The Girl On Fire

di JackiLoveCatoniss4ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She's just a girl, and she's on fire ***
Capitolo 2: *** Hotter than a fantasy, lonely like a highway ***
Capitolo 3: *** She's living in a world, and it's on fire ***
Capitolo 4: *** Feeling the catastophe, but she knows she can fly away ***
Capitolo 5: *** Oh, she got both feet on the ground ***
Capitolo 6: *** And she's burning it down ***
Capitolo 7: *** Oh, she's got her head in the clouds ***
Capitolo 8: *** And she's not backing down ***
Capitolo 9: *** This girl is on fire ***
Capitolo 10: *** She's walking on fire ***
Capitolo 11: *** Looks like a girl, but she's a flame ***
Capitolo 12: *** So bright, she can burn your eyes ***
Capitolo 13: *** Better look the other way ***
Capitolo 14: *** You can try but you'll never forget her name ***



Capitolo 1
*** She's just a girl, and she's on fire ***


Il profumo di caffellatte e brioches appena sfornate entra nei miei sogni, ed apro gli occhi, sorridendo. È così che bisogna iniziare un nuovo giorno: con buon umore. E poco importa se sei uno dei Favoriti meno allenati, o se la mietitura si terrà fra soli tre giorni: basta il calore di una famiglia. O, almeno, questo vale per me. Mi alzo, e trovo i miei genitori già seduti a tavola. – Buongiorno, tesoro mio. Come stai? – inizia mia madre, dandomi un bacio sulla guancia. – Bene, mamma. – Ricambio. – Hai fatto una lunga dormita? – prosegue mio padre, accarezzandomi la testa e sorridendo bonariamente. – Sì, papà, una delle migliori di sempre. – Visto che sono il loro unico figlio, mi vezzeggiano molto ed, anche se qualche volta mi sento in imbarazzo, glielo lascio fare, perché voglio loro un bene dell’anima. E poi ho solo dodici anni, ed ho bisogno di confidarmi con qualcuno che non sia Jonathan, il mio migliore amico. Comunque, certe questioni le riservo solo per lui. Ed una di queste è Marina. È la ragazza più bella del distretto, e sono cotto perso di lei, nonostante sia una delle sedicenni più corteggiate. Ma è come se non se ne accorga, e la capisco bene. Tutti sanno della sua delicatissima situazione familiare, ma stanno ben attenti a non farglielo capire. Il pensiero di rivederla fra pochi minuti all’Accademia mi mette un’incredibile frenesia addosso, così congedo subito i miei ed esco di casa, fermandomi quasi subito. All’inizio mi stupisco, ma poi mi dico che si tratta pur sempre del mio primo amore, e che quindi è normale. Col sorriso sulle labbra, mi presento agli allenamenti, venendo quasi subito affiancato da Jonathan. – Ehi, Max! Tutto ok? – Mi giro verso di lui. – Certo, amico. E tu, come te la passi? – Mi sorride di rimando. – Alla grande! Non devo più prendere le tessere! Qualcuno ci ha fatto una donazione anonima, ed adesso siamo quasi benestanti! – Fingo stupore, trattenendomi dal ridere, sapendo benissimo di essere stato io a convincere i miei genitori a regalare di nascosto quei soldi alla famiglia di Jonathan, che è molto povera. Poi l’istruttore di lancio dei coltelli interrompe la nostra conversazione, facendoci provare a turno. E, proprio quando tocca a me, la vedo. La sua pelle leggermente scura è inconfondibile. I capelli nero corvino luccicano al sole. E, quando i suoi occhi di un marrone intenso si posano su di me, smetto di respirare. Marina è di una bellezza stupefacente. Sembra una dea, oggi più del solito. Qualcuno batte le mani davanti alla mia faccia. – Su, Max! Ti sei incantato a guardare la signorina Schulse, eh? – Ovviamente, è l’allenatore. Quelli del mio corso sogghignano verso di me, complici. Tutti i ragazzini della mia età sanno che vado pazzo per Marina, e non sono l’unico. Sono molti i dodicenni che rimangono a bocca aperta al suo passaggio. Faccio un bel respiro profondo e mi impongo di concentrarmi sul bersaglio a qualche metro da me. Lancio il coltello. Centro perfetto. È la prima volta che mi succede, ed i miei amici scoppiano in un applauso fragoroso. – Sei bravissimo! – dice una voce, e per poco non svengo. Quando mi giro, trovo Marina che mi fissa, con il sorriso sulle labbra. – Sul serio, potresti perfino vincere gli Hunger Games, Max. – Wow! Non sapevo nemmeno che conoscesse il mio nome. Mi sembra di essere tre metri sopra il cielo, come se si fosse annullata la forza di gravità. Deglutisco e le rispondo. – Grazie. Sei davvero molto gentile. – Non riesco a farmi venire in mente niente di meglio. – Non c’è di che. Per così poco… – Mi regala una carezza sulla guancia prima di andare ad esercitarsi con la garrota. Alcuni dei miei compagni fanno dei fischi d’apprezzamento, e sento commenti del tipo: – Bel lavoro, Max! – oppure: – Oramai è tua! – Scoppio a ridere, cercando di minimizzare la cosa e di attribuire a questo il mio rossore, e non all’incontro altamente ravvicinato che ho appena avuto con la ragazza dei miei sogni. L’istruttore si complimenta con me, considerando che sono uno dei peggiori del corso. Odio la violenza, e quel centro è stato un puro caso. Aspetto Jonathan, poi ci avviamo al tiro con l’arco. – Amico, sei un mito! Per poco non ti cadeva ai piedi! Ma come fai a comportarti sempre nel modo giusto al momento giusto? – Scrollo le spalle. – Sarà un dono di natura – e ridiamo entrambi. Il cuore continua a battermi furioso nel petto, come se dovesse scoppiare da un momento all’altro, per tutto il resto della giornata. Passiamo in varie postazioni, ma nessuno pretende da noi tre centri su tre. Prima di tornare a casa, Jonathan mi sussurra all’orecchio: – E comunque so che sei stato tu a mandarmi i soldi. – Sorrido. È proprio perspicace.
Angolo dell’autrice: Ed eccomi tornata, con la mia quarta fanfiction! Questa conterrà 14 capitoli, proprio come le prime due, “Titanium” e “Light Em’ Up”, ed al contrario della terza, “Radioactive”, di 12. “The Girl On Fire” avrà gli stessi personaggi di quest’ultima, dato che narrava il punto di vista di Marina. Stavolta parlerò di Max, ma non rispecchierò proprio tutta la storia. Questa avrà toni molto più delicati. Da notare i comportamenti praticamente opposti delle famiglie di Max e Marina: l’una calda ed accogliente, l’altra violenta e spaventata. Se volete capire meglio la storia, potete leggere la mia precedente fanfiction.

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Capitolo 2
*** Hotter than a fantasy, lonely like a highway ***


Marina si avvicina lentamente a me, con un sorriso che mi fa aggrovigliare le viscere. – Sei così carino… – sussurra. Si china in avanti, è a pochissimi millimetri da me ed, a quel punto… cado dal letto, facendo un fracasso infernale. Sbatto le palpebre un paio di volte, prima di riconoscere la mia stanza e di ammettere, a malincuore, che si è trattato solo di un sogno. Sospirando, mi rimetto in piedi, proprio mentre mia madre spalanca la porta. – Max, cos’è successo? – quasi grida, allarmata. Molto probabilmente, la testata che ho dato sul pavimento si sarà sentita per tutto il vicinato. Spero che, se si spargerà la voce, non si penserà d un tentativo di suicidio in vista della mietitura imminente. Realizzo che mancano solo due giorni al primo e più terrificante appuntamento pubblico importante di tutta la mia vita. Ma la paura arriva solo in minor parte: ho solo un biglietto, le probabilità sono quasi del tutto a mio favore. E poi chissà, magari, in questo lasso di tempo, arriverà un eroe o una eroina e ci salverà, cancellando per sempre gli Hunger Games dalla faccia della terra e dandoci un governo giusto ed imparziale, non come quello del presidente Snow. Tecnicamente, non dovrei lamentarmi, data la mia posizione di possibile tributo Favorito ai Giochi ed il distretto dove abito, che, per me, è il più bello di tutti, nonostante le mie inesistenti capacità di viaggiare. – Niente, mamma. Tutto bene, sta’ tranquilla. Non ti preoccupare. Non mi sono fatto niente – dico, rispondendo alla sua domanda angosciata di prima. La vedo tirare un sospiro di sollievo. – Pensavamo fosse un terremoto. Cos’è, ti stai impegnando seriamente agli allenamenti, oppure ti viziamo troppo? Ora che ci penso, è da un po’ che non ti pesi – si intromette mio padre, per metà scherzando, come quando ha parlato degli allenamenti, e per l’altra metà facendo sul serio. Ma non sento il resto del discorso, a dir la verità non so nemmeno se ci sia o se stiano aspettando la mia conferma, preoccupati dal fatto che la botta mi abbia rimbecillito e sperando, se è questo il caso, che almeno non lo abbia fatto del tutto. Ma la mia mente è concentrata su ben altri pensieri. L’addestramento! Il mio sguardo si fissa sull’orologio attaccato alla parete della mia camera: sono in mega-ritardo! Esco trafelato dalla stanza, faccio colazione con le prime cose commestibili che mi capitano sottomano, mi vesto alla velocità della luce e saluto i miei genitori, imboccando la via dell’Accademia, con la speranza di fare un’altra bella figura come quella di ieri di fronte a Marina. In lontananza, sento la voce di mio padre: – Allenarti deve proprio piacerti! – Mi volto per rispondergli: – Certo! Non te ne eri mai accorto? – Poi schizzo come un fulmine verso il portone semiaperto dell’Accademia, e riesco a passarci un attimo prima che si chiuda alle mie spalle, lasciandomi fuori. Appoggio le mani alle ginocchia e cerco di riprendere fiato: se corse come questa mi distruggono, allora figuriamoci i Giochi. Su questo punto, Marina si sbagliava o, più probabilmente, scherzava: io che vinco gli Hunger Games? Sì, magari se cambio faccia e nome! – Tutto bene? – chiede qualcuno, trattenendo a stento le risate. Solo a questo punto, mi accorgo del silenzio completo che attanaglia l’Accademia. Alzo lo sguardo, e trovo tutti i ragazzi dell’Accademia con gli occhi fissi su di me. Alcuni, come il tizio che mi ha rivolto la domanda, con sguardi di scherno e labbra contratte per non scoppiare a ridermi in faccia. Altri, tra cui noto, con un colpo al cuore, anche Marina, mi osservano incuriositi ed apprensivi. L’unico che mi lancia uno sguardo che posso sopportare è, ovviamente, Jonathan, che mi raggiunge subito dopo, gridando: – Girare al largo! Qui non c’è niente da vedere! – Nonostante la sua giovane età, sa già farsi rispettare da quelli più grandi. Così, mentre cancello il momento di gloria avuto ieri per lasciare spazio alla figuraccia di prima mattina, lo ringrazio. – Di nulla, fratello. Ma che hai in fronte? Ti hanno tirato un pomodoro? Se è così, dimmi subito chi è stato, che gli accorcio l’esistenza! – dice, con un tono bellicoso che riesce a farmi ridere. – No, niente di che, Dai, andiamo ad allenarci! – Inarca le sopracciglia. – Cos’è tutta questa voglia di faticare? – Dopo mezzo secondo, arriva alla conclusione e, sorridendo maliziosamente, afferma: – Ah, hai voglia di farti ammirare ancora da miss Schulse, eh? – Cerco di negare e di ignorare le mie guance, sicuramente in fiamme. – No, grazie. Ho già dato abbastanza, stamattina – e scoppiamo a ridere. Da una parte, però, il commento è vero. Con questa brutta figura, posso dire addio a qualunque chances che avevo fino a ieri per conquistare Marina. Se le avevo, poi. Ci alleniamo tutto il giorno, senza sosta.
Ciao! Vi sto scrivendo leggermente sconcertata dopo aver scoperto che, su YouTube, c’è gente che shippa Cato e Finch/Faccia di Volpe insieme. Li chiamano Catoface, o Foxato, chi se ne frega. Qualcuno di voi sapeva della loro esistenza, anche senza aver letto la fanfiction “My dreams get real” di shadowgirl? Comunque, come potete ben vedere, in questo capitolo non succede praticamente niente, e non per un calo della fantasia della sottoscritta, bensì perché quest’ultima è piuttosto preoccupata riguardo alla verifica di scienze che si terrà l’indomani. Che bella fine di marzo, eh? Mandatemi qualche in bocca al lupo. Baci, JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 3
*** She's living in a world, and it's on fire ***


Un giorno. Ecco quanto manca. Sono sveglio da poco, eppure non riesco ad alzarmi. Oggi la paura è più forte, anche se scommetto che quella di domani mi impedirà perfino di alzarmi dal letto a cui adesso sono incollato. Mi costringo a scuotermi dal torpore in cui sono caduto ed ad andare all’allenamento. Persino i miei genitori sono silenziosi davanti alla colazione: loro, che sono allegri, solari e spensierati praticamente sempre, oggi se ne stanno zitti a guardare il cibo che hanno davanti, e mi rivolgono occhiate furtive e cariche di apprensione per domani. Trangugio il latte e divoro la fetta di torta che mi hanno messo davanti, e li saluto con degli abbracci, dicendo loro di non preoccuparsi. Dopodiché, esco. Arrivo all’Accademia pochi minuti dopo. Qualcuno fa ancora delle battutacce su quel che è accaduto ieri, ma io non vi do molto peso, e mi metto subito a cercare Jonathan. Lo trovo subito, circondato da una nuvola di ragazzini viziati che cercano di togliergli il suo buon umore riempiendolo di insulti solo perché loro sono dei ricconi e lui no. Si sente: – Brutto straccione! – da una parte, e: – Lurido pezzente! – dall’altra. Alla fine, si leva una voce talmente odiosa che non posso fare a meno di intervenire a favore del mio migliore amico: – Ehi, maledetto idiota, quanti biglietti avrai, domani? Uno, vero? Ovvio, perché ti sei fatto elemosinare dal tuo amichetto! Anzi no, aspetta! C’è un’altra possibilità! Ma dimmelo, tua madre fa la prostituta? – e giù un mucchio di risate malevole e di scherno. – Ma come ti permetti?! – sbotto io, incurante degli sguardi che si puntano su di me. – Non devi mai più azzardarti a parlare in questo modo col mio amico, hai capito, stupido bastardo?! Ed adesso gli chiedi scusa in ginocchio! – Quello mi guarda, incredulo. – Io cosa?! Tu sei pazzo, Eisenstein! Manco morto farò… – Agisco d’istinto. Lo afferro per le spalle e lo getto a terra, senza troppi complimenti. Iniziamo un furibondo corpo a corpo. Mi afferra la gamba e mi fa cadere. Il mio sedere colpisce il suolo, ed io sento un dolore sordo diffondersi nella parte lesa. Inizio a dargli calci, pugni e gomitate. Lui reagisce a graffi, morsi ed unghiate. Cerco di guardarlo meglio, mentre mi attacca. L’ho visto spesso allenarsi, ma non è molto portato, esattamente come me, quindi questa si può considerare una lotta alla pari. È sempre in testa ad un gruppo di leccapiedi che lo seguono in tutto e per tutto, ridendo alle sue battute sceme ed insensate ed aggredendo chiunque osi contraddirlo in qualsiasi modo. Adesso, però, se ne stanno impietriti ai loro posti, senza muovere un muscolo per aiutare il loro capo, come raggelati. La lotta si protrae ancora per un po’, fino a quando non lo immobilizzo, torcendogli il braccio dietro la schiena. – Ho detto in ginocchio! – gli sibilo all’orecchio. Lo costringo ad alzarsi e, subito dopo, a riabbassarsi di fronte a Jonathan ed a chiedergli umilmente perdono. Dopo questo, interviene l’istruttore di lancio dei coltelli. – Ma che combinate? Siete un vero disastro! Ah, lasciamo stare! Subito in infermeria! – Io e l’altro ragazzino ci rechiamo dall’altra parte del campo, guardandoci in cagnesco per tutto il tragitto. Quando ci presentiamo nel posto che ci è stato indicato, due fin troppo premurose infermiere si dirigono verso di noi, usando un linguaggio che ci fa sentire bambini di tre anni. – Oh, no, poveri cari! Ma che vi è successo? Cosa vi siete fatti? Sapete che è molto brutto fare a botte tra di voi? Vi fanno molto male le ferite che avete? Mio Dio, quante ne sono! Facciamo così: noi ve le curiamo subito e vi portiamo qualcosa di buono da mangiare, e voi, in cambio, ci promettete di non farlo più, eh? Che ne dite? – Noi due facciamo imbarazzati segni di sì con la testa ed evitiamo di guardarle. Probabilmente sono abituate a curare i bimbi più piccoli, all’incirca dai tre ai sei anni, che riescono sempre a farsi abbindolare da carezze e moine. Ci facciamo medicare, con calma e pazienza, e mangiamo l’ottimo pasto che ci portano: profiteroles al cioccolato con un sacco di panna montata sopra. Finalmente, ci permettono di ricevere visite. Il primo, e quasi certamente l’unico, che si farà vedere, è Jonathan. – Grazie mille per avermi difeso! Sei davvero il miglior amico che potessi mai desiderare in questo mondo! – Mi abbraccia, ed io, sorpreso, ricambio. Non è da lui. – Cos’è, ti sei rammollito? – Scoppiamo a ridere entrambi, come ogni giorno, del resto, poi mi informa di avere certi affari da sbrigare e mi lascia solo. Pensando di non avere altre visite, apro la bocca per chiamare l’infermiera, ma mi blocco subito non appena vedo Marina. – Sei stato coraggiosissimo! – Mi dà un bacio sulla guancia ed esce.
Angolo dell’autrice: Dopo il primo ed il secondo capitolo, ecco a voi il terzo. Scusatemi se vi sembrerà molto frettoloso, ma l’ho scritto in circa due-tre ore, dalle 21 e qualcosa alle 23:54 circa guardando la terza puntate de “Le tre rose di Eva 3”, e quindi ero un bel po’ distratta. Perdonatemi, se potete! XD Detto questo, una piccola recensione non stonerebbe, e poco importa se positiva, neutra o critica: ho bisogno di sapere quali errori faccio e dove devo migliorare, e magari se devo proprio smettere di scrivere. Non preoccupatevi, me ne farò una ragione. Un bacio, JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 4
*** Feeling the catastophe, but she knows she can fly away ***


Mi chiamo Max Eisenstein, ho dodici anni, abito al Distretto 4 e la mia vita è appena iniziata. E non importa se questo è il giorno della mietitura, non provo paura, solo felicità. Non vedo l’ora di rivedere Marina: oramai sono un eroe, ai suoi occhi. Mi presento in salotto con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. La sorpresa sui volti dei miei genitori è indescrivibile. Si guardano negli occhi, poi mi rivolgono qualche domanda. – Tesoro, stai bene? – chiede mia madre, preoccupata. – Certo, mamma. Perché me lo chiedi? Non vedi come sorrido? – le rispondo. – Figliolo, oggi è il giorno della mietitura, e tu non sembri minimamente spaventato! – ribatte mio padre. – Papà, fino ad ora la fortuna ci ha assistito. Cosa ti fa credere che, proprio oggi, debba cambiare tutto? E poi, c’è solo un biglietto col mio nome, nella boccia della mietitura: le probabilità che l’accompagnatrice peschi proprio quello sono talmente remote che preferisco non prendermi nemmeno il disturbo di pensarci – ed accentuo il mio sorriso. Loro alzano le spalle e tornano ad essere quelli di sempre: l’allegria è contagiosa ed ereditaria, in casa mia. Sulla tavola, vedo che la maggior parte dei piatti è occupata da dolci, quasi a volerne fare un’occasione speciale: liquore di arancia al latte, torta di mele, frittelle di castagne e torta di pere e formaggio. Niente male, come colazione. Mi viene subito in mente un’idea: prendo un fiasco di liquore, due fette dalle due torte diverse ed una frittella, avvolgo questi ultimi tre in tovaglioli di carta e li infilo in una cartella, assieme alla fiaschetta. – Che fai, Max? – chiede mio padre, incuriosito. – Preparo una sorpresa per tre persone –rispondo, sapendo che, in questo preciso istante, i miei occhi stanno scintillando dalla gioia. Finisco di mangiare, li saluto e mi fiondo in Accademia. Oggi c’è un gran fermento, e nessuno bada molto a me. Cerco il ragazzino con cui mi sono azzuffato ieri. Non appena mi vede, si mette sulla difensiva, pronto a prendermi a pugni di nuovo. Ma io apro la cartella, tiro fuori il liquore e glielo offro. – Buona fortuna per oggi! – gli auguro, e mi allontano alla ricerca di Jonathan, lasciando quel ragazzino a rimirare il mio dono, con un’espressione sconcertata in viso. Vedo il mio miglior amico alla sua postazione preferita, il lancio dei coltelli, ovviamente; sono le armi più facili da maneggiare, o almeno così sembra. – Ehi! Qual buon vento? – dice, quando mi piazzo davanti a lui. Prendo la frittella e gliela offro. – Buona fortuna per la mietitura! – esclamo. Mi guarda. – Scommetto che lì dentro hai un altro paio di dolci, e che ne darai uno ad una persona molto speciale – mi canzona. – Sai, diventeresti ricco se lavorassi come indovino – rido, prima di salutarlo e di andare a cercare Marina. Si sta allenando con la garrota. – Marina! – grido, cercando di attirare la sua attenzione. Si volta. – Ehi! – mi sorride. – Come va? – Divento un po’ impacciato, come sempre quando mi trovo davanti a lei. – B-bene. – Ricordo il motivo per cui sono lì, e mi faccio coraggio. – Ho due fette di torta, ne vuoi una? – domando, tutto d’un fiato. Mi guarda, sorpresa. Poi annuisce. – Okay. – Quasi non riesco a crederci. – Quale vuoi, quella di mele o di pere e formaggio? – Ci riflette un attimo. – Penso che prenderò la seconda. – Gliela offro e mi siedo accanto a lei, gustandomi la prima. Dopodiché, ci salutiamo ed andiamo ad allenarci, anche se vorrei restarle sempre incollato. Torno da Jonathan e facciamo qualche lancio fino a mezzogiorno, quando dobbiamo tornare a casa. Non appena entro, il profumo di dolci mi pervade, inebriandomi. Sul divano c’è un completo grigio che dovrò indossare in piazza, alle due. In tavola ci sono: pandolce capitolino, carteddate, torta di nocciole con crema zabaione, cono di struffoli, tronchetto della mietitura, semifreddo al torrone e amarene ed albero delle feste. Mangiamo tutto, poi ci vestiamo e partiamo per andare in piazza. Mi viene in mente una cosa che mi preoccupa molto: Marina ha cinque tessere. So che sono poche, ma una volta hanno pescato una ragazzina che ne aveva solo tre, quindi non si sa mai. Arrivati davanti al Palazzo di Giustizia, ci separiamo: io vado a registrarmi, loro si uniscono ai genitori attorno la parte recintata. Pochi minuti dopo, vedo Jonathan in un gruppo di dodicenni con cui abbiamo ottimi rapporti, e mi avvicino a loro. Parliamo del più e del meno, senza far cenno a quello che succederà a breve. I Pacificatori ci dicono di metterci in fila. Esce Cate Carrington, l’accompagnatrice, che si produce nel suo numero consueto. Poi arriva il momento in cui la tensione si fa altissima. Si avvicina alla boccia delle femmine, e ne estrae un bigliettino. Si avvicina al microfono e: – Marina Schulse!
Ciao! Eccoci al quarto capitolo: la mietitura. Qui si entra nella storia vera e propria. Nel prossimo, ovviamente, sapete già cosa succederà, e ci sarà una frase collegata ad un’altra di questo capitolo. Sono quasi identiche, quindi le riconoscerete subito. Dopo avervi avvertito, vi chiedo di recensire, solo se volete, ovviamente, e ringrazio chi lo ha già fatto. Siete liberissimi di mettere la storia tra le seguite, ricordate e preferite, anche se so che non lo farete perché, nei vostri panni, avrei fatto lo stesso. Non è niente di che, non mi merito il titolo di autrice preferita di nessuno.

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Capitolo 5
*** Oh, she got both feet on the ground ***


Mi manca il fiato. Il mondo inizia a girare. Cerco sostegno nel braccio di Jonathan, e sento la sua mano stringersi attorno alla mia, come per darmi coraggio. Inutile. La ragazza che amo è stata appena condannata ad andare al macello, a partecipare agli Hunger Games, i Giochi che non ti lasciano via di scampo: uccidi o muori. Nel primo caso, lei tornerà devastata da quell’esperienza, senza più la capacità di affezionarsi a qualcuno per la paura che muoia davanti ai suoi occhi, devastata dalla paura e condannata all’infelicità. Nel secondo, invece, la perderò per sempre, e sarà un trauma così grande da impedirmi di amare qualcun altro. La vedo incamminarsi verso il palco, con tutta l’indifferenza che le hanno regalato i suoi sedici anni. Dietro la noncuranza, però, si nasconde puro terrore, e capisco che è tutta una finzione, che quella che sta indossando adesso è una maschera per schermarsi dalla compassione e dall’affetto altrui, per non far vedere che sta soffrendo come sto soffrendo io. Sale con tutta calma i gradini del Palazzo di Giustizia e si piazza accanto a Cate, che chiede: – Ci sono volontari? – Per un attimo, la speranza si riaccende nel mio cuore. Dopotutto, siamo un distretto favorito, ci sarà pur qualcuno disponibile a prendere il posto di Marina. Ma la speranza muore sul nascere. Il silenzio è l’unica cosa che si sente nell’intero luogo in cui viviamo. Non è la prima volta, ma accade molto di rado che qualcuno non si offra al posto di qualcun altro, la maggior parte dei quali per la gloria, quindi l’accompagnatrice si mostra un po’ confusa. – Ehm… bene! Allora… continuiamo! Adesso, il giovane uomo! – Si dirige nuovamente verso la boccia, ritrovando il suo solito decoro. Pesca una strisciolina di carta. Penso di essere ancora troppo stordito per sentire il nome ma, quando lo legge, è come se rimbombasse in ogni angolo di Panem: – Max Eisenstein! – La mia mente non riesce a registrare pienamente ciò che è appena successo, ma il mio corpo sì. Sento una mia mano scostare decisa Jonathan ed i miei piedi attraversare senza esitazioni il corridoio formato da ragazzini della mia età per farmi passare. Non appena esco dalla fila, due Pacificatori mi prendono sotto la loro custodia. Salgo le scale con lo sguardo freddo, gelido, di chi non ha nessuno a cui render conto. Mi piazzo alla destra di Cate, che rifà la stessa domanda di poco prima: – Ci sono volontari? – Anche adesso nessuno si fa avanti. Lascio correre lo sguardo sulla piazza. Mia madre è svenuta, e qualcuno cerca di farla rinvenire con dei sali che dev’essersi portato apposta. Mio padre sembra una statua: ha lo sguardo fisso davanti a sé, come se fosse successo qualcosa di grave che però non lo riguarda. Jonathan, che non ha mai pianto neppure quando è nato, a detta dei suoi genitori, ha due lacrime che gli rigano le guance, e mi fissa disperato, con la bocca socchiusa ed il braccio mezzo steso, come se lo volesse alzare per offrirsi al posto mio. Gli faccio cenno di no con la testa, anche se oramai non può più farlo: il tempo è scaduto. Alla fine, i miei occhi incrociano quelli del ragazzino che ho picchiato: è sconvolto, glielo si legge in faccia, nonostante io gli abbia lasciato un bel po’ di lividi ed anche lui abbia fatto la sua parte, graffiandomi tutto il viso che i miei sono riusciti a curare ieri sera, facendomi provare un dolore incredibile ogni volta che disinfettavano una ferita. Mi guarda intensamente, poi, con le labbra mima una frase corta che, però, per me acquisisce un gran significato, soprattutto se detta da uno che conosco a malapena ma a cui ho già fatto del male: “Mi dispiace”. Gli rispondo, incurante delle telecamere puntate su di me: “È tutto okay, non ti devi preoccupare. Grazie”. L’accompagnatrice mette una mano dietro le nostre rispettive schiene: – Ed ecco a voi, i tributi dal Distretto 4: Marina Schulse e Max Eisenstein! Su, ragazzi, stringetevi la mano! – Io e Marina ci piazziamo uno di fronte all’altra e suggelliamo la nostra condanna a morte. Rettifico: la mia condanna a morte. Non permetterò che le accada qualcosa nell’arena, non riuscirei mai a perdonarmelo. Io, senza di lei, non sono nulla; Marina, invece, può farsi una vita anche senza di me. Sarà molto difficile, visto quello che sta per passare, ma potrà riuscirci, con l’aiuto e l’amore di tutti quelli che le vogliono bene. Io non avrò neppure uno sponsor: ho i capelli biondo chiaro a cespuglio, sono gracile, ho un sacco di lentiggini, non sono bello e non so usare le armi. Lei sì. Mi chiamo Max Eisenstein, ho dodici anni, abito al Distretto 4 e la mia vita è appena finita.
Angolo dell’autrice: Capitolo cinque! Allora, i nostri Max e Marina sono appena diventati tributi, com’è logico. A Capitol City ne succederanno delle belle, ma tutto sarà sotto il rating verde della storia, quindi molto leggero. La maggior parte dei fatti sarà sentimentale, ovviamente, ma ci sarà anche qualcosa di divertente. Non potrà mancare l’accenno ad un dei miei due OTP di Hunger Games, Catoniss e Cleeta. Indovinate un po’ quale sarà? Se avete letto tutte le mie storie, lo capirete, altrimenti… non vi resta che aspettare la Cerimonia di Apertura e l’addestramento. Dopo tutti questi indizi, vi saluto. Baci, JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 6
*** And she's burning it down ***


Sto seduto, in silenzio, ad aspettare che i miei visitatori vengano a salutarmi un’ultima volta. I primi ad entrare, ovviamente, sono i miei genitori. Mia madre, disperata, dà libero sfogo alle lacrime, stringendomi forte a sé e dicendomi di essere coraggioso, che presto tutto si sistemerà e che le cose andranno come devono andare. Un: – Ti voglio bene – sommesso a causa del pianto conclude il discorso. Mio padre mi si avvicina. – Figlio mio, devi essere forte. Lo so che non te l’aspettavi, che questa è la peggior notizia che un ragazzino di dodici anni può ricevere, ma tu parteciperai agli Hunger Games. Non sarà facile, ma puoi vincere. Ti basterà avere un ottimo mentore e la tua intelligenza. Gli alleati non ti serviranno, perché, al momento opportuno, ti tradiranno, e tu non potrai più tornare a casa da noi. – Entra un Pacificatore. – Tempo. – Mio padre mi dice un’ultima cosa. – Ricorda che la tua famiglia ti vorrà sempre un bene immenso, che supererà ogni confine, ogni distanza. – Poi la porta si chiude. Pochi istanti dopo, Jonathan fa irruzione quasi a forza nella lussuosa sala in cui mi trovo. Pianta le sue unghie sulle mie spalle e, con rabbia, mi dice: – Non se la caveranno tanto facilmente quelli di Capitol City con te, Max. Perché tu darai del filo da torcere a tutti gli altri tributi, mi hai sentito? – Rimango in silenzio. – Ho detto “Mi hai sentito?” – grida. Annuisco molto lentamente. – Sì, amico, ti ho sentito, ma tu sai già cosa farò. Non c’è bisogno che te lo dica. – Lo guardo dritto negli occhi. I suoi sono di un colore indecifrabile, quasi mai visto prima, un’accozzaglia di sfumature varie e diverse, mentre i miei sono di un verde chiarissimo, e lasciano trapelare tutti i miei pensieri: me lo dice ogni persona che incontro. Le lacrime cominciano a scendere sul volto di Jonathan. – Sei un idiota! – Mi molla un ceffone prima di accasciarsi sul divano, singhiozzando forte. Il Pacificatore di prima apre la porta. – Che diavolo sta succedendo qui dentro? Comunque, tempo. – Trascina fuori il mio migliore amico, che mi urla: – Non capisci cosa stai facendo! – A questo punto, posso considerare finite le visite. Ma la porta si apre ancora una volta. Alzo lo sguardo interrogativo ed incrocio gli occhi del ragazzino che ho pestato ed a cui, il giorno dopo, ho regalato una frittella di castagne. Come sembrano lontani quei ricordi… Mi sembra impossibile che sia accaduto tutto in questa settimana. Si avvicina a me. – Tieni, come portafortuna. – Apro il palmo, e lui lascia cadere una biglia di dimensioni minuscole, dai mille riflessi colorati. – Grazie – sussurro. Rimaniamo in silenzio fino allo scadere del tempo. Quando il Pacificatore lo sta portando via, mi rendo conto di una cosa. – Aspetta! Non conosco il tuo nome! – strillo. La mia voce si è fatta acuta dall’agitazione. – Mi chiamo… – dice, ma non riesco a sentirlo, perché quella maledetta porta si chiude per l’ultima volta, portando via con sé tutta la mia vita. Veniamo scortati al treno dei tributi. È lussuosissimo. Cate ci dice di fare ciò che più ci piace, ma non vedo come. L’unica cosa che vorrei fare, ora, è scappare da qui e trascinare Marina con me, perché non sopporterei il fatto di vederla morire davanti ai miei occhi. Con tutta probabilità, impazzirei. All’ora di cena, noto che né io né lei ci siamo cambiati. I nostri mentori, Finnick Odair e Mags, si sono già seduti a tavola con l’accompagnatrice ed Annie Cresta, ospite di quest’edizione del reality show. Dopo aver mangiato senza fare molto caso a quel che avevamo nel piatto, guardiamo il riepilogo delle mietiture. Distretto 1. Viene scelta una bella diciassettenne bionda con due smeraldi al posto degli occhi, Glimmer Belcourt. Insieme a lei, è sorteggiato un diciassettenne castano di nome Marvel Sanford. Distretto 2. Una quindicenne dai capelli corvini e gli occhi tra il verde ed il marrone, Clove Kentwell, viene seguita a ruota da un bel diciottenne volontario, biondo e con gli occhi di ghiaccio, Cato Hadley. Non mi rimangono impressi tutti i tributi. Quando tocca a noi, non riesco a guardare la scena. Poi passiamo al 5. Riesco solo a notare che viene scelta una rossa quindicenne con occhi ambrati, Finch Crossley, prima di perdere l’attenzione, che però viene ricatturata dal 6, quando la diciottenne Sophie Sullivan si offre al posto della sorella dodicenne Kate. Viene seguita dal suo fratello sedicenne William, che rifiuta un volontario. Per quanto riguarda l’11, Rue Mathony, una dodicenne, e Thresh Radioactive, un diciottenne, accettano le loro condanne in silenzio. Alla fine, giungiamo al 12. Primrose Everdeen, dodicenne, viene sostituita da sua sorella Katniss, una sedicenne, proprio come nel 6. L’ultimo tributo è il sedicenne Peeta Mellark, che sembra tranquillissimo. La trasmissione si conclude e noi andiamo a dormire.
Ciao a tutti! Ecco il capitolo sei! Qui ci sono i saluti e le mietiture. Se qualcosa non vi quadra, ditemelo pure. Ho esagerato con le età e le descrizioni (sì, forse con quella di Glimmer sì)? Dovevo dedicare più spazio agli ultimi momenti che Max ha passato i compagnia dei suoi cari? Avvisatemi con una recensione! :D Posso confessarvi una piccola cosa? Durante il film, avrei tanto voluto vedere le mietiture, in special modo quelle di Cato (e la reazione di Katniss) e Clove (idem per Peeta). E per voi è stato lo stesso? Se avete voglia, confidatevi. Saluti!

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Capitolo 7
*** Oh, she's got her head in the clouds ***


Non riesco a dormire. La paura per quello che accadrà fra meno di una settimana minaccia di soffocarmi. Morirò. Non so ancora per quanto tempo riuscirò a sopravvivere in quel luogo di morte, ma la durata media degli Hunger Games è di circa due settimane, ed io potrò ritenermi fortunato se riuscirò a sopravvivere al bagno di sangue. Mi dò una scrollata. Per me è diverso: io devo farcela. Almeno fino agli ultimi otto. È il massimo che possa fare per aiutare la mia adorata Marina. Lei sopravvivrà, anche a costo della mia vita. Cerco di convincermi che non le sarò utile come alleato se cadrò dal sonno nell’arena, e ci riesco. Le mie palpebre si fanno pesanti, molto più pesanti. Chiudo gli occhi, ripromettendomi di trovare un modo per chiederle di allearsi con me, nonostante ci siano molti altri tributi degni di nota e che, molto probabilmente, faranno carte false per unirsi a lei, una volta che avranno visto cosa è capace di fare con la garrota. Mi lascio cullare dal ritmo del treno, e l’oblio sostituisce i miei pensieri. Un insistente “toc, toc” alla porta mi sveglia pochi secondi dopo. O almeno credo che siano passati pochi secondi. Scosto le tende, e la luce del sole cancella tutte le mie certezze, confermandomi che sono passate diverse ore da quando ho chiuso gli occhi a quando gli ho riaperti. – Su, su, su! Sarà una grande, grande, grande giornata! – esclama Cate, fuori dalla porta. Sento i suoi passi mentre si allontana. È mai possibile che quella donna porti il tacco 12 di prima mattina? Sono sicuro che indossi le zeppe così alte persino quando dorme. Mi sono addormentato coi vestiti addosso. Non sono molto stropicciati, quindi decido semplicemente di lisciarmeli e di andarci a fare colazione. Esco dalla camera e raggiungo la mia équipe nella stessa sala in cui abbiamo fatto cena. Nessuno parla fino al mio arrivo. – Bene, ci siamo tutti – dice Finnick. – Allora, Max e Marina. Quante e quali armi sapete usare? – Rispondiamo all’unisono. – Solo la garrota – risponde lei. – Nessuna – lo informo io. La tavolata rimane un attimo in silenzio per assimilare queste informazioni. Poi Marina interrompe questo momento: – Ma io ti ho visto lanciare un coltello e colpire il bersaglio perfettamente al centro. – Liquido le sue parole con un gesto. – È stata solo fortuna. – Aggrotta le sopracciglia. – Come? – Sembra smarrita. E come non esserlo, del resto? Ho addirittura intrapreso un corpo a corpo di fronte a lei, è logico che, prima della mia smentita, pensava fossi un combattente. Mi rendo conto troppo tardi che questo mi abbassa di molti gradini nella scala degli alleati desiderabili. Già mi penalizzava il fatto di essere un brutto dodicenne, aggiungendoci anche che non voglio saperne del Team dei Favoriti, oramai è praticamente certo che io sarò la sua ultima scelta, quella estrema, nel caso nessun altro sia disposto a fare gruppo con lei, e, dato che ce ne saranno a bizzeffe, è chiaro che non c’è posto per me nella sua cerchia. – Be’, poco importa, ti voglio come alleato. – Per poco non mi strozzo con la mia colazione. Mi volto a guardarla per capire se si prende gioco di me o se fa sul serio. Ed il suo viso serio mi dice che la seconda è l’opzione più plausibile. – Sei sicura, Marina? Potrei penalizzarti, nell’arena. – Mi interrompe. – Non importa. Personalmente, disprezzo chiunque non si allei col proprio compagno di distretto già dall’inizio dei Giochi. In effetti, questa è l’unica caratteristica dei Favoriti che apprezzo, nonostante la mia appartenenza al 4 mi faccia diventare quasi automaticamente una di loro. – Scuoto la testa. – Non  mi alleerò mai con quei macellai: sarebbero capaci di tradirsi a vicenda già pochi secondi dopo il suono del gong. – Valuta per un attimo ciò che la mia bocca ha appena sentenziato. – Okay, se è questo che vuoi… – Un boato proveniente da fuori i finestrini del treno interrompe la nostra conversazione. Siamo finalmente giunti a Capitol City, la capitale di Panem. I capitolini hanno appena notato che un treno di tributi, il nostro, è entrato in città, e si stanno spintonando e sbracciando per osservarci e salutare. Sono felici che un nuovo carico di tributi sia appena arrivato a morire per il loro spasso. Ogni persona presente nella stanza abbassa gli occhi. Non vogliamo guardare i volti di persone che desiderano vederci morti, neanche se si tratta di sponsor. Ci alziamo contemporaneamente dalle nostre sedie ed usciamo dallo scompartimento. Persino Cate, che qui è di casa, non riesce ad alzare il viso verso quegli schiamazzi che le sono di sicuro tanto familiari. Forse lei ci rispetta almeno un po’. In fondo, qualcuno di Capitol City avrà pur capito che siamo persone anche noi, e non bestie senz’anima e prive di sentimenti.
Angolo dell’autrice: Un applauso per il capitolo sette (in cui non succede praticamente niente)! Nel prossimo, però, ci sarà la Cerimonia di Apertura. Non perdetevela, mi raccomando! Ci sarà anche, come promesso, l’accenno alla C… Ops! Devo resistere all’impulso di spifferarvi tutto quel che succede nei capitoli successivi nei miei angoli autrice (e, credetemi, la voglia è tanta). Be’, almeno qui riesco a distrarmi dal pensiero fisso degli esami, anche perché sono le vacanze di Pasqua e posso rilassarmi. I capitoli vengono scritti molto prima di essere pubblicati, quindi tutto ciò che scrivo qui è già avvenuto. Buon sabato! JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 8
*** And she's not backing down ***


Sono stato preso in custodia dal mio staff di preparatori, che comprende Mary Kate, Delia e Scott, circa tre ore fa, e la tortura che sto subendo almeno riesce a consolarmi del fatto che da morto non subirò tutte queste continue depilazioni ed esfoliazioni ecc. ecc. Marina è stata data in consegna a Kristin, Megan e Dixon e, sinceramente, quest’ultimo non mi è andato del tutto a genio. L’ha riempita di troppi complimenti, e non erano neppure entrati nella sezione femminile. Spero che almeno Ian, il suo stilista, non sia un bell’uomo. Questi attacchi di gelosia improvvisa sono assurdi e totalmente immotivati, ma mi aiutano ad andare avanti in questa lunga giornata. Tra poco sarò davanti alle telecamere di tutto il mondo (inteso come Panem) e devo almeno fare una figura decente con gli sponsor. Mi lascio sfuggire un: – Uff! – di circostanza, che però viene praticamente annientato dal turbine di frasi che si scambiano Delia e Scott, del tipo “Ma quanto è adorabile questo ragazzino!” e “Mi viene voglia di mangiarlo!”. Quasi quasi, risponderei loro “Mi vomitereste, sono indigesto e disgustoso”. So che stanno facendo tutto questo solo per compiacermi un po’, vista la mia naturale bruttezza, ma devo ammettere che stanno facendo un ottimo lavoro: adesso sono quasi passabile. Mary Kate compare tutt’a un tratto. – Vieni, Max. Devo portarti da Nealie. – Incrocio le dita sul fatto che la mia stilista non pronunci vocali strambe, parole sincopate ed un sibilo pronunciato che accompagna la esse. Mary Kate ha un tono stridulo, Delia apre appena la bocca quando parla e la fine delle frasi di Scott va in su come se stesse facendo una domanda. È insopportabile. Quando la porta si apre per far entrare la stilista, scatto in piedi come un soldatino, nervosissimo. – Ciao, Max. – Nealie è proprio una bella donna: deve avere all’incirca una trentina d’anni, si veste normalmente e sembrerebbe piuttosto ordinaria per un’abitante di Capitol City, se non fosse per i capelli. La radice biondo cenere quasi non si nota, vista la tinta rosso tiziano con meches biondo platino e ciocche nero corvino. Sono le cose che la fanno spiccare in mezzo ad una marea di gente e che la rendono un’autentica capitolina. – Vieni a vedere il costume che io ed il mio socio Ian abbiamo preparato per te e la tua compagna Marina. – Mi conduce in una stanza blaterando qualcosa su dei costumi complementari che caratterizzano ogni tributo. Smetto di ascoltarla quando adocchio un fantastico vestito color del mare messo in bella vista proprio al centro della sala. Lo indosso e mi rendo conto di essere in super-ritardo per la Cerimonia di Apertura, che, infatti, comincerà tra soli tre minuti. Mi catapulto in ascensore. Per fortuna, questi qui sono velocissimi. Mi ritrovo nell’atrio prima ancora di riuscire a sbattere le ciglia. Mi dirigo verso il carro su cui vedo Marina e ci salgo sopra proprio mentre inizia la sfilata dei tributi. Noi siamo, ovviamente, i quarti a partire. Una volta che sono usciti tutti i carri, capisco subito che gli sponsor non ci degneranno neanche di uno sguardo. La metà di loro è presa dalle fiamme dei ragazzi del 12, l’altra dalla bellezza dei fratelli del 6 ed una minima parte sta osservando molto attentamente quelli del 2. Quando il discorso del presidente Snow si conclude, sul far della sera, torniamo tutti al coperto. I nostri mentori, stilisti e preparatori, Cate ed Annie si fiondano su di noi per cercare di rincuorarci, per dirci che, quando siamo usciti, guardavano sempre e solo noi. Già, peccato che in coda ci siamo rimasti praticamente tre secondi. E poi lo facevano solo perché eravamo appena partiti. All’arrivo, nessuno ci “ammirava” più, oramai. L’unica cosa che mi consola è il ricordo delle voci di Caesar Flickerman e Claudius Templesmith, che si sono soffermati molto su di noi, all’inizio. – Ehi, Finnick! – La voce di una donna interrompe i miei pensieri. – Sei fortunato. I tuoi, almeno, sono vestiti decentemente. – È Johanna Mason, vincitrice del Distretto 7. La riconosco subito: è l’unica donna abbastanza giovane qua dentro. Deve avere all’incirca venticinque anni. Mentre lei ed il mio mentore chiacchierano come vecchi amici ed Annie li guarda corrucciata, mi dò un’occhiata intorno. E noto quasi immediatamente che c’è elettricità statica nello spazio che divide quelli del 12 dai tributi del 2 e la loro équipe, in special modo colgo lo sguardo di Clove, che si sofferma per un attimo su Peeta e poi distoglie lo sguardo, come imbarazzata. Persino da qui si vede che è arrossita. Forse il biondino ha fatto colpo. Ma solo forse… Un attimo prima dell’inizio della sfilata, ho visto quelli del 2 fissare intensamente i ragazzi del 6. Del resto, sono stupendi. Smetto di pensarci, prima di iniziare ad autocommiserarmi, e mi dirigo verso l’ascensore.
Ciao! Che ne pensate del capitolo otto? Come avete trovato la prima parte? Noiosa, coinvolgente, appassionante, illeggibile… Ditemi tutto, cose belle e brutte! Come promesso, c’è stato l’accenno alla Cleeta, il mio secondo OTP di “Hunger Games”. Più che altro, però, sono assalita da un dubbio: per caso, trovate che abbia accennato anche alla Finnick/Johanna? Se è così, devo assolutamente rimediare in qualche modo, essendo io una Fannie shipper fino al midollo osseo. XD Be’, come al solito avvisatemi se c’è qualcosa che non vi quadra e bla bla bla… La solita solfa. Oramai mi conoscete. Recensite, please! Baci, JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 9
*** This girl is on fire ***


Entriamo nel nostro appartamento, al quarto piano, e rimaniamo estasiati. Né io né Marina abbiamo mai visto così tanto sfarzo in tutta la nostra vita. Ognuno di noi si apparta nella propria camera. Mi faccio una lunga doccia, quasi a volermi lavare via gli effetti praticamente nulli di quest’intensa giornata. Francamente, non capisco proprio che gusto ci trovino le ragazze a truccarsi, visto che, poi, la gente pensa sempre ai fatti propri. Chissà, magari in passato, quando ancora i nostri antenati popolavano questo pianeta, le cose erano diverse. Non mi concedo il tempo di pensare a quei cretini che ci hanno lasciato in mezzo alla fame, alle uccisioni ed agli Hunger Games. Provo un odio cocente per loro. Mi rivesto in tutta fretta, perché mi è venuta una fame pazzesca. A tavola c’è di tutto e di più, dal dolce al salato. Mi servo senza fare troppi complimenti. Dopotutto, il cibo è per noi, le attrazioni di Capitol City. Cerco di concentrarmi su di esso prima di rinunciarvi per inutili scrupoli o moti d’orgoglio. Devo prendere qualche chilo in previsione dei Giochi. Lo stesso sembra fare la mia compagna di distretto, mentre gli altri sono tutti occupati a conversare tra di loro. Poi Finnick si rivolge a noi tributi: – Be’, ragazzi, non abbattetevi. Ci sono ancora i punteggi dell’addestramento e le interviste. Potrete rifarvi con quelli. – Non è proprio di grande aiuto, ma almeno è una fragile speranza cui aggrapparsi. Non ci sono importanti consultazioni tattiche. Semplicemente, qualche consiglio sull’uso delle armi (“Cominciate da quella che vi sembra più facile da maneggiare: io, comunque, vi consiglio i coltelli”) e l’ordine di non dare nell’occhio di fronte ai nostri avversari, per non venire presi di mira non appena mettiamo piede nell’arena. Per qualche motivo, la ma mente non riesce ad andare oltre la discesa del piedistallo, come se potessi morire improvvisamente per mano di qualcuno che è scattato verso la Cornucopia ed ha afferrato l’arma migliore che si potesse trovare, prendendomi di mira ed uccidendomi sul colpo. Quando finiamo di guardare la replica della Cerimonia di Apertura, mi fiondo in camera mia senza sentire ragioni. Proprio mentre il sonno sta per trascinarmi verso l’oblio, com’è successo nel treno, qualcuno bussa alla mia porta. È Marina. – Ehi, ti va di sfogarti un po’? – In realtà, in questo momento vorrei solo dormire, ma l’idea di passare del tempo con lei mi alletta molto di più. – Certo – affermo, e la seguo. Mi fa segno di non proferir parola, ed io le do retta. Mi indica qualcosa. Mi sporgo per vedere meglio. C’è un carrello proprio in mezzo al corridoio. Deve avercelo lasciato la senza-voce che ci ha servito la cena. Poco più avanti, la porta di una stanza è spalancata. – Lei è incaricata di non lasciarci usare l’ascensore, soprattutto di sera – mi sussurra Marina. Credo di aver capito il suo piano. Ci avviciniamo un po’ di più, poi la mia alleata scatta in avanti, afferra il carrello e lo spinge dalla parte opposta dell’ascensore, nascondendosi subito e facendomi cenno di fare lo stesso. Certo, è un po’ crudele servirsi del fatto che la poverina non possa parlare, ma sono i nostri ultimi giorni di vita, e dovremmo pur divertirci un poco. Raggiungiamo la nostra meta, e Marina schiaccia il pulsante numero due. In un batter d’occhio, ci ritroviamo nel corridoio dei più temuti Favoriti di questi Hunger Games. – La ragazza ha un coltello nascosto da qualche parte – bisbiglia la mia compagna, riferendosi a Clove. Entriamo di soppiatto nella sua camera, che troviamo immediatamente. Ha lasciato la porta socchiusa, ed ora si trova in bagno. Sento lo scrosciare dell’acqua della doccia. Incominciamo a frugare la sua stanza. Dopo vari minuti di ricerche, Marina lo trova nascosto nella fodera del cuscino. – Ma che state facendo? – grida una voce alle nostre spalle. Nella frenesia, non ci siamo accorti che l’acqua aveva smesso di scorrere. Clove è ancora avvolta nell’asciugamano. Io e la mia alleata ci scambiamo un cenno d’intesa. Aggiriamo la quindicenne e corriamo fuori dalla porta. Lei ci insegue, sbraitando coloriti insulti. Torniamo in ascensore, e Marina preme il pulsante dodici, facendo ben attenzione ad essere vista da Clove. Una volta nell’attico, Marina si mette a cercare un’altra stanza. Veniamo raggiunti da Clove quasi immediatamente, ma la mia compagna ha trovato ciò che cercava. Spalanca la porta e getta dentro il coltello. La ragazza del 2 lo segue a ruota, andando a finire sul pavimento. – Cosa succede? – Peeta sbuca dall’ombra guardando prima noi, che ce la ridiamo sotto i baffi, poi Clove, che è arrossita non appena l’ha visto. Io e la mia alleata scappiamo. Torniamo nel nostro piano e continuiamo a ridere a crepapelle. – Come ti è venuto in mente? – le chiedo. – Non l’hai vista, alla sfilata? – All’improvviso, mi ricordo.
Angolo dell’autrice: Ehilà, bella gente! Come trovate il capitolo nove? Che ne dite dello scherzetto architettato da Marina ai “danni” della nostra povera Clove? Chissà che sarà successo poi, con Peeta. Io un’ideuzza ce l’avrei… Eh eh eh! Se ci aggiungete il fatto che la nostra cara Favorita indossava solo un asciugamano… tirate voi le somme! Nel caso ve lo stiate chiedendo, Marina ha visto il coltello nelle mani di Clove durante la Cerimonia di Apertura e, dopo aver notato lo sguardo che si era scambiata con Peeta, non ha resistito alla tentazione. Un vero diavolo! Vabbè, ci si vede!

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Capitolo 10
*** She's walking on fire ***


Non appena mi sveglio, il ricordo delle bravate compiute da me e Marina ieri mi squassa nuovamente dalle risate. Chissà come sarà stato l’epilogo tra i due… Compio le stesse mosse che ho fatto ieri, non appena mi sono sistemato nel mio alloggio: doccia e vestizione. A colazione, io e Marina veniamo osservati un bel po’, poi Finnick si decide a parlare: – Ieri notte, qualcuno ha distratto la nostra senza-voce per creare scompiglio fra alcuni tributi. Voi sapete qualcosa di questa ragazzata? – ci chiede, con malcelata fiducia in una risposta affermativa. Noi, però, neghiamo tutto. – Ah, no, eh? – Alza un sopracciglio. – Sappiate che io gli occhi ce li ho – aggiunge, poi, all’improvviso, scoppia in una sonora risata. – Ragazzi, se quello che mi è stato raccontato è vero, siete stati grandi! – Tutta la tavola è scossa da forti risa. Nonostante tutto, è un bel modo di cominciare una giornata d’addestramento. – Per quanto riguarda oggi, seguite i consigli che vi abbiamo dato ieri – dice Finnick, tornando improvvisamente serio. – Su, miei cari, venite! Dobbiamo andare! – esclama Cate. Do un’occhiata all’orologio affisso sulla parete: le nove e mezza. Quando entriamo nelle vere sale d’addestramento, ci diamo subito un’occhiata intorno. Ci sono solo i ragazzini del 3, i Favoriti Glimmer e Marvel con accanto Cato e… gulp… Clove! Deglutisco a vuoto. Ce la farà pagare, me lo sento. Magari ci scambierà coi manichini e tirerà a noi i coltelli, anche se, tecnicamente, è illegale. Invece, quando ci avviciniamo cautamente a lei, ci rivolge un sorriso luminoso, attenta a non farsi scorgere dai suoi alleati. Inarchiamo le sopracciglia, ma rispondiamo con la stessa premura. Quei due hanno combinato qualcosa. A mano a mano che entrano gli altri tributi, mi concentro sul vero motivo per cui sono qui: addestrarmi per i Giochi. Quando i tributi del 12 fanno il loro ingresso, però, non posso fare a meno di indirizzare un’occhiata a Clove. Sembra che risplenda. Si vede che è felice ad un milione di chilometri di distanza. Lancio uno sguardo anche a Peeta. Le risponde con un sorriso seducente, il che mi sembra strano. Non pensavo fosse uno di quei tipi. Un esame più accurato mi rivela che i suoi occhi percorrono il corpo di Clove dall’alto al basso e viceversa, con evidente soddisfazione. Eh sì, quei due devono aver fatto molto più che le ore piccole, ieri sera… Atala conclude il suo discorso e ci dirigiamo verso le armi. Seguo il consiglio di Finnick: prima i coltelli. In quella postazione trovo Clove, che mi si avvicina sussurrando – Grazie –, Finch, che però continua a guardarsi intorno, Rue, con cui intavolo subito una discussione, e Peeta, che si accosta a Clove accarezzandole la schiena e provocandole un evidente piacere. Con la ragazzina dell’11 parlo di cose diverse: gli Hunger Games, i nostri rispettivi distretti, la sfilata dei tributi, la mietitura. Quando è il mio turno, su tre centri ne azzecco mezzo. Sembra impossibile, ma è così: solo metà coltello raggiunge il centro. L’altra è conficcata a qualche centimetro di distanza. I successivi tre giorni trascorrono con me che osservo gli altri tributi. Glimmer e Marvel mi sembrano molto complici. Forse erano amici, forse qualcosa di più, al loro distretto. Finch, invece, continua a fissare Haymitch, che è appena entrato per parlare con gli Strateghi. Rue mi racconta di Thresh, e non mi ci vuole molto per capire che ne è attratta da qualche tempo. Katniss, intanto, si è ripresa il suo Peeta, e se lo tiene ben stretto. Sophie, la sorella del 6, flirta con Cato, anche se piuttosto di nascosto. William, il fratello, è riuscito a consolare Clove, facendola sentire una dea, almeno da quel che ho capito ascoltando i loro discorsi. Il tutto fa impallidire quello che c’è tra me e Marina. Comunque, il giorno delle sessioni private, non permetto alla faccende di cuore di intromettersi. Sono il settimo ad essere chiamato. Prima di sentire il mio nome, mi attardo a chiacchierare con la mia compagna di distretto e la mia nuova amica, scambiando occasionalmente qualche parola col gigante dell’11. – Max Eisenstein – chiama una voce di donna. Mi alzo in piedi, facendomi coraggio, un po’ rincuorato dai “Buona fortuna!” indirizzatimi dalle tre persone con cui ho parlato. Quando entro, gli Strateghi mi lanciano un’occhiata, riprendono un po’ a bere e poi mi riservano la loro completa attenzione. Prendo alcuni coltelli, accorgendomi di tremare quasi convulsamente. Faccio un bel respiro profondo, scelgo un manichino e lancio. Mancato. Sento qualcuno che ridacchia. Non permetterò a nessuno di prendermi in giro. Lancio altri coltelli, ma la maggior parte mi fa fare una brutta figura. Colpisco solo quattro o cinque volte il bersaglio, forse sei. Il capo degli Strateghi commenta: – Prova a lanciarlo da un’altra parte: magari, con la mira che hai, riesci a colpirlo.
Ciao! Cleeta! Cleeta! Cleeta! Yeah! Yeah! Yeah! Scusate il mio sfogo, ma ne avevo bisogno. Allora, mettiamoci al lavoro. Capitolo dieci. Che ne pensate? Voglio conoscere i vostri commenti specialmente sulla prima parte, e magari sull’ultima di quello prima. Adesso perdonatemi, ma devo ridere di una Clato shipper inglese, americana o australiana che sia, che ha chiamato le Catoniss (le MIE Catoniss) Katcato. Ditemi voi se questo non è assurdo! Su YouTube si trovano cose che ti fanno accapponare la pelle, letteralmente (con tutto il rispetto per le Clato shipper, ma vi siete trovate un pessimo elemento). Baci da JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 11
*** Looks like a girl, but she's a flame ***


Una volta nell’ascensore, schiaccio il pulsante numero quattro ed, in un batter d’occhio, sono di nuovo al mio piano. Oramai lo considero come una casa, per me, in special modo la mia stanza. Sospiro, rendendomi conto di aver ottenuto un pessimo punteggio. Be’, pazienza, tanto non avrei vinto comunque. L’unica mia preoccupazione è Marina. Chissà come se la starà cavando. Decido di aspettarla. Dopo quindici minuti, fa il suo ingresso nel corridoio, bellissima come sempre. Ha un’aria triste. – Ehi, cos’è successo? – domando, avvicinandomi a lei. – Oh, ciao, Max. Non ti avevo visto. – Prova a sorridermi, ma il tentativo è vano. – È andata male? – chiedo, pentendomi subito del poco tatto che ho avuto. Ma lei, finalmente, riesce a farsi uscire un sorriso sincero. – Ecco una delle cose che mi piacciono di te: sei diretto, vai subito al punto. – Per un attimo, non riesco neppure a respirare. Una delle cose… che le piacciono… di me? Oh, accidenti! Quindi le piaccio, almeno un po’. Faccio un respiro profondo, cercando di non scoppiare dalla gioia. E chi se ne importa se avrò un punteggio orrendo. Ha detto, in modo estremamente implicito, che le piaccio. Io, il ragazzino lentigginoso, quello coi capelli a cespuglio, bassetto, magro come un grissino, il cui unico pregio sono gli occhi verdi, un dodicenne che non sa tenere in mano un coltello, piaccio a Marina Schulse, la ragazza più bella dell’Accademia, forse addirittura dell’intero Distretto 4, la sedicenne che è il sogno di tutti i maschi che conosco, compresa il mio. Cerco di tornare coi piedi per terra. Forse intendeva solo dire che sono simpatico. D’improvviso, però, mi sento giù. Pensare di piacere alla ragazza di cui sono pazzo da circa un anno mi aveva esaltato al punto da farmi dimenticare ogni preoccupazione, compresi gli Hunger Games. Mentre facciamo il nostro ingresso in sala, rimugino su queste cose. Entrambi diciamo ai nostri mentori di non aver voglia di parlare delle sessioni private con gli Strateghi. Semplicemente, dopo cena ci mettiamo comodamente seduti sul divano a guardare la trasmissione in cui danno i punteggi. A condurre è, come sempre, Caesar Flickerman. – Come sapete, tutti i tributi ricevono un punteggio dopo tre giorni di duro addestramento. Gli Strateghi vogliono sottolineare l’eccezionale qualità dei concorrenti. Ma passiamo ai punteggi. – Ci zittiamo tutti a vicenda, sapendo che è in perfetto ordine numerico, dal primo all’ultimo tributo. – Dal Distretto 1… Marvel Sanford. Con un punteggio di… 9. – L’ho visto esercitarsi con le lance. – Glimmer Belcourt, con un punteggio di… 8. – Strano. Non sembrava molto dotata, quando la osservavo al tiro con l’arco. – Dal Distretto 2… Cato Hadley. Con un punteggio di… 10. – Non mi sorprende. Ho sempre saputo che lui era il migliore, bastava guardare le scommesse. È considerato il favorito da tutta la capitale. – Clove Kentwell, con un punteggio di… 10. – Be’, anche lei non scherza mica. Perdo l’attenzione per un po’, ma la ritrovo sentendo il mio nome. – Dal Distretto 4… Max Eisenstein. Con un punteggio di… 5. – Non mi ero psicologicamente preparato a questa batosta. L’umiliazione è troppo forte. Chiudo gli occhi, cercando di serrare le lacrime. – Marina Schulse, con un punteggio di… 6. – È andata leggermente meglio di me, ma non di molto. La mia attenzione torna a girovagare. La riprendo quasi subito, però. – Finch Crossley, con un punteggio di… 5. – Ma come? Lei, così intelligente, ha ottenuto il mio stesso punteggio? Non so perché, ma mi sento un po’ rincuorato. – Dal Distretto 6… William Sullivan. Con un punteggio di… 11. – Oh, cavolo! – Sophie Sullivan, con un punteggio di 12. – Questo sì che è scioccante! Perdo nuovamente l’attenzione, riacquistandola dopo un po’ di tempo. – Dal Distretto 11… Thresh Radioactive. Con un punteggio di… 10. – Ovvio. Lui sì che è forte, altro che io. Ho notato che i Favoriti gli stavano sempre addosso, durante l’ora di pranzo. – Rue Mathony, con un punteggio di… 7. – Pur soffrendo ancora per la recentissima umiliazione subita, non posso impedirmi di essere felice per la mia amica. – Ed eccoci giunti al nostro ultimo distretto – proclama Caesar. – Dal Distretto 12… Peeta Mellark. Con un punteggio di… 8. – Sono stato superato persino da uno dei tributi del distretto più povero di Panem. – E per finire, dal Distretto 12… Katniss Everdeen. Con un punteggio di… 11. – Rettifico: da entrambi i tributi. – Eccezionale – è l’ultima cosa che dice Caesar prima che qualcuno, a cui non bado, si alzi e vada a spegnere la TV. Ce ne stiamo tutti in silenzio, a riflettere su chissà che cosa. Alla fine, Finnick si erge in tutta la sua statura, catturando uno sguardo d’ammirazione di Annie. Le sorride e poi, stiracchiandosi e sbadigliando, in barba a tutte le regole della buona educazione, dice: – Non so voi, ma io ho un gran sonno. Vado a dormire. – Lo seguiamo.
Angolo dell’autrice: Ohi, bel mondo, come va la vita? Spero bene, dopo aver letto il capitolo undici di “The Girl On Fire”. Non so voi, ma io sto ripensando al fatto di aver scelto questa canzone per Max. Sarebbe stata molto meglio per Cato, considerando ciò che lega lui e Katniss (per me c’è sempre qualcosa che li lega, essendo io una Catoniss shipper totale, sappiatelo). Okay, commenti pertinenti alla storia in generale o al capitolo? Accetto qualsiasi cosa, positiva, neutra, critica, preferita, ricordata o seguita che sia. XD Avete capito, vero? :D Be’, io vi lascio. Ciao by JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 12
*** So bright, she can burn your eyes ***


È domenica, il penultimo giorno che passo a Capitol City, prima che gli altri tributi, esclusa Marina, comincino a darmi la caccia. La paura mi perseguita dal giorno della mietitura, ma ieri sera si è amplificata, dopo i punteggi: sono risultato tra i peggiori, proprio come all’Accademia del Distretto 4. Non ci sono stati voti inferiori a 5, solo infinitamente superiori. Però ho ancora una carta da giocare: le interviste di domani. Oggi Finnick mi deve preparare, ed io ne approfitterò per chiedergli consigli su come è necessario che mi comporti quando mi troverò nuovamente davanti alle telecamere di tutta Panem. Mi fa ancora un certo effetto sapere di essere famoso, o meglio, di sapere che delle persone a me del tutto sconosciute scommetteranno sulla mia vita. Ripercorro i passi che, da quando sono in città, compio ogni mattina: bagno, cassetti, sala. A colazione mancano tutte le femmine del nostro gruppo. Strano, di solito Cate è sempre puntuale. Comunque, mi precipito subito dal mio mentore. – Quando iniziamo le prove per la presentazione ed i contenuti? – chiedo, trafelato. – Ehi, ehi, quanto entusiasmo! – ride lui. – Le cominceremo non prima di un’ora, anche perché dovremo passare quasi mezza giornata insieme, ed è meglio incominciare il più presto possibile. – Svelto, mi giro a guardare l’orologio: sono le sette di mattina. È strano che mi sia svegliato così presto proprio nell’unica giornata in cui posso dormire un po’ più del solito. Sto pensando di tornare nella mia camera a sonnecchiare per il tempo che mi resta, quando l’ingresso di Marina mi convince a desistere. – Ciao – dico, andandole vicino. – Come sta il mio ragazzino preferito? – risponde, sorridendo e scompigliandomi i capelli. Visto come sono abitualmente, non fa poi una grande differenza. Entrano anche Mags, Annie e Cate, in visibile imbarazzo per non essere stata la prima ad alzarsi, quel giorno. L’ora seguente passa veloce, fra chiacchiere, barzellette e risate per allentare la tensione. Alle otto in punto, noi tributi veniamo presi in custodia dai rispettivi mentori e portati in due camere separate. All’inizio, Finnick mi dà dei consigli sulla camminata (“Schiena dritta, pancia in dentro, petto in fuori”), sul modo di sedersi (“Mai scomposto, Max, ricordatelo”), sul portamento (“Alza il mento, fai vedere tutta la grinta che hai”), sullo sguardo (“Devi sembrare deciso: fammi vedere che hai il fuoco negli occhi”), sui gesti delle mani (“Non muoverle troppo, altrimenti rivelerai il tuo nervosismo”) e sul sorriso (“Devi sembrare sicuro di te, così gli spettatori ti daranno la loro, seppur parziale, fiducia”). Quando passiamo ai contenuti, mi concentro intensamente. – Allora, Max, avevo pensato di farti interpretare il ragazzino crudele, che non guarda in faccia a nessuno e gode delle sofferenze altrui. Che te ne pare? – Ci rifletto su un attimo. – Sì, per me va bene – dichiaro un minuto dopo. – Perfetto. Ora ti farò delle domande a cui Caesar Flickerman chiede spesso risposte. Sei pronto? – Lo guardo negli occhi. – Prontissimo. Vai – asserisco. – Okay – e le successive quattro ore trascorrono con il mio mentore che mi fa domande più o meno possibili a cui io devo rispondere con un approccio crudele o con una risata dello stesso tipo. Devo ammettere che non me la cavo male, nonostante il mio aspetto possa penalizzarmi nella parte che dovrò recitare. La sera sono talmente distrutto che ordino la cena in camera, addormentandomi non appena l’ho finita. La mattina vengo consegnato nelle mani di Nealie, a cui appartiene la giornata. I miei preparatori mi immergono in una vasca per parecchio tempo. – È per depurarti alla perfezione, caro! – spiegano. Verso le sei di sera, quando praticamente risplendo grazie alle loro cure, la mia stilista mi fa indossare l’abito che ha cucito apposta per me: un completo azzurro polvere un po’ sfumato che mi si adatta grazie a delle imbottiture che mostrano un torace scolpito che non ho. Alle nove, ora stabilita per l’inizio dello show, io, Marina e Cate saliamo sull’ascensore. Il resto della nostra équipe è nel posto a loro riservato in mezzo al pubblico, e tra poco anche la mia accompagnatrice li raggiungerà. Le interviste precedenti alla mia, che dovrebbe essere l’ottava, si susseguono ad una velocità tale che non faccio in tempo ad accorgermene. Mi trovo sul palco dopo ventuno minuti dall’apertura del programma. Ricordo tutti i consigli di Finnick e sfodero il mio miglior sorriso. – Allora, Max, cosa c’è di diverso tra il tuo distretto e la nostra città? – Mi rivolgo al pubblico. – La quantità di tributi da uccidere. – Risate e commenti sorpresi, tipo: – Niente male il ragazzino! – Io ed il presentatore continuiamo per tre minuti su questa linea, poi chiamano Finch. Io continuo a guardare le interviste, obbligatoriamente. Quando Peeta confessa in diretta il suo amore per Katniss, vedo Clove correre all’ascensore con le lacrime agli occhi. Decido di parlare con Marina.
Ciao! Il capitolo dodici! Qui ci sono solamente le interviste, quindi niente di che (a parte l’accenno alla Cleeta! XD). Volevo avvertirvi che abbiamo già superato la metà della storia (14 capitoli). Ora lasciatemi sclerare: esistono le Senekiss (Seneca/Katniss)! Devo ammettere che il video Seneca/Katniss/Cato che ho visto non era niente male: la presentazione era in inglese, quindi mi è stata utile per imparare nuovi vocaboli, ed il video, fatto solo una settimana fa circa, è bellissimo, con le scene al posto giusto. Vabbè, vado ad aspettare che su Mediaset Italia Due facciano “Orphan”. Recensite, per favore. :D Ciao, belli.

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Capitolo 13
*** Better look the other way ***


Percorro a grandi passi la mia stanza, in attesa di Marina. Non appena l’ho avvicinata, nella baraonda che ha seguito le interviste ed in special modo quella di Peeta, le ho sussurrato di incontrarci in camera mia non appena si fosse lavata e cambiata. Poi la folla sgomitante ci ha divisi nuovamente: credo che l’unica persona non presente fosse Clove, che era scappata in lacrime subito dopo la confessione del tributo del 12. Deve aver pensato che la notte che hanno passato assieme sia stata tutta una presa in giro. La immagino ora, ferita e delusa nella sua stanza, ancora piangente. Oppure no. Il viso di William compare nella mia mente. Ricordo come i due sembravano affiatati durante l’addestramento. Forse è corsa da lui per farsi consolare, ovviamente con un motivo falso. Un lieve bussare alla porta della mia camera mi fa sussultare violentemente. Ho superato i limiti dell’ansia e del nervosismo, anche se pensare al triangolo Peeta/Clove/William, che, molto probabilmente, adesso comprende anche Katniss, mi ha distratto per un po’. Corro ad aprire. Marina indossa una semplice maglia gialla, dei leggins neri e color del fuoco e delle scarpe azzurre. La faccio entrare, poi scruto il corridoio, attento a cogliere il minimo movimento, ed infine chiudo la porta, sicuro che non ci sia nessuno spione che possa origliare o chicchessia e trattenendo un sospiro di sollievo proprio per questo motivo. – Allora, perché dovevi parlarmi? – chiede lei. Si è seduta sul letto e mi guarda, in attesa. – Ecco… io… devo dirti una cosa molto importante – mi faccio uscire, con molta fatica. – Dimmi pure – mi incoraggia. – Ora mi hai davvero incuriosito. – Alzo timidamente lo sguardo, cercando il coraggio di fissare i miei occhi sui suoi. – Da circa un anno a questa parte… – Comincio a balbettare. – Da quando sono entrato all’Accademia… – Respiro profondamente, poi mi decido. – Da settembre sono innamorato di te! – esclamo, tutto d’un fiato. Ho abbassato il viso, per non vedere la probabile espressione d’orrore in lei. Per qualche interminabile attimo c’è solo silenzio nella stanza. Poi Marina riesce a recuperare la capacità di parlare: – D-davvero? – farfuglia. Annuisco. La mia bocca è sigillata. – Max… tu non mi piaci – dice, sbriciolandomi il cuore in un miliardo di pezzettini. Serro le palpebre. Non devo piangere… non voglio piangere… – Io ti amo. – Si è avvicinata senza far rumore al mio orecchio destro ed ha sussurrato tre parole che mi hanno ucciso e resuscitato altrettante volte. A bocca aperta, la fisso. Mi sta sorridendo amorevolmente. – Più o meno dallo stesso periodo, l’inizio dell’anno accademico – aggiunge. Sul mio volto si apre un sorriso a trentadue denti. – Anch’io ti amo. Dalla prima volta che ti ho visto – soggiungo. Ci avviciniamo ancora di più e ci stringiamo in un abbraccio infinito, ma nient’altro. Domani cominceranno i Giochi, ed il mio dovere è quello di proteggerla. Non posso permettere che cada in trappola per cercare di salvarmi o difendermi. Non deve affezionarsi troppo a me, anche se oramai è troppo tardi. Mi ama, addirittura. Devo cercare di limitare i nostri rapporti a quelli di due comuni alleati, sperando di non ferire i suoi sentimenti e di non restare ferito a mia volta. Lei torna in camera sua, ed io trascorro l’ultima notte da cittadino libero in un limbo che confonde il sonno e la veglia. Cate viene ad avvisarmi che è ora di alzarmi verso le sette. Mi ha portato dei vestiti. È la prima volta che fa qualcosa di così personale per me. Quando la guardo in faccia, vedo che le lacrime hanno formato una scia simile alla bava di una lumaca sulle sue guance. – Mi… dispiace così tanto – bisbiglia poi, stringendomi a sé. Non è cattiva come sembrano i capitolini, in fondo. Ha dimostrato persino di essere una valente chaperon. In sala, Finnick mi riserva una stretta di mano. – Sei stato un buon tributo, Max – dice. Mags ed Annie mi abbracciano. Io e Marina ci salutiamo in ascensore. – Ce la faremo, amore mio – mormora lei, afferrandomi la mano sinistra. – Puoi contarci, tesoro – rispondo, intrecciando le mie dita con le sue. Quando arriviamo a destinazione, i Pacificatori ci separano, un po’ sorpresi nel vedere che siamo uniti per mezzo delle nostre dita. La perdo di vista praticamente subito. Vengo scortato nella Camera di Lancio, alias Recinto del Bestiame per noi dei distretti. Lì trovo Nealie, la mia stilista. Non c’è traccia di Mary Kate, Delia e Scott, il mio staff di preparatori. Nealie mi fa indossare una casacca della mia misura e mi augura buona fortuna. Poi una voce femminile dice – Trenta secondi. – Capisco che è il tempo che mi rimane fuori dall’arena. Mi avvicino al tubo, ci entro e quello si chiude, intrappolandomi. Inizia a salire. Alla fine, sento una voce: – Signore e signori, che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!
Angolo dell’autrice: Ecco il capitolo tredici, ovvero il penultimo. Nel prossimo ci saranno i Giochi e la morte del nostro piccolo eroe. Voglio chiedere scusa ai recensori se non ho inserito i loro nomi, ma ho scritto i primi dodici capitoli mentre stavo pubblicando la mia precedente fanfiction, “Radioactive”, e non avevo ancora postato il primo capitolo. Voglio aggiungere un’ultima cosa, totalmente insensata, proprio come me: dopo aver scoperto l’esistenza delle Effniss (Effie + Katniss) niente mi sorprende. Ultimissima cosa: recensite, please! Anche se non sono una grande scrittrice, mi farebbe piacere sapere che qualcuno legge ciò che scrivo. JackiLoveCatoniss4ever.

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Capitolo 14
*** You can try but you'll never forget her name ***


10… Glimmer ha già adottato l’espressione di feroce assassina. 9… Marvel ha un atteggiamento indecifrabile. 8… Marina si guarda intorno, ma è troppo lontana da me. 7… Finch sembra indecisa sulla direzione da prendere. 6… Rue è spaventatissima, glielo si legge in faccia. 5… Thresh, con la sua aria da duro, intimorisce tutti i tributi che gli stanno di fianco. 4… Katniss probabilmente è alla ricerca del suo Ragazzo Innamorato. 3… Peeta l’ha trovata, e sta scuotendo la testa nella sua direzione. 2… Sophie ha i piedi indirizzati verso la Cornucopia. 1… William ha lo sguardo di un guerriero. 0… Ho appena individuato Cato che lui salta giù dalla piastra, mentre il suono del gong mi rimbomba nelle ossa. Inizio a correre anch’io, trovandomi di fianco ad una Clove che, tolta l’aria spaventata dal suo volto, mi indirizza un’occhiata omicida. Vedo i tributi cadere a terra uno dopo l’altro: il ragazzo dell’8, per mano di Marvel; la ragazzina del 3, uccisa da quello del 5; lo stesso ragazzo del 5, ad opera di Glimmer, che poi si accanisce con furia su Sophie, colpendola più volte alla testa con una pietra. Freno con i piedi ogni volta che incontro un cadavere, trattenendo a stento un urlo di puro terrore, ed intanto guardo i carnefici più accaniti mentre cercano nuove vittime, chiedendomi come fanno, a queste età in cui dei ragazzi dovrebbero pensare a divertirsi spensierati, ad essere felici di uccidere qualcuno. Come possono avere già dei morti sulla coscienza? Un pensiero mi blocca: dovrò uccidere anch’io, per proteggere Marina. Disgustato da ciò, riesco a non farmi vedere dai Favoriti, che ora sono tutti indirizzati verso le proprie vittime: Glimmer evita per un pelo di essere strangolata da William, che invece viene assassinato da Cato. Gli sbatte violentemente il cranio prima contro il grande corno dorato, poi sul suolo. Mi chiedo come possa fare questo, considerato l’amore che lo legava a Sophie, sorella della sua ultima vittima. Quello che mi colpisce di più è che è stata proprio Glimmer ad ucciderla, e lui adesso l’ha salvata. Ma forse non l’ha vista, forse non sa che gli ha appena levato per sempre l’amore della sua vita. Perché questo era Sophie per Cato, anche se probabilmente lui non sarebbe mai stato disposto ad ammetterlo. So riconoscere lo sguardo di qualcuno innamorato perso, per il semplice fatto che anch’io faccio parte del club. Ora mi domando se Clove abbia visto la scena, la morte del suo William, l’unica persona che è stata capace di risollevarla. La cerco con lo sguardo, e noto che lancia un coltello al ragazzo del Distretto 9. Subito dopo, capisco il perché. Dietro di lui c’è Katniss. Clove prova ad accoltellarla, ma l’arma si conficca nello zaino della sedicenne, che scappa a gambe levate verso il bosco circostante. Si capisce il desiderio della quindicenne del 2 di uccidere la ragazza del 12: in fondo, le ha rubato Peeta. In questi dodici anni di vita, ogni volta che guardavo gli Hunger Games, mi soffermavo spesso sui tributi del 2, per scrutare nel profondo dei loro occhi. E le cose che vedevo erano sempre le stesse: odio, abbandono, sofferenza, rabbia. Loro sono i tributi che si allenano di più per trionfare ai Giochi, e quasi certamente nessuno, nemmeno i loro genitori, dà loro l’affetto che si meritano. Forse Peeta è stato il primo amore di Clove, e per questo la ragazza ha sviluppato un odio cocente nei confronti della ragazza che glielo ha rubato. Chissà come la segnerà la morte di William. Smetto di pensare alle sofferenze dei Favoriti e mi concentro sul grande corno d’oro: è un posto perfetto per un nascondiglio. Lo lascerò soltanto quando il campo sarà libero. Afferro la prima cosa che mi capita sotto mano, un cuscino, e mi accuccio all’interno della Cornucopia, sperando che nessuno mi trovi ed autoconvincendomi che non mi importa della morte degli altri tributi… Marina! Non l’ho più vista da quando è iniziato il bagno di sangue! Avevo giurato di proteggerla! Esco allo scoperto, rendendomi conto troppo tardi del mio errore. Quando volto la testa, Cato mi colpisce col machete. Cado a terra, ma sorrido. È logico, non siamo io e Marina coloro che libereranno Panem, ma Katniss e Peeta. Lo intuisco solo ora, o forse l’ho sempre saputo. La mia mente scivola via… Mi risveglio in un grande prato, dove trovo tutti i tributi già morti che ridono e scherzano, felici. C’è un grande lago in mezzo, e boschi tutt’attorno, mentre uno strapiombo suggerisce la presenza di un dirupo dalla parte opposta: proprio come l’arena. All’improvviso, il significato di tutto ciò mi appare chiaro: è il paradiso di noi tributi. Cato uccide anche Marina. Lei entra dallo stesso varco. Ci abbracciamo. Ora sappiamo.
Ciao a tutti! Questo è il quattordicesimo capitolo, ovvero l’ultimo. Prima dei ringraziamenti, vi dò un paio di informazioni: 1) esiste la coppia Katniss/Rue; 2) la mia prossima fanfiction racconterà gli Hunger Games dal punto di vista di Finch, e si intitolerà “Diamonds”. Ora ringrazio i recensori Bad_Kat, _candyeater03, katniss_jackson, nike_1996 e Queen Elizabeth. Vi voglio un mondo di bene! Un terza informazione: la mia prima fanfiction ha iltitolo di una canzone di David Guetta ft. Sia, la seconda è dei Fall Out Boy, la terza degli Imagine Dragons e questa, la quarta, di Alicia Keys, nel caso voleste ascoltarle.

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