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di oklahoma_fanfiction
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo primo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

si svegliò e la prima cosa che fece dopo avere aperto gli occhi fu portarsi le mani alla testa, lamentandosi per il dolore continuo che provava.

 

Come era arrivato lì?

 

Non se lo ricordava, e neanche da dove provenisse.

Il panico si prese il suo cuore e anche la sua mente, divorandolo sempre più ogni secondo che passava.

Dopo qualche tempo in cui spaesato rimase seduto finalmente tornò la vista, che era rimasta appannata per un po'. Così si costrinse a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.

Era un vicolo cieco, con alte mura su tre lati, ricoperte da mattoni anneriti dal tempo e da cartelloni pubblicitari di prodotti che il ragazzo non conosceva.

Si passo una mano fra i capelli e si alzò dal muro al quale era appoggiato.

Lo fece con fatica; la testa non era la sola parte del corpo a fargli male: anche le gambe erano doloranti, indolenzite, quasi come fosse stato in una posizione troppo tempo.

Ai piedi delle mura di mattoni c'erano cassonetti, e scatole rotte ammucchiate di qua e di là lasciavano al cervello un'idea non troppo positiva di quel luogo.

Era giorno, ma il ragazzo era ancora troppo confuso per capire se fosse mattina o sera.

Pioveva, e si chiese se, se ci fosse stato il sole, il suo stato d'animo sarebbe stato più positivo.

Un luminoso lampo inondò il cielo, ma non lo vide, i suoi occhi si levarono verso le nuvole nere solo quando il suo udito percepì il tuono.

Fu talmente fragoroso che il ragazzo sobbalzò e si accucciò per terra avvolgendosi le braccia attorno alle gambe, e nascondendo la testa.

Ci furono altri lampi e altri tuoni, uno più forte dell'altro.

Il giovane era spaventato. Tremava, un po' per il freddo, un po' per la paura e l'agitazione.

Non ricordava nemmeno il suo nome, come avrebbe potuto cavarsela? Aveva controllato nelle tasche dei jeans che indossava, ma non aveva trovato nulla.

Oltre ai pantaloni indossava una t-shirt, che una volta avrebbe dovuto essere blu scuro ma che ora era un colore grigiastro.

Oltre al colore sbiadito, la maglietta presentava altri segni del passare del tempo: era stropicciata e in diversi punti c'erano dei buchini.

Si decise ad alzare il capo solo quando la pioggia cessò di fargli compagnia. Si accorse di essere bagnato fradicio e di avere davvero molto freddo.

 

Era seduto con le mura alle sue spalle, alla sua destra e alla sua sinistra. L'unica parte aperta era di fronte a lui e dava su una strada attraversata di continuo da macchine e moto di cui lui, pur non avendole mai viste, conosceva lo scopo e il nome.

Il rumore delle ruote sull'asfalto lo infastidiva e allo stesso tempo lo affascinava; il suo corpo era custodito da paura e curiosità, ma anche un certo senso di disperazione che, anche se lieve, faceva in modo che egli si ponesse non poche domande, oltre ad accrescere il senso di smarrimento.

Decise di provare a rialzarsi e lo fece con cautela, spostandosi su un lato e servendosi del muro per non affaticarsi troppo; poi, dopo essersi guardato le punte delle scarpe per un po', come se i piedi avessero bisogno di un incitamento prima di muoversi, fece un paio di passi barcollando.

Mentre si incamminava passo dopo passo verso l'uscita del vicolo sentiva i suoi muscoli affaticarsi, come se non avessero mai sopportato fatica peggiore; la testa dolorante ormai da un po' non migliorava la situazione e gli occhi erano aperti, lui stesso ne era sorpreso e in un certo senso sconcertato.

Si portò una mano alla tempia e poi la passò fra i capelli. Non sapeva neanche il loro colore, non ricordava nulla di sé né della sua vita, e ciò che lo rendeva preoccupato era il fatto che non aveva assolutamente nulla.

Oltre al dolore sentì una lacrima accarezzargli la guancia fino a diventare troppo pesante e cadere sull'asfalto.

Fece un altro passo, e vide una figura sbucare dall'apertura del vicolo e fermarsi ad osservarlo. Non riusciva a distinguerne le caratteristiche, e fu solo allora che si accorse di avere la vista appannata.

Avanzò di un altro passo, cercando di chiedere aiuto: aprì la bocca, ma non ne uscì altro che un suono strozzato che si sarebbe sentito solo ad un metro o due di distanza.

Alzò nuovamente una gamba per avvicinarsi allo sconosciuto, ma quando l'appoggiò nuovamente a terra questa non resse facendolo cadere a terra di faccia.

Precipitò in un abisso di paura che insieme al dolore lo portarono a perdere i sensi.

Poco prima di perdere conoscenza ebbe un unico, solo, triste pensiero.

Lui -pensò- era completamente solo.

 

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Capitolo 2
*** capitolo primo ***


Cammino spedita, sono in ritardo.

Come posso io essere sempre in ritardo? Loraine mi aspetta da venti minuti al Neverland, il nostro locale preferito e io sono qui a correre per non farla andare via.

È la mia migliore amica, da quando avevamo quattro anni, la conosco meglio di quanto conosca me stessa. Ho ricevuto la sua chiamata nel primo pomeriggio, mi diceva di incontrarci al solito posto alle quattro e trenta, e in teoria oggi, sabato, lei dovrebbe lavorare al cafè sotto casa mia fino alle cinque.

Per questo sono allarmata, cosa gli avrebbe fatto saltare parte del turno di lavoro per vedere me?

Questa domanda che ancora una volta mi pongo mentre cammino, mi fa affrettare ulteriormente il passo.

Proseguo dritto per una decina di metri; mentre prima pioveva, ora gli alti palazzi sfidano i raggi del sole, cercando di non farli arrivare agli occhi dei passanti.

Sfortunatamente il sole ha la meglio e sono costretta a fermarmi per prendere gli occhiali dalla borsa. Recupero la custodia che però mi cade e mi sfugge dalle mani, finendo alla mia sinistra, dove un passaggio da su un vicolo formato da alcuni palazzi raggruppati fra loro.

Sbuffando mi avvicino, chinandomi rapidamente e raccogliendo gli occhiali; quando mi alzo mi ritrovo in una situazione strana.

Vedo un ragazzo poco lontano che cammina a fatica, passandosi una mano sugli occhi e fra i capelli.

Il suo viso esprime dolore e paura, ma anche determinazione; non riesco a capire cosa stia succedendo.

Mi avvicino di un paio di passi senza staccare gli occhi da lui, che fa lo stesso, ma con fatica, e sembra essere sul punto di svenire. Apre la bocca ma non ne esce alcun suono, quindi la richiude e concentra la poca forza che sembra rimanergli sulle gambe, costringendosi ad andare avanti.

La mia mente è indecisa tra l'avere paura e l'aiutare il ragazzo, e questo stato di indecisione mi porta ad essere indecisa anche a livello fisico, lasciando le mie gambe saldamente attaccate al suolo, senza nessuna intenzione di andare avanti ulteriormente.

Il ragazzo arranca di circa un metro prima che la gamba sulla quale si stava appoggiando ceda e lui si ritrovi steso a terra, contorcendosi per un attimo come in preda al panico, come se volesse riprovare ad alzarsi.

Chiudo e riapro rapidamente gli occhi in preda al panico, ma sto sempre ferma, mentre il mio cervello è in tilt e indeciso, come sempre nella vita.

Dopo pochi secondi però il ragazzo si arrende, accasciandosi del tutto sul suolo freddo e umido per la pioggia, senza muoversi.

Mi decido finalmente ad avvicinarmi, accovacciandomi vicino a lui e sporgendo un po' la testa in avanti per controllare il suo aspetto.

Le braccia sono distese e non mi pare ci siano segni di aghi, non mi sembra in ogni caso dipendente da droghe.

I vestiti sono notevolmente rovinati, il che mi fa pensare ad un possibile senzatetto, ma dopo poco scarto l'idea, notando che il ragazzo non ha nulla con sé e nelle condizioni in cui l'ho trovato non credo si sia potuto allontanare tanto da un eventuale riparo.

Controllo se è ferito, ma niente, il suo viso ora tranquillo lascia però vedere segni pesanti di occhiaie. Doveva essere esausto.

Afferro la borsa e compongo il numero di un'ambulanza, poi appoggio due dita sul suo collo per sentirne il battito che fortunatamente è regolare.

I dieci minuti di attesa sono lunghi e carichi di preoccupazione; anche se non conosco questo ragazzo, sono davvero preoccupata per lui.

E se fossi arrivata cinque minuti prima? Magari avrei potuto aiutarlo di più.

Un improvviso senso di colpa mi travolge, ma dura poco, viene spazzato via dall'arrivo dell'ambulanza, che preleva il ragazzo in una barella e lo carica nel veicolo.

Non so bene cosa fare, ma una signora dall'aria gentile alla guida mi fa segno di salire, prima che chiudano i portelloni.

-Lei è un parente?- mi domanda meccanicamente un uomo sulla quarantina, con un grande tatuaggio di uno scorpione attorno al collo e i capelli scuri quasi quanto gli occhi.

Nonostante sia un medico la sua presenza mi inquieta non poco, e mi affretto a fare segno di no con la testa.

-L'ho trovato nel vicolo quando stavo andando as un appuntamento -All'inizio era in piedi e cercava di camminare, ma era evidente che i suoi sforzi non stessero andando a buon fine. Poi è caduto, ma prima, prima ha provato a dire qualcosa, ma non è riuscito a parlare, poi ha perso i sensi.-

L'uomo annuisce e deve notare la preoccupazione nella mia voce, perché accenna un minuscolo e alquanto breve sorriso, e si affretta a dire un 'andrà tutto bene', che, sarà perché in questo momento qualunque cosa potrebbe rassicurarmi, sarà perché è particolarmente convincente, mi tranquillizza e fa in modo che il resto del tragitto fino all'ospedale passi velocemente.

 

Le tre ore successive le passo in una sala d'attesa, di quelle con le pareti verde acqua che invece di farmi rilassare accentuano la sensazione di nausea che ho da un po', il che è strano dato che non tocco cibo da stamattina e ora sono passate le otto.

Ho chiamato mia madre per spiegarle l'accaduto, e dopo i primi venti secondi in cui mi ha chiesto del più e del meno, con una voce carica di apprensione, mi ha detto che mi avrebbe raggiunta il prima possibile, il che vuol dire che arriverà a momenti.

La sensazione di aver dimenticato qualcosa sparisce nel momento esatto in cui ricordo che cosa ho dimenticato, guardando le chiamate perse e i messaggi.

 

7 chiamate perse: Loraine Hilson

12 nuovi messaggi: Loraine Hilson

 

Impreco il più silenziosamente possibile e mi affretto a comporre il numero di Loraine, che risponde al secondo squillo, con un tono di voce che non lascia molti dubbi sul suo stato d'animo.

-OKAY- sbotta -Ora mi dici cosa ti è saltato in mente! Ho aspettato un'ora, un'ora! E non si è presentato nessuno tranne il cameriere che ha preso le ordinazioni. E sai cos'ho ordinato? Eh? Lo sai? Te lo dico io cosa: un caffè al ginseng. E tu ora dimmi, c'è forse qualcuno al di sotto degli ottant'anni che beve ancora il caffè al ginseng? IO, solo io, e la prof di Biologia, la cui età non è identificabile! In quel momento avevo bisogno di te e tu non c'eri, Talia, non c'eri. Avevo una cosa importante da dirti ma alla fine non l'ho detta a nessuno!-.

Sento il sospiro più lungo del mondo e capisco che è davvero delusa, come del resto lo sono anche io di me stessa.

Dopo qualche secondo di silenzio, in cui temo che la mia migliore amica possa riattaccare, rispondo con le parole più convincenti e rassicuranti che il mio cervello sia in grado di trovare al momento.

-Lo- inizio -Ti prego di scusarmi, so bene che è colpa mia e mi sono accorta poco fa delle chiamate, dei messaggi... ti prego scusami. È solo che, ecco, è successa una cosa, un ragazzo...-

Non faccio in tempo a finire la frase che la sua voce squillante riparte a parlare senza lasciare possibilità di continuare.

-Un ragazzo? Talia, un ragazzo? Davvero? Senti, lo abbiamo già detto e ripetuto: le amiche prima degli uomini! Dovresti ricordartelo. E poi ho anche saltato il turno di lavoro per parlarti, non ti sei sentita neanche un po' curiosa? E così mentre io ero lì ad aspettarti tu eri lì con un ragazzo, eh? Come minimo pretendo di sapere chi sia e che cosa è successo.-

quando ha finito il suo monologo, mi affretto a risponderle, un po' più tranquillamente perché so che alla fine non è poi così arrabbiata come vuole farmi credere.

-Loraine, sono in ospedale. La cosa più entusiasmante che mi è successa nelle ultime ore è stato prendere un'ambulanza. Non conosco il ragazzo, non so nulla di lui, dato che quando l'ho trovato non era certo nelle condizioni di parlare. Ciò in ogni caso non scusa il mio comportamento: avrei dovuto chiamarti appena possibile, solo che mi è passato di mente. Scusa.-

Il silenzio che percepisco dall'altro lato del telefono è carico di tensione, mi limito a non proferire parola dato che non so bene se la mia amica reputi quello che le ho detto accettabile o meno.

Dopo quella che mi sembra un'infinità, la sua voce riecheggia nell'apparecchio e stavolta mi pare ancora allarmata, ma colgo anche una nota di dolcezza che prima non c'era.

-Oddio Tal! Non credevo che fosse successa una cosa simile... sono io a dovermi scusare. Certo, ciò che ti dovevo dire era importante ma quello che è accaduto è incredibile. Da quanto sei in ospedale? Anzi aspetta, ti raggiungo appena posso, tra un quarto d'ora sono lì.-

Il mio 'istinto di sopravvivenza' prevale, così prima di riattaccare le chiedo se può portare qualcosa da mangiare.

-Certo- mi risponde -Passo a prendere qualche sandwich alla tavola fredda vicino a casa, arrivo appena posso.-

Con uno sbadiglio mi lascio cadere nuovamente sulla sedia dell'ospedale, che dopo quattro ore in cui sono stata seduta sembra un più un sasso, che provoca gravi danni alla mia povera schiena.

I dieci minuti successivi li passo ficcando il naso tra riviste di gossip che forse sono state pubblicate in un epoca più vicina ai Sumeri che a noi. Fortunatamente dopo un'immagine di quello che sembra un uomo con una giacca canarino e i mocassini senza calze, mia madre arriva in mio soccorso, con tanto di cioccolata calda e il mio libro preferito.

Ora posso definirmi la ragazza più felice dell'universo: ho un cappotto nero come coperta, i capelli scompigliati, una cioccolata in una mano e nell'altra Orgoglio e Pregiudizio.

 

Una serie di pesanti passi mi fanno interrompere un importante dialogo con Mr Darcy e Elizabeth, alzo il capo e mi ritrovo davanti il medico con il tatuaggio dello scorpione sul collo. Il suo volto abbronzato ora è teso e i suoi occhi scuri mi fissano con una sensazione che non so se definire insistenza o fretta.

Inarco le sopracciglia e guardo mia madre, che ha la mia stessa espressione interrogativa e la mano pericolosamente appoggiata sulla borsa, come fa sempre quando è preoccupata, come se dovesse scappare da un momento all'altro.

Mi alzo piano, appoggiando il bicchiere ormai vuoto di cioccolata e riponendo il romanzo nella borsa senza rimettere il segnalibro.

Il medico ci fa cenno di seguirlo e dopo due piani a piedi ci ritroviamo in un corridoio dalle pareti azzurro cielo, spoglio e con porte grigie disposte a fila, una decina per lato.

Ci facciamo strada attraverso barelle vuote e flebo alla deriva, fermandoci davanti ad una porta chiusa contrassegnata dalla scritta B19.

-Si può sapere cosa succede?- domanda mia madre spazientita.

Le lancio un occhiataccia e mi rivolgo direttamente al dottore, -Ci scusi, è che siamo qui da diverse ore e siamo un po' stanche. Mi dica, il ragazzo...-

Mi fermo non sapendo bene come continuare la frase.

Sento una voce squillante qualche metro dietro di me e mi volto, sapendo già a chi appartiene.

-Come sarebbe a dire che possono entrare solo i parenti più stretti? Io sono la sua migliore amica. Come? No! Non è la mia amica ad essere ricoverata, è... ecco in realtà non ho idea di chi sia. No la mia amica è qui perché ha trovato il ragazzo ricoverato e ora io devo trovare la mia am... Talia! Oh grazie al cielo sei qui!-

Un puntino verde e rosa si muove a scatti e saltelli verso di me, con i suoi capelli castani a riccioli sottili.

Quando arriva mi butta le braccia al collo e il suo profumo di lillà e cannella mi mette allegria nonostante la situazione un po' cupa.

-Ciao, Loraine- il mio sorriso viene ricambiato e facendole un cenno mi giro per ascoltare quello che il medico ci deve dire.

-Mi scusi, lei è la mia migliore amica, Loraine.-

L'uomo, che ha dipinta sul viso un'espressione spazientita, si affretta a parlare come se potesse arrivare qualcun altro a interromperci.

-Il ragazzo- annuncia -È sveglio.-

Sul mio volto si fa strada un sorriso ancora più grande di quello di prima, il che è abbastanza bizzarro dato che il primo era causato dalla mia migliore amica e questo da un perfetto sconosciuto.

Tuttavia si spegne presto, proprio quando l'uomo riprende a parlare.

-Solo che c'è un problema.-

Sento che un peso sta per crollarmi addosso, come un'onda che si infrange su uno scoglio.

L'uomo si schiarisce la voce.

-Il cervello del paziente è instabile, egli è soggetto a rapidissimi sbalzi di umore causati dalla sua incapacità di ricordare. Infatti soffre di amnesia e di un grave forma di disturbi della sensopercezione.-

Guardo Loraine, che sta guardando mia madre, che sta guardando il dottore.

Nessuna di noi ha idea di cosa sia la sensopercezione; fortunatamente il medico capisce e ci fornisce una breve ma dettagliata spiegazione.

-detto semplicemente, significa che soffre di allucinazioni... schizofrenia, voci nella testa.-

il mio respiro si ferma e mi sembra di provare un senso di vuoto, come se io stessa provassi quello che deve provare il ragazzo. Come si può vivere senza ricordi?

-Quindi, dottore, qual'è la gravità della situazione? Come si può provare ad aiutare il ragazzo?- Domanda Loraine, interessata quanto preoccupata.

-Il suo problema ha raggiunto un livello molto alto, a questo punto, non abbiamo una vera e propria cura, né a livello farmaceutico, né a livello psicologico. Possiamo tentare con delle sedute, un po' come gli alcolisti anonimi, per intenderci. Ma credo che potremmo fare poco e niente.- Fa un pesante sospiro.

Le nostre facce devono essere sconvolte non poco, e il medico, ancora una volta, rende la situazione più chiara.

-In poche parole lui è...- fa una breve pausa -È completamente pazzo.-

 

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