The Bitter Suite

di RedDragon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***
Capitolo 8: *** Cap.8 ***
Capitolo 9: *** Cap.9 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


The Bitter Suite

The Bitter Suite: finale alternativo.

E se Xena avesse davvero ucciso Gabrielle…?

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Desclaimer:

I personaggi presenti nella storia si basano su quelli della serie televisiva di Xena: The Warrior Princess, e sono di proprietà della MCA/Universal Renassiance Pictures, del quale non intendo infrangere nessun copyright.

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Nota1:

Prima di lasciarvi alla lettura di questo primo capitoli mi sembra doverosa una breve nota introduttiva.

Questa fan fiction nasce dall’idea che Xena abbia realmente ucciso Gabrielle nell’episodio The Bitter Suite (Xena e la ruota del fato, terza stagione), e non un’illusione come ci veniva mostrato nel telefilm (grazie a Dio!).

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Inserisco un breve riassunto dell’episodio in questione:

Solan, l’amato figlio di Xena cresciuto dai centauri, viene ucciso da Hope, la figlia demoniaca di Gabrielle che Xena credeva morta ad opera della sua stessa madre.

La guerriera accecata dal dolore per la morte del figlio e per il tradimento di Gabrielle, vuole vendicarsi e così si reca al villaggio amazzone dove il bardo ha trovato rifugio (e dove viene schiacciata dai sensi di colpa per aver mentito a Xena), rapendola e trascinandola alla sommità di un dirupo con l’intenzione di gettarla di sotto. Ma Gabrielle riesce a trascinare con se anche Xena.

Le due donne si risvegliano in un luogo stranissimo, dove si troveranno faccia a faccia con tutti i loro demoni. Illusia…

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Nota2:

In questa storia si parlerà esplicitamente di amore saffico tra le protagoniste, essendo io fermamente convinta che Xena e Gabrielle siano una coppia nel senso più completo del termine.

Se la cosa vi disturba non proseguite con la lettura.

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Ringrazio il forum italiano di Xena: Warrior Princess per avermi dato questa ispirazione.

E Margherita che l’ha letta in anteprima e mi ha aiutato a migliorarla! (grazie infinite!)

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Detto questo vi auguro (spero^^) buona lettura!

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Cap.1

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Your villainous infamy

Tortures your soul.

Descent into evil

Must levy its toll.

The darkness that rots you

Has brought you to this.

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Si trovava lì, in quel luogo indefinibile, ormai privo di ogni suono che non fosse il suo respiro spezzato.

Sola.

No…

Osservava, ancora incredula, la figura mollemente accasciata tra le sue braccia.

No…

Sembrava quasi che dormisse, con i capelli biondi che le ricadevano, leggermente scompigliati, sui tratti del viso disteso e rilassato… troppo rilassato.

Ma quella fanciulla non stava dormendo…

I polmoni non si sarebbero più riempiti della brezza leggera e umida dell’alba, e il cuore non avrebbe più scandito con regolare ritmicità i battiti della sua esistenza. Quegli occhi non si sarebbero più spalancati ad osservare il mondo con la loro caratteristica limpidità e curiosità che li rendeva chiari come non mai, pura essenza della sua anima allegra e spensierata, ma anche tormentata dagli incubi di un destino ingiusto e traditore.

No…

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Le passò l’indice sul volto, seguendo i lineamenti della guancia. Poteva ancora percepire il calore di quella pelle, così morbida, così… giovane…

«Gabrielle… Che cosa ho fatto…» soffiò piano.

Dai suoi occhi chiari una lacrima solitaria sgorgò, scendendo lenta ed andandosi ad infrangere sul vestito verde della fanciulla, accanto ad una chiazza scura che si era espansa a macchiare quell’abito all’altezza del ventre.

Verde, verde come la speranza…

Altre lacrime si unirono alla prima, fino a che il suo viso non ne fu inondato.

Non riusciva a trattenere i singhiozzi, e non voleva nemmeno. Quelli erano la voce del suo dolore, immenso, e delle sue colpe che si levavano alte, rimbombando su quelle pareti.

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«L’hai uccisa.»

Una voce che non aveva nulla di umano sibilò quelle parole con un’impassibile naturalità.

Sollevò la testa di scatto, e sussultò vedendo ergersi davanti e lei un lupo. La cosa che più la colpì non fu che quell’animale, che le appariva maestoso come non mai, le parlasse, ma il suo manto. Candido come la prima neve.

«Cosa…?»

«L’hai uccisa.» ripeté con tono pacato. «L’hai uccisa e ora non ti rimane più nulla.»

«No. Io … io … Gabrielle…» abbassò nuovamente il capo.

Non ce la faceva, non ce l’avrebbe mai fatta.

«Hai portato a termine la tua vendetta, Xena.»

«Chi sei?» chiese con voce tremante.

L’animale si prese un lungo momento per guardarla con i suoi profondi occhi neri.

«Questo non ha importanza. Tu hai ucciso la persona più importante della tua vita, è questo ciò che conta.»

«Mio figlio è morto per colpa sua!» tuonò. «Se lo meritava.» concluse con voce più bassa, mentre i suoi occhi fiammeggiavano ancora d’ira e di dolore.

«Si. Lui è morto per colpa di sua figlia, e lei l’ha uccisa…»

Lei l’ha uccisa. Ha ucciso sua figlia.

Perché solo in quel momento si rendeva conto di questo?

Quanto gli era costato quel gesto? Aveva barattato la sua anima per fare la cosa giusta. Si, ma giusta per chi?

Sicuramente non per Gabrielle. No, per lei la morte non era mai giusta, non era mai la soluzione.

Eppure lo aveva fatto.

«Tutto questo non è giusto.» mormorò, mentre i contorni di tutta quella storia cominciavano a farsi netti, ora che la sua mente non era più ottenebrata dal pensiero incessante della vendetta.

«Sei stata tu a volerlo. Hai scelto tu il destino di entrambe rinnegando i tuoi sentimenti per lei. Tu l’hai uccisa.»

Detto questo il lupo iniziò a dissolversi lentamente.

«Aspetta! Chi sei?» ma il suo grido non fu udito da quella strana creatura.

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Improvvisamente fu colpita da una brezza leggera.

«Ma come è possibile?»

I suoi occhi saettarono in ogni direzione cercando di capire come poteva trovarsi lì.

Era su quell’altura, dove aveva trascinato Gabrielle prima di precipitare entrambe giù e di ritrovarsi in quello strano posto.

Abbassò lo sguardo e vide il suo viso martoriato da graffi e ferite aperte, così come tutto il suo corpo, ora fasciato in una tunica bianca sporca di fango e sangue.

Doveva fare qualcosa.

Non poteva lasciare le cose così, non senza aver tentato il tutto per tutto.

Non permetterò a questo destino di vincermi…

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Le passò due dita sulle labbra e poi risalì per spostarle una ciocca mossa dal vento che stava crescendo impetuoso.

«Gabrielle, mi dispiace tanto. Ma ti giuro che rimetterò le cose a posto.»

Si chinò e le sfiorò le labbra. «Perdonami, amore mio. Perdonami.»

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«Xena!» l’urlo di Ephiny si levò alto, mentre, seguita da un manipolo di guerriere, si avvicinava alle due donne.

Xena immaginava perfettamente la reazione delle amazzoni, in special modo quella di Ephiny. Aveva sempre saputo dell’affetto che la legava a Gabrielle, ed era molto più profondo di quello tra due amiche (sicuramente da parte di Ephiny) o del semplice vincolo di fedeltà che l’amazzone aveva con la sua principessa.

L’intero popolo amazzone avrebbe chiesto a gran voce giustizia per la morte della loro principessa.

Eppure Gabrielle non era mai stata loro, non era mai appartenuta pienamente al fiero popolo di guerriere.

Lei era sempre stata sua. E da sempre, da quella primissima volta in cui i loro sguardi si sono incontrati.

Xena aveva quella certezza anche in quel momento.

Anche ora che le sue mani erano sporche del suo sangue. Dietro tutta la rabbia e l’odio che aveva provato c’era sempre quel sentimento che l’aveva resa la persona che era adesso, quell’amore non era diminuito neanche per un istante.

Ma aveva rovinato tutto…

Quella creatura aveva ragione. Aveva rinnegato il suo amore, e aveva perso la persona più importante della sua vita.

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«Gabrielle!»

Con un balzo l’amazzone scese da cavallo e si fiondò sul corpo dell’amica.

Istintivamente Xena la strinse di più.

«L’hai uccisa!»

Ephiny non riusciva a crederci. Non credeva che Xena sarebbe arrivata a tanto, anche se conosceva bene la rabbia cieca della guerriera.

E lei nonostante tutto non era riuscita a proteggerla.

«Xena, come hai potuto?!» gli occhi marroni si riempirono di lacrime offuscandole la vista.

«Gab… Ehi Gabby… Coraggio svegliati! No. No!»

«Ephiny…»

Gli occhi dell’amazzone fiammeggiarono. «No! Xena, non voglio sentire nemmeno una parola.»

Delicatamente prese il corpo della sua principessa e si sollevò.

Xena non provò nemmeno a fermarla.

Tutto l’odio che ora Ephiny le stava rivolgendo se lo era pienamente meritato.

Il resto delle amazzoni la circondò con le spada sguainate, pronte a scattare ad ogni minimo accenno di attacco da parte della principessa guerriera. Ma Xena non avrebbe fatto nulla, non si sarebbe opposta.

«Dopo i riti funebri - fece una piccola pausa per ingoiare il magone - penserò a quale dovrà essere la tua sorte, Xena.»

La guerriera annuì al tono solenne usato dall’amazzone.

Mi dispiace Ephiny, devo rimettere le cose a posto, dopo se vorrai potrai anche uccidermi.

Si alzò lentamente, quasi non riusciva a mantenersi in piedi.

Fissò Ephiny per un lungo momento. «Ti attenderò con ansia.»

In qualsiasi altro momento quelle parole sarebbero uscite dalla sua bocca con un’intonazione sarcastica, ma non quella volta. Quella era la verità pura e semplice.

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La guerriera si voltò e cominciò a muovere alcuni passi verso la sua cavalcatura. Argo si era rifiutata di obbedirle quella volta, anche lei aveva capito che stava facendo una sciocchezza.

Le spade di alcune amazzoni la bloccarono, producendo un suono metallico quando queste andarono a cozzare contro la sua armatura.

Alzò lo sguardo spento sulle due giovani guerriere che tremarono alla vista di quegli occhi che erano diventati due laghi di dolore.

«Lasciatela andare.» disse Ephiny. «Xena, ricordati che non ci sarà luogo su questa terra o nel regno degli dei in cui potrai nasconderti.» continuò aggrottando le sopracciglia alle spalle della guerriera.

«Non preoccuparti, non ne ho alcuna intenzione.»

Ad un suo cenno del capo le due amazzoni si spostarono con riluttanza, regalando a Xena uno sguardo carico di rancore.

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Xena passò lentamente accanto a Joxer, che non la degnò di uno sguardo, ma continuava a fissare vacuo il corpo di Gabrielle sostenuto dalle braccia dell’amazzone.

Sembrava che il cuore non battesse più. Non pensava che si potesse provare un dolore così straziante. Non avrebbe mai voluto provarlo.

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«Perché l’hai lasciata andare?» chiese dura una delle amazzoni, una volta che Xena si fu allontanata.

Ephiny non si era mossa di un solo passo, spostò lo sguardo sulla sua interlocutrice, alla quale si erano aggiunte anche le altre guerriere. Evidentemente non riuscivano a comprendere.

«Ora dobbiamo pensare ad rendere onore alla nostra principessa. A Xena penseremo dopo.»

«Si, ma così le hai dato la possibilità di fuggire.» continuò non contenta della risposta.

«Xena non fuggirà.» affermò seria. «E anche se fosse, io la troverò e la ucciderò.»

«A Gabrielle non piacerebbe sentirti parlare così.» disse Joxer mentre le carezzava con il dorso la guancia che si stava rapidamente raffreddando.

Ephiny accusò il colpo. «Joxer, lei è morta. È morta per mano di Xena. Io non avrò pace fino a quando non mi sarò vendicata!»

Il volto di Joxer si distorse in un’espressione amara. «Guarda a cosa ha portato la vendetta. Gabrielle non avrebbe voluto. Sono certo che lei … che lei ami ancora Xena, nonostante tutto.»

Dire quelle parole gli aveva fatto più male di quello che avrebbe mai voluto, specialmente perché sapeva che erano vere, esattamente come lo sapeva l’amazzone.

Si asciugò frettolosamente una guancia. «Ora pensiamo a Gabrielle.»

L’amazzone annuì. «Si, hai ragione. Dobbiamo pensare a lei, e omaggiarla come conviene. Il resto verrà dopo.»

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Xena poteva sentire i canti delle amazzoni anche da quella distanza.

Non che li sentisse veramente, ma li percepiva. Rimbombavano nella sua mente, appesantendo ancora di più il suo carico di rimorsi.

Conosceva abbastanza le tradizioni amazzoni da sapere che la pira funebre sarebbe arsa l’indomani all’alba, mentre quella notte si sarebbe preparata la cerimonia che avrebbe accompagnato la principessa Gabrielle ai cancelli dell’eternità.

Sentì le lacrime pungerle agli angoli degli occhi, ma si impose di non lasciarle scendere.

Basta con le lacrime!

Doveva pensare ad un modo per riportare indietro le cose, e anche in fretta. Non aveva più molto tempo.

Improvvisamente una sensazione tristemente conosciuta. Si alzò di scatto, mentre un’espressione di disgusto si dipingeva sui suoi tratti.

«Fatti vedere lurido verme!» tuonò rivolta alla notte.

Un bagliore bluastro illuminò il bosco fitto per alcuni attimi.

«Salve Xena.» disse semplicemente il dio della guerra.

Il capo leggermente chino, la mano sull’elsa nella sua tipica postura, e un sorrisetto appena accennato a stirargli le labbra.

«Ares, maledetto! Che cosa vuoi?!»

Il dio allargò il suo sorrisetto bieco e iniziò a girare intorno alla guerriera.

«Volevo solo sapere come stavi.»

«Vattene.»

«No, no Xena. Io mi preoccupo della tua salute e tu che fai…? Mi cacci. Non è carino.» la canzonò sarcastico.

La guerriera tornò a sedersi ignorando deliberatamente il dio.

«So che cosa stai cercando.» disse serio e sicuro, mentre osservava quella donna forte e determinata che ormai sembrava priva di energie.

«Tu non sai un bel niente.»

Ares scosse la testa. «Credimi Xena, ormai ti conosco. Vuoi trovare un modo per riportare Gabrielle in vita, vero?»

«Non vedo come la cosa possa interessarti.» mormorò sulla difensiva. Sapeva per esperienza che la divinità stava tramando qualcosa, e quel qualcosa non sarebbe stato tanto piacevole e lei in quel momento non aveva le forze per affrontare i suoi giochetti mentali.

«Qui ti sbagli. Io potrei aiutarti… aiutarti a rimettere le cose a posto.»

Xena sollevò lo sguardo fino ad incontrare quello del dio. «Perché? Che vantaggio ne trarresti?»

«Diciamo che è uno scambio equo. Io convinco le parche a cambiare leggermente il corso del destino e tu torni ad essere quello che eri. Diventerai quello che eri destinata ad essere. La Conquistatrice.»

Un lampo passò nello sguardo del dio, un lampo di malizia e di eccitazione.

«Le parche… tu sei pazzo. Io non tornerò ad essere quella di un tempo. -la voce si abbassa di qualche tono- lei non lo vorrebbe mai…»

Ares girò gli occhi spazientito. Possibile che quella mocciosetta la controllasse ancora? Ma non era proprio su quello strano potere che aveva sulla guerriera che lui contava?

Xena avrebbe fatto qualunque cosa per lei. Doveva solo giocarsi bene le sue carte.

«Ma tu l’hai uccisa.»

Il cuore di Xena smise di battere per un secondo. «Si… l’ho fatto…» soffiò piano, tanto piano che Ares quasi non l’udì.

«Pensa. Se voi due non vi foste mai incontrate… lei non avrebbe mai visto il suo sposo morire, non avrebbe mai conosciuto gli adepti di Dahak e l’orrore che si prova la prima volta che si uccide…»

Fece una pausa per osservare la reazione della principessa guerriera alle sue parole.

Sorrise soddisfatto. «Hope non sarebbe mai nata… tuo figlio non sarebbe mai morto…» sibilò vicino al suo orecchio, inebriandosi nel suo profumo avvolgente.

Presto, molto presto ogni cosa di quel meraviglioso corpo sarebbe ritornata al legittimo proprietario: lui!

Xena scosse la testa cercando di allontanare il più possibile quelle parole. Lui le stava dicendo per confonderla, per farla cedere. E maledizione, ci stava riuscendo!

Perché sapeva che tutto quello che stava dicendo era vero!

Ogni dannatissima sillaba uscita da quella bocca ingannatrice era vera! E lei non poteva fare altro che accettarlo.

Quanto ha dovuto soffrire per colpa mia…

Ares schioccò la lingua e fece un passo indietro.

«Pensaci Xena. Quando avrai deciso sai dove trovarmi.»

Detto questo svanì in uno scintillio azzurro.

Xena non si mosse, continuò a tenere lo sguardo fisso in un punto imprecisato. Alcune lacrime avevano ripreso a solcare la curva del suo viso.

Sollevò la testa per incontrare quella distesa di luci che la osservavano immobili.

Gabrielle… Amore mio…

Che cosa devo fare?

In quel cielo incredibilmente fitto le sembrò che una stella brillasse più delle altre.

Sorrise amara. «Grazie.»

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In piedi su di un ramo nascosta dalle fronde, Xena osservava il denso fumo nero salire nel cielo rischiarato dai primi raggi del sole.

Non può credere di stare vivendo quei momenti. Le sembrava di vivere in uno strano incubo, eppure quella era la realtà, come poteva provare il recente taglio sulla mano che ancora le manda piccole fitte. Per non parlare del dolore che provava dentro.

L’anima dilaniata dai sensi di colpa, e dal vuoto che quella perdita ha provocato…

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Silenziosa come un’ombra si allontanò da quel luogo, dove si stava avverando il suo più grande incubo, per dirigersi in un altro e rendere reale uno forse ancora più pericoloso.

Gabrielle, non so se questa è la scelta giusta, ma non posso restare con il rimpianto di averti trascinato su questo sentiero rendendoti infelice.

Ti restituirò la vita che avresti dovuto vivere…

…senza di me.

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Continua…

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


Don

Don't leave me in all this pain

Don't leave me out in the rain

Come back and bring back my smile

Come and take these tears away

I need your arms to hold me now

The nights are so unkind

Bring back those nights when I held you beside me

Unbreak my heart…

(Unbreak My Heart, Toni Braxton)

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Cap.2

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Ephiny osservava incredula la pira bruciare, Joxer è accanto a lei ma è come se non ci fosse. È perso nel suo mondo, un mondo dove la donna che ama è ancora viva e dove continuano a fare gruppo, insieme a combattere, ridere, divertirsi…

Non piange, non ha più lacrime da versare e poi sa che sarebbe inutile. Solo un profondo vuoto l’avvolge, così come il canto delle amazzoni che sale al ritmo con i tamburi.

Si volta, non può più guardare lo spettacolo pietoso del suo corpo che brucia.

È un codardo, lo sa, lo ha sempre saputo, come lo sapeva lei che non lo ha mai disprezzato o allontanato, ma lo ha sempre rispettato, gli ha sempre voluto bene. Erano amici.

Già, amici. Solo amici…

In fondo al suo cuore la speranza che i loro sentimenti potessero evolversi fino a maturare a tal punto da dargli anche una sola possibilità con il bardo, non era mai morta. Anzi, era andata sempre crescendo, insieme a quella fanciulla che si trasformava in una donna consapevole di se stessa, ma non del potere che esercitava sulle persone.

Riusciva ad incantare tutti, con le sue parole, con il suo sorriso, con quello sguardo infinitamente morbido.

Anche Xena, l’impassibile principessa guerriera, ha dovuto arrendersi a quella figuretta angelica e chiacchierona che allietava i loro viaggi narrando leggende con maestria ed enfasi. E contro di lei nessuno più aveva la benché minima possibilità di fare breccia nel cuore della poetessa di Potidea.

Si appartenevano. E basta.

Era una cosa che lui, nella sua semplicità, non riusciva a comprendere nella sua pienezza, ma non poteva far altro che accettarla.

Neppure in quel momento dubitava dei loro sentimenti. Era un qualcosa che andava oltre, oltre a qualunque cosa umanamente concepibile.

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«Domani partirò alla ricerca di Xena.» annunciò Ephiny rivolta al giovane.

«Sei certa di quello che stai per fare?»

L’amazzone strinse i pugni cercando di contenere la rabbia. «Certo! Io voglio la mia vendetta. E non saranno le tue parole a fermarmi.»

Joxer annuì. «Lo so. Ma continuo a pensare che questa non sia la scelta migliore. Xena…»

«Xena ha ucciso Gabrielle! Come fai a difenderla! È assurdo, credevo che tu l’amassi…» si asciugò frettolosamente una guancia.

L’uomo abbassa lo sguardo, quando lo rialza è lucido e serio. L’amazzone ne rimane colpita.

«Proprio perché la amo ti dico questo… e lo sai anche tu.»

«Ma io sono un’amazzone! E mi comporterò come tale, vendicando la morte della mia principessa, e della… mia migliore amica.»

«Capisco… Beh, allora buon viaggio.» non tenta neppure di nascondere il tono aspro della voce. Si allontana di alcuni passi, ma la voce di Ephiny lo blocca.

«Joxer, aspetta. Tu dove andrai?» chiese con dolcezza, preoccupata per la sorte dell’amico. Capisce fin troppo bene il suo stato d’animo.

«Andrò dalla sua famiglia, a Potidea. Qualcuno deve avvisarli.»

Già, la sua famiglia. Perché non ho pensato a loro…?

«Allora le nostre strade si dividono.»

L’uomo annuisce, e si allontana rapidamente, mentre le lacrime tornano a segnare i suoi tratti.

..

Xena cammina lenta lungo il corridoio impolverato del tempio. I suoi passi sono precisi e silenziosi, e i suoi occhi scrutano ogni singolo sbuffo di polvere con attenzione.

Il cuore le tamburella nel petto troppo velocemente, ha una brutta sensazione che si miscela inesorabilmente con la certezza di star commettendo un errore dietro l’altro. E a lei questo non è mai capitato, mai in tutta la sua vita!

Entra nella sala principale del tempio del dio della guerra. Alcune lanterne illuminano l’ambiente scuro adornato da armi affilate e dai suoi vessilli di morte.

«Sapevo che saresti venuta.»

La voce del dio risuona compiaciuta mentre si mostra agli occhi della guerriera in un lampo argentino.

«Cosa accadrà esattamente quando saremo al cospetto delle parche?» chiede risoluta.

Ares abbozza un sorriso. «Nulla di cui preoccuparsi. Tranquilla, non ricorderai nulla di questa vita.» afferma mentre si avvicina a Xena con il passo di un predatore che scruta la sua preda.

«Non ricorderò nulla…?» i suoi occhi cerulei si velano per un secondo.

Gabrielle…

«Quello che non conosci non può farti soffrire…» mormora la divinità ad un soffio dal suo orecchio.

«… e non farà soffrire lei.»

Xena chiude gli occhi soppesando le parole di Ares, cercando di non lasciarsi distrarre dalla presenza imponente del dio e dalle sue parole.

Ma la lucidità ha abbandonato da giorni la sua mente, tutto ciò a cui riesce a pensare è Gabrielle, e i sensi di colpa per averla trascinata lungo quel sentiero fatto di morte.

L’ho strappata alla sua famiglia, al suo sposo, alla… sua vita.

È tempo che aggiusti le cose e le restituisca la vita che era destinata a vivere.

..

La guerriera annuisce, cercando di fermare le lacrime. Non avrebbe dato al dio anche questa soddisfazione!

«Va bene.»

Le labbra di Ares si stirano all’insù in un sorriso estremamente soddisfatto.

Le tende galante la mano. «Andiamo, allora.»

Con un ultimo sospiro Xena si aggrappa al suo braccio per poi sparire in uno scintillio sinistro.

..

..

Continua…

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


Cap

Cap.3

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L’aria nella fattoria ai confini di quel ridente villaggio era tesa.

Il nervosismo crescente dei suoi occupanti era esorcizzato solo da una figuretta minuta, che osservava tutta quella agitazione con le sopracciglia aggrottate non capendone minimamente la causa.

«Continuo a non capire perché dobbiamo fare tutto questo!»

L’uomo più anziano del gruppo si fermò per un secondo a guardare la sua figlia primogenita. Fece un sospiro rassegnato alla sua cocciutaggine, se continuava su quella strada si sarebbe messa nei guai, grossi guai.

«Sai perfettamente perché lo facciamo. Piuttosto perché non ci aiuti? Tra poco saranno qui!» disse afferrando un pesante sacco di farina e mettendolo sul carro insieme ad altri viveri.

La ragazza sbuffò. «Non dobbiamo farlo!»

«Si invece! Ma come fai a non capire?!» urlò quasi rivolto alla figlia, che fece un passo avanti, nello sguardo smeraldino tutta la determinazione di cui è disposta.

«Dovremmo ribellarci! Noi non siamo i suoi schiavi. Se unissimo le nostre forze sono certa che…»

«Gabrielle, ora basta!» la zittì la madre.

La fanciulla abbassò lo sguardo per un attimo. «Basta…? Basta! Dovreste dire basta alle guardie dell’Impero che ogni luna vengono a portarsi via metà del raccolto del villaggio!»

«Gabrielle…» tentò di rabbonirla il genitore, inutilmente.

«Ma andiamo, come potete permettere che ci sfruttino in questo modo…»

«Gabrielle…!»

Ma la ragazza non aveva voglia di sentire i rimproveri della famiglia. Ormai il conosce a memoria, ogni volta la stessa storia, e quel senso di frustrazione che cresce sempre di più, sentendosi così impotente di fronte a quelle ingiustizie.

Si allontanò velocemente verso il bosco.

Come al solito…

Si rifugiava sempre lì, ogni volta che qualche problema la turbava, oppure ogni volta che discuteva con i genitori. Ed erano tante, forse troppe, e non sempre per morivi banali. Quante volte avevano discusso sulle tasse imposte dall’Impero, sul dominio incontrastato che quella persona aveva sulle loro vite, incurante della povera gente che moriva di stenti.

No, quella non è affatto una persona…

È un demone venuto direttamente dall’Ade.

Senza un cuore, senza un’anima, senza pietà…

Eppure nessuno si ribellava a quel potere, nessuno aveva il coraggio. I pochi che avevano provato ad opporsi alle sue leggi erano finiti nelle carceri del palazzo, e non ne erano mai usciti.

Si narravano molte leggende sulle torture disumane che venivano infierite ai poveri condannati, ma lei sapeva bene che erano tutte frottole, fandonie raccontate per spaventare dei poveri creduloni. Nelle prigioni del palazzo si moriva. Semplicemente.

Eppure lei non voleva credere che a tutto quell’orrore non ci fosse soluzione.

Deve esserci un modo!

Era arrivata nei pressi di un laghetto, osservò per qualche istante la sua superficie limpida prima di sedersi su di un masso.

Immersa in quella quiete lasciò libere le briglie dei suoi pensieri.

Almeno con quelli può vagare lontano, attraversando terre sconfinate ed esotiche, raggiungere i confini del mondo e poi ritornare indietro.

Sognatrice. Sognatrice e pazza.

Si sentiva così oppressa in quel piccolo villaggio, chiusa tra la mentalità ristretta della sua famiglia, sembrava che nessuno riuscisse a comprendere la sua voglia di libertà.

Era sempre stata una ragazza al di fuori dagli schemi, desiderosa della sua indipendenza, con una mente dinamica e curiosa, e il dono incredibile di saper giostrare con le parole come le faceva più comodo.

Spesso aveva la sensazione di non stare vivendo la sua vita.

Io sono destinata a molto più di questo.

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Il rumore di alcuni passi timidi la distrasse.

Stirò leggermente le labbra all’insù. «Mi chiedevo quanto ancora mi avrebbero fatto aspettare prima di mandarti.»

Una ragazzina poco più piccola di lei con i capelli castani e due grandi occhi chiari si avvicinò di qualche passo.

«Perché fai cosi?»

«Così come, Leuca? Non capisco.»

La ragazza sbuffò andandosi a sedere accanto alla sorella. «Lo sai. Non provare nemmeno a fare la santarellina con me, Gab!»

«Si, lo so. Ma non posso farne a meno, certe cose proprio non le capisco!»

«E secondo te che cosa dovremmo fare? Opporci ai soldati dell’Impero?! Sai che non avremmo alcuna possibilità.»

Gabrielle si alzò di scatto. «Ma almeno potremmo dire di averci provato!»

«Ci uccideranno senza pietà. Come pecore al macello.» la ragazza rabbrividì al solo pensiero, terrorizzata da quello che potrebbe succedere.

«Gabrielle noi siamo fortunati.»

«Ah si?» mormorò sarcastica. «Non possiamo scegliere della nostra vita, siamo privi di libertà. Questa non è fortuna.»

«Guardati Gab! Sei una ragazza bellissima, intelligente, tra poco sposerai uno dei ragazzi migliori del mondo… Hai tutto ciò che una ragazza possa desiderare.»

Gli occhi verdi della bionda si riempirono di malinconia.

Ma non è questo quello che io desidero…

«Leuca…»

La ragazza distolse lo sguardo da sua sorella. A volte le fa paura. È così limpido e profondo, come se dietro quella serenità apparente si nascondesse un demone profondo che le divora l’anima, sembravano aver visto cose che nessun altro mortale poteva scorgere.

È così diversa…

Ma prima che potesse dire qualunque cosa un rumore sordo e prolungato che si avvicina si diffonde nell’aria.

I soldati dell’Impero.

«Eccoli. Sono arrivati.» disse Gabrielle seria e calma.

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«Tutto qui?» chiese con evidente disprezzo il capo di quel manipolo di soldati venuti a riscuotere le imposte osservando il carro colmo di viveri.

Il capo del villaggio fece un passo avanti timoroso. «È tutto quello che abbiamo, mio signore.»

Lo sguardo scuro del soldato si punta beffardo sull’uomo anziano dalla barba canuta appena accennata.

«Vorrà dire che porteremo via anche alcune schiave.»

Il respiro si mozza in gola agli abitanti di Potidea.

«No! Vi scongiuro, mio signore, non fatelo! Vi giuro che la prossima volta pagheremo il doppio, ma vi supplico non portate via le nostre figlie.» implorò il vecchio inginocchiandosi ai suoi piedi.

«Taci vecchio, io posso fare ciò che voglio.» disse allontanandolo con un calcio.

L’uomo tossisce la polvere del terreno, vede con le pupille dilatate dal terrore il soldato avvicinarsi a una bambina che si aggrappa disperata alla veste della madre, mentre gli altri soldati sghignazzano tra loro.

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«Ehi, tu! Perché non prendi quello che ti abbiamo preparato e non sparisci!»

L’attenzione di tutti è calamitata da quella voce, che urla senza timore contro quel soldato.

Gli occhi dell’uomo scintillano per un secondo. Quella ragazzina doveva avere un fegato niente male, e a quanto poteva vedere nemmeno il resto era da buttare!

«Che cos’è, in questo villaggio gli uomini sono talmente conigli da doversi far proteggere da una ragazzina?!» disse scatenando l’ilarità del resto della compagnia.

«Brutto figlio di una baccante! Ma chi ti credi di essere?!» continuò Gabrielle imperterrita, senza pensare per un solo istante alle conseguenze del suo gesto. Sapeva solo che era arrivata al limite, lei non era il tipo da restare in silenzio mentre si compivano certe atrocità.

Quella volta avrebbe fatto prevalere l’istinto.

L’uomo grugnì infastidito dalle parole di quella ragazzina.

«Ti meriti una bella lezione, ragazzina!»

Sollevò il braccio come se volesse colpirla, ma poi si fermò come se avesse perso interesse. Fissò Gabrielle che non aveva battuto ciglio, anzi continuava a guardarlo con sfrontatezza, e sorrise.

«Sono certo che una bella puledrina focosa come te sarà un dono gradito all’Imperatrice.»

Provò a carezzarle il volto, ma lei si ritrasse schifata. «Sei solo un lurido verme!»

Questa volta lo schiaffo partì, e fu talmente forte da farla cadere all’indietro.

Erodoto guardava quella scena con gli occhi sbarrati dal terrore, mentre Leuca ed Ecuba accanto a lui singhiozzavano sommessamente. Fece appena in tempo a fermare un ragazzo che si stava separando dal gruppo per andare ad aiutare la sua promessa sposa.

«No. Perdicca non fare assurdità.»

Il ragazzo spalancò gli occhi incredulo. «Ma Gabrielle…»

«Lei saprà cavarsela.» soffiò con il cuore gonfio di tristezza e di odio verso se stesso che guardava impotente la figlia fronteggiare quel soldato e non aveva il coraggio di aiutarla.

Si sentiva così vile…

Imprigionato nella sua stessa spirale di paura.

.

La ragazza si pulì il labbro con il dorso della mano, osservò la leggera striscia di sangue e poi sollevò lo sguardo fiero sull’uomo, che sorrideva compiaciuto.

«Sì, sarai decisamente di gradimento alla nostra sovrana.» mormorò, sperando con quel dono di entrare nelle grazie dell’Imperatrice.

«Io non credo, scimmione!»

«Vedrai diventerai un ottima schiava. Oppure morirai.»

Un lampo di paura attraversò i suoi occhi smeraldini, ma durò solo un attimo. Provava una strana sensazione, che decisamente non era paura.

Aveva come la consapevolezza che lei non le avrebbe fatto mai del male.

Forse la botta è stata più forte del previsto… devo essere impazzita!

.

.

Un braccio forte e muscoloso vagò per il letto alla ricerca del corpo della sua compagna, quando tastò il vuoto sollevò la testa pigramente per scrutare nella penombra della stanza.

Vide la donna seduta mollemente accanto al balcone, intenta a scrutare il cielo puntellato da una miriade di luci.

«Credevo che le divinità non avessero bisogno di dormire.» disse piattamente, una volta accortasi dello sguardo puntato sulla sua schiena.

Un sorriso malizioso gli sfiorò le labbra. «Infatti, ma tu mi sfianchi.»

La donna si voltò posando il suo sguardo glaciale sull’uomo, ma non disse niente. Non aveva mai amato fare conversazione.

«Sai, stavo pensando che dovresti dirigere il tuo esercito fino ai confini del Celeste Impero. Quella è l’ultima regione che non si è sottomessa al tuo dominio…»

«Ci penserò. I soldati devono essere addestrati bene, ed essere in salute per affrontare un viaggio simile.» affermò tornandosi a concentrare sul cielo.

Il dio si avvicinò sensuale. «Ma tu hai la protezione del dio della guerra. Sei destinata a diventare l’imperatrice del mondo intero.»

Le sfiorò il collo con le labbra, ma lei si ritrasse. «Ares, basta. Ho detto che ci penserò.»

«Bene.» disse aggrottando le sopracciglia infastidito dal comportamento della donna. «Fa come vuoi, Xena.»

La divinità svanì in un lampo argentino, ma a Xena non poteva importare di meno.

Aveva un strana sensazione, e non aveva la certezza che fosse un bene.

Non capiva che cosa stava succedendo, che cosa le stava succedendo.

Si sentiva così… vuota.

Eppure aveva ogni cosa, tutto quello che poteva mai desiderare.

Il mondo era ai suoi piedi.

E allora perché sento che mi manca qualcosa di importante?

Forse sono solo stanca…

È così. Non può esserci altra spiegazione.

.

Improvvisamente, come un fulmine, un paio di occhi incredibilmente verdi le riempiono la vista.

Scuote la testa per scacciare quella visione.

È un po’ di tempo ormai che fa degli strani sogni, in cui quegli occhi sono assoluti protagonisti, e lei non sa spiegarsi come il sognare un paio di iridi color smeraldo possa scuoterla in quel modo.

Chi diavolo sei?...

.

.

Un pugno colpì violento il tavolo. «Perché non l’abbiamo fermata?! Perché non abbiamo fatto nulla?!»

Erodoto continuò a fissare fuori dalla finestra vacuo. «Se avessimo fatto qualcosa, qualunque cosa, l’intero villaggio ne avrebbe pagato le conseguenze. Non avremmo avuto nessuna possibilità. Ci avrebbero massacrato.»

«E allora lasceremo Gabrielle nelle mani di quei soldati, senza fare nulla!»

«Non dire sciocchezze Perdicca! Partiremo una volta che il sole sarà tramontato e andremo a liberarla. Approfitteremo delle tenebre, e se gli dèi vorranno non si accorgeranno di nulla.» affermò serio, mentre un piano elementare, e senza la benché minima possibilità di successo, si delineava nella sua mente.

«Chissà cosa potrebbero farle fino a quando non giungeremo noi.»

«Sono certo che saprà cavarsela.» o almeno spero…

Gabrielle questa volta ti sei cacciata proprio in un bel guaio!

.

.

Il piccolo gruppo di soldati si era fermato tra la fitta vegetazione boschiva per rifocillarsi. Il sole non era ancora calato, e un cielo rossiccio faceva da cupola a quello spiazzo di mondo appesantendo l’aria circostante.

Gabrielle quasi non sentiva più le mani, e il bruciore ai polsi si stava rivelando più fastidioso del previsto.

«Potreste anche allentare le corde.» disse all’uomo incaricato di farle da guardia, che le rivolse un’occhiata sarcastica prima di ritornare ad ignorarla.

«Cosa c’è avete paura che possa fuggire?»

Tutto ciò che ottenne fu un grugnito infastidito da parte dell’uomo.

«Ti consiglio di tacere se vuoi arrivare incolume a domani.»

Gabrielle si voltò immediatamente nella direzione della voce. Alla vista del suo capitano il soldato si mise immediatamente sull’attenti e si allontanò di qualche passo.

«Se ci tieni così tanto alla mia incolumità potresti anche allentare le corde, o c’è il rischio che perda l’uso delle mani.»

Gabrielle sollevò i polsi in direzione dell’uomo. Aveva lo sguardo di chi non sta chiedendo una cosa, ma la sta ordinando. Non sembrava una prigioniera, non leggeva paura nei suoi occhi e non aveva visto una sola lacrima, né un solo singhiozzo. Era fiera, testarda e incredibilmente orgogliosa. Questo non faceva altro che aumentare le speranze del soldato di fare cosa gradita all’Imperatrice, da sola quella fanciulla valeva come cinque schiave.

Sorrise compiaciuto e afferrò il pugnale. Con un colpo deciso tagliò la corda.

Immediatamente Gabrielle si massaggiò la parte lesa con un sospiro.

«Sai perché ti ho slegata?» domandò con fare distratto.

«Non credo che sia perché voglia liberarmi.»

L’uomo rise. «No, certo che no. Penso che tu sia abbastanza intelligente da capire quello che sto per dirti senza troppe difficoltà.»

Fece qualche passo verso di lei fissandola intensamente, con lo sguardo nero austero e duro.

«Se tu provi a scappare, io non solo ti ritroverò e ti farò morire di una morte atroce…»

Fece una pausa per scrutare la reazione della giovane che non aveva mosso un muscolo, poi continuò modulando attentamente il tono della voce.

«…ma tornerò al tuo villaggio, dove prima ucciderò i vecchi, poi le donne e infine i fanciulli. Mi hai capito?»

«Un essere spregevole come te non merita di respirare, se non lo zolfo dell’Ade!»

Gabrielle strinse i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.

«Tu fa la brava, e non succederà niente…» lentamente le passò il dorso della mano sulla guancia.

Era così liscia e morbida che per qualche attimo dimenticò che quello era un dono prezioso, dono che doveva rimanere intatto.

Eppure la tentazione era così grande, e sarebbe stato così facile…

Quella fanciulla era così maledettamente eccitante nella sua cocciutaggine. Possedeva una forza e una personalità difficilmente rintracciabili in altre donne.

«E tu evita di toccarmi, o dovrai portare alla tua imperatrice un cadavere senza valore.» sibilò tremante di rabbia e di disgusto.

Un ghigno deformò i tratti dell’uomo. «Hai una faccia tosta incredibile… sono certo che sarai un dono gradito. Avanti tutti in marcia! Se ci sbrighiamo arriveremo nella Capitale prima del sorgere del sole!»

.

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Continua…

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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


Nota introduttiva

Nota introduttiva:

Prima di iniziare con il nuovo capitolo vorrei scusarmi con tutti quello che seguono questa fanfiction per la lunga attesa che intercorre tra un aggiornamento e l’altro. Purtroppo i vari impegni universitari non mi permettono di dedicarmi alla scrittura quanto vorrei, ma sono fermamente intenzionata a continuare la storia e a concluderla (anche se non in tempi brevi :-P), quindi non rimarrà incompleta.

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Approfitto di questa nota per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno recensito, e anche quelli che hanno soltanto letto!

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E adesso vi lascio alle avventure delle nostre due eroine… buona lettura!

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Cap.4

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Gabrielle osservava il paesaggio mutare lentamente man mano che sia allontanavano dai boschi di Potidea.

La luna era già alta nel cielo eppure il capitano non sembrava intenzionato a fermarsi.

Aveva fatto accomodare la sua prigioniera in groppa al suo destriero, per evitare che rallentasse il passo, e ora si ritrovava a camminare lungo quelle pianure in compagnia dei suoi pensieri e di una vocetta che non riusciva proprio a zittire.

«Sai non mi sono mai allontanata tanto dal mio villaggio…»

Un sospiro insofferente gli lasciò le labbra come mosso da volontà propria.

«… Ho sempre desiderato viaggiare, vedere il mondo. Trovo buffo che stia accadendo proprio ora.»

«E io invece trovo incredibile il tuo chiacchiericcio!»

«È un modo per esorcizzare la paura e la… tristezza…» mormorò abbassando lo sguardo, vergognandosi del suo comportamento irresponsabile.

L’uomo sbuffò. «Sei la prigioniera più strana che mi sia mai capitata. Solitamente le fanciulle che rapisco passano tutto il tempo a frignare e ad implorare pietà.»

«E tu non conosci il significato di questa parola… Ma come fai a dormire la notte?»

«Io sono stato addestrato per questo. Eseguo solo gli ordini.»

Gabrielle rabbrividì. «Sei un essere miserabile!»

«Dovresti stare attenta a quello che dici. La mia pazienza sta per esaurirsi…» disse afferrando il pugnale e puntandolo in direzione della ragazza.

Passarono alcuni minuti in un silenzio accettabile. Ma Gabrielle non poteva resistere, sarebbe sprofondata nei suoi pensieri e con ogni probabilità sarebbe scoppiata a piangere. E quella era l’ultima cosa che voleva.

«Potrei sapere almeno il nome del mio carceriere?»

«Se te lo dico dopo mi farai la grazia di tacere?!»

La fanciulla annuì non troppo convinta, e i tratti dell’uomo si deformarono in un’espressione di scetticismo.

«Demetrio.» rispose piattamente.

Gabrielle decise di tacere. Non voleva sfidare oltre la sorte. Ringraziava ancora le divinità per essere arrivata indenne fino a quel momento. Quell’uomo era estremamente pericoloso e quel gruppo di soldati non le sembravano particolarmente raccomandabili.

L’uomo che reggeva le briglie del cavallo avanzava con passo rapido, non mostrando nessun segno di stanchezza, nonostante stessero camminando da ore.

La fanciulla si ritrovò inaspettatamente ad osservarlo con curiosità.

Demetrio era un uomo estremamente affascinante.

Aveva un’aria fiera ed autoritaria, lo sguardo minaccioso e distante, come se non si trovasse realmente su questa terra e i tratti spigolosi resi ancora più severi da una cicatrice che gli segnava parte della guancia sinistra, ma senza deturparlo.

La cosa che però colpì Gabrielle più di tutte era il suo distacco, la sua freddezza. Era come se non avesse un cuore.

Come si potevano compiere certe atrocità e restare cosi indifferenti, anzi quasi soddisfatti del male che si stava compiendo?

.

«Che cosa mi succederà?»

Demetrio sospirò. «Avevi detto che avresti fatto silenzio.»

Gabrielle si morse l’interno della guancia. Voleva sapere. Doveva sapere che cosa le sarebbe accaduto una volta arrivati al cospetto dell’Imperatrice, stava impazzendo cercando una possibile risposta. La sua mente aveva già formulato delle possibili ipotesi, e nessuna di queste era piacevole.

«Diventerai una schiava.» si decise a rispondere infine. «E se piacerai all’Imperatrice io sarò omaggiato come si conviene!» non poté impedire ad un fremito di piacere di attraversargli la schiena. Già si pregustava quel momento.

«Una schiava? L’Imperatrice ne avrà centinaia, perché pensi che lei gradirà questo… uhm come chiamarlo regalo? da parte tua?» Gabrielle non riusciva a capire la convinzione del soldato.

«Forse non te ne rendi conto, ma tu sei diversa. Sei una ribelle, fiera, hai un fuoco che arde. Per lei sottometterti sarà un passatempo piacevole.» disse con un sorriso malizioso che la fanciulla non riuscì ad interpretare.

«E se non volessi sottomettermi?»

«Morirai, se sei fortunata…»

Gabrielle fissò Demetrio in silenzio per qualche attimo, poi tornò a concentrarsi sul paesaggio.

Era piuttosto stanca, e il dondolio ritmico della cavalcatura non aiutava certo a tenerla sveglia. Le palpebre divenivano sempre più pesanti. Con ogni probabilità quella sarebbe stata la sua ultima notte da persona libera. Non voleva sprecarla dormendo, ma effettivamente non poteva fare altro perché era alla luce dei fatti era già una prigioniera.

E Morfeo l’attirava in una trappola così dolce…

Era talmente facile cedere… troppo facile…

.

.

Un odore pungente e aspro, e un insistente vociare svegliarono Gabrielle. Si trovava in una stanzina buia dall’aria piuttosto spartana, distesa su delle coperte logore, ma relativamente pulite.

La fanciulla si guardò intorno incuriosita e leggermente preoccupata. Pensava di assopirsi qualche minuto in groppa al cavallo, non di andare in letargo e ritrovarsi chissà dove.

«Finalmente ti sei svegliata.»

Demetrio era appena entrato, alle sue spalle Gabrielle poté scorgere una luminosa fetta di cielo.

«Dove… dove sono?»

L’uomo sorrise. «Hai il sonno più pesante di quello che credevo. Abbiamo dovuto portarti in braccio… Siamo su una nave, tra poco sbarcheremo.»

La fanciulla annuì. Almeno adesso sapeva dove si trovava, anche se lo avrebbe scoperto comunque grazie alla nausea che stava diventando di minuto in minuto sempre più fastidiosa.

«Grazie agli dèi… non credo che sarei potuta resistere a lungo su questa bagnarola…»

Gabrielle si portò una mano alla bocca per fermare un conato che stava tentando insistentemente di uscire.

«Tieni, bevi questo. Ti farà sentire meglio.» Demetrio le porse un bicchiere.

«Che cos’è?» chiese sospettosa.

«Allieverà il tuo mal di mare. Non voglio che ti presenti al cospetto dell’Imperatrice in queste condizioni. Devi essere in piena forma.»

Gabrielle bevve, più che altro per far terminare quelle fitte allo stomaco. «Grazie.»

«Non ringraziarmi, non l’ho certo fatto perché ci tengo alla tua salute.»

«Ma l’hai comunque fatto…» Gabrielle sostenne lo sguardo dell’uomo con autorevolezza.

«Proprio non ci riesci vero? Non riesci a comprendere che tu sei solo una schiava, un oggetto, e che devi sottometterti!»

«Tu non riuscirai ad abbattere il mio spirito. E nemmeno la tua Imperatrice ci riuscirà! Io non mi lascerò certamente vincere da delle persone miserevoli come voi!»

«Continui a ripeterlo, eppure non hai ancora provato a fuggire. E sono certo che non è la paura della morte a frenarti. … È la curiosità, è il tuo spirito ribelle di cui sei tanto fiera. In quel piccolo villaggio di contadini ti sentivi oppressa, quella era la tua vera prigione… mentre ora ti senti libera, e desiderosa di conoscerla. Perché anche se non la conosci, ne sei affascinata.»

Demetrio uscì con un senso di soddisfazione profondo, era riuscito a far tacere quella ragazzina petulante usando la sua stessa arma.

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Gabrielle rimase qualche minuto a fissare la parete di legno davanti a lei senza guardarla veramente. Non si sarebbe mai e poi mai aspettata di sentirsi dire quelle cosa da quell’uomo, che a prima vista sembrava un barbaro capace di usare solo la spada. E invece era riuscito a toccare le corde più profonde dei suoi pensieri, costringendola a venire a patti con quelli che erano i suoi veri sentimenti in maniera così diretta e… dolorosa.

Era tutto vero. La claustrofobica sensazione che provava a Potidea era svanita nel momento in cui aveva respirato l’aria al di là dei boschi che circondavano il villaggio. Una crescente euforia si stava impossessando della sua lucidità al solo pensiero di vederla.

Perché si sentiva tanto affascinata da una persona che credeva di odiare?

Gli dèi stavano forse giocando con la sua mente?

No, è qualcosa di più… profondo.

.

.

La Capitale era immensamente più grande di quanto si potesse mai immaginare.

Appena scesa dalla nave, con sua somma gioia, Gabrielle era stata praticamente stordita dalla confusione e dall’aria che si respirava. Un cuore pulsante e vivo di frementi attività, sul quale però si disperdeva una nube che con il suo manto corvino e il suo sguardo celestiale assoggettava ogni cosa.

Alzando lo sguardo smeraldino non poté fare a meno di notare il Palazzo dell’Imperatrice che si ergeva sfarzosamente ricco al di sopra delle altre case di quell’seppur gigantesco villaggio.

.

«Impressionata?»

Gabrielle sobbalzò colta di sorpresa da quella voce stanca e raschiante. Si voltò incontrando lo sguardo segnato di un vecchio che doveva far sicuramente parte di qualche equipaggio.

L’uomo continuò a parlare continuando a fissare la fanciulla. «Tu devi essere una delle nuove schiave dell’Imperatrice. Sei di una bellezza impressionante.»

Gabrielle arrossì storcendo la bocca non del tutto convinta delle parole del vecchio.

«Beh fanciulla, goditi questi ultimi attimi di libertà perché una volta entrata in quell’inferno non c’è più modo per uscirne, credimi io lo so…» il suo sguardo divenne lucido e lei provò quasi pietà per quell’uomo e tristezza per le sofferenze che aveva dovuto subire, sofferenze che con ogni probabilità sarebbero toccate anche a lei.

Un brivido le corse lungo la schiena. Avrebbe pagato a caro prezzo quegli attimi di libertà, ma sapeva che comunque ne era valsa la pena.

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«Non dovresti dare troppa confidenza agli sconosciuti.»

Il tono gelido usato da Demetrio fece tremare il vecchio che si allontanò velocemente a sguardo basso, dopo aver farfugliato delle scuse incomprensibili.

«Penso che la cosa non ti riguardi…»

Gabrielle lo vedeva avanzare con il passo marziale sicuro e fiero e con lo sguardo che pretendeva il rispetto, conseguenza di quella divisa di cuoio e ferro che indossava.

«Sì invece. Tu sei una mia proprietà, anche se ancora per poco.»

«Hai per caso deciso di liberarmi?» mormorò sarcastica, conoscendo già la risposta che avrebbe sentito dalle parole dell’uomo. E anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, aveva una paura tremenda di quello che le sarebbe accaduto di lì a qualche ora.

Perché fin quando si trovava con quel manipolo di uomini comandati da Demetrio poteva sentirsi relativamente sicura, in quanto l’ordine era di farla arrivare a destinazione sana e salva, e assolutamente illibata! Altrimenti era più che certa che non si sarebbero fatti nessun tipo di problema.

Questo pensiero le provocò un brivido di disgusto e terrore.

Ma ora, ora che si stava avvicinando a quel palazzo e a quella persona della quale non sapeva nulla se non le leggende che si narravano su di lei, come avrebbe dovuto comportarsi, cosa l’attendeva al di là di quelle porte?

Lentamente, ma senza che nessun’altro all’infuori di lei se ne accorgesse, tutto il suo sangue freddo e la sua sfacciataggine stavano svanendo per lasciare il posto ad un senso di ottenebrante nulla che la paralizzava. E il tutto nasceva dall’incertezza, dal non sapere cosa le sarebbe accaduto.

Nulla fa più paura di ciò che non conosci…

Mai come in quel momento quelle parole le erano sembrate vere.

Aveva perso tutto quelle che aveva solo per sentirsi un momento libera e … e viva facendo prevalere l’istinto e un coraggio che non credeva di possedere. E ora paradossalmente stava perdendo quella stessa libertà e probabilmente quella stessa vita.

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Sentì alcune lacrime pungerle agli angoli degli occhi, lottando contro l’orgoglio. Ma questo non impedì ad una di scivolare lungo la guancia diafana.

«Non vorrai metterti a frignare proprio adesso vero?» disse con ironia il soldato.

Finalmente si stava comportando come una qualunque schiava che realizza cosa sarà la sua vita da quel momento. Ma quell’attimo di debolezza durò solo pochi secondi.

Gabrielle tirò su con il naso asciugandosi velocemente il viso, si sentiva stranamente ferita dalle parole di scherno del soldato.

Maledettissimo orgoglio!

«No, sta tranquillo. Non vorrei correre il rischio di presentarmi dalla tua imperatrice con gli occhi gonfi!» sibilò acida.

Demetrio sorrise compiaciuto da quel comportamento. Diventava sempre più difficile tenere a freno il suo istinto che gli urlava di strapparle i vestiti di dosso. Voleva far sua quella ragazzina dalla lingua lunga più di ogni altra cosa, ma avrebbe perso buona parte del suo valore. Anche se lui sapeva che il suo valore non dipendeva certo dalla purezza del suo corpo. Era il suo spirito che riluceva tanto da abbagliarti, e la sua caparbietà e testardaggine che la rendevano speciale.

«Bene. Andiamo, all’Imperatrice non piace aspettare.»

Prese una fune e le legò i polsi, ma non tanto stretti.

Gabrielle sollevò un sopracciglio biondo e storse la bocca in un’espressione talmente buffa che il soldato dovette imporsi un po’ di autodisciplina per non iniziare a ridere.

«Cos’è hai paura che scappi?»

«No. Ma sei pur sempre una schiava.»

«Questa storia della schiava mi ha un po’ stufato. Riesci a dire una frase intera senza ricordarmelo?»

Dopo quelle parole Demetrio non poté trattenersi dal sorridere, ma poi si rabbuiò di colpo lasciando Gabrielle perplessa.

«Quando sarai a palazzo dovrai solo obbedire. Ricordatelo, il suo volere è il tuo volere, senza possibilità di scelta.»

«Lo so.» lo sguardo smeraldino si abbassò come se non potesse reggere il peso di quelle parole.

È la mia condanna.

«Ma non credo che il mio orgoglio me lo permetterà.» tentò di abbozzare un sorriso, ma con scarsissimi risultati.

Vide un lampo passare nello sguardo dell’uomo, e per un attimo credette di veder una crepa sulla corazza fatta di cinismo e freddezza che l’uomo portava perennemente addosso.

Ma sicuramente l’aveva immaginato.

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.

Gabrielle camminava lungo i corridoi del palazzo apatica e silenziosa, osservando con attenzione il gusto elegante e raffinato della padrona di casa.

Della padrona del mondo.

Poteva sentire lo sguardo delle altre serve su di lei, e il loro bisbigliare fitto al suo passaggio non la stava certamente rassicurando. Non sapeva come mai ma era certa che non avrebbe riscontrato molte simpatie tra le sue colleghe, era come se la vedessero come una minaccia, mentre le altre persone che aveva incontrato le avevano lanciato sguardi di sufficienza o addirittura non avevano minimamente considerato la sua presenza.

Ecco, finalmente riuscì a vederla. L’enorme porta che l’avrebbe condotta negli inferi, ancora pochi passi e l’avrebbe oltrepassata andando incontro al suo destino, che consapevole o non aveva scelto lei.

E l’avrebbe vista. Finalmente.

Nelle ultime ore non era riuscita ad impedirsi di pensare a lei, e a porsi mille interrogativi su quale fosse il suo aspetto, il suono della sua voce, il suo carattere, se fossero vere tutti i racconti che aveva ascoltato da piccola sulla sua bellezza, e sul suo sguardo freddo e incantatore, che sfidava il colore del regno di Nettuno con la sua tinta cerulea.

Almeno potrò togliermi queste curiosità.

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«Sei pronta?»

Gabrielle prese un profondo respiro. «No.»

Demetrio sorse le labbra in quello che doveva essere un sorriso incoraggiate. «Mi raccomando non permettere alla tua cocciutaggine di farti uccidere.»

«E tu non permettere alla tua brama di potere di consumare quel poco di anima che ti rimane.» Nonostante le parole fossero dure, Gabrielle le pronunciò con una dolcezza che non era proprio intenzionata a mostrare all’uomo, ma che non riuscì a trattenere e questa volta quello che vide sul volto del soldato fu un sorriso vero e sincero.

Il sorriso di un amico. L’ultimo sorriso…

.

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Xena osservava distratta la cartina che mostrava i confini del suo regno, fingeva di ascoltare quello che le stavano dicendo, ma proprio non riusciva a concentrarsi sulle parole del comandante di una delle sue legioni.

Si sentiva stanca. Dormiva poco, e quelle rare volte che ci riusciva quelle due pozze smeraldine non la lasciavano un momento. Quegli occhi così dolci e familiari avevano uno strano effetto su di lei. Al suo risveglio era confusa e spossata da quel senso di pienezza, e cercava in tutti i modi di ricordare a chi appartenessero quelle iridi, perché certamente dovevano appartenere a qualcuno, qualcuno che lei doveva conoscere bene.

Ma quando la risposta non arrivava si sentiva così distante da lei, e tutto perdeva importanza, perfino sé stessa.

Era starno come avesse stabilito da subito che si trattasse di una ragazza, ne aveva la certezza assoluta e non aveva mai dubitato che fosse così.

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Immersa nei suoi pensieri quasi non si accorse del soldato che rispettosamente si batteva una mano sul petto in segno di saluto. Xena gli lanciò una breve occhiata invitandolo a parlare.

«Mia Imperatrice, Demetrio è tornato dal suo viaggio per raccogliere tributi in Grecia. Chiede di vedervi, dice di avere un dono per voi.»

La donna non sembrò particolarmente interessata a quello che le stava dicendo, non era raro infatti che i comandanti delle sue legioni le portassero dei doni al rientro dalle loro missioni per entrare nelle sue grazie, cosa che raramente accadeva, visto che pochissimi rientravano nelle file degli eletti. I doni venivano comunque sempre apprezzati, visto che nella maggior parte dei casi si trattava di giovani schiavi (molte più fanciulle a dire la verità…) con la quale trovava modi molto piacevoli per trascorrere il tempo, anche se solo per una notte.

«Fallo entrare.» disse infine con voce piatta.

L’uomo annuì e fece un passo indietro prima di far cenno di aprire la porta.

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La prima cosa che Xena notò fu una fanciulla bionda non tanto alta al fianco del soldato. Era stata vestita di una tunica bianca che le lasciava una spalla scoperta e esaltava le forme giovani non ancora mature, ma estremamente affascinati, alcune ciocche color del grano maturo le coprivano il volto tenuto leggermente basso a fissare le corde che le imprigionavano i polsi.

Doveva essere piuttosto spaventata. Valutò la donna, mentre continuava a studiarla con una strana morsa che le attanagliava inspiegabilmente lo stomaco.

Gabrielle mosse ancora pochi passi incerti, poi alzò lo sguardo e finalmente la vide.

Il fiato le si mozzò in gola e una lieve giramento di testa la costrinse a prende grandi sorsate d’aria per non svenire. Aveva sentito tutte le sue forze abbandonarla nel momento in cui i suoi occhi avevano fissato quel celeste cristallino, così profondo.

Potrei annegare in quegli occhi…

Lo sguardo da sorpreso ritornò ad essere fiero e ribelle. Se è così che mi vogliono, sarò così… sarò me stessa!

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Xena ebbe una razione molto simile, ma lei era sempre stata brava a nascondere le proprie emozioni.

Era come se una freccia infuocata le avesse trapassato l’anima.

Quegli occhi… sono così… verdi!

E non è spaventata… non ha paura di me. È così fiera… è stupenda…

Il battito del cuore aumentò a livelli vertiginosi, tanto da poterlo sentire sbattere contro la gabbia toracica e pregarla di lasciarlo libero dalla sua prigione di ossa. Lei lo sta richiamando a sé…

E ora una sensazione conosciuta, ma che lei non riuscì ad identificare, iniziò a serpeggiare tra i suoi pensieri, languida e calda come la carezza di un amante, mentre affondava lo sguardo sempre più in profondità in quelle pozze smeraldine che sembravano infinite.

Per gli dèi… è lei!

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Continua…

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


Cap

Cap. 5

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Ares si muoveva come un cane rabbioso all’interno della sala del tempio, incredulo e assolutamente furioso.

«Ma come è potuto succedere!» tuonò dopo aver percorso qualche altro metro in direzione delle tre donne che con sguardo impassibile continuavano a filare.

«Questo non era nei piani.» continuò con tono accusatorio.

Lo sguardo di Cloto1 si posò sul dio. «Noi abbiamo rispettato gli accordi…»

Alla sua voce giovane si sostituì quella più matura di Lachesi1 che tuttavia non distolse gli occhi dai fili che stava agilmente districando. «… Ma il fato non può essere modificato…»

«Sciocchezze, voi siete le Parche! Siete voi che muovete i fili del destino.»

Ares dovette trattenersi dal lanciare un dardo infuocato e disintegrare quel dannato posto, se possibile la sua rabbia stava aumentando. Una vena pulsava violenta sulla fronte dando l’impressione di non poter reggere a tutta quella pressione di sangue ribollente d’ira, dai pugni chiusi frizzavano dei sinistri scintillii blu, mentre gli occhi avevano una sfumatura di nero profonda e penetrante, ancora più del solito.

«Ci sono cose che nemmeno noi possiamo cambiare. Cose già scritte, e che non muteranno mai, per quanti sforzi tu faccia. Due anime affini si trovano sempre.» disse infine Atropo1 con tono solenne.

«Anime affini?! Ma che razza di assurdità è…!» ringhiò al limite della sopportazione.

Il dio prese un profondo respiro prima di continuare, voleva ritrovare la calma, almeno un minimo, cosa che risultò impossibile quando si ritrovò a pensare a quella fanciulla bionda, fanciulla che lui conosceva molto, troppo, bene per non sapere che gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote.

Perché lui era certo che avrebbe trovato un modo di circuire Xena, con le sue chiacchiere e con quel suo sguardo di finta purezza, e di riportarla sulla strada della bontà e della redenzione.

Patetico!

«Beh, io non permetterò a quella puttanella bionda di…»

«Attento a quello che dici, Ares.»

Una voce melodiosa e dura a tempo stesso lo fece voltare sorpreso.

«Afrodite!- il dio della guerra si accigliò contrariato dalla presenza della bella divinità che lo fissava con la medesima espressione crucciata.- Che cosa ci fai qui?!»

«So tutto. So dei tuoi giochetti con la tela delle Parche, e del tuo tentativo di cambiare il destino di Xena, e di… tutti. E sappi che è una cosa assurda! Io non posso permetterti di andare avanti.»

«Sei stata tu! Hai portato tu Gabrielle al palazzo!»

La dea scosse la testa facendo ondeggiare i riccioli color del grano e sorrise triste.

«No. Io non ho fatto nulla. Loro sono destinate, i miei poteri non centrano.»

Ares sbuffò irritato. «Anche tu con questa storia? È semplicemente patetico!»

«Ma come fai a non capire! Sei solo uno sciocco, troppo pieno di sé per vedere quello che è proprio sotto al suo naso!»

Afrodite aveva iniziato ad urlare, mentre le tre Parche continuavano il loro eterno lavoro non curandosi minimamente della battaglia verbale tra fratelli.

«Io non le permetterò di rovinare tutto di nuovo. Prima che lei entrasse nella sua vita Xena apparteneva a me, la distruttrice delle nazioni, il flagello dei popoli, è questo quello che è! E non una patetica guerriera che ha votato la sua spada al servizio dei poveri oppressi!»

«Lei non è mai stata tua!» Afrodite cominciava veramente a spazientirsi.

«Oh, si che lo è stata…» il tono rabbioso si sciolse in uno malizioso e seducente. La dea roteò gli occhi, suo fratello non avrebbe mai compreso, e non perché era il dio della guerra, e quindi tremendamente orgoglioso e sicuro di sé, ma perché era un uomo. E gli uomini non comprendo l’amore fino a quando non lo provano sulla loro pelle.

«Questa volta non sarà lei a vincere…»

Prima che la sorella potesse replicare in qualche modo il dio svanì in uno scintillio azzurro.

Afrodite sospirò triste e leggermente delusa dall’atteggiamento del dio, ma d'altronde se lo aspettava.

Mi dispiace Ares, ma perderai…

La dea lanciò un ultimo sguardo alle parche che intente nel loro lavoro sembrarono non notare la scia dorata che l’accompagnò mentre spariva.

.

.

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Gabrielle si aggirava pensierosa tra i corridoi, non aveva una meta precisa, ed era certa di essersi persa in quel labirinto enorme di pietre elegantemente sistemate. Ma non era questo il problema più grande della fanciulla. Da cinque giorni vagava nella confusione più totale, e non certo perché ancora non riusciva ad orientarsi.

Aveva immaginato mille scenari, aveva pensato a tutto, ma non a quello che le stava accadendo ora.

Appena arrivata a palazzo si era aspettata che l’Imperatrice la mettesse immediatamente al lavoro tra le sue schiave, o chissà che cosa, e invece dopo quell’attimo in cui si era sentita quasi persa in quel mare celeste, la distruttrice delle nazioni l’aveva quasi ghiacciata con lo sguardo, e aveva chiamato una delle ancelle che stazionavano a capo chino in un angolo della sala, le aveva sussurrato qualcosa all’orecchio e questa aveva annuito avvicinandosi a lei e trascinandola via senza una parola, ma con uno sguardo carico d’odio.

Per un attimo aveva temuto il peggio, e aveva letto uno strano sguardo di panico negli occhi di Demetrio.

Possibile che non avesse apprezzato quel dono?

La domanda ebbe subito risposta quando in lontananza sentì la donna che ringraziava il soldato per il gradito dono.

Ma la voce era così fredda e inespressiva che Gabrielle dubitava che quella fosse la verità.

Fino a quel momento non poteva certo lamentarsi.

L’ancella, che aveva scoperto chiamarsi Leila, l’aveva accompagnata in una stanzetta, piccola ma relativamente confortevole e pulita.

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«Dormirai qui.» mormorò con voce dura una volta varcata la soglia di quella che da quel momento sarebbe diventata la sua stanza.

Gabrielle fece qualche passo all’interno e scrutò le pareti come se sopra ci fosse chissà quale effige.

«Ti ringrazio… e adesso che devo fare?» chiese confusa.

L’altra scosse le spalle. «Quello che vuoi.»

«Cosa?» ora era decisamente spiazzata.

«Sei libera di girare per il palazzo, ma attenta a dove vai.» l’ammonì severa. «Se ti serve qualcosa puoi chiedere a me, o qualunque altro membro della servitù…»

«Praticamente sono un’ospite.» l’interruppe improvvisamente la bionda. «Io credevo che…»

«Cosa?! Che cosa credevi?! Che ti mettesse subito nelle cucine a lavorare? Tranquilla, lo farà una volta che si sarà stancata del tuo bel faccino!»

«Che cosa vuoi dire?»

Leila sgranò gli occhi. «Allora sei veramente un’ingenua! Ti userà come giocattolo per qualche notte e poi ti getterà via, come ha fatto con tutte…»

Ora c’era solo amarezza nelle parole della ragazza. Gabrielle provò pena per lei, e per se stessa.

«Capisco…» gli occhi verdi si abbassarono vergognosi.

L’altra se ne andò lasciandola sola con i suoi pensieri, in attesa dell’inizio di quella che doveva essere una tortura.

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E adesso dopo cinque giorni in cui non era successo nulla, l’ansia stava cominciando a diventare insopportabile. Quell’attesa era snervante, non le permetteva di rilassarsi nemmeno per un secondo, e la tensione accumulata sommata con le ore di sonno perse in compagnia della sua mente chiacchierona la stavano facendo diventare matta.

L’unica cosa che la rilassava quel tanto che bastava per non avere una crisi isterica erano le lunghe passeggiate che si concedeva in quei giardini immensi, e che spesso si allungavano di qualche ora a causa del suo pessimo senso dell’orientamento.

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Tra le centinaia di stanze che aveva a disposizione quella era certamente la sua preferita.

Tranquilla ed accogliente. Nessuno andava mai a cercarla lì, e lei finalmente poteva godersi la calma che regnava in quel luogo quasi onirico, in compagnia dei suoi pensieri. Anche se quelli non erano certamente una compagnia gradita.

Era molto raro che accadesse, specialmente in quell’ultimo periodo, ma a volte una piccola vocina insistente e noiosa le ricordava i suoi peccati, che lei continuava a commettere incurante di tutto. Come un insetto fastidioso, si insinuava tra i suoi pensieri cercando una crepa nel suo animo cristallizzato dall’odio. Sarebbe stato un terreno troppo fertile per far attecchire i sensi di colpa, e quelli l’avrebbero soffocata. Quindi niente anima, niente sentimenti, niente pietà, ma soprattutto niente amore.

Un piccolo prezzo da pagare dopotutto.

Ma da cinque giorni quella sua regola fondamentale, la sola che era tenuta a rispettare in ogni occasione e che le aveva permesso di sopravvivere e di diventare quello che era, era miseramente crollata.

E lei ne era terrorizzata.

Perché non riusciva a spiegarselo, e soprattutto non voleva.

Come poteva permettere ad una ragazzina di avere un effetto così devastante su di lei?

Lei era la Conquistatrice, per gli dèi!

Che fine aveva fatto la distruttrice delle nazioni? Possibile che un paio di occhioni verdi bastino per farla cadere così miseramente?

No, questo non è possibile!

Ma restava il fatto che erano cinque giorni che la evitava.

E Xena non evitava mai niente, figurarsi una bella fanciulla che sicuramente era vergine.

Anche se infondo era solo una schiava e quindi non era certo costretta a fere nulla. Se non voleva vederla era liberissima di farlo.

È solo una schiava!

Ma provare a convincersi di questo era ormai un’impresa disperata.

Aveva disposto che quella fanciulla avesse una camera lontano dalle stanze della servitù e che le fosse dato tutto ciò di cui avesse bisogno, e questi non sono certo privilegi concessi a tutta la servitù. Anzi!

La donna si alzò e fece scorrere lo sguardo sulle pareti elegantemente arredate fino a raggiungere una pila di pergamene ordinatamente sistemate su degli scaffali.

Si avvicinò di qualche passo e ne prese una. Non sapeva che cosa contenessero, non si era mai particolarmente interessata a quella forma d’arte.

«Gabrielle…»

Quel sussurro le uscì spontaneo, e un delicato sorriso le increspò le labbra.

Quando aveva scoperto quale era il suo nome non ne era stata per niente felice, perché era certa che da quel momento in poi quel suono l’avrebbe perseguitata, e si sarebbe aggiunto la tormento di quella figura nei suoi incubi. No, sogni…

Ma era un tormento così dolce che non ne poteva fare a meno.

Aveva rinunciato anche alla compagnia del dio della guerra pur di non avere nessuno che la disturbasse e che magari interrompesse quei preziosi momenti in cui le difese che si era costruita attorno si abbassassero per permettere a quella figura bionda di oltrepassarle.

È un balsamo per la mia anima mutilata…

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I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva.

Si voltò di scatto, pronta ad inveire contro chiunque avesse osato disturbarla in quella sua oasi di pace, ed invece si ritrovò faccia a faccia con la sua dea bionda che la fissava tra lo stupito e lo spaventato.

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Gabrielle abbassò immediatamente il viso in segno di rispetto, ma anche per separarsi da quel blu così penetrante.

«M-mi perdoni Imperatrice.» disse con voce timorosa. «Credo di essermi persa, non volevo disturbarvi.»

Ma brava Gabrielle, proprio nella tana del lupo ti vai a ficcare! I miei complimenti!

«Non preoccuparti. Questo palazzo è enorme, può capitare di perdersi.»

Xena ringraziò il suo autocontrollo che le permise di mantenere la voce calma e indifferente, anche se era tutto fuorché calma e indifferente.

Dopo quelle poche parole nella stanza calò un silenzio teso e snervante. Gabrielle quasi non osava respirare e si ostinava a fissare i ghirigori del tappeto, pregando in un intervento divino che potesse toglierla da quella situazione, strana fino all’inverosimile.

Xena d’altro canto era completamente pietrificata, non sapeva cosa fare o cosa dire per sbloccare in qualche modo quella situazione.

L’unica cosa che il suo cervello sapeva in quel momento era che stava guardando una delle creature più belle del mondo, il resto non aveva più senso.

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«Conosci Saffo?» si decise a chiedere dopo altri interminabili minuti.

«Cosa…? Sì, sì la conosco, è una poetessa sublime.» rispose Gabrielle appena si riprese dalla confusione che quella domanda aveva scatenato.

Le labbra di Xena si stirarono in un sorriso. «Ma bene, sei una fanciulla istruita. È una cosa molto rara.»

Con un movimento elegante si accomodò su uno dei divanetti e invitò l’altra a fare lo stesso con un gesto della mano.

Gabrielle deglutì a vuoto più volte cercando di calmarsi e si avvicinò timorosa.

«Mi piacerebbe che tu mi leggessi qualche verso.»

«Credevo che queste cose non interessassero una guerriera come voi… »

La bionda si morse la lingua maledicendosi per la sua boccaccia.

Contraddire l’Imperatrice non è una cosa saggia!

«Infatti, è per questo che vorrei che me lo leggessi tu. Sembra un argomento che ti appassiona molto, potresti far nascere il mio interesse.»

Incredibile, nessuno mi aveva mai parlato in questo modo… questo dovrebbe come minimo infastidirmi, e invece…

Xena sorrise imitata da Gabrielle, che si era decisamente calmata dopo l’ultima frase della donna.

«Come desidera Imperatrice.»

«Xena.»

«Come?»

«Puoi chiamarmi Xena quando siamo sole, e puoi anche darmi del tu.» la guerriera si stupì non poco delle sue stesse parole.

Il volto di Gabrielle si illuminò. «Come vuoi, Xena…»

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La locanda dove avevano deciso di chiedere informazioni e un posto per trascorrere la notte era lurida e piccola.

Perdicca storse il naso sentendo degli apprezzamenti piuttosto pesanti fatto ad una delle cameriere, rabbrividì immaginando la sua Gabrielle in quella stessa situazione.

No, lui non l’avrebbe mai permesso, avrebbe salvato la sua promessa sposa a qualunque costo, anche se questo voleva dire sfidare l’Imperatrice stessa!

Si accomodò al bancone accanto ad Erodoto che chiamò l’oste con un gesto del capo.

«Vorremmo una stanza per la notte, e qualche informazione.»

«Per la stanza va bene. Ma per le informazioni dipende…»

«Stiamo cercando una fanciulla bionda, è stata portata qui come schiava cinque giorni fa.»

L’uomo scoppiò a ridere, una risata volgare e sguaiata che irritò profondamente Perdicca. «La cosa ti fa molto ridere?»

«Sai quante fanciulle arrivano qui per essere vendute come schiave?»

«Ma lei è speciale! Doveva essere portata alla corte imperiale.»

Le risate cessarono di colpo e il viso barbuto dell’uomo si scurì. «Se quello che dite è vero potete lasciare ogni speranza di riaverla indietro. Lei non lascia andare mai nessuna, ci gioca e poi le getta via.»

«Ma ci deve essere un modo! Sai come fare per entrare a palazzo?»

«Ci potete entrare solo come prigionieri. … Aspettate! Tra dieci giorni si celebreranno le Delfinie2, e durante i festeggiamenti i giardini del palazzo vengono aperti a tutti. Potreste provare ad intrufolarvi da lì e andare a cercare la vostra fanciulla… se è ancora viva.»

Erodoto strinse i pugni e digrignò i denti in un gesto di pura rabbia. «Lei è forte, può sopravvivere a tutto!»

Detto questo lanciò qualche moneta sul bancone sudicio e si allontanò seguito prontamente da Perdicca.

Gabrielle, figlia mia, resisti stiamo venendo a prenderti…!

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Continua…

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Ecco alcune piccole note che potrebbero esservi utili per la lettura del capitolo, o anche solo per curiosità ^^

Nota(1):

Cloto, Lachesi e Atropo sono i nomi delle tre Parche che filavano la tela del destino dell’uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone una ad ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito.

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Nota(2):

Le Delfinie erano delle feste che si celebravano in primavera in onore di Apollo Delfinio in molte città greche, per propiziarsi una buona navigazione. Il rito comprendeva dei giochi ginnici e una processione di alcune fanciulle che portavano dei ramoscelli di ulivo al tempio del dio.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Cap

Cap. 6

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La frenesia che in quei giorni pervadeva il palazzo aveva contagiato tutti.

Tutti si affaccendavano per preparare i festeggiamenti con un’allegria insolita e che raramente si respirava nella capitale. Era come se quell’anno tutti percepissero qualcosa di diverso, l’aria si era decisamente alleggerita grazie ad un inspiegabile buonumore dell’Imperatrice che appariva agli occhi dei suoi fedelissimi generali rilassata e quasi… felice. Il che poteva risultare quasi ridicolo, perché lei era la donna di ghiaccio, priva di qualsiasi emozione, e loro non avevano mai visto quel luccichio nel suo sguardo. Eppure ora c’era e nessuno se ne poteva lamentare, visto che stava portando ad un notevole miglioramento collettivo.

Le catene che imprigionavano il popolo dell’impero si stavano lentamente allentando, anche se di poco.

Ma il motivo di quei cambiamenti restava ignoto, e poteva tranquillamente passeggiare tra la folla che riempiva i giardini senza destare il minimo sospetto.

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Gabrielle si sentiva leggermente spaesata. Tutta quella gente che lavorava per i festeggiamenti che si sarebbero tenuti tra un paio di giorni la rallegrava, ma involontariamente la portava a pensare alla sua famiglia.

Chissà che cosa staranno facendo? Mi mancano così tanto.

Un’ombra passò sul suo bel viso, ma prima che si potesse perdere tra i suoi pensieri una voce profonda e ben conosciuta la richiamò alla realtà.

La fanciulla si voltò e il suo volto si illuminò. «Demetrio!»

«Salve bella fanciulla!» disse sfiorandole delicatamente il dorso della mano con le labbra.

«Ma quanto siamo galanti…»

Il soldato fece un verso poco chiaro per nascondere l’imbarazzo, e poi disse: «Beh devo comportarmi bene con la protetta dell’imperatrice.»

Gabrielle arrossì. «Non sono la sua protetta.»

«Certo che lo sei. Ti tratta come un’ospite di riguardo, e credimi quando ti dico che non era mai accaduto nulla del genere.»

«Non ti aspettavi questo quando mi hai rapito? Ti aspettavi che mi usasse e basta.» la donna aggrottò le sopracciglia irritata.

Demetrio si passò una mano sulle guance ispide. «Sì, credevo che lei addomesticasse te e non il contrario.»

Il rossore sulle sue guance aumentò. «Io non ho addomesticato proprio nessuno!»

L’uomo non parve far caso alle parole della fanciulla e continuò con fare meditabondo e leggermente divertito. «Devi essere piuttosto brava a letto se le hai fatto un effetto simile… sai lo immaginavo.»

«Finiscila! Non è mai successo nulla!» la sua voce era salita di un’ottava, così come il suo imbarazzo.

«Cosa?» ora era sinceramente colpito. «Vuoi dire che tu… che lei… nulla?»

«Ma perché tutti vi aspettavate che lei mi avrebbe… sì insomma… violentata?! Non esiste solo quello, sai?»

Ma perché ogni volta che pensava di non potersi imbarazzare di più doveva smentirsi?

«Beh è una cosa strana… e allora che cosa fate per tutta la notte? E non provare a negare che la passate insieme perché so che è così!»

Gabrielle rimase con la bocca aperta e una giustificazione sulla punta della lingua, ma poi si arrese allo sguardo indagatore dell’uomo. «Parliamo.» mormorò semplicemente.

«Parlate? Quindi siete… mmm… amiche?» azzardò.

«Più o meno. È una situazione strana.»

Demetrio aggrottò le sopracciglia più confuso di prima. «Che intendi?»

Gabrielle pensò per un momento che forse non era il caso di parlare di quelle cose con il suo rapitore, ma infondo con qualcuno doveva pur sfogarsi e a parte Xena, e Leila che la odiava per motivi a lei sconosciuti, Demetrio era l’unico che conosceva e con il quale aveva scambiato qualche parola, cosa molto strana visto il suo carattere socievole.

«Con lei mi trovo bene, completamente a mio agio, non provo soggezione, paura, o qualsiasi altro sentimento susciti nelle altre persone. È una sensazione così calda e rassicurante, mi fa sentire protetta, in un modo così … dolce.»

Non notò l’espressione stupita del soldato e continuò persa nel discorso che stava facendo.

«È… è come se la conoscessi da sempre… per gli dèi è così assurdo!»

L’uomo si prese un lungo attimo per riflettere. «Ti sei innamorata di lei…»

La sua voce aveva assunto una venatura amara che sorprese lui per primo.

Gabrielle cominciò a boccheggiare. Quelle parole l’avevano lasciata completamente spiazzata e incapace di formulare una qualsiasi risposta di senso compiuto.

Innamorata di lei… io sono… no, è impossibile…

Proprio mentre la sua mente cercava rifugio da quell’affermazione che non poteva, e non doveva, assolutamente essere vera, una terza figura si avvicinò lenta.

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«Capitano, credevo che questa mattina avesse delle reclute da addestrare.»

La voce fredda alle sue spalle la fece fremere per un momento, mentre Demetrio chinava il capo con rispetto, sperando di essere riuscito a nascondere la delusione che gli aveva dato Gabrielle inconsapevolmente.

«Sì, mia regina. Vado immediatamente.» l’uomo si allontanò rapidamente, dopo aver lanciato un cenno di saluto alla bionda, persa completamente nei suoi pensieri.

Infondo aveva ottenuto quello che voleva da quella fanciulla, era salito di qualche gradino nella scala che l’avrebbe portato a diventare uno dei generali dell’Imperatrice, eppure in quel momento non si sentì per niente soddisfatto.

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«Di cosa parlavate?»

Il tono di voce di Xena non aveva perso la sua inflessione dura, e adesso sembrava anche leggermente irritata.

Gabrielle fece vagare uno sguardo smeraldino estremamente imbarazzato ovunque pur di non incontrare quello della sua interlocutrice.

Il suo silenzio fu male interpretato dalla guerriera che iniziò a fremere di rabbia. … e gelosia. «Allora?»

«Di nulla, Imperatrice.»

Innamorata…

Certo che è proprio affascinate… ma cosa vado a pensare! Per Giove, sto impazzendo!

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.

«Sei taciturna oggi.»

Stavano passeggiando nel boschetto appena fuori delle mura del palazzo in un silenzio teso e pesante.

Entrambe pensavano a tutta quella strana situazione e a quei sentimenti che si agitavano nel fondo delle loro anime, scalpitando per venire fuori dalla loro prigione di razionalità. Ma era a quest’ultima che le due donne si aggrappavano nel vano tentativo di ridare una parvenza di ordine alle loro vite, ormai completamente scombussolate.

Prima di lei non era vita…

«Xena, posso farti una domanda?»

Gabrielle aveva fatto appello a tutto il suo coraggio e alla sua loquacità per dare inizio a quel discorso, e pregava tutti gli dèi di riuscire a finirlo.

La mora annuì. «Certo.»

«Che cosa… cioè… chi sono io per te?»

«Sei… una schiava.» provò a mantenere un tono di voce fermo ed autorevole, ma non fu certa del risultato. Il cuore aveva perso un battito a quella domanda così diretta ed inaspettata, e aveva desiderato che la terra si aprisse sotto ai suoi piedi appena quella risposta aveva lasciato le sue labbra, tanto che era sembrata spudoratamente falsa persino alle sue orecchie.

Chi sei tu per me?

Tu sei.. sei… tutto…

Gabrielle aggrottò le sopracciglia non convinta dalle sue parole, ma comunque delusa.

«Capisco. Quindi per te sono solo un giocattolo.»

Il tono amaro e profondamente deluso usato dalla fanciulla fece rompere qualcosa in Xena.

«No!» urlò quasi prima ancora di rifletterci. «Non è così.»

«E allora com’è? Spiegamelo Xena, perché io non riesco a capire. Se sono una schiava, perché mi tratti come se fossi un ospite? Perché ti comporti come se fossi mia… amica?»

La guerriera rimase spiazzata davanti sua foga, e alla sua determinazione. Nelle sue iridi poteva leggere chiaramente tutta la sua testardaggine, voleva una risposta e per gli dèi l’avrebbe avuta!

Eppure la sua mente proprio non riusciva a collaborare per formulare una risposta per lo meno decente. Tutto quello a cui riusciva a pensare era che in quel momento Gabrielle era meravigliosamente bella, con quello sguardo deciso e i lineamenti del volto un po’ crucciati.

Baciala!

No! Non posso!

Ma vuoi?

Sì…

Fallo allora, è così bella. E poi puoi disporre di lei come vuoi… l’hai sempre fatto.

Ma con lei è diverso, lei è speciale. Lei è Gabrielle.

Baciala!

.

Xena avrebbe volentieri continuato a discorrere con quella vocetta che le stava suggerendo la cosa giusta da fare, ma lei non era certamente il tipo da fare discorsi troppo lunghi, e così fece esattamente quello che era abituata a fare. Seguì il suo istinto. E il cuore…

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E fu come se una meravigliosa sensazione di calore l’avvolgesse tutta, qualcosa di conosciuto, ma dimenticato nei meandri della mente. Qualcosa che Xena non aveva mai provato, eppure ne conosceva il sapore, dolce, e infinitamente morbido, così come tutto il corpo di Gabrielle che pressava contro il suo.

In un attimo le parve di rivedere la prima volta che le loro labbra si sfiorarono in un contatto così profondo ed esplicito…

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“Gabrielle… Gabrielle, sono qui. Non sono morta...”

La voce di Xena calda e rassicurante accompagnata da un sorriso dolce le fecero mancare la terra sotto i piedi.

“Xena…” riuscì a singhiozzare, mentre il volto si bagnava di calde lacrime di gioia.

“… O non del tutto almeno.”

“Perché? Perché sei andata via? Ci sono tante cose che ho bisogno di dirti…”

“Gabrielle, non occorre che tu dica niente…”

In quel momento, nonostante gli abiti regali che indossava, le sembrava una bambina.

Così indiscutibilmente sua.

Entrambe si stavano avvicinando, attratte da quel corpo che forse avrebbero potuto vedere per l’ultima volta.

“Non c’è più tempo ormai, devo arrivare all’Ambrosia o dovrò andarmene davvero.”

“Io non posso perderti ancora…”

“Io ti sarò sempre accanto…” sussurrò prima di unire le loro labbra in un bacio dolce, carico di significati. Un bacio che divenne l’inizio di tutto.*

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Si separarono lentamente, come se quel gesto le avrebbe provocato un dolore immenso. Rimasero in silenzio, con gli occhi chiusi cercando di assaporare appieno quella sensazione, e di tentare di calmare il battito furioso.

«Adesso dovrai spiegarmi anche questo.» mormorò Gabrielle con voce sognante.

Xena rise. La sua Gabrielle non sarebbe mai cambiata.

Si mosse nuovamente verso quelle labbra, leggermente schiuse in un silenzioso invito.

Il bacio si approfondì naturalmente. Le braccia della bionda cinsero il collo della guerriera, che nel frattempo le passava delicatamente una mano lungo la schiena, sentendola fremere sotto il suo tocco.

«Ti va bene come spiegazione?»

«No.»

Xena sospirò pesantemente. Testarda.

«E va bene, hai vinto.» si allontanò giusto quel tanto che le bastava per guardarla meglio in viso. «Non sei un giocattolo e non sei una schiava. Tu sei importante, anche se non so ancora bene cosa sei per me. Ti sento come se fosse una parte di me, la mia parte mancante, ma la cosa mi sembra piuttosto strana… Che ne dici se lo scopriamo insieme?» concluse timidamente.

Gabrielle annuì raggiante. «Certo.»

«Bene. Sei contenta adesso?»

«Mai stata più felice.»

Xena ricambiò il suo sorriso luminoso. «Anche io lo sono. E molto.»

In quel momento, in quel boschetto, Xena pensò di avere tutto quello di cui avesse bisogno, non un’armata e nemmeno un impero, ma solo Gabrielle che la fissava con quello sguardo smeraldino, così come Gabrielle si sentì per la prima volta libera, e viva…

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«Bleah, ma è disgustoso! Sei proprio caduta in basso, Xena…» la voce parlò talmente piano che fu difficile udirla persino dalle sue stesse orecchie.

Una figura abilmente nascosta tra le fonde osservava le due donne. Erano giorni che non le perdeva di vista un momento, la sua attenzione era calamitata soprattutto da quella fanciulla bionda.

L’anello debole…

Un sorriso maligno salì sulle sue labbra.

E così finalmente ho trovato il tuo punto debole.

Ora non potrai più sfuggire alla mia vendetta, Principessa Guerriera.

Il sorriso aumentò, mentre uno baluginio folle rischiarò i suoi occhi castani.

Poi andò via, silenziosa e agile come un gatto, e attenta a non mostrare la sua presenza alla guerriera, che era ancora concentrata sulla sua amica bionda. Ma non poteva permettersi errori, non ora che era così vicina a raggiungere i suoi obiettivi. E così nemmeno una foglia si mosse mentre quella misteriosa figura balzava via.

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Continua…

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* [dialogo e scena tratti da The Quest (Xena alla ricerca dell’Ambrosia) seconda stagione]

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Capitolo 7
*** Cap.7 ***


Prima di lasciarvi al nuovo capi

Prima di lasciarvi al nuovo capitolo mi sembra doveroso fare i miei più sinceri ringraziamenti ad Eylis che mi ha aiutata a correggere la fanfiction^^

Vorrei inoltre ringraziare tutti quelli che leggono e che recensiscono. Grazie di cuore!^^

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Ed ora ecco a voi il nuovo capitolo.

Buona lettura!^^

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Cap.7

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Arrivò in quella caverna umida e fredda che nessuno, tranne di lei poteva chiamare casa. Ormai per lei non faceva nessuna differenza, l’unica cosa che contava era la sua vendetta.

Fece cadere con mal grazia il pesante mantello, lasciando scivolare una cascata bionda sulle spalle esili ma che nascondevano una forza non indifferente. Mosse qualche passo verso l’interno della grotta ma all’improvviso una voce profonda e minacciosa la bloccò.

«Se fossi in te io non lo farei.»

Un sorriso sarcastico le affiorò sulle labbra. «Cosa c’è, ti preoccupi della tua protetta?»

Ares fissò a lungo la schiena della donna prima di parlare nuovamente. «Non scherzo, Callisto! Rinuncia ai tuoi propositi, perderesti inutilmente la vita.»

«Che cosa ti importa della mia vita? Dopotutto tu hai la tua guerriera, no?»

Il dio tremò impercettibilmente, ma non tanto da non farsi notare dalla sua interlocutrice.

«Ah ora capisco. Non è più tua… adesso preferisce la compagnia di quella biondina… povero Ares, vinto da una ragazzina!»

La risata folle di Callisto si espanse nella caverna producendo un eco cupo che irritò profondamente la divinità. La sua pazienza stava rapidamente esaurendosi, Callisto tirava sempre troppo la corda con lui, con tutti a dire il vero. Ma lui conosceva bene la sua pericolosità, e la sua pazzia, e non voleva farsela nemica più del dovuto, meglio che riversasse il suo odio folle su qualcun altro. L’unico problema era che la fonte della sua rabbia era Xena, e la sua idea insana di ucciderla, le aveva causato gravi ferite che l’avevano portata ad un passo dalla morte.

Non che questo gli interessasse più di tanto comunque.

Callisto continuò, incurante della reazione del dio.

«Ma sta tranquillo, ho intenzione di ucciderla.»

«Perché? Come mai vuoi uccidere una schiava?»

La bionda sollevò le spalle. «Sai com’è, per il gusto di sentire il suo sangue sulle mie mani… e poi voglio che Xena soffra, che soffra come ho sofferto io!»

Ares si accigliò. «E cosa ti fa credere che uccidendola Xena soffrirà?»

Lui sapeva bene che quella era la verità, sapeva chi era Gabrielle per Xena prima di cambiare la realtà, ma non poteva credere che ora il piccolo bardo di Potidea fosse entrato dentro la guerriera così profondamente in così poco tempo. Era assurdo anche per loro.

«Oggi le ho viste, e ti risparmio i dettagli cruenti, ma credimi quando ti dico che Xena ci tiene veramente a quella piccola schiava. D’altronde la nostra cara Imperatrice ha sempre avuto dei gusti un po’ strani.»

Ares sorrise e Callisto poté vedere nel suo sguardo la stessa luce maligna e folle che aveva lei. Iniziò a camminare lentamente carezzandosi il pizzetto che decorava i suoi tratti duri e affascinanti.

«Sai, forse la tua idea non è tanto male… potrebbe essere un buon piano. Sì, decisamente un ottimo piano.»

Si fermò e fissò Callisto negli occhi che ora brillavano sinistramente. «Bene Callisto, non abbiamo altro da dirci per il momento… Sono certo che farai un buon lavoro con Gabrielle, e mi raccomando, che soffra!»

Detto questo svanì in un lampo bluastro. Il sorriso della bionda aumentò a dismisura, come quello di una fanciulla che aveva appena ricevuto in dono una meravigliosa bambola.

«Sarà fatto, Ares. Sarà fatto…»

.

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L’odore di polvere e di chiuso è quasi asfissiante, Xena avanza lentamente nella cripta, erano anni che non andava più a trovarlo. Con gli occhi lucidi e un peso sul cuore lascia scivolare le dita su quel freddo pezzo di pietra.

“Linceo…”

Sente il peso di quel lutto sulle sue spalle, e il vuoto che la morte del fratello ha provocato.

“Vorrei che tu fossi qui. È brutto essere soli…”

“Tu non sei sola.”

Si volta e la vede, sulla soglia della cripta che le sorride dolcemente, con quegli occhioni verdi che illuminano ogni cosa.

Ed è come se tutto avesse nuovamente un senso…

.

Xena aprì gli occhi di scatto tirandosi a sedere, poteva sentire ancora la sensazione di calore che quello strano sogno le aveva procurato.

Un sorriso le sorse spontaneo quando vide la figura placidamente addormentata di Gabrielle rannicchiata al suo fianco. Istintivamente le carezzò la spalla nuda lasciata scoperta dal lenzuolo, compiacendosi della morbidezza di quella pelle che quella notte aveva imparato a conoscere.

Non riuscì a trattenere un sospiro soddisfatto. Quella era stata la notte più incredibile che avesse mai avuto, e lei di esperienze ne aveva avute parecchie, ma con Gabrielle era stata una scoperta.

Era come se fosse tutto nuovo e già vissuto allo stesso tempo. Sapeva perfettamente quali tasti toccare per portare la compagna all’apice, e sicuramente anche Gabrielle era perfettamente consapevole di quello che faceva, e anche piuttosto brava. Anzi, molto brava.

Se non avesse sentito la sua verginità, non avrebbe mai creduto che fosse totalmente priva di esperienze.

Sorrise.

La mi piccola è piena di talenti nascosti…

.

Un mugolio basso la distolse dai suoi pensieri e attirò completamente la sua attenzione.

«Ehi …»

«Ciao.» Gabrielle aprì pigramente un occhio e sorrise alla vista della guerriera che la guardava con dolcezza.

«Come ti senti?» chiese con apprensione Xena.

«Bene, meravigliosamente bene.» sospirò sognante accoccolandosi meglio sulla sua compagna che, ancora appoggiata alla spalliera del letto, prese ad accarezzarle i capelli morbidi.

«Si sta facendo tardi, forse dovrei andare.»

La guerriera si fermò di colpo e la fissò con un sopracciglio sollevato. «Perché? Ti sei già stancata di me?»

Gabrielle sollevò la testa per fissarla in quei due diamanti che ora brillavano di curiosità e preoccupazione.

«No, non è questo. È solo che… insomma io credevo che… mi hanno detto che… dopo che noi…» iniziò a balbettare frasi senza senso arrossendo sempre di più ad ogni parola. Xena intuì, più che comprendere, il senso di quel discorso strampalato e provò a fermare quel fiume di parole in libertà che era diventata la bionda.

«Gabrielle, ne abbiamo già parlato ieri.»

«Sì, lo so, ma…» abbassò lo sguardo incapace di reggere il suo.

«Ma cosa? Le cose che ti hanno detto su di me sono probabilmente tutte vere, ma sappi che con te è stato diverso. Tu sei diversa, e non voglio che pensi che questa notte non ha significato nulla per me…»

Le prese delicatamente il mento tra le mani e lo sollevò fino a far incontrare i loro sguardi.

«… ha significato, e molto anche. Mi sono spiegata?»

Gabrielle annuì, il discorso che le aveva fatto Xena l’aveva rassicurata e parecchio, ma non poteva dimenticare a chi aveva donato il suo corpo, e a chi stava affidando il suo cuore. Anche se con lei era gentile e buona, la donna che ora le sorrideva raggiante era pur sempre l’Imperatrice, il flagello delle nazioni, e numerosi altri epiteti che non le facevano certo onore. Decise però che non era il caso di preoccuparsene in quel momento. Voleva godersi appieno quelle sensazioni, coccolata dal suo caldo abbraccio, senza pensare alle conseguenze.

Eh sì, mi sa che Demetrio ha proprio ragione, mi sono proprio innamorata di te, Xena.

«Xena?»

«Mmm?» la guerriera aveva ripreso ad accarezzare la sua chioma bionda, ed era così rilassante che stava per appisolarsi nuovamente.

«È bello.» disse semplicemente, strofinando una guancia sulla spalla dell’altra.

«Cosa?»

«Stare qui con te. Solo noi due. Mi sento bene.»

Per tutta risposta sentì la presa attorno le sue spalle farsi più stretta, e le carezze spostarsi dalla nuca al braccio, in un contatto così delicato da farla fremere.

«Sì, è meraviglioso.»

Xena la sentì sorridere contro la sua spalla, e qualche istante più tardi il suo respiro più pesante le fece intuire che si era addormentata.

«Gab…?»

«Mmm…»

Sorrise, ben consapevole che la compagna era già tra le braccia di Morfeo.

«Penso che potrei innamorarmi di te…»

«Anch’io.» sussurrò, forse non tanto inconsapevolmente, nel sonno.

E così è questa la felicità…

.

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Xena fu svegliata dal leggero bussare.

Aprì di scatto gli occhi, sorpresa del fatto di essere ancora a letto a poltrire a quell’ora tarda del mattino, ma una rapida occhiata alla chioma bionda che spuntava dal lenzuolo la fece sentire pienamente soddisfatta e felice. Per un po’ i suoi doveri di Conquistatrice del mondo potevano anche aspettare.

Il fastidioso ticchettio contro la porta però continuava, leggermente più energico di prima.

La guerriera valutò la possibilità di ignorare lo scocciatore e restare al fianco di Gabrielle, ma poi ci ripensò, considerando che per avere il coraggio di andare a disturbarla nelle sue stanze private doveva necessariamente essere una cosa della massima urgenza.

Nessuno oserebbe venire qui senza un valido motivo.

A meno che non voglia rischiare la sua vita…

.

«Che cosa c’è?» sbottò, gelando la figura minuta davanti a lei.

Leila strinse ancora di più le spalle cercando di far diminuire il tremolio che l’aveva colta appena la figura imponente di Xena aveva fatto la sua comparsa.

«Im.. imperatrice è arrivata questa missiva per voi dal Celeste Impero…»

Un lampo passò nel suo sguardo ceruleo, e un brivido la percorse quando afferrò il rotolo di pergamena dalle mani della schiava.

Lao Ma…

«Grazie. Puoi andare.»

L’altra fece un leggero inchino e si dileguò.

.

Xena iniziò a leggere il contenuto della pergamena con aria crucciata.

«Cattive notizie?»

La voce di Gabrielle la distolse da quelle parole scritte con quella calligrafia sottile ed elegante che lei ben conosceva. Alzò lo sguardo e lo posò sulla fanciulla che seduta la guardava dal letto con l’aria ancora assonnata.

«No.» disse piattamente. Si sentiva stranamente a disagio in quel momento.

La bionda aggrottò le sopracciglia non convinta della risposta ricevuta. «No? Allora come mai quella faccia preoccupata?»

La guerriera sospirò pesantemente e si sedette sul letto in modo da poter guardare in quegli occhi di un verde ammaliante.

«È una richiesta per una trattativa di pace, da parte del Celeste Impero.»

«La pace è una bella cosa, sai? Che cos’è che ti preoccupa tanto?»

Xena distolse lo sguardo. Non poteva spiegarle tutto guardandola negli occhi, quello che ci avrebbe letto dentro la spaventava.

Si sentì la più miserabile delle persone, e indegna di stare al fianco di una creatura meravigliosa come Gabrielle.

«È complicato.» riuscì a dire con un filo di voce.

«Scusa, non avrei dovuto chiedertelo. Non ne avevo nessun diritto.»

In quel momento Gabrielle si sentì un’idiota. Per un secondo aveva pensato che Xena potesse confidarsi con lei, che potesse discutere con lei delle questioni che riguardavano il suo regno, ma soprattutto che avesse abbastanza fiducia da dirle perché quella lettera la impensieriva tanto.

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Guardala, nemmeno un giorno e già la fai soffrire…

Povera piccola innocente fanciulla, persa tra le braccia dell’orco cattivo…!

Non sei fatta per amare, Xena! Né per essere amata!

La farai soffrire…

… la deluderai…

… e infine la ucciderai, portandole via tutto ciò che possiede… la sua luce…!

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Scacciò quella voce che subdola strisciava tra i suoi pensieri rendendo tangibili le sue paure.

No! Io non la farò soffrire!

Sì invece…

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Si riscosse da quella specie di incubo ad occhi aperti e vide gli occhi della compagna profondamente tristi.

«Invece ne hai tutto il diritto.»

La risposta di Xena la sorprese non poco.

«Vedi Gabrielle è una questione piuttosto delicata, e io voglio parlartene, ma…»

L’altra la zittì poggiandole due dita sulle labbra.

«Non devi giustificarti con me. Sappi solo che quando vorrai parlarmene io ci sarò.»

Xena sorrise contro le sue dita e gliele baciò leggermente, quel lieve contatto ebbe il potere di farla fremere.

Ma come hai fatto a sconvolgere la mia vita fino a questo punto?

Ti giuro Gabrielle, io ti proteggerò sempre… anche da me stessa.

L’attirò a sé e la baciò profondamente, dimenticandosi dei problemi che in quei giorni avrebbe dovuto affrontare. Ora tutto quello che esisteva erano le labbra di Gabrielle e quell’insolito calore che sapevano procurarle.

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.

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Continua…

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Capitolo 8
*** Cap.8 ***


Cap

Cap. 8

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Perdicca non riusciva a credere ai suoi occhi. Il palazzo imperiale era immensamente più grande di quanto non si prospettava dall’esterno, con un numero imprecisato di guardie che si aggiravano tra la folla festante con l’aria truce ed insofferente. Ma, nonostante la presenza di soldati minacciosi e poco propensi a festeggiare, l’aria era allegra e spensierata. Quella festa era vista dai cittadini come una benedizione, un modo per dimenticarsi i problemi e vivere una serata tranquilla. Attendevano le delfinie ancora più impazientemente dei baccanali, visto che la celebrazione del dio dell’ebbrezza non era particolarmente gradita all’imperatrice.

«Come faremo a trovare Gabrielle in questa calca?»

Erodoto lanciò una lunga occhiata alla folla come se potesse osservare attraverso di essa.

Sospirò frustato. «Non lo so. Probabilmente è segregata in qualche prigione… Dovremmo provare ad entrare.»

Il più giovane annuì e si avviò senza avere una meta precisa.

Brancolavano totalmente nel buio, e per di più si trovavano nell’unico luogo in cui non avrebbero mai voluto essere.

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Riuscirono ad entrare senza troppe difficoltà, visto che nessuno era così folle da sfidare l’imperatrice così apertamente tanto da intrufolarsi nel suo palazzo. Ora l’unico problema era non farsi trovare da nessuno, e riuscire ad orientarsi in quel labirinto di corridoi.

«Accidenti!» imprecò Erodoto rendendosi conto che stavano vagando alla cieca. Se andavano avanti così non l’avrebbero mai trovata, anzi sarebbero sicuramente morti nell’impresa.

«Da qualche parte in questo palazzo si trova la mia bambina… ed io non riesco a trovarla!»

Perdicca strinse i pugni fino a far diventare la nocche bianche. Si sentiva così impotente.

Prima che potesse dire qualunque cosa il rumore di passi che si muovevano veloci si diffuse attraverso i corridoi silenziosi.

Una sensazione di gelo opprimente colpì i due uomini in pieno petto, lasciandoli completamente pietrificati nel terrore. Provare a fuggire da quella persona che si avvicinava rapidamente a loro era completamente inutile, con ogni probabilità avrebbero peggiorato la situazione, ma non potevano neppure restare lì inerti ad attendere un destino peggiore della morte.

È la fine…

Nemmeno il tempo di rendersi conto di quel macabro pensiero che la misteriosa figura apparve…

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Gabrielle correva per i corridoi cercando di non perdersi nuovamente.

Tirò un impercettibile sospiro di sollievo quando riconobbe una statua posta al lato del corridoio riuscendosi finalmente ad orientare, ciò nonostante non rallentò la sua andatura.

Non aveva un reale motivo per correre, ma voleva raggiungere la biblioteca il più in fretta possibile.

Aveva provato a mischiarsi alla folla che aveva invaso i giardini del palazzo, ma si era sentita stranamente a disagio e triste. La lontananza dalla famiglia le pesava un po’.

Ma non quando sono con Xena…

Sorrise automaticamente. Il solo pensarla la rallegrava immediatamente. Si sentiva stupida e infantile per questo, ma non poteva farci nulla. E non voleva!

Sono una bambina, una bambina innamorata…

Anche se la guerriera era stata un po’ presa dal suo lavoro in quegl’ultimi giorni, ogni momento libero lo passava con lei, e questo le faceva immensamente piacere.

Era felice, semplicemente felice.

Anche se doveva ammettere che in certe occasioni le dispiaceva essere tenuta fuori dai suoi pensieri, avrebbe voluto essere un’amica di cui fidarsi e con cui sfogarsi prima di tutto, ma evidentemente Xena non doveva essere molto d’accordo, visto che continuava ad estraniarsi nei suoi misteriosi silenzi.

Lei sapeva che c’era qualcosa che la preoccupava, qualcosa che veniva dal suo passato, ma non sapeva esattamente cosa… ma era certa che qualunque cosa fosse stata non le avrebbe fatto tanto piacere.

Era pronta ad affrontare il peso delle sue scelte e a confrontarsi con il suo oscuro passato?

Forse non era ancora pronta per rispondere a quella domanda.

Decise che ci avrebbe pensato quando si sarebbe posto il problema.

Ora era quasi arrivata in biblioteca, le serviva una buona lettura per svagare la mente, ma proprio quando svoltò un angolo la sua marcia fu interrotta da due figure che fissavano nella sua direzione con sguardo terrorizzato.

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«M-ma… c-che cosa…» riuscì solamente a boccheggiare confusa.

«Gabrielle!» la voce di Perdicca rimbalzò commossa sulle pareti possenti.

Erodoto corse ad abbracciare la figlia, versando quasi senza rendersene conto lacrime di gioia.

«Padre…» la fanciulla ricambiò la stretta del genitore con tutta la forza disponibile, per poi allargarla anche a Perdicca.

«Oh quanto mi siete mancati!... Ma che cosa ci fate qui? Come avete fatto ad entrare?» chiese una volta ripresasi da quella inaspettata riunione di famiglia.

«Come che cosa ci facciamo qui? Siamo venuti a salvarti!» rispose sicuro il ragazzo.

«Salvarmi? Oh…»

Gabrielle abbassò lo sguardo colpita da quelle parole, sentendosi in colpa per non aver fatto avere notizie di sé alla sua famiglia.

Era naturale che avessero pensato il peggio e che fossero preoccupati per lei.

«Gabby non ti preoccupare, ora ce ne andremo via da questo posto.»

«Forse… forse è meglio andare a parlare da un’altra parte. Potrebbe vedervi qualcuno…» affermò seria, e senza dare loro il tempo di fare nulla si avviò a passo spedito verso la sua meta originale.

I due uomini si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non dissero nulla, in fondo aveva ragione lei, non era sicuro restare a parlare lì.

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Erodoto lanciò un’occhiata circolare alla stanza dove sua figlia li aveva condotti, sorrise vedendo i numerosi rotoli di pergamena riposti sugli scaffali pregiati. Proprio la stanza adatta a Gabrielle!

«Allora, volete spiegarmi che intenzioni avete?»

Perdicca si avvicinò ad un divanetto e si accomodò teso fino allo spasmo. «Non c’è nulla da spiegare. Siamo venuti per riportarti a casa, e penso anche che dovremmo sbrigarci se non vogliamo che qualcuno ci scopra.»

«Non avete idea di cosa state dicendo.» sussurrò abbassando lo sguardo.

«Perché? Non vuoi tornare? Che cosa ti ha fatto quel mostro?» tuonò Erodoto inferocito con quella che avrebbe dovuto essere la sua regina.

«No, a me piacerebbe tornare… mi mancate veramente tantissimo, ma… è complicato.»

«Tesoro, lo sappiamo che sei prigioniera di quell’essere spregevole, è proprio per questo che…»

La voce nervosa di Gabrielle lo interruppe.

«Ora basta! Voi non sapete un bel niente, non la conoscete nemmeno eppure vi permettete di giudicarla!»

Perdicca si accigliò. «Ma che cosa stai dicendo?! È della distruttrice delle nazioni che stiamo parlando! E del fatto che ti tiene prigioniera!»

«Xena non è così!»

Non sopportava che qualcuno giudicasse la persona che aveva scoperto di amare così leggermente.

«Xena? Gabrielle, ma che cosa sta succedendo?»

Erodoto aveva visto uno strano luccichio nello sguardo verde di sua figlia, e sapeva che non avrebbe portato a nulla di buono.

Gabrielle aveva iniziato a torturarsi le mani, osservando le decorazioni del tappeto che stava calpestando e sperando di riuscire a trovare le parole per spiegare tutta quella situazione.

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Avanti Gabrielle, pensa! Pensa!

Allora qui ci vuole calma e diplomazia, e una buona dose di parole in libertà.

In fondo se non puoi convincerli, confondili!

Mio padre mi ucciderà, e a Perdicca verrà un colpo!

Per gli dèi in che guai sono finita!

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«Allora?» provò a spronarla dolcemente il suo promesso.

«Vedete la situazione è un po’ più complessa di quanto pensiate…»

«Complessa? Spiegati, per Giove!»

Erodoto non era mai stato un uomo paziente, e Gabrielle riusciva sempre a portarlo al limite, ma adesso stava esagerando. E stava facendo perdere minuti preziosi alla loro fuga.

Ma Gabrielle non ebbe il tempo di dire nulla perché le porte della sala si spalancarono con un tonfo sordo.

.

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Xena continuava a fissare la pergamena, senza però guardarla realmente. Il suo sguardo era perso in ricordi lontani e dolorosi.

Lao Ma…

Quanto doveva a quella donna? Forse molto più di quello che credeva.

Il suo mentore, la sua guida, la sua amica…

L’unica che ha veramente cercato di capirmi e di aiutarmi…

Ma le lusinghe del dio della guerra erano state molto più convincenti, rispetto a quelle della sovrana del Celeste Impero, e cedere era stato estremamente facile.

Ancora troppo avida e arida dentro per riuscire a comprendere fino in fondo il suo messaggio.

Ma ora, ora c’era lei e un piccolo spiraglio si era aperto, e finalmente poteva sentire il calore che penetrava da esso.

Eppure nonostante questo aveva ordinato ai suoi generali di tenere pronte le legioni per la partenza. Perché lei sarebbe stata per sempre il flagello dei popoli, e anche se non era intenzionata ad attaccare Lao Ma e il suo regno, non poteva certo mostrarsi debole.

E Gabrielle volente o nolente era una debolezza. La sua unica debolezza.

Se qualcuno avesse scoperto i sentimenti che provava per la giovane prigioniera ne avrebbe certamente approfittato, specialmente nel periodo del viaggio in Cina, dove non avrebbe potuto proteggerla personalmente. Portarla con sé sarebbe stato ugualmente troppo pericoloso.

E l’ultima cosa che voleva era metterla in pericolo.

Ma al tempo stesso Gabrielle era la sua forza, e il solo pensiero di separarsi da lei le provocava delle fitte al cuore che le mozzavano il respiro.

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Lasciala andare…

Lei non è adatta a questa vita. Le farai solo del male!

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Xena scosse violentemente la testa per scacciare quella vocina insolente che in quegli ultimi giorni non voleva proprio abbandonarla. La stava facendo impazzire.

«Im-imperatrice…»

La voce insicura di Leila la ridestò dai suoi pensieri.

«Cosa c’è?» sbottò brusca, facendo indietreggiare la giovane schiava di un passo.

«Volevo solo avvertirvi che Gabrielle è in biblioteca… con degli uomini.»

Un sopracciglio sottile si sollevò, mentre una strana rabbia opprimente mista a tristezza iniziava a scalpitare nel suo petto.

«Uomini?» chiese provando a simulare una voce disinteressata.

«Sì. Non mi sembra di averli mai visti a palazzo.» aggiunse, era molto soddisfatta della reazione della guerriera, ma si guardò bene dal mostrarlo.

Si alzò di scatto e si avviò a passo spedito lungo il corridoi quasi travolgendo Leila, dimenticandosi completamente della sua presenza.

Ora tutto quello che voleva era arrivare in biblioteca e chiedere spiegazioni a Gabrielle, non prima di aver dato una bella lezione a quegli sciocchi che avevano osato avvicinarsi di più di dieci passi alla sua Gabrielle.

Schioccò le dita e immediatamente i due uomini posti ai lati della porta la seguirono.

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Perdicca ed Erodoto sbiancarono di colpo appena la figura maestosa e sicuramente furiosa comparve con alle spalle due soldati che subito li circondarono con le spade sguainate.

Xena si avvicinò a Gabrielle che la fissava con uno sguardo dispiaciuto che le fece mancare un battito.

«Che cosa sta succedendo qui?» chiese con voce tagliente.

La bionda deglutì a vuoto più volte. La situazione era decisamente precipitata. «Io…»

Fu interrotta da due dita che si posarono sulle sue labbra. «Mi spiegherai dopo. Portateli via!»

«Cosa? No, aspetta. C’è un equivoco…»

«Ho detto che mi spiegherai dopo!»

Xena la fulminò con lo sguardo e Gabrielle capì che per il momento era meglio tacere, non voleva rischiare di peggiorare le cose facendola innervosire ancora di più.

I due uomini lanciarono un ultimo sguardo alla fanciulla e si lasciarono trascinare via senza emettere un solo fiato, troppo spaventati e confusi.

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«Allora?»

Al sicuro da occhi e orecchie indiscrete nelle sue stanze Xena tentava di far parlare Gabrielle, che si era chiusa in un mutismo pesante ed estremamente irritante da quando aveva dato l’ordine di portare quei due sconosciuti nelle segrete. La fanciulla si ostinava a fissare il pavimento in piedi davanti a lei, non osando muovere un solo muscolo, con lo sguardo scurito da una stana rabbia mista a timore.

Quando si decise a parlare la sua voce uscì stentata e balbettante. «Quegli uomini… sono mio padre e un mio amico d’infanzia. Erano preoccupati per me, e così hanno pensato di farmi… evadere…»

«Evadere?» era sinceramente confusa, e la cosa che più le era poco chiara era l’imbarazzo di Gabrielle.

L’altra annuì appena e sollevò il suo sguardo verde scintillante fino ad incontrare quello cristallino della guerriera.

Per un secondo dimenticò quello che stava dicendo, abbandonandosi completamente in quel mare profondissimo e misterioso, del quale, ormai ne era certa, non poteva più fare a meno.

Scosse la testa per allontanare quel piacevole torpore e continuò.

«Sai Xena, non è che tu sia conosciuta come la persona più cordiale del mondo…» Xena arricciò le labbra infastidita, ma Gabrielle non le badò. «Loro non potevano sapere che… cioè… sì insomma, che noi…»

Gabrielle si odiò. Ma possibile che ancora non riusciva a dirlo?

Devo solo dire che mi sono completamente, perdutamente, innamorata di lei…

Oh dèi!

Xena rise, stranamente, e la sua risata coinvolse anche Gabrielle che accennò un sorriso luminoso e pieno d’imbarazzo.

«Sei proprio incredibile… Dai, vieni qui.»

Le tese una mano che venne prontamente afferrata dalla fanciulla.

Gabrielle si accoccolò sul divanetto accanto a Xena. La testa poggiata mollemente sulle sue spalle, mentre la guerriera le carezzava delicatamente i capelli che scivolavano morbidi e setosi tra le sue dita rese ruvide dalle battaglie, e il braccio, in un movimento che fece rilassare entrambe.

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Era così naturalmente appagante stare abbracciate così.

Senza maschere. Quando erano insieme potevano mostrare il loro vero volto, consapevoli entrambe di essere al sicuro.

Xena adorava quei momenti, quando il silenzio è rotto solo dal loro respiro regolare, o ancora leggermente affannoso, dipende dai casi, e poteva sentire il battito di Gabrielle sotto le dita che la sfioravano leggermente, come per accertarsi che quel corpo morbido premuto contro il suo fosse reale e non uno di quei sogni in cui si perdeva sempre più spesso.

Inutile dire che mai con nessuno si era comportata in modo così affettuoso e sdolcinato, tanto che lei stessa se ne sorprendeva, ma ormai era chiaro anche a lei che per Gabrielle avrebbe fatto qualunque cosa. Provava per lei sentimenti che andavano oltre il mero piacere fisico, e quindi doveva avere di più.

Le sue attenzioni, il suo rispetto, il suo corpo compreso di cuore pulsante, ma soprattutto doveva avere il suo amore. Sempre.

Sei il mio sempre, Gabrielle.

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Ti tradirà… e ti ucciderà.

No…!

Lo farà, così come hanno fatto tutti… come ha fatto Cesare…

No! Lei non lo farà!

Ti userà solo per i suoi scopi. Lei non prova niente per te, nessuno può provare qualcosa per un essere senza cuore…

NO!

Stare insieme porterà solo alla tua rovina… soffrirete entrambe!

No, io non lo permetterò!

Non puoi farci niente. È il tuo destino…

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«Li lascerai andare?»

La voce di Gabrielle la distolse dai suoi pensieri facendola sussultare.

Ma che cosa mi sta succedendo?

«Sì, penso proprio che lo farò.» borbottò in risposta, non troppo convinta. «Ma farò in modo che nessuno lo sappia.»

«Non vuoi proprio far vedere agli altri la persona meravigliosa che sei?» mormorò la bionda cercando di scrutarle il viso nel disperato tentativo di capire che cosa pensasse.

Xena storse la bocca. «Non posso mostrarmi debole. Se libero loro dovrò concedere la stessa grazia a tutti, e non posso permettere che gli altri pensino che mi stia ammorbidendo fino a questo punto.»

«Allora ti sto ammorbidendo?» soffiò divertita, baciandole lievemente il collo.

La guerriera gemette piano, ma si riprese quasi subito. «Non mi stai ammorbidendo…»

Le sue parole erano così spudoratamente false che non poté sperare neppure per un secondo che Gabrielle ci cascasse. Ed infatti la sentì sorridere contro la sua pelle, per poi riprendere a torturare un punto sensibile dietro l’orecchio.

«Questo è tutto da vedere mia regina…»

Xena gemette nuovamente, più forte, facendo capire a Gabrielle di aver vinto quella piccola battaglia verbale.

«Sei una peste…» soffiò piano la guerriera attirandola verso le sue labbra impazienti.

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Un crepitio e uno scintillio azzurrognolo annunciarono la comparsa del dio della guerra in quella fetida e umida caverna.

Ares arricciò il naso disgustato da quel posto. Lui, il grande dio della guerra, costretto ad abbassarsi a simili nefandezze per colpa di una puttanella che giocava a fare la brava samaritana!

Ma per lei ne vale la pena…

Cercò con lo sguardo la persona che era venuto a trovare, trovandola accucciata in un angolo intenta a fissare la lama lucida di un pugnale.

«Come mai non hai ancora fatto nulla?»

Callisto non sollevò neppure lo sguardo troppo concentrata sull’arma. «Non è ancora tempo.»

«Presto Xena partirà per il Celeste Impero per stringere un patto di alleanza con Lao Ma, se devi agire devi farlo subito! Altrimenti io…»

«Tu cosa?» sollevò lo sguardo fissando quello del dio scurito dall’ira. «Hai coinvolto le parche. Perchè?»

Ares sbuffò infastidito da tutta quella curiosità, del tutto fuori luogo in quel momento.

«La questione non ti riguarda.»

La donna si sollevò in tutta la sua fiera altezza, un sorriso le incorniciò le labbra sottili. «Ti stai giocando tutte le tue carte… vuoi che Xena allontani spontaneamente la sua nuova amante per poi farla uccidere da me. Ma in questo modo non soffrirà come io vorrei che soffrisse.»

«Hai ragione… soffrirà molto di più. I sensi di colpa per non essere riuscita a proteggerla la faranno impazzire di dolore, e a quel punto ritornerà la mia guerriera sanguinaria!»

«Ma che essere spregevole…» mormorò divertita e compiaciuta dal piano del dio iniziando ad accarezzargli il torace scolpito. «Vuoi giocare con i suoi sensi di colpa, con i suoi sentimenti più umani ritorcendoglieli contro fino a stapparle l’anima!»

Ares sorrise compiaciuto sentendo il fiato caldo e umido della guerriera a pochi centimetri dalla sua pelle, e le sue dita sottili che disegnavano arabeschi immaginari e contorti.

Contorti… proprio come lei…

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Continua…

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Capitolo 9
*** Cap.9 ***


Cap

Cap.9

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Una figura incappucciata camminava barcollante lungo i corridoi umidi delle prigioni. Gemiti di dolore facevano da sottofondo ai suoi passi lenti e incerti. Aveva paura, un senso di disagio sempre crescente si era fatto largo tra i suoi pensieri facendole vedere cose che il suo sguardo innamorato fino a quel momento non era riuscito a cogliere.

«Manca ancora molto?»

L’uomo che camminava davanti a lei non si voltò nemmeno. «No, ci siamo quasi.»

«Bene.»

«Perché sei voluta scendere quaggiù?» chiese più per distrarla che per la voglia di intavolare una conversazione.

«Volevo vedere con i miei occhi se le leggende che si raccontano in giro sono vere.»

«E…?»

«Lo sono.» la sua voce sibilò bassa e tagliente, facendolo rabbrividire.

Era delusa, delusa e furiosa, e l’uomo non doveva nemmeno sforzarsi troppo per capirne il motivo.

«Gabrielle, ma questo lo sapevi già.»

«Questa non è una giustificazione! Guarda questo posto Demetrio! Sono gl’Inferi sulla terra! Ma come fate a vivere sapendo di essere gli artefici di certe atrocità?!»

L’uomo sospirò pesantemente, avevano già affrontato quell’argomento, ed era certo che lei ne avesse parlato anche con l’Imperatrice.

«Eppure questo non ti ha impedito di innamorarti di lei…» appena pronunciate queste parole si maledisse per il tono patetico che aveva usato.

«Quella non è una cosa che è dipesa dalla mia volontà! È successo e basta.»

Demetrio si voltò per guardarla negli occhi, e per tentare di capire che cosa le passasse per la testa. «Vuoi dire che se fosse stata una cosa che avresti potuto controllare non ti saresti mai innamorata di lei?»

«No… Si! Oh, ma che razza di domande fai!?»

«È una domanda lecita.»

«È stupida invece. Non puoi decidere chi amare, succede e basta!» affermò seria e decisa. Non voleva che il soldato pensasse che i sentimenti che provava fossero falsi.

L’uomo abbassò la testa sconfitto da quel verde scintillante. «Lo so…» riuscì a sussurrare. Ma Gabrielle non lo udì.

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Erano arrivati vicino ad una cella isolata rispetto alle altre, lì i lamenti non arrivavano tanto forti, ma l’umidità era tanta da penetrare nelle ossa, procurando un acuto senso di gelo che arrivava fino alla profondità dell’anima. Riuscì a distinguere le figure conosciute di Erodoto e Perdicca, che sedute su di un mucchietto di paglia fetida fissavano le pareti di pietra con sguardo vacuo.

«Padre, Perdicca… sono io.» sussurrò scoprendo il volto.

«Gabrielle!» i due uomini scattarono in piedi e si avvicinarono alle sbarre.

«Ma che cosa ci fai qui?» provò ad indagare suo padre, nella voce si poteva sentire tutta la sua apprensione.

La ragazza scosse la testa facendo ondeggiare i suoi capelli biondi, in contrasto quasi osceno con l’oscurità di quel luogo, scacciando quelle lacrime che sempre più violentemente le pungevano agli angoli degli occhi.

«Volevo vedere come stavate. Ero preoccupata.»

Erodoto si fece più vicino alle sbarre nel vano tentativo di trarre un po’ di calore dallo sguardo della figlia. Sguardo che non riusciva più a riconoscere.

«Gabrielle, ma che cosa sta succedendo?»

«È… è complicato…» non sapeva proprio cos’altro dire. Come spiegare quella situazione così assurda, ma che lei sentiva così giusta?

«Questo l’hai già detto!» sbottò irritato. «Adesso, di grazia, vorresti spiegarmi perché è complicato?»

Gabrielle abbassò lo sguardo incapace di mentire a suo padre su una così importante, ma al tempo stesso impossibilitata a dirgli la verità.

«Non posso…» soffiò infine, e in quella semplice frase che non aveva alcun significato ritrovò l’unica verità che fosse disposta ad elargire.

Troppe complicazioni.

In primis la condizione di Imperatrice di Xena, e la sua fama di distruttrice dei popoli. Per finire poi con la sua codardia, fattore decisivo in quell’insignificante scambio di battute.

Perdicca stava per prendere parte a quel discorso quando la voce dura del soldato l’anticipò.

«Gab, dobbiamo andare. Lo sai che non possiamo stare qui, se dovesse scoprirci…»

«Cosa?» si voltò con uno sguardo che non prometteva niente di buono, uno sguardo audace e combattivo che lui aveva imparato a conoscere fin dal loro primo incontro.

«Mi rinchiuderà in una cella umida e getterà via la chiave? Mi farà frustare per la mia mancanza di rispetto?»

L’uomo sbuffò. Entrambi sapevano che Xena non avrebbe mai osato fare nulla del genere alla sua Gabrielle, ma a lui poteva andare certamente peggio.

«Ti stai comportando come una bambina.»

Abbassò lo sguardo colpita dalle parole dell’uomo. Non sapeva nemmeno lei perché aveva reagito in quel modo, si sentiva estremamente confusa, e non riusciva a pensare con lucidità a quello che stava succedendo.

Aveva la sensazione che qualcosa non andasse nel verso giusto, come se qualcuno stesse giocando con le loro vite in modo maldestro e crudele. E non si trattava certamente di Xena. Anzi, i sentimenti che provava per lei erano l’unica cosa reale e che avesse senso in tutto questo.

«Hai ragione, scusa.»

Fissò per un ultimo instante suo padre e Perdicca e un leggero sorriso le increspò le labbra. «Ci rivedremo molto presto. Andiamo.» concluse infine calandosi nuovamente il cappuccio del mantello sul viso e sparendo nel corridoio scuro.

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Se c’era una cosa che odiava era l’indecisione. E lei non era mai indecisa.

Si fidava ciecamente del suo istinto che fino a quel momento non l’aveva mai tradita, eppure quella volta non poteva affidarsi ad esso senza prima valutare attentamente tutte le conseguenze che quella decisione avrebbe comportato.

La situazione le stava decisamente sfuggendo di mano, ingarbugliandosi più di quanto potesse mai pensare.

C’era qualche cosa che non andava. Non poteva trattarsi tutto di un caso.

Avvertiva uno strano senso di vuoto e di estraneità che si stava acuendo sempre di più, come se una belva addormentata nel profondo del suo animo si stesse lentamente risvegliando, lacerandola con i suoi artigli affilati.

E il perno di tutto era… Gabrielle…

Tutto nasceva dal suo arrivo a palazzo, eppure lei era l’unica cosa che avesse senso in quel momento. L’unica cosa giusta della sua vita.

Ed ecco che sorgeva il problema.

Lasciarla andare oppure tenerla con sé esponendola a mille pericoli?

Avrebbe potuto farla tornare a casa con i suoi parenti e fare in modo che potesse avere una vita felice e spensierata, crearsi una famiglia normale, una di quelle che tutte le fanciulle sognano e che lei, volente o nolente, non avrebbe mai potuto darle.

Eppure la sua parte egoistica non voleva lasciarla andare, voleva tenerla al suo fianco nonostante i rischi a cui avrebbe esposto sé stessa e lei.

Sapeva bene quale sarebbe stata la cosa più giusta e saggia da fare, ma proprio non poteva.

Lei è tutto ciò che conta.

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Uscì sul balconcino che si trovava nella stanza e osservò la città brulicante di vita che si stagliava ai suoi piedi.

Nei suoi occhi cerulei vi si poteva leggere tutta la sua indecisione.

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I sentimenti sono per i deboli. Lei ti rende debole.

Lasciala andare, liberati di lei. Solo così potrai tornare la Xena forte di un tempo e riuscire ad affrontare Lao Ma!

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No!

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Xena scosse la testa per scacciare quella vocina fastidiosa.

Non era rara in quel periodo una cosa del genere.

Stava impazzendo, sentiva le voci e aveva pure dei… flash…

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Si riveste con gesti meccanici, provando ad escludere quelle voci fastidiose che la circondano. Fortunatamente sono andati via quasi tutti, dopo averla ringraziata e garbatamente chiesto di lasciare al più presto il loro villaggio. Tutti tranne lei. La ragazzina bionda che aveva provato da sola a fermare quel manipolo di guerrieri.

Lei…

“Devi portarmi con te e insegnarmi tutto quello che sai. Non puoi lasciarmi qui.”

Lo sguardo muschio deciso e speranzoso.
“Perchè?”
“Hai visto l'uomo che vogliono che io sposi?”
“Sembra di animo gentile... qualità rara in un uomo.”

Inizia a sistemare le cose nella sua bisaccia dandole le spalle, incurante del suo discorso.
“Non è con il suo lato gentile che ho problemi. E' con il lato noioso e stupido. Xena, non sono fatta per la vita di questo villaggio. Io sono nata per fare molto di più!”

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Io sono nata per fare molto di più… molto di più!

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Xena spalancò gli occhi ansimando. Si sentiva come se qualcuno l’avesse colpita inaspettatamente in pieno petto.

Ma che cosa significano questi sogni? Che cosa sta succedendo?

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Gabrielle era appena entrata nelle stanze private di Xena. Era tormentata da mille pensieri e nessuno di questi era allegro.

Trovò Xena sul balcone che la osservava con uno strano sguardo.

«Ciao.» mormorò stendendosi sul letto con un sospiro stanco.

«Ciao.» rispose la guerriera con il suo stesso tono mesto. «Ti sei divertita con Demetrio?» proprio non riuscì a nascondere la vena di gelosia nella sua voce.

«No. Ma immagino che non debba sforzarmi molto per inventare una scusa su dove siamo stati e su cosa abbiamo fatto.»

«Infatti. So già tutto. Perché sei voluta andare nelle prigioni?»

Gabrielle si sollevò per guardarla diritta negli occhi con uno sguardo furioso che l‘altra non aveva mai visto.

«Volevo sapere se le leggende erano vere.»

Xena annuì comprendendo perfettamente che il motivo era un altro, ma non biasimava Gabrielle per quello, in fondo era più che naturale che si interessasse della salute dei suoi cari.

«Come hai potuto?!» continuò rabbiosa dopo qualche attimo di silenzio.

Xena sollevò un sopracciglio perplessa da quello scatto d’ira. «Ti ho già detto di non preoccuparti, libererò i tuoi…»

«Non sto parlando di loro! Parlo di tutta la povera gente che muore di stenti in quel luogo orribile, senza avere nemmeno una vera colpa da scontare! Come puoi lasciarli lì a soffrire, Xena? come puoi permettere che vengano compiute certe atrocità senza fare nulla?!»

Si era alzata fronteggiando la guerriera con un impeto che non pensava di avere.

«Gabrielle… Io sono così. Sono l’Imperatrice. Che ti piaccia oppure no. È questo quello che sono!»

Xena provò a mantenere il tono freddo, ma davanti allo sguardo fiammeggiante di quella donna non poteva non crollare come un misero castello di sabbia.

«Non è vero! Tu non sei così, tu sei… diversa. C’è del buono nel tuo animo, io l’ho visto.»

«No, sei tu che hai voluto vederlo. In me non c’è niente.» e questa volta il tono era veramente rassegnato.

«Xena…»

«Gabrielle, tu sei così ingenua. Sei troppo buona per poter stare con me. Forse dovresti… forse dovresti andare via con la tua famiglia.»

Ecco l’aveva detto. Per una volta aveva fatto vincere il suo lato generoso e avrebbe liberato quella fanciulla dalle sue catene. E ora si ritrovava con uno squarcio nel petto che pulsava violento e doloroso, mentre gli occhi di Gabrielle si riempivano di lacrime.

«Cosa? Xena che cosa stai dicendo?»

«Penso che dovresti partire con la tua famiglia.»

Dura e fredda, come la lama di un coltello che trafigge il piccolo cuore biondo.

«No… Tu non stai parlando sul serio.»

«Sì invece. È giusto così.»

«E tutti quei discorsi sull’essere speciale, che non era solo sesso con una schiava che fine hanno fatto?!»

Xena lottò contro la voglia di abbracciarla e baciarla chiedendole scusa e ripetendole che l’amava fino a quando non avrebbe avuto più fiato, e mantenne lo sguardo fermo e deciso.

«Per questo voglio che tu vada via. Tu sei speciale, e io voglio che tu sia libera.»

«Ma io non voglio! Xena, io voglio stare con te! Io ti amo…» la voce si abbassò di qualche ottava, imbarazzata, all’ultima parola.

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Anche io… ti amo così tanto!

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«Mi dispiace Gabrielle, ma io sono l’Imperatrice e non posso distrarmi con queste sciocchezze. Sarà meglio per tutti se te ne andrai.»

Gabrielle ormai non controllava più le lacrime. «Allora dimmelo, dimmi che non mi ami, dimmi che con me hai solo giocato. Avanti Xena, dillo!»

Un colpo al suo cuore corazzato di ghiaccio.

«Io non ti amo.»

Bugiarda…

«Bugiarda.» sussurrò Gabrielle più a sé stessa che a Xena.

La guerriera incassò stoicamente il colpo e tacque. Non avrebbe potuto dire più nemmeno una parola senza crollare.

Gabrielle fece un profondo respiro e si asciugò il viso con il dorso della mano. Non voleva farsi vedere da Xena devastata dal dolore che provava in quel momento. Aveva ancora un orgoglio da difendere.

Avrò tutta la vita per piangere.

«Bene, allora addio imperatrice.» disse facendo un profondo e rispettoso inchino. Poi si voltò scappando quasi da quelle stanze.

«Addio, amore mio.» mormorò l’Imperatrice in un singulto impercettibile mentre una lacrima solitaria le scavava il bel volto.

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Il trotto leggero del cavallo accompagnava i suoi pensieri durante quel viaggio di ritorno.

Solo qualche giorno prima, Gabrielle non avrebbe scommesso nemmeno una moneta su quella possibilità.

E avrebbe perso.

Non avrebbe mai creduto che avrebbe rivisto quei sentieri che ora la stavano conducendo verso la sua vera prigione.

Demetrio aveva procurato loro un piccolo carro e un cavallo che li avrebbero attesi appena sbarcati. Era riuscito a organizzare tutto alla perfezione, aiutato dal favore delle tenebre, che adesso si andavano a diluire con il chiarore dell’alba.

Gabrielle sentiva un senso di vuoto crescente man mano che si allontanavano dalla Capitale, incapace di credere a tutto quello che in quel breve lasso di tempo le era successo.

E non si riferiva certo al rapimento. Si era innamorata, e ora il suo cuore era semplicemente a pezzi, distrutto da uno sguardo glaciale.

Con gli occhi gonfi di lacrime che non voleva versare, fissava il nulla davanti a lei, mentre i ricordi della sua breve avventura la tormentavano.

Suo padre le lanciava ogni tanto qualche occhiata preoccupata, maledicendo ogni secondo la sua incapacità di instaurare un dialogo con la figlia.

Che cosa poteva esserle successo di tanto terribile in quel palazzo da ridurre una ragazza vitale come Gabrielle in quello stato? Non che essere rapite dal flagello delle nazioni fosse cosa da poco, ma Erodoto avrebbe scommesso qualunque cosa che c’era dell’altro. Qualcosa che non avrebbe mai potuto immaginare.

Qualcosa che la stava lacerando nel profondo.

D’altro canto anche Perdicca non se la cavava meglio. Non sapeva cosa dire, e neppure come comportarsi con la sua futura moglie, eppure non avrebbe mai permesso che Gabrielle continuasse con il suo mutismo disperato.

Voleva sapere. Doveva sapere!

Aveva assistito al saluto tra Gabrielle e quel soldato senza dire una parola, lasciando che la gelosia lo torturasse mentre le braccia esili della fanciulla si aggrappavano alle spalle muscolose dell’uomo con un impeto che non avrebbe mai immaginato.

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«Grazie.» la voce rotta di Gabrielle trafisse Demetrio.

Avrebbe voluto dirle di non partire, di restare con lui, avrebbe voluto dirle tante cose ma non ne aveva il diritto. Non lo aveva mai avuto, specialmente ora che la sapeva così profondamente innamorata.

Respirò a fondo l’odore fresco dei suoi capelli. «Figurati, è stato un piacere rapirti.»

L’unica cosa che Gabrielle poté fare senza scoppiare a piangere fu annuire, eppure una lacrima le scivolò traditrice sul viso.

Demetrio non fece commenti, si limitò ad asciugarle la guancia con la punta delle dita, per poi separarsi dall’abbraccio salutandola definitivamente con un mezzo sorriso rassicurante.

Il sorriso di un amico…

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E Perdicca era rimasto immobile vicino al carro controllato da due soldati dall’aspetto minaccioso, insieme ad Erodoto che aveva assistito alla scena con lo stesso sguardo pensieroso e crucciato.

Perché Gabrielle era così triste nel lasciare quel luogo tremendo?

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«Gabby, senti… io…» deglutì cercando di trovare qualcosa di giusto da dire.

«Ti dispiacerebbe spiegarci che cosa è successo stanotte?» intervenne Erodoto impaziente.

Era meglio risolvere la questione prima di arrivare a Potidea.

«Vi hanno liberati.» mormorò piatta Gabrielle senza neppure alzare lo sguardo.

«Sì, questo l’avevamo capito. Ma perché? Non riesco a capire! E poi che cos’era tutta quella confidenza con quel soldato!» forse si era lasciato prendere troppo dal suo lato possessivo.

«Non c’è nulla da capire. E Demetrio è un mio amico!» rispose infastidita dal tono del suo presunto fidanzato.

A quel punto nulla poté fermare la furia del ragazzo, che ribolliva da ore pronta ad esplodere in una sfuriata. «Un tuo amico?! Gabrielle, per gli dèi, quello è il tuo rapitore! Ma ti rendi conto di quello che dici?! Che cosa ti hanno fatto?! Rispondi, maledizione!»

La risposta acida e seccata che la ragazza stava per dare non ebbe il tempo di lasciare le sue labbra, poiché si ritrovò sbalzata in avanti a causa di una brusca frenata del carro.

«Ma cosa…» la voce di Erodoto sfumò lentamente quando gli occhi smeraldini di Gabrielle si posarono sull’ostacolo che aveva provocato la frenata.

Un brivido di paura le corse lungo la schiena, mentre nella sua mente un serie di immagini caotiche sfrecciavano ad una velocità assurda, tanto da non riuscirne ad identificarne neanche una.

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L’armatura di cuoio nero leggero e la spada mollemente appoggiata al suo fianco destro le davano un’aria misteriosa e noncurante che sicuramente non rassicurava. Ma la cosa che colpiva di più in quella figura minuta era lo sguardo, perfettamente soddisfatto, di chi ha appena trovato un enorme tesoro, e che lasciava chiaramente intravedere tutta la follia che quella donna incarnava.

Gabrielle deglutì più volte, cercando di liberarsi di quella soffocante sensazione di odio che quella donna le ispirava senza un apparente motivo. Inutile, più la guardava e più la sensazione di conoscerla si faceva forte. E questo non le lasciava presagire nulla di buono.

«Mi dispiace interrompere il tuo viaggio, ma credo che dovremmo passare un po’ di tempo insieme.» gli occhi castani si fissarono in quelli di Gabrielle. Si stava rivolgendo solo a lei, ma questo l’aveva intuito da prima che parlasse.

«Chi sei?»

Callisto scosse la testa. «Mi dispiace tesoro, ma a me non piacciono le chiacchiere.»

Gabrielle sgranò gli occhi sconvolta, ma preferì tacere.

«Ora se volete seguirmi con le buone eviterò di farvi più male di quanto sia necessario.»

Per un attimo sperò che facessero resistenza, che quei folli decidessero di combattere forti della superiorità numerica. Quanto le sarebbe piaciuto ucciderli, e quanto sarebbe stato facile, ma aveva un piano e voleva seguirlo alla lettera.

Ci sarebbe stato tanto tempo per divertirsi con loro….

Un sorriso sinistro le deformò le labbra, e Gabrielle, per la prima volta da quando era stata rapita, ebbe veramente paura.

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Continua…

Note:

Con un po’ (tantissimo) di ritardo è arrivato anche il nono capitolo. Chiedo scusa per quest’attesa disumana, ma vedrò di fare il possibile per riuscire ad aggiornare con più regolarità!

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Come al solito ringrazio Eylis per la gentilezza, pazienza e bravura con cui mi corregge i capitoli!^^

E un grazie enorme anche a chi legge e recensisce la storia!

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A presto!

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P.s.

Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti!!! ^_^

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