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di diaforis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preface. ***
Capitolo 2: *** Back to Litchfield! ***
Capitolo 3: *** "That phase". ***
Capitolo 4: *** Death. ***
Capitolo 5: *** Always her. ***



Capitolo 1
*** Preface. ***



Succede che quando guardi due intere stagioni di un telefilm ne diventi così ossessionata da volerne ancora, ancora e ancora. Succede poi che nella seconda stagione il tuo personaggio preferito appare in sole quattro puntate e le tue aspettative crollano come il muro di Berlino. Avete presente?

E così succede che ti ritrovi a fantasticare su cosa sia successo dopo il processo, sui pensieri di Alex e su quella che potrebbe essere la sua vita fuori. 

E questo è l'idea che ne è venuta fuori, dopo quasi un intero uovo di cioccolato fondente in circolo ed uno schema dettagliato che, tempo e voglia a parte, potrebbe prevedere pure un sequel. 

E quindi eccomi qui, con questa mini (ini-ini-ini) introduzione con i pensieri della Vause e l'inizio della sua vita fuori da Litchfield. Chissà cosa riservano i capitoli successivi. 


00. Preface (Alex POV)


La vita ti mette spesso alla prova, sconvolge i tuoi piani, ti fa fare delle scelte. 

Me lo diceva sempre mia madre quando tornavo a casa con il broncio perché le mie compagnette erano fighette figlie di papà e io, invece, il mio papà neanche lo conoscevo. Mi ripeteva che un figlio non era nei suoi piani ma che tenermi e crescermi con le sue uniche forze era stata la cosa migliore che avesse fatto in tutta la sua vita. Perché quando era lì a fissare le due lineette rosa su quel bastoncino, aveva fatto la sua scelta consapevole di quello a cui andava in contro e anche di quello che avrebbe perso. La sua adolescenza, per esempio.

Ma d'altronde è sempre così, ottieni una cosa e ne perdi un'altra.  

Fino a qualche ora fa avevo addosso una tuta arancione e parlavo con la mia ex fidanzata attraverso delle sbarre, convincendola che se avesse fatto come dicevo io non avremmo avuto problemi e saremmo presto tornate insieme a Litchfield. Ma non è andata così. 

Sarei dovuta andare io per prima, lo pensavo nella mia mente dopo averla intravista prima dell'udienza, avrei voluto almeno il tempo di avvertirla, ma quando sei davanti ad un bivio ed hai il tempo contato, non ti perdi nei "se" o nei "ma", ti butti e scegli la strada più comoda.  

Ed è quello che ho fatto io.  

Mentre il mio avvocato mi parlava alcuni secondi prima del processo ho cambiato i miei piani, e mentre fissavo Kubra negli occhi, ho fatto la mia testimonianza sapendo di lasciare nella merda l'unica persona che io abbia mai amato in tutta la mia fottutissima vita.  

Ma è risaputo, ogni cosa ha un prezzo. La mia libertà aveva un prezzo ed io l'ho pagato. 

Non in monetine o con verdoni da cento, no, l'ho pagato nel momento in cui ho dovuto dire "mi dispiace, ho detto la verità" alla persona che, sotto giuramento, aveva mentito per me. 

E quindi adesso cammino per le strade di New York con le mani in tasca, stringendomi nel mio bel cappotto costato migliaia di dollari, che avevo lasciato il giorno del mio arresto.  

Respiro a pieni polmoni l'aria pungente che mi pizzica le guance ed osservo le persone che mi camminano fianco, che vanno di fretta, urtandomi pure con una spalla se non mi sposto in tempo, senza l'opprimente sensazione di dire o fare qualcosa per cui essere ripresa.  

Mi rigiro fra le mani le chiavi tintinnanti del mio nuovo appartamento nel Queens mentre lei, Piper, ritorna nella sua cella in mezzo a "scarafaggi corriere", con la consapevolezza di essere ancora dentro perché Alex Vause è un'egoista che l'ha tradita per salvarsi il culo.

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Capitolo 2
*** Back to Litchfield! ***


Comincio con il ringraziare chi ha speso anche un solo minuto del suo tempo per commentare la mia storia. Può sembrare una sciocchezza, eppure sono proprio i primi commenti che incitano uno scrittore (o qualsiasi cosa io sia, visto che non voglio assolutamente avere la presunzione di definirmi come tale) a continuare.  

Detto questo, volevo rispondere un attimo ad un'osservazione di Chapstick96. Sì, hai ragione. L'idea che volevo trasmettere era quella di un'Alex riflessiva che si interrogava e si dava delle risposte, o giustificazioni, al suo egoismo (se così, possiamo definirlo). 

Ad ogni modo, come vedrete  da questo capitolo in poi ho deciso di dare due punti di vista differenti (POV), di Alex e Piper, perché voglio mostrare lo sviluppo della storia da entrambe le parti.. Credo renda il tutto più completo e meno monotono.  

E poi mi piace immedesimarmi nella Piper scaricata però sssssh, questo non lo diciamo a nessuno resta un segreto fra di noi! Ahahahahaha. 

Pardon per il mio dilungarmi ma questo spazietto da "autrice to lettrici(-tori?)" mi piace da morire, e voglio continuare a sapere come interpretate voi le varie riflessioni di Piper (in questo capitolo) e di Alex, in futuro. 

Voglio inoltre farvi vedere la "copertina" che ho creato, che dovrebbe rappresentare il dentro e fuori prigione. http://i57.tinypic.com/330yzk7.png 
(Nella copertina c'è solo Alex perché fondamentalmente è lei la protagonista, anche se alcuni capitoli sono Piper POV.)

E ah, pardon per il titolo ingannevole da Alex-infarto del capitolo. Ops.

Buona lettura! 

 

01. Back to Litchfield! (Piper POV)

 

Fino a qualche mese fa se pensavo alla parola casa, potevo facilmente associarla ad un volto e ad una camera da letto accogliente, con un buon profumo. Come in quei test a scuola con due file di nomi e aggettivi da collegare insieme con una freccia. Per me era semplice: casa - Larry. Se i miei compiti fossero stati tutti così, avrei preso sempre A+. 

Ma adesso se penso alla parola casa, mi viene in mente solo un materasso alto cinque centimetri, delle pareti grigie e Litchfield invece di Larry. Sì, la L c'è lo stesso, ma è diverso. 

Non avrei mai pensato di voler tornare così tanto in questo posto eppure i giorni trascorsi a Chicago mi hanno fatto capire quanto è importante, per la mia salute fisica e mentale, finire di scontare la mia pena qui. Sì, insomma, per la prima settimana non ho mangiato, una psicopatica che mi credeva sua moglie mi seguiva ovunque e minacciava chiunque mi si avvicinasse, nei bagni non c'è la porta e il più delle volte devi guardare in faccia a qualcuno mentre fai la cacca, ma una volta che ci si fa l'abitudine non è poi così male. 

Dopo l'isolamento e il tempo trascorso nella cella insieme a delle allenatrici di scarafaggi, in attesa del processo, tornare a  Litchfield mi sembra la cosa più bella che mi sia successa negli ultimi mesi. Larry e io ci siamo lasciati, la mia famiglia si ricorda raramente di avere una figlia e forse mi preferirebbe morta e, ah sì, Alex mi ha fottuta per l'ennesima volta. 

E non nel senso piacevole della parola, sia chiaro. 

Mi sembra come se questa persona abbia il pieno controllo della mia mente, del mio corpo e di tutto lo stupido meccanismo, sicuramente rotto, che manda avanti la mia stupida vita. 

Avevo la possibilità di diminuire la mia pena, scontarla del tutto magari, dicendo semplicemente la verità ma no, no!, Alex Vause voleva che mentissi per proteggerle il culo e indovina indovinello? Piper Chapman è cascata nel suo ennesimo piano come una stupida. 

Insomma ormai dovrei aver sviluppato come una sorta di antidoto a lei, degli anticorpi, qualsiasi cosa, ma evidentemente la mia mente masochista preferisce credere al bel faccino, ai bei occhioni, alle labbra carnose che..  « Chapman che fa, dormi? ». 

Sospiro e apro controvoglia gli occhi, riconoscendo perfettamente la voce di Wanda, la me-la-faccio-con-ScottO'Neill guardia carceraria biondo paglia « Prendi le tue cose, sei stata riassegnata », mi comunica mentre mastica rumorosamente una chewgum. 

Ringrazio mentalmente chiunque ci sia lassù ed arraffo le mie cose, tenendole saldamente come se fossero un grosso cane raccolto per strada, e la seguo fino al dormitorio B. 

« Chapman da oggi questo sarà il tuo cubicolo, sai già come funziona », e mi scarica lì insieme alla donna che, tornando al discorso di prima sul "non aver mangiato una settimana", per un po' mi ha reso la vita praticamente impossibile qui dentro. 

La guardo, stesa nel suo lettino con una gamba alzata ed una accavallata, e lascio cadere il  fagotto che tengo fra le mani sul mio, in attesa di sentire qualche sua assurda pretesa. 

Ma la precedo. « Senti, Red, prima che tu possa dire qualsiasi cosa, non ho intenzione di assecondarti quindi dovrai farti andare giù il fatto che io sia stata assegnata al tuo cubicolo e che ormai non hai più il privilegio di non avere una compagna di cella, chiaro? » e stringo le labbra, cercando di assumere la più seria e convincente aria che possa tirare fuori.  

Lei si limita ad abbassarsi gli occhiali sul naso, scrutarmi con quei suoi occhietti azzurri, e ritornare a leggere la sua rivista, dopo aver agitato una mano a mezz'aria noncurante.  

*  

« E quindi allenavano scarafaggi da contrabbando? Cazzo Chapman! Dovresti dirlo a Red, potrebbe rivalutarti! » esclama Nicky, mentre si ingozza di budino al cioccolato.  

« Sì, così mi adotta come sua figlia e mi aiuta ad uccidere Alex» rispondo sarcastica, poggiandomi con i gomiti sul tavolo della mensa « Che ne pensi? ». 

Lei alza lo sguardo dal barattolino ormai vuoto e ghigna come una iena che guarda la sua preda, stravaccandosi sulla sedia con una mano fra le gambe ed una dietro lo schienale « Non ti va proprio giù, eh, biondina? Devi ammettere però che è stata brava a fotterti alla grande! E adesso lei è fuori che se la spassa, mentre tu sei rinchiusa qui insieme a noi criminali. Uhhhh! » e mi agita le dita davanti la faccia, alzandosi per raggiungere Morello, senza darmi il tempo di rispondere. Scuoto la testa e mi alzo a posare il vassoio. 

[ « Io ti amo, Piper. Ogni mia azione è mossa dall'istinto di proteggerti, devi credermi » mi sussurra a denti stretti, con le mani chiuse a pugno sulle gambe, strette nelle manette. « Fallo per me, per noi» e mi fissa negli occhi, con i suoi incredibilmente grandi e sinceri. ] 

Eppure sembrava così sincera, stretta in quella tuta arancione di almeno due taglie più grandi della sua. I suoi occhi sembravano così veri, così velati dalla preoccupazione. 

Ma a leggere gli occhi forse non sono così tanto brava, forse quella preoccupazione era data solo dal fatto che qualcosa potesse andare storto. Che non mi avesse convinta del tutto. 

Mi chiedo se è poi così sbagliato pensare a lei, a cosa sta facendo, con chi è, dov'è.  

Se è sbagliato chiedermi perché mi ha detto cosa fare e poi ha fatto tutto il contrario e mi ha lasciata da sola, dietro le sbarre, con la testa piena di punti interrogativi e rabbia. 

Tanta rabbia.  

Troppa rabbia.  

Rabbia mista a risentimento. Rancore. Amarezza. E tanti "fanculo Alex Vause!". 

Ma in fondo posso prendere in giro gli altri, non me stessa. Mi piaceva l'idea che volesse proteggermi da Kubra, che volesse stare con me. Mi piaceva l'idea di sentirmi protetta. 

Le idee però se non si realizzano concretamente creano illusione e arrendermi alla realtà è l'unica cosa che mi resta da fare. E' questo quello che lei ha sempre fatto: illudermi. 

Ed io gliel'ho permesso. 

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Capitolo 3
*** "That phase". ***


Dicono che la notte porta consiglio, a me ha portato ispirazione. Sono le 4.45 ed io ho appena finito di scrivere il terzo capitolo. Non è stato un parto, ma quasi. Almeno so che da questo momento ho ben chiara la traccia di ogni capitolo e non vedo l'ora di continuare.  

Vorrei poter dilungarmi di più ma il letto chiama ed io devo rispondere.  

Un grazie a tutti coloro che seguono questa storia e buona lettura! 

 

02. "That phase". (ALEX POV

 

Ci sono le docce di routine, quelle anonime e veloci della mattina. Insaponi i capelli, ti insaponi con il bagnoschiuma e poi via, sciacqui tutto. Rapido ed indolore.  

E poi ci sono le docce che hanno una storia a sé. Quelle che ci passi ore sotto il getto bollente, come se nessun altro posto fosse adatto ad accogliere i tuoi pensieri più profondi. 

Quelle che bruciano la pelle, che lavano via anche quello che ti porti dentro.  

Una giornata no, una storia finita male, un pensiero fisso,  una scopata sbagliata. 

Il carcere.  

Mi lascio accarezzare ancora per qualche secondo dal tepore dell'acqua che mi rimbalza addosso e chiudo il getto, strizzando bene i capelli. Il telefono comincia a squillare. 

« Cazzo.. » borbotto, aprendo l'anta della doccia. L'aria profuma di muschio bianco e lo trovo dannatamente confortante mentre afferro il telo appeso al muro e me lo fascio addosso, richiudendolo sul davanti. Scalza e completamente noncurante delle impronte bagnate che lascio per tutto l'appartamento, raggiungo la camera da letto ed afferro il cellulare.  

« Alex! » la voce di Sarah mi rimbomba nell'orecchio « fra mezz'ora passo a prenderti. Puntuale, mi raccomando! ». 

Neanche il tempo di dire "va bene" e la chiamata si chiude. Scuoto la testa ormai rassegnata ai modi di fare di mia cugina e lancio il telefono sul letto a due piazze, combattendo la voglia di fiondarmici dentro per dormire fino a domani. 

 

« Wow Alex, però, ti ha fatto bene la prigione eh » Sarah mi cammina affianco, stretta nei suoi jeans a vita alta. Non è il massimo per la mia prima sera in libertà, ma non ho nessuno qui e lei domani parte in Erasmus in Europa per cui è anche l'unica occasione per salutarla. 

 « Già, la cuoca usava una particolare tecnica di dimagrimento..  » inarco il sopracciglio e le rivolgo un'occhiata sarcastica, che però non coglie.  

« L'ho mai vista? Voglio dire.. quando sono venuta a trovarti, era lì? » mi domanda, mentre segue la strada dove in lontananza spicca un'insegna illuminata  

« Non ricordo Sarah.. Ma siamo già arrivate? » cambio discorso, alludendo al gruppetto di persone ferme in fondo alla strada. L'unica volta in cui Sarah è venuta a trovarmi era anche la prima in cui vedevo Piper insieme a Larry, e non è piacevole da ricordare. 

« Questo posto è figo per essere un pub del Queens » esclamo, con il naso all'insù verso il soffitto in legno, sul quale padroneggiano teste di animali impagliati « Ha un nonsochè di affascinante ». 

Sarah, per niente d'accordo con me, saluta con la mano un gruppo di ragazzi in fondo alla sala e mi fa cenno di seguirla verso un tavolino più in disparte « Pub irlandese, se ti piace il genere.. » ammicca verso il barista dai capelli rossi, probabile sosia in carica di Ed Sheeran. 

Arriccio il naso e scuoto la testa, lasciandomi sfuggire una mezza risata « Se avesse avuto le tette, ci avrei potuto fare pure un pensierino ». Sarah mi guarda attentamente. 

« Sì, sono ancora in "quella fase" » continuo, mimando le virgolette con le dita per citare le parole di mia zia, nonché sua madre, che definiva la mia omosessualità "fase di passaggio". 

Nella mia famiglia venivo considerata da tutti la figlia modello. Andavo bene a scuola, non facevo tardi la sera e non avevo strani ragazzi che mi venivano dietro. La verità è che avevo perso le speranze di diventare popolare già dalle elementari e buttarmi sui libri mi sembrava la cosa più intelligente da fare. La mia vita urlava "nerd" a squarciagola. 

Poi, ovviamente, qualcosa cambiò. 

Osservo la cameriera dirigersi verso il nostro tavolo con un altro giro di shots e guardo Sarah, già mezza brilla « Uhhh sei proprio insaziabile stasera.. » lei mi osserva senza capire, mentre i bicchierini ci vengono posizionati davanti, sul tavolino di legno instabile. 

« Questi li offre quella ragazza in fondo al bar » e si rivolge a me, con un sorriso « A te ». 

Butto un'occhiata nella direzione che mi ha indicato ed incontro due occhi da cerbiatta che mi fissano impazienti. Anche Sarah si volta, alza il bicchierino nella sua direzione e manda giù tutto d'un sorso la vodka liscia, urlando verso di lei un "Alla tua!" stridulo.  

Io faccio lo stesso e la ringrazio silenziosamente con un cenno del capo, che lei ricambia. 

Poso la testa sul cuscino e rilasso i muscoli contro il materasso morbido che mi accoglie. 

Sono da poco passate le quattro ed io sento la testa leggera, mentre l'alcool in circolo a poco a poco sta svanendo insieme al ricordo sbiadito di una ragazza dai grandi occhi castani e del suo gesto silenzioso ed indiretto di attirare l'attenzione, offrendomi da bere. 

Mi domando se l'ho mai vista da qualche parte ma è troppo tardi ed io sono troppo stanca anche solo per pensarci. Dormire è l'unica mia priorità in questo momento. 

Escludendo Piper. Ma lei non si può escludere.  

Anche se mi tengo impegnata e sono fuori da Litchfield.  

Anche se ho patteggiato lasciandola sola lì dentro. 

Anche se fingo di non pensarci ma in realtà è il mio pensiero fisso.

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Capitolo 4
*** Death. ***


Arrivata a questo punto credo di essere un vampiro. Non di quelli sbrilluccicosi, ma di quelli che vivono di notte e postano i capitoli delle proprie storie di notte.  

Non c'è altra spiegazione. 

Capitolo che riprende un po' la trama del telefilm, di passaggio, ma che essendo ancora agli inizi della storia, ahimè, serve! Quindi pazienza che le novità non tarderanno.  

Sì beh, la scena di Morello che arriva esclamando "C'è posta per te" è un'italianata (passatemi il termine) pazzesca ma il sangue italiano che scorre nelle sue vene e l'accento che ha (se avete mai visto qualche puntata non doppiata sapete di cosa parlo) mi hanno ispirata. Mi lascio ispirare da poco, che ci possiamo fare? 

A parte questo, capitolo molto Piper-riflessivo e che dire? Spero vi piaccia! 

 

03. Death. (Piper POV) 

 

Quando ero piccola amavo mettermi seduta davanti il camino ad ascoltare le storie di mia nonna. Era un'ottima narratrice ed io mi perdevo nelle sue parole come un marinaio che si incanta a fissare il mare perdutamente innamorato, ritrovandomi così ad immedesimarmi in pesci che scorrazzavano fra fondali marini colorati e maestose aquile libere nel cielo. 

Le sue storie erano per la maggior parte ricche di fantasia e di colore, ma ce n'era una che anche se priva di queste caratteristiche non mi stancavo mai di ascoltare. Può sembrare strano ma da piccola ero la più romantica e sognatrice delle bambine, e la sua storia d'amore con mio nonno mi faceva sognare di averne una identica anche io un giorno. 

E così mi immaginavo come uno spettatore esterno di quella che, per me, era ed è la storia d'amore più bella di tutti i tempi. Mi immaginavo accanto a mio nonno quando lanciava i sassolini alla sua finestra, o accanto a lei quando durante la guerra scriveva lettere piene di speranza e promesse da inviargli al fronte, giurandogli che non lo avrebbe mai lasciato e che lo avrebbe aspettato pure tutta la vita, se necessario. 

Ed io adoravo immaginare che due persone potessero stare insieme anche a distanza, anche solo scrivendosi e ricevendo una lettera ogni quindici giorni, se andava bene. 

Anche, e soprattutto, nonostante tutte le avversità. 

« Ehi Chapman, c'è posta per te! » Morello arriva infagottata nel suo giaccone, con la punta del naso arrossata dal freddo, interrompendo il mio momento riflessivo. « » rispondo, sbirciando curiosa fra le sue mani.  

Annuisce e mi porge una busta verdina, con il nome del mittente e del destinatario scritto a penna ed una sigla in alto. Solo due lettere. 

AV. 

Alzo gli occhi al cielo. « Come se non riconoscessi la tua fottuta calligrafia », mormoro alla lettera - come se Alex potesse sentirmi - prima di buttarla nella spazzatura senza aprirla. 

* 

« Cosa ti turba? » mi domanda Red, appena varco la soglia del nostro cubicolo. Alzo le spalle e mi stendo sul mio lettino, a pancia all'aria, fissando il soffitto « Alex mi ha scritto ». 

« E..  » mi risponde, con il suo marcato accento russo. Sbuffo, facendo finta di prenderla alla leggere « E niente, l'ho buttata. Non voglio averci più niente a che fare, basta ». 

Mi sembra quasi di sentir parlare una mini me pro Alex sulla mia spalla destra che mi dice "Come no Piper, come no! Lo sai benissimo che la ami", mentre quella contro Alex invece  mi incoraggia con il mio discorso su quanto sia stronza, egoista, e bla bla bla. 

Red si lima in silenzio le unghia, poi si volta verso di me per un attimo « Non ne sembri tanto convinta, però ». Inarco il sopracciglio - "Uh guarda, come Alex!" mi riprende la mia parte pro Alex, che scaccio subito via - e scuoto la testa « Cosa te lo fa credere, Red? ». 

« Hai buttato la lettera. Ti importa ma sei troppo orgogliosa per ammetterlo e per darle la possibilità di spiegarti » dice semplicemente, riprendendo ad armeggiare con la lima.  

« Può essere », mormoro più a me stessa che a Red. 

* 

Entro nella sala delle visite e vado incontro mio fratello e mia madre, quest'ultima particolarmente provata nel trovarsi in un ambiente così "angusto" per il suo genere. 

« Piper, grazie al cielo sei ancora viva! » commenta lei non appena mi vede, con quel suo tono altezzoso e ben poco credibile. « Sì, evviva! » esclamo mimando il gesto di vittoria con le braccia. Cal ridacchia fra sé e sé e mi da una pacca sulla spalla « Allora, come te la passi? ». 

Nella mia mente per un secondo si affollano così tante risposte diverse da farmi restare per qualche secondo in silenzio. Li guardo attentamente «Dov'è papà? ». 

Si guardano e adesso a stare in silenzio sono loro. Comincia a prendermi il panico, il che non è affatto positiva come cosa, « E' successo qualcosa a papà? Come sta? Sta bene? ». 

Mia madre annuisce, Cal pure. « Quindi? » sbotto esasperata dal loro silenzio « Dov'è? ». 

« Piper non possiamo dirlo.. » comincia mio fratello, con tono grave « Non è il caso ». 

Ed è qui che il mio cervello comincia ad elaborare, fare conti, collegamenti « Oh mio Dio! La nonna, è successo qualcosa alla nonna?  ». Li guardo entrambi con la bocca socchiusa. 

« Bingo! » esclama Cal. Deglutisco, guardando mia madre « E' morta? ». Lei scuote la testa, fissandosi le unghia fresche di manicure « No, Piper. Ma sta molto male » 

* 

« Non potrò darle il mio ultimo saluto, capisce Healy? Non potrò stringerle la mano, dirle quanto io le voglio bene, quanto le sue storie che mi raccontava da bambina fossero belle! Non lo posso permettere, non posso » farfuglio, seduta davanti la scrivania del mio consulente che si rigira una penna fra le mani. « Lei deve aiutarmi, deve farmi avere un permesso » e la butto lì, guardandolo con la mia espressione più afflitta.  

Che è quello che sono in questo momento: afflitta. 

Healy scuote la testa « Chapman mi stai chiedendo l'impossibile, nessuno riceve un permesso ». Lo fisso negli occhi, poggiandomi con le mani sulla scrivania. « E' davvero importante, non glielo chiederei se non fosse così. Io devo darle il mio ultimo saluto, lei deve sapere che io ero lì per lei prima che chiuda per sempre gli occhi ». 

 « Chapman hai più sentito Vause? », mi chiede scrutandomi. 

Capisco dove vuole andare a parare e ricambio il suo sguardo « Vause chi, signore? ». 

Annuisce con un'espressione vagamente soddisfatta e posa la penna sul mucchio di fogli davanti a sé « Vedrò cosa posso fare. Adesso fuori di qui ». 

* 

E così mia nonna sta morendo.  

L'unica persona che mi abbia mai mostrato affetto se ne sta andando proprio mentre io sono in carcere, chiusa fra queste quattro mura, con l'unica speranza di ricevere un permesso speciale per poterle dire addio.  

Da sola. 

Senza la mia famiglia.  

Senza Larry. 

Senza Alex. 

* 

[ Mi chiudo la porta alle spalle e mi ci poggio contro un attimo, per regolarizzare il respiro. Le mani mi tremano e le lacrime mi pizzicano gli occhi. La mamma della persona che amo è morta ed io sto scappando come una ladra, lasciandola nel giorno più brutto della sua vita. 

Il mio istinto mi dice di tornare indietro, di abbracciarla e di dirle che tutto andrà bene, ma come potrei? Niente andrà bene. Ed io non posso più stare con lei. 

Continuo a ripetermelo guardando la finestra di Alex dal finestrino del taxi. Me lo ripeto anche quando il taxi parte e le tende si chiudono bruscamente, provocandomi un tuffo al cuore. 

"Oh Alex.." mormoro, deglutendo e lasciando che le lacrime mi righino il volto. ]

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Capitolo 5
*** Always her. ***


Come posso farmi perdonare per l'attesa?  Se dico che ho avuto il "blocco dello scrittore" sono giustificata?

Scusatemi, ma è stato un periodo assurdo per me. Lavoro, amore, casa, è stato un mix di cose che sono successe e di partorire qualcosa di decente la mia mente non ne aveva proprio intenzione. Ma ce l'abbiamo fatta! 

Guardando la terza stagione (APPPPPROPOSITO, L'AVETE GIA' VISTA ANCHE VOI VERO?!) la mia poca simpatia verso Piper si è.. come posso dire, alimentata? E quindi quando mi sono resa conto che questo capitolo doveva essere in Alex POV (che invece ha acquistato sempre più punti ai miei occhi!) la voglia di scrivere mi si è triplicata! 

A parte questo, che dire? Grazie per i commenti ed i messaggi privati che mi avete lasciato! Non sapete quanto ho apprezzato poter leggere le vostre opinioni e quello che pensate, davvero. E a tal proposito volevo dire a tutti i lettori fantasmini che non mordo e che mi farebbe TANTO piacere leggere cos'avete da dire. Accetto anche critiche, eh!

Detto questo, vi auguro una buona lettura e al prossimo capitolo!




04. Always her (Alex POV)

Quando ero piccola odiavo andare a fare la spesa. Spingevo il carrello con il broncio mentre gli altri bambini mi sfrecciavano accanto con le mani piene di patatine e caramelle, consapevole di dovermi accontentare di una ciambellina in saldo perché del giorno prima. 

Mia madre mi guardava come per dirmi "lo so", ma io non osavo dire niente consapevole del fatto che faceva due lavori per mantenermi e che non era colpa sua se mio padre era uno stronzo. Me n'ero fatta una ragione, come per l'80% delle cose che non andavano nella mia vita. Ero molto giudiziosa, su questo nessuno aveva mai nulla da obiettare. 

Più di vent'anni dopo, spingendo il carrello della spesa, sento ancora quella sensazione addosso. Di non poter avere, di dover rinunciare. Non a "cosa", ma a "chi".  

E non c'è sensazione più brutta.  

Sospiro, mentre afferro un pacco di crackers per leggerne distrattamente gli ingredienti e non fissare il vuoto come una deficiente, mentre il mio cervello parte per i suoi viaggi. 

« Scusami », si rivolge a me una voce delicata, quasi impercettibile. Mi volto e abbasso lo sguardo dal mio metro e settantacinque verso una ragazza dal viso conosciuto. 

Lei mi guarda imbarazzata e si morde il labbro inferiore, prima di riprendere la parola. « Scusami.. Potresti prendermi quel barattolo in alto? Non ci arrivo! ». Scuoto la testa divertita e stiro un braccio per prendere un barattolo di cetriolini sott'aceto che mi fanno storcere il naso. « Se avessi visto prima di cosa si trattava li avrei lasciati lì" commento, mentre glieli porgo. 

Lei li afferra e mi fissa dritta negli occhi con i suoi scuri, quasi neri. « Dovete smetterla con questa discriminazione. Sono buoni sopra l'hot dog di soia, nell'insalata e anche da soli! ». 

Ed è in quel momento che riconosco nei suoi occhi quelli visti qualche sera prima al pub, da una parte all'altra della sala. « La prossima volta che mi offri da bere, allora, assicurati che la cameriera me ne porti due insieme alla birra! » rispondo, scoppiando poi in una risata. 

Lei non sembra sorpresa, anzi, quasi sollevata dal fatto che io l'abbia riconosciuta. Stringe le spalle nella maglietta larga che indossa e mi tende una mano, dove spiccano vistosi anelli in quasi tutte le dita. « Affare fatto.. Emh? », inclina la testa in attesa del mio nome.  

« Alex", rispondo afferrando la sua mano. E' calda, ma ha una buona presa. 

Annuisce e muove su e giù le nostre mani, facendomi l'occhiolino « Cathrine, comunque ». 

 

* * * 

 

« E quindi tu questo lo chiami cibo », chiedo scettica tenendo fra le mani un pacco di tofu. Cathrine annuisce e me lo strappa dalle mani, riponendolo sopra la cassa. « Eccome », afferma fiera « è ricco di vitamine e proteine e nessuno ha ammazzato nessuno per farlo! ». 

« Sarà.. » rispondo dubbiosa, tenendo fra le mani i miei hot dog surgelati e la vaschetta di gelato rigorosamente al cioccolato.  

La osservo da dietro. Il fisico asciutto si intravede dalla maglia larga, le gambe magre ed abbronzate sbucano fuori a tratti dagli strappi dei jeans. Profuma di orchidea e mi stupisco di me stessa per aver riconosciuto questo profumo, ma non potrebbe essere altrimenti. 

Prima che la mia testa parta nuovamente, lei si volta, mentre la cassiera le imbusta la spesa, e mi mette fra le mani un pezzo di carta.  « Vorrei farti ricredere su tofu e cetriolini. Ti lascio il mio numero senza impegni. Chiamami solo se ti va, okay? ».  

Annuisco e lo infilo in tasca mentre lei mi saluta, dandomi le spalle. 

 

* * * 

 

Mi rigiro fra le mani il bigliettino con il numero di Cathrine e scuoto la testa, lasciando che i miei pensieri vadano a Piper. Piper che è incazzata con me. Piper che non vuole vedermi. 

Piper che non mi risponde. 

Nessuna risposta a nessuna delle lettere che le ho inviato, neanche per dirmi che faccio schifo. Mi sembra di scrivere ad un muro talmente duro da non aprirle neanche le lettere.  

E forse è davvero questo quello che fa; forse neanche le apre.  

Butto il bigliettino dentro la busta di carta della spesa ed afferro la vaschetta di gelato, affondandoci dentro il cucchiaio. Ne prendo una cucchiaiata sproporzionata e in questo gesto così semplice, mi sembra di tornare indietro anni interi, quando ad imboccarmi c'era la mia bionda ed il gelato mi finiva da tutte le parti. E mi fermo qui. 

Non so se sentirmi arrabbiata, delusa, amareggiata.  

Non so se essere comprensiva, paziente, rispettare i suoi tempi e aspettare. 

Aspettare una risposta che forse non arriverà mai. 

Con il cucchiaio a penzoloni dalla bocca mi affaccio sulla ringhiera del ponte che sto attraversando e forse, per la prima volta dopo mesi, mi sento un po' più libera. 

Le luci riflettono illuminando l'aria, la gente passeggia tranquilla e, a qualche metro da me, una bionda china sul suo panino siede per terra contro la stessa ringhiera sulla quale sono appoggiata. Per un secondo credo di riconoscere quei capelli biondi, ma è fin troppo assurdo anche per averlo pensato. Non è lei. 

Non può essere lei. 
 

* * * 

 

Faccio ondeggiare la busta insieme al mio passo, mentre frugo dentro la mia borsa a tracolla alla ricerca delle chiavi del mio appartamento. Non riesco ancora a chiamarla "casa". 

Le lascio tintinnare nella mia mano e salgo i tre gradini che separano il portone dal marciapiede, con la sgradevole sensazione di essere osservata. Lasciandomi i capelli davanti al viso, mi volto di poco giusto in tempo per osservare una macchina appostata poco più in la.  

Per un momento penso di tratti della mia guardia di controllo, ma basta un altro sguardo per capire che la bmw nera non può di certo essere una macchina statale.  

In fretta apro il portone e me lo richiudo alle spalle mentre, consapevole che questo non porterà a nulla di buono, un solo nome mi annebbia la vista. 

Kubra.

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