Undici anni prima: un ragazzo di nome Finnick

di Jim2233
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


A svegliarmi è il tanto familiare rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e arrivano dolcemente sulla spiaggia. Quanto tempo ho dormito? A giudicare dalla posizione del sole, deve essere quasi sera. Mi sono appisolato nel primo pomeriggio, subito dopo la Mietitura. Il sollievo di non essere stato scelto era talmente forte che avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo: mi sono messo a correre lungo il bagnasciuga deserto, finché non sono arrivato nel mio nascondiglio preferito, stanco e con le membra doloranti dallo sforzo e dalla tensione. È una caletta nascosta alla vista di tutti, perché le rocce che la sovrastano creano una protezione naturale, e vi si può accedere soltanto attraversando uno stretto passaggio all'interno di una grotta. Quando qualcosa mi turba, vengo a rifugiarmi qui.
Quella di oggi è stata la mia seconda Mietitura. Ne mancano altre quattro, visto che ho tredici anni. Dopo di che sarò salvo, salvo dagli Hunger Games, il reality show che costringe ogni anno ventiquattro ragazzi a uccidersi l'un l'altro. È disumano. Un'ottima punizione per i distretti che hanno osato ribellarsi alla tirannia di Capitol City sessantatré anni fa.
Mi impongo di non pensare a tutto questo per un bel po'.
Mi alzo e tolgo la sabbia attaccata ai vestiti. Devo tornare a casa.

Il Distretto 4 è deserto. Non mi stupisco. Sono sicuro che le famiglie dei poveri  Casey e Ashley si stiano disperando mentre le più fortunate festeggiano l’inizio di un altro anno di tranquillità.
I miei piedi percorrono in modo automatico le strade che oramai conosco alla perfezione. Mi aggiro nei meandri del Porto, la zona povera del Distretto 4. È una semplice distesa di baracche di legno. Sono le case più vicine al mare, e di conseguenza quelle più umide e meno accoglienti.
Le fragili porte sono sprangate, le finestre serrate.

Mentre cammino noto ai miei piedi un pezzo di vetro. Sovrappensiero lo raccolgo e scruto il mio riflesso. Il ragazzo che mi restituisce lo sguardo è alto e muscoloso. I profondi occhi verde acqua che molte ragazze trovano affascinanti conferiscono al viso un’espressione assorta, accentuata dalle sopracciglia corrucciate.

Mi lascio il Porto alle spalle e mi dirigo verso la zona benestante del Distretto 4. È lì che abito con la mia famiglia. Chiunque attraversasse il centro del 4 rimarrebbe colpito dall'incredibile contrasto che c'è con il Porto. Qui le case sono in cemento, le facciate di un bianco immacolato.
Ad un tratto scorgo dei Pacificatori davanti a me. Quello che sembra essere il capo mi si avvicina.
- Ragazzino, cosa stai facendo? -
- Torno a casa.-
- Non puoi passare qui, si è aperta una voragine nella strada e stiamo sistemando la situazione. -
Oh, no. Non voglio cambiare strada, perché dovrei passare per la piazza, ed è l'ultima cosa che voglio. Ma non ho scelta. Con un sospiro, cambio direzione.

La prima cosa che vedo è il Palazzo di Giustizia. Poi tutti i negozi, affacciati sulla piazza. E l'ultima cosa è la peggiore. Il palco della Mietitura. E prima che possa chiedermi perché non sia ancora stato tolto, i ricordi si riaffacciano prepotenti alla mente.



- Prima le signore! - Trilla la presentatrice di Capitol City che estrae i nomi per la Mietitura.

La sua mano rovista nella boccia che contiene i nomi.
Mi sento sempre peggio.

- Ashley Prior! -

Il silenzio rimane assoluto per qualche secondo, poi viene rotto da un singhiozzo strozzato.
La povera Ashley ha capito. Ha capito che per lei, ragazzina di quattordici anni, la vita è giunta al termine. Non si vergogna di piangere mentre i Pacificatori la accompagnano sul palco.

- Molto bene! - Odio quella maledetta voce acuta. - E adesso i ragazzi -.

La mano si muove nell'altra boccia per un tempo che mi sembra infinito, il mio stomaco si ribalta più volte, il silenzio è così tombale che posso addirittura sentire il fruscio dei foglietti. La mano si solleva. Non so quanto ancora potrò resistere prima di mettermi a urlare. Avanti, dì quel maledetto nome!


- Casey Newton -

Non sono io.
Non sono io.
Sono vivo.
Almeno per un anno, sono vivo.
Non riesco a trattenere un sospiro mentre mi guardo intorno. Casey ha sedici anni e non sembra terrorizzato. Lo conosco di vista, è molto forte, potrà avere qualche possibilità di vincere.



Una ventata di brezza salmastra mi sveglia dal mio sogno a occhi aperti. Nella mente ho ancora impressa un'ultima immagine: Casey e Ashley con le braccia alzate, applauditi dal Distretto 4. Un ultimo saluto prima di andare incontro alla morte.
Non è possibile che sia tutto così buio.
Devo solo trovare i lati positivi, sono tre anni che vado avanti così.
I miei genitori sono al sicuro.
Anche io lo sono ora.
Va ancora tutto bene.

Non so come, ma riesco anche ad avere un sorriso in faccia quando torno finalmente a casa.


Che la fortuna possa essere sempre a tuo favore, Finnick.

 

 

 

Angolo dell’autore

 

Innanzitutto, grazie per essere arrivati fin qui, significa che avete letto tutto il capitolo!

Scherzi a parte, questa è la mia seconda fanfiction in assoluto e sarà molto più lunga e impegnativa della prima. Come avrete già capito, è incentrata su Finnick, personaggio che mi ha colpito molto e di cui cercherò di raccontare la vita.

La più grande differenza con la prima ff  è che lì avevo già completato la storia prima di postare, ora invece devo ancora scrivere tutto: mi servirà il vostro sostegno per portarla a termine. Perciò vi chiedo di recensire in tanti, insomma fatemi sapere cosa ne pensate, è molto importante per me.

Per finire, un grande ringraziamento a El_Minho, fidato e instancabile beta reader, ma soprattutto amico.

Detto questo vi saluto, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi trascino fuori dal letto più stanco di ieri sera, quando sono andato a dormire.

Tributi urlanti che andavano a morire nell'arena hanno accompagnato il mio sonno agitato per tutta la notte.

Sono tre anni che convivo con questo incubi, dopotutto.

Tutto sta nel non farli interferire con la vita reale.

 

Oggi è il primo giorno dopo la Mietitura. Per molti significa l'inizio di un anno di tranquillità, per le due famiglie più sfortunate, invece, l'inizio di un'agonia che terminerà in poche settimane.

Nonostante tutto, Capitol City impone i turni di lavoro anche oggi. Mattina e pomeriggio, come sempre quando non c'è scuola.

Cerco di far durare il più possibile la mia colazione, perché quando uscirò di casa ad aspettarmi ci sarà Brian, il mio migliore amico. Nonché fratello di Ashley Prior, il Tributo femmina che quest'anno rappresenterà il Distretto 4 agli Hunger Games.

Il nostro è un legame forte, che si è costruito in anni di scuola e turni di lavoro insieme. 

Improvvisamente mi sento terribilmente egoista . Chi sono io per non voler aiutare il mio migliore amico? 

Trangugio velocemente la mia zuppa di latte e pane alle alghe, tipico del Distretto 4, ed esco.

Come avevo immaginato è già ad aspettarmi, appoggiato al solito lampione dall'altro lato della strada. Lo scruto da lontano, come se potrebbe non essere più lui. E infatti, negli occhi rossi di un pianto che probabilmente è durato tutta la notte, trovo qualcosa di molto diverso dalla sua solita spensieratezza o dalla tristezza e rassegnazione che mi sarei aspettato.

Nei suoi occhi c'è rabbia.

 

- Ehi -

 

- Ehi - Ci salutiamo come al solito, come se fosse una giornata come le altre, ma si sente che c'è qualcosa che non va, la sua voce è tesa.

 

- Finnick... L'hanno portata via -

 

Mi limito a guardarlo, incerto su cosa rispondere.

 

- Brian - Comincio, ma lui mi interrompe.

 

- Dobbiamo fare qualcosa -

 

Credo di aver capito male, così gli chiedo, cauto:

 

- In che senso, scusa? -

 

- Maledizione, non lo so, ma non la lascerò lì -

 

- Non possiamo fare nulla -

 

- Io devo fare qualcosa -

 

- Scherzi? E cosa vorresti fare, dichiarare guerra a Snow? -

 

Dalla luce che si è accesa nei suoi occhi capisco che l'idea, per quanto assurda, lo sta tentando.

 

- Brian, abbiamo solo tredici anni - e con un sospiro aggiungo - E sai cosa succede a chi si oppone a Capitol City. -

 

- Tu non capisci, Finnick, non posso stare a guardare! - Ora la sua voce ha una nota isterica - Non posso! -

 

E quello che aggiunge quasi urlando mi lascia a bocca aperta.

 

- Dopo quello che ti è successo tre anni fa, come fai a rimanere impassibile? -

 

Stringo i denti, mentre un'incredibile quantità di emozioni si fa strada dentro di me: insicurezza, rimpianto, angoscia, una tristezza infinita.

Mi accorgo che sto per urlargli addosso, così gli volto le spalle e, ignorando i suoi richiami, comincio a correre.

Non so dove, ma lontano.

 

 

 

La sua voce che mi chiama mi rimbomba ancora nella testa quando, ansimante, mi ritrovo ai confini del Distretto 4. Mentre osservo ciò che ho intorno, cerco di schiarirmi i pensieri.

La discarica a cielo aperto.

Brian che mi urla contro.

No, così non va.

I gabbiani che stridono e sorvolano le montagne di rifiuti, sperando di trovarvi qualcosa da mangiare.

Tre anni fa.

Peggio di prima. Mi accovaccio, ma prima di perdere il controllo, prima che le emozioni prendano il sopravvento su di me, una voce cristallina rompe il silenzio, facendomi trasalire.

 

- Ehi, tutto a posto? –

 

 

 

Angolo dell’autore

 

Ciao a tutti! So di avervi fatto aspettare veramente tanto per questo capitolo, ma sono sicuro che per il prossimo ci vorrà di meno.

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, sono un po’ preoccupato dal dialogo, che a pensarci bene è il primo vero dialogo che scrivo… Ma vabbè.

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando. E vediamo se indovinate chi è che parla alla fine!

A presto!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Lentamente tolgo le mani tremanti dalla faccia e mi giro verso la voce.

È una ragazza. Ha un fisico esile e credo sia un po’ più bassa di me.

I capelli ramati, che le scendono ben oltre le spalle, sono mossi dal vento. Attraverso i suoi occhi azzurri come il mare più limpido scorgo una serenità che mi lascia sorpreso.

- Stai bene? – Chiede avvicinandosi.

Cerco di ricompormi, mentre mi ritrovo a balbettare.

- C-certo, stavo solo… - Ma non so più cosa dire.

- Prova ad alzarti e a respirare profondamente, ti aiuterà di sicuro –

Mi sollevo un po’ a fatica e comincio ad inspirare ed espirare lentamente, concentrandomi solo sull’aria che entra ed esce dal mio corpo.

- Va meglio? – Chiede la ragazza dopo un po’.

Apro gli occhi e la guardo meglio. Sulle sue guance ora c’è un lieve rossore.

- Sì, va meglio… Grazie – Rispondo.

- Non c’è di che – Fa lei mentre mi tende la mano.

La stringo e mi presento.

- Finnick Odair – Pronuncio il mio nome nel tono di voce più pomposo che riesco a usare.

La sua bocca si piega in un sorriso timido mentre mi risponde.

- Io mi chiamo Annie. Annie Cresta. –

 

 

 

Qualche ora dopo sono appostato su un palo, a qualche centinaio di metri dalla costa. In mano stringo il mio tridente, quasi diventato parte di me, tanto è il tempo che lo uso. Qui nel Distretto 4 ognuno ha il suo strumento di caccia personale. Ne si entra in possesso il primo giorno di lavoro e si continua a usarlo per anni e anni. È quasi un rito di iniziazione, farsi regalare un’arma per pescare.

È più di un anno che uso il mio tridente, ma sorprendentemente non c’è ancora nessun segno di usura.

Con un gesto ormai meccanico allungo una mano fino a toccare la rete appesa poco più in basso di me. La strattono leggermente e ritraggo soddisfatto la mano sentendo che è pesante come gli altri giorni.

Non faccio che ripensare a quello che è successo stamattina. Ho litigato con Brian, non pensavo fosse possibile. Mi sono rifiutato di aiutarlo solo perché mi sono fatto spaventare dai soliti fantasmi del passato. E ancora non capisco bene cosa è successo dopo. Non avevo mai visto quella ragazza, Annie, in giro per il Distretto. Eppure non sembra una persona comune, come d’altronde non lo è il posto del nostro incontro. Una discarica… Di certo non il luogo ideale per conoscere una ragazza. Eppure, quell’incontro è stato piacevole. Vorrei rivederla.

All’improvviso un movimento appena sotto il pelo dell’acqua mi distoglie da quei pensieri. I miei riflessi ormai sono allenati, e con un movimento fluido ma rapido il tridente scende fino ad infilzare quello che riconosco come uno splendido esemplare di cefalo lungo mezzo metro. Lo faccio scivolare nella rete e sento lo stomaco brontolare.

Il sole è alto nel cielo, forse questa mattinata lunghissima sta per finire.

Infatti, dopo pochi minuti sento finalmente la sirena che segnala la fine del turno lavorativo. Ho giusto il tempo di sganciare la rete dal palo che arriva la barca dei Pacificatori che mi scorterà a riva insieme agli altri pescatori.

Una volta arrivato, mi dirigo verso la capanna dove si deposita la pesca. Nessuno può tenere per sé quello che ha preso: va tutto a Capitol City. A noi abitanti del 4, invece, a seconda della quantità di pesce che si riporta, vengono dati dei crediti, che possono essere spesi per comprare del cibo.

Ovviamente questo va a sfavore di tutti quelli che sono meno abili nella pesca, ma i geni di Capitol City hanno pensato a un ottimo sistema per non far morire di fame queste persone: le cosiddette “tessere”. Ognuno può farsi assegnare una piccola fornitura annuale di cibo, ma così facendo il suo nome comparirà su più bigliettini tra le persone sorteggiabili per gli Hunger Games. In pratica non morirai di fame, ma avrai più possibilità di essere chiuso in un’arena piena di persone che vogliono ucciderti. Molto rassicurante.

Mi fermo davanti a Todd, il Pacificatore addetto alla distribuzione dei crediti. Mi aspetta con lo stesso sorriso amichevole con il quale mi saluta ogni giorno.

- Anche oggi un bel bottino, eh, Finnick? –

- Finché ci riesco… - Replico.

- Non sminuirti! Sei uno dei migliori pescatori di tutto il Distretto, senza di te a Capitol City si morirebbe di fame – Aggiunge scherzando.

Accenno una risata, lo saluto e me ne vado.

 

 

 

 

Sono a letto. Oggi pomeriggio ho parlato ancora con Brian, e sono ancora sconvolto per quello che ha intenzione di fare.

- Fermerò gli Hunger Games! –

Posso ancora sentirlo.

- Devo farlo, altrimenti non potrò mai perdonarmi –

Già. Ti capisco.

Dovrei parlarne con qualcuno. Ma chi potrebbe aiutarmi? I miei genitori? No di certo. Non ho altri amici di cui fidarmi ciecamente.

 

Dicono che la notte porti consiglio.

Forse hanno ragione. Adesso so cosa fare.

 

 

 

Angolo dell’autore

 

Ciao a tutti! Dovete perdonarmi per tutto il tempo che ci metto ad aggiornare, ma è un periodo davvero impegnativo per me… Ancora un po’ ed avrò tutto il tempo da dedicare al nostro Finnick! Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

A presto (spero)!

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quello che sto facendo è semplicemente assurdo.

Mi do dello stupido quando arrivo nei pressi della discarica.

Un illuso, ecco cosa sono. Pronto a vedere il suo sogno che si smonta. Eccola, l’illusione. Sembra quasi vera, ma altrimenti che illusione sarebbe?

Niente di più di un miraggio. Aspetto che si dissolva mentre mi avvicino.

Succede qualcosa di strano: non scompare, anzi, si fa sempre più nitida.

Possibile che sia reale? Non dovrebbe esserlo, ma a quanto pare lo è.

Sgrano gli occhi. È proprio lei.

Con la sua corporatura esile e i suoi capelli ramati.

Annie.

 

 

Quando i nostri sguardi si incrociano, accenna un sorriso.

Ricambio, e finalmente ci salutiamo. Al suono della sua voce, però, mi sveglio dal sogno a occhi aperti e mi ricordo di essere Finnick, un ragazzino del Distretto 4 con un mucchio di problemi da risolvere. Mi torna in mente l’assurdità della situazione. Un mio amico vuole fermare gli Hunger Games e io ne voglio parlare con la prima sconosciuta che mi ha aiutato a farmi passare un mal di testa.

Però durante la mia breve vita ho imparato a fidarmi dell’istinto. Il sesto senso che mi avverte di sollevare la rete da pesca al momento giusto e che tante volte mi ha permesso di andare a dormire con la pancia piena.

Ora l’istinto mi consiglia di parlare con Annie.

« Ciao » La saluto timidamente.

« Ehi » Sorride.

Mi accorgo di non avere la più pallida idea di cosa dire. Perché non ci ho pensato prima?

« Io, uh, volevo solo dirti che mi è passato il mal di testa ».

Lei ride, prima di rispondere.

« Sono contenta che tu stia meglio! Dopotutto da queste parti se non stai bene, dopo un po' muori di fame ».

Mi rendo conto che non so niente di lei. Chissà com’è la sua situazione. La osservo meglio. Indossa dei pantaloni corti e una semplice canottiera bianca un po’ sgualcita. Non certo vestiti da ricchi.

« Sei del Porto? Non ricordo di averti mai vista » ammetto.

« Già. Abito con i miei zii ».

« Capisco ». Il suo tono si è fatto più cupo, e trovo che sarebbe indelicato chiedere altro.

« Sai che invece il tuo viso mi è familiare? È come se ti avessi già visto da qualche parte » dice.

Rabbrividisco. C’è stata un’occasione in cui tutta Panem mi ha visto e ho proprio l’impressione che Annie parli di quell’episodio. Ma non voglio assolutamente aiutarla a ricordare, perché mi farebbe molto male.

Cerco disperatamente di cambiare discorso, così ci ritroviamo a parlare dei rispettivi lavori. Scopro che lavora nell’impianto di lavorazione del pesce, un grande edificio nel quale viene portata la pesca per ripulirla e prepararla alla spedizione verso Capitol City.

« E tu sei un pescatore? » Chiede.

« Sì » rispondo « da cosa si capisce? »

« Dal tono di voce » dice « è lo stesso che aveva mio padre. Quando mi portava a pescare con lui, mi diceva sempre di parlare piano per non far scappare i pesci ».

« Anche tuo padre era un pescatore, quindi? » Chiedo, pur avendo paura di toccare tasti dolorosi per lei.

« Già ».

Non aggiunge altro, così non insisto.

« Ti andrebbe di mangiare con me? » La proposta mi esce spontaneamente, e in un momento così non sembra neanche forzata.

« Volentieri! » risponde senza un attimo di indecisione.

 

 

 

Sto tornando a casa. Cerco di allungare il tragitto il più possibile, perché devo assolutamente togliermi questo sorriso idiota dalla faccia e il ripercorrere gli eventi della giornata non mi aiuta affatto. Annie ed io abbiamo mangiato insieme sulla spiaggia, seduti uno di fianco all’altra. E dopo un po’ ho scoperto che parlare con lei era diventato molto più facile di quanto non lo fosse stato all’inizio. Prima di salutarci, ci siamo promessi di rivederci nello stesso posto domani mattina.

Questo mi ricorda un’altra cosa. Domani mattina, prima di vedere Annie, incontrerò Brian. Ho paura di cosa potrà dirmi. Ho paura che stia già pensando a come fermare gli Hunger Games. Qualsiasi tentativo sarebbe inutile: è semplicemente impossibile anche solo avvicinarsi a Capitol City.

Però la disperazione può portare a compiere pazzie vere e proprie. È per questo che sono preoccupato per lui.

Che ne è del mio rapporto con Brian? L’ultima conversazione che abbiamo avuto è stata piuttosto confusa. La penultima è stata un incubo. Non so se possa essere definito un litigio, ma la sua frase mi ha fatto male.

Dopo quello che ti è successo tre anni fa, come fai a rimanere impassibile?

Questa frase riporta a galla tutti i fantasmi del mio passato, così come ha fatto la chiacchierata con Annie. Ma stavolta sono solo.

Come in un sogno a occhi aperti, rivivo per l’ennesima volta quei giorni. E sprofondo nei ricordi.

 

 

 

La giornata era calda, come sempre in quel periodo dell’anno. Ma quel giorno nessuno badava al caldo. Era un giorno speciale. Si sarebbe tenuta la Mietitura per i sessantunesimi Hunger Games. Avevo dieci anni, il che significa che ero troppo piccolo per essere sorteggiato. Ma c’era un’altra persona a cui tenevo che aveva tutte le carte in regola per partecipare ai Giochi. Era Sebastian, mio fratello.

Prima di uscire da casa avevo ceduto al pianto e avevo supplicato mio fratello di non andare. E lui, sapendo di doversi mostrare forte di fronte al fratellino mi aveva parlato.

“Non devi preoccuparti per me. Ci vediamo fra poco, non appena tutto sarà finito. È una promessa" e con queste parole mi aveva asciugato le lacrime.

Non avevo badato affatto al nome della ragazza estratta. Il silenzio era assoluto mentre le dita dell'annunciatrice frugavano nella boccia dei bigliettini. Il silenzio era assoluto, nella piazza del Distretto 4. Senza più avere il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, la voce aveva annunciato il nome, e l'effetto era stato quello di una palla di cannone che mi colpiva dritto nello stomaco.

« Sebastian Odair »

 

 

 

Angolo dell’autore

Ciao a tutti, lettori silenziosi e non! Ci ho messo taaanto tempo ad aggiornare, lo so, ma ho avuto parecchi contrattempi, compreso il mio primo blocco dello scrittore… Perdonatemi, prometto che in futuro sarò più puntuale!

E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciate una recensioncina, mi fa sempre piacere!

Alla prossima!

 

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