Misery Business

di Layla
(/viewuser.php?uid=34356)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Vita di una cheerleader qualunque e del suo poco amato stalker. ***
Capitolo 2: *** 2)Piccole crepe nel castello di vetro. ***
Capitolo 3: *** 3)Se stai troppo vicina a fuoco alla fine ti bruci. ***
Capitolo 4: *** 4)Fuori dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno. ***
Capitolo 5: *** 5)E siamo a due: la rivoluzione continua. ***
Capitolo 6: *** 6)Occasioni bruciate. ***
Capitolo 7: *** 7)Questo non sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata. ***
Capitolo 8: *** 8)Nel tuo piccolo mondo tra piccole iene. ***
Capitolo 9: *** 9)Cambiamenti ***
Capitolo 10: *** 10) Il primo giorno di scuola non si scorda mai. ***
Capitolo 11: *** 11)Ipocrisia e falsitàè tutto ciò che incontro. ***
Capitolo 12: *** 12) La ballerina del carillon. ***
Capitolo 13: *** 13)Perché mi chiamo così. ***
Capitolo 14: *** 14)Il marchio di famiglia: domare gli indomabili. ***
Capitolo 15: *** 15)Amore ***
Capitolo 16: *** 16)Petalidi noi. ***
Capitolo 17: *** Epilogo: la fine, a volte, significa un nuovo inizio. ***



Capitolo 1
*** 1)Vita di una cheerleader qualunque e del suo poco amato stalker. ***


1)Vita di una cheerleader qualunque e del suo poco amato stalker.

Non ho mai sopportato Tom DeLonge.
È solo uno stupido ragazzino che cerca di infilarsi nelle mutande di qualsiasi ragazza, inclusa me.
Mi chiamo Jen Jenkins e sono una cheerleader. Ho un bel fisico, grandi occhi blu, capelli tinti di biondo e la faccia un po’ da cavallo ed è il mio unico cruccio.
Madison dice che dovrei farmi operare e chiederlo come regalo ai miei per i miei diciott’anni, ma io non me la sento. Maddie è la capo cheerleader o – come dicono sottovoce a scuola – il capo delle stronze. Io la trovo un po’ superficiale, ma in fondo non è male e poi qualcosa bisogna sopportare se si vuole stare in cima alla piramide sociale del liceo.
Come ogni mattina mi faccio una doccia, asciugo i capelli e li piastro, poi mi metto una minigonna di jeans e una maglia azzurra che mi copre a malapena l’ombelico, mi trucco – un po’ di mascara e del gloss sulle labbra – e delle scarpe con il tacco alto.
Faccio colazione e saluto mia madre.
Arrivata a scuola, DeLonge staziona già sull’entrata con aria da scemo, io invece vengo raggiunta da Jess e Cheryl. Jess ha lunghi capelli neri e due grandi occhi verdi, indossa un paio di jeans molto aderenti e una camicia rosa, Cheryl invece ha i capelli color caramello e gli occhi castani, oggi indossa un vestito nero a pois bianchi molto elegante.
“Buongiorno, ragazze. Il mostriciattolo è già là?”
Cheryl annuisce.
“Che palle.”
Sbuffo io.
“Cosa ne dici se gli facciamo sparire tutti i suoi libri dall’armadio?”
Propone Jess.
“Non è male come idea…”
“Ok, allora tu distrailo e poi al resto pensiamo noi.”
Ci avviamo verso la porta della scuola e Tom mi rivolge quello che crede essere un sorriso malizioso.
“Ciao, raggio di sole! Come stai?”
“Bene, prima di vederti.”
“Su non fare così, lo so che mi ami in fondo.”
Io mi trattengo dallo scoppiare a ridere, quello che mi interessa è il quarterback della squadra di football, non questo strano essere troppo lungo e troppo magro con dei corti capelli di un biondo palesemente finto.
“Sì, nei tuoi sogni, Tom.
Ma non hai niente di meglio da fare che stare dietro a me?”
“Posso stare anche davanti, se preferisci.”
“Ah Ah Ah, davvero divertente.”
“So di essere divertente, amore.”
“Non chiamarmi amore.”
“Un giorno mi amerai.”
“Sì, credici. Adesso scusa  devo andare.”
“Non salti scuola con me?”
“No.”
“Allora non la salterò nemmeno io.”
“Come ti pare.”
Lo lascio al suo destino e mi dirigo al mio armadietto, pensando che è una creatura davvero seccante. Prendo i libri e da lontano Jess e Cheryl mi fanno un cenno di vittoria, io sorrido lievemente tra me e me e vado nella mia classe di letteratura.
Anche il mostro la frequenta con me, ma non è ancora arrivato e tempo di sapere perché, il compenso è arrivata la prof: la signorina Simmons.
È una persona molto gentile, ma non bisogna farla arrabbiare o diventa molto cattiva. Tom entra mentre lei sta scrivendo qualcosa alla lavagna.
“Buongiorno, DeLonge. È bello vederla qui ogni tanto, dove sono i suoi libri?”
“Sono spariti.”
Il gessetto si rompe contro la lavagna.
“Sono stanca delle sue bugie, DeLonge. Una volta il cane ha mangiato il suo tema, un’altra volta ha confuso i suoi libri con quelli di sua sorella e ora mi dice che sono spariti.
Davvero poco originale.
Si è guadagnato tutta la mattina in sala punizioni e ora se ne vada.”
Lui tenta di replicare ma – davanti allo sguardo di fuoco – lascia perdere e se ne va sbattendo la porta.
Io nascondo abilmente un sorriso di soddisfazione e riprendo a seguire la lezione. Finalmente quel verme è stato giustamente punito!
A pranzo sono di buon umore.
“Ottimo lavoro ragazze, obbiettivo riuscito.”
Comunico a Jess e Cheryl sorridendo, loro mi sorridono di rimando.
“Cosa è successo?”
Chiede Madison curiosa.
“Abbiamo fatto un piccolo scherzetto a DeLonge e lui è stato messo in punizione tutta la mattina dalla Simmons.”
“Wow, ottima pensata!”
Si congratula lei che è ovviamente favorevole a qualsiasi atto di bullismo contro i perdenti. Un pochino mi sento in colpa, ma quando vedo la faccia da deficiente di DeLonge mi passa subito, non riesco a sopportarlo e detesto che sia in fissa con me.
Non può essere in fissa con un’altra ragazza?
Forse se ne trovasse un’altra ci starebbe, in fondo non è poi così male, ma forse vuole me perché rappresento una sfida. Secondo la strana logica maschile se una ti rifiuta tu sei come obbligato a provarci il doppio e a continuare a ricevere due di picche.
“Jen?”
La voce di Maddie mi riporta alla realtà.
“Sì?”
“A cosa stavi pensando?”
“Alla logica maschile per cui se una ti dice di no devi continuare a provarci.”
“Uhm, lascia perdere, DeLonge. Dopo i corsi pomeridiano abbiamo l’allenamento e mi servi in forma.”
Io sorrido.
“Non ti preoccupare, lo sarò.”
“Molto bene.”
Lancia un’occhiata al grande orologio della mensa.
“Ragazze, è ora di andare a lezione.”
Ci alziamo, buttiamo via gli avanzi di cibo e le cartacce e poi lasciamo il nostro vassoio nell’apposito posto. Tom sta parlando con una bionda – Anne Hoppus – ma non mi toglie gli occhi di dosso.
Che noia!
Oggi poi dovremo condividere parecchie lezioni, rischia di diventare una giornata di merda. Con l’allegria di un cadavere vado alla lezione di matematica, neanche a dirlo Tom si siede subito vicino a me.
Io sospiro.
“Perché non ti siedi vicino a Hoppus?
Siete amici, no?”
“Perché sei tu che mi interessi.”
“La cosa non è reciproca.”
Rispondo piatta.
“Lo diventerà.”
“Credici…”
L’arrivo del professore mette fine alla conversazione o meglio, lui vorrebbe continuarla, io invece inizio ostentatamente a prendere appunti, nonostante capisca meno della metà di quello che il profe spiega.
Perché devo averlo sempre tra i piedi?

 
La giornata si rivela lunga e massacrante.
Maddie non ci risparmia oggi, continua a farci ripetere una coreografia un numero imprecisato di volte, perché non è mai soddisfatta.
Alla fine dell’allenamento siamo tutte distrutte, saluto con un cenno Jess e Cheryl e mi dirigo alla mia macchina, sognando di stendermi sul mio letto. So bene che è impossibile, devo fare i compiti e preparare la cena a mio fratello e a mio padre visto che mamma questa settimana fa il turno di notte.
Arrivo a casa e mi tolgo con piacere le mie scarpe con il tacco, poi indosso una vecchia tuta e mi immergo nei compiti di letteratura fino a che non arriva il momento di mettersi a cucinare.
Preparo una pasta al pomodoro e poi chiamo tutti a tavola.
Non conversiamo molto, mio fratello e mio padre parlano di baseball e basket tagliandomi fuori dalla conversazione. Odio questi momenti, non mi piace sentirmi esclusa, ma è quello che succede puntualmente.
Finita la cena lavo i piatti e finisco i compiti, poi finalmente mi butto a letto, pregando di riuscire a dormire, ma non succede.
Mi giro e mi rigiro mentre le  ore passano senza pietà, mi addormento troppo tardi e mi sveglio stanchissima, oggi vorrei proprio saltare scuola. C’è un allenamento dopo le lezione e se è come quello di ieri mi viene da piangere, non ho l’energia sufficiente per affrontarlo.
Bevo una dose massiccia di caffè a colazione, metto più o meno i vestiti di ieri e una massiccia dose di correttore sulle mie occhiaie. Saluto i due uomini di famiglia e mi preparo ad affrontare un altro giorno di scuola.
Come al solito il demente mi aspetta vicino al cancello, io alzo gli occhi al cielo.
Oggi no.
Non lo saluto nemmeno e non gli rispondo, vado dritta per la mia strada e raggiungo Jess e Cheryl.
“Tesoro, oggi hai un aspetto spaventoso.”
“Jess, non sono riuscita a dormire bene stanotte e poi sono stanca di cucinare per mio fratello e mio padre.”
Sospiro.
“Vuoi il mio correttore?”
“Ho fatto un lavoro così pessimo con il mio?”
“Un po’.”
Mi dirigo in bagno con il correttore di Jess ed in effetti noto che non sono riuscita a nascondere bene le occhiaie.
Riprovo con in correttore della mia amica e riesco a fare un lavoro leggermente migliore, con questo pallore potrei diventare una goth se solo decidessi di vestire solo di nero. Uscita dal bagno le mie amiche mi guardano con aria di approvazione e io restituisco il cosmetico a Jess.
“Grazie per avermi fatto tornare un essere umano.”
“Figurati e adesso andiamo  a fare spagnolo.”
Ci dirigiamo nella nostra classe e ci piazziamo nei banchi in fondo in attesa che arrivi il professor Gonzales: è basso e con la testa perennemente tra le nuvole.
Tom, ringraziando il cielo, non fa spagnolo e io mi godo – si fa per dire – la lezione in pace, prendendo appunti. Alla fine della lezione ci avvisa che settimana prossima ci sarà un compito.
Che bello!
Dopo spagnolo ci sono due ore di chimica e la vecchia bastarda che abbiamo come professoressa ci fa fare un compito a sorpresa. La odio come odio la sua maledetta materia, prenderò un voto bassissimo.
Poi finalmente arriva la ricreazione e la passo chiacchierando con le mie amiche cheerleader,  soprattutto insultando la mia prof. Loro ne hanno un’altra più umana, gentile e carina; gli stronzi capitano tutti a me.
Tom cerca pateticamente di farsi notare facendo acrobazie sul suo skate, lo spettacolo mi lascia indifferente, Madison invece ride sguaiatamente.
Finita la pausa io vado a fare le ultime due ore della mattina, ossia storia. È una materia che mi piace abbastanza e poi ci sono anche Jess e Cheryl che la fanno.
Loro, in realtà, pensano più a scarabocchiare il loro blocco di appunti che a  seguire la lezione, ma non importa basta che ci sia qualcuno a farmi compagnia.
La campanella che annuncia il pranzo arriva grata, io e le mie amiche raggiungiamo Madison e le altre e ci sediamo al nostro solito tavolo vicino a quello dei giocatori di football.
Maddie corre immediatamente dal suo ragazzo dandogli un bacio che di casto non ha niente, tanto che io a un certo punto distolgo lo sguardo e mi concentro  sulla mia fetta di pizza.
Inizio a mangiarla in silenzio, le altre parlano di vestiti e di come sarebbe figo fare una puntata a Milano, la città della moda. Usano un tono reverente quando pronunciano quel nome, come se fosse la Mecca o Gerusalemme.
Madison torna finalmente da noi.
“Oggi abbiamo un altro allenamento.”
Annuncia sorridendo.
“Spero non sia come quello di ieri o alla fine ti troverai una serie di cadaveri.”
Dico ironica.
“Dobbiamo essere in forma, il prossimo match è molto importante per la squadra e noi dobbiamo sostenerli al massimo!”
Mi risponde severa lei. Prende molto sul serio il suo ruolo di capo cheerleader e la squadra, non sono poche le ragazze che ha cacciato, scatenando putiferi vari.
“Cosa hai dopo?”
“Uhm, un’ora di economia domestica e due di arte.”
“Non dovrebbe stancarti troppo come orario.”
“No no.”
Decido che non è saggio lamentarsi ulteriormente degli allenamenti o rischio di venire buttata fuori dalla squadra. Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile.
La pausa pranzo finisce troppo presto per i miei gusti, non mi piacciono molto le lezioni di economia domestica, le ho scelte solo perché c’erano le mie amiche.
In ogni caso entro nell’aula con un sospiro di rassegnazione e mi siedo al mio banco, oggi ci insegneranno a preparare delle torte.
Spero di non avvelenare nessuno.
La prof arriva in classe e scrive sulla lavagna gli ingredienti e la ricetta, poi ci invita ad andare a prenderli nella riserva. Io eseguo diligentemente: prepareremo una torta alle mele, che probabilmente finiremo la prossima volta cioè domani.
Prendo gli ingredienti, una padella, ciotole varie e una bilancia.
Inizio a mischiare le varie cose fino a ottenere un impasto che sembra quello omogeneo descritto nella ricetta. Lo verso in una terrina e poi lo metto nel forno.
“Bene, ragazze. Domani vedremo come sono venute le vostre torte, ora andate.”
Con molto piacere raccolgo la mia roba e mi lavo le mani appiccicose e poi me ne vado. Adesso ho  arte che è la mia materia preferita, peccato che la debba dividere con Tom.
Prendo immediatamente posto vicino al mio cavalletto preferito e aspetto che l’insegnante distribuisca i lavori.
“Ciao, principessa.”
“Non sono una principessa, DeLonge.”
Rispondo piatta.
“Meglio, sarai la mia principessa.”
“Ma anche no.”
“Eddai, almeno un po’ ti sto simpatico.”
“Continua a illuderti se ti fa piacere.”
Ancora una volta l’arrivo del professore mi salva da una conversazione senza senso.
“Bene, ragazzi. L’altra volta abbiamo finito con le nature morte, quindi oggi inizieremo con i  ritratti. Giusto per vedere la mano di ognuno, prima di dare una spiegazione più dettagliata, vorrei che disegnaste il vostro vicino o la vostra vicina di cavalletto.
Buon divertimento!
Non preoccupatevi, io passerò tra i cavalletti in caso abbiate bisogno di aiuto e comunque questa prova non verrà valutata.”
Io alzo gli occhi al cielo scocciata, il mio vicino di cavalletto è Tom e decide che sarà lui a disegnare questa volta, così a me non rimane altro che rimanere seduta immobile su una stupida sedia.
E dire che io avrei voluto sfogare un po’ di malumore disegnando.
Stare in posa poi è più difficile di quanto pensassi, Tom non fa altro che dirmi di stare ferma, che mi muovo troppo e che non riesce a disegnare nulla.
Quando il professor Tuker capita dalle nostre parti fa i complimenti a Tom perché sta facendo un buon lavoro, che fortuna!
“La prossima volta toccherà a me, vero?”
“Certo, Jenkins. Non ti piace stare in posa, vero?”
“No, professor Tucker.”
“Sopporta.”
Mi dice lui con un sorriso a cui io rispondo con una specie di ghigno.
Se ne va e io devo tornare a stare ferma come una statua di sale o l’artista non riuscirà a disegnarmi.
Finalmente anche questa tortura arriva alla fine e mi dirigo agli armadietti per prendere la mia borsa da cheerleader.
Mi cambio negli spogliatoi e mi faccio strapazzare per una buona mezz’ora da Maddie. La cosa positiva è che dopo gli allenamenti Chris, il ragazzo che mi piace, si ferma a parlare con me.
“Ehi, Jenny! Come va?”
“Bene, Chris. E tu?”
“Benissimo, la squadra va alla grande.”
Mi risponde entusiasta.
“Sabato sera hai da fare?”
Il mio cuore salta un battito.
“No, perché?”
“Ed dà una festa e mi chiedevo se non ti andrebbe di venirci con me.”
“Sì, certo! Mi farebbe molto piacere.”
“Allora fatti trovare pronta alla nove e mezza che vengo a prenderti.”
“Sai già il mio indirizzo?”
Lui scoppia a ridere.
“Sì, l’ho chiesto a Madison.”
“Perfetto, allora ci vediamo domani.”
Dico con il mio migliore sorriso.
Salgo in macchina in uno stato di grazia, non mi pesa nemmeno la montagna di compiti o il fatto che devo cucinare anche stasera.
Domani sarà una giornata fantastica!
Arrivo a casa e salgo in camera mia a fare i compiti: mio padre non c’è e mio fratello sta giocando.
Butto la borsa in un angolo della camera e mi metto comoda, abbandonando con gioia le mie scarpe  con i tacchi.
Inizio a fare i compiti, non prima di aver scritto un messaggio a Jess, Cheryl e Madison, fino a quando devo scendere a preparare la cena.
Le mie amiche sono entusiaste e felici per me, mi dicono che verranno qui domani per aiutarmi a scegliere un vestito adatto all’occasione.
Scendo e preparo delle cotolette, poi chiamo mio padre e mio fratello.
“Papà, domani sera sono stata invitata a una festa, posso andare?”
Lui alza lo sguardo dal piatto.
“Sì, sei stata molto brava questa settimana. A patto che tu sia a casa a mezzanotte, Jennifer.”
“Va bene.”
Mio padre è un po’ severo sugli orari, ma non mi posso lamentare, in fondo mi ha lasciato andare.
Finita la cena, sparecchio e lavo i piatti, poi finisco di fare i compiti e studiare e mi guardo un film.
Uno di quelli mielosi e romantici dove i protagonisti si amano e sparano certe frasi impossibili da sentire nella vita reale.
Sospirando me ne vado a letto, la mente già proiettata all’appuntamento di domani.
Mi porterà dei fiori?
Mi troverà carina?
Sarà bella la festa?
Gli piacerà il vestito?
E la mia faccia da cavallo?
Forse Madison ha ragione, dovrei chiedere come regalo per i miei diciotto anni una plastica facciale, così finalmente anche questo problema sarà risolto.
Sono davvero brutta, nonostante il trucco e i vestiti alla moda.
Cerco di mettere in un angolo in cui non possano farmi male i pensieri negativi, ma la cosa mi riesce solo parzialmente e ogni tanto passano come flash nella mia mente.
Alla fine, stremata da tanta attività mentale non richiesta mi addormento in un sogno senza sogni né incubi.
Solo nero.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2)Piccole crepe nel castello di vetro. ***


2)Piccole crepe nel castello di vetro.

 

La mattina dopo mi sveglio alle undici e rinuncio a fare colazione.
Non ci sono né mio padre né mio fratello, ho la casa tutta per me!
Bella storia! Non so cosa fare.
Mi metto davanti alla tv e cerco qualcosa di carino da vedere, ma finisco per lasciar perdere presto e mi dedico al mio piacere proibito: quelli che Maddie chiama i terribili cereali al cioccolato.
Cerco una scatola nell’armadio e ne trovo una già aperta da cui traggo generose manciate, che servono ad alzare il mio umore.
In vista dell’appuntamento con Chris mi sono venute le paranoie più terribili e ho una paura metta che non mi voglia e che si penta di avermi invitato fuori.
Per pranzo arrivano i due uomini di famiglia e io scaldo le lasagne, alle due dovrebbe arrivare anche mia madre così lascio una porzione anche per lei.
Come al solito mangiamo in silenzio, ma questa volta non mi pesa, non ho molto da dire o meglio cose che i ragazzi possano capire.
Che ansia!
Verso le cinque arrivano Madison, Jess e Cheryl e cominciano a guardare nel mio armadio, mentre io mi faccio una doccia e mi rado quello che è necessario.
“Avete trovato qualcosa?”
Chiedo, non appena esco.
“Sì. Questo abito rosso valentino.”
Mi mostrano un abito corto senza spalline con un nastro intrecciato in vita.
“Non è troppo?”
“No, è perfetto.”
“Non è che farà freddo?”
“No, la  festa di Ed sarà bollente!”
Mi fa l’occhiolino Maddy, io la guardo a disagio. Non sono mai stata una che cede al primo appuntamento, al massimo un bacio.
“Dai, Jen! Non hai ancora abbandonato le tue idee da vecchia?”
“No.”
Rispondo con una punta di irritazione, non sono idee da vecchia, sono le mie idee e vorrei che fossero più rispettate. Non ho voglia di beccarmi l’aids solo perché per Madison devo darla al primo appuntamento.
“Su, su. Scommetto che stasera cambierai idea.”
“Io sono certa di no.”
Commento rigida.
“Grazie per l’aiuto.”
“Figurati, devi fare colpo  su Chris, sei l’unica che non ha ancora un ragazzo.”
Maddie è la ragazza del capitano della squadra di football, Cheryl del figlio di un avvocato molto ricco e molto maleducato a mio parere e Jess con un altro giocatore di football.
Io sono da sola perché la mia faccia da cavalla non è molto attraente a detta di Maddie, lei non si fa problemi a criticarmi tanto sa che non la sfanculerò mai se voglio rimanere una popolare.
A volte è dura rimanere in cima alla piramide sociale del liceo e a volte mi chiedo che senso abbia impegnarsi così tanto per rimanerci, la vita spesso ribalta quello che si costruisce al liceo: i perdenti hanno successo e le cheerleader finiscono a vent’anni a vivere in una roulotte con un bambino a carico.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede Maddie.
“A Chris.”
Mento io, non le farebbe piacere sentire il mio ragionamento e rischierei il mio posto in squadra.
Finalmente il fuhrer se ne va con le mie due amiche e io rimango da sola a guardarmi allo specchio. Questo vestito è bello, ma a volte mi piacerebbe uscire semplicemente in jeans, converse e una maglia, senza preoccuparmi di tacchi e gonne.
Con un sospiro prendo la pochette nera che hanno scelto e la riempio con il portafoglio, le sigarette  e un accendino, poi scendo dabbasso.
Mia madre è seduta sul divano a guardare la tv e quando mi vede sorride.
“Stai bene, Jenny.”
“Grazie.”
“Vai a una festa con il tuo ragazzo?
Ricordo quando lo facevamo io e tuo padre, ma eravamo già al college.
Gli anni passano alla svelta, figlia mia.”
“E a volte non ti accorgi che passano.”
Finisco io con un sussurro.
“Comunque esco con un amico che spero diventi il mio ragazzo, ma non credo succederà. Maddie dice che questa faccia da cavallo fa scappare tutti.”
“Maddie a volte è molto scortese.
Tu, vai e divertiti, senza pensare a lei.”
Risponde dura mia madre.
“Jenny, sei sicura di vivere la vita che vuoi davvero?”
“Non lo so, mamma. Molte volte me lo chiedo anche io e non trovo risposte, a volte mi manca semplicemente l’aria.”
“Il liceo è davvero un brutto periodo, so che sei in cima alla piramide, come dite voi, ma sei sicura che sia quello che vuoi davvero?”
Io non rispondo, perché è una domanda che mi ha spiazzata e poi suona il campanello: deve essere Chris.
“Io devo andare, mamma.
Riposati, sembri davvero stanca.”
“Lo farò. Grazie per esserti presa cura della famiglia quando io non c’ero.”
“Non è quello che fanno tutte le figlie?”
“No, non tutte e ora vai.”
Mi dirigo alla porta ed esco. Chris mi aspetta appoggiato contro la sua decappottabile rossa, i suoi capelli biondi e i suoi occhi azzurri gli danno l’aspetto di un angelo, ma lo è davvero?
“Ciao, Jen!
Stai benissimo con quel vestito!”
“Grazie, Chris. Anche tu sei bellissimo.”
Lui sorride compiaciuto e si alza il colletto della sua camicia azzurro pallido. Con gentilezza apre la portiera del passeggero e io mi accomodo, pensando che è davvero gentile e che la cosa mi puzza.
Non sono scema e nemmeno l’ingenua che crede Madison, so che ama scopare le ragazze e mollarle e per fare questo sfodera tutte le sue armi, compresa quella di fingere di essere un bravo ragazzo.
“Hai passato bene il sabato?”
“Sì, e tu?”
“Non c’è male.”
“Com’è la festa di Ed?”
“Sarà uno sballo, si è procurato dell’alcool e non manca mai l’erba o la coca se vuoi divertirti sul serio.”
“Wow, fantastico.”
È questa la risposta corretta?
“Sì, una figata pazzesca. I genitori di Ed sono degli scemi, si fidano completamente di lui e gli fanno fare quello che vogliono.”
Io non rispondo e mi godo il vento nei capelli, non mi piace come parla dei genitori del suo amico, stasera il mio disagio non se ne va. Forse per quello che mi ha detto Maddie, forse per la chiacchierata inizio a dubitare che questo sia davvero il mio posto. Forse è solo il posto dove dovrei sentirmi sicura perché amata e potente, ma inizio a intravvedere crepe nelle pareti e sento che il crollo non è tanto lontano.
Arriviamo a casa di Ed e già da qui si sente della musica dance e si vedono persone alticce, qualcuno ha messe delle candele sul vialetto d’ingresso e la cosa non mi piace. Se sono così fuori di testa adesso, chissà a fine festa, probabilmente la casa prenderà fuoco.
Lui parcheggia, esce e mi apre la portiera, io lo ringrazio con un sorriso e poi mano nella mano ci avviamo verso la casa.
Lui sembra perfettamente a suo agio, io invece mi guardo attorno un po’ intimorita: ci sono un sacco di universitari e le mie amiche sono troppo impegnate con i loro ragazzi per poterle disturbare.
“Vado a prendere da bere, raggio di sole.”
“Sì, Chris.”
Mi metto in un angolo e aspetto tentando di battere con il piede il ritmo della canzone dance che la radio sta suonando. Chris arriva poco con in mano un bicchiere pieno di liquido arancione.
“È punch corretto con… qualcosa. Non so nemmeno io di preciso cosa.”
“Grazie mille.”
Ne bevo un sorso, non è male.
“Buono.”
Lui mi sorride e beve il suo punch, una volta vuotati i bicchieri ci mettiamo a ballare e immediatamente le sue mani scendono sul mio culo. La cosa mi dà un po’ fastidio, ma so che la legge della piramide sociale mi impone di lasciarlo fare.
Dopo aver ballato beviamo un altro po’ e poi lui inizia a baciarmi e non è come l’avevo immaginato: mi ficca la lingua in bocca senza dolcezza.
Io rispondo un po’ perché devo, un po’ perché l’alcool me lo lascia fare. Finito di baciarmi ci ributtiamo in pista.
Questa è la routine della serata: ballare, bere, baciare.
È un po’ noiosa, ci mettesse un po’ di sentimento!
Mi sento una bambolina che sta lavorandosi per avere il premio finale, se non stasera la prossima volta che ci vedremo.
Non è una bella sensazione, ti fa sentire vuota dentro e facilmente rimpiazzabile.
Do un’occhiata all’orologio: è un quarto a mezzanotte.
“Chris!”
Lo chiamo, lui mi rivolge la sua attenzione visto che stava parlando con un suo amico.
“Devo andare a casa.”
“Ma piccola, il bello inizia adesso!”
“Mio padre mi ha detto di essere a casa a mezzanotte.”
“Non puoi fare un’eccezione per una volta?”
“No, se voglio continuare a uscire.”
Lui sbuffa seccato e mi dà le chiavi della sua macchina.
“Va bene, ma guida tu. Io ho bevuto troppo.”
“Sta bene.”
Usciamo dalla casa – che fortunatamente non ha ancora perso fuoco – e andiamo verso la sua macchina, Chris canta canzoni sconce. Di minuto in minuto il mio interesse verso di lui scema, mi chiedo come ho fatto a sbavare per un tale scimmione e mi rispondo che è per la regola non scritta che le cheerleader devono stare con i giocatori di football.

 

Il mio letto non mi è mai sembrato così accogliente come stanotte. Mi faccio una doccia per levarmi di dosso l’odore del fumo e dell’erba, poi butto da lavare l’abitino rosso che ho indossato ed infine mi metto a letto.
Non ho bei ricordi di questa serata da ripercorrere, Chris mentre guidavo mi ha toccato ancora e la cosa mi ha infastidito parecchio, quindi spero di addormentarmi subito.
Complice l’alcool bevuto cado subito nelle braccia di Morfeo, la mattina dopo ho mal di testa e c’è un messaggio di Maddie sul cellulare.
Imprecando lo riappoggio sul comodino, non ho voglia di leggerlo.
Prendo un’aspirina e poi scendo ad aiutare mia madre con il pranzo, di sicuro la mia cosiddetta amica vorrà sapere se sono andata a letto con Chris e non mi va di risponderle.
A volte – se devo essere onesta – nemmeno io sopporto Maddie, tende a impicciarsi un po’ troppo dei fatti degli altri.
“Ti sei divertita alla festa?”
“Mh.”
“Devo prenderlo come un “no”, Jen?”
“Come un “ni”. Ho ballato, ma Chris non mi è piaciuto come credevo sarebbe successo.”
“Ci sono tanti altri ragazzi…”
“Lo so, però le cheerleader devono stare con i giocatori di football.”
“Solo se i giocatori di football piacciono a loro.”
Mi risponde serena lei.
“Lo sai che ci sono  delle tegole.”
“Jenny, queste regole valgono per il liceo non per tutta la tua vita! Non legarti a un ragazzo solo perché devi  o peggio ancora andarci a letto. Potresti pentirtene e, una volta uscita dal liceo, essere prigioniera di una vita che non vuoi.
Lo so che il liceo sembra eterno, ma non lo è. Cerca di vedere le cose in questa prospettiva e se alle tue amiche non piace o non lo accettano, forse non sono tue amiche.”
“Grazie dei consigli, a volte ho bisogno di qualcuno che mi metta le cose nella giusta prospettiva.”
Lei mi sorride.
“Le mamme servono anche questo. C’è qualcos’altro che vorresti dirmi.”
“Niente di che. Sul cellulare ho un messaggio di Maddie, ma non ho voglia di risponderle.
Di sicuro vorrà sapere se sono andata a letto con Chris, lei vuole che succeda, vuole che la gerarchia sia rispettata. Non capisce le mie idee e, a volte, penso sia fin troppo invadente.”
"Maddie non mi piace molto, ma – come ho detto – non devi averla per sempre nella tua vita.”
Io sorrido e la aiuto a servire il pranzo.
Dopotutto sono una brava ragazza, non sono una che se la tira come Madison, lei odia aiutare sua madre o badare a suo fratello, a me non dà troppo fastidio. Lei dice che sono troppo remissiva, ma non vedo cosa ci sia di remissivo nel fatto che ti piace stare con la tua famiglia e non pensi che siano un branco di sfigati.
“Che hai fatto ieri sera, Dan?”
Chiedo a mio fratello, che si è infilato in bocca una generosa quantità di arrosto.
“Sono andato a un concerto dei blink, la band di Scott.
Li troveresti simpatici anche tu se solo non fossi così presa dalla tua dannata musica dance.”
Io faccio una smorfia, pensando che Dan a quattordici anni è  nella fase ribelle che io non ho avuto.
“Nella band di Scott c’è anche DeLonge, non lo sopporto.”
“Come mai?
È figo!”
“Perché è un dannato stalker! Me lo ritrovo ovunque e non vorrei.”
“Oh, immagino che a Madison è-una-tragedia-se-mi-spacco-un’-unghia non piacerebbe e tu sei troppo presa a farle da lecchina per contraddirla.”
“Non sono una lecchina.”
“E allora perché esci con Chris McBridge?”
“Mi piace.”
“È solo un gorilla che si vanta di quante tizie scopa, vuoi davvero finire sulla sua lista?”
Io rimango in silenzio, meditando su quello che mi ha appena detto mio fratello. Non voglio finire su quella lista, ma vorrei essere la sua ragazza ufficiale, ma ne vale la pena?
Voglio dire, la sua ex – Amanda – ha sempre avuto un sacco di corna e non era un mistero per nessuno. Forse Chris non è il ragazzo adatto a me, non più.
Devo comunque risponde a Maddie e sarà dura dirle che lui non mi interessa più o che non ci ho fatto sesso. L’adolescenza è un periodo che fa davvero schifo, cristo!
Finisco di mangiare e – dopo aver aiutato mia madre a lavare i piatti – scrivo un messaggio di risposta alla mia cosiddetta amica.
La risposta arriva subito ed è piena di disappunto, com’ è possibile che io non ci abbia fatto niente e che abbia bevuto così poco?
Che noia!
Le rispondo che non ero dell’umore adatto e lei mi risponde che sono una santarellina e devo iniziare a capire come gira il mondo, che esista una scala sociale da rispettare e blablabla.
Non le rispondo nemmeno e inizio a fare i compiti. Forse esiste una scala sociale, ma la prof di letteratura se ne fotte e vuole il suo tema per domani, idem per il resto degli insegnanti.
Vogliono degli scritti o che tu sia preparata e mi va bene, sono arrivata al punto di preferire concentrarmi sulla scuola che sulle noiose cazzate di Madison.
E se mi cacciasse dalla squadra?
Nah, per ora non ne ha motivo.
Esaurita la pila di roba che devo fare mi faccio una doccia e poi guardo un po’ di tv con mio fratello, almeno non mi fa sentire giudicata.
“Jen, se vuoi un consiglio gratuito, molla quella gente. Non sei come loro, ti sprechi a stare con loro, anzi ti insulti proprio. Sei molto più di una cheerleader a cui frega solo del proprio fisico, hai qualcosa in più: il cervello.
Mollale, finché ne hai ancora uno.”
“Ma sono mie amiche, Dan!”
“Un’amica ti capisce e ti supporta, non ti impone le sue decisione e ti fa sentire colpevole se non le rispetti. Madison non ha e non vuole amiche, vuole solo delle schiave.
Se poi ti piace vivere da schiava sono fatti tuoi, io ti sto solo dando un consiglio, evento che non si ripeterà mai più.”
“Grazie, Dan. Ci penserò, è tutto così difficile.
Voglio dire, fino all’altro giorno mi andava bene la mia vita, adesso mi sembra solo un casino senza senso, in cui non sono quello che voglio.”
“Stai crescendo o forse un solo appuntamento con il gorilla ti ha aperto gli occhi.”
“Forse, è stato uno schifo.”
“Ma almeno ti ha aiutato, no?”
“Credi che sia così facile cambiare la propria vita?”
“Se vuoi, sì.”
Io non dico nulla, sono sicura che domani a scuola tornerò a essere la solita Jen e dovrò sorbirmi le prediche di Madison.
Alla sera aiuto ancora mamma a cucinare e lavo i piatti, poi guardo un po’ di tv in camera mia, il mio cellulare ha due messaggi di rimprovero di Maddie a cui non ho risposto e uno di Chris in cui tenta di fare il carino a cui ho risposto.
Finirà che gli darò una seconda possibilità, sono una cretina di prima categoria e un’insicura cosmica. Non ho le palle di Daniel che se ne frega del giudizio degli altri e si veste da skater e si ossigena i capelli, io ho paura di quello che la gente possa dire di me. Stare insieme alle cheerleader mi dà una certa sicurezza, perché sono al posto più alto e nessuno potrà mai darmi una sfigata.
Sono disposta ad accettare una vita che mi uccide  e una maschera che opprime piuttosto che affrontare il baratro che mi aspetta se scendessi dalla cima.
Ho paura.
Ho una dannata paura.
Lo vedo cosa fanno i bulli ai perdenti, vedo quello che fa Madison e preferisco essere dalla parte del carnefice piuttosto che da quella della vittima.
“Jennifer Jenkins, sei una codarda.”
Dico al mio riflesso nello specchio, che rimane muto.
Triste come non mai mi butto a letto e cado in un sonno senza sogni né incubi, interrotto solo dalla sveglia che suona come ogni lunedì.
Mi faccio una doccia, stiro i capelli, mi metto una maglia rossa corta e con una profonda scollatura, una mini di jeans aderente e un paio di ballerine rosse. Mi trucco e metto i libri nella borsa, poi scendo a fare colazione.
Dan mi guarda e scuote la testa, io abbasso gli occhi e mi concentro sulla mia colazione: caffelatte e pancakes.
Finita quella salgo sulla mia macchina e mi dirigo verso la Rancho Bernardo high school. Il sole brilla alto nel sole e – nonostante sia quasi ottobre – non fa ancora freddo.
Parcheggio la macchina al mio solito posto e vengo raggiunta da Jess e Cheryl, Jess indossa un paio di jeans a vita bassa e una maglia a fiori che le lascia scoperto l’ombelico, i suoi capelli scintillano di riflessi blu, quindi deve essersi rifatta la tinta. Cheryl invece indossa una gonna scozzese e una camicia bianca a maniche corte e un paio di tacchi altissimi. I suoi capelli caramello sono gli stessi di sempre.
“Come è andata la domenica, Jen?”
“Uhm, bene. Voi?”
“Nick mi ha portato alla sua villa a Orange County e sono stata  d i v i n a m e n t e. Bagni in piscina e tanto sole e poi beh, chiusi in camera.”
Mi fa l’occhiolino.
Ho capito tra una nuotata e l’altra Cheryl e Nick  hanno scopato come ricci.
“Non sono riuscita a fare gli esercizi di matematica, me li fai copiare, Jen?”
“Certo.”
“Sei un tesoro, Jen!”
Squittisce lei.
“E tu Jess?”
“Una noia mortale. Sono stata costretta ad andare a trovare mia nonna all’ospizio.”
Cheryl si siede su una delle panchine e io gli passo il quaderno di mate, guardandomi intorno.
Quando arriverà Maddie?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3)Se stai troppo vicina a fuoco alla fine ti bruci. ***


3)Se stai troppo vicina a fuoco alla fine ti bruci.

 

I lunedì fanno sempre schifo e sono persino peggiori se sai che presto arriverà qualcuno a farti una predica. Mentre Cheryl copia fedelmente i miei compiti di mate, una ragazza dai lunghi capelli biondi, inguainata in un abito rosa fin troppo stretto avanza verso di noi con la sua falcata da modella: Madison.
“Ciao, ragazze. Passato un buon week-end?”
Cheryl annuisce, Jess invece grugnisce, io non rispondo.
“Tu cosa hai fatto Jen?”
“Mah, niente. I compiti, ho aiutato mia madre a cucinare, la solita routine.”
“Ti sei persa una svendita in uno dei grandi magazzini del centro, c’erano un sacco di cose carinissime.”
“Non ho molti soldi in questo periodo, forse dovrei mettermi a lavorare.”
“Lavorare?”
Lei sbarra gli occhi.
“No, tesoro. Le cheerleader non lavorano, fatti aumentare la paghetta dai tuoi.”
Io sospiro.
“Ci proverò.”
Penso che non me la aumenteranno, perché non siamo ricchissimi e io non ho voglia di sprecare troppi soldi in vestiti che andranno di moda quest’anno e poi saranno out il prossimo. Devo fare come Coco Chanel, crearmi un mio stile intramontabile, ma con la macchina da cucire sono un disastro.
“A cosa stavi pensando?”
Mi chiede petulante Maddie.
“A nulla.”
“Nemmeno a Chris? È molto dispiaciuto di come sia finito il vostro appuntamento.”
“Lo sai che ho un orario di rientro.”
“Sei troppo remissiva e poi comunque potevate pomiciare un pochino prima di andarvene.”
“Lo conosco a malapena.”
“E allora? È figo!”
Decido di lasciar perdere ed entrare, DeLonge fa i suoi soliti apprezzamenti da coglione, ma oggi non ho voglia né di ascoltarlo né tantomeno di rispondergli.
Sono già stanca e la prima ora non è nemmeno iniziata, quanto vorrei qualcuno che mi capisse!
Prendo i libri necessari ed entro nella classe di spagnolo, pronta per il compito in classe, Cheryl si siede accanto a me.
“Ti sei divertita alla festa?”
“Ti ho chiesto Madison di chiedermelo?”
“No, volevo solo saperlo. Perché sei così paranoica, Jen?”
“Perché questa forma di controllo che esercita mi dà fastidio e soprattutto mi dà fastidio che non accetti le mie decisioni e le mie idee.”
Il nostro dialogo viene interrotto dall’arrivo del prof che distribuisce i compiti, io inizio a scrivere in silenzio, chiedendomi se davvero posso parlare con Cheryl o è meglio che mi chiuda la bocca perché lei lo riferirebbe a Madison.
Finito il compito vado a fare due ore di arte, evitando Cheryl, magari le parlerò dopo.
Oggi tocca a me disegnare Tom e lo vedo piuttosto gasato.
“Oggi per due ore sarai obbligata a guardarmi.”
“Che culo, oh!”
“Fortuna o no, oggi non puoi scappare Jen.”
“Stai zitto e non muoverti.”
Gli intimo fredda, poi inizio a disegnarlo con mio sommo dispiacere. È un pessimo modello, ogni tre secondi deve grattarsi quello o questo, tanto che a un certo punto – piuttosto spazientita – appoggio la matita al cavalletto.
“Sentimi bene, DeLonge, se vuoi che ti disegni devi stare fermo. FERMO.
Così non va bene, continui a muoverti e se continuerai a farlo mi rifiuterò semplicemente di disegnare!”
Dopo la mia predica cerca di stare più fermo e in due ore ho abbozzato un disegno almeno decente. Alla fine dell’ora il prof passa da noi per controllare.
“Buono anche il tuo risultato, Jenkins.”
“Non si può dire lo stesso delle capacità di modello di Tom, si è mosso un sacco.”
“Lo so che Tom è iperattivo, ma te la sei cavata bene.”
Esco dall’aula e mi godo il breve intervallo, nascondendomi nel mio luogo segreto per fumare una sigaretta in pace. Se Madison sapesse che fumo mi farebbe un predica che finirebbe l’anno prossimo, perché le cheerleader devono avere uno stile di vita salutare ed essere un modello e bla bla bla.
Fa niente che poi si facciano tutti i ragazzi cosiddetti fighi, esponendosi a malattie sessuali e gravidanze indesiderate, la sigaretta è un oggetto vietato e da biasimare.
“Ipocrisia. Non c’è nient’altro che ipocrisia attorno a me.”
Borbotto a bassa voce.
Rientro in classe per fare le ultime due ore di letteratura e poi vado a mensa, Madison non fa altro che fare battutine sulle santarelline, tanto che a un certo punto cambio tavolo.
È un tavolo deserto, ma poco dopo Cheryl mi raggiunge.
“Sei qui per conto di Madison?”
“No, sono qui perché ti vedo strana.”
“La  festa di sabato è stata uno schifo, lui si è ubriacato, mi ha baciata senza un minimo di romanticismo, mi ha palpeggiata e alla fine sono stata costretta a guidare la sua macchina fino a casa mia. Lui sembrava e deluso dal mio comportamento, forse si aspettava una scopata, ma io non scopo con gli sconosciuti ubriachi, anche se sono solo fighi.
Madison non è d’accordo su questo, ma io voglio un po’ di romanticismo, vorrei qualcuno che tenga un po’ a me come persona e non solo come cheerleader.
Non sono come voi e non sono come quelli che bullate, non so cosa sono e mi sento imprigionata in una rete.”
“Madison ti sta organizzando un altro appuntamento con Chris.”
Io sospiro finendo la mia insalata.
“Ci andrò. Così almeno finirà questa pagliacciata.”
“Potresti perdere il posto in squadra.”
Io non dico nulla, penso a Dan e mi dico che vorrei assomigliargli almeno un po’, il necessario per non essere così perennemente indecisa e spaventata.
Ormai non c’è più nulla sul mio vassoio, quindi mi alzo seguita da Cheryl e butto via gli avanzi, pensando che – come i perdenti – la mia vita faccia schifo.
Esco dalla mensa e trovo Chris che mi aspetta, un sorriso dispiaciuto sui suoi lineamenti da bambino, un ciuffo di capelli biondi che gli ricade sugli occhi.
“Ehi, Jen. Come va?”
“Bene, tu?”
“Uhm, bene. Mi dispiace per sabato, ti ho fatto trascorrere una serata non proprio carina, posso avere la possibilità di rimediare?”
-“È solo un gorilla che si vanta di quante tizie scopa, vuoi davvero finire sulla sua lista?”-
“Uhm, perché no?”
“Sono felice di sentirtelo dire. Cosa ne dici di venerdì?”
“Va bene.”
“Vengo a prenderti alle sette, ti porto fuori a cena. A venerdì.”
Lui si allontana e io rimango a guardarlo, domandomi se ho fatto la cosa giusta.
“Ti ha invitata fuori di nuovo?”
Mi chiede Cheryl, io annuisco lievemente.
“Tu cosa gli hai detto?”
“Sì, ovvio no?
Non potevo certo dirgli di no.”
“Non sembri felice.”
“No, non lo sono. Non so se ho fatto la cosa giusta, la me stessa di qualche giorno avrebbe fatti i salti di gioia, ma vedere come è il vero Chris a quella festa mi ha aperto gli occhi.”
“Il principe azzurro non esiste.”
“Non ho bisogno di un principe azzurro, solo di un ragazzo che mi rispetti e che mi ami.”
Lei mi regala un sorriso triste.
“Hai ragione, da un po’ di tempo non fai più parte di noi. Qualcosa si è svegliato in te, Maddie ti butterà presto fuori dalla squadra.”
“Se me l’avessero detto qualche tempo fa mi sarei disperata, adesso non lo so, vedrò.”
Vado a seguire le lezioni del pomeriggio e quando finiscono vado in palestra a cambiarmi in vista dell’allenamento.
Prima che inizi vengo avvicinata da Madison.
“Ho saputo che Chris ti ha invitato fuori un’altra volta, vedi di dargli quello che ti chiede questa volta.”
Io non le rispondo e penso alle parole di mia madre, il liceo non dura per sempre, nessuno mi obbliga a sottostare alla sua dittatura.
Nessuno.
Devo solo trovare il coraggio di alzare la testa e ribellarmi, ma sono ancora troppo spaventata e poi voglio vedere cosa farà Chris per il nostro appuntamento.
Chissà perché mi ha chiesto di uscire un’altra volta?
Sabato mi sembrava scazzato da morire, perché non si cerca una ragazza più carina e più disponibile?
Forse perché per lui rappresento una sfida, una ragazza difficile da portarsi a letto e per cui bisogna impegnarsi. Non vedo altra spiegazione, quel gorilla è troppo impegnato a farsi qualsiasi cosa che respiri per pensare a una relazione seria.
Come ho fatto a pensare che potesse innamorarsi di me?
Dovevo avere due salami interi sugli occhi, come si dice?
Non c’è peggior schiavo di quello che non sa di essere schiavo.
Ah, la saggezza popolare ogni tanto ci azzecca.
L’allenamento a cui ci sottopone Hitler oggi è massacrante, quando finalmente ci permette di andare a casa mi fanno male tutte le ossa e non vedo l’ora di farmi una doccia nel mio piccolo bagno privato che ho in camera.
Arrivo a casa, parcheggio, saluto la mia famiglia e mollo la roba di scuola in camera, poi finalmente mi faccio una doccia.
Il calore e lo scorrere dell’acqua mi sciolgono un po’i muscoli e alleviano il dolore, uscita mi sento meglio o quantomeno pronta per affrontare i compiti, che – per fortuna – non sono molti.
Sul cell c’è un messaggio di Maddie che ignoro, immagino mi darà dei consigli per “accontentare” Chris, peccato che non sia quello che voglia io.
Io  ho altri progetti.

 

Venerdì arriva con una lentezza esasperante e io sono stretta tra l’incudine e il martello, da una parte c’è Madison che mi pressa perché ci stia con Chris, dall’altra c’è Tom che continua a provarci con me.
Basta!
Vorrei trascorrere una settimana da fantasma per disintossicarmi da tutta questa attenzione non voluta. Mi sento come un burattino con due burattinai che tirano uno da una parte, uno dall’altra.
In ogni caso è finalmente arrivato l’ultimo allenamento della settimana e io posso tirare un sospiro di sollievo, scappo via non appena Maddie dà il segnale. Immagino che lei voglia parlarmi, ma io non voglio ascoltarla, ne ho le scatole piene. Adesso capisco alla perfezione perché la chiamino troia e – pur essendo una mia quasi amica – devo ammettere che hanno ragione.
Non fa altro che parlare di ragazzi e di quello che ci ha fatto, io ogni volta mi trattengo dal dirle che – se non si dà una calmata – presto si ritroverà incinta o con l’aids.
Arrivata a casa mia, invece di entrare, decido di fare una passeggiata nel parco che c’è lì vicino. Ho bisogno di pace e silenzio.
Tanto silenzio.
Salgo su un’altalena lasciata libera dai bambini e inizio a spingermi, cercando di non pensare a nulla, a concentrarmi su quello che vedo. L’azzurro limpido di un cielo autunnale, attraversato solo a tratti da nuvole dorate e da qualche uccellino, sui colori delle foglie, sul verde acceso del prato.
Lentamente sento la mia mente svuotarsi e riempirsi di tutta la meraviglia che provoca la scoperta delle piccole cose.
Ora sì che mi sento meglio!
Con un salto agile e aggraziato scendo dall’altalena e vado a casa mia, dentro c’è un buon odorino: mamma sta cucinando e io non mangerò nulla delle sue pietanze.
Salgo al piano di sopra e mi faccio subito una doccia, radendomi più per la forza dell’abitudine che per la voglia di fare qualcosa dopo la cena con Chris.
Mi metto un tubino nero molto accollato, mi trucco leggermente e metto qualche gioiello, poi scendo al piano di sotto e guardo un po’ di tv mentre la mia famiglia mangia.
Alle sette precise suona il campanello, io mi metto un paio di scarpe a tacco alto e la mia giacca e li saluto ricevendo borbottii indistinti.
Chris mi sta aspettando appoggiato negligentemente alla macchina, con il suo solito ciuffo e vestito elegantemente.
“Buonasera, Jennifer. Stai benissimo vestita così.”
“Anche tu.”
Mi apre di nuovo la portiera e poi sale al posto del guidatore e partiamo.
“Dove mi porti di bello?”
“In un posto che spero ti piaccia.”
Mi risponde lui con un sorriso disarmante.
“Oh, sono sicura che sarà un bel posto.”
Rispondo io con un sorriso falsissimo.
No, non c’è attesa, non c’è elettricità o desiderio di stare con lui; solo voglia di finirla alla svelta.
Si ferma in una pizzeria molto carina sul mare, dove ci riservato un tavolo che dà sulla baia: maledettamante romantico. Si vedono le luci della città e delle navi.
“Ti piace?”
“Molto.”
Lui mi sorride
“Fanno un’ottima pizza.”
“Non vedo l’ora di assaggiarla.”
Una cameriera ci porta due menù e regala un sorrisone a Chris, lui ricambia, ma la cosa non mi turba. È come se non ci fossi io a questo appuntamento, ma qualcun altro.
Inizio a consultare il menù tanto per fare qualcosa, so già che prenderò una margherita, la più leggera, adatta a una cheerleader.
Una decina di minuti dopo la cameriera è di ritorno e fa di nuovo gli occhi dolci a Chris, che li ricambia apertamente. E per fortuna eravamo partiti con il piede sbagliato alla festa di Ed!
Visto il silenzio che si è creato tra di noi inizia a parlare degli allenamenti, della squadra e delle loro possibilità di successo. Io lo ascolto fingendomi interessata, almeno non devo parlare perché altrimenti finirei per chiedergli se una volta si è mai sentito preso in giro da questa gerarchia sociale del liceo.
Lui non capirebbe, lui sa di essere al vertice e ci sta bene, senza farsi troppe domande. Fa quello che gli piace, ha le ragazze che vuole e quando andrà al college continuerà a giocare più che a prestare attenzione alle lezioni nella speranza di essere notato e diventare famoso e pagato.
Non ha tempo e forse nemmeno la struttura mentale per pensare che tutto questo è solo una gabbia.
Arrivano le pizze e lui si getta sulla sua dopo avermi augurato “buon appetito”, devo ammettere che ha scelto una buona pizzeria: il cibo è davvero buono.
Io mi gusto la mia con lentezza, ovviamente non ordino il dolce e non rubo un po’ del suo. Una cheerleader non ordina mai dolci.
“È stata una bella cena, non è vero?”
“Sì, molto bella.”
No, una rottura di palle su di te, la tua squadra e il tuo cazzo di futuro di cui io non farò parte, grazie a Dio.
“Che facciamo adesso?”
Gli chiedo.
“Mh, una passeggiata.”
Ci alziamo e lui paga per me, la cosa mi infastidisce un po’ perché so che nella sua ottica, ora gli devo qualcosa.
Usciamo nel locale e ci incamminiamo lungo la marina, io presto più attenzione al cielo in cui sono sorte le prime stelle e la luna, al mare che si infrange in onde calme lungo la spiaggia e alle bancarelle.
Lui non prova a prendermi per mano, ma ha un ghigno che non mi piace: uno di quelli di uno che pensa di essersi meritato qualcosa. La mia verginità, in questo caso, ma io non cederò.
Io non voglio che la mia prima volta sia con lui, Dan ha ragione: è solo un gorilla, niente di più e io voglio qualcosa di diverso per me. Adesso ne ho la certezza.
Mi infilo in parecchi negozi e compro qualcosa tanto per tirare l’orario a cui deve portarmi a casa, per un po’ me lo lascia fare e penso di essere al sicuro. La mia sicurezza  inizia a vacillare quando mi trascina in un vicolo buio tra la spiaggia e il lungomare.
Faccio per protestare, ma lui mi ficca prepotentemente la lingua in bocca, io mi dimeno un po’, lui prende i miei polsi e li stringe portandoli sopra la mia testa.
“Ti ho pagato il ristorante e le stronzate che hai comprato, puttana. Una scopata me la devi.”
Io cerco di dimenarmi ancora di più e lui mi tira un violento ceffone e mi rificca la lingua in bocca per evitare che io urli, intanto con una mano mi strizza un seno.
Inizio lentamente a piangere.
“Sì, piangi. Amo le puttane che piangono mentre le fotto!”
Con poca gentilezza mi strizza ancora le tette e prova a baciarle, ma io urlo e lui è costretto a darmi un’altra sberla. Vorrebbe togliermi le mutande, ma non ci riesce così si toglie la cintura, i pantaloni e i boxer prima. Tenta di nuovo di baciarmi le tette, ma io urlo.
La prima cinghiata mi arriva dritta in pancia, istintivamente mi volto e il resto dei colpi lo ricevo sulla schiena, non si ferma fino a che non sento un liquido caldo sulle pelle.
Sangue.
Con un’ultima manovra mi strappa le mutandine e sta per violentarmi del tutto quando qualcuno me lo toglie di dosso. Istintivamente mi abbasso il vestito e cerco di coprirmi i seni.
Sento dei rumori di lotta e poi vedo il volto del mio salvatore:Tom.
Senza dirmi niente mi dà la sua felpa e mi prende in braccio, io gli sussurro le indicazione per dove ho lasciato la macchina come un trance.
Trovata, mi mette sul sedile passeggeri e si mette alla guida. Mi porta a casa e non mi viene nemmeno in mente di chiedergli come sappia il mio indirizzo.
Arriviamo a casa mia e lui mi prende di nuovo in braccio e suona il campanello, apre mia madre e urla non appena mi vede.
Mio padre e mio fratello accorrono.
“Chi è stato?”
Chiede duro il primo, in quanto a Dan corre fuori, prende una mazza da baseball dal garage e poi la mia macchina. I miei sono talmente scioccati che non tentano nemmeno di fermarlo, lo guardano e basta
“Chi è stato?”
Chiede di nuovo mio padre.
“Chris McBridge. Tom mi ha salvato, ha impedito che…”
Mormoro io con un filo di voce.
“Il figlio dell’avvocato?”
“Sì, mi ha frustato sulla schiena. Fa male.”
I miei e Tom si guardano sconvolti.
“Grazie, ragazzo. Adesso è meglio che tu vada a casa, Jen deve risposare.”
“Sì, signore. Posso chiamare domani per sapere come sta?”
“Sì, certo.”
“Allora, arrivederci.”
Tom se ne va e mio padre chiude la porta.
“Domani parlerò a suo padre, ti prenditi cura di Jen.”
Mia madre mi porta in bagno e poi va a prendere dei vestiti e della biancheria puliti. Io mi tolgo lentamente il vestito, lei urla quando vede i segni delle frustate, facendo accorrere di nuovo mio padre.
“Io lo denuncio.”
“Sì, tesoro. Ma adesso esci, Jenny si deve cambiare.”
Mi cambio e poi mi butto a letto, a pancia in giù sperando che tutto questo sia solo un incubo.
Un fottuto incubo di quelli che ti gelano la mattina alzata.
È la realtà.
La dura, fottuta e schifosa e realtà.
Il dolore pulsante alla schiena me lo ricorda ogni minuto, ogni secondo.
Ho voluto giocare con il fuoco e mi sono bruciata.
Inizio a piangere silenziosamente. Non voglio più fare parte dei popolari, non voglio più fare parte di nessuno gruppo, voglio solo sparire.
Sparire insieme al dolore che mi porto dentro.
Lacrima dopo lacrima cado finalmente tra le braccia di Morfeo.

Angolo di Layla.

Mi piacerebbe ricevere qualche recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4)Fuori dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno. ***


4)Fuori dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno.

 

Ci sono certe mattine dopo che sono difficili da gestire, questa è una di queste.
Mi fanno male tutte le ossa, sebbene mi sia appena alzata, e mi sento come se la mia anima fosse stata strappata via dal corpo e fluttuasse da qualche parte sopra quello schifoso vicolo.
Guardo il cellulare e noto che è pieno di messaggi di Chris e Madison, lo spengo disgustata, non voglio più avere a che fare con quei due.
Non li voglio vedere mai più.
Con difficoltà scendo dal letto e mi faccio una lunga doccia, sperando che mi tolga di dosso la sensazione di schifo che provo, fallisco miseramente.
Mi metto una felpa molto larga e i pantaloni di una tuta, poi scendo dabbasso. Mia madre è in cucina, mio padre e Dan sono seduti davanti alla tv.
“Come stai?”
Mi chiede mio fratello.
“Di merda.”
Poi lo guardo meglio: ha un occhio nero e qualche taglio sul volto.
Ricordo vagamente che ieri sera è partito con una mazza da baseball, presumibilmente per spaccarla in testa allo stronzo.
“Cosa ti è successo?”
“Lo stronzo era con i suoi amici, non ci ha messo molto a togliermi la mazza e pestarmi.”
Io stringo i pugni, altra rabbia si aggiunge a quella che già provo, come ha osato picchiare mio fratello dopo quello che mi ha fatto?
“Ho parlato con suo padre.”
Interviene mio padre.
“Non mi crede.”
Lo vedo amareggiato, per la prima volta in vita sua sta sperimentando il sapore amaro della sconfitta.
“Papà, posso cambiare numero?
Continua a mandarmi messaggi.”
“Va bene, domani ci prendiamo tutti una vacanza e andiamo a cambiare il tuo numero. Come si permette di chiamarti?”
“Non mi chiama, mi manda messaggi.”
“È lo stesso. Che verme!
Piccola, mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo, non te lo meriti, lui sembrava tanto un bravo ragazzo.”
Io non dico nulla.
“Domani sto a casa anche io?”
Chiede Dan.
“Sì, a meno che tu non voglia andare a scuola con un occhio nero.”
“Sto a casa, anche se prima o poi quel bastardo lo becco e lo sistemo.”
Risponde feroce.
“Sì, così poi suo padre ti denuncia…”
“Non vuoi fargliela pagare, Jen?”
“Sì, ma non voglio che tu ti metta nei guai per uno del genere.
Dan, è solo un dannato figlio di papà, fa le peggio cose perché sa che suo padre lo copre. Se lo picchiassi sarebbe capace di andare a piangere da lui e fare la vittima.”
Mio fratello dà un pugno a un cuscino, frustrato.
“È pronto.”
Annuncia mia madre, ha preparato le lasagne – il mio piatto preferito – e io le sorrido debolmente.
“Grazie.”
“E di cosa? È il minimo.
Potessi fare qualcos’altro! Suo padre non ci crede minimamente, dice che sicuramente tu lo hai istigato.”
Io ricaccio indietro le lacrime pensando al vestito – ora distrutto – che indossavo e mi dico che non istigava a nulla, era solo un vestito carino, né troppo corto né troppo scollato.
“Pezzo di merda.”
Sussurro a bassa voce, probabilmente mi sentono tutti, ma decidono di soprassedere sulla parolaccia.
“Non gli credere, tesoro. Il tuo vestito era normale.”
“Domani mi faccio i capelli blu.”
“Cosa?”
“Odio questo biondo, odio i miei vecchi vestiti, la mia vecchia vita. Tutto.
Voglio cambiare e voglio che la gente se ne accorga, voglio che le mie cosiddette amiche mi girino al largo, soprattutto Madison.
Non voglio più vederla.”
Mia madre mi guarda scossa.
“Va bene.”
Mangiamo in silenzio, poi salgo di nuovo in camera mia e mi butto a letto. Mi addormento subito, ma i miei sogni sono tormentati da quello che è successo.
Verso le quattro del pomeriggio suona il telefono, risponde mia madre e mi dice che è Tom.
“Ehi, Jen. Come stai?”
“Come vuoi che stia? Di merda.
Per di più lo stronzo ha pestato anche mio fratello, mio padre è andato a parlare con il suo e non gli ha creduto. Dice che sono io che l’ho provocato.”
“Ah, mi dispiace. Se ti serve qualcosa fammi sapere, Dan ha il mio numero.
Ci vediamo domani a scuola.”
“Non ci sarò.”
“Allora ci vedremo quando verrai.”
“Va bene, ciao.”
“Ciao, Jen. Cerca di riprenderti.”
Alla sera facciamo arrivare la pizza e poi io filo di nuovo a letto, dopo aver bevuto un po’ di acqua e valeriana, sperando che attenui i miei incubi. 
Non sono mai stata una fan dei rimedi naturali, ma qualcosa fanno perché almeno la mattina dopo non mi ricordo cosa ho sognato.
Alle dieci siamo tutti in cucina a fare colazione, anche mia madre ha deciso di non andare al lavoro.
“Non c’era bisogno che anche tu stessi a casa.”
Dico sorridendo a mia madre, lei mi abbraccia.
“Invece sì, non me la sentivo di lasciarti da sola, mi sento una pessima madre.”
“Non l’hai cresciuto tu il bastardo.”
Lei sorride.
Alle dieci e mezza usciamo tutti di casa, come prima tappa andiamo in un centro per cellulari. Spiego a un commesso gentile che ho bisogno di cambiare numero senza cambiare operatore, lui mi porge una nuova carta sim spiegandomi che entro pochi giorni sarà attiva e potrò telefonare e ricevere chiamate.
Io lo ringrazio, una volta arrivata a casa mi segnerò i numeri necessari da mettere nella nuova rubrica.
La seconda tappa è il centro commerciale, visitiamo diversi negozi e io prendo diversi che rispecchiano la mia nuova personalità: un po’ da punk, un po’ da skater.
Ci sono magliette un po’ lunghe e larghe, jeans più larghi, cose di pelle, mini scozzesi con spille, jeans stretti e pantaloni stretti a fantasia scozzese.
Ovviamente non possono mancare le scarpe da tennis (all stars e etnies) e gli anfibi.
Adesso mi sento davvero nuova, ho già discusso con mia madre di cosa fare dei miei vecchi abiti: li venderemo al mercato dell’usato della prima domenica del mese.
L’ultima tappa è la parrucchiera. Fortunatamente ne troviamo una aperta.
“Buongiorno, bellezza. Cosa vuoi che faccia ai tuoi splendidi capelli?”
“Me li dipinga di blu.”
“Cosa?”
“Me li dipinga di blu e già che c’è rasi una parte vicino all’orecchio.”
Lei mi guarda incredula, ma alla fine prepara la tintura e la stende sui miei capelli, io aspetto pazientemente che prenda pensando alla faccia che farà Madison.
Dio, non vedo l’ora di dirle che mollo la sua stupida squadra di cheerleader!
Dopo aver fatto lo shampoo lo specchio mi restituisce l’immagina di una ragazza con la faccia cavallina e i capelli di un bel blu elettrico.
Quasi a malincuore la donna rasa i miei capelli vicino all’orecchio destro e accorcia tutto il resto della capigliatura da quella parte, lasciando che un folto ciuffo mi attraversi la fronte di sbieco.
Lei ferma il tutto con la lacca e mi guarda critica.
“Sembri una di quelle ragazzine punk.”
“È esattamente ciò che voglio sembrare.”
Rispondo sicura, pagandola.
Mia madre sgrana gli occhi quando mi vede, ma poi sorride.
“È strano, ma ti sta bene.”
“Grazie, mamma. Non vedo l’ora che mi buttino fuori dalla squadra.”
Rispondo con uno strano sorriso.
“Tesoro, sei sicura di stare bene?”
“Non lo so, ma ho un bisogno terribile di creare una distanza tra la vecchia me e la nuova me, non voglio che un altro scimmione si approfitti di nuovo di me.”
“Ma le tue amicizie?”
La testa mi gira per un attimo, pensando allo sguardo di disapprovazione di Madison e Jess, forse solo Cheryl capirebbe.
“Forse è tempo di cambiare amicizie.”
Rispondo sibillina.
“È grazie alla testardaggine di Madison nel combinarmi un appuntamento con Chris che sono qui adesso, con dei ricordi che pesano come macigni nella mia testa e il bisogno profondo di crearmi un’armatura.”
Mia madre non dice nulla, non credo ci sia nulla da dire, ho già detto tutto io.

 

Il giorno dopo è la prova del fuoco.
Alla mattina mi limito a piastrare i miei capelli, poi decido di indossare i pantaloni scozzesi stretti, una maglia nera e una felpa dello stesso colore.
Quando scendo mio fratello alza il pollice in segno di approvazione, io gli sorrido. Faccio colazione, prendo la borsa, mi metto i miei nuovi anfibi e una giacca di pelle.
Entro in macchina e scaravento la borsa sul sedile posteriore e infilo nella radio della mia macchina una cassetta dei blink che Dan mi ha consigliato di ascoltare.
Riesco a sentire giusto tre canzoni prima di arrivare alla Rancho Bernardo High School, parcheggio ed esco dalla macchina a testa alta. Tutti mi guardano sorpresi.
Solo Cheryl mi saluta normalmente, Jess e Madison mi guardano orripilante.
“Ma che hai fatto?
Sei impazzita?”
“No, sono rinsavita.
Per colpa tua e della tua testardaggine quella bestia mi ha quasi violentata, non voglio più avere niente a che fare con te e con questa commedia dell’essere popolari.
Mollo.
Ho altro da fare nella mia vita, cercati un’altra cheerleader, un’altra vittima, un’altra finta amica.
Addio.
Ah, un’ultima cosa… Di’ a Chris che sono molto dispiaciuta che mio fratello non gli abbia spaccato la faccia, ma forse potrei pensarci io in futuro.
Addio, Madison.”
“Se esci sul serio dalla squadra ti renderò la vita un inferno.”
Io mi avvicino e la guardo in quegli occhi azzurri, falsi.
“Non ti conviene, potrei diffondere un bel po’ di materiale, come dire, porno su di te.  Sai, quelle cassette che giri quando ti fai quella bestia di ragazzo che hai, potrei procurarmele e diffonderle.”
“Non lo faresti mai.”
“Ti sbagli. Tu e lui mi avete distrutta, ma io sono rinata più forte. Ora sono una fenice.”
Mi allontano e solo Cheryl mi segue.
“Non ti conviene stare con me, sono ufficialmente una perdente.”
“Oh, chi se ne frega! Sei una mia amica!
E poi ti invidio per il coraggio che hai tirato fuori davanti a Madison! Questi capelli sono una meraviglia, quasi quasi cambio colore anche io. Questo caramello da ragazza perbene mi ha stufato, che ne dici di un bel rosso?”
“Ti starebbe benissimo.”
Entriamo chiacchierando di cazzate ed evitando l’argomento McBridge, sulla porta c’è Tom come al solito, ma quando mi vede sgrana gli occhi.
“Jen, stia benissimo!”
“Grazie, Tom.
Vi conoscete già, vero?”
Cheryl annuisce.
“Abbiamo mate insieme, entriamo?
Se vuoi a pranzo potrai conoscere il resto della compagnia.”
“Credo di conoscerli già. David Kennedy, Josie Campbell, Peggy Sue Smith e Andrew Marciano.”
Lui ride.
“Ti sei dimenticata Luke Martin.”
“Frequenta ancora?
Pensavo si fosse ritirato, visto che è un po’ che non lo vedo.”
“Dovrebbe tornare oggi, gli piaceranno i tuoi nuovi capelli.”
“Per forza, sono blu come i suoi.”
Commento sorridendo.
“David è davvero un ragazzo carino.”
“Uhm, sì.”
“Oggi, se vuoi, potrai conoscerlo.”
“Non sarebbe male, da adesso in poi sono single.”
“E il tuo ragazzo?”
“Si faceva un’altra e l’ho mollato, Madison non è molto felice nemmeno di questo.”
Io sbuffo.
“Inizia a stare stretta anche te la piramide sociale?”
Chiedo alla mia amica.
“Sì. Sono stanca dell’ipocrisia e di tutto il resto e voglio vedere se tra i cosiddetti perdenti troverò persone vere e non gente falsa.”
“Siete le due cheerleader più strane che io abbia mai conosciuto.”
Io e Cheryl scoppiamo a ridere all’esclamazione di Tom.
“Tom, la cima della piramide sociale non è bella come ti fanno credere.
È fatta di sorrisi di plastica, di regole, convenzioni. È soffocante.
Qualcuno se ne accorge e poi scappa a un certo punto, altri amano essere in carenza di ossigeno.”
Detto questo entriamo nell’aula di mate, la professoressa guarda con aria di biasimo i miei capelli, io le rivolgo il più smagliante dei miei sorrisi.
La campanella suona e la lezione inizia, per la prima volta mi rendo conto di come sia piacevole prendere appunti per fatti tuoi, senza doverli poi passare a qualcun altro.
L’argomento non è tra i miei preferiti, ma non importa, è un inizio e va bene così.
Il resto delle lezioni trascorre tranquillamente, se si escludono le occhiate velenose di Maddie e Jess e i pettegolezzi che suscita il fatto che io mi sia schierata contro le popolari. Non credo sia successo a memoria d’uomo che una sfidasse apertamente la cheerleader bulla del liceo, per la maggior parte della gente devo essere una specie di miracolo ambulante.
Finalmente suona la campanella del pranzo.
“Tu cosa fai, Cheryl?
Vieni con me o vai da Jess e Maddie?”
Un’espressione di disgusto le si dipinge sul suo bel viso.
“No, vengo con voi, non ho voglia di vederle. Di sicuro mi diranno che ai ragazzi come il mio ex i tradimenti si perdonano, etc.
Sì, come no.”
Risponde con una punta di rabbia.
Siamo a due, la rivoluzione è appena iniziata e non si fermerà.
Leggermente in apprensione attraverso la mensa per raggiungere il tavolo degli amici di Tom, sento gli occhi dell’intera scuola su di me, soprattutto quelli critici e malevoli delle mie due ex amiche e della bestia.
Con una disinvoltura che non ho mi siedo al tavolo, anche i ragazzi presenti sono sorpresi.
“Piacere, io sono Jen Jenkins.”
“Sappiamo chi sei, l’intera scuola parla di te.”
Mi risponde una ragazza con i capelli biondi.
“Io sono Cheryl Waters.”
“Io sono Anne Hoppus.”
Mi risponde la bionda.
“Lui è David Kennedy.”
Mi dice indicando il ragazzo alla sua destra, ha i capelli biondo scuri leggermente lunghi.
“Lui invece è Luke Martin.”
È il ragazzo alla sua sinistra e ha degli scompigliati capelli blu elettrico.
“Lei è Peggy Sue Smith.”
Una ragazza dai capelli viola alza una mano in segno di saluto.
“Lei è Josie Campbell.”
Una ragazza dai capelli castani mi sorride.
“Lui invece è Andrew Marciano.”
Un ragazzo con la testa rasata e il pizzetto alza svogliato una mano.
“Cosa ci fai con quelli come noi, principessa?”
Mi chiede.
“Mi sono stufata dei miei cosiddetti amici.”
“Ho sentito che Chris McBridge non è stato particolarmente carino con te, è per questo?”
“Anche.
Se per te è un problema che io stia qui me ne vado.”
Rispondo piatta.“Nessun problema, sono solo  curioso. Tutta la scuola lo è.”
“Lo immaginavo. Diciamo che Chris McBridge non è stato affatto carino con me, per usare un eufemismo e Maddie e Jess si sono schierate dalla sua parte.
Sinceramente non credo che sia così che si debbano comportare due amiche e lì ho capito tutto, quelle due non erano mai state mie amiche. Ero stanca di ingraziarmele solo per stare in cima alla stupida piramide sociale del liceo, la vita là fuori è diversa da quella di questo stupido microcosmo e me ne sono andata. Tom mi ha dato una mano e mi ha proposto di farmi conoscere i suoi amici.”
“E tu hai accettato.”
Finisce Anne.
“Sei conscia che non sarai mai più una cheerleader?
Prima Madison e Jess stavano scrivendo un bando per le selezioni.”
Io alzo le spalle.
“Non sono stata cacciata, me ne sono andata io, di mia spontanea volontà. Non mi importa di quello che faranno, sapevo che mi avrebbero sostituita: tutti sono inutili, nessuno è indispensabile.”
Le ragazze mi guardano stupite, come se ancora non credessero alle mie parole e al mio comportamento, solo Cheryl e Tom sanno tutta la verità.
In ogni caso senza una ragione precisa decidiamo di iniziare a mangiare e di mettere da parte ogni conversazione. Su di me non c’è più molto da dire ormai, devo solo sperare che mi accettino e dimentichino tutte le cattiverie che sono stata obbligata a fare.
“E tu come mai sei qui?”
Chiede Peggy Sue a Cheryl.
“Ho mollato il mio ragazzo e a Madison non è andata giù. Odio chi si impiccia nella mia vita senza che qualcuno glielo abbia chiesto.”
Soppesano la risposta e poi decidono che gli va bene.
Finiamo di mangiare e poi ci dividiamo per andare nelle nostre classi, Madison e Jess ci lanciano sguardi di puro disprezzo, come se fossimo una specie di insetti rivoltanti.
“Jen, Cheryl.”
Ci chiama Anne.
“Io e le ragazze ci troviamo da Sombrero dopo la scuola per una chiacchierata, volete venire anche voi?”
Io annuisco.
“Vengo volentieri, penso di avere un po’ più di tempo libero adesso.”
“Sì, vengo anche io.”
Risponde decisa Cheryl, poi salutiamo Anne e ci dirigiamo nelle nostre rispettive classi: chimica e fisica.
Come inizio di una nuova vita non è stato male, mi dico sorridendo.
Sì, penso che vivrò meglio così.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5)E siamo a due: la rivoluzione continua. ***


5)E siamo a  due: la rivoluzione continua.

 

Fino a qualche giorno fa dopo la campanella che segnava la fine delle lezioni pomeridiane correvo in palestra pronta a farmi massacrare da un allenamento di quella che consideravo un’amica, oggi non è così.
Oggi posso uscire con tutti gli altri e fregarmene di stare a dieta, io e Cheryl seguiamo la macchina di Anne fino a un ristorante messicano, poi parcheggiamo e scendiamo dall’auto chiacchierando tra di noi, curiose su cosa ci chiederanno.
Entriamo nel locale, il titolare saluta amichevolmente Anne e le altre ragazze, sembra conoscerle molto bene, forse perché ci vengono spesso.
Ci sediamo a un tavolo e io mi immergo subito nella lettura del menù per non dover rispondere subito alla domanda che so che mi faranno
Perché hai mollato le cheerleader per andare con i  più sfigati del liceo? Sei pazza?
No, hanno solo appena tentato di violentarmi.
Alla fine scelgo la cosa meno piccante – non amo i cibi eccessivamente speziati, mi fanno stare male – e lo dico a una cameriera sorridente.
“Allora, Jenkins, cosa ci fai qui con noi?”
“Mangio cibo messicano, no?”
Rispondo io con il mio sorriso più candido, ben sapendo che non inganno nessuno, soprattutto Anne. Lei non ha fatto che studiarmi e questo mi mette a disagio: mi sento come un insetto sotto il microscopio di uno scienziato.
Che poi, gli insetti provano emozioni?
Che domanda del cazzo mi è venuta in mente, tutto pur di evitare di rispondere.
“Dai, non prenderci in giro! Fino a settimana scorsa eri pappa e ciccia con Madison e Jess, poi ieri non sei venuta e oggi ti presenti vestita come una punk e truccata come una goth.”
Io la guardo truce, con rabbia mi strucco davanti a lei e tutti i lividi vengono alla luce, lei mi guarda spaventata.
“Cosa ti è successo?”
“Chris McBridge voleva scopare e non ha accettato un “No” come risposta, Tom è intervenuto e mi ha salvato.”
Dico laconica, le tre ragazze tacciono.
“Chris dice il contrario, dice che sei stata felice di essere stata sbattuta da lui.”
Io rido senza la minima allegria.
“Cosa credevi che dicesse, Anne?
Persino mio fratello a quattordici anni ha capito che è uno scimmione senza cervello e, tra parentesi, Daniel ha tentato di pestarlo e lui gli ha scatenato addosso i suoi amici.”
Rispondo rabbiosa, pensando che anche mio fratello si porta addosso dei lividi per colpa sua. L’arrivo della cameriera impedisce che la conversazione continui, mentre mangiamo non vola una mosca. Anne continua studiarmi, se non la smette me ne vado a casa e aiuto Cheryl a cambiare colore ai capelli!
“La smetti?”
Le chiedo seccata.
“Di fare cosa?”
“Di fissarmi come se fossi una cosa da studiare, sono un essere umano, non una cavia!”
Sbotto, lei arrossisce.
“Scusa, non l’ho fatto a posta, è che è tutto davvero strano. Sul serio, non credo che in tutta la storia della Rancho Bernardo high school qualcuno abbia sfanculato e minacciato una cheerleader per passare dalla parte dei perdenti.”
“Beh, abituati ai miracoli, perché a me non piace essere fissata così.”
La frase mi esce più brusca di quello che vorrei.
“Ok.”
Ritorniamo a mangiare in silenzio.
“Cosa avete intenzione di fare?”
Chiede Cheryl.
“Io devo fare una ricerca di biologia con un gruppo, quindi me ne vado.
Ci vediamo domani a scuola.”
Peggy Sue si alza, prende la sua borsa e con grazia lascia il locale.
“Sembra una dannata ballerina.”
Mi lascio scappare.
“Cosa vuoi dire?”
“I suoi gesti, come si muove mi ricordano quelli di una ballerina, si muove con una tale grazia.”
“Ha studiato danza per tanti anni, spinta da sua madre – una che voleva diventare ballerina e non ci è mai riuscita – era arrivata abbastanza in alto, poi ha mollato.”
“Come mai?”
“Non le piaceva quella vita, fatta di continui spostamenti da una città all’altra, allenamenti massacranti. Era stufa di vedere sanguinare i suoi piedi, ha detto una volta.
La madre non l’ha presa bene, la tiene in casa solo perché deve, ma quando finirà il liceo la butterà in mezzo a una strada senza farsi troppi pensieri: la odia.”
“Capisco, voi  due cosa fate?”
“Io devo vedere Mark, il mio ragazzo. Tu, Anne?”
“Nulla.”
“Voglio cambiare il colore dei miei capelli da caramello a rosso, mi daresti una mano?”
Le chiede gentile Cheryl, Anne annuisce e anche noi quattro usciamo dal locale: la prossima volta è un negozio che vende roba per parrucchiere a prezzi stracciati.
L’ho scovato quando dovevo tingermi i capelli e non potevo permettermi di andare al parrucchiere una volta al mese, sono diventata bravina con le tinte.
Parcheggiamo tutti e tre ed entriamo nel grande negozio, la ragazza mi saluta.
“Bel cambio, Jen. Ti sta bene.”
“Grazie, Ally.”
“Cosa cerchi oggi?”
“Qualcosa di rosso per la mia amica.”
Indico Cheryl.
“Terzo scaffale a destra:”
“Grazie mille.”
Arrivati al terzo scaffale ci infiliamo dentro, ci sono un sacco di tinte rosse e di schiarenti. Cheryl si guarda intorno un po’ spaesata. Si va dall’arancione al rosso fiamma, fino a tonalità più cupe di rosso, la mia amica è senza parole.
“Dai, Cheryl! Puoi sbizzarrirti! Che rosso vuoi?”
Lei deglutisce e poi fa qualche passo verso gli scaffali con il rosso fiamma, sembra aver deciso la tonalità di rosso. Soppesa diversi flaconi e mugugna qualcosa tra sé e sé. Alla fine opta per un bright red che dovrebbe starle benissimo, vista la carnagione naturalmente pallida che ha.
Preso quello e uno schiarente leggero ci dirigiamo alla cassa.
“Ottima scelta, Jen. È un colore davvero bello.”
Osserva per un attimo con occhio professionale Cheryl.
“Sì, con la sua carnagione le starà da Dio, è molto chiara e risalterebbe ancora di più insieme all’azzurro dei suoi occhi.”
“Grazie.”
Risponde educata Cheryl.
“Chiamami Ally, spero di vederti ancora nel mio negozio.”
Lei sorride e usciamo tutte e tre. È un pomeriggio di tardo autunno, fa ancora caldo, ma le foglie sugli alberi sono un tripudio di rosso, giallo e arancione.
Magnifico.
“Dove andiamo a fare la tinta?”
Chiede Anne.
“A casa mia.”
Rispondo pronta io.
“Ma sei sicura, Jen? Non è che tua madre si arrabbia?”
“No, Anne. Mia madre non è mai stata felice che fossi una cheerleader, penso le piaceranno questi capelli perché capirà il messaggio che c’è sotto: non voglio più essere una di loro.”
Anne sorride incerta.

 
Alle sei è tutto finito, Cheryl  sfoggia una chioma di un rosso brillante e le sta da dio, proprio come aveva detto Ally.
Lei si guarda soddisfatta.
“Sto proprio bene! E adesso, addio vestiti da ragazza bonton e via ai jeans e alle maglie dei gruppi.”
“E sono due.”
Borbotta Anne.
“Forse Dio mi ha messo al mondo per vedere qualche suo miracolo realizzato.”
Sia io che Cheryl scoppiamo a ridere come delle matte.
“Ti suona davvero così strano quello che stiamo facendo?”
“Sì, considerando che c’è gente che ucciderebbe per essere al vostro posto.”
“Beh, adesso ha due possibilità in più per starci, no?”
Rispondo sorridendo ad Anne.
“Senti, non potevo davvero stare in un gruppo che mi biasima per non essermi lasciata stuprare, è una cosa assurda.
Io voglio un gruppo che mi accetti per quella che sono e che non tenti di cambiarmi o di impormi cose che non voglio. Io non volevo fare sesso con lo stronzo e rivendico il mio diritto di avere questa opinione senza essere giudicata come una suora.”
La mia espressione è dura in questo momento e Anne se ne accorge, perché non aggiunge altro e lascia cadere completamente l’argomento.
“Beh, è quasi ora di cena, meglio che me ne vada.
Grazie del pomeriggio, ragazze.”
Ci dice prima di salire sulla sua macchina e andarsene.
“Tu che fai, Cheryl?”
Lei dà un’occhiata all’orologio.
“Me ne vado anche io, grazie per avermi aiutato oggi.”
“È stato un piacere, ci vediamo domani a scuola.”
La saluto sorridendo e poi me ne torno in casa e vado ad aiutare mia madre con un certo orgoglio.
Sarò anche troppo remissiva, ma mi piace aiutare la mia famiglia se posso.
Dopo cena studio e faccio i compiti, messaggio un po’ con Cheryl e le altre e rispondo anche a un paio di messaggi di Tom: vuole sapere come sto.
Io rispondo che oscillo, a volte sto bene, a volte i ricordi mi paralizzano e sento l’aria mancarmi e la terra muovers sotto i miei piedi. Lui si dimostra comprensivo, dicendomi che lentamente le cose andranno meglio e magari di andare da uno psicologo.
Potrei prendere in considerazione l’idea, a scuola ce n’è uno. Tutti sanno che ci sei stato due minuti dopo che tu hai varcato la fatidica soglia, ma forse vale la pena di provare, forse mi può aiutare.
Dopo un ultimo controllo dei messaggi spengo il telefono e mi addormento.
La mattina dopo la sveglia suona implacabile, io la spengo con un grugnito, scendo dal letto rabbrividendo leggermente, mi lavo, mi vesto e poi scendo.
Tutta la mia famiglia è riunita in cucina per la colazione.
“Tutto bene, tesoro?”
Mi chiede mia madre.
“Sì.”
Rispondo un po’ assonnata.
Mangio la mia tazza di cereali e poi esco con Dan, lo accompagno a scuola, lui inserisce una cassetta dei blink non appena salta in macchina.
“Stai diventando davvero figa, sorellina.
I miei amici ti vogliono conoscere tutti.”
Io sorrido.
“Non starei mai con un quattordicenne.”
“Non ho solo ragazzi della mia età come amici, Tom è un mio amico.”
Io arrossisco un po’.
“Non è che adesso ti piace?”
“Non sono affari tuoi, microbo!”
Rispondo piccata.
“Ah! Ti piace!”
“Dan, stai zitto o ti butto fuori dalla macchina!”
Lui ride come un matto, ma non dice più nulla e mi saluta svogliato quando lo lascio davanti alla scuola, non ama venirci. Ho il sospetto che sia preso in giro e la cosa non mi piace per niente, anche se abbiamo avuto dei litigi in passato lui rimane sempre il mio fratellino.
Arrivo alla mia scuola e parcheggio, saluto Cheryl e insieme ci avviamo verso l’interno venendo bersagliate dalle occhiate velenose di Jess e Madison.
Nell’atrio qualcosa attira la mia attenzione, per la precisione un manifesto rosa shocking appeso in bacheca tra i mille foglietti.
“Ehi, a quanto pare stanno organizzando le selezioni per due nuove cheerleader!”
“Uhm, non perdono tempo.”
Andiamo agli armadietti e trovo Tom appoggiato al mio.
“Ciao.”
Lo saluto.
“Ciao. Come va?”
“Va, tu?”
“Non mi posso lamentare, volevo chiedervi una cosa.”
“Spara.”
Risponde Cheryl.
“Venerdì sera faremo un concerto in un locale, vi va di venire?”
Io e lei ci guardiamo.
“Sì, perché no?”
“Perfetto! Jen, andiamo ad arte?”
“Sì, certo. Ciao, Cheryl! Ci vediamo a letteratura dopo!”
“Ciao, ragazzi!”
Ci saluta con la mano, io seguo Tom nell’aula di arte.
“Oggi facciamo ancora i ritratti, vero?”
“Sì, ti tocca disegnare di nuovo la mia meravigliosa figura!”
“Non esagerare!”
Gli dico ridendo.
Entriamo in aula e prendiamo posto ai nostri cavalletti, poco dopo arriva il professore.
“Bene, ragazzi! Questa settimana proseguiremo con la figura umana, dopo le spiegazioni dell’ultima volta, inizierete un lavoro che verrà valutato.
Buon lavoro a  tutti!”
Conclude sorridendo.
Ora in classe si sente solo il rumore dei cavalletti spostati e delle matite che scorrono sul foglio, come l’ultima volta poso io per prima. È abbastanza noioso non potersi muovere e sapere che Tom mi sta disegnando è imbarazzante, così cerco di pensare ad altro.
“Un buon lavoro, DeLonge.”
La voce del professore mi strappa alle mie fantasticherie.
“Uh, davvero?”
Commento io.
“Sì, Jenkins. Davvero un buon lavoro.”
“Bene.”
Riprendo a posare fino alla fine delle due ore, che fatica!
Finita arte ci separiamo, io farò letteratura con Cheryl, lui non lo so.
Lei mi aspetta già al nostro solito banco.
“Come è andata la lezione di arte?”
“Bene. Un po’ noiosa perché ho dovuto stare in posa, ma non è poi stata così brutta.”
“Com’è la band di Tom?”
Io tiro fuori il quaderno e l’astuccio.
“Rumorosi. Stamattina ho accompagnato a scuola mio fratello e mi ha fatto sentire una demo, la voce di Tom è acuta, quella di Mark un pochino più profonda e poi sono… Sì, rumorosi.
Un casino di chitarra, basso e batteria, ma non sono male.
Suppongo che sia questo il punk, è mio fratello l’esperto di famiglia, non io.”
“Se lo dici tu. Cavolo, è già arrivato il prof.”
Seguiamo la lezione con più attenzione del solito, libere dal pensiero di cosa indossare per sentirsi fighe e dagli allenamenti di Madison.
Alla fine andiamo in mensa, Josie ci fa segno di venire al loro tavolo, noi annuiamo e ci mettiamo in fila.
“Come ci si sente a stare tra i perdenti?”
Sibila una voce acida a due centimetri dal mio orecchio.
“Benissimo, Maddie.”
Rispondo soave io.
“Ci si sente libere, ammesso e non concesso che tu conosca il significato di questa parola.”
“Libere di essere lo zimbello della scuola?”
Tenta di nuovo. Noiosa.
“Libera di essere te stessa e poi, non so te, ma io non vedo persone che mi prendono in giro e lo stesso vale per Cheryl. Rassegnati, hai perso.”
“Posso sempre portarti via la cosa a cui tieni di più, credi che non mi sia accorta che hai cambiato atteggiamento verso DeLonge?
Attenta, basta che io sbatta un paio di volte le ciglia e lui non ci metterà molto a cadere ai miei piedi dimenticando il cavallo che sei.”
Vorrei tirarle il mio vassoio vuoto in testa, ma sarebbe esattamente quello che vuole: sapere che ha colpito un punto debole.
“Ma chi vuoi prendere in giro?
Non corteggeresti DeLonge nemmeno per far arrabbiare me, tieni troppo alla tua reputazione.”
Lei tace, per fortuna.
Prendo qualcosa alla mensa e poi raggiungo il tavolo di Josie e degli altri, Cheryl si mette seduta vicino a David e iniziano subito a chiacchierare come se fossero vecchi amici.
Le piace proprio e sono felice per lei, si meritava qualcosa di meglio del suo vecchio ragazzo, e io?
La domanda mi coglie impreparata, forse anche per le allusione acide di Maddie ho capito che ho cambiato atteggiamento verso Tom e forse non solo in amicizia.
È troppo presto, mi dico, troppo presto per chiamarlo amore, ci conosciamo appena. Meglio fissarsi su altre cose, tipo il concerto di sabato dove finalmente conoscerò quei Mark e Scott di cui mio fratello mi ha tanto parlato.
“Ehi, Jen! Tutto bene?”
La voce di Anne mi riporta alla realtà.
“Oh, sì. Sto bene, starei meglio se non dovessi mangiare questo…. Uhm…. Come si chiama?
Pasticcio di carne? Non so bene cosa ci sia dentro e la cosa mi inquieta.”
Ridono tutti,  per fortuna ho sviato ogni sospetto tranne, forse, quelli di Cheryl dall’occhiata che mi lancia.
Quando usciamo dalla sala mensa mi tira in un angolo e mi guarda seria.
“Cosa c’è, Jen?”
“Niente.”
“Non è che Maddie ti ha detto qualcosa? Ho visto che si è messa in coda dietro di te.”
Io sospiro.
“In effetti sì. Mi ha detto che si prenderà Tom, ma io l’ho zittita.”
“Ti piace?”
“Chi? Tom?”
Lei annuisce, io invece rimango in silenzio.
“Avanti, puoi dirmelo.”
“Sì, insomma credo di sì. Non sono sicura, perché non so se mi sento pronta per una storia adesso.”
“Ti piace, ma vacci con i piedi di piombo.”
Io la guardo senza capire.
“Ti si legge negli occhi che ti piace, ti si illuminano, ma ti conviene andarci piano. Lo chiamano Hot Pants perché gli piace cambiare spesso ragazza.”
Io mi rabbuio, non voglio un altro tizio come Chris nella mia vita e dire che sembrava a posto!
“Non è come Chris, ma però…Ecco, stacci attenta.
Credo che tu gli piaccia sul serio, ma non si può mai dire.”
“Hai ragione, intanto andiamo al concerto e cerchiamo di divertirci.”
Lei mi sorride.
“Questa è un’ottima filosofia.”
Raggiungiamo insieme la prossima classe e io mi chiedo se ci si debba davvero fidare di Tom, credo sarebbe un ottimo amico, ma come ragazzo?
Non ne ho idea e la cosa mi spaventa un po’.

Angolo di Layla

Commentate, per favore.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6)Occasioni bruciate. ***


6)Occasioni bruciate.

 
Venerdì arriva velocemente, senza allenamenti sembra che il tempo corra di più.
Madison non mi parla né mi minaccia più, si limita  a lanciarmi velenose: è troppo impegnata con le selezioni.
Stranamente non si è presentata tanta gente come al solito, sembra che quello che abbiamo fatto io e Cheryl abbia aperto gli occhi a molte persone, c’è sempre un chiacchiericcio quando camminiamo per i corridoi della scuola e tanti indicano i miei capelli blu.
Non mi importa molto, basta che non mi parlino. Non mi va di dare spiegazioni a nessuno, voglio cercare di fare andare avanti la mia vita in qualche modo.
Venerdì sera dopo cena sono davanti al mio armadio senza sapere cosa mettermi, Dan entra in camera mia e si acciglia vedendomi così.
“Cosa c’è?”
“Non so cosa mettermi e potresti anche bussare prima di entrare.”
“Sono tuo fratello.”
Con piglio critico si mette davanti al mio armadio e poi tira fuori un paio di pantaloni stretti e strappati e una maglia nera con un teschio.
“Mettiti questi e poi la giacca di pelle che ti sei presa, non fa ancora abbastanza freddo per mettere anche una felpa. Problema risolto, adesso muoviti o arriveremo in ritardo.”
Conclude con una punta di impazienza.
Io metto quello che mi ha detto lui, mi trucco, mi pettino e infine metto degli anfibi e acchiappo la mia borsa.
“Le chiavi della macchina!”
Dan le lancia verso di me.
“Mamma, papà, noi andiamo!”
Urla e poi mi spinge fuori dalla porta.
Io salgo in macchina, lui si siede sul sedile posteriore e metto in moto. Per prima cosa andiamo a prendere Cheryl e poi ci dirigiamo in uno dei bar di Poway.
Fuori c’è una piccola massa di persone.
“Sono così famosi?”
“Un po’, ma tanti sono amici dei ragazzi.”
Parcheggiamo e scendiamo tutti e tre, mio fratello sparisce subito e io e Cheryl ci guardiamo intorno alla ricerca di una qualche faccia conosciuta. Alla fine intravvediamo Anne, Peggy Sue e Josie e ci facciamo strada verso di loro.
“Ehi! Siete venute alla fine.”
“Avevamo detto che l’avremmo fatto, no?
Come mai siamo ancora tutti fuori?”
“I ragazzi non sono ancora pronti, ma ormai è questione di momenti. Ci sono ancora due persone dentro, una volta che se ne saranno andate il locale sarà nostro.”
“Come mai solo vostro?”
“La gente che viene qui normalmente non apprezzerebbe la musica dei blink, credimi.”
Io annuisco, finalmente le ultime due persone – una coppia di anziani – esce e possiamo entrare noi. Insieme alle ragazze occupiamo un posto vicino al palco, l’eccitazione è palpabile nell’aria.
Cinque minuti dopo la tenda che nasconde il palco viene alzata e mostra tre ragazzi, un piccoletto dietro alla batteria, Tom con una chitarra in mano e un ragazzo con i capelli verdi con il basso. Saluta con un occhiolino Josie, quindi immagino sia Mark, il suo ragazzo.
“Ehi, Jos! Quello è Mark?”
Le chiedo.
Lei annuisce vigorosamente.
“Sì, è Mark Hoppus in tutto il suo splendore.”
“Ok.”
I ragazzi iniziano a raccontare qualche stronzata – battutine sconce per lo più – per scaldare il pubblico e tutti sembrano divertirsi. Mio fratello è in prima fila e se la sta godendo un mondo, ha un sorriso che gli va da un orecchio all’altro, io invece sono un po’ scettica. Credo semplicemente che mi debba abituare a queste cose, sono tutte nuove per me.
Iniziano a suonare che un giro di basso iniziale, seguito dalla chitarra e poi dalla batteria.
“È Carousel!”
Esclama eccitata Anne.
“È la prima che hanno scritto, mentre mio fratello era a casa da lavoro e corsi pre-college perché si era rotto le anche.”
“Come ha fatto a rompersi le anche?”
“È salito su lampione per conquistare l’amicizia di Tom.”
Io non dico nulla, è tutto molto strano per me, voglio dire perché uno dovrebbe fare una cosa del genere?
“Tutto bene, Jen?”
“No, direi di no.”
Anne alza un sopracciglio.
“Non è che Tom e tuo fratello sono gay?”
“No, e anche se lo fossero?”
Decido saggiamente di non rispondere e cerco di concentrarmi sulla musica, pensando che non devo andarci con i piedi di piombo con Tom, ma con qualcosa di più pesante del piombo perché ci sono troppe variabili che sono contrarie.
Immersa in questi cupi pensieri riesco a malapena a seguire la musica, è rumorosa per me e non sempre capisco cosa di cantino Tom e Mark. Avrei voglia di uscire a fumare una sigaretta, ma non voglio che qualcuno si offenda vedendo che sono uscita a metà del concerto.
Non sono ancora del tutto pronta a essere del tutto punk o ribelle, mi ci devo ancora adattare per alcuni versi.
Finito il concerto la tenda nera viene calata di nuovo e sento il rumore dei ragazzi che mettono via gli strumenti, posso uscire a fumare senza che qualcuno ci resti male.
Prendo la mia giacca di pelle e la borsa e poi mi avvio verso l’uscita. Una volta fuori mi accendo con piacere una Marlboro e aspiro la prima boccata. Così mi sento decisamente meglio.
“Tutta sola, bambolina?”
Un ragazzino si avvicina a me con aria da gran seduttore, io lo colpisco con la borsa alle parti basse più e più volte fino a che non se ne va. Ho gli occhi fuori dalla orbite e la sigaretta che mi penzola da un lato della bocca.
Sono stanca di questi maledetti!
“Tutto bene, Jen?”
Alla voce di Tom sobbalzo violentemente, non mi ero accorta che fosse arrivato.
“N-no, solo un ragazzino che ci provava con me.”
Ansimo cercando di calmarmi.
“Mi dispiace. Ha esagerato?”
“No, l’ho cacciato via a borsettate.”
“Forse è meglio che torni dentro e bevi qualcosa.”
“Sì, ma non di alcolico. L’alcool è l’ultima cosa di cui ho bisogno.”
Finisco la mia sigaretta e poi lo seguo all’interno del locale, maledicendo il ragazzino che mi ha importunata. Non poteva lasciarmi da sola con la mia sigaretta, accidenti a lui?
Adesso sono con Tom e sono nervosa come non mai per quello che ho sentito dire al tavolo e da Cheryl e per la mia cotta verso di lui.
Arriviamo al tavolo e Tom ferma il cameriere ordinando della coca cola per me.
“Cosa è successo?”
Mi chiede Cheryl.
“Niente, un ragazzino ha fatto lo scemo e io ho esagerato con le reazioni.”
Lei annuisce comprensiva.
“C’era ancora Tom ad aiutarti, vero?”
Io annuisco piano.
“Sai, mi sono informata su Hot Pants e pare che ultimamente non stia con nessuna e che non cerchi nessuna, soprattutto.
Forse vuole te, sul serio!”
“Ragazze, salutate il magnifico Mark Hoppus!”
Io alzo lo sguardo sul ragazzo dai capelli verdi: ha gli occhi di un blu intenso, un bel sorriso e il mento con una fossetta.
Io sorrido.
“Complimenti, siete stati davvero bravi!”
Iniziamo una conversazione sul concerto, i tre ragazzi si godono l’attenzione che viene loro riservata e non fanno nulla per nascondere che gli fa molto piacere, visto che di solito sono chiamati perdenti e sfigati.
Mark e Josie si baciano ogni tanto, io invece lo sguardo di Tom bruciare su di me, anche se cerco di fare finta di nulla. Mi fa piacere e mi mette a disagio allo stesso tempo: è davvero una sensazione curiosa.
Forse gli piaccio sul serio e non sono solo una scopata da aggiungere al libro che sicuramente ha. Uno sguardo al’orologio mi riporta bruscamente alla realtà, è quasi ora di andare che sennò chei la sente mamma.
“Io e Cheryl dobbiamo andare.”
Annuncio con un sorriso..
“Di già? Che peccato!”
Tom sembra davvero dispiaciuto.
“Sì, mia madre è diventata un po’ più severa sulle uscite dopo quello che è successo.”
Annuiscono tutti, io li abbraccio uno per uno e poi vado alla ricerca di Dan, lo trovo che parla con una biondina.
“Danny, è ora di andare a casa.”
La ragazza mi squadra con uno sguardo di puro odio, mi sa che ha frainteso la situazione.
“Chi è questa?”
 Chiede con voce dura a mio fratello.
  v“Sono Jennifer, sua sorella maggiore, non sono la sua ragazza. Ora deve andare a casa o rischiamo di fare tardi sull’orario che ci hanno dato i nostri.”
Mi allontano di qualche passo e li lascio salutare come meglio credono, alla fine mio fratello ci raggiunge e usciamo dal locale.
“Ti è piaciuto il concerto?”
Mi chiede euforico Dan.
“Sì, non è stato male.”
Lui sorride soddisfatto e io penso che – dopotutto – sia stata una bella serata, sicuramente più autentica di molte altre a cui ho assistito.
Forse essere perdente non è poi così male, mi dico, anche perché mi piacerebbe ripetere l’esperimento, adoro come si muove Tom sul palco o forse – semplicemente adoro lui.

 

Sabato è un giorno sonnolento, sia io che mio fratello ci svegliamo tardi.
Mamma non protesta e si limita a servirci il pranzo sorridendo, sembra felice per qualcosa.
“Sono contenta che tu e tuo fratello siate usciti insieme ieri sera.”
“Come mai?”
Le chiedo dopo aver masticato un boccone di arrosto.
“Perché temevo che se avessi continuato a frequentare Maddie sareste diventati due fratelli che non si parlano.”
Io la guardo senza capire. Perché non avrei più parlato con Dan?
“Beh, se la cosa fosse continuata avresti, come dire, cominciato a fargli qualche scherzo o roba del genere.”
Io mi gelo, a Maddie non piacerebbe mio fratello e di sicuro mi avrebbe obbligato a fare la bulla con lui.
“Vedo che hai capito.”
Io abbasso gli occhi, vergognandomi di tutte le mie azioni passate incluse quelle contro Tom.
“Sì, per fortuna mi sono fermata in tempo.”
“Vi siete divertiti ieri sera?”
Interviene mio padre per far distendere la tensione.
“Oh, sì! Molto, vero Jen?
I blink non sono male.”
“Sì, mi sono divertita. Non so se i blink siano male o no, non ci capisco molto di quel genere di musica.”
Ammetto con semplicità.
"Oh, non ti preoccupare! Hai in casa un ottimo maestro.”
Io sorrido involontariamente.
“Potrebbe essere una buona idea per un programma tv. Da reginetta della scuola a punk, la discesa della scala sociale di Jennifer Jenkins.”
Scoppiano tutti a ridere, la tensione è totalmente spezzata.
“Beh, scrivi un soggetto e mandalo a qualche canale televisivo.”
“Basterebbe che gli scrivessi di fare un salto nella mia vita e documentare i cambiamenti.”
Finito di mangiare aiuto mia madre e vado a fare i compiti, sono una montagna. Non capisco perché ce ne diano sempre così tanti, il week end dovrebbe essere fatto per riposare, no?
Probabilmente devono riposare solo gli insegnanti.
Alle quattro il mio cellulare vibra per un messaggio, è Tom e mi chiede se può uscire a prendere un gelato con me, io gli rispondo di sì ancora prima di averci pensato e aver chiesto ai miei.
Non penso che ci saranno, comunque scendo in salotto da mia madre.
“Mamma, Tom mi ha invitato fuori per un gelato e io gli ho detto di sì. Ci sono problemi per te?”
“No, a patto che Danny venga con te.”
Io mi acciglio, perché il mio fratellino dovrebbe venire a farmi da accompagnatore?
“Non mi sento sicura quando esci da sola, mi passerà prima o poi, ma per adesso cerca di capirmi.”
“Va bene, vado da Dan.”
Salgo di nuovo al piano superiore e busso alla porta di Daniel.
"Sto facendo i compiti, ma’!”
“Sono io, scemo!”
Mi viene ad aprire con i capelli color platino scompigliati e mi fa entrare.
“Non stavi facendo i compiti, vero?”
“Che sei  pazza?
Li faccio domani, oggi mi riposo. Cosa vuoi, comunque?”
“Tom mi ha invitato a prendere un gelato e mamma vuole che venga anche tu:”
“Che palle, dovrò vedervi fare i piccioncini!”
“Non stiamo insieme, non farla così lunga. Non hai scelta, lo sai, sì?”
“Sì, adesso fuori che mi devo cambiare!”
Io alzo un sopracciglio.
“Ok, stavo ecco leggendo, ehm, riviste poco consone a questa casa, se mamma lo viene a sapere…”
“Che schifo! Io vado a cambiarmi sul  serio.”
Me ne torno in camera mia e mi tolgo i pantaloni della tuta per mettere un paio di jeans con due squarci all’altezza del ginocchio, una maglia viola piuttosto aderente e un maglione a righe nere e viola, sformato e dal cui collo si intravvede la maglia.
Mi pettino i capelli, mi trucco, metto gli anfibi, prendo la giacca di pelle e la mia borsa e poi busso alla camera di Danny.
Lui esce subito, non si è cambiato, ma d’altronde è pur sempre un ragazzino, a lui non importa del look basta che la roba sia abbastanza pulita da non stare in piedi da sola.
Salutiamo mamma e usciamo, fuori tira un venticello frizzante estremamente piacevole, ci avviciniamo alla fine di ottobre.
“Ti scoccia se dopo averti accompagnata da Tom me ne vado per fatti miei?
Ho promesso a Lucy che avrei fatto un salto da lei.”
“E chi è Lucy? La biondina con cui parlavi ieri sera?”
“Sì, lei. Figa, vero?”
“Non male, ma non dovresti giudicare solo in base al criterio estetico.”
Lui scoppia a ridere.
“Senti chi parla!”
“Sì, hai ragione.  Meglio che mi faccia i cazzi miei, buon fortuna, fra’.”
Arriviamo alla gelateria dove ho appuntamento con Tom e lo trovo che gironzola fuori dal locale.
“Ehi, Jen! Ehi, Dan!”
“Ciao, Tom. Non ti preoccupare, me ne vado subito, non fare strane cose con mia sorella.”
“DANIEL!”
Lui ride e si allontana.
“Fatti trovare qui alle sei, piuttosto!”
Gli urlo io, lo vedo annuire in lontananza.
“Come mai è venuto anche lui?”
“Mia madre non si fida a lasciarmi uscire da sola da quando è successa quella cosa.”
Lui annuisce.
“E adesso Dan dove è andato?”
“Da una certa Lucy. Entriamo?”
“Va bene.”
Apre la porta e me la tiene aperta, io mi siedo al primo tavolo libero sentendomi gli occhi di tutti addosso, forse per via dei miei capelli blu, forse per via di Tom.
Si siede anche lui e ci concentriamo tutti e due sul menù che c’è sul tavolo.
Dieci minuti dopo arriva la cameriera che riserva un sorrisone sotteso di promesse a Tom e una smorfia fredda e me.
“Cosa prendete?”
“Per me una coppa di gelato menta e fiordilatte con la panna montata e una bella ciliegia sopra.”
Dico sorridendo, ma il mio sorriso non arriva gli occhi che rimangono freddi, che le stronze che ci provano con i ragazzi con delle ragazze presenti non mi piacciono per niente.
“E tu, Tommy?”
Risponde con una voce da gatta morta, io la fulmino.
“Per me una coppa cioccolato e fiordilatte, per il resto uguale a Jen.”
Risponde lui sorridendo, lei gli fa l’occhiolino.
Io mi alzo esasperata e mi dirigo verso la cassa.
“Senta, ho ordinato due gelati, ma ho cambiato idea.
Questi sono i soldi che le devo e se vuole un consiglio gratuito non assuma cameriere gatte morte.”
Lascio cadere cinque dollari e mi faccio dare il resto, poi esco, Tom arriva poco dopo di me.
“Beh?”
“Beh, la cameriera ha flirtato con te tutto il tempo e tu le hai dato corda! Se volevi un complice per i tuoi giochetti avresti dovuto chiedere a mio fratello, non a me!”
Rispondo piccata.
“E adesso?”
“Adesso vado per cazzi miei, la prossima volta pensa meglio a cosa fare quando vuoi invitare fuori qualcuna!”
Lo lascio lì, immobile come una statua di sale, e mi dirigo verso il parco. Se la memoria non mi inganna c’è un chiosco che ha ottime crepes. Sento dei passi dietro di me e la mano di Tom si chiude sul mio polso.
“Io non l’ho capita questa tua reazione!”
“Beh, pensaci un po’ sopra e capirai e adesso mollami!”
Con uno strattone mi libero della sua presa e riprendo a marciare verso il parco, lasciandolo sempre più perplesso.
Arrivata nell’area verde cerco subito con lo sguardo il chiosco e lo trovo immediatamente, circondato da un tappeto di foglie rosse, arancio e oro.
“Una crepes alla nutella.”
Ordino al ragazzo.
“Va bene, sopra cosa preferisci? Lo zucchero a velo o il cocco?”
“Il cocco.”
Venti minuti sono seduta su una panchina che dà sul laghetto del parco e sto mangiando beatamente la mia crepes. Come si è permesso Tom?
Pensavo fosse diverso da Chris, ma forse non lo è poi così tanto. Forse tutti i ragazzi sono fatti allo stesso modo, interessati a una sola cosa, quelle dei film romantici siamo noi ragazze.
Lascio l’ultimo pezzo per le anatre del laghetto, mi guardo intorno guardinga e – ignorando il divieto – lo divido in tanti pezzettini e li butto in acqua.
In un attimo c’è un affollamento di anatre che combattono per i miei pezzi di crepes, smette tutto quando uno dei due cigni si fa largo fra la massa con eleganza e mangia quello che vuole.
È sempre così, nella vita va avanti il più forte e non c’è pietà per chi viene lasciato indietro.
Finito lo spettacolo decido di farmi una passeggiata al parco, cercando di occupare in qualche modo queste due ore.
Sarà un’impresa perché il tempo è molto e lo spazio poco, a meno che non provi a raggiungere il mare, conto i soldi e sono abbastanza per prendere un autobus per la spiaggia. Compro il biglietto e aspetto alla fermata.
Mi è sempre piaciuto il mare, mi ha sempre calmato e spero che possa farlo anche adesso visto che mi sento in tu,multo.
Sono in debito con Tom per avermi salvata, ma allo stesso tempo sono furiosa perché mi ha invitata fuori solo per fargli da palo.
Un brutto comportamento.
Davvero un gran brutto comportamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7)Questo non sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata. ***


7)Questo non sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata.

 

Oggi doveva essere un bel pomeriggio, invece è stato un pomeriggio di merda.
Rifletto mentre sono seduta sullo scomodo sedile di un pullman che mi porterà alla spiaggia di san Diego, giusto per ingannare il tempo.
Tom mi aveva invitata fuori per un gelato e tutto quello che ha fatto è stato flirtare con la cameriera e la cosa mi ha fatto incazzare parecchio.
Devo stare calma o mi perdo la fermata e non conosco abbastanza San Diego da essere in grado di arrivare alla spiaggia da sola.
All’improvviso mi alzo in piedi e prenoto la fermata in fretta e furia, la stavo davvero perdendo e la colpa è tutta di Tom.
Scendo e salgo una scalinata che porta al lungo mare, non c’è in giro molta gente, ma a me il mare piace anche d’autunno o d’inverno.
Percorro il primo sentierino che porta alla spiaggia e poi mi tolgo calzini e anfibi e arrotolo i jeans.
È piacevole camminare sulla sabbia, è tiepida e morbida. Passo tra gli ombrelloni chiusi sorridendo e poi raggiungo la battigia. L’oceano si infrange calmo sulla spiaggia e poi si ritira, io lo guardo un attimo e cerco di focalizzarmi sul movimento per non pensare ad altro.
Funziona, dopo qualche attimo la mia mente si svuota almeno un po’.
Sento solo le grida dei gabbiani e il rumore delle onde.
Sorridendo inizio a camminare, fermandomi di  tanto in tanto a raccogliere qualche conchiglia buttata a riva.
Cavolo, io e Dan ci siamo separati e lui non sa come è andato il mio “appuntamento”, dobbiamo costruire insieme una storia credibile. In altri tempi a mia madre non sarebbe importato che ci fossimo divisi, ma adesso ha paura e la capisco.
Un’occhiata all’orologio mi fa capire che è già ora di tornare indietro, che il mio attimo di pace se ne è già andato.
Sospirano esco dalla spiaggia, mi rimetto calzini e anfibi e poi aspetto il pullman che mi riporta a Poway. Riesco ad arrivare alla gelateria appena in tempo.
“Si può sapere dove sei stata?
Iniziavo a preoccuparmi!”
Mi apostrofa mio fratello.
“Alla spiaggia.”
“E l’appuntamento con Tom?”
“È andato una merda, lui non fatto altro che fare il cretino con la cameriera.”
Rispondo risentita.
“Capisco. Beh, gli dirò due parole.”
“Lascia a casa la mazza da baseball.”
“Va bene, intanto dobbiamo inventarci qualcosa.”
“Sì o mamma si incazzerà e chi può biasimarla?
Uhn, può reggermi il gioco dicendo che siamo andati tutti e tre alla spiaggia dopo che siamo stati in gelateria?”
“Si può fare.”
“Perfetto, come è andato il tuo appuntamento?”
“Oh, bene. I suoi non erano in casa.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Possibile che sappiate pensare solo a quello?”
“Siamo ragazzi.”
“Questo spiega un sacco di cose.”
“Voi ragazze non ci capirete mai fino in fondo, rassegnati a questo, è una delle verità della vita.”
Io sospiro, ha ragione. Ha fottutamente ragione.
Chiacchierando siamo arrivati al portico di casa nostra, entriamo con l’aria più innocente possibile, mia madre spunta subito dal salotto con un grembiule addosso.
“Come è andata?”
“Oh, bene.”
Rispondo io.
“Siamo andati in spiaggia a fare un giro, ho raccolto un po’ di conchiglie, forse se le buco ci posso fare una collana.”
Gliele mostro e lei le esamina con piglio professionale.
“Beh, perché no?
Ah, Jen! Non cambi mai!
Ti è sempre piaciuto raccogliere conchiglie, quando andavamo a Malibu da tua zia Joss, tornavi con secchielli pieni di conchiglie.”
Io sorriso a quel ricordo di me stessa con un secchiello giallo in mano che grido che ho trovate tante conchiglie.
“Hai ragione, adesso vado in camera mia.”
Tolgo la giacca e gli anfibi e poi salgo, il mio cellulare vibra e trovo un messaggio di Maddie, mi irrigidisco subito.
Cosa vuole quella zoccola da me?
“Tom scopa bene.”
Il messaggio è breve, ma mi fa arrabbiare lo stesso.
Che significa?
Gli altri sono tutti messaggi di scuse di Tom, con piglio deciso entro nella camera di Daniel e gli mostro il messaggio di Maddie.
“Cosa cazzo significa?”
Gli sibilo a muso duro, lui trasalisce sorpreso.
“Non ne ho idea, adesso chiamo Tom.”
“Gli conviene che sia uno scherzo o con me ha chiuso.”
Dico con voce tremante e le lacrime che minacciano di uscire da un momento all’altro, quella vacca non può e non deve avere il ragazzo che mi piace. Non esiste proprio.
Daniel intanto parla con Tom al cellulare, mio fratello alza la voce a un certo punto poi chiude la chiamata.
“Allora?”
“Beh, dice che Maddie ci ha provato con lui, ma lui l’ha respinta.”
“Spero per lui che sia vero.”
Borbotto prendendo in mano il cellulare che avevo appoggiato alla scrivania di mio fratello.
“Vedo che l’abitudine di mentire quando qualcuno non ci sta non ti è passata, tesoro.”
Questa è la risposte che le digito.
“È solo questione di tempo e lui sarà mio e tu in pezzi, perdente.”
“Perché l’omicidio è illegale?
Io questa l’ammazzo prima o poi, la faccio secca, la sacrifico a Satana.”
“Sacrificarla a Satana? Lei è una delle reincarnazioni di Satana!
Sacrificala a Dio.”
“Pare che Dio non gradisca i sacrifici umani.”
Mio fratello non sa cosa dire.
“Ma cosa vuole?”
“Farsi Tom per far sì che io soffra.”
“Che gran troia!”
Io non avrei saputo esprimere il concetto in maniera migliore.

 
Il ritorno a scuola, lunedì, fa schifo.
Maddie mi indica con un dito dall’unghia laccata di rosa e ride, Cheryl non c’è e Tom si tiene a distanza da me. Sospirando vado agli armadietti e prendo l’occorrente per la prima ora.
Arrivare a pranzo è dura, ma poi finalmente si mangia e al pomeriggio c’è solo spagnolo. Verso la fine dell’ora il mio cellulare vibra.
“Vieni nello stanzino delle scope al terzo piano.”
Il messaggio è della vacca e, sì, potrei ignorarlo, ma non ci riesco. Con una scusa esco dall’aula e salgo al terzo piano, apro lo sgabuzzino e rischio di vomitare sul posto.
Tom e Maddie sono avvinghiati e mezzi nudi, alla fine ce l’ha fatta a umiliarmi e vendicarsi.
“VI ODIO!”
Urlo ad alta voce prima di scappare via e correre di nuovo verso l’aula di spagnolo solo per recuperare le mie cose e uscire da questa scuola maledetta.
Una volta nel parcheggio compongo il numero di Cheryl, lei mi risponde dopo qualche squillo.
“Ti disturbo?”
“No, sono nella villa di Orange County. I miei non ci sono e io non avevo voglia di andare a scuola.”
“Sei sola?”
“Sì, perché?”
“Posso raggiungerti?”
La mia voce incrinata la fa insospettire.
“È successo qualcosa?”
“Te lo dico dopo, ok?”
“Ok.”
Salto in macchina giusto per vedere Tom che tenta di raggiungermi, ma è troppo tardi. Ingrano la prima e parto sgommando, con Maddie ha passato il segno.
Sì, mi ha salvato la vita, ma dopo questo non potremo più essere amici.
No.
È troppo.
Mi ha umiliata e trattata come una pezza da piedi esattamente come Chris, solo che invece di giocare con il mio corpo ha giocato con il mio cuore ed è peggio.
Orange County è più a nord di San Diego, la raggiungo tramite una strada che costeggia il mare, in altre occasioni mi avrebbe fatto piacere oggi non lo noto nemmeno. Mi sento veramente uno straccio, Maddie ha colpito esattamente nel mio punto debole.
Finalmente arrivo all’inizio del paese, che non è altro che un ammasso di ville abitate da famiglie ricche. Quella di Cheryl è esattamente alla fine, parcheggio la macchina e suono il campanello.
Mi viene ad aprire e già dalla mia faccia nota che c’è qualcosa che non va, la sua espressione da sorridente diventa subito preoccupata.
“Cosa è successo?”
“Maddie si è presa la sua vendetta alla fine.”
Dico piatta.
“Forza entriamo, davanti a un bel the mi racconterai tutto.”
Io la seguo dentro la casa, è ben arredata, piena di mobili etnici costosi, ma non è vissuta. Mancano le piccole imperfezioni che caratterizzano una casa in cui le persone vivono, so che i genitori di Cheryl sono raramente a casa e che lei ne soffre.
Mi fa cenno di sedermi su uno degli alti sgabelli della cucina, lei traffica con il gas e poco dopo mi porge una tazza di the nero del commercio equo e solidale.
“Beh, ecco, sai che ieri io e Tom avevamo un appuntamento?”
Lei annuisce.
“Perché non mi hai scritto più niente?”
“Volevo parlartene oggi a scuola, ma non c’eri. In ogni caso è andata male, siamo andati a quella gelateria in centro e lui non ha fatto altro che fare lo scemo con la cameriera.
L’ho piantato lì e lui mi ha seguita per avere delle spiegazioni, ovviamente non ha capito nulla.
Ieri Maddie mi ha mandato un messaggio in cui diceva che Tom scopava bene, l’ho detto a Danny che ha parlato con Tom e lui – Tom –  ha detto che lei ci aveva provato, ma lui l’aveva rifiutata.
Dio solo sa se sia vero o no.
Oggi a scuola non ci siamo parlati.”
Faccio una pausa, mentre le prime lacrime nere di mascara e matita cadono nel the.
“Poi a spagnolo Maddie mi scrive di andare allo sgabuzzino del terzo piano e io che faccio?
Ci vado come una scema e cosa trovo?
Maddie e To mezzi nudi.
Gli ho gridato che li odiavo e poi me ne sono andata da quella merda di scuola ed eccomi qui. Non so se ce la faccio, Cheryl.
Non me ne frega niente delle battutine sull’essere perdente o sui capelli, ma questo… cazzo, è riuscita a distruggermi, non voglio più mettere piede a scuola.
Sono dell’idea di chiedere ai miei di cambiarmi scuo..”
All’improvviso scoppio a piangere.
“Come ha potuto farlo?
Mi ha fatto credere che gli interessavo e non come una scopata e poi va a farsi Maddie, la ragazza che più mi odia e lui lo sa! Lo sa, cazzo!
Lo ha trattato di merda, ma veramente di merda, per anni e poi basta uno sbattere di ciglia e lui se la fa.”
“Lui come ha reagito?”
“Sorpreso, poi ha provato a inseguirmi, ma io ho dato gas alla macchina e sono partita.
Non me ne faccio niente delle sue spiegazioni.”
Cheryl mi lascia piangere e cerca di consolarmi con pacche sulle spalle e abbracci fino a che il mio telefonino si mette a suonare: è Danny.
“Si può sapere dove sei?
Mamma e papà stanno dando i numeri!”
“Sono da Cheryl a Orange County.”
Rispondo con una voice lacrimosa.
“Cosa è successo, Jenny?”
“Tom e Maddie hanno scopato.”
“Io lo uccido! Prima però devi tornare a casa, mamma e papà devono parlarci di una cosa importante.”
“Ok, saluto Cheryl e arrivo.”
Chiudo la chiamata e rivolgo uno sguardo di scuse alla mia amica.
“Scusa, devo andare. Pare che a casa ci sia bisogno di me.”
“Beata te, i miei non hanno mai bisogno di me.”
“Cosa hanno detto dei capelli e dell’uscita dalle cheerleader?”
“Che ho dimostrato finalmente il coraggio che si aspettavano da me.”
“Capisco.”
Ci salutiamo con un ultimo abbraccio e poi io salto di nuovo in macchina. Durante il tragitto verso San Diego il mio cellulare rischia di esplodere per i messaggi che Tom mi manda e che io non leggerò.
Arrivo a casa e parcheggio la macchina, i miei sono in sala e hanno un’espressione insolitamente seria.
“Finalmente sei arrivata a casa, tesoro, io e papà dobbiamo comunicarvi una cosa importante.”
Inizia mia madre.
“Non sarai incinta?”
Le chiedo sorridendo, lei arrossisce.
“Oh, no, tesoro!”
Io mi siedo sul divano e poi aspetto che uno dei due parli.
“Vostro padre ha ricevuto una promozione nello studio di architettura dove lavora.”
“È fantastico!”
Lui mi sorride.
“Sì, tesoro. Il problema è che dovremo trasferirci tutti a Chicago, hanno aperto una nuova filiale lì e io sarei il capo. So che per voi sarà un problema, ma…”
“Per me non c’è nessun problema, non voglio più vedere San Diego.”
Rispondo feroce.
“E poi ci sarà la neve, tu cosa dici, Danny?”
Mio fratello abbassa gli occhi.
“Beh, mi dispiacerà lasciare i miei amici e Lucy, ma forse un cambio d’aria farà bene a tutti.
Adesso scusate, ma devo andare a parlare con una persona.”
Si alza dal divano, prende la giacca ed esce sbattendo la porta.
“Cosa è successo?”
Il tono di mio padre è preoccupato, chiaramente si aspettava le proteste violente di due adolescenti arrabbiati non questa remissività.
“Tom mi ha ferito, meglio che tu non sappia i particolari.”
“Ti ha picchiata?”
“Non male fisico, male … spirituale.
Scusate, io vado in camera mia a fare i compiti.”
Salgo in camera e mi metto i miei soliti vestiti da casa, cinque minuti dopo mia madre bussa alla porta.
“Cosa è successo?”
“Tom e Maddie hanno scopato, scusa la parolaccia, ma è l’unica adatta a descrivere l’attività.”
“Pensavo che tu e Tom uscite insieme.”                                                                                                                                                                                                     “Lo pensavo anche io, evidentemente mi sbagliavo. Maddie ha avuto la sua vendetta, adesso può essere felice.”
“Tesoro, mi dispiace. Sono sicura che a Chicago troverai un ragazzo migliore di lui.”
“Lo spero, sono stanca di fregature.”
Lei non dice nulla.
“Forse lui si scuserà.”
“E cosa me ne faccio delle sue scuse?
Lo sa chi è Maddie e cosa vuole da me, non doveva farlo e basta.”
“Hai perfettamente ragione, solo che sembrava così tanto un bravo ragazzo.”
“Lo so, sono stata fregata da quello.
Chi se lo sarebbe mai immaginato?
Mamma, è ok andare a Chicago. Forse per far ripartire davvero la mia vita devo andare lontano da dove è uscita fuori strada.”
“Potrebbe essere. Sì, prendiamo questo trasferimento come un nuovo inizio!”
Ci sorridiamo, lei non si accorge che il mio sorriso è falso.
Questo non è un nuovo inizio, è una fuga legalizzata.
Non appena mia madre esce dalla mia stanza il mio telefonino, è Cheryl.
“Cosa è successo, Jen?”
Io esito un attimo a rispondere.
“Papà ha trovato lavoro a Chicago, penso che ci trasferiremo lì.”
Adesso anche dall’altra parte sento silenzio.
“Mi dispiace, mi mancherai.”
“Mi mancherai anche tu, ma io qui non posso più rimanere, lo capisci?”
“Sì, lo capisco. Tom è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?”
“Esattamente. Non sarai sola, ci saranno Anne, Josie e Peggy con te.”
“Lo so, ma non è lo stesso. Io e te ci conosciamo da secoli.”
Io sospiro.
“Non credere che non mi dispiaccia lasciare San Diego, ma non ce la faccio a stare qui.”
Inizio di nuovo a piangere.
“No, Jen. È okay. Ti capisco, non piangere.”
“Ok, scusa Cheryl.”
“Ci vediamo domani a scuola.”
“Va bene, a domani.”
Chiudo la chiamata e mi stendo sul letto, svuotata. Che da una parte di me a cui non va di andrsene: qui sono cresciuta, qui ci sono i miei luoghi e i miei ricordi, le mie amiche. Dall’altra parte ci sono le persone che più mi hanno fatto soffrire e non vorrei più vederle.
Sì, sto scappando e lo so benissimo, ma non ho mai brillato per coraggio.
L’unica ribellione ha portato alla distruzione, non puoi distruggere una come Maddie, lei troverà sempre il modo di ucciderti e ristabilire l’ordine.
Fanculo.
Con un gesto di rabbia lancio la foto di me, Cheryl, Jess e Madison dall’altra parte della stanza, il vetro va in mille pezzi, più o meno come la mia vita.
“Non sei un’eroina, Jennifer Jenkins. Non lo sei mai stata e non ci si improvvisa eroine da un momento all’altro, ci vogliono le palle per resistere ai colpi bassi e tu non ce le hai.”
Mi dico sconsolata.
Non scendo per la cena e continuo a guardare il muro alla ricerca di una risposta, di qualcosa che abbia un senso. Non trovo niente, solo ombre che si rincorrono sulla parete.
Come farò domani a scuola?
Non ne ho idea, improvviserò. Tanto ormai posso fare la pazza, tra poco me ne andrò e ricomincerò in un’ altra scuola.
Finalmente mi addormento e mi sveglio con un tremendo mal di testa. Mi trascino in bagno e dopo la doccia mi prendo un moment.
In cucina c’è una colazione preparata con cura, io non mangio molto. Il mio appetito se ne è andato da quando ho visto quella scena disgustosa.
Una volta che Danny ha mangiato tutto quello su cui riesce a mettere le mani usciamo di casa.
“Cosa hai detto a Tom?”
“ L’ho preso a pugni, ma non credo di avergli fatto molto male.”
“Grazie del pensiero.”
Lo lascio fuori dalla sua scuola e parcheggio la macchina.
A noi, Rancho Bernardo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8)Nel tuo piccolo mondo tra piccole iene. ***


8)Nel tuo piccolo mondo tra piccole  iene.

 

Come ci si sente ad attraversare l’atrio della scuola dopo il giorno peggiore della tua vita?
Beh, una merda.
E come se non bastasse Maddie si avvicina con quell’orribile sorriso di trionfo.
“Piaciuto lo spettacolo di ieri?”
Mi chiede con tono innocente e io smetto di rispondere delle mie azioni, le do un pugno in faccia e poi un altro e un altro ancora presa dalla rabbia. Smetto solo quando due robusti ragazzi mi staccano da lei e arriva il preside.
“Signorina Jenkins, mi stupisco di lei!
Come ha potuto fare una cosa del genere a questa povera ragazza?”
“Povera ragazza? La considera innocente solo ha perché ha due begli occhioni azzurri ed è una bionda con l’aria angelica?
Ha una vaga idea di quante persone  abbiano subito bullismo da lei?
No, vero?
Perché chi crederebbe che una creatura così angelica possa fare male a qualcuno? Nessuno.
È lei che va protetta, non il contrario.
È questo il sistema e questa sistema si basa sull’ipocrisia.
Mi ha capito bene.
I P O C R I S I A.”
Lui mi guarda come se fossi pazza. Nessuno è mai profeta in patria, vero?
“Signorina, vada a casa. È sospesa per una settimana.”
“Non si preoccupi, tanto io questa scuola di merda la mollo!
Addio!”
Marcio verso la porta e scanso con particolare violenza Tom, dandogli uno spintone che lo butta a terra.
“Ma levati dal cazzo!”
Bercio.
Vado in macchina e torno a casa, non rispondo a nessuna delle domande di mia madre, tanto la scuola la informerà di sicuro di quello che ho fatto.
Mi sdraio sul letto non prima di aver devastato la mia scrivania, poco dopo mamma arriva con aria perplessa.
“Cosa è successo, Jen?
Mi ha chiamato la scuola dicendo che sei stata sospesa per una settimana e che tu li hai mandati al diavolo.”
“Ho solo detto la verità su Maddie.”
Le faccio un piccolo riassunto del discorso.
“Ma nessuno mi ha creduto.”
“Perché l’hai presa a pugni?”
“Perché non appena mi ha vista mi ha chiesto se mi era piaciuto lo spettacolo di ieri.”
Dico piatta, mia madre stringe i pugni.
“Mi dispiace, tesoro.
In ogni caso entro la fine della settimana vado a scuola e ritiro l’iscrizione, settimana prossima dobbiamo essere a Chicago. Tuo padre è già là per cercare casa.”
Io annuisco.
“Come fa con il lavoro?”
“Ferie.”
“Giusto. Sono stanca, mamma.”
“È perché non mangi, tesoro. Oltre a tutto quello che ti è successo, fai un piccolo sforzo.”
“Sono grassa.”
Dico piuttosto spenta.
“Assolutamente no. Jenny, ascoltami! Qualsiasi cosa ti abbia messo in testa Maddie è falsa e non mangiare non risolverà il tuo problema.”
“Il fatto è che davvero non ho fame, mi si chiude lo stomaco se provo a mangiare.”
Lei sospira.
“Ti faccio un po’ di the con i biscotti.”
“Va bene.”
Scendo dabbasso con lei che dopo un po’ mi porge una tazza fumante e  dei biscotti al cocco, i miei preferiti.
“Grazie per non esserti arrabbiata.”
“Stai passando un brutto periodo, cerco di essere comprensiva, sono sicura che a  Chicago andrà meglio.”
“Sì, lo spero anche io.”
Poi bevo il mio the con i biscotti in silenzio, all’improvviso il mio cellulare vibra.
“Brava, oggi il tuo discorso è stato molto bello, se solo qualcuno ci avesse creduto.
Viviamo davvero in un sistema che privilegia l’ipocrisia.
Oggi vieni al Sombrero con le ragazze?”
È Cheryl e io digito rapida un sì.
Solo dopo averlo fatto mi rendo conto che mia madre potrebbe non essere d’accordo, in fondo mi sono appena fatta sospendere da scuola.
“Mamma!”
Lei arriva quasi subito.
“Cosa c’è?”
“Mi ha scritto Cheryl, mi ha chiesto se ci potevamo vedere al Sombrero con le ragazze, le ho detto di sì. Va bene, vero?”
“No, tesoro.
In fondo ti sei fatta sospendere da scuola, di’ loro di venire qui a casa.”
Io annuisco e scrivo un altro messaggio alla mia amica, per lei non ci sono problemi.
Almeno oggi pomeriggio avrò qualcuno con cui parlare e spero che Anne, Josie e Peggy non difendano Tom. Non penso potrei sopportarlo.
A pranzo cucino io al posto di mia madre e mangiamo le nostre cotolette in silenzio. Forse è arrabbiata con me, forse l’ho delusa.
“Jen.”
Dice alla fine del pranzo.
“Sì, mamma?”
“Anche se ti hanno espulsa, volevo farti i complimenti per il discorso che hai tenuto al preside. Hai dimostrato di essere una ragazza intelligente e – anche sei dovrei essere arrabbiata con te – una piccola parte di me non può che essere orgogliosa di quello che hai detto e fatto.
Beh, non sono d’accordo sull’avere preso a pugni Maddie, ma in fondo se lo meritava.”
Ci sorridiamo a vicenda.
“Grazie, mamma.”
“Di niente, tesoro.”
È una mezza vittoria, ma è meglio di niente.
Nessuna madre può essere davvero felice se la figlia viene sospesa da scuola.

 

Al pomeriggio faccio i compiti per materie che non frequenterò, giusto per far passare il tempo in attesa che arrivino le ragazze.
“Ma perché fai i compiti?”
La voce divertita di Anne mi fa sobbalzare.
“Perché non sapevo cosa fare.”
Ammetto con candore.
“Bel discorso quello di oggi, peccato che sia stato inutile. Non c’è peggior cieco di quello che non vuole vedere.”
Dice Peggy prima di sedersi sul mio letto.
“Bella stanza, pensavo che sarebbe stata un incubo rosa.”
“Sono stata una cheerleader, ma il rosa non mi è mai piaciuto granché.”
“Maddie se lo meritava quel pugno, sappiamo cosa ha fatto con Tom.”
Esordisce Josie a disafio.
“Ci dispiace molto, lui è stato un vero idiota.
È sempre un idiota, ma non pensavamo potesse superare persino sé stesso.”
“Immagino non gli sia dispiaciuto, almeno la cosa non ha la faccia da cavallo.”
Loro tre si guardano a disagio.
“No, per essere onesti non è per niente felice per quello che ha fatto.”
“Brutta scopata?”
Di nuovo quello strano sguardo.
“Gli dispiace di averti ferita, ma non lo ammetterà mai.”
Io guardo loro tre con un’occhiata omicida.
“Se siete venute per propinarmi stronzate come questa andatevene. Nessuno l’ha obbligato a farsi Maddie, nessuno gli ha puntato un fucile alla testa. Se davvero lui avesse tenuto a me non l’avrebbe fatto e basta.”
Sto urlando e non me ne rendo nemmeno conto perché mia madre viene a vedere cosa sta succedendo, ultimamente non ho più il controllo sui miei nervi.
Esplodo per un nonnulla.
“Jen, lui è un ragazzo.”
“Lui è nel pieno degli ormoni.”
“Lui ama farsi tutte le ragazze, non gli è mai capitato di fissarsi su una. Non sa cosa fare, come comportarsi.”
Io stringo i pugni e chiudo gli occhi, prima di esplodere di nuovo.
“Per favore, andatevene:”
Dico a voce bassa, ma udibile.
Josie, Peggy e Anne non se lo fanno ripetere due volte e rimane solo Cheryl con me.
“Tu cosa ne pensi di questa situazione.”
Lei rimane in silenzio.
“Penso che abbiate ragione entrambi, ma che adesso sia troppo presto per cercare scusanti a Tom.”
“Odio Maddie.”
“Anche io.”
Altra pausa di silenzio.
“Odio Tom.”
“Non è vero. Sei solo delusa da lui.”
“Cambia qualcosa?”
“Adesso niente, ma in futuro non lo puoi sapere.”
“In futuro non sarò più qui e sarà troppo tardi. A Chicago ne troverò uno migliore di lui.
Gli sarò grata e basta. Niente sentimenti più profondi, non se li merita.”
Di nuovo la mia voce trabocca di rabbia, Tom è un argomento tabù ultimamente.
Ogni volta che qualcuno lo nomina ho reazione incontrollate, è decisamente meglio che io me ne vada a Chicago, non ce la farei a vivere qui.
L’omicidio mi dicono sia punito come minimo con l’ergastolo.

 

Nei giorni seguenti mio padre ci fa sapere che ha trovato una nuova casa e delle nuove scuole per me e Danny: notizie fantastiche.
Intanto io e mia madre impacchettiamo la roba, approfittando del fatto che sono a casa da scuola facciamo prima di quanto previsto, in quanto all’argomento Tom è ancora tabù. Lui continua a tempestarmi di messaggi a cui non rispondo e – per fortuna – non lo vedo a scuola. Cheryl mi ha detto che chiede sempre di me.
Continua a chiedere, Tom, la tua possibilità te la sei giocata e io sto per prendere il volo.
“Come mai il tuo cellulare continua a squillare?
Tra poco prenderà fuoco.”
Mi chiede mia madre.
“Tom.”
“Oh! Cosa vuole?”
“Non è ovvio? Prolungare il gioco, solo che il giocattolino non vuole più stare alle sue regole, non doveva toccare Madison!”
Dalla rabbia mollo un pugno al tavolo solo per poi massaggiarmi la mano con espressione dolorante.
“Ho capito.
Sei così cambiata, Jen. A volte non ti riconosco nemmeno.”
“Si chiama adolescenza.”
Borbotto cupa.
“E l’avere il cuore spezzato. Quello cambia un sacco le persone, le rende quasi irriconoscibili.”
Finisco il mio discorso senza che lei aggiunga nulla, forse non sa cosa dire o forse pensa che qualsiasi possa dirmi sia troppo presto per farlo e non accetterei nessun consiglio.
Beh, ha ragione.
Ho una rabbia addosso che mi impedisce di ascoltare chiunque tranne Cheryl; Anne, Josie e Peggy Sue hanno provato a mettersi in contatto con me, inutile dire che il tentativo è andato a vuoto.
Mi aspettavo davvero che difendessero me? La nuova arrivata? L’ex cheerleader?
Povera scema, era ovvio che avrebbero difeso Tom.
Lui è loro amico da più tempo, magari hanno trovato anche divertente vedermi umiliata visto che di solito sono quelle come me che umiliano loro.
Cheryl continua  a frequentarle, non mi importa, basta che si tengano lontane dalla porta di casa mia, hanno già reso chiaro da che parte stanno.
Mentre macino pensieri di rabbia e  di umiliazione ficco roba negli scatoloni e ne approfitto per far scomparire tutto quello che mi ricordi la vacca e il periodo di tempo passato a essere la sua schiava.
Parecchia roba finisce nella spazzatura: divise, abiti rosa, gioielli, scarpe con il tacco impossibile, gonne giropassasera, montagne di foto e il giuramento delle cheerleader aka bulle.
Non voglio queste cose nelle mia nuova vita più di quanto voglia Tom. Quanti relitti mi lascerò indietro, la nuova Jen deve essere totalmente diversa dalla vecchia e devono capirlo tutti.
Mia madre non commenta nemmeno sulla roba che finisce in pattumiera, credo stia cercando di capire quando le possa piacere la nuova Jen e quanto rimpianga di quella vecchia.
Credo che per lei non sia facile accettare tutti questi cambiamenti tutti insieme, forse si sente confusa e bombardata da troppe cose. Vorrei davvero che le cose fossero diverse, ma non possono e non lo saranno.
Mi dispiace.
Sabato siamo tutti seduti a pranzo, martedì ce ne andremo quindi è l’ultimo sabato qui.
"Volete salutare i vostri amici?”
Ci chiede mamma.
“Sì.”
Risponde Danny.
“Penso che stasera faranno una festa per me, non credo che Tom sarà presente.”
“E tu, Jen?”
“Chiederò a Cheryl di venire qui e poi vedremo.”
“E le altre due ragazze?”
“Hanno preferito rimanere amiche di Tom che mie.”
Rispondo piatta tagliando l’ultimo pezzo di cotoletta.
“Jen, non puoi isolarti così.”
“Posso e voglio. A Chicago starò attenta a chi si avvicinerà a me, non permetterò mai a nessuno di farmi male ancora.”
Finisco feroce.
Sono stanca delle persone in un certo senso, sono una delusione la maggior parte delle volte, meglio evitarle se possibile. Quelle come Cheryl sono perle rare.
Finito il pranzo sparecchio la tavola e lavo i piatti, pi salgo in camera mia: è un casino di scatole e roba che sta per finire in altre scatole.
Cerco il cordless e compongo il numero di Cheryl.
“Ehi!”
Mi risponde di buon umore.
“Ehi! Visto che martedì leviamo le tende ti va di venire da me stasera?”
“Sì, mi va. Però usciamo, dai!”
“Per incontrare Maddie o le altre amichette di Tom.”
“Conosco un posto che non è frequentato da nessuno dei due gruppi.”
“Va bene, ci sto. Devo mettermi elegante?”
“No, vai tranquilla.”
Ci accordiamo per l’orario, poi mi butto sotto la doccia, i miei capelli stanno iniziando a sbiadire, a Chicago devo trovare una parrucchiera che me li rifaccia. Non ho intenzione di rimanere bionda, odio il biondo adesso.
Scendo a cena e mangio piuttosto di fretta, poi salgo di nuovo in camera mia e mi metto un paio di jeans stretti e tagliati sul ginocchio, una maglia corta rossa e una felpa nera con un teschio, ovviamente non possono mancare il trucco nero, la giacca di pelle e gli anfibi.
Alle nove e mezza il campanello suona e Cheryl si fa viva: indossa un vestito rosso cortissimo e un paio di anfibi.
“Avevi detto niente vestito, sembro una barbona accanto a te.”
“Ma sei perfetta.”
“Mi prenderanno per lesbica!”
Esclamo costernata, prima che lei possa fermarmi salgo di nuovo in camera mia e al posto dei jeans metto un paio di collant bucati e una gonna scozzese con tante spille.
Quando scendo la mia amica sta parlando con la mia amica.
“Così va molto meglio.”
Le dico, lei annuisce, poi finalmente usciamo di casa.
Saliamo in macchina e lei è piuttosto silenziosa.
“Non c’era niente di male ad assomigliare…”
“Non dire quella parola.”
“Ti da fastidio?”
“Sì, molto.”
La risposta mi esce in un sussurro feroce, mentre stringo forte le mani a pugno e lei ferma la macchina.
“E se ti dicessi che lo fossi?
Che ti ho seguito nell’uscire dal gruppo di Maddie solo per avere una possibilità con te?”
Rimango in silenzio, paralizzata.
“Lo sei?”
“Sì.”
E si sporge verso di me come se volesse baciarmi, io mi scosto e vado a sbattere contro la portiera.
“Smettila!”
“Perché? Noi siamo migliori degli uomini, trattiamo meglio le nostre ragazze. Noi siamo esseri superiori.
Cosa ti costa provare il vero amore per una volta?”
In preda al panico apro la portiera e scendo
“Jen..”
Urla lei
“VATTENE VIA E NON FARTI PIU’ VEDERE!”
Urlo fuori di me, non appena sono fuori dalla sua macchina, cammino a passo veloce verso casa mia. Quando sento i suoi passi dietro di me corro, per evitare che mi raggiunga, scioccata.
Ecco perché cambiava ragazzo ogni settimana! Era per nascondere quello che era e puntava me, ecco perché mi stava sempre addosso!
Corro fino a farmi venire male ai polmoni e finalmente vedo casa mia, entro dalla porta quasi abbattendola e poi filo in camera mia, sorda ai richiami di mia madre.
Sono stanca della mia vita, sono stanca che vada sempre male!
Giuro, da oggi in poi rimarrò sempre da sola, sempre!
Non lascerò che nessuno si avvicini più a me, mi dico, mentre il respiro mi esce in corti singulti e le lacrime macchiano le mie guance di nero.
Nessuno capirà mai la mia reazione, ma me ne sbatto.
Crollo in ginocchio in mezzo alla camera, nessuno è interessato a Jennifer solo come Jennifer, solo mio fratello, ma non ho intenzione di diventare incestuosa.
Piango, lasciando che il grumo di rabbia, dolore e voglia di prendere a calci il mondo che ultimamente mi stava soffocando. Sono lacrime sentite, di quelle che ti attraversano le guance a fiumi e non si possono fermare una volta iniziate.
La mia vita qui  sta andando a puttane, devo andarmene lontano, dove niente di quello che è successo qui può farmi male. Devo iniziare tutto da capo senza guardare indietro, non c’è nulla per cui valga la pena farlo.
All’improvviso al piano di sotto sento del casino, all’inizio non  me ne frega molto – può esserci fracasso fino alla fine del mondo per come sto adesso –  poi però decido di scendere a vedere.
Chi diavolo è il seccatore che alle dieci di sera decide di disturbare la quiete di una famiglia?
Alla porta d’ingresso vedo mia madre che tenta di cacciare via Tom, il quando fa del suo meglio per superarla ed entrare in casa mia. Il sangue inizia di nuovo a bollirmi e il crimine a salirmi.
Cosa cazzo vuole?
“Cosa diavolo vuoi?”
Lo apostrofo duramente, la faccia distorta in una maschera di rabbia.
“Devo parlarti, devi sapere la verità.”
“NON C’E’ NESSUNA VERITA’ DA SAPERE! CI VEDO BENISSIMO, COGLIONE!
VATTENE!”
“Non finché non mi ascolterai e sappi che ho tutta la notte!”
Io lo guardo furiosa, le mani strette a pugno, senza sapere bene cosa dire. So che lo farà, è pazzo abbastanza da farlo.
Come si chiama questa situazione?
Stallo.
Che rabbia!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9)Cambiamenti ***


9)Cambiamenti

 

È difficile dormire sapendo che quella che consideravi un’amica ti considerava solo una preda e che fuori dalla porta di casa mia c’è un esaurito che vuole parlare con me.
A un certo punto inizio a prendere a pugni il cuscino gridando “Basta, basta! Non ne posso più, lasciatemi da sola!”. Mia madre si spaventa e viene a vedere cosa diavolo stia succedendo e mi trova inginocchiata sul letto con le lacrime agli occhi.
“Cosa è successo?”
A spizzichi e bocconi le racconto di Cheryl, lei mi abbraccia e sussurra che le dispiace, che non se lo aspettava, che Cheryl sembrava una ragazza a posto.
Le stesse cose che pensavo io, ma ormai ho imparato che le mie impressioni sono spesso sbagliate e che non ne azzecco una.
“Forse dovrei scendere a parlare con Tom.”
Dico con voce roca.
“Solo se vuoi, sennò dico a tuo padre di cacciarlo via a calci.”
“No, voglio mantenere questo privilegio per me.”
Mi metto una felpa sopra la maglietta che uso come pigiama e un paio di jeans e anfibi, nel caso dovessi prenderlo a calci voglio fargli il più male possibile.
Scendo al piano di sotto e apro la porta di casa mia, lui è seduto sulla sedia a dondolo del portico.
“Che cazzo vuoi?”
Esordisco incazzata come una bestia.
“Vorrei parlarti.”
“Beh, io no. Quindi, vattene. È stata una giornata di merda, non mettertici anche tu.”
“Cosa è successo?”
“Non sono affari tuoi.”
“Jen…”
Io lo fulmino.
“Cosa ci fai qui? Perché mi parli come se fossimo amici quando non è così?”
“Cosa vuoi dire?”
Mi guarda confuso.
“Non puoi essere mio amico se ti porti a letto la ragazza che mi bulla.”
“Oh, quello. Hai frainteso.”
Io scoppio in una risata priva di allegria.
“Chi era quello mezzo nudo con lei nello sgabuzzino delle scope?
Il tuo clone?”
“No, ma io non volevo.”
“Ah, no? Di chi erano le mano sul culo di Maddison?
Piantala di raccontarmi cazzate, Tom. Non sono in vena, non le sopporto.
La verità dura e cruda è che te la sei fatta. Punto.
Facevi solo finta di interessarmi a me, è stato divertente, ma finiamola qui.
Stiamo scadendo nel patetico e io sono stanca.
Ho la testa che mi scoppia, voglio solo dormire non sentirti blaterare qualcosa sul fatto che non eri colpevole. Non ti credo più.
Hai bruciato la tua possibilità con me e adesso vattene a casa, io vado a letto.
Non ho voglia di stronzate, te l’ho già detto.
Ciao.”
Faccio per avviarmi verso la porta, ma lui mi afferra per il polso e mi fa voltare verso di lui, prima che io possa protestare mi bacia con foga e la cosa peggiore è che io ricambio.
Fatto questo se ne va, lasciandomi ancora più confusa e arrabbiata.
Lo odio!
Rimango a guardare il giardino per un po’ mentre una confusione di pensieri mi vortica in testa, come un uragano impazzito. Smetto quando mia madre fa capolino dalla porta per vedere cosa diavolo sia successo, se sono ancora viva o se Tom mi ha rapita o uccisa e seppellita in giardino.
“Tesoro, tutto bene?”
Mi chiede ansiosa.
“Non c’è nulla che vada bene, spero solo di lasciare al più presto questo posto.”
Soffio irritata.
“Faresti meglio a rientrare, inizia a fare freddo. Vuoi una tazza di the?”
Io ci penso un attimo e poi annuisco.
“Sì, mamma. Mi farebbe piacere.”
Entriamo insieme in casa e ci dirigiamo in cucina, lei mi prepara un the caldo e forte, bello zuccherato.
“Cosa voleva quel ragazzo?”
Io scrollo le spalle.
“Dirmi la sua versione della storia. Le solite cose: “è lei che ci ha provato” e blablabla.”
“È successo qualcos’altro?”
Alla sua domanda divento di fiamma.
“Mi ha baciato.”
Sussurro dopo un minuto buono, senza guardarla negli occhi e con una voce sottile che non sembra nemmeno la mia.
“Oh, lo hai respinto, vero?”
“No.”
Sussurro con una voce ancora più sottile.
“Lui ti piace?”
La sua fronte è aggrottata come se nella sua testa si stesse formando un quadro che non le piace e temo di sapere quale sia,
“Mi dispiace, mamma.”
Lei mi guarda stupita.
“Non devi sentirti in colpa se ti piace.”
“Ma a te non va bene.”
Lei fauno strano sorriso.
“All’inizio io non sopportavo tuo padre e ora eccoci qui: abbiamo due fantastici figli.
No, il cuore prende vie misteriose.”
E su questa frase enigmatica lei mi dà la buonanotte e io salgo in camera mia confusa, spaventata e con una voglia di prendere a pugni Tom e magari anche Cheryl.
Mi rimetto in pigiama e mi butto sotto le coperte, c’è un calore piacevole, sicuramente migliore del freddo della veranda.
Che io sia dannata se capisco cosa ha in mente quel pazzoide!

 

Lunedì e martedì aiuto mamma con le ultime cose.
Mercoledì vengo svegliata prestissimo da lei, perché il nostro volo è alle otto. In cucina c’è già uno scontroso Daniel che sta affondando il cucchiaio nei suoi cereali, chiaramente scontento di essere sveglio a quell’ora e forse di lasciare San Diego.
Chissà come l’ha presa quella Lucy?
Magari sull’aereo glielo chiedo, sarebbe imbarazzante farlo davanti a mamma e poi lei vorrebbe sapere tutti i particolari, conoscerla e bla bla bla.
Daniel non lo vorrebbe e io non voglio che si arrabbi con me, gli voglio bene, è l’unico che è dalla mia parte e senza secondi fini ultimamente.
Mi siedo al tavolo e affondo anche io il mio cucchiaio nei cereali, mi accorgo di non essere troppo felice nemmeno io.
Sarà perché è mattina presto e a me le mattine non vanno giù.
Sarà perché ho scoperto che la mia migliore amica non era tale.
Sarà perché Tom mi ha baciato.
Tanti sarà che mi irritano, tanto che mi impongo di non pensare a nulla, di concentrarmi solo su come i cereali roteano nella tazza: una massa appiccicosa, ma buona.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata li finisco e mamma lava le ultime cose per poi asciugarle e infilarle in uno scatolone, domani un’impresa di traslochi verrà a prenderle e le porterà a Chicago.
Usciamo di casa e aiutiamo mamma a caricare le nostre valigie su un taxi, mamma deve averlo chiamato mentre io e mio fratello eravamo in coma mattiniero. Danny è davvero preso male, durante il tragitto verso l’aeroporto finisce per addormentarsi sulla mia spalla.
Quando la macchina si ferma lo scuoto gentilmente.
“Ehi, pulce, sveglia! Siamo arrivati!”
“Non chiamarmi pulce!”
Biascica con la voce impastata dal sonno.
“A me piace.”
“ A me no.”
Borbotta scendendo, siamo davanti alle partenze nazionali e scarichiamo i bagagli per poi trasferirli su un carrello, le cose che ci serviranno durante il volo sono nei nostri zaini.
Mamma va al banco dell’accettazione e poi pesano le valigie e le imbarcano, noi siamo liberi di girare per la zona duty-free dell’aeroporto, fino a che chiamano il nostro volo.
Dalla quella zona ci incamminiamo verso quella delle partenze, passiamo sotto il metal detector e diamo il nostro biglietto a un hostess sorridente, nonostante l’ora antelucana.
Ci indica un punto oltre una vetrata.
“Uscite, un pullman vi scorterà al vostro volo.
Vi auguro di fare buon viaggio.”
Seguiamo le sue indicazioni e usciamo da una porta, fuori c’è altra gente e presto un pullman blu ci porta al nostro aereo, saliamo la scaletta e andiamo ai nostri posti. Io e Dan siamo vicini, la mamma è due sedili davanti a noi.
Allacciamo la cintura, l’hostess ci spiega la procedura di emergenza e poi decolliamo, non mi piace la sensazione di compressione allo stomaco, ma la vista di San Diego ripaga tutto.
È meraviglioso vedere l’oceano brillare come uno zaffiro, i grattacieli che scintillano pigramente quando la luce del sole nascente colpisce le finestre, la distesa immensa di case, il porto e lo zoo.
Parlando di alba, ora siamo immersi in nuvole rosa, arancioni e dorate e sembra di stare nel paese delle favole.
Una volta sorto il sole mi volto verso mio fratello, i suoi occhi scintillano.
“Bello, vero?”
“Sì, fighissimo!”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come è andata con Lucy?”
Gli chiedo poi piano, indecisa se sia o meno un buon argomento di conversazione. Non lo è, perché si rabbuia subito.
“Beh, si è arrabbiata. Parecchio.
Ha detto che l’ho solo usata per scoparla e che sapevo fin dall’inizio che sarei dovuto partire.
Come fai a convincere del contrario una ragazza quando è arrabbiata come un cobra pronto a morderti? Mi ha insultato davanti a tutti i miei amici, dandomi del puttaniere e del bastardo.
Loro ridevano, ma io volevo sparire, perché Lucy mi piace davvero.
La sua reazione però esclude totalmente la possibilità di una relazione a distanza.”
Sembra così abbattuto che gli scompiglio i capelli tinti di biondo platino come segno di affetto.
“Mi dispiace, Daniel, ma le ragazze a volte reagiscono senza pensare.
Fanno due più due inesistenti e non c’è nulla da fare, se non adattarsi alla loro volontà. Scommetto che ora sarà molto dispiaciuta di quello che ti ha detto, non è escluso che ti scriva.”
“Lo dici solo per consolarmi il morale o perché è vero?”
“Un po’ per tutte e due le cose. Io…”
All’improvviso divento rossa.
“Ti voglio bene, Danny.
Sei un fratello fantastico, grazie per tutto quello che hai fatto per me ultimamente.”
Lui mi abbraccia, mi stupisce il fatto di quanto sia alto o di come sia forte la presa delle sue braccia, me lo ricordavo come il bambino un po’ paffuto che si attaccava a me con le sue domande e i suoi discorsi e non mi mollava più. Quel bambino è cresciuto e sono sicura che diventerà un uomo meraviglioso.
“Ovviamente quando saremo scesi dall’aereo questi momenti mielosi non saranno mai accaduti.”
Dice poi, imbarazzato.
“Assolutamente no. Abbiamo solo parlato.”
Rispondo seria.
“Jen… Ti voglio bene anche io.
Grazie per non essere diventata un’oca senza cervello, mi sarebbe mancata la mia sorellona a cui fare domande.”
Io sorrido e penso che ho più di quello che creda.
Il resto del volo è una noia, io gli racconto di Tom, ma glisso su Cheryl. Lo sa solo mia madre e io non me la sento di parlarne con altri, mi sento un po’ sporca, contaminata.
In questi mesi ho provato un po’ troppo spesso questa situazione, vorrei prenderli e cancellarli tutti. Sono stanca di sentire il tocco aggressivo di Chris su di me ogni tanto o di vedere una volontà implacabile di lussuria negli occhi di qualcuno come è successo con gli occhi di quella.
Vorrei mettermi a urlare fino a perdere la voce, piangere, invece non faccio niente. Non mi piace che la mia famiglia si preoccupi per me.
Soffrirò in silenzio come sempre.
Coltiverò in solitaria la mia paura del mondo e delle persone e non lascerò che nessuno si avvicini più a me, c’è solo da perderci.
Alla fine Danny si addormenta di nuovo e io mi alzo per andare in bagno, dalla borsetta che mi sono portata tiro fuori una lametta e la guardo luccicare nelle luci fredde del cubicolo.
Senza esitare l’affondo nella mia carne e guardo uscire il sangue, come se non fosse il mio, faccio un altro paio di tagli, poi lavo la lametta e la rimetto via,.
Da oggi sarà lei la mia amica e confidente.
Mi lavo anche i tagli e li nascondo alla bell’ e meglio, tanto sono sicura che nessuno guarderà troppo attentamente i miei polsi coperti di braccialetti, perché ho sempre amato portarli.
Faccio pipi ed esco.
La vita è ironica.
Fino a qualche mese fa disprezzavo chi si tagliava e oggi sono una di loro, ho proprio perso l’aureola della cheerleader nella merda della vita vera.
La mia innocenza se ne è andata e queste nuove consapevolezze mi rendono strana e stanca.
Stanca soprattutto, ma non voglio che se ne accorgano.
Torno a sedermi e dopo aver appoggiato la testa al finestrino mi addormento anche io.
Il resto del viaggio prosegue tranquillamente, io e Dan dormiamo, fino a quando una hostess gentile ci sveglia.
“Ragazzi, dovete allacciarvi le cinture, stiamo per atterrare.”
“Sì, grazie.”
Borbottiamo insieme.
Io sono quella più vicina al finestrino e do un’occhiata al panorama: si vedono solo delle grandi nuvole grigie, cariche di pioggia che batte sul vetro.
L’aereo si abbassa e veniamo compressi per un attimo contro il sedile quando le ruote toccano la pista, una sensazione poco piacevole a cui somma il dolore dei tagli.
I tagli bruciano da morire e ancora non posso credere di essermeli fatti io, sono sempre stata più o meno una ragazza solare, ma ultimamente ho perso il sole e mi sento circondata da tenebre.
Oscure sensazioni oppressive, il sentirmi un’idiota, una stupida e una perdente ad esempio. Ogni tanto sono troppo forti e mi manca l’aria e oggi ho scoperto un modo per riavere un po’ di ossigeno mentale. Lo so che è sbagliato, che ho scelto il metodo peggiore, che se lo sapessero i miei si spaventerebbero da morire e che un giorno rischio di tagliare troppo e finire all’altro mondo.
Mi immagino il mio funerale, la mia famiglia in lacrime e sconosciuto che mormorano: “Era così giovane, poverina.”, forse Tom e di sicuro nessuna delle mie false amiche.
Chissà se mancherei a qualcuno diverso dalla mia famiglia?
“Jen?”
“Sì?”
“Siamo atterrati, tira giù la tua roba.”
Mi dice spiccio Dan, qualche sedile più in là mamma ci fa cenno di muoverci con una certa impazienza. In effetti l’aereo è mezzo vuoto e noi siamo gli ultimi.
“Si può sapere cosa ti è preso?
A un certo punto ti sei incantata e non sono più riuscito a smuoverti, non mi sentivi nemmeno.”
”Pensieri miei.”
Taglio corto io, tirando giù il mio zaino dalla rastrelliera.
Raggiungiamo la mamma e scendiamo dall’aereo, fuori fa freddo e piove, sia io che mio fratello rabbrividiamo e ci stringiamo di più nelle nostre felpe.
Il sole della California mi mancherà.
Corriamo per raggiungere il pullman in partenza ed essendo senza ombrello siamo tutti bagnati e di pessimo umore, persino mia madre.
Scesi dal pullman recuperiamo i bagagli e un carrello, dopo averci caricato sopra le valigie ci dirigiamo verso gli arrivi.
“State attenti e ditemi se vedete vostro padre. Io non vedo nulla da dietro questo muro di bagagli.”
Io e mio fratello ci guardiamo intorno tra la folla che ci sorpassa indifferente fino a che vediamo una figura alta e dinoccolata che si sbraccia. Capelli castani disordinati, faccia leggermente da cavallo: è sicuramente nostro padre.
Lo indichiamo a nostra madre e lei fende la folla con il carrello, quando sono abbastanza vicini si abbracciano.
“Come è andato il viaggio?”
”Bene, tranne per il fatto che non avevamo gli ombrelli e non ci aspettavamo questo freddo.”
“Oh, avrei dovuto dirvelo. Mi dispiace.”
Si mette dietro il carrello e  poi lo spinge, noi ci affrettiamo a seguirlo.
“Sono venuto qui con la mia nuova macchina, vedete vi piacerà. È abbastanza spaziosa per contenere noi e i bagagli e non stare scomodi.
Anche la casa è molto bella, vittoriana.”
Io faccio per aprire la bocca, ma lui mi precede.
“Jen, non dovrai dormire in camera con Danny. Avrai la tua camera, un tuo bagno e una piccola stanza guardaroba.”
“Wow!”
Esclamo colpita, immaginandomi il tutto.
Il bagno solo per me mi piace soprattutto perché sarà più facile nascondere il mio nuovo hobby, meno domande credo.
Entriamo in macchina ed in effetti è spaziosa  come ha detto lui.
“Per le vostre macchine dovrete aspettare che siamo state vendute quelle californiane, poi avremo i soldi per prenderle.”
Io e mamma annuiamo, per i primi giorni andrò a scuola in pullman.
“Ti abbiamo iscritto a una scuola cattolica, dovrai portare l’uniforme, ma almeno ci sarà della gente migliore di quella di San Diego.
No, Dan. Tu non sei iscritto a una scuola cattolica, sarebbe perfettamente inutile visto che ti faresti espellere dopo nemmeno due giorni.”
”Va bene.”
Papà continua a parlare, ma noto che mio fratello non lo ascolta e traffica con il suo cellulare.
“Lucy mi ha scritto.”
Mi dice muovendo appena le labbra, io gli sorrido incoraggiante.
“Papà, sai dove c’è una parrucchiera?”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“No, non lo so.
Perché?”
”Non posso andare a una scuola cattolica con questi capelli e, tra parentesi, mi hanno stufato.”
“Non hai tutti i torti…. Beh, dopo che avrete sistemato la vostra roba tu e Danny potete uscire a fare un giro e trovarne una, tanto inizierete la scuola settimana prossima.”
“Va bene.”
Alla fine parcheggiamo davanti a una grande casa, un po’ scura. C’è un viottolo che sale dal cancello, la casa è più in alto rispetto alla strada, e poi una veranda tetra in questo  giorno piovoso.
Tiriamo fuori i bagagli e li portiamo dentro, papà sembra essersi sistemato bene e noto che le cose che avevamo spedito prima di partire sono già arrivate quindi vedo qualche oggetto familiare.
Papà mi conduce al piano di sopra e mi mostra la mia camera: è molto grande, ha una scrivania, un letto alto, una porta che conduce al guardaroba e una al bagno, c’è anche un piccolo terrazzino che è in una sorta di rientranza della casa. Da fuori non l’avevo notato, davanti c’è un albero.
“Bene, ti lascio mettere via le tue cose.”
Se ne va, lasciandomi sola, io mi siedo sul letto,  il copriletto è soffice, di seta rossa con disegni dorati. Ma dopo averlo girato un po’ noto che sotto la seta c’è della robusta lana, almeno non avrò freddo.
Le pareti hanno della carta da parati con lo stesso motivo del letto e sia la scrivania che l’armadio sono fatti di un legno scuro e hanno una fattura orientale, c’è persino un paravanto in un angolo.
A differenza del resto della camera il tessuto è bianco con una fantasia di uccelli neri che si alzano in volo tra fiori rosa e rossi.
Mi piace questo posto.
Con metodo metto via la roba che ho in valigia e dopo un paio d’ore ho finito. Incerta sul da farsi vado a bussare in camera di Dan, che è leggermente più chiara rispetto alla mia.
“Hai finito?”
Lui annuisce.
“Ti va di fare un giro?”
“Sì, lasciami tirare fuori la giacca. Qui fa freddo, cazzo!”
“Avremmo dovuto pensarci, adesso vado a prendere anche la mia.”
La tiro fuori dall’armadio e poi io e lui scendiamo.
“Mamma, abbiamo finito. Possiamo andare?”
“Sì, domani io e te dobbiamo andare a scuola per andare a prendere la tua divisa.”
“Va bene.”
Dico un po’ rassegnata, non faccio certo i salti di gioia all’idea di andare in una scuola cattolica con la divisa.
Non mi sono mai piaciute le divise, ma me le farò piacere, in fondo non volevo un cambiamento?
Eccolo qui.
Non ti lamentare, Jen, se a volte quello che chiedi si avvera.

 

Angolo di Layla

Sospendo questa storia visto che non piace a nessuno e a me non vengono più idee. Arrivederci.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10) Il primo giorno di scuola non si scorda mai. ***


10) Il primo giorno di scuola non si scorda mai.

 

Una settimana passa in fretta quando hai tante cose da fare.
Tra il trasloco, reperire la mia divisa (una camicia bianca con lo stemma della scuola, una gonna grigia a pieghe, una cravatta a righe blu e rosse, dei calzini neri che possono essere portati sopra i collant, un gilet nero e una giacca con lo stemma ricamato su una tasca dello stesso colore) e la parrucchiera.
Quando la donna ha visto i miei capelli rasati da una parte si è messa le mani tra i capelli e mi ha chiesto se fossi impazzita mentre compivo quello scempio punk.
Le ho detto che non ero nelle mie condizioni migliori e si è addolcita, spostando abilmente la riga e tagliando qualche ciocca qua e là ha fatto in modo che la mia rasata non si vedesse.
Mi ha chiesto se volessi qualche colore particolare, per un attimo stavo per dirle il rosso, poi mi sono ricordata di Cheryl e la risposta mi è morta sulle labbra.
Rimosso il cadavere le ho detto che li volevo neri con la punta e qualche ciocca arancione, giusto per non sprecare la mia decolorazione.
Vorrei che la gente a scuola non mi notasse, ma sono consapevole che lo faranno – anche solo perché sono quella nuova – quindi tanto vale.
Lunedì mattina io e mio fratello siamo di nuovo rincoglioniti, ma in una cucina diversa che poco somiglia a quella che avevamo in California, questa è di un legno scuro e decorata da padelle e piatti di rame.
A mia madre non piacciono, ma non ha ancora trovato il tempo per arredarla come vorrebbe.
I cereali sono la solita massa dolce, mio fratello ha i suoi capelli platinati e irti e indossa una felpa lunga su jeans con il cavallo basso non troppo larghi, solo io mi sento un po’ a disagio.
Indosso la mia divisa nuova e ho messo un paio di calzini neri e degli anfibi dello stesso colore, almeno un pochino voglio personalizzarla.
Con un po’ di disagio mi stringo nella mia giacca nera, chiedendomi quanto stonerà con la mia giacca di pelle foderata di caldo pelo.
“Sei nervosa, Jen?”
”Sì.”
“Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Sono sicura che ti troverai a meraviglia, ho parlato con il preside e mi è sembrato che offra una buona offerta formativa e un buon ambiente.”
”Va bene, grazie  mamma.”
Finita la colazione, metto la giacca e prendo una vecchia borsa militare che contiene quaderni, astuccio e qualche libro. Mano a mano li porterò a scuola e li avrò tutti lì quando servono.
Usciamo e oggi Chicago ci riserva una giornata di pallido sole, pare che sia una rarità da queste parte in autunno e in inverno.
Il pullman di mio fratello passa per primo, mi saluta con un cenno e mi lascia da sola sul marciapiede come una deficiente. Cinque minuti dopo un elegante pullman grigio si ferma vicino a casa mia e ci salgo, il cicaleccio all’interno si ferma quando salgo, io faccio finta di niente e mi siedo nel posto dietro l’autista. Lentamente riprendono tutti a parlare, il mezzo ci porta verso il centro di Chicago e poi si ferma davanti a una scuola vecchia e un po’ tetra, scendiamo tutti.
I nativi sciamano verso i loro amici, io entro percorrendo uno scalone e poi cerco la segreteria, compilo le scartoffie e poi mi viene consegnato l’orario. Prima ora: letteratura in aula 7.
Dopo aver consultato la mappa arrivo e busso, una volta che mi viene risposto “avanti” faccio il mio ingresso. Per prima cosa noto che ragazzi e ragazze sono mescolati e che dalla finestra si gode una magnifica vista del lago Michigan.
“Sono la professoressa Martin, insegno letteratura. Potresti dirmi chi sei, per favore?”
“Sono la ragazza nuova. Mi…”
“Oh, sì. Ho capito. Trovato subito l’aula?”
Annuisco.
“Ora presentati ai tuoi compagni, se non ti dispiace.”
“Ehm, certo. Mi chiamo Jennifer Jenkins, vengo da San Diego, California e mi interessano l’arredamento e la musica.
Spero di trovarmi bene qui.”
“Perfetto! Siediti vicino al signor Parker.”
Il signor Parker non è altro che un ragazzo dai capelli neri e spettinati.
“Chiamami Kevin.”
”Chiamami Jen, odio il mio nome per intero.”
“Bei capelli!”
“Anche i tuoi non sono male.”
Gli dico prima di tirare fuori il mio blocco degli appunti e concentrarmi sulla lezione che parla di Louisa May Alcott. Prima pensavo che “Piccole donne” fosse una pizza, solo ora lo sto rivalutando e questa lezione capita a fagiolo.
Due ore dopo una campana segna la fine delle lezioni, io faccio firmare un foglio alla professoressa e io consulto la mappa. Fantastico, adesso ho matematica!
“Cosa hai dopo?”
“Mate. Aula 5.”
Sospiro rassegnata.
“Anche io. Dai, andiamoci insieme.”
Rimango un attimo incerta.
“Cosa c’è, Jen?”
“No, è che non volevo essere notata in questa scuola.”
Lui ride.
“Se rimarrai con me sarai invisibile, la piccola comunità di questa scuola mi ha rifiutato.”
“Come mai?”
“Per i capelli, per il tatuaggio e perché dicono che sono un drogato.”
“Ti droghi davvero?”
”Se per droga intendi le sigarette, sì. Se per droga intendi, canne, ero, coca o altro no.”
“Va bene, fumo anche io.
Posso vedere il tatuaggio?”
Lui si sbottona la manica della camicia e sul polso c’è tatuato un piccolo drago rosso disegnato in stile orientale.
“Molto bello. Forza, andiamo o arriveremo in ritardo e io mi devo presentare.”
Percorriamo i corridoi e nessuno ci guarda, è davvero come essere invisibile, figo!
Arrivati in aula cinque, lui va a sedersi, io mi presento alla classe e faccio firmare subito il foglio all’insegnante. Neanche a dirlo l’unico posto libero è vicino a Kevin.
Due ore di matematica sono pesanti per me qui come a San Diego, alla fine ho mal di testa e un disperato bisogno di una sigaretta.
Una campana più lunga annuncia il pranzo e un intervallo prima delle lezioni pomeridiane, Kevin mi accompagna a mensa. È una grande stanza spaziosa, con molti tavoli e una vista sul lago come quasi tutte le aule.
“Come mai quasi tutte le stanze danno sul lago?”
Chiedo distrattamente mentre addento un pezzo di cotolette di pollo.
“Perché dicono che aiuti a concentrarsi meglio.”
“Non hanno tutti i torti.”
”Sì, il lago Michigan è bello, ma vuoi mettere con le spiagge della California?”
Io rido.
“Sì, sono belle e c’è più sole, ma anche persone non molto belle, ecco perché sono qui.”
Lui alza un sopracciglio.
“Mio padre è un architetto, ha accettato di trasferirsi qui e sono quasi certa che l’abbia fatto per aiutare me, vengo da una serie di brutte esperienze.
Diciamo che la liberale California non fa per me.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Brutto incidente con una lesbica?”
Io sgrano gli occhi, come ha fatto a capirlo?
“Come hai fatto a capirlo?”
”Hai usato la parola liberale in tono di sprezzo, è quello che fanno di solito i conservatori per indicare una realtà che non piace loro e sono particolarmente avversi a… quella gente.”
“E tu?”
“Non piacciono particolarmente nemmeno a me. Mio padre è un ricco avvocato che a un certo punto ha mollato mia madre e mi ha portato a vivere con il suo compagno.
È stata un’esperienza disgustosa, qualcuno dei loro amici mi toccava, altri tentavano di farmi vedere porno del loro tipo. A dodici anni ho raccontato tutto al giudice e mia madre si era trovata un avvocato con le palle. Hanno revocato la custodia a mio padre e mi hanno affidato a mia madre che si è risposata con un brav’uomo, un industriale conservatore. Potrei vedere mio padre due volte alla settimana, ma ho tagliato ogni rapporto con lui.”
“E un industriale conservatore non dice nulla sui tuoi capelli?”
”Dice che sono segno di carattere, gli sto simpatico. D’estate faccio degli stage da lui, mi piace.
Dopo un’infanzia come la mia voglio solo una vita normale.”
“Capisco perfettamente.”
Finito il pranzo – che comprendeva anche una mela e una torta alla panna – usciamo a fumare in giardino. Io gli racconto sommariamente la mia vita.
Nel giro di una giornata siamo diventati migliori amici e ho con lui un rapporto molto più sincero di tutti quelli che ho avuto a San Diego.
Le lezioni pomeridiane – francese e ginnastica – le trascorro da sole e non mancano le pie anime che mi mettono in guardia da quel gran teppista di Kevin Parker, in particolare una bionda vestita in modo fastidiosamente provocante.
All’uscita trovo il mio nuovo amico ad aspettarmi.
“Come è andata?”
“Una noia, non hanno fatto altro che mettermi in guardia su di te, in particolare una bionda vestita come una zoccola.”
Lui sbuffa.
“Vuoi che ti dia un passaggio?”
“Volentieri.”
Saliti in macchina gli dico il mio indirizzo.
“Wow, la casa dell’omicidio Murdoch!
Per la zoccola, non ascoltarla. In realtà è una di quelli e ti avrà puntata. Ignorala e si stuferà, troverà qualche altra pivellina da circuire: è quello che le piace fare.
Sporcare le persone è il suo hobby.”
Io inorridisco.
“Come fanno a tollerare una cosa del genere?”
”É solo lei e viene periodicamente sospesa ossia quando esagera. Suo padre poi è molto ricco, le paga lo psicologo e tutto, ma lei se lo rigira.”
“Che schifo. Cosa dicevi degli omicidi?”
“Una vecchia leggenda.”
Io mi animo.
“Dai, raccontamela.”
“Dicono che all’inizio del Novecento ci vivesse una famiglia ebrea di nome Murdoch. Una notte la figlia più piccola, Ester, promessa in sposa a un vecchio e ricco proprietario di una fabbrica di vestiti li uccise tutti nel sonno.
Quando arrivò la cameriera trovò una carneficina e una ragazzina di quindici anni coperta di sangue, con in mano un coltello e – particolare  ancora più inquietante – che rideva.
L’hanno mandata al manicomio e dicono che sia ancora lì.”
“Capisco, questo spiegherebbe perché abbiamo pagato molto poco una casa a dir poco splendida.”
Dico osservando la mia nuova casa, incoronata dalla luce del tramonto.
“Grazie del passaggio, Kevin.”
”Figurati, vuoi che passi a prenderti anche domani mattina?”
”Sarebbe bello. Sì, grazie.”
Scendo dalla macchina, salgo i gradini e sul portico muovo la mano in un ultimo saluto.
Mamma mi guarda curiosa non appena entro in casa.
“Chi era quel ragazzo che hai salutato?
Ha una macchina abbastanza costosa.”
“E da quando badi a cose del genere?”
Dico ridendo.
“Si chiama Kevin, comunque. È il mio nuovo nonché unico amico che ho a scuola.”
”A proposito di scuola, come ti sembra?”
“Non male, nessuno mi ha parlato a parte lui.”
Lei corruga le sopracciglia.
“Speravo facessi più amicizie.”
”Io no.”
Salgo in camera e mi metto a fare i compiti, da brava ragazza, pregustandomi già il fatto che più tardi parlerò alla mia nuova tagliente migliore amica.
Sento Dan tornare, mia madre salutarlo e quando arriva al piano superiore apre la porta della mia camera e mi saluta sorridendo.
Io ricambio e gli chiedo come è andata, lui risponde con un vago “Bene” e se ne va.
Bene, è arrivato il momento di sfogare la mia rabbia, tensione e tutto il resto. Con calma prendo un astuccio e vado in bagno, estraggo una lametta e la affondo nella carne tenera dei polsi, non troppo a fondo ma abbastanza per far sì che esca del sangue.
Mi faccio cinque tagli e poi pulisco la lametta e lavo via il sangue dalle ferite e le bendo a qualche modo.
Bruciano, ovviamente.
Fanno male, certo.
Sono un errore, di sicuro.
Eppure non riesco a farne a meno, sono come una droga che mi lascia leggera e leggermente sballata. Concentrandomi sul dolore fisico evito di ripensare a Chris, Tom e Cheryl e all’assolata California.
Basta sole, viva le nuvole e il tempo grigio!

 

Il giorno dopo trovo Kevin che mangia nella mia cucina quando scendo per colazione. Sta chiacchierando amabilmente con mio fratello e mia madre e io rimango un attimo interdetta.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti ho detto che sarei venuto a prenderti, ma sono venuto leggermente in anticipo e tua madre si è offerta di prepararmi la colazione.”
“Ho capito.”
Mia madre mi allunga una ciotola di cereali e dei pancakes, io inizio a mangiare pensando che è proprio una strana situazione.
“Sono felice che tu ti sia fatta un nuovo amico a scuola.”
“È l’unico che ho.”
“Sono sicura che te ne farai degli altri.”
Io non dico nulla, socializzare non è esattamente la mia priorità adesso.
Finito di mangiare usciamo tutti e tre – io, Kev e Dan – lui è così gentile da accompagnare anche mio fratello a scuola e credo che questo contribuisca all’aperta approvazione che Danny gli manifesta.  Quando ci dirigiamo verso la nostra scuola sbuffo un po’ scontenta, mi è sempre piaciuto andare a scuola, ma ultimamente non ne ho molta voglia.
“Vuoi saltare?”
“Il secondo giorno? No.
Vorrei solo avere più voglia di andarci, mi sento maledettamente priva di energia.”
“Devi solo abituarti al posto.”
“Forse.”
Lui parcheggia, poi scendiamo tutti e due. All’improvviso tre persone si dirigono verso di noi: due ragazze bionde, una con le punte rosse e l’altra con le punte blu e un ragazzo dai capelli castani raccolti in una coda.
Io guardo Kevin senza capire.
“Chi sono?”
“I miei unici amici, ieri non c’erano.”
“Loro sono Amber e Jamelia.”
Amber è quella con le punte rosse e Jamelia quella con le punte blu, inutile dire che sono gemelle, se non fosse per il colore diverso delle punte dei capelli sarebbero indistinguibili.
“Lui invece è Gordon, il ragazzo di Jamelia.”
“Piacere, io sono Jennifer, ma preferirei essere chiamata Jen, se non vi dispiace.”
“Nessun problema.”
Trilla Amber, nascondendo a malapena un’occhiata carica di gelosia, credo che le piaccia parecchio Kevin e stia per marcare il territorio. Lei è qui da più tempo di me e io non dovrei mettere gli occhi su di lui. Odio queste cose, la ignorerò.
“Forza, entriamo o faremo tardi.”
Jamelia ci spinge dentro senza tanti complimenti e io mi dirigo agli armadietti, la prima ora ho biologia e ce l’ho con Amber.
Ci avviamo entrambe verso l’aula, lei non mi dice una parola, ma è costretta a parlarmi quando il professore ci mette in coppia per un esperimento.
“Senti.”
Sibila a bassa voce.
“Kevin sembra non avere occhi che per te, ma non te lo cederò facilmente, Jennifer.
Io sono qui da più tempo di te e non mi lascerò fregare il ragazzo che mi piace dalla prima vacca californiana che passa.”
“Chiamami ancora vacca e il coltello che sto usando per sezionare questa rana te lo ritrovi piantato in una gamba!
Tu non mi conosci affatto e non hai alcun diritto di chiamarmi così, chiaro?”
Sta per replicare, ma qualcosa nel mio sguardo le fa capire che non sto affatto scherzando sulla faccenda del coltello – che poi è un bisturi, ma ok – e si limita a comunicarmi freddamente i dati sull’animale che abbiamo aperto in due.
Alla fine della lezione ci dividiamo e io ne approfitto per salire sul tetto a fumare, la discussione con Amber mi ha innervosito parecchio.
Accendo la sigaretta e con la coda dell’occhio vedo la porta aprirsi e una chiome bionda fin troppo nota are capolino. Sto per mettermi a urlare qualche insulto quando mi accorgo che non è Amber, ma Jamelia. Le punte dei capelli sono blu e non rosse.
“Ciao, Jen.
Tutto bene?”
“Sì.”
Mento senza esitazione, non mi sembra il caso di dirle che trovo sua sorella una stronza apocalittica.
“Non ti piace Amber, vero?”
“Cosa?”
“Non ti piace mia sorella. Quando hai visto la porta aprirsi mi hai lanciato un’occhiata così carica di disprezzo che ho capito che hai passato le due ore a discutere con lei.”
“Diciamo che mi ha fatto capire che è interessata a Kevin e non ammette rivali.”
Rispondo secca.
“Sì, ama Kev da non so quanto tempo e ha sempre cacciato tutte le ragazze che si univano temporaneamente al nostro gruppo, ma con te non ce la farà.”
“No, non ho intenzione di sottostare di nuovo agli ordini di altre persone.”
Butto fuori un’altra boccata.
“Scusala.”
“Mi viene un filo difficile.”
“È che teme che Kev ti chieda di uscire. Se lo facesse cosa faresti?”
“Non ne ho la più pallida idea.”
Decido di essere onesta, non mi va di inventarmi qualche bugia. Non ho mai pensato al fatto che lui possa invitarmi a un appuntamento, sono qui da troppo poco tempo per pensare a cose de genere.
“Per favore non litigare con lei, ha così poche amiche!”
Guardo negli occhi Jamelia.
“Questa è una cosa che non posso prometterti.”
Lei sospira.
“Io ci ho provato almeno. Grazie dell’onestà.”
Finiamo la sigaretta poi io corro a filosofia e lei alla sua lezione, Kev mi guarda curioso e sta per chiedermi il perché del mio ritardo, ma io gli faccio cenno di tacere: la prof mi sta già guardando male.
Mi siedo e tiro fuori il quaderno, pensando che ho un talento particolare per attrare gli scombinati o per finire in situazioni contorte.
È il mio dono, mi dico sarcastica, mentre la prof ci spiega Spinoza.
Prendo appunti piuttosto svogliatamente, la testa concentrata su altro.
Potrei provare a uscire con Kev, ma non ho voglia di pensarci adesso, la mia testa è già stretta in un anello di metallo che minaccia di non andarsene tanto presto.
Nuova vita, vecchi problemi.
È proprio vero che non puoi scappare da quello che è dentro di te, puoi metterci chilometri o oceani, ma se non l’affronti non se ne va.
E la mia coscienza sa cosa non ho affrontato: Tom.

Angolo di Layla

Grazie a LostinStereo3 per la recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11)Ipocrisia e falsitàè tutto ciò che incontro. ***


11)Ipocrisia e falsitàè tutto ciò che incontro.

 

Amber, dopotutto, aveva ragione.
Dopo due settimane Kev mi ha chiesto di uscire e io ho accettato, Dan è d’accordo con me e lo approva. La mia amica lametta non ha ancora emesso un giudizio, sebbene io e lei ci siamo confrontate ogni sera.
Sì, non ho smesso con questo vizio, anzi lo trovo rilassante, un modo come un altro per far uscire le frustrazioni della giornata e il dolore dei ricordi.
L’idea che un giorno potrei esagerare e andare un po’ troppo a fondo non mi sfiora nemmeno, così come non penso che sto deturpando il mio corpo e un giorno potrei pentirmene.
No, non ci penso o se ci penso ignoro volutamente gli avvertimenti.
La vita è una troia.
Qualcuno si aiuta spaccandosi di coca o fumando erba, altri bevono fino a dimenticarsi chi sono, dopo tutto il mio modo di far contro alla via non è peggio di tanti altri.
Certo, se i miei lo scoprissero mi manderebbero dritta da uno psichiatra, cagati in mano come poche volte.
Torniamo a Kev, siamo usciti insieme qualche volta, ma pur piacendomi molto non sento le farfalle di merda come succedeva con Tom.
Mi guardo allo specchio e sospiro.
Sono vestita e truccata alla perfezione perché tra un quarto d’ora dobbiamo uscire, ma non sarà un bell’appuntamento, credo che ci lasceremo. Abbiamo provato in ogni modo a farla funzionare, ma è tangibile come tra noi ci sia un fantasma e non parlo di quelli che dovrebbero vivere in questa casa, ma di Tom.
Dovrei non pensare a lui e godermi le attenzioni di Kevin perché è il primo ragazzo che mi tratta bene, ma non riesco a togliermi dalla testa il suo ghigno strafottente.
Che cazzo ho che non va?
Non ne ho idea, ma forse mollandolo farò felice Amber, magari consolandolo lui si accorgerà che è lei la ragazza che vuole e forse mi ringrazieranno.
“Non starai pensando ancora a lui?”
La voce di mio fratello mi fa sobbalzare.
“Che ci fai qui?”
“Il bagno è occupato così volevo chiederti se potevo usare il tuo. Ma comunque, stai pensando ancora a lui?”
“Lui chi?”
“Tom! Te lo leggo in faccia che stai pensando a lui e che vuoi rompere con Kevin.
Io non vi capisco a voi ragazze. Vi lamentate in continuazione che i ragazzi sono stronzi e poi quando trovate il bravo ragazzo lo scaricate per rimettervi con il bastardo che vi ha spezzato il cuore.
Chi vi capisce è bravo, nemmeno Freud ce l’ha fatta a capirvi!”
“Dannie, cosa è successo?
Sembri una tredicenne mestruata.”
“Lucy mi ha mollato! Ecco cosa è successo!
Ha detto che non le prestavo abbastanza attenzioni e che si è messa con una pertica con il quoziente intellettivo di una gallina ritardata che gioca nella squadra di basket.
Ecco cosa è successo!”
Urla di nuovo prima di uscire dalla mia stanza, dimenticandosi probabilmente di avere bisogno del bagno.
“Cosa è successo?”
La testa di mia madre fa capolino.
“Niente, la ragazza di Daniel l’ha mollato.”
“Lui aveva una ragazza e non mi ha detto nulla?”
“Beh, sai a volte ci piace avere un po’ di privacy su queste cose, mamma. Non prendertela.”
Lei scuote la testa, sospira e poi se ne va.
Immagino stia formulando un pensiero da genitore del tipo “non capisco i miei figli.” o “alla loro età anche io tenevo nascoste un po’ di cose a mia madre”.
Poverina, le son capitati proprio due figli un po’ incasinati.
Suonano alla porta, io rispondo e poi mi volto verso di lei.
“Mamma, adesso io vado. Kevin è arrivato.”
“Va bene, non fate troppo tardi.”
Risponde lei distratta, io esco rabbrividendo nel freddo autunno di Chicago. La California è tutt’altra cosa, ma non mi manca per ora.
Entro in macchina e mi siedo sul sedile passeggeri.
“Ciao!”
Lo saluto.
“Ciao, andiamo al solito posto?”
Io annuisco, il solito posto è un Mac Donald del centro, dove andiamo sempre quando ci vediamo. È un posto che ha la vista sul lago Michigan e che mi ricorda un po’ la scuola.
In macchina non ci diciamo molto, lui è stranamente silenzioso, di solito ama chiacchierare su qualsiasi cosa e noto che ogni tanto mi guarda.
Arrivati, parcheggiamo la macchina ed entriamo.
“Tutto bene?”
Mi chiede.
“No, in realtà non proprio.”
Rimango un attimo in silenzio per cercare le famose parole giuste.
“Credo che la nostra relazione non stia funzionando, io ti voglio molto bene, ma non me la sento di continuare. Preferirei che…”
“Rimanessimo solo amici?”
Finisce lui.
Io annuisco senza alzare gli occhi dal mio hamburger.
“Non posso dire che non me lo aspettassi, ogni tanto hai uno sguardo perso e so esattamente a chi stai pensando e mi chiedo cosa abbia di speciale.
Poi oggi Amber si è dichiarata a me.”
La cosa mi sorprende.
“Wow, sapevo che aveva una cotta per te, ma non credevo si dichiarasse quando tu eri ancora – tecnicamente – legato a un’altra.”
Lui mi rivolge un strano sorrido.
“Quindi vado ad accomodarmi nella friendzone.”
“Mi dispiace, non volevo. Tu non te lo meriti, ma la mia testa lavora male e tu non ti meriti una ragazza solo a metà.”
Prendere questa decisione mi è costato sette tagli su un polso ieri sera, solo dopo aver fatto uscire un bel po’ di sangue e cattivi pensieri ho capito che era la cosa giusta da fare.
“Non prenderla male, me l’aspettavo.
Al massimo do una possibilità ad Amber, sono secoli che è cotta di me."
"Tu lo sapevi?”
“Sì, ma non ero sicuro di ricambiare e avevo paura di rovinare la nostra amicizia.”
“Beh, provaci. Magari va bene.”
Lui mi sorride amaro, finiamo di mangiare i nostri panini poi lui mi riaccompagna a casa, oggi nessuno di noi due ha voglia di andare da qualche parte.
Mamma si stupisce quando mi vede arrivare così presto.
“Che ci fai qui?
Ok, avevo detto presto, ma non così presto.”
“Io e Kevin ci siamo lasciati.”
“Come mai?”
“Tom.”
Lei sbuffa contrariata, da una parte è molto riconoscente a Tom, dall’altra è arrabbiata con lui per come mi ha fatto soffrire.
“Sempre lui.”
“Mi dispiace, mamma. Ci ho provato e non è andata e non mi andava di illudere Kev, lui è un bravo ragazzo e non si merita di essere preso in giro da me.”
“Hai ragione, ma non potevi pensarci meglio?
Magari continuare ancora un po’?”
Il suo tono ha una sfumatura di supplica.
“No, mamma. Lo sai anche tu che non si devono illudere le persone.”
Lei abbassa gli occhi sconfitta.
“Hai ragione.”
Mi lascia andare e io vado in camera mia, anche se è stata una decisione presa da me inizio a piangere. Non basta aver messo così tanti chilometri tra me e Tom per togliermelo dalla testa, la mia vita è uno schifo e io sono una stupida colossale che sa solo sprecare quello che ha in nome di quello che non potrà mai avere.

 

Il giorno dopo Dan è più scontroso che mai a colazione.
Odia le mattine e credo che le odi anche di più adesso che Lucy lo ha mollato. Mamma – dopo due tentativi di avviare una conversazione andati male – rinuncia a parlarci.
Apre bocca solo quando siamo saliti in macchina.
Sì, con la vendita della mia macchina californiana abbiamo comprato questa.
“L’hai mollato?”
“Sì, lo sapevi che l’avrei fatto.”
“Sbagli secondo me.”
“No. E poi Amber si è già fatta avanti e credo che abbia delle buone possibilità.”
“E a te 'sta cosa non ti scazza?
Stava con te fino a ieri e adesso sta con questa.”
Io non dico, non ho idea di cosa replicare. Kev è sempre quello che ha dato di più nella nostra relazione e si merita qualcuno che lo ami.
In ogni caso lascio Dan davanti alla sua scuola e vado alla mia. Parcheggio e cerco i ragazzi e li trovo accoppiati, tanto che quasi mi sento a disagio ad avvicinarmi.
“Ciao.”
Dico piuttosto insicura, Amber mi fulmina con un’occhiataccia.
“Cosa ci fai qui?”
“Beh, volevo andare dai miei amici…”
“Non c’è più spazio per te, ti accettavamo solo perché eri la ragazza di Kev e adesso lui è mio.
Smamma e non farti più rivedere.”
Gelata dalle sue parole mi allontano e prendo le cose che mi servono dall’armadietto. Alla prima ora abbiamo letteratura, io saluto con un timido cenno Kevin, lui mi risponde con un scazzato cenno della mano. Credo che non abbia molta voglia di parlare con me, temo di aver perso gli unici amici che avevo e la cosa mi dispiace.
Natale si sta avvicinando e avevo preso regali per tutti, ma forse è il mio destino che la lametta rimanga la mia unica amica. Non fa domande, non ti offre risposte che non funzionano, non ti mente mai.
Sì, fa solo un po’ male, ma la vita è in grado di fartene molto di più.
Seguo e lezioni del giorno in modo molto svogliato, come pronosticato da Amber nessuno dei miei presunti amici mi parla e quindi mi viene naturale scegliere un tavolo isolato in cui consumare in pace il mio pranzo.
Quanta falsità!
Capisco l’atteggiamento di Kev, ad Amber non sono mai stata simpatica, ma Jamelia e Gordon?
Perché mi hanno escluso anche loro?
La risposta è piuttosto semplice, loro sono molto più amici di Amber e Kevin che miei, io ero quella nuova e quelle nuove non rimangono per sempre. A volte si può decidere di escluderle, a volte si può decidere di essere stronzi.
Sopporto anche le lezioni del pomeriggio, poi decido di fare un giro per Chicago, la mia meta è il centro. Parcheggio la macchina e poi inizio a camminare nonostante il vento impietoso che spira dal lago Michigan, tutti i negozi sono decorati per Natale: un’esplosione di rosso e oro.
Le luci di Natale oscillano e non sono ancora accese, sono tante palline e stelle che di sera si accendono d’oro e d’argento.
Il cielo è grigio e se ho imparato a conoscere un po’ questa città significa che stasera nevicherà, guardo le vetrine piene di vestiti costosi. Sono molto belli e le vetrine sapientemente allestite con festoni e palline esalano i colori e il brillio di qualche pailettes.
Poi ci sono le vetrine delle gioiellerie, le luci fredde fanno risaltare ogni singolo lato delle pietre e ogni scintillio che può emettere.
Sono davvero belle, ma ormai il freddo inizia a farsi sentire. Rabbrividisco nel mio cappotto verde militare e decido di concedermi una cioccolata in uno dei tanti bar del centro.
Entro nel primo che incontro sulla mia strada, è decorato per Natale ed è molto carino, io mi piazzo vicino al calorifero per scaldarmi.
Poco dopo arriva un cameriere vestito di una divisa elegante.
“Buongiorno, vuole la lista?”
“No, grazie. Vorrei una cioccolata con panna.”
“Come desidera.”
Poi sparisce e io rimango da sola, per fare qualcosa tiro fuori il mio cellulare. Non ci sono né messaggi, né chiamate così inizio una partita a snake che finisce solo per l’arrivo della mia cioccolata.
Istintivamente sorrido, mi piace molto berla d’inverno.
Affondo il cucchiaino nella panna e poi me lo porto alla bocca.
Buona!
Con lentezza la mangio e poi passo alla cioccolata: è densa e dolce il giusto.
Centellino ogni cucchiaiata sperando che duri per sempre, ma come tutte le cose finisce e non rimane che il fondo della tazza.
Lo guardo per un po’, poi guardo la strada dalle vetrine e poi mi decido ad alzarmi. Paco il conto – un po’ caro – poi con il calore immagazzinato dalla cioccolata e dal calorifero mi avventuro per la strada che dà sul lago.
Mi fermo spesso ad ammirare la superficie dell’acqua increspata dal vento, pensando che mi ricorda l’oceano di San Diego, ci sono persino i gabbiani.
Cammino, finché non sono stanca e praticamente congelata.
Questo mi fa decidere di tornare alla macchina, la cioccolata era buona, ma non è bastata per togliermi l’amaro in bocca per questa storia.

 

Arrivata a casa trovo mia madre intenta a sistemare le decorazioni natalizie.
“Non è un po’ presto?”
Chiedo curiosa.
“No, è il 15 dicembre oggi. Hai perso un po’ il conto dei giorni?”
Due giorni fa è stato il compleanno di Tom, quindi.
Chissà con chi l’avrà festeggiato?
Con i suoi amici e la sua nuova ragazza?
All’ultimo frase sento un crampo al cuore e decido che è meglio smettere di pensare a lui e di salire in camera.
Dan è seduto sul mio letto.
“Com’è andata oggi a scuola?”
“Male, ho perso tutti i miei cosiddetti amici. Mi accettavano solo perché ero la ragazza di Kevin.”
“Mi dispiace.”
Io alzo le spalle.
“Meglio soli che male accompagnati.”
“Ma sei sicura che vada tutto bene?”
“Sì, come mai sei qui in camera mia?”
“Mi serviva una penna.”
Risponde vago prima di andarsene.
Io chiudo la porta e poi controllo il mio astuccio delle lamette, mio fratello ci era seduto pericolosamente vicino. Lui non deve scoprire i mio segreto!
Nessuno deve scoprirlo!
Con una certa urgenza apro l’astuccio rosso e tiro fuori una lametta per poi chiudermi in bagno.
Uno, due, tre, quattro tagli.
Per essere stata esclusa di nuovo.
Cinque, sei, sette tagli per il passato che non se ne va.
Finito, pulisco tutto e metto via la lametta. L’unica precauzione che uso è mettere un straccio sui tagli e poi esco. In apparenza sono una normale adolescente e i miei devono credere alla mia messa in scena.
Mi metto a fare i compiti e sono intenta a scrivere un tema su Jane Austen quando mio fratello entra di nuovo in camera mia.
“Stai bene, Jen?”
“Sì, perché?”
“Non so…”
Si stropiccia le mani.
“Sembri una che non sta tanto bene.”
“È solo un’impressione.”
Rispondo sbadigliando e ignorando le fitte di dolore che vengono dai miei polsi macellati.
“Sei davvero sicura di stare bene?”
“Sì.”
Rispondo esasperata, roteando gli occhi, lui annuisce e se ne va.
Si appoggia per un attimo e mi lancia uno sguardo penetrante che mi fa sentire stranamente nuda ai suoi occhi, come se in quel momento stesse leggendo tutti i miei segreti.
Finalmente se ne va e io mi sento inquieta, come se in un modo o nell’altro lui avesse scoperto che mi taglio.
E se l’avesse scoperto cosa farebbe?
Non deve dirlo ai miei, non voglio andare in manicomio né finire nelle mani di uno psicologo, non mi fido di loro.
Sempre più inquieta scendo a mangiare, ma non gusto nemmeno un po’ le lasagne di mia madre, il mio piatto preferito. Continuo a fissare mio fratello e a spiarlo senza che lui se ne accorga per cercare di capire se sa e quanto sa.
La cosa mi rende paranoica, sono più preoccupata per questo che per il fatto che i miei amici mi abbiano scaricata.
Dopo cena il cellulare vibra, è un messaggio di Amber.
“Ho vinto io, stronza californiana.”
Io rispondo con un laconico fanculo, pensando che mi piacerebbe avere lo scalpo biondo di quella vacca falsa alternativa.
Non è che tingendosi le punte dei capelli si diventa alternativi tutto di un colpo, si cambia esteriormente, ma dentro si rimane la stessa merda.
Sono incazzata con lei e con Kev che ha deciso che con me non vale nemmeno la pena di mantenere un rapporto di amicizia.
Gli ho fatto un favore – ormai dopo Amber sono sicura di averglielo fatto – e lui mi ringrazia con un calcio in culo.
Va bene.
Starò da sola, in fondo non lo sono del tutto fino a che ho la mia lametta e riesco a tenere segreta la sua esistenza.
Meglio studiare, almeno mi concentro su altro.
Non c’è niente di meglio che un incomprensibile libro di fisica per non pensare a nulla, tutti i miei neuroni sono impegnati a capire l’argomento che il professore ha spiegato solo due giorni fa e che il mio stupido cervello ha già dimenticato.
Perché non dimentica Tom, Chris, Maddie e Cheryl invece delle cose che mi sono utili per la scuola?
Non lo so, non capirò mai come funzionerà, è come se ci godesse a evocare i miei ricordi peggiori e a farmeli rivivere.
Scuoto la testa furiosa e torno a immergermi nel mio libro fino a che sento le palpebre farsi molto pesanti. Tenerle alzate diventa un’impresa.
Con una mano allontano il libro e poi lascio cadere la testa sul letto su cui sono sdraiata.
Cinque minuti di pausa, mi dico.
Cinque minuti di pausa non hanno mai ucciso nessuno.
Ucciso no, ma fatto addormentare sì e – senza accorgermene – cado in un sonno popolato da incubi dove Chris mi insegue e poi si trasforma in Maddie, poi in Tom, poi in Cheryl e infine in Kevin.
Trasferirmi a Chicago non è stata per niente una bella idea.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12) La ballerina del carillon. ***


12) La ballerina del carillon.

 

Una settimana dopo le cose non sono cambiate.
I miei vecchi amici continuano a ignorarmi e Dan a tenermi d’occhio, sono stressata da far paura.
Un giorno Jamelia mi si è avvicinata per spiegarmi qualcosa.
“Mi dispiace, Jen.”
Ha esordito con fare contrito.
“È Amber che non vuole che tu faccia parte della compagnia, è gelosa da morire. Insomma, teme che tu le rubi ancora Kev.”
“Sono io che l’ho lasciato, dovrebbe ringraziarmi in un certo senso.”
“Lo so, ma ti odia. Sei arrivata e ti sei presa il ragazzo che le piaceva da un sacco di tempo con una velocità impressionante.”
“Pensate di cambiare atteggiamento verso di me?”
"No."
“Beh, allora questa chiacchierata è inutile.”
Rispondo io piatta, hanno fatto la loro scelta e non posso biasimarli: io non sono nessuno per loro in fondo.
È stata una settimana dura, ma TGIF! È venerdì e domani potrò almeno dormire fino a tardi e non essere svegliata da una sveglia odiosa solo per finire in un posto dove sono una specie di lebbrosa.
Finita l’ultima lezione esco da scuola e mi dirigo al parcheggio, lì mi prende un colpo.
Appoggiato con nonchalance alla mia macchina c’è Tom.
“C-cosa ci fai qui?”
Balbetto io impallidendo.
“Sono venuto qui  a parlarti, credo di avere combinato più di un casino quel giorno.”
Mi fissa i polsi e io mi sento andare a fuoco.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Rispondo stringendomi convulsamente il polso sinistro.
“Perché ti stringi quel polso?”
“Non sono cazzi tuoi. Chi ti ha detto che ero qui?”
“Qualcuno che ha cuore la tua salute.”
Fa per avvicinarsi, ma io indietreggio fino ad andare a sbattere contro qualcuno. È Amber che mi sbatte a terra senza tante cerimonie e se ne va.
“Ehy tu! Aiutala, invece di andartene!”
Lei lo fulmina con un’occhiataccia, come sempre il suo bel viso è deformato dalla rabbia. Io mi alzo da sola.
“Vattene, Tom. Io e te non abbiamo più nulla da dirci, quello che ho visto in quello sgabuzzino nelle scope ha chiarito tutto.”
“E il bacio che ci siamo dati prima che tu te ne andassi?”
Il mio povero cuore salta un battito.
“Un errore, mi hai presa alla sprovvista.”
“Perché continui a mentire? Perché continui a farti male da sola?
Perché non vuoi nemmeno provare ad ascoltare quello che ho da dirti?”
“Non cambierebbe le cose tra di noi.”
"Come fai a saperlo?”
“Lo so e basta, adesso me ne vado.”
Mi avvicino alla macchina ed entro, con una mossa fulminea apre la portiera del passeggero ed entra. Io mi metto a urlare.
“ESCI, CAZZO! ESCI!
NON HAI NESSUN DIRITTO DI ENTRARE NELLA MIA MACCHINA E AGIRE COME SE FOSSI MIO AMICO, QUANDO NON LO SEI!”
Le mie urla finiscono per attirare qualcuno e Kev apre la portiera del passeggero e tira fuori Tom con un solo colpo.
“Tutto bene, Jen?
Ti stava importunando?”
“Sì. È una vecchia conoscenza di San Diego che non accetta di non essere più mio amico.”
“Tu mi devi almeno un tentativo di spiegare! Non è del tutto come pensi!
Cazzo, Jen! Non avrei mai voluto ferirti, ma con te non riesco mai a capire come muovermi e finisco sempre per fare casini.
Ti prego.
Non mi sono fatto questo lungo viaggio per andarmene senza averti parlato.”
Lo guardo ancora piuttosto incazzata con Kev che mi tiene d’occhio.
“Stasera fatti trovare al Mac Donald davanti alla stazione dei treni, ci mangiamo qualcosa insieme e mi racconterai tutto, poi potrò finalmente mandarti a fanculo con la coscienza a posto.”
Lui annuisce, saluto con un breve cenno del capo Kev e finalmente esco dal parcheggio infernale di questa scuola. Daniel mi deve una spiegazione e io gli devo una lavata di capo fenomenale. Come si è permesso di chiamarlo?
Come?
Pensa che sarà lui a guarirmi dall’autolesionismo?
Che come nelle fiabe il principe salverà la principessa triste e tutti saranno felici e contenti di nuovo, come se nulla fosse successo?
Beh, nella vita reale non funziona così!
Per niente.
Nella vita reale i principi non esistono e le principesse si lasciano consumare dalla tristezza fino a volare via al soffio del gentile vento di primavera.
Arrivo a casa mi con la il crimine, la mafia e la camorra che stanno ballando la conga sulla mia spala.
“Daniel!”
Urlo non appena arrivo a casa, lui tenta di svignarsela non appena vede la mia faccia – probabilmente i miei occhi mandano fulmini – ma io lo placco con un’inaspettata mossa di football. Mia madre ci trova così: lui steso a terra con sopra mezza me.
“Tu non te ne vai da nessuna parte e mi spieghi cosa ti è passato in quel cervello di merda!”
Mia madre mi guarda senza capire.
“Ha chiamato Tom e me lo sono ritrovata fuori da scuola.”
“Ah, forse è meglio se vi lascio da soli.”
Esce di casa con la scusa di andare da una vicina.
“Allora?”
Chiedo feroce a mio fratello.
“So che ti tagli! Non negare, ho visto i segni e so perché lo fai.
Lo fai per Tom, forse se ci parli evitiamo di prenderti per le penne quando ti inciderai un po’ troppo a fondo.”
“Non sono affari tuoi!
Non sono affari di nessuno!
Tu non avevi alcun diritto di chiamarlo, hai capito?
E se un giorno mi inciderò troppo a fondo sarà perché è giusto così, forse non sono destinata a vivere a lungo!”
Lui mi dà una sberla.
“Smettila di dire stronzate! Nessuno è destinato a fare una cosa del genere, la sceglie.”
“E se ti dicessi che sono stanca di vivere e che non voglio più nessuno tra i piedi?”
“Direi che sei una grande egoista!”
Questa volta sono io a dargli una sberla e poi corro in camera mia inseguita da lui, chiudo la porta a chiave e dalla rabbia riesco a spostare il comodino davanti alla porta.
Sorda ai suoi richiami mi chiudo in bagno e  mi incido ancora e ancora, con la vista annebbiata dalle lacrime e forse dalla debolezza causata dal sangue che perdo.
Alla fine esco dal bagno e mi butto a letto, dopo aver scalciato via gli anfibi, e scoppio di nuovo a piangere. Daniel sta ancora blaterando qualcosa da dietro la porta, ma io non lo ascolto.
Non voglio vedere nessuno.
Non voglio parlare con nessuno.
Voglio solo stare da sola.
Mi addormento sfinita dalle troppe lacrime, mi sveglio solo quando sento un baccano infernale: mio padre e Danny hanno buttato giù la porta della mia camera.
“Grazie tante.”
Esclamo sarcastica guardando la devastazione che c’è adesso nella mia bella tana.
“Non rispondevi più, eravamo preoccupati.
Danny era preoccupato.”
Mi risponde mio padre, mentre si terge il sudore dalla fronte con una mano.
“Mi ero solo addormentata.”
Rispondo fredda, poi do un’occhiata all’orologio.
“Vorrei rimanere con voi, ma grazie a Danny ho un impegno non voluto: devo parlare con Tom.”
Mi rifaccio il mio trucco scuro e poi esco con addosso la divisa e il mio giubbotto militare, rabbrividendo nel freddo della sera. All’improvviso il vento mi sbatte in faccia della neve, meraviglioso! Ci mancava solo questa, mi dico imprecando tra me e me.
Molto intelligentemente non ho preso la macchina, ma ho ancora un biglietto del pullman e lo uso per andare in centro.
Tom mi aspetta furi dalla stazione dei treni come stabilito, anche lui rabbrividisce.
Quel coglione si è messo un giubbotto troppo leggero!
Deve fare schifo in geografia per non sapere che qui fa molto più freddo rispetto a San Diego, ma Tom DeLonge non è mai stato conosciuto per i suoi voti alti o per la sua media eccellente.
Forza, Jen!
Stasera ti libererai definitivamente di lui!
O forse no, una piccola parte di me vuole sentire cosa abbia da dirmi e magari perdonarlo.
Che casino che sono, mi odio!

 

È da cinque minuti che sono ferma di fronte alla stazione.
Vedo Tom marciare avanti e indietro, urtando passanti su passanti, ma non riesco a farmi avanti. Il mio coraggio se n’è andato quando ho realizzato che avrei diviso la cena con lui come se fossimo amici, cosa ce non siamo più.
All’improvviso lui mi vede e si affretta ad attraversare la strada, l’espressione un po’alterata.
“Come mai non ti sei fatta vedere?
Volevi vedermi andare avanti e indietro come un idiota?”
Io non rispondo né tantomeno lo guardo, non ne ho voglia.
“Jen.”
“Mi era passata la voglia di parlare con te, ok?
In fondo non siamo amici, non siamo niente. Ti devo solo un grandissimo “Grazie” per avermi salvata da Chris, ma niente di più.
Tu hai ampiamente dimostrato che non sei interessato a me come persona, finiamola con questa finta. È patetica e non fa bene a nessuno dei due.”
“Se permetti, io non sono d’accordo.”
Esclama quasi arrabbiato.
“Ok, va bene. Andiamo al Mac.”
Rispondo io piatta.
Entriamo nel locale, lui si prende un menù ricco da far schifo, io un happy meal perché il mio dannato stomaco si è chiuso. Stare vicino a lui mi fa ancora un certo effetto e la cosa mi irrita da morire.
“Allora?”
“Come mai solo un misero menù per bambini?
Pensavo che la fase “voglio rimanere magra perché sono cheerleader” fosse passata.”
“Non ho molta fame e comunque non sono affari tuoi.”
Do un morso forzato al mio panino.
“Lo sono, esattamente come sono affari miei il fatto che tu abbia deciso di diventare un’autolesionista.”
Io quasi mi strozzo con il boccone.
“Allora è per questo che sei qui! Per pulirti la coscienza!”
Urlo, alzandomi e lasciando cadere il panino per terra.
Sto per andarmene, ma lui mi afferra per un polso e mi costringe a voltarmi.
“No, questa volta non te ne vai e mi ascolti.”
“E se non volessi cosa farai? Mi legherai alla sedia?”
“Se necessario sono disposto a farlo.
Adesso tu mi aspetti qui che ti porto un altro panino.”
Io rimango seduta sulla sedia schiumante di rabbia, pensando perché il mio corpo rispetta il suo cazzo di ordine e non quello del mio cervello che mi dice di andarmene.
Venti minuti dopo torna con un nuovo panino, apre l’incarto e me lo porge.
“Mangia.”
“E se non volessi?”
“Jen, per favore sotterra cinque minuti l’ascia di guerra.”
“E perché dovrei?
Tu sei qui per lavarti la coscienza aiutato da quel traditore di Daniel.”
“Tuo fratello è molto preoccupato per te.”
“Ha uno strano modo di dimostrarlo.”
“Jen…”
“Va bene, mangio.”
Do un morso rabbioso al mio panino.
“Adesso dimmi quello che devi dire e poi sparisci.”
“Senti, lo so che non ho scusanti, ma non è stata de tutto colpa mia. Stavo passando per quel corridoio perché ero appena uscito dall’aula di punizione e all’improvviso spunta Madison che mi tira in quello sgabuzzino. Non sono riuscita a togliermela di dosso, mi si è attaccata come una piovra e mi ha tolto tutti i vestiti su cui è riuscita a mettere le mani. Poi si è arrivata tu, ci hai urlato che ci odiavi, lei è scoppiata a ridere mentre mi rivestivo e poi ti inseguivo.
Lo so che avrei dovuto impegnarmi di più per respingerla,  ma – cazzo – a meno di menarla di brutto non sapevo come fare.”
Io alzo un sopracciglio.
“Oh, non ti attizzava? E come lo spieghi che il tuo amichetto là sotto fosse decisamente felice della situazione?”
“Siamo ragazzi, ci eccitiamo indipendentemente dalla nostra volontà.”
“Va bene. L’hai detto, puoi andare.”
“Jen, ti prego credermi e smetti di farti del male.”
“La mia vita non ti riguarda.”
“Sì, invece! Ci tengo a te.
Se Madison non mi avesse praticamente violentato ti avrei dato questo per scusarmi. Avevo capito perché mi avevi mollato al nostro appuntamento, non ti era piaciuto che avessi flirtato con la cameriera.”
“Acuto.”
Commento secca.
“Jen, non puoi…”
“No, non posso. Te l’ho già detto, non siamo più amici.”
Lui sospira.
“Perché non mi credi?”
“Questi occhi hanno visto le tue mani sul suo culo e trovano un po’ difficile crederti. Hai avuto mesi per confezionare questa storia.”
“Non vuoi nemmeno vedere cosa ti avevo comprato?”
“Immagino che se ti dirò di no tu comincerai a pedinarmi o cose del genere fino a che non sarò obbligata a vederla.”
“Sì, potrei farlo. Sono venuto qui a Chicago per chiarire le cose, farti capire i miei veri sentimenti e farti smettere con quello che ti stai facendo.”
“Un vero buon samaritano.”
“Allora?”
Io annuisco brevemente e lui tira fuori una scatolina per poi porgermela. Io la accetto con un po’ di riserve e la apro: contiene una collanina con il ciondolo di una tartaruga.
“Molto carina.”
Dico fredda e mentendo, è più che carina: è bella. Fatta d’argento e con il guscio decorato da quelli che sembrano diamantini o zirconi.
“Ti piace?”
“Sì.”
“Sono felice.”
“Ok, ho finito il panino e ti ho ascoltato. Ora posso andare.”
“Jen!”
La sua voce è accorata.
“Ti prego, credimi!
Non volevo farti del male, io ti amo!”
“Invece me ne hai fatto.”
“Giurami che almeno la smetterai con questo hobby del cazzo.”
“Non ti prometto nulla, perché non ti devo nulla.”
“Farò in modo che tu mi creda.”
Io sbuffo e lo lascio seduto al tavolo a finire quello che ha ordinato, sono abbastanza scossa da questo incontro.
Davvero lui è innocente come dice?
Davvero è stata tutta una cosa architettata da Madison?
È stronza abbastanza da poterlo fare, ma non so perché, non riesco a credere che lui sia totalmente innocente. La scena dello sgabuzzino delle scope mi perseguita così tanto nei miei incubi che ormai ho imparato a memoria ogni particolare.
Salgo sul pullam e alzo il mio mangiacassette a tutto volume per non sentire i miei pensieri ed evitare che le lacrime che mi pizzicano gli occhi inizino a cadere.
Il pullmas mi porta verso casa, ma io guardo fuori senza vedere nulla, senza nemmeno prestare attenzione alle decorazioni di Natale.
Arrivo a casa e non do retta né a mio fratello né a mia madre che vogliono sapere come sia andata la serata. Mi ficco subito sotto la doccia e poi a letto.
Tra le mani ho la collanina di Tom e la guardo per un po’, pensando che è davvero un bell’oggetto e che deve essergli costata un po’ di soldi, forse è davvero interessato a me.
Un gemito mi esce involontariamente e mi nascondo sotto le coperte.
Non può davvero tenerci a me e aver fatto quello che ha fatto, non ha un cazzo di senso!
Appoggio la collana sul comodino per poi scoppiare a piangere silenziosamente sotto le coperte, completamente in crisi e incerta su tutto.
Perché è tornato?
Perché sconvolgermi ancora?
Daniel non poteva tenere la sua dannata boccaccia chiusa?
Una parte di me vorrebbe alzarsi e tagliarsi – dando almeno temporaneo sollievo al dolore che mi attanaglia – un’altra si sente già vincolata alla non-promessa di Tom.
Non tagliarti, Jen, mi ha detto e io già gli do retta come una scema o forse come una a cui hanno riattivato bruscamente l’istinto di sopravvivenza.
Sono bastate poche parole e mi ha ributtato nella confusione da cui ho provato così disperatamente a scappare. Perché – sì, posso fare la dura e tutto il resto – io lo amo ancora e tengo ancora a lui in un modo che mi spaventa. Mi sento una bambola di cristallo nelle sue mani, gli basta poco per mandarmi in pezzi e lui nemmeno lo sa.
Lui forse pensa che io sia forte, ma sono debole quando si tratta di Tom DeLonge e lo provano i tagli sulle mie braccia. Che illusa che sono!
Pensavo fossero fatti per buttare fuori il dolore e mantenermi forte, ma in realtà erano solo una richiesta di aiuto diretta verso di lui. Non che pensassi che lui l’avrebbe mai scoperto, non ero preparata al fatto che queste urla mute trovassero una risposta.
Le lacrime solcano il mio viso e inzuppano il cuscino.
Lo amo, cosa devo fare?
Dargli una possibilità ed espormi al rischio di essere ferita ancora da lui o cacciarlo via?
Il rischio che mi faccia soffrire ancora è concreto, so come lo chiamano, so che è Hot Pants, che via una ce n’è sempre un’altra.
Lo so, eppure una piccola stupida parte di me non fa altro che dire che questa volta è diverso, che per una persa non si compra una collana né la si insegue una volta scoperto dov’è.
Quel ragazzo è un mistero che mi spaventa.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13)Perché mi chiamo così. ***


13)Perché mi  chiamo così.

 
La mattina dopo mi alzo che sembro un panda.
La matita, l’ombretto e il mascara sono colati durante il pianto notturno, con un sospiro mi pulisco la faccia con lo struccante e mi rifaccio il mio solito pensate trucco nero.
Scendo a fare colazione con un’aria particolarmente abbattuta che non passa inosservata.
“Tutto bene, Jen?”
“No, mi sento come se mi avesse tirato sotto un carro armato e non credo di poter affrontare un nuovo giorno di scuola.”
Mia madre mi porge un’abbondante colazione.
“Sono sicura che ce la farai dopo questa, sei una ragazza forte, Jen.”
Io non dico nulla, ma vorrei mostrarle i miei polsi e dirle che non sono così forte come sembro, che sto miseramente crollando a pezzi ogni giorno di più.
Inizio a mangiare i cereali, i pancakes, i waffles e le uova con il bacon in ordine sparso, senza sentire veramente il sapore di niente, solo per mangiare. Che se il mio spirito è moribondo, il mio corpo non lo è. Il sangue scorre nelle vene, il cuore batte, i polmoni mi fanno respirare.
Mio fratello mi spia buttando ogni tanto qualche occhiata che io non ricambio, sono ancora arrabbiata con lui per non essersi fatto i fatti suoi.
Se lui si fosse fatto i fatti suoi a quest’ora non ci sarebbe una collana che mi riempie di dubbi e non mi sentirei legata a un promessa fatta a una persona che mi ha ferito.
“Avevi fame, tesoro?”
Mi chiede mia madre, vedendo quello che c’è sul mio piatto arrossisco leggermente.
“Oh, un po’. Ieri se non ho mangiato molto.
Io adesso andrei, eh.”
Dan si alza con me e mi segue fuori dalla cucina, ma non ha il coraggio di dire nulla se non quando siamo in macchina.
“Allora?”
“Allora è venuto perché qualcuno gli ha detto che mi taglio.”
Le sue guance si tingono di un rosa delicato e inizia a giochinare con le maniche della felpa.
“Sono preoccupato per te e lui mi è sembrato l’unico in grado di fare qualcosa.”
“Vabeh, poi mi ha rifilato a storia che è stata solo colpa di Madison.”
“E non pensi che possa avere ragione?”
Io non rispondo nemmeno.
“Poi mi ha dato una collana con il ciondolo di una tartaruga, dicendomi che voleva darmela prima di partire.”
“Lui non le fa queste cose di solito, non pensi che forse non voleva solo prenderti per il culo?”
“Per quel che ne so può essere andato a prenderla dopo che tu l’hai chiamato, un modo come un altro per lavarsi la coscienza.”
“Perché pensi questo?”
Mi chiede con la voce velata di rabbia.
“Oh, andiamo! È famoso per portarsi a letto le ragazze e mollarle, poi ha saputo che una non ha reagito molto bene e si è sentito in colpa e è venuto qui.”
“Sbagli a giudicarlo così! È vero si è comportato così con un sacco di ragazze, ma non con te!
Tu non stai vivendo, stai morendo ogni giorno di più e non ho più intenzione di lasciartelo fare. Hai iniziato a morire da dopo la storia di Chris, capisco che sia stato brutto e mi dispiace di non avergli rifatto quella faccia da cazzo, ma non tutti i ragazzi sono come lui e non tutte le ragazze sono lesbiche affamate.”
“Come cazzo fai a saperlo?”
“Una notte ti lamentavi nel sonno, le dicevi di lasciarti stare. Quella sera sei tornata prestissimo e ho fatto due più due.”
All’improvviso mi sento come nuda davanti ai suoi occhi e non è una bella sensazione: ci si sente davvero vulnerabili.
“L’hai detto a Tom.”
“No, questi sono davvero affari tuoi. Sta a te decidere se dirglielo o no.”
Io sospiro di sollievo e scarico mio fratello alla sua scuola, poi mi dirigo alla mia, arrivo e parcheggio. Kevin mi aspetta all’entrata, a pochi passi da lui c’è Amber che mi guarda in cagnesco.
“Ciao, Jennifer.”
“Ciao, Kevin. Meglio che tu vada, alla tua ragazza non fa piacere che tu parli con me.”
“Per una volta può aspettare, voglio solo essere certo che vada tutto bene. Quel ragazzo ti ha importunata ancora?”
“Ci siamo visti a cena e basta.”
“È lui?”
“Lui chi?”
“Quello che ami ancora, quello che non ti permette di iniziare una nuova relazione, il fantasma che viene dritto dal tuo passato.”
Io abbasso gli occhi, sentendomi un’altra volta vulnerabile.
“Sì, è lui. Abbiamo avuto una mezza storia prima che io mi trasferissi, ma è stato abbastanza per rovinarmi il cuore.”
“Capisco, mi dispiace.
Possiamo rimanere amici?”
Io sospiro.
“Mi piacerebbe, ma siamo realisti. Amber mi odia e non ti permetterebbe mai di frequentarmi, guarda solo come ci guarda adesso. Se potesse mi ucciderebbe.”
Lui guarda la sua ragazza e sospira.
“Immagino che tu abbia ragione, ma sei hai bisogno di me ci sono.”
“Grazie, adesso è meglio che tu vada.”
“Hai ragione. Ciao, Jen. Grazie di esserti iscritta a questa scuola.”
Se ne va e raggiunge Amber che lo prende subito per mano e mi lancia la solita occhiata velenosa.
Quanto vorrei essere altrove, in un luogo sperduto dove ci sono pochissime persone e la natura la fa da padrone.
Gli esseri umani sono una fregatura.

 

Inutile dire che questa giornata scolastica è stata uno schifo.
Sono sola come al solito, bersagliata dalle occhiate di odio di Amber e da quelle di scusa di sua sorella. Mi sento come una specie di pacco capitato per caso e non particolarmente amato, uno di quelli che ti ritrovi tra i piedi e non sai che farci.
A mensa mangio in un tavolo da sola, sebbene la vacca della scuola mi abbia chiesto di unirsi al suo tavolo, sapendo quello che è e fa preferirei morire di fame che sedermi al suo stesso tavolo.
Giusto per finire male la giornata come ultima materia ho educazione fisica e giochiamo a pallavolo, nemmeno a dirlo Amber finisce nella squadra avversaria. Lancia un servizio dritto contro la mia faccia, per poco non mi spacca il naso.
Non scherzo, l’infermiera della scuola mi ha detto che ho preso una bella ammaccatura, la stronza mi ha punita per aver solo parlato con il suo ragazzo. Amber ha seri problemi, dovrebbe farsi vedere e i suoi amici dovrebbero smettere di fare da zerbini alle sue crisi da primadonna.
Sì, sogna Jen.
Con il naso dolorante e la voglia di vivere di un cadavere esco da scuola e mi ritrovo di nuovo Tom appoggiato alla mia macchina.
“Non te n’eri tornato a San Diego?
Mi hai parlato, dato la collana, il tuo compito è finito qui.”
“Cosa ti è successo al naso?”
“Una pallonata a ginnastica.”
“È stata quella bionda che ti ha buttato a terra ieri?”
“Anche se fosse? Che ti importa?”
“Mi importa. Voglio  che tu mi perdoni e magari qualcosa di più.”
“No, non dirmi che vuoi essere il mio ragazzo.”
Scoppio in una risata amara.
“Dopo tutto quello che è successo hai davvero una faccia tosta senza pari, DeLonge.”
“Lo so e di solito ottengo quello che voglio. Perché non mi porti a fare un giro per la città?”
Sto per mandarlo a fanculo quando Kev fa la sua apparizione.
“Amico, pianta di darle fastidio! Trovati un’altra ragazza.”
“Io non voglio un’altra ragazza, voglio lei.”
“E se lei non ti volesse?”
“Basta, ragazzi!”
Con la testa faccio cenno a Kev che la sua pazza si sta avvicinando e lui capisce al volo il messaggio sotteso togliersi di torno se non vogliamo che scoppi la terza guerra mondiale.
“Bene, adesso me lo concedi un giro?”
“Se un fottuto stronzo.”
Sibilo tra i denti, il che equivale a dire sì.
Lui entra in macchina e si mette comodo, io mi metto al sedile di guida e inserisco una cassetta dei Sex Pistols nella radio, voglio che ci sia abbastanza rumore da impedire ogni conversazione. Lui sembra capire il messaggio perché non apre bocca e si limita a guardarsi intorno interessato.
Guido fino a un parco che dà sul lago Michigan, parcheggio, spengo a radio e gli faccio cenno di scendere.
“Da quando senti i Sex Pistols?”
“Da quando ho bisogno di qualcosa che faccia più rumore dei miei pensieri.”
“Dove mi hai portato?”
“Al mio parco preferito, dà sul lago.”
“Figo, è pieno di neve!”
Lo dice come se fosse una novità, per me non lo è e alzo gli occhi al cielo. Cinque secondi dopo mi ricordo che lui è californiano come me e che da noi non si vede spesso ed è un evento da celebrare.
“Andiamo.”
Dico sbrigativa, entrando e cominciando a camminare su un sentierino di ghiaia semighiacciato.
“Sta attento, con quelle scarpe rischi di finire culo a terra.”
Non faccio a tempo a dirlo che un tonfo mi avvisa che il signor DeLonge è finito culo a terra sul serio. Lo aiuto ad alzarsi e poi ci sediamo su una panchina.
“È per quello che ti metti gli anfibi con quell’uniforme da fighetta.”
“Anche.”
Lui si guarda intorno e nota la superficie grigia e piatta del lago che riflette quella del cielo.
“Bello, è sempre così grigio?”
“Solo quando sta per nevicare. Cosa hanno detto i tuoi di questa trasferta?”
“I miei sono divorziati. Mio padre se ne è sbattuto il cazzo e mia madre ha urlato un po’, dicendo che sono matto da legare, ma poi mi ha lasciato andare.”
“Tua madre ha perfettamente ragione.”
“Grazie. Sono commosso per come mi sei riconoscente per preoccuparmi per te.”
“Nessuno te lo ha chiesto.”
“Ancora quella questione? Credi che sia ancora qui per lavarmi la coscienza?”
Io rimango in silenzio.
“Sei più testarda di un mulo, Jennifer Jenkins.”
“Potrei dire lo stesso di te.”
Lui sbuffa e si stravacca sulla panchina.
“Chi è quel ragazzo che ci ha interrotto per ben due volte?”
“Si chiama Kevin.”
“È il tuo ragazzo.”
“Il mio ex, adesso sta con Amber: la bionda che mi ha buttata a terra la prima volta che sei venuto a scuola.”
“Hai avuto un ragazzo?”
Mi chiede in tono deluso.
“Cosa c’è di male? Noi non siamo mai stati insieme, non c’è bisogno di agire come se ti avessi tradito!”
“Hai ragione. Come mai vi siete mollati?”
“Cazzi tuoi, no?”
“No.”
Io sbuffo seccata.
“Non ha funzionato e basta. Adesso sta con Amber che è gelosa e gli impedisce di vedermi, è patetico. Amber se potesse mi ucciderebbe, Jamelia – la sua gemella – continua a scusarsi con me e Kev vorrebbe essere ancora mio amico.”
“Se questa Amber non fosse gelosa marcia lo rivorresti come amico?”
“Sì.”
Rispondo decisa guardandolo in quegli occhi scuri che mi hanno rovinato la vita.
“È un buon amico, lui.”
Lui incassa.
“Mi perdonerai mai?”
“Perché dovrei farlo?
Sei Hotpants, no?
Adesso ti scusi, io ti perdono e tra qualche mese avrò un discreto palco di corna.
No, grazie.”
“Non sarà così!”
Urla lui facendo alzare in volo gli uccelli che riposavano pacifici sull’albero accanto alla panchina.
“No, eh?!
Quanto è durata la tua relazione più lunga?”
Lui rimane in silenzio.
“Ecco, questa è la risposta!”
“E se con te fosse diverso?”
Punta i suoi occhi nei miei con uno sguardo serio che gli ho visto solo quando mi ha salvato da Chris.
“Perché dovrei crederti?”
Sussurro piano.
“Perché di qualcuno devi fidarti, non puoi continuare a cacciare a calci le persone dalla tua vita, non è così che funziona, Jen.
Continuare a posticipare il dolore lo renderà più duro da affrontare il giorno in cui dovrai farlo. Tuo fratello è preoccupato per te e lo sono anche io. Dammi una seconda possibilità, ti prego. Questa volta farò del mio meglio, ti rispetterò.”
Io rimango senza parole, il mio cuore ha saltato qualche battito e non so cosa dirgli, nelle mie testa ci sono l’eco delle sue parole e il rumore sordo del mio cuore che batte.
Mi alzo in piedi nervosa e mi accorgo che ha iniziato a nevicare: neve sottile simile a cenere.
“Devo pensarci.
Dove stai? Ti riporto lì.”
“E il nostro giro per Chicago?”
“Saltato.”
“Jen…”
Si alza anche lui.
“No, non puoi presentarti qui così e fare il bravo ragazzo e aspettare che ti creda. Ho bisogno di tempo.”
“Ok, ma il giro me lo avevi promesso.”
“Ritieniti fortunato che non ti pianti qui e ti costringa a fartelo da solo questo giro per trovare il posto dove vivi.”
Lui sospira.
“Va bene. Oh, nevica!”
“Già, nevica.”
Usciamo dal parco in silenzio e saliamo in macchina.
“Sto da mia zia Kate.”
Mi detta l’indirizzo e io percorro piano le strade della città.
“Vorrei non avere mandato a puttane tutto.”
“La prossima volta ti tieni l’uccello nei pantaloni.”
“Sei diventata brusca, dura.”
“Sono cambiata, ho dovuto affrontare un po’ di cose non piacevoli e sai cosa cambia le persone?
Il dolore, Tom.
Il dolore può trasformare la più buona delle persone in una iena acida e misantropa.”
“L’amore può guarire.”
“Questa non è una favola, siamo arrivati. Scendi.”
“Ti farai viva?”
“Può darsi. Ciao.”
Riparto diretta verso casa mia con il cuore in tumulto: è vero quello che ha detto?
È vero che per me prova qualcosa di diverso o è semplicemente un modo per lavarsi la coscienza e fregarmi ancora?
Una volta gliel’ho data la fiducia ed eccomi qui, fatta fessa alla prima occasione nel modo peggiore!
Le mie mani stringono il volante fino a farmi venire le nocche bianche, non so cosa fare. Il mio cervello mi dice di lasciarlo marcire a casa di zia Kate, il mio cuore di dargli una possibilità, ma il mio cuore non è molto affidabile.
Parcheggio davanti ed entro infreddolita, mia madre mi sta aspettando nell’ingresso.
“Oggi hai fatto un po’ tardi.”
“Sì, scusa. Tom ha insistito per fare un giro in città.”
Lei scruta la mia faccia con apprensione mista a curiosità.
“Tu non stai bene, vuoi parlarne?”
“Cosa?”
“Jen, hai l’aria strana. Ne vuoi parlare?”
Io rimango incerta per un attimo, non so se ho voglia di parlarne.
“Davanti a una cioccolata.”
“Con la cioccolata hai vinto.”
Mia madre mi sorride e io la seguo in cucina dopo essermi tolta gli anfibi. Pochi minuti dopo siamo davanti a una cioccolata calda decorata con panna.
“Cosa ci fa Tom qui?”
“L’ha chiamato Daniel.”
“Perché?”
“Perché è preoccupato per me.”
Dico affondando il cucchiaio nella panna.
“Un po’ lo sono anche io, da quando hai rotto con Kevin non hai più amici.”
“Amber, la sua ragazza, non mi sopporta e non vuole che io sia amica di Kev e dei suoi amici e siccome è una mezza psicopatica le danno tutti retta.”
Lei arriccia il naso.
“Cosa ti ha detto Tom?”
“Che non posso chiudermi completamente in me stessa perché il giorno in cui sarò obbligata ad affrontare il dolore farà male il doppio, di dargli una seconda possibilità.
Dice che con me è diverso rispetto alle altre ragazze, ma non so se credergli, magari lo dice solo per convincermi così si può lavare la coscienza.”
“Jen, ho trovato un pacchetto di lamette in camera tua.”
Mi gelo a queste parole.
“Cosa te ne fai?”
“Niente.”
“Fammi vedere il tuo braccio.”
“No!”
Dico con forza, ma lei me lo afferra e alza le maniche: è pieno di tagli.
Lei lo lascia andare e mi guarda sconvolta.
“Oh, mio dio!”
Io mi alzo e lascio la mia cioccolata a metà.
“È per questo che Tom è tornato, sente di dovere porvi rimedio.”
“Perché, Jenny?
Perché lo fai?”
“Perché mi fa stare bene, perché mi fa sfogare senza dovervi fare preoccupare in caso di reazioni eccessive.”
“Come puoi dire così?
E se un giorno sbagliassi la vena?
Ci pensi a cosa potrebbe succedere? A cosa potremmo provare noi?
Io non voglio perdere una figlia per questo, ho già perso una sorella!
Tu ti chiami così in suo onore, non ho intenzione di seppellire anche te, queste sono sequestrate e voglio che tu mi prometta una cosa: che smetterai.
Che quando ti senti giù o ti senti scoppiare verrai da me e ne parleremo insieme.”
Io sono senza parole, non sapevo di chiamarmi Jennifer per questa ragione, non sapevo che mamma avesse una sorella, nessuno me ne ha mai parlato.
“Jenny!”
Io la guardo con gli occhi pieni di lacrime, non posso deluderla e in questo momento capisco che ho scelto il modo sbagliato di affrontare il dolore.
“Te lo prometto, mamma. Non lo farò mai più.”
Dico con voce spezzata, lei mi abbraccia e lascio che le lacrime scorrano liberamente sul mio volto.
È arrivato il momento di affrontare il dolore, Jennifer.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14)Il marchio di famiglia: domare gli indomabili. ***


14)Il marchio di  famiglia: domare gli indomabili.

 

Sono seduta in camera mia, in mano ho la collanina di Tom e me la rigiro.
Parole ripetute da persone a me care continuano a ripetersi nella mia mente.
{“Sbagli a giudicarlo così! È vero si è comportato così con un sacco di ragazze, ma non con te!
Tu non stai vivendo, stai morendo ogni giorno di più e non ho più intenzione di lasciartelo fare. Hai iniziato a morire da dopo la storia di Chris, capisco che sia stato brutto e mi dispiace di non avergli rifatto quella faccia da cazzo, ma non tutti i ragazzi sono come lui e non tutte le ragazze sono lesbiche affamate.”}

Danny, il mio fratellino.
Il primo che ha scoperto il mio segreto e che – lo stesso – mi ha parato il culo con i miei.
Quello che era amico di Tom, ma non ha esitato a schierarsi dalla mia parte quando ha saputo cosa ha fatto.
Forse una delle persone che più mi ama nella mia vita.
Lui ha ritenuto giusto chiamare Tom e mi chiedo se forse non avesse ragione, forse perdonandolo le cose andranno meglio.
Forse riannodando i fili del nostro rapporto spezzato troppo presto troverò la pace, è inutile negare ancora: lo amo.
Lo amo come lo amavo quando mi ha ferito con Madison, lo amo come quando me ne sono andata da San Diego, lo amavo quando me lo sono ritrovato fuori dalla scuola.
Mi perdo ad ammirare i diamantini della tartaruga.
{“Perché di qualcuno devi fidarti, non puoi continuare a cacciare a calci le persone dalla tua vita, non è così che funziona, Jen.
Continuare a posticipare il dolore lo renderà più duro da affrontare il giorno in cui dovrai farlo. Tuo fratello è preoccupato per te e lo sono anche io. Dammi una seconda possibilità, ti prego. Questa volta farò del mio meglio, ti rispetterò.”}

Mi rispetterà davvero?
Aveva ragione sulla cosa del posticipare il dolore, adesso che non posso più scappare mi sta artigliando il cuore come una bestia feroce.
Fa male, tanto male.
Mi sento sporca e contaminata per via di tutte quelle cose che mi sono successe, compresa essere stata fregata da lui. Ma poi lui è venuto subito a cercarmi non appena ha saputo dove fossi.
Qualcosa dovrà pure significare e forse non quello che penso io.
Forse non lo fa per lavarsi la coscienza, ma perché tiene a me e ricambia i miei sentimenti
No, meglio non correre troppo sull’ultima parte della frase, non è detto che mi ami, forse sono solo un’amica.
Ma le amiche non si baciano e il ricordo del bacio che mi ha dato prima che io partissi per Chicago mi brucia ancora sulle labbra. Me le tocco e penso che dopotutto non è stata un’esperienza spiacevole.
{“Perché mi fa stare bene, perché mi fa sfogare senza dovervi fare preoccupare in caso di reazioni eccessive.”
“Come puoi dire così?
E se un giorno sbagliassi la vena?
Ci pensi a cosa potrebbe succedere? A cosa potremmo provare noi?
Io non voglio perdere una figlia per questo, ho già perso una sorella!
Tu ti chiami così in suo onore, non ho intenzione di seppellire anche te, queste sono sequestrate e voglio che tu mi prometta una cosa: che smetterai.
Che quando ti senti giù o ti senti scoppiare verrai da me e ne parleremo insieme.”}

E poi c’è il dolore di mia madre, un dolore di cui io non sapevo nulla, che è rimasto nascosto nel suo cuore per anni. Non riesco nemmeno a immaginare quanto abbia sofferto e quanto stia soffrendo adesso, probabilmente si sente catapultata dentro quell’incubo che credeva di avere superato.
Deve essere per questo che è sempre stata una mamma presente, per capire se c’erano segni della tempesta all’orizzonte e, cazzo, li ha visti.
L’ho delusa, l’ho ferita solo perché sono stata troppo codarda per affrontare il dolore. Ho preferito ricorrere alle lamette invece che al dialogo.
Mi sono isolata e ho chiuso fuori gente che poteva aiutarmi, tra cui Kevin.
Ok, lo so che sta con Amber, ma non voglio perderlo come amico.
Fanculo, troveremo un equilibrio!
Non posso permettere che quella psicopatica influisca sulla mia vita, non posso permetterle di portarmi via una delle persone che ancora si considera mia amica.
{“Sì, è lui. Abbiamo avuto una mezza storia prima che io mi trasferissi, ma è stato abbastanza per rovinarmi il cuore.”
“Capisco, mi dispiace.
Possiamo rimanere amici?”
Io sospiro.
“Mi piacerebbe, ma siamo realisti. Amber mi odia e non ti permetterebbe mai di frequentarmi, guarda solo come ci guarda adesso. Se potesse mi ucciderebbe.”
Lui guarda la sua ragazza e sospira.
“Immagino che tu abbia ragione, ma sei hai bisogno di me ci sono.”
“Grazie, adesso è meglio che tu vada.”}

Con l’eco di queste parole in testa compongo il suo numero e aspetto che risponda.
“Jen?”
“Sono io. Ti disturbo?”
“No, mi ha piacere la tua chiamata.
Come mai mi hai chiamato?”
“Ho pensato alle tue parole, ti va di rimanere amici?”
“Certo che mi va!”
“Ci vediamo al nostro solito posto?”
“Certo, vengo subito.”
Io sorrido, un pochino la tempesta dentro di me si è calmata.
Mi metto un paio di anfibi ed esco dalla mia stanza senza nemmeno toccare i compiti, oggi non ho voglia di farli e anche se ci provassi non avrei la concentrazione adatta.
Saluto mia madre che sta stirando, lei mi rivolge un sorriso tirato che mi fa sentire in colpa, mi metto la giacca e prendo la borsa.
Salto in macchina e metto nello stereo una cassetta dei Cranberries, ignorando la mia paura di finire uccisa da Amber domani. Io sono un po’ schizzata, lei è una cazzo di psicopatica che non perde occasione per farmi male, sempre facendolo sembrare un incidente.
Raggiungo il solito posto, che non è altro che un Mac del centro, e trovo Kevin fuori dal locale che saltella per il freddo, a giudicare dai jeans che porta almeno lui si è tolto la divisa.
“Jen!”
“Ehi, Kev. Come va?”
“Una merda. Te lo dico dentro, ce l’hai lo spazio per un hamburger e la cena?”
“Credo di sì, basta che sia piccolo.”
Prendiamo entrambi un happy meal e poi ci sediamo al primo tavolo libero.
“Che succede, Kev?
Problemi a casa?”
“Che?
No, assolutamente no. A parte il fatto che mio padre continua a telefonarmi nella vana speranza che io voglia riallacciare un rapporto con lui. Il vero problema è Amber, non la sopporto più.”
Io lo guardo a occhi sgranati.
“È una palla al piede, non mi lascia parlare con nessuna ragazza e ti dico che è anche pazza. Mi minaccia di farmi male o di ammazzarsi se la dovessi lasciare, ma io ne ho le palle piene.
La mollo, prima di Natale la mollo e poi chiederò al secondo marito di mia madre una guardia del corpo come regalo di compleanno.”
“Mi dispiace.”
“Anche a me. Avrei dovuto capire subito che tipo era da come ti ha trattata.
Tu come te la cavi?”
“Una merda. Avrei bisogno di un consiglio, come avrai capito Tom è tornato.
Mi ha spiegato che mi ha, diciamo, tradito con Madison perché lei lo ha obbligato trascinandolo nello sgabuzzino delle scope. Poi mi ha dato una collana, ha detto che avrebbe voluto darmela prima perché l’aveva comprata per farsi perdonare un suo comportamento scorretto a un appuntamento che al momento non aveva capito.
Lui è una frana, non ha mai auto una ragazza fissa e io gli ho detto che non voglio essere l’ennesima della lista. Lui dice che con me è diverso e non so se credergli.
È venuto da me non appena ha saputo dove fossi e mi ha aiutato con un certo problema, però io non so se fidarmi. Come faccio a essere sicura che non sia una finta o che comunque una volta messo con me non si stanchi e mi molli?
E poi io ormai vivo qui, ci vivrò fino alla fine dell’anno scolastico, e dovremo affrontare una relazione a distanza e non se funzionerebbe.
Cosa devo fare?”
Prima che lui possa darmi una risposta una furia bionda piomba al nostro tavolo.
Amber.
Ma che palle! Ma perché è sempre tra i piedi?
“Lo sapevo! Tu mi tradisci con questa qui, sei solo uno stronzo!
In quanto a te, adesso ti sistemo io!”
Kev si alza in piedi.
“Io non ti sto tradendo, sto solo parlando con un’amica.
Ma sai una cosa, Amber?
Mi hai rotto con la tua gelosia del cazzo, sei ossessionante, non ne posso più.
Io ho chiuso con te!”
Lei sbianca e poi si lancia verso di me per darmi una sberla, ma io le afferro i polso e lo stringo con forza.
“Adesso basta! Non mi importa che concetto tu abbia dell’amicizia o che te la prenda con me anche se non ho fatto niente, ma se tocchi i miei amici abbiamo un problema.
Stai lontano da Kev, stai lontano da me.
Trovati un altro ragazzo e magari anche un cazzo di psichiatra perché hai dei problemi a gestire a tua rabbia!”
“Ma stai zitta, puttana! Lo so cosa facevi in California, succhiavi i cazzi, cheerleader.
E scommetto che non sei affatto cambiata, ma quello di Kev è mio e devi starci lontana!”
“Come sai che sono stata una cheerleader?”
“Ho letto il tuo fascicolo, sei uscita. Perché?
Ti avevano annoiato i cazzi dei giocatori di football?”
Io divento pallida per la rabbia, raddoppio la presa sul polso di Amber – come se volessi spezzarglielo – e le do un violento manrovescio con l’altra mano.
“Tu sei pazza, cazzo. La ragione per cui sono uscita dalle cheerleader non ti deve riguardare!”
Ringhio a bassa voce.
“Adesso vattene e non farti mai più vedere o vedrai cosa sono capace di fare quando mi incazzo, pensi di essere forte perché sei fuori come un balcone e nessuno ti mette un freno, ma io sono cento volte più pazza e pericolosa.
Sai perché?
Perché non ho niente da perdere!”
“Ah, no?”
Mi dice beffarda.
“No. Ti ricordi di quel bisturi la prima volta che abbiamo avuto una lezione insieme’
La prossima volta non ti avviso nemmeno, te lo pianto direttamente nella gamba, lì c’è un’arteria… Potrebbe esserti fatale.”
Lei rabbrividisce perché la mia voce non vacilla e il mio sguardo è fermo.
La lascio andare e se ne va via, Kev mi guarda ammirato.
“Complimenti!”
“Figurati, per te questo e altro. Mi hai aiutato a sentirmi meno sola in quella scuola.
Cosa ne pensi della storia di Tom?”
Lui rimane in silenzio per lunghi girando la cannuccia nel bicchiere della coca.
“Sono ancora un po’ innamorato di te, quindi parlo contro il mio interesse, ma secondo me quel ragazzo è sincero.
Se vogliamo una ragazza solo per una scopata, non ci sbattiamo tanto se lei se ne va, noi ragazzi. Ne cerchiamo un’altra e stop, non voliamo di corsa appena sappiamo dove è finita quella che non c’è stata, non cerchiamo in ogni modo di farci perdonare.
Credo che lui sia sincero, ma lo stesso la situazione non è facile. Finite le vacanze di Natale lui dovrà tornare a San Diego. Però…
Provaci, Jen. È lui che ami, che hai sempre amato. So che ci sono esperienze che non mi hai mai raccontato che ti hanno reso spaventata e per questo ti nascondi dietro la corazza della ragazza dura, ma non può durare per sempre.
Non si può vivere per sempre nel passato.”
Io rimugino un attimo sulle sue parole.
Indubbiamente c’è del vero in esse, ma ho ancora paura. Temo che sia l’ennesima vota in cui affido la mia fiducia a qualcuno che finirà per tradirla.
Il soprannome HotPants pesa come un macigno nel mio cervello.
“Ma lui non ha mai avuto una relazione seria, cosa ho io di diverso dalle altre ragazze?
Sono anche bruttina per la media.”
Lui ride.
“Tu non sei affatto brutta! E poi si vede che hai una personalità, che non temi di essere diversa dagli altri per il look o le abitudini. Credo che Tom ti apprezzi per questo.”
“Non lo so. Forse hai ragione.
All’inizio pensavo fosse uno sfigato che voleva dimostrare di poter farsi una cheerleader, ma poi le cose sono cambiate. Lui mi ha salvato la vita e mi è rimasto accanto anche quando sono uscita dalle popolari.”
Il suo volto si indurisce.
“Cosa significa che ti ha salvato la vita?”
“Il ragazzo con cui uscivo allora ha tentato di violentarmi e lui mi ha salvato.”
“Gliene sono grato. Tu pensaci, è arrivato il momento di andare a casa.”
“Hai ragione.
Ciao, Kev.”
Ci salutiamo fuori dal Mac e me ne vado sentendomi un pochino meglio.

 
Arrivata a casa trovo mia madre in salotto mi lancia una unga occhiata.
“Tutto bene, Jen?”
“Più o meno.
Ho parlato con Kevin.”
“Pensavo non vi parlaste più.”
“Era la sua ragazza a non volere che noi parlassimo, adesso si sono lasciati, comunque.”
“Mi dispiace.”
“A me non molto, perché era una stronza apocalittica.”
“Vuoi dire che forse ti piacerebbe tornare con lui?”
I suoi occhi scintillano un po' e quasi mi dispiace spegnere questa luce.
“No, mi dispiace. Abbiamo parlato di Tom.”
“E cosa avete detto?”
Mi risponde un po’delusa.
“Secondo lui dovrei dare una seconda possibilità a Tom, che nessun ragazzo si sbatte così tanto per una ragazza con cui vuoi solo una notte di ….”
Lei rimane un attimo in silenzio.
“Non ha tutti i torti, ma tu sei sicura di rivolerlo nella tua vita?
Ti ha fatto tanto soffrire e poi tu ormai abiterai qui fino a giugno e lui sarà a San Diego.”
“Lo so, aspetta qui un attimo.”
Salgo in camera mia e tolgo la collana che mi ha regalato Tom dal portagioie e poi scendo di nuovo. La porgo a mia mia madre.
“Che bella! Chi te l’ha regalata?”
“Tom.”
Lei se la rigira tra le mani.
“È molto bella, ma devo dirti una cosa: quando gli uomini fanno qualcosa di sbagliato cercano di ripagare con i gioielli.”
“Lo so, ma so anche che lui è alle prime armi con una storia seria e forse qualche errore devo perdonarglielo. Lui finora non ha mai avuto un storia serie, non so se hai capito il tipo.”
Lei alza gli occhi al cielo e sorride, non mi aspettavo questa reazione da lei.
“Quello che va domato, esattamente come tuo padre.”
“Lui era come Tom?”
Le ride e per un attimo rivedo la ragazzina che doveva essere stata dietro l’adulta con i capelli di un caldo castano tagliati a caschetto.
“Aspettami un attimo qui, Jenny.”
“Ok.”
Le dico incerta, inizio a spostare il tappeto con la punta delle ciabatte e mi chiedo cosa voglia farmi vedere. Poco dopo torna con una fotografia e una scatolina di velluto viola. La foto ritrae un ragazzo dai capelli irti, colorati di un arancione squillante – simile a Johnny Rotten nell’era dei Pistols – che indossa un chiodo di pelle, un paio di jeans stracciati e degli anfibi.
È abbracciato a una ragazza dai lunghi capelli castani, che indossa un vestito nero e degli anfibi dello stesso colore, l’unica nota di colore e una sciarpa a fiori di un arancione vivace.
“Come avrai capito, questi siamo io e tuo padre.”
“Lui era un punk?”
“Lo è ancora, custodisce gelosamente da qualche parte i dischi dei Sex Pistols e dei Ramones.”
“E questa sei tu. Siete così…”
“Diversi? Sì, lo eravamo, ma siamo riusciti a farla funzionare. Lui era circondato da tutte quelle ragazzine punk che non so come abbia fatto a notare me, che somigliavo molto a Mercoledì Addams, ma è successo.”
“Cosa c’è nella scatolina?”
“Una volta mi fece arrabbiare da morire flirtando spudoratamente con una tizia bionda artificiale, vestita come una prostituta e piena di tatuaggi. Litigammo furiosamente, lui non capiva perché mi fossi arrabbiata così tanto, ma qualche giorno dopo è arrivato con questa.”
Io apro la scatola e rischio di farla cadere a terra: contiene una collanina con il ciondolo di una tartaruga, praticamente il papà del mio.
“Oh, Cristo!”
Lei mi fulmina.
“Cioè, cazzo! È uguale!”
“Jen!”
“Oh, sì, scusa, Madonna mia.”
Lei scuote la testa.
“Fai quello che ti senti. Que sera sera, the future is not our to see.”
Io le restituisco tutto e salgo in camera mia, finalmente per cambiarmi. La divisa stava iniziando a diventare fastidiosa.
Guardo la mia collanina e poi prendo in mano il mio telefonino, forse sto sbagliando tutto, forse i sto condannando a un futuro di sofferenze e a un palco di corna più grande del Brasile; ma non ce la faccio a non farlo.
Ormai ho capito, non riesco a fare a meno di li.
Potrei trasferirmi in Cina e non cambierebbe nulla, continuerai ad amarlo anche lì.
“Jen?”
“Sì, sono io. Vediamoci al parco, devo dirti una cosa. Sai come arrivarci, vero?”
“Mi farò portare da zia Kate, a tra poco.”
Io indosso un paio di jeans e un maglione rosso e sformato, ma che tiene caldo e poi me ne vado di nuovo. Salgo in macchina e raggiungo in fretta il parco, giusto per vedere una station wagon verde bottiglia allontanarsi.
“Ciao, come mai hai voluto vedermi?”
“Dio solo sa perché, ma ho deciso di darti una seconda possibilità.”
Lui si avvicina, come per baciarmi, ma io metto le mani davanti a me.
“Con qualche condizione.”
“Del tipo che non mi metterai le corna o farai lo scemo con altre ragazze e stai lontano da Madison o prendo un aereo e vengo a San Diego solo per castrarti.”
“Ma chi la vuole!”
“Bene.”
“Adesso posso baciarti o devo attendere una bolla papale?”
“Aspetteresti?”
Gli chiedo ironica.
“Jennifer!”
Il suo è un tono di supplica.
“Va bene, puoi baciarmi.”
E così le nostre labbra si incontrano di nuovo ed è come se si fossero lasciate l’altro ieri e non mesi fa. Troviamo subito il ritmo giusto e sento le mani di Tom che mi accarezzano le guance.
Dopo aver continuato a scappare come una dannata per mesi capisco che è questo il mio posto: tra le braccia di Tom.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15)Amore ***


15)Amore

 
Dopo il bacio al parco decido che è meglio che meglio tornare a casa.
“Tom, credo sia meglio che io vada a casa, oggi non ho fatto altro che fare avanti e indietro.”
“Ma io volevo trascorrere del tempo con te!”
Lui fa una smorfia da cane bastonato e io rimango un attimo paralizzata, poi prendo un profondo respiro.
“Potresti venire a mangiare da me, così conosceresti i miei e Danny.”
“Li conosco… Oh, questa è una di quelle domande trabocchetto in cui se sbaglio risposta mi ucciderai, vero?
È una di quelle cose serie, vero?”
“Ah ah.”
“Ok, vengo.
Anche perché ho una fame della madonna.”
“Anche io, per colpa tua ho dovuto fare avanti e indietro come una dannata.
Lo sai che Kev e Fraulein Hitler si sono lasciati?”
“Intendi la bionda con seri problemi di controllo della rabbia?”
“Lei.”
“Beh, buon per lui.
Non lo conosco, ma non augurerei a nessuno una pressa del genere come ragazza.”
“Hai ragione, ma adesso devo stare attenta. Potrebbe uccidermi e tentare di farlo passare per un incidente o un suicidio.”
“Brutta gatta da pelare.”
Il suo stomaco emette un sordo brontolio, quindi ha davvero fame.
“Quanto dista la tua macchina?”
“Ci sei davanti, Tom.”
Entriamo tutti e due e lui mette una demo dei blink nello stereo.
“Avete prodotto materiale nuovo?”
“Di più. Abbiamo trovato un batterista, si chiama Scott Raynor. È un pischello delle medie, ma con la batteria ci sa fare o almeno fa quello che serve a un batterista punk, che non è molto.”
“Sono felice per voi, come stanno gli altri?”
“Bene. Non ci crederai mai, ma Cheryl è incinta?”
Io cerco di mantenere più autocontrollo che  posso.
“Ma davvero?”
Incredibile come la mia voce suoni leggera e quasi menefreghista.
“Sì, indovina chi è il padre?”
“Boh, uno dei ricconi sfondati di Ocean County.”
“Chris Macbridge.”
“Partoriranno l’anticristo.”
Borbotto a bassa voce.
“Pensavo foste amiche.”
“Lo pensavo anche io, ma mi sbagliavo.
Succede nella vita.”
Dico atona, lui non indaga ed è meglio così: non sono pronta a dirgli tutto.
Arriviamo a casa mia, lui esita un attimo prima di scendere a sua volta.
“Ho paura che i tuoi mi lincino.”
“Stai tranquillo.”
Entriamo in casa insieme e mia madre – a parte spalancare la bocca – non reagisce male, Danny lo guarda curioso e mio padre attento.
“Buonasera, ragazzo.
Credevo che non ti avrei mai più rivisto, ma ciò non significa che sia una cosa negativa.
Hai portato troppo scompiglio nella vita di mia figlia.”
Dice burbero.
“Cercherò di rimediare, intanto mi ha invitato a cena.”
“Bene, preparate la tavola.”
Tom mi segue e io gli porgo la tovaglia che lui dispone sul grande tavolo della sala da pranzo, poco dopo arrivo io con i tovaglioli e le posate.
“Bella casa, complimenti.”
“Sì, mi piace molto. È bella soprattutto quando fuori nevica, vero?”
Gli faccio l’occhiolino e lui guarda fuori dalla grande vetrata.
“Ma qui nevica sempre?”
“No, ma molto più spesso rispetto a San Diego.”
“Jen, a San Diego non sanno nemmeno cosa sia la neve, tranne i fortunati che si possono permettere una casa in montagna.”
“Immagino di sì.”
Finiamo di preparare la tavola e ci sediamo tutti giusto in tempo prima che mamma arrivi con il pollo e lo divida in cinque porzioni.
“Peccato, avevo pensato che con gli avanzi tu e tuo fratello poteste farci una cena domani sera.”
“Come mai?”
“Io e tu padre non ci siamo, domani c’è la festa di Natale del suo studio.”
“Oh, vero. Ma non è un po’ presto?”
“Jenny, hai perso la cognizione del tempo?
È il venti di dicembre.”
Io mi appoggio la mano sulla fronte.
“È vero!”
Rimaniamo un attimo in silenzio, poi mia madre pone la domanda fondamentale.
“Tom, cosa ci fai qui?”
Lui mi guarda e capisco che tocca a me rispondere, dato che sono io che l’ho trascinato in questa situazione.
“Mamma, papà, Daniel, io e Tom stiamo insieme. Lui è il mio ragazzo, io sono la sua ragazza.”
I miei rimangono sbigottiti.
“Ma, tesoro, sei sicura?
Ti ha fatto stare tanto male, ti ha tradita ancora prima che la vostra storia iniziasse.”
Questo è mio padre, sarà anche stato un punk, ma adesso sembra un comune padre preoccupato per la sua cucciola di casa.
“Lo so e abbiamo discusso a lungo di questo.
Ho deciso di dargli una seconda possibilità, perché non era completamente responsabile.”
Lui mi guarda senza capire, ma non lesina un’occhiataccia omicida a Tom.
“Beh, mi ha tradita con Madison. Bionda, cheerleader e stronza da far paura e per di più in cerca di vendetta perché io ho avuto il coraggio di ribellarmi al suo regno di terrore.
Diciamo che lo ha attirato in uno sgabuzzino delle scope, il resto te lo immagini, poi lei ha chiamato me.”
Rispondo rossa come un peperone.
“Voi donne sapete essere terribili a volte.”
“Ehm, sì. A volte sappiamo esserlo, ma nemmeno voi uomini siete santi.”
“Ho una figlia terribile, ma se tu non te ne prenderai cura nel giusto modo sarò costretto a darti una lezione.”
“Non succederà.”
Risponde Tom con una piccola vena di paura nella voce.
“Mangiamo!”
Trilla mia madre.
Grazie mamma.

 
Finita la cena, che è stata un vero interrogatorio, io e Tom otteniamo il permesso di salire in camera mia, a condizione che la porta sia aperta.
“Senti.”
Esordisco.
“Non so cosa ti aspettassi, ma sono in mega ritardo con i compiti e farò quelli.”
“Anche con una bestia sexy come me nella stessa stanza?”
“Senti, bestia sexy, i miei ci sorvegliano stasera, ma forse domani no.
A buon intenditore poche parole.”
Lui ridacchia e si sdraia sul mio letto, mentre io tiro fuori libro e quaderno di matematica.
“Comodo.”
“Uhm, sì. Abbastanza.
Accidenti, non ci capisco nulla di questa roba.”
“Cosa è?”
“Trigonometria.”
“Io sono negato in matematica, me la cavo molto  meglio con le materie letterarie.”
“Questo anche io.”
Constato depressa e di malavoglia inizio a fare gli esercizi. Mezz’ora dopo ho un gran mal di testa e ho fatto pochi progressi.
“Odio questa merda.
Che utilità ha nella vita?”
“Immagino nessuna, secondo me la matematica ha perso di utilità finite le elementari.”
“Concordo, ma non posso dirlo a quell’arpia di prof che ho, è capace di mandarmi in punizione se non dal preside. È sempre isterica e ipersuscettibile.”
“Come quella di san Diego?”
“No, quella è un modello di sanità mentale rispetto a questa, il che dice tanto.”
Lui si avvicina a me e mi bacia dolcemente.
“Incoraggiamento, ce la puoi fare.”
“Sì, a dare di matto.”
Un’ora dopo ho finito trigo e faccio il tema assegnato da quella di letteratura in venti minuti circa, devo solo studiare geografia, ma posso farlo domani. La lezione ce l’ho l’ultimo giorno di scuola e anche questa prof è talmente simpatica che interrogherebbe anche quel giorno.
Alle undici, mia madre si affaccia alla porta e guarda con disapprovazione Tom svaccato sul mio letto.
“Tom, credo che sia ora di andare. Jen domani deve alzarsi presto.”
“Ok.”
Si alza dal letto e mi alzo anche io.
“Devo accompagnarlo a casa.”
“Ah, giusto.”
Mia madre è tesissima, cosa credeva?
Che le sfornassimo un nipote con lei e papà al piano di sotto e Danny nella stanza accanto?
Scendiamo salutando tutti, quando siamo fuori tiro un sospiro di sollievo e non solo perché ha smesso di nevicare.
“I tuoi sono stati un po’ protettivi.”
“Sì, lo so. Ma non è colpa loro, in questi ultimi mesi li ho fatti preoccupare parecchio, mamma in particolare. Lei ha scoperto dei tagli.”
“Capisco. Ti tagli ancora, Jen?”
“No.”
“Sincera?”
“Assolutamente sì e adesso entriamo in macchina, sto gelando.”
Lui annuisce e quando entriamo lui mette i blink al massimo e io il riscaldamento. L’ultimo argomento è stato un po’ difficile, diciamo che ha spento l’atmosfera di allegria che c’era prima come una secchiata di acqua gelida.
“Tom, non lo faccio più davvero, credimi.”
“Io ti credo. È su questo che si basano le relazioni, no?
O almeno così dite voi ragazze.”
“Sì, le relazioni si basano sulla fiducia.”
Rispondo io, non volendo affrontare di nuovo questo argomento.

La sera dopo arriva alla svelta.
I miei se ne vanno alle sette e Tom arriva alle sette e mezza con tre pizze, facendo sorridere Daniel.
“Così mi piace!
Qual è la mia?”
“Quella con il salame piccante!”
Preparo la tavola e Tom appoggia finalmente i tre cartoni fumanti e ognuno prende il suo.
“State davvero insieme?”
“Certo che stiamo insieme! Cosa c’è di strano?”
“Nulla, sono solo felice per voi. Ma se ti azzardi a far soffrire di nuovo mia sorella, come hai fatto in questi mesi, giuro che vengo a San Diego a picchiarti!”
Tom alza le mani davanti a sé.
“Non ho intenzione di farlo, sotterra l’ascia di guerra!”
“Molto bene!”
Mangiamo chiacchierando di cose stupide, poi mio fratello si alza in piedi.
“Sentite, io devo uscire, ma non ditelo a mamma e papà.”
“Dove devi andare?”
Lui mi rivolge un sorriso sbilenco.
“A un appuntamento con una ragazza, si chiama Eileen e fa la mia scuola. Almeno se mi mollerà non sarà perché siamo troppo lontani.”
Sale in camera sua a prepararsi e poco dopo scende vestito abbastanza bene.
“Ti devo accompagnare?”
“No, Eileen ha la patente.
Adesso io vado, voi non fate cose sconce!”
Io gli tiro dietro un tovagliolo che, comunque, lo manca. Lui ride ed esce di casa.
“Noi due cosa facciamo?”
Chiedo a Tom.
Ho fatto tutti i compiti e studiato prima che arrivasse lui in modo da non avere impicci, ma ora non so cosa fare e il commento di Danny mi ha messo a disagio.
“Guardiamo un horror?
Ho portato Pet Sematary.”
Ho letto il libro ed è veramente inquietante.
“Sì, perché no?”
Lui mette la cassetta nel videoregistratore, io mi stendo sul divano avvolta in una coperta, lui mi raggiunge quasi subito.
“Fammi spazio.”
Io lo faccio e poi rimango in silenzio.
“Sei a disagio.”
“Sì, un po’.”
“Perché?”
“È la prima volta che sto da sola con un ragazzo da quando è successa la cosa con Chris.”
“Io non ti farò nulla.”
“Lo so.”
Dico, sempre con una punta di disagio.
“Se potessi avere tra le mani quel disgraziato!”
“Probabilmente ti pesterebbe.
Dai, abbracciami! Ho freddo!”
Lui non se lo fa ripetere due volte e mi stringe forte a sé, poi entrambi cerchiamo di portare la nostra attenzione sulla tv, ma è dura.
Sono acutamente consapevole della sua vicinanza, dei suoi muscoli tesi appoggiati alla mia schiena, delle sue braccia grandi che mi avvolgono e delle sue mani strette alle mie. Il suo pollice accarezza dolcemente la mia piccola mano, come a infondermi coraggio.
Piano piano la mia attenzione si stacca dal piccolo schermo per studiare tutti i dettagli del suo volto, dai capelli scuri agli occhi scuri e un po’ troppo vicini, alla sua bocca perfettamente disegnata e alle sopracciglia un po’ rade.
Non è bello in senso classico o tradizionale, ma  lo stesso è quel tipo di ragazzo a cui non si riesce a staccare gli occhi di dosso.
“Ti piace quello che vedi?”
Mi chiede divertito, io arrossisco.
“Sì, vedo proprio un bel ragazzo e sono felice che sia mio.”
“E pensare che fino a qualche mese fa mi consideravi uno sgorbio insignificante.”
“Qualche mese fa era piccola e stupida.”
All’improvviso mi bacia, io rispondo con passione e penso che mi erano mancate e sue labbra sulle mie. Ormai sono diventate come una droga, solo che non fa male e non ti porta lentamente – mano nella mano – alla morte.
Le sue mani accarezzano dolcemente il mio corpo e io lo faccio lo stesso con lui, anche se piuttosto impacciata.
“Non voglio farlo.”
Ansimo, non mi sento ancora pronta per un gesto del genere.
“Lo so e io non ti farò pressioni, ma mi piace baciarti.”
“Anche a me.”
“Allora su una cosa andiamo d’accordo.”
Sorride lui.
“Esattamente.”
Sorrido io a mia volta.
Riprendiamo a baciarci con sempre più passione e perdo la concezione del tempo, tanto che quando qualcuno bussa alla porta faccio un salto di un metro e quasi mi attacco al soffitto.
Per fortuna è solo Daniel
“Qualcuno qui si è dato da fare!”
“Non sono affari tuoi!”
Lo rimbecco aspra, ma rossa come papavero.
“Mi stavate per dare un nipote!”
Io gli do un poco caritatevole pugno in testa.
“Meglio che me ne vada.
Ciao, Daniel.
Ciao Jennifer!”
Mi dà un ultimo lungo bacio e poi sparisce, inghiottito dalla notte scura.
“Lo ami, eh?”
“Eh, sì. Non c’è niente da fare, lo amo.”
“Penso che ti farà soffrire?”
“Spero di no.”
“Ma non sei del tutto sicura.”
“Non si può mai essere sicuri di niente a questo mondo, tranne che della morte.”
“Come sei negativa.”
“Sono realista, non negativa.”
Lui sbuffa, sembra non cogliere la differenza, ma non mi importa, l’importante è che la colga io.
“Io penso che ti sarà fedele e lo dico da ragazzo e, si sa, i nostri punti di vista raramente coincidono.”
“Sì, lo so. Perché voi…”
Gli appoggio un dito sulla fronte.
“Avete solo una cosa nella testa?”
“Non è il cervello, giusto?”
“Non lo è.”
Lui ride, a metà tra l’imbarazzato e il divertito.
“Adesso, penso che andrò a letto. Buonanotte, sorellina!”
“Stronzo! Potevi aiutarmi a mettere a posto il salotto”
“Nah, troppo facile.”
Io sistemo rapidamente la stanza, dopotutto non abbiamo fatto chissà che cosa, solo pomiciato un po’.
Solo perché è arrivato Daniel, mi dice la mia coscienza. In effetti se mio fratello non fosse arrivato proprio in quel momento non so cosa sarebbe successo.
Forse – come si dice – avremmo perso il controllo e avremmo finito per fare l’amore sul divano dei miei, che non sarebbero stati affatto contenti.
Danny però è arrivato e l’irreparabile non è successo, sono ancora vergine. Almeno per ora.
Mi è piaciuto sentire le mani di Tom sul mio corpo e accarezzare il corpo: c’attrazione tra di noi, quella che mancava con Kevin.
Adesso conosco la differenza tra amore vero e un tappabuchi, sono due cose completamente diverse e mi dispiace di aver usato inconsciamente il mio amico.
Finito in sala mi faccio una doccia e poi mi butto a letto con la grazia di un sacco di patate. Il mio cellulare vibra quasi subito.
“Buonanotte, principessa.
Questa è stata una delle serate più belle della mia vita e non abbiamo nemmeno fatto l’amore ;)
Mi hai rubato cuore e cervello, conservali bene.”
“Buonanotte a te, danno vivente.
Li conserverò come il più prezioso dei tesori <3!”
So che sembra una frase smielata, ma è la verità.
È quello che voglio fare.
Prendermi cura del suo cuore e del suo cervello per sempre o giù di lì.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16)Petalidi noi. ***


16)Petalidi noi.

 

Il venticinque dicembre sembra arrivare solo un secondo dopo la cena tra me Tom, invece sono passati cinque giorni.
Cinque giorni di messaggini continui e di chiamate chiuse frettolosamente dal tipico gesto di mia madre di tagliare.
Il giorno di Natale si è presentato a casa mia per il caffè, ha dato un mazzo di fiori a mia madre, un album piuttosto raro dei Ramones a mio padre e una nuova cinghia per la chitarra a mio fratello.
In quanto al mio regalo… beh, mi ha regalato un anellino con una tartaruga che somiglia a quella della collana. Mi chiedo se sappia cosa vuol dire regalare un anello a una ragazza.
Mentre i miei sono in cucina mi siedo accanto a ui.
“Sai cosa significa regalare un anello a una ragazza?”
“Ehm, ha un significato?”
Io ridacchio.
“Significa impegnarsi in una relazione seria, se lo danno i fidanzati e, beh, le persone che si sposano.”
“Oh, sarebbe stato meglio se mi fossi fatto aiutare da zia Kate e ti avessi regalato un vestito. Non è che non ti ami o non mi voglia impegnare in una relazione, ma così è troppo impegnativo. Adesso capisco perché la commessa mi ha riempito di complimenti quando le ho detto che era per la mia ragazza.”
Io ridacchio.
“Almeno nessuno ci proverà con me vedendolo.”
Lui sorride, la questione è andata a posto.
Mi bacia e con questo sigla la sua richiesta di perdono – che gli avrei accordato comunque, perché negargli qualcosa quando fa una faccia da cucciolo è impossibile – fino a che mamma si schiarisce la voce.
Ci stacchiamo e lui rimane a giocare a tombola e a monopoli con noi fino alle undici, a quell’ora se ne va.
Ci baciamo a lungo sotto il portico, poi lui mi indica la station wagon verde bottiglia – quella di sua zia Kate – e a malincuore lo lascio andare.
Una volta che la macchina è sparita dall’orizzonte io stringo a me l’anellino, guardo i diamantini brillare alla scarsa luce e sorrido.
Con un gesto solenne me lo metto al dito e poi alzo la mano per ammirare come mi sta alla luce della lampada del portico.
Sta benissimo sulla mia mano, è assolutamente perfetto!
Rientro in casa con un sorrisone e nessuno ha bisogno di domandarmi perché sorrido, me lo si legge in faccia.
Tom mi rende felice.
Il suo anello mi rende felice.
E mi rende felice persino il suo modo un po’imbranato di  fare le cose.
È assolutamente adorabile!
“Sei felice, Jen?”
Mi chiede mia madre.
“Sì, mi ha regalato un anello.”
"Probabilmente non sapeva cosa significasse."
“Non fa niente. Lo sapevo che era per errore.”
Lei ride.
“Vado a letto. Buonanotte e grazie, microbo!”
Urlo a mio fratello che mi sorride e mi fa un gestaccio che scandalizza profondamente nostra madre, ma non me.
Salgo in camera mia, mi tolgo i vestiti, mi butto sotto la doccia e poi a letto.
Mi addormento subito.
Questo è stato uno dei Natali migliori della mia  vita!

 

A capodanno è Tom a organizzare le cose, mi chiede solo di mettere un vestito un po’ punk. Io compro una camicia fatta a chimono nera con dei fiori rossi e bianchi, un obi rosso stretto da una striscia e da cordicella nera e una gonna nera il cui orlo termina con lo stesso motivo floreale della camicia (che ha delle maniche lunghissime!).
Indosso un paio di spesse calze nere appositamente fatte con il pollice separato dalle altre dita e un paio di infradito tipicamente giapponesi con la zeppa. Rosse.
Mi trucco in modo vagamente giapponese e sono pronta, sono certa di sorprendere Tom, visto che ho sorpreso tutta la mia famiglia.
“È davvero strano, ma ti sta davvero bene.”
Commenta mia madre, dandomi un’occhiata di quelle che scannerizzano.
“Sì, davvero.”
Dice mio padre in tono ammirato.
“La mia bambina è cresciuta ed è diventata una bellissima ragazza, anche se un po’ troppo giapponese.”
Ridacchio un po’ imbarazzata.
“Sorella, sei fighissima! Tom lo stendi!”
In quel momento suona il campanello e – a giudicare dai salamelecchi di mia madre – deve essere Tom. Io arrossisco all’istante, chissà cosa dirà?
Gli piacerà?
Non gli piacerà?
“Jen, ehi Jenny!”
Lo guardo un po’ spaesata.
“Eri in para?”
“Sì, da cosa l’hai capito?”
“Ti ho detto che stavi benissimo e non hai fatto una piega.”
“Oh! Ti piace, allora?”
“Moltissimo! Signori Jenkins, rapisco Jen per questa serata!”
Sorridendo esce di casa con me, mano nella mano.
“Ti piace davvero?”
“Sì, perché?”
“Ci ho messo un sacco a trovare le cose, tutto qui.
E poi alle ragazze piacciono i complimenti.”
Dico precipitosa.
“Lo so.”
Entra nella mia macchina e si mette alla guida, io lo guardo curiosa.
“Ho trovato un posticino okay, ti piacerà.
Forza,entra!”
Io annuisco e salto in macchina, chiedendomi dove mi porterà. Lui si dirige verso il centro e poi verso il lago dove parcheggia, poi mi trascina in un minuscolo locale dove suonano punk, non l’avevo ma notato!
“Figo, non l’ave…”
La voce mi muore in gola quando vedo un’arrabbiatissima Amber marciare verso di noi, un toro davanti al drappo rosso praticamente.
“Tu, puttana di una troia!
Come osi farti Kevin e un altro ragazzo contemporaneamente?
Sei proprio una cheerleader!”
Metà della gente in fila si gira verso i noi: imbarazzante.
“Io sono il suo unico ragazzo, Kev è un amico e io so che differenza c’è tra un amico e un fidanzato, a differenza sua. Sei una psicopatica, levati dalle palle!”
“Cornuto!”
E a questo la bestia dentro di me si risveglia e le mollo un pugno. Iniziamo una rissa a cui viene posto fine solo dal personale del locale, due robusti buttafuori.
Inutile dire che grazie alla mia mattata non possiamo entrare nel locale e alla fine ci ritroviamo seduti su una panchina che dà sul lago con una birra in mano.
Tom sta ridendo da solo da dieci minuti e io non capisco perché, sorseggio la mia birra e continuo a guardarlo in attesa che mi dia un segno che mi faccia capire il motivo della sua ilarità.
“Si po’ sapere cosa hai da ridere?”
Chiedo infine.
“Penso a te e alla pazza che vi picchiate, hai un bel destro.”
“Il destro della iena furiosa.”
“Dai i nomi ai colpi come nei manga giapponesi?”
“No, cerco di uscire in maniera dignitosa da una figuraccia orribile. Ho rotto anche il mio vestito, io quella l’ammazzo.”
“Ma no! È stato divertente!”
“Sì, ci ha mandato a puttane la serata.”
“Io penso che sia bello anche stare qui a guardare il lago, mi piacerebbe facesse un filo più caldo, ma non mi posso lamentare, ehi!, ci sono persino le stelle!”
Io alzo gli occhi e noto che oltre alle luci della città e a quelle di Natale, ci sono effettivamente anche le stelle.
“Bello, amo il cielo stellato.”
“Anche io, spero sempre di incontrare un alieno.”
“A random?
Cioè, immagini che potrebbe passare anche qui davanti a noi, adesso?”
“Perché no?
Che ne sai di come ragiona un alieno?”
“Niente, non so nemmeno se esistano.”
“Se starai con me imparerai tutto su di loro.”
“Vedo una minaccia all’orizzonte.”
Lui ride come un matto, sbrodolandosi di birra.
“Stando con te non ci si annoia mai, Jen!”
“Ma dai! Detto da uno che si è sbrodolato di birra!”
Lui si pulisce alla bell’e meglio e inizia un lungo discorso sugli alieni, sulle varie razze, su come ci stiano dominando, parla di rettiliani, grigi, venusiani e della teoria secondo cui siamo stat creati artificialmente all’inizio del tempo da degli alieni.
Sembra quasi vero da quanto è convinto di quello che dice.
Si zittisce solo quando parte un fuoco di artificio che illumina l’acqua e la colora di arancione, io guardo l’orologio: manca un minuto e mezzanotte!
“Manca un minuto!”
Sessanta secondi dopo le sue labbra sono incollate alle mie  ci stiamo baciando come se non ci fosse domani.
Quando ci stacchiamo brindiamo con le nostre birre.
Non c’è modo migliore di iniziare l’anno nuovo!

 

Pasqua cade in aprile quest’anno.
Quattro mesi senza vedere Tom sono tanti, ma ce la faccio grazie a Kev. Non che siamo tornati insieme, ma siamo amici e vado a genio alla sua nuova ragazza, Audrey.
Audrey va alla scuola pubblica vicina alla nostra, è una ragazza minuta dai coarti capelli lilla e un piercing al labbro: uno di quelli con una pallina sotto e l’altra che spunta sopra il labbro.
Ogni tanto esco con lei e Jamelia per delle serate tra ragazze e con anche gli altri per andare ai concerti vari che si tengono qui.
Amber ha iniziato ad andare da uno psicologo e sembra già meno pazza di prima, almeno ogni vota che mi vede non tenta di farmi del male, ma forse quello è dovuto anche alla mia minaccia.
Ho il sospetto che non si sia dimenticata della mia promessa di infilzarla con un bisturi se avesse rotto ancora le palle a me o a Kev.
Audrey è fortunata a non andare alla nostra scuola, comunque. Se andasse alla nostra passerebbe probabilmente metà del suo tempo in infermeria a causa degli attentati di Amber.
In ogni caso adesso Audrey e Kevin mi stanno portando all’aeroporto di Chicago, i miei hanno acconsentito a farmi andare a San Diego, ospite di mia zia Sheila. Veramente volevano mandarmi dalla nonna, ma io mi sono opposta. Nonna crede che non si possa uscire dopo le nove di sera e che si debba andare a letto a quell’ora.
Non è esattamente il mio ideale di via o di vacanza.
“Sheena is a punk rocker nooow!”
Urlo insieme ad Audrey sulle note dei Ramones, l’aeroporto in vista.
“Eccitata, eh Jen?”
“Ma certo! Lo rivedo dopo quattro mesi!
Viene lui a prendermi.”
Gli rispondo con un sorrisone a trentadue denti.
“Non fate sesso sulla via per la casa di tua zia.”
“Kev!”
“Eddai, Jen! Prima o poi…”
Audrey gli rifila una gomitata e lui non prosegue. Ah, i ragazzi!
Pensano sempre a quello, anche se l’idea di fare sesso con Tom ha sfiorato più volte anche me, ma credo sia troppo presto.
Magari quando torno a San Diego quest’estate, non ho intenzione di fare l’università qui, voglio andare là e spero di incontrare gente decente.
Kev parcheggia e mi dà una mano a scaricare le due valigie, le porta persino dentro l’edificio e poi le scarica vicino all’entrata. Mi abbraccia senza dire nulla, è il suo modo di dire “Stai attenta e non fare cazzate!”, è sempre protettivo verso di me.
“Audrey, mi dispiace.”
“Di cosa? Siete amici e sei mia amica, non ho paura che mi possiate ferire.”
Dice serena.
“Passa una buona vacanza e divertiti più che puoi con Tom, fai delle foto anche!”
“Grazie, Audrey! Tom non ama fare le foto, ma lo obbligherò.
Non vedo l’ora di essere là, mi ha detto che la sua band adesso ogni tanto suona a un locale di San Diego che si chiama Soma. Secondo Danny è un grande traguardo, ci suonano le band da tutta la California. Lui suona nel primo piano, si chiama…”
“Dungeon.”
“Come fai a saperlo?”
“Beh, è famoso tra i punk e la gente che ascolta pop-punk. Porca puttana, è, boh, il Metropolitan dei punk. Se arrivi a suonare lì vuol dire che la tua band spacca di brutto e spaccherà in futuro!”
Kev ha gli occhi che brillano, io arrossisco.
Non sapevo che fosse così importante, gli ho fatto i complimenti, ma se avessi saputo che era così importante gliene avrei fatti di più!
Glieli farò ora.
“Jenny, vai! È ora del check-in!”
“Sì. Ciao, ragazzi!”
Li saluto tutti e due e presento i miei biglietti all’accettazione e poi vengo mandata a far pesare e imbarcare il bagaglio. Sono nel limite per un pelo, ho preso troppa roba come al solito.
Passeggio per un po’ nella zona duty free e poi salgo sull’aereo.
È un volo breve e vengo accolta da un tempo meraviglioso: un sole che spacca le rocce.
E non ho menzionato Tom, quando mi vede si mette a correre, mi abbraccia e solleva da terra. È passato troppo tempo, non resisto e lo bacio subito con passione, tanto che sento qualcosa premere contro la mia coscia.
Troppa passione, Jen!
Ridiamo tutti e due e mi scorta verso l’uscita spingendo il carrello dei bagagli, intanto parliamo di cazzate tipo la vita scolastica e i nostri amici.
È felice di sapere che Kev abbia una ragazza simpatica e che Amber sia in cura.
“Cazzo, Jenny! Quella era pazza da legare, pensavo che un giorno ti avrebbe ammazzato, per fortuna che si sono accorti che era fuori.”
“Grazie a me!”
Mi batto una mano sul petto.
“Dopo la rissa al locale, la sicurezza ha chiamato a casa sua e – visto che non sembrava fosse la prima volta – i suoi hanno deciso di prendere provvedimenti. Sembra più calma adesso, ma sono felice che Audrey vada in un’altra scuola, se fosse andata alla nostra l’avrebbe fatta a pezzi.
Quella donna non sta bene.”
Tom ride e io mi godo la sua compagnia e il sole caldo della California, che è tutt’altra cosa rispetto al pallido sole di Chicago.
“Dio, sto proprio bene. Non vedo l’ora che sia giugno, così posso tornare qui.”
“Io non so se farò l’università, i blink stanno andando proprio bene, sai?
Si parla di registrare un album.”
“Oddio, ma è meraviglioso!
Sono così felice per voi!”
“Allora, stasera sei dei nostri?”
“Suonate al Soma?”
Lui annuisce.
“Kev e Audrey mi hanno detto che è un locale importante, quindi ci sarò. Devo far capire alle altre ragazze che sei mio.”
Lui ride di nuovo e poi si ferma, siamo a Poway, davanti alla casa di mia zia Sheila.
“Siamo arrivati, principessa.”
Lui mi aiuta a scaricare le cose, ma prima di poter suonare il campanello vengo travolta dall’abbraccio di una furia dai capelli rossi: mia zia.
“Tesoro, sono così felice di vederti! Stai benissimo!
E lui? È il tuo ragazzo?”
Guarda Tom con aria curiosa.
“Tua madre mi ha detto che ne avevi uno.”
“Sì, è il mio ragazzo. Si chiama Tom.”
“Bei capelli ossigenati!”
“Oh, grazie. Stasera la mia band suona al Soma, Jen potrebbe venire?”
“Al Soma? Ma certo!”
Entra in casa con le valigie, lasciandomi sola con Tom che mi dà un bacio dolce e gentile.
“Stasera sei dei nostri quindi. Passo alle nove, ti amo.”
“Anche io.”
Lo bacio a mia volta e poi entro in casa sorridendo, mia zia mi sta aspettando al primo piano.
“Sembra un tipo a posto, temevo di dover fare gli onori di casa a un fighetto.”
“Sono fuori da un po’ dalle cheerleader, non corri questo rischio.”
Lei ride e mi fa vedere la mia camera, io inizio a mettere via le mie cose e poi mi faccio una doccia per poi scendere a pranzo. Zia mi fa un vero e proprio interrogatorio che dura fino a sera, quando – dopo cena – inizio a vestirmi. Indosso una mini di jeans, calze rosse e nere e una maglietta dei Ramones che mi ha regalato Audrey, gli anfibi non possono mancare, così come il trucco pesante nero.
Mia zia alza entrambi i pollici in segno di approvazione, io le sorrido di rimando, sono curiosa di sapere cosa ne penserà Tom. Alle nove suona il campanello e zia lo fa entrare, quando mi vede gli si illuminano gli occhi e in due falcate è accanto a me.
“Sono io che devo fare capire agli altri che sei mia, Jen.
Sei uno schianto.”
“Grazie mille.”
Dico rossa.
“Jenny, devi essere a casa per mezzanotte e mezza, non un minuto più tardi.”
Io annuisco.
“Sì, grazie zia.”
Usciamo e saliamo nella sua macchina, cantiamo e chiacchieriamo per tutto il percorso, poi lui parcheggia e mi dà un bacio veloce.
“Sono in ritardo, gli altri mi aspettano. Là ci sono Josie, Anne e Peggy Sue.”
“Ciao e buon fortuna.”
Muovo la mia mano in un cenno di saluto, lui corre via. Mi accendo una sigaretta e raggiungo il gruppetto guidata dalla chioma viola di Peggy Sue e da quella blu di Luke, ci sono anche David e Andrew.
Le ragazze si mettono a urlare quando mi vedono, mi abbracciano e mi chiedono di Chicago e poi iniziano a parlare a ruota di quello che è successo in questi mesi per far passare il tempo, come se non fosse successo nulla prima che io me ne andassi.
Chiacchierando arriva il momento di entrare e corriamo per accaparrarci i post vicino al palco.
“Cazzo, non vedo l’ora di sentirli.”
Esclamo eccitata e poco dopo partono le note di Carousel, per la prima volta vedo il batterista – Scott, un tizio biondo con un’aria da ragazzino, mi pare abbia tre anni meno di me – e vedo anche Mark che adesso ha i capelli azzurri.
La musica è trascinante, ti fa venire voglia di saltare – ed è quello che faccio – pogare e cantare a squarciagola, senza contare che le battute che dicono tra una puntata e l’altra sono studiate apposta per far ridere la folla.
Non sapevo che fossero così bravi, quello stronzo non me l’ha detto per niente al telefono!
Quando finalmente finiscono salto in braccio a Tom e quasi lo stritolo.
“Perché non mi hai mai detto che eravate così bravi?”
Gli urlo a due centimetri dalle orecchie.
“Eh, mi è passato di mente.”
“Non ti dovrebbe mai passare di mente una cosa del genere.”
Dice una voce sconosciuta accanto a noi.
“Lei chi è?”
Chiede curioso Mark.
“Sono Rick Devoe, un manager che ritiene di aver appena scoperto una band ce potrebbe funzionare.”
L’annunci ci lascia senza parole, i blink sfonderanno.
Sono qui con Tom a festeggiare il suo trionfo, potrei chiedere di più.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Epilogo: la fine, a volte, significa un nuovo inizio. ***


Epilogo: la fine, a volte, significa un nuovo inizio.

 

 Tre mesi dopo, a luglio, l’estate è arrivato anche a Chicago.
Il tempo ideale per la mia cerimonia del diploma, Tom è arrivato stamattina, visto che vuole essere presente almeno a una cerimonia del diploma. Lui ha mollato la scuola, nonostante tutte le proteste di sua madre, per inseguire il suo sogno con i blink.
Lui mi ha chiesto cosa ne pensassi e io gli ho detto che l’importante nella vita è rincorrere i propri sogni fino a farli diventare veri, lui mi ha ringraziato.
E così adesso gira la California con i ragazzi e si diverte, so che non mi tradisce, Anne – che li segue per vendere le loro cassette e magliette – me l’avrebbe detto.
“Jen!”
Urla mia madre, io scendo di corsa.
È un miracolo che non inciampi dato che indosso un lungo abito bianco.
“È arrivato Tom.”
Io vedo il suo sorriso e mi sento subito meglio, lo abbraccio e gli do un bacio sulla guancia.
“Ben arrivato.”
“Ragazzi, non c’è tempo da perdere. Mettetevi in posa per una foto e poi andiamo.”
Io mi metto vicino a lui con il mio bouquet di rose rosse e lui mi passa un braccio attorno alle spalle, mia madre scatta la foto. È persino più eccitata di me.
“Questa la incorniciamo, siete usciti benissimo!”
Squittisce, poi prende le chiavi della macchina e chiama a raccolta il resto della famiglia. Ben presto siamo allegramente stipati nella station wagon di mio padre, diretti verso la scuola.
L’edificio sembra più bello alla luce del sole piuttosto che con una coltre di nuvole sopra, scendiamo dalla macchina e ci dirigiamo verso il cortile dove si terrà la cerimonia della consegna dei diplomi.
Mio fratello mi ha fatto un cappello personalizzato con scritto “Well, this is growing up.”che io adoro e che ha suscitato l’invidia di Kevin.
Kevin.
Mi guardo attorno per cercarlo e lo vedo in compagnia di Audrey, di una donna dalla chioma ramata e di un uomo dai capelli brizzolati che gli dà pacche amichevoli sulle spalle e gli scompiglia ulteriormente i capelli.
“Dai, andiamo da Kev.”
Insieme a noi arrivano Jamelia, Gordon, Amber e Steve, il suo ragazzo. Quando mi vede la sua bocca si tira in una linea dura, ma non dice nulla, si limita a stringere più forte la mano del suo ragazzo. Immagino che pochi mesi di psicoterapia non riescano a guarire subito diciotto anni di problemi di controllo della rabbia.
“Kevin!”
Lo chiamo, lui si illumina vedendo me e Tom.
“Ciao, ragazzi.
Ehi, rockstar! È bello vederti ogni tanto!
Venite vi presento i miei.”
Noi lo seguiamo.
“Lei e Marianne, mia madre e lui è Charles, mio padre.
Mamma, papà, loro sono Jennifer Jenkins e Thomas DeLonge, dei miei amici.”
Entrambi ci stringono le mani.
“Siamo felici che Kevin abbia fatto dei nuovi amici.”
Squittisce lei.
“Oh, conosco tuo padre! Il suo studio di architettura ha fatto un eccellente con la sede della mia azienda.”
“Cosa volete fare dopo il diploma?
Tu non studi qui, vero Thomas?”
Dice notando che Tom non indossa la toga.
“No, non studio qui.
Ho mollato la scuola qualche mese fa, perché la mia band è stata notata da un discografico e forse incideremo un vero album. Per adesso abbiamo inciso una demo nella camera di Scott, il nostro batterista.”
“Avete fatto mangiare alla famiglia di Scott uova per mesi per isolare quella camera.”
Rido io.
“Io penso di studiare Architettura e Design per interni, mi piace arredare e decorare le case e mio padre dice che ho talento.”
“Ottima scelta.”
Non dice nulla su Tom e le sono grata, la gente di solito ha la fastidiosa abitudine di  consigliargli in modo amichevole di riprendere gli studi.
“Mamma, papà. Vi rubo Jen, dobbiamo andare dietro al palco.”
Ce ne andiamo seguiti dagli altri, Audrey e Tom ci fanno segni di saluto e incoraggiamento, lei si è diplomata qualche giorno fa quindi sa cosa si prova.
Chiacchierando del più e del meno arriviamo dietro al palco e aspettiamo che chiamino i nostri nomi, poi il preside ci consegnerà il nostro dannato diploma e noi dovremo dire due parole.
Io sono la prima che viene chiamata ed è con un po’ di paura che attraverso il palco di legno per ricevere l’agognata pergamena dal preside.
Ho un attimo di panico quando sono davanti al microfono, adesso tocca a me dire qualche blablabla e sperare che non siano troppo acidi.
“Salve a tutti, sono Jennifer Jenkinks.
Mi sono trasferita qui da San Diego e non ho molto da dire, se non un enorme grazie alle poche persone che mi hanno accettata e hanno mostrato amicizia nei miei confronti, ossia pochissime persone.
Accogliere le persone con qualcosa di diverso da un gelido silenzio di disapprovazione aiuterebbe a farle sentire meno a disagio.
Ringrazio i miei genitori per avermi concesso l’opportunità di conseguire il mio diploma con i loro sacrifici e il loro supporto. Mio fratello Daniel, per avermi fatto ridere e riflettere quando ne avevo bisogno e ringrazio Tom, il mio ragazzo.
Sebbene fosse lontano non mi ha mai fatto mancare il suo supporto e mi ha incoraggiata ad andare avanti e a seguire i miei sogni.
Beh, è quello che farò.
Ho finito.”
Scendo dal palco e vengo accolta dall’abbraccio della mia famiglia e di Tom.
“Una stoccata acida non poteva mancare, vero, Jenny?”
Mi chiede ridendo Tom.
“Assolutamente no o non sarei io.”
Ascoltiamo anche i discorsi degli altri e poi lanciamo tutti insieme il cappello.
Il futuro è qui e io sono in cammino.

 

Pochi giorni dopo sto mettendo l’essenziale in un paio di valigie.
Mamma non lo sa, ma io quest’anno non inizierò il college, voglio prendermi un anno sabbatico e seguire i blink. Anne dice che è molto probabile che a settembre vadano nel sud dell’Australia per fare una serie di concerti. Non vedo l’ora di vedere l’Australia.
Papà e Danny lo sanno, non l’ho detto a mamma perché avrebbe fatto storie.
“Prenditi anche un pacchetto di preservativi e la pillola.”
La voce di mia madre mi fa sobbalzare.
“Cosa?”
“Pillola e preservativi, Jenny.
Non voglio diventare nonna prima del tempo.”
“Ma cosa dici?
Vivrò in un dormitorio dell’università di San Diego e sarò in camera con una ragazza, non capisco perché io debba prenderli.”
Lei alza un sopracciglio.
“Credi che non lo sappia?
Non siete abili a dire bugie, voi. Tu seguirai Tom e la sua band fino al prossimo anno accademico.”
“Come fai a saperlo?”
“Ho sentito tu e Danny parlarne e ho chiesto conferma a tuo padre che – dopo vari tentennamenti – ha sputato il rospo.
Perché non me l’hai detto?”
“Sapevo che non avresti approvato, tu vorresti che io iniziassi l’università o il college subito.”
“Ovvio che lo voglio, il tuo talento non deve andare sprecato, ma avrei capito un anno sabbatico.
Per te quest’anno è stato molto stressante e avrei capito il non voler affrontare subito un altro grande stress come cambiare città e scuola.
Ripeto, mettiti in valigia preservativi e la pillola.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Mamma, sei davvero convinta di lasciarmi andare?”
“Non ho altra scelta e poi è giusto che tu viva più esperienze possibili e viaggiare il più possibile. Mi dicono che l’estate australiana sia molto bella.”
“Non ti si può nascondere niente! Grazie, mamma.
Grazie per avermi lasciato andare.”
“Ti lascio andare, ma non voglio nipoti. Non subito.”
Io rido e metto in valigia quello che mi ha detto.
“Quando arriva Tom?”
“Prima di cena, abbiamo il volo alle sette.”
Lei sospira.
“Mi mancherai, Jenny.
La mia bambina è davvero cresciuta, sembrava ieri che gattonavi curiosa nella nostra vecchia casa e adesso sei pronta per spiccare il volo.”
I miei occhi si riempiono di lacrime.
“Anche tu mi mancherai, mamma, e ho una paura terribile.”
Ci abbracciamo e con il suo aiuto riempio le valigie con le ultime cose, poi filo a farmi una doccia.
Ho appena finito di vestirmi che suona il campanello, scendo e trovo Tom che sta chiacchierando con mio padre e Danny.
“Pronta, Jenny?”
Io annuisco, lui sale in camera per andare a prendere le valigie.
Io guardo la mia famiglia, non siamo perfetti, ma funzioniamo. Abbraccio papà, Danny e mamma, accetto i loro auguri e i loro consigli, ignorando gli occhi lucidi. Non mi va di piangere, non sto partendo per la guerra!
Tom fa la sua comparsa in salotto e saluta tutti, poi mi prende per mano e usciamo insieme alle valigie. Solo quando sono in macchina e ho davvero detto arrivederci a tutti scoppio a piangere.
Tom mi passa un braccio attorno alle spalle.
“Non sei felice, Jenny?”
“Non è questo, è che mi mancano. Mi passerà.”
“Sì, perché ho una bella sorpresa per te.”
Mette in moto la macchina, ma con mia sorpresa non si dirige verso l’aeroporto.
“Dove stiamo andando?”
“Sorpresa, sorpresa.”
Canticchia lui, si ferma finalmente davanti a una casa.
“Dove siamo?”
“Davanti a casa di mia zia Kate.”
“Mi vuoi presentare a lei?”
“Che? No!
Devo solo ridarle la macchina.”
“E come pensi di andare all’aeroporto?”
“Non ce ne sarà bisogno.”
Dice in tono misterioso, scendendo dalla macchina.
Io lo imito e con mia grande sorpresa mi trovo davanti Mark, Scott e Anne.
“Cosa ci fate qui?”
“Suoniamo vicino a Chicago e siamo venuti a prenderti.”
Mi risponde sorridente il bassista, io li abbraccio tutti e tre.
“Come mai sei qui anche tu, Anne?”
“Qualcuno doveva prendersi cura di questi tre idioti.”
Io rido, Mark assume un cipiglio offeso.
“Beh, grazie, sorellina!
“È la verità, se non ti ci avessi portato io non saresti mai riuscito a entrare nel furgone. Ritieniti fortunata, Jen, questo furgono è molto più grande di quello che avevamo prima. Se avessimo avuto quello non so se tu e le tue valigie ci sarebbero state.”
“Wow!”
Esclamo contemplando un vecchio furgoncino da lavoro bianco e pieno di adesivi e disegni, i peni sono opera di Tom.
“Non potevi disegnare fiori invece che cazzi?”
Gli chiedo divertita.
“Non simo hippie, figli dei fori, noi siamo punk-rock!”
Mi dice gonfiando il petto.
“Sì, certo. Hai ragione, amore.”
“Basta litigi! Caricate le cose di Jen nel furgone che così possiamo andare a mangiare e lasciare Chicago.”
Il tono di Anne è pratico, ma contiene una certa dose di minaccia, quindi i maschietti caricano la roba senza fiatare.
“Tua zia non ci invita a pranzo.”
“No, dice che non vuole vedermi per un po’. Sono un po’ pesante quando si parla di alieni.”
“Hai fatto impazzire quella povera donna, DeLonge. Dovresti calmarti quando si tratta di ufo, macini le palle alla gente.”
“Ma Anne, sono interessanti e sono veri. Vedrai che un giorno si faranno vivi.”
“Sì, e ti chiameranno quale loro ambasciatore.
Dai, entra.”
Entriamo tutti ne furgone e Mark mette in moto, dopo un paio di tentativi andati a vuoto parte e ci porta al primo Mac che incontriamo. Prendiamo tutti dei ricchi menù e mangiamo cibo spazzatura fino a scoppiare: hamburger, crocchette di pollo, patatine, gelato.
Pensavo di mangiare tanto prima di pranzare con loro, ma adesso penso che mangio come un uccellino, quei tre mangiano come maiali.
“È sempre così, Anne?”
“Se ti riferisci al fatto che mangiano come dannati, sì.”
 “Wow.”
Finito di mangiare vado in bagno e poi si parte, saliamo tutti il furgone e imbocchiamo l’autostrada, non ho nemmeno chiesto quale sarà la destinazione.
Non mi importa per ora.
Ora vedo solo la città che ho abitato per sei mesi circa scivolare via dal finestrino come sabbia dalle mani.
Sei mesi di ricordi, di amicizie, di nuove persone conosciute, concerti, serate passate a parlare di niente.
Mi ricordo le serate trascorse passate con Jamelia e Audrey a parlare dei nostri ragazzi, a confrontare le nostre esperienze o semplicemente a farci una manicure o a guardare un film.
Le serate passate con tutti gli altri a bere, andare ai concerti, pogare in attesa di una telefonata o di un messaggio di Tom.
Chi si scorda le paternali di Kev e Dan?
O le risate che mi sono fatta con Gordon?
O i capelli che Audrey mi ha tinto di un fucsia squillante?
Porterò questi ricordi con me nel cuore e quando i miei figli mi chiederanno come ero io alla loro età risponderò con quello che mi è successo in questi mesi.
Questo è il passato e io gli ho detto addio, o meglio arrivederci.
Stringo la mano di Tom e lui risponde alla mia stretta mentre parla con Mark e Anne.
Questo è il mio futuro e, mentre l’aria mi schiaffeggia la faccia – abbiamo i finestrini abbassati perché qui fa un caldo d’inferno – decido che me lo godrò fino in fondo.
Senza rimpianti.
Senza pensare alle brutte cose.
Senza guardare le cicatrici sul mio polso.
Sarò semplicemente libera e al fianco di Tom.
Felice.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3091509