Acqua viva di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Scene - Gennaio ***
Capitolo 6: *** Scene - Febbraio ***
Capitolo 7: *** Scene - Febbraio, San Valentino ***
Capitolo 8: *** Scene - Marzo ***
Capitolo 9: *** Scene - Aprile ***
Capitolo 10: *** Scene - Maggio ***
Capitolo 11: *** Scene - Giugno ***
Capitolo 12: *** Scene - Settembre/1 ***
Capitolo 13: *** Scene - Settembre/2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
acquaviva1
Nota iniziale:
terza revisione dell'Aprile 2011.
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
La carezza di un dito le sfiorò il viso,
destandola dal sonno.
Davanti agli occhi aperti ebbe un volto.
Nelle orecchie una voce infantile, la propria.
"Mamma"
Ami si svegliò, sopra di lei il soffitto
che era mondo reale.
«Mamma...» Sussurrò la parola
al
silenzio quieto della mattina.
Mamma.
Era stato il lieve mormorio di un altro tempo.
La madre della sua precedente esistenza - la
donna che le aveva donato la sua prima vita - era tornata nei suoi
sogni come un ricordo che metteva radici, impossibile da dimenticare.
Ami scostò il piumino e si
lasciò colpire dall'aria fredda della stanza. Un brivido la
percorse dai piedi nudi fino al collo scoperto. Si alzò,
trovando le ciabatte dove le aveva
lasciate la sera precedente. Percorse i pochi metri che la separavano
dalla porta strofinandosi le braccia, per darsi calore. Sarebbero
occorsi
solo pochi secondi e un po' d'acqua per risvegliarla nella mente e nel
corpo.
Entrò in bagno, il regno di piastrelle bianche e
azzurre
che le
dava sempre serenità. Vi era una fantasia di barche e mare
sulla
superficie lucida della parete. Viaggi, orizzonti
inesplorati, futuro.
Rimboccandosi le maniche, si sistemò di fronte al
lavandino.
Notò un'immagine davanti a sé, dove non aveva
ancora
guardato. Sollevò gli occhi.
Allo specchio Ami Mizuno la osservò di rimando.
Quello era stato il viso di un'altra persona. Ella si era fusa
in lei e
insieme erano diventate Sailor Mercury.
Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato
il
limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa,
schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era
troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la
differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un
poco
più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli
occhi era identico: grandi occhi dolci - le avevano detto le sue amiche
- con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate
a
pesarle sullo sguardo.
La sua bocca. Le era sempre piaciuta. La luce
artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un
frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di
un
bel fiore in boccio. Ancora una volta, era la bocca di Mercury. Della
madre di lei.
L'angolo a cui piegò le labbra le fece nascere un
primo
dubbio.
Vi
era una piccola differenza nella curva calante. Eppure...
Sorrise allo specchio, a se stessa.
Lo aveva sempre saputo: non somigliava molto ai suoi
genitori,
all'uomo e alla donna del presente che, incontrandosi, l'avevano fatto
rinascere. Non le avevano trasmesso le loro fattezze, ma
avevano condiviso con lei esperienze, momenti, ricordi. Desideri
simili. L'amore per la medicina di sua madre e l'ammirazione per l'arte
di parole, suoni e immagini che la accomunava a suo padre.
«Tesoro!»
Si voltò verso la porta. Nel corridoio risuonarono
passi
rapidi, concitati.
Andò loro incontro, seguendoli fino all'inizio
delle scale.
Al piano di sotto stava sua madre, i piedi che cercavano le
scarpe
posate sull'ingresso e le mani già infilate nella giacca.
Aveva i capelli scompigliati.
Ami si permise un sorriso.
«La colazione è
pronta!» Fu un grido pacato,
amorevole, pensato per richiamare la sua attenzione.
«Sono qui, mamma.»
«Oh!»
La sorpresa si
trasformò in allegria: una mattina in cui si vedevano dava
seguito ad un giorno in cui era più facile non sentire la
reciproca mancanza.
«Oggi ho il turno di giorno.»
Amil lo aveva immaginato.
«E un'operazione importante alle
quattro. Te ne avevo parlato, ricordi?»
Sì, il trapianto.
Scese dalle scale.
«Tornerò tardi.»
Sua madre
tornò indietro e la incontrò a metà
strada. Le
rubò un piccolo bacio dalla guancia. «Passa una
buona
giornata, tesoro.»
«Anche tu, mamma.»
In pochi secondi la porta di casa si aprì e si
chiuse dietro
l'ultimo sorriso benevolo di sua madre.
Il silenzio tornò intero, a farle compagnia dandole
il
buongiorno.
Stiracchiandosi, Ami sbadigliò. Si diresse in
cucina e
usò l'acqua del rubinetto per darsi una passata fresca sul
viso.
Prese in mano la tazza sul tavolo ancor prima di sedersi. La
portò alla bocca e si lasciò corroborare le
membra dal
tè caldo.
La colazione di Ami Mizuno, preparata dalla madre di Ami
Mizuno, nella
casa di Ami Mizuno. Non vi era errore o interruzione in quella semplice
realtà.
Le cose sarebbero cambiate. Nel giro di qualche anno Sailor
Mercury
avrebbe dovuto presentarsi al
mondo e ai genitori che ancora non la conoscevano. Loro avrebbero visto
una
figlia che non li rispecchiava? Avrebbero riconosciuto nei tratti
dissimili dai propri una differenza troppo importante per essere
ignorata?
Se così fosse stato, a suo padre avrebbe mandato un
disegno
e a sua madre avrebbe regalato qualche parola semplice, sua. Sarebbe
bastato a farla riconoscere come Ami, la figlia di entrambi.
Lei era Ami Mizuno. Ed era Sailor Mercury.
Non erano entità separate, benché
avessero avuto
inizi
diversi che si erano congiunti in una sola vita appena tre anni
addietro. Lei poteva indossare l'uniforme scolastica o la divisa da
combattimento, ma era sempre se stessa: stessa mente, stesso animo.
Il problema era uno solo: la sua vita passata - bruscamente
interrotta
in tempi antichi - premeva per diventare la sua vita presente.
Era passato un anno da quando lo aveva saputo, un anno da
quando Mamoru
Chiba aveva rivelato ad Usagi Tsukino che Crystal Tokyo e il
Regno Argentato sarebbero tornati ad esistere in un periodo
approssimativamente
compreso tra i successivi cinque e dieci anni. Rei Hino - l'unica che
fra le
guerriere ad aver sempre avuto poteri di premonizione - aveva
percepito anche lei come vera quella rivelazione e, col passare del
tempo, era
riuscita a stimare con maggior precisione l'arco temporale
entro cui
sarebbe accaduto tutto quanto. Due anni.
Contro le labbra il tè le sembrò
improvvisamente
freddo.
L'intero mondo avrebbe saputo che lei era Sailor Mercury in un
periodo
compreso tra i successivi quattro e sei anni.
Si sentiva pronta per quel ruolo, almeno in parte.
Quando meno
se
lo
era aspettata, da oramai molti mesi, i propri sogni le
avevano portato immagini, suoni, particolari della sua vita passata.
Erano serviti a ricordarle alcuni fatti importanti, non ultimo
cosa
volesse dire assumere il ruolo
di
Sailor Mercury - la posizione che aveva ereditato da sua madre,
scomparsa da qualche
decennio quando il Regno della Luna era caduto.
No, pensò, non temeva di assumere un ruolo
caratterizzato da
grandi oneri.
Sarebbe stata in grado
di fare molto per il suo mondo e per le persone che lo abitavano.
L'enorme
responsabilità la spaventava almeno quanto la
entusiasmava e questo era sufficiente. Ciò per cui
si
sentiva molto meno pronta era tutto il resto.
Aveva combattuto contro alieni, mostri, entità
malefiche
inimmaginabili, eppure continuava ad andare a scuola, a voler diventare
un medico, a desiderare una vita normale. Si sentiva
normale,
una comune ragazza terrestre. Nella sostanza, perlomeno.
Era quella parte di lei a guardare con timore al tempo che
aveva davanti. Decenni.
Secoli. Un millennio intero, tanto sarebbe durata la sua
vita.
Le sue care amiche le sarebbero rimaste accanto fino alla fine
dei suoi
giorni. Ma i suoi genitori? Loro sarebbero morti tra circa mezzo
secolo, anno
più anno
meno, come ogni normale essere umano.
Non era normale sopravvivere ai propri genitori per oltre
novecento
anni. Eppure, era proprio quello il destino di una
guerriera
Sailor. Una guerriera trascorreva la maggior parte della propria vita
senza i propri
genitori. Nasceva
per prendere il posto del genitore da cui aveva ereditato il proprio
potere. Lo aveva ricordato una notte di un paio di settimane addietro.
In lei la sorpresa si era unita alla tristezza, una mestizia
malamente
attutita da una
consolatoria consapevolezza: una guerriera, paradossalmente,
trascorreva assieme ai
propri genitori un periodo più lungo rispetto ad un
qualsiasi essere umano. Si trattava anche di un secolo
intero in alcuni casi.
Era stato normale nell'antichità in cui era vissuta.
Aveva acquisito quelle informazioni sognando, ricordando il
momento
della propria... successione? Non poteva che chiamarla così.
Quel giorno lontano la sensazione che l'aveva pervasa era
stata di
gioia, di orgoglio. Quell'episodio non aveva rappresentato per lei
ciò che
significava ora, un passo in più verso la separazione da due
delle persone più care al suo cuore.
No, ricordò, allora non aveva minimamente temuto di
sopravvivere tanto a
lungo alla propria famiglia.
Ma ora? Tra secoli e secoli avrebbe ricordato il bene che
aveva voluto
a sua
madre, a suo padre? Avrebbe ricordato la loro voce, le loro parole, la
loro presenza?
Come se non fosse una situazione gravosa già da
sola, aveva
un
altro grande dubbio: avrebbe mai trovato qualcuno assieme a cui
trascorrere la propria
vita? Non era più la banale domanda che poteva porsi una
ragazza comune. Non ricordava nulla di quell'aspetto della sua
precedente esistenza.
Poteva solo ipotizzare. Ipotizzare che
nell'antichità lunare
l'aspettativa di
vita media delle persone normali somigliasse a quella di una
guerriera Sailor o, quantomeno,
andasse ben oltre quella presente. Forse era quella, pensò,
la
situazione che si sarebbe venuta a creare sulla
Terra una volta che il Regno Argentato
si fosse consolidato.
Era realista e non le piaceva nutrirsi di false
speranze. Sarebbero occorsi alcuni decenni - come minimo - prima che
l'umanità si adattasse nella società e
nella natura
ad un cambiamento tanto radicale quanto epocale. Comunque dubitava
che nell'antico regno la vita media
degli altri esseri umani fosse arrivata a sfiorare i mille
anni.
Unendo questa ipotesi a ciò che già
sapeva,
ovvero che
avrebbe avuto una figlia solo nell'ultimo periodo della sua vita,
arrivava a conclusioni che le piacevano poco: avrebbe incontrato
il padre di sua figlia, della sua erede, solo col passare dei secoli.
Avrebbe trascorso la
maggior parte della sua esistenza da sola, perché lui non
sarebbe
mai
riuscito a vivere quanto lei.
Non aveva senso quindi, non poteva essere proprio possibile,
che lei
lo
incontrasse a breve.
Se tutte le sue ipotesi si fossero dimostrate corrette,
ciò
che l'attendeva negli anni a venire, nei decenni futuri, era...
non conoscere l'amore. O conoscerlo e accettare che fosse destinato a
finire con la
sopravvenuta scomparsa di chi amava. Ancora più
semplicemente, con
la
fine della relazione: non sarebbe stato facile per
una coppia rimanere unita
se uno dei due fosse rimasto eternamente giovane.
Posò la tazza sul tavolo.
Non lasciò il
manico.
Stava considerando come più importante il problema
sbagliato. Non doveva preoccuparsi di una relazione già in
piedi, quando da
principio per lei sarebbe stato difficile intrecciare una
qualunque
relazione amorosa. Una volta che fosse diventata Sailor Mercury, ci
sarebbe
voluto del tempo
perché non venisse vista solo come una creatura
sovrannaturale, un essere da temere, per quanto rispettato.
E così...
Fissò gli occhi sul nulla.
Chissà tra quanto avrebbe conosciuto
l'amore.
Sentì l'aria che l'abbandonava in un sospiro di
resa.
Non provava un bisogno spasmodico di innamorarsi.
Non ancora,
almeno.
Non ancora, per fortuna.
Tuttavia, era triste pensare che per lei la
possibilità fosse diventata più remota
di un tempo.
Lasciò stare la tazza e iniziò a
mangiare le
fette di pane tostato abbandonate sul tavolo.
Non era da lei, pensò, essere così
negativa.
Riflettere troppo non le faceva
bene.
Inoltre aveva dentro di sé una convinzione
profonda,
più vera di qualunque problema: si sarebbe sistemato tutto
quanto. Era come sentire la voce di Usagi nella testa, nel cuore, che
glielo assicurava.
Forse
il suo atteggiamento ottimista l'aveva contagiata, ma da tempo
nutriva le stesse speranze.
Un giorno sarebbe andato tutto bene. Come o fra quanto ancora
non lo
sapeva, ma nel frattempo...
Avrebbe vissuto ogni singolo giorno come aveva sempre
fatto, al massimo delle proprie forze.
Lunedì.
Appena uscita da scuola corse alla biblioteca
comunale. Aveva
avuto un'idea su una teoria matematica di cui avevano
parlato a lezione in mattinata. Il concetto le era
già stato
ampiamente
noto, ma la
spiegazione che il professore aveva offerto sull'argomento aveva messo
in luce un aspetto
particolare della teoria. La sua testa aveva iniziato ad
elaborare possibilità
ancora prima che lei stessa si fosse resa conto di dove voleva
andare a parare.
La sua intuizione era tutt'altro che
semplice e
probabilmente si stava sbagliando, ma doveva consultare più
testi, mettere su carta le idee e anche tentare di modificare qualche
formula. Doveva provarci, esplorare l'idea. Quel giorno sarebbe stato
un primo passo solamente, ma bastava il
pensiero della ricerca a emozionarla.
Trovò una sedia vuota nella grande sala principale
della
biblioteca e posò
sul tavolo la pila di libri che aveva recuperato. Sorrise
di se stessa: aveva una mente talmente portata all'elaborazione di
ciò che
la
circondava che probabilmente neanche un millennio sarebbe bastato a
soddisfare la sua curiosità.
Si mise alacremente al lavoro.
Passarono i minuti, le ore. Le ombre divennero lunghe, fino a
quasi
sparire e mimetizzarsi con la luce al neon della sala.
Le sedie del tavolo di fronte
a lei strisciarono contro il pavimento, distraendola brevemente. Se ne
curò solo per un istante, concentrata sullo
studio della funzione che aveva creato.
«Guarda quel tipo.»
Udì con tanta chiarezza il bisbiglio che per un
attimo
lo pensò rivolto a lei. Scorse con la coda dell'occhio due
ragazze che confabulavano tra loro. Tornò a concentrarsi.
«Di chi parli? Oh... wow. È proprio
bello.»
«Sì, ma mi riferivo agli occhi, guarda
che
occhi!»
«Aspetta... Hai ragione, che colore strano! Devono
essere
lenti a
contatto.»
«Non credo. È solo straniero, guardalo
bene.»
«Shh... abbassa la voce!»
«Tanto non mi sente. E comunque è
straniero, non
capisce.
Vedi, sta persino leggendo in inglese.»
«Va bene, ma abbassa comunque la voce, siamo in
biblioteca.»
Già.
«Che noiosa, non c'è praticamente
nessuno.»
Seguì un brusio e il rumore di fondo smise di
disturbarla.
Il silenzio proseguì ed Ami riuscì a
focalizzare l'attenzione sul
proprio
foglio.
«Sai, credo che andrò a
presentarmi.»
Sospirò, rassegnata.
«Non ne avrai il coraggio!»
«Perché no?»
«Sono anni che corri dietro a Saiki e non glielo hai
mai
fatto sapere.»
«Perché devi ricordarmelo,
scusa?»
«Per non farti dire cose che non pensi di
fare.»
«Però vorrei farlo davvero questa volta.
Dai,
tirami fuori una
scusa per
andare a parlare con lui.»
Ami smise di ascoltare. Le voci delle ragazze si
facevano sempre più stridule o era solo una sua
impressione?
Trovava normale conversare un poco se si era
in
biblioteca con un'altra persona, ma a bassissima voce e per pochissimo
tempo. Altrimenti
fuori c'era il parco, dove si poteva urlare ai quattro venti
di ragazzi carini e di scuse per parlarci. Dimostrandole di non essere
d'accordo con lei, il parlottio
continuò imperterrito.
«Scusate.»
A interrompere la chiacchierata era stata una voce maschile.
Cadde un improvviso e innaturale
silenzio.
Ami alzò gli occhi.
«Parlo perfettamente giapponese» stava
dicendo un ragazzo alto, straniero, la mano appoggiata sul
tavolo ad agevolarlo nello stare chinato verso le sue ammiratrici. Non
le guardava con benevolenza. «Grazie dell'interesse, ma
sono qui per studiare. Vorrei farlo in silenzio.»
Nelle bocche aperte delle due ragazze sarebbe potuto passare
un treno
di mortificazione.
Una delle due annuì e iniziò a
raccogliere le proprio cose; l'amica si affrettò ad
imitarla.
Finalmente.
Come se l'avessero udita, un paio di occhi chiari si posarono
su di
lei.
Il momento si protrasse per due soli istanti, ma
furono
sufficienti a
far comprendere ad Ami cosa ci fosse stato da decantare in
lui.
Il ragazzo tornò alla propria sedia e a lei rimase
impresso il suo atteggiamento.
Povere ragazze. Se fosse successo a lei, sarebbe sprofondata
dalla
vergogna. Naturalmente al loro posto lei non avrebbe mai fatto simili
commenti ad
alta
voce, così vicina poi all'oggetto del
discorso. In fondo se l'erano quasi cercata.
Chissà quanto a
lungo avrebbero ricordato quel momento di
imbarazzo, di vergogna.
Sorrise. Non era stata un'esperienza
piacevole per quelle due, ma quel piccolo errore
di immaturità sarebbe stato ricordato con una risata negli
anni a venire. Incontrare un ragazzo, sognare di uscirci, giocare con
le
amiche a
parlare di lui...
Lei non doveva preoccuparsene più. Si era
tormentata al
pensiero
di dover superare i suoi imbarazzi nel momento in cui un
ragazzo
l'avrebbe avvicinata, ma oramai le sembravano preoccupazioni... tenere.
Belle persino, legate com'erano a sogni innocenti.
Il risveglio delle due ragazze era stato brusco, ma per loro
quella era solo
un'occasione andata male in una vita che avrebbe offerto a entrambe
molte
opportunità di quel tipo.
Un giorno tutte e due avrebbero incontrato qualcuno di
importante.
Sarebbe successo persino a quel ragazzo: in futuro i suoi
strani occhi verde-azzurro avrebbero guardato una sola persona con
amore, trovando dolci comportamenti sciocchi che nel presente gli
apparivano irritanti. Non sarebbe stato male se la prescelta
fosse riuscita a farlo
penare un po' prima di capitolare: a lui avrebbe fatto veramente tanto
bene.
Ami Si mangiò le labbra, per non ridere.
Anche in
lei esisteva un po' di solidarietà femminile.
Ridacchiò in silenzio e tornò a
concentrarsi
sull'elaborazione della sua funzione.
Martedì.
All'uscita da scuola decise di svagarsi un
po' e seguire Usagi. Vado
a fare una sorpresa a Mamo-chan,
le aveva detto lei ed Ami si era accodata volentieri.
L'università di Tokyo, la Todai, era la migliore del paese,
forse dell'Asia intera. Am aveva sognato di entrarci sin da quando era
bambina; al coronamento di quel sogno mancava poco più di un
anno, sedici mesi da far passare con trepidazione. Le visite al campus
erano un'ottima occasione per mitigare l'attesa.
«Usagi?»
Mamoru le scorse in mezzo alla gente.
«Mamo-chan!» Usagi
si precipitò verso di lui, quasi saltandogli in braccio.
«Visto
che sono venuta a trovarti?»
Ami restò indietro di qualche passo.
Usagi era luminosa quando stava con Mamoru.
L'intensità
del suo sentimento catturava lo sguardo come la luce stessa.
Per Mamoru valeva la stessa cosa e, nonostante lo
conoscesse da anni, Ami non si era ancora abituata al modo in cui
l'espressione di lui cambiava nel vedere Usagi, diventando
più mite e al contempo intensa.
Usagi e Mamoru erano una coppia destinata a stare insieme per
un millennio,
finché morte non li avesse separati. Erano materiale da
favola - eppure così reali da non suscitare in lei
alcuna
invidia
per il loro destino. Quello che avevano - amore, felicità
-
era tutto ciò per
cui
lei si era ripromessa di combattere.
«È una bella sorpresa»
commentò infine
Mamoru, girandosi
verso di lei. «Ciao, Ami.»
«Ciao.»
Usagi si era attaccata al braccio di Mamoru.
«Allora rimani qui?»
«Sì, do un'occhiata agli
edifici.»
Mamoru e Usagi la salutarono, andando via. Ami si
appoggiò contro il
tronco di un albero.
Era quasi novembre e il cappotto che aveva indossato
nascondeva la sua
divisa scolastica. Non attirava l'attenzione tra gli studenti
universitari e poteva starsene tranquilla in mezzo a loro.
Guardò da lontano il complesso di edifici che
ospitava la
facoltà di medicina.
A quel sogno non avrebbe rinunciato. La sua
vita sarebbe stata totalmente rivoluzionata nel giro di qualche anno,
ma voleva studiare medicina, più di tutto. Non sarebbe mai
diventata medico - non con il peso del
ruolo che avrebbe assunto - ma magari avrebbe potuto fare ricerca
quando la situazione si fosse stabilizzata.
Lo aveva detto anche Usagi, no? Non c'era alcun bisogno che
lei e le
altre rinunciassero alle loro aspirazioni. Non ancora, almeno.
Osservò gli studenti che le
passavano accanto.
Poter studiare ad alti livelli, circondati da persone che
facevano
altrettanto, sarebbe stato molto soddisfacente. Magari, una volta che
fosse diventata una matricola, avrebbe
potuto tentare di battere qualche record laureandosi
molto in fretta, così da avere il tempo di fare un
minimo di pratica
prima che-
Lo aveva scorto solo con la coda dell'occhio, ma lo riconobbe
immediatamente.
Il ragazzo del giorno prima.
Stessa faccia seria,
stessi capelli castano chiaro - quasi biondi sotto la luce del sole.
Lui girò la testa verso di lei. Non le
prestò
più
attenzione del giorno precedente e, senza fermarsi, continuò
per
la propria strada.
Le venne da ridere.
Un detto come 'il mondo è
piccolo' assumeva finalmente un senso anche nel suo caso.
Decise di fare il giro dell'università e visitare
anche
altri spazi.
Mercoledì.
Dopo la scuola corse a comprare un libro.
Era il giorno di uscita del nuovo romanzo di uno dei suoi
scrittori
preferiti,
un autore americano. Era stata fortunata e aveva trovato un negozio in
cui il volume era disponibile
già nella data di uscita della versione in lingua originale.
Lo
scovò su uno scaffale in bella vista, la copertina tanto
attesa che spiccava tra le altre. Senza perdere tempo
lo
portò alla cassa. La lunga fila non la scoraggiò:
avrebbe avuto tutto il tempo di gustarsi le prime pagine.
Leggere era meraviglioso. Era come vivere vite diverse,
sognare senza
limiti. Niente
avrebbe mai potuto toglierle quel piacere unico e
indispensabile.
«Il suo resto e lo scontrino.»
«Grazie.»
Bastò una parola per farle riconoscere il timbro
della voce.
Dalla cima della fila spuntò il ragazzo del giorno
precedente e di quello prima ancora. Lui la notò e - per la
prima volta - si fermò a guardarla.
Ami era sicura di essere sbigottita quanto lui, ma non
altrettanto divertita.
Il ragazzo sollevò in una mano il libro
acquistato, un gesto che le sembrò un saluto. Il motivo le
fu
chiaro solo quando scorse la copertina:
era il suo libro, quello che stava per comprare anche lei.
Lui sparì tra gli scaffali della libreria, diretto
verso l'uscita.
Lentamente, Ami venne invasa da una piccola
risata. Tornò ad aprire le pagine nel punto in cui
aveva tenuto il
segno,
ma continuò a voler ridere.
In fondo non la divertiva proprio la mancanza di silenzio
che aveva in testa? Se le sue amiche fossero state presenti,
intorno a lei vi
sarebbe stato tutto tranne che quiete.
Era come sentire le loro voci.
Oh, se al suo
posto ci fosse stata Minako, l'avrebbe già vista in
strada,
in piena rincorsa. Minako non si sarebbe lasciata
sfuggire una preda del genere, non
dopo tante succose
occasioni. Rei neppure, a pensarci bene; senza essere troppo
allusiva, anche lei avrebbe trovato
un modo per iniziare una conversazione casuale. Makoto... Makoto
avrebbe già
detto che quel ragazzo
assomigliava al senpai che era stato il suo primo amore. Somigliavano
tutti in un modo o nell'altro all'ormai leggendario senpai.
Le sue amiche sarebbero state spontanee nelle loro reazioni e
in
fondo lo era anche lei. Lei al massimo
guardava, tutt'al più considerava brevemente la
possibilità di qualcosa per cui non avrebbe certo
preso l'iniziativa. Ora aveva anche ottimi motivi per non prenderla mai.
Già, ricordò. Per lei tutte quelle
coincidenze non erano che un
enorme
spreco.
Eccola lì, che continuava ad incontrare l'esemplare
di sesso
maschile più bello che avesse mai visto dal vivo...
Arrossì. Tentò di frenarsi ma peggiorò
la situazione.
Si scosse. Insomma, eccola, mentre
continuava ad incontrare un ragazzo che frequentava
l'università
dei
suoi sogni, interessato allo studio, che leggeva i suoi stessi libri
e... non le serviva più incontrarlo.
Incupendosi, aggrottò la fronte e tornò
a leggere.
Giovedì.
Di pomeriggio uscì con le ragazze a fare shopping.
Non era la sua attività preferita, ma era sempre
divertente
girare per negozi assieme a loro. Finiva col provare maglioni dei
colori preferiti da Minako, minigonne consigliate da Makoto, camicette
scelte da Rei e accessori che Usagi non faceva che metterle in mano.
Quel giorno - come sempre quando usciva con loro - terminò
l'escursione nel quartiere commerciale con due nuovi acquisti, un
maglioncino azzurro e una bella gonna. Aveva smesso di tormentarsi per
averli presi nell'esatto momento in cui li aveva pagati. Non aveva
bisogno di nuovi vestiti, ma quelli le stavano davvero bene.
Seduta davanti ad una spremuta d'arancia, li rimirò
nei
sacchetti.
«Ami.»
«Hm?»
Appoggiata coi gomiti sul tavolo del locale in cui si erano
fermate,
Usagi le indicò l'entrata con un dito.
«Là
c'è
un
ragazzo che ti sta guardando.»
Ami si voltò immediatamente.
Era lui, sempre lo stesso ragazzo di quei giorni, in procinto
di andare via.
Dietro i suoi occhi Ami intravide una riflessione che si
sciolse in un
sorriso aperto. Lui la salutò con una mano alta.
Lei ricambiò senza pensarci e lo osservò
uscire
dal locale.
Quando tornò a girarsi verso il tavolo, scorse di
sfuggita
l'espressione esterrefatta di Minako. Guardò Rei per capire
ma non trovò aiuto, solo una sorpresa ancora più
grande. Makoto e Usagi erano nella stessa condizione.
«Cosa c'è?»
Makoto sbatté le palpebre. «Ami... Dove
hai
conosciuto quel tipo?»
«Non lo conosco. Ci siamo visti per caso
qualche
volta.»
«Visti?»
Il tono di Rei andò oltre la curiosità.
«Non ci ho neanche mai parlato.»
«Però ti ha salutata.»
Minako
aveva incrociato le braccia.
«Solo per essere gentile.»
Minako riportò in bocca la
cannuccia del drink analcolico. «Sai solo tu come fai a
rimanere tanto tranquilla.»
«In che senso?»
Rei roteò gli occhi verso il soffitto.
«Eppure sembrava
guarita
quando c'erano i Three Lights.»
Cosa c'entravano loro ora?
Usagi ridacchiò. «Ami, stanno solo
cercando di dire che
quel
ragazzo era veramente carino. Quasi
quanto Mamo-chan.»
Minako torturò la cannuccia.
«Per te sono tutti secondi a Mamo-chan.»
«Ehi, solo io posso chiamarlo
così!»
Makoto e Rei si unirono alla risatina di Minako ed Ami ne
approfittò
per tornare a sorseggiare la sua spremuta.
Non aveva voglia di parlare di ragazzi. Di quello in
particolare.
Un colpo al tavolo la fece sussultare: Minako vi aveva
sbattuto sopra
i pugni.
«Ami, riprenditi! Quando
una ragazza si trova davanti uno straniero bello come quello, almeno un
po' si
sconvolge.»
Scusate.
Il timbro grave della voce di lui le
risuonò
nella mente. «Parla
giapponese.»
Gli occhi di Minako divennero fessure. «Non avevi
detto di
non averci
mai parlato?»
Il tono accusatorio la fece sorridere. «L'ho solo
sentito
parlare.»
Minako abbandonò la testa contro il tavolo.
«Ci
rinuncio. Lei non lo cerca neanche e se ne becca uno così,
mentre noi che passiamo a setaccio la
città non troviamo uno straccio di fidanzato.»
«Non siamo fidanzati.»
«Sappi solo che se dovesse succedere...»
Minako le mostrò un dito ammonitore, «dovrei
eliminarti, Ami. Sarebbe
chiaro che sei concorrenza pericolosa.»
Le uscì una risata. Minako le faceva quell'effetto.
La sua allegria, il suo
entusiasmo... lei sognava ancora di trovare
l'amore.
Era bello vedere quel tipo di sogni riflessi negli occhi di
qualcuno a
cui voleva bene. In sé erano vita, speranza.
Ami non
voleva distruggerli. Parlando dei
suoi timori con le altre lo avrebbe fatto. Se loro non si erano mai
preoccupate del futuro, non aveva senso rovinare la loro
felicità.
Volle rassicurare Minako. «Non ti
preoccupare.»
Venerdì.
Dopo le lezioni scelse di fare un giro per il parco prima di
tornare a
casa.
Il parco era pace. Lei adorava la pace, la meraviglia della
natura che,
nella sua infinita complessità, trovava un equilibrio
costante,
un'armonia, un ordine.
Passando sopra un piccolo ponte, si fermò a
contemplare
alcune anatre che, tranquille, nuotavano nel laghetto sottostante.
I colori delle loro penne erano simili, anche se con
gradazioni e
dimensioni delle macchie lievemente differenti. Forse se si
fossero potuti
intabulare quei dati sarebbero venute fuori le gradazioni di
colore più diffuse con relative misurazioni. Era probabile
che i dati fossero distribuiti secondo una curva... normale?
Riportò alla mente un
passaggio di teoria statistica e si
rese conto che una distribuzione T di student avrebbe fatto
maggiormente al caso suo.
Venne distratta da una figura che correva, che si avvicinava.
Non riuscì a credere ai suoi occhi.
Il ragazzo di quei giorni, in tuta da jogging, stava avanzando
verso di lei. Lui la notò e si stampò in faccia
un'espressione stupita, l'ennesima.
Ami si attese di nuovo un saluto divertito, ma questa volta
lui non passò
oltre. Rallentò invece, fino a fermarsi a pochi passi da
lei. La osservò con quello strano paio di occhi chiari, un
contorno
scuro attorno a iridi azzurre che
sfociavano nel verde. Mare tropicale, assolate spiagge da cartolina.
«Sai...» Lui
accarezzò con un sorriso la parola. «Forse
se ci
presentiamo smetteremo di incontrarci.»
Le sfuggiva la logica dell'affermazione. E non le piaceva
quella vicinanza tra loro, quell'incontro.
Come se gli avesse
chiesto di chiarire, lui continuò. «Sono cinque
giorni di seguito che
ci incontriamo. Tu non stai seguendo me né io sto
seguendo te. Se il caso ha deciso che dobbiamo conoscerci, tanto
vale accontentarlo.»
«Il caso è un insieme non ordinato di
eventi. Non credo c'entri.» Alle sue stesse orecchie la
risposta
trasudò acidità.
Stranamente, a lui sembrò interessare.
«Mi chiamo Alexander Foster.»
Che bisogno aveva di presentarsi?
Non le lasciava neppure scelta: non ricambiare col proprio
nome sarebbe
stato maleducato. «Ami Mizuno.»
Lui annuì e... non disse altro. Nulla.
Lentamente, lo scorrere dei secondi cominciò a
farsi pesante.
Sembrava una sfida sottile, un invito a parlare per prima. Per
farsi
avanti?
Sarebbe rimasto deluso.
Gli uscì un sorriso consapevole. «Non lo
chiedi?»
Hm?
«Perché parlo giapponese.»
«Suppongo che tu sia cresciuto qui, lo parli bene.
Comunque
è
una domanda personale.»
«È vero. Però mi viene posta
con una certa requenza da
completi
estranei.»
Come se a tutti dovesse interessare conoscere la sua vita
privata. Ami
preferì evitare di commentare e scelse la stessa soluzione
che aveva adottato lui: il silenzio.
Affinché cogliesse il messaggio, lasciò
vagare lo
sguardo, sperando che presto se ne andasse.
Trascorsero lunghi istanti, ma lui persistette a restare fermo
su un lato
del
suo campo visivo, immobile, in un posa che non trasmetteva un grammo di
disagio. Iniziò a percepirlo lei: era sotto osservazione,
valutata. Una qualunque reazione diversa dall'indifferenza sarebbe
parsa una debolezza perciò, per distrarsi e mantenere la
calma, focalizzò l'attenzione sulla distesa d'acqua
dietro di lui. Era blu scuro, con una soffusa tonalità
grigia. Acque
invernali, spente. Belle.
La pervase una sensazione di quiete. L'acqua
era proprio il suo elemento.
«You
are quite
the strangest girl...»
Tornò alla realtà. Che bisogno
c'era di parlare in inglese? «Ti capisco bene. Non
è gentile.»
Nella sorpresa di lui non vi fu neppure un pizzico di
vergogna.
«Già, il libro era in lingua
originale.» Piegò le labbra in un sorriso da cui
era sparito il desiderio di giocare.
«Quello che ho detto non
voleva avere un'accezione negativa. Pensavo che sei molto strana solo
perché non riesco a definirti e normalmente...»
fece una pausa, «non mi
è
difficile. Comunque scusa.»
Lei si limitò ad annuire, cercando di non prestare
attenzione alla serietà del suo tono.
Lui studiò la sua espressione per un altro lungo
momento. «Allora... è stato un
piacere conoscerti, Mizuno-san.»
«Sì»
fu l'unica cosa che le uscì dalla bocca.
Lui riprese a correre e in pochi secondi fu lontano.
Lei rimase immobile.
Era come se fosse appena terminata una strana commedia.
Avrebbe voluto trovarla divertente, ma non le riuscì.
Non ha senso,
pensò. Non
aveva alcun senso che continuasse ad incontrare quel ragazzo. Non che
la
sua irritazione fosse più logica: lui si
era solo presentato, non le aveva certo fatto chissà
quale avance. Non c'era alcuna ragione per collegare quei loro incontri
alla
possibilità di ...
Già, ammise a se stessa. L'unica ragione risiedeva
nella sua testa: lui le
piaceva.
Le piaceva a quel livello superficiale che portava le persone
a voler
conoscere meglio l'oggetto del loro interesse. Non era solo il suo
aspetto. C'era qualcosa nel modo in cui si poneva, nel
modo in cui parlava, che... che...
Qualunque cosa fosse, non aveva
senso esplorarla. Era meglio per tutti che non succedesse mai niente
tra loro.
Non aveva senso neppure considerare cosa fosse meglio fare:
siccome non
esisteva alcun
fato, lei non avrebbe mai più incontrato quel tipo.
Lanciò un'ultima occhiata alle anatre e si
allontanò dal ponte, con calma.
Sabato.
A mezzogiorno andò all'ospedale a pranzare
assieme
a sua
madre.
Durante quella settimana si erano viste poco.
Riflettendoci, era una situazione
frequente. Era stata lei stessa a proporre
quell'incontro, nel tentativo di rimediare a quella
mancanza. La proposta aveva strappato un sorriso a sua madre; per via
degli
impegni di entrambe, non pranzavano quasi mai insieme.
Sì, si disse Ami. Era ora di iniziare a trascorrere
più tempo con la sua cara mamma. E avrebbe
scritto a suo padre, magari sarebbe andata a trovarlo -
per stare qualche giorno anche con lui - durante le vacanze
che
sarebbero
venute.
Era un buon piano.
Uscendo dall'ufficio di sua madre decise di approfittare della
bellezza del parco che circondava l'ospedale. Era una
piccola oasi ben curata, pensata per il riposo della mente e del corpo.
Accanto alla panchina a cui si avvicinò ne trovò
un'altra molto più
piccola e buffa, a
misura di bambino. In preda a un
istinto
giocoso, vi si sedette sopra. Accucciata, si
sentì a suo modo un gigante. La sediolina di
legno le impediva di piegare le gambe e le permetteva di toccare il
terreno con le mani, eppure... era divertente stare lì,
quasi come se avesse la metà dei suoi anni.
Tirò fuori dallo zainetto il libro che si era
portata
dietro. Aveva terminato in un solo giorno la lettura del romanzo
acquistato quello stesso mercoledì, ed era stata costretta a
mettere in borsa un evergreen della sua biblioteca, un testo che non si
sarebbe mai stancata di leggere.
Sul marciapiede risuonò un rumore di passi.
Ne udì tre - solo tre - ma seppe comunque chi era.
Non lo guardò, ma le gambe di lui si fermarono
davanti ai
suoi occhi.
«Non è possibile»
lo sentì dire.
La risata quasi la offese.
Il suo silenzio doveva aver comunicato il suo disappunto,
perché lui tossicchiò, a disagio.
Ami sollevò gli occhi. Lui era uguale al giorno
prima - ovvero una specie di tortura costruita
su
misura per lei, pensata per tormentarla col pensiero di una tentazione
irraggiungibile, amara proprio per quella ragione.
Il ragazzo lanciò un'occhiata verso la struttura
dell'ospedale. «Non sei fuori dal pronto soccorso
perché qualcuno che
conosci
si è fatto male, vero?»
«No. Mia madre lavora qui, sono venuta
a trovarla.» Avrebbe dato meno
spiegazioni se lui non le fosse parso preoccupato.
«Io sono qui
perché un mio conoscente si è
rotto un
braccio. Gli stavo tenendo compagnia.»
Il commento più indicato le sembrò un
cenno
affermativo del capo, noncurante.
Lui inclinò la testa e concentrò lo
sguardo su di
lei. «Vieni spesso a
pranzare in questo posto?»
Che domanda era? «No, mai.»
«Allora oggi ci siamo incontrati in luoghi che non
frequentiamo
in nessun altro momento. È la sesta volta di seguito... Pare
che il
caso cominci ad
assumere un ordine.»
Il riferimento alle sue parole del giorno prima era palese.
«Non c'è nessun ordine.»
Il tono piccato non lo scoraggiò.
«Probabilmente no, tuttavia, giusto per coprire ogni
possibilità... Sono al primo anno di fisica alla
Todai.»
Eh?
«Se ora mi dici anche tu dove studi, potremo
eliminare la
variabile casuale dai nostri incontri. È un
ragionamento privo di basi sensate, ma, se avremo qualche strumento
per
ritrovarci, non servirà più il caso per farci
incontrare.
Diventerà una nostra decisione.»
Decidere di incontrarlo nuovamente? Lei voleva tutto il
contrario.
Lui la studiò. «Intendevo dire che
potremmo anche
decidere di non incontrarci
mai più.»
«Sono al secondo anno, istituto Azabu.»
Per un
momento si pentì di aver risposto tanto in fretta, ma la
possibilità
di porre fine alla conversazione ke era parsa improvvisamente vicina.
Lui
- Alexander - annuì di nuovo. Rilasciò uno
sbuffo, per metà divertito, per metà rassegnato e
si chinò un poco.
«Visto che è l'ultima volta che ci
vediamo,
vorrei
saperlo: detesti l'idea di incontrarmi di nuovo, è chiaro.
È per qualcosa che ho
fatto?»
Ami si vergognò come una ladra. Lui
non aveva nessuna colpa dei suoi pensieri: fargli capire che non
vedeva l'ora di sbarazzarsi della sua presenza era estremamente
sgarbato. Non aveva mai
trattato così male una persona. Prima di lui,
d'altronde, non le era mai capitato di
desiderare - anche solo un poco - una cosa che non avrebbe mai
potuto avere. Non prima di qualche secolo, almeno.
«Volevo scusarmi, se era stato
così.» Il ragazzo sembrava rassegnato.
«Ma se
non vuoi
rispondere, non ha importanza.»
Ami si
decise a riprendere un minimo di controllo. Inspirò aria
pulita e un po' di buon senso. «Scusami per
averti
trattato male.
Non dipendeva da te.»
No, lui non
aveva proprio colpa se, oramai, l'unica cosa che lei era in grado di
mostrare ad un ragazzo che le interessava era quanto le desse
fastidio
averlo intorno.
«È un periodo...» Le
mancò la forza per terminare. Si dedicò
a guardare l'erba e inspirò
profondamente, sconsolatamente, nel tentativo di mandare
via la
sensazione da cui veniva invasa ogni volta che lo
vedeva. Rammarico.
Con la coda dell'occhio vide la gamba di lui che si muoveva -
non per andare via, ma per avvicinarsi di un passo.
Cercò di raccogliere il coraggio di salutarlo, ma
quello che vide nei suoi occhi le provocò una stretta al
cuore.
Pietà. Compassione.
Ora era questo
che provocava negli altri, solo a guardarla? Se solo lui avesse saputo
quanto era gravoso il futuro che l'aspettava, l'avrebbe compatita
ancora di più.
Incontrò la verità in quel modo.
Lei... si compativa. Da sola.
Fu un singolo momento di incredibile chiarezza - non voluto,
pesante,
opprimente. Minacciò di scoppiarle nel petto e tutto
quello che lei riuscì a fare fu rimettere il libro nella
borsa, agitandosi.
Doveva andare via da lì.
Le arrivò alle orecchie il suono di uno strappo.
Prima che fosse riuscita ad alzarsi, si ritrovò il
ragazzo
di
fronte, inginocchiato a due passi di distanza. Lui le stava offrendo
una...
margherita?
«Non c'era niente di meglio in giro, ma è
sempre
un fiore.»
Glielo porse, sfiorandole il dorso delle dita coi petali.
«Per te.»
La sua mano si girò da sola. Il fiore le
finì sul palmo, bianco e leggero, sottile. Prezioso.
Il vento minacciò di farlo volare via ed Ami lo
chiuse nel
pugno.
Non era altro che un fiore strappato all'erba,
solo una
margherita
di campo. Eppure... Lo accarezzò coi polpastrelli. Eppure
era
fonte di un piacevole calore. Era la volontà di una
persona di
farla stare meglio, di aiutarla.
Che cosa carina.
Prese
la margherita tra il pollice e l'indice, facendola roteare su se
stessa.
Il primo fiore che avesse mai ricevuto in dono, regalato da un
ragazzo
che le piaceva.
Che cosa scioccamente romantica.
Il suo cuore iniziò a battere un po'
più forte e fu
così... bello. Era talmente bello sapere che poteva
succedere anche a lei. Quella sensazione poteva appartenerle
già nel presente, non
solo in un futuro
lontano decenni, o secoli. Per quell'avvenire non era cambiato niente,
ma dal nulla, in un giorno
qualunque, le era capitato di provare una sensazione tanto dolce
ed era meraviglioso.
In quel momento il fiore le sembrò
il miglior regalo che avesse mai ricevuto.
«Grazie.» Riuscì a staccare lo
sguardo
dalla margherita.
Nel viso di lui incontrò un'espressione strana,
molto intensa.
Nel suo stomaco volarono farfalle.
Il ragazzo si tese e si alzò.
«È solo un
fiore. Ma se
è bastato a farti stare meglio, allora hai la forza di
superare qualunque problema tu stia avendo.» Lui
provò a scrollare le spalle, un movimento che non
terminò. «Devo andare. Continua a
stare allegra, Ami Mizuno, ti si addice davvero.»
Da quel giorno Ami smise di incontrarlo.
Domenica non lo vide.
Lunedì neanche.
Martedì no.
Mercoledì neppure.
Giovedì uscì per quasi tutto il giorno -
non per
poterlo incontrare, no. Ottenne come unico risultato quello di tornare
a casa tardi.
Poi... smise.
Smise di voltare la testa ogni volta che le sembrava di
intravedere una capigliatura più chiara.
Incontrare quel ragazzo era stato ciò di cui aveva
bisogno.
Fino al giorno in cui avevano parlato non si era
accorta
di essersi nascosta una verità importante: non aveva mai
compreso realmente cosa le facessero provare le conclusioni
a cui era arrivata sul proprio futuro. Si era rifiutata di
esplorare le
sensazioni che avevano iniziato a risiedere dentro di lei. In parte
inconsciamente, in parte no.
In fondo non era bello sapere che, se
fosse stato
il destino di qualcun altro,
lei stessa avrebbe provato genuina compassione per quella sorte.
Compassione.
Pietà.
Aveva provato quei sentimenti pensando all'avvenire che
l'attendeva.
Aveva sbagliato. Era sbagliato focalizzarsi su cose
che potevano non accadere.
Forse sarebbero accadute. Molto
probabilmente sì. Ma nel frattempo, in un giorno qualunque,
poteva succederle...
qualunque cosa. Incontrare quel ragazzo era servito a ricordarle
quell'unico ma
importante fatto:
c'era speranza ogni giorno. La speranza di cose inaspettate.
Rivederlo, tuttavia, non sarebbe stata una di queste. Se ne
convinse
col passare dei giorni.
Va bene
così.
Per il giovedì successivo la sua vita era tornata
alla
normalità.
Almeno fino a quando non lo rivide di nuovo, in
piedi, davanti all'ingresso della
sua
scuola.
CONTINUA ...
Nuove note:
spero che la storia sia piaciuta a chi la sta leggendo, sia per la
prima volta che dopo la revisione.
Questa coppia mi è particolarmente gradita tra
quelle che ho
inventato, essendo Alexander il primo personaggio originale da me
concepito. Ogni parola su di lui e questa fanfiction perciò
sono sempre graditissime!
Elle
Note della prima stesura, le lascio soprattutto per ricordo.
- alla faccia della one-shot :) Probabilmente sarà
una
storia in tre parti. Non ce la facevo davvero a farci stare tutto in un
solo capitolo, per quanto lungo. Credo che ciò abbia molto a
che fare col nuovo personaggio che ho creato: penso che sia necessario
dare un buon background, far capire il carattere di un personaggio
perchè i lettori lo capiscano/comprendano davvero. Non
volevo farlo in un paragrafo, magari dicendo cose di lui che invece
avrei potuto più efficacemente mostrare; ma questo appunto
richiede più spazio
- anche questa storia, come già 'L'indole del
fuoco', si
inserisce nella linea che ho creato con 'Oltre le stellÈ. Ma
non
è necessario aver letto quella storia per capire, dato che
le informazioni necessarie le ripeto qui.
- la trama dietro questa storia dedicata ad Ami rispecchia un
po' di
più la versione manga della storia di Sailor Moon: nel manga
non c'è stata nessuna glaciazione e il regno di cui Usagi
è sovrana è durato appunto per molti secoli.
Nella versione manga Chibiusa ha in effetti più di novecento
anni, quindi non è una bambina normale.
- senpai (significato): compagno di scuola più
grande
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Acqua viva
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Quando udì
delle voci femminili che si avvicinavano, Alexander
alzò brevemente lo sguardo.
Nelle tre ragazze che uscirono dalla scuola non scorse
né
capelli
né occhi blu, perciò tornò a leggere
il suo libro. Pochi secondi dopo, lo raggiunsero i loro mormorii divertiti. Passandogli
accanto le ragazze cercarono di moderare il volume delle risatine.
Lui evitò di scuotere la testa.
Almeno avevano tenuto bassa
la
voce. Nelle due ore passate, non molte altre persone avevano avuto la
stessa attenzione.
Ci era abituato, ma non c'era nulla come un istituto superiore che lo
riportasse dritto dritto in un universo fatto di giudizi facili e
persone da inquadrare ad ogni costo in uno schema. Per gli studenti di
quella scuola, ad una prima occhiata, lui era solo un gaijin, uno
straniero che non poteva capire una sola parola di giapponese. Capelli
castano chiaro, occhi azzurri e molto più alto della
media locale: quella era la sua natura e, in alcuni casi, la sua
dannazione. Da quando aveva smesso di essere uno studente, abbandonando l'uniforme scolastica d'ordinanza, non c'era stato
più nulla
che
non lo facesse passare automaticamente per un turista.
Girò la copertina del libro che teneva in mano.
Era
persino abituato a leggere in inglese. Non aiutava
la propria
causa.
Non disdegnava
la narrativa giapponese, ma forse in quel campo
più che in altri si faceva sentire forte il richiamo delle
sue
origini anglosassoni.
Squillò il telefono che portava
dentro la giacca.
Quell'apparecchio non
gli
piaceva molto: era ancora troppo costoso per essere un oggetto di uso
comune
e le uniche persone con cui poteva
comunicare erano i suoi genitori. Oltre naturalmente a... Premette
il
pulsante di risposta e portò il telefono all'orecchio.
«Ciao Nanny
Shoko.»
«Ciao Alex. Torni a casa per cena, oggi?»
«Sì.»
«C'è qualcosa che preferiresti mangiare? Tua madre
mi ha
chiesto di domandartelo.»
Lui ne immaginò il motivo. «È un tentativo di
farmi
digerire meglio
una cena tra amici?»
Gli amici di lei erano sempre gente nuova e
conosciuta da poco.
«... sì.»
Col tono Nanny Shoko si scusava per colpe altrui. Come se potesse
farci qualcosa.
Lui fu tentato di dirle che preferiva
mangiare fuori, ma - rifletté - lo aveva già
fatto
per quasi tutto il resto della settimana, tra studio e momenti
di svago. Per quanto lo infastidisse dover condividere
un momento di tranquillità con persone
semisconosciute, sua madre era sempre particolarmente felice quando era presente anche lui alle sue
cene. L'ultima
volta che l'aveva accontentata era stato... Fece mente locale. Diverso tempo prima. Non
ricordava
nemmeno quando.
Diavolo. «Vorrei del
riso, carne
rossa e insalata. Ma se tu hai troppo da fare, posso-»
«Non sono mai troppo occupata per il mio ragazzo.»
A ragazzo
si sarebbe potuto sostituire bambino.
Nanny Shoko adorava prendersi cura di lui e non faceva niente per
nasconderlo.
«Va bene. Ci
vediamo dopo.»
«A stasera.»
Lui chiuse la comunicazione e rimase ad osservare la scritta
visualizzata sul display del telefono portatile.
Nanny Shoko.
Forse non poteva aspettarsi che lei lo
considerasse un
adulto, se continuava a chiamarla in quel modo.
Quell'appellativo però
le piaceva, no? Shoko Kaiba si era affezionata al
termine inglese sin dalla prima volta che glielo aveva sentito in bocca
e ne aveva incoraggiato l'uso. Lui,
bambino di sei anni lasciato per la maggior parte del tempo da
solo con lei, aveva imparato a chiamarla così. E a
volerle
bene.
Nanny Shoko era stata una madre per lui quasi più della sua
stessa
madre. I figli di lei a volte gli erano
sembrati i fratelli che non
aveva mai avuto.
Gli sarebbe potuta andare molto peggio, lo sapeva. Stranamente,
i suoi
genitori avevano dimostrato
una singolare capacità di giudizio nella scelta della sua prima e unica tata giapponese. Non che
non l'avessero, in altri campi: la sua irresponsabile madre
sapeva tutto sulla moda e su come organizzare party.
Suo padre, invincibile
stacanovista, conosceva i suoi consigli di amministrazione ancora
meglio delle macchine che amava collezionare. Pur nei loro evidenti
difetti, erano entrambi persone a posto, persino
affabili
e divertenti quando volevano, per quanto la descrizione si adattasse
maggiormente a sua madre.
Suo padre era divertente solo quando abbassava la guardia; accadeva sempre in momenti rari.
Suo padre e
sua madre, in un
modo
che gli risultava incomprensibile,
funzionavano come coppia.
In qualunque modo la si volesse vedere, una cosa era
certa: non erano mai state persone
destinate a diventare bravi genitori. Negli
anni lui lo aveva
più
volte percepito, e riteneva fosse normale provare una certa acrimonia nei loro confronti, un poco di risentimento che usciva
soprattutto quando litigava con loro.
Per fortuna, da quando era
diventato grande, la relazione coi suoi genitori aveva
preso una piega
migliore: Michael e Eve Foster non erano mai stati bravi a
dialogare con
un bambino - o con un adolescente in fase di ribellione - ma
una
persona adulta la potevano capire.
Il legame che lui aveva costruito in quegli anni con loro
non
sarebbe mai
potuto esistere
se Nanny Shoko non fosse entrata nelle loro vite. Chi altro avrebbe
osato dire a suo padre che doveva interessarsi di più di lui? E
se non ci fosse stata Nanny Shoko, sua madre non avrebbe mai imparato a
farsi rispettare come genitore. E lui... Lui sarebbe rimasto convinto a
vita di non meritare l'attenzione di nessuno, visto che i suoi genitori
- sponteneamente - non erano capaci di dargliela. Sua madre lo adorava,
ma quando si trattava di parlare tra loro la sua attenzione vagava
rapida. I bambini l'avevano messa a disagio, in fondo ancora la
annoiavano. Suo padre era più drastico: lo annoiavano le
persone, a meno che non dovesse farci affari. Se ascoltava suo
figlio a cena - se era presente a cena - era già un successo.
Aveva pensato Nanny Shoko a rimetterli in riga il più possibile,
e senza farsi licenziare. Vedere che lei riusciva a rimproverarli -
senza farlo davvero, poiché Shoko Kaiba era sottile e furba
- aveva insegnato ad Alexander che non era lui ad essere
sbagliato, ma i suoi genitori - gli atteggiamenti che tenevano nei suoi
confronti, almeno, quando lo ignoravano. Shoko aveva insegnato a tutti
ad essere una famiglia, e aveva gestito i loro orari - e i loro
incontri - in maniera perfetta per molti anni.
Non era forse per le sue abilità che continuava a
lavorare in casa loro? Lui non aveva più bisogno di una
tata da tempo. Come governante lei si era dimostrata altrettanto
brava e lui
era
stato felice del nuovo ruolo che aveva permesso a Nanny Shoko di
rimanere con loro, in sostituzione della vecchia governante
che era
andata in pensione. La signora Ichigo poi non gli era mai stata
particolarmente simpatica.
Dall'edificio scolastico stava uscendo un altro
gruppo
di studenti, questa volta tutti maschi.
Alexander non si disturbò
nemmeno
a guardarli, ma loro guardarono e commentarono lui.
Cosa ci fa uno straniero
qui?
Magari
è venuto a trovare qualcuno.
Zitto che ti sente.
Tanto
non
capisce.
Anche
uno straniero capisce che parli di lui se lo guardi.
Corretto. Il resto erano affari suoi.
Era in momenti come quello che gli mancavano i
vantaggi di un anonimo aspetto giapponese. In passato non aveva mancato
di desiderarne uno, di tanto in tanto. Ma, dal momento che la
genetica non era
un'opinione,
da una madre
ex-modella americana e da un padre inglese poteva uscire solo qualcosa
che in un paese come il Giappone sarebbe stato tutt'altro
che
anonimo.
Guardò il cielo.
Volendo, avrebbe potuto tentare di stimare il
grado della sua mancanza
di anonimato. Se prendeva come campione gli studenti della
scuola e il
numero di persone che, fin dal termine delle lezioni, avevano
sentito il
bisogno di commentarlo passando dall'uscita, forse
sarebbe venuta fuori una misura del potenziale disturbo che poteva
trovare in una folla di persone.
Ci pensò su.
No, concluse: oltre al fatto che non aveva certo perso tempo a contare
chi lo
aveva commentato, i risultati non sarebbero
stati significativi. Il campione si limitava agli studenti di un
istituto
superiore, non rappresentava una generica popolazione. Inoltre, non
tutti gli studenti lo avevano visto, passando dall'uscita; la massa di
persone lo aveva impedito.
Trattenne un sorriso sarcastico. Ridicolo.
Lanciò un'occhiata all'orologio. Non aveva davvero nulla da
fare
se iniziava a elaborare idee come quella. Riflettere sulla propria popolarità era... penoso.
Guardò la scuola.
In quel senso le superiori erano state l'ambiente peggiore per lui, il
posto in cui aveva dato il peggio di sé.
Il problema però era cominciato prima. Già alle elementari era
stato vittima della
mania giapponese di
ricercare qualcuno che esemplificasse un ideale di
perfezione, un esempio a cui guardare. Erano fissati. Fra i suoi
compagni di classe
quell'ideale era stato lui, un ruolo che non aveva chiesto
né cercato - all'inizio. A garantirglielo automaticamente erano
bastati
un carattere non proprio socievole e una serie di voti senza
imperfezioni. Suonava come il cliché di un anime, ma per un po'
aveva indossato proprio quell'immagine. Gli era piaciuto sentirsi
importante, e aveva scoperto che era molto facile grazie al suo aspetto.
Somigliava a
sua madre e sapeva che, da un punto di vista oggettivo,
il suo era considerato un aspetto eccezionale. Da un punto di vista
soggettivo, a lui la sua faccia piaceva principalmente
perché
era sua da diciannove anni.
La parte di sé a cui aveva sempre
dato
maggiore importanza, per fortuna, era quella che era
prevalsa fin da
quando aveva cominciato a capire il mondo: amava leggere, imparare,
pensare e ragionare più di ogni altra cosa. Nessun ragazzino
della sua età era stato al passo con quegli interessi.
A lungo, con rare e ben accolte eccezioni come il suo amico
Yamato, Alexander aveva segretamente giudicato gli altri inferiori a lui. Nanny
Shoko
non aveva mancato di rimproverarlo per quella sua superbia, ottenendo
un
successo a metà. La considerazione che
aveva avuto degli altri non era aumentata nel tempo proprio per colpa
loro, si era detto, per il modo in cui lo trattavano. Si ponevano da
soli in
condizioni d'inferiorità, poiché per primi
lo giudicavano
superiore a loro, idolatrandolo i ragazzi e adorandolo le ragazze.
Dopo anni di quel trattamento, alle superiori aveva smesso di avere
troppo riguardo per loro. Coi ragazzi quasi non aveva quasi parlato e si era
divertito apertamente ad ignorare i più stupidi. Con le
ragazze... per
circa un anno si era approfittato continuamente della loro pressante
attenzione. Gli erano bastati pochi giorni - al massimo un paio di
settimane - per arrivare a pensare di una singola ragazza che era
troppo noiosa, o non sufficientemente sveglia. La mollava puntualmente per trovarne un'altra e far ripartire
il ciclo
daccapo, continuando a sperimentare. Era stato
divertente, lo
aveva fatto sentire cresciuto.
Non si portava dietro troppi rimorsi di coscienza solo
perché era sempre
rimasto un gioco con tutte, se n'era assicurato.
La somma dei suoi errori era riuscita a farlo arrivare a una conclusione
interessante. Forse, aveva capito, il meno sveglio di tutti era proprio lui nella sua arroganza.
Era ancora arrogante. Ma uscire
dalle superiori lo aveva aiutato a diventare una persona nuova.
All'università, in un ambiente pieno di studenti stranieri e
persone interessate a studiare e crescere, lui aveva trovato il
suo
posto, il suo mondo.
Non era passato neppure un anno, ma la sua vita era seriamente
migliorata. A descriverla, l'avrebbe definita una griglia di partenza
su cui continuava ad allenarsi, pronto a correre per sfidare gli altri
e se stesso. Si era accorto che c'erano cose che ancora non sapeva
della vita - incredibile - e la sua nuova umiltà gli aveva dato
immensa soddisfazione. Non aveva senso vivere senza aspirare ad
imparare ancora.
Osservò l'edificio davanti a sé.
No, non gli mancavano gli anni delle superiori, per fortuna erano passati e finiti.
Tornò a controllare l'orologio.
Se il libro si fosse rivelato meno ripetitivo, avrebbe potuto passare il
tempo a concentrarsi su quello invece che sui propri pensieri.
Continuare in quel modo si prospettava noioso, ma da
lì
non se ne sarebbe andato. Non poteva aver scelto proprio un giorno in cui lei si era assentata da
scuola, no?
Ami
Mizuno doveva essere ancora impegnata nelle
attività di
club; lui la immaginava ligia anche a quel tipo di doveri. Per non
correre il rischio di mancarla nel caso si fosse sbagliato, era
arrivato davanti alla scuola appena prima del termine delle lezioni.
Un'ossessione che durava da più di una settimana - si era
detton - meritava di
essere esplorata.
Nei giorni successivi al loro ultimo incontro si era
aspettato di rivederla di nuovo per caso, come era successo tutte le
altre volte. Aveva finito col guardarsi spesso intorno, alla ricerca di
quei capelli corti, nero che virava sul blu. Ad un certo punto aveva smesso di
proposito di cercarla: in precedenza lei era sempre entrata
spontaneamente nel suo campo visivo, quindi la strategia migliore era aspettare.
Aveva atteso inutilmente: il suo ragionamento, a quanto pareva, aveva decifrato la
volontà del destino. Un'assurdità, ma era
accaduto veramente: avevano smesso di vedersi senza cercarsi,
di ritrovarsi negli stessi luoghi senza volerlo.
Per qualche giorno aveva cercato di convincersi che fosse meglio
così. Ami Mizuno aveva detestato incontrarlo.
Magari, aveva pensato,
lei aveva
associato la
sua presenza a qualcosa di poco piacevole che le stava capitando; era
l'unica spiegazione che era riuscito a darsi. L'espressione dell'ultimo
giorno, lo sguardo rassegnato e quasi vuoto, parlava di problemi non
indifferenti. Era
stato come vedere un uccello che aveva perso
le ali, o qualcosa che in natura non sarebbe dovuto esistere.
Lei doveva aver percepito parte dei suoi pensieri dal modo in cui
lui l'aveva guardata; non si era curato di nasconderli. In seguito si
era reso conto che avrebbe dovuto. Il vuoto che Mizuno gli aveva mostrato
si era
rapidamente trasformato in disperazione, in una
tristezza che lui non ricordava di aver mai visto in faccia a nessuno.
Aveva
sentito l'impulso di porre fine a quello che aveva causato. Gli era
sembrata una buona idea prendere una delle margherite che crescevano
lì accanto. Aveva cercato di farlo passare per un gesto
divertente,
forse persino romantico. Aveva solo desiderato farla stare meglio.
Poi Ami Mizuno aveva sorriso - come lui non aveva mai, mai visto sorridere
qualcuno
in tutta la sua vita. Era stato il sorriso più... tutto che avesse
mai visto.
Pensato per il fiore, rivolto al fiore.
Non era stata per lui quell'espressione, era nata per quello che aveva
fatto. Doveva aver significato qualcosa.
Se fosse rimasto con lei quel sabato, forse ora lo avrebbe
già scoperto.
Era
dovuto andare via per non saltare un incontro, seppur
informale, con una
persona che avrebbe potuto offrirgli un lavoro estivo per il prossimo
anno. Allora non era sembrata una buona idea mancare. Col passare
dei giorni, invece, era parso sempre più un grande errore. Se ne
era
andato
convinto di poterla rivedere, era la sua unica attenuante. Si era
aspettato di
incontrarla di nuovo ogni singolo giorno, da lunedì a domenica,
e poi per tutta la settimana che era seguita.
Siccome non era accaduto, era lì per
seguire il
suo
stesso consiglio e utilizzare l'informazione che aveva ricavato da lei
per rivederla.
Sbatté le palpebre.
Guardava davanti a sé da interi minuti, ma solo ora era
apparso qualcuno nello spiazzo della scuola. Era Ami Mizuno, con la testa china a leggere un libro mentre camminava
piano verso l'uscita della
scuola.
... come avrebbe potuto iniziare il discorso?
Valutò diverse opzioni, ma nessuna gli sembrò
adatta. Aveva tentato di sorriderle il giorno che si erano parlati sul
ponte; funzionava sempre, ma non era servito a ottenere da lei neppure un grammo di benevolenza.
Forse doveva semplicemente lasciarla in pace. Non era
nemmeno detto che avesse ben interpretato la reazione dell'ultima
volta, la scintilla d'interesse finale.
Aggrottò
la fronte.
Da quando si poneva dubbi simili? Stare lontano dalle relazioni gli aveva fatto male: Ami Mizuno era solo una
ragazza, certo che sarebbe riuscito a convincerla ad
uscire con lui.
Bastava insistere un po'.
No?
Parlarci era l'unico modo per saperlo.
«Ciao.»
La voce di lui entrò nelle sue orecchie come una
scossa.
Ami alzò lo sguardo.
Ed eccolo lì, a pochi metri da lei, appoggiato con
noncuranza contro la barriera di protezione del marciapiede. Aveva un libro
in mano, la giacca scamosciata aperta, i capelli mossi dal vento, gli
occhi chiari concentrati. Su di lei.
Le mancò il respiro. Quando riuscì a
riportarlo dentro il petto, fu
l'istinto a scegliere la sua prima espressione.
Sorrise. «...
ciao.»
Nello sguardo di lui passò una corrente di... sollievo?
Lasciò spazio ad una massiccia dose di sicurezza.
«Il caso non c'entra questa volta.»
Oh, era venuto lì apposta. Apposta? «Come facevi a
sapere
che sarei uscita a quest'ora?»
«Non lo sapevo. Sto aspettando dalla fine delle
lezioni.»
Dalla fine delle lezioni? Da più di due ore.
Si disse subito di smetterla. Non doveva arrossire.
Si morse le labbra. «Ho
il... club di
informatica.»
Lui sorrise un poco, come se la reazione di lei fosse insieme naturale
e gradita. «Immaginavo che frequentassi un club,
ma non volendo
rischiare... La sorte non ci ha più aiutato.»
Era venuto davvero a cercarla. «...
no.»
«Come ti avevo detto, credo che toccasse a noi decidere. Vorrei
conoscerti
meglio, Ami, se sei d'accordo.»
No, non era d'accordo. Non poteva portare a niente di buono.
Aprì la bocca. «Sì.»
Inorridì. Cosa stava facendo?
La risposta non lo aveva sorpreso. Con lo sguardo lui la studiava come se sapesse già cosa le passava per la testa.
«Non ho bisogno di sapere cosa ti ha messo in faccia
l'espressione
dell'altra volta. Parlare, conoscersi... non ha
mai
fatto male a nessuno. Se vuoi, sono disponibile a essere usato anche
solo per farti ridere.»
Usato per-? Serrò le labbra, cercando di trattenere una
risata sommessa.
Inutilmente.
«Visto? Funziono.»
Già.
Che male c'era? Un ragazzo voleva conoscerla. La faceva ridere, la
faceva stare bene.
Sentirsi in quel modo era davvero piacevole.
Lasciò
parlare
quella parte di lei. «Sì... funzioni. Mi
piacerebbe
conoscerti
meglio.»
Che avventatezza. Che coraggio.
Che gioia.
«Vorrei fare il medico.» Ami sorseggiò
il caffè che aveva ordinato.
Alexander Foster rimase ad osservarla, come se... come se avesse tutto
il tempo del
mondo per
farlo. «Dottoressa Ami Mizuno... Sì, sei proprio
tu.»
Si riferiva al suo aspetto? Lei sapeva bene che i capelli tenuti corti e
l'uniforme scolastica le davano un'aria seria, compìta. Ne andava fiera.
«E
tu?»
«Io mi specializzerò in Astrofisica. Ho intenzione
di concludere Fisica qui, e dopo mi sposterò negli Stati
Uniti. La
nuova
frontiera della scienza è nello spazio. Fare di
questo tipo di ricerca un lavoro è quello che ho sempre
voluto.»
Sogni. Per un futuro felice.
Annuì. «Tu invece non hai l'aspetto di un
fisico.» Di solito una persona tanto poco anonima si
dedicava a lavori dove l'interazione sociale era
imperante.
«Che aspetto dovrebbe avere un fisico?»
Che sciocca a non aspettarsi una domanda simile. Improvvisò.
«Nell'immaginario collettivo,
intendo. Ad esempio, non
riesco
a
immaginarti con una matita in mano e degli occhiali. Come uno...
studioso.» Pessima spiegazione.
Invece di
replicare, lui andò
ad aprire la cartella di cuoio che si era portato dietro. Ne
tirò fuori una matita gialla e nera e... degli occhiali. Li
sistemò sul naso dritto con una piccola spinta della gomma
posta sull'estremità della matita. «Ho una
leggera miopia, a volte li uso.» Inclinò un poco
la
testa e
fissò gli occhi sui suoi. L'azzurro delle sue iridi virò
sul verde, una sfumatura ancora più.... «Forse
quando
sarai
dottoressa potrai guarirmi tu, che ne dici?»
Il sussurro finale la fece precipitare in un oceano di imbarazzo.
Quello era flirtare, vero?
Entrò nel panico. Era troppo inesperta, non sapeva come reagire. Cercò di
prendere tempo guardando le finestre.
«Ami.»
Perché non usava il san? Perché lei non glielo chiedeva? Perché la sua voce era un brivido che sembrava più una carezza?
Oh, era stata una cattiva idea. Non era in grado di gestire una persona come lui, che doveva avere anni di esperienza con
rapporti di quel genere. E lei nemmeno aveva intenzione di andare
chissà
dove con
quel loro- Gli lanciò un'occhiata e il pensiero
svanì con la
rapidità con cui era arrivato.
L'espressione di lui si era chetata, non conteneva neppure un briciolo della
malizia di prima. Era di nuovo qualcuno a cui potersi avvicinare.
«Non lo farò più» le disse.
Flirtare? Ma era una cosa naturale. Il problema era che-
«Quella strana sono io.»
«Forse sei quella normale, invece. In fondo è
solo una specie di
recita, un gioco. Può servire se coinvolge entrambi i
partecipanti, ma il suo scopo principale è mettere a
proprio agio le
persone, e far capire loro se sono compatibili. Ad un livello... non fondamentale, in fin dei conti.»
Il ragionamento la stupì. Erano entrati in un ambito che
conosceva molto bene. «Se intendi dire che una
compatibilità a livello meramente
chimico non conduce sempre ad una relazione fondata su solide basi, ti
do ragione. Ma in una relazione
stabile
non può mancare una buona intesa
fisica.»
La sorpresa nel viso di lui fu dapprima lampante e subito dopo quasi...
divertita.
Intesa fisica? Gli aveva detto proprio così?!
Volle sprofondare
sotto terra. Come aveva fatto a discutere di compatibilità fisica e di
relazioni stabili proprio in quel momento?
Che disastro.
Lui terminò di sorridere. «Sono d'accordo con
te.»
Si appoggiò meglio contro lo schienale imbottito.
«Però
non credo che
non
esplorare immediatamente
quell'aspetto impedisca ad una relazione di formarsi. Una volta
consolidata la conoscenza dell'altro e apprezzate qualità
che
catturino l'interesse in modo stabile, si può passare con
maggiore consapevolezza a conoscere altri aspetti. Ciò dando
per
scontato
che le parti in causa abbiano deciso in modo razionale di rimandare
l'esplorazione della
compatibilità
fisica, avendo fin da principio riconosciuto che essa esiste.
È una
premessa fondamentale.»
Le sue guance diventarono fornaci. Quello era ancora un discorso in
generale,
giusto?
Lui sembrava nel suo elemento. «Non pensavo che avrei mai
incontrato qualcuno in grado
di parlare in maniera così impersonale di rapporti umani.
Riguardano le persone in modo tanto diretto
che discuterne come abbiamo fatto dà l'impressione di
cinismo.»
Oh, sì.
Persino le sue amiche la guardavano stranite
quando si lasciava trasportare troppo da quel tipo di analisi.
«Comunque» continuò lui, «prima ho flirtato perché pensavo che ti
avrebbe
divertita. È un tipo di gioco che mi è sempre riuscito
bene.»
Sì, poteva immaginarlo. «Visto che ora non parli in maniera
impersonale, ma
proprio di te, mi sembra un'affermazione piuttosto
presuntuosa.»
Lui prese a ridere. «Hai
ragione.»
Ami si rese conto di aver tentato di capire se quel suo
commento lo
avrebbe irritato. Sentirlo ridere di se stesso la mise definitivamente
a proprio agio.
«Sembri soddisfatta.» Lo sguardo di lui fu
tranquillo e attento. «Cos'hai
concluso?»
«Come?»
«Su di me. Sei arrivata a una conclusione giusto ora,
no?»
Certo che era davvero diretto. «Ho concluso che la
sicurezza che hai in te stesso non equivale ad arroganza.» E
ora aveva la sua piena attenzione. «In precedenza
avevo
avuto
l'impressione che... che fossi fin troppo certo che sarei stata
interessata a conoscerti.»
Le sue parole colsero nel segno. L'espressione seria nel
volto di lui si rilassò con
consapevole lentezza.
Ami seppe di non essersi immaginata il lieve movimento della testa.
«Anche
tu sei giunto ad una conclusione su di me.»
«Sì. Mi farai un gran bene.» Nonostante
il tono
leggero, non era uno scherzo. «Non sbagliavi, la sicurezza
che hai visto è anche arroganza a volte. È un
mio difetto.»
Così sembrava che fosse partita a giudicare una persona che
nemmeno conosceva bene. «Ecco... non era mia intenzione
criticare.»
«Mi hai dato una risposta sincera, non mi aspettavo
altro.»
Né da lei né da se stesso. Già, era
una
buona spiegazione per la schiettezza che aveva notato nel suo
atteggiamento.
Annuì e... non seppe cos'altro dire. Di cosa potevano
parlare ora?
Fu costretta a pensarci per meno di due secondi.
«Cosa studiavi l'altra volta in biblioteca?» le chiese lui. Si era sporto in avanti, le braccia piegate
sul tavolo.
«Hm?»
«La prima
volta che ci siamo
incontrati. Eri circondata da libri.»
Ah, giusto, la teoria che le dava ancora da pensare. Se c'era
una soluzione, era quasi sicura che richiedesse l'uso di un computer e
di un
programma da inventare daccapo. O, più probabilmente, una
preparazione universitaria specialistica che lei ancora
non possedeva. «Tentavo di elaborare
un approccio diverso per un problema di matematica a cui ho sentito
accennare in
classe.» Non elaborò oltre. Sapeva di annoiare
quando entrava troppo nel dettaglio.
«Sul serio? Per
che tipo di problema?»
Sembrava genuinamente interessato. O forse era solo un modo per cercare
di compiacerla.
Testò quella convinzione con una
domanda mirata. «Uno dei problemi di Hilbert.»
Lui la osservò in silenzio.
Appunto.
Il sorriso la sorprese. «Wow. Fammi indovinare... il numero
otto, Riemann.»
Lei rimase senza parole. «Ma... ?»
«Come ho fatto a capire a quale dei
problemi irrisolti ti stavi riferendo?»
Ami annuì.
«Sei ancora alle superiori. Difficilmente in classe puoi aver sentito parlare di qualcosa che si
colleghi ai problemi di Hilbert, a meno che non si tratti di numeri
primi. Veramente hai avuto un'idea su come dimostrare l'ipotesi di
Riemann?»
Lei lasciò perdere la sorpresa e sorrise apertamente.
«Sì.» Poteva
parlarne con qualcuno che capiva!
Smise di frenarsi e iniziò a descrivere nei particolari
l'intuizione da cui era stata colta, aggiungendo la spiegazione sul
punto in cui era arrivata con l'eventuale dimostrazione, ancora tutta
da strutturare.
Lui rimase ad ascoltare senza dire nulla per metà
spiegazione,
poi tirò fuori un foglio e iniziare a mettere per iscritto
un
paio di formule. Gliele mostrò, dandole una rapida
spiegazione sul loro utilizzo.
Ecco! Quei punti di raccordo le erano venuti a mancare durante il
ragionamento. «Sono
regole di statistica avanzata, vero?»
«Sì.» Lui prese a sorridere con una
felicità che, ne era certa, rispecchiava la sua.
«Se fossi andata avanti senza conoscerle, credo che avresti
finito col
rielaborare tu stessa la teoria che ci sta dietro.»
Era un'esagerazione. «Non
sono così brava. Avevo intuito che mi mancavano diverse
nozioni.» Senza neanche rendersene conto, emise una risatina.
«Inoltre, non
è molto intelligente tentare di risolvere un grande problema
matematico senza avere una preparazione di ottimo livello
prima.» Indicò il foglio con un cenno della testa.
«Si finisce col
fermarsi su punti per cui è già stata trovata una
soluzione.»
«Questo
sì.» Lui riprese a
scrivere. «Ma
potremmo tentare di divertirci andando avanti alla
cieca, almeno per un po'. Tu continua a spiegare, io provo a completare
con quello che so. Se non riesco ad esserti d'aiuto, almeno ti
avrò
anticipato argomenti che ti interesseranno molto.»
Sentire qualcuno che associava il concetto di
dimostrazione matematica al divertimento quasi la commosse.
Nel tentativo di non fargli vedere fino
a che punto la proposta la entusiasmasse, abbassò lo sguardo.
Lui tornò
a mostrarle il foglio, corredato di una nuova formula e di cinque frasi
che ne spiegavano brevemente il significato con incredibile chiarezza.
«Ecco, credo
che potrebbe essere utile anche questa.» Comprendere quello che aveva scritto era lampante non solo per via
della sintesi dei concetti fondamentali, esposti in punti, ma anche per
l'ordine della grafia. Era un modo di scrivere molto adulto e...
intelligente.
Suo malgrado, Ami sorrise di nuovo. «Io
so che per studiare fisica si devono sostenere
esami legati alla matematica, ma non pensavo che conoscenze
approfondite di statistica fossero necessarie. Per caso tu hai scelto
un percorso particolare?»
Gli bastò un movimento della testa per negare.
«Forse
in qualche università esiste un percorso simile, ma
io sono solo al primo anno, ricordi? Mi toccano ancora gli esami
obbligatori.» Guardò anche lui il
foglio. «No,
queste cose le conosco per interesse personale.»
Poteva capirlo. La pura curiosità aveva spinto
anche lei ad apprendere più di quanto le fosse stato
richiesto. «Va
bene, allora proviamo.»
«Certo.»
Un dito di lui indicò la sua stessa testa. «Non
risparmiarti, spremi da qui tutto quello che puoi.»
Piegò gli angoli della bocca verso l'alto, ancora una volta.
In automatico lei ebbe la stessa reazione e, nel giro di pochi minuti, fu capace di riconoscere la
verità: quando Alexander Foster sorrideva, nel suo petto cominciava una piccola aritmia, piacevole.
E lei non si sentiva più in imbarazzo ad ammetterlo.
Piccoli progressi.
«Hm. In assenza di collasso gravitazionale,
l'ipotesi più probabile è che intorno alla stella
vi siano buchi neri primordiali.»
Esatto! «La loro esistenza potrebbe
essere
provata se si rilevassero
pattern d'interferenza nelle radiazioni gamma, giusto?»
Lui assentì ed Ami smise di avanzare, voltandosi nella sua
direzione. «Ho
letto che è allo studio un progetto per mandare in orbita un
telescopio
che avrà proprio questo obiettivo.»
«È vero.» Si fermò anche lui.
«Avere la
certezza che questi buchi neri esistano ci darebbe ulteriori
informazioni sull'origine dell'universo.» Guardò
all'improvviso di lato. «Tornando sulla Terra, penso di aver
appena avuto un'informazione più semplice ma altrettanto
importante. Questa è casa tua.»
«Sì.» Certo che lui trovava il modo di
rendere
divertenti anche le cose più semplici. «Grazie per
avermi
accompagnata. E...» Si decise a fare
quell'aggiunta. «Grazie anche per essere venuto a
incontrarmi,
oggi.
Sono contenta di averti conosciuto meglio.» Lo era davvero.
Non ricordava nemmeno perché fosse stata tanto nervosa da
principio. Erano state tre ore semplicemente fantastiche: non era mai riuscita a
parlare con un'unica persona di tante cose che la interessavano. Lui le
aveva anche indicato quali argomenti avrebbe potuto studiare per
approfondire la dimostrazione che avevano cercato di mettere in piedi. Anche se
probabilmente avevano già incontrato l'errore che la rendeva
invalida, l'ora passata a discuterla era stata estremamente
soddisfacente e istruttiva.
Inoltre, si era ormai convinta che lui avesse smesso di pensare a
lei da
quel punto
di vista, se mai lo aveva fatto. In tre ore non si era più
fatta viva neanche l'ombra di un flirt.
Non ne era dispiaciuta: Alexander era talmente
intelligente che essergli amica le sarebbe bastato. Anzi, era
decisamente il rapporto che preferiva avere con lui.
«Non credo che tu ne sia felice quanto me.»
Le stava sorridendo ancora, e di nuovo nella sua testa lui andò oltre la mera definizione di carino. Era proprio quello a renderlo un po' troppo... beh, semplicemente troppo per lei.
«Senti, vorresti uscire anche questo sabato? A pranzo, se
non hai
altro da fare.»
Sabato non aveva altri impegni e... perché
no? «Sì, sono libera. Dove vuoi
incontrarci?»
Accordarsi sul luogo e sull'ora fu facile. Lei non aveva molte idee in
merito
e lui invece sembrava averne parecchie.
«Ci vediamo dopodomani» le disse infine,
preparandosi ad andare.
Lei iniziò ad aprire il cancello di casa sua. «Sì. A dopodomani, Alexander.»
Lui si fermò, rigido.
... cosa gli aveva detto di sbagliato?
Le bastò incrociare l'ombra del suo sguardo sotto il lampione
perché l'idea che la loro potesse rimanere una semplice
amicizia
volasse fuori
dalla finestra.
«Non avevi mai detto il mio nome.»
Il tono di voce basso - il modo in cui la stava osservando - fecero
crescere dentro di lei una tensione sconosciuta.
Lui prese a scuotere la testa, come tentando di schiarirla.
«Ci vediamo,
Ami.»
Si voltò e andò via.
... il proprio nome
non le era mai sembrato una parola tanto intima.
Sentendosi osservato, Alexander aprì gli occhi.
Ami era in piedi davanti a lui. Per un momento gli sembrò di
scorgere un'espressione di studio negli occhi di lei.
Appoggiò sulle ginocchia le cuffie del minidisc.
«Ciao.»
«Ciao.» Il vento le scompigliò i capelli.
Non aveva mai avuto una ragazza con capelli così corti, pensò Alexander. In
Ami facevano risaltare la linea del collo, la forma delicata della
guance, gli occhi. Il loro colore dava un nuovo significato all'aggettivo
'blu'.
Lei si sedette sulla
panchina del parco, di fianco a lui.
«Di solito arrivo sempre per prima ad un
incontro.»
«Mi piace arrivare in
anticipo» sorrise lui.
«Anche a me. Che cosa stavi ascoltando?»
Tirandolo fuori dalla tasca della giacca, le mostrò
il lettore musicale. Cliccò sul tasto Rewind e quindi mise
in Stop. «Mi piacciono soprattutto altri generi, ma
a
volte vale la pena di ascoltare musiche
come
questa.»
Le porse le cuffie
e, quando lei le infilò alle orecchie, fece ripartire il
brano.
Ami
iniziò a sentire qualcosa che... non era musica
classica, anche se ad eseguirla era solo un'orchestra, senza alcun
accompagnamento vocale.
Cominciò a capire che era un brano molto ritmato
e allegro, persino divertente. Una sorta di caccia, una corsa.
Vi
si immerse.
Fermarsi non era facile, quasi mai. Correre e correre, a
volte voler mollare, ma dover sempre continuare. Incalzati.
Lentamente, la musica andò a descrivere emozioni molto
più dolci. Gli archi dei violini diedero vita ad un
sentimento delicato, ricercato... desiderato, agognato.
Sì, a volte sembra lontana la felicità. Vicina,
ma sfuggente.
La musica continuò, accarezzando la cresta di ogni
sensazione. Infine,
in un
crescendo, Ami la udì: speranza.
L'avevano trovata e afferrata, l'avevano vissuta.
La fine - ma già lo sapeva - fu un tripudio di pura
pace.
Alexander rimase a guardare Ami mentre era concentrata sull'ascolto.
No, comprese, non era andata via la tristezza che aveva visto in lei
durante i loro primi incontri. Ma
ora, dentro Ami Mizuno, quella sensazione aveva trovato un senso e un proprio
posto. Lei l'aveva
affrontata, domata.
Sul finire del brano, il sorriso di Ami si fece sereno.
Alexander conosceva la
sensazione, ma era consapevole che per lei non era nata solo dalla
musica.
«Cosa c'è?»
Lo sguardo di Ami era una domanda. Il brano era finito e lui non se
n'era nemmeno
accorto.
Allungò il palmo per ricevere le cuffie in mano. Lei si
alzò e a lui non restò che imitarla.
«L'altra
volta ti avevo detto
che
l'allegria ti si addiceva molto.»
Lei si rabbuiò, quasi impercettibilmente.
Lui scosse la testa: aveva già capito che non voleva
parlarne. «Mi sono sbagliato. Non era allegria, era... armonia. In
un certo senso, sei armonia tu stessa.»
Lo sguardo di lei andò con tranquillità
all'albero che gettava un'ombra su di loro. Senza
rispondergli, si allontanò di qualche passo. Quando
tornò a
guardarlo, tanto il suo sorriso quanto la sua voce si erano fatti
leggeri. «Queste frasi
intense le pensi molto, prima?»
Non era stato un tentativo di facile flirt da parte sua, ma fu felice
di constatare ancora una volta che tattiche tanto semplici non
avrebbero
mai funzionato con lei. «No. Credo che il mio sia un talento
innato.»
«Non ci farei troppo affidamento.»
Gli uscì una risata.
Ami si unì brevemente a lui prima di guardare verso l'uscita
del parco. «Era un
brano molto
bello. Dove pensavi di andare a mangiare?»
Alexander non le avrebbe fatto altre domande su quello di cui lei non
poteva parlargli. Era arrivata a quella prima conclusione
in pochi minuti.
Da
quando si erano salutati, due giorni prima, lei aveva passato quasi
tutto il tempo a domandarsi fino a che punto intendesse
portare avanti
quella loro
relazione.
Non era del tutto certa delle intenzioni di lui, ma poteva conoscere le
proprie. Perciò si era interrogata senza nascondersi
nulla, l'unico modo
corretto per procedere.
Lui le piaceva? Sì.
Più di prima? Sì.
Se avesse voluto uscire ancora insieme, lei avrebbe accettato?
Probabilmente sì.
L'idea di... stare insieme, le dispiaceva? No. Al momento, non le
dispiaceva per nulla.
Non
si trattava che di un secondo appuntamento. Lei non si stava
comportando molto intelligentemente facendosi domande tanto
serie
già a quel punto ma... sentiva il bisogno di
conoscere le risposte. Risposte libere dalle costrizioni a cui
era ancora sottoposta.
Già,
se avesse dovuto rispondere tenendo conto di cosa sarebbe stato
meglio
pensare o provare, avrebbe dovuto rifiutare un eventuale terzo
appuntamento e non desiderare nemmeno lontanamente di poter costruire
con lui
qualcosa di...
più.
O no?
Sarebbe stato davvero un problema per lei lasciare che gli eventi
prendessero la loro naturale direzione, qualunque essa fosse? Se anche
avesse avuto un ragazzo, il suo futuro non sarebbe cambiato.
Non
sarebbe accaduto nulla di... cosmico. Avrebbe avuto un ragazzo, tutto
qui.
Avrebbe provato quello che era suo diritto provare, quello che milioni
di ragazze provavano alla sua età.
Quel
periodo della sua vita non sarebbe più tornato, in fondo.
Anche
questo si
poteva dire di milioni di ragazze, ma per lei era un'affermazione che
assumeva un valore di importanza fondamentale. In futuro non ci
sarebbe più stata solo Ami Mizuno, una ragazza molto
studiosa
che non
aveva mai avuto alcuna esperienza in campo affettivo, che non aveva mai
trovato qualcuno che le interessasse veramente e che fosse a sua volta
interessato a lei. Non che avesse la presunzione di ritenere certo
il secondo punto, in relazione ad Alexander.
No... Quella ragazza,
quella Ami, in futuro non ci sarebbe stata più. Non con la
libertà di
quei giorni.
Il futuro che la attendeva però doveva ancora
arrivare e,
nel frattempo, lei poteva guardare avanti.
Andare avanti significava anche vivere esperienze normali, conoscere
persone nuove... provare
cose nuove.
Si
era immaginata tragedie di chissà quali proporzioni, di
dover
rinunciare
alla persona amata nei modi più vari dopo averla trovata, ma
la sua non era stata forse
un'esagerazione?
Una relazione qualunque non doveva per forza
trasformarsi in chissà quale grande amore. Poteva essere
semplicemente
la relazione di quel momento, qualcosa di prezioso semplicemente
perché
vissuto appieno.
Era arrivata ad una decisione dopo due giorni di
riflessioni: avrebbe conosciuto meglio Alexander e... succeda
quel che succeda, si era detta. Si sarebbe permessa di divertirsi, di
trovarlo interessante, persino
di... innamorarsi, se le fosse capitato.
E
magari non sarebbe capitato. Dopo due giorni passati a riflettere su di
lui, aveva concluso che forse era riuscita ad idealizzarlo oltre il
realistico.
Arrivando al parco e trovandolo seduto sulla panchina,
ad occhi chiusi e con il mento appoggiato su una mano, aveva concluso
che era
la seconda conclusione ad essere errata. Non lo aveva idealizzato per nulla. Lui era davvero bello e davvero...
tranquillo.
Sul secondo punto le era venuto il dubbio proprio nel momento in cui
Alexander si
era accorto di lei.
Tranquillo?
Apprezzava
il tipo di musica che amava lei, a quanto pareva. Era perspicace abbastanza da capire
quando una persona non voleva parlare di qualcosa. Era calmo,
sì, ma a differenza sua non aveva alcun problema a proporsi
direttamente
agli altri, né ad esprimere in maniera diretta ciò
che
pensava, specialmente quando si
trattava di fare complimenti. Non conosceva imbarazzo. Non sembrava in alcun modo influenzato
dal giudizio altrui e probabilmente non lo era.
«A penny for your thoughts, Ami?»
Gli offrì un sorriso. «Scusa, ero
distratta.»
Lui scosse la testa. «Cercavo solo di attirare la tua
attenzione.
Stavo pensando... Vorresti andare a Yokohama?»
Cosa? «... oggi?»
Lui annuì. «Conosco un buon posto dove mangiare
anche
lì. E potremmo rimanere in città nel pomeriggio.
Se vuoi.»
Per quanto fosse un'idea improvvisa, non la trovò contraria,
anche se...
«Non ci metteremmo troppo ad andare e tornare?» Lo
notò che roteava in mano il casco che si era portato dietro, e
cominciò a cercare il veicolo verso cui lui si stava dirigendo.
Adocchiò una moto verde pratica e comoda, con vetro alto.
Notò di sfuggita il veicolo da competizione nero sgargiante che
era sistemato lì accanto.
«L'idea mi è
venuta adesso perché avevo lasciato parcheggiata
qui
questa.» Alexander poggiò la mano... sulla grossa moto nera.
Ami spalancò
gli occhi.
«Ho un altro casco, naturalmente.» Lui si
fermò a riflettere. «Sei mai salita su una
moto?»
Lei iniziò a ridere. «No, ma mi piacerebbe
provare.» Con le
mani gli chiese il casco.
Tranquillo?
Per niente.
CONTINUA...
Ultima revisione: Aprile
2011. Reso più fluido lo stile, aggiunto qualche particolare
nei pensieri di Alexander sulla sua vita e su Ami, così come
nei pensieri di lei nel momento in cui lo incontra.
Aver dato a questa storia un altro po' della bellezza che aveva nella mia testa mi ha reso felice.
Note finali originali:
- penso che alla fine saranno quattro capitoli. Scrivendo di meno mi
sembra di non riuscire a dare corpo alla vicenda :)
- sto cercando di adattare un po' gli eventi agli anni in cui si
svolgeva Sailor Moon. Per questo parlo di 'primi telefoni cellulari' e
'lettori minidisc' (in Giappone erano antecedenti ai lettori mp3 e
abbastanza diffusi).
- Ami e Alexander col minidisc ascoltano 'Far and away' di John Williams.
- 'a penny for your thoughts' è un modo di dire che
significa 'un penny per i tuoi pensieri'.
- grazie in anticipo per ogni commento che mi darete. Ringrazio molto
chi ha commentato finora (luisina, Himechan, chichilina, dinny ed
Ami_Mercury) perchè è sempre un piacere sentire
cosa ne
pensate, sono feedback importanti.
- revisione del capitolo del Settembre 2009: è stata aggiunta una scena nella
conversazione che Ami e Alexander hanno nel locale - la scena della dimostrazione matematica - e rivista
l'esposizione generale, con l'aggiunta di qualche particolare.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Acqua viva
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Ami entrò con un tuffo nell'acqua fresca. Ne riemerse
felice, i capelli bagnati che quasi le coprivano
gli occhi. La piscina quella sera era fantastica.
Si abbandonò sulla schiena, galleggiando pigramente
sulla superficie liquida. Desiderò di più
e, piegandosi sullo stomaco,
si
lasciò affondare. Si trovò in un mondo nuovo,
fatto solo di azzurro silenzio e morbida
luce. Mosse le braccia spostando il peso dell'acqua prima con
le mani, poi con i piedi. Nuotò più veloce,
fino a
riemergere e iniziare ad avanzare con larghe bracciate.
Quanto le era mancato stare in piscina.
E pensare che erano passate solo tre settimane.
Nuotando, perse la cognizione del tempo.
Quando arrivò
ancora una volta a fine corsia, mentre
guardava sott'acqua, notò la presenza di una persona vicino
al
bordo. Completò la vasca e tirò su
la testa.
«Sei un pesce» disse lui.
Ami si riempì di un sorriso. «Ciao.»
Completamente immerso nell'acqua, Alexander si teneva con un mano al
bordo della vasca. «Ciao. Sei
anche
arrivata per prima.»
Lei si appoggiò ad una delle file di galleggianti.
«Già.»
Una piccola vittoria che le aveva dato una certa soddisfazione, anche
se era dovuta uscire di casa con venti minuti di anticipo. Non che loro
si fossero
mai sfidati apertamente in merito, ma lei aveva tentato
vanamente di precedere Alexander durante gli altri sei
incontri che
avevano avuto. Non poteva essere un caso che lui fosse
arrivato sempre per primo.
Alexander strinse gli occhi furbo, come quando decifrava pensieri a cui
lei non stava dando voce. «Non arrivavo prima di te
apposta.»
Come no.
Gli strappò una breve risata, poi lui infilò la
testa
sotto'acqua. Riemerse nella
stessa
corsia, talmente vicino a lei da permetterle quasi di... toccarlo.
L'acqua gli bagnava le spalle, le braccia nude, il collo. Per un attimo
Ami
pensò di non aver mai immaginato che anche lui fosse fatto
di
pelle sotto i vestiti. Di carne e di muscoli caldi. Si sentì
avvampare.
Lui intuì la sua reazione e abbassò
la voce al volume di una confidenza. «Sai
che sceglievo apposta luoghi in cui mi
potevo
trovare già in precedenza? Era quello il mio
segreto.»
Hm? Ah,
giusto: arrivare in anticipo, stavano parlando di quello. Per pensare
meglio allungò le
braccia sul
galleggiante, spingendosi un poco all'indietro.
«Allora... la
prossima
volta sceglierò ancora io il posto dove
incontrarci.» Fu quasi felice di
vederlo restare fermo dov'era.
«Certo, non ho problemi a farmi battere. Ma
neanche a vincere.» Non rideva di lei, ma con lei.
«È proprio una
gara
infantile.»
«È vero.» Lui inclinò la
testa, come se
volesse guardarla da una nuova angolazione. «Ma ti piace
molto.»
Già. E le piaceva molto anche lui, anche se risultava sempre
più difficile pensare quando sentiva tutta la sua attenzione
su
di lei. Non c'entravano solo i suoi occhi chiari, colorati come
l'acqua - anche se erano così strani, particolari e intensi
che-
Abbassò lo sguardo. «Riprendo a fare le
vasche» disse anche a se stessa. «Volevo
farne dieci e me ne mancano ancora... ecco, qualcuna.»
«Sì, faccio qualche vasca di riscaldamento anche
io.»
Nuotarono.
Alexander non avrebbe detto di non sapere cosa significava essere
impazienti: lui lo era in molti campi, da sempre. Quando gli piaceva
una cosa, la voleva subito, era naturale.
Gli piaceva Ami. E la voleva non immediatamente, ma addirittura prima
del secondo appena passato. Solo quella - stava arrivando a capire -
era vera impazienza
e lui non l'aveva mai davvero provata in precedenza.
Affondò con la testa, fino a che il suo stesso corpo non fu
sopra di
lui, quindi completò il giro e spinse con le gambe contro la
parete della piscina, cominciando una nuova vasca.
La sua non era un'impazienza insofferente. Erano
più le volte
in cui, guardando Ami, si convinceva che sarebbe stato capace di
aspettarla anche per
anni. Impazienza era piuttosto quella voce dentro di lui che gli
chiedeva come
fosse
riuscito
a resistere fino a quel momento senza mai averla neppure sfiorata,
neanche su una mano.
La corsa in moto di due settimane prima non lo aiutava. Ami si era
appoggiata contro la sua schiena, ma le mani di
lui erano
state attaccate al manubrio per tutto il tempo.
Cominciò una nuova vasca.
Ami ancora non voleva. Manteneva fra loro una precisa distanza di
sicurezza, o la creava, quando lui tentava di avvicinarsi.
Lui non lo prendeva come un segno di rifiuto solo
perché ogni
volta lei... Ami gli mostrava sempre l'espressione più...
più
tutto che
lui
avesse mai visto. La
mancanza di una parola adatta per
descriverla non avrebbe dovuto avere un senso, ma lo aveva. Sembrava
quasi giusto che un'espressione del genere non potesse essere trasmessa
a parole, ma solo gustata e percepita tramite la vista, la presenza
fisica.
Con gli occhi lei comunicava timidezza e felicità,
trepidazione e
imbarazzo. Con la bocca gli diceva... tentazione. Col resto del
corpo... non ancora.
Gli bastava guardarla, e quella parte di lui che non era più
disposta ad aspettare
diventava improvvisamente silenziosa.
Una reazione simile sembrava il sintomo di
qualcosa per cui lui non poteva ancora essere pronto, non dopo
così
poco tempo. No, giusto?
Non se si era curato troppo di quel pensiero. In quel caso l'unica
soluzione stava nel non pensare, almeno di questo era certo.
Cominciò un'altra vasca. Notò solo in
quel
momento che Ami procedeva ancora accanto a lui, nuotando al suo stesso
ritmo
senza apparente
difficoltà.
Lei si dimostrava inibita da un solo punto di vista, ma per il resto
era decisa e
persino competitiva.
Con lei trovava una soddisfazione unica una parte di lui che si era
sempre sentita incompresa: la sua mente.
Quella di Ami era
incredibilmente veloce, lei pensava come non
aveva mai visto pensare nessun altro. Poteva parlare di qualunque cosa
con lei, discutere di ogni argomento e, anche quando non lo riteneva
possibile, capiva di aver imparato qualcosa di nuovo - che fosse una
nozione o un nuovo punto di vista. Ami non si tirava mai indietro
quando erano le loro menti ad
interagire.
Per le altre cose, competeva, anche se non apertamente.
Iniziando l'ennesima vasca, si accorse di non averla più
accanto. Si fermò e, girandosi, la trovò
appoggiata ad
uno dei galleggianti a inizio della corsia.
Lei alzò un poco la voce, per farsi sentire anche da
lontano.
«Ne ho fatte dieci!»
Lui tornò indietro. «Sei
stata veloce.»
Ami scrollò le spalle, come faceva sempre davanti al minimo
apprezzamento. «Vengo spesso ad allenarmi qui. Stare
nell'acqua mi
piace.»
Sì, la rendeva serena, e lui la contemplò
apertamente, senza nascondersi.
«Hm... inizio con un altro stile» disse lei,
incerta. Riprese
ad avanzare e lui riconobbe le movenze dello stile rana. Le linee
dei movimenti erano perfette.
Ami - sorrise - era davvero
meticolosa. Forse anche un po' più riservata del
solito
quel giorno. Doveva essere il luogo a inibirla. Non la
piscina, ma quello che erano tenuti a non indossare per solcarne le
acque. Lui non vedeva l'ora che arrivasse il momento di uscire, ovvero
il momento in cui lei sarebbe
emersa dall'acqua. Sapeva che era leggera, e sottile, e aveva
un'intuizione precisa sulla presenza di buone proporzioni che non
vedeva l'ora di verificare.
Ami smise di avanzare e si voltò, come
colpita da
un'idea improvvisa. Prima di condividerla, guardò per intero
la
piscina.
«Vorresti fare una gara?» gridò.
Cominciò a tornare indietro.
Una gara? «Di nuoto?»
Veloce come creatura marina, lei impiegò pochi attimi per
ritornargli
accanto. «Sì. Cento metri, stile
libero.»
Sorrise.
«Così magari non ci sfideremo più su
chi arriva
prima ai nostri incontri.»
«Se non vuoi più farlo, devi solo
dirlo.» Guardò
anche lui la vasca, cercando di capire come iniziare il discorso.
Ami scosse la testa. «Non ti sto chiedendo di non impegnarti
al
massimo. So che probabilmente vincerai tu, voglio solo mettermi alla
prova. Il fatto è che...» Lo sguardo di lei
andò
altrove, catturato da
un'immagine lontana. «È passato un po' di tempo
dalla mia ultima gara di nuoto.»
Anche così... «Io ero il più veloce del
mio
istituto alle superiori.»
L'informazione la galvanizzò.
«Perfetto
allora.»
Perfetto?
Suonava come se avesse sete di sfida, e di vittoria. Dubitava che lei
avrebbe
mai
gareggiato per qualcosa di diverso, ma era la sfida stessa a
piacerle in quel momento.
Ami lo
fissò seria. «Niente
sconti. Non me la prenderò con te
neanche se mi
surclasserai.»
«Va bene.» Fu felice di sentirglielo precisare. Lui
aveva proprio
surclassato tutti quelli che avevano tentato di sfidarlo e non era
stata sua intenzione farlo anche con lei. Ma se Ami stessa lo
chiedeva con
tanta convinzione... «Do il via.»
Lei annuì e si prepararono entrambi, appoggiando una gamba
contro la parete.
Tre secondi dopo partirono, nello stesso momento.
Fino ai venticinque metri lui nuotò veloce, con
Ami ancora appaiata alle sue bracciate.
Dopo quello che aveva visto prima, se
lo era aspettato. Quella riserva di energie era destinata a finire
presto, però. Aveva pochi dubbi in merito.
Dirigendosi verso i cinquanta metri, decise di accelerare il ritmo. Per
lunghi secondi pensò solo ai propri movimenti e, quando
riemerse
dall'acqua per iniziare la terza vasca, notò che lei... gli
stava
davanti!
Non risparmiò più niente e la raggiunse ai
settantacinque
metri. Girarono insieme, iniziando l'ultima corsia.
A quel punto non solo lui non si
risparmiò più, ma andò oltre
ciò che poteva
dare. Bruciò respiro e muscoli, superandola a
metà vasca.
Solo per finire superato a due metri dal traguardo.
Ami riemerse, ansante. Girò di gioia su se stessa,
ridendo. «Grazie!»
Lui riprese fiato. «Non... Non ti ho lasciato
vincere.» No, era stato proprio battuto.
Contemplò
quel pensiero per qualche secondo, faticando a crederlo vero.
«Lo so.» Ami si avvicinò al galleggiante
che li
separava. Vi appoggiò le braccia. «Grazie per
avercela messa
tutta, era questo
che intendevo dire.»
Forse era un buon modo per scoprire che anche lui poteva avere un
orgoglio ferito. A guardare lei, il risentimento gli stava
già
passando. «Non so se avrei accettato di fare la gara se
avessi saputo
di poter perdere. Dì la
verità: hai
vinto qualche medaglia.»
Lei negò prontamente con la testa. «No,
sono solo...
molto brava.» Distese il viso in una risata allegra,
completamente
rilassata.
Alexander vide le proprie dita finire sul galleggiante. Si era
avvicinato senza quasi accorgersene. Ami spalancò
gli
occhi e... non fece nulla. In lei c'era una voglia a malapena contenuta
di allontanarsi. Prima che potesse farlo, lui tirò fuori una
mano dall'acqua. Gliela porse. «Congratulazioni. Per la
vittoria.»
Lei si riempì di orgoglio e
incontrò la sua mano in una stretta leggera che fece
sorridere
entrambi.
E fu così che, finalmente, Alexander riuscì a
toccarla.
«Si chiamano Usagi, Rei, Makoto e Minako, e hanno la mia
stessa
età. E tu?»
«Ci sono i figli di na-... di Shoko, ti ho parlato di lei.
Loro li conosco da
quando ero bambino. Poi c'è il mio amico Yamato, che conosco
dalle
medie; in realtà si chiama Shun, ma per me il suo cognome
è diventato una sorta di soprannome. E le tue amiche, da
quanto
le conosci?»
Ami accennò ad una scrollata di spalle. «Dal...
secondo anno delle medie.»
Gli sembrò di udire un'esitazione e per un attimo la
sentì distante da lui.
«Siete un gruppo di cinque ragazze. Finora avevo pensato
che tu fossi
più...» La guardò e capì
che non si
sarebbe
offesa.
«Solitaria.»
Ami annuì piano. «Prima di conoscerle lo ero.
Anche
adesso
sono la più tranquilla del gruppo. Loro hanno tutte molto
più
entusiasmo di me e sono... uniche.» Si
appoggiò con la schiena contro le porte del treno.
«Usagi, per
esempio. Può sembrare un po' ingenua, ma nasconde dentro di
sé una
forza e una sicurezza senza pari. Rei... lei è testarda e
non
sempre
ha un carattere facile, ma è piena di compassione per chi
si trova in difficoltà. Makoto è irruenta, e
sempre pronta
a difendere tutti. A volte si preoccupa di essere poco
femminile
perché è alta e un po' brusca, ma nell'animo
credo che
lo sia più di tutte. Minako è la
vivacità fatta
persona. Sempre
pronta a sognare e a inseguire tutti i desideri che le vengono in
mente.»
Dal tono, dallo sguardo, da ogni cosa traspariva l'importanza che
quelle ragazze
avevano nella vita di lei.
«Un giorno mi piacerebbe conoscerle» le disse.
Ami sembrò come risvegliarsi. Portò rapidamente
gli occhi
al pavimento, la fronte corrugata. «Ah... cosa stavi per
dire
prima? Prima del
nome della tua governante, Shoko. 'Na'... cosa?»
Aveva sperato che le fosse sfuggito. Completò la
parola, non senza imbarazzo. «Nanny.»
Lei scoppiò in una risata di genuino divertimento e a lui
non
restò che accettare quella lieve presa in giro. Fino a
quel momento era riuscito a
non farsi mai sfuggire quell'appellativo di fronte ad estranei.
Quello
che non gli era sfuggito, invece, era che Ami aveva cambiato discorso
quando lui aveva accennato all'idea di conoscere le sue amiche.
Rimase a chiedersi perché.
Ami osservò la pagina liscia del volume, conquistata.
Erano disegni così precisi, meravigliosi in ciò
che
rappresentavano.
La complessità di quella realtà aveva un che
di...
sovraumano, sorrise. Anche se era proprio umano.
Tracciò con un dito i contorni della figura.
Guardò proprio quel dito, divertita.
Girò le pagine fino a trovare il disegno giusto, fino a che
la
combinazione corretta di muscoli, ossa, nervi, articolazioni e vasi
sanguigni, le fu davanti.
C'erano proprio tutte quelle cose dentro la mano che lei muoveva con
tanta
semplicità.
Fletté le dita e osservò la pelle tendersi.
Immaginò i
muscoli al lavoro, il sangue che pompava
incessante sfidando la forza di gravità, le ossa e le
articolazioni che, con un meccanismo frutto di milioni di anni di
evoluzione, le permettevano di
ripetere quel movimento all'infinito.
Alexander era entrato nel locale. Si sedette di fronte a lei e
guardò a sua volta il
disegno. «Credo di preferirla quando è ricoperta
di pelle.»
Ami sorrise. In parte per il commento, ma
soprattutto perché lui era arrivato. «Certo. Senza
pelle farebbe
molto male. E
tutto questo» appoggiò la mano sul foglio,
«non avrebbe
protezione.»
«È vero, ma la mia considerazione era molto
più
superficiale. Credo solo che
questa» le sfiorò le dita con l'anulare,
«sia
meglio di questa.» Toccò la figura col pollice
della stessa
mano.
Ami increspò le labbra, divertita. Dentro di sé
assaporò il piccolo brivido che il contatto le aveva
provocato.
«Sono
la stessa cosa.»
«Ed è proprio questo ad attirarti»
commentò lui,
continuando a guardare il libro aperto sul tavolo del caffetteria.
«Molto.» Lei gli fece vedere la copertina.
«L'ho comprato poco fa.»
«Disegni di
anatomia
umana» lesse lui.
Ami annuì e tornò alla pagina sulla mano. La
contemplò. «Ho già visto tutte queste
immagini,
ma... credo che non mi stancherei mai di studiarle. Non penso che
sia solo perché non ho ancora visto dal vivo l'interno di un
corpo umano. O almeno, lo spero.»
Lui inclinò la testa, il leggero
movimento di quando
aveva una nuova idea. «Non credo. E poi, se ci
pensi, non potrai
mai vederlo veramente.»
Hm?
«È come lo spazio»
spiegò lui.
«Lo hai davanti, sei in grado di
iniziare
ad
esplorarlo, ma... ci sono parti di esso che ti rimarranno per sempre
ignote. Per poter vedere lo spazio come siamo abituati a
pensare di guardare un oggetto - avendo una compresione immediata e
approssimativamente completa delle parti che lo compongono - dovremmo
essere infinitamente grandi. E per vedere dentro un corpo umano,
dentro
tutto quello che vive e funziona al nostro interno, dovremmo essere
infinitamente piccoli. Possiamo vedere unicamente l'insieme,
mai vederlo veramente.»
Tornò a concentrarsi su di lei e la sua serietà
svanì in un momento. «Non che sia un male.
L'insieme da solo ha le
sue buone attrazioni.»
Lei piegò la bocca in un sorriso lento.
«Mi
piacerebbe vedere la differenza tra i processi elettrico-neurali che
producono un ragionamento di tipo astratto-filosofico e quelli che, dal
nulla, si inventano un flirt. Deve
essercene una.»
Lui naturalmente non arrossì - la vergogna gli era
quasi
del tutto estranea. «Credo che siano
uguali,
ma nascano in diverse aree cerebrali.» Ci rifletté
con più attenzione. «Mi è venuto in
mente un
collegamento. In senso lato, lo scopo può
dirsi
comune, se ci pensi bene: portano entrambi avanti la specie. Costruendo
ragionamenti
astratti si aumenta l'intelligenza, la principale caratteristica che ha
assicurato la nostra sopravvivenza. E interagendo col sesso opposto
si assicura la riproduzione.» Finì di
dirlo e si
bloccò. Spalancò gli occhi.
Ami sentì di averli ancora più giganti.
Caddero entrambi in un silenzio tombale.
Lentamente, Alexander si fece incredulo.
«L'ho
detto davvero.»
Quando notò il cenno di colore sulle sue guance, Ami
trattenne a
stento la risata. «Hai appena insinuato di aver flirtato con
me a scopo
riproduttivo, intendi?»
«Posto così...»
Lui non riusciva più nemmeno a guardarla e lei
infierì
allegramente. «Temo che tu lo abbia posto proprio
così.»
Il totale imbarazzo di lui le tolse ogni inibizione. Si
sporse in avanti. «Sta' tranquillo, hai appena
fallito
nell'applicare l'intelligenza a questo importante scopo. Possiamo
lasciar perdere l'idea della riproduzione.»
Lui si passò una mano sulla faccia, me il gesto gli ridiede
coraggio. «Un vero peccato. Già me li
immaginavo tutti con gli
occhi
blu.»
Tutti con gli occhi-?
Ami capì e arrossì fino alla punta dei capelli.
A lui uscì uno strano suono, e senza rendersene
conto lei scoppiò a ridere per prima.
Risero entrambi, di gusto, a lungo.
Dopo un po', notarono gli sguardi degli altri clienti su di loro. Si
zittirono come due ladri.
Ami attraversò di proposito il parco quel giorno,
dirigendosi
all'ospedale di sua madre.
Aveva nevicato la sera precedente, la prima neve della stagione. Il
bianco continuava a cadere dal cielo, lento e affatto minaccioso.
Lei si tenne al corrimano innevato del piccolo ponte ad arco, ancorando
per
bene gli stivali al terreno mentre saliva. Il pavimento smise
rapidamente di
essere scivoloso e curvo, perciò riuscì a
camminare senza
difficoltà
verso il centro del ponte, da dove si godeva della miglior vista sul
laghetto del parco.
Tirò fuori la macchina fotografica, e scattò tre
fotografie. Una quarta, infine, per essere certa che la foto venisse
bene.
Provò un'immensa soddisfazione: il suo quadro era completo
ora.
Aveva fotografato quello stesso punto
in primavera, in estate e in autunno. Adesso aveva anche
l'immagine
più classica dell'inverno.
Pensò ai colori delle foto che, da
tempo, erano
appese al muro della sua stanza. Forse avrebbe dovuto
tentare un
nuovo scatto, un giorno che avesse nevicato ancora. Nelle altre
fotografie
era sempre riuscita a catturare una giornata di sole. Beh, se il sole
non si fosse presentato in una giornata di scuola, valeva la pena di
fare lo sforzo e ricatturare l'immagine. Per quella volta non aveva
avuto scelta. Le previsioni
avevano
annunciato neve per il fine settimana, seguita però da
giorni di
pioggia che avrebbero rapidamente cancellato ogni traccia di bianco.
Si guardò attorno. Peccato.
Con la coda dell'occhio notò una macchia
rosso
cangiante non lontano dalla riva del lago. Una sagoma - troppo piccola
per essere umana - si
muoveva impacciatamente nelle neve. Quasi subito una figura verde
brillante, di poco più grande, la superò in
corsa. La
sagoma rossa lanciò un urlo acuto di infantile protesta.
Oh.
Liberando dalla neve il muretto che dava
sull'acqua, Ami vi si appoggiò sopra le braccia.
Il bambino in rosso non doveva avere neanche due anni. Corse incontro
al
fratello, che nel frattempo aveva iniziato a raccogliere piccoli mucchi
di neve in un unico punto. Era chiaro che voleva unirsi anche lui agli
sforzi. Poco dopo li raggiunse la madre, coperta di un
più
modesto cappotto marrone. Con due sole grandi bracciate la signora
raccolse
neve a sufficienza per iniziare a creare il pupazzo a cui i bambini
avevano
aspirato.
Nevicava ancora e non era il tempo ideale per giocare fuori, ma forse
quella donna non aveva altro tempo a disposizione, al di fuori di
quel
sabato mattina.
Ami rimase ad osservarli.
Neanche sua madre aveva mai avuto molto tempo per giocare con lei,
ma... Le venne in mente
una fotografia. Lei, non più di cinque anni, che appoggiava
con
fierezza una sciarpa fatta di giornali su un pupazzo di neve. Il
ricordo la
riempì di tenerezza; il tempo per le cose importanti, per
lei,
sua madre lo aveva
sempre trovato.
Il pupazzo dei bambini oramai era alto quanto il più piccolo
dei due e... perché no?
Si spostò dove sul muretto c'era ancora neve fresca. Con i
palmi aperti ammucchiò abbastanza neve da formare un cumulo
di
media altezza. Ci lavorò con i guanti, dando vita a
due sfere
dalla forma incerta. Ridacchiò: non era affatto una grande
artista. Poteva tentare di dare un
tocco di colore però. Raccolse una foglia fradicia e la
appoggiò
su
quella che avrebbe dovuto essere la testa. Poteva essere un cappello?
La foglia si era già appiattita.
No, erano dei capelli. Capelli marroni. Capelli castani. Un po'
più chiari e sarebbero stati come quelli di...
Dentro di lei, dove nascevano i sentimenti migliori, si
sprigionò calore.
Alexander.
Gli aveva
parlato per la prima volta proprio su quel ponte, ormai un mese
prima.
Da allora sapeva cosa significa combattere in continuazione col rossore
alle guance.
Da allora si perdeva in un azzurro che nessuna nuvola poteva nascondere.
Da quel giorno non vedeva l'ora di rivederlo di nuovo. Sorrise. Beh,
forse
non proprio da quel momento.
Da quando lo aveva incontrato, ogni giorno acquistava
un sapore diverso, migliore. Si svegliava e pensava se lo avrebbe
visto, se lo avrebbe sentito. E lui chiamava, o usciva con lei. Le
diceva cose immensamente interessanti, o semplicemente belle. Passava
il tempo con lei, e tardava di proposito il momento in cui si sarebbero
separati.
Lei aveva creduto di sapere cosa stava rimpiangendo ancora prima
di averlo vissuto, ma solo ora era in grado di apprezzare la meraviglia
di quello che
provava, di quello che, nonostante tutto ciò che aveva
temuto per il
proprio futuro, stava vivendo giorno dopo giorno.
Grazie.
Appoggiò le labbra sul pupazzo. Grazie.
La neve gelida le bagnò le labbra. Ridacchiò,
sentendosi molto sciocca e felice.
Si allontanò e tornò indietro, giù per
il ponte.
Alexander si sentiva molto stupido.
Si rimise seduto, sbattendo le mani sul terreno. Si alzò in
piedi
e, con due manate, si ripulì dalla neve.
Era la prima caduta, ma aveva già rischiato di scivolare per
ben
quattro volte. Era ora di mettersi in testa che fare jogging con la
neve era
impossibile. Non in quel sentiero, almeno.
Prese a camminare di malavoglia. Aveva voglia di muoversi veloce,
mettere una gamba davanti all'altra non bastava..
Accorgendosi del silenzio, si fermò di colpo. Il minidisc
aveva smesso di funzionare. Lo
cercò nella tasca della tuta nera.
Ci mancava solo questa.
Lo
tirò fuori, aprendolo.
Risistemò il piccolo disco e cliccò sul tasto di
accensione. Funzioni
ancora? La
musica riprese a suonare nelle sue orecchie, indicandogli il tempo. La
spense: quel
ritmo non gli serviva a niente se non poteva correre.
Si incamminò lungo la riva del lago. Doveva uscire al
più presto da quel parco. Alcuni marciapiedi erano
già stati liberati dalla neve, e forse lì sopra
lui aveva una speranza.
Udì delle risate. Sulla riva opposta alla sua, una
famiglia - una madre e due bambini - stava costruendo un pupazzo di
neve.
Aveva creduto che non ci
fosse quasi nessuno in giro, con la neve che cadeva ancora. Non era
l'unico pazzo, allora, come aveva lasciato intendere Shun. Oltre alla
piccola famiglia c'era anche qualcuno sul ponte, che se ne stava
persino fermo a guardarsi in giro, ed era...
Ami.
Si riaccese. Ami!
Scattò in avanti, diretto verso di lei.
Due passi e si
ritrovò di nuovo schiena a terra, gli occhi al
cielo.
Ehi,
cominciava a far male.
Diavolo! Magari Ami lo aveva pure visto.
Tornò seduto e la cercò. No, per fortuna
lei non lo aveva ancora notato. Era impegnata a fissare un... un
pupazzo
di neve?
La piccola forma bianca smise di interessarlo nel momento in cui si
concentrò sul viso di lei.
Dimenticò di rimettersi in piedi.
C'era un sogno dietro al modo in cui Ami guardava davanti a
sé, verso
un intero mondo di serenità in cui si poteva essere
incredibilmente contenti, anche senza motivo. Era un mondo dove si
poteva posare un bacio su qualunque cosa regalasse
gioia, fosse anche di fatta neve. Era il posto dove si rideva
innocenti, felici, puri come lei, pieni di...
Di tutto quello che lui voleva darle.
Tornò a sbattere le palpebre solo quando il
freddo lo colpì dritto in faccia.
Non ritrovò con facilità l'equilibrio, non subito.
Una volta in piedi, rimase fermo, a rendersi conto di essere
caduto in tutt'altro modo quel giorno.
Ami inspirò. Ed espirò.
Continuava a sentire le guance che ardevano feroci, senza scampo.
Non serviva nemmeno evitare di guardare lui. Sapeva
benissimo,
infatti, che Alexander la stava deliberatamente fissando.
Ma che gioco era?
Si fermò sul marciapiede e si girò per
affrontarlo,
senza incertezze. Quasi. «C'è-
c'è
qualcosa di cui vuoi parlare?»
«Hmm.» Lui fece finta - perchè era far
finta - di
pensarci. La guardava e sorrideva, sornione, come se sapesse qualcosa
di importante. «No, direi che
non voglio... parlarne.»
Lei avvampò in una tonalità di rosso non ancora
inventata: e voleva fare cosa
invece?
Beh, doveva smetterla. Sentirsi così a disagio non le
piaceva. «Mi stai mettendo in imbarazzo.»
Lui tornò serio. «E non voglio farlo.
Vorrei guardarti in faccia quanto voglio senza vederti cambiare
colore.»
La soluzione era semplice. «Guardarmi di meno,
allora.»
Perché ora sembrava rassegnato?
«Credo che sia un problema che
dobbiamo
risolvere.»
«Sarebbe un
problema se
non
si trattasse di un comportamento normale. Invece lo
è.» Non era affatto strano imbarazzarsi quando si
veniva osservati tanto a lungo.
Alexander non rispose. La logica di lei funzionava, se si consideravano
due persone qualunque. Ma non era quello che lui voleva che fossero e
non poteva essere nemmeno quello che voleva lei. A parte dirlo
apertamente, stava già cercando di farle capire in
ogni
altro modo possibile che voleva essere una coppia a tutti gli effetti
con lei. Una coppia vera, dove ci si guardava, ci si toccava, e si
anelava di farlo ancora.
Ami lo guardava dubbiosa. Fu l'unico momento - forse il primo di tanti
- in cui lui non capì il suo atteggiamento. Lei era davvero
troppo timida, ma per quale motivo?
Ami ignorò il problema girandosi per camminare, e Alexander
scattò in avanti con la mano, afferrandola in tempo per un
polso.
A mezzo metro dalla faccia di lei c'era un palo.
«Oh. Grazie.»
«Di niente.»
Ma non serviva essere educati, non avrebbe mai lasciato che si
facesse male. Teneva immensamente a lei, e voleva accarezzarla in viso,
ma non perché si era colpita. Si rese conto di aver messo in
pratica quei desideri sul polso di lei. Ami aveva gli occhi sulla mano
di lui, che la stringeva.
«Cosa c'è?» gli
chiese.
Non capiva? No, non poteva essere vero. Anche
lei teneva a lui. E toccarsi era normale tra persone che si volevano
bene. E tra persone che andavano oltre quel legame...
Prese coraggio e scese con le dita, incrociandole con quelle di lei.
«Non c'è niente. Andiamo?»
Ami si era immobilizzata.
Puoi essere timida, ma
fino a questo punto? Non posso permetterlo. Lui con lei
non stava giocando. «Se non vuoi, posso
lasciarla andare.»
Ma non gli sarebbe piaciuto e si sentì stupido, ma a lei lo
fece capire.
Ami fissava i loro corpi che continuavano come un solo attraverso le
loro mani. Mosse le dita contro le sue, attraverso i guanti, e
Alexander sentì un brivido che non capì.
Solo per questo, per un
piccolo sfregamento?
Cercò di non scoppiare di felicità. Il futuro era
roseo, magnifico.
Ami si era decisa a stringergli la mano. Scosse la testa. «Va
tutto bene. Andiamo.»
Makoto passò ripetutamente le dita davanti ai suoi occhi.
Ami si scosse. «Scusa. Ero distratta.»
«Lo vedo» sorrise Makoto. «Almeno anche
tu sei umana.»
Dall'altra
parte
del tavolo
Minako picchiò due volte la matita sul foglio.
«Concentrazione, Ami!» Ridacchiò,
tirando fuori
la
lingua. «Non ne capisco niente di queste equazioni, devi
aiutarmi.»
«Vieni qui, provo a darti una mano.»
Anche Makoto si avvicinò per ascoltare la
spiegazione.
Minako passò lunghi minuti con la fronte corrucciata. Alla
fine
della piccola lezione, si illuminò. «Ho
capito! Credo.»
Divertita, Ami la consolò con un tocco sulla spalla.
«Posso spiegarti di nuovo, se non è
chiaro.»
«Uffa.» Minako
abbandonò le braccia sul
tavolo. «Se ci fosse qui anche Usagi, forse mi
sentirai meno sciocca.»
Rei sottolineò un'altra riga del proprio libro.
«Non saprei.
Ormai studia così tanto con Mamoru che credo che sia uscita
dalla fase di ignoranza più acuta.»
«Sai che
ripetizioni» sbuffò Minako.
Ami non capì. Cosa intendeva dire? «Mamoru
è in
grado di
insegnarle molte cose.»
Tutte le sue amiche la fissarono con un sorriso segreto.
Eh?
Minako si decise a chiarire.
«Sì, Ami... Ma forse lui non le insegna solo
matematica.»
Oh,
avvampò lei. Che razza di insinuazione! Era
proprio da Minako trasformare tutto in se- se- ses- sess...
Minako quasi si bucò la guancia con la matita.
«Ehi, non li
biasimo!
Hanno
un'eternità da passare insieme, ma anche io se fossi al loro
posto avrei cominciato subito.» Rise.
Makoto alzò gli occhi al cielo e Rei sospirò.
Ami invece smise di respirare.
Eternità.
Un attimo dopo, cercò di non pensarci più
Il giorno seguente camminava lungo il campus
dell'università, senza voler riflettere su... Nulla, proprio
nulla. Perché non aveva importanza.
Alexander non era... eternità. Lui era solo un meraviglioso ora.
Non contava nient'altro.
Lo scorse da lontano, appoggiato contro un muro ad aspettarla.
Da lei uscirono preoccupazioni, persino le idee. Fu solo istinto, pura
gioia, e gli corse incontro, saltellando
sull'ultimo
passo. «Ciao!»
La sorpresa di lui si trasformò in sorriso.
Lo rendeva
felice; non le importava di nient'altro.
Diede un'occhiata a quello che lui aveva in mano. Alexander
inclinò il depliant per mostrarglielo.
«È il programma di scambio coi college
americani.
Potrò candidarmi
solo l'anno prossimo, ma volevo informarmi.»
«Pensi di portarti avanti andando
già
un anno
prima, allora.» Era previdente, una buona cosa. Le
aveva parlato del suo progetto
di specializzarsi
negli Stati Uniti. Nel campo che aveva scelto lui, era l'unica
strada
percorribile per una carriera di eccellenza.
Iniziarono a camminare.
Alexander diede un'ultima scorsa al
depliant prima di chiuderlo. «Non te l'ho
mai chiesto: tu hai mai pensato di andare all'estero?»
Ami ricordò la Germania, l'opportunità che si era
presentata quattro
anni prima.
«Una volta.» Capì
che lui si attendeva di sentirla continuare, ma disse solo quello che
si
poteva aspettare da lei. «Prima di avere una
possibilità, dovrò essere almeno al secondo anno
di
università. Per me c'è tempo.»
Lui si fece silenzioso. «Ci sarebbe anche la
possibilità di partire fin dal primo anno. Non in scambio,
ma
iscrivendosi direttamente all'università
straniera.»
Eh?
Cercò di non allarmarsi, e di non mostrarlo.
Lui proseguì. «In medicina sono
all'avanguardia negli Stati Uniti. Tu non avresti problemi ad entrare
in
una delle migliori università. John Hopkins, Harvard.
C'è l'imbarazzo della scelta.»
«È... costoso.» Usò la prima
obiezione
che le venne in
mente.
«Ma ci sono borse di studio che coprono
ogni
spesa. Pensi davvero che avresti difficoltà a
prenderne una? Riusciresti a mantenerla senza nemmeno pensarci, ti
conosco.»
Esistevano altre obiezioni plausibili? La
verità non era contemplabile come risposta.
Si sentì prendere una mano e dovette guardarlo.
«È solo un'idea per il futuro, Ami. Io
starò
lì almeno per due o
tre anni, quando andrò via.» Si fermò.
Già, sapeva a
cosa stava pensando: quella stima non includeva gli anni lavorativi. E
lavorare in America era proprio quello che lui stava progettando per il
suo futuro.
Ce l'avrebbe
fatta,
lei non aveva dubbi.
«Pensavo solo che mi piacerebbe
saperti
nel mio stesso continente, almeno.»
Nello stesso...?
In futuro. In un futuro lontano anni.
Ami provò ad annuire. Il gesto risultò
dolorosamente meccanico.
Rimase in silenzio, e Alexander non disse più niente.
Che cosa aveva?
Si ritrovavano spesso a non parlare quando camminavano, ma quella
volta era... diverso.
Lui era riuscito ad osservarla a lungo, perché da
parecchio tempo lei scostava lo sguardo, fissando il cielo o la strada,
come se avessero delle risposte.
Le strinse un po' più forte la mano.
Ami si voltò, rivolgendogli un sorrise
debole. Tornò a guardare in alto. «Mi piace il
cielo a quest'ora, il
colore
che prende quando appare la prima stella.»
Lui seguì il suo lo sguardo. «Venere,
sì.»
Gli sembrò che Ami lo trovasse divertente.
«Sì, il
pianeta
Venere.» Rallentò il passo. «Ho
cercato di catturare questo colore in una foto una volta, ma... non
è la stessa cosa.»
Smise di avanzare e Alexander la imitò.
«Sai... siccome non riuscivo a catturarlo in una foto, l'ho
catturato
nella mente. Ho in testa una galleria di immagini che... che mi
ricordano bei momenti. La macchina fotografica non
è sempre a disposizione, la mente invece
sì.» Aveva parlato senza guardarlo, per tutto il
tempo.
«E questo lo è?» chiese lui.
Ami si girò, gli occhi sui suoi.
«Un bel momento?» chiarì Alexander.
Malinconia. Vide quella nel viso triste di lei, arrossato dal
freddo.
Lo
sguardo di Ami iniziò a vagare lentamente, con deliberata
contemplazione,
sulle
loro mani unite e su di lui. Alexander sentì le sue dita che
gli accarezzavano il palmo.
Poi la sua voce fu quasi un sussurro. «Sì. Questo
è uno dei momenti migliori.»
Era perché quel giorno lui aveva parlato di quando sarebbe
andato via? «Potremo costruirne altri.»
Enfatizzò di proposito l'implicito noi.
«Non ci
mancherà il tempo.»
Lei lo guardava, ma stava vedendo altre cose, lontane e spiacevoli.
«Ami, avremo tutto il tempo che vogliamo»
insistette lui. Non solo
i due anni che
mancavano alla sua partenza. Molti di più, se lo
volevano entrambi.
«Che vogliamo?» ripeté lei.
Inclinò la testa
di lato e l'equilibrio del capo le
sfuggì, oppresso.
«Sì.»
Senza pensarci lui le toccò una guancia,
sostenendola. Percepì sul palmo un soffio
di allegria spenta.
«Hai le mani fredde» stava mormorando lei. Anche
così, strofinò
piano
la guancia contro le sue dita.
Lo attraversò una scossa. «Scaldiamoci un
po', allora.»
Con un passo le fu accanto, e con l'altro ebbe le braccia attorno a
lei.
Prima di riuscire a fermarsi aumentò la vicinanza tra loro,
stringendola più forte.
Ami non si spaventò. Sistemò la testa contro il
suo petto e alzò
le mani
fino a poterle posare sulle sue braccia. Alexander sentì
caldo al petto, come non ne aveva mai provato in vita sua.
Abbassò la testa, per essere più vicino almeno ai
capelli di lei.
Ad Ami tornò la risata triste, appena accennata.
«Anche la
tua giacca è fredda.» Sollevò lo
sguardo. E lo fissò su di lui, completamente immobile.
«Non...»
Lui si fermò, pochi centimetri a separarli.
«Cosa?»
«Non...» Ami non completò la frase. Non
sostenne neanche
più il suo sguardo. Scese con con gli occhi, ma non troppo
in basso, rimase su di lui. E ad Alexander sembrò
che stesse fissando... Ami si inumidì le labbra.
Lui aveva la bocca ad un soffio dalla sua quando sentì delle
mani che gli premevano sul petto.
«Aspetta.» Col viso lei non si era realmente
allontanata. «Non... non credo sia una buona
idea.»
«Perché?»
Ami scosse la testa, piano.
Pensava troppo. Con una mano provò a toccarle una guancia,
per farsi guardare. Appena la sfiorò, Ami abbassò
le palpebre.
Lui colmò la distanza tra loro e la baciò. Si
baciarono anzi, perché lei rispose e, quasi subito,
tremò.
Alexander si allontanò: non era stato un brivido di
coinvolgimento. Cercò di vedere i suoi occhi, e li
trovò distesi, grandi. Sorpresi, e ancora malinconici.
Perché? Dovette baciarla di nuovo, cullarla di nuovo, ad
occhi aperti - socchiusi - così da non lasciarla mai sola.
La tristezza di lei si sciolse, sparì con le palpebre che si
abbassavano. Ed Ami tremò ancora, ma lo strinse
più forte. Baciava piano, incerta sui movimenti, delicata
nell'indugiare. Imparò un poco e respirò forte,
sorridendo. E sentì - sentirono - solo loro stessi, che si
incontravano continuando a cercarsi lenti, trovandosi morbidi e umidi,
completi.
Questo,
pensò lui, seppe lui.
Tu,
capì.
Sei tu.
... era innamorata.
Ami si rigirò nel letto abbracciando il cuscino, sorridendo,
vedendo luce al posto del buio nella sua stanza.
Qualcosa si era compiuto in lei, e forse era quello
che scoppiava nel suo petto a straparlare, ma non le importava
più.
Pensare non aveva più senso, gli ostacoli non avevano senso.
Contava essere, e stare con lui.
Sarebbero rimasti insieme fino a che lo avessero voluto entrambi. Non
importava di quanto tempo si trattasse. Ogni momento sarebbe
stato necessario,
indispensabile, perché lei...
Lei lo amava.
Era Ami piena d'amore, ed era così bello.
Era tremendamente bello essere amata, riamarlo.
Esisto - esistevo - per
questo.
Colma, dormì.
Era uno stato di grazia continuo.
Alexander si staccò, solo per appoggiarle le labbra sulla
guancia. Sapendo già che non sarebbe riuscito a staccarsi di
colpo, le affondò la faccia nei capelli corti.
Quella sensazione gli mancava nell'istante in cui smetteva di esserci,
perciò si costrinse a parlare con estrema riluttanza.
«Ho gli esami, la prossima
settimana.»
Ami alzò la testa e annuì, il respiro contro il
suo viso. «Anche
io.»
Lui aveva studiato molto meno del necessario da quando l'aveva
conosciuta e, nell'ultima settimana, semplicemente non aveva pensato
che a lei. A vederla, quando non era con lui. A toccarla, quando
l'aveva accanto. «Forse... »
Ami si allontanò per guardarlo meglio, sorridendo.
«Dopo
gli esami?»
Ci aveva pensato anche lei, allora. «Sì,
dopo oggi... è meglio se ci
vediamo solo
dopo gli esami.» Rischiava seriamente di fallirne
più d'uno.
E, con ogni secondo che passava, importava sempre meno. Era...
follia.
Rimasero in silenzio.
Improvvisamente, gli venne quasi da ridere. Quasi, perché i
giorni che
aveva davanti si prospettavano un tormento. «È la
prima
volta che
vorrei non dover studiare.»
Ami tornò ad abbracciarlo; la sua risata era limpida.
«Anche
io.» Si staccò di nuovo e lo guardò.
«Ma
dobbiamo
studiare
entrambi, è importante. E ci distraiamo troppo l'un
l'altra.» Gli strinse una mano tra le sue, facendo un passo
all'indietro. E un altro ancora, avvicinandosi al cancello di casa sua.
«Devo
andare.»
Aveva ragione; si stavano salutando da minuti interi, d'altronde.
Ma non gli lasciò la mano. Per un bel po'.
Il sorriso gli crebbe senza tregua. «Non vuoi
andare.»
L'espressione di lei si fece seria. «Beh, no. Un attimo, devo
solo
concentrarmi.»
Quasi dieci giorni senza vedersi erano tanti, troppi. La
riportò contro di sé: poteva concentrarsi su
altro, almeno per qualche altro minuto ancora.
Fu solo perché lo volle lei che staccarono di nuovo le
labbra.
Ma non la lasciò andare. Solo qualche momento in
più; non poteva far male.
La sentì sorridere e scuotere la testa. Fu lei ad
avvicinarsi di
nuovo, a prendergli la faccia tra le mani. A mettere dolcezza e
passione in unico bacio.
Troppo sorpreso per fare altro, la lasciò andare quando
balzò ad un passo da lui.
«Ci vediamo appena finiti gli esami.» gli disse,
ridendo.
Poi entrò in casa.
CONTINUA....
Note: ed ecco il terzo! Confermo che che il prossimo capitolo
sarà l'ultimo. La storia di Ami e Alexander continua
comunque nell'altra mia fanfic, "Verso l'alba".
- grazie mille davvero a chi ha commentato il precedente capitolo.
luisina: sì, nella parte che hai citato ero davvero ispirata
:) Ami è sicuramente molto più razionale di
Alexander. Qui la faccio sciogliere parecchio, credo facendo a fette le
riserve iniziali (in parte naturali del suo carattere, in parte
conseguenza di ciò che la aspetta). Sì, ho voluto
rendere emblematico il momento in cui prende in mano il casco. Grazie
ancora per aver voluto condividere con me la tua precisa analisi.
Ami_mercury: passaggio graditissimo il tuo, anche quando è
rapido :) I tuoi complimenti mi fanno capire che ti trasmetto
grandi emozioni con ciò che scrivo; è quello che
amo di più quando leggo io stessa, quindi è il
meglio che posso desiderare per un lettore. Mille grazie per volermelo
far sapere ogni volta.
Himechan: sono molto felice che tu conosca 'Far and away'. È
una
melodia che mi piace da molto tempo e in effetti sì, l'ho
ascoltata mentre scrivevo. Devo dire che per la maggior parte di questo
capitolo ho ascoltato due canzoni di Beyoncé ('Disappear' e
'Broken-hearted Girl'), se può interessare :)
Sentendo la musica e la voce più che le parole. Ma
è un'informazione in più, questo capitolo
può essere letto in un tranquillo silenzio ovviamente.
Questa è la parte clou della storia, quella in cui nasce la
loro relazione. Ho scelto di raccontarla in diversi momenti, spero di
essere riuscita a trasmettere l'attrazione a pelle e
l'affinità che tu hai già colto nel precedente
capitolo.
chichilina: anche un commento breve è sempre gradito :) Sono
felice che Ami ora ti piaccia ancora di più. Qui spero di
averla caratterizzata abbastanza da rendere ancora di più
l'idea di 'lei'.
Grazie anche alle altre dieci persone che seguono questa storia.
Sperando che vi piaccia, saluto anche voi :)
ellephedre
Note del Settembre 2009:
capitolo revisionato nello stile e nella stesura.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Acqua viva
Note: il capitolo finale!
- ci sono alcune frasi in inglese in questo capitolo; la traduzione in
fondo (anche se il loro contenuto è comunque intuibile dal
resto della storia).
Note del Settembre 2009:
capitolo
rivisto nella stesura (specie nei pensieri di Ami, in alcuni casi
completamente rivisti) e nello stile.
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
La fine dei suoi esami o di quelli di lei? Ovviamente, l'unica risposta
era: di entrambi.
Alexander si alzò e consegnò l'esame completato.
Tornò a prendere la giacca e la cartella e si
lasciò dietro le porte dell'aula.
Ancora un giorno, allora. Ami avrebbe completato i suoi esami il giorno
successivo.
Tuttavia, senza avere più nulla da studiare, le successive
ventiquattro ore si profilavano come una lunga attesa.
Sperò di non aver influito in modo negativo sui risultati di
lei. Era stata un'altra ragione per non vedersi in quelle due
settimane: una studentessa da primo posto come Ami non poteva subire un
calo nel proprio rendimento scolastico solo perché aveva
iniziato ad avere un ... ragazzo.
Uscì dall'edificio, ma neanche il vento gelido gli
cancellò di dosso il sorriso di soddisfazione. Ami era in un
qualche modo ... sua. La sua ragazza.
Gli suonò il telefono. Lo tolse dalla cartella e, senza
preoccuparsi di controllare il
chiamante, lo portò all'orecchio.
«Pronto?»
«Ciao.»
Non era sua madre. Né Nanny Shoko. Desiderò
ridere. «Ciao.»
«Ehm, per l'esame di domani sono preparata.»
E ora voleva correre: l'attesa era finita. Si accorse di non
aver detto nulla.
Ami interpretò male il suo silenzio. «Sono sicura
di poter
prendere il massimo dei voti. Ho studiato molto.
Perciò-»
«Sei a casa?»
Lei ci mise un istante a rispondergli. «Sì, ma
posso
incontrarti
a metà strada. Alla libreria internazionale?»
«Sì. A tra poco.»
La sentì sorridere. «A tra poco.»
C'era qualcosa ... qualcosa di indefinibile, di ... totalizzante in
quello che provava quando stava con lui.
Era amore. E oltre.
Ami lo strinse a sé, abbracciandogli completamente la
schiena e
ridendo. Voleva solo ridere senza fine. E guardarlo.
«Mi sei mancata molto.» Il volto di lui si
deformò
in una smorfia divertitamente infastidita. «What a
sap.»
Rise, appoggiandole la bocca sulla fronte, senza
più spostarla da lì.
Ami ridacchiò. «Sap?»
«Melenso e
sdolcinato.»
Glielo mormorò in mezzo agli occhi, tracciando una scia col
respiro, verso il basso. «È quello
che sono diventato.» Si fermò a guardarla.
«Ma non
mi importa.»
Appoggiò la bocca sulla sua.
E smise di voler pensare.
«È questo piano e quello di sopra.» le
spiegò lui,
uscendo
dall'ascensore.
Ami lo seguì, ritrovandosi in un corridoio di
lucente marmo
grigio, con tonalità accennate di rosa. Aveva i piedi
appoggiati
su un tappetto
rosso. Gli angoli delle pareti erano adorni di piante in fiore; non
sembravano finte.
«So che impressione può dare»
dichiarò
all'improvviso Alexander, con espressione rassegnata. Tirò
fuori
una chiave e si diresse verso l'unica porta presente, una superficie di
legno dalle venature ricercate.
Ami scosse piano la testa. «È molto
elegante.»
«Pretenzioso è più adatto a
descriverlo.» Aprì la
porta e
l'espressione gli si trasformò. «Sono
tornato.» dichiarò
ad alta voce.
Ami lo seguì all'interno di un appartamento che da fuori
aveva
creduto essere molto meno vasto; e lo aveva già immaginato
grande, per cominciare. Sentì dei passi risuonare in una
qualche
stanza lontana, mentre passava la giacca ad Alexander.
«Pensavo saresti tornato più tardi.» Dal
corridoio apparve
una
donna minuta, con una pettinatura corta e vivace. Si bloccò
quasi subito, lo
sguardo su di lei.
«Nanny Shoko, questa è Ami.»
Ami si era inconsciamente immaginata qualcuno di più anziano
di una
donna sulla quarantina, nonostante quello che aveva saputo su di lei.
Le sorrise, inclinando la testa. «Sono Ami Mizuno.
È un piacere conoscerla.»
La donna rise, scuotendo piano la testa e guardando Alexander.
Le
venne
incontro con passi veloci. «È una
sorpresa.» dichiarò con
sincerità. «Io sono Shoko Kaiba. Alex mi ha
parlato di te.» Le prese le mani tra
le sue. «Sarà un piacere conoscerti.» E
sapere
tutto di te.
Quelle ultime parole non le aveva pronunciate, ma Ami le lesse nel suo
sguardo. Annuì, cercando di evitare di sorridere.
Protettiva.
La signora voleva più che bene al ragazzo che aveva
cresciuto, questo
lo aveva capito fin da subito.
Alexander si intromise, poggiando una mano sulle spalle di quella che
era chiaramente una figura materna. «Oggi l'ho solo portata a
vedere
l'appartamento.» Indicò con un cenno della testa
un angolo ed Ami
notò
solo in quel momento una scala in vetro azzurro. Le era quasi sfuggita,
nell'elegante opulenza di quella stanza più
simile ad un salone. «Noi andiamo di sopra.»
La signora annuì. «Se volete qualcosa da mangiare,
basta che
me lo facciate sapere.»
Lui scrollò le spalle. «Non sarà
necessario.»
«È un'ospite, Alex. Deve essere trattata con
cortesia.»
Ami notò lo sbuffo trattenuto, per quanto benevolo.
«Volevo dire che se vorremo qualcosa, la prenderò
io.»
«Allora ti ho educato bene.» La signora Kaiba
ridacchiò. «Torno alle mie
faccende. A dopo.» Con un cenno del capo, salutò
entrambi.
Alexander commentò solo sulle scale, a bassa voce.
«Le piace pensare di avere
ancora
qualcosa da insegnarmi.»
Sorrise e poco dopo indicò la stanza in
cui
erano saliti. «Qui è dove sto io. È
quasi una seconda casa,
a
parte l'assenza di una cucina.» Continuò ad
avanzare,
uscendo dal secondo salotto in cui si erano ritrovati e dirigendosi
verso un ampio corridoio
bianco.
Ami non lo seguì, lo sguardo fisso su una parete fatta di
sole
finestre. Alexander si fermò e, notando dove si era
concentrata
la sua attenzione, si mosse in quella direzione. «Vieni
pure.»
Gli andò vicino e si sciolse nella più completa
delle meraviglie:
non
aveva capito di essere tanto in alto.
Appoggiò le
mani ai
vetri.
Non aveva mai apprezzato le mille luci di Tokyo come nel momento
in cui le vide tutte assieme; davano vita ad un secondo cielo,
costellato da luminosi astri e continue, ordinate scie di meteore che
... si fermavano ai semafori. Sorrise.
Alexander guardò fuori anche lui. «Non si apprezza
appieno
in inverno.»
Ami tenne gli occhi fissi sull'esterno. «Come fai
a dire una cosa simile?»
«Perché il sole tramonta presto in questi mesi. E
non si
può stare con le finestre aperte.» Si
voltò. «Anche in
camera mia ho una parete come
questa.»
Ami si staccò quasi malvolentieri,
seguendolo. Ma, entrando nella
sua stanza, sorrise apertamente.
«Cosa c'è?»
«Non mi ero immaginata la casa. La tua stanza invece ...
quasi alla
perfezione.»
Spazi e linee pulite. Pochi colori essenziali. E alcuni
quadri con immagini che rappresentavano un solo tema: lo spazio e la
sua
conquista. Appoggiò la mano su quello più vicino.
«Questi in particolare.»
Alexander inclinò la testa, gli occhi all'improvviso sulle
finestre. «In realtà sono quasi di
troppo. Guarda.»
Tornò alla porta e
cliccò un
interruttore sulla parete. Si fece buio.
Ami vide la sagoma di lui
uscire dall'ombra e venire lentamente illuminata dalla luce pallida
della notte; si fermò davanti alle finestre.
«Vieni. E non
guardare sotto questa volta.» Col dito indicò
verso l'alto.
Ami si unì a lui e guardò fuori. Verso il
cielo notturno.
La luce della città e dei palazzi vicini creava ancora un
alone che impediva il buio
completo, anche in quella notte senza luna. Ma era comunque una vista
che toglieva il fiato. Osservò in silenzio, a lungo. Poi,
semplicemente, non resistette all'impulso di chiedere.
«Si
può
aprire?»
Sembrava un doppio vetro; sicuramente rinforzato e isolato
termicamente. Ed era sicura che, senza quella barriera, sarebbe stato
tutto molto più-
«Sì» le rispose, esitante. «Ma
fuori si gela.»
«Solo un attimo.»
Si spostò per lasciarlo armeggiare con una
finestra
prima e con una seconda apertura poi. Nella stanza iniziò ad
entrare una pungente aria fredda, ma non le importò. Si mise
proprio davanti a quella corrente, fino a che non le arrivò
dritta in faccia. E fu l'idea migliore che le fosse mai venuta.
Di fronte a lei c'era uno scurissimo blu. E numerosi minuscoli diamanti
in ogni dove,
là in alto.
Si sentì circondare da dietro, una fonte di calore ben
accetta.
Un braccio le andò sul collo, dove era maggiormente
scoperta. «Sei una temeraria.»
Ami sorrise, senza abbassare la testa. «Tu l'avrai fatto
tante
volte.»
«In inverno?»
Lei si limitò ad annuire, senza distogliere lo sguardo da
dove lo aveva ormai fisso.
«Sì.» le confermò lui,
ridendo.
C'erano risate che
scaldavano più di ogni altra cosa. Appoggiò le
mani sulle sue, stringendosi e stringendolo.
Nel nero che vedeva tra le innumerevoli stelle c'erano probabilmente
milioni di
astri e galassie, troppo lontani per essere visti. Era ... l'infinito.
Era come starvi al centro e al contempo lontano, in un posto e in un
momento in
cui c'erano solo due persone. E una sensazione che rivaleggiava con la
meraviglia che provava nei confronti di quanto aveva davanti.
Una folata di vento intenso fece tremare non solo lei, ma anche il
corpo che la stringeva. Si spostò all'indietro.
«Va bene
così.»
Alexander allungò un braccio fuori e chiuse la finestra
più esterna, prima di passare all'altra. «Potrai
tornare in estate, se vuoi. La tengo aperta
quasi senza tregua.»
Gli piaceva parlare del futuro.
E quei momenti erano come piccole punture, dentro di lei. «Ah
.. come
siete arrivati a vivere qui? Questo non è un palazzo
residenziale.»
Alexander annuì, andando vicino a letto e accendendo una
lampada
dalla tenue luce gialla. «Per via di mio padre. Questo
edificio
è di proprietà della società di cui
amministra la
filiale asiatica; la sede regionale si trova qui sotto. Questi due
ultimi piani erano inutilizzati e anni fa lui ha chiesto di poterli
occupare, rinunciando al bonus che aveva ottenuto.» Si
sedette
sul
letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Hanno accettato
la
sua
richiesta: suppongo abbiano pensato fosse un affare poterlo avere
sempre a disposizione. E ... era stata proprio quella l'intenzione di
mio padre:
stare qui per lui era
l'occasione per poter lavorare in qualunque momento.» Si
fermò e, per un momento, la mente si fermò su un
passato
lontano. «Credo sia per questo che all'inizio ho odiato
questa
casa.»
Ami rimase in silenzio. A pensare a genitori assenti che si desiderava
avere accanto più di qualunque altra cosa.
Alexander alzò brevemente il braccio davanti a
sé, un
dito alla parete di vetro. «Solo poi ho iniziato ad
apprezzarla.
Forse avrei
capito comunque cosa volevo fare in futuro, ma ...
così ho sempre avuto la risposta davanti agli
occhi.» Le rivolse un'espressione divertita. «Ma
non
permetterò al lavoro di entrare nella mia vita
più di
così. Voglio dire ...» Si fermò, come
indeciso se continuare.
«Cosa?» Ami si sistemò accanto a lui.
«Non ho ambizioni che vadano oltre una vita
... semplice, dal punto di vista personale. Lavorare a quello che mi
piace e avere qualcuno con cui
condividere un futuro è tutto quello che mi aspetto. I miei
genitori hanno insistito per anni sul fatto che avrei potuto essere di
... più, se solo lo avessi voluto.»
Alzò gli
occhi al soffito, quasi sprezzante. «Più
importante, con ruoli di
responsabilità; più famoso, persino. Ma non mi
è
mai interessato gestire altre persone e per quanto riguarda la
fama» Nel viso gli lesse un vivo fastidio.
«È tutto il contrario di quello
che voglio. Meno persone mi conoscono, meglio è.»
Gli
tornò un po' di allegria. «Naturalmente questo
esclude
un'eventuale fama derivante dal mio lavoro di ricerca. Mi piacerebbe
molto, ma solo perché questo significherebbe che ho
raggiunto un traguardo importante.» Si fermò e
annuì fra sé. «Questo è
quello che
voglio
per il mio futuro. Tutto il resto ... non fa per me.»
Ami era rimasta immobile.
«E tu?»
Non trovò il coraggio di guardarlo. «Credo ...
» distese e
osservò
le proprie mani, pensando al potere che nasceva da loro.
«Vorrei solo essere
felice ... Chi lo sa come può accadere, no?
Possono
esserci strade che nemmeno immagino.» Non le restava che
sperare che fosse
così.
«Direi di sì.» Sentì un bacio
sulla guancia e fu
al
contempo felice e abbattuta all'idea di non potergli nascondere
il proprio stato d'animo.
Lui trovava sempre il modo di capirlo.
Le prese una delle mani che lei ancora stava guardando,
tenendola aperta. «Da bambini insegnano quei giochi che fanno
gli
indovini. Hmm ...» sorrise, iniziando a tracciarle il palmo
col pollice. «Non so quale sia la
linea della vita, ma penso che la tua sarà molto lunga. E se
esiste una linea della felicità, sono certo che
sarà
lunga
anche quella.» Rimase a riflettere. «Destino ...
è un
concetto
che non mi è mai piaciuto. Però ... si
può dire che
è
così
che ci siamo incontrati.»
Ami non tentò nemmeno più di
nascondere quello che
provava.
Quello che avevano era tutto tranne che destino.
E sì,
la sua linea della vita era molto lunga; se ne aveva una, doveva
sicuramente percorrerle il corpo da capo a piedi, incapace di rimanere
contenuta dentro una sola mano.
Alexander le passò una mano sulla vita e la strinse contro
il proprio fianco, parlandole su una
guancia. «Non farlo.»
Fece finta di non capire. «Cosa?»
«Quella faccia. Se ho trovato il modo di dire qualcosa di
sbagliato,
dimmelo. O prenditela con me.»
Sbagliato? Tutto quello che faceva era così giusto. Talmente
giusto
per lei.
Girò la testa, alzandola fino a riuscire ad appoggiargli un
bacio sulla bocca.
Ogni cosa era giusta: il modo in cui la faceva sentire, la
felicità che provava sapendo di renderlo felice.
Se anche un giorno fosse tutto finito, almeno per quel momento, era
ancora tutto vero, reale. Con lei.
Il tocco delle sue labbra venne ricambiato con un cenno di esitazione,
all'inizio, ma presto ogni incertezza fu abbandonata.
Si separarono quando una voce chiamò distintamente il nome
di lui, dal piano di sotto.
Alexander si girò verso la porta aperta e si
alzò. «È mia madre. Vieni, te la faccio
conoscere.»
Iniziarono a scendere per le scale e lui parlò non
appena intravide il piano di sotto. «Hello, mother.»
«Mom would be nice, for a change. I wanted to ask
you-» La voce
femminile si
interruppe quando anche lei finì di scendere le scale.
Alexander continuò. «I am not trying to be formal,
just
funny;
you should know. Questa è Ami. Capisce l'inglese.»
Ami inchinò rapidamente la testa, cercando quasi subito di
non fissare apertamente: la
donna che aveva davanti doveva sicuramente aver fatto del proprio
aspetto un lavoro, anni addietro. Lo capì non solo dalla
bellezza fuori dal comune che ancora possedeva, ma soprattutto dal modo
in cui ogni particolare, dai vestiti agli accessori,
era pensato per esaltarla. Bastava una fugace impressione per
capire che Alexander le somigliava molto. Anche se non del tutto; fra
le altre cose, gli occhi verdi di lei erano brillanti, ma mancavano
delle
tracce di blu che conosceva così bene. Quel viso a sua volta
la
fissò con genuina sorpresa; infine sorrise, quasi con
...
tenerezza?
Sporgendosi verso di lei e un po' abbassandosi, data la sua altezza, la
madre di Alexander
le porse una mano, in un saluto tipicamente americano.
«È un vero
piacere, Ami. Alexander non ha ancora capito che dovrebbe presentare
entrambe le persone. Sono sua madre, Eve Foster.»
«Piacere.»
Alexander alzò gli occhi al soffitto. «Potevo
chiamare 'mother'
qualcuno che non fosse mia madre?»
«No. Ma, caro figlio» sorridendo, usò la
formalità che lui le aveva appena detto di trovare
divertente, «è una questione di cortesia. E sarei
rimasta senza nome se
fosse stato per te.»
Lui non si arrese. «Magari glielo avevo già fatto
sapere.»
«Il magari implica che non l'avevi fatto.»
Sospirò
benevola, scuotendo la testa. «Sii paziente, ho modo di
vincere
solo
questo tipo di discussioni con te. Ma le vinco.»
Alexander non replicò oltre, scrollando le spalle, e sua
madre annuì soddisfatta.
Poi si
girò verso di lei. «Te lo porto via un attimo. Oh,
ecco che
arriva
Shoko-san con il rinfresco.»
Alexander guardò il vassoio pieno di pasticcini.
«Non dovevi.»
Ami
aveva già capito che gli dava fastidio l'idea di avere
qualcuno
che lo servisse.
La signora Shoko appoggiò il vassoio su un tavolino di
vetro. «Alex,
è questione di-»
«Cortesia.» finì lui. «Ami,
avrai l'impressione che io sia
un maleducato dai discorsi che hai sentito fare oggi.»
Lei ridacchiò. «No. Va pure, aspetto
qui.»
Alexander annuì e seguì sua madre in fondo al
corridoio bianco.
Dal punto in cui si trovava, Ami non ne vedeva la fine: curvava, ad un
certo punto.
Si sedette sul divano e prese in mano il bicchiere d'acqua che era
stato appoggiato lì per lei. La governante di Alexander era
seduta di fronte a lei. «È la prima volta che
Ale-chan porta a casa
una ragazza.»
Ami sorrise di fronte al diminutivo. «Beh, noi ...
» Cosa?
Era stata
sul
punto di far capire che la loro relazione non era qualcosa da prendere
con troppa serietà, ma ... non era così; o forse
sì, a seconda dei
punti
di vista.
Shoko Kaiba le sorrise, invitandola implicitamente a rilassarsi.
«Non
ti preoccupare. Non sono qui per farti un processo. Solo ...
» si
appoggiò all'indietro sul divano. «Tengo a lui
come fosse
uno
dei miei figli.» La guardò, come a valutare cosa
fosse
meglio
dire. «Per istinto, mi piaci. Anche solo perché
hai
scacciato
una delle mie più grandi paure. Ho sempre temuto che, con la
scelta che avrebbe avuto, Alexander avrebbe finito con l'essere tentato
da ragazze con molta bellezza e poco cervello. È sempre un
uomo in
fondo.» Sorrise soddisfatta, scuotendo la testa.
«Invece avrei dovuto
fidarmi del mio ragazzo. La prima che ha portato a casa ha bellezza e
molto cervello.»
Ami arrossì. «Grazie.»
La signora prese anche lei un bicchiere e, dopo aver bevuto
pensierosamente un sorso, continuò. «Non si
affeziona
facilmente. Potrei dire che non si affeziona quasi mai. Per questo,
quando mi ha parlato di te, mi ha sorpresa. A parte i miei figli, per
conto suo ha trovato un solo vero amico, da quando era
bambino.»
Si fermò. Poi la guardò dritta negli occhi.
«Alexander non sceglie a caso e so che non ha scelto a
caso nemmeno te. Perciò forse sto per dire qualcosa di
inutile,
ma ... per me è importante. Cerca di capire se provi quello
che
prova lui, se hai le sue stesse intenzioni, ora e in futuro. Penso che
sia un buon consiglio per una qualunque relazione ma .... ci tengo, per
lui. Ci tengo a vederlo felice.»
Ami annuì.
Abbassò gravemente le palpebre e
annuì di nuovo.
Lo stava usando.
Era quasi un eufemismo: lo stava deliberatamente ingannando, oramai.
Il modo in cui lui tranquillamente accennava al futuro, ad un futuro
anche lontano, non lasciava dubbi sull'importanza che stava iniziando a
dare alla loro relazione.
Non si affeziona
facilmente. Non si affeziona quasi mai. Le parole di chi
lo conosceva da molto più di lei.
Era riuscita a intuirlo, ma la sua esperienza le diceva solo che
Alexander era
una delle persone più affettuose che avesse mai conosciuto.
Dentro di sé sapeva cosa provava lui. Anche se non le era
mai
stato detto a voce, sapeva che quel richiamo a cui lui rispondeva
sempre,
in molti modi diversi, poteva nascere da una sola cosa.
L'aveva ... scelta.
Ma di lei sapeva solo che voleva studiare medicina. Non aveva idea di
chi fosse veramente.
Non sapeva che sarebbe vissuta per un millennio.
Lui non immaginava minimamente che lei stesse proseguendo la loro
relazione cosciente che, un giorno, sarebbe finita.
Mentre Alexander pensava ad un futuro insieme, lei cercava di non
pensare al giorno in cui si sarebbero dovuti separare, al giorno in cui
avrebbe dovuto dirgli che ...
Non gli stava nascondendo solo la durata della sua vita.
Tra cinque o sette anni, lei avrebbe dovuto assumersi
responsabilità immani nei confronti del pianeta intero, che
avrebbe guardato non solo ad Usagi e a Mamoru, ma
anche a lei e alle sue compagne, come figure di riferimento.
Era quello il suo futuro.
Lui non lo avrebbe mai scelto volontariamente.
Se lo avesse fatto per lei, sarebbe stato un sacrificio enorme, che non
avrebbe nemmeno potuto dirsi ricompensato da una vita passata insieme.
Ma ... poteva anche non sceglierlo, no? Perché si sarebbe
dovuto
scegliere di vivere in una maniera che non si desiderava, quando non
c'era nemmeno una possibilità reale o quantomeno probabile
che
quella scelta portasse a frutto alcuno? Lei non avrebbe potuto
promettergli niente, non un futuro insieme, non ... dei figli. Avrebbe
potuto dargli solo pochi anni, forse fino a quando la differenza di
età non si fosse fatta pesante.
Anni in cui lo avrebbe costretto ad accettare una notorietà
che
le aveva già detto di detestare e, presumibilmente, anche
responsabilità che non desiderava.
Tutto per ...
Nascose la testa contro il cuscino, chiudendo gli occhi e cercando di
trattenere il dolore.
Tutto per niente. Quel sacrificio, se mai lui avesse voluto farlo,
poteva non avere alcuno scopo.
Se anche l'avesse amata come l'amava lei, con tutta l'anima, scegliere
di rimanere con lei per Alexander avrebbe rappresentato un rischio
enorme.
Poteva rubargli metà della vita, nel tentativo di essere
felice con lui.
Ma poteva anche essere realistica, no? Poteva anche rubargli solo
cinque o sette anni, perché non era affatto detto che lui
l'avrebbe perdonata, che l'avrebbe amata ancora, il giorno in cui
avesse scoperto la verità su di lei e l'importanza di
ciò
che gli aveva nascosto. In pochi lo avrebbero fatto.
... non c'era futuro.
Deglutì e tentò di non piangere.
Aveva voluto talmente tanto poter dimenticare la realtà da
esserci quasi riuscita.
Nessun futuro per i pomeriggi passati a parlare, per gli abbracci che
le avevano regalato un calore sconosciuto, per i tocchi, delle mani,
delle labbra, che li univano come erano già uniti in ogni
altro
modo. Per quanto poco fosse stato il tempo di quel legame.
Nessun futuro per loro due insieme, ma ... c'era un futuro per
entrambi, separati.
E per lui quel futuro poteva essere pieno di tutto quello che aveva
desiderato.
Sarebbe diventato quello che sognava da anni, avrebbe trovato qualcuno
con cui condividere tutto quanto, avrebbe costruito per sé e
per
chi avrebbe amato una vita e una famiglia che lo avrebbero reso ...
felice.
Lei non poteva offrirgli niente di simile.
Quello non era un pensiero recente. Era un pensiero dimenticato, del
giorno ... del giorno in cui l'aveva baciata per la prima volta.
Egoisticamente, non avrebbe potuto mai rimpiangere quel momento; e
chissà per quanto avrebbe ricordato le tre settimane in cui
si
erano amati.
Solo tre settimane.
Sarebbe stato quello l'unico rimpianto.
Non si sarebbe mai pentita di averlo conosciuto; non avrebbe mai potuto
rimpiangere nulla,
fino all'ultimo dei momenti in cui erano stati insieme; anche se
Alexander, probabilmente, avrebbe finito col rimpiangere tutto quanto
molto presto.
Era stata egoista; lo accettava. Per il passato, per quello che non
poteva
più cambiare, lo accettava.
Ma lo amava.
E desiderava per lui una vita di felicità, quella che non
poteva esserci con lei lì accanto.
Doveva ... lasciarlo libero.
Libero.
Pensò al dolore che gli avrebbe evitato, alla gioia di una
normalità che lui avrebbe potuto vivere appieno.
Le diede un po' di pace.
Dormì.
Quando Ami riuscì a scorgerlo, lo trovò fermo,
appoggiato ad un muro e con un libro in
mano.
Per quel giorno avrebbe trovato il modo di fare ricorso a doti di
attrice che non possedeva: qualche altra ora era tutto quello che
desiderava.
Poi ...
avrebbe
detto quello che doveva.
Il peso che tornò a crescerle dentro diventò
rapidamente
opprimente.
Si fermò. Inspirò aria e lo
guardò da
lì, da lontano.
Il modo in cui lui era concentrato su altro ... ricordò le
prime
volte che lo aveva visto, prima che le parlasse. Non era stato davvero
interessato a lei.
C'era stato un ... destino che l'aveva continuamente
messa sulla sua strada.
Se il destino era fatto per cose meravigliose,
capiva perché glielo avesse fatto incontrare. Il dolore non
avrebbe mai cancellato la gioia, quello che aveva scoperto conoscendolo.
Gli guardò il viso. Gli occhi chiari non li vedeva, ma li
avrebbe sognati a lungo. Quelli e
tutti i discorsi che le aveva fatto, con la voce che le aveva acceso
l'anima.
Le mani con cui teneva il libro. Non le copriva quasi mai con dei
guanti, ma, anche quando erano fredde, le avevano dato solo calore.
Voleva sentire ancora quel tepore. E tutto quanto.
Si avvicinò a passi rapidi verso di lui, utilizzando
quel
momento di coraggio. Andò ad appoggiare una mano su una
delle
sue. «Ciao.»
E sospirò: l'espressione che aveva quando la guardava.
Gli rispose con tutto l'amore che aveva dentro, in un sorriso senza
fine.
«Oggi devi tornare a casa a cenare?»
Ami si affrettò a scuotere la testa. «No, possiamo
mangiare
fuori.»
Contento, le sorrise. «Perfetto. Cucina tradizionale o
europea?»
Non aveva davvero alcuna importanza. «Ehm ... il posto che
preferisci?»
Lui la squadrò in modo furbo. «Beh, quello dove ci
sei
tu.» Rise. «Vada per il cibo europeo.» Si
guardò intorno. «Passiamo per
il
parco. Dall'altra parte c'è un posto dove non ti ho ancora
portata.»
Ami annuì, seguendo la mano che la teneva in una stretta
salda e al tempo stesso delicata.
Camminarono in silenzio. Quei momenti senza parole che non avevano
necessità di essere riempiti.
Alexander si fermò all'improvviso. «È
proprio dentro questo parco che
ci siamo conosciuti.»
« ... sì.»
«Vengo spesso a correre qui e forse sono
state solo coincidenze. Ma
... non
credo.» Si voltò a guardarla e indicò
dietro di
sé
con un cenno della testa. «Su quel ponte ti ho parlato per la
prima volta.»
Era vero.
«Ed è successa anche un'altra cosa che non
sai.»
La curiosità prevalse e pose la domanda con l'espressione.
«Ti ho vista il giorno che ha nevicato, proprio
là.»
Per un attimo Ami non capì, poi ricordò.
Oh.
Sperò che non avesse visto-
«Ho capito allora che hai l'abitudine di baciare pupazzi di
neve.»
Arrossì.
No, aveva visto. «Non ti ho notato.
Perché non sei venuto a parlarmi?»
«Ero appena scivolato sul ghiaccio. E poi ... non sono
più
riuscito a muovermi.»
In che senso?
Ma non sembrava avere più intenzione di spiegarle.
La stava guardando con un nuovo tipo di intensità.
Ami non arrossì più. No, voleva solo vivere
appieno ogni
cosa. Accarezzò col viso la mano che andò a
toccarle una
guancia, chiudendo gli occhi.
«Quello che ho capito quel giorno è che ... ti
amo, Ami.»
Il corpo e l'anima le si fecero pietra.
Era ... finita.
Scostò il viso quando lui si abbassò a
baciarla. Per farsi
uscire le successive parole fissò lo sguardo su un punto
vuoto del cielo scuro.
«Io ... tu mi piaci.»
Il ma
lo percepì distintamente anche lui: gli occhi chiari
iniziarono ad allargarsi.
«Ma amore ... è una cosa diversa.»
Ci fu solo immobilità e un illimitato silenzio per un lungo,
interminabile
istante.
Alexander le strinse le spalle, costringendola a guardarlo; aveva
assunto un'espressione talmente ... non avrebbe mai voluto
essere lei a provocargliela.
«Cosa stai dicendo?» Ogni traccia della sempre
presente sicurezza gli era scomparsa dalla
voce.
«Che l'amore ... non fa per me.» E almeno quella
era la
verità,
in parte. Il resto solo orribili bugie; si costrinse a dirle, a
guardarlo negli occhi mentre mentiva. «O forse tu non fai per
me. So solo che
... non sono innamorata di te. Ci ho provato, ma ... non ci
riesco.»
Negli occhi che amava si fece largo il vuoto totale.
Ami si
ricordò
mille e più volte in un solo momento che, se avesse
aspettato
ancora, sarebbe stato anche peggio di così. E non
lasciò
trasparire neanche uno di quei pensieri: indossò una
maschera di
ghiaccio e durezza, la fece diventare propria; divenne lei stessa
inflessibilità.
Non diede altre spiegazioni. Non mostrò un singolo cenno di
rimorso.
Le dita che le avevano stretto le braccia si allontanarono da
lei.
Chiuse
gli occhi, rimpiangendole subito: quella era stata l'ultima volta che
l'aveva toccata.
Represse un sussulto. No,
ancora no.
La propria espressione iniziò ad entrare nel
viso di lui. «Se
la
pensi così, per me non ha senso continuare.»
Ma non si mosse, non si allontanò da lei. Voleva un'ultima
conferma; c'era ancora una speranza.
Ami trovò quell'ultima forza e annuì.
«Lo
penso
anche io.»
Nel momento in cui uccise qualcosa dentro di lui, mandò a
morire anche una parte di lei.
Non avrebbe mai dovuto incontrarla.
Ma meglio ora che tra molti anni. Meglio ora.
Alexander non disse nient'altro. Guardò brevemente di lato,
quindi le diede la schiena e si
allontanò.
Ami rimase incollata al terreno.
Ancora no. Non ancora.
Doveva aspettare fino a quando non l'avesse più visto, fino
a
quando non fosse stato più in grado di sentirla.
Ma, appena fu
abbastanza
lontano, non riuscì a resistere oltre. Si
buttò in corsa dietro un albero, si nascose al riparo di
alcuni
folti
cespugli.
Sussultò con tale forza da non riuscire a trovare
le
lacrime.
E, quando arrivarono, lasciò uscire un singolo lamento di
agonia.
Poi soffocò tutto, ogni cosa, anche il respiro, tra le
ginocchia in cui affondò la testa.
L'espressione di lui in quell'ultimo momento.
Forse non sarebbe mai riuscita a dimenticarla.
Forse non le sarebbero rimasti neanche i ricordi
dei momenti felici.
Li avevi traditi tutti, con le sue ultime parole.
... che ti amo, Ami.
Nel
sonno viveva il momento in cui quelle parole sarebbero state solo le
più belle che avesse mai sentito.
Viveva l'attimo in cui le avrebbe dette a lui.
Viveva in giorni in cui continuava una realtà che aveva
smesso di esistere.
Evitava la strada che avevano percorso insieme per andare a casa sua,
allungando di proposito il percorso.
A neanche due isolati da lì, l'aveva baciato per la prima
volta.
Ed era un ricordo così meraviglioso da essere tormento.
A che serviva continuare a ricordare?
Non poteva più
avere nulla
ed era tortura continuare a pensarci.
... contro ogni logica,
ancora non si era ancora rassegnata.
Tutto sembrava scorrerle intorno.
Doveva dimenticare.
Per un po',
l'unica soluzione era dimenticare.
Era esistito un mondo senza
Alexander.
Era stato un mondo ... di pace. Di tranquillità.
Di
cosa ... non lo sapeva più.
Ma ora era quella la sua vita.
E non aveva più la forza di
disperarsi in silenzio, mentre parlava con chi non ne doveva sapere
nulla.
Od ogni notte, prima di abbandonarsi alla stanchezza del dolore.
Alexander arrivò al parco già in piena corsa.
Un parco
diverso.
Una volta lì, accelerò il ritmo.
Corse fino a non avere più fiato, fino ad avere la gola
secca.
Non toccò una sola goccia dell'acqua che si era portato
dietro.
Quell'arsura era una sensazione su cui concentrarsi, almeno. Assieme ai
polmoni che iniziavano a bruciare.
Presto il corpo gli reclamò di prepotenza aria. E
riposo.
Le gambe gli
cedettero
e trovò la forza solamente per lasciarsi cadere sull'erba
secca e
fredda.
Non voleva pensare.
Ci ho provato ... ma non
ci riesco.
Non ci riesco?
Allora era davvero brava a fingere perché ... dannazione se
le aveva creduto.
Una risata amara, al posto di tutto quello che voleva uscire.
Strinse i pugni.
Amore ... è
una cosa diversa.
Diversa dal volerlo avere vicino ogni volta che poteva?
Era esattamente
quello
che lei aveva voluto.
Ah, ma forse era stato solo provare.
Rilasciò un sospiro di ... rabbia. E di patimento.
Quella faccia.
L'espressione che lei aveva avuto, a volte. Persa, triste.
Era perché aveva tentato di provare qualcosa che non sentiva?
Eppure aveva sempre cercato un suo contatto, dopo.
Le era piaciuto quando la toccava.
Un'immagine.
Gli occhi chiusi, il viso inclinato, ad assaporare il
contatto delle dita con cui le sfiorava la guancia.
Un ricordo.
Ami aveva indugiato su ogni tocco di labbra. Aveva amato
ognuno
dei baci che le aveva dato.
La gioia completa di quando lo aveva rivisto, dopo i giorni di
separazione.
L'impazienza con cui lo aveva cercato. E ogni altra cosa.
Tu non fai per me.
Balle.
Non sono innamorata di
te.
La
più grande serie di balle che fosse mai stata detta.
L'amore ... non fa per
me.
Quella frase ... era lì il problema.
Lo stava allontanando. Credeva che ci fosse in lei qualcosa che non
andava.
L'unica cosa che non andava era quella decisione senza senso.
E lui, che ci aveva messo cinque interminabili giorni a capirlo.
Che, idiota immaturo, non aveva neanche provato a contestarla,
più interessato al dolore causato dal rifiuto che
alla
verità che aveva sempre avuto davanti.
Si alzò.
Corse di sotto, indossò rapidamente la giacca,
dimenticò la sciarpa e uscì.
Se davvero Ami lo voleva
lontano, era meglio che avesse il coraggio di dirgli il vero motivo.
Ma avrebbe potuto dirgli qualunque cosa, restava un fatto: lo amava.
E di allontanarlo se lo poteva scordare.
Usagi la raggiunse sulle scale che portavano fuori dalla scuola.
«Ti accompagno a casa, che ne dici Ami?»
«Sì ... perché no?» Ami
accennò ad un
sorriso.
Nel tragitto, seguì la conversazione di Usagi assentendo e
ascoltando.
Vedeva Makoto e Minako solo alla fine delle lezioni, ma Usagi era in
classe con lei. Forse aveva capito.
Stando con le sue amiche, si era aggrappata alla normalità
che rappresentavano.
Non aveva detto loro
nulla;
non sapevano neanche di Alexander.
Se
l'avessero conosciuto, sarebbero state felici per lei.
E non avrebbero
mai compreso perché un giorno avrebbe dovuto troncare quella
relazione.
Spiegare loro il motivo sarebbe equivalso a
trasmettere
paure che ... le aveva solo lei per ora, ed era meglio così.
Quando arrivarono davanti a casa sua, Usagi sfoderò
un
sorriso da ragazzina impenitente. «Ho una fame da lupi. Mi
offri
qualcosa?»
«Ma certo.»
Era un'occasione per non stare da sola e l'accolse
volentieri. In quei giorni in cui sua madre lavorava fino a notte
tarda, passava
troppo tempo solo con se stessa.
Una volta in casa, preparò ad entrambe una tazza di
tè e
tirò fuori i biscotti con cui faceva colazione.
Usagi prese la tazza offerta e sorrise, con quell'aria perennemente
allegra che solo lei aveva. «Grazie!»
« ... di niente.» Ami iniziò a
girare il cucchiaio nel
liquido. Rimase ad osservare il vapore che si allontanava lentamente
dal
té, in soffici onde bianche.
Un tintinnio e la tazza di Usagi fu appoggiata sul tavolino.
Se la
ritrovò vicino, seduta accanto a lei sul divano.
«Sono preoccupata.» Inclinò verso di lei
la testa, in un
gesto
di apertura e comprensione. «Non stai bene. C'è
qualcosa che
ti
rende triste.»
Sì. Ma era così doloroso continuare a
pensarci.
E anche solo percepire l'affetto di Usagi la faceva
già
sentire ... meglio. Era un inizio.
«Sono qui per te. Parlamene, Ami.»
Lei scosse appena la testa. «Scusa se ti ho fatto stare in
pensiero.»
«Non mi importa. Voglio che tu stia bene. Forse non
sarò in
grado di darti una soluzione, ma
condividere il dolore ... può servire.»
Sarebbe servito solo a far stare male due persone invece che una.
E non
c'era soluzione diversa dal dolore stesso. «È ...
è un
problema che ho creato io. Non ti preoccupare.»
Si portò il tè alle labbra. Bevve un singolo
sorso prima
di accorgersi di non voler bere nulla.
Appoggiò la tazza sul ripiano in legno.
E rimase ferma.
Alzò lo sguardo su Usagi solo quando sentì una
delle mani di lei appoggiarsi sulle sue mani unite.
«Voglio solo stringerti la mano.» le
spiegò, con tranquillità.
La presa si fece
appena più decisa, portatrice di conforto e sostegno.
Ami abbandonò piano la testa contro la spalla accanto a lei.
Non sentì domande, né richieste di spiegazioni.
Ricevette solo un incondizionato e muto supporto.
Usagi, Rei, Makoto e Minako le avrebbero dato per sempre affetto e
supporto. Ma anche così ...
Chiuse gli occhi e concluse quel pensiero, «Non vorrei vivere
per mille
anni.»
Sentì il respiro mozzato e l'attenzione di Usagi.
«Molti meno basterebbero.» Accanto ad una sola
persona, sarebbero stati
meglio di secoli interi.
«Perché?» C'era cautela dietro quella
domanda.
« ... nessuno potrà vivere quanto noi.
È
... triste.»
Percepì il fruscio della coda bionda sulla schiena: Usagi
stava scuotendo la testa. «Io credo che ... potranno vivere
molto
più di quanto vivono ora.»
«È una speranza?» sussurrò.
«No ... so che sarà così. Lo sento. Non
vivranno
mai quanto noi, ma ... più di ora, sì.»
Più di ora, quanto?
Comunque non poteva sicuramente essere sufficiente per una vita normale
con ...
«Sei
fortunata ad avere Mamoru.»
Che avrebbe vissuto quanto tutte loro.
Usagi aspettò prima di parlare. «Sì, ma
... prima
o
poi sarete fortunate anche voi. Dico sul serio.»
«Non potremmo mai trovare qualcuno coi nostri stessi
poteri.»
Il volto di Usagi si girò verso il suo. «Ma ...
non importa,
no?»
«Il potere no. La vita che può dare,
sì.»
Usagi sospirò di sorpresa. «Oh, è
questo?» Le mise le mani sulle spalle e la
allontanò da lei,
per poterla guardare in viso. «Ami. Avresti dovuto
parlarmene.»
«Perché? Non puoi promettere nulla.» E
lei non poteva
rischiare la felicità di chi amava.
«È vero. Però» Usagi la
guardò senza
incertezze. «Ami
... Ho solo le mie sensazioni ora. E la mia
volontà. Ma so che farò di tutto
perché nessuna di
voi debba mai perdere chi sceglierete di amare, perché non
trascorriate da sole il lungo periodo che ci
aspetta.»
«Ma non puoi
promettere che ci riuscirai.» Non lo pretendeva in alcun modo
da lei,
ma ... era un dato di fatto.
Usagi si fece pensierosa e severa. «Non ho mai potuto nemmeno
promettere che avrei battuto ciascuno dei nemici contro cui ci siamo
scontrati.
Ci ho creduto Ami. Bisogna crederci.»
Crederci? Il sogno più folle che aveva ... la sua intera
lunghissima vita trascorsa con Alexander.
Una vita che lui comunque non avrebbe desiderato. I problemi erano
sempre tanti, anche se, se solo avesse potuto ... «Mi sono
innamorata.»
Usagi spalancò gli occhi.
«Lui mi ha detto che mi amava e io gli ho detto ...
» scosse rapidamente la
testa, con ancora dentro l'agonia di quegli attimi. «Anche se
potesse
vivere quanto me, lui non vuole la vita che
avrò. Vuole una vita ... semplice. Io so che non
potrò
dargliela. Gli avrei fatto solo perdere tempo se avessi deciso di
rimanere con lui. Lui ... Alexander è ... »
«Tu non sei una perdita di tempo, Ami.» Usagi la
guardava con seria
tristezza.
Non era quello il punto, non capiva. «Lui vuole una vita
semplice: mi ha detto che non vuole la responsabilità di
altre
persone, che non sopporta la notorietà. E
sarà quella la nostra vita, la mia, la tua. Sapendolo, sarei
rimasta con lui
solo
perché ... » La risposta erano mille parole, tutte
quelle
che
servivano a descrivere ciò che provava.
«Perché lo ami.»
Le spalle le crollarono e abbassò lo sguardo.
«Voglio solo
che sia felice. Che abbia il meglio.»
«È in grado di scegliere da solo cos'è
meglio per lui.»
«Non lo conosci, come ... ?» Non aveva
più la forza di
completare alcuna frase.
«Come lo so? Lo hai scelto tu.» Le sorrise, fiera.
«Deve essere
eccezionale.»
Oh, lo era.
«Ami, ti ha detto che ti ama. Tu non devi regalargli una vita
semplice
o il tuo sacrificio. Devi solo dargli una
possibilità.» Vi
era
certezza assoluta in quell'affermazione.
Ami alzò lo sguardo.
«Ti ama e la merita. E se sapesse tutto di te, sono
più che
sicura che la vorrebbe quella possibilità.»
Ami continuò a non muoversi.
Usagi proseguì, in volto un sorriso che cresceva.
«È questo che
significa
amore, sai? Voler fare cose prima impensabili pur di stare con
chi
si ama.»
Ami prese a respirare, a malapena.
Tutte le risposte che si
era data non avevano veramente tenuto conto di-
«Ami?»
Incontrò di nuovo lo sguardo di Usagi.
«Avresti preferito vivere pochi anni standogli accanto invece
che mille
anni senza di lui?»
Riuscì solo ad annuire.
«Allora è vero amore.» Usagi sorrise
enormemente,
alzandosi. La tirò su per un braccio. «Hai
già perso
abbastanza tempo a spiegarlo a me. Devi andare da lui.»
Come?
Si fece trascinare verso l'ingresso, dove Usagi le buttò
sulle
spalle la giacca, spingendola a indossarla. Le frugò
nella tasca. «Mettiti le
scarpe.
Le chiavi dove sono?» Le trovò nell'altra tasca e,
soddisfatta,
iniziò a indossare lei stessa le proprie scarpe.
Ami infilò un piede nelle ballerine nere.
Davvero
lo avrebbe voluto anche lui? Era così semplice?
Usagi le si parò davanti, scuotendo la testa, divertita.
«Cosa desideri più di ogni altra cosa?»
La certezza che ... no. Avrebbe fatto di tutto anche solo per-
«Una
possibilità.»
Usagi annuì. «È là fuori. Se
non sei ancora
convinta, dimmi che pensi davvero che non la voglia anche
lui.»
Alexander?
Nell'istante stesso in cui iniziò a pensarci seppe la
risposta. Sgranò gli occhi. «Vado.»
Usagi spalancò la porta. «Sì.»
Ami uscì zoppicando sulla scarpa ancora da infilare e non
perse tempo con i bottoni della giacca.
«Aspetta, devi chiudere!»
Tornò indietro con le chiavi, tra le risate di
Usagi che si
toglieva la sciarpa, mettendogliela rapidamente attorno al collo.
Avrebbe trattenuto le lacrime se non fosse stata così
felice. «Grazie.»
«Vai.»
E andò.
Ami scalpitò dentro il treno, ma era il modo più
veloce per arrivare.
Non sarebbe stato semplice per via di tutte le menzogne che gli aveva
detto. Ma gli avrebbe fatto capire che lo amava più di ogni
cosa, che aveva solo avuto paura di ...
Si ritrovò a scuotere piano la testa. Di se stessa.
E non era del tutto una bugia, ora se ne rendeva conto.
Perché, per quanto tutto quello a cui aveva pensato fosse
stato
logico e sensato, ora capiva che ... non l'avrebbe mai fatto se avesse
creduto fin da principio di poter essere amata più di scelte
di
vita che lui aveva fatto prima di conoscerla. Amata come lo amava lei.
Non avrebbe mai perso tempo a concentrarsi sulle
eventualità
peggiori, sul fatto che c'era una possibilità che lui non
potesse mai vivere quanto lei, se ... se avesse avuto più
fiducia.
Aveva ragione Usagi: tutta la loro vita da guerriere era stata
caratterizzata da situazioni in cui avevano sconfitto nemici molto
più potenti di loro, solo credendoci.
E lei invece aveva tralasciato, in tutti i suoi ragionamenti, il potere
che poteva avere quella speranza.
Alexander ci avrebbe creduto anche lui; se ci fosse stata una speranza,
lui l'avrebbe voluta afferrare.
Era stata lei quella insicura, debole.
Inspirò con forza l'aria.
Ma non più. Non si era
mai sentita più forte, più viva che in quel
momento.
Avrebbe fatto di tutto per fargli capire.
Quando le porte del treno si aprirono, uscì di corsa. Doveva
prendere un'altra linea, ma faceva prima a correre che a fare l'intero
tratto fino alla fermata che la collegava con il collegamento
di cui aveva
bisogno. Camminò il più veloce possibile lungo
gli
affollati marciapiedi di quella zona centrale.
Quando attraversò una strada col semaforo quasi sul rosso fu
rimproverata dal suono di un clacson, ma non se ne curò.
Si girò solo quando il rumore si fece continuo.
E si immobilizzò davanti ad Alexander che parcheggiava la
moto su un lato della strada.
Alexander smontò dalla moto e mise via il casco: non voleva
assolutamente niente tra le mani.
Raggiunse Ami, rimasta ferma a qualche metro da lui.
Lei scosse la testa e iniziò a parlare, ma la interruppe.
«Io non ti credo.»
La zittì.
«Hai mentito in tutto, quel giorno. E se credi che l'amore
non faccia
per te, ti sbagli.»
Vide gli occhi di lei allargarsi e continuò prima che
potesse
obiettare. «Tu sei fatta per quello che proviamo entrambi
esattamente
quanto me. Se hai un problema, dovrai parlarmene se vorrai che inizi
anche solo a capire la ragione per cui hai mentito. Ma anche
così, qualunque cosa sia ... non andrò
da nessuna
parte.»
Aveva finito, ma si sarebbe fermato comunque.
Nel viso di Ami non
c'era alcuna traccia di tristezza; iniziò invece a ridere e
a piangere. «Erano bugie. Stavo venendo a
dirtelo.»
Sparì il peso che gli aveva costretto in una morsa il
respiro, anche quando era stato sicuro che-
«Ti amo anche io.» Le lacrime non furono
più solo di gioia.
Ami iniziò a singhiozzare. «Mi dispiace per quello
che ti ho
fatto, per come ho potuto- Credevo di fare la cosa migliore per te,
quando invece ero solo io che-»
La strinse con forza, affondando le dita nei suoi capelli,
circondandole completamente la schiena.
Sentì le braccia di lei attorno al collo, a tirargli ancora
più giù la testa, per strofinare la guancia
contro la sua, mentre un altro sussulto la percorreva. «Mi
sono nascosta a piangere dietro
un albero prima che te ne fossi andato.»
Dio. Fece in modo di avere di nuovo davanti, di nuovo vicino, quegli
occhi grandi e blu. «Stupida.»
Un rapido annuire che bloccò catturandole la bocca. Fu
la sua a essere imprigionata poco dopo da quella di lei.
Non si diedero il tempo di completare neanche un bacio per
diversi secondi. Ami gli afferrò la faccia con
entrambe le mani. «Ti
spiegherò.»
Alexander annuì senza interesse. «Dopo.»
E tornarono a fare quello che amavano più di ogni altra
cosa, a parte loro stessi.
«Cosa c'è, Makoto?»
Makoto, richiamata da Rei, riprese a camminare e raggiunse le altre.
«Niente, mi era solo sembrato ... » scosse la testa
e sorrise, serena. «Ma
è impossibile.»
«Impossibile? Cosa?» Minako aveva visto qualcosa di
particolare nel
sorriso di Makoto ed era proprio curiosa di sapere di cosa si trattasse.
Makoto sbattè la mano verso l'altra parte della strada.
«Là c'è una ragazza che somiglia ad
Ami. Ma mi
sono
sbagliata.»
«Chi?» Minako guardò nella direzione
indicata da Makoto,
cercando fra le persone che si muovevano sul marciapiede opposto.
C'era
una coppia che si stava baciando. La gente che passava loro accanto li
osservava apertamente, alcuni ridacchiando, altri scuotendo la testa e
passando rapidamente oltre. Minako non riusciva a vedere la ragazza, ma
era
chiaro che Ami non si sarebbe mai venuta a trovare in una situazione
del genere. «Hai ragione.» Mentre si girava, scorse
con la coda
dell'occhio un particolare colore di capelli. Blu. E poi un viso.
Strabuzzò gli occhi. «Ma è
Ami!»
Makoto si voltò con la bocca spalancata. Rei
sgranò gli occhi e per poco non ebbe un colpo.
Minako riusciva solo a indicare con il dito, combattuta tra la sorpresa
e il divertimento. «T-Traditrice! Ci aveva detto che stava
studiando in questo periodo ... ora ho capito cosa studia!»
«N-non può essere.» Rei ancora non
riusciva a crederci,
nonostante stesse guardando la scena da ormai diversi secondi.
Parecchi secondi. «Ma non possono staccarsi?!»
Makoto non la stava neanche ascoltando. «Una materia come
quella sembra
davvero interessante.»
La sua testa e quella di Minako si inclinarono lentamente e all'unisono
di lato, seguendo il movimento di quel bacio.
«Finitela! Dev'essere successo qualcosa, Ami non
può fare
una
cosa del genere con uno che conosce app-» Rei si interruppe,
dopo aver
prestato per la prima volta attenzione al ragazzo in questione. Capelli
chiari, non neri ... dove li aveva già visti?
L'illuminazione. «Ma
quello è il tipo dell'altra volta!»
Minako fu colpita da quell'osservazione. «Ma di chi parl-
Ahhh! Nel
locale!» Non si era ancora dimenticata dello straniero
che aveva fissato Ami da lontano.
In quel momento videro lui ed Ami separarsi.
Assieme alle altre, seguì lo
scambio di sguardi e parole, per quel poco che si poteva vedere da
lontano.
Minako fu profondamente colpita dall'intimità di quei gesti:
la scena a cui stavano assistendo sapeva di ... riappacificazione.
All'improvviso non ritenne fosse giusto guardare oltre. Si
girò e mise un braccio sulle spalle delle sue amiche,
facendole
voltare.
«Ci faremo dire tutto domani e, vedrete, crollerà
in due
secondi.»
Makoto non cercò di girarsi di nuovo e non lo fece nemmeno
Rei.
«Già ... sono felice per lei.» Makoto
guardò in alto, in volto un aperto sorriso.
Rei chiuse gli occhi per un attimo e non trattenne una breve risata.
«Sì, non me lo sarei mai aspettata da lei, ma sono
contenta
anche io.»
«Sì, sì, anche io. Ma mi
dovrà
assolutamente
spiegare
come ha fatto ad accalappiare uno come quello! Se si rifiuta, giuro
che metto in pratica la mia minaccia e la elimino! E ora in
marcia!»
Mentre Rei e Makoto erano occupate a ridere della sua battuta, Minako
si voltò per una brevissima sbirciata.
Le uscì un sorriso di profonda felicità.
Mano nella mano.
Labbra contro labbra.
O anche solo cuore con cuore.
Ami sapeva di voler poter vivere così ... senza fine.
FINE
Note finali:
la storia di questi due personaggi continua in altre storie che ho
scritto e che elenco qui, in ordine cronologico.
- Interludio - scena 1 (poco dopo questa fanfic; la spiegazione di Ami
e la presentazione di Alexander alle amiche), scena 4 (qualche mese
dopo; una vacanza al mare assieme a tutti gli altri)
- Verso l'alba (un anno dopo ... ne faccio succedere di cose a questi
due :) )
Traduzione delle frasi in
inglese:
- «What a sap.» - è quasi slang e ha una
connotazione
leggeramente più dispregiativa di «Che
sdolcinato». Mi
sembrava una frase che un ragazzo potesse usare rendendosi conto di che
tipo di romanticherie gli uscivano. :)
- Dialogo tra Alexander e sua madre.
«Ciao madre.»
«Mamma sarebbe carino, per cambiare. Volevo
chiederti-»
«Non stavo cercando di essere formale, solo divertente;
dovresti
saperlo. Questa è Ami. Capisce l'inglese.»
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Capitolo 5 *** Scene - Gennaio ***
Acqua viva
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Gennaio
Alexander stava per mangiarle l'alfiere.
Naturalmente Ami lo aveva previsto, pertanto non le restava che
continuare a rimuginare su quali sarebbero state le prossime mosse di
entrambi nelle combinazioni
più
probabili.
Poteva usare il cavallo per mangiare il pedone scuro di lui, ma
Alexander aveva
già in posizione un altro pedone che avrebbe mangiato il suo
cavallo bianco se lei avesse tentato una mossa simile. Salvare
l'alfiere e perdere il cavallo - facendo perdere a lui solo un
pedone - sembrava stupido, ma liberava la strada
perché
il suo alfiere bianco puntasse a quello di Alexander dall'altra parte
della
scacchiera, dove lei aveva già posizionato un pedone che
fino a quel momento era stato lasciato in pace. Dopo aver mangiato
l'alfiere nero di lui, il suo alfiere bianco avrebbe potuto essere
mangiato
dalla Regina nera di Alexander, ma solo in una mossa suicida,
poiché
questo avrebbe significato lasciare la Regina alla mercè del
pedone bianco ritenuto fino a quel momento
inoffensivo.
Il bilancio di quella particolare combinazione di mosse la portava a
perdere il cavallo e l'alfiere, mentre Alexander avrebbe perso un
pedone, un
alfiere e soprattutto la Regina.
Lui non sarebbe mai cascato nel tranello dell'ultimo
passaggio, quindi
non le rimaneva che puntare sull'alfiere che aveva nelle vicinanze del
Re nemico. Esattamente dall'altra parte del sovrano nero, aveva
posizionato l'altro cavallo e perciò avrebbe potuto
ambire a-
«Potrei farti scacco matto in altre sei mosse. E
tu?»
Ami completò il ragionamento. «Sei anche io. Ma tu
hai
calcolato il numero di mosse pensando al mio comportamento
più probabile?»
«Certo. Potrei farlo in quattro, ma tu non lo permetteresti
mai.»
«Il numero che ti ho dato io invece è il
più piccolo
possibile.»
«Mi sembra che siamo ancora in
parità.»
Notando l'inflessione blanda della voce di lui, Ami alzò lo
sguardo.
«Non vuoi più giocare?»
«Per oggi no. Se vuoi posso lasciare la scacchiera
com'è
adesso. Potremmo riprendere quando tornerai
qui.»
Lei rimase a fissare il terreno di gioco. «No, ti concedo la
vittoria.
Questa era la nostra prima partita, preferisco ricominciare daccapo la
prossima volta. Ora che ti conosco meglio come giocatore ho
più probabilità di batterti.»
Lui sfoderò un sorriso. «Anche io ora conosco
le tue tattiche.»
«Sbagli.» E non era presuntuosa a pensarlo.
«Può
sembrare che io abbia uno
stile, ma sostanzialmente
agisco in maniera analitica.
Tu sei bravo, ma
hai il difetto di lasciarti tentare troppo dalle grosse
prede.» Se
lei l'avesse scoperto prima, avrebbe sfruttato quel punto debole fin da
principio.
«Perciò... mi hai
concesso la vittoria solo perché eri sicura che alla fine
avresti
vinto tu?»
Ami preferì limitarsi ad una minuscola
scrollata di spalle: per quanto fosse la verità, non voleva
sembrare troppo arrogante.
«Sai, sbagli quando dici che non hai uno stile.»
Alexander
aveva poggiato la guancia contro il dorso della mano.
«A
scacchi
sei micidiale e brutale, non conosci
pietà.»
Addirittura? Non era così cattiva.
«Quando mi mangi un pezzo hai una luce assassina negli
occhi.»
Non era vero. «... Sì?»
La risata dolce di lui le piacque. «Non preoccuparti. Appena
smetti
di
giocare torni quella di sempre.»
Ma mi piaci anche
così, fu come sentirglielo dire. Ami ne
arrossì. «Anche tu...»
«Che cosa?»
Lei avvampò solo nella propria testa.
«Niente.» Guardò Alexander dappertutto
tranne che in viso, e finì con lo
scorgere l'ora sull'orologio da polso di lui. «Oh,
è tardi. Ho
ancora un quarto del programma della prossima settimana da
ripassare. Devo andare.» Si alzò, senza aspettarsi
che lo
facesse anche Alexander. Puntualmente, era arrivato quel momento in cui
stare
da sola con lui in camera sua la faceva sentire in imbarazzo,
nervosa e... ansiosa di rimanere. Accadeva quando smettevano di
discutere di libri e quando, in generale, cominciavano a guardarsi
negli
occhi tanto da smettere del tutto di parlare.
«Aspetta.»
Era arrivata sulla porta, ma si girò.
Alexander la raggiunse.
«Gli scacchi me l'avevano fatto dimenticare. Non vuoi un
bacio anche oggi?»
Lei non riuscì più a nascondergli le guance
accaldate. «Sai che parlarne mi fa sentire...»
«Lo so. Preferisci che lo faccia senza chiedere.»
Oltre il culmine dell'imbarazzo per lei c'era solo la rivincita
dell'orgoglio. «No. Posso farlo io a te.»
Vide Alexander addolcirsi, sorridere, e si sentì meglio che
mai nel
capire di essergli pari: lo destabilizzava anche lei, in quel modo
quieto e intimo che avevano scoperto tra loro. Abbandonarono la loro
piccola sfida e ciascuno dei due baciò l'altro, un unico
dono
che non vide vincitori.
Il loro bacio era calore morbido e umido, intenso. Dolce,
così avvolgente da
essere solo piacere. Ami lo assaggiò per
riconoscerlo, per riappropriarsene e non
venirne travolta. Era una corsa a fasi: quando il bacio di lui
cambiava, lei doveva calmarsi daccapo. Voleva farlo in eterno.
Sentì il fruscio della camicia di lui contro la propria
maglia, le braccia che la stringevano per la vita. Lo
accarezzò sino alle spalle, sentendo l'abbandono che
arrivava. Quando gli portava le braccia attorno al collo non c'era
più spazio tra loro e quello era il bacio che lei amava
maggiormente
fra tutti. Ma senza scarpe era scomodo,
doveva alzarsi in punta di piedi e-
Tentando di tirarla su, Alexander le sollevò
involontariamente la maglia sulla schiena.
Lei ridacchiò. «Aspetta.» Si
ricoprì. «Si era impigliata.»
«Hm?»
«La maglia. Non te n'eri reso conto.»
La confusione di lui non svanì, ma la reazione non la
sorprese:
a volte lei gli faceva quell'effetto e se ne beava. Alexander era
capace di farla arrossire dieci volte al giorno, ma a lei per stordirlo
bastava un piccolo bacio ben dato. Anche se l'ultimo non era stato
tanto piccolo. Non resistette e gli sfiorò la bocca
con le labbra un'ultima volta, un contatto che le strappò un
sospiro felice. «Meglio che vada o diventa troppo
tardi.»
«... ah-ha.»
Lo prese per una mano e si fece accompagnare
alla porta del secondo piano dell'appartamento. Alexander lo occupava
da solo; lei la trovava una bellissima casa: confortevole, ordinata,
piena di oggetti interessanti. Ogni mobile era posizionato in
proporzione perfetta rispetto allo spazio che occupava in una stanza;
vi era armonia di forme, di linee. Anche nell'ingresso la scarpiera si
trovava esattamente a
metà tra porta e scalino; lo aveva notato subito.
Si abbassò a infilare gli stivaletti.
«Martedì vengo a prenderti con la moto»
le disse Alexander.
«Ci muoveremo più
velocemente, così non arriverai in ritardo al
doposcuola.»
Anche se avrebbe voluto uscire tutti i giorni con lei, Alex era
estremamente
comprensivo con le sue necessità di studio. Erano le stesse
che
aveva lui e si ammiravano a vicenda per la passione che riuscivano a
sviluppare per qualunque argomento, ogni sfida d'esame. Si
incoraggiavano l'un l'altro. Era... perfetto.
Ami uscì dalla casa di lui e si diresse
al pianerottolo con l'entrata dell'ascensore. Alexander la
seguì
fuori senza mettere le scarpe. Il pavimento era immacolato, conosceva
solo il passaggio di lui, della signora Shoko Kaiba, dei suoi genitori
e... nessun altro, che lei sapesse.
L'ascensore era fermo al piano
inferiore.
Alexander lo notò. «See you then.» La
colse di sorpresa abbassandosi e prendendosi un piccolo bacio che la
fece sorridere.
«See
you.» Volle essere l'ultima a fargli quel regalo, e lo
baciò di nuovo.
«Alla fine... sono stati tre.» Le porte dietro le
sue
spalle
si aprirono.
«Quattro. Ma dovevamo rifarci.»
Lei entrò in ascensore. «Sono d'accordo.
Bye.»
«Bye» la salutò Alex, un'ultima carezza
alla
mano che si staccava
dalla sua.
Alexander chiuse dietro di sé la porta di casa.
La maglia si era
impigliata. Non te n'eri reso conto.
... non vi era stato artifizio nel tono di lei.
Non le era nemmeno
venuta in mente la possibilità che lui avesse un ulteriore
scopo. Se Ami lo avesse lasciato continuare, la sua mossa successiva
sarebbe stata quella di accarezzare la pelle scoperta dalla maglia. E
poi tirare ancora più su il tessuto, accarezzando e...
Forse avrebbe
dovuto essere più chiaro?
Se Ami non
ci stava ancora pensando, era importante iniziare
a
farle prendere in considerazione l'idea. Non voleva metterla a disagio,
ma doveva farla abituare. Piano, certo.
... Quanto piano?
La prospettiva dell'attesa gli causò un momento di
delusione: voleva fare l'amore con lei il
prima possibile. Subito
gli sembrava già tardi. Voleva sollevarle la maglia e
baciarla
sul collo, sentire come Ami sospirava nel ricevere carezze sulle gambe,
sullo stomaco, e dove non si era mai sentita toccare. Voleva farle
perdere quelle sue inibizioni che lui adorava, ma soprattutto voleva
perdere la
testa lui stesso nell'esperienza. Con Ami sarebbe stato perfetto
all'ennesima potenza: si fidava di lei. Era Ami che amava e
finalmente l'esperienza che desiderava da anni con ogni senso fisico
diventava giusto con un'altra persona. Non era mai stato
così.
"Non sai quanto ti amo."
La dichiarazione di Misani - la prima ragazza con cui aveva quasi fatto
sesso - aveva spento i suoi bollori come acqua sul fuoco.
Io nemmeno un po',
aveva
pensato lui tre anni prima. E gli era sembrato sbagliato
continuare a toccarla fingendo un sentimento che non
provava. E di che
diavolo di amore parli? Neppure mi conosci.
Si erano lasciati il giorno dopo.
Non che lui si fosse arreso: in giro per la scuola - ovunque si
trovasse - aveva continuato a conquistare, affascinare, baciare. God, era sempre
stato così facile, e con Ami... mai. Con lei non era mai
scontato.
Quella serie di passati tentativi aveva raggiunto il suo culmine con
Erisa Asami. Invero, una fine ingrata. L'ultima ragazza che aveva avuto
prima di Ami
non solo gli aveva dimostrato di non avere la minima idea di cosa gli
passasse per la testa, ma persino di non essere interessata a
saperlo.
Avvinghiati sul letto di lei, a
metà tra lo scherzo e il complimento, Asami aveva
pronunciato poche parole che gli erano rimaste scolpite in testa.
"Zitto, zitto" aveva ridacchiato lei.
"Perché?" Lui si era messo a ridere. "Non ti interessa
sapere quello che penso?"
"Naah. Sei così bello che per quel che mi importa potresti
anche essere stupido."
Era stato un momento di chiarezza lampante. La frase lo aveva descritto
alla perfezione: era un idiota, tanto sottomesso ai propri bassi
istinti da essere pronto a far sesso con una ragazza che aveva
cominciato ad annoiarlo quando parlava. Dopo pochi giorni Asami era
già diventata un'estranea a cui lui preferiva
non rivolgere la parola quando lei era di cattivo umore, giusto per non
sopportare un problema in più. Se quella prima volta che non
vedeva l'ora di lasciarsi alle spalle fosse stata con Asami, non
avrebbe nemmeno voluto che lei lo abbracciasse a rapporto finito. E -
si era chiesto - dove stava la differenza con tutte le altre
pseudo-relazioni che aveva avuto?
Aveva raggruppato le sue ex in due grandi
categorie: questa
non vorrei vederla in faccia il giorno seguente e questa non vorrei vederla in
faccia neppure nel mentre.
Quel giorno aveva capito che ad Asami avrebbe applicato entrambe le
definizioni. Così l'aveva lasciata.
Il suo amico di tanti anni, Yamato, non aveva mai smesso di prenderlo
in giro per la sua stranezza. "Ti passano dei soldi per rimanere
vergine?"
"Lo farò quando mi va."
"Aspetti la principessa sul cavallo sul bianco."
"No, voglio sentirmi a posto." Perciò doveva almeno
apprezzare la ragazza con cui sarebbe stato. "Devo... volerle stare
vicino."
Yamato aveva sollevato un sopracciglio. "Non ti sei mai fatto problemi
finora."
Baciarsi era un gioco, un'intimità che si poteva fingere o
che
andava bene come passatempo. Per spiegarsi, lui gli aveva detto,
"Mentre sei a letto
con una, non vorresti almeno volerla guardare in faccia invece
di girarti dall'altra parte?" Aveva esposto a Yamato i due gruppi in
cui,
fino a quel momento, era stato costretto a classificare le ragazze che
aveva avuto.
Il suo amico aveva espresso concisamente quello che lui stesso, in
fondo, aveva pensato di sé.
"Sei un bastardo."
Già. Aveva problemi a relazionarsi con la gente, lo sapeva.
Non riusciva a legarsi alle
persone: erano troppe quelle che lo infastidivano, quelle che preferiva
ignorare e quelle che, semplicemente, non gli dicevano nulla. A volte
stava lontano persino dalle persone che lo interessavano. Posso farne a meno.
Con Ami quel problema non era mai esistito: lei lo capiva e
lui capiva lei. Avevano bisogno di stare insieme e lui sapeva di
volerla guardare in viso in qualunque momento. Le avrebbe tenuto le
guance tra le mani per vedere le sue palpebre che si abbassavano, che
tremavano,
la sua bocca che si apriva. Non si sarebbe mai
stancato di baciarla.
E da Ami voleva abbracci. Prima, nel mentre, dopo. Dell'amore di lei si
fidava, non poteva
più farne a meno.
Si fermò davanti alla scacchiera su cui avevano giocato.
Mosse
i pezzi nelle sei combinazioni che avrebbero permesso ad Ami
di
fare
scacco matto.
Micidiale, brutale, senza pietà. Per come lo stendeva
ripetutamente con un semplice sorriso o rossore, lei era proprio
così.
Io mi sono arreso.
Surrender to me too,
love.
FINE
Traduzioni:
- 'See you then' = 'Ci vediamo allora'
- 'Surrender to me too' = 'Arrenditi anche tu a me'
NdA - Acqua viva finisce tranquillamente col capitolo 4.
Queste che sto facendo seguire sono 'scene', un altro dei miei
esperimenti:
non faccio che scrivere papiri, sto cercando di esercitarmi con
qualcosa di più corto. Non preoccupatevi, non mi distoglie
dallo scrivere 'Verso l'alba' :) Uno scritto come questo lo elaboro e
lo buttò giù in poco tempo, è un
piacere e al tempo stesso un esercizio.
Comunque lo scopo di queste scene non dovrebbe essere di descrivere i
patimenti del povero Alexander (:D), quanto di rappresentare momenti di
vita quotidiana di questa coppia, dando un'ulteriore idea dei caratteri
di questi due personaggi.
Dovrebbe essere una cosa per 'mesi', per ora l'ho pensata
così.
'Gennaio' è il mese successivo a quello in cui si svolgono
le vicende principali di Acqua Viva.
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Capitolo 6 *** Scene - Febbraio ***
Acqua viva
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Febbraio
Simmetria.
Trasformazione senza variazioni.
Particolare ordine.
Ami osservò l'esempio davanti a lei, quindi l'operazione sul
foglio. Creò la simmetrica della matrice quadrata e
contemplò il risultato. Era bello.
Alzò gli occhi. Sì, proprio bello.
Per quale ragione la simmetria attirava l'attenzione?
Aveva letto da qualche parte che nemmeno gli animali erano immuni
dall'effetto...
beh, stava considerando una differenza inesistente: gli esseri umani
erano animali.
Che fosse centrale o assiale, la simmetria spingeva l'occhio a
concentrarvisi. Forse era per questo che le caratteristiche esterne
erano simmetriche più spesso di quelle interne. L'origine
della simmetria era da ricercarsi nella necessità
degli
organismi di darsi una forma semplice e utile alla vita. Forse
l'esaltazione delle caratteristiche di simmetria nelle conformazioni
esterne era
soprattutto una conseguenza di criteri di funzionalità,
tuttavia poteva anche
trattarsi del frutto di una selezione evolutiva. La simmetria,
percepita come buona, era diventata bella,
desiderabile.
Ami fissò lo sguardo sull'esempio davanti a lei e, per
testare la teoria,
iniziò a eliminare i colori.
Prima mandò via il castano chiaro dei capelli che
accarezzavano
la fronte di Alexander. In un supermercato, passando per caso per il
reparto di
tinte per capelli, aveva scoperto che per la tonalità di lui
non
c'era un nome preciso:
variava dal biondo scuro al castano chiaro dorato, a seconda delle
marche. Si era domandata se lei non vedesse il biondo per via del
colore più intenso dei capelli di Usagi
e Minako, ma aveva lasciato perdere allora come lasciò
perdere in quel momento. Passò ad eliminare il
verde-azzurro degli occhi
di lui, abbassati sul libro, e proseguì col misto di
rosa-giallo-marrone che era semplicemente pelle chiara. Le labbra di
Alex erano
di una tonalità più scura, ma quelle la
distraevano
perciò le lasciò stare.
Dunque... simmetria. Sì, alla base c'era quella.
Sul viso di lui era tutto regolare: una linea assiale gli divideva il
volto in due, passando dal naso, rispecchiando sia a destra che a
sinistra quasi la stessa immagine. Mento normalmente curvo sulla punta,
con un'ombra un poco sopra a indicarne la
profondità; linea precisa della mascella, che si univa al
collo alla stessa altezza sia a destra che a sinistra. Bocca con labbro
inferiore e superiore del medesimo spessore tranne che ai lati, dove il
primo rientrava creando un angolo appena alto, più vivo che
allegro; narici basse, lievemente ampie e quasi senza curve,
punta
del naso tra il triangolare e il rettangolare che proseguiva in maniera
regolare su un
fusto di cartilagine che si stringeva di poco nel fermarsi in mezzo
agli occhi, ricadendo precipitosamente e morbidamente di lato per tutto
il percorso; accanto vi erano zigomi alti ben visibili e, appena
più in alto, occhi equidistanti dal
naso, infossati al punto giusto sotto sopracciglia spesse
all'inizio che si assottigliavano verso l'alto sulla
fine, in una linea più dritta che curva, quel tanto che
bastava
a creare un'ombra
interessante.
Hmm.
Non era forse più interessante il fatto che tutta quella
simmetria sparisse nel momento stesso in cui Alexander cominciava a
parlare? Sia da serio che da allegro, lui aveva sempre qualcosa di
sollevato o
abbassato, che fosse l'angolo della bocca, la palpebra di un occhio o
un sopracciglio.
Ami riportò l'attenzione sul foglio: la matrice era bella,
ma per lei era più divertente lavorare su un insieme in cui
una
sequenza non risultasse immediatamente evidente. Lo stesso era
nei visi umani, in un certo senso.
Alzò di nuovo lo sguardo sull'esempio e le fu naturale
cominciare a fare un paragone.
Occhi chiari incrociarono i suoi. «... Cosa
c'è?» .
«Guardo.» Non spostò l'attenzione da
dove la teneva. Forse avrebbe dovuto, perché il viso di lui
si
deformò in una risata.
«Me?»
Non proprio. «Riflettevo sulla simmetria. Oggettivamente,
è attraente.»
Alexander fece una brevissima pausa. «Simmetrico mi
piace come complimento.»
«Alla fine però ho concluso che la percezione
della
bellezza non si basa necessariamente su basi simmetriche.»
Lui rimase perplesso. «No?»
«Ho pensato a Yamato-kun.» L'amico di lunga data di
lui, che le era stato presentato circa un mese prima.
Le sopracciglia di Alexander si sollevarono un poco, del tutto
simmetricamente.
Lei continuò. «Lui non è
così regolare.
Alla base sì, ma non nei particolari.»
Indicò la
propria bocca, il naso e la zona generale degli occhi.
«Eppure
sono proprio quelli a renderlo notevole.»
L'espressione di Alexander si fece neutra, guardinga.
... gli aveva detto qualcosa di strano?
«Lo hai osservato bene» le disse lui.
«Beh, sì. È tuo amico.»
Perciò era stato naturale osservarlo, studiarlo.
«Già.»
Il viso di Alexander era tornato a rilassarsi. Prima era
stato... teso.
Ma... «È tuo amico.»
«Sì» si limitò a confermare
lui, incerto sull'obiezione.
«Voglio dire che non puoi essere geloso. E poi era solo
un'osservazione.»
Alexander si prese un attimo di silenzio. «Lo so. Infatti non
ho detto niente.»
Invece le aveva fatto un'annotazione, per quanto generale.
«Non
dovrebbe proprio darti fastidio, è questo che intendo
dire.»
«Penso che sia... naturale. O forse sono
solo io, ma per me è naturale.»
Era proprio una cosa sciocca.
Alexander unì le labbra in una piega
divertita
su un lato e lievemente risentita sull'altro. «Se per te non
è lo stesso, almeno potresti tentare di non
giudicarmi.»
«È solo poco intelligente.» Non pensava
male di
lui, ma niente le avrebbe tolto quella convinzione.
Alexander la fissò negli occhi per un lungo momento. Poi
anche nel suo sguardo si
accese una luce. «La tua amica
Minako...
è
proprio bella.»
Come?
«L'ho pensato sin dalla prima volta che l'ho vista.»
Sentirlo sottolineare il concetto la irritò.
Lui rimase in silenzio, a guardarla.
Ami spostò gli occhi sulla grande vetrata accanto al tavolo
e rimase così.
Passarono due secondi. Tre. Quat-
«Ti ha infastidito quello che ho detto o la vendetta in
sé?»
Per lei parlò una rabbia sottile. «Tutte e
due.» Si
accorse che avrebbe voluto dire 'solo la seconda', per non
dargliela vinta.
Udì il suono della sedia che si sollevava da terra, che si
avvicinava. Si trovavano in
biblioteca.
«Allora mi dispiace per tutte e due.» Alexander
aveva
appoggiato i
gomiti sul tavolo, vicino a lei. «Per la prima cosa e anche
per la
seconda.»
Ami restò in silenzio, ma solo perché non seppe
scegliere tra le cose da dire.
Alexander si era avvicinato ancora.
«Penso che
Minako sia bella come tu pensi che Yamato sia notevole.
Cioè, non
me ne importa niente.»
Sbagliato. «Se non ti fosse importato, non ti saresti
vendicato.»
«Quella è stata la reazione stupida a te che mi
dicevi che ero poco intelligente.»
Lei voltò la testa di scatto. «Non lo
penso.»
«Lo so, per questo il mio era un attacco stupido.»
Il ragionamento filava liscio come l'olio. Allora perché
erano
finiti in quella situazione? Qualunque cosa fosse successa, a
lei non era ancora passata.
Si sentì prendere una mano, il tocco delicato. «So sorry. Lo
sono, davvero.»
Va bene.
... sì, certo che andava bene.
Alexander aveva inclinato la testa, incrociando lo
sguardo che lei aveva fissato sul tavolo. «Sai una cosa?
Credo
che tu
sia più che simmetrica.»
Fu inutile tentare di nascondere il sorriso.
Un dito di lui si appoggiò sul suo naso.
«Perché
simmetrica lo sei. Da qui» l'indice di Alexander si
fermò sulla punta, «a qui.» Il
polpastrello cadde sulle sue
labbra
provocandole un brivido. «E ci sono anche
questi» lui appoggiò la fronte contro la sua,
fissandola
negli
occhi, «che sono grandi e totalmente speculari al
naso.» Strofinò il proprio naso contro il suo,
più
sfiorandolo che toccandolo. «Ma alla fine, per me sei solo...
freschezza. Ti vedo e penso all'aria o all'acqua. Al fatto che sei pace
e la cosa più bella che abbia mai visto.»
Ami si lasciò invadere da una felicità sciocca:
aveva proprio avuto bisogno di
sentirglielo dire.
Ora era contento anche lui. «È importante: non
solo 'ragazza'
o
persona, proprio cosa.
Competi con lo spazio intero e lo
batti.»
Lei gli
accarezzò la bocca con le labbra. Così
iniziò un
bacio e finirono i pensieri, per lunghi momenti. Poi lui le
appoggiò una mano su un ginocchio, lei sussultò e
Alexander si ritrasse di scatto.
Ami avvampò. «Ah...
scusa.» Lui si
era
solo appoggiato per stare più comodo,
perché si
era innervosita?
«No, è... Niente, va bene.»
Eppure lui le sembrò molto più attento quando,
tornando a
toccarla, le prese solo le mani. «Sai, lo pensavo anche
prima:
per oggi basta studiare, andiamo da qualche parte.»
Beh, erano le tre del pomeriggio di sabato ed era una bella giornata.
Gli esami erano ancora lontani. «Sì.»
A lui bastò l'assenso per alzarsi e cominciare a rimettere a
posto le proprie cose, felice.
Ami si alzò in piedi a sua volta, lasciandosi colpire solo
in
quel momento da un'idea naturale. Le diede voce non prima di aver
scelto le parole giuste, per non essere troppo banale. «Per
me... tu sei il
migliore.»
Attirò l'attenzione di lui.
«D'aspetto, in tutto quanto.»
Alexander non trattenne il sorriso. «Il 'tutto quanto'
l'hai
aggiunto dimenticandoti di poco fa. Dev'essere proprio amore.»
Lei fece finta di pensarci. «Anche. Forse.»
Lui ne fu più sereno che divertito.
«Allora sarai love.»
Per un momento lei non lo seguì.
«Mine and yours.» Il mio e il tuo.
«Love,
ti chiamerò così.»
Il sentimento faceva quasi male da quanto era bello.
Sì, era proprio amore.
FINE
NdA
- grazie mille per le recensioni al precedente capitolo!
Ecco le risposte.
- Himechan:
oh sì, questi due pensano troppo, Ami soprattutto. Non
può farne a meno, ma sciogliersi le piace ugualmente :) (ad
Alexander poi piace un sacco). Per certi versi sono ancora un pochino
ingenui e non del tutto maturi (ho voluto farlo vedere qui per ciascuno
di loro due), ma le loro personalità mi piacciono, sono
adatte a questa fase della loro vita ;) Un abbraccio a te.
- pingui79
- anche a me fa uno strano effetto tornare indietro nel tempo :D Poi mi
metto semplicemente nei panni di questi che il futuro non lo conoscono
e la scena viene via che è un piacere :) Sono contenta che
tu abbia gradito, grazie per avermelo fatto sapere.
- akane_val
- tu Alexander lo hai capito benissimo, stava pensando esattamente
quello che hai scritto ;) Qui più che risposte sagaci
c'è stata un'annotazione cattivella e poi tanto love. :D
Sono veramente tanto felice che il mio personaggio originale ti piaccia
tanto, mi commuove *_* Ciao!
- chichilina
- sì, mi parlasti della tua intenzione di stampare
ciò che scrivo. Lo revisiono talmente tanto volte ('Verso
l'alba' in particolare) che ti devo proprio dire che è
meglio se aspetti :D Ma soprattutto, ovviamente, che sono onorata. La
nota sul fatto che ti pare di conoscere questi due è un
grandissimo complimento, specie perché lui l'ho inventato da
capo e quando sono partita a delinearlo è stato faticoso.
Grazie mille!
- Nicoranus83
- mi inginocchio io a te che leggi tutto quello che scrivi e commenti
sempre. Un grazie enorme! Riuscire a non scrivere papiri mi riempie di
soddisfazione (:D) e sono contenta di sapere che trasmetto qualcosa
anche così. Ciao!
- ggsi - Oh
sì, Ami gioca sempre per vincere quando ha davanti una
scacchiera. I tre aggettivi che ti sono piaciuti e il successivo ritmo
mi venuti un po' dal nulla, ogni tanto ho queste illuminazioni (per
tutto il resto la riflessione è lunga e dolorosa... :D:D).
Come facevo dire a Minako nell'ultimo capitolo di 'Verso l'alba',
Alexander è tanto un bravo ragazzo, gentile e perso di Ami,
ma non è che sia immune da qualche piccolo e fastidioso
difetto, tipo quella sottile vena vendicativa che non ama critiche alla
propria intelligenza. Sono contenta che il precedente pezzo ti sia
piaciuto tanto, grazie della sempre precisa opinione :)
- amayuccia
- ma sai che mi hai fatto tornare in mente che c'era anche da
descrivere questo anniversario loro? :D Cioè, non ci stavo
pensando più di tanto (sta succedendo troppa roba in 'Verso
l'alba') :D Mi sa che lo farò arrivare un po' come una
sorpresa anche per loro.
Hai ragione, Ami conosce cosa sia il sacrificio dei pedoni (anche
quando lo è lei stessa), è molto logica in questo.
Ami si innervosisce anche solo quando lui le tocca il ginocchio,
Alexander sta imparando a capire che quella parte lupo la deve tener
nascosta per un bel po' (ma è una fortuna che in questo
momento non sappia per quanto, altrimenti si dispererebbe :D)
Io lo avevo detto che lui era infame (veramente lo diceva lui stesso di
sé, in Interludio scena 4) e sì, parlava della
questione del capitolo 8 di 'Verso l'alba'. Per quanto riguarda la
mentalità delle ragazze giapponesi, so che i giapponesi in
genere sono molto meno lanciati
degli europei o americani, ma si stanno evolvendo da quando sono
entrati in contatto con la cultura occidentale (poveri loro) e non
penso che le ragazze siano tutte come negli shoujo-manga ;)
A parte questo volevo rendere il contesto un po' più
realistico e moderno da questo punto di vista.
Hiii, alla fine ho deciso di saltare la scena dell'incontro Ami-Yamato,
però in compenso credo proprio che scriverò qui
quello di Mamoru e Alexander: mi è venuto in mente come
strutturarlo e la lunghezza di queste scene dovrebbe adattarsi bene.
La caratterizzazione è ciò che mi impegna di
più e provare a immaginare ogni volta cosa provano o pensano
anche personaggi che non ho creato (come Ami e Rei) ma che ho amato, mi
esalta :)
Ciao e non preoccuparti per la brevità di questi scritti, i
mega capitoloni di 'Verso l'alba' sono sempre dietro l'angolo :D
- maryusa -
addirittura non riesci più a immaginare la serie senza
Alexander (rossore e imbarazzo). Grazie :) E sono contenta che 'Acqua
viva' ti sia piaciuta tanto, è stata una storiella con un
parto difficile (lui era il mio primo personaggio originale) che non
è venuta tanto male :) Grazie tantissime per la recensione!
Alla prossima,
ellephedre
|
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Capitolo 7 *** Scene - Febbraio, San Valentino ***
Acqua viva - scene
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Febbraio - San Valentino
«Scommetto che quello è per me.»
Sopprimendo una risata Ami si staccò dal muro. «Ciao
Yamato-kun.» Aveva
preventivato di poter incontrare anche lui, in fondo si era fermata
davanti all'università.
Shun Yamato - il miglior amico di Alexander - si fermò a tre
passi da lei e continuò a sorridere squadrando il regalo tra
le sue mani, con un divertimento che era insieme
ilarità e riflessione. «Sai
che San Valentino non gli
è mai
piaciuto?»
Non era difficile per lei immaginarne il motivo.
«No,
non perché riceveva montagne di cioccolatini sgraditi. Non
ne ha
mai ricevuti troppi, faceva capire che non gli sarebbe piaciuto.
Però c'erano sempre quelle due o tre ragazze che ci
provavano
comunque. Per Fox rifiutarle era più difficile che dire no
a
cento persone diverse.»
«Non voleva fare loro del
male.»
Lui studiò il muro. «Sì,
ma le considerava stupide comunque.»
L'affermazione non la sorprese: ogni tanto Yamato-kun le
descriveva
Alexander in termini poco lusinghieri,
come se volesse testare se sapere tutta la
verità l'avrebbe portata a rinnegare i propri
sentimenti. Lei giudicava
quei tentativi un'importante fonte di informazioni e poco altro: sapeva
bene che si era trovata un ragazzo con dei difetti. Lei ne aveva a sua
volta, come tutti. «Ha mai
passato San Valentino con una ragazza?»
«No. Stava sempre attento a essere o a diventare single in
tempo
per il quattordici febbraio. Non sia mai che pensassero che per lui era
una
cosa seria.»
Questo dimostrava che Alexander era stato piuttosto freddo in passato,
ma la cosa le faceva piacere, in un certo senso: quel San Valentino
sarebbe
stato unico per entrambi.
Il suo silenzio aveva incuriosito Yamato-kun. «Tranquilla
Ami-san, oggi sembrava allegro e sereno.
Complimenti, hai superato il centesimo scoglio con lui.»
Ami sorrise: Yamato aveva intuito che il
suo
buon umore era inattaccabile e aveva lasciato perdere i suoi test. Era
quasi sicura che non gli fosse piaciuto
troppo metterla alla prova, eppure lo aveva fatto ugualmente: l'amico
di Alexander era contorto come persona.
Centesimo scoglio? «Sai che potrei elencarti i primi
novantanove?»
«Lascia stare,
lo immagino. Ascolta
piuttosto un
aneddoto divertente su Fox e questo giorno: in terza media una
ragazza gli ha chiesto se per caso lui continuava a rifiutare lei e
tutte le altre perché... beh, perché preferiva i
maschi.»
Per non ridere Ami si morse l'incavo della bocca.
«Io e lui passavamo troppo tempo insieme e nessuno di
noi due aveva ancora avuto una ragazza, quindi...»
«Era circolata questa voce che ti ha fatto crepare dalle
risate.» Alexander spuntò da dietro l'angolo del
muro di cinta. «Solo tu sai come hai fatto a
riderne.»
Yamato-kun fece spallucce. «Sapevo la
verità.
Forse tu ti sei arrabbiato perché eri confuso.»
Alexander sfoderò un sorriso letale. «Go to
hell.»
Guardò lei e si illuminò. «È
tutto il giorno che non
vedo l'ora
d'incontrarti.»
«Anche io» annuì Yamato con convinzione.
«Per
poter vedere la faccia di lui in questo momento.»
«Va' al diavolo o a
casa.» Col tono Alexander sorrideva.
«Opto per la seconda.» Yamato
indietreggiò di un paio di passi. «Buon
festeggiamento.»
«Ciao» lo salutò Ami.
Tra Alexander e il suo amico vi fu solo uno sguardo. Si salutavano
sempre così.
Lei si ritrovò ad osservare lo scintillio felice negli occhi
chiari del, suo ragazzo.
«Sai che oggi
mi sono sentito molto... fidanzato?»
Aveva pensato di dargli il regalo come prima cosa, ma
cambiò
idea: avanzò di un passo e sollevò la testa,
verso di lui. Diede e ricevette un bellissimo
bacio romantico, proprio da giorno
degli innamorati. Fu leggero nel contatto e profondo nelle intenzioni,
capace di inumidirle la bocca di calore e il cuore di emozione. Lei
era... in love.
Totalmente e completamente in
love.
Si ritrasse, stringendosi nelle spalle e cercando di non
esplodere di gioia al di fuori delle guance. Non era colpa
sua se arrossiva, non sapeva come altro reagire quando era molto
felice.
Già, il regalo. «Tieni.» Glielo
offrì a braccia tese.
Lui lo prese tra le mani, accarezzando il fiocco verde della confezione
a forma di cuore.
«Non l'ho comprato, l'ho fatto io»
precisò lei.
Alexander annuì. «E ti sei esercitata almeno
un'altra
volta durante la settimana - due, se la prima non ti era venuta
bene.»
Naturalmente. «Ma il primo dolce al cioccolato era
già
buono.» Si era fatta dare la ricetta da Makoto.
Lui rimase a guardarla per un po', in attesa di... cosa?
Alexander sorrise piano. «Buon San Valentino.»
Oh, giusto. L'augurio.
«Anche a te.»
«Dobbiamo nasconderci da qualche parte.»
«Come?»
«Sento un bisogno spasmodico di assalirti mentre ti dichiaro
amore eterno.»
Lei ridacchiò. «Teatrale.»
«Se solo
sapessi.»
Lui iniziò a guardarsi intorno.
«Vieni.» La
afferrò per un braccio e la trascinò da dove era
venuto
lui,
dentro il campus universitario. Non fecero molta strada: arrivarono
accanto ad un grosso albero e si inginocchiarono dietro
un voluminoso cespuglio, in un angolo chiuso.
«Perché ridi?» Alexander interruppe la
domanda con un bacio.
Lei si sporse in avanti, verso di lui, ma perse l'equilibrio e cadde
su un fianco, portando Alexander con sé. Sentire il
fruscio dell'erba sotto i loro cappotti mentre cercavano goffamente di
sistemarsi la rese giocosa, felice.
«I'm happy» gli
sussurrò, le palpebre socchiuse.
Lui la baciò di nuovo e lei premette le labbra contro le
sue,
forte, cercandone il sapore. Tornò in ginocchio,
tentando
di
abbracciarlo nonostante l'ingombro delle gambe, ma dovette staccarsi
per capire come fare.
Alexander l'attirò sopra le proprie ginocchia piegate.
«Ma
allora sei tu che assali
me.»
Per non farsi battere dal rosso alle guance, lei gli coprì
la
bocca con la propria.
Le mani di lui le accarezzarono la nuca, tutte e due, infilandosi tra i
suoi capelli. «Ami.»
Ami quando
la chiamava, Ami
quando la vedeva, Ami
anche quando la abbracciava. Ed Ami
mentre studiavano, passeggiavano e parlavano, aprendo ogni pensiero e
sogno l'uno all'altra. Lei era Ami
più che mai in ogni momento con lui: era una se
stessa senza
confini, priva di limiti.
Si ritrasse adagio e lo osservò.
C'era stato un tempo in cui non lo aveva conosciuto, ma non
riusciva quasi a ricordarlo. Rammentava le sensazioni di quando si
erano incontrati, la sorpresa di quando aveva dato un unico nome alle
emozioni che l'avevano lentamente catturata, ma... Gli
accarezzò la parte alta della guancia, sfiorando l'arco
finale del sopracciglio e una ciocca di capelli. Un piccolo raggio
di sole illuminò le sue dita.
Davvero non ti conoscevo?
La luce regalò ai fili
che si erano appoggiati sopra le sue unghie il colore del grano maturo.
Il sole toccò anche le iridi di lui,
rendendole
acqua cristallina, del verde
e dell'azzurro che insieme creavano le più belle visioni
presenti sulla Terra. Le mani di Alexander le scivolarono sulle sue
spalle, stringendola
piano.
Ami si riempì di un sorriso. «Cosa
c'è?»
«Cerco le parole. Sono rimasto senza.»
Lei gli tracciò la
linea dello zigomo con la morbidezza di un
polpastrello, mantenendosi dolce, soave.
«Non
servono.» Scese sulla guancia e di proposito
risalì su un unico e piccolo punto, cercando una sensazione
di ruvidezza che non le capitava quasi mai di sentire. Giocò
a disegnare un amorevole ellisse, nata dalla
tranquillità del caso. Sulla curva finale scivolò
in basso col dito e ne approfittò per
spostarlo di lato, un pochino. Con un brivido
toccò
le labbra appena umide di lui, asciugate dal freddo, screpolate su
un'unica linea
orizzontale. Il polpastrello accarezzò la pellicina
indebolita in rilievo, finendo intrappolato dentro una bocca viva. Che
sorrise.
«Passiamolo sempre così.»
«Hm?»
«San Valentino.» Alexander salutò il suo
dito con
un bacio prezioso.
«Seduti sull'erba?» sorrise lei.
«No, insieme. Fino alla fine dei nostri tempi.»
Mille anni.
Ci pensò per un istante sfuggente che non fece vincere sulla
certezza di loro due; non in quel momento, non in quel
giorno.
«Magari anche dopo.»
Lui si riempì di gioia.
«E prima, sicuramente.» Il suo non fu un bacio, ma
una carezza. «I love you
deeply, Ami love.»
Forever, please.
«And I love you constantly.» Unì il
respiro a quello di lui. «To the first of many
Valentines to come, my love.»
«To the first.»
Brindarono senza altre parole.
Erano andati prima al planetario e poi a mangiare.
Ad Alexander era parsa una buona idea e si era rivelata proprio tale:
Ami aveva
adorato lo spettacolo di quel giorno. Per le stelle e i particolari
scientifici naturalmente, ma anche per i racconti romantici collegati a
ciascuna costellazione ed astro, illustrati nel dettaglio dal
presentatore.
Dopo cena avevano fatto una breve passeggiata per Ginza. Il freddo
intenso di quella particolare notte di febbraio lo avrebbe spinto a non
suggerire l'uscita, nonostante per lui le temperature basse non fossero
mai
state un problema. Ami però aveva insistito. Lei
amava coprirsi
con
guanti, sciarpe e giacche pesanti; apprezzava
tanto
il caldo quanto il freddo. Anzi, nel gelo sembrava... ravvivarsi,
splendere.
«Ho un'idea» gli mormorò lei
all'orecchio, dopo essersi tolta il casco. Smontò dalla moto
e gli sfiorò un braccio, quasi un invito. «Che ne
dici di venire a
casa mia già oggi?»
... quella sera? «Oggi?»
Ami annuì. «Ho concordato con mamma
la nostra cena della prossima settimana.» Si
voltò,
inquadrando il cancello della villetta unifamiliare in cui viveva.
«Lei dovrebbe esserci ancora adesso, ma sta per
uscire.» Scrollò le spalle.
«Vorrà dire che ti
presenterò con qualche giorno di anticipo.»
La madre di lei stava uscendo?
«Così...»
esitò Ami,
«potrai vedere la mia camera. Io ho
visto
la tua.»
Il lampione non li illuminava direttamente e la penombra gli
impedì di capire se Ami era arrossita, ma, nonostante il
tono leggero e scherzoso, il volume della sua voce non era andato
oltre un mero e invitante soffio.
Lei gli stava offrendo di andare a casa sua. Dentro la sua camera.
«... non vuoi?»
Oh no, voleva.
«Certo. Cioè, salgo. Entro.» Per non
balbettare, non disse più nulla.
Lei sorrise. «Perfetto.» Indietreggiò di
un passo.
Lui assicurò l'equilibrio della moto e scese sul
marciapiede.
Non aveva portato niente!
Ami studiò la sua espressione. «Cosa
c'è?»
«Nulla.» Non aveva portato nulla con
sé.
Ma come avrebbe potuto immaginarsi che già quella sera loro
due...?
Okay. «Ti seguo.» Okay, non- Forse stava correndo
troppo. Ami non era una sprovveduta, se gli stava davvero facendo quel
tipo di offerta, allora non era possibile che non avesse pensato alle
precauzioni che dovevano prendere. O magari sarebbe potuto uscire lui a
prendere il
necessario,
dopo?. O lo aveva preso lei...? No.
Ami tirò fuori le chiavi di casa dalla tasca
della giacca.
Se lei non aveva preso niente, magari... magari quella era un'offerta
nata spontaneamente, sul momento.
Era davvero così fortunato?
No, correva troppo. Forse Ami aveva in mente solo qualche... primo
passo.
Okay, poteva andare bene anche così. Se lei era disposta a
farsi coinvolgere, allora... God,
lui avrebbe fatto pianissimo, tutto quello
che voleva lei, glielo avrebbe reso così piacevole che- Che
era meglio se smetteva di pensarci adesso: erano
già di fronte alla porta d'ingresso.
Ami la tenne aperta anche
per lui. All'interno la luce era accesa. «Mamma?»
«Ciao!» si udì dal piano superiore.
Lui iniziò a togliersi la giacca. Era importante operare una
cancellazione totale dei pensieri
dell'ultimo minuto nel giro di cinque, quattro, tre-
«Come ti è andata?»
Due-
Saeko Mizuno apparve sulle scale. E lo vide.
Cancellato tutto, con un secondo di anticipo.
«Buonasera» sorrise lui. Sorrise e basta.
Ami gli prese la mano, tirandolo piano senza uscire
dall'ingresso. Alexander si rese conto di non essersi ancora tolto le
scarpe.
«Mamma, questo è Alexander.»
Lui mosse i piedi velocissimamente, riuscendo nell'impresa idiota di
far
quasi saltare via l'ultima scarpa.
Ami gli chiese di avanzare
ancora. «E lei è mia madre.»
Sì. «È un piacere
conoscerla.»
Saeko Mizuno era... una donna dall'aspetto colto, maturo. Aveva una
corporatura esile - poche rughe - ma erano soprattutto i vestiti a
caratterizzarla: un maglione
nero a collo alto e una gonna bordeaux alle ginocchia. Capi eleganti,
modesti. Aveva i capelli corti come Ami, ma la sua
acconciatura era più essenziale.
Si era atteso di vedere in lei gli stessi colori a cui si era abituato
in Ami, ma i capelli di Saeko Mizuno erano neri e le sue iridi di un
blu cobalto che pareva quasi
nero.
Quegli occhi continuarono a rimanere fissi sulla sua faccia, in una
reazione che gli risultò indecifrabile.
«Sì» disse infine la signora
Mizuno. «È un piacere anche per me. Ami mi
ha parlato
così tanto di te che... pensavo quasi di
conoscerti.» Non sorrise, ma fu divertita di se stessa.
Alexander comprese: la madre di Ami se lo era immaginato diverso. Okay,
quello era territorio familiare: era stato il suo aspetto a
sorprenderla. Come al solito, c'era solo da approfittarsene.
«Mi conosce, se è stata Ami a parlarle di me. Lei
mi capisce meglio di chiunque altro.»
La signora finì di scendere le scale e lui fece un passo in
avanti. «Io avevo avuto
un'impressione molto materna sentendo parlare di lei.» Saeko
Mizuno lo prese come un gran complimento, ma era ancora niente.
«Ma se non si offende, a prima vista lei non sembra una
madre, ma
solo... un buon medico. Dev'essere il piglio, se lo porta a
casa?»
«Oh.» Saeko
Mizuno si sciolse in un sorriso di delizia.
«Beh,
sì, non stacco mai dal lavoro con la testa.»
Riuscì
a tornare seria. «Io... devo dire che non immaginavo di
conoscerti già oggi.» Guardò sua
figlia. «Avete cambiato i vostri piani?»
Ami non conobbe neppure un momento di esitazione.
«Ho pensato che sono già stata
tante volte
nel suo appartamento e volevo fargli conoscere anche
casa nostra. È stata un'idea improvvisa.»
Certo che era proprio furba e intelligente, pensò Alexander.
Sottolineando che era
già stata in visita a casa sua non dava importanza
particolare all'occasione in cui si trovavano in quel momento.
Lo pensò anche la madre di lei.
«Già.» Gli lanciò un'occhiata
perplessa ed evitò un sospiro rassegnato.
«Va bene, io sto uscendo. Sono certa che Ami ti
farà vedere come ha arredato la sua stanza.»
Cosa?
La signora Saeko lo superò di due passi,
senza smettere
di guardarlo. «La sua camera la rispecchia. Nei quadri,
nell'ordine. Nei tanti libri che vi ha raccolto, tutti suoi personali.
Ami è una ragazza molto studiosa.»
... sì.
«Sei molto intelligente e studioso anche tu, a quanto ho
sentito. Mi
raccomando, aiutala sempre a rimanere concentrata. È quello
che
vuole.»
Lui annuì con un sorriso consapevole. La madre di Ami era
stata sottile, ma al contempo chiara.
Stranamente, i primi dubbi furono proprio di Ami: le sue
guance divennero rosa. «Oh.»
Sembrò sul punto di scuotere
la testa, ma lasciò perdere e sorrise, innocente.
«Lo porto a vedere la mia camera allora. Buonanotte,
mamma.»
«Buonanotte.»
Lui chinò lievemente il capo. «Buonanotte
e buon
lavoro, Mizuno-san.»
«Grazie.»
La madre di lei accolse benevola il saluto e finì di
scendere lo scalino che la portava dentro l'ingresso.
Lui si voltò e seguì Ami su per le scale. Lei
aveva appena lasciato intendere che loro due non avrebbero...?
... si era sbagliato? Sul serio?
Veramente?
Davanti alla porta della propria stanza Ami ridacchiò per un
motivo ignoto. Si voltò per dirgli qualcosa, poi
preferì semplicemente mostrargli la camera.
Lui vi entrò con poco entusiasmo. Lo ritrovò non
appena scorse l'ambiente. «Ehi... era come
diceva tua madre.»
Quadri di paesaggi. Ami gliene aveva parlato, ma vedere personalmente
i soggetti, i colori e la tecnica rafforzò se possibile
ancora di
più l'impressione che aveva avuto di lei.
Calma.
Pace.
«La immaginavi ordinata?»
Lui scosse la testa. «Tua.»
Davanti alla finestra c'era una lunga scrivania. Su un
lato vi era un computer, sull'altro uno spazio vuoto, pronto ad
ospitare almeno tre libri o quaderni senza difficoltà. Il
letto era coperto da un piumino azzurro-lillà, perfettamente
piegato. I cuscini erano bianchi, la moquette era blu e l'armadio che
occupava metà di una parete era in legno chiaro, moderno.
Tra il letto e la scrivania era sistemata una libreria composta da due
parti, ciascuna dotata di almeno sei livelli, tutti colmi.
Ami si avvicinò al quadro appeso accanto alla finestra, a
lato della scrivania. «Questo è l'ultimo che mi ha
mandato mio padre.»
«Esco!» disse la madre di lei dal piano
di sotto.
«A dopo!»
«A dopo mamma!»
Lui si era avvicinato al dipinto ad olio. Era un bosco, con un sentiero
in mezzo. Il gioco di luce ricreato dai colori indicava di seguire la
fine del cammino, che curvava fino a
sparire
dietro la folta vegetazione. Più che un sentiero qualunque,
pareva
la strada verso... quello che si voleva. L'idea d'insieme era semplice
e chiara: serenità.
Ami stava guardando il quadro assieme a lui. «Papà
non
dà mai un titolo ai suoi lavori, ma io ho chiamato questo
'Passaggio'.»
«Passaggio?»
«Sì.» Lei indicò il lato
basso del quadro. «Vedi qui sotto? Il sentiero si
è ristretto entrando nel bosco.
Era diverso prima di questa inquadratura. E lì in
fondo» gli segnalò un punto più alto,
nel centro, tra i tronchi degli alberi, «c'è una
sensazione di azzurro, una spruzzata di colore e di maggior luce, come
se dietro vi fosse solo cielo limpido. Quando guardo questo dipinto
penso ad un bosco in cima ad una scogliera. Ci si arriva deviando
dalla strada principale; questo cammino - creato solo dai passaggi
delle persone - porta sul bordo del
promontorio. Oltre c'è l'azzurro del cielo. Sotto, il
principio dell'oceano.»
Lui guardò di nuovo il quadro e cercò di vedere
quel che aveva scorto Ami. Ci riuscì solo ricordando le
parole che
aveva sentito. «Sei... un'artista.» Lo aveva
lontanamente intuito, ma in quel momento ne ebbe la prova
definitiva.
«Un'artista?» fu la risatina di Ami. «No,
io... non so creare niente.»
«Ma hai un animo artistico» insistette lui.
«Se ti
concedessi il tempo, sono sicuro che creeresti qualcosa.» Al
contrario di lei, lui era
completamente
negato, era capace solamente di osservare le meraviglie create
da
mani e teste altrui. Per questo le meraviglie a cui si sentiva
maggiormente affine avevano origine naturale: matematica,
fisica.
éer lui scoprirne e
apprezzarne l'essenza equivaleva a comprenderne l'intimo funzionamento,
a intuirne le regole. La considerava un'arte in
virtù della passione che quell'analisi gli suscitava, ma era
molto diverso da ciò che riuscivano a creare altre persone
con
la pura
immaginazione.
Ami osservò il quadro. «Hm... io non so dipingere
come papà. Ci ho provato, ma non ho la tecnica per dare vita
alle immagini che mi vengono in mente. Non so creare musica, anche se
ho
tentato anche in questo caso. Preferisco ascoltarla. Per quanto
riguarda lo scrivere
non-» Si fermò.
«Hai scritto qualcosa?»
Lei lo scrutò e prese una decisione.
«Sì.» Si allontanò verso la
sua scrivania. «Non si tratta di racconti, mi prenderebbero
troppo
tempo. Però...» Dopo un momento di esitazione
aprì un cassetto. «A volte ho buttato
giù
qualche...» raccolse un quaderno,
«poesia.»
Perché tanto imbarazzo? «E poi dici che non sei
un'artista?»
«Arte non è solo volersi esprimere, ma anche
saperlo
fare.» Lei strinse il quaderno tra le braccia, come a
cullarlo.
Lui osservò la copertina celeste e le tolse il dubbio.
«Ti conosco, Ami, e dove non ti conosco mi sorprendi solo
positivamente. Se ti fa stare più tranquilla, io sono una
tale frana a capirne di
poesia che i
tuoi versi mi sembreranno geniali.»
«No, ti sembreranno ingenui.» Lei gli porse il
quaderno. «Sorridine pure se vuoi, non
preoccuparti. Lo faccio anche io a volte, solo che... queste
poesie sono come una finestra dentro di me. Penso che tu abbia
già visto un po' di quello c'è dietro.»
Lui prese il quaderno.
Non appena l'ebbe tra le mani, Ami si innervosì.
«Ah... vuoi del tè? Dell'acqua?»
«Acqua.»
«Okay. Acqua.» Lei si dileguò fuori
dalla
stanza.
Alexander aprì il quaderno e cercò una pagina
a caso, verso la metà. Si ritrovò davanti un
breve componimento.
Consapevolezza di luce,
brillante oltre il sole
sotto il manto del
giorno, senza forma o colore.
Odora d'eterno,
intonando presenza reale
Canta il contatto privo
di arti
Tocca.
Sussurra.
Dice.
Dice. Cosa?
La domanda lo stupì. E quella era una poesia ingenua? In
poche
righe aveva coinvolto lui, che, naturalmente, non aveva capito
niente. Provò a rileggerla immaginando il soggetto dei versi.
«Aspetta!» Ami rientrò nella stanza, in
mano una bottiglia e un bicchiere. «Non leggere a caso,
è meglio se te ne mostro io qualcuna.»
«Troppo tardi.»
Lei arrossì di mortificazione.
«Ami» sorrise lui, «è
bella.»
Gliela mostrò. «Spiegamela.»
Leii la rilesse e prima ancora di finirla si fermò.
«Parlavo del... dell'essenza di ogni persona. Non di semplice
animo, ma di un insieme di anima, forza... energia. Credo che esista in
qualunque persona e se si riesce a coglierla, può dirti...
quello che vuoi. Qualcosa di vero.» Toccò l'ultima
riga, l'unica parola lì presente. «Per questo non
ho spiegato cosa dice. È da immaginare. Anche per me, quando
la
rileggo.»
Che incredibili ragionamenti, capaci di creare
una logica nuova, affascinante. «Sei un'artista.»
Lei scosse la testa. «Grazie, però te ne faccio
vedere un'altra.» Gli chiese il quaderno e Alexander glielo
ridiede. Con lo sguardo vagò sulla scrivania e
notò un piccolo
contenitore aperto. «Cosa sono quelle?» Tessere?
Ami lanciò un'occhiata.
«Conservo le tessere che ho avuto. Mi ricordano quello che ho
fatto.» Lei continuò a scandagliare le poesie del
quaderno, voltando
rapidamente
le pagine. «Guardale pure.»
Lui non se lo fece ripetere. La prima tessera era della biblioteca
rionale, datata... molti
anni addietro. Era a nome Ami Mizuno, cointestata a Saeko Mizuno. Ami
allora aveva otto anni.
Sorrise: cos'altro poteva aspettarsi da lei?
Tra le tessere notò un
preciso ordine cronologico. Hm. Preferiva fare un viaggio a ritroso nel
tempo: sarebbe partito
dalla fine, dalla Ami che conosceva meglio.
Nel mucchietto trovò diversi abbonamenti annuali del
treno - lo verificò con una rapida controllata al colore dei
bordi. L'abbonamento dell'anno precedente gli regalò
un'immediata visione del passato: solo un anno prima il viso di Ami era
stato più... giovane.
E a dodici anni com'era lei? Per avere la risposta si impose un
po' di calma. Tra le altre tessere scoprì un abbonamento
fedeltà
a una videoteca del quartiere, una tessera punti relativa all'ultima
campagna indetta dalla libreria internazionale di Shibuya,
il cartoncino di un ristorante take-away - mancavano due
timbri al raggiungimento dei dieci pasti necessari ad ottenerne uno
gratis - e... Riconobbe il nome stampato sul retro della tessera grazie
ad un ricordo
vago. Sorpreso, girò tra le mani il supporto di
plastica,
osservandone la parte frontale. Era arancione, con una scritta in
rilievo di colore giallo brillante,
inconfondibile. Appena sotto, una dicitura chiariva che era la tessera
del membro numero...
La cifra era stata inserita a mano.
Venticinque.
Venticinque?
La tessera numero
venticinque riservata ai membri del fan club dei Three
Lights?
Il silenzio era... anomalo? Ami sollevò gli occhi dalle
pagine del suo quaderno e, quando capì cos'aveva in mano
Alexander, volle morire. «Ah-»
Lui era incredulo.
«Ah, qu-quello è solo... So-solo una
cosa-» Nascose la faccia dietro il quaderno, ma riemerse
subito. «Un errore di
gioventù! V-voglio dire... mi piacevano! Non dico di no,
solo che-»
Serrando con forza le labbra, Alexander le fece quasi sparire dalla
faccia.
Lei lasciò cadere il quaderno sul letto e gli
piantò una mano sopra la bocca. «Non ridere. Per
favore, non ridere!»
Lui scoppiò dietro il suo palmo.
Non si
era mai vergognata tanto in vita sua!
«Nonono!» Alexander le appoggiò la mano
sulla
spalla. «Non fare così, dai è...
normal-» Esplose di nuovo.
Lei piantò un piede a terra. «Insomma! Tu non hai
mai avuto una passione sciocca?»
«No, cioè, sì!» Alexander
cercò di smettere di sussultare. «È
solo che... non rido per prenderti in
giro, ma...
ti immagino mentre vai ai concerti, o ti metti in fila nei negozi per
vedere questi tizi, e mi sembri così...» Trattenne
a
forza una nuova risata. «Buffa. Così poco tu,
eppure mentre
ti penso sei proprio tu e non me sono mai accorto»
«Proprio io, come?» La stava prendendo in giro.
Lui si calmò. Respirò un paio di volte prima di
parlare. «Appassionata. So come sei in grado
di appassionarti per l'uscita di un libro che aspetti da tanto, fino al
punto da visitare una libreria ogni giorno se c'è un ritardo
nella consegna. Non ti immaginavo farlo per dei cantanti, ma... riesco
a crederlo. Ti piacevano così tanto?»
«Sì.» Si era innamorata della loro
musica, senza sapere che a incantarla era stato il
messaggio nascosto dietro ogni parola. Non che fosse stato solo
quello il motivo dietro la sua passione per i Three Lights.
«Mi piaceva anche che fosse un interesse che condividevo
con ragazze normali. Per una volta.»
Lui lanciò un'occhiata alla tessera abbandonata sulla
scrivania. «Ma sei stata la numero venticinque, una delle
prime. Quelli
avevano migliaia di fan.»
Lei arrossì. «Mi era capitato di
ascoltarli durante la prima messa in onda alla radio. Il club era nato
nella mia scuola, quindi mi sono unita subito. La loro musica mi aveva
colpito.» Fu colpita anche da un'intuizione.
«Tu l'hai mai sentita?»
Lui esitò. «Sì. Mi capitava
anche di riascoltare volentieri qualche canzone, se la
passavano
alla
radio. Ma mi sono rifiutato di comprare il disco, mi sarei sentito
troppo
una ragazzina urlante.» Ridacchiò.
«Tu urlavi?»
Lei si impose calma. «No. Andavo ai concerti, ma... incitavo
a voce normale.» Forse. Gli urli di Minako
le avevano impedito di avere una chiara percezione del livello di
rumore attorno a lei, compresa la propria voce.
Alexander guardò di nuovo la tessera. «Ti sono
piaciuti così altri cantanti?»
«No, loro sono gli unici che...» Si accorse
dell'errore. «No, dopo mi è passata.»
Lui inclinò la testa. «Erano così
speciali per te?»
«... no.» Taiki era stato solo... la sua prima
cotta artistica.
Ad Alexander bastò guardarla per capire.
«Sì che lo erano.»
Lei preferì il silenzio e lui l'abbracciò per la
vita. «Raccontamelo. In cambio io
ti racconterò qualcosa di imbarazzante su di me.»
Non sarebbe riuscita a resistere, perciò tanto valeva...
«Comincia tu.»
Alexander annuì. «Visto il tema della giornata,
posso parlarti del mio primo amore, l'unico che ho avuto oltre a
te.»
Eh? No, non
voleva sentire. Lui era già stato innamorato di un'altra?
«Si chiamava Yuko-san» sorrise lui.
Yuko. Sapere quel nome non era divertente, non avrebbe mai pensato che
fosse così insensibile.
«Era la mia maestra dell'asilo.»
... la maestra-
Alexander scoppiò a ridere e lei ebbe la tentazione
di imitarlo, ma ricordò i brevi
momenti di dolore e fece una smorfia. «Sotto i sei anni non
c'è
amore.»
«Dissento. Secondo te mi ricorderei ancora del suo nome, se
non fosse stata importante?»
Ami preferì non commentare.
Lui le concesse il dubbio. «Forse mi ricordo di lei
perché non capivo quasi niente di quello che mi diceva. La
mia era un'ardente passione che superava i confini della
lingua.»
Oh, già. A quei tempi, lui era appena arrivato in Giappone.
Alexander le offrì un sorriso più serio.
«Era gentile con me. Mi ha aiutato con i primi passi di
giapponese.»
Immaginare la scena la intenerì.
Lui ne approfittò. «Allora, adesso racconti
tu?»
E va bene, tanto... Sì, tanto era una cosa
sciocca. Si era sentita molto sciocca allora, però si era
divertita moltissimo e ricordava quel periodo con affetto.
Gioventù. Un assaggio di normale
gioventù per lei. «Anche per me
c'entrava qualcosa di simile
all'amore. Avevo una cotta per uno del gruppo, Taiki Kou.»
Si allontanò da Alexander, unendo le mani alle sue e
guardandole. «Per via degli occhiali e di quello che diceva
nelle
interviste, lui sembrava... intelligente.» Sorrise.
Intelligente e coraggioso, Taiki Kou, così simile a lei.
«Alla fine lo era. L'ho conosciuto perché
è venuto a studiare nel nostro istituto con gli
altri.»
«Nella tua scuola?»
L'inflessione del tono di lui la portò ad alzare gli occhi.
«Sì.»
Alexander non era esattamente infastidito o turbato, eppure... era un
po'
tutte e due le cose.
«Era solo una cotta» chiarì lei.
«La parte più divertente era parlarne con le
altre.»
«Della cotta?»
«No, di... loro, dei Three Lights.»
Lui rimase in silenzio.
«Non è una cosa che dovrebbe darti
fastidio.»
Lui ci rifletté. «Sì. È
anche stupido
dopo che ti ho chiesto di raccontarmerlo, ma...» Con un cenno
della testa, la invitò a sedersi sul letto. Lo fecero
entrambi.
Alexander fissò lo sguardo sulla moquette.
«Non so. Come ti ho detto, tu per me sei stata praticamente
la
prima.» Aggrottò la fronte, come se lui stesso
fosse convinto di dire qualcosa di poco sensato. «Avevo
questa idea che... anche io potessi essere stato il primo per
te.»
Il suo primo amore? Oh no. Lei aveva avuto
altre piccole cotte, più o meno intense, dolci proprio per
quello. Ma poi perché diceva che lei era stata la prima?
«Tu hai avuto altre ragazze.» E a lei il pensiero
non piaceva per nulla, ma se n'era fatta una ragione. Era il passato.
«Sì. Ma io non ho mai provato... molto.»
Com'era possibile? «Allora perché stavi insieme a
loro?» Si rispose da sola. A disagio, aggrottò la
fronte: meglio non andare in quella direzione.
«Non è come pensi.»
Se anche fosse stato così, lui
non sarebbe certo venuto a dirlo a lei.
Non voleva nemmeno pensarci. Si voltò di scatto e gli
prese il volto tra le mani. «Dimmi solo che... Che
questo
è il meglio che tu abbia mai sentito.»
Premette la bocca sulla sua, e fu così che se ne convinse a
sua volta. Conosceva Alexander, conosceva loro due e conosceva i loro
baci. Erano
il meglio di
sempre, per entrambi. Non aveva bisogno di prove.
«Il meglio di sempre» annuì lui.
Ma certo.
«Nemmeno mi ricordo di com'era con altre. Non è
una frase fatta, sai? Non mi ricordo. Non voglio, ma non riesco a
ricordarmi di sensazioni passate neanche se ci
provo.»
Lei gli regalò una smorfia divertita. «Non stare a
provarci.»
Alexander le prese il volto tra le mani e lo coprì col
proprio.
Staccò la bocca da lei solo a malincuore.
«Com'è finita la cotta per Taiki da
strapazzo?»
La risata la fece sussultare. «Da strapazzo?»
«Giuro che li chiamavo così anche prima di sapere
di te e di lui.»
«Non c'era nessun me
e lui.» C'erano stati solo
loro,
guerriere Sailor e
gruppo di amiche, con i Three Lights prima e
le Starlights poi. «La cotta mi è passata in
modo...
semplice: l'ho conosciuto.» Il piccolo bocciolo di adorazione
entusiasta era sparito molto prima di scoprire che Taiki in
realtà era Sailor Star Maker, una ragazza che aveva assunto
una
forma maschile terrestre. «Lui era un bravo ragazzo, ma...
viveva
in una situazione difficile. Faticava a sognare, era un po' arido. La
pensavamo in modo diverso.»
«Una situazione difficile?»
Non poteva spiegargli di quello, della guerra che
Taiki Kou e le sue amiche avevano combattuto sul loro pianeta.
«Non me ne ha parlato, ma si capiva.» Lei in
seguito aveva
compreso molto bene le ragioni dietro i comportamenti di Taiki
e non era riuscita a biasimarlo, ma non era stata
più capace di
percepirlo come un animo affine al proprio.
«Per spiegarti com'eravamo diversi ti posso parlare
di...» Oh. Già e poteva
anche... Portò le
gambe sul materasso. «Sdraiati qui con me. Ti racconto di una
cometa.»
Lui studiò il letto con una lunga occhiata. «...
una cometa?»
Lei si sdraiò su un fianco, dandogli l'esempio.
«Sì. L'aveva scoperta il mio professore di
scienze, il professor Wataru. L'aveva soprannominata
Françoise.» Sorrise. «L'ha avvistata per
la prima volta nel 1979. Torna ad essere visibile dalla Terra ogni
quindici anni.»
Si sdraiò anche lui, rivolto nella sua direzione.
«Me la ricordo.»
Beh, sperava che non ricordasse troppo bene la storia, voleva
raccontargliela lei. «Il giorno
che doveva tornare visibile, nel '94, ha piovuto moltissimo. Lo avevano
previsto»
Alexander appoggiò la testa sul cuscino. Guardò
il soffitto come se, sopra di loro, fosse apparsa la
volta del cielo. «Scommetto che lui è rimasto
attaccato al telescopio per tutto il tempo, sperando di
vederla.»
«Perché passa ogni
quindici anni, dici?»
«No, non per questo. L'aveva scoperta,
perciò era come...
una figlia?» Sorrise. «Le aveva dato un
nome. Doveva credere di vederla, anche se le possibilità
sembravano nulla. Alcune
occasioni sono troppo importanti per rassegnarsi a che non vi sia una
circostanza... magica, che sistemi tutto. Come ad esempio.... una
nuvola, che si dirada
al momento giusto e ti permette di vedere la coda di
quella cometa che aspettavi. Non si sa mai.»
Le speranza di lui era stata la sua.
«Taiki ne sapeva molto sulle stelle, ma pensava che non ci
fosse
niente di magico nel cielo. Era convinto che Françoise non
fosse
speciale. Secondo lui valeva la pena di tentare l'avvistamento solo se
era prevista una schiarita.»
Per quanto la riguardava, nel cosmo vi sarebbe sempre stata magia.
Forse le stelle erano Sailor, e lei le aveva viste nella loro versione
peggiore, intente a
distruggersi l'un l'altra, ma si rifiutava di smettere di... credere.
Magia era soprattutto crederci,
avere fiducia che la propria convinzione potesse dare vita a fenomeni
straordinari, chissà come e chissà
perché. Da guerriera Sailor, da 'stella', era più
che mai
consapevole che l'universo funzionava anche secondo logiche magiche,
salvifiche. «Taiki alla fine si è
ricreduto ed
è
andato comunque a casa del professor Wataru quella sera.
Così ha visto anche lui la cometa. Il cielo si era liberato
solo
qualche minuto prima.»
Alexander la accarezzò su un fianco. «L'hai vista
anche tu, vero?»
«Sì. Io ci ho
sempre creduto.» Appoggiò la fronte contro la sua
spalla. «Ero
sicura che ci avresti creduto anche tu.»
«C'è un po' di arte anche in me. In poche cose, ma
buone.»
Arte? «Sogno.»
«Hm?»
«È sogno. Non arte.»
Lui ci pensò su. «Con l'arte dai forma al sogno.
L'arte è anche la capacità
di trasmettere emozioni. Per me è arte la tua attitudine
a percepire livelli di realtà a cui basta
l'immaginazione per esistere. La mia arte si esprime tramite il
decifrare e lo sperare.»
«In che senso?»
«La fisica decifra l'essenza materiale di ogni cosa nel
mondo. Sono schemi tanto sofisticati che abbiamo la
ragionevole certezza che non sapremo mai
tutto. Qui entra in
gioco la speranza. Io la applico ai miei studi, ai miei esercizi - non
quelli sul libro.» Rise. «Mi devo impegnare, mi
devo torturare di lavoro e fatica, ma se c'è una
possibilità infinitesima che io becchi la soluzione, allora
so
che la
troverò. Prima o poi, di sicuro. Arte, no? Decifro e mostro
schemi invisibili, apro la mente mia e di altri alla
comprensione della realtà che ci circonda.
Per alcuni è come 'vedere' per la prima volta. Alla fine,
per trasmettere emozioni sfrutto spudoratamente le meraviglie create da
entità superiori, ma... so fare solo questo.»
Lei lo abbracciò. «Penso che il tuo sia un
bellissimo sogno artistico.» Forse lui non ne era troppo
convinto, ma lei avrebbe continuato a
ripeterglielo anche in futuro. A prescindere dalle
parole, Alexander
anelava proprio alla passione della scoperta, quando studiava: per lui
era un motore di azione vitale.
Socchiudendo le palpebre, lei inspirò dal tessuto contro cui
si
sfregava il suo naso. Non sentì alcun profumo particolare,
solo l'odore di buono che conosceva bene. E così,
pensò, avevano battezzato anche la sua stanza. Erano
abbracciati anche lì, pacificamente, nel giorno che
glorificava l'amore. Ne sorrise. «Povera
mamma.»
«Perché?»
«Non sapeva perché ti avevo invitato
qui stasera.» Sentì Alexander respirare,
quasi
come se stesse per ridere anche lui. «Non ci conosce, ma
imparerà a fidarsi di te,
vedrai.»
«... già.» Lui la
guardò negli occhi. «Ma visto che tu mi conosci,
sai che
io...» Le accarezzò un braccio. «Io...
io adoro baciarti.»
Lei avvampò serena. «Piace
anche a me.»
«Tanto?»
Hm? «Sì.»
«E ti senti anche tu come se non potessi... contenerti? Come
se non volessi farlo?»
Sì. «Sento
che mi scoppia il petto. E poi
voglio abbracciarti e non staccarmi mai più da te.»
Lui rimase in silenzio, colpito. Esalò aria calda, quasi un
sospiro.
«Anche io.» La strinse a sé.
Ami nascose il viso contro il suo petto.
Happy Valentine.
Era stato un bellissimo giorno, dedicato solo a loro due.
Happy Valentine, my love.
Nda:
Wow, non aggiornavo questa storia dal 31 Marzo?
Sarà che sto trattando Ami e Alexander in 'Verso l'alba'
così tanto, ma non mi sembrava fosse passato tanto tempo :D
Questo capitolo contiene 50 kb di testo, alla faccia delle scenette
rapide. Avevo in mente tante piccole cose per questa scena, per questo
ho preferito non limitarmi. Una volta deciso cosa dire, sono riuscita a
scriverla in fretta. Spero che abbiate gradito :) Se avete un pensiero
qualunque, fatemeli pure sapere, mi fa sempre molto piacere :)
Oh, la poesia di Ami l'ho inventata io (infatti non è 'sto
granché), non cercate un significato troppo diverso da
quello che ha descritto lei nella scena ;)
Alcune traduzioni:
'deeply' = 'profondamente'
'constantly' = 'costantemente'
'To the first of many
Valentines to come' = 'Al primo di molti San Valentino a venire' (frase
per una sorta di celebrazione, brindisi).
Risposta
alle recensioni:
chichilina:
sigh, poi non sei riuscita ad approfondire il commento, sono triste :(
Scherzo :D Grazie anche solo per la riga di parole, volevo che la
precedente scena suscitasse proprio un sentimento di 'love, love, love'
;)
Poi è stato proprio la tua segnalazione a permettere a
questa storia di entrare tra le scelte, perciò ti ringrazio
tantissimo. Non so se Alexander sia un personaggio stupendo come dici,
di certo è un ragazzo complesso che, poverino, sta subendo
una serie di piccole delusioni che Ami non sa nemmeno di dargli :D
Tanto sappiamo che si riscatteranno alla grande (nel giro di una decina
di mesi, ma meglio non dirlo troppo forte :D)
maryusa:
sì, sono carini e zuccherosi :D Sono caratteristiche che
descrivono bene questa coppia che ho creato. Ho sempre pensato che Ami
avesse bisogno di veder alimentata la vena di dolcezza che era in lei.
Mi diverte molto scrivere zucchero su questi due (nonostante tutto, non
li trovo smielati, tra loro sono genuini, non costruiti). Grazie del
commento!
Nicoranus83:
Ciao! È tanto che non ti sento, spero che tu stia bene.
Sì,
la schermaglia amorosa del precedente capitolo era 'sublime', dolce :)
Fino a questo momento (parlo anche di 'Verso l'alba') questi due non
hanno mai veramente litigato. Sto meditando da un po' di farlo
accadere, potrebbe essere necessario.
Grazie mille della recensione :)
amayuccia:
'Assolutamente Ami e assolutamente sublime' è un complimento
bellissimo (°///°). Grazie!
Per questa recensione che avevi fatto ormai trovavi Alexander
antipatico :D A me non suscita questa reazione, però l'ho
descritto in modo che possa suscitarla, altrimenti era un personaggio
troppo piatto :D
Rispondiamo ad alcune domande :9 Sì, la fossettina sul mento
Alexander l'ha presa da suo padre. Sua madre ha una faccia che
è tutta zigomi alti e belle linee, di cui è
orgogliosissima e fiera :D In parte, gliel'ha anche trasmessa.
Come vedi, Alexander soffre per qualcosa e soffrirà da
questo Febbraio fino a Dicembre. Ami non ha pietà con lui :D
(ma non lo sa nemmeno)
Utilizzare carezze e complimenti insieme è una mossa
infigarda? Alexander è infigardo e furbo, lui sfrutta tutte
le armi a sua disposizione :) Certo che se avesse preso più
coraggio e lo avesse fatto anche con Ami si sarebbe reso felice prima
:D:D:D
Non ti preoccupare, un giorno vedrò di far avverare i sogni
scientifici di Alexander Foster e Shun Yamato. Ne avranno di occasioni.
Oh, avevo risposto alla tua domanda sulla nascita di Alex in un post
del forum, ma lo riporto anche qui:
"L'idea di base me l'ha data la stessa Ami ;) In uno speciale manga, la
Takeuchi aveva creato una storia in cui Ami si metteva in testa di
battere ai test nazionali uno che si faceva chiamare 'Mercurius'. In
quella storia, Ami rispondeva ad una domanda di Minako dicendo, con
fare sognante, 'Il mio uomo ideale? Credo sia uno come
Einstein, l'uomo che ha scoperto la teoria della relatività'
(da qui la battuta che ho inserito in 'Oltre le stelle - scene' ;))
Ami era mezza invaghita di questo Mercurius, un rivale che non aveva
mai visto. Alla fine le ragazze scoprivano che questo tipo somigliava
un sacco a Umino/Ubaldo e, per non deludere Ami, Minako tirava fuori il
poster di un bel cantante, dicendole che Mercurius era un tipo come
lui. Il commento di Ami? 'Lo sapevo! Il ritratto di Einstein da
giovane.' Minako nella sua testa commentava che per essere un'idealista
Ami dava un po' troppa importanza all'aspetto. È una cosa
che io ho
ricavato anche dall'appartenenza di Ami al fan club dei Three Lights:
ad Ami piacevano carini ;) In questo almeno era normale :D:D:D
Sommando tutto ciò, le ho dato tutto quel che voleva nel
personaggio di Alexander, con in mente però anche una
persona diversa da lei quel tanto che bastava a farla evolvere."
Ecco qui :)
L'anniversario! Ahhh! Devo ancora decidere quand'è di
preciso e quindi fare un paio di calcoli :D
La scena dell'incontro con Mamoru? Penso che potrebbe essere la
prossima. Sì, ci sarà un pochettino di attrito
tra loro (cioè, da parte di Alexander verso Mamoru, Mamoru
non troverà alcun motivo per prendersela con lui... diciamo
anche che Alexander sarà soprattutto piccato dal fatto che
Mamoru chiami Ami, 'Ami-chan' :D).
Ciao!
hotaru: ehi,
grazie mille per la recensione! Ho scritto la parte della piscina nel
capitolo 3 pensando appositamente alla puntata in cui Ami e Michiru si
sfidavano, sono contenta che te l'abbia ricordata :) Oh, sì:
ad Ami l'azzurro piace un sacco e occhi colore dell'acqua le piacciono
tantissimo. Non l'ha mai nascosto a Alexander, e finora non
è che io l'abbia fatto vedere, ma per ottenere qualcosa da
lei Alexander in genere punta molto sul farsi guardare negli occhi :D
Sfrutta il punto debole, assolutamente.
La parte di 'Acqua viva' in cui Ami era appesa al galleggiante e
preferiva non farsi toccare, mentre Alexander stavo proprio cercando di
toccarla era un punto che ritenevo molto importante nella fanfic. Sono
felice di avertelo fatto 'vedere' :)
Grazie ancora per aver commentato quella parte, specie tanto tempo dopo
la fine della storia :)
Naco: Ciao!
Non mi aspettavo assolutamente di risentirti con una recensione a
questa storia, grazie! Oh sì, nemmeno io sono troppo brava a
scacchi, ma ho immaginato che questi due dovessero essere dei geni. La
scena che hai recensito doveva proprio veicolare una sensazione di
calma che però non cancellava lo spirito battagliero di Ami
Mizuno, sempre presente dentro di lei.
Come ti ho anticipato nella risposta privata, Alexander
dovrà attendere fino alla fine dell'anno per 'farcela' con
Ami. Prima di allora lo attendono tanti e tanti sospiri di
rassegnazione :D
Grazie ancora del commento! Ciao!
Alla prossima!
ellephedre
|
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Capitolo 8 *** Scene - Marzo ***
Acqua viva - scene
Note:
Traduzione di 'Out of the world' = 'Fuori dal mondo'.
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Marzo
Era ora di farla
finita.
Lui era un uomo.
Ami era una donna.
Loro due si amavano.
Stavano insieme da quasi tre mesi.
Lui poteva farcela.
Sì.
Poteva darle un bacio sul collo.
Vicino al collo.
Sulla mascella?
«A che cosa pensi tanto intensamente?»
Alexander addentò un pezzo di bistecca. «A
niente.» Chiuse
la bocca piena e riprese a masticare.
Shun Yamato, sua calamità personale da quasi dieci anni,
socchiuse gli occhi e inclinò la testa, attirando la luce
del sole tutto attorno alle pupille. Il grigio
scuro delle sue iridi diventò grigio metallico e il
particolare
brillio allertò Alexander del pericolo.
«C'entra Ami. Me lo sento.»
Alexander non lo degnò di una risposta. Tagliò un
altro pezzo di carne.
Yamato divise con noncuranza il proprio pesce. «Sai che mangi
più carne quando sei sessualmente frustrato?»
«Cosa?»
Il suo amico annuì. «Non parlo in generale, mi
riferisco
proprio
a te.» Con uno schiocco secco, addentò l'aria.
«È come se
cercassi di saziare in un altro modo i tuoi bisogni carnali.»
Ma che diavolo-? «Mangio carne quando mi va. E bisogno
carnale non
c'entra nulla con 'carne'. Non quella da mangiare.»
Yamato curvò un sopracciglio verso l'alto - quello
destro,
come al solito. «Non hai detto di non essere sessualmente
frustrato.»
«Non lo ero in passato, perciò la tua teoria fa
pena.»
«Quando parti con gli insulti sei arrabbiato e sei
arrabbiato quando
sei frustrato. Ho visto Ami ieri e andavate d'accordo, i tuoi non sono
in casa quindi non possono alterarti, Shoko-san non ti fa mai perdere
la pazienza, per gli esami sei preparato, perciò la
frustrazione
può essere solo di tipo sessuale. Considerando anche che non
mi
hai
detto nulla di questa prima volta che non arriva mai.»
Adesso lo uccideva. Fine di Shun Yamato.
Lui sospirò. «Non vuoi un consiglio?»
«Voglio che tu stia zitto.»
Yamato scrollò le spalle. «Volevo solo dirti che
le
piacerà.»
«Che?»
A
chi e cosa?
«La tua Ami somiglia a Sakura. Anche lei era timida, ma alla
fine-»
«Non paragonare Ami alla tua prima ragazza.» Sakura
Nakano non era
stata neanche lontanamente altrettanto intelligente, altrettanto acuta,
altrettanto perspicace, altrettanto-
«Stai compilando una lista delle sue lodi?»
Alexander corrugò la fronte e raddrizzò la
schiena,
allontanandosi dal piatto. «Non sto con Ami per ottenere
qualcosa da
lei.»
«Nemmeno io con Sakura.» Yamato assaporò
di nuovo il suo
pesce.
«Ami non reagisce come le altre ragazze, ne ho avute
abbastanza per
saperlo. Molte più di te.»
Yamato sorrise in silenzio, masticando piano il suo cibo.
Alexander riuscì a udire la risposta nella propria mente.
Dopo qualche secondo, Yamato la espresse a voce.
«È
importante la
qualità del rapporto. Io vinco tre a zero se consideriamo
quello che conta.»
Quello che contava? Sesso?
Lui
voleva fare sesso disperatamente, ma diavolo se era ben altro a
contare. Si trovò il commento sulla punta della lingua, ma
se lo
mangiò. Non voleva rinfacciare a Yamato di non aver mai
avuto quel che aveva
lui. Il suo amico lo aveva persino cercato, a differenza sua.
Yamato si sfilò dalle labbra una piccola spina di pesce.
«Va
bene,
non parliamo di Ami. Parliamo di me e Sakura. Sakura non voleva andare
oltre all'inizio. Io non l'ho forzata ma noi due ci siamo finiti lo
stesso. Come ho fatto?» Si appoggiò coi gomiti sul
tavolo. «Passo per passo.»
Passo per passo?
Lui ci stava già provando.
Yamato unì pollice a indice, a indicare una minuscola
quantità. «Arriva un momento, se lei è
molto
timida, in
cui devi forzare un po' le cose. Devi capire che non la stai
costringendo a fare nulla se lei ha una paura ingiustificata di una
cosa
che
non conosce e soprattutto se, un secondo dopo, quella cosa le piace. E
voglio dire
proprio un secondo. Due sono già troppi.»
Che ragionamento altamente scientifico. «Per me vale qualcosa
di
più
semplice. No è no. Mi piace essere trattato così
e tratto
gli altri così, uomini o donne che siano.»
Yamato lo studiò. «Come diavolo hai fatto ad avere
tante
ragazze?»
Facile. «Nessuna ha mai detto di no.»
Più o meno a niente,
ma
lui non si pentiva di non averne approfittato. Non ne aveva avuto
realmente voglia o, più correttamente, aveva avuto voglia di
qualcosa che loro non erano state in grado di dargli.
Yamato sospirò e sembrò arrendersi.
«Okay,
allora...
Torniamo indietro. Sakura diceva che si vergognava senza un motivo
preciso.» Si toccò la tempia con un dito.
«È una cosa da
donne,
inconscia, non c'è una volontà definita dietro.
Come per
te: tu vuoi andare oltre perché vuoi andare oltre e basta,
te lo senti
dentro. Se lo sentono dentro anche loro, però hanno questa
barriera mentale che le blocca.»
Perché all'improvviso veniva preso per stupido?
«È un
meccanismo evolutivo. La femmina dell'essere umano dev'essere selettiva
perché ha un solo uovo da offrire nell'accoppiamento ed
è
consapevole per natura di tutte le conseguenze durature di una
fecondazione di successo.»
Yamato appoggiò la fronte contro il dorso della mano.
«È
con queste argomentazioni che cerchi di convincere Ami?»
«Non sto cercando di convincerla.» Stava solo
cercando di capire se le
sarebbe piaciuto essere baciata in punti diversi dalla
bocca. Le avrebbe dato fastidio? Per logica no, ma ogni volta che lui
tentava di
prendere una direzione diversa con le labbra lei puntualmente gliele
trovava con le sue. All'inizio lui lo aveva trovato intenso e
naturale, ma col passare del tempo aveva cominciato a chiedersi se non
fosse un modo da parte di Ami per trasmettergli un chiaro messaggio.
«Va bene.» Yamato sollevò le mani.
«Cerco di entrare nel tuo
modo di ragionare. La ami?»
Quello era il suo modo di pensare? «Sì.»
«Lei ti ama, voi vi amate. Cosa può andare male in
una
coppia come la vostra?»
Era quello che cercava di dirsi anche lui, ma c'erano una marea di cose
che
potevano non funzionare. Ami poteva sentirsi assediata se non era
pronta, oppure ancora poteva sentirsi semplicemente infastidita e-
«Alexander.»
Ah, ora usava il suo nome? «Shun.»
Yamato non raccolse lo scherzo. «Provaci. Con la tua ragazza.
Di tre
mesi. Quella a cui pensi di giorno, di notte e pure nel
sonno.»
Alexander si ritrovò a sorridere. «Sai una cosa?
Io su di te
ho
già vinto. Quando farò sesso io, sarà
talmente out of the
world che tutte le tue volte impallidiranno al
confronto.»
Ne era sicuro. Fremeva
all'idea di accertarsene.
Yamato scrollò le spalle. «Te lo auguro.»
Quando si dimostrava improvvisamente maturo Alexander quasi non lo
sopportava.
Continuò a baciarla.
Lei aveva una bocca sempre così incredibilmente morbida, che
fosse inverno o caldo come quel giorno, dentro casa sua. E sapeva di un
gusto immaginario, un misto di fragola e limone. Non per il sapore in
sé, ma per la sensazione. Intimamente dolce, con un
retrogusto
acuto capace di tempestarlo di brividi lungo la schiena.
Sul collo Ami avrebbe avuto il sapore del calore e di una deliziosa
eccitazione.
Lui spostò le labbra sulla sua guancia.
Prendendogli la faccia tre la mani, Ami si allontanò. Il suo
lungo sospiro, spezzato sul finale, parlò di una
soddisfazione
senza pari.
Lei ancora non aveva idea del tipo di appagamento che avrebbero potuto
trovare insieme.
Ami gli sorrise come se non lo avesse interrotto proprio in nulla, come
se
avesse semplicemente dato una fine naturale al loro momento insieme.
«È tardi. Devo andare a casa.»
«Posso accompagnarti.»
Lei scosse la testa. «Lo fai già troppe volte.
Oggi avrai da
studiare.»
«Se ti accompagno con la moto abbiamo più tempo
per stare
insieme.» Provaci.
Già. Le frasi giuste non avrebbero prodotto alcun danno,
erano il modo
migliore per introdurre la questione. Ed erano la verità.
«Così avrò più tempo per
baciarti.»
Il rosso le salì alle guance. Le pupille si
dilatarono
enormemente e nel colore nero a lui parve di vedere una luce di
innegabile piacere.
Le piaceva quello che le aveva detto.
Bene. Le prese la testa tra le mani. «Voglio farlo»
- per tutta la notte
- «sempre. E non smettere più.» Quando
le prese di nuovo la bocca con la sua, Ami si incavò
con
la schiena all'indietro e rabbrividì. Lui insistette per un
secondo preciso e lei gli portò le braccia sulle spalle.
Dentro la sua testa partì un coro di giubilo.
Ami aprì la bocca e, per la millesima volta, non gli
restò che chiedersi come fosse possibile. Come faceva lei a
provare un tale innocente piacere - intenso, ne era sicuro
- nell'accarezzargli la lingua con la propria e poi non avere anche
voglia di ricadere all'indietro da qualche parte, per avere tutto lo
spazio e la comodità per provare sensazioni migliori? Non le
pungevano i seni? Non aveva voglia di farsi toccare e di far
crescere la sensazione in maniera esasperante, indispensabile, fino a
che-
Ami staccò le labbra dalle sue, creando la distanza di un
soffio. Riappoggiò la bocca sulla sua adagio, regalandogli
il
sapore di un sorriso.
Ecco la sua risposta.
Ami assimilava il piacere che prendeva da lui, lo faceva
entrare dentro di sé e lo gestiva, calmandolo e
trasformandolo in sensazioni
puramente romantiche. Piacevoli oltre il possibile - forse -
ma
asessuali dentro la testa di lei.
Asessuali.
Lui sollevò un braccio e le trovò il collo e la
nuca.
Accarezzò la punta dei suoi capelli, piano. Con un
polpastrello,
tracciò la linea che conduceva alla spalla di lei.
Ami si staccò da lui e chinò il capo. Con gli
occhi bassi, sorrise. «Fa quasi il solletico.»
Solo quello?
Lei osservò la sua mano. «Aspetta.»
Gliele prese nella
propria e
la riportò sul proprio collo, scoperto dalla maglia leggera.
Alexander lo sfiorò di nuovo con le dita.
Ami unì le labbra e inspirò profondamente.
«È
veramente bello.»
Sì.
«Piace anche a te?» La domanda non attese risposta.
Un dito di lei gli
trovò la linea del collo e la tracciò, graffiando
pianissimo, involontariamente, con l'unghia ben tagliata.
Alexander strinse un pugno per non irrigidirsi dappertutto.
«Sì.» Favolosamente sì.
Ami lo fissò negli occhi con un briciolo d'incertezza.
«Sono
contenta che... non ti dispiaccia. Che io sia così
timida.»
Lui si sentì entrare in allerta. Non stavano facendo quello
che aveva sperato, ma ne stavano improvvisamente parlando.
Annuì.
«Io...» continuò
Ami, «è
da un po' che penso di essere troppo
lenta nel
percepire bene tutte queste sensazioni che mi fai provare.»
Gli
accarezzò per intero un dito della mano che ancora teneva.
«Però quando sono con te... non penso di essere
sbagliata.»
Sbagliata?
«Sento che questo mio ritmo è... normale. Mio, e
che non
c'è niente che non va.»
Lui sentì ogni impulso chetarsi sotto una tortura
inconsapevole,
devastante nella sua feroce dolcezza. Non poteva nemmeno combatterla.
Non voleva.
Non voleva.
Ami si nascose nelle spalle, invasa da un nuovo sorriso. «Non
pensavo
che un giorno avrei potuto dire queste cose al mio ragazzo. Ma non
immaginavo te.» Gli scostò i capelli dalla fronte.
Lui non
aveva immaginato lei. E di sentirsi sbagliato per lei.
Ma non lo era. Non lo
era, avrebbe solo aspettato, ci sarebbe voluta solo un po'
di pazienza.
Ami non era sbagliata per lui. Era-
«- la cosa più giusta che mi sei mai
capitata.»
Alexander s'irrigidì. «Cosa?»
Dopo un momento di sorpresa, Ami fu paziente. «È
come sei ci
incastrassimo. Sei il mio pezzo giusto.»
La prima volta lei aveva completato la sua frase. E non lo
aveva
neppure sentito iniziarla. «Lo sono.» E lui la
desiderava immensamente
proprio
per quella ragione. Si fece vincere da un sorriso necessario a
procedere. «Vuoi
un bacio
che fa il solletico?»
«Cosa?» rise lei.
Lui abbassò la testa e le appoggiò la bocca sul
collo, sotto l'orecchio.
Ami si ritrasse in una risata e a lui rimase sulle labbra il
sapore di fresco della delizia.
«Per farti ridere» le disse, mentendo.
«Perché anche tu sei
il mio pezzo giusto. E non sei mai sbagliata.»
Ami lo guardò brevemente. Eliminò la
distanza tra loro e salì sulle sue ginocchia.
«Sai cosa voglio?»
Lui lo percepiva, ma non avrebbe saputo scegliere un unico desiderio.
«Che cosa?» Le portò le braccia attorno
e per un momento si
chiese perché mai avesse mai desiderato qualcosa di
più. Poterla stringere contro di sé era
già perfezione.
«Stare così tra un anno.»
Ma era scontato, perché non ne era sicura? Fece per
separarsi da lei ma Ami non lo permise.
«È una promessa» le disse lui.
«Non promettere. Basta che tu lo voglia adesso. E domani. E
fino a che
lo vorrai ancora.»
Come scegliersi giorno per giorno? «Va bene.»
I muscoli di lei si sciolsero. Rimase abbracciata a lui, seduta sul suo
grembo, sopra il letto.
«Ami, dimmi un po'.»
Ami alzò lo sguardo su Minako.
«Sì?»
«Se vuoi potrai castigarmi per la mia domanda, ma tu
e Alexander... per caso...» Fece vorticare un paio di dita
una attorno
all'altra. «Sai...?»
«Che cosa?»
Minako tossicchiò. «Mi chiedevo solo se eri tanto
felice
negli
ultimi tempi perché tu e lui... Insomma, perché
vi siete conosciuti totalmente.
In quel senso e voglio dire proprio quel senso che è l'unico
senso di questo tipo di discorsi.»
Per non far vedere il proprio rossore Ami scostò lo
sguardo. «No.» Le venne da ridere. «No,
non è per quello, Minako.
Quando
si sta insieme ad una persona si diventa più felici anche
per
altre ragioni.»
Minako sembrò delusa e al contempo incuriosita.
«Ad
esempio?»
«Ad esempio... man mano che passa il tempo mi rendo conto che
lo
conosco un poco di più e so che cosa pensa. Nelle mie paure
peggiori vedo sempre meno la fine di noi due.»
«Ah, è questo.» Minako
sospirò piano. «Ma Ami,
potevi chiedere a me. Io lo sapevo già da mesi.»
Come? «Che cosa?»
«Che lo hai cotto flambé, per poi intingerlo in
una salsa
che ti
stai gustando lentamente. Il bello è che il cameriere, il
cuoco
e persino il proprietario del ristorante è sempre lui. Si
è servito da solo per te su un piatto d'argento.
Gratis.»
Il paragone culinario le strappò una risata.
Minako girò attorno al tavolo, si sedette accanto a lei e
abbassò la voce. «Ma allora non avete fatto
qualcosa... nel
senso di prima? A me puoi dirlo.»
«Ehm.» Ami iniziò a sperare che le altre
arrivassero presto. «Lo so, però... è
una questione privata.»
«Non lo riferirò a nessuno. Ragazze
escluse.»
Quindi lo avrebbero saputo tutte. «Veramente vorrei che lo
sapessimo
solo... io e lui.»
Minako la scrutò con occhi sottili che allargò
all'improvviso. «Oh. Aaaah.»
Ami ebbe timore di chiederle cos'avesse capito.
Minako scrollò le spalle. «Non ti
chiederò
più nulla. Sappi solo che ti sono solidale.»
«Eh?»
«Massì. Capisco la tua sofferenza. Questa cosa vi
rende
umani sai? Non poteva essere tutto così perfetto.»
Sofferenza? «Ma io non sto soffrendo. Va tutto
bene.» Benissimo.
«No, lo so.» Minako corrugò la fronte
come se stesse
cercando le parole giuste. «So che a te non dispiace troppo
perché lo ami e questo è più
importante, però... Bah, se non ti dispiace alla fine non
è affatto un problema.»
Ami si imbronciò. «Non abbiamo problemi Minako, ma
mi
piacerebbe capire di cosa stai parlando.»
«Beh, di come ovviamente lui non ha ancora provato
a...» Minako la
guardò bene. «Ad andare oltre?»
Oltre. Ah.
«Ne abbiamo parlato l'altro giorno.»
«Parlato?»
«Certo.» Con Alexander poteva parlare di tutto.
«Siamo entrambi un po'...
lenti.» Ovviamente non erano perfetti. «Siamo
felici come stiamo ora.»
Osservare lo sguardo dubbioso di Minako la portò a voler
aggiungere un particolare. «Noi... ci baciamo.» Il
contatto fisico era
importante, una parte della loro relazione che non era fondamentale in
sé, quanto tanto preziosa e speciale da essere
irrinunciabile.
Minako non ne fu impressionata ed Ami ebbe la distinta impressione che
non stesse incolpando lei di quella che riteneva una mancanza.
Si erse in difesa. «Lui bacia molto bene. Mi fa sentire
così...»
Minako aveva ridotto la distanza tra loro a meno di un centimetro.
«Così?»
Ami avvampò in una nuvola di vapore.
«Niente.»
Ridacchiando, Minako le strizzò le guance tra le dita.
«Sei
troppo tenera, Ami-chan. Beh, se lui ti fa sentire così,
allora sto tranquilla. Andrà tutto bene.»
Ami trovò il coraggio di annuire. «Certo.
Andrà
tutto bene.»
Minako fu ulteriormente d'accordo. «E quando
succederà, sono
certa che non impiegherò molto a capirlo.»
«Quando succederà che cosa?»
«Nulla, Ami, nulla.» Minako saltò in
piedi. «Ah! Ecco le
ragazze!»
Ad Ami non restò che sorridere. Lei non aveva alcuna fretta
per quel 'nulla', ma quando fosse accaduto - tra molto tempo,
considerati i loro ritmi - sarebbe stata contenta.
Era già immensamente felice ora.
NdA: quanto
zucchero! :D Per equilibrare la dose di melassa di questo pezzo ho
dovuto mettere anche Shun e Minako, che ravvivano sempre l'atmosfera.
Questo capitolo cerca di spiegare un po' meglio la coppia di Ami e
Alexander. Nei prossimi capitoli - l'ultimo dovrebbe essere 'Novembre'
-
conto di focalizzarmi un po' di più sulle relazioni con
altri personaggi (Mamoru ad esempio) o su questioni diverse dal sesso.
Anche perché di sto passo finivo con l'alzare il rating: il
povero Alexander la desidera proprio tanto :D
Credo che proseguendo con le altre scene di 'Acqua viva'
sentirò sempre più il bisogno di cambiare
qualcuno dei primi capitoli di 'Verso l'alba', nei punti in cui parlo
della relazione tra questi due. Sia per una questione di stile (a
rileggere certe cose mi viene da piangere ç_ç )
sia per affinare un po' i contenuti o aggiustarli secondo
ciò che sto dicendo in queste scene - per quanto stia
già cercando di mantenermi fedele a quello che ho detto
sulla coppia nell'altra storia.
Grazie di aver letto e se avete apprezzato sapete che io apprezzo
sempre un commento :)
Alla prossima!
ellephedre
P.S. - Non riesco a crederci. Ero profondamente convinta di
aver
usato il forum personale per rispondere alle recensioni del precedente
capitolo e invece non trovo queste risposte! Le reinserirò
daccapo o le inserirò se prima non c'erano proprio.
Scusatemi.
|
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Capitolo 9 *** Scene - Aprile ***
Acqua viva - scene
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Aprile
Ami era
impegnata in un cruciverba. Se ne stava seduta sulla panchina
di fronte alle vetrate dell'American Bookstore, accarezzandosi a il
labbro con
la piccola gomma rossa della matita a punta morbida mentre meditava
sulla
soluzione.
Alexander conosceva molte persone che riflettendo
guardavano il cielo, per evitare distrazioni.
Ami non distoglieva lo sguardo dal problema se la soluzione le
sfuggiva: teneva gli occhi fissi sul foglio, sul libro, sulla persona e
non abbassava le palpebre fino a che non aveva iniziato un primo
ragionamento. A volte lui la prendeva in giro facendole notare che
così
si ostruiva i dotti lacrimali.
Lei sorrideva e non gli credeva. I suoi dotti erano puliti e i
suoi bulbi oculari resistenti.
Intorno a lei aleggiava sempre un profumo
d'acqua. Standole accanto a lui spesso veniva sete.
Era troppo
lontano per produrre rumori che potessero disturbarla, ma Ami
sussultò come se le avessero solleticato il collo.
Alzò lo
sguardo e lo individuò. Si lasciò sfuggire un
sospiro di rassegnazione.
Lui coprì i dieci metri che li separavano,
divertendosi a
camminare piano. «Sono senza speranza?» le
domandò sedendosi al suo fianco.
Lei scrisse un'ultima parola in una fila vuota di caselle.
«Già.» Posò la
matita e chiuse la rivista di enigmistica, rimettendola dentro la
borsetta in cuoio bianco e azzurro. La chiusura metallica rappresentava
una margherita. Lui accarezzò il fiore mentre le dita di lei
premevano sulla clip.
Al contatto Ami si lasciò sfuggire una risata
leggera, di
quelle che
gli facevano venire voglia di toglierle la giacca, sollevarle la
camicia e accarezzarle lentamente la schiena nuda.
«Scusa» le
disse, accontentandosi di strofinarle un polso. «Ti costringo
a soffrire le mie vergognose
abitudini. Però ti
sei detta d'accordo.»
«Quando?»
«All'inizio della nostra relazione. Era una clausola
non
scritta sul retro di quei 'I love you'.»
Lei lasciò che fosse il suo silenzio a divertirlo.
Il sole
brillò
sui suoi capelli blu scuro mentre appoggiava la testa contro la sua
spalla. «Non mi dà fastidio, sai?
È
solo che non capisco cosa possa
esserci di tanto interessante in me.» Esitò, la
pausa di quando cercava di esprimere a parole un sentimento.
«In effetti anche io
ti guardo spesso, quando non te ne accorgi. Non mi stanco mai,
perciò forse so cosa provi.»
«Certo che me n'ero accorto.»
«Non ti sei mai
girato.»
Lui sollevò un sopracciglio, generandole un dubbio.
«Lo
facevo apposta. Immaginavo che mi stessi ammirando. So che non puoi
farne a meno dato che sono absolutely
handsome.»
Ridendo in silenzio, lei abbassò le palpebre,
riposando contro di lui. «Per fortuna la modestia non
è la
ragione per cui mi piaci. Ma ti sbagli, sai? Non è per
l'aspetto. Ti osservo anche
così.»
«A occhi
chiusi?»
Lei
annuì. «Mi piace il tuo viso, ma lo
amo perché lo associo a
quello che fai. Per esempio...» Sollevò un dito e
trovò a memoria
il suo mento. «Quando guardo questo punto mi ricordo di
quando ti
sei
sporcato col gelato. Ti sei vergognato come un bambino.»
Salì col
polpastrello e gli tastò la bocca. Alexander
resistette all'impulso di imprigionare il suo dito tra le
labbra.
«Quando
guardo questa penso a... lo sai» mormorò Ami.
«Ma
anche alla
sciocchezza che mi hai detto la prima volta che ci siamo
visti.»
Lui a stento riusciva a ragionare e lei lo prese come un
invito a spiegare.
«Il caso che secondo te voleva farci incontrare. Al
massimo
può essere stato il destino, il caso-»
«- non ha un ordine. Stavo cercando di non essere
teatrale e
melenso.»
Col viso rivolto al sole, lei sembrava il soggetto di un
antico quadro
europeo. Forse nessuno dipingeva una donna dagli
occhi chiusi, ma la vista per Ami stava nella mente. Per
vedere
realmente lei non aveva bisogno d'altro.
«Stai dicendo che non ha importanza che faccia
abbia» asserì lui. «È il
miglior complimento
che abbia mai ricevuto sul mio aspetto.» Solo altre due
persone nella sua vita - Nanny Shoko e
Yamato - gli avevano fatto capire che non badavano al suo aspetto, ma
non lo avevano mai espresso ad alta voce.
Ami riaprì le palpebre. «Ha importanza
solo
perché
ormai questa faccia la conosco. Ma mi saresti piaciuto anche se fossi
stato come...» Cercò un esempio nella folla.
«Come quel ragazzo
là.»
Gli aveva indicato col mento un tipo di media altezza,
dall'aspetto
decente e con un'aria impegnata. Ignaro, il ragazzo stava percorrendo
la
via immerso nella lettura di un giornale.
«Vorrà dire che starò attento
a quelli
come lui.»
Lei ridacchiò. Tornando dritta,
stiracchiò le braccia.
Gli
sembrò di sentire il suo collo che scricchiolava e
provò male per
lei. «Ti ho fatta aspettare. Scusa se non ho saputo dirti a
che ora sarei
arrivato.»
«Non importa. Che cosa dovevi fare?»
Qualcosa
per cui valeva la pena di alzarsi alle sei di mattina e sacrificare una
giornata di lezioni. «Ho comprato dei biglietti.»
Tirò fuori dalla
giacca il suo tesoro cartaceo.
Lei piegò la testa per
leggere. «GP di Suzuka?»
«Moto» spiegò fiero lui e la
sola parola gli provocò un brivido di
piacere. «Sono i
biglietti per la tappa giapponese del campionato mondiale. Mi sono
svegliato presto e mi sono assicurato due posti d'oro.»
Ami gli
sfilò dalle dita i biglietti, con lui che opponeva
un'istintiva e
minuscola
resistenza. Volle quasi chiederle di
stare molto attenta a non romperli, ma si zittì in tempo.
Ami li stava osservando con attenzione. «Forse
riesco a
venire.»
Lui
inorridì. «L'altro biglietto è per
Yamato, non per... Volevi venire
anche tu?» Sarebbe riuscito a prendere un altro ingresso? A
quell'ora
ormai sarebbero rimasti solo posti defilati e lui avrebbe dovuto
comprarne
due in quella zona se veniva anche lei. Sarebbero finiti in
fondo, in un
posto lontano dalle curve migliori.
Ami interruppe il suo sospiro a
metà. «No-no, scusa.»
Arrossì. «Pensavo che mi stessi invitando. Non ho
mai pensato di andare a una di queste corse,
anche se...» Scrollò le spalle e nei suoi occhi
brillò una luce
d'interesse.
La certezza di non dover rinunciare al posto
faticosamente conquistato lo rilassò.
«Non dirmi che ti
interessi anche di motori?»
La sua risata non la divertì. «Be',
sì. Una
volta ho lavorato in un'officina.»
Lui rimase senza parole.
«La proprietaria teneva molto a riparare un auto
d'epoca.
L'ho aiutata a rimetterla in strada.»
Alexander boccheggiò.
Ami
lo prese come un invito a raccontare. «All'inizio
sembrava che fossimo riuscite a far partire la macchina, ma sono
bastati pochi
metri a far
scoppiare tutto. Il cofano era una camera a gas. Aprendolo
abbiamo scoperto che erano partiti sia
la trasmissione che lo spinterogeno, ma una volta sostituiti con pezzi
nuovi l'auto ha
funzionato a dovere. Certo, era un veicolo delicato. Per la
proprietaria
dell'officina era un ricordo del marito, perciò credo che
l'abbia
voluto conservare in salute tenendolo a riposo nel garage
dell'officina.» Sorrise al ricordo, smettendo solo
nell'incontrare lo sguardo attonito di lui.
«Cosa c'è?»
Alexander emise un soffio di genuina passione.
«Sposami.»
«Eh?» Lei scoppiò a ridere e
cercò di nascondere il viso dentro la propria
giacca.
«Sei perfetta, Ami love.
Sai che cos'è uno spinterogeno e ti sei messa a fare il
meccanico. I'm yours
forever.»
Lei smise di arrossire. «Non sapevo che ti
piacessero
così tanto i motori.»
«Non hai visto la mia moto?» Quel gioiello
di
tecnica italiana?
«Non era un regalo?»
«È
l'unica cosa per cui io abbia mai fatto un capriccio.» Gli
era bastato
lasciar intendere a suo padre di volerla per riceverla poi in
regalo
per il suo compleanno. Dato che non aveva chiesto
più niente a
Michael Foster da quando aveva compiuto undici anni, si era sentito
particolarmente stupido. La bellezza della moto però aveva
vinto sul suo
orgoglio.
Ami si stava ancora facendo un paio di sane risate.
Lui
le mise un braccio attorno alla vita. «Vieni anche tu a
Suzuka, vado a
prendere un altro biglietto.» E a cambiare il suo. Nella vita
bisognava
darsi delle priorità.
Lei ci rifletté su per qualche momento.
«Quello è un fine settimana libero per mia madre,
me ne sono
ricordata
solo adesso. Ne ha solo uno al mese e lo passiamo sempre insieme.
Inoltre per arrivare in tempo per l'inizio della gara non bisogna
pernottare
fuori?»
Pernottare? Crap.
Lei si rannicchiò nelle spalle. «Prima mi
era
sfuggito.»
A lui non era neppure venuto in mente. Idiot.
Avrebbe dovuto prendere un biglietto anche per Ami e pregarla in
ginocchio di
andare con lui. Le sarebbe sembrata una gita e sarebbe stata una scusa
perfetta, un'occasione
perfetta per fare in una sola notte i passi che erano mancati in
quattro mesi.
Ami lo stava studiando, ignara. «Volevi che
venissi?»
Cento
volte sì, ma non per la gara. Guardò le sue
labbra
rosa semiaperte, la
linea del collo che spariva dentro la camicia e gli occhi, quelli che
si erano fatti duri come acciaio quando lei lo aveva
lasciato. Quelle stesse iridi erano diventate pozze di
disperazione quando lei gli aveva raccontato la bugia a cui l'aveva
sottoposto.
Ami non gli aveva mai detto la vera ragione per cui quattro
mesi addietro
aveva deciso di porre fine alla loro storia, ma era stato lui a farle
capire che poteva vivere senza saperlo, se era una cosa di cui lei non
voleva parlare.
A volte si pentiva della posizione che aveva preso in
quel momento fondamentale, ma non erano che pochi momenti di
incertezza. Tornavano alla luce quando una parte inconscia di lui si
convinceva che Ami avrebbe potuto trovare un'altra ragione per far
finire la loro relazione - una ragione che poteva saltare
fuori dal nulla non appena lui avesse fatto qualcosa
di sbagliato.
Non funzionava così, vero? Lui non era sbagliato
per lei e non poteva
compiere
errori di una simile portata senza accorgersene. Ami non era un essere
irrazionale e aveva sofferto almeno quanto lui quando si erano separati.
Lei
si sporse in avanti. Riuscì ad attirare la sua
attenzione
quando gli sfiorò la manica della
camicia. «Se per te è molto
importante, verrò.»
Per entrambi non era
forse più importante la fiducia? Lui non voleva ingannarla.
«Non ti preoccupare. Se ti
andasse di venire con me mi piacerebbe, ma... possiamo fare una
prossima
volta, giusto?»
Lei si rasserenò.
«Sì.»
Già, grandi inganni non
andavano bene. Ma inganni piccoli? «Sono
stanco» le disse. Non era
neanche una bugia, aveva fatto la fila in piedi per ore. «Ti
va di venire a casa mia?»
Ami si alzò dalla panchina. «Se riusciamo
a
comprare delle arance, ti faccio una
spremuta.»
Oh,
le spremute di lei gli piacevano anche più di quelle di
Nanny Shoko.
Forse perché ad Ami poteva pulire le mani con la bocca.
Giusto un dito prima che lei iniziasse a ridacchiare e a arrossire, ma
era sufficiente.
Il resto, tutto quello che avevano loro due, era
già
soddisfacente di suo.
Gli
piacevano le risate, le conversazioni, le esperienze, le giornate con
lei. Persino il modo in cui era cambiato per stare al suo fianco, come
se, invece di
diventare una persona nuova, avesse semplicemente trovato un equilibrio
nascosto dentro di lui.
Era diventato più calmo, meno
scontroso,
maggiormente paziente, più a proprio agio con tutto quello
che gli
passava per la mente, che fossero romanticherie da sap senza speranza
o semplici pensieri folli, tanto assurdi da essere quasi
inconfessabili.
Con
Ami ne parlava, li lasciava uscire dalla mente e dalla bocca senza
riflettere.
Un giorno
le aveva detto "Pensi che sia possibile che i buchi neri siano
aspirapolveri?"
Lei si era voltata a guardarlo, incuriosita. "E le galassie
stanze in cui fare
pulizia?"
Neppure il pensiero più cinico o stupido la
spingeva a
considerare anche lui come tale.
Ami pensava senza limiti e lui era felice di poterlo fare con
lei.
Traduzione di alcuni termini:
- absolutely handsome: assolutamente affascinante (oppure bellissimo)
- crap: 'cavolo' ma in versione più volgare :D
- sap: slang per 'sdolcinato', 'melenso'
NdA.
Avevo pensato di
inserire l'entrata di Mamoru in questo episodio di Aprile, ma... evviva
l'ispirazione :)
Penso che farò 'Aprile 2' per introdurre
Mamoru o forse
posticiperò la cosa a Maggio.
Oh, avevo lasciato intendere in uno spoiler che
avevo lasciato in giro
che questo episodio sarebbe stato incentrato sulla parola 'Motegi' e
invece alla fine è stato 'Suzuka'. Avevo scelto Motegi
perché si svolgeva in Aprile (a meno che non stia
commettendo clamorosi errori), anche se c'è da considerare
che nel 1996, anno in cui si svolge questa scena, mancava ancora un
anno all'inaugurazione di questo circuito. Suzuka era il luogo dove si
correva la tappa giapponese del motomondiale in quegli anni. Alla fine
sono passata definitivamente a questa scelta perché il
circuito di Suzuka è abbastanza lontano da Tokyo da
giustificare la storiella del pernottamento di cui ho parlato ;) Unico
neo: il GP di Suzuka, sempre se non erro, si svolge in Ottobre.
Permettetemi la licenza e perdonatemi anche se ho detto castronerie con
riguardo ai motori delle auto. Ami ne sa qualcosa, io no :D Se
c'è qualcosa da correggere in merito a questo fatemi pure
sapere.
Oh e naturalmente commenti su questo nuovo piccolo
episodio sono sempre
ultra-graditi *_* Non punite Ami e Alexander per le attese di 'Verso
l'alba' ç_ç Ho dovuto fare un pochino di pausa
dalla
stesura della seconda parte dell'ultimo capitolo, altrimenti non mi
viene fuori bene.
Alla
prossima!
ellephedre
|
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Capitolo 10 *** Scene - Maggio ***
Acqua viva - scene
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Maggio
«Ciao.»
In quella
tardi mattinata di sabato, seduto sulla panchina davanti alla libreria
internazionale, Alexander alzò lo sguardo dal suo libro
sapendo che non era stata Ami a salutarlo.
Il tono duro, lievemente piccato, apparteneva alla voce di un
passato
distante due anni. Ritrovandosene davanti l'aspetto,
lui pensò che sembrava trascorso molto più tempo.
«Ciao.» Sorrise senza voglia ad Erisa Asami, che
non era affatto
cambiata dai tempi delle superiori.
Stesso sguardo di sfida al
mondo,
medesimo modo di incrociare le braccia - con le gambe un poco allargate
- e l'onnipresente frangia, dritta a mezzo centimetro dalle
sopracciglia. Capelli neri lunghi fino alle spalle come l'ultima volta
che lui l'aveva vista di sfuggita, alla cerimonia di diploma. Bella
come
quando erano stati brevemente insieme, una considerazione oggettiva che
gli suscitava ancora meno interesse di un tempo; d'altronde
nemmeno in passato gli era importato molto dell'avvenenza di lei. Che
fosse di buona qualità era stato un semplice plus ai suoi
occhi. L'aveva valutata come un prodotto da mettere
nel
carrello della spesa.
Lei era perplessa. «Questo
dovrebbe essere un incontro spiacevole.»
Lui chiuse il libro e si alzò. «Forse. Se
fossi stata tu a
lasciarmi.»
Le dita di Asami strinsero la camicia sulle braccia incrociate.
Lui evitò di sorridere e scosse piano la testa.
«Mi
hai salutato di tua volontà. Sono passati due anni,
d'istinto ho pensato che questa fosse una sessione di 'how are you
doing', giusto perché non siamo estranei e non sei nella mia
lista di persone da odiare.» Non che ne avesse una, ma aveva
avuto una lista di persone irritanti e da evitare: Asami ci era finita
dentro dopo che lui l'aveva lasciata, ma era passato troppo tempo
perché lei fosse ancora una persona con il potere di
infastidirlo. Inoltre, nessuno lo irritava più: he was an happy man,
non si poteva essere più felici e sereni di lui.
Asami lo squadrò da capo a piedi e strinse gli
occhi.
«Sei diventato più alto.»
Per un attimo lui aveva pensato di farle notare che era lei ad
essere diventata più bassa. Ma no, era
proprio
lui ad essere cresciuto, e in più modi. «Studio
fisica
alla Todai. E tu?»
«Legge alla Keio. Hai perso il brutto carattere? Se
me lo
confermi non ti credo.»
Non che a lui importasse qualcosa. «Se non hai altro
da dire
forse è meglio che sia io ad anticipare il Sayonara con cui si
concluderà questo incontro.»
Lei piegò le labbra strette verso l'alto.
«Ancora witty
e ancora antipatico. Io pure, ma scommetto che non ne sei
sorpreso.»
Sbagliato, aveva sperato che il tempo fosse passato anche per
lei. Ma
un po' d'ironia era la benvenuta. «Non mi
interessa.»
Asami diede vita
alla stessa espressione risentita che, nei pochi giorni in cui erano
stati
insieme, lui non era riuscito a sopportare, neppure nelle sfumature
più miti e presuntamente dolci. Si era stufato di lei nelle
canoniche due settimane in cui, a quel tempo, era svanito il suo
interesse in una relazione con qualsiasi ragazza.
Anzi,
ricordò,
si era annoiato già con qualche giorno di anticipo rispetto
al
limite medio: come persona Asami gli era andata a genio, ma come
fidanzata lo aveva irritato in continuazione. L'aveva mollata dopo un
mese e non
prima solo
perché allora aveva pensato che lei fosse stata perfetta
sulla
carta: intelligente, simile di carattere a lui, per metà
straniera e quindi capace di parlare inglese fluentemente. Se non
funzionava
con Asami, si era detto, forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere
del
tutto le relazioni.
All'alba dei suoi diciotto anni non era stato pronto a mollare
l'idea di combinare qualcosa che si potesse finalmente chiamare sesso,
ma la sua disperazione aveva cominciato a prendere consapevolezza di
sé.
Se non riusciva
ad avere una sola relazione in cui stesse bene, si era chiesto,
perché continuare a sforzarsi? Ne valeva davvero la pena?
Con Asami aveva risposto a quella domanda, ma non per merito
di lei.
Dopo un anno di tentativi, per lui era semplicemente arrivato il
momento
di smetterla con esperimenti che avevano continuato a dare
sempre lo stesso infruttuoso risultato.
I'm an idiot,
aveva concluso in un giorno di pioggia, nel bel mezzo di una lezione di
matematica. Il cielo aveva pianto al posto suo per il periodo di
astinenza a cui si era condannato con le sue stesse mani, ma
lui era stato sicuro dela sua decisione. Se
sto bene solamente per conto mio, è meglio stare da solo.
Considerava la sua adolescenza terminata il giorno in cui
aveva detto
ad Asami, 'È finita.' Quel giorno era finita davvero: da
allora aveva
pensato solo a studiare e a divertirsi come pareva a lui, senza stare
più ad arrovellarsi per accontentare persone di
cui, in fondo, non gli era importato molto. Era un bastardo asociale
con un
solo amico, ma ne era diventato finalmente consapevole e si era sentito
in pace.
Da quel momento in poi, nell'incontrare ragazze a cui
aveva lanciato una seconda occhiata, aveva sempre dato retta al suo
primo istinto: nel notare una sola cosa che non gli era andata bene,
aveva
lasciato perdere.
Gli occhi di lei si muovevano troppo? Tendeva a distrarsi, non
sapeva
stare concentrata. Quindi non avrebbe saputo sostenere una
conversazione
decente.
Teneva le spalle basse? Era troppo timida e lui l'avrebbe solo
intimidita maggiormente.
Avvicinava una mano per toccarlo? Sarebbe diventata
appiccicosa.
Sembrava fulminata dal suo aspetto? Avrebbe passato il suo
tempo a
fissarlo.
Lui aveva accumulato sufficiente esperienza - oltre venti
pseudo-relazioni - per sapere che aveva ragione quando inquadrava
sommariamente una persona nei primi momenti di conoscenza. Era
percettivo o, se non altro, aveva imparato a riconoscere i segnali dei
tratti di carattere che non poteva soffrire.
Più di cinque mesi addietro, ricordò,
non aveva
trovato
niente che non andasse in una persona a cui ormai pensava tutti i
giorni.
Spalle dritte e fiere, risposta arguta e veloce, poco
impressionata da
lui, occhi blu profondi e grandi. Aveva guardato Ami una seconda
volta e una terza, notando anche il tipo di corporatura sotto il
cappotto scolastico, ma soprattutto il viso. Un misto tra 'very nice' e
'beautiful in the details' che la serietà di lei non gli
aveva
permesso di identificare con chiarezza.
Come combinazione gli era parsa
allettante sin dall'inizio, ma allora non aveva avuto la minima idea
del tipo di espressioni che Ami era in grado di tirare fuori. Ne veniva
steso giorno dopo giorno e ne era felice.
Durante il loro primo vero incontro sul
ponte del parco se n'era andato ugualmente
perché... Perché?
Forse
perché si era abituato a lasciar perdere o perché
si era
trovato bene da solo. Forse perché ad Ami lui non era
piaciuto e
quel tipo di novità non era stata abbastanza curiosa da
interessarlo.
Per fortuna aveva avuto una seconda
possibilità con lei. Il
giorno
dopo
addirittura; la sua buona stella si era concentrata nella settimana
d'oro che gli aveva fatto incontrare Ami tutti i giorni.
«Era questo che odiavo di te, Foster A.
Stavi con me e
pensavi ad
altro, come se starmi vicino non fosse interessante. Ti
avrei lasciato io prima o poi.»
'Foster A', un soprannome orribile che lui le aveva
chiesto subito di
smettere di
usare. Non dubitava che Asami lo stesse ripetendo apposta per
irritarlo.
«Ora che lo hai detto sei
felice?»
Lei non distese l'espressione, eppure -
notò lui - aveva
voglia di farlo.
Provò a risolvere il problema al posto
suo. «Non
mi
avresti lasciato tu, non per qualche altro mese.» Non era il
modo
migliore per cominciare a rasserenarla, ma era la verità.
«Ero la tua sfida, no? Lo sono anche ora, ti costringi a
parlarmi
per questo. Ero il meglio che potevi ottenere nella tua testa e non si
viene lasciati da una persona così senza tenersela dentro.
Non
se si è orgogliosi come te.»
Di malavoglia, Asami stava sorridendo.
«Questo era quasi un tuo pregio invece: sweet as hell
proprio mentre lanci insulti.»
«Ho risparmiato ad entrambi
tempo
prezioso finendola dopo un mese. Ma avrei preferito che
fossi stata tu a rompere: a me non sarebbe importato.» E
soprattutto si sarebbe risparmiato le occhiate d'odio che erano seguite
nelle settimane successive: non avevano frequentato la stessa classe,
ma le
loro aule si erano trovate nello stesso corridoio.
«Okay, okay.» Asami
sollevò le
mani; più che un segno di resa, una richiesta di tregua.
«Non sono così bitchy di solito,
mi sono evoluta anche io.»
Alexander evitò di ridere
apertamente: Asami stava
chiedendo tregua a se stessa.
«Voglio farti una domanda e vorrei che
non la prendessi per
il verso sbagliato» gli disse.
A lui non piacevano le domande che cominciavano in
quel modo.
«Finché non me la fai, non prometto
niente.»
Asami annuì. «È una cosa che
mi
è rimasta qui.» Si picchiettò la parte
alta della
tempia con un'unghia insistente. «A parte l'orgoglio,
è la
ragione per cui ce l'ho ancora con te.»
Well, se poteva aiutarla...
«Tenterò di portare
pace alla tua anima.»
A lei sfuggì una mezza risata.
«Bene, vada per
l'insinuazione potenzialmente più offensiva e
assurda,
anche se io - lo premetto - non giudico. Non sei un'improbabile
omosessuale, vero?»
Lui strinse gli occhi. «No.» E aveva
capito
di cosa stava per parlare lei. «Sono banalmente etero, ma
ragiono con
una testa che sta sempre sopra le mie spalle.»
«Right. Spiegami cosa ti ha detto la
testa
allora: per quale motivo incomprensibile un complimento qualunque ti ha
impedito di
portarmi a letto quando ci eravamo già dentro? Se era una
scusa, adesso puoi dirmelo.»
Lui aprì la bocca per replicare e lei lo
bloccò con
un dito. «Questa volta magari capisco, non sono
più arrabbiata. Mi interessa solo... sapere.»
Alexander aveva compreso già allora che
la sua ritirata era
stata un
colpo senza pari per l'autostima di Asami, ma non gli era
interessato spiegarsi meglio. Nonostante la sua decisione di lasciarla,
si era fatto quasi convincere ad andare a letto con lei: la prospettiva
dell'astinenza senza una chiara fine all'orizzonte - pure senza un solo
straccio di esperienza completa - non aveva spaventato la sua
mente,
ma il suo corpo era stato di ben altro avviso.
L'insistenza di Asami aveva
premuto involontariamente su quell'incertezza. Lei gli era sembrata
cosciente della sua mancanza di coinvolgimento e gli era parsa anche
una ragazza da 'no hard feelings': non si sarebbe sentita tradita da un
po' di sesso privo di sentimenti, magari neppure le sarebbe importato
tanto.
Lui riteneva ancora di avere ragione su quel punto.
'Portarmi a
letto': era quello il riassunto facile che faceva Asami. Non poteva
immaginare di sentire una cosa simile da Ami; non lo avrebbe neppure
voluto.
Tornò a sedersi.
Asami si accomodò accanto a lui,
piegata
in avanti, un gomito sul proprio ginocchio. «Ti avevo solo
detto... Aspetta che mi quoto. "Gosh, sei
così bello che
potresti anche essere stupido". E tu sei scattato all'indietro come se
ti avessi bruciato. Oppure» si mise a
ridere «stavo facendo qualcosa di
tremendamente sbagliato?»
Gli era piaciuto quel tratto di lei: era diretta. A
suo modo lo
apprezzava anche ora, soprattutto perché oramai era
un'estranea per lui.
«Non hai trovato qualcun altro che potesse toglierti il
dubbio?»
«I dubbi me li sono tolti»
ribatté
Asami. «Ma non il dubbio di quel
momento e di quella situazione.»
Il dubbio di essere sbagliata, di aver fallito in
qualche modo. Asami
era una cosa sola col proprio orgoglio.
«Mi hai fatto capire che
noi due non c'entravamo niente.» Fu conciso e poi decise di
parlare la sua lingua. «E siccome non c'entravamo nulla,
non
mi
sarei divertito neppure in quello che sarebbe seguito.» Non
trovò necessario ripetere che era stato comunque sul punto
di
lasciarla: glielo aveva già detto a tempo debito.
Asami arrivò a una conclusione
che trovò
soddisfacente. «Non sai goderti un po' di sana chimica. Sei
un represso.» Fu solo un mezzo scherzo.
Lui lo trovò divertente per una ragione
diversa dalla sua. «Tra noi non c'era chimica.»
«Dici?» Asami si
appoggiò contro lo
schienale della panchina, i capelli neri sistemati su una sola spalla.
«A me non sembrava.»
Non era una dimostrazione di interesse,
quanto
un flirt casuale. Asami era fatta così. Un po' gli ricordava
com'era stato lui.
«La chimica di cui parli è una
combinazione di
pulsioni e
pensieri votati a percepire solo i sensi» le
spiegò.
«Non
c'era niente di tanto nobile nella ragione per cui non mi sono fermato
prima quel giorno.»
Asami lo fissò con occhi sottili.
«Sei ancora troppo
complicato, persino per me. E brutale in cose che non mi piacciono. Hai
ragione, non saremmo andati da nessuna parte in coppia.»
Infatti per lui non c'era mai stata una coppia tra
loro due.
«Trovato la pace?»
Con un sorriso sghembo, lei tornò in
piedi. «Tu,
piuttosto... Credi davvero che troverai la ragazza che cerchi? Te lo
dico
per
il tuo bene: non esiste.»
Ah, doveva esserle sembrato un idealista. Lui non
si era mai sentito
tale: aveva saputo con chiarezza quello che non voleva, ma non
era stato in grado di descrivere cosa stava cercando finché
non lo aveva trovato. «Si chiama Ami.»
Asami rimase interdetta solo per un momento.
«Hm, almeno hai
ripreso ad uscire con qualcuno. Ti sei dato al celibato per un intero
anno scolastico dopo aver rotto con me, era l'unica cosa che mi dava un
po' di soddisfazione. Be', non far diventare questa Ami parte di una
collezione troppo estesa: ha i suoi pregi imparare ad
avere una relazione più lunga di un mesetto
scarso.»
«La mia collezione ha un solo pezzo da
cinque mesi. È
già completa.»
La menzione della durata della sua relazione con
Ami sorprese
Asami. Sorprese anche lui nel pensare che fosse una reazione legittima:
Asami
lo aveva conosciuto quando per lui una cosa simile era
stata inconcepibile. Solo in apparenza, o almeno
così gli piaceva pensare: avrebbe potuto costruire una
relazione con Ami anche in quel
passato. Lei era quella giusta. Continuava a rimanergli il dubbio che
lui non lo fosse stato.
«Allora... La situazione è
questa»
iniziò
Asami. «Una ragazza incontra per caso il suo ex. Si mette a
parlare
con
lui solo per saperlo infelice e mettersi il cuore in pace.
Invece si mette il cuore in pace perché lui le spiega
meglio
quell'episodio che l'ha
scocciata per mesi dopo che hanno rotto. Ah, e le dice pure con sguardo
sognante che è
felicemente fidanzato.» Unì le mani sul
petto. «È cambiato perché ha trovato
quella persona
mitologica che il resto di noi comuni mortali non ha speranza di
trovare.»
«L'ultima parte è abbellita
per rientrare meglio
nella storia?» rise lui.
«Volevo solo chiarire i sentimenti dietro
ciò che
sto per dire: you are
an ass, Alexander Foster. Te lo dico con simpatia,
perciò tieniti l'insulto. Fammi questo graditissimo
favore.»
«Te lo faccio.»
«Perché sei troppo sereno
perché te ne
importi qualcosa. You
are an ass.»
«Siamo già arrivati al
Sayonara?»
«Sì»
annuì Asami e indietreggiò di un passo.
«Me ne vado. Sayonara,
Foster.»
Lui rimase seduto. «Vedrai che
andrà bene anche a
te. Sayonara, Asami.»
Lei provò a parlare ma si
cucì la bocca. Nel
girarsi
pronunciò un silenzioso 'ass' che accompagnò ad
un
sorriso rassegnato e ad una mano alzata.
Alexander l'alzò a sua volta e lei
andò via.
Lui riaprì il suo libro e
tornò a leggere.
Si
interruppe
brevemente per pensare allo scorcio di passato che era tornato nella
sua vita per pochi attimi, ma quando adocchiò la riga da cui
aveva interrotto la lettura, tornò a concentrarsi sul libro.
L'ultima volta che Ami si era nascosta dietro un
palo della luce si era trovata
assieme ad Usagi. Lei l'aveva trascinata dietro un lampione dopo aver
scorto una ragazza
che parlava con Mamoru. Un'estranea che aveva chiesto un'informazione,
aveva poi spiegato lui, e Usagi gli aveva creduto solo
perché
aveva potuto assistere a tutta la scena di persona, a distanza.
Ami non
era riuscita a capacitarsi della poca fiducia di Usagi in Mamoru Chiba:
lui era un fidanzato modello, così chiaramente innamorato e
fedele.
Nascosta in modo stupido dietro un palo molto
più sottile di
un
lampione, cominciò a capire meglio i motivi di Usagi. Aveva
guardato Alexander che parlava con la ragazza ignota per mezzo minuto
buono (ma loro avevano cominciato prima). Non si era nascosta subito,
l'aveva fatto solo quando lui aveva salutato l'altra ed era
parso sul punto di voltare lo sguardo.
Ora, controllò voltando la testa,
Alexander stava solo
leggendo il suo libro. E lei si stava comportando da sciocca.
Durante la conversazione a cui aveva assistito,
Alexander non aveva
lanciato
segnali equivoci, ma le era parso che li avesse lanciati
lei - l'estranea bella e slanciata che lui
sembrava
conoscere
piuttosto bene. Si erano salutati con un sorriso e una mano alta, un
saluto di tipo definitivo. Forse. O magari solo un saluto amichevole,
come a dire 'ci vediamo un altro giorno?'
Perché avrebbero dovuto vedersi un altro
giorno? Magari lei
era
una sua compagna di università? Per questo si era seduta
accanto
a lui con tanta naturalezza? Ed era solita farlo in altre occasioni?
Sospirò. Stava facendo ipotesi su fatti
non accertati, una
cosa completamente inutile. Se era curiosa, poteva chiedere.
Esitò.
Non aveva bisogno di sentire la risposta, la
conosceva
già. Se avesse notato che era preoccupata, Alexander
l'avrebbe rassicurata.
Le voleva bene. Amava lei.
Si allontanò con un passo dal palo.
Lui la chiamava love
accarezzando la parola con la voce, come se fosse felice di poterlo
dire. Dopo che avevano passato ore a parlare, la guardava come se le
volesse un po' più bene di prima. A volte la baciava proprio
come se cercasse di ripetere quello che aveva detto a San Valentino - voglio rimanere con te per sempre.
La fiducia in lui era uno dei regali più belli che Alex
le avesse
fatto.
Smise di guardarlo da lontano e cominciò
ad avvicinarsi
alla
panchina su cui si era seduto.
Non avrebbe macchiata quella fiducia con
domande sciocche. Non
ne valeva la pena.
«Ciao.»
Il secondo saluto di quella mattina gli fu
immensamente gradito.
«Ciao.»
Più che chiudere il libro, si
dimenticò di averlo in mano. La primavera inoltrata stava
cominciando a trasformarsi in estate e lui
aveva iniziato a scoprire Ami in camicie sottili e gonne svolazzanti
che la riempivano di calma, circondandola d'aria e facendola camminare
come su una nuvola. I vestiti azzurri, i suoi preferiti, la rendevano
una principessa allegra e libera.
Lei si chinò in avanti. Posò
le labbra sulla
sua guancia
e le tenne lì, fino a che non sollevò le mani ai
lati del viso, come se volesse custodirlo.
Quando si staccò, lui produsse un
sorriso
incredulo. «Così mi abitui bene.» E
avrebbe dovuto
abituarlo, perché pochi secondi non erano bastati a fargli
godere appieno di quella sorpresa: passati i primi tempi, Ami aveva
smesso di lasciarsi andare a effusioni in pubblico senza controllare
prima che fossero soli; almeno, se si teneva conto dei primissimi
momenti in cui lo vedeva. Di solito preferiva lei prendergli la mano,
ma lui doveva ammettere di preferire i baci.
Le accarezzò la lunghezza di un braccio.
Glielo avrebbe
fatto
capire nel modo che più gli piaceva: senza parole. Passo per
passo, a gesti.
Quando comunicava con lei in quel modo paziente e otteneva la risposta
che voleva,
si sentiva gratificato in una maniera sconosciuta; era sempre una
sensazione nuova.
«Oggi volevo dartene uno.»
«Music for my ears.»
Lei si ritrasse lievemente, stringendogli la mano.
«Sei già
entrato?» Indicò la libreria alle sue spalle.
«No, ti aspettavo.»
Lei accennò a dire qualcosa, ma si
interruppe prima di
cominciare. Per un momento, parve incerta. «Andiamo
allora.»
Sabato era la giornata che passavano insieme da
mattina a sera. Avrebbe
potuto essere domenica, ma entrambi studiavano con impegno quel giorno,
almeno per tutta la mattina e parte del pomeriggio. Poi, verso
le quattro o le cinque, si vedevano per
salutare il fine settimana.
Sabato invece andavano in giro, a pranzo a scoprire
nuovi posti in cui
mangiare, poi in nuove librerie o mostre nella seconda parte della
giornata. Se c'era un film interessante da vedere andavano al cinema,
ma quello che facevano quasi tutte le volte era camminare. Andavano con
la moto di
lui in parti di Tokyo - o Yokohama - che non conoscevano e
passeggiavano enza meta, solo per vedere posti nuovi.
Le sue ballerine dondolavano oltre il muretto che delimitava
la spiaggia. Ami si ritrovò a pensare che sarebbe stato
meglio indossare dei sandali. Faceva inaspettatamente caldo e
le
sarebbe piaciuto sentire il contatto dei piedi con la sabbia,
battezzandoli nell'estate.
Diede un altro morso al panino. Per quel
giorno avevano scelto di mangiare leggeri e farlo all'aperto, a Odaiba,
nella baia di Tokyo. Conoscevano già il complesso di isole,
ma
quel pomeriggio avevano appuntamento in quel luogo con Usagi e
Mamoru.
Alexander avrebbe conosciuto Mamoru per la prima volta.
«Vuoi mettere i piedi nella
sabbia»
commentò lui.
Ami sorrise col cibo in bocca e attaccò
la gamba al muretto
in cemento su cui era seduta. Deglutì il boccone.
«Come hai fatto a capirlo?»
«Stai disegnando monti e valli con la
punta della
scarpa. E poi era un'ipotesi-proiezione: vorrei farlo anche
io.»
«Fa caldo, vero?»
«In questo momento vorrei una spiaggia
californiana, con
acque pulite e tante onde.»
Per i viaggi che aveva fatto, lei lo invidiava.
«Se fa ancora
caldo, potremmo andare in piscina domani.»
«L'acqua rinfresca, ma senza il sole non
è la
stessa
cosa.»
Alexander aveva finito di mangiare da quasi cinque
minuti.
Non sapendo dove buttare il fazzoletto con cui aveva tenuto il panino,
giocava a rotolarlo tra le dita nella parte pulita.
«Intendevo in una piscina
all'aperto»
precisò lei.
Lui drizzò le orecchie. «Ci si
può
già andare?»
«Di solito aprono a metà mese.
Oggi quindi, ma
domani posso controllare.»
Lui gettò la testa all'indietro e
guardò il
cielo
azzurro. Aveva arrotolato le maniche della camincia scoprendo gli
avambracci; aveva fatto lo stesso con i
risvolti dei pantaloni, fin sopra le ginocchia. A lei era sembrata
un'idea un po' stramba fino
a che non aveva visto il look da simil pescatore
che in realtà era qualcosa di molto diverso: associato
ad abiti normali sembrava un insieme
curato, pensato, persino sottilmente elegante.
Lui aveva commentato
distrattamente che era
un'idea che aveva visto da qualche parte.
Di solito non gli piaceva pensare ai vestiti e non
lo faceva
attivamente, ma lei era
sicura che, se fosse stato una donna, Alexander avrebbe potuto darle
decine
di
dritte. Un paio di volte le era capitato di guardarlo mentre si
comprava qualcosa da indossare.
Lei si
riteneva una compratrice di vestiti piuttosto veloce, ma Alexander la
batteva cinque a zero: entrava solo nei negozi in cui era sicuro di
comprare qualcosa e camminava tranquillo guardando a destra e a
sinistra. Senza indugio prendeva in mano solo cose che, a guardarle
dopo, erano di ottima
fattura e con dettagli di pregio.
Lui non le provava, le giudicava a occhio tenendole alte e larghe con
le mani.
Lei aveva pensato fosse una modalità di selezione
poco efficace, ma la prima
volta che lo aveva visto comportarsi così la loro relazione
aveva avuto meno di un mese e lei aveva giudicato poco saggio offrirgli
opinioni non richieste.
Alexander infatti non le aveva chiesto niente: dopo aver
scelto cinque
cose - due felpe, una camicia, un jeans e un altro paio di pantaloni in
tessuto pesante - era andato a pagare senza neppure domandarle 'Cosa ne
pensi?'. Per tutto il tempo aveva continuato a parlare con lei di
fisica quantistica, come se la scelta del suo vestiario non meritasse
una sola parola.
Era stata la prima volta in cui un suo
comportamento le aveva causato
un leggero dispiacere. Si
era
sentita esclusa dopo essersi scoperta a desiderare
di... be', vestirlo. O di poter immaginare cosa mettergli guardando
tra i capi presenti, un po' come faceva per sé.
Nelle settimane successive, nel vederlo di volta in volta coi
capi scelti,
non le era rimasto che dichiararsi sconfitta
senza
possibilità di rivincita: Alex non aveva bisogno di lei per
scegliere i vestiti, aveva un occhio sopraffino. Ma
questo, si era detta poi, avrebbe dovuto già capirlo dal
gusto
di quello che gli aveva sempre visto indossare. Il suo errore era stato
credere che a scegliergli gli abiti fossero Shoko-san
o sua madre.
Con lui aveva toccato
l'argomento in modo diretto solo una volta, facendo riferimento proprio
alla signora Eve.
«Sì» aveva risposto Alexander,
«l'unica
cosa che non manca
di
sicuro
a mother
è il buon gusto nel vestire. Per una che faceva il suo
lavoro, sarebbe un colmo da barzelletta.»
Lei aveva pensato che lui sottovalutasse Eve
Foster. «Sceglieva lei i
tuoi
vestiti da bambino?»
«No, ma ricordo che diceva a Nanny Shoko dove
comprarli.
Finché non ho cominciato a scegliere io, nel mio guardaroba
spuntavano dal nulla cose che non avevo visto.»
La risposta l'aveva confusa. «Nessuno ti ha
mai aiutato a fare
acquisti? Tuo padre?»
Divertito, Alexander aveva aggrottato la fronte.
«Lui ha una sua
idea di
stile tutta inglese, troppo seria. Ora che mi ci fai
pensare,
tanti
anni fa mi ha aiutato a scegliere un completo perché non
avevo
esperienza, ma per il resto... cosa c'è di difficile? Buoni
tessuti, buone finiture, buon taglio.» Alexander aveva
scrollato le spalle. «Mia madre mi
ha aiutato a
distinguere semplicemente osservandola. Cosa ti confonde, la
scelta veloce?»
Lei aveva annuito e lui ci aveva riflettuto
brevemente. «Quando
scelgo ho in mente le
pubblicità dei giornali europei; americani per il casual.
In
Giappone c'è poca roba tra cui scegliere,
è facile notarla con un colpo d'occhio; siete piuttosto
indietro.»
Il 'siete' le aveva fatto spalancare la bocca in
una risata incredula.
Lui si era accorto di quel che aveva detto.
«Presenti esclusi, ma
pensavo più al vestiario maschile.» Si era
messo a ridere e lei lo aveva seguito a ruota. Quel
giorno aveva capito la ragione di un commento di Minako.
«Alexander sembra bravo e alla mano quando lo
conosci, ma a volte ha un
non so che di
snob.»
Lo era per esempio nel vestire, nel modo in cui
sceglieva con
inconsapevole cura la
maniera di presentarsi. Eppure lei era convinta che, se gli avesse
fatto
notare quel difetto, lui sarebbe stato capace di entrare in crisi: per
Alex era molto importante pensare di non dare alcuna
importanza al suo aspetto.
In fondo la cosa più divertente era la
maniera in cui si sentiva strettamente straniero quando si parlava
di gusto nel vestire; neppure coi libri era tanto definito. E se quella
non era una cosa trasmessa da sua madre, che non indossava un solo
accessorio o capo che non fosse importato, Ami avrebbe potuto dire di
non capire niente del suo fidanzato di quasi mezzo anno.
Lui aveva preso a guardare il mare con
intento. «Magari possiamo andare in piscina dopo
l'appuntamento a quattro.»
Era evidente che non conosceva bene Usagi. Inoltre...
«Come potremmo? Non abbiamo niente di quello che ci
serve.»
«Costumi, ciabatte,
asciugamani.» Smise di
guardare l'acqua.
«Potremmo comprarli.»
«Ma ho già queste cose a casa
e poi-»
«Potrei regalartele»
rifletté lui. Qualcosa lo divertì..
«Certo che se ti aiuto a comprare un costume,
poi
non usciamo più dal negozio.»
«Hm?»
«Te ne farei provare un mucchio, Ami love.»
Lei arrossì talmente tanto da affondare
con la testa,
toccando il petto col mento. «Io...»
«Stavo scherzando.» La risata
leggera si librò nell'aria calda del giorno.
Ami inspirò per farsi coraggio. «Io
preferisco i costumi
interi.»
«Come quelli che
metti nella piscina al
coperto.»
Esatto.
L'idea non sembrava infastidirlo neppure un poco e
lei si
sentì in colpa. Forse era troppo chiusa su alcune
cose. «Magari per questa estate posso prenderne uno in due
pezzi.»
Lui la squadrò con un'occhiata rapida.
«Ah-ha.» Distratto, tornò a guardare il
mare.
L'interesse malcelato la fece decidere per un
prossimo acquisto.
«Oggi non possiamo andare in piscina. Usagi
vorrà fare molte cose, è la prima volta
che siamo tutti e
quattro insieme.»
L'idea di un doppio appuntamento
aveva
entusiasmato Usagi sin da quando le era venuta in mente, ma Mamoru non
aveva mai avuto abbastanza tempo da dedicare a un'uscita come
quella: da quando aveva lasciato medicina, si era impegnato due volte
tanto
nel suo nuovo corso di laurea, per recuperare il tempo perso.
Ami era curiosa di sapere che opinione avrebbe
avuto di Alexander, e
viceversa.
«Spero che Mamoru ti piaccia.»
Non poteva dirsene
sicura
solo perché Alexander sapeva ancora sorprenderla nelle
reazioni
che aveva nei confronti di persone sconosciute. Per esempio non avrebbe
mai
immaginato che lui potesse trovare simpatica la ragazza di quella
mattina.
«Alex?»
«Hm?»
Non era mancanza di fiducia, si disse. Solo
curiosità.
«Quante...» No, non voleva ridurre la faccenda a
una questione di
numeri.
«Prima di me... hai avuto altre ragazze.» Non ne
fece una
domanda: era certa della risposta, ne avevano già parlato.
Lui inclinò la testa e la
studiò.
«Sì.»
Lei non seppe come chiedere. Furono le parole a
sceglierla.
«Com'era? Com'eri tu?»
«Disinteressato, non te l'avevo
detto?»
Sì, ma questa volta voleva saperne di
più. Voleva
capire come si era comportato lui in passato: da come ne parlava
Yamato-kun, e da
alcune cose che aveva detto Alexander stesso, le era parso che lui
fosse
stato diverso. Anche adesso, quando non
c'era lei, era diverso con le persone: più cauto,
più
attento, meno aperto; lo aveva intuito da tanti discorsi delle sue
amiche. Ma lei non riusciva a
conciliare una simile personalità con quella di un ragazzo
che
aveva
avuto tante relazioni.
Naturalmente Alexander padroneggiava ancora come
un maestro l'arte del flirt, ma
conoscendolo lei aveva compreso che quello era solo un gioco per lui.
Non era
la realtà in cui gli piaceva vivere: come lei, era
tranquillo e riflessivo. Gli piaceva parlare e parlare.
Immaginare
che lo avesse fatto con altre ragazze con la stessa passione dedicata a
lei era
un pensiero infelice. Ma almeno un poco, ragionò, doveva
essere stato così, visto che lui le aveva detto che lo scopo
principale delle sue precedenti relazioni non era stato...
l'approfondimento fisico.
Poteva credere a una versione simile? Doveva essere edulcorata; non per
artifizio, ma per tatto.
Lui si era sporto verso di lei. «Me
ne sono stato per
conto
mio praticamente sempre, tranne che in seconda superiore. Mi
è servito a capire che non sapevo cosa volevo.»
In che senso?
Alex la guardò in faccia fino a che
non
concretizzò
un'idea. «Sai che oggi ho incontrato una ragazza con
cui
sono stato? Proprio l'ultima. Stamattina, prima
che arrivassi.»
Le scappò il fiato dal corpo. Un'ex-fidanzata.
Quella ragazza alta ed elegante con cui Alex si era scambiato
più
sorrisi aveva avuto una relazione
con lui. Era peggio di quello che aveva immaginato.
Lui stava sorridendo. «È venuta a
parlarmi lei perché ce l'aveva con me.»
«... ce l'aveva con te?»
«Perché l'avevo
lasciata.»
Ami ritrovò tutto il respiro.
«Sono sempre stato io a rompere tutte le
mie precedenti
relazioni.»
Non avrebbe potuto dirle qualcosa di più
bello nemmeno se ci
avesse provato.
Lui la stava ancora guardando, tranquillo.
«Rivederla
oggi mi
ha fatto pensare a quanto
tempo è passato. Sono cambiate tante cose.»
Lei non riuscì a resistere.
«In meglio?»
«Be', sì. A parte l'aaver
imparato cosa significa essere mollato.»
«Oh» si mortificò
lei.
«Quello...» Era stato uno dei più grandi
errori che avesse mai commesso.
«Se mi prometti di non farlo
più, ti dico
un'altra cosa.»
Detestava avergli dato la necessità di
fare di
quell'argomento
uno scherzo. Se il suo più importante segreto avesse
coinvolto
solo lei, avrebbe già trovato il coraggio di rivelargli
tutto, ormai
ne
era sicura. «Io non ti lascerò
mai più.» Era una promessa che poteva fare, anche
se
questo non voleva dire che sarebbero rimasti insieme per sempre. Quella
era solo una magnifica speranza, una decisione a cui lui sarebbe potuto
arrivare solo dopo aver saputo tutto
di lei.
Di quei problemi Alexander rimase ignaro.
«Volevo questo,
Ami.» La indicò con un cenno del mento, quindi,
seduto con
le gambe da una parte e dall'altra nel muretto, allungò
quella
sopra la sabbia verso di lei. Riuscì a mettere la scarpa
sotto
la sua, sollevandole un poco il piede. «Volevo stare bene con
qualcuno. Era importante che non fosse un maschio perché
c'era già Yamato.»
Le scappò un sorriso.
«Prima di conoscerti avevo cominciato a
chiedermi se avrei mai trovato una ragazza così. Sapevo che
il
problema ero io, ma non avevo intenzione di cambiare.»
Ami prestò attenzione alle ultime
parole. «Sei
cambiato?»
Lui ci pensò su abbastanza da renderla
sicura che la risposta
sarebbe stata completa.
«Non proprio. Pensavo di avere difetti che
nascevano da quella che si è rivelata
essere insoddisfazione. In altre cose mi sono
solo... stabilizzato.»
Lei inclinò la testa, cercando chiarezza.
Lui sollevò un sopracciglio.
«Ho un brutto
carattere?»
Ami fermò il 'no' sulla punta della
lingua. A lui sarebbe
piaciuta un'opinione più articolata e veritiera.
«Con me,
mai. Ma... non sei facile.» Per tutti gli altri.
«Volevo dire proprio questo»
annuì lui.
«Sono passato da antipatico a 'poco facile'. Che progresso,
hm?»
Lei gli accarezzò una mano e ne
approfittò per
prendergli il fazzoletto usato per il panino; lo
appallottolò insieme al proprio e lo mise in borsa, dentro
il
piccolo sacchetto di plastica che si portava dietro per ogni evenienza.
«Previdente»
commentò lui. «Sono sicuro che lo eri anche tanti
anni fa. Did you ever
change?»
Oh sì. Era una persona che si evolveva
per amore. Era
cambiata quando aveva conosciuto Usagi e le altre, si era aperta. Ed
era
cambiata quando aveva perso lui. «Mi hai fatto diventare
più coraggiosa.»
Non le era mai mancata la forza
per combattere per altri - per un bene superiore - ma per natura aveva
desistito dal lottare per ciò che voleva lei, se coinvolgeva
altre persone. Il rapporto con la gente la intimidiva: temeva il
rifiuto. Temeva il giudizio, anche se aveva imparato a non dargli
importanza.
Nel caso di Alexander, aveva avuto una paura folle
di quello
che gli stava offrendo: tutto quanto, senza alcuna garanzia che lui, un
giorno, non avrebbe preso la decisione di porre fine alla loro
relazione per validissime ragioni.
Non le importava più. Non aveva
più timore di un
futuro di sofferenza che poteva diventare realtà.
«Ho preso coraggio e ho combattuto per
te.» Fosse solo per avere con lui altri sei mesi, un
altro anno o tra quattro e sei anni: tanto era il tempo che mancava
alla nascita del nuovo regno terrestre.
«Se tu non mi avessi
rivoluta indietro credo... che avrei insistito.»
Vergognandosi
un poco, abbassò lo
sguardo. «Se mi
avessi voluto ancora un po' bene, non mi sarei arresa. Ti
avrei amato fino a farti provare anche solo un poco di quello che
tu mi provocavi-»
«Basta.» Fu una risata debole e
strozzata quella
con cui lui scivolò in avanti. «Mi stai
uccidendo.»
L'abbraccio bastò a farle
capire il motivo.
«Too sweet?»
«Sì, non resisto
più.»
Alexander le
sollevò la frangia con una mano e non fece altro che
guardarla.
Ami comprese il problema, un difetto meraviglioso.
«Sei
timido come me?» sussurrò.
«Forse, molto in fondo.»
«Senti che ti sale il calore alla faccia
ed è una
cosa bella ma non sai assolutamente come gestirla, tanto che entri nel
panico?»
«Non entro nel panico.»
Solo perché lei non era tremenda come
lui. «Mi hai
interrotto.» Ridusse la distanza tra loro andando avanti col
bacino, facendo in modo che le gambe non le fossero d'impaccio. Con una
mano leggera dietro l'orecchio lo tenne fermo, lo sguardo
fisso su di lei.
«Avrei combattuto con
tutta me stessa per amarti.»
Le pupille di lui si dilatarono.
«Avrei smesso di essere timida e
discreta.» Per un
momento, nell'intimità dei loro sussurri, smise di esserlo
anche nel presente e fu... liberatorio. «Se avessi
visto che ti faceva piacere, anche solo un poco, mi sarei
fatta
trovare nei posti in cui andavi di solito.» Gli
accarezzò la tempia. «Sotto casa tua.
Avrei fatto di tutto per rivederti come quando ti sei dichiarato la
prima volta. Con quelle parole mi avevi passato da parte a parte
proprio
qui.»
Lui prese colore sulle guance molto prima di avere
la mano posata
nel centro del suo petto, dove la mise lei stessa.
«'I love you
too'. Dovevo dirtelo, era l'unica cosa che avevo in
mente da giorni, lo provavo sin da quando ci siamo baciati. Avrei
lottato
per avere un'altra occasione di darti la risposta giusta.»
Lui espirò contro la sua bocca.
Gliela prese con la
propria prima che lei potesse far uscire una sola altra parola.
Si staccò velocemente. «Sono
morto, devi ridarmi
un po' d'aria.» Le tenne la testa con le mani e le
catturò di nuovo l'angolo delle labbra, tentando di
inspirarla. «God, sii scrupolosa.»
La mangiò di nuovo, deliziosamente.
«Intensa.»
Ad occhi chiusi Ami faticò ad annuire;
il cuore le sarebbe uscito dal petto tanto batteva forte. Non riusciva
a respirare e non voleva.
Gli prese il collo con le mani e, ricambiandolo,
riuscì a
farlo smettere di blaterare. A fare dichiarazioni
incoerenti furono le mani di lui, tutti i baci che lei gli diede,
che si fece
dare e che cominciarono a essere indistinguibili l'uno dall'altro.
«Che
svergognati!»
Il sussurro distinto fu una doccia gelata.
Ami si voltò e trovò lo sguardo
accusatore
dell'estranea dallo sguardo cupo che aveva commentato proprio lei e
Alexander. L'anziana indignata riprese ad allontanarsi, in braccio i
sacchetti
della spesa.
Aveva dato della svergognata a... lei?
Morì di
vergogna: era
praticamente seduta in braccio a-!
Si scostò tanto velocemente da cadere di
lato.
Sentì la sabbia sotto le ginocchia e pensò
di costruire una buca molta profonda.
«Calm
down.»
La risata trattenuta di Alexander non la convinse ad
alzarsi. Finì anzi con l'attaccarsi al muretto in
cemento, a
scrutare la strada di nascosto. «Io...»
«Tu...» Alexander si
accucciò accanto a
lei, «quando fai una cosa la
fai per bene.»
«No, non è-» Ma lo
era! Non sapendo se
ridere o piangere, ridacchiò in modo ridicolo.
Nascose la faccia tra le mani e non trovò neppure la forza
per opporsi all'abbraccio di lui.
«Non allontanarmi. Ti sei
staccata troppo in fretta, soffro proprio come te.»
Nell'imbarazzo lei riuscì a sorridere
per sventure non sue.
Quando il corpo di lui cominciò a sussultare, la risata che
le uscì dal petto fu piena e genuina.
Ricevette un bacio veloce sulla tempia e
tornò a guardarlo.
«I
felt loved»
le disse Alexander. «Thank
you.»
Grazie per averlo fatto sentire amato? Forse, un
giorno, sarebbe stata
più audace e capace di non vergognarsi di cose che... che
potevano essere molto belle. Per lui, ma anche per lei.
Alexander la tirò piano per un braccio.
«Penso che
sia ora di andare.»
«Hm?»
«Usagi e il suo ragazzo?»
Oh! «Giusto.» Il pensiero di
Usagi la
portò a fare un bel respiro e a ricomporsi, tornando in
piedi. «Sì, dobbiamo andare.»
His
Amything.
Era un'espressione che Alexander aveva coniato da un
minuto. Amything
al posto
di 'everything', tutto quanto. La sua Amything,
provò a sussurrare. Era perfetto, per la sua testa rendeva
l'idea.
Cercò di costringere i muscoli delle
guance a portare
giù gli angoli della bocca, ma quelli non collaborarono.
Anche
mentre beveva l'acqua dalla bottiglietta continuò ad avere
le labbra congelate in una risata silenziosa. Dovette sporgersi in
avanti quando il liquido gli colò giù dal mento.
Ridendo, tossì.
Stava rasentando il ridicolo.
Non gliene fregava
nulla.
Ami era la sua amything.
Guardò la bottiglietta d'acqua.
Letteralmente amything,
ecco un esempio! Da quando
usciva con lei, poteva portarsi l'acqua dietro invece che comprarla in
giro. Ami la metteva nella sua piccola borsa portatutto e l'acqua
andava in giro assieme a loro. Lei sopperiva a ogni suo bisogno, solo
che non poteva creare l'acqua dal nulla e quindi lui doveva andare a
comprare la prima bottiglietta.
Metà dei suoi neuroni si erano essicati.
Who cares!
Amava l'estate! Amava la spiaggia, amava parlare di piscine e costumi
da bagno e
persino di quando lei lo aveva lasciato.
Socchiuse gli occhi in un ansito di sollievo. Ami
era cotta
come lui, thank god for
that.
«Ho capito, Usako.»
Alexander riprese a bere la sua acqua.
«Sì, Usako»
ripeté
pazientemente la voce maschile dietro di
lui. «Dirò ad Ami che ti dispiace per il
ritardo e che non è stata colpa tua se hai rotto la
lavatrice di casa e stai cercando di rimediare.»
La menzione del nome di Ami lo fece voltare.
«Posso darti un consiglio?» A
parlare al telefono
era un ragazzo alto dai capelli neri. «Non toccare niente. Se
è uscita
l'acqua da sotto e si è allagato il bagno, non
sarà stata colpa tua.»
Il tipo stava comprando una bottiglia d'acqua
proprio dal chiosco da
cui l'aveva presa lui. Allungò una banconota al venditore e
attese il resto.
«Vedrai che Ami-chan non
penserà che tu sia
sciocca e irresponsabile.»
Ami-chan?
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, esasperato.
«Non conosco
questo Alexander, ma non gli permetterò di pensare male di
te. Sì. Sì, te lo prometto.»
Il tipo aveva un nome. La Usako del discorso era
Usagi Tsukino,
pertanto
quello che aveva menzionato il nome di Ami e il suo era ovviamente
Mamoru Chiba.
«Usako, se hai finito di asciugare il
pavimento non toccare
nient'altro, dammi retta. Esci e raggiungici qui, tua madre
preferirebbe che non muovessi niente.» Vi fu una
pausa. «Va bene, ti aspetterò con loro. A
dopo.»
Mamoru Chiba infilò in tasca le monete
del resto e chiuse la
conversazione al telefono. Incrociò il suo sguardo di
sfuggita nel voltarsi e, quando notò che lui non lo
spostava,
fece una cosa che Alexander non aveva mai visto fare a nessuno nei suoi
confronti:
sollevò un sopracciglio con noncuranza, senza un briciolo di
interesse. Sì?
domandava quell'espressione.
Non gli piacque. Non gli piacque soprattutto il
ricordo di Ami-chan
nella voce di
lui.
Cos'era tutta quella confidenza? «Penso di
conoscerti.»
Mamoru Chiba attese di sentirlo elaborare con la
stessa attenzione che
avrebbe riservato a una vecchina che incrociava per strada.
«Sono l'Alexander di cui parlavi con
Usagi
Tsukino.»
«Ah.» Si manifestò
solo allora
dell'interesse. Fu come se Chiba lo avesse notato per la prima
volta. «Ami Mizuno?»
«Ci sono molte Ami attorno ad
Usagi?»
Chiba lo prese per uno scherzo. «Una
sola» ammise.
Aprì la propria bottiglia d'acqua, tranquillo.
Al polso
aveva un orologio dal quadrante nero; dall'insieme creato dalla camicia
rosa e dai
pantaloni beige - che colori erano? - Alexander ebbe un'unica
impressione: quel tipo
con Usagi? La serietà di lui si combinava con la follia
allegra di lei come la marmellata col peperoncino.
Chiba
era...
più
di ciò che si era aspettato di incontrare: dov'era il
ragazzo basso e divertente che faceva solo finta di essere abbastanza
serio da studiare alla Todai? Alexander aveva creduto che Mamoru Chiba
fosse piaciuto ad Ami proprio perché, nel profondo, era
simile ad Usagi, che Ami adorava. Non gli era passato lontanamente per
la testa l'idea che Chiba potesse piacere ad Ami perché
somigliava... a lui.
«Usagi mi ha parlato molto di te. Parla
molto di
tutti.» Chiba prese un altro sorso d'acqua. «Ma ti
avevo
immaginato diverso.»
Condividevano un'impressione allora.
«Conosco Ami da molto tempo e quindi
avevo
creduto...» lo indicò con un cenno del mento e,
guardandolo in faccia, sembrò sorridere del proprio
pensiero. «Niente.»
«Molto tempo che ti porta a usare il
'-chan'?»
«Hm?»
«Al telefono hai detto Ami-chan.»
Chiba annuì. «La chiamo come
fa Usagi. La
conosco quanto lei.» Rifletté. «A modo
mio, un po' di più.»
Era in errore. «È un chan
amichevole?» Poteva
sopportare persino di udire 'fraterno'.
«In che senso?»
«Usagi per te usa il 'chan' con un'altra
accezione. In questo
senso.»
Chiba mandò giù l'acqua con
movimenti lenti della
gola. Tenendo le labbra strette, sorrise. «Sei un tipo
geloso.»
Alexander scelse di non commentare e attese una
risposta.
«Ami è la sorella che avrei
voluto
avere.» Chiba alzò una mano appiattita all'altezza
del petto.
«La conosco da quando andava in seconda media ed era un poco
più bassa di ora.»
Bene. Se chan
era solo questo, ben inteso.
«Ami è nel luogo
dell'appuntamento?»
Alexander annuì. Ami si trovava una via
più in
là,
poco lontano.
«Visto che sei in vena di domande
dirette, permettine una a
me. È una cosa
seria?»
«A che titolo lo chiedi?»
«A che titolo mi hai chiesto tu ragione
di un nome che uso da
anni per una persona a cui tengo e che conosco da prima di
te?»
Alexander aprì la bocca e
scoprì di
avere una
risposta pronta solo a metà.
«Ho risposto alla tua domanda. Rispondi
alla mia.»
Sarebbe stato come obbedire ad un ordine, ma non
rispondere
sarebbe parso il capriccio di uno stupido. Fu costretto a scegliere
il male minore. «È una cosa seria.»
«Bene.»
Chiba avvitò il tappo della sua bottiglia, chiudendola.
«Ora smettiamola. Devi essere intelligente se Ami ti
ha scelto quindi concorderai con me: abbiamo finito di giocare
mettendo in chiaro le cose.»
Che?
«Non ho mire su Ami» sorrise
Chiba. «È
tanto ridicolo che mi fa ridere. A te ha fatto ridere che
ti abbia chiesto se era una cosa seria?»
Il cambio di tono lo lasciò interdetto.
«...
sì.»
«Ridiamoci su e ricominciamo daccapo
allora. Dobbiamo, non
sai quello che Usagi dice ad Ami e viceversa. Notano tutto, non
può esserci tensione tra noi due.»
Alexander trovò qualcosa da dire. Fu
cauto nell'esprimersi.
«Se sei solo un amico di Ami... non sei mio amico, ma
potresti diventarlo.»
Chiba studiò le sue parole.
«Solo un amico. E se
tu non vuoi farle del male. io non ho motivo di pensare male di
te.»
Allungò una mano verso di lui. «Daccapo. Mamoru
Chiba.»
Alexander volle dirgli di rallentare, per non
sentirsi
quello che veniva manipolato. Non gli succedeva mai e quando se ne
accorse lo trovò quasi... divertente. «Alexander
Foster.»
Ricambiò la stretta.
Era stato proprio manipolato: poteva
essere
interessante avere a che fare con un tipo tanto acuto.
«Mamoru!»
La voce di Ami distrasse entrambi. Lei raggiunse
l'angolo della strada
in cui si trovavano con una rapida corsa. «Ti ho visto dal
fondo, ciao! Usagi?»
«Arriverà con un po' di
ritardo.»
Perché aveva rotto la lavatrice,
pensò Alexander.
Ah, e Chiba eroe coraggioso le aveva promesso di non permettere che un
certo Alexander pensasse male di lei. Se Chiba manipolava gli altri,
Usagi Tsukino manipolava lui. Ne sorrise e si sentì prendere
una mano da Ami.
«Stavate parlando, vi sarete
già presentati, ma...
questo è Alex.»
Lo presentò proprio come se lo stesse mettendo davanti ad un
fratello maggiore, in cerca di approvazione.
«L'ho conosciuto.»
Chiba guardò solo Ami nell'annuire piano. Se aveva delle
riserve, le tenne per sé e con un solo cenno della testa
fece
felice Ami. Alexander capì di poter apprezzare una
persona
così.
Chiba gli lanciò un'occhiata divertita.
«Parlavo
al telefono con Usagi e ti ho chiamato Ami-chan. Lui l'ha sentito e non
gli è piaciuto.»
Alexander fu costretto a ricredersi.
Pensò di
trovare un sottile rimprovero nello sguardo di Ami. Invece lei era
sorpresa. La sua incredulità si sciolse in un
sorriso felice mentre gli circondava la vita con un braccio,
stringendolo. «Gli piaccio.»
La malcelata soddisfazione lo rallegrò.
«È un po'
poco dire così.»
Le massaggiò la spalla e quasi non riuscì a
credere che le avesse fatto piacere sapere che lui se l'era presa per
il suffisso confidenziale.
Fu distratto dalla sensazione di uno sguardo su di
loro.
Chiba li osservava benevolo: guardava soprattutto
Ami e Alexander ebbe
l'impressione che avesse cercato di fargli un favore più che
un torto.
Well,
who cares? Finito
quell'appuntamento a quattro, avrebbe passato il resto della serata
con
Ami.
He
was an happy man.
Absolutely.
Alcune traduzioni
witty = spiritoso, arguto.
You are an ass! = è un insulto mezzo slang. Secondo
questo
link la traduzione è 'stupido, ostinato o perverso'. Qui
è usato soprattutto nella prima accezione, virando un
pochino verso il volgare :)
Who cares? = Chi se ne importa!
NdA:
da 20
KB che pensavo di scrivere ne ho buttati giù 60 :D Capitolo
lungo, ma trovavo necessario ogni pezzo. Spero che lo sia sembrato
anche in fase di lettura, l'ispirazione ha fatto i salti mortali per
venirsene fuori con qualcosa che legasse bene e in modo interessante
tutti i pezzi del capitolo :)
Alla prossima!
ellephedre
|
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Capitolo 11 *** Scene - Giugno ***
Acqua viva scene - Luglio
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Giugno
Raramente Alexander aveva visto Ami tanto animata.
«Questa è la stradina giusta! Ormai
dovrebbe
mancare poco al lago.»
Si trovavano in campagna, partiti quella
mattina da Tokyo per incontrare il padre di lei. Ami stringeva tra le
mani un disegno abbozzato su un foglio d'agenda, improvvisato alla
buona dall’ultimo
contadino che avevano incontrato - un uomo che vedeva Koji Mizuno
passare da quelle parti durante le mattine di bel tempo. Il contadino
non sapeva dove andava il padre di Ami, ma aveva visto a cosa stava
lavorando.
Alexander era sorpreso dalla poca organizzazione della
gita. La sua ragazza di solito amava pianificare i dettagli. Chiedeva
una sicurezza di orari
e percorsi da seguire. Quella volta invece procedevano allo
sbaraglio, per di più con allegria.
Pareva che Koji Mizuno stesse dipingendo
un’ansa del lago. Non possedeva un telefono,
perciò per trovarlo dovevano camminare in un raggio di circa
un chilometro e stabilire se il bozzetto del dipinto che Ami teneva in
mano corrispondeva alla vista che avevano del
luogo. Quando
immagine e scenario fossero coincisi, avrebbero
incontrato Mizuno-san.
Invece di trovarlo frustrante, lei era estasiata
all’idea di
quel gioco. Normalmente sarebbe stata
paziente
con una persona che si fosse resa tanto difficile da reperire, ma non
avrebbe accumulato scuse per quell’atteggiamento.
«Papà è fatto
così.»
«È normale per lui dare indicazioni
vaghe, ha
sempre la testa in un dipinto. Deve
concentrarsi.»
«È vero
che non ha assicurato di esserci, ma se la luce cambia deve spostarsi.
Noi proviamo a partire in un giorno di sole.»
Ami aveva detto
al signor Mizuno che sarebbe andata a trovarlo; da quel che Alexander
sapeva, i due non si vedevano da più di otto mesi. Eppure il
signor Mizuno non si stava sforzando di farsi trovare in un posto
preciso, ad un’ora precisa, nell’unico momento
dell’anno in cui poteva incontrare sua figlia. Era come se
non gli importasse.
Ami non la pensava in quel modo.
«Vi vedete poco» aveva commentato
Alexander.
«Un incontro vale per cento. Ogni volta che ci
ritroviamo
sento una grande pace dentro di me. Ci capiamo senza parlare.»
Per non rompere quella serenità, lui aveva evitato
altre
domande. Voleva capire quella connessione. Voleva comprendere come Ami
fosse in grado di accettare con tranquillità una tale
lontananza.
Io non riuscirei a starti
lontano per così tanto
tempo.
«Guarda!» Lei alzò la mano
verso
un punto
lontano della costa. «Quello dev’essere
lui.»
A qualche centinaio di metri da loro, non lontano dalla riva,
si
intravedeva la sagoma minuscola di una figura umana.
In Ami era nata una scintilla di ansia mista ad aspettativa.
«Spero che papà ti piaccia. Per
me è importante.»
Lui non l’aveva
mai sentita esprimere una speranza del genere con tanto intento,
nemmeno quando si era incontrato con sua madre. Ami in genere stava
in silenzio su quello che provava, non chiedeva mai. Ora lo stava
pregando di accettare una parte di lei.
Lui aveva delle riserve su Koji Mizuno, per il fatto che fosse
un
padre
assente, ma non poteva sapere tutto su quell’uomo. Forse
avrebbe trovato un genitore protettivo che lo avrebbe giudicato come
ragazzo di sua figlia. Era pronto ad
affrontare l’esame.
Io amo Ami. Non temo nulla.
Involontariamente, era anche il più rispettoso dei
fidanzati: Ami e l’intimità fisica erano ancora
due concetti separati nella sua testa, non per sua volontà.
Era quasi tentato di parlarne al padre di Ami, se si fosse
caduti
nell’argomento. Provava una sorta di fierezza nascosta per la
lunga attesa che viveva senza eccessive sofferenze.
No, signore, non ho fatto
niente di sconveniente con sua
figlia. La
rispetto.
Avrebbe potuto dirlo ad alta voce, anche se nei suoi pensieri
lui ed
Ami erano tutt’altro che casti. D’altronde la
fantasia era territorio privo di colpe.
«Perché stai
sorridendo?»
La
domanda lo
fece tornare serio. «Niente. Non mi hai descritto
tuo
padre. Com’è?»
Lei rise piano.
«Ma ormai siamo qui. Comunque non mi somiglia molto, se
è quello che stai chiedendo. A me piace pensare di avere i
suoi
occhi profondi. Quando sogno, ho la sua mente.»
Se era davvero così, lui avrebbe trovato qualcosa
da
apprezzare anche nel signor Mizuno.
«Papà!» Ami
accelerò bruscamente il passo.
Da una trentina di metri di distanza, Mizuno-san
sollevò lo
sguardo e allontanò il pennello dalla tela. Sotto il
cappello di paglia, il volto abbronzato si distese in un sorriso pacato
mentre attendeva l'arrivo
di sua figlia.
Non le stava andando incontro, notò
Alexander.
Ami raggiunse suo padre. Si frenò da un abbraccio,
limitandosi a stargli di fronte, le mani unite davanti al petto per
l’emozione. Amava quell’uomo, ma non era in
confidenza con lui.
Alexander si unì a loro con calma. Il
signor
Mizuno era alto poco più di un metro e settanta, con un viso
giovanile che non tradiva preoccupazioni. I capelli erano screziati di
bianco, lunghi fin sotto le orecchie - una pettinatura noncurante che
gli ricordava quella di Ami.
Sentendolo aarrivare alle loro spalle, Ami si
allungò a prendergli una mano.
«Papà, lui è Alexander. L’ho
portato qui per
fartelo conoscere.»
Koji Mizuno gli dedicò
un’occhiata semplice, priva di giudizi - quasi senza
interesse. «Piacere.» Si
concentrò di nuovo su Ami e solo in quel momento,
guardandola meglio, comprese. «È una cosa
seria.»
Ami arrossì, annuendo.
«Sono contento. Vuol dire che stai
crescendo.»
Non era un padre che supervisionava, comprese Alexander, ma un
uomo
che lasciava che sua figlia esistesse, rallegrandosi delle sue scelte.
D’altronde, pensò, non poteva esserci
supervisione
senza vicinanza.
Ritrovò gli occhi di Mizuno-san su di sé.
«Tento di riprodurre i colori di queste giornate.
Sedetevi qui vicino se volete, o fate un passeggiata.
Più tardi pranziamo insieme.»
Ami fu pronta nella risposta. «Ci sediamo
là
dietro.» Prese Alexander per mano e lo portò
lontano, verso la curva di una collina, camminando piano. «Da
lì potremo vedere come lavora»
bisbigliò.
Più che di una persona, sembrava che parlassero di
un quadro,
inavvicinabile nella propria arte.
Ami giudicò che fossero abbastanza distanti.
«Qui.»
Aspettando di comprendere, Alexander si sedette sul manto
erboso in
pendenza mentre lei tirava fuori una tovaglia ben piegata
dallo zaino.
La dispiegò in aria, lasciando
che si adagiasse al suolo.
«Ti era preparata.» Come se suo padre
l'avesse abituata all'attesa mentre terminava di lavorare.
«Di
solito mi
sdraio a guardare il cielo.» Ami gli mostrò le
cuffie
del minidisc, indicando che di sottofondo aveva la musica.
«Di tanto in tanto provo a percepire quello che sta vedendo
lui. I quadri di papà sono apprezzati per come coglie
l'essenza della natura e la riproduce su tela.»
Aveva fatto
attenzione a non alzare la voce. Non voleva disturbare. Nonostante
il trattamento riservatole da suo padre, non era
nervosa né
infelice.
Lui tenne per sé le proprie
perplessità.
«Riposiamo e ascoltiamo la musica, allora. Sdraiati nel mio
braccio, ti faccio da cuscino.»
Accogliendo il suggerimento, lei divise tra loro le cuffie. Al
suono di un motivo strumentale, distesa al suo fianco,
si
godette la vista del padre che lavorava.
«Quando hanno divorziato?»
«Avevo meno di
un anno.»
Nella stanza di Alexander, qualche settimana prima, lo
sguardo di Ami si era posato sulla pagina bianca di un quaderno.
«Non so perché abbiano deciso per un
matrimonio.
Sono così diversi. Papà è un
sognatore, mamma è concreta. Hanno vissuto insieme per meno
di due mesi prima di separarsi.»
Lui aveva atteso che Ami scegliesse se continuare a
raccontare.
«All’inizio era solo un modo per litigare
di meno
e vivere la vita che si confaceva meglio a entrambi. È
quello che mi ha raccontato mamma. Lei studiava ancora e voleva
dedicarsi anima e corpo alla medicina prima che io nascessi.
Papà bramava di iniziare un nuovo quadro, anche se allora
non ne aveva ancora venduto nessuno. Era inquieto, non poteva stare
chiuso
dentro quattro mura. La sua famiglia… Non so se lui
abbia ancora contatti con loro. Non aveva fratelli, solo dei
genitori. Ha
abbandonato il loro cognome quando si è sposato con mia
madre. Lei non li ha conosciuti.»
La signora Mizuno proveniva da una famiglia comune, aveva
pensato
Alexander, che non era rinomata o ricca a sufficienza da portare un
uomo a cambiare il proprio cognome per il suo. Da parte del
padre di
Ami una simile scelta suonava come un rifiuto delle proprie origini.
«Presto i miei genitori hanno capito che non
volevano tornare
a vivere insieme. Sposarsi era stato uno sbaglio. Non ha
funzionato, ma mamma non prova risentimento verso di lui. Ancora oggi
non
lo capisce.» Le era uscito un breve sorriso. «Per
me è diverso. Sai, papà
è stato il
primo a mettermi in mano una matita.» Mimò un
disegno sul foglio. «Quando ero piccola veniva a
trovarmi
più di frequente. Disegnava vicino a me e io
imparavo.»
Il suo sguardo era volato al cielo fuori dalla
finestra.
«Con lui la mia fantasia acquisiva le ali.
Ricordo che all’asilo non disegnavo forme, bensì
righe e curve
colorate. Nella mia testa erano fiumi, nuvole. Mi piaceva che le
tonalità fossero armoniose come le vedevo nella
realtà, quando papà mi portava nel parco vicino a
casa.»
Ami aveva sospirato, nostalgica.
«Man mano che crescevo le sue visite si sono
diradate. Gli
facevo tante domande. Stavo diventando più logica e
chiara
nei miei ragionamenti. Una volta lui mi ha detto che volevo rinchiudere
tutto in un quadrato. È l’unica critica che mi
abbia mai fatto. Mi ha chiesto subito scusa.»
Da come ne parlava, quell'episodio lontano per lei era un
momento di dolcezza.
«Ti manca?» le aveva domandato lui.
Trattenendo la risposta pronta sulla labbra, lei aveva
cambiato idea su cosa dire.
«Non lo so. Papà è la parte
poetica di me. È sempre con me. Però…
A volte mi domando come sarebbe stato averlo in casa e
poterlo conoscere di più.» Era
diventata triste per la prima volta. «Penso che avrebbe avuto
altre critiche per me.
Siamo diversi, non è colpa di nessuno.»
Alexander aveva sentito di dover intervenire. «Tu
non sei
sbagliata.»
«Lo so. Quell’unica volta che
lui mi ha chiesto scusa… Gli era dispiaciuto darmi contro.
Non
voleva farmi del male nemmeno in una maniera piccola, per questo non ha
mai più detto nulla di simile.»
Poi si era allontanato, aveva pensato Alexander.
Aveva portato una mano tra i capelli di Ami e l'aveva
accarezzata, consolandola.
Quando Koji Mizuno terminò il proprio lavoro,
intorno
alle una del pomeriggio,
Alexander aveva fame almeno da mezz’ora, ma Ami non aveva
detto una parola sul pranzo e lui aveva aspettato. Vide il
momento in cui il padre di Ami fissò lo
sguardo sul
cielo, sbatté le palpebre come risvegliandosi e si
voltò
verso di
loro.
Ami si alzò prontamente. «Ti è
venuta
fame?»
Mizuno-san iniziò a sistemare la propria
attrezzatura. «Vi ho fatto aspettare.»
«Non volevamo disturbarti.»
Alexander sperò che non si sentisse il suo stomaco
che
brontolava.
«Ho portato dei panini» offrì
Ami, avvicinandosi a Mizuno-san.
Incredulo, Alexander lanciò un'occhiata vorace al
suo zaino.
Koji Mizuno controllava la stabilità del
cavalletto. «Andiamo invece da
Daito-san. Forse ha altro cibo.»
Ami si illuminò. «Grazie.»
Alexander non capì. È come se ti avesse
detto che non vuole i panini che gli hai preparato.
Confuso, seguì i due mentre si incamminavano verso
Daito-san - probabilmente il contadino con cui avevano parlato quella
mattina.
«Che cosa studi?»
Si accorse con qualche secondo di ritardo che la domanda era
rivolta a lui. «Ah… Fisica.»
Ebbe l’approvazione di Mizuno-san. «Uguale
a sua madre.»
Eh?
Ami si divertì. «Intende dire che io sono
uguale a
mamma. Perché ho scelto una persona che ama la scienza, come
lei e me.»
Mizuno confermò con un cenno del capo.
«Caratteri uguali, lunga
durata.»
Ami annuì. Seguiva facilmente quel discorso
frammentato.
«Stiamo insieme dallo scorso anno» disse a
suo padre.
«Niente decisioni
avventate?»
«No.»
«Non come me.
Bene.»
C’era dell’affetto nella voce di
Mizuno-san, ma il
suo grado di coinvolgimento nella conversazione era difficile da
determinare.
Ami allungò il passo di poco, per guardare in volto
suo padre.
«Io e Alex giochiamo a scacchi insieme. Studiamo
formule
matematiche. Leggiamo.»
Parole che riempirono gli occhi di Koji Mizuno di
tranquillità.
«Niente dipinti?»
Ami sorrise, quasi pentita.
«Lui non
è molto artistico.»
«Per
niente» contribuì Alexander.
Per la prima volta Mizuno-san rimase perplesso, ma Ami si
affrettò a correggersi. «Alex
sogna di
andare
nello spazio.»
Veramente lui non desiderava
esattamente fare
l’astronauta, ma...
«Vuole indagare l’impossibile che ci
circonda» proseguì lei.
Stava tentando di rendere poetici i suoi
propositi.
«Ti capisce?» domandò suo padre.
Alexander sentì di non essere nemmeno presente
vicino a loro due, ignorato.
«In tutto» rispose Ami.
Mizuno-san sospirò piano. «La
libertà
dell’anima è importante.»
«Non la ingabbio mai, papà.»
Non dissero più niente.
Giunti a destinazione, pranzarono all'aria aperta, su un
tavolo di pietra.
Ami sorrideva. «Di solito con papà
mangiamo al sacco, dove capita.»
Mizuno-san annuì. «Ma oggi c'era un'altra
persona.»
Alexander finalmente capì perché
Ami aveva ringraziato, prima. Il padre di lei aveva fatto dei
cambiamenti per metterlo a suo agio.
Il contadino, Daito-san, si fermò accanto a loro
con tre piatti di minestra.
«Mizuno-san sa che qui da me si è sempre
fortunati!» Rise. «La mia signora cucina in
abbondanza!»
Il padre di Ami ringraziò con un cenno del capo.
«Mi invitano alla loro tavola.»
«Ogni volta che lo vediamo! Fa pena vederlo da solo,
la sera, mentre cammina verso quella capanna che ha
affittato.»
«Ho del cibo in scatola.»
«Quella non è una vera cena! Gli dico
sempre di non fare complimenti, ma lui ha la testa per aria! Passa di
qui e si dimentica di chiamarci!»
Ami sorrise. Quel racconto le piaceva. «Grazie per
prendervi cura di lui.»
«Bisogna essere gentili! Scusate se non possiamo
offrirvi di più.»
«È già troppo»
affermò
lei. «Il cibo è ottimo. Ancora grazie
infinite.»
Il contadino li lasciò.
Mizuno-san guardava sua figlia con attenzione.
Lei si rannicchiò nelle spalle. «Sono
diventata più socievole. La
vicinanza di Alexander e delle mie amiche mi fa bene.»
Suo padre prese in mano il cucchiaio. «È
giusto stare tra le persone.» Non iniziò a
mangiare e si rivolse a lui. «Io mi sono isolato.
Non parlo in maniera normale, me ne rendo conto. Tendo a
perdermi nella mia
testa.»
Non era un discorso che ad Ami
piaceva. «Non
parlare così di te stesso.»
«Lo hai portato qui per conoscermi. Ciò
che sono non si deve riflettere su di te.»
Lei stava per rispondere, ma Alexander
intervenì. «Conosco bene Ami.»
Non avrebbe cambiato idea su di lei.
Mizuno-san annuì. «Ami è molto
più simile a sua madre.» Nella sua bocca era un
complimento. «Guarda Saeko per sapere come
diventerà.»
Ami era contrariata. «Sono parte di tutti e due.
Mangiamo.»
Per non contraddirla, Alexander non continuò quel
discorso e così fece suo padre.
Pochi momenti dopo era di nuovo tornata la pace tra lei e
Mizuno-san; Alexander lo capì quando i due si trovarono con
uno sguardo.
Ami riprese a parlare. Normalmente era la persona che
ascoltava in una conversazione, ma durante quel pranzo fu protagonista.
Raccontò a suo padre tutto quello che le veniva in mente di
sé.
«Mi sto preparando per l'esame di ammissione
all'università.»
«L'altro giorno mi è tornata la voglia di
scrivere poesie.»
«Nel mini-disc ho questa musica che Alexander mi ha
fatto conoscere. È la mia passione di questi
giorni.»
«Con Rei ora è più difficile
incontrarci: ha trovato un ragazzo da poco. Ricordi l'aiutante del
tempio?»
«Usagi mi ha invitato a provare un nuovo gusto di
gelato. Io sono sempre abitudinaria. Alexander no, ma lui è
quello che mi invita a provare nuovi cibi nei ristoranti.»
«Non sto pensando a un lavoro per quest'anno. La mia
amica Makoto ne ha in mente già uno invece, ma solo dopo che
finirà la scuola.»
«Questi vestiti li ho scelti con Minako. La prossima
settimana usciamo di nuovo e questa volta speriamo di coinvolgere anche
Rei.»
Erano discorsi particolari per lei, poiché non
citava le sue passioni per la matemica o la medicina, concetti che
normalmente affollavano la sua mente. Alexander non aveva
l'impressione che lei si stesse censurando. Piuttosto, Ami presentava a
suo padre un lato più leggero di sé. Davanti a
lui era come una bambina entusiasta.
«Sei più felice dell'ultima
volta» disse Mizuno-san d'improvviso, interrompendola.
Lei si chetò. «Sì.»
Il signor Mizuno aveva terminato di mangiare. Andò
ad aprire una cartelletta che si era portato dietro. «Mi hai
ricordato questo.»
Ami allungò la testa.
«Lo hai disegnato quando avevi quattro
anni.» Fece vedere loro un foglio, schizzi di colore.
«Usavi tanto giallo e rosa. Il blu per gli alberi,
perché dalla tua prospettiva stavano nel cielo.»
Ami era senza parole.
Suo padre guardò di nuovo il disegno.
«Poi hai iniziato a riprodurre fedelmente la
realtà, ma qui, come allora, stai di nuovo dando alla tua
vita i colori che più desideri.»
«... lo hai tenuto.»
Raramente Alexander aveva sentito tanta commozione nelle sue
parole.
«Me lo hai dato tu» rispose Mizuno-san, a
mo' di spiegazione.
Sotto il tavolo Alexander cercò la mano di lei. Ami
gliela strinse forte, aggrappandosi a lui.
«Sono contenta.»
Di sera, mentre tornavano a Tokyo, Ami era silenziosa, come se
fosse ancora sdraiata sulla collina alle pendici del lago.
«Ti vuole bene» le disse lui, portandola a
chiudere gli occhi contro il finestrino del treno.
«Sì.»
La lasciò riposare.
Alcuni minuti dopo, Ami uscì dal proprio sogno solo
per guardarlo.
«Non so se è possibile capirlo, ma a me questo
basta. Anche se non lo vedo per mesi e non sento mai la sua voce,
papà mi porta con sé e io ho il suo animo con me.
Ho preso la mia timidezza da lui.» Sorrise. «I miei
imbarazzi, le insicurezze. La sensazione di non... appartenere. Quando
lo incontro ci troviamo in un mondo nostro. E mi ricordo da
dove sono venuta.»
Alexander poteva vederlo e capirlo. Ancora non gli piaceva che
Ami ritenesse di poter avere la felicità di quel giorno solo
occasionalmente, ma se lei non ne soffriva...
«Eri in pensiero per me»
commentò lei.
«Hm?»
«Per oggi che avrei incontrato mio padre. Temevi che
fosse una persona fredda.»
Be', il loro non era stato esattamente un incontro caloroso.
La sua ragazza sorrideva. «Non preoccuparti.
È stato
il padre migliore che poteva essere per me. Va bene
così.» Gli chiese la mano e Alexander
gliela diede. «Ricevo affetto quotidiano da molte
altre
parti.»
«Ora si chiama solo affetto?»
Lei rise. «Vedi? Ti ho incontrato. Ora
è tutto a posto per me.»
Lui non ebbe bisogno di sentirle dire altro.
Giugno - FINE
NdA: era da molto tempo che volevo scrivere una storia su Ami
e suo padre. Spero di aver reso quello che volevo, ovvero l'impatto
silenzioso ma importantissimo che l'assenza/presenza implicita di
questa figura ha avuto sulla vita di lei.
Nelle storie che sto scrivendo ora nella raccolta 'Per istinto
e pensiero' Ami inizia a dover prendere delle decisioni fondamentali
per la sua vita. Questo capitolo, per quanto lontano nel tempo da
quegli avvenimenti, potrà aiutare a dare un quadro
più completo del suo atteggiamento e della persona che
è Ami Mizuno nelle mie storie.
Grazie di aver letto, un vostro commento sarà
sempre gradito :)
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, dove posto link e
anticipazioni è Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 12 *** Scene - Settembre/1 ***
acqua viva
Note:
Non ho saltato i mesi tra Maggio e Settembre, li scriverò
dopo :)
Ringrazio Garth Herzog per l'idea di base di questo episodio; me la
diede per la raccolta 'Imagining', ma si adattava ad essere inserita in
Acqua viva, per cui eccola!
Note sulle traduzioni
sap = slang per 'sdolcinato', 'smielato'
needy = bisognoso, in questo testo con accezione negativo
weak = debole
that's it = 'ecco', oppure, 'tutto qui'
that's good = 'bene'
explain yourself = 'spiegati'
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Settembre/1
Diciotto anni.
Non sono settembre
Non sono estate
Sono giorni come altri
L'mmaginazione di adesso
Voltarmi e sapere
che mi sto pensando.
Pensieri di una ragazzina impressi su carta.
Ami accarezzò la
pagina ruvida. Aveva intitolato il quaderno 'Poesie': sui fogli aveva
riportato con cura tutte le parole a cui negli anni aveva dato una
forma degna. Erano pensieri sparsi, scampoli di lunghe giornate
trascorse a
studiare.
Quattordici anni e riflettere su un futuro distante
trecentosessantacinque giorni per quattro.
Sorrise.
A quel tempo si era immaginata di diventare grande, matura... diversa,
perché no. Ovviamente diretta senza stop verso un cammino
universitario, ma forse circondata da persone nuove. La
giovane Ami pre-Usagi, pre-Sailor, pre-Alexander, aveva coltivato
fantasie modeste: avere accanto una vera amica - non aveva creduto di
essere tipo da gruppo - e, chissà, riuscire a
incontrare un ragazzo speciale, che l'avrebbe compresa senza metterla
in discussione.
Con Alexander era cascata male.
Lasciò scorrere velocemente le pagine contro il pollice, il
leggero solletico un riflesso del tempo
trascorso.
La prima poesia del quaderno era datata ottobre 1990. L'aveva scritta a
dodici anni.
Rileggersi, pensò, era come ricordarsi e permettere
ad altre Ami di rivivere. La Ami del sesto anno delle elementari, per
esempio: una bambina convinta di non avere pari in intelligenza. Oppure
la Ami della prima media, che si
era
scoperta sola per scelta altrui. Ami quattordicenne aveva scelto di
ribellarsi
silenziosamente a logiche sociali che non comprendeva, convincendosi di
poter andare avanti senza amici: era bastato l'incontro con due code
bionde a farle cambiare idea.
Ami quindicenne era serena, scriveva ascoltando melodie che
trasparivano dalle rime dei suoi versi.
Ami sedicenne era spigliata. Protetta dalle sue amiche, si era
avventurata con la testa fuori dal proprio mondo fatto di libri,
convinta di
poter essere vivace e spensierata come qualunque altra ragazza.
Ami diciassettenne era stata inquieta, da principio. Aveva accettato le
proprie peculiarità e si era convinta che nulla l'avrebbe
divertita come discorrere di un libro, per quanto Minako sostenesse
il contrario. Ne era derivato un senso di abbandono indefinito: le sue
amiche, che pure amava, non erano state più sufficienti a
completarla.
Non aveva avuto il tempo di mettersi alla ricerca di una risposta.
Alexander era arrivato senza preavviso e non aveva avuto
pietà:
l'aveva costretta ad uscire dal
suo guscio e a rischiare per lui.
Posò il palmo aperto sulla pagina con gli ultimi versi che
aveva scritto.
Erano solo tre parole.
Tu.
Per me.
Un'ode senza tempo. In qualunque momento, lui, per lei. La sua
presenza, quello che faceva, come le stava accanto, la sua sola
esistenza.
Tu, per me.
Non voleva
racchiuderlo neppure in un foglio, voleva solo provarlo e dirglielo a
brevissimo, quella stessa mattina, nel giorno in cui compiva gli anni.
Perché Ami diciottenne era felice, tanto da non
desiderare parole.
Anche se, sospirò, era un pochino triste.
Alexander sarebbe partito il giorno successivo, per una vacanza di tre
settimane. Il viaggio lo avrebbe portato a fare tappa a Londra - un
paio di giorni, il tempo di rivedere nonna Foster - e poi... via, in
giro per l'Europa. Forse in Norvegia, le aveva lui
detto all'inizio, ma
l'aveva vista rimirare le immagini dei fiordi scandinavi e aveva
cambiato i propri piani.
Infilò il dito in una pagina a caso del quaderno e si
ritrovò tra le mani, sotto gli occhi, le paure di Ami
quattordicenne.
Parlava di mostri - le sue poesie più cupe - e di perdita.
Qualunque timore avesse avuto a quel tempo, lo aveva riversato su
carta, non sulle sue compagne.
Tra le righe, qualche pagina dopo, compariva una nota di speranza.
Tenero,
mi corteggia timido.
Ryo Urawa, ricordò.
Insieme erano stati spaventati ma coraggiosi, più grandi dei
loro anni e piccoli quanto allora non
erano stati in grado di capire. In lei le certezze erano state poche: i
timori dovevano rimanere sepolti e nessuno doveva morire; il sacrificio
a cui era stato intenzionato Urawa, con la sua mite e spavalda
arrendevolezza, l'aveva turbata. Si sarebbe comportata nello stesso
modo al suo posto, ma a lui aveva dovuto fare forza.
Insieme avevano affrontato le loro paure. Insieme, un
concetto
chiave per lei: aveva voluto
sinceramente bene a Ryo Urawa, che le era stato così simile.
Per lo stesso motivo, lo aveva
dimenticato
con
serenità, forse troppo in fretta. Non era rimasta la Ami di
quei giorni, timida, esitante, nel profondo insicura. Aveva
desiderato... uscire. Cambiare. Piano piano, coi suoi tempi.
Urawa se n'era andato con la Ami che in un giorno d'inverno aveva
salutato la vita, partendo con le sue compagne per il Polo Nord.
Quella Ami era morta, in un certo senso.
Non pensando più a quei giorni lei aveva lasciato dietro di
sé anche il senso di fallimento e solitudine - orribile -
che l'aveva accompagnata nei suoi ultimi momenti di battaglia, prima di
spegnersi.
Sacrificandomi faccio la
cosa giusta, amo le mie amiche. Sono quella che, tra tutte, ha meno da
perdere. In fondo della mia vita non ho fatto quasi niente.
Parole che non aveva scritto, ma il pensiero lo ricordava quasi
a
memoria. La morte era crudele nella sua sincerità.
Invece, sorrise, lei era stata crudele con Urawa.
Che cosa stava facendo lui ora?
Accarezzò la pagina. Sei
cresciuto anche tu? Sei riuscito a vivere la tua vita nel presente,
dimenticandoti di futuro e passato?
Un'ombra oscurò il suo quaderno.
Lei capì chi era prima di alzare gli occhi. Fu un
presentimento, una sensazione.
Lui parlò. «Sempre china su un libro...
Ami-san.»
Con le mani infilate
nelle tasche Urawa sollevò le spalle, cercando di
affossare
insieme affetto e imbarazzo.
Il suo viso si era fatto meno tondo, le
sue spalle un po' più larghe. Era cresciuto in altezza, non
molto, ma standole davanti si presentò solamente come il
ragazzino che era stato un tempo: il giovane possessore di un cristallo
dell'arcobaleno, tormentato e solo, che ce l'aveva fatta.
In lei si colmò un vuoto appena creato. «Stavo
pensando... a
te.» La contentezza le bloccò il respiro. Si
alzò in piedi e sentì formicolare le
braccia: voleva abbracciarlo per essere ancora lo stesso di un tempo,
per quanto stava bene.
«So che mi pensavi» annuì piano Urawa.
«Per questo ti ho trovata qui.»
Man
mano che rimaneva visibile davanti a lei sembrava sempre
più reale, ma il significato delle sue parole fu sufficiente
ad adombrarla.
«Usi ancora i tuoi poteri.»
«No, non... Solo adesso. Per rivederti. Sono a Tokyo per...
Sono
passati tanti anni, ma mi faceva veramente piacere l'idea di rivederti.
Vedere come...» Soffocò un sorriso
timido.
«Non conosco il tuo presente, Ami-san. Non ho mai
più
guardato nel futuro di nessuno, nemmeno nel mio. Tutto quello che so
davvero di te da quattro anni a questa parte è quello che
vedo
adesso e... sono contento.» Riuscì a trasmettere
solo
gioia. «Splendi. Con una forza come la tua, non potevi
diventare
nulla di meno.»
Lei non seppe perché, ma scoppiò a ridere.
«Ryo!» Gli avvolse quaderno e braccia attorno alle
spalle, ridendo ancora. «Siamo amici, quante cose abbiamo
passato noi due.» Niente imbarazzi. Gli diede due pacche
sulla schiena. Forza
forza, a entrambi. Non era tempo di commuoversi, non
potevano essere
sciocchi come bambini. «Sono contenta anche io di
rivederti.» Lo
invitò a sedere accanto a lei, nella panchina della
piazza. «Parlami di te.»
Finalmente sciolto, Ryo cominciò a splendere a sua volta.
«Mi sono trasferito prima a...»
Per il compleanno di Ami, Alexander si sentiva al contempo felice e in
colpa. Felice, perché era il compleanno di lei. Aveva una
scusa per costringerla a
festeggiare senza freni.
In colpa... Sarebbe partito il giorno seguente. Per tre settimane, per
nessuna ragione che fosse seria. Si trattava di una semplice vacanza.
Era stato testardo: aveva scelto consapevolmente di andare in vacanza e
di andarci senza
Ami.
Lei aveva deciso di non venire con lui - non aveva mai accennato
all'ipotesi di potersi unire al suo viaggio - e lui... Quando aveva
seriamente cominciato a riflettere sull'opportunità di non
partire, la sua relazione con Ami lo aveva messo per la prima
volta a disagio.
Per quale motivo, si era chiesto, non poteva sentirsi libero di andare
via per sole tre settimane? Era incapace di starle lontano? Era
convinto che in quelle tre settimane sarebbe successo qualcosa, che al
suo ritorno Ami avrebbe improvvisamente... cosa? Cambiato idea su di
loro?
Ridicolo.
Aveva diritto di partire nella vacanza che si concedeva tutti gli anni.
Ami
non stava neppure cercando di impedirglielo, era solo lui a farsi
problemi. A lei non sembrava dispiacere troppo l'idea
di una
sua lontananza. Ami tendeva sempre a non volergli dare
pensieri, era privi di egoismi, ma a lui pretese
del genere avrebbero fatto piacere. Lo avrebbe reso felice
sentirle dire 'Resta!' o vederla chiedere, con convinzione, 'Non
andare lontano da me'.
Le avrebbe detto di sì in un istante, avrebbe fatto tutto
quello
che voleva lei e, a volte - solo a volte - gli sembrava di essere... il
solo. L'unico che temeva di staccarsi, l'unico che voleva essere
completamente coinvolto.
Nove mesi di relazione.
Capiva sempre meno il bisogno di distanza fisica che per lei era come
un dogma: non potevano fare altro che baciarsi perché...
sì? Non esisteva una ragione valida ed Ami nemmeno aveva
pensato ad una
spiegazione - per se stessa, sicuramente, e di conseguenza neppure per
lui.
Lui non aveva trovato indispensabile averne una: aveva pensato che lei
era
fatta così e che con pazienza, piano piano, la situazione si
sarebbe evoluta da sé.
Lo credeva ancora. Ci avrebbe sperato sino a quella fine che non voleva
nemmeno concepire.
Adesso che stava per andare via, ora che per la prima volta si stavano
separando davvero e che sarebbero stati lontani persino dalla
possibilità di sentirsi al telefono, per non avere altri
dubbi lui avrebbe voluto solo poche parole.
'Mi mancherai'.
Almeno questo. Almeno un segno che... non era il solo.
Strinse nelle mani la scatoletta che conteneva il regalo di lei.
Era andato oltre la benevola definizione di 'sap'. Stava
diventando
'needy'. E
debole.
Andare via gli avrebbe fatto bene.
Al ritorno, dopo tre settimane di lontananza che non erano una tragedia
né tantomeno degne di nota, sarebbe tornato
indietro e avrebbe visto che era rimasto tutto come prima. Sia loro due
che
Ami, che lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Ne era sicuro, solo che...
Solo che,
sospirò, scuotendo la testa.
Il problema era dentro di lui. Viaggiando si sarebbe fatto sparire quei
dubbi e sarebbe tornato indietro più forte di prima. Come
Ami.
In quella situazione, in fondo, a comportarsi da adulta era proprio lei.
«Alexander!»
Si fermò in mezzo al marciapiede e cercò dietro
di sé. Impiegò un momento a capire quale ragazza
potesse chiamarlo per nome senza essere Ami: aveva quattro
possibilità e fece il collegamento un attimo prima di
intravedere una lunga massa di capelli biondi.
Squadrò la mano alta di lei alzando le sopracciglia.
«Minako» annuì.
Minako Aino interruppe la propria corsa a due metri da lui. «Hello!»
«Hello.»
Una risata lo interruppe dal continuare.
Aino aveva un modo singolare di ridere: se il suono non fosse
stato tanto musicale, sarebbe stato apertamente fastidioso.
«Ahh, che fortuna essere arrivata in tempo per beccarti! Ami
mi ha chiamato per dirmi che arriverà al vostro appuntamento
con un'oretta di ritardo.»
In ritardo. Perché?
«Ha avuto una piccola emergenza.»
«Quale emergenza?»
«Non me l'ha detto, forse si tratta di vestiti. Da brava
amica disimpicciona, non gliel'ho chiesto.»
Da quando non era
impicciona? Scosse la testa ed evitò anche il
commento sul vocabolo sbagliato. «Perché non ha
chiamato direttamente me? Ho il telefono.»
Minako scrollò le spalle. «Stava per farlo. Sono
stata io a chiamarla a casa, per chiederle lumi sul suo regalo di
compleanno. Non gliel'ho ancora comprato!» Si
mangiò un labbro. «Le stavo parlando di questo
problema e lei mi viene a dire che purtroppo è in ritardo e
non ha tempo. Voleva chiamarti, ma io mi
trovavo già in zona, era inutile. Potevo parlarti
di persona, no? Meglio anzi! Posso tenerti compagnia mentre
aspetti.»
La ringraziava sentitamente per il proposito, ma no.
«Ami ha pensato subito fosse una buona idea, così
ha risparmiato anche sulla chiamata a te.»
Ami era in ritardo - una delle primissime volte, per di più
nel giorno del suo compleanno - e non lo aveva chiamato per...
risparmiare?
Doveva esserci una spiegazione più sensata. Da Minako
non poteva sperare di ottenerne una.
«Okay.» Si trattava solo di un'ora, avrebbero
accorciato la visita al nuovo acquario - o magari lui ce l'avrebbe
portata
al suo ritorno, in ottobre. Nel frattempo... iniziò a
guardare dietro le spalle di Minako. Nel luogo d'incontro c'erano delle
belle panchine e si era giusto portato dietro il nuovo romanzo di-
«Insisto.» Minako gli afferrò un
braccio. «So che stai pensando di andare ad aspettarla
lì con un libro, ma a che serve annoiarsi? Facciamo un
giro.»
Perché mai?
«In realtà questa è un'occasione d'oro:
era da un po' che volevo fare una chiacchierata a quattr'occhi con
te.»
«Su cosa?» Si scostò all'indietro. Non
smise di seguirla, ma ristabilì la distanza tra loro.
«Su Ami, no?»
Su... Ami.
«Quindi... Vorresti chiedermi qualcosa o dirmi
qualcosa?» Non era interessato a dare risposte, non le doveva
a nessuno.
«Tutte e due.» Minako lo studiò cauta.
«Penso di poterti dire qualcosa che ti interesserà
molto.»
«Ami può farlo da sola.»
«Certo, ma...» Minako fece sparire ogni traccia di
risata.
Non avrebbe dovuto essere capace di diventare tanto seria.
«Avrai intuito che ci sono cose di Ami che non hai compreso,
no? Io... posso farti capire.»
La tentazione di andare a leggersi il libro non fu facile da vincere.
Meglio della narrativa vera e propria o quella uscita dalla testa di
Minako?
Naturamente Minako voleva bene ad Ami, ma tra loro due era lui
a capire meglio la sua ragazza. Ne era assolutamente convinto.
«Ehi.» Minako
s'imbronciò. «Adesso mi segui o non ti
dico niente. Dovrai aspettare Ami e la sua pazienza.»
Alexander ebbe l'impressione che entrambi sapessero molto bene di cosa
stavano parlando: le titubanze di Ami stavano iniziando a sembrare
leggendarie anche a lui.
Senza dire niente, si limitò ad avanzare oltre Minako.
Lei comprese di aver ottenuto il suo interesse e camminò
assieme a lui.
«Non sono mai spariti, allora.»
Ryo scosse lentamente la testa. Era diventato un ragazzo meno nervoso
da quando non aveva più visioni incontrollate a turbarlo.
«Ho imparato a convivere con questi poteri. A renderli
negativi ero io. Avevo paura di tutto. Gli incubi se ne sono
andati dopo la vostra vittoria.»
Intuire il significato delle sue parole la stupì.
«Tu... ti sei reso conto di quando abbiamo sconfitto il Regno
delle Tenebre? Non hai dimenticato tutto quanto?»
«No. Ma Usagi ha fatto in modo che se ne dimenticassero
tutti, non è vero?»
Sì. La memoria della battaglia finale e dei suoi effetti era
sparita dalle menti di chiunque. Lei e le sue amiche avevano
ricordato solo dopo, ma prima di loro c'erano stati solo Luna
e Artemis a
conservare memoria di quanto era accaduto. Nemmeno Yuichiro - che pure
secondo Rei si rammentava del loro viaggio in montagna di tanti anni
addietro - ricordava qualcosa degli eventi che si erano avuti a Tokyo
mentre loro erano al Polo Nord. L'intera città era piombata
nel buio - era successo in tutto il mondo, a detta di Artemis - e il
cielo si era tinto di un nero crudele, pronto a porre fine al pianeta.
Ryo annuì. «Sapevo che stavate combattendo. Ero
certo che avreste vinto.»
«Grazie.» Non seppe cos'altro dire in risposta. Lei
non era stata certa di uscirne, ma aveva avuto fiducia che almeno Usagi
ce l'avrebbe fatta. Era stata Usagi Tsukino - Sailor Moon - a vincere
per tutte loro.
Gli occhi scuri di Ryo puntarono il cielo.
Il suo sguardo le faceva tenerezza: lui si era fatto più
grande, ma i suoi occhi lo tradivano in continuazione. Forse stare
davanti a lei lo metteva ancora in imbarazzo come tanti anni addietro.
«Ami» le disse lui d'improvviso.
Sentirlo omettere il san
la sorprese, ma lo trovò un buon passo: i formalismi erano
di troppo oramai. «Sì?»
«Ti chiederai perché io sia qui oggi.»
Per rivedere una vecchia amica, no? «Ehm...»
Lanciò un'occhiata in tralice all'orologio da polso. Quello
che si stava chiedendo lei era il motivo del ritardo di
Alexander. Sarebbe dovuto essere lì già da... mezz'ora?
«Sei sempre rimasta in una parte della mia testa. Non al
centro perché sono cresciuto-»
Cosa?
«Voglio dire che non mi sono fissato con te. Ho fatto la mia
vita.» Esitò. «Capisci?»
«Non devi spiegarmi perché volevi
rivedermi, Ryo-kun. È normale ricordare con nostalgia il
passato.» Era capitato anche a lei quel giorno.
Lui prese a scuotere la testa. «Cercavo di spiegare che
quattro anni fa ero un ragazzino che tu hai salvato. Non mi sentivo
alla tua altezza. Oggi...» Arrossì.
«Volevo rivederti. Volevo sapere...» Non seppe come
andare avanti.
Lei invece iniziò a capire.
«In questo sei stata la mia sfida più grande,
Ami-san... Ami. Ho resistito dal guardare nel tuo futuro e nel tuo
presente, anche se volevo disperatamente sapere. Però
desideravo di
più un approccio... normale. Quasi.
Volevo rischiare. Rivederti e sapere se...»
Lei cominciò ad aprire bocca, ma Ryo notò il
movimento e si irrigidì.
«Non ti sto chiedendo niente, non voglio una risposta di quel
tipo. Volevo solo sapere se ti piacerebbe... rivederci. Se potrebbe
essere la stessa cosa per te.»
Lei cercò di trovare molti modi per rispondergli, ma alla
fine
capì che il meno crudele sarebbe stato il più
breve e incisivo di tutti.
«No.» Le sfuggì un sorriso triste.
«In questi anni sono...»
«Cambiata» terminò per lei Ryo.
Deglutì e cominciò ad annuire al nulla, cercando
di non guardarla.
Contraddirlo purtroppo sarebbe equivalso a mentire. Sarebbe stato
difficile rifiutare la sua proposta se non avesse avuto nessuno, ma
anche in quel caso... nella sua testa lui era rimasto solo un amico.
Niente era cambiato da quando lei
aveva cominciato a crescere, piano piano: Ryo aveva rappresentato
ciò era stato, andato.
«Il fatto è che...»
«Eri l'unica parte del mio passato che tornava a
cercarmi.»
Non lo interruppe.
«Ho già avuto una ragazza» le
confessò lui. «Mi sono trovato bene con lei, ma
con
te... So che abbiamo passato qualcosa
insieme.»
Era così. «Qualcosa di speciale. Nei giorni in cui
ci siamo conosciuti... tu hai imparato a non avere più paura
dell'inevitabile, no? Ti sei ribellato. Anche io» sorrise.
«Alla mia timidezza. Allora avevo davvero una piccola cotta
per te.»
La dichiarazione di quel passato lo sorprese e, forse, gli diede una
speranza che lei tenne a non alimentare. «Amo qualcun
altro.»
Volle con tutta se stessa non avergli trasmesso tanta tristezza con
quelle semplici parole: anche la sua era una battaglia, voleva
farglielo capire. «Non credevo che fosse possibile trovare
una persona che... Qualcuno di cui avrei voluto fidarmi.»
Ryo si rassegnò. «Lui sa di te. Di voi.»
No.
«Ho paura, non voglio ancora dirglielo.»
«Ami...»
Sapeva bene che era importante! «Ho paura tutte le volte che
ci penso. L'anno scorso ne ho avuta talmente tanta che sono arrivata a
troncare tutto.»
Ryo non disse nulla. Disapprovava.
Non capiva.
«Sto imparando a fidarmi. Può far
paura con una persona normale, ma...»
«Come puoi essere sicura che lui ti accetterà
quando
saprà tutto?»
Era una domanda crudele, ma privi di artifizi.
«È questo ciò che conta davvero: non ne
sono
sicura, ma non importa. Ho fiducia in quello che lui prova per me e so
quello che provo per lui, per questo sono disposta a rischiare. A
soffrire, se servirà.»
«Penso che tu abbia già sofferto troppo.»
Le uscì un sorriso. «Ryo... Stai pensando ai
combattimenti che sono seguiti ai nostri?»
«Per due anni, da quel che ho visto. Sempre che adesso non
stiate ancora
combattendo.»
«No, non più. Quelle battaglie... non sono
state meno difficili, ma io ero pronta quando le ho
affrontate. Non ho sofferto tanto. Ho lottato tanto,
piuttosto.»
Lui cominciò a capire. «... non sono state un
peso?»
Lei guardò il cielo azzurro, privo di nuvole. «Ci
si adatta, come hai fatto tu. I tuoi poteri, le mie
battaglie...
non potevamo mandarli via. Ma potevamo essere noi a cambiare.»
Ryo aveva aggrottato la fronte. «Mi sento di nuovo come se tu
mi
stessi insegnando qualcosa.»
«No, scusami.»
«Perché? Pensavo che fossi rimasta... come
me.»
«Anche tu sei cresciuto. Quello che riesci a controllare
ora... la tua battaglia non è stata meno dura della
mia.»
Lui stava sorridendo, infelice. «Quanti anni hai,
Ami?»
«Diciotto. Oggi.» Non essere triste.
«Io li compio il mese prossimo, ma credo che ci dividano
almeno dieci anni d'esperienza.»
Ryo si stava sottovalutando enormemente. E sopravvalutava lei.
«Minako dice di me che a volte sembro ferma alle
medie.»
Lui fu attraversato da un ricordo sereno.
«Aino-san?»
«Sì. Dice che sono troppo ingenua, ancora troppo
timida... Ha ragione, Ryo-kun.» Rise piano. «Ti
sembro matura perché tengo a te e ti ricordo come un
amico...» Rimarcare quel concetto le sembrò poco
delicato. «Sei stato una persona importante. Non riesco a
stare in silenzio mentre ti giudichi male e pensi che io invece sia
diventata...» Scosse la testa. «Il mio ragazzo si
chiama Alexander.»
Ryo cercò di mascherare il disappunto.
«È
straniero.»
«Somiglia sia a me che a te, a modo suo. Gli piace molto
studiare.»
«A me non piaceva studiare tanto quanto a te»
sorrise lui.
«Beh, anche lui è timido e chiuso, sai?
Però ha affrontato il suo carattere in una maniera diversa.
Si espone. Attacca.» Il che lo rendeva spesso scontroso,
sorrise. «Non lascia che il mondo gli accada.»
«Questa è quello che hai fatto anche tu, Ami. Non
eri stata tu a chiedermi di uscire insieme?»
Infatti. «Quello era stato il massimo del mio coraggio.
Alexander... insieme io e lui siamo migliori. Io mi apro, lui... ha
più fiducia.»
Ryo non era soddisfatto. «Un ragazzo diffidente è
pericoloso.»
Lei non riuscì a prendersela. «A quale titolo me
lo dici?»
«Come persona che tiene a te e basta. Non preoccuparti per il
resto,
Ami-san. Ho... capito.»
«Puoi continuare a chiamarmi Ami.»
Guardò di nuovo l'orologio.
«Stavi aspettando qualcuno?» le chiese Ryo.
«Lui.» Perché non era ancora arrivato?
Gli era successo qualcosa?
«Oggi non è il tuo compleanno?»
Infatti. «È in ritardo. Non è mai in
ritardo.»
Ryo incrociò le braccia e si appoggiò contro lo
schienale della panchina. «Non ne ho alcun diritto,
però... posso chiederti una cosa?»
Lei ritornò a scrutare la via gremita di gente. La folla del
sabato mattina stava cominciando a crescere in numero.
«Vorrei prendermi cura di te in un solo modo, se me lo
permetti. Vorrei poter guardare questo... ragazzo. Capire che tipo
è.»
«Alexander?» Le venne da ridere.
«Non dirò niente, non ti darò fastidio.
Voglio solo...» Sorrise debolmente. «Secondo me tu
pensi che io sia felice.»
In fondo, lo credeva anche lui. «Certo.»
«E questo ti fa contenta. Lascia che succeda lo stesso per
me.»
«Non sarai geloso?»
«No, resisterò.»
Ryo era davvero più forte e non se ne rendeva conto. La sua
cotta per lei era più un'idea che una
realtà, ma sentirsi rifiutato lo aveva comunque
ferito.
Eppure era ancora lì con lei, non era fuggito.
Le venne voglia di dargli una carezza sulla spalla come
incoraggiamento, ma capì che sarebbe stata ingiusta con lui.
«Aspettiamo allora. Alexander sarà qui tra
poco.» Sicuramente.
Per Minako, Alexander Foster aveva un grosso problema: non era ancora
riuscito a conquistare Ami.
Certo, i due tubavano dal minuto in cui si vedevano fino a quello in
cui si salutavano. Dicevano di amarsi e si amavano.
Ma i fatti? Ami non gli aveva ancora detto niente di sé, di
quella parte di sé che era vera quanto l'altra. Non gli
aveva ancora concesso fiducia, nemmeno a livelli più terra
terra: dov'era la passione, dov'era quel coinvolgimento assoluto che
non ammetteva segreti? Perché Ami aveva invitato anche loro
in vacanza al mare a casa di lui, invece di passare quei giorni da sola
col suo ragazzo?
Usagi continuava a dire che Ami era timida timida, diversa da loro. Era
verissimo, ma Ami era anche innamorata.
Perché non si decideva a vincere un poco quella
ritrosia?
E perché diavolo Alexander Foster - che le era sembrato
tanto una casanova la prima volta che l'aveva visto - non riusciva a
smettere di comportarsi come un pesce lesso senza sapore? Non si dava
da fare!
Lei lo aveva apprezzato tantissimo per come era riuscito a far aprire
Ami, ma da mesi le cose erano ferme.
Mummificate! E adesso saltava fuori che lui partiva per un viaggio da
solo. In Europa! Per tre settimane!
«Non penserai mica di vivere un flirt vacanziero,
vero?»
Alexander stava cercando di leggere la copertina di un libro e
contemporaneamente di ignorarla. «No. E non ho voglia di
subire
questo tipo di domande.» Passò ad un altro volume
dello scaffale.
Per convincerlo a parlare Minako capì che doveva essere la
prima a sbilanciarsi.
«Prima non hai capito cosa volevo dire.»
«Non voglio venire a sapere da te di grandi segreti. Supposti, grandi
segreti.»
Era giusto. Ma allora perché era ancora lì?
«So che Ami vuole avere fiducia in te. Ma tu devi...
dimostrarglielo di più.»
«Lo faccio già.»
«No, devi... Andiamo, ci sono cose per cui Ami non
prenderà mai l'iniziativa, lo sai? Parlo di...
esperienze.» Non per forza quella a cui stava
sicuramente pensando lui. «L'amore non è una serie
di bla bla bla e bacetti-»
«Grazie della lezione.»
Brontolone! «Se ti ho portato qui è
perché io tengo tantissimo ad Ami.»
«Quello che hai detto e fatto finora non ha questo
senso.»
Prendersi il suo sguardo divenne una sfida per lei.
«Potrebbero esistere persone in grado di capirla
più di te.» Come Ryo Urawa.
Alexander finalmente si voltò.
Forse tra lui e il povero Ryo non c'era paragone a livello di aspetto
fisico o in quanto a capacità di risolvere inutili
equazioni, ma Ryo... Poco fa, in quella piazzetta in cui Minako li
aveva visti
insieme, Ami aveva abbracciato
Ryo Urawa, dopo tanti anni che non lo vedeva. E un simile
trasporto, con
Alexander... Okay, era capitato, ma...
«Stai parlando di qualcuno in particolare?»
Noo. Se ti dico che ti
ho portato via dalla tua ragazza per lasciarle il tempo di stare con la
sua vecchia fiamma, penso che mi ammazzi.
A breve però lei avrebbe dovuto affrontare quel pericolo,
mentire
a lungo termine non era un'opzione. La sua storiella non avrebbe retto.
«Il punto non sono gli altri, ma tu. Non sta a me
dirti cos'ha passato Ami, ma anche noi...» No, si stava
scoprendo troppo se si includeva nel discorso. «Forse non ha
voglia di parlarti di
qualcosa che ti porterebbe a giudicarla.»
«Forse?»
«Sì, forse.» Non aveva alcuna intenzione
di servirgli su un piatto d'argento quello che lui non era riuscito a
guadagnarsi da solo.
«Ami sa bene che non la giudicherei.»
«Nemmeno se, per ipotesi, fosse una cosa che creerebbe
domande in
qualunque persona, qualcosa di... non positivo?»
Lui aveva smesso di fingere indifferenza. Rimise a posto la rivista che
aveva tirato fuori.
Accanto a loro non c'era nessuno.
«Mi stai spaventando.»
Oh, no.
«No. Nono. Non nel senso che...» Non voleva farlo
preoccupare, loro erano solo guerriere Sailor con superpoteri.
«Ad
Ami non è successo niente di orribile.» Dipendeva
dai punti di vista, ma comunque tutte loro stavano benissimo, avevano
superato qualunque trauma da battaglia.
Alexander non si stava divertendo. «Quindi? Tu pensi davvero
che lei abbia paura di quello che penserei?»
Lei si mangiò la risposta sulla punta della lingua.
«Non lo so.» Era convinta di sapere molte cose, ma
non stava assieme ad Alexander e ad Ami quando erano soli. Non li
vedeva
quando non c'era nessun altro con loro, quando - sicuramente - Ami era
più contenta che mai con lui.
Alexander cominciò ad andare via.
Certa di averlo perso, Minako lo seguì solo per confessargli
la
verità prima che la scoprisse da solo.
Forse si sarebbe risparmiata la decapitazione.
Lui si fermò all'ingresso della libreria, nel reparto
riviste internazionali. «Forse pensi che io abbia dei
problemi
con Ami.»
Esatto, problemi non comuni, ma...
«Tutti hanno problemi, qualunque coppia. I nostri... non sono
problemi se non li rendiamo tali.»
Era un ragionamento contorto e ingenuo.
Alexander prese in mano un giornale rosa. Lo strinse forte tra le mani.
«A me non interessa se Ami adesso... Se ancora non sono
riuscito a tagliare tutti i muri. Ci sono person con cui ci vogliono
anni.»
Ma esattamente quanti anni voleva aspettare lui?
«A me non importa. Ho dei difetti anche io, dei problemi.
L'importante è che si voglia stare insieme.»
«In generale? O voi?»
«Noi. Vogliamo stare insieme. Lo so, ne sono sicuro. Non...
non posso spiegarti cosa vuol dire, Aino. Ad essere sincero, non ne ho
nemmeno voglia.»
Ora lui era di cattivo umore. Ebbe l'impressione di non essere stata
solo lei a
metterlo in quella disposizione d'animo, ma di sicuro aveva contribuito.
Adocchiando il sacchetto di carta che lui portava in mano,
Minako cercò di cambiare discorso. «Che cosa le
stai
regalando?»
Lui fece silenzio per un momento prima di rispondere. «Una
collana.»
Uhh, una collana. Bella, sicuramente costosa... e banale.
«Non era meglio un regalo più
personalizzato?»
«È un regalo personalizzato.»
«Se me lo fai vedere mi tolgo dai piedi.» Ormai
aveva dato a Urawa abbastanza tempo, inoltre... Alexander stava
cominciando a farle pena. Forse era più innamorato di Ami di
quanto lei non lo fosse di lui.
In silenzio e sempre concentrato sui giornali, lui le
passò il sacchetto del regalo con un grugno annoiato. Voleva
farla
evaporare, era
evidente.
Lei recuperò la scatolina in velluto nero dal fondo del
sacchetto di carta.
Velluto nero? Ahh, se solo avesse avuto un ragazzo ricco anche lei!
La aprì con estrema cura, attenta a non sbilanciarla.
Sarebbe potuto cascare fuori di tutto da là dentro.
Sussultò. Non un anello, vero?!
La vista della confezione aperta le tolse quella ridicola paura. Dentro
c'era proprio una collana. Una collanina brillantissima, costosissima,
deliziosa. Da Ami.
Non resistette, dovette toccare le pietruzze blu. «Sarebbe...
il segno dell'acqua?» Due onde?
«Dovrebbe essere il segno zodiacale, ma ad Ami non
importerà. È solo acqua.»
Alexander si era girato di nuovo verso di lei. Guardava il retro della
scatola aperta.
«È solo azzurro. Le starà bene. Spero
che le
piaccia.»
«Perché hai scelto l'acqua? Lei ti ha detto che le
piace?»
«No. La guarda molto. Ma guarda anche al cielo, l'erba, gli
alberi...» Gli uscì un sorriso. Accennò
al regalo col mento. «Ami è come quelle onde.
Scende e sale in armonia. Quando cambia o rimane la stessa,
è sempre lei, sempre...» Non gli venne
l'aggettivo. Forse non ebbe voglia di dirlo davanti a lei, ma trasmise
ugualmente la
portata di quello che provava. «Bisogna
solo capirla.»
Minako richiuse la confezione. «Devo dirti una
cosa.» Rimise il regalo nel sacchetto e glielo
passò prima di lasciarsi scappare una sola altra parola.
«Puoi uccidermi, se vuoi. Quando torni dal tuo viaggio,
voglio
dire. Lasciami almeno queste tre settimane.»
Forse Alexander aveva capito bene anche la natura di lei,
perché la sua
espressione lasciò intuire che aveva un'idea del tipo di
guai che poteva avergli combinato.
«Tu cosa faresti se una tua carissima amica potesse essere
molto felice?» tentò lei.
«Non le daresti
un'opportunità?»
Lui la lasciò parlare, attento.
Stava cominciando a farle paura.
«Se un amore è vero e profondo, non deve temere
l'incontro con piccoli ostacoli, no? È questo che ho
pensato.»
«Just explain
yourself.»
Ingiusto, era già arrabbiato!
«Ho pensato che le dovevo un momento con una persona che...
beh, una persona che conosceva già quel problema di cui lei
non vuole parlare al
suo attuale ragazzo.» Ahhh, si era sbilanciata troppo!
Alexander era rigido. «Di che stai parlando?»
Meglio buttarsi. «Ami non era in ritardo. Ha incontrato per
caso» sicuramente per caso, «un ragazzo che
conoscevamo tutte tanti anni fa. Si tratta di Urawa, Rei mi ha detto
che ti ha
parlato un pochino di lui.»
Alexander perse ogni traccia di rabbia; a riempirlo fu un'altra
sensazione, qualcosa di molto diverso dall'ira.
«Li ho visti insieme che parlavano e ho pensato
che potevo dar loro qualche minuto insieme. Tanto voi due passerete
tutta la
giornata da soli.» E i prossimi mesi e i prossimi anni, se
Ami era davvero intelligente, perché a sentir parlare di
Urawa Alexander non si era ingelosito. Si era
spaventato.
«Dove?» le chiese.
«Dove dovevate incontrarvi.»
«E lei pensa che io sia in ritardo nel giorno del
suo-» Lui riacquistò un briciolo di rabbia, una
fiammella che spense
subito. Fu molto furbo nel non perdere altro tempo. Se ne
andò e
basta.
Cinquanta minuti dopo le dieci e mezza, Ami fu felice di alzarsi in
piedi. «Ehi!»
Ryo si alzò con lei, ma non sembrò capire che
la persona che stava correndo verso di loro era proprio quella che
stava
cercando.
Lei non fece nemmeno in tempo a preoccuparsi della fretta di Alexander.
Il tempo di formulare il pensiero, e lui era già arrivato.
«È successo qualcosa?» Gli
toccò una
spalla, cercando di calmarlo.
«No, io-» Lui cercò di riprendere fiato.
Inquadrò Ryo con lo sguardo.
«Mentre aspettavo ho incontrato questo mio amico.»
Ami
glielo presentò. «Si chiama Ryo Urawa, ti ricordi
del ragazzo che...» Sorrise e scosse la testa. Se lui non
ricordava, era
meglio. «Ci siamo incontrati per caso dopo tanto
tempo.»
«Sì.» Il respiro di Alexander era ancora
erratico. Mandò giù una grossa boccata d'aria.
«Sì, ricordo.»
... ed era agitato? «È successo
qualcosa?»
«No. Te lo spiego dopo.» Allungò una
mano verso Ryo. «Ciao.»
Ami fece fatica a concentrarsi su di lui, ma riuscì a
notare che il contatto e il rapido scambio di sguardi era rimasto
sereno. O almeno così credette, fino a che la mano di
Alexander non
continuò a rimanere su quella di Ryo.
«Vivi a Tokyo?» gli chiese.
«... No.»
«Starai qui a lungo?»
«Riparto oggi.»
«That's good.»
Alexander avesse inteso farsi capire o no? Non fu chiaro, ma tutto
terminò lì. Annuendo una seconda
volta, lui rimise le mani in tasca. Al polso aveva un sacchetto di
carta.
Il suo regalo, sorrise lei. «Urawa-kun voleva solo
conoscerti.» Si
girò verso di lui. «Visto?»
Ryo era perplesso, ma per metà soddisfatto. E divertito.
«Sì.» Le offrì un breve
inchino del capo. «Ami... è stato bello.»
«Anche per me.»
«Forse...»
No, era brutto parlare di addii. «Un giorno ci
capiterà di rivederci, sicuramente.» Sorrise.
«Chissà quanti altri anni passeranno.»
«Buona fortuna» annuì lui. Si
riempì di un momento di rimpianto prima di lasciarselo
dietro.
«Buona fortuna» gli augurò lei a sua
volta.
Sorrisero.
Ryo mantenne gli angoli della bocca piegati all'insù anche
per Alexander. Ma il sorriso che riservò a lui fu diverso.
«Ciao.»
Se ne andò così, senza girarsi di nuovo.
Non vi era alcuna ragione, si ripeté Alexander, alcuna ragione per
cui quel tizio potesse sentirsi in diritto di renderlo geloso.
Lui aveva fiducia in Ami. A lei quello non interessava, se n'era reso
conto
appena li aveva visti insieme. «Perché trovava
divertente che mi preoccupassi della sua presenza?»
Non riuscì a pentirsi della domanda: Ami poteva non
aver provato niente, ma lui voleva sapere esattamente tutto
quello che aveva fatto tale Ryo Urawa nei dannatissimi cinquanta minuti
in cui era rimasto da solo con lei. Minako Aino era già
morta e sepolta.
Ami si abbandonò a una risatina.
«Beh... oggi mi ha detto che gli interessavo
ancora.»
Lui aveva creduto di poter ridurre tutto quello che era
successo a uno scherzo, a una specie di strano incubo. Invece non era
ancora finito.
«Gli ho detto che io...» Ami scrollò le
spalle. «Ovviamente. Vederti
preoccupato sarà stata la sua rivincita, che
sciocco.»
Davvero?
Ami si adombrò. «Saresti sciocco anche tu a
preoccuparti sul serio.»
Sì. Forse. «Non sa forse cose di cui io non sono a
conoscenza?» Non fu specifico, ma - diavolo - non fu nemmeno
necessario: Ami capì tanto bene da impallidire visibilmente,
cercando di
non mostrare alcuna reazione e fallendo miseramente.
«Cosa vuoi dire?»
«Sono in ritardo per via di Aino. Vi ha visti insieme e
voleva darvi un po' di tempo. Mi aveva fatto pensare che saresti
arrivata dopo.»
«Minako?» Ami riprese parte del proprio controllo e
deglutì. «E che cosa ti ha detto?»
«Che quel ragazzo sa cose che io non so.»
«... solo questo?»
Sì, dannazione.
«Non volevo sapere niente
da lei. Se c'è qualcosa di cui parlare, voglio sentirlo dire
da te.»
Ami prese a scuotere la testa. «Non ho detto niente a Ryo.
Lui era semplicemente lì quando...»
Basta, basta con 'quella faccia'.
«Lui era con me quando avevo quattordici anni. Per
pochissimo, tutto qui. Cosa può sapere,
Alex?»
Se era una bugia, era la menzogna più sincera che lui avesse
mai
sentito pronunciare ad anima viva.
Detestava sentirsi nella posizione di costringerla a qualunque
confessione inutile che lei non volesse fare da sola. Ma detestava
sentirsi escluso anche da cose inutili. «C'è
qualcosa che... ?» No. «Niente.»
Ami si era fatta seria e triste. «Perché eri
agitato quando sei corso qui? Pensavi di dover essere
preoccupato?»
«Domani me ne vado per tre settimane.»
Ami non disse nulla.
Non capiva. Aveva ragione.
Lui non resistette più. «Non vuoi venire con
me?»
La sorprese. «Cosa?» La costernò.
«Io... Non posso.»
«Lo so. La scuola.» Era già iniziata,
era un maledetto problema, la ragione per cui lui non si era nemmeno
azzardato a insistere sul serio con quella proposta. «Non ti
sto chiedendo se vuoi venire, ma se ti piacerebbe. Se vorresti... Se io
dovrei...» Si sentì idiota.
Mandò giù un bel respiro. «Facciamo una
cosa.» Le prese la mano. «Ignora quello che ho
detto adesso. Avevo in mente di portarti in un posto. Forse riusciamo
ancora ad arrivarci.»
Voleva andare all'acquario e ritrovare se stesso nella calma di quegli
ambienti
semibui.
Ami non collaborò nel muoversi. «Io avrei un posto
dove voglio andare.»
Sì?
«Casa tua.» Lo sorpassò senza dargli
il tempo di rispondere. «Andiamo.»
Ami osservò mesta la mano di Alexander che girava la chiave
di casa sua.
Per i suoi diciotto anni, come regalo di compleanno, lei desiderava
innanzitutto poter sistemare
qualunque cosa stesse andando storta. Non si poteva fare in un parco,
per strada, in giro. C'era bisogno di
silenzio e di muri che fungessero da barriera di protezione, dove
potersi sentire al sicuro.
Entrò in casa. «Io...» Non
riuscì ad aspettare oltre. «Certo che mi
piacerebbe partire con te domani. È un bel
viaggio.»
Alexander si bloccò brevemente, quindi terminò di
chiudere la porta con più calma. Sembrava rassegnato.
«Non importa.»
«Non devi sentirti in colpa se vuoi andare senza di
me.»
«Non è questo. Non importa.»
Non comprenderlo la faceva sentire impotente.
«Perché ti preoccupava che fossi con Urawa? Anche
se mi ha detto che era interessato a me...» Lui avrebbe
dovuto riderne.
«Io non potrei mai innamorarmi di qualcun altro.»
Alexander studiò la sua frase. «Hai ragione. Alla
fine, that's it.»
Chiuse la distanza tra loro e le prese il volto tra le mani.
«Curami un poco.»
Ma coi baci lei voleva dargli di più. Gli offrì
ugualmente il primo. E il secondo. «Per cosa?»
Lui stava scuotendo piano la testa. «Mi stai già
curando.» Continuò a tenere la bocca sulla sua, ad
appoggiarla e ad allontanarla di pochissimo. Ad un certo punto la
strinse forte e non fece altro.
Che cos'hai?
«Sai che può essere l'occasione per un bel regalo
a tutti e due?»
Lei lo guardò negli occhi. Alexander la osservava come se
volesse... mangiarla.
«Oggi potresti lasciare che ti baci dappertutto. Senza
smettere.»
Lei si sentì evaporare, bollire, morire d'imbarazzo.
Lui iniziò a ridere piano. «Sul viso, Ami love. Stavo
scherzando, sei tutta rossa.» La lasciò andare, ma
continuò a tenere stretta
la sua mano. «Siediti, su. E fai un bel respiro.»
La situazione si era invertita, era lui quello stabile ora.
Lei si rifiutò di lasciarsi battere da uno scherzo.
«Non stai pensando di non partire, vero?»
«No.» Lui si sedette sul divano del salotto con
lei.
«Parto.»
Infatti. Lo aveva programmato da molto tempo. «Dovrai fare
molte foto, così potrò vederle. E quando hai
tempo non preoccuparti se l'orario è strano: chiamami.
Così potrò sentirti.»
Lui accennò ad un sorriso incerto, scherzoso. «Ti
mancherò?»
Certo, annuì lei. Ma erano solo tre settimane, sarebbero
volate via. Lo sperava, almeno Se iniziava a
lamentarsi già ora, come avrebbe
fatto a resistere quando lui sarebbe andato in America a studiare?
«Penso che quando
tornerai...» Si sentì di nuovo arrossire.
«Penso che sarò io a non voler smettere di
baciarti.»
Lui fece un attimo di silenzio. Deglutì. «That's beautiful.»
Iniziò a ridere e si sporse in avanti.
Lei si sentì accerchiata dalle sue braccia, catturata e...
strana, avvolta nel silenzio, seduta sulle sue ginocchia a stringerlo.
Non voleva rimanere ad abbracciarlo troppo a lungo su quel divano,
senza equilibrio, senza controllo. Erano più belli i baci
che poteva gustare piano e i
sentimenti che poteva provare intensamente - provare davvero - senza
farsene vincere.
Era lenta, lo sapeva. Fallace. Anomala, in molti sensi. Ma aveva un
ché di meraviglioso abituarsi piano ai
brividi sottili che le provocava il respiro di lui sul retro del collo,
dove le sembrava di morire per il solletico e le troppe sensazioni
dolci, intime.
Un giorno sarebbe arrivata a non morire di rossore di fronte al
pensiero di
quello che seguiva. Quando avesse smesso di vergognarsi, tra loro
avrebbe potuto
essere davvero bello. Lo sarebbe stato sicuramente, come lo era tutto
il resto.
Ebbe un ripensamento e non lo trattenne. «Mi mancherai
moltissimo.»
«Ma devo partire lo stesso?»
«Sì.»
Alexander posò gli occhi sui suoi, il naso sul suo.
«Ti stai sacrificando?» Sorrideva.
«No. In viaggio ti divertirai.»
«In queste tre settimane magari diventerai meno
altruista.»
«Con te no.»
Gli ripeté la ragione con un sussurro.
«Lo so» ammise lui. «Oggi sono stato
così strano da essermi persino dimenticato di dirti una
cosa.»
Hm?
«Happy
birthday, my love.»
NdA : devo rileggere questa storia nella sua interezza. L'ho riletta
pezzo per pezzo, l'ho sentita mentre la scrivevo, penso sia venuta
bene, ma la sensazione che mi lascia è diversa ad ogni
pezzo,
è... sospesa. Era quello che volevo, credo, ma devo
rileggerla.
Se mi dite cosa ne pensate voi, mi date una vera mano.
ellephedre
|
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Capitolo 13 *** Scene - Settembre/2 ***
Acqua Viva - Scene Settembre/2
Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Settembre/2
E il giorno seguente Alexander non c'era più.
Fu una cosa tranquilla e normale da principio: lui era in vacanza. Per
lei
era ricominciata la scuola e aveva le lezioni da frequentare; l'estate
era terminata.
È finito qualcosa.
Un pensiero sfuggente in quei primi giorni, mentre si accorgeva di
avere più tempo da dedicare alle sue amiche, a sua madre. Se
aveva voglia di parlare con qualcuno, alzava il telefono e doveva
impedire alle dita di comporre in automatico il numero. Si concentrava
un
momento, e se voleva ridere chiamava Minako, se desiderava un'idea per
qualcosa da mangiare consultava Makoto, se voleva sentirsi meno sola
ascoltava la voce di Usagi e se aveva bisogno di un consiglio parlava
con Rei.
Quando sua madre non era in casa, di tanto in tanto lei osservava le
pareti.
Se n'era rimasta davvero seduta tra quelle quattro mura a studiare per
tanti anni? Non rimpiangeva di averlo fatto, poiché
riconosceva
di essere stata serena in compagnia dei soli libri. Però non
riusciva più a immaginare di tornare ad uscire solo per
andare
in biblioteca o alla scuola preparatoria. Era cambiata. Amava pensare
alle giornate come ad un presente da vivere, e non più come
ad
un intermezzo da far passare in attesa che il futuro si realizzi.
Il suo presente non era solo Alexander, ma quello che lui le aveva
fatto scoprire.
È questo il momento di sperimentare, di essere. Era
il motto silenzioso di lui.
Le sue amiche avevano provato a smuoverla in quella direzione; le loro
piccole spinte erano servite a non farla vivere in un mondo di
esperienze sempre uguali, ma lei non ne era uscita del tutto. Si era
sentita un passo indietro rispetto a loro, che erano così
audaci
e coraggiose, prive di imbarazzi.
Aveva imparato la teoria della vita di un'adolescente in loro
compagnia,
come quando osservava Minako che abbordava ragazzi o Rei che
si
destreggiava nel tempio tra decine di sconosciuti, con le parole giuste
sempre in bocca. Makoto a scuola parlava con tutti e Usagi era capace
di far ridere anche i professori.
Provando ad imitarle Ami non si era sentita a proprio agio. Aveva
saputo di essere diversa - semplicemente se stessa - ma in tutto
ciò qualcosa... non andava. Lo aveva percepito, lo aveva
studiato. Sapeva essere sicura di sé e aveva il rispetto di
chi
la conosceva per la sua intelligenza, ma sentiva di non esprimersi
appieno, per la persona che era realmente, nel profondo.
Le mancava la voglia di farlo? Un poco, e si era perdonata quel minimo
di pigrizia.
Ma non era stato solo questo. Le era mancato... qualcuno. Qualcuno che mi capisca. Alexander
era arrivato, e ora che non c'era più lei vedeva come non
mai l'effetto che lui aveva avuto sulla sua vita.
«Sei silenziosa in questi giorni, Ami.»
A sua madre aveva detto che stava pensando. Aveva ripreso a pensare
moltissimo da quando Alexander era andato via, interi discorsi che
aveva voglia di condividere con lui appena fosse tornato a casa.
Casa, nei suoi pensieri, era lei. Torna
da me, da noi.
Si era sentita melodrammatica nella puntura di tristezza che
accompagnava quell'invocazione muta che non osava mettere
insieme. Era un pensiero che la coglieva all'improvviso, quando sentiva
la mancanza di una carezza alla mano o di un bacio. Ma Alex torna tra meno
di tre settimane,
si diceva. E quando lui aveva chiamato per la prima volta, si era
sentita esplodere di gioia. La voce di lui le aveva parlato di
esperienze
che gli erano mancate: rivedere sua nonna a Londra, lamentarsi di
quanto era snob l'accento locale, viaggiare in libertà.
Ti piace muoverti.
Neppure questo aveva detto, era un'idea che le era rimasta impressa in
testa. Come la sua mente, Alexander doveva essere in movimento per
sentirsi vivo. Era un abitudinario per certi versi, un ragazzo
tranquillo - come lei aveva pensato le prime volte che l'aveva visto.
Ma quando ingranava col cervello e col corpo lui era felice
come
non mai.
Potevano fare quasi tutto insieme, ma lei aveva imparato a lasciarlo
solo durante le sue corse. Osservandolo mentre si muoveva veloce aveva
capito di essere di troppo. In
una sola cosa, tutti hanno bisogno di un momento solo per sé.
Si era spiegata così l'estraneazione di lui in quei
frangenti,
quella che Alexander stesso forse non aveva compreso. Le aveva risposto
senza fastidi tutte le volte che lei aveva parlato; avevano anche riso
insieme, ma alla fine dell'esercizio, mentre riprendevano a camminare,
lui per bisogno - a disagio - aveva guardato il cielo, incerto
su cosa ci fosse che non andava.
Il problema era stato di duplice natura: in verità - le
aveva
detto - lui solitamente correva più veloce. Non aveva fatto
aggiunte, il bisogno di solitudine era una cosa che lei aveva capito da
sola.
Lei amava stare in solitaria mentre studiava, ma era diversa da lui.
Lei sì che viveva di abitudini: a lungo era stata capace di
passare tutto il suo tempo tra scuola, casa e battaglie Sailor. Erano
stati quei combattimenti a rompere la sua routine, facendola uscire dal
suo spazio personale.
Alexander invece non aveva avuto bisogno di nemici interplanetari per
librarsi: club di nuoto e scienze alle superiori, due volte
rappresentante di classe, si era fatto conoscere in tutto il suo
istituto - anche per ragioni che lei non amava
ricordare. Lui aveva
avuto tante relazioni, quindi si era interfacciato con molte persone
diverse. Ma soprattutto, Alexander aveva viaggiato. Andava all'estero
perché non c'era città giapponese in cui non
fosse stato
almeno una volta. Le era simile per quella parte di lui che rimaneva
distante da tutto, chiusa, ma era una persona che amava le
nuove esperienze. Sottilmente, senza accorgersene, Alex cambiava
vivendole.
Che cosa è
finito con questo viaggio?
Era la domanda che era riuscita a concretizzare in due settimane, dopo
che per tre giorni lui non aveva chiamato. Le aveva detto che sarebbe
andato in un posto in cui non c'erano telefoni - un campeggio, un
viaggio nella natura. Quel periodo di
silenzio forzato le era servito ad ascoltare paure che lei aveva
sepolto in sua presenza, proprio grazie a lui.
Io, forse, sono solo una
tappa per te.
Quando la guardava Alexander le diceva di no, che era per sempre. La
faceva sentire una persona con cui valeva la pena di dividere una vita
intera, e lei lo era sicuramente, ma.... per lui? Sarebbe stata LA
persona per lui?
Si era ritrovata con una sua foto in mano e, per una volta, non aveva
visto solo un volto che avrebbe potuto amare per mille anni. Aveva
visto un ragazzo, di ventuno anni, con forse tutta una vita - di durata
normale - da trascorrere lontano da lei.
«Che cos'hai, love?»
La telefonata successiva l'aveva lasciata con la voglia di abbracciarlo
forte. Torna qui, fammi
dimenticare tutto questo.
«Niente» gli aveva detto. «Solo che... mi
sei mancato.»
Lui era stato così felice di sentirlo.
Lei aveva preso una decisione momentanea ma importante. Finché lo vorrai, ti
amerò con tutta me stessa.
«Che cos'hai, Ami?»
Ad Usagi non era stato altrettanto semplice sfuggire.
«Niente.» Non aveva accelerato il passo fuori dalla
scuola,
perché da lei non poteva - non voleva - scappare. Usagi era
una
voce gentile che soffriva se veniva ignorata e lei non le avrebbe mai
fatto questo.
«Mi stai dicendo una bugia, sembri triste.» La sua
mano
sulla spalla la trattenne delicatamente. «Ti manca Alexander,
vero? Coraggio, mancano solo tre giorni
al
suo ritorno.»
Era confortante sentirlo dire da lei, che aveva vissuto un'esperienza
come la sua ma infinitamente peggiore. «Usagi... Che cosa
provavi
quando Mamoru era lontano?»
«Quando?»
«Quando era negli Stati Uniti e non sapevi che...»
Vide la forza della sua amica nel momento in cui quel ricordo oscuro le
strappò solo un sorriso amaro.
«Me lo chiedi perché ti sei sentita sola,
Ami-chan?»
Non sapeva come spiegare tutto quello che aveva sentito.
«Vieni, andiamo al parco. Mangiamo qualcosa e
parliamo.»
Usagi l'aveva trascinata verso una panchina tenendole le mano, un
sostegno in quel momento come la prima volta in cui l'aveva conosciuta.
La soggezione che aveva provato nei suoi confronti era sempre stata
così confortevole e strana: assieme ad Usagi non aveva paura
di
nulla, lei affrontava guerre e problemi con uno scudo fatto di semplici
sentimenti sinceri e risoluti.
«Quando Mamoru era negli Stati Uniti e non mi chiamava, non
mi
scriveva... Avrei dovuto essere più devastata,
vero?»
«Non intendevo questo.»
«Lo amavo così tanto che non riuscivo ad ascoltare
quel dubbio cattivo che mi diceva tutti i giorni che qualcosa
non andava. Mamo-chan aveva detto che sarebbe stato occupato e per me
la sua parola era... divina.» La risatina di Usagi fu
allegra,
solo lievemente malinconica. «Dopo due mesi che non mi
scriveva
non credevo che mi avesse dimenticato, però pensavo a tutte
le
cose che dovevo dirgli: doveva avermi più a cuore, dirmi che
gli
mancavo, farsi sentire più spesso anche se era molto
occupato.
Una sola chiamata alla settimana, un minutino per me. Anche Mamoru mi
ha detto che mi accontentavo di troppo poco.»
«Sono felice che ora ti stia dando quello che
meriti.»
Usagi la guardò attenta. «Mi hai detto che
Alexander ti ha
chiamato almeno tre volte alla settimana da quando se n'è
andato. Allora perché tu...? Il problema è lui,
vero?»
«No.» Sì, nel senso che riguardava lui,
e no, nel
senso che non era nato da lui. «Tu...»
Zittì un
pensiero ingiusto.
«Cosa?»
«Niente.»
«Su, Ami. Lo sai che non ho un tatto da offendere, sono di
ferro io.»
«Come fai a sapere che...?»
«Che ti sei fermata per me?» Usagi le
toccò la
fronte. «Ti cresce una piccola linea qui quando ti preoccupi
di
fare del male ai sentimenti di qualcuno.»
Quanto era prevedibile. Sospirò. «Tu... hai mai
pensato
che con Mamoru non siate destinati a stare insieme per tutta la
vita?»
Usagi sgranò gli occhi. «Ovvio.
Continuamente.»
Ami non capì.
«Beh,
lui mi
ha lasciata quando c'era Chibiusa e poi c'è stata la
lontananza
per i suoi studi negli Stati Uniti, e io.... io non credo
nemmeno ora che noi due dobbiamo
stare insieme per forza. Ho fiducia nel fatto che lo amerò
per
sempre, ma prima mi rifiutavo di concepire che per lui non potesse
essere lo stesso. Adesso... Adesso so che Mamoru sceglie di amarmi
proprio come faccio io. Per questo non smetterà
mai.»
Quella sicurezza la fece sentire infinitamente triste e minuscola.
Sull'eternità del proprio amore non aveva dubbi, ma per
quanto
riguardava quello di Alexander... e non era nemmeno colpa di lui, che
non dimostrava alcun dubbio su quello che provava. Del presente era
sicura oltre ogni limite, era il futuro che la terrorizzava. Solo
perché Alex non era accanto a lei a rassicurarla? Non
avrebbe
mai
immaginato di essere così insicura.
Usagi la stava guardando negli occhi. «È questo
allora?
Questa piccola vacanza di Alexander ti ha fatto tornare quei dubbi che
avevi prima di metterti con lui?»
«No...»
«Tu sei una persona che può essere amata
completamente e per sempre, Ami.»
«Lo so. Ma lui cambierà, e anche io...»
Mentre lo
diceva si rese conto che quel discorso valeva per chiunque, Usagi e
Mamoru compresi. «Non gli ho ancora detto che sono una
guerriera
Sailor, chi sarò e cosa farò in futuro... Mi
spaventa
l'idea che questo presente cambi. Con questa vacanza Alexander me
l'ha fatto ricordare.» Il che rendeva ancora più
sciocche
le sue paure; si stava lamentando di un futuro che non conosceva, solo
perché il fidanzato che le aveva sempre detto e dimostrato
di
amarla si era preso qualche giorno di ferie. E senza
nemmeno volerci andare da solo poi: Alex avrebbe voluto che lei si
unisse a lui.
Usagi stava riflettendo. «Senti la mancanza dell'idea di
un... destino?»
... sì.
«Ci siamo viziati, sai? Sappiamo cosa diventeremo da grandi,
qual
è il nostro posto nel mondo... Tutti gli altri vanno avanti
senza sapere niente.»
Era vero. «Bisogna avere fiducia.» Doveva
aggrapparsi a
quella per lei e Alexander. Doveva credere che lui avrebbe scelto di
amarla l'anno prossimo, e quello dopo ancora, fino all'esatto istante
in cui avrebbe deciso altrimenti. Poteva non accadere mai, o forse...
Ma lei non poteva vivere nell'incertezza: per vivere senza ombre,
l'amore non ne permetteva.
«In fondo siamo normali, Ami. Quello che cercavo di dirti
prima
è che tra me e Mamo-chan è arrivato un momento in
cui io
l'ho... conosciuto, ecco. Quando è tornato da me, dopo
Galaxia.
Ho capito chi era in ogni angolo del suo cervello, l'ho fatto
mio.» Usagi scoppiò a ridere. «Succede
così
per tutte le coppie. Arriverà un giorno in cui Alexander
farà qualcosa, o dirà qualcosa... e tu sarai
certa che ti
vorrà bene per sempre. Non avrai più nessun
dubbio.»
La promessa di una speranza. Fu come un raggio di sole, e commossa lei
ne sorrise. Perché non ci arrivava mai da sola?
Per speranza aveva rischiato e aveva accolto Alexander nella sua vita,
smettendo di crogiolarsi negli 'e se' infausti che le avrebbero
rovinato in partenza ogni felicità.
Deglutì. «Credo di essere così emotiva,
perché io non... Io so già cosa
proverò per lui
tra dieci o cento anni.» Anche se era solo una ragazzina;
poteva
cambiare in mille modi, ma quel suo amore non si sarebbe mai estinto.
«Anche se è normale avere dubbi su quello che
prova
l'altra persona, l'incertezza mi rende instabile.»
Ridacchiò. «Forse è normale anche
questo.»
«Ami-chan, non te lo dico perché sono tua amica,
davvero.
Infatti potrei scommetterci il mio trono tanto ne sono sicura, ma
Alexander si sente proprio come
te. È lui quello che crede che non lo amerai
per sempre.»
Fu l'unico momento in cui lei volle dire ad Usagi che stava sbagliando.
«Non può essere.»
«Beh, non vi ho visti tante volte insieme, però...
lo dice
anche Minako che è esperta, e pure Makoto, e a pensarci bene
anche
Rei. Lui è più leggibile di te e si vede
da chilometri di distanza che è tanto felice quando
è con te, ma a volte sembra... in ansia. Vuole farti
contenta in
ogni istante e fa questa faccia....» Usagi si profuse in
un'espressione supplicante. «Ti prego, fa' che ti piaccia,
amami anche ora. Tu non la noti perché sei
occupata a essere felice della sua sofferenza. Sei sadica.»
«Cosa? No!»
«Non è troppo sbagliato essere contenta se il tuo
ragazzo
ti adora da star male. Ma se lui si sente così, tu dovresti
adorarlo di più.»
«Ma io lo...» Arrossì piano.
«Lo adoro
anche io. Davvero secondo te si sente così?»
«Secondo tutte quante. Se vuoi un consiglio pratico,
sii più espansiva.»
Ecco una cosa che non le riusciva molto bene. Inoltre ad Alexander
piaceva il modo in cui lei dimostrava il suo amore, di questo era
sicura. Ma forse... «Posso fare qualcosa di
più.»
Usagi la prese come una domanda. «Certo. Da esperta ti dico
di
provare con tanti lunghi baci e poi con...» Una risatina.
«Beh, lo sai.»
In verità,
non ancora. Ami evitò di arrossire e si
congratulò da sola per il successo. Quindi si riduceva tutto
a una questione di...?
Usagi annuì saggia. «Ai ragazzi piace sentire l'amore.
Hanno ragione, sai? Non è tutta una questione di
parole.»
«È anche una questione di gesti e di
dimostrazioni.»
Come lui che la chiamava appena poteva anche trovandosi all'estero,
oppure sempre lui
che dimostrava di amare tutte le loro conversazioni o passare
del tempo insieme. Erano cose importanti. Non che lei escludesse che un
giorno la loro relazione sarebbe andata anche in quella direzione,
anzi. Da quando lui era partito, doveva ammettere di aver pensato che
forse avrebbero già dovuto incamminarsi o essere
per
strada, ma Alexander non faceva pressioni vere. Probabilmente la
lentezza del loro ritmo gli andava bene.
Usagi era rimasta interdetta, ma solo per un momento.
«Sì.
Fa' quello che ti senti, Ami. Logica a parte, è tanto tanto
bello dimostrare di amarsi; è questo che ti rende sicura
dell'amore.»
Doveva darle retta, Usagi era un'esperta. «Grazie
di
avermi fatto parlare.» Ne rise: se non fosse stata costretta,
si
sarebbe tenuta tutto dentro.
«A che servono le amiche altrimenti?» Usagi era
soddisfatta. Come un falco che si era risvegliato dal letargo,
puntò l'angolo della strada. «Ora offrimi un
onigiri!»
«Due, se vuoi.» Ami si incamminò con lei.
In quei giorni di solitudine ed incertezze si era persa spesso in un
gesto scioccherello e dolce: indossando la collanina che Alexander
aveva dato
come regalo di compleanno, l'aveva portata alla bocca e aveva baciato
piano le piccole pietre. Durante la loro ultima chiamata, lo aveva
detto a lui.
«Ami love, preparati» l'aveva avvertita Alexander.
«Al mio ritorno, appena ti vedrò, ti
darò un bacio
da film.»
Tra le risate, lei era arrossita col telefono all'orecchio.
Lo aveva sentito sorridere, e aveva saputo anche come lo stava facendo:
con l'espressione serena, concentrata a guardarla - nella sua mente,
visto quanto era lontano.
«Ti devo confessare una cosa.»
«Hm?» aveva risposto lei.
«Per riuscire ad andare via da te, tre settimane fa ho messo
in
atto un'opera di imponente autoconvincimento. Il mio auto-insulto
preferito era 'patetico sap', un miserabile Ami-dipendente che non
riusciva a staccarsi dalla sua ragazza.»
Lei sentì l'amarezza delle sue parole, ma non
riuscì a ribattere.
«In questi giorni ho capito che posso stare senza di te,
ma... non voglio più farlo.»
Seduta sul materasso lei si sentì sbilanciata, una caduta
profonda che le fece ritrovare l'equilibrio in un istante. Fu un colpo
intenso, decisivo.
Strinse il telefono. «La prossima volta... Viaggiamo insieme,
anche se ho la scuola. Promesso.»
Lui rise. «Norvegia allora? Così vediamo quei
fiordi.»
Potevano andare anche dietro casa, alle terme in un posto qualunque, un
viaggio era anche solo un giorno e una notte insieme per... No, la
notte non per- Oh
sì, anche per-... Avvampò e produsse
un tale bollore che dovette tirar via le coperte.
«Ami?»
Lei aveva nascosto la faccia tra le ginocchia. «... miss you. I miss you so much.»
Il suono dolce e caldo del sorriso di lui la calmò.
«Ci rivedremo tra settantotto ore. Tengo io il conto alla
rovescia, tu stai tranquilla e aspettami all'aeroporto. Undici e mezza
del mattino, va bene?»
«Hm-mh. Cerca di dormire durante il volo, così
arrivi riposato.»
«Non dire così. Se arrivo stremato posso
sequestrarti e costringerti a farmi da cuscino.»
Lo scherzo toccò un nervo scoperto e lei deglutì.
«Love you.»
«Love you too.
A quando potrò dirtelo di persona.»
Sorridendo, lei ripeté il saluto. «Ciao.»
«Ciao.»
Quando infine lo rivide, fu davvero molto semplice.
Un momento prima lei era un fascio di nervi che traboccava amore,
preoccupazioni per un futuro lontano seppellite in un angolo della sua
testa, pensieri impropri che non riusciva ancora a credere di aver mai
avuto e ansia - nemmeno lei sapeva per cosa.
Poi tornò come tutto prima, mentre lo vedeva che usciva
dalle porte dei passeggeri in arrivo, una valigia in mano.
C'era lui che sorrideva, lei che lo amava, il presente, il futuro che
era presente e nessuna paura. Nessuna ansia, solo il suo cuore che
finalmente riposava stremato, felice, e lui, lui.
Gli corse incontro e lo abbracciò.
NdA : con questo episodio sono tornata ad atmosfere molto
riflessive, le pippe mentali che tanto mi contraddistinguono come
autrice. Ami è l'ideale per tutto questo e come al solito
per fortuna c'è Usagi a parlarle. Spero che l'episodio vi
sia piaciuto, fatemi sapere.
ellephedre
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