Very little collection

di Mari087
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La classifica ***
Capitolo 2: *** E poi, un giorno ci diremo… ***
Capitolo 3: *** Drammatica illusione. ***
Capitolo 4: *** Un passatempo artistico. ***
Capitolo 5: *** La somiglianza ***
Capitolo 6: *** La conferma. ***
Capitolo 7: *** Winter Edition. ***



Capitolo 1
*** La classifica ***


Seduta accanto al caminetto acceso e intenta a spazzolare con ritmo costante la lunga chioma nel tentativo di farla asciugare il più velocemente possibile, la grande maga-genio e terrore di ogni essere vivente, Lina Inverse, non riusciva a trattenersi dal lanciare sguardi per niente amichevoli alla ragazza che la fissava dalla sua comoda posizione semi-sdraiata su uno dei letti più importanti di tutto il castello di Saillone.
Amelia, tuttavia, non era per niente preoccupata dalla minaccia poco velata rappresentata dallo sguardo dell’amica: minaccia che anzi fronteggiava sconsideratamente sfoggiando un affascinante quanto malizioso sorrisetto che Lina era pronta  a giurare non averle mai visto indossare, e che, per qualche inspiegabile ragione, la faceva somigliare tremendamente a qualcuno che sapeva di conoscere bene, nonostante non riuscisse a mettere bene a fuoco chi fosse.
La maga-genio stava anche ponderando l’idea di lanciare con quanta più forza possibile la bella spazzola che teneva in mano dritta verso il centro del viso di Amelia, così che l’impatto avrebbe cancellato definitivamente il sorriso dell’amica e magari le avrebbe anche rotto il grazioso nasino, costringendola per una settimana o due a presentarsi agli impegni di corte con una fasciatura molto poco regale.
Ma, comunque, c’erano dei motivo validi a trattenerla: il primo, e più importante, era che le setole di quella spazzola avevano un tocco così delicato che sarebbe stato veramente un gran peccato sprecarla in quel modo. Il secondo era che in fondo era consapevole che un danno più o meno permanente al setto nasale di Amelia era veramente una punizione eccessiva, data la situazione.
Molto più diplomaticamente, Lina decise che per quella sera, in quella stanza, avrebbe rotto solo il silenzio.
“E comunque, potevi anche evitare”.
“Cosa?”
Una domanda pronunciata con uno sguardo così limpido, che se solo Lina fosse stata meno furba, avrebbe anche potuto credere che Amelia non capisse veramente. (Era preziosa, quella spazzola, molto preziosa, doveva ricordarlo).
“Andiamo!”
“E dai, Lina! che bisogno c’è di fare tutte queste storie? E poi…potrei anche sentirmi offesa, dato che non sei stata sincera con me!”.
“Io non ti ho raccontato nessuna bugia! Diciamo che…ho omesso qualche verità, semmai!e comunque, tu sei andata troppo oltre, carina! Noi non…E comunque non…cioè, non è affatto come dici tu!”
“I fatti parlano da soli!”
“Sono fatti che non ti riguardano!”
Uno sguardo tra il deluso e l’arrabbiato che, per un lungo istante, lasciò Lina quasi interdetta.
“Volevo dire…Nel senso…Amelia!”
Silenzio.
“Resta comunque il fatto che adesso sei in debito con me!”
“Ma Amelia! Questo non è giusto!”
“Sulla giustezza di una cosa non transigo!”
Improvvisamente, le due scoppiarono in una fragorosa risata.
“Perché stiamo ridendo come due sceme?”
“Perché stiamo discutendo di niente!”
 “Oh, Lina, che brutta cosa riferirsi al fatto che ho scoperto da sola, sì da sola e stai zitta!, che finalmente le cose nel mondo girano come dovrebbero e tu e Gourry siete una coppia come “niente”! Insomma, me lo potevi dire!”
“Avrei potuto dirtelo, se tu non fossi saltata subito a conclusioni errate chiedendo il permesso a Gourry di “rubarmi per una notte!” Guarda che non dormiamo ancora insieme! Cioè non siamo a quel punto, ancora, noi non…ci siamo capite!”
Altre risate, e la pace era fatta. E per suggellarla al meglio, Amelia invitò Lina a mangiare con lei del cioccolato che venivano da qualche rinomata pasticceria della capitale, e che conservava da qualche giorno nell’attesa di trovare il momento adatto per consumarlo.
“Lina, apri il primo cassetto di quel mobile, per favore?”
Contro ogni previsione, l’occhio della maga-genio non cadde subito sul pacchetto colorato dei dolciumi, ma su un cofanetto rosso e oro che Amelia conservava nello stesso cassetto.
“Che bello…cosa contiene?”
“Lettere”.
“Posso sapere di chi?”
“Certo! Sono lettere scritte dai miei pretendenti!”
“Da chi???”
“Bhè, Lina, sai…io sono una principessa, dopotutto. Ricevo proposte di matrimonio praticamente da quando avevo cinque anni. Da parte di giovani rampolli che neanche conoscono, per lo più”.
 “Posso aprire?”
 “Fai pure!”
“Allora, vediamo…aspetta…perché ci sono dei  numeri dietro ogni busta? È la tua grafia, mi pare…”
“Sì, è la mia”.
“Cosa significa?”
“Sono voti.”
“Voti? Ma Amelia!”
“Andiamo, che male c’è? È un divertimento innocente!”
E Amelia accompagnò la sua frase con uno sguardo così limpido che Lina, pizzicandole le guance, si annotò mentalmente di non prendere più in giro Zelgadiss sulle reazioni istantanee di rammollimento che mostrava quando la principessa gli sbatteva davanti le ciglia. Perché, a volte, si rammolliva pure lei.
“E in base a cosa attribuisci questi voti, sentiamo?”
“Dipende…queste lettere annunciano quasi tutte la visita di un qualche giovane che  non conosco…mi limito solo a giudicare l’originalità della lettera…nel senso: se è scritta bene, riceve un voto alto, se vi si trovano a casaccio le solite frasi sulla bellezza del mio volto e sui miei occhi, perde punti”.
“Amelia…una ragazza romantica come te!”
“Lina, stiamo parlando di gente che non mi ha mai vista! Potrei anche avere un occhio che guarda a ponente e un altro che guarda a levante, per loro! E la situazione non cambia nemmeno per quelli che dicono di essere stati fulminati da qualche mio ritratto! Ne hai mai visto uno di quelli che mi hanno fatto i pittori di corte? Sono io quella raffigurata, non c’è dubbio, ma sapessi quanto sono composta!”
“Visto che lo ammetti pure tu di essere una pazza che non sta mai ferma, visto, visto! Comunque…credo di capire…e nessun pittore si è mai preso la briga di farti un ritratto da degna paladina della giustizia? Tipo messa così?”
E Lina tentò di imitare quanto più fedelmente possibile una a caso del grande repertorio di posa da eroina di Amelia.
“Sì, uno sì. Era un ritratto di piccole dimensioni comunque, non di quelli che vengono spediti alle altre famiglie reali…”
“Ma torniamo alle lettere…vediamo, urca, questa ha un voto altissimo! Leggiamo…”
Ed effettivamente, alcune lettere erano davvero divertenti. Un concentrato di romanticismo di bassa lega al quale si accompagnavano, ogni tanto, scorrettezze grammaticali così evidenti che, a detta di Lina, anche Gourry avrebbe saputo individuarle subito.
Dopo una mezz’ora di risate abbondanti, Lina si accorse che il cassetto contenente il cofanetto non era ancora vuoto.
“C’è una altra scatola…ma quanti principi esistono al mondo, scusa?!”
“Ah, no…quello contiene i bollettini”
“I che???”
“Sono le lettere di Zelgadiss”.
“Ah ah…queste allora non le posso leggere, giusto?”
 “Leggile pure se vuoi…ma ti consiglio di leggerne solo uno a caso, tanto le altre sono tutte uguali! Cambia solo la data e il luogo da dove provengono…per il resto, il contenuto non varia!”
“Per questo li chiami “bollettini”?”
“Indovinato!”
Ed effettivamente, anche ad una semplice prima occhiata, si poteva benissimo capire che tutti quei pezzi di carta seguivano lo stesso schema: un brevissimo saluto iniziale (che variava da: “Ciao Amelia, come stai?” a “Ciao Amelia, spero tutto bene”), un’indicazione molto sommaria del luogo dove si trovava il mittente (“Sono nella regione di” o “sto attraversando il”), notizie sulle ricerche o affini (“tutto vecchio, per me”), breve chiusa finale (“non cacciarti nei guai!”),  saluti e firma (estesa, con tanto di nome e cognome, come se il mittente stesse veramente firmando un bollettino ufficiale).
“Dei, Zel…”
“Lo so, lo so…non dovrei dirlo ma…sono terribili”.
E nonostante il tono sconsolato della principessa, le due ragazze si concessero l’ennesima lunga risata a beneficio della scarsa inventiva letteraria dell’amico comune.
“E a Zelgadiss non hai mai dato un voto?”
“Pensi che sia necessario farlo?”
“D’accordo, ci penso io!”
E detto questo, Lina si procurò una penna e un calamaio a caso dalla scrivania della principessa, tracciò dei segni (tutti uguali) sul retro di ogni busta, e poi trovò con Amelia altri argomenti di conversazione.
 
“Zelgadiss, per favore, mi prendi la spazzola che è nel primo cassetto di quel mobile? Io torno subito”.
Detto questo, la principessa che lo ospitava nella sua stanza girò i tacchi e scomparve nel buio dei suoi regali appartamenti.
Accanto alla bella spazzola dalle setole finissime Zelgadiss trovò un cofanetto rosso e oro, accanto ancora una scatola di porcellana, e poi un foglio spiegazzato.
Zelgadiss era un tipo discreto, lo era sempre stato. Ma non vedeva niente di male nell’aprire quel cofanetto: in fondo, erano di Amelia, non di una sconosciuta.
Per cui, per ingannare il tempo, decise di aprire prima il cofanetto rosso, sul quale trovò una serie di fogli di carta finissima di vario colore che recavano tutti un numero tracciato senza dubbio dalla mano di Amelia.
E poi, dentro, una sfilza di complimenti che inneggiavano variamente alla bellezza degli occhi di Amelia, alla finezza della sua figura, allo splendore profondo della sua chioma, alla dolcezza del suo incarnato, e così via, fino ad arrivare a chi affermava con certezza assoluta che sarebbe sprofondato in un mare profondo di lacrime se la principessa si fosse rifiutato di riceverlo.
Con stoica resistenza, decise di aprire anche la scatolina di porcellana. La grafia che trovò dietro le lettere era però diversa: era senza dubbio Lina che aveva tratteggiato, a lettere grandi, “N.C.” dietro ognuna delle sue missive.
Non classificabile. Zelgadiss si chiese se per caso fossero rivolti ai mittenti, e non alle missive, e in base a che cosa Amelia li giudicasse.
Sul foglietto spiegazzato, invece, la mano di Lina aveva tracciato come titolo un bel “Bollettino n°1 di Lina Inverse”, e poi una sommaria brutta copia dello stile che lui usava nelle sue comunicazioni con Amelia. Il fatto che il foglio fosse macchiato di cioccolata fugava ulteriormente ogni dubbio sull’autrice.
Quando la principessa tornò dove la chimera l’aspettava, trovò che il suono di quella che era una domanda che le rivolgeva spesso era molto diverso del solito.
“Amelia, che hai fatto mentre io non c’ero?”.
Zelgadiss non scriveva mai subito dopo essere partito: generalmente, se il viaggio era lungo, faceva passare almeno due settimane, e poi dava sue notizie. Era successo anche che non scrivesse proprio, in previsione di tornare dopo un solo mese d’assenza.
Questa volta prese la penna la prima sera durante la quale si fermò, e dedicò un’oretta buona a descrivere molte cose che adorava della principessa di Saillune: e non si limitò chiaramente allo splendore dei suoi capelli o alla dolcezza del suo incarnato.  Le ultime righe della lettera, infine, affermavano che la chimera “sarebbe sprofondato in un mare profondo di lacrime” se la principessa si fosse rifiutata di “riceverlo” (e proprio per esagerare buttò lì pure eventuali suggerimenti per il rituale d’accoglienza), al suo ritorno. Poi chiuse consigliando caldamente di non mostrare mai a Lina quella lettera.
Quando, con suo enorme stupore, Amelia alcuni giorni dopo ricevette la lettera, il fatto di trovarsi nel bel mezzo della sala delle udienze del suo palazzo non le impedì di arrossire vivacemente.
Tornata della sua stanza, consegnò la missiva al buio del suo cofanetto, e tornò poi ai suoi doveri di principessa, rimuginando su due o tre risposte appropriate da dare alla chimera lontana, pensando anche per proprio per essere esagerata nella risposta avrebbe incluso che adesso certi rituali d’accoglienza se li poteva pure sognare.

Lina aveva ormai veramente perso l’abitudine di dormire senza Gourry accanto, quella sera che tornò a Saillune e che decise di rinfrescare le vecchie abitudini e trascorrere un’intera nottata a chiacchierare con Amelia, così da sentirsi di nuovo un po’ ragazzina.
“Lina, mi passeresti la spazzola che è in quel cassetto per favore?”
“Sì…oh, ricordo questo cofanetto! Ma ormai non dovresti avere più aspiranti pretendenti dalla vena romantica, giusto?”
“No, non più, certamente, ma li tengo per ricordo”.
“E questo? Oh, i bollettini!”
Mentre Amelia immergeva la delicata spazzola fra i capelli poco distante da Lina, la maga-genio iniziò ad estrarre a caso due o tre fogli dal cofanetto. Le cose non sembravano cambiate dall’avvenuto cambio di stato civile del mittente: lo schema si ripeteva uguale, anche se qua e là ovviamente erano sparpagliate parole più confidenziali o qualche domanda più specifica sulla situazione a palazzo, fino a quando Lina non trovò un bollettino particolarmente voluminoso.
Lo aprì pregustando già le risate. Lo richiuse imbarazzatissima  (ma solo dopo averlo letto tutto).
“Amelia?”
“Sì?”
“Esattamente quando hai iniziato a…ricevere Zelgadiss al suo ritorno?”
“Eh?”
“La data parla chiaro, prima del matrimonio! E non me lo hai mai detto!Ehi! ho estinto il mio debito!”
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** E poi, un giorno ci diremo… ***


E poi, un giorno ci diremo…
I suoi occhi erano di un colore particolare e incredibilmente brillanti.  I capelli folti erano lunghi, raccolti in una coda di cavallo ad incorniciare  un viso dai tratti regolari ma marcati, ricadendo poi su spalle molto larghe. Mostrava un sorriso cordiale e modi impeccabili, nonostante si raccontasse in giro che nella lotta fosse spietato. Era giovane, ma guardandolo non si riusciva a definirne l’età, perché non mostrava una faccia da ragazzino.
 Era, insomma, un uomo terribilmente affascinante.
Non ne sapeva molto di magia, ma era considerato da tutti come invincibile. Per questo, anche in quel piccolo paese dove gli stranieri erano guardati con diffidenza, era stato accolto con molti onori.
E ora, al calar del sole, passeggiava tranquillamente per il boschetto che costeggiava l’agglomerato di case intonacate di bianco con due maghe dalla fama indiscussa, per niente intimorito dalla potenza che le due avevano sfoggiato (e sfogato) solo un’ora fa in un’improvvisata lotta con uno sparuto gruppo di demoni minori che ogni tanto facevano la loro per niente gradita comparsa in quel luogo che si diceva nascondesse un qualche mai trovato tesoro di pietre dalle capacità particolari, ma che nessuno aveva mai visto. Forse, i tre pensavano, erano solo un mucchio di leggende messe su bell’apposta per fare in modo che ogni tanto qualcuno si avvicinasse ad un posto che altrimenti sarebbe stato dimenticato da ogni mercante o viaggiatore degno di questo nome.
Ma ora gli occhi di Lina Inverse andavano dall’affascinante guerriero senza casa alla maestosa chioma scura di Naga del Serpente Bianco, in un continuo viaggio di andata e ritorno. Si chiedeva che cosa le sfuggisse, e senza ammetterlo si domandava come fosse possibile che, in quel finale di giornata, la sua rivale sembrasse ancora più bella del solito.
Lina non capiva molto bene, ma era certa che qualcosa c’era, e andava oltre le opinioni spezzate che i due si scambiavano sulla presunta inesistenza del tesoro perduto, discussione dalla quale per altro lei non veniva assolutamente esclusa, data la gentilezza del guerriero che la interpellava frequentemente, lodando poi l’indubbia intelligenza che Lina mostrava.
La luce dorata del tramonto faceva brillare gli occhi del guerriero di luce riflessa, e anche se non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva e forse neanche a se stessa, Lina era sicura che in quel momento Naga, sotto quel riflesso, somigliasse sempre di più ad una qualche dea pagana di qualche antico culto straniero dimenticato.
Alla taverna dove si aspettavano gli improvvisati salvatori, nonostante fosse un normale giorno della settimana, sembravano tutti pronti per una festa. La curiosità di vedere facce nuove si mescolava alla gratitudine per l’eroico gesto, e le donne del villaggio alternavano ai laboriosi gesti di preparazione di quello che poteva essere considerato a tutti gli effetti un banchetto  languide occhiate rivolte a beneficio dello straniero dagli occhi di giada.
Quando le più giovani riuscirono a tirare in disparte la componente femminile del momentaneo trio, ovviamente chiesero descrizioni dettagliate su come il guerriero si fosse comportato in battaglia, ma non capendone molto di armi o incantesimi, furono ben presto più interessate ad altri più leggeri argomenti.
Si raccontava che fosse sopravvissuto a bestie immonde con la sola forza delle sue braccia, che avesse scalato le montagne più alte, e tutta la serie di vicende più o meno credibili che accompagnano un guerriero dalla provenienza misteriosa. Poi,  dato che era veramente molto bello, si raccontava anche che avesse conosciuto donne meravigliose, lasciandosi dietro uno strascico di cuori infranti, ma mai disonestamente calpestati.
“Sapete”, disse poi una di loro, “si dice che pure parecchie principesse si siano innamorate di lui”.
Lina stava per risponderle con una frase che esprimeva tutto il suo disinteressamento alla cosa, ma le sue intenzioni furono interrotte da uno scoppio di risa ovviamente sempre molto poco discreto della sua compagna di viaggio, ma decisamente più modulato del solito.
“Ma davvero?” riprese poi il discorso la maga del Serpente Bianco, proprio quando l’oggetto della discussione, richiamato da quel qualcosa che Lina non capiva, abbandonò gli uomini con i quali chiacchierava per sedersi al suo fianco, e Lina si accorse che Naga aveva usato un tono di voce volutamente alto per incuriosire il nuovo uditore, che ovviamente chiese cosa ci fosse di così divertente nella conversazione.
“Pensa un po’! Mi hanno appena detto” continuò Naga “che sei riuscito, niente di meno, a far perdere la testa pure a parecchie principesse!”
Lo sconosciuto rise, e la ragazza del villaggio che aveva rivelato il segreto balbettò qualcosa di intellegibile per nascondere l’imbarazzo.
“Chi lo dice?”
“Lo dicono e basta”.
“Non lo credi possibile?”
Naga sorrise. “Mi tengo il beneficio del dubbio”.
“Per quanto tempo?”
“Per ora”.
Altre risate. Lina si chiedeva ancora cosa stava succedendo,  le ragazze del villaggio sospiravano, mentre gli occhi di tutte andavo dallo sconosciuto alla bellezza maestosa da dea pagana di Naga del Serpente Bianco.
Arrivarono le portate, e le maghe onorarono la tavola come al solito. Lo straniero si riservò il piacere di versare lui stesso il vino per le due commensali, tutte le volte che il loro bicchiere si svuotava.
Anche il suo si svuotò un paio di volte, e quando Naga che gli stava accanto ricambiò la galanteria a Lina quasi cadde la mascella sul piatto, specie quando sentì la domanda che accompagnò l’incredibile gesto:  
“Questo, e poi basta?”
 “Per ora”, rispose il guerriero, e Lina giurò che aveva usato lo stesso tono che aveva colorato le parole di Naga quando aveva usato la stessa espressione. Le girava la testa, e non  a causa del vino.
Il suono delle chiacchiere copriva qualsiasi altro rumore. A Lina arrivavano domande da tutte le parti, per cui era difficile seguire lo scambio di parole tra Naga e il guerriero.
“Da dove vieni?”
“Vuoi sapere troppo, tu”.
“Va bene, allora lo chiedo a lei”.
“Non lo sa.”
“No?”
“No.”
“Non ci credo!”
“è così.”
“Comunque, qualsiasi sia la tua provenienza, quanti uomini piangono la tua assenza?”
Naga non rispose subito “Nessuno. Non in quel senso.”
“Io mi tengo il beneficio del dubbio”
“Per quanto?”
“Per ora…”
Arrivò il momento in cui la gente iniziava a ritirarsi, e  anche gli occhi di Lina iniziavano a farsi pesanti. Quando però decise che era ora di andare a riposare, si accorse che Naga non era più al suo posto. E non c’era più nemmeno il guerriero. Non era insolito che Naga sparisse, e Lina non si dispiaceva affatto della cosa. Nonostante questo, non riuscì a fare a meno di chiedersi dove la sua rivale avrebbe passato la notte. Poi si accorse che, volendo essere sincera con se stessa, si stava interrogando in realtà sul come l’avrebbe trascorsa. Cercò di azzerare giudizi e pensieri, e le preoccupazioni, non sapendo bene se doveva augurare alla rivale di divertirsi più che poteva, o di stare il più attenta possibile.
Il mattino dopo Lina si sedette al tavolo che aveva occupato la sera prima, in attesa della colazione. Non passarono più di dieci minuti, che Naga oltrepassò la soglia della taverna.
Lina provò ad esaminarne il passo, ma Naga procedeva con la sua solita falcata sicura. Poi, la maga-genio si diede della stupida: si sentiva proprio come una comare di paese.
Forse, in certe cose, lo era ancora un po’.
Camminavano una accanto all’altra in assoluto silenzio nel quale  Lina coltivava, suo malgrado , una curiosità da bambina: si accorse che ora che era giorno avrebbe voluto fare a Naga un centinaio di domande.
 Ma proprio come i bambini, veniva bloccata da un persistente senso di vergogna e dall’incapacità di dare contorni definiti all’argomento in questione. Poi prese inutilmente fiato.
“Non chiedermi niente, Lina Inverse.”
La frase secca della sua compagna di viaggio bloccò la voce di Lina e le fece portare la testa indietro, colpita dallo stupore del fatto che la sua rivale le avesse perfettamente letto il pensiero.
Si fermarono.
Naga abbassò lo sguardo per puntare direttamente l’azzurro dei suoi occhi sulla faccia della maga più piccola, e sembrava studiarla come la vedesse per la prima volta. Poi continuò:
“Certe cose, ognuno le vive come vuole. Almeno, io la penso così. Dico, almeno per ora. Poi si vedrà. Tu, io credo, avrai un destino un po’ diverso.”
La donna con aria di saggezza che le stava di fronte era Naga?
“E poi un giorno, Lina Inverse, ci racconteremo di cosa sia l’amore, e di come sopra ogni cosa, ci spinga alla vita. O alla morte.”.
Per la seconda volta in poco tempo, Naga era riuscita a far cadere dallo stupore la mascella della sua rivale. Ma le ultime parole, la maga del Serpente bianco le aveva pronunciate di spalle e sottovoce forse dimenticando, o forse no, che l’udito della sua compagna di viaggio era abbastanza fine da coglierle. Per cui, Lina rimase in silenzio, chiedendosi ancora se era effettivamente quella che aveva di fronte era Naga o una sua copia perfettamente riuscita. In fondo, era anche possibile che lo fosse.
“Per il resto…”
E Naga lanciò al mondo un sorriso arrogante, e con un gesto rapido della mano portò indietro la fodera del mantello.
“Il tipo sapeva il fatto suo. È stato divertente. Ma io, in un immaginario scambio di genere, sarei stata  decisamente più brava.”
Sì, quella era Naga. E lo sguardo che rivolgeva al mondo era forse solo il suo modo di combattere la morte.
 
Il prato era così bello che sarebbe stato sicuramente un peccato troppo grave non approfittarne per sdraiarsi. E poi, era dovuto a tutte le persone giovani di godere di un po’ di sole.
Lina portava lo sguardo dalla distesa erbosa al cielo, alla punta delle sue scarpe e poi al volo di un insetto, godendosi quell’incredibile sensazione che si prova quando i muscoli sembrano sciogliersi.
Poi, i suoi occhi furono attratti dallo splendore lucente della chioma che le stava di fronte.
 Gourry aveva lo sguardo perso nel vuoto di chi riflette profondamente. Lina era troppo intenta a non lasciarsi sfuggire la sensazione di rilassamento per rovinarla aprendo la bocca. Iniziava a chiedersi  svogliatamente come era possibile che i suoi capelli riflettessero in quel modo la luce, ma i suoi pensieri furono interrotti dalla consapevolezza che c’era qualcosa di molto più grande di un insetto si stava muovendo accanto a lei.
Era Amelia che, senza una parola, abbandonava la quiete della sua posizione sdraiata. Lina osservò che prima di mettersi a passeggiare senza meta per il prato, aveva aperto e richiuso più volte le dita della mano: se conosceva bene la sua amica, voleva dire che si era alzata per combattere l’unico nemico che non poteva prendere a pugni, qualche vago sentimento di tristezza che in genere Amelia lottava con una qualsiasi forma di esercizio fisico e di irrequietezza.
Lina la guardò per qualche secondo, poi fu risucchiata nuovamente nell’ipnosi di quel tardo pomeriggio, che però sembrava irrimediabilmente perduta, nonostante l’insolito silenzio che il gruppo si godeva: Amelia aveva rotto l’immobilità di tutti, e ora la chioma di Gourry non era più visibile perché si era completamente sdraiato sull’erba.
 La mente di Lina era comunque ancora libera di ripescare da angoli remoti pensieri anche non congruenti con la situazione.
E poi un giorno, Lina Inverse, ci racconteremo di cosa sia l’amore, e di come sopra ogni cosa, ci spinga alla vita. O alla morte.
I muscoli che sentiva come sciolti si fecero sentire all’improvviso quando fu attraversa come da una specie di scarica elettrica: forse il sole si stava facendo troppo forte, e ora le dava alla testa, perché non c’era nessun bisogno né nessun motivo di ricordare la voce di Naga, specie se contenevano quel messaggio.
Gourry le puntò l’azzurro dei suoi occhi dritto in faccia. Lina non si era in realtà né mossa né aveva parlato: ma lui aveva percepito il suo cambiamento. Di cosa sia l’amore… No, lei era sicura di non  saperne ancora parlare.
Si concentrò perciò sulla figura di Amelia, molto più neutra per lei, per poi vederla improvvisamente inghiottita dall’erba alta del prato.
Zelgadiss passò improvvisamente dal solito atteggiamento di profonda concentrazione  che accompagnava la grazia dei loro momenti di silenzio ad uno stato allarmato. Il tintinnare della sua spada non coprì il flebile suono delle due parole che tutti avevano formulato nelle loro menti, con uno stretto “è caduta!” che gli scappò dalla bocca, subito prima che si allontanasse in direzione della scomparsa Amelia.
 Di come sopra ogni cosa, ci spinga alla vita… No, lei era sicura che niente stava avvenendo nell’equilibrio del suo gruppo.
Per cui, incrociò le braccia ed esclamò un deciso “Al solito!”. Il suono della sua voce la rincuorò.
Ma Amelia e Zelgadiss non rispuntavano. O alla morte.
“Gourry, ma…”
“Lina! Gourry! Venite! C’è una porta, un passaggio…”
Una porta in un prato, una nuova esperienza. Eppure, mentre andava incontro alla probabile nuova avventura, Lina non poteva togliersi dalla mente l’idea che effettivamente non le sarebbe dispiaciuto rincontrare Naga per farle finalmente delle domande di cui ancora non era sicura.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Drammatica illusione. ***


 “Zelgadiss…c’è…c’è una cosa che vorrei chiederti da tanto tempo…nonostante il tuo corpo sia…insomma…”
Dall’altro lato della stanza, Lina Inverse tirò per i capelli la sua autoproclamata guardia del corpo.
“Dai che ci siamo, Gourry! Prendi i pop corn che sta sera ci godiamo lo spettacolo che aspettavamo da tempo!”
Gourry, ovviamente, non poteva che rispondere:
“Lina…non ho capito bene…cosa aspettavamo, noi?!”
“Immaginavo! Ti spiego…Guarda quei due! Amelia ha assunto un colorito rosso-ciliegia e fissa la punta delle scarpe mentre si è languidamente appoggiata al muro! Forza, che ci godiamo una scena romance coi fiocchi!”
Ovviamente, Gourry continuava a non capire.
Zelgadiss pensò che aveva due possibilità: girare le spalle e andarsene, o rimanere ad ascoltare quanto Amelia stava per chiedergli. Perché con quello sguardo imbarazzato e audace allo stesso tempo, e dopo avere menzionato le parole “nonostante” e “corpo” nella stessa frase, Amelia non poteva che chiedergli solo una cosa…automaticamente, si passò una mano fra i capelli.
E decise di restare.
Alle probabili conseguenze di quello che poteva seguire alla richiesta della principessina, ci avrebbe pensato dopo.
La mattina dopo, possibilmente.
 “Guarda quello, fa lo splendido! No, non ci credo…forza Zel, come nelle migliori tradizioni, questo è il momento per…spararsi una posa da modello! (Gourry piano con i pop corn, sono miei!), ma…ma che delusione, Zel! che banalità appoggiare la mano al muro in quel modo…che risate, si dà le arie ma si vede anche da qui che gli tremano le gambe, guarda Gourry!”
E fu la volta buona che Gourry posò i pop corn e, anche se in fondo si sentiva un po’ in colpa nel trovare divertente la scena che evidentemente rappresentava un momento importante per i suoi amici (si sarebbe poi fatto spiegare bene dopo), rise lo stesso…perché, nonostante le avesse incrociate, era evidente che a Zelgadiss le gambe tremavano veramente. Lina non aveva usato l’espressione in senso metaforico.
Zelgadiss rimase in perfetto e assoluto silenzio ma Amelia, che lo conosceva bene, sapeva che questo voleva dire che sì, poteva continuare a parlare, il suo amico l’avrebbe ascoltata. Data la delicatezza della domanda che stava per fargli nel mezzo del chiasso di una locanda a ora di cena, decise che era meglio avvicinarsi di un altro passo alla chimera, e di sollevare lo sguardo dalla punta delle scarpe ai suoi occhi. Poi, proprio per essere sicura che nessuno la sentisse, pensò di accostare la bocca a una delle lunghe orecchie del suo amico, e di metterci una mano davanti.
“Noooo, Amelia, che guasta feste! Così mi rovini il divertimento! E poi, suvvia, che razza di postura! Una principessa dovrebbe sapere che certe cose si dicono atteggiandosi in un certo modo, e non come un bambino che racconta la marachella al fratello! Ehi tu! Ehi, amico! Sì, dico a te! Ti pare questo il modo di piazzarti davanti i miei occhi? Sto osservando un momento delicato! Non ti sposti? Gourry, dagli un calcio!”
“Ma Lina…”
“Lo faccio io, contento? Che mi sono persa…ma tu guarda…che hanno mangiato quei due sta sera? Si è preso di coraggio, le ha posato una mano sul fianco! Che ingegnoso, mal che vada può sempre giustificare il gesto dicendo che stava solo aiutando Amelia a mantenere l’equilibrio…”
“Sta per caso parlando la regina delle inventrici di scuse che servono a mascherare i sentimenti?”
“Sì, no, che dico…cretino! Ehi, ma hai partorito una frase lunghissima! e…Zitto,zitto, che siamo al momento clou!”
“Zelgadiss... tu…”
E qui, proprio perché gli stava mancando l’aria dai polmoni e sentiva che le orecchie gli andavano a fuoco, Zelgadiss decise di spingersi oltre tutti i suoi limiti e di girare la testa in modo che la sua voce finisse dritta dritta nell’orecchio della principessa. Il fatto che ora si trovasse veramente vicino ad Amelia lo costrinse ad appoggiare maggiormente il suo peso al muro, ma ignorando la protesta proveniente dalle sue gambe che minacciavano uno sciopero generale con conseguente afflosciamento su se stesso, Zelgadiss raccolse buona parte delle sue energie (l’altra parte decise che era meglio metterla da parte per l’eventuale risposta e…e basta, Zelgadiss tentò di non pensarci) e rispose un secco “dimmi!” (che doveva suonare con il tono più basso che riusciva a produrre, ma che risultò così strozzato che l’ottimo udito di Lina ne colse la sfumatura e le fece esclamare “che c’è, gli ha dato una gomitata nello stomaco?”).
Amelia sembrò in preda ad un repentino ripensamento, si stacco dall’orecchio di Zelgadiss (e non cade solo perché c’era  a pararla il braccio dell’amico: a ri-conferma che Lina Inverse era un genio, sempre), ed eslamò:
“Oh, Zelgadiss! forse non dovrei…forse questo non è il momento adatto…forse non è giusto…è una cosa così…intima!”
“Magnifico, Amelia, magnifico! Con una mano sulla bocca e l’altra sul cuore recuperi tutto il pathos del momento! E daiii!”
“Lina, se alzi ancora la voce ti sentiranno pure da là sotto!”
“Vero, vero! non interrompiamoli…”
E l’ultima frase, più che per se stessa, la maga-genio l’aveva pronunciata a beneficio del capannello di giovani sospiranti che si erano unite a lei felici di avere avuto la possibilità, nella vita, di assistere ad una scena del genere “la principessa, lo strano tipo e la forza dell’amore”.
Perfetto, ora era assolutamente necessario parlare. Quali erano le parole giuste per farle capire che poteva continuare senza sembrare impaziente?
“Amelia…”
“E che palle! Ma sa dire solo “Amelia, Amelia”? Zelllll, noi vogliamo l’azione, giusto ragazze?! Annuite silenziosamente o ci sentono!”
Coro di silenziose asserzioni.
“Lina…”
“Eccolo, l’altro con la passione per il vocativo!”
Coro di silenzioso “non ci siamo”.
“Voca-che?”
“Puoi chiedermelo, davvero.”
“Zelgadiss…nonostante tu sia una chimera…tu puoi…cioè tu…riesci a…”
Senza neanche volerlo, al gesto della mano di Amelia che tracciava dei segni circolari nell’aria nel tentativo di trovare le parole per esprimere al meglio il concetto, Zelgadiss rispose con un sorriso così malizioso che sarebbe bastato a rispondere da solo, se la principessa fosse stata un po’ meno ingenua. Ad ogni modo, accompagnando la frase con un cambio di appoggio d’equilibrio da una gamba all’altra (e questo, sempre per scongiurare il pericolo di franarle addosso), utilizzando un po’ del quantitativo di energia messa da parte precedentemente, la chimera pensò bene di incoraggiare la ragazza che gli stava di fronte spostando il busto ancora un po’ più in avanti. Pensò anche che in quel momento avrebbe potuto pronunciare una frase del tipo “tu che idea ti sei fatta al riguardo, piccola?” o roba del genere, ma…Amelia, in fondo, era pur sempre una principessa, e non era appropriato spingersi così in avanti…
“Uhhhhh, che emozione, le cose si fanno interessanti! Ma che aspetti messo lì come un salame, Zel! Agisci! Che ne so, potre…”
Lina non ebbe il tempo di finire la frase perché Amelia ruppe gli indugi, prese un respiro, si piazzò proprio sotto il naso di Zelgadiss e pronunciò la frase finale. Giusto in quel momento, una sventurata cameriera passò davanti gli occhi di Lina, che quando riebbe la vista libera (con conseguente messa a K.O. della povera cameriera) si trovò di fronte ad un finale molto diverso da quello che si aspettava.
Amelia era infatti sparita e Zelgadiss aveva appena dato una testata a muro lasciando come ricordo ai gestori della locanda un piccolo e grazioso cratere decorato qua e là da tre o quattro dei suoi capelli. Il tutto senza dimenticare di lanciare un elegante complimento alla cara memoria di Rezo.
…………………………………………………………………………………………
 
“Zelgadiss, tu… non che tu non lo sia, normale, dico…insomma, tu puoi…tu VAI IN BAGNO come un…insomma, normalmente?”
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Un passatempo artistico. ***




Capitava molto di rado di vederli così presi da attività a loro non usuali. Però, stava succedendo: in una strana inversione di ruoli, Gourry rifletteva mentre Zelgadiss ronfava (e anche sonoramente) comodamente appoggiato su un tronco.
“Che sta succedendo qui? Il mondo si è capovolto?”
A rompere il silenzio di quella situazione bizzarra fu la voce di Lina, che arrivava, fresca di bagno, da un ruscello vicino, dove aveva lasciato Amelia ancora a sguazzare.
“Eh?”
“D’accordo, tutto normale. Cosa è questo?”
“Lascialo stare, Lina! è caduto dalla borsa di Zel e non è giusto…”
Un ragionamento impeccabile, che suggeriva il comportamento più giusto da tenere. Amelia sarebbe stata fiera delle parole del suo amico spadaccino. Ma per Lina, quel taccuino dai fogli grandi costituiva una tentazione troppo grande…
“Solo una sbirciatina…”
“No!”
“Dai!...Ops, si è aperto accidentalmente…”
“E noi non…oooh!”
Esclamazione di vero stupore. Il foglio apertosi accidentalmente rivelava un accurato ritratto di Lina in piena fase “lancio di un Dragon Slave”.
“Ma guarda un po’…”
E, girando girando (sempre accidentalmente) tutti gli altri fogli, le sorprese sembravano non finire:
“Guarda, qua ci sei tu…oh, c’è pure Sylphil che prega, ma che disegno è? Di nuovo io…e niente di meno che il principe Philionel in persona, che bravo, è riuscito a disegnarlo brutto per come è veramente! Guarda, c’è pure Xellos nella sua posa migliore…oh, quanto sembri epico qui, Gourry, dovresti fartelo regalare questo ritratto, davvero! Ehi…io non sono così quando mi arrabbio, giusto? Giusto?!”
Nessuna risposta, qualche altro commento e i fogli da girare casualmente erano finiti, dopo che davanti agli occhi di Lina e Gourry passarono amici e nemici impegnati in situazioni che avevano vissuto, ritratti in modo più o meno fedele.
“Bene, adesso lo possiamo posare…”
E con la lentezza necessaria per non svegliare l’amico artista che dormiva, Lina si accinse a riporre il blocco di fogli da dove era caduto.
“Ehi, aspetta!”
“Che c’è, Lina?”
“Non lo trovi strano?”
“Che cosa?”
“Ma come che cosa! Non manca qualcuno nei disegni che abbiamo appena visto?”
“Chi?”
“Ma come chi? Amelia! Non era ritratta in nessuno dei fogli che abbiamo visto!”
“Ora che ci penso, hai ragione…ma forse c’è in qualcuno dei disegni di quell’altro blocco”.
E con tutta naturalezza, Gourry indicò la punta di un taccuino che evidentemente Zelgadiss doveva tenere nascosto sotto il primo, perché con l’apertura accidentale della sua borsa questo secondo blocco non era caduto a terra.
“Lina, questo però non lo prendiamo…”
Ma Lina aveva un dubbio prepotente da soddisfare, e anche se sapeva di non doverlo fare, afferrò la punta del taccuino che sporgeva dalla borsa e lentamente, sempre evitando di fare rumore, si rimise a sedere per iniziare a sfogliare (sempre casualmente, c’era un vento incredibile quel giorno, roba da non credersi!) i nuovi disegni.
La previsione di Gourry non si rivelò completamente esatta: Amelia non era presente in qualcuno dei disegni del secondo taccuino.
Amelia era la protagonista assoluta di ogni centimetro di quei fogli: Amelia che sorrideva, Amelia che dormiva, Amelia in combattimento, Amelia ritratta in ognuna delle sue innumerevoli pose da eroina della giustizia, Amelia con il costume di Otome no-inori, Amelia sul trono di Saillone con tanto di corona, Amelia con un sacco di rose attorno, Amelia…
“Non avrà esagerato? Sì, insomma…oh, guarda questo, sarà una sua fantasia nascosta, perché non credo che Amelia si sia mai vestita da cameriera!”
“Manca l’ultimo!”
E siccome, data la posizione, gli occhi di Lina arrivavano prima di quelli di Gourry…
“NO, GOURRY, NO! Questo non lo puoi vedere!”
La famigerata pagina abbandonò le sue compagne di taccuino con uno strappo accidentale e nervoso, morendo di morte infame sulla mano di Lina Inverse.
“Che sta succedendo qui? E che ci fate con quel coso in mano?!”
“Ehm…ben svegliato, Zel…”
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** La somiglianza ***


L’aveva vista, nel tempo, assumere una marea di pose. L’aveva vista, sempre nel corso del tempo, in (quasi) tutte le situazioni possibili, e in tutte le ore  del giorno (e della notte). E quindi, sicuramente, chissà quante altre volte l’aveva già vista con quella particolare espressione dipinta sul viso. Eppure, chissà per quale strano motivo, si stava facendo spazio nella mente di Lina l’idea che Amelia somigliasse, e molto, a qualcuno. E non si trattava di una semplice comunanza di uno o due tratti, ma di una somiglianza vera e propria.
 I problemi, a questo punto, erano due: riuscire a capire bene chi Amelia le ricordasse, e perché in quel momento aveva uno strano desiderio di sganciare un pugno del tutto immotivato alla sua inconsapevole amica, che continuava, ignara di tutto, a blaterare su qualcosa che per Lina aveva perso di interesse, concentrata come era nel suo intento di ricordare.
Poi, alla risposta negativa che Lina diede all’amica che le chiedeva se stesse seguendo il suo discorso, Amelia sgranò gli occhi e tentò un adorabile broncio da bambina offesa che spazzò via, immediata come era arrivata, l’impressione di somiglianza che Lina aveva avuto. Amelia era Amelia, e in definitiva, non somigliava a nessuno.
E successe di nuovo, e diverse volte. Fulminea e accompagnata dall’impossibilità di riuscire a capire a chi esattamente somigliasse, e a quella tenace voglia di sganciare un immotivato pugno all’amica, si ripresentò nella mente di Lina l’ impressione prepotente che Amelia somigliasse a qualcuno.
Poteva capitare in qualsiasi istante: mentre Amelia si lavava i denti, mentre leggeva qualcosa, mentre rifaceva il letto o mentre mangiava, insomma in qualsiasi momento.
Tuttavia quell’impressione andava via sempre velocemente proprio come arrivava, e bastava un cambio d’espressione della principessa perché Lina dimenticasse in una frazione di secondo di interrogarsi chi aveva  fattezze simili a quelle di Amelia.
Tranne quel giorno, durante il quale l’immotivato dubbio non voleva proprio abbandonare la strato più nascosto e silente della coscienza della maga-genio.
E dire che si stavano divertendo un mondo!
Lina era stanca di sudore e polvere, per cui aveva deciso di abbandonare mantello e pensieri e di immergersi metaforicamente nel rilassamento e fisicamente nell’acqua tiepida di un laghetto trovato a caso.
La componente maschile del gruppo si era dunque allontanata per giusta causa vista l’impossibilità di Lina di usufruire di un costume da bagno, e l’unica ammessa a condividere con lei l’angolo di paradiso fortuito era Amelia, principalmente perché apparteneva al genere femminile, e secondariamente perché (pur non ammettendolo) Lina trovava che in quel frangente il piacere di sostenere una conversazione leggera avrebbe potuto perfezionare la grazia del momento.
Eppure, seguire le parole di Amelia era difficile. Non perché la principessa stesse illustrando qualcosa di complicato, dato il tono della situazione, ma perché da quando si era immersa in biancheria intima nelle acque del laghetto si era, appunto, ripresentata sulla soglia della coscienza di Lina quell’impressione di somiglianza.
Trascorso il periodo di tempo imprecisato che era necessario affinché la pelle dei polpastrelli delle due ragazze si raggrinzisse per l’acqua, a Lina venne fame. Per cui, uscite, asciugate e rivestite che furono, e richiamata la parte maschile del gruppo, fino a quel momento brutalmente abbandonata al sole, ma doverosamente salvata da morte per fame dal senso di giustizia di Amelia che neanche un pomeriggio intero in acqua riusciva a placare, si concessero tutti una sorta di merenda rafforzata .
I discorsi iniziati durante l’immersione non potevano però annegare nella confusione tipica di un pasto condiviso con la sua guardia del corpo: e così Lina riuscì a ritagliarsi un angolo di prato adibito a provvisoria tavola da spartire esclusivamente con Amelia e con la continuazione delle loro inutili e rilassanti ciarle sulle avventurose situazioni sentimentali di qualche sconosciuta collega di rango della principessa di Saillone, e su false quanto imprecise teorie semi-scientifiche su effetti benefici sulla bellezza umana di una o di quell’altra pianta.
 Capendo che si trattava di uno di quei pomeriggi in cui anche le più intelligenti delle appartenenti al genere femminile hanno bisogno di sciogliere le tensioni della vita quotidiana in una soluzione fatta di chiacchiere su come sistemare le sopracciglia o rendere più luminosa la pelle, la componente maschile del gruppo rispettò gli immaginari confini dell’angolo delle compagne di viaggio, senza poter comunque astenersi dal pensare e commentare con frasi spezzate che preoccuparsi tanto dell’arcata sopraccigliare era forse distensivo, ma ad ogni modo un enorme spreco di fiato.
Fra i cibi che costituivano il menu dell’improvvisato banchetto troneggiava un grazioso pacchetto di un vivace color rosso, il cui contenuto rivelava un assortimento finissimo di deliziosi confetti che erano stati donati alle due giovani, come ricompensa per l’azione di Amelia che aveva scacciato via con un incantesimo un inesistente fantasma che funestava la sua casa, da un paonazzo e non proprio sano di mente pasticcere dell’ultimo villaggio che la compagine di Lina Inverse aveva visitato.
Il villaggio in questione era famoso per la sua rinomata produzione di quei piccoli dolciumi, famoso tanto quanto la golosità della maga-genio: ma il caso voleva che anche il gusto di Amelia fosse particolarmente incline a gradire i confetti, e in un impeto di spavalda scherzosità la principessa, costatato il fatto oggettivo di essere stata fra le due quella che aveva ingurgitato in un lasso di tempo brevissimo il numero maggiore di confetti disse, riferendosi al fatto:
“Visto? potrei essere io la tua  unica rivale in questo”.
 Al suono di quelle due parole, e al vedere lo sguardo malizioso che l’avevano accompagnate, un nome inconfondibile  si affacciò nel cervello di Lina, squarciando per un momento le nebbie che avvolgevano la sensazione latente sulla presunta somiglianza di Amelia.
 Quasi contemporaneamente, il pugno destro di Lina finì  sul viso Amelia, provocando un impatto feroce in un luogo non ben precisato fra il naso e le labbra.
Ad ogni azione corrisponde una reazione: immediatamente, perché presa alla sprovvista, Amelia sbalzò all’indietro provocando uno spostamento d’aria non indifferente, che strappò alle ciarle rilassate sull’importanza di una buona impugnatura in ogni arma da taglio che si rispetti la componente maschile del gruppo, accorsa sul posto dell’atterraggio dell’ignara vittima di tanta immotivata furia.
Ma come Lina tentava di dire, un po’ come strano modo di scusarsi, un po’ perché era vero, bisognava ricordare che Amelia nascondeva sotto l’aspetto di un’eterna bambina la fibra forte con la quale suo padre e sua madre, la sua vita e i suoi ideali l’avevano impastata, per cui un pugno o due non avrebbero sicuramente provocato danni degni di nota sul suo bel viso.
A parte una leggera epistassi dovuta alla circostanza, effettivamente Amelia non aveva subito nessun forte trauma dal gesto inconsulto della sua amica: per cui si liberò presto dall’attento esame a cui era sottoposta dallo sguardo preoccupato dei suoi amici, per afferrare le spalle della maga-genio con una presa sicura.
I muscoli delle braccia di Amelia guizzarono all’atto, e sinceramente Lina provò, per una frazione di secondo, un leggero senso di timore: la fibra forte di Amelia era anche frutto di anni di lungo allenamento fisico, in fondo.
Ma Amelia non aveva nessuna intenzione di rivalersi.
Semplicemente, puntò dritto negli occhi di Lina uno sguardo blu di sincero stupore e dispiacere, mentre dalla sua bocca uscivano accorate parole che interrogavano l’amica sul perché di quel gesto: in sintesi estrema, il fiume verbale che si abbatté su Lina spiegava che Amelia si era arrabbiata per il pugno, certo, ma poi, sapendo con certezza che la sua amica non era pazza, si chiedeva se il gesto violento a lei rivolto era frutto di un’involontaria ferita che aveva provocato nell’animo della compagna di viaggio.
Poi, però, Amelia rifletté bene (e a voce alta) sul fatto che non aveva veramente fatto nulla per meritarsi tale violenza, e già che era in posizione, diede comunque una non proprio amichevole scrollata alla maga-genio, gesto che rimise in agitazione grandissima la componente maschile del gruppo, e in particolare la componente chimerica, che aveva il terrore infondato che quello fosse il giorno in cui  il destino aveva voluto che il grazioso setto nasale della sua amica fosse definitivamente distrutto: e, oltre al danno la beffa, il segno fisico che temeva non sarebbe stato di certo effige di un giorno in cui si ricordavano battaglie con demoni feroci, ma una banale lite dettata da un attacco funesto e repentino d’isteria.
Ma, con buona pace di tutti, il setto nasale di Amelia sarebbe rimasto dritto, perché fu salvato dal tentativo dello strato più nascosto della coscienza di Lina di convincerla che la sua era stata un’idea assurda.
Amelia era bella.
Non come lei, però.
Amelia non era, e non sarebbe mai stata, come Naga.
Amelia, in definitiva, non somigliava a nessuno.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** La conferma. ***


Lo aspettava in quella galleria.
E il fatto di sapere che quel luogo era ormai considerato molto più che privato lo faceva sentire nervoso.
I ritratti che avrebbe da lì a poco visto non venivano più mostrati da tempo ai sempre numerosi ed importanti ospiti che ogni giorno arrivavano al castello.
Per smorzare quell’inutile tensione, Zelgadiss pensò che poteva anche crogiolarsi nella speranza tutto sommato plausibile che la galleria fosse chiusa agli estranei perché lì avevano raccolto i ritratti dei membri più brutti della stirpe.
Non era poi un’idea così priva di fondamento: Philionell era la prova vivente che la casata reale di Saillone non sempre sfornava rampolli di bell’aspetto.
Ma nonostante tutti i tentativi di divagazione, Zelgadiss sapeva perfettamente che se la porta di quella galleria rimaneva ormai perennemente chiusa non era certo per motivazioni vagamente legate a valutazioni estetiche.
Le sue ipotesi vennero confermate immediatamente: il primo quadro che si incontrava entrando ritraeva l’immagine dipinta di una donna adulta, seduta su di una poltrona, di una bambina dai capelli lunghi e neri appoggiata alla donna, e di una neonata su una culletta.
E già da lontano, si percepiva chiaramente che la donna in questione non era stata per niente brutta.
L’uso del passato era d’obbligo… A Zelgadiss mancò per un istante il fiato.
Il ritratto non era molto grande: avrebbe dovuto avvicinarsi per scrutare il viso della donna.
Ma Zelgadiss non si decideva ad avvicinarsi. E non sapeva perché.
Provava una sorta di…timore reverenziale.
Amelia non aveva mai veramente parlato di sua madre. Di sua sorella sapevano qualcosa in più, ma erano notizie sempre molto aleatorie. Da quello che sapeva, Amelia non si era mai neanche particolarmente sbottonata neanche con Lina.
Non aveva mai nemmeno decritto fisicamente la madre: qualche volta, ma sempre per scherzo, Lina aveva buttato giù una o due battute sul fatto che doveva essere stata una gran bella donna, dato che il visino di Amelia (e la leggendaria bellezza della sconosciuta primogenita) non erano certamente frutto dell’eredità paterna.  
E ora lui si trovava nella galleria in cui erano raccolti tutti i ritratti della donna.
Era un po’ come una presentazione ufficiale.
C’erano altri due soggetti nel ritratto. Anche per curiosità, avrebbe potuto distrarsi concentrandosi sulla neonata.
Zelgadiss finalmente sorrise. Quell’involucro fasciato fra diverse copertine era sicuramente Amelia, in una versione ancora incapace di pronunciare la parola “giustizia”.
Che stupidaggine vergognarsi di un’immagine dipinta.
Per cui, stava già per fare un passo in avanti, quando fu bloccato da un tocco deciso sulla spalla.
Siccome non se l’aspettava, Zelgadiss rimbalzò letteralmente su se stesso.
Fortunatamente, il gigante alle sue spalle fece finta di niente.
“Hai visto? In quel ritratto Amelia non aveva ancora una settimana. All’inizio mia moglie non amava per niente posare per i ritratti, si innervosiva a stare ferma e non capiva perché entrando a far parte di una famiglia reale fossero necessari tutti quei dipinti…poi però quando sono nate le bambine è cambiato tutto…bambine…la mia prima figlia è più alta di te, e per me è ancora una bambina… ma comunque non è il caso di fare questi discorsi…”
 Philionell si era immerso  in quel torrente di parole mentre percorreva la galleria a lunghi passi, aveva un tono leggero, ma molto più serio rispetto a tante altre volte.
All’imbarazzo si aggiungeva per Zelgadiss altro imbarazzo: non solo si trovava in un luogo “proibito” ai più, ma stava anche condividendo quello che aveva capito essere un momento di intimità che il principe riservava a se stesso.
Forse neanche Amelia partecipava alle passeggiate in quella galleria.
Perché lui, perché lì?
Poi, Philionell si fermò proprio al centro del corridoio: al muro era appeso, circondato da un intreccio di rose freschissime (e questo confermava la diceria che serpeggiava fra la servitù, secondo la quale solo una vecchia e fedelissima cameriera era autorizzata ad entrare per occuparsi dell’ambiente, che effettivamente risultava perfettamente pulito) un ritratto gigantesco della principessa reggente.
“Questo è il vero, primo ritratto ufficiale. Gracia non era ancora nata quando è stato fatto. Amelia l’avrà certamente visto, prima era appeso nella stanza principale con gli altri…ma forse non se lo ricorda neanche. Non è comune che in un ritratto ufficiale i membri della famiglia reale vengano disegnati con questo sorriso…ma il pittore, sue precise parole, non poteva ignorarlo. Io l’ho amato da subito. Quello che adesso si trova nella galleria ufficiale non le rende la stessa giustizia”.
E poi il principe Philionell fece silenzio. E fece silenzio pure Zelgadiss, che questa volta non ci pensò neanche un attimo e si avvicinò senza esitazione.
E per un attimo o forse anche due gli mancò il fiato.
La madre di Amelia era stata davvero una donna bellissima. Si poteva scorgere, già solo da quell’immagine, la meraviglia del suo sorriso, la stessa meraviglia trascinante del sorriso di Amelia, unita però a lineamenti più decisi.
Nel ritratto la donna era seduta, ma si capiva che era stata molto alta. Aveva un incarnato chiaro e luminoso: i capelli erano scuri, con quella sfumatura particolare che brillava quasi di viola che viveva anche fra le chiome della figlia.
“Troppo bella per me, vero?”
Zelgadiss fu scosso dal trance dalla voce gioviale di Philionell.
“Cosa? Io non…”
“Suvvia, lo dissero tutti quando la portai a palazzo! Per invidia, per invidia…e non perchè si poteva malignare sul fatto che sposavo una ragazza che non avevo conosciuto a corte… effettivamente, non aveva torto. Lei era troppo bella per me. Troppo bella, forse anche troppo intelligente, insomma…troppo bella, forse, da far invidia pure alla vita.”
Zelgadiss rimbalzò di nuovo su se stesso, e non per la sorpresa: ma perché il carico di dolore delle ultime parole di Philionell fu come una sferzata a freddo.
“ Non era di sangue reale, ma di fronte ad una donna come lei, chi si sarebbe curato di un tale particolare?”
Un particolare. Forse nessun altro principe incoronato avrebbe mai potuto considerare il non appartenere ad una famiglia nobile un semplice particolare.
Philionell era strano, spesso imbarazzante e con una mole non umana. Ma aveva un cuore enorme, dote rara per uno che ricopriva la sua posizione.
“Penso sempre che se ci fosse stata ancora lei…ma suvvia, tu sei un ragazzo, e certi discorsi non sono fatti per i giovani della tua età. Veniamo a noi”.
Zelgadiss si sentì irrigidire.
“Come ben sai, il consiglio ha deciso di mandare Amelia in missione per Ruvinagardo…non possiamo ignorare le richiesta, e poi è di Lina che stiamo parlando…di certo Amelia conosce il suo…come lo hanno chiamato? Ah,  potenziale distruttivo, ma la ama come una sorella… e credo di poter dire con certezza che anche Lina è affezionata a lei. Bene. Amelia non può andare da sola. Non che mia figlia non si sappia difendere, e non ho intenzione di metterle un esercito intero alle spalle, proprio perché l’ho  allenata io personalmente, e so quanto sia forte. Inoltre non conosco la magia, ma penso che se la sappia cavare egregiamente anche come maga…”
Philionell fece una piccola pausa. Zelgadiss capì che voleva una conferma.
 “Sì… Le ho visto lanciare Ra Tilt dalla forza spaventosa”.
Zelgadiss avrebbe anche aggiunto che aveva assistito a sconsiderati attacchi a mani nude, ma preferì tacere.
“Ecco. In buona sostanza, Zelgadiss, ti sto chiedendo se sei disposto a diventare la guardia del corpo di mia figlia”.
In un primo momento, alle parole “guardia del corpo” nella mente di Zelgadiss si materializzò  l’immagine di Gourry sorridente dietro le spalle di Lina.
Un’immagine, per quanto se ne potesse dire, bella e solare. Poi però si guardò intorno: era in una galleria reale, con tanto di stemma.
Ma soprattutto, a riportarlo alla serietà, furono gli sguardi profondamente azzurri di una donna bellissima che sembravano guardarlo veramente, attendendo anche lei una risposta.
Non sarebbe stato come Gourry: non sarebbe stata una guardia del corpo auto-proclamata. Sarebbe stato la guardia del corpo di una principessa incoronata.
Zelgadiss, per un attimo, si sentì profondamente indeciso.
Spostò un poco lo sguardo: c’era, in un ritratto della galleria, uno di medie dimensioni dove c’era raffigurata tutta la famiglia reale.
Il membro più giovane sorrideva sulla ginocchia del padre. Era una piccola principessa reggente, è vero: ma era Amelia.
E poi, un altro pensiero si accese in lui con viva fermezza: l’avrebbe protetta comunque. E non perché era una principessa incoronata: ma perchè era Amelia.
“Si, sono disposto ad essere la guardia del corpo di Am…della principessa, volevo dire”.
Secco, conciso e con un tono formale.
“Bene. Domani mattina ci sarà la nomina ufficiale.”
La nomina ufficiale? Zelgadiss quasi si pentì immediatamente di aver acconsentito. Ma se poco prima Philionell aveva posto una domanda, le ultime parole erano decisamente un ordine.
“Un’altra cosa. Mia figlia non sa niente della mia decisione. La trovi nella solita sala, puoi comunicarlo tu alla principessa, o meglio, come l’hai sempre chiamata, ad  Amelia?”
Zelgadiss annuì, salutò ed uscì. Era chiaro che adesso Philionell voleva restare da solo nella galleria.
 
“Ma…ho sbagliato?”
Non avrebbe mai smesso di chiederle conferma. I suoi occhi erano stati, fin dal primo momento, il suo faro guida.
“Insomma! Io pensavo che…e invece! Che tono formale? Mai visto così ingessato!”.
Piccola pausa. E anche una risatina.
“È un timidone, in fondo.”
Altra piccola pausa.
“Lo hai visto anche tu”.
E Philionell rise di nuovo da solo davanti al primo ritratto ufficiale delle defunta moglie. E forse anche perché non riusciva proprio ad evitare di rivolgerle domande dirette.
“è difficile, sai? È difficile senza te. Gracia è lontana, e Amelia… presto sceglierà la sua strada. O forse l’ha già scelta, ma io mi illudo ancora che lei sia la piccola di casa. Sarebbe stato già difficile allevare due ragazze tranquille, e noi abbiamo due bambine coraggiose…”.
Bambine…Gracia festeggiava quell’anno la stessa età che aveva sua madre quando si era sposata.
E comunque, no.
Philionell non si sentiva assolutamente anormale ad esprimere a voce alta i suoi pensieri dialogando con un quadro.
Avrebbe anche potuto rivolgere i suoi pensieri alla moglie in assoluto silenzio.
Ma non avrebbe mai spesso di rivolgerle domande dirette.
In quella galleria, non c’era spazio per quel fitto e improvviso spillo che ogni tanto gli tormentava il cuore all’improvviso.
Succedeva spesso che lo sentisse: quando era in consiglio, durante le udienze, anche quando cavalcava.
Ma mai quando era là dentro.
Perché là dentro una mano invisibile lo accarezzava sempre, attenuando la solitudine, rasserenandogli l’anima.
Essendo un reggente, non poteva concedersi più che qualche minuto là dentro: ma era più che sufficiente per ricaricarlo.
Perché ricordasse che, anche se a volte aveva la netta sensazione che i minuti si susseguivano inutili uno dietro all’altro, di ragioni per vivere ne aveva ancora tante, prime fra tutte  riabbracciare una splendida giovane donna ormai molto più alta della madre, e bearsi ancora di come un’altra giovane donna sapeva infervorarsi veramente a pronunciare discorsi sulla giustizia.
Anche se quella sera, stranamente, le conferme non arrivavano ancora.
Philionell non aveva dato la vita per la moglie. Ma l’avrebbe fatto mille volte, e mille altre volte ancora. 
Un altro minuto però stava passando, e lo attendevano oltre la porta.
Ancora confuso dalla formalità di Zelgadiss, che pure formale con Amelia non era mai, lasciò la galleria pensando che magari la moglie gli avrebbe risposto in sogno.
Amelia non voleva assolutamente che nessuna cameriera l’assistesse nei primi momenti del risveglio.  
Tuttavia, dato che la vita di corte aveva protocolli che non si potevano ignorare, dopo essersi lavata da sola si faceva vestire e pettinare senza protestare. Ma certi giorni, e questo non poteva contrastarlo, anche quelle semplici accortezze che le erano dovute la facevano ripiombare nel vortice di asfissia che a volte la corte le procurava.
Quando succedeva, stringeva i denti, e si assicurava che comunque presto ci sarebbe stato bisogno impellente di una paladina della giustizia da qualche parte.
Quella mattina, però, lo sguardo insolitamente spento della principessa di Saillone non era frutto di riflessioni sulla mancanza di azione che le mozzava il fiato.
Era tristezza.
Tristezza immotivata, e forse anche sbagliata.
Generalmente Amelia Will Tesla di Saillone non dava mai retta alla tristezza: suo padre aveva fatto di tutto per vaccinarla da piccola contro quel sentimento.
L’aveva vaccinata a fatica, col sudore degli allenamenti e con iniezioni quotidiane di fiducia nei buoni propositi.
Anni di vaccinazione, spazzati via da una silenziosa chimera.
Dato che le due cameriere non la seguivano in bagno, la principessa si concesse di schiaffeggiarsi con finto e melodrammatico vigore la fronte.
In fondo, non c’era nessun motivo per restarci così male. In fondo, non aveva alcun diritto di restarci male.
Nessuno lo aveva sentito, ma quando qualche mese fa, ad un’ora tarda, Zelgadiss si era presentato, silenzioso ed inaspettato, alle porte del suo castello, il cuore aveva iniziato a cantarle nel petto.
L’avevano avvertita subito dell’arrivo dell’amico che chiedeva di lei, e lei aveva raccolto le gonne dell’abito di corte ed era corsa per i corridoi.
Era arrivata con le guancie accaldate davanti al portone d’ingresso, e con una spallina decisamente troppo scivolata.
Nessuno lo aveva sentito, ma quando Amelia gli era comparsa davanti in quel modo, il cuore di Zelgadiss aveva iniziato a cantare.
Ma dalla sua bocca non erano uscite tante parole. E comunque, non ce ne fu di bisogno: in un attimo, era trascinato dall’incredibile vivacità di lei per i corridoi del castello.
Poi, erano iniziate le routine pacate: Amelia continuava a svolgere i suoi doveri di principessa, Zelgadiss si rintanava nelle biblioteche, ma presenziava spesso alle riunioni o agli eventi aperti a tutti.
Aveva anche, per la gioia segreta di Amelia,  partecipato a qualcuna delle numerose cene di palazzo.
Lo conoscevano in molti, e molte cameriere sospiravano dietro le porte per la bella favola che la loro adorata piccola principessa avrebbe potuto vivere.
Avrebbe potuto: anche se nessuno era cieco, non c’erano i presupposti, ancora, per spettegolare di relazione amorosa.
In questa situazione, quindi, Amelia aveva iniziato ad abituarsi all’idea che forse non era solo per l’immenso patrimonio culturale di Saillone che Zelgadiss si era presentato quella sera alle porte del castello, ma perché quel “ci penserò” che le aveva dato come risposta alla vigilia dell’impegnativa ultima battaglia era diventato un “sì”.
Anche Amelia non era cieca: tuttavia sapeva che non era ancora il caso di pensare ad una relazione amorosa, nonostante durante le pacate routine di tutti giorni non fossero mancati quei pochi episodi che nessuno conosceva, ma che avrebbero fatto sospirare ancora di più le cameriere, senza farle gridare allo scandalo.
Come quella sera in cui Zelgadiss le aveva restituito il suo braccialetto, tenendoci a sottolineare il fatto che ne aveva avuto cura.
Non era successo niente di speciale, ma ad Amelia bastava anche solo quella piacevole atmosfera che si era creata fra loro due, che non erano poi neanche così distanti, e che se solo avessero voluto…(che se solo avessero voluto, come le aveva fatto notare maliziosamente Lina, una sera che erano allegre e che avevano ingaggiato una finta lotta nella loro camera, avrebbero potuto anche cucirsi per i fianchi dato che avevano preso l’abitudine di stare sempre così vicini. Dopo che la principessa aveva risposto con un iniziale “e voi allora!”, gridato con poca grazia in piedi sul letto e con un dito direttamente puntato sulla rossa testa di Lina,  la lotta era poi ovviamente degenerata, per finire comunque in risate).
Ma quella sera era ormai lontana: la tristezza di Amelia era dovuta a quello che invece era successo solo la sera prima, quando con tono secco Zelgadiss le aveva annunciato che suo padre gli aveva chiesto di diventare la sua guardia del corpo, non poteva dire di no per cui aveva accettato.
Stop. Buona notte.
Ah, no, dimenticavo: fra le altre cose, domani mattina ci sarà la nomina ufficiale.
Buona notte.
Amelia sapeva di dover partire alla ricerca di Lina. Aveva anche la certezza che Zelgadiss l’avrebbe seguita, ma non di certo solo perché spinto da una nomina ufficiale.
Ad ogni modo…le cameriere l’aspettavano oltre la porta. Triste o meno, aveva una lunga giornata da affrontare.
Quando l’incaricata al guardaroba le chiese quale abito volesse indossare, Amelia che generalmente nei giorni in cui non era previsto nessun evento particolare prediligeva i più comodi (la natura è natura, e la sua era una natura vivace: poteva anche resistere ore seduta nella sala dell’udienze, ma poi passava da una stanza all’altro correndo per il palazzo), scelse un fine abito che non aveva mai indossato.
E volle anche un po’ di trucco, anche se era mattina.
E gli orecchini pendenti, che generalmente non metteva.
Amelia non lo sapeva, ma quello era semplicemente un modo che il suo cuore di donna le suggeriva per farle capire che c’erano altri modi di vaccinarsi alla tristezza.
Non fu una vera e propria cerimonia: niente fanfare particolari, o annunci roboanti, o sfilate sui tappeti rossi.
Semplicemente, davanti al trono di Saillone, Zelgadiss si inginocchiò per prestare il suo silenzioso giuramento.
Durante quei momenti, stranamente, la sua mente restò completamente vuota.
Poi la chimera si rialzò immediatamente, non sapendo bene quale fosse la prossima mossa da fare.
Pur non sapendo bene perché, fece forse una fra le cose meno indicate: girò la testa dal lato opposto del trono.
Circondata da un numero imprecisato di cameriere, al centro della galleria che sovrastava la stanza, Amelia lo guardava vestita di un vestito insolitamente audace.
C’era qualcosa…Sembrava più adulta quella mattina.
Istintivamente, Zelgadiss le sorrise.
Amelia ricambiò.
La conferma che tanto aspettava era arrivata improvvisa ma rassicurante allo stesso tempo: Philionell sentì la sua invisibile carezza sul cuore. Non aveva sbagliato a scegliere Zelgadiss come guardia del corpo per sua figlia. E anche se non lo sapeva, in quel momento un dorato raggio di sole sorrideva sul ritratto della moglie.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Winter Edition. ***


Venticinque minuti buoni.
Venticinque minuti buoni davanti ad una vetrina.
Poteva essere normale per alcune ragazze.
Per loro non lo era affatto.
Specialmente perché le ragazze in questione erano Lina ed Amelia.
 Ormai da venticinque minuti buoni letteralmente imbambolate, appunto, davanti alla vetrina di un negozio di bambole.
Zelgadiss e Gourry, oltre ad annoiarsi a morte, iniziavano seriamente a preoccuparsi.
Già due o tre ragazzine sorridenti erano uscite con colorati pacchetti da quel negozio, e Lina e Amelia continuavano a stare lì, intende ad alternare momenti di religioso silenzio ad un chiacchiericcio fitto fitto dal quale loro due erano esclusi, e di cui non avevano colto nemmeno una parola.
La colorata vetrina si trovava al centro dell’unica via di quel piccolo ma ricchissimo paesello di montagna conosciuto per la sua “forte vocazione turistica” dove si erano fermati: il gruppetto di Lina Inverse aveva deciso di recarsi a Saillone per festeggiare le prossime vacanze invernali, ma si concedeva volentieri qualche pausa, come al solito.
Ma, pausa o meno, vacanze o no, mezz’ora ad ammirare delle bambole era comunque una grave perdita di tempo.
“Lina… insomma, che fate voi due…”
“Ma non vedi? È uscita la nuova winter edition!” e il tono di Lina era quello di chi ha appena sottolineato l’ovvio.
“E quest’anno è bellissima…” fu la frase che seguì lo sguardo sognante di Amelia.
“Amelia, ma di che parlate?”
“Della winter edition di Danya!”
La componente maschile della compagine Inverse si arrese al fatto palese che, se volevano capirci qualcosa, bisognava formulare domande precise.
“Danya sarebbe quella bambola?”
Con il dito puntato verso un imprecisato punto nell’aria, Amelia si prodigò in una vera e propria spiegazione accademica:
“Le Danye non sono bambole, sono vere e proprie opere d’arte! Guardale: le lavorano maestri artigiani da generazioni, sono di legno pregiato, ma colorate in maniera tale che la loro sembri vera pelle…e la winter edition viene sempre vestita da un team di stilisti alla moda, che cercano di riassumere nel look della Danya winter edition tutte le tendenze autunno-inverno dell’anno.”
“Inoltre”, continuò Lina, “la winter edition rappresenta ogni anno il volto di una  giovane donna la cui storia, personalità o bellezza ha particolarmente colpito Mr Francolin, il creatore di Danya, ora praticamente a capo di un impero”.
Gourry si grattò leggermente il naso.
“Caspita, Lina, sai anche tu un sacco di cose su questa Danila! Non me lo aspettavo!”
“Ehi! Guarda che sono stata bambina anche io…e si chiama Danya, non sbagliare.”
“E ci giocavi anche, con questa bambola?”
“Gourry, sai quanto costano queste bambole?! Per una Danya-base siamo intorno alle cento monete d’argento. Il prezzo ovviamente sale a seconda del modello, e arriva anche alle quattrocento per la winter edition”.
Stupore sul viso della compagine maschile di cui sopra. Effettivamente, le due o tre ragazzine sorridenti uscite dal negozio erano tutte ricoperte da vesti che mostravano chiaramente l’appartenenza alle migliori famiglie del circondario.
“Caspita, non credevo che le Danya costassero così tanto!”
“Ma come, Amelia…non dirmi che anche tu non ne hai mai avuta una!”
“Ne ho circa quindici, Lina. Dieci delle quali sono delle winter edition”.
“Mi sembrava strano che tuo padre non te ne avesse comprate…”
“E invece ti sbagli. Non ne abbiamo mai comprata una.”
“Scusa, ma come…”
“La produzione di Danya è ormai il motore economico del paese di origine di Mr Francolin, lo hai detto tu stessa poco fa. Maestri artigiani vivono praticamente ormai solo di questo: ci sono sarti specializzati per le vesti, parrucchieri per le acconciature… e alcune materie prime usate per la fabbricazione delle Danya arrivano dal mio paese. Quindi, Mr Francolin in persona ci teneva, fino a qualche anno fa, ad omaggiare personalmente il regno di Saillone regalando alle figlie della famiglia reale una Danya assemblata da lui stesso”.
“Cavoli…è che a volte lo dimentico che questa qui, con questa faccia qua, è una importante”. Ovviamente, “Questa qui” fu sottolineato da una spintarella molto poco delicata alla persona importante in questione.
“Ehi! Ma che dici! Mica sono l’unica che ha ricevuto questo tipo di omaggi! Un sacco di altro principesse…probabilmente anche Martina ha una collezione personale di Danya! Allora, che facciamo, entriamo nel negozio?”
“Si, entriamo…”
Lina ebbe poi un momento di vero e proprio smarrimento. Si riprese gridando un incomprensibile:
“Non dirmi che sei tu!”
“Ma cosa…”
“Amelia, non dirmi che sei tu! La Magic White Winter Edition…la Winter Edition con i capelli scuri!”
“Ma andiamo, Lina! Te la ricordi bene quella Danya? Io avevo sei anni quando è uscita! Certo, avevo anche allora i capelli scuri, ma è impossibile per una bambina di quell’età avere…insomma, tutto quello che quella bambola ha davanti!”
“E allora…”
“è ispirata a mia sorella, che all’epoca era, a detta di Mr Francolin, adorable! A very beautiful adolescente in fiore! ”
“Urca…non deve essere stato facile per te crescere accanto a lei…”
“Se ne è andata poco dopo”.
“In qualche modo, forse ti sei salvata. Sai quanti complessi…!”
“Non ho niente da invidiarle.”
Amelia fece una piccola pausa.
“D’accordo, non  sono sincera, ma vogliamo entrare? E comunque…”
Le due avevano già dato le spalle ai loro compagni di viaggio, che però sentirono lo stesso il completamento della frase lasciata in sospeso da Amelia:
“E comunque, che cosa ha la mia faccia da non poter essere quella di una persona importante,  scusa?!”
Cinquanta minuti dentro quel negozio.
La parte maschile della compagine Inverse aveva nel frattempo goduto di un ottimo caffè in un bar vicino e di una bella passeggiata ristoratrice quando Lina e Amelia uscirono trasecolate dal negozio dove avevano sperimentato gioie infantili. Ma uscivano a mani vuote.
“Quasi un’ora e non avete comprato niente?”
“Ti ho già spiegato, Gourry, che le Danya sono costosissime. Insomma, mi sembrava denaro sprecato da bambina, spenderne così tanti per una bambola ora che sono grande…”
“E tu, Amelia?”
“Io ne ho già quindici, Gourry, con alcune non ci ho nemmeno mai giocato. E nei miei viaggi intacco abbastanza le casse di Saillone…”
“E poi, insomma, che avranno di speciale queste Danya? Da piccola mi sembravano così belle…ora che ci rifletto, non ne esiste neanche una vestita da maga!”
“Ma Lina, che dici…sembravi in trance dentro quel negozio!”
“Amelia, attenta con le parole…però, dimmi, non era bella quella Danya…”
Altri lunghi momenti di chiacchiericcio fitto fitto da cui il resto del mondo era escluso.
Zelgadiss e Gourry di certo non commentavano la cosa, perché in fondo non ce ne era neanche di bisogno: ma effettivamente, viste così con gli occhi lucenti e le guance rosa, Lina e Amelia sembravano due bambine in attesa delle vacanze d’inverno. Ma erano belle come lo sono solo le giovani donne in fiore.
Saillone riluceva di neve e profumava di dolci.
La compagine Inverse arrivò a palazzo con la netta sensazione di avere il primo strato dell’epidermide cristallizzato dal freddo, e con lo spirito di chi è pronto a sciogliersi davanti al caminetto lasciando che qualsiasi cosa, anche la semplice formulazione di un pensiero, venisse rimandata a domani.
Anche Amelia, che appena posato il piede dentro le mura della sua casa era stata investita da paggi di ogni tipo che le chiedevano questo e quello, si oppose con netto rifiuto ai doveri di corte: per questa sera fate come se non ci fossi, domattina ricomincio.
E i quattro viaggiatori sembravano veramente liquefatti, davanti al camino alto di una bianca stanza di Saillone, tanto che pure le conversazioni facevano fatica a decollare.
Fino a quando Amelia decise che era arrivato il momento.
“Lina, adesso vieni con me”.
“Ma dove, Amelia? E dai…si sta così bene qui…”
“Vieni, dai. Ti voglio far vedere una cosa. Venite anche voi, su”.
Il corridoio portava senza ombra di dubbio agli appartamenti privati di Amelia, che con gesto sicuro aprì tutte le porte che li separavano da ciò che li aspettava, o meglio da ciò che aspettava Lina.
E sul letto di Amelia troneggiava, splendida sul suo piccolo piedistallo di legno, una Danya dai capelli ramati. E con i pantaloni.
“Ta-dan!!! Ti piace? Non è proprio una winter edition, ma è pur sempre speciale! È la prima Danya con accessori da maga e… Mr Francolin non ti conosce e non sa come è il tuo viso, ma spero che sul colore dei capelli ci siamo…ovviamente non sarà prodotta, è un mio regalo speciale, cioè un regalo speciale che fanno a me, e che io ho voluto fare a te…insomma, hai capito!”
Lina aveva seguito poco il discorso. Sapeva solo di essere grata all’amica per quella sorpresa, tanto grata da non avere parole.
“Ma come…come hai fatto?”
“Gli ho scritto! Mia sorella ha avuto dedicata una winter edition…era giusto fare una carezza anche alla sorellina piccola, giusto?”
Detto questo, Amelia strizzò l’occhio all’amica, che le rispose con un sorriso che le illuminava tutto il viso.
“Allora, ti piace? Ho un’idea! Portiamola a conoscere le altre bambole della mia collezione!”
Ormai Lina era in piena frenesia. Saltò sull’alto letto di Amelia, afferrò la sua quasi winter edition e strinse la mano che la principessa le offriva, facendosi subito trascinare correndo e ridendo per i corridoi del palazzo.
Poco dopo, quindici meravigliose bambole di pregiatissima fattura la salutarono dai piedistalli sui quali erano poggiate.
Al centro delle quindici, la Magic White Winter Edition che con quella chioma scura e quegli occhi azzurri…
“Lina, quale prendiamo?”
Lina stringeva ancora la sua quasi -Winter -edition al petto, proprio come una bambina che abbia appena ricevuto in dono per le vacanze invernali quello che aspettava da tutto l’anno.
“Oh, oh, ricordo che c’è qui un cassetto con tutti gli accessori…spazzoline, scarpine…aspetta…oh, forse è  questo!”
Amelia aprì il cassetto con vigore, e Lina si accostò subito a lei per esaminare il contenuto da vicino.
C’erano scarpette colorate, spazzoline dorate, piccoli vestitini…
“Eccoli…sai…anche mia madre adorava la Danya…Gracia invece non ci giocava mai…quindi, erano un po’ una scusa…sai…per quei…momenti nostri…”
E poi, ci fu silenzio.
Quando anche Gourry e Zelgadiss arrivarono nella stanza delle Danya, la scena che si trovarono davanti era molto diversa rispetto a quella che si immaginavano: Lina e Amelia non stavano facendo interagire fra loro due bambole doppiandole con assurde vocine.
Il viso di Amelia non si vedeva nemmeno: era nascosto dalla cascata ramata di Lina, che teneva la testa leggermente piegata verso la principessa che stringeva in un insolito abbraccio.
Ovviamente i due nuovi arrivati si preoccuparono immediatamente: qualcosa era successo, se da un momento all’altro il suono dei passi veloci e delle risate che scaldavano il cuore si era trasformato in silenzio.
Ma Zelgadiss non face neanche in tempo a completare il passo appena accennato verso le due, e Gourry ad aprire completamente la bocca, che gli occhi di Lina bloccarono le nascenti intenzioni dei due: a gesti fece loro capire che comunque era tutto apposto, un momento solo, fate finta di uscire e tornate tra tre minuti. E non inarcare le sopracciglia e obbedisci, Zel!
E tre minuti dopo, all’aprirsi della porta, Lina e Amelia erano a terra circondate da un mare di scarpette e vestitini, e Lina si stava togliendo lo sfizio, dettato da un’improvvisa e cocente voglia, di giocare a tramortire la Magic White Winter Edition con la sua quasi-Winter-edition con una serie ripetuta di inesistenti piccoli  Dragon Slave.
E a seguire, le allegre osservazioni su come i capelli di molte Danya avessero la lucentezza di quelli di Gourry, le risate nell’osservare che effettivamente lo spadaccino confrontava le sue ciocche con quelle delle bambole, tutta una serie di battutine sul dove sembrava preferire toccare le bambole Zelgadiss quando ne afferrava una, tutti i tentativi di farlo calmare perché si stava scherzando, e così via finché Amelia non ammise che effettivamente non si era mai divertita tanto a giocare con quelle bambole quando era sola.
Lina la guardò sorridendo, sapendo bene che comunque nel quadro dei ricordi più belli di Amelia legati a quella collezione loro tre sarebbero comparsi sempre dopo.
 
 
 
 

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