Il segno che hai lasciato di Alida Dreamer (/viewuser.php?uid=100014)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** #1 ***
Capitolo 3: *** #2 ***
Capitolo 4: *** #3 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
- A me stessa,
- alla mia insicurezza,
- alle notti passate in
paranoia,
- alla mia vita e ai
miei sacrifici.
- Alla mia scrittura,
per tutte le volte che c’è stata e ci sarà.
-
-
- # Prologo
-
- Gli disse
che l’amore era un sentimento contro natura,
- che dannava
due sconosciuti
- a una
dipendenza meschina e insalubre,
- tanto
più effimera quanto più intensa.
- Gabriel
García Márquez
-
- Era
finita così.
- Per
miei pensieri ambigui, e per il senso che
sembravo voler dare ad ogni cosa.
- Per
la sua testardaggine, per il suo amor
proprio.
- Per
il suo maledetto, maledettissimo egoismo.
- -È
troppo tardi per chiedere scusa. Troppo
tardi Lorenzo.
- Nonostante
tutto, non potevo non ricordare.
Perché noi donne siamo così, ci riempiamo la testa di parole inutili
come
“nonostante tutto”, “per sempre”, “anche se”.
- Che
poi “nonostante tutto” e “anche se”
un’emerita cippa.
- Il
fatto è che dal Paleolitico ci ripropongono la
storia del sesso debole.
- E noi neghiamo
ovviamente – la chiave della vita è negare, anche davanti all’evidenza-
ma non
riusciamo mai a farlo bene. Mai. Perché? Perché ci sarà sempre una sola
piccolissima ma importantissima parte del nostro cervello che
continuerà in
maniera del tutto- o quasi- indipendente dal nostro volere a macinare
le parole
di qualcuno che in noi il segno l’ha lasciato.
- E in me l’aveva
lasciato di brutto, marchiato
a fuoco. E come in ogni cliché che si rispetti, ci ero
rimasta con la
pelle, e con il cuore, secca, arida come una pianta in mezzo al
deserto.
- Gli avevo regalato
l’anima. E mi era stata
tornata indietro, tutta stropicciata, puzzolente di naftalina, pronta
per
prendere fuoco.
- Sì, faceva male.
Scommetto più di quanto ne
facesse a lui.
- E così ritorniamo al
discorso del sesso debole…
Siamo così noi donne, ci facciamo impapocchiare dal primo che mostra
qualche
segno apparente di processi neurali vivi e pimpanti, diventiamo piccole
così, e
magari ci crediamo anche. Ma eccolo lì!
- Il problema di fondo
è essenzialmente questo:
crederci. Non lo si dovrebbe fare, non così spesso. O comunque, non con
le
persone sbagliate.
- Sarebbe sempre meglio
tenersi addosso la
corazza, così per sicurezza.
- Beh, io la mia
l’avevo gradualmente sepolta,
insieme all’ascia di guerra. Poi avevo levato lo scudo. L’avevo
lentamente
scostato da me, pronta a rischiare tutto.
- E col senno del poi
sarebbe davvero stato meglio
se quella corazza ammaccata e quello scudo arrugginito me li fossi
tenuti strettI,
pronta a parare i colpi.
- Ligabue docet: non è
il male né la botta, ma
purtroppo il livido.
- Non credo nelle
persone che pensano di poter
morire d’amore. Io per esempio, non ero morta. Semplicemente, avevo
smesso di
fidarmi. Avevo chiuso le mie porte, blindando il blocchetto delle
possibilità.
Negandole a chiunque, ma anche negandomele.
- Perché io avrei
continuato a cavalcare la mia
vita, ma la mia ferita non si sarebbe rimarginata. Mi sarei laureata,
avrei
incontrato nuove persone, avrei riso e pianto.
- Ma mai di gusto.
Semplicemente perché tutti non
sarebbero mai stati lui.
- E non ci sarei più
rimasta fregata, non sarei
mai più cascata nello sguardo di nessuno.
-
- -Ogni volta che ti
penso mi viene da vomitare Lorenzo. Per te, per me. Per
quello che eravamo e che non saremo mai più. E faresti bene ad odiarmi,
perché
ti schifo.
- -Ti amo.
- In realtà credo che
l’amore abbia innumerevoli
effetti collaterali che i film e i libri sembrano non accennare.
Altrimenti,
chi li guarderebbe? Illudiamoci signore! Ma ricordatevi di tenere
chiuse le
cinture di sicurezza!
- Beh l’ammore, sì,
l’ammore, se non è Amore, vi
taglia in tronco. Nausea, diarrea, gastrite, colite, emicranie.
- Insomma, notti
passate a rileggere conversazioni
su Whatsapp, a piangere guardando c’è posta per te, a magnare come se
non ci
fosse un domani.
- In realtà, proprio
perché sono una persona
cinica e razionale -cogliere l’ironia della frase- piango anche adesso.
- Non per lui. Per me.
Vorrei davvero non averlo
mai incontrato.
- È come se la mia vita
avesse perso il suo colore
originario, come se si fosse scolorita dopo averlo perso.
- Come dicevo prima, la
chiave della vita sarebbe
mentire davanti all’evidenza.
- Ma io non potrei mai
farlo davanti ad
un’evidenza talmente evidente.
- Sono passati due
anni, ma io non l’ho
dimenticato e, forse, se l’amore non è una barzelletta, lo amerò
sempre. Ma
l’amore ti toglie il fiato e quando scompare, a volte, più che vivere
sopravvivi.
- “L’amore è
irrazionale, più ami qualcuno, più
perdi il senso delle cose”
- Lo perdi sì, e non lo
recuperi più. Ragion per
cui mi prostro dinnanzi al sesso debole e mi elevo a rappresentante:
noi donne
ci cadiamo spesso e volentieri, e quando lo facciamo siamo delle pere
cotte.
- Celo malamente e
spesso con ironia il mio timore.
- Il timore lecito di
poterlo rivedere, di poterlo
toccare, sentire. Il timore di poterlo dimenticare.
- Celo male anche il
fatto che, nonostante sia
passato del tempo, ogni tanto mi arrabbio ancora con me stessa.
- Una certezza in
questi anni è rimasta immutata:
- non poter e non voler
dimenticare, perché se lo
facessi perderei il colore anche dentro di me.
- Io in fondo, a
quell’amore, e a Lorenzo, devo
tutto.
- E quindi, care donne,
stavolta allacciate bene
le cinture e preparate gli airbag…
- “Vuolsi così colà dove
si puote ciò che si vuole”.
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Capitolo 2 *** #1 ***
- #I
- È
primavera: gli uccelli cinguettano,
il sole splende, le giornate si allungano… E quella maledettissima
sveglia
continua, imperterrita, a suonare.
- Questo
è l’anno di Emma Marrone, ”Maledetto
quel giorno”.
- E
maledetto per davvero. Ad ogni nuovo
anno scolastico mi ostino ad impostare una suoneria diversa,
impegnandomi per
trovarne una sufficientemente insopportabile e, a tal proposito,
ringrazio mentalmente
Dio per essere arrivata sana di testa all’ultimo anno di liceo.
- Per rendere l’idea,
insopportabile a tal punto
da far volare il mio cellulare fuori dal letto e da far gridare mia
madre –
dalla parte opposta della casa- cose alquanto improponibili per una
diciottenne
qualunque, nella fascia oraria che va dalle sette di mattina alle nove.
Chiedo
vénia.
- -Aurora,
chiudi quella cazzo di sveglia
e alzati! Se perdi il bus stamattina te la fai a piedi!
- Se
c’è una cosa certa è che la mia
mammina incarna perfettamente e dico perfettamente, lo stereotipo della
mamma
rompiballe. Che poi, non si direbbe che un metro e cinquanta di
cristiana,
possa gridare così tanto. Mi chiedo ancora, com’è possibile che i miei
vicini
dopo tutti ‘sti anni non ci abbiano denunciato per disturbo alla quiete
pubblica.
- Vi
prego nascondetemi, c’ho sonno.
- -MI
ALZO!
- Chiedo
asilo politico.
- Io
e mia mamma litighiamo un giorno sì
e l’altro pure. Il fatto è che siamo ideologicamente diverse ma
caratterialmente simili. Forse colpa della frattura generazionale.
- In
poche parole, siamo due bisbetiche
pronte a ringhiarsi -acca ventiquattro- in faccia. E nonostante tutto,
sappiamo
quanto il nostro mondo giri intorno all’altra. Un mondo caotico e
rumoroso,
fatto di urla e incomprensioni, ma anche tanto amore. Non credete alla
cazzata
del mulino bianco. Le famiglie d’oggi sono famiglie fieramente e
rigorosamente
allargate, casiniste, moderne e inequivocabilmente anticonformiste.
- E
se ve lo dico io, che di
anticonformista porto la bandiera.
- Mi
faccio forza, impiegandoci più del
solito, cercando di uscire dal botolo di lenzuola. Tasto tutto il letto
per
recuperare il cellulare e, ancora in coma, controllo le news su
Instagram e
Facebook. Una malattia, una malattia mediatica quella dei social, da
cui
dipendo come un’eroinomane in astinenza. Sarebbe ipocrita da parte mia
dire che
ne potrei fare a meno, ma la squallida verità è che se la mattina non
ho in
mano il mio cellulare, sclero. Che poi, concretamente parlando, stando
sulle
balle a circa il novanta percento della gente che conosco, mi risulta
difficile
trovare messaggi o foto che non siano quelle di Carola.
- Mi
alzo, e stavolta lo faccio per
davvero. Sembro Lazzaro mentre varca la soglia della caverna, con in
sottofondo
le grida di mia madre – modalità normal- che dà da mangiare a Rocky.
- Dopo
tre quarti d’ora circa passati a
contemplare le mie occhiaie allo specchio, mi decido a darmi una mossa,
ripetendomi la stessa manfrina che da sei mesi a questa parte sembra
funzionare.
- “Fatti
forza, stiamo ad Aprile, mancano solo tre mesi e ti
diplomerai. Ti sveglierai più tardi, sarai una matricola e non dovrai
più
somatizzare i disagi che quelle facce
da
pizza delle tue compagne ti impongono da cinque anni a questa parte. Ce
la
farai, prenderai in mano la tua vita.”
- Sì,
è vero, è l’anno della maturità. Quello
su cui certi- da circa un ventennio- ci hanno girato dei film con la
stessa
colonna sonora come sottofondo. Che poi vorrei seriamente- con tutto il
mio corazon-
chiedere a Venditti che c’azzeccano gli esami con le notti di polizia?
A meno
che non conoscesse un paio di maturandi appena usciti dal riformatorio,
la vedo
difficile che uno la notte prima dell’esame si ritrovi in un posto
diverso dal
tavolo della cucina, con i libri sparpagliati pure sul pavimento, e un
paio di
ematomi causati dallo sbattersi la testa contro il muro.
- No
vabbè, la faccio tragica. Io sarò la
mosca bianca dei maturandi, ho tutto sotto controllo. A parte l’ansia,
come
sempre. Perché io sono un’adorabile ragazza ansia e sapone.
- Mezz’ora
dopo e sessantasette avvisi di
mia madre più tardi, sono letteralmente spiaccicata sul mio banco, con
Carola
che mi fissa mentre continua a ingurgitare un cornetto con la crema. Ma
dove li
mette tutti ‘sti grassi? Alta e bella, tutta sorriso e occhi vispi, la
mia
migliore amica. Cinque anni di torture autoimposte al mio fianco,
poverina lei
che mi deve sopportare. Non sto dicendo che sono insopportabile, sono
solo
diversamente fuori di testa. Per lei.
- Carola
è l’amica di una vita, quella
con cui dividevo le caramelle e le carte di Yu-gi-oh! alle elementari.
Tecnicamente ci compensiamo a vicenda: terribilmente calma ed
estremamente
simpatica lei, ed estremamente esagitata e particolare io.
- Ok
ho detto particolare per non dire
insopportabile. È che nella maggior parte delle situazioni il cinismo e
la
razionalità con cui affronto cose diverse che non siano i libri,
lasciano il
posto alla spontaneità. Ecco, meglio chiamarla spontaneità. Almeno per
oggi
evito di autoinsultarmi.
- -L’ora
della De Santi me la faccio
dormendo ad occhi aperti, mi sto per trasformare in un antistaminico
parlante.
Odio la primavera, è una settimana che sono un incrocio tra un lama e
mio zio
Ninì, te lo ricordi? Quello della pattina..
- -
Ah, sì, quello che avete recuperato
al check-in dell’aereoporto mentre tentava di scappare da nonna Santina!
- Ridiamo
di gusto, come sempre. E
menomale, menomale che c’è lei. Unite nella buona e nella cattiva sorte
affronteremo anche quest’anno, e ne usciremo vincitrici. Alla faccia di
queste
quattro serpi.
- La
verità è che tutte le storie che
girano intorno ai licei umanistici, nella maggior parte delle ipotesi,
sono
molto credibili e… concrete. Ecco, la mia è una classe di diciassette
ragazze
che un giorno sì- e pure l’altro- sono in piena crisi pre-mestruale. La
convivenza non è semplice, vige la legge del più forte. O della più
furba. O
nel nostro caso, di quella che riesce a strillare di più. E
oggettivamente
parlando, è seriamente difficile che qualcuno mi batta. Devo essere
sincera,
l’astio e l’acidità di almeno una decina di loro sono stata proprio io
a
incitarli… Ma effettivamente, se c’è una cosa che odio è l’ignoranza.
L’ignoranza nel senso lato del termine. Non conoscere, non voler
conoscere e
imputare giudizi a destra e a manca. E, considerato che sembra, di
questi
tempi, piuttosto normale che una diciottenne standard abbia interessi
molto
diversi dai miei e non spinga il proprio naso oltre alle apparenze,
allora
bene. Mi consola il fatto che presto io e Carola ne verremo fuori.
- Alla
fine, se c’è una cosa che ci
accomuna è proprio questa: l’essenza del progetto, della curiosità. Ci
piace
studiare cose diverse, ma ci piace anche pensare che un domani, grazie
ai
nostri interessi, avremo un futuro solido. Da donne emancipate e in
carriera.
- Quindi,
non siamo come loro.
Semplicemente perché abbiamo fame di cose vere, e qualcuno, sin da
bambine, ci
ha fatto capire che la frivolezza non è la chiave del mondo.
- La
De Santi arriva con dieci minuti di
ritardo. Questo istigherebbe una persona normale al suicidio visto e
considerato che dieci minuti di ritardo, nel suo vocabolario,
significano venti
minuti di recupero nelle ore altrui.
Ma
noi ci abbiamo fatto quasi l’abitudine.
- Dio
dammi la forza.
- La
De Santi incarna il perfetto ideale
hitleriano di docente modello. Non si scherza. Non si ride, se non a
Natale o
Pasqua. Non si dorme. Non si vive. Si studia.
- Cinque
anni con lei ci hanno insegnato
che le normali tecniche adottate dallo studente medio e perfezionate
con
l’esperienza, per saltare-bigiare un’ora delle sue lezioni, sono
impraticabili.
L’unico modo per potersi salvare è affrontarla. E questo, soprattutto i
primi
tempi, non portò a nulla di buono o congeniale al fine di salvare
l’anno senza
debiti formativi. Nulla di buono come file s
- u
file di genitori davanti alla sua
cattedra ai colloqui, sfilze su sfilze di tre politici, e mega su mega
cazziatoni post e pre compito.
- E
quest’anno l’aggiunta della cattedra
di storia e lettere, sembra un boicottaggio agli esami di Stato. A
questo proposito
potrei anche non lamentarmi, nonostante sia stato difficile, ho
raggiunto con
sacrificio il mio fatidico nove in latino. Beh, inizialmente pensava
utilizzassi qualcosa per fregarla, per fargliela sotto il naso, quindi
mi ero
abituata alle sue reazioni. Durante ogni compito finiva letteralmente
per
sdraiarsi sul mio banco, alla ricerca di pizzini, traduzioni scritte
sulle mani
o, vista la foga con cui si agitava, oggetti contundenti nascosti nel
mio
eastpack. Ma alla fine, dopo cinque anni sembra essersi rassegnata. Ma
il motto
è : “Con me Benedetti, non basta mai”.
- Sissìgnore.
- -Scusate
il ritardo e chiudete quella
porta! Entra una
filippina! Allora,
aprite il Tria, pagina ottocentonovantasette: Ovidio. Oggi ci fermiamo alla vita e
iniziamo il classico
del libro primo, Caos e Primigenio.
- -Prof,
ma giusto ieri abbiamo fatto
Livio e Vitruvio…
- Riggio.
È stato bello averti come
compagna di fila. Tutto sommato non davi problemi…
- -E
quindi Riggio, di grazia, dove
dovrebbe stare il problema? Vi avverto, tutti e nessuno escluso, dalla
settimana prossima cominciamo le interrogazioni pre- pagellino. Inutile
girarci
attorno, come la prof Negroni vi avrà già detto, i giochi sono fatti.
Manca un
mese pieno allo scrutinio finale e non pensate che il sessanta vi venga
regalato. Se io ritengo che qualcuno di voi non sia sufficientemente
preparato
ad affrontare la maturità, non mi farò scrupolo alcuno a bocciare.
Ricordate
che le materie che quest’anno mi sono state affidate, sono tre.
Palladini,
leggi.
- Un
solo sguardo con Carola basta a
capire che stiamo sotto un tram, o sotto un treno, per intenderci.
Abbiamo
appena finito la sessione estenuante di simulazione di esami, e per noi
che
contiamo di uscire con un voto che vada dal novanta in su, non è e non
sarà
facile. Il fiato sul collo. Ecco cosa sento. Passerò l’ennesimo fine
settimana
tra i libri di latino e quelli di pedagogia. Un minuto di silenzio per
la mia
vita sociale.
- Quando
la De Santi esce, dopo le sue
tre ore ininterrotte di ciarla intervallata da minacce di asfaltamento
della
classe, ho bisogno di uno psicoterapeuta.
- -E
io che pensavo di uscire, almeno
questo sabato… E invece alternerò l’aerosol a Ovidio e agli integrali
superficiali!
- -
A chi lo dici, mi avevano detto ci
fosse la Luna questo sabato, portavano quella dj… Te la ricordi Carola?
Quella
dei diciotto di Adriana!
- Mi
guarda con una faccia
incommentabile.
- -C’è
la luna questo sabato?
- La
luna è un locale di noialtri, dove
ci va gente figa- anzi, faiga- ma non troppo. Lì dove, in poche parole,
abbiamo
passato i più bei sabati della nostra vita dai diciassette ad oggi,
costringendo, per forza di cose, i nostri a mettersi una tuta sul
pigiama per
venirci a prendere a notte fonda. In realtà non andiamo sempre in
discoteca,
giusto un sabato sì e uno no, anche perché altrimenti il padre di
Carola e mia
madre si coalizzerebbero per ucciderci. Dev’essere mostruosamente
emozionante
svegliarsi alle tre e mezzo per andare a prendere tua figlia, di fronte
ad un
locale pieno di adolescenti, con l’emicrania e la voglia di vivere di
uno
scolapasta. Ma sorvoliamo.
- -Sì
stamattina mi hanno invitato all’evento su facebook. Ma lo guardiamo
col
cannocchiale, lunedì ci pelano come patate…
- -Ma
tu lo sai che mi aveva chiesto
Matteo se ci andavo?
- Ah?
Cosa? Come? Ma soprattutto, perché?
- Sono
le tre le verità assolute,
indiscutibili, gli assunti certi e verificabili su cui poggia il mio
mondo: la
terra è sferica, la matematica è la disciplina su cui si fonda
l’universo, e a
Carola non interessano i ragazzi. No, a Carola non interessano,
semplicemente
perché si dice disinteressata a chiunque, crede i suoi obiettivi siano
altri. E
nonostante io, in questi tanti anni di amicizia, abbia provato a farle
cambiare
idea in quanto amica sgamata e decisamente più incline alle cotte brevi
ma intense,
lei è rimasta sulle sue idee. E credetemi, io ho una capacità
persuasiva
dirompente. Perfino nel suo diario, preciso e lindo, ha disegnato un
cuore con
dentro la frase: “non mi piacerà mai nessuno”. Un caso disperato.
- Non
che io non lo sia, alla fine. Anzi,
forse lo sono più di lei. Crescendo ho maturato l’idea di non potermi e
non
volermi innamorare. Di certo mi impelago in situazioni imbarazzanti,
prendo
sbandate stupide per tipi altrettanto stupidi e che dopo un tot di
tempo non
riesco nemmeno a spiegarmi. Ma niente di importante, o comunque, niente
che mi
abbia lasciato il segno. Emozioni tiepide, che generalmente mi inducono
a
capire che le mie priorità per ora siano altre. Non lo desidero nemmeno
l’amore, ogni tanto frequento qualcuno, e mi fermo quel tanto che basta
dal
perderci tempo dietro.
- -Ma
Matteo chi?
- Sorride.
No, tenta, malamente, di
nascondere il risolino. Buddha, Dio, Allah, i Re Magi, la
principessa Sissi
e Martin Luther King, siamo rovinati.
- -Ma
non te l’ho detto? Un cretino è. Veniva
all’asilo con me, mi faceva sempre le smorfie. L’ho visto in chiesa
quando li
aiutavo a vendere i rosari per Pasqua e lui mi ha aggiunto su
facebook.. E mi
scrive ogni sera.
- -
Hai capito tu? Ma non è che questa è
la volta giusta che ci rimani sotto anche tu?
- Mi
guarda con gli occhi di fuori.
Sembra La De Santi durante i consigli di classe estivi.
- -Ma
che dici! Che uno così che me lo
voglio? Io lo dicevo tanto per dire, figurati se mi interessa… Io sto
bene con
me stessa.
- Se
e io e Palladini la domenica mattina
andiamo all’oratorio insieme. Vabbè.
- Taccio
e solo per il momento chiudo la
conversazione, con l’intento di riaprirla più tardi tentando di capirne
di più.
- Dopo
sei ore di tormento, usciamo
pestandoci i piedi, ed è come vedere l’acqua nel deserto. Carola ha
minimizzato
il discorso Matteo ma la situazione non mi quadra e mi impongo
mentalmente di
investigare.
- A
fine serata, dopo aver lasciato la
mia testa a fumare dinnanzi allo stesso paragrafo di pedagogia –
maledetta
pedagogia- per tre ore e mezzo e solo dopo aver visto ad occhi chiusi i
miei
neuroni far le valigie e partire per le Maldive, chiudo i libri
frustrata e
apro il frigo. Rocky mi guarda. Otto chili di ciccia il mio gatto nero
tutto
occhietti. La mattina si piazza davanti alla porta del bagno fino a
quando non
sente il getto dello sciacquone, e se vado in bagno con la porta aperta
mi
mette inquietudine. Avete presente quando si dice che agli animali
manca la
parola? Beh, al mio manca solo di fare pipi sul water, per il resto è
uno di famiglia.
- Richiudo
il frigo pensando di farmi un
panino, e mentre lo faccio, la mia mente si illumina. Ecco, quando alle
donne
viene in mente qualcosa- annotiamolo- non è mai qualcosa di positivo.
Anzi.
- Afferro
il telefono e aspetto mi
risponda.
- -Oh
Aurora, sono in coma indotto da
studio coerc-
- -Ho
un’idea!
- -Spara,
intanto preparo l’aerosol…
- Storco
il naso, che schifo. Le dico le
mie genialate e lei si fa l’aerosol. No Maria, io esco.
- -Allora,
prima cosa: che schifo.
Seconda cosa, andiamo alla luna… Abbiamo bisogno di staccare, e uniamo
l’utile
al dilettevole… c’è quell Matt-
- -Ti
uccido! Non è come pensi, io te lo
dicevo per dire…
- Rido,
tentando insistentemente di
convincerla,
- -Vabbè
è fatta, ma solo perché se
studio anche sabato sera giuro che mi do al cocktail farmaceutico.
- Effettivamente povera
Carola, tanto dolce
quanto perennemente malaticcia. Potrebbe darsi seriamente alle scienze
farmaceutiche, laurea ad honorem per esperienza personale in campo.
- -
Tieni duro Tyson, ci divertiremo.
Piuttosto comincia a controllare l’evento, così vediamo chi ci va. Ci
divertiremo fratella!
- Certo,
la De Santi si sazierà delle
nostre carni, ma noi ci divertiremo.
-
|
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Capitolo 3 *** #2 ***
II
- Il segreto per
iniziare e concludere
una giornata di merda è starsene a letto, chiusi nel proprio botolo di
piumoni
e lenzuola, magari con gli auricolari e la musica a manetta, fino
all’indomani.
- Peccato che per me,
questo genere di
lusso non s’ha da fare.
- Io odio le giornate
di merda. E lo
posso gridare a voce alta. Sì, ODIO LE GIORNATE DI MERDA. Avete
presente
quando, per caso, una mattina vi alzate e qualsiasi cosa succeda vi
farà capire
che sarebbe stato meglio tornarsene a letto? Io stamani non mi sarei
proprio
dovuta alzare. Non so, piuttosto, come abbia potuto trascorrere la
mattinata
incolume, nonostante il litigio con la Palladini e lo sfogo bipolare di
Garbatelli. E, lo metto per iscritto, quel professore non è normale.
- Respiro. È venerdì in
fondo.
- La settimana si è
conclusa e possiamo
quasi andare in pace. Amen.
- Che poi, vorrei dire,
esiste qualcuno
di più odioso di una demente che non fa altro che sbattere i capelli
tutta la
giornata e parla – Dio, la sua voce, vi prego doppiatela – di tutti
meno che di
se stessa? Io la odio la Palladini. E come faccia, sebbene non sappia
ancora
coniugare un congiuntivo, a passare indenne con una media vertiginosa
tutti i
santissimi anni, io non me lo so spiegare. Il fatto è che, se oggi lei
fosse
rimasta muta per gran parte della lezione, io mi sarei data pace e
Garbatelli
non si sarebbe infuriato.
- Si discuteva-
si
cercava di
discutere- sull’importanza delle scelte post-diploma. E lei
se n’era uscita
con un discorso estremamente no-sense sull’obbligo da parte di chi non
se lo
poteva permettere, di concludere il proprio percorso di studi.
- Ma dico, quando
stavamo tutti in fila
per la distribuzione di materia grigia, sano intelletto o semplice buon
senso,
lei era già in coda dall’estetista?
- Mi sarei potuta fare
i fatti miei, e
avrei fatto bene, col senno del poi. Ma a me questi discorsi fanno
salire il
sangue alla testa e, considerato che già la giornata era iniziata male,
lo
scossone per farla peggiorare gliel’avrei dato io.
- -
Ma tu come ti
permetti a dire una cosa del genere?
Ma ti rendi conto del numero improponibile di cazzate che spari al
secondo?
Palladini, quindi noi povera e comune gente mortale, dovremmo darci
tutti alla
manovalanza, lasciando il posto a gente come te? Gente che di certo gli
aiuti
non se li fa mancare, e neanche le spinte! Dovresti pensare prima di
dar fiato
al cervello! Ricorda che ad oggi si va avanti per meritocrazia, non per
cens-
- -Che è ‘sta caciara?
Benedetti siediti!
Oggi interrogazione a tappeto! Vediamo se tutta questa foga ce l’avete
mentre
mi parlate della Gestalt theory!
- E nel bel mezzo del
mio accorato
discorso, era entrato un Garbatelli piuttosto infuriato, segnando la
fine degli
sproloqui, ma anche la fine di ognuno di noi.
- Garbatelli è il mio
docente di
psicologia. Un Peter Pan sui quaranta affascinante quanto decisamente
incline
agli sbalzi d’umore. E nonostante la sua materia mi faccia schifo, è
uno dei
docenti più preparati che io abbia mai incontrato. Beh, se solo fossi
stata una
decina di anni più grande, di un uomo così mi sarei innamorata.
Estremamente
arguto, dall’intelletto sottile, sagace e spesso presupponente,
dall’ironia
dirompente e dall’aspetto da classico bello e dannato, nella scuola
vanta di
una fama da latin lover impenitente. Ma in classe è un’altra storia. Ci
sono i
giorni in cui fare lezione è addirittura piacevole, ed altri giorni in
cui
Garbatelli stenderebbe a tappeto l’intera classe. Questo, è uno di quei
giorni.
-
- Stamattina avrei
voluto gridare,
impugnare un tridente davanti agli occhi angosciati di Carola, avrei
voluto
spennare la Palladini e dare fuoco perfino a Garbatelli. Odio le
prepotenze,
odio quella maledetta viziata e odio pure me stessa. SAREI DOVUTA
RIMANERE A
LETTO.
-
- -Tranquilla domani ci
divertiamo, se
dovessimo sopravvivere ovviamente…
- Almeno Carola è
ottimista.
- L’ora e la giornata
erano finite con il
triste preannuncio di Garbatelli: la strage era solo stata posticipata
a
domani.
- Penso sia arrivata
l’ora di premeditare
il suicidio e convertirmi all’epicureismo.
- Quindi io, adesso,
dovrei ricordare
circa novantasette tipi di apprendimento, e studiare solo duecento
pagine di
processi cognitivi di cui, fuori da qua, non sentirò nemmeno parlare.
Sospiro
furiosamente, davanti a una pila di libri che in quanto a equilibrio
farebbe
invidia alla Torre di Pisa. Quaderni, fogli volanti, tomi infiniti e la
disperazione incarnata nella classica maturanda media che, per
l’appunto, in
questo momento sarei io.
- Certo, tutta ‘sta
roba non la studierò
a furia di guardarla…
- E
quando sembra che la giornata non possa
andare peggio di così, un rumore attira la mia attenzione. Varco la
soglia
della veranda e mi accorgo che Rocky si è dato alla pazza gioia.
Benissimo,
dovrò procurarmi qualche ricetta cinese sull’arrosto di gatto, o sul
gatto e
patate, o gatto alla marinara. AHHHH!
- -Rocky sei un gatto
morto che cammina!
- Mi guarda, giuda, con
quel musetto
accusatore. Sì, Rocky, sono cattiva. No, non mi guardare proprio così.
Ora la
raccogli tu tutta sta poltiglia? E come uno che se ne sbatte altamente
di
quello che dice o pensi, gira i tacchi – le zampe- e se ne va.
- In
poche parole mi ha mandato a cagare anche
il gatto. Metto le mani avanti, mi arrendo, stanca.
- Il
pavimento non si distingue dai croccantini.
Uccidetemi, e fatelo alla svelta.
- Prendo il telefono e
compongo il numero
di Carola.
- -Ciao, a che punto
sei? -
- Ad un punto
meraviglioso – Di non ritorno
Carola, di non
ritorno. Mamma sta lavorando e Rocky mi ha rovesciato due chili di
croccantini
misti ad acqua- e spero solo quella- su tutta la veranda. Mi sto per
dichiarare
prigioniera politica.
- Solo lei può
comprendere il mio stato
d’animo, siamo sulla stessa barca… Magari non ha croccantini da
spalare, ma
Rocky a parte, più o meno siamo lì.
- -Aspettami, vengo a
darti una mano e
ripetiamo insieme. Io qui da sola con tutta questa psicologia rischio
il
suicidio, ci vediamo tra dieci minuti. Comincia a prendere un’altra
scopa!
- Una piccola parentesi
di luce in una
giornata di buio pesto. Carola e io abitiamo ad un isolato l’una
dall’altra e
ormai i suoi genitori mi considerano una figlia. Stessa cosa vale per
mia
madre, che si ostina dopo anni a comprare le caramelle di cui Carola
andava
ghiotta a nove anni, e che ingurgita tutt’ora come se non ci fosse un
domani.
- Senza Carola la mia
infanzia sarebbe
stata più triste, o comunque sicuramente diversa. Tra le due –
stranamente- la
più timida, da piccole, ero io. Faticavo ad approcciarmi ai miei
coetanei, un
po’ per paura di essere rifiutata, un po’ per vergogna. Era stata una
delle
drastiche conseguenze della separazione dei miei. Ormai faticavo a
ricordarne
anche i dettagli, qualcuno la chiamava rimozione… Una sorta di tutela
dell’io.
Quel che so con certezza è che mio padre non era e non sarebbe mai
stato un
buon padre, se n’era andato via quando ancora pensavo potesse tornare
e, in
realtà, non era mai tornato. Io amavo la mamma, la amavo perché
nonostante il
suo caratteraccio aveva messo me al centro del suo mondo, e non aveva
mai
rinunciato al ruolo che la vita le aveva dato da ricoprire: quello di
madre. Le
madri non possono non amare il dono che hanno portato in grembo per
nove mesi
e, i padri, o farei bene a specificare, il mio di padre, di scrupoli
non se ne
sarebbe mai fatti ad averci lasciato sole contro il mondo.
- “E se rinasci madre,
ama come hai fatto già, e se rinasci padre
abbi il coraggio di esser padre alla tua età!”
- In fin dei conti, il
piccolo universo
imperfetto che abbiamo creato io e la mamma, mi va benissimo così. È,
semplicemente, il mio posto nel mondo. L’unico in cui io possa
ritrovare me
stessa.
- Aveva cominciato a
lavorare presto, per
mantenermi. Faceva la parrucchiera ed era davvero brava nel suo lavoro.
Non
c’era una mattina in cui si alzasse senza voglia di fare, o un giorno
in cui
non la riuscisse a trasmettere a me, quella voglia. I sacrifici per
mantenermi
erano tanti e, alle volte, non bastavano, ma nel nostro piccolo davamo
un senso
a tutto ciò che, magari, per persone come la Palladini, un senso non ce
l’aveva.
- La bellezza delle
piccole cose solo la
gente che non ha nulla, o che ha davvero poco, può comprenderla. Perché
la
gente che non ha nulla, in realtà ha tutto: possiede l’amore per la
vita e la
fame di emozioni.
- A mia madre sarebbe
bastato avermi con
sé e vederci così per tutta la vita, insieme. E, se solo la mia vita
avesse
dovuto perseguire una certa logicità, quella logicità l’avrebbe solo
ritrovata
nella possibilità di poter rendere mia madre, un giorno, fiera di me.
- L’avrei fatto con i
miei studi, ma con
l’umiltà e la stessa faccia pulita, piena di correttezza e sani
principi, con
cui lei stessa mi aveva cresciuto.
- Carola arriva dopo
circa undici o
dodici imprecazioni contro Rocky.
- -
Rocky, se Gabriella
ti vedesse ora, rimarresti a
digiuno per due mesi
- -
Te lo giuro che lo
faccio morire io di fame!
- E davvero,
quell’insolente di un gatto
prima o poi me la pagherà.
- Carola ride e
fortunatamente in due ci
diamo da fare. Si lascia andare anche lei a quattro- cinque maledizioni
contro
il mondo dei gatti. Minacciamo di dare fuoco alla cuccia di Rocky e
solo dopo
aver spalato croccantini per un quarto d’ora, ci spariamo caffeina
endovena e
cominciamo a studiare.
- Sono le dieci di sera
quando il peggio
è passato, siamo pronte ad affrontare Garbatelli e metà programma.
Maledettissima psicologia. La mamma è già tornata da un bel po’, ci ha
preparato da mangiare e ha invitato Carola a rimanere a dormire. Non se
l’è
fatto ripetere due volte, tant’è di casa. Ormai, ha il suo spazzolino,
il suo
cambio e perfino il suo beauty di farmaci- amici qui a casa mia.
- -
Secondo me domani ci
tira il pacco Garbatelli, dopo
‘sta sfacchinata nemmeno ci chiama.
- Mi innervosisco al
solo pensiero, ma
considerata la sua volubilità, è molto probabile.
- -
Giuro che dopo ‘sto
carrozzone qualcuno ci rimette
le ruote della macchina… Ma ti immagini che domani non viene affatto?
Come quando
ci ha minacciato sulla tomistica e alla fine il giorno dopo è partito
per la
crociera con quella biondona che si portava sempre dietro!
- Carola ride di gusto
– Su tutto ‘sto
stress post traumatico ci rideremo su prima o poi! E poi vedrai come
queste
situazioni ci mancheranno, ci mancheranno perfino quelle streghe! Anche
la
Giunti e la De Santi! Per fino la Palladini! -
- La guardo schifata –
Mai, piuttosto se
un giorno arriverò a dirti che mi manca la Palladini, procurati una
bottiglia
di cicuta! -
- È molto improbabile
che un domani senta
la mancanza di chi mi ha causato cinque anni di emicranie. I prof,
forse ha
ragione Carola, saranno le persone che mi mancherà vedere di più.
Parole da
secchiona, sicuramente.
- Però non capita tutti
i giorni di avere
una docente come la De Santi, con i suoi outfits più che improponibili,
e il
piglio severo degno di un regime autoritario.
- -Oh ma te la ricordi
quella volta in
cui ha messo la pelliccia lunga con le scarpe da tennis, la De Santi? -
Carola
si lancia sul divano scoppiando a ridere.
- - Se me la ricordo?
Mi stavo
letteralmente bevendo le lacrime delle mie stesse risate, e ricordo che
quel
giorno fosse più incazzata del solito… Avevo paura mi beccasse mentre
mi
scompisciavo e ho fatto finta di cercare qualcosa nello zaino per un
quarto
d’ora buono! Stavo annaspando! -
- Sì, decisamente i
prof mi
mancheranno. Forse
la Giunti un po’
meno, d’altronde il suo atteggiamento più che restio nei miei
confronti, ha
letteralmente impedito che mi affezionassi a lei in qualsivoglia modo.
- Ma le mie compagne?
Mai. Anzi, gli
esami saranno solo un modo più esplicito per scoprire le carte in
tavola e
farcela fare sotto il naso da gente che nella vita arriverà solo per il
cognome
che porta. E poi chi le rivedrà? Io di certo, mano sul cuore, le
eviterò come
la peste.
- A letto, con un
occhio aperto ed uno
chiuso, guardo Carola nel lettino di fianco al mio, col portatile il
mano e un
sorriso scemo piantato sulla faccia. Sono le undici e mezzo, domani
abbiamo
scuola, e Carola chatta.
- E non sto scherzando.
- Questa non me la
racconta giusta. E io
seriamente non ci posso credere. Ma che pagina ha aperto? Cerco di
sbirciare.
SBAM: facebook. E pensare che quell’account gliel’ho fatto io,
costringendola a
entrare nel mondo dei social. Ricordo ancora la sua prima password: zioninì.
- Il che la dice lunga
sulla vita
mediatica di Carola fino a quel momento.
- -
CON CHI CHATTI,
CAROLA PAOLINI!
- Si volta, quasi
spaventata, e mi guarda
con aria interrogativa. Mi lancio sul suo letto rischiando di finire
con le
chiappe a terra e rompermi l’osso sacro- giusto per rimanere in tema e
concludere la fatidica giornata di merda- e cerco di strapparle il
laptop dalle
mani.
- -Nooo! Dai! Che
stronza che sei!
- Riesco a trattenerla
per le mani mentre
guardo lo schermo. Ahiahiahi…
- -Non mi interessa
gnegnegne è un
cretino gnegne- rido, facendole il verso - però ci chatti? - Mi guarda,
quasi
indispettita- Fino a quando mi scrive lui, rispondere è pur sempre da
persone
educat-
- La interrompo - Se,
perché se a noi
scrive qualcuno che non ci filiamo, noi gliele mandiamo a dire…-
- Mi guarda con l’aria
di chi, davvero,
non capisce cosa gli stia succedendo. Ed è davvero, davvero molto
strano per
una persona come Carola. Che, vorrei dire, al massimo messaggia col
papà…
- -Sinceramente, mi
piace il suo modo
insistente di fare. Ma niente di più… Per le poche volte che abbiamo
parlato
sembra avere un carattere particolare. Anzi, vuoi sapere la verità? È
come
parlare con la versione maschile di te, ha sempre la risposta pronta…
Ma tu lo
sai, sai bene quanto mi reputi ancora troppo piccola per i ragazzi,
forse mi
piace un pochino, niente di più.
- La guardo negli
occhi, con l’aria di
chi non si fa prendere per il naso – Paolini… sputa…
- -Gli ho dato il
numero, ma così solo
per ego femminile. Poi sicuramente domani verrà, sono curiosa di capire
se è
tutta scena…
- Capisco che è
sincera, ma anche sinceramente
confusa. Chiudo il becco e se è destino…
-
- Il sabato scolastico
è passato e noi
siamo vive e vegete, sul bus che ci porterà a casa, che ci dimeniamo
stressate
pensando a cosa diavolo mettere stasera.
- Gli interrogativi
della diciottenne
media.
- La mattina è
trascorsa più lentamente
del solito, colpa di un Garbatelli piuttosto irrequieto – si sarà
lasciato
scappare qualche “bonazza” torchiandoci come capri espiatori? - che ha
davvero
asfaltato la classe. Fortunatamente, nel mio caso e in quello di
Carola, la
tensione ha giovato e i voti di primo quadrimestre sono stati
confermati. Siamo
alle porte di maggio… “Notteeeee prima degli esamiiii!”
- Peccato non possa
dire ciò delle due
ore della Giunti, che sembra passi il suo tempo a studiare la mia
–secondo la
sua specialissima opinione- inettitudine
relativa alla matematica.
- -Benedetti, questa
terminologia, per
carità, la usi in filosofia! Con la matematica cozza, cozza, cozzaaa!-
- Ma cozza un paio di
palle. Nella mia
tesi di maturità voglio e posso scrivere quello che mi pare? E posso
poter
scrivere di qualcosa che la mia testa ha partorito da sola? Bene,
perché se io
voglio paragonare l’uomo ad una funzione matematica e dimostrare la sua
naturale propensione alla perfezione nonché la sua normale ed
ineccepibile
imperfezione, lo posso fare con la matematica, che lei lo voglia, o no!
Galileo, Nietzsche, Kant, Spinoza, una lista infinita di filosofi che
sono
passati alla storia per le proprie teorie matematiche! E io non posso e
non
voglio accettare che qualcuno mi cucia addosso un vestito che non mi
appartiene! Io sono Aurora, mi piace la matematica e parlerò di
matematica come
mi è consuetudine parlare di qualsiasi altra cosa.
- -Ma che pensi? -
Carola mi guarda
smuovendoci una mano in faccia, e mi accorgo che siamo ad una fermata
da casa
sua. Il puzzo che ci sta su questo autobus è incredibile, sto per
vomitare il
cenone del capodanno di due anni fa.
- -Niente, ho sonno,
sono stanca! Non
riesco a credere che sia sabato – Un sorriso le dipinge il volto – E
che stasera
usciamo sorella!
- Le sorrido a mia
volta, che mondo
sarebbe senza Carola?
-
-
- Mi guardo afflitta
allo specchio. Gambe
troppo corte, sedere troppo grosso, occhi troppo grandi. Stasera non
esco.
- -Non ci vengo, mi
sento una polpetta
con i piedi.
- Ed è vero, ho come
l’impressione che
con la mia personalità debba compensare una carenza fisica che non mi
fa mai
sentire abbastanza. Abbastanza alta, abbastanza magra, abbastanza
bella. Carola
mi fa una smorfia, spiaccicandosi una mano dritta in faccia – Tu sei
cretina-
Eh, detto da un metro e settanta di bellezza e carisma, un par de
cavoli.
- Ritorno a guardare la
mia immagine
riflessa allo specchio. Un metro e sessanta- a esagerare- di soli
capelli mori,
occhi scuri, labbra forse troppo carnose. Mediterranea, sì. La classica
ragazza
che non piace a tutti, ma neanche a nessuno. Ma che, soprattutto, non
piace a
se stessa.
- -Quando ti metterai
in testa che sei
una figona? Ma ti guardi? Non c’è serata in cui non stendi qualcuno…
- La guardo e rido – Lo
stendo a botte di
vaffanculo! Ho un’acidità distendente, questo mi era noto… Lo devi
ammettere!
- Mi tira addosso la
piccola montagnetta
di vestiti sul suo letto e ride.
-
-
- Siamo pronte, o
quasi. Stasera ci sarà
il boom.
- Mi riguardo allo
specchio per la
millesima volta, oggi. La gonna avvitata rosa cipria e la maglia nera
aderente
esaltano il mio punto vita, i tacchi sicuramente mi slanciano. La
metamorfosi è
stata completata, stasera sono ottimista. Magari qualcuno lo stendo
davvero.
- E se non lo stendo
io, Carola lo farà
di sicuro. È bellissima in quel vestitino aderente rosso con le maniche
a tre
quarti, esalta la sua figura longilinea, la fa risplendere.
- -Andiamo a spaccare
il mondo! Anzi,
andiamo a spaccare la luna!
- - Stasera la luna ci
porterà fortuna,
la luna!-
- Dopo otto ore di
trucco e parrucco, una
manciata di minuti passati a contemplarci allo specchio, stiamo per
prenderci
una congestione davanti al locale.
- Ogni volta è sempre
la stessa storia.
Mezz’ora di fila canonica tra la folla, con un freschetto che si fa
sentire anche
a fine agosto. Mannaggia la pupazza.
- Ci avviciniamo sempre
di più alle
transenne, conosco il buttafuori. Avrà quindici anni più di me e
nonostante ciò
mi stalkerizza di mi piace su instagram. Amen, almeno servirà qualcosa.
- -Nino- lo chiamo –
Abbiamo il tavolo,
facci passare che moriremo per ipotermia!
- Guarda i pass in mano
e alza le
transenne sorridendo – Per due giovani donzelle, questo e altro! – Gli
faccio
la linguaccia, e camminiamo a passo spedito verso l’entrata. Il locale
è wow,
come sempre. Stasera top del top, lo distruggeremo.
- Cerchiamo con lo
sguardo il nostro
tavolo e finalmente lo becchiamo. Dietro noi arrivano anche le altre, e
la
festa può cominciare. Valeria, Anna e Isa sono le ragazze più esaurite
che
conosciamo, sono state loro a farci entrare nel mondo dei locali… E
nonostante
io e Carola siamo totalmente diverse da loro, le serate trascorse
insieme sono
state epiche.
- Cominciamo a ballare
dimenandoci qui e
lì vicino al tavolo e quando passano gli Sheppard diamo spettacolo.
Urla,
gridolini, mani in alto e la festa è iniziata.
- Mi inchino facendo
finta di suonare la
chitarra, Carola scuote i capelli e Isa tiene il tempo con le mani: in
tre
minuti è il delirio. Amo questa musica assordante, è come se riuscissi,
anche
solo per poco, a disinnescare l’incessante e caotico andirivieni dei
miei
pensieri. Mi sento Aurora, mi sento viva, libera di uscire fuori dagli
schemi
anche solo per un po’. Il fatto è che io amo i miei schemi, amo le
congetture
in cui io stessa mi intrappolo. Amo il mio insano modo di ricercare la
razionalità in ogni dove, di voler pensare in maniera cinica e di agire
in
maniera totalmente istintiva. È giusto che io mi lasci andare.
- Qualche ora dopo, con
un drink in mano,
mi dirigo con Carola verso l’esterno, per prendere una boccata d’aria.
Il
rumore e le luci stroboscopiche ti straniscono, ma il fetido odore
della gente
a cui puzzano le ascelle può fare anche peggio. Parola da discotecara.
- -Ci voleva questa
serata vedi, mi sento
già meglio. – Mi appoggio ad una panca col mio Long Island in mano.
Carola ha
ragione, ci serviva staccare.
- Si volta, e ritorna
su di me con la
faccia di un altro colore. – Che c’è?- Le chiedo.
- Con gli occhi sembra
volermelo
comunicare, anzi, me lo sta dicendo con le labbra. Ma sono una schiappa
nell’immediata
recezione.
- -ATTIA? TTEO? MATTIA?
Ahh! Matteoo!- Mi
intima con un dito di non strillare, ma il danno è fatto. I ragazzi
appena a
tre passi dietro di lei si voltano insieme, e uno spilungone comincia a
sogghignare. Dio dammi la forza per non mandarli a cagare seduta stante.
- Ci scommetterei i
miei calzini di Hello
Kitty su chi è Matteo.
- Lo spilungone si
avvicina a noi, mentre
Carola fa -cerca- di far finta di nulla, intavolando un discorso che
regge da
sola, visto che io sono troppo concentrata sullo spilungone e company
per
poterle dare corda.
- La urta col gomito.
Lei lo fulmina. –
Nemmeno mi saluti? -
- -Perché dovrei
salutarti io? Non
potresti farlo tu?
- Le sorride. No, ma
fate con comodo.
Come se io non esistessi. Anzi, mi nascondo dentro la siepe dato che ci
sono.
- Noto che i suoi amici
si avvicinano a
noi, e mi impongo mentalmente di non fare la stronza. Dato che ci sono
mi scolo
il drink, che magari aiuta.
- -Ti presento la mia
migliore amica,
Aurora. Aurora, Matteo.
- Lui le sorride e mi
sorride. Magari non
è così male. Forse, ora che ci penso, ha l’aria simpatica.
- Sorrido a mia volta,
e sono sicura che
il drink stia facendo effetto.
- -Aurora, piacere. Ho
sentito parlare di
te!
- Maledetta boccaccia.
- Ghigna – Non avevo
dubbi! Piacere Matteo.
- La afferra per un gomito, e io soffoco una risata guardandola in
volto. È a
metà tra l’essere incazzata, l’essere contrariata e l’essere
compiaciuta.
- Carola, lo so, mi
vuole ammazzare. I
suoi amici si sono ormai uniti a noi e Matteo li presenta –Carola e
Aurora,
questi sono i miei compari di bevute: Massi, Valerio e Lorenzo.
- Ci danno la mano e
nel mentre li
studio. Se solo tutta la psicologia che ho studiato mi fosse d’aiuto,
ma io e
l’intelligenza interpersonale abbiamo litigato da piccole.
- Massi, sembra tanto
un bravo ragazzo.
Ben vestito, sorriso che fa bene al cuore, occhi limpidi. Valerio,
biondino e
il più bassino dei tre, forse il più timido, fa fatica ad alzare gli
occhi…
- Quando Lorenzo mi
stringe la mano
capisco che da questo momento in poi mi starà volutamente sul culo. Me
l’afferra, e la tiene ben salda, incatenando il suo sguardo col mio,
guardandomi spavaldo. Per un decimo di secondo, sembra quasi che
Carola, Matteo
e i suoi due amici siano scomparsi. Quando interrompo il contatto
visivo, mi
accorgo che Carola mi sta supplicando con lo sguardo.
- -Vero che ti devo
fare compagnia?
- -Cosa? –Sembro una
cretina, colpa
dell’amico idiota di questo qua, che mi ha fulminato con lo sguardo e
mi ha
stritolato una mano. E pensare che ho anche bevuto per essere più
gentile!
- -Matteo vuole andare
a fare una foto,
per dimostrare al mondo intero che ho una vita sociale! Glielo dici che
non ne
ho bisogno? -
- È rossa come un
peperone, ma mi diverto
troppo a vederla così! Giuro solennemente di esser sobria mentre lo
penso.
- -Matteo, se non
tornate tra dieci
minuti ti sparo. Portamela sana. Ti tengo d’occhio.
- Lui, dall’alto del
suo metro e ottanta
mi sorride complice, trascinando una Carola piuttosto infuriata
dall’altra
parte del locale. Penso mi abbia detto sottovoce qualcosa come “
dopo facciamo
i conti”.
- È troppo divertente
vederla in
imbarazzo, è forse la prima volta che succede. La vedo allontanarsi con
Matteo,
e ghigno anch’io. A casa sono sicura che si vendicherà.
- -La tua amica non si
fa scrupoli a
lasciarti sola, sa che ti sai difendere bene da tre potenziali
sconosciuti.-
- È di nuovo lui.
L’amico di Matteo con
due pozze scure al posto degli occhi. Gli altri due non ci calcolano
quasi,
stanno parlottando fitto fitto di qualche ragazzetta seminuda.
- Lorenzo, se così si
chiama, mi scruta.
Lo guardo io stavolta, insolente – Già, non mi lascio intimidire. La
migliore
difesa è l’attacco…
- Sorride, e trasuda
virilità da tutti i
pori. Ecco, non ammetterei mai davanti a uno così quello che penso.
Chiamatemi
ipocrita, ma i maschi di oggi sono tutti uguali. È bello, sì, e si
aspetta che
le ragazze capitolino ai suoi piedi.
- Lo fisso e mi fissa.
- Ritratto. È bello,
bello mentre stringe
le labbra cercando, penso, di trovare una risposta abbastanza
intelligente. È
bello mentre quel ciuffo di capelli, che credo raramente siano stati
sfiorati
da spazzola, gli accarezza la fronte. Il cervello in pappa, ho il
cervello in
pappa.
- -Fai bene, anche io
credo sia la
tattica migliore. D’altronde meglio vivere da leoni che da gazzelle.
- Scommetto che è un
maschilista
impenitente. Glielo leggo nello sguardo beffardo, nella postura che
emana
sicurezza.
- -Esattamente. –
Distolgo lo sguardo, la
testa mi scoppia. Guardarlo mi confonde… Mi sfioro la nuca con le mani:
perché
ho bevuto?
- - Sei all’ultimo anno
di liceo?
- Apprezzo lo sforzo di
intavolare un
discorso, mi giro verso di lui.
- Gli sorrido, forse
per la prima volta
dall’inizio della conversazione. L’alcool sta aiutando - Già, sento l’odore della
libertà…
- -Il mio ultimo anno
di liceo lo ricordo
per il numero improponibile di sospensioni, credo che il fatto che mi
sarei
diplomato giovasse più ai docenti che a me.
- Ride di gusto. E ne
approfitto per
inquadrarlo nella sua complessità. È appurato, è un figo. La maglia
larga
definisce bene i pettorali, quei pantaloni cachi… Dio, mai visto un
colore più
merdoso del cachi. E a lui stanno bene, divinamente. Scendono stretti
sui suoi
fianchi e sulle sue gambe, infinitamente lunghe. Se sto in piedi non
gli arrivo
nemmeno all’ombelico. Non mi smuovo da qua fino a quando non mi vengono
a
prendere. In braccio. Con la forza.
- -Trafiggi tutte le
ragazze con lo
sguardo quando ti presenti? No perché sai, non fa macho.
- Mi guarda, stoico.
Aurora uno, tizio
fighissimo zero.
- -Magari guardavo te
così perché sa
tanto di una che sta sui coglioni.
- Uno pari. Vaffanculo
stronzo di merda.
- È stato bellissimo
diventare
maggiorenne e avere ancora una fedina penale immacolata. È arrivato il
momento
di macchiarla col sangue di questo sconosciuto qualunque che non si fa
scrupoli
a dirmi quel che gli passa in quel cervellino vuoto che si ritrova.
- -Così? A primo
impatto? Beh sappi che
anche tu non sei da meno, sui coglioni ci pesi pure. Beh, visto che
eravamo in
vena di confessioni…
- Gli faccio
l’occhiolino e mi guarda,
facendo una smorfia. – Più che a primo impatto, a primo sguardo. Te
l’hanno mai
detto che hai degli occhi terribilmente grandi?
- -Lo annovererò tra i
miei
trecentocinquanta difetti. A te l’hanno mai detto che hai una faccia da
culo?
- Mi fissa, ancora,
intensamente. E
continua a farlo anche quando una Carola piuttosto agitata si siede al
mio
fianco.
- È serio mentre lo fa,
nessun ghigno,
nessun risolino. Solo i suoi occhi neri che riescono ad inchiodarmi.
Guardarlo
mi mette quasi in imbarazza.
- Ma cosa sto dicendo?
Ma chi è lui per
guardarmi così? Crede di intimidirmi, quindi... Beh vaffanculo. Tanto
dopo stasera
chi lo rivede più.
- Idiota.
- Carola comincia a
tirarmi per un
braccio. Scorgo Matteo accanto a lei che si ostina a parlarle
all’orecchio
mentre lei lo scaccia con le mani. Mi trattengo dallo scoppiargli a
ridere in
faccia. In realtà in questi ultimi dieci minuti sento di essere
diventata un
po’ bipolare.
- Nemmeno
si conoscono e qua sembra già Casa
Vianello. Dio dammi la forza.
- Faccio per alzarmi
con Carola al
fianco, per andare via, quando Lorenzo si avvicina al mio orecchio,
trattenendomi per un braccio – A presto, stronza- Un brivido freddo e
lento mi
attraversa la schiena, partendo dal punto in cui ha afferrato il mio
polso. Non
devo bere, non devo bere. L’alcool mi porta ad avere strane percezioni,
la devo
finire. Mi chiamo Aurora Benedetti e, alla veneranda età di
diciott’anni, sto
appendendo la sanità mentale al chiodo.
- Addio.
- Saluto Matteo e, più
impacciata che
mai, tiro una Carola piuttosto sconcertata dietro di me, dirigendoci
verso le
ragazze e il tavolo.
- Mai più Long
Island.
******
Mi presento, per chi già non mi conoscesse: sono Alida e questo è il
mio buffo tentativo di tornare su EFP e mettermi alla prova. Premetto
che non lascerò sempre a fine capitolo degli angoli autore perchè il
mio fine è lasciare che la storia si racconti da sola e che i
personaggi prendano forma e vita prescindendo da quello che
vi dirò. Se state leggendo mi farebbe davvero piacere se
lasciaste un segno del vostro passaggio, anche solo qualcosa che
attesti il vostro interesse relativamente alla storia. Sono molto ben
accette le critiche, se stimolanti e costruttive. Detto ciò, spero di
poter essere il più puntuale possibile nella pubblicazione.
A presto, un bacio!
Alida Dreamer
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Capitolo 4 *** #3 ***
III
Ho come l’impressione che il mio cervello stia dando forfé.
Mai sottovalutare i postumi di una serata. Una domenica da coma passata a ripetere nomi su nomi di pedagogisti con i loro curricola maledetti. I miei neuroni, da stamani, non mi aiutano. Ho provato di tutto, dalla caffeina a litri al rimedio più semplice, sbattere più volte la testa sul mio tavolo di granito.
Nada. Mai più un Long Island, mi ha bruciato i trasmettitori sinaptici.
Anche perché, vorrei dire, quattro ore di sonno non sono il massimo. Soprattutto se hai dormito- per così dire- con un occhio aperto ed uno chiuso, ripensando come una demente ad uno che non rivedrò mai più. Cioè, in realtà non l’ho pensato. Ho solo diversamente riflettuto sulla serata, tutto qua.
E adesso, dopo una giornata di studio coercitivo, mi sento il cervello di un criceto in prognosi riservata.
Odio essere una studentessa impanicata in questo momento, odio dover affrontare tutto questo per quattro miseri esami che, a detta degli altri, saranno solo l’inizio di una vita in salita. Eccheppalle. Io adesso vorrei soltanto poltrire sul divano della cucina, cercando di smaltire il rincoglionimento post-discoteca.
Che poi, ne vogliamo parlare? Passi tutta la vita ad aspettare i diciotto e quando arrivano non hai il tempo di goderteli che già sono passati. La patente, la maturità, i test d’ingresso alla facoltà, la laurea, il lavoro, una casa un gatto e tre cani. E ti ritrovi zitella, a quarant’anni suonati, mentre passi il sabato sera affogando il mal di vivere nel limoncello di tua madre. Vista sotto questa prospettiva, forse le serate come ieri sarebbero da raddoppiare.
Guardo nauseata questo tomo gigante: pensare ed educare. Ma una cippa. Vaffanculo Bruner, Piaget e le loro centocinquantasettemila tecniche di apprendimento.
Mi alzo, esasperata, e disattivo dal cellulare la modalità aereo.
Quando lo faccio capisco davvero di essere malata. Cioè, io, per studiare, devo mettere il mio cellulare nelle condizioni di non ricevere alcuna notifica Whatsapp/Facebook/Instagram. Mi distraggo in una maniera impressionante.
Non posso stare due minuti col cellulare aperto senza che i minuti si trasformino in ore e le ore si accumulino in giornate passate a non fare una beata mazza.
Sono in astinenza di social e controllo l’ultimo accesso di Carola che, stranamente, compare online. Credo che, alla fine, l’incursione di Matteo and friends, ieri notte, non le sia totalmente dispiaciuta. Anche se, a detta di lei, rimane pur sempre un “pallone gonfiato che si crede Dio”, penso ancora che questi due mi riserveranno sorprese. O magari no, io di certo non lo so. Io non sono certa nemmeno di cosa mangerò tra quattro secondi e mezzo.
Premo velocemente sulla tastiera per iniziare la conversazione.
21:40 Aurora : Sei viva?
21:41 Caro: Per poco ancora L Ho finito da poco di studiare, domani ci disintegrano!
21:41 Aurora: Ti sto chiamando, rispondi.
Afferro il cordless e compongo il suo numero, attendo che mi risponda.
Se penso a tutti i tabulati telefonici degli ultimi undici anni – da quando più o meno abbiamo capito come far funzionare il telefono pigiando i tasti- e alle ore su ore di cicere ininterrotte, mi vengono in mente due cose: mia mamma che strilla e la bolletta del telefono. Ovviamente una di esse è conseguenza dell’altra.
-Ohi!
La sento, come dire… Allegra. Ecco, la parola giusta è allegra.
Il che è matematicamente impossibile la sera prima di una strage scolastica, per due come noi. Carola non me la racconta giusta ed io non sono stupida.
-Hai sentito Matteo? - La risposta è qui, ne sono sicura. Non riesco ancora a capacitarmi di come sia possibile, stento ancora a crederci ma, sebbene lei si ostini a negarlo io so bene che Matteo non le è indifferente. Ma proprio per nulla.
E lo percepisco nel modo in cui mi risponde.
-Ah? Sì, no… cioè, mi ha mandato un sms quando siamo tornate a casa. Cioè, non so dirti se mi ha fatto piacere o no. In realtà, quelli dell’oratorio non lo digeriscono molto e beh, l’hai visto anche tu. È spavaldo e secondo me si comporta così con tutte…
Non so, in questo momento, se sparare a zero più su quelli dell’oratorio o su Matteo.
Cerco di frenare la lingua biforcuta che in questo momento mi porterebbe ovviamente a darle ragione. Perché sì, sono una femminista convinta e sì, i ragazzi sono tutti uguali. E quelli che si discostano dal genere sono fidanzati.
Perché, care donne, non esistono uomini sensibili, perspicaci, romantici, attenti, comprensivi. Disilludetevi. Tutto ciò che un uomo dice, fa o pensa è finalizzato a qualcosa. E non pensiate che il fine siate voi. Il fine è la compensazione breve ed illusoria di un piacere che ricomparirà quando si accorgeranno di un’altra che sorriderà alla loro soglia. Parola di una che una volta sì e l’altra pure perde tempo con tipi stupidi, incapaci ed immaturi. E stupidi. L’ho già detto? Vabbè stupidi elevato al quadrato.
-Penso tu faccia bene a non fidarti, stai in guardia – mi sforzo a dirlo, ma sebbene lui non gliene abbia dato ancora un valido motivo, quel motivo prima o poi arriverà- ma poi ieri che avete fatto?-
In effetti vorrei continuare la frase con un “quando mi hai lasciata sola con quel deficiente al fianco” tanto che se ci penso mi ritorna l’istinto omicida.
-Mi ha trascinato per mezzo locale mentre puntavo i piedi a terra e gli strillavo in faccia. Ci ha messo dieci minuti buoni a trovare il fotografo in quel casino, cioè mi tirava dietro come un sacco! Penso di essere uscita anche di merda in quella foto, appena ce l’ha scattata mi sono divincolata per tornare indietro con lui alle calcagna! Isa mi ha anche vista mentre cercavo di scollarmelo…
-Però ti compiace questa situazione Paolini! - ghigno alla cornetta.
-No no no! Cioè forse un po’, è una situazione così strana… È che quando mi si incolla e fa battute ridicole, ho come l’impressione che lo faccia apposta! Ha un modo di fare che non mi lascia indifferente ecco, tutto qua. Mi ha scritto anche oggi pomeriggio e stiamo continuando a parlare…
-Tutto qua?!- scoppio a ridere- Devi ammettere che ti piace! Non mollerò fino a quando non lo farai!
Ci messaggia anche. Le mie supposizioni stanno prendendo vita. Sono sicura che presto Carola partirà come un treno. Ebbene sì, arriva per tutti il momento in cui per forza di cose dobbiamo perdere tempo appresso a qualcuno. E per quelli che hanno sempre aggirato questa grande verità, arriva anche prima.
Sbuffa, credo realmente avvilita – Quindi hai conosciuto i suoi amici? Nelle foto su facebook è sempre con loro… Ma poi, non mi hai detto se avete parlato di qualcosa!-
Classico. Cambia argomento. E ovviamente lo fa deviandolo inconsapevolmente verso le mie di sensazioni. Labbra carnose, capelli indomabili, atteggiamento presupponente e provocatorio. No, io non sono una che si fa incantare da queste cose. Ma magari se mi ripeto sta roba come una mantra, forse mi convinco pure.
Ripenso a quello strano frangente di tempo in cui due pozze scure mi hanno inchiodato con lo sguardo. È stato strano, perché non era un modo per corteggiarmi… se avesse voluto provarci suppongo avrebbe reagito in modo diverso. Uno che la prima volta che ti si para davanti ti dice che gli stai sui coglioni beh, si è già sparato sette cartucce a salve.
Quindi no, non credo ci siano state allusioni dietro le sue parole, né ironia.
Non so nemmeno che idea dovrei avere o dovrei farmi di lui e non so nemmeno perché la mia mente malata ora stia pensando queste cose senza senso. Sono nata difettosa, sicuramente. D’altronde, sono o non sono Aurora Benedetti?
-A dire il vero ho parlato solo con uno di loro, non mi ricordo neanche il nome – (bugiarda)- niente di che, sei arrivata subito alla fine.-
Non so neanche io perché gli stia mentendo. In fin dei conti a parte il nome, che ritengo difficile dimenticare per un qualche insano motivo – vedi cose senza senso- che ancora non mi è chiaro, oltre alle nostre esplicite dichiarazioni di antipatia, non c’è stato nulla.
La cosa che più mi stupisce è la dichiarazione indiretta di sfida nei miei riguardi, immotivata, illogica e stupida. Come lui.
Ma tanto chi lo rivede più.
Manca solo un’ora alla fine della lezione e non vedo l’ora di buttarmi sul divano e morire lì sei o sette ore e dimenticarmi i nomi di tutti quei paragrafi…
La De Santi ha fortuitamente fatto a meno di chiamarmi e credo di aver pregato e ringraziato in aramaico perfino Isaia e Buddha.
Arrivare indenni a fine lezione ultimamente sembra un miracolo.
La Negroni arriva fastidiosamente puntuale come al solito, è lei la nostra coordinatrice quest’anno. Dall’alto del suo metro e una chewingum ci intima di sederci, aprendo il registro. Non si è dimenticata delle interrogazioni. Lo carezza con le mani amabilmente, e non posso fare a meno di notare quanto sia inquietante la scena. Storce il naso, si drizza gli occhiali sul naso e, senza mai seguire una logica ponderata, chiama. Magari nella sua mente gioca ai logaritmi con le iniziali dei cognomi.
-Palladini, Riggio, Cinti e Benedetti.
Te pareva. Sarebbe stato troppo bello non essere interrogata oggi, soprattutto in pedagogia. Chiudo il libro e mi faccio mentalmente il segno della croce. Tutti quei curricola viaggiano a lunghezze d’onda diverse dal mio cervello.
Le interrogazioni della Negroni, da tre anni a questa parte – per l’appunto i tre anni con cui ci ha deliziato della propria presenza- sono vere e proprie simulazioni di esami universitari. È praticamente fissata con l’apprendimento mnemonico ed enciclopedico, è una tortura studiare materie come questa.
Chiuso il libro mi sposto al primo banco, per un testa a testa con la Negroni.
Quasi mi dispiace per la Palladini. Ovviamente scherzo, magari è la volta buona che gli va male. Sbatte agitata le ciglia a tronchetto della fortuna, mentre cinguetta qualcosa a Riggio. Mi chiedo come faccia, ogni santa mattina, a truccarsi di tutto punto e a sembrare sempre una femme fatale appena uscita da un settimanale di vip. Io in confronto sembro una scimmia da savana e sicuramente non esagero.
La Negroni comincia a sparare titoli di paragrafi ad muzzum, interrompendoci quando il discorso sembra prendere una forma, per poi tartassarci di altre domande.
Spara argomenti a raffica alternandosi tra noi tre non facendoci mai finire un discorso e nonostante la pedagogia faccia una fatica assurda ad entrarmi in testa, le mie tesi sono ben articolate anche lì dove, per forza di cosa, devo giocare un tantino di fantasia. Se le cazzate che sparo sono dette bene e circoscritte ad un contesto che le giustifichi, la Negroni nemmeno se ne accorge. L’importante è mantenere il tono impostato e non lasciarsi andare agli intercalari, tutto il resto è noia.
La Palladini è incerta, quasi si culla sulle sue stesse parole, sembra vaneggi… La sua voce è insopportabile.Venti minuti dopo, anche Riggio è viva e l’interrogazione si è finalmente conclusa. La Negroni è apatica quando trascrive i voti, non fa una piega. È la faccia della stoicità. Strega.
-Benedetti, nove. Riggio sei e mezzo, Palladini otto più.
Rivolgo una smorfia a Palladini ma, tutto sommato, piuttosto soddisfatta torno al mio posto.
-Oggi l’ho scampata, ma alla prossima aspetterà il mio cadavere dall’altra parte del fiume. È sicuro…-
Su Carola e il suo rapporto con le materie della Negroni – o specificatamente sul rapporto tra lei e la Negroni- potrei scrivere un libro che manco Il Codice Da Vinci è più avvincente. Credo col tempo si sia ostinata a dimostrare con tutte le sue forze di essere una ceppa nelle sue discipline, che per un liceo come il nostro sono materie d’indirizzo. In realtà la situazione non è stata del tutto creata e giustificata da Carola, anche la prof ci ha messo del suo. E dopo anni di perenni cinque e mezzo la mia migliore amica si è praticamente convinta di non piacerle, di non starle a genio o, come ci è solito dire, di starle immensamente sulle balle.
Credo la Negroni sia una di quelle docenti dure a cambiare idea sulla gente, magari si pone in maniera del tutto pregiudiziale e completamente sconveniente nei confronti di alcuni alunni. Ma credo anche che le si possa far cambiare idea.
E di questo cerco di convincere Carola, che ha sviluppato una sorta di somatizzazione da stress pre e post Negroni fatta di attacchi più che frequenti di colite, o come si suol dire cacarella.
-Lo sai come funziona per la Palladini, c’è l’otto politico. La prossima volta chiama, meglio non farti cogliere impreparata, devi spaccare! Ti aiuto io e studiamo da me!
Mi guarda con un sorriso nord-sud-ovest-est e capisco perché le voglio così bene.
Forse, insieme, perfino la maturità sarà uno spasso.
Stasera sono stanca, distrutta, devastata.
C’è un modo alternativo per definire le persone pigre, che non si smuovono dal divano se non per andare verso il frigo? Bene, io sono l’essere umano per eccellenza che incarna la concezione di pigrizia.
Vani e superflui sono stati i tentativi, da parte di mia madre, di farmi muovere crescendo. E come biasimarla, se ora ci ha rinunciato?
Ha provato con i tutù e i body rossi della scuola di danza artistica, poi mi ha lanciato, a tredici anni nel colorato mondo dei balli sociali, poi ancora ci ha provato con la pallavolo. Niente, lo sport non faceva e non fa per me. Io e la coordinazione motoria non ci siamo conosciute e non credo faremo mai conoscenza, come d’altronde con qualunque tipo di ballo/sport/disciplina aerobica presente sulla terra.
Sono praticamente l’anti-sport. E, considerati i traumi che quelle maledittissime insegnanti di ballo mi hanno provocato, ho deciso a quattordici anni che avrei fatto la palla a vita piuttosto che muovermi.
Belle quelle promesse che ti fai a te stessa quando ancora il metabolismo ti permette di magnare ogni qualsivoglia roba piena di conservanti e porcherie varie, senza mettere su un etto. Belle, bellissime.
Peccato che col tempo, sono giunta a patti con me stessa. Per stare bene evitando di diventare davvero un arancino, almeno due volte a settimana vado a correre nel parco accanto casa mia, pieno di popò di cane e bambini iperagitati dai sei in giù.
E, sebbene questa pratica si sia davvero rivelata utile al fine di mantenere sotto controllo lo stress pre- maturità, ci sono certe sere – come questa – in cui strafaccio e sono tutta un dolore. Dai capelli alle punte dei piedi.
Mi rotolo sul divano e accendo la tv. Schifezza, schifezza, schifezza. La richiudo. Noiosissime programmazioni tv. Quando ho voglia di vedere un film decente, trasmettono solo roba come quelli che il calcio e orripilanti robe trash a cui, in questo momento, preferirei le interessantissime telenovele argentine di mia nonna Lina.
Mi alzo- e impreco mentalmente per i crampi ai polpacci- prendendo il portatile.
Apro il pc e, impostando la pagina Facebook come principale, smanetto tra un sito di shopping online e la mia cartella di musica.
Briga: Campione di sogni. Play.
Imposto la ricerca e i filtri adatti su zalando: voglio un paio di scarpe rosse.
Che poi è risaputo che per noi donne le scarpe non siano mai abbastanza. Alte con il tacco, basse, da passeggio, da serata, borchiate, nere, da ginnastica, pitonate…
Una dipendenza malata, come quella per i vestiti, le borse e gli accessori che non bastano mai.
Sono un’esteta, mi piacciono le cose belle e, sebbene a scuola vada sciatta come una mazza da lavare – di quelle usate- ho una malsana fissazione per tutto ciò che fa moda. D’altronde, a giorno d’oggi è inutile riempirci di cazzate come l’abito non fa il monaco. L’abito fa il monaco, eccome se lo fa!
È inutile prendersi in giro, a primo impatto è proprio quello che ci condiziona: l’apparenza. Non siamo tutti che dei caproni ipercondizionati da spot e immagini che circolano sulla rete, osserviamo e accettiamo i trend senza riserve, a volte consapevoli, altre volte un po’ meno. Vorrei poter differire dalla massa sopracitata, ma ahimé sono vittima anch’io dell’universo due punto zero e di tutte le stronzate che si porta dietro. Come direbbe Svevo, è meno malato chi conosce la propria malattia.
Un suono mi distoglie dai miei pensieri. Passo in rassegna le finestre aperte sulla home e apro facebook. Una richiesta di amicizia. Faccio per cliccare sull’icona che segna la notifica in rosso e il server arranca. Maledettissimo. Farei volare adsl e simili fuori dalla finestra alle volte. La pagina si apre e figura in caratteri piccoli un nome : Lorenzo Cappiani. Il tipo dell’altra sera. Scontatissimo.
Curiosa, vado sul suo profilo e comincio a sfogliare le sue foto. Non rende sicuramente come dal vivo, sarà per lo sguardo o per l’intensità dei suoi occhi. Mi soffermo su una foto dove compare anche Matteo. Sorridono felici addossati l’uno all’altro sulla neve. Compaiono foto di serate con amici e ragazze quasi sempre diverse.
Non c’è che dire, è bello. Ma pur sempre scontatissimo.
Sono quasi sicura abbia scambiato la mia arroganza per presunto interesse, altrimenti la richiesta di amicizia non si spiega. Anzi, sono quasi sicura che ora metterà qualche like tattico. Insomma, è tipico. Eppure mi compiace, sono così prevedibili i maschi.
Mi divincolo dal plaid alla ricerca del cellulare e chiamo Carola. Non fa nemmeno in tempo a rispondere che l’assalgo: -Non sai chi mi ha mandato la richiesta in questo preciso istante!”
-Sicuro Edo.. Dai si vede che gli piaci!È che è timido e magari lo intimorisci- sghignazza. Ma dai, se io piaccio a Edoardo della quarta BP, Rocky stanotte diventa fuxia. Ma da dove le escono?
-No Watson, che dici! Il compare della tua fiamma...
-Massi o Valerio?
-No, Lorenzo. Quello alto, bruno… Insomma, quello che non mi stava granché simpatico…
- Ma scusami, tu non eri quella che non si ricordava neanche il nome? – sogghigna… La stronza si ricorda la qualunque.
-Sì beh, me lo sono ricordato ora che mi ha aggiunto… Figurati, è tipico. Ora pensa di provarci magari, quindi sicuramente mi scriverà, che idiota!
E ci credo quando lo dico. Sono tutti degli insopportabili idioti. Non cambiano nemmeno metodo, rimane sempre quello. Immutabile. Per alcuni basta respirino, altri sono giusto un po’ più esigenti e vogliono quel pizzico di carattere che non in tutti i casi è sinonimo di intelligenza. Agli esemplari del genere maschile basta un contatto facebook e giusto qualche messaggio su Whatsapp. Dopo? Il vuoto. O si annoiano loro o ti annoi prima tu.
-Non devi essere così categorica sempre… Alla fine mai dire mai e sempre, e lo sai. Guarda che non sono tutti come tuo padre, né come quelli che hai già conosciuto. L’eccezione esiste Aurora, è solo che devi saperla riconoscere.
Vorrei poterle dire che si sbaglia, perché sono sicura si sbagli, ma evito una discussione inutile perché so già che questa richiesta di amicizia finirà accantonata a quella degli altri cretini che credono di poterci giocare facile. Illusi.
- Non è questo il caso e comunque vedrai, domani ti dirò “ te l’avevo detto”.
E ne sono sicura. Glielo griderò questo maledettissimo TE L’AVEVO DETTO.
***********************
Sono stati i venti giorni più lunghi della storia, ma sono quasi arrivata illesa alle vacanze pasquali. Le ultime simulazioni di esame sono andate bene, ormai manca davvero poco alla fine. Il diploma. E sti grancazzi, anche dirlo a voce alta fa stranissimo.
Quindi è vero? È così che si diventa grandi? Maturi? Noiosamente vecchi?
Paradossalmente responsabili. Quando hai dieci anni è questa più o meno l’impressione… Ti diranno: -Dopo gli esami di maturità cambia tutto, vedrai?
Ma davvero, per quelli che questi maledettissimi esami li hanno già superati, passati e strapassati, cosa cambia?
Per me, assolutissimamente niente. Questo perché, a casa mia, già da un pezzo si parla di laurea e non più di diploma.
Sicuramente mentirei se dicessi che il pensiero di condensare tutto il mio percorso scolastico non mi spaventa, sono dell’idea che le paranoie e le crisi esistenziali rientrino nella norma. Il fatto è che tre mesi fa sembrava più vicino e, ora, il tempo stringe e il mio cervello è sempre più anni luce dall’idea di dover portare quel foglio a casa. Che cazzata gli esami di maturità, io li odio. Odio tutta questa dannatissima burocrazia che non serve ad un’emerita cippa di niente.
Mi guardo allo specchio e oggi sono una scimmia allo stato avanzato.
Le occhiaie inguardabili e i capelli da pazza sono sintomo di un imminente crollo nervoso. Ma si era capito anche prima?
Mancano solo tre giorni alla pausa scolastica, ponte annesso, e mamma ne ha approfittato per una toccata al sud, dai suoi. Ebbene sì, nonostante io sia stata partorita sotto lo squallido grigiore lombardo, mamma è una terrona doc.
È originaria della Calabria, del profondo sud calabro. Una cittadella che di nome fa Reggio, situata dall’altra parte dello stretto. I miei nonni e mia zia, gli unici parenti che ci siano rimasti vivono lì. E nonostante tutti i pregiudizi, le idee stereotipate che la gente ignorante tenda ad affibbiare ai meridionali, la verità è che su una cosa hanno ragione: il popolo del sud è estremamente caloroso. Io amo passare le feste giù in Calabria, perché amo l’affetto e il calore confusionario che riversano su di noi e che, spesso, in questa caotica quotidianità a me e alla mamma manca.
E mi serve proprio un po’ di aria buona, magari posso anche tornare umana visto l’aspetto animalesco di stamani.
Carola ha una faccia che è tutto meno che euforica stamani. A occhio e croce fa concorrenza alla mia. Non si direbbe che siamo migliori amiche, vero?
Sembra uscita da una seduta di tredici ore continue con la bambina di the ring e credo che la nottata l’abbia passata insonne. L’autobus fa un’altra fermata, e noi finiamo incollate a causa di un altro carico di passeggeri che sale su questa che sembra essere l’unica linea utile alle sette e mezzo del mattino.
Ne approfitto e le do uno scossone – Ma insomma, si può sapere che hai?!
Esce dal coma autoindottosi e mi guarda come se fossi d’un altro pianeta.
-Allora?!
-Insomma, oggi la prima la salto. Mi manca solo il voto di storia con la De Santi e tutta la notte non è bastata per terminare i tredici capitoli di storia arretrati. Se entro è finita, mi purga.
Ora capisco.
Ed ebbene sì. È questa la triste e sconsolata verità di una secchiona in erba a un passo dall’esame di maturità. La De Santi sa apprezzare i sacrifici e la volontà di chiunque, ma non esiterebbe a spiaccicare un tre irrecuperabile nemmeno a sua figlia. Povera piccola Carola…Non posso vederla così.
-Beh, io ho finito con le interrogazioni… Salti tu, salto io!
Una speranza illumina il suo sguardo- Davvero?! Ma davvero?
-Anzi ti dirò di più, c’è Mandalari in via del corso che sforna cornetti dalle cinque di stamattina, posso sentire l’odore da qui- no, qui c’è puzza di cipolla- ok, no, sto dicendo una cazzata. Io direi che stamattina una colazione premio la meritiamo!
-Batti cinque sorella! Ti adoro!
Scommetto sia rinsavita all’idea dei cornetti e, ora che ci penso, so già che farò il bis.
Scendiamo quattro fermate più avanti, e procediamo verso i cancelli del paradiso: Mandalari. Il re dei cornetti.
Dire che sono golosa, a questo punto, sarebbe un grosso grasso eufemismo. E il grasso, lo so, non stona per niente insieme al profumo di burro, nutella, brioches appena sfornate, marmellate di ogni genere…
Sto attenta a non sbavare peggio dei cani di Pavlov quando varco la soglia del mio bar prediletto, e mi precipito di corsa – mi sto per spaccare l’osso del collo- al piano di sopra, per occupare il tavolino con i sedili in pelle. L’ho già detto che in questo posto mi sento a casa?
Carola mi segue e in dieci minuti finiamo con l’ordinare croissants muniti di bis e succhi all’ananas. La ragazzetta che lavora qui è cordiale, talmente cordiale che mi chiedo come faccia alle otto del mattino a essere viva, pimpante, ma soprattutto felice.
Misteri della vita che non mi è dato sapere.
-E Matteo?
Non l’avessi mai detto, eccolo lì… Il nervosismo che mi sembrava di intravedere anche stamattina sul bus. Si sta torturando le unghie.
-Matteo cosa?
Furba, ma non abbastanza.
-Dico, vi state sentendo?
Andare sempre dritti al dunque, sempre.
Si leva il giubbotto, forse per non guardarmi negli occhi.
-Beh la verita? Non si fa sentire da una settimana circa, è uno stupido, arrogante, dispettoso, narcisist-
-Quindi avete litigato?
Lo so, la laurea la dovrei prendere in psicologia.
-Sì, cioè no, vabbè alla fine non mi importa-
Il discorso viene interrotto dal cameriere che ci porta tutta la roba che abbiamo ordinato – talmente tanta da far ingozzare il manicolo di un esercito- ma sono troppo presa dal mio dannatissimo cellulare per guardarlo in viso.
Grande errore Aurora.
-E questo super cornetto panna e nutella per miss maleducata- non faccio in tempo a voltarmi che già riconosco la voce.
-Non ci credo, tu sei-
-Lorenzo, e tu sei la maleducata della luna?
Le braccia mi stanno cadendo a terra e stanno prendendo vita, le vedo prendermi a schiaffi. E quindi questo sfrontato, stupido cafone lavora qui?!?
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