tra le sue braccia. La
malinconia le aveva attanagliato il cuore, ma ora non la temeva
più.
Quanto
le mancava sua sorella, suo nipote, sua madre, il cognato e la nonna.
Tutta la sua famiglia. Chissà se stavano bene.
La
stessa domanda.
Nessuna
risposta.
Accarezzò
la manina della piccola, chiusa a pugno, ma che al contatto di
schiuse e afferrò con forza il suo dito, stringendo.
Legandola a sè.
Finì
la cazone, ma continuò a canticchiare a labbra serrate, per
non
lasciarla sola nel silenzio, per continuare a tenerla tranquilla, a
farla sentire coccolata e protetta.
Daryl
le poggiò una mano sulla spalla: aveva lasciato suo fratello
al muro
e si era avvicinato, ma lei non l'aveva sentito.
<<
Dalla a me. >> disse semplicemente chinandosi in avanti
per
prendere il piccolo fagotto. Si era ricordato della foto trovata nel
suo portafoglio, tempo prima, quando aveva aperto il suo zaino: la
foto di un bambino che portava i suoi stessi occhi.
<<
Asciugati. >> aggiunse porgendole un fazzoletto rosso che
teneva sempre appeso alla tasca posteriore dei pantaloni. Non era
stato di molte parole, ma era stato facile sentire e cogliere il suo
tono dolce e comprensivo. Ocean si rese conto di avere le guance
umide e se ne vergognò.
<<
Che stupida. >> commentò mentre passava la
bambina al ragazzo
e prendeva il suo fazzoletto. Si asciugò le lacrime e si
sforzò di
riacquistare il sorriso il prima possibile.
Daryl
non le fece domande, e questo Ocean lo apprezzò tanto.
Sapeva essere
discreto e sensibile, era una grande qualità, soprattutto in
periodi
bui come quelli.
Dopo
qualche minuto tornò Carol con un biberon in mano
<< E' ora di
pranzo, Piccola Spaccaculi. >> comunicò
sorridente prendendo
il fagotto dalle braccia del ragazzo.
<<
Era una bella canzone. >> sorrise poi Carol a Ocean,
anche lei
dimostrando tatto e dolcezza.
La
ragazza, seduta un paio di scalini più in basso rispetto a
Darl,
rispose al sorriso << Mia madre ce la cantava sempre.
>> poi aggiunse, rendendosi conto della mancanza di
un'informazione <<
A me e mia sorella. >>
Carol
diede il biberon alla bambina che già aveva cominciato ad
agitarsi
tra le sue braccia, affamata << Avevi una sorella?
>>
chiese incuriosita.
<<
Gemella. Si chiamava Chiara. >> sorrise ancora Ocean. E
ancora
constatò che non le faceva più male pensare a
loro, solo tanta
tristezza e malinconia. Le mancava.
<<
Sarebbe stato interessante se tu ce l'avessi presentata.
>>
disse malizioso Merle, beccandosi le occhiatacce di tutti i presenti,
tranne che di Ocean stessa che, al contrario di quanto gli altri si
sarebbero potuti aspettare, scoppiò a ridere per
l'affermazione <<
Non credo tu avresti avuto qualche chance, Merle. >>
Merle
staccò le spalle dal muro su cui era appoggiato e
allargò le
braccia,gonfiando il petto << Che c'è? Non
sono il suo tipo?
>> e Ocean rise ancora. Merle era un idiota, e forse
proprio
per questo la faceva ridere. Non lo trovava poi così male,
aveva
solo il difetto di dire quello che pensava senza troppi freni
inibitori e in maniera poco delicata, ma bastava saperlo prendere.
<<
Era sposata. >> spiegò lei e lanciò
una fugace occhiata a
Judith << E aveva un bambino. >>
<<
Così giovane? >> chiese sconcertata Carol.
<<
Beh, abbiamo 27 anni. E' un'età giusta. >>
spiegò Ocean
arrossendo un po'. A nessuno sfuggì l'accidentale uso del
presente.
Un desiderio sfuggito al controllo del suo prepotente e stracarico
inconscio.
In
quel momento Molly sbucò dal blocco delle celle, ancora
mezza
addormentata, con i capelli spettinati e le manine che si
stropicciavano gli occhi. Non disse niente, ancora troppo assonnata
per parlare.
<<
Buongiorno, dormigliona! >> la salutò Ocean
sorridendo. Molly
le corse incontro e le si tuffò in braccio, poggiando la
testa sulla
sua spalla. La ragazza cominciò ad accarezzarle i capelli,
nel
tentativo di sistemarli grossolanamente e con un dolce sorriso
stampato in faccia sussurrò << Stai ancora
dormendo, eh? >>
Molly
annuì e basta, guardandosi poi attorno con gli occhi
semichiusi,
cercando probabilmente di capire dove fosse e che ore fossero.
<<
Hai dormito tutto il pomeriggio lo sai? >> le disse
ancora
dolcemente, sempre intenta a sistemarle i capelli.
<<
Dovevo sparare alle bottiglie con Daddy. >>
mugulò lei delusa,
con la voce ancora gracchiante.
<<
Lo faremo domani mattina. >> sorrise Daryl, guardando la
rossa
dalla posizione sopraelevata in cui si trovava.
In
quel momento la porta del loro blocco si aprì e rientrarono
finalmente Rick, Michonne e Carl, con un volto scuro, preoccupato e
una decisione.
<<
Parleremo con il Governatore. >>
<<
Rick, fammi venire con voi! >> lo implorò
ancora Ocean, la
mattina del loro incontro. Ne avevano già parlato a lungo,
più
volte in quei giorni, ma l'uomo era sempre risultato irremovibile.
<<
No, ho già detto che verranno con me solo Daryl e Hershel.
>>
disse l'uomo
<<
Ti prego! Non posso restare chiusa qui dentro mentre voi...
>>
<<
Hai già avuto il tuo momento con il Governatore, e non
è andata
bene. Sappiamo tutti che tipo di rapporto c'è tra voi due.
>>
disse Rick cercando di essere risoluto.
<<
Non farò cose stupide. Lo prometto! Starò buona,
non mi lascerò
andare all'istinto. Seguirò le tue istruzioni. E poi ci
sarà Daryl
con me, lo sai che.... >> arrossì un po'
<< ...Beh, lui
riesce a controllarmi. >>
<<
Daryl non può stare dietro a te. >> la stava
trattando come
una capricciosa ragazzina e questo la mandava in bestia.
<<
Non lo farà! So badare a me stessa. >>
<<
No, non è vero. >> rispose Rick con un certo
astio e
provocazione, voltandosi per fulminarla. Discutendo e litigando erano
ormai arrivati alle auto già pronte per partire. Daryl stava
sistemando le ultime cose alla sua moto, ed Hershel era dentro
l'auto, che finiva di sistemarsi un coltello legato a quel che
rimaneva della gamba tagliata.
<<
Se le cose si mettono male non potrai fare affidamento solo sulla
balestra di Daryl, è troppo poco. >> disse
Ocean sostenendo il
suo sguardo, senza lasciarsi intimorire e facendosi scivolare quelle
accuse addosso. Era arrabbiato con lei. Non glielo aveva mai detto,
ma ora era impossibile non notarlo: era arrabbiato per quello che
aveva fatto. Per essersi messa in pericolo a Woodbury e probabilmente
perchè così aveva messo in pericolo anche Daryl,
che sarebbe stato
disposto a buttare tutto all'aria pur di salvarla.
<<
Il Governatore arriverà lì ben armato e protetto,
lo sai. Forse non
li vedrete ma ci saranno uomini nascosti pronti a intervenire, e voi
sarete in due più uno zoppo, credi di riuscire a farcela?
>>
<<
Dobbiamo risultare pacifici, se ci vede arrivare in troppi si
allarmerà. >> stava per entrare nell'auto
quando Ocean lo
afferrò per la camicia e lo tirò di nuovo
indietro, costringendolo
a voltarsi << Rick, per favore! >>
sibilò tra i denti.
<<
Perchè ci tieni tanto a venire? >> chiese lui
non capendo la
tanta insistenza, se le sue intenzioni non erano quelle di venire per
ucciderlo.
<<
Perchè non riesco a stare qui. Voi....se vi succedeste
qualcosa e io
non fossi lì...Dio, uscirei di testa. >> Rick
riuscì a
cogliere il panico negli occhi della ragazza, panico che era nato
solo dall'ipotesi che dovesse succedere qualcosa. Voltò lo
sguardo
verso Daryl, intento a chiudere l'ultima borsa della sua
motocicletta: sapeva che era solo lui il vero problema. In quei
giorni lui e Ocean avevano cominciato insieme qualcosa di
più
grande, ormai era noto a tutti, e riusciva a capire la follia che le
avrebbe preso al saperlo solo in mezzo a un mare di pallottole.
Oltretutto, la presenza del Governatore la spaventava ancora di
più:
era terrorizzata dall'idea che lui le avesse portato via la cosa che
le era più cara al momento, un'altra volta.
<<
Se la caverà. Tornerà, vedrai. >>
disse più tranquillo,
cercando solo di risultare convincente e non aggressivo. Anche Ocean
si voltò, seguendo lo sguardo dell'uomo e posò
gli occhi su Daryl.
Aveva colto il segno. Ma non era solo quello.
<<
Devo vederlo. >> ammise abbassando la testa
<< Lui deve
vedermi. Deve vedere che ha fallito un'altra volta. Lui....non si
ricordava di me. Non sapeva chi ero! Ora... >> non sapeva
neanche lei come farglielo capire senza attorcigliarsi in scuse
banali << Voglio che sappia con chi ha a che fare.
>> era
solo orgoglio il suo, ne era consapevole, ma ne stava diventando
ossessionata.
Rick
abbassò gli occhi, pensieroso e sospirò.
<<
Per favore. La prigione è sicura! Ci sono Merle, qui, e
Maggie,
Glenn, Carl, Michonne, Carol. Sono tutti bravi con le armi, possono
difenderla. Una persona in più che differenza fa? Giuro non
ho
cattive intenzioni, ho solo bisogno di essere lì e...
controllare...
credo... farò attenzione! Non farò cose stupide!
>>
Rick
sospirò e le diede una leggera pacca alla spalla, ormai
stufo di
sentirla parlare << Sali, forza. >>
Ocean
sorrise << Grazie. >> e si tuffò
sui sedili posteriori
dell'auto, chiudendosi la portiera alle spalle.
Arrivarono
al luogo: una specie di cisterna abbandonata, con vecchi casolari
arrugginiti e ammuffiti. Un posto lugubre. Rick e Ocean uscirono
silenziosi dall'auto, e il primo fece cenno a Hershel di aspettare.
Daryl si mise a capo del piccolo gruppetto, con la balestra ben
spianata davanti, avanzava silenzioso, osservando ogni ombra e
ascoltando ogni minimo rumore. Dietro di lui veniva Rick e infine
Ocean a chiudere la fila, guardava loro le spalle. Rimasero nascosti
dietro le vecchie cisterne, giungendo al casolare dal retro, sperando
questo li avrebbe protetti da un eventuale imboscata. Daryl si
fermò
a osservare uno zombie a terra, controllando fosse morto e Rick nel
frattempo corse avanti. Fece cenno ai suoi due compagni di aggirare
il grande casolare che avevano raggiunto: lui sarebbe entrato da
dietro, loro due sarebbero andati davanti a controllare la
situazione.
Daryl
e Ocean, obbedendo, cominciarono dopo poco a sentire delle voci
provenire da dentro e non fu difficile capire di chi fossero: Rick e
il Governatore avevano cominciato la loro chiacchierata. Daryl
precedeva la ragazza, tenendosela dietro e andando per primo in
avanscoperta. Arrivò a una finestra e tenendosi nascosto
cercò di
sbirciare dentro. Ocean, dietro di lui, fece altrettanto. Come
immaginavano il Governatore era già lì e stavano
parlando, anche se
Rick aveva già puntato la pistola contro il suo viso. Erano
tutti
tesissimi e nessuno sapeva come sarebbe andata a finire quella
giornata. Erano soli in mezzo al nulla col nemico, le
probabilità di
uscirne indenni erano poche.
<<
Vado a fare un giro. >> Bisbigliò il
balestriere alla ragazza
<< Tu resta qui, tieni d'occhio la situazione.
>>
<<
Ok. >> annuì lei mettendosi al suo posto,
chinata sotto la
finestra, con la testa appena sporta per guardare dentro.
Daryl
fece qualche passo, poi si voltò nuovamente e aggiunse
<< Non
fare cose stupide! >>
Ocean
alzò gli occhi al cielo e sbuffò: questa
improvvisa mancanza di
fiducia da parte di tutti la stava scocciando. Fino all'episodio di
Woodbury nessuno l'aveva tormentata tanto sul suo modo di fare.
Daryl
si allontanò e la lasciò sola, ad origliare la
conversazione tra
uno dei suoi più grandi amici e l'uomo che avrebbe voluto
veder
saltare in aria.
Erano
passati neanche due minuti da quando Daryl si era allontanato e si
era fermato a parlare con Hershel, in macchina, sulla strada poco
lontano, che sentirono arrivare spedita un auto. Ocean si
raddrizzò,
allontanandosi dalla finestra e si avvicinò al gruppo per
controllare chi stesse arrivando, puntando repentina la pistola di
fronte a sè.
Una
jeep color crema arrivò quasi sfondando il recinto e si
fermò a
pochi metri da Daryl, da cui uscirono repentini Andrea, un uomo che
nessuno aveva mai visto, dallo sguardo scocciato e una camicia
stupida e Martinez.
Ocean
si avvicinò fino ad affiancare Daryl e continuò a
tenere sotto tiro
il gruppo, ignorando il fatto che con loro ci fosse Andrea.
<<
Perchè il tuo uomo era già dentro?
>> ringhiò Daryl alla
bionda.
Andrea
si guardò attorno un po' spaesata, prima di chiedere
<< E'
qui? >>
<<
Sì. >> ringhiò ancora lui.
Andrea
sbuffò e corse dentro il casolare.
Martinez
guardò il gruppetto che aveva di fronte e
strabuzzò un po' gli
occhi, ma con discrezione, quando vide che tra loro c'era Ocean, in
piedi e ancora viva. Ocean notò il suo sguardo sorpreso e ne
fu
felice: l'aveva riconosciuta. Ora sapevano che era maledettamente e
pericolosamente viva.
Si
lasciò scappare un sorriso provocatorio prima di dire
<< Ciao,
Martinez. >>
<<
Forse è il caso che io entri. >>
suggerì Hershel, dopo
mezz'ora di attesa. Inizialmente c'era stata un po' di tensione,
tutti avevano colto il tono provocatorio della ragazza al saluto, ma
per fortuna Ocean aveva mantenuto la promessa e non aveva fatto
niente di stupido. Ora era seduta sul cofano dell'auto, un ginocchio
tirato su e su cui poggiava il braccio pigramente, e non faceva
niente se non guardarsi attorno.
<<
Il Governatore riteneva opportuno che lui e Rick parlassero da soli.
>> intervenne l'altro ragazzo, quello dietro Martinez,
che ora
era poggiato all'auto ed era impegnato a scrivere chissà
cosa su un
foglio di carta.
<<
E tu chi diavolo sei? >> chiese Daryl abbastanza
innervosito
dal suo modo di fare da saccentino.
<<
Milton Mamet. >> si presentò lui tranquillo.
Aveva l'aria da
topo di biblioteca e di uno che non sa ancora un cazzo.
<<
Grandioso...ha portato il maggiordomo. >>
brontolò Daryl
visibilmente irritato. La frase fece ridere Martinez, anche lui
poggiato al cofano della sua auto, ma non ebbe lo stesso effetto su
Milton che spiegò scocciato << Sono il suo
consigliere. >>
<<
Oh. >> affermò Ocean, intervenendo nella
discussione con
l'aria di chi ha appena avuto una brillante idea <<
Allora
sappiamo a chi dare la colpa. E io, sciocca, pensavo fosse stato
tutto frutto della mente malata del Governatore. >>
disse. Se
era lui a dar consigli al Governatore allora stava facendo un pessimo
lavoro, dati i pessimi risultati.
<<
Che tipo di consigli dai? >> chiese ancora Daryl
provocandolo.
<<
Pianificazioni, zombie...ma chiedo scusa, non mi sento in dovere di
giustificarmi con un tirapiedi. >> rispose quattrocchi.
<<
Bada a come parli, raggio di sole. >>
<<
Se dobbiamo stare qui tutto il giorno a puntarci addosso le armi...
>> intervenne Martinez rivolto a Daryl <<
...fammi il
favore di chiudere il becco. >>
L'affermazione
ebbe un pessimo effetto su Daryl: detestava chi gli metteva i piedi
in testa. Gli si avvicinò minaccioso, fissandolo negli occhi
come un
cane che sta per saltare alla gola del suo avversario. Martinez non
lo temette e si raddrizzò sostenendo il suo sguardo.
Restarono
qualche secondo e fissarsi negli occhi, in una lotta di sguardi,
quando Ocean ridacchiò << Non fare niente di
stupido, Ocean.
>>
Avevano
ammonito a lungo lei, rompendole le scatole sul suo modo di fare
impulsivo e poi il primo ad attaccar briga era proprio lui. Ma Daryl
non sembrò darle retta, non lo faceva mai, seguiva sempre e
solo il
suo testosterone e questo la fece sbuffare << Andiamo, D!
Lascia perdere. >>
<<
Sì, D. >> lo canzonò Martinez
<< Ascolta la
fidanzatina, lascia stare. >>
Ocean
in meno di mezzo secondo scivolò giù dal cofano
della sua auto e si
avvicinò a passi veloci a Milton, puntandogli la pistola
alla
tempia. Tutti sobbalzarono, Milton per primo mugolò
terrorizzato,
Martinez puntò la sua pistola a Ocean, mentre Daryl e
Hershel la
puntarono a quest'ultimo e il tempo sembrò fermarsi,
costringendo
tutti a trattenere il fiato.
<<
Sei simpatico, ma io lo sono di più. Vuoi vedere un bel
giochetto?
Io ammazzo la talpa qui presente, loro ammazzano te >>
disse
indicando con un gesto della testa Daryl e Hershel <<
dopodichè
irrompiamo lì dentro e fine della faccenda. Il tuo
Governatore sarà
anche un figlio di puttana ma certo non può farcela da solo
contro
quattro. >>
<<
Cerchiamo tutti di tranquillizzarci! >> cercò
di tamponare
Hershel, l'unico che ancora riusciva a mantenere il sangue freddo
<<
Ocean! Abbassa la pistola. >>
Ma
la ragazza restò ben ferma sui suoi piedi senza staccare lo
sguardo
duro e freddo da Martinez. La furia bruciava nei suoi occhi.
<<
Ocean!!! >>
|
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Capitolo 30 *** Palpitazione. ***
Palpitazione.
La
mano di Ocean tremò sul grilletto, l'idea di farli tutti
fuori la
stuzzicava. Inoltre voleva dare una lezione a quell'idiota di
Martinez.
Serrò
la mascella. Milton chiuse gli occhi, spaventato e cominciò
a
borbottare tra sè e sè, forse a pregare.
Poi
mollò improvvisamente la presa. Sempre tenendo lo sguardo
fisso sul
ragazzo, alzò la pistola, allontanandola dalla tempia di
Milton, il
quale tirò un sospiro di sollievo, e fece un passo indietro.
Aveva
ancora tutti i muscoli tesi quando disse << Tieni a freno
la
lingua e io terrò a freno la pistola. >> e
tornò a sedersi
sul cofano. Anche Hershel e Daryl abbassarono l'arma, seguiti subito
dallo stesso Martinez, e ognuno tornò al proprio posto.
Daryl
si avvicinò alla macchina su cui era seduta Ocean e si
poggiò al
cofano, vicino a lei. Tirò fuori dalla tasca delle
sigarette, gliene
porse una e un'altra la tenne per sè. Un gesto di
solidarietà,
forse un modo per ringraziarla, sicuramente per tranquillizzarla.
Erano tutti su di giri, ma lei più degli altri, e Daryl
questo lo
sentiva e lo capiva.
La
sigaretta era quasi arrivata al termine quando Andrea uscì
di nuovo
dal casolare, sospirando nervosa, e si andò a sedere su una
panchina, lontana da tutti. La trattativa dentro stava tirando per le
lunghe e probabilmente non andava bene, vista l'espressione della
bionda.
Il
tempo passava lentamente e più volte Ocean aveva alzato la
testa per
controllare la posizione del sole, ma sembrava non muoversi.
Non
si sentiva niente in quel piccolo campetto che si era andato
formando, se non i passi nervosi di Daryl, che non smetteva di fare
avanti e indietro, e gli sbuffi annoiati di tutti gli altri.
Milton,
dopo un po', si fece coraggiosamente avanti con un ridicolo tentativo
di socializzazione << Possiamo approfittare del tempo che
dobbiamo passare insieme per parlare anche noi della questione.
>>
Ma
Martinez l'ammonì subito << Il capo ha detto
di aspettare in
silenzio. >>
<<
Intendi il Governatore! >> lo corresse Daryl,
sottolineando il
distacco tra la parola "capo" e la persona che era chiusa
dentro con Rick. Lui non era capo di nessuno, soprattutto loro.
<<
E' un bene che parlino, soprattutto dopo quello che è
successo. >>
disse ancora Milton. Ocean lo guardò sottecchi e non
potè che
chiedersi da dove fosse sbucato quell'idiota, ancora così
legato
alla burocrazia e ai valori di un mondo che ormai era marcio. Le
ricordava tanto il compagno secchione che era sempre stato preso di
mira nella sua classe al liceo.
<<
Risolveranno. >> continuò lui <<
Nessuno vuole un'altra
battaglia. >>
<<
Non la chiamerei "battaglia". >> intervenne ancora
Daryl, infastidito.
<<
La chiamerei battaglia. >> disse risoluto Milton
<< e
l'ho fatto. L'ho raccontata. >> disse, alzando un
quadernetto e
mostrandolo a tutti orgoglioso.
Ocean
ridacchiò e intervenne ancora << Ci scrivi
anche il nome dei
tuoi fidanzatini, lì dentro? >> poi si
lasciò cadere
sull'auto, stendendosi in modo che il sole potesse scaldarle il viso.
Si portò entrambe le mani dietro la nuca e rimase ancora in
ascolto
delle cazzate che avevano da sparare.
Ovviamente
Milton non rispose alla provocazione, ma rispose al <<
Perchè?
>> di Daryl.
<<
Qualcuno deve descrivere quello che abbiamo passato. Sarà
parte
della nostra storia. >>
Ocean
si sollevò su un gomito, puntando gli occhi sull'uomo,
alzando un
sopracciglio e chiedendo sconcertata << Cosa?!
>>
Storia?
Quale storia? Non c'era più vita e non ce ne sarebbe stata,
chi
avrebbe letto la "storia"?
Ma
Hershel forse non sembrava dello stesso parere perchè disse,
dopo
qualche secondo di riflessione, << Ha senso quello che
dici. >>
Milton
fece un sorriso, soddisfatto di aver trovato qualcuno con cui
condividere i suoi pensieri, sentendosi finalmente capito e
sostenuto. Si avvicinò al vecchio, cominciando a raccontare
<<
Ho raccolto decine di interviste che... >> ma fu
interrotto da
dei versi gutturali provenienti da un punto alle loro spalle: alcuni
zombie si stavano avvicinando.
Ocean
saltò di nuovo giù dall'auto e sfoderò
la spada che portava in
vita. Daryl fu il primo a partire, seguito anche da Martinez e
Andrea. Passarono oltre un cancello in lamina e seguirono i versi
fino a dietro due cisterne. Un paio di zombie stavano andando loro
incontro, solo due, niente di cui preoccuparsi.
Daryl
si fermò e guardò provocatorio Martinez
<< Dopo di te. >>
disse con un gesto plateale del braccio.
<<
Ma scherzi? >> rispose con la stessa provocazione l'altro
<<
Dopo di te. >>
Andrea
e Ocean, dietro di loro, li guardarono a bocca aperta, incredule.
Erano uomini: finchè non si fossero presi a cazzotti non
sarebbero
stati soddisfatti. Sospirarono insieme, alzando gli occhi al cielo, e
passando in mezzo ai due, spintonandoli appena per riuscire a
passare, si lanciarono sui vaganti. Andrea ne abbattè uno
dopo
averlo schiacciato contro la cisterna e avergli infilzato il cranio
con il suo coltellino. Ocean, invece, con un colpo obliquo dal basso
tagliò a metà la testa del secondo. Entrambi gli
zombie caddero a
terra e le due ragazze tornarono sui loro passi. Ocean
lanciò uno
sguardo divertito a Daryl, quando gli passò davanti per
tornare alle
auto, sguardo a cui lui rispose. Permisero per qualche secondo ai
loro occhi di incrociarsi, cercando e ritrovando sempre la loro
confortevole complicità.
Il
modo di fare da duro del ragazzo era da stupidi, e proprio per questo
la divertiva.
<<
Femminuccia. >> lo canzonò Martinez, prima di
avvicinarsi a un
terzo che stava arrivando proprio in quel momento, e, con un colpo
della sua mazza da baseball, gli fece saltare la testa. Si
voltò
ammiccante verso Daryl, provocandolo ancora, il quale poi
alzò la
balestra e abbattè un quarto vagante, proprio poco
più avanti. E
dopo di nuovo Martinez, e così via, in una gara a chi ce
l'aveva più
grosso.
Andrea
alzò gli occhi al cielo, prima di seguire la ragazza, e
tornare
anche lei alle auto.
Hershel
e Milton intanto avevano intrapreso una lunga chiacchierata e i due
sembavano essersi trovati.
La
bionda si sedette nuovamente sulla panchina, sorreggendosi il viso
con le mani e sbuffò, aspettando. Ocean si fermò
un istante a
guardarla, pensierosa, poi decise di avvicinarsi.
<<
Mi dispiace per quello che è successo alla prigione.
>>
cominciò << Non volevo attaccarti in quel
modo. Ma...perchè
stai con lui? >> chiese, proprio non capendo.
<<
Ci sono delle persone a Woodbury, sono innocenti. Philip le protegge.
>> sorrise Andrea, cercando di farlo sembrare palusibile.
<<
Certo. >> annuì Ocean poco convinta, prima di
aggiungere <<
Sai che Philip mi ha quasi uccisa? Un colpo di mazza da baseball
alla testa. Non voleva che Merle tornasse da suo fratello e sapeva
che io potevo portarcelo. >>
Andrea
la guardò spalancando gli occhi, incredula alle sue
orecchie, e
Ocean continuò << Già. Sono svenuta
poi, non so cosa sia
successo, so solo che quando mi sono risvegliata ero a casa. Credo
che i ragazzi siano arrivati in tempo per salvarmi. >>
<<
Non è possibile, io non.... >> poi si
fermò, colta da un
pensiero << ...tu cosa ci facevi lì?
>>
A
Ocean scappò un risolino e d'istinto alzò lo
sguardo, puntandolo
davanti a sè. Riuscì a vedere la sagoma di Daryl
dietro il cancello
in lamina, stava offrendo una sigaretta a Martinez.
<<
E' una lunga storia. >> disse semplicemente, prima di
alzarsi e
avviarsi un'altra volta alla sua auto << Vado a prendere
il
sole. >> aggiunse, e risalendo sul cofano si stese
nuovamente.
Daryl
offrì una sigaretta a Martinez: infondo era un tipo tosto,
meritava
il suo rispetto. Anche se dalla parte di due fazioni opposte, erano
tutti nella stessa barca.
<<
No. >> disse lui << Le preferisco al
mentolo. >>
<<
Coglione. >> bisbigliò Daryl, accendendosi la
sua << Sei
un militare? >> chiese poi, curioso, giusto per
intraprendere
un dialogo qualunque. Aveva combattuto bene e sembrava saperci fare,
per questo aveva pensato al militare.
<<
No. E' che odio quei cosi...dopo quello che hanno fatto a mia moglie.
>> ammise Martinez, giocherellando con la sua mazza
insanguinata.
<<
Mi dispiace. >> disse repentino Daryl. A chiunque
capitasse,
era sempre una brutta faccenda.
Ne
seguì un piccolo silenzio, che permise ad entrambi di
starsene in
pace con se stessi. Poi Martinez alzò gli occhi, li
puntò sull'auto
dove era stesa Ocean e accennò un sorriso <<
E' la tua
ragazza? >> chiese, indicandola con un gesto della testa.
Daryl
si voltò a guardare in quella direzione e fissò
Ocean per qualche
secondo. Poi abbassò di nuovo la testa e guardò
di sottecchi
Martinez al suo fianco. Fece un tiro dalla sua sigaretta, accennando
un sorriso che proprio non riuscì a trattenere e ammise
<< Una
specie. >>
<<
E' carina. >> sorrise ammiccante Martinez.
<<
E' in gamba. >> disse Daryl, quasi fosse una correzione a
quanto aveva detto il primo, il quale annuì <<
Sì, è vero.
>> e poi aggiunse sospirando << Ha ucciso
due dei nostri.
>>
<<
Lo so. >> rispose il primo, duro e fermo, già
pronto a
scattare in sua difesa se solo si fosse azzardato a dir qualcosa di
sbagliato.
<<
Erano brave persone. >> continuò Martinez.
<<
Aveva le sue buone ragioni. >> continuò a sua
volta Daryl,
imperterrito. Ognuno fermo sulle sue convinzioni.
E
la risposta migliore fu proprio quella che seguì: il
silenzio.
Le
porte si spalancarono all'improvviso con un gran baccano. Ocean si
alzò di colpo, destandosi improvvisamente da quello che si
era
trasformato in un sonnellino e puntò gli occhi sui due
appena
usciti. Il Governatore passò per primo e inizialmente parve
non
notare la ragazza stesa sull'auto, ma il suo occhio buono colse
qualcosa. La voce della ragazza, che lo chiamava bassa e quasi
solenne nel suo falso saluto, fu l'invito definitivo a voltarsi e
controllare quale volto portasse quella figura nera alla sua
sinistra. La sopresa che nacque sul suo viso fu quasi impercettibile,
ma Ocean, attenta osservatrice, riuscì a coglierla. Credeva
di
averla uccisa. Era questa la verità: aveva pensato che quel
colpo di
mazza l'avesse finita e invece era ancora in piedi, viva, proprio
davanti ai suoi occhi, come se niente fosse successo.
Il
Governatore accennò un fugace sorriso di sfida, poi si
allontanò ed
entrò nella propria auto radunando i suoi uomini. Ocean
scese da
quel cofano e osservò Rick mentre camminava in quella
direzione:
aveva una faccia strana. Chissà cosa si erano detti i due in
quelle
ore che erano rimasti rinchiusi nel casolare. Si fece da parte,
permettendogli di entrare nella vettura e si andò a
sistemare sui
sedili posteriori, dove si stese disordinatamente, intesa a
riprendere il suo sonnellino, anche se i pensieri ora erano troppo
rumorosi per concederle ristoro.
Pensieri
che facevano invece invidia al silenzio tormentato che li
accompagnò
per tutto il viaggio di ritorno.
Tornarono
alla prigione e quando scesero tutti gli altri si radunarono
lì
intorno, curiosi di sapere cosa fosse successo, curiosità
che
aumentò nell'osservare i volti assorti dei loro compagni
appena
tornati.
Rick
si guardò attorno, notò gli sguardi dei suoi
compagni, si assicurò
che i cancelli fossero ben chiusi e si avviò verso la
prigione
richiamando gli altri.
Una
volta dentro, accerchiato da tutti, uno più curioso e
preoccupato
dell'altro, fece un sospiro e cominciò a parlare
<< Allora, ho
incontrato quel Governatore. Abbiamo chiacchierato un bel po'.
>>
<<
Solo voi due? >> chiese Merle.
Rick
annuì << Sì, solo noi due.
>> e la cosa parve non
piacergli: sospirò e allontanandosi disse <<
Dovevamo
andarcene quando potevamo. >>
<<
Lui vuole la prigione. >> continuò Rick,
mettendo da parte
l'inconveniente Merle << Ci vuole cacciare...
Uccidere.... Ci
vuole uccidere per quello che abbiamo fatto a Woodbury.
>> fece
una pausa, permettendo a tutti di avere tempo di metabolizzare quanto
detto, poi annunciò << Entreremo in guerra.
>> e con
questo si allontanò, lasciandosi alle spalle tanti cuori
terrorizzati.
L'aria
quella sera era più fredda del solito e costrinse Ocean a
uscire con
addosso il suo caldo e pesante mantello. Salì in cima alla
solita
torre di guardia, sola e isolata, con l'unica intenzione di immergere
i propri pensieri in quelle stelle, che quella sera sembravano
più
luminose che mai. Il fiato che usciva dalle sue labbra facevano
strani disegni in sbuffi di vapore e lei li osservò
incuriosita.
In
realtà, tutto ciò di cui realmente aveva bisogno
era poter staccare
la spina.
Quella
giornata, piena di tensione e che si era conclusa con una delle
notizie peggiori, l'aveva scossa abbastanza. Si dimostrava forte,
cercava di rassicurare chi aveva paura e puntava la pistola con
disinvoltura contro il nemico, ma in realtà aveva una paura
folle.
Poggiò
i gomiti sulla ringhiera e si portò entrambe le mani alle
labbra,
incrociando tra loro le dita e ci soffiò sopra, cercando
calore e
ristoro. Un freddo venticello le fece svolazzare alcuni ciuffi della
frangia e questo la convinse a portarsi il cappuccio sopra la testa.
Sospirò ancora e si piegò in avanti, poggiando
pigramente il mento
sulle braccia ora stese sulla ringhiera.
Era
una notte così triste.
La
porta alle sue spalle si aprì e lei sentì di non
aver bisogno di
voltarsi per controllare chi fosse.
Era
il loro solito appuntamento notturno, quello dove fumavano, ogni
tanto parlavano, ma la maggior parte del tempo lo passavano vicino
l'uno all'altra, bisognosi solo di sentire calore umano a confortare
i loro tristi e impauriti animi.
<<
Fa freddo stasera. >> constatò Daryl,
avvicinandosi alla
ringhiera e offrendo la solita sigaretta alla sua compagna.
<<
Già. >> rispose lei semplicemente, facendo il
primo tiro e
restando poi in silenzio, a osservare la carta che lentamente
bruciava e il fumo che da essa si sprigionava.
<<
Che situazione del cazzo. >> sospirò lui prima
di fare un tiro
dalla sua. Ocean annuì, e ancora non disse niente. Non aveva
niente
da dire: aveva solo tanta paura. Non c'era niente da commentare.
Daryl la guardò di sottecchi, cogliendo di sfuggita i suoi
occhi,
nascosti dal cappuccio, e la testa china che fissava la sigaretta
stretta tra le sue dita.
<<
Hai paura? >> chiese poi.
Ocean
si voltò di scatto, sorpresa, e chiese di rimando
<< Tu no? >>
Daryl
abbassò gli occhi prima di annuire e ammettere con tono
basso <<
Sì, anche io ho paura. >>
La
ragazza si sentì vicina a lui in quel momento più
che mai.
Raramente lui parlava di sè e di ciò che provava,
lasciava tutto ai
suoi occhi e all'interpretazione che gli altri ne facevano. Sentirlo
ammettere di avere paura rendeva tutto più reale,
terrorizzava, ma
lo metteva al suo stesso livello e non la faceva sentire una sciocca
intimorita dalle ombre.
Si
staccò dalla ringhiera su cui era poggiata e senza indugio
gli
circondò il busto con le braccia, posò il viso
sulla sua spalla e
si strinse a lui. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sentirlo legato
a sè, di sentire la robustezza del suo corpo a infonderle
sicurezza,
il suo calore, le sue braccia a rammentarle che non era sola.
<<
Noi siamo forti. >> bisbigliò lei,
più per se stessa che per
il suo compagno. Daryl sospirò nel sentirla dire quelle cose
e la
strinse a sè, mormorando al suo orecchio << E'
tutto ok. >>
Lei
si sorprese a tremare. Nella sua mente il sorriso sghembo del
Governatore non se ne voleva andare.
<<
Ho paura, Daryl. >> mugolò, stringendo la sua
giacca tra le
dita.
<<
Guardami. >> la invitò severo, sollevandole il
mento,
costringendola ad alzare il viso << Non ci
riuscirà. Te l'ho
promesso. >> continuò a osservare i suoi occhi
spaventati e
insistè ancora, scuotendola appena << Hai
capito? >>.
Avevano
tutti paura, ma lui avrebbe fatto il possibile per impedire che il
Governatore avesse avuto la meglio, anche a costo della sua stessa
vita.
Ocean
sorrise appena, adorava vederlo così per lei, le piaceva
vedere
quando la corazza Dixon crollava e ultimamente succedeva spesso.
Annuì e rispose con serenità <<
Sì, ho capito. >>
<<
Bene. >> sorrise anche lui accarezzandole di nuovo il
viso:
aveva sempre i capelli davanti agli occhi, qualche ciocca non stava
mai dove doveva e a lui piaceva avere la scusa di liberarle il volto
per poterla toccare.
<<
Sei stata forte, oggi. >> disse poi, sorridendo ancora,
allentando la tensione, ma tenendola lo stesso stretta a sè.
Non
voleva liberarsene. << Quando hai puntato la pistola alla
testa
di quel coglione. >>
Ocean
rise: era stata una reazione istintiva, solo a posteriori la trovava
stupida, tanto da risultare quasi divertente.
<<
Pensavo tu avresti puntato la balestra a me. >>
confessò lei.
<<
Perchè avrei dovuto? >> chiese lui
sghignazzando.
<<
Niente cose stupide, Ocean! >> ripetè ancora
lei, cercando di
scimmiottare la sua voce.
Daryl
rise, divertito da quella ridicola imitazione, e rispose repentino
<<
Tu sei stupida! Chiederti non fare cose stupide è stupido.
>>
Ocean
sbattè gli occhi un paio di volte: non aveva più
voglia di ridere,
ma solo di ucciderlo.
<<
Come scusa? >> chiese acida, pronta a sfoderare tutto il
suo
repertorio di offese e insulti. Come si permetteva a darle della
stupida? E poi aveva cominciato lui quell'idiota discussione sterile
con Martinez, lei era solo intervenuta a sua difesa, se c'era uno
stupido era lui. Daryl ridacchiò e non rispose. Ocean
gonfiò il
petto e si preparò a sputar fuori a mitragliatrice tutte le
parole
poco carine che aveva per la testa, ma tutto morì
lì quando lui si
abbassò fino a trovare ancora una volta le sue labbra. Fu
una
sorpresa ed un emozione, come la prima volta, ma venne tutto
più
naturale e non sembrava più strano o spaventoso.
Le
cose sarebbero andate come dovevano.
E
anche se, dentro sè, cresceva sempre più la
consapevolezza che ora
sarebbe stato tutto più difficile, la lasciava
lì, a crogiolarsi in
se stessa, mentre lei cogliela l'attimo presente e ne faceva tesoro.
Aveva paura, paura che se un giorno tutto fosse finito, se mai un
giorno fosse ricominciato il supplizio della solitudine,
probabilmente non avrebbe retto come era riuscita la prima volta e si
sarebbe ammazzata quanto prima. Ma non faceva niente. Non faceva
niente perchè lei avrebbe fatto l'impossibile per impedirlo,
per
impedire che tutto le venisse strappato di nuovo di mano, per
impedire che lui le venisse strappato di mano.
Ormai
si appartenevano l'un l'altra e mai più sarebbe stato
diversamente.
Daryl
le afferrò il viso con entrambe le mani e fece completamente
sua
quella bocca, prendendola quasi con prepotenza e rabbia. E
probabilmente era così: c'era rabbia in tutto quello, la
rabbia di
non poter vivere certe esperienze da normali, ma dover sempre restare
col timore che da un momento all'altro tutto sarebbe potuto cadere
nell'oblio.
La
spinse contro il muro, come aveva già fatto la prima volta e
premette il suo corpo contro quello della ragazza.
Ocean
si sentì completamente sopraffatta, Daryl la stava
"prendendo"
in senso letterale. Sentì la prepotenza del suo desiderio di
averla,
non per una sera, non per qualche tempo ma sempre. Averla, come si
sarebbe potuto desiderare di avere una bella casa, una macchina, o un
cucciolo. Qualcosa di cui poter dire "è roba mia, mi
appartiene". Lo sentì nel suo far di lei quello che
desiderava:
l'accarezzava, la stringeva, premeva il bacino contro il suo, le
baciava il collo e poi tornava alle labbra. Tutto troppo velocemente
per poterle dar modo anche solo di prendere fiato.
Il
fuoco la divorava dentro, il fiato le mancava, la testa girava, ma
non voleva che finisse.
<<
Se adesso entra Glenn, lo uccido. >> mormorò
lui sulle sue
labbra, facendola ridere, ma non concedendo alla sua ilarità
troppo
tempo, tornando subito sulle sue labbra, chiudendogliele, facendole
sue.
Ocean
allungò una mano alla sua sinistra, procedendo a tentoni, in
cerca
di una maniglia che non voleva farsi trovare. Si spostò
leggermente
in quella direzione, portandosi dietro un irrefrenabile Daryl, che
non sembrava volerla lasciar andare neanche per un istante.
Finalmente
la trovò e aprì la porta di quello che era
probabilmente un
ripostiglio. Scivolarono dentro, nel buio totale di una stanza che
era grande quanto un bagno pubblico e si chiusero la porta alle
spalle, lasciando fuori quel silenzioso e tenebroso mondo.
Finchè
a est non sorse il sole.
La
leggera luce del mattino filtrava da una piccolissima finestrella,
sopra le loro teste. Ma non sembrò disturbare. Ocean era
già
sveglia da un pezzo, anzi, probabilmente il suo non poteva nemmeno
essere considerato sonno, dato che aveva chiuso occhio solo per
qualche minuto. Ancora nuda, stesa a terra, non smetteva di osservare
il delicato peso che giaceva su di lei, con la testa poggiata al suo
petto, profondamente addormentato, al contrario suo. Era crollato
immediatamente, così com'era, e tuttora non dava cenno di
svegliarsi: era stravolto e probabilmente il senso di relax dopo il
rapporto gli aveva dato il colpo di grazia. Entrambi avvolti nel
mantello di Ocean, unica fonte di calore, non sembravano preoccuparsi
di ciò che stava accadendo fuori. Si erano ritagliati un
meraviglioso angolino solo per se stessi.
Il
respiro di Daryl si fece più silenzioso e meno profondo,
segno che
probabilmente stava cominciando a destarsi. Ocean sorrise addolcita e
gli scostò i capelli, ormai troppo lunghi, dal viso. Lui si
mosse
lentamente in un sospiro, stringendosi di più all'esile
corpo sotto
al suo, ma ancora non aprì gli occhi. Era sveglio, ma
rilassato e
ancora troppo legato a quel dolce momento per lasciarlo andare. Era
come un bambino che faceva finta di dormire, nella speranza di essere
preso in braccio dal padre.
<<
Hai russato. >> gli comunicò Ocean in un
sussurro, scherzosa,
continuando ad accarezzargli amorevolmente i capelli.
<<
Erano gli zombie. >> mormorò lui pigramente,
con la voce
ancora troppo fiacca e roca, faticosa da usare. Ocean rise divertita
e lo lasciò nel suo rilassato silenzio. Aveva ancora il
respiro
pesante, nonostante ormai fosse sveglio.
Lo
trovava dolce, ed era la prima volta che faceva certi pensieri su di
lui. Credeva di conoscerlo, credeva di sapere che tipo di persona
era, e invece continuava a sorprenderla. Aveva così tanto
dentro di
lui che mai mostrava, solo ora se ne rendeva conto e si chiese quanto
ancora avesse da scoprire.
<<
Ti stanno crescendo un sacco. >> sussurrò
ancora, osservando i
suoi capelli. Quando l'aveva conosciuto erano molto più
corti, poi
aveva cominciato a fregarsene e ora quasi arrivavano a coprirgli gli
occhi.
<<
Me li farò tagliare da Carol. >> rispose
ancora lui, sempre
nella stessa posizione, con la stessa voce pigra e gli occhi chiusi.
<<
A me piacciono così. >> sorrise Ocean
<< Ti fanno più
macho. >> lo canzonò un po', ridendo lei
stessadella sua
affermazione, ma dicendo il vero. Lo preferiva con i capelli un po'
più lunghi. Questa volta Daryl aprì gli occhi e
si sollevò
lentamente, con un sospiro rilassato, raggiungendo nuovamente le sue
labbra, facendole ancora una volta sue, separandosene poco dopo, con
lentezza, quasi fosse stato un terribile sforzo. Rimase qualche
secondo a fissarla negli occhi, senza lasciar trapelare niente,
tranquillo, ma assorto in chissà quali pensieri. Poi si
sollevò,
alzandosi e allontanandosi da lei con un rassegnato quanto
preoccupato << Cazzo. >> mormorato tra
sè e sè.
Ocean
si allamò e chiese << Cosa? Che
c'è? >>
<<
Niente. >> rispose con tranquillità lui nel
momento in cui
prese a rivestirsi, volgendole le spalle.
<<
No, non è niente. Non si dice "cazzo" per niente.
>>
insistè lui, agitata. Cosa gli era passato per la testa?
Erano stati
così bene fino a pochi minuti prima.
<<
Sono libero di dire "cazzo" quando voglio. >> disse
lui, ridendo sotto i baffi.
<<
Non quando ti svegli nudo vicino a una ragazza! >>
brontolò
lei, alzandosi e vestendosi a sua volta. Daryl scoppiò a
ridere e le
si avvicinò, non permettendole di completare il suo lavoro:
la cinse
per i fianchi, tirandosela contro, e la guardò in viso con
un ghigno
<< E' di questo che hai paura? >> chiese.
Ocean
arrossì e si mostrò infastidita: si sentiva
sciocca.
<<
No... >> si affrettò a rispondere, neanche lei
pienamente
convinta << ...Forse... non lo so. >> e
fece fuggire via
gli occhi. Daryl la stava facendo sentire stupida, ma era veramente
intimorita all'idea di essere stata solo uno "stupido errore".
Lei era stata bene, perchè distruggere tutto?
<<
Tu credi io sia quel tipo di persona? >> chiese lui quasi
offeso, cercando i suoi occhi.
Ocean
gli consentì di raggiungerli e lo guardò un po'
provocatorio,
squadrandolo prima di rispondere << Non dovrei?
>>
Daryl
accennò un sorriso divertito << Sono uno
stronzo, eh? >>
e Ocean annuì convinta << Sì, lo
sei. >>
<<
E tu sei fastidiosa, capricciosa e irritante. >>
confessò lui.
<<
Che bella coppia che siamo! >> scoppiò a
ridere lei, ma ancora
una volta fu ammotilita da un improvviso bacio.
<<
Sono uno stronzo innamorato. >> bisbigliò
sulle sue labbra,
non appena l'ebbe lasciata libera, e senza aggiungere altro, con una
normalità ancora più disarmante delle parole
appena confessate,
uscì dal ripostiglio comunicando << Vado dagli
altri. Ci
staranno cercando. Sbrigati a rivestirti, prima che ti trovi
qualcuno. >>
Ocean
non ebbe coraggio di muoversi per i 10 minuti successivi,
completamente confusa e chiedendosi in continuazione se avesse capito
bene.
<<
Ocean. >> la salutò Hershel, vedendola
arrivare dentro il
blocco C << Tutto bene? >> chiese. Era
difficile non
notare il suo sguardo sperso e l'irrequietezza dei suoi movimenti.
Ocean
alzò gli occhi e lo guardò, ma
continuò a muoversi verso una
direzione ignota, una qualsiasi << Sì.
>> cercò di
sorridere << Dove sono gli altri? >> chiese
vedendo come
fosse tutto stranamente deserto.
<<
Carol è con Judith, Beth e Molly, dentro le celle, Rick in
giro,
Daryl sta cercando suo fratello, Michonne e Glenn sono fuori a
sistemare i cancelli e Maggie fa la guardia. >>
<<
Ok. >> disse distrattamente, e Hershel si chiese se
avesse
veramente ascoltato << Vado a fare un giro. Devo a Molly
un
paio di pantaloni e un libro. >>
<<
Vai sola? >> chiese l'anziano, preoccupato.
<<
Sì. >> disse ancora lei << Io ho
bisogno.... >> si
interruppe, pensando tra sè e sè, e concluse solo
successivamente
la frase con un balbettante << Io vado sola.
>> e si
allontanò, andando a prendere le sue armi, che si
sistemò subito
addosso.
<<
Sicura di stare bene? >> chiese ancora Hershel,
avvicinandosi a
lei e notando come le mani le tremassero nel tentativo di agganciarsi
in vita la spada.
<<
Sì. Sì, sto bene. >> sorrise
ancora, poco convincente. In
quel momento la cintura scivolò dalla sua mano, slacciandosi
per
quel poco che era agganciata, e l'arma cadde a terra con un rumoroso
tonfo. Ocean sospirò affranta, prima di abbassarsi a
raccoglierla,
rendendosi conto di quanto risultasse stupida in quel momento.
<<
Ho dormito poco. Sai...il Governatore... >> si
giustificò, e
probabilmente sembrò credibile. Hershel annuì e
le sorrise
comprensivo << Se hai bisogno di parlare con qualcuno...
>>
<<
Lo so. >> sorrise ancora lei, alzandosi e riuscendo a
finire di
sistemarsi le sue cose addosso << Posso contare su di te.
Lo
so, ti ringrazio. >>
Si
affacciò al blocco delle celle e chiamò Max, che
non tardò a farsi
vedere, scodinzolante come sempre e contento di poter passare del
tempo con la sua padroncina.
<<
Andiamo a fare un giro. >> comunicò al cane,
ma anche a Carol
che era sbucata in quel momento, sentendo la sua voce <<
Resteremo nei paraggi. Torneremo per l'ora di pranzo. >>
<<
Ocean. >> la richiamò ancora Hershel,
preoccupato e
sicuramente intenerito nel vederla così confusa e agitata
<<
E' già ora di pranzo. >>
Ocean
trattenne il fiato: si sentiva un'idiota. Accennò un sorriso
sdrammatizzato, ma le uscì pessimo. Scosse la testa, sempre
più
confusa: voleva allontanarsi di lì quanto prima. Stava
andando in
tilt.
<<
Torniamo presto. >> disse sempliemente allontanandosi con
gran
velocità, seguita da Max che dovette trotterellare per
riuscire a
starle dietro. Corse fuori, dove come al solito, in giro per il
cortile a brucare quel poco d'erba che riusciva, dato che il cortile
esterno era stato preso d'assedio, c'era Peggy. Ocean la
sellò e in
pochi minuti era già in corsa verso chissà quale
meta, solo per il
gusto di prendersi un po' di tempo per sè, sola con i suoi
animali.
Come ai vecchi tempi, quando l'unica preoccupazione era riuscire a
mangiare un boccone e scappare prima di diventare loro stessi un
boccone.
Il
sole aveva percorso un bel tratto sopra la sua testa,e lei, seduta
sotto un albero, intenta a mangiare uno yogurt scaduto, trovato in un
vecchio frigo abbandonato, rimase lì ad osservarlo a lungo.
Max
riposava al suo fianco, dopo aver corso per un po' nel tentativo di
starle dietro. Avevano setacciato un paio di case in un villaggio
lì
vicino e Ocean era riuscita a trovare dei pantaloni per Molly e un
libro. Li aveva infilati nella sua borsa e poi si era fermata per
pensare. Peggy brucava l'erba lì vicino. Tutto sembrava
tranquillo,
tranne il suo cuore. Non riusciva a togliersi dalla testa quello che
Daryl le aveva detto.
Non
poteva dire sul serio.
Probabilmente
aveva capito male.
<<
Insomma... non può essere veramente... >> non
riuscì a dire
"innamorato", e si voltò verso Max, al suo fianco, attento
ascoltatore << Siamo stati insieme solo una notte!
>> poi
si fermò a riflettere << Anche se a dir il
vero ci conosciamo
da un anno. Quindi...non è poi così assurda.
>> si portò
alla bocca un'altra cucchiata di yogurt e assunse un'espressione
disgustata << Questo yogurt fa schifo. >>
ammise.
<<
Tu che ne pensi? >> chiese al cane, sperando in
chissà quale
risposta.
<<
Io non so che dire. E così strano...insomma.. è
Daryl! Non il
principe azzurro a cavallo! >> chissà quale
connessione nella
sua mente la portava a contrapporre Daryl a qualsiasi cosa fosse
amore, forse il suo modo di fare, anche se più volte aveva
dimostrato di avere cuore e sensibilità. Non era un
extraterrestre,
non c'era niente di strano, ma non riusciva proprio a vedercelo.
Alla
fine, affranta e sopraffatta da tutti i suoi pensieri ammise
<<
Abbiam fatto una cazzata. >>
Un
verso gutturale la costrinse ad alzare la testa dal suo yogurt, e
vide arrivare uno zombie nella sua direzione.
<<
E tu che vuoi? Lo yogurt è acido, non te lo consiglio.
>>
disse rivolgendosi a lui. Giocherellò col cucchiaino ancora
un po',
prima di decidere di posarlo, quando ormai lo zombie era a pochi
passi da lei. Rapidamente si alzò, sfoderò la
spada e lo uccise. Lo
lasciò cadere a terra, osservandolo per un po', poi decisa
annunciò
<< Torniamo a casa. >>
Non
aveva risolto niente, era ancora confusa e su di giri, non stava
capendo quello che stava succedendo, si sentiva una Alice sperduta
nel Paese delle Meraviglie. Ma di una cosa era certa: non voleva
stargli lontano. Qualsiasi cosa fosse successa, tra di loro, o a
loro, per mano degli zombie, del Governatore o di loro
stessi...qualsiasi cosa.... lei sarebbe restata lì. Con la
sua
famiglia.
Solo
questo sapeva, e a ciò si sarebbe aggrappata follemente.
NDA
Ari-ciao
:P
Allora, comincio subito con i ringraziamenti. Ringrazio chi ha
messo la storia tra le seguite, ricordate e le preferite (siete
tantissimi *____* tanto love <3 ), e ringrazio chi si prende la
briga di recensirmi. Grazie del vostro tempo e delle belle parole che
mi dedicate.
Il
titolo del capitolo, Palpitazione....beh...palpitazione,
batticuore....c'è da spiegarlo? XD 'nzomma è
intuibile, no? Con
tutto quello che è successo.
Volevo comunque comunicarvi che
questa serie di cap. ""tranquilli"" per ora
finiscono qui. Nel prossimo ci sarà un po' d'azione *rumore
di spade
e spari in sottofondo* e credo che rientrerà nella
classifica dei
miei capitoli preferiti :3 eheheheheheh
Vi
do una piccola anticipazione, così, tanto per mettervi
angoscia
ahahahaha (tanto son già scritti i prossimi, devo solo
rileggerli,
quindi arrivano presto.)
"<< E
così l'hai lasciata
andare, eh? >> chiese lei, mettendo un piede sul
parabrezza e
cominciando a rovistare tra la sporcizia presente in giro, in cerca
di una sigaretta.
Merle
intuì i suoi desideri e gliene offrì una delle
sue. Silenzioso,
come se non fosse successo niente, come se intorno a loro non
stessero radunandosi decine di zombie.
<<
Che intenzioni hai? >> chiese lui buttando giù
un lungo sorso
di wisky, trovato in chissà quale angolo segreto di quel
mondo
abbandonato. Ocean fece entrare Max nella vettura, che andò
a
posizionarsi sui sedili posteriori, e si affrettò a chiudere
finestrini e portiere.
<<
Non lascerò a te tutto il merito di aver ucciso il
Governatore. >>"
Baaaammm!!
Chissà che succederà (io lo so già *si
sente onnipotente* mhuahhaaha).
Vi mando un saluto.
A prestooooooooooooo :*
Ray.
|
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Capitolo 31 *** Prodezza. ***
Prodezza.
<<
Che diavolo succede? >> si chiese.
Era
appena salita in sella, pronta a tornare a casa, quando
improvvisamente sentì partire l'allarme di un auto, non
molto
lontano da lì.
<<
Saranno stati gli zombie? >> chiese ancora,
chissà a chi in
particolare.
<<
Andiamo. >> invitò Peggy, facendole fare
retrofront, e
dirigendosi verso il luogo dove aveva sentito il suono. La sua era
mera curiosità, ma anche precauzione: il controllo non
doveva mai
mancare. Doveva sempre sapere quello che aveva attorno per poterlo
combattere.
Stava
per svoltare l'angolo, arrivando così sul luogo, quando
sentì la
voce di Michonne gridare << Merle!!! Muoviti, Merle!!!
>>
Corse
nella sua direzione e scese all'istante da cavallo, appena in tempo
per sfoderare la sua spada e perforare il cranio di uno degli zombie
che stava per mordere la ragazza. La guardò velocemente,
avendo poco
tempo da dedicarle, e l'unica cosa che notò furono i suoi
polsi
incatenati a un palo << Che ci fai legata?
>> chiese
velocemente, prima di essere costretta a voltarsi e riprendere lo
scontro, senza riuscire ad avere una risposta. Decine di zombie si
stavano radunando davanti a quella villetta, attirati dal baccano che
quell'idiota di Merle stava facendo con l'auto, intento com'era a
cercare di manometterla per farla partire.
Si
allontanò da Michonne, avvicinandosi all'uomo steso sotto il
sedile
del guidatore e con un altro colpo di spada tagliò la testa
a uno
degli zombie, prima che potesse mordergli la caviglia.
<<
Ocean! Merle! >> chiamò ancora Michonne, di
nuovo nei guai.
Legata com'era non poteva fare molto e Ocean fu costretta di nuovo a
intervenire per salvarla. Correva da una parte all'altra del
cortiletto, recidendo teste per proteggere non uno, ma ben due dei
suoi. Sola contro una madria, sentiva rabbia nei confronti
dell'idiota che ancora macchineggiava nell'auto.
Improvvisamente
il rumore cessò e lui uscì dalla vettura appena
in tempo per
trafiggere la testa di un altro zombie. Ocean, a due passi da lui,
gli si scaraventò addosso e gli puntò la spada al
viso,afferrandolo
per il colletto
<<
Che cazzo stai combinando? >> chiese.
<<
Oh, ciao bambolina. >> salutò Merle con uno
dei suoi sorrisi
beffardi, liberandosi dalla sua presa con facilità e
ritornando da
Michonne.
<<
Che fai? Che diavolo fai? >> brontolò ancora
lei, alzando
sempre più il tono della voce.
<<
Come? Non lo sai? >> provocò ancora Merle,
trascinando la nera
verso l'auto.
<<
Non so cosa, cazzo? >> cercò ancora di
fermarlo, mettendogli
una mano sul petto.
<<
Il caro Governatore ha dato una scelta a Rick. Se questo gli
consegnerà Michonne, lui promette di lasciarvi in pace.
>>
spiegò << E ora fatti da parte.
>> minacciò, passando
oltre.
<<
Non vedo Rick, qui! Stai mentendo! >>
<<
Rick non ha le palle. >> continuò a spiegare
l'uomo.
<<
E così ci pensi tu? Ma che gentile. >> gli
disse sarcastica,
incrociando le braccia al petto.
<<
Libera di non crederci. >> alzò le spalle lui,
prima di
spingere la testa di Michonne nell'auto.
<<
Fermo! Non ti permetterò di portarla via! >>
gli si piazzò
davanti, spingendolo.
<<
Hai ucciso due uomini per vendetta, io ne sacrifico una per il bene
di mio fratello e dei tuoi amichetti, non sei nella posizione di
muovere decisioni del genere, tu! >>
Ocean
lo guardò, sentendosi spiazzata. Aveva ragione, lei aveva
ucciso
degli uomini, di cui uno anche innocente. Era peggio di lui, non
aveva diritto di dire niente. Merle chiuse la portiera e si
avviò al
lato guidatore.
<<
Stai facendo un errore! Non dimostrare ancora una volta quello che
non sei, Merle. >> cercò ancora di
convincerlo. Lui la
squadrò, aggrottando la fronte e disse << Che
cazzo ne sai tu
di come sono io? >>
<<
Non lo so. >> alzò le spalle lei, ormai non
sapendo più dove
andare ad appigliarsi per convincerlo << Ma voglio
fidarmi di
te. Vuoi davvero tradire la fiducia dell'unica persona che te ne sta
dando? >>
Merle
rise sarcastico, poi, ignorandola, salì in macchina. Ocean
si piazzò
davanti al cofano, impedendogli di procedere e ci poggiò
sopra le
mani << Fermo! Non te lo permetterò.
>>
Non
aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, ma non
sapeva dove
altro andare a parare con lui.
Merle
uscì con la testa dal finestrino, si tirò via una
pistola dai
pantaloni e gliela puntò contro << Non
costringermi a farlo.
>> Ocean parve non muoversi. Decisa e determinata. Non
sapeva
cosa stesse succedendo, non sapeva di Rick e dell'accordo e forse una
parte di lei non si fidava delle sue parole, ma aveva sentito
abbastanza: Merle stava andando da solo contro il Governatore.
Nè
lui nè Michonne sarebbero tornati a casa. E il Governatore
avrebbe
comunque marciato contro la prigione.
Continuò
a fissarlo, sperando di intimorirlo con lo sguardo. Sperando non
avesse il coraggio di spararle o investirla.
Merle
tolse la sicura alla pistola.
Tentativo
vano.
Quanto
odiava le armi da fuoco!
Si
fece da parte e Merle partì.
<<
Cazzo. >> borbottò tra sè e
sè, correndo da Peggy e
salendoci sopra << Andiamo, forza! >> la
speronò e, come
sempre seguita da Max, partì all'inseguimento dell'uomo.
Stava
di nuovo facendo qualcosa di folle.
Ma
che scelta aveva?
Se
fosse tornata indietro dagli altri, poi non sarebbero arrivati in
tempo per salvare Michonne. Non poteva aspettare oltre, doveva
riuscire a fermarlo, in qualche modo.
La
macchina era da qualche minuto ferma di fronte a un vecchio negozio
abbandonato. Si riusciva a sentire la musica a tutto volume,
provenire da lì dentro, anche da qualche metro di distanza.
Ocean
scese da cavallo e si avvicinò a essa con disinvoltura,
senza
preoccuparsi di essere vista.
Aprì
lo sportello del passeggero ed entrò dentro, affiancandosi a
Merle,
unica persona lì presente.
Michonne
era stata scaricata per strada poco prima, l'aveva incontrata, ma
aveva deciso lo stesso di proseguire.
Il
cuore le urlava di non lasciarlo solo.
Lo
era stato già troppo.
<<
E così l'hai lasciata andare, eh? >> chiese
lei, mettendo un
piede sul parabrezza e cominciando a rovistare tra la sporcizia
presente in giro, in cerca di una sigaretta.
Merle
intuì i suoi desideri e gliene offrì una delle
sue, silenzioso come
se non fosse successo niente, come se intorno a loro non stessero
radunandosi decine di zombie.
<<
Che intenzioni hai? >> chiese lui buttando giù
un lungo sorso
di whisky, trovato in chissà quale angolo segreto di quel
mondo
abbandonato. Ocean fece entrare Max nella vettura, che andò
a
posizionarsi sui sedili posteriori, e si affrettò a chiudere
finestrini e portiere.
<<
Non ti prenderai tu tutto il merito di aver ucciso il Governatore.
>>
Merle
rise, prima di dire, col tono di chi sta parlando con un'idiota
<<
Tornatene a casa, bambolina. >>
<<
Non puoi farcela da solo. >>
<<
Tu credi? >> chiese provocatorio Merle, prima di tornare
serio
<< Daryl piangerà più per te che
per me, lo sappiamo
entrambi. >>
<<
Ma io non morirò...e neanche tu. >>
<<
Stai venendo per proteggermi? >> chiese Merle prima di
scoppiare a ridere << Questa è bella, una
troietta che si
sente in dovere di proteggere me. >>
<<
Bada a come parli, Romeo. >> disse tranquilla, lievemente
minacciosa, ispirando dalla sua sigaretta. Gli zombie cominciarono ad
accumularsi intorno all'auto e Peggy, poco lontano, lasciata libera
di proposito, scappò via. Sapeva come tornare a casa.
Merle
alzò il volume della musica e fece qualche metro in avanti,
trascinandosi dietro la coda di vaganti che si era formata
all'esterno.
<<
Non è vero che Daryl piangerà più per
me che per te. Lui ti vuole
bene. >> disse poi lei.
Merle
rise ancora, ma non rispose alla sua affermazione. << Sto
facendo questo soprattutto per lui. >> disse
<< se tu
muori io sarò lo stronzo. >>
<<
Sei il nostro capro espiatorio, giusto? >> rispose Ocean,
sfoderando una delle sue daghe e utilizzandola per togliersi lo
sporco da sotto le unghie.
<<
Tornatene a casa, fidati. Non voglio averti tra i piedi.
>>
ordinò ancora Merle << Sei ancora in tempo.
>>
<<
Sì, è vero. >> annuì
lei, ma non si mosse da lì.
Poi
fece un sospiro, e confidò << Sai che stanotte
tuo fratello ha
detto di amarmi? >>
Merle
scoppiò a ridere così rumorosamente da far
sobbalzare l'auto più
di quanto già riuscisse la musica.
<<
Sì, molto divertente. >> disse lei sarcastica
<< Sei suo
fratello. Se lui è legato a me, allora anche tu lo sei.
>>
<<
Non ti conosco nemmeno. >> sbruffò lui, per
niente d'accordo,
ma continuando a ridere per quanto sentito poco prima.
<<
No, è vero. >> disse Ocean, prima di ammiccare
<< Però
mi trovi adorabile, dì la verità!
>> e gli diede un paio di
sgomitate.
<<
Tu sei fuori di testa. >> rise ancora lui facendo qualche
altro
metro avanti con l'auto, e le offrì la sua bottiglia.
<<
Me lo dicono in tanti. >> confessò lei,
accettando l'offerta e
buttando giù un lungo e amaro sorso d'alcol <<
Che schifo. >>
commentò poi pulendosi la bocca con la manica.
<<
Mi piaci, ragazza. Hai le palle...quelle che non ha mio fratello.
>>
disse ancora lui continuando a procedere con l'automobile, lentamente
per non perdere l'orda che li stava seguendo.
<<
Oh, no, ti assicuro che ce l'ha anche lui. >>
ammiccò la
ragazza, maliziosa, e questo fece di nuovo scoppiare a ridere Merle,
che ammise poi << Spero che tu non muoia. >>
Ocean
lo fissò qualche secondo, prima di tornare a guardare di
fronte a
sè, fumando la sua sigaretta storta << Pensa a
non morire tu,
piuttosto. A me so badare. >> e non sentirsi dire "non
è
vero, ci deve pensare Daryl a te" fu un gran sollievo. Non ne
poteva più di quelle cantilene.
Arrivarono
alla zona delle cisterne, quella dove si erano incontrati il giorno
prima Rick e il Governatore. Merle, stringendo il suo fucile,
cominciò ad aprire la portiera, lasciando l'auto camminare
da sola
<< Salta giù! >> disse alla
ragazza, che già lo stava
imitando, insieme a Max.
Scesero
dall'auto in corsa e velocemente si andarono a rifugiare dietro una
cisterna, per scappare dall'orda che ancora seguiva imperterrita la
fonte del suono, e soprattutto per cercare di sfruttare l'effetto
sorpresa.
<<
Hai un'arma? >> le chiese Merle.
<<
Odio quegli aggeggi, fanno solo tanto baccano e non colpiscono mai
dove dovrebbero. >> confesso Ocean <<
Tienili impegnati.
Confusi come saranno dal casino, non mi vedranno arrivare se passo da
dietro. Punto dritto al Governatore, senza troppi rigiri, e fine
della storia. >>
Merle
annuì e le diede una pacca sul sedere, incitandola
<< Vai! >>
Ocean
sussultò al contatto e si voltò di nuovo,
lentamente, verso lui,
con la spada sguainata.
<<
Provaci di nuovo e ti taglio le palle. >> lo
fulminò,
facendolo sghignazzare ancora.
Lasciò
da parte l'inconveniente e si allontanò: corse in parallelo
al
gruppo di casolari (3 o 4, uno di fianco all'altro) che aveva di
fronte, nascosta dalle lamine abbandonate e dal recinto.
Cercò di
tenersi bassa, per non farsi vedere. Ben presto gli scagnozzi del
Governatore furono attirati dal diversivo. Sentì i primi
colpi di
pistola e capì che doveva sbrigarsi.
<<
Resta qui. >> disse al cane, una volta trovato un buon
nascondiglio tra le siepi.
<<
Non muoverti. Aspetta che torno. >> ordinò
ancora, facendogli
un gesto che lui aveva imparato bene ormai. Spesso Ocean gli chiedeva
di starsene in disparte, ormai aveva capito che quando diceva "stai
qui" lui doveva stare lì, o avrebbe subito la sua ira.
E
così fece.
Ocean,
nel frattempo, aggirò il casolare e si schiacciò
con le spalle al
muro. Controllò che non ci fosse nessuno e
continuò ad avvicinarsi
a quello del Governatore, il quale ora era fuori insieme a tutti gli
altri. Anche lui, con la sua pistola, stava sparando agli zombie.
Ocean controllò la situazione: erano tutti molto
più avanti
rispetto a lui, quasi in mezzo all'orda e sicuramente molto impegnati
a tenersi in vita. Il Governatore invece era a pochi passi da lei,
proprio davanti alla porta aperta del suo casolare: sarebbe bastato
arrivargli silenziosa alle spalle e tutto sarebbe finito. Nessuno
l'avrebbe notata, fino a che non avrebbero sentito le urla del loro
capo.
Deglutì
e fece il primo passo, silenziosa e bassa. Le mani le sudavano e non
smetteva di guardarsi attorno.
Un
altro passo.
Poi
qualcosa andò storto.
Il
Governatore si voltò immediatamente verso destra e si
precipitò da
quella parte urlando << Lascialo a me! >>
Ocean
si schiacciò di nuovo contro il muro dietro di
sè, abbassandosi
talmente tanto da sfiorare il suolo con una spalla. Si voltò
a
guardare nella direzione dove lui era corso, chiedendosi cosa fosse
successo, ma dalla sua posizione non riusciva a vedere niente.
Sentiva
però il rumore di un pestaggio e bastò quello,
collegato alla frase
del Governatore, per capire.
<<
Cazzo, Merle! >> sussurrò e velocemente
tornò dietro il
casolare. Il cuore le pulsava in petto, c'era in lei più
adrenalina
in corpo che globuli rossi.
Aveva
una paura fottuta.
Fece
un pezzo della strada a ritroso, correndo verso il retro del casolare
dove si trovava Merle in quel momento. Si affacciò a
controllare il
cortile dove erano radunati tutti gli altri, e li vide allontanarsi
per tornare a combattere la minaccia dei Vaganti. Li lasciò
lì
dov'erano e si avvicinò alla porta che aveva pochi passi
affianco.
Ora riusciva perfettamente a percepire la voce sforzata di Merle,
impegnato in una rissa di quartiere, che avrebbe però
permesso solo
a uno dei due di uscire vivi da lì.
Sbirciò
dentro sperando di non essere vista: lui e il Governatore si stavano
picchiando furiosamente, ma Merle aveva la peggio. Era steso a terra,
ricoperto di sangue e non faceva che lamentarsi e tentare la fortuna
con colpi a caso. Il Governatore gli assestò un altro
calcio. Ocean
riuscì a entrare senza farsi vedere, approfittando della sua
posizione di spalle rispetto a lei.
Troppo
impegnato com'era a tirar calci all'uomo a terra non badava che
intorno ci fosse qualcun altro.
Fece
un altro passo verso lui.
Ne
sarebbe bastato un altro ancora e sarebbe riuscita a prenderlo con la
spada.
Alzò
il piede da terra...ma il pavimento cigolò.
Trattenne
il respiro.
E
si lanciò contro l'uomo nell'istante in cui questo si era
voltato
con l'arma spianata, pronto a uccidere chiunque si trovasse alle sue
spalle.
Un
colpo di pistola partì.
Il
Governatore cadde a terra, sollecitato anche da un colpo arrivatogli
alla caviglia da Merle, ancora steso a terra.
Ocean
lo afferrò per il collo, si sedette sul suo stomaco e gli
puntò la
spada alla gola. Aveva le orecchie che fischiavano e non era ancora
riuscita a capire se fosse stata colpita o meno. L'adrenalina in
corpo era troppa per riuscire a sentire dolore. Aveva il fiato corto
e le girava la testa.
Ma,
nonostante la situazione nettamente svantaggiosa del Governatore, lui
sorrideva.
Il
perchè lo capì un'istante dopo: nella sua mano
era ancora stretta
la pistola che adesso era dritta puntata a Merle, inginocchiato a
terra alla sua sinistra.
<<
Fallo...e io sparo. >> la minacciò, sorridente
<< Ho dei
buoni riflessi. Il dito è già sul grilletto.
Basta un leggero
spasmo e muore. >>
Ocean
serrò la mascella. I muscoli erano tutti tesi e l'aria
sembrava
sempre insufficiente. Il cuore le batteva nelle orecchie, peggiorando
ancora ulteriormente il suo udito.
<<
Fallo, ragazza! >> la incitò Merle, severo e
incazzato. Ma lei
ancora esitò. Non voleva che morisse, lo aveva seguito
apposta!
Daryl voleva suo fratello accanto e lei non voleva tradirlo.
Quell'idiota e scorbutico uomo meritava una seconda
possibilità.
<<
Fallo, stupida!!! >> urlò Merle, ancora
più incazzato. Erano
a un passo dalla vittoria, non gliene fregava niente di morire,
nessuno lo avrebbe pianto, ma il Governatore meritava di andare con
lui. Aveva già messo in conto che probabilmente non avrebbe
fatto
ritorno. Non doveva esitare!
La
mano di Ocean tremò. Non ce la faceva. Non riusciva.
E
questo diede modo al Governatore di ribaltare la situazione.
Riuscì
ad afferrare un ferro vecchio con la mano libera, e, approfittando
della distrazione della ragazza, la colpì in testa con tale
violenza
da farla cadere. La spada le scivolò di mano, e lei rimase
tramortita a terra qualche secondo. Non riusciva a vedere niente, la
vista si era annerita, sentiva solo un forte fischio alle orecchie.
Merle si alzò e si scaraventò di nuovo contro il
Governatore, ma
era debole e non sarebbe riuscito a reggere ancora a lungo.
Un
altro colpo di pistola, e questo Ocean riuscì a sentirlo.
Sussultò
e cercò disperatamente di guardarsi attorno: voleva vedere!
Che
succedeva? Le aveva sparato? Ma tutto continuava a essere buio. Si
sentì afferrare e trascinare, e cercò di
dimenarsi contro il nemico
invisibile. Ma sembrava tutto inutile.
"Sono
cieca?" si domandò impanicata.
"Che
cazzo sta succedendo?" cercò di divincolarsi, ma
qualcosa
la teneva stretta.
Per
fortuna però la vista le tornò pian piano. Era
solo stato il
terribile colpo ad averla confusa. Ben presto la luce tornò
a
colpire i suoi occhi, e lei riuscì a distinguere dapprima
immagini
sfocate, poi sempre più chiare.
Tutto
sembrava calmo.
Gli
uomini non stavano più lottando tra loro.
Nebbia.
Scosse
la testa.
Una
figura era in piedi, pochi passi da lei.
Ancora
nebbia.
Sforzò
la vista.
Si
stava avvicinando.
Cercò
di muoversi, ma sentì i polsi farle male. Un palo era ben
fisso
dietro la sua schiena e non riusciva a separarsene.
"Mi
hanno legata!"
riuscì a
capire.
Ma
chi fosse la persona che le stava andando incontro era ancora un
mistero.
Il
viso era annebbiato.
Tutto
troppo confuso.
Poi
colse il suo indizio: non aveva una mano.
<<
Merle? >> chiese.
Ce
l'aveva fatta! Era solo lui, in piedi. Il Governatore non lo vedeva
da nessuna parte. Era riuscito a ucciderlo e sopravvivere.
<<
Merle, liberami! >> chiese, vedendolo arrivarle incontro.
Ma
qualcosa non andava.
Non
reagiva.
La
vista migliorò...e lo vide.
Un
profondo buco sul petto...la pelle troppo bianca per essere
naturale...e gli occhi...gli occhi non erano più i suoi.
Il
cuore cessò di battere.
Un
verso uscì dalla gola dell'uomo.
Un
verso che aveva perso tutta la sua umanità.
Era
morto!
Era
trasformato.
E
si stava avvicinando.
Si
dimenò più forte, nel disperato tentativo di
liberarsi.
I
polsi bruciavano.
Non
ci riuscì.
Le
lacrime le bagnarono il viso.
Il
panico nella sua voce.
<<
Merle!!!! >>
|
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Capitolo 32 *** Abiura. ***
Abiura.
Daryl
attraversò silenzioso il cortile esterno. I suoi passi
l'avevano
condotto lì, a quelle cisterne. Il cortile che aveva
lasciato vuoto,
pochi giorni prima, ora brulicava di cadaveri e zombie intenti a
cibarsene. Passò oltre, deciso a non sprecare frecce con chi
non lo
vedeva neanche.
Si
avvicinò al casolare principale, guardandosi attorno.
Nessuno era in
piedi se non qualche zombie, e il cuore ringraziava quando vedeva che
non conosceva nessuno di loro.
Delle
tracce di sangu: qualcuno aveva combattutto lì.
Guardò
la porta schiusa di fronte a sè e si avvicinò.
C'era
silenzio dentro.
L'aprì
velocemente ed entrò, puntando la balestra di fronte a
sè.
Smise
di respirare e le braccia cedettero, costringendolo ad abbassare
l'arma.
Merle
era steso a terra, in una pozza di sangue e Alice si trovava vicino a
lui, stesa anche lei a terra, al suo fianco, ma con la testa poggiata
sul suo petto. Sotto il braccio, come fosse stato un pupazzo nel
letto di una bambina, giaceva Max.
Nessuno
di loro si muoveva: avevano sangue sparso ovunque.
Un
nodo gli si formò in gola e senza che se ne redesse conto si
ritrovò
a singhiozzare.
<<
No. >> tremò coprendosi il volto con una mano.
Non riusciva ad
avvicinarsi, non aveva il coraggio. Cominciò a camminare
nervosamente avanti e indietro per la stanza, guardando i tre corpi a
terra, distogliendo subito lo sguardo e continuando a piangere e
singhiozzare. Entrambi...il destino li aveva portati via entrambi lo
stesso giorno. Era tutto così terrificante che non riusciva
a
crederci. Aveva perso tutto in così poco tempo.
Poi
uno spasmo scosse Alice.
Daryl
scattò e alzò la balestra, puntandogliela alla
testa.
Non
si mosse più.
Lui
si asciugò le lacrime velocemente, che gli impedivano di
avere una
visuale nitida, e rimase a guardarla. Non riusciva a vederle il
volto, era girata verso quello di Merle, dall'altra parte.
Fece
un passo verso lei.
Le
mani tremavano così tanto da far agitare troppo la balestra
per
poter veramente colpire qualcosa, in caso di necessità.
Allungò
un piede e provò a scuoterla.
La
vide contrarsi al tocco. Si rannicchiò su se stessa e le sue
dita si
strinsero nel pelo insanguinato del cane. Ora che le era vicino
poteva vederla tremare.
Era
viva!
Lasciò
cadere la balestra ai suoi piedi e si inginocchiò su di lei,
costringendola a voltarsi.
Ocean
alzò velocemente un braccio e lo spintonò
<< Va' via. >>
mugolò.
Ma
Daryl parve non sentirla: l'afferrò per le braccia e la
tirò verso
sè. Lei si dimenò, strattonando per cercare di
liberarsi. Si tirò
a sedere e cercò di spingersi lontano, continuando a
dimenare le
braccia nel vano tentativo di liberarsi dalla ferrea presa del
ragazzo. Scoppiò a piangere.
<<
Lasciami! Vattene!!! >> urlò, scalciando.
Daryl
continuò a ignorare la sua furia e riuscì
finalmente ad avvicinarsi
quanto bastava per poterla abbracciare. C'era disperazione in lui e
nelle sue tremolanti braccia. Suo fratello giaceva ai suoi piedi, e
per un attimo aveva temuto di aver perso anche lei. Invece era
lì.
Viva. Ferita probabilmente, ma viva, disperata quanto lui e
incazzata.
Non
l'avrebbe lasciata andare neanche se lo avesse preso a coltellate.
La
sentì singhiozzare vicino al suo orecchio, nel momento in
cui la
cotrinse ad affondare il volto sulla sua spalla.
<<
Ho ucciso tuo fratello. >> sussurrò, e lo fece
più volte,
sempre con più rabbia e angoscia. Daryl la strinse, non
sapendo
neanche lui chi dei due in realtà stesse cercando di
consolare, dato
che non era possibile quantificare chi tra loro stesse piangendo di
più.
Ma
non fu possibile per loro restare lì a lungo. I versi degli
zombie
fuori fecero loro capire che dovevano muoversi, se non volevano
finire mangiati.
Daryl
le afferrò il viso con le mani che tremavano come impazzite
e
cercando di nascondere la sua smorfia di dolore, senza riuscirci
troppo bene, le chiese << Tu stai bene? Sei ferita?
>>
Voleva
concentrarsi su lei, solo su di lei, l'unico motivo per continuare a
respirare. Se si fosse fermato su suo fratello, probabilmente, non
sarebbe più uscito da lì.
Ocean
continuò a fuggire dal suo sguardo, puntando gli occhi
altrove,
lontano e non rispose subito. Probabilmente non intenzionata a farlo.
Poi si costrinse ad annuire << Sì.
Sì, sto bene. >>
Daryl
annuì, ancora intento a cercar di catturare un timido
coraggio
impaurito, sfuggente al suo controllo, prima di alzarsi in piedi e
prendere la ragazza per mano << Andiamo. Sbrigati.
>>
Ocean,
come spaventata, appena si sentì tirare strattonò
via la mano e si
lanciò di nuovo sul cane, stringendo il suo pelo.
<<
Max. >> mugolò tra i singhiozzi. Daryl si
chinò per
afferrarla di nuovo << Dobbiamo andare. >>
e lei ancora
si dimenò << Non posso lasciarlo qui. Se lo
mangeranno. >>
pianse ancora, accarezzandogli il muso ormai immobile e così
disgustosamente sporco.
Daryl,
capendo di non poter fare altrimenti, l'aggirò, si
chinò e raccolse
il corpo del suo piccolo amico.
<<
Dai. >> disse lui con un filo di voce. Tremava quasi
quanto
lei.
Raggiunse
la porta e si voltò, per la prima volta, a guardare suo
fratello.
Era stato tutto così veloce. Non aveva avuto neanche il
tempo di
piangerlo. Eppure faceva così male. Si costrinse a
distogliere lo
sguardo o non sarebbe riuscito ad andarsene. Strinse i denti,
soffocando un altro singhiozzo. Tutto il corpo sembrava diventato di
marmellata, non riusciva quasi a reggersi in piedi, solo i versi
gutturali dei mostri che li stavano per trovare riuscivano a
dissuaderlo dal restare e disperarsi lì, in quel luogo, in
quel
tempo, finchè avrebbe avuto aria da respirare.
Ocean
non seguì subito Daryl. Resto immobile di fianco al corpo di
Merle,
sperando in chissà quale miracolo, sperando, stupidamente,
di
risentire la sua voce impertinente ridere come aveva fatto poco prima
nell'auto. Ma tutto ciò che avrebbe ascoltato ancora a
lungo, fino
alla fine dei suoi giorni, sarebbe stato "Fallo, Stupida!!!",
rimbombante nelle sue orecchie, impossibile a liberarsene.
Abbassò
lo sguardo, tremando, poi si portò entrambi le mani al
collo.
Estrasse il ciondolo da sotto la camicia e se lo sfilò.
Aveva
ancora tre petali.
Singhiozzò
nuovamente.
Prese
la mano di Merle, ce lo posò dentro e gli richiuse le dita.
Ancora
un singhiozzo.
Poi
seguì Daryl, anche se per sempre tutto ciò che
aveva avuto sarebbe
rimasto dentro quel maledetto capanno.
Il
sole era ormai prossimo a sparire oltre l'orizzonte.
Il
freddo della sera stava cominciando a sferrare i primi duri colpi.
Una
figura nera, raggomitolata su se stessa, non sentiva però
ancora la
necessità di alzarsi da quel manto d'erba. Immobile di
fronte a una
croce improvvisata con travi di legno. Su di esse appeso c'era un
vecchio collarino, la cui medaglietta incisa recitava "Max".
Carol
uscì all'esterno e trovò subito Daryl sugli
scalini dell'entrata,
seduto con le mani tra i capelli e la testa china in avanti. Si
fermò
alle sue spalle e lo osservò. Lo sentiva piangere e urlare,
anche se
erano suoni che non ascoltava con le orecchie. Tutto taceva, ma lui
urlava. Lo percepiva dentro sè. Poi fece correre il suo
sguardo
lungo il cortile, fino a trovare la figura nera seduta davanti alla
tomba. Ocean non si era più mossa da lì.
Si
avvicinò al ragazzo e gli posò una mano sulla
spalla, destandolo.
Daryl alzò la testa, incontrando gli occhi affranti e
comprensivi
della sua amica. Poi anche lui guardò nuovamente la ragazza
seduta
sul prato.
<<
Non vuole parlare. Non vuole mangiare. Non vuole bere, nè
farsi
curare. >> disse lui.
<<
Tra poco farà buio. >> constatò la
donna << E domani
avremo bisogno anche di lei. >>
Daryl
non rispose, sospirò e restò a guardarla. Erano
passate più di tre
ore e non si era mossa. Sentiva di averla persa. Il cuore gli
suggeriva che lei era rimasta lì, dentro quel capanno, stesa
sul
petto di Merle, abbracciata al corpo del suo migliore amico. Max.
Alice
era morta nell'oceano, trascinata da Manuele.
Max
aveva dato vita a Ocean.
Max
l'aveva uccisa, trascinandola con sè.
Lei
non era mai stata forte abbastanza.
Ora
non restava più niente, solo un fantasma che aspetta la luce
del
giorno per dissiparsi. E lui, probabilmente, l'avrebbe cercata ancora
nelle ombre, mischiandosi a loro, inutilmente, per chissà
quanto
altro tempo, sotto l'occhio severo di un fratello che mai era
riuscito ad abbandonare realmente.
Anche
Daryl era in realtà ancora dentro quel capanno.
<<
Valle a parlare. >> consigliò Carol
<< Tu sei l'unico
che può riuscire a consolarla. >>
<<
Ci ho già provato. >> lamentò lui.
<<
Provaci ancora. >> cercò di insistere la
donna. Daryl si alzò
in piedi, si voltò, la guardò un'ultima volta e
poi tornò nella
prigione. Non avrebbe accettato il suo consiglio.
Qualcosa
si era appena rotto. Il fragoroso eco ancora non cessava di far
palpitare il cuore.
E
il sole sparì.
Un
mantello le cadde sulle spalle, per niente aggraziato, ma almeno era
qualcosa con cui scaldarsi. Non alzò la testa per guardare
chi
fosse. Non le interessava.
<<
Vieni dentro. >> le disse una voce maschile. Non era una
richiesta.
Si
sorprese di constatare che non era stato Daryl, ma Rick, a parlare.
Non
l'ascoltò.
L'uomo
dietro sè sospirò e smosse un po' di terra con un
piede, tanto per
avere qualcosa da fare.
<<
Lascialo andare. Ora lui sta bene, siamo noi quelli da compatire.
>>
quasi recitò << Me l'hai detto tu stessa.
>>
Ma
Ocean ancora non rispose e non si mosse, raggomitolata in se stessa,
non toglieva gli occhi da quella medaglietta che ciondolava, smossa
dal vento.
Non
era arrabbiata, sul suo volto non c'era tristezza nè
disperazione,
nè dolore nè frustrazione. Non c'era niente. Solo
il vuoto. Ed era
la cosa che più metteva paura.
Lei
non era lì.
Rick
sospirò << Capisco la tua costernazione.
Nessun "mi
dispiace" ti aiuterà, io lo so bene. Ma... >>
fece una
piccola pausa, cercando dentro sè le parole e il coraggio
<<
...mi obbligasti a tornare sui miei passi. A tornare tra voi,
perchè
io avevo una bambina da proteggere e non potevo permettermi di
rincorrere i fantasmi. >> ancora una pausa, guardando la
ragazza, sperando di vedere in lei qualche reazione.
Niente.
<<
Io adesso ti chiedo lo stesso. >> ammise <<
Domani.... >>
Ocean si mosse per la prima volta, costringendolo a interrompersi,
sorpreso dalla novità. Si alzò in piedi
lentamente tenendosi il
mantello sulle spalle per non farlo cadere. I suoi occhi erano
cambiati improvvisamente. Faceva quasi paura.
<<
Domani vi aiuterò a sconfiggere il Governatore.
>> disse lei
aprendo bocca per la prima volta. La voce era bassa e così
calma da
apparire surreale. Si voltò a guardarlo negli occhi, fredda
come il
ghiaccio, lontana come la Luna << Poi me ne
andrò. >>
<<
Cosa? Perchè? >> chiese Rick shockato. Cosa le
era successo
così all'improvviso? La morte di Max stava avendo un effetto
peggiore di quello che si sarebbe potuto immaginare.
<<
Perchè questa è la mia decisione.
>> disse lei,
semplicemente, prima di avviarsi verso l'interno della prigione.
<<
No, Ocean! >> cercò di fermarla lui,
afferrandole un braccio.
Lei si bloccò e puntò gli occhi sulla mano
dell'uomo che la teneva
<< Pensa a Daryl! A Molly! Sul serio vuoi dargli un
dolore così
grande? >>
<<
Lasciami. >>
<<
Non essere stupida! >> continuò Rick,
ignorando la sua
richiesta.
Ocean
spostò gli occhi affilati dalla mano al viso dell'uomo
<<
Toglimi le mani di dosso. >> minacciò.
Rick
capì il bisogno di fare un passo indietro: non avrebbe
aiutato la
situazione tenerla e farla incazzare ancora di più,
così la lasciò.
La ragazzaperò ignorò le sue parole e riprese a
camminare verso la
prigione.
<<
Ocean! Tu non sei così. >> continuò
lui, deciso. Lei si voltò
ancora, guardandolo di nuovo con gli stessi occhi, occhi che tanto
sembravano quelli di un criminale omicida.
<<
Sì, io sono così. >>
sussurrò con tale freddezza che Rick
ebbe un brivido lungo la schiena. Non l'aveva vista con quegli occhi
neanche i primi giorni, quando li considerava un branco di idioti.
Allora era stata schiva e fredda, ma i suoi occhi era comunque vivi,
pieni e profondi.Gli occhi di una persona che ha tanto dentro
sè.
Ora, invece, erano tutto l'opposto. Occhi così morti e vuoti
da far
invidia alle bestie che ancora rumoreggiavano al recinto. Le parole
gli mancarono, così come il fiato, e incapace di aggiungere
altro,
freddato da quanto appena visto, l'osservò semplicemente,
mentre si
allontanava. Ocean si agganciò il mantello alle spalle e
tirò su il
cappuccio, nonostante dentro facesse meno freddo. Nascose il suo viso
al suo passaggio, viso che in molti cercavano nel tentativo di
osservarlo. Inutilmente.
Raggiunse
la sua cella sotto gli occhi incuriositi di tutti i presenti,
salì
sul suo letto e si stese lasciando alle sue spalle una ventata
ghiacciata che congelò momentaneamente tutti i suoi compagni.
Molly
comparve alla sua porta, timida e intimorita: da quando era tornata
era così strana. Strinse tra le mani l'unico libro che era
presente
nella prigione: la bibbia di Hershel. In realtà non sapeva
cos'era,
ma non importava, era pur sempre un libro.
<<
Alice. >> chiamò. Ma non venne ascoltata
<< Alice, me lo
leggi? >> chiese alzandolo. Sperava che con quel gesto
lei
sarebbe tornata la stessa. Era stata così felice quando le
aveva
detto che voleva che lei le leggesse un libro, voleva che fosse di
nuovo così. Voleva ancora vederla sorridere. Voleva che
tornasse a
essere dolce con lei. Le mancava così tanto.
<<
Alice. >> chiamò di nuovo, non ricevendo
risposta.
<<
Lasciami in pace, Molly. >> sospirò la ragazza
scocciata,
voltandosi verso il muro, volgendo a esso lo sguardo. Molly
abbassò
gli occhi, che già si stavano riempiendo di lacrime, e
mormorò con
la voce tremante << Ok. >>
Carol
andò da lei e cinse le sue spalle << Vieni,
piccola. >>
cercò di dirle amorevolmente, trascinandola via.
Rick
entrò nella prigione poco dopo, con gli occhi al suolo,
pensieroso e
preoccupato. Fu subito preso d'assalto da Daryl, che lo
fermò
puntandogli una mano sul petto. Non ci fu bisogno di esprimere a
parole la domanda, lo sceriffo sapeva perfettamente cosa l'amico
voleva sapere. Ma le parole non sembravano intenzionate a collaborare
e rimase in silenzio qualche secondo.
Tutti
gli altri pian piano si avvicinarono, incuriositi e intuendo che
c'era qualcosa che non andava. Il giorno dopo sarebbe stato un giorno
di fuoco, non c'era spazio per problemi di altro tipo.
<<
Rick! >> lo richiamò Hershel, preoccupato
più che mai,
sentendo l'ansia crescere ogni secondo di più.
Rick
fece un sospiro, raccogliendo l'energie, poi alzò la testa e
disse
con fermezza << Vuole andarsene. >>
<<
Cosa? >> chiese Maggie, non credendo alle proprie
orecchie.
<<
Non...non può >> balbettò Glenn, al
suo fianco <<
Domani... >>
<<
Domani ci aiuterà. >> si sbrigò a
rispondere Rick << E
poi se ne andrà. >>
Il
mormorio contrariato si alzò repentinamente, tutti parlavano
con
tutti, tutti avanzavano ipotesi e soluzioni campate per aria, ma
nessuno riusciva pienamente a capire cosa stesse passando per la
testa della ragazza in quel momento.
L'unico
che non disse niente fu proprio Daryl, che si allontanò a
grandi
passi, diretto all'esterno, tanto spedito da sbattere contro la
spalla di Glenn. Non si voltò per chiedergli scusa e
proseguì
adirato.
<<
Daryl! >> provò a chiamarlo il coreano, ma gli
sembrò di aver
urlato contro il muro.
<<
Lascialo andare. >> suggerì Rick,
allontanandosi dal gruppo
chiacchierone, andando a prendere la piccola Judith, per tenerla un
po' stretta al petto. Il cuore aveva bisogno del suo contatto. Spesso
era lei quella che accudiva il padre, non il contrario, anche se un
occhio inesperto non sarebbe mai riuscito a notarlo.
<<
Rick! >> lo inseguì sempre Glenn
<< Rick, davvero la
lascerai andare? >>
<<
Non posso costringerla. >> disse il capogruppo cullando
il suo
prezioso tesoro.
<<
Devi fare qualcosa! Dobbiamo restare uniti. Lo sai meglio di me che
se Ocean se ne va.... >>
<<
Ci sarà una grossa falla. >> concluse Rick.
Sospirò e alzò
gli occhi << Molly ne risentirà, probabilmente
anche Carol e
forse Maggie. Hanno legato molto. >> poi aggiunse
sforzandosi
di ammetterlo << Ma soprattutto perderemo Daryl.
>>
<<
E Hershel. >> aggiunse Glenn << E te, Rick!
>>
Rick
annuì, accennando un sorriso << Abbiamo fatto
molto
affidamento su di lei negli ultimi mesi, sì.
>>
improvvisamente tutto era stato chiaro. Aveva agito nell'ombra,
spesso mascherandosi da scontrosa ribelle, aizzando qualche litigio
di volta in volta, ma era stata in realtà come un collante
per loro.
Molte crisi, molte paure avevano superato, e in tutte queste lei era
sempre stata lì a tenerli uniti. Parlando, consolando, anche
litigando se necessario. Ma li teneva lì e non li faceva
andare via.
Aveva aiutato e aveva creato pasticci. Aveva fatto molte cose, a dire
il vero. Ma la cosa più importante era che, in qualsiasi
istante,
lei era lì con una mano aperta, pronta ad essere afferrata
da
chiunque ne avesse sentito il bisogno. Silenziosa, ma costante. Non
era mai caduta...fino a quel giorno.
<<
Non può andarsene. >> ribadì Glenn.
<<
Fermala. Io non ci sono riuscito. >> concluse Rick
tornando a
concentrarsi su sua figlia. Glenn si guardò attorno un po'
spaesato:
neanche lui aveva la minima idea di come muoversi. Fece un passo
indietro e disse l'unica cosa che gli venne in mente <<
Deve
parlare con Daryl. >> e si allontanò.
Ocean,
stesa sul suo letto, il volto puntato contro il muro, non chiuse
occhio. Tutto quel mormorio fuori dalla sua cella la disturbava.
Tutto quel mormorio dentro la sua testa la disturbava.
Chiuse
gli occhi.
Vide
Merle. Stava tentanto di morderla.
Li
riaprì.
Sospirò.
Era
stato un sogno. Ma era così stanca...
Li
richiuse.
Vide
Max. Era entrato nel casolare. Aveva afferrato Merle e lo aveva
trascinato lontano.
Merle
aveva cercato questa volta di afferrare e mordere lui.
Lei
aveva trovato un frammento di vetro.
Aveva
tagliato le corde che le legavano i polsi.
Un
guaito.
Merle
stava mangiando Max.
Ocean
aveva ucciso Merle.
Un'altra
volta.
<<
Mi chiedevo se tu avessi bisogno di qualcosa. >> la voce
di
Hershel, improvvisa, la fece sussultare e solo allora capì
che si
stava di nuovo addormentando. Le immagini viste erano state frammenti
di un sogno che stava facendo e che proprio non voleva lasciarla in
pace.
<<
Sto dormendo, Hershel. >> lamentò lei, senza
voltarsi a
guardarlo.
<<
Non hai fame? Sete? >> chiese ancora il vecchio.
Non
ricevette risposta.
Hershel
sospirò prima di riprendere a parlare <<
Quando morì mia
moglie, credetti di aver perso tutt... >>
<<
Oh, per favore! >> lo interruppe Ocean con un sospiro
contrariato, voltandosi a guardarlo << Risparmiami le tue
storielline del cazzo. E non citarmi passi della Bibbia, mi fanno
solo ridere. >>
<<
Beh, ridere sarebbe già un passo in avanti. >>
<<
Sparisci, vecchio. Ho promesso di aiutarvi domani, ma se continuerete
a rompermi le palle me ne andrò stanotte stessa.
>> brontolò
tornandosene a guardare il muro.
Hershel
sospirò ancora. Neanche quando l'avevano conosciuta era
stata così
dura con loro.
<<
Puoi combattere la tua paura, non lasciarti governare da essa. Ti fa
fare cose stupide. >> disse ancora lui, e Ocean rise
<<
Paura? Tu credi sia paura? >> ma non aggiunse altro,
continuando a sghignazzare tra sè e sè.
<<
Se non è paura, allora cos'è? Perchè
non me ne parli? Così posso
capirlo anche io e smetterei di "romperti le palle" >>
Ocean
si voltò a guardarlo con un ghigno divertito in volto, prima
di dire
con un velo di sarcasmo << Paura. E' paura.
>> e tornò
nuovamente nella sua posizione.
<<
Sto solo cercando di aiutarti. >> ammise Hershel
<< E'
ovvio che tu abbia qualche problema. Scappare non lo
risolverà. >>
Questa
volta Ocean aspettò qualche secondo prima di dirgli acida
<<
Levati dai piedi, vecchio. Mi stai scocciando. Lasciami dormire.
>>
<<
Va bene. >> si arrese infine Hershel, alzandosi dalla
sedia
dove era poggiato e avviandosi all'uscita dalla cella <<
Se hai
bisogno di qualcosa sono nella cella vicino alla tua. >>
ma
ovviamente entrambi sapevano che mai sarebbe servito quell'avviso.
<<
Siamo pronti. >> disse Michonne a Rick, caricando
l'ultima
borsa sull'auto. Mai una notte era durata tanto, mai era stata
così
rumorosa e chiassosa, piena di sbuffi e pensieri, fantasmi che
urlavano, incubi che emergevano e nell'ombra danzavano.
Ma
alla fine la mattina era arrivata.
Ocean
aveva già sistemato le sue cose, pronta per la partenza.
Aveva
buttato tutto in una vecchia borsa che aveva trovato in giro, in uno
dei suoi sopralluoghi. Infilò per ultima una bottiglietta
d'acqua e
guardò la sua cotta di maglia. Troppo pesante. E Peggy
sarebbe
rimasta lì con loro, non aveva intenzione di portarsela
dietro, non
l'avrebbe più esposta a inutili pericoli, perciò
non poteva
caricarsi troppo. Probabilmente avrebbe fatto più comodo a
loro che
a lei.
La
lasciò sul letto.
Si
voltò a controllare quello che era diventato il suo comodino.
Una
fotografia.
Si
avvicinò e la guardò: era una polaroid, scattata
con la macchinetta
fotografica che aveva trovato Glenn. Era abbastanza recente: Molly
sorreggeva a stendo la balestra di Daryl, aiutata da quest'ultimo,
che chino su di lei le indicava un punto lontano. L'aveva scattata
qualche mattina prima, durante la prima "lezione di tiro"
della bambina.
La
osservò a lungo.
Poi
lasciò anche quella sul letto.
E
uscì.
Gli
spari cominciarono, incessanti. Riusciva a sentirli ovattati.
Esplosioni, urla e colpi di fucile. Contro i muri, contro gli zombie
e i recinti.
Ocean
rimase ben coperta nel suo nascondiglio, leggermente sopraelevato, ma
non troppo lontano dall'entrata. Era nascosta dietro a delle
protezioni improvvisate, vestita con le vecchie divise delle guardie
della prigione, e come gli altri aspettava il segnale. Il
Governatore, come previsto, sfondò i cancelli ed
entrò. Nel
frattempo Daryl e Rick manomisero le loro camionette e tornarono a
nascondersi tra la vegetazione.
L'attesa
sembrava interminabile.
Poi
il segnale.
L'allarme
della prigione cominciò a suonare, rimbombando severa,
urlando come
il peggior mostro che fosse mai esistito. Gli uomini del Governatore
uscirono, fuggendo, e lì entrarono in azione gli altri.
Ognuno dal
proprio nascondiglio cominciò a sparare, puntando ai piedi.
Non
c'era l'intezione di ucciderli, se non il Governatore, ma solo
spaventarli e cacciarli via.
Non
fu difficile, l'effetto sorpresa giocò molto a loro
vantaggio e nel
giro di qualche minuto scapparono tutti. Fu la battaglia più
rapida
e facile che avessero mai affrontato. Gli uomini del Governatore
erano persone inesperte e terrorizzate perfino dalle proprie ombre,
ingannarli e spaventarli non era stato per niente difficile.
Ocean
si sollevò, ormai non più costretta a restare
nascosta e osservò
il mondo fuori. Gli zombie erano tutti morti, la prigione era stata
sgombrata, ora bisognava solo sistemare i cancelli, ma per il resto
poteva finalmente chiamarsi "posto sicuro".
Sicuramente
il Governatore avrebbe fatto marcia indietro il prima possibile,
sarebbe tornato di nuovo all'attacco, ma quel giorno lei non si
sarebbe trovata lì per vederlo.
<<
Ce l'abbiamo fatta. >> constatò Rick guardando
il cortile
ormai deserto, se non per qualche auto e camionetta sparsa
<<
Li abbiamo respinti. >>
<<
Dobbiamo inseguirli. >> suggerì Michonne.
<<
Dovremmo farla finita. >> le diede corda Daryl.
<<
E' finita! Sono scappati a gambe levate! >> disse Maggie
che,
al contrario dei due compagni, preferiva godersi casa sua immersa nel
suo caldo e confortante ottimismo.
<<
Potrebbero tornare. >> a parlare questa volta fu Carol,
non
sentendosi sicura come l'amica.
<<
Non possiamo rischiare, lui non si fermerà. >>
disse Glenn.
<<
Hanno ragione, non possiamo continuare a vivere così.
>>
continuò Carol.
<<
Li attacchiamo a Woodbury? Siamo tornati a stento l'ultima volta!
>>
disse ancora Maggie.
<<
Non mi importa. >> sussurrò Daryl, lanciandole
un'occhiata
decisa. Suo fratello era morto per mano sua, e anche Max, e questo
aveva portato via Ocean, alla quale già una volta le aveva
rovinato
la vita. Non meritava pietà o perdono. Doveva pagare. E lui
doveva
mantenere una promessa, anche se si chiedeva quanto ancora contasse.
<<
Dov'è Ocean? >> disse a un certo punto Rick,
guardandosi
attorno, rendendosi conto che mancava solo lei all'appello. Anche gli
altri cominciarono a cercare, voltandosi continuamente, chiedendosi
dove fosse. Puntarono lo sguardo al punto dove lei era stata messa
per sparare. Non videro nessuno.
Dentro
loro sapevano cosa stava succedendo.
<<
Vado a cercarla. >> comunicò Maggie, allarmata.
<<
Vengo con te. >> disse Rick << Voi altri
controllate che
non sia rimasto nessuno. >> e corsero via, diretti al suo
nascondiglio.
Rick
si piegò a raccogliere la giacca protettiva che aveva
lasciato a
Ocean. C'erano lì anche il caschetto, il resto delle
protezioni e il
fucile. Era tutto lì, abbandonato al suo posto, ma lei non
c'era.
<<
Allora è vero? >> chiese Maggie abbassando gli
occhi, sentendo
una fitta al cuore << Se n'è andata.
>>
Rick
sospirò abbassando la testa.
Non
c'era.
E
sicuramente non sarebbe stata da nessun'altra parte.
Poi
un pensiero gli balenò in testa e, dubbioso,
scostò le cose a
terra, controllando.
<<
Cosa c'è? >> chiese Maggie, notando che stava
cercando
qualcosa.
Rick
si alzò, finita la sua ispezione, e si guardò
attorno, prima di
comunicare << Le avevo dato anche una pistola. Non
c'è. >>
<<
Se l'è portata via? >> chiese Maggie, non
capendo come la cosa
potesse scuotere così lo sceriffo. Era un'arma, che male
c'era a
portarsela?
Rick
annuì << Non aveva proiettili. Solo quelli
caricati. >>
<<
Lei odia le armi da fuoco, magari non ci ha pensato. >>
constatò Maggie.
<<
Già. >> annuì ancora Rick
<< Lei odia le armi da fuoco.
>> ripetè.
C'era
qualcosa di strano in tutta quella faccenda.
E
i dubbi aumentarono quando videro Beth correre verso la prigione,
urlando e sbracciandosi
<<
Rick! Rick! Ocean! Devi andare a cercarla! Rick! >>
|
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Capitolo 33 *** I am Home. ***
I
am Home.
<<
Beth!!! >> la chiamò Rick, raggiungendola nel
cortile. La
ragazza si piegò su se stessa, cercando di recuperare fiato,
stanca
dalla corsa che aveva appena fatto, mentre i suoi compagni la
accerchiavano.
<<
Ehy, che succede? >> chiese Glenn, seguito dagli altri.
Nel
sentire le sue urla era stata inevitabile la preoccupazione in tutti
i presenti.
<<
Ocean. >> ripetè Beth tra un sospiro e un
altro << Se
n'è andata... >>
<<
Sì, lo sappiamo. Ho trovato le sue cose. >>
disse Rick.
<<
No!! >> lo interruppe Beth, deglutendo e alla fine
confessò
tutto d'un fiato << E' stata morsa. >>
Daryl,
nelle retrovie, si irrigidì e voltò
immediatamente lo sguardo verso
la bionda.
<<
Io l'ho vista! Stava scappando e ho provato a fermarla. Ha un morso
sul braccio. E' per quello che sta andando via. >>
continuò a
spiegare Beth, approfittando della piena attenzione che aveva da
parte di tutti.
<<
Te l'ha detto lei? >> intervenne Carol <<
...Che stava
andando via per quel motivo. >> si spiegò.
Beth
negò, ma diede le sue motivazioni << Stava
piangendo. >>
<<
La pistola! >> intervenne Rick, illuminandosi
<< Manca la
pistola! Vuole...farlo da sola. >>
<<
Non voleva che la piangessimo. >> mugolò
Carol, portandosi una
mano alla bocca, istintivo gesto di tristezza e preoccupazione.
Daryl
si avvicinò spedito a Beth e le chiese << Da
che parte è
andata? >>
La
ragazza indicò una direzione alle sue spalle
<< Di là, ma si
è inoltrata nel bosco, potrebbe essere ovunque ora.
>>
Ma
Daryl era già corso via, non ascoltando il resto della
frase.
Nessuno cercò di fermarlo.
Sapevano
che doveva farlo.
L'impronta
degli stivali di Alice era ben visibile e marcata: aveva corso.
Arrivò in un punto in cui, invece, erano più
radunate: si era
fermata, forse a prendere fiato. Poi aveva ripreso a correre.
Scostò
un cespuglio del sottobosco, passò oltre e si
fermò.
La
ragazza giaceva ai piedi di un albero, raggomitolata in se stessa, la
testa nascosta tra le ginocchia e una pistola stretta in una mano.
Piangeva così forte che Daryl potè sentirla anche
da dove si
trovava, a qualche metro di distanza. Le spalle le si scuotevano a
ogni sospiro.
Fece
un passo verso di lei e il rumore delle foglie sotto i suoi piedi
annunciarono la sua presenza.
Alice
alzò la testa e lo guardò: aveva il viso
ricoperto di sporcizia, e
più tentava di asciugarsi le lacrime con le mani sporche di
terra,
più peggiorava la situazione. Daryl ne rimase scosso per un
istante:
era la prima volta che vedeva il suo viso così deturpato dal
dolore.
L'aveva già vista piangere, ma mai come quella volta.
Riuscì a
percepire sulla propria pelle la paura e la disperazione.
Intrappolata in un vicolo cieco, le mancava il fiato. La sua corsa si
era arrestata lì, davanti ai suoi occhi c'era solo la morte,
affamata e sghignazzante nella consapevolezza del suo potere. Della
sua vittoria.
<<
Non ce la faccio. >> mormorò tra i singhiozzi,
con una voce
così sottile che a malapena era stata udibile. Quella fredda
e dura
corazza che l'aveva portata lì fuori era stata abbandonata
chissà
dove, lasciando scoperto il suo strato più interno: quello
più
debole e fragile. Era come stare davanti a una bambina che ha appena
perso i genitori.
Daryl
strinse la sua balestra tra le mani prima di lasciarla cadere a terra
<< Sei una stupida! >> le disse
percorrendo, con una
velocità strabiliante, quei pochi passi che li separavano.
Le si
inginocchiò accanto e Ocean allargò le braccia,
stringendolo non
appena fu a portata di mano.
<<
Mi dispiace. >> gli sussurrò all'orecchio,
costernata <<
Io... io non volevo che voi mi vedeste morire! Non volevo che
perdeste qualcun altro. >> balbettò
<< Io non volevo che
tu perdessi qualcun altro. Non volevo farti del
male. >>
<<
Non fa niente. >> cercò di zittirla lui,
ripetendo più volte
la frase per riuscire veramente a convincerla a star zitta e non
aggiungere altro. Non gli interessavano più le motivazioni.
Non
gli interessava più niente.
<<
No, fermo! La sveglierai! >> una
dolce e sottile voce,
delicata come una carezza, la fece sorridere.
La
conosceva.
<<
Ha la febbre alta. >> aggiunse.
<<
Passerà. >> lo
rassicurò un'altra voce, maschile,
altrettanto dolce e delicata, ma sicuramente più adulta. Si
sentiva
così leggera. Il calore del sole contrastava con un fresco
venticello.
Era
bello lì.
Non
sentiva più dolore.
<<
Dormigliona. >> ora la seconda voce
era così vicina al
suo orecchio. Un delicato sussurro, un leggero bacio << La
mamma ha preparato l'arrosto. Alice! >> Aprì
gli occhi.
Conosceva quel viso.
<<
Manu. >> sorrise. Era bello rivederlo.
Anche lui
sorrideva, dietro ai suoi occhiali.
<<
Andrea è molto preoccupato per te. Vieni, Alice.
Tua madre ti sta
aspettando. >> aveva lo sguardo più
dolce del mondo. Mai
l'aveva visto così. Le porse una mano, ma lei non
l'afferrò. Un
timore nel cuore le impedì di farlo. Quella non era la sua
stanza. E
lei...lei stava morendo. Sentiva la fatica che faceva il suo cuore
per battere e l'ossigeno non riusciva più a darle l'energia
necessaria.
<<
Vieni, zia Alice! >> la
incoraggiò un piccolo bambino
dai capelli scuri, scompigliati, inginocchiato ai piedi del suo
letto. << Andiamo a casa, Alice. Finalmente
possiamo farlo.
>> disse Manuele.
Si
puntellò sui gomiti e cercò di sollevarsi a
sedere.
<<
Non sforzarti troppo. Sei ferita. >>
Un'altra morbida
voce, femminile questa volta, provenne dalla sua destra, e la
costrinse a voltarsi. Era come guardarsi allo specchio: lo aveva
detto più volte, ma non l'avrebbe fatto in quel momento. Ora
erano
così diverse.
<<
Chiara. >> mugulò, non
riuscendo a trattenere le
lacrime. Era così bella con i leggeri capelli che le
ricadevano
sulle spalle, perfettamente pettinati e un filo di trucco sul viso.
Al contrario suo, invece, che più passava il tempo e
più somigliava
ai morti.
<<
Potrò rivedervi. >> disse
Alice, asciugandosi il viso
col dorso della mano tremante. Era passato più di un anno,
era così
bello averli di nuovo accanto a sè, anche se...non erano
reali.
<<
Con chi stai parlando? >> chiese Daryl, comparso
all'improvviso
alla porta della sua stanza. Aveva il viso chino e gli occhi stanchi.
Sapeva qual era la risposta, ma probabilmente non voleva sentirla,
non l'avrebbe ascoltata. Era solo stato un modo per riprendersela, in
quegli ultimi istanti, per impedirle di seguire i suoi fantasmi.
Molly era stretta a lui, la testa poggiata sulla spalla. Era ancora
scossa dai singhiozzi, benché sembrava stesse dormendo.
Alice
sorrise, non sentendolo neanche un compito troppo gravoso.
<<
Nessuno. Sognavo. >> confessò riuscendo
finalmente a mettersi
seduta. Allungò le braccia in avanti, verso loro
<< Portala
qua. >> disse.
Daryl
si avvicinò e le passò delicatamente la bambina,
aiutandola per
farla stendere sul letto accanto a lei. Alice le spostò una
ciocca
di capelli dalla fronte e approfittò per accarezzare il suo
viso.
Quel piccolo viso che fin troppe volte, purtroppo, aveva visto
piangere. Proprio come stava facendo in quel momento.
<<
Non me lo perdonerà mai. >>
constatò, continuando ad
osservare la bimba stesa accanto a sè. Un colpo di tosse
improvviso
la scosse e si costrinse a voltarsi velocemente, dall'altra parte,
piegata fuori dal letto.
Daryl
scattò in avanti e si chinò su di lei, aiutandola
a sorreggersi,
mentre la tosse non sembrava volersi fermare. Era bollente al tocco e
ricoperta di sudore.
<<
Sto bene! >> si sbrigò a dire lei, sperando di
tranquillizzare
il ragazzo vicino a sè. Si pulì la bocca con la
mano ancora
tremante e la osservò: c'era del sangue.
Sospirò
e si accasciò sul letto.
<<
Hai parlato con Rick? >> chiese lei, respirando a fatica,
allargando il petto esageratamente. Daryl la guardò a lungo,
sforzandosi di non far trasparire i sentimenti e le angosce, ma non
riuscendoci pienamente. Poi annuì.
<<
Non voglio che sia tu a farlo. >> continuò lei
<< Non
voglio darti anche questo fardello e dolore. >>
<<
Lo è già. >>
Alice
si voltò di colpo, ad osservarlo, colpita da quella sua
affermazione. Lesse decisione nei suoi occhi, lesse dolore, lesse
rabbia, soprattutto rabbia. La rabbia di non essere riuscito a
proteggerla, la rabbia di aver perso così tanto in
così poco tempo.
Erano gli occhi di un uomo che stava crollando.
E
se ne rammaricò.
Il
silenzio perdurò a lungo, incapaci di dirsi qualcosa che non
racchiudesse un addio che a tutti i costi non volevano pronunciare.
Era
così inverosimile.
Si
erano appena trovati, nel buio, tra i morsi della morte, si erano
appena trovati e ora qualcosa di più forte li stava
separando
bruscamente. Un avvertimento: non c'è spazio per
la felicità,
qui. Non più.
Poi
Daryl sospirò e si avvicinò a lei, chinandosi e
infilandole un
braccio dietro la schiena e l'altro sotto le gambe.
<<
Andiamo. >> disse sollevandola di peso, senza darle tempo
di
capire che stesse succedendo.
La
strinse a sè, sorreggendola delicatamente, come un tesoro da
custodire, un cucciolo ferito a cui si teme di far del male. E Alice
si adagiò tra le sue braccia, rilassandosi, sentendo di non
avere
niente da temere.
Percorse
silenzioso e lento la prigione, sotto gli occhi discreti dei suoi
compagni, che si affacciavano ma che cercavano di concedere loro la
privacy che meritavano. Avevano già dato il loro addio,
avevano già
pianto la loro incombente perdita, sicuramente lo avrebbero fatto a
lungo, ma ora, quella sera, l'ultima, toccava a loro. Il loro ultimo,
infinito, indicibile e pressante addio.
La
loro ultima sigaretta silenziosa al chiaro di luna.
Il
mantello non sembrava abbastanza, il freddo quella sera era quasi
insopportabile, ma lo smanicato di Daryl suggeriva che lei era
l'unica a sentire su di sè quel problema. Colpa della sua
febbre
troppo alta. Strinse i denti, sforzandosi di non tremare, non voleva
dare al suo compagno ulteriori preoccupazioni.
Daryl
bloccò la sigaretta tra le labbra e utilizzò il
braccio libero per
cingere le spalle della ragazza, seduta accanto a sè,
poggiata al
muro. Alice si fece scivolare, fino a poggiare la testa sulle sue
gambe. Era troppo debole anche per restar seduta. Il fiato pesante
non smetteva di farle muovere spropositatamente le spalle. Non era
mai abbastanza. Sentiva quasi il desiderio di aprirsi il petto, per
riuscire a catturare ancora più ossigeno. Daryl le
posò la mano sul
braccio, accarezzandola impercettibilmente e osservandola silenzioso.
Aveva tante cose da dire, tante stupide e sciocche cose, ma non le
avrebbe dette. Non le avrebbe mai dette.
Alice
allungò una mano, facendosela correre sul braccio, fino a
incontrare
quella del ragazzo. La afferrò delicata e se la
portò vicino al
viso, osservandola e accarezzandola con la punta delle dita. Quella
mano su cui, così a lungo, aveva contato. Di cui si era
fidata
ciecamente, anche quando si era avventurata nella sua parte
più
profonda. Non ne aveva mai avuto paura. L'unica mano al mondo che
veramente non temeva. La rigirò, trattandola come fosse una
sua
proprietà, con sicurezza e delicatezza, e se la
portò alle labbra,
baciandone la punta delle dita. Anche da quella posizione
riuscì a
sentire il fiato di Daryl tremare improvvisamente, e le gambe, su cui
era poggiata, irrigidirsi. Poteva tacere le sue emozioni, ma non le
sensazioni. E quelle spesso erano più esplicative di
qualsiasi
parola. Lo sentì mentre faceva un lungo tiro dalla sua
sigaretta,
nascondendo in quel gesto un sospiro affranto.
<<
Ehy D. >> richiamò la sua attenzione
<< Voglio che mi
prometti una cosa. >> attese una risposta, che non
arrivò. Ma
sapeva che la stava ascoltando, così proseguì
<< Resta vivo.
Qualsiasi cosa accada. Tu hai la sindrome dell'eroe, ricordatelo. Tu
salvi le persone. Promettimi che resterai qui. Il mondo ha bisogno di
un super Dixon. >> sorrise. Daryl non le rispose, anzi
sbuffò,
ritenendo probabilmente la frase sciocca, ma ne avrebbe fatto tesoro.
Quella promessa l'avrebbe mantenuta, ad ogni costo.
Alice
si cacciò una mano dentro il mantello, raggiungendo la sua
cintura e
ne estrasse, serrato tra essa e il suo corpo, un piccolo oggetto. Lo
strinse tra le dita prima di raggiungere nuovamente la mano di Daryl,
davanti a sè. Lo posò sul suo palmo e ne strinse
le dita intorno.
Daryl abbassò improvvisamente gli occhi e lentamente
tirò via la
mano, riaprendola per osservarne il contenuto.
<<
Che cos'è? >> chiese, facendo ciondolare un
pupazzetto in
pezza davanti al suo naso. Era grande quanto il suo pollice,
minuscolo, ma ben dettagliato. Portava dei jeans, sporchi e
strappati, una camicia nera e un altrettanto minuscolo gillet in
pelle con delle ali bianche disegnate dietro la schiena. Dei fili
marroncini erano attaccati al centro della testa e cadevano sugli
occhi: due puntini neri in filo anch'essi. Infine uno stuzzicadenti
spezzato era attaccato dietro la schiena, a simulare una balestra.
Alice
sorrise << Volevo dartelo a Natale. Ma credo che, a
questo
punto, non ci arriverò. A dire il vero volevo dartelo quello
appena
passato, ma sono riuscita a trovare le cose che mi servivano, e a
finirlo, solo l'altro ieri. >> si voltò,
sforzandosi, fino a
volgere lo sguardo al viso del suo compagno: era indecifrabile, come
al solito.
<<
Ti somiglia! >> sorrise divertita lei.
<<
E' una stronzata. >> commentò lui, voltandosi
dall'altro lato.
Ma, nonostante il commento facesse pensare a un rifiuto del dono,
discreto e naturale, se lo infilò invece in tasca.
Alice
non smise di sorridere, nonostante il commento poco carino rivolto al
suo regalo, e lentamente chiuse gli occhi, in cerca di riposo. Daryl
la guardò, allarmato, ma si rilassò quando vide
che respirava
ancora.
<<
A casa mia l'albero lo facevamo l'otto di dicembre. Ogni anno con
puntualità. La mamma comprava le decorazioni, sistemava
l'albero
nell'angolo della sala, quello vicino alla finestra, poi lasciava
sole me e mia sorella con uno scatolone pieno di palline e festoni.
>> una risatina la scosse appena << I primi
anni era
veramente brutto! Eravamo troppo piccole e incapaci, sembrava
l'albero di Frankenstein. Ricordo che una volta io volevo farlo
azzurro, lei invece rosa. Litigammo e alla fine ci dividemmo le zone
di nostra competenza. Mezzo albero era completamente blu, l'altro
rosa. >> rise ancora, ma avendo gli occhi chiusi, non
potè
notare il sorriso divertito dipinto sul viso di Daryl.
Riuscì però
a sentire lo stesso il suo sghignazzo trattenuto. E ne fu felice.
<<
Il giorno di Natale mangiavamo di tutto. Mia mamma e mia nonna
litigavano in cucina come me e mia sorella di fronte all'albero. E si
finiva col preparare ben due cenoni della vigilia e ben due pranzi di
Natale. Non riuscivamo mai a finire tutto, perciò, piuttosto
che
buttarlo via, ce ne andavamo in giro per tutto il pomeriggio, in
centro città, a portare quello che era avanzato ai
senzatetto. Così
anche per loro era Natale. Era un'idea di mia nonna, lei era molto
religiosa , credeva nel bene, nell'amore verso il prossimo e tutte
quelle cose lì. >> sospirò,
rilassandosi e si strinse più a
lui, nascondendo il viso nella sua camicia, cercando calore e
conforto.
<<
A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se tra quei senzatetto io
avessi trovato anche un bambino con gli occhi azzurri, sottili, i
capelli chiari, diradati, e dall'aria scorbutica, accompagnato da un
fratello violento, stronzo e rompipalle. >>
<<
Non ero un senzatetto. >> disse lui, con voce bassa e
dura.
<<
Lo so, ma son sicura che lo stesso ti avrei trovato per strada a
Natale, magari intento a rubare qualche caramella nei negozi.
>>
Daryl si irrigidì, spense la sua sigaretta, ma ne accese
subito
un'altra. Certo non era un argomento che affrontava volentieri,
soprattutto in quel momento. Ma lasciò che proseguisse le
sue
fantasticherie.
<<
Ti avrei portato ogni giorno qualcosa, avrei provato a far amicizia
con te. Penso mi saresti stato simpatico. Chissà, magari
sarei
riuscita a donare anche a te un po' del mio Natale. >>
poi
sospirò, improvvisamente malinconica << Sarei
voluta arrivare
prima. >> confessò.
Un
sorriso divertito esplose sul suo volto << Sarebbe stato
divertente. >> delle immagini stavano prendendo il posto
della
realtà. In un altro momento sarebbero stati solo pensieri,
ma in
quelle condizioni erano invece così vivide da sembrare
ricordi. E in
quei ricordi immaginari c'era un bambino scorbutico e imbronciato, al
bordo della strada, intento a torturare una lucertola con un bastone.
E una bambina dai lunghi capelli scuri, inginocchiata accanto a lui,
ad osservarlo, contrariata, ma almeno vicina. Magari gli avrebbe
allungato qualche dono: un pezzo di focaccia, una fetta di torta o un
semplice giocattolo. E lui l'avrebbe ignorata, minacciandola, per
farsi lasciare in pace. Lei non l'avrebbe fatto. Avrebbe continuato a
cercarlo, avrebbe continuato a stargli vicino anche quando faceva
qualcosa di orribile, solo per potergli regalare un sorriso in mezzo
a tutti quei ricordi bui e dolorosi. Una scintilla da portarsi dietro
per sempre.
Sì,
sarebbe andata così.
<<
Lei non voleva farci soffrire. Preferiva portarsi dietro l'odio della
gente, piuttosto che la loro sofferenza. Per questo a volte ci
regalava il peggio di sè.
Lei
diceva sempre di essere forte, e io non ci ho mai creduto.
Ma
sbagliavo.
Sbagliavo
perchè non capivo di che tipo di forza parlasse. Cadeva
sempre,
combinava guai, riusciva a uccidere uno zombie, ma altri due avevano
tempo di prenderla alle spalle. Doveva essere seguita e accudita: una
bambina che ancora non capiva la differenza tra bene e male. Non
rifletteva, agiva d'istinto, forse mossa anche da una certa dose di
convinzione che la sua morte non sarebbe stata importante.
La
sua forza non era niente di tutto questo.
La
sua forza si trovava nei passi che faceva e nelle spalle che sempre
teneva ben dritte, nonostante i pesi che si portava dietro. Era sola
e probabilmente ha continuato a sentire di esserlo, ma nonostante
tutto era qui, per proteggerci, pronta a tuffarsi nel pericolo. Non
piangeva per le sue ferite, anche quando servivano dei punti, ma
piangeva se uno di noi si tagliava con la carta. Teneva in
sè le
cose brutte, le raccoglieva sparse per la prigione, ogni singola
ombra, ogni singolo fantasma, lo prendeva e lo stringeva a
sè,
liberandocene se riusciva e donando a noi sempre e solo il suo
meglio.
Lei
aveva paura. Più di tutti noi. Era terrorizzata da ogni
cosa,
perfino da se stessa, tanto da fuggirne. E quella era la sua unica
debolezza...quella stessa paura che l'ha uccisa. La paura di non
riuscire a impedire che altre lacrime sgorgassero.
E'
morta nel tentativo di salvare noi dal Governatore e nel tentativo di
salvare Merle da se stesso.
E'
morta per noi.
Per
tutti noi.
La
sua paura, la sua debolezza è diventata la sua forza e con
quella
lei ha lottato.
Io voglio ricordarla così. >>
Così
recitò Rick, di fronte a quella tomba, sistemata di fianco
alla
croce in legno col collarino appeso.
Il
loro ultimo saluto.
Si
dedicarono del tempo, in silenzio, pensierosi, ma coraggiosi.
Avrebbero guardato al futuro, anche se sulle loro spalle avrebbe
gravato sempre più il fardello del passato.
Carol
si allontanò, non appena ritenuto finito il suo momento. Non
appena
si sentì pronta a lasciarla andare. Andò sopra la
torretta, al
posto di guardia e quando aprì la porta trovò chi
stava cercando:
seduto a terra, con la schiena poggiata al muro c'era Daryl. Come la
sera prima, ma quella volta era solo.
<<
Si sentiva la tua mancanza. >> disse lei. Daryl non
rispose.
Aveva qualcosa tra le mani con cui gicherellava insistentemente,
senza distogliere lo sguardo.
<<
Tu più di tutti saresti dovuto essere là.
>>
<<
L'ho già salutata. >> disse lui con voce roca.
Carol sospirò
e si andò a sedere lì vicino.
<<
Ho ancora la sensazione di non conoscerla davvero, come il primo
giorno. >> sorrise lei, malinconica.
<<
Nessuno di noi la conosceva davvero. >>
<<
Tu sì. >> sorrise ancora lei. Daryl
esitò, ancora preso a
giocherellare con quello che aveva tra le mani, poi ammise
<<
No. Nemmeno io. >>
Carol
restò in silenzio ancora un po'; infine disse con tristezza
<<
Si è portata via così tanto. Era strana...eppure
metteva il
sorriso. Quando stavi con lei sembrava che niente ci fosse
lì fuori:
niente zombie, niente morti. Ci faceva sentire a casa. >>
Daryl
guardò l'amica sottecchi, silenzioso, poi si
allungò alla sua
sinistra, afferrando la balestra lì poggiata. Tramite un
cordoncino
legò, vicino all'impugnatura, l'oggetto che aveva in mano:
un
ridicolo pupazzetto fatto di stracci che somigliava a lui.
Si
fermò un attimo, sospirando pensieroso, poi ammise
<< E' stato
Merle. >>
Carol
lo guardò non capendo.
<<
Lei l'ha seguito. >> spiegò lui, terminando il
suo lavoro e
osservando il pupazzetto ciondolare al vento << Sapeva
che
stava andando dal Governatore ed è andata con lui. Voleva
aiutarlo
ed evitare che si ammazzasse. >> fece una pausa e poi
concluse
<< Merle l'ha morsa. >>
<<
Non è stato tuo fratello a ucciderla. E' stato il
Governatore. >>
disse repentina Carol. Ma la sua frase parve cadere nel vuoto.
<<
Mi ha detto che si sarebbe dovuta aspettare che sarebbe stato un
Dixon a rovinarla. C'erano tutti i precedenti. >> sorrise
divertito e malinconico allo stesso tempo. Carol gli fece compagnia,
anche lei divertita da una tale affermazione, tipica di Alice. Daryl
le aveva stravolto la vita, dal primo istante, quando lui le aveva
puntato la balestra alla testa e lei aveva cercato di fratturargli un
piede con la sua spada. Da allora tutto era cambiato. Prima l'odio,
l'antipatia, i litigi, il considerarsi a vicenda degli idioti. E poi
la complicità, l'amicizia, le notti condivise, le mani
sempre
strette. Ogni giorno litigavano, peggio di marito e moglie, due teste
calde, così diversi eppure così uguali. Ma poi la
sera tornavano a
guardar le stelle insieme.
Gli
aveva detto quella frase poco prima di tirar l'ultimo respiro. Non
aveva nessuna intenzione di andarsene tra lacrime e rimpianti.
Cercava sempre di sdrammatizzare, come aveva fatto più volte
per
nascondere la dura verità.
<<
Sei una stupida. >> aveva detto lui, divertito dalla sua
battuta, anche se non aveva la minima voglia di ridere.
Lei
aveva sorriso.
<<
Sono una stupida innamorata. >>
E
tutto era finito.
Ma
questo lo tenne per sè.
<<
E' a casa, ora. >>
Scrisse
una favola...e volò via.
[Ilaria
Porceddu – Vola via]
N.D.A.
Io-non-c'entro-niente-ciao!!!
* fugge via per evitare il linciaggio *
Ebbene
sì...se ve lo state chiedendo: è davvero la fine.
Beh, prima o poi
andava finita, no? XP Non l'avrei portata avanti per sempre. Sono
stata troppo cattiva? Vi assicuro, però, che con molta
probabilità
sto piangendo più io di chiunque altro. E' stato come
lasciare un
figlio ormai abbastanza cresciuto per vivere da solo. Mi sento una
madre abbandonata T__T e mi sono odiata per quello che ho fatto ad
Ocean, ma, purtroppo, era così che doveva andare. E' stata
con me
per 8 mesi (un parto!!! xD) è dura dirle addio.
Ma,
coraggiosamente, lo farò u.u
Passando
a voi: vi ringrazio infinitamente! Probabilmente non sarei arrivata
fin qui senza il vostro sostegno (manco avessi vinto l'Oscar -.-).
Ringrazio tutte voi che hanno recensito questi 33 capitoli (gli anni
di Cristo *W* sarà un caso? *sbuca Adam Kadmon urlando "gli
illuminatiiiiiiiiiiiiiii"*), grazie a chi ha messo la storia tra
le preferite/seguite/ricordate e grazie anche ai lettori silenziosi
che mi hanno donato una media di 150 visualizzazioni a capitolo.
Tanti kiss per voi.
Spero
di non avervi distrutto troppo psicologicamente e spero di non avere
il vostro odio ora xD
Beh,
dai...così Daryl non sarà poi preso da Ocean e
potrà più avanti
concentrarsi su Beth, come da serie tv. Così non ho
scombussolato
niente: l'avevo detto che volevo restare fedelissima.
"E
Molly?" * urla una voce dalla platea *
SILENZIO! U.U ho tutto
sotto controllo.
Come
potrete notare, non ho ancora segnato "conclusa" la storia
(benchè, vi assicuro, questa è davvero la fine).
Questo perchè
aggiungerò un epilogo e forse ancora un altro mini
capitoletto di
conclusione (una specie di "scena dopo i titoli di coda"
xDD) quindiiiii...state seduti, non abbandonate la sala (a meno che
non ve ne freghi nulla), perchè avrò ancora una
cosa da dirvi.
Tornando
alla storia...la strada di Ocean termina qui, ma ho adorato * pffff!
Questa si adora da sola * l'idea di fare in modo che i suoi segni
rimanessero nel tempo. A partire dal "capello lungo che a lei
piace così perchè è più
macho" alla richiesta di non morire,
di continuare a essere l'eroe. Come se fosse stata lei a stimolarlo a
proseguire, nonostante tutto, portandolo anche a raccattare gente in
giro, salvare vite ecc ecc.
Volevo
farvelo notare perchè forse son cose che non si notano, sono
"nascoste", ma siccome ci tengo le sbandiero in giro u.u
Ok...direi
basta.
Vi
ringrazio ancora.
Siete
stati fondamentali per la riuscita (o non riuscita, a seconda dei
punti di vista) di questa storia.
Bene,
ora sono pronta ad essere offesa pesantemente xD
Byeeeeeeeeeeeeeee
Ray.
Ps.
Per chi fosse troppo innamorato di me per lasciarmi (eheh) posso
comunicarvi che sono ancora all'opera. Se avete ancora voglia di
rovinarvi la vita, fate un giro sulla mia pagina xD Al momento,
attiva ho un'Originale Romantica ambientata a Hollywood...per chi ha
voglia di un po' di love love.
Pps.
Ora posso dirvelo: spoiler celati incompresi xD La canzone all'inizio
del prologo già vi annunciava la fine della mia storia u.u
Nessuna
domanda sul "I will disappear" finale? Tiè u.u
ppps.
(sto esagerando? xD) chiedo scusa se ci ho messo tantissimo ad
aggiornare, ma capitemi T__T non riuscivo a dirle addio.
Temporeggiavo e trovavo ogni scusa per dire "no, non è
ancora
pronta!"
Beh....basta....ciaooooo
xP
|
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Capitolo 34 *** Epilogo. ***
Epilogo.
<<
Mamma! Mamma! Andrò in America! >> un annuncio
tanto
entusiasta non era stato fatto neanche da Jack di Titanic. Il cuore
era in palpitazione, poco sarebbe importato se non sarebbero stati
d'accordo, se avrebbero sentito la sua mancanza.
<<
Due settimane! Tornerò presto. >> quello era
l'importante.
Sarebbe stata via, non avrebbe rivisto i loro volti, i loro sorrisi,
gli occhi vispi che nascondevano la tristezza di una vita mediocre,
in continua lotta con un pasto in tavola che spesso faticava a
presentarsi. Maledetta Italia. Avrebbe viaggiato, riso, avrebbe
vissuto un sogno.
Ma
poi sarebbe tornata.
Si
sarebbe svegliata in una fresca mattina di Primavera, con quel
sottile raggio di sole, che ribelle sarebbe riuscito lo stesso a
passare oltre gli scuri della finestra e che, puntuale alle 8,
avrebbe colpito la sua guancia destra. Si sarebbe risvegliata con le
urla agitate di sua sorella, in ritardo per l'ennesimo colloquio, e
di Andrea, che aveva sempre troppo sonno per andare a scuola.
Si
sarebbe svegliata con l'aroma del caffè e qualche brutta
notizia al
telegiornale, così lontana da sembrare solo un racconto
dell'orrore.
Poi
ci si sveglia.
Ci
si sveglia con un bacio e una carezza, un "buongiorno"
impastricciato e un biscotto al cioccolato.
Il
richiamo di un padre, già strozzato nella sua cravatta
<<
Allora, ti sbrighi? Dov'è la tua cartella? >>
<<
Mi fa male la pancia. Ho la febbre. >>
5
anni di pura pigrizia, come sua madre, che da bambina appoggiava il
termometro sulla lampada, ancora troppo piccola e inesperta per
capire che 54° C non era una temperatura adeguata ai suoi scopi.
Il
saluto di una nonna, annoiata davanti alla tv: chissà da
quante ore
il sonno già le mancava.
<<
Mamma! Mamma! Vado in America! >> aveva corso per la
strada,
ignorando e litigando con automobilisti fermi davanti a un semaforo
verde, ingiustamente costretti ad aspettare una ragazza avvolta
dall'euforia di un sogno preannunciato.
<<
Tornerò presto. Vedrai! >>
Sarebbe
tornata.
Si
sarebbe svegliata e sorridente avrebbe raccontato il suo magnifico
sogno.
<<
Ma almeno hai conosciuto un bel ragazzo? >> avrebbe
chiesto sua
madre.
<<
Tuo nonno era proprio bello! E non a caso era americano. E' come tuo
nonno? >> avrebbe chiesto sua nonna, con gli occhi
coperti da
spessi occhiali, concentrati su un filo di lana che danzava tra le
sue mani.
<<
Biondo! Un bel cognato biondo e americano! E occhi azzurri,
ovviamente! >> avrebbe partecipato anche Chiara: mai si
tirava
indietro se c'era di mezzo sua sorella. Lei doveva sempre essere la
prima a sapere e valutare. Solo una persona degna poteva prendere il
suo posto nella gerarchia delle importanze.
<<
Che non sia tipo da fast food! >>
<<
E che abbia un'aria da misterioso! Tenebroso! >>
<<
Sì, uno alla Jude Law! >>
<<
Oh, per favore! Jude Law è terribile! Richard Gere
è un vero sex
symbol! >>
<<
Richard Gere è vecchio, l'americano di Alice deve essere
giovane! >>
E
avrebbe riso. Avrebbe riso di fronte al loro bisogno di organizzare
per filo e per segno la sua vita sentimentale, come se lei non fosse
ancora in grado di farlo.
E
avevano ragione.
<<
Trovati un uomo, Alice! Non arrivi allo scaffale in alto!
>>
aveva ripetuto sua madre più volte, velando di
comicità il bisogno
che sentiva di avere un altro cognato. Il suo viaggio in America
aveva acceso la fantasia di tutte le presenti, soprattutto dopo la
meravigliosa esperienza di sua nonna, che si era trovata un
affascinante americano con cui aveva costruito una vita e una
famiglia.
E,
ridendo, avrebbe raccontato il suo sogno.
Una
splendente America, feste fino a notte fonda, paesaggi mozzafiato,
una rapida gita nella vecchia città di suo nonno, immersa
nella
malinconia di una nipote che a lungo non ascolta più le
storie "dei
suoi tempi, quando lui era piccolo e raccoglieva monetine vicino ai
marciapiedi, lustrando le scarpe ai gentleman." E l'oceano.
Avrebbe visto l'oceano. Ne avrebbe appreso i segreti.
Si
sarebbe svegliata.
E
li avrebbe raccontati a chi aveva orecchie per ascoltare, coraggio
per esplorare, cuore per amare e qualcosa a cui rinunciare.
Perché
tutto ha un prezzo.
<<
Mamma! Sono stata in America. Ho trovato il mio americano. Occhi
azzurri, capelli chiari, anche se non biondi. Tenebroso e misterioso.
Non un tipo da fast food. Forse un po' alla Jude Law o forse un po'
alla Richard Gere, da giovane però. Lui arriva allo scaffale
in
alto. Non mi ha salvato la vita, non è arrivato in tempo, ma
è
riuscito a donarmene una nuova. Una vita nuova di zecca, meno sporca
e più pregiata. Mi ha afferrata e trascinata, burbero, ma mi
ha
guardata negli occhi e dalla melma mi ha salvata. Mi ha dato dei
nuovi abiti, corredati di un bel sorriso. Me l'ha costruito lui, con
le sue rozze mani. Ha creato solo ed esclusivamente per me un sorriso
brillante e delicato. Non potevo che indossarlo ogni giorno, per lui,
per ringraziarlo.
Avrei
voluto fartelo conoscere, ti sarebbe piaciuto. Lo avresti invitato a
cena ogni sera e avresti preparato per lui ogni tipo di lecornia,
perchè lui avrebbe mangiato con gusto, intimorito un po' da
tutto
quel brillare di casa nostra, ma avrebbe accettato. Gli avresti detto
che è un bravo ragazzo, lui si sarebbe arrabbiato, ma il
giorno dopo
sarebbe tornato a cena, che tu avresti preparato solo esclusivamente
per lui. Un giorno ti avrebbe portato un coniglio, cacciato apposta
per te, per ringraziarti di avergli dato una casa. E tu lo avresti
fatto alla cacciatora, buono solo come tu sei in grado di fare. La
nonna avrebbe preparato per lui un orrendo maglioncino, con sopra
qualche stupido animaletto. Non lo avrebbe mai indossato, ma
l'avrebbe incorniciato nella sua stanza, se veramente ne ha mai avuta
una. Avreste ascoltato i nostri litigi con uno stupido sorriso sulle
labbra, senza intervenire, divertiti, perchè tanto avreste
saputo
che quello non sarebbe significata mai la fine. Lui sarebbe tornato,
ogni sera, anche sotto le tempeste invernali. Avrebbe portato un
coniglio per te e io sarei scesa a salutarlo, indossando il sorriso
che lui aveva costruito solo ed esclusivamente per me.
Mamma!
Sono stata in America. Ho lasciato tante cose lì. Ma ne ho
trovate
di nuove. Ho creduto di essere sola, ma poi mi è stata
indicata la
via. Ho trovato dei sorrisi e degli abbracci, delle carezze e delle
coperte calde. Un pasto da dividere e una ninna nanna a dar la
buonanotte. Ho trovato chi stavo cercando e molto di più.
Una
notte ho fatto un bel sogno!
Eravamo
tutti insieme. Molly giocava con Andrea a nascondino, Max e Micky si
rincorrevano e litigavano per un osso, la nonna invece parlava di
ricordi con Herhsel. Una lunga chiacchierata piena di "ai miei
tempi", quando ancora c'erano dei Tempi. Beth e Maggie parlavano
di vestiti con Chiara. E tu eri con Carol a discutere di ricette di
cucina, a imparare come si fanno i biscotti e insegnare a tua volta a
fare un'ottima lasagna all'italiana. Leonardo era con Rick a
discutere di sport. E poi c'era Manuele, T-Dog, Claudio, Susy,
Federico, anche Shane, Lori, Andrea, Michonne e tutti gli altri.
E
io ero seduta, sorridente, a guardarvi. L'albero blu e rosa, vicino
alla finestra, sembrava sorridere con me.
Sono
poi tornata a guardare il mio americano. Quello che arriva agli
scaffali in alto e che non mangia ai fast food. Sono tornata a
guardarlo, solo, con una sigaretta tra le sottili labbra e un cielo
stellato a illuminargli il volto. Mi ha sorriso e io ho sorriso a
lui. Mi ha sussurrato un segreto.
-Bentornata
a casa. -
Poi
mi sono svegliata.
Mamma!
Sono stata in America. Ho visto l'Oceano. Ho parlato a lungo con lui.
E' un gran chiacchierone, ha tante cose da raccontare, gli piace
parlare, parla sempre, in ogni istante. Ma le persone non lo stanno
ad ascoltare. Mi ha rivelato tutti i suoi segreti e io, avida, ho
ascoltato a lungo, così a lungo da farli miei. Ho
dimenticato chi
ero, sono diventata lui. Sono diventata una malinconica custode di
segreti e tormenti, che nessuno ascolta, che inghiotte sempre
più,
affamato di tesori, rumorosa, pericolosa, ma incompresa e sola.
Mamma.
Sono stata in America. Ho ascoltato, ho imparato, sono stata
coraggiosa, ho amato...e infine ho rinunciato a qualcosa.
Perchè
tutto ha un prezzo.
Mamma.
Ho
fatto un sogno incredibile, che per un attimo è sembrato un
incubo.
Ma non tornerò a raccontartelo.
Io,
questa volta, non mi sveglierò.
Perchè
tutto ha un prezzo.
E
io, il mio, l'ho appena pagato. >>
|
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Capitolo 35 *** Then. ***
Then.
Qualche
anno dopo.
Era
il tramonto. Non sapeva l'ora: il suo orologio da polso aveva smesso
di funzionare da un po', anche se rimaneva lì, ben stretto
al suo
braccio, quasi a rammentargli che una volta il tempo esisteva
davvero. Che una volta era il loro padrone. Ora tutto era fermo.
Immobile, immutabile, se non per quelle sottili rughe, sempre
più
profonde. Erano loro, ora, a scaglionare il tempo.
Era
il tramonto.
Il
sole era già sparito dietro la linea dell'orizzonte, ma la
sua fioca
luce ancora faticava ad andarsene completamente. Questione di minuti.
L'aria fredda della sera lo costrinse a stringere le spalle nelle sua
giacca. Con la punta di un bastone andò a stuzzicare i
tizzoni che
bruciavano, a pochi passi da lui. Il fuoco si vivacizzò
appena, ma
questo non sembrò bastare al suo scopo. In quell'attimo di
barlume
l'unica cosa che fece fu quella di illuminare appena i capelli
sporchi della persona seduta davanti a lui. Quei lunghi capelli, che
da tempo più tagliava e che ora nascondevano gelosamente gli
occhi
di chi vuol smettere di vedere. Di chi vuol smettere di farsi vedere.
Occhi così pieni di eventi passati da esserne
sovraccaricati. E lui
li nascondeva, forse vergognandosi, forse semplicemente geloso
dell'unica cosa che gli era rimasta. I ricordi. Voleva morire con
loro.
Non
glielo aveva mai detto, ma lui lo sapeva.
Lo
urlava. Il suo silenzio urlava questa dolorosa verità.
Rick
si soffermò sulla figura che aveva di fronte, quella figura
che un
tempo aveva chiamato "fratello". Ora ne era solo l'ombra.
Poggiato
all'albero alle sue spalle, la testa china in avanti, sembrava stesse
dormendo, ma sapeva che non era così. Accanto a lui sedeva,
fedele
amica, la sua balestra. L'unica che ancora non l'avesse abbandonato.
Giaceva, ora, a terra, steso tra la polvere e il fango, immagine di
quel che era realmente, un pupazzo grande quanto un dito, dalla
giacca di pelle e lunghi capelli a corprirgli gli occhi. Un tragico
squarcio gli aveva quasi svuotato il petto dalla sua imbottitura, ma
erano riusciti a salvarlo. Qualche punto, una piccola toppa. Era
stato un momento di pura disperazione per il suo proprietario. Quello
era un piccolo frammento di anima che portava gelosamente. E Rick,
per quanto lo ritenesse assurdo, sapeva che finchè quel
pupazzo
sarebbe rimasto lì, intero, appeso alla sua balestra, lui
avrebbe
ancora avuto un motivo per aprire gli occhi la mattina. L'ultima
parte di sè, l'ultima speranza. Quello sciocco e orribile
pupazzetto, rammendato e sporco, appeso letteralmente a un filo,
rappresentava il suo ultimo appiglio alla vita. Racchiudeva un
vecchio, lontano, malinconico "Promettimi che vivrai".
<<
Daryl. >> lo chiamò, non ricevendo risposta
alcuna << E'
cotto. Mangia qualcosa. >> disse porgendogli quel misero
boccone di carne: un vecchio topo catturato in una casa marcia,
qualche giorno prima.
<<
Sono a posto. >> bofonchiò Daryl, senza alzare
la testa.
<<
No. Non lo sei. >> quanta verità in quelle
poche parole.
Ancora
nessuna risposta. Rick sospirò e tornò a posare
gli occhi sul
pupazzo steso a terra. La luce vibrante del fuoco gli donava una
terrificante espressione colma di dolore. Ma sapeva che era in
realtà
solo frutto della sua immaginazione.
<<
Mi dispiace per ciò che hai perso. Forse non te l'ho mai
detto. >>
ammise, sperando di destare in lui una qualsiasi reazione. Una
qualunque, anche un cazzotto in faccia sarebbe andato bene,
purchè
avesse reagito, purchè avesse dimostrato di essere ancora
lì, su
quella terra, insieme a lui.
Ma
ancora una volta l'unico movimento fu quello della sua ombra, agitata
dal fuoco.
<<
Devi reagire. Lo hai promesso a lei. >> non disse il suo
nome,
da anni più lo faceva, da quando l'ultima volta, nel
sentirlo, Daryl
aveva reagito con una tale furia da risultare pericoloso per chi gli
era attorno. Bastava nominarla e usciva tutto quello che aveva
dentro, una diga che si rompeva e metteva in pericolo la cittadina ai
suoi piedi.
Ma
il continuo silenzio in cui si era chiuso portò lo sceriffo
a
compiere quel passo sconsiderato. Come già detto, qualsiasi
reazione
poteva andare bene, anche un cazzotto in faccia, purchè
avesse
reagito.
<<
Lo hai promesso ad Alice. >> ribadì.
<<
Le ho promesso di vivere. >> rispose Daryl serrando la
mascella. Una scintilla bruciò nei suoi occhi, ora,
finalmente,
puntati sul viso di Rick. La diga si stava crepando.
<<
Questo non è vivere! >>
<<
Che cazzo ne sai tu di cos'è vivere? >>
urlò. E l'acqua
inondò la pianura. << Questo è
vivere? Soli in questo fottuto
bosco del cazzo con uno schifoso topo per cena! >> si
alzò in
piedi, dando sfogo alla sua rabbia in una scenografia di gesti, calci
e passi continui, avanti e indietro << Circondati da quei
figli
di puttana che non aspettano altro di poter assaggiare questa merda
che siamo diventati. >>
<<
Rimettiti a sedere, per favore. >> lo invitò
Rick, cercando di
stare calmo, sperando che quello servisse a rimettere in parte le
cose a posto. Le sue urla erano giustificate, ma pericolose. La morte
camminava a pochi passi da loro, non era prudente attirare la sua
attenzione.
<<
Fottiti. >> mormorò Daryl, chinandosi a
prendere la sua
balestra. Se la sistemò in spalla e si incamminò
verso la zona
buia, al di fuori del cerchio che era diventato il loro punto
ristoro.
<<
Dove vai? >> lo richiamò Rick, alzandosi a sua
volta.
<<
A pisciare. >> rispose a tono il balestriere.
<<
Fermati! >> lo inseguì, posandogli, una volta
raggiunto, una
mano sulla spalla. Daryl si liberò della presa con uno
strattone e,
mosso dalla scia della sua furia, si scagliò su di lui,
schiacciandolo contro l'albero più vicino. Il braccio era
premuto
alla sua gola, minaccioso.
<<
Daryl! Calmati! >> cercò di convincerlo
<< Sto solo
cercando di aiutarti! >>
<<
Non ho bisogno del tuo aiuto. >> sibilò il
balestriere, prima
di lasciarlo andare e voltargli nuovamente le spalle, diretto da
nessuna parte in particolare.
Rick
lo guardò allontanarsi di qualche passo, prima di urlargli
<<
Io sì! >>
<<
Aiutati da solo. >> gli rispose a tono, camminando
spedito.
Voleva restare solo, voleva perdersi nell'oscurità e non
uscirne
più, trovare un pretesto per morire, senza dover ammetere
"sono
stato io." Aveva promesso di vivere, non voleva venirne meno.
Ma se fosse stato ucciso, lui non avrebbe avuto nessuna
responsabilità in merito.
Sentì
però i passi di Rick ancora dietro di sè,
intenzionato a non
lasciarlo andare.
<<
Non lasciare che gli eventi ti schiaccino, Daryl. Il mondo ha ancora
bisogno di te. >>
"Il
mondo ha bisogno di un super Dixon" sussurrò una
voce nella
sua testa, rimbombo di quanto le orecchie avevano appena ascoltato.
Una voce dolce e lontana, come l'impercettibile eco di un sogno.
Irreale. Eppure esistente. Stretta ai suoi ricordi riuscì a
riconoscerla.
Ne
ebbe paura.
E
l'odiò per questo.
<<
Non c'è più nessun mondo! >>
ringhiò voltandosi <<
Dale, Lori, T-Dog, Shane, Hershel, Alice, Molly e Beth! E ora tutti
gli altri. Chi è rimasto? Per quale fottuto mondo stai
ancora
lottando? Perfino Carl e Judith non ci sono più!
>>
L'unica
risposta che riuscì ad ottenere però fu un
violento cazzoto in
faccia, in pieno zigomo. Perse l'equilibrio per un istante, ma
riuscì
a riprendersi e ad alzare gli occhi appena in tempo per vedere Rick
scagliarsi contro di lui, braccia tese e un'espressione furiosa in
volto. La polvere li avvolse mentre i due sfogavano paure e
risentimenti l'uno contro l'altro. Pugni, calci e spinte perseguirono
per infiniti minuti, ignorando chi (o meglio: cosa) avrebbe potuto
sentirli.
Un
pugno fece saltare un dente allo sceriffo e per un po' gli avrebbe
lasciato la guancia livida. Un altro in risposta centrò in
pieno
l'occhio di Daryl: anche lui ne avrebbe avuto per giorni il segno.
Una ginocchiata nello stomaco, una spinta, la schiena che sbatte
violentemente al suolo.
Ancora
e ancora.
Poi
finalmente la stanchezza prese il posto della furia.
Rick
afferrò Daryl per il collo della maglia, in un momento in
cui era
chino, stremato, e lo spintonò contro un albero, spingendo
verso
l'alto tanto da tenergli ben sollevato il mento.
<<
Carl e Judith sono ancora vivi! >> sibilò a
pochi centimetri
dal suo volto << E anche tutti gli altri! Ci siamo
già
separati in passato e ci siamo ritrovati. Lo faremo ancora. Non puoi
darli per morti. Io non lo farò. >> lo
lasciò andare e si
allontanò di un passo. Daryl scrollò le spalle,
risistemandosi la
maglia con un atteggiamento superiore. Lo fissò, per niente
intimorito poi voltò la testa e sputò un grumo di
sangue a terra.
Andò a riprendere la sua balestra e tornò verso
il fuoco che ancora
bruciava, intenzionato a riposare e ignorarlo. Si era dimenticato la
ridicola scusa con cui aveva cercato di allontanarsi.
Rick
lo seguì, intenzionato a imitarlo. Voleva riposare e il buio
della
notte che andava inoltrandosi gli metteva agitazione. Odiava non
riuscire a vedere cosa avesse attorno.
<<
Daryl. >> richiamò la sua attenzione, una
volta tornati al
loro misero accampamento << Molly è viva.
>>
Daryl
fece scivolare al suolo la sua balestra, posandola vicino a un sasso,
facendo di nuovo cadere il suo piccolo sè di pezza in mezzo
al
fango. E rimase lì, fermo ad osservarlo, con la testa china,
i
capelli di nuovo a nascondere e proteggere i suoi occhi vulnerabili,
gli occhi di chi si sta guardando allo specchio e ciò che
vede non
gli piace.
<<
Aveva con sè la daga che Alice le aveva regalato e con un
padre
cazzuto come te sicuramente qualcosa ha imparato in quell'anno di
addestramento. >> insistè Rick.
<<
Aveva solo 8 anni. >> rispose Daryl, basso ma deciso. Non
nutriva speranze, e da quando anche Beth se n'era andata aveva
perfino smesso di ricordare cosa fosse "la speranza". Il
suo futuro era rimasto in quel maledetto ospedale. Da allora aveva
solo vagato.
<<
Lo so. Ma l'hai vista scappare via, non morire. >> era
successo
tutto il giorno che avevano perso la prigione. Il giorno che si erano
divisi, prima di ritrovarsi a Terminus. Molly, in preda al terrore,
sotto la pioggia di proiettili, aveva seguito il suo istinto ed era
scappata via. Nessuno l'aveva più rivista da allora.
Daryl,
dal momento che aveva visto le sue rosse trecce sparire nel bosco,
non aveva neanche provato a cercarla.
Era
solo una bambina.
E
da allora erano passati tanti anni.
Non
poteva essere sopravvissuta.
<<
Non ho intenzione di perdere di nuovo tempo a cercare una bambina
morta. >>
<<
Sophia era una bambina. Molly non lo era più, già
da anni, da
quando l'avete trovata nel portabagagli di quell'auto. >>
Rick
si sedette, lasciandosi pesantemente cadere per terra <<
Molly
è viva. E tu lo sai. >>
Quanto
desiderava potergli credere.
N.D.A.
Aaaaaand
this is the end! Questa volta per davvero xD Ho voluto aggiungere un
epilogo per dare l'ultima parola ai pensieri di Alice, per dargli
l'ultimo spazio. Infondo la storia era sua.
Eeee...indovinate
un po' perchè ho sentito il bisogno di aggiungere
quest'ultimo
capitoletto? Per permettere a Daryl e Rick di prendersi a pugni u.u
così, giusto perchè sono due omaccioni
cazzuti...no, scherzo xD
Suggerimento.
Il
titolo del cap: "Then".
Poi.
Un
avverbio di tempo, una parola che collega un qualcosa di concluso a
un qualcosa che comincerà.
Va
bene, basta coi giochetti. Ebbene sì...ci sarà
(al 90 % >__>)
un seguito.
Lascio
alla vostra immaginazione il cosa potrebbe essere (anche se non
è
difficile, dai ahahah).
Non so bene QUANDO farla arrivare, al
momento sono un po' presa da altre cose (ho due long in sospeso e una
OS sulla lista delle cose da fare xD), ma questo non vuol
necessariamente dire che arriverà tra molto tempo.
Può essere anche
domani u.u Sono ancora molto presa dalla scia di questa ff, quindi
capace che mi metto subito a scriverla ignorando la mia work list
(ammetto di aver già buttato giù il prologo
>__>).
Comunque
sia aspettatevi di tutto xD e spero di ritrovarvi/risentirvi anche
lì.
Io approfitto di quest'ultimo spazietto per ringraziarvi
ancora tutti quanti. Grazie davvero!
Un
grazie particolare anche a BatmandyDaryl che, entusiasta della mia
storia, mi ha chiesto di riportarla anche su Wattpad *__* (la trovate
qui -->
http://www.wattpad.com/story/36938952-a-brand-new-world-a-brand-new-me
)
Che
carina *-*
Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee.... che dire? Alla
prossima!!! (che ci sarà sicuramente, seguito o non seguito,
son
troppo presa da TWD per abbandonare il fandom ahahah)
:*
PS.
Ricordo che, per chi volesse (per chiacchiere, suggerimenti,
anticipazioni, spettegolezzi, fangirlate, offese, insulti e Nutella
gratis), mi può trovare anche su facebook!!! Cercate Ray
Wings,
oppure andate alla mia pagina autrice qui su EFP e cliccate sulla F
blu di Facebook :) (o..Fuck You... sono interpretazioni,
insomma).
Io accetto tutti, non sono razzista xD
BYEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
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