Cicli Immortali di Nerys (/viewuser.php?uid=809442)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni?! ***
Capitolo 2: *** L'Ignoto ***
Capitolo 3: *** Ossessione? ***
Capitolo 4: *** L'Amicizia... ***
Capitolo 5: *** Scoperte ***
Capitolo 6: *** Senza Via d'Uscita ***
Capitolo 7: *** The Way ***
Capitolo 8: *** Domande... ***
Capitolo 9: *** Attesa ***
Capitolo 1 *** Sogni?! ***
Sogni?!
Travelling is like dreaming:
the difference is that, on
waking, not everyone
remembers the journey,
whereas
everyone vividly preserves the memory
of where they have stayed.
Edgar Allan Poe.
«Denise!
Guarda cosa mi ha comprato la mamma!» strillò una
voce infantile ed entusiasta. Di chi era
quella voce? Non riuscivo a capirlo, intorno a me era troppo buio
perché
vedessi qualcosa.
…
«Ora,
chiudi gli occhi e girati. Non sbirciare o lo dico
alla mamma!» Mi voltai in direzione
della
voce, ma non c’era nulla. Ero totalmente avvolta
dall’oscurità.
…
«Ecco.»
riecheggiò
ancora una volta la Voce. «Ora apri gli occhi e
guarda!» Non capivo da che parte
provenisse. Ogni
volta la sua origine cambiava, quasi come se si spostasse
costantemente,
facendomi girare intorno come una stupida. Mi passai le mani tra i
capelli,
cercando di mantenere la calma.
Tutto quello che stava
succedendo non aveva alcun senso. Era impossibile! Esistevano soltanto
due
spiegazioni plausibili per questa situazione. O ero diventata matta
all’improvviso,
tanto da sentire delle voci nella mia testa, o stavo semplicemente
sognando e
tutto questo non era altro che il frutto della mia immaginazione.
Sperai con
tutto il cuore che si trattasse della seconda opzione, anche
perché in caso
contrario non sarei mai riuscita a spiegarmi questa improvvisa
degenerazione
mentale.
«Ti
piace, Denise?»
Sobbalzai a quella
frase improvvisa e dovetti portarmi le mani alla bocca per trattenere
l’urlo
strozzato, quando mi ritrovai la fonte della Voce proprio davanti ai
miei
occhi. Ero spaventata ed il mio cuore batteva furiosamente, tanto da
farmi
pensare che presto sarei stata vittima di un infarto prematuro, se non
avesse
rallentato un po’. Mi concentrai nel fare lunghi e profondi
respiri, tentando
di tranquillizzarmi, ma senza perdere mai di vista la bambina bionda
che mi
stava di fronte.
Con una mano prese la
collana che teneva al collo e me la mostrò orgogliosa. «Hai
visto, Denise?»
disse allungando una mano nella mia
direzione. Senza che me ne rendessi conto mi abbassai alla sua altezza
e lei
con un movimento deciso e delicato afferrò il ciondolo che
indossavo e lo
avvicinò al suo fino a farli combaciare. «Saremo
insieme per sempre.» affermò
sorridendo lanciando un ultimo
sguardo al sole ed alla luna uniti.
Vi prego fate che sia
un…
«…
sogno.» sussurrai mentre spalancavo gli occhi.
Mi
sedetti e lanciai un’occhiata intorno a me e finalmente
mi ritrovai a fissare il familiare disordine della mia camera. Il
mucchio di
maglie abbandonate sulla sedia della scrivania, i libri sparpagliati
qua e là
insieme alla borsa abbandonata ai piedi del letto mi rassicurarono.
Sono sveglia. Pensai
mentre mi sedevo sul materasso, stringendomi le gambe al petto. Il
battito del
mio cuore rallentò fino a coordinarsi col tempo
dell’orologio sul comodino. L’incubo
è finito, ora sono al sicuro,
sveglia ed in camera mia, non ho più nulla di cui
preoccuparmi. Mi ripetevo
come un mantra.
Mi appoggiai con una
guancia alle ginocchia e iniziai a fissare il comodino al mio fianco.
Tic.
Nonostante
non desiderassi altro che distrarmi e tornare a
dormire, non potevo smettere di pensare a quel sogno/incubo. Sembrava
talmente
reale da farmi credere che fosse successo davvero, nonostante sapessi
che era
folle il solo pensiero.
Tac.
Anche
se… Quella voce, quella bambina… Mi erano
familiari ed
estranee allo stesso tempo. Non sapevo come spiegarmelo, ma ero certa
che l’avevo
già vista da qualche parte, solo che in quel momento non
ricordavo dove.
Tic.
Il
mio subconscio doveva aver riorganizzato tutte queste
informazioni e poi le aveva riproposte sotto forma di incubo. O forse
ero io a
farmi troppe paranoie ed in realtà era solo colpa dello
stress degli esami
dell’università.
Tac.
Più
ci riflettevo, meno ci capivo. Nel sogno portavo un
ciondolo a forma di sole, ma io non avevo mai avuto una collana del
genere. E
poi perché quella bambina si ostinava a chiamarmi…
«Diana!
Stai bene?» mi chiese mia madre spalancando la
porta. Indossava una semplice vestaglia color panna e la lunga chioma
bruna era
scompigliata, per un momento mi persi a fissarla, dimenticandomi della
domanda.
Quella era la prima volta in assoluto che vedevo mia madre in
disordine, un
evento straordinario per la perfetta e sempre ordinata Sara Fiore.
«Stai
bene, Diana?» mi ripeté attirando la mia
attenzione.
«Ti ho sentita gridare.» mi spiegò con
tono preoccupato. «Nulla di grave, un
semplice incubo.» liquidai la cosa, mentre cercavo di
ricordare quando avessi
urlato.
Mia
madre non fece ulteriori domande e tornò in camera, dopo
avermi consigliato di tornare a dormire. Così per una volta
decisi di seguire
il suo consiglio senza mettermi a discutere. Ero stanca e volevo solo
dimenticarmi quello strano sogno al più presto.
Tornai
a coricarmi sotto le coperte e mi abbandonai
all’abbraccio di Morfeo. Appena prima di addormentarmi
completamente ebbi la
sensazione di sentire una mano fresca accarezzarmi la guancia ed una
voce
sussurrarmi qualcosa.
Un
altro sogno?
Ciao!!!
Spero che il capitolo sia
piaciuto a chiunque sia riuscita ad incuriosire. :) Non è
molto lungo, ma visto
che non è da molto che scrivo, ho voluto fare una prova e
vedere se sono in grado
di inventare anche fanfiction più lunghe di una oneshot.
Quindi da come avrete
capito, questa dovrebbe comprendere qualche capitolo, non so ancora
bene quanti
perché dipenderà dalla mia ispirazione,
purtroppo… >.<
Fatemi
sapere cosa ne pensate. :)
Nerys |
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Capitolo 2 *** L'Ignoto ***
L’Ignoto
Il
sentimento più forte e più antico
dell’animo umano è la paura,
e la
pura più grande è quella dell’ignoto.
H. Philips Lovecraft
Stavo dormendo.
Ne ero certa questa
volta, nessun dubbio a tal proposito.
Perché mi trovavo in
piedi davanti ad una finestra, di un posto che non conoscevo, ad
osservare la
notte che avanzava sul bosco circostante la villetta in cui mi trovavo,
un
paesaggio totalmente differente rispetto a quello che avrei visto da
casa mia,
dove si estendevano per chilometri palazzi, condomini e strade, niente
a che
vedere con la natura di quel posto.
Abbassai lo sguardo e
vidi una sagoma avvolta in un cappotto pesante che usciva
dall’ingresso
principale e si inoltrava tra gli alberi, lanciando di tanto in tanto
qualche
occhiata alle sue spalle. Chi era? Ora che ci riflettevo, ero rimasta
immobile
a guardare fuori dalla finestra persa nei miei pensieri senza dare uno
sguardo
al posto in cui mi trovavo e se fossi sola o in compagnia.
Nonostante i sogni
frequenti, non mi era mai capitato di trovarmi in un luogo per
così tanto tempo
senza che Lei facesse la sua comparsa.
Questo sogno era
diverso dai precedenti.
«Cosa guardi Denise?»
mi domandò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare e
voltare di scatto.
Ed ecco che la bionda fece la sua apparizione. Le labbra piegate in un
sorriso
allegro, tanto da farmi chiedere se conoscesse la tristezza o per lei
fosse
soltanto un concetto astratto, mai provato.
Il suo sguardo indugiò
per qualche minuto sul paesaggio al di là del vetro, prima
di individuare la
sagoma che si allontanava nel bosco; immediatamente il sorriso
abbandonò il suo
viso per lasciar posto ad un’espressione seria e preoccupata.
La fissai per
tutto il tempo, studiandola e cercando di capire cosa le passasse per
la testa,
ma senza riuscirci.
Chi
sei?, provai a
chiederle, ma quello che dissi fu altro. «Cosa
c’è?»
L’attenzione della
ragazza, perché in questo momento non poteva avere
più di diciassette anni, si
spostò di nuovo su di me tornando a sorridere, come se
niente fosse successo.
«Cosa ci fa fuori? A quest’ora nel
bosco!» domandai ancora una volta con un
tono allarmato.
Sentii i brividi
risalirmi lungo la schiena. Come avevo potuto non accorgermene fino ad
ora? La
voce era la mia ed erano state le mie labbra a muoversi, ma non ero
stata io a
deciderlo…
Non avevo alcun
controllo sul mio corpo! Non ero mai stata io a guardare fuori dalla
finestra,
non ero io a parlare con Lei… Era qualcun altro! Ma chi?
Non ebbi modo di
scoprirlo perché mi stavo svegliando. La bionda era
già sparita, mentre il
corridoio in cui mi trovavo si stava dissolvendo, tutto ciò
che rimaneva era
uno specchio in stile barocco a qualche metro da me. Mi avvicinai
e…
Mi
svegliai di colpo spaesata ed aggrovigliata tra le
lenzuola del mio letto con un senso di vuoto nel petto. Mi sedetti sul
materasso e con una mano mi portai indietro le ciocche castane che mi
erano
finite davanti al viso durante il sonno agitato. Avevo voglia di
ridere, ridere
per tutta questa situazione assurda ed inspiegabile, però se
lo avessi fatto
sarei sembrata ancora più pazza, così mi
trattenni.
Ormai
era diventata questa la mia routine delle ultime
settimane. Mi addormentavo, sognavo quella donna e mi svegliavo nel bel
mezzo
della notte con le lacrime agli occhi ed una strana sensazione di vuoto
addosso.
La protagonista di quei sogni era sempre Lei, poco importava che
cambiasse
aspetto, passando da bambina a donna, riuscivo sempre a riconoscerla,
come se
lo avesse scritto in fronte. Avrei potuto chiamarlo istinto, ma avrei
mentito;
non sapevo nemmeno io come definirlo… Lo sapevo e basta.
Sempre
allegra e solare, così come lo erano le vicende che
sognavo, anche se più di una volta li avevo trovati
più simili a ricordi che
vere e proprie creazioni della mia immaginazione. I luoghi erano troppo
definiti e quasi tangibili, rispetto ai tipici posti sfocati che
visitavi nel
sonno e da sveglia ricordavo tutto, non soltanto flebili spezzoni, ma
tutto
quello che avevo visto e fatto. Com’era possibile?
Ma
non erano finite qua le stranezze… C’erano anche
le emozioni
contrastanti che mi suscitava la sua sola presenza… Rimorso,
tristezza e
disperazione. Totalmente in disaccordo con quegli eventi felici che
continuavo
a vivere nel sonno. E adesso scoprivo anche di non aver nessun
controllo sul
mio corpo nel mio sogno…
Cosa
mi stava succedendo?
Una
volta avevo provato a discuterne con mia madre e lei si
era subito avvicinata con uno sguardo preoccupato, mentre con
gentilezza mi
aveva portato una mano alla fronte. «Eppure non sembra tu
abbia la febbre…»
aveva borbottato. Da quel momento decisi di tenermi questi strani sogni
per me.
Non volevo che mi prendesse per pazza come nonna.
Mi
rigirai tra le lenzuola, cercando di addormentarmi e
cadere in un sonno profondo e privo di sogni.
C’ero
quasi riuscita quando sentii qualcosa raschiare il
vetro della finestra. Rimasi immobile con gli occhi spalancati e
trattenendo il
respiro.
Me lo sono immaginata.
In realtà sto già dormendo e questo è
solo un altro frutto della mia mente,
stressata a causa degli ultimi esami.
Mi
ero quasi convinta quando sentii di nuovo qualcosa
graffiare alla finestra. Mi strinsi maggiormente tra le coperte,
avvicinandole
al volto e cercando di nascondermi il più possibile. Era una
difesa inesistente
se quella cosa dall’altra parte del vetro aveva davvero degli
artigli o era
armata, ma mi dava un minimo di sicurezza, come se riuscisse a rendermi
invisibile.
I
graffi continuarono per qualche minuto, facendomi
sobbalzare ogni volta. Se era un incubo, volevo svegliarmi il
più presto
possibile!
Poi
il rumore fu sostituito da un lungo ed assordante
silenzio. Il solo battere forsennato del mio cuore sembrava rimbombare
nella
stanza. Cos’era successo? Se n’era andato? Ero al
sicuro?
Rimasi
ancora una volta immobile nel mio letto in attesa di
qualcosa che mi facesse capire di potermi tranquillizzare, ma non
successe
nulla. Così tentai di riaddormentarmi, ma nemmeno quello
funzionò. Dovevo
essere assolutamente certa che quella cosa fosse sparita in modo
permanente,
quindi non avevo altra scelta che controllare di persona.
Con
lentezza e in silenzio mi avvicinai al muro, lungo il
quale strisciai fino ad arrivare alla finestra. Presi un respiro
profondo e poi
sbirciai, esponendomi il minimo indispensabile.
Il
buio della notte accompagnato da qualche lampione che
illuminava la strada sotto casa e qualche casa, ecco cosa avevo visto.
Nulla di
strano o di anormale. Con un sospiro di sollievo mi lasciai scivolare a
terra,
mentre un sorriso si delineava sulle mie labbra.
«De-ni-se… Deni-see…
De-nise…» gracchiò una voce
dall’altra parte del vetro seguito da uno
stridio. Il sangue nelle vene si gelò ed iniziai a sudare
freddo. Non è possibile,
pensai sentendo che gli
occhi cominciavano a pizzicarmi e bruciarmi.
«De-ni-se…
Deni-see… De-nise…»
ripetè un’altra volta ed io non
resistetti. Alla fine cosa poteva esserci peggiore
dell’ignoto? La risposta fu
fulminea, non appena i nostri occhi si incontrarono.
Lui!
Occhi
privi di orbite ed una bocca grande piena di denti
affilati, come quelli di uno squalo.
Un
lungo artiglio graffiò il vetro della finestra, mentre
quella cosa inclinava la testa per fissarmi meglio.
«Ti ho… Trovata…
De-ni-se…»
Strinsi
le gambe al petto e mi tappai le orecchie con le
mani serrando gli occhi.
Non
volevo vedere.
Ciao!!! Ed eccomi
col secondo capitolo! :)
Vi lascio di nuovo
con un altri interrogativi… Chi è Denise?
Perché Diana continua a fare sogni
con questa ragazza bionda? Chi è? Perché sono
cominciati proprio ora? Cosa è la
cosa che sta spaventando Diana? Ma soprattutto…
Riuscirò a pubblicare anche il
prossimo capitolo senza farvi aspettare troppo? Lo spero!!! XD
Comunque voglio
ringraziare tutti quelli che hanno letto il capitolo precedente e tutti
coloro
che leggeranno anche questo!!!
E continuate a farmi
sapere cosa pensate dell’andamento della storia.
Nerys. |
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Capitolo 3 *** Ossessione? ***
Eccomi ritornata!!!
Prima di passare al
capitolo devo chiedere assolutamente scusa per questo mostruoso
ritardo,
purtroppo non ho avuto molto tempo per scrivere in questo ultimo mese.
-.-“
Ho cercato di farmi
perdonare scrivendo un capitolo un po’ più lungo
con un bel colpo di scena! Ma non
voglio anticiparvi nulla, quindi vi lascio alla lettura!!! :)
Ringrazio chi ha
recensito e tutti coloro che stanno leggendo la storia. Spero che
continuerete
a seguirmi e prometto che il prossimo aggiornamento non sarà
il prossimo mese,
ma prima!!! :)
Kiss,
Nerys.
Ossessione?
Non riesco a liberarmi
del tuo fantasma.
Per quanto distolga lo sguardo
continuo a vederti.
Non posso spezzare
il legame che ci ha unito.
Per quanto non ascolti
continuo a sentire la tua voce.
La tua ombra discreta
mi accompagna dappertutto.
Il tuo morbo mi ha infettato
e per quanto abbia cura di me
non riesco a guarire.
Ossessione, Jim Morrison
Il
rumore degli artigli contro il vetro continuò per quelle
che mi parvero ore. Quella cosa non
sembrava intenzionata a sfondarlo per entrare, ma doveva divertirsi un
mondo a
vedermi sobbalzare ad ogni unghiata.
Lentamente
aprii gli occhi e spostai le mani dalle orecchie,
cercando di fare il minor numero di movimenti possibili per non
rischiare di
agitarlo in qualche modo. Quell’essere non mi aveva ancora
staccato gli occhi
di dosso e continuava a chiamarmi Denise, ripetendo sempre la stessa
frase come
se fosse un mantra.
«Ti ho… Trovata…
De-ni-se…» gracchiò per
l’ennesima volta, ma a parte quelle parole ed i
graffi sul vetro, non diede mai segno di voler entrare. Se ne stava
semplicemente appollaiato sul cornicione ad osservarmi, della finestra
senza perdermi
di vista.
Lo
studiai per qualche secondo dal mio “rifugio”.
Il
suo volto e la sua pelle erano bianche, in forte contrasto
con il buio della notte, invece gli occhi, due fosse scure, davano
l’idea di
seguire ogni mio più piccolo spostamento, nonostante fosse
privo di orbite, il
sorriso che si estendeva sul volto era composto da un numero
indefinibile di
denti, piccoli ed affilati, come quelli di uno squalo, mentre il resto
del
corpo era ricoperto da uno smoking rosso abbinato ad una camicia nera. Una scelta insolita, mi ritrovai a
pensare, quasi dimentica che quell’essere pareva essere qui
per me…
Avvicinò
la mano artigliata al vetro più vicino a me.
«Vieni… Con me…
Deni-se…» canticchiò in modo
grottesco ed inquietante. «La
padrona… Lei ci aspetta…»
Arretrai
quando lo vidi allungare quell’artiglio nella mia
direzione, soffocando un urlo. Quella cosa
non si doveva avvicinare, non volevo che mi toccasse e, purtroppo non
avevo
nessuna certezza che non riuscisse ad entrare nella stanza. Gli artigli
graffiarono per l’ennesima volta, quando sentii un rumore
secco provenire dalla
finestra. L’essere pallido era sparito ed adesso al suo posto
si stagliava un’altra
figura, sembrava quella di una ragazza magra con una lunga treccia
bionda.
Qualcosa
di lei mi rassicurò, tant’è che mi
alzai da terra e
mi avvicinai di nuovo alla vetrata, incurante che la creatura di prima
potesse
essere ancora lì nascosta da qualche parte in attesa di una
mia mossa.
Una
folata di vento le spostò i capelli e fece oscillare la
collana che indossava, facendola brillare alla luce lunare. Il ciondolo
era una
mezzaluna argentata. La fissai attonita.
«Com’è pos…» non
terminai la frase che
lei si lasciò cadere di sotto, facendomi trattenere a stento
un urlo sorpreso. Subito
aprii la finestra e guardai in basso, ma non vidi niente, soltanto la
strada
vuota e qualche lampione ad illuminarla, sia la ragazza bionda sia quel
mostro
erano spariti.
Quella
notte non riuscii a dormire, la passai stringendo
forte le coperte e con gli occhi ben serrati, sperando con tutto il
cuore che
fosse stato tutto frutto della mia mente…
Il rumore della porta
che sbatteva mi svegliò di colpo, facendomi sobbalzare nel
letto. Con lo
sguardo assonnato guardai in giro per la stanza e vidi Lei in piedi
davanti
alla finestra. «Cos’è stato?»
le domandai con la voce arrochita dal sonno e la
mente ancora addormentata.
Lei si voltò nella mia
direzione e mi sorrise incerta. «Tranquilla Denise. Era solo
il vento che ha
fatto sbattere delle persiane.» mi rassicurò senza
accennare a spostarsi dalla
finestra. La guardai scettica, ma evitai di controbattere. Non erano le
persiane, ne ero sicura. Qualcuno era uscito dal portone
d’ingresso ed il vento
lo aveva chiuso di scatto.
Perché mi aveva
mentito? Che motivo aveva? Chi era uscito?
In casa eravamo solo
io, lei, mamma e qualche domestico…
Mi sedetti meglio sul
letto e battei con la mano sul materasso per invitarla a prendere posto
al mio
fianco. Era ancora buio e vederla guardare fuori con
quell’inquietudine negli
occhi non mi faceva stare tranquilla. La vidi tentennare un momento,
mentre
alternava lo sguardo tra me e la vista oltre il vetro, ma alla fine si
arrese e
prese posto al mio fianco. Era nervosa e non riusciva a distogliere lo
sguardo
per troppo tempo dalla finestra.
Mi sporsi verso di lei
e l’abbracciai stretta. «Ci sono
io…» le sussurrai.
Un
colpo al braccio mi svegliò di soprassalto, facendomi
sbattere la testa su una superficie solida. Da quando il letto era
diventato
così scomodo e duro? Mi portai una mano alla parte lesa e la
strofinai, mentre
con l’altra mi strofinai gli occhi. «Che
diavolo…» sussurrai dolorante.
Lanciai
un’occhiata in giro, ero circondata da lunghi banchi
ed una lavagna attaccata al muro, un’aula gremita di ragazzi
attenti che
scrivevano in maniera quasi maniacale su fogli, quaderni, pc o tablet.
Li guardai
confusa.
Stavo
ancora dormendo?
Un
secondo colpo al braccio attirò la mia attenzione,
costringendomi a girarmi verso sinistra. Una ragazza dai lunghi capelli
neri mi
fissava con un misto di ansia e rassegnazione dipinto in viso.
«Alleluia…»
sospirò, mentre con una mano si sistemava gli occhiali che
indossava.
«Cassie?»
domandai ancora intontita dal sonno. Cosa ci
faceva lei qui?
Con
un gesto rapido mi diede un pizzicotto sul braccio per
poi tornare a voltarsi verso la lavagna e tormentarsi con la mando
destra un
boccolo, mentre con la sinistra riprendeva a scrivere. La guardai
sconvolta. «Che
ti prende?» le chiesi. «Mi hai fatto
male…»
«È
colpa tua!» affermò lei convinta, continuando la
sua
tortura a quella povera ciocca di capelli. Era decisamente nervosa e
straripava
ansia da tutti i pori e questo non era mai un buon segnale…
Dopo sette anni di
amicizia avevo iniziato a conoscerla e tutte le volte che lei si
trovava in uno
stato del genere di solito significava che si avvicinavano dei
problemi… Per
me, la maggior parte delle volte…
«Vorrei
ricordare a chiunque
trovasse la mia lezione noiosa o inutile che può
uscire serenamente dalla
sala senza disturbare chi ha piacere di seguire.» disse una
voce austera alle
mie spalle, mi girai e mi trovai il professore di Letteratura Italiana
in piedi
a pochi passi da me con uno sguardo tutt’altro che
conciliante…
Merda! Mi sono
addormentata in aula… E lui se n’è
accorto!
«Dovevi
dirmelo che era dietro di me…» accusai Cassie
mentre
mi spettinavo con un gesto nervoso i capelli. Mi ero appena fatta
riprendere
dal professore più severo
dell’università davanti all’intero
auditorium… Potevo
solo sperare che non fosse troppo fisionomista e si dimenticasse al
più presto
il mio volto.
«Avevi
solo da non addormentarti durante la lezione…»
ribatté lei semplicemente, mentre rispondeva rapida ad un
messaggio del suo
nuovo ragazzo, Alessio… Alex… Non riuscivo
proprio a ricordarmi il suo nome, ma
poco importava… Si sarebbe stufata presto di lui e lo
avrebbe lasciato, dunque
era inutile memorizzare il suo nome. Quella ragazza era incoerente,
credeva
cecamente nell’Amore con la A maiuscola, ma si gettava sempre
in relazioni di
breve durata con ragazzi per cui non provava altro che attrazione.
Ma
infondo chi ero io per giudicarla? Non facevo che sognare
una strana ragazza bionda e vedere un mostro che si divertiva un mondo
a
graffiarmi la finestra. Una malata di mente in parole povere…
«Non
lo faccio apposta, solo che sono settimane che non
riesco a riposare decentemente. Penso di aver riposato sì e
no una decina di
ore negli ultimi quattro giorni.» spiegai mentre mi
accasciavo sul tavolino de L’Eclissi,
un bar poco distante dall’Università
che frequentavamo in continuazione tra una lezione e l’altra.
Ormai era
diventata quasi una seconda casa.
Non
era molto grande, ma mi aveva sempre incuriosita il modo
in cui l’avevano arredato e dipinto le pareti: erano riusciti
a raffigurare un eclissi
talmente bene da sembrare reale, mentre il mobilio riprendeva quanto
possibile
i colori brillanti del sole quanto quelli scuri della notte. Inoltre
l’atmosfera
era confortevole e lo staff simpatico. Di tanto in tanto, quando
c’era Leo,
trovavamo già al nostro tavolo la colazione: tè
ai frutti rossi e muffin al
cioccolato per Cassie e un cappuccino formato extra large con croissant
alla
crema per me.
Eravamo
fin troppo abitudinarie…
Con
quella frase attirai immediatamente l’attenzione della
mia amica, che in un batter d’occhio chiuse il cellulare e lo
ritirò nella
borsa.
Era
rimasta rapita dai racconti sui sogni che mi
ossessionavano la notte, mandando in fumo tutte le mie preoccupazioni
riguardo
le sue possibili reazioni. Nella migliore delle ipotesi mi ero
immaginata che
mi avrebbe data della pazza o mi chiedesse se stavo scherzando, invece
lei si
era seduta sul pavimento della mia camera e mi aveva ascoltata tutto il
tempo
senza interrompermi.
«Ancora
quegli incubi?» mi chiese curiosa.
Già… Incubi…
Quando
gliene avevo parlato avevo omesso la parte in cui
quella cosa spaventosa aveva scambiato per un tira graffi la mia
finestra…
«Non
finiscono mai, ma quella ragazza è
sempre…» mi
interruppi di colpo fissando la vetrina del bar.
Una
ragazza con una lunga treccia bionda si era appena
fermata davanti alla porta del bar, sbirciando all’interno.
Appena si girò
nella mia direzione abbassò i grandi occhiali da sole,
rivelando un paio di
occhi azzurri che parevano leggermi dentro. Dimenticai di respirare
mentre
mantenevo lo sguardo fisso su di lei.
Non
era possibile… Anche se dopo ciò che era successo
la
scorsa notte non mi sarei dovuta più stupire di nulla.
La
ragazza sorrise e mi salutò con la mano, prima di
voltarsi ed andarsene contenta. Senza accorgermene del tutto mi alzai
dal
tavolo del bar e mi lanciai verso la porta d’uscita, la
spalancai e corsi
dietro alla bionda, sotto lo sguardo scioccato di Cassie.
Aveva
appena svoltato l’angolo ed io la seguii subito. Fu
inutile, perché ormai era sparita nella folla di gente che
si aggirava per le
strade. L’avevo persa di vista…
«Diana!!! Diana!!!
Si può sapere cosa ti è preso?»
urlò Cassie
raggiungendomi alle spalle e facendomi voltare nella sua direzione.
«Mi devi
delle spiegazioni. Ora!» affermò decisa ed agitata. |
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Capitolo 4 *** L'Amicizia... ***
Ehilà!!!
Eccomi
tornata :)
Scusate sono un
po’ di
corsa >.<, quindi non mi resta che augurarvi buona
lettura. Se avete
voglia fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e di come trovate la
storia
fino a questo punto! XP
Un grazie enorme a
chi ha recensito e a chi, nonostante i miei ritardi, continua a seguire
la mia
storia!!!
Kiss,
Nerys <3
L’Amicizia…
Quegli amici che hai e la cui
amicizia hai messo
alla prova, aggrappali alla tua anima con uncini d’acciaio.
William Shakespeare
«Bene.
Che ne dici di ricominciare dall’inizio, ma senza
saltare alcun dettaglio?» mi domandò la mia amica
sdraiandosi sul morbido tappeto
nella mia stanza, mentre io mi appollaiavo sulla sedia girevole vicino
alla mia
scrivania e giocherellavo con la collana che portavo al collo cercando
di
trovare le parole per spiegarle tutto.
Non
era facile.
Un
conto era raccontarle di incubi che mi tenevano sveglia
la notte…
Un
altro era dirle che avevo visto una creatura terrificante
abbarbicata alla mia finestra e poi la stessa donna bionda che
infestava i miei
sogni davanti alla porta del bar…
Stavolta
mi avrebbe presa per certo per pazza o psicotica,
quindi che male c’era nel cercare di temporeggiare un
po’? Forse dopo oggi non
mi avrebbe più rivolto la parola, non era normale cercare di
evitare di perdere
un’amica a cui tenevo veramente?
«Quando
hai voglia di incominciare a spiegare…» mi
esortò
Cassie tamburellando con le dita sul palchetto.
Durante
tutto il tragitto dal bar a casa mia non aveva
spiccicato parola, limitandosi a fare strada e rispondere a qualche
messaggio
di tanto in tanto. Solo in un’occasione aveva aperto bocca,
vale a dire quando
aveva chiamato sua madre per dirle che sarebbe rientrata tardi e di non
aspettarla per cena. Dopo di che si era chiusa in un ostinato silenzio
lanciandomi qualche occhiata ogni tanto.
«Come
ti avevo già detto sono settimane ormai che non dormo
più a causa degli incubi...» iniziai a raccontare,
mentre giocherellavo con una
matita per cercare di scaricare l’agitazione e la
preoccupazione perciò che
sarebbe successo una volta che avessi terminato di spiegarle.
«All’inizio avevo
pensato che fosse tutta colpa dello stress
dell’università, ma… Gli esami sono
finiti da più di due settimane ed i miei sogni sono
continuati.» affermai
battendo ritmicamente la matita sulla scrivania ed evitando
accuratamente il
volto di Cassie.
«Ogni
notte diventano sempre più dettagliati e vividi, tanto
da non sembrare nemmeno più sogni. Nemmeno Lei… -
Ti ricordi la ragazza bionda
di cui ti avevo parlato? - Più la sogno, più
l’idea che sia frutto della mia
mente, mi sembra impossibile. Non so spiegartelo, ma è come
se lei fosse una persona
reale, non una mia creazione, ma un essere umano come te e
me.» tentai di
spiegarle. «Il suo comportamento è troppo umano e
le sue reazioni e azioni
troppo incoerenti. Non riuscirei mai ad immaginarla così
perfettamente durante
il sonno.» Conclusi voltandomi nella sua direzione per vedere
come stava prendendo
quel piccolo frammento di verità, che mi aveva obbligata a
spiattellare.
Cassie
era ancora sdraiata sul tappeto con gli occhi fissi
su di me e un’espressione indecifrabile in volto, gli
occhiali li aveva alzati
sul capo, tenendo indietro i boccoli neri e mettendo in mostra gli
occhi scuri
che mi scrutavano affamati di mistero. «Il peggio
è successo ieri sera…» dissi
lasciando cadere la matita sul tavolo e girandomi con la sedia di
fronte alla
mia amica. «Non mi crederai, ma lasciami raccontare fino alla
fine, dopo di che
potrai dirmi tranquillamente quanto sembro pazza.» le
promisi, lei fece un
semplice cenno del capo, intenzionata a non aprir bocca per evitare di
cambiar
discorso.
«Come
al solito ieri sera stavo faticando a prendere sonno,
quando finalmente ero a metà fra il dormiveglia ed il sonno
profondo, ho
sentito dei strani rumori vicino alla finestra. Subito pensavo che
stessi già
sognando, ma quando mi sono resa conto che ero ancora sveglia, ho
deciso di
alzarmi per andare a controllare e…» deglutii e mi
passai una mano sugli occhi.
«… c’era una creatura dalla pelle
bianca, due fosse scure al posto degli occhi,
denti piccoli ed affilati ed indossava uno smoking rosso con camicia
nera.
Stava appollaiato sul davanzale e graffiava il vetro della finestra con
degli
artigli lunghi e taglienti, chiamandomi senza sosta Denise e dicendo
che la sua
padrona ci stava aspettando…»
Gli
occhi di Cassie si allargarono ascoltando il mio
racconto, ma non mi interruppe.
«Pensavo
davvero che da un momento all’altro sarebbe
riuscito ad entrare in casa e non ho voluto immaginare nemmeno per un
secondo
cosa mi avrebbe potuto fare. Per fortuna non ne ha avuto il tempo. Una
donna è
arrivata e lui è scomparso immediatamente. Non
l’ho vista in volto, mi dava la
schiena, ma aveva una lunga treccia bionda ed è sparita
subito dopo.»
Conclusi
in questo modo il mio monologo e poi rimasi in
silenzio in attesa.
«E
oggi? Per quale motivo sei scappata da L’Eclissi?»
domandò semplicemente
mantenendo un tono di voce atono e senza tradire alcuna emozione.
Distolsi lo
sguardo dal suo e presi a aprire/chiudere il cinghietto
dell’orologio in un
gesto nervoso.
«C’era
una ragazza…» mi bloccai un momento incerta su
come
continuare. Avrei potuto mentire per salvaguardare tutto ciò
che restava della
nostra amicizia e non farla scappare a gambe levate, ma così
avrei tradito la
sua fiducia e sarebbe stato anche peggio…
Quando
avevamo cominciato a conoscerci c’eravamo soltanto
promesse una cosa: assoluta sincerità; tutto il resto era
facoltativo e passava
in secondo piano. Entrambe, in passato, non avevamo avuto fortuna per
quanto
riguardava le amicizie…
Lei
era stata buttata fuori dal suo gruppo dopo che l’ultima
arrivata l’aveva messa in mezzo nella sua relazione con il
fidanzato di una
vita, accusandola di aver fatto la cascamorta con lui…
Io
avevo iniziato ad allontanarmi di mia iniziativa dal mio
gruppetto, quando le avevo scoperte a sparlare su di me. Solo in quel
momento
mi ero resa conto quanto per loro fosse superficiale la nostra
amicizia...
Da
ciò si può intuire a che livelli storici fosse la
nostra
fiducia nel prossimo… Poco da stupirsi che uno dei valori
fondamentali su cui
si basava il nostro rapporto fosse proprio la sincerità.
Avevamo sempre pensato
che sarebbe stato meglio dirci sempre cosa ci passava per la testa e
scontrarci
di tanto in tanto, piuttosto che costruire un legame falso e
superficiale!
Quindi ora non mi restava che una sola scelta…
«Ho
visto la ragazza del mio sogno fuori dal porta del bar.
Sbirciava dentro dalla porta e mi ha sorriso…»
sussurrai con tono incredulo,
pure io faticavo ancora a crederci, quindi non l’avrei
biasimata se mi avesse
ritenuta una bugiarda.
Sbirciai
con la coda dell’occhio nella sua direzione in
attesa di una sua sfuriata, dove mi avrebbe accusata di mentire e di
quanto non
fossi troppo diversa dal suo vecchio gruppo, ma non successe niente.
Era
rimasta immobile per diversi minuti con gli occhi persi
nel vuoto, stava metabolizzando tutte le informazioni che le avevo
dato. Poi con
assoluta calma si sedette sul tappeto e abbassò gli occhiali
aggiustandoseli,
mentre io trattenevo il fiato aspettando che scoppiasse a ridere e mi
dicesse
che ero diventata matta da legare.
Le
mie preoccupazioni furono del tutto inutili, dato che la
sua reazione fu del tutto imprevedibile e scioccante. La mia amica
incrociò le
gambe davanti a sé e mi sorrise. «Ce
l’hai ancora la brandina?» mi chiese
allegra. «Abbiamo una lunga notte davanti e, se succede
qualcosa, non me lo
voglio perdere!» affermò decisa.
Ok.
Era
solo una mia impressione o avevo un’amica davvero
anomala?
No,
perché io le avevo appena raccontato di soffrire di
incubi inspiegabili e, probabilmente, di allucinazioni terrificanti e
lei mi
guardava eccitata davanti alla prospettiva di esserne partecipe, mentre
una
persona normale mi avrebbe dato della pazza e mi avrebbe consigliato
delle
visite da un bravo psicologo!
Forse non mi sarei dovuta
preoccupare troppo di quella
creatura con un gusto per la moda alquanto discutibile, ma piuttosto
della
ragazza che parlava entusiasta davanti a me… |
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Capitolo 5 *** Scoperte ***
Scoperte
Ogni
scoperta contiene un elemento irrazionale, o un’intuizione
creativa.
Karl
Raimund Popper
Non
capivo
dove mi trovavo, ma, sinceramente, non mi importava davvero. Dovunque
fossi,
ero certa di essere al sicuro, protetta... Avvolta in un caldo
abbraccio, delicato
e forte allo stesso tempo, senza accorgermene mi accoccolai meglio tra
quelle
braccia lasciandomi scappare un sorriso.
Una
leggera
carezza mi percorse il viso per poi scendere lungo il collo. Percependo
il
cambio di direzione, provai a mantenere la calma ed ignorai la mano,
che con
lenti movimenti circolari, mi stava facendo impazzire. Mi morsi il
labbro
inferiore e feci un respiro profondo, ma alla fine non resistetti a
lungo. Infatti
il mio aguzzino doveva conoscermi molto bene, perché non si
lasciò ingannare da
questo mio atteggiamento e continuò con quella lenta tortura.
Quando
raggiunsi
il mio limite, mi allontanai quanto possibile, data la stretta ferrea
all’altezza
del bacino. «Bastaaaa…» biascicai con la
voce impastata dal sonno, mentre con
una mano recuperavo le coperte e con l’altra tentavo di
difendermi da
quell’attacco…
«Dai,
Amore…» sussurrò una voce roca
maschile. «È ora di alzarsi… Tua
sorella è già arrivata.»
«Non
è
vero… Arriverà domani. Ti prego, Luca…
Ancora mezzoretta!!!» mi lamentai ad
occhi chiusi stringendo il cuscino davanti al viso.
Lo
sentii
mollare la presa ed allontanarsi, permettendomi di fare un bel respiro
profondo
e di rilassarmi. Purtroppo quella calma apparente ebbe breve durata,
infatti poco
dopo mi saltò letteralmente addosso ripartendo alla carica
col solletico e
togliendomi il respiro, a causa delle risate che non riuscivo a
trattenere e
che spingevano per uscire dalla mia bocca. Era una reazione troppo
forte perché
potessi controllarla.
«M-mi…
Ar..
Ar-rendo…» dissi tra un respiro ed una risata.
«Come desiderate mia dolce
signora…» rispose lui ed io mi voltai verso di lui
per essere sicura che non mi
prendesse ancora in giro. I suoi occhi scuri parevano brillare mentre
si
portava una mia mano alla bocca e si promuoveva in un perfetto
baciamano. Non
potei trattenere un sorriso davanti a quel suo comportamento
così teatrale.
Non
conoscevo
quell’uomo con cui sembravo avere una relazione, ma di tanto
in tanto avevo la
netta impressione di averlo già visto. Solo che nella
situazione in cui mi
trovavo ora, non avevo idea come distinguere ciò che
apparteneva alla mia
realtà da ciò che sapevo nel sogno.
Luca
mi
diede un leggero bacio sulle labbra e si alzò dal letto
dirigendosi verso la
porta, dove si fermò per un momento girandosi nella mia
direzione.
«In
ogni
caso non stavo scherzando prima…»
affermò con un’espressione seria in volto,
lasciandomi perplessa. «Tua sorella è davvero qui
sotto… È sembra piuttosto
inquieta.» concluse spalancando l’uscio e
sorpassandolo.
Rimasi
immobile nel letto per qualche istante, mentre la mia mente elaborava
ciò che
avevo appena visto, sentito e… Vissuto. Era chiaro che stavo
sognando, anche se
non ricordavo il momento esatto in cui la stanchezza aveva avuto il
sopravvento
sulla mia mente. Prima di crollare stavo parlando con Cassie di tutto
ciò che
mi era capitato negli ultimi tempi, cercando insieme la fonte di tutti
questi
incubi improvvisi ed irrazionali, ma non eravamo arrivate a
niente…
Ma
non era
quello il punto.
Ciò
che mi
preoccupava in quel momento era che, come tutte le altre volte, non
avevo alcun
controllo sul mio corpo. Tutte le volte che aprivo bocca o facevo un
movimento,
non ero davvero io a parlare o muovermi… Sembrava che fossi
intrappolata
all’interno del mio stesso corpo, come muta spettatrice
davanti ad uno
spettacolo di cui non conoscevo che dettagli inutili…
Ad
esempio
il nome dell’uomo che mi aveva svegliata, Luca. Ero certa che
quello fosse il
suo nome, ma non avevo idea di chi potesse essere per me: un amante o
forse
qualcosa di più data la confidenza che si era preso nei miei
confronti…
Dovevo
avere delle risposte, non si poteva andare avanti soltanto per ipotesi
ed
intuizioni.
Con
calma
mi sedetti sull’enorme letto matrimoniale incrociando le
gambe e riflettendo su
ciò che Luca mi aveva appena detto. “Mia
sorella” mi stava aspettando al piano
di sotto…
C’era
solo
un piccolissimo dettaglio.
Ero
figlia
unica.
Più
pensavo
a questa fantomatica sorella più il volto della bionda mi
ritornava prepotente
in mente.
Alla
fine
il mio corpo si decise ad alzarsi dal materasso, raccattò
una vestaglia dal
cassetto e si precipitò di sotto, mentre tra uno scalino e
l’altro indossava la
veste.
Quando
varcai
la soglia del salone, trovai ad aspettarmi Luca affiancato da una
giovane donna
dai lunghi capelli biondi che mi dava le spalle. Erano talmente
coinvolti nella
loro conversazione che non si accorsero immediatamente del mio arrivo.
«Ora
sì che
sono sorpresa. Mi avevi detto che saresti stata impegnata in questi
giorni…
Come mai questa visita anticipata? È successo
qualcosa?» domandò la mia voce
con tono concitato.
La
bionda
si voltò verso di me e rividi il viso della sconosciuta del
bar e della donna
che ossessionava le mie notti, solo che stavolta dal suo sguardo
trapelavano un
mix di sentimenti contrastanti: sollievo, inquietudine e paura.
Cosa
diavolo era successo?
«Denise…»
mormorò mentre una lacrima le rigava la guancia. Non me lo
feci ripetere due
volte e mi avvicinai a lei, avvolgendola in un caldo abbraccio. Da
sopra la sua
spalla scambiai una rapida occhiata con Luca e lui senza dire una
parola lasciò
la stanza, permettendoci un po’ di intimità.
«Selene…»
richiamai la sua attenzione. «Cosa ti ha sconvolta
tanto?»
Selene
alzò
il capo e puntò i suoi occhia azzurri nei miei.
«…»
Non
sentii
la risposta perché la mia attenzione venne attratta da
un’altra voce familiare.
«Diana!»
imprecò una ragazza. «Per l’amor del
cielo
svegliati!»
«Cassie?!»
domandai.
Tutto
intorno
a me cominciò a svanire per essere divorato
dall’oscurità, solo uno specchio
ancorato alla parete opposta della stanza si salvò,
rimanendo sospeso in aria
ed avvicinandosi sempre di più fino a che iniziai ad
intravedere la vestaglia
che indossavo ed alcune ciocche castane, ma niente di più.
Ad
un
tratto anche lo specchio venne inglobato dal buio ed io aprii gli occhi.
Due buchi neri
mi osservavano dal soffitto, facendomi perdere
un battito ed obbligandomi a trattenere un urlo.
Buonasera
a tutti!!!
Eccomi
tornata e
stavolta addirittura in anticipo rispetto al solito! Da adesso in poi
spero di
riuscire ad aggiornare questa storia ogni due settimane! Questa
settimana è un’eccezione
perché in realtà la prossima settimana non
avrò molto tempo per scrivere,
quindi mi sono data da fare in questi giorni. :)
Bene,
detto questo,
torniamo al capitolo.
Come
avete letto
finalmente ci sono state delle scoperte, da qui il titolo, riguardo
alla bionda
che perseguita i sogni di Diana. XD
Contenti?
Finalmente è
stata scoperta l’identità della bionda che
perseguita i sogni di Diana.
Non
so se era questo
che vi aspettavate e mi piacerebbe sapere cosa vi eravate immaginati!
Comunque
le sorprese
non sono finite qui…
Ma
per scoprire cosa
succederà dovrete leggere il prossimo capitolo. :P
Un
bacio,
Nerys
|
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Capitolo 6 *** Senza Via d'Uscita ***
Ciao a
tutti! <3
Voglio
incominciare col scusarmi per il più che enorme ritardo con
tutti coloro che
stanno leggendo questa storia e con chi ha anche recensito, purtroppo
in questi
ultimi mesi ho avuto qualche problema sia con l’inventiva sia
col tempo a
disposizione per scrivere.
Da ora in
avanti spero di essere più puntuale e presente! Scusatemi
ancora T.T
Ora vi
lascio al capitolo.
Nerys
Senza Via d’Uscita
Scappare o combattere?
Non sempre la scelta è
così scontata, tante volte la paura ti
paralizza.
… Due
buchi neri mi osservavano dal soffitto, facendomi perdere un battito ed
obbligandomi a trattenere un urlo.
Era tornato per me.
Era tornato per portarmi
via.
Era tornato per
trascinarmi dalla sua padrona.
Davanti a quelle
constatazioni mi ritrovai incapace di respirare, per un attimo ero
riuscita a
dimenticare tutta quella folle situazione in cui mi ero ritrovata e di
quanto
fosse opprimente il suo
sguardo buio ed
impenetrabile. Durante il giorno passato all'università in
compagnia di Cassie
tutto quello che era successo la notte precedente mi era parso
più simile ad un
sogno che alla dura realtà...
Tutto ciò insieme non
faceva che aumentare il terrore, che piano piano si stava insediando
nella mia mente.
La salivazione era azzerata e la gola secca mi rendeva difficile
deglutire.
Quella cosa, nel
frattempo, continuava a starsene immobile attaccata a testa in
giù dal soffitto
della mia camera, studiandomi attentamente con il capo leggermente
inclinato da
un lato.
Come aveva fatto ad
entrare? Aveva spaccato il vetro della finestra? O aveva deciso di
scardinare
la porta d’ingresso? Ero certa che entrambe le ipotesi
fossero validissime, ma
non avevo il coraggio di distogliere lo sguardo da quella presenza, per
scoprire quale delle due avesse scelto per entrare. E poi la
possibilità di
seguire i suoi spostamenti con lo sguardo mi rassicurava, anche se il
mio corpo
era immobilizzato dalla paura.
«Ti
ho… Trovata… De-ni-se…»
gracchiò allargando le labbra in quello
che doveva essere un sorriso. Non riuscii a trattenermi dal
rabbrividire
davanti a quello spettacolo di denti affilati tutti in bella vista,
mentre il
cuore non faceva che martellarmi nel petto.
Lo vidi allungare un
artiglio affilato nella mia direzione in un chiaro invito ad
afferrarglielo. Di
riflesso piantai le unghie nel materasso mentre guardavo
quell’artiglio
oscillare pericolosamente all’altezza del mio stomaco, se per
un qualsiasi
motivo avesse perso l’equilibrio o la presa al soffitto, mi
avrebbe sicuramente
trafitta.
«Vieni…
Con me… Deni-se…»
canticchiò in modo grottesco ed
inquietante. «La padrona…
Lei ci
aspetta…»
Tremavo di paura ad
averlo ad un metro di distanza ed ero ancora confusa dal brusco
risveglio per
capire appieno cosa stesse succedendo, ma, nonostante tutto questo,
l'idea di
afferrare quella specie di mano non mi sfiorò mai la mente.
Davanti al mio rifiuto lo
vidi avvicinarsi ancora un po', fino a sfiorarmi il collo con
l'artiglio. «La padrona…
Ci aspet-ta…» cercò di
sollecitarmi passandosi la lingua nera sui denti affilati.
Un conato di vomito mi
risalì dalla bocca dello stomaco, fortunatamente riuscii a
fermarlo prima che
fosse troppo tardi.
Intanto quella creatura
era scesa lentamente dal soffitto fino a poggiare i piedi sul letto,
facendo
molleggiare leggermente il materasso.
No… No, non doveva
avvicinarsi! Con uno scatto mi sedetti ed iniziai ad indietreggiare
freneticamente
tra le lenzuola fino a scontrarmi dolorosamente contro la spalliera.
Non ci
diedi troppo peso, la mia mente era totalmente occupata
dall’immagine di quel
mostro che sostava placidamente a pochi passi da me. Tutto d'un tratto
l'adrenalina che mi aveva aiutata a scappare, sparì nel
nulla. Non riuscivo a
reagire, a trovare la forza per buttarmi giù dal letto e
fuggire il più lontano
possibile da lui.
Il respiro si fece sempre
più agitato, sentivo chiaramente il pulsare del sangue
rimbombarmi nelle
orecchie. Il tempo sembrava essersi congelato: lui
se ne stava in fondo al mio letto immobile a fissarmi ed io
paralizzata
a guardare fisso nella sua direzione.
«DIANA!» urlò una
voce
femminile alle sue spalle, prima che lui sparisse totalmente dal mio
campo
visivo. Ora davanti a me stava una figura femminile ansimante con gli
occhi
pieni di preoccupazione ed angoscia. Selene…
Mi venne istintivo
identificare la mia salvatrice con la figura bionda e slanciata che
ormai ossessionava
le mie giornate e i miei sogni. Ma mi sbagliai, perché la
ragazza che mi
ritrovai ad osservare non aveva una lunga treccia bionda, ma lunghi
boccoli
scuri scompigliati.
«Cassie?» domandai
sorpresa. La mia amica impugnò la scopa a mo’ di
mazza, spostando lo sguardo
inquieto su di me. «Vieni qui! Che diavolo
aspetti?» mi riprese mentre spostava
lo sguardo sulla scrivania a fianco del letto, dove in quel momento si
stava
rialzando quell’essere.
L’urlo di Cassie fu come
una secchiata d’acqua fredda, risvegliandomi da quello stato
catatonico in cui
ero caduta. Così, senza farmelo ripetere due volte, mi alzai
di scatto dal
letto raggiungendola subito. «Non ti provare ad avvicinare di
nuovo!» lo
avvertì Cassie stringendo la presa sulla sua arma
improvvisata.
«Prima tu…»
«Un colpo solo
all’altezza del costato. Non ci speravo molto a dir la
verità.» rispose pratica
lei. Non potei trattenermi dal guardarla con un misto di stupore e
affetto.
«Grazie.» sussurrai, mentre la osservavo
sbalordita. I boccoli disordinati e
gli occhi vispi che seguivano il più minimo movimento di
quell’essere le davano
un aspetto piuttosto selvaggio ed agguerrito.
Non l’avevo mai vista
così.
In quel momento pareva un
gatto pronto ad un agguato contro un grosso e pericoloso
lupo… Già, due poveri
gatti contro un lupo piuttosto affamato… Questo era il
dislivello che incorreva
tra noi e quell’essere, eravamo praticamente delle morti che
camminavano.
Stavolta non ne saremmo uscite. Eravamo solo noi due con una scopa come
unica
arma offensiva… Un po’ poco…
Ormai lui si era ripreso
ed il conto alla rovescia era appena iniziato.
Con un movimento unico e
fluido si era ancora una volta rialzato in piedi.
Non avevamo vie di fuga.
Certo, saremmo potute scappare dalla camera e correre lungo il
corridoio, ma
l’istinto mi diceva che non sarebbe servito a nulla, avremmo
solamente
posticipato ciò che era inevitabile. Perché quella cosa
avrebbe avuto la
meglio in uno scontro corpo a corpo.
Non ne avevo il minimo
dubbio!
Si
sgranchì il collo
prima da una parte
poi dall'altra provocando suoni che mi fecero accapponare la pelle.
Forse…
Forse avrei potuto fare
come voleva lui.
Andare dalla sua padrona…
Magari mi avrebbero dato delle spiegazioni riguardo alla questione
“Denise” e ai
sogni che mi perseguitavano
non solo più durante la notte, ma anche in pieno giorno.
Avrei ricevuto delle
risposte alla moltitudine di domande che mi si stavano affollando in
mente…
Sorrise, il mostro.
Sorrise davanti alla mia
incertezza, alla mia paura ed alla mia confusione, ma il sorriso che
gli
deformò il volto, fece sembrare quell’espressione
più simile ad una ferita, un
taglio sottile e preciso, su un volto che di umano aveva ben poco.
La scena che gli si
presentava davanti doveva divertirlo parecchio: due ragazze spaurite
con una
semplice scopa come arma di difesa, mentre lui poteva vantare un ampio
armamentario, tra cui denti affilati degni del peggior squalo bianco e
artigli
lunghi ed affilati da essere scambiati per rasoi. Era una battaglia
persa in
partenza.
Fece un passo nella
nostra direzione studiandoci attentamente con quelle due orbite vuote.
Proprio mentre lo vedevo fare
l'ennesimo passo nella nostra direzione, mi resi conto quanto
l’idea di
seguirlo volontariamente fosse una cazzata. Se quell’essere
davanti a me era
già spaventoso ed inumano, non volevo nemmeno immaginare
come sarebbe potuta
essere la sua padrona.
Con lo sguardo iniziai a
studiare la mia camera alla ricerca di qualche via di fuga, ma come
avevo già
ipotizzato prima, l’unica sarebbe stata provare a scappare
lungo il corridoio e
cercare di raggiungere il portone d’ingresso nel minor tempo
possibile.
Solo che mia madre
sarebbe potuta uscire in qualsiasi momento, richiamata dal casino che
avremmo
fatto scappando fuori dalla camera.
Era già strano che non
fosse ancora entrata qui in stanza dopo tutto il caos che avevamo
fatto. In automatico
lanciai una rapida occhiata alla mia scrivania che ormai giaceva
distrutta in
un angolo della stanza, la caduta di quella creatura doveva essere
stata più
devastante di quanto pensassi, anche se lui sembrava esserne uscito
illeso.
Persa nei miei pensieri
non mi accorsi subito che il mostro si era fermato a qualche passo da
noi ed
aveva inclinato il capo puntandoci contro quei buchi neri.
«S-sei una di
no-i…?» domandò inclinando il
volto verso sinistra e tracciando
con quella lunga unghia il percorso tra la guancia ed il collo di
Cassie, la
vidi deglutire e mordersi il labbro inferiore tentando di mantenere la
calma. Strinsi
forte i pugni lungo i fianchi mentre sentivo il sangue circolare sempre
più
velocemente ed una strana sensazione cominciare a ribollirmi nello
stomaco.
Quella sottospecie di
feticcio umanoide si stava prendendo troppe confidenze con Cassie.
Doveva
allontanarsi e sparire dalla mia vista. Non aveva più
importanza il motivo che
lo aveva condotto qui, la mia curiosità ed il terrore erano
spariti nello
stesso momento in cui aveva osato toccare la mia amica,
un’innocente, la cui
sola colpa era stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
Con un movimento brusco
mi interposi fra di loro e con un gesto stizzito ed attento allontanai
l’artiglio dal viso della mia amica. «Stalle alla
larga!» esclamai sempre più
furiosa.
Quella brutta copia di
una mano si avvicinò di nuovo, ma stavolta si
soffermò fra i miei capelli. «Non
toccarmi e lascia stare Cassie!» gli urlai in faccia
schiaffeggiando col dorso
della mano il suo artiglio, ferendomi lievemente.
Lui non si scompose e
ritirò semplicemente la mano, portandola davanti al viso ed
osservando
avidamente la piccola traccia di sangue che la sporcava. «Deni-se…»
soffiò prima di leccare via la macchia con una lunga
lingua nera. Un conato di vomito mi risalì lungo la gola e
dovetti trattenere
dallo svuotare il contenuto del mio stomaco direttamente sul tappeto.
«Cass-i-e…»
sibilò spostando ancora una volta la sua attenzione
sulla mia amica. «Non…
Umana…» poi
s’interruppe all’improvviso con lo sguardo fisso su
Cassie. «Argento…»
disse sgomento. «Argento…
Koré!!!» e poi si allontanò
verso la finestra senza staccare gli occhi da noi due ed urlando parole
senza
senso come “padrona” e “Way”
per poi sparire nell’oscurità della notte sotto i
nostri sguardi scioccati.
Sbattei un paio di volte
le palpebre cercando di capire se ciò che avevo visto era
davvero successo o se
si trattava soltanto di un'allucinazione.
Un improvviso dolore al
fianco mi riportò alla realtà.
«Ahia!» urlai strofinandomi forte la parte lesa.
«Che diavolo ti è preso?» chiesi
infastidita a Cassie. «Cercavo di capire se
non stavo sognando.» rispose innocentemente.
«E perché lo hai fatto a
me?»
«Perché fa male!» mi
rispose come se fosse ovvio, mentre ritirava la scopa dietro
l’armadio.
Prima o poi l'avrei
uccisa, giurai a me stessa con un leggero broncio sulle labbra.
Sempre che non cercasse prima
lei di accopparmi con una scopa...
Davanti a questo pensiero
non riuscii a trattenere una piccola risata sotto lo sguardo perplesso
della
mia amica. Avevo decisamente qualcosa che non andava se dopo essere
aggredita
da una specie di mostro, riuscivo ancora a ridere per delle cazzate del
genere.
«Tu non sei normale!»
affermò convinta Cassie lasciandosi cadere tranquilla sulla
sua brandina. Inarcai
un sopracciglio davanti al suo comportamento tranquillo ed
assolutamente
normale. «Nemmeno tu!» le risposi avvicinandomi
alla finestra e chiudendola con
un colpo deciso.
Sotto un lampione in
lontananza mi sembrò di vedere una figura femminile, ma non
appena sbattei le
palpebre per metterla più a fuoco, di quella presenza non
rimase più nulla. |
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Capitolo 7 *** The Way ***
The
Way
Lasciate
ogne speranza, voi ch’intrate.
Dante
Alighieri, III canto della Divina
Commedia.
Ogni cosa
presente in quel posto
pareva emanare sentimenti negativi, nel silenzio che aleggiava in
quella landa
desolata il leggero alito di vento si mescolava con sussurri di lamenti
ed
imprecazioni. Voci provenienti da un passato vecchio di secoli e da uno
più
recente. Era incredibile come il vociare era quasi impossibile da
sentire, a
meno che non lo si ascoltasse attentamente.
Il Whispers’ Wind non era
l’unico elemento inspiegabile del luogo, non
era altro che il principio.
Il cielo,
all’apparenza torbido, se
studiato con calma svelava una consistenza acquosa che assorbiva ogni
sprazzo
di luce presente in quella lugubre distesa arida. Lì
l’unica costruzione
consisteva in un imponente castello dall’aspetto ostile ed
impenetrabile:
quattro torri ne delineavano il perimetro, le cui guglie svettavano
pericolose
ed affilate nel cielo; le mura a difesa erano costituite da enormi
blocchi di
roccia dall’aria invalicabile e resistente. Ciò
che stonava in quella fortezza
era il cumulo di legna distrutta e disordinata che bloccava il portone,
resti
di quello che una volta doveva essere l’ingresso principale.
Visto da fuori
dava l’impressione
di essere disabitato ed abbandonato alle intemperie da diversi secoli,
se non
fosse stato per la debole luce proveniente da alcune finestre della
sala da
ricevimento e da alcuni movimenti che si intravedevano attraverso il
vetro,
come l’ingresso di una creatura all’interno della
stanza.
Il nuovo
arrivato entrò nella
stanza con passo lento e leggermente incerto, lanciando veloci occhiate
ad ogni
angolo e studiandone ogni particolare. L’ambiente era
spoglio, eccetto per un lungo
tappeto rosso che ricopriva in linea retta il percorso dalla porta ad
un trono,
rialzato da una piccola pedana di tre scalini, che sostava al centro
del lato
opposto del salone. Il seggio era interamente costruito in mogano con
l’imbottitura rossa che spiccava in quella stanza oscura,
così come risaltava
la donna dall’aria elegante e sofisticata che lo occupava.
«Bentornato.»
lo salutò poggiando
leggermente il capo sulle dita della mano destra che terminavano con
lunghe
unghie laccate nere, mentre gli occhi dello stesso colore scrutavano il
nuovo
arrivato, che si stava avvicinando con un’andatura piuttosto
veloce, nonostante
il ciondolio preoccupante del busto.
L’essere
aveva una colore
cadaverico e due cavità scure a sostituire gli occhi, mentre
le dita non erano
altro che lunghi ed affilati artigli. Privi di vera volontà,
venivano spesso
manipolati da forze superiori per raggiungere i propri scopi. Erano
presenti in
alcune leggende del passato e in alcune fiabe raccontate ai bambini,
nelle
quali venivano usati come mostri dai quali guardarsi ed avvertimento su
cosa
poteva succedere se avessero disobbedito ai genitori. Una delle
maggiori figure
con cui venivano presentati era quella dell’Uomo Nero,
altrimenti identificato
come Boogeyman o Babau. Anche se la loro vera nominazione era quella di
Lost, anime rubate ed intrappolate
in
corpi-fantocci, capaci di contenerle e rendere manovrabili da esseri
legati
all’Oltretomba.
Infatti, non
avendo alcun interesse
ad averne un tornaconto personale, erano più efficienti di
molti demoni o
spiriti inferiori nel completare gli ordini dei propri padroni. Anche
se non
sempre riuscivano a portarli a termine…
«Devo
intendere che tu non abbia
portato a compimento la mia semplice richiesta?»
domandò la donna con voce candida
e suadente, una combinazione contraddittoria e spaventosa allo stesso
tempo.
Il Lost
chinò il capo in un inchino
frettoloso e contenuto, quando aprì la bocca per obbiettare,
mostrando una lunga
fila di denti affilati, lei lo interruppe immediatamente.
«Dove si trova la
ragazza?»
«Ca… Casa…
Ho det… to che padrona
vuole lei, ma la koré…»
e la sua
bocca si piegò in un’espressione di disgusto.
«…
è intervenuta…» poi
alzò il
capo per fissarla in modo accusatorio.
Poche erano le
cose che potevano
interferire durante il lavoro di un Lost, una di queste era
rappresentata dalla
Koré. Quelle marionette demoniache non riuscivano a
sopportarne la presenza e
possedevano un odio viscerale nei suoi confronti.
«Avevate detto che non…
che non
c’era quellla
cosa…»
si lamentò.
«Avevate
giurato che era morrrta…»
affermò con voce tremante e stridula, mentre
muoveva in modo nervoso gli artigli facendoli sferragliare fra di loro
e creando
un rumore fastidioso.
La sua
rivelazione sembrò
incuriosire la donna, che, con un movimento elegante, si
alzò dal trono e a
passo deliberatamente lento si avvicinò al suo servo.
Mentre
percorreva il divario tra di
loro, la sua figura venne illuminata a tratti dalla flebile luce delle
torce
collocate lungo le pareti, donandole un aspetto crudele e mostrando un
viso
privo di imperfezioni. Una lunga chioma mogano le si arricciava in
morbidi
boccoli lungo la schiena color alabastro, lasciata scoperta dal
profondo scollo
interrotto solo a metà da una piccola catena formata da
frammenti di onice, che
legavano fra loro le spalline sottili. Era un essere dalla bellezza
eterea e
spettrale ed il cui potere era percepibile come un aura violenta
intorno a lei
ed il suo vestito cremisi sembrava accentuare la sua natura pericolosa:
totalmente realizzato in seta, in modo da seguire alla perfezione ogni
curva
come una seconda pelle, formava delle morbide pieghe dandole un tocco
sensuale.
Una volta giunta
ad un passo dalla
sua marionetta lo scrutò attentamente con quegli occhi
più scuri delle tenebre
stesse. «In questo caso cambia tutto.»
affermò decisa e con un gesto rapido gli
trapassò il torace, chiudendo le dita attorno ad un ammasso
informe. Poi con un
gesto rotatorio del polso, strattonò la presa ed estrasse la
mano.
Il sangue la
ricopriva fino al
braccio, sporcando leggermente in gran parte il guanto nero di pizzo
che le
arrivava fino a sotto la spalla, ma lei non sembrò
preoccuparsene dato che la
sua completa attenzione era assorbita da ciò che teneva in
mano. «Signo-ra…»
singhiozzò dolorosamente il Lost inginocchiandosi, mentre la
stretta, intorno a
quello che doveva essere il suo cuore, aumentava in modo graduale.
«Ormai
non mi sei più di alcuna
utilità. Hai fallito!» affermò
semplicemente distruggendo l’unico legame che lo
manteneva ancora in vita. Dopo di che il sangue schizzò
ovunque e di quella
creatura non rimase che una lugubre melma scura in cui
lasciò cadere i resti
del muscolo cardiaco.
Con un movimento
lezioso la donna
si portò le dita della mano alla bocca e ne leccò
via il sangue con
un’espressione compiaciuta.
«Koré…»
sussurrò con voce melliflua, scrutando con lo sguardo tutta
la stanza che la circondava fino a fermarsi quando nel suo campo visivo
comparve una debole fiammella blu. Allungò il braccio lungo
la fiamma volante,
raccogliendola al centro della mano, e se
l’avvicinò alle labbra.
«Thanatos…
Giochi sporco.» sibilò prima di assorbire
l’anima.
«Lo
vedremo Morrigan…» affermò con
un ghigno compiaciuto una figura maschile all’esterno del
castello.
Buongiorno
a tutti voi, valorosi superstiti che avete avuto l’ardire e
la pazienza di
continuare a seguirmi. :)
Questo
capitolo è stata una breve interruzione per introdurre nuovi
personaggi e
spiegare alcune cose, che avevo lasciato in sospeso nei capitoli
precedenti.
Piaciuta la vera natura di quel demoniaco manichino scheletrico? Spero
di non
avervi deluso >.<
Cosa
ne pensate del nuovo personaggio? E della figura maschile misteriosa?
Se
avete un momento di tempo, fatemi sapere. Sono curiosa di conoscere le
vostre
opinioni.
Kiss,
Nerys. |
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Capitolo 8 *** Domande... ***
Domande…
Si
odono solo le domande alle quali si è in condizione di
trovare una risposta.
Nietzsche.
«Cassie!
Per l’amor del cielo! Vieni a darmi una mano a sistemare
questo casino prima che arrivi mia madre!» sbuffai
innervosita, mentre recuperavo da terra il computer, stranamente
incolume dopo l’atterraggio del mostro su quella che, una
volta, era stata la mia scrivania.
Cassandra
posò lo sguardo per qualche secondo su
quell’ammasso di legno dalla stabilità incerta che
sembrava ancora tenersi in piedi per miracolo, prima di riportarlo su
di me. «Tu pensi davvero che lei non si accorgerà
di niente?» mi domandò con un’occhiata
scettica.
Provai
a replicare, per convincerla a darmi una mano, ma non trovai risposta
davanti alla sua semplice constatazione; infatti, presa
dall’agitazione e dalla fretta, non mi ero soffermata molto
ad osservare il disastro che avevo davanti a me. Ero convinta che in un
modo o nell’altro sarei riuscita a minimizzare il danno e che
mamma non se ne sarebbe accorta, ma a ben guardarlo, anche solo
l’idea di tentare di sistemarlo era impossibile…
L’unica soluzione era far sparire la scrivania, ma mia madre
non era stupida, se ne sarebbe di certo accorta. A questo punto potevo
lasciarla lì e sperare che non facesse caso al suo aspetto leggermente decadente…
Entrambe
vennero scartate all’istante.
«Sono
morta.» affermai sconsolata lasciandomi cadere per terra.
«Tranquilla…»
cercò di consolarmi Cassie, inginocchiata davanti a me con
una mano poggiata sulla mia spalla. «…
Porterò dei fiori sulla tua tomba!» concluse
cercando invano di trattenere un ghigno divertito.
Per
un attimo la guardai allucinata: la mia migliore amica, quella che fino
a qualche ora prima aveva affrontato un mostro per aiutarmi, mi stava
abbandonando davanti al pericolo più grande che potesse
incombere sulla mia giovane vita… Mia madre.
Sara
era una persona amabile, gentile ed altruista con chiunque, aveva una
pazienza encomiabile, ma…
Perché alla fine n’esisteva sempre uno, la mia
cara mammina sapeva diventare una vera furia, specie, quando combinavo
qualche casino in casa, soprattutto se comprendeva la distruzione di
qualsiasi oggetto…
Cassie
aveva ben presente questo lato nascosto del suo carattere, infatti
aveva avuto modo di essere spettatrice di una sua sfuriata quando per
sbaglio avevo rotto un vaso…
E
adesso voleva mollarmi in asso proprio quando era stata lei, la teppista, che aveva
demolito la mia
scrivania. In quel momento non importava quale fosse il motivo per cui
l’avesse ridotta in quel modo. Era lei la colpevole e non mi
avrebbe lasciata sola davanti ad una Sara Fiore indemoniata.
Un
sorriso sadico mi incurvò le labbra, mentre davo voce ad una
semplice constatazione. «Non penso proprio che potrai farlo,
Cassie… Sarai troppo morta
per riuscirci…» dissi calcando bene sulla parola
“morta”.
All’inizio
sembrò non capire, data la sua espressione perplessa, ma
dopo qualche secondo di riflessione vidi le sue pupille dilatarsi
all’invero simile e ritirare veloce la mano dalla mia spalla
come se quel contatto l’avesse scottata. «Eh
già, Cassie. Eravamo soltanto in due in camera…
Chissà chi è che l’ha
distrutta?» domandai retorica senza staccare gli occhi dai
suoi.
«Cazzo!»
esclamò guardando dalla prospettiva di mia madre lo
spettacolo disastroso alle mie spalle. Chi altri avrebbe potuto
combinare quel casino? Non di certo una strana creatura dalle sembianze
umanoidi, che era entrata in camera e ci aveva attaccate. Solo a
sentire una frase di quel genere mamma ci avrebbe urlato addosso,
dicendo che non solo eravamo state tanto irresponsabili da distruggere
la scrivania, ma che eravamo anche troppo immature per ammetterlo.
Nonostante
tutto non riuscivo a smettere di gongolare davanti allo sguardo
disperato di Cassie, ora non mi avrebbe più potuta
abbandonare. Proprio mentre stavo per infierire, sentimmo un rumore di
passi avvicinarsi alla camera…
Tutto
ciò che stavo pensando fino ad un attimo prima perse
importanza davanti alla paura opprimente che mi stava assalendo al
pensiero della reazione che mia madre avrebbe avuto da lì a
pochi secondi.
Con
un colpo di reni mi tirai subito in piedi e mi catapultai di scatto
verso la scrivania distrutta, seguita a ruota da Cassie, che con un
movimento repentino, coprì tutto il caos con il piumone che
fino a poco prima giaceva sulla brandina. Io, invece, raggruppati tutti
i pezzi dispersi, li gettai sotto quella specie di telone improvvisato.
I
passi si arrestarono e la maniglia si abbassò, attirando
totalmente la mia attenzione e colsi solamente di sfuggita un movimento
al mio fianco; per questo rimasi interdetta ed impreparata quando un
cuscino mi colpì in piena faccia.
«Vittoria!»
urlò Cassie a qualche passo da me saltellando sul posto ed
agitando le mani in aria.
«Possibile
che alla vostra età vi divertiate ancora a giocare alla
guerra coi cuscini?» domandò mia madre mentre mi
guardava con una mano davanti alla bocca per soffocare la risata che
stava nascendo.
«Non
si è mai troppo grandi, Sara!» affermò
con un sorriso Cassie. «Vuoi unirti a noi per la rivincita di
tua figlia?» le chiese mentre sventolava in aria la sua nuova
arma.
Mamma
scosse la testa in segno di diniego ridacchiando. «Per
carità! Penso di non esserne più
capace.» rispose gioviale. «Volevo solo salutarvi
prima di uscire ed avvertirti che tua madre ti ha cercata, Cassandra.
Ha detto di richiamarla appena possibile.» spiegò
guardando preoccupata la mia amica. Conoscevamo entrambe qual era la
sua situazione famigliare e dopo che lei aveva frequentato la nostra
casa per anni, anche mia madre le si era affezionata.
Cassandra
non si scompose e con un cenno del capo chiuse la conversazione.
«Buona
giornata ragazze!» ci salutò uscendo dalla stanza.
Aspettammo
di sentire la porta d’ingresso chiudersi e poi ci scambiammo
un’occhiata d’intesa.
«Ed
ora facciamo il punto della situazione.»
«Quindi non
era la prima volta che vedevi quella creatura. Ti era già
successo, ma pensavi fosse un sogno, corretto?» mi
domandò Cassie, scarabocchiando qualche appunto su un foglio.
«In
linea di massima sì, anche se io lo definirei più
un incubo…» bofonchiai accucciandomi
dall’altro lato del divano con una tazza fumante di the fra
le mani.
«Ti
aveva mai rivolto la parola?»
Feci
un cenno affermativo col capo e presi un sorso dalla tazza, mentre mi
perdevo nel ricordo della sua prima visita. Subito mi tornarono alla
mente quelle cavità oscure, i lunghi artigli ed il sorriso
affilato. Un moto di disgusto e terrore mi percorse la schiena.
Sbattei
più volte le palpebre per allontanare
quell’abominevole visione dalla mia mente.
«Continuava a chiamarmi Denise, ripeteva che finalmente mi
aveva trovata e che la sua padrona mi stava aspettando. Cose senza
senso.»
«Lo
stesso nome dei sogni?» domandò continuando a
scribacchiare sul foglio.
«Sì!»
Prese
un pennarello rosso e sul foglio segnò al centro alla pagina
“DENISE” e lo cerchiò con foga.
«A quanto pare tutto sembra ruotare intorno a questo nome,
anche se non riesco a capire il collegamento con te.»
riassunse spostando la sua attenzione su di me.
«Denise… Conosci qualcuno con questo
nome?»
Abbattuta,
scossi la testa in segno di diniego.
«Cos’è
una kore?» domandai appoggiando stanca la testa contro lo
schienale del divano e stringendo le gambe al petto. Presi un sorso di
the e studiai la ragazza davanti a me. I lunghi boccoli neri erano
puntati sulla nuca con una matita in uno chignon piuttosto disordinato,
mentre gli occhiali si appoggiavano traballanti sulla punta del naso,
ma lei sembrava non curarsene minimamente, della quale lei sembrava non
preoccuparsi minimamente. «Quella creatura l’ha
urlato subito dopo averti guardata negli occhi.» continuai
dubbiosa fissandola negli occhi.
Lei,
sempre col pennarello rosso, scrisse KORE sul foglio aggiungendoci a
fianco alcuni punti interrogativi.
«Bella
domanda.»
Un
suono interruppe l’improvviso silenzio che si era creato nel
salone, con un gesto fluido Cassie prese lo smartphone dalla tasca dei
jeans e lesse velocemente il messaggio per poi sbuffare e bloccare la
tastiera.
«Inizia
già a stancarmi.» sbuffò scocciata.
Davanti
a quella frase non riuscì a trattenermi dallo scuotere
sconsolata la testa. «Ma no? Davvero?» le domandai
sarcastica. Lei, come da copione, mi rivolse un’occhiataccia
piuttosto accigliata.
Questa
conversazione ormai stava iniziando ad essere ripetitiva, non era la
prima volta che affrontavamo una discussione riguardo alla sua vita
sentimentale e mai una volta ci eravamo trovate dello stesso parere.
Da
quando era stata messa in mezzo alla situazione fra Veronica ed il suo
ragazzo, aveva avuto parecchie difficoltà a mantenere
qualsiasi tipo di legame sia di amicizia sia amoroso. Tutti sembravano
tenersi a debita distanza da lei, cercando di rispettare una regola non
scritta del regolamento studentesco: mai avvicinarsi ad uno studente
screditato dalla figlia del Vicepreside.
Naturalmente
nessun insegnante era a conoscenza di questa storia e la maggioranza
degli studenti se ne fregava altamente di ciò che una
ragazzina viziata faceva o no, ma c’era da ricordare che
Cassie all’epoca era stata comunque parte del gruppetto delle
stronze della scuola, quindi erano in molti a volergliela far pagare.
Per cui l’idea di isolarla alla fine era stata rispettata da
molti, anche se ognuno per motivazioni diverse.
Io
ero stata una delle poche a ignorare la cosa ed avevo provato a farci
amicizia. A distanza di anni non mi ricordavo nemmeno per quale motivo
mi avvicinai a parlarle in mensa, forse perché mi dispiaceva
che venisse estromessa dalla vita scolastica o forse solo
perché le ragazze del mio ex gruppo, dopo avermi vista
parlare con lei, avevano una faccia scioccata davvero
impagabile…
Più
probabile che tutto fosse iniziato come una vendetta, ma alla fine mi
ero imbattuta in un’amica formidabile, che ancora adesso
riusciva a sopportarmi soprattutto quando non mi facevo problemi a
dirle cosa pensavo davvero di questi suoi spasimanti.
Quindi
eccomi qui a fare la parte dell’arpia… Erano mesi
che andava avanti con relazioni che non si potevano nemmeno definire
tali: chi riuscirebbe a chiamare “relazioni” lo
scambiarsi messaggi per qualche mese, fare all’incirca sei
uscite insieme, non concludere un bel niente e ritrovarsi mollati con
un semplice messaggio? Io no.
Non
mi piaceva la piega che stava prendendo la sua vita sentimentale, le
avevo chiesto un miliardo di volte cosa stesse cercando, anzi chi!
Perché Cassie nonostante questo suo atteggiamento era una
donna romantica e non aveva mai avuto alcun dubbio riguardo
ciò che volesse, per questo tutto ciò era
incomprensibile per me.
«Chi
ti aspetti di trovare?» le domandai studiandola attentamente
in volto.
Con
un gesto brusco la vidi togliersi gli occhiali e lanciarli sulla
poltrona al suo fianco. «Non ne ho la più pallida
idea, ma ogni volta che inizio ad uscire con un ragazzo che fino ad una
settimana prima era perfetto, ecco che scopro che gli manca
qualcosa.» mi rispose iniziando a gesticolare.
«Alle volte non lo trovo abbastanza intelligente, altre volte
è troppo serio e via così… Sembra che
non riesca mai ad accontentarmi di niente e nessuno! Non ci capisco
più nulla! Non mi riconosco più! È
frustrante scoprire di non saper cosa voglio. Non mi è mai
successo!» sbottò esasperata mordendosi le labbra
e portandosi le braccia al petto. «Per di più non
è nemmeno vero che non so cosa voglio, dato che sono
riuscita a trovare pecche in ogni ragazzo. Ognuno di quelli con cui
sono uscita sembrava quello giusto…»
Persi
qualche secondo ad osservare attentamente la ragazza davanti a me.
«Sei sicura di non essere troppo critica in fatto di ragazzi?
Nessuno è perfetto…»
«Questo
non è il momento di parlare di cavolate di questo genere. Ci
sono cose ben più importanti a cui dobbiamo pensare come ad
esempio “Denise” e “kore”. Per
quanto riguarda la seconda possiamo provare a fare un salto in
biblioteca, ma per il nome non penso che ci sarebbe di nessun
aiuto…» borbottò Cassie pensierosa.
Ancora
una volta mi aveva lasciata perplessa, era riuscita a sviare la
discussione senza fare una piega, dallo sguardo concentrato e da come
stava ragionando ad alta voce non voleva più continuare la
precedente conversazione.
«Potremmo
cercare su Internet che ne dici?» le proposi ed il suo
sguardo si illuminò all’istante. Senza attendere
una sua risposta tornai al piano superiore a recuperare il mio
portatile e lo portai con me in salone, dove Cassie mi aspettava.
Una
volta ripreso il mio posto sul divano digitai sulla tastiera kore e
scandagliammo i vari risultati. Alla fine ci ritrovammo con varie
interpretazioni, una più improbabile dell’altra, a
quanto pareva questo termine era utilizzato in diversi ambiti: il nome
di un’università, una statuetta votiva, un altro
nome per identificare la dea Persefone ed il nome di una band.
Escludemmo a priori che l’università e la band
interessassero il nostro scopo, non ci rimaneva che la statuetta e
Persefone, ma nemmeno dopo aver letto le descrizioni, fummo in grado di
venire a capo di qualcosa.
Era
tutto inutile, l’unica cosa che potemmo fare fu escludere
anche la statua dall’elenco delle nostre ipotesi, dato che il
mostro si era riferito a Cassie con quel termine, era improbabile che
potesse avere quel significato.
A
quanto sembrava kore
era un altro nome per identificare Persefone, moglie di Ade e,
successivamente, dea minore degli Inferi e regina
dell’aldilà, inoltre il termine vero e proprio
aveva il significato di fanciulla, ma non riuscivamo a comprendere il
collegamento fra Cassie ed esso.
«Beh…
Questo spiegherebbe perché non riesco a trovare
l’uomo perfetto. Sono già sposata!»
esclamò lei ammiccando ad un’immagine di Ade sul
pc.
Scoppiai
a ridere davanti a quell’idiozia, già me la vedevo
Cassie in piedi di fianco ad un uomo sulla quarantina barbuto con occhi
spenti come quelli dell’immagine.
Proprio
quando stavo incominciando a riprendermi dalla crisi di risate, un
flash mi attraversò la mente: la mia amica in piedi davanti
a me indossava un bel vestito rosso ed al suo fianco, al posto
dell’Ade barbuto di prima, vidi un giovane uomo dai capelli
scuri ed un ghigno sadico sulle labbra che le cingeva con una stretta
decisa la vita.
Davanti
a quella visione mi paralizzai all’istante e per una frazione
di secondo mi parve di sentire un soffio alla base del collo, come un
respiro.
Maledizione…
pensai trattenendo il respiro e sbarrando gli occhi.
Buongiorno
a tutti :)
Eccomi
di nuovo qui in assoluto ritardo come al solito…
Per
farmi perdonare ho provato a creare una copertina per questa storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Preferisco precisare che i disegni non
sono miei. >_<
Per
quanto riguarda la storia, invece…
Diana
e Cassie hanno iniziato a riflettere un po’ su ciò
che è appena accaduto e stanno cercando di trovare delle
risposte da sole, ma purtroppo, come loro stesse scoprono, non
è così semplice mettere i pezzi insieme.
Finalmente
è stato trovato il significato di kore, ma
sarà proprio quello che hanno trovato loro? Cassie
è davvero la moglie di Ade? E chi è il ragazzo
misterioso che ha fatto spaventare Diana?
Kiss,
Nerys
|
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Capitolo 9 *** Attesa ***
Attesa
The first condition of
immortality is death.
Stanislaw
Jerzy Lec.
«Tesoro, non fare i
capricci. Ti prometto che non durerà molto.»
promise con voce flebile mamma
stringendomi la mano in una presa delicata, ma ferma. Strisciai il
piede destro
per terra annoiata, mentre un leggero broncio si disegnava sul mio
volto.
Non mi piaceva quel
posto. Era troppo bianco e puzzava di disinfettante, ogni volta che
andavamo lì
incontravamo sempre persone tristi: alcune piangevano cercando di
liberarsi dal
dolore che li tormentava senza riuscirci davvero, altre, invece,
sembravano
spezzate dentro, come se non riuscissero più a provare nulla
se non la
disperazione nella sua forma più pura…
Tutti lì dentro mi
davano i brividi. Non riuscivo a stare tranquilla, i loro occhi mi
fissavano
ogni volta che io e la mamma percorrevamo i corridoi, ma non era tanto
il peso
del loro sguardo a farmi vacillare, quanto più la follia e
la brama che li
attraversava a tratti. Una brama che non aveva niente di
sano…
Terrorizzata mi
strinsi al fianco di mia madre, mentre la presa tra le nostre mani
diventava la
mia unica ancora di salvezza. Volevo uscire da quel posto e non
tornarci più,
dimenticare quell’edificio e tutto ciò che lo
abitava. Quella era la Casa della
Disperazione, un luogo che una bambina
non avrebbe mai dovuto visitare, né vedere da lontano ed
invece io mi trovavo
esattamente in quell’antro degno dell’Inferno con
l’unico desiderio di uscire
da quella struttura e scappare il più lontano possibile
senza guardarmi
indietro.
Con un occhio sbirciai
il volto stanco della mamma, lunghe occhiaie le incidevano il viso, la
carnagione chiara pareva quasi bianca, i capelli erano intrecciati in
una
perfetta treccia laterale le scivolava oltre la spalla donandole
un’aria
piuttosto austera…
Se era vero quello che
si diceva in giro, vale a dire, che gli occhi sono lo specchio
dell’anima,
allora mia madre era devastata da quello a cui stava andando incontro,
perché
per un attimo, quando abbassò il volto mi sembrò
di vedere le sue iridi
sbiadire leggermente fino a quando non mi mise bene a fuoco. Allora non
poté
fare a meno di cercare di sorridere, provando a rassicurarmi. Non mi
lasciai
incantare da quel triste sorriso…
I suoi occhi
rispecchiavano la morte nel cuore.
Finalmente riuscii ad
inquadrare l’edificio ospedaliero in cui ci trovavamo ed il
motivo per cui ci
trovavamo lì.
La struttura
dell’Attesa, una specie di ricovero per i casi senza speranza
che aspettavano
di poter oltrepassare quel leggero velo che divideva il nostro mondo da
quello
delle anime. Qui venivano portati alcuni casi di malattie in stato
troppo
avanzato per essere curate o persone che avevano smesso di vivere da
tempo, ma
che i loro cari si ostinavano a trattenere al loro fianco…
Continuammo lungo il
corridoio fino a raggiungere la stanza 999 e, come tutte le volte che
dovevo
attraversare quella soglia, venni colta dal panico. Volevo fuggire
lontano ed
andarmi a nascondere, lontano da tutti e da tutto, ma soprattutto
lontano da Lei.
Lei, la stessa che ora
giaceva impotente in un asettico e disinfettato letto ospedaliero,
circondata
da pareti bianche e coperta da lenzuola bianche e con la testa poggiata
su un
cuscino bianco, con cui i suoi lunghi capelli grigi sembravano
confondersi.
Detestavo quel colore con tutta me stessa, soprattutto quando mettevo
piede lì
dentro.
«Signora Fiore…»
Un medico in camice
era appena comparso alle nostre spalle, richiamando
l’attenzione della mamma
con un tono di voce serio, mentre ci osservava al di là
delle lenti degli
occhiali che indossava. Con un gesto ci invitò ad entrare,
mamma non se lo fece
ripetere due volte, trascinandomi dentro e probabilmente mi
richiamò anche per
il comportamento che stavo dimostrando, ma io non la potevo sentire.
L’aria all’interno
della stanza si era fatta di colpo irrespirabile e pesante. La vista
iniziò a
traballare ed i contorni del mio campo visivo si facevano via a via
sempre più
sfocati, non riuscivo a sentire nulla a parte il battito del mio cuore
rimbombarmi nelle orecchie.
Volevo uscire da
quella stanza e scappare il più lontano possibile.
Perché mi trovavo lì? Io non
volevo andarci, odiavo quel posto!
Mano a mano che mi
avvicinavo a quel letto di ospedale più sentivo il bisogno
di fuggire da quel
luogo diventare impellente. Cominciai a strattonare la presa di mia
madre e a
puntare i piedi a terra pur di non avanzare nemmeno di un altro passo.
«Mamma…
Andiamocene, per favore…» piagnucolai, mentre lei
si girava verso di me
esasperata.
Prese un profondo
respiro e si inginocchiò davanti a me. «Diana,
tesoro… Per favore, devo sentire
ancora il medico sulla situazione della nonna. Poi andiamo a casa, va
bene?» mi
promise prima di prendermi in braccio per impedirmi di fare altre
storie.
Il medico ormai era a
fianco del letto e fece cenno alla mamma di avvicinarsi, di riflesso
chiusi gli
occhi, non volevo vedere nulla della persona che occupava quel posto,
avevo una
sensazione orribile a riguardo. Se avessi guardato, sarebbe successo
qualcosa
di brutto.
«Lei
è viva… È qui…» sussurrò
una voce roca.
D’istinto aprii gli
occhi per vedere di chi stesse parlando e mi ritrovai a fissare due
pallidi
occhi azzurri che mi tolsero il fiato… L’orrore
che si rifletteva nei nostri
sguardi era del tutto primordiale. Il cuore cominciò a
battere all’impazzata,
mentre cercavo disperatamente di respirare…
Mia madre mi mise
immediatamente a terra guardandomi spaventata da quella reazione di
panico che
mi aveva colpita all’improvviso. La sentii chiedere disperata
aiuto al dottore,
ma non appena lui fece un passo nella nostra direzione, un lungo e
acuto bip
riempì la stanza.
In un secondo ripresi
a respirare correttamente, ma da quel momento in poi cominciai a
singhiozzare
senza riuscire a fermarmi. Un dolore straziante aveva preso il posto
della
crisi di panico di poco prima. Quel repentino cambio di umore
sembrò
tranquillizzare mia madre, fino al momento che comprese
l’origine del bip…
«Noioso,
non trovi?»
Con
uno scatto mi voltai verso la voce, ma mi ritrovai a
fissare un’immensa distesa oscura. Non riuscivo a vedere
chiaramente, soltanto
una specie di sagoma in mezzo a quelle tenebre; qualcosa con una
diversa
consistenza, che, in qualche modo, la metteva in risalto rispetto
all’ambiente
circostante.
«Chi
sei?» domandai tenendo lo sguardo fisso su quello che
credevo il mio interlocutore.
Una
risata fanciullesca e divertita si levò dalla sagoma, ma
la sensazione che mi provocò fu tutt’altro che
piacevole. Era come se mi
trovassi davanti a qualcuno in grado di decidere della mia vita in base
ad un
suo semplice capriccio.
«Chi
sono?» mi fece il verso una voce maschile.
«Incredibile
che proprio tu, fra tutti, me lo chieda. Ti sei già scordata
di me?» domandò
passando rapidamente da un tono di voce calmo e socievole ad uno
lamentoso.
«Ecco cosa succede quando decidi di aiutare un essere umano,
si dimenticano
subito di tutto ciò che hai fatto per
loro…» aggiunse arrogante. Troppi cambi di
umore repentini perché la sua presenza mi tranquillizzasse.
Fissai
quella sagoma informe senza capire. Di cosa stava
parlando? Ero sicura di non averlo mai incontrato, eppure quella voce
aveva
qualcosa di familiare e spaventoso allo stesso tempo, ma non per questo
mi
ispirava fiducia.
Ero
certa di non aver mai chiesto aiuto a nessuno, avevo
difficoltà a fidarmi delle persone, men che meno della fonte
di quella voce!
Nonostante non ne conoscessi l’identità, qualcosa
nella sua arroganza e nel
tono calmo mostravano quanto sarebbe stato facile per lui esaudire
qualsiasi
richiesta. Un’offerta allettante se non si faceva caso al
pesante “ma” che
alleggiava nella frase…
Tutto
ha un prezzo a questo mondo, ora non rimaneva che
scoprire cosa credeva di avermi promesso di esaudire e cosa avrebbe
richiesto
in cambio.
«Non
credere di sfuggirmi, ragazzina. Il patto che abbiamo
stretto più di settant’anni fa, è stato
sigillato con il sangue e il sangue non
mente mai!» soffiò quella voce nel mio orecchio
con una vena di aggressività.
Settant’anni
fa? «Impossibile. Io non ero ancora nata! Non
sono io la persona con cui hai stretto il patto!» urlai
girando su me stessa in
mezzo a quell’infinito oscuro. «Quindi ora lasciami
andare.»
Una
fragorosa risata rimbombò tutto intorno a me. «Ti
piacerebbe, Denise…»
Un
movimento improvviso alle mie spalle mi fece voltare su
me stessa, ritrovandomi faccia a faccia con me stessa. Per un attimo
rimasi
imbambolata a fissarmi, finché non iniziai a notare alcuni
particolari come una
cornice barocca che circondava la mia immagine. Non era una mia copia,
ma la
mia semplice immagine riflessa in uno specchio dall’aria
antica.
Più
fissavo il mio riflesso, più iniziavo a notare dettagli
diversi fra di noi.
I
suoi capelli erano perfettamente acconciati in una coda
bassa, mentre i miei ricadevano spettinati e sciolti lungo la schiena;
i
vestiti che indossavamo erano totalmente diversi: i suoi vecchi, quasi
anni
’20, mentre i miei un pantalone da ginnastica e una semplice
maglia a maniche
corte. La stavo ancora studiando attentamente quando mi
saltò all’occhio uno
scintillio. Spostai lo sguardo e mi ritrovai a fissare una collana
d’ro con un
ciondolo a forma di cerchio.
«Saremo insieme per
sempre.» affermò
sorridendo lanciando un
ultimo sguardo al sole ed alla luna uniti.
«Il
sole…» sussurrai flebile, mentre mille ricordi mi
affollavano la mente.
Era
lo stesso ciondolo di quella volta, di quel maledetto
primo sogno!
Dovevo
scappare, non ero al sicuro!
Provai
a girarmi in ogni direzione, sperando di trovare un
varco o una flebile luce che mi potesse indicare una via di fuga, ma
tutto
quello che mi circondava era solo un ammasso di oscurità.
Uno
spostamento d’aria alle mie spalle e un improvviso
calore mi fecero capire di avere qualcuno dietro di me. Non riuscii a
muovermi
alla sola idea che una creatura simile a quella che mi aveva attaccata
in
camera mia, potesse essere lì dietro, ma la
curiosità era troppo forte.
Così,
senza fare un movimento, sbirciai dal riflesso nello
specchio. Non riuscii a vedere chiaramente, tutto il buio che ci
circondava
rendeva difficile metterlo a fuoco, sembrava quasi che le ombre
facessero parte
di lui. Perché di una cosa ero certa: si trattava di un uomo
e aveva gli occhi
di due colori diversi, il destro verde e il sinistro giallo che
risplendevano
nel buio.
«Oh
no, ragazzina. Quello non è un sole.» mi
sussurrò con
voce melensa nell’orecchio. «Quella è
una luna piena.» |
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