You're my beginning

di Papillon_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***
Capitolo 5: *** Parte quinta ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Uhm, naturalmente, a Fravah.
Probabilmente perchè crede in questa storia più di quanto lo faccia io.
Solo, grazie.
Davvero. 



You're my beginning

 

You're my end and my beginning,
even when I lose
I'm winning

 

Correva l'anno 1916, e si festeggiava il trecentesimo anniversario dell'ascesa al potere della famiglia Hummel. Era periodo di feste e abiti sfarzosi e luci in ogni dove – un periodo che nessuno mai avrebbe dimenticato, nemmeno con il passare degli anni.

Un mattino di Dicembre, Kurt – il più piccolo della famiglia Hummel, l'ultimo di una lunga stirpe di fratelli e sorelle – stava seduto vicino alla finestra del suo grande palazzo. Era spesso solo, in realtà – i suoi fratelli erano troppo grandi per giocare con lui, sua madre ormai mancava da qualche anno, e suo padre era troppo occupato con gli affari di stato, essendo il grande Zar.

Quindi sì, Kurt la maggior parte del tempo era molto solo, ma cercava di sorridere sempre, perché sua madre prima di lasciarli aveva ripetuto loro tante volte che i sorrisi vincono le battaglie, e lui voleva crederci per davvero.

Stava di fatto però, che quel particolare mattino di Dicembre Kurt si stava annoiando a morte. Fuori dalla finestra non c'era niente di particolare da osservare – nemmeno nevicava, il cielo era piatto e grigio e triste, e Kurt avrebbe tanto voluto che ci fosse sua nonna con lui, perché sua nonna lo faceva sempre cantare o giocare o ballare, ma era a Parigi lei adesso.

Kurt stava per perdere ogni speranza, ma proprio prima di alzarsi dal divano che dava sulla finestra, da fuori colse un piccolo movimento. Quasi cadde per scoprire cosa là fuori fosse successo, ma la sua testolina spuntava di poco fuori dalla finestra, quindi con il cuore in gola e passetti piccoli piccoli Kurt corse giù dal grande scalone, fino a dirigersi nel giardino in cui poco prima aveva visto quel movimento.

Non c'era nessuno.

Kurt pensò che stava diventando pazzo. Probabilmente era ciò che succedeva alle persone che stavano troppo da sole: si ritrovavano a vedere cose che nessun altro vedeva, perché l'immaginazione era meglio della realtà.

Stava per tornare dentro il palazzo – perché davvero, là fuori si congelava – quando notò che a qualche passo da lui, da un cespuglio ben curato, spuntava una rosa bianca.

Kurt era piccolo, ma era anche abbastanza intelligente da sapere che le rose in quel periodo non sarebbero dovute sbocciare. Si avvicinò con cautela, quasi come se quel fiore fosse un piccolo miracolo, e una volta che ci fu vicino fece per toccarlo, ma una voce lo bloccò.

"Non potete coglierlo!”, borbottò qualcuno. Kurt sussultò e si portò le braccia attorno al corpo per proteggersi. Ben presto vide di nuovo lo stesso movimento che aveva visto dalla finestra, e poi, a qualche passo da lui, da un altro cespuglio comparve un ragazzo.

Kurt assottigliò le palpebre per studiarlo – non faceva parte della sua famiglia, per cui molto probabilmente era un servo, ma non lo aveva mai visto prima. Aveva dei tratti esotici, la pelle scura e i capelli neri che si muovevano in piccoli e graziosi ricci, e due occhi che ricordavano vagamente il colore dell'oro.

Kurt non ne sapeva niente di bellezza, ma per la prima volta nella sua giovane vita pensò che qualcuno potesse essere bello.

"Vostra altezza- perdonatemi.”, borbottò quel ragazzino, inginocchiandosi subito dopo. "Non volevo alzare la voce.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore. "N-non ti ho mai visto prima.”

"Sono appena arrivato insieme alla mia famiglia.”, spiegò lui, passandosi una mano in mezzo a tutto quell'ammasso di ricci scomposti.

"Oh.”, soffiò Kurt, uno sbuffo di fiato bianco che usciva dalle sue guance. "S-sei piccolo. Voglio dire- non sei grande come gli altri servi che ci sono qui.”

Il ragazzino scrollò gentilmente le spalle. "Io e la mia famiglia abbiamo tanto bisogno di denaro, Vostra Altezza.”, spiegò, senza il minimo imbarazzo. "Per questo lavoro anch'io.”

"S-sei bravo.”, sussurrò Kurt, abbassando la testa subito dopo. Aveva la vaga sensazione che ci fosse più caldo. Una volta la sua mamma gli aveva detto che ogni volta che gli facevano un complimento, Kurt tendeva a diventare rosso, e Kurt subito non aveva capito cosa voleva dire – ma in quel momento pensò che fosse abbastanza chiaro.

"P-perchè non vuoi che raccolga questa rosa?”, chiese dopo un po' Kurt, studiandola per qualche minuto. Il ragazzino gli si avvicinò con cautela, offrendogli un sorriso piccolo.

"Di solito le rose non fioriscono in Dicembre.”, spiegò lui, sfiorandone lo stelo con la punta delle dita. "Lei è unica, è speciale. Non possiamo farle del male.”

Kurt la trovò una spiegazione molto convincente, così annuì. "Credi che supererà l'inverno?”

"Credo di sì.”, soffiò il ragazzo. "Deve essere tanto forte.”

Kurt sorrise. "Io credo che ce la farà.”

Kurt a quel punto ruotò il capo e lo osservò – c'era qualcosa di quel giovane ragazzo che non aveva mai visto in nessuno, la forza forse, il coraggio, una tenacia che di solito non vedeva né nei suoi fratelli che nei bambini che incontrava a corte. Forse anche quel ragazzo era unico, e speciale, e andava protetto – forse anche a lui non andava fatto del male.

O forse Kurt aveva solo bisogno di tornarsene a letto a leggersi i libri delle favole.

Sentì i rintocchi delle tre del pomeriggio, e quasi non urlò. "Oh mio dio- devo andare a prepararmi per il ballo di questa notte!”, borbottò, voltandosi e cominciando a correre verso l'entrata del palazzo. Quando si voltò quel ragazzino era già sparito, ma Kurt sorrise comunque, perché di sicuro lo avrebbe rivisto.

 

***

 

La nonna di Kurt era una donna gentile che amava viaggiare, e da ogni viaggio era abituata a portare a Kurt un piccolo oggetto che comprava nei luoghi in cui era stata.

Quella sera, durante il ballo, Kurt si lasciava prendere in braccio da suo padre, lo zar, che invece di ballare con mille e mille dame diverse preferiva ballare con lui. Kurt stava facendo finta di volare tra le braccia di Burt, quando da lontano vide sua nonna che lo salutava con un cenno della mano, vicino ai troni che erano riservati alla sua famiglia.

"Nonna!”, gridò lui, chiedendo poi al padre di metterlo giù. Quando i suoi piedi toccarono terra, Kurt trotterellò verso sua nonna Anastasia, e si fece prendere in braccio. Lei gli scompigliò dolcemente i capelli, dandogli poi un leggero bacio sulla guancia, facendolo arrossire.

"Allora, vuoi sapere cosa ti ha portato la nonna dal posto magico in cui è stata?”, chiese lei, facendolo ridacchiare.

"Nonna, guarda che lo so che sei stata a Parigi.”, borbottò lui mettendo il broncio. Lei rise.

"Oh, nebol'shoy, tu rovini tutte le mie sorprese.”, disse piano, prima di riportarlo a terra. Prese dalla minuscola borsa che aveva un piccolo oggetto rotondo di colore verde e oro, e glielo porse insieme a una catenina lunga alla fine della quale c'era una piccola chiave.

"Ecco qui.”, soffiò lei. "Leggi cosa c'è scritto.”

Kurt afferrò con le piccole dita la collanina che sua nonna gli aveva regalato, poi con un grosso sforzo mise la linguetta tra i denti e cominciò a leggere. "I-insieme a P-Parigi.”, borbottò. "Insieme a Parigi!”, esclamò, capendo finalmente che quella di sua nonna era una promessa.

"Esatto, nebol'shoy. La prossima volta ci andremo insieme, d'accordo?”, chiese lei in un sussurro, per poi prenderlo tra le braccia. Kurt immerse la testolina nell'incavo del collo di sua nonna, che sapeva di menta e di boschi freschi. Lei gli fece vedere anche che c'era un modo di infilare la catenina nel piccolo oggetto rotondo che gli aveva regalato: funzionava come una chiave, trasformandolo in un carillon. Era davvero il regalo più bello che sua nonna gli avesse mai portato da uno dei suoi viaggi, e Kurt aveva quasi voglia di piangere dalla gioia.

E lui, il piccolo Kurt, non poteva sapere che dall'angolino delle cucine, Blaine lo stava guardando da lontano.

Come non poteva sapere che quella notte la sua vita stava per cambiare per sempre.

 

***

 

Ciò che spesso quasi tutti dimenticavano di dire a Kurt, era che quelli erano gli anni delle rivoluzioni. Gli anni in cui la Russia era stremata dalla fame e dalla rabbia.

Kurt era troppo innocente e ancora troppo poco curioso per leggere i libri, ma capì che ogni cosa stava andando per il verso sbagliato quando improvvisamente ogni luce nel palazzo si spense e le porte si spalancarono, facendo entrare nella sala da ballo il vento freddo d'Inverno. Kurt si strinse alle ginocchia di sua nonna, facendosi piccolo piccolo contro il suo corpo.

Dal corridoio principale stava arrivando la figura di un uomo incappucciato. A Kurt erano state insegnate le buone maniere, e di solito non era tenuto dire cose cattive sulle gente, ma quell'uomo non gli sembrava bello, né gentile, né rassicurante. Sembrava rozzo e cattivo; inoltre il suo volto era sporcato da un ghigno a dir poco malefico, gli occhi piccoli e iniettati di sangue.

"Rasputin.”, sentì bisbigliare Kurt da numerose bocche intorno a lui. Era un nome assurdo che non aveva mai sentito. Si avvicinò a sua nonna ulteriormente, mentre quel Rasputin camminava a passo deciso verso suo padre, che nel frattempo si era spostato al centro della sala.

"Non sei il benvenuto qui, Rasputin. Fuori dal mio palazzo.”, ringhiò Burt, alzando un braccio per indicare una delle numerose porte. Rasputin ridacchiò senza divertirsi davvero.

"Mi state cacciando via, mio signore? Che cosa scortese.”, borbottò lui, sorridendo appena. "Non sei molto diverso dall'uomo senza cuore che il popolo dipinge.”

"Vattene o ti faccio uccidere, razza di stregone da strapazzo.”

Rasputin a quel punto si leccò le labbra con lentezza, puntando i propri occhi su ogni membro della famiglia Hummel. Ruotò il capo anche per posare i suoi occhi su Kurt, che rabbrividì leggermente.

"Che peccato.”, bisbigliò, ridacchiando immediatamente dopo. "Non avreste dovuto esiliarmi, Vostra maestà. Ora sarò costretto a farvela pagare. Voi e a tutta la vostra famiglia, naturalmente.

"Sta' lontano dai miei figli.”, ringhiò Burt, facendo un passo verso di lui.

Gli occhi di Rasputin si fecero ancora più bui. Dopodichè allargò le braccia con fare teatrale, osservando la folla attorno a sé. "Qui e in questo momento, intendo lanciare una maledizione sulla famiglia Hummel.”, disse con voce solenne. C'era un silenzio inquietante, nessuno osava dire niente. "Ogni suo membro per mia decisione morirà entro quindici giorni.”

A quel punto, Kurt venne strattonato violentemente dalla propria nonna, che gli mise una mano sulla guancia. "Tesoro, va' in camera tua.”

Gli occhioni di Kurt si riempirono di lacrime. Intorno a sé la gente parlava, alcuni urlavano, qualche sua sorella addirittura piangeva.

"M-ma nonna-”

"Va' in camera tua. Fidati di me, nebol'shoy., gli disse con dolcezza. Così Kurt annuì e cominciò a correre tra i corridoi deserti del suo palazzo, rischiando di inciampare un paio di volte ma arrivando dopo diversi minuti nel buio di camera sua.

E solo lì cominciò a piangere.

 

***

 

La Rivoluzione scoppiò i giorni successivi al ballo. A Kurt venne proibito di uscire, così come le sue sorelle e i suoi fratelli. I primi giorni furono terribili perché suo padre non era mai a casa, e i piccoli Hummel erano costretti a passare con la nonna buona parte del tempo chiusi nella libreria sotterranea a leggere libri su libri. Kurt ci provava a concentrarsi, ci provava davvero, ma ogni cinque o dieci minuti da fuori arrivavano le urla chiare delle persone e gli spari delle guardie reali – e Kurt era costretto a mettersi le mani nelle orecchie per non sentire nulla.

Il quinto giorno, Kurt vene svegliato nel cuore della notte dalla voce di sua nonna.

"Svegliati, svegliati, nebol'shoy.”, bisbigliò con insistenza. "Kurt, forza, dobbiamo andarcene.”

Quando Kurt spalancò gli occhi si rese conto che quelli di sua nonna erano velati di lacrime e che le sue mani tremavano. Gli chiese cosa stesse succedendo, ma sua nonna gli disse che non c'era tempo per le domande, che dovevano scappare. Parlò troppo velocemente di una ribellione da parte delle guardie e Kurt non ci capì proprio niente - perché fino a prova contraria le guardie erano dalla loro parte, no?

Sua nonna preparò velocemente un borsone piangendo, e vestì Kurt in tutta fretta, infilandogli addosso quanti più strati possibile dei suoi vestiti meno sfarzosi, e dopo di che gli mise un cappellino color grigio topo in testa.

"Prometti che qualsiasi cosa succeda, non lascerai andare la mia mano.”

"Promesso.”, disse immediatamente Kurt, piccole lacrime che abbandonavano i suoi occhi. Seguì sua nonna fuori dalle stanze, lungo il lunghissimo corridoio che portava alle scale usate dalla servitù. Continuarono a scendere almeno fino a quando non sentirono dei rumori, così aprirono la prima la porta che trovarono, che dava su una piccola stanza di letture. Kurt nemmeno la conosceva, ed era sicuro che così fosse anche per sua nonna. Si guardarono attorno all'unisono senza sapere cosa fare – i rumori dalle scale diventavano sempre più forti, ma non c'era nessuna via d'uscita.

Kurt vide sua nonna voltarsi verso di lui con labbra tremanti, esattamente nel momento in cui percepì due mani sulle proprie spalle.

"Venite di qui.”, borbottò una voce familiare. Kurt la riconobbe, apparteneva al ragazzino della rosa. "C'è una scorciatoia proprio qui, attraverso la parete, porta alle cucine.”, spiegò, trascinando Kurt vicino a una poltrona. Il ragazzino la spostò in tutta fretta e dopo di che spinse una parte di parete, che lasciò lo spazio a una scorciatoia.

"Che tu sia benedetto, ragazzo.”, disse la nonna di Kurt, entrando nel passaggio senza alcuna difficoltà. Kurt fece per seguirla, ma improvvisamente gli venne in mente che aveva lasciato in camera sua il suo carillon, e lasciò andare la mano di sua nonna.

"Il mio carillon!”, urlò, facendo qualche passo verso l'uscita. Il ragazzo della servitù però era un pochino più grande di lui, e riuscì a trattenerlo facendogli passare entrambe le mani attorno allo stomaco, e lo trascinò di nuovo nel passaggio nella parete. "Dovete andarvene.”, disse con insistenza, spingendolo verso la scorciatoia.

"No, no! Tu non capisci, devo recuperare-”

"Via, via! Devi salvarti!”, gridò il ragazzo, spingendolo un'ultima volta verso le braccia di sua nonna e chiudendo immediatamente il passaggio. Qualche istante dopo le guardie fecero irruzione nella stanza.

"Dove sono, ragazzo?”, chiesero in un piccolo ringhio, e naturalmente il servo non rispose. Si morse le labbra fortissimo, serrando i pugni lungo i fianchi.

Il colpo al livello dello stomaco arrivò immediatamente dopo.

 

***

 

Kurt ce la stava mettendo tutta a correre alla stessa velocità di sua nonna, ma le sue gambine erano piccole, era infreddolito e tanto stanco, e inciampava ogni volta che sotto di sé trovava un sassolino.

Sua nonna non gli lasciava mai andare la mano.

"Forza, nebol'shoy, ci siamo quasi. Resisti.”, gli gridava con una sorta di dolcezza. Improvvisamente Kurt si trovò immerso da una flotta di persone che si stava dirigendo verso la stazione dei treni. C'era tanta confusione, Kurt vedeva tutto offuscato e francamente era dalla sera prima che non vedeva nessuno dei famigliari. Non sapeva più cosa pensare.

Vide sua nonna correre più veloce e fare un passo per salire su un treno di fronte a loro che era già in movimento, ma durante l'atto in qualche modo le loro dita scivolarono via le une dalle altre, e Kurt perse la presa.

"Nonna!”, gridò, cominciando a correre verso il treno che era troppo veloce per lui. "N-nonna non- non lasciarmi!”

"K-Kurt!”, gridò lei, cercando di farsi spazio per scendere dal treno. Forti braccia glielo impedirono. "Kurt, nebol'shoy- Kurt!”

Kurt tentò di allungare una mano verso la sua. Tentò di correre più veloce, e tentò di non piangere, ma alla fine non ci riuscì. Inciampò per l'ennesima volta su quello che probabilmente era una parte di binario, e l'ultima cosa che vide fu il fumo del treno che lo lasciava indietro, le urla di migliaia e migliaia di persone che gli riempivano le orecchie.

Poi, solo buio.
.





.





.
Uhm, maybe Kurt will be Anastasia! [cit.]
No, okay. Uhm. 
In qualche modo sono qui, a gettarmi in questa nuova cosa. Fravah mi ha chiesto in maniera moooolto poco insistente di scrivere qualcosa su questa fiaba meravigliosa, e insomma, visto che ne sono sempre stata innamorata anch'io alla fine ho ceduto. Shame on me. Ero partita con l'idea di scrivere una OS, ma come al solito mi sono dilungata e credo che alla fine sarà una mini-long di non più di tre quattro capitoli. E' già finita, per chi se lo stesse chiedendo, quindi se otterrò una buona risposta dalla vostra parte aggiornerò molto presto senza alcun problema. Dipende un po' da voi, fatemi sapere se vi interessa e se questa piccola follia può piacervi! 
Se per qualche stranissima ragione non avete mai guardato questo cartone animato, correte subito ai ripari! Un buon riassunto lo trovate qui, per farvi una vaga idea del periodo storico e della storia originale **
Qui la canzone invece da cui è tratto il titolo. Innamoratevene.
A prestissimo splendori, e un bacio a chiunque passerà!

Je <3

 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Visto che siete stati più che dolcissimi nell'accogliere la storia mi sembra giusto che aggiorni oggi! Sono davvero contenta che mi abbiate dato fiducia. Una cosa importante prima di farvi leggere: molti di voi mi hanno fatto notare che di storie così ne esistono già su EFP, e ho apprezzato molto il gesto. Può succedere. Nel mio piccolo, posso dirvi che non ne avevo mai letta una (ma credo rimedierò al più presto). Se doveste notare delle somiglianze, cose legittime immagino per via di trama, sono assolutamente casuali :)

Buona lettura!

 

 

 

- Parte seconda -

 

Dieci anni dopo

 

Blaine percorse le scale che portavano al suo minuscolo appartamento due alla volta, un cappotto nuovo di zecca con del pelo finto appoggiato al braccio e il cappellino che aveva messo in testa che ormai gli stava per cadere. Entrò sbattendo la porta, trovando Puck vicino alla finestra mentre dormiva, la bocca semi-aperta – posizione che gli permetteva di sicuro di sbavare anche poco elegantemente sull'unica coperta che avevano.

Blaine alzò gli occhi al cielo e gli gettò addosso il cappotto invernale che aveva appena comprato con i suoi pochi risparmi.

"Puck.", sibillò, aspettando poi che si svegliasse. Puck grugnì qualcosa di incomprensibile, aprendo e chiudendo la bocca continuamente come un vecchio. "Puckerman, svegliati.", borbottò Blaine, scrollando una delle sue spalle. Quando Blaine si rese conto che il suo migliore amico – o compagno d'affari, meglio, cosa di cui spesso Blaine si dimenticava soprattutto quando lo trovava in quelle condizioni – non aveva alcuna intenzione di svegliarsi, decise di adottare un metodo molto poco ortodosso e ci si sedette sopra.

"Cos- uhm- che- è arrivata la polizia...?", biascicò Puck tra il sonno e la veglia, stropicciandosi gli occhi con le dita.

"Sì, Noah. È proprio qui fuori che non aspetta altro che arrestarti."

Puck a quel punto si mise a sedere di scatto, spingendo in quel modo Blaine che urlò e si trovò con il sedere per terra.

"Aiuto, Blaine, i Russi! I Russi sono venuti a prenderci- avanti razza di lumacone, scappa-"

Blaine alzò un sopracciglio con l'aria vagamente irritata, non muovendo un singolo muscolo. "Noah.", borbottò. Nel vedere l'assoluta tranquillità di Blaine, Puck si bloccò di colpo.

"Tu- tu, brutto imbroglione. Non c'è nessuna polizia."

"Ma va, non mi dire.", ghignò Blaine. "Però ehy. Grazie di avermi dato una nuoa scusa per svegliarti. È perfetta."

"Vai a farti fottere."

"Magari più tardi."

Ecco, quello era più o meno il modo che avevano Blaine e Puck per dimostrarsi il rispetto reciproco. Una sorta di ringhiarsi e punzecchiarsi a vicenda continuo, che la maggior parte delle volte terminava con allusioni e battute a sfondo vagamente sessuale – togliendo il vagamente, con molta probabilità.

Puck a un certo punto prese tra le mani il cappotto con cui Blaine prima aveva cercato di svegliarlo.

"E questo cos'è?", borbottò, guardandolo molto male. "Hai tipo squartato una pecora?"

"E' una pelliccia falsa, idiota.", borbottò Blaine, alzando gli occhi al cielo. "E non è per te, è per il Granduca."

Noah annuì, alzandosi per dirigersi in bagno e lavarsi la faccia. Blaine seguì i suoi movimenti, strofinandosi poi con delicatezza la fronte con le dita.

"Oggi terremo dei provini al Palazzo d'Inverno.", disse dopo qualche minuto. "Non lo so, mi sento- piuttosto positivo."

"Ogni santo giorno dici la stessa cosa.", grugnì Puck, sputtacchiando un po' di dentifricio scadente alle erbe. "Blaine, rassegnati. Non troveremo mai nessuno che somigli anche solo vagamente al Granduca Kurt. Senza contare che non penso che nonnina bella si farebbe prendere in giro così."

"Non deve essere identico.", disse piano Blaine, afferrando dal comodino di legno il giornale di quel giorno. "Deve assomigliarci."

"Sogna, Blaine. Sogna pure."

"Certo che sogno, Puck.", bofonchiò Blaine, lasciandosi cadere sul pavimento dietro di lui. "Si tratta di quattrocento milioni di rubli. Ogni nostro piccolo problema sarebbe solo un vecchio ricordo."

Puck uscì dal bagno con un piccolo asciugamano attorno al collo. "Guarda che lo so, Blaine.", mormorò. "Sarebbe il sogno di una vita. Ed ehy, io sto con te dall'inizio, e mi fido. Però abbiamo cambiato sei città, abbiamo visto almeno un centinaio di ragazzi che dicevano di essere il Graduca, e nonostante questo non ne abbiamo trovato uno – e dico uno, che ci assomigli vagamente. C'era anche quella travestita polacca, come diavolo si chiamava-"

"Diceva di chiamarsi Jeremiah.", borbottò Blaine. "Brutti ricordi."

Ridacchiarono all'unisono, entrambi guardando un punto indefinito fuori dalla finestra.

"Ci arricchiremo, Puck.", sussurrò Blaine, una promessa più fatta a sè stesso che al mondo intero. "Te lo prometto."

 

***

 

"Ciao Tim! Ricorda di non mettere mai più quel cappello con i buchetti, okay?", disse piano Ky, immergendo una mano nei capelli del bambino che c'era di fronte a lui. Cercò di trattenere le lacrime mordicchiandosi il labbro inferiore.

"...e subito dopo la pescheria c'è un bivio, tu va' a sinistra. Chiaro? Ky? Che razza di nome che hai. Comunque. Va' a sinistra, ti ho trovato un lavoro a una locanda che c'è in un piccolo paese...mi stai ascoltando o sei sordo per caso?"

Ky si fermò di colpo, una mano tesa a mezz'aria per salutare i bambini che lo stavano guardando partire dalle finestre dell'orfanotrofio, mentre il piccolo Tim sgattaiolava via a piccoli passi – era l'unico che era sceso a salutarlo, fuori c'era davvero troppo freddo.

"Certo che la sto ascoltando signora Korkorov.", borbottò Ky, entrambe le sopracciglia alzate. "Sa, ho la fortuna di lavarmi le orecchie tutti i giorni, a differenza di qualcun altro."

"Mi stai prendendo in giro, Ky? Mi auguro di no. Anzi sai che ti dico? Poco mi frega, per fortuna adesso non ti vedrò più."

"Già, siamo in due a pensarla allo stesso modo.", rispose tranquillamente Ky, dirigendosi a passi eleganti verso il cancello. C'era neve dappertutto perchè durante quelle settimane aveva nevicato molto, e Ky amava il panorama che si poteva ammirare dalla collina.

"E smettila di camminare con un principino da strappazzo. Non sembri normale.", borbottò la signora Korkorov, troterellandogli dietro. Ky la guardò male.

"Lei è davvero una persona triste, singora Korkorov.", disse con una vena di malinconia. "Mi dispiace che le diano dei bambini a cui badare."

"Ma taci tu, che ne vuoi sapere.", grugnì lei. "Piuttosto va', ora. Magari la smetterai di piagnucolare."

"Certo che andrò.", disse prontamente Ky, prendendo tra le mani il ciondolo da cui non si separava mai. "Andrò a cercare la mia famiglia-"

"Oh, certo, insieme a Parigi!", lo scimmiottò lei, imitando il suo tono di voce delicato. "Povero illuso. Adesso sparisci, principe delle cause perse, che io ho un orfanotrofio da gestire. Vi ho nutriti, vi ho vestiti..."

"...vi ho trovati, vi ho messo un tetto sopra la testa...", concluse per lei Ky, alzando gli occhi al cielo. Non vedeva l'ora di andarsene via da quel posto piccolo e angusto.

In realtà non sapeva nemmeno come ci era arrivato. La signora Korkorov gli aveva raccontato la sua storia solo un paio di volte, dicendogli che era stato trovato all'età di dieci anni vicino ai binari della grande stazione ad est di San Pietroburgo; quando una giovane coppia russa lo aveva trovato spaventato, infreddolito e in mezzo alla strada avevano cercato di chiedere lui come si chiamasse e da dove venisse, senza ricevere alcuna risposta. Era stato portato nell'unico orfanotrofio nel raggio di miglia, e non aveva detto una parola per ben dieci mesi, facendo andare su tutte le furie la signora Korkorov. Un giorno come molti altri, una bambina chiese lui come si chiamava, e invece di rimanere muto Ky rispose con quella che ricordava – o credeva di ricordare – fosse l'iniziale del suo nome. Non avendo idea di come terminasse, da quel giorno tutti lo avevano sempre chiamato con quella semplice lettera. Ky non sapeva niente del suo passato, non ricordava perchè i suoi genitori lo avessero abbandonato e soprattutto non ricordava chi fosse – l'unica cosa che gli era rimasta era quel ciondolo dorato che gli pendeva dal collo, con su scritto con lettere eleganti la frase Insieme a Parigi. Era l'unico indizio che avrebbe potuto riportare Ky dalla sua famiglia, e lui era intenzionato a seguirlo a qualsiasi costo. Voleva ritrovare la sua famiglia, voleva scoprire per quale motivo lo avessero abbandonato, che cosa era andato storto.

Da qualche giorno Ky aveva finalmente compiuto diciannove anni, l'età necessaria per lasciare l'orfanotrofio e costruirsi una vita indipendente. Proprio per quello ora doveva andare a sinistra al bivio, per raggiungere la famigerata locanda in cui avrebbe lavorato per il resto della vita. Osservò quel piccolo bivio per minuti interi: a sinistra segnava il nome del piccolo paese dove si trovava la locanda, a destra invece l'insegna puntava a caratteri cubitali San Pietroburgo, la città dei sogni, come la chiamavano i bambini all'orfanotrofio. Ky fece per fare un passetto verso destra, ma da dietro arrivò chiara la voce della signora Korkorov.

"Ho detto va' a sinistra.", grugnì. Ky la guardò di sbieco, scrollando le spalle.

"Lo so cosa c'è a sinistra.", borbottò, mordicchiandosi il labbro inferiore. "Una vita inutile e monotona che non mi merito.", disse a nessuno in particolare. "Ma se vado di qua...", sussurrò, continuando a camminare verso destra, senza fermarsi mai. "Se vado di qua la mia vita cambierà per sempre.", bisbigliò, una promessa che fece solo a sè stesso.

Così si lasciò indietro tutto. Anni e anni di ingiustizie in orfanotrofio, di insicurezze e domande a cui non riusciva a dare una risposta: finalmente avrebbe avuto l'occasione di scoprire tutto, e forse avrebbe ritrovato la sua famiglia.

 

***

 

San Pietroburgo era decisamente la città più grande che Ky avesse mai visto – non che ne avesse viste molte altre, in vita sua, ma insomma, era davvero enorme. C'erano tantissime persone con addosso enormi pellicce e capottini eleganti, bambine che rincorrevano madri per tutto le vie, e Ky invece non aveva altro che sé stesso e una sciarpa che gli pendeva dalla tasca del cappotto grigio scuro che aveva addosso. Non che avesse bisogno di molto altro, in verità.

Si mise in coda per acquistare un biglietto del treno per Parigi nei pressi della stazione – non aveva molto denaro con sé, quel poco che aveva gli spettava di diritto dalle tasche comuni dell'orfanotrofio, ma si era documentato e aveva scoperto che un biglietto di terza classe costava veramente una miseria, e stando attento a consumare pochi pasti ci sarebbe riuscito ad arrivare a Parigi. Quando fu il suo turno disse fieramente al signore che vendeva i biglietti la propria destinazione, ma questo gli rispose poco bellamente che per venderlo aveva bisogno di un visto d'uscita, e Ky il visto d'uscita non aveva la minima idea di cosa fosse.

Se ne stava per andare con la coda tra le gambe, quando una vecchina con gli occhi tutti storti gli mise una mano sulla spalla.

“Cerca Blaine.”, gli disse con voce bassissima. Ky aggrottò le sopracciglia.

“B-Blaine?”

“Sì, lui può aiutarti con questa cosa del visto. È al Palazzo d'inverno a combinare qualcosa, tu digli che ti mando io. Fila, vai, vai, vai!”

Quella signora spinse Ky lontano dalle file, e lui si ritrovò a fissare il vuoto per minuti interi senza sapere cosa fare. Come poteva presentarsi da uno sconosciuto dire lui “Ehy, mi manda una vecchina che ho incontrato giù in città coi denti storti.”. Non sapeva quanto efficace potesse essere.

Tuttavia, cercò le indicazioni per il Palazzo d'Inverno comunque. Non aveva niente da perdere, no?

 

La fregatura stava nel fatto che il palazzo d'Inverno a quanto pare era inagibile. Kurt ci girò attorno un paio di volte per trovare l'entrata, ma ogni porta era accuratamente sbarrata con assi di legno, ed era impossibile pensare di entrarvici. Quella vecchina però era sembrata davvero convincente quando aveva detto a Ky di quel Blaine, e quindi Ky non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Si aggrappò alle assi di legno con tutte le sue forze, e stava quasi per rinunciare quando improvvisamente riuscì a strapparne via una. Cadde rumorosamente all'indietro sbattendo il sedere per terra – però ehy, ce l'aveva fatta finalmente. Dopo aver svegliato mezza San Pietroburgo, ma ce l'aveva fatta.

Si addentrò al Palazzo d'Inverno con estrema cautela. L'interno era molto spazioso, l'aria era umida per via dell'inverno ed era chiaro che il palazzo fosse abbandonato, eppure c'era ancora qualcosa di fiabesco nelle mura, nei quadri appesi alle pareti e nelle scale che portavano al piano di sotto. C'era polvere ovunque, che rendeva i tappeti e i pavimenti quasi grigi, eppure Ky nel camminare in mezzo a quei corridoi si sentì a casa come mai era successo prima in tutta la sua vita. Non aveva idea del perché, ma c'era qualcosa di stranamente familiare in quelle sale, qualcosa che sapeva di passato dimenticato e ricordi rimossi.

Ky era entrato ormai da diversi minuti nel palazzo quando trovò la sala principale. Era in assoluto l'ambiente più grande che avesse mai visto: di sicuro un tempo era stata una sala da ballo, e per un attimo immaginò essere un principe ed avere la possibilità di ballare in quell'enorme sala con mille damigelle che danzavano attorno a lui e gli facevano i complimenti per la sua grazie ed eleganza.

Al lato della sala c'era un lungo tavolo con sopra diversi oggetti. Alcuni erano andati distrutti – forse per i tempi della rivoluzione, forse per colpa del tempo e dell'invecchiamento. C'era anche uno specchio, e Kurt lo prese in mano per potersi guardare, e nel momento in cui lo fece dietro di lui ebbe come l'impressione di vedere un bambino che gli assomigliava tremendamente correre verso un signore di mezza età senza capelli che lo prendeva in braccio e lo cullava, e solo -

Era così strano. Quel palazzo faceva sentire Kurt in modo strano. Malinconico, in primo luogo. Forse proprio per quello alla fine si sedette proprio al centro della sala, sperando che quella brutta sensazione gli passasse. Si sentiva a casa ma al contempo era come se non lo potesse sapere. E poi c'erano tutte quelle immagini che assomigliavano a ricordi – ma come poteva essere sicuro che non fossero solo sogni?

“Ehy, tu- non puoi stare qui!”, gridò una voce. A quel punto Ky alzò la testa dalle ginocchia e vide che in cima alle scale di fronte a lui c'era un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età – senza pensarci due volte si alzò in piedi e cominciò a correre verso le scale che c'erano dalla parte opposta, quelle da cui lui era arrivato. Era stata una follia introdursi in quel palazzo: e se lo avessero arrestato?

“Aspetta, fermati!”, urlò quel ragazzo dietro di lui. Beh, col cavolo, avrebbe risposto Ky se avesse avuto tempo. Non gli avrebbe dato la possibilità di arrestarlo, era appena uscito da una sottospecie di carcere, non aveva intenzione di essere rinchiuso di nuovo.

“Sul serio?!”, borbottò il ragazzo dietro di lui. “Avanti, non ti mangio mica! Vuoi fermarti?”

Ky non seppe capire perché alla fine si fermò. Sta di fatto che lo fece; era esattamente al centro delle scale quando si voltò e puntò gli occhi in quelli dell'altro ragazzo, che adesso lo stava guardando con molta attenzione. Ky non si era soffermato a guardarlo abbastanza, prima: aveva i capelli ricci scuri che gli ricadevano dolcemente sulla fronte, due occhi molto grandi contornati da ciglia spesse e labbra piene e carnose. Non era russo, quello era certo. Però era...vagamente carino, quello sì. Anche se Ky non capiva perché doveva pensare che fosse carino, ma comunque.

“Come diavolo...”, una pausa, e poi quel ragazzo ricciolo spalancò gli occhi, come se avesse avuto una visione. “Come diavolo sei entrato?”, soffiò. Ky cercò di riprendere fiato, mordicchiandosi il labbro inferiore. Quel tipo dai capelli ricci adesso aveva la bocca aperta, e sembrava molto più che ridicolo.

“...dalla porta?”, buttò lì Ky, indicando vagamente il fondo del corridoio con un braccio. “Ascolta, so che non dovrei stare qui, ma stavo cercando...vuoi farmi la cortesia di chiudere quella bocca? Sembra che stai aspettando che uno sciame di api arrivi per farci il miele.”

Il ricciolo a quel punto sbuffò una risata. “Sciame di api. In inverno.”

“Non che mi aspetti che tu sappia cos'è il miele, comunque.”, borbottò Ky alzando le spalle. Quel ragazzo cominciò a percorrere le scale per raggiungerlo, un vago sorriso che gli increspava le labbra.

“So benissimo cos'è il miele.”

Già, assomigliava vagamente a quello che c'era nei suoi occhi. Oh, al diavolo Ky, come ti vengono in mente certe idee. “Stavo per andarmene, comunque, quando hai cominciato a urlare come se non ci fosse un domani.”

“Il tuo tecnicamente è reato. Stai violando una proprietà privata.”, disse il ricciolo, cominciando a camminare intorno a Ky, osservandolo continuamente.

“Non so se te ne sei accorto, genio, ma siamo in due a trovarci in questo dannato palazzo.”

“Io qui ci lavoro.”

“Non avrei mai detto che avessi una tale intelligenza.”, borbottò Ky. “E la vuoi piantare di girarmi intorno e fissarmi? Sei inquietante. E mi dai fastidio.”

“Come siamo irascibili.”

“Tu tiri fuori il peggio di me.”, quasi ringhiò Ky, incrociando le braccia. “Mi dai sui nervi se continui a muoverti.”

Il ricciolo a quel punto sorrise. “E' solo che...mi ricordi una persona in maniera impressionante.”, sussurrò in modo vago. Kurt a quel punto si leccò velocemente le labbra, distogliendo lo sguardo.

“Dunque, stavi dicendo di essere venuto qui perché stavi cercando qualcuno, uhm...non ho afferrato il tuo nome.”

“Perchè non l'ho mai detto, genio.”, borbottò Ky, alzando gli occhi al cielo. Lanciò verso il ragazzo un'occhiata di sufficienza. “Ky.”

“Ky...che?”

“Il mio nome. Ky.”

“Ky come...”

“Come la lettera, sì. Non prendere in giro il mio nome.”

“Non mi permetterei mai di farlo.”

“E' quello che stavi facendo.”, sbottò Ky, respirando piano per cercare di mantenere la calma. “Comunque stavo cercando un tizio di nome Blaine, ma a parte te e qualche quintale di polvere questo posto mi sembra deserto, per cui credo che chi mi ha dato questa informazione si sia sbagliato.”

Quel ragazzo a quel punto trattenne una risata. “E sentiamo, perché averesti bisogno di questo Blaine?”

Ky alzò un sopracciglio. “...perchè, lo conosci?”

“Certo che lo conosco.”, sussurrò lui. “Alto, molto bello, di buone maniere...un ragazzo che non si dimentica facilmente, posso giurartelo.”

Ky non seppe capire cosa fu il moto di rabbia che sentì aleggiare nel suo stomaco. Non era di sicuro gelosia. Insomma, non poteva essere geloso di un ragazzo coi ricci che aveva appena incontrato e che aveva tutta l'aria di essere un poco di buono.

Ky sbattè le palpebre, alla ricerca delle parole giuste. “Beh, e credi che potresti farmi conoscere questo Blaine o devo fare i salti mortali per incontrarlo?”

“Vederti fare i salti mortali sarebbe molto interessante, devi credermi.”, ghignò quel ragazzo a quel punto, e Ky sentì le proprie guance scaldarsi, perché dio se a volte era irritante. “Ma si dà il caso che tu lo abbia già incontrato.”

Ky aggrottò la fronte. Un momento. Non aveva incontrato nessuno da quando era entrato in quel palazzo, quindi quello significava che...

Naturalmente, scoppiò a ridere. Forte, senza inibizioni, e il ragazzo di fronte a lui aggrottò la fronte.

“...perchè ridi?”

“...oh, non lo so. Forse perché hai detto di essere alto.”, borbottò Ky, tenendosi la pancia con entrambe le mani. “Voglio dire, alto? Sì, alto come un metro e una melanzana, molto probabilmente.”

Il ragazzo – Blaine, si corresse Ky, si morse il labbro inferiore con cautela. “Questa me la pagherai.”

“No, hai ragione. In effetti dipende molto dalla misura della melanzana.”

“Perchè qui si parla di melanzane e io non sono stato invitato?”, borbottò una voce che Ky non riconobbe. Lui e Blaine si voltarono all'unisono verso uno dei ragazzi più strani che Ky avesse mai visto: aveva i lineamenti marcati e i capelli più bizzarri di tutto il continente.

“Chi è questa fatina?”, chiese quello strano ragazzo. Anche lui lo osservò da capo a piedi, e quando si soffermò sul viso sembrò realizzare qualcosa di fondamentale e spalancò gli occhi. “Oh porco di quel demonio, Blaine- ma lui- cioè lo hai visto-”

“Sentite, voi due dovete seriamente farvi curare.”, borbottò Ky. “Sembra che non abbiate mai visto una persona.”

“Le abbiamo viste, Ky.”, disse Blaine a quel punto, assestando una gomitata nello stomaco del ragazzo coi capelli strani. “Puck, questo è Ky. Ky, lui è Puck, un mio collega che adesso ci farà il piacere di stare zitto.”

Puck mise su un piccolo broncetto e abbassò il volto.

“Dunque-”, iniziò Blaine con voce melliflua. “A quanto pare hai bisogno di me.”

“Tecnicamente parlando, non ho bisogno di te.”, asserì Kurt. “Ho bisogno di un biglietto per arrivare a Parigi, e non so per quale motivo mi hanno detto che tu saresti riuscito a procurarmelo.”

“Certo, certo.”, acconsentì Blaine. “Beh, effettivamente io ho tre biglietti per andare a Parigi. Uno è per me, uno è per l'avventuriero qua giù-”, disse Blaine, dando una pacca sulla spalla di Puck. “Ma il terzo è per il granduca Kurt.”

Ky a quel punto alzò un sopracciglio. “...e chi diamine sarebbe?”

“O porca loca, ma tu da dove cavolo vieni?”, domandò Puck allargando le braccia. “Dal paese dei balocchi?”

“No, da un orfanotrofio.”, rispose a tono Ky.

A quel punto Blaine e Puck si scambiarono un'occhiata.

“Vieni con me.”, sussurrò Blaine a un certo punto, facendo un passo verso di lui per afferrare una sua mano. Ky non ebbe il tempo materiale di dire nulla che Blaine lo stava trascinando su per le scale senza lasciargli andare la mano, fino al momento in cui arrivarono di fronte a un enorme quadro che ritraeva una famiglia.

“Ti presento la famiglia Hummel, Ky.”, disse Blaine fieramente, indicando i membri che erano stati ritratti. “L'ultima famiglia regnante che abbiamo avuto in Russia.”

“So chi sono gli Hummel, grazie mille.”, borbottò Kurt. Li aveva studiati, naturalmente.

“Bene. Quel pelato lì era l'Imperatore una decina di anni fa, l'ultimo che abbiamo avuto.”, spiegò Puck. “Si chiamava Burt.”

Ky rimase ad osservarlo per un tempo che gli parve infinito. Quell'uomo gli infondeva un senso di sicurezza, una strana pace che fino a quel momento non aveva mai provato con nessuno.

“Quella vicino a lui era sua moglie, Elizabeth.”, disse poi Blaine. “E' morta molto giovane, poco dopo aver dato alla luce il suo ultimo figlio, che tra l'altro porta il suo nome come secondo.”

Ky deglutì. “...chi era il suo ultimo figlio?”

“Kurt, appunto.”, rispose prontamente Blaine. Allungò un braccio per sfiorare con le dita il bambino che nel ritratto teneva la mano di un'anziana signora. “Kurt Elizabeth Hummel, l'unico sopravvissuto alla rivoluzione.”

Ky cercò gli occhi di Blaine. “Io non capisco.”

“Dieci anni fa ci fu la grande rivoluzione, e ogni membro della famiglia Hummel fu ucciso brutalmente. Sono stai ritrovati tutti i corpi. Tutti, tranne quello del principino.”, borbottò Puck. “Per questo si pensa che lui sia sopravvissuto.”

Ky sentì una strana sensazione montargli nel petto. Più guardava quel bambino, più aveva l'impressione che qualcosa di profondo li legasse.

“Sua nonna è l'unica parente diretta che gli è rimasta. La madre di Elizabeth, che durante la notte più dura della rivoluzione riuscì a scappare a Parigi.”

“...a Parigi?”, pigolò Ky, sentendo gli occhi pizzicare. “Ma è proprio dove devo andare io!”

“Questa è una gran bella coincidenza.”, disse Blaine con un vago sorriso. “E anche la somiglianza, beh...oserei dire che è impressionante.”

Ky alzò lo sguardo per osservare quel bambino nel ritratto per l'ennesima volta, e dovette ammettere che...sì, c'era qualcosa di lui che era molto familiare.

“Portatemi con voi.”, disse senza mezzi termini a quel punto, avvicinandosi a Blaine. I loro petti quasi si sfioravano.

“Mi piacerebbe, visto che molto probabilmente le tue battutine mi mancherebbero durante il viaggio. Ma te l'ho detto, il terzo biglietto è per il Granduca.”

Detto quello, Blaine si allontanò insieme a Puck scendendo le scale, mentre Ky rimaneva indietro a torturarsi le mani.

“Amico, che diamine stai facendo? Quel ragazzo è in assoluto quello che mi assomiglia di più a quel maledetto Granduca, e te lo dice uno che ha cercato di travestirti come lui almeno una decina di volte. Non possiamo farcelo scappare-”

“Noah, zitto e aspetta. Dammi dieci secondi.”

Blaine a quel punto si mise a contare sotto voce, e proprio quando le sue labbra pronunciarono il decimo secondo, una voce li interruppe.

Blaine!”, urlò Ky dietro di loro, mordicchiandosi il labbro per poi cominciare a scendere qualche scalino. Blaine fece l'occhiolino a Puck.

Ky puntò i piedi e si avvolse il corpo con le braccia. “Hai bisogno di me.”

“Cosa?”, borbottò Blaine.

“Hai bisogno di me.”, ripetè Ky. “Non hai detto che il terzo biglietto è per il Granduca?”

Blaine sorrise, a quel punto, un sorriso lascivo. “Non ti seguo.”

“Blaine, fa' un po' di matematica. Gli unici parenti di questo Kurt sono a Parigi, vero? L'unico indizio che io ho della mia famiglia è Parigi. Non ricordo molto del mio passato, ma potrei...potrei essere chiunque, no?”

Puck annuì con vigore. “Fantastico. Quando si parte?”

“Quello che Puck intende dire, Ky, è- credi davvero che potresti essere il Granduca?”, chiese Blaine a quel punto.

“Non lo so.”, soffiò Ky con sincerità. “Ma ci sono troppe coincidenze per far sì che io le ignori. Una persona sogna tutta la vita di essere un principe, o qualcuno di speciale...perchè non potrei esserlo io?”

“Già, perché no?”, ripetè Puck con un gran sorriso. “E adesso diamoci una mossa, che non mi va di perdere il treno.”

Ky e Blaine si guardarono di sfuggita a quel punto – Blaine aveva un sorriso soddisfatto sul volto, e Ky provò ardentemente il desiderio di farglielo scomparire con una sberla, anche se allo stesso tempo lo considerava vagamente adorabile.

Molto vagamente.

 

***

 

Poche ore più tardi, Ky, Blaine e Puck stavano prendendo posto in una cabina del treno che gli avrebbe portati fino a metà strada, in Germania. Ky aveva studiato quei posti solo sui libri, e non vedeva l'ora di poter vederli dal vivo: non riusciva ancora a credere che tutto quello stesse succedendo proprio a lui.

Si sistemò vicino al finestrino, con Puck di fronte e Blaine accanto. Il treno partì dapprima con calma e cominciò ad acquistare velocità, e a Ky gli si riempì il cuore di una strana emozione quando pensò che stava per abbandonare quella che fino a quel momento era stata casa sua. Iniziò a giocherellare con il ciondolo che portava al collo, fino a quando la voce di Blaine lo fece sobbalzare.

“Dunque, visto che ormai è ufficiale e siamo partiti.”, borbottò. “Direi che per abituarci dovremmo cominciare a chiamarti Kurt.”

Ky strabuzzò gli occhi. “Uhm, scusa? Non siamo sicuri che io sia il vero Granduca.”

“Ma te l'ho detto, dobbiamo abituarci.”

Ky a quel punto sbuffò, incartocciando le braccia davanti al proprio petto. “Fa' quello che vuoi, Blaine.”

“E per dio, siediti composto. Sei un Granduca, Kurt.”, si lamentò lui, indicando le sue braccia incrociate. “Impara a usare un po' di grazia-”

“Parla quello che quando si siede sembra un orso appena uscito dal letargo.”, borbottò Kurt. Puck di fronte a loro si lasciò scappare una piccola risata, beccandosi un'occhiataccia da parte di Blaine.

“Così a Parigi non convincerai proprio nessuno.”, gli disse di rimando Blaine.

“Credi davvero che io sia il Granduca, Blaine?”, chiese Kurt, cercando i suoi occhi. Blaine li scrutò per un attimo.

“Ovvio, altrimenti non staresti qui.”

“Bene.”, soffiò Kurt, avvicinandosi piano al suo viso. “Allora smettila di darmi ordini.”

“Affondato.”, disse Puck, scoppiando poi a ridere. “Amico, di sicuro ha un bel caratterino il ragazzo qui.”

“Cosa davvero adorabile.”, borbottò Blaine, passandosi una mano tra i capelli.

“Mai quanto diventeresti adorabile tu se mi facessi un piacere.”

“Quale piacere?”, chiese Blaine dopo un po'.

“Sta' zitto.”

 

Più tardi, ormai verso sera, Puck era uscito dalla cabina per farsi un giro in mezzo ai corridoi del treno – Blaine aveva la vaga impressione che avesse voglia di flirtare con qualche ragazza, ma non lo disse ad alta voce - e per questo si ritrovò da solo con Kurt. Lui continuava a guardare fuori dalla finestra e sembrava vagamente triste, ma era anche molto bravo a nascondere i suoi sentimenti.

Blaine fece finta di prendere il proprio visto d'uscita e darci un'occhiata, e solo dopo trovò il coraggio di parlare.

“Senti-”, borbottò, prendendo un respiro profondo. “Credo che io e te siamo partiti col piede sbagliato.”

“Decisamente.”, disse Kurt quasi subito, senza nemmeno guardarlo.

“Infatti.”

“Bene.”, sussurrò Kurt. “Gradirei quindi le tue scuse.”

“Gradiresti- ma che cavolo- io non ti chiederò scusa, mi dispiace tanto!”

“Sei tu che mi dai ordini e non fai altro che lamentarti di quello che faccio, Blaine.”

“Mi lamento perché sto cercando di aiutarti e tu non mi dai retta!”

Kurt sbuffò sonoramente. “Senti, Blaine, è chiaro che io e te nella stessa stanza per più di cinque minuti non ci riusciamo a stare se uno dei due comincia a parlare. Non facciamo altro che litigare, ed è snervante.”

“Beh, cancelliamo il problema alla radice, allora. Stiamo zitti.”

“Bene.”, borbottò Kurt, facendosi piccolo piccolo contro il sedile del treno.

“Bene.”

Bene.”, ripetè Kurt in tono ancora più alto, lanciando a Blaine un'occhiataccia. Rimasero a fissare dei punti imprecisi fuori dal finestrino per diversi minuti, senza dire nemmeno una parola. Poi a Kurt venne in mente una cosa.

“Ne sentirai la mancanza?”

Blaine sbuffò una risata. “Di cosa, delle tue chiacchiere?”

“Ma no, genio. Della Russia.”, mormorò piano. Vide Blaine incupirsi appena, e si chiese se quella fosse la domanda giusta. “Era casa tua, no?”

Blaine si bagnò le labbra. “Non era propriamente casa mia.”, sussurrò senza guardarlo negli occhi. “Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti dall'Irlanda quando io ero ancora un ragazzino. La Russia era un paese grande e offriva più lavoro, e fummo fortunati a trovarne uno in cui ci pagavano bene. Poi ci fu la rivoluzione, e i miei ne rimasero coinvolti. Furono arrestati, non li vedo da allora.”

Kurt era senza parole.

“Io e mio fratello ce la cavammo da soli per un po', poi quando lui raggiunse la maggiore età mi lasciò per dedicarsi a una vita da artista in giro per l'Europa. E io, beh...io avevo quindici anni e niente in mano.”

“Blaine-”

“Puck mi trovò in mezzo alla strada e, beh- mi aiutò a cavarmela. E' stato proprio come una famiglia per me.”

Kurt si strinse nelle braccia, incapace di credere che Blaine avesse un passato di quel genere alle spalle. “Blaine, mi dispiace tanto.”

Blaine sbuffò. “Non voglio la tua compassione.”

“No, solo...non è compassione, sto solo cercando di dirti che mi dispiace.”

Blaine scrollò le spalle. “La vita è ingiusta, è allora? La maggior parte delle volte lo è. Non è che hai sofferto solo tu.”

A quel punto Kurt si sentì ferito nel profondo. Gli occhi cominciarono a pizzicargli, ma non aveva alcuna intenzione di piangere di fronte a Blaine, così si alzò in piedi.

“S-sei davvero una persona orribile, Blaine.”, borbottò, agitando le mani. E Blaine, tanto per confermare quello che Kurt aveva appena detto, incrociò le gambe davanti a lui per non farlo passare.

“Non ti ho di certo chiesto io di farmi un interrogatorio.”

“Ma non ti ho nemmeno puntato una pistola alla tempia! Ma immagino che non serva a molto dirti queste cose, tanto il tuo cervellino non riuscirebbe comunque a immagazzinarle tutte.”

“Dove stai andando?”, chiese Blaine a quel punto, vedendo che Kurt stava cercando di superare le sue gambe.

“Lontano dalla tua faccia.”, borbottò lui. “Sai, stavo- stavo solo cercando di essere carino.”

Blaine si rese conto solo in quel momento che Kurt sembrava davvero ferito. “K-Kurt, aspetta, io-”

“No ti prego, risparmiami una delle tue gentilezze.”, grugnì. “Sai, quando dico a qualcuno che mi dispiace non lo dico per dire. Ma forse chi lo sa, sono un Granduca, dovrei dirlo in modo diverso-”

A quel punto entrò Puck. “Che diamine succede qui?”

“Lascia stare.”, borbottò Blaine.

“Voglio solo che me togli dalle scatole!”, borbottò Kurt, asciugandosi bruscamente una lacrima.

“Che cazzo hai combinato, Anderson?”, sbottò Puck, mettendosi le mani sui fianchi e guardandolo con aria vagamente minacciosa.

“Io? Ma è lui!”, si difese Blaine. E a quel punto Kurt agitò le mani per aria e con un ultimo borbottio che assomigliava a un “Sei un tale bambino” lasciò la cabina, andando alla ricerca di in un posto in cui avrebbe potuto stare da solo.

Blaine si passò le mani tra i capelli. “Dei, è- è snervante, okay? E insopportabile.”

“Sì, e perché?”, gli chiese Puck. “Perchè è carino con te?”

Blaine a quel punto sospirò, mordendosi poi la carne del labbro inferiore.

“Senti, razza di idiota.”, cominciò Puck. “Adesso alzi il tuo nobile deretano e vai a recuperare il nostro principino che per colpa tua si è incazzato, e ti scusi. Sono stato abbastanza chiaro?”

“Ma Puck-”

“Niente ma Puck. Fila.”

E a quel punto, beh, Blaine non aveva molta scelta.

 

Blaine ringraziò qualsiasi cosa lo avesse convinto a lasciare la cabina per andare a cercare Kurt, perché scoprì per puro caso che quell'anno i visti d'uscita dovevano essere compilati in penna rossa – e naturalmente lui, Puck e Kurt ce li avevano compilati in penna blu. In poche parole, era come se stessero viaggiando senza biglietto, e se qualcuno li avesse trovati avrebbe sicuramente chiesto loro di scendere.

Kurt era vicino alla cabina del ristorante, fermo a fissare un punto fuori dalla finestra, quando Blaine gli passò di fianco e raccolse una sua mano. Non appena Kurt si rese conto che era lui fece per aprire dire qualcosa, ma Blaine gli mise la mano sopra la bocca, facendogli segno di fare silenzio.

“Shhh.”, soffiò, guardandosi intorno. “Devi tornare in cabina con me.”

Kurt si scostò dalle sue dita. “Ci so tornare anche da solo in cabina.”

Blaine alzò gli occhi al cielo. “Senti. Potrebbe...potrebbe dispiacermi, per prima.”

“Potrebbe.”

“Già. Uso il condizionale, perché la prossima battutina che farai di sicuro mi farà cambiare idea.”

“Oh, certo.”, ridacchiò a quel punto Kurt. “Beh, allora io credo che potresti tenerti pure le tue scuse, genio.”

Detto quello, Kurt superò Blaine e tornò verso la cabina.

 

Dieci minuti più tardi, Blaine e Puck stavano trascinando le loro valige in quello che aveva tutta l'aria di essere il vagone bagagli. Kurt si guardò attorno con aria smarrita, cercando poi gli occhi di Blaine.

“Immagino di capire che i biglietti non fossero perfetti quanto credevi, genio.”

“Mi sto solo assicurando che Vostra Altezza abbia tutto il comfort di cui ha bisogno.”, disse Blaine in tono mellifluo, accennando un piccolo inchino. Kurt alzò gli occhi al cielo.

“Guarda il lato positivo, immagina quanti gioielli ci saranno in tutte queste valige.”, disse poi Blaine.

“Valige che tu non oserai aprire.”

“Non prendo ordini da te.”, grugnì Blaine, mettendoglisi di fronte.

“Non era un ordine. Era più un ti prendo a calci nel sedere se lo fai.

“La volete piantare voi due? Sembrate una coppia di pensionati.”, si lamentò Puck.

Kurt e Blaine si girarono all'unisono verso di lui. “Mai.”, dissero insieme. Immediatamente dopo si guardarono, un vago sorriso irritato che sporcava le labbra di entrambi. Pochi istanti dopo, un forte colpo fece sbilanciare Kurt in avanti, ma Blaine prontamente fu in grado di allungare le mani per tenerlo tra le braccia e non farlo cadere.

“Che cosa è stato?”, chiese Blaine a quel punto, guardandosi in giro. Aveva la vaga impressione che il treno andasse più veloce di prima. Puck a quel punto camminò verso la porta che teoricamente avrebbe dovuto portare al vagone ristorante, ma si rese conto dalla piccola finestrella che c'era un enorme problema.

“Signori.”, disse. “Temo che da qui a breve il sottoscritto se la farà addosso.”

Kurt guardò Blaine con un'espressione di puro panico.

“Il vagone ristorante si sta allontanando.”, balbettò poi Puck. “Q-questo significa che siamo sostanzialmente morti.

Blaine sbuffò e lasciò andare Kurt per correre verso l'altro lato del vagone. Spalancò la porta verso l'esterno, e si sporse fuori per cercare di capire cosa stava succedendo nella locomotiva.

“Blaine-”, cercò di chiamarlo Kurt, ma fece appena in tempo ad avvicinarsi che Blaine saltò da un vagone all'altro. Kurt lo aspettò con il cuore in gola, e dopo diversi minuti Blaine con un nuovo balzo tornò nel vagone bagagli.

“Non c'è nessuno alla guida di questo dannato treno.”, grugnì, togliendosi la giacca.

“Ottimo.”, sussurrò Puck. “Siamo ancora più morti.”

“Non è detto.”, borbottò Blaine, recuperando da uno dei grossi scatoloni che c'erano lì un piccolo martello. Si diresse verso tutti i ganci di ferro che legavano una carrozza all'altra, e con qualche colpo, immaginò Kurt, tentò di romperli.

“Andiamo bene, Anderson.”, urlò Puck. “Al prossimo Natale se abbiamo fortuna ti ritroveremo lì.”

“Fanculo Noah, almeno ho avuto un'idea.”, borbottò Blaine. Dopo qualche altro colpo il martello gli si ruppe tra le mani.

Kurt a quel punto sbuffò: cominciò ad andare in giro per il vagone per controllare che ci fosse qualsiasi altra cosa che poteva permettere loro di separarsi dalla locomotiva. Stava quasi per perdere la speranza, quando si accorse che in una piccola scatola era raggruppata della dinamite. Senza pensarci due volte ne raccolse una e la accese con dei fiammiferi che trovò lì affianco, e corse verso Blaine per potergliela dare.

“Che cavolo- è dinamite!”, gridò Puck. Blaine sorrise nella direzione di Kurt. La raccolse dalle sue dita e la sistemò tra i vari ganci di ferro, per poi sollevarsi e e tornare sul treno. Raccolse una mano di Kurt e lo portò più lontano possibile, proteggendolo con le braccia.

“Sei completamente pazzo.”, sussurrò con un sorriso. “Che diamine ti hanno insegnato in quell'orfanotrofio?”

Un momento dopo la dinamite esplose, di fatto separando finalmente la locomotiva dal loro vagone. Stavano continuando a procedere per inerzia ad alta velocità, cosa che non sembrava per niente spaventare Blaine.

“Ottimo. Adesso basta solo aspettare, no? Prima o poi ci fermeremo.”, disse, pulendosi le mani sopra i jeans.

Kurt guardò dietro Blaine e il suo cuore perse mille battiti. C'era un ponte, a poca distanza da loro, un ponte che teoricamente avrebbe dovuto essere intero, che ora stava cadendo in mille pezzi.

“S-stavi dicendo?”, sussurrò Kurt.

Siamo morti.”, borbottò Puck. “Siamo fottutamente e irrimediabilmente morti-”

“Puck, passami una catena.”, gridò Blaine, dirigendosi verso il fondo del vagone. Puck fece per raccogliere una catena che c'era vicino ai suoi piedi, ma un movimento brusco del vagone lo fece cadere, così Kurt decise di prenderla al suo posto e andare verso Blaine, che si era arrampicato sotto il treno. Si sporse leggermente e la passò a Blaine con cautela.

“Mi pareva di aver detto Puck.”, borbottò Blaine, guardandolo storto.

“Puck è occupato al momento.”, gridò Kurt, per sovrastare lo stridio del vagone che continuava a viaggiare sulle rotaie. Blaine alzò gli occhi al cielo e prese tra le mani la catena che terminava con un gancio a forma di un uncino. Aspettò il momento giusto e la lasciò cadere in modo che il gancio si ancorasse ai binari che c'erano sotto di loro, ma Blaine non aveva messo in conto che la velocità con cui il vagone si stava muovendo era ancora troppa da permettere al gancio di funzionare immediatamente. Diversi binari si alzarono insieme alla neve, e Blaine ne vide uno schizzare esattamente verso il suo corpo, un momento prima che con uno sforzo enorme Kurt lo tirasse su.

Si guardarono intensamente, i visi a pochissima distanza, poi cercarono con gli occhi il legno spezzato che si era incastrato sotto le ruote del vagone.

“Quel pezzo di legno potevi essere tu.”, sussurrò Kurt. Si tirarono su insieme, sistemandosi i vestiti.

“Se ne usciremo vivi-”, borbottò a quel punto Blaine. “Ricordami di ringraziarti.”

Aiutarono Puck a uscire dalla scatola in cui era caduto, dopodichè raccolsero le poche cose che avevano e si sistemarono vicino al bordo del vagone, pronti a saltare sulla neve.

“Beh, direi che questa è la nostra fermata.”, sussurrò Kurt, cercando poi gli occhi di Blaine. Lui gli sorrise leggermente, e solo dopo aver chiuso gli occhi, saltarono.

 

***

 

Blaine aprì gli occhi di scatto, rendendosi conto di essere atterrato sopra una soffice coltre di neve – sentiva freddo tutto attorno a lui e i suoi denti battevano, ma gli sembrava di non avere niente di rotto. Cercò di alzarsi da terra per vedere dove fossero finiti Puck e Kurt, ma attorno a lui non trovò nessuno. Si alzò velocemente in piedi recuperando una valigia che era caduta lì di fianco, e cominciò a camminare in mezzo alla neve, almeno finchè sotto di lui non sentì qualcosa.

“E che cavolo, Anderson!” borbottò Puck, emergendo da sotto la neve. “Non sei di certo una piuma!”

Blaine alzò gli occhi al cielo e aiutò Puck ad alzarsi da terra. “Dov'è Kurt?”, chiese in un soffio, e si stupì della sfumatura di preoccupazione che assunse la sua voce. Non lo vedeva da nessuna parte.

“Kurt!”, gridò Puck a quel punto, senza curarsi che in quel modo aveva molto probabilmente danneggiato un timpano di Blaine. Cominciarono a cercarlo vicino al punto in cui entrambi erano caduti, Blaine che sentiva una strana ansia crescergli nel petto. Non che fosse preoccupato, quello no. Insomma, per la maggior parte del tempo lui e Kurt non avevano fatto altro che litigare, e di sicuro non teneva a lui, non lo riteneva importante. O meglio, era importante per la missione, ma non poteva esserlo per Blaine.

C'erano tutti quei pensieri nella mente di Blaine quando da lontano sentì il suo nome biascicato sotto voce. Era Kurt: Blaine lo trovò vicino a un piccolo albero, e si precipitò verso di lui con il cuore che batteva come mille cuori.

“Kurt- ehy.”, soffiò Blaine una volta che si inginocchiò di fianco a lui. Non ebbe la minima idea del perchè lo raccolse tra le braccia e di nuovo non seppe spiegare perchè gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. Il suo corpo fece tutto da solo – e sì, Kurt sembrava stupito quanto lui.

“C-credo di essermi slogato una caviglia.”, borbottò Kurt con una smorfia di dolore. “M-mi fa davvero male, e-”

“Ci penso io.”, disse piano Blaine, aiutandolo ad alzarsi da terra. Persero leggermente l'equilibrio quando furono in piedi, e Kurt fu costretto ad aggrapparsi al corpo di Blaine, i loro visi che improvvisamente erano estremamente vicini.

Blaine – oh dio, lui non aveva mai notato di quanti colori fossero gli occhi di Kurt.

“P-posso camminare da solo.”, si lamentò Kurt, stringendo tra le dita la giacca di Blaine e leccandosi le labbra. Blaine si sforzò di non alzare gli occhi al cielo.

“C-certo, come no.”, borbottò Blaine, facendo passare un braccio al di là del fianco di Kurt. “Avanti, fatti aiutare.”

“Pensavo che preferissi farti un bagno in un laghetto ghiacciato piuttosto che aiutarmi.”, disse Kurt ridacchiando.

“L'idea del bagno non è poi così male.”, borbottò Blaine. “Ma poi ti avrei sulla coscienza, e non so se potrei avere a che fare con il tuo fantasma. Sarebbe ancora più irritante della vera versione di te.”

“Se diventerò un fantasma allora sarai la prima persona a cui farò scherzi.”, promise Kurt. Non seppero nemmeno capire perchè si ritrovarono a ridere e a cercare gli occhi dell'altro mentre lo facevano. Quando Blaine rideva aveva questa abitudine di allargare gli occhi – ed era carino. Purtroppo e in modo assurdamente reale, Blaine era carino.

“Ehy, voi-”, li chiamò Puck a un certo punto. “C'è una piccola baita giù di qui. Possiamo fare una pausa.”

Blaine e Kurt annuirono all'unisono, per poi cominciare a camminare aggrappati verso questa piccola baita. Mentre camminava aggrappato a Blaine, Kurt si disse per la prima volta che quel ragazzo fosse in realtà molto di più di quello che voleva dimostrare.

 

Quando Kurt riaprì gli occhi diverso tempo dopo si rese conto di essere ancora sullo strano letto di paglia sul quale Blaine lo aveva aiutato ad appoggiarsi una volta arrivati alla baita. Attorno al piede che si era slogato si accorse di avere una tovaglia bagnata di acqua calda, e anche sulla fronte gli era stato messo un panno bagnato. Fece per sfiorarlo con le dita, quando Blaine comparve accanto a lui.

“Ehy.”, disse con un piccolo sorriso. “Non toglierlo. Avevi un po' di febbre quando siamo arrivati.”

Kurt sbattè le palpebre, sentendo per qualche strana ragione che stava arrossendo. Distolse lo sguardo e cominciò a giocherellare con i lembi della coperta, mordicchiandosi il labbro inferiore.

“Mi dispiace di rallentare il viaggio.”

Blaine aggrottò la fronte. “Non devi dispiacerti. Quello che è successo sul treno non è stato di certo colpa tua.”

“Per un attimo ho temuto la dessi a me.”

Blaine ridacchiò. “Ci ho pensato. Ma poi avevo questa sensazione che mi avresti strangolato nel sonno.”

Fu il turno di Kurt di ridacchiare – in quel modo spensierato che non aveva mai sperimentato prima con Blaine. Si chiese cosa stesse succedendo, ma al contempo non riusciva a darsi una risposta.

“In ogni caso-”, iniziò Blaine, passando le dita tra i capelli. “...siamo sopravvissuti.”

“Siamo sopravvissuti.”, confermò Kurt, sorridendo appena.

“Beh, ti avevo fatto una promessa.”, borbottò Blaine a quel punto. Kurt alzò leggermente un sopracciglio, non capendo dove Blaine volesse arrivare.

“...grazie.”, soffiò a quel punto Blaine. Guardandolo negli occhi, un leggero luccichio che giocava con il miele che era incastonato nei suoi. “Solo...grazie. P-per quello che hai fatto mentre eravamo sul treno.”

Kurt a quel punto era piuttosto senza parole. “Oh- uhm- di niente. Insomma, mi sarebbe...mancato non poter litigare più con te.”

Blaine ridacchiò – di nuovo. “Già. Sarebbe mancato anche a me.”

.





 

.





 

.

Alcune note per fare chiarezza su certe cose:
-Ci ho messo un po' a deciderlo, ma come vedete almeno all'inizio del capitolo Kurt si fa chiamare Ky (e anche durante la narrazione assume quel nome) poi torna Kurt. Avrei dovuto tenere Ky fino alla fine ma non mi convinceva tantissimo! Nella mia testa, si legge semplicemente “Chi”, un po' come “Chiave”, in inglese, “Key”. In russo, Kurt si scrive “Kypt”, quindi ho pensato di abbreviarlo semplicemente. Questo perché all'inizio della storia Anastasia si fa chiamare Ania, perché non sa di essere la vera Imperatrice ;)
-"Nebol'shoy”, il nome che spesso usava la nonna, vuol dire ragazzo. Nel primo capitolo mi sono dimenticata di dirvelo!
-Uhm, io di russo non so proprio un bel niente. Non lo studio, ho solo delle amiche che lo fanno e a cui ho chiesto chiarimenti, quindi prendete quello che c'è scritto con le pinze. Anzi, se avete correzioni non esitate a dirmelo!
Ringrazio ulteriormente le persone che stanno leggendo, siete troppo carini! A presto con la terza parte <3
 
Je <3

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


La storia alla fine avrà cinque parti. Ringrazio tantissimo chi mi sta seguendo, siete dolcissimi <3


- Parte terza -

 

Nel giro di un paio di giorni il gruppo fu pronto a ripartire: la febbre di Kurt si era finalmente abbassata, e anche il dolore alla caviglia era diminuito. Dovettero proseguire a piedi per qualche miglio, Kurt che per la prima volta vedeva alcune cose attorno a sé e cercava di immagazzinare più informazioni possibili.

“Arriveremo a Parigi a piedi?”, domandò Kurt il mattino del terzo giorno di viaggio. Blaine ridacchiò vicino a lui.

“Uhm, no. Credo ci vorrebbero mesi interi. In Germania prenderemo una barca.”

“Oh.”, soffiò Kurt. “Quindi arriveremo a piedi fino in Germania.”

“No. In Germania ci arriviamo in autobus.”

Kurt aggrottò la fronte. “...e che cos'è un autobus?”

“Una specie di scatola gigante con quattro ruote attaccate sotto.”, borbottò Puck. “Ti piacerà, Vostra Altezza. Promesso.”

Kurt a quel punto era piuttosto perplesso, pensando che doveva viaggiare su una scatola a quattro ruote. Ma Blaine sembrava tranquillo, e per qualche strana ragione Kurt si fidava di lui.

 

***

 

“Oh, Quinn!”, gridò a un certo punto Puck il pomeriggio del quarto giorno di viaggio. “Il mio tenero, dolce pasticcino, la mia signora, la mia gioia...”

Non che Kurt avesse qualche dubbio prima, ma a volte Puck lo spaventava. Lo spaventava a morte.

Blaine era seduto su un piccolo masso dalla forma vagamente comoda mentre beveva da una borraccia un goccio d'acqua, e stava ridacchiando sonoramente.

“Chi è Quinn?”, chiese Kurt in un sussurro, avvicinandosi a Blaine. “E' una persona o un dessert?”

Blaine si passò una mano tra i ricci scarmigliati. “E' decisamente una persona.”, borbottò Blaine. “La cugina di primo grado dell'Imperatrice Anastasia, tua nonna.”

“Anche se non siamo ancora sicuri che lo sia.”, disse Kurt alzando gli occhi al cielo. Puck a quel punto gli mise le mani sulle spalle.

“...la più bella di tutto l'universo, la mia musa...vedrai Kurt, ti piacerà.”, gli disse Puck con un occhiolino.

“Aspettate un attimo.”, borbottò a quel punto Kurt. “Credo di non aver capito bene perchè dovrei conoscere questa Quinn.”

A quel punto Blaine e Puck si scambiarono un'occhiata veloce. “Oh, uhm...”, sussurrò Blaine. “Il punto è- nessuno può arrivare all'Imperatrice senza prima aver convinto Quinn, non so se mi spiego.”

Kurt alzò un sopracciglio. “Come, scusa?”

“Lei svolge...una specie di test.”, borbottò Blaine, per poi deglutire. “Se lo passi puoi vedere l'Imperatrice. E' abbastanza semplice.”

Kurt a quel punto spalancò gli occhi. “No no no no no. E ancora no. Qui nessuno mi aveva detto che dovevo passare qualche test- nessuno mi aveva detto che avrei dovuto provare di essere il Granduca!”

“Beh, era piuttosto chiaro, Kurt-”, cercò di dire Blaine, ma Kurt lo interruppe.

“Non mi hai mai detto niente!”, sbottò. “Presentarmi e cercare di essere carino mi va bene, raccontare la storia della mia vita d'accordo, ma- ma mentire? Non sono così, Blaine!”

“Non puoi sapere se stai mentendo. E se fosse vero? E se tu fossi davvero il Granduca? Credevo volessi arrivare fino in fondo, Kurt.”

“Blaine.”, soffiò Kurt, gli occhi leggermente lucidi per la rabbia. “Guardami. Non sembro proprio per niente un Granduca.”, borbottò, prendendo tra le mani il cappotto grigio scuro che stava indossando. “Non incanterò proprio nessuno.”

Detto quello, Kurt si voltò per percorrere qualche passo e raggiungere un piccolo ponte che dava su un fiume. Si morse le labbra abbastanza forte da farsi male, perchè non poteva permettersi di piangere, non di nuovo, e non di fronte a Blaine. Era incredibile il modo in cui quel ragazzo lo faceva sentire: un momento prima accanto a lui si sentiva al sicuro, un secondo dopo ogni cosa crollava sotto i suoi piedi, facendolo rimanere senza fiato.

Si strinse le braccia attorno al petto per abbracciarsi, e qualche secondo dopo sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla.

“Ehy, so come ti senti. Pensa che io lo sopporto da anni.”, borbottò Puck scherzosamente, facendolo ridacchiare. Kurt prese un respiro profondo, passandosi poi una mano tra i capelli.

“Non so se sono pronto a farlo.”, sussurrò a un certo punto Kurt, passandosi la punta del pollice sotto le palpebre per trascinare via una lacrima che era caduta.

“A fare cosa, a sopportare Blaine?”, scherzò Puck, facendolo ridere sonoramente, a questo punto. Rimasero in silenzio per diverso tempo, finchè a Puck non venne in mente un'idea per smorzare la tensione. Sorrise vagamente. “Kurt, prova a guardarti nello specchio dell'acqua. Cosa vedi?”

Kurt ci provò. Tirò su con il naso e si fece coraggio per guardare il proprio riflesso nel fiume. “Uhm- occhi gonfi e arrossati, sogni infranti. Un ragazzino che non ha futuro.”

Puck sbuffò. “Ma che depressione, amico! Cerca di stare un po' su. Sai cosa vedo io?”, gli chiese lui. “Io vedo un giovane uomo che ce la sta mettendo tutta per cambiare la sua vita.”

Kurt sorrise appena.

“Kurt, se torni indietro, non è rimasto più niente per te.”, borbottò Puck. “Puoi solo tornare ad essere quel ragazzino che non ha futuro e pieno di sogni.”, gli disse. “E' tutto davanti a te, Kurt.”

Kurt a quel punto si mordicchiò il labbro inferiore e cercò di nuovo il letto del fiume, inclinando la testa. Poteva farcela. Puck aveva ragione: se avesse rinunciato adesso avrebbe perso tutto, quindi poteva solo andare avanti e sperare di aver preso le decisioni giuste. Non poteva essere certo che quella fosse la sua vita, ma era un'opzione. E francamente non era pronto a rinunciarvi.

“Va bene.”, disse a un certo punto, sorridendo a Puck in modo spensierato. “Va bene, lo faccio. Insegnatemi tutto ciò che c'è da sapere su come essere un Granduca.”

A quel punto Blaine comparve dietro di lui, passandogli una mano attorno al fianco. “Pronto a conquistare il mondo?”

Kurt alzò gli occhi al cielo e si allontanò da lui, facendo ridacchiare Puck.

“Ma che ho detto?”, si lamentò a quel punto Blaine, agitando le braccia.

“Amico.”, sussurrò Puck. “Lasciatelo dire, sei proprio un incapace insopportabile.

 

***

 

Puck e Blaine a quel punto cominciarono a insegnare a Kurt tutto ciò che c'era da sapere sulla vita di corte, a partire dalle regole base del portamento, il modo di mangiare o bere o addirittura dormire. Gli insegnarono come comportarsi in diverse situazioni, come durante un pranzo o un ballo o una semplice conversazione – ma i momenti che Kurt odiava di più erano quelli in cui doveva imparare la storia della sua famiglia, i nomi dei suoi parenti e delle loro rispettive mogli, figli e figlie, e addirittura animali domestici.

C'erano alcuni pomeriggi in cui Kurt era talmente stanco di studiare che si ritrovava a dormire sul libro che gli era stato dato – quasi sempre, in quei momenti, si ritrovava la mattina dopo con una coperta sulle spalle, e Blaine che dormiva a qualche metro da lui senza nulla che lo copriva addosso. Erano quelli i momenti in cui il cuore di Kurt batteva forte. Certo, Blaine la maggior parte delle volte non lo trattava benissimo, ma lo faceva per lui e quello Kurt lo sapeva bene. Era molto più severo di Puck quando non si ricordava qualche data e lo prendeva in giro per minuti interi se sbagliava la pronuncia di qualche nome, ma poi succedevano quelle cose, quelle piccole cose che facevano fermare Kurt a riflettere, come il fatto che rinunciasse alla coperta per darla a lui, o il fatto che sapesse perfettamente che a Kurt piacessero le mele e allora ogni mattino gliene faceva trovare alcune, e con borbottio si scusava sempre dicendo Le ho trovate per caso e non sapevo che farmene.

Ecco, Kurt invece non sapeva proprio che farsene di quel suo cuore palpitante. Perchè era completamente assurdo e ridicolo che quel suo stupido muscolo si agitasse in quella maniera quando Blaine era nei paraggi. Primo, perché era un ragazzo – cosa che non importava poi più di tanto a Kurt, visto il suo scarso interesse per le ragazze, ma comunque. E poi secondo, Blaine la maggior parte del tempo lo passava prendendolo in giro.

Il pomeriggio del settimo giorno di viaggio, comunque, poco dopo pranzo, Kurt stava rileggendo per l'ennesima volta la lunga lista dei nomi delle sue zie, quando Blaine comparve dal nulla quasi spaventandolo.

“Devi venire con me.”, borbottò, e quando diceva così c'era ben poco che potevi fare. Lo dovevi seguire, punto. Quello fu esattamente ciò che Kurt fece: lo seguì lungo un sentiero che portava a un minuscolo villaggio vicino – avevano da poco superato il confine tedesco, si trovavano in Germania da poco più di qualche ora – e lì noleggiò quella che Blaine definì una bicicletta. Ecco, più che una bicicletta Kurt pensava potesse essere uno strumento del diavolo o comunque qualcosa di molto simile, soprattutto dopo cinque minuti in cui aveva dovuto imparare a farla funzionare. A quanto pare bisognava salirci sopra e pedalare per farla andare avanti come qualsiasi altro mezzo munito di ruote – peccato che Kurt fosse ancora tremendamente giovane per morire, e non ne aveva nessuna voglia.

“Senti, Blaine. Davvero sto apprezzando i tuoi sforzi, ma non ce la farò mai a far funzionare questa- questa cosa.”, borbottò Kurt, dopo l'ennesimo tentativo. Ormai erano passate quattro ore da quando Blaine lo aveva sottratto dai suoi studi. Kurt cominciava a rimpiangere la sua carissima lista di nomi da imparare – il che la diceva molto, molto lunga.

“E' solo perché hai paura di cadere.”, sentenziò Blaine, incrociando le braccia al petto.

“Ma guarda un po'. Certo che ho paura di cadere! Altrimenti starei già pedalando da un bel po', non credi?”

“La paura di cadere non può impedirti di provarci. Tutti cadono prima o poi, Kurt.”

“Cos'è, la tua filosofia di vita?”, grugnì Kurt, aggrappandosi saldamente al manubrio. Di fronte a se c'era una piccola discesa, poi una stradina che portava in mezzo a un enorme parco.

“Kurt, voglio solo che tu stacchi quei piedi da terra e ti lasci andare.”, gli disse Blaine, ormai esasperato. “Non è difficile, te lo giuro.”

“Per te no, genio.”, soffiò Kurt. “Ma per me sì.”

“Ascolta.”, borbottò Blaine a quel punto. “Proviamo per l'ultima volta. Terrò io per un po' la bici, poi ti lascio andare. Ti prometto che non ti faccio cadere.”

Kurt alzò un sopracciglio. “Certo, come no. Non credo sprecheresti l'occasione di vedermi col sedere per terra.”

Blaine ridacchiò. “Non ci avevo pensato.”, disse, beccandosi un'occhiataccia da Kurt. “Senti, dico sul serio. Provaci, andrà tutto bene, ti terrò io.”, gli promise Blaine, guardandolo negli occhi. Kurt non ebbe idea del perché successe, ma i battiti del suo cuore accelerarono. “Coraggio.”

Forse fu per quel “coraggio”. Forse perché Kurt aveva visto anche dei bambini andare in bicicletta in quel villaggio, e non credeva di essere più imbranato di loro. Forse perché effettivamente Blaine lo aiutò a percorrere i primi metri, e come gli aveva promesso non lo fece cadere. Sta di fatto che pedalò; lo fece per alcuni istanti con il supporto di Blaine, poi anche da solo, quando Blaine lasciò andare la bici. E Kurt non cadde – non per i primi metri, almeno. Lo fece molto dopo, quando ormai la discesa era finita, in mezzo all'erba dei campi. Blaine si precipitò da lui e si inginocchiò vicino al suo viso.

Kurt aprì gli occhi, e improvvisamente iniziò a ridere.

“Ce l'ho fatta.”, sussurrava in mezzo alle risate, una mano sulla base dello stomaco e l'altra tra i capelli. “Blaine, ce l'ho fatta!”

“Ce l'hai fatta.”, gli diceva Blaine di rimando, guardandolo come se fosse un piccolo miracolo della natura. Kurt aveva una bella risata, doveva ammetterlo. Forse più del brodo caldo che beveva l'inverno e che amava tanto perché gli aveva scaldato le ossa così tante volte; forse più dei raggi di sole che in quel momento gli colpivano il viso. E anche dopo, abbracciarlo fu meraviglioso. Successe per caso, solo perché Kurt si sporse e allungò le braccia verso di lui, e Blaine lo accolse. Si accorsero di quello che stava succedendo troppo tardi e si separarono in tutta fretta, i volti arrossati non solo per quella giornata di primavera.

 

***

 

Il giorno dopo arrivò il tempo di prendere la nave che gli avrebbe portati fino alle coste francesi. A Kurt, Blaine e Puck venne assegnata una cabina doppia (non potevano permettersi un altro letto) – così fu deciso che Kurt avrebbe dormito nel letto di sotto e Puck in quello di sopra, mentre Blaine in qualche modo si sarebbe arrangiato e avrebbe dormito avvolto da coperte per terra.

Kurt stava sistemando le poche cose che aveva con sé quando sentì la porta della propria cabina aprirsi. Era Blaine, con sull'avambraccio appoggiato quello che aveva tutta l'aria di essere un vestito.

Kurt aggrottò la fronte. “Puck?”

“Sul ponte.”, borbottò Blaine. “Gli piace osservare il mare mentre la nave si sta allontanando dal porto.”

Kurt sorrise appena. “E a te no?”

“Io volevo darti questo.”, gli disse semplicemente. “Ti ho comprato un vestito.”

Kurt fece una smorfia ancora più perplessa. Prese tra le mani di Blaine il famoso vestito e lo distese di fronte a lui – era un completo molto elegante: dei pantaloni blu scuro con abbinata una camicia bianca e un foulard azzurro che ricordavano vagamente gli occhi di Kurt.

“Mi hai comprato...una tenda.”, soffiò Kurt, notando quanto esattamente la camicia fosse grande. Blaine sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“Non ero sicuro della taglia, così l'ho misurata su di me. Solo che tu sei più alto di me di qualche centimetro, per cui...ma- che- che stai facendo?”, balbettò Blaine, rendendosi conto che Kurt si stava togliendo tutti gli strati di vestiti che aveva addosso, a cominciare dal cappotto.

Kurt alzò un sopracciglio. “Me lo provo, che dici?”

Blaine spalancò gli occhi. “Oh- uhm, beh- c-certo, infatti, n-non che a-avessi d-dubbi. C-così s-siamo sicuri che t-ti stia bene. O-ovvio.”

Kurt sorrise leggermente. “Ovvio.”

“Ti lascio cambiare, allora.”

Kurt deglutì. “Va bene.”

“Ci vediamo di sopra, sul ponte. C-ciao.”

“Ciao.”

 

Il sole stava per tramontare quando Kurt a lunghi passi raggiunse il ponte. Era in assoluto la prima volta in tutta la sua vita che indossava qualcosa di così elegante – e sì, la camicia era decisamente troppo grande, ma l'aveva modellata attorno ai fianchi con la cinturina delle scarpe, in modo che sembrasse della sua taglia. Aveva avvolto il proprio collo con il foulard e aveva cercato di sistemarsi i capelli con un po' di acqua – era tutto ciò che c'era di più lontano da un Granduca, ma in qualche modo si sentiva molto più simile alla persona che doveva diventare, con quel completo addosso.

Puck e Blaine stavano giocando una partita a scacchi sul ponte – Kurt li raggiunse proprio quando Puck borbottò “Scacco matto”, nella direzione di Blaine, che per alzare gli occhi al cielo per quell'imminente perdita, incrociò lo sguardo con quello di Kurt.

E rimase senza parole.

“Oh.”, soffiò appena, alzandosi in piedi di scatto. Si passò una mano tra i ricci velocemente, continuando ad osservare Kurt con gli occhi spalancati e luminosi.

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore e strinse forte tra le mani i lembi della sua camicia. “I-io- so che è un po' troppo grande, ma ho messo il cinturino così da farla sembrare della mia taglia. Non sono perfetto-”

“Sei stupendo.”, disse Blaine senza pensare, le labbra semi-aperte e gli occhi leggermente più scuri. Sbatté le palpebre un paio di volte, come per risvegliarsi da un sogno, ridacchiando appena. “Voglio dire, quel- quel vestito ti sta davvero bene.”

“Grazie.”, soffiò appena Kurt sorridendo.

“Caspita Kurt, vorrei essere il tuo accompagnatore in questo momento!”, borbottò Puck, circondando le spalle di Blaine con un braccio. “Perchè non gli insegni a ballare, a proposito?”

“Puck, sai che sono un disastro.”

“Balle. Sappiamo entrambi che sei il migliore tra i due quando si parla di danza. Muovi quel sedere e porta Kurt a ballare.”

Blaine alzò gli occhi al cielo, dopodichè allungo una mano verso Kurt con un piccolo sorriso che gli increspava le labbra. “Posso avere l'onore di questo ballo?”

Kurt sembrò scrutarlo un attimo. “Certamente.”

Blaine fu molto attento con lui. Sollevo le loro braccia insieme in modo che Kurt capisse che una mano andava appoggiata alla base della sua schiena, mentre l'altra andò ad intrecciarsi con quella di Blaine. Il ricciolo posò il palmo di una mano sulla spalla di Kurt, i loro visi estremamente vicini.

“Ecco qui.”, soffiò Blaine con un piccolo sorriso. “Ora tu devi guidare me, okay?”

Kurt deglutì appena a quel punto, cercando gli occhi di Blaine nel momento in cui fece un piccolo passo in avanti. Blaine gli sorrise e poi semplicemente si lasciò guidare, volteggiando su quella nave in mezzo all'oceano, con il tramonto dietro di loro che illuminava i loro occhi.

“Non è così difficile.”, sussurrò Kurt ridacchiando.

“Ricordati solo di non pestare nessun vestito.”, gli disse Blaine, avvicinandosi leggermente al suo orecchio destro. Kurt avrebbe tanto voluto appoggiare la testa alla sua spalla, ma cancellò quel pensiero un secondo dopo averlo formulato. Fu Blaine inaspettatamente a muovere leggermente il capo ed appoggiare la sua fronte alla tempia di Kurt – poteva essere visto come un gesto involontario, quello era ovvio. Ma il cuore di Kurt battè più veloce comunque.

“Hai paura?”, chiese improvvisamente Blaine, rallentando il passo. Kurt chiuse gli occhi.

“Tantissima.”

“Non devi averne.”

“E se arrivo là per niente? E se tutto questo fosse un grande errore e quella non fosse la mia famiglia?”

“Allora ne cercherai un'altra.”, sussurrò Blaine. “Kurt, chiunque vorrebbe averti nella propria famiglia.”

Kurt a quel punto si leccò le labbra, prima di sorridere grato a Blaine.

“E poi stai andando a Parigi, no?”, soffiò Blaine. “Parigi è un buon posto per ricominciare.”

Kurt annuì. “Credi che ricomincerai anche tu da Parigi, Blaine?”

Lui respirò a fondo. “Credo di sì.”, rispose, anche se aveva la vaga sensazione che la sua vita fosse ricominciata dal momento in cui Kurt ci era inciampato dentro.

“Mi fa male un po' la testa, Blaine.”, borbottò Kurt. “Ci possiamo fermare?”

“Va bene. E' tutto questo volteggiare, sai, colpa del mare.”, soffiò Blaine, fermandosi a quel punto insieme a Kurt. “Meglio se ci fermiamo.”

“Ma ci siamo fermati.”, gli fece notare Kurt, aggrappandosi alla sua schiena più saldamente. Si rese conto che lo sguardo di Blaine stava scivolando sulle sue labbra, poi tornò sui suoi occhi, poi di nuovo sulle labbra, e Kurt aveva la sensazione che la vertigine che sentiva dello stomaco non fosse una conseguenza del mare.

“Kurt, io-”

Kurt chiuse gli occhi, a quel punto, senza capire il perché. Ma non successe nulla.

“Io credo che tu balli benissimo, e che te la caverai alla grande.”, borbottò Blaine, accarezzandogli leggermente la spalla. Dopodichè scivolò via dalle sue braccia, regalandogli un ultimo, piccolo sorriso.

 

Più tardi, Kurt stava mangiucchiando dei biscotti sul proprio letto, Blaine stava cercando di sonnecchiare mentre Puck leggeva un vecchissimo libro. Dopo un brusco movimento della nave, dalla borsa che Blaine portava quasi sempre con sé quando si spostavano scivolò fuori un un oggetto piccolo e rotondo che a Kurt sembrava essere vagamente familiare.

“Puck?”, chiese Kurt in un bisbiglio. “Tu sai cos'è?”

Puck guardò quell'oggetto un po' di traverso. “Non ne ho la più pallida idea, ma Blaine ce l'ha da quando è piccolo. Dice che è importante.”

Kurt lo sfiorò con le dita. In qualche modo aveva l'impressione che avesse a che fare con un mondo passato che non poteva ricordare, anche se quella era decisamente una follia.

“Forse è un portagioie.”, borbottò, anche se non era completamente convinto di quella scelta. Puck scrollò le spalle.

“Secondo me può essere tutto ciò che tu vuoi che sia.”, disse a Kurt. “Un portagioie è decisamente troppo banale.”

“Troppo banale?”

“Troppo banale.”, confermò Puck. “Secondo me custodisce qualche segreto.”

Kurt ridacchiò, tenendolo in mano ancora per un po'. Vedendo che Blaine si agitava nel sonno, preferì però rimetterlo al suo posto.

“Uhm, non ti devi preoccupare per lui.”, disse Puck. “Non lo svegliano nemmeno le cannonate, fidati di me. Lo invidio così tanto, riesce a dormire in qualsiasi condizione.”

Kurt gettò un'occhiata preoccupata verso Blaine. “Sarà così stanco.”, disse, e si stupì della vena di preoccupazione che la sua voce assunse. Sbattè velocemente le palpebre e si rimboccò le coperte, finalmente pronto per addormentarsi. Sentì Puck arrampicarsi sulla scala del letto a castello per raggiungere la sua piazza, e dopodichè la luce venne spenta.

“Buonanotte, principino.”

“Buonanotte Puck.”

 

***

 

Era una bellissima giornata di primavera, e Kurt portava sul capo uno di quei cappellini enormi che amava tanto, quelli fatti di paglia che avevano un fiocco abbinato al vestito. Accanto a sé c'erano tre bambine e un bambino che lo guardavano con occhi enormi e curiosi. Erano seduti su un'enorme tovaglia ricoperta di cose da mangiare – attorno a loro un campo di fiori, degli alberi e un sentiero che dava l'idea di totale pace e serenità.

Kurt portò alla bocca la sua tazza di tè fumante, poco prima che una delle tre bambine – quella più piccola – si alzasse per prenderlo per un braccio e trascinarlo via con sé. Kurt non ebbe molto tempo di fare domande: lui e i bambini si misero a correre lungo il sentiero, ridacchiando e scherzando, passando attraverso mille farfalle e coi piedi nudi che poggiavano sull'erba soffice.

Improvvisamente il sentiero si fece più piccolo fino a terminare in una serie di rocce che davano su pendio. Kurt guardò in giù insieme ai suoi fratelli e le sue sorelle, che ridacchiavano beatamente. Le tre gemelline saltarono in acqua insieme, per prime. Lo fecero senza paura e Kurt le guardò con ammirazione, quando riemersero senza difficoltà dall'acqua. Anche suo padre stava facendo un bagno. Lo salutò con mano aperta, un sorriso bellissimo che gli increspava il volto.

Ciao, raggio di sole!”, urlò. “Vieni a fare il bagno con noi!”

A quel punto anche il suo fratellino si gettò in acqua. Fece un tuffo elegante e riemerse senza problemi proprio come le gemelline, rivolgendogli un saluto.

A quel punto Kurt sapeva di doversi buttare. Fece un lungo passo per salire su uno dei tanti massi che aveva attorno, stando attento a non perdere l'equilibrio. Allungò un piede in avanti, sentendo il cuore battere veloce per la paura e l'emozione insieme.

Forza Kurt, salta!”, gridavano tutti, facendogli segno di buttarsi giù. Kurt sorrideva ed annuiva, ma allo stesso aveva anche tanta paura di farsi male. Si mordicchiò il labbro inferiore mentre appoggiava il piede a terra. Forse non era pronto per fare quel salto.

Proprio nell'istante in cui la sua mente formulò quel pensiero, il bellissimo cielo azzurro attorno a lui si trasformò in una coltre di nubi grigie e pericolose. Il laghetto sotto di lui inghiottì i suoi fratelli e si colorò di un colore scuro come la pece, e la figura di suo padre lasciò il posto a un mostro con gli occhi neri e dalle forme di un enorme pipistrello alato.

“Salta.”, gli ordinò gravemente il mostro, saltando fuori dall'acqua e cominciando a volare verso di lui. Kurt tentò di fare un passo indietro ma il mostro si aggrappò alle sue braccia, cominciando a spingerlo in modo che cadesse in acqua. “Salta, Kurt, deve compiersi la maledizione degli Hummel-”

Lasciami!”, gridò Kurt, cominciando a piangere e a scalciare per impedire al mostro di portarlo via con se. Continuò a lottare con tutte le forze che aveva, il cuore che quasi gli scoppiava nel petto per la paura terribile che aveva di cadere nel vuoto e improvvisamente si sentì afferrare da dietro e urlò, urlò con tutte le sue forze-

 

Kurt!”, gridò Blaine, praticamente ancorato al corpo di Kurt. “Kurt, ti prego, apri gli occhi-”, continuava a ripetere, ma Kurt dal canto suo continuava a muoversi tra le braccia di Blaine per liberarsi dalla sua stretta. A un certo punto Blaine lavorò con le braccia per far ruotare il corpo di Kurt, riuscì a bloccargli i polsi e ad avvicinare il volto al suo.

“Kurt, svegliati!”, gridò per l'ennesima volta. Finalmente Kurt spalancò gli occhi con un piccolo rantolo. Immagazzinò a bocca aperta tutto l'ossigeno che riuscì a trovare, poi cominciò a guardarsi intorno smarrito, come se non si aspettasse di trovarsi lì. In effetti, erano sul punto più alto del ponte della nave e quella notte stava piovendo. Blaine si era accorto davvero per miracolo che Kurt non era nella loro cabina, così era uscito a cercarlo per i corridoi, e da una piccola finestrella si era reso conto che stava camminando sul ponte della nave. Non sapeva fosse sonnambulo, e tanto meno che quel problema potesse essere così pericoloso per lui.

“Oh- oh mio dio, Blaine, io-”, Kurt stava tremando, e Blaine lo strinse più forte. “Non capisco cosa mi sia successo-”

“Shhh, va tutto bene.”, gli promise Blaine a bassa voce, imprimendo il corpo di Kurt contro il proprio. “E' tutto finito, ci sono io adesso.”

Kurt si aggrappò forte alla maglietta di Blaine, immergendo la testa nell'incavo del suo collo e ispirando forte. “L-la maledizione degli Hummel, Blaine.”, sussurrò Kurt a quel punto, tremando ancora di più. “M-mi stanno cercando, vogliono farmi del male- prima sul treno, ora qui-”

“Shhh. Kurt, respira.”, soffiò appena Blaine, appoggiando i palmi delle mani al suo viso. “Torniamo dentro, okay?”

Blaine aiutò Kurt a camminare lungo il ponte e poi lo trascinò giù tra i corridoi. Aveva tutta l'intenzione di portarlo nella loro camera, ma Kurt crollò prima, cadendo sul pavimento. Blaine lo aiutò a sistemarsi con la schiena appoggiata a una colonna, e corse in camera a recuperare una coperta che gli mise attorno alle spalle. Non aveva alcuna intenzione di lasciarlo, per cui gli permise di avvicinarsi al suo corpo e di appoggiare la testa al suo petto. Lo tenne stretto lì, immergendo una mano tra i suoi capelli soffici e bagnati, cullandolo come poteva.

“Esiste davvero, Blaine.”, sussurrò a un certo punto Kurt, la voce ridotta a un filo spezzato. “L-la maledizione degli Hummel. Esiste davvero.”

Blaine immerse il naso nei suoi capelli, accarezzandogli la testa lievemente. “Ne parlano molti libri, quello è sicuro.”, borbottò. “Ma nessuno ha mai confermato l'esistenza di questa maledizione. Era solo- era solo un brutto sogno, Kurt.”

“Vedo tanti volti.”, soffiò Kurt, stringendo forte la maglietta di Blaine. “Tanti di quei volti, e alcuni mi sembra di conoscerli, altri invece vogliono farmi del male e-”

“Shhh.”, sussurrò Blaine, stringendolo appena più forte. “Ascoltami adesso. D'ora in poi io o Puck ti staremo vicini ogni notte e faremo i turni per controllarti mentre dormi. Non ti lasceremo mai solo, va bene?”, mormorò vicino al suo orecchio. Kurt annuì, e Blaine sorrise. “Kurt.”, disse piano, perdendo un battito di cuore nel pronunciare il suo nome. “Non permetterò a niente e a nessuno di farti del male. Te lo prometto.”

Kurt a quel punto sollevò il viso dal suo petto, cercando timidamente gli occhi di Blaine. “Davvero?”

“Davvero.”, soffiò Blaine in risposta. Poi lasciò un bacio sulla fronte di Kurt. Piccolo, fugace, veloce. Che poteva valere tutto come niente, e a cui non voleva dare una spiegazione.

Blaine sperò che il sapore di Kurt potesse rimanergli impresso sulle labbra per un tempo simile al per sempre.

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Capitolo 4
*** Parte quarta ***


- Parte quarta -

 

Il taxi che teoricamente avrebbe dovuto portarli a casa dei Fabray era abbastanza spazioso – Kurt non faceva altro che torturarsi le mani e guardare fuori, almeno finchè Blaine non infiltrò le proprie dita tra le sue, impedendogli di continuare oltre.

“Ehy.”, gli sussurrò. “Stai tranquillo. Andrà bene.”

“Mi dimenticherò qualcosa.”, borbottò Kurt. “Dirò che lo zio Yoris era di Mosca invece che di quel paesino sperduto in mezzo alle montagne di cui non ricordo mai il nome e lei penserà che sia un impostore e-”

“Kurt.”, lo interruppe Blaine in un bisbiglio. “Ci sarò io, okay?”

Kurt lo guardò di sfuggita, sentendo il proprio cuore inondarsi di tenerezza. “Okay. Però promettimi di suggerire.”

 

***

 

La casa dei Fabray era tutt'altro che enorme – era immensa, con un giardino immacolato sulla parte davanti ornato di tulipani e una fontanella funzionante. Puck era piuttosto su di giri: fu il primo a scendere dalla macchina e a precipitarsi alla porta per poter suonare il campanello. Ad aprire venne una giovane donna che non doveva avere più di trent'anni – era davvero bellissima, con il viso arrotondato e i capelli biondi, simili al colore del grano.

Il colloquio – o il test, come preferiva chiamarlo Blaine – andò piuttosto bene. Quinn fu piuttosto sorpresa nel momento in cui osservò Kurt – disse che era in assoluto il ragazzo che aveva visto fino a quel momento che più assomigliava al Granduca, e che aveva gli occhi molto simili a quelli di Anastasia. Gli vennero fatte numerose domande, sia di storia che di circostanza, e Kurt fece del suo meglio per ricordare ogni cosa che aveva studiato. Dopo esattamente due ore e quarantasette minuti, due biscotti e una tazza di tè, Quinn dichiarò che avrebbe fatto un'ultima domanda.

“In realtà non la faccio mai.”, sussurrò con una risatina, cominciando a mescolare la sua seconda tazza di tè alla ciliegia. “Non sono sicura che tu possa rispondere, ma- non lo so, c'è qualcosa di diverso in te.”

Kurt deglutì, a quel punto, cercando gli occhi di Blaine.

“Ci fu un'aggressione a palazzo, la sera in cui tu poi scomparsi. Tua nonna ti svegliò nel cuore della notte e ti trascinò fuori dal letto; insieme scappaste da palazzo. La mia domanda è: come siete stati in grado di farlo? C'erano guardie ovunque quella notte, eppure riusciste comunque a raggiungere la stazione.”

Kurt a quel punto abbassò la testa, pensieroso. Notò con la coda dell'occhio che Puck aveva sbarrato gli occhi mentre Blaine si era portato entrambe le mani tra i ricci. Effettivamente tra i loro insegnamenti non c'era mai stato nulla riguardo a quella notte, a Kurt era stato detto che lui e sua nonna erano riusciti miracolosamente a scappare da palazzo, ma niente di più. Eppure Kurt aveva un ricordo, un ricordo vago che si mescolava a un sogno, forse, e beh – a quel punto non aveva nulla da perdere.

“So che è davvero una domanda difficile-”

“C'era un ragazzo.”, sussurrò Kurt, attirando l'attenzione di Quinn. “Un ragazzo- era molto giovane, lui- penso lavorasse per le cucine. Gli avevo parlato un paio di volte, forse. Lui aprì la parete. Uhm- voglio dire, aprì un passaggio nella parete, che sciocco.”, Kurt a quel punto ridacchiò. Sentiva gli occhi di Blaine su di sé, ma non osava guardarlo di rimando, perché aveva paura di averlo deluso. “Sono piuttosto sicuro che se non ci fosse stato quel ragazzo io e mia nonna saremmo morti quella notte.”

Quinn a quel punto prese un bel respiro. “Beh- questa notizia è- riservata ai conoscenti di corte. N-non credevo che potessi rispondere.”

“Allora?”, borbottò Puck. “E' o non è il nostro Kurt?”

“Beh...”, sussurrò Quinn con un piccolo sorriso. “Ha risposto a tutte le domande...”

Sì!”, esclamò Puck, attirando Kurt in un veloce abbraccio. “Allora, quando possiamo vedere l'Imperatrice?”

“Non così in fretta, pasticcino. L'Imperatrice- beh, lei credo sia piuttosto...stanca. Ha passato buona parte della sua vita a cercare il suo nipote perduto, e ha ricevuto così tante false speranze che non crede più quasi in nulla.”

“Ma Quinn-”, balbettò Puck. “Lui è il vero Kurt!”

Quinn alzò gli occhi al cielo. “Sai che ti dico? Che anche io penso che lui sia quello vero. Ma non è me che dovete convincere.”

Kurt si mordicchiò il labbro, il suo stomaco che si contorceva per la delusione.

“Però...”, sussurrò Quinn dopo un po'. “Potrei avere un'idea.”, disse velocemente, facendo sorridere Puck. “Stasera io e l'imperatrice andremo a vedere i balletti russi. Potrei procurarvi dei biglietti, così alla prima pausa che ci sarà le presenterete Kurt. È piuttosto semplice.”

“Questa è un'idea fottutamente geniale, piccola!”, esclamò Puck, andando verso Quinn e prendendola in braccio. Blaine avrebbe tanto voluto esultare insieme a loro, ma aveva bisogno d'aria. Non aspettò un secondo di più ed uscì dalla casa dei Fabray, dirigendosi a grandi passi verso la fontana che c'era nel giardino.

Kurt ricordava quella notte. Ricordava la notte in cui Blaine aveva trovato lui e sua nonna per caso in quella sala e aveva aiutato loro a scappare dalle guardie. Ricordava – ricordava lui, quello sguattero che lavorava nelle cucine. Ricordava Blaine. E ricordava di aver parlato con lui anche, solo che probabilmente non riusciva a capire che lui e quello sguattero fossero la stessa persona.

Kurt era davvero il Kurt che stavano cercando. Il principino perduto, l'Imperatore di tutte le Russie.

Blaine si aggrappò con entrambe le mani al bordo della fontana, cercando di regolarizzare il proprio respiro. A un certo punto sentì una mano battergli una spalla.

“Ce l'abbiamo fatta!”, esclamò Puck, abbracciandolo con un movimento fluido. Blaine si lasciò abbracciare, ancora senza fiato per ciò che aveva appena scoperto.

“Dei, Kurt è stato fottutamente bravo! Non la sapevo nemmeno io la storia di quel ragazzo.”, borbottò Puck. “Ti rendi conto, vero Blaine? Tutti i nostri sforzi stanno per essere ripagati ed io-”

“Puck.”, sussurrò Blaine, aggrappandosi alle sue spalle. “D-devo dirti una cosa. Mi ascolti?”

“Sei pallido, amico.”, soffiò Puck. “Stai bene?”

“I-io-”, rantolò Blaine. “Io non lo so.”, disse piano. E non lo sapeva davvero. Aveva compiuto quel viaggio per dare a Kurt una famiglia e per arricchirsi, ma improvvisamente si stava rendendo conto che non era per niente pronto a lasciare andare Kurt. Perché quello avrebbe dovuto fare, avrebbe dovuto dirgli addio per sempre. Non l'avrebbe mai più rivisto perché andiamo – una persona comune, un ladro, un imbroglione, poteva mai essere amico di un Imperatore?

“Puck-”

“Quinn mi porta a comprare dei vestiti!”, gridò improvvisamente Kurt, avvicinandosi verso Blaine e Puck. Senza poter fare niente per impedirlo, Blaine si ritrovò con Kurt ancorato al suo corpo, le braccia avvolte attorno al suo collo. “Ce l'ho fatta, Blaine.”, sussurrò lì, e Blaine non poteva farci niente. Lo strinse, lo strinse perché era contento per lui anche se al contempo avrebbe voluto strapparsi via il cuore. Immerse una mano nei suoi capelli.

“Ce l'hai fatta.”, disse piano vicino al suo orecchio. Non si mossero per un tempo che parve infinito, almeno finchè Kurt non alzò leggermente la testa per immergere gli occhi in quelli di Blaine.

“Ci vieni in giro per Parigi con me, vero? Hai voglia?”, gli chiese in un sussurro. Blaine ridacchiò.

“Certo che ci vengo.”, disse quasi immediatamente. “Non potrei mai lasciarti abbinare colori improbabili.”

Kurt lo spinse via leggermente. “Ehy! Io sono bravo ad abbinare i colori.”

“Certo, come no.”

Era buffo il fatto che si stessero punzecchiando pur rimanendo abbracciati. Kurt si morse leggermente il labbro inferiore.

“Blaine?”

Sono io, Kurt. Quel bambino che ti ha salvato, quello che ti parlava delle rose. Sono io, sono io, sono qui, ti prego prova a ricordare, ti prego apri gli occhi e ricordati di me-

“...dimmi.”

Kurt sbattè velocemente le palpebre, e alla fine si staccò. “N-no, nulla. Sono solo felice che stasera andiamo a fare compere.”

Blaine gli sorrise dolcemente, e sperò che almeno quello, il suo sorriso, Kurt se lo potesse ricordare.

 

***

 

Parigi quella sera era un brulichio di luci e giovani coppie che camminavano per le strade. Kurt continuava a fare domande e sorridere, perché quella per lui era una città fatta si sogni – era il suo sogno, visto che per così tanto tempo aveva sognato di andarci. Blaine gli stava sempre vicino e cercava di concentrarsi sui fiumi di parole che diceva, ma la verità era che spesso si soffermava sulla curva del suo sorriso, o il luccichio che assumevano i suoi occhi – e semplicemente si perdeva in quelle piccole cose che sapeva che c'erano ma che non aveva mai osservato abbastanza prima.

Entrarono in una delle botique più costose di tutta Parigi, sotto consiglio di Quinn. Offrì di pagare lei il vestito a Kurt visto che sapeva che né Puck né Blaine potevano permettersi nulla del genere. Kurt venne servito da un giovane ragazzo che dal momento in cui aveva scoperto che quella nel suo negozio era la cugina di primo grado dell'Imperatrice non faceva altro che balbettare ed agitarsi. Finì per consigliare a Kurt un paio di pantaloni rossi e una camicia che era troppo grande, e quando uscì dal camerino per farsi vedere da Blaine, Quinn represse a stento una smorfia.

“Beh-”, borbottò il commesso con accento tipicamente francese, “”Non gli sta pvoprio così male-”

“Per carità.”, lo interruppe Blaine, alzandosi dalla poltrona in cui era quasi scomparso. “Da qui in poi ci pensiamo noi, va bene?”, chiese al ragazzo, facendogli segno di allontanarsi. Kurt gli sorrise grato, e nel giro di qualche minuto e senza capire il perché si ritrovarono da soli, in quel piccolo camerino. Blaine non faceva altro che passare le dita su ogni vestito che c'era, Kurt che lo guardava con il cuore che batteva forte nella gola.

“Tu lo hai già scelto il tuo vestito?”, chiese in un sussurro Kurt a un certo punto. Blaine annuì.

“E' molto semplice e discreto. Ti piacerà.”, gli promise Blaine. “Uh, eccolo qui, finalmente.”, borbottò, tirando fuori da quello che aveva tutta l'aria di essere uno dei vestiti più eleganti che c'era in quel negozio. “Per te invece ho pensato a qualcosa di particolare, ma non troppo eccessivo.”, soffiò, avvicinandosi a Kurt per mostrargli il completo. Era davvero bellissimo, e Kurt sperava solo di esserne all'altezza. “Dobbiamo fare in modo che l'Imperatrice rimanga letteralmente- affascinata da te.”

Kurt ridacchiò, accarezzando con le dita la stoffa del vestito. “Beh, credo che proprio di essere costretto a fidarmi di te.”

Blaine gli sorrise dolcemente. “Pensavo di abbinarlo a una camicia e cravatta bianche. E poi sul petto appunteremo una rosa.”

Kurt annuì. “V-va bene.”, disse, piuttosto stupito del fatto che Blaine fosse così bravo quando si parlava di vestiti. Abbassò lo sguardo per non fare notare il rossore delle sue guance a Blaine, ma improvvisamente due dita furono sotto il suo mento per sollevargli il viso.

“Ehy. Nessuno potrebbe indossare questo vestito se non tu.”

Kurt deglutì. “Fatico a crederci. Ma grazie.”

Blaine alzò gli occhi al cielo. “Beh, vedremo alla fine chi avrà ragione.”

 

***

 

Kurt stava percorrendo uno degli innumerevoli corridoi che dovevano portarlo nel bagno in cui si sarebbe preparato per quella notte, quando Blaine lo afferrò improvvisamente per i fianchi facendolo sussultare.

“Ma- Blaine!”

“Dammi dieci minuti del tuo tempo.”, sussurrò Blaine prendendolo per mano e allontanandolo dal corridoio. Kurt si morse il labbro inferiore.

“Blaine- faremo tardi! Devo andare a prepararmi per stasera-”

“Non ci metteremo molto, promesso.”

E Blaine era così, quando diceva una cosa andava fatta e Kurt si ritrovò ad inseguirlo sopra un taxi per le vie di Parigi, il sole che a ovest stava tramontando dietro le piccole e colorate case di quella città così moderna e nuova per Kurt. Blaine non disse niente, né fece domande per pretendere risposte. Portò semplicemente Kurt dove lo voleva portare dal primo momento – e quando entrambi si trovarono sulla Torre Eiffel, lì in quel puntino dell'universo da cui si vedeva tutta Parigi, il cuore di Kurt cominciò a fare delle cose molto strane, insieme ai suoi occhi che si riempirono di lacrime.

“Blaine.”, soffiò Kurt, aggrappandosi alla grata che indicava il punto in cui cominciava il vuoto. “Blaine, è-”

“Meraviglioso, lo so.”, soffiò Blaine, avvicinandosi a lui. “Non potevi perderti tutto questo.”

Kurt era praticamente senza fiato. Non sapeva come poteva vivere ancora senza fiato, ma sta di fatto che lo stava facendo. Blaine lo aveva portato lì sopra come senza dirgli niente, solo – lo aveva strappato via dal mondo e gli aveva detto di prendere un bel respiro e lasciarsi andare, ed era esattamente quello che Kurt stava facendo. Kurt si asciugò bruscamente una lacrima, e per qualche assurda ragione ruotò il capo verso Blaine e si soffermò ad osservare le sue labbra carnose e rosa scuro, e fu la prima volta in tutta la sua vita disastrosa che Kurt si rese conto di voler baciare qualcuno. Non gli importava niente che fosse un ragazzo, non gli importava niente che fosse Blaine, la stessa persona che lo aveva dannare come pochi altri e che coglieva ogni occasione per fare battute e scherzare; non gli importava niente che fra meno di una manciata di ore avrebbe scoperto tutto quel viaggio fin dove lo avrebbe portato, e non gli importava che, anche se in piccola percentuale, lui avrebbe potuto essere un Imperatore. Non gli importava proprio più niente, quando Parigi era lì ai suoi piedi, a portata di mano, e gli occhi di Blaine brillavano come se avessero inghiottito il sole e le stelle e tutte le luci che avevano attorno. Kurt nemmeno sapeva cos'era un bacio, ma era piuttosto sicuro di volere che il suo primo lo avesse proprio Blaine.

Effettivamente inclinò la testa, e si ritrovò a stringere le palpebre. Ma poi non si mosse – non sapeva come muoversi e non voleva fare brutte figure, quindi si fermò. Blaine lo guardava soltanto, un dolce sorriso sul volto che diceva tutto come niente.

“Sai che dicono che Parigi è la città dell'amore.”, sussurrò Blaine a un certo punto. Il cuore di Kurt precipitò nello stomaco e si sentì uno sciocco, perché era dannatamente ovvio che Blaine e Puck avessero voluto raggiungere Parigi perché quella città offriva loro milioni di opportunità per trovare una bella ragazza da sposare. E Kurt – lui era solo uno stupido ragazzino che sognava troppo in grande.

“Sì, devo averlo sentito dire.”, borbottò Kurt, scrollando una spalla. Sentì Blaine ridacchiare.

“Se deve succedere qualcosa tra due persone, succede qui.”, borbottò poi Blaine. Kurt non capiva assolutamente dove volesse arrivare, così tenne lo sguardo basso e si limitò ad osservare le macchine che viaggiavano per le vie di Parigi.

Kurt pensò che forse Blaine aveva bisogno di una mano. “E cosa dovrebbe succedere?”, chiese in un sussurro, ruotando il capo verso di lui. Blaine immerse gli occhi in quelli di Kurt, mordicchiandosi poi il labbro inferiore.

“Non lo so. Tutto come niente.”, mormorò, sorridendo appena. E forse era quello il momento. Non che Kurt sapesse riconoscere i momenti giusti per un bacio, ma quello ci assomigliava parecchio, così si avvicinò per la seconda volta. Ma poi il campanile di una dannatissima chiesa lì accanto ricordò loro che erano in ritardo, e Kurt si separò con un sospiro.

“Forse dovremmo andare.”

“Forse. Sarebbe meglio.”

“Altrimenti ti danno la colpa per il ritardo.”

“Tanto farei in modo che la colpa ricada su di te.”, borbottò Kurt ridacchiando, avviandosi verso l'ascensore. Poco prima di salirci sopra, Blaine lo bloccò avvolgendo le dita attorno al suo polso.

“Indossa questa stanotte.”, soffiò, porgendogli una rosa di colore bianco. Kurt l'osservò con attenzione; non aveva idea del perché, ma aveva come l'impressione di averla già vissuta quella scena, una scena in cui parlava con qualcuno di una rosa bianca. Non sapeva quando, né se fosse vera, ma ebbe la sensazione che Blaine avesse la capacità di tenerlo al sicuro.

E Blaine avrebbe tanto voluto urlargli Sono proprio qui, perché non ricordi ma non poteva farlo, non così. Lasciò che Kurt raccogliesse quella rosa, e poi lo accompagnò a casa di Quinn, dove si dovevano preparare.

 

***

 

“Blaine.”, borbottò Puck, saltellando sul posto. “Me la sto ufficialmente facendo sotto.”

“Piantala, Puck.”

Puck sospirò. “Perchè ci mettono così tanto?”

“Lo sai che le donne ci mettono vite a prepararsi.”

“Kurt non è una donna.”

“No. Ma il suo tempo di preparazione equivale a quello di una donna, devi ammetterlo.”

Puck a quel punto si sedette sulla panchina che c'era di fronte al teatro. Blaine alzò una gamba e ci appoggiò sopra un singolo piede, ruotando il capo per osservare le macchine che andavano e venivano per le vie di quella immensa città.

“Lui è quello vero, Puck.”, sussurrò a un certo punto, senza cercare la sua faccia. Sentì gli occhi di Puck su di se.

“Come, scusa?”

“Kurt.”, il nome gli scivolò via dalle labbra come se fosse qualcosa di immensamente prezioso e fragile. “E' davvero il principino perduto. Il ragazzo di cui ha parlato per rispondere alla domanda di Quinn, quello che ha salvato lui e sua nonna. Ero io.”

Puck a quel punto si fece piccolo piccolo contro lo schienale della panchina – Blaine lo vide sorridere, come se fosse in pace.

“Blaine, è- è fantastico.”, borbottò. “Voglio dire, abbiamo davvero aiutato qualcuno a ritrovare la sua famiglia.”, disse con calma. “Glielo hai detto?”

“Ancora no.”

Che cosa?!”, domandò Puck. “Stai scherzando? Ha il diritto di saperlo!”, sbottò, alzandosi in piedi. “Si può sapere che aspetti? Tu glielo devi dire-”

“Dirmi cosa?”, chiese improvvisamente una voce da dietro di loro. Puck e Blaine si voltarono all'unisono, trovandosi davanti Kurt – e Blaine, beh, Blaine non aveva mai pensato che un cuore potesse fare così male.

Perchè Kurt era bello da togliere il respiro.

Il vestito che aveva scelto era blu scuro, come le notti senza stelle. La stoffa non era semplice, però; c'erano degli inserti speciali che permettevano alla giacca e al pantalone di brillare. Non troppo come avrebbe fatto una gemma, ma quel poco che bastava per rendere i movimenti di Kurt fluidi e meravigliosi. E lì, sul petto, appuntata dove c'era la tasca, la rosa bianca che gli aveva dato Blaine.

“Dirti quanto tu sia bello.”, soffiò Blaine, guardandolo incantato per qualche istante. Kurt sorrise e sbattè le ciglia abbassando la testa, e solo dopo Blaine allungò un braccio per posare saldamente la mano dietro la schiena di Kurt. Cominciarono a salire le scale insieme, dirigendosi verso il teatro.

 

Dal posto che era stato assegnato loro, Blaine e Kurt potevano vedere l'Imperatrice perfettamente. Kurt afferrò tra le mani il piccolo binocolo che Blaine gli aveva procurato – che teoricamente sarebbe dovuto servire per osservare i balletti – e lo puntò su quella che doveva essere sua nonna, una donna davvero molto bella ed elegante.

“Mette i brividi.”, sussurrò Blaine.

“Non così tanto.”, disse Kurt di rimando. “E' solo...intimidatoria, credo.”

Kurt sistemò il binocolo e accartocciò le dita sul proprio grembo, cominciando a giocherellarci, almeno finchè Blaine non prese una sua mano tra le sue in modo dolce e rassicurante.

“Andrà tutto bene.”, gli disse vicino all'orecchio. “Rilassati. Sei pronto, lo sai. E io sono proprio qui accanto a te.”

Kurt solitamente avrebbe fatto una battuta, ma non in quel momento. Si voltò semplicemente e concesse a Blaine un sorriso piccolo ma dolce, mentre qualcosa di enorme gli si scioglieva al livello dello stomaco.

“Va bene.”, disse soltanto.

 

***

 

Tra la pausa che ci fu tra il primo e il secondo tempo, Kurt e Blaine si alzarono e si diressero come concordato con Quinn nella piccola sala privata dalla quale zia e nipote stavano seguendo lo spettacolo. Imboccarono un piccolo corridoio, dopodichè Blaine fece per bussare alla porta che trovarono, ma si interruppe quando vide che Kurt stava tornando indietro.

“Kurt!”, lo chiamò, un vago sorriso divertito sul volto. “Kurt, torna qui.”

“Non ce la faccio, okay?”, borbottò Kurt. “Mi vedrà e andrà a chiamare le guardie perché si chiederà come abbia anche solo potuto pensare di essere suo nipote-”

“Kurt.”, sussurrò Blaine, avvolgendogli le braccia attorno ai fianchi. Era qualcosa che non aveva mai fatto prima, e Kurt si ritrovò con la gola secca, senza niente da dire. “...sei arrivato fin qui. È stato...è stato il viaggio più pazzo, insano ed esilarante della mia vita, e in un paio di occasioni avrei voluto strangolarti, te lo giuro. Ma- ce l'hai fatta, okay? Non puoi arrenderti ora. Dietro quella porta potrebbe esserci il tuo nuovo inizio. Non sei curioso di scoprirlo?”

Kurt si leccò le labbra e sorrise leggermente. “S-sì.”

“Okay.”, disse Blaine. “Allora coraggio.”

Blaine prese per mano Kurt e lo trascinò di fronte alla porta, ma prima di bussare questa volta fu interrotto dalla sua voce.

“Blaine?”

Blaine si voltò verso di lui, gli occhi enormi e pieni di luce. “Sì?”

“I-io-”, borbottò Kurt, incapace di continuare. Voleva dirgli che aveva cambiato tutto. Voleva dirgli che non faceva altro che pensare a lui, che sulla Torre Eiffel lo aveva voluto baciare, e che con molta probabilità lo desiderava anche adesso, e lo aveva desiderato già sulla nave, e magari anche prima, quel giorno in cui gli aveva insegnato ad andare in bicicletta. O forse lo voleva da sempre, non riusciva a riconoscerlo. Forse – forse lo amava, anche se era tutto un disastro. E glielo voleva dire, anche se non sapeva come, e anche se lo avrebbe perso.

“Sì?”, insistè Blaine, inclinando la testa.

“Nulla.”, sputò fuori Kurt. “Solo- volevo- ringraziarti. Ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me. Lo so che spesso sono stato uno stronzetto arrogante, e che la maggior parte delle volte ti insultavo solo perché respiravi, ma la verità è...”, Kurt respirò a fondo, a quel punto. “E' che io ti ammiro. Ti ammiro...davvero molto.”

Blaine lasciò andare il respiro, e Kurt ebbe la vaga idea di averlo deluso. Ma non era assolutamente possibile, quindi scacciò immediatamente quel pensiero dalla testa.

“Kurt, io-”

“Sì?”, chiese Kurt in un sussurro, mordicchiandosi il labbro inferiore.

“I-io- lo so che ne abbiamo passate tante, e che mi sono comportato da stronzo anche io, ma la verità è che...che-”

“Sì?”, insistè Kurt, aggrappandosi alla giaccia di Blaine, al livello del suo avambraccio. Blaine deglutì.

“Che ti ammiro moltissimo anch'io.”, sussurrò.

Oh.”, soffiò Kurt, sentendo il cuore precipitare nello stomaco. Blaine gli accarezzò lievemente una spalla, e lui gli concesse un sorriso.

“Ora vado.”, borbottò Blaine. “Buona fortuna, vedrai che andrà tutto bene.”

 

Nel chiudere la porta, Blaine non si era reso conto che la spinta che le aveva dato non era sufficiente a far scattare la serratura, e questa finì piano piano per riaprirsi, dando a Kurt la possibilità di ascoltare la conversazione all'interno della stanza.

Ora che Blaine aveva la possibilità di vedere l'Imperatrice da vicino poteva ammettere che era ancora più inquietante di quanto poco prima avesse ammesso. Fece a Quinn un occhiolino, il segnale che avevano concordato, dopodichè si inginocchiò di fronte ad Anastasia e le prese una mano per baciarne il dorso.

“Vostra Altezza.”, esordì, con voce melliflua e solenne. “Sono Blaine Anderson, e vengo da molto lontano per portarvi vostro nipote. Il principino perduto.”

L'Imperatrice allargò impercettibilmente gli occhi, studiando Blaine in tutta la sua figura. “Avevo detto a Quinn di comunicare che ho smesso di cercare mio nipote.”, borbottò, lanciando un'occhiata stanca alla cugina. “Mi dispiace giovanotto, ma temo dovrai andartene.”

“No, ma vede-”, continuò Blaine, prendendo un respiro profondo. “Voi dovete dare a questo ragazzo una possibilità.”

“Giovanotto, ho dato così tante possibilità nella mia vita e ho visto così tanti ragazzi che dicevano di essere mio nipote da bastarmi fino al giorno in cui me ne andrò. Davvero, sono stanca. Torna a guardare i balletti insieme a questo ragazzo.”

Quinn mise sulla spalla di Blaine una mano. “Blaine.”, sussurrò. “Ci hai provato. Lascia stare, ti accompagno alla porta.”

Blaine non poteva credere che finisse tutto così. Avevano viaggiato tanto e Kurt – dei, Kurt aveva finalmente trovato la sua famiglia, non poteva arrendersi così facilmente. Quinn si allontanò credendo di accompagnare Blaine fuori; lui fece per seguirla, ma non appena lei fu lontana abbastanza Blaine serrò le tende dietro di sé e tornò a sedersi vicino all'Imperatrice.

“Sconsiderato.”, soffiò lei, spalancando gli occhi. “Chiamo le guardie, non scherzo-”

“Vostra Altezza, vi prego. Voi dovete vedere questo ragazzo, lui...lui è davvero suo nipote.”

“Hai idea di quante volte abbia sentito questa frase?”, sussurrò Anastasia, strofinandosi la fronte con le dita perfettamente curate. “Ti prego, vattene. Ho passato tutta la vita ad essere presa in giro e ad avere speranza, sono stanca di essere forte. Voglio godermi gli ultimi anni della mia vita in pace.”

“Vostra Maestà, perdonatemi se insisto, ma veniamo dalla Russia-”

“Alcune persone sono arrivate da Timbuctù, persino, lo sai?”, borbottò lei, alzandosi in piedi per potersi allontanare. Scostò le tende che Blaine aveva chiuso e raggiunse la piccola stanza che precedeva l'uscita.

“Vi prego Vostra Altezza, aspettate-”

“Blaine Anderson, giusto?”, soffiò lei, voltandosi all'improvviso per puntare gli occhi in quelli di Blaine. “Ma certo, ho sentito parlare di te. Tu sei il ragazzo che a San Pietroburgo faceva delle audizioni per trovare un ragazzo che assomigliasse a mio nipote.”, disse, il tono di voce piatto. Blaine deglutì, affranto.

“I-io...”

“Sono davvero stanca di essere presa in giro, Blaine.”, lo interruppe lei. “Per voi giovanotti tutto questo è uno stupido scherzo. Non sei stato l'unico, sai? Lo fanno tutti per il denaro che io ho promesso. Ma ora basta. È della mia famiglia che stiamo parlando, e del ricordo che ho del bellissimo nipotino. E non permetterò più a nessuno di rovinarlo, tanto meno ai furfanti come te.”

“Vostra Altezza-”

“Fuori.”, sussurrò lei, indicandogli la porta. Nel giro di qualche istante, due guardie ben piazzate afferrarono Blaine per le braccia e lo accompagnarono fuori da quella piccola stanza, Blaine che dal canto suo cercava di dimenarsi e spiegare all'Imperatrice che era stato tutto un malinteso perché davvero, non poteva finire così.

Stava ancora gridando, quando quelle due guardie gli sbatterono la porta in faccia. Blaine cominciò a bussare furiosamente contro il legno, ma dovette fermarsi quando si rese conto che non sarebbe cambiato niente. Si voltò, il cuore che era pesante come un macigno che smise di battere quando incontrò gli occhi pieni di lacrime di Kurt.

“...Kurt-”

“Audizioni.”, soffiò Kurt, aggrottando la fronte. Non era una domanda, e Kurt aveva detto quella parola accartocciata con il tono di voce più piccolo e ferito che Blaine avesse mai sentito. “Tu- tu davvero facevi delle audizioni per trovare qualcuno che assomigliasse a Kurt.”

Oh-

Kurt aveva sentito tutto. Aveva sentito ogni minima cosa. E adesso-

“Kurt, ascoltami-”

“Lo hai fatto per i soldi.”, sussurrò Kurt, portandosi entrambe le mani sulla bocca e cercando di respirare a fondo. “Non- non te ne importava niente di me, volevi solo la ricompensa.”

“Kurt per favore, non- non è vero. Ti giuro che non è vero-”

Kurt fece un passo indietro quando Blaine tentò di avvicinarsi. “...hai rovinato tutto, Blaine. Tutto.”, soffiò, tenendosi una mano sullo stomaco. “E- e i vestiti, la rosa. Quello stupido viaggio sulla torre- n-non hanno significato niente per te? Lo facevi solo per tenermi buono così sarei rimasto?”

Blaine fece un passo verso di lui, le mani che praticamente tremavano. “No! Dio no Kurt- c-certo che hanno significato qualcosa per me, certo, io-”

“Sei una persona orribile.”, mormorò Kurt, una lacrima che cadeva dal suo occhio destro. “E- e io mi sento così stupido perché mi fidavo di te, mi fidavo davvero, e credevo che volessi aiutarmi-”

Blaine si ancorò alle tue braccia. “Ma volevo aiutarti!”, gridò Blaine. “Lo volevo, ti giuro che volevo io...s-senti, all'inizio è partita così, va bene? Volevo quei dannati soldi, e tu eri esattamente il ragazzo che stavo cercando. E mi dispiace. Ma poi è cambiato tutto. Te lo giuro Kurt, è cambiato tutto, i soldi sono diventati insignificanti e volevo solo che tu fossi felice-”

Kurt lo spinse via. Forte, con entrambe le mani aperte sul suo petto. “N-non toccarmi.”, disse, asciugandosi bruscamente una lacrima. “Non mi toccare più.”

“Kurt-”, sussurrò Blaine, lasciando cadere mollemente le braccia. “Kurt, per favore-

“Hai distrutto il mio sogno.”, biascicò Kurt, stringendo il proprio petto con le braccia. “Fin da piccolo ho sempre desiderato ritrovare la mia famiglia, e tu- tu hai fatto la cosa più brutta che qualcuno possa fare. Hai preso il mio sogno e lo hai sbriciolato con le tue mani, Blaine.”

Blaine stava cercando disperatamente il modo di respirare, ma non ci riusciva. Il respiro gli si bloccava nella gola, e non sapeva cosa fare. Kurt a quel punto si passò una mano tra i capelli e si voltò cominciando a correre, ma Blaine lo rincorse tra la gente.

“Kurt aspetta-”, gridò. “Kurt, ascoltami! Il ragazzo di cui hai parlato da Quinn-”, borbottò, riuscendo finalmente ad ancorarsi al braccio di Kurt, “Ti ricordi? Quel ragazzo ero-”

“Non m'importa niente di quello che hai da dire, Blaine.”, sussurrò Kurt, guardandolo dritto negli occhi. “Come a te non è mai importato niente di nessuno che non sia tu.”

“Ti sbagli.”, sussurrò Blaine. Kurt fece per andare via, ma Blaine lo trattene con entrambe le braccia. “Ti sbagli, a te ci tengo, ci tengo tanto-”

E poi arrivò. Forte, sulla guancia sinistra. Qualcosa che effettivamente Blaine sapeva di aver meritato.

Kurt gli diede una sberla. Una sberla in pieno viso, che lo fece sbilanciare all'indietro e perdere l'equilibrio. E quando Blaine si rialzò in piedi, Kurt aveva già sceso le scale e si era già infilato in un taxi.

.





 

.





 

.

Mi auguro davvero che la narrazione non vi stia sembrando troppo veloce, è che in un certo senso le cose vanno così, un momento prima Kurt si fida di Blaine e un momento dopo gli crolla il mondo addosso. Mi dispiace per l'angst, non so perché ma quest'ultimo pezzettino mi ha davvero distrutta, e sapevo di doverlo scrivere prima o poi!
A prestissimo con la quinta e ultima parte. Abbiate fede <3
 
Je <3

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Capitolo 5
*** Parte quinta ***


- Parte quinta -

 

L'Imperatrice stava aspettando che il suo autista arrivasse per riportarla a casa, dopo la serata dei balletti Russi. Lei era arrivata alla macchina da diverso tempo, ma probabilmente Elia doveva aver avuto un contrattempo.

Improvvisamente lo vide: il suo autista si sedette senza dire niente al posto di guida e si allontanò da teatro, imboccando vie che però Anastasia non conosceva.

“Elia?”, lo chiamò. “Non conosco le strade che stai facendo-”

“Io non sono Elia.”, rispose il guidatore a quel punto, togliendosi il cappello dalla testa e ruotando il capo per sorridere all'Imperatrice. Era Blaine, quel giovanotto di poco prima. “E ora Vostra Altezza mi farà il piacere di tenere la bocca chiusa e farsi accompagnare da me in un posto.”

Naturalmente Anastasia protestò per tutto il viaggio. Smise solo nel momento in cui Blaine spense la macchina e fece il giro per aprire la portiera dei sedili sul retro, tirando fuori da un taschino ciò di cui aveva bisogno.

“Lo riconoscete?”, chiese, porgendo all'Imperatrice il carillon verde con inserti dorati. Anastasia spalancò leggermente gli occhi e lo raccolse come se fosse l'oggetto più prezioso dell'universo.

“Dove lo hai trovato?”, domandò in un sussurro, gli occhi che si riempivano di lacrime.

“Non importa come l'ho trovato.”, borbottò Blaine. “Ciò che importa ora è che voi andiate in casa da vostra nipote e cerchiate Kurt. Vi prego- parlateci almeno. Ascoltate quello che ha da dirvi. Ma dovete guardarlo negli occhi una volta, perché lui- lui è davvero una delle persone più pure che ci siano in questo mondo. E non vi prenderebbe mai in giro.”, sussurrò. “Lui non è come me. È mille, e mille volte meglio ancora, e merita un nuovo inizio, e Voi potreste essere il suo.”

Anastasia lo guardò con un piccolo sorriso. “Tu sei uno che non si arrende mai, è?”

Blaine ridacchiò. “Sono un po' cocciuto, sì.”

Anastasia alla fine scese dalla macchina, e dopo un'ultima occhiata a Blaine si diresse verso la casa di sua nipote Quinn.

 

***

 

Kurt non sapeva nemmeno da dove cominciare a fare le valigie. C'erano un sacco di vestiti nuovi che doveva farci stare nel borsone che aveva da quando aveva lasciato la Russia, ma lì dentro non ci sarebbe stato proprio un bel niente. Problema numero due: non aveva la più pallida idea di cosa fare della sua vita, adesso. Quinn gli aveva detto che poteva stare lì quanto desiderava, ma non aveva alcuna intenzione di rimanere in un posto in cui avrebbe rivisto Blaine. Non ce l'avrebbe fatta a sopportarlo.

Si fermò al centro della sua stanza, mettendosi entrambe le mani sullo stomaco e sentendo che era sul punto di piangere per l'ennesima volta, quando alla porta qualcuno bussò.

Kurt alzò gli occhi al cielo, sapendo perfettamente di chi si trattava. “Vattene via, Blaine.”, disse ad alta voce, asciugandosi poi con il dorso della mano entrambi gli occhi. Notò che per la foga dei movimenti per terra era caduta la rosa bianca che Blaine gli aveva regalato, così la raccolse e l'appoggiò sul comodino che c'era lì accanto, e quando si voltò il suo cuore smise di battere.

Perchè non era Blaine ad aver bussato, ma l'Imperatrice in persona.

“...Vostra Altezza.”, riuscì a dire in qualche modo, accennando un inchino. Lei alzò un braccio, facendogli segno di fermarsi. Si guardarono a lungo, gli occhi attenti e vigili.

“Mi dispiace per prima. Pensavo fosse-”

“So perfettamente chi pensavi che fossi.”, lo interruppe lei, cominciando a camminare per la stanza. Era davvero una donna estremamente elegante. Teneva il mento perennemente alzato, il vestito ondeggiava dandole un aspetto regale, e le rughe che aveva sul viso non la imbruttivano per nulla.

A un certo punto Anastasia ruotò il capo verso di lui, rivolgendogli un piccolo sorriso. “Dunque.”, sussurrò. “Che cosa cerchi qui, ragazzo?”

Kurt non dovette nemmeno pensarci. “Io cerco la mia famiglia.”, mormorò. “E anche se sembra assurdo, ho pensato che magari potrei appartenere alla Vostra.”

Anastasia annuì. “Non ti interessano i soldi, quindi.”

“Non sapevo dell'esistenza dei soldi fino a qualche ora fa, quando ho scoperto che tra le altre cose il ragazzo che mi ha accompagnato in questo viaggio mi stava mentendo.”, sussurrò.

L'Imperatrice annuì. “Devo dire che sei un bravo attore. Il più bravo di tutti, molto probabilmente. Ma io sono davvero tanto, tanto stanca di essere presa in giro.”

“Lo sono anch'io.”, ammise Kurt. “E io sono stato preso in giro una volta sola, quindi posso immaginare benissimo come vi sentite Voi.”

A quel punto Anastasia sorrise. Un sorriso ampio, non assolutamente di circostanza, e Kurt sentì il proprio cuore gonfiarsi.

“Avete un buon profumo.”, disse senza pensare.

“E' un olio che uso per le mani.”

Kurt aveva la vaga sensazione di averlo già sentito, così tento di ricordare, o per lo meno di ricostruire il ricordo. “Sapete, non ho idea se sia un frammento di un sogno o un ricordo.”, iniziò Kurt. “Ma c'era...questo tappeto, in camera della mamma. Io ci andavo sempre quando Voi andavate via e mi lasciavate solo con i miei fratelli, mi specchiavo e indossavo il Vostro profumo, così potevo fingere che foste ancora con me.”, Kurt a quel punto sorrise. “Poi un giorno per sbaglio rovesciai la bottiglietta di profumo, e da allora il tappeto profumò sempre di menta.”

Anastasia a quel punto si sedette su una poltrona, probabilmente sopraffatta dalle emozioni. Fece segno a Kurt di sedersi accanto a lei, picchiettando sulla parte di poltrona vuota. Kurt lo fece, si sedette mantenendo la posa che Blaine e Puck gli avevano insegnato.

“Hai...hai una bellissima collana. Posso vederla?”, chiese improvvisamente Anastasia, riferendosi al ciondolo che Kurt portava sempre addosso. Non lo aveva tolto nemmeno quella notte. Lo sfilò dal collo e lo porse all'Imperatrice, e lei lo esaminò, sfiorandolo con attenzione.

“Dove lo hai preso?”

“Ce l'ho da sempre, da ciò che mi ricordi.”, sussurrò Kurt. “Credo sia l'unico ricordo che mi rimane della mia famiglia. Per questo sono qui, io- dovevo venire a Parigi. Mi capite?”

Anastasia spalancò gli occhi verso di lui. Erano leggermente lucidi, e Kurt quasi si spaventò nel vedere quanto esattamente sembrassero simili ai suoi. Poi, piano piano, l'Imperatrice si avvicinò alla propria borsa e tirò fuori lo stesso portagioie che Kurt aveva osservato sulla nave con Puck ormai una settimana prima.

“Ma quello è-”, soffiò Kurt, guardandolo più attentamente. E fu come essere investito da una valanga di ricordi.

Ricordò la notte in cui sua nonna glielo aveva regalato, ricordò che gli aveva promesso che un giorno sarebbero tornati a Parigi insieme, ricordò che quella era stata una delle ultime notti in cui avevano potuto essere felici. Kurt allungò una mano per poter infilare la collana in una piccola apertura che c'era di lato al portagioie, e facendola funzionare come una chiave lo aprì, rivelando che in realtà era un carillon.

Ed era tutto lì. I suoi ricordi, la sua vera identità, ogni piccola cosa, rinchiuso in quella piccola scatola. Kurt aprì la bocca per dire qualsiasi cosa, ma l'unica cosa che fu in grado di fare fu lasciar scorrere le lacrime.

Aveva ritrovato la sua famiglia, finalmente. C'era davvero riuscito.

Kurt.”, mormorò a quel punto Anastasia, accarezzandogli le guance. “Il mio Kurt.”

E poi Kurt si lasciò abbracciare, sperando che quel gesto potesse colmare il freddo che aveva provato tutte le volte che accanto non aveva nessuno da cui farsi stringere.

 

***

 

“Tu hai decisamente il portamento di tuo padre. Burbero e sarcastico. Me lo ricordi molto.”, gli disse sua nonna. Erano seduti in una delle tantissime stanze della sua residenza a Parigi. Non appena si erano ritrovati, Anastasia aveva aiutato Kurt a preparare i bagagli e aveva insistito per portarlo con sé nella sua residenza lì a Parigi, una reggia enorme – ancora più grande della casa di Quinn, il che era tutto dire. Avevano parlato per tutta la notte, naturalmente; Kurt del suo passato e del viaggio che lo aveva condotto a Parigi, Anastasia delle sue ricerche e del suo dolore. Era quasi l'alba, ora, e Kurt non si sentiva decisamente stanco, lì seduto sul tappeto di quell'enorme stanza da letto.

“Mi manca.”, sussurrò Kurt, ripensando a suo padre. Non aveva acquisito tutti i ricordi, ma era riuscito a riportare alla mente diverse immagini che riguardavano la simpatia di suo padre e la sua dolcezza impacciata. Ricordava che era stato un uomo coraggioso, e che era stato vicino a Kurt e i suoi fratelli quando Elizabeth era venuta a mancare, cercando di colmare tutti i vuoti lasciati da quella tremenda perdita.

“Manca anche a me.”, ammise Anastasia, alzandosi in piedi per venirgli incontro. “Sono sicura sarebbe molto, molto fiero di te.”

Kurt le sorrise appena. Si alzò in piedi a sua volta, mettendosi di fronte allo specchio. Era davvero un disastro dopo aver pianto buona parte della notte e per non aver dormito. Sua nonna gli mise le mani sulle spalle, accarezzandole piano.

“Però hai gli occhi di tua madre.”, gli disse piano. “Elizabeth, una delle donne più belle che io abbia mai visto.”

Kurt spalancò gli occhi e la bocca quando vide che sua nonna sollevava una piccola coroncina e la appoggiava con delicatezza sui suoi capelli. Non era minimamente pronto a tutto quello, ma allo stesso tempo era tutto ciò che aveva desiderato. Sfiorò la corona con le dita, sorridendo appena.

“Ruolo che ora spetta a te.”, gli sussurrò dolcemente Anastasia. “Bentornato, Kurt Elizabeth Hummel, Imperatore di tutte le Russie.”

 

***

 

Blaine superò la soglia degli uffici dell'Imperatrice e la trovò seduta alla scrivania. Lei gli sorrise dolcemente, alzandosi in piedi per poi indicarle una valigia aperta che aveva appoggiato lì di fianco, piena di banconote.

“Venti milioni di Rubli, come promesso.”, sussurrò l'Imperatrice. “Insieme a tutta la mia gratitudine per aver fatto sì che la speranza che avevo non scomparisse del tutto.”

Blaine le sorrise, grato. “Accetto con molto piacere la sua gratitudine, Vostra Altezza. Ma i soldi non li voglio.”

Anastasia aggrottò la fronte. “Come, non li vuoi?”

“Credo di aver realizzato di essermi sbagliato per tutto questo tempo. I soldi non sono così importanti, non come pensavo. Ci sono ben altri valori che andrebbero protetti nella vita.”

L'Imperatrice a quel punto si avvicinò a lui con cautela, osservandolo con attenzione. “Tu sei quel ragazzo. Il ragazzo che ci ha salvato la vita, la notte in cui io e mio nipote siamo scappati.”

Blaine distolse lo sguardo, scrollando leggermente le spalle.

“Sei tu.”, borbottò Anastasia. “Prima ci hai salvato la vita, poi hai riportato mio nipote da me. Davvero non vuoi accettare nulla in cambio?”

“No.”, soffiò Blaine.

“Hai fatto così tanto per me, per noi. Ci sarà qualcosa che desideri.”

Blaine a quel punto sorrise amaramente. “Sfortunatamente nulla che Voi possiate darmi.”

A quel punto Anastasia sorrise. Sembrava avesse capito tutto.

“Lui ha solo bisogno di tempo, sai.”, disse piano, cercando gli occhi di Blaine. “E' solo ferito, ma- capirà che ti sei pentito.”

Blaine si passò una mano tra i capelli. “Sto tornando in Russia.”, borbottò. “Voglio solo mettere più chilometri possibili tra me e lui, perché non voglio doverlo ferire mai più. Io- io credo di non volere che mi perdoni. In un certo senso merito il suo rancore.”

“Giovanotto-”

“No, va bene così. Io Vi ringrazio infinitamente di aver dato a Kurt una possibilità. Lui...lui meritava di avere tutto il bene che esiste in questo mondo, e sono sicuro che con Voi lo troverà.”

Anastasia a quel punto annuì, e lasciò andare Blaine, che abbandonò la stanza con un sorriso triste che gli increspava il volto. Percorse le scale senza guardare avanti ma con gli occhi puntati sui piedi, e si rese contro troppo tardi che esattamente di fronte a lui c'era un'altra persona. Le loro spalle si scontrarono, ed entrambi si ritrovarono senza fiato.

“K-Kurt.”

Kurt si bagnò le labbra lentamente, come se dovesse raccogliere tutte le forze che aveva per non scoppiare a piangere. “Ciao, Blaine.”

Kurt indossava una corona immersa tra i suoi capelli di seta ed era vestito benissimo. Sembrava un sogno – o un principe, ecco. Era davvero nato per essere un principe.

“Spero che tu abbia trovato quello che stavi cercando.”, borbottò Kurt. Blaine abbassò lo sguardo, sentendosi colpito e affondato. Kurt non aveva tutti i torti.

“Io-”

“Giovanotto, vuole per cortesia inchinarsi di fronte all'Imperatore Kurt?”, chiese in tono poco cortese un consigliere che proprio in quel momento stava salendo le scale. Kurt si voltò di scatto verso di lui, facendo segno che non importava.

“No, davvero, non ce n'è bisogno-”

“Ce n'è bisogno, invece, Vostra Altezza.”, soffiò Blaine, inchinandosi. Si rialzò diverso tempo dopo, i loro corpi estremamente vicini. Gli occhi di Kurt erano chiarissimi, il colore un fiume nelle ore mattutine.

Rimasero a guardarsi a lungo, le dita che quasi tremavano per il bisogno fisico di toccarsi, o fare qualsiasi cosa per stare più vicini.

“M-mi dispiace di averti colpito.”

“Non fa niente.”, sussurrò Blaine. “Era un gran bel colpo.”

Kurt sorrise, gli occhi leggermente lucidi. “N-non avrei dovuto, io- davvero mi dispiace.”

“A me dispiace di averti fatto del male.”

Kurt inspirò a fondo. “Credo di saperlo.”

Blaine si guardò attorno a quel punto, e solo perché si rese conto che non c'era nessuno raccolse il viso di Kurt tra le mani, appoggiando i pollici alle sue guance e accarezzandole lievemente.

“Blaine-”

“Voglio solo che tu sia felice.”, sussurrò Blaine, lì vicino al suo viso. “Promettimi questo, e io me ne andrò e ti lascerò in pace per sempre. Te lo prometto.”

Kurt sbattè velocemente le palpebre, una lacrima che scivolò lungo la guancia. “C-cercherò di esserlo.”, borbottò.

“Va bene.”, disse piano Blaine, lasciando andare le sue guance. Si allontanò da lui di qualche scalino.

“Sii felice anche tu, Blaine.”

Blaine ringraziò il fatto di essere voltato e che in quel modo Kurt non potesse vedere il suo viso. Non aveva pianto molte volte in vita sua, e di sicuro non si aspettava di farlo per un altro ragazzo – per Kurt, quel damerino che lo aveva fatto impazzire così tante volte.

Ma spesso non si può controllare il cuore, e quella era la verità.

Blaine stava lasciando l'unica persona che in tutta la sua vita lo aveva fatto sentire qualcuno.

Stava lasciando il ragazzo di cui si era innamorato.

 

***

 

Blaine aveva una valigia in mano e un cappellino in testa, quando entrò nella camera da letto di Puck. Lo trovò intento a sistemarsi la cravatta di fronte allo specchio, uno sguardo fiero sul volto. I loro occhi si incrociarono, e quelli di Puck si fecero improvvisamente più tristi.

“Stai partendo.”

“Torno a casa.”

“Io non vengo, lo sai?”

“Lo so.”, borbottò Blaine, mordicchiandosi il labbro inferiore. Si avvicinò a Puck facendo qualche passo, senza mai distogliere lo sguardo.

“Chiederò a Quinn di sposarmi.”, mormorò lui orgogliosamente. “Voglio- voglio mettere la testa apposto, Blaine. Mi sono innamorato. Quinn merita qualcuno che si prenda cura di lei. Ci sono delle mansioni libere alla residenza qui di Parigi, forse grazie a Kurt riuscirò ad ottenere un posto.”

Blaine annuì con forza. “Sei stato- sei stato proprio come un fratello per me, Puck.”

“Oh, cazzo, smettila.”, borbottò lui, voltandosi per inglobarlo tra le braccia. “Non farmi piangere.”

Blaine ridacchiò e lo tenne stretto ancora un pochino, chiudendo gli occhi e sperando di imprimersi addosso quella sensazione per sempre. Quando si staccarono, Puck lo guardò di traverso.

“Secondo me stai sbagliando, amico.”, glielo disse piano, senza arrabbiarsi. “Io non me ne intendo molto, ma- insomma, lo so cosa provi per Kurt.”

Blaine spalancò gli occhi. “No, non lo sai.”

“Lo so.”, insistè Noah. “Senti, siamo cresciuti insieme. Credo di averlo capito quando tu nemmeno ne avevi la pallida idea, non sono stupido. E mi è sempre stato bene, insomma...quando andavamo nei locali tutte le belle ragazze erano per me.”

Blaine ridacchiò.

“Dovresti combattere per lui, amico.”

“Puck, lui-”, Blaine respirò a fondo. “Lui è un Imperatore adesso. E io gli ho fatto troppo male. Va bene così, lui...sarà felice. Sono sicuro di questo.”

“Io non così tanto.”, borbottò Puck. Blaine scrollò le spalle e si passò velocemente una mano tra i capelli, sorridendo appena.

“Beh, devo andare, altrimenti perdo il treno.”, mormorò, dando un'ultima pacca sulla spalla di Puck. Lui gli sorrise. “In bocca al lupo per tutto.”

Noah annuì. “Guarda che se non torni per il mio matrimonio ti faccio venire a cercare dall'Imperatrice in persona. E sappiamo entrambi quanta paura hai di lei.”

 

***

 

Kurt quella sera avrebbe dovuto partecipare a un ballo che era stato indetto in suo onore. Era davvero un pensiero bellissimo da parte di sua nonna invitare tutti i nobili che si trovavano a Parigi per festeggiare il fatto che loro due si fossero ritrovati – il punto era che Kurt non sentiva niente. Non sentiva niente quando le persone lo abbracciavano e si congratulavano con lui, non sentiva niente quando osservava tutte le luci che allestivano la sala. Non sentiva niente, ancora, quando pensava che era quella adesso la sua vita.

Doveva essere pazzo. Insomma, chiunque in quel piccolo mondo sognava di diventare un principe e di avere tutte le cose che lui ora possedeva. E, più di tutto, aveva trovato sua nonna ora. Anastasia era una donna dolcissima e premurosa, la nonna che chiunque avrebbe desiderato, eppure – qualcosa mancava. Kurt non riusciva a dire cosa. O forse non voleva ammetterlo, ma sta di fatto che c'era, quel pezzetto mancante che lo faceva sentire incompleto. Continuava a lanciare occhiate veloci alla porta, sperando improvvisamente che lui entrasse, ma arrivava solo gente che non conosceva. E ogni volta a Kurt sembrava di morire un po' di più.

“Lui non c'è.”, disse sua nonna a un certo punto, mettendogli una mano sulla schiena. Kurt si voltò di scatto verso di lei, il respiro e le parole che gli si impigliavano nella gola.

“Uhm- s-so benissimo che non è qui.”, borbottò Kurt, tornando a concentrarsi sulle coppie che ballavano. Sua nonna gli accarezzò la schiena lievemente. “Probabilmente è da qualche parte a spendere i soldi della ricompensa.”

Sua nonna prese un respiro profondo. “Tesoro, tutto quello che hai davanti è il mondo che ti spetta.”, mormorò lei, vicino alla sua spalla. “Un mondo fatto di feste e luci e ricchezze. Puoi averlo, se lo desideri, è tutto tuo.”, continuò con un leggero sorriso. “Ma al contempo, ti capirei se questo non fosse ciò che desideri.”

Kurt ruotò il capo per poter essere di fronte a sua nonna. “N-non è come pensi. Qui è meraviglioso, ed è tutto ciò che ho sempre desiderato. Te lo giuro. Ho trovato chi sono davvero, ho trovato te.”, mormorò Kurt. “Non potrei desiderare nient'altro.”

Anastasia gli concesse un sorriso velato. “Sei assolutamente certo di questo?”

Kurt fece per rispondere qualcosa, qualsiasi cosa, ma non trovò il coraggio di mentire di nuovo.

Gli mancava Blaine. Certo che gli mancava Blaine, non poteva mentire a sé stesso, figuriamoci a sua nonna. Gli mancava quel ragazzo che gli aveva portato via tutto e che lo aveva ferito, lo stesso che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta e che durante le notti fredde rinunciava alla coperta per darla a lui, il ragazzo che lo aveva portato sulla Torre Eiffel per mostrargli Parigi e che lo aveva tenuto stretto quella notte dopo l'incubo. Perchè lo amava. Lo amava così tanto che si detestava, perché molto probabilmente non si poteva amare una persona che ti ha preso in giro, ma Kurt lo faceva con ogni piccola parte del suo cuore. Ed era assurdo accorgersene ora, ora che era cambiato tutto e lui aveva scoperto di essere chi era davvero, ma lo amava. Era innamorato di Blaine, e Blaine gli aveva spezzato il cuore.

“Tesoro mio, lui- lui non ha voluto il denaro.”, disse sua nonna, posandogli una mano sull'avambraccio destro.

Kurt spalancò gli occhi. “Non lo ha voluto?”

“Ha sbagliato, e lo sa. E va bene essere arrabbiati, ma lui è il primo ad odiare sé stesso per ciò che ti ha fatto. Non ha rinunciato ai soldi per farti pena, lui...lui ha rinunciato perché non gli importava più niente, e io ho potuto vederlo. Improvvisamente quelle stupide banconote per cui ti aveva mentito non importavano più. Importavi solo tu.”

Kurt a quel punto si morse forte il labbro inferiore, gli occhi che si riempivano di lacrime. “Ma nonna, noi-”, Kurt a quel punto dovette concentrarsi e respirare per non singhiozzare. “S-siamo due ragazzi. Sarebbe- così complicato. Come potremmo mai? Io ho dei doveri, e-”

“E allora scappa.”, suggerì sua nonna, sorridendogli con calma. “Va' via con lui. Kurt, tu- tu davvero non hai idea di quanto averti ritrovato mi riempia il cuore di gioia. Ma non posso tenerti qui e vederti triste, okay? L'unica cosa che voglio è che tu sia felice, Kurt. E sappiamo entrambi che per essere felice non puoi rimanere qui.”

A Kurt scappò un piccolo singhiozzo. “M-ma nonna, noi- noi ci siamo appena ritrovati-”

“E va bene così.”, sussurrò sua nonna. “E' bastato. Noi ci ameremo sempre, e ci terremo in contatto. Ma non lasciare che la vita ti porti via quel ragazzo, Kurt. Ti ha già portato via troppe cose.”

Kurt a quel punto sorrise, abbracciando sua nonna quasi con troppa forza. Immerse la testa nel punto in cui il suo profumo alla menta si sentiva di più, e sperò che qualunque cosa fosse successa dopo, quel profumo sarebbe rimasto con lui per sempre.

 

***

 

A Blaine mancava una persona davanti a lui nella fila, e poi avrebbe dovuto comprare il biglietto per tornare a casa. Anche se non sapeva il perché chiamasse Russia “casa”: era esattamente come aveva detto a Kurt, la Russia era un posto che lo aveva accolto. Ma Blaine non aveva una casa.

Frugò nelle tasche alla ricerca del portafogli, e fu in quel momento che le sue dita si scontrarono con qualcosa di morbido. Era la rosa bianca che aveva regalato a Kurt la sera prima, quella che si era appuntato al petto. Dio, doveva essere stato Puck, di sicuro l'aveva trovata da qualche parte in camera di Kurt e gliel'aveva messa appositamente nella tasca.

Era ancora, per qualche stranissima ragione, bellissima. I petali si stavano schiudendo, ma non aveva perso nemmeno uno. Senza spine, semplicemente perfetta, proprio come quelle che Blaine da piccolo aveva coltivato nel palazzo d'Inverno. Le stesse rose che aveva fatto a vedere a Kurt.

Rimase ad osservarla per un tempo che parve infinito, e nemmeno si rese conto che l'uomo alla reception a qualche metro da lui non faceva altro che chiamarlo.

Kurt era il suo bocciolo. La rosa bianca che si era ostinato a proteggere e che doveva continuare a proteggere. Non aveva bisogno di un posto per sentirsi a casa: aveva bisogno di un cuore, ed era quello di Kurt.

Blaine si scusò con l'uomo che aveva di fronte, e poi semplicemente iniziò a correre.

 

***

 

Kurt aveva una vaga idea di dove potesse trovarsi Blaine. Uscì da palazzo correndo e ricordandosi che la stazione dei treni era a massimo due chilometri da lì, ma se era abbastanza fortunato poteva raggiungere i garage sul retro della residenza e chiedere a qualcuno di accompagnarlo. Fu esattamente quello che fece, iniziò a camminare attraverso il giardino della residenza di Parigi, ma si rese conto troppo tardi che in realtà non era verso i garage che stava andando. Dio, quei maledetti giardini francesi enormi. Sbuffò sonoramente e cercò di tornare indietro, ma con sua grande sorpresa Kurt si rese conto che la via dietro di lui era stata completamente sbarrata da alcune siepi. Non era possibile, e Kurt lo sapeva benissimo.

Continuò a camminare con cautela, cercando di mantenere la calma. Ogni volta che superava dei cespugli, questi si chiudevano dietro di lui, impedendogli di scappare. A un certo punto, finalmente, il giardino finì e Kurt si trovò davanti alla grande strada che portava alla Torre Eiffel, nei pressi della Senna.

E fu più o meno allora che sentì chiamare il proprio nome da una voce che il suo subconscio non aveva dimenticato – e Kurt lo capì dal suo stesso corpo, che lo tradì iniziando a tremare.

“Kurt.”, borbottò la voce in tono mellifluo. “Da quanto tempo.”

Kurt si voltò di scatto, provando il forte desiderio di andarsene di lì. “Rasputin.”

“Esatto.”, sputò lui. Non era invecchiato di un giorno. Kurt aveva letto cose terribili sul conto di quell'uomo; alcuni dicevano che aveva venduto la sua anima al diavolo per ottenere in cambio poteri abbastanza forti da sterminare la famiglia Hummel. Alcuni dicevano che alcuni membri della sua famiglia gli aveva uccisi con le proprie mani. “Venuto a pareggiare i conti.”

Kurt respirò a fondo. “...allora è vero.”, sussurrò. “La maledizione.”

“Certo che è vero.”, disse velocemente lui. “Tutta la tua ingrata famiglia doveva morire entro quindici giorni da quell'inverno in cui mi vedesti l'ultima volta. E ce l'avevo quasi fatta, erano morti tutti. Tutti, tranne te.”

Kurt deglutì e iniziò a indietreggiare.

“Eri tu.”, soffiò. “Sul treno.”

“Naturalmente.”, confessò Rasputin. “Ci è mancato davvero poco, ma la mia magia stava quasi per ucciderti.”

“E sulla nave.”, mormorò Kurt. “Eri nella mia testa.”

“Nel tuo sogno, esatto.”, borbottò. “E' stato così divertente giocare con i tuoi inutili ricordi. Dovevi annegare quella notte, stupido bastardo-”

“Peccato che invece sia ancora qui.”, ringhiò Kurt, sentendo un piccolo brivido di adrenalina invadere il suo corpo.

“Non per molto.”, sussurrò Rasputin, ridacchiando verso il finale della frase. “E' buffo, nessuno ti vedrà morire. Il principino perduto avrà una morte banalissima, mi dispiace così tanto.”

Kurt non ebbe il tempo di dire nulla, che sentì la terra venire a mancargli da sotto i piedi. Il ponte intorno a lui si incrinò e il pavimento venne coperto da un leggero strato di ghiaccio che lo fece scivolare giù, giù, sempre più giù fino al cornicione, al quale si aggrappò con tutte le sue forze.

“La tua sarà comunque una morte più interessante di quella di tuo padre.”, sputò Rasputin, osservandolo dall'alto. “Con lui ho semplicemente finito il lavoro che il suo popolo aveva cominciato.”

“S-smettila.”, lo implorò Kurt, gli occhi che gli si riempivano di lacrime e la voce che gli veniva a mancare. “T-ti prego, smettila-”

“E pensa un po'”, continuò Rasputin, ignorando le sue parole. “Con tua madre non ho dovuto fare niente, ci hai pensato tu a darle il colpo di grazia, venendo al mondo.”

Kurt singhiozzò per il dolore e la paura e perché quello che stava dicendo Rasputin era irrimediabilmente e terribilmente vero. “Ti prego, smettila, ti supplico-”

Do svidan'ya, Vostra Altezza.”, sibilò Rasputin alla fine, proprio mentre le dita di Kurt stavano cedendo. “Nessuno ti verrà a salvare.”

“Vuoi scommetterci?”, gridò a quel punto Blaine, comparendo da dietro Rasputin e spingendolo di lato. Anche lui scivolò sul ghiaccio, e quando tentò di rialzarsi Blaine gli diede un pugno in pieno viso. Si avvicinò con cautela al punto in cui c'era Kurt, allungando entrambe le mani verso di lui, mani a cui Kurt si aggrappò con tutte le sue forze.

“Blaine.”, sussurrò. “S-sei qui. Sei proprio qui-”

“Dove credevi che andassi?”, domandò Blaine, trascinandolo su con sé. Kurt perse l'equilibrio e cadde sul corpo di Blaine, che prontamente lo avvolse con le braccia. Gli trascinò vi le lacrime con estrema delicatezza.

“Non piangere, va bene?”, gli sussurrò. “Qualsiasi cosa abbia fatto o detto, è finita ora.”

Kurt annuì con vigore, notando solo in quel momento che i vestiti di Blaine erano rovinati. “I tuoi vestiti si sono rotti per colpa mia.”

“Qualcosa di cui ci occuperemo più tardi, okay?”, borbottò Blaine. “Ti porto al sicuro.”

Fecero in tempo a fare qualche passo, prima che con un sortilegio Rasputin spingesse Blaine contro una colonna che c'era lì vicino, facendogli sbattere forte la testa. Kurt gridò e si precipitò verso di lui, raccogliendo il suo viso tra le mani e rendendosi conto che era svenuto.

“B-Blaine? Blaine, per favore, non-”, sussurrò, scrollandolo per le spalle. “Blaine-”

“Non ti disperare.”, borbottò Rasputin avvicinandosi a loro. “In qualsiasi posto sia andato, tu presto lo raggiungerai.”

Kurt alzò lo sguardo pieno di lacrime verso di lui. Vide Rasputin allungare una mano per preparare a lanciare un nuovo sortilegio, ma questa volta fu più veloce di lui e lo spinse di lato con tutte le forze che aveva, lasciando che scivolasse sul ghiaccio, trascinandosi verso il bordo che dava sulla Senna. Rasputin tentò comunque di aggrapparsi con tutte le sue forze al cornicione.
“Ti prego-”, rantolò. “Tirami su.”

Kurt lo fulminò con lo sguardo. “Una morte così banale per un uomo come te. Mi dispiace così tanto.”, ringhiò, pestandogli con forza una mano. Rasputin urlò di dolore.

“Questo era per la mia famiglia.”, disse, una lacrima che scendeva. Poi schiacciò il piede contro la sua mano ancora di più. “Questo è per tutti gli anni che mi hai fatto passare credendo che fossi solo.”, continuò. La mano di Rasputin cedette, e ora si stava tenendo solo con quella sinistra. Mano che prontamente Kurt schiacciò.

“E questo- questo è per Blaine. Do svidan'ya

E poi Rasputin cadde nel vuoto con un urlo, fino a dissolversi nella Senna con una sorta di esplosione in cui dal suo corpo uscì tutta la magia nera che aveva tanto faticato per ottenere.

Kurt rimase a fissare il punto in cui Rasputin era scomparso per diverso tempo, volendosi assicurare che non tornasse più. Non appena tutto fu calmo attorno a sé tornò a sedersi vicino a Blaine, accarezzandogli lievemente le guance e scostandogli dalla fronte dei ricci ribelli.

“Mi dispiace.”, soffiò Kurt, sentendo il cuore disintegrarsi in mille minuscoli pezzi e le lacrime uscire. “Mi dispiace così tanto, Blaine.”

Immerse la testa nel suo petto immobile e lì cominciò a sfogarsi. Piangeva per tutte le cose che non gli aveva detto, per tutto quello che avrebbero potuto fare ancora, per i sorrisi omessi, per essersi accorto troppo tardi che lo amava e che quell'amore Kurt avrebbe voluto viverlo. Strinse forte tra le dita la stoffa della sua maglietta, incapace di fermare i singhiozzi. Sussultò quando sentì una mano tra i suoi capelli.

“Ehy-”, borbottò Blaine. “Perchè piangi? Mica è il mio funerale.”

Kurt si mise a sedere in modo talmente veloce che durante il movimento brusco finì accidentalmente di colpire Blaine con un mano.

“Oh mio dio-”, sussurrò. “Oh mio dio scusami, Blaine, scusami-”

“Dio, che dolore.”, grugnì Blaine, tenendosi il naso. “Fai piano la prossima volta-”

“Ma sei- sei così un bambino!”, borbottò Kurt, spingendolo con entrambe le mani. “Io pensavo- pensavo fossi morto, eri lì e non respiravi più e-”, Kurt si lasciò scappare un singhiozzo. “Tu non hai la minima idea di come mi sia sentito, o-okay?”

“Ehy, va bene.”, soffiò Blaine, prendendo il suo volto fra le mani e accarezzandogli via le lacrime. Rimasero fermi per qualche attimo, mentre Blaine aspettava che Kurt si calmasse. “Sto bene. Stiamo bene adesso.”

Kurt si morse forte il labbro inferiore, lasciando che le lacrime continuassero a scendere inesorabili, e fu solo quando ormai ogni nervo del suo corpo stava praticamente pulsando per il bisogno che aveva di sentire Blaine vicino che Kurt decise di abbracciarlo, immergendo la testa nell'incavo del suo collo e lasciando che Blaine lo tenesse per la vita.

Quando si separarono, Kurt aveva finalmente smesso di piangere. Sorrise a Blaine lievemente.

“Stavi tornando in Russia.”, soffiò, e non era domanda. Blaine annuì. “Cosa...cosa ti ha fatto cambiare idea?”

Blaine cercò gli occhi di Kurt, probabilmente perdendocisi dentro a un certo punto. “Ricordi quando sul treno ti dissi di non considerare la Russia casa mia? Lo pensavo davvero. Sono sempre stato un po' senza casa, Kurt.”

Lui annuì impercettibilmente.

Blaine sbattè appena le palpebre. “La verità è che non mi serve appartenere ad un posto, se appartengo a...”, una pausa, e Kurt avrebbe quasi desiderato gridare per la frustrazione. “...a un cuore.”

Blaine si avvicinò alle sue labbra, senza mai distogliere lo sguardo, e Kurt a quel punto aveva il cuore in gola. “Blaine.”, soffiò. “Però devi dirlo. Devi dirlo, altrimenti impazzisco, okay? Ti prego.”

Blaine gli sorrise a sua volta. “Okay.”, borbottò. Poi prese un bel respiro. “Al tuo.”, mormorò vicino alle sue labbra. “Appartengo al tuo, di cuore. Certo che appartengo al tuo.”

Kurt a quel punto lasciò andare il fiato che nemmeno sapeva di star trattenendo. Si aggrappò con entrambe le mani alle spalle di Blaine, poi semplicemente inclinò la testa e pressò le loro labbra insieme. Blaine lo respirò; prima aprì le labbra per sentire Kurt tutto contro di se, poi piano piano le chiuse per adagiarle alle sue e imprimersi sulla pelle la sua consistenza, il suo sapore, ogni piccola cosa. Immerse le dita nei suoi capelli di seta per tenerlo fermo, e continuarono a baciarsi ai piedi della Senna per quelli che sembrarono giorni interi, a volte ridacchiando e a volte cercando gli occhi dell'altro.

Le dita di Kurt a un certo punto si scontrarono con qualcosa di soffice, e si rese conto solo aprendo gli occhi che aveva accidentalmente colpito una rosa bianca che Blaine teneva nel taschino della giacca. La tirò fuori sorridendo leggermente, poi cercò gli occhi di Blaine, poi di nuovo la rosa, e capì.

“Sei quel ragazzo.”, disse senza pensare. “Quello che ha salvato la vita a me e alla nonna.”

Gli occhi di Blaine brillarono ancora di più. “Ti sei ricordato.”

Kurt lo baciò di sfuggita. “Scusami.”, sussurrò, prima di baciarlo di nuovo. E di nuovo, e di nuovo ancora. “Scusami, non volevo dimenticare. Scusami.”, un nuovo bacio. E di nuovo un altro, più piccolo e denso. “Non dimenticherò più, te lo prometto.”

“Non importa.”, soffiò Blaine, accarezzandogli una guancia. “Adesso non importa più.”

Si tennero stretti fino alle prime luci dell'alba, pallidi raggi di sole che cominciarono a illuminare la Senna accanto a loro. Blaine baciò lievemente i capelli di Kurt.

“Cosa faremo adesso?”, chiese leggermente. “Voglio dire, tu- tu sei un Imperatore. Io non sono niente.”

Kurt gli baciò un pezzetto di mandibola. “Sei tutto quanto, invece.”

“Hai capito cosa intendo.”

“Sì che l'ho capito.”, borbottò Kurt, stringendolo più forte. “Però ho in mente una cosa. Puoi fidarti di me?”

Blaine gli sorrise e lo baciò intensamente. “Sempre.”

 

***

 

Cara nonna,

Ti prego di perdonarmi se non sono venuto a salutarti, ma temo che mi sarebbe stato impossibile. Ci eravamo appena ritrovati, e non credo sarei stato in grado di dirti addio di nuovo.

Voglio che tu sappia che ritrovarti è stato il regalo più bello che questa giovane vita potesse offrirmi. Ho passato tutta la mia adolescenza a fantasticare sulla mia famiglia, e ti posso giurare che non avrei potuto trovarne una migliore. Sei e sarai sempre la famiglia che ho desiderato per anni.

Verremo a trovarti, te lo prometto. Faremo un viaggio in giro per il mondo, perché credo di aver capito che non è così male essere senza casa, se poi comunque il tuo cuore ne ha una.

Non ho bisogno di appartenere a nessun mondo se appartengo a lui, nonna. Lo amo. È il mio nuovo inizio. Grazie davvero di aver capito.

Tuo,

 

Kurt

Poka-poka!

 

Anastasia rilesse la lettera diverse volte, gettando un'occhiata fuori dalla finestra con gli occhi pieni di lacrime e il cuore pieno di emozioni. Sua nipote Quinn le raccolse la lettera tra le mani e la lesse in tutta fretta.

“Oh.”, soffiò. “Si sono innamorati.”, disse con un enorme sorriso. “Direi che è quello che si può definire un finale perfetto.”

Anastasia guardò verso il cielo, sperando che la sua intera famiglia pensasse che avesse preso le scelte giuste. Aveva la vaga sensazione che se Burt fosse stato lì sarebbe stato molto fiero di suo figlio.

“No.”, la corresse, con un sorriso. “Direi piuttosto che è un inizio perfetto.”

 

***

 

Blaine sollevò da terra Kurt leggermente per farsi praticamente sovrastare e poi lo baciò, lo baciò dimenticandosi del mondo e della barca che li stava portando in Spagna, pressando i loro petti insieme e immergendo le dita tra i suoi capelli. Kurt rise sulle sue labbra e gli accarezzò le braccia, aprendo gli occhi solo dopo un tempo infinito.

“Ho passato tutta la mia vita a cercare il mio nuovo inizio.”, sussurrò Kurt. Blaine annuì, un dolce sorriso che gli inondava il volto. “Non avrei mai potuto immaginare che potesse essere una persona.”

Gli occhi di Blaine si allargarono impercettibilmente, inglobando tutta la luce che c'era attorno a loro.

“Il mio inizio sei tu, Blaine.”

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.





 

.

Direi che ci siamo, è finita anche questa storia.
Nulla, ringrazio davvero dal profondo del cuore tutte le persone che l'hanno seguita. Vi adoro, siete tipo le mie persone preferite, e vorrei inglobarvi tutti nell'abbraccio più stretto che esista, perché lo meritate.
(E un grazie speciale a te, Fravah. Lo sai che tutto questo non sarebbe qui se non ci fossi stata tu).
E nulla, se avete voglia lasciatemi un commento, sarò felicissima di leggervi!
 
A presto,
Je <3

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