Memorie di una viaggiatrice distratta di Aron_oele (/viewuser.php?uid=619340)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nice to meet you, pleased to know you ***
Capitolo 2: *** Just the beginning ***
Capitolo 3: *** Tofu per cena ***
Capitolo 4: *** Fight Club ***
Capitolo 5: *** Get the party started ***
Capitolo 6: *** Qui gatta ci cova ***
Capitolo 7: *** Questo è il ballo del qua qua ***
Capitolo 8: *** Can you fill it? ***
Capitolo 9: *** Don't worry be Happy ***
Capitolo 10: *** La mora, la bionda e la rossa ***
Capitolo 11: *** La foresta dei baci volanti ***
Capitolo 12: *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Capitolo 1 *** Nice to meet you, pleased to know you ***
Judith
Montgomery è una ragazza bionda ed americana.
Judith
Montgomery è una ragazza alta, che fuma Marlboro light
e che vive a New York.
Judith
Montgomery è una ragazza che ha vissuto tre mesi in
Giappone, ospite di una famiglia strampalata.
Judith
Montgomery sono io, e questa è la mia storia.
Memorie di una viaggiatrice
distratta
“Sono nata nell'epoca
sbagliata.
Dovevo nascere con le
macchine da scrivere, le polaroid, le tele in bianco e nero,
i cellulari
inesistenti, le lettere, le tazze di tè, gli abbracci, le
canzoni, i
viaggi. I
viaggi.”
L' aeroporto
di Tokyo era davvero enorme, e per una abituata all'America dove, si
sa, tutto
è più grande della normale decenza, non era cosa
da tenere in poco conto.
Eccolo lì ad un passo da me: il Paese del Sol
Levante.
La prima cosa da fare, mi ero detta, sarebbe stato un bel giro nella
città che
desideravo visitare fin da quando ero bambina. Ma a ben vedere, dopo
quasi
quattordici ore di volo, la prima cosa che effettivamente feci fu
quella di
uscire dalla grande vetrata delle porte scorrevoli e accendermi una
sigaretta.
La prima boccata d'aria giapponese sapeva d'oriente, di tradizioni e
leggende,
di piccoli ponti di legno che attraversano ruscelli all'ombra di alberi
di
ciliegio fioriti, di lanterne, di kimoni e di cibi esotici.
Mi legai i capelli in una morbida treccia che gettai su un fianco,
Rayban sugli
occhi, pantaloncini di jeans, Canon da perfetta turista in una mano,
sigaretta
nell'altra ed ero pronta all'avventura.
“Pronta” per così dire, con un trolley
che pesava più di me e senza nemmeno una
cartina geografica.
Ero ansiosa di vedere la città in cui modernità e
tradizione si fondono come
rocce sciolte dalla lava, ma ero ancora più ansiosa di
conoscere quella che sarebbe
stata la mia “famiglia adottiva” per tutta la
durata del soggiorno.
Quando avevo letto della possibilità di fare uno scambio
culturale in Giappone,
appeso in malo modo sulla bacheca di un corridoio del mio college, non
ci avevo
più visto dalla gioia, affascinata come sono sempre stata da
questo Paese. Così
avevo fatto subito domanda e adesso mi ritrovavo su quell'isola gigante
con in
tasca solo una lettera, una foto ed un indirizzo.
Famiglia Tendo, Nerima.
Provai a chiamare un taxi con un fischio, ma niente, nessuna risposta.
Allora pensai
che probabilmente non fosse quello il modo più consono, in
fondo non ero a New
York dove basta gridare più forte degli altri per farsi
sentire. Così, mi avvicinai
ad un taxi verde con le bande laterali gialle, posteggiato di fronte
all'uscita
dell'aeroporto, sorrisi al conducente e attaccai al finestrino il
foglio con
scritto l'indirizzo, cercando di fargli capire che volevo salire con
invitanti
cenni della testa e il dito indice puntato ad intermittenza. Senza che
lui
dicesse una parola, la portiera posteriore sinistra si aprì
automaticamente,
e noi americani che ci vantiamo tanto di essere tecnologici.
A bordo del taxi, che sfrecciava senza problemi nelle vie caotiche
della
capitale, finalmente mi era concesso di osservare la città.
Per certi versi mi
ricordava la mia New York: affollata, caotica e romantica, come una
fotografia
in bianco e nero.
Ero nella più grande metropoli del mondo. Piena di cartelli
pubblicitari
colorati e sgargianti, di altissimi grattacieli colmi di vetro e
metallo, di
strade larghissime che si intersecavano le une con le altre creando un
reticolato di luci gialle e rosse, alternate alla vista da parchi
enormi e
pieni di verde.
Anche a Tokyo sembrava tutto così veloce, come se la gente
avesse sempre
fretta, corresse sempre da qualche parte: chi dietro ad uno spuntino
improvvisato, chi ad un bambino che attraversava la strada senza
guardare, chi
alla metropolitana che stava partendo senza di lui.
Per certi versi, stare a Tokyo era proprio come stare a casa.
Però poi, oltre la modernità dell'enorme
città, si potevano vedere le montagne.
Montagne che da quella distanza sembravano blu, con le cime ricoperte
di neve.
E allora, all'incauto spettatore, si apriva un mondo, un mondo oltre i
grattacieli e i treni ad alta velocità, un mondo che ha come
protagonisti il
Fuji e i ciliegi in fiore, i dragoni e i templi con i tetti rossi e
spioventi,
i piccoli stagni e i fuochi d'artificio.
Mentre sporgevo con tutta la testa fuori dal finestrino, lasciando che
la
velocità mi scompigliasse i capelli e facevo centinaia di
foto tutt'intorno a
me, mi resi conto che Tokyo mi aveva già rapito il cuore.
Ma non sapevo fino a che punto quello stesso cuore sarebbe rimasto
lì.
Lentamente il paesaggio
cominciò a
cambiare: le case erano più basse, le strade più
strette, si riusciva a vedere
il cielo.
Finalmente si poteva rallentare, respirare.
Il taxi si fermò davanti ad un enorme e massiccio muro di
cinta bianco.
<< Siamo arrivati signorina, questo è
l'indirizzo >> annunciò il
conducente in un inglese perfetto.
Scesi dal taxi e lo salutai con la
mano, quindi cercai dentro la borsetta di cuoio un po' d'acqua e ne
presi una
lunga sorsata. Provai a sistemarmi alla meglio i capelli e a tirare su
la
maglietta, che continuava imperterrita a voler pendere sulla mia spalla.
Percorsi tutto il muro ruvido con una mano, fino ad arrivare all'enorme
portone
di legno scuro. Tirai su gli occhiali da sole sulla testa per tenere a
bada le
ciocche ribelli, che a tutti i costi volevano uscire dalla mia treccia,
e
cominciai a provare: “Kon'nichiwa, o ai dekite ureshi”(*)
“Kon'nichi-...”
ma, con un cigolio da fare invidia a qualunque film horror, le ante
della porta
si spalancarono, forse perché nella foga di provare le mie
frasi in giapponese
le avevo spinte con tutta la forza che avevo in corpo, e adesso mi
ritrovavo a
sbirciare verso il punto da cui sentivo provenire delle voci.
Come se le mie gambe avessero una propria autonomia, mi ritrovai in
giardino a
fissare chi, con altrettanto stupore, fissava me.
Sfoderai il migliore dei miei sorrisi ed esordii con una delle frasi in
giapponese imparate a memoria con l'aiuto delle lezioni on-line,
pregando di
aver pronunciato tutto in maniera almeno comprensibile e salutandoli in
perfetto stile orientale, con tanto di inchino.
Anche loro si inchinarono, tutti insieme e, passato lo sbigottimento
iniziale
dovuto al trovarsi una perfetta estranea nel giardino di casa,
sorrisero felici
e si avvicinarono.
La prima ad arrivarmi di fronte fu una splendida ragazza alta e
longilinea, con
il lineamenti del viso duri e un po' marcati, come il taglio del suo
caschetto
castano. Mi prese il mento fra due dita e mi fece girare di profilo
scattandomi
una fotografia, confabulando qualcosa che postumi interpretai come
“sei carina,
mi frutterai parecchi guadagni!”. Io rimasi completamente
paralizzata sotto lo
sguardo inquisitore di quella che, scoprii dopo, si chiamava Nabiki ed
era la
secondogenita Tendo.
Ma un aiuto non tardò ad arrivare da un'altra splendida
ragazza, anch'essa con
i capelli castani, ma morbidi e lunghi, tenuti insieme da un fiocchetto
bianco
che le faceva ricadere le punte ondulate sulla spalla, anch'essa con
gli occhi
scuri, ma meno acuti e penetranti di quelli di Nabiki, avrei detto
molto più
dolci e materni.
Ridendo, si rivolse alla ragazza alla mia sinistra: <<
Sei sempre la
solita, non si è neanche presentata che già pensi
a come guadagnarci su!
>> poi tornò a concentrarsi su di me, si
avvicinò e mi posò due baci sulle
guance: << Tu devi essere Judith, la ragazza americana
vero? Io sono
Kasumi e questa è mia sorella Nabiki! >>
Non ebbi neanche il tempo di rispondere che la bella sorella maggiore
si girò
verso gli altri componenti della famiglia, invitandoli a darmi il
saluto
occidentale, “così come avevano provato”.
In men che non si dica mi ritrovai stretta nell'abbraccio del capo
famiglia: un
uomo alto, dai lunghi capelli neri e con la pelle imbrunita, gli occhi
gentili
e un fisico che avrebbe fatto invidia a qualunque ventenne nel mio
Paese. Anche
lui mi baciò entrambe le guance con le sue ruvide e, quasi
piangendo, mi disse:
<< Benvenuta a casa nostra bambina!! Sei come una quarta
figlia per me!
Io sono Soun ma puoi chiamarmi papà! >>
Non riuscii a trattenere una risata mentre la mia prima interlocutrice
staccava
il padre da me e mi dava anche lei un bacio, uno solo, corredato da una
strizzata d'occhio e un altro paio di foto alle mie gambe.
Fra le risate generali si fece largo l'ultimo componente di quella
bizzarra
famiglia, una ragazza minuta, con i capelli a caschetto lucidi e neri
come
quelli del padre e con due grandi occhi color del Bourbon. Occhi che,
pur
somigliando molto a quelli delle sue sorelle, avevano una
luminosità e una
gentilezza che li faceva risplendere più degli altri.
Anche lei, come il resto dei Tendo prima, si avvicinò a me
con un sorriso a
trentadue denti e, presentandosi come “Akane”, mi
diede i famosi due baci sulle
guance che sembravano essere un rito di passaggio obbligatorio.
Quando ormai pensavo che l'imbarazzante momento delle presentazioni
fosse
finito, da dietro uno dei grandi alberi che torreggiavano nel giardino
della
casa, sbucò, con una falcata simile a un salto, aggraziato e
felino, un
ragazzo.
Anzi, il più bel ragazzo che avessi mai visto.
Alto, altissimo, con dei lunghi capelli nerissimi tenuti a bada in un
buffo
codino, due occhi blu stranamente grandi per un orientale, tanto
muscoloso che
i pettorali sbucavano prepotentemente dalla casacca di fattura
tipicamente
cinese. Mi guardò per un momento, quasi incerto su quale
fosse la cosa migliore
da fare e poi, sfoggiando dei bellissimi denti bianchi e diritti, mi
sorrise
porgendomi la mano: << Io sono Ranma, benvenuta fra noi!
>>
Afferrai quella mano, così grande che dentro ci sarebbero
potute stare
comodamente entrambe le mie, e finalmente parlai la mia lingua madre:
<<
Il piacere è tutto mio! >> dissi scivolando da
quella presa ruvida,
<< Non avevo capito aveste un fratello! >>
<< Ma Ranma non è il loro fratello!
>> intervenne una voce non
molto lontana che apparteneva ad un uomo corpulento e alto, con la
faccia
buffa, un paio di occhiali tondi e una bandana bianca a coprire la
testa priva
di capelli, << È mio figlio! Io sono Genma,
Genma Saotome! >> ed
anche lui mi diede due baci sulle guance, abbracciandomi goffamente.
Poi si
scostò e posò una mano sulla spalla vestita di
verde oliva di Soun e, scrutandomi,
si sorrisero soddisfatti.
Nel vederli vicini, che si
guardavano con complicità, mi che, nella lettera di
presentazione che avevo
ricevuto, si parlava di una famiglia allargata.
Avevo immaginato, da buona
americana patita di film, che ci fossero matrigne e sorellastre e non
mi sarei
mai aspettata di trovare un affascinante giovane uomo e suo padre.
Che bizzarra famiglia era quella.
Avrei dovuto capire subito in che guai, meravigliosi guai,
mi sarei
andata a cacciare abitando con loro.
Solo un'ora
più tardi, dopo che Ranma aveva trasportato con una sola
mano l'enorme valigia
che credevo pesante come un lottatore di sumo (visto che, per tirarla
fuori dal
bagagliaio del taxi, sia il conducente che io avevamo rischiato
più volte
un'ernia) e l'aveva posata come fosse una piuma sul pavimento di quella
che
sarebbe stata la mia stanza, mi ritrovai seduta con loro a pranzo e,
finalmente, con un po' di tempo per osservarli meglio.
A capotavola, l'estremità più lontana dell'enorme
tavolo di legno massiccio,
scuro e profumato, sedeva Soun, imperturbabilmente accucciato sulle sue
stesse
gambe, nonostante la mole, mentre mangiava con estrema lentezza il suo
riso,
prendendolo dalla ciotola blu scura e portandoselo alla bocca senza
sporcare
minimamente i folti baffi neri che gli coprivano il labbro superiore.
Il suo
viso recava i segni di un passata bellezza e le sue espressioni
lasciavano
intendere che fosse un uomo buono. Forse per quello o forse
perché sapevo che
aveva cresciuto tre figlie da solo, quell'uomo, da subito, mi
ispirò simpatia e
rispetto.
Alla sua sinistra Kasumi, agghindata con un carinissimo grembiule
fiorato,
sembrava avere molto più dei suoi ventun anni e, con placida
tenerezza e non
poca apprensione, continuava a guardare il piatto di tutti noi, per
accertarsi
che avessimo abbastanza riso, abbastanza verdure, abbastanza salsa, che
fossimo
sazi o che non scottasse troppo. Solo di tanto in tanto prendeva un
boccone
dalla sua ciotola rosa, per poi tornare a posare lo sguardo castano
sulle sue
sorelle e su suo padre, con estremo affetto, e su noi ospiti con
gentilezza. Se
non fossi stata sicura che era davvero una delle figlie di Soun, avrei
creduto
che fosse la moglie, tanta era la dedizione con cui si prendeva cura di
ogni
minimo particolare. Kasumi era quella che, nella New York del nostro
secolo,
consideriamo una razza ormai estinta: una ragazza di altri tempi.
Dolce,
gentile, premurosa e con solidi valori. In America le ventunenni di
questo
genere possiamo ammirarle solo in qualche bel romanzo ottocentesco.
Alla destra di Soun invece, sedeva sgraziatamente Genma, che non
smetteva
nemmeno per un secondo di elogiare, a volte in giapponese, altre in
inglese, la
“fantastica cucina di Kasumi”, sputacchiando su
tutto il tavolo pezzetti di
cibo e ridendo a squarcia gola con l'amico al suo fianco.
Si vedeva subito che era un uomo simpatico ed allegro e,
chissà per quale
strano motivo, mi ricordava un orso, o meglio un paffuto e divertente panda.
Proprio alla destra di Genma, sullo stesso lato del lungo tavolo, come
una
statua di durissimo marmo, sedeva Ranma, che creava uno strano
contrasto con il
padre. La schiena dritta e i muscoli delle braccia in bella vista, non
sembrava
far caso a nessuno se non alla sua ciotola azzurra stracolma di riso.
Solo ogni tanto, e fu una cosa a cui feci caso dal primissimo momento,
guardava
di sottecchi Akane. Non le parlava, come non parlava a nessuno degli
altri, ad
eccezione di Genma a cui rivolgeva, circa ogni cinque minuti, insulti
di ogni
genere, ma, inclinando leggermente la testa verso di lei, per un
impercettibile
attimo, la fissava con i bellissimi occhi blu semi chiusi e l'ombra di
un
sorriso sulle labbra, e poi tornava a guardare davanti a sé.
Al suo fianco, così vicina a lui tanto che le loro gambe si
sfioravano, con la
ciotola di riso gialla, sedeva lei, Akane.
Akane, forse perché aveva la mia età, forse
perché era stata lei a spedirmi la
lettera con la foto di famiglia, forse per un sacco di motivi, fu
quella che
sentii subito uno spirito affine. Non sapevo ancora niente di lei,
eppure
qualcosa mi diceva che era così simile a me....
Davanti alla più piccola delle Tendo, sull'altro lato della
tavola, seduta
diritta e composta, intenta a prelevare distrattamente il riso dalla
sua
ciotola verde scuro, c'era Nabiki che, con lo sguardo attento ma
ostentando una
finta indifferenza, guardava tutto e, lo sapevo, faceva caso ad ogni
minimo
dettaglio. Capii subito che era la ragazza più sveglia della
casa, acuta e
penetrante, scaltra e sofisticata. La guardavo mentre si passava le
bacchette
fra le dita con noncuranza, mentre mi studiava o osservava la sorella
seduta di
fronte a lei, oltre il vaso bianco che tratteneva a stento un lungo
ramo fiorito.
E poi c'ero io, a capotavola, che cercavo in ogni modo di non far
trasparire il
dolore che provavo a star seduta in quella scomoda posizione,
inginocchiata davanti
al tavolo basso, con le lunghe gambe rannicchiate su un bel cuscino e
le
caviglie sovrapposte che non trovavano pace.
Io, che prendevo un chicco di riso ogni mezz'ora, rendendomi conto che
che,
mangiare in una vera casa giapponese, con vere bacchette giapponesi,
non era
come andare a China Town e prendere il take-away da gustare sul divano
di casa
credendo di essere un'esperta di posate orientali.
Io, che cercavo di rendermi invisibile agli sguardi penetranti di
Nabiki, di
capire le battute di Genma, che sorridevo mestamente a Kasumi, che
guardavo
ammirata Soun, che cercavo di non diventare bordeaux ogni qual volta
incrociavo
gli occhi di Ranma e che muovevo la testa in segno di
“sì” o “no” alle
curiose
domande di Akane.
Finito di
mangiare quello che mi parve essere la versione giapponese del pranzo
del Ringraziamento,
Kasumi insistette moltissimo perché andassi a farmi un bagno
caldo e a
riposarmi. Non provai neanche a dire di no, visto l'intera famiglia,
più o meno
ad alta voce, le dava ragione su tutta la linea.
Fu Akane ad accompagnarmi a fare un tour della casa, prima di spedirmi
a letto.
Per prima cosa mi mostrò il giardino, enorme e ben curato,
con un piccolo
stagno di acqua limpida da cui rimbalzava una tipica carpa salterina e
tantissimi alberi di specie diverse che facevano ombra sulle pareti
bianche
dell'esterno. Il tutto protetto da quel muro di cinta che era stato il
mio
benvenuto. All'interno di quel rigoglioso giardino faceva capolino un
altro
edificio, che non era grande come la casa, ma esteriormente aveva la
stessa architettura.
<< Questo è il dojo di
famiglia, la nostra palestra! >> mi spiegò
Akane facendomi entrare in un enorme salone ricoperto interamente da
assi di
legno chiaro e dal profumo intenso.
Rimasi incantata a guardarmi intorno, riflettendo sull’enorme
fortuna che avevo
ad essere capitata in una famiglia che possedeva un dojo, simbolo delle
arti
marziali, simbolo di forza e di rispetto, di tradizioni e di onori.
<< Chi di voi pratica le arti marziali? >>
le chiesi con il tono di
voce ancora estasiato e sognante.
<< E lo chiedi? Io! Non si vede? >> la
voce, che non somigliava
affatto a quella cristallina e acuta di Akane, ma era più
bassa e profonda, era
quella di Ranma che stava appoggiato senza grazia sullo stipite della
porta a
due ante e mi faceva l'occhiolino gonfiando il bicipite destro per
farne bella
mostra.
Sorrisi timidamente ma non ebbi il coraggio di dire che sì,
si vedeva eccome!
Akane, dal canto, suo prese ad urlargli frasi in giapponese di cui io
capii
solo “baka” che interpretai come
“stupido” visti i gestacci, provocando
le accese risate del ragazzo, che si stava allontanando.
Non appena quella che pareva essere una presenza ingombrante, almeno
per lei,
tolse il disturbo, Akane riprese il suo naturale colore perlaceo e mi
spiegò
che anche lei era un'artista marziale, proprio come suo padre e il
padre di
Ranma. Poi mi mostrò il resto della casa, costruita secondo
la tradizione, con parquet
e muri di carta di riso. La cucina, regno della sorella maggiore che,
ormai
avevo capito, era anche la mamma di quella strana famiglia allargata;
la sua
stanza, ordinata, profumata e tutta gialla; quella di Nabiki, con i
muri
tappezzati di fotografie, quella di Kasumi, piena di pizzi, merletti e
libri;
quella matrimoniale di Soun; quella spartana e poco ammobiliata di
Ranma e
Genma; quella vuota di qualcuno che “non si sarebbe
fatto vedere per un po'”
ed infine la mia, dove trovai il mio trolley e un futon ad attendermi.
***
Dopo una lunga dormita, mi svegliai
al tramonto, in quello che mi pareva ancora un sogno.
Sciolsi i capelli ormai mossi e scesi le scale calde e scure che
portavano al
piano di sotto, scalza ed intorpidita mentre un aroma di tè
avvolgeva, come in
un abbraccio, tutta la casa. Arrivata sull'ultimo gradino, uno scorcio
di luce
aranciata, che proveniva dal mio primo tramonto giapponese, mi
illuminò il
viso.
E lì mi accorsi che era tutto reale.
Che ero a casa Tendo.
Quella che poi avrei finito per chiamare solo casa.
Che ci sarei rimasta per tre mesi della mia vita.
I tre mesi più belli della mia vita.
Mentre mi avvicinavo alla porta scorrevole che dava sul giardino e
vedevo il
sorriso di Akane accostarsi a me, mentre guardavamo insieme l'ultimo
sole della
giornata che scendeva lontano, mi resi finalmente conto che quello che
dicono
sui viaggi è vero: la persona che parte non
è mai la stessa che torna.
Ed in questo caso, nel mio caso, la ragazza che tornò in
America, di sicuro non
era la stessa che era partita.
Ma io allora non potevo saperlo.
Come anni prima di me un ragazzo, anche io quel giorno non sapevo
ancora che
casa Tendo non ti lascia mai il cuore.
E
così ebbe inizio la mia storia, quella che vorrei
raccontarvi in questo
diario, che più che la mia è la loro.
E
così ebbe inizio un'avventura, la loro, la mia, la nostra.
Ed ora che
sono qui, in una sera d'autunno, seduta su una delle anonime sedie
bianche dell'aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy e sulle
gambe ho
il mio fidato portatile “Apple”, perché
tutte noi bionde ed americane ci
sentiamo un po' Carrie Bradshaw, ve la racconterò.
Scusatemi fin
da ora se la mia narrazione vi risulterà noiosa, o piena di
dettagli inutili, o senza i particolari che voi desiderereste sapere
ma, ve
l'ho detto, sono
una viaggiatrice distratta.
***
(*)
La traduzione dovrebbe essere “Buongiorno, piacere di
conoscervi” mi scuso in
anticipo se c'è qualcuno che sa parlare bene il giapponese,
io conosco solo
pochissime frasi quindi ho usato il traduttore online, non vi offendete!
Eh così sono tornata! Mi dispiace per chi di voi sperava che
fossi sparita per
sempre ( lo so che eravate in molti, giù quelle mani).
Ebbene, una nuova avventura di cui, se siete arrivati fino qua, avete
appena
letto l'inizio.
L'idea sarebbe quella di farvi vedere la vita nella Nerima del nostro
tempo,
attraverso gli occhi castani di una ragazza qualunque, che potrebbe
essere me,
te, lei, l'altra, ognuna di noi.
(Mi pentirò di avervelo detto ma Judith ha dei tratti in
comune con me...) Non
c'è una vera e propria trama di fondo (tant'è
vero che volevo fare una raccolta
di one shot), sono solo attimi di vita, spezzoni, fotografie, giorni,
persone.
E poi vabbè, Ranma e Akane ed il loro amore, che non possono
mai mancare.
Bene,
passiamo alle note tecniche: lo so, il titolo è ripreso da
uno di quegli
orrendi film italiani con Scamarcio, ma (la frase, solo la frase) mi
piaceva
tanto, quindi...
Questa storia non è proprio un vero AU, anche se siamo in un
tempo completamente
diverso, per cui qualcosa potrebbe risultare un pelino OOC eheh.
Sappiate che, come sempre (chi mi legge lo sa) non ho linee guida e
scrivo
capitolo per capitolo, trasportata dall'ispirazione quando e se arriva
(a
proposito Vanni, ci sono anche con te, non mi sono dimenticata!) quindi
pazientate con me, ok?
Il
primo grazie alle mie stupende Faith84, Spirit99 e
VioletArmstrong2013 che sono
delle
fantastiche consigliere/ supportatrici/ rialzatrici di autostima :)
Il secondo grazie a chiunque leggerà e/o
recensirà, fa davvero sempre piacere.
Ho finito di scassarvi l'anima, al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 2 *** Just the beginning ***
La
mattina dopo il mio arrivo fu assai strana, sarebbe stata
la capostipite di altre mattine, tutte così uguali, tutte
così folli, tutte
così meravigliose. Ed è per questo che voglio
raccontarvela.
***
<< Judith... Judith... Svegliati cara... >>
Mi rigirai ancora una volta, l'ennesima a dire il vero, fra le lenzuola
sgualcite. Un profumo acre ma dolce aleggiava nella stanza illuminata
ed un
piacevole tepore, leggero come una carezza, mi scaldava il braccio
intorpidito
dal sonno.
Sopraffatta dal fuso orario avevo passato sveglia più di
metà della notte,
stesa nel futon, a stropicciare le lenzuola e a cambiare ogni
posizione, nel
vano e disperato tentativo di trovarne una che non mi spezzasse la
schiena.
Quando alla fine, stremata, avevo chiuso gli occhi, in un attimo si era
fatto
giorno e adesso una voce delicata cercava di scuotermi dal torpore in
cui
invece mi crogiolavo tanto bene.
Ci misi un po' a capire che non era mia madre che mi chiamava in una di
quelle
mattine autunnali, profumate al tacchino e salsa di mirtilli, che
passavo a
casa, o che non erano i miei coinquilini, che inneggiavano qualche
canzone dei
Queen sotto la doccia.
Sorrisi al pensiero di essere nella mia prima mattina giapponese e
Kasumi mi
lasciò ancora qualche minuto sola nella stanza, prima che,
con il viso ancora
assonnato ma ridente, mi decidessi ad alzarmi e a sorpassare la porta
scorrevole blu e bianca, alla volta del corridoio.
Ma proprio lì, con le gambe divaricate sul parquet chiaro e
le mani posate
impazientemente sui fianchi, c'era Akane: << Ranma!
Alzati!! >>
Un mugugno infastidito fu la risposta che arrivò dalla
stanza in penombra di
fronte alla mia.
<< Ranma alzati immediatamente o giuro che... Oh,
buongiorno Judith!
>>
Il tempo di sentire il mio “buongiorno” un po'
imbarazzato ma immensamente
divertito, che già aveva ripreso a gridare, ancora
più forte: << Ranma
dai! Si è alzata anche Judith! Le farai fare tardi al suo
primo giorno!
>>
La prova inconfutabile che le parole di Akane non avevano sortito
l'effetto
desiderato, fu che ad uscire dalla stanza non fu il ragazzo,
bensì Genma, con
lo sguardo gonfio e le gambe pesanti.
<< Buongiorno signorine >> ci disse con
tono funereo e scese al
piano di sotto, borbottando qualcosa sul pesce arrosto.
<< Ranma sto perdendo la pazienza! Conto fino a tre poi
sai cosa ti
aspetta! Uno...d- >>
<< Ok, ok, eccomi! Mi sono alzato! Mi vedi?
>>
Sulla soglia della sua stanza si stagliava la figura di Ranma in boxer
e
canottiera bianca, che, con le mani alzate in segno di resa, sorrideva
sghembo
e strafottente ad Akane.
<< 'Giorno! >> disse poi rivolto a me che
nel frattempo avevo
immediatamente distolto lo sguardo dalle sue gambe muscolose e
decisamente poco
coperte e dalla stoffa della canottiera che aveva preso la forma
scolpita degli
addominali, arrossendo violentemente.
<< E copriti, scemo! >> aggiunse Akane,
notando il rossore sulle
mie guance e i miei occhi, probabilmente sgranati.
<< E perché? >>
<< Ranma!! >>
<< Mh? >>
<< Smettila! E poi c'è anche Judith!
>>
<< Non mi dire che non hai mai visto un uomo in boxer, eh
Judith?
>> chiese lui voltandosi verso di me.
<< Io... beh... sì... a volte! >>
<< Visto? A lei non dà fastidio
>> la canzonò tirandole lievi colpi
gomito a gomito, e riservando a me il solito occhiolino.
<< Magari è solo troppo gentile per dirti che
sei un maniaco! >>
<< O magari è più riconoscente di
te! >> e, dirigendosi verso il
bagno con movenze goffamente sensuali, assunse via via posizioni che
gli
permettevano di sfoggiare i muscoli guizzanti delle spalle, dei glutei
e della
schiena, come nelle manifestazioni di Mister Olimpia alla TV,
continuando a
canticchiare: << Spettacolo gentilmente offerto dalla
scuola di arti
marziali indiscriminate Saotome!! >>
Nel frattempo io trattenevo a stento imbarazzo e risate con una mano
sulle
labbra, mentre Akane si avviava a fare colazione sbuffando un
“esibizionista” e
Nabiki, anche lei appena sveglia, mi si accostava sussurrando:
<<
Abituatici, è così tutte le mattine!
>>
Il
tavolo della colazione era magnificamente pronto,
profumato ed invitante. Certo, era estremamente diverso dai corn flakes
che
trovavo io in America la mattina appena sveglia, con accanto il cartone
del
latte semi distrutto dai miei coinquilini e, se ero fortunata, del
succo
d'arancia. Era anche diverso dai tipici brunch delle nostre domeniche
primaverili, quando noi newyorkesi griffate ci sediamo su piccole sedie
bianche
corredate a tavoli dalle grandi tovaglie d'avorio, sorseggiando un
mimosa e
addentando bacon e uova.
C'era qualcosa di esotico in quella mia prima colazione. Tanti
meravigliosi
piccoli vassoi bianchi e neri erano posizionati in una disposizione ben
ordinata sul tavolo di legno massiccio. L'odore acre dei sottaceti e
quello
dolce del tofu permeavano l'aria ancora fresca del mattino.
Mentre sorseggiavo qualche cucchiaio di zuppa di miso, guardavo
distrattamente
fuori, con la testa leggermente inclinata verso destra in direzione
dello
stagno e della carpa che saltava vispa. Evidentemente, almeno lei,
quella
mattina era piena di energia.
Continuai a guardare senza attenzione tutto ciò che mi
circondava, mentre
sceglievo mentalmente uno speciale fra i miei vestiti. In fondo quella
sarebbe
stata una giornata speciale, il mio primo giorno
all'università di Tokyo, e ci
tenevo a fare bella impressione almeno nell'aspetto, visto che la mia
proverbiale timidezza mi avrebbe imposto inchini per tutta la giornata,
pur di
non proferire parola.
<< Ragazzi è tardissimo! >> ad
interrompere i pensieri su quel
bell'abito blu notte che avevo deciso di portare all'ultimo minuto, fu
la voce
di Akane che annunciava a noi universitari che se non ci fossimo
sbrigati,
avremmo di sicuro perso la metropolitana.
E così, in men che non si dica, mentre Soun leggeva ancora
il secondo foglio di
notizie del giornale, noi eravamo già tutti spariti al piano
di sopra,
lasciandoci dietro solo una scia di vento.
<<
Ranma devi sbrigarti! In questa
casa c'è un solo bagno! >>
<< Akane che vuoi? Mi sto facendo la barba!
>>
<< Io devo lavarmi i denti! >>
<< E entra! >>
La scena che pochi secondi dopo si sarebbe presentata ad un incauto
quanto
ignoto spettatore, avrebbe strappato un sorriso al re del male in
persona.
Un anti-bagno piccolo e profumato di bucato, un lavandino, uno specchio
e tre
ragazzi incastrati gli uni negli altri, intenti in tre faccende tanto
delicate
quanto diverse fra loro.
La prima in ordine, la più vicina alla porta, era Akane, la
quale non aveva
bisogno di guardarsi allo specchio e si lavava i denti come una
forsennata,
cercando, con l'altra mano, di domare la frangia ribelle del caschetto
nero.
Di
fianco a lei, in una strana posizione
che aveva lo scopo di non farsi toccare dalla bella mora piena di
energia
accanto a lui, e di conseguenza farsi un rovinoso taglio sulla faccia,
c'era
Ranma, che si rasava le guance leggermente scurite dall'ombra di una
barbetta
nera, cresciuta durante la notte.
Dall'altra
parte, a condividere con lui
metà dello specchio, c'ero io, che, con la tipica posizione
della bocca semi
aperta, cercavo di mettermi il mascara senza sbagliare.
<< Che cos'è quello strumento di tortura?
>> domandò Ranma
bloccandosi di colpo.
<< Cosa, questo? >> chiesi indicando
“lo strumento” nella mia mano.
<< Sì... >>
<< È un piega ciglia Ranma! >>
intervenne prontamente Akane, fra lo
spazientito e il divertito.
<< Ma.... ma... non vi fa male? >>
<< No, affatto! >> risposi sorridendo
<< Serve per curvare le
ciglia prima di mettere il mascara! >>
<< Oh Kami, non avrai intenzione di
metterti quel coso negli
occhi, vero? >> chiese improvvisamente impaurito dallo
scovolino nero del
mio rimmel.
Sia Akane che io scoppiammo in una fragorosa risata che finì
con un Ranma
offeso che se ne andava spruzzandosi una quantità indecente
di dopo barba al
profumo di pino, e noi ragazze che finalmente potevamo avere tutto lo
specchio
per acconciarci i capelli e scambiarci i lucidalabbra alla frutta.
Mezz'ora
dopo un “E poi è colpa mia se facciamo tardi
eh?” ci
fece precipitare fuori di casa alla velocità della luce,
afferrando al volo
dalle mani gentili di Kasumi un bentō che conteneva
il nostro pranzo.
Quella fu la prima della lunga, lunghissima serie di corse che feci a
Nerima.
Io ed Akane correvamo fianco a fianco, visibilmente più
affannate e spettinate
di Ranma che, come se niente fosse, si limitava a camminare a passo
più svelto
del solito, in bilico sulla recinzione verde brillante che costeggiava
il
canale il quale, a sua volta, accompagnava la strada.
<< Perché te stai lì sopra?
>> mi ritrovai a chiedere senza nemmeno
rendermene conto, le labbra si erano mosse da sole.
<< Lo fa da sempre >> fece spallucce Akane.
<< Non... non è difficile? >>
domandai guardando dal basso la
figura di Ranma che si piegava per tendermi la mano sussurrando:
<< Vuoi
provare? >>
<< Eh? No, no, sei matto? Vuoi che mi rompa una gamba?
>>
Lui sorrise visibilmente divertito, sia per Akane che sbraitava che
“avremmo
sicuramente fatto tardi alla presentazione”, sia per quello
che avevo detto,
anche se in realtà era solo la pura verità.
<< Non ti rompi niente se ci sono io >>
disse Ranma con un sorriso
superbo e strafottente sul bel viso e una mano ancora tesa verso di me
che lo
guardavo con gli occhi spalancati << Persino quella goffa
di Akane ci
riuscirebbe! Avanti, coraggio, dammi la mano! >>
<< Ehi goffa a chi? >> si intromise la
diretta interessata con il sopracciglio
sinistro visibilmente alzato in segno di incredulità.
<< A te! >> rispose lui con una linguaccia.
<< Staremo a vedere >> e saltò
anche lei sulla recinzione, muovendo
velocemente a destra e a sinistra le braccia per tentare di mantenere
l'equilibrio.
<< Hai visto baka? >> esultò
Akane con l'aria di chi la sapeva
lunga.
Ma, proprio mentre si avvicinava trionfalmente, camminando spedita per
mostrare
che non era affatto goffa, inciampò nei suoi stessi passi e
per poco non cadde
all'indietro. Ranma però, con uno scatto, intervenne
prontamente, mettendole un
braccio dietro la schiena e avvicinandola a sé con un colpo
secco, impedendole
così di precipitare.
<< Dicevi, scusa? >> replicò il
ragazzo con un sorriso beffardo mentre
ancora la teneva saldamente.
D'un tratto le prese le mani e se le posò sulle spalle:
<< Tieniti se
vuoi camminare qua su, sei già stata fortunata una volta
>> disse
guardandola ironicamente con la coda dell'occhio.
Akane, seppur con una leggera smorfia di disappunto, rise divertita
della buffa
situazione e, con il volto rilassato e contento di chi è a
proprio agio, mi
guardò incitandomi: << Dai Judith, manchi solo
tu! >>
Una cosa che avevo immediatamente capito di lei, era che al suo sorriso
non
c'era scampo. Era bella anche con il broncio ma, quando sorrideva,
sapeva
trasmettere un calore e una gioia tali, che era impossibile resisterle.
L'avevo
notato quella stessa mattina (e avrei avuto occasione di farlo tante
altre
volte), quando con un solo sorriso si era fatta perdonare da Genma, per
averlo
svegliato in maniera brusca, oppure quando le bastava sorridere in
direzione di
Ranma, affinché lui ammorbidisse immediatamente i lineamenti
del volto.
Così, alla vista di tutta quell'allegria, afferrai la mano
che Ranma mi aveva
gentilmente teso di nuovo e, sotto la sua spinta, salii anche io su
quella che
-fino a quel momento non avevo notato- era un'altissima recinzione.
Presi a camminare concentrata, un piede davanti all'altro, senza mai
spostare
lo sguardo da quella sottilissima striscia di metallo verde un po'
arrugginita,
mentre Ranma, le mani introno alla mia vita, mi teneva in una morsa di
ferro.
Era davvero impossibile cadere.
Come era veramente impossibile non ridere mentre percorrevamo la
ringhiera in
fila indiana, appoggiati gli uni agli altri, come tre bravi piccoli
pulcini,
mentre il sole delle otto del mattino si affacciava sui nostri visi
allegri e
rilassati.
Quando
arrivammo alla stazione
della metropolitana, il treno era già partito da un pezzo,
così ci toccò salire
su quello dopo che, proprio in quel momento, si stava riempiendo di
persone.
Ogni tipo di persone: madri premurose che accompagnavano i figli nelle
divise
color pastello all'asilo; impiegati per bene, muniti di occhiali da
vista, che
sfilavano ordinatamente per strada con la loro ventiquattrore in mano e
giornale nell'altra; e vecchiette, sveglie da ore, che uscivano per
fare la
spesa.
Sedute l'una davanti all'altra sulle spaziose poltrone blu e viola
mentre
Ranma, in piedi di fronte a noi, ci faceva scudo, io ed Akane parlavamo
tranquillamente
dei vestiti scelti quella mattina.
Lei indossava un paio di leggins neri aderenti, che le fasciavano fino
al
ginocchio le belle gambe magre e muscolose, e sopra un carinissimo mini
vestito
a righe rosse e bianche, in pendant con il cerchietto cremisi che aveva
deciso
di mettere per tenere a bada i capelli lucidi e ribelli.
Io invece avevo scelto il mio vestito blu, con una piccola cinta beige
intrecciata in vita, che riprendeva le scarpe dello stesso colore.
<< Stai benissimo con il blu Judith, dico davvero. E tu,
Ranma, potevi
metterti qualcosa di più elegante, no? >>
<< Che vuoi? Sono elegantissimo io! >>
Io li guardavo sorridendo mentre Akane, bagnata dalla luce che entrava
dal
finestrino, cercava di sistemare alla meglio la camicia azzurra chiara
che
Ranma indossava.
Erano una strana accoppiata quei due, non riuscivo a definirli.
Sarebbero tranquillamente potuti essere fratelli, tanto era evidente
l'affetto nei
gesti che compivano l'uno per l'altra, oppure amici, carissimi amici.
Si capiva
che ad unirli era un legame profondo, qualcosa che si era creato nel
tempo, con
il condividere la vita di tutti i giorni e, chissà, magari
qualche avventura.
Ma c'era qualcosa, un luccichio nei loro occhi ogni volta che si
guardavano,
una leggera malizia nei loro movimenti quando si sfioravano, che
lasciava
intendere che il loro sentimento fosse molto più profondo di
quanto entrambi
tenessero a mostrare.
Troppo presa nel cercare di decifrare i miei nuovi e affascinanti
amici, non mi
accorsi che eravamo arrivati alla nostra fermata, fino a che, un
brulicare di
gente si alzò meccanicamente dirigendosi, come uno sciame
d'api, verso l'uscita
e scontrandosi con un altro gruppo che invece voleva salire.
Akane mi prese la mano e con l'altra si attaccò alla casacca
di Ranma che, con
fare abitudinario, si faceva spazio fra le persone scortandoci fuori
dal treno.
Usciti dalla linea “E” della metropolitana, quella
color porpora che collegava
il quartiere di Nerima con il resto della capitale, ci vollero non
più di dieci
minuti prima che il mio sguardo venisse rapito da ciò che
avevo davanti.
L'Università Imperiale di Tokyo era una delle strutture
più belle ed imponenti
che avessi mai visto, poteva benissimo reggere il confronto con
l'Empire State
Building.
Per entrare bisognava sorpassare un enorme cancello rosso: l'Akamon,
che
con il suo colore acceso e il tetto dalla forma tipica, dava il
benvenuto in
una struttura che lasciava senza fiato.
Il mio sguardo si perse fra i dettagli del giardino curato, con le
bandierine
bianche e azzurre a delimitare le strade, e fra gli alberi che
disegnavano
ombre danzanti sugli edifici dei cinque campus.
Edifici i cui muri erano stati costruiti con un sapiente gioco di vetri
e
mattoni, il grigio lucido e il color terra rossa che si fondevano e si
abbracciavano come in una danza, tutto dava vita allo spettacolo
più insolito e
allo stesso tempo tipico che si potesse vedere a Tokyo: l'incontro fra
tradizione e modernità.
Ogni
dettaglio, anche all'interno
dell'università, raccontava le antiche tradizioni e, d'altra
parte, tendeva la
mano al progresso e al mondo moderno, sempre più freddo e
veloce.
Continuai a tenere il naso all'insù per tutto il tempo
mentre seguivo Akane e
Ranma nei corridoi che ci avrebbero portati nell'aula magna. Cercavo di
non
farmi sfuggire nessun particolare e, di tanto in tanto, quando i miei
due amici
si fermavano per salutare qualche loro conoscente, tiravo fuori dalla
borsa di
cuoio la macchinetta fotografica e scattavo qualche istantanea.
Arrivati
all'ingresso della magnifica aula magna, così grande
e sfarzosa che mi ricordò qualche antico palazzo reale, ebbi
giusto il tempo di
guardare spaurita Akane che mi salutava con la mano mentre un distinto
signore
stempiato e con un'orribile cravatta arancione mi trascinava sul palco,
assieme
ad altri ragazzi.
Cominciai a sistemarmi nervosamente i lunghi capelli mentre mi rendevo
conto
che tutti quegli studenti mi fissavano con sguardo interrogativo.
Una giovane donna con i capelli rossi si avvicinò e
puntò sul lato destro del
mio petto un cartellino: “Judith Montgomery, U.S.A,
ospite famiglia Tendo”.
Questo piccolo pezzo di carta plastificata lo porto ancora con me e,
anche ora
che sono tornata in America, è gelosamente custodito in un
piccolo
scompartimento del mio portafoglio.
Mentre cercavo con lo sguardo Ranma ed Akane, seduti uno dietro l'altra
rispettivamente
in prima e seconda fila, sulle sedie amaranto al di sotto del palco,
l'uomo che
mi aveva accompagnata lì sopra cominciò a parlare
in un inglese a dir poco
perfetto.
Quel giorno mi resi conto che in Giappone come in nessun altro posto
era
davvero raro incontrare qualcuno che non parlasse o comprendesse bene
l'inglese.
L'uomo, che era uno dei professori più illustri
dell'università, cominciò ad
elencare i nomi degli altri ragazzi stranieri che, come me, erano in
Giappone
per uno scambio culturale.
All'inizio del palco, proprio di fianco alle scale di legno chiare,
c'era
Amina, che aveva la pelle scurissima, i capelli lunghi, lisci e neri
come la
notte, folte ciglia che nascondevano occhi color pece, un paio di
vistosi
orecchini dorati che le pendevano dai lobi e veniva dall'India. Di
fianco a
lei, con la pelle bianchissima, i capelli corti tanto biondi da
sembrare
bianchi e lo sguardo di ghiaccio c'era Masha, dalla Russia. Alla sua
destra
Cristoph dalla Germania, Kate dall'Inghilterra e Laura dall'Australia.
Ancora
più a destra, basso, con un buffo papillon quadrettato e
degli spessissimi
occhiali da vista, Ju dalla Corea del Sud, seguito da Emelie dalla
Svezia e
Carlos dall'Argentina. Accanto a lui, altissimo e muscoloso, con una
camicia di
lino bianca, i capelli neri spettinati e gli occhi color nocciola,
Alexander,
anche lui dagli Stati Uniti, e poi c'ero io, che sfoderai uno dei miei
migliori
sorrisi a sentir pronunciare il mio nome, mi inchinai e pregai di non
inciampare nei miei stessi passi mentre sfilavo sul bordo del palco e
scendevo
le scale alla fine della cerimonia di presentazione.
Una
cosa che bisogna assolutamente
sapere sulla vita a Nerima è che, proprio quando si crede
che il peggio sia
passato, qualcos'altro o qualcun altro verrà di sicuro a
sconvolgervi la
giornata.
E fu proprio quello che successe a me quella mattina.
Mentre cercavo la strada per raggiungere Akane e credevo che il momento
dell'imbarazzo fosse finito, andai a sbattere contro qualcosa
più simile ad un
armadio che ad un ragazzo.
<< Oh mi scus... >> ma non feci in tempo
nemmeno a finire la frase
che l'energumeno in questione mi prese le mani e cominciò a
decantare una
sfilza di frasi sdolcinate e in rima che avrebbero fatto accapponare la
pelle a
Shakespeare in persona.
Altissimo, tanto che a stento gli arrivavo al petto, le spalle talmente
grandi
e larghe che ci si sarebbe potuto pranzare sopra, i capelli color
cioccolato,
la mascella pronunciata ed un fortissimo profumo al muschio bianco. Io
lo
fissavo incredula, cercando di trattenere le risate mentre lui, fra un
“sole-cuore-amore” e l'altro, mi lanciava sorrisi
studiati con la dentatura
perfettamente diritta e tanto bianca da sembrare quella di un attore
hollywoodiano.
Improvvisamente, un colpo sulla nuca veloce ma forte, fece cessare lo
sproloquio al miele del mio interlocutore:
<< Judith vedo che hai conosciuto Kuno... ti ha
già chiesto di sposarlo?
>>
<< Eh? >>
<< Saotome maledetto, ti sembra questo il modo di parlare
di me a questa
dolce sconosciuta? >>
<< Ma veramente io non sono una sconosciuta, il mio nome
è... >>
<< Judith Montgomery, lo so, o mia divina creatura! Il
tuo nome è
stampato a lettere infuocate nel mio cuore traboccante di passione per
te ed
io...>>
Mentre quello che a quanto pare si chiamava Kuno continuava a parlare a
raffica, io mi avvicinai lentamente a Ranma bisbigliandogli:
<< Ma che
vuole? >>
<< Non preoccuparti Jude, Kuno è un po'
suonato >>
<< Come mi hai chiamata? >>
<< Jude... non ti piace? >>
<< Hey Jude! >>
<< Eh? >>
<< “Hey Jude" è una canzone...
>>
<< …dei Beatles, lo so, per chi mi hai preso?
>> Ranma rise
divertito prima che la nostra attenzione venisse di nuovo catturata da
Kuno: <
Suonato a chi? O dolce Judith Montgomery ti prego di non dar retta alle
sciocchezze che escono dalla bocca di questo bruto. Il mio nome
è Tatewaki
Aristocrat Kuno, detto il tuono blu del liceo Furinkan e adesso
chiamato il
tuono blu della Tōdai! Io, umile servitore, sono a tua completa
disposizione
per scortarti in questo lungo percorso nel nostro Paese...
>> e prese una
delle mie mani, ancora strette fra le sue, e ne baciò il
dorso.
<< Kuno lascia in pace la mia amica! >>
<< Oh dolce Akane Tendo, che disgrazia che tu mi abbia
visto! Non era
niente, solo un gesto di pura cortesia verso questa innocente
fanciulla, tu sai
che il mio cuore ama solo te e perciò non devi preoccuparti
o essere gelosa! O mio
bocciolo di rosa che fiorisce a maggio con la rugiada del mattino...
>>
Continuando
a decantare improbabili versi
d'amore, Kuno provava ad abbracciare Akane, che lo guardava con sguardo
truce,
mentre Ranma gli impediva di avvicinarsi tenendolo con un dito da un
passante
dei pantaloni beige.
<< Ma fa sempre così? >> chiesi
di nuovo bisbigliando a Ranma a
metà fra il preoccupato e il divertito.
<< Ogni-santo-giorno >> mi rispose
scandendo ritmicamente le
parole. Ma, mentre io ormai non riuscivo più a non ridere,
passò di fronte a
noi Amina e, per fortuna, Kuno lasciò immediatamente Akane,
seguendo la
straniera e proclamando il suo nuovo amore per “questo
straordinario fiore del
deserto”.
<< Judith mi dispiace, non farci caso >> mi
disse Akane ridendo
mentre si aggiustava le pieghe del vestito.
<< Oh sì, qui non ce n'è uno
normale, vedrai! >> si unì Ranma
sorridendo di rimando.
<< Ragazzi venite a pranzo con noi? >>
Mentre Kuno scodinzolava ancora dietro a quella o a questa ragazza,
straniera o
no, due ragazzi si avvicinarono a noi. Uno aveva i capelli ricci e
chiari,
quasi rossicci, gli occhi marroni ridenti e il sorriso simpatico,
mentre
l'altro, di poco più alto, aveva il viso dai lineamenti
più seri, come i
capelli scuri dal taglio classico.
<< Loro sono Hiroshi e Daisuke, siamo amici fin dai tempi
del liceo
>> mi spiegò Ranma mentre i due ragazzi si
inchinavano << E lei è
Judith >> aggiunse poi, quando ad inchinarmi fui io.
<< Molto piacere Judith, io sono Hiroshi, anche io ospito
un ragazzo
straniero! >>
<< Il piacere è mio! Oh davvero? E chi?
>>
<< Alexander, anche lui viene dall'America, lo conosci?
>>
<< Hiroshi tu ospiti quel fusto? >> si
intromise una ragazza dalla
voce squillante e i lunghi capelli castani chiari.
<< Wow, presentacelo! Akane tu l'hai visto?
>> domandò un’altra
ragazza, anche lei appena arrivata, con i capelli mogano raccolti in
una coda
da un bel fiocco rosso acceso.
<< Be’ sì, prima era sul palco di
fianco a Judith... >>
<< E non trovi che sia mozzafiato? >>
esclamarono le due ragazze in
coro.
<< Io veramente... sì... è
carino... >>
<< Ma che carino e carino? Dove lo vedete carino? Tutti
quei muscoli
saranno frutto degli steroidi o di qualche altra porcheria occidentale!
>>
<< Ranma, ma se sembra una statua! >> lo
stuzzicò una delle due
amiche.
<< Tsk! Per favore! Scommettiamo che lo batto con le mani
legate?
>>
<< Ranma, guarda che per essere belli e in forma non si
devono per forza
praticare le arti marziali eh!! >>
<< Ti ci metti anche tu adesso, Akane? Se ti piace tanto
vai da lui no?
>>
<< Uuuuu gelosone!! >> fecero coro Hiroshi
e Daisuke.
<< E smettetela voi! Non dovevamo andare a pranzo?
>>
E il mio buffo primo
giorno di università
si concluse così, con nove ragazzi a pranzo sull'erba.
Con Kuno, che
si spostava di albero in albero, tentando di comporre una canzone
d'amore per me e per la “dolce Akane Tendo”.
Con Ranma, che
guardava di sbieco Alexander, il quale sorrideva cordiale alle
attenzioni di Yuka e Sayuri sedute attorno a lui.
Con Akane, che
rimproverava bonariamente il comportamento civettuolo delle sue
due amiche e nel frattempo intimava a Ranma di essere
“più gentile” con il
ragazzo straniero.
Con Hiroshi e
Daisuke, che lo prendevano in giro con frasi tipo “Finalmente
è
arrivato qualcuno a tenergli testa!” oppure “Ranma
è geloso perché per una
volta tutte le ragazze non stanno corteggiando lui!” e poi
scappavano per tutto
il prato, rincorsi dal ragazzo che “se li prendeva, gliela
faceva vedere lui!”.
E con me, che
in un giorno solo avevo ricevuto un nuovo soprannome e mi ero
fatta altri nuovi amici, tutti simpatici, tutti carini, un po' matti
forse (uno
di sicuro) ma... era solo l'inizio!
***
Sorpresa!!!
Chiedo perdono a tutte, non vi avevo detto niente lo so, ma volevo
farvi una
sorpresa... ci sono riuscita? :)
Bene allora, devo scusarmi davvero con tutte le persone che hanno letto
il
primo capitolo di questa storia, nell'ultimo mese sono stata impegnata
con una
cosuccia chiamata “tesi” ma oggi l'ho consegnata
per cui... eccomi di nuovo a
voi!
Spero tanto che questo capitolo vi piaccia, sto cercando far
ripercorrere a
Judith (o Jude come vi piace di più) il percorso di Ranma
nel manga,
quindi...avete capito chi sarà il prossimo?
Come sempre grazie infinite a chi leggerà e soprattutto a
chi troverà tempo per
lasciarmi scritti i suoi pensieri, fanno sempre immensamente piacere
(soprattutto su questa storia che sta venendo fuori in un modo assai
bizzarro,
quindi sono non poco dubbiosa!)
A presto (si spera!),
vostra Aronoele (:
Ps:
ci tenevo a farvi sapere che per i ragazzi stranieri che sono sul palco
con
Judith durante la cerimonia di presentazione, mi sono ispirata a
ragazzi/e che
conosco davvero... (sì Pia, anche Alexander! XD)
|
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Capitolo 3 *** Tofu per cena ***
Un
mercoledì normale
avrei
detto, di quelli che ne vivi
mille, che sembrano tutti uguali, in cui il cielo è un po'
grigio e non hai
lezione all'università. Di quelli che, insomma, non ti
accorgi che passano.
Già, avrei detto... prima di sapere che a Nerima la parola
normale praticamente non esiste.
***
Come
dicevo, era un tranquillo
mercoledì pomeriggio,
all'apparenza del tutto normale. Il cielo era grigio perla, come una
grossa e
paffuta nuvola di fumo. Mi ero svegliata alle nove, giusto in tempo per
vedere
la prima fitta pioggiarellina della giornata ed ero rimasta ad oziare
in giro
per casa, osservando di ora in ora gli allievi che entravano ed
uscivano dal
dojo.
Ranma era uscito di casa alle sei, incurante del mal tempo,
con indosso una tenuta da corsa, ed era tornato due ore dopo
così stanco che,
senza nemmeno farsi la doccia, si era addormentato e svegliato solo
all'ora di
pranzo.
Akane aveva passato tutta la mattina a casa, aprendo e
chiudendo uno dei miei romanzi inglesi circa tre mila volte e
continuando a
guardare il display del suo telefonino bianco, come in attesa di
qualcosa che
non accennava affatto ad arrivare.
Nabiki era sparita per l'intera mattinata e fu proprio il suo
arrivo a sancire la fine di quella che io definivo
“tranquillità”.
Fino a quel momento i normali rumori che affollavano sempre
la casa avevano continuato a riempirmi le orecchie: Kasumi che
canticchiava
quella che aveva tutta l'aria di essere una vecchia canzone giapponese,
Soun
che sbraitava davanti a qualche allievo e Genma che rideva
sguaiatamente, i
tonfi dei ragazzi che cadevano, il rumore dei pugni, l'acqua dello
stagno, la
radio accesa, lo sfruscio delle pagine di una rivista.
Era arrivato il pranzo, con Ranma ancora assonnato e Akane
che tamburellava continuamente le dita sul grosso tavolo di noce.
Poi il campanello aveva squillato e in men che non si dica la
casa era piombata nel silenzio. Il solo rumore era il picchiettare
delle pedine
della dama spostate dai due adulti della casa, che giocavano la loro
consueta
partita fra uno sbadiglio e un po' di liquore.
Dove erano finiti tutti?
Perché non si sentiva nulla?
E proprio in quel momento, mentre percorrevo lo strettissimo
corridoio del secondo piano intenta a capire perché quel
silenzio mi sembrasse
tanto sospetto, mi sentii afferrare un braccio e venni trascinata con
poca
grazia in una delle stanze.
<< Parleremo in inglese, così anche Judith
capirà...
Puoi sederti lì >>
Così dicendo, una Nabiki in impermeabile beige e grandi
occhiali da sole sugli occhi, mi diede il benvenuto nella sua stanza
dove era
in corso quella che sembrava una riunione top secret.
Sulla bella coperta viola erano seduti sia Ranma che Akane,
lei in evidente stato di agitazione e lui semi sdraiato, poggiato
sull'avambraccio e la mano chiusa a pugno per tenere su la testa,
con lo
sguardo lascivo ma attento.
<< Ranma falle spazio, viene Jude siediti qui!
>>
Akane diede una leggera spinta al ragazzo vicino a lei,
quanto bastò per farlo alzare e spingerlo quasi
all'estremità del letto
lasciandone un bel po' per me.
<< Sempre carina tu eh... >>
<< Zitto baka! >>
<< Sì, sì baka, maschiaccio, quello
che volete, non
abbiamo molto tempo! >> li interruppe Nabiki alzando
leggermente la voce.
Io passavo continuamente con lo sguardo dalla ragazza in
piedi di fronte a me ai due alla mia sinistra, con le sopracciglia
corrucciate e l'espressione di chi non ci stava capendo niente.
<< L'ho preso >> esclamò Nabiki
interrompendo i
miei pensieri.
<< E com'è? >>
<< Sorellina non posso correre il rischio... questa
casa ha troppi occhi e orecchie, lo sai bene anche tu...
>>
<< In effetti... >> aggiunse Ranma
beccandosi
un'occhiataccia da parte della bella mora.
<< In ogni caso lo vedrai dopo! Ve lo ricordate il
piano? >>
<< Certo! >> rispose pronta Akane.
<< Una ripassatina magari... >> fu invece
la
risposta di Ranma che si beccò l'ennesimo sguardo truce
dalla ragazza di fianco
a lui.
<< Ranma sei fortunato sta volta, l'avrei ripetuto lo
stesso per Judith... >>
<< Grazie >> dissi io a mezza voce.
<< Oh, figurati cara. Allora: ore 3 del pomeriggio, Akane
comincia
a strillare, gettandosi per terra disperata in preda a violentissime
crisi di
mal di pancia... >>
<< Ma non sarà un po' troppo melodrammatico?
>>
<< Taci tu, che ne sai di teatro. Comunque, a quel
punto tutta la casa accorrerà in camera sua e nostro padre
comincerà a piangere
come una fontana pregandoti in tutte le lingue di salvarla...
>>
Tutti e tre i ragazzi annuirono come se fosse una scena già
vista e rivista mille volte.
<< A quel punto tu Ranma correrai da “voi
sapete chi”
mentre noi rimarremo tutti qui con la ragazza morente...
>>
<< Morente? Per un mal di pancia? >>
<< Parafrasa Ranma! Andiamo avanti e smettila di
interrompermi! Se darai il tuo massimo alle 3 e 10 circa sarai da
lui...
>>
<< Tsk! Sarò lì alle 3 e 5, e senza
nemmeno sforzarmi
>> disse pavoneggiandosi.
<< Sempre il solito modesto eh? >> lo
rimproverò
Akane mentre lui, come risposta, le faceva le boccacce.
<<... DICEVO! Non appena arriverai dovrai cercare di
essere più disperato possibile in modo che lui corra qui
senza badare ad altro.
A quel punto tu dirai...>>
<< “Preparo io la borsa, lei vada! La
raggiungerò in un
attimo!” >>
<< Bravo cagnolino! >> Squittì
Nabiki contenta,
gettando verso il ragazzo un biscottino che lui afferrò al
volo con la bocca.
<< Preparando la borsa metterai dentro ciò che
ti darò
io... >>
<< E se correndo lo perdesse? >> chiese
Akane a
metà fra il serio ed il faceto.
<< Mi fai così cretino? >>
rispose lui in un
grugno.
<< È un'eventualità alla quale
avevo pensato anche io,
ma non avevo la soluzione. Akane ovviamente no, perché deve
recitare il ruolo
di malata, io neppure, perché devo tenere papà
fuori dai piedi, Kasumi ci serve
qui... finché il destino non ci è venuto
incontro... Judith! >> disse
la mezzana Tendo puntando il dito indice contro di me.
<< Eh? Io? Che? >>
<< Tu andrai con Ranma e terrai il preziosissimo oggetto
che ho io in tasca... >> disse picchiettandosi la parte
sinistra
dell'impermeabile che, facendoci caso, somigliava sempre di
più a quello
dell'ispettore Gadget.
<< Hey! Guardate che non sono così stupido!
Non la
perderò! >>
<< Sempre meglio non rischiare Ranma... E poi a Judith
fa piacere no? >>
<< Io ma.... >>
<< Allora è deciso! Mi raccomando Judith, devi
tenerci
più che alla tua stessa vita! >>
E, così dicendo, mi passò con aria solenne una
piccola scatola
di cartone.
<< Passiamo oltre... Una volta qui Akane tu dovrai
tenere “voi sapete chi” il più vicino
possibile al letto, senza mai farlo
allontanare, intesi? Piangi, strilla, afferragli la maglietta,
qualunque cosa
purché lui resti di fianco a te >>
<< Sì signor capitano! >>
scherzò Akane ridendo.
<< A quel punto “voi sapete chi”
avrà di certo bisogno
di prendere qualcosa nella sua borsa e sarà quello il
momento X! Secondo i miei
calcoli dovrebbe scattare intorno alle 4 circa >>
Tutti annuimmo concentrati, continuando a seguire la figura
longilinea della ragazza castana che si muoveva avanti e indietro per
la
stanza.
<< Ranma, tu porterai tuo padre via con una scusa...
>>
<< Un pugno non andrebbe bene lo stesso? >>
<< Fa' come ti pare! Judith tu riceverai una telefonata
dall'America >>
Risposi con un sorriso.
Non sapevo cosa stessimo facendo ma l'idea di essere
coinvolta nel loro piano mi faceva sentire parte del gruppo, per cui
integrata e
felice, e poi sembrava divertente.
<< Io penserò a portare via papà...
così... >>
<< Rimarrà solo lei >>
finì Akane.
<< Esattamente, e per forza di cose lui le
chiederà
qualcosa dentro la borsa ma.... >>
<< Lei troverà la scatola! Solo la scatola!
>>
questa volta fu Ranma a completare la frase.
<< Et voilà! Il gioco è fatto!
>>
<< Speriamo che funzioni! >>
<< Sorellina certo che funzionerà,
è un mio piano!
>>
Tutti risero sotto lo sguardo sarcastico della mezzana.
<< Perfetto allora sincronizziamo gli orologi...
>>
Ma nessuno si mosse.
Ranma si grattava la testa con un dito mentre Akane
improvvisamente trovò interessante un albero fuori dalla
finestra.
<< Ma dai? Non avete un orologio? Che razza di
giapponesi siete? Judith tu? >>
<< Ehm... sono scomodi! >>
<< Oh santi Kami ma tu guarda con chi devo avere a che
fare io! D'accordo tirate fuori i cellulari allora, quelli li avete?
>>
<< Spiritosa >>
<< Ah ah ah Ranma, pensa a fare il tuo dovere. Bene
ragazzi 3... 2... 1... che l'operazione “Tofu per cena”
abbia inizio!! >>
***
Ero
tornata nella mia stanza da
quasi
un'ora, stringendo
nelle mani la scatoletta di cartone che mi aveva affidato Nabiki,
quando il
display del mio iPhone si illuminò e comparve la scritta
“Via”.
In quel preciso istante un urlo squarciò l'aria.
Contai mentalmente fino a dieci ed uscii dalla stanza, un
secondo dopo Ranma e cinque dopo Nabiki.
Come previsto, tutti erano già nella stanza di Akane che nel
frattempo, stesa sul letto, recitava benissimo la sua parte girandosi e
lamentandosi con il viso sudato e una mano sulla pancia.
Kasumi, seduta accanto a lei, cercava di calmarla mentre Soun,
più pallido di un fantasma, era in ginocchio al centro della
stanza, piangendo
a dirotto e urlando frasi sconnesse in giapponese.
<< La mia bambinaaaa! Che cos'ha la mia bambinaaaa?!
>> mi tradusse Ranma all'orecchio sogghignando prima di
entrare nella
stanza.
Il tempo di un paio di frasi dette dal ragazzo, che io
ovviamente non capii, che già Soun si era spostato davanti a
lui, pregandolo,
come previsto, di salvare la sua bambina e Genma invece, con l'aria di
chi sta
per mettersi a scalare l'Everest, spronava suo figlio tenendolo per la
maglietta.
Dopo poco Ranma uscì di corsa facendomi l'occhiolino, segno
che tutto era andato secondo i piani ed io, dopo aver aspettato il
cenno di
assenso di Nabiki, sgusciai via dal mio angolino seguendolo.
Uscimmo
dal
cancello di casa Tendo insieme, senza proferire
parola e lì capii che non ero la sola ad essere
maledettamente timida in quella
casa.
<< Ehm... allora... >>
<< Sì... dimmi >>
<< Dobbiamo andare a destra >>
Feci segno che andava bene e lo seguii mentre cominciava a
correre.
In meno di dieci minuti (e ci eravamo dovuti fermare per
evitare che un'anziana signora ci inzuppasse mentre dava l'acqua ai
suoi fiori)
arrivammo a destinazione: una piccola casetta bianca a due piani.
<< Ecco, ci siamo. Nasconditi dietro a quel cespuglio,
quando sentirai il segnale... >>
<< Conterò fino a venti e poi verrò
>>
Ranma alzò il pollice in segno di approvazione e
suonò il
campanello.
Rimasi circa cinque minuti in quella posizione scomoda,
accucciata dietro ad un cespuglio mentre
i
piccoli rametti in basso mi graffiavano le gambe, prima di sentire
Ranma fare
un colpo di tosse e cominciare a contare mentalmente fino a venti.
Mentre passavo dal numero 14 al 15 vidi una figura vestita di
bianco allontanarsi alla svelta, correndo a più non posso
verso la casa dei
Tendo. Doveva essere lui, doveva essere “tu sai
chi”.
Raggiunsi Ranma nel giardino dell'abitazione e misi dentro la
borsa marrone scuro che aveva in mano la scatolina.
<< Ben fatto! >> disse lui battendomi il
cinque e
insieme ci riavviammo verso casa.
Alle
3 e 25
precise arrivammo davanti all'ingresso di casa.
<< Tiè Nabiki! Siamo in anticipo!!
>> disse Ranma con una linguaccia
rivolto ad una finestra.
Entrammo senza fare rumore e, dal vociare che proveniva di
sopra, capimmo che “lui” era arrivato.
Salimmo le scale in fretta, Ranma entrò nella stanza e, come
da manuale, posò la borsa sul comò vicino la
porta, abbastanza lontano dal
letto in cui Akane, recitando in maniera molto credibile, teneva per
mano la
sorella e l'uomo, probabilmente pregandoli entrambi di rimanere con lei.
A quel punto, spostandomi leggermente, finalmente vidi chi
era l'uomo tanto atteso.
Era alto, con un bel fisico, tanto allenato che immaginai che
anche lui praticasse le arti marziali. Aveva i capelli lunghi e castani
raccolti in una coda, dei carinissimi occhiali tondi davanti agli occhi
gentili, l'aria simpatica e un camice bianco. Era un dottore. Era IL
dottore.
Un colpo di tosse mi ridestò dai miei pensieri: era Nabiki
che dava il via alle danze.
L'ora X era scattata.
<< Che cos'è quest'odore? Biscotti?
>> disse
Ranma quasi sussurrando vicino all'orecchio di Genma che,
improvvisamente
sorridente, si precipitò al piano di sotto seguito a ruota
dal figlio.
Pochi minuti dopo il mio cellulare squillò e io mi
allontanai
con un inchino.
Altri due minuti e anche Nabiki aveva portato fuori dalla
stanza Soun che si stava trascinando in cucina per “fare un
tè alla sua
bambina”.
<< Bene, tutto procede secondo i piani...
Ranma?
>>
<< Eccomi >> rispose lui sbucando da
chissà dove.
<< Pronti? >> chiese Nabiki accucciandosi
vicino
allo stipite della porta, in modo da poter avere una bella visuale
sulla
stanza.
<< Per cosa esattamente? >>
<< Ah già, forse è ora di
spiegartelo! Vedi, quello è
il dottor Tofu, il dottore di famiglia, si prende cura di noi,
specialmente di
Akane, da un sacco di anni >> cominciò Ranma,
accovacciato all'angolo
opposto.
<< E da un sacco d'anni è innamorato di Kasumi >>
continuò Nabiki << Ma è
molto timido e non ha mai trovato il coraggio di dichiararsi. Circa un mese fa nostra sorella
ha detto che per
lei era quasi ora di sposarsi ma che nessuno glielo avrebbe mai
chiesto...
Così abbiamo deciso di facilitare un po' le cose...
>>
<< Sta' a vedere! >> disse Ranma e a quel
punto,
curiosissima, mi avvicinai a Nabiki trattenendo il respiro.
All'interno
della stanza Akane, sdraiata sul letto, aveva
lasciato la mano della sorella ma teneva ancora stretta quella del
dottore
mentre lui, con l'altra, le tastava l'addome.
<< Recita benissimo... >> furono le prime
parole
che mi vennero in mente, del tutto spontanee vedendo la credibilissima
performance di Akane.
<< Eh? >>
<< Akane, recita benissimo! >>
<< Uhm... sì... >>
<< Ranma che fai lo gnorri? Sai Judith una volta hanno
anche recitato insieme, "Romeo e Giulietta" per la precisione!
>>
A quelle parole vidi Ranma che per poco non si strozzava, con
il viso che era passato in un secondo da normale a bordeaux acceso.
<< Davvero? Wow!! Deve essere stato molto romantico
>>
<< È stato molto romantico Ranma?
>> lo canzonò Nabiki.
<< Rom-roman-... cosa? Smettetela voi due!
Concentratevi piuttosto... Il dottor Tofu non ha ancora chiesto niente
dalla
borsa! >>
<< Sta a vedere che fa tutto con le mani... Coraggio
sorellina! >>
Come se avesse potuto captare il suggerimento di Nabiki, da
dentro la stanza sentii arrivare il suono della voce di Akane,
fintamente
debole ma con una nota di speranza.
<< Cosa ha chiesto? >>
<< Se il dottore può darle un antidolorifico
>>
<< Iieeeeeee!!!*
>> gridò la ragazza mora quasi
alzandosi dal letto e di rimando anche il dottore disse qualcosa.
<< Cosa sta succedendo? Spiegatemi! >>
<< Il dottore ha chiesto a Kasumi di passargli la borsa
e Akane ha inventato una scusa per non farsi lasciare la mano... fiuuu
pericolo scampato! >>
<< Per ora! >>
<< Sempre il solito ottimista eh? Shhh guardate, Kasumi
sta aprendo la borsa >>
Per più di un minuto rimanemmo tutti con il fiato sospeso,
osservando Kasumi che si rigirava quella piccola scatoletta di cartone
fra le
dita sottili.
Quando la voce delicata della maggiore delle Tendo fece una
domanda, vidi il dottore impallidire mentre, con gli occhiali appannati
e un
tic nervoso ad una mano, balbettava parole talmente sconnesse
che persino io riuscii a capire che non erano
affatto la risposta che avrebbe dovuto dare alla ragazza.
<< Ecco, ci risamo, Tofu balbetta! >> disse
Nabiki con il tono di chi una cosa l'aveva prevista già in
partenza.
<< Eh? >>
<< Jude, il dottor Tofu è talmente innamorato
di Kasumi
che ogni volta che la vede diventa un completo idiota! Eppure
è un uomo
intelligente! >> mi spiegò Ranma rassegnato.
<< L'amore fa quest'effetto... >> sussurrai
in
tono sognante.
<< No! Non è vero! Non ci fa rincitrullire
tutti!
>>
<< E tu che ne sai? Sei innamorato Ranma?
>>
chiese Nabiki socchiudendo gli occhi, quasi fosse una sfida.
<< Sei innamorato? >>
In effetti non ci avevo mai pensato, Ranma era un bellissimo
ragazzo ed era del tutto naturale che avesse una fidanzata. Mi sembrava
solo
strano non averla mai vista...
<< Chi? I-io inna... innamorato? Ma neanche per
sogno! Non dire sciocchezze Nabiki... io innamorato di quel masch-...
>>
<< Ranma ti stai tradendo da solo, nessuno ha fatto
nomi! >>
<< Eh? Guarda che io non ho detto proprio nulla! Di chi
mai dovrei essere innamorato, sentiamo! >>
<< Mah... che ne so... per esempio di... >>
Ma proprio nel momento in cui Nabiki stava per svelare
l'arcano, da dentro la stanza sentimmo provenire la voce, questa volta
leggermente più ferma, del dottor Tofu.
Kasumi tolse il coperchio beige e ne estrasse un'altra
scatoletta, più piccola ed elegante, di velluto blu.
Per un minuto buono rimase ad ammirarla come si farebbe con
un quadro famoso, con le gote leggermente imporporate e l'ombra di un
sorriso
sul bel viso candido.
Poi l'aprì.
Dentro c'era un anello, un bellissimo e raffinatissimo anello
di fidanzamento, perfetto per Kasumi, semplice e luminoso proprio come
lei. Un diamante, piccolo ma sfavillante, si
incastonava
perfettamente su una fascetta d'oro bianco.
Akane si alzò a sedere mentre guardava con l'aria sognante
la
scena, la stessa aria incantata che avevamo io e Nabiki, ancora
nascoste dietro
la porta.
Ranma invece guardava altro, il suo sguardo si spingeva oltre
Kasumi, oltre l'anello, avrei detto verso Akane...
<< Ma è bellissimo >> sussurai.
<< Vi piace? Mi è costato un occhio! Anzi gli è
costato un occhio, gli manderò il conto! >>
<< Che ragazza generosa! >>
<< Fa' poco lo spiritoso Ranma, gli affari sono affari.
E poi io vorrei che il mio anello di fidanzamento fosse comprato dal
mio futuro
marito e non da mia sorella, o sbaglio? >>
Colpiti dal ragionamento evidentemente corretto di Nabiki,
sia io che Ranma annuimmo con il capo, per poi tornare a guardare
dentro la
stanza dove la scena era rimasta così come l'avevamo
lasciata.
<< Dai dottore, non rimanere lì come uno
stoccafisso!!
Fa qualcosa! >> lo incitò sommessamente Nabiki.
Ma
c'era
una
cosa che non avevamo notato. Un piccolo
dettaglio che ci era sfuggito.
Kasumi e il dottor Tofu non avevano ancora parlato, ma si
guardavano e i loro occhi, persi gli uni negli altri, si stavano
dicendo tutto
ciò di cui avevano bisogno.
Niente parole, niente gesti, solo due occhi innamorati che si
studiavano profondamente e si sussurravano, nascondendole agli
spettatori, le
parole d'amore più dolci.
E così, senza dire nulla, lui le fece scivolare via la
scatolina blu dalle mani, prese l'anello e, inginocchiandosi, glielo
infilò
delicatamente all'anulare sinistro, mentre lei, più radiosa
che mai, sorrideva
ed annuiva.
Solo allora mi accorsi di Soun e Genma che,
chissà da quanto,
erano lì dietro di noi e di Nabiki che, seppur con gli occhi
lucidi, era
intenta a riprendere tutto con la telecamera.
<< Oh finalmente! Erano anni che aspettavo un
momento come questo!!! >>
<< Sei sempre la solita!! >> disse Ranma
con un
sopracciglio alzato in segno di disappunto.
<< Ma che dici? Non mi sembra di averti mai ripreso
mentre chiedi a mia sorella di sposarti! >>
A sentir quelle parole, che all'apparenza non avevano alcun
significato (ma avrei capito molto tempo dopo), Ranma si
strozzò un'altra volta
e, muovendo le mani fin troppo velocemente, cercava di
giustificare
quell'affermazione: << Ma che razza di paragone
è! Nabiki, che fesserie
vai dicendo!? >>
Ma non c'era tempo per indugiare oltre, l'attenzione venne
focalizzata di nuovo sui due ragazzi che, forse inconsapevoli o forse
no della
baraonda che gli era intorno, si strinsero in un tenero abbraccio.
A quel punto Soun irruppe nella stanza piangendo come una
fontana, di gioia questa volta, e abbracciando alternamente prima la
figlia e
poi il futuro genero, gridando a squarciagola frasi come
“sono il padre più
felice del mondo!”.
Tutta la fierezza e la compostezza che mi avevano colpito in
quell'uomo erano sparite in un batter d'occhio, ma potevo capirlo, del
resto si
sposava sua figlia.
Anche Genma esplose di gioia, facendo una specie di danza
circolare a braccetto fra il dottore e Soun e cantando una strampalata
canzone
giapponese.
Nabiki, la regina di ghiaccio, andò a
congratularsi con gli
sposi, abbracciandoli e
sfuggendo alle
domande con quel suo fare da furbetta.
Dopo di lei fu il mio turno.
Kasumi è la classica persona a cui non si può non
voler bene,
sempre gentile e disponibile, dolce e materna, è quasi
naturale provare affetto
per lei, così la abbracciai stretta, facendole i migliori
auguri e lei ricambiò
l'abbraccio, ringraziandomi sorridente.
<< Dottore lei è Judith la ragazza americana
che ospita
la mia famiglia >> ci presentò in inglese.
<< Ka-Kasumi... ora forse è il caso che
cominci a...
a chiamarmi Ono, no? >> disse lui arrossendo e
contagiando
anche la
ragazza.
<< Ma certo... ehm... Ono, questa è Judith.
Judith lui
è il dottor Ono Tofu >>
<< È un piacere conoscerla e tanti auguri per
il
matrimonio >>
<< Il piacere è tutto mio >> ed
entrambi ci
inchinammo.
In
un
angolo
nel frattempo c'era Akane, che con gli occhi
pieni di lacrime ammirava commossa la sorella, e Ranma, che dopo
essersi
guardato un secondo intorno, come per assicurarsi che tutti gli occhi
fossero
puntati sui futuri sposi, le mise un braccio intorno alle spalle e la
strinse a
sé.
Quell'abbraccio furtivo durò pochissimo, il tempo che lei
affondasse le gote rosse nella maglietta nera e che lui le sussurrasse
qualcosa
all'orecchio, che era già finito.
Quando Akane alzò la testa, con i capelli leggermente
scarmigliati
e il viso roseo, le lacrime erano sparite e sul suo viso si era
dipinto un
velo di tenerezza, così come su quello di Ranma.
Nessuno si accorse di nulla e anche i miei due coetanei
andarono ad abbracciare gli sposi per poi unirsi ai festeggiamenti.
Il dottor Tofu rimase per cena quella sera, e anche la sera
dopo e quella dopo ancora. Veramente, in tutta
la durata del mio soggiorno, non riesco a
ricordare nemmeno una sera dopo quella, in cui il dottore non fosse a
cena con
noi.
Ma, in fondo, Nabiki l'aveva detto: l'operazione si chiamava
“Tofu per cena”.
***
Buonasera a tutti!!
Avevate capito che questo capitolo sarebbe stato dedicato al
dottor Tofu? Qualcuno sì!
Ebbene, spero che vi piaccia, ora abbiamo l'invito per un
matrimonio!
Come di consueto ormai, devo scusarmi per il ritardo, questo
è un periodo un po' incasinato ma dopo l'otto luglio
sarò tutta vostra,
promesso!
Pia, questa Nabiki è un omaggio a te, sappilo :)
Come sempre, grazie di cuore a chi legge, a chi segue
(anche
se non recensisce fa ugualmente moltissimo piacere, capito Maria?), a
chi
preferisce e soprattutto a chi trova sempre due minuti del suo tempo
per
lasciarmi scritto qualcosa.
Adesso, sono sicura, sapete chi ci sarà nel
prossimo capitolo
vero?
A presto
vostra Aronoele (:
|
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Capitolo 4 *** Fight Club ***
Il
vento sconquassava le piante
nel
giardino, agitava i
cespugli, increspava l'acqua nel laghetto, arruffava i capelli.
Sembrava
una serata come tante, mossa dal vento che stemprava
l'aria troppo calda.
Era stata una giornata piena: l'ormai classica corsa per non
perdere la metropolitana (puntualmente mancata), le lezioni
universitarie, la
pausa pranzo passata in biblioteca a ripassare per il test e le ultime
ore del
pomeriggio trascorse a mangiare un gelato con gli amici.
Era stata una bella giornata, in fondo.
Kuno ci aveva portati un un locale chic della Tokyo vip, uno
di quei posti che non definiresti certo “bar” ma
più “sala da cocktail di un
lussuosissimo yacht”, con le poltroncine morbide e i tavolini
coperti da
tovaglie avorio e grigio perla, con le immagini sui menù che
sembravano dipinti
di Andy Warhol più che semplici coppe gelato e con i
camerieri che parlavano un
inglese da applauso.
Le amiche di Akane, Yuka e Sayuri, erano rimaste
tanto estasiate dalla bellezza e dall'estrema
raffinatezza del posto che pareva si sarebbero astenute (una volta
tanto) dal
fare la classica e rumorosissima gara del “chi si siede di
fianco ad
Alexander?”. Ovviamente le speranze erano mal riposte e
Alexander si era
trovato in mezzo a quella buffa rissa risoltasi con le due ragazze
avvinghiate
ciascuna ad una delle possenti braccia di lui, mentre tutti ridevano.
Hiroshi e Daisuke, visto che Kuno si era galantemente offerto di pagare
il conto, avevano dato libero sfogo alla
loro fame -a quanto pareva davvero senza limite- al contrario di Ranma
che,
invece, si era categoricamente rifiutato di mangiare gelato in
pubblico,
finendo però ad aprire la bocca ogni volta che Akane, senza
farsi mancare il
classico “Aaaaaa”, lo imboccava con una cucchiaiata
della sua coppa alla
vaniglia, tra le risatine dei loro compagni.
E poi era giunta la sera, accompagnata da nuvoloni neri.
Io ero in giardino, a bearmi di quell'aria che lasciava
presagire una tempesta e che sapeva agitarmi e
calmarmi al tempo stesso, quando
un fulmine esplose con un fragore disumano cadendo da qualche parte
lì vicino.
Senza pensarci due volte entrai nel dojo dalla cui porta filtrava un
po' di
luce e da dove proveniva della musica.
<< Ti sei
spaventata?
>>
Con un leggero affanno e gli occhi ancora chiusi, ci misi
più
del dovuto ad accorgermi che se la luce era accesa e se nell'aria
risuonavano
ancora le ultime note di “Sex
on Fire” dei Kings of Leon,
qualcuno doveva
essere al suo interno e che non doveva trattarsi per forza di Akane,
che ero
abituata a vedere scappare nella palestra quasi tutte le sere dopo cena.
Mi girai ben consapevole che ciò che avrei visto mi avrebbe
prosciugato la bocca ancora più della paura per il tuono
improvviso.
Ranma se ne stava con un braccio poggiato al muro e l'altro alla
vita e mi sorrideva.
I capelli neri, sempre legati, erano sudati e attaccati alla
fronte bagnata, il petto muscoloso si alzava e si abbassava
velocemente, a
ritmo dei grossi respiri tipici di chi è provato
dall'allenamento e la divisa
bianca, tenuta a bada male dalla cintura nera, lasciava scoperta buona
parte
dei pettorali e l'inizio del ventre scolpito.
Uno spettacolo da svenire.
<< Io... sì... un tuono... ehm... me ne vado!
>> dissi guardando più il pavimento che il suo
viso arrossato per la
fatica << Credevo che ci fosse Akane... di solito
c'è lei... >> mi
affrettai ad aggiungere poi.
Lui rise bonario << Jude figurati, non c'è
problema! Mi
stavo solo allenando! >>
In effetti sapevo che Ranma praticava arti marziali.
A parte i suoi muscoli, degni eredi di qualche statua greca, e il fatto
che me lo ricordava ogni volta che poteva, la fama della sua forza da
leone lo precedeva ovunque andasse. Ogni
ragazza con
cui stringevo amicizia a Nerima, o più frequentemente
all'università, invidiava
la fortuna che avevo a vivere sotto lo stesso tetto con lui ed ogni
ragazzo,
sportivo o meno, lo guardava con rispetto e, a volte, una buona dose di
paura.
In effetti lo sapevo, ma non l'avevo
mai visto all'opera.
<< Posso rimanere a guardarti? Io non ho mai visto
nessuno praticare le arti marziali, se non in qualche film...
>> chiesi
quindi, visibilmente stupita dal suono della mia stessa voce. Lui mi
guardò per un
secondo, poi alzò un sopracciglio: << Mmmh va
bene, ma solo se mi dai la risposta
giusta! >>
<< Ok >> sussurrai,
<< Steven Seagal o Jean Claude Van Damme? >>
<< Oh,ehm... Per la bravura dovrei dire Seagal vero?
Gli hanno anche permesso di aprire un dojo qui in Giappone... Ma Van
Damme è
più bello! >>
<< No Jude, così non ci siamo proprio!
>> disse
muovendo il dito indice ritmicamente a destra e a sinistra
<< Va bene, te
ne faccio un'altra... Attenta alla risposta! Chuck Norris o Bruce Lee?
>>
<< Bruce Lee! >> risposi subito e senza
esitare.
<< Brava! >> disse Ranma battendomi il
cinque
<< E comunque, già solo perché li
conosci tutti puoi rimanere!
>>
<< Grazie! Ma se vuoi ne conosco anche altri!
>>
aggiunsi con l'aria compiaciuta di chi sa di aver colto nel segno.
<< Tipo? >>
<< Tipo Bolo Yeung, Jackie Chan e Tony Jaa, per esempio!
>>
<< Wow Jude! Non me l'aspettavo proprio, ne conosci un
sacco!! >>
<< Mi piace vedere i film sulle arti marziali,
è bello
vederli combattere! >>
<< Va bene, allora è il caso che tu veda un
vero
campione all'opera >> mi disse facendomi il solito
occhiolino e
posizionandosi al centro della stanza.
Prima di iniziare accese di nuovo il suo iPod azzurro e dalle
casse si diffuse per tutta la stanza una canzone rock, armonica e
melodiosa, ma anche capace di accenderti dentro il fuoco
dell'adrenalina
(*). Pensai che era perfetta per quello che stava per fare, poi
cominciò a
muoversi ed io rimasi cento volte più incantata che davanti
al miglior film di
tutta la tradizione americana, cinese e giapponese insieme.
I suoi occhi blu erano socchiusi e tanto concentrati e
determinati che un suo sguardo avrebbe potuto perforare una montagna. I
muscoli,
sudati e tesi, disegnavano linee perfette ad ogni scatto, quasi a voler
enfatizzare ancora di più la consapevolezza del proprio
corpo che ogni movimento
al ritmo delle note in sottofondo, preciso e studiato, lasciava
trasparire già
da sé. Il vero spettacolo era però vedere quanta
forza, grazia, fermezza e
potenza fossero racchiuse in ogni pugno, in ogni calcio, in ogni
singolo passo.
I suoi arti fendevano l'aria come spade, i suoi muscoli
parevano d'acciaio e le posizioni che assumeva lo rendevano tanto
aggressivo
quanto aggraziato.
Improvvisamente, dopo aver sferrato un fortissimo e
precisissimo calcio, mi guardò con la coda dell'occhio e
sorrise sornione
avvicinandosi e accucciandosi davanti a me.
<< Che...che c'è? >> mi ritrovai
a balbettare
sotto il suo sguardo indagatore.
<< Niente, stai solo sbavando! >>
<< Ma che dici? Io non sto sbavando!! >>
dissi a
voce più alta del solito, girando
la
testa di lato e cercando di riprendere un minimo di contegno, dato che
probabilmente i miei occhi spalancati e la bocca leggermente aperta
avevano
dato segno che l'avevo completamente perso.
<< Ma che hai capito! Si vede che è una cosa
che ti
interessa! Le arti marziali intendo... >>
<< Ah... le arti marziali... sì, moltissimo!
>>
risposi sorridendo, visibilmente più rilassata.
<< Non hai mai imparato? >>
<< Oh no! In America non è come qui da voi...
>>
<< Vorresti farlo? >>
<< Chi io? Ma no... non mi sembra il caso, non so se
sono capace... e poi chi mi insegnerebbe? >>
<< Io! >>
<< Tu? >>
<< Perché non ti fidi? Sono un ottimo maestro
sai?
>>
<< Non ho dubbi a riguardo... Ma.... >>
<< E allora dai, fidati! >>
L'ultima volta che Ranma mi aveva detto “fidati”
ero finita a
camminare in bilico su una ringhiera verde e, nonostante la paura di
cadere nel
canale che stavamo costeggiando, era stata una delle esperienze
più belle e
divertenti che avevo fatto da quando ero arrivata, quindi, senza
pensarci due
volte, afferrai ancora la sua mano.
<< E brava la nostra Jude! >> disse lui
conducendomi al centro della palestra, mentre la canzone sfumava
l'ultimo
assolo di chitarra, ed io sorridevo timidamente preparandomi ad imitare
una delle
sue posizioni.
Ma proprio nel momento in cui Ranma stava per spiegarmi come
posizionare le gambe, la porta del dojo si
aprì teatralmente.
Dietro ai due grandi battenti di legno chiaro si stagliava
una figura scura, con i capelli ed i vestiti mossi dal vento. A voce
piuttosto
alta disse qualcosa in giapponese e in un baleno si scagliò
verso Ranma che nel
frattempo, senza che io me ne accorgessi, mi aveva allontanata da lui e
dal
centro del dojo.
I due ragazzi presero a combattere improvvisamente, come se
fra loro ci fosse stato un tacito accordo, senza dire una parola, ma
solo con un
sorriso sghembo sui bei visi concentrati.
Io tornai a sedermi e ad incantarmi davanti a quello
spettacolo che, nonostante fosse piuttosto insolito e un tantino strano
a dire
il vero, non mi aveva spaventata affatto. Non saprei spiegare il
perché ma mi
risultava naturale, come se fosse stato di normale amministrazione.
Lo sconosciuto sembrava pareggiare Ranma in grazia, forza e
potenza.
Ad un tratto, forse l'aria si era fatta troppo calda ed io
non me ne ero accorta, ma Ranma si strappò
letteralmente di dosso la parte superiore della sua divisa
bianca,
gettandola di fianco a me e rimanendo a dorso nudo, seguito a ruota
dall'altro
ragazzo mentre le note di “Gonna fly now”
(**) riempivano la stanza e aizzavano
i cuori dei due combattenti.
La loro lotta sembrava una danza felina, i movimenti precisi
davano l'impressione di essere stati studiati da tempo e le linee che i
loro
corpi assumevano mentre si scambiavano colpi su colpi, erano
così perfette che
parevano disegnate.
Altro che film di arti marziali, questo era cento volte
meglio.
Entrambi attaccavano con estremo vigore mentre i muscoli
prestanti guizzavano ad ogni scatto, ed entrambi paravano le mosse
dell'altro
con grande efficacia.
Il sudore imperlava i loro visi, le spalle possenti, i
pettorali sporgenti, scendendo a rivoli sugli addominali scolpiti per
poi
terminare lungo i solchi delle due fossette, tanto profondi che
parevano incisi
ai lati del ventre.
Mentre lo scontro mi passava davanti armonico e bellissimo,
addirittura quasi migliore di Ranma che si allenava da solo, mi regalai
un
minuto per osservare il nuovo arrivato.
Il fisico vigoroso lo faceva sembrare più massiccio del suo
rivale. Spalle grandi, muscoli prominenti, nervi e tendini in bella
vista
davano l'impressione di trovarsi di fronte all'erede di Hulk, mentre
gli occhi
verdi, grandi e dolci, tradivano una natura gentile. I capelli tagliati
corti,
neri e lucidi, erano tenuti lontani dalla fronte da una bandana gialla
ma ciò
che più mi impressionò fu il suo sorriso. Niente
di speciale, un sorriso
caloroso come quello dei suoi occhi, se non fosse stato per un piccolo
particolare: ogni volta che le labbra sottili si increspavano, due
piccoli ma
aguzzi canini facevano capolino regalando all'affascinante nuovo
arrivato una
particolarità bizzarra e bella.
All'improvviso, mentre l'ultima canzone scemava per far posto
a “We will
rock you” dei Queen, sentii il
profumo di Akane di fianco a me.
<< Ciao Jude >> mi bisbigliò
all'orecchio
<< Ero venuta ad avvertire Ranma che Ryoga era in
città, ma a quanto pare
si sono trovati da soli! Quei due... >> ma poi i suoi
occhi nocciola si
persero nei meandri dell'affascinante lotta.
Quella sera, mentre il vento infuriava oltre i battenti di
legno, per la prima volta notai che gli occhi di Akane, di solito un
misto fra
il color ciliegio e il colore del whisky, diventavano più
scuri, quasi neri,
quando le sue iridi si posavano su Ranma, notai che il suo sguardo
diventava
più languido, un sorriso tenero le nasceva sulle labbra ed
un leggero rossore
le dipingeva le guance.
Notai che guardava anche l'altro ragazzo, ma il suo sguardo
non era così affascinato e profondo come quando i suoi occhi
si posavano su
Ranma, sui suoi muscoli, sui suoi salti mortali, o come quando gli
occhi color
tempesta di lui incrociavano quelli di lei.
Sorrisi anche io nel vedere la mia amica così presa ed un
“che bravi” mi sfuggì dalle labbra
davanti all'ennesima dimostrazione di forza
ed eleganza dei due combattenti.
<< Oh sì... è bravissimo
>> sussurrò Akane
continuando a guardare davanti a lei << Ehm...
cioè, sono bravissimi!
Entrambi! Volevo dire sono bravissimi!! >> si
affrettò poi ad aggiungere
ancora più rossa in viso.
<< Come hai detto che si chiama l'altro ragazzo?
>>
<< Si chiama Ryoga. Lui e Ranma sono amici dai tempi
delle medie >>
Al sentir pronunciare il suo nome da Akane, l'affascinante
straniero perse la concentrazione, seppur per un millesimo di secondo,
e questo
gli fu fatale. L'avversario infatti, accortosi della momentanea
debolezza
dell'amico che guardava verso di noi con lo sguardo allucinato e, ci
avrei
giurato, gli occhi a cuoricino, ne approfittò per sferrargli
una potentissima
gomitata nello stomaco che lo lasciò a terra per un bel po'.
Ranma rise di gusto e disse qualcosa a Ryoga steso ai suoi
piedi, che nel frattempo lo guardava male e, immaginai, imprecava
contro di lui.
Akane notò il mio sguardo interrogativo e mi
spiegò: <<
Ranma e Ryoga si conoscono da tantissimo tempo. Anche se non lo
ammetterebbero
mai, nemmeno sotto tortura, si vogliono un gran bene ma hanno questa
strana
fissa che va avanti da sempre >>
<< Ammazzarsi di botte? >>
<< Sì, più o meno! >>
disse lei ridendo <<
Ryoga ce l'ha con Ranma per una storia vecchia quanto il mondo e, da
quando li
conosco, ogni volta che si incontrano lui lo sfida e puntualmente...
>>
<< Perde, direi! >> conclusi ridendo anche
io.
<< Eh sì! Ranma è imbattibile
>> rispose con una
nota di tenerezza nella voce << Dai, andiamo a vedere
come sta! >>
aggiunse poi.
Non
appena gli
fummo vicine, Ryoga si rialzò di scatto,
inchinandosi ad entrambe con fare un po' titubante, mentre Ranma rideva
sotto i
baffi.
<< Ryoga tu parli inglese? >> gli chiese
Akane
nella mia lingua.
<< Ma certo! Sono un viaggiatore io! >>
rispose
il ragazzo gonfiando il petto ed indicandosi con il pollice della mano
destra.
<< Ah già Jude, le presentazioni! Lui
è Ryoga Hibiki,
un grande viaggiatore! Devi sapere che in tutta la sua vita
avrà fatto
centinaia di viaggi... perdendosi sempre però!
>> disse Ranma cercando
di mantenere l'aria seria di chi sta dicendo la verità, ma
con scarso successo
visto che poi scoppiò in un'aperta risata, degna di Genma.
<< Che vorresti dire con questo, razza di idiota?
>> rispose il diretto interessato particolarmente
stizzito.
<< Che il tuo senso dell'orientamento fa schifo,
porcello viaggiatore! >>
<< Come mi hai chiamato? E poi non è vero!
>>
<< Ah no? Allora dimostracelo dai! Vai a fare un giro
dell'isolato e torna qui! Ti ritroviamo a Parigi! >>
<< Vuoi combattere ancora? >>
<< Vuoi perdere ancora? >>
<< Hey, insomma, volete piantarla voi due!?
>> si
intromise Akane quasi urlando e i ragazzi si fermarono all'istante,
ammutolendo e
guardando in basso come due bambini appena sgridati dalla maestra.
<< Allora... Jude lui è Ryoga, Ryoga lei
è Judith
Montgomery ma noi la chiamiamo Jude, è qui in scambio
culturale dall'America!
>> ci presentò lei mentre noi ci inchinavamo
reciprocamente ed in
silenzio.
<< Di' un po', Ryoga, ci sei mai stato in America, grande
viaggiatore? >> lo schernì Ranma con un
sorriso strafottente sul viso.
<< Se non la pianti sarò costretto a darti una
lezione,
Saotome! >>
<< Come se ne fossi capace. Fatti sotto! Quando
vuoi! A proposito di lezioni... Jude, io e te siamo stati interrotti!
>>
<< Interrotti? >> chiese Akane con finta
noncuranza, ma qualcosa nella sua voce mi disse che la frase di Ranma
non le
era andata proprio a genio.
<< Oh sì ehm... ecco... prima che arrivasse
Ryoga, Ranma
stava cercando di insegnarmi qualche mossa... >>
<< Volevo insegnarle i kata di base! >>
spiegò
lui << Alla nostra Jude piacciono le arti marziali!
>>
<< E volevi impararle da lui? Ti darò anche io
una
mano, almeno diventerai brava! >> disse Ryoga alzando un
pugno all'aria
e vincendo finalmente la sua
timidezza.
<< Sempre il solito marpione... >>
bisbigliò
Ranma facendo sorridere sia me che Akane.
<< Come hai detto, brutto idiota? >>
<< Ho detto che corri dietro a tutte le ragazze carine
che vedi!
Ma non eri innamorato di A... >>
<< Sta zitto!! >>
<< A... Ak... Aka... >>
<< Ti ho detto di smetterla, Ranma! >>
ringhiò
Ryoga rosso come un peperone.
<< Ma che hai capito... stavo per dire Akari!
>>
Il giovane viaggiatore tirò un sospiro di sollievo mentre
Akane gli chiedeva sorridente come stava Akari e se si sentivano ancora.
<< Veramente ci sentiamo di rado...
ogni tanto ci scriviamo, ma... >>
mentre Ryoga raccontava, non
senza un
certo imbarazzo, Ranma si avvicinò a me e
sussurrò: << In realtà volevo
dire Aka... ne! Ryoga ha una cotta per lei da un sacco di tempo!
>>
<< Ah ecco perché era così agitato!
E lei non lo sa?
>>
<< Ma chi Akane? No figurati, ingenua com'è
non si
accorgerebbe che un ragazzo è innamorato di lei nemmeno se
lui le scrivesse dei
manifesti! >>
<< Oh beh, di sicuro si è accorta di Kuno!
>>
affermai io seria ma Ranma scoppiò a ridere:
<< Jude, sei qui
da una settimana e già hai capito che Kuno è un
idiota! >>
<< Ma non volevo dire questo! >> mi
affrettai a
spiegare muovendo le mani velocemente << solo che lui non
si fa problemi
a dichiarare il suo amore a lei... e a tutte le altre! >>
e sta volta
risi anche io, in
effetti, sotto
l'aspetto sentimentale, Kuno era senza speranze!
<< Questo proprio perché è un
idiota! Le persone serie
non si mettono a urlare il loro amore ai quattro venti! >>
<< Fanno Ryoga? >>
<< Certo! >> asserì lui convinto.
<< Quindi stanno in silenzio e aspettano che lei si
accorga di loro? >>
<< Be'... più o meno... >>
<< E se lei non se ne accorge? O magari si innamora di
un ragazzo che le esprime i propri sentimenti? >>
<< Oh Jude andiamo, non siamo più
nell'Ottocento! Non si
scrivono più poesie! L'amore si dichiara con i gesti!
>>
<< Tipo quali? >>
<< Salvarle la vita per esempio, mille volte! O non
smettere mai di credere in lei, o capirla esattamente, senza bisogno di
tante
parole, o difenderla sempre, da tutto e da tutti, o... >>
<< Stiamo parlando ancora di Ryoga? >> mi
ritrovai a chiedere io, dato che i suoi sussurri si erano fatti
più flebili e i
suoi bellissimi occhi blu guardavano Akane, che stava ancora scherzando
con
Ryoga poco lontano da noi.
<< Oh... sì certo... ehm... Hey tu, Ryoga!
Vogliamo
cominciare allora? >> cambiò improvvisamente
argomento Ranma, con il viso
imbarazzato e più roseo del solito.
Akane
andò a cambiarsi e tornò con la divisa da
combattimento
gialla con la cintura rossa, mentre Ryoga si stava asciugando il corpo
dal
sudore con la sua casacca sgualcita e Ranma stava sdraiato, ancora a
petto
nudo, sulle assi di legno chiaro che ricoprivano l'intero pavimento del
dojo.
<< Pronta Jude? >>
<< Mica tanto! >> risposi io realmente
perplessa,
ma Ranma non mi diete ascolto, accese di nuovo il suo iPod e
sulle note di “Eye
of the tiger” iniziò il mio primo
addestramento.
<< Bene Jude il kata
è un esercizio individuale o a
squadre che rappresenta un combattimento reale contro avversari
immaginari
>> mi spiegò Akane <<
è molto utile per allenarsi nelle tecniche di
parata ed attacco >>
<< Ma non prenderlo solamente come un esercizio
>> continuò Ryoga << il kata
è qualcosa di molto di più, è
l'essenza delle arti marziali >>
<< Ogni kata inizia e termina con il saluto
>> e,
a queste parole, tutti e tre si inchinarono prontamente.
<< La prima cosa che devi imparare a fare è
respirare
>> disse Ranma avvicinandosi << devi
trattenere il respiro qui
>> e toccò la parte alta del mio addome
<< contrai i muscoli, trattieni il respiro, irrigidisciti
>>
continuò a ripetere con la mano che spingeva sempre di
più << quando senti che sta per esplodere,
rilascialo
e grida, così >> non appena finì la
spiegazione, vidi i suoi addominali
contrarsi e diventare puro marmo, per poi rilassarsi e distendersi
mentre lui
irrompeva in un grido che sembrava sprigionare tutta la sua energia.
<< Questo è il Kiai (***) e dovrai
eseguirlo in ogni kata,
serve per migliorarne la potenza >>
<< Coraggio prova! >> mi incitò
Akane.
<< Ma non credo di esserne capace... >>
<< Oh, sì che lo sei! Non è niente
di difficile,
concentra tutta l'energia che puoi in quell'unico punto e poi scaricala
>>
Ci provai un paio di volte e la terza fu decisamente meglio,
anche se non aveva nulla a che vedere con il modo in cui lo eseguivano
i miei
amici.
<< Perfetto, ora ricorda: dovrai sempre concentrare la
respirazione che esploderà nel Kiai ogni volta
che sferrerai
un colpo >> spiegò Ryoga.
<< Benissimo Jude, ora che sai come devi
respirare
passiamo al punto due: il Keitai
no hoji ovvero la corretta posizione per
eseguire ogni movimento. Se lo farai bene, al termine di ogni kata
ritornerai
sempre nella stessa posizione >>
<< Sembra difficile... >> sussurrai io
sempre
più impressionata dal fatto che, solo un'ora prima, stavo
guardando Ranma fare
tutte quelle con una facilità ed
una naturalezza
davvero straordinarie.
<< Non lo è tranquilla! Cominciamo dalla prima
posizione, quella di base: la guardia >> dicendo
così sistemò lui stesso
le mie gambe: leggermente flesse, con la destra un passo davanti alla
sinistra;
e le mie braccia: la sinistra indietro davanti al cuore e la destra
più in
avanti per proteggere il viso. Io, mentre mi muoveva come fossi un
burattino,
ero estremamente imbarazzata dal suo tocco, deciso e delicato, e dalle
sue
attenzioni, tanto che facevo fatica a concentrarmi sulle parole che
uscivano
dalla sua bocca.
<< Dovrai sempre cercare di tornare in questa posizione
>> disse poi Ryoga mentre, una mano sulla schiena,
raddrizzava la mia
postura << sempre mantenere lo stato di guardia, sia
fisicamente che
mentalmente, al termine di ogni kata. Questo si chiama Zanshin
>>
<< Ma voi fate tutte queste cose contemporaneamente
mentre combattete? >>
Un sorriso soddisfatto sul volto di tutti e tre mi disse che
sì, facevano tutte quelle cose e, forse, anche di
più.
<< Wow... >>
<< Non è difficile come sembra
>> cercò di giustificarsi
Ryoga grattandosi la nuca imbarazzato << è
solo questione di esercizio...
>>
<< Dopo un po' sarà del tutto naturale
>>
concluse per lui Akane ed i ragazzi annuirono in segno di approvazione.
<< Ok Jude, resta così. Ora noi ti
faremo vedere delle
mosse e tu dovrai provare ad imitarle. Ricorda sempre di respirare,
rimanere
concentrata, dosare la velocità e il grado di forza da
mettere in ogni
movimento e, cosa più importante, ricorda il Kiai. Ok?
>>
Io mi sforzai di annuire convinta ma era davvero difficile.
La posizione che dovevo mantenere era assai strana: dava la sensazione
di
essere rilassati, ma io sapevo che i miei muscoli erano in tensione e che sarebbero dovuti
essere pronti a
scattare in qualsiasi momento. Dovevo respirare bene, in modo che ogni
respiro coincidesse con i miei movimenti e che fosse profondo,
così da
ossigenare tutto il mio corpo. Inoltre dovevo ricordarmi quali
movimenti erano
lenti e quali veloci, quanta forza e quanta delicatezza mettere nei
colpi e,
soprattutto, ricordarmi di liberare il Kiai che,
più che far
esplodere la
potenza del mio colpo, faceva esplodere la mia vergogna visto che a
gridare in
quel modo mi sentivo una completa deficiente.
Mentre tutto il mio corpo e la mia mente erano concentrati su
quest'unico obiettivo, un rumore fortissimo arrivò da
oltre la porta,
dove la tempestava
impazzava, il vento
non accennava a calmarsi e fulmini cadevano continuamente, provocando
tuoni
fragorosi.
Improvvisamente, la luce andò via e la musica
svanì
bruscamente, facendo scattare i due ragazzi e spaventare noi ragazze.
Akane, con
un gridolino a metà fra la sorpresa e la paura, si
aggrappò al grande braccio
di Ranma che nel frattempo guardava preoccupato oltre la finestra,
Ryoga invece
andò subito a controllare mentre io cercavo di far luce con
la torcia del
cellulare.
<< Un fulmine deve aver colpito un albero qui vicino e
magari ha urtato qualche palo della luce >>
<< Ah be', sì, certo... c-che ne dite se
rientriamo in casa dove ci sono tutti gli altri? >>
chiese Akane fingendo
spavalderia ma con un percettibile tremolio nella voce.
<< Non ci conviene, fuori piove moltissimo, ci
inzupperemo... >>
<< …e a Ryoguccio non piace l'acqua, non
ricordi
Akane? >> lo canzonò Ranma guardando dall'alto
la ragazza ancora
avvinghiata al suo braccio.
<< Ranma piantala o giuro che vengo a dartele di santa
ragione! >>
<< Guarda che ti stendo anche al buio! >> e
i
battibecchi vennero ripresi per un bel po', tra le battute dei due
ragazzi e le
risate nascoste di noi ragazze.
Dopo
circa mezz'ora, quando
tutti e
quattro eravamo seduti
con le spalle alla parete, aspettando mollemente che la pioggia
diminuisse
mentre ci facevamo luce a vicenda, una strana ombra ci fece sobbalzare
tutti.
<< C-c...cosa è stato? >> chiese
Akane con il
tono allarmato.
<< Ma niente, saranno gli alberi, che vuoi che sia!
>> rispose un Ranma poco convinto che continuava a
scrutare la finestra
di fronte, mentre la ragazza tornava ad impossessarsi del suo braccio.
Ma l'ombra gusciò di nuovo davanti a noi, facendoci
rabbrividire tutti ancora una volta.
<< Ranma è dentro la palestra!!
>> disse Ryoga,
alzatosi nel frattempo in piedi << Chi va
là!!? Fatti vedere! >> ma
nessuna risposta.
<< Fatti vedere o giuro che ti spezzo come un
grissino! >> rincarò la dose Ranma, ma l'ombra
continuava a muoversi
veloce per il dojo, senza badare alle minacce dei due ragazzi.
Ogni volta che ci passava davanti ci pareva più vicina ed
alla fine anche io, che fino a quel momento non avevo detto niente,
cominciai a
spaventarmi e a temere chissà cosa.
Poi, mentre la macchia nera continuava a strisciare intorno a
noi, un velocissimo calcio di Ryoga la colpì ed essa cadde a
terra, rivelando
la figura piccola e strampalata di una specie di ninja.
Era un omino tondo ed estremamente buffo, certo non potrei
definirlo carino, ma aveva qualcosa di simpatico nel volto: due
occhi
grandi un po' vuoti, enormi e cespugliose sopracciglia e una
bocca
larga dalla quale fuoriuscivano solo due grandi incisivi.
<< Sasuke! >> esclamarono in coro tutti e
tre
e, al sentir pronunciare il suo nome, il piccolo uomo incappucciato
tentò di
darsela a gambe. Ci sarebbe anche riuscito se Ryoga non lo avesse
tenuto
saldamente dalla divisa grigia e prugna che indossava.
<< Insomma la vuoi smettere di scappare?
>> chiese quello impaziente.
<< Voi non dovevate vedermi, la padroncina mi ha
ordinato di fare tutto senza farmi riconoscere! >>
<< La padroncina? >> chiese Akane con un
tono di
voce che, non so perché, avrei definito lievemente irritato
<< Che cosa
vuole? >>
<< Oh niente, solo consegnarvi questi! >>
disse
quell'ometto buffo che rispondeva al nome di Sasuke, per poi
liberarsi dalle
mani di Ryoga e scappare così come era arrivato: nell'ombra.
Ma, mentre spariva, lasciò cadere tre buste
bianco perla chiuse con la cera lacca. Su ognuna c'era il nome del
destinatario
scritto con una bellissima calligrafia corsiva, sia in giapponese che
in
inglese: “Per il mio adorato Ranma” “Per
Akane Tendo” “Per Judith la ragazza
americana”
ed infine “Per lo strambo amico del mio adorato
Ranma”.
<< Cos'è questa roba? >> chiese
un Ryoga
leggermente sconcertato.
<< Sarà un'altra trovata di quella pazza, non
aprite le
buste per carità! >> rispose Ranma con l'aria
di uno che la sapeva lunga.
<< Ma... a me sembrano solo degli inviti >>
dissi
io con l'aria innocente, come se non fosse nient'altro che una cosa
ovvia.
<< No Jude, tu non la conosci! La ragazza che ci ha
mandato queste lettere è davvero una pazza, è
innamorata di Ranma e almeno una
volta al mese ci manda filtri e pozioni sonnifere per addormentarci e
rapirlo!
>> mi spiegò Akane con la voce rassegnata,
abituata ormai a quelle
stranezze.
Poggiammo le nostre lettere in un angolo del dojo e ci
rimettemmo seduti ad aspettare, di nuovo, che il temporale facesse il
suo
corso, mentre Akane pregava Ranma di non raccontare nessuna storia
dell'orrore.
Io guardavo fuori, i lampi che illuminavano a giorno la
palestra buia e le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro della
finestra,
ed intanto pensavo.
Avevo già capito da un po' che la vita a Nerima era molto
più
pazza e strampalata di quello che si poteva anche solo lontanamente
immaginare.
Feci un elenco fra me e me: fino a quel momento avevo
conosciuto un ragazzo completamente fuori di testa, che corteggiava
Akane (e
tutte le ragazze che gli capitavano a tiro, aggiungerei) come un
perfetto,
galante, forse un pelino esagerato, gentiluomo ottocentesco; un altro
ragazzo,
dall'aspetto parecchio bizzarro, innamorato perso di Akane, che non si
sapeva
perché continuava a punzecchiare Ranma e a litigare con lui
pur definendolo il
suo “migliore amico”; una sottospecie di ninja nano
e la sua padrona, a quanto
pareva una pazza con tendenze criminali, innamorata persa di Ranma.
Bene Jude, e tu che avevi paura di annoiarti!
Quel giorno in palestra ancora non sapevo quante altre
persone, pazze ma assolutamente fantastiche, c'erano ancora sul mio
cammino.
Mentre ridevo sotto i baffi, pensando alla buffa
avventura, la luce tornò ed il caschetto perfettamente
ordinato e liscio di
Nabiki spuntò da dietro la grande porta di legno:
<< Oh, siete qui! Avete ricevuto i vostri inviti? Akane,
ci toccherà comprare un vestito! >>
<< Eh? Ma di che stai parlando? >>
<< Ma come, non avete aperto le vostre lettere?
>>
<< Stai scherzando spero, sono di Kodachi, vuoi vederci
tutti morti? >> asserì Ranma seriamente
stupito.
<< Be' io non sapevo che fosse da parte sua e l'ho
aperta... come vedi sono ancora viva! >>
Così, spinti dalla curiosità e rassicurati dal
fatto che
dentro non ci fosse alcun tipo di pozione sonnifera e/o esplosiva,
tutti
aprimmo le nostre buste ed una pioggia di petali neri si
riversò sul pavimento.
All'interno c'era un biglietto dello stesso materiale
perlaceo e scritto con la medesima calligrafia sinuosa e sottile. Lo
lessi con
molta attenzione, era un invito ad una festa di compleanno per il
sabato
successivo:
<< Kodachi Kuno... C'entra qualcosa con Tatewaki Kuno?
>> chiesi io quando lessi in basso a destra la firma del
mittente.
<< Oh sì, è sua sorella
>> rispose Ranma e la
mia espressione fu probabilmente molto comica visto che tutti
scoppiarono a
ridere a crepapelle.
Così
quella sera nel dojo Tendo, fra le risate dei miei
amici, feci di nuovo un elenco fra me e me: fino a quel momento avevo
conosciuto un ragazzo completamente fuori di testa, che corteggiava
Akane (e
tutte le ragazze che gli capitavano a tiro, aggiungerei) come un
perfetto,
galante, forse un pelino esagerato, gentiluomo ottocentesco; un altro
ragazzo,
dall'aspetto parecchio bizzarro, innamorato perso di Akane, che non si
sapeva
perché continuava a punzecchiare Ranma e a litigare con lui
pur definendolo il
suo “migliore amico”; una sottospecie di ninja nano
e la sua padrona, a quanto
pareva una pazza con tendenze criminali, innamorata di Ranma e che, in
più (e
l'avevo appena scoperto) aveva il gene della pazzia
“Kuno” nel sangue.
Bene Jude, e tu che avevi paura di annoiarti!
***
(*) qui mi riferivo alla canzone
“War Pigs”
dei Black
Sabbath.
(**) “Gonna fly now” è un brano composto
da Bill Conti e
penso che tutti lo conoscerete come una delle colonne sonore
più famose di
tutti i tempi: quella di Rocky!
(***) “Kiai”
vuol dire proprio “grido”.
Buonasera a tutti!
Eccomi tornata e perdonate il ritardo!
Visto che in questo mese sono diventata Dottoressa, ci
tenevo
a dedicare questo capitolo alle persone che ho conosciuto su questo
sito, che
si sono rivelate essere qualcosa in più e che, in un modo o
nell'altro, mi sono
state vicine:
A Pia,
per i messaggi, i consigli e i fiori telematici. La
descrizione delle fossette è tutta per te!
Ad Anto
(Spirit), per i messaggi, gli incitamenti per quel
meraviglioso disegno che mi ha mandato come regalo (non ve lo mostro
perché
siamo in fascia protetta ma era da svenire davvero!!!)
A Vale,
che anche se era in partenza ha trovato lo stesso il
tempo e la voglia di scrivermi.
A Faith,
per i messaggi, gli incoraggiamenti e per quella
stupenda one shot (che se non l'avete ancora fatto è il caso
di leggerla!!).
A Gretel,
per i messaggi prima e dopo.
Ed infine a Rachel,
per avermi scritto con una precisione
assoluta, proprio nel momento in cui discutevo.
Questo è per voi,
grazie di
essere state così carine :)
Come sempre, sarà anche inutile ripeterlo,
grazie a chiunque
legga e un pochino di più a chi trova un il tempo per
lasciarmi le sue
opinioni.
Ok,
note lunghissime scusatemi!
Io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo nel
quale toccherà a...?
A prestissimo!
|
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Capitolo 5 *** Get the party started ***
Le note rock delle canzoni che
accompagnavano i miei
allenamenti -ormai quotidiani- mi riempivano ancora le orecchie mentre
ero
stesa sul futon con ogni singolo centimetro del corpo dolorante. Dopo
la sera
del temporale Ranma, Ryoga ed Akane avevano deciso che ero
“davvero portata”
per le arti marziali e mi avevano messa sotto torchio giorno e notte,
con il
risultato che ora il mio “grido di battaglia” era
quasi perfetto e che avevo
già preso a calci qualche alunno del dojo.
Altro risultato, molto meno gradito, era che ero sempre
praticamente distrutta, con gli addominali indolenziti e le gambe
pesanti,
tutti i giorni, proprio come nel giorno che sto per raccontarvi.
Quel giorno appunto, ero
sdraiata sul
futon, stanca e con i
muscoli indolenziti ma lo stesso appagata e felice, riempita da quella
sensazione che solo chi fa sport può capire, con la mia
buona musica vicino ed
anche una tazza fumante di una delle tisane
“post-allenamento” di Kasumi,
quando dalla porta scorrevole vidi fare capolino un visetto aguzzo come
la
mente del suo possessore.
<< Allora, sei pronta? >> mi chiese Nabiki
squillante.
<< Pronta per cosa? >>
<< Lo shopping! >>
<< Ah già sì... ehm arrivo subito!
>> ed in men
che non si dica mi ricordai della sera prima e di Akane che cercava di
convincere Ranma che nella definizione di “abito
elegante” non erano
assolutamente contemplate nessuna delle sue casacche cinesi,
né tanto meno i
pantaloni che si ostinava ad abbinare sotto. Come un flashback rividi
l'espressione ironicamente incredula del ragazzo quando Ryoga si diede
disponibile ad accompagnarci a cercare un vestito adeguato per la festa
di
compleanno di Kodachi:
<< Sei proprio sicuro di volerti subire cinque ore di
piagnistei del tipo “oh no questo vestito mi fa
grassa!!”?? >>
<< Sono proprio sicuro che nessun vestito fa grassa
Akane! E comunque serve qualcosa anche a me... non ho niente di
elegante!
>>
<< Grazie Ryoga... Hai sentito Ranma? Lui sì
che è
gentile e non un buzzurro come te! E poi non ti farebbe male comprare
qualcosa
di decente, magari un bel completo con la cravatta! >>
<< Ma scherziamo? Io sto benissimo così... le
cravatte
mi fanno soffocare! >>
<< Non puoi venire così! Sull'invito era
scritto a
caratteri cubitali “abiti eleganti” ed i tuoi non
lo sono affatto! Vedrai che
non ti faranno entrare! >>
<< Kodachi mi farebbe entrare anche in mutande!
>>
<< Soprattutto in mutande! >>
azzardò Nabiki
provocando una risata accesa da parte di Ranma, ma a quel punto il viso
angelico della bella Akane si tinse di rosso fuoco e con un'esplosione
di
rabbia, degna del ruggito di un leone, urlò in direzione di
Ranma:
<< Bene!! Fa quello che ti pare! Vacci in mutande,
vacci pure nudo, a me non interessa un fico secco di quello che fai
tu!!!
>> e corse nella sua stanza sbattendo la porta, lasciando
Ranma a
grattarsi la nuca con l'espressione di chi si chiedeva“ma
cosa ho fatto?”,
Nabiki che scuoteva la testa in segno di diniego, Ryoga che gli
lanciava
sguardi infuocati come se volesse ucciderlo e me, leggermente stupita
dalla prima
vera litigata fra quei due.
Così, dopo aver scacciato con un sorriso quei
ricordi,
afferrai il primo vestito che mi capitò a tiro, misi una
manciata di cose utili
nella borsa, mi legai i capelli nella solita treccia morbida e scesi le
scale ripetendo
ad alta voce “Eccomi, eccomi!” mentre Akane mi
aspettava con l'espressione
stranamente soddisfatta e rilassata, seduta vicino a Ranma il cui volto
era a
dir poco funereo, che a sua volta era accanto a Ryoga, intento a
contare anche
le monetine dentro al suo portafogli, in piedi affianco a Nabiki la
quale
continuava a picchiettare nervosamente il piede a terra e a guardare in
direzione dell'orologio.
<< Scusatemi, sono pronta >> dissi entrando
nella
stanza e chinandomi a mo' di scusa.
<< Bene, se ci siamo tutti possiamo andare!
>>
diede il via Nabiki avvicinandosi alla porta mentre gli altri si
alzavano e
così, tra una fermata della metro ed un taxi, ci avviammo
verso uno dei
quartieri più grandi di Tokyo: Shibuya.
Shibuya è senza dubbio il quartiere più affollato
ed
illuminato di Tokyo, pieno di vetrine sgargianti, scritte iridescenti,
maxi
schermi su cui si susseguono veloci pubblicità e cartelloni
colorati, mi
ricordava la mia Time Square.
Io camminavo con il naso all'insù, osservando i giganteschi
grattacieli grigi e colmi di vetro e gli
idiomi intermittenti proiettati ovunque, che sbiadivano lasciando posto
ai
caratteri occidentali.
Tokyo, l'avevo ormai appurato con i miei occhi, è la
città
delle contraddizioni. Nel suo cuore convivono lo spirito
tradizionalista,
quello del Giappone imperiale e dei samurai, intriso delle sue antiche
regole
basate sul rispetto e sul duro lavoro, e quello moderno, che la fa
somigliare
ad una piccola America. Eppure, al suo interno, queste due
entità riescono a fondersi
come il caramello sulle mele, dando vita alla più
incredibile molteplicità a
cui un uomo avrà mai il piacere di assistere.
Forme e colori, lettere, suoni, odori, moderni e antichi, si
fanno strada per tutta la città tenendosi per mano,
garantendo allo spettatore
l'unicità che solo quel pezzo di mondo sa regalare.
Noi procedevamo vicini gli uni agli altri alla ricerca del
negozio giusto in quella grande marea, mentre migliaia di persone
facevano dei
gran giri intorno a noi, ed in quel caos di visi che sembrano guardarti
ma in
realtà non ti vedono affatto, mi sentii per un attimo di
nuovo a casa.
<< Ci siamo ragazzi, questo è fantastico!
>>
disse Nabiki, la nostra guida ed esperta di moda, interrompendo i miei
nostalgici pensieri e spingendoci a forza in un negozio enorme e con le
mura
bianche illuminate a giorno.
<< Lì il reparto uomo, di là quello
donna >>
continuò afferrando una manciata di vestiti da ogni rella e
dirigendosi
velocemente dentro ad uno degli spaziosissimi camerini.
Esattamente cinque minuti e quarantasei secondi dopo, mentre
noi quattro faticavamo ancora ad orientarci fra i reparti
“cool”, “young” e
“oversize”, ce la vedemmo sfrecciare davanti con
una busta in mano:
<< Bene ragazzi io ho fatto, ci vediamo a casa!
>>
<< Come? Hai già fatto? Ma co...come diamine
è
possibile? >> chiese Ryoga assolutamente stupefatto.
<< Il tempo è denaro carino, devo vedermi con
certi
tipi per alcuni affari... Ci vediamo dopo! >> e
sparì oltre le grandi
porte scorrevoli.
<< Voi non sarete così veloci eh?
>> chiese Ranma
quasi in un sussurro, beccandosi una brutta occhiata da parte di Akane
che, per
tutta risposta, mi mise la mano sottobraccio e si avviò
verso il reparto “abiti
da sera” ringhiando un impercettibile -ma alquanto
minaccioso- “seguiteci”.
Quella
zona del negozio sembrava appartenere ad un altro
mondo.
Passeggiando fra un manichino imbellettato e l'altro, mi
tornarono in mente quei negozi americani dove tutte le liceali vanno a
comprare
i vestiti per i balli scolastici.
Stavo quasi per perdermi nei ricordi del mio ballo di fine
anno, quando una gentilissima commessa con i capelli color mogano e gli
occhi
ridenti, vestita in un impeccabile tailleur nero, avvicinandocisi e
probabilmente notando i miei tratti affatto orientali, ci chiese in
inglese: <<
Come posso aiutarvi? >>
<< Salve >> rispose Akane con un leggero
inchino
<< dovremmo andare ad una festa questa sera e cercavamo
qualche abito
elegante... >>
<< Ah, capisco ragazze, bene ve ne porto qualcuno. I
camerini sono da quella parte >> e seguendo il dito
indice della donna,
ci ritrovammo in una specie di salottino corredato persino da un
tappeto in
stile moquette lunga beige e due mini divanetti lilla.
<< Ragazze voi potete entrare nel camerino, voi ragazzi
potete accomodarvi qui >> disse la commessa, il cui nome
era Namiko, dopo
averci portato tantissimi abiti diversi mentre Ranma e Ryoga, seduti di
fronte
a noi, avevano l'aria di due persone che stanno per assistere ad una
prima
importante.
<< Ci mancano i pop corn >>
ironizzò Ranma quando
Namiko se ne fu andata ed io ed Akane eravamo già al di la
della grande tenda
in pelle color panna a provare il primo di quella che sarebbe stata una
lunga
serie di vestiti.
Quando entrambe trovammo il coraggio di uscire e farci
ammirare dai ragazzi, rosse in viso come due peperoni, la loro reazione
ci
stupì moltissimo: niente battute acide su qualche
imprecisato difetto corporeo,
niente sguardi vaghi, solo quattro occhi, due blu e due verdi,
completamente
sgranati e due bocche aperte in un sorriso ebete ed al tempo stesso
tenero.
Io ed Akane indossavamo lo stesso identico abito lungo fino
alle caviglie, stretto in vita, senza le maniche e legato da un
nastrino al
collo come fosse una collana, il mio era color amaranto scuro mentre il
suo
verde acqua.
Ci guardammo soddisfatte della risposta, seppur muta, che
avevamo avuto dai ragazzi e prendemmo dalla pila il secondo abito che
la
premurosa commessa aveva scelto per noi. A me ne toccò uno a
righe trasversali
bianche e nere, che lasciava le scapole leggermente scoperte ma copriva
bene il
décolleté fermando i due triangoli di stoffa
appena sotto il seno con una
fascia alta. Akane invece uscì con un abito che le arrivava
di molto sotto ai
piedi, color pesca decorato con piccoli fiorellini azzurri ed indaco,
con le
spalline larghe e leggermente svasato oltre i fianchi.
La reazione dei ragazzi fu la stessa, un velato consenso
nascosto dietro ad un sorriso che, dopo il quarto abito della stessa
fattura,
divenne quasi di noia.
Uscendo con il quinto vestito, ebbi l'impressione che Akane
cercasse qualcosa di più, qualcosa per fare colpo su i due
ragazzi che in quel
momento ci guardavano e non capivano perché stessimo
provando una serie -per
loro infinita- di abiti tutti uguali.
<< Allora ragazze come vanno questi?
>>
<< Molto bene signora Namiko, solo che noi cercavamo
qualcosa di un po' più... sofisticato... >>
disse Akane accennando
lievemente ai due ragazzi seduti a gambe divaricate di fronte a noi.
<< Oh certo, certo, capisco >> e
sparì tornando
poi, due minuti dopo, con un'altra carrellata di vestiti.
Il primo abito della nuova serie che mi ritrovai in mano,
arrivava di molto sopra al ginocchio, era di un bellissimo chiffon nero
e sul
davanti si perdeva in un gioco di sensuali trasparenze, mentre sul
retro era
tenuto insieme da una sottile striscia di seta a metà
schiena e nient'altro.
<< Akane... ehm... io non sono sicura di voler uscire
così! >> sussurrai cercando di farmi sentire
solo da lei che armeggiava
ancora con il suo vestito nel camerino di fianco al mio.
<< Coraggio Jude, sono sicura che sei bellissima!
>> mi incitò e scostammo la tenda, rivelandoci
ai due ragazzi, nello
stesso momento.
Akane indossava un abito bellissimo il cui corpetto, con
scollo a cuore, era tempestato da piccoli strass dorati e le fasciava
completamente il sottile busto, scendendo, all'altezza della vita, in
una gonna
di organza chiara più lunga dietro, come un piccolo
strascico.
Mi resi conto, guardando lei e poi i due ragazzi, che la
reazione che desiderava era senz'altro arrivata: al vederla
lì, con le gambe
tornite quasi del tutto scoperte ed il seno stretto nelle due coppe, la
sudorazione di Ranma aumentò improvvisamente, mentre Ryoga,
che per poco non
era morto soffocato, sembrava quasi una pentola a pressione con il viso
rosso e
il fumo che pareva gli uscisse dalle orecchie.
<< Allora che ne dite? >> chiese la mia
amica con
aria innocente facendo un giro su se stessa.
Ryoga non rispose mentre Ranma biascicò a stento un:
<<
Jude stai benissimo... Akane non... non è un po' troppo...
ehm... corto?
>>
La bella moretta rise soddisfatta, imputando l'ultima
affermazione del ragazzo al troppo imbarazzo e rientrò nel
camerino per
provarsi il secondo abito.
Provammo una miriade di altri vestiti, di seta, corti,
lunghi, che lasciavano la schiena nuda, trasparenti, velati, aderenti,
uno
addirittura di pelle e la reazione fu sempre la stessa: Ryoga non
accennava
minimamente a rispondere, tranne che per qualche leggero movimento
della testa
o delle mani ma i suoi occhi parlavano per lui, mentre Ranma, dopo un
iniziale
smarrimento, rispondeva sempre allo stesso modo: “Jude stai
benissimo” “Jude ti
sta molto bene” “Carino questo Jude” e
“Akane è troppo scollato”
“Akane è
troppo corto” “Akane è troppo
trasparente” “Akane dove credi di andare vestita
così?”.
Dopo l'ultimo abito, un modello aderente in pizzo rosa cipria
per lei ed un mono spalla grigio perla per me, notai la delusione sul
suo bel
viso.
<< Va tutto bene? >> le chiesi
avvicinandomi.
<< Sì, sì certo Jude
>> rispose con un sorriso un
po' tirato.
<< Non ti vedo molto convinta, non ti piace nessun
vestito fin'ora? >>
<< Beh... ce n'erano alcuni carini ma.... hai sentito
Ranma no? >>
<< Sì... ehm... ho l'impressione che sia un
po' geloso!
>> le dissi in tutta sincerità.
Effettivamente, quel suo atteggiamento mi sembrava davvero
dettato dalla gelosia, come se volesse proteggere il bel corpo di lei
dagli
sguardi altrui, quelli di Ryoga in primis e poi quelli di tutti gli
invitati
alla festa di quella sera.
<< Non ti ha detto nulla quando i vestiti erano
accollati e lunghi o no? >>
<< No, erano informi ecco perché non ha detto
nulla.
Non è geloso, la verità è che non gli
piace il mio corpo, non perde mai
occasione per dirmi che ho i fianchi larghi e il seno piccolo e che non
sono
per niente carina... >> mi spiegò e per un
momento le sue parole mi
parvero vere. Ma non poteva essere così, io avevo visto il
modo in cui la
guardava ed ero certa, certissima, che né il suo viso
né il suo corpo mozzafiato
gli fossero indifferenti, come era, del resto, per tutti gli altri.
<< Facciamo un esperimento, prova uno dei vestiti che
la signora Namiko ha dato a me ed io ne proverò uno dei
tuoi, vediamo che dice
>> proposi e così uscii dal camerino con uno
degli abiti che Akane aveva
provato in precedenza, un modello semplice ed aderente davanti, ma con
degli
incroci dietro che, in un gioco di vedo non vedo, lasciavano trasparire
quasi
tutta la schiena. Mentre lei indossò un abito blu scuro,
senza spalline e che
lasciava alla vista una striscia sottile
di pelle -seppur velata dal tulle- che andava dalla spalla fino alla
fine della
lunghezza del vestito.
<< Come ci stanno? >> chiesi io speranzosa
mentre
Ryoga si limitava ad alzare il pollice sinistro, mentre -ancora una
volta-
abbassava il viso.
<< Bene Jude, è carino questo vestito!
>> rispose
prontamente Ranma guardandomi.
<< E a me? >> chiese Akane con un leggero
sorriso
facendosi avanti.
<< S...sei bellissima A-Akane! >>
balbettò Ryoga
imbarazzatissimo mentre si reggeva il bel viso paonazzo fra le mani.
<< Akane... ma sei matta? Vuoi venire davvero
vestita così? >> disse Ranma strabuzzando gli
occhi.
<< Cos'ha che non va? >>
<< Beh... Tanto per cominciare è...
è troppo corto e
poi è troppo aderente, e... e si vede tutto!!
>>
<< Mi sta male? >>
<< Non ho detto questo! >>
<< E allora perché hai da ridire? Quando l'ha
messo
Jude ti piaceva!!! Un maschiaccio come me non può vestirsi
così? >> disse
Akane spazientita, alzando leggermente la voce e stringendo i pugni.
Ranma non rispose, piuttosto sembrava confuso, come se non
avesse capito le accuse che gli erano state rivolte.
<< Akane ma che stai dicendo? >>
<< Sto dicendo Ranma, che nessuno dei vestiti che ho
provato fino ad ora ti è piaciuto! Erano tutti troppo corti,
o troppo scollati
o semplicemente troppo belli per me!! Mentre a Jude hai sempre fatto i
complimenti!! Perché? Vorrei solo sapere perché?
>> urlò quasi lei con
gli occhi lucidi.
Mi fermai a guardarla un momento: era rossa in viso,
probabilmente un misto di rabbia, per la convinzione che lui non la
trovasse
tanto bella da essere degna di indossare quei vestiti, e di imbarazzo,
per il
fatto che era palese che cercasse la sua approvazione. Aveva i
meravigliosi
occhi castani offuscati da un velo di lacrime, forse per la troppa
tensione, esplosa
da un momento all'altro, o forse per il dolore, la tristezza che quei
suoi
pensieri assurdi le suscitavano.
E poi mi fermai a guardare lui, che la osservava con gli
occhi blu spenti, pieni di tenerezza e comprensione, come a voler dire
“non hai
capito nulla”. Scosse la testa, disse semplicemente
<< Sei una stupida
Akane >> e andò via trascinandosi dietro Ryoga
che borbottava chissà cosa
contro di lui.
I ragazzi sparirono velocemente al piano di sopra, con tutta
probabilità per cercare qualcosa da indossare per loro,
mentre Akane si lasciò
cadere su uno dei pouf.
<< Tutto bene? >> le chiesi io un po'
titubante
<< Sì... tranquilla Jude, fra me e Ranma
è sempre così!
>> sorrise con orgoglio lei prima di avviarsi verso la
commessa e
chiederle altri abiti da provare.
E mentre indossavo l'abito che poi avrei scelto, non potei
fare a meno di chiedermi cosa ci fosse davvero fra quei due,
perché una ragazza
non se la prende così tanto se un suo amico non le fa un
complimento, ed un
ragazzo non è così tanto geloso
(perché io fui subito sicura -ed il tempo mi
diede poi ragione- che si trattasse di pura e semplice gelosia) dei
vestiti che
indossa una sua amica.
***
Tornate a casa trovammo Soun e Genma intenti a giocare una
noiosissima partita a shogi, Nabiki sotto la doccia e Kasumi fuori per
alcune
commissioni.
<< Ciao papà, buonasera signor Genma, Ranma e
Ryoga non
sono ancora rientrati? >>
<< Ciao bambine mie >>
<< Salve ragazze >>
<< Buonasera signor Tendo, buonasera signor Saotome
>>
<< Jude, come ho detto che devi chiamarmi?
>>
<< Ehm... papà! >>
<< Ebbene? >>
<< Buonasera papà, buonasera signor Sao...
ehm, Genma!
>>
<< Come state bambine, avete fatto compere?
>>
<< Papà, Ranma e Ryoga? >>
accelerò Akane.
<< Oh già sì... Saotome non barare
mentre non sto guardando,
comunque Akane mi pare siano andati nel dojo ad allenarsi
>>
<< Amico Tendo io non baro mai, sei tu che non ti
ricordi dove metti le pedine! >>
<< Ma non dire idiozie! Tu sei più vecchio di
me
dopotutto, sei tu che non ricordi! >>
<< Abbiamo la stessa età!! >>
<< Ma tu sei calvo! >>
<< Bada a come parli Tendo se non vuoi affrontare la
famigerata tecnica segreta della scuola Saotome!! >>
E il buffo litigio (di cui più della metà mi fu
tradotto da
Akane, perché i due signori avevano ricominciato a parlare
in giapponese) che
sembrava il disco rotto di una vecchia coppia sposata da anni, dato che
ogni
volta si ripeteva sempre molto similmente e che tutte le volte mi
faceva ridere
fino alle lacrime, andò avanti per un periodo di tempo
indefinito, che non
saprei dire, visto che io ed Akane ci avviammo in camera sua per
prepararci e
chiudemmo la porta, soffocando le loro voci profonde.
Per tre
ore
tutte le nostre energie furono tutte proiettate
nel farci belle: la doccia, lo smalto (che fu nero per entrambe), la
depilazione con la lametta (presumibilmente quella con cui Ranma usava
farsi la
barba), la crema, la maschera facciale (con la quale avremmo fatto
impallidire
anche Shrek e Fiona), la messa in piega (il caschetto moro
di Akane sembrava tempestato di diamanti tale
che era la sua lucentezza e la mia chioma bionda e
liscia venne
sapientemente ondulata dalla super-potente piastra di Nabiki) ed infine
il make
up (di queste tre ore, sicuramente più di una venne sprecata
con i cento e più
tentativi di fare una riga decente di eyeliner).
Alle 20.00 in punto eravamo pettinate e profumate in cima
alle scale, pronte per la nostra discesa trionfale, quando incontrammo
Nabiki.
Definirla mozzafiato sarebbe stato riduttivo: indossava un
abito color glicine scuro, corto e aderente, con una scollatura
vertiginosa sul
décolleté e un'altra, altrettanto sfacciatamente
provocante, sul retro, tanto
che il vestito sembrava reggersi a stento. Le scarpe, rigorosamente
open-toe e
rigorosamente altissime, erano in tinta, con una piccola cavigliera
dorata
abbinata agli orecchini.
<< Wow Nabiki, stai benissimo! >>
<< Grazie Jude, anche tu! >> rispose lei
facendomi l'occhiolino e scattandomi -segretamente- qualche fotografia
<<
Anche tu sei bella sorellina, vogliamo andare? >>
<< Non aspettiamo i ragazzi? >> chiese
Akane con
finta noncuranza.
<< Guarda tesoro che sono andati via già da un
pezzo!
Anzi, volevo chiederti, cosa è successo oggi al negozio?
Ranma è tornato
piuttosto nervosetto... Se non mi credi dai un'occhiata al dojo!
>>
<< No, non è successo niente e quello che fa
Ranma non
mi riguarda! Se quei due villani non ci hanno aspettate peggio per
loro...
Coraggio andiamo! >> rispose lei stizzita e Nabiki mi
guardò alzando un
sopracciglio: << Sarà... a me non la racconta
giusta! >> mi
sussurrò << Hanno litigato non è
vero? >> ed io mi limitai ad
annuire mentre varcavamo la soglia, uscendo da casa Tendo.
***
La villa della famiglia Kuno,
dove si
teneva la festa, era
sempre a Nerima e non troppo lontana dalla casa di Akane e Nabiki anche
se, con
i tacchi che tutte e tre avevamo avuto la brillante idea di metterci,
persino
due metri ci sarebbero sembrati chilometri.
Tutta la strada per arrivare all'abitazione era costellata di
rose nere, simbolo della festeggiata, fino al magnifico ingresso della
maestosa
casa.
Il portone era spalancato e all'interno camerieri in livrea
indicavano il passaggio per entrare nell'enorme salone da cui proveniva
musica
a volume alto e luci da discoteca.
Non appena fummo dentro non mi fu difficile capire quale
fosse la festeggiata: al centro della stanza, su quello che sembrava un
trono
argentato con ai piedi un tappeto di petali neri, stava seduta una
graziosa
ragazza con i capelli neri come l'ebano, lunghi e sistemati in una coda
alta e
laterale, gli occhi grigi e sottili e le piccole labbra a cuore tinte
di rosso
fuoco. Kodachi indossava una tiara tempestata da piccoli diamanti
luminosi ed
uno sconvolgente vestito nero di seta e pizzo, lungo e davvero molto
sexy,
degno del bellissimo corpo che aveva.
Improvvisamente, mentre la osservavo, mi sentii abbracciare
da dietro e, senza nemmeno girarmi, seppi che Kuno aveva apprezzato il
mio
abbigliamento.
Avevo scelto un abito corto, bianco e con degli intarsi in
pizzo nero che circondavano entrambi i lati dell'abito, chiudendosi in
vita e
riaprendosi per seguire poi la leggera svasatura a campana della gonna.
Il
tutto corredato da delle décolleté lucide nere e
due piccoli brillantini ai
lobi.
<< Oh creature meravigliose del cielo, della terra e di
tutti e sette i mari >> farneticava Tatewaki mentre ci
stringeva tutte
nella morsa delle sue lunghe braccia << di quale immensa
felicità sia
ricolmo il mio cuore ora che vi vedo qui davanti a me, non saprei
spiegarvelo a
parole >>
Poi, improvvisamente, come se si fosse ricordato di qualcosa
di urgente, ci lasciò andare e focalizzò la sua
attenzione esclusivamente su di
me:
<< Oh Judith, divina creatura, potrai mai perdonarmi
per essere stato un così mediocre padrone di casa?
>>
<< Ma di che parla? >> sibilai rivolta alle
mie
amiche mentre lui mi baciava entrambe le mani inginocchiandosi appena.
<< E che ne so >> fece spallucce Nabiki.
<< Non ti ho presentato la mia amata sorella! Perdonami
bellissima Judith, rimedierò immediatamente al mio torto,
accompagnandoti al
suo cospetto! >> e con queste ultime parole mi
trascinò per mano sotto al
trono facendosi spazio fra la folla.
Non appena fummo arrivati, senza troppe difficoltà visto che
ogni invitato si gettava persino per terra pur di far passare in
padrone di
casa, Kodachi scese dalla sua seduta con una grazia ed un'eleganza che
si
addicevano perfettamente ai suoi tratti delicati e si
inchinò docilmente
davanti a me. Se non fosse stato per quello che è accaduto
esattamente un
secondo dopo, l'avrei trovata una ragazza bellissima e a modo, niente a
che
fare con la pazza descritta dai miei amici.
Improvvisamente dalle sue graziose labbra uscì una risata
degna di un film horror, un misto fra Maria Callas e un Babbo Natale
diretto da
Alfred Hitchcock, che mi fece sgranare gli occhi e anche rabbrividire
leggermente.
Eh sì, ora le
cose quadravano.
<< Ah-ah-ah-ah-ah tu devi essere Judith Montgomery non
è vero? La ragazza americana che è ospite a casa
del mio adorato Ranma!
>>
A quelle parole ricordai che Akane mi aveva raccontato di
quanto Kodachi fosse innamorata -e, nemmeno a dirlo, non corrisposta-
di Ranma
e mi scappò un sorriso: di sicuro era bella, ma
assolutamente fuori di testa.
<< Sì, sono io, piacere di conoscerti e...
Buon
compleanno! >>
<< Oh grazie mia cara, hai già provato il
punch?
>>
<< Ecco io... no, non ancora... vado a prenderlo...
>>
<< Oh no, no, cara Judith, non ce n'è bisogno!
Sasukeeee!!! (e questo fu un altro grido da far accapponare la pelle)
portaci
immediatamente due bicchieri di punch, svelto!!! >>
<< Subito padroncina >> rispose prontamente
il
ninja che avevo conosciuto non molte sere fa nel dojo Tendo ed io non
potei
fare a meno di chiedermi da dove fosse sbucato.
Kodachi, tra un bicchiere di delizioso succo rosso e
l'altro,
mi tenne inchiodata di fianco a lei per una buona mezz'ora,
raccontandomi di
tutte le sue meravigliose imprese nella ginnastica ritmica marziale
(sport che
fra l'altro io non avevo mai sentito nominare) e della sua
appassionante storia
d'amore con Ranma, il quale era il suo fidanzato da quella famosa notte
in cui
lui l'aveva salvata sul tetto.
<< A proposito, il mio adorato Ranma dov'è?
Come mai
non è ancora venuto a farmi gli auguri? >> E
fu in quel momento che mi
accorsi che di Ranma non c'era traccia.
Mi guardai intorno e trovai tutti, i compagni di corso, gli
amici stranieri, Yuka e Sayuri che si contendevano -tanto per cambiare-
un
ballo con Alexander, Hiroshi e Daisuke che correvano dietro a tutte le
ragazze
carine, Nabiki che contrattava con Kuno, tutti, meno che Ranma e Ryoga.
Con una scusa mi allontanai in fretta da Kodachi e dal suo
dolcissimo profumo francese e mi misi seduta di fianco ad Akane, che se
ne
stava su una sedia bianca con l'aria triste.
<< Conosciuta Kodachi? >> mi disse non
appena mi vide
affianco a sé.
<< Sì... ehm... è simpatica!
>>
<< Quando vuole sa esserlo! >>
<< Akane scusa ma Ranma e Ryoga non sono venuti?
>> chiesi io interrompendo le nostre risate.
Lei mi guardò per un attimo negli occhi in silenzio, poi
girò
velocemente la testa dall'altra parte:
<< Non lo so e non mi interessa cosa fa quello stupido!
Probabilmente non verrà! >> ma io notai una
nota di delusione in quel
tono forte e deciso.
<< Chi non viene? >> disse una voce alle
nostre
spalle e non ebbi nemmeno bisogno di girarmi per capire chi fosse.
Ranma e Ryoga erano dietro di noi, più belli che mai: Ryoga,
che si era tolto la classica bandana gialla, indossava dei pantaloni
neri dal
taglio elegante con sopra una camicia e delle bretelle a vista sempre
nere, aveva
le maniche tirate leggermente su e profumava di muschio; mentre Ranma,
in look
total black, aveva un paio di jeans scuri e molto aderenti, una camicia
nera
così stretta che anche al semi buio metteva in risalto i
suoi muscoli
prominenti e con sopra un gilet intonato al resto del completo.
<< Allora, chi è che non viene?
>> disse
quest'ultimo appoggiandosi al retro della sedia di Akane e
avvicinandosi al suo
orecchio.
<< Vi siete degnati di arrivare >> rispose
lei
alzandosi in piedi di scatto << dovevamo venire tutti
insieme! >>
<< Ti piace come sono vestito? >>
cambiò
argomento lui senza badare alla freddezza del tono di Akane.
<< Sì, stai bene >> ammise
<< Io nemmeno te
lo chiedo come sto... >> sussurrò poi con una
leggere amarezza nella
voce.
Alla fine aveva optato per un completo molto particolare che
aveva definito “adatto ad un maschiaccio”: una
gonna nera di chiffon, non
troppo lunga me nemmeno troppo corta, con delle pieghe alla scolaretta,
una
camicetta color panna abbinata sopra, leggermente trasparente e senza
maniche,
il tutto corredato da delle open-toe nere con il cinturino alla
caviglia, un
paio di orecchini pendenti bianco caldo, tanti braccialetti sottili e
luminosi
al braccio sinistro ed una spilla a forma di papillon nera ricoperta
interamente da paillettes dello stesso colore appuntata sul collo.
Ranma la prese per mano e le fece fare un giro su sé stessa,
per ammirarla meglio, poi se la portò di fianco e le
sussurrò:
<< La camicia è un po' troppo trasparente, la
gonna è
corta.... >>
<< Ranma!!! Possibile che tu non... >>
<< Vuoi lasciarmi finire per una volta? Dicevo, la
camicia è trasparente, la gonna è corta ed anche
se io sono geloso marcio,
sei... sei bellissima ecco! >> riuscì infine a
concludere Ranma con un
leggero rossore sulle guance ma il volto soddisfatto.
E nessuna delle mie parole potrebbe descrivere l'espressione
di stupore, felicità ed imbarazzo che si dipinse in quel
momento sul viso di
Akane.
<< Allora... tu... tu eri geloso! >>
finì poi
col dire lei sorridendo nella mia direzione mentre io, contenta di aver
-per
una volta- compreso tutto fin dall'inizio, le feci un cenno di rimando.
<< Domani potrei negarlo, ma intanto... ti va di
ballare? >> le chiese lui tentennando un po' e, con un
sorriso a trentadue
denti, lei afferrò la sua mano.
(NdA:
Per favore, fate partire anche voi la canzone
contemporaneamente alla lettura, fa un altro effetto!!)
“Doomed
from the start
We met with a goodbye kiss
I broke my wrist.
It all kicked off, I had
no choice
You said that you didn't
mind
'cause love's hard to
find.”
Le note di “Goodbye
kiss” dei Kasabian
fluirono lente e
perfette nell'aria, mentre Ranma ed Akane avvicinavano i loro corpi gli
uni
agli altri.
“La-la-la-la
Maybe the days we had are
gone
Living in silence for too
long
Open your eyes and what
do you see?
No more laughts, no more
photographs.”
Istintivamente, come se fosse una conseguenza naturale, Ryoga
si portò una delle mie mani sulla spalla, sorridendomi come
per chiedere il mio
consenso, e quando io strinsi l'altra alla sua cominciò a
muovere dei piccoli
passi al ritmo melodioso della canzone, mentre altre coppie si univano
al dolce
suono di quel lento.
“Turning slowly,
looking back,
See no words can save this
You're broken and i'm
pissed
Run along like i'm
suppose to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us
insane
I hope someday that we
will met again.”
Come se il gesto di quei due ragazzi, sempre lontani ma, a
quanto pareva, legati da un filo saldissimo, avesse dato coraggio
all'intera sala
(non senza qualche lamento proveniente da circa duecento fanciulle che
-probabilmente- volevano ballare con Ranma) i ragazzi si avvicinarono
alle
ragazze, posando le mani sui loro fianchi, mentre loro incastravano le
teste
nei loro petti.
“Running wild
Giving it everyone
Now that's all done
Cause we burnt out, that's what you do
When you have everyrhing
It can be true.”
Nabiki
si fece portare da Kuno, danzando per tutta la sala,
ridendo e abbassando, per un momento, le difese da regina di ghiaccio.
Hiroshi si fece coraggio e posò un piccolo bacio sulla
guancia di Yuka mentre lei cantava la strofa della bellissima canzone.
Daisuke, cercando di non pestarle troppo i piedi, ballò con
Sayuri sorridendole mentre lei arrossiva.
Kodachi incastrò Alexander e ad ogni giro che lui le faceva
fare, lei gli sbuffava addosso centinaia e
centinaia di petali neri e profumati, creando un gioco
di luci e ombre
in tutta la sala mentre Sasuke ballava da solo in mezzo alle altre
coppie
ridenti e spensierate.
“La-la-la-la
Maybe the days we had are gone
Living in silence for too long
Open your eyes and what do you see?
The last stand, let go of my hand.”
Ci
furono altri balli, altre canzoni armoniose e romantiche,
le coppie cambiarono...
Io mi ritrovai stretta a Kuno, che sapeva ballare
meravigliosamente e mi condusse alla perfezione, e fra le braccia di
Alexander
che erano veramente grandi e forti come sostenevano le mie amiche.
Nabiki
invece ballò con Ryoga, fra una presa in giro e l'altra, e
poi con un suo
affascinante compagno di corso mentre Kodachi dirigeva le danze
muovendo gli
indici dall'alto del suo trono argentato.
Tutta la sala girava al ritmo calzante di motivi lenti o
veloci, frenetici o pacati, moderni o più datati, mentre le
luci azzurre
saettavano in ogni angolo.
“Turning slowly,
looking back,
See no words can save this
You're broken and i'm pissed
Run along like i'm suppose to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us insane
I hope someday that we will met again
You go your way
And I'll go my way
No words can save us,
This lifestyle made us
Run along like i'm
supposed to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us
insane
I hope someday that we
will met again.”
Ma Ranma e Akane, loro no.
Loro non si accorsero di nulla, del mondo e di tutti noi che
cambiavamo intorno a loro.
Loro rimasero uniti, occhi negli occhi, a ballare, sempre
insieme, come se quella prima canzone non fosse finita mai.
***
Ta daaaaa! Buona sera!!!
Ed eccomi qui con un altro capitolo!
Innanzitutto, vorrei ringraziare tantissimo il mio personal
stylist di fiducia, fate tutti un applauso al nostro Pierre
(alias Pia) perché
tutti i meravigliosi outfit che leggete nel capitolo sono opera sua.
Grazie
mon amour, a buon rendere.
Altra cosa, la canzone che ho scelto, “Goodbye kiss”
dei
Kasabian,
so bene che è molto triste ma adoro il suo ritmo e ho
immaginato il
tutto come le scene di un film, con questo particolare brano in
sottofondo,
quindi per favore non badate alle parole ma solo alla melodia.
Ebbene, eccoci giunti a Kodachi. Spero che la festa sia
stata
di vostro gradimento... Non ve l'aspettavate questo colpo di scena eh?
Ma non
credete, quei due sono parecchio testardi, non è cambiato
poi molto!
Sapete dirmi a chi toccherà ora?
Come sempre, ringrazio tutti di cuore: chi legge, chi
segue,
chi preferisce, chi ricorda e soprattutto chi mi lascia sempre una
recensione,
fa un piacere immenso!
Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, a
presto
ostra Aronoele (:
|
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Capitolo 6 *** Qui gatta ci cova ***
<< Domani
potrei negarlo, ma intanto... ti va di
ballare? >> Le chiese lui tentennando un po' e, con un
sorriso a
trentadue denti, lei afferrò la sua mano, Ranma se
la portò dietro il collo
invitandola ad abbracciarlo, ed Akane lo fece.
Posò entrambe le piccole e candide mani sul possente collo
di
lui, esattamente dietro il codino, fra la
pelle morbida e la camicia nera, mentre il ragazzo le
cingeva
dolcemente i fianchi, con gli arti grandi e forti posati sullo chiffon
leggero
e sottile del suo vestito, creando uno strano contrasto, e senza mai
staccare
gli occhi da lei.
Così, più vicini che mai, con i respiri mischiati
gli uni
agli altri, le mani congiunte ai corpi dell'altro e le orecchie chiuse
ai
rumori del resto del mondo, i due ragazzi si guardarono e si parlarono,
senza
mai dire una parola.
***
Dal canto
suo,
anche quello che aveva l'aria di essere un
compagno di scorribande ed amico fidato -per entrambi si intende- fu
investito
dal gesto dei due ragazzi e dal trasporto con il quale era stato
compiuto.
Così, senza pensarci due volte, si avvicinò alla
ragazza
bionda che, poco distante da lui, guardava la scena con un sorriso
tenero e, da
dietro, le prese dolcemente la mano, facendola voltare.
La mia reazione fu di estrema sorpresa e non poco imbarazzo,
quando sentii la mano calda e gentile di Ryoga stringere la mia.
Probabilmente non aveva il coraggio di invitarmi
ufficialmente, data la sua estrema timidezza, ma posò
ugualmente la mia mano
sulla sua spalla, avvolta in quella camicia bianca, profumata ed
aderente, e
prese anche l'altra, aspettando il mio consenso alla sua muta quanto
tenera
richiesta.
Lo guardai un momento negli occhi e riconobbi una scintilla,
quella di un uomo, galante e romantico, che guarda una
felicità riflessa in due
figure -a lui molto note- che ballano lontane, e che desidera lo stesso
per sé.
Senza indugiare ancora, strinsi forte la sua mano e lui
sorrise ancora di più.
Nessuno dei due era un grande ballerino, ci limitavano a
reggerci l'uno all'altra e a muoverci lentamente e con grazia fra le
altre
coppie.
Vagando con la mano sulla sua larghissima spalla incappai in
una delle bretelle nere che conferivano al suo look un non so cosa di
sexy e
decisi che era tempo di smetterla di tenere la testa di lato e che
dovevo
parlargli. L'avevo fatto con Ranma in fondo, ci sarei riuscita anche
con lui,
non mordeva mica.
<< Carine le bretelle >> dissi quindi
avvicinandomi un poco per farmi sentire.
Lui si girò di scatto: << Grazie.... le ho
trovate un
po' per caso, non sono uno che frequenta molte feste e non sapevo
proprio cosa
si deve indossare in certe occasioni... Così ho comprato un
giornale di moda e
ho visto che erano... sì, sai... di tendenza... Che ne so,
non le so fare
queste cose! >>
<< Sono belle... ti stanno bene... ottima scelta
>>
<< Grazie >> rispose lui sereno e
tornò a
guardare alla sua destra, in direzione di Ranma e Akane.
<< Ti piace molto eh? >>
<< No... O meglio sì, mi piaceva molto, ma era
un'idea
sbagliata dell'amore la mia... >>
<< Cioè? >> chiesi incuriosita
mentre lui mi
faceva girare ancora attaccata al suo corpo muscoloso.
<< Akane mi piaceva perché era gentile con me
e non è
una cosa a cui sono abituato, ma non era amore. Amore è
altro... >>
sussurrò lui, rivolto forse a me, forse a sé
stesso o forse a loro, che
ballavano infischiandosene di tutto.
<< Ora è tempo di andare avanti
>> concluse poi,
tornando a guardarmi.
***
<< Per
accontentare
ciascuna di voi, mie adorabili
signore, ballerò con ognuna e l'ordine di scelta
sarà del tutto casuale! Non
accapigliatevi, non ce n'è bisogno, Tatewaki Kuno, detto il
tuono blu, basta
per tutte... >>
<< Kuno dacci un taglio per amor del cielo!
>>
<< Nabiki Tendo... E sia! Sarai tu la mia prima dama!
>>
<< Ma che fai? Chi ti vuole? >> esplose lei
mentre lui la abbracciava, avvicinandola molto al suo corpo alto e
statuario.
<< Nabiki Tendo non ti opporre alla forza del destino
che ci ha voluti insieme... lascia che le tue soavi membra.... Oh
insomma,
smettila e balla con me! >> disse alla fine,
lasciando stupita Nabiki che ora senza
più
esitare, aveva unito le mani a quelle di lui.
<< Allora a volte sei normale... >>
<< Certo >> e le fece fare una giravolta.
<< E perché allora ti comporti sempre da
idiota?
>>
Lui si limitò a sbuffare e a farle fare una specie di
casquette, avvicinandosi pericolosamente al suo collo per tenerla
più saldamente.
<< Non mi piace essere portata né nel ballo
né nella
vita, preferisco portare.... >>
Kuno le diede un leggero strattone sorridendo sicuro di sé:
<< Ma non riesci a stare zitta per un secondo?
>> e
Nabiki si fece portare, danzando per
tutta la sala, ridendo e abbassando, per un momento, le difese da
regina di
ghiaccio.
***
Kodachi
nel frattempo guardava la scena dall'alto del trono
che si era fatta erigere per festeggiare con stile, il suo particolare
stile,
il suo diciannovesimo compleanno.
<< Non è giusto!! Perché il mio
adorato Ranma balla con
quell'insulsa di Akane Tendo? >> gridò lei
così forte che risuonò quasi
più forte delle parole della canzone.
<< Mi dispiace padroncina >>
osservò Sasuke raggomitolato
ai piedi della sua sedia argenata.
<< Cosa posso fare per lei? >>
<< Voglio ballare >>
<< Ehm... signorina Kodachi... io sono onorato...
sì...
ma ecco... io non so se sono capace.... >>
<< Ma che hai capito stupido? Mica con te! Trovami il
cavaliere
più bello di tutti, così vedrà
quell'Akane... >> disse la festeggiata
con un tono a metà fra il pretenzioso e il temibile.
Sasuke si guardò intorno, visibilmente spaventato
dall'assurda pretesa della sua padrona: trovare un cavaliere
più bello di
Ranma, quando si sapeva che lei, come quasi la metà della
sala, era innamorata
persa del ragazzo con il codino.
Cominciò a muoversi, con la sua abilità da ninja
che gli
conferiva il potere di rimanere invisibile ai più data
l'estrema velocità dei suoi
movimenti, finché non si imbatté in due spalle
larghe, due occhi ambrati e dei
capelli ricci e neri.
<< Signor Alexander... ecco la mia padroncina, la
signorina Kodachi Kuno, la festeggiata... gradirebbe ballare con lei...
>> disse il piccolo ninja tutto d'un fiato, contento di
aver trovato un
degno sostituto del giovane Saotome, ma intimorito dalla stazza del suo
interlocutore.
Alexander, ragazzo taciturno e probabilmente non portato per
la mondanità, si alzò prontamente e rispondendo
con un “con piacere” andò
spedito e sicuro verso Kodachi la quale, al sol vederlo
arrossì vistosamente.
<< Vuoi ballare? >> le disse lui con fare
seducente e lei quasi si sciolse al contatto con le sue mani.
Kodachi sembrava così minuta persa in quelle braccia e ad
ogni giro che lui le faceva fare, lei gli sbuffava addosso centinaia e
centinaia di petali neri e profumati, creando un gioco di luci e ombre
in tutta
la sala, nel quale si nascosero ai suoi occhi grigi anche le
due figure che
ballavano lontane.
***
<< Ma se quel bell'imbusto sta
ballando con Kodachi
cosa ti costa ballare con me?? Solo questa canzone!! >>
Hiroshi aveva
guardato il suo amico, che troppe volte aveva preso in giro, prendere
il
coraggio a quattro mani e ballare con Akane, infischiandosene per una
volta di
quello che avrebbe detto la gente, e così anche lui aveva
fatto un bel respiro
ed era andato da Yuka, armato delle migliori intenzioni.
Ma lei quel ragazzo con i capelli chiari e ricci e gli occhi
dolci, non lo vedeva neanche, in confronto alla montagna americana.
<< No, no e no, ti ho detto che non ci ballo con te,
sto aspettando Alexander!!! >>
<< Solo questa canzone, così magari lo fai
ingelosire... E poi guarda, anche Sayuri balla! >>
Dall'altra parte della sala infatti, anche se con gli occhi
puntati verso Alexander, i bei capelli ondulati della ragazza, sciolti
per una
volta dalla solita coda, si muovevano al ritmo dei passi di Daisuke
che, cercando
di non pestarle troppo i piedi, ballò con Sayuri mentre lei
arrossiva.
<< D'accordo,
solo questa canzone >> disse allora
Yuka guardando da una parte Akane, che danzava con il suo Ranma
incantata e
dall'altra Sayuri, la sua amica storica, che finalmente era riuscita a
ballare
con il bel ragazzo castano e dai lineamenti seri che le era sempre
piaciuto
tanto.
Hiroshi le sorrise di pura gioia, sfiorandole delicatamente
il vestito verde smeraldo e, mentre ballavano al ritmo lento della
melodia, posò
un piccolo bacio sulla guancia della ragazza mentre lei cantava la
strofa della
bellissima canzone, sperando che così -finalmente-
capisse.
***
“Goodbye kiss”
finì e le coppie si separarono.
Mentre “Always”
di Bon Jovi
prendeva il suo posto, due occhi
castani e due blu continuavano a guardarsi mentre i nasi quasi si
toccavano e
le mani, sempre immobili al loro posto, stringevano un po' di
più.
***
<< È
stato un
piacere Jude >> mi sussurrò Ryoga
all'orecchio cedendomi a Kuno, con il quale ci eravamo scontrati due
secondi
prima e che mi aveva chiesto di “concedergli questo
ballo”.
<< Anche per me, Ryoga >> risposi io
imbarazzata
mentre il mio nuovo cavaliere mi stringeva a sé.
Kuno era un ottimo ballerino, come sua sorella d'altronde, e
mi condusse alla perfezione sulle note di quella meravigliosa ed
intensa
canzone, tenendomi saldamente.
Io però, mentre guardavo i suoi occhi scuri ed i capelli
morbidi così vicini a me e aspiravo a pieni polmoni il
profumo intenso del suo
dopobarba, non sapevo cosa dire, abituata ormai ad ascoltare le sue
poesie
senza battere ciglio.
Tatewaki era un ragazzo bellissimo e quando era serio, e ti
guardava con gli occhi carichi d'ardore e parlava
con la sua voce profonda, era capace di far cadere
ai propri
piedi qualunque ragazza. Eppure si ostinava ad avere quei modi boriosi
-ma
tutto sommato simpatici- che avevo capito essere
tipici della sua famiglia.
Mentre la splendida voce di Bon Jovi cantava quelle parole
d'amore, Kuno rimase in silenzio a fissare un caschetto, ma stavolta
non nero e
lucido, bensì dello stesso colore della legna bagnata.
***
Poco distante da noi, che ballavamo in silenzio
sorridendoci
ogni tanto e probabilmente trovandoci più in sintonia di
quello che pensavamo, una
coppia che si conosceva da molto più tempo ballava ridendo,
mentre Nabiki
lanciava le solite frecciatine:
<< Allora, passata l'infatuazione per la mia sorellina?
>>
<< Sì, simpaticona >>
<< Me ne sono accorta.... Dalla mora alla bionda?
>> insinuò lei con fare cospiratore.
<< Nabiki ma che... che dici? Sei impazzita? Stavamo
solo ballando! Io non, noi non, ma che..? >>
cominciò a balbettare
Ryoga con il viso paonazzo.
<< Calma P-chan non andare in iperventilazione!!! Mi
sembrava che ci fosse un certo interesse tutto qui! >>
<< No, no, no ti sbagli! >>
affermò lui
agitandosi più del dovuto.
<< Sarà... e la brunetta dove l'hai lasciata?
>>
<< È andata a trovare sua nonna al mare
>>
<< Allora hai capito a chi mi riferivo, furbone!
>>
Ryoga, fingendo un passo di danza, la allontanò e poi la
riavvicinò a sé velocemente:
<< La mia vita sentimentale è così
interessante?
>> le sibilò all'orecchio mentre lei rideva
realmente divertita
dall'improvviso fuoco che si era impossessato del suo cavaliere.
<< Perché non parliamo un po' della tua...
Miss Kuno?
>>
<< In effetti sarebbe perfetto per me >>
rispose
lei seria << È ricco!!! >>
Ed entrambi continuarono il loro strampalato ballo ridendo
divertiti.
***
Intanto
non
molto lontano Kodachi stava dando il meglio di
sé.
Alexander, dopo aver ballato con lei, si era gentilmente
congedato, impegnato com'era a tenere a bada Yuka e Sayuri, mentre
Sasuke, dopo
essersi nuovamente offerto come cavaliere ed essere stato
-ovviamente- rifiutato, si era messo a ballare da solo fra la
folla, infischiandosi, per un momento, della sua
“padroncina”.
La bella mora si era ritrovata così da sola al centro della
pista e, gettando occhiate infuocate a tutte le coppie -ma soprattutto
a quella
formata dal “suo adorato Ranma” e da
“quell'odiosa di Akane Tendo”, che danzava
ancora insieme tenera ed armoniosa- prese a lanciare boccette di vetro
dal
contenuto nero.
In quel preciso istante, stringendomi di più a Kuno che con
maestria evitò una delle piccole bottigliette di sua
sorella, capii perché i
miei amici le davano della “pazza pozionista”.
Il liquido contenuto nelle boccette, nero e profumato di
fiori, era una specie di filtro d'amore, una di quelle cose che si
vedono nei
film per bambini o nei cartoni animati. Chi ne veniva colpito, e
respirava la
nuvola densa e scura che scaturiva dal contatto con l'aria, cambiava
completamente espressione, sembrava un misto fra un ubriaco e una
bambola, se ne
andava in giro barcollando e ripetendo “Kodachi mia signora
io ti amo”.
Furono colpiti un paio di ragazzi, che caddero a terra
addormentati dopo pochi secondi e anche Yuka e Sayuri, che invece si
misero a
cantare una canzoncina da ragazze pon-pon in riferimento alla folle
festeggiata.
Kodachi, sempre più inviperita, cominciò a
scagliarne a
dozzine, puntando sempre più a colpire Ranma, ma a volte,
chiamatelo destino o
karma, agisce per noi, e il caso volle che fu proprio lei ad essere
colpita da una delle sue bizzarre -e alquanto incredibili- pozioni,
rispedita
indietro da chissà chi.
***
Anche questa canzone finì e le coppie che erano
sopravvissute
all' “attacco” di Kodachi si separarono
sorridendosi.
Tutte, tranne una.
Mentre Elton John intonava le prima note di “Your song”,
Ranma ed Akane non si accorsero di nulla, del mondo e di
tutti noi che
cambiavamo intorno a loro. Loro rimasero uniti, con la fronte
appoggiata l'una
su quella dell'altro, occhi negli occhi, a ballare, sempre insieme,
come se
quella prima canzone non fosse finita mai.
***
<< Balliamo?
>> mi disse all'improvviso una voce
calda e, quando alzai la testa dalla sua camicia di lino bianca, vidi
il volto
di Alexander sorridermi.
<< Certo >> risposi e lui mi prese fra
le sue
braccia, che erano veramente grandi e forti come sostenevano le mie
amiche.
Alexander ed io eravamo gli unici due che avevano avuto la
fortuna di provenire dallo stesso Paese, con il tempo, data l'amicizia
che
legava Hiroshi a Ranma, eravamo anche diventati amici, ma mentre
ballavamo
stretti l'uno all'altra mi resi conto che non avevamo mai parlato da
soli.
Così, sulle note di quella canzone dolce, cominciammo a
raccontarci della nostra America, lui di Boston, io di New York, dei
posti
delle vacanze e dei luna park, del nostro dolce preferito e di quanto
entrambi
odiamo i fast food, di tutto ciò che era così
diverso -e tremendamente
intrigante- nel Paese che ci ospitava e di quanta nostalgia avessimo
del
nostro, di Paese.
Così, in questa festa che a me pareva più uno di
quei balli
ottocenteschi a casa del principe, ritrovai un pezzetto di casa.
Un pezzetto di casa che profumava di salsedine e che non
appena vide che mi stavo rattristando, pensando agli amici lontani,
raccontò
una barzelletta e mi fece girare, girare, girare, finché non
vide che mi
aggrappavo a lui con il volto sorridente.
***
Nel frattempo, da qualche parte, Ryoga se ne stava seduto a
guardare, un po' tutti e un po' nessuno, mentre Nabiki, prima al suo
fianco,
venne richiesta da un affascinante compagno di corso, che la fece
volteggiare e
ballare mentre le sussurrava all'orecchio le strofe della canzone.
Il tutto accadde sotto gli occhi inebriati di Kodachi che
dirigeva le danze muovendo gli indici dall'alto del suo trono,
non
essendosi ancora ripresa dagli effetti del suo stesso filtro, e che
urlava
parole sconnesse d'amore, a volte a Ranma ed altre a sé
stessa.
Nello stesso esatto momento Hiroshi e Daisuke si erano
buttati su un divano, stremati dal cercare di aiutare le loro due
amiche,
cadute preda della festeggiata.
Ed anche Sasuke, seppur dall'altra parte della stanza,
correva avanti e indietro cercando di far rinsavire più
gente possibile, avendo
ormai perso le speranze con la sua padrona la quale, in
realtà, era decisamente
più innocua da stordita che da cosciente.
***
Non
so con esattezza quante ore passarono mentre tutti
ballavano e bevevano lo squisito punch, ma le canzoni scorrevano veloci
e
sempre più movimentate, mentre le risate aumentavano ed
alcuni se ne andavano.
Ranma ed Akane si separarono, arrossendo a dismisura quando
si accorsero che tutti li guardavano, ma scossero la testa e decisero
di non
pensarci. Forse era colpa delle luci azzurre e sfocate, forse
dell'atmosfera
idilliaca che donavano i piccoli coriandoli argentati che proprio in
quel
momento stavano cadendo leggeri e luminosi, o forse della successione
di
canzoni romantiche, ma ognuno aveva fatto qualcosa di avventato, di
coraggioso,
o semplicemente qualcosa che aveva desiderato fare da sempre.
Così mi parve di
leggere sui volti dei presenti un tacito accordo: quella sera, mentre
ballavamo
in cerchio “Marry
you” di Bruno Mars e cantavamo a squarciagola,
tutto sarebbe
stato possibile, domani poi, nessuno ne avrebbe parlato.
***
Sfinita mi lasciai cadere sul divano, mentre la
musica
scemava e il vociare dei ragazzi ubriachi si faceva sempre
più forte.
<< Stanca? >> chiese una voce conosciuta
che
proveniva dal mio fianco.
Con la testa reclinata ed ancora appoggiata al morbido
schienale di pelle bianca e gli occhi chiusi, feci semplicemente segno
di “sì”
con la testa mentre Ranma si sedeva vicino a me allargando le braccia.
<< Ti sei divertita? Ho visto che hai ballato con il
fior fiore dei ragazzi presenti... Se escludi il sottoscritto
ovviamente
>>
A quella battuta mi voltai leggermente e gli sorrisi <<
Ovviamente >> ripetei per prenderlo in giro
<< Sì, mi sono divertita...
e tu? >>
<< Anche io sono stato bene >> e i miei
occhi
neri si intesero perfettamente con i suoi blu per un momento, prima che
tutti
gli altri arrivassero e ci impedissero di portare a termine in discorso.
<< Allora, è quasi l'alba, ce ne andiamo?
>>
chiese Nabiki, l'unica che -per miracolo o abitudine- riusciva ancora a
sopportare quei tremendi tacchi a spillo.
<< Anche io sono un po' stanca >>
confermò Akane.
<< Come volete >> disse Ryoga ma, mentre
stavamo
per alzarci ed andare a salutare la padrona di casa (che nel frattempo
si era
ripresa e scartava come una furia tutti i regali, depositati come
omaggi sotto
alla sua seduta), qualcosa ci bloccò.
Uno dei camerieri in livrea, che aveva il compito di
accompagnare all'interno gli ospiti, fece entrare una giovane ragazza
dall'aspetto mozzafiato.
Aveva dei lunghissimi capelli color lavanda, lisci e setosi,
due occhi a mandorla, avrei detto quasi color borgogna, e le labbra,
piccole ma
piene, tinte di rosa pastello.
Si diresse verso il centro della sala muovendo le piccole
gambe affusolate sensualmente, mentre le faceva scivolare nella seta
del
vestito color corallo che le aderiva così bene.
Disse qualcosa in giapponese, anche se in un modo che lì per
lì mi parve strano, e notai che la sua voce era carezzevole
e leggermente
acuta, somigliante al miagolio di un gatto.
<< In effetti mi mancava all'appello >>
disse
Nabiki con il tono ironico.
<< A me non mancava per niente invece >> fu
invece il commento lapidario di Akane.
<< Cosa ci fai tu qui? >> urlò
Kodachi alla bella
straniera al centro della sala.
<< Perché parli in inglese? >>
<< Perché ho ospiti internazionali io, non
sono mica
una vagabonda come te!! >>
A quelle parole la minuta ragazza spiccò un salto
potentissimo e, se non l'avesse fermata Kuno con la sua mole, sarebbe
di sicuro
finita addosso a Kodachi.
<< Calmiamoci ragazze su! >> disse il
ragazzo
tenendola saldamente dalle braccia << Sorella mia,
credevo fossi una
padrona di casa più accomodante >>
<< Taci Tatewaki! Ho detto che ci fai qui Shan-pu?
>>
E così Shan-pu era il suo nome.
<< Credo che il mio invito si sia perso per strada...
>>
<< Veramente nessuno ti ha invitata, gatta morta!
>>
<< Ha parlato la rosa nera appassita! >> e
Kuno
fu costretto a sedare ancora le ragazze, questa volta bloccando un
colpo della
sorella che, non seppi mai da dove, aveva tirato fuori un nastro da
ginnastica
ritmica rosa e lo stava per usare come arma contro la nuova arrivata.
<< Non mi hai invitata perché volevi Ranma
tutta per te,
eh, strega? >> disse Shan-pu e senza nemmeno aspettare la
replica di
Kodachi, si diresse ancheggiando vanitosamente, verso di noi.
Alle ultime parole della ragazza però io guardai stupita
Nabiki, in piedi davanti a me, chiedendole conferma.
<< Oh sì Jude... Il nostro Ranma è
un tipo molto
richiesto in caso non te ne fossi accorta! >> mi disse
lei per rispondere
alla mia domanda muta.
<< Oh sì, l'ho notato... Lei è?
>>
<< Shan-pu, un'altra delle abbonate al fan club
“tutte
pazze per Ranma Saotome” >>
<< Che ci posso fare se sono irresistibile?
>>
dichiarò il diretto interessato fra il serio e il faceto.
<< Ma per favore >> sibilò Akane
fra i denti. Da
quando Shan-pu era entrata nella stanza aveva vistosamente cambiato
umore.
<< Ma non ce ne stavamo andando? >> disse
poi più
ad alta voce ma fu interrotta dall'arrivo della ragazza che, senza
degnare
nemmeno di uno sguardo noi altri, si mise seduta sulle gambe di Ranma
con fare
seducente e cominciò a strusciare il suo bel visino contro
quello di lui.
Prima ancora che Akane, visibilmente urtata da quel
comportamento, potesse dire qualcosa, Kodachi arrivò come
una furia e staccò in
malo modo Shan-pu da un Ranma immobile come una statua.
<< Vuoi combattere anche il giorno del tuo compleanno?
>>
<< Fatti sotto cinese dei miei stivali! >>
<< Ragazze per favore calmatevi! >> disse
Kuno
arrivando, ancora una volta, a dividerle << Non sta bene
comportarsi così davanti a degli ospiti >> ed
indicò me e Alexander, gli
unici due non evidentemente abituati a quel tipo di scene rocambolesche.
<< E va bene, e va bene, ma lasciami! >>
disse la
cinesina << Buonasera a tutti, ragazza violenta, Nabiki,
inutile suino,
ragazza bionda e Ranma, mio ailen!
>>
<< Sempre gentile eh >> ringhiò
Ryoga fra i denti.
<< E anche agli altri >> concluse Shan-pu
con un
inchino.
Io rimasi non poco stupita da quanto poco gentili fossero i
suoi modi, soprattutto se paragonati a quelli delle altre persone che
avevo
conosciuto durante il mio soggiorno in Giappone. Persino Kodachi,
sebbene
evidentemente leggermente fuori di senno, era stata gentile e cordiale
con me,
tutto il contrario di Shan-pu che invece mi lanciava occhiate furtive
ma
terribilmente maligne.
Nel frattempo la festa intorno a noi proseguiva mentre fuori
le prima luci dell'alba schiarivano appena il cielo notturno.
Alcuni ragazzi e ragazze, quelli che avevano bevuto di più,
si buttarono ancora vestiti nell'enorme piscina che era in giardino,
ridendo e
schizzandosi mentre altri abbandonarono la festa assonnati.
<< Bene, credo che sia ora di andare anche per noi...
>> tentò Ranma, quasi risoluto, mentre si
alzava.
<< Ma no, mio adorato, aspetta >>
gridò Kodachi con
il suo tono profondo e allo stesso tempo alto mentre si avvinghiava a
lui
<< rimani ancora un po' con me... >>
<< Hey stupida oca >> disse Shan-pu
afferrando
l'altro braccio di Ranma << Lascia stare il mio amore!
>>
Di tutta risposta Nabiki si picchiò la fronte con il palmo
della mano e Akane concluse la scenetta con uno
“sgrunt”.
<< Ranma è il mio fidanzato e oggi
starà con me perché
è il mio compleanno >>
<< Ma fammi il piacere, Ranma è il mio
fidanzato... è
vero tesoruccio?? >>
<< Ma veramente io... ecco... io... >>
balbettò
lui.
Era strano osservare come quel ragazzo, assai forte e
coraggioso in quasi tutte le circostanze, risultasse un perfetto idiota
ogni
qual volta gli si avvicinava una ragazza. Solo con Akane, che adesso lo
stava
guardando con rimprovero, riusciva -a volte, non sempre- ad essere
sé stesso.
<< Ailen, facciamo qualcosa dai! >> fece le
fusa
Shan-pu avvicinandosi alle labbra del ragazzo.
<< No, il mio adorato Ranma farà qualcosa con
me!
>>
<< Ranma non farà un bel niente con nessuna...
>> disse all'improvviso Akane rossa in volto.
<< Perché invece non facciamo qualcosa tutti
insieme?
>> concluse invece Nabiki, lasciando tutti di stucco.
<< Cosa vorresti fare? >> le chiese Kuno
<< Io avrei un'idea... >>
<< Mh? >> fece Ranma voltandosi verso la
sua
sinistra, dove, ancora avvinghiata fortemente a lui, c'era Shan-pu
<<
Cosa hai in mente? >>
<< Facciamo un gioco... >>
<< Che gioco? >>
<< Non lo so... uno in cui bisogna stare vicini...
>> disse lei sfiorando con le lunghissime unghie laccate
il ventre del
ragazzo.
Mentre tutti si spremevano le meningi, cercando qualcosa da
fare, io mi presi un po' di tempo per osservare con maggiore attenzione
la
nuova arrivata.
Indubbiamente era bella, una bellezza particolarmente
orientale, con gli occhi sottili ma in cui brillava una luce acuta e
penetrante, con le folte ciglia lunghe, il viso a forma di cuore ed il
corpo
proporzionato.
Ma ciò che mi colpì di più in lei fu
il modo che aveva di
atteggiarsi.
Sapeva muoversi sinuosamente, strusciando in mezzo alle
persone come una gatta che fa le fusa, la sua voce sembrava sempre una
melodia
carezzevole e il suo sguardo era languido e sensuale come ogni suo
gesto.
Anche Shan-pu, come quasi tutte le ragazze che avevo
conosciuto, aveva un certo interesse per Ranma, ma lei più
delle altre aveva un
modo davvero sfacciato di dimostrarglielo. Camminava davanti a lui
ancheggiando
felinamente, spostava i suoi lungi capelli lisci lasciando una scia del
suo
buon profumo, apriva e socchiudeva le labbra viziosamente, lo guardava
spudoratamente, lo toccava in maniera provocante e disinibita, si
scopriva e si
mostrava continuamente, gli dimostrava sempre le sue costanti
attenzioni. E non
perché le mancassero la riservatezza e il pudore, quelle
mancavano anche a
Kodachi, ma c'era un motivo più profondo, qualcosa che le
imponeva di essere
“di più”.
Quel “di più” che lei pensava che gli
uomini volessero.
Ma probabilmente non capiva che non è sempre
così, che ci
sono uomini che preferiscono una donna semplice e magari anche un po'
maschiaccio ad una con il sex appeal alle stelle, o che ce ne sono
altri che
preferiscono un dolce dal profumo ottimo e dall'aspetto soffice ad una
carezza
graffiante o altri ancora, che vedono di più in uno sguardo
intelligente
piuttosto che in delle lunghe ciglia che sbattono ritmicamente.
<<
Twister? >> disse una voce facendomi perdere
il filo dei pensieri
<< Sì... perché non proponete un
altro gioco degli anni
'80? >> rispose Shan-pu sarcastica.
<< Obbligo o verità? >> propose
qualcun altro.
<< Mi rifiuto! >> fu la risposta che Ranma
e
Ryoga diedero in coro.
Seguirono degli attimi di silenzio, in cui tutti pensavano ma
nessuno proponeva, finché gli occhi castani di Nabiki non si
accesero: <<
Ho trovato! Sayuri prestami il tuo foulard per favore! >>
<< A cosa ti serve? >>
<< Adesso vedrete >> e, facendosi scivolare
sapientemente la striscia di raso nero fra le mani, cominciò
a spiegare:
<< A turno uno di voi verrà bendato e
dovrà riconoscere gli altri solo
toccandoli, i ragazzi dovranno riconoscere le ragazze e viceversa,
mentre io
sarò il giudice. Che ne dite, ci state? >>
<< Sarà divertente >> disse Yuka
mentre già
pregustava il momento di accarezzare Alexander e anche Shan-pu e
Kodachi
saltavano di gioia al sol pensiero di poter -finalmente- toccare il
loro Ranma
senza che nessuno le disturbasse.
Akane invece, non sembrava molto felice della proposta, ma
ormai avevo imparato a conoscerla e sapevo che non si sarebbe mai
tirata fuori
da una sfida.
<< Manca ancora qualcosa >> disse Shan-pu
melensa.
<< Cosa? >>
<< È un gioco no? E allora giochiamo... Chi
sbaglia
paga pegno! >>
<< In che modo? >> chiesero le altre
interessate.
<< Beh ma con un bacio è naturale! Chi sbaglia
sarà
baciato! >>
<< Va bene, ma io controllerò che non lo
facciate
apposta.... >> disse Nabiki alzando un sopracciglio,
rivolta
principalmente a Kodachi e Shan-pu.
<< Per chi mi hai presa? Shan-pu non bara!
>>
disse quella fingendo indignazione.
<< Vedremo... In ogni caso ci sono un po' di regole da
rispettare: innanzitutto ragazzi, voi dovrete rimanere solo con la
camicia,
altrimenti sarebbe troppo facile e non si potranno toccare i capelli,
sono
troppo riconoscibili >>
Tutti annuirono e Nabiki riprese: << Bene, allora si
comincia! Andremo in ordine alfabetico, per cui tu Akane sei la prima
>>
così dicendo bendò per bene la sorella e la
posizionò di fronte ai ragazzi già
in fila.
Akane
allungò le mani alla cieca davanti a lei e
toccò dapprima il mento, poi scese con lentezza sulle
mascelle, sul collo,
passando per le spalle fino ad arrivare alle braccia mentre Ranma la
guardava
teso. Quando, continuando a scorrere, arrivò a toccargli i
possenti avambracci,
disse: << Alexander >>
<< Non posso dirti niente,
saprai
tutto alla fine... Vai a sinistra ora >> la
guidò Nabiki.
La ragazza proseguì il gioco e si trovò
di fronte quello che non sapeva essere Ryoga. Procedette con lo stesso
procedimento applicato al primo ragazzo ma sbagliò, convinta
che lui fosse
Kuno.
Fu poi il turno di Ranma.
Akane partì dai
fianchi e, sfiorando leggermente i lati dell'addome, risalì
fino ai pettorali,
punto su cui indugiò più a lungo degli altri,
ricevendo per questo infuocati
-seppur muti- sguardi d'odio da parte delle sue due rivali.
Tastò poi anche le
spalle e gli chiese di farle toccare le mani, che accarezzò
a lungo, ma
pronunciò senza esitazione il nome di Ranma quando
arrivò a sfiorare le sue
labbra con la punta dell'indice.
Dopo Ranma, che aveva
uno sguardo soddisfatto per essere stato riconosciuto subito, Akane
indovinò
senza esitazione Hiroshi e Daisuke.
Quando poi per ultimo
si trovò di fronte il vero Kuno, Akane, riconoscendolo
disse: << Ma se
lui è Kuno... allora chi è che non ho
riconosciuto? >>
<< Hai
sbagliato Ryoga sorellina >> le spiegò Nabiki
sciogliendole la benda.
<< Oh... mi
dispiace tanto!! >>
<< Figurati
Akane, è un gioco difficile >> le rispose
quello grattandosi la tempia con un dito.
<< Beh, ora la
devi baciare >> disse Nabiki guardando di sottecchi Ranma
che nel
frattempo stringeva i pugni << Deve pagare pegno
>>
<< È giusto...
>> sospirò Akane mentre lui le si avvicinava.
Ryoga la guardò per
un attimo, poi si girò verso il suo amico e tornò
di nuovo a guardare la
ragazza -che nel frattempo aveva la testa abbassata- come se stesse
cercando di
prendere una decisione.
Poi, in un gesto di
pura galanteria, le prese la mano e ne bacò il dorso,
facendole poi
l'occhiolino.
Lei, così come me,
sorrise sollevata e lo ringraziò con lo sguardo.
<< Hey ma non
vale! >> protestò però Shan-pu
<< Avevamo detto un bacio vero!
>>
<< Non avevamo
detto un bel niente >> la ammonì Nabiki
<< Ognuno sceglie il posto
che preferisce. Jude, tocca a te >>
Mentre
Nabiki mi
oscurava la vista attesi di poter cominciare con il cuore in gola. I
ragazzi
cambiarono ordine e quando mi fu dato il via, tesi il braccio
tentennando
leggermente. Allungando la mano davanti a me, toccai quella che ero
certa fosse
l'inizio del suo ventre e mi resi conto che c'erano solamente due
persone così
alte da fare in modo che la mia testa arrivasse al loro petto:
Alexander e Kuno. Giocando un po' con la
stoffa della camicia, su quello che doveva essere il suo torso
scolpito, capii
che era lino e non ebbi bisogno -un po' a malincuore- di toccare altro,
visto
che ricordai immediatamente chi dei due quella sera aveva indossato una
camicia
di lino bianca. La risposta fu Alexander.
Immediatamente dopo
toccò a Kuno, mi bastò toccargli il viso, alto e
liscio, per capire che era
lui.
Arrivata all'ennesimo
ragazzo, riconobbi
immediatamente al
tatto, per la massa muscolare prorompente, che si trattava o di Ranma o
di
Ryoga. Già, ma quale dei due?
Con il viso
probabilmente rosso come un pomodoro, cominciai a tastare il
più delicatamente
possibile le braccia, gli enormi bicipiti, il petto e gli addominali
scolpiti,
ma proprio non riuscivo a capire, avendo entrambi dei corpi statuari e
anche
più o meno la stessa statura.
Così mi decisi a
salire sul viso e, più o meno convinta, feci il nome di
Ryoga, per poi passare
all'altro ragazzo.
Di nuovo, toccai il
torace che avrebbe potuto competere con quello di una statua greca, e
stavo per
fare il nome di Ranma quando lui fece un gesto: mi sfiorò
l'avambraccio con le
dita ed io ricollegai immediatamente quel tocco a Ryoga, pronunciando
il suo
nome a bassa voce mentre sentivo il viso bollire.
Avevo quindi
sbagliato e, in panne, confusi anche Hiroshi per Daisuke e viceversa.
Mi tolsi la benda
quasi in apnea.
<< Jude, come
credo tu abbia capito, ne hai sbagliati tre >>
<< Ehm sì....
>>
<< Ragazzi,
divertitevi >> disse poi lei ed io mi misi le mani sugli
occhi.
Per stemperare un po'
la tensione, Hiroshi e Daisuke mi baciarono entrambi sulle guance nello
stesso
momento, facendo ridere tutti e alleggerendo il mio cuore.
Ora toccava a Ranma.
Lui mi si avvicinò
sorridendo sghembo e senza lasciarmi nemmeno il tempo di parlare,
seppur con un
po' di imbarazzo, mi baciò la fronte facendo smettere di far
fremere dalla
rabbia Kodachi e Shan-pu.
Dopo
il mio turno
toccò a Kodachi che, fra una risata degna di un film horror
e l'altra, indovinò
solo “il suo adorato Ranma” che lei “non
avrebbe mai potuto scambiare per
nessun altro” e Ryoga.
<< Kodachi hai
sbagliato tuo fratello, Alexander, Hiroshi e Daisuke! >>
<< No, per
carità! Io non voglio che quei due sgorbi mi bacino!!
>> gridò lei quasi
in lacrime << No ! No! E poi no! È il mio
compleanno!!! Tatewaki di'
qualcosa! >>
<< Le regole
sono regole >> disse Nabiki austera << Ti
avrebbe potuta baciare
anche Ranma... >>
<< Oh, mio
adorato Ranma hai ragione, che fidanzata orribile che sono, lasciarsi
baciare
così impudentemente da altri ragazzi, e per giunta orribili
>>
<< Hey!
>> gridarono in coro i due interessati fintamente offesi,
mentre Ranma
rideva sotto i baffi bofonchiando un “Oh no, fai pure, io non
me la prendo”.
Così Kodachi chiuse
gli occhi schifata mentre, a turno, Hiroshi e Daisuke le baciarono la
mano,
mentre suo fratello e Alexander le diedero un tenero bacio sulla
guancia.
Dopo Sayuri, che fu
brava nell'indovinare tutti e a farsi dare il tanto agognato bacio
-seppur solo
sulla guancia- da Alexander, Nabiki chiamò Shan-pu.
Con fare malizioso, e
sotto lo sguardo duro e serio di Akane, si avvicinò a Ranma,
il primo
nell'ordine. Fece un sacco di moine e, toccando e accarezzando
più del dovuto,
finì poi col dire il nome di Alexander.
<< L'ha fatto
apposta >> mi disse all'orecchio Akane mentre Shan-pu,
con poca fatica,
indovinava tutti gli altri ragazzi.
<< Che stronza
>> sussurrò Nabiki << Ma sta
tranquilla Akane è lui che deve
baciare lei, non il contrario, vedrai che Ranma sarà un
gentiluomo >>
<< A me non
interessa affatto quello che fa quell'idiota >>
ruggì la ragazza, ma il
tremore nervoso di tutto il suo corpo diceva esattamente il contrario.
<< Ooops mi
dispiace tanto, come ho fatto a sbagliare il mio Ranma!
>> disse Shan-pu
con il tono della voce più acuto e fastidioso del solito.
<< Fa' poche
scene, sicura di non averlo fatto apposta? >>
pronunciò cautamente Nabiki.
<< Ma certo che
no! Come avrei potuto scusa!? >>
<< E va bene,
Alexander, Ranma, procedete >>
I due ragazzi si
avvicinarono e Shan-pu gonfiò il petto come un pavone che fa
la ruota.
Mentre Ranma le stava
prendendo la mano -come avevamo immaginato tutti- e Akane stava quasi
per
tirare un respiro di sollievo, la cinesina, con un movimento
velocissimo, si
avvicinò al ragazzo e lo baciò appassionatamente
sulle labbra.
Ranma rimase per un
secondo con gli occhi spalancati, prima di prenderla per le spalle e
staccarsela di dosso, mentre Akane, con lo sguardo ancora disgustato e
sconvolto dalla scena, corse via immediatamente.
<< Akane!!!!!
>> le gridò Ranma dietro seguendola e non
degnando nemmeno di uno sguardo
il resto dei presenti, compresa Shan-pu che, con un sorriso beffardo
sul volto
soddisfatto, scappò via in un batter d'occhio seguita da
un'arrabbiatissima e
fumante Kodachi, munita del -ormai avevo capito che si poteva dire
anche
“solito”- nastro da ginnastica ritmica.
Anche gli altri,
avendo ormai capito che il gioco era finito, se ne erano andati
salutando,
mentre Kuno celebrava il dolore di quel “fiore di Akane
Tendo”.
<< Questa scena
mi ha ricordato qualcosa che è successo tanto tempo fa
>> disse Nabiki
mentre il rumore dei suoi tacchi a spillo ci suggerì che se
ne stava andando
<< Il lupo perde il pelo ma non il vizio! Domani Ranma
avrà un bel mal di
testa >> aggiunse poi ridendo << Buonanotte
ragazzi
>>
<< Che voleva
dire? >> chiesi io non appena Nabiki se ne fu andata
<< Quando
Shan-pu arrivò qui dalla Cina baciò Ranma
>> mi spiegò Ryoga
pazientemente << Vedi lei è... orgogliosa.
Farebbe di tutto per
conquistare Ranma perché ne va del suo onore e del suo
orgoglio di donna
>>
Io lo guardai un po'
sorpresa, era un dato oggettivo che Ranma fosse uno dei più
bei ragazzi di
Nerima, se non dell'intero Giappone probabilmente, ma da qui a metterci
di
mezzo la propria femminilità, il passo mi sembrava esagerato.
Ryoga sembrò capirmi
al volo: << Shan-pu viene da un antico villaggio di
amazzoni,
Joketsuzoku,
durante il suo allenamento in Cina Ranma la incontrò e la
sconfisse. Le leggi della sua tribù sono molto severe
riguardo questo tipo di
cose: se un'amazzone viene sconfitta da un uomo, esso dovrà
a tutti i costi
diventare il suo sposo... Ed ecco spiegata la fissazione di Shan-pu per
Ranma,
non è poi così irresistibile >>
disse lui, dapprima serio e poi con un
filo di ironia nella voce.
<< E... a lui
non... non piace? >>
<< No, non
credo. Ma lei continua imperterrita da anni con il solo risultato di
fare
arrabbiare Akane, che poi picchia Ranma >>
<< Ecco perché
prima Nabiki ha detto che Ranma avrebbe avuto un gran mal di testa
>>
<< Oh sì,
immagino che gliene stia dando di santa ragione >>
asserì Ryoga convinto
e poi rise di gusto.
E così un altro
pezzetto del puzzle era al suo posto. Shan-pu, affascinante amazzone
cinese,
faceva parte della -grande- cerchia delle invasate innamorate di Ranma
che,
senza scrupoli, ricorrevano a tutto -ma proprio a tutto- per
impossessarsi del
suo cuore, ovviamente con scarso successo.
Che fosse perché il
suo cuore era occupato già da un'altra, non mi fu dato di
saperlo quel giorno
ma, io, un'idea, già me l'ero fatta.
Improvvisamente
io e
Ryoga ci accorgemmo di essere rimasti soli nell'enorme salone e
calò un
imbarazzato silenzio.
<< Vo...
vogliamo andare a cercarli? >> propose lui alla fine.
<< Sì...
>>
E così uscimmo
passando per il giardino, dove i ricordi della festa, sparsi qua e
là,
cominciavano ad essere illuminati dalle prime luci dell'alba che
nasceva.
Mentre camminavamo
verso casa, a rilento per via delle mie scarpe altissime che, dopo ore
ed ore,
mi stavano letteralmente facendo impazzire, sentimmo delle voci
provenienti da
un piccolo parco lì di fianco.
Guardando meglio,
scorgemmo anche le due figure: quella di Ranma, un po' china e con la
grande
mano poggiata sulla sua guancia, e quella di Akane, così
piccola al confronto,
che lo guardava truce.
Non capimmo bene cosa
si stessero dicendo, né desideravamo saperlo in
realtà, ma osservammo lo stesso
la scena trattenendo il fiato e sperando che tornasse la pace fra i
nostri due
amici, così testardi e allo stesso tempo teneri.
Ranma le accarezzava
la guancia con una mano, mentre le bisbigliava qualcosa con fare
rassicurante
ed Akane lo guardava dal basso, con gli occhi sabbiosi increduli ed
arrabbiati.
Poi, ad un tratto, le disse qualcosa che la fece sorridere,
annuì e lei annuì
di rimando.
Non venimmo mai a
conoscenza di quello che i due ragazzi si sussurrarono durante
quell'aurora.
Ranma non disse più
niente ma, non appena svoltato l'angolo, la prese in braccio,
portandola sulle
spalle.
Ryoga ed io ci
guardammo soddisfatti e non potei fare a meno di sorridere, ancora una
volta,
davanti a quei due che, ormai avevo capito, avevano un modo tutto loro
di
volersi bene.
A volte erano così
testardi ed orgogliosi che riuscivano solo a scontrarsi su ogni cosa.
Altre
invece, anche semplicemente stando in silenzio, si ritrovavano
più complici che
mai.
Camminavo voltata,
guardando il viso concentrato di Ranma e le tenere e bianche braccia di
Akane
che gli cingevano il collo, quando andai a sbattere contro Ryoga, fermo
davanti
a me.
<< Oh scus...
>> stavo per dire, ma le parole mi morirono sulle labbra
quando vidi che il
ragazzo si stava abbassando leggermente, assumendo la stessa posizione
di
Ranma, e con la testa mi faceva segno di salire.
<< Ma....
io... ti stancherai troppo, io sono più pesante di Akane...
non devi...
>>
<< Non dire
sciocchezze, a me fa piacere >> disse lui e, dolcemente,
mi prese in
braccio.
Così,
mentre il bel
viso di Akane si assopiva appoggiato alla schiena di Ranma, il vento
tiepido
delle sei del mattino ci accarezzava ed il chiarore argenteo dell'alba
ci
inondava mentre fuori le luci ci dicevano che non era ancora giorno ma
non era
più notte, anche io chiusi gli occhi e mi feci cullare dal
movimento lento dei
passi di Ryoga, mentre il suo profumo e il calore del suo corpo mi
rilassavano.
E
da quel momento in
poi il Giappone assunse un nuovo sapore per me.
***
Buongiorno a tutti!
Per
esigenza di copione questo capitolo doveva essere pubblicato a poca
distanza dal precedente, altrimenti rischiavate di dimenticarvi dei
balli.
Le
canzoni non c'è bisogno di spiegarle, spero che tutti le
conosciate.
Un
ringraziamento particolare va a Pia e Faith
che, molto pazientemente, mi hanno aiutata ed ispirata per
il "gioco" di Shan-pu.
Come
sempre un grazie infinito a tutti quelli che leggono, che seguono, che
preferiscono e che trovano sempre il tempo e la voglia di recensirmi.
Non sapete quanto sia importante.
E
grazie alle mie Ladies che ci sono
sempre.
Vi
do appuntamento al prossimo capitolo, assieme al nostro paperotto!
Un
abbraccio.
Vostra
Aronoele (:
|
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Capitolo 7 *** Questo è il ballo del qua qua ***
Trascorso un mese, avevo ormai
imparato che a Nerima, in
particolar modo a casa Tendo-Saotome, anche la più banale
delle azioni può dare
inizio ad un'avventura.
Un'avventura che in un'altra parte del mondo sarebbe
solamente una bella serata ed invece qui ha risvolti incredibili e ti
stravolge, tanto che poi ti viene voglia di scriverla e inserirla in
una
raccolta con un titolo strampalato.
L'avventura che vi voglio raccontare oggi è iniziata con un
semplice motivetto, una melodia canticchiata a denti stretti da Nabiki,
mentre
era sovrappensiero a pranzo, seduta ad uno dei tavoli di legno in
giardino con
tutti noi.
***
<< Na na na na
naaaa
>> canticchiò all'improvviso
Nabiki mentre scorreva distrattamente con il dito sullo schermo del suo
smart-phone.
<< Che canzone è? >>
<>
<< Stavi cantando... >>
<< Davvero? Non me ne sono accorta! >>
disse la
bella mezzana alla sorella minore ancora intenta a cercare di capire a
quale
canzone appartenesse il simpatico motivetto, per poi tornare a guardare
il cellulare.
<< Deve essere la colonna sonora di qualche film...
>> riprese Akane, pensando ad alta voce.
Dopo
aver cantato quell'allegra melodia più e più
volte, ed
essersi conseguentemente beccata una serie di insulti da Ranma che le
stava di
fianco, fra cui “cornacchia stonata” e
“usignolo morente”, Akane si alzò in
piedi illuminata: << Ci sono!!>>
gridò << È la canzone del
“Matrimonio del mio migliore amico!”
>>
<< È vero! >> dissi io,
ricollegando
immediatamente il volto di Rupert Everett che intonava la canzone di
Aretha
Franklin durante il pranzo di prova del matrimonio di Cameron Diaz e
Dermot
Mulroney.
<< Oh, che voglia di rivederlo... >>
<< No eh! Un'altra commedia romantica strappa lacrime
no! Dopo “Titanic” non ne voglio più
sentir parlare...! >> intervenne
Ranma con fare indignato.
<< Guarda che l'abbiamo già visto questo
scemo, e poi
non dire che “Titanic” non ti è
piaciuto... Jude, avresti dovuto vederlo, aveva
le lacrime agli occhi! >>
<< Ma che dici! Era perché sbadigliavo troppo!
>>
rispose il ragazzo velocemente e con fin troppa enfasi, interrompendo
le mie
risate con uno sguardo molto eloquente.
<< Come ti pare Ranma, ma guarda non sei costretto a
vederlo di nuovo! Jude, questa sera dopo cena ti va di vederlo con me?
Dovrei
avere il DVD! >>
<< Ma certo! >> dissi io sorridendo, in
effetti
non lo vedevo da tanto tempo e l'entusiasmo di Akane mi aveva
contagiato.
<< Nabiki tu ci stai? >>
<< Oh sì, non ho niente di meglio da fare!
>>
<< Yuka, Sayuri volete venire anche voi? Potete
rimanere a dormire da me poi >>
<< Sicuro!>> Risposero in coro le due
amiche.
<< Perfetto, allora questa sera pigiama party!
>>
proclamò Akane con l'entusiasmo di una bambina di dieci anni
alzando un pugno
all'aria.
<< Pigiama party? Vai ancora alle elementari per caso?
>>
<< Ma... io... >>
<< Invitiamo qualche ragazzo, no? >>
<< Hey, io e Tofu cosa siamo, scamorze? >>
esclamò Ranma sdegnato, alzando un sopracciglio.
<< Intendevo dire qualche ragazzo interessante...
Alexander, ti va di venire a casa nostra a vedere un film questa sera?
>>
disse Nabiki con il tono mellifluo, sorridendo beffardamente degli
sguardi di
pura ira (o gelosia?) che Ranma le stava lanciando dall'altra parte del
tavolo.
<< Volentieri >> rispose lui educatamente,
procurando
un moto di ilarità per niente celata in Yuka e Sayuri.
<< Hey, se viene Alexander vengo anche io >>
<< E anche io! >> dissero poi Hiroshi e
Daisuke
piccati.
<< E va bene, venite anche voi se proprio dovete!
>> rispose Nabiki indifferente <<
Già che ci siamo invitiamo anche
Kuno così... >>
<< Oh, Nabiki Tendo >> cominciò
a proclamare il
diretto interessato spuntato da chissà dove <<
sono assai lusingato della
tua proposta di passare la notte in contemplazione di una miscela
romantica che
altro non farà se non acuire i nostri sensi, d'altra parte
con tuo padre e le
tue sorelle lì con noi, io non so se... >>
<< Kuno taglia, vieni o no? >>
domandò aspramente
la ragazza con il caschetto castano, non senza un accenno di sorriso
sul bel
volto acuto.
<< Sì >>
<< Bene, e non portare la pazza furiosa di tua sorella.
Alle 21.00 da noi >> concluse poi, alzandosi e andando
via.
***
Finita l'ultima lezione all'università, tre intramontabili
ore di storia dell'antico giapponese, io e Akane tornammo a casa come
due furie,
per dare la notizia agli altri (e per cercare di convincere Soun e
Genma ad
andare a giocare a qualcuno dei loro giochi dal dirimpettaio loro
amico) e ci
imbattemmo nel dottor Tofu che spazzava fuori dal suo studio.
<< Dottore! >>
<< Piccola Akane, Judith, ciao! Dove correte
così di
fretta? >>
<< A casa, dobbiamo dire a Kasumi che dopo cena
verranno alcuni nostri amici a vedere un film >>
<< Ah sì, me lo ha accennato prima Nabiki...
>>
<< Nabiki? >>
<< Sì, è stata qui a dirmi di
portare lo spazzolino e il
pigiama questa sera... ehehehehe... vorrebbe che io... io.... io...
rimanessi
a do-do-do-do... dormire a casa vostra... >> disse, o
meglio cercò di
dire, fra un balbettio e l'altro, il dottore rivolto ad una siepe e con
le lenti
tonde dei grandi occhiali completamente appannate.
<< Il solo pensiero di dormire nella stessa casa con
Kasumi lo fa dare di matto... e pensare che fra meno di due mesi si
sposano!
>> mi sussurrò Akane all'orecchio ridendo
sommessamente.
<< Ehm... dottore, beh fra poco tu e Kasumi
diventerete marito e moglie... non c'è niente di male...
>>
<< Marito e moglie, frullalero frullallà
>>
canticchiò il giovane dottore ballando con la sua scopa e
facendoci scoppiare
letteralmente in lacrime dalle risate.
<< Non c'è speranza >>
<< Che tipo buffo >> aggiunsi io mentre
andavamo
via, lasciandolo volteggiare sul marciapiede con la sua futura moglie
immaginaria.
A
casa ci accolse un trambusto quasi natalizio.
<< Kasumi ma si può sapere che stai facendo?
>>
chiese Akane alla sorella che andava su e giù dal salone
alla cucina in
continuazione.
<< Preparo la cena è ovvio >>
rispose
quest'ultima con la sua solita genuinità.
<< Ah, non sapevo avessimo invitato tutto il corpo di
fanteria dell'esercito! >>
Kasumi rise di gusto alla battuta della sorella, troppo
pura per capire il
sarcasmo, e svolazzò
in cucina come una farfalla tra i fiori.
<< Scusa Nabiki, chi viene a cena? >>
<< Oh sì, non ve l'ho detto, quando ho
riferito a
Kasumi del pigiama party
>> spiegò, marcando appositamente le ultime
due
parole << Lei ha insistito perché venissero
tutti a cena, è dalle 15.00
che gironzola come una matta >>
<< Hai già avvertito tutti? >>
<< WhatsApp sorellina >>
<< E vengono tutti? >> chiesi io sorridente.
<< Sì Jude, tutti tutti... fareste meglio a
cercare un pigiama che non vi faccia somigliare a mia nonna
>>
<< Nabiki! >>
<< Pigiama party Akane, vuol dire che ad un certo punto
della serata rimarremo tutti in pigiama, Ranma è abituato a
vederti con i
mutandoni del 1800 ma gli altri no >> disse Nabiki
ridendo mentre addentava
un biscotto al cioccolato e il viso
di Akane diventava rosso pomodoro.
<< E sentiamo, tu che ti metti? >>
<< Sottana di seta verde smeraldo >>
rispose
Nabiki con un occhiolino.
<< Ah beh, c'è anche Kuno... >>
allusi io ridendo.
<< Ah-ah-ah molto spiritosa Jude, e dimmi tu dormi con
Ryoga o con Alexander stasera? >>
<< Su Akane andiamo! >> dissi io
imbarazzatissima, trascinando la mia amica con me su per le scale.
Dopo
cinque minuti buoni di risatine assai impacciate da parte
mia e diversi borbottii di giustificazioni varie, finalmente Akane
parlò:
<< Beh, che ci mettiamo stasera? >>
<< Dici che la mia solita camicetta da notte bianca non
va bene? >>
<< Se vuoi fare colpo no >> rispose lei
strizzando l'occhio.
<< Io non voglio fare colpo! >>
<< No? >>
<< No! Tu piuttosto? Su chi? >>
<< Oh, ehm... io... storia complicata... >>
La vidi abbassare il viso e sorridere, quel giorno ancora non
potevo sapere, conoscere, l'intrigante e lunghissima storia del suo
amore, ma
di una cosa ero sicura: quella ragazza era innamorata e io avevo anche
una vaga
idea su chi fosse il giovane bello e tenebroso che le aveva rubato il
cuore.
<< Ranma? >>
<< Ma che c'entra Ranma ora? Cominci a fare anche tu
come tutti gli altri, Jude? Ogni volta che si parla del ragazzo che mi
piace
tirate fuori Ranma! >>
<< Veramente io intendevo chedere dov'è...
>> dissi io
abbassando il tono di voce e cercando di nascondere un sorriso.
<< Ah... è a giocare a calcio con i suoi
amici... >> inghiottì rumorosamente
<< Ma dicevamo... che ci
mettiamo allora? Eh eh eh... dai andiamo in camera di Nabiki a rubarle
qualcosa!
>> e sparì verso la stanza della sorella
ridendo e parlando da sola.
***
Il resto del pomeriggio
trascorse
molto velocemente, fra
l'aiutare Kasumi in cucina e cercare di limitare i danni della litigata
di
Ranma e Akane, nata perché:
<< Non puoi dormire con solo i boxer questa sera baka!
>>
<< E perché mai, ci dormo sempre!!!
>>
<< Sì, ma non sei da solo! >>
<< Eh capirai! Jude ci ha fatto l'abitudine ormai (vero
Jude?), Kasumi e Nabiki idem, Hiroshi e Daisuke mi vedono sotto la
doccia,
Ryoga mi conosce da anni e non credo che Kuno e Alexander si
scandalizzeranno
per le mie mutande! >>
<< Razza di cafone ci saranno anche le mie amiche! E
non è detto che le pazze delle tue fidanzate non si
imbuchino come sempre!
>>
<< Allora sei gelosa! >>
<< Nemmeno per sogno! >>
<< Beh, cosa ti interessa se non sei gelosa?
>>
<< Vorrei che le mie amiche non rimanessero shockate!
>>
<< Beh anche io ci tengo ai miei amici ma non ti dico
di coprire quei fianchi enormi! >>
<< Ranmaaaaaa!!!! >> gli gridò
dietro lei
tirandogli addosso un vaso, seguito da un cuscino, una pantofola, il
telecomando e diversi altri oggetti trovati qui e lì, mentre
lui cercava invano
di ripararsi dietro qualunque cosa, me compresa.
<< Ranma, per amore dei Kami, non ti nascondere dietro
Jude, codardo! >>
<< Akane cara >> rispose lui con calma e
un'altissima dose di ironia << se la smettessi di
lanciarmi oggetti
contundenti!! Sei sempre la solita! Non sei mai carina con me!!!!
>>
<< Baka che non sei altro vai al diavolo! >>
Lui le fece una sonora pernacchia sogghignando, prima che lei
cominciasse a rincorrerlo per il corridoio.
Storie di ordinaria
follia direbbe qualcuno.
Alle
20.00 in
punto, mentre l'odore della deliziosa cenetta
di Kasumi faceva capolino dalla cucina spandendosi in ogni angolo della
casa,
il campanello trillò.
<< Akane apri tu??? >> gridò
Nabiki che non aveva
la minima voglia di alzarsi.
<< Appena finisco di ammazzare questo scemo!
>>
rispose quella dalla sua stanza, urlando a sua volta.
<<
Papààààà!
>>
<< Non posso sto aiutando Kasumi con il pentolone di
riso!!! >>
<< Signor Genm.... oh, che glielo chiedo a fare!
>> sbuffò Nabiki.
<< Vado io! >> dissi infine, alzandomi.
Mi sistemai le pieghe del prendisole nero e andai ad aprire
la porta, al di là della quale Hiroshi, Daisuke e Alexander
mi sorridevano con
quattro mazzi di fiori fra le mani.
<< Ciao >> dissi io visibilmente stupita
mentre
loro entravano chiedendo il permesso.
<< Accomodatevi cari >> esordì
il padrone di casa
nella sua solita tenuta verde oliva << Benvenuti!
Hiroshi, Daisuke, come
stanno le vostre famiglie? E tu devi essere Alexander, il ragazzo
americano
come la nostra Judith! >>
“Bene, signore” “Grazie,
signore” “Sì, signore” dissero
i tre
ragazzi uno dopo l'altro, per poi cominciare a distribuire i presenti
alle
sorelle Tendo, ringraziandole per l'ospitalità e la cortesia.
Io li guardavo affascinata, ammirata dalla loro educazione,
pensando che nel mio Paese i ragazzi invitati alle feste portano litri
di
birra, quando vidi Alexander che mi porgeva un mazzo di profumatissimi
fiori
colorati.
<< Oh... anche per me? >>
<< Certo >> mi rispose lui sfoderando i
bellissimi denti candidi che contrastavano con il nero dei capelli e
della
maglietta aderente che indossava.
<< Grazie >> risposi, e stavo quasi per
inchinarmi
pur di non guardarlo in faccia quando, per fortuna, Kasumi venne in mio
soccorso.
<< Che pensiero galante avete avuto >>
disse
mentre dava il “saluto occidentale” al mio
compaesano << Jude vieni,
andiamo a metterli in un vaso! >> ed io la seguii in
silenzio.
Poco dopo arrivò Kuno con sei quintali di gelato di tutti i
gusti e
senza sua sorella, partita con il loro padre in viaggio verso le
Hawaii; il
dottor Tofu con dei biscotti appena sfornati dalla sua anziana ma
arzilla
madre; Ryoga con dei
pasticcini; Yuka e
Sayuri con delle bottiglie di sakè per il signor Tendo e
Shan-pu, con grande
stupore di tutti, che aveva portato del ramen del suo ristorante.
<< Shan-pu? >> sibilò Akane fra
i denti.
<< Buonasera a tutti >> rispose la sinuosa
ragazza cinese inchinandosi e mostrando buona parte delle sue gambe,
dato che
l'aderentissimo vestito amaranto che indossava le risalì di
molto durante il
prolungato saluto.
<< Che ci fai tu qui? >>
<< Beh avete invitato mezza Nerima... >>
<< Ci sarà un motivo se non ti abbiamo
chiamata
>> sussurrò Akane visibilmente urtata mentre
lei si avvicinava
sensualmente a Ranma che, nel frattempo, le intimava timidamente di
stare lontana
muovendo entrambe le mani con enfasi.
<< Bene, se ci siamo tutti, accomodatevi >>
proferì Soun con il tono di voce a metà fra
l'autoritario e il cordiale.
Prendemmo tutti posto: Kuno, con la sua costosa camicia blu,
seduto fra Soun, a capotavola, e Nabiki; poi Akane, Ranma e Shan-pu ed
infine
Kasumi e il dottor Tofu all'altro capo della tavola.
Di fronte: io, seduta fra Ryoga ed Alexander, che era vicino
a Yuka e Sayuri (costantemente in lite per chi delle due dovesse
sederglisi
accanto), Hiroshi e Daisuke ed infine il signor Genma, che chiudeva il
circolo
ricollegandosi all'amico Tendo.
Le
otto portate della cena finirono presto, fra i migliori
complimenti di tutti i commensali e, mentre Kasumi porgeva ad ognuno il
piatto
con i dolci, Sayuri le prese la mano:
<< Kasumi... che anello meraviglioso! >>
<< Ma ti sposi? >> la seguì Yuka.
<< Oh... ehm...sì, a... a Settembre
>> rispose
Kasumi mentre le guance le si facevano più rosee.
<< Akane non ci ha detto niente! Auguri! E...chi
è il
fortunato? >>
<< Ma il dottor Tofu naturalmente! >> disse
Nabiki al posto dei due fidanzati, quasi paralizzati dall'imbarazzo, e
tutti
coloro che avevano appena scoperto la novità, compresa
Shan-pu (stranamente
gentile e remissiva), si alzarono per fare i loro migliori auguri ai
futuri sposi
e ricevere in cambio un invito alle nozze al quale ognuno rispose con
“volentieri” “con piacere”
“sicuramente”.
Ad interrompere la scena, tanto dolce quanto impacciata, fu,
come al solito, la mezzana delle sorelle Tendo con la sua innata grazia
e
acutezza: << A proposito di matrimonio... pronti per il
film? >>
Tutti ci
alzammo, i ragazzi spostarono il grande e pesante
tavolo da pranzo, così da far spazio a noi ragazze che
rassettavamo e
posizionavamo i bei cuscini colorati per terra, davanti al televisore.
Quando tutti ci fummo seduti, la chioma rosso fuoco di Julia
Roberts apparve sullo schermo, intenta
ad impedire al suo migliore amico, nonché uomo di cui era
segretamente
innamorata, di sposare la ragazza giusta per lui.
Quando arrivò il momento del pranzo di prova e
il finto
fidanzato della protagonista raccontava appassionatamente il loro primo
incontro, dopo un'oretta buona in cui i ragazzi sonnecchiavano e le
ragazze
facevano segretamente il tifo per Julianne Potter, perché,
diciamocelo, quella
Kimmy era fin troppo perfetta, Akane gridò: <<
Ecco, ci siamo, la canzone
di stamattina! >> facendo riaprire improvvisamente gli
occhi a Ranma,
seduto in malo modo accanto a lei.
E così quando George intonò le prime note di
“I say a
little
prayer” (*), lei cantò con lui:
“The moment I wake up
before I put on my make
up”
“I say a little prayer for you”
concluse Nabiki cantando, e
la madre della sposa lo fece con lei nel film.
Poi, proprio come George, Akane continuò:
“While
combing my hair, now
and wondering what dress to wear, now”
“I say a little prayer for you”
cantarono in coro Yuka e
Sayuri insieme alle due gemelle bionde con quegli strani cappelli.
“Forever
and ever you'll stay in my heart
and I will love you
Forever and ever we never
will part
Oh, how I love you!
Together, forever, that's
how it must be
to live without you would
only be hearthbreak for me”
Si unirono al coro anche Kuno,
Genma,
Soun, Kasumi e il
dottor Tofu, che cantavano e muovevano a ritmo le spalle ridendo,
mentre noi altri
ci guardavamo intorno, ancora inconsapevoli della magia che stava
nascendo.
Poi Akane
proseguì ancora, a tempo con il film dove, al coro
degli attori, si era unita la musica del pianoforte:
“I
run for the bus, dear
while riding I think of
us, dear”
“I say a little prayer for you”
cantarono insieme.
“At work I just take
time
And all through my coffe
break-time”
“I say a little prayer for you”
cantarono di nuovo insieme,
alzandosi in piedi.
“Forever and ever
you'll stay in my heart
and I will love you
Forever and ever we never
will part
Oh, how I love you!
Together, forever, that's
how it must be
to live without you would
only be hearthbreak for me”
E, stavolta, forse fu colpa dell'allegria del film, o dell'incanto che
si era
creato quando Akane aveva cominciato a cantare con Rupert Everett, che
ci aveva
fatto credere di vivere in un musical, ma questa strofa, proprio come
accade
nel “matrimonio del mio migliore amico”, fu cantata
da noi, tutti insieme: Soun
e Genma in piedi con in mano la piccola brocca bianca del
saké, appoggiati uno
contro l'altro fin troppo “allegri”; Kasumi e il
dottor Tofu, che se la
dedicavano l'uno all'altra guardandosi teneramente; Kuno, che teneva il
braccio
intorno a Nabiki che intanto cantava e batteva le mani; Akane, in piedi
al
centro della stanza che cantava e guardava Ranma, che fra una parola e
l'altra
rideva come un matto; Hiroshi e Daisuke, anche loro in piedi battendo
le mani;
Yuka e Sayuri, sorridenti e ballerine; persino Ryoga, anche se a bassa
voce,
contagiato dalla spensieratezza generale ed infine io e Alexander, che
ci
guardavamo e ridevamo, cantando e battendo le mani a tempo con tutti
gli altri.
Quando la
canzone finì rimasero le nostre facce ridenti, di
quelle risate che ti fanno tenere la pancia e stringere gli occhi, che
ti fanno
aprire la bocca e ti sconquassano con la loro energia.
Tutti che guardavano tutti, contagiandosi a vicenda per la
stranezza, l'assurdità e l'incredibilità della
scena, che sembrava proprio
uscita da un film.
Il DVD arrivò alla fine e noi ragazze ci
sciogliemmo alla
vista del meraviglioso abito color lavanda di Julianne, che ballava
consapevole
e sconfitta fra le braccia del suo nuovo migliore amico, mentre i
titoli di
coda già scurivano lo schermo.
Dopo aver premuto il tasto stop Nabiki mandò a letto suo
padre e Genma che salirono solo dopo averci fatto mille ed una
raccomandazione,
e poi ci spedì tutti a metterci il pigiama, per
“dare il via alla festa”, come
disse lei.
***
Pochi minuti dopo quattordici
facce
attonite si fissavano
stranite, era bizzarro vederci tutti in pigiama.
Nabiki, stesa sul pavimento, indossava la sua provocante
sottana di raso verde, che era davvero da capogiro oltre che fin troppo
scollata; accanto a lei, intento nell'aiutarla a preparare il lenzuolo
per
giocare a Twister, Kuno, con dei pantaloni blu notte e una maglietta
aderente,
tanto elegante da non sembrare nemmeno un pigiama.
Sulla porta Kasumi, nella sua camicia da notte a maniche
corte rosa salmone, intonata al fiocco che le raccoglieva i capelli in
una coda
laterale, e al suo fianco il dottor Tofu, con i pantaloni della tuta
grigi ed
una maglietta di cotone bianca con scollo a “v”.
Yuka e Sayuri indossavano due pigiamini simili, corti,
svolazzanti e colorati, una verde mela e l'altra fucsia, che si
perdevano al
confronto della striminzita e setosa vestaglia color prugna di Shan-pu,
dalla
quale si intravedevano perfettamente i bordi del reggiseno nero di
pizzo.
Hiroshi e Daisuke avevano optato per due comodi pigiami da
uomo a maniche corte, uno completamente azzurro e l'altro a righe blu e
grige,
mentre Ryoga aveva dei pantaloncini da calcio neri, una maglietta dello
stesso
colore e si era tolto l'usuale bandana gialla.
Intento a spostare il televisore, Ranma aveva la solita
canottiera bianca ma, forse per le minacce ricevute nel pomeriggio,
sopra ai
boxer indossava un paio di pantaloncini sbiaditi, e Alexander, vicino a
lui,
aveva una maglietta nera di micro fibra super aderente e dei pantaloni
della
tuta.
Quando Akane fece il suo ingresso nella sala per un attimo il
tempo si fermò: indossava una sottana rosso scarlatto, con
dei piccoli inserti
di pizzo sul décolleté e sull'orlo che le
arrivava oltre metà coscia, semplice
e per nulla volgare, ma attirava l'attenzione più di
chiunque altra, forse perché
quel colore donava particolarmente al suo incarnato chiaro e
contrastava di
molto con l'ebano dei suoi capelli, tanto da farla somigliare a
Biancaneve.
Dietro di lei, molto timidamente, me ne stavo io, con una
specie di baby doll nero, il meno sensuale che aveva Nabiki, di una
stoffa a
metà fra il cotone ed il tulle, che con le trasparenze
lasciava intravedere il
ventre e come pezzo di sotto aveva delle abbondanti culotte dello
stesso
colore.
Hiroshi e Daisuke fischiarono.
Io avevo le mani sul viso e i capelli sciolti, mentre Akane
divenne dello stesso colore della sua mise.
Nabiki si avvicinò a noi sogghignando: <<
Brave
>> sussurrò << Per poco non gli
prende un infarto >>, stappò
due o tre bottiglie di birra e diede il via ai giochi zittendo le
proteste di
Ranma che cercava di non urlare “ma come diavolo ti sei
vestita!?”
Kasumi
e il dottore andarono fuori in giardino, nella calda
nottata, a mangiare un gelato seduti vicino al laghetto della carpa
salterina,
mentre noi cominciammo a giocare a Twister.
<< Mano sinistra giallo >> gridò
Nabiki e Kuno
dovette piegarsi per posare la sua mano sinistra sul cerchio giallo.
Poco dopo toccò a Shan-pu, che si guardò bene
dall'avvicinarsi al ragazzo, posando il suo piede destro sul verde.
Quando tutti avevamo almeno un arto sul tabellone, il gioco
divenne “più interessante”, come lo
definirono in parecchi. Dopo poco Hiroshi e
Yuka uscirono entrambi, cadendo miseramente nel tentativo di muoversi e
la
stessa cosa successe qualche manche dopo a Sayuri e Daisuke, che
persero
l'equilibrio.
Chi invece mi stupì fu Shan-pu, che sembrava una
contorsionista degna del “Cirque du soleil” e
faceva sempre movimenti assurdi
nel tentativo di avvicinarsi di più al suo
“Lanma”.
Anche Nabiki se la cavava bene, molto più snodata di quello
che sembrava, mentre, ovviamente, i tre artisti marziali erano i
migliori: si
muovevano con grazia ed eleganza, divaricando le gambe e piegando la
schiena
come nessun altro poteva fare.
Dopo
un'ora e
più di partita Nabiki, tenendo entrambe le mani
sul verde dietro di lei, si reggeva a mala pena con un piede vicino al
corpo e
l'altra gamba allungata, mentre Kuno, forse per caso o forse apposta,
era
esattamente nella stessa posizione, solo al contrario, con il viso
rivolto
verso di lei, guardandola dall'alto soddisfatto.
Ryoga, galantuomo, si teneva in equilibrio vicino a me, senza
sfiorarmi nemmeno, mentre io ero spalmata fra Shan-pu, che cercava di
avvicinare il suo sinuoso petto al volto di Ranma, e Alexander, che
faceva leva
sui muscoli delle braccia per non farci cadere.
Akane, con le gambe quasi in spaccata, aveva il viso poggiato
sul petto di Ranma che stava di fronte a lei e tutti ridevamo delle
buffe posizioni che
avevamo assunto, fra un sorso di birra e l'altro.
<< Ranma, mano sinistra sul rosso >>
<< Ma come diamine faccio! Guarda dov'è!
>>
Effettivamente il rosso più vicino era esattamente al di
là
del corpo di Akane, per cui, per toccarlo, si sarebbe dovuto avvicinare
pericolosamente al suo viso.
<< Dai amico, non dirmi che hai paura! >>
lo
incitò Daisuke da fuori.
<< Coraggio Ranma, come se non lo avessi mai fatto
>> ironizzò Nabiki, facendo ridere tutti e
arrabbiare invece i due
ragazzi.
<< Lanma tesoro, c'è un rosso anche qui vicino
a me
>> disse Shan-pu indicando il cerchio sotto la sua coscia.
Così Ranma, dovendo scegliere, si buttò su Akane,
cercando di
raggiungere il cerchio alle sue spalle, con il risultato di darle una
testata e
caderle praticamente addosso, con il corpo sopra quello di lei e con le
labbra
molto, molto vicine.
<< Hey Ranma, questo non è il gioco della
bottiglia, lo
facciamo dopo se vuoi! >> disse la più furba
delle sorelle Tendo, mentre
un coro di “ohhh-ohhhh” si alzava nella sala.
<< Ti sei fatta male? >> chiese il ragazzo
ad
Akane, staccandosi immediatamente con il viso color porpora.
<< No scemo, ma ci hai fatto perdere >>
rispose
lei con un mezzo sorriso.
<< Sì vabbè, come se ti
dispiacesse, proseguiamo
>> disse Nabiki, facendo diventare paonazza la sua povera
sorella
<< Shan-pu, piede sinistro sul blu >>
Nonostante il cerchio blu fosse raggiungibilissimo dalla
bella cinesina, casualmente cadde anche lei, andando poi ad
avvinghiarsi di
nuovo al braccio di Ranma che si era messo all'angolo più
estremo della sala,
il più lontano da Akane, e di tanto in tanto la guardava di
sottecchi, ancora
imbarazzato.
Poco dopo caddero anche Kuno e Nabiki, o meglio, lui cadde e
se la trascinò dietro, rotolando fuori dal lenzuolo colorato.
<< Stupido >> disse lei rialzandosi e
aggiustandosi i capelli arruffati trattenendo a stento un sorriso,
mentre Kuno
la guardava ancora dal pavimento, ridendo sinceramente divertito.
<< Bene, Jude, Ryoga, Alexander, siete rimasti voi
tre... >>
<< Aiuto >> sussurrai io e Ryoga mi sorrise.
<< Jude, mano sinistra giallo >>
gridò Nabiki
dopo aver girato la ruota ed io, con non poca fatica, mi spostai,
trovandomi
esattamente in mezzo ai due ragazzi.
<< Bella situazione cara >> mi
sussurrò lei
mentre Akane mi faceva segno di non mollare e Ranma invece strane
allusioni con
la mimica facciale.
La mezz'ora successiva fu, a detta delle ragazze più esperte
di me (perché io ovviamente non l'avevo affatto interpretata
in questo modo),
una guerra a chi mi si avvicinava di più fra Alexander e
Ryoga.
Tra un “mano sinistra rosso” e un “piede
destro blu”, con
Yuka e Sayuri che facevano un tifo sfegatato per Ryoga, non tollerando
quando
era Alexander ad accostarmisi troppo, e Nabiki e Ranma che,
accidentalmente, si
facevano scappare il nome di una certa “U-chan”
ogni dieci minuti, alla fine la
vittoria fu del ragazzo giapponese, perché io caddi
rovinosamente sopra lo
stomaco di Alexander.
***
Dopo una
lunghissima partita a Monopoly, nella quale vinse
Shan-pu che aveva conquistato Parco della Vittoria, altre birre, altro
saké
(che io non avevo ancora avuto il coraggio di provare), una partita a
Shangai,
Nabiki che aveva cosparso un addormentato Kuno di borotalco e tante,
tantissime
risate, uscii fuori in giardino a fumare la seconda sigaretta della
giornata.
Il cielo era nero, con poche stelle, forse il giorno seguente
avrebbe piovuto, e l'aria della notte era fresca.
Mi accesi una sigaretta sciogliendo la treccia bionda, per
cercare di coprire le spalle nude, e aspirai chiudendo gli occhi e
sorridendo
delle voci e della caciara che provenivano da dentro.
D'un tratto poi sentii qualcosa di caldo che mi avvolgeva:
era Alexander che, con in bocca anche lui una sigaretta, mi aveva
posato la sua
felpa sulla schiena.
<< Prenderai freddo >>
<< Grazie >> gli dissi guardandolo e
porgendogli
il mio piccolo accendino azzurro.
Lui sorrise.
Rimanemmo fuori per un'altra sigaretta insieme, fumando in
silenzio, mentre nel salone i ragazzi giocavano a Risiko e le nostre
mani,
poggiate sul legno chiaro e tiepido del patio, si sfioravano
leggermente,
quando la voce di Ryoga risuonò dietro di noi:
<< Venite a vedere il film? >>
Io mi alzai immediatamente, tenendo addosso la felpa bianca
di Alexander, e andai a sedermi vicino alle altre ragazze che
sghignazzavano su
quanto Ryoga fosse geloso e mi chiedevano insistentemente cosa mi
avesse detto
il bell'americano, imbarazzandomi a morte.
<< Piace anche a te Alex eh Jude? >> mi
sussurrò
Sayuri sotto lo sguardo attento delle altre.
<< Ma cosa dici? No, no, tranquilla è tutto
tuo
>>
<< Guarda che abbiamo visto come ballavate vicini alla
festa di Kodachi >> le diede man forte Yuka.
<< A me sembrava che se la intendesse di più
con il
porcello >> aggiunse una voce maschile alle mie spalle.
<< Kuno, anche tu? >>
<< Mia cara Judith, un cuore romantico ha occhio per
queste gentilezze dell'anima >>
<< No, è che sei pettegolo >> si
intromise Nabiki
<< Ragazze prendete una coperta >> aggiunse
poi passandocene alcune
e trascinando via il ragazzo.
Quando
tutti
ebbero il loro posto e qualcosa per coprirsi, la
mezzana delle sorelle Tendo mise un DVD horror, senza badare alle
proteste di
Akane, io cercai di trattenere i miei pensieri confusionari e di
concentrarmi
sul film, la luce fu spenta e le ragazze si accoccolarono ai ragazzi.
Akane tenne per quasi tutto il tempo le mani sul viso,
saltando ad ogni sbalzo della colonna sonora e buttandosi sul petto di
Ranma
ogni volta che le capitava di aprire gli occhi e vedere qualcosa di
spaventoso
saltare fuori da questa o quella grotta mentre lui, con fare
protettivo, le
accarezzava la schiena e le sussurrava all'orecchio “smettila
di fare la pappa
molle”, sorridendo.
Hiroshi, seduto vicino a Yuka, guardava il film riflesso nei
suoi occhi e chiudeva i pugni ogni volta che lei, con fare civettuolo,
si
stringeva al grande braccio di Alexander, nelle scene più
paurose.
Sayuri, seduta dall'altro lato, faceva la stessa cosa,
spostando di tanto in tanto gli occhi su Daisuke, presissimo dalla
trama
intricata del film.
Dal lato opposto della sala, il dottor Tofu coccolava una
Kasumi addormentata sulle sue gambe e Kuno tentava di fare la stessa
cosa,
mettendo un braccio intorno alle spalle di Nabiki e dicendole
“Non preoccuparti
dolce Nabiki Tendo, non avere paura, il tuo eroe è qui a
proteggerti!” e
beccandosi di tutta risposta continue gomitate nello stomaco.
Shan-pu, piccata perché il suo amore non la degnava di uno
sguardo, occupato com'era a prendere in giro e a consolare
un'impauritissima
Akane, se ne stava sulle sue, snobbando il film e tutte le
“ragazzine
piagnucolose” che avevano paura guardandolo.
Io invece me ne stavo poggiata al muro vicino a Ryoga,
avvolta dalla felpa di Alexander.
***
Nessuno
arrivò a scoprire chi fosse il fantomatico assassino:
Ranma e Akane si addormentarono testa contro testa; il dottor Tofu si
accasciò
sulla sua bella fidanzata; Nabiki cedette a Kuno e si
addormentò fra le sue
braccia; Shan-pu si accovacciò come una gatta e Ryoga
dormì rimanendo seduto.
Avvolti nelle nostre copertine estive non chiudemmo la grande
porta finestra che si affacciava sul giardino.
Il sole non aveva ancora fatto capolino nel cielo di
luglio,
le bottiglie di birra giacevano vuote sul bel pavimento, accanto a
qualche
ragazzo o ragazza addormentati, quando, improvvisamente, mi svegliai
destata da
un rumore che non aveva niente a che fare con quelli della notte.
Accanto a me Ryoga seduto aveva l'aria di uno che aveva
aperto gli occhi già da un po'.
Mi scrollai di dosso lo strambo sogno che avevo fatto e lo
guardai, lui mi fece segno di rimanere in silenzio ed avvicinarmi.
Spalla contro spalla gli sussurrai: << Cos'è
stato?
>>
<< Non lo so, è già da un po' che
li sento, credo
provengano da fuori >>
<< Tipo un cane randagio? >>
<< Forse >> rispose lui a bassissima voce e
si
girò ancora per controllare. L'aveva fatto altre dodici
volte mentre parlavamo.
<< I miei sensi di artista marziale sono molto acuti, a
differenza di Ranma >> sussurrò lui, indicando
il ragazzo con il codino
che dormiva della grossa << Sono abituato, vivendo sempre
all'aperto
>>
<< Davvero? >> chiesi io curiosa, in
effetti
sapevo poco e niente della sua storia
<< Oh sì. Vedi Jude io sono un viaggiatore, un
avventuriero. Ho dormito in tenda per tanti anni e quando sei nel bosco
al buio
devi essere sempre all'erta >>
Poi ci fu un altro rumore, metallico.
<< Oh mio Dio >> dissi avvicinandomi di
più a lui.
<< Non ti preoccupare, anche se fosse un
malintenzionato ci sono qui io, o il bestione del tuo amico americano
>>
mi guardò per un attimo << Ci sono anche
Ranma, Kuno e Tofu, ma
sicuramente lo farebbe scappare Akane a suon di calci! >>
sibilò Ryoga
ridendo e facendo ridere anche me.
Ma, della serie “a Nerima non si è mai
tranquilli”, proprio
mentre la tensione per quegli strani rumori notturni stava cominciando
a
svanire,grazie alle rassicurazioni di Ryoga, vidi strisciare qualcosa
accanto a
lui.
Una catena? Con all'estremità qualcosa di strano, come uno
di
quei ganci per prendere i peluches che si vedono nelle macchinette ai
Luna
Park.
Ryoga si girò immediatamente ma l'affare era già
sgusciato
via.
<< Che..? >> stavo per chiedere io quando
mise la mano sulla mia bocca.
<< Shhhhh, forse è un ladro >>
Il cuore
mi
batteva all'impazzata e dentro di me pregavo che
qualcuno si svegliasse, non che Ryoga non fosse sufficientemente forte
da
affrontare chicchessia, ma la confusione a volte dà conforto.
Mi avvicinai ancora di più a lui, che mi dava le spalle,
tenendo i pugni serrati verso le finestra.
Non so se passarono secondi, minuti o ore, che per me furono
più terrorizzanti del film horror di Nabiki, ma poi accadde
qualcosa di
veramente strano.
Nel silenzio della notte, in cui si sentivano solo i nostri
respiri accelerati e i nostri cuori che sbattevano furiosamente contro
il
petto, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un rumore mi fece
sobbalzare.
Più che un rumore era una musica... la suoneria di un
cellulare?
“Questo
è il ballo del qua qua
e di un papero che sa
fare solo qua qua qua
più qua qua
qua.
Mamma papera e
papà
con le mani fan qua qua
e una piuma vola
già
di qua e di là.
Le ginocchia piega un po'
poi scodinzola
così
batti forte le tue mani
e fai qua qua
con un salto vai
più in là
con le ali torna qua
ma che grande
novità
è il qua qua
qua.”
La luce
fu
accesa all'improvviso, sostituendo quella della luna, e noi vedemmo gli
altri quasi tutti svegli. Alcuni avevano le sopracciglia
aggrottate, confusi, altri sbadigliavano, altri non si erano accorti di
niente
ed erano stati svegliati da Akane che aveva riportato la luce nella
sala.
E poi Shan-pu, con il cellulare in mano, che guardava in
direzione del giardino.
I rumori metallici cessarono e vennero sostituiti da una
voce maschile che parlava una lingua che non mi sembrava affatto
giapponese.
Aveva una voce bassa e mesta, che sembrava molto vicina.
Io guardai in direzione di Ryoga con gli occhi sgranati.
Poi una figura, un'ombra, salì le scale del patio,
attraversò
la porta finestra e si rivelò a noi: era un ragazzo, alto,
con i capelli lisci
e neri lunghi quasi quanto i miei, gli occhi celati da due spesse lenti
tonde e
una veste strampalata lunga e bianca, con un disegno di rombi sul petto
e il
colletto alla coreana. Dalle ampissime maniche del suo vestito, che
pareva
quello di un prestigiatore, usciavano ancora due o tre delle catene che
avevo
visto.
<< Mousse sei tu! >> sbraitò
Ryoga << Ci
hai fatto prendere un colpo! >>
Il ragazzo, il cui nome dunque era Mousse, si tolse gli
occhiali, rivelando due meravigliosi occhi azzurro cielo e
cominciò a sparlare
accasciandosi per terra.
Shan-pu, che nel frattempo aveva posato il cellulare, si
avvicinò con passo svelto e gli diede un piccolo schiaffetto
sulla nuca:
<< Parla in inglese così possono capirti
tutti, idiota >>
Mousse, sentendo la voce della ragazza, si rialzò, corse
verso di me e, attaccandosi, cominciò a dire -o almeno
questa fu la traduzione che mi fecero-: << Shan-pu dolce
regina del
mio cuore! Sono venuto a riportarti a casa! Vieni con me mio fiore di
loto!
>> strusciandosi contro la mia gamba.
<< Mettiti gli occhiali talpa! >> gli
gridò Ryoga
staccandolo in malo modo.
Il ragazzo dalla lunga chioma corvina si trovò per un
momento
spaesato di fronte alla mia espressione, sicuramente più
confusa della sua, poi
si riaggiustò meglio gli occhiali, mi guardò
dritta negli occhi, sorrise e
disse: << Oh, mi scusi bella signorina >>
per poi tornare a
rivolgersi a Shan-pu, scongiurandola di non rimanere a casa Saotome.
<< Stupido papero >> disse la cinesina
prendendo
in mano uno dei ganci che fuoriuscivano dalle maniche del suo strambo
amico
<< cosa volevi fare con questi? Ti sembro un pupazzo?
>>
<< Eh eh eh eh eh >> rispose lui
imbarazzato,
grattandosi la nuca << Mia adorata andiamo via!
>> aggiunse poi in
tono implorante.
<< Non ci penso nemmeno! >>
<< Ma Shan-pu! >>
<< Tornatene a casa Mousse! >>
E la bizzarra scena proseguì per un bel po', mentre io
cercavo di avvicinarmi ai miei amici dall'altra parte della sala.
<< Jude tutto bene? >> mi chiese Ranma
quando gli
arrivai di fianco.
<< Sì, mi sono solo spaventata un po'...
credevamo
fosse un ladro >>
<< Beh, invece è Mousse! >>
rispose lui ridendo.
<< Piacere di conoscerlo >> replicai io
ironicamente.
<< Vedi Jude >> intervenne Akane
<< Mousse
è cinese come Shan-pu, loro si conoscono fin da bambini e
fin da bambini lui è
innamorato perso di lei, che ovviamente non lo ricambia
assolutamente...
>>
<< Ed è venuto qui perché era folle
di gelosia nei
confronti di Ranma e voleva portare via la sua amata >>
si intromise
Nabiki.
<< Con quelle assurde... cose?
>> chiesi
indicando le sue catene.
<< Sì, quelle sono le armi di Mousse. Anche
lui è un
artista marziale e, quando ci vede, non è neanche male
>> mi rispose
Ranma.
<< Quindi vediamo se ho capito: Mousse è
innamorato di
Shan-pu che è innamorata di Ranma e lo deve sposare
perché lui l'ha battuta in
Cina, così lei ora lo segue ovunque e per questo si
è imbucata qui stasera, ma
Mousse era geloso perché ovviamente odia Ranma,
così, invece di suonare il
campanello e chiedere di parlare con lei, ha cercato di rapirla alle
cinque del
mattino con delle strane catene facendoci quasi venire un colpo?
>>
<< Esatto >> disse Ranma dandomi una pacca
sulla
spalla << Vedo che ormai sei entrata nell'ottica!
>> aggiunse
sorridendo.
Io guardai Akane che alzò le spalle e Nabiki che, facendo
dei
piccoli cerchi con il sito indice di fianco alla tempia,
mimò “sono tutti
matti”.
Nel
frattempo
le prime luci dell'alba avevano cominciato a
rischiarare l'assurda scena: Mousse e Shan-pu che ancora litigavano al
centro
del salone; Ranma, Akane, Nabiki ed io che guardavamo divertiti; Ryoga
che
scuoteva la testa spazientito; il dottor Tofu che cercava di raccattare
i
residui della nottata sparsi qui e lì nella stanza e gli
altri che parlottavano
scambiandosi le proprie opinioni.
Poi, come un angelo, apparve Kasumi sulla porta, illuminata
da un raggio di sole, con un grembiule fiorato sopra la tenuta da
notte, dei
guanti da forno azzurri con le margherite e una torta alle mele fumante
in
mano:
<< Beh, è ora di colazione no?
>> disse
interrompendo il trambusto con l'ingenuità che solo lei
poteva avere <<
Coraggio ragazzi spostate il tavolino, Mousse rimani? >>
domandò poi
sorridendo.
Lui guardò Shan-pu, come a chiederle il permesso, lei lo
fissò, poi si girò verso tutti noi, indaffarati a
sistemare e riapparecchiare
la tavola allegramente e lo prese per il colletto dicendo:
<< Vieni qui
paperotto >>
Così ci sedemmo, bevendo latte e mangiando la
torta, facendo colazione
tutti insieme, sorridenti e divertiti, finalmente uniti.
<< Certo che ce ne sono di tipi strani qui eh?!
>> mi sussurrò Alexander all'orecchio
facendomi ridere.
<< E ho l'impressione che non sia ancora finita
>>
gli risposi guardando il cielo color pesca di un nuovo giorno a Nerima,
un
nuovo giorno che aveva tutta l'aria di dire “ne vedrete ancora delle belle”!!
***
(*)
Se non avete in mente la scena del "Matrimonio del mio migliore amico"
o non avete mai visto il film, ecco il link, così capite a
cosa mi riferisco. (Immaginate che sia successa la stessa cosa a casa
Tendo!)
https://www.youtube.com/watch?v=AL0AgUsnEjI
Ciao
a tutti! Come potete vedere sono ancora viva!
Scusatemi
per l'assurdo ritardo!
Ebbene
eccoci qui con l'entrata in scena del nostro paperotto, spero che il
capitolo vi sembri plausibile, fatemi sapere!
Come
sempre un grazie di cuore a tutte le persone che
leggono/seguono/preferiscono/ricordano e a quelle che recensiscono, mi
fa un immenso piacere.
In
particolare grazie alle mie adorate Ladies che sono magnifiche.
Vi
saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo con...?
Un
bacio, vostra Aronoele (:
|
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Capitolo 8 *** Can you fill it? ***
Il sole non era ancora sorto e
l'aria,
al di là delle
finestre, era scura e frizzante.
Kasumi, l'unica sveglia e pimpante, stava finendo di mettere
i tramezzini nelle piccole ceste di vimini, chiuse con sottili nastri
di raso
rosa.
Di tanto in tanto batteva le mani, felice come una bambina la
mattina di Natale, mentre dispensava sorrisi e canzoncine allegre
nonostante
fossero appena le cinque del mattino.
Akane ed io, infreddolite, con gli occhi ancora pesanti ma il
cuore leggero e colmo di eccitazione, passavamo in rassegna gli zaini
per
controllare di non esserci dimenticate nulla:
<< Crema solare? >>
<< C'è >>
<< Teli? >>
<< Ci sono >>
<< Costumi di ricambio? >>
<< Anche >>
<< La palla? >> chiese all'improvviso una
voce
maschile, ancora impastata dal sonno.
Ranma se ne stava in piedi sulla porta, con la testa
scarmigliata poggiata sullo stipite, pantaloncini corti, scarpe da
ginnastica e
felpa blu notte.
<< Ti sei svegliato! >> disse con voce -fin
troppo- stupita Akane.
<< Beh direi, mi hai minacciato in ottocento modi
diversi ieri sera! >>
La ragazza sorrise di gusto limitandosi ad osservare che
“avrebbe dovuto farlo più spesso, visto che
funzionava”. Poi andò in cucina per
la colazione e Ranma la seguì, guardandomi con
un'espressione buffa sul viso e
sussurrando “a volte mi fa davvero paura”.
Con lo
stomaco
aggrovigliato per il viaggio imminente e per
il fatto che fosse ancora troppo presto per fare colazione, bevemmo
solo un tè
verde e aspettammo, seduti in cucina, stringendoci nelle spalle.
Il suono improvviso -ma atteso- di un clacson in lontananza
ci ridestò tutti
<< Uh-uh sono arrivati!! >>
cinguettò Kasumi
saltellando e Akane andò a salutare Soun, il quale nel
frattempo stava facendo
mille e una raccomandazione, soprattutto a Ranma, intimandogli con voce
perentoria di “proteggere le sue bambine”, mentre
il povero ragazzo, con aria
rassegnata, si caricava in spalla tutte le valige e raggiungeva Nabiki
già
uscita dal portone
spalancato.
Fuori l'aria era fresca e sembrava sprigionare la stessa
eccitazione che trattenevano i nostri cuori, proprio come quando da
bambini ci
svegliavamo presto per qualche gita scolastica o una scampagnata con la
famiglia.
Il vento del mattino, piacevolmente fresco e profumato, mi
scompigliò i capelli lunghi, spostandomi delle piccole
ciocche sul viso e
impedendomi, solo per qualche secondo, di vedere cosa, o chi, fosse
fuori dalla
porta.
Appoggiati ad piccolo pullman a noleggio, le braccia
muscolose incrociate sul petto, Kuno e Alexander ci aspettavano
splendidi e
sorridenti.
<< Ciao >> mi disse Alexander avvicinandosi.
<< Ciao >> risposi io timidamente.
<< Bene, un attimo di attenzione >>
gridò poi
Nabiki e rivolsi a lei il mio sorriso imbarazzato << Chi
guida? >>
<< Io naturalmente >> esclamò
Kuno con boria,
spostandosi un ciuffo di capelli color castagna dagli occhi con un
gesto
plateale.
<< Conosci
la
strada? >>
<< No... ma ho il navigatore! Qualcuno dovrà
darmi le
indicazioni... chi si offre volontario? >>
Nessuno rispose tranne Ranma che, a voce bassissima, fece
qualche commento sul fatto che sarebbe stato divertente vedere Ryoga,
partito
qualche giorno prima, alle prese con un navigatore, giusto per
confermare la
sua teoria secondo la quale “si sarebbe perso lo
stesso”.
<< Va bene, ho capito, faccio io >> disse
Nabiki
strappando letteralmente il piccolo schermo piatto dalle mani del
nostro
autista e prendendo posto << Dai, muovetevi
>> ci incitò poi.
Kasumi salì subito dopo di lei e le si sistemò
accanto,
stringendosi nel suo bel scialle bianco.
Poi fu il turno di Ranma e Akane che entrarono litigando per
si dovesse sedere di fianco al finestrino, sfida poi vinta da Ranma
che, con
uno scatto quasi felino, prese la ragazza per fianchi
spostandola di peso sul posto accanto al suo,
ridendo.
Mentre ancora sorridevo alla vista dei miei amici che si
scambiavano battute e dispetti, Alexander interruppe i miei teneri
pensieri:
<< Prego >> disse, accompagnando la
gentilezza
della voce con un gesto aggraziato della mano e facendomi segno di
precederlo
mentre chiudeva lo sportello del pulmino.
E
così ci ritrovammo tutti seduti: Kuno alla guida, intento a
canticchiare canzoncine strampalate degne di qualche film si seconda
serie;
Kasumi che, appena dietro, leggeva un romanzo appassionante mentre al
suo
fianco Nabiki digitava la meta sul navigatore.
Dietro di loro Ranma, che sonnecchiava appoggiato al
finestrino ed Akane, concentrata nello scegliere la playlist da mettere.
Ancora più in fondo, agli ultimi posti, Alexander ed io.
Mentre lasciavamo il distretto di Nerima, entrando in
autostrada, e l'alba cominciava a far capolino rischiarando, con le
prime
sfumature turchesi, l'indaco del cielo, Akane si decise finalmente a
passare
l'iPod alla sorella e una musica dolce riempì l'aria.
La voce profonda e appassionata di un uomo con uno splendido
accento inglese cominciò a cantare una canzone flautata e un
po' malinconica,
mentre Akane, crogiolandosi in quelle note delicate, fece scivolare la
piccola
testa sulla grande spalla del ragazzo che le era seduto accanto,
addormentandosi con il sorriso sulle labbra.
Ranma, con la stessa tenerezza dipinta sul volto di lei, non
si mosse, la fece rimanere lì, appoggiata sulla sua spalla,
richiudendo poi gli
occhi e appoggiando di nuovo la testa sul vetro mentre ascoltava le
meravigliose parole cantate come una richiesta da quel ragazzo
britannico.
<< Hai freddo? >> mi chiese in un sussurro
Alexander, unico testimone, assieme a me, di quella dolcezza.
Riscuotendomi inaspettatamente dal torpore che mi aveva
circondata, notai che le mie mani erano effettivamente freddissime e
che dei
piccoli brividi, dati dalla temperatura o forse dall'emozione, mi
riempivano le
braccia di pelle d'oca.
Mi girai ad incontrare i suoi occhi annuendo flebilmente e
lui, con un semplice “vieni qui”,
spalancò l'enorme braccio, avvolgendomi in un
morbido e caldo abbraccio e facendo incastonare la mia testa sul suo
petto
scolpito.
La sorpresa mi colse improvvisa, come un temporale estivo,
mentre la mia guancia si appoggiava con una delicatezza inattesa sulla
roccia
del suo torace e il suo braccio muscoloso mi stringeva a lui.
Così, con quel gesto inaspettato e dolce, anche io mi
lasciai
andare e chiusi gli occhi, come Akane davanti a me, mentre Alexander mi
riscaldava e quel ragazzo nella canzone continuava a cantare un
messaggio che,
forse, aveva più di un significato per tutti noi.
"There's a hole in my soul
(C'è un buco
nella mia anima)
I can't fill it, I can't
fill it.
(Io non posso riempirlo)
There's a hole in my soul
(C'è un buco
nella mia anima)
Can you fill it? Can you
fill it?
(Puoi riempirlo tu?)
***
Quando mi svegliai il sole era
già alto e Alexander non aveva
smesso di tenermi stretta a lui, accarezzandomi le punte dei capelli
mentre
guardava l'oceano fuori dal finestrino.
<< Svegliati dormigliona >> continuava a
ripetere
Ranma dall'altro lato, punzecchiando con un dito la guancia di Akane
<<
Siamo quasi arrivati >>
<< Sei il solito baka >> rispose lei con la
voce
bassa e lievemente infastidita << stavo facendo un
bellissimo sogno...
>>
<< Ah sì? E che stavi sognando, bella
addormentata?
>> intervenne squillante Nabiki << Un
principe azzurro che ti
svegliasse con un bacio e non con i dispetti? >> rise poi
lei.
<< Nabiki ma che dici?? >> rispose Akane
alzandosi a sedere di scatto, completamente rossa in viso, mentre Ranma
faceva
finta di non aver sentito, frugando nel suo zaino alla ricerca di
“qualcosa”.
Anche io mi tirai su, guardando Akane con aria complice,
mentre Kuno parcheggiava in una zona riservata di fianco alla spiaggia.
Non appena il pulmino si fermò scendemmo tutti, uno per
volta, stiracchiandoci le membra e respirando un profumo di salsedine
caldo ed
intenso.
L'aria fresca dell'alba aveva ceduto il passo al tepore
tipico delle mattinate di luglio, così come il vento che
continuava
instancabile a far volare i nostri capelli.
“È proprio una bella giornata” pensai
guardando il cielo
meravigliosamente limpido e azzurro sopra di noi e incamminandomi verso
la
distesa di sabbia fine e bianca che ci attendeva invitante.
Ranma, Alexander e Kuno, da bravi uomini, presero le borse
e
si avviarono per primi a montare l'ombrellone su quel magnifico tratto
di
spiaggia, mentre noi ragazze li seguivamo togliendoci i sandali per
sentire la
sabbia tiepida.
<< Va bene qui? >> chiese Ranma conficcando
il
palo nella sabbia.
<< Basta che non ci sia troppa gente, la calca mi
dà
sui nervi >> rispose fintamente altezzosa Nabiki,
sfilandosi l'abito e
rivelando al di sotto un bikini mozzafiato. Un due pezzi da urlo color
ciliegia
impreziosito sui bordi da paillettes ton sur ton,
stretto ma non
volgare, che metteva in risalto le generose curve della ragazza
coprendo o
mostrando sapientemente, attraverso triangolini di stoffa e laccetti,
piccoli
lembi della sua pelle liscia.
<< Kuno, mi sistemi la sdraio al sole? >>
chiese
poi con fare civettuolo, mentre lui la guardava con gli occhi
leggermente
sgranati, obbedendo senza riserve alla richiesta della ragazza che
continuava a
sbattere le lunghe ciglia nere.
<< Grazie... >> gli disse accomodandosi sul
lettino con in mano una lattina di aranciata e gli occhiali da sole
scuri sugli
occhi, sembrava una diva del cinema.
Nabiki, come le sue sorelle del resto, era una ragazza
bellissima, tanto di viso quanto nel corpo. Aveva delle meravigliose
gambe lunghe
e snelle, il ventre piatto e il seno piuttosto prorompente, tutte cose
che lei,
meglio delle altre, sapeva valorizzare perfettamente.
<< Beh, che ci fate lì impalati?
>> disse rivolta
a noi che non ci eravamo mossi dai nostri posti e ce ne stavamo
immobili e
ancora vestiti mentre la spiaggia si riempiva << Mica ho
fatto una cosa
strana, siete voi gli alieni, su svestitevi! >> concluse
poi scuotendo la
testa con aria sarcastica.
Ridestati improvvisamente dalla naturalezza della nostra
amica, uno ad uno, cominciammo a spogliarci anche noi.
Kasumi indossava un bellissimo costume a fascia verde giada,
che stringeva elegantemente le sue forme gentili e Akane aveva scelto
un bikini
giallo limone, meno provocante di quello delle due sorelle, ma
altrettanto
sofisticato ed in grado di rendere giustizia al suo corpo allenato e
armonioso.
Ranma deglutì alla vista delle meravigliose gambe tornite,
delle braccia lunghe, dei fianchi morbidi e della pelle nivea che la
ragazza
stava generosamente mostrando, a tutta la spiaggia.
<< Un costume un po' più coprente no?
>> sibilò
fra i denti il ragazzo.
<< Cosa c'è Ranma, ti dà fastidio?
>> chiese lei,
sbattendo le ciglia innocentemente.
<< Ma che vai dicendo! Ero solo preoccupato per gli
altri bagnanti... potrebbero scambiarti per una balena e spaventarsi a
morte!
>> rispose lui facendole la linguaccia e cominciando,
subito dopo, a
correre verso l'acqua gridando “tanto non mi
prendi” mentre Akane lo inseguiva
brandendo qualche oggetto contundente.
Anche Kuno si sfilò la maglietta, rimanendo con i suoi boxer
blu di Persia ed esponendo alla calda luce solare il torso scolpito.
Senza attendere oltre anche Alexander si spogliò, e non
potei
non rimanere incantata di fronte allo spettacolo marmoreo del suo
fisico
possente e muscoloso, nascosto solo da dei semplici boxer neri.
Io invece avevo scelto un bikini sobrio, bianco con dei
minuscoli ricami floreali color crema, che non si discostava molto dal
mio
incarnato e che non dava troppo nell'occhio.
<< Che carina che sei, Jude >> mi disse
Kasumi
dopo aver terminato la telefonata con il suo fidanzato, che non era
potuto
venire con noi a causa degli impegni in ambulatorio.
<< Nabiki se non metti la crema ti scotterai!
>>
proseguì poi con i suoi modi materni, rivolta, questa volta,
alla sorella.
<< Uff, che barba! >> replicò la
ragazza
posizionandosi a pancia in giù e slacciandosi i gancetti del
reggiseno, per poi
chiamare “Tatewaki!!” schioccando per due volte le
dita.
Kuno non disse niente, si mise seduto di fianco alla ragazza
e cominciò a spalmarle delicatamente la crema sulla pelle
liscia e calda delle
spalle e della schiena.
Io guardai Kasumi sorridendo e lei fece una faccia buffa, a
metà fra lo scandalizzato e il rassegnato, mentre Alexander,
al mio fianco,
alzava le spalle divertito.
Poco dopo
tornarono anche Ranma e Akane: lui completamente
zuppo e con i capelli sciolti che gli grondavano sulle spalle, e lei
con
l'espressione di trionfo dipinta sul viso.
<< Ranma, ma cosa ti è successo?
>> chiese Kasumi
premurosamente, passandogli un telo da mare con disegnati sopra
bizzarri
personaggi di qualche fumetto.
<< Chiedi a quella racchia di tua sorella
>>
rispose lui togliendosi la maglietta.
Ormai ero abituata a vederlo a petto nudo, date tutte le
volte che restava senza la parte superiore del karategi durante gli
allenamenti
nel dojo, ma fece lo stesso un certo effetto -e non solo a me- vedere i
suoi
muscoli, imperlati di minuscole goccioline d'acqua, sfavillare alla
luce del
sole.
<< Te la sei cercata! >> rincarò
la dose Akane
voltandosi di lato.
Per tutta risposta Ranma inarcò un sopracciglio incredulo,
con l'aria di uno che voleva fargliela pagare, e poi agitò
velocemente la
testa, scrollandosi l'acqua dai capelli con energia e facendola
ricadere sulla
ragazza che, nel frattempo, cercava di ripararsi con le mani e
strizzava gli
occhi, come sotto la pioggia.
Non contento poi, le si buttò addosso facendo cadere
entrambi
e cominciò a rotolare, insabbiandole il corpo e i capelli
con le mani mentre
lei si dimenava e si contorceva come una bambina a cui stanno facendo
il
solletico.
Entrambi ridevano raggianti, più luminosi di quella
meravigliosa giornata estiva, contagiando anche noi spettatori che
facevamo il
tifo -chi per lui e chi per lei- incitandoli con incoraggiamenti di
ogni tipo.
Improvvisamente Akane ribaltò la situazione e si
portò a
cavalcioni sopra lo stomaco del ragazzo, avendo particolare cura nello
spargergli la sabbia sul petto, che ormai aveva assunto un colore
dorato.
<< Vai sorellina! >> gridò a
quel punto Nabiki e
Ranma, guardandola con la coda dell'occhio, stese il braccio per
arrivare alla
gamba del suo lettino.
Lo afferrò, alzandolo con una mano sola, mentre tutti i
tendini in rilievo nella parte interna del bicipite davano prova della
sua
forza, e lo rovesciò.
Nabiki rimase per terra immobile, con la faccia a metà fra
il
fintamente indignato e lo schifato, attenta a non impastare
più del dovuto
crema e sabbia, mentre Kuno la guardava famelico.
<< Nabiki Tendo >> esordì il
ragazzo
avvicinandosi un passo alla volta << Sebbene sia stata
un'esperienza più
che unica toccare la tua pelle vellutata, e sinceramente te ne
ringrazio, il
trattamento da schiavetto che mi hai riservato oggi non si addice molto
alla
mia condizione di Aristocrat, dunque... >> Ci fu pausa
lunghissima pausa
ad effetto mentre lui la guardava intensamente e con il fuoco negli
occhi
<< Questa è l'ora della vendetta!
>> disse poi come un urlo di
battaglia e si scagliò contro la ragazza, impanandola come
una cotoletta,
mentre lei cercava di scappare fra un “non osare” e
l'altro.
Ranma e Akane, rimasti nella posizione in cui erano prima,
avevano osservato tutta la scena ridendo di gusto, con quelle risate
genuine
che fanno bene all'anima, quando lei, scendendo dal ventre del ragazzo,
gli
disse qualcosa all'orecchio alzando gli occhi verso di me.
<< Oh no, no, no, no, no, no, no, no, no...
>>
continuai a ripetere io indietreggiando.
Avevo perfettamente intuito le loro intenzioni dai loro
sguardi e dal fatto che si stavano avvicinando con le braccia tese
sussurrando,
con la teatralità degna di due zombie dei migliori film
horror, frasi come “Non
ci scappi, Jude”.
Ma furono nettamente
più veloci di me e, dopo avermi gettato addosso un po'
d'acqua da una
bottiglietta, mi abbracciarono, una davanti e l'altro dietro,
trasferendo la
sabbia dai loro corpi al mio, per poi trascinarmi a terra con loro.
Alexander si unì presto a noi, buttandosi allegro nella
mischia, e così continuammo a rotolarci in quella distesa di
granelli caldi,
giocando spensierati, afferrandoci per i fianchi, buttandoci gli uni
sugli
altri, impiastricciandoci la pelle e i capelli, mentre le risate
gioiose
sembravano non finire mai.
Quando
la sabbia ci era entrata ormai anche nel naso e
nessuno di noi aveva più il suo colore naturale, decidemmo
che era ora di
andarci a fare un bagno.
Lasciammo Kasumi, l'unica che era rimasta incolume dalla
battaglia, a guardia delle nostre cose e ci dirigemmo verso la riva.
L'oceano era uno spettacolo.
Pacifico era davvero l'aggettivo che meglio lo descriveva.
Una distesa di acqua turchese, calma e piatta, che brillava
tempestata da tanti piccoli diamanti che sembravano scendere dal cielo,
come
una moltitudine di minuscole stelline che danzavano sul blu.
L'aria ricolma di salsedine solleticava le narici ed il vento,
salmastro e fresco, portava sollievo dal sole cocente.
Anche nella mia America c'è l'oceano, anche nella mia New
York, ma chi dice che il mare è sempre
lo stesso in qualunque posto si vada, sbaglia.
Il mare cambia, come cambiano gli orizzonti, come cambiano i
paesaggi. Nemmeno il sole è sempre uguale. Nemmeno le
persone sono sempre
uguali.
Io di sicuro non ero uguale.
Chi torna da un viaggio non è mai lo stesso che è
partito,
no?
E pensare che l'acqua, con le sue onde e le sue risacche, con
i suoi vortici e le sue maree, va e viene in continuazione, si infrange
e si
riassorbe sempre.
Come fa ad essere sempre la stessa?
Sorrisi a quel pensiero mentre mi guardavo intorno e vedevo i
miei amici, con la pelle resa ocra dalla sabbia, tanto che parevano
abbronzati,
tanto che i loro occhi, azzurri o castani che fossero, risultavano
più luminosi
che mai. Li vedevo mentre il riflesso dell'oceano li rendeva
più belli e la
brezza marina gli spettinava i capelli. Vedevo i loro denti, esposti
nei
migliori sorrisi, più bianchi delle nuvole e le loro
espressioni contente.
Poi, improvvisamente, vidi un'ombra, dapprima lontana e man
mano sempre più vicina, un'ombra che non era sporca di
sabbia come noi, ma che,
come noi, aveva gli occhi verdi scintillanti e i capelli scarmigliati.
Ryoga arrivò sorridente, maestoso e bello, con il costume
militare e i muscoli in bella vista.
<< Ciao ragazzi sono ore che vi cerco ma che... che
avete combinato? >> chiese salutandoci.
<< Battaglia di sabbia >> rispondemmo tutti
all'unisono.
<< State andando a farvi il bagno? >>
chiese poi
lui, ma notai che la sua voce aveva subito una leggera incrinatura.
<< Sì, vuoi venire con noi? >>
gli domandò Akane
con voce gentile.
<< Ehm... oh, Akane sei... sei molto gentile ma io...
no... io credo che vi aspetterò qui... >>
<< Ma dai vieni, non farti pregare! >>
cercò di
convincerlo lei.
<< No, no, ma grazie dell'invito... Vado a dire ad Ukyo
che siete arrivati... così poi possiamo andare tutti a
pranzo... o-ok? >>
<< Non ci metteremo molto, non c'è bisogno che
tu
l'avverta! >>
<< Akane, se Ryoga non vuole venire forse c'è
un
motivo... >> la interruppe Nabiki << Hai
paura dell'acqua? Brutti
ricordi? >> sogghignò lei.
<< Ma che dici! >> ribatté lui
con il tono quasi
offeso << Io non ho paura di niente! >>
<< Allora dimostracelo! >> disse Ranma
tirandogli
addosso delle piccole palle di sabbia bagnata che finirono per
sporcarlo tutto
<< Adesso devi sciacquarti anche tu >>
ghignò poi.
<< Tranquillo, nemmeno io so nuotare. Noi non andremo
nell'acqua alta, resteremo vicini! >> lo
rassicurò ulteriormente Akane e
lui sorrise, finalmente rasserenato.
<< E va bene, mi avete convinto! Andiamo!!
>>
Ci
prendemmo per mano, come una lunga catena umana, ed
affrontammo l'oceano tutti insieme, correndo.
A contatto con i nostri corpi caldi e sudati l'acqua era un
gelido piacere.
Giocammo per quelle che sembrarono ore, eravamo una
combriccola di ventenni o poco più ma ci divertivamo come
bambini.
Ci rincorremmo in lungo e in largo su quel tratto di blu che
ci aveva accolti, sotto gli sguardi stupiti, sorridenti o semplicemente
curiosi
della gente che osservava sette ragazzi tuffarsi, schizzarsi
e ridere come matti.
Ci fu anche una battaglia acquatica, di quelle dove la
ragazza deve salire sulle spalle del ragazzo e cercare di affondare
l'altra
coppia, dove vinsero Ranma e Akane, ché lei, anche se non
sapeva nuotare, in
quanto a forza non si faceva battere da nessuno.
Nabiki, Kuno, Ranma, Alexander ed io facemmo persino una gara
di nuoto spingendoci verso le profondità dell'oceano, mentre
Ryoga e Akane si
tenevano per mano dove l'acqua era più bassa, lei che ci
salutava raggiante e
lui, color porpora in viso, che sembrava più rigido di uno
stoccafisso (ed io
sospettai che non fosse necessariamente solo a causa della paura
dell'acqua).
La gara -ovviamente- fu vinta
da Alexander, dato che una sua bracciata valeva
tre volte
quella della maggior parte di noi e fu poi costretto da Ranma a dargli
una
rivincita nella quale, nemmeno a dirlo, arrivarono pari.
Il tempo trascorse veloce, correndo quasi più di
noi, e venne
l'ora di raggiungere Kasumi che ci attendeva a riva con una pila di
teli fra le
mani, di asciugarci e di andare -finalmente- a incontrare la persona
per cui
quella gita al mare aveva avuto luogo: Ukyo.
Ci affidammo così al senso dell'orientamento di Ryoga, che
era stato al suo chiosco fino a prima di incontrare noi e, dopo quasi
un'ora
spesa a scottarci i piedi con la sabbia infuocata e a cercare un po'
d'ombra su
e giù fra gli ombrelloni, arrivammo, giusto in tempo per il
pranzo.
<< Oh Jude, vedrai >> mi disse Ranma
entusiasta
<< Ukyo fa le okonomiyaki migliori di tutto il Giappone!
>>
<< Wow... fantastico... ma che cos'è
esattamente una
okonomiyaki? >> chiesi esitante.
<< Che scemo, ovviamente non ci sono in America! Ecco,
l'okonomiyaki è... è... >>
<< Il termine “okonomi”
si può tradurre con “ciò che
vuoi” e “yaki”
con “alla griglia” >>
esordì Nabiki << Per dirla
all'americana, ha la forma di un pancake... È una specie di
pizza insomma, con
sopra tutto quello che vuoi >> finì lei
strizzando un occhio.
<< Beh Jude, vedrai che ti piaceranno! >>
<< Ne sono sicura! >> dissi io sorridendo e
raggiunsi gli altri, di poco avanti a noi.
***
Prima di partire immaginavo il
Giappone come una meravigliosa
perla dell'Oriente, il posto più bello di tutta l'Asia,
così affascinante con
le sue tradizioni, così intrigante con i suoi luoghi
spettacolari.
Dall'inizio della mia permanenza nella terra del Sol levante
però ero giunta anche ad un'ulteriore conclusione: il
Giappone era, senza ombra
di dubbio, il luogo dove c'erano i ragazzi più belli che
avessi mai visto.
Dopo Kuno e il suo fisico possente che lo faceva assomigliare
a una montagna massiccia; dopo Ryoga e i suoi muscoli prepotenti ma
gentili;
dopo Ranma e i suoi occhi che avrebbero potuto tranquillamente fare
concorrenza
all'oceano, dopo l'incantevole bellezza di ognuno di loro, beh, c'era
Ukyo.
Ukyo era uno chef, un affascinantissimo chef.
Aveva dei lunghi capelli color cioccolato legati in una coda
bassa, dei grandi occhi blu avio, delle piccole labbra carnose ed un
sorriso
smagliante.
L'atteggiamento, mentre cuoceva la sua specialità su una
piastra calda e maneggiava con destrezza delle spatole argentate, era
sicuro di
sé e dolce al tempo stesso. Dispensava sorrisi ai suoi
clienti, asciugandosi di
tanto in tanto il sudore con una manica della divisa grigio perla
impreziosita
da bottoni dorati e si muoveva instancabilmente, con una
velocità
straordinaria, riempiendo quei pancakes orientali con ogni tipo di
ingrediente.
I lineamenti del suo viso erano delicati e gentili, quasi
come quelli di una ragazza, e aveva un leggero odore di spezie.
Non appena ebbe finito di servire le numerosissime persone
accorse su quell'angolino di spiaggia per assaggiare le sue okonomiyaki
-che a
quanto pare erano davvero una prelibatezza- corse a salutarci.
<< Venite, ragazzi! >> ci gridò
quando la folla
cominciò a diradarsi, e noi ci avvicinammo.
<< Ciao U-chan! Questa è Jude, la nostra amica
americana >> mi presentò Ranma
<< Jude, Ukyo ed io siamo amici da
quando eravamo due poppanti >>
<< Molto piacere >> dissi io inchinandomi e
lui
fece lo stesso, aggiungendo un “il piacere è tutto
mio”.
<< E lui è Alexander, anche lui è
in scambio culturale
come Jude >> aggiunse poi Akane, tirando una gomitata a
Ranma che mimò un
“ma che ho fatto?” alzando le mani con aria
contrariata.
Ukyo fissò Alexander e mi sembrò quasi arrossire
per un
momento, ma poi rispose al suo inchino e tornò velocemente
dietro al bancone.
<< Allora, voi due, avete mai assaggiato le
okonomiyaki? >>
<< No, mai >> risposi io, enfatizzando le
parole con il movimento della testa.
<< Beh, anche se fosse, non avete mai provato le mie!
Ran-chan gli hai detto che sono le più buone del mondo?
>> scherzò lo
chef.
<< Ma certo! >>
<< Come le volete? >> chiese poi versando
da un
mestolo sette piccole porzioni di impasto e allargandole con una
spatola.
<< Special! Ho già l'acquolina in bocca al
solo
pensiero! >> disse Ranma leccandosi le labbra e
massaggiandosi la pancia
in modo decisamente eloquente.
<< E sia! Sette okonomiyaki special per i miei amici!
Ryoga verresti a darmi una mano? >>
Il ragazzo rispose con un cenno del capo, si rimise l'usuale
bandana gialla, tolta per fare il bagno, e andò dietro al
bancone con il cuoco.
<< Non sapevo che sapessi cucinare anche tu
>>
sussurrai io rivolta a Ryoga.
Da quando eravamo arrivati al mare non avevamo parlato molto
e la cosa, a dire la verità, non mi piaceva. Sembrava quasi
che mi stesse...
evitando?
<< Oh... beh...io >> farfugliò
lui grattandosi la
testa << Me la cavo! Eh-eh-eh-eh... >>
No, forse era solo una mia impressione, in fondo era il
ragazzo timido e impacciato che avevo conosciuto.
<< Oh, su Ryoga, non fare il modesto >>
intervenne
Ranma << Jude, devi sapere che glielo ha insegnato Ukyo!
Quando lui è in
città va spessissimo al suo ristorante... >>
<< Ma che dici Ranma? Ci vado qualche volta,
così, per
salutare... >> rispose Ryoga scaldandosi più
del dovuto.
<< Se lo dici tu! >> proseguì
Ranma in tono
allusivo.
Ukyo non disse niente, rimase con un sorriso accennato sulle
labbra e ci servì i nostri piatti.
Il profumo era delizioso e le okonomiyaki erano decorate
magistralmente, con sottili linee di salsa quasi bordeaux e maionese
che si
intersecavano sui gamberetti formando un reticolato perfetto.
<< Fatemi sapere come sono >> disse il
cuoco
appoggiandosi con i gomiti sopra al bancone e guardandoci trepidante,
ancorando
i begli occhi ai nostri in attesa di una risposta.
La cucina giapponese è un'esperienza unica, un ventaglio di
sensazioni e sapori: delicate o energiche, miti o intense, salate,
acetate,
dolci, ma sempre deliziose.
Fino a quel giorno avevo assaggiato tantissime specialità
del
paese del Sol levante, dato che Kasumi era una cuoca eccezionale, e
anche
dell'ottimo sushi, in un piccolo ristorantino vicino
all'università insieme a
Ranma e Akane, ma l'okonomiyaki era entrata di diritto fra i miei
piatti
preferiti.
Forse era merito dell'impasto o della salsa dal sapore
esotico e particolare, niente che avrei mai potuto trovare a New York,
ma me ne
innamorai al primo morso.
<< Sono squisite Ukyo, complimenti >>
risposi
alla sua domanda con slancio e lui fece uno stupendo sorriso a
trentadue denti.
***
Le prime ore del pomeriggio
arrivarono
calde e afose, e noi dovemmo lasciare Ukyo al suo lavoro, con
la
promessa però che ci saremmo rivisti prima di ripartire.
I ragazzi organizzarono una partita a beach volley e mentre
Akane, Nabiki e Kasumi si erano fermate in un piccolo chiosco con il
tetto di
paglia a bere un drink fruttato da bicchieri decorati con gli
ombrellini, io
ero rimasta seduta sulla sabbia a guardarli.
A guardare le forme armoniose dei loro bei corpi sudati
stendersi, contrarsi e levarsi elegantemente in volo.
A guardare i loro colori rincorrersi, fondersi e poi
distaccarsi di nuovo; a guardarli mentre colpivano con forza la palla
bianca e
blu, mentre si buttavano per terra per riceverla, mentre si
abbracciavano ad
ogni punto.
Rapita dai sorrisi e la loro allegria mi ritrovai a pensare
ad Alexander: così bello e statuario, così
misterioso e riservato nei modi di
fare, così simile a me per certi versi.
E poi a Ryoga. Bello, forte, ma anche timido e gentile e...
sfuggente, ultimamente soprattutto.
Mentre i miei occhi castani erano persi in quello scenario,
improvvisamente una mano sulla spalla mi fece sussultare.
<< Un penny per i tuoi pensieri >>
sussurrò Akane
accovacciandosi sulla sabbia accanto a me << Ti va bene
lo stesso uno
yen? >> aggiunse poi tirandomi una monetina argentata.
Io risi divertita, tornando poi a puntare gli occhi sulla
partita con ancora il sorriso sulle labbra.
Giocherellavo con quel piccolo pezzo di metallo passandomelo
e ripassandomelo fra le dita, mentre il mio sguardo si perdeva oltre i
ragazzi,
direttamente nell'orizzonte.
Akane continuò a tacere al mio fianco, senza dire una
parola,
semplicemente fissandomi e aspettando che mi decidessi a rompere il
silenzio.
<< Non pensavo a niente di particolare...
>>
dissi alla fine in un soffio che pareva rassegnato.
<< Mmm >>
<< Beh... è che... forse è solo una
mia impressione, ma
da quando siamo arrivati qui mi sembra che lui... lui sia un po'
sfuggente
>> mormorai imbarazzata, con la voce più bassa
per non farmi sentire dal
resto del gruppo.
Akane si voltò a guardare i ragazzi proprio mentre il gioco
si era fermato per un secondo e Alexander, venuto più vicino
per prendere un
po' d'acqua, mi aveva sorriso facendomi l'occhiolino.
<< Che dici? Se non ha occhi che per te! Secondo me gli
piaci! >> mi disse in un bisbiglio.
<< Ma se mi ha evitata per tutto il tempo!
>>
<< No, no, credimi. Non lo conosco così bene
ma me ne
sono accorta persino io! >> riprese lei con
più energia, cercando di
rassicurarmi.
<< Credevo foste molto amici... non vi conoscete da
anni? >>
<< Ma di chi stiamo parlando? >>
<< Di... di... ehm... di... Ryoga >> ammisi
infine.
<< Jude, ma... tu e Ryoga..? >> chiese
facendomi
avvampare.
<< No! No! È solo che, beh ecco... mi sembrava
che
fossimo diventati amici, andiamo d'accordo... E invece, tutto ad un
tratto, mi
evita completamente! Credi che si sia offeso per qualcosa che ho fatto?
>>
Akane assunse un'aria pensierosa: << Mmm... forse si
è
accorto che fra te e Alexander... >>
<< Ma non c'è niente fra me e Alexander! Siamo
solo
buoni amici, come credevo di esserlo con lui! >>
<< Allora probabilmente dipende da Ukyo >>
<< Da Ukyo? >> domandai un filino
incredula, non
riuscendo a capire cosa c'entrasse il bel cuoco con lo strano
comportamento di
Ryoga.
<< Sì... sai, Ryoga è stato per
anni innamorato di me
>> mi confidò la mia amica, arrossendo in una
maniera così dolce e pura
che non potei trattenermi dal sorridere a mia volta ricordando
perfettamente le
parole di Ranma: “Ma
chi, Akane? No figurati, ingenua com'è non si accorgerebbe
che un ragazzo è innamorato di lei nemmeno se lui le
scrivesse dei manifesti.”
<<
È... è un
segreto... anche io l'ho scoperto da poco... non credo che lui sappia
che io
so... >> riprese imbarazzandosi sempre di più
<< Ryoga è un ragazzo
davvero buono e dolce, anche se molto timido; un amico ineccepibile e
con un
grandissimo senso della giustizia. Forse, dedicandoti troppe
attenzioni, crede
di fare un torto a Ukyo... ultimamente crediamo che ci sia del tenero
fra
loro... >>
<< Oh... >> non sapevo cosa dire.
<< Una volta, un po' di tempo fa, siamo andati a fare
una scampagnata tutti insieme nella grotta più infestata di
tutto il Giappone,
chiamata “tunnel del perduto amore”
>> cominciò a raccontarmi Akane
sorridendo al solo ricordo << È una galleria
buia, piena di imprevisti e
dove si può entrare solo a coppie. Se l'amore che lega i due
innamorati è
sincero, la coppia uscirà illesa e unita come prima. Se
invece il legame è
debole, gli spiriti riusciranno a separare i malcapitati o i due
finiranno
comunque a litigare e lasciarsi. Beh... Ryoga e Ukyo superarono il
tunnel
insieme! In realtà lo fecero per cercare di separare Ranma e
me, ma quella è
un'altra storia >> concluse in una risata.
<< Akane, temo di non seguirti più! Sono un
po'
confusa... cosa c'entrate tu e Ranma? >>
<< Te l'ho detto! Bisognava entrare a coppie e io
entrai con Ranma e... >>
<< Quindi il ragazzo a cui appartiene il tuo cuore
è...
Ranma? >> chiesi io sogghignando nel vederla imporporarsi
e spalancare i
begli occhi color del whisky.
<< Eh? Ma figurati se posso essere innamorata di quel
baka! >> rispose con la voce più alta di
un'ottava << Solo che
Nabiki entrò con Kuno, Mousse si attaccò come al
solito a Shan-pu e mio padre
entrò con Kasumi. Il signor Genma con Cologne (la vecchia
bisnonna di Shan-pu)
Kodachi con Sasuke... che altro
potevo
fare? Sono dovuta per forza entrare con Ranma... non che la cosa mi
entusiasmasse più di tanto... >>
finì riprendendo fiato.
<< Il non
piacere è stato tutto mio, maschiaccio!
>> le gridò Ranma dal campo da gioco facendole
la linguaccia.
<< Che vuoi tu? Non ascoltare i nostri discorsi da
donne! >>
<< Io di donna ne vedo una sola e comunque Jude, dovevi
vederla la tua amica mentre si stringeva a me temendo che ci fosse
qualche
fantasma! “Ohhh, che paura che ho Ranma!!!” e
intanto mi abbracciava! >>
la prese in giro lui parlando in falsetto per farle il verso.
<< Andiamocene via, Jude qui non si può stare
in pace!
>> disse Akane scattando in piedi e mi
trascinò lontano aggrottando le
sopracciglia spazientita e facendogli una boccaccia come riposta.
<< Insomma... dicevi? >> le
chiesi io quando ci
fummo allontanate a sufficienza.
<< Non mi ricordo... >> finse lei
grattandosi la
nuca.
<< Mmm... vediamo... tu che ti avvinghi a Ranma...
>>
<< Eh?? No, no... io non mi sono avvinghiata proprio a
nessuno! Non ascoltarlo! >>
<< … >>
<< Tornando al discorso di Ryoga... ecco, lui e Ukyo
uscirono da quel tunnel insieme. Ranma sostiene che da quel momento
Ryoga abbia
smesso di sperare che tra me e lui.... beh ecco... sì,
insomma hai capito
dai... >>
<< Potesse succedere qualcosa >> completai
per
lei.
<< Esattamente. E lo stesso vale per Ukyo >>
<< Ukyo? >> domandai ancor più
confusa <<
Ukyo voleva uscire con te? >>
<< Eh? Ma no, non con me naturalmente. Con Ranma! Anche
se da quel momento in poi smise di andargli dietro come faceva prima
>>
<< Anche Ukyo andava dietro a Ranma? >>
<< Soprattutto Ukyo! Quasi peggio di Shan-pu e Kodachi!
>> asserì lei con l'aria di una che la sa
lunga, ma poi si affrettò a
correggersi: << No, peggio di Shan-pu no!
>> aggiunse poi facendo
scoppiare entrambe in una sonora risata.
<< Ma... non sono amici? >>
<< Oh sì, molto amici! Si conoscono da quando
erano
bambini solo che beh, è una storia lunga! >>
<< Ho tempo >> risposi mentre cominciavamo
a
passeggiare lungo la riva.
<< Ranma è arrivato qui solo qualche anno fa
ma prima
ha avuto una vita molto difficile. Quando era ancora piccolo suo padre
lo
strappò alle cure della madre per portarlo con sé
in viaggio di addestramento
per tutto il Giappone e buona
parte
della Cina. Sotto la guida di Genma, Ranma è diventato
l'abile artista marziale
che hai potuto ammirare. Si è allenato in molti posti
apprendendo una
moltitudine di tecniche diverse, ecco perché oggi
è così forte >> mentre
Akane seguitava nel racconto io mi soffermai un momento a guardarla e
capii
quanto fosse fiera di lui, non solo dalle parole che gli riservava, ma
anche
dai sorrisi teneri che faceva quando si interrompeva. Per non parlare
degli
occhi che, assottigliati e persi nell'orizzonte, celavano uno sguardo
ricolmo
di ammirazione e affetto; forse non guardavano nulla di particolare,
semplicemente vedevano oltre.
<< È stato proprio durante uno di questi
viaggi
che Ukyo e
Ranma si sono conosciuti e sono diventati amici. Un giorno si
imbatterono nel
signor Kuonji, il padre di Ukyo. Anche lui era un cuoco di okonomiyaki
e aveva
un chiosco mobile. Devi sapere che Genma e Ranma
non avevano molti soldi, dormivano in una
tenda e mangiavano quando potevano, così Genma, pur di
assicurarsi del cibo,
promise al signor Kuonji, in cambio del carretto di okonomiyaki, che
Ranma e
Ukyo si sarebbero sposati una volta adulti. Inutile dire che poi
rubò il
chiosco e non si fece più vedere... >>
Io ascoltai avidamente quella storia bizzarra e strampalata,
in perfetto stile “Saotome”, e Akane
proseguì, raccontandomi di quando Ukyo,
una volta ritrovato Ranma, inizialmemente ce l'avesse con lui per la
storia del
chiosco rubato, ma anche di come, dopo poco tempo, fosse caduto preda
anche lui
del fascino del nostro bellissimo amico innamorandosene perdutamente.
<< È per questo che si chiamano in quello
strano modo?
>>
<< Ran-chan e U-chan, dici? >>
Io annuii e Akane sorrise.
<< Sì, anche. I suffissi onorifici hanno
sfumature
abbastanza complicate da capire nella lingua giapponese
>> disse mimando
la voce del nostro professore di storia della cultura giapponese.
<< Il suffisso “-chan” è
per di più un vezzeggiativo,
viene usato da una persona adulta per riferirsi ad una più
giovane. Ad esempio
mio padre potrebbe chiamarti Jude-chan, o anche Kasumi
perché è più grande di
te. E poi si usa anche fra persone che hanno moltissima confidenza: tra
fratelli per esempio, o amici di vecchia data e infine tra fidanzati...
a
volte... anche se è più intimo chiamarsi solo per
nome... >>
<< Mmm ho capito... e io, ad esempio, come dovrei
chiamarti? >>
<< Tu potresti chiamarmi Akane-chan perché
ormai siamo
grandi amiche! >> rispose lei con il suo solito sorriso
contagioso
<< E io ti chiamerei Jude-chan! >>
<< E invece come dovrei chiamare Ranma? >>
<< Ranma-kun. Il suffisso “-kun” per i ragazzi e
“-san” per le ragazze si usa
fra persone che sono amiche ma hanno meno confidenza. Per esempio Ryoga
mi
chiama Akane-san, anche se ci conosciamo da anni, perché
è troppo rispettoso e
timido per chiamarmi Akane-chan, sarebbe sconveniente. E poi sono
indici di un
rispetto maggiore: si usano quando chiami una persona più
grande di te, per
esempio io e te dovremmo chiamare Kasumi Kasumi-san perché
è più grande di noi >>
<< Quindi Ranma chiama Ukyo U-chan perché sono
amici da
moltissimo tempo e Ukyo lo chiama Ran-chan sia per la loro amicizia e
sia in
nome del suo amore? >>
<< Credo di sì >> rispose lei
ridacchiando.
<< Anche se... >>
<< Anche se recentemente anche Ryoga ha cominciato a
chiamare Ukyo U-chan >>
Io non dissi nulla e continuai a camminare guardando le
persone che passeggiavano davanti a me.
E così Ryoga si comportava in questo modo strano
perché,
dimenticando Akane, si era avvicinato sempre di più a Ukyo,
il bellissimo cuoco
precedentemente innamorato di Ranma per via di una vecchia promessa
fatta a suo
padre da Genma.
Non potei fare a meno di pensare che Ranma era una specie di
carta moschicida per le situazioni più assurde: Kodaci Kuno,
la sorella di
Tatewaki, era innamorata di lui e cercava di attirarlo a sé
avvelenandolo e
rapendolo con frequenza mensile; Shan-pu, la bellissima amazzone
cinese, era
convinta di doverlo sposare perché lui l'aveva battuta in
uno scontro e le
severissime leggi del suo villaggio le imponevano questa regola; e ora
venivo a
sapere che anche Ukyo era legato a Ranma per qualcosa che andava contro
la sua
volontà.
Mi ritrovai a chiedermi se, fra tutte quelle bislacche
fidanzate, Ranma ne avesse una che aveva scelto col cuore.
A Nerima sembrava vigere una regola particolare: la maggior
parte delle ragazze era innamorata di Ranma, per via di qualche
bizzarro
evento, regola o semplicemente perché ammaliata dal suo
fascino a cui nessuno
sembrava poter resistere. I ragazzi invece non avevano occhi che per
Akane. Ad
eccezione di Ukyo a quanto pareva e Mousse, che vedeva solo
Shan-pu.
Continuando a fissare con sguardo vuoto di fronte a me, non
potei non cominciare a chiedermi come mai. Eppure questo quartiere
speciale a
nord est di Tokyo brulica di ragazze e ragazzi dalla bellezza
mozzafiato.
Chissà se Akane e Ranma erano interessati a qualcuno dei
loro
pretendenti oppure no.
E chissà se, a parte le coppie nascenti come Nabiki e Kuno
-ormai era evidente ci fosse un certo feeling fra loro-, anche gli
altri miei
strampalati amici celavano nei loro cuori un amore diverso, nascosti
sotto
l'alibi di essere ancora innamorati di Ranma o Akane.
Il mio pensiero andò subito a Ryoga e Ukyo e una fastidiosa
sensazione mi attanagliò lo stomaco.
Chissà se...
Ma
proprio in
quel momento qualcosa, o per meglio dire
qualcuno, interruppe i miei pensieri.
Dall'altra parte della spiaggia Ukyo si stava facendo largo
fra la folla di bagnanti per raggiungerci. Indossava ancora l'uniforme
da
lavoro con la cui manica si stava asciugando il sudore che gli
imperlava la
fronte.
<< Ukyo, hai finito il turno per oggi? >>
chiese
Akane.
<< Sì! Ohhh, che fatica e che caldo!! Ma dove
sono gli
altri? >>
Prima ancora che qualcuna di noi potesse rispondergli, i
ragazzi ci vennero incontro con fare irruento, alzando un gran
polverone e
travolgendoci come una valanga.
<< Noi abbiamo bisogno di un altro bagno!
>>
gridò Ranma correndo verso l'acqua.
<< Già, siamo di nuovo tutti sporchi
>> aggiunse
Kuno raggiungendolo.
<< Hey aspettatemi, vengo anche io!! >>
disse
Ukyo con entusiasmo, poi sfilò dalla tasca una sottile
fascia arancione e se la
annodò sulla testa facendo un grande fiocco, tirando
indietro una parte di
frangia e sciogliendosi i capelli.
Proprio nel momento in cui realizzavo che il ragazzo dai
tratti delicati che sembrava quasi una ragazza in realtà era
una
bellissima ragazza per niente androgina, lei si tolse la divisa da chef
e
mostrò un fisico tonico e asciutto, messo in risalto da un
bellissimo costume
con il reggiseno a fascia e le culottes blu notte, bordato di arancione
come il
nastro che le reggeva i capelli.
Forse, in quel preciso istante, seppi che nome dare a quella
strana sensazione che mi pesava sullo stomaco.
La mia espressione doveva apparire proprio stupita -oltre che
molto stupida- perché Akane mi guardò apprensiva:
<< Tutto bene, Jude? >>
<< Sì... >> sussurrai io ancora
incredula
<< Ma Ukyo... Ukyo è una ragazza!
>> chiesi mentre tutto nella mia
testa acquistava magicamente senso.
Akane scoppiò a ridere molto, molto, ma molto divertita.
<< Hey... è fraintendibile! >>
dissi mettendo un
piccolo broncio e sentendomi leggermente offesa dalla mia amica che si
stava
prendendo gioco di me.
<< No, no, scusami, Jude >>
annaspò lei non
riuscendo a fermarsi << È che anche Ranma
inizialmente ha creduto che
fosse un maschio! Però hai ragione, Ukyo ha vissuto molti
anni comportandosi
come un ragazzo, ha persino frequentato una scuola maschile!
>>
Io annuii pensierosa mentre Akane venne scossa da una nuova
ondata di risate senza fine.
<< Scusami... è che è
così comico! Sono stata mezz'ora
a parlarti di Ukyo, Ranma e Ryoga... chissà cosa devi aver
pensato!! >>
<< Già >> feci io, ma il
pensiero che Ukyo fosse
una ragazza non mi divertiva poi così tanto.
La osservai ancora, con consapevolezza questa volta, mentre
si aggrappava alle spalle di Ryoga solleticandogli la pelle accaldata
con i
capelli scuri, mentre rideva sfoggiando una dentatura perfetta, mentre
saltellava in acqua facendo risaltare le sua forme sinuose.
Era davvero bellissima, ancora di più da ragazza che da
ragazzo.
<< Akane, Jude, che ci fate ancora lì?
>> gridò
Ranma uscendo dall'acqua e rientrandoci trascinandosi dietro un'Akane
rassegnata ma divertita.
<< Coraggio >> mi disse Alexander
invitandomi a
raggiungerli con un cenno della mano.
<< Dai Jude, vieni anche tu! >>
urlò Ryoga ed io
entrai in acqua.
***
La nostra gita al mare era
giunta al
termine.
Le risate, i giochi, i bagni, le corse, tutto era cessato ed
era arrivata l'ora di tornare a casa mentre il sole si stava preparando
a darci
la buonanotte.
Ci incamminammo verso il nostro pulmino guardando le
fotografie che Nabiki aveva scattato in quella giornata piena di
emozioni e
nuove scoperte.
Ce n'erano alcune in cui eravamo tutti insieme, in posa o
buttati gli uni sugli gli altri fra la sabbia, alcune in cui
sorridevamo e
altre nelle quali facevamo delle buffe boccacce. Ce n'erano poi un paio
dei
ragazzi mentre giocavano a beach volley, una di Ukyo mentre cucinava,
una mia e
di Akane mentre passeggiavamo sulla battigia, una di Kuno che prendeva
il sole
e una di Kasumi al telefono.
Ma la più bella era quella scattata per ultima.
Eravamo appena usciti dall'ultimo bagno e Nabiki aveva
gentilmente chiesto ad un passante di farci una foto. Il dito poco
esperto di
quel signore grassoccio e con pochi capelli aveva catturato una scena
splendida: Kuno, il primo a sinistra, gonfiava il petto mentre Nabiki,
che lui
teneva abbracciata per la vita, alzava gli occhi al cielo; di fianco a
loro Kasumi
con la mano sinistra alzata in segno di saluto e sul volto il sorriso
di chi ha
passato una bella giornata; poi Ranma che teneva un braccio intorno a
me e
l'altro intorno ad Akane mentre con l'indice e il medio di entrambe le
mani faceva il
segno “V” di vittoria; accanto a
noi, simpaticamente inginocchiato di fianco alle mie gambe, Alexander;
ed
infine Ukyo che faceva una linguaccia e Ryoga che sorrideva mostrando i
canini.
Guardai quella foto per un minuto intero soffermandomi ad
osservare con attenzione i volti rilassati e sorridenti dei miei
compagni di
avventura. Ne mancavano alcuni, come Kodachi, Shan-pu e Mousse che
avevo già
conosciuto, e altri che avrei incontrato a breve e che mi avrebbero
regalato
altre pagine da raccontarvi, ma mi innamorai a prima vista di quella
foto.
<< Bella questa! >> disse Ukyo
arrivando alle mie
spalle << Devo chiedere a Nabiki di farmene una copia!
>>
<< Ti costerà cento yen! >>
gridò quella in
risposta.
<< Sei sempre la solita!! >>
<< Squadra che vince non si cambia. Jude, per te
è
gratis tranquilla >> disse ancora facendomi l'occhiolino.
<< Quella ragazza non cambierà mai!
>> riprese
Ukyo con un sorriso rivolto a me.
Fra tutte le “fidanzate” di Ranma lei era di sicuro
la più
cordiale.
Lei che, come mi aveva raccontato Akane, si definiva “la
fidanzata carina” e carina lo era per davvero.
Era indubbiamente meno sexy e provocante di Shan-pu, che era
bella come un'attrice, e sicuramente più sana di mente di
Kodachi, che -pazzia
a parte- aveva un fascino altero con quei due occhi glaciali.
Ma Ukyo aveva in lei un certo non so che, un qualcosa che la
rendeva estremamente “carina” non solo nell'aspetto
fisico ma anche nei modi,
sempre gentili e amichevoli, tanto che nemmeno una
“rivale” avrebbe potuto non
volerle bene.
<< Allora, come ti trovi qui da noi? >> mi
domandò camminando al mio fianco.
<< Oh molto bene, il Giappone mi piace tantissimo e le
persone sono tutte così simpatiche! >>
<< In particolare una eh, Jude? >>
ironizzò
Nabiki con il suo solito acume pungente.
<< Chi? >> chiese Ukyo curiosa
<< Non sarà
mica Ranma? >>
<< No. La nostra Jude va molto d'accordo con Ryoga...
vero? >> rispose provocatoria la ragazza con il caschetto.
<< Oh... >> disse Ukyo <<
In... in che
senso? >>
<< Non ti darà certo fastidio, no? Tu sei la
fidanzata
di Ranma dopotutto... >> precisò Nabiki.
Più passava il tempo e più mi accorgevo che
“iena” era
davvero il soprannome perfetto per lei.
<< Dopotutto... >> fece eco la cuoca.
<< In nessun senso, io e Ryoga siamo solo buoni amici,
come con tutti gli altri dopotutto >>
riposi io puntualizzando e
finalmente il respiro di Ukyo tornò regolare.
<< Ah già, dimenticavo Alexander!
>> fu l'ultima
frase di Nabiki accompagnata da un occhiolino mentre saliva i gradini
del
pulmino.
<< Finalmente! Stavamo aspettando voi per partire!
>> ci disse Kuno porgendo il navigatore alla ragazza
appena entrata e
così partimmo.
E Ukyo partì con noi.
***
Il viaggio di ritorno fu
l'esatto
contrario di quello di
andata.
Eravamo tutti così stanchi che quasi nessuno parlava; ce ne
stavamo in silenzio, con gli occhi semi chiusi, ad ascoltare la musica
mentre
il sole calava.
Chi senza pensieri, chi con mille domande, chi senza riposte,
chi con molta confusione.
Poi, improvvisamente, Ranma si mise in ginocchio sul suo sedile
e si girò verso Akane e me, sedute dietro, indicandoci il
finestrino.
<< Guardate! >> disse e noi ci voltammo.
L'alba aveva accompagnato la nostra andata, il tramonto stava
accompagnando il ritorno.
Fuori il cielo era un concerto di colori.
Bagnate da una luce calda e arancione, Akane ed io rimanemmo
senza fiato.
<< Non è bellissimo? >> ci
chiese Ranma
continuando a guardare il meraviglioso spettacolo che la natura ci
stava
regalando.
La luce solare inondava tutto con le sue cascate color ambra,
facendo apparire ogni cosa più sfavillante, dorata e
preziosa.
Soprattutto i nostri occhi. Di qualunque colore fossero,
erano resi ancora più belli dal riflesso del sole che ci si
specchiava dentro.
<< Sì, Ranma, è meraviglioso
>> rispose Akane
spostando lo sguardo verso di lui che stava assorbendo le sfumature del
cielo
mentre le sorrideva.
E mentre ammiravamo incantati quella danza di colori, di
nuovo una canzone riempì l'aria. Ma questa volta quasi tutti
ne cogliemmo il
senso.
"There's a hole in my soul
(C'è un buco
nella mia anima)
I can't fill it, I can't
fill it.
(Io non posso riempirlo)
There's a hole in my soul
(C'è un buco
nella mia anima)
Can you fill it? Can you
fill it?"
(Puoi riempirlo tu?)
Puoi riempirlo tu?
***
Buongiorno!
Ce l'ho fatta! Questo capitolo è stato un parto!!
Prima
di tutto una piccola nota tecnica: la canzone che i ragazzi ascoltano
per ben due volte e che dà il titolo al capitolo si chiama
Flaws
ed
è dei Bastille. A parte la melodia molto orecchiabile e il
bel testo, io la consiglio alle estimatrici del british accent come
me... il modo in cui il cantante dice "can" è wow!!
Poi...
cominciamo con i ringraziamenti.
Prima
di tutto un grazie speciale ad una persona senza la quale non solo
questo capitolo non avrebbe visto la luce, ma probabilmente la mia
storia avrebbe subito un pesante stop (dato che la fantasia e la voglia
cominciano a scarseggiare), la mia motivatrice e beta... Gretel85!
Ho solo una parola per lei (e i suoi audio): irrinunciabile!
Il
secondo grazie va al
Signor
Treccani
che
ci ha fatte diventare matte con le sue regole alquanto contestabili XD
Ancora,
un grazie di cuore alla mia Matrona
che
mi ha aiutata a spiegare i suffissi onorifici giapponesi, le parole di
Akane sono le sue <3
Infine
(ma non per importanza), grazie a Pierre e Pia
che
hanno scelto i costumi da bagno dei nostri protagonisti!
Come
farei senza di voi?
Dedico
questo capitolo alle mie meravigliose Ladies e a chi ha
sempre la pazienza di aspettarmi!
Ovviamente
grazie a chi leggerà e a chi recensirà, sapete
che mi fa tantissimo piacere!
Bene...
vi lascio al prossimo capitolo (nemmeno ci provo a dirvi che
sarò puntuale) nel quale ci aspetta...?
Baci,
Aronoele (:
|
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Capitolo 9 *** Don't worry be Happy ***
Ricordo perfettamente il giorno
in cui
arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di
quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con
loro, la
prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che
apparteneva a “qualcuno
che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece
il suo ritorno.
***
L'udito è un senso
pigro,
va costantemente tenuto in
allenamento, altrimenti si abitua a certi suoni e non sembra nemmeno
captarli
più.
Le macchine che suonano il clacson, la gente che urla per
strada, un aereo che passa.
Questo è quello che succede quando si vive per tanto tempo
in
una casa: i rumori intorno a noi
diventano normali, ci si abitua e non ci si fa più caso.
La televisione che dà un film in prima serata, la musica a
tutto volume, lo scrosciare dell'acqua nella doccia.
Casa Tendo, come la mia casa materna e l'appartamento nel
college che divido con le mie coinquiline, aveva dei rumori tutti suoi,
come
dei tratti distintivi e particolari, confortevoli e familiari, suoni di
casa.
Kasumi che canticchia mentre cucina con la sua voce dolce e
melodiosa, il ticchettio delle pedine dei giochi da tavolo di Soun e
Genma,
Nabiki che sgranocchia un biscotto al cacao, il dottor Tofu che suona
il
campanello alle sette di ogni sera, Ranma e Akane che litigano.
I suoni più bizzarri di quella casa, poi, provenivano sempre
dal dojo.
Dopo un po' avevo persino imparato a riconoscerli.
Verso metà mattina, di solito, si udivano rumori fragorosi,
come di corpi che si scontravano l'uno contro l'altro, e delle potenti
grida di
incitamento: gli allievi senior che combattevano fra di loro.
Il primo pomeriggio invece si sentivano come dei tonfi sordi
-gli allievi junior che cadevano rovinosamente- e delle risate sguaiate
-i due
maestri, Soun e Genma, che li prendevano in giro-.
Subito dopo cena, poi, avevo imparato a
distinguere i rumori che accompagnavano l'allenamento quotidiano di Ranma. Era facile capire
che si trattava di
lui perché i colpi secchi e cadenzati, la musica rock e i
kiai andavano avanti
per ore e ore allo stesso ritmo ed intensità, e solo lui era
capace di fare una
cosa del genere.
La mattina presto invece, prima ancora che la casa si
svegliasse, se si sentiva del trambusto provenire dal dojo, era
sicuramente
Akane che faceva i suoi esercizi.
Altre volte, un gran fracasso misto a frasi come “preparati a
morire”, che poteva giungere a tutte le ore del giorno e
della notte, era
indice che Ryoga era arrivato e che aveva trovato Ranma.
Se invece i rumori erano forti, come di teste di legno e
paglia che volavano via dal manichino, anche queste a qualunque ora,
allora
sicuramente Ranma aveva fatto arrabbiare Akane e lei si stava sfogando.
Ma
quella mattina non riuscii a riconoscere i suoni che
arrivavano vigorosi e ben distinti dal dojo.
Era come se qualcuno stesse... rompendo qualcosa?
Soun mi aveva raccontato che avevano ristrutturato la
palestra proprio pochi mesi prima del mio arrivo. Che stessero dando
gli ultimi
ritocchi? O forse stavano aggiustando qualche trave di legno che si era
rotta
in uno scontro?
Quei rumori strampalati, che ad un orecchio poco avvezzo
avrebbero sicuramente dato fastidio, erano diventati confortanti per
me.
Riconoscendoli, avevo la sensazione di essere più vicina ai
miei amici, sapevo
se Ryoga era in casa, riuscivo a capire l'umore di Akane, avvertivo la
presenza
di Ranma durante la notte, e sapere che lui era sveglio mi faceva
addormentare
tranquilla.
Ma quella mattina quei suoni non mi parlavano, non riuscivo a
comprenderne l'origine, così decisi di andare a vedere.
La sera prima, memore delle ultime incursioni notturne di
Kodachi, che mi aveva sorpresa con una camicetta da notte corta e
troppo
trasparente, avevo indossato dei pantaloncini di cotone verdi e una
canottiera
bianca e, vestita così, attraversai il vialetto coperto che
collegava la casa
al dojo.
Bussai con delicatezza alla porta senza ottenere nessuna
risposta, così la spinsi leggermente e ciò che
vidi mi lasciò a bocca aperta.
Nell'interno caldo della palestra, proprio al centro
dell'enorme stanza di legno chiaro, c'era Akane.
Concentrata, determinata, sudata e bellissima, stava rompendo
delle tegole di pietra con una mano sola.
Mi incantai ad osservarla.
La tecnica era la stessa per ogni blocco massiccio e grigio:
prima lo fissava, come se fosse un nemico in carne ed ossa, con gli
occhi
socchiusi e lo sguardo severo, quasi volesse comunicargli qualcosa, ed
infine
ci appoggiava lentamente la mano, come a sfiorarlo, per poi risalire
altrettanto lentamente, prendere fiato e scagliargli contro tutta la
potenza
che aveva in corpo con un movimento fulmineo e preciso.
Quando la sua piccola mano destra scattò, riducendo in mille
pezzi il suo avversario, sussultai.
Akane era una ragazza minuta, quasi tenera agli occhi altrui,
sembrava aver bisogno di protezione. In realtà
però, chi la conosceva bene,
sapeva che era tanto forte dentro quanto fuori. La forza che animava i
suoi
intenti aveva lo stesso vigore di quella che muoveva le sue braccia.
Era
piccola ma le scorreva il fuoco dentro.
Continuava a spaccare, una dopo l'altra, durissime tegole con
una precisione quasi chirurgica e una potenza che di sicuro non le
arrivava da
quelle belle braccia esili e delicate.
Ogni volta che la sua mano toccava un pezzo di pietra -e
quello ovviamente si spaccava come se fosse stato colpito da una bomba-
Akane,
da rigida e composta che era, sembrava tirare fuori la tensione assieme
al suo
respiro, e si rilassava visibilmente. Sorrideva quasi.
Quando ormai le mancava solo l'ultima tegola si accorse di
me.
<< Ciao Jude! Vieni, entra, ti ho svegliata?
>>
<< No, no, ero già sveglia... cosa fai?
>> chiesi
e, anche se la domanda poteva sembrare ovvia, lei mi capì al
volo.
<< Si chiama tecnica di rottura di potenza
>>
cominciò a spiegare << È una
tecnica piuttosto difficile, la può
praticare solo chi ha abbastanza esperienza. Ci vuole un'ottima
preparazione,
forza fisica, una notevole capacità di concentrazione, una
buona tecnica di
respirazione e un pizzico di coraggio. Bisogna riuscire a raggiungere
una
concentrazione totale, così profonda da non sentire
più quello che si ha
intorno >>
A quelle parole ricordai come appariva assorto il suo sguardo
solo pochi minuti prima, mentre rompeva le tegole, tanto fisso ed
intento da
sembrare quasi assente. Non sbatteva neanche le palpebre, guardava un
unico
punto con gli occhi tanto carichi di quello che aveva dentro che
riuscivano a
comunicare senza parlare.
<< E come si fa a raggiungere questo livello di
concentrazione? >> chiesi io sempre più
affascinata e curiosa.
<< Respirando. Bisogna respirare lentamente e
profondamente, l'aria deve circolare in tutto il corpo. La devi
sentire, perché
l'aria è energia. Deve affluire dal basso ventre e giungere
fino alla mano per
darti la forza necessaria... >>
Mentre parlava continuava ad accarezzare la ruvida tegola
grigia: << … E non forza fisica. Sai, romperla
è un'eccellente prova con
se stessi. Per farlo bisogna imparare ad essere determinati, lucidi,
concentrati, sicuri di sé. Bisogna saper gestire le
emozioni, eliminare le
paure, le insicurezze, le esitazioni... >>
<< Ci vuole un gran fegato! >> dissi io con
ammirazione.
<< Forse sì, ma riuscirci è la
sensazione più bella del
mondo. Ti senti così potente, soddisfatto, libero.
È meraviglioso! E poi hai la
possibilità di sfogarti, sfogare tutta la tua rabbia e le
tue emozioni
attraverso l'energia >>
Ad Akane brillavano gli occhi.
<< È doloroso? >> domandai.
<< Farlo no, arrivarci sì. Prima di poterci
anche solo
provare bisogna irrobustire le mani con degli esercizi e quelli
sì che sono
dolorosi >> disse lei porgendomi una mano
<< Quando questa parte,
che si chiama “taglio”, è completamente
ricoperta da calli duri, allora sei
pronto. Tocca >> mi incitò.
Quel giorno in palestra per la prima volta toccai la mano di
Akane.
All'apparenza, proprio come lei, era una bella mano, bianca,
delicata, con le dita lunghe e affusolate.
Ma in realtà, proprio come lei, era ricoperta da una
corazza,
uno strato più duro che le conferiva protezione e forza.
La mano di Akane non era liscia e morbida come quella delle
altre ragazze, la mano di Akane era ruvida.
Improvvisamente ricordai che anche le mani di Ranma, così
grandi e calde, erano ruvide e anche quelle gentili di Ryoga.
Le mani degli artisti marziali sono ruvide.
Sono ruvide perché per essere potenti bisogna essere solidi,
senza mai lasciarsi scalfire.
Sono ruvide perché devono essere resistenti al dolore e alla
paura.
Sono ruvide perché per colpire prima bisogna essere stati
colpiti.
Le mani degli artisti marziali sono come loro: ruvide
all'esterno, dure, impenetrabili, pronte al dolore, alla sofferenza,
forti e
instancabili.
Lasciai andare la sua mano e lei tornò immediatamente a
concentrarsi e a respirare, poi, con un altro colpo secco,
spezzò in due parti
l'ultima tegola rimasta.
Proprio in quel momento notai che quello che lei aveva
chiamato “taglio della mano” era pieno di lividi e
le stava sanguinando.
<< Ti fa male? >> le chiesi leggermente
preoccupata.
<< Solo un po', ma non sai quanto sto bene dentro
>> mi rispose lei massaggiandosela.
<< Dà qui >> disse una voce alle
mie spalle.
Era Ranma che, dopo essere rimasto sulla porta ad ascoltare
l'appassionante spiegazione di Akane, si era mosso verso di noi con in
mano una
boccetta scura e una piccola scatola rossa.
<< Ranma, sto bene, non preoccuparti >>
<< Non fare la scema e dammi la mano >>
replicò
prendendogliela con ferma delicatezza e costringendola a sedersi per
terra
accanto a lui.
Quando tutti e tre fummo sul pavimento tiepido, con una
pazienza ed una dedizione che non credevo gli appartenessero, o che
forse
riservava a poche cose speciali, Ranma cominciò a
massaggiarle la mano con un
olio dal profumo buonissimo.
I movimenti erano lenti e delicati, come una coccola, ma
Akane, ad ogni passata, stringeva un po' gli occhi.
<< Quante volte te l'ho detto, se vuoi farlo va bene ma
poi devi lasciarti curare >> disse Ranma teneramente
mentre la piccola mano
di Akane si perdeva nelle sue e lui continuava a strofinare,
stropicciare,
sfregare.
Akane arrossì vistosamente smettendo di opporre resistenza e
lasciandosi finalmente andare.
Io portai le ginocchia al petto e cercai di farmi piccola
piccola mentre assistevo a quella scena affettuosa e intima.
<< Ti faccio male? >> le chiese lui mentre,
le
dita ricoperte di olio, scivolava lungo i palmi delle due mani.
<< No... >> sussurrò Akane
chiudendo gli occhi.
Ranma continuò a massaggiarle la mano con le sue
finché i
lividi che aveva sul taglio non si furono completamente riassorbiti,
poi le
mise qualche cerotto e la fasciò con una benda bianca.
<< Così va meglio >> disse lui.
<< Grazie >> sorrise lei dolcemente.
Quando
improvvisamente Kasumi fece il suo ingresso nel dojo, l'atmosfera
magica svanì
del tutto.
Le
immagini, fino a quel momento calme, placide, quasi a rallentatore,
divennero
vivide e reali, tanto che Ranma e Akane si staccarono fulmineamente
l'uno
dall'altra.
Con le guance rosse e accaldate cercarono di guardare altrove
e di far sfumare l'imbarazzo dalle loro espressioni come vino sul fuoco.
In quel preciso momento notai che Ranma e Akane si
comportavano in modo diverso quando erano con le altre persone. Se
intuivano
che qualcuno li stava guardando, mutavano subito atteggiamento, invece
da soli,
o comunque nascosti ad occhi indiscreti, si concedevano quelle piccole
tenerezze che facevano di loro quello che erano. Il
“cosa” fossero ancora non
lo sapevo, ma poter apprezzare quei dolci momenti intimi, nascosti agli
occhi
dei più ma mostrati senza alcuna vergogna ai miei, era
abbastanza per farmi
sentire speciale.
<< Eccoti, cara Judith, non ti trovavo! >>
disse
Kasumi con voce trafelata interrompendo i miei pensieri mentre Ranma si
era
alzato e si stava dirigendo a passi svelti fuori dal dojo
<< Ti vogliono
al telefono >>
Corsi
verso il
mobiletto basso e scuro vicino alla porta,
dove tenevano il telefono, sicura di aver indovinato chi fosse, e non
appena
sentii la sua voce un moto di gioia mi pervase il cuore.
<< Ciao piccola, che fine ha fatto il tuo telefono?
>> disse lui e la nostalgia di
casa si impadronì di me.
Dall'altra parte della cornetta bianca, dall'altra parte del
mondo, c'era Derek, mio fratello.
Derek era per me tutto ciò che una sorella può
desiderare da
un fratello.
Era più grande di me di quattro anni e avevamo sempre avuto
un bellissimo rapporto.
Da bambini giocavamo a fare la lotta, oppure a pallacanestro
visto che entrambi siamo molto alti -anche se lui mi supera di
più di una
spanna-, e poi escogitavamo insieme dei piani assurdi per saltare i
pranzi
della domenica a casa della zia Beth, con quei suoi cani che non ci
andavano
proprio giù e quella strana mania di non farci mangiare le
caramelle.
Diventati più grandi, saltavamo insieme le lezioni per
nasconderci dentro Central Park, rubavamo il fuori strada di
papà per imparare
a guidare, scappavamo insieme per fumarci una sigaretta, lui mi
raccontava
delle sue ragazze, mentre io -ovviamente- non potevo dirgli niente sui
miei
dato che era geloso marcio.
Derek era quello che mi capiva di più nella mia famiglia,
senza bisogno di tante parole mi comprendeva e sapeva come tirarmi su
il
morale, con un cioccolatino alla menta il più delle volte.
Derek era quello che mi mancava di più, più della
mia New
York, più delle mie amiche, più del mio letto.
Derek era forse l'unica cosa che
mi mancava davvero, l'unica in grado di farmi venire nostalgia di casa.
<< Ciao piccola >> ripeté di
nuovo.
<< Ciao scemo >>
<< Che fai? Piangi? >>
<< Non ci penso nemmeno >> era la prima
volta che ci sentivamo a voce da quando ero partita.
<< Ah ecco, credevo che il Giappone ti avesse
rammollita. A proposito, come va lì? >>
Derek era esattamente così, tutto il mio opposto. I miei
capelli erano biondi mentre i suoi quasi neri, i miei occhi erano
castani
mentre i suoi grigi, io ero la persona più timida sulla
faccia della terra
mentre lui era uno sbruffone patentato. Mentalmente trovai parecchie
affinità
con Ranma.
Bello, bellissimo, tanto che tutte le mie amiche ne erano
follemente innamorate, era simpatico e socievole, bravo negli sport e
un po'
meno nello studio, aveva tanto successo con le ragazze ma non riusciva
mai a tenersene una per più di un mese.
<< Bene, è tutto bellissimo... ho un sacco di
cose da
raccontarti! >>
<< Beh allora comincia, ho tempo >> disse
lui e
lo sentii aspirare una boccata di fumo.
Così mi misi a raccontargli del mio arrivo, della mia prima
giornata a casa Tendo, della mia nuova famiglia, di Akane e Ranma,
delle arti
marziali e delle lezioni che loro mi davano.
Di tutte le strampalate e meravigliose persone che avevo
imparato a chiamare amici: Kuno, Kodachi, Hiroshi, Daisuke, Yuka,
Sayuri,
Ryoga, Ukyo, Shan-Pu, Mousse, Nabiki, Kasumi, il dottor Tofu e
Alexander,
ognuno con i suoi difetti e i suoi pregi, ognuno con le sue
particolarità che
lo rendevano tanto speciale e caro ai miei occhi.
Gli raccontai di tutte le avventure, del primo giorno di
università, delle lezioni, dei pranzi e delle cene, delle
feste, dei pigiama
party, delle giornate al mare...
Rimasi al telefono a parlare a raffica e con tanta passione
che persino lui ne restò incantato e anche un po' innamorato.
Improvvisamente, mentre gli stavo spiegando quello che avevo
capito dei giochi da tavolo giapponesi, avvertii una sensazione strana,
di
calore, avvolgermi il fondoschiena come un guanto.
Lentamente mi voltai e ciò che vidi mi lasciò
completamente
senza parole.
Un vecchietto, con i corti capelli bianchi e cespugliosi e
due piccoli baffetti sul viso rugoso, se ne stava comodamente
appollaiato sul
mio didietro strofinandoci contro le guance avvizzite e mormorando
frasi in
giapponese con tono godereccio.
Cercai di mantenere la calma mentre all'altro capo del filo
Derek continuava a ripetere incessantemente il mio nome:
<< Derek, devo andare, ti richiamo dopo...
>>
cercai di dire mantenendo la voce più naturale possibile.
<< Tutto a posto? >>
<< Sì, sì... è che mi
chiamano per il pranzo, dopo ti
scrivo fratellone, ok? >>
<< Va bene piccola, a presto >>
<< Saluta tutti >> conclusi con un sibilo.
Quando riattaccai però urlai con quanto fiato avevo in corpo.
Il vecchietto non fece una piega, anzi, mi arpionò di
più con
le piccole mani raggrinzite continuando a dire qualcosa che io non
capivo.
Così urlai ancora e ancora, cercando di scrollarmi di dosso
quella specie di bambolotto incartapecorito e depravato.
Allora mi sembrò di aver urlato per ore e di aver tirato
fuori tutta l'aria che avevo nei polmoni ma in realtà Ranma
mi raggiunse in un
baleno.
Appena misi a fuoco che era la sua l'ombra che si avvicinava
a passo sicuro il mio cuore rallentò.
Mi mise una mano sulla spalla, spingendomi verso di sé, e
contemporaneamente staccò via da me il vecchietto,
strattonandolo per il retro
del colletto di un'orrida tutina color prugna e lanciandolo con un
sonoro
calcio fuori di casa.
Quando smisi di sentire quella fastidiosa pressione sul
fondoschiena mi rilassai visibilmente e, non sapendo cosa fare, mi
appoggiai
alla persona che mi era più vicina sospirando sonoramente e
coprendomi il viso
con le mani.
Nel frattempo anche tutto il resto della casa era accorso
alle mie grida.
<< Jude!! >> gridò Akane e, non
appena la vidi,
corsi ad abbracciarla.
<< Che cos'era? >> chiesi rivolta al mio
salvatore.
Ranma e Soun si scambiarono un cenno d'intesa.
<< Uh, ma non è nulla di grave, figliola, su
su! È più
innocuo di quel che sembra. Vieni, ti spiego >>
iniziò a giustificarsi il
capofamiglia accompagnandomi nel salone.
***
Ricordo perfettamente il giorno
in cui
arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di
quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con
loro, la
prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che
apparteneva a “qualcuno
che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente
il giorno in cui quel qualcuno fece
il suo ritorno.
Happosai era il maestro di Soun e Genma fin da quando erano
poco più che bambini.
Aveva insegnato loro praticamente tutto ciò che sapevano
sulle arti marziali, li aveva addestrati, aveva forgiato la loro
tempra, gli
aveva impartito lezioni di vita.
Insomma, era un vero e proprio sensei.
Il padrone di casa e il papà di Ranma avevano per lui un
rispetto fuori dal comune, che andava al di là della
semplice ammirazione,
pareva quasi che lo osannassero.
In realtà Ranma, che non era solito prostrarsi davanti a
nessuno, tanto meno al “vecchiaccio maniaco” come
lo definì lui -ed io mi
trovai immediatamente d'accordo-, mi spiegò che non era
venerazione quella di
suo padre e del signor Tendo, bensì paura.
Happosai infatti, dall'alto dei suoi anni -che non erano
stati precisati, a quanto pare avevano tutti perso il conto-, conosceva
delle
tecniche micidiali e potentissime, con cui minacciava i suoi due
sottoposti
ogni volta che osavano contraddirlo.
In realtà minacciava anche Ranma, ma lui era caparbio e
coraggioso di natura e lo sfidava in continuazione, cogliendo
l'occasione per
imparare sempre qualcosa di nuovo e migliorarsi, e arrivando talvolta
persino a
sconfiggerlo.
<< Sono due pappamolli >> concluse il
ragazzo
noncurante del fatto che entrambi potevano sentirlo.
<< Figlio degenere, non è vero, non parlare
così di tuo
padre! Jude cara non dargli retta, siamo solo molto rispettosi nei
confronti
del nostro maestro, cosa che questo zoticone invece non è
affatto! >>
Il ragazzo, per tutta risposta, tirò fuori la lingua.
Il suo comportamento era bizzarro ai miei occhi. Ranma era un
ragazzo estremamente disciplinato, almeno quando si parlava di arti
marziali.
Era sempre puntuale e praticava i suoi allenamenti senza risparmiarsi,
partecipava ai tornei, cercava sempre di apprendere tecniche nuove e di
imparare da chi ne sapeva più di lui, si metteva tenacemente
alla prova con
costanza e diligenza, non temeva la fatica, non si fermava di fronte al
dolore.
Era l'allievo perfetto.
Ma allora, mi chiedevo, perché si faceva beffa dei suoi
maestri?
La risposta mi arrivò da Akane, seppur qualche tempo dopo.
Mi
spiegò che non dovevo vedere questo atteggiamento come una
prova di superbia o
di arroganza da parte sua, né di orgoglio o di poca
umiltà. Semplicemente Ranma
era arrivato al punto in cui l'allievo supera il maestro, ormai era lui
il più
forte e sconfiggeva praticamente sempre sia suo padre sia Happosai.
Per questo motivo, quel rispetto che ogni alunno prova per il
proprio Sensei si era ridimensionato; viceversa aumentava sempre di
più quello
che i suoi maestri provavano nei suoi confronti. Genma non lo avrebbe
mai
ammesso, impegnato com'era a litigarci ogni giorno, ma era estremamente
orgoglioso della forza e della bravura del figlio.
Tornando
ad
Happosai, dopo aver capito che ruolo aveva in
quella strampalata famiglia, chiesi con curiosità il
perché non si fosse fatto
mai vedere da quando io ero arrivata, in fondo viveva con loro
stabilmente da
anni ormai ed era uno di famiglia.
<< Ecco, bambina... ehm... noi,noi... abbiamo cercato
di... come dire... di allontanarlo! Il maestro ha delle inclinazioni un
po'...
particolari, te ne sarai accorta, e noi non volevamo che ti desse
fastidio...
>> mi spiego Soun imbarazzato, mentre si torturava le
mani dall'altro
capo della tavola, nel grande salone illuminato.
Il mio viso assunse evidentemente un'espressione disgustata
al ricordo di quell'esserino piccolo e godereccio che si strusciava
contro il
mio sedere.
<< Ma non è pericoloso! >>
aggiunse in fretta il
mio buon padrone di casa << Non ha mai fatto del male a
nessuno...
semplicemente... beh... gli piacciono le donne... >>
aggiunse poco
convinto.
<< La realtà è che è un
maiale! >> disse con la
sua tipica schiettezza Nabiki, in piedi accanto alla porta scorrevole,
<<
È un maniaco depravato! Cerca continuamente di rubarci la
biancheria, ci
palpeggia, ci spia sotto la doccia, combina un mucchio di casini e nel
quartiere tutte le donne sono arrabbiate con lui! >>
Venni a sapere, dai racconti della mezzana che si faceva
pochi problemi ad elencare le “qualità”
del “maestro”, che Happosai aveva una
preziosissima collezione di mutandine da donna e reggiseni -da lui
definiti
“zuccherini”- che teneva chiusa a chiave nella sua
stanza e che cercava
continuamente di arricchire, rubando nottetempo, con la sua
“pesca grossa”, i
preziosi capi alle donne del quartiere.
In più, mi raccontò Ranma non senza una smorfia
di fastidio,
Happosai aveva una passione smodata nei confronti di Akane -e chi non
l'aveva
del resto?- e cercava di fidanzarsi con lei o di sposarla ogni tre per
due.
<< Io volevo rinchiuderlo in una cassa e spedirlo a
Timbuctù >> disse Ranma con fare rassegnato,
<< Ma non hanno
voluto! Ed ora è anche piuttosto arrabbiato
perché lo avete escluso dalla conoscenza
del nuovo zuccherino
>> aggiunse indicandomi con un cenno della mano
mentre io arrossivo a sentirmi chiamare così e Soun e Genma
deglutivano
rumorosamente al pensiero della collera del vecchio maestro.
<< Troveremo un modo >> concluse alla fine
il capofamiglia.
<< È davvero così terribile come
sembra? >>
sussurrai ad Akane, la mia più grande amica e confidente in
quella casa.
<< Mmm... >> mugugnò lei pensosa
<< Le
volte in cui si è arrabbiato davvero ha ricoperto la casa di
muffa e ha fatto
perdere a Ranma tutta la sua forza... senza contare le mutandine e i
reggiseni
spariti che ogni tanto riaffiorano in mani improbabili >>
aggiunse
arrossendo lievemente << Ma non è cattivo! A
volte, quando fa la persona
seria, sa dare ottimi consigli, è un po' come un nonno!
>>
E con queste premesse, che non saprei se definire
incoraggianti o terrificanti, cominciò la mia ennesima
avventura in Giappone, a
casa Tendo.
***
La settimana passò
fra gli
agguati del vecchio Happosai.
Sistematicamente il vecchio maestro spiava Nabiki sotto la
doccia, cercava di entrare nella camera di Akane mentre lei dormiva
-ricevendo,
nemmeno a dirlo, pesanti scariche di pugni sia dalla diretta
interessata, sia
da Ranma che accorreva sempre- e si nascondeva nei mobili della cucina
per
guardare di nascosto sotto la gonna di Kasumi.
Il mercoledì, uno di questi “innocenti
scherzetti” come li
definiva lui, riguardò anche me.
Era
mattina e
Kasumi, Nabiki, Akane ed io stavamo sedute
intorno al tavolo del salone intente a scegliere i vestiti per le
damigelle.
Ognuna di noi (ebbene sì, Kasumi, la dolcezza fatta persona,
aveva chiesto anche a me di farle da damigella) avrebbe avuto il
modello che
più le piaceva e meglio si adattava al suo corpo, ma il
colore doveva essere lo
stesso per tutte e ovviamente ciascuna aveva una sua opinione in merito.
Nabiki li voleva di qualche colore acceso, rosso o amaranto
magari, forte e sexy; Akane invece propendeva per qualcosa di tenue, un
giallo
pastello o un turchese chiaro ad esempio, ed io, dal canto mio,
preferivo i
colori eleganti e adatti alle cerimonie, come il grigio perla o un
color
champagne.
Kasumi, accomodante e gentile per natura, non sapeva
scegliere fra le nostre proposte.
<< Ma dai Akane, lei sarà vestita di bianco,
noi
dovremmo farle da contrasto! Un bel verde bottiglia? O blu elettrico?
Che ne
dite? Io non mi vesto color canarino! >> disse Nabiki
<< E per di
più i colori pastello
non vanno affatto di moda quest'anno! >>
sentenziò
poi con tono esperto.
<< Il verde è un bel colore...
>> provò a dire
Kasumi.
<< Sì, allora perché non nero e con
tutta la schiena
scoperta? Nabiki dobbiamo essere discrete... >>
<< Ma tu i film americani non li guardi proprio mai? Da
quando in qua le damigelle sono discrete? La sposa sarà la
più bella, ma visto
che sarà già impegnata (povera lei) anche noi
dovremmo farci notare! >>
<< E da chi, di grazia? >> chiese la
sorella
minore con voce ironica.
<< Non ti viene in mente proprio nessuno a cui
piacerebbe vederti con uno sconvolgente abito rosso scarlatto?
>>
L'unica cosa rosso scarlatto che ci fu data di vedere in quel
momento fu la sfumatura che assunse il volto di Akane al tono
insinuante della
sorella.
<< Io... veramente... non credo che... ecco...
>>
balbettò lei mentre il sopracciglio destro della mezzana si
alzava in
un'espressione ironica e maliziosa.
Per fortuna un “Ehm-ehm” tossicchiato dalla porta
richiamò la
nostra attenzione.
Ranma se ne stava in piedi con l'espressione più imbarazzata
che gli avessi mai visto in viso e per un momento pensai davvero che
fosse
perché aveva ascoltato il nostro discorso e si era sentito
chiamato in causa in
qualche modo, ma poi avanzò con passo incerto, cercando di
dirci qualcosa, con
un tono talmente sommesso e confuso che alle nostre orecchie
risultò del tutto
incompresibile.
<< Happosai... notte... trovato... queste...
>>
furono le uniche parole che riuscimmo a capire e Ranma le
bofonchiò tirando
fuori dalla tasca un paio di mutandine.
Se le appese al dito indice, tenendole a vista per
mostrarcele, ed io riconobbi la stoffa semi trasparente e bordata di
pizzo
delle mie culotte.
<< Sono... sono di qualcuna di voi? >>
riuscì
infine a dire lui.
Al pensiero che Ranma avesse visto le mie mutandine e che le
stesse reggendo in mano in quel momento, avvampai per la vergogna e mi
coprii
il viso con entrambe le mani.
Mi alzai velocemente, sempre con una mano sul volto per
nascondermi dal suo sguardo blu, e gliele sfilai con
rapidità dal dito, come si
fa mentre si gioca a “ruba bandiera”, per poi
correre a passi svelti nella mia
stanza.
Mi lasciai cadere contro la porta e tolsi finalmente la mano
dagli occhi, continuando a scuotere la testa incredula mentre le risate
per la
figuraccia appena fatta già mi facevano sobbalzare le spalle.
Non ebbi il coraggio di guardare in faccia Ranma per tutta
quella giornata e buona parte di quella dopo.
Ma non potevo sapere che il peggio doveva ancora arrivare.
***
Il sabato di quell'assurda
settimana,
per lasciarci dietro
imboscate, trappole e furti di biancheria intima almeno per un giorno,
Ranma,
Akane e Nabiki decisero di portarmi alle onsen, le
tipiche sorgenti
termali giapponesi all'aperto.
Io ne fui subito entusiasta. Quelle enormi vasche di acqua
bollente e fumante che avevo spesso visto negli anime alle
sette di sera
sulla tv americana avevano per me tutto il fascino della tradizione.
I ragazzi chiesero a Ryoga, Ukyo ed Alexander di
accompagnarci e, ovviamente, non appena lo seppero, anche Kuno, Shan-pu
e
Mousse si unirono al gruppo.
Così partimmo all'insegna di un week-end senza nuvole
all'orizzonte.
L'albergo che ci ospitava era
piccolo
e caratteristico, tutto
di legno scuro e profumato, con due anziani proprietari gentili e molto
rispettosi delle tradizioni.
Appena arrivati si prodigarono in profondi inchini, tutti ricambiati
ossequiosamente, e permisero anche ai due “yankee”,
come definirono Alexander e
me, di accedere alle terme, anche se non eravamo giapponesi. Sospetto
ancora
fortemente che una lauta mancia da parte di Nabiki -estorta a Kuno si
intende-
sia stato il motivo per cui abbiano cambiato idea così di
buon grado.
Ci offrirono il tè e, seduti intorno ad un tavolo di vecchio
noce, ci spiegarono tutte le regole.
Prima di immergerci nelle acque termali avremmo dovuto farci
una doccia, le vasche degli uomini e delle donne erano ovviamente
separate e,
regola più importante di tutte ma che mi gettò in
una profonda inquietudine, i
vestiti non erano ammessi, nemmeno i costumi da bagno.
L'anziana proprietaria, capendo forse il mio sgomento o
scambiandolo per timidezza, sentimento molto caro ai giapponesi,
tentò di
spiegarmi che per loro la nudità comune è molto
importante, perché serve ad
abbattere le barriere e a conoscersi più intimamente in
un'atmosfera rilassata
e familiare.
Le altre ragazze erano estremamente tranquille, abituate
forse, ma il pensiero di non avere niente a coprirmi, anche se solo di
fronte a
loro, tutte donne e tutte amiche, non mi lasciava comunque tranquilla.
<< Porterete con voi un asciugamano >>
aggiunse
la signora << Che vi servirà per spostarvi dai
lavatoi ai bagni. Piccola
yankee,
questo ti tranquillizza? >> chiese lei in giapponese,
prontamente
tradotta da Nabiki.
<< Sì, un po', grazie >> risposi.
<< Dopo il bagno indosserete questi, >>
proseguì
la proprietaria dai capelli d'argento indicando dei vestiti posti in un
baule
di legno scuro, << e verrete a cena. Tutto chiaro? Quando
siete pronti
potete andare >> aggiunse e sparì oltre la
soglia con il marito.
Shan-pu e Ukyo corsero immediatamente verso la cassapanca e
ne estrassero dei vestiti con stoffe sgargianti.
<< Cosa sono? >> chiesi ad Akane che mi era
seduta di fianco.
<< Quelli sono yukata, una specie di kimono
informale. Sono abiti tradizionali giapponesi che si usano in occasione
delle
nostre feste oppure nei ryokan dopo il bagno.
Yukata infatti vuol dire
proprio “abito da bagno” >>
spiegò lei con la solita pazienza <<
Sono di cotone, freschi e comodi, ti insegnerò a metterli,
non è difficile.
Vieni, andiamo a sceglierli >> e, così
dicendo, mi condusse per mano vicino
alle altre ragazze e all'enorme baule aperto che straripava di colori.
Istintivamente ne presi uno molto lungo -ché Akane mi aveva
spiegato che avrebbe dovuto quasi toccare a terra- bianco con dei
bellissimi
disegni rosa che parevano rami ricoperti da fiori di pesco, e con
abbinata una
larga cintura rossa, che si chiama obi. Akane
scelse il suo gemello, con
la stessa fantasia ma lo sfondo nero come la notte.
Shan-pu ne prese uno molto vivace, con ricami che sfumavano
dal verde acqua al rosa scuro e al viola chiaro, mentre quello di Ukyo
era blu
scuro con disegnate rose lilla e indaco, in abbinamento ad una cintura
color
glicine.
Kasumi lo scelse più serioso, celeste tenue con dei
minuscoli
fiorellini gialli e la cintura bianca, mentre la frizzante Nabiki lo
prese
rosso lacca, con dei bellissimi disegni bianchi e verdi e delle
farfalle
marroni e la cintura ricoperta della stessa fantasia.
Quelli degli uomini invece erano tutti monocolore: neri, blu
scuri o grigio ardesia.
<< Allora ragazze, ci vediamo dopo >> disse
Ryoga
non appena tutti ebbero il proprio yukata in mano << Fate
le brave
>> aggiunse poi guardando con i suoi begli occhi verdi
sia me che Ukyo.
<< A dopo mia amata, rilassati e divertiti!
>>
gridò Mousse con tono aulico ad una sedia, beccandosi un
sonoro pugno sulla
testa accompagnato da un “sono qui, scemo!”.
Infine, mentre Kuno sproloquiava sulla “bellezza incantevole
del luogo ove sono custodite le più antiche origini del
paese” e non riusciva a
capire il perché di vasche separate per uomini e donne,
Ranma fece un gesto
della mano in segno di saluto trascinandoselo via e Alexander ci
sorrise.
Così ci separammo.
Finita
la doccia, coperte solo da striminziti -seppur morbidi
e profumati- asciugamani bianchi, percorremmo il corridoio che dal
lavatoio
portava ai bagni, affacciandosi sulle terme.
Quello che il piccolo porticato di legno scuro nascondeva era
uno spettacolo da togliere il fiato.
L'acqua bollente pareva tanto calda da diventare quasi densa,
si perdeva in spesse bolle, tanto che pareva di stare nella bocca di un
vulcano
e che ad attenderci per il bagno fosse una distesa densa e misteriosa
fatta di
lava incandescente.
Il fumo grigio e corposo che saliva conferiva al posto
un'atmosfera fantastica, come se il sole si fosse offuscato e una
tiepida sera
argentea fosse scesa su quel luogo umido.
Le polle d'acqua erano delimitate da grossi massi grigi che
ne disegnavano il contorno quasi fosse uno stagno naturale.
A sinistra, una piccola cascata sulla pietra e a destra una
canna di bambù, che versava altra acqua nel lago caldo e
accogliente, davano
l'impressione di trovarsi in un quadro.
Tutt'intorno la cornice erano foglie verdi e pesanti di gocce
di rugiada.
Era uno spettacolo per gli occhi.
Al di là del muro di sassi più lungo e massiccio
che faceva
da divisorio erano situate le vasche degli uomini ma le loro voci non
si
sentivano, si perdevano nella selvaggia tranquillità di
quella natura.
Rimasi estasiata a contemplare quel piccolo cuore di
Amazzonia giapponese mentre le mie compagne si toglievano gli
asciugamani e si
acconciavano i capelli con delle grandi fasce bianche.
Il caldo mi imperlò immediatamente la pelle e quell'acqua
cristallina e infuocata era così invitante che anche io
lasciai cadere l'unica
copertura che avevo sul bordo ed entrai nella vasca.
La sensazione di essere nudi sotto il cielo all'imbrunire,
con la brezza che rinfresca in viso bagnato, l'acqua calda agisce come
un
balsamo sui sensi e ristora i cuori, immersi nel bel mezzo di un
placido
paradiso, che pare riparato ma in realtà è
esposto a tutto e tutti, è
indescrivibile a parole.
La vista leggermente appannata dai tiepidi vapori, mi
soffermai un attimo a guardare le bellezze rilassate delle mie amiche.
Kasumi se ne stava in disparte, quasi coperta da una roccia,
giocando con la superficie trasparente dell'acqua; Nabiki nuotava qui e
lì,
toccando le pietre lisce del fondo e risalendo a respirare i vapori
alla
lavanda; Shan-pu, estranea a qualsiasi pudore, aveva spalle e braccia
allargate
appoggiate al bordo della grande vasca, con la testa inclinata
all'indietro e
gli occhi chiusi, in un gesto rilassato che metteva in evidenza il suo
generoso
petto; Akane, appoggiata anche lei al bordo, mostrava invece solo la
schiena,
mantenendo il peso sugli avambracci contro le pietre bagnate e Ukyo,
immersa
fino alle clavicole, guardava verso ovest dove stava nascendo la sera.
Improvvisamente, circondati dal tepore e dal silenzio, i
sensi delle artiste marziali si misero all'erta. Nabiki, furba e
scaltra al
pari di una combattente, notò subito i loro nervi tesi e
chiese:
<< Chi va là? >>
Non ci fu nessuna risposta se non un fruscio fra gli alberi.
Gli occhi allungati di Shan-pu, ridotti ad una fessura tanto
sottile che li faceva sembrare chiusi, saettavano di qua e di
là, mentre Akane
e Ukyo avevano assunto la posizione di difesa.
Kasumi si strinse di più alla sua roccia ed io guardai
preoccupata oltre il muro di cinta.
Veloce quanto un fulmine un'ombra corse nella nostra
direzione e l'unica cosa che riuscii a sentire fu un urlo, forse dato
proprio
da me, mentre chiudevo gli occhi e mi preparavo all'impatto.
Uno... due... tre... ma non accadde nulla.
Lentamente riaprii gli occhi.
Nabiki e Kasumi, prontamente uscite e coperte, erano già
oltre il porticato; Ukyo teneva le braccia attorno al busto,
così come Akane,
mentre Shan-pu, a suo agio con la propria nudità, si
limitava a guardare
trucemente qualcosa.
Davanti a me, in tutta la sua imponenza, si stagliava la
schiena cesellata di Ranma. Intarsiata da muscoli che parevano
disegnati al
carboncino, nascondeva ai miei occhi quel che teneva in mano.
<< E dai! Coraggio! Cosa vi ho fatto? Ranma, lascia che
questo povero vecchio allieti le sue ultime ore di vita con la visione
delle
prosperità di queste meravigliose sirene! >>
disse una voce lagnosa e
graffiante che -stranamente- intuii subito a chi apparteneva.
<< Schifoso, vecchio, maniaco! >> gridarono
in
coro i quattro combattenti, con un fortissimo pugno, lo tramortirono
mettendolo
K.O. per un bel pezzo.
Usciti dalla vasca, lo legarono ad una massiccia trave di
legno del porticato.
Chiusa
nella
stanza piccola e stretta che mi era stata
assegnata, mentre ripetevo a mente i passaggi per chiudere lo yukata
“lembo
sinistro su quello destro, chiudi, piega, stringi l'obi”,
ripensai a quanto
accaduto quello strano pomeriggio.
Ripensai a Ranma e al suo sguardo imbarazzato e
incentro, ma pur sempre da uomo, che voltandosi mi aveva rivolto; al
viso di
Akane, rossa per la vergogna e la rabbia mentre intimava al ragazzo di
“chiudere gli occhi, brutto idiota!”; ai quattro
bronzi di Riace che erano
accorsi preoccupati, con le spalle larghe, la vita stretta coperta solo
da un
minuscolo asciugamano e i capelli scuri bagnati, belli da mozzare il
fiato e
tremendamente allarmati.
Ripensai allo sguardo di Ryoga, protettivo e incantato su di
noi e sui nostri asciugamani bagnati e aderenti; a Mousse che correva
incontro
alla sua Shan-pu senza badare al resto, gridando “Shan-pu,
mia amata, ti salvo
io!!” e andando a sbattere contro il piede della piccola
cinese alzato in aria
con grazia per sferrargli un calcio.
Ripensai anche agli occhi di Alexander più scuri del solito,
come se la pupilla si fosse dilatata squagliando il nero su tutta
l'iride come
una macchia di inchiostro.
Ripensai infine all'assurdità della situazione e le mie
guance accaldate si tinsero dello stesso rosso del rossetto che stavo
mettendo.
Legai i capelli in uno chignon basso, come da tradizione, e
mi feci coraggio per uscire ed andare a cena. In fondo, pensai, venivo
da un
paese privo di tabù rispetto al loro, o forse no... Deglutii
sonoramente e
abbassai la maniglia con lentezza.
Nel corridoio, concentrata e intenta a camminare sui geta,
i sandali tradizionali, andai a sbattere contro Ranma, anche lui a
testa bassa.
<< Jude >> cominciò
<< Ehm... stai
benissimo con lo yukata! >>
<< Grazie... >> sussurrai sentendo il viso
avvampare e cercando velocemente con gli occhi una via di fuga.
<< Volevo dirti una cosa >> disse
abbassandosi
verso di me per cercare di intercettare il mio sguardo <<
Non... non
essere imbarazzata per oggi pomeriggio! Ecco loro... loro non ti hanno
vista,
c'ero io davanti a te e Akane >>
A quell'affermazione il mio respiro si regolarizzò, ma
l'agitazione non accennava nemmeno minimamente a scemare. Sapevo
già che non
potevano avermi vista, almeno non prima di essermi
“coperta” con quella specie
di salvietta, ma non significava nulla: era stato uno dei momenti
più
imbarazzanti della mia vita, forse persino più della prima
recita scolastica
dove avevo cantato da solista. E comunque era una magra consolazione:
Mousse
non mi avrebbe notata nemmeno se fossi stata fosforescente, Kuno
avrebbe dovuto
avere tre occhi per dedicare a ciascuna di noi le attenzioni che
avrebbe
voluto, Ryoga probabilmente avrebbe guardato solo Ukyo, oppure sarebbe
stato
troppo galante per alzare lo sguardo e Alexander... scossi la testa a
quegli
assurdi pensieri e mi decisi a rispondere:
<< Meno male... almeno loro... tu invece...
>>
sussurrai senza avere il coraggio di guardarlo ma lui mi
stupì, alzò la testa
velocemente scoppiando in una fragorosa risata e portandosi le braccia
dietro
la nuca: << Non devi preoccuparti di me! Io non ti ho...
ehm, non vi
ho
guardate! Stai tranquilla! Queste situazioni imbarazzanti capitano
praticamente
sempre in casa nostra! Pensa che il primo incontro fra me e Akane
è avvenuto in
bagno! >>
<< Davvero? >> chiesi io quasi sollevata.
<< Sì! Io facevo il bagno e lei è
entrata non sapendo
che ci fosse qualcuno dentro >>
<< E vi siete visti...? >>
<< Altroché! E Shan-pu si è
infilata tante di quelle
volte nella vasca mentre facevo il bagno che non ci faccio nemmeno
più caso!
>>
Arrossii lievemente, in effetti era proprio una cosa da
Shan-pu.
<< Quindi... faccenda dimenticata? >>
<< Quale faccenda? >> chiese lui facendomi
l'occhiolino << E poi >> aggiunse
<< Se Akane pensasse solo
minimamente che ho osato guardarvi anche per meno di un nanosecondo, mi
fracasserebbe la testa! >>
<< Oh sì, e ne sarebbe anche capace!
>> assentii
ripensando alla mattina di qualche giorno prima quando l'avevo vista
spaccare
in due e con una mano sola interi mattoni.
E così, ridendo
e
ripromettendomi di chiedere di più ad Akane su quel loro
primo incontro, mi
avviai con Ranma verso la sala della cena, dove tutti ci stavano
aspettando.
I miei
amici,
seduti intorno al tavolo della sala del piccolo
ryokan, che ci ospitava, erano bellissimi nei loro abiti tradizionali.
Le
ragazze, fra colori e fiori, sembravano delle fate dei boschi, mentre i
ragazzi, nei loro yukata scuri, erano tremendamente affascinanti.
Mi misi seduta al fianco di Akane, di fronte ad Alexander e
alle sue enormi spalle coperte dalla stoffa nera; mi sorrise con
dolcezza,
mimando un muto “sei bellissima” che fece sorridere
anche me.
Attaccato al palo del porticato, praticamente tutto avvolto
da una spessa corda, c'era ancora Happosai,
legato. Senza mai smettere di lamentarsi e
piagnucolare, il
vecchio
maestro continuò a gridare per tutta la durata della
cena “Slegatemi, faccio il
bravo lo giuro! Date un po' di cibo a questo povero vecchio! Akanuccia
dolce,
zuccherino mio, farfallina delicata, liberami tu!!!” e
ricevendo sempre in
risposa uno “Sta zitto, vecchiaccio” da Ranma.
Mi soffermai un secondo a guardare quel buffo vecchietto: di
certo aveva un'insana passione e una visitina da qualche psicologo non
gli
avrebbe fatto male, ma, alla fine, dopo averci fatto l'abitudine, era
anche
divertente. Le stravaganti e incredibili situazioni in cui ci cacciava,
passato
l'imbarazzo iniziale, si tramutavano presto in uno splendido
ricordo e tante
risate. E così fu per quella sera, e anche per numerosi
altri giorni di
quell'ultimo mese che mi restava da passare a Nerima, in casa Tendo.
Nel frattempo, con quella strana e imbarazzante giornata alle
terme, un nuovo piccolo amico era entrato a far parte della cerchia
delle
persone pazze, stravaganti ma assolutamente insostituibili che ebbi la
fortuna
di conoscere durante quel viaggio che mi cambiò la vita.
***
Buonasera
a tutti!!
Ed
eccomi qui, con il consueto ritardo (di cui mi scuso, come sempre!)
Non
ho molte cose da dire se non che spero che il capitolo vi piaccia e che
capiate la "battuta" del titolo!
Un
ringraziamento particolare va alla mia motivatrice/supportatrice/beta
Gretel85
e
alla sua pazienza, e ci tenevo anche tanto a ringraziare Bethan_ che mi
ha scritto una mail fantastica e dolcissima che, oltre ad avermi fatto
un immenso piacere, mi ha spronata tantissimo a scrivere questo
capitolo!
Grazie
anche a tutti voi, che mi aspettate, mi leggete e un grazie poco poco
più grande a chi trova il tempo di lasciarmi scritto il suo
parere.
Immancabilmente
grazie alle mie speciali Ladies.
Ci
vediamo al prossimo aggiornamento, che riguarderà....?
Vostra,
Aronoele (:
|
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Capitolo 10 *** La mora, la bionda e la rossa ***
Gli arrivi, così come le partenze,
potrebbero
essere associati a un colore.
Verde come la speranza; bianco come la neve; blu
come una tempesta.
E se dovessi trovare un colore per l'arrivo che ci
(s)travolse tutti quel sabato pomeriggio nel nostro piccolo ryokan,
sarebbe sicuramente il rosso.
Rosso, come il fuoco, come i suoi capelli.
Mentre il sole tramontava,
lasciandosi alle
spalle una giornata fatta di terme e risate, e
l'aria si faceva più fresca tingendosi di blu, una figura
minuta fece la sua
comparsa nella mia vita e nella piccola sala da pranzo, spuntando oltre
la
porta con una testolina colma di capelli rossi.
Lucenti e ondulati capelli rossi che le ricadevano
sulle spalle.
***
Il nostro week-end rilassante alle terme stava per
finire e l'indomani mattina saremmo ripartiti per tornare a Nerima.
Così per
quel sabato sera, complici le poche attrattive del piccolo e tranquillo
paesino
che ci ospitava, avevamo deciso di passare la notte fra i boschi
ombrosi alle
pendici delle montagne.
Eravamo tutti intorno al grande tavolo, intenti a
preparare le ultime cose prima della partenza, quando la nostra anziana
ospite
scostò le tende perlacee dell'ingresso annunciandoci che
avevamo una visita.
Non poco sorpresi, ci guardammo gli uni con gli altri, cercando di
indovinare chi potesse averci
raggiunto.
Magari il dottor Tofu,
liberatosi dagli impegni dell'ambulatorio; o magari, sconfiggendo la
pigrizia,
Soun e Genma; o ancora Hiroshi, Daisuke, Yuka e Sayuri. Le nostre
congetture, o
speranze, andarono avanti finché invece, con un sorriso a
trentadue denti
stampato sul giovane viso, ad entrare dalla porta fu una ragazzina dai
capelli
rossi che non avevo mai visto prima.
Una sconosciuta con il viso simpatico e
l'espressione di chi ha commesso una marachella.
Si inchinò rispettosamente salutando i presenti e
poi incatenò i suoi incredibili occhi scintillanti ai miei
con aria impaziente.
<< Ranko! Che ci fai tu qui? >> chiese Ranma apparendo
più sgarbato di quanto non
volesse <<
Non dovevi aspettarci a
casa? >>
<< Sì, sì, ma non ce la facevo
più! Dovevo
assolutamente raggiungervi! >>
<< Saremmo tornati domani... >>
<< Lo so, ma a casa con gli zii è una noia e
poi sono mesi che non fate altro che raccontarmi di lei, non potevo
aspettare
un minuto di più! >> rispose con convinzione
la ragazza, e qualcosa nel
suo modo di fare mi disse che era sicura di spuntarla.
<< E va bene, vieni qui. Jude, lei è mia
cugina Ranko, avresti dovuto conoscerla al nostro ritorno a casa ma...
>>
disse Ranma alzando le spalle con aria rassegnata, mentre la nuova
arrivata
appariva soddisfatta.
Io le sorrisi e lei fece lo stesso mimando un
“finalmente” con le labbra.
Era una ragazzina minuta
e
piccola di statura, ma
estremamente proporzionata. Madre natura era
stata generosa con lei, concedendole curve in gran quantità
e un corpo
smaliziato e sensuale. Il viso poi era tremendamente bello: lunghe
ciglia nere
incorniciavano sfavillanti occhi blu -molto simili a quelli di Ranma
ripensandoci, ma più dolci e sensuali-; le cui palpebre,
truccate leggermente
da una linea lilla, conferivano allo sguardo armonia e delicatezza. Gli
zigomi
alti e rosei, il naso piccolo, le labbra piene e fresche. Era
bellissima.
Somigliava al cugino
quel tanto che bastava per dirmi che anche lei era un'artista marziale,
ma
aveva nell'espressione qualcosa di frizzante e sbarazzino che nascondeva
un
carattere impetuoso e piccante.
Un vulcano in piena eruzione,
un cuore
che pompa frenetico, un treno che sfreccia a tutta velocità,
ma con un sorriso
che avrebbe fatto vacillare il più duro dei cuori.
Questa era Ranko Saotome e io lo avrei
capito quella sera.
***
Avevo più volte sentito nominare dalle
belle
labbra di Kuno la “ragazza
con il codino”,
ma
solo poco prima di metterci in cammino, quando già aveva
spalancato la porta con un'entrata scenica degna del miglior attore
melodrammatico, mi resi conto che si riferiva
proprio
a Ranko.
<< Oh mia dolce e cara stella della notte!
>> esordì lui aprendo teatralmente le braccia.
<< Oh mamma, Kuno, ma ci sei anche tu?
>>
<< Non temere mio meraviglioso pulcino,
d'ora in poi non ci lasceremo mai più! >>
esclamò Tatewaki balzando in
avanti e prendendo a rincorrere attorno al tavolo la ragazza, che non
si sapeva
se fosse più arrabbiata o spaventata.
<< Sparisci brutto idiota! >>
gridò
lei, sempre scappando. Lo stesso sangue di Ranma le scorreva nelle vene.
<< Amore mio fatti abbracciare! >>
continuava a dire lui cercando di afferrarla da dietro.
Io risi, sinceramente divertita dalla scenetta, e
mentalmente aggiunsi un'altra vittima alla lista del senpai.
<< Anche lei? >> chiesi mentre
guardavo Nabiki che, leggermente infastidita, portava via Kuno
trascinandolo
per il retro della t-shirt e intimandogli di “smetterla di
fare il cretino con
tutte”.
<< Eh già, ha un'insana passione per i
maschiacci come vedi, gli piace anche Akane! >> rispose
Ranma beccandosi
un pugno in testa da entrambe le ragazze.
<< Non dargli retta, Jude! >> disse
Akane prendendo il mio braccio destro e facendolo passare sotto il suo.
<< Già! >> confermò
Ranko facendo lo
stesso dall'altra parte << So fin da ora che diventeremo
grandi amiche!
>> esclamò poi con voce squillante. Con queste
premesse e tenendoci a
braccetto, ci incamminammo verso quella che sarebbe diventata un'altra
avventura, solo che noi ancora non lo sapevamo.
***
I boschi che circondavano il piccolo paesino erano
meravigliosi di giorno, con il verde che brillava bagnato dalla luce e
gli
uccellini che parevano colorare l'aria cantando ininterrottamente.
Lo scenario notturno però era, se possibile,
ancora migliore.
Freschi e silenziosi, con la terra umida e le
foglie lisce di rugiada, colmi di ogni sfumatura di verde, marrone,
ocra e
grigio, quei luoghi offrivano uno spettacolo ancestrale e misterioso,
illuminati solo da una falce di luna e dalle stelle.
Ben presto trovammo una piccola radura fra gli
alberi frondosi.
L'odore di pino e muschio, di terra bagnata e di
erba ci solleticava le narici,
mentre la
luce salmastra che filtrava dai rami intrecciati rendeva tutto
più magico.
<< Qui sarebbe perfetto accendere un falò e
raccontarci storie dell'orrore >> suggerì
Nabiki guardando
insistentemente la sorella minore, che sapeva essere una gran fifona.
<< Ma proprio storie di mostri e fantasmi?
>> chiese Akane con voce infastidita << non
potremmo raccontare a
Jude qualche leggenda tipica del nostro paese? >>
<< Ma che noia! L'horror è più
divertente!
>> esclamò Ranko.
<< Io do ragione a Pel di carota! L'horror è
meglio! >> intervenne Shan-pu.
<< Shan-pu ha ragione! >> La
spalleggiò Mousse.
<< Tu vuoi una storia dell'orrore solo per
spalmarti su Ranma come al tuo solito, brutta vipera! >>
intervenne Ukyo.
<< Ok, allora forse no... >>
sussurrò
il ragazzo con gli occhiali leggermente confuso.
<< E tu che vuoi? Pensa al tuo fidanzato!
>> gridò la cinesina di rimando.
<< Ryoga non è il mio fidanzato!
>> Diede
in escandescenza la cuoca, mentre il diretto interessato, visibilmente
arrossito, era nel frattempo combattuto su quale fanciulla in
difficoltà
aiutare: se Akane, palesemente terrorizzata da quel genere di racconti;
Ranko
che, sbattendo le ciglia con fare suadente, lo stava lentamente
abbindolando;
oppure Ukyo, anche se non sapeva bene se volesse la storia horror per
accaparrarsi
lei stessa le attenzioni di Ranma o non la volesse solo per impedirlo a
Shan-pu.
<< Guarda che nessuno aveva parlato di Ryoga
>> sussurrò Shan-pu a tradimento e i due
ragazzi partirono a raffica con
una serie infinita di giustificazioni fra le prese in giro e le risate
degli
altri, mentre io li guardavo e cercavo di capire quanta
verità ci fosse nelle
loro parole.
<< Basta, silenzio! Ho io la storia perfetta
>> parlò infine Nabiki <<
Così accontenteremo l'una e l'altra >>
Tempo che, Ranma e Ryoga da
una parte e Mousse e
Alexander dall'altra, trasportassero nella radura due grossi tronchi
caduti su
cui sedersi -facendo notevole sfoggio dei loro bicipiti- e che Kuno
cercasse
della legna per accendere il falò, ed eravamo tutti stretti
intorno al fuoco.
Solo Nabiki era in piedi di fronte a noi.
Si schiarì la voce e assunse una posa concentrata
socchiudendo gli occhi:
<< Si comincia >> sussurrò con
tono
spettrale. << Secondo una leggenda, centinaia e centinaia
di anni fa, in
Giappone viveva una giovane donna. Si diceva che fosse bellissima, con
lunghi
capelli neri e occhi color dell'ebano.
La bella fanciulla incontrò un samurai, un uomo
forte e valoroso, il quale si innamorò perdutamente di lei e
ben presto ne fece
la sua sposa e la
sua concubina (*)
>>
<< Fin qui niente di strano >> disse
Akane ostentando coraggio mentre Ranma, seduto accanto a lei, la
guardava di
sottecchi alzando un sopracciglio poco convinto.
<< Aspetta a parlare, sorellina. Come
dicevo, questo giovane samurai era un uomo estremamente vigoroso, un
marito
premuroso e un compagno affidabile. Questo almeno per i primi anni.
Con il tempo divenne morbosamente geloso della
bellezza della moglie, che incantava chiunque incontrasse, e
cominciò a
chiuderla in casa, accecato dalla gelosia. Ma più lui la
nascondeva agli occhi
del mondo, più la vanità della donna accresceva a
dismisura >>
Mentre Nabiki parlava -con una lentezza che faceva
presagire un colpo di scena- tutti noi ce ne stavamo accoccolati l'uno
al
fianco dell'altro, guardando ora la nostra narratrice, ora il fuoco
caldo e
scoppiettante davanti a noi.
Ranko, sporta quasi totalmente in avanti per
ascoltare meglio, non aveva affatto paura e avrebbe voluto solo essere
lasciata
in pace, cosa che non faceva altro che ripetere a Kuno, il quale invece
cercava
di abbracciarla tranquillizzandola con le sue rime strampalate.
Ukyo, ancora stizzita per ciò che era successo
prima, neanche guardava Ryoga, che se ne stava seduto a braccia
conserte,
sfiorando con un gomito lei e con l'altro me.
Io ero in mezzo a Ryoga e Alexander e cercavo di
seguire il racconto senza farmi distrarre dall'inconscia paura dentro
di me.
Dopo di noi sedevano Shan-pu, ovviamente
avvinghiata al braccio di Ranma, e Mousse, che aveva un'aria alquanto
indispettita.
Poi Akane e infine Kasumi.
Tutti con gli occhi che pendevano dalle labbra di
colei che raccontava la storia con estremo trasporto.
<< La donna, stufa della situazione, si
trovò ben presto degli amanti che appagassero la sua voglia
di attenzioni e la
sua smisurata vanità. Ma il samurai ne venne a conoscenza e,
in un impeto
d'ira, colpì la donna con la propria katana, squarciandole
la bocca da
orecchio a orecchio e gridando: “Chi ti dirà che
sei bella adesso?” >>
L'atmosfera inquietante del bosco notturno, resa
ancora più torva dalla figura poco illuminata della
narratrice, fu interrotta
bruscamente dal grido della ragazza che imitò la sfortunata
sposa, tanto che la
maggior parte di noi sussultò spaventata e alcuni uccelli
volarono via da un
albero vicino, facendoci rabbrividire ancora di più con i
loro versi striduli.
<< Tutto qui? >> chiese Ranko, l'unica
a non aver fatto nemmeno un fiato.
<< Assolutamente no >> riprese la
narratrice. << Da quel giorno cominciarono a girare
strane voci su di una
donna che, nelle notti di nebbia, vaga con il volto coperto da una
mascherina e
che, se incontra un passante, lo ferma e gli chiede: “Kirei
da to amou?”,
“Credi che io sia bella?”.
A quel punto il povero passante non sa che fare,
fin quando la giovane donna non si toglie la mascherina, mostrandogli
l'orrido
squarcio che la sfigura, sbarrando gli occhi diventati ormai color
ghiaccio e
ripetendo ancora la domanda
>>
Nabiki, totalmente immedesimata nella parte,
mimava alla perfezione
gesti e cadenze del
fantomatico spettro, sbarrando anch'essa gli occhi, scattando in
avanti,
alzando la voce e deformandosi i lineamenti del viso per apparire
più
terrificante.
Il risultato fu che, ovviamente, la maggioranza
delle ragazze lanciò un urlo atroce che rimbombò
per tutto il bosco.
<< Che storia tremenda! >> disse
Kasumi portandosi una mano a coprire la bocca.
<< Lanma, ho tanta paura, stringimi forte!
>> gridò la cinesina strusciandosi ancora di
più al ragazzo.
<< Ma
Shan-pu,
ci sono qui io a proteggerti!
>> cercò
di intervenire -del tutto inutilmente- Mousse.
Dal canto suo Ranma, badando poco alla ragazza
completamente abbracciata a lui, si voltò verso Akane
domandandole se fosse
tutto a posto e se per caso non avesse paura.
<< Niente affatto! >> rispose lei con
stizza. <<
Vai a proteggere Shan-pu se
ci tieni tanto! >>
<< Sei sempre la solita stupida >>
sussurrò lui con voce piuttosto roca e
si girò verso Shan-pu, abbracciandola a sua volta.
Io, dopo aver tratto un breve sospiro strozzato,
assistetti alla scena corrugando la fronte, non riuscendo proprio a
capire cosa
nascondesse il comportamento lunatico di quei due.
Ma Nabiki non mi diede il tempo di avvicinarmi
alla mia amica, perché subito riprese a raccontare la storia
con tono ancora
più basso e spettrale:
<< A questo punto la leggenda prende vie
diverse, ma sempre terribili. C'è chi dice che la donna,
dopo aver posto la
domanda, divori le povere vittime con la sua bocca enorme, oppure che
sparisca
in una risata agghiacciante. Altre fonti, più attendibili,
ci dicono che invece
tutto dipenda dalla risposta della vittima: se
risponde di no, allora la sua sorte è orribilmente segnata e
lo spirito la insegue
fino a casa per colpirla mortalmente
con un paio di forbici. Se invece il malcapitato risponde di
sì, e quindi
mente, la donna lo sfigura per vendetta, esattamente come un tempo il
marito
fece con lei >>
<< Ma una via di fuga c'è >>
proseguì
poi con voce truce e inquietante facendo tremare di paura noi ragazze.
<< E quale sarebbe? >> chiese con
enfasi Ranko, così tranquilla che le mancavano solo i
popcorn.
<< Non bisogna rispondere. Bisogna tenersi
sul vago vaghi e correre... correre più che si
può! Sapete, dicono che la donna
prediliga altre fanciulle come lei come sue vittime... magari con i
capelli
neri e gli occhi castani... sai Akane, allo spettro piacciono molto i
boschi
notturni... >>
<< Adesso basta! >> gridò la
diretta
interessata << Mi avete stufata con queste stupide
storie! I fantasmi non
esistono e nessuna donna verrà a squarciarmi la faccia
questa notte quindi, se
permettete, io me ne vado a letto! >> e
così dicendo si infilò diretta nella
tenda senza badare alle proteste di
noi altri.
<< Akane dai, non andartene! >> disse
Ranko << E tu idiota, fai qualcosa per fermarla,
no? >> aggiunse poi rivolta al cugino.
Ma Ranma girò con noncuranza la testa dall'altra
parte, continuando ad accarezzare Shan-pu e sussurrando, più
rivolto a se
stesso che agli altri: << Non me ne importa niente di
quello che fa
quella stupida! >>
Ciò mi convinse ancor di più che, più
che per la
paura della storia, Akane se ne fosse andata per un altro motivo, un
motivo che
era seduto alla sua destra e che coccolava una rumorosa ragazza cinese.
Un motivo che, chissà perché, le faceva nascere
dentro un mostro peggiore di quello delle storie di Nabiki, un
sentimento verde
come il bosco in cui ci trovavamo.
Un motivo che, e lo scoprii poche ore dopo, aveva
dentro di sé gli stessi pensieri ed emozioni.
E così,
dopo un po', tutti entrammo nelle nostre
tende sperando, l'indomani mattina, di vedere quel clima di tensione
dissolversi assieme agli spiriti della notte, anche se io avevo il
sentore che
per noi non solo i guai non fossero ancora finiti, ma che anzi fossero
appena
iniziati.
***
Eravamo andati a
dormire di malumore, ognuno
immerso nel fumo grigio dei propri pensieri.
Da quando Akane si era rintanata nella sua tenda,
Ranma era diventato intrattabile.
Irascibile e nervoso, aveva rifiutato in malo modo
le attenzioni fino a quel momento concesse a
Shan-pu e poco dopo se ne era andato dopo poco anche lui,
lasciando
un'atmosfera tesa nella radura.
Ognuno di noi si era perso nella propria
malinconia e aveva trovato un valido motivo per abbandonare il sorriso.
Ukyo, silenziosa, guardava il cielo stellato;
Shan-pu lanciava lamoi d'odio a chiunque tentasse di avvicinarla; Ryoga
sbuffava inquieto; Nabiki faceva un solitario con le carte, stranamente
tranquilla; Alexander, pensieroso, era andato a fare una passeggiata
fra i
boschi e persino Kuno stava in silenzio, lucidando la sua spada seduto
su una roccia.
Così eravamo entrati nelle tende, con le lamentele
di Ranko -l'unica a non aver perso l'allegria- come unico sottofondo.
Avevo fatto abbastanza fatica ad addormentarmi; il
buio era denso e umido e l'immagine terrificante di quella donna
squarciata mi
appariva continuamente davanti agli occhi.
Anche nel sonno poi, frammenti della discussione
avvenuta poco prima,
mischiati a pezzi di
sogni senza senso, venivano
a disturbarmi,
aiutati dai sassolini nel terreno, che riuscivano a farsi sentire anche
oltre
il sacco a pelo.
Fu un sonno agitato, sudato e freddo.
Proprio quando mi pareva di aver trovato un
momento di stabilità, uno scossone mi ridestò
immediatamente, facendomi
sgranare gli occhi nell'oscurità.
<< Jude... >> bisbigliò un'ombra
accanto a me, << Jude... >>
ripeté una seconda volta.
Nell'ancora velata incoscienza del primo sonno non
mi resi conto di chi fosse, sentivo solo una voce di donna chiamare il
mio nome
e mi pareva di intravedere, grazie al tiepido bagliore lunare, due
occhi
chiari.
Istintivamente mi misi sulla difensiva, mentre il
cuore cominciava a battere all'impazzata e l'adrenalina a scorrere
frenetica
nelle vene.
<< Jude... >> sussurrò per la
terza
volta.
Non che fossi il tipo che crede alle storie di
fantasmi, ma l'atmosfera triste e silenziosa di quella notte, proprio
dopo il
terrificante racconto di Nabiki ancora vivido nella mente, e quella
presenza
inquietante che mi chiamava per nome, contribuirono non poco al
vacillare della
mia razionalità.
Mi tirai su a sedere, certa ormai che non si
trattasse di un sogno, e decisi di fare un tentativo:
<< Sì? >> sussurrai flebilmente
rivolta alla sagoma accovacciata accanto a me.
<< Sei sveglia? >> chiese questa.
<< Sì >> risposi io sempre
più
dubbiosa che fosse uno spettro. << Chi sei?
>>
<< Sono Ranko, vieni un attimo fuori
>> rispose, e la sentii uscire prima di poterle chiedere
qualunque
spiegazione.
Mentre lasciavo il piacevole tepore ormai
accumulato nel mio sacco a pelo e scostavo il lembo di stoffa
plasticata
varcando la soglia della tenda, a stento riuscii a trattenere le risate.
Che stupida! Come avevo potuto credere che si
trattasse davvero della donna della
storia?
Invece, ad aspettarmi in piedi sull'erba c'erano
Akane e Ranko, entrambe vestite di tutto punto ed entrambe con
un'espressione
interrogativa sul viso di fronte alla mia reazione divertita.
<< Perché ridi? >> mi
domandò la
ragazza dai capelli rossi.
<< Niente, niente >> risposi in fretta
io dandomi -per la centesima volta- della scema per aver confuso Ranko
con il
fantasma della storia. << Dimmi tutto >>
<< Ti va di venire con noi? >> mi
domandò lei sorridendo.
<< Dove andate a quest'ora? >> chiesi
guardando l'orario. Segnava l'una del mattino.
<< In discoteca... >> sussurrò
Akane
con l'espressione colpevole.
Solo in quel momento feci caso al modo in cui
erano vestite: Akane indossava una mini gonna nera -davvero mini-,
scarpe col
tacco e un giubbotto corto di pelle, sempre nero. Rossetto scuro sulle
labbra, ciglia
lunghe e l'aria di chi fa qualcosa che sa di non dover fare. Era
davvero
bellissima.
Mentre Ranko degli shorts -davvero short- e un top
che lasciava poco spazio all'immaginazione.
<< In discoteca? >> ripetei io
incredula.
<< Esatto. Qui è una palla mortale, ve ne
siete andati tutti a letto alle undici! >> disse la rossa
<< Siamo
giovani, dobbiamo divertirci! >>
Io guardai Akane e
con lo sguardo le chiesi cosa diavolo stessimo facendo.
Non conoscevo Ranko, anche se avevo intuito il suo
carattere sbarazzino e frizzante, ma ormai avevo imparato a conoscere
Akane e
sapevo bene che non era il tipo da sgattaiolare via di notte per andare
a
ballare in una discoteca.
<< Così, per cambiare un po' >>
rispose lei alla mia domanda muta, quasi mi avesse letta nel pensiero,
ma io
percepii che il motivo doveva essere un altro. Il suo sembrava il
tipico
atteggiamento di chi vuole farla pagare a qualcuno ed io ero quasi
certa che
quel qualcuno fosse Ranma.
<< Dai, ci divertiremo! >> mi
incitò
Ranko << Io lo faccio sempre. Con i genitori severi che
ho se non
scappassi di notte, non uscirei mai! Torneremo domani mattina prima che
gli
altri si sveglino, nessuno se ne accorgerà e noi avremo
passato una bella
serata in barba a questi noiosi tutti arti marziali! >>
Io ero ancora titubante e una marea di motivi per
cui quella fosse davvero una pessima idea mi vorticava nella testa.
<< Avanti, lasciamoci andare per una sera!
>> disse Akane con malcelata insicurezza e una muta
richiesta di
compagnia nei suoi occhi mi convinse ad accettare.
Il tempo di infilarmi anche io qualcosa di
“adatto” a una serata in discoteca e già
eravamo sul treno notturno che ci
avrebbe riportate a Tokyo.
***
La discoteca era l'esatto contrario del bosco che
avevamo lasciato.
Musica techno sparata a tutto volume, luci
colorate e psichedeliche che creavano effetti ottici nel buio, un caldo quasi
afoso, odore di fumo e alcol e una
folla di persone che ballava talmente vicina da far mancare il fiato.
Non era affatto il posto per me.
E a quanto pareva nemmeno per Akane, che si
guardava intorno con l'aria spaesata e leggermente curiosa di chi si
trova in
un posto per la prima volta.
Guardava tutto: le alte balconate da cui
sporgevano persone urlanti, le sfere stroboscopiche sparse qui e
lì come stelle
comete sul soffitto scuro, il DJ che incitava la folla alzando le mani
a ritmo
di musica.
<< Questa è la discoteca più cool
del
momento >> ci disse Ranko alzando la voce per farsi
sentire. <<
Seguitemi! >> E ci trascinò per mano verso il
bancone del bar.
<< Ranko! >> esordì il barista
dandole
il cinque e, dopo essersi scambiati qualche battuta in giapponese,
prese ad
agitare shaker e a maneggiare alcolici di ogni tipo.
<< Che sta facendo? >> chiese Akane
palesemente spaventata dalla risposta.
<< Ci prepara da bere, è ovvio!
>>
rispose la ragazza con i capelli rossi come se fosse la cosa
più ovvia del
mondo.
<< Ma io sono astemia! >>
<< Non avevi detto che volevi lasciarti
andare? >>
<< Io... veramente... >> disse
titubante mentre l'euforia iniziale cominciava a scemare.
L'incertezza era visibile nei suoi occhi. Se ne
stava lì, in piedi, continuando a tirare verso il basso i
lembi della
cortissima gonna come a volersi coprire, truccata come una bambola
dark, ma con
l'espressione più tenera e impaurita che potesse avere,
guardandosi intorno
disorientata e sempre meno convinta della sua scelta.
Akane era una ragazza tranquilla, una di quelle
che queste cose le vede fare solo nei film, ma quella sera, fra la
titubanza
che la governava, ogni tanto si fermava a riflettere, si spostava la
frangia
dagli occhi e socchiudeva le palpebre, concentrandosi su un punto fisso
del
pavimento lucido per poi rialzare la testa con una nuova luce e una
nuova forza
a governare i suoi intenti.
<< Allora? >>
<< E cosa ci starebbe preparando? >>
<< Un cocktail buonissimo che prendo sempre,
tanto che il mio amico Eichi >> e indicò il
barman che stava ancora
trafficando dietro il bancone << l'ha soprannominato
“Ranko”!
>>
<< Ma quante volte sei già stata qui?
>> domandò Akane con un'espressione talmente
pura, incredula e innocente
che per la prima volta mi fece pensare di essere davvero la sorella di
Kasumi.
<< Lo vuoi il cocktail, sì o no?
>> le
chiese Ranko alzando un sopracciglio.
Poi le bisbigliò all'orecchio una frase in
giapponese che la riaccese e le fece brillare gli occhi di una strana
luce.
<< Ma certo che lo voglio! >> rispose
Akane con vigore.
<< Dammi anche una
sigaretta >>
<< Così mi piaci!! >> disse
Ranko
porgendole l'accendino dopo essersene accesa una anche lei.
La tosse che accompagnò la prima boccata di Akane
mi disse che no, lei non aveva mai fumato in vita sua, e anche io
accesi una
delle mie Marlboro light guardando stupita Ranko
buttare giù il suo
drink tutto d'un sorso.
Akane beveva a piccoli sorsi quel liquido
trasparente dall'odore terribilmente forte che in gola bruciava
lasciando una
scia rovente, e rideva a crepapelle con Ranko e, mano a mano, si
rilassò. Forse
fu l'alcol o il calore che appiccicava i vestiti, forse fu il brivido
della
disobbedienza, il
desiderio di vendetta, la consapevolezza di aver fatto
qualcosa di
assolutamente folle o la voglia di evadere, ma si lasciò
andare al divertimento
scatenandosi in pista assieme a Ranko, dimenticandosi, fra un sorso e
una
risata, di tutti i suoi pensieri.
Improvvisamente mi squillò il cellulare: era Ranma.
Risposi tappandomi un orecchio per cercare di
sentire meglio, ma la musica era assordante.
<< Dove siete? >> mi chiese in tono
perentorio.
Stavo per rispondergli quando Akane,
avvicinandosi, mi domandò chi fosse. Io mimai
“Ranma” con le labbra e lei mi
strappò il telefono di mano urlando qualcosa nella sua
lingua madre e
riattaccando in malo modo.
<< Non facciamoci rovinare la serata da
quello scocciatore, che ci lasciasse in pace! >> disse
mal celando il
risentimento che provava nei suoi confronti e trascinandomi di nuovo
verso il
centro della pista.
L'istinto però mi disse di mandare un SMS al
ragazzo, scrivendogli il nome della discoteca nella quale ci trovavamo
e
accompagnato da un “È tutto ok, ci stiamo
solo divertendo un po'. Non vi
preoccupate, a domani”.
Ranko era davvero un'ottima
ballerina. Aveva
sciolto la treccia, lasciando che i lucidi capelli rossi le scendessero
sulle
spalle in una cascata setosa, e si muoveva a ritmo di musica, come se
quei toni
forti le attraversassero il corpo in una scarica elettrica.
Ancheggiava consapevole, reclinava la testa
indietro ridendo divertita, le sue forme scolpite guizzavano provocanti
ad ogni
movimento, era così bella e raggiante che in un attimo
attirò tutti gli sguardi
su di sé.
E di conseguenza su di noi.
Anche Akane ballava, avendo ammorbidito i freni
naturali di un carattere responsabile, ed era bellissima mentre,
sfrenata ed
eccitata, si muoveva trasportata dalla musica.
Insieme, sudate e pericolosamente belle, erano
come miele per gli orsi mentre si tenevano per mano e abbandonavano
vergogna e
problemi.
Due ragazze scatenate alla conquista di una notte
di follie.
Fu un attimo e ci ritrovammo accerchiate.
Una miriade di visi sconosciuti teneva gli occhi
puntati su di noi, avvicinandosi sempre di più e
bisbigliando con fare suadente
frasi che io non capivo.
Qualcuno provò anche a ballare con noi,
affiancandoci e muovendosi al nostro stesso ritmo. Akane e Ranko li
lasciavano
fare, sicure di loro stesse, continuando a tenersi per mano e ballando
come se
il resto del mondo non esistesse. Io però ero un po' meno
tranquilla.
Cominciai a non sentirmi più a mio agio mentre una
marea di “beautiful” mi arrivava
alle orecchie in un sussurro caldo e
delle mani estranee mi cingevano i fianchi o mi afferravano le braccia.
Cercavo di tirarmi indietro, di scacciare in malo
modo chi provava, con molta insistenza, a tirarmi verso di
sé.
Odore di corpi accaldati e troppo vicini, fumo,
cenere e birra, tutto mi opprimeva e non trovavo via d'uscita.
Presto anche Akane e Ranko vennero messe in
difficoltà, circondate da ragazzi che le stringevano, le
abbracciavano
tirandole indietro verso di loro, le accarezzavano con troppa enfasi e, con tutta
probabilità, facevano loro proposte
indecenti.
Era chiaro che le intenzioni di quel gruppo di
uomini non fossero delle migliori.
Un paio di volte le due artiste marziali provarono
a sferrare qualche colpo, anche se strette in quella morsa di corpi, ma
a
vuoto.
<< Maledetti drink >> disse Akane a
denti stretti tirando ad un ragazzo, che cercava di toccarla, uno
schiaffo che
sembrava più una carezza, e io potei vedere chiaramente nei
suoi occhi, forse
per la prima volta, oltre alla rabbia di non essere riuscita a
colpirlo, anche
la paura di non farcela.
Era come un incubo: la luce azzurra che brillava a
intermittenza e che faceva sembrare ogni movimento a rallentatore
cominciava a
infastidirci, la musica assordante spaccava i timpani, il caldo e la
sensazione
di soffocamento aumentavano, sentivamo mani dappertutto e ovunque ci girassimo a
cercare un po' d'aria,
un'infinità di volti, mani e fiati caldi ci si paravano
davanti, impedendoci di
allontanarci e tenendoci prigioniere in quella gabbia umana.
Iniziai ad avere paura, vedendo che anche le mie
amiche, con il panico negli occhi, erano quasi sopraffatte, e il cuore
cominciò
a battermi furioso nel petto.
Perché mai ci eravamo cacciate in quella
situazione?
Tre ragazze da sole e su di giri di notte in una
discoteca della metropoli più grande del mondo.
Inconsciamente avevo sempre saputo che era un'idea
pericolosa, ma mi ero lasciata trascinare dal carattere vulcanico di
Ranko e
dalla voglia di libertà di Akane, e adesso ci ritrovavamo
accerchiate da un
gruppo di ragazzi con intenzioni poco gradevoli e lontane dai nostri
amici.
Cominciai a pregare che, nonostante le rimostranze
di Akane, ci fossero venuti a cercare.
Di colpo la musica cessò.
Un ringhio basso e gutturale fece fermare tutti,
deciso e terrificante.
Poi una frase, in giapponese, pronunciata da una
voce roca e minacciosa, e tutte le mani che ci tenevano strette ci
lasciarono
di colpo.
Mi girai, con il cuore che non la smetteva di
agitarsi fra la paura e la speranza, e li vidi.
Ranma, tra coni di ombra e di luce, con i capelli
neri intrecciati e gli occhi blu, assottigliati e cattivi, fissi su
quel gruppo
di uomini come a volergli dare fuoco solo con lo sguardo.
Serrava i pugni tanto da avere le nocche bianche,
con le braccia muscolose tese ai lati del corpo e la bocca distorta in
una
smorfia di disprezzo.
E poi c'era Alexander, con l'espressione tanto
potente che parlava da sola, le braccia incrociate e i muscoli
contratti.
L'uno di fianco all'altro, imponenti e torvi.
Ranma disse qualcos'altro e
alcuni ragazzi si
allontanarono velocemente, quasi scappando. Altri invece, i
più ubriachi e
spavaldi, insistettero rimanendoci vicino.
Io non capivo cosa stesse dicendo, ma il tono
della sua voce e il suo corpo parlavano per lui. Tutto in lui era
così forte,
profondo e intenso che faceva paura persino a me.
Arrogante e minaccioso, sembrava un eroe. Emanava
odore di battaglia, selvaggio e bellissimo, sudato mentre faceva
sfoggio dei
muscoli, sicuro e forte.
Guardandolo, e guardando Alexander, splendido e
pronto affianco a lui, mi sentii di
nuovo al sicuro.
Improvvisamente, a mo' di sfida, uno dei ragazzi
sfiorò il viso di Akane con la mano, afferrandole il mento e
portandola a un
centimetro dalla sua bocca.
Fu uno degli errori più grandi della sua vita.
Accecato dall'ira, Ranma scattò come un animale
che si lancia all'attacco. Afferrò il ragazzo per il collo,
lo alzò diversi
centimetri da terra con un braccio solo e lo scaraventò
lontano da noi con
quanta forza aveva in corpo.
Poi si girò e lanciò uno sguardo di fuoco agli
altri ragazzi. “Farete la stessa fine”, pareva dire.
Sudato e arrabbiato, si fece largo in mezzo a
loro, afferrò Akane per le spalle, la spinse via fra le
braccia di Alexander, e
tuonò un “portale via” con tono duro e
perentorio.
Pochi secondi dopo, i pugni serrati, era già
pronto allo scontro.
Alexander, con le mani ancora sulle spalle di
Akane, prese Ranko e me di peso, ci portò fuori e io feci
giusto in tempo a
vedere Ranma fendere l'aria con dei colpi micidiali lasciando a terra
qualche
ragazzo, prima che le enormi porte della discoteca si richiudessero
davanti a
me.
Dagli occhi scuri di Alexander trapelava quanta
rabbia, frustrazione e preoccupazione celasse quella sua espressione
dura.
Rientrò ad aiutare Ranma senza dirci una parola e
ci lasciò a fare i conti con le nostre emozioni.
Ci sedemmo per calmare i nostri cuori impazziti.
Spaventate ed emozionate allo stesso tempo, le nostre anime
traboccavano di
paura e gratitudine.
<< Abbiamo fatto un casino >>
bisbigliò Ranko mentre Akane si teneva la testa con le mani.
Poco dopo i due
ragazzi uscirono.
In un silenzio che gridava, Akane
corse incontro a Ranma e affondò la
testa nel suo petto.
Lui la strinse forte a sé e le posò un bacio fra
i
capelli chiudendo gli occhi con forza.
Solo allora mi resi conto di quanto l'avevamo
fatta grossa, mentre Akane si lasciava andare in un mare di sussulti,
sfogando
tutto il suo sollievo.
Il volto di Ranma era provato dalla stanchezza e
dalla tensione, un'ombra di paura ancora negli occhi esprimeva tutta
l'angoscia
che la scena a cui aveva dovuto assistere gli aveva fatto provare.
Respirò rumorosamente, lasciando andare in un
soffio tutta la sofferenza e la rabbia accumulate.
Riversò nell'abbraccio ad Akane tutto quello che
aveva provato, tenendola stretta per un tempo che parve interminabile
mentre lei
singhiozzava sommessamente.
Poi la ragazza si staccò e alzò lo sguardo
colpevole:
<< Scusami... io... ti sei fatto male?
>> chiese sfiorando appena la guancia di Ranma, su cui
spiccava un
piccolo taglio all'altezza dello zigomo.
<< No >> rispose lui.
<< Sei venuto a salvarmi... a proteggermi...
io... non credevo che saresti venuto questa volta >>
tentò di dire, ma
venne di nuovo sopraffatta dalle lacrime.
<< Tu non mi volevi, nemmeno durante la
storia di Nabiki, anche se sappiamo entrambi che stavi morendo dalla
paura. Ma
io verrò sempre a proteggerti... scema >>
sussurrò appena Ranma, prima di
ritrovarsi Akane ancora fra le braccia, che piangeva ormai di
commozione, e lo
stava ringraziando a suo modo.
Quella scena mi scaldò il cuore.
Non seppi cosa si fossero sussurrati finché Ranko
non me lo tradusse, ma i loro gesti erano così chiari che,
per la prima volta
forse, riuscii davvero a vederli.
Dei gesti puri e inaspettati, dettati
dall'emozione, senza badare a null'altro.
Dei gesti, ne ero sicura, d'amore.
Improvvisamente
sentii un braccio cingermi le
spalle e ripararmi dal fresco di una notte che scompariva.
<< Grazie >> sussurrai ad Alexander.
<< È stato un piacere >> rispose
lui.
<< Di tutto intendo >>
<< La risposta è sempre la stessa
>> bisbigliò
stringendomi un po' più forte.
<< Ehi, ma nessuno che abbracci me? >>
squittì tutto a un tratto Ranko, facendo separare, in preda
al più forte
imbarazzo, sia Ranma e Akane che Alexander e me.
<< Dov'è quell'idiota di Kuno quando serve?
>> proseguì poi, senza più fare
caso a noi quattro rossi
come pomodori e avviandosi verso la
fermata della metropolitana.
<< Nemmeno un grazie eh? >> disse
fintamente polemico Ranma, ma la cugina fece finta di non sentirlo.
Mentre la seguivamo, camminando l'uno accanto
all'altra, notai che le nocche delle mani di Alexander erano livide.
Senza
pensarci due volte le presi nelle mie:
<< Anche tu? >> non seppi trattenermi
dal chiedere.
<< Non è niente >> disse lui
scostandosi leggermente.
Io non risposi ma lo guardai preoccupata,
continuando a carezzargli il dorso con le dita.
<< Non temere Jude, il nostro yankee
è un duro. Stasera ha dimostrato che all'occorrenza
è uno che i pugni li sa
tirare! A proposito amico, bel colpo l'ultimo! >>
intervenne Ranma.
<< Grazie, amico >> rispose quello e
io lo guardai ammirata mentre, le mani intrecciate, tornavamo a casa.
***
E questa è la storia di come l'uragano
Ranko ci ha
investiti una sera
di fine estate.
Di come quella ragazzina un po' matta, che si
annoia in fretta, esuberante e combinaguai, abbia travolto la mia vita
regalandomi una serata ricca di ogni tipo d'emozione, una nuova
avventura da
raccontare e qualche consapevolezza in più.
***
A Margherita,
benvenuta
fra noi <3
Ed
eccoci di nuovo qui.
Un
sentitissimo e doverosissimo grazie va alla mia "Beta
Carotene",
ovvero la bravissima
Gretel85,
ché vi giuro, se non ci fosse lei non pubblicherei affatto.
Grazie
anche alla mia Sweetie,
Faith84,
che mi ha gentilmente suggerito l'idea di inserire una leggenda
metropolitana giapponese nel capitolo. A proposito, quella di cui parlo
(*) è la storia della Kuchisake
onna
e
qui devo ringraziare la preparatissima Matrona
che
mi ha aiutata a reperire il materiale per documentarmi.
Il
grazie più grande va a tutti voi, che mi aspettate e mi
leggete e che mi riempite di gioia quando mi recensite.
Sopratutto
alle mie sempre presenti Ladies.
Insomma,
grazie, grazie, grazie. Ci vediamo al prossimo capitolo, in cui
troveremo... (Pia, per la tua goia sta arrivando lui!)
A presto,
Aronoele
(:
|
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Capitolo 11 *** La foresta dei baci volanti ***
Da
quando per la prima volta, ormai tre mesi prima, avevo messo piede in
quella
casa, c'era solo una domanda che mi ronzava continuamente in testa. Non
riuscivo proprio a liberarmene, né a trovare una risposta
adeguata.
Era una
domanda anche piuttosto semplice rispetto a quelle che -riflettendoci
un po'-
potevano essere molto più legittime vivendo a casa
Tendo-Saotome. Nonostante
questo, però, la domanda in questione fu la costante della
mia estate
giapponese.
In
questo giorno, di cui sto per raccontarvi, finalmente ottenni la
risposta che
cercavo.
***
Tornate
fra i boschi, quella stessa notte, dovemmo affrontare i nostri compagni
di
viaggio: l’apprensione di Ryoga, imbestialito con Ranko per
aver trascinato
Akane e me in quella follia, e con Ranma, per non averlo portato con
sé quando aveva
deciso di venirci a prendere. Le “velate”
frecciatine di Shan-Pu “così
felice di vederci sane e
salve” a cui di certo sarebbe dispiaciuto davvero
tanto se per
caso ci fosse capitato qualcosa.
E poi gli abbracci soffocanti di Ukyo che si era preoccupata per
davvero, e
quelli ancor più asfissianti di Kuno, che non si faceva il
minimo scrupolo a
esternare platealmente tutto il suo “tremendo
penare” di quella notte.
Una
volta a casa invece, dovemmo affrontare la ben peggiore preoccupazione
di quei
componenti della famiglia rimasti a Nerima: Kasumi e il dottor Tofu,
divisi fra
il rimproverarci per il comportamento irresponsabile e il sollievo per
il
pericolo scampato; Genma, che non la smetteva più di gridare
dietro alla povera
Ranko -esattamente come faceva con Ranma- per non aver vegliato
abbastanza su
di noi; e Soun, letteralmente sprofondato in una valle di lacrime
nemmeno a
metà del racconto.
In
ogni
caso, a una settimana esatta da quegli eventi, mi trovavo nella mia
stanza e
guardavo fuori dalla finestra.
Anche la
mia partenza, così come il giorno del sì, si
stava avvicinando e un velo di
tristezza già adombrava i miei pensieri. I matrimoni shintoisti vengono generalmente officiati
in
primavera o in autunno e, dato che il mio ritorno a casa era
inesorabilmente
fissato per il nove di settembre, i due fidanzati avevano deciso che
quella
sarebbe stata la settimana giusta: un mese quasi autunnale e un giorno
che
garantiva ancora la mia presenza.
Era fine agosto, l'aria era ancora tiepida, e i preparativi
infervoravano. C'era sempre qualcosa da fare o da andare a comprare:
innanzitutto
gli addobbi per il giardino, perché si era deciso che il
matrimonio si sarebbe tenuto
a casa della sposa invece che dello sposo -come era tradizione-, e
stavano
allestendo un grande altare e dei gazebo proprio di fronte al bel
laghetto
turchese. E poi l'immancabile riso, il sakè migliore del
Giappone e del pesce
fresco. C'erano da ritoccare i vestiti, bisognava trovare qualcuno che
sapesse
ancora fare, nel ventunesimo secolo, le acconciature tradizionali,
chiamare gli
addetti alla musica e il fotografo, scegliere fiori e nastri,
organizzare il
ricevimento, le portate del pranzo... mancavano ancora così
tante cose da fare!
Tutti
correvano sempre da una parte o dall'altra, insieme o divisi, ma sempre
di
fretta e con qualche imprevisto che, puntualmente, faceva loro
dimenticare il
perché erano usciti e li faceva tornare a casa con un pugno
di mosche.
Ad
ognuno
di noi era stato affidato un incarico: Genma era stato scelto per
comprare il
tradizionale barile di sakè, lui che ne era un grande
intenditore, mentre
invece la sposa si era rifiutata di assumere uno chef : avrebbe
cucinato lei
tutte le pietanze del suo matrimonio. A Nabiki era toccato l'arduo
compito di
scegliere il fotografo e trattare con i fornitori, Akane andava e
veniva da
ogni sartoria della città, Ranma aiutava nelle decorazioni
mentre Soun presiedeva
ai lavori che si svolgevano nel suo giardino.
Persino
il vecchio Happosai pareva essere diventato una persona seria in quei
giorni, e
girava instancabilmente alla ricerca del regalo perfetto per
“la sua dolce
Kasumi”.
Io avevo
un compito speciale: le fedi.
Eravamo
tutti elettrizzati e pieni di energia.
L'unico
che invece sembrava meno frizzante degli altri era il signor Tendo, ed
era
proprio lui che stavo osservando dalla finestra della mia stanza quel
giorno.
Quando
avevo ricevuto la foto della famiglia che mi avrebbe ospitata,
corredata da una
bella lettera con i loro nomi, le loro descrizioni e un dolcissimo
“non vediamo
l'ora di conoscerti” alla fine, quello che mi aveva
impressionato più di tutti
era stato proprio lui: Soun, il capofamiglia.
Akane mi
aveva poi raccontato di come era morta sua madre, tanti anni prima, di
come
Soun aveva cresciuto lei e le sue sorelle, senza mai fargli mancare
nulla
nonostante le difficoltà, e di come aveva mandato avanti il
dojo di famiglia
lavorando instancabilmente senza battere ciglio. Fino a quando poi, un
giorno
che la mia amica ricordava benissimo, Genma e Ranma erano arrivati a
casa loro,
portando una dose incalcolabile di guai ma anche tanta, tanta allegria.
L'arrivo
del suo migliore amico, mi raccontò Akane, aveva ridato a
Soun un po' di speranza,
aveva riacceso la sua vita, ormai stanca e malinconica, segnata solo
dalla
fatica e dal dolore per la perdita della moglie, e gli aveva donato
quella
serenità che solo la consapevolezza di non invecchiare da
solo poteva dare.
Le
figlie erano state molto preoccupate per lui in passato, ma da quando
c'era
Genma sentivano che il loro papà aveva finalmente
riacquistato la gioia di
vivere, ed era quello uno dei motivi per cui Kasumi aveva deciso che
sì, poteva
sposarsi.
Guardandolo
in giardino, concentrato a cercare di accendere una vecchia pipa,
riconobbi sul
suo volto i segni della stanchezza. In pochi giorni si era fatto
visibilmente
più vecchio, e probabilmente il motivo era proprio questo
matrimonio. Era sì
felice per la maggiore delle sue bambine -e come avrebbe potuto non
esserlo?-
ma sentiva anche che una fogliolina del suo albero si stava staccando
dal ramo
e che nulla sarebbe stato più come prima.
Soun era
l'emblema dell'ospitalità: non si era fatto problemi ad
aprire la sua casa al suo
amico di gioventù e a suo figlio, e aveva donato loro,
soprattutto a Ranma, il
calore di una famiglia e la sicurezza che solo quattro mura sanno dare.
E non
aveva avuto difficoltà nemmeno ad accettare me, una
sconosciuta, per di più
straniera, in casa sua. Una che delle sue tradizioni non sapeva nulla,
che non
parlava la sua lingua, che probabilmente non avrebbe nemmeno apprezzato
e
capito quello che lui faceva per lei. Ma non importava, lui si era
preso in
casa quella biondina timida e silenziosa, le aveva messo un tetto sopra
la
testa, le dava da mangiare con il proprio sudore e per di
più la faceva anche
sentire bene.
“Io sono
Soun ma puoi chiamarmi papà” erano
state le sue prime parole e, da allora, non
le ho mai dimenticate.
Così,
quel giorno, dopo tutto quello che aveva fatto per me, decisi di fare
io
qualcosa per lui e scesi in fretta le scale per raggiungerlo.
<<
Vuoi una mano, papà Soun? >> gli chiesi
prendendogli di mano i
fiammiferi.
“Papà
Soun” era il modo in cui avevo deciso di chiamarlo.
<<
Oh grazie bambina, questa pipa mi sta facendo diventare matto!
>>
Accesi
io la pipa per lui e fu semplice. Poi mi porse il braccio e cominciammo
a fare
una passeggiata su e giù per il giardino, sorvegliando ora
questo, ora quello e
chiacchierando del più e del meno.
<<
Allora bambina mia, stai per andare via, non è
così? >>
<<
Ehm... sì... >> risposi con un filo di voce.
<<
Suvvia, non essere triste. Non è mica la fine. Sai, la mia
vita è stata
costellata di partenze, viaggi, amici che andavano via. In un modo o
nell'altro
ce l'ho sempre fatta. Chi parte poi torna, ricordatelo >>
<<
Sei molto saggio, papà Soun! >>
<<
Sono molto vecchio, vorrai dire! >> disse lui scoppiando
in una risata
che trascinò anche me.
<<
Mi dispiacerà lasciarvi... >>
<<
Non ci lascerai bambina, non del tutto almeno. Quando qualcosa scava la
superficie e ti entra dentro, poi non va via tanto facilmente. Se ti
abbiamo
lasciato un ricordo, un insegnamento, qualunque cosa, la porterai con
te. Vai
bambina, vai nel paese degli yankee e porta un po'
di Giappone! >>
mi rispose facendomi ridere ancora. Sapevo però che non
stava scherzando, anche
se quel modo bonario e sorridente di affrontare le cose lo faceva
sembrare
sempre in bilico fra il serio e il faceto, mi stava solo insegnando
un'altra
cosa, come sempre.
“Non c'è
modo migliore di insegnare che con il proprio esempio”
pensai, e mi strinsi un
po’ più forte al suo braccio.
Camminammo
tanto e a lungo, quasi fino al tramonto, quando il cielo si era
riannuvolato un
po' e sembrava bruciare di un arancio incandescente fra le crepe
lasciate dalle
nuvole grigio scuro.
Ogni
tanto Soun si fermava e gridava al malcapitato di turno frasi come
“mi
state distruggendo la casa”, “quell'albero
è più vecchio di me” o “non
ti
azzardare a dipingere le pareti del mio dojo”.
All’ora
di cena quasi nessuno aveva terminato i propri compiti della giornata.
Gli
operai erano andati via per tornare l'indomani, Genma era ancora nella
“misteriosa città” nella quale si era
recato per fare man bassa di sakè, Akane
trascinava brandelli di stoffa con sé e ogni tanto ne
perdeva uno in qualche
angolo della casa e Ranma “giaceva” soavemente
stravaccato sui cuscini verde
petrolio del salotto, stremato dai preparativi.
D'un
tratto l'uragano Nabiki rientrò in casa gridando:
<<
Vi voglio tutti attorno al tavolo fra un minuto! >> e
quando tutti la
raggiungemmo annunciò, dopo essersi enfaticamente schiarita
la voce: <<
Mia cara Kasumi, in qualità di tua testimone...
>>
<<
Ma... >> fece per interromperla la futura sposa.
<<
Sì, sì, lo so che tu non avrai testimoni
perché il tuo sarà un noiosissimo
matrimonio rispettoso delle tradizioni e bla bla bla…
>>
<<
Guarda che anche nei matrimoni tradizionali ci sono i testimoni
>> la
corresse un annoiatissimo Ranma.
<<
Ah davvero? Bravo Ranma, l'esperto
di marimoni! >> Per tutta risposta il ragazzo si
strozzò e cerco di controbbattere a quella strana -pensai
io- affermazione, ma Nabiki non gliene diede il tempo:
<< Be', meglio così. Insomma, in
qualità di tua testimone ti ho
organizzato l'addio al nubilato!! >>
<<
Che cosa!? >> gridarono praticamente all'unisono gli
altri componenti
della famiglia.
<<
Sorpresa! >> li schernì Nabiki.
<<
Iena, cosa hai combinato? >> fu Ranma il primo a parlare.
<<
Certo Nabiki che sei proprio incorreggibile!! >> gli fece
eco Akane.
<<
Che cos'è un addio al nubilato? >> chiese
innocentemente Kasumi e, se
fossimo stati in un cartone animato, sarebbe spuntata la tanto
proverbiale
“goccia di disappunto” dietro le teste di ognuno di
noi.
<<
Ma come Kasumi? In che razza di secolo vivi? >>
tuonò Nabiki enfatizzando
con la mimica facciale le parole cariche di stupore.
<<
Sto scherzando sciocchina, so cos'è. Ti volevo appunto
chiedere di organizzare
qualcosa. Ho visto in una pubblicità una “beauty
farm”, tu ci sei mai stata,
Jude? >>
<<
Sì, certo. È un posto dove si va per rilassarsi.
Ti fanno dei massaggi speciali
e delle maschere con le alghe o con il fango. A volte anche manicure e
pedicure! >> risposi.
<<
Oh no, non voglio niente di tutto questo! >>
<<
Ma veramente io ho già organizzato tutto... >>
tentò Nabiki.
<<
Trovato! Sapete dove vorrei tornare? In quel villaggio dove la mamma ci
portava
sempre da bambine. Quello in cui Akane è stata qualche anno
fa, ricordate?
>>
<<
Ryugenzawa? >> chiese quasi con timidezza la
più piccola delle sorelle.
<<
Sì! Proprio Ryugenzawa! Come vorrei tornarci! Che dici
Nabiki, potremmo andare
lì per il mio addio al nubilato? O avevi altri piani?
>>
<<
Oh no, figurati... E tanti saluti gran casinò!
>>
***
E
così
mi ritrovai ancora una volta su un treno, diretta verso la stazione di
una
città dal nome impronunciabile.
Il dottor
Tofu aveva accettato di buon grado la richiesta della futura sposa di
festeggiare il suo addio al celibato nello stesso posto, e aveva
chiesto ai
suoi testimoni, Ryoga e Ranma, di andare con lui. Il primo aveva detto
subito
di sì, eccitato per l'ennesimo viaggio, mentre il secondo
aveva acconsentito
quasi ringhiando e adesso se ne stava seduto da solo, lontano da noi.
Era
strano per un ragazzo vivace come Ranma starsene in disparte, senza
proferire
una parola, con le cuffie alle orecchie e un'espressione davvero
corrucciata
dipinta sul volto. Quella mattina era stato talmente nervoso che non si
era
nemmeno fatto la barba, come invece faceva sempre, e non aveva toccato
cibo,
cosa che definire “strana” sarebbe riduttivo.
Nemmeno
Akane aveva parlato molto, li avevo sentiti litigare, ma questa era una
cosa
che facevano talmente spesso che non mi era parso ci fosse niente di
anormale.
Lo
osservai per un momento: gli occhi sbarrati ma affatto rilassati, si
vedeva
palesemente che non dormiva, le braccia incrociate come se volesse
allontanarsi
-o ripararsi- dal resto mondo e un'aurea scura che lo circondava. Non
ero il
massimo nell'avvertire il ki delle persone, ma persino una principiante
come me
poteva percepire perfettamente la negatività che l'energia
interna del corpo
di Ranma sprigionava.
Mi dispiaceva
moltissimo vederlo in quello stato, così mi armai di
coraggio e decisi di fare
un tentativo.
<<
Ranma...? >> lo chiamai avvicinandomi, dopo aver scostato
dal suo
orecchio una cuffietta.
<<
Uhm? Ah, sei tu, Jude. Dimmi >>
Mi misi
accanto a lui in uno slancio di audacia di cui non capivo la
provenienza:
<< Perché te ne stai qui seduto tutto solo?
>>
<<
Sono nervoso >> mi rispose, come se i pugni stretti tanto
da far
diventare bianche le nocche non fossero un indizio sufficiente.
<<
Sì, questo lo avevo capito >> ironizzai.
<< Non ti piacciono le
feste? >>
<<
Non è quello il problema. >>
Un'altra
risposta secca del genere e me ne sarei andata. Cominciavo a capire
Akane
quando lo definiva “insopportabile”.
<<
Allora il problema è Ryug, Ryuiiu, Rug... oh, non
riuscirò mai a dirlo!
>>
<<
Ryugenzawa? >>
<<
Quella roba lì. >>
Ranma
non rispose ed io decisi di cambiare approccio.
<<
Cosa ascolti? >> chiesi fingendomi interessata ad altro.
<<
November Rain
>>
Alzai
gli occhi al cielo. Il più delle volte era un ragazzo
adorabile, davvero, ma
quando si chiudeva in se stesso e diventava un vero e proprio cuore di
legno
-massello per giunta-, avrebbe fatto perdere la pazienza perfino a un
santo.
<<
Posso? >> domandai prendendo la cuffietta che avevo
lasciato cadere poco prima.
<<
Certo >>
Mi
avvicinai un po' di più, fino a sfiorare i lembi della sua
felpa grigia e mi
misi a guardare fuori dal finestrino. Il paesaggio scorreva velocemente
e, man
mano che ci allontanavamo dalla città, diventava meno grigio
e più verde, il
sole appariva più brillante e le case erano sempre
più rade. Ce ne stemmo così
per un po', ad ascoltare la musica senza parlare. Ogni tanto notavo che
gli
altri, soprattutto Akane, ci guardavano, ma non facevano nemmeno un
passo nella
nostra direzione.
Non ero abituata
a rimanere sola con Ranma e davvero non sapevo come comportarmi. Era un
ragazzo
strano, mi piaceva, ma mi spaventava terribilmente. Era una di quelle
persone
su cui si desidera fare colpo, perché sono belle e
interessanti, ma quando ci
si sta insieme poi, si finisce sempre per dire qualcosa di stupido.
<<
Perché detesti il posto in cui stiamo andando?
>> lo incalzai di nuovo
quando notai che aveva sciolto le braccia e riaperto gli occhi.
<<
Non detesto Ryugenzawa, non c'è niente da detestare
lì. La cittadina è
minuscola, siamo fortunati che esista addirittura un albergo. La
foresta è...
una foresta, come tutte le altre, con una stupida sorgente e uno
stupido lago
>>
Mi
sporsi in avanti per guardarlo: aveva lo sguardo rivolto fuori dal
finestrino,
l'espressione corrucciata e una mano a reggergli la testa. Si accorse
del mio
movimento e scostò il viso per guardarmi a sua volta.
<<
Cosa c'è? >> mi chiese fingendo un'aria
innocente.
<<
“La cittadina è minuscola”,
“stupida sorgente”, “stupido
lago”... sei sicuro di
non detestare nulla? >> Adesso la finta innocente ero io.
<<
Beh... forse non è uno dei miei posti preferiti ecco ma...
addirittura
detestarlo... >>
<<
Ah, ok. Allora ti sei venuto a sedere qui da solo per dimostrare in
maniera
alternativa la tua felicità? >> chiesi,
appositamente sarcastica.
<<
Jude, stai con Akane da troppo tempo sai? Vi somigliate sempre di
più! Mi eri
simpatica! >>
Sorrisi.
<<
Non cambiare argomento! >> scherzai, prendendo coraggio
dal suo fare
sempre più amichevole e dall'impressione che la sua aurea
nera stesse man mano
scemando.
<<
Scherzavo, sei peggio di Akane!
>>
<<
R-a-n-m-a! >>
Rise,
finalmente.
<<
Ok, ok! Faccio il serio. Non detesto Ryugenzawa, detesto il ricordo di
Ryugenzawa. C'è... c'è una persona che non mi
piace lì, non la vedo da molto
tempo e vorrei continuare a non rivederla per... tipo tutta
l'eternità! Mi sono
spiegato? >>
<<
Benissimo >> risposi senza smettere di fissarlo.
Chissà chi era questa
persona. Un'altra delle ragazze innamorate di lui? O forse un acerrimo
nemico?
Sua madre? (Effettivamente in tre mesi non l'avevo mai vista e nessuno
aveva
accennato alla sua morte, per cui avevo cominciato a credere che non
scorressero buoni rapporti fra loro). Di sicuro quel posto rievocava in
lui
ricordi malinconici perché il blu dei suoi occhi non era
bello e tempestoso
come sempre, ma spento, quasi opaco.
Sorrideva,
amaramente, aveva preso a ridere e scherzare con me, ma io vedevo che
la sua
ritrovata serenità non era completa.
<<
Torni di là con noi? >> chiesi poi, cercando
di risultare più dolce che
speranzosa. Lui rimase in silenzio. << Dai, tanto ormai
siamo in ballo,
balliamo! >>
<<
Eh? Vuoi ballare? >>
<<
È un modo di dire, Ranma. Insomma, cosa puoi farci? Nulla.
Allora ti conviene
cercare di stare bene, altrimenti ti rovini tutto, anche quello che
potresti
evitare... >> mi stupii da sola di tutta quella saggezza.
Il Giappone
stava evidentemente facendo bene al mio animo da yankee. O forse
erano i
viaggi. O, più probabilmente, entrambe le cose.
Mi alzai
e gli porsi la mano: << Coraggio! Scommetto che sentono
la tua mancanza!
>> dissi indicando con un cenno del capo il gruppetto
qualche sedile più in là. Akane ci stava
guardando di nuovo.
<<
Questa canzone è bellissima >> disse Ranma per
tutta risposta, quindi afferrò
la mia mano per riportarmi accanto a lui << Ascoltala
>>
La voce
di Axl Rose intonò “Paradise
city” e mentre lui cantava, Ranma
mimava le parole senza emettere suoni:
“Take
me down to the paradise city
Where
the grass is green and the girls are pretty,
oh, won't
you please...”
<<
Take me home!! >> cantò poi
ad alta voce, guardandomi negli occhi
come se quelle parole fossero un messaggio, e io capii che no, non
avrebbe
“ballato” questa volta.
***
<<
Come sarebbe a dire che non ci sono più stanze disponibili?
>> sbraitò
Nabiki (ovviamente in giapponese) nella hall del piccolo hotel.
Avevamo
lasciato la stazione e ci eravamo avviati, sotto il sole cocente di
mezzogiorno, verso l'albergo che Nabiki aveva prenotato in fretta e in
furia la
sera prima.
Arrivati
al centro di quella che era davvero una cittadina minuscola, ci
attendeva però
un'amara sorpresa. Evidentemente il check-in online non era andato a
buon fine,
il fatto che non avesse chiesto i dati della carta di credito avrebbe
potuto essere
preso come indizio, ma Nabiki aveva scelto di interpretarlo come un
colpo di
fortuna. Solo che adesso ce ne stavamo impalati, zaini in spalla, con
le facce
attonite di chi non sa se credere se sia uno scherzo o la
realtà.
La
receptionist si profuse in una marea di scuse, quasi in ginocchio,
mentre
Nabiki era ormai fuori controllo: << Come diamine
è possibile? Avevo
prenotato, pre-no-ta-to! Una quadrupla e una tripla. Controlli!
Ricontrolli!
Controlli ancora! >>
L'impiegata,
con un tailleur blu notte e i capelli tenuti saldi da un tiratissimo
chignon,
continuava a fare segno di “no” con la testa.
<<
Tendo? Tofu? PROVI ANCORA! Non è possibile! Nabiki, provi
con Nabiki.
Accidenti! Saotome? Hibiki? Jude qual è il tuo cognome?
>>
<<
Cosa sta dicendo? >> chiesi ad Akane << Ho
sentito il mio nome
>>
<<
Niente, >> rispose lei staccando la sorella dalla
scrivania della
reception << c'è stato un errore e a quanto
pare non abbiamo dove dormire
adesso. >>
<<
Errore? Ma quale errore? Io li faccio chiudere per sempre!
>> continuava
a gridare Nabiki con i pugni all'aria, rivolta all'hotel da cui la
stavano
letteralmente trascinando via.
<<
Mi dispiace tremendamente, >> disse Kasumi una volta
fuori, << è
colpa mia. Nabiki, per favore, non arrabbiarti così, sei
tutta rossa. >>
La
sorella si rimise in ordine il caschetto: << Hai ragione,
troppo sforzo
per quegli inutili imbecilli! >> alzò
appositamente la voce sull'ultima
parola, sempre in direzione dell'hotel << Adesso devo
solo trovare una
soluzione... >>
<<
Per tua fortuna, Nabiki Tendo, esisto io! >> disse una
voce conosciuta
che ci fece girare tutti contemporaneamente.
Appena
dietro di noi, con lo sguardo furbo e soddisfatto, Kuno se ne stava a
braccia
conserte.
<<
Tu? E cosa ci fai tu qui? >> esclamò Nabiki
strabuzzando gli occhi.
<<
Anche io sono felice di vederti, dolcezza >> fece il
ragazzo,
avvicinandosi << Ho deciso di venire con voi, ovvio! Per
qualche assurdo
motivo decidete sempre di escludermi dalle cose più
divertenti! E poi io e il
caro vecchio dottor Tofu siamo amici, non è vero ONU?
>> finì, dando dei
colpetti sulla spalla del suo interlocutore.
<<
Ma veramente sarebbe Ono... >>
rispose quello poco convinto.
<<
Onu, Ono, fa lo stesso! Ora su, andiamo! Il vostro beniamino ha
già prenotato
una bellissima pensione in mezzo alla foresta! >>
<<
Ma che diavolo... >> stava dicendo Ranma quando
all’improvviso, alle
spalle Kuno, sbucò anche il resto della strampalata
combriccola: Ukyo, Shan-Pu,
Mousse, Alexander e Ranko.
<<
Siamo venuti anche noi! >>
<<
Così imparate a non chiamarci mai! Antipatici!
>>
<<
Ailen, da te non me lo sarei mai aspettata! >>
<<
Shan- Pu, amore della mia vita, dove vai? >>
<<
Io non sono Shan-Pu stupido idiota! >>
“Ci
risiamo”, mi ritrovai a pensare e, per la prima volta, non mi
stupii affatto di tale
pensiero: era tutto normale.
<<
Uh che bello, ci siete tutti! >> squittì con
voce angelica Kasumi
<< Come sono felice! Guarda Ono, abbiamo tanti amici che
vogliono
festeggiare con noi! >>
<<
Sì, guarda ONU, quanti amici hai che
sono venuti solo ed esclusivamente
per festeggiare con te! >> le fece eco Nabiki mettendo
ironicamente un
braccio intorno alle spalle del futuro sposo. Il suo pungente sarcasmo
cozzava
terribilmente con la tenera ingenuità della sorella maggiore.
Le tre
sorelle Tendo erano come i frutti di bosco: Kasumi era ovviamente una
fragola,
il frutto più grande e dal sapore più dolce;
Nabiki era senza ombra di dubbio
un mirtillo, piccolo, aspro e terribilmente difficile da acchiappare; e
Akane
era come un lampone: all'apparenza morbida e invitante, ma sapeva
nascondere un
carattere deciso e vivace.
Forse
Ranma poteva essere una mora, il frutto dal sapore decisamente
più forte, e
Ranko un piccolo ma letale ribes rosso.
Shan-Pu
era melensa e acidognola come l'amarena, Mousse era senz'altro un gelso
bianco.
Ryoga era potente come le bacche di sambuco, mentre Ukyo era
leggermente aspra
e intensa come una ciliegia. Kuno era pregiato come l'uva spina, invece
il
dottor Tofu non poteva essere un frutto di bosco, bensì una
rassicurante mela,
che sapeva di casa e di serenità. Alexander era una
castagna, dura all’esterno ma
dal cuore d'oro e io, beh io ero il pomodoro. Molti lo credono una
verdura ma
in realtà è un frutto. Un frutto un po' strano,
certo, un outsider della
frutta! Il pomodoro era proprio la metafora perfetta della mia
situazione in
Giappone: apparentemente non si può mettere nella macedonia
ma in realtà, anche
se è un po' diverso, basta cambiare la concezione della
gente ed eccolo lì, in
bella mostra a far capolino con su il cartellino
“frutta”. I pensieri comuni
non riguardano il pomodoro, tuttavia lui ha attraversato continenti
interi ed
alla fine è riuscito a farsi voler bene in ogni parte del
mondo. Chi lo beve
come succo, chi lo mette nell'insalata, chi lo usa come condimento
della pasta.
Il pomodoro si adatta e, con la sua dolcezza, sta bene in ogni
situazione. Il
pomodoro è il frutto dell'integrazione, proprio come me:
americana fino al
midollo, che, pur avendo abitudini e visioni del mondo totalmente
differenti, mi
ero ritrovata a sguazzare felice e con naturalezza in mezzo a dei
frutti di
bosco. Ero un pomodoro che aveva scoperto un mondo diverso e ci si
trovava
benissimo.
***
Parlando
di boschi, la foresta, quella vera, circondava ogni lato della piccola
cittadina di Ryugenzawa. Abituata come sono sempre stata alle
città e ai
paesaggi mastodontici dell'America, le splendide vedute giapponesi mi
lasciavano sempre senza fiato. Eppure, quella volta, mi
sembrò di scorgervi
qualcosa di diverso. Non era solo un bel panorama, ma era la natura,
nel suo
stato più puro e maestoso, che, incontaminata, ti parlava.
Al suo interno, si
aveva la percezione che il resto del mondo fosse rimasto fuori, di
essere
sospesi in una bolla di sapone. Tutti i suoni erano amplificati, anche
la più
piccola delle formiche lavorava con l'aria per creare un'atmosfera
unica e
quasi mistica. Lì dentro non esisteva altro che la foresta
stessa, con il suo
fluire costante che si adattava tanto bene allo scorrere del sangue
nelle vene.
Sembrava di essere in una specie di connessione cosmica con la Terra.
Si poteva
percepire, nel senso più intrinseco del
termine.
Camminavamo
in fila, senza proferire parola, ciascuno incastrato fra i propri
pensieri,
come spesso succede di fronte alla magnificenza della natura.
<<
Eccoci, siamo arrivati! >> la voce di Kuno
spezzò il silenzio.
<<
Hotel-pensione Orochi… ma è uno scherzo?
>> gridò Ranma non appena ci
trovammo dinnanzi a una piccola casetta di legno chiaro. Akane
spalancò occhi e bocca, come paralizzata
da una forza estranea.
<<
Io me ne vado >> disse subito dopo Ranma, ruotando il
corpo di
trecentosessanta gradi e spiccando una lunga e rabbiosa
falcata in
direzione del bosco. Ryoga lo bloccò per un braccio ma lui,
con un gesto deciso,
se lo scrollò facilmente di dosso.
<<
Ma che razz… >> imprecò il ragazzo
e lo seguì correndo. Nel frattempo,
Akane era ancora attonita, come in trance.
<<
Che sta succedendo? >> chiesi timidamente a Nabiki ma,
prima che lei
potesse rispondermi, un gentile vecchietto con la voce graffiante
uscì dalla
porta principale camminando lentamente verso Akane, per poi
abbracciarla con
garbo.
Gli
eventi si susseguirono con un ritmo strano: il tempo sembrava scorrere
lento,
come se ogni secondo pesasse quanto un’ora, ma tutto si stava
svolgendo
rapidamente, i cambiamenti erano repentini e la confusione tanta,
tantissima.
Un attimo prima camminavamo tranquillamente attraverso la foresta, e
l’attimo
dopo Ranma se n’era andato più arrabbiato che mai,
Ryoga l’aveva seguito di
corsa, Akane era in stato di shock e nessuno, eccetto probabilmente
Nabiki, sembrava
capire cosa stesse accadendo.
Scambiai
un’occhiata nervosa con Alexander e rabbrividii,
improvvisamente sembrava facesse quasi
freddo.
Akane
non prestava ascolto alle parole del buon vecchietto e continuava a
guardare
dietro di sé, in direzione della foresta. In direzione di
Ranma.
Ukyo si
avvicinò con cautela: << È una mia
impressione o è tutto molto strano?
>> sussurrò appena.
Il tempo
pareva essersi cristallizzato, le cose accadevano, i minuti scorrevano,
ma tutti
noi sembravamo come fermi al momento del nostro arrivo. Ad eccezione
del
proprietario della pensione nessuno parlava, avevamo lo sguardo
allibito e ci
guardavamo intorno confusi.
All’improvviso
un altro estraneo si materializzò davanti ai nostri occhi:
un ragazzo alto, con
i capelli castani legati in una piccola coda, gli occhi a mandorla
color
ghiaccio e il sorriso gentile.
<<
Akane! >> gridò, e corse ad abbracciarla,
sollevandola in aria e
facendola roteare assieme a lui in uno slancio di felicità.
Lo
sconosciuto continuò a parlare ma Akane pareva non sentirlo:
sorrideva
mestamente eppure il suo sguardo non era a fuoco sul viso di lui, come
se fosse
lontano, da un’altra parte.
<<
Tutto questo è ridicolo! >> disse
all’improvviso Ranko, anche lei visibilmente
stranita.
<<
Be’ allora, entriamo? Nabiki Tendo cosa hai messo dentro a
questa valigia? Pesa
un accidente! >> concluse Kuno.
Un ultimo sguardo alla foresta, vicina ma
più lontana che mai, e la porta si richiuse alle nostre
spalle.
Ci
sedemmo tutti attorno a un classico tavolo giapponese, aspettando che
il nostro
ospite finisse di preparare il tè.
<<
Perché Ranma è scappato via così?
>> sussurrò Kasumi rivolgendo gli occhi
preoccupati in direzione delle sue due sorelle.
<<
Non badarci. >> rispose Nabiki <<
Allora… tu devi essere il famoso
Shinnosuke! >> disse poi rivolta al bel ragazzo seduto
accanto ad Akane.
<<
Sì, il mio nome è Shinnosuke. Perdonatemi se non
mi sono presentato prima ma
ero così felice di rivedere Akane! >> Nabiki
aveva chiesto di parlare in
inglese, data la presenza mia e di Alexander.
<<
Ah, vi conoscete? >> domandò innocentemente il
dottor Tofu.
<<
Da tempo ormai! Anche se non ci vediamo da un po’ in
effetti… vero Akane?
Ricordi l’ultima volta che… Akane?
>> ma la ragazza non lo guardava. Lo
sguardo fisso sulla porta, non parlava e non sbatteva le palpebre.
<<
Akane? >> ripeté lui scuotendola appena.
<<
Eh? Io… io… >>
<<
Akane stai bene? >>
<<
Io… >>
<<
Ma che le prende? >> chiese Shinnosuke rivolto a noi.
<<
Niente Shin, niente. Akane, torna fra noi! Gli
passerà… >> rispose
Nabiki.
<<
Ecco, è pronto il tè! >> disse
allegramente il vecchietto porgendo a
ognuno di noi una piccola tazza nera senza manico dal cui interno
proveniva un
buonissimo odore di menta.
<<
Insomma, cara Akane, come stai? Racconta qualcosa di nuovo a questo
povero
vecchio. >>
Akane
non proferì parola.
<<
E dove sono quei due bei giovanotti tuoi amici? Non li hai portati
questa
volta? >>
Ancora
silenzio.
<<
Akane, per tutti i Kami! >> gridò Nabiki
dandole uno scossone sulla
spalla.
<<
Oh, io, ecco… scusatemi… non mi sento molto bene
>> sussurrò infine. Non sembrava essere in
sé, non sembrava essere la stessa di sempre,
quella ragazza sorridente e un po’ irascibile ma con gli
occhi dolci e gentili.
I suoi occhi quel giorno parevano spenti, come se tutto il colore e la
gioia
che da sempre li distinguevano si fossero improvvisamente dissolti,
scomparsi.
O forse, più
semplicemente, anche loro avevano spiccato un rabbioso salto verso la
foresta e
non erano ancora tornati.
<<
Akane hai la febbre? >> le chiese Shinnosuke toccandole
la fronte con il
palmo della mano. La ragazza lo scansò in fretta, come se
quel tocco le
bruciasse e chiese solo di poter essere accompagnata alla sua camera.
<<
Ma certo, vieni.>>
Ed
entrambi uscirono dalla stanza lasciando a Nabiki, l’unica
che sembrava non
aver mai perso il filo degli eventi, l’arduo compito di
intrattenere il
pubblico. Senza fare una piega, come il suo perfetto caschetto liscio,
riportò
per filo e per segno gli avvenimenti che avevano condotto questo
variegato
gruppo di giovani in una pensione, nel mezzo della foresta di un
piccolo
paesino giapponese dimenticato da Dio e dagli uomini.
<<
Congratulazioni agli sposi! >> disse l’anziano
padrone al termine del
racconto.
<<
Chi si sposa? >> domandò Shinnosuke, appena
rientrato nella stanza
comune, con un velo -seppur appena accennato- di allarme nella voce.
<<
Tu che pensi? >> rispose secca Nabiki.
Il
ragazzo non rispose ma frugò con lo sguardo in mezzo a noi.
Cercò negli occhi
bassi di Shan-Pu, che non faceva altro che mandare freneticamente
messaggi dal
suo cellulare; cercò in quelli di Mousse, nascosti dagli
spessi occhiali ed
estremamente concentrati sulle rapide dita della sua innamorata;
cercò negli
occhi di Kuno, seduto a braccia conserte accanto a Nabiki; poi in
quelli dolci
e preoccupati di Ukyo, che guardavano continuamente fuori dalle
vetrate, e in
quelli di Ranko, altrettanto irrequieti. Pensò di ottenere
la risposta negli
occhi castani di Alexander, che cercavano i miei in domande mute, ma
quando
infine la trovò, non fu in due occhi, bensì in
due mani, intrecciate. Kasumi e
il dottor Tofu tenevano l’uno la mano dell’altra in
bella mostra sul tavolo di
legno, senza vergogna alcuna per quel gesto d’affetto tanto
naturale e innocuo
nel mio Paese, quanto estremamente significativo in quello in cui mi
trovavo.
In Giappone, e lo avevo notato subito al mio arrivo accolto dal
“saluto
occidentale”, erano molto meno inclini alle
manifestazioni di
affetto. C’era un rispetto tutto particolare per lo spazio
personale altrui,
tanto che a me pareva che le persone si toccassero davvero solo quando
combattevano. Ad eccezione di Shan-pu, parecchio più
disinibita degli altri,
era facile notare quanto rare fossero le occasioni in cui due persone,
soprattutto
se di sesso opposto, si toccavano. Il corpo è un tempio,
cita la filosofia
orientale, e va rispettato al pari di un luogo sacro. Mi ero sempre
chiesta
perché, salvo qualche rara eccezione, Ranma facesse molta
attenzione a non
toccarmi, così come Ryoga e, a modo suo, anche Kuno. Tutte
le volte che Nabiki
voleva provocare una qualunque reazione, come alla festa di Kodachi, il
senso
del tatto faceva da apri fila. Non era timidezza o riservatezza, era
rispetto.
Come se il mio corpo, il mio tempio, e quello di chiunque altro, uomo o
donna
che fosse, potessero essere toccati solo da chi dimostrava di averne
il diritto. Un diritto che non era concesso a tutti, a un
amico o un compagno
dell’università. Tuttavia, a un maestro con i suoi
allievi, sì. E, difatti , né
Ranma, né Ryoga e nemmeno Soun o Genma
si erano mai fatti problemi mentre mi allenavo con loro; e
neppure in
situazioni di pericolo o di necessità, come quando rischiavo
di cadere dalla
recinzione verde che, tutte le mattine, Ranma percorreva in bilico sul
bordo, o
come tutte le occasioni in cui quest’ultimo ci aveva
salvate o tirate fuori
da una situazione scomoda. Ma non solo. Tale diritto era
concesso, ne presi
coscienza solo in quel momento, anche a chi si amava. Da
qualche tempo ormai, non era raro vedere Kasumi e il dottor Tofu
tenersi per
mano o vedere lui darle un dolce bacio sulla fronte quando rincasava la
sera.
Toccarsi
era per loro un gesto d’amore, o di dichiarato amore, come
tutte le volte in
cui Mousse cercava di avvicinare la sua bella connazionale; Shan-Pu o
Kodachi
si strusciavano addosso a Ranma e Yuka e Sayuri cercavano di
accaparrarsi le
braccia di Alexander. Per non parlare di Kuno
che, sempre meno velatamente, cingeva la vita di
Nabiki, e di Ukyo,
quando sfiorava le mani di Ryoga.
O di
Ranma, quando toccava Akane. Quando le punzecchiava la guancia con il
dito,
quando le lambiva i fianchi per poi dirle che erano enormi, quando le
toglieva
una ciglia caduta rimasta sul viso, quando le sfiorava una gamba con
una delle
sue mentre eravamo seduti attorno al tavolo da pranzo, quando la
prendeva in
braccio, quando, ogni volta che le era vicino, finiva sempre con il
toccarla.
Non li avevo mai visti baciarsi, ma in quel momento fui più
che
sicura che quelle che avevo visto fino ad ora non fossero altro che
dimostrazioni
d’amore.
Shinnosuke
che si inchinava ed esprimeva la propria felicità per
l’imminente matrimonio,
avendo notato il bell’anello di fidanzamento
sull’anulare sinistro della futura
sposa, mi ridestò dai miei pensieri.
<<
I miei migliori auguri! Come sono contento! >>
<<
E ci credo che è contento… >>
bisbigliò Ranko accanto a me.
Io la
guardai in modo -evidentemente- interrogativo, perché lei
sentì subito il
bisogno di aggiornarmi sulla situazione: << Questo
bellimbusto, questo cretino
>> enfatizzò << è
innamorato di Akane >>
<<
Strano! >> ironizzai.
Ranko
sorrise ma tornò subito seria << Per poco non
ha mandato tutto a monte!
>>
<<
Tutto cosa? >> chiesi incuriosita.
<<
Ma ovviamente… >>
<<
Be', volete vedere le vostre stanze? Vi accompagno, così poi
possiamo andare
alla sorgente a fare una gita, che ne dite? >> disse il
diretto
interessato interrompendoci e Ranko non riprese più il
discorso.
Eccezion
fatta per Kasumi e il Dottor Tofu, che avevano due singole, le altre
camere
erano tutte doppie. L’ideale per dividerci in coppie senza
tanti problemi :Ranma
e Ryoga, Kuno e Alexander, Ukyo e Shan-Pu, Ranko e Nabiki ed infine
Akane e io.
Shinnosuke mi lasciò sull’uscio, entrambi convinti
che all’interno
Akane stesse riposando. La stanza era piccola ma ben fornita, con un
minuscolo
bagnetto senza finestre e due bei letti in legno con materassi e
coperte rosa,
all’occidentale, un grande specchio posizionato sopra una
scrivania, anch’essa
di legno, tende bianche e una finestra che affacciava sulla foresta.
Tutto
sommato, non era male. Carina, confortevole…e soprattutto
vuota.
Sul
letto che Akane aveva scelto per sé, trovai un minuscolo
biglietto: “Sono
andata a cercarlo, scusami se non ti ho avvertito prima ma non volevo
che
qualcuno mi seguisse. Non farne parola con nessuno, ti prego. Tua,
Akane”.
“Lo
sapevo” pensai mentre mi affacciavo per guardare la placida
foresta che si
allargava all’orizzonte. “Chissà se li
ha trovati. Chissà cosa è successo”.
Proprio
in quel momento la porta si aprì senza preavviso e Ranko e
Nabiki fecero
irruzione nella mia stanza.
<<
Se sei nuda mi dispiace, ma niente che non abbia già visto
>> disse la
prima a mo’ di avvertimento, dopo essere già
entrata.
<<
È andata a cercarlo, vero? >> mi chiese Nabiki.
<<
No, è… è… uscita
per… prendere un po’… di aria!
>> risposi, cavandomela
-pensai- benino.
Ma se
c’era una cosa che ormai avevo imparato, era che a Nabiki
nulla si può tenere
nascosto a lungo. Alzò solamente un sopracciglio, per
mostrarmi la sua poca
convinzione e mi strappò delicatamente il biglietto che
tenevo ancora fra le
mani.
<<
Come pensavo >> sussurrò passandolo a Ranko
che si limitò ad annuire.
<<
Be', andiamo alle sorgenti? Voi avete messo il costume?
>> chiese poi la
ragazza dai capelli rossi.
<<
Ma come, non andiamo a cercarla? >>
Le due
si guardarono.
<<
Ma è pericoloso! Da sola, nella foresta! >>
<<
Suvvia Jude, come sei ingenua. Lui la troverà prima ancora
che lei abbia cominciato
a cercarlo >> rispose con disarmante
semplicità Nabiki.
<<
E Ryoga? >>
<<
Di lui non preoccuparti, non c’è nemmeno arrivato
alla foresta, probabilmente
si è già perso! >> rise Ranko e,
prendendomi sottobraccio, mi trascinò
fuori.
***
Le
sorgenti
erano una visione paradisiaca. Piccole rocce grigie incastonate a
semicerchio racchiudevano
le acque cristalline di un grazioso laghetto. Al suo interno, ci
raccontò
Shinnosuke da perfetta guida turistica, si trovano delle profonde
grotte,
dimora del leggendario Orochi, un drago dalle otto teste
particolarmente
attratto dalle belle ragazze.
<<
Che sciocchezze! >> sentenziò Shan-Pu alla
fine del racconto. <<
Dove sarà il mio Ranma piuttosto? >>
<<
A cosa ti serve Ranma quando hai me, gattina? >> le
sussurrò Mousse
dolcemente.
<<
Che me ne faccio di te, brutta talpa? Con Akane fuori dai piedi potevo
farmi un
bagno con il mio Ailen… >>
<<
Quindi è venuto anche lui… >>
mormorò Shinnosuke vagamente seccato.
<<
E non azzardarti ma più a chiamarmi gattina, che
schifo!>>
<<
Akane non è fuori dai piedi! È…
è… stanca! >>
<<
Non mi interessa come è Akane! Adesso non
c’è e io potrei stare un po’ da sola
con Ranma se non fosse andato via… >>
<<
È andato via? >>
<<
Non temere memoria corta, tornerà! >>
<<
Dove è andato? >>
<<
A fare un giro nei boschi. All’università ha letto
Walden(*) e si è
appassionato. Oh, insomma, adesso basta! >>
esclamò Nabiki << Quel
che fanno Ranma e Akane non è affar vostro! Questo
è un addio al nubilato! >>
Mentre
gli altri litigavano, Alexander mi sussurrò
all’orecchio: << Tu ci stai
capendo qualcosa? >>
<<
In realtà no… >>
<<
Io vado a vedere come sta Akane, voi godetevi le acque della sorgente
>>
<<
Ma dove vai, Shin… >> Nabiki lo prese per un
braccio << Sei la
nostra guida! Akane è grande e grossa, se la sa cavare
benissimo da sola.
Rimani qui con noi, dobbiamo festeggiare… >>
e, così dicendo, rivolse
un’occhiata allusiva a Ranko e me.
<<
Strip poker? >>
<<
Che cos’è? >> domandò
ingenuamente Kasumi e anche il riluttante
Shinnosuke si mise seduto sul prato umido.
***
“L’ingenua”
vinse tutte le mani, lasciando -non metaforicamente- Kuno in mutande,
mentre la
mia mente vagava verso una sola direzione.
Mi
trovavo bene con tutti, ad eccezione di chi avevo frequentato meno, ma
senza
Akane mi sentivo quasi persa. Ranko era un’ottima spalla e si
applicava per
essere una sostituta impeccabile ma io non potevo fare a meno di
tornare con la
mente agli eventi di qualche ora prima. Mentre Kasumi, con
“credo che questa
sia una scala reale” e “questo cosa
significa?”, spogliava i partecipanti di
vestiti e averi, io continuavo a ripensare alla strana reazione di
Ranma. Senza
una parola era andato via e io così arrabbiato non lo avevo
mai visto.
Preoccupato, infastidito o irritato -principalmente per via di qualche
pretendente,
sua o di Akane- ma mai arrabbiato, e mai senza un motivo evidente.
Avevo capito,
fin dal viaggio in treno, che non era contento della destinazione e lui
stesso
mi aveva spiegato di non voler rivedere qualcuno. Che quel qualcuno
fosse
proprio il ragazzo con gli occhi placidi e color del ghiaccio,
innamorato di
Akane -a detta di Ranko-, che ogni tre per due si alzava dicendo di
dover andare
a controllare come stesse la ragazza in questione?
Che avesse risvegliato in lui dei ricordi
sopiti? Mi chiesi pensando che probabilmente quello era un
altro dei
segreti che non avrei mai scoperto.
In ogni caso, non potevo più rimanere lì
seduta a fare finta di divertirmi mentre in realtà non
riuscivo a pensare ad
altro, così decisi di andare a cercarla. Anzi a cercarli,
tutti. Non era lo
stesso senza di loro.
Repentina,
come era stata la mia decisione, mi alzai.
<<
Dove pensi di andare? >> tuonò Ranko ad alta
voce.
<<
Torno in albergo >>
<<
Vai da Akane? >> chiese Nabiki.
<<
Appunto, in albergo >> chiusi il discorso.
I visi
di tutti, che sospettavano qualcosa fin dall’inizio, parvero
ancora più contrariati,
ma io decisi di non dare ascolto né a loro né
alla voce nella mia testa che mi
ripeteva di non cacciarmi nei guai.
Durante
il mio soggiorno nel Paese del Sol Levante non ero mai rimasta da sola,
se non
a qualche lezione che non avevo in comune con Akane o nella mia stanza,
accompagnata comunque dai rumori di casa Tendo-Saotome che mi erano
tanto cari.
Ma ora mi sentivo sola. Non è semplice
spiegare la differenza fra stare
da soli e sentirsi soli. Uno può scegliere di stare da solo
e prenotare un tavolo
per uno al ristorante. O fare una passeggiata al tramonto. O ancora,
svegliarsi
all’alba mentre tutta la casa dorme, e fumare una sigaretta
alla luce del
giorno che si sveglia. Ma nessuno sceglie di sentirsi solo. Partendo
per questa
avventura in Giappone, mi ero detta, sarei tornata a casa diversa e
più forte.
Dovevo partire. Dovevo partire perché avevo paura. Paura di
viaggiare da sola,
paura di non riuscire a fare amicizia, paura di rimanere da sola, di
sentirmi
sola, lontano dai miei affetti e dai miei amici. Dovevo partire proprio
perché
avevo paura, e tornare senza averne più. E invece avevo
trovato una nuova
famiglia. Un “papà Soun” saggio e
tenero; un Genma strampalato e divertente;
due sorelle che più diverse non si poteva, una dolce e
materna e l’altra furba
e spiritosa; una cugina un po’ matta e sempre su di giri. Un
amico poeta
mancato, che decantava il suo appassionato ardore a tutte, ma che
ultimamente
aveva occhi per una soltanto; un’amica cuoca, che mi aveva
insegnato tante
ricette da provare a casa; un amico che non sapevo se fosse proprio un
amico o
forse qualcosa in più, con gli occhi dolci e i canini
sporgenti… e poi loro,
Ranma e Akane. Un ragazzo, che mai avrei pensato di poter incontrare,
bello e
forte come uno dei personaggi della Marvel che tanto mi piacevano, e
anche
generoso ed eroico proprio come loro. E una ragazza, un’anima
affine che poteva
essere la sorella che non avevo mai avuto. Con Akane bastava uno
scambio di
sguardi, due occhi castani che si incontravano, per far scoccare quella
complicità tanto difficile -a detta di molti- da trovare, ma
che con lei era
semplicemente naturale.
A passi
incerti, ma non troppo, feci finta di dirigermi verso
l’albergo, imboccando il
sentiero sterrato che ci aveva condotti al lago, ma non appena fui
lontana da
qualsiasi sguardo indiscreto, mi diressi verso la foresta.
Akane
era la mia casa lontano da casa. Dovevo ritrovarla.
***
Che
idea
tremenda avevo avuto! Gli alberi sembravano tutti uguali e una leggera
nebbiolina densa e fitta accompagnava l’arrivo del
crepuscolo. Cosa avrei fatto
se fossi rimasta lì, sola e in mezzo al nulla, al calar
delle tenebre? Chi
sarebbe venuto a cercarmi? Di solito era Ranma a tirarmi fuori dai
guai, ma
questa volta ero io che dovevo fare qualcosa per lui. Mi sentivo sempre
più
sola.
Da
bambina avevo la passione per la lettura, un amore che è
rimasto anche in età
adulta. Leggevo tanto, tutto, e a volte vedevo i film ispirati ai
romanzi che
più mi erano piaciuti. Tra i miei libri preferiti, letti e
riletti fino a
consumarne le copertine, c’era stata la saga di Harry
Potter. Il piccolo
maghetto inglese mi aveva accompagnata nel passaggio
dall’infanzia all’adolescenza,
lasciandomi sulla soglia della maggiore età con la
consapevolezza di “essere
rimasta con Harry fin proprio alla fine”.
I film non mi erano mai piaciuti
più di tanto, ché si sa, i libri sono sempre
meglio, ma una frase in
particolare mi venne in mente, proprio mentre camminavo a tentoni nel
verde del
bosco:
“Un aiuto verrà sempre dato ad Hogwarts,
Harry, a chi lo richiederà!”.
E proprio in quel momento, una mano sulla spalla mi fece sussultare.
<<
Chi va là? >> Gridai spostandomi
più rapidamente possibile.
<<
Jude! Cosa ci fai qui da sola nella foresta? >> Era Ryoga.
Un
aiuto verrà sempre dato a Nerima, Jude, anche a chi non lo
richiederà!
Ok, non
eravamo proprio a Nerima, ma non potei fare a meno di pensarlo.
<<
Vi cercavo… >> risposi.
<<
Ma dico, sei matta? Poteva… potevi… Non farmi
più spaventare così tanto, per
favore! >> Aveva una mano sul petto e quasi il fiatone.
<<
Ryoga, scusami, non era mia intenzione, davvero. Ero in pensiero per
voi.
>> Il suo viso si intenerì << Tu
invece, hai trovato Ranma e Akane?
Dove sono? >>
<<
No, vedi, ecco…io… >>
<<
Sì? >>
<<
Mi sono…>>
<<
Sì? >>
<<
Perso! >>
Finalmente,
scaricando la tensione che trattenevo da quando avevo deciso di
lasciare il
lago per il bosco, risi. Risi a crepapelle.
<<
Non c’è niente da ridere! Questi alberi sono tutti
uguali! >>
<<
Ma come? Non sei un esperto viaggiatore? >>
<<
Lo sapevo che Ranma avrebbe avuto una cattiva influenza su di te,
appena lo
becco lo faccio secco! >>
<<
Se lo becchi. Dai, andiamo! >>
Presi lo
smartphone e mi affidai al flebile segnale del 3G: il navigatore
satellitare ci
avrebbe mostrato dove eravamo. Cominciammo a camminare, seguendo le
indicazioni, verso il centro della foresta, dove secondo la mappa sul
mio telefono
doveva esserci uno spazio aperto, forse una radura, con qualcosa di
grigio in
mezzo che noi interpretammo come delle grotte.
<<
Si può sapere cosa è successo? >>
chiesi mentre procedevamo cautamente
fra radici sporgenti e bassi rovi.
<<
Uhm, ti riferisci a Ranma? >>
Mi
limitai ad assentire con la testa mentre Ryoga mi teneva
l’avambraccio per non
farmi cadere dall’enorme masso che dovevamo scavalcare.
<<
È una storia lunga, Jude >> sospirò.
<<
Abbiamo tempo, penso… >>
<<
D’accordo allora… attenta! >>
gridò prendendomi al volo per il polso e
impedendo che cadessi rovinosamente. << Si scivola!
>>
<<
Grazie >> risposi mentre il cuore mi martellava nel
petto, forse per la
mancata caduta o forse per la vicinanza di Ryoga.
<<
Senti, facciamo così, non pensare male >> ed
enfatizzò quelle parole
muovendo le mani davanti a lui in segno di diniego <<
ma… dammi… dammi la
mano, per favore. Solo per non farti cadere. >>
<<
Per non farmi cadere… >> ripetei e gliela
porsi.
Ryoga era così, forte e gentile. Ricordavo ancora quando mi
aveva riportata a casa sulle spalle, durante l'alba che aveva seguito
la sera del
compleanno di Kodachi. Proprio come allora, anche in quel momento il
contatto
con lui mi faceva sentire bene. Non era imbarazzante, almeno per me,
ché dal
suo- seppur leggerissimo- rossore si evinceva altro. Sembrava quasi
giusto.
Ma poi
mi ricordai di Akane e della tenerezza con cui la guardava, e di Ukyo e
delle
attenzioni che le riservava. Non lo capivo e probabilmente non ci sarei
mai
riuscita. Era un tipo incredibilmente galante, come nemmeno il migliore
fra i
miei connazionali. Di bell’aspetto, garbato e cortese.
Praticamente perfetto.
Ma era anche timido e silenzioso, tanto riservato e introverso che a
volte
pareva quasi chiuso e scostante. Era difficile capire i suoi pensieri e
ancor
più difficile capire se i suoi gesti fossero dettati
dall’educazione o piuttosto
dal desiderio. Nonostante questo, gli porsi la mia mano e lui la
afferrò senza
esitazione alcuna.
Iniziò a
camminare davanti a me, concentrato su dove farci mettere i piedi, con
una mano
teneva saldamente la mia mentre con l’altra spostava di tanto
in tanto fronde e
rami particolarmente sporgenti. Frenò qualche altra mia
scivolata e poi riprese
il racconto:
<<
Qualche tempo fa Akane decise di visitare nuovamente Ryugenzawa dopo
aver visto
uno spot televisivo. Ci era venuta spesso da bambina, con tutta la
famiglia,
quando la madre era ancora viva. >> Un’ombra
gli velò gli occhi verde bosco.
<< Così, dopo tanti anni e senza dire nulla a
nessuno, un giorno prese il
treno e venne qui dove rincontrò coso…
>>
<<
Shinnosuke? >>
<<
Quello. >>
<<
Ma perché ce l’avete tanto con lui?
>> Oltre a Ryoga, anche Ranma e Ranko
avevano dimostrato -apertamente- una certa ostilità verso
quel ragazzo il cui
unico difetto ai miei occhi stranieri poteva solo essere la troppa
gentilezza.
<<
No, ma figurati, è solo che non mi è molto
simpatico, tutto qui. >> Lo
guardai di sottecchi, per niente persuasa dalla vaghezza del suo tono.
Era
successo qualcosa in questo villaggio e, a quanto pareva, la colpa era
di
Shinnosuke. Cosa mai aveva potuto fare quel ragazzo così
carino? Sembrava che
tutti avessero una ragione per odiarlo. Ryoga riprese il discorso
lasciando
sospese tutte le mie domande: << Be’, insomma,
Akane rivide Shinnosuke
dopo tanti anni >>
<<
Quindi si conoscevano già? >>
<<
Sì, si erano conosciuti da piccoli. Vedi,
all’epoca
Shinnosuke viveva con il
nonno lì dove ora sorge la pensione in cui ci hanno
sistemati e Akane… Akane
era un guaio anche da bambina. Era vivace e si cacciava sempre in
qualche
pasticcio. Un giorno capitò qualcosa nella foresta, in
questa foresta, e fu proprio
Shinnosuke ad aiutarla >>
Non
dissi nulla ma immaginai un’Akane bambina che viene salvata
da un bambino con gli
occhi azzurro chiaro.
<<
Solo che, nell’aiutare lei, lui si fece male e quando, molti
anni dopo, Akane
lo venne a sapere, decise di rimanere qui. Lo sai
com’è Akane, deve salvare
sempre tutti! >>
Riflettei
bene su quelle parole mentre il mio cantastorie mi accompagnava in una
porzione
di foresta più ombrosa, dove la luce del sole era ancora
più lontana e il calar
della sera appariva sempre più vicino.
<<
Ma a me sembra che sia lei a essere sempre salvata…
>> pensai ad alta
voce.
Ryoga si
fermò: << Oh no, è qui che ti
sbagli, Jude! Akane ci ha salvati tutti! In
primo luogo, suo padre, è grazie a lei se il dojo
avrà un futuro. Ce la
vedi Nabiki a gestire una palestra di arti marziali? >>
ridemmo
all’unisono.
<<
E poi ha salvato anche Ranma, che prima di lei non aveva mai conosciuto
il
calore di una casa o di un’amicizia >>
Ricordai
di quando Akane mi aveva raccontato l’infanzia di Ranma,
passata in giro per il
Giappone e la Cina assieme a Genma e lontano dalla madre, per
apprendere tutte
le tecniche di combattimento possibili e ricevere un giorno la
qualifica di
Maestro di arti marziali. Giorno che non era così lontano,
avrei scoperto poco
dopo.
<<
Ranma era uno zoticone prima di conoscere Akane, non che sia migliorato
molto
in realtà, ma è meglio di prima, te lo posso
assicurare! >> rise, poi
aggiunse: << E infine, ha salvato anche me,
“l’eterno disperso” come mi
chiamano tutti. Grazie a lei ora sono un po’ meno
disperso… >>
Lo
guardai socchiudendo appena gli occhi, in una muta richiesta.
<<
Oh, andiamo, Jude! Non voglio annoiarti con la storia della mia vita!
>>
rise di nuovo, stavolta leggermente imbarazzato.
<<
Non mi annoi! >>
<<
No dai, ti prego, non farmi parlare di me, mi… mi vergogno
>>
<<
D’accordo >> gli strinsi un po’
più forte la mano e ripresi il discorso
da dove eravamo rimasti: << Insomma, Akane voleva salvare
Shinnosuke e
decise di rimanere a vivere con lui? >>
<<
Sì! Ovviamente Ranma partì per venirla a cercare
e… >> Ryoga esitò.
<<
E…? >> lo incalzai, curiosissima di conoscere
il finale.
<<
Oh Jude, credo che ci siamo persi! >>
Troppo
presa dalla storia infatti, non avevo più fatto caso al
telefono e mi ero
lasciata guidare dalle parole e dai passi del mio accompagnatore, senza
pensare
però che -e Ranma, fra il serio e il faceto, me lo aveva
detto più volte- Ryoga
aveva davvero il senso dell’orientamento
di una bussola che confonde il Nord
con il Sud.
Ci
fermammo fra gli alberi, lui pareva quasi mortificato mentre a me
veniva da
ridere.
<<
Non li troveremo mai di questo passo! >>
sibilò a denti stretti <<
Che palle! >>
<<
Dai, continuiamo a camminare! Tanto nemmeno prima sapevamo dove stavamo
andando
>> dissi ancora ridendo mentre lui mi guardava con gli
occhi da cane
bastonato.
<< Continua il
racconto, per favore
>> e ancora mano nella mano, riprendemmo quella che
pareva più una
passeggiata che una missione di ricerca.
<<
Non c’è molto altro da dire. Ranma era a pezzi,
pensava di averla persa per
sempre. Anche io ero qui, sai? In uno dei miei viaggi. Ranma lo ripete
sempre,
e per una volta ha ragione, non ho un buon senso
dell’orientamento, mi ero
perso anche quella volta >> sorrise impacciato
grattandosi la nuca con un
dito, poi tornò serio.
<< Ero qui e ricordo fin troppo bene come sono
andate le cose. Akane non voleva sentire ragioni, non voleva tornare a
casa,
per poco non successe davvero. Ricordo anche gli occhi di Ranma
così tristi e
delusi. In tutta la mia vita, l’ho visto così,
come spezzato in due, solo in
questa e in un’altra occasione. >>
L’immagine
di Ranma, per una volta privo di quella forza -fisica e morale- che era
la sua
caratteristica dominante, mi fece quasi mancare il fiato.
Ranma
disperato.
Ecco il
perché di tanto malumore quella mattina, ecco quali erano i
ricordi che questo
posto, e Shinnosuke con lui, gli scatenavano.
Pensava
di averla persa per sempre.
Lentamente
rifece capolino nei mei pensieri quella domanda che mi tormentava da
mesi: cosa
c’era veramente fra Ranma e Akane? Mai avrei potuto
immaginare come era
iniziato il loro strano rapporto ma una cosa la vedevo bene, non avevo
bisogno
di immaginarla.
Ero
convinta, più che mai, che quei due fossero innamorati
l’uno dell’altra.
E chissà
perché non se lo dicevano. Era una cosa tanto bella quanto
semplice.
Riflettendoci
ancora un po’ pensai che per tutti, non solo per i miei due
amici, era
difficile esprimere i propri sentimenti. Che fosse evitando di toccarsi
o
semplicemente non professandoli, erano tutti -o quasi- molto riservati
su ciò
che nascondeva il loro cuore. Persino il dottor Tofu, che era
innamorato perso
e la portata del suo amore si sarebbe potuta distinguere dallo spazio
come la grande
muraglia cinese, aveva avuto bisogno di un piccolo aiuto per chiedere a
Kasumi
di sposarlo. Ryoga non aveva mai confessato il suo amore ad Akane e
nemmeno a
Ukyo, ammesso che ne fosse davvero innamorato; Kuno sosteneva di amare
tutte ma
non lo diceva mai a Nabiki e Ranma e Akane… be’,
loro non dicevano mai niente.
Mi ero sempre chiesta come mai, in un posto dove tutti sembravano
interessati a
loro due, loro non sembrassero interessati a nessuno. E la ragione
-ormai ne
ero convinta- era che probabilmente dovevano essere interessati
l’uno all’altra.
Se persino i miei occhi estranei erano riusciti a cogliere le
più profonde e
vivaci sfumature dei loro sentimenti, chissà quanto doveva
essere semplice per
chi li conosceva bene! E chissà se era semplice per loro,
chissà se lo avevano
capito, se si erano capiti.
<<
Quindi Ranma e Akane… >> stavo per chiedere,
quando un rumore ci bloccò
all’istante.
Una mano
sulla spalla, Ryoga mi tirò dietro un massiccio tronco
assieme a lui, nascondendoci.
Non era
solo un rumore, erano delle voci. Due voci in particolare, che si
urlavano
addosso.
Eccoli
lì, i protagonisti dei miei pensieri.
Akane era
poggiata con la schiena contro un albero e Ranma le stava di fronte, un
braccio
teso sulla corteccia e l’altra mano che gesticolava furiosa.
Lo
sguardo di lei era basso, diretto verso un lato e l’erbetta
scura che ricopriva
il suolo. Lui continuava a urlare frasi in giapponese ed io non avevo
idea di
cosa stesse dicendo, ma non sembrava avercela con lei, più
con tutto il resto.
All’improvviso Akane si staccò dal tronco e
cominciò a urlare a sua volta,
sconvolta e paonazza in viso, contro il ragazzo che le stava di fronte.
Ranma
non indietreggiò di un passo ma le rispose a tono, facendola
rimanere
sorprendentemente in silenzio.
Un silenzio carico di attesa.
I due ragazzi si
guardavano negli occhi, non avrei saputo descrivere con quale
espressione, un
misto di rabbia, rammarico, tenerezza e mute richieste di comprensione
reciproca.
Ryoga ed
io ci scambiammo una furtiva occhiata silenziosa: “non
disturbiamoli” e
tornammo a guardare la scena.
Lo
spazio di un secondo e le incertezze si dissolsero.
Le mie,
che erano solo curiosità, quelle più profonde di
Ryoga e -sicuramente-
qualunque incertezza avessero i cuori di quelli che -ancora oggi- posso
definire due fra i miei più cari amici.
Ranma aveva urlato quella che sembrava una domanda la cui
risposta avrebbe potuto cambiare le sorti
dell’umanità. Akane era
indietreggiata, colpita dalle parole di lui, e lo guardava con i grandi
occhi
sgranati. Aveva una mano sulla gola, come se volesse rispondere
qualcosa e non
sapesse come fare.
E allora
non lo fece.
Inaspettata,
si alzò sulle punte e, senza quasi sfiorarlo, lo baciò.
Lei con entrambe le braccia lungo i fianchi e lui con uno poggiato
ancora contro l’albero.
Ryoga,
la mano sempre più stretta sulla mia spalla, chiuse gli
occhi.
E
io
seppi.
***
(*)
Henry David Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi (Walden;
or Life
in the Woods), 1854
***
Ciao a tutti!
“Chi non muore si
rivede” non potrebbe essere più appropriato.
Vi do un indizio,
ricominciamo dall’inizio, mi presento: sono Aron_oele e sono
una ragazza. Anche
se siamo nel fandom di Ranma 1/2 e quindi ci sta, è sempre
molto divertente per
me quando mi chiedete se sono un ragazzo. So che quell’
“Aron” può confondere
ma il nickname è solo il mio nome al contrario. Per cui,
ciao a tutti, sono
Eleonora.
La genesi di questa
mia storia è un po’ strana e anche vecchia. Vi
dico solo che l’ultimo capitolo
porta la dedica “a Margherita, benvenuta fra noi” e
fra un po’ Margherita andrà
a scuola! Che vergogna!
Un giorno, per caso,
sono capitata su questo sito e, dopo aver letto tante meravigliose fan
fiction,
ho provato anche io. Questa che, se siete arrivati fin qui, avete
letto, è
l’ultima. Questo capitolo, l’undicesimo,
l’ho cominciato nel 2017, mentre ero
in Erasmus. La prima parte, fino a quando non arrivano a Ryugenzawa,
è stata
scritta allora. Poi l’ho lasciata di nuovo, ché
non avevo più voglia, e l’ho
ripresa nel 2018, ho scritto un altro pezzetto, e l’ho
abbandonata di nuovo lì,
dimenticata. Qualche settimana fa, grazie a
“qualcuno” che ha mandato un nuovo
disegno stupendo, ho cominciato a pensare “daje su,
finiscila!”. E ho finito il
capitolo.
Voi direte, cinque anni per scrivere questa roba?
Più o meno. Non ho
grandi pretese, non voglio il Nobel per la migliore fan fiction del
mondo,
scrivo quando ho l’ispirazione e la voglia. Ed è
tornata. Scrivo perché mi
piacciono Ranma e le fan fiction, quello non è mai
passato.
Promesso che non
farò come chi scrive un capitolo ogni anno, è
giusto che la finisca e sfrutterò
questa ondata di improvvisa ispirazione/voglia.
A proposito, per
finire il capitolo e cercare di mantenere lo stesso stile, me la sono
riletta
tutta e ho cambiato qui e lì qualcosa che non suonava,
qualche virgola,
incongruenza o refuso che ho notato. Non ho voluto cambiare
null’altro (perché
l’avrei stravolta potendo), ma ho preferito rispettare la me
di cinque anni fa,
alla quale quelle cose piacevano.
Se notate che la mia
scrittura sia tutto d’un tratto migliorata, non sono io,
è tutto merito della
mia fantastica Beta: Gretel85.
Grazie, ad occhio e
croce, per un milione e cinquecento mila cose, ma più di
tutto perché senza di
te non scriverei nemmeno la lista della spesa.
Volevo fare anche
una sorta di piccola introduzione, perché sono una vergogna
e ho fatto passare
cinque anni dall’ultimo capitolo, e non pretendo certo che vi
ricordiate le
elucubrazioni della mia mente, ma se rileggo un’altra volta
dall’inizio mi
viene la nausea, e addio sogni di gloria. Quindi, se vi fa piacere,
leggetela
dall’inizio, tanto è ‘na cosetta
leggera, senza pretese. A me ne farà
moltissimo.
Passiamo alla parte
strappa lacrime.
Quando mi iscrissi
su Efp mai, mai e dico mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe
rivelato ciò
che poi è stato. Qui ho incontrato dieci di quelle che
ancora oggi considero le
mie persone preferite.
Le “Ladies”.
Ed è a loro che
dedico questo “nuovo inizio”.
Perché, se la voglia
di scrivere fan fiction è passata, la loro amicizia invece
è rimasta.
Per sei
lunghissimi anni queste ragazze hanno letteralmente accompagnato la mia
vita,
ed io la loro. Le ho viste (non in senso metaforico, bensì
letterale) crescere,
trasferirsi, sposarsi, fare figli.
La Margherita dell’ultimo capitolo
proprio
oggi ha fatto un video per la “Zia Ele”.
E allora, in ordine
del tutto casuale:
Ad Antonella,
al suo
Lele amore della zia con gli occhi belli come la sua mamma.
A Karmy,
a Viola
(che una fan fiction dalla zia scema l’ha già
ricevuta, povera lei!) e alla
piccola Luna.
A Faith,
la mia
Sweetins, al suo Lucifero (non mi sono ancora arresa e ad oggi spero
tanto sia
Tom Ellis!), ai nostri stritoli, ai suoi capelli rossi che Ranko
spostate.
Ad Antonella,
la mia
Akane-San, una forza della natura, ai nostri soprannomi e ai suoi
bronci.
A Stella,
alle
letture condivise e ai marinai (non dimentico!).
A Chiara,
una
bellezza gira mondo, ai suoi traguardi e ai suoi successi, niente di
più
meritato.
A Vale,
il mio
“amor”, alla complicità che con lei
trovo solo a guardarci, a Milano e a Roma e
speriamo presto anche a Torino, alla voglia che torna e alle promesse
belle.
A Lally,
al suo
nuovo inizio, alle parolacce e agli audio, ai vestiti e alle maschere
di
bellezza.
A te,
brutta
stronza, il capitolo con Shinnosuke te lo avevo promesso.
Eccolo qui, è ancora
per te.
E, il meglio -si sa-
arriva alla fine, a Gretel,
la mia Carotina adorata. Alle infinte confessioni,
ai consigli, agli audio, alla principessa Elsa, a Geppo, ai fiorellini,
al
Brancamenta, alle fotografie, ai video, alle terrazze, a tutto. Per
tutto.
Grazie,
amiche.
A tutte le altre,
Giusy, Conny,
a chi si è perso, a chi è rimasto.
Spero che questo sia
un nuovo inizio anche per voi, perché non ci sarebbe niente
-o quasi- che mi
farebbe più felice di tornare a leggervi.
E anche un po’ a
voi, a chiunque passerà di qui, ai vecchi lettori che
diranno “toh guarda” e ai
nuovi, se ne avrete voglia.
Io sono qui, e mi sa
che ci rimango per un altro po’.
Nel mentre,
scusatemi per tutto, ma ve l’ho detto anche nel titolo che
sono
distratta.
A presto, questa
volta per davvero,
E.
Ps: Ho due fan art,
meglio definibili come capolavori,
della bravissima e talentuosissima Spirit99,
ma Tynipic ha deciso di smettere di esistere in questi cinque anni. Non
fosse
altro che per rendergli un minimo della giustizia che meritano, se
qualcuno sa
come fare please help! Grazie!
|
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Capitolo 12 *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Nessuno
parlò mai di quel
bacio.
Ryoga, riaperti gli
occhi, fece scivolare la presa fino alla mia mano e mi
trascinò via, lontano.
Lontano da Ranma e Akane.
Lontano dalle mani di lei
che si intrecciavano sulla nuca di lui.
Lontano dalla presa di
lui che si faceva più insistente sui fianchi di lei.
Lontano dalle gambe di
lei che si avviluppavano attorno al corpo di lui.
Lontano da lui, che la
spingeva contro il tronco dell’albero e lontano da lei, che
aveva il fiato
sempre più corto.
Lontano dal loro bacio,
che si faceva più travolgente.
Lontano dal loro bacio,
che non seppi mai se fosse stato il primo ma non avevo bisogno di
sapere che
non sarebbe stato l’ultimo.
<< Piano!
Non riesco a starti dietro! >> gridai con quel poco
d’aria che mi era
rimasta in corpo, mentre il mio compagno correva quasi senza toccare la
terra
con i piedi.
<< Oh.
Perdonami, Jude, io… >> era come in trance.
<< Fermati
per un secondo! >> gli posai una mano sul bicipite teso,
lasciato
scoperto dallo smanicato verde oliva che indossava e contratto per via
della
posa assunta. << È così doloroso?
>>
Ryoga mi guardò
come si guarda qualcuno per la prima volta. Sembrava rendersi
conto per
la prima volta.
<< No.
>> rispose solamente, con una fermezza insolita per lui.
<< Come?
>>
<< No. >>
<< No, cosa?
>>
<< No, non è
doloroso, per niente. Anzi quasi non mi interessa! >>
fece spallucce.
<< Ma… Bah!
Ryoga, io proprio non ti capisco! >>
<< Cosa non
capisci, Jude? >> chiese ingenuamente.
<< Il modo
che hai di comportarti! Un giorno sembra che tra te e Ukyo ci sia
qualcosa di
più che una semplice amicizia, e però hai anche
una ragazza che ti aspetta in
una città di cui solo Dio sa il nome; poi guardi Akane che
bacia Ranma e per
poco non ti viene un coccolone! Sei un po’ confuso, ragazzo
mio! >> quasi
strillai senza rendermene conto.
Ryoga mi
guardava
sbigottito, come se fossi un’aliena o come se non capisse
quello che gli stavo
gridando contro. E
non aveva tutti i torti, dato che nemmeno io sapevo perché
gli stessi dicendo
quelle cose, né chi o cosa mi avesse fatto credere di avere
il diritto di
attaccarlo in quel modo.
<< Scusami
>> sussurrai abbassando la testa, <<
Io… non volevo… non ho nessun
diritto di… >>
Ma Ryoga mi
sorprese ancora una volta e scoppiò in un’enorme e
fragorosa risata, come il tuono
di un improvviso temporale estivo. I suoi tipici canini sporgenti
brillavano
scoperti e quella vista, non so perché, riusciva sempre a
rassicurarmi.
<< E ora che
c’è da ridere? >> chiesi fingendomi
irritata, ma in realtà l’inizio di un
sorriso, che ben presto si sarebbe trasformato in risata,
già appariva anche
sulle mie labbra.
Ryoga portò una
mano a grattarsi la nuca: << In realtà lo
capisco, Jude >> disse
quasi imbarazzato, << Nemmeno io comprendo me stesso il
più delle volte!
>> e sorrise con un nonsoché di tenero
nell’espressione. Poi continuò:
<< Mi sono innamorato di Akane tanti anni fa…
che poi, innamorato è un
parolone. Credevo di essere innamorato, ma la mia era solo una
fissazione. Mi
sono sempre sentito un po’ emarginato per via del mio stile
di vita, e Akane è
stata la prima a mostrarmi gentilezza. Gentilezza che io ho prontamente
confuso
per affetto e… non so nemmeno io come sia stato possibile,
ma ho creduto di essermi
innamorato. Mi ero ripromesso che non mi sarebbe importato con chi
avesse
scelto di vivere, io l’avrei amata per il resto dei miei
giorni. Tu mi conosci
ancora poco Jude, ma sono molto leale, la amavo a tal punto, o forse
dovrei
dire che ero fissato a tal punto, che sarei stato felice di poter
morire per
lei (1). >> esclamò fissando con
intensità un punto lontano, al di là del
bosco, al di là di Ryugenzawa, chissà dove.
Questa
dichiarazione mi commosse tanto che mi vennero gli occhi lucidi e Ryoga
se ne
accorse subito.
<< Ora non
piangere, ti prego! Non volevo farti piangere, che frana che sono!
>>
disse avvicinandosi.
Io mi asciugai
istintivamente gli occhi e negai con un cenno della testa:
<< Non sto
piangendo. Sono solo un po’ commossa! Quello che hai detto
è così…>>
Alzai lo sguardo
fino a incrociare i suoi occhi, che ora parevano essersi fatti
più scuri; si
stava di nuovo grattando la nuca, lo faceva sempre quando era in
imbarazzo.
<<…dolce.
>> terminai la frase guardandolo profondamente. Non
sapevo esprimere
quanto quelle parole mi avessero toccato dentro, così cercai
di comunicarglielo
con lo sguardo.
Ryoga parve
comprendere: << Oh, Jude >>
sussurrò.
<< Ryoga
>> feci eco io.
E ci fu quello che
noi americani chiamiamo “a moment”,
un momento, il momento.
Un lampo
improvviso guizzò fra i nostri sguardi e, prima che me ne
potessi accorgere,
Ryoga aveva entrambe le mani sulle mie guance e mi stava baciando.
Era stato strano
come l’amore che provava per un’altra ragazza
l’avesse reso migliore ai miei
occhi, ma quelle parole, così dolci, così cariche
di sentimento -anche se lui la
definiva fissazione- così buone e gentili, mi avevano
colmato il cuore di una tenerezza
disarmante.
Ryoga era un amante
meno timido di quello che si poteva pensare e invero più
appassionato. Il
calore del suo corpo così vicino al mio era stordente, ora
che la sera ci aveva
quasi raggiunti nel cuore del bosco. Le sue mani erano grandi e
rassicuranti e
incorniciavano il mio viso con estrema delicatezza. Premette le labbra
sulle
mie, incastonandole alla perfezione. Restammo così, due
punti fermi nel turbinio
del mondo. Quando si staccò da me, era leggermente rosso in
viso mentre mi
guardava di sottecchi con un sorriso affatto imbarazzato.
Indietreggiò di
qualche passo e si lasciò cadere su un masso lì
accanto, io mi misi a sedere
vicino a lui.
Sorrisi. Non volevo
dare un nome, definire, quello che era appena
successo. Andava bene
così: un bacio con Ryoga in mezzo alla foresta di
Ryugenzawa, quasi alla fine
della mia estate giapponese. Un bacio improvviso, incontrollato o forse
incontrollabile, tenero come lui, frettoloso come me. Mi girai a
guardarlo
mentre ancora sorridevo, lui fece lo stesso e scoppiammo a ridere.
Andava bene così.
<< Egao
ga suteki desu ne (2) >> dissi tentennando un
po’.
<< Yoku
yatta (3), Jude! >> rispose lui felice
<< La tua pronuncia è
molto migliorata! E, comunque, grazie, anche il tuo >>
aggiunse.
Aspettammo un
altro po’, seduti scomodi su una roccia mentre guardavamo ora
il panorama ora i
nostri sorrisi reciproci.
<< Quindi mi
pare di capire che tu stia bene, giusto? >> mi feci
coraggio.
<< Ti pare
di capire? >> chiese lui con il tono a metà
fra l’ironico e il divertito.
<< Sì… nel
senso… per il bacio di poco fa… >>
<< Quale
bacio? >> un sopracciglio alzato e un angolo della bocca
piegato in un sorriso
timido ma sarcastico.
Mi coprii il viso
con le mani, scoppiando di nuovo a ridere e lui mi seguì in
un secondo.
<< Quindi
non ti ha fatto male? >> chiesi quando riuscii a tornare
seria.
<< No, non
mi ha fatto male. In fondo, Jude, me lo aspettavo, sai? Quei due
sono… >>
<< Pazzi.
>> conclusi io per lui. Allora non sapevo dire se pazzi
l’uno per
l’altra, pazzi perché lo nascondevano, pazzi
perché se lo nascondevano o
pazzi e basta, ma come ormai era consuetudine, Ryoga ed io ci
intendemmo solo
con lo sguardo. Sarebbe arrivato il momento in cui uno di quei
capoccioni mi
avrebbe raccontato la storia infinita del loro turbolento amore, ma non
era
questo il giorno (4).
<< E l’altra
ragazza con il nome che comincia per “A”?
>> sentivo improvvisamente il
bisogno di sapere sempre di più, di incastrare i pezzetti
del puzzle e vedere
finalmente il quadro completo.
<< Lei è
stata la seconda persona ad essere gentile con me, dopo Akane. Anzi, a
dirla
tutta, Akari si era proprio innamorata di me! >> disse
ridendo, tornando
a compiere il solito gesto sintomo di un leggero imbarazzo.
<< Sai, se
non sei un Dongiovanni come Ranma e tutte le ragazze carine non cascano
ai tuoi
piedi, allora la prima che dimostra interesse per te ti sembra un
angelo caduto
dal cielo. Ad un certo punto, quasi due anni fa ormai, mi fu
chiarissimo che
non ero io quello per cui batteva il cuore di Akane, e
così… >>
<< Ti sei
fatto consolare da Akari. >>
<< Esatto.
No! No! Io non potrei mai! >> si alzò di
scatto.
<< Sto
scherzando, Ryoga! Lo so che non sei il tipo da fare queste cose
>>
Tornò a sedersi
accanto a me: << Jude! >> mi
rimproverò bonariamente, guardandomi
con la coda dell’occhio mentre assumeva una posizione
più rilassata stendendo
le gambe e tirando indietro le braccia. << Non mi sono
“fatto consolare”
da Akari, però volevo che qualcuno mi volesse bene come
Akane ne voleva a…
>>
<< Ranma.
>>
<< Sì,
esatto. >>
Avevo ormai
capito, anzi sapevo, che in Giappone quella che tutti gli stranieri
scambiano
per timidezza, in realtà è riservatezza.
Riservatezza nei rapporti, riservatezza
nei sentimenti, riservatezza nelle parole. La parola data ad un
giapponese, è
data per sempre. C’è un’attenzione tutta
particolare per le parole e sarà per
questo che hanno una lingua così bella e descrittiva. Sapevo
che Ryoga non
avrebbe detto nulla, e che loro non avrebbero detto nulla, ma in
qualche modo
tutti lo sapevano.
C’era un tacito
accordo fra tutti i membri di quella strampalata cerchia di amici e
parenti, un
tacito accordo che imponeva loro di non dirlo mai ad alta voce, ma
tutti lo
sapevano. Anche se qualcuno cercava di non badarci, anche se qualcuno
non lo
voleva vedere e anche se qualcun altro invece ogni tanto cercava di
tirarlo
fuori, ormai tutti lo sapevano.
Ryoga fissava una
stella lontana che ci salutava nel cremisi del tramonto, era pensieroso.
Mi girai per
guardarlo meglio e notai una ferma risolutezza nei suoi occhi. Quella
che Ryoga
provava in yiddish si chiama “fargin”:
la sincera felicità per il
successo di qualcun altro, in questo caso del suo miglior nemico e
della
ragazza che un tempo aveva creduto di amare. Annuii inconsapevolmente e
tornai
a guardare la radura davanti a me. Persino io, in una sola estate, mi
ero
accorta del legame che esisteva fra quei due, ma quanto in
realtà quel legame
fosse profondo, l’avrei saputo solo dopo.
<< E con
Ukyo invece? >>
A Ryoga andò quasi
di traverso la sua stessa saliva.
<< Non c’è
niente fra me e Ukyo, Jude! Posso assicurartelo! >>
Lo guardai con un
sopracciglio alzato, a mo’ di sfida, e lui rispose
impacciato: << In
realtà non c’è niente con nessuna,
altrimenti non avrei… >> disse, ma
senza guardarmi.
Istintivamente,
portai una mano sulle labbra: << Non ti sei
scusato…>>
<< Devo?
>>
<< Ti scusi
sempre per tutto! >>
Mi guardò nella
maniera più eloquente che avessi mai visto, così
mi affrettai ad aggiungere:
<< No, se lo volevi. >>
<< Lo volevo.
>>
<< Va bene
allora. Quindi con Ukyo non c’è niente?
>> risi.
<< Perché,
sei gelosa? >> rise anche lui. << No, non
c’è niente. Tutti credono
che ci sia complicità fra noi perché siamo i due
friendzonati per eccellenza.
In realtà la pensiamo entrambi allo stesso modo: abbiamo
fatto chiarezza sui
nostri sentimenti e siamo stati i primi a capire i loro. Se ci fai
caso, Ukyo
non è affatto insistente come Shan-Pu o Kodachi nei
confronti di Ranma, non
trovi? >>
<< È vero
>> ammisi.
L’indaco stava
sfumando nel viola e l’aria stava diventando ancora
più fresca. Non c’era quasi
più nessun rumore attorno a noi. La sera stava calando.
Chissà
se Ranma e Akane
erano tornati alla pensione. Chissà se gli altri avevano
rivolto loro le solite
risatine e battutine sceme e poco divertenti, chissà se
Ranma era tornato
trionfante con Akane fra le braccia o chissà se, ad aver
trionfato, questa volta
era stata lei.
“Deve
sempre
salvare tutti”, mi tornarono in mente le parole di
Ryoga.
E per un attimo
pensai a Ranma e Akane, e a tutta la timidezza e la tenera goffaggine
di quando
facevano qualcosa di dolce l’uno per l’altra.
Immaginai Ranma, impacciato, con
il viso rosso e l’espressione imbronciata, mentre teneva per
mano un’Akane
sorridente come una bambina cui è stata perdonata una
marachella. Lo immaginai
serio e imbarazzato mentre la trascinava via camminandole davanti per
non
rischiare di incrociare il suo sguardo. E infine, lo immaginai mentre
rimuginava su chissà quali parole, che di certo non poteva
dirle, mentre lei si
lamentava bonariamente: << Ehi, ma come mai te ne stai
zitto, Ranma?
>> (5)
<< Si sta
facendo tardi, presto sarà buio pesto; sbrighiamoci o faremo
fatica a ritrovare
la strada. >>
Le parole di Ryoga
interruppero il filo dei miei pensieri.
Lo guardai con un
sopracciglio alzato e un mezzo sorriso mentre mi porgeva una mano per
alzarmi.
<< So a cosa
stai pensando! >> esclamò cogliendo la mia
espressione e fingendosi
offeso.
<< Oh
davvero? E cosa? >>
<< Che anche
con la luce del sole mi perderei lo stesso! >>
<< Ma come
diamine avrai fatto a indovinare!? >> mi limitai a dire
prendendolo in
giro.
In realtà stavo
pensando che, se le strade le sbagliava sempre tutte, quella per le mie
labbra
l’aveva trovata senza alcuna difficoltà. Ma questo
non glielo dissi mai.
***
E così, i baci di
cui nessuno parlò più diventarono due.
Al nostro rientro
a casa, Ryoga partì per un viaggio di allenamento. Anche
Ranma si allenava come
un matto, visto che di lì a poco ci sarebbe stato un
importante… torneo? Gara?
Esibizione? In realtà, non avevo ben capito cosa fosse,
ciò che sapevo con
certezza è che tutti gli artisti marziali che conoscevo
erano affaccendati in
preparazioni e allenamenti di ogni tipo e le giornate per me scorrevano
in
maniera placida e - per la prima volta - anche un po’ noiosa.
La mia stanza era
piccola ma arredata con cura in perfetto stile nipponico. Carta di riso
e legno
chiaro dominavano
su uno sfondo bianco e blu di Persia, alternati di tanto in tanto a
qualche
dettaglio verde bambù. Non c’erano quadri, solo
dei grandi fogli scritti in
giapponese, incorniciati e appesi in fila sull’unica parete
libera. Non avevo
idea di cosa ci fosse scritto, e non avevo mai pensato di chiederlo, ma
riuscivo a distinguere il nome di Ranma scritto in hiragana,
il primo
alfabeto della lingua giapponese. Nel corso della mia permanenza, avevo
trovato
molta difficoltà nell’imparare a scrivere nella
lingua locale. Quei segni
tondeggianti e magnifici erano tremendamente faticosi da riprodurre:
per ogni
simbolo, infatti, c’è tutto un rituale da seguire,
e ciascuna sillaba deve
rispettare un preciso ordine. Pertanto, non solo è difficile
apprenderne le
forme e il significato, ma anche la corretta sequenza di scrittura.
Tuttavia, i
nomi dei componenti della mia famiglia adottiva erano ormai diventati
abituali per
me e li sapevo scrivere e riconoscere senza difficoltà.
Così, ero certa che
quei bei fogli grandi fossero gli attestati di arti marziali che Ranma
aveva
vinto nel corso degli anni. Quella che io chiamavo la mia stanza, era
infatti
la stanza di Ranma, che mi aveva gentilmente ceduto per tornare a
dormire con
suo padre.
Il giorno che sto
per raccontarvi, fu il giorno in cui la salutai per sempre.
Me ne stavo
distesa sul futon, incerta se mandare o meno un sms a Ryoga. Non che
utilizzasse molto il telefono, ma da quando era partito mi aveva
inviato solo
due messaggi: uno per rassicurarmi di non essere finito - di nuovo - in
Russia
e l’altro per informarmi sull’andamento dei suoi
allenamenti. Non aveva più
accennato al bacio che mi aveva dato, come se fosse rimasto sepolto
nella
foresta assieme a quello di Ranma e Akane e al ricordo di entrambi, e
io cominciavo
a chiedermi se per caso non se ne fosse pentito davvero alla fine.
Il giorno dopo il
nostro ritorno ero uscita a comprare dei souvenir con Alexander, che
era stato
particolarmente dolce con me in quell’occasione, finendo col
mandarmi in
confusione, e al mio rientro avevo scoperto della partenza di Ryoga
solo grazie
a un’incauta uscita di Ranma.
Da quel momento erano
passate due settimane.
Due settimane e
due messaggi.
Due, come i
ragazzi nei miei pensieri.
Fin dall’inizio, avevo
capito che Alexander provava un certo interesse per me. Era chiaro da
tutti i
momenti che riusciva a trovare per fumare una sigaretta da soli, da
tutte le
felpe che mi aveva prestato per scaldarmi, e da tutti gli sguardi
teneri che mi
riservava. Avevo capito e apprezzato le sue attenzioni e, in cuor mio,
avevo
sempre pensato che alla fine sarebbe successo qualcosa. E invece, era
stato quel
ragazzo timido, educato e per me spesso indecifrabile, a entrare
prepotentemente
nei miei pensieri e, alla fine, mi aveva addirittura baciata!
Forse Alexander
sarebbe stato più giusto per me; in fondo saremmo tornati
nello stesso Paese e
New York e Boston non erano troppo lontane. Ma non riuscivo
più a non pensare a
quegli occhi verdi che a volte avevano l’espressione di un
cucciolo bastonato,
mentre altre brillavano di fierezza.
Bel casino Jude,
complimenti!
Mentre rimuginavo
su tutto questo e continuavo a cancellare e riscrivere
l’incipit di un
messaggio, qualcuno bussò gentilmente alla porta.
<< Avanti!
>> dissi mettendomi a sedere.
Kasumi entrò con
una tazza di tè, chiedendo se poteva parlarmi con
un’espressione molto seria dipinta
in volto.
<< Volevo
sapere se non ti sarebbe di troppo disturbo trasferirti nella stanza di
Akane
quest’ultima settimana… >>
cominciò, << Non te lo chiederei mai, ma
il fatto è che Ranma dovrebbe tornare a dormire qui
perché…>>
<< Ok! >>
la interruppi sorridendo << Non devi darmi nessuna
spiegazione, è casa
vostra. Se per Akane va bene, per me non c’è
nessun problema! >>
<< Oh,
grazie mille Judith! Sei una ragazza molto cara! >> disse
lei posandomi
entrambe le mani sulle spalle e sorridendo radiosa, come se si fosse
tolta un enorme
peso.
“E così sto per
conoscere un altro personaggio…” pensai subito
dopo.
“L’ultimo”
mi corresse una vocina dentro di me.
Quella stessa sera
Ranma mi aiutò a spostare valigia e futon nella stanza di
Akane e mi sistemai
lì per l’ultima settimana che avrei passato a casa
Tendo-Saotome.
<< E così
adesso siamo come coinquiline! >> squittì
felice la mia amica, mentre
sistemavo qualche vestito nei cassetti che aveva prontamente svuotato
per me.
<< Sì!
>> esultai contagiata dalla sua allegria e lei, per tutta
risposta, tirò
fuori un post-it dal cassettino della scrivania, ci scrisse sopra
“& Jude”
e lo attaccò alla paperella di legno che, appesa alla porta,
segnava l’ingresso
nella sua stanza recando inciso il nome “Akane”.
<< Sono
proprio felice che tu sia qui, sai? Visto che Ranma abita con noi, non
ho mai
voluto chiedere a nessuna delle mie amiche di rimanere a dormire qui,
ma mi
piacciono tanto i pigiama party! Ti va se ci facciamo una maschera di
bellezza?
>>
Acconsentii ben
volentieri, magari mi avrebbe distratto anche dai miei confusi pensieri
in
materia di ragazzi.
<< Sono
contenta che torni la zia Nodoka! >> aggiunse poi, mentre
era intenta a
spalmarmi l’argilla verde con un pennello che faceva il
solletico.
<< La zia
Nodoka? >> ribattei con curiosità.
<< Ma come,
non te l’hanno detto? >>
<< No,
veramente no. Kasumi mi ha solo chiesto di spostarmi qui e io non ho
voluto
spiegazioni >>
<< Ah!
Caspita! Allora non sai che sta arrivando Nodoka, Nodoka Saotome!
>>
<< Saotome?
Ma allora… >>
<< Sì! È la
moglie di Genma, la madre di Ranma! >> rispose Akane alla
mia domanda
implicita.
Mentalmente feci
un rapido calcolo: se Nodoka Saotome era la madre di Ranma, e Akane la
chiamava
“zia”, allora Ranma e Akane dovevano essere cugini!
Involontariamente sgranai
gli occhi: Ranma e Akane erano cugini e si erano baciati! Non che fossi
una
ragazza particolarmente tradizionalista, la storia e la letteratura
erano pieni
di matrimoni fra cugini solo che, insomma, di questi tempi non sono
cose che si
sentono tutti i giorni! Ranma e Akane erano complicati, avevano un
rapporto
particolare e unico nel suo genere, ma non mi sembrava affatto quello
fra due
cugini.
Si volevano bene,
questo ormai sarebbe parso chiaro anche a un cieco, ma il loro affetto
non
aveva niente di fraterno.
Mi crucciai,
inconsapevolmente, perché Akane mi chiese titubante:
<< Tutto bene, Jude?
>>
<< Sì! Sì!
>> mi affrettai a rispondere non volendo dare
l’impressione di giudicarli
<< Non avevo capito che Ranma fosse tuo cugino!
>> aggiunsi
sorridendo impacciata.
<< Ma Ranma
non è mio cugino! >> gridò lei
quasi con orrore.
<< Oh,
scusami… è che hai chiamato sua madre zia,
quindi… >>
<< No, no.
>> sorrise << È solo un modo
affettuoso di chiamarla, non siamo
veramente parenti! >>
“E per fortuna”
aggiunsi mentalmente spostando lo sguardo verso lo specchio: avevo
tutto il
viso ricoperto di verde, una fascia di spugna rosa a tenermi a bada i
capelli e
l’espressione più comica che avessi mai visto.
Scoppiai a ridere da sola.
Akane si unì
subito e ridemmo a crepapelle, seppur per motivi diversi.
<< Non posso
credere che tu abbia pensato che io e Ranma potessimo essere cugini!
>>
esclamò poi continuando a ridere senza sosta, come se fosse
una cosa davvero
assurda.
<< Perché
scusa? >> domandai con finta noncuranza e un pizzico di
malizia; del
resto, Akane non sapeva che io avevo assistito al loro bacio nella
foresta.
<< Perché…
perché… io e Ranma… non possiamo
essere cugini e basta! >> balbettò imbarazzata.
<< Mmm…
>> finsi di pensare, << vivete sotto lo
stesso tetto, avete un bel
rapporto… se non siete parenti allora Ranma
è… >>
<< …
complicato! >> finì lei la frase e corse in
bagno.
Questo mise fine
alla discussione e io rimasi seduta sul suo letto a ridacchiare e a
complimentarmi da sola. “Effetto Nabiki” pensai fra
me e me.
Quando tornò, con
il viso pulito e lucido, decisi di non riprendere il discorso ma invece
le
chiesi come mai “la zia Nodoka” fosse via per tutta
l’estate.
<< È una
grande esperta di katana, una delle tradizionali
spade giapponesi, e ha
tenuto una summer school a Okinawa quest’anno. È
formidabile sai? C’è stato un tempo
in cui era concesso solo agli uomini combattere, soprattutto con
l’uso delle
armi. Il simbolo dei famosi samurai era proprio il daishō:
la coppia
delle spade che venivano portate all’obi,
formata dalla wakizashi
e dalla katana. Tutt’oggi sono poche le
donne che si cimentano nell’arte
del combattimento con la spada e Nodoka ha dedicato la vita a questo
scopo. La
ammiro così tanto! >>
Rimasi così incantata
dalla descrizione che la mia amica stava facendo di quella donna tanto
affascinante, che ne volli sapere di più: << E
com’è lei? >> chiesi
quindi.
<< Oh, è
meravigliosa, vedrai! Solo un po’ fissata con la
virilità… >>
<< In che
senso “fissata con la virilità”?
>>
<< Ecco
vedi, sai già che Ranma da bambino venne portato via da
Genma per diventare un
grande esperto di arti marziali… >>
Annuii rapita
dalle sue parole.
<seppuku…
>>
<< Seppuku…
seppuku? Cioè come Yukio Mishima? (6) >>
chiesi sbigottita.
<< Sì
>> rispose lei sempre sorridendo << Il
rituale del suicidio
volontario. Ovviamente non credo fosse davvero seria, ma per anni ha
terrorizzato quei due poverini con questa storia! >>
concluse senza
riuscire a reprimere del tutto le risate.
<< Ha un
concetto un po’ particolare di “vero
uomo” diciamo… per quanto possa essere
moderna in certe sue attitudini, in altre invece è una donna
molto
conservatrice e amante della tradizione. Ranma si impegna sempre tanto
per
dimostrarle la sua virilità quando stanno insieme, ma lei lo
adora a
prescindere, si vede da come lo guarda… >>
continuò con aria sognante,
<< La separazione dal figlio deve esserle costata molto,
si sono riuniti
poco tempo fa e, da allora, Ranma non perde occasione per renderla
fiera di
lui. >>
Nel
raccontarmi questo ad
Akane vennero gli occhi lucidi. Senza dire niente, feci solo un cenno
di assenso
con la testa, per dimostrarle che avevo capito l’importanza
di quello che aveva
deciso di condividere con me. Non glielo dissi quella sera ma avevo
anche
capito, però, che il modo in cui lei parlava del rapporto
fra Nodoka e suo
figlio e l’importanza che a tale rapporto attribuiva, altro
non erano che
un’ulteriore conferma dei suoi sentimenti per Ranma.
Ci addormentammo
girate l’una verso l’altra, io nel mio futon e lei
nel suo letto dalle lenzuola
gialle. Scivolammo nel sonno con ancora in mente le mirabolanti
avventure di
Genma che tenta di fuggire dalla moglie e una strana storia su Ranma
che doveva
guardare Akane fare il bagno per compiacere il volere della madre e
dimostrarle
così la sua virilità.
Improvvisamente,
nel
cuore della notte, un rumore sordo mi svegliò. Di scatto mi
alzai a sedere illuminando la
stanza con lo schermo del telefono. La finestra aveva un’anta
aperta, dato il
caldo, e il rumore sembrava provenire da fuori. Mi alzai in punta di
piedi, ben
attenta a non svegliare Akane, mi sporsi per vedere se c’era
qualcuno in
giardino o se per caso qualche festone attaccato per
l’imminente matrimonio fosse
caduto da qualche parte, ma niente.
A volte, durante
la notte, sentivo gli allenamenti di Ranma, ma quella sera non mi
pareva ci
fosse qualcuno nel dojo. Un altro rumore, questa volta più
forte, attirò la mia
attenzione verso l’alto. Sembrava venire dal…
tetto? Mi ricordai che Akane mi
aveva raccontato che qualche volta, nelle sere d’estate,
Ranma saliva sul
tetto, proprio sopra la sua stanza, a fare cosa lei non lo sapeva.
Così gli scrissi
un messaggio: “Ranma, sei salito sul tetto?”
Dopo pochi
secondi, il mio cellulare vibrò: “Sì
Jude, sono io 😉 Ti ho
spaventata?”
“No, no, ho solo
sentito dei rumori… che ci fai lì?
“Ah ah ah! È
bellissimo qui, vuoi venire?”
Per un attimo
immaginai me stessa mentre cerco di salire su un tetto, imbranata come
sono
sarei di certo caduta se fossi stata da sola. Ma se c’era una
cosa che avevo
imparato, era che non esiste posto più sicuro al mondo che
in compagnia di
Ranma Saotome, quindi presi un cardigan leggero, me lo misi sulle
spalle e
risposi semplicemente “Ok”.
“Perfetto, cerca
di non svegliare quel maschiaccio di Akane, sennò chi la
sente domani. Esci
fuori, dove si trova la finestra della stanza di mio padre; accostata
al muro,
c’è una lunga scala. Vai lì, ti
aiuterò io a salire!”
“Arrivo 😊” e, senza badare
troppo alla vocina nella mia testa che mi intimava di tornarmene in
camera
perché sarei stata capace di rompermi una gamba anche in
compagnia dell’uomo
più forte di tutto il Giappone, seguii le istruzioni che mi
erano state date.
Quando arrivai davanti alla scala, Ranma si sporse dal tetto:
<< Ehilà!
>>
<<
Buonasera! >> risposi ridendo.
<< Terrò io
la scala, tu sali senza avere paura! Soffri di vertigini?
>>
<< No,
almeno credo… >>
<< Coraggio!
>> mi incitò e cominciai a salire.
Stranamente, come gli uccellini che si
posano sui rami più sottili, non temevo di cadere. Loro
ripongono la loro
fiducia nelle loro ali, io invece la riponevo negli enormi bicipiti di
Ranma
che reggeva la scala senza sforzo. Arrivata agli ultimi due scalini, il
mio
amico mi porse una mano e mi trascinò sulle tegole umide.
<< Occhio,
potresti scivolare. Reggiti a me >>
Mi aggrappai al
suo avambraccio con quanta forza avevo in corpo; percorremmo piano il
tratto di
tetto che ci separava da dove stava precedentemente e, una volta
arrivati, ci
mettemmo a sedere con le gambe incrociate.
<< Perché
vieni sempre da questo lato? >> chiesi, convinta del fatto che il motivo
fosse in qualche modo connesso alla posizione della stanza di Akane.
Tuttavia,
il mio interlocutore mi spiazzò completamente:
<< Questa parte del tetto
è rivolta a ovest, si vedono meglio le stelle, guarda!
>> e indicò con il
dito il cielo stellato sopra di noi.
Lo spettacolo che
avevo davanti era tanto imponente da non saperlo descrivere a parole.
Tokyo è una città
enorme, la metropoli più grande del mondo. Così
tanto che è divisa in ventitré
quartieri speciali. Non ha un vero e proprio
“centro”, data la sua vastità, ma
tutti i quartieri costituiscono una sorta di città nella
città: piccoli e
grandi, ognuno con i suoi parchi, i suoi templi e le sue attrazioni.
Nerima,
dove abita la mia famiglia adottiva, ha una peculiarità che
lo rende speciale:
di notte, nelle zone più lontane dalle vie dei negozi, la
luce dei lampioni è
così bianca e tenue che, dall’alto, permette di
vedere bene le stelle. Il cielo
che mi stava indicando Ranma era un misto di colori che spaziavano dal
ceruleo
al blu polvere, ricamato di infiniti puntini bianchi che indicavano le
strade
dell’Universo. La Via Lattea regnava sopra di noi,
mostrandoci le sue braccia
chiare senza vergogna, in un grandioso spettacolo che serviva a
ricordarci che,
invece, i puntini eravamo noi.
Un’esibizione, una
coreografia di luci e colori, uno sfavillio senza fine. Era
così bello che mi
mancava il fiato.
<< Wow!
>> fu tutto quello che riuscii a dire.
<< Te
l’avevo detto >> rispose Ranma continuando a
guardare in alto. <<
Non è meraviglioso? >>
<< Sì, lo è.
>>
Le luci delle
stelle che si riflettevano nei nostri occhi, l’odore della
notte, il silenzio
interrotto solo dal fruscio delicato del vento: tutto attorno a noi
suggeriva
poesia.
<< Non
pensavo ti piacessero le stelle >> sussurrai appena.
<< Mi fanno
pensare alle dimensioni
dell’infinito (7) >> rispose
sdraiandosi sulle tegole e piegando le braccia dietro la nuca a
mo’ di cuscino.
Feci lo stesso anche io e mi misi a guardare lo sfolgorio del cielo
notturno. Per
un po’ restammo in silenzio, un silenzio rilassato e
confortevole.
<< C’è molta
pace quassù >> dissi a un tratto, spezzando
quella sorta di incantesimo.
<< Questo è
l’altro motivo per cui ci vengo >>
scherzò Ranma << Ti sarai
accorta che la vita in questa casa può essere molto caotica!
>>
<< Oh se me
ne sono accorta! >> risi anche io.
<< Ci
mancava solo questo matrimonio! >>
<< Non ti
piacciono i matrimoni? >> domandai incuriosita da quella
strana
osservazione. Mi ero quasi abituata a stare da sola con Ranma e, col
passare
del tempo, le nostre chiacchierate erano diventate più
frequenti e piacevoli.
Avevo indirettamente imparato molte cose su di lui dai racconti di
Akane e
Ryoga, e ciò che non mi avevano detto loro, lo avevo
scoperto da me. Ranma era
estremamente protettivo nei confronti di tutti, soprattutto di Akane;
timido e
taciturno se si trattava dei suoi sentimenti, ma straordinariamente
arrogante e
sicuro di sé in caso di sfida.
Un amico leale e
una persona su cui si poteva fare ciecamente affidamento. Qualunque
cosa
potesse fare per aiutare una persona cara, lui l’avrebbe
fatta senza pensarci
due volte. Anche se a volte poteva sembrare che avesse a cuore solo i
suoi
interessi, alla fine dimostrava di tenere più agli altri che
a se stesso. Era
una persona buona, nel profondo dell’anima.
Spesso, tuttavia, sapeva
essere anche estremamente irritante e indisponente, ma era un
trascinatore
nato. Bellezza, forza e carisma erano doti che gli erano state regalate
alla
nascita e che lui alimentava con disciplina e dedizione in tutto quello
che
faceva.
Non mi era mai
capitato di incontrare un ragazzo così e ci avevo messo un
po’ di tempo per
comprendere il suo carattere, e soprattutto per smetterla di sentirmi
in
soggezione ogni volta che mi rivolgeva la parola.
Con il trascorrere
delle settimane avevo cominciato a notare che Ranma cambiava
atteggiamento a
seconda delle persone che gli stavano intorno: era estremamente
più irritabile
con Genma, Kuno o il maestro Happosai; ironico con Nabiki; impacciato
davanti a
Kodachi e Shan-Pu; dolce e gentile quando parlava con Kasumi e il
dottor Tofu;
simpatico con Ukyo; uno sbruffone patentato davanti ai suoi compagni;
rispettoso nei confronti di Soun e un completo deficiente - il
più delle volte,
o quasi - con Akane.
Con me, che ero estranea
a tutto questo e presto sarei tornata nel mio Paese portandomi via il
carico di
segreti che ognuno si sentiva di affidarmi, a volte Ranma dava
l’impressione di
essere più rilassato. Non di rado mi aveva confidato i suoi
veri stati d’animo,
quelli che custodiva gelosamente per sé, quasi potesse, in
mia presenza,
abbandonare la maschera che solitamente assumeva con tutti. Tuttavia,
non mi
sarei aspettata che quella domanda, che da mesi mi ronzava per la
testa,
avrebbe trovato risposta proprio dalle sue labbra.
<< Non
fraintendermi, >> continuò, <<
sono felicissimo per il dottore e
per Kasumi. È solo che… i matrimoni non sono il
mio forte! >>
<< Come mai?
>>
<< Una volta
ne ho mandato all’aria uno! >>
Piegai la testa
dal suo lato, per poterlo osservare meglio e capire se fosse serio o
meno.
Anche Ranma si era girato nella mia direzione e mi fissava con la
stessa
identica espressione di quando gli sembrava di aver detto
un’ovvietà e invece
era finito per offendere e, conseguentemente, far arrabbiare Akane.
Sbatteva le
palpebre in maniera cadenzata, a tre a tre, quasi fosse lui stesso
incredulo, e
le sue labbra si erano trasformate in una perfetta piccola
“o”.
<< Quale
matrimonio hai mandato a monte? >>
<< Il mio.
>>
In quel preciso
istante capii che quella sarebbe stata una notte che non avrei
più dimenticato.
Mi alzai a sedere
con uno scatto fulmineo e lo fissai sbalordita, mentre lui, ancora
sdraiato,
invece mi osservava guardingo.
<< Che… che
ho detto di male? >> chiese tirandosi su e grattandosi la
guancia con il
dito indice.
Era diventato
ormai facile, per me, comprendere gli stati d’animo delle
persone con cui avevo
condiviso quest’avventura e che erano entrate nel mio cuore.
Perciò, capii
subito che Ranma era imbarazzato, perché quando lo era si
grattava la guancia
con l’indice, esattamente come, allo stesso modo, Ryoga si
grattava la nuca. Saper
distinguere i loro stati d’animo da quei piccoli dettagli mi
faceva piacere,
significava che avevo davvero imparato a conoscerli.
L’impellente
necessità di schiarirsi la gola da parte di Ranma
richiamò la mia attenzione al
presente.
<< Ma come,
>> indagò, << Akane non ti ha
detto niente? >>
<< Del tuo
matrimonio? >>
<< Del nostro
matrimonio! >> mi corresse lui.
No, decisamente
non avrei mai dimenticato quella notte!
<< Del
vostro cosa? >> mi ritrovai a chiedere quasi urlando.
<< Shhh! O
ci sentiranno e sveglieremo tutta la casa! >>
<<
Perdonami, sono un tantino sotto shock! >> esclamai
enfatizzando il tutto
con un movimento delle braccia.
Ranma rise:
<< Davvero non sai nulla? >>
<< Ti pare
che se lo avessi saputo, avrei reagito così?!
>> ribattei gesticolando
ancora di più per accentuare l’ovvietà
della cosa.
<< Allora
mettiti comoda, mia cara Jude, stai per assistere al racconto delle
sfortunate
avventure del grande Ranma Saotome! >> Mi fece
l’abituale occhiolino, si
sistemò di fronte a me e cominciò il racconto che
avrebbe unito – finalmente -
tutti i puntini di quell’incredibile disegno.
<< Quasi non
ricordo più il giorno esatto in cui mio padre mi
trascinò qui, a casa Tendo.
Così, dal nulla. Eravamo in giro come al solito, in uno dei
nostri viaggi di
addestramento e una mattina mi comunicò che dovevo
“compiere il mio destino”.
Ovviamente gli diedi del cretino e continuai la mia giornata come nulla
fosse.
Lo scemo invece era serio e mi portò a Tokyo quasi di peso.
>>
<< Compiere
il tuo destino? >>
<<
Esattamente, vedi avere un dojo è una cosa magnifica, ma
anche un’enorme
responsabilità. Da soli si fa una gran fatica;
così il padre di Akane e il mio decisero
di unire le loro scuole di arti marziali e condurre il dojo insieme.
Non gli
sembrò vero a quei due quando sono nato io! Soun aveva
già due figlie femmine;
non che le donne non possano occuparsi di una palestra, ma magari non
avrebbero
avuto interesse. E poco dopo nacque Akane, anche lei un’altra
bambina. Così, quando
ancora ero in fasce, decisero che avrei preso in moglie una delle tre
Tendo, in
modo da sigillare per sempre l’unione delle famiglie
Tendo-Saotome. >>
<< Un
matrimonio combinato? >>
<< Peggio!
Non ci dissero nulla per sedici anni, fin quando, al mio arrivo, Soun
mi
accolse a braccia aperte dicendomi: “Kasumi, diciannove anni,
la mia
primogenita! Nabiki, la seconda, diciassette anni. Akane, la terza,
sedici
anni. Scegli quella che ti piace di più, sarà la
tua fidanzata!” (8) Sono
parole queste, che non potrò mai dimenticare!
>> Ranma imitò
perfettamente la voce profonda del capofamiglia. << Tutti
si trovarono
d’accordo nell’indicare Akane, perché
eravamo coetanei, e questa è la storia
del nostro fidanzamento! >> fece spallucce sorridendo.
<< Aspetta
un momento, e voi avete accettato quella decisione…
così? Senza obiettare?
>>
<< No, era ovvio
che non ci andasse bene. Vedi, Akane era molto diversa da
com’è ora. Tanto per
cominciare aveva il sex appeal di un surgelato, era più
grassa, scontrosa,
irascibile, scema, cafona, per niente carina, un maschiaccio
violento… A
pensarci bene non è cambiata poi così
tant-… Ahia! >>
In difesa della
mia amica, agii esattamente come avrebbe fatto lei, ovvero
assestandogli un bel
pugno in testa.
<< Ah, ecco,
dimenticavo manesca! >>
<< Ranma!
>>
<<
Aveva i capelli
lunghi, sai? >> riprese come se nulla fosse, ma
l’improvvisa nota di
dolcezza nella sua voce mi spiazzò.
<< I capelli
lunghi? >>
<<
Lunghissimi. Aspetta, dovrei avere qualche fotografia >>
Tirò fuori il
cellulare dalla tasca e mi mostrò un’immagine di
Akane in divisa scolastica con
i capelli lunghi fermati in una coda da un nastro giallo.
Presi il
telefono fra le
mani e la osservai meglio: i lineamenti erano gli stessi, solo un
po’ meno
maturi, ma l’espressione degli occhi era identica. Fiera,
indomita e forte, ma
allo stesso tempo buona e gentile. Solo gli occhi
di Akane
sapevano essere così; quella ragazza era un ossimoro
vivente, un insieme di
contraddizioni armoniosamente combinate. Ma, forse, era proprio per
questo che
ci aveva conquistati tutti.
<< Ti
piaceva? >> domandai con naturalezza rendendomi
improvvisamente conto -
ora che anche io sapevo - di quanto fosse normale il fatto che avesse
con sé
delle foto di lei.
<< Mi piace
di più com’è ora >> fu
tutta la sua risposta.
<< Me ne
sono accorta! >> mormorai.
<< Come hai
detto? >>
<< Niente, stavo
pensando… come mai li ha tagliati? >>
<< Un piccolo
incidente, colpa di Ryoga naturalmente. Stavamo combattendo nel cortile
della
scuola, come al nostro solito. Io avevo appena schivato un attacco
lanciato con
quel dannato ombrello che si porta sempre dietro e lo stavo usando come
scudo
contro le bandane che aveva preso a tirarmi addosso. Volevo evitare che
colpisse Akane e, per proteggerla, l’avevo presa in braccio e
portata con me su
un tetto lì vicino… >>
“Più le cose
cambiano, più rimangono le stesse” mi ritrovai a
pensare, rivivendo, nella mia
mente, scene molto simili a cui avevo assistito durante
quell’estate.
<< … dato
che Akane è sempre molto gentile e riconoscente con me,
tutte le volte che per
poco non mi rompo l’osso del collo pur di vederla sana e
salva, mi ha dato del
maniaco perché la stavo abbracciando, come se avessi voluto!
Ci credi? >>
<< No! Io
proprio no… >> sogghignai.
<< Be’ per fartela
breve siamo finiti a litigare, lei mi ha tirato un ceffone, giurando
che non
voleva avere più niente a che fare con me e… zac!
Una delle armi che quel
cretino ha continuato a lanciarmi addosso per tutto il tempo nella
speranza di
colpirmi, come se fosse una cosa possibile, le ha tranciato di netto la
coda.
Se ne è andata via senza nemmeno una parola… Non
lo ammetterà mai, orgogliosa
com’è, ma ci è rimasta male. A pensarci
bene forse è anche un po’ colpa mia…
>> concluse ridacchiando.
<< Glieli
aggiustò Kasumi e da allora non li ha più fatti
ricrescere. Non so il motivo,
ma meglio così. Si addicono di più a un
maschiaccio come lei! >> aggiunse
beccandosi un altro pugno dalla sottoscritta.
<< Hey! La
sua vicinanza ha un cattivo ascendente su di te! Dove è
finita la ragazza tutti
sorrisi e inchini del primo giorno? >>
Gli risposi con
un’occhiataccia e chiesi: << E poi?
>>
<< E poi,
cosa? >>
<< Come
siete arrivati a sposarvi? >>
<< Ah, Jude…
ne è passata di acqua sotto i ponti! Ne abbiamo vissute
così tante insieme!
>> volse lo sguardo al cielo notturno, perdendosi nei
ricordi.
Fu così che
trascorremmo ore su quel tetto; Ranma mi raccontò dei
Natali, delle recite
scolastiche, dei viaggi al mare, delle incomprensioni, dei litigi,
degli
equivoci, dei fraintendimenti, delle sfide, dei disastrosi esperimenti
culinari
di Akane, dei giorni trascorsi nei corridoi del liceo Furinkan, delle
feste,
degli scontri, degli allenamenti, delle partenze, dei nuovi incontri e
di tutte
le avventure strambe - ma tremendamente da loro - che avevano vissuto
in quegli
anni insieme.
<< Un giorno,
che non mi piace ricordare, Akane ebbe un… mmm…
incidente, se così si può
chiamare. La tenevo fra le braccia, le parlavo, ma lei non rispondeva.
Pensavo
fosse morta… Ero terrorizzato, Jude. >> disse
all’improvviso tutto d’un
fiato; era evidente che gli faceva male anche solo ripensarci.
Ricambiai
il suo sguardo
interdetta e, per la prima volta, dopo tutte le belle storie che mi
aveva
narrato, percepii nei suoi occhi la paura che doveva aver provato e
che,
evidentemente, non lo aveva più abbandonato. Quel ricordo
appariva indelebile
nella sua mente e non c’era dubbio che gli provocasse ancora
un dolore
straziante. I pugni serrati si schiusero un po’:
<< Forse mi sono
lasciato prendere dallo sconforto, non lo so. Non riesco a
ricordare con precisione quei
momenti, ma Akane è convinta che le abbia detto di amarla
>> continuò
senza più riuscire a guardarmi.
<<
Così, la
mattina dopo, mi sono ritrovato in abito da sposo e lei era…
era… era vestita
di bianco e tutti ci aspettavano e… >>
<< E…?
>>
<< E niente,
abbiamo fatto un casino. Abbiamo rovinato tutto. Non eravamo pronti,
Jude,
eravamo piccoli, non avevamo nemmeno finito le scuole superiori. Come
potevano
pretendere che ci sposassimo? Dopo il mancato matrimonio, Soun
acconsentì ad
aspettare ancora e ora stiamo giocando i tempi supplementari!
>>
Sorrisi all’ultima
affermazione, che strana metafora che gli era venuta in mente.
<< Insomma,
ci si potrebbe scrivere un libro sulla vostra storia! >>
esclamai con
tono divertito per cambiare argomento e rallegrarlo dopo le ultime
rivelazioni.
<< Non mi
piacciono i libri! >>
<< Allora un
manga, quelli li leggi! >>
<< Sì, un
manga sì! Avrebbe un grande successo, ne sono sicuro! Si
venderebbe in tutto il
Giappone, ma che dico, in tutto il mondo, per almeno
trent’anni! E come lo
chiameresti? >>
<< Ranma ½
>>
<< Perché
mezzo? >>
<< Vuoi
forse dirmi che ti senti completo? >>
Ranma non rispose.
Si sdraiò di nuovo a guardare le stelle e sorrise.
<< Le
dimensioni dell’infinito, eh? >>
<< Già,
proprio così. >>
<< La ami?
>> chiesi a bruciapelo.
<< Ma ti
sembrano domande da fare? >> urlò piano
rimettendosi a sedere in fretta, rosso
in viso come un pomodoro maturo.
<< No. Cioè
non lo so. Le voglio bene, questo è chiaro ma non so se
è proprio a… a…
>>
<< Amore
>> completai la frase e lui espirò
rumorosamente portandosi una mano al
petto, come se avesse avvertito una fitta proprio all’altezza
del cuore.
<< Vi ho
visti sai? >>
<< Eh? Che cosa?
Quando? >> si agitò.
<< Calma,
calma. Non andare in iperventilazione! >> risi.
<< A Ryugenzawa,
nella foresta. >>
<< Cosa…
cosa… hai visto? >>
<< Ranma…
>>
<< Il…
il…ba-ba-ba… >>
<< Bacio! Dio,
Ranma, per essere un ragazzo grande e grosso a volte ti comporti
proprio come un
bambino. Amore, bacio… ce la fai a ripetere queste parole?
>>
<< Come
diamine hai fatto a vedere il ba… il ba… a
vederci?>> domandò deglutendo
a fatica e cercando di ritrovare la calma che era quasi riuscito a
mantenere
per tutto il tempo, ma che ora, dopo l’ultima rivelazione,
sembrava – definitivamente
- averlo abbandonato.
<< Ero
venuta a cercarvi, o meglio, ero venuta a cercare Akane che era venuta
a
cercare te. Ovviamente mi sono persa e ho incontrato Ryoga, anche lui
sulle
vostre tracce. Mentre giravamo per la foresta vi abbiamo sentiti
litigare, così
ci siamo nascosti dietro un albero e… vi abbiamo visti.
>>
<< Non lo
hai detto a nessuno, vero? >> chiese prendendomi le mani
con forza e
guardandomi dritto negli occhi con l’espressione
più profonda e seria che gli
avessi mai visto fare.
<< No! Lo
giuro, nemmeno ad Akane! Mi sembra una cosa abbastanza privata
così l’ho tenuta
per me. >>
<<
Ok >> sospirò
sollevato, e per un po’ restammo in silenzio contemplando la
notte finché,
vinta dalla curiosità, non domandai: <<
Perché non vi siete mai ribellati
alla decisione dei vostri genitori? Non siamo più nel
Medioevo, non possono
davvero decidere per voi. >>
Ero seduta accanto
a lui, le gambe strette al petto e il viso rivolto nella sua direzione,
appoggiato alle ginocchia, mentre Ranma, disteso in maniera scomposta,
continuava
a fissare il cielo pur di non guardare me.
<< Perché,
Jude… perché… non lo so
perché! >> arrossì vistosamente.
<< Credo
che alla fine ci vada bene così, ormai. Ci siamo abituati
all’idea e, a dire la
verità, non mi dispiace poi così
tanto… >>
<< Allora la
ami! >>
<< Che
fesserie vai dicendo! >> esclamò paonazzo,
alzandosi di scatto - per la
centesima volta quella notte - e nel panico più totale.
<< Jude, ti
prego. Non dire a nessuno quello che hai visto. Sarà il
nostro piccolo segreto,
farò tutto quello che vorrai, io… ti prego!
>> mi implorò, letteralmente
in ginocchio davanti a me, mentre stringeva convulsamente le mie mani
tra le
sue, unite a mo’ di preghiera.
Era talmente agitato
al pensiero che potessi rivelare a qualcuno quello che avevo visto che
decisi
di fidarmi anche io di lui.
<< Un
segreto per un segreto >>
<< Eh?
>>
<< Uff
>> sbuffai << Sei proprio ottuso a volte!
Ti rivelerò anche io un
mio segreto, così saremo i custodi l’uno del
segreto dell’altra e dovremo
fidarci per forza. Va bene? >>
<< Ok
>> assentì.
<< Ryoga mi
ha baciata. >>
<< Che cosa
ha fatto? >> urlò.
<< Shhhh!!!
Ma dico, sei matto? Abbassa la voce! >>
<< Che cosa
ha fatto quell’idiota? >>
ripeté, faticando non poco a riprendere
il contegno ed enfatizzando appositamente l’aggettivo finale.
<< Mi ha
baciata >>
<< Sulla
bocca? >>
<< No, sulla
mano. Sì, sulla bocca Ranma! Come tu hai baciato Akane!
>>
<< Veramente
è stata lei a baciarmi… >>
<< Oh,
poverino. Ti è dispiaciuto molto, vero? >>
<< Non
cambiare argomento ora! Perché ti ha baciata?
>>
<< Me lo
chiedo da settimane. >>
<< E a te
andava bene? Oppure… se si è approfittato di te,
giuro che io… >>
<< Sembri
lui in questo momento! >> sorrisi al pensiero.
<< Hey, non
mi paragonare a Ryoga! >> rispose fintamente offeso.
<< Non ha
approfittato di me. Mi andava bene. Sì, penso proprio di
sì. >>
<< Hai
capito il maiale! >>
<< Ranma!
>>
<< Scusa,
scusa! >> alzò le mani in segno di resa.
<< Perché
gli dai sempre del maiale? >>
<< Storia
vecchia… diciamo che è un po’ la sua
doppia natura quella del maiale! Chiamalo
P-Chan, vedi come si arrabbia! >> sogghignò
fra sé e sé.
<<
Se
parleremo ancora, cercherò di ricordarmene >>
replicai marcando
volutamente il “se”.
<<
Perché
dici così? >>
<< È partito
da due settimane; non mi aveva nemmeno detto che sarebbe andato via e
mi ha
scritto solo due messaggi…Non so bene cosa pensare
>>
Ranma parve
rifletterci su qualche istante: << Credevo ti piacesse lo
yankee in
realtà >> osservò poi.
<< Alexander…>>
<< Ascolta,
Jude, non sono certo la persona più adatta a dare consigli
in materia di
relazioni >> scherzò, << ma
posso dirti di non prendertela troppo per
la reazione di Ryoga. Hai visto quanto è timido?
È già un miracolo che non sia scappato
via correndo quel giorno stesso! Io lo posso capire…
>>
<< Non mi
pare che tu sia scappato! >> lo sfidai con
l’aria di chi la sa lunga.
<< Che cosa
c’entra questo? >> chiese Ranma arrossendo
ancora, poi aggiunse: <<
Hey Jude, girati! >>
Mi voltai verso la
direzione indicata da Ranma, a est, e gli occhi mi sorrisero incantati
davanti
allo spettacolo del sole che stava nascendo.
“Giappone”,
in
giapponese, si dice “Nihon” o
“Nippon” che significa
letteralmente “origine del sole”. Il soprannome gli
è stato dato dai vicini
cinesi, poiché l’isola si trova a est della Cina,
proprio nella direzione in
cui la mattina sorge il sole. Per questo è chiamato
“Paese del Sol Levante” ma,
fino a quel momento, non mi ero ancora resa davvero conto di quanto
quel nome
fosse appropriato.
La prima stella
della sera ci stava dando la buonanotte, dissolvendosi nel chiarore
dell’alba.
Appena sopra
la linea dell’orizzonte, il cielo aveva già
assunto una tonalità rosa pallido,
che sfumava via via in un viola intenso, rischiarando il blu di una
notte ormai
finita.
<< Ranma, è
l’alba! >> squittii felice di poterla ammirare.
Il tramonto, si
sa, ha un fascino romantico, poetico e lievemente malinconico, ma io ho
sempre
preferito l’alba. Mi piace svegliarmi la mattina presto, nel
silenzio e nel
fresco di un nuovo giorno pieno di opportunità, e guardare
il sole che,
puntuale da millenni, sorge e inonda di luce tutto il mondo.
È come assistere
ad una nascita: il miracolo della vita.
<< Il giorno
del torneo! >> si ricordò improvvisamente il
mio compagno di rivelazioni
notturne, ridestandomi da quel sogno ad occhi aperti. <<
Jude, è meglio
se andiamo >>
<<
Certo >>
annuii, concedendomi un ultimo sguardo all’aurora; poi scesi
la scala per
prima, mentre Ranma la teneva di nuovo ferma per me.
Quindi si diresse
verso il dojo per compiere i suoi allenamenti mattutini, ma prima di
salutarci
lo ringraziai di tutto e lui mi porse il mignolo: <<
Promesso? >>
<< Promesso.
>> risposi, e glielo strinsi con il mio.
Mi fece
l’occhiolino e io tornai nella camera di Akane, che per
fortuna non si era
svegliata, a guadagnarmi qualche altra ora di tepore e sonno prima che
“il
giorno del torneo” avesse inizio.
***
Qualche ora più tardi,
sentendo un baccano infernale, mi vestii in
fretta e scesi le scale: la casa era piombata nel caos più
totale.
<< Che succede? >> chiesi passando per il
salone a
soqquadro e Akane mi gridò “il torneo! Il
torneo!” mentre correva da una parte
all’altra.
Ranma mi sfrecciò davanti nel pieno della forma:
<< Buongiorno
bella addormentata! >>
disse ad alta voce ricercando, con l’ennesimo occhiolino, la
mia
complicità.
<< Ciao anche a te! >> risposi sorridendo e
pensai che non
poteva essere umano se, dopo una notte insonne, era così
attivo.
<< Jude, sei sveglia! Mi verresti a dare una mano?
>> era
la voce di Kasumi che arrivata ovattata dalla cucina.
<< Ma quanto ho dormito? Che ore sono? >>
chiesi più a me
stessa che al trambusto che mi gravitava attorno.
<< Le undici e tre quarti, cara. >> e
finalmente la vidi.
Più alta delle donne giapponesi che avevo potuto osservare,
il tratto
che la contraddistingueva maggiormente era senza dubbio la compostezza.
La sua
figura si ergeva perfettamente diritta sul profilo del patio, davanti
all’ingresso del salone. I capelli castani raccolti e tenuti
a bada da un
fermaglio verde ottanio bordato d’oro, il ciuffo piegato
nelle veronica lake
waves che le adombrava la fronte bassa, gli occhi scuri e
caldi, le labbra
increspate in un sorriso tenero ma fermo: tutto nel suo viso era in
perfetta
sincronia con la forma del corpo. Indossava un kimono,
non uno yukata
come quelli che avevo provato anche io, bensì un
vero e proprio kimono:
il costume tradizionale simbolo del Giappone. Legata all’obi,
l’immancabile katana. Eppure, non fu quella a farmi capire
chi fosse, e nemmeno
il tono della voce dolce ma deciso. Fu qualcosa nel contegno, nel modo
che
aveva di camminare, nello sguardo acceso e vigile, che subito mi fece
pensare a
Ranma.
Quella era Nodoka Saotome.
<< Buongiorno, signora >> mi inchinai con
rispetto.
<< Molto bene, le avete insegnato le buone maniere. E
dimmi, nihogo
wakarimasu ka? (9) >>
<<
Mā, mā desu (10)
>> risposi senza esitazione.
<< Che brava! Molto piacere di conoscerti, cara, io sono
Nodoka
Saotome >> e anche lei si inchinò.
<< Adorata moglie! >> urlò
sguaiato Genma andandole
incontro (in giapponese si intende).
<< Che ci fai ancora qui? E perché non sei
ancora vestito?
>> lo accusò lei in perfetto inglese,
<< Su, su, tutti nel dojo,
oggi è una giornata importante! >>
Il famigerato torneo era fissato
per le tre del pomeriggio ma la
palestra già brulicava di atleti di ogni genere: chi
ripassava i kata, chi
faceva stretching e, in un angolo, i miei amici. Tutti.
Mi avvicinai in punta di piedi: << Ciao >>
mormorai.
<< Jude! >> squittì Ranko,
intenta nel fare una spaccata
sul pavimento.
<< Ciao, Jude >> disse Ryoga che stava
aiutando Shan-Pu
alle prese con un crampo al polpaccio.
“Ah, ci sei anche tu” avrei voluto dire, ma mi
limitai a fare un cenno
di saluto con la testa e andai a mettermi vicino ad Akane che, piegata
in
un’insolita posizione, stava scaldando i muscoli.
<< Come va? >> le chiesi accucciandomi
accanto a lei.
<< Non sono mai stata più agitata di
così. >>
<< Dai, andrà benissimo, ne sono sicura!
>>
<< Non sto così per me, sono in ansia per lui
>> e indicò
Ranma con un movimento del viso, << Oggi…
>>
Fu interrotta dal capofamiglia al centro del dojo che, in giapponese,
presentò la commissione giudicatrice e disse a tutti che
potevano andare a
pranzo e tornare non più tardi delle due.
<< Dobbiamo andare a mangiare >> disse
Ranma avvicinandosi
e tutti lo seguimmo fuori dalla palestra.
Non potevo ancora capire l’importanza di quel giorno, ma
l’atmosfera
era elettrica. Gli artisti marziali parlavano poco, erano
concentratissimi.
L’unico che pareva perfettamente a suo agio era -ovviamente -
Ranma.
<< Sei pronto? >> domandai accostandomi al
ragazzo che
divorava la terza ciotola di riso bianco.
<< Sono nato pronto, io! >> e si
indicò con entrambi i
pollici rivolti al petto.
<< Se lo dici tu! >> ribatté
Akane, seduta al suo fianco.
<< Perché? Hai dei dubbi sulle mie
capacità? Pensi che non possa
farcela? >>
<< Non ho detto questo, ma non sei abbastanza
concentrato. Hai
capito cosa accadrà oggi? Ti senti veramente pronto? E se
sbagli? Se qualcosa
va storto e tu… >>
<< Akane >> la interruppe <<
Fidati di me. >>
E, come Aladdin che chiede a Jasmine di salire sul tappeto magico,
Akane assentì con lo sguardo e seguì Ranma verso
il dojo.
Io mi andai a sedere con gli altri spettatori, di fianco a Nodoka che,
non appena entrata, mi aveva fatto segno di aver tenuto un posto
accanto a lei.
<< Ci siamo >> mi sussurrò in un
orecchio e il torneo
cominciò.
Uno dopo l’altro, senza quasi nessuna pausa, allievi di tutti
i
livelli davano prova delle loro abilità. Per primi, i meno
esperti, che eseguivano
i kata più semplici, poi gli allievi
più grandi. I kata si
facevano via via più difficili e lunghi, man mano che il
grado dei combattenti
si alzava. Per ultime, le cinture nere, gli unici a poter praticare il
combattimento libero.
<< Conosci le arti marziali? >> mi chiese
Nodoka in un
intervallo.
<< Un poco. Sto prendendo lezioni qui al dojo
>>
<< Complimenti! >> esclamò lei
davvero impressionata,
<< E continuerai, una volta tornata in America?
>>
Non mi chiesi come facesse a conoscere tutte quelle cose sul mio
conto, era naturale che le avessero parlato di me; pertanto, mi limitai
a
rispondere con sincerità: << Non
sarà di certo lo stesso, ma sì, mi
piacerebbe. Ranma dice che sono portata >>
<< Se lo dice lui, puoi stare tranquilla. Mio figlio
è molto bravo
>>
<< Sì, lo so >> risposi mentre
osservavo il modo in cui le
brillavano gli occhi quando parlava di lui. Akane aveva ragione, doveva
esserne
molto fiera.
Mentre Ranko le dava di santa ragione alla sua sfidante, chiesi a
Nodoka come mai Ranma non avesse ancora combattuto.
<< Ranma combatterà per ultimo, oggi
è il suo giorno, anche lui
cambierà cintura! >>
In una delle poche lezioni di teoria, mi era stata insegnata la
sequenza delle cinture nel karate. Al livello più basso, il
sesto, c’è la
cintura bianca, la shiro obi. Man mano che il kyu,
il livello dei
partecipanti aumenta, le cinture diventano più scure:
gialla, la kiiro obi;
arancione, la daidaiiro obi; verde, la midori
obi; blu, la aoiro
obi; marrone, la kuriiro obi e, per
ultima -pensavo da profana- la
cintura nera.
<< Ma Ranma è già cintura nera!
>> esclamai stupita, non
capendo come potesse andare oltre.
<< La cintura nera non è la fine del percorso,
è solo l’inizio
>> rispose lei con saggezza.
Mi girai a guardarla aggrottando la fronte e Nodoka, comprendendo i
miei dubbi, si spiegò meglio: << Con la
cintura nera comincia
l’assegnazione dei dan >>
abbassò la voce mentre Soun proclamava
Ranko vincitrice, << Un vero artista marziale non smette
mai di imparare,
infatti l’ideogramma “dan”
è contenuto nella parola “shodan”,
che
vuol dire “principiante”, a dimostrazione del fatto
che aver conseguito la
cintura nera è davvero poca cosa in confronto a tutti gli
anni di allenamento
che si hanno ancora davanti. La cintura nera è il primo
passo nella do
la via del karate, e lo studio si raffina. Il mio
Ranma è così bravo che
ha ottenuto la cintura nera a soli quattordici anni! >>
<< Oh! >> feci io, non sapendo che altro
dire. Avevo
intuito che era un fuoriclasse, ma non sapevo fino a che punto.
<< E perché cambierà cintura oggi?
>> domandai sempre più
desiderosa di sapere.
<< Perché oggi raggiungerà un altro
dan, e tutto
cambierà! Dal primo al quarto si giudicano i gradi di
maestria tecnica
dell’artista marziale. Un combattente esperto non ha solo
capacità tecnica,
ormai assodata, ma anche un alto livello di esperienza e didattica. Si
chiama yudansha,
il “livello del guerriero”, e mio figlio lo
è.>>
Mi presi un momento per guardare Ranma, al lato opposto del dojo. Lo
sguardo attento, la mascella contratta, seguiva tutti i movimenti della
lotta
come anticipandoli mentalmente. Non c’era alcun dubbio che
fosse un guerriero.
<< E poi? >> chiesi sempre più
affascinata dalla
spiegazione di Nodoka.
<< Al quarto dan, il livello
dell’esperto, il confine
della tecnica corporea viene raggiunto e si forma il legame fra
quest’ultima e
la filosofia dell’arte marziale. Ranma è ormai in
grado di controllare, con il
solo esercizio fisico, lo spirito, il respiro e l’energia, il
ki.
>> Fece una breve pausa, poi continuò:
<< I gradi kodansha,
dal quinto all’ottavo dan, sono propri
del vero maestro. Ranma non sarà
più responsabile solo di sé stesso ma anche dei
suoi allievi. Non c’è miglior
modo di insegnare che con il proprio esempio, mia cara, e infatti il
mio
figliolo è un grande esempio! Di solito, ci si arriva ad
un’età matura, mentre
lui è così bravo che, se oggi vincerà
questa sfida, sarà il primo in Giappone
-o forse nel mondo!- a conseguirli prima dei trent’anni. Oggi
il mio bambino
diventerà un uomo! Questa sì che è una
prova di virilità! >>
Sorrisi ricordandomi del discorso che Akane mi aveva fatto la notte
precedente: Nodoka non perdeva occasione per cercare una prova della
virilità
del suo amato figlio! Era davvero molto orgogliosa di lui, e ne aveva
tutti i
motivi.
Così, quel giorno, Ranma sarebbe diventato maestro.
Mentalmente,
mi dissi che ero davvero molto fortunata a poter assistere a un giorno
tanto significativo:
un torneo di arti marziali in un vero dojo giapponese e con uno dei
miei più
cari amici in procinto di oltrepassare una soglia importante per la sua
vita.
Ora capivo il perché dell’agitazione di Akane, e
anche della calma di Ranma.
La voce di Soun mi riportò al presente, stava presentando
altri due
combattenti: era il turno di Ryoga.
L’avevo visto combattere contro Ranma infinite volte ma solo
in quel
momento, in un vero torneo, mi accorsi che durante le sfide contro il
suo
amico, in realtà si risparmiava.
Era preciso, veloce, instancabile, paziente quando serviva,
irrefrenabile quando doveva. Ma la sua qualità
più spiccata era senza dubbio la
potenza.
Schivava le mosse dell’avversario con facilità, ma
quando era lui a
colpire, era travolgente. Un pugno di Ryoga ne valeva cento degli
altri.
Fendeva l’aria come se, alla fine delle braccia, avesse due
macigni. Sembrava
fatto di ferro e fiamme.
Era incredibile guardarlo combattere, una gioia vederlo trionfare.
Sconfisse il rivale con un fortissimo pugno, lo aiutò a
rialzarsi, si inchinò a
lui con grande rispetto e poi si girò verso gli spettatori.
Attesi il momento
in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati e, quando successe, gli
sorrisi
con calore. Era il mio modo di fargli le congratulazioni.
Dopo Ryoga, fu Akane a combattere. La sfidante la sovrastava per
età,
altezza e massa muscolare, sembrava di vedere una bambina di fronte a
un
gigante pronto a schiacciarla. Come per un riflesso incondizionato,
strinsi i
pugni.
<< Non preoccuparti per lei >> mi
sussurrò Nodoka,
<< Akane è pronta a questa sfida. Sai che
è la fidanzata di mio figlio,
vero? >>
Feci segno di sì con la testa.
<< L’ha preparata lui. Credi che
l’avrebbe lasciata andare se
non fosse stato sicuro di lei? Vedi, nelle arti marziali è
importante prima
superare se stessi e poi gli altri. Già il fatto che Akane
sia sul tatami
adesso, pronta a scontrarsi con un’avversaria superiore a
lei, vuol dire che è
molto cresciuta e, per questo motivo, ha già vinto.
>>
Rimasi davvero colpita da quelle parole. Era una filosofia tanto bella
quanto difficile da seguire e, mi resi conto in quel momento, che
condizionava
tutta la loro vita. Ripetevano instancabilmente le stesse tecniche
mirando a
una perfezione che non era possibile raggiungere, perché non
bisogna essere
migliori di un avversario, ma di se stessi. Un po’ meno di
ieri, un po’ più di
domani.
Mi concentrai sulla mia amica che fissava con gli occhi pieni di
coraggio
e orgoglio la sua avversaria. Il dojo era in religioso silenzio. Ma,
come
quando durante i matrimoni tutti si girano per vedere
l’ingresso della sposa,
io invece cercai Ranma. Stava seduto in ginocchio sulle vecchie assi di
quello
che sarebbe diventato il suo dojo e guardava Akane pronta a combattere.
Ma il
suo non era uno sguardo da maestro, che esamina, era uno sguardo
d’amore. I
suoi occhi non valutavano, non giudicavano, ma custodivano. Custodiva
ogni
mossa, ogni passo in avanti o indietro, ogni calcio, ogni salto.
Custodiva ogni
goccia di sudore sulla fronte di lei, ogni gesto di rabbia, ogni
respiro.
Ranma era sempre stato pronto a proteggerla, a evitare che si facesse
male, a difenderla da tutto e da tutti. Ma questa volta era diverso.
Non la guardava
con apprensione, come faceva di solito, bensì con
l’assoluta certezza delle sue
capacità. Non era fiducioso, era sicuro di lei.
Chissà cosa si provava ad essere guardati così.
Quando venne atterrata e sconfitta, fu il primo ad alzarsi e ad
andarle incontro. Mentre Soun comunicava alla palestra che la
vincitrice dello
scontro era Namie, lui teneva un braccio intorno alle spalle di Akane
e, guardandola
intensamente, le stava dicendo che invece era stata lei ad aver vinto.
Poco dopo, un applauso scrosciante segnò
l’ingresso di Ranma sul tatami.
Soun, nel suo karategi ufficiale, lo guardava con
rispetto. Era
un momento catartico.
Ora si sarebbe visto il suo valore, se era davvero in grado di gestire
il dojo di famiglia, che quell’uomo tanto buono gli aveva
affidato alla
nascita, assieme ad una delle sue figlie. Ora si sarebbe visto se era
degno di
quel ruolo, di essere il marito di Akane, di portare avanti le
aspettative che
tutti avevano sempre riposto in lui.
Se ne stava lì, con lo sguardo fiero e il petto in fuori,
sentendo il
peso di tutto sulle spalle, ma sicuro che fossero abbastanza grandi,
allenate e
forti per sostenerlo.
Prima di cominciare la sequenza dei combattimenti, tutti gli altri
atleti si misero in fila dietro Ranma e ascoltarono Soun ripetere le
nove virtù
del bushido, la via del guerriero.
Prima: onore, meiyo.
Seconda: fedeltà, chujitsu.
Terza: sincerità, seijitsu ou makoto.
Quarta: coraggio, yuuki ou yuukan.
Quinta: bontà e benevolenza, shinsetsu.
Sesta: umiltà, ken.
Settima: rettitudine, tadashi ou sei.
Ottava: rispetto, sooncho.
Nona: autocontrollo, seigyo.
Ranma annuì, si inchinò e si mise in posizione.
Ridusse gli occhi a
due fessure, piegò le ginocchia, portò i pugni ai
fianchi: era pronto.
Akane, seduta composta dove era stato lui quando era toccato a lei, lo
fissava con un’intensità che pareva bruciare.
Persino il maestro Happosai era
concentrato sul suo allievo con assoluta dedizione e
serietà. Shan-Pu pareva
aver messo da parte qualunque smania di possesso e guardava Ranma con
gli occhi
pieni di speranza, abbassandosi ogni tanto per dire qualcosa
all’anziana
signora che le stava accanto. Ukyo, Nabiki, Kasumi, anche Kuno, tutti
osservavano la scena con fervore.
Nodoka,
accanto a me, era visibilmente
emozionata ma c’era qualcuno che mancava
all’appello. Genma se ne stava in
disparte, in ultima fila, e osservava il figlio con fierezza e un
sorriso
sicuro sul volto. Seguii i suoi occhi e vidi che incontravano quelli di
Ranma.
In una stanza piena di persone che lo amavano e facevano il tifo per
lui, Ranma
cercava lo sguardo del padre, l’uomo che lo aveva strappato
alle cure materne,
che lo aveva trascinato in giro per anni, che lo aveva privato di
un’infanzia
normale; l’uomo con cui litigava e lottava sempre, ma che gli
aveva insegnato
tutto quello che sapeva.
Un cenno di assenso di
Genma e Ranma partì.
Ciò
che mi fu concesso di vedere dopo, è
indescrivibile a parole. Il combattimento di Ranma non era una guerra,
era una
danza. Una sequenza perfettamente scandita eppure velocissima di
parate,
attacchi, contrattacchi. Ranma si muoveva sinuoso, disegnando linee
perfette
con gli arti e il corpo.
Tecnica,
abilità, forza. Velocità, lentezza, espansione,
contrazione.
Tutto era in armonia: una combinazione ideale di grazia e potenza. Con
una sola
occhiata sapeva distinguere i punti vulnerabili
dell’avversario, sapeva
anticipare ogni mossa. Andava incontro agli sfidanti, uno dopo
l’altro con,
negli occhi, non la voglia di vincere, ma l’idea di non
perdere. La sua anima
era un fuoco, il suo spirito ispirava tutte le sue azioni. Le
sue abili mani si muovevano con estrema rapidità e le gambe
scultoree apparivano la quintessenza della destrezza.
Fra gli atleti che gravitavano intorno a lui in un turbinio di
sequenze dinamiche e complesse, anche Ryoga combatteva senza
risparmiarsi. Si
vedeva che stava dando il meglio di sé, non contro Ranma, ma
per lui. Il
ritmo era serrato e incalzante, l’abilità e
l’agilità degli agonisti alle
stelle.
Era davvero uno spettacolo. Tutti osservavano incantati gli
spostamenti di Ranma, sempre in equilibrio e padrone dei suoi
movimenti. Non
era mai stato più bello di così e non per via dei
capelli neri madidi di sudore
che gli incorniciavano il viso, non per i pettorali marmorei che
sbucavano
prepotentemente dal karategi e neppure per la
stoffa tesa sui bicipiti
scolpiti.
Ranma non era mai stato più bello di così e il
merito era tutto nei
suoi occhi blu. Blu scuro, come il mare di notte. Nemmeno la grande
onda di
Kanagawa (11) avrebbe potuto reggere il confronto con la tempesta in
corso nei
suoi occhi quel giorno. A ben vedere, tuttavia, non fu il
loro colore,
straordinariamente inconsueto di per sé, a colpirmi
più di tanto, bensì il
messaggio che essi veicolavano: passione, forza, dedizione, desiderio
incondizionato di raggiungere un obiettivo e volontà di dare
tutto se stesso
per ottenerlo.
In un corpo perfetto in movimento, ciò che attirava di
più era la fermezza
dei suoi occhi.
Dopo un tempo che mi parve dilatato all’ennesima potenza ma
anche
trascorso con estrema velocità, Soun alzò la mano
sinistra e tutti si
fermarono.
Nessuno era andato K.O., nessuno era uscito dal tatami,
eppure
il combattimento era terminato ed io non riuscivo a capire.
Mi rivolsi a Nodoka: << Ce l’ha fatta?
>>
<< Sì >> rispose semplicemente,
con la voce rotta dalla
commozione.
<< Come è possibile, nessuno
è… >>
<< Nessuno è riuscito a colpirlo.
>>
Gli avversari si ritirarono con un inchino, Ryoga gli diede una pacca
sulla spalla e Ranma rimase da solo sul tatami, di
fronte ai tre gran
maestri: Happosai, Soun e Genma.
Come in un film, mi tornarono alla mente tutti gli allenamenti che gli
avevo visto fare in questi mesi: le sveglie all’alba, le
notti passate nel
dojo, i piegamenti con Akane sulla schiena, Ryoga che gli colpiva gli
addominali, le ore passate a ripetere la stessa mossa davanti a Genma
senza
ottenere mai il suo consenso, le infinite corse, i mille kata
replicati
allo sfinimento, i combattimenti di prova, la fatica, il sudore.
Adesso tutto aveva senso.
Con le lacrime agli occhi, Soun gli consegnò la cintura
bianco-rossa,
la stessa che indossavano i tre sensei, e poi lo
abbracciò. Come un
padre, come un maestro orgoglioso. L’intera palestra
scoppiò in un applauso e
Ranma urlò di gioia.
Akane gli corse incontro e lui la prese in braccio, facendola girare
fra la folla festante.
Ce l’aveva fatta.
Nelle arti marziali non serve essere alti o bassi, magri o grassi,
giovani o anziani. Nelle arti marziali conta semplicemente essere
e
Ranma, Akane, Ryoga, Ranko e tutti gli altri combattenti lo avevano
ampiamente
dimostrato.
Nodoka baciava le guance del figlio con immensa felicità,
Genma non
smetteva più di parlare, Ranko gli saltellava intorno. Tutti
i suoi amici
accorsero per portarlo in trionfo, oggi non c’erano
rivalità, oggi era il
giorno della gloria.
Prima che Ryoga, Kuno e Mousse se lo caricassero sulle spalle per il
giro d’onore, riuscii ad avvicinarmi per congratularmi:
<< Ranma! >> gridai.
<< Jude! >> e mi abbracciò
così forte che temei mi avrebbe
spezzato le costole.
Mi rimise a terra e, con un sorriso a trentadue denti, si fece portare
via dai suoi amici esultanti e felici.
“Fargin” (12), pensai di nuovo.
Così, quel
giorno in cui il successo di uno mi insegnò la
lealtà degli
altri e la fiducia di lui venne ricambiata dalla gioia commossa e colma
d’orgoglio dipinta sul volto di lei, finalmente tutti i nodi
vennero al
pettine.
***
Note tecniche (e ce ne sono
moltissime in questo capitolo!)
(1) Trascrizione
più o meno fedele di ciò Ryoga dice
nell’OAV “Ricordi sopiti”.
(2) Traduzione:
“Il tuo sorriso è molto bello”
(3) Traduzione:
“Ben fatto!”
Per le frasi in
giapponese, che questa volta sono giuste, si ringrazia sempre tanto Risa
che non mi legge perché non parla italiano ma senza di lei
non sarebbe stato lo
stesso!
(4) Frase tratta
da “Il Signore degli Anelli, il ritorno del Re” e
se non lo avete ancora visto,
È QUESTO IL GIORNO!
(5) La scena riprende
il finale dell’episodio/ tavola del manga e quelle sono le
esatte parole di
Akane, mentre tornano a casa dopo l’avventura a Ryugenzawa.
(6) Yukio Mishima,
pseudonimo di Kimitake Hiraoka, nato nel 1925 e morto suicida nel 1970.
Genio
assoluto della letteratura giapponese moderna, fu anche un artista
marziale. Si
tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale
dei samurai,
trafiggendosi il ventre e poi facendosi decapitare.
(7) Qui la nota
potrebbe essere lunga. Chi mi conosce anche solo un po’ sa
del profondo legame
che mi lega a Gretel85, non solo su questo fandom,
non solo come
autrice. Ma qui, è l’autrice che vorrei celebrare.
Senza che vi decanti i
miliardi di pregi che ha come persona, lasciate almeno che vi narri di
quelli
che ha come scrittrice. Questa frase è liberamente tratta
dalla sua storia “Il
profumo della menta e il melograno magico”,
più precisamente al capitolo
numero 15: “Le dimensioni dell’infinito”.
È una fanfiction meravigliosa,
a distanza di anni è ancora impressa in modo irremovibile
nella mia mente e,
soprattutto questo capitolo, nel mio cuore. Chi non l’ha
letta non può saperlo
(ed è bene che corra a farlo!) ma quest’unica
piccola frase nasconde una
miriade di significati molto profondi, tanto, troppo profondi per
essere “solo”
una frase in una fanfiction. Mi ha stregato cuore e anima e, per me, si
riferisce all’Amore. Questo è il mio piccolo
tributo a lei e alla sua bravura,
forse le dimensioni dell’infinito si riferiscono a questo,
oltre al bene che le
voglio.
(8) Anche questa
volta, sono le esatte parole pronunciate da Soun nel manga,
all’arrivo di Ranma
e Genma in casa Tendo.
(9) Traduzione:
“Capisci il giapponese?”
(10) Traduzione:
“Così e così”
Sempre grazie Risa!!
(11) “La grande
onda di Kanagawa” (The Great Wave off Kanagawa) è
una magnifica xilografia di
Katsushika Hokusai.
(12) Ho finito lo
giuro! Fargin (citata anche a inizio capitolo)
è una parola yiddish
intraducibile letteralmente, che vuol dire “sincera
felicità per il successo di
qualcun altro”.
***
Ed eccoci di nuovo
qui! Che vi devo
dire,
il lockdown mi ispira! Scherzi a parte, spero stiate tutti bene in
questi crazy
times. Questo capitolo è un vero e proprio racconto breve,
lo so! Spero abbiate
avuto il coraggio di leggere fino a qui. E così, la nostra
Jude è arrivata quasi
alla fine della sua estate giapponese e ha incontrato anche
l’ultimo
personaggio: Nodoka. Con lei “tutti i nodi vengono al
pettine” (perdonate la
battuta idiota!) e finalmente scopre cosa c’è
sotto la storia di Ranma e Akane!
Una cosetta veloce, ché vi ho rotto già
abbastanza: so che c’è una leggera
incongruenza fra il livello di Ranma nelle arti marziali e la sua
età. Professori
a parte, è una storia immaginaria, perdonatemelo se potete, sensei
e
non.
Detto ciò,
questa volta
non ci sarei
davvero riuscita senza la mia meravigliosa beta Gretel85!
È
straordinaria, paziente, preparata e bravissima, mi conforta quando
penso di
aver scritto cavolate, mi raddrizza quando sbaglio e mi sprona sempre a
migliorare! Oltre a consigliarmi sempre per il meglio, non le sfugge
proprio
nulla! Fa un lavoro certosino su ogni parola e aggiusta tutte le mie
castronerie. È la mano sinistra che tiene fermo il foglio.
Questo capitolo è
stato praticamente coprodotto, non so più dove finiscono le
mie parole e
iniziano le sue che, per inciso, sono molto meglio delle mie la maggior
parte
delle volte. Diciamo che le mie idee, scritte da lei, sono
più belle! Quindi,
grazie, grazie, grazie, grazie Carotina del mio cuore! Giuro che alla
fine
della storia ti faccio un regalo!
Un grazie speciale,
perché mi ha fatto
tornare la voglia di scrivere andandosi a leggere TUTTE le mie vecchie
fanfiction, a Valetomlavy.
A te e alle tue minacce
(XD) dedico la scena
sul tetto.
Menzione speciale per
una new entry
che ho
conosciuto da poco e i poveracci che controllano gli scambi di e-mail
su Efp
saranno anche stufi dei nostri papiri egizi: LilaChan.
Non arriverò mai
a meritare tutti i complimenti che mi
riservi, ma spero che questo
capitolo ti
aiuti a ritrovare un po’ dell’ispirazione perduta!
Grazie sempre alle mie Ladies.
Grazie di cuore a
tutti voi,
perché
trovate la pazienza e la voglia di aspettarmi e leggermi. Un grazie un
po’ più
grande a chi mi lascia scritti i suoi pensieri (sia in pubblico che in
privato), mi fa sempre immensamente piacere.
Al prossimo, e ultimo,
capitolo.
Sempre vostra,
E.
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