Il segno che hai lasciato

di Alida Dreamer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** #1 ***
Capitolo 3: *** #2 ***
Capitolo 4: *** #3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A me stessa,
alla mia insicurezza,
alle notti passate in paranoia,
alla mia vita e ai miei sacrifici.
Alla mia scrittura, per tutte le volte che c’è stata e ci sarà.
       
 
# Prologo
 
Gli disse che l’amore era un sentimento contro natura, 
che dannava due sconosciuti 
a una dipendenza meschina e insalubre,
 tanto più effimera quanto più intensa.
 Gabriel García Márquez
 
Era finita così.
Per miei pensieri ambigui, e per il senso che sembravo voler dare ad ogni cosa.
Per la sua testardaggine, per il suo amor proprio.
Per il suo maledetto, maledettissimo egoismo.
-È troppo tardi per chiedere scusa. Troppo tardi Lorenzo.
Nonostante tutto, non potevo non ricordare. Perché noi donne siamo così, ci riempiamo la testa di parole inutili come “nonostante tutto”, “per sempre”, “anche se”.
Che poi “nonostante tutto” e “anche se” un’emerita cippa.
Il fatto è che dal Paleolitico ci ripropongono la storia del sesso debole.
 E noi neghiamo ovviamente – la chiave della vita è negare, anche davanti all’evidenza- ma non riusciamo mai a farlo bene. Mai. Perché? Perché ci sarà sempre una sola piccolissima ma importantissima parte del nostro cervello che continuerà in maniera del tutto- o quasi- indipendente dal nostro volere a macinare le parole di qualcuno che in noi il segno l’ha lasciato.
E in me l’aveva lasciato di brutto, marchiato a fuoco. E come in ogni cliché che si rispetti, ci ero rimasta con la pelle, e con il cuore, secca, arida come una pianta in mezzo al deserto.
Gli avevo regalato l’anima. E mi era stata tornata indietro, tutta stropicciata, puzzolente di naftalina, pronta per prendere fuoco.
Sì, faceva male. Scommetto più di quanto ne facesse a lui.
E così ritorniamo al discorso del sesso debole… Siamo così noi donne, ci facciamo impapocchiare dal primo che mostra qualche segno apparente di processi neurali vivi e pimpanti, diventiamo piccole così, e magari ci crediamo anche. Ma eccolo lì!
Il problema di fondo è essenzialmente questo: crederci. Non lo si dovrebbe fare, non così spesso. O comunque, non con le persone sbagliate.
Sarebbe sempre meglio tenersi addosso la corazza, così per sicurezza.
Beh, io la mia l’avevo gradualmente sepolta, insieme all’ascia di guerra. Poi avevo levato lo scudo. L’avevo lentamente scostato da me, pronta a rischiare tutto.
E col senno del poi sarebbe davvero stato meglio se quella corazza ammaccata e quello scudo arrugginito me li fossi tenuti strettI, pronta a parare i colpi.
Ligabue docet: non è il male né la botta, ma purtroppo il livido.
Non credo nelle persone che pensano di poter morire d’amore. Io per esempio, non ero morta. Semplicemente, avevo smesso di fidarmi. Avevo chiuso le mie porte, blindando il blocchetto delle possibilità. Negandole a chiunque, ma anche negandomele.
Perché io avrei continuato a cavalcare la mia vita, ma la mia ferita non si sarebbe rimarginata. Mi sarei laureata, avrei incontrato nuove persone, avrei riso e pianto.
Ma mai di gusto. Semplicemente perché tutti non sarebbero mai stati lui.
E non ci sarei più rimasta fregata, non sarei mai più cascata nello sguardo di nessuno.
 
-Ogni volta che ti penso mi viene da vomitare Lorenzo. Per te, per me. Per quello che eravamo e che non saremo mai più. E faresti bene ad odiarmi, perché ti schifo.
-Ti amo.
In realtà credo che l’amore abbia innumerevoli effetti collaterali che i film e i libri sembrano non accennare. Altrimenti, chi li guarderebbe? Illudiamoci signore! Ma ricordatevi di tenere chiuse le cinture di sicurezza!
Beh l’ammore, sì, l’ammore, se non è Amore, vi taglia in tronco. Nausea, diarrea, gastrite, colite, emicranie.
Insomma, notti passate a rileggere conversazioni su Whatsapp, a piangere guardando c’è posta per te, a magnare come se non ci fosse un domani.
In realtà, proprio perché sono una persona cinica e razionale -cogliere l’ironia della frase- piango anche adesso.
Non per lui. Per me. Vorrei davvero non averlo mai incontrato.
È come se la mia vita avesse perso il suo colore originario, come se si fosse scolorita dopo averlo perso.
Come dicevo prima, la chiave della vita sarebbe mentire davanti all’evidenza.
Ma io non potrei mai farlo davanti ad un’evidenza talmente evidente.
Sono passati due anni, ma io non l’ho dimenticato e, forse, se l’amore non è una barzelletta, lo amerò sempre. Ma l’amore ti toglie il fiato e quando scompare, a volte, più che vivere sopravvivi.
“L’amore è irrazionale, più ami qualcuno, più perdi il senso delle cose”
Lo perdi sì, e non lo recuperi più. Ragion per cui mi prostro dinnanzi al sesso debole e mi elevo a rappresentante: noi donne ci cadiamo spesso e volentieri, e quando lo facciamo siamo delle pere cotte.
Celo malamente e spesso con ironia il mio timore.
Il timore lecito di poterlo rivedere, di poterlo toccare, sentire. Il timore di poterlo dimenticare.
Celo male anche il fatto che, nonostante sia passato del tempo, ogni tanto mi arrabbio ancora con me stessa.
Una certezza in questi anni è rimasta immutata:
non poter e non voler dimenticare, perché se lo facessi perderei il colore anche dentro di me.
Io in fondo, a quell’amore, e a Lorenzo, devo tutto.
E quindi, care donne, stavolta allacciate bene le cinture e preparate gli airbag…
“Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”.

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Capitolo 2
*** #1 ***


#I
È primavera: gli uccelli cinguettano, il sole splende, le giornate si allungano… E quella maledettissima sveglia continua, imperterrita, a suonare.
Questo è l’anno di Emma Marrone, ”Maledetto quel giorno”.
E maledetto per davvero. Ad ogni nuovo anno scolastico mi ostino ad impostare una suoneria diversa, impegnandomi per trovarne una sufficientemente insopportabile e, a tal proposito, ringrazio mentalmente Dio per essere arrivata sana di testa all’ultimo anno di liceo.
 Per rendere l’idea, insopportabile a tal punto da far volare il mio cellulare fuori dal letto e da far gridare mia madre – dalla parte opposta della casa- cose alquanto improponibili per una diciottenne qualunque, nella fascia oraria che va dalle sette di mattina alle nove. Chiedo vénia.
-Aurora, chiudi quella cazzo di sveglia e alzati! Se perdi il bus stamattina te la fai a piedi!
Se c’è una cosa certa è che la mia mammina incarna perfettamente e dico perfettamente, lo stereotipo della mamma rompiballe. Che poi, non si direbbe che un metro e cinquanta di cristiana, possa gridare così tanto. Mi chiedo ancora, com’è possibile che i miei vicini dopo tutti ‘sti anni non ci abbiano denunciato per disturbo alla quiete pubblica.
Vi prego nascondetemi, c’ho sonno.
-MI ALZO!
Chiedo asilo politico.
Io e mia mamma litighiamo un giorno sì e l’altro pure. Il fatto è che siamo ideologicamente diverse ma caratterialmente simili. Forse colpa della frattura generazionale.
In poche parole, siamo due bisbetiche pronte a ringhiarsi -acca ventiquattro- in faccia. E nonostante tutto, sappiamo quanto il nostro mondo giri intorno all’altra. Un mondo caotico e rumoroso, fatto di urla e incomprensioni, ma anche tanto amore. Non credete alla cazzata del mulino bianco. Le famiglie d’oggi sono famiglie fieramente e rigorosamente allargate, casiniste, moderne e inequivocabilmente anticonformiste.
E se ve lo dico io, che di anticonformista porto la bandiera.
Mi faccio forza, impiegandoci più del solito, cercando di uscire dal botolo di lenzuola. Tasto tutto il letto per recuperare il cellulare e, ancora in coma, controllo le news su Instagram e Facebook. Una malattia, una malattia mediatica quella dei social, da cui dipendo come un’eroinomane in astinenza. Sarebbe ipocrita da parte mia dire che ne potrei fare a meno, ma la squallida verità è che se la mattina non ho in mano il mio cellulare, sclero. Che poi, concretamente parlando, stando sulle balle a circa il novanta percento della gente che conosco, mi risulta difficile trovare messaggi o foto che non siano quelle di Carola.
Mi alzo, e stavolta lo faccio per davvero. Sembro Lazzaro mentre varca la soglia della caverna, con in sottofondo le grida di mia madre – modalità normal- che dà da mangiare a Rocky.
Dopo tre quarti d’ora circa passati a contemplare le mie occhiaie allo specchio, mi decido a darmi una mossa, ripetendomi la stessa manfrina che da sei mesi a questa parte sembra funzionare.
“Fatti forza, stiamo ad Aprile, mancano solo tre mesi e ti diplomerai. Ti sveglierai più tardi, sarai una matricola e non dovrai più somatizzare i disagi che quelle  facce da pizza delle tue compagne ti impongono da cinque anni a questa parte. Ce la farai, prenderai in mano la tua vita.”
Sì, è vero, è l’anno della maturità. Quello su cui certi- da circa un ventennio- ci hanno girato dei film con la stessa colonna sonora come sottofondo. Che poi vorrei seriamente- con tutto il mio corazon- chiedere a Venditti che c’azzeccano gli esami con le notti di polizia? A meno che non conoscesse un paio di maturandi appena usciti dal riformatorio, la vedo difficile che uno la notte prima dell’esame si ritrovi in un posto diverso dal tavolo della cucina, con i libri sparpagliati pure sul pavimento, e un paio di ematomi causati dallo sbattersi la testa contro il muro.
No vabbè, la faccio tragica. Io sarò la mosca bianca dei maturandi, ho tutto sotto controllo. A parte l’ansia, come sempre. Perché io sono un’adorabile ragazza ansia e sapone.
Mezz’ora dopo e sessantasette avvisi di mia madre più tardi, sono letteralmente spiaccicata sul mio banco, con Carola che mi fissa mentre continua a ingurgitare un cornetto con la crema. Ma dove li mette tutti ‘sti grassi? Alta e bella, tutta sorriso e occhi vispi, la mia migliore amica. Cinque anni di torture autoimposte al mio fianco, poverina lei che mi deve sopportare. Non sto dicendo che sono insopportabile, sono solo diversamente fuori di testa. Per lei.
Carola è l’amica di una vita, quella con cui dividevo le caramelle e le carte di Yu-gi-oh! alle elementari. Tecnicamente ci compensiamo a vicenda: terribilmente calma ed estremamente simpatica lei, ed estremamente esagitata e particolare io.
Ok ho detto particolare per non dire insopportabile. È che nella maggior parte delle situazioni il cinismo e la razionalità con cui affronto cose diverse che non siano i libri, lasciano il posto alla spontaneità. Ecco, meglio chiamarla spontaneità. Almeno per oggi evito di autoinsultarmi.
-L’ora della De Santi me la faccio dormendo ad occhi aperti, mi sto per trasformare in un antistaminico parlante. Odio la primavera, è una settimana che sono un incrocio tra un lama e mio zio Ninì, te lo ricordi? Quello della pattina..
- Ah, sì, quello che avete recuperato al check-in dell’aereoporto mentre tentava di scappare da nonna Santina!
Ridiamo di gusto, come sempre. E menomale, menomale che c’è lei. Unite nella buona e nella cattiva sorte affronteremo anche quest’anno, e ne usciremo vincitrici. Alla faccia di queste quattro serpi.
La verità è che tutte le storie che girano intorno ai licei umanistici, nella maggior parte delle ipotesi, sono molto credibili e… concrete. Ecco, la mia è una classe di diciassette ragazze che un giorno sì- e pure l’altro- sono in piena crisi pre-mestruale. La convivenza non è semplice, vige la legge del più forte. O della più furba. O nel nostro caso, di quella che riesce a strillare di più. E oggettivamente parlando, è seriamente difficile che qualcuno mi batta. Devo essere sincera, l’astio e l’acidità di almeno una decina di loro sono stata proprio io a incitarli… Ma effettivamente, se c’è una cosa che odio è l’ignoranza. L’ignoranza nel senso lato del termine. Non conoscere, non voler conoscere e imputare giudizi a destra e a manca. E, considerato che sembra, di questi tempi, piuttosto normale che una diciottenne standard abbia interessi molto diversi dai miei e non spinga il proprio naso oltre alle apparenze, allora bene. Mi consola il fatto che presto io e Carola ne verremo fuori.
Alla fine, se c’è una cosa che ci accomuna è proprio questa: l’essenza del progetto, della curiosità. Ci piace studiare cose diverse, ma ci piace anche pensare che un domani, grazie ai nostri interessi, avremo un futuro solido. Da donne emancipate e in carriera.
Quindi, non siamo come loro. Semplicemente perché abbiamo fame di cose vere, e qualcuno, sin da bambine, ci ha fatto capire che la frivolezza non è la chiave del mondo.
La De Santi arriva con dieci minuti di ritardo. Questo istigherebbe una persona normale al suicidio visto e considerato che dieci minuti di ritardo, nel suo vocabolario, significano venti minuti di recupero nelle ore altrui.  Ma noi ci abbiamo fatto quasi l’abitudine.
Dio dammi la forza.
La De Santi incarna il perfetto ideale hitleriano di docente modello. Non si scherza. Non si ride, se non a Natale o Pasqua. Non si dorme. Non si vive. Si studia.
Cinque anni con lei ci hanno insegnato che le normali tecniche adottate dallo studente medio e perfezionate con l’esperienza, per saltare-bigiare un’ora delle sue lezioni, sono impraticabili. L’unico modo per potersi salvare è affrontarla. E questo, soprattutto i primi tempi, non portò a nulla di buono o congeniale al fine di salvare l’anno senza debiti formativi. Nulla di buono come file s
u file di genitori davanti alla sua cattedra ai colloqui, sfilze su sfilze di tre politici, e mega su mega cazziatoni post e pre compito.
E quest’anno l’aggiunta della cattedra di storia e lettere, sembra un boicottaggio agli esami di Stato. A questo proposito potrei anche non lamentarmi, nonostante sia stato difficile, ho raggiunto con sacrificio il mio fatidico nove in latino. Beh, inizialmente pensava utilizzassi qualcosa per fregarla, per fargliela sotto il naso, quindi mi ero abituata alle sue reazioni. Durante ogni compito finiva letteralmente per sdraiarsi sul mio banco, alla ricerca di pizzini, traduzioni scritte sulle mani o, vista la foga con cui si agitava, oggetti contundenti nascosti nel mio eastpack. Ma alla fine, dopo cinque anni sembra essersi rassegnata. Ma il motto è : “Con me Benedetti, non basta mai”.
Sissìgnore.
-Scusate il ritardo e chiudete quella porta!  Entra una filippina! Allora, aprite il Tria, pagina ottocentonovantasette: Ovidio. Oggi  ci fermiamo alla vita e iniziamo il classico del libro primo, Caos e Primigenio.
-Prof, ma giusto ieri abbiamo fatto Livio e Vitruvio…
Riggio. È stato bello averti come compagna di fila. Tutto sommato non davi problemi…
-E quindi Riggio, di grazia, dove dovrebbe stare il problema? Vi avverto, tutti e nessuno escluso, dalla settimana prossima cominciamo le interrogazioni pre- pagellino. Inutile girarci attorno, come la prof Negroni vi avrà già detto, i giochi sono fatti. Manca un mese pieno allo scrutinio finale e non pensate che il sessanta vi venga regalato. Se io ritengo che qualcuno di voi non sia sufficientemente preparato ad affrontare la maturità, non mi farò scrupolo alcuno a bocciare. Ricordate che le materie che quest’anno mi sono state affidate, sono tre. Palladini, leggi.
Un solo sguardo con Carola basta a capire che stiamo sotto un tram, o sotto un treno, per intenderci. Abbiamo appena finito la sessione estenuante di simulazione di esami, e per noi che contiamo di uscire con un voto che vada dal novanta in su, non è e non sarà facile. Il fiato sul collo. Ecco cosa sento. Passerò l’ennesimo fine settimana tra i libri di latino e quelli di pedagogia. Un minuto di silenzio per la mia vita sociale.
Quando la De Santi esce, dopo le sue tre ore ininterrotte di ciarla intervallata da minacce di asfaltamento della classe, ho bisogno di uno psicoterapeuta.
-E io che pensavo di uscire, almeno questo sabato… E invece alternerò l’aerosol a Ovidio e agli integrali superficiali!
- A chi lo dici, mi avevano detto ci fosse la Luna questo sabato, portavano quella dj… Te la ricordi Carola? Quella dei diciotto di Adriana!
Mi guarda con una faccia incommentabile.
-C’è la luna questo sabato?
La luna è un locale di noialtri, dove ci va gente figa- anzi, faiga- ma non troppo. Lì dove, in poche parole, abbiamo passato i più bei sabati della nostra vita dai diciassette ad oggi, costringendo, per forza di cose, i nostri a mettersi una tuta sul pigiama per venirci a prendere a notte fonda. In realtà non andiamo sempre in discoteca, giusto un sabato sì e uno no, anche perché altrimenti il padre di Carola e mia madre si coalizzerebbero per ucciderci. Dev’essere mostruosamente emozionante svegliarsi alle tre e mezzo per andare a prendere tua figlia, di fronte ad un locale pieno di adolescenti, con l’emicrania e la voglia di vivere di uno scolapasta. Ma sorvoliamo.
 -Sì stamattina mi hanno invitato all’evento su facebook. Ma lo guardiamo col cannocchiale, lunedì ci pelano come patate…
-Ma tu lo sai che mi aveva chiesto Matteo se ci andavo?
Ah? Cosa? Come? Ma soprattutto, perché?
Sono le tre le verità assolute, indiscutibili, gli assunti certi e verificabili su cui poggia il mio mondo: la terra è sferica, la matematica è la disciplina su cui si fonda l’universo, e a Carola non interessano i ragazzi. No, a Carola non interessano, semplicemente perché si dice disinteressata a chiunque, crede i suoi obiettivi siano altri. E nonostante io, in questi tanti anni di amicizia, abbia provato a farle cambiare idea in quanto amica sgamata e decisamente più incline alle cotte brevi ma intense, lei è rimasta sulle sue idee. E credetemi, io ho una capacità persuasiva dirompente. Perfino nel suo diario, preciso e lindo, ha disegnato un cuore con dentro la frase: “non mi piacerà mai nessuno”. Un caso disperato.
Non che io non lo sia, alla fine. Anzi, forse lo sono più di lei. Crescendo ho maturato l’idea di non potermi e non volermi innamorare. Di certo mi impelago in situazioni imbarazzanti, prendo sbandate stupide per tipi altrettanto stupidi e che dopo un tot di tempo non riesco nemmeno a spiegarmi. Ma niente di importante, o comunque, niente che mi abbia lasciato il segno. Emozioni tiepide, che generalmente mi inducono a capire che le mie priorità per ora siano altre. Non lo desidero nemmeno l’amore, ogni tanto frequento qualcuno, e mi fermo quel tanto che basta dal perderci tempo dietro.
-Ma Matteo chi?
Sorride. No, tenta, malamente, di nascondere il risolino. Buddha, Dio, Allah, i Re Magi, la principessa Sissi e Martin Luther King, siamo rovinati.
-Ma non te l’ho detto? Un cretino è. Veniva all’asilo con me, mi faceva sempre le smorfie. L’ho visto in chiesa quando li aiutavo a vendere i rosari per Pasqua e lui mi ha aggiunto su facebook.. E mi scrive ogni sera.
- Hai capito tu? Ma non è che questa è la volta giusta che ci rimani sotto anche tu?
Mi guarda con gli occhi di fuori. Sembra La De Santi durante i consigli di classe estivi.
-Ma che dici! Che uno così che me lo voglio? Io lo dicevo tanto per dire, figurati se mi interessa… Io sto bene con me stessa.
Se e io e Palladini la domenica mattina andiamo all’oratorio insieme. Vabbè.
Taccio e solo per il momento chiudo la conversazione, con l’intento di riaprirla più tardi tentando di capirne di più.
Dopo sei ore di tormento, usciamo pestandoci i piedi, ed è come vedere l’acqua nel deserto. Carola ha minimizzato il discorso Matteo ma la situazione non mi quadra e mi impongo mentalmente di investigare.
A fine serata, dopo aver lasciato la mia testa a fumare dinnanzi allo stesso paragrafo di pedagogia – maledetta pedagogia- per tre ore e mezzo e solo dopo aver visto ad occhi chiusi i miei neuroni far le valigie e partire per le Maldive, chiudo i libri frustrata e apro il frigo. Rocky mi guarda. Otto chili di ciccia il mio gatto nero tutto occhietti. La mattina si piazza davanti alla porta del bagno fino a quando non sente il getto dello sciacquone, e se vado in bagno con la porta aperta mi mette inquietudine. Avete presente quando si dice che agli animali manca la parola? Beh, al mio manca solo di fare pipi sul water, per il resto è uno di famiglia.
Richiudo il frigo pensando di farmi un panino, e mentre lo faccio, la mia mente si illumina. Ecco, quando alle donne viene in mente qualcosa- annotiamolo- non è mai qualcosa di positivo. Anzi.
Afferro il telefono e aspetto mi risponda.
-Oh Aurora, sono in coma indotto da studio coerc-
-Ho un’idea!
-Spara, intanto preparo l’aerosol…
Storco il naso, che schifo. Le dico le mie genialate e lei si fa l’aerosol. No Maria, io esco.
-Allora, prima cosa: che schifo. Seconda cosa, andiamo alla luna… Abbiamo bisogno di staccare, e uniamo l’utile al dilettevole… c’è quell Matt-
-Ti uccido! Non è come pensi, io te lo dicevo per dire…
Rido, tentando insistentemente di convincerla,
-Vabbè è fatta, ma solo perché se studio anche sabato sera giuro che mi do al cocktail farmaceutico.
 Effettivamente povera Carola, tanto dolce quanto perennemente malaticcia. Potrebbe darsi seriamente alle scienze farmaceutiche, laurea ad honorem per esperienza personale in campo.
- Tieni duro Tyson, ci divertiremo. Piuttosto comincia a controllare l’evento, così vediamo chi ci va. Ci divertiremo fratella!
Certo, la De Santi si sazierà delle nostre carni, ma noi ci divertiremo.
 

 

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Capitolo 3
*** #2 ***


II
 
 
Il segreto per iniziare e concludere una giornata di merda è starsene a letto, chiusi nel proprio botolo di piumoni e lenzuola, magari con gli auricolari e la musica a manetta, fino all’indomani.
Peccato che per me, questo genere di lusso non s’ha da fare.
Io odio le giornate di merda. E lo posso gridare a voce alta. Sì, ODIO LE GIORNATE DI MERDA. Avete presente quando, per caso, una mattina vi alzate e qualsiasi cosa succeda vi farà capire che sarebbe stato meglio tornarsene a letto? Io stamani non mi sarei proprio dovuta alzare. Non so, piuttosto, come abbia potuto trascorrere la mattinata incolume, nonostante il litigio con la Palladini e lo sfogo bipolare di Garbatelli. E, lo metto per iscritto, quel professore non è normale.
Respiro. È venerdì in fondo.
La settimana si è conclusa e possiamo quasi andare in pace. Amen.
Che poi, vorrei dire, esiste qualcuno di più odioso di una demente che non fa altro che sbattere i capelli tutta la giornata e parla – Dio, la sua voce, vi prego doppiatela – di tutti meno che di se stessa? Io la odio la Palladini. E come faccia, sebbene non sappia ancora coniugare un congiuntivo, a passare indenne con una media vertiginosa tutti i santissimi anni, io non me lo so spiegare. Il fatto è che, se oggi lei fosse rimasta muta per gran parte della lezione, io mi sarei data pace e Garbatelli non si sarebbe infuriato.
Si discuteva- si cercava di discutere- sull’importanza delle scelte post-diploma. E lei se n’era uscita con un discorso estremamente no-sense sull’obbligo da parte di chi non se lo poteva permettere, di concludere il proprio percorso di studi.
Ma dico, quando stavamo tutti in fila per la distribuzione di materia grigia, sano intelletto o semplice buon senso, lei era già in coda dall’estetista?
Mi sarei potuta fare i fatti miei, e avrei fatto bene, col senno del poi. Ma a me questi discorsi fanno salire il sangue alla testa e, considerato che già la giornata era iniziata male, lo scossone per farla peggiorare gliel’avrei dato io.
-         Ma tu come ti permetti a dire una cosa del genere? Ma ti rendi conto del numero improponibile di cazzate che spari al secondo? Palladini, quindi noi povera e comune gente mortale, dovremmo darci tutti alla manovalanza, lasciando il posto a gente come te? Gente che di certo gli aiuti non se li fa mancare, e neanche le spinte! Dovresti pensare prima di dar fiato al cervello! Ricorda che ad oggi si va avanti per meritocrazia, non per cens-
-Che è ‘sta caciara? Benedetti siediti! Oggi interrogazione a tappeto! Vediamo se tutta questa foga ce l’avete mentre mi parlate della Gestalt theory!
E nel bel mezzo del mio accorato discorso, era entrato un Garbatelli piuttosto infuriato, segnando la fine degli sproloqui, ma anche la fine di ognuno di noi.
Garbatelli è il mio docente di psicologia. Un Peter Pan sui quaranta affascinante quanto decisamente incline agli sbalzi d’umore. E nonostante la sua materia mi faccia schifo, è uno dei docenti più preparati che io abbia mai incontrato. Beh, se solo fossi stata una decina di anni più grande, di un uomo così mi sarei innamorata. Estremamente arguto, dall’intelletto sottile, sagace e spesso presupponente, dall’ironia dirompente e dall’aspetto da classico bello e dannato, nella scuola vanta di una fama da latin lover impenitente. Ma in classe è un’altra storia. Ci sono i giorni in cui fare lezione è addirittura piacevole, ed altri giorni in cui Garbatelli stenderebbe a tappeto l’intera classe. Questo, è uno di quei giorni.
 
Stamattina avrei voluto gridare, impugnare un tridente davanti agli occhi angosciati di Carola, avrei voluto spennare la Palladini e dare fuoco perfino a Garbatelli. Odio le prepotenze, odio quella maledetta viziata e odio pure me stessa. SAREI DOVUTA RIMANERE A LETTO.
 
-Tranquilla domani ci divertiamo, se dovessimo sopravvivere ovviamente…
Almeno Carola è ottimista.
L’ora e la giornata erano finite con il triste preannuncio di Garbatelli: la strage era solo stata posticipata a domani.
Penso sia arrivata l’ora di premeditare il suicidio e convertirmi all’epicureismo.
Quindi io, adesso, dovrei ricordare circa novantasette tipi di apprendimento, e studiare solo duecento pagine di processi cognitivi di cui, fuori da qua, non sentirò nemmeno parlare. Sospiro furiosamente, davanti a una pila di libri che in quanto a equilibrio farebbe invidia alla Torre di Pisa. Quaderni, fogli volanti, tomi infiniti e la disperazione incarnata nella classica maturanda media che, per l’appunto, in questo momento sarei io.
Certo, tutta ‘sta roba non la studierò a furia di guardarla…
 E quando sembra che la giornata non possa andare peggio di così, un rumore attira la mia attenzione. Varco la soglia della veranda e mi accorgo che Rocky si è dato alla pazza gioia. Benissimo, dovrò procurarmi qualche ricetta cinese sull’arrosto di gatto, o sul gatto e patate, o gatto alla marinara. AHHHH!
-Rocky sei un gatto morto che cammina!
Mi guarda, giuda, con quel musetto accusatore. Sì, Rocky, sono cattiva. No, non mi guardare proprio così. Ora la raccogli tu tutta sta poltiglia? E come uno che se ne sbatte altamente di quello che dice o pensi, gira i tacchi – le zampe- e se ne va.
 In poche parole mi ha mandato a cagare anche il gatto. Metto le mani avanti, mi arrendo, stanca.
 Il pavimento non si distingue dai croccantini. Uccidetemi, e fatelo alla svelta.
Prendo il telefono e compongo il numero di Carola.
-Ciao, a che punto sei? -
Ad un punto meraviglioso – Di non ritorno Carola, di non ritorno. Mamma sta lavorando e Rocky mi ha rovesciato due chili di croccantini misti ad acqua- e spero solo quella- su tutta la veranda. Mi sto per dichiarare prigioniera politica.
Solo lei può comprendere il mio stato d’animo, siamo sulla stessa barca… Magari non ha croccantini da spalare, ma Rocky a parte, più o meno siamo lì.
-Aspettami, vengo a darti una mano e ripetiamo insieme. Io qui da sola con tutta questa psicologia rischio il suicidio, ci vediamo tra dieci minuti. Comincia a prendere un’altra scopa!
Una piccola parentesi di luce in una giornata di buio pesto. Carola e io abitiamo ad un isolato l’una dall’altra e ormai i suoi genitori mi considerano una figlia. Stessa cosa vale per mia madre, che si ostina dopo anni a comprare le caramelle di cui Carola andava ghiotta a nove anni, e che ingurgita tutt’ora come se non ci fosse un domani.
Senza Carola la mia infanzia sarebbe stata più triste, o comunque sicuramente diversa. Tra le due – stranamente- la più timida, da piccole, ero io. Faticavo ad approcciarmi ai miei coetanei, un po’ per paura di essere rifiutata, un po’ per vergogna. Era stata una delle drastiche conseguenze della separazione dei miei. Ormai faticavo a ricordarne anche i dettagli, qualcuno la chiamava rimozione… Una sorta di tutela dell’io. Quel che so con certezza è che mio padre non era e non sarebbe mai stato un buon padre, se n’era andato via quando ancora pensavo potesse tornare e, in realtà, non era mai tornato. Io amavo la mamma, la amavo perché nonostante il suo caratteraccio aveva messo me al centro del suo mondo, e non aveva mai rinunciato al ruolo che la vita le aveva dato da ricoprire: quello di madre. Le madri non possono non amare il dono che hanno portato in grembo per nove mesi e, i padri, o farei bene a specificare, il mio di padre, di scrupoli non se ne sarebbe mai fatti ad averci lasciato sole contro il mondo.
“E se rinasci madre, ama come hai fatto già, e se rinasci padre abbi il coraggio di esser padre alla tua età!”
In fin dei conti, il piccolo universo imperfetto che abbiamo creato io e la mamma, mi va benissimo così. È, semplicemente, il mio posto nel mondo. L’unico in cui io possa ritrovare me stessa.
Aveva cominciato a lavorare presto, per mantenermi. Faceva la parrucchiera ed era davvero brava nel suo lavoro. Non c’era una mattina in cui si alzasse senza voglia di fare, o un giorno in cui non la riuscisse a trasmettere a me, quella voglia. I sacrifici per mantenermi erano tanti e, alle volte, non bastavano, ma nel nostro piccolo davamo un senso a tutto ciò che, magari, per persone come la Palladini, un senso non ce l’aveva.
La bellezza delle piccole cose solo la gente che non ha nulla, o che ha davvero poco, può comprenderla. Perché la gente che non ha nulla, in realtà ha tutto: possiede l’amore per la vita e la fame di emozioni.
A mia madre sarebbe bastato avermi con sé e vederci così per tutta la vita, insieme. E, se solo la mia vita avesse dovuto perseguire una certa logicità, quella logicità l’avrebbe solo ritrovata nella possibilità di poter rendere mia madre, un giorno, fiera di me.
L’avrei fatto con i miei studi, ma con l’umiltà e la stessa faccia pulita, piena di correttezza e sani principi, con cui lei stessa mi aveva cresciuto.
Carola arriva dopo circa undici o dodici imprecazioni contro Rocky.
-         Rocky, se Gabriella ti vedesse ora, rimarresti a digiuno per due mesi
-         Te lo giuro che lo faccio morire io di fame!
E davvero, quell’insolente di un gatto prima o poi me la pagherà.
Carola ride e fortunatamente in due ci diamo da fare. Si lascia andare anche lei a quattro- cinque maledizioni contro il mondo dei gatti. Minacciamo di dare fuoco alla cuccia di Rocky e solo dopo aver spalato croccantini per un quarto d’ora, ci spariamo caffeina endovena e cominciamo a studiare.
Sono le dieci di sera quando il peggio è passato, siamo pronte ad affrontare Garbatelli e metà programma. Maledettissima psicologia. La mamma è già tornata da un bel po’, ci ha preparato da mangiare e ha invitato Carola a rimanere a dormire. Non se l’è fatto ripetere due volte, tant’è di casa. Ormai, ha il suo spazzolino, il suo cambio e perfino il suo beauty di farmaci- amici qui a casa mia.
-         Secondo me domani ci tira il pacco Garbatelli, dopo ‘sta sfacchinata nemmeno ci chiama.
Mi innervosisco al solo pensiero, ma considerata la sua volubilità, è molto probabile.
-         Giuro che dopo ‘sto carrozzone qualcuno ci rimette le ruote della macchina… Ma ti immagini che domani non viene affatto? Come quando ci ha minacciato sulla tomistica e alla fine il giorno dopo è partito per la crociera con quella biondona che si portava sempre dietro!
Carola ride di gusto – Su tutto ‘sto stress post traumatico ci rideremo su prima o poi! E poi vedrai come queste situazioni ci mancheranno, ci mancheranno perfino quelle streghe! Anche la Giunti e la De Santi! Per fino la Palladini! -
La guardo schifata – Mai, piuttosto se un giorno arriverò a dirti che mi manca la Palladini, procurati una bottiglia di cicuta! -
È molto improbabile che un domani senta la mancanza di chi mi ha causato cinque anni di emicranie. I prof, forse ha ragione Carola, saranno le persone che mi mancherà vedere di più. Parole da secchiona, sicuramente.
Però non capita tutti i giorni di avere una docente come la De Santi, con i suoi outfits più che improponibili, e il piglio severo degno di un regime autoritario.
-Oh ma te la ricordi quella volta in cui ha messo la pelliccia lunga con le scarpe da tennis, la De Santi? - Carola si lancia sul divano scoppiando a ridere.
- Se me la ricordo? Mi stavo letteralmente bevendo le lacrime delle mie stesse risate, e ricordo che quel giorno fosse più incazzata del solito… Avevo paura mi beccasse mentre mi scompisciavo e ho fatto finta di cercare qualcosa nello zaino per un quarto d’ora buono! Stavo annaspando! -
Sì, decisamente i prof mi mancheranno.  Forse la Giunti un po’ meno, d’altronde il suo atteggiamento più che restio nei miei confronti, ha letteralmente impedito che mi affezionassi a lei in qualsivoglia modo.
Ma le mie compagne? Mai. Anzi, gli esami saranno solo un modo più esplicito per scoprire le carte in tavola e farcela fare sotto il naso da gente che nella vita arriverà solo per il cognome che porta. E poi chi le rivedrà? Io di certo, mano sul cuore, le eviterò come la peste.
A letto, con un occhio aperto ed uno chiuso, guardo Carola nel lettino di fianco al mio, col portatile il mano e un sorriso scemo piantato sulla faccia. Sono le undici e mezzo, domani abbiamo scuola, e Carola chatta.
E non sto scherzando.
Questa non me la racconta giusta. E io seriamente non ci posso credere. Ma che pagina ha aperto? Cerco di sbirciare. SBAM: facebook. E pensare che quell’account gliel’ho fatto io, costringendola a entrare nel mondo dei social. Ricordo ancora la sua prima password: zioninì.
Il che la dice lunga sulla vita mediatica di Carola fino a quel momento.
-         CON CHI CHATTI, CAROLA PAOLINI!
Si volta, quasi spaventata, e mi guarda con aria interrogativa. Mi lancio sul suo letto rischiando di finire con le chiappe a terra e rompermi l’osso sacro- giusto per rimanere in tema e concludere la fatidica giornata di merda- e cerco di strapparle il laptop dalle mani.
-Nooo! Dai! Che stronza che sei!
Riesco a trattenerla per le mani mentre guardo lo schermo. Ahiahiahi…
-Non mi interessa gnegnegne è un cretino gnegne- rido, facendole il verso - però ci chatti? - Mi guarda, quasi indispettita- Fino a quando mi scrive lui, rispondere è pur sempre da persone educat-
La interrompo - Se, perché se a noi scrive qualcuno che non ci filiamo, noi gliele mandiamo a dire…-
Mi guarda con l’aria di chi, davvero, non capisce cosa gli stia succedendo. Ed è davvero, davvero molto strano per una persona come Carola. Che, vorrei dire, al massimo messaggia col papà…
-Sinceramente, mi piace il suo modo insistente di fare. Ma niente di più… Per le poche volte che abbiamo parlato sembra avere un carattere particolare. Anzi, vuoi sapere la verità? È come parlare con la versione maschile di te, ha sempre la risposta pronta… Ma tu lo sai, sai bene quanto mi reputi ancora troppo piccola per i ragazzi, forse mi piace un pochino, niente di più.
La guardo negli occhi, con l’aria di chi non si fa prendere per il naso – Paolini… sputa…
-Gli ho dato il numero, ma così solo per ego femminile. Poi sicuramente domani verrà, sono curiosa di capire se è tutta scena…
Capisco che è sincera, ma anche sinceramente confusa. Chiudo il becco e se è destino…
 
Il sabato scolastico è passato e noi siamo vive e vegete, sul bus che ci porterà a casa, che ci dimeniamo stressate pensando a cosa diavolo mettere stasera.
Gli interrogativi della diciottenne media.
La mattina è trascorsa più lentamente del solito, colpa di un Garbatelli piuttosto irrequieto – si sarà lasciato scappare qualche “bonazza” torchiandoci come capri espiatori? - che ha davvero asfaltato la classe. Fortunatamente, nel mio caso e in quello di Carola, la tensione ha giovato e i voti di primo quadrimestre sono stati confermati. Siamo alle porte di maggio… “Notteeeee prima degli esamiiii!”
Peccato non possa dire ciò delle due ore della Giunti, che sembra passi il suo tempo a studiare la mia –secondo la sua specialissima opinione-  inettitudine relativa alla matematica.
-Benedetti, questa terminologia, per carità, la usi in filosofia! Con la matematica cozza, cozza, cozzaaa!-
Ma cozza un paio di palle. Nella mia tesi di maturità voglio e posso scrivere quello che mi pare? E posso poter scrivere di qualcosa che la mia testa ha partorito da sola? Bene, perché se io voglio paragonare l’uomo ad una funzione matematica e dimostrare la sua naturale propensione alla perfezione nonché la sua normale ed ineccepibile imperfezione, lo posso fare con la matematica, che lei lo voglia, o no! Galileo, Nietzsche, Kant, Spinoza, una lista infinita di filosofi che sono passati alla storia per le proprie teorie matematiche! E io non posso e non voglio accettare che qualcuno mi cucia addosso un vestito che non mi appartiene! Io sono Aurora, mi piace la matematica e parlerò di matematica come mi è consuetudine parlare di qualsiasi altra cosa.
-Ma che pensi? - Carola mi guarda smuovendoci una mano in faccia, e mi accorgo che siamo ad una fermata da casa sua. Il puzzo che ci sta su questo autobus è incredibile, sto per vomitare il cenone del capodanno di due anni fa.
-Niente, ho sonno, sono stanca! Non riesco a credere che sia sabato – Un sorriso le dipinge il volto – E che stasera usciamo sorella!
Le sorrido a mia volta, che mondo sarebbe senza Carola?
 
 
Mi guardo afflitta allo specchio. Gambe troppo corte, sedere troppo grosso, occhi troppo grandi. Stasera non esco.
-Non ci vengo, mi sento una polpetta con i piedi.
Ed è vero, ho come l’impressione che con la mia personalità debba compensare una carenza fisica che non mi fa mai sentire abbastanza. Abbastanza alta, abbastanza magra, abbastanza bella. Carola mi fa una smorfia, spiaccicandosi una mano dritta in faccia – Tu sei cretina- Eh, detto da un metro e settanta di bellezza e carisma, un par de cavoli.
Ritorno a guardare la mia immagine riflessa allo specchio. Un metro e sessanta- a esagerare- di soli capelli mori, occhi scuri, labbra forse troppo carnose. Mediterranea, sì. La classica ragazza che non piace a tutti, ma neanche a nessuno. Ma che, soprattutto, non piace a se stessa.
-Quando ti metterai in testa che sei una figona? Ma ti guardi? Non c’è serata in cui non stendi qualcuno…
La guardo e rido – Lo stendo a botte di vaffanculo! Ho un’acidità distendente, questo mi era noto… Lo devi ammettere!
Mi tira addosso la piccola montagnetta di vestiti sul suo letto e ride.
 
 
Siamo pronte, o quasi. Stasera ci sarà il boom.
Mi riguardo allo specchio per la millesima volta, oggi. La gonna avvitata rosa cipria e la maglia nera aderente esaltano il mio punto vita, i tacchi sicuramente mi slanciano. La metamorfosi è stata completata, stasera sono ottimista. Magari qualcuno lo stendo davvero.
E se non lo stendo io, Carola lo farà di sicuro. È bellissima in quel vestitino aderente rosso con le maniche a tre quarti, esalta la sua figura longilinea, la fa risplendere.
-Andiamo a spaccare il mondo! Anzi, andiamo a spaccare la luna!
- Stasera la luna ci porterà fortuna, la luna!-
Dopo otto ore di trucco e parrucco, una manciata di minuti passati a contemplarci allo specchio, stiamo per prenderci una congestione davanti al locale.
Ogni volta è sempre la stessa storia. Mezz’ora di fila canonica tra la folla, con un freschetto che si fa sentire anche a fine agosto. Mannaggia la pupazza.
Ci avviciniamo sempre di più alle transenne, conosco il buttafuori. Avrà quindici anni più di me e nonostante ciò mi stalkerizza di mi piace su instagram. Amen, almeno servirà qualcosa.
-Nino- lo chiamo – Abbiamo il tavolo, facci passare che moriremo per ipotermia!
Guarda i pass in mano e alza le transenne sorridendo – Per due giovani donzelle, questo e altro! – Gli faccio la linguaccia, e camminiamo a passo spedito verso l’entrata. Il locale è wow, come sempre. Stasera top del top, lo distruggeremo.
Cerchiamo con lo sguardo il nostro tavolo e finalmente lo becchiamo. Dietro noi arrivano anche le altre, e la festa può cominciare. Valeria, Anna e Isa sono le ragazze più esaurite che conosciamo, sono state loro a farci entrare nel mondo dei locali… E nonostante io e Carola siamo totalmente diverse da loro, le serate trascorse insieme sono state epiche.
Cominciamo a ballare dimenandoci qui e lì vicino al tavolo e quando passano gli Sheppard diamo spettacolo. Urla, gridolini, mani in alto e la festa è iniziata.
Mi inchino facendo finta di suonare la chitarra, Carola scuote i capelli e Isa tiene il tempo con le mani: in tre minuti è il delirio. Amo questa musica assordante, è come se riuscissi, anche solo per poco, a disinnescare l’incessante e caotico andirivieni dei miei pensieri. Mi sento Aurora, mi sento viva, libera di uscire fuori dagli schemi anche solo per un po’. Il fatto è che io amo i miei schemi, amo le congetture in cui io stessa mi intrappolo. Amo il mio insano modo di ricercare la razionalità in ogni dove, di voler pensare in maniera cinica e di agire in maniera totalmente istintiva. È giusto che io mi lasci andare.
Qualche ora dopo, con un drink in mano, mi dirigo con Carola verso l’esterno, per prendere una boccata d’aria. Il rumore e le luci stroboscopiche ti straniscono, ma il fetido odore della gente a cui puzzano le ascelle può fare anche peggio. Parola da discotecara.
-Ci voleva questa serata vedi, mi sento già meglio. – Mi appoggio ad una panca col mio Long Island in mano. Carola ha ragione, ci serviva staccare.
Si volta, e ritorna su di me con la faccia di un altro colore. – Che c’è?- Le chiedo.
Con gli occhi sembra volermelo comunicare, anzi, me lo sta dicendo con le labbra. Ma sono una schiappa nell’immediata recezione. 
-ATTIA? TTEO? MATTIA? Ahh! Matteoo!- Mi intima con un dito di non strillare, ma il danno è fatto. I ragazzi appena a tre passi dietro di lei si voltano insieme, e uno spilungone comincia a sogghignare. Dio dammi la forza per non mandarli a cagare seduta stante.
Ci scommetterei i miei calzini di Hello Kitty su chi è Matteo.
Lo spilungone si avvicina a noi, mentre Carola fa -cerca- di far finta di nulla, intavolando un discorso che regge da sola, visto che io sono troppo concentrata sullo spilungone e company per poterle dare corda.
La urta col gomito. Lei lo fulmina. – Nemmeno mi saluti? -
-Perché dovrei salutarti io? Non potresti farlo tu?
Le sorride. No, ma fate con comodo. Come se io non esistessi. Anzi, mi nascondo dentro la siepe dato che ci sono.
Noto che i suoi amici si avvicinano a noi, e mi impongo mentalmente di non fare la stronza. Dato che ci sono mi scolo il drink, che magari aiuta.
-Ti presento la mia migliore amica, Aurora. Aurora, Matteo.
Lui le sorride e mi sorride. Magari non è così male. Forse, ora che ci penso, ha l’aria simpatica.
Sorrido a mia volta, e sono sicura che il drink stia facendo effetto.
-Aurora, piacere. Ho sentito parlare di te!
Maledetta boccaccia.
Ghigna – Non avevo dubbi! Piacere Matteo. - La afferra per un gomito, e io soffoco una risata guardandola in volto. È a metà tra l’essere incazzata, l’essere contrariata e l’essere compiaciuta.
Carola, lo so, mi vuole ammazzare. I suoi amici si sono ormai uniti a noi e Matteo li presenta –Carola e Aurora, questi sono i miei compari di bevute: Massi, Valerio e Lorenzo.
Ci danno la mano e nel mentre li studio. Se solo tutta la psicologia che ho studiato mi fosse d’aiuto, ma io e l’intelligenza interpersonale abbiamo litigato da piccole.
Massi, sembra tanto un bravo ragazzo. Ben vestito, sorriso che fa bene al cuore, occhi limpidi. Valerio, biondino e il più bassino dei tre, forse il più timido, fa fatica ad alzare gli occhi…
Quando Lorenzo mi stringe la mano capisco che da questo momento in poi mi starà volutamente sul culo. Me l’afferra, e la tiene ben salda, incatenando il suo sguardo col mio, guardandomi spavaldo. Per un decimo di secondo, sembra quasi che Carola, Matteo e i suoi due amici siano scomparsi. Quando interrompo il contatto visivo, mi accorgo che Carola mi sta supplicando con lo sguardo.
-Vero che ti devo fare compagnia?
-Cosa? –Sembro una cretina, colpa dell’amico idiota di questo qua, che mi ha fulminato con lo sguardo e mi ha stritolato una mano. E pensare che ho anche bevuto per essere più gentile!
-Matteo vuole andare a fare una foto, per dimostrare al mondo intero che ho una vita sociale! Glielo dici che non ne ho bisogno? -
È rossa come un peperone, ma mi diverto troppo a vederla così! Giuro solennemente di esser sobria mentre lo penso.
-Matteo, se non tornate tra dieci minuti ti sparo. Portamela sana. Ti tengo d’occhio.
Lui, dall’alto del suo metro e ottanta mi sorride complice, trascinando una Carola piuttosto infuriata dall’altra parte del locale. Penso mi abbia detto sottovoce qualcosa come “ dopo facciamo i conti”.
È troppo divertente vederla in imbarazzo, è forse la prima volta che succede. La vedo allontanarsi con Matteo, e ghigno anch’io. A casa sono sicura che si vendicherà.
-La tua amica non si fa scrupoli a lasciarti sola, sa che ti sai difendere bene da tre potenziali sconosciuti.-
È di nuovo lui. L’amico di Matteo con due pozze scure al posto degli occhi. Gli altri due non ci calcolano quasi, stanno parlottando fitto fitto di qualche ragazzetta seminuda.
Lorenzo, se così si chiama, mi scruta. Lo guardo io stavolta, insolente – Già, non mi lascio intimidire. La migliore difesa è l’attacco…
Sorride, e trasuda virilità da tutti i pori. Ecco, non ammetterei mai davanti a uno così quello che penso. Chiamatemi ipocrita, ma i maschi di oggi sono tutti uguali. È bello, sì, e si aspetta che le ragazze capitolino ai suoi piedi.
Lo fisso e mi fissa.
Ritratto. È bello, bello mentre stringe le labbra cercando, penso, di trovare una risposta abbastanza intelligente. È bello mentre quel ciuffo di capelli, che credo raramente siano stati sfiorati da spazzola, gli accarezza la fronte. Il cervello in pappa, ho il cervello in pappa.
-Fai bene, anche io credo sia la tattica migliore. D’altronde meglio vivere da leoni che da gazzelle.
Scommetto che è un maschilista impenitente. Glielo leggo nello sguardo beffardo, nella postura che emana sicurezza.
-Esattamente. – Distolgo lo sguardo, la testa mi scoppia. Guardarlo mi confonde… Mi sfioro la nuca con le mani: perché ho bevuto?
- Sei all’ultimo anno di liceo?
Apprezzo lo sforzo di intavolare un discorso, mi giro verso di lui.
Gli sorrido, forse per la prima volta dall’inizio della conversazione. L’alcool sta aiutando -  Già, sento l’odore della libertà…
-Il mio ultimo anno di liceo lo ricordo per il numero improponibile di sospensioni, credo che il fatto che mi sarei diplomato giovasse più ai docenti che a me.
Ride di gusto. E ne approfitto per inquadrarlo nella sua complessità. È appurato, è un figo. La maglia larga definisce bene i pettorali, quei pantaloni cachi… Dio, mai visto un colore più merdoso del cachi. E a lui stanno bene, divinamente. Scendono stretti sui suoi fianchi e sulle sue gambe, infinitamente lunghe. Se sto in piedi non gli arrivo nemmeno all’ombelico. Non mi smuovo da qua fino a quando non mi vengono a prendere. In braccio. Con la forza.
-Trafiggi tutte le ragazze con lo sguardo quando ti presenti? No perché sai, non fa macho.
Mi guarda, stoico. Aurora uno, tizio fighissimo zero.
-Magari guardavo te così perché sa tanto di una che sta sui coglioni.
Uno pari. Vaffanculo stronzo di merda.
È stato bellissimo diventare maggiorenne e avere ancora una fedina penale immacolata. È arrivato il momento di macchiarla col sangue di questo sconosciuto qualunque che non si fa scrupoli a dirmi quel che gli passa in quel cervellino vuoto che si ritrova.
-Così? A primo impatto? Beh sappi che anche tu non sei da meno, sui coglioni ci pesi pure. Beh, visto che eravamo in vena di confessioni…
Gli faccio l’occhiolino e mi guarda, facendo una smorfia. – Più che a primo impatto, a primo sguardo. Te l’hanno mai detto che hai degli occhi terribilmente grandi?
-Lo annovererò tra i miei trecentocinquanta difetti. A te l’hanno mai detto che hai una faccia da culo?
Mi fissa, ancora, intensamente. E continua a farlo anche quando una Carola piuttosto agitata si siede al mio fianco.
È serio mentre lo fa, nessun ghigno, nessun risolino. Solo i suoi occhi neri che riescono ad inchiodarmi. Guardarlo mi mette quasi in imbarazza.
Ma cosa sto dicendo? Ma chi è lui per guardarmi così? Crede di intimidirmi, quindi... Beh vaffanculo. Tanto dopo stasera chi lo rivede più.
Idiota.
Carola comincia a tirarmi per un braccio. Scorgo Matteo accanto a lei che si ostina a parlarle all’orecchio mentre lei lo scaccia con le mani. Mi trattengo dallo scoppiargli a ridere in faccia. In realtà in questi ultimi dieci minuti sento di essere diventata un po’ bipolare.
 Nemmeno si conoscono e qua sembra già Casa Vianello. Dio dammi la forza.
Faccio per alzarmi con Carola al fianco, per andare via, quando Lorenzo si avvicina al mio orecchio, trattenendomi per un braccio – A presto, stronza- Un brivido freddo e lento mi attraversa la schiena, partendo dal punto in cui ha afferrato il mio polso. Non devo bere, non devo bere. L’alcool mi porta ad avere strane percezioni, la devo finire. Mi chiamo Aurora Benedetti e, alla veneranda età di diciott’anni, sto appendendo la sanità mentale al chiodo.
Addio.
Saluto Matteo e, più impacciata che mai, tiro una Carola piuttosto sconcertata dietro di me, dirigendoci verso le ragazze e il tavolo.
Mai più Long Island. 




******
Mi presento, per chi già non mi conoscesse: sono Alida e questo è il mio buffo tentativo di tornare su EFP e mettermi alla prova. Premetto che non lascerò sempre a fine capitolo degli angoli autore perchè il mio fine è lasciare che la storia si racconti da sola e che i personaggi prendano forma e vita  prescindendo da quello che vi dirò. Se state leggendo  mi farebbe davvero piacere se lasciaste un segno del vostro passaggio, anche solo qualcosa che attesti il vostro interesse relativamente alla storia. Sono molto ben accette le critiche, se stimolanti e costruttive. Detto ciò, spero di poter essere il più puntuale possibile nella pubblicazione.
A presto, un bacio!
Alida Dreamer

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Capitolo 4
*** #3 ***


III

 
 
Ho come l’impressione che il mio cervello stia dando forfé.
Mai sottovalutare i postumi di una serata. Una domenica da coma passata a ripetere nomi su nomi di pedagogisti con i loro curricola maledetti. I miei neuroni, da stamani, non mi aiutano. Ho provato di tutto, dalla caffeina a litri al rimedio più semplice, sbattere più volte la testa sul mio tavolo di granito.
Nada. Mai più un Long Island, mi ha bruciato i trasmettitori sinaptici.
Anche perché, vorrei dire, quattro ore di sonno non sono il massimo. Soprattutto se hai dormito- per così dire- con un occhio aperto ed uno chiuso, ripensando come una demente ad uno che non rivedrò mai più. Cioè, in realtà non l’ho pensato. Ho solo diversamente riflettuto sulla serata, tutto qua.
E adesso, dopo una giornata di studio coercitivo, mi sento il cervello di un criceto in prognosi riservata.
Odio essere una studentessa impanicata in questo momento, odio dover affrontare tutto questo per quattro miseri esami che, a detta degli altri, saranno solo l’inizio di una vita in salita. Eccheppalle. Io adesso vorrei soltanto poltrire sul divano della cucina, cercando di smaltire il rincoglionimento post-discoteca.
Che poi, ne vogliamo parlare? Passi tutta la vita ad aspettare i diciotto e quando arrivano non hai il tempo di goderteli che già sono passati. La patente, la maturità, i test d’ingresso alla facoltà, la laurea, il lavoro, una casa un gatto e tre cani. E ti ritrovi zitella, a quarant’anni suonati, mentre passi il sabato sera affogando il mal di vivere nel limoncello di tua madre. Vista sotto questa prospettiva, forse le serate come ieri sarebbero da raddoppiare.
 
Guardo nauseata questo tomo gigante: pensare ed educare. Ma una cippa. Vaffanculo Bruner, Piaget e le loro centocinquantasettemila tecniche di apprendimento.
Mi alzo, esasperata, e disattivo dal cellulare la modalità aereo.
Quando lo faccio capisco davvero di essere malata. Cioè, io, per studiare, devo mettere il mio cellulare nelle condizioni di non ricevere alcuna notifica Whatsapp/Facebook/Instagram. Mi distraggo in una maniera impressionante.
Non posso stare due minuti col cellulare aperto senza che i minuti si trasformino in ore e le ore si accumulino in giornate passate a non fare una beata mazza.
Sono in astinenza di social e controllo l’ultimo accesso di Carola che, stranamente, compare online. Credo che, alla fine, l’incursione di Matteo and friends, ieri notte, non le sia totalmente dispiaciuta. Anche se, a detta di lei, rimane pur sempre un “pallone gonfiato che si crede Dio”, penso ancora che questi due mi riserveranno sorprese. O magari no, io di certo non lo so. Io non sono certa nemmeno di cosa mangerò tra quattro secondi e mezzo.
Premo velocemente sulla tastiera per iniziare la conversazione.
 
21:40 Aurora : Sei viva?
21:41 Caro: Per poco ancora L Ho finito da poco di studiare, domani ci disintegrano!
21:41 Aurora: Ti sto chiamando, rispondi.
 
Afferro il cordless e compongo il suo numero, attendo che mi risponda.
Se penso a tutti i tabulati telefonici degli ultimi undici anni – da quando più o meno abbiamo capito come far funzionare il telefono pigiando i tasti- e alle ore su ore di cicere ininterrotte, mi vengono in mente due cose: mia mamma che strilla e la bolletta del telefono. Ovviamente una di esse è conseguenza dell’altra.
-Ohi!
La sento, come dire… Allegra. Ecco, la parola giusta è allegra.
Il che è matematicamente impossibile la sera prima di una strage scolastica, per due come noi. Carola non me la racconta giusta ed io non sono stupida.
-Hai sentito Matteo? - La risposta è qui, ne sono sicura. Non riesco ancora a capacitarmi di come sia possibile, stento ancora a crederci ma, sebbene lei si ostini a negarlo io so bene che Matteo non le è indifferente. Ma proprio per nulla.
E lo percepisco nel modo in cui mi risponde.
-Ah? Sì, no… cioè, mi ha mandato un sms quando siamo tornate a casa. Cioè, non so dirti se mi ha fatto piacere o no. In realtà, quelli dell’oratorio non lo digeriscono molto e beh, l’hai visto anche tu. È spavaldo e secondo me si comporta così con tutte…
Non so, in questo momento, se sparare a zero più su quelli dell’oratorio o su Matteo.
Cerco di frenare la lingua biforcuta che in questo momento mi porterebbe ovviamente a darle ragione. Perché sì, sono una femminista convinta e sì, i ragazzi sono tutti uguali. E quelli che si discostano dal genere sono fidanzati.
Perché, care donne, non esistono uomini sensibili, perspicaci, romantici, attenti, comprensivi. Disilludetevi. Tutto ciò che un uomo dice, fa o pensa è finalizzato a qualcosa. E non pensiate che il fine siate voi. Il fine è la compensazione breve ed illusoria di un piacere che ricomparirà quando si accorgeranno di un’altra che sorriderà alla loro soglia. Parola di una che una volta sì e l’altra pure perde tempo con tipi stupidi, incapaci ed immaturi. E stupidi. L’ho già detto? Vabbè stupidi elevato al quadrato.
-Penso tu faccia bene a non fidarti, stai in guardia – mi sforzo a dirlo, ma sebbene lui non gliene abbia dato ancora un valido motivo, quel motivo prima o poi arriverà- ma poi ieri che avete fatto?-
In effetti vorrei continuare la frase con un “quando mi hai lasciata sola con quel deficiente al fianco” tanto che se ci penso mi ritorna l’istinto omicida.
-Mi ha trascinato per mezzo locale mentre puntavo i piedi a terra e gli strillavo in faccia. Ci ha messo dieci minuti buoni a trovare il fotografo in quel casino, cioè mi tirava dietro come un sacco! Penso di essere uscita anche di merda in quella foto, appena ce l’ha scattata mi sono divincolata per tornare indietro con lui alle calcagna! Isa mi ha anche vista mentre cercavo di scollarmelo…
-Però ti compiace questa situazione Paolini! - ghigno alla cornetta.
-No no no! Cioè forse un po’, è una situazione così strana… È che quando mi si incolla e fa battute ridicole, ho come l’impressione che lo faccia apposta! Ha un modo di fare che non mi lascia indifferente ecco, tutto qua. Mi ha scritto anche oggi pomeriggio e stiamo continuando a parlare…
-Tutto qua?!- scoppio a ridere- Devi ammettere che ti piace! Non mollerò fino a quando non lo farai!
Ci messaggia anche. Le mie supposizioni stanno prendendo vita. Sono sicura che presto Carola partirà come un treno. Ebbene sì, arriva per tutti il momento in cui per forza di cose dobbiamo perdere tempo appresso a qualcuno. E per quelli che hanno sempre aggirato questa grande verità, arriva anche prima.
Sbuffa, credo realmente avvilita – Quindi hai conosciuto i suoi amici? Nelle foto su facebook è sempre con loro… Ma poi, non mi hai detto se avete parlato di qualcosa!-
Classico. Cambia argomento. E ovviamente lo fa deviandolo inconsapevolmente verso le mie di sensazioni. Labbra carnose, capelli indomabili, atteggiamento presupponente e provocatorio. No, io non sono una che si fa incantare da queste cose. Ma magari se mi ripeto sta roba come una mantra, forse mi convinco pure.
Ripenso a quello strano frangente di tempo in cui due pozze scure mi hanno inchiodato con lo sguardo. È stato strano, perché non era un modo per corteggiarmi… se avesse voluto provarci suppongo avrebbe reagito in modo diverso. Uno che la prima volta che ti si para davanti ti dice che gli stai sui coglioni beh, si è già sparato sette cartucce a salve.
Quindi no, non credo ci siano state allusioni dietro le sue parole, né ironia.
Non so nemmeno che idea dovrei avere o dovrei farmi di lui e non so nemmeno perché la mia mente malata ora stia pensando queste cose senza senso. Sono nata difettosa, sicuramente. D’altronde, sono o non sono Aurora Benedetti?
-A dire il vero ho parlato solo con uno di loro, non mi ricordo neanche il nome – (bugiarda)- niente di che, sei arrivata subito alla fine.-
Non so neanche io perché gli stia mentendo. In fin dei conti a parte il nome, che ritengo difficile dimenticare per un qualche insano motivo – vedi cose senza senso- che ancora non mi è chiaro, oltre alle nostre esplicite dichiarazioni di antipatia, non c’è stato nulla.
La cosa che più mi stupisce è la dichiarazione indiretta di sfida nei miei riguardi, immotivata, illogica e stupida. Come lui.
Ma tanto chi lo rivede più.
 
 
 
Manca solo un’ora alla fine della lezione e non vedo l’ora di buttarmi sul divano e morire lì sei o sette ore e dimenticarmi i nomi di tutti quei paragrafi…
La De Santi ha fortuitamente fatto a meno di chiamarmi e credo di aver pregato e ringraziato in aramaico perfino Isaia e Buddha.
Arrivare indenni a fine lezione ultimamente sembra un miracolo.
La Negroni arriva fastidiosamente puntuale come al solito, è lei la nostra coordinatrice quest’anno. Dall’alto del suo metro e una chewingum ci intima di sederci, aprendo il registro. Non si è dimenticata delle interrogazioni. Lo carezza con le mani amabilmente, e non posso fare a meno di notare quanto sia inquietante la scena. Storce il naso, si drizza gli occhiali sul naso e, senza mai seguire una logica ponderata, chiama. Magari nella sua mente gioca ai logaritmi con le iniziali dei cognomi.
-Palladini, Riggio, Cinti e Benedetti.
Te pareva. Sarebbe stato troppo bello non essere interrogata oggi, soprattutto in pedagogia. Chiudo il libro e mi faccio mentalmente il segno della croce. Tutti quei curricola viaggiano a lunghezze d’onda diverse dal mio cervello.
Le interrogazioni della Negroni, da tre anni a questa parte – per l’appunto i tre anni con cui ci ha deliziato della propria presenza- sono vere e proprie simulazioni di esami universitari. È praticamente fissata con l’apprendimento mnemonico ed enciclopedico, è una tortura studiare materie come questa.
Chiuso il libro mi sposto al primo banco, per un testa a testa con la Negroni.
Quasi mi dispiace per la Palladini. Ovviamente scherzo, magari è la volta buona che gli va male. Sbatte agitata le ciglia a tronchetto della fortuna, mentre cinguetta qualcosa a Riggio. Mi chiedo come faccia, ogni santa mattina, a truccarsi di tutto punto e a sembrare sempre una femme fatale appena uscita da un settimanale di vip. Io in confronto sembro una scimmia da savana e sicuramente non esagero.
La Negroni comincia a sparare titoli di paragrafi ad muzzum, interrompendoci quando il discorso sembra prendere una forma, per poi tartassarci di altre domande.
Spara argomenti a raffica alternandosi tra noi tre non facendoci mai finire un discorso  e nonostante la pedagogia faccia una fatica assurda ad entrarmi in testa, le mie tesi sono ben articolate anche lì dove, per forza di cosa, devo giocare un tantino di fantasia. Se le cazzate che sparo sono dette bene e circoscritte ad un contesto che le giustifichi, la Negroni nemmeno se ne accorge. L’importante è mantenere il tono impostato e non lasciarsi andare agli intercalari, tutto il resto è noia.
La Palladini è incerta, quasi si culla sulle sue stesse parole, sembra vaneggi… La sua voce è insopportabile.Venti minuti dopo, anche Riggio è viva e l’interrogazione si è finalmente conclusa. La Negroni è apatica quando trascrive i voti, non fa una piega. È la faccia della stoicità. Strega.
 
-Benedetti, nove. Riggio sei e mezzo, Palladini otto più.
Rivolgo una smorfia a Palladini ma, tutto sommato, piuttosto soddisfatta torno al mio posto.
-Oggi l’ho scampata, ma alla prossima aspetterà il mio cadavere dall’altra parte del fiume. È sicuro…-
Su Carola e il suo rapporto con le materie della Negroni – o specificatamente sul rapporto tra lei e la Negroni- potrei scrivere un libro che manco Il Codice Da Vinci è più avvincente. Credo col tempo si sia ostinata a dimostrare con tutte le sue forze di essere una ceppa nelle sue discipline, che per un liceo come il nostro sono materie d’indirizzo. In realtà la situazione non è stata del tutto creata e giustificata da Carola, anche la prof ci ha messo del suo. E dopo anni di perenni cinque e mezzo la mia migliore amica si è praticamente convinta di non piacerle, di non starle a genio o, come ci è solito dire, di starle immensamente sulle balle.
Credo la Negroni sia una di quelle docenti dure a cambiare idea sulla gente, magari si pone in maniera del tutto pregiudiziale e completamente sconveniente nei confronti di alcuni alunni. Ma credo anche che le si possa far cambiare idea.
E di questo cerco di convincere Carola, che ha sviluppato una sorta di somatizzazione da stress pre e post Negroni fatta di attacchi più che frequenti di colite, o come si suol dire cacarella.
-Lo sai come funziona per la Palladini, c’è l’otto politico. La prossima volta chiama, meglio non farti cogliere impreparata, devi spaccare! Ti aiuto io e studiamo da me!
Mi guarda con un sorriso nord-sud-ovest-est e capisco perché le voglio così bene.
Forse, insieme, perfino la maturità sarà uno spasso.
 
 
 
Stasera sono stanca, distrutta, devastata.
C’è un modo alternativo per definire le persone pigre, che non si smuovono dal divano se non per andare verso il frigo? Bene, io sono l’essere umano per eccellenza che incarna la concezione di pigrizia.
Vani e superflui sono stati i tentativi, da parte di mia madre, di farmi muovere crescendo. E come biasimarla, se ora ci ha rinunciato?
Ha provato con i tutù e i body rossi della scuola di danza artistica, poi mi ha lanciato, a tredici anni nel colorato mondo dei balli sociali, poi ancora ci ha provato con la pallavolo. Niente, lo sport non faceva e non fa per me. Io e la coordinazione motoria non ci siamo conosciute e non credo faremo mai conoscenza, come d’altronde con qualunque tipo di ballo/sport/disciplina aerobica presente sulla terra.
Sono praticamente l’anti-sport. E, considerati i traumi che quelle maledittissime insegnanti di ballo mi hanno provocato, ho deciso a quattordici anni che avrei fatto la palla a vita piuttosto che muovermi.
Belle quelle promesse che ti fai a te stessa quando ancora il metabolismo ti permette di magnare ogni qualsivoglia roba piena di conservanti e porcherie varie, senza mettere su un etto.  Belle, bellissime.
Peccato che col tempo, sono giunta a patti con me stessa. Per stare bene evitando di diventare davvero un arancino, almeno due volte a settimana vado a correre nel parco accanto casa mia, pieno di popò di cane e bambini iperagitati dai sei in giù.
E, sebbene questa pratica si sia davvero rivelata utile al fine di mantenere sotto controllo lo stress pre- maturità, ci sono certe sere – come questa – in cui strafaccio e sono tutta un dolore. Dai capelli alle punte dei piedi.
Mi rotolo sul divano e accendo la tv. Schifezza, schifezza, schifezza. La richiudo. Noiosissime programmazioni tv. Quando ho voglia di vedere un film decente, trasmettono solo roba come quelli che il calcio e orripilanti robe trash a cui, in questo momento, preferirei le interessantissime telenovele argentine di mia nonna Lina.
 Mi alzo- e impreco mentalmente per i crampi ai polpacci- prendendo il portatile.
 
Apro il pc e, impostando la pagina Facebook come principale, smanetto tra un sito di shopping online e la mia cartella di musica.
Briga: Campione di sogni. Play.
Imposto la ricerca e i filtri adatti su zalando: voglio un paio di scarpe rosse.
Che poi è risaputo che per noi donne le scarpe non siano mai abbastanza. Alte con il tacco, basse, da passeggio, da serata, borchiate, nere, da ginnastica, pitonate…
Una dipendenza malata, come quella per i vestiti, le borse e gli accessori che non bastano mai.
Sono un’esteta, mi piacciono le cose belle e, sebbene a scuola vada sciatta come una mazza da lavare – di quelle usate- ho una malsana fissazione per tutto ciò che fa moda. D’altronde, a giorno d’oggi è inutile riempirci di cazzate come l’abito non fa il monaco. L’abito fa il monaco, eccome se lo fa!
È inutile prendersi in giro, a primo impatto è proprio quello che ci condiziona: l’apparenza. Non siamo tutti che dei caproni ipercondizionati da spot e immagini che circolano sulla rete, osserviamo e accettiamo i trend senza riserve, a volte consapevoli, altre volte un po’ meno. Vorrei poter differire dalla massa sopracitata, ma ahimé sono vittima anch’io dell’universo due punto zero e di tutte le stronzate che si porta dietro. Come direbbe Svevo, è meno malato chi conosce la propria malattia.
Un suono mi distoglie dai miei pensieri. Passo in rassegna le finestre aperte sulla home e apro facebook. Una richiesta di amicizia. Faccio per cliccare sull’icona che segna la notifica in rosso e il server arranca. Maledettissimo. Farei volare adsl e simili fuori dalla finestra alle volte. La pagina si apre e figura in caratteri piccoli un nome : Lorenzo Cappiani. Il tipo dell’altra sera. Scontatissimo.
Curiosa, vado sul suo profilo e comincio a sfogliare le sue foto. Non rende sicuramente come dal vivo, sarà per lo sguardo o per l’intensità dei suoi occhi. Mi soffermo su una foto dove compare anche Matteo. Sorridono felici addossati l’uno all’altro sulla neve. Compaiono foto di serate con amici e ragazze quasi sempre diverse.
Non c’è che dire, è bello. Ma pur sempre scontatissimo.
Sono quasi sicura abbia scambiato la mia arroganza per presunto interesse, altrimenti la richiesta di amicizia non si spiega. Anzi, sono quasi sicura che ora metterà qualche like tattico. Insomma, è tipico. Eppure mi compiace, sono così prevedibili i maschi.
Mi divincolo dal plaid alla ricerca del cellulare e chiamo Carola. Non fa nemmeno in tempo a rispondere che l’assalgo: -Non sai chi mi ha mandato la richiesta in questo preciso istante!”
-Sicuro Edo.. Dai si vede che gli piaci!È che è timido e magari lo intimorisci- sghignazza. Ma dai, se io piaccio a Edoardo della quarta BP, Rocky stanotte diventa fuxia. Ma da dove le escono?
-No Watson, che dici! Il compare della tua fiamma...
-Massi o Valerio?
-No, Lorenzo. Quello alto, bruno… Insomma, quello che non mi stava granché simpatico…
- Ma scusami, tu non eri quella che non si ricordava neanche il nome? – sogghigna… La stronza si ricorda la qualunque.
-Sì beh, me lo sono ricordato ora che mi ha aggiunto… Figurati, è tipico. Ora pensa di provarci magari, quindi sicuramente mi scriverà, che idiota!
E ci credo quando lo dico. Sono tutti degli insopportabili idioti. Non cambiano nemmeno metodo, rimane sempre quello. Immutabile. Per alcuni basta respirino, altri sono giusto un po’ più esigenti e vogliono quel pizzico di carattere che non in tutti i casi è sinonimo di intelligenza. Agli esemplari del genere maschile basta un contatto facebook e giusto qualche messaggio su Whatsapp. Dopo? Il vuoto. O si annoiano loro o ti annoi prima tu.
 -Non devi essere così categorica sempre… Alla fine mai dire mai e sempre, e lo sai. Guarda che non sono tutti come tuo padre, né come quelli che hai già conosciuto. L’eccezione esiste Aurora, è solo che devi saperla riconoscere.
Vorrei poterle dire che si sbaglia, perché sono sicura si sbagli, ma evito una discussione inutile perché so già che questa richiesta di amicizia finirà accantonata a quella degli altri cretini che credono di poterci giocare facile. Illusi.
- Non è questo il caso e comunque vedrai, domani ti dirò “ te l’avevo detto”.
E ne sono sicura. Glielo griderò questo maledettissimo TE L’AVEVO DETTO.
 
 
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Sono stati i venti giorni più lunghi della storia, ma sono quasi arrivata illesa alle vacanze pasquali. Le ultime simulazioni di esame sono andate bene, ormai manca davvero poco alla fine. Il diploma. E sti grancazzi, anche dirlo a voce alta fa stranissimo.
Quindi è vero? È così che si diventa grandi? Maturi? Noiosamente vecchi?
Paradossalmente responsabili. Quando hai dieci anni è questa più o meno l’impressione… Ti diranno: -Dopo gli esami di maturità cambia tutto, vedrai?
Ma davvero, per quelli che questi maledettissimi esami li hanno già  superati, passati e strapassati, cosa cambia?
Per me, assolutissimamente niente. Questo perché, a casa mia, già da un pezzo si parla di laurea e non più di diploma.
Sicuramente mentirei se dicessi che il pensiero di condensare tutto il mio percorso scolastico non mi spaventa, sono dell’idea che le paranoie e le crisi esistenziali rientrino nella norma. Il fatto è che tre mesi fa sembrava più vicino e, ora, il tempo stringe e il mio cervello è sempre più anni luce dall’idea di dover portare quel foglio a casa. Che cazzata gli esami di maturità, io li odio. Odio tutta questa dannatissima burocrazia che non serve ad un’emerita cippa di niente.
Mi guardo allo specchio e oggi sono una scimmia allo stato avanzato.
Le occhiaie inguardabili e i capelli da pazza sono sintomo di un imminente crollo nervoso. Ma si era capito anche prima?
 Mancano solo tre giorni alla pausa scolastica, ponte annesso, e mamma ne ha approfittato per una toccata al sud, dai suoi. Ebbene sì, nonostante io sia stata partorita sotto lo squallido grigiore lombardo, mamma è una terrona doc.
È originaria della Calabria, del profondo sud calabro. Una cittadella che di nome fa Reggio, situata dall’altra parte dello stretto. I miei nonni e mia zia, gli unici parenti che ci siano rimasti vivono lì.  E nonostante tutti i pregiudizi, le idee stereotipate che la gente ignorante tenda ad affibbiare ai meridionali, la verità è che su una cosa hanno ragione: il popolo del sud è estremamente caloroso. Io amo passare le feste giù in Calabria, perché amo l’affetto e il calore confusionario che riversano su di noi e che, spesso, in questa caotica quotidianità a me e alla mamma manca.
E mi serve proprio un po’ di aria buona, magari posso anche tornare umana visto l’aspetto animalesco di stamani.
Carola ha una faccia che è tutto meno che euforica stamani. A occhio e croce fa concorrenza alla mia. Non si direbbe che siamo migliori amiche, vero?
Sembra uscita da una seduta di tredici ore continue con la bambina di the ring e credo che la nottata l’abbia passata insonne. L’autobus fa un’altra fermata, e noi finiamo incollate a causa di un altro carico di passeggeri che sale su questa che sembra essere l’unica linea utile alle sette e mezzo del mattino.
Ne approfitto e le do uno scossone – Ma insomma, si può sapere che hai?!
Esce dal coma autoindottosi e mi guarda come se fossi d’un altro pianeta.
-Allora?!
-Insomma, oggi la prima la salto. Mi manca solo il voto di storia con la De Santi e tutta la notte non è bastata per terminare i tredici capitoli di storia arretrati. Se entro è finita, mi purga.
Ora capisco.
Ed ebbene sì. È questa la triste e sconsolata verità di una secchiona in erba a un passo dall’esame di maturità. La De Santi sa apprezzare i sacrifici e la volontà di chiunque, ma non esiterebbe a spiaccicare un tre irrecuperabile nemmeno a sua figlia. Povera piccola Carola…Non posso vederla così.
-Beh, io ho finito con le interrogazioni… Salti tu, salto io!
Una speranza illumina il suo sguardo- Davvero?! Ma davvero?
-Anzi ti dirò di più, c’è Mandalari in via del corso che sforna cornetti dalle cinque di stamattina, posso sentire l’odore da qui- no, qui c’è puzza di cipolla- ok, no, sto dicendo una cazzata. Io direi che stamattina una colazione premio la meritiamo!
-Batti cinque sorella! Ti adoro!
Scommetto sia rinsavita all’idea dei cornetti e, ora che ci penso, so già che farò il bis.
 Scendiamo quattro fermate più avanti, e procediamo verso i cancelli del paradiso: Mandalari. Il re dei cornetti.
Dire che sono golosa, a questo punto, sarebbe un grosso grasso eufemismo. E il grasso, lo so, non stona per niente insieme al profumo di burro, nutella, brioches appena sfornate, marmellate di ogni genere…
Sto attenta a non sbavare peggio dei cani di Pavlov quando varco la soglia del mio bar prediletto, e mi precipito di corsa – mi sto per spaccare l’osso del collo- al piano di sopra, per occupare il tavolino con i sedili in pelle. L’ho già detto che in questo posto mi sento a casa?
Carola mi segue e in dieci minuti finiamo con l’ordinare croissants muniti di bis e succhi all’ananas. La ragazzetta che lavora qui è cordiale, talmente cordiale che mi chiedo come faccia alle otto del mattino a essere viva, pimpante, ma soprattutto felice.
Misteri della vita che non mi è dato sapere.
-E Matteo?
Non l’avessi mai detto, eccolo lì… Il nervosismo che mi sembrava di intravedere anche stamattina sul bus. Si sta torturando le unghie.
-Matteo cosa?
Furba, ma non abbastanza.
-Dico, vi state sentendo?
Andare sempre dritti al dunque, sempre.
Si leva il giubbotto, forse per non guardarmi negli occhi.
-Beh la verita? Non si fa sentire da una settimana circa, è uno stupido, arrogante, dispettoso, narcisist-
-Quindi avete litigato?
Lo so, la laurea la dovrei prendere in psicologia.
-Sì, cioè no, vabbè alla fine non mi importa-
Il discorso viene interrotto dal cameriere che ci porta tutta la roba che abbiamo ordinato – talmente tanta da far ingozzare il manicolo di un esercito- ma sono troppo presa dal mio dannatissimo cellulare per guardarlo in viso.
Grande errore Aurora.
-E questo super cornetto panna e nutella per miss maleducata- non faccio in tempo a voltarmi che già riconosco la voce.
-Non ci credo, tu sei-
-Lorenzo, e tu sei la maleducata della luna?
Le braccia mi stanno cadendo a terra e stanno prendendo vita, le vedo prendermi a schiaffi. E quindi questo sfrontato, stupido cafone lavora qui?!?

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