The Bitter Suite di RedDragon (/viewuser.php?uid=31137)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***
Capitolo 8: *** Cap.8 ***
Capitolo 9: *** Cap.9 ***
Capitolo 1 *** Cap.1 ***
The Bitter Suite
The Bitter
Suite: finale alternativo.
E se Xena
avesse davvero ucciso Gabrielle…?
.
.
Desclaimer:
I personaggi presenti nella
storia si basano su quelli della serie televisiva di Xena: The Warrior
Princess, e sono di proprietà della
MCA/Universal
Renassiance Pictures,
del quale non intendo infrangere nessun copyright.
.
Nota1:
Prima di lasciarvi alla
lettura di questo primo capitoli mi sembra doverosa una breve nota introduttiva.
Questa fan fiction nasce
dall’idea che Xena abbia realmente ucciso Gabrielle nell’episodio The Bitter
Suite (Xena e la ruota del fato, terza stagione), e non un’illusione
come ci veniva mostrato nel telefilm (grazie a Dio!).
.
Inserisco un breve riassunto
dell’episodio in questione:
Solan, l’amato figlio di Xena
cresciuto dai centauri, viene ucciso da Hope, la figlia demoniaca di Gabrielle
che Xena credeva morta ad opera della sua stessa madre.
La guerriera accecata dal
dolore per la morte del figlio e per il tradimento di Gabrielle, vuole
vendicarsi e così si reca al villaggio amazzone dove il bardo ha trovato rifugio
(e dove viene schiacciata dai sensi di colpa per aver mentito a Xena), rapendola
e trascinandola alla sommità di un dirupo con l’intenzione di gettarla di sotto.
Ma Gabrielle riesce a trascinare con se anche Xena.
Le due donne si risvegliano
in un luogo stranissimo, dove si troveranno faccia a faccia con tutti i loro
demoni. Illusia…
.
Nota2:
In questa storia si parlerà
esplicitamente di amore saffico tra le protagoniste, essendo io fermamente
convinta che Xena e Gabrielle siano una coppia nel senso più completo del
termine.
Se la cosa vi disturba non
proseguite con la lettura.
.
Ringrazio il forum italiano
di Xena: Warrior Princess per
avermi dato questa ispirazione.
E Margherita che l’ha letta
in anteprima e mi ha aiutato a migliorarla! (grazie infinite!)
.
.
Detto questo vi auguro
(spero^^) buona lettura!
.
.
.
Cap.1
.
Your villainous infamy
Tortures your soul.
Descent into evil
Must levy its toll.
The darkness that rots you
Has brought you to this.
.
.
Si trovava
lì, in quel luogo indefinibile, ormai privo di ogni suono che non fosse il suo
respiro spezzato.
Sola.
No…
Osservava,
ancora incredula, la figura mollemente accasciata tra le sue braccia.
No…
Sembrava
quasi che dormisse, con i capelli biondi che le ricadevano, leggermente
scompigliati, sui tratti del viso disteso e rilassato… troppo rilassato.
Ma quella
fanciulla non stava dormendo…
I polmoni
non si sarebbero più riempiti della brezza leggera e umida dell’alba, e il cuore
non avrebbe più scandito con regolare ritmicità i battiti della sua esistenza.
Quegli occhi non si sarebbero più spalancati ad osservare il mondo con la loro
caratteristica limpidità e curiosità che li rendeva chiari come non mai, pura
essenza della sua anima allegra e spensierata, ma anche tormentata dagli incubi
di un destino ingiusto e traditore.
No…
.
Le passò
l’indice sul volto, seguendo i lineamenti della guancia. Poteva ancora percepire
il calore di quella pelle, così morbida, così… giovane…
«Gabrielle… Che cosa ho fatto…» soffiò piano.
Dai suoi
occhi chiari una lacrima solitaria sgorgò, scendendo lenta ed andandosi ad
infrangere sul vestito verde della fanciulla, accanto ad una chiazza scura che
si era espansa a macchiare quell’abito all’altezza del ventre.
Verde,
verde come la speranza…
Altre
lacrime si unirono alla prima, fino a che il suo viso non ne fu inondato.
Non
riusciva a trattenere i singhiozzi, e non voleva nemmeno. Quelli erano la voce
del suo dolore, immenso, e delle sue colpe che si levavano alte, rimbombando su
quelle pareti.
.
«L’hai
uccisa.»
Una voce
che non aveva nulla di umano sibilò quelle parole con un’impassibile naturalità.
Sollevò la
testa di scatto, e sussultò vedendo ergersi davanti e lei un lupo. La cosa che
più la colpì non fu che quell’animale, che le appariva maestoso come non mai, le
parlasse, ma il suo manto. Candido come la prima neve.
«Cosa…?»
«L’hai
uccisa.» ripeté con tono pacato. «L’hai uccisa e ora non ti rimane più nulla.»
«No. Io …
io … Gabrielle…» abbassò nuovamente il capo.
Non ce la
faceva, non ce l’avrebbe mai fatta.
«Hai
portato a termine la tua vendetta, Xena.»
«Chi sei?»
chiese con voce tremante.
L’animale
si prese un lungo momento per guardarla con i suoi profondi occhi neri.
«Questo
non ha importanza. Tu hai ucciso la persona più importante della tua vita, è
questo ciò che conta.»
«Mio
figlio è morto per colpa sua!» tuonò. «Se lo meritava.» concluse con voce più
bassa, mentre i suoi occhi fiammeggiavano ancora d’ira e di dolore.
«Si. Lui è
morto per colpa di sua figlia, e lei l’ha uccisa…»
Lei l’ha
uccisa. Ha ucciso sua figlia.
Perché
solo in quel momento si rendeva conto di questo?
Quanto gli
era costato quel gesto? Aveva barattato la sua anima per fare la cosa giusta.
Si, ma giusta per chi?
Sicuramente non per Gabrielle. No, per lei la morte non era mai giusta, non era
mai la soluzione.
Eppure lo
aveva fatto.
«Tutto
questo non è giusto.» mormorò, mentre i contorni di tutta quella storia
cominciavano a farsi netti, ora che la sua mente non era più ottenebrata dal
pensiero incessante della vendetta.
«Sei stata
tu a volerlo. Hai scelto tu il destino di entrambe rinnegando i tuoi sentimenti
per lei. Tu l’hai uccisa.»
Detto
questo il lupo iniziò a dissolversi lentamente.
«Aspetta!
Chi sei?» ma il suo grido non fu udito da quella strana creatura.
.
Improvvisamente fu colpita da una brezza leggera.
«Ma come è
possibile?»
I suoi
occhi saettarono in ogni direzione cercando di capire come poteva trovarsi lì.
Era su
quell’altura, dove aveva trascinato Gabrielle prima di precipitare entrambe giù
e di ritrovarsi in quello strano posto.
Abbassò lo
sguardo e vide il suo viso martoriato da graffi e ferite aperte, così come tutto
il suo corpo, ora fasciato in una tunica bianca sporca di fango e sangue.
Doveva
fare qualcosa.
Non poteva
lasciare le cose così, non senza aver tentato il tutto per tutto.
Non
permetterò a questo destino di vincermi…
.
Le passò
due dita sulle labbra e poi risalì per spostarle una ciocca mossa dal vento che
stava crescendo impetuoso.
«Gabrielle, mi dispiace tanto. Ma ti giuro che rimetterò le cose a posto.»
Si chinò e
le sfiorò le labbra. «Perdonami, amore mio. Perdonami.»
.
«Xena!»
l’urlo di Ephiny si levò alto, mentre, seguita da un manipolo di guerriere, si
avvicinava alle due donne.
Xena
immaginava perfettamente la reazione delle amazzoni, in special modo quella di
Ephiny. Aveva sempre saputo dell’affetto che la legava a Gabrielle, ed era molto
più profondo di quello tra due amiche (sicuramente da parte di Ephiny) o del
semplice vincolo di fedeltà che l’amazzone aveva con la sua principessa.
L’intero
popolo amazzone avrebbe chiesto a gran voce giustizia per la morte della loro
principessa.
Eppure
Gabrielle non era mai stata loro, non era mai appartenuta pienamente al fiero
popolo di guerriere.
Lei era
sempre stata sua. E da sempre, da quella primissima volta in cui i loro sguardi
si sono incontrati.
Xena aveva
quella certezza anche in quel momento.
Anche ora
che le sue mani erano sporche del suo sangue. Dietro tutta la rabbia e l’odio
che aveva provato c’era sempre quel sentimento che l’aveva resa la persona che
era adesso, quell’amore non era diminuito neanche per un istante.
Ma aveva
rovinato tutto…
Quella
creatura aveva ragione. Aveva rinnegato il suo amore, e aveva perso la persona
più importante della sua vita.
.
«Gabrielle!»
Con un
balzo l’amazzone scese da cavallo e si fiondò sul corpo dell’amica.
Istintivamente Xena la strinse di più.
«L’hai
uccisa!»
Ephiny non
riusciva a crederci. Non credeva che Xena sarebbe arrivata a tanto, anche se
conosceva bene la rabbia cieca della guerriera.
E lei
nonostante tutto non era riuscita a proteggerla.
«Xena,
come hai potuto?!» gli occhi marroni si riempirono di lacrime offuscandole la
vista.
«Gab… Ehi
Gabby… Coraggio svegliati! No. No!»
«Ephiny…»
Gli occhi
dell’amazzone fiammeggiarono. «No! Xena, non voglio sentire nemmeno una parola.»
Delicatamente prese il corpo della sua principessa e si sollevò.
Xena non
provò nemmeno a fermarla.
Tutto
l’odio che ora Ephiny le stava rivolgendo se lo era pienamente meritato.
Il resto
delle amazzoni la circondò con le spada sguainate, pronte a scattare ad ogni
minimo accenno di attacco da parte della principessa guerriera. Ma Xena non
avrebbe fatto nulla, non si sarebbe opposta.
«Dopo i
riti funebri - fece una piccola pausa per ingoiare il magone - penserò a quale
dovrà essere la tua sorte, Xena.»
La
guerriera annuì al tono solenne usato dall’amazzone.
Mi
dispiace Ephiny, devo rimettere le cose a posto, dopo se vorrai potrai anche
uccidermi.
Si alzò
lentamente, quasi non riusciva a mantenersi in piedi.
Fissò
Ephiny per un lungo momento. «Ti attenderò con ansia.»
In
qualsiasi altro momento quelle parole sarebbero uscite dalla sua bocca con
un’intonazione sarcastica, ma non quella volta. Quella era la verità pura e
semplice.
.
La
guerriera si voltò e cominciò a muovere alcuni passi verso la sua cavalcatura.
Argo si era rifiutata di obbedirle quella volta, anche lei aveva capito che
stava facendo una sciocchezza.
Le spade
di alcune amazzoni la bloccarono, producendo un suono metallico quando queste
andarono a cozzare contro la sua armatura.
Alzò lo
sguardo spento sulle due giovani guerriere che tremarono alla vista di quegli
occhi che erano diventati due laghi di dolore.
«Lasciatela andare.» disse Ephiny. «Xena, ricordati che non ci sarà luogo su
questa terra o nel regno degli dei in cui potrai nasconderti.» continuò
aggrottando le sopracciglia alle spalle della guerriera.
«Non
preoccuparti, non ne ho alcuna intenzione.»
Ad un suo
cenno del capo le due amazzoni si spostarono con riluttanza, regalando a Xena
uno sguardo carico di rancore.
.
Xena passò
lentamente accanto a Joxer, che non la degnò di uno sguardo, ma continuava a
fissare vacuo il corpo di Gabrielle sostenuto dalle braccia dell’amazzone.
Sembrava
che il cuore non battesse più. Non pensava che si potesse provare un dolore così
straziante. Non avrebbe mai voluto provarlo.
.
«Perché
l’hai lasciata andare?» chiese dura una delle amazzoni, una volta che Xena si fu
allontanata.
Ephiny non
si era mossa di un solo passo, spostò lo sguardo sulla sua interlocutrice, alla
quale si erano aggiunte anche le altre guerriere. Evidentemente non riuscivano a
comprendere.
«Ora
dobbiamo pensare ad rendere onore alla nostra principessa. A Xena penseremo
dopo.»
«Si, ma
così le hai dato la possibilità di fuggire.» continuò non contenta della
risposta.
«Xena non
fuggirà.» affermò seria. «E anche se fosse, io la troverò e la ucciderò.»
«A
Gabrielle non piacerebbe sentirti parlare così.» disse Joxer mentre le carezzava
con il dorso la guancia che si stava rapidamente raffreddando.
Ephiny
accusò il colpo. «Joxer, lei è morta. È morta per mano di Xena. Io non avrò pace
fino a quando non mi sarò vendicata!»
Il volto
di Joxer si distorse in un’espressione amara. «Guarda a cosa ha portato la
vendetta. Gabrielle non avrebbe voluto. Sono certo che lei … che lei ami ancora
Xena, nonostante tutto.»
Dire
quelle parole gli aveva fatto più male di quello che avrebbe mai voluto,
specialmente perché sapeva che erano vere, esattamente come lo sapeva
l’amazzone.
Si asciugò
frettolosamente una guancia. «Ora pensiamo a Gabrielle.»
L’amazzone
annuì. «Si, hai ragione. Dobbiamo pensare a lei, e omaggiarla come conviene. Il
resto verrà dopo.»
.
Xena
poteva sentire i canti delle amazzoni anche da quella distanza.
Non che li
sentisse veramente, ma li percepiva. Rimbombavano nella sua mente, appesantendo
ancora di più il suo carico di rimorsi.
Conosceva
abbastanza le tradizioni amazzoni da sapere che la pira funebre sarebbe arsa
l’indomani all’alba, mentre quella notte si sarebbe preparata la cerimonia che
avrebbe accompagnato la principessa Gabrielle ai cancelli dell’eternità.
Sentì le
lacrime pungerle agli angoli degli occhi, ma si impose di non lasciarle
scendere.
Basta con
le lacrime!
Doveva
pensare ad un modo per riportare indietro le cose, e anche in fretta. Non aveva
più molto tempo.
Improvvisamente una sensazione tristemente conosciuta. Si alzò di scatto, mentre
un’espressione di disgusto si dipingeva sui suoi tratti.
«Fatti
vedere lurido verme!» tuonò rivolta alla notte.
Un
bagliore bluastro illuminò il bosco fitto per alcuni attimi.
«Salve
Xena.» disse semplicemente il dio della guerra.
Il capo
leggermente chino, la mano sull’elsa nella sua tipica postura, e un sorrisetto
appena accennato a stirargli le labbra.
«Ares,
maledetto! Che cosa vuoi?!»
Il dio
allargò il suo sorrisetto bieco e iniziò a girare intorno alla guerriera.
«Volevo
solo sapere come stavi.»
«Vattene.»
«No, no
Xena. Io mi preoccupo della tua salute e tu che fai…? Mi cacci. Non è carino.»
la canzonò sarcastico.
La
guerriera tornò a sedersi ignorando deliberatamente il dio.
«So che
cosa stai cercando.» disse serio e sicuro, mentre osservava quella donna forte e
determinata che ormai sembrava priva di energie.
«Tu non
sai un bel niente.»
Ares
scosse la testa. «Credimi Xena, ormai ti conosco. Vuoi trovare un modo per
riportare Gabrielle in vita, vero?»
«Non vedo
come la cosa possa interessarti.» mormorò sulla difensiva. Sapeva per esperienza
che la divinità stava tramando qualcosa, e quel qualcosa non sarebbe stato tanto
piacevole e lei in quel momento non aveva le forze per affrontare i suoi
giochetti mentali.
«Qui ti
sbagli. Io potrei aiutarti… aiutarti a rimettere le cose a posto.»
Xena
sollevò lo sguardo fino ad incontrare quello del dio. «Perché? Che vantaggio ne
trarresti?»
«Diciamo
che è uno scambio equo. Io convinco le parche a cambiare leggermente il
corso del destino e tu torni ad essere quello che eri. Diventerai quello che eri
destinata ad essere. La Conquistatrice.»
Un lampo
passò nello sguardo del dio, un lampo di malizia e di eccitazione.
«Le
parche… tu sei pazzo. Io non tornerò ad essere quella di un tempo. -la voce si
abbassa di qualche tono- lei non lo vorrebbe mai…»
Ares girò
gli occhi spazientito. Possibile che quella mocciosetta la controllasse ancora?
Ma non era proprio su quello strano potere che aveva sulla guerriera che lui
contava?
Xena
avrebbe fatto qualunque cosa per lei. Doveva solo giocarsi bene le sue carte.
«Ma tu
l’hai uccisa.»
Il cuore
di Xena smise di battere per un secondo. «Si… l’ho fatto…» soffiò piano, tanto
piano che Ares quasi non l’udì.
«Pensa. Se
voi due non vi foste mai incontrate… lei non avrebbe mai visto il suo sposo
morire, non avrebbe mai conosciuto gli adepti di Dahak e l’orrore che si prova
la prima volta che si uccide…»
Fece una
pausa per osservare la reazione della principessa guerriera alle sue parole.
Sorrise
soddisfatto. «Hope non sarebbe mai nata… tuo figlio non sarebbe mai morto…»
sibilò vicino al suo orecchio, inebriandosi nel suo profumo avvolgente.
Presto,
molto presto ogni cosa di quel meraviglioso corpo sarebbe ritornata al legittimo
proprietario: lui!
Xena
scosse la testa cercando di allontanare il più possibile quelle parole. Lui le
stava dicendo per confonderla, per farla cedere. E maledizione, ci stava
riuscendo!
Perché
sapeva che tutto quello che stava dicendo era vero!
Ogni
dannatissima sillaba uscita da quella bocca ingannatrice era vera! E lei non
poteva fare altro che accettarlo.
Quanto ha
dovuto soffrire per colpa mia…
Ares
schioccò la lingua e fece un passo indietro.
«Pensaci
Xena. Quando avrai deciso sai dove trovarmi.»
Detto
questo svanì in uno scintillio azzurro.
Xena non
si mosse, continuò a tenere lo sguardo fisso in un punto imprecisato. Alcune
lacrime avevano ripreso a solcare la curva del suo viso.
Sollevò la
testa per incontrare quella distesa di luci che la osservavano immobili.
Gabrielle…
Amore mio…
Che cosa
devo fare?
In quel
cielo incredibilmente fitto le sembrò che una stella brillasse più delle altre.
Sorrise
amara. «Grazie.»
.
In piedi
su di un ramo nascosta dalle fronde, Xena osservava il denso fumo nero salire
nel cielo rischiarato dai primi raggi del sole.
Non può
credere di stare vivendo quei momenti. Le sembrava di vivere in uno strano
incubo, eppure quella era la realtà, come poteva provare il recente taglio sulla
mano che ancora le manda piccole fitte. Per non parlare del dolore che provava
dentro.
L’anima
dilaniata dai sensi di colpa, e dal vuoto che quella perdita ha provocato…
.
Silenziosa
come un’ombra si allontanò da quel luogo, dove si stava avverando il suo più
grande incubo, per dirigersi in un altro e rendere reale uno forse ancora più
pericoloso.
Gabrielle,
non so se questa è la scelta giusta, ma non posso restare con il rimpianto di
averti trascinato su questo sentiero rendendoti infelice.
Ti
restituirò la vita che avresti dovuto vivere…
…senza di
me.
.
.
.
Continua…
|
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Capitolo 2 *** Cap.2 ***
Don
Don't leave me in all this pain
Don't leave me out in the rain
Come back and bring back my smile
Come and take these tears away
I need your arms to hold me now
The nights are so unkind
Bring back those nights when I held you beside me
Unbreak my heart…
(Unbreak My Heart, Toni Braxton)
.
.
Cap.2
.
Ephiny
osservava incredula la pira bruciare, Joxer è accanto a lei ma è come se non ci
fosse. È perso nel suo mondo, un mondo dove la donna che ama è ancora viva e
dove continuano a fare gruppo, insieme a combattere, ridere, divertirsi…
Non
piange, non ha più lacrime da versare e poi sa che sarebbe inutile. Solo un
profondo vuoto l’avvolge, così come il canto delle amazzoni che sale al ritmo
con i tamburi.
Si volta,
non può più guardare lo spettacolo pietoso del suo corpo che brucia.
È un
codardo, lo sa, lo ha sempre saputo, come lo sapeva lei che non lo ha mai
disprezzato o allontanato, ma lo ha sempre rispettato, gli ha sempre voluto
bene. Erano amici.
Già,
amici. Solo amici…
In fondo
al suo cuore la speranza che i loro sentimenti potessero evolversi fino a
maturare a tal punto da dargli anche una sola possibilità con il bardo, non era
mai morta. Anzi, era andata sempre crescendo, insieme a quella fanciulla che si
trasformava in una donna consapevole di se stessa, ma non del potere che
esercitava sulle persone.
Riusciva
ad incantare tutti, con le sue parole, con il suo sorriso, con quello sguardo
infinitamente morbido.
Anche
Xena, l’impassibile principessa guerriera, ha dovuto arrendersi a quella
figuretta angelica e chiacchierona che allietava i loro viaggi narrando leggende
con maestria ed enfasi. E contro di lei nessuno più aveva la benché minima
possibilità di fare breccia nel cuore della poetessa di Potidea.
Si
appartenevano. E basta.
Era una
cosa che lui, nella sua semplicità, non riusciva a comprendere nella sua
pienezza, ma non poteva far altro che accettarla.
Neppure in
quel momento dubitava dei loro sentimenti. Era un qualcosa che andava oltre,
oltre a qualunque cosa umanamente concepibile.
.
«Domani
partirò alla ricerca di Xena.» annunciò Ephiny rivolta al giovane.
«Sei certa
di quello che stai per fare?»
L’amazzone
strinse i pugni cercando di contenere la rabbia. «Certo! Io voglio la mia
vendetta. E non saranno le tue parole a fermarmi.»
Joxer
annuì. «Lo so. Ma continuo a pensare che questa non sia la scelta migliore.
Xena…»
«Xena ha
ucciso Gabrielle! Come fai a difenderla! È assurdo, credevo che tu l’amassi…» si
asciugò frettolosamente una guancia.
L’uomo
abbassa lo sguardo, quando lo rialza è lucido e serio. L’amazzone ne rimane
colpita.
«Proprio
perché la amo ti dico questo… e lo sai anche tu.»
«Ma io
sono un’amazzone! E mi comporterò come tale, vendicando la morte della mia
principessa, e della… mia migliore amica.»
«Capisco…
Beh, allora buon viaggio.» non tenta neppure di nascondere il tono aspro della
voce. Si allontana di alcuni passi, ma la voce di Ephiny lo blocca.
«Joxer,
aspetta. Tu dove andrai?» chiese con dolcezza, preoccupata per la sorte
dell’amico. Capisce fin troppo bene il suo stato d’animo.
«Andrò
dalla sua famiglia, a Potidea. Qualcuno deve avvisarli.»
Già, la
sua famiglia. Perché non ho pensato a loro…?
«Allora le
nostre strade si dividono.»
L’uomo
annuisce, e si allontana rapidamente, mentre le lacrime tornano a segnare i suoi
tratti.
..
Xena
cammina lenta lungo il corridoio impolverato del tempio. I suoi passi sono
precisi e silenziosi, e i suoi occhi scrutano ogni singolo sbuffo di polvere con
attenzione.
Il cuore
le tamburella nel petto troppo velocemente, ha una brutta sensazione che si
miscela inesorabilmente con la certezza di star commettendo un errore dietro
l’altro. E a lei questo non è mai capitato, mai in tutta la sua vita!
Entra
nella sala principale del tempio del dio della guerra. Alcune lanterne
illuminano l’ambiente scuro adornato da armi affilate e dai suoi vessilli di
morte.
«Sapevo
che saresti venuta.»
La voce
del dio risuona compiaciuta mentre si mostra agli occhi della guerriera in un
lampo argentino.
«Cosa
accadrà esattamente quando saremo al cospetto delle parche?» chiede risoluta.
Ares
abbozza un sorriso. «Nulla di cui preoccuparsi. Tranquilla, non ricorderai nulla
di questa vita.» afferma mentre si avvicina a Xena con il passo di un predatore
che scruta la sua preda.
«Non
ricorderò nulla…?» i suoi occhi cerulei si velano per un secondo.
Gabrielle…
«Quello
che non conosci non può farti soffrire…» mormora la divinità ad un soffio dal
suo orecchio.
«… e non
farà soffrire lei.»
Xena
chiude gli occhi soppesando le parole di Ares, cercando di non lasciarsi
distrarre dalla presenza imponente del dio e dalle sue parole.
Ma la
lucidità ha abbandonato da giorni la sua mente, tutto ciò a cui riesce a pensare
è Gabrielle, e i sensi di colpa per averla trascinata lungo quel sentiero fatto
di morte.
L’ho
strappata alla sua famiglia, al suo sposo, alla… sua vita.
È tempo
che aggiusti le cose e le restituisca la vita che era destinata a vivere.
..
La
guerriera annuisce, cercando di fermare le lacrime. Non avrebbe dato al dio
anche questa soddisfazione!
«Va bene.»
Le labbra
di Ares si stirano all’insù in un sorriso estremamente soddisfatto.
Le tende
galante la mano. «Andiamo, allora.»
Con un
ultimo sospiro Xena si aggrappa al suo braccio per poi sparire in uno scintillio
sinistro.
..
..
Continua…
|
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Capitolo 3 *** Cap.3 ***
Cap
Cap.3
.
L’aria
nella fattoria ai confini di quel ridente villaggio era tesa.
Il
nervosismo crescente dei suoi occupanti era esorcizzato solo da una figuretta
minuta, che osservava tutta quella agitazione con le sopracciglia aggrottate non
capendone minimamente la causa.
«Continuo
a non capire perché dobbiamo fare tutto questo!»
L’uomo più
anziano del gruppo si fermò per un secondo a guardare la sua figlia primogenita.
Fece un sospiro rassegnato alla sua cocciutaggine, se continuava su quella
strada si sarebbe messa nei guai, grossi guai.
«Sai
perfettamente perché lo facciamo. Piuttosto perché non ci aiuti? Tra poco
saranno qui!» disse afferrando un pesante sacco di farina e mettendolo sul carro
insieme ad altri viveri.
La ragazza
sbuffò. «Non dobbiamo farlo!»
«Si
invece! Ma come fai a non capire?!» urlò quasi rivolto alla figlia, che fece un
passo avanti, nello sguardo smeraldino tutta la determinazione di cui è
disposta.
«Dovremmo
ribellarci! Noi non siamo i suoi schiavi. Se unissimo le nostre forze sono certa
che…»
«Gabrielle, ora basta!» la zittì la madre.
La
fanciulla abbassò lo sguardo per un attimo. «Basta…? Basta! Dovreste dire basta
alle guardie dell’Impero che ogni luna vengono a portarsi via metà del raccolto
del villaggio!»
«Gabrielle…» tentò di rabbonirla il genitore, inutilmente.
«Ma
andiamo, come potete permettere che ci sfruttino in questo modo…»
«Gabrielle…!»
Ma la
ragazza non aveva voglia di sentire i rimproveri della famiglia. Ormai il
conosce a memoria, ogni volta la stessa storia, e quel senso di frustrazione che
cresce sempre di più, sentendosi così impotente di fronte a quelle ingiustizie.
Si
allontanò velocemente verso il bosco.
Come al
solito…
Si
rifugiava sempre lì, ogni volta che qualche problema la turbava, oppure ogni
volta che discuteva con i genitori. Ed erano tante, forse troppe, e non sempre
per morivi banali. Quante volte avevano discusso sulle tasse imposte
dall’Impero, sul dominio incontrastato che quella persona aveva sulle
loro vite, incurante della povera gente che moriva di stenti.
No, quella
non è affatto una persona…
È un
demone venuto direttamente dall’Ade.
Senza un
cuore, senza un’anima, senza pietà…
Eppure
nessuno si ribellava a quel potere, nessuno aveva il coraggio. I pochi che
avevano provato ad opporsi alle sue leggi erano finiti nelle carceri del
palazzo, e non ne erano mai usciti.
Si
narravano molte leggende sulle torture disumane che venivano infierite ai poveri
condannati, ma lei sapeva bene che erano tutte frottole, fandonie raccontate per
spaventare dei poveri creduloni. Nelle prigioni del palazzo si moriva.
Semplicemente.
Eppure lei
non voleva credere che a tutto quell’orrore non ci fosse soluzione.
Deve
esserci un modo!
Era
arrivata nei pressi di un laghetto, osservò per qualche istante la sua
superficie limpida prima di sedersi su di un masso.
Immersa in
quella quiete lasciò libere le briglie dei suoi pensieri.
Almeno con
quelli può vagare lontano, attraversando terre sconfinate ed esotiche,
raggiungere i confini del mondo e poi ritornare indietro.
Sognatrice. Sognatrice e pazza.
Si sentiva
così oppressa in quel piccolo villaggio, chiusa tra la mentalità ristretta della
sua famiglia, sembrava che nessuno riuscisse a comprendere la sua voglia di
libertà.
Era sempre
stata una ragazza al di fuori dagli schemi, desiderosa della sua indipendenza,
con una mente dinamica e curiosa, e il dono incredibile di saper giostrare con
le parole come le faceva più comodo.
Spesso
aveva la sensazione di non stare vivendo la sua vita.
Io sono
destinata a molto più di questo.
.
Il rumore
di alcuni passi timidi la distrasse.
Stirò
leggermente le labbra all’insù. «Mi chiedevo quanto ancora mi avrebbero fatto
aspettare prima di mandarti.»
Una
ragazzina poco più piccola di lei con i capelli castani e due grandi occhi
chiari si avvicinò di qualche passo.
«Perché
fai cosi?»
«Così
come, Leuca? Non capisco.»
La ragazza
sbuffò andandosi a sedere accanto alla sorella. «Lo sai. Non provare nemmeno a
fare la santarellina con me, Gab!»
«Si, lo
so. Ma non posso farne a meno, certe cose proprio non le capisco!»
«E secondo
te che cosa dovremmo fare? Opporci ai soldati dell’Impero?! Sai che non avremmo
alcuna possibilità.»
Gabrielle
si alzò di scatto. «Ma almeno potremmo dire di averci provato!»
«Ci
uccideranno senza pietà. Come pecore al macello.» la ragazza rabbrividì al solo
pensiero, terrorizzata da quello che potrebbe succedere.
«Gabrielle
noi siamo fortunati.»
«Ah si?»
mormorò sarcastica. «Non possiamo scegliere della nostra vita, siamo privi di
libertà. Questa non è fortuna.»
«Guardati
Gab! Sei una ragazza bellissima, intelligente, tra poco sposerai uno dei ragazzi
migliori del mondo… Hai tutto ciò che una ragazza possa desiderare.»
Gli occhi
verdi della bionda si riempirono di malinconia.
Ma non è
questo quello che io desidero…
«Leuca…»
La ragazza
distolse lo sguardo da sua sorella. A volte le fa paura. È così limpido e
profondo, come se dietro quella serenità apparente si nascondesse un demone
profondo che le divora l’anima, sembravano aver visto cose che nessun altro
mortale poteva scorgere.
È così
diversa…
Ma prima
che potesse dire qualunque cosa un rumore sordo e prolungato che si avvicina si
diffonde nell’aria.
I soldati
dell’Impero.
«Eccoli.
Sono arrivati.» disse Gabrielle seria e calma.
.
«Tutto
qui?» chiese con evidente disprezzo il capo di quel manipolo di soldati venuti a
riscuotere le imposte osservando il carro colmo di viveri.
Il capo
del villaggio fece un passo avanti timoroso. «È tutto quello che abbiamo, mio
signore.»
Lo sguardo
scuro del soldato si punta beffardo sull’uomo anziano dalla barba canuta appena
accennata.
«Vorrà
dire che porteremo via anche alcune schiave.»
Il respiro
si mozza in gola agli abitanti di Potidea.
«No! Vi
scongiuro, mio signore, non fatelo! Vi giuro che la prossima volta pagheremo il
doppio, ma vi supplico non portate via le nostre figlie.» implorò il vecchio
inginocchiandosi ai suoi piedi.
«Taci
vecchio, io posso fare ciò che voglio.» disse allontanandolo con un calcio.
L’uomo
tossisce la polvere del terreno, vede con le pupille dilatate dal terrore il
soldato avvicinarsi a una bambina che si aggrappa disperata alla veste della
madre, mentre gli altri soldati sghignazzano tra loro.
.
«Ehi, tu!
Perché non prendi quello che ti abbiamo preparato e non sparisci!»
L’attenzione di tutti è calamitata da quella voce, che urla senza timore contro
quel soldato.
Gli occhi
dell’uomo scintillano per un secondo. Quella ragazzina doveva avere un fegato
niente male, e a quanto poteva vedere nemmeno il resto era da buttare!
«Che
cos’è, in questo villaggio gli uomini sono talmente conigli da doversi far
proteggere da una ragazzina?!» disse scatenando l’ilarità del resto della
compagnia.
«Brutto
figlio di una baccante! Ma chi ti credi di essere?!» continuò Gabrielle
imperterrita, senza pensare per un solo istante alle conseguenze del suo gesto.
Sapeva solo che era arrivata al limite, lei non era il tipo da restare in
silenzio mentre si compivano certe atrocità.
Quella
volta avrebbe fatto prevalere l’istinto.
L’uomo
grugnì infastidito dalle parole di quella ragazzina.
«Ti meriti
una bella lezione, ragazzina!»
Sollevò il
braccio come se volesse colpirla, ma poi si fermò come se avesse perso
interesse. Fissò Gabrielle che non aveva battuto ciglio, anzi continuava a
guardarlo con sfrontatezza, e sorrise.
«Sono
certo che una bella puledrina focosa come te sarà un dono gradito
all’Imperatrice.»
Provò a
carezzarle il volto, ma lei si ritrasse schifata. «Sei solo un lurido verme!»
Questa
volta lo schiaffo partì, e fu talmente forte da farla cadere all’indietro.
Erodoto
guardava quella scena con gli occhi sbarrati dal terrore, mentre Leuca ed Ecuba
accanto a lui singhiozzavano sommessamente. Fece appena in tempo a fermare un
ragazzo che si stava separando dal gruppo per andare ad aiutare la sua promessa
sposa.
«No.
Perdicca non fare assurdità.»
Il ragazzo
spalancò gli occhi incredulo. «Ma Gabrielle…»
«Lei saprà
cavarsela.» soffiò con il cuore gonfio di tristezza e di odio verso se stesso
che guardava impotente la figlia fronteggiare quel soldato e non aveva il
coraggio di aiutarla.
Si sentiva
così vile…
Imprigionato nella sua stessa spirale di paura.
.
La ragazza
si pulì il labbro con il dorso della mano, osservò la leggera striscia di sangue
e poi sollevò lo sguardo fiero sull’uomo, che sorrideva compiaciuto.
«Sì, sarai
decisamente di gradimento alla nostra sovrana.» mormorò, sperando con quel dono
di entrare nelle grazie dell’Imperatrice.
«Io non
credo, scimmione!»
«Vedrai
diventerai un ottima schiava. Oppure morirai.»
Un lampo
di paura attraversò i suoi occhi smeraldini, ma durò solo un attimo. Provava una
strana sensazione, che decisamente non era paura.
Aveva come
la consapevolezza che lei non le avrebbe fatto mai del male.
Forse la
botta è stata più forte del previsto… devo essere impazzita!
.
.
Un braccio
forte e muscoloso vagò per il letto alla ricerca del corpo della sua compagna,
quando tastò il vuoto sollevò la testa pigramente per scrutare nella penombra
della stanza.
Vide la
donna seduta mollemente accanto al balcone, intenta a scrutare il cielo
puntellato da una miriade di luci.
«Credevo
che le divinità non avessero bisogno di dormire.» disse piattamente, una volta
accortasi dello sguardo puntato sulla sua schiena.
Un sorriso
malizioso gli sfiorò le labbra. «Infatti, ma tu mi sfianchi.»
La donna
si voltò posando il suo sguardo glaciale sull’uomo, ma non disse niente. Non
aveva mai amato fare conversazione.
«Sai,
stavo pensando che dovresti dirigere il tuo esercito fino ai confini del Celeste
Impero. Quella è l’ultima regione che non si è sottomessa al tuo dominio…»
«Ci
penserò. I soldati devono essere addestrati bene, ed essere in salute per
affrontare un viaggio simile.» affermò tornandosi a concentrare sul cielo.
Il dio si
avvicinò sensuale. «Ma tu hai la protezione del dio della guerra. Sei destinata
a diventare l’imperatrice del mondo intero.»
Le sfiorò
il collo con le labbra, ma lei si ritrasse. «Ares, basta. Ho detto che ci
penserò.»
«Bene.»
disse aggrottando le sopracciglia infastidito dal comportamento della donna. «Fa
come vuoi, Xena.»
La
divinità svanì in un lampo argentino, ma a Xena non poteva importare di meno.
Aveva un
strana sensazione, e non aveva la certezza che fosse un bene.
Non capiva
che cosa stava succedendo, che cosa le stava succedendo.
Si sentiva
così… vuota.
Eppure
aveva ogni cosa, tutto quello che poteva mai desiderare.
Il mondo
era ai suoi piedi.
E allora
perché sento che mi manca qualcosa di importante?
Forse sono
solo stanca…
È così.
Non può esserci altra spiegazione.
.
Improvvisamente, come un fulmine, un paio di occhi incredibilmente verdi le
riempiono la vista.
Scuote la
testa per scacciare quella visione.
È un po’
di tempo ormai che fa degli strani sogni, in cui quegli occhi sono assoluti
protagonisti, e lei non sa spiegarsi come il sognare un paio di iridi color
smeraldo possa scuoterla in quel modo.
Chi
diavolo sei?...
.
.
Un pugno
colpì violento il tavolo. «Perché non l’abbiamo fermata?! Perché non abbiamo
fatto nulla?!»
Erodoto
continuò a fissare fuori dalla finestra vacuo. «Se avessimo fatto qualcosa,
qualunque cosa, l’intero villaggio ne avrebbe pagato le conseguenze. Non avremmo
avuto nessuna possibilità. Ci avrebbero massacrato.»
«E allora
lasceremo Gabrielle nelle mani di quei soldati, senza fare nulla!»
«Non dire
sciocchezze Perdicca! Partiremo una volta che il sole sarà tramontato e andremo
a liberarla. Approfitteremo delle tenebre, e se gli dèi vorranno non si
accorgeranno di nulla.» affermò serio, mentre un piano elementare, e senza la
benché minima possibilità di successo, si delineava nella sua mente.
«Chissà
cosa potrebbero farle fino a quando non giungeremo noi.»
«Sono
certo che saprà cavarsela.» o almeno spero…
Gabrielle
questa volta ti sei cacciata proprio in un bel guaio!
.
.
Il piccolo
gruppo di soldati si era fermato tra la fitta vegetazione boschiva per
rifocillarsi. Il sole non era ancora calato, e un cielo rossiccio faceva da
cupola a quello spiazzo di mondo appesantendo l’aria circostante.
Gabrielle
quasi non sentiva più le mani, e il bruciore ai polsi si stava rivelando più
fastidioso del previsto.
«Potreste
anche allentare le corde.» disse all’uomo incaricato di farle da guardia, che le
rivolse un’occhiata sarcastica prima di ritornare ad ignorarla.
«Cosa c’è
avete paura che possa fuggire?»
Tutto ciò
che ottenne fu un grugnito infastidito da parte dell’uomo.
«Ti
consiglio di tacere se vuoi arrivare incolume a domani.»
Gabrielle
si voltò immediatamente nella direzione della voce. Alla vista del suo capitano
il soldato si mise immediatamente sull’attenti e si allontanò di qualche passo.
«Se ci
tieni così tanto alla mia incolumità potresti anche allentare le corde, o c’è il
rischio che perda l’uso delle mani.»
Gabrielle
sollevò i polsi in direzione dell’uomo. Aveva lo sguardo di chi non sta
chiedendo una cosa, ma la sta ordinando. Non sembrava una prigioniera, non
leggeva paura nei suoi occhi e non aveva visto una sola lacrima, né un solo
singhiozzo. Era fiera, testarda e incredibilmente orgogliosa. Questo non faceva
altro che aumentare le speranze del soldato di fare cosa gradita
all’Imperatrice, da sola quella fanciulla valeva come cinque schiave.
Sorrise
compiaciuto e afferrò il pugnale. Con un colpo deciso tagliò la corda.
Immediatamente Gabrielle si massaggiò la parte lesa con un sospiro.
«Sai
perché ti ho slegata?» domandò con fare distratto.
«Non credo
che sia perché voglia liberarmi.»
L’uomo
rise. «No, certo che no. Penso che tu sia abbastanza intelligente da capire
quello che sto per dirti senza troppe difficoltà.»
Fece
qualche passo verso di lei fissandola intensamente, con lo sguardo nero austero
e duro.
«Se tu
provi a scappare, io non solo ti ritroverò e ti farò morire di una morte
atroce…»
Fece una
pausa per scrutare la reazione della giovane che non aveva mosso un muscolo, poi
continuò modulando attentamente il tono della voce.
«…ma
tornerò al tuo villaggio, dove prima ucciderò i vecchi, poi le donne e infine i
fanciulli. Mi hai capito?»
«Un essere
spregevole come te non merita di respirare, se non lo zolfo dell’Ade!»
Gabrielle
strinse i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.
«Tu fa la
brava, e non succederà niente…» lentamente le passò il dorso della mano sulla
guancia.
Era così
liscia e morbida che per qualche attimo dimenticò che quello era un dono
prezioso, dono che doveva rimanere intatto.
Eppure la
tentazione era così grande, e sarebbe stato così facile…
Quella
fanciulla era così maledettamente eccitante nella sua cocciutaggine. Possedeva
una forza e una personalità difficilmente rintracciabili in altre donne.
«E tu
evita di toccarmi, o dovrai portare alla tua imperatrice un cadavere senza
valore.» sibilò tremante di rabbia e di disgusto.
Un ghigno
deformò i tratti dell’uomo. «Hai una faccia tosta incredibile… sono certo che
sarai un dono gradito. Avanti tutti in marcia! Se ci sbrighiamo arriveremo nella
Capitale prima del sorgere del sole!»
.
.
Continua…
|
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Capitolo 4 *** Cap.4 ***
Nota introduttiva
Nota introduttiva:
Prima di iniziare con il
nuovo capitolo vorrei scusarmi con tutti quello che seguono questa fanfiction
per la lunga attesa che intercorre tra un aggiornamento e l’altro. Purtroppo i
vari impegni universitari non mi permettono di dedicarmi alla scrittura quanto
vorrei, ma sono fermamente intenzionata a continuare la storia e a concluderla
(anche se non in tempi brevi :-P), quindi non rimarrà incompleta.
.
Approfitto di questa nota per
ringraziare di cuore tutti coloro che hanno recensito, e anche quelli che hanno
soltanto letto!
.
E adesso
vi lascio alle avventure delle nostre due eroine… buona lettura!
.
.
.
Cap.4
.
Gabrielle
osservava il paesaggio mutare lentamente man mano che sia allontanavano dai
boschi di Potidea.
La luna
era già alta nel cielo eppure il capitano non sembrava intenzionato a fermarsi.
Aveva
fatto accomodare la sua prigioniera in groppa al suo destriero, per evitare che
rallentasse il passo, e ora si ritrovava a camminare lungo quelle pianure in
compagnia dei suoi pensieri e di una vocetta che non riusciva proprio a zittire.
«Sai non
mi sono mai allontanata tanto dal mio villaggio…»
Un sospiro
insofferente gli lasciò le labbra come mosso da volontà propria.
«… Ho
sempre desiderato viaggiare, vedere il mondo. Trovo buffo che stia accadendo
proprio ora.»
«E io
invece trovo incredibile il tuo chiacchiericcio!»
«È un modo
per esorcizzare la paura e la… tristezza…» mormorò abbassando lo sguardo,
vergognandosi del suo comportamento irresponsabile.
L’uomo
sbuffò. «Sei la prigioniera più strana che mi sia mai capitata. Solitamente le
fanciulle che rapisco passano tutto il tempo a frignare e ad implorare pietà.»
«E tu non
conosci il significato di questa parola… Ma come fai a dormire la notte?»
«Io sono
stato addestrato per questo. Eseguo solo gli ordini.»
Gabrielle
rabbrividì. «Sei un essere miserabile!»
«Dovresti
stare attenta a quello che dici. La mia pazienza sta per esaurirsi…» disse
afferrando il pugnale e puntandolo in direzione della ragazza.
Passarono
alcuni minuti in un silenzio accettabile. Ma Gabrielle non poteva resistere,
sarebbe sprofondata nei suoi pensieri e con ogni probabilità sarebbe scoppiata a
piangere. E quella era l’ultima cosa che voleva.
«Potrei
sapere almeno il nome del mio carceriere?»
«Se te lo
dico dopo mi farai la grazia di tacere?!»
La
fanciulla annuì non troppo convinta, e i tratti dell’uomo si deformarono in
un’espressione di scetticismo.
«Demetrio.» rispose piattamente.
Gabrielle
decise di tacere. Non voleva sfidare oltre la sorte. Ringraziava ancora le
divinità per essere arrivata indenne fino a quel momento. Quell’uomo era
estremamente pericoloso e quel gruppo di soldati non le sembravano
particolarmente raccomandabili.
L’uomo che
reggeva le briglie del cavallo avanzava con passo rapido, non mostrando nessun
segno di stanchezza, nonostante stessero camminando da ore.
La
fanciulla si ritrovò inaspettatamente ad osservarlo con curiosità.
Demetrio
era un uomo estremamente affascinante.
Aveva
un’aria fiera ed autoritaria, lo sguardo minaccioso e distante, come se non si
trovasse realmente su questa terra e i tratti spigolosi resi ancora più severi
da una cicatrice che gli segnava parte della guancia sinistra, ma senza
deturparlo.
La cosa
che però colpì Gabrielle più di tutte era il suo distacco, la sua freddezza. Era
come se non avesse un cuore.
Come si
potevano compiere certe atrocità e restare cosi indifferenti, anzi quasi
soddisfatti del male che si stava compiendo?
.
«Che cosa
mi succederà?»
Demetrio
sospirò. «Avevi detto che avresti fatto silenzio.»
Gabrielle
si morse l’interno della guancia. Voleva sapere. Doveva sapere che cosa le
sarebbe accaduto una volta arrivati al cospetto dell’Imperatrice, stava
impazzendo cercando una possibile risposta. La sua mente aveva già formulato
delle possibili ipotesi, e nessuna di queste era piacevole.
«Diventerai una schiava.» si decise a rispondere infine. «E se piacerai
all’Imperatrice io sarò omaggiato come si conviene!» non poté impedire ad un
fremito di piacere di attraversargli la schiena. Già si pregustava quel momento.
«Una
schiava? L’Imperatrice ne avrà centinaia, perché pensi che lei gradirà questo…
uhm come chiamarlo regalo? da parte tua?» Gabrielle non riusciva a capire
la convinzione del soldato.
«Forse non
te ne rendi conto, ma tu sei diversa. Sei una ribelle, fiera, hai un fuoco che
arde. Per lei sottometterti sarà un passatempo piacevole.» disse con un sorriso
malizioso che la fanciulla non riuscì ad interpretare.
«E se non
volessi sottomettermi?»
«Morirai,
se sei fortunata…»
Gabrielle
fissò Demetrio in silenzio per qualche attimo, poi tornò a concentrarsi sul
paesaggio.
Era
piuttosto stanca, e il dondolio ritmico della cavalcatura non aiutava certo a
tenerla sveglia. Le palpebre divenivano sempre più pesanti. Con ogni probabilità
quella sarebbe stata la sua ultima notte da persona libera. Non voleva sprecarla
dormendo, ma effettivamente non poteva fare altro perché era alla luce dei fatti
era già una prigioniera.
E Morfeo
l’attirava in una trappola così dolce…
Era
talmente facile cedere… troppo facile…
.
.
Un odore
pungente e aspro, e un insistente vociare svegliarono Gabrielle. Si trovava in
una stanzina buia dall’aria piuttosto spartana, distesa su delle coperte logore,
ma relativamente pulite.
La
fanciulla si guardò intorno incuriosita e leggermente preoccupata. Pensava di
assopirsi qualche minuto in groppa al cavallo, non di andare in letargo e
ritrovarsi chissà dove.
«Finalmente ti sei svegliata.»
Demetrio
era appena entrato, alle sue spalle Gabrielle poté scorgere una luminosa fetta
di cielo.
«Dove…
dove sono?»
L’uomo
sorrise. «Hai il sonno più pesante di quello che credevo. Abbiamo dovuto
portarti in braccio… Siamo su una nave, tra poco sbarcheremo.»
La
fanciulla annuì. Almeno adesso sapeva dove si trovava, anche se lo avrebbe
scoperto comunque grazie alla nausea che stava diventando di minuto in minuto
sempre più fastidiosa.
«Grazie
agli dèi… non credo che sarei potuta resistere a lungo su questa bagnarola…»
Gabrielle
si portò una mano alla bocca per fermare un conato che stava tentando
insistentemente di uscire.
«Tieni,
bevi questo. Ti farà sentire meglio.» Demetrio le porse un bicchiere.
«Che
cos’è?» chiese sospettosa.
«Allieverà
il tuo mal di mare. Non voglio che ti presenti al cospetto dell’Imperatrice in
queste condizioni. Devi essere in piena forma.»
Gabrielle
bevve, più che altro per far terminare quelle fitte allo stomaco. «Grazie.»
«Non
ringraziarmi, non l’ho certo fatto perché ci tengo alla tua salute.»
«Ma l’hai
comunque fatto…» Gabrielle sostenne lo sguardo dell’uomo con autorevolezza.
«Proprio
non ci riesci vero? Non riesci a comprendere che tu sei solo una schiava, un
oggetto, e che devi sottometterti!»
«Tu non
riuscirai ad abbattere il mio spirito. E nemmeno la tua Imperatrice ci riuscirà!
Io non mi lascerò certamente vincere da delle persone miserevoli come voi!»
«Continui
a ripeterlo, eppure non hai ancora provato a fuggire. E sono certo che non è la
paura della morte a frenarti. … È la curiosità, è il tuo spirito ribelle di cui
sei tanto fiera. In quel piccolo villaggio di contadini ti sentivi oppressa,
quella era la tua vera prigione… mentre ora ti senti libera, e desiderosa di
conoscerla. Perché anche se non la conosci, ne sei affascinata.»
Demetrio
uscì con un senso di soddisfazione profondo, era riuscito a far tacere quella
ragazzina petulante usando la sua stessa arma.
.
Gabrielle
rimase qualche minuto a fissare la parete di legno davanti a lei senza guardarla
veramente. Non si sarebbe mai e poi mai aspettata di sentirsi dire quelle cosa
da quell’uomo, che a prima vista sembrava un barbaro capace di usare solo la
spada. E invece era riuscito a toccare le corde più profonde dei suoi pensieri,
costringendola a venire a patti con quelli che erano i suoi veri sentimenti in
maniera così diretta e… dolorosa.
Era tutto
vero. La claustrofobica sensazione che provava a Potidea era svanita nel momento
in cui aveva respirato l’aria al di là dei boschi che circondavano il villaggio.
Una crescente euforia si stava impossessando della sua lucidità al solo pensiero
di vederla.
Perché si
sentiva tanto affascinata da una persona che credeva di odiare?
Gli dèi
stavano forse giocando con la sua mente?
No, è
qualcosa di più… profondo.
.
.
La
Capitale era immensamente più grande di quanto si potesse mai immaginare.
Appena
scesa dalla nave, con sua somma gioia, Gabrielle era stata praticamente stordita
dalla confusione e dall’aria che si respirava. Un cuore pulsante e vivo di
frementi attività, sul quale però si disperdeva una nube che con il suo manto
corvino e il suo sguardo celestiale assoggettava ogni cosa.
Alzando lo
sguardo smeraldino non poté fare a meno di notare il Palazzo dell’Imperatrice
che si ergeva sfarzosamente ricco al di sopra delle altre case di quell’seppur
gigantesco villaggio.
.
«Impressionata?»
Gabrielle
sobbalzò colta di sorpresa da quella voce stanca e raschiante. Si voltò
incontrando lo sguardo segnato di un vecchio che doveva far sicuramente parte di
qualche equipaggio.
L’uomo
continuò a parlare continuando a fissare la fanciulla. «Tu devi essere una delle
nuove schiave dell’Imperatrice. Sei di una bellezza impressionante.»
Gabrielle
arrossì storcendo la bocca non del tutto convinta delle parole del vecchio.
«Beh
fanciulla, goditi questi ultimi attimi di libertà perché una volta entrata in
quell’inferno non c’è più modo per uscirne, credimi io lo so…» il suo sguardo
divenne lucido e lei provò quasi pietà per quell’uomo e tristezza per le
sofferenze che aveva dovuto subire, sofferenze che con ogni probabilità
sarebbero toccate anche a lei.
Un brivido
le corse lungo la schiena. Avrebbe pagato a caro prezzo quegli attimi di
libertà, ma sapeva che comunque ne era valsa la pena.
.
«Non
dovresti dare troppa confidenza agli sconosciuti.»
Il tono
gelido usato da Demetrio fece tremare il vecchio che si allontanò velocemente a
sguardo basso, dopo aver farfugliato delle scuse incomprensibili.
«Penso che
la cosa non ti riguardi…»
Gabrielle
lo vedeva avanzare con il passo marziale sicuro e fiero e con lo sguardo che
pretendeva il rispetto, conseguenza di quella divisa di cuoio e ferro che
indossava.
«Sì
invece. Tu sei una mia proprietà, anche se ancora per poco.»
«Hai per
caso deciso di liberarmi?» mormorò sarcastica, conoscendo già la risposta che
avrebbe sentito dalle parole dell’uomo. E anche se non l’avrebbe mai ammesso
neanche sotto tortura, aveva una paura tremenda di quello che le sarebbe
accaduto di lì a qualche ora.
Perché fin
quando si trovava con quel manipolo di uomini comandati da Demetrio poteva
sentirsi relativamente sicura, in quanto l’ordine era di farla arrivare a
destinazione sana e salva, e assolutamente illibata! Altrimenti era più che
certa che non si sarebbero fatti nessun tipo di problema.
Questo
pensiero le provocò un brivido di disgusto e terrore.
Ma ora,
ora che si stava avvicinando a quel palazzo e a quella persona della quale non
sapeva nulla se non le leggende che si narravano su di lei, come avrebbe dovuto
comportarsi, cosa l’attendeva al di là di quelle porte?
Lentamente, ma senza che nessun’altro all’infuori di lei se ne accorgesse, tutto
il suo sangue freddo e la sua sfacciataggine stavano svanendo per lasciare il
posto ad un senso di ottenebrante nulla che la paralizzava. E il tutto nasceva
dall’incertezza, dal non sapere cosa le sarebbe accaduto.
Nulla fa
più paura di ciò che non conosci…
Mai come
in quel momento quelle parole le erano sembrate vere.
Aveva
perso tutto quelle che aveva solo per sentirsi un momento libera e … e viva
facendo prevalere l’istinto e un coraggio che non credeva di possedere. E ora
paradossalmente stava perdendo quella stessa libertà e probabilmente quella
stessa vita.
.
Sentì
alcune lacrime pungerle agli angoli degli occhi, lottando contro l’orgoglio. Ma
questo non impedì ad una di scivolare lungo la guancia diafana.
«Non
vorrai metterti a frignare proprio adesso vero?» disse con ironia il soldato.
Finalmente
si stava comportando come una qualunque schiava che realizza cosa sarà la sua
vita da quel momento. Ma quell’attimo di debolezza durò solo pochi secondi.
Gabrielle
tirò su con il naso asciugandosi velocemente il viso, si sentiva stranamente
ferita dalle parole di scherno del soldato.
Maledettissimo orgoglio!
«No, sta
tranquillo. Non vorrei correre il rischio di presentarmi dalla tua imperatrice
con gli occhi gonfi!» sibilò acida.
Demetrio
sorrise compiaciuto da quel comportamento. Diventava sempre più difficile tenere
a freno il suo istinto che gli urlava di strapparle i vestiti di dosso. Voleva
far sua quella ragazzina dalla lingua lunga più di ogni altra cosa, ma avrebbe
perso buona parte del suo valore. Anche se lui sapeva che il suo valore non
dipendeva certo dalla purezza del suo corpo. Era il suo spirito che riluceva
tanto da abbagliarti, e la sua caparbietà e testardaggine che la rendevano
speciale.
«Bene.
Andiamo, all’Imperatrice non piace aspettare.»
Prese una
fune e le legò i polsi, ma non tanto stretti.
Gabrielle
sollevò un sopracciglio biondo e storse la bocca in un’espressione talmente
buffa che il soldato dovette imporsi un po’ di autodisciplina per non iniziare a
ridere.
«Cos’è hai
paura che scappi?»
«No. Ma
sei pur sempre una schiava.»
«Questa
storia della schiava mi ha un po’ stufato. Riesci a dire una frase intera senza
ricordarmelo?»
Dopo
quelle parole Demetrio non poté trattenersi dal sorridere, ma poi si rabbuiò di
colpo lasciando Gabrielle perplessa.
«Quando
sarai a palazzo dovrai solo obbedire. Ricordatelo, il suo volere è il tuo
volere, senza possibilità di scelta.»
«Lo so.»
lo sguardo smeraldino si abbassò come se non potesse reggere il peso di quelle
parole.
È la mia
condanna.
«Ma non
credo che il mio orgoglio me lo permetterà.» tentò di abbozzare un sorriso, ma
con scarsissimi risultati.
Vide un
lampo passare nello sguardo dell’uomo, e per un attimo credette di veder una
crepa sulla corazza fatta di cinismo e freddezza che l’uomo portava perennemente
addosso.
Ma
sicuramente l’aveva immaginato.
.
.
Gabrielle
camminava lungo i corridoi del palazzo apatica e silenziosa, osservando con
attenzione il gusto elegante e raffinato della padrona di casa.
Della
padrona del mondo.
Poteva
sentire lo sguardo delle altre serve su di lei, e il loro bisbigliare fitto al
suo passaggio non la stava certamente rassicurando. Non sapeva come mai ma era
certa che non avrebbe riscontrato molte simpatie tra le sue colleghe, era
come se la vedessero come una minaccia, mentre le altre persone che aveva
incontrato le avevano lanciato sguardi di sufficienza o addirittura non avevano
minimamente considerato la sua presenza.
Ecco,
finalmente riuscì a vederla. L’enorme porta che l’avrebbe condotta negli inferi,
ancora pochi passi e l’avrebbe oltrepassata andando incontro al suo destino, che
consapevole o non aveva scelto lei.
E
l’avrebbe vista. Finalmente.
Nelle
ultime ore non era riuscita ad impedirsi di pensare a lei, e a porsi mille
interrogativi su quale fosse il suo aspetto, il suono della sua voce, il suo
carattere, se fossero vere tutti i racconti che aveva ascoltato da piccola sulla
sua bellezza, e sul suo sguardo freddo e incantatore, che sfidava il colore del
regno di Nettuno con la sua tinta cerulea.
Almeno
potrò togliermi queste curiosità.
.
«Sei
pronta?»
Gabrielle
prese un profondo respiro. «No.»
Demetrio
sorse le labbra in quello che doveva essere un sorriso incoraggiate. «Mi
raccomando non permettere alla tua cocciutaggine di farti uccidere.»
«E tu non
permettere alla tua brama di potere di consumare quel poco di anima che ti
rimane.» Nonostante le parole fossero dure, Gabrielle le pronunciò con una
dolcezza che non era proprio intenzionata a mostrare all’uomo, ma che non riuscì
a trattenere e questa volta quello che vide sul volto del soldato fu un sorriso
vero e sincero.
Il sorriso
di un amico. L’ultimo sorriso…
.
.
Xena
osservava distratta la cartina che mostrava i confini del suo regno, fingeva di
ascoltare quello che le stavano dicendo, ma proprio non riusciva a concentrarsi
sulle parole del comandante di una delle sue legioni.
Si sentiva
stanca. Dormiva poco, e quelle rare volte che ci riusciva quelle due pozze
smeraldine non la lasciavano un momento. Quegli occhi così dolci e familiari
avevano uno strano effetto su di lei. Al suo risveglio era confusa e spossata da
quel senso di pienezza, e cercava in tutti i modi di ricordare a chi
appartenessero quelle iridi, perché certamente dovevano appartenere a qualcuno,
qualcuno che lei doveva conoscere bene.
Ma quando
la risposta non arrivava si sentiva così distante da lei, e tutto perdeva
importanza, perfino sé stessa.
Era starno
come avesse stabilito da subito che si trattasse di una ragazza, ne aveva la
certezza assoluta e non aveva mai dubitato che fosse così.
.
Immersa
nei suoi pensieri quasi non si accorse del soldato che rispettosamente si
batteva una mano sul petto in segno di saluto. Xena gli lanciò una breve
occhiata invitandolo a parlare.
«Mia
Imperatrice, Demetrio è tornato dal suo viaggio per raccogliere tributi in
Grecia. Chiede di vedervi, dice di avere un dono per voi.»
La donna
non sembrò particolarmente interessata a quello che le stava dicendo, non era
raro infatti che i comandanti delle sue legioni le portassero dei doni al
rientro dalle loro missioni per entrare nelle sue grazie, cosa che raramente
accadeva, visto che pochissimi rientravano nelle file degli eletti. I doni
venivano comunque sempre apprezzati, visto che nella maggior parte dei casi si
trattava di giovani schiavi (molte più fanciulle a dire la verità…) con la quale
trovava modi molto piacevoli per trascorrere il tempo, anche se solo per una
notte.
«Fallo
entrare.» disse infine con voce piatta.
L’uomo
annuì e fece un passo indietro prima di far cenno di aprire la porta.
.
La prima
cosa che Xena notò fu una fanciulla bionda non tanto alta al fianco del soldato.
Era stata vestita di una tunica bianca che le lasciava una spalla scoperta e
esaltava le forme giovani non ancora mature, ma estremamente affascinati, alcune
ciocche color del grano maturo le coprivano il volto tenuto leggermente basso a
fissare le corde che le imprigionavano i polsi.
Doveva
essere piuttosto spaventata. Valutò la donna, mentre continuava a studiarla con
una strana morsa che le attanagliava inspiegabilmente lo stomaco.
Gabrielle
mosse ancora pochi passi incerti, poi alzò lo sguardo e finalmente la vide.
Il fiato
le si mozzò in gola e una lieve giramento di testa la costrinse a prende grandi
sorsate d’aria per non svenire. Aveva sentito tutte le sue forze abbandonarla
nel momento in cui i suoi occhi avevano fissato quel celeste cristallino, così
profondo.
Potrei
annegare in quegli occhi…
Lo sguardo
da sorpreso ritornò ad essere fiero e ribelle. Se è così che mi vogliono,
sarò così… sarò me stessa!
.
Xena ebbe
una razione molto simile, ma lei era sempre stata brava a nascondere le proprie
emozioni.
Era come
se una freccia infuocata le avesse trapassato l’anima.
Quegli
occhi… sono così… verdi!
E non è
spaventata… non ha paura di me. È così fiera… è stupenda…
Il battito
del cuore aumentò a livelli vertiginosi, tanto da poterlo sentire sbattere
contro la gabbia toracica e pregarla di lasciarlo libero dalla sua prigione di
ossa. Lei lo sta richiamando a sé…
E ora una
sensazione conosciuta, ma che lei non riuscì ad identificare, iniziò a
serpeggiare tra i suoi pensieri, languida e calda come la carezza di un amante,
mentre affondava lo sguardo sempre più in profondità in quelle pozze smeraldine
che sembravano infinite.
Per gli
dèi… è lei!
.
.
Continua…
|
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Capitolo 5 *** Cap.5 ***
Cap
Cap. 5
.
Ares si
muoveva come un cane rabbioso all’interno della sala del tempio, incredulo e
assolutamente furioso.
«Ma come è
potuto succedere!» tuonò dopo aver percorso qualche altro metro in direzione
delle tre donne che con sguardo impassibile continuavano a filare.
«Questo
non era nei piani.» continuò con tono accusatorio.
Lo sguardo
di Cloto1
si posò sul dio. «Noi abbiamo rispettato gli accordi…»
Alla sua
voce giovane si sostituì quella più matura di Lachesi1
che tuttavia non distolse gli occhi dai fili che stava agilmente districando. «…
Ma il fato non può essere modificato…»
«Sciocchezze, voi siete le Parche! Siete voi che muovete i fili del destino.»
Ares
dovette trattenersi dal lanciare un dardo infuocato e disintegrare quel dannato
posto, se possibile la sua rabbia stava aumentando. Una vena pulsava violenta
sulla fronte dando l’impressione di non poter reggere a tutta quella pressione
di sangue ribollente d’ira, dai pugni chiusi frizzavano dei sinistri scintillii
blu, mentre gli occhi avevano una sfumatura di nero profonda e penetrante,
ancora più del solito.
«Ci sono
cose che nemmeno noi possiamo cambiare. Cose già scritte, e che non muteranno
mai, per quanti sforzi tu faccia. Due anime affini si trovano sempre.» disse
infine Atropo1
con tono solenne.
«Anime
affini?! Ma che razza di assurdità è…!» ringhiò al limite della sopportazione.
Il dio
prese un profondo respiro prima di continuare, voleva ritrovare la calma, almeno
un minimo, cosa che risultò impossibile quando si ritrovò a pensare a quella
fanciulla bionda, fanciulla che lui conosceva molto, troppo, bene per non sapere
che gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote.
Perché lui
era certo che avrebbe trovato un modo di circuire Xena, con le sue chiacchiere e
con quel suo sguardo di finta purezza, e di riportarla sulla strada della bontà
e della redenzione.
Patetico!
«Beh, io
non permetterò a quella puttanella bionda di…»
«Attento a
quello che dici, Ares.»
Una voce
melodiosa e dura a tempo stesso lo fece voltare sorpreso.
«Afrodite!- il dio della guerra si accigliò contrariato dalla presenza della
bella divinità che lo fissava con la medesima espressione crucciata.- Che cosa
ci fai qui?!»
«So tutto.
So dei tuoi giochetti con la tela delle Parche, e del tuo tentativo di cambiare
il destino di Xena, e di… tutti. E sappi che è una cosa assurda! Io non posso
permetterti di andare avanti.»
«Sei stata
tu! Hai portato tu Gabrielle al palazzo!»
La dea
scosse la testa facendo ondeggiare i riccioli color del grano e sorrise triste.
«No. Io
non ho fatto nulla. Loro sono destinate, i miei poteri non centrano.»
Ares
sbuffò irritato. «Anche tu con questa storia? È semplicemente patetico!»
«Ma come
fai a non capire! Sei solo uno sciocco, troppo pieno di sé per vedere quello che
è proprio sotto al suo naso!»
Afrodite
aveva iniziato ad urlare, mentre le tre Parche continuavano il loro eterno
lavoro non curandosi minimamente della battaglia verbale tra fratelli.
«Io non le
permetterò di rovinare tutto di nuovo. Prima che lei entrasse nella sua vita
Xena apparteneva a me, la distruttrice delle nazioni, il flagello dei popoli, è
questo quello che è! E non una patetica guerriera che ha votato la sua spada al
servizio dei poveri oppressi!»
«Lei non è
mai stata tua!» Afrodite cominciava veramente a spazientirsi.
«Oh, si
che lo è stata…» il tono rabbioso si sciolse in uno malizioso e seducente. La
dea roteò gli occhi, suo fratello non avrebbe mai compreso, e non perché era il
dio della guerra, e quindi tremendamente orgoglioso e sicuro di sé, ma perché
era un uomo. E gli uomini non comprendo l’amore fino a quando non lo provano
sulla loro pelle.
«Questa
volta non sarà lei a vincere…»
Prima che
la sorella potesse replicare in qualche modo il dio svanì in uno scintillio
azzurro.
Afrodite
sospirò triste e leggermente delusa dall’atteggiamento del dio, ma d'altronde se
lo aspettava.
Mi
dispiace Ares, ma perderai…
La dea
lanciò un ultimo sguardo alle parche che intente nel loro lavoro sembrarono non
notare la scia dorata che l’accompagnò mentre spariva.
.
.
.
Gabrielle
si aggirava pensierosa tra i corridoi, non aveva una meta precisa, ed era certa
di essersi persa in quel labirinto enorme di pietre elegantemente sistemate. Ma
non era questo il problema più grande della fanciulla. Da cinque giorni vagava
nella confusione più totale, e non certo perché ancora non riusciva ad
orientarsi.
Aveva
immaginato mille scenari, aveva pensato a tutto, ma non a quello che le stava
accadendo ora.
Appena
arrivata a palazzo si era aspettata che l’Imperatrice la mettesse immediatamente
al lavoro tra le sue schiave, o chissà che cosa, e invece dopo quell’attimo in
cui si era sentita quasi persa in quel mare celeste, la distruttrice delle
nazioni l’aveva quasi ghiacciata con lo sguardo, e aveva chiamato una delle
ancelle che stazionavano a capo chino in un angolo della sala, le aveva
sussurrato qualcosa all’orecchio e questa aveva annuito avvicinandosi a lei e
trascinandola via senza una parola, ma con uno sguardo carico d’odio.
Per un
attimo aveva temuto il peggio, e aveva letto uno strano sguardo di panico negli
occhi di Demetrio.
Possibile
che non avesse apprezzato quel dono?
La domanda
ebbe subito risposta quando in lontananza sentì la donna che ringraziava il
soldato per il gradito dono.
Ma la voce
era così fredda e inespressiva che Gabrielle dubitava che quella fosse la
verità.
Fino a
quel momento non poteva certo lamentarsi.
L’ancella,
che aveva scoperto chiamarsi Leila, l’aveva accompagnata in una stanzetta,
piccola ma relativamente confortevole e pulita.
.
«Dormirai
qui.» mormorò con voce dura una volta varcata la soglia di quella che da quel
momento sarebbe diventata la sua stanza.
Gabrielle
fece qualche passo all’interno e scrutò le pareti come se sopra ci fosse chissà
quale effige.
«Ti
ringrazio… e adesso che devo fare?» chiese confusa.
L’altra
scosse le spalle. «Quello che vuoi.»
«Cosa?»
ora era decisamente spiazzata.
«Sei
libera di girare per il palazzo, ma attenta a dove vai.» l’ammonì severa. «Se ti
serve qualcosa puoi chiedere a me, o qualunque altro membro della servitù…»
«Praticamente sono un’ospite.» l’interruppe improvvisamente la bionda. «Io
credevo che…»
«Cosa?!
Che cosa credevi?! Che ti mettesse subito nelle cucine a lavorare? Tranquilla,
lo farà una volta che si sarà stancata del tuo bel faccino!»
«Che cosa
vuoi dire?»
Leila
sgranò gli occhi. «Allora sei veramente un’ingenua! Ti userà come giocattolo per
qualche notte e poi ti getterà via, come ha fatto con tutte…»
Ora c’era
solo amarezza nelle parole della ragazza. Gabrielle provò pena per lei, e per se
stessa.
«Capisco…»
gli occhi verdi si abbassarono vergognosi.
L’altra
se ne andò lasciandola sola con i suoi pensieri, in attesa dell’inizio di quella
che doveva essere una tortura.
.
E adesso
dopo cinque giorni in cui non era successo nulla, l’ansia stava cominciando a
diventare insopportabile. Quell’attesa era snervante, non le permetteva di
rilassarsi nemmeno per un secondo, e la tensione accumulata sommata con le ore
di sonno perse in compagnia della sua mente chiacchierona la stavano facendo
diventare matta.
L’unica
cosa che la rilassava quel tanto che bastava per non avere una crisi isterica
erano le lunghe passeggiate che si concedeva in quei giardini immensi, e che
spesso si allungavano di qualche ora a causa del suo pessimo senso
dell’orientamento.
.
.
.
Tra le
centinaia di stanze che aveva a disposizione quella era certamente la sua
preferita.
Tranquilla
ed accogliente. Nessuno andava mai a cercarla lì, e lei finalmente poteva
godersi la calma che regnava in quel luogo quasi onirico, in compagnia dei suoi
pensieri. Anche se quelli non erano certamente una compagnia gradita.
Era molto
raro che accadesse, specialmente in quell’ultimo periodo, ma a volte una piccola
vocina insistente e noiosa le ricordava i suoi peccati, che lei continuava a
commettere incurante di tutto. Come un insetto fastidioso, si insinuava tra i
suoi pensieri cercando una crepa nel suo animo cristallizzato dall’odio. Sarebbe
stato un terreno troppo fertile per far attecchire i sensi di colpa, e quelli
l’avrebbero soffocata. Quindi niente anima, niente sentimenti, niente pietà, ma
soprattutto niente amore.
Un piccolo
prezzo da pagare dopotutto.
Ma da
cinque giorni quella sua regola fondamentale, la sola che era tenuta a
rispettare in ogni occasione e che le aveva permesso di sopravvivere e di
diventare quello che era, era miseramente crollata.
E lei ne
era terrorizzata.
Perché non
riusciva a spiegarselo, e soprattutto non voleva.
Come
poteva permettere ad una ragazzina di avere un effetto così devastante su di
lei?
Lei era la
Conquistatrice, per gli dèi!
Che fine
aveva fatto la distruttrice delle nazioni? Possibile che un paio di
occhioni verdi bastino per farla cadere così miseramente?
No, questo
non è possibile!
Ma restava
il fatto che erano cinque giorni che la evitava.
E Xena non
evitava mai niente, figurarsi una bella fanciulla che sicuramente era vergine.
Anche se
infondo era solo una schiava e quindi non era certo costretta a fere nulla. Se
non voleva vederla era liberissima di farlo.
È solo una
schiava!
Ma provare
a convincersi di questo era ormai un’impresa disperata.
Aveva
disposto che quella fanciulla avesse una camera lontano dalle stanze della
servitù e che le fosse dato tutto ciò di cui avesse bisogno, e questi non sono
certo privilegi concessi a tutta la servitù. Anzi!
La donna
si alzò e fece scorrere lo sguardo sulle pareti elegantemente arredate fino a
raggiungere una pila di pergamene ordinatamente sistemate su degli scaffali.
Si
avvicinò di qualche passo e ne prese una. Non sapeva che cosa contenessero, non
si era mai particolarmente interessata a quella forma d’arte.
«Gabrielle…»
Quel
sussurro le uscì spontaneo, e un delicato sorriso le increspò le labbra.
Quando
aveva scoperto quale era il suo nome non ne era stata per niente felice, perché
era certa che da quel momento in poi quel suono l’avrebbe perseguitata, e si
sarebbe aggiunto la tormento di quella figura nei suoi incubi. No, sogni…
Ma era un
tormento così dolce che non ne poteva fare a meno.
Aveva
rinunciato anche alla compagnia del dio della guerra pur di non avere nessuno
che la disturbasse e che magari interrompesse quei preziosi momenti in cui le
difese che si era costruita attorno si abbassassero per permettere a quella
figura bionda di oltrepassarle.
È un
balsamo per la mia anima mutilata…
.
I suoi
pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva.
Si voltò
di scatto, pronta ad inveire contro chiunque avesse osato disturbarla in quella
sua oasi di pace, ed invece si ritrovò faccia a faccia con la sua dea bionda che
la fissava tra lo stupito e lo spaventato.
.
Gabrielle
abbassò immediatamente il viso in segno di rispetto, ma anche per separarsi da
quel blu così penetrante.
«M-mi
perdoni Imperatrice.» disse con voce timorosa. «Credo di essermi persa, non
volevo disturbarvi.»
Ma brava
Gabrielle, proprio nella tana del lupo ti vai a ficcare! I miei complimenti!
«Non
preoccuparti. Questo palazzo è enorme, può capitare di perdersi.»
Xena
ringraziò il suo autocontrollo che le permise di mantenere la voce calma e
indifferente, anche se era tutto fuorché calma e indifferente.
Dopo
quelle poche parole nella stanza calò un silenzio teso e snervante. Gabrielle
quasi non osava respirare e si ostinava a fissare i ghirigori del tappeto,
pregando in un intervento divino che potesse toglierla da quella situazione,
strana fino all’inverosimile.
Xena
d’altro canto era completamente pietrificata, non sapeva cosa fare o cosa dire
per sbloccare in qualche modo quella situazione.
L’unica
cosa che il suo cervello sapeva in quel momento era che stava guardando una
delle creature più belle del mondo, il resto non aveva più senso.
.
«Conosci
Saffo?» si decise a chiedere dopo altri interminabili minuti.
«Cosa…?
Sì, sì la conosco, è una poetessa sublime.» rispose Gabrielle appena si riprese
dalla confusione che quella domanda aveva scatenato.
Le labbra
di Xena si stirarono in un sorriso. «Ma bene, sei una fanciulla istruita. È una
cosa molto rara.»
Con un
movimento elegante si accomodò su uno dei divanetti e invitò l’altra a fare lo
stesso con un gesto della mano.
Gabrielle
deglutì a vuoto più volte cercando di calmarsi e si avvicinò timorosa.
«Mi
piacerebbe che tu mi leggessi qualche verso.»
«Credevo
che queste cose non interessassero una guerriera come voi… »
La bionda
si morse la lingua maledicendosi per la sua boccaccia.
Contraddire l’Imperatrice non è una cosa saggia!
«Infatti,
è per questo che vorrei che me lo leggessi tu. Sembra un argomento che ti
appassiona molto, potresti far nascere il mio interesse.»
Incredibile, nessuno mi aveva mai parlato in questo modo… questo dovrebbe come
minimo infastidirmi, e invece…
Xena
sorrise imitata da Gabrielle, che si era decisamente calmata dopo l’ultima frase
della donna.
«Come
desidera Imperatrice.»
«Xena.»
«Come?»
«Puoi
chiamarmi Xena quando siamo sole, e puoi anche darmi del tu.» la guerriera si
stupì non poco delle sue stesse parole.
Il volto
di Gabrielle si illuminò. «Come vuoi, Xena…»
.
.
.
La locanda
dove avevano deciso di chiedere informazioni e un posto per trascorrere la notte
era lurida e piccola.
Perdicca
storse il naso sentendo degli apprezzamenti piuttosto pesanti fatto ad una delle
cameriere, rabbrividì immaginando la sua Gabrielle in quella stessa situazione.
No, lui
non l’avrebbe mai permesso, avrebbe salvato la sua promessa sposa a qualunque
costo, anche se questo voleva dire sfidare l’Imperatrice stessa!
Si
accomodò al bancone accanto ad Erodoto che chiamò l’oste con un gesto del capo.
«Vorremmo
una stanza per la notte, e qualche informazione.»
«Per la
stanza va bene. Ma per le informazioni dipende…»
«Stiamo
cercando una fanciulla bionda, è stata portata qui come schiava cinque giorni
fa.»
L’uomo
scoppiò a ridere, una risata volgare e sguaiata che irritò profondamente
Perdicca. «La cosa ti fa molto ridere?»
«Sai
quante fanciulle arrivano qui per essere vendute come schiave?»
«Ma lei è
speciale! Doveva essere portata alla corte imperiale.»
Le risate
cessarono di colpo e il viso barbuto dell’uomo si scurì. «Se quello che dite è
vero potete lasciare ogni speranza di riaverla indietro. Lei non lascia andare
mai nessuna, ci gioca e poi le getta via.»
«Ma ci
deve essere un modo! Sai come fare per entrare a palazzo?»
«Ci potete
entrare solo come prigionieri. … Aspettate! Tra dieci giorni si celebreranno le
Delfinie2,
e durante i festeggiamenti i giardini del palazzo vengono aperti a tutti.
Potreste provare ad intrufolarvi da lì e andare a cercare la vostra fanciulla…
se è ancora viva.»
Erodoto
strinse i pugni e digrignò i denti in un gesto di pura rabbia. «Lei è forte, può
sopravvivere a tutto!»
Detto
questo lanciò qualche moneta sul bancone sudicio e si allontanò seguito
prontamente da Perdicca.
Gabrielle,
figlia mia, resisti stiamo venendo a prenderti…!
.
.
.
Continua…
.
.
.
.
.
Ecco alcune piccole note che
potrebbero esservi utili per la lettura del capitolo, o anche solo per curiosità
^^
Nota(1):
Cloto, Lachesi e Atropo sono
i nomi delle tre Parche che filavano la tela del destino dell’uomo. La prima
filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone una
ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile,
tagliava il filo della vita al momento stabilito.
.
Nota(2):
Le Delfinie erano delle feste
che si celebravano in primavera in onore di Apollo Delfinio in molte città
greche, per propiziarsi una buona navigazione. Il rito comprendeva dei giochi
ginnici e una processione di alcune fanciulle che portavano dei ramoscelli di
ulivo al tempio del dio.
|
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Capitolo 6 *** Cap. 6 ***
Cap
Cap. 6
.
.
La
frenesia che in quei giorni pervadeva il palazzo aveva contagiato tutti.
Tutti si
affaccendavano per preparare i festeggiamenti con un’allegria insolita e che
raramente si respirava nella capitale. Era come se quell’anno tutti percepissero
qualcosa di diverso, l’aria si era decisamente alleggerita grazie ad un
inspiegabile buonumore dell’Imperatrice che appariva agli occhi dei suoi
fedelissimi generali rilassata e quasi… felice. Il che poteva risultare
quasi ridicolo, perché lei era la donna di ghiaccio, priva di qualsiasi
emozione, e loro non avevano mai visto quel luccichio nel suo sguardo. Eppure
ora c’era e nessuno se ne poteva lamentare, visto che stava portando ad un
notevole miglioramento collettivo.
Le catene
che imprigionavano il popolo dell’impero si stavano lentamente allentando, anche
se di poco.
Ma il
motivo di quei cambiamenti restava ignoto, e poteva tranquillamente passeggiare
tra la folla che riempiva i giardini senza destare il minimo sospetto.
.
Gabrielle
si sentiva leggermente spaesata. Tutta quella gente che lavorava per i
festeggiamenti che si sarebbero tenuti tra un paio di giorni la rallegrava, ma
involontariamente la portava a pensare alla sua famiglia.
Chissà che
cosa staranno facendo? Mi mancano così tanto.
Un’ombra
passò sul suo bel viso, ma prima che si potesse perdere tra i suoi pensieri una
voce profonda e ben conosciuta la richiamò alla realtà.
La
fanciulla si voltò e il suo volto si illuminò. «Demetrio!»
«Salve
bella fanciulla!» disse sfiorandole delicatamente il dorso della mano con le
labbra.
«Ma quanto
siamo galanti…»
Il soldato
fece un verso poco chiaro per nascondere l’imbarazzo, e poi disse: «Beh devo
comportarmi bene con la protetta dell’imperatrice.»
Gabrielle
arrossì. «Non sono la sua protetta.»
«Certo che
lo sei. Ti tratta come un’ospite di riguardo, e credimi quando ti dico che non
era mai accaduto nulla del genere.»
«Non ti
aspettavi questo quando mi hai rapito? Ti aspettavi che mi usasse e basta.» la
donna aggrottò le sopracciglia irritata.
Demetrio
si passò una mano sulle guance ispide. «Sì, credevo che lei addomesticasse te e
non il contrario.»
Il rossore
sulle sue guance aumentò. «Io non ho addomesticato proprio nessuno!»
L’uomo non
parve far caso alle parole della fanciulla e continuò con fare meditabondo e
leggermente divertito. «Devi essere piuttosto brava a letto se le hai fatto un
effetto simile… sai lo immaginavo.»
«Finiscila! Non è mai successo nulla!» la sua voce era salita di un’ottava, così
come il suo imbarazzo.
«Cosa?»
ora era sinceramente colpito. «Vuoi dire che tu… che lei… nulla?»
«Ma perché
tutti vi aspettavate che lei mi avrebbe… sì insomma… violentata?! Non
esiste solo quello, sai?»
Ma perché
ogni volta che pensava di non potersi imbarazzare di più doveva smentirsi?
«Beh è una
cosa strana… e allora che cosa fate per tutta la notte? E non provare a negare
che la passate insieme perché so che è così!»
Gabrielle
rimase con la bocca aperta e una giustificazione sulla punta della lingua, ma
poi si arrese allo sguardo indagatore dell’uomo. «Parliamo.» mormorò
semplicemente.
«Parlate?
Quindi siete… mmm… amiche?» azzardò.
«Più o
meno. È una situazione strana.»
Demetrio
aggrottò le sopracciglia più confuso di prima. «Che intendi?»
Gabrielle
pensò per un momento che forse non era il caso di parlare di quelle cose con il
suo rapitore, ma infondo con qualcuno doveva pur sfogarsi e a parte Xena, e
Leila che la odiava per motivi a lei sconosciuti, Demetrio era l’unico che
conosceva e con il quale aveva scambiato qualche parola, cosa molto strana visto
il suo carattere socievole.
«Con lei
mi trovo bene, completamente a mio agio, non provo soggezione, paura, o
qualsiasi altro sentimento susciti nelle altre persone. È una sensazione così
calda e rassicurante, mi fa sentire protetta, in un modo così … dolce.»
Non notò
l’espressione stupita del soldato e continuò persa nel discorso che stava
facendo.
«È… è come
se la conoscessi da sempre… per gli dèi è così assurdo!»
L’uomo si
prese un lungo attimo per riflettere. «Ti sei innamorata di lei…»
La sua
voce aveva assunto una venatura amara che sorprese lui per primo.
Gabrielle
cominciò a boccheggiare. Quelle parole l’avevano lasciata completamente
spiazzata e incapace di formulare una qualsiasi risposta di senso compiuto.
Innamorata
di lei… io sono… no, è impossibile…
Proprio
mentre la sua mente cercava rifugio da quell’affermazione che non poteva, e non
doveva, assolutamente essere vera, una terza figura si avvicinò lenta.
.
«Capitano,
credevo che questa mattina avesse delle reclute da addestrare.»
La voce
fredda alle sue spalle la fece fremere per un momento, mentre Demetrio chinava
il capo con rispetto, sperando di essere riuscito a nascondere la delusione che
gli aveva dato Gabrielle inconsapevolmente.
«Sì, mia
regina. Vado immediatamente.» l’uomo si allontanò rapidamente, dopo aver
lanciato un cenno di saluto alla bionda, persa completamente nei suoi pensieri.
Infondo
aveva ottenuto quello che voleva da quella fanciulla, era salito di qualche
gradino nella scala che l’avrebbe portato a diventare uno dei generali
dell’Imperatrice, eppure in quel momento non si sentì per niente soddisfatto.
.
«Di cosa
parlavate?»
Il tono di
voce di Xena non aveva perso la sua inflessione dura, e adesso sembrava anche
leggermente irritata.
Gabrielle
fece vagare uno sguardo smeraldino estremamente imbarazzato ovunque pur di non
incontrare quello della sua interlocutrice.
Il suo
silenzio fu male interpretato dalla guerriera che iniziò a fremere di rabbia. …
e gelosia. «Allora?»
«Di nulla,
Imperatrice.»
Innamorata…
Certo che
è proprio affascinate… ma cosa vado a pensare! Per Giove, sto impazzendo!
.
.
.
«Sei
taciturna oggi.»
Stavano
passeggiando nel boschetto appena fuori delle mura del palazzo in un silenzio
teso e pesante.
Entrambe
pensavano a tutta quella strana situazione e a quei sentimenti che si agitavano
nel fondo delle loro anime, scalpitando per venire fuori dalla loro prigione di
razionalità. Ma era a quest’ultima che le due donne si aggrappavano nel vano
tentativo di ridare una parvenza di ordine alle loro vite, ormai completamente
scombussolate.
Prima di
lei non era vita…
«Xena,
posso farti una domanda?»
Gabrielle
aveva fatto appello a tutto il suo coraggio e alla sua loquacità per dare inizio
a quel discorso, e pregava tutti gli dèi di riuscire a finirlo.
La mora
annuì. «Certo.»
«Che cosa…
cioè… chi sono io per te?»
«Sei… una
schiava.» provò a mantenere un tono di voce fermo ed autorevole, ma non fu certa
del risultato. Il cuore aveva perso un battito a quella domanda così diretta ed
inaspettata, e aveva desiderato che la terra si aprisse sotto ai suoi piedi
appena quella risposta aveva lasciato le sue labbra, tanto che era sembrata
spudoratamente falsa persino alle sue orecchie.
Chi sei tu
per me?
Tu sei..
sei… tutto…
Gabrielle
aggrottò le sopracciglia non convinta dalle sue parole, ma comunque delusa.
«Capisco.
Quindi per te sono solo un giocattolo.»
Il tono
amaro e profondamente deluso usato dalla fanciulla fece rompere qualcosa in
Xena.
«No!» urlò
quasi prima ancora di rifletterci. «Non è così.»
«E allora
com’è? Spiegamelo Xena, perché io non riesco a capire. Se sono una schiava,
perché mi tratti come se fossi un ospite? Perché ti comporti come se fossi mia…
amica?»
La
guerriera rimase spiazzata davanti sua foga, e alla sua determinazione. Nelle
sue iridi poteva leggere chiaramente tutta la sua testardaggine, voleva una
risposta e per gli dèi l’avrebbe avuta!
Eppure la
sua mente proprio non riusciva a collaborare per formulare una risposta per lo
meno decente. Tutto quello a cui riusciva a pensare era che in quel momento
Gabrielle era meravigliosamente bella, con quello sguardo deciso e i lineamenti
del volto un po’ crucciati.
Baciala!
No! Non
posso!
Ma vuoi?
Sì…
Fallo
allora, è così bella. E poi puoi disporre di lei come vuoi… l’hai sempre fatto.
Ma con lei
è diverso, lei è speciale. Lei è Gabrielle.
Baciala!
.
Xena
avrebbe volentieri continuato a discorrere con quella vocetta che le stava
suggerendo la cosa giusta da fare, ma lei non era certamente il tipo da fare
discorsi troppo lunghi, e così fece esattamente quello che era abituata a fare.
Seguì il suo istinto. E il cuore…
.
E fu come
se una meravigliosa sensazione di calore l’avvolgesse tutta, qualcosa di
conosciuto, ma dimenticato nei meandri della mente. Qualcosa che Xena non aveva
mai provato, eppure ne conosceva il sapore, dolce, e infinitamente morbido, così
come tutto il corpo di Gabrielle che pressava contro il suo.
In un
attimo le parve di rivedere la prima volta che le loro labbra si sfiorarono in
un contatto così profondo ed esplicito…
.
.
“Gabrielle… Gabrielle, sono qui. Non sono morta...”
La voce di
Xena calda e rassicurante accompagnata da un sorriso dolce le fecero mancare la
terra sotto i piedi.
“Xena…”
riuscì a singhiozzare, mentre il volto si bagnava di calde lacrime di gioia.
“… O non
del tutto almeno.”
“Perché?
Perché sei andata via? Ci sono tante cose che ho bisogno di dirti…”
“Gabrielle, non occorre che tu dica niente…”
In quel
momento, nonostante gli abiti regali che indossava, le sembrava una bambina.
Così
indiscutibilmente sua.
Entrambe
si stavano avvicinando, attratte da quel corpo che forse avrebbero potuto vedere
per l’ultima volta.
“Non c’è
più tempo ormai, devo arrivare all’Ambrosia o dovrò andarmene davvero.”
“Io non
posso perderti ancora…”
“Io ti
sarò sempre accanto…” sussurrò prima di unire le loro labbra in un bacio dolce,
carico di significati. Un bacio che divenne l’inizio di tutto.*
.
.
Si
separarono lentamente, come se quel gesto le avrebbe provocato un dolore
immenso. Rimasero in silenzio, con gli occhi chiusi cercando di assaporare
appieno quella sensazione, e di tentare di calmare il battito furioso.
«Adesso
dovrai spiegarmi anche questo.» mormorò Gabrielle con voce sognante.
Xena rise.
La sua Gabrielle non sarebbe mai cambiata.
Si mosse
nuovamente verso quelle labbra, leggermente schiuse in un silenzioso invito.
Il bacio
si approfondì naturalmente. Le braccia della bionda cinsero il collo della
guerriera, che nel frattempo le passava delicatamente una mano lungo la schiena,
sentendola fremere sotto il suo tocco.
«Ti va
bene come spiegazione?»
«No.»
Xena
sospirò pesantemente. Testarda.
«E va
bene, hai vinto.» si allontanò giusto quel tanto che le bastava per guardarla
meglio in viso. «Non sei un giocattolo e non sei una schiava. Tu sei importante,
anche se non so ancora bene cosa sei per me. Ti sento come se fosse una parte di
me, la mia parte mancante, ma la cosa mi sembra piuttosto strana… Che ne dici se
lo scopriamo insieme?» concluse timidamente.
Gabrielle
annuì raggiante. «Certo.»
«Bene. Sei
contenta adesso?»
«Mai stata
più felice.»
Xena
ricambiò il suo sorriso luminoso. «Anche io lo sono. E molto.»
In quel
momento, in quel boschetto, Xena pensò di avere tutto quello di cui avesse
bisogno, non un’armata e nemmeno un impero, ma solo Gabrielle che la fissava con
quello sguardo smeraldino, così come Gabrielle si sentì per la prima volta
libera, e viva…
.
.
.
«Bleah, ma
è disgustoso! Sei proprio caduta in basso, Xena…» la voce parlò talmente piano
che fu difficile udirla persino dalle sue stesse orecchie.
Una figura
abilmente nascosta tra le fonde osservava le due donne. Erano giorni che non le
perdeva di vista un momento, la sua attenzione era calamitata soprattutto da
quella fanciulla bionda.
L’anello
debole…
Un sorriso
maligno salì sulle sue labbra.
E così
finalmente ho trovato il tuo punto debole.
Ora non
potrai più sfuggire alla mia vendetta, Principessa Guerriera.
Il sorriso
aumentò, mentre uno baluginio folle rischiarò i suoi occhi castani.
Poi andò
via, silenziosa e agile come un gatto, e attenta a non mostrare la sua presenza
alla guerriera, che era ancora concentrata sulla sua amica bionda. Ma non poteva
permettersi errori, non ora che era così vicina a raggiungere i suoi obiettivi.
E così nemmeno una foglia si mosse mentre quella misteriosa figura balzava via.
.
.
.
Continua…
.
.
.
*
[dialogo e scena
tratti da The Quest (Xena alla ricerca dell’Ambrosia) seconda
stagione]
|
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Capitolo 7 *** Cap.7 ***
Prima di lasciarvi al nuovo capi
Prima di lasciarvi al nuovo
capitolo mi sembra doveroso fare i miei più sinceri ringraziamenti ad Eylis che
mi ha aiutata a correggere la fanfiction^^
Vorrei inoltre ringraziare
tutti quelli che leggono e che recensiscono. Grazie di cuore!^^
.
Ed ora ecco a voi il nuovo
capitolo.
Buona lettura!^^
.
.
..
Cap.7
.
.
.
Arrivò in
quella caverna umida e fredda che nessuno, tranne di lei poteva chiamare casa.
Ormai per lei non faceva nessuna differenza, l’unica cosa che contava era la sua
vendetta.
Fece
cadere con mal grazia il pesante mantello, lasciando scivolare una cascata
bionda sulle spalle esili ma che nascondevano una forza non indifferente. Mosse
qualche passo verso l’interno della grotta ma all’improvviso una voce profonda e
minacciosa la bloccò.
«Se fossi
in te io non lo farei.»
Un sorriso
sarcastico le affiorò sulle labbra. «Cosa c’è, ti preoccupi della tua protetta?»
Ares fissò
a lungo la schiena della donna prima di parlare nuovamente. «Non scherzo,
Callisto! Rinuncia ai tuoi propositi, perderesti inutilmente la vita.»
«Che cosa
ti importa della mia vita? Dopotutto tu hai la tua guerriera, no?»
Il dio
tremò impercettibilmente, ma non tanto da non farsi notare dalla sua
interlocutrice.
«Ah ora
capisco. Non è più tua… adesso preferisce la compagnia di quella
biondina… povero Ares, vinto da una ragazzina!»
La risata
folle di Callisto si espanse nella caverna producendo un eco cupo che irritò
profondamente la divinità. La sua pazienza stava rapidamente esaurendosi,
Callisto tirava sempre troppo la corda con lui, con tutti a dire il vero. Ma lui
conosceva bene la sua pericolosità, e la sua pazzia, e non voleva farsela nemica
più del dovuto, meglio che riversasse il suo odio folle su qualcun altro.
L’unico problema era che la fonte della sua rabbia era Xena, e la sua idea
insana di ucciderla, le aveva causato gravi ferite che l’avevano portata ad un
passo dalla morte.
Non che
questo gli interessasse più di tanto comunque.
Callisto
continuò, incurante della reazione del dio.
«Ma sta
tranquillo, ho intenzione di ucciderla.»
«Perché?
Come mai vuoi uccidere una schiava?»
La bionda
sollevò le spalle. «Sai com’è, per il gusto di sentire il suo sangue sulle mie
mani… e poi voglio che Xena soffra, che soffra come ho sofferto io!»
Ares si
accigliò. «E cosa ti fa credere che uccidendola Xena soffrirà?»
Lui sapeva
bene che quella era la verità, sapeva chi era Gabrielle per Xena prima di
cambiare la realtà, ma non poteva credere che ora il piccolo bardo di Potidea
fosse entrato dentro la guerriera così profondamente in così poco tempo. Era
assurdo anche per loro.
«Oggi le
ho viste, e ti risparmio i dettagli cruenti, ma credimi quando ti dico che Xena
ci tiene veramente a quella piccola schiava. D’altronde la nostra cara
Imperatrice ha sempre avuto dei gusti un po’ strani.»
Ares
sorrise e Callisto poté vedere nel suo sguardo la stessa luce maligna e folle
che aveva lei. Iniziò a camminare lentamente carezzandosi il pizzetto che
decorava i suoi tratti duri e affascinanti.
«Sai,
forse la tua idea non è tanto male… potrebbe essere un buon piano. Sì,
decisamente un ottimo piano.»
Si fermò e
fissò Callisto negli occhi che ora brillavano sinistramente. «Bene Callisto, non
abbiamo altro da dirci per il momento… Sono certo che farai un buon lavoro con
Gabrielle, e mi raccomando, che soffra!»
Detto
questo svanì in un lampo bluastro. Il sorriso della bionda aumentò a dismisura,
come quello di una fanciulla che aveva appena ricevuto in dono una meravigliosa
bambola.
«Sarà
fatto, Ares. Sarà fatto…»
.
.
.
L’odore di
polvere e di chiuso è quasi asfissiante, Xena avanza lentamente nella cripta,
erano anni che non andava più a trovarlo. Con gli occhi lucidi e un peso sul
cuore lascia scivolare le dita su quel freddo pezzo di pietra.
“Linceo…”
Sente il
peso di quel lutto sulle sue spalle, e il vuoto che la morte del fratello ha
provocato.
“Vorrei
che tu fossi qui. È brutto essere soli…”
“Tu non
sei sola.”
Si volta e
la vede, sulla soglia della cripta che le sorride dolcemente, con quegli
occhioni verdi che illuminano ogni cosa.
Ed è come
se tutto avesse nuovamente un senso…
.
Xena aprì
gli occhi di scatto tirandosi a sedere, poteva sentire ancora la sensazione di
calore che quello strano sogno le aveva procurato.
Un sorriso
le sorse spontaneo quando vide la figura placidamente addormentata di Gabrielle
rannicchiata al suo fianco. Istintivamente le carezzò la spalla nuda lasciata
scoperta dal lenzuolo, compiacendosi della morbidezza di quella pelle che quella
notte aveva imparato a conoscere.
Non riuscì
a trattenere un sospiro soddisfatto. Quella era stata la notte più incredibile
che avesse mai avuto, e lei di esperienze ne aveva avute parecchie, ma con
Gabrielle era stata una scoperta.
Era come
se fosse tutto nuovo e già vissuto allo stesso tempo. Sapeva perfettamente quali
tasti toccare per portare la compagna all’apice, e sicuramente anche Gabrielle
era perfettamente consapevole di quello che faceva, e anche piuttosto brava.
Anzi, molto brava.
Se non
avesse sentito la sua verginità, non avrebbe mai creduto che fosse totalmente
priva di esperienze.
Sorrise.
La mi
piccola è piena di talenti nascosti…
.
Un mugolio
basso la distolse dai suoi pensieri e attirò completamente la sua attenzione.
«Ehi …»
«Ciao.»
Gabrielle aprì pigramente un occhio e sorrise alla vista della guerriera che la
guardava con dolcezza.
«Come ti
senti?» chiese con apprensione Xena.
«Bene,
meravigliosamente bene.» sospirò sognante accoccolandosi meglio sulla sua
compagna che, ancora appoggiata alla spalliera del letto, prese ad accarezzarle
i capelli morbidi.
«Si sta
facendo tardi, forse dovrei andare.»
La
guerriera si fermò di colpo e la fissò con un sopracciglio sollevato. «Perché?
Ti sei già stancata di me?»
Gabrielle
sollevò la testa per fissarla in quei due diamanti che ora brillavano di
curiosità e preoccupazione.
«No, non è
questo. È solo che… insomma io credevo che… mi hanno detto che… dopo che noi…»
iniziò a balbettare frasi senza senso arrossendo sempre di più ad ogni parola.
Xena intuì, più che comprendere, il senso di quel discorso strampalato e provò a
fermare quel fiume di parole in libertà che era diventata la bionda.
«Gabrielle, ne abbiamo già parlato ieri.»
«Sì, lo
so, ma…» abbassò lo sguardo incapace di reggere il suo.
«Ma cosa?
Le cose che ti hanno detto su di me sono probabilmente tutte vere, ma sappi che
con te è stato diverso. Tu sei diversa, e non voglio che pensi che questa notte
non ha significato nulla per me…»
Le prese
delicatamente il mento tra le mani e lo sollevò fino a far incontrare i loro
sguardi.
«… ha
significato, e molto anche. Mi sono spiegata?»
Gabrielle
annuì, il discorso che le aveva fatto Xena l’aveva rassicurata e parecchio, ma
non poteva dimenticare a chi aveva donato il suo corpo, e a chi stava affidando
il suo cuore. Anche se con lei era gentile e buona, la donna che ora le
sorrideva raggiante era pur sempre l’Imperatrice, il flagello delle
nazioni, e numerosi altri epiteti che non le facevano certo onore. Decise
però che non era il caso di preoccuparsene in quel momento. Voleva godersi
appieno quelle sensazioni, coccolata dal suo caldo abbraccio, senza pensare alle
conseguenze.
Eh sì, mi
sa che Demetrio ha proprio ragione, mi sono proprio innamorata di te, Xena.
«Xena?»
«Mmm?» la
guerriera aveva ripreso ad accarezzare la sua chioma bionda, ed era così
rilassante che stava per appisolarsi nuovamente.
«È bello.»
disse semplicemente, strofinando una guancia sulla spalla dell’altra.
«Cosa?»
«Stare
qui con te. Solo noi due. Mi sento bene.»
Per tutta
risposta sentì la presa attorno le sue spalle farsi più stretta, e le carezze
spostarsi dalla nuca al braccio, in un contatto così delicato da farla fremere.
«Sì, è
meraviglioso.»
Xena la
sentì sorridere contro la sua spalla, e qualche istante più tardi il suo respiro
più pesante le fece intuire che si era addormentata.
«Gab…?»
«Mmm…»
Sorrise,
ben consapevole che la compagna era già tra le braccia di Morfeo.
«Penso che
potrei innamorarmi di te…»
«Anch’io.»
sussurrò, forse non tanto inconsapevolmente, nel sonno.
E così è
questa la felicità…
.
.
Xena fu
svegliata dal leggero bussare.
Aprì di
scatto gli occhi, sorpresa del fatto di essere ancora a letto a poltrire a
quell’ora tarda del mattino, ma una rapida occhiata alla chioma bionda che
spuntava dal lenzuolo la fece sentire pienamente soddisfatta e felice. Per un
po’ i suoi doveri di Conquistatrice del mondo potevano anche aspettare.
Il
fastidioso ticchettio contro la porta però continuava, leggermente più energico
di prima.
La
guerriera valutò la possibilità di ignorare lo scocciatore e restare al fianco
di Gabrielle, ma poi ci ripensò, considerando che per avere il coraggio di
andare a disturbarla nelle sue stanze private doveva necessariamente essere una
cosa della massima urgenza.
Nessuno
oserebbe venire qui senza un valido motivo.
A meno che
non voglia rischiare la sua vita…
.
«Che cosa
c’è?» sbottò, gelando la figura minuta davanti a lei.
Leila
strinse ancora di più le spalle cercando di far diminuire il tremolio che
l’aveva colta appena la figura imponente di Xena aveva fatto la sua comparsa.
«Im..
imperatrice è arrivata questa missiva per voi dal Celeste Impero…»
Un lampo
passò nel suo sguardo ceruleo, e un brivido la percorse quando afferrò il rotolo
di pergamena dalle mani della schiava.
Lao Ma…
«Grazie.
Puoi andare.»
L’altra
fece un leggero inchino e si dileguò.
.
Xena
iniziò a leggere il contenuto della pergamena con aria crucciata.
«Cattive
notizie?»
La voce di
Gabrielle la distolse da quelle parole scritte con quella calligrafia sottile ed
elegante che lei ben conosceva. Alzò lo sguardo e lo posò sulla fanciulla che
seduta la guardava dal letto con l’aria ancora assonnata.
«No.»
disse piattamente. Si sentiva stranamente a disagio in quel momento.
La bionda
aggrottò le sopracciglia non convinta della risposta ricevuta. «No? Allora come
mai quella faccia preoccupata?»
La
guerriera sospirò pesantemente e si sedette sul letto in modo da poter guardare
in quegli occhi di un verde ammaliante.
«È una
richiesta per una trattativa di pace, da parte del Celeste Impero.»
«La pace è
una bella cosa, sai? Che cos’è che ti preoccupa tanto?»
Xena
distolse lo sguardo. Non poteva spiegarle tutto guardandola negli occhi, quello
che ci avrebbe letto dentro la spaventava.
Si sentì
la più miserabile delle persone, e indegna di stare al fianco di una creatura
meravigliosa come Gabrielle.
«È
complicato.» riuscì a dire con un filo di voce.
«Scusa,
non avrei dovuto chiedertelo. Non ne avevo nessun diritto.»
In quel
momento Gabrielle si sentì un’idiota. Per un secondo aveva pensato che Xena
potesse confidarsi con lei, che potesse discutere con lei delle questioni che
riguardavano il suo regno, ma soprattutto che avesse abbastanza fiducia da dirle
perché quella lettera la impensieriva tanto.
.
Guardala,
nemmeno un giorno e già la fai soffrire…
Povera
piccola innocente fanciulla, persa tra le braccia dell’orco cattivo…!
Non sei
fatta per amare, Xena! Né per essere amata!
La farai
soffrire…
… la
deluderai…
… e infine
la ucciderai, portandole via tutto ciò che possiede… la sua luce…!
.
Scacciò
quella voce che subdola strisciava tra i suoi pensieri rendendo tangibili le sue
paure.
No! Io non
la farò soffrire!
Sì invece…
.
Si
riscosse da quella specie di incubo ad occhi aperti e vide gli occhi della
compagna profondamente tristi.
«Invece ne
hai tutto il diritto.»
La
risposta di Xena la sorprese non poco.
«Vedi
Gabrielle è una questione piuttosto delicata, e io voglio parlartene, ma…»
L’altra la
zittì poggiandole due dita sulle labbra.
«Non devi
giustificarti con me. Sappi solo che quando vorrai parlarmene io ci sarò.»
Xena
sorrise contro le sue dita e gliele baciò leggermente, quel lieve contatto ebbe
il potere di farla fremere.
Ma come
hai fatto a sconvolgere la mia vita fino a questo punto?
Ti giuro
Gabrielle, io ti proteggerò sempre… anche da me stessa.
L’attirò a
sé e la baciò profondamente, dimenticandosi dei problemi che in quei giorni
avrebbe dovuto affrontare. Ora tutto quello che esisteva erano le labbra di
Gabrielle e quell’insolito calore che sapevano procurarle.
.
.
.
Continua…
|
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Capitolo 8 *** Cap.8 ***
Cap
Cap. 8
.
.
.
Perdicca
non riusciva a credere ai suoi occhi. Il palazzo imperiale era immensamente più
grande di quanto non si prospettava dall’esterno, con un numero imprecisato di
guardie che si aggiravano tra la folla festante con l’aria truce ed
insofferente. Ma, nonostante la presenza di soldati minacciosi e poco propensi a
festeggiare, l’aria era allegra e spensierata. Quella festa era vista dai
cittadini come una benedizione, un modo per dimenticarsi i problemi e vivere una
serata tranquilla. Attendevano le delfinie ancora più impazientemente dei
baccanali, visto che la celebrazione del dio dell’ebbrezza non era
particolarmente gradita all’imperatrice.
«Come
faremo a trovare Gabrielle in questa calca?»
Erodoto
lanciò una lunga occhiata alla folla come se potesse osservare attraverso di
essa.
Sospirò
frustato. «Non lo so. Probabilmente è segregata in qualche prigione… Dovremmo
provare ad entrare.»
Il più
giovane annuì e si avviò senza avere una meta precisa.
Brancolavano totalmente nel buio, e per di più si trovavano nell’unico luogo in
cui non avrebbero mai voluto essere.
.
Riuscirono
ad entrare senza troppe difficoltà, visto che nessuno era così folle da sfidare
l’imperatrice così apertamente tanto da intrufolarsi nel suo palazzo. Ora
l’unico problema era non farsi trovare da nessuno, e riuscire ad orientarsi in
quel labirinto di corridoi.
«Accidenti!» imprecò Erodoto rendendosi conto che stavano vagando alla cieca. Se
andavano avanti così non l’avrebbero mai trovata, anzi sarebbero sicuramente
morti nell’impresa.
«Da
qualche parte in questo palazzo si trova la mia bambina… ed io non riesco a
trovarla!»
Perdicca
strinse i pugni fino a far diventare la nocche bianche. Si sentiva così
impotente.
Prima che
potesse dire qualunque cosa il rumore di passi che si muovevano veloci si
diffuse attraverso i corridoi silenziosi.
Una
sensazione di gelo opprimente colpì i due uomini in pieno petto, lasciandoli
completamente pietrificati nel terrore. Provare a fuggire da quella persona che
si avvicinava rapidamente a loro era completamente inutile, con ogni probabilità
avrebbero peggiorato la situazione, ma non potevano neppure restare lì inerti ad
attendere un destino peggiore della morte.
È la fine…
Nemmeno il
tempo di rendersi conto di quel macabro pensiero che la misteriosa figura
apparve…
.
.
Gabrielle
correva per i corridoi cercando di non perdersi nuovamente.
Tirò un
impercettibile sospiro di sollievo quando riconobbe una statua posta al lato del
corridoio riuscendosi finalmente ad orientare, ciò nonostante non rallentò la
sua andatura.
Non aveva
un reale motivo per correre, ma voleva raggiungere la biblioteca il più in
fretta possibile.
Aveva
provato a mischiarsi alla folla che aveva invaso i giardini del palazzo, ma si
era sentita stranamente a disagio e triste. La lontananza dalla famiglia le
pesava un po’.
Ma non
quando sono con Xena…
Sorrise
automaticamente. Il solo pensarla la rallegrava immediatamente. Si sentiva
stupida e infantile per questo, ma non poteva farci nulla. E non voleva!
Sono una
bambina, una bambina innamorata…
Anche se
la guerriera era stata un po’ presa dal suo lavoro in quegl’ultimi
giorni, ogni momento libero lo passava con lei, e questo le faceva immensamente
piacere.
Era
felice, semplicemente felice.
Anche se
doveva ammettere che in certe occasioni le dispiaceva essere tenuta fuori dai
suoi pensieri, avrebbe voluto essere un’amica di cui fidarsi e con cui sfogarsi
prima di tutto, ma evidentemente Xena non doveva essere molto d’accordo, visto
che continuava ad estraniarsi nei suoi misteriosi silenzi.
Lei sapeva
che c’era qualcosa che la preoccupava, qualcosa che veniva dal suo passato, ma
non sapeva esattamente cosa… ma era certa che qualunque cosa fosse stata non le
avrebbe fatto tanto piacere.
Era pronta
ad affrontare il peso delle sue scelte e a confrontarsi con il suo oscuro
passato?
Forse non
era ancora pronta per rispondere a quella domanda.
Decise che
ci avrebbe pensato quando si sarebbe posto il problema.
Ora era
quasi arrivata in biblioteca, le serviva una buona lettura per svagare la mente,
ma proprio quando svoltò un angolo la sua marcia fu interrotta da due figure che
fissavano nella sua direzione con sguardo terrorizzato.
.
.
.
«M-ma…
c-che cosa…» riuscì solamente a boccheggiare confusa.
«Gabrielle!» la voce di Perdicca rimbalzò commossa sulle pareti possenti.
Erodoto
corse ad abbracciare la figlia, versando quasi senza rendersene conto lacrime di
gioia.
«Padre…»
la fanciulla ricambiò la stretta del genitore con tutta la forza disponibile,
per poi allargarla anche a Perdicca.
«Oh quanto
mi siete mancati!... Ma che cosa ci fate qui? Come avete fatto ad entrare?»
chiese una volta ripresasi da quella inaspettata riunione di famiglia.
«Come che
cosa ci facciamo qui? Siamo venuti a salvarti!» rispose sicuro il ragazzo.
«Salvarmi?
Oh…»
Gabrielle
abbassò lo sguardo colpita da quelle parole, sentendosi in colpa per non aver
fatto avere notizie di sé alla sua famiglia.
Era
naturale che avessero pensato il peggio e che fossero preoccupati per lei.
«Gabby non
ti preoccupare, ora ce ne andremo via da questo posto.»
«Forse…
forse è meglio andare a parlare da un’altra parte. Potrebbe vedervi qualcuno…»
affermò seria, e senza dare loro il tempo di fare nulla si avviò a passo spedito
verso la sua meta originale.
I due
uomini si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non dissero nulla, in fondo
aveva ragione lei, non era sicuro restare a parlare lì.
.
Erodoto
lanciò un’occhiata circolare alla stanza dove sua figlia li aveva condotti,
sorrise vedendo i numerosi rotoli di pergamena riposti sugli scaffali pregiati.
Proprio la stanza adatta a Gabrielle!
«Allora,
volete spiegarmi che intenzioni avete?»
Perdicca
si avvicinò ad un divanetto e si accomodò teso fino allo spasmo. «Non c’è nulla
da spiegare. Siamo venuti per riportarti a casa, e penso anche che dovremmo
sbrigarci se non vogliamo che qualcuno ci scopra.»
«Non avete
idea di cosa state dicendo.» sussurrò abbassando lo sguardo.
«Perché?
Non vuoi tornare? Che cosa ti ha fatto quel mostro?» tuonò Erodoto inferocito
con quella che avrebbe dovuto essere la sua regina.
«No, a me
piacerebbe tornare… mi mancate veramente tantissimo, ma… è complicato.»
«Tesoro,
lo sappiamo che sei prigioniera di quell’essere spregevole, è proprio per questo
che…»
La voce
nervosa di Gabrielle lo interruppe.
«Ora
basta! Voi non sapete un bel niente, non la conoscete nemmeno eppure vi
permettete di giudicarla!»
Perdicca
si accigliò. «Ma che cosa stai dicendo?! È della distruttrice delle nazioni che
stiamo parlando! E del fatto che ti tiene prigioniera!»
«Xena non
è così!»
Non
sopportava che qualcuno giudicasse la persona che aveva scoperto di amare così
leggermente.
«Xena?
Gabrielle, ma che cosa sta succedendo?»
Erodoto
aveva visto uno strano luccichio nello sguardo verde di sua figlia, e sapeva che
non avrebbe portato a nulla di buono.
Gabrielle
aveva iniziato a torturarsi le mani, osservando le decorazioni del tappeto che
stava calpestando e sperando di riuscire a trovare le parole per spiegare tutta
quella situazione.
.
Avanti
Gabrielle, pensa! Pensa!
Allora qui
ci vuole calma e diplomazia, e una buona dose di parole in libertà.
In fondo
se non puoi convincerli, confondili!
Mio padre
mi ucciderà, e a Perdicca verrà un colpo!
Per gli
dèi in che guai sono finita!
.
«Allora?»
provò a spronarla dolcemente il suo promesso.
«Vedete la
situazione è un po’ più complessa di quanto pensiate…»
«Complessa? Spiegati, per Giove!»
Erodoto
non era mai stato un uomo paziente, e Gabrielle riusciva sempre a portarlo al
limite, ma adesso stava esagerando. E stava facendo perdere minuti preziosi alla
loro fuga.
Ma
Gabrielle non ebbe il tempo di dire nulla perché le porte della sala si
spalancarono con un tonfo sordo.
.
.
.
Xena
continuava a fissare la pergamena, senza però guardarla realmente. Il suo
sguardo era perso in ricordi lontani e dolorosi.
Lao Ma…
Quanto
doveva a quella donna? Forse molto più di quello che credeva.
Il suo
mentore, la sua guida, la sua amica…
L’unica
che ha veramente cercato di capirmi e di aiutarmi…
Ma le
lusinghe del dio della guerra erano state molto più convincenti, rispetto a
quelle della sovrana del Celeste Impero, e cedere era stato estremamente facile.
Ancora
troppo avida e arida dentro per riuscire a comprendere fino in fondo il suo
messaggio.
Ma ora,
ora c’era lei e un piccolo spiraglio si era aperto, e finalmente poteva
sentire il calore che penetrava da esso.
Eppure
nonostante questo aveva ordinato ai suoi generali di tenere pronte le legioni
per la partenza. Perché lei sarebbe stata per sempre il flagello dei popoli, e
anche se non era intenzionata ad attaccare Lao Ma e il suo regno, non poteva
certo mostrarsi debole.
E
Gabrielle volente o nolente era una debolezza. La sua unica debolezza.
Se
qualcuno avesse scoperto i sentimenti che provava per la giovane prigioniera ne
avrebbe certamente approfittato, specialmente nel periodo del viaggio in Cina,
dove non avrebbe potuto proteggerla personalmente. Portarla con sé sarebbe stato
ugualmente troppo pericoloso.
E l’ultima
cosa che voleva era metterla in pericolo.
Ma al
tempo stesso Gabrielle era la sua forza, e il solo pensiero di separarsi da lei
le provocava delle fitte al cuore che le mozzavano il respiro.
.
Lasciala
andare…
Lei non è
adatta a questa vita. Le farai solo del male!
.
Xena
scosse violentemente la testa per scacciare quella vocina insolente che in
quegli ultimi giorni non voleva proprio abbandonarla. La stava facendo
impazzire.
«Im-imperatrice…»
La voce
insicura di Leila la ridestò dai suoi pensieri.
«Cosa
c’è?» sbottò brusca, facendo indietreggiare la giovane schiava di un passo.
«Volevo
solo avvertirvi che Gabrielle è in biblioteca… con degli uomini.»
Un
sopracciglio sottile si sollevò, mentre una strana rabbia opprimente mista a
tristezza iniziava a scalpitare nel suo petto.
«Uomini?»
chiese provando a simulare una voce disinteressata.
«Sì. Non
mi sembra di averli mai visti a palazzo.» aggiunse, era molto soddisfatta della
reazione della guerriera, ma si guardò bene dal mostrarlo.
Si alzò di
scatto e si avviò a passo spedito lungo il corridoi quasi travolgendo Leila,
dimenticandosi completamente della sua presenza.
Ora tutto
quello che voleva era arrivare in biblioteca e chiedere spiegazioni a Gabrielle,
non prima di aver dato una bella lezione a quegli sciocchi che avevano osato
avvicinarsi di più di dieci passi alla sua Gabrielle.
Schioccò
le dita e immediatamente i due uomini posti ai lati della porta la seguirono.
.
.
Perdicca
ed Erodoto sbiancarono di colpo appena la figura maestosa e sicuramente furiosa
comparve con alle spalle due soldati che subito li circondarono con le spade
sguainate.
Xena si
avvicinò a Gabrielle che la fissava con uno sguardo dispiaciuto che le fece
mancare un battito.
«Che cosa
sta succedendo qui?» chiese con voce tagliente.
La bionda
deglutì a vuoto più volte. La situazione era decisamente precipitata. «Io…»
Fu
interrotta da due dita che si posarono sulle sue labbra. «Mi spiegherai dopo.
Portateli via!»
«Cosa? No,
aspetta. C’è un equivoco…»
«Ho detto
che mi spiegherai dopo!»
Xena la
fulminò con lo sguardo e Gabrielle capì che per il momento era meglio tacere,
non voleva rischiare di peggiorare le cose facendola innervosire ancora di più.
I due
uomini lanciarono un ultimo sguardo alla fanciulla e si lasciarono trascinare
via senza emettere un solo fiato, troppo spaventati e confusi.
.
.
«Allora?»
Al sicuro
da occhi e orecchie indiscrete nelle sue stanze Xena tentava di far parlare
Gabrielle, che si era chiusa in un mutismo pesante ed estremamente irritante da
quando aveva dato l’ordine di portare quei due sconosciuti nelle segrete. La
fanciulla si ostinava a fissare il pavimento in piedi davanti a lei, non osando
muovere un solo muscolo, con lo sguardo scurito da una stana rabbia mista a
timore.
Quando si
decise a parlare la sua voce uscì stentata e balbettante. «Quegli uomini… sono
mio padre e un mio amico d’infanzia. Erano preoccupati per me, e così hanno
pensato di farmi… evadere…»
«Evadere?»
era sinceramente confusa, e la cosa che più le era poco chiara era l’imbarazzo
di Gabrielle.
L’altra
annuì appena e sollevò il suo sguardo verde scintillante fino ad incontrare
quello cristallino della guerriera.
Per un
secondo dimenticò quello che stava dicendo, abbandonandosi completamente in quel
mare profondissimo e misterioso, del quale, ormai ne era certa, non poteva più
fare a meno.
Scosse la
testa per allontanare quel piacevole torpore e continuò.
«Sai Xena,
non è che tu sia conosciuta come la persona più cordiale del mondo…» Xena
arricciò le labbra infastidita, ma Gabrielle non le badò. «Loro non potevano
sapere che… cioè… sì insomma, che noi…»
Gabrielle
si odiò. Ma possibile che ancora non riusciva a dirlo?
Devo solo
dire che mi sono completamente, perdutamente, innamorata di lei…
Oh dèi!
Xena rise,
stranamente, e la sua risata coinvolse anche Gabrielle che accennò un sorriso
luminoso e pieno d’imbarazzo.
«Sei
proprio incredibile… Dai, vieni qui.»
Le tese
una mano che venne prontamente afferrata dalla fanciulla.
Gabrielle
si accoccolò sul divanetto accanto a Xena. La testa poggiata mollemente sulle
sue spalle, mentre la guerriera le carezzava delicatamente i capelli che
scivolavano morbidi e setosi tra le sue dita rese ruvide dalle battaglie, e il
braccio, in un movimento che fece rilassare entrambe.
.
Era così
naturalmente appagante stare abbracciate così.
Senza
maschere. Quando erano insieme potevano mostrare il loro vero volto, consapevoli
entrambe di essere al sicuro.
Xena
adorava quei momenti, quando il silenzio è rotto solo dal loro respiro regolare,
o ancora leggermente affannoso, dipende dai casi, e poteva sentire il battito di
Gabrielle sotto le dita che la sfioravano leggermente, come per accertarsi che
quel corpo morbido premuto contro il suo fosse reale e non uno di quei sogni in
cui si perdeva sempre più spesso.
Inutile
dire che mai con nessuno si era comportata in modo così affettuoso e sdolcinato,
tanto che lei stessa se ne sorprendeva, ma ormai era chiaro anche a lei che per
Gabrielle avrebbe fatto qualunque cosa. Provava per lei sentimenti che andavano
oltre il mero piacere fisico, e quindi doveva avere di più.
Le sue
attenzioni, il suo rispetto, il suo corpo compreso di cuore pulsante, ma
soprattutto doveva avere il suo amore. Sempre.
Sei il mio
sempre, Gabrielle.
.
Ti
tradirà… e ti ucciderà.
No…!
Lo farà,
così come hanno fatto tutti… come ha fatto Cesare…
No! Lei
non lo farà!
Ti userà
solo per i suoi scopi. Lei non prova niente per te, nessuno può provare qualcosa
per un essere senza cuore…
NO!
Stare
insieme porterà solo alla tua rovina… soffrirete entrambe!
No, io non
lo permetterò!
Non puoi
farci niente. È il tuo destino…
.
.
.
«Li
lascerai andare?»
La voce di
Gabrielle la distolse dai suoi pensieri facendola sussultare.
Ma che
cosa mi sta succedendo?
«Sì, penso
proprio che lo farò.» borbottò in risposta, non troppo convinta. «Ma farò in
modo che nessuno lo sappia.»
«Non vuoi
proprio far vedere agli altri la persona meravigliosa che sei?» mormorò la
bionda cercando di scrutarle il viso nel disperato tentativo di capire che cosa
pensasse.
Xena
storse la bocca. «Non posso mostrarmi debole. Se libero loro dovrò concedere la
stessa grazia a tutti, e non posso permettere che gli altri pensino che mi stia
ammorbidendo fino a questo punto.»
«Allora ti
sto ammorbidendo?» soffiò divertita, baciandole lievemente il collo.
La
guerriera gemette piano, ma si riprese quasi subito. «Non mi stai ammorbidendo…»
Le sue
parole erano così spudoratamente false che non poté sperare neppure per un
secondo che Gabrielle ci cascasse. Ed infatti la sentì sorridere contro la sua
pelle, per poi riprendere a torturare un punto sensibile dietro l’orecchio.
«Questo è
tutto da vedere mia regina…»
Xena
gemette nuovamente, più forte, facendo capire a Gabrielle di aver vinto quella
piccola battaglia verbale.
«Sei una
peste…» soffiò piano la guerriera attirandola verso le sue labbra impazienti.
.
.
.
Un
crepitio e uno scintillio azzurrognolo annunciarono la comparsa del dio della
guerra in quella fetida e umida caverna.
Ares
arricciò il naso disgustato da quel posto. Lui, il grande dio della guerra,
costretto ad abbassarsi a simili nefandezze per colpa di una puttanella che
giocava a fare la brava samaritana!
Ma per lei
ne vale la pena…
Cercò con
lo sguardo la persona che era venuto a trovare, trovandola accucciata in un
angolo intenta a fissare la lama lucida di un pugnale.
«Come mai
non hai ancora fatto nulla?»
Callisto
non sollevò neppure lo sguardo troppo concentrata sull’arma. «Non è ancora
tempo.»
«Presto
Xena partirà per il Celeste Impero per stringere un patto di alleanza con Lao
Ma, se devi agire devi farlo subito! Altrimenti io…»
«Tu cosa?»
sollevò lo sguardo fissando quello del dio scurito dall’ira. «Hai coinvolto le
parche. Perchè?»
Ares
sbuffò infastidito da tutta quella curiosità, del tutto fuori luogo in quel
momento.
«La
questione non ti riguarda.»
La donna
si sollevò in tutta la sua fiera altezza, un sorriso le incorniciò le labbra
sottili. «Ti stai giocando tutte le tue carte… vuoi che Xena allontani
spontaneamente la sua nuova amante per poi farla uccidere da me. Ma in questo
modo non soffrirà come io vorrei che soffrisse.»
«Hai
ragione… soffrirà molto di più. I sensi di colpa per non essere riuscita a
proteggerla la faranno impazzire di dolore, e a quel punto ritornerà la mia
guerriera sanguinaria!»
«Ma che
essere spregevole…» mormorò divertita e compiaciuta dal piano del dio iniziando
ad accarezzargli il torace scolpito. «Vuoi giocare con i suoi sensi di colpa,
con i suoi sentimenti più umani ritorcendoglieli contro fino a stapparle
l’anima!»
Ares
sorrise compiaciuto sentendo il fiato caldo e umido della guerriera a pochi
centimetri dalla sua pelle, e le sue dita sottili che disegnavano arabeschi
immaginari e contorti.
Contorti…
proprio come lei…
.
.
.
Continua…
|
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Capitolo 9 *** Cap.9 ***
Cap
Cap.9
.
.
.
Una figura
incappucciata camminava barcollante lungo i corridoi umidi delle prigioni.
Gemiti di dolore facevano da sottofondo ai suoi passi lenti e incerti. Aveva
paura, un senso di disagio sempre crescente si era fatto largo tra i suoi
pensieri facendole vedere cose che il suo sguardo innamorato fino a quel momento
non era riuscito a cogliere.
«Manca
ancora molto?»
L’uomo che
camminava davanti a lei non si voltò nemmeno. «No, ci siamo quasi.»
«Bene.»
«Perché
sei voluta scendere quaggiù?» chiese più per distrarla che per la voglia di
intavolare una conversazione.
«Volevo
vedere con i miei occhi se le leggende che si raccontano in giro sono vere.»
«E…?»
«Lo sono.»
la sua voce sibilò bassa e tagliente, facendolo rabbrividire.
Era
delusa, delusa e furiosa, e l’uomo non doveva nemmeno sforzarsi troppo per
capirne il motivo.
«Gabrielle, ma questo lo sapevi già.»
«Questa
non è una giustificazione! Guarda questo posto Demetrio! Sono gl’Inferi sulla
terra! Ma come fate a vivere sapendo di essere gli artefici di certe atrocità?!»
L’uomo
sospirò pesantemente, avevano già affrontato quell’argomento, ed era certo che
lei ne avesse parlato anche con l’Imperatrice.
«Eppure
questo non ti ha impedito di innamorarti di lei…» appena pronunciate queste
parole si maledisse per il tono patetico che aveva usato.
«Quella
non è una cosa che è dipesa dalla mia volontà! È successo e basta.»
Demetrio
si voltò per guardarla negli occhi, e per tentare di capire che cosa le passasse
per la testa. «Vuoi dire che se fosse stata una cosa che avresti potuto
controllare non ti saresti mai innamorata di lei?»
«No… Si!
Oh, ma che razza di domande fai!?»
«È una
domanda lecita.»
«È stupida
invece. Non puoi decidere chi amare, succede e basta!» affermò seria e decisa.
Non voleva che il soldato pensasse che i sentimenti che provava fossero falsi.
L’uomo
abbassò la testa sconfitto da quel verde scintillante. «Lo so…» riuscì a
sussurrare. Ma Gabrielle non lo udì.
.
Erano
arrivati vicino ad una cella isolata rispetto alle altre, lì i lamenti non
arrivavano tanto forti, ma l’umidità era tanta da penetrare nelle ossa,
procurando un acuto senso di gelo che arrivava fino alla profondità dell’anima.
Riuscì a distinguere le figure conosciute di Erodoto e Perdicca, che sedute su
di un mucchietto di paglia fetida fissavano le pareti di pietra con sguardo
vacuo.
«Padre,
Perdicca… sono io.» sussurrò scoprendo il volto.
«Gabrielle!» i due uomini scattarono in piedi e si avvicinarono alle sbarre.
«Ma che
cosa ci fai qui?» provò ad indagare suo padre, nella voce si poteva sentire
tutta la sua apprensione.
La ragazza
scosse la testa facendo ondeggiare i suoi capelli biondi, in contrasto quasi
osceno con l’oscurità di quel luogo, scacciando quelle lacrime che sempre più
violentemente le pungevano agli angoli degli occhi.
«Volevo
vedere come stavate. Ero preoccupata.»
Erodoto si
fece più vicino alle sbarre nel vano tentativo di trarre un po’ di calore dallo
sguardo della figlia. Sguardo che non riusciva più a riconoscere.
«Gabrielle, ma che cosa sta succedendo?»
«È… è
complicato…» non sapeva proprio cos’altro dire. Come spiegare quella situazione
così assurda, ma che lei sentiva così giusta?
«Questo
l’hai già detto!» sbottò irritato. «Adesso, di grazia, vorresti spiegarmi
perché è complicato?»
Gabrielle
abbassò lo sguardo incapace di mentire a suo padre su una così importante, ma al
tempo stesso impossibilitata a dirgli la verità.
«Non
posso…» soffiò infine, e in quella semplice frase che non aveva alcun
significato ritrovò l’unica verità che fosse disposta ad elargire.
Troppe
complicazioni.
In primis
la condizione di Imperatrice di Xena, e la sua fama di distruttrice dei popoli.
Per finire poi con la sua codardia, fattore decisivo in quell’insignificante
scambio di battute.
Perdicca
stava per prendere parte a quel discorso quando la voce dura del soldato
l’anticipò.
«Gab,
dobbiamo andare. Lo sai che non possiamo stare qui, se dovesse scoprirci…»
«Cosa?» si
voltò con uno sguardo che non prometteva niente di buono, uno sguardo audace e
combattivo che lui aveva imparato a conoscere fin dal loro primo incontro.
«Mi
rinchiuderà in una cella umida e getterà via la chiave? Mi farà frustare per la
mia mancanza di rispetto?»
L’uomo
sbuffò. Entrambi sapevano che Xena non avrebbe mai osato fare nulla del genere
alla sua Gabrielle, ma a lui poteva andare certamente peggio.
«Ti stai
comportando come una bambina.»
Abbassò lo
sguardo colpita dalle parole dell’uomo. Non sapeva nemmeno lei perché aveva
reagito in quel modo, si sentiva estremamente confusa, e non riusciva a pensare
con lucidità a quello che stava succedendo.
Aveva la
sensazione che qualcosa non andasse nel verso giusto, come se qualcuno stesse
giocando con le loro vite in modo maldestro e crudele. E non si trattava
certamente di Xena. Anzi, i sentimenti che provava per lei erano l’unica cosa
reale e che avesse senso in tutto questo.
«Hai
ragione, scusa.»
Fissò per
un ultimo instante suo padre e Perdicca e un leggero sorriso le increspò le
labbra. «Ci rivedremo molto presto. Andiamo.» concluse infine calandosi
nuovamente il cappuccio del mantello sul viso e sparendo nel corridoio scuro.
.
.
.
Se c’era
una cosa che odiava era l’indecisione. E lei non era mai indecisa.
Si fidava
ciecamente del suo istinto che fino a quel momento non l’aveva mai tradita,
eppure quella volta non poteva affidarsi ad esso senza prima valutare
attentamente tutte le conseguenze che quella decisione avrebbe comportato.
La
situazione le stava decisamente sfuggendo di mano, ingarbugliandosi più di
quanto potesse mai pensare.
C’era
qualche cosa che non andava. Non poteva trattarsi tutto di un caso.
Avvertiva
uno strano senso di vuoto e di estraneità che si stava acuendo sempre di più,
come se una belva addormentata nel profondo del suo animo si stesse lentamente
risvegliando, lacerandola con i suoi artigli affilati.
E il perno
di tutto era… Gabrielle…
Tutto
nasceva dal suo arrivo a palazzo, eppure lei era l’unica cosa che avesse senso
in quel momento. L’unica cosa giusta della sua vita.
Ed ecco
che sorgeva il problema.
Lasciarla
andare oppure tenerla con sé esponendola a mille pericoli?
Avrebbe
potuto farla tornare a casa con i suoi parenti e fare in modo che potesse avere
una vita felice e spensierata, crearsi una famiglia normale, una di quelle che
tutte le fanciulle sognano e che lei, volente o nolente, non avrebbe mai potuto
darle.
Eppure la
sua parte egoistica non voleva lasciarla andare, voleva tenerla al suo fianco
nonostante i rischi a cui avrebbe esposto sé stessa e lei.
Sapeva
bene quale sarebbe stata la cosa più giusta e saggia da fare, ma proprio non
poteva.
Lei è
tutto ciò che conta.
.
Uscì sul
balconcino che si trovava nella stanza e osservò la città brulicante di vita che
si stagliava ai suoi piedi.
Nei suoi
occhi cerulei vi si poteva leggere tutta la sua indecisione.
.
I
sentimenti sono per i deboli. Lei ti rende debole.
Lasciala
andare, liberati di lei. Solo così potrai tornare la Xena forte di un tempo e
riuscire ad affrontare Lao Ma!
.
No!
.
Xena
scosse la testa per scacciare quella vocina fastidiosa.
Non era
rara in quel periodo una cosa del genere.
Stava
impazzendo, sentiva le voci e aveva pure dei… flash…
.
.
Si riveste
con gesti meccanici, provando ad escludere quelle voci fastidiose che la
circondano. Fortunatamente sono andati via quasi tutti, dopo averla ringraziata
e garbatamente chiesto di lasciare al più presto il loro villaggio. Tutti tranne
lei. La ragazzina bionda che aveva provato da sola a fermare quel manipolo di
guerrieri.
Lei…
“Devi
portarmi con te e insegnarmi tutto quello che sai. Non puoi lasciarmi qui.”
Lo sguardo
muschio deciso e speranzoso.
“Perchè?”
“Hai visto l'uomo che vogliono che io sposi?”
“Sembra di animo gentile... qualità rara in un uomo.”
Inizia a
sistemare le cose nella sua bisaccia dandole le spalle, incurante del suo
discorso.
“Non è con il suo lato gentile che ho problemi. E' con il lato noioso e stupido.
Xena, non sono fatta per la vita di questo villaggio. Io sono nata per fare
molto di più!”
.
Io sono
nata per fare molto di più… molto di più!
.
.
Xena
spalancò gli occhi ansimando. Si sentiva come se qualcuno l’avesse colpita
inaspettatamente in pieno petto.
Ma che
cosa significano questi sogni? Che cosa sta succedendo?
.
.
Gabrielle
era appena entrata nelle stanze private di Xena. Era tormentata da mille
pensieri e nessuno di questi era allegro.
Trovò Xena
sul balcone che la osservava con uno strano sguardo.
«Ciao.»
mormorò stendendosi sul letto con un sospiro stanco.
«Ciao.»
rispose la guerriera con il suo stesso tono mesto. «Ti sei divertita con
Demetrio?» proprio non riuscì a nascondere la vena di gelosia nella sua voce.
«No. Ma
immagino che non debba sforzarmi molto per inventare una scusa su dove siamo
stati e su cosa abbiamo fatto.»
«Infatti.
So già tutto. Perché sei voluta andare nelle prigioni?»
Gabrielle
si sollevò per guardarla diritta negli occhi con uno sguardo furioso che l‘altra
non aveva mai visto.
«Volevo
sapere se le leggende erano vere.»
Xena annuì
comprendendo perfettamente che il motivo era un altro, ma non biasimava
Gabrielle per quello, in fondo era più che naturale che si interessasse della
salute dei suoi cari.
«Come hai
potuto?!» continuò rabbiosa dopo qualche attimo di silenzio.
Xena
sollevò un sopracciglio perplessa da quello scatto d’ira. «Ti ho già detto di
non preoccuparti, libererò i tuoi…»
«Non sto
parlando di loro! Parlo di tutta la povera gente che muore di stenti in quel
luogo orribile, senza avere nemmeno una vera colpa da scontare! Come puoi
lasciarli lì a soffrire, Xena? come puoi permettere che vengano compiute certe
atrocità senza fare nulla?!»
Si era
alzata fronteggiando la guerriera con un impeto che non pensava di avere.
«Gabrielle… Io sono così. Sono l’Imperatrice. Che ti piaccia oppure no. È questo
quello che sono!»
Xena provò
a mantenere il tono freddo, ma davanti allo sguardo fiammeggiante di quella
donna non poteva non crollare come un misero castello di sabbia.
«Non è
vero! Tu non sei così, tu sei… diversa. C’è del buono nel tuo animo, io l’ho
visto.»
«No, sei
tu che hai voluto vederlo. In me non c’è niente.» e questa volta il tono era
veramente rassegnato.
«Xena…»
«Gabrielle, tu sei così ingenua. Sei troppo buona per poter stare con me. Forse
dovresti… forse dovresti andare via con la tua famiglia.»
Ecco
l’aveva detto. Per una volta aveva fatto vincere il suo lato generoso e avrebbe
liberato quella fanciulla dalle sue catene. E ora si ritrovava con uno squarcio
nel petto che pulsava violento e doloroso, mentre gli occhi di Gabrielle si
riempivano di lacrime.
«Cosa?
Xena che cosa stai dicendo?»
«Penso che
dovresti partire con la tua famiglia.»
Dura e
fredda, come la lama di un coltello che trafigge il piccolo cuore biondo.
«No… Tu
non stai parlando sul serio.»
«Sì
invece. È giusto così.»
«E tutti
quei discorsi sull’essere speciale, che non era solo sesso con una schiava che
fine hanno fatto?!»
Xena lottò
contro la voglia di abbracciarla e baciarla chiedendole scusa e ripetendole che
l’amava fino a quando non avrebbe avuto più fiato, e mantenne lo sguardo fermo e
deciso.
«Per
questo voglio che tu vada via. Tu sei speciale, e io voglio che tu sia libera.»
«Ma io non
voglio! Xena, io voglio stare con te! Io ti amo…» la voce si abbassò di qualche
ottava, imbarazzata, all’ultima parola.
.
Anche io…
ti amo così tanto!
.
«Mi
dispiace Gabrielle, ma io sono l’Imperatrice e non posso distrarmi con queste
sciocchezze. Sarà meglio per tutti se te ne andrai.»
Gabrielle
ormai non controllava più le lacrime. «Allora dimmelo, dimmi che non mi ami,
dimmi che con me hai solo giocato. Avanti Xena, dillo!»
Un colpo
al suo cuore corazzato di ghiaccio.
«Io non ti
amo.»
Bugiarda…
«Bugiarda.» sussurrò Gabrielle più a sé stessa che a Xena.
La
guerriera incassò stoicamente il colpo e tacque. Non avrebbe potuto dire più
nemmeno una parola senza crollare.
Gabrielle
fece un profondo respiro e si asciugò il viso con il dorso della mano. Non
voleva farsi vedere da Xena devastata dal dolore che provava in quel momento.
Aveva ancora un orgoglio da difendere.
Avrò tutta
la vita per piangere.
«Bene,
allora addio imperatrice.» disse facendo un profondo e rispettoso
inchino. Poi si voltò scappando quasi da quelle stanze.
«Addio,
amore mio.» mormorò l’Imperatrice in un singulto impercettibile mentre una
lacrima solitaria le scavava il bel volto.
.
.
.
.
Il trotto
leggero del cavallo accompagnava i suoi pensieri durante quel viaggio di
ritorno.
Solo
qualche giorno prima, Gabrielle non avrebbe scommesso nemmeno una moneta su
quella possibilità.
E avrebbe
perso.
Non
avrebbe mai creduto che avrebbe rivisto quei sentieri che ora la stavano
conducendo verso la sua vera prigione.
Demetrio
aveva procurato loro un piccolo carro e un cavallo che li avrebbero attesi
appena sbarcati. Era riuscito a organizzare tutto alla perfezione, aiutato dal
favore delle tenebre, che adesso si andavano a diluire con il chiarore
dell’alba.
Gabrielle
sentiva un senso di vuoto crescente man mano che si allontanavano dalla
Capitale, incapace di credere a tutto quello che in quel breve lasso di tempo le
era successo.
E non si
riferiva certo al rapimento. Si era innamorata, e ora il suo cuore era
semplicemente a pezzi, distrutto da uno sguardo glaciale.
Con gli
occhi gonfi di lacrime che non voleva versare, fissava il nulla davanti a lei,
mentre i ricordi della sua breve avventura la tormentavano.
Suo padre
le lanciava ogni tanto qualche occhiata preoccupata, maledicendo ogni secondo la
sua incapacità di instaurare un dialogo con la figlia.
Che cosa
poteva esserle successo di tanto terribile in quel palazzo da ridurre una
ragazza vitale come Gabrielle in quello stato? Non che essere rapite dal
flagello delle nazioni fosse cosa da poco, ma Erodoto avrebbe scommesso
qualunque cosa che c’era dell’altro. Qualcosa che non avrebbe mai potuto
immaginare.
Qualcosa
che la stava lacerando nel profondo.
D’altro
canto anche Perdicca non se la cavava meglio. Non sapeva cosa dire, e neppure
come comportarsi con la sua futura moglie, eppure non avrebbe mai permesso che
Gabrielle continuasse con il suo mutismo disperato.
Voleva
sapere. Doveva sapere!
Aveva
assistito al saluto tra Gabrielle e quel soldato senza dire una parola,
lasciando che la gelosia lo torturasse mentre le braccia esili della fanciulla
si aggrappavano alle spalle muscolose dell’uomo con un impeto che non avrebbe
mai immaginato.
.
«Grazie.»
la voce rotta di Gabrielle trafisse Demetrio.
Avrebbe
voluto dirle di non partire, di restare con lui, avrebbe voluto dirle tante cose
ma non ne aveva il diritto. Non lo aveva mai avuto, specialmente ora che la
sapeva così profondamente innamorata.
Respirò a
fondo l’odore fresco dei suoi capelli. «Figurati, è stato un piacere rapirti.»
L’unica
cosa che Gabrielle poté fare senza scoppiare a piangere fu annuire, eppure una
lacrima le scivolò traditrice sul viso.
Demetrio
non fece commenti, si limitò ad asciugarle la guancia con la punta delle dita,
per poi separarsi dall’abbraccio salutandola definitivamente con un mezzo
sorriso rassicurante.
Il sorriso
di un amico…
.
E Perdicca
era rimasto immobile vicino al carro controllato da due soldati dall’aspetto
minaccioso, insieme ad Erodoto che aveva assistito alla scena con lo stesso
sguardo pensieroso e crucciato.
Perché
Gabrielle era così triste nel lasciare quel luogo tremendo?
.
«Gabby,
senti… io…» deglutì cercando di trovare qualcosa di giusto da dire.
«Ti
dispiacerebbe spiegarci che cosa è successo stanotte?» intervenne Erodoto
impaziente.
Era meglio
risolvere la questione prima di arrivare a Potidea.
«Vi hanno
liberati.» mormorò piatta Gabrielle senza neppure alzare lo sguardo.
«Sì,
questo l’avevamo capito. Ma perché? Non riesco a capire! E poi che cos’era tutta
quella confidenza con quel soldato!» forse si era lasciato prendere troppo dal
suo lato possessivo.
«Non c’è
nulla da capire. E Demetrio è un mio amico!» rispose infastidita dal tono del
suo presunto fidanzato.
A quel
punto nulla poté fermare la furia del ragazzo, che ribolliva da ore pronta ad
esplodere in una sfuriata. «Un tuo amico?! Gabrielle, per gli dèi, quello è il
tuo rapitore! Ma ti rendi conto di quello che dici?! Che cosa ti hanno fatto?!
Rispondi, maledizione!»
La
risposta acida e seccata che la ragazza stava per dare non ebbe il tempo di
lasciare le sue labbra, poiché si ritrovò sbalzata in avanti a causa di una
brusca frenata del carro.
«Ma cosa…»
la voce di Erodoto sfumò lentamente quando gli occhi smeraldini di Gabrielle si
posarono sull’ostacolo che aveva provocato la frenata.
Un brivido
di paura le corse lungo la schiena, mentre nella sua mente un serie di immagini
caotiche sfrecciavano ad una velocità assurda, tanto da non riuscirne ad
identificarne neanche una.
.
L’armatura
di cuoio nero leggero e la spada mollemente appoggiata al suo fianco destro le
davano un’aria misteriosa e noncurante che sicuramente non rassicurava. Ma la
cosa che colpiva di più in quella figura minuta era lo sguardo, perfettamente
soddisfatto, di chi ha appena trovato un enorme tesoro, e che lasciava
chiaramente intravedere tutta la follia che quella donna incarnava.
Gabrielle
deglutì più volte, cercando di liberarsi di quella soffocante sensazione di odio
che quella donna le ispirava senza un apparente motivo. Inutile, più la guardava
e più la sensazione di conoscerla si faceva forte. E questo non le lasciava
presagire nulla di buono.
«Mi
dispiace interrompere il tuo viaggio, ma credo che dovremmo passare un po’ di
tempo insieme.» gli occhi castani si fissarono in quelli di Gabrielle. Si stava
rivolgendo solo a lei, ma questo l’aveva intuito da prima che parlasse.
«Chi sei?»
Callisto
scosse la testa. «Mi dispiace tesoro, ma a me non piacciono le chiacchiere.»
Gabrielle
sgranò gli occhi sconvolta, ma preferì tacere.
«Ora se
volete seguirmi con le buone eviterò di farvi più male di quanto sia
necessario.»
Per un
attimo sperò che facessero resistenza, che quei folli decidessero di combattere
forti della superiorità numerica. Quanto le sarebbe piaciuto ucciderli, e quanto
sarebbe stato facile, ma aveva un piano e voleva seguirlo alla lettera.
Ci sarebbe
stato tanto tempo per divertirsi con loro….
Un sorriso
sinistro le deformò le labbra, e Gabrielle, per la prima volta da quando era
stata rapita, ebbe veramente paura.
.
.
.
Continua…
Note:
Con un po’ (tantissimo) di
ritardo è arrivato anche il nono capitolo. Chiedo scusa per quest’attesa
disumana, ma vedrò di fare il possibile per riuscire ad aggiornare con più
regolarità!
.
Come al solito ringrazio
Eylis per la gentilezza, pazienza e bravura con cui mi corregge i capitoli!^^
E un grazie enorme anche a
chi legge e recensisce la storia!
.
A presto!
.
P.s.
Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti!!! ^_^
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