because taylor inspires life

di LadySissi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tim McGraw ***
Capitolo 2: *** Long live ***
Capitolo 3: *** Tell me why ***
Capitolo 4: *** Fifteen ***
Capitolo 5: *** Come in with the rain ***
Capitolo 6: *** Last kiss ***
Capitolo 7: *** Holy ground ***
Capitolo 8: *** Enchanted ***
Capitolo 9: *** Red ***
Capitolo 10: *** The best day ***
Capitolo 11: *** This love ***
Capitolo 12: *** You are in love ***
Capitolo 13: *** Wildest dreams ***
Capitolo 14: *** Clean ***
Capitolo 15: *** Superstar ***
Capitolo 16: *** Never grow up ***
Capitolo 17: *** Invisible ***
Capitolo 18: *** Bad blood ***



Capitolo 1
*** Tim McGraw ***


Lui diceva che il modo in cui i miei occhi blu scintillavano

facevano vergognare le stelle della Georgia, quella notte

ed io dicevo: “è una bugia!”

Era solo un ragazzo con un camioncino Chevy

che aveva la tendenza ad impantanarsi

mentre tornavamo a casa la notte

ed io ero lì, accanto a lui, tutta l'estate

e poi c'è stato il momento in cui ci siamo svegliati

ed abbiamo capito che l'estate se n'era andata

 

Quando era diventata adolescente, e più di una persona le aveva detto: “Vedrai, ci saranno delle estati che ricorderai sempre”, non ci aveva creduto subito. Le sue estati erano nella casa al mare, con la sua famiglia, senza nessun avvenimento straordinario. Inoltre, era convinta di aver già trascorso il suo agosto migliore l'estate della terza media, insieme a moltissime nuove amiche,a chiacchierare sulla boa in mezzo al mare, ad ascoltare la radio ed a leggere insieme riviste di moda. Per non dire che, alla fine di quell'agosto, si era ritrovata addirittura a Parigi. Meglio di così...! Due anni dopo, però, ci sarebbe stata una vacanza strabiliante, che le avrebbe fatto cambiare completamente idea.

 

Quindici anni (quasi sedici) non erano moltissimi, ma erano anche abbastanza per smetterla di vedere la casa al mare e basta. In particolare, era molto curiosa di scoprire come se la passasse chi sceglieva di trascorrere le sue vacanze in qualche villaggio turistico. Sì, era incredibilmente affascinata da quei luoghi, che le sembravano, almeno da lontano, dei veri e propri paradisi del divertimento. Così, quando quell'estate la zia aveva organizzato con due amiche una splendida settimana di luglio in un villaggio nel Sud Italia, quella di aggregarsi le era sembrata una bellissima idea. Sarebbe stata, di fatto, la sua prima vacanza senza genitori, e proprio dove aveva sognato: in un mare che finalmente non era il solito, in un posto dove di certo non si sarebbe annoiata.

E quando, dopo una lunga notte in treno, era entrata nel piccolo ma funzionale bungalow in legno, immerso nella pineta, ed aveva occhieggiato l'enorme spiaggia bianca che abbracciava un mare blu come forse non ne aveva mai visti, si era sentita proprio all'inizio di una grande avventura. Di certo, però, non aveva calcolato la sorpresa, la novità, l'imprevisto.

 

Si chiamava Andrea ed era uno dei più scatenati ed allegri animatori. Istruttore di canoa, napoletano verace, già decisamente troppo più grande di lei. Le piaceva moltissimo, per la verità. Aveva passato le prime sere al villaggio a tentare di farsi invitare a ballare da lui, ma aveva danzato con tutti gli animatori meno Andrea. Fino a quando, durante la sera a tema, non si era ritrovata, con sua grande sorpresa, a condividere un ballo con lui. Avevano chiacchierato un po', e per lei era stata una scoperta del tutto nuova il rendersi conto che era in grado di passare del tempo insieme ad un ragazzo più grande senza l'imbarazzo che si sarebbe aspettata. All'inizio era, certo, un po' rigida, ed aveva tentato di condurre lei il ballo (sua vecchia abitudine da ballerina), ma Andrea l'aveva messa facilmente a suo agio. Era simpatico come l'aveva immaginato; più di ogni altra cosa, la caratteristica che lo rendeva speciale era la sua disponibilità a mettersi in gioco in ogni situazione, dall'aperitivo sotto l'ombrellone alla festa in maschera. Sapeva che questo non era altro che il suo lavoro, eppure era ugualmente ammirata da tanta gioia di vivere, che non tutti gli animatori dimostravano allo stesso modo. Sì, le piaceva tutto di lui. Certo, la attraeva fisicamente, con i suoi capelli neri disordinati, i suoi muscoli da canoista, i suoi orecchini ed i suoi tatuaggi enormi. Ma i ricordi principali che, sapeva, avrebbe conservato di lui, sarebbero stati legati soprattutto alla sua voce ed alla sua risata.

Era stato così che quella settimana non era trascorsa, ma volata, ed i momenti speciali erano stati davvero moltissimi.

La cena a tema, quando si era azzardata a provare i salumi piccanti del luogo ed aveva dovuto bere e mangiare pane per tutto il resto della serata.

La festa sulla spiaggia, con quelle musiche che la zia e le amiche avevano classificato come rintronante, abbandonandola subito, mentre lei era rimasta a ballare.

La “serata del dilettante”, in cui lei ed altre turiste avevano improvvisato un balletto.

Le lezioni di acquagym, ballo moderno e latino-americano, e qualsiasi altra idea le suggerisse la fantasia.

L'ultima serata, con la festa d'addio, la torta, un po' di inevitabile tristezza.

Sempre dietro ad Andrea, sempre con l'esplicito proposito di divertirsi insieme a lui. Aiutandolo a portare dei drink sotto le stelle della spiaggia, partecipando ai giochi insieme agli altri animatori, seguendo il suo stesso esempio di allegria e disponibilità a buttarsi in qualcosa di nuovo.

L'ultima sera erano ormai diventati un po' amici, lei le aveva chiesto di ballare insieme un'ultima volta, e lui aveva acconsentito. Le aveva detto che ormai aveva imparato a ballare a due, il che era un'esagerazione bella e buona, ma faceva parte del suo essere gentile ed entusiasta allo stesso tempo.

E, prima che lei stessa potesse rendersene conto, si era svegliata presto, immusonita ed incredula, aveva fatto l'ultima abbondante colazione al villaggio, e si era ritrovata di nuovo sul treno, destinazione Milano. Aveva telefonato ai suoi genitori, dicendo loro che tutto era andato bene. E che non poteva credere che fosse già finito tutto. Ed era vero...con quella vacanza se n'era andato un pezzo speciale di estate.

 

settembre ha visto un mese di lacrime

e grazie a Dio non eri qui, a vedermi così

ma in una scatola accanto al mio letto

c'è una lettera che tu non hai mai letto

di tre estati fa

è difficile non trovare il tutto un po' dolce ed amaro

 

Mamma e papà l'avevano trovata in gran forma, avevano detto che aveva un volto rilassato e sereno, e che si vedeva che la vacanza le era piaciuta. Quanto a lei, era combattuta tra diversi sentimenti. Era felice della vacanza trascorsa, certo. Aveva una gran voglia di ripartire per la sua solita casa al mare la settimana successiva, senz'altro. Ma era anche un po' triste perché sapeva che, con ogni probabilità, non avrebbe più rivisto Andrea. Si sentiva prevalentemente frastornata: era come se avesse fatto indigestione di forti emozioni ed ora che era tornata alla normale routine si sentiva in una sorta di astinenza.

Agosto al mare era trascorso bene, come al solito. Il ritorno a scuola, poi, aveva visto i consueti alti e bassi. Sedici anni erano un'età complessa, e se ne rendeva conto sempre più. Quello che più la lasciava sconcertata, però, era stato notare come, tra i suoi coetanei, nessuno avesse quelle qualità che aveva tanto amato in Andrea. I sedicenni che conosceva erano molli, pigri, trascurati. Non avevano uno scatto di entusiasmo, non sorridevano per ogni sciocchezza, anzi, spesso si arrabbiavano per un nonnulla e passavano intere giornate a bighellonare per il centro o seduti sul divano, senza aver voglia di fare niente.

E, quando le capitava (spesso) di guardare fuori dalla finestra durante le lunghe ore di scuola, trovando solo un parchetto spelacchiato, centinaia di auto parcheggiate ed un grigiore generale, ripensava con forte nostalgia alla spiaggia dorata dove leggeva le sue riviste ed alle sere stellate in cui aveva ballato con Andrea.

In quel momento, era come se avesse messo in un cassetto la sua cotta per lui. Era stata un'esperienza particolare, splendida proprio perché circoscritta a quella indimenticabile settimana. Non che i suoi coetanei non la interessassero più, certo che no; però, per la prima volta nella sua vita, sapeva di aver desiderato qualcosa di diverso dalle altre. Una persona finalmente più matura, più disponibile, certo più adulta, ma anche, comunque, sempre pronta a ridere ed a giocare come un bambino. Forse la conoscenza di Andrea l'aveva aiutata a capire che non si doveva accontentare di uno dei tanti bulletti che piacevano alle sue amiche. Forse non avrebbe ritrovato lui, ma aveva ritrovato l'entusiasmo e la gioia di vivere che lui, in pochi giorni, le aveva insegnato. Per questo motivo, il suo ricordo era dolce ed amaro allo stesso tempo.

 

e sono tornata, per la prima volta da allora

e sono sulla tua strada

e c'è una lettera lasciata sulla tua porta

e la prima cosa che leggerai è

quando pensi a Tim McGraw

spero che tu pensi alla mia canzone preferita

quella che abbiamo ballato tutta la notte

la luce della luna come un riflettore sul lago

quando pensi alla felicità

spero che tu pensi a quel vestitino nero

pensi alla mia testa sul tuo petto

ed ai miei vecchi e sbiaditi jeans blu

quando pensi a Tim McGraw, spero che pensi a me”

 

Erano passati più di sette anni da quella settimana d'estate, ed il ricordo, a volte, si faceva ancora vivo in lei. Anche ora, che Novembre era arrivato di nuovo, e la pioggia scrosciava incessante, ed il pomeriggio sembrava notte, ritrovarsi a pensare al mare di fronte al villaggio le aveva improvvisamente scaldato il cuore. Con il tempo, l'esperienza strabiliante che le era sembrata conoscere Andrea era sfumata, e si era razionalizzata. Di fatto, si trattava della classica cotta adolescenziale per un più che ventenne, in una normalissima cornice estiva. Lei sapeva, però, che a quel tempo era stato molto di più. Le aveva aperto gli occhi, aveva insegnato al suo cuore di quindicenne/sedicenne ribelle a ridere dei piaceri più semplici, quelli che lei, in lotta con il mondo e con la sua stessa crescita, aveva finito per mettere in un angolo.

 

Non era più tornata al villaggio. Sì, la zia era tornata, con altre amiche. Lei aveva affermato di essere troppo grande per andare in vacanza ancora con la zia, ma la verità era che, davvero, le era mancato il coraggio di tornare lì.

Gli studi letterari e gli insegnamenti della sua prof preferita le avevano trasmesso l'idea che tornare proprio lì, dove era stata tanto felice, le avrebbe, in qualche modo, guastato il ricordo. Forse avrebbe guardato quel mare e si sarebbe detta: ma perché mi sentivo così follemente libera? Che ha poi questo posto di speciale?

Preferiva che quella spiaggia, quella pineta, quei suoni e quei profumi le rimanessero nel cuore, come una sorta di luogo dell'anima, come uno dei ricordi più belli e profondi della sua adolescenza. Ma anche ora che, con ogni probabilità, era diventata più grande di Andrea quando l'aveva conosciuto, qualche volta le sarebbe piaciuto rivederlo, e, perché no, salutarlo. Era piuttosto improbabile che anche lui si ricordasse di lei, ma lei era sicura che non si sarebbe mai più scordata di lui.

Le bastava un attimo per ritrovarsi ancora lì, con i piedi su quella sabbia bianchissima, con la luna puntata come un riflettore sul mare, con la sua minigonna di jeans di giorno ed il suo vestitino preferito la sera. Risentiva ancora la musica che usciva dalle casse, lo scalpiccio dei piedi sulla pista da ballo, la risata di Andrea.

Sì, senza dubbio, per sempre, una delle sue estati più belle.

 

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Capitolo 2
*** Long live ***


Mi dico: “Ricorda questo momento” dentro di me

il momento in cui stavamo con le nostre mani che tremavano

e la folla da giù ci applaudiva

eravamo i re e le regine, e loro leggevano i nostri nomi

la notte in cui avete danzato

come se avessimo saputo che le nostre vite non sarebbero state più le stesse

ed eravate lì come degli eroi, su un libro di storia

era la fine di una decade...ma l'inizio di un'era

 

Mancava ormai poco ad Ottobre, e per lei, come ogni anno dal 2002, stavano per riaprirsi i battenti della scuola di danza. In tutto questo tempo, molti le avevano chiesto perché si ostinasse a frequentare la stessa scuola, o che cosa trovasse di così bello nella danza per aver fatto così tanti sacrifici, piccoli e grandi, durante la sua adolescenza e giovinezza. Spesso lei non sapeva rispondere a questa domanda con sincerità: si limitava a dire che era una sua grande passione, che aveva trascorso dei bei momenti lì, che continuava ad essere una soluzione comoda da gestire con l'Università. Tutto questo era vero, ma c'era molto di più.

Per lei ballare era una sorta di missione, qualcosa che la sosteneva durante il grigiore delle settimane che spesso, durante l'anno, sembravano tutte uguali. Sapere che stava lavorando a qualche pezzo, che stava imparando un balletto difficile, era una consapevolezza che la ricaricava oltre ogni misura. Anche in estate si era ritrovata, mentre faceva il bagno o prendeva il sole, a costruire coreografie nella testa o ad ascoltare con attenzione le musiche alla radio, cercando di immaginare a che cosa si sarebbe potuta dedicare prossimamente.

La sera del saggio, a giugno, era sempre stata per lei qualcosa di magico. Ora che era di fatto la più grande del gruppo, ogni anno si faceva più difficile tenere fede agli impegni che comportava e confrontarsi con persone di un'età in fondo un po' diversa dalla sua. Tuttavia, ogni primavera si ritrovava ad aspettare con trepidazione quella sera. E, in quella settimana, non le importava di quanti esami avrebbe dovuto dare nella sessione successiva, di quali impegni extra o serate avrebbe disertato, né, spesso, di quanto e come mangiare o dormire. Per quei giorni esistevano solo lei, le sue compagne ed il ballo.

Doveva ancora vedere il video dell'ultimo saggio, che presto le sarebbe arrivato. Anche quell'anno, il gruppo delle grandi si era distinto per la varietà delle proposte e per il buon numero di pezzi portati sul palco. E poi c'era stata la sua variazione da sola, che per lei era sempre un po' fonte di ansia, ma che finiva sempre per andare benissimo.

Venire buttata sul palco provocava sempre in tutte una certa apprensione, ma, dopo aver preso sicurezza, tutte quante finivano per fare dentro e fuori scena come se fosse la cosa più naturale del mondo. Era quello il piccolo miracolo che ogni anno si ripeteva, e che si concludeva con una miriade di applausi e grandi sorrisi di soddisfazione. Addirittura le era capitato, diverse volte, di sperare che i giorni delle prove generali non finissero mai, perché era una magia troppo bella!

 

Ho detto: ricorda questo modo di sentirsi,

ed ho fatto passare le fotografie

di tutti gli anni in cui ce ne siamo state in disparte

aspettando questo momento

siamo i re e le regine, hai scambiato il tuo cappello da baseball con una corona

quando ci hanno dato i nostri trofei

e li abbiamo tenuti su, per la nostra città

ed i cinici si sentivano offesi,

ed urlavano: “Questo è assurdo”

perché per un momento una banda di ladre, con i jeans strappati,

è riuscita a farsi vedere dal mondo

 

Aveva raccolto tutte le fotografie della danza in un album apposito, e, quando le riguardava, si rendeva conto di quanto lei avesse fatto dalla terza media in avanti. Il gruppo era cambiato, tante persone erano cresciute con lei, e di sicuro si era creato qualcosa di speciale. Tutte avevano iniziato con le stesse incertezze, in mezzo al gruppo delle principianti, più per gioco che per vera passione, aspettando il momento in cui sarebbero state più grandi e più capaci di fare variazioni singole o a coppia, oppure medley con altri corsi. E poi quel momento era arrivato, anche troppo presto, e nel giro di pochissimo tempo si erano ritrovate grandi e quasi pronte ad essere d'esempio per le più piccole. E, ogni anno di più, tornare a scuola dopo le vacanze, o rifugiarsi lì anche per più ore dopo una giornata di lezioni, stress e freddo, significava essere a casa.

 

Aveva provato a partecipare anche ad un musical, a confrontarsi con un'altra “maestra” ed altre compagne. Era stato un mezzo disastro.

La ragazza che le seguiva non aveva fatto altro che criticare quello che aveva imparato ed il metodo di insegnamento che aveva seguito. Era stato in quei giorni, quando si era trovata a rispondere male ed a litigare per quel motivo, che aveva capito quanto si fosse realmente attaccata alla sua scuola. L'altra sosteneva che in tutti quegli anni lei non avesse imparato nulla ed avesse soltanto perso il proprio tempo; quelle parole l'avevano indisposta più di quanto avrebbe mai immaginato.

In ogni caso, era riuscita ad adattarsi ad un altro metodo (non male, per una che non sapeva niente!) ed a fare il musical una, due, tre volte. E poi era tornata dalle sue compagne, sollevata ed allegra.

Che la criticassero pure! I cinici, nell'angolo, ci sarebbero stati sempre, a storcere il naso ed a dire "è tremendo!"

Lei preferiva vivere piuttosto che starsene in disparte a giudicare.

In fondo, lei e le sue compagne non erano nulla di che. Un gruppo di ragazzine in All Star e jeans strappati, che fuori dalla scuola non erano diverse dalle altre ed avevano anche magari problemi a scuola ed in casa.

Ma lì, sul palco, con lo chignon tirato, il trucco, i vestiti che avevano preparato per settimane, i balletti che avevano studiato per mesi, erano delle altre. E si sentivano più che mai nel posto giusto.

 

Ed aspettate un momento, promettetemi questo:

che starete con me sempre.

Ma se Dio lo impedisse, il Fato si mettesse in mezzo

e ci forzasse ad un addio

se avrete bambini, quando loro guardano le foto

per favore, dite loro il mio nome!

Dite loro come la folla applaudiva!

Dite loro che spero che splendano!

 

Aveva appena iniziato il nuovo anno, e sperava con tutto il cuore che sarebbe stato bello come i precedenti. Ma sapeva anche che era il suo ultimo anno di Università, e che in seguito assecondare questa sua passione sarebbe stato ancora più difficile. Sapeva che, prima o poi, questa esperienza si sarebbe potuta concludere. Chissà, forse ne sarebbe iniziata un'altra legata alla danza, altrettanto bella. Anche in quel momento, alcune volte si chiedeva come sarebbe stato tentare con altri tipi di ballo: danza del ventre, danza hip hop, o qualsiasi altra scelta che la sua fantasia le suggerisse. Di certo, almeno per quest'anno, avrebbe tentato di portare avanti il suo solito impegno con il moderno jazz. Aveva già per la testa qualche idea e delle nuove coreografie su cui lavorare; per ora, però, la aspettavano i soliti tre-quattro mesi di riscaldamento e di studio dei passi. Anche quelli, però, erano dei bei momenti, perché era davvero speciale, durante la stagione in cui il buio si faceva sempre più fitto, indossare leggings, maglietta e scarpette, scaldarsi, distendere i muscoli, lasciarsi alle spalle il freddo che intirizziva ed ore intere passate sulla stessa sedia. Parevano un paio di semplici ore alla settimana, eppure, nonostante la crescita ed i dubbi che in quell'anno la stavano attanagliando su tutto, erano ancora così tenacemente importanti.

 

In ogni caso, quando tutte quante sarebbero state delle donne adulte, ormai lontane da quella scuola e proiettate verso altre esperienze, forse si sarebbero ancora ritrovate a guardare le fotografie, a ripensare a quello che erano state. Magari le altre avrebbero parlato alle loro famiglie di quando avevano imparato i balletti insieme a lei.

Avrebbero raccontato come, terminato un balletto divertente, si rotolavano a terra ridendo.

Come se ne stavano sedute in sala prove con un panino ed una bottiglietta, guardando con curiosità quello che avevano preparato gli altri gruppi.

La vivacità del buio dietro al quale si celava una platea.

La sensazione di sollievo e leggerezza quando finalmente quel passo difficile veniva.

I folli medley che avevano preparato: Grease,  Carmen, e poi il Can Can con quell'imprevisto volo di giarrettiere, e le musiche da film, e Cantando sotto la pioggia.

Le variazioni che ogni anno avevano scelto, ogni volta con meno paura di buttarsi.

Tutti i momenti in cui, come in una vecchia canzone degli 883, si era ripetuta: “Due minuti di paura, poi pronti, via.”

E tutte quelle mattine in cui si era svegliata ed aveva avuto la sensazione di star vivendo qualcosa di magico.

Se, in un futuro che sperava ancora lontano, avesse potuto lasciare un messaggio alle ragazze, sicuramente sarebbe stato il seguente:

 

Lunga, lunga vita alle mura che abbiamo abbattuto

e tutte le luci delle candele che brillavano solo per me e voi

ed io ero lì ad urlare «Lunga vita alla magia che abbiamo creato»

e portatemi qui tutti gli imitatori

non ho paura

Cantando «Lunga vita» alle montagne che abbiamo mosso

Ho trascorso la mia vita combattendo i draghi con voi

E lunga, lunga vita a quello sguardo sul tuo viso

e portatemi qui tutti gli imitatori

un giorno saremo ricordate”

NOTA AUTORE: un grazie a tutti i miei lettori e a chi vorrà lasciare una piccola recensione.
Questo racconto tratta un tema molto diverso rispetto a quello di "Tim McGraw", ma spero vi sarà altrettanto gradito.
A presto!

 

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Capitolo 3
*** Tell me why ***


ho preso un'opportunità, ho preso uno sparo

e tu puoi pensare che io abbia il giubbotto antiproiettile, ma non è così

tu hai preso l'altalena ed io sono caduta

e qua giù a terra vedo chi sei davvero

 

Negli ultimi anni, non aveva mai avuto problemi con le sue amicizie femminili. Era riuscita, infatti, a trovare più di una ragazza con cui scambiarsi confidenze, ed aveva da tempo accantonato le cosiddette “amicizie” del liceo, che, negli ultimi anni, erano diventate solo un vespaio di pettegolezzi, giudizi e cattiverie. In realtà, a distanza di tempo, c'era una sola persona che a volte le capitava davvero di rimpiangere.

 

Si trattava di Maria, la ragazza che, con alti e bassi, era stata pur sempre la sua più cara amica del liceo.

La loro amicizia era iniziata in maniera del tutto casuale, durante i primi mesi di quella quarta ginnasio così piena di cambiamenti e novità. Lei era uscita in corridoio per chiacchierare con le nuove compagne, che aveva appena conosciuto, ed aveva finito per rivolgere la parola ad una ragazza che se ne stava tutta zitta ad ascoltare le altre, quasi avesse paura di intervenire. Aveva un aspetto curioso e piuttosto insolito: infatti, se la maggior parte delle ragazze dimostrava effettivamente 14 anni, ed anzi, alcune (come lei) potevano essere scambiate ancora addirittura per studentesse delle medie, lei sembrava molto più grande. E non nel senso che, per maturità di vestiti e di atteggiamenti, le si sarebbero potuti dare 16/17 anni...No, lei assomigliava proprio ad una quarantenne. Aveva capelli marrone chiaro tagliati in modo da formare un caschetto da signora, occhi chiari nascosti dietro occhiali tondi e dei vestiti che, beh...lei si sarebbe vergognata da morire a portarli.

Non faceva altro che infagottarsi in gonne blu o beige al ginocchio, maglioni da mamma, mocassini.

Come si è forse già capito, era una personalità particolare. Era estremamente all'antica e religiosa: non aveva un moto di ribellione nei confronti di nulla; né la Chiesa, né la politica, né le realtà più quotidiane come scuola e famiglia sembravano turbarla.

Per lei tutto questo costituiva uno stupefacente modello al quale non sarebbe mai arrivata. Lei discuteva con i suoi genitori, con suo fratello e pure con i suoi nonni; litigava con le sue compagne per affermare i suoi valori; si infilava con le sue compagne alle manifestazioni politiche per adulti per cercare di capirci qualcosa; protestava animatamente con tante persone più grandi di lei perché le sembrava che alcune idee fossero assolutamente fuori tempo. Non era cattiva: era semplicemente molto, molto testarda, e, ancor di più, curiosa. Per questo le piaceva andare in fondo a qualsiasi cosa. Aveva iniziato a frequentare una compagnia di ragazzi del paese, amici della sua amica Astrid, ed era un'ottima ascoltatrice di tutte le strane storie che le era capitato di sentire. Aveva conosciuto ragazze con i genitori divorziati, che si tagliavano, che avevano già fatto l'amore, che avevano provato droghe. A tutti chiedeva: perché lo fai? Come ti senti? Forse quelle persone non c'entravano moltissimo con lei, ma lei, in qualche modo, aveva sempre un'idea di come divertirsi con loro senza mai oltrepassare un determinato limite.

Ma Maria no, non si scaldava mai per niente, era come se avesse già raggiunto l'equilibrio di un'adulta. Dava retta senza batter ciglio a tutte le indicazioni di sua madre (che la comandava a bacchetta), a scuola faceva la parte di quella che va d'accordo con tutti per non litigare, non usciva con quasi nessuno, a parte lei ed una vicina. Quando lei veniva a raccontarle tutte le scemenze che combinavano lei ed Astrid, tipo andare in discoteca al pomeriggio, ballare sui tavoli, passare le ore a studiare nuovi look e pettinature, imbucarsi alle feste anche se non conoscevano nessuno, lei sorrideva con aria materna e condiscendente e rifiutava di unirsi a loro... come se non potesse, come se qualcosa glielo impedisse. Eppure aveva la sua stessa età...!

 

A dispetto di quello che si potrebbe pensare, la loro era stata a lungo un'amicizia sincera, almeno da parte sua. Maria la ascoltava, sembrava capirla; il suo temperamento tranquillo la metteva a suo agio; entrambe condividevano una passione per la classicità e per il cinema, ed erano spesso andate insieme a vedere film storici o fantasy. Soprattutto, entrambe, anche se in modo diverso, si sentivano romantiche e piuttosto sfortunate in amore, e si confrontavano in continuazione sull'argomento.

Lei era da sempre cotta di un suo amico d'infanzia, e non aveva il coraggio di confessarglielo; ciò, però, non significava che non guardasse altri ragazzi, ed in quegli anni aveva collezionato una breve sbandata estiva ed una serie di imbarazzanti episodi con i ragazzi della classe accanto. Maria, invece, aveva in testa solo un ragazzo che abitava nel suo quartiere, al quale non aveva parlato nemmeno una volta, e che si limitava ad adorare da lontano. Lei trovava questo modo di fare un po' infantile, in realtà.

Per lei, il cui bello dell'amore era il suo essere “litigarello”, e che trovava un momento di massimo romanticismo quello in cui fingeva di pestare il ragazzo che le interessava perché lui l'aveva presa in giro, tutto ciò era incomprensibile.

Ciò nonostante, pensava che lei e Maria condividessero una sincera amicizia, e che presto avrebbero trovato entrambe la loro felicità amorosa.

 

...Si sbagliava. Sarebbe stato proprio quello a dividerle. E, peggio, sarebbe stato quello a rivelarle chi davvero fosse la sua amica.

 

sono stanca e stufa del tuo atteggiamento

mi sento come se non ti conoscessi

dici che mi vuoi bene, poi mi fai del male

ed ho bisogno di te come del battito del cuore

ma sai di avere una cattiva influenza su di me

mi fa venir voglia di coprirmi e scappare quando sei qui intorno

ed è colpa tua e del tuo temperamento

mi ricordo quello che hai detto la scorsa notte

e so che vedi quel che mi stai facendo... dimmi perché!!

 

L'ultimo anno di liceo aveva rimescolato tutte le carte in tavola. In realtà, i problemi erano iniziati alla fine della quarta. Lei era stufa dell'atteggiamento puerile della maggior parte delle sue compagne; aveva iniziato a frequentare una compagnia di persone anche più grandi, in paese, ed anche a fare volontariato. Non pensava che questo le si sarebbe rivoltato contro, ma aveva iniziato a notare che Maria non si confidava più con lei come un tempo. Proprio lei, che prima se ne stava sempre in disparte, ora sembrava stare benone all'interno della classe. Infatti, lei aveva dovuto scoprire da altri che Maria aveva conosciuto un ragazzo di Bologna in chat e che l'aveva già incontrato due volte. Messa alle strette, lei aveva confessato di essercisi messa insieme. Questa notizia l'aveva stupita, soprattutto perché una tale imprudenza (incontrare “dal nulla” un ragazzo praticamente sconosciuto e credere che fosse un grande amore) non rientrava nell'idea di Maria che lei aveva sempre avuto. Quella era veramente la stessa Maria che non si fidava a bere un caffè al bar della biblioteca perché “era pur sempre un locale” e che considerava oltraggioso mettere gli stivali sotto la gonna? La stessa che si trovava al Parco Sempione con un ragazzo più grande conosciuto su Internet? Che pazzia era mai questa?

Dopo un primo smarrimento, però, aveva deciso di fare lo stesso uno sforzo di accettazione perché credeva nella loro amicizia e voleva esserle vicino. Maria, però, no. Alla fine di Settembre lei aveva compiuto 18 anni e, all'intervallo, mentre tutti mangiavano le torte che lei aveva portato e ridevano in gruppo, lei se n'era rimasta in disparte con un'altra ragazza a confidarsi, ignorandola palesemente. Poi aveva bigiato il diciottesimo di Astrid per andare ad incontrare nuovamente quel ragazzo, anche se a lei aveva promesso che ci sarebbe stata.

 

Il momento in cui tutto era crollato, però, era un sabato pomeriggio di inizio ottobre, mentre lei stava preparando buffet e salotto per la festa dei suoi 18 anni. Non aveva pensato a nulla di eccessivo, solo cibo, musica, amici ed uno scambio di regali. Ciò nonostante, era molto di buon umore. Proprio in quel momento, però, il telefono era squillato, e dall'altra parte c'era Maria... in un fiume di lacrime.

Si era scusata, si era detta costernata, ma proprio non ce l'avrebbe fatta ad essere presente quella sera. Motivo? Aveva appena rotto con “il ragazzo”, che, come lei stessa aveva previsto, si era rivelato un idiota come tanti, in cerca della preda facile. Altro che grande amore...! Lei aveva cercato in tutti i modi di convincere Maria a venire lo stesso; le aveva detto di fregarsene, che non gliene importava, ma non c'era stato nulla da fare. Ed a lei non era restato altro da fare che festeggiare con gli altri, senza di lei.

 

...Davvero non la capiva. Era Maria che le aveva dato buca alla festa, giusto? Era lei che avrebbe dovuto essere arrabbiata. Ma non lo era! La festa era andata bene, Maria era rimasta a casa come aveva voluto, quindi che ragione c'era per essere in collera?

Eppure, da quel giorno, Maria era stata sempre così: incollerita, anzi, scocciata.

Ce l'aveva con lei, per qualche motivo che lei non riusciva assolutamente a capire.

La evitava, non le parlava più, non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi. Era come se lei stessa, con la sua semplice presenza, fosse fonte di fastidio per Maria.

Si trattava di un'altalena continua: prima affermava di avere bisogno di lei, poi la respingeva con parole cattive ed insinuazioni antipatiche. Ed era andata avanti così per tutto l'anno, in un crescendo continuo.

Quando lei, subito dopo le vacanze di Natale, era stata malissimo per tre giorni, non riuscendo nemmeno ad andare a scuola, l'unica cosa che era stata capace di dirle era “Beh, immagino che così non riuscirai a rispettare i tuoi programmi per la settimana”.

Quando, verso la fine dell'anno, si era sentita nuovamente male ed era dovuta correre a cambiarsi nel bagno dei maschi (e grazie al Cielo aveva portato con sé la tuta), lei, guardando il pavimento, aveva acidamente commentato “che vergogna, avresti dovuto andare a casa”.

E più di una volta l'aveva sentita malignare con delle compagne che lei odiava sul fatto che lei sarebbe sempre stata single.

Era un abilissimo gioco di potere: Maria fingeva di essere un'amica trascurata, ma ogni volta che lei la invitava, allora si tirava indietro, intimandola di smettere di starle addosso ed accusandola di essere una persona ansiosa e pressante.

Sosteneva che non ci fosse nessun problema, ma quando lei provava a chiarire, anche discutendo, lei recitava la parte di quella stupefatta ed offesa, così da sembrare una povera martire oltraggiata anche davanti alle loro compagne.

Quanto a lei, era sempre più sconvolta, e non sapeva davvero quale fosse il modo migliore di comportarsi. Era così stanca e stufa di questa “nuova” Maria; che le era successo?!? Non era la stessa persona che lei aveva conosciuto, quella di cui si era fidata ciecamente, quella alla quale si era affidata, quasi fosse una sorta di sorella maggiore. E poi, Maria non era una stupida, sapeva benissimo che il suo comportamento la faceva soffrire: perché si ostinava?

Non l'avrebbe mai capito, fino all'ultimo giorno di liceo.

 

perché mi devi far sentire piccola per sentirti completa dentro te?

perché devi abbattere i miei sogni,

in modo da restare l'unica cosa nella mia testa?

 

Solo molto, molto dopo, quando ormai frequentava l'Università, a mente fredda e con qualche esperienza in più sulle spalle, aveva iniziato ad intuire che il disagio di Maria era nato molto prima di quando lei aveva cominciato ad avvertirlo.

Si era sbagliata fin dall'inizio, perché sì, lei aveva fatto tante idiozie, da ragazzina, ma chi aveva vissuto l'adolescenza in modo malsano era stata Maria. Qualcosa, in lei, l'aveva portata a reprimere troppo a lungo sogni, paure e desideri, e la sua rabbia, poi, era esplosa in modo incontrollato.

Quella di Maria era una patologia depressiva, ma lei, allora, non aveva gli strumenti per rendersene conto.

Il suo obiettivo era stato far sentire lei piccola, perché era lei la prima a disprezzarsi ed a odiarsi. La sua scelta era stata quella di proiettare su di lei suoi problemi e paure, come quella (che forse per lei costituiva davvero un tormento) di restare senza fidanzato.

Era triste da ammettere, ma lei gliel'aveva permesso per troppo tempo. Anche se era una vita, ormai, che se n'era tirata fuori.

 

Durante i primi tempi dell'Università, lei aveva provato a richiamare Maria. Una parte di lei le voleva ancora bene, era ancora preoccupata per lei. Aveva sentito che si era riavvicinata a quel ragazzo di Bologna, e temeva un'altra crisi.

...Solo che aveva fatto delle scoperte molto peggiori.

Maria le aveva risposto con un'insolita allegria: aveva riscoperto un vero sentimento! Aveva conosciuto, su un sito di scambio di lingue, un egiziano che, manco a dirlo, viveva in Egitto...ma si erano già dichiarati amore eterno! E poi, pazienza se non l'avrebbe mai potuto vedere...tanto lui era musulmano, e non avrebbero mai potuto abbracciarsi in pubblico! Ed aveva già cercato due volte di prenotare un volo per andarlo a trovare, ma – che sfortuna! - lui era tanto impegnato, e non era stato proprio il caso! Insomma, finalmente aveva trovato l'uomo della sua vita! Non ci avrebbe mai scommesso, ma era successo!

 

Lei aveva mollato il colpo. Parlarle sarebbe stato inutile, sarebbe stato come tentare di spremere un sasso.

E poi, Maria aveva fatto la sua scelta già da tempo, ormai. Aveva scelto di buttare al vento la loro amicizia, ed ora ne avrebbe pagato le conseguenze.

Che se ne andasse per la sua strada, pensò. Era stata fin troppo buona con lei, ma non aveva più voglia di fare la parte dell'amica comprensiva.

E se un giorno Maria avesse pagato il prezzo per la sua follia, forse si sarebbe guardata indietro. Avrebbe ripensato alla loro amicizia ed avrebbe capito di aver sbagliato. Ma, sinceramente, non ci sperava troppo. Anche perché ormai aveva imparato la differenza tra un'amicizia vera ed una falsa.


ho fatto un passo indietro e ti ho lasciato andare

ti ho detto che non ho il giubbotto antiproiettile, ora lo sai!

 

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Capitolo 4
*** Fifteen ***


NOTA AUTORE: Questo capitolo è da considerarsi una naturale continuazione di "Tell me why", il capitolo precedente. La protagonista è la medesima, così come il contesto. In ogni caso, si può leggere tranquillamente questo capitolo senza aver letto il precedente.


Fai un bel respiro ed attraversi le porte

è la mattina del tuo primissimo giorno

dici ciao ai tuoi amici, che non hai visto per un po'.

Cerchi di stare lontano dalla strada di ognuno.

È il tuo primo anno e resterai qui

per i prossimi quattro anni, in questa città.

Speri che qualcuno di quei ragazzi più grandi

ti faccia l'occhiolino e dica:

Sai, non ti ho mai vista prima qui intorno...”

 

Per lei, quella era stata una giornata di Settembre come tante altre. Studio, preparazione di un esame piuttosto importante, un po' di relax casalingo. Da quattro anni a quella parte, non era un mese particolarmente frenetico, fatta ovviamente eccezione per le caotiche sedute d'esame della Facoltà di Lettere e qualche impegno extra che cominciava a presentarsi. Si era ormai abituata a considerare Settembre come una sorta di appendice dell'estate, un momento in cui rientrare gradualmente nella solita routine, in attesa che, ad Ottobre, iniziasse l'anno per davvero. Eppure non era sempre stato così.

 

Da quanto tempo era passato il suo primo giorno delle superiori? Quel giorno erano nove anni da quando aveva varcato le soglie di quel piccolo liceo classico di periferia. Il che significava che, tra un paio di settimane circa, avrebbe compiuto ventitré anni. Ventitré...! Di certo non tanti, ma abbastanza per guardarsi indietro e notare che alcune fasi della sua vita erano irrimediabilmente concluse. Era ormai abituata alla vita che aveva iniziato a condurre all'Università: un mondo fatto di persone intelligenti e colte, di semplici conoscenze e sincere amicizie, di professori inflessibili ma da stimare, e di libertà... molta di più di quella che avrebbe mai osato sperare.

Quando pensava ai suoi anni al liceo, sempre più di frequente li associava a due sensazioni contrastanti: l'eccitazione per quanto c'era stato di divertente ed emozionante, che le scendeva nelle gambe rendendogliele quasi tremanti, ed il groppo alla gola che le impediva di deglutire, nel momento in cui ricordava tutto ciò che l'aveva delusa. A volte le bastava distrarsi un attimo, e correre troppo in là con la fantasia, per ritrovarsi nel bel mezzo di qualcosa che credeva di aver dimenticato.

 

...

 

Tredici anni, quasi quattordici. Ed una nuova vita da affrontare. In quella bella mattina di Settembre, era consapevole di starsi lasciando alle spalle tre anni di scuola media. Non era preoccupata né nostalgica, anzi: era convinta che la nuova avventura sarebbe stata splendida. Sapeva che avrebbe dovuto trascorrere cinque anni della sua vita in quella scuola, e tanto valeva iniziare con il sorriso ed un certo ottimismo. Per non parlare del fatto che finalmente avrebbe potuto lasciarsi alle spalle materie per lei inutili ed iniziare una nuova, stimolante esperienza a contatto con i classici.

Appena salita in classe, si sedette subito al banco con Chiara, l'unica amica delle medie che si era iscritta con lei in quel liceo, ed iniziò a guardarsi intorno, con diffidenza mista a curiosità. La prima cosa che le saltò all'occhio furono i tre ripetenti, in ultima fila, che ridevano e scherzavano come se fossero ormai abituati a stare lì, cosa che poi probabilmente era. A quella vista, il suo cervello iniziò a girare a mille (ok, forse non solo quello). Il punto è che aveva sprecato gli ultimi sei mesi della terza media a correre dietro al bello della scuola, una specie di calciatore dilettante con la mania del gel per capelli e degli occhiali da sole blu. Un periodo assolutamente divertente, fatto di appostamenti e confidenze con Chiara; ma era un capitolo chiuso. Ora era alle superiori! Da quel momento in avanti, avrebbe potuto conoscere ragazzi persino di...diciotto anni! Nel frattempo, non sarebbe stato male conoscere quei tre.

 

e quando hai 15 anni

ti senti come se non ci fosse niente da capire

bene, conta fino a dieci e poi buttati

questa è la vita prima che tu sappia cosa sarai,

a 15 anni.

 

I suoi primi mesi di inserimento al liceo erano stati così: intervalli passati a chiacchierare, sere trascorse a decidere l'abbigliamento per la mattina dopo, e pomeriggi -ahimé- già di studio intenso, visto che i professori non avevano perso tempo a riempirli di lavoro. Si sentiva sospesa in una strana dimensione, come se tutto quello che le andava veramente di fare fosse bighellonare il sabato pomeriggio e guardare i ragazzi nei corridoi. D'altra parte, era quello che si era proposta di fare, no? Aveva a malapena 14 anni ed il liceo era appena iniziato. Chi sapeva che cosa le avrebbe riservato il destino?

 

 

Ti siedi in classe vicino ad una rossa di nome Abigail

e prestissimo siete amiche del cuore.

Ridendo delle altre ragazze che pensano di essere così fighe

noi saremo fuori di qui prima che possiamo”

e poi hai il tuo primissimo appuntamento

e lui ha una macchina, e ti senti come se volassi

e tua mamma ti sta aspettando,

e tu pensi che lui sia l'unico,

e balli intorno alla stanza quando la serata è finita. [...]

nella tua vita farai cose più grandi

che uscire con il ragazzo della squadra di calcio

ma io non lo sapevo a 15 anni

 

In quei primi anni di liceo, oltre a Chiara, aveva legato fortemente con altre due ragazze: Astrid, che abitava praticamente dietro di lei ed era la sua compagna fissa per il sabato pomeriggio, lo shopping e le più strambe trovate adolescenziali, e poi Maria, con la quale il rapporto era più profondo. Maria rappresentava la sua controparte più saggia e- almeno così sembrava – più adulta. Era così seria, riservata, irreprensibile. Lei, invece, aveva dubbi sulla religione, sull'amore, sulla famiglia e sulla sua vita sociale, e, al suo confronto, sembrava sempre una ragazzina confusionaria e fin troppo allegra che esibiva perizomi sotto i jeans, bracciali con le borchie ed ombretto di un azzurro violento. Eppure, la strana alleanza tra loro due si faceva di mese in mese più forte. Era convinta che, ormai, entrambe si potessero fidare ciecamente l'una dell'altra.

 

Ovviamente, il tema forte dei primi tre anni di liceo erano stati sempre e solo i ragazzi. Tra cotte, sbandate, avvicinamenti più o meno espliciti ed un sacco di risate tra ragazze, vi erano stati momenti davvero indimenticabili.

Le numerose feste di compleanno: non ne aveva saltata una, ed era tornata sempre allegra.

La confusa ed allegra gita a Roma, le risate tutte insieme sedute a gambe incrociate sul letto e le sue proteste per non guardare Amici.

I simpatici equivoci amorosi con i ragazzi della classe accanto.

Le dediche sul diario, i disegni, le foto.

Che cosa era andato storto ad un certo punto?

 

Quando tutto quel che volevi era essere voluta

vorrei che tu tornassi indietro

e ti dicessi quello che sai adesso.

 

Inutile negarlo: gli ultimi due anni erano stati davvero pesanti. L'adolescenza era diventata sempre più tarda e difficile. La competizione tra ragazze era diventata insopportabile, e molte amicizie avevano iniziato a perdersi per strada; andare in giro a far nulla il sabato pomeriggio non era più così divertente e tutti avevano iniziato ad essere ossessionati dalla Maturità.

Ma il particolare più sorprendente è che anche lei si sentiva cambiata: aveva molti più hobbies, le sue giornate erano piene di impegni, frequentava persone più grandi e patentate che le avevano fatto fare le ore piccole in più occasioni, e la scuola le stava sempre più stretta. A volte, tutto quello che voleva era essere ancora accettata e benvoluta dalle sue compagne com'era stato negli anni passati, ma era anche consapevole di essere ormai a mille miglia di distanza.

 

 

Quando ripensava a quei momenti, avrebbe voluto fare come in una poesia di Pirandello che aveva appena studiato: presentarsi dalla se stessa diciassette-diciottenne, abbracciarla e dirle: “Non temere. Compirai imprese molto più grandi di queste. Supererai quello che ti farà soffrire, lo vedrai lontanissimo.”

 

Molte volte ho giurato che un giorno l'avrei sposato

ma ho capito di avere sogni più grandi.

Ed Abigail ha dato tutto quello che aveva

ad un ragazzo che le ha cambiato la testa.

Ed entrambe abbiamo pianto.

 

Certe vicende erano state difficili da sopportare. Tanto per cominciare, si era a poco a poco stufata dei ragazzi della scuola e del modo superficiale che aveva di considerarli. Quell'anno aveva avuto modo di instaurare dei veri rapporti con l'altro sesso, che, se un paio di volte avevano sfiorato l'amore, nei restanti casi si erano rivelate delle belle amicizie: lei stessa si rendeva conto che era tutta un'altra cosa.

Ma il peggio era toccato alle sue amiche. Con Astrid si vedeva ancora, ma non c'era più l'alchimia dei primi anni. Chiara aveva avuto un sacco di problemi con la scuola e con la salute, e si era gradualmente isolata. Per non parlare di Maria!

Si era fatta adescare in chat da un idiota, e quando, dopo due uscite stentate, quello era sparito nel nulla, aveva completamente perso la testa. Convinta di aver dato tutto a quel ragazzo e di aver perso l'unico amore della sua vita, era diventata cattiva, intrigante, pesante e triste al limite del depresso. Aveva passato tutto l'anno a smantellare volontariamente la loro amicizia.

E questo le aveva causato una sofferenza infinita.

 

e quando hai 15 anni

non dimenticare di guardare prima di cadere

ho capito che il tempo può guarire quasi tutto

e tu troverai quello che è giusto che tu sia

...io non sapevo chi sarei diventata, a 15 anni.

 

Erano passati oltre quattro anni, ma certe cose le bruciavano ancora. Le capitava di guardarsi indietro e, col senno di poi, dire: Se avessi capito...! Se avessi fatto...!

Tuttavia, si trattava di semplici congetture, e, per dirla tutta, non aveva nemmeno senso ripensarci. Ogni errore, in un certo senso, le era servito.

Di certo ventidue (quasi ventitré) anni erano pochi per sapere che direzione avrebbe preso la sua vita, ma ora sapeva che cosa sarebbe potuta diventare.

Sapeva di essere ormai una studentessa universitaria.

Di avere tanti interessi e passioni che non erano più adolescenziali.

Di odiare con tutta se stessa i falsi amici e la competizione.

Di avere una vera, cara amica del cuore, e tante altre persone che le stavano vicino.

Di avere affrontato e vinto un sacco di quelle paure che aveva a 15 anni.

 

Non le restava che fare i più calorosi auguri di in bocca al lupo a chi avrebbe iniziato le superiori proprio quel giorno...!

 

Il tuo primissimo giorno

Fai un bel respiro, ragazza

Fai un bel respiro mentre attraversi le porte.

NOTA AUTORE: Come dice Taylor nel secret message di questa canzone, I cried while recording this. Fifteen è la mia canzone preferita dell'album Fearless, e credo che resterà sempre il mio video preferito di Taylor, quindi potete immaginare quanto sia stato importante per me questo capitolo.
...spero che vi sia piaciuto! Mi piacerebbe tanto avere qualche parere in più ... accetto anche critiche, ovvio!! A presto! :-)

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Capitolo 5
*** Come in with the rain ***


NOTA AUTORE: questo capitolo conclude una ideale trilogia, composta dai capitoli 3-4-5, riguardante il tema dell'amicizia durante gli anni del liceo. Come per i capitoli 3 e 4, ho scelto una canzone tratta dall'album "Fearless".
A partire dal prossimo capitolo racconterò qualcosa di diverso!
Questo capitolo è per Tota22, senza le cui preziose recensioni non mi sarebbe forse venuta quest'idea.
Spero tanto che piaccia anche a voi lettori "silenziosi"... lasciate un commento, se vi va!

 

Posso tornare ad ogni risata

ma non voglio andare più là

e conosco tutti i passi fino alla tua porta

ma non voglio andare più là

 

Erano ormai due giorni che la pioggia scrosciava imperterrita. L'acqua scendeva dal cielo e lasciava profondi solchi sui profili delicati delle foglie e dei fiori primaverili. Persino il cielo, che in quella stagione era sempre azzurro e punteggiato da piccole nuvole bianche, minacciava tempesta e si era velato quasi di nero.

Nella camera da letto della villetta di famiglia, una giovane donna con un caschetto biondo e gli occhi verdi si era appena allontanata dalla finestra, inforcando gli occhiali dalla montatura colorata. Sedutasi sul letto,avvicinò a sé la borsa nera da lavoro, estraendo un pacco di temi ancora da correggere. Decisa a sfruttare la giornata di brutto tempo, posò il blocco di fogli sulla scrivania e vi si sedette davanti con una penna rossa ed una matita.

Aveva assegnato ai suoi studenti una traccia letteraria, una d'attualità e la solita traccia personale. Il terzo compito del pacco era quello di Elisabetta, una delle studentesse più portate per la sua materia, specializzata nella scrittura di lunghissimi commenti a poesie e romanzi che le erano piaciuti. Per questo motivo Maria restò sorpresa nel constatare che, stranamente, quella volta la sua alunna preferita aveva scelto la traccia personale, dal titolo «Gli anni più belli? Gioie e difficoltà della vita del liceo.»

Lo stile era sempre pulito, elegante, corretto. Maria si era ritrovata ben presto conquistata dalla lettura... finché un periodo piuttosto lungo non l'aveva fatta fermare.

«È opinione molto diffusa che noi adolescenti passiamo la maggior parte del nostro tempo dedicandoci a passatempi leggeri e poco impegnativi, come chattare su Whatsapp, usare i social network, passeggiare in centro con gli amici o chiacchierare con un gelato in mano durante le sere d'estate. Siamo spesso accusati di essere persone leggere e poco profonde. Io credo che, nel momento in cui una persona formula questo pensiero, egli commetta una grave ingiustizia. Le attività prima elencate, infatti, non sono dei passatempi per noi: sono l'unico modo che conosciamo per affrancarci dalle nostre famiglie, per avere un nostro spazio indipendente, per iniziare a crescere. Per quanto piccola e frivola, questa è la nostra libertà, la nostra profondità, e gli adulti dovrebbero rispettarla.»

Leggendo i pensieri di Elisabetta, Maria ebbe all'improvviso l'impressione di stare parlando con qualcun'altra. Anche se con vocaboli diversi,ricordava bene di aver già sentito quel discorso.

 

Maria sapeva bene dove abitava Serena: aveva la patente da qualche anno, ed avrebbe fatto la strada fino a casa sua anche ad occhi chiusi. Anche se, in quegli anni, erano cambiate così tante cose che perfino la strada che univa i loro due paesi non era più la stessa, ma era stata rasa al suolo e ricostruita dalle fondamenta.

Le sarebbe bastato aspettare che la pioggia diminuisse. Avrebbe preso la vecchia station wagon sulla quale suo padre era solito ascoltare Zucchero a tutto volume, che ora era passata in eredità a lei. Avrebbe ascoltato un cd dei Blue durante il breve viaggio, in ricordo dei vecchi tempi. Avrebbe telefonato dal piccolo parcheggio dietro casa di Serena, chiedendole di poterla vedere.

Se una parte di lei, però, stava già contando i passi e cercando il cappotto, un'altra, più razionale, la tratteneva.

Erano ormai un po' di anni che lei e Serena si telefonavano brevemente solo in occasione dei reciproci compleanni, e non si potevano certo più definire due amiche.

Senza contare che una vocina nell'orecchio, dovuta ad una cattiva abitudine familiare, le sussurrava: “Non vorrai disturbare?”

Pur non volendo, le scappò un sorriso. Quante risate si faceva Serena quando lei menzionava l'idea di disturbare! Le rispondeva sempre: “Ma no, che assurdità! Tu non mi disturbi quando mi telefoni o mi vuoi vedere. Potresti chiamarmi anche alle tre di notte, per quel che mi riguarda!”

Le sarebbe bastato pochissimo per risentire quella risata, ma era come se le mancasse la forza di farlo, e, in fondo, sapeva bene il perché.

 

parla al vento, parla al cielo

parla ad un uomo con dei motivi

e fammi sapere cos'hai trovato

 

Più passava le sue giornate in compagnia degli adolescenti e più Maria si rendeva conto che gli anni del suo liceo erano un mondo perduto. I ragazzi a cui insegnava quell'anno leggevano altri libri, ascoltavano altra musica, guardavano altri film e portavano ben altri vestiti. “Beh” pensò sbuffando “chi mi assicura che io sia stata un'adolescente come la maggior parte delle altre?”

 

 

Se c'era una persona che aveva sempre ammirato, quella era sua madre. Forse per questo, a quattordici anni, si sentiva come se stesse iniziando a raggiungere il suo obiettivo: quello di diventare come lei. Come tutte le ragazze, ella aveva ovviamente subito gli scossoni della pubertà, ma, se le altre avevano iniziato a seguire la moda ed a indossare top microscopici sopra larghi jeans a zampa, lei si era sempre ripetuta con assiduità: “Io non devo essere come le altre. Io devo essere diversa. Devo essere elegante, dare l'impressione di una vera signora.” La signora Piera, casalinga impeccabile, era stata ovviamente molto contenta di consigliare la figlia al meglio. Era così che Maria si era ritrovata ben presto l'armadio pieno di giacche, camicette e gonne a tubino, quasi tutte beige, il colore preferito della madre. Quest'ultima le ripeteva sempre: “Agli uomini piace l'eleganza discreta.” Già: la conquista dell'uomo ideale era sempre stata un chiodo fisso di entrambe.

Il liceo classico, però, non le aveva portato in dono un ragazzo serio e posato come avrebbe voluto mamma, ma un'amica: Serena.

Il loro era stato un legame speciale fin dall'inizio. Lei era minuta, dimostrava ben meno della sua età, aveva dei boccoli castani sempre combinati in fantasiose acconciature, vestiva prevalentemente di rosa e andava pazza per le boybands dell'epoca. Era brava a scuola almeno quanto lei, ma il sabato staccava da tutto e stava insieme ad Astrid, una loro compagna di classe fin troppo estroversa dai lunghi capelli rosso fuoco e dal look punk. Con lei Maria aveva sperimentato la bellezza del lasciarsi andare un po', del ridere per sciocchezze, del parlare senza paura di quello che veramente appassiona. Quanti pomeriggi e serate avevano condiviso!

Ancora sorrideva, se ripensava alle chiacchierate nella camera di hotel a Roma, durante la gita del terzo anno. Serena, che difendeva sempre con accanimento la teoria della “bellezza interiore” delle persone, aveva pensato bene di dimostrarlo prendendosi una cotta per il più brutto della classe accanto, che ovviamente li accompagnava in gita. Tuttavia, accettava di farsi prendere in giro da Maria e dalle altre compagne di classe.

La loro amicizia era stata indubbiamente una splendida avventura... fino all'estate prima dell'ultimo anno.

 

posso farmi forza e cantarti una canzone

ma non voglio andare così lontano

e ti ho buttato giù

ti conosco dal profondo del cuore

e tu non sai nemmeno da dove comincerei

parla a te stesso, parla alle tue lacrime

parla con l'uomo che ti ha messo lì

e non aspettare che il cielo si schiarisca

 

Alessio era piombato nella sua vita dapprima discretamente, e poi come un fulmine. All'inizio era semplicemente il ragazzo gentile che lasciava qualche commento su Msn; ben presto, però, era diventato l'oggetto dei suoi pensieri notturni, dei suoi sogni, delle sue fissazioni. Fin dall'inizio dell'adolescenza la costante paura di non trovare un uomo e di restare sola e senza uno scopo nella vita l'aveva perseguitata. Maria non pensava ad altro che a lui ed a cosa avrebbe potuto essere tra loro due, ed era convinta di essere più che mai vicina al suo obiettivo.

Era stato così che, quando Alessio le aveva proposto di incontrarsi, aveva accettato, mandando al diavolo tutti e tutto: i suoi principi fatti di eleganza, riservatezza, di teorie come in amor vince chi fugge; sua madre, la cui inflessibilità iniziava, finalmente, a starle stretta; persino Serena, che in amore era molto più pratica e razionale di lei, e – Maria ne era certa – non avrebbe visto bene questo azzardo.

Se non si fosse buttata in quel momento, probabilmente se ne sarebbe pentita per sempre.

 

Sfortunatamente per lei, le cose erano andate male. Alessio non si era rivelato troppo diverso dai tanti che girano per Internet alla ricerca di una facile conquista.

Subito dopo essere stata “lasciata” da lui, triste, disperata ed abbattuta, aveva fatto la prima cosa che le aveva dettato il cuore: aveva alzato la cornetta ed aveva telefonato a Serena. Sapeva che quella sera ci sarebbe stata la festa per i suoi 18 anni, ma il bisogno di svuotare il suo cuore era di gran lunga più pressante.

Maria le aveva raccontato tutto ciò che le aveva taciuto in quei mesi: le sue speranze,le sue delusioni, la sua paura. Serena l'aveva ascoltata ed era stata comprensiva. Maria non lo sapeva ancora, ma quella sarebbe stata la loro ultima chiacchierata davvero sincera.

 

Giorno dopo giorno, il pensiero di essersi mostrata troppo debole, di essersi aperta fin troppo, di aver fallito si era fatto strada dentro di lei. Ogni mattina, quando apriva gli occhi, non pensava più con metodo a tutto quello che doveva fare prima di andare a scuola, come suo solito. Si sentiva, al contrario, un peso che le schiacciava il petto, come se una mano invisibile la costringesse a restare sdraiata, immobile, senza quasi respirare. Arrivava a scuola adirata e triste, e non c'era niente che la irritava di più che vedere Serena sorridente e con la testa tra le nuvole, che estraeva dallo zaino il necessario, mentre sicuramente ripensava all'ultima festa con gli altri suoi amici.

Ripensandoci, dopo molti anni, si vergognava di quello che aveva fatto. Avrebbe cancellato ogni suo singolo gesto, ogni parola cattiva.

In quei mesi, però, le era sembrato quasi naturale – e se ne spaventava ancora – allontanare Serena. Aveva avuto come la percezione che la sua amica di sempre non avesse davvero gli strumenti per capire, lei che aveva sempre avuto delle storielle da poco che si erano risolte in una rottura senza rancori ed una buona amicizia.

Forse, però, con il senno di poi, il problema era stato esattamente il contrario. Serena, rispetto alle altre loro amiche, era dotata di una sensibilità spiccata, ed avrebbe intuito che dietro al rifiuto di Alessio c'era una questione più complessa. Maria non aveva voluto permettere a Serena di conoscere il mostro che la schiacciava e che la stava trascinando in un tunnel nero.

 

ti ho guardato così a lungo, ho urlato il tuo nome

non so che altro potrei dire

 

Dopo la Maturità, Maria si era iscritta alla facoltà dei suoi sogni: Lettere Classiche. Quegli anni le erano serviti. All'inizio aveva rischiato di impazzire: l'Università la faceva sentire più sola che mai, e, in un momento di sconforto, aveva persino richiamato Alessio. Aveva cercato in tutti i modi di rincorrere quell'amore che, secondo lei, le era stato ingiustamente strappato... finché un giorno non si era guardata dentro per davvero ed aveva deciso che prima dei ragazzi che le giravano intorno, prima delle false amiche che la lodavano senza conoscerla veramente, prima di sua madre che le cuciva il corredo chiedendole quando si sarebbe sposata, la persona a cui dedicare attenzioni era lei stessa.

Aveva affrontato una lunga terapia per venire a patti con il suo mostro, ed aveva incontrato molte difficoltà, ma, con calma, era riuscita, se non a sconfiggerlo, almeno ad isolarlo.

 

 

Stava coronando il suo sogno di essere un'insegnante, e da non molto tempo aveva iniziato a frequentare un collega, senza la fretta di scoprire dove l'avrebbe portata questo rapporto. Si sentiva in pace con se stessa.

Quel giorno, però, come le era capitato altre volte, le mancava Serena e quella che era stata la loro amicizia.

Era passato troppo tempo per potersi ancora accusare ed attribuire la colpa a vicenda: i loro veri nemici erano stati l'ambiente ormai soffocante dell'ultimo anno di liceo, le compagne malfidenti e pronte a dividerle, il loro desiderio di chiudere la porta delle superiori e iniziare un nuovo capitolo.

Quella sera avrebbe lasciato aperta la finestra di camera sua. Il rumore della pioggia l'avrebbe cullata durante la notte, e, chissà, i suoi pensieri avrebbero potuto volare verso casa di Serena.

Un giorno, forse, si sarebbero riviste e avrebbero riso insieme, di nuovo e con il cuore.

 

Lascerò la mia finestra aperta

perché sono troppo stanca, la notte, per chiamare il tuo nome

sappi solo che sono qui, sperando

che tu entri insieme alla pioggia.

 

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Capitolo 6
*** Last kiss ***


NOTA AUTORE: ecco il sesto capitolo di questa raccolta. Esso fa parte di una sorta di coppia: in questo capitolo abbiamo il punto di vista femminile, nel prossimo quello maschile. Il tema è l'amore; tuttavia, non si tratta proprio di una storia "tradizionale". Ho voluto parlare di una tematica poco raccontata, ma, secondo me, più diffusa di quanto si creda. Spero di non urtare la sensibilità di nessuno. Nel caso, come sempre, aspetto i vostri commenti. A presto!! :-)

 

Mi ricordo ancora l'aspetto del tuo viso

illuminato nel buio all'1.58

le parole che dicevi solo per noi […]

il battito del tuo cuore

che si sente attraverso la tua maglietta

posso ancora sentire le tue braccia

 

Questa volta non c'era alcuna via di scampo, né per lei, né per lui. Entrambi avevano ormai fatto le loro scelte, e, specie per lui, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di cambiare.

Erano ormai cinque mesi che non vedeva Fabio. Aveva cambiato residenza con altrettanta facilità con la quale aveva cambiato vita, e lei non si era preoccupata di chiamarlo. Non aveva alcun desiderio di sentire le sue mezze frasi che sottintendevano altro, la sua paterna preoccupazione per come stesse andando la sua vita e la sua soddisfazione nel constatare che tutto stava andando come aveva previsto. Un atteggiamento proprio da Padreterno, ecco.

Non sapeva più che fare per richiamare indietro anche solo una briciola di quello che avevano condiviso. Ogni giorno che passava le sembrava sempre più che lui l'avesse sottovalutato, e che fosse stata solo lei a crederci veramente... di qualsiasi cosa si fosse trattato. Ora lui aveva preso tutta un'altra strada, e lei era lì, di nuovo, a tentare di rimarginare vecchie ferite ed a cercare, una volta per tutte, di svoltare.

 

Qualche anno prima era tutto molto diverso. Lei aveva a che fare con le ultime, faticose settimane di liceo, e lui con il corso di laurea in Fisioterapia. Erano amici ed in confidenza da ormai oltre un anno, ed avevano condiviso insieme tante esperienze, dai viaggi a Roma, in Toscana e sulla neve, passando per le serate in compagnia, fino alle giornate più faticose ed impegnative.

Inutile negarlo, lei aveva una grandissima cotta per lui già da un po'. Si inventava qualunque scusa per abbracciarlo, toccarlo o anche solo avvicinarsi a lui.

Non avrebbe fatto a meno per niente al mondo del suo abbraccio.

Quello che le piaceva di più di Fabio era il fatto che accettasse – o, almeno, considerasse con comprensione – i suoi difetti e le sue insicurezze: lui l'aveva vista, infatti, durante delle particolari vacanze di Natale in cui era triste ed agitata; l'aveva aiutata a pattinare anche se era una vera schiappa; infine, aveva sopportato con pazienza le sue piccole insicurezze ed i suoi monologhi entusiasti su tutti quegli argomenti – libri, musica, danza – che forse, in fondo, piacevano molto più a lei che a lui.

Non era, però, solo quello. No, Fabio le piaceva anche come persona: amava la sua tranquillità, adorava la sua attenzione ai piccoli particolari ed ai sentimenti degli altri, e la faceva morire dal ridere la sua ironia. Si era accorta che egli aveva un modo di fare per nulla comune tra i ragazzi della sua età, e che era una persona molto diversa da tutti quelli che l'avevano deluso.

Per questo motivo credeva fermamente che con lui sarebbe finita bene, e, anzi, che loro due avrebbero proprio vissuto una bella storia.

 

Più le settimane passavano, però, e più lei si sentiva in colpa a tacergli i suoi sentimenti. In fondo, loro due avevano sempre parlato apertamente di tutto, quindi perché non di quello?

Una calda sera di inizio Settembre, mentre andavano a casa insieme dopo una serata passata a ridere e scherzare con gli altri al bar, le parole le vennero fuori da sole. Probabilmente era la sua coscienza che stava scoppiando, o forse si sentiva semplicemente troppo sicura del fatto suo. Ma tutte le sue previsioni si sarebbero rivelate errate.

Lei e Fabio rimasero a parlare in macchina fino a dopo l'una, portando avanti una conversazione che sarebbe stata difficilissima se non fosse stata con lui. Non che ci fosse molto da dire, in realtà: per lui, lei era solo un'amica. Non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire la frase che tutte le donne temono...eppure era successo.

Lei non ci poteva credere, era pietrificata: non aveva voglia di muoversi, di andare a casa, né di fare qualsiasi altra azione che non fosse starsene lì e parlare. Non se la sentiva di staccarsi da lui...almeno, non ancora.

Sapeva che i giorni successivi sarebbero stati i peggiori, che le notti sarebbero state infinite, che si sarebbe tormentata con molte domande.

Ma quel che è peggio è che non ce l'avrebbe fatta a sopportare la sua prospettiva futura. Era lì, senza più liceo, senza più certezze; ed ora non avrebbe avuto neanche più la possibilità di costruire una storia con Fabio. Davanti a lei c'erano solo le porte dell'Università, e le gambe le diventavano molli al solo pensiero.

L'unico aspetto consolante era il fatto che Fabio non avesse alcuna intenzione, come lei, di rinunciare alla loro amicizia. Forse, dopo un primo periodo di imbarazzo, sarebbero tornati ad essere come prima. Era solo questione di tempo.

 

Ma ora mi siederò sul pavimento, con indosso i tuoi vestiti

tutto quello che so è che non so

come essere qualcosa che ti manca

 

Quell'anno, però, le avrebbe riservato fin troppe sorprese. Niente, infatti, era andato come lei aveva previsto. L'Università si annunciava come un disastro, ed invece stava andando più che bene; le amicizie di vecchia data dovevano essere una solida certezza, ed invece cose, persone e situazioni si erano fatte improvvisamente incerte e difficili. Un particolare che influiva molto, poi, era l'atteggiamento di Fabio, che sembrava immutato, ma in realtà, ai suoi occhi, era davvero diverso. Sembrava più rigido, distaccato; era come se guardasse tutto dall'alto con una sorta di superiorità.

Lei pensava che questo fosse dovuto ad un suo nuovo, possibile legame sentimentale, e ne era piuttosto gelosa, ma ormai non avrebbe potuto farci più niente. Ad ogni modo, non dubitava che l'amicizia nei suoi confronti fosse genuina, così come, ormai, lui era un amico per lei. Per questo motivo, una sera decise di confidargli i suoi dubbi sui suoi amici e sui problemi che stava avendo con la compagnia, soprattutto con alcune delle ragazze. Lui vedeva la situazione con occhio più realista del suo, e le avrebbe dato sicuramente qualche buon consiglio.

Solo che non fu così. Quella sera sarebbe stata ricordata, a distanza di anni, come una delle peggiori della sua vita. Molto, molto peggio di quella in cui lui le aveva dato picche. Il motivo era uno solo: lui, invece di consolarla, aveva fatto lo stronzo.

O meglio, all'interno della sua “consolazione” c'erano i peggiori insulti che lei avesse mai ricevuto in vita sua. Lui le disse che non era colpa degli altri; che avrebbe dovuto darsi una mossa lei per stare “in comunità con gli altri”; che, se lei faceva cose terribili come capire male un orario ed arrivare in anticipo, era naturale che poi gli altri parlassero male di lei; e che anche lui, per molti mesi della loro amicizia, aveva pensato che lei fosse solo una stordita a cui dare retta così, tanto per.

I commenti erano superflui. Infatti, da allora qualcosa si ruppe.

 

non ho mai pensato che avremmo finito così

il tuo nome, per sempre il tuo nome sulle mie labbra

 

La scelta migliore che aveva fatto era stata quella di non credergli. L'aveva molto ferita sentire che, di fatto, lui si era comportato da ipocrita per quello che riguardava il loro rapporto, ma aveva ancora abbastanza buonsenso per vedere che, in mezzo a quello che lui le aveva raccontato, c'erano un mucchio di fesserie. Non se n'era andata dal gruppo: era rimasta, cercando tenacemente di guardare a quelle persone che invece l'avevano sempre voluta. Erano passati così mesi, anzi, anni, e c'erano state nuove amicizie, nuovi ragazzi che l'avevano interessata, altri viaggi e numerose esperienze. Con sua grande sorpresa, le cose erano andate via via migliorando. Certo, tutti stavano diventando adulti, ed abbandonare l'adolescenza era stato piuttosto difficile, ma, superata la fase più delicata, era come se tutto si stesse sistemando da solo.

Il rapporto con Fabio era diventato poco più che una fredda cortesia, fatta di chiacchierate occasionali e esperienze condivise l'uno lontano dall'altra. Era più di una conoscenza, ma meno di un'amicizia. Non poteva essere altrimenti, almeno per lei. Comunque, per quel poco che poteva vedere, era ormai una persona completamente diversa da quella che le aveva fatto battere il cuore secoli prima.

Di certo, però, non si sarebbe mai aspettata il mostruoso colpo di coda che il destino aveva in serbo.

 

Era Dicembre, ed era in corso un breve viaggio con i soliti amici in Trentino. Lei era ormai all'Università da un bel po' e stava per discutere la Tesi dei tre anni; il momento, quindi, era piuttosto delicato, e si era concessa volentieri quei giorni di stacco. La prima sera, però, uno dei suoi amici, Matteo, riunì tutti i partecipanti nel salotto dopo cena, con l'intenzione di dare un'importante notizia, che riguardava Fabio, stranamente assente.

Lei era tranquilla: sapeva di che si trattava. Egli, infatti, aveva già comunicato a molti l'intenzione di andare alcuni mesi in America. Non ci vedeva niente di straordinario, anzi, le sembrava pure una buona idea. Ma Matteo, che era sempre stato il miglior amico di Fabio, non vi accennò neanche. Parlò invece del fatto che, già da tempo, Fabio covasse una vocazione particolare, e che, alla fine, avesse deciso di farsi prete.

...Rimase lì, incredula, a ripetersi tra sé e sé: “Ma come, ma allora non va in America?”

 

Nei mesi successivi, tutti ne parlarono, in più occasioni. Era comprensibile: era una notizia piuttosto sconvolgente, e poi tutti lo conoscevano. La frase che sentiva più spesso, da parte tutti, era: “Beh, chi se non lui? Ha tutte le qualità necessarie per una scelta del genere! È così bravo, attento, disponibile... sono così felice per lui!”

Non ce la faceva a sentire quelle parole. Avrebbe voluto dire, anzi, no, urlare:

“Ma con me lui non è stato così! A me ha fatto del male! E non è per niente la scelta giusta! Vuole scappare lontano da tutto e tutti, rinunciare a stare nel mondo, chiudersi in un monastero? Bella merda!

Avrebbe voluto, più di ogni altra cosa, comunicare a lui il suo disappunto. Gli avrebbe chiesto se davvero quello che voleva era fare voto di povertà, obbedienza, castità a ventiquattro anni. Gli avrebbe spiegato che secondo lei non sarebbe stato giusto, perché quella chiusura nei confronti del mondo l'avrebbe fatto – l'aveva già fatto – diventare ancora più rigido, intransigente, presuntuoso.

Ma era inutile sperare di parlargli. Si era guardato bene dal rivelarle la notizia in anticipo, e, a seguito di un vago “Un giorno ne parliamo insieme” a Natale, si era sempre eclissato adducendo scuse ed impegni. E, ad aprile, si era trasferito nel monastero maledetto.

 

Così guarderò la tua vita nelle foto, come ero solita guardarti dormire

e sentirò che tu ti dimentichi di me, come ti sentivo respirare

e resterò in contatto con i nostri vecchi amici

solo per chiedere come stai

spero che sia bello dove sei

 

e spero che il sole brilli, e che sia una bella giornata

e qualcosa ti ricordi che avresti voluto restare

puoi programmare un cambio di tempo, o di città

ma non avrei mai pensato che tu avresti cambiato testa così

 

Aveva sperato fino all'ultimo che Fabio decidesse di non iniziare davvero il noviziato, ma, ovviamente, le sue aspettative erano state deluse.

Non aveva provato a sentirlo, né a vederlo. Si era sempre comportata da ingenua e da povera illusa con lui, ma era proprio il momento di smetterla. Solo in quel momento lo capiva: Fabio era come tutti quelli che in passato le avevano fatto del male. Le aveva proiettato addosso le sue paure e le sue debolezze perché era la persona più debole e più vicina. Non l'aveva solo rifiutata – e quello lo poteva accettare - , ma aveva distrutto il loro rapporto, e, come se non bastasse, si era giocato malissimo le sue ultime carte.

 

Le venivano in mente i momenti in cui avevano viaggiato insieme, dormito tutti nella stessa grande camera, viaggiato sulla stessa auto. Quel che restava di quei momenti erano solo fotografie, ed anche una gran voglia di dimenticare.

Lui non era più la persona con cui lei aveva voluto condividere tutto ciò, perché lei non avrebbe mai, mai pensato che lui sarebbe cambiato così. E, checché ne dicessero gli altri, per lei quel cambiamento era stato immensamente in negativo.

Che sia pure bello laggiù, pensò.

Che il sole splenda dovunque egli sia.

Basta con i rancori e con i dispiaceri.

Lui poteva chiudersi in tutti i monasteri che voleva, ma lei sarebbe rimasta nel mondo, a vivere. Qualche volta le sarebbe mancato ancora, perché è difficile lasciar andare una persona importante che ci ha delusi.

Ma, appunto, aveva tutta una vita davanti.





 

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Capitolo 7
*** Holy ground ***


NOTA AUTORE: ecco il secondo capitolo di questo "dittico". Questa volta la narrazione è dal punto di vista di Fabio. Rispetto a Last Kiss, il capitolo precedente, Holy Ground è ambientata qualche tempo dopo. Spero che vi piaccia il tono un po' diverso nel raccontare; Holy ground è una canzone il cui messaggio principale è "Dopotutto andava bene così, senza rancore", e mi auguro di essere riuscita a renderlo al meglio.
Mi piacerebbe davvero sapere che cosa ne pensate, soprattutto perché ho visto che lo scorso capitolo ha avuto tante letture. Un commento anche piccolo, anche critico, sarebbe oro per me! Buona lettura :-)

 

me ne stavo ricordando proprio l'altro giorno,

stavo bevendo un caffè tutto solo e Dio, mi ha portato via

sono tornato a come mi son sentito dopo quel primo sguardo a New York

a quando tu ti adattavi alle mie poesie come una rima perfetta

ho spento in fretta la luce verde e me ne sono andato

hey, ho evitato la conversazione, ma tu lo sapevi già

ho lasciato uno scritto sulla porta riguardo allo scherzo che abbiamo fatto

e questo è stato il primo giorno

 

“Buongiorno Don, che cosa le posso servire?”

“Non sono ancora Don, sai?!? ...Un cappuccino, comunque. Ah, e una brioche! Grazie!”

Quando entrava in un locale, non riusciva mai a fare un'ordinazione sicura. Ogni volta, in un bar o in un ristorante, aggiungeva sempre qualcosa da mangiare o da bere in un secondo momento, cambiando idea di continuo, facendo impazzire i camerieri e facendosi poi perdonare con il suo sorriso.

Il ragazzo al bancone non aveva poi tutti i torti. Dalla prossima settimana sarebbe stato, a tutti gli effetti, Don Fabio. Aveva ancora un lungo percorso davanti a sé, i suoi voti non erano definitivi, ma si trattava comunque di un importantissimo punto di svolta per la sua scelta di vita.

Negli ultimi tre anni si era sentito lontanissimo da quella che era stata la sua vita prima della vocazione, eppure non era passato molto tempo da quando era Fabio, un ragazzo come tanti altri.

Mentre sorseggiava il suo cappuccino, si rendeva conto che alcune piccole cose non erano per niente cambiate: preferiva sempre andare al bar piuttosto che farsi un caffè a casa sua (anche se ora la sua “casa” era un posto un po' particolare), cacciava sempre le monete del resto nelle tasche dei pantaloni dimenticandole lì dentro, ed era ancora del tutto incapace di rendere la vita più facile ai camerieri.

Si stava proprio chiedendo se la ragazza che serviva il tavolo dietro di lei, che avanzava faticosamente con un vassoio stracarico, le potesse fare un piccolo favore (in fondo, lui chiedeva soltanto un'altra brioche), quando si era improvvisamente bloccato, prima ancora di farle un cenno. Tutto quel pensare e ripensare ai bar ed alle colazioni gli aveva fatto venire in mente una persona che ordinava sempre ed invariabilmente, con sicurezza, caffè senza latte e brioche alla marmellata: Sofia.

 

Il loro primo incontro era avvenuto in una giornata d'estate, durante una mattinata in piscina che entrambi stavano trascorrendo facendo volontariato con i bambini.

Era durato pochi minuti, come nei film, ma, a differenza di quello che accade al cinema, non aveva lasciato nessuna impressione particolare, in nessuno dei due. Eppure ora rivedeva chiaramente Sofia in quel sole di giugno di tanti anni prima. Ricordava il suo volto semplice dai lineamenti delicati, il suo corpo dall'aspetto un po' fragile, l'espressione stupita e pensierosa di chi si trova in un posto nuovo e deve ancora adattarsi.

Erano stati i mesi seguenti, i tanti amici comuni, il tempo trascorso insieme a consolidare la loro conoscenza. Non amicizia, si disse con una punta di amarezza.

Già, perché all'inizio Sofia non gli aveva fatto per niente una buona impressione. Gli sembrava svagata, distratta, un po' sciocca. Se qualcuno gli avesse chiesto su che cosa si basassero le sue considerazioni, forse non avrebbe nemmeno formulato una risposta coerente: gli sarebbe bastato elencare qualche piccola dimenticanza ed i commenti che ogni tanto lei faceva e che erano un po' troppo sopra le righe per i suoi gusti.

Si era trattato sicuramente di una valutazione errata, ma in quegli anni era così preso da se stesso che non se ne sarebbe reso conto.

Più i mesi passavano, però, e più Fabio si accorgeva di essere stato troppo serioso nel giudicare Sofia: per quanto fosse una ragazza minuscola e dall'aria un po' spaurita, il suo carattere era molto più forte di quello che si sarebbe potuto pensare all'inizio. Era una persona dolce e gentile, di solito responsabile, a volte un po' diretta e casinista, ma non per questo da criticare.

Fabio si era ritrovato ben presto a parlare con Sofia sempre più spesso, ad accompagnarla a casa quasi ogni sera, a fare fronte comune con lei rispetto ad altri amici. Una sera le aveva inviato un messaggio decisamente più personale di altri, e, rileggendo la sua risposta qualche ora dopo, si era accorto che quello era il primo giorno di qualcosa di nuovo.

 

correvo come una ragazza in un bel vestito nuovo

avevamo la grande città tutta per noi

abbiamo fatto cessare il rumore con il suono dei “ho bisogno di te”

e per la prima volta avevo qualcosa da perdere

bene, penso che siamo andati in pezzi nel solito modo

e la storia ha della polvere in ogni pagina

a volte mi chiedo che cosa ne pensi adesso

e vedo il tuo volto in ogni folla

 

Quello che Sofia non sapeva – non poteva sapere – era che Fabio stava già iniziando un percorso che avrebbe portato lontano da quella che era l'esistenza di tutti gli altri. Per Fabio, capire che egli non provava niente di più per Sofia di una sincera amicizia, per quanto gli eventi sembrassero spingere in un'altra direzione, era stata una conferma della scelta che stava facendo.

Scoprire però che Sofia si era innamorata di lui fu però una grossa sorpresa.

Per la prima volta, si trovava in un vero ginepraio: come dire – come spiegare? - alla ragazza che voleva stare con lei che la vita lo stava spingendo altrove?

Che, anche se non poteva dire di esserne sicuro, stava considerando la castità?

Si sentiva frustrato, triste e molto indeciso. Non riusciva a pensare a nient'altro che non fosse consolare Sofia, anche se non era certo che lei avrebbe ascoltato le sue parole.

I primi tempi entrambi erano riusciti, almeno in parte, a salvare il loro rapporto. Più il tempo passava, però, più Fabio sentiva che Sofia si stava allontanando da lui, in ogni senso. Era diventata fredda e scostante, e, cosa che lo irritava moltissimo, sembrava non tenere più in grande considerazione le sue parole.

Era evidente che non si sentisse più a suo agio nel loro gruppo di amici... dopotutto, lo era mai stata? Aveva sempre avuto altre idee, altri modi di vedere la vita di ogni giorno. Fabio voleva bene ai suoi amici, ma doveva trovarsi ad ammettere che non sempre erano stati buoni con Sofia e la sua mentalità “troppo aperta” per i loro gusti.

D'altra parte, che altro si sarebbe dovuto aspettare? Non poteva pretendere che lei lo aspettasse per sempre, o che gli stesse accanto in attesa di una sua decisione definitiva. Lui l'aveva respinta, e lei gli aveva risposto iniziando a cercare una nuova vita.

 

Il momento di cui si era a lungo pentito era stato quello in cui aveva annunciato pubblicamente la sua decisione di prendere i voti e di allontanarsi dal paese.

Prima di raccontare la sua scelta a tutta la compagnia, aveva avuto dei colloqui privati con alcuni suoi amici di vecchia data... con tutti loro, tranne che con Sofia. Gli era mancato il coraggio per farlo, e lei l'aveva saputo insieme a tutti gli altri.

Si era ripromesso di parlarle faccia a faccia, glielo aveva persino accennato, ma poi... semplicemente, non lo aveva fatto.

Si sarebbe potuto dare moltissime giustificazioni: era mancata l'occasione, non sapeva che parole utilizzare...

La verità, però, è che ormai sentiva Sofia e tutto quello che riguardava la sua vita laica come qualcosa che, di fatto, rappresentava il suo passato. Per questo motivo si era illuso, chiudendo la valigia, di lasciare alle spalle anche i capitoli più delicati della sua esistenza.

La sua nuova vita l'aveva assorbito così tanto che aveva avuto a malapena il tempo di ripensare a quello che aveva lasciato. Tuttavia, alcune volte gli era capitato di rivedere Sofia nella sua mente, di chiedersi che cosa stesse facendo e che cosa pensasse.

 

E cara, era qualcosa di buono, non guardare mai indietro

e proprio là dove stavamo era una Terra Santa

 

Gli ultimi anni erano stati preziosi per la sua coscienza. Forse non aveva ancora trovato tutto quello che desiderava, ma, a poco a poco, aveva nuovamente incontrato se stesso. Si era visto diventare adulto per davvero ed aveva rivalutato molti degli atteggiamenti che aveva avuto in passato.

Aveva incontrato di nuovo Sofia solo una volta, quando era tornato in paese a salutare i vecchi amici.

Si sarebbe aspettato che lei disertasse l'incontro e non mostrasse alcun desiderio di rivederlo. Il suo atteggiamento, invece, l'aveva spiazzato.

Quella che si trovava davanti non era più una ragazzina pronta a correre ad ogni sua telefonata o ad ascoltare le sue critiche come se fossero oro, ma una donna cresciuta che aveva imparato a cavarsela da sola.

Sofia non aveva recriminato, non aveva fatto frecciatine, non se n'era andata con una scusa, non aveva nemmeno tentato di parlargli privatamente. Lo aveva solo salutato ed aveva parlato sia con lui che con gli altri.

Risultava evidente che la serata fosse una specie di rimpatriata non solo per lui, ma per molti altri, in quanto il vecchio gruppo si era sciolto da tempo. Tuttavia, se c'era qualcuno che non mostrava di soffrirne affatto, quella era proprio Sofia: da come parlava, era evidente che nuove persone e situazioni fossero entrati nella sua vita, e che lei fosse molto più serena.

Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, non l'avrebbe giudicata così duramente. Fin da quando si erano incontrati in piscina molti anni prima, avrebbe dovuto essergli evidente che, pur con mille difficoltà, Sofia avrebbe trovato la sua strada. Così come aveva fatto lui.

Era però inutile immaginare di cambiare quello che era stato. Iniziava a pensare che tutto quello che avevano vissuto fosse qualcosa di buono in sé, al di là di tutto quello di negativo che ne aveva fatto parte.

Si trattava di qualcosa di prezioso proprio perché vero, sentito e... sì, costellato di errori.

Lui e Sofia sarebbero andati per vie diverse, ma non avrebbero più rimpianto il passato. O, meglio, ci avrebbero ballato sopra.

 

Stanotte ballerò come se tu fossi in questa stanza

ma non ho intenzione di ballare, se non sto ballando con te.

Stanotte ballerò per tutto quello che abbiamo passato

ma non ho intenzione di ballare, se non sto ballando con te.

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Capitolo 8
*** Enchanted ***


Ero di nuovo lì stasera

Forzando risate, fingendo sorrisi

il solito vecchio, stanco, solitario posto

muri di non sincerità

occhi che si guardano intorno e noia

 

La vita, a volte, riserva momenti magici. Alcune cose che sembrano accadere solo in film, canzoni e libri. Eppure quasi tutti, prima o poi, abbiamo avuto l'impressione di toccare le stelle.

 

Era ancora pomeriggio, anche se sembrava notte fonda, e l'abitacolo era caldo, benché fuori si raggiungessero a stento i tre gradi. Era Dicembre, e stava viaggiando sull'ultimo sedile di un pulmino da nove posti. Direzione: la Toscana, per tre giorni.

Tre giorni che, sperava, sarebbero stati sufficientemente belli da farle lasciare alle spalle la pesantezza dell'ultimo anno di liceo, qualche gravoso problema con alcune compagne, la sua imbranataggine a scuola guida, varie ed eventuali.

Prima del previsto, era giunto il momento di partire, e si era affrettata a fare i bagagli. Sapeva che si trattava di una semplice tre giorni con la compagnia, ma il paesino dove sarebbero andati, Pienza, sembrava davvero affascinante, e di sicuro avrebbe conosciuto persone nuove, dal momento che, in quella gita, si erano aggregati i ragazzi di un nuovo gruppo. Per il momento si gustava il viaggio. Oddio, per quello che le era possibile. L'autista guidava con troppo entusiasmo, facendo procedere il pulmino a balzelloni, era stato messo un CD di Elio e le Storie Tese e Matteo, un suo amico che la trattava come un uomo, era seduto di fianco a lei ed aveva messo il sedere fuori dal finestrino per salutare cordialmente i passanti.

Beh, se non altro avrò qualcosa da raccontare, pensò. Quella notte, quando andò a dormire, dopo che si era bucata una delle ruote dei pulmini, era stata prontamente riparata, e tutti erano finalmente giunti a destinazione, si sentiva allegra e carica di aspettative. Anche se il tutto la spaventava un po', si era lasciata alle spalle la solita routine.

 

tutto è sparito quando ho visto il tuo volto

tutto quello che posso vedere, è che è stato incantevole incontrarti

I tuoi occhi hanno bisbigliato: “Ci conosciamo?”

attraverso la stanza, la tua figura comincia ad avvicinarsi a me

comincia una vivace conversazione

 

Pienza era davvero quel gioiellino che era stato annunciato. Un borgo medievale circondato da prati verdi e cipressi; era stato progettato come “città ideale” e non ci andava lontano. La mattinata era stata piacevole, ed aveva già iniziato a conoscere qualche persona nuova.

Mentre prendeva posto a pranzo con gli altri, sentì una voce sconosciuta dirle: “C'è posto qui?” A parlare era stato un ragazzo alto, dagli occhi e dai capelli castani. Era convinta di averlo già visto: ma dove? Ricordò di averlo incrociato qualche volta, con persone che conosceva. Ma non aveva mai fatto particolarmente caso a lui.

A giudicare dal volto dello sconosciuto, era evidente che anche lui stava pensando la medesima cosa. In ogni caso, il ragazzo si presentò come Luca, raccontando di essere iscritto al secondo anno di Ingegneria e di frequentare, per l'appunto, quella compagnia nuova che si era aggregato per questa gita.

Anche a distanza di anni, non riusciva a ricordare che cosa, esattamente, l'avesse colpita di lui: forse il suo modo di parlare ricercato, o le chiacchiere e le risate che condivideva con gli amici accanto a lui. Fatto sta che si era trovata a ridacchiare mentre si versava dell'acqua e lo guardava. Si sentiva leggera, come non le capitava da tempo. E, osservando meglio Luca, anche lui sembrava pervaso dalle stesse sensazioni.

 

questa notte è scintillante, non lasciarla andare

sono stupefatta, arrossisco per tutto il tempo del ritorno a casa

passerò tutto il tempo a chiedermi se sai

che sono incantata di averti conosciuto

 

Inutile dire che Luca si sedette di fianco a lei anche quella sera a cena (e, per essere proprio precisi, l'avrebbe fatto anche al pranzo del giorno dopo). Quella sera, dopo un po' di chiacchiere tutti insieme davanti al caminetto, alcune delle ragazze proposero di fare un giro fuori, per vedere la notte stellata. Le bastò coprirsi alla meglio e seguire gli altri all'esterno della casa per capire che ne sarebbe valsa assolutamente la pena. Pienza non era solo una splendida cittadina immersa nella natura: era anche un angolo di pace lontano dalle luci e dalla confusione delle città. Di conseguenza, il cielo era di un sorprendente blu, ed il buio sarebbe stato quasi totale, se non ci fossero stati milioni di splendide stelle che tracciavano disegni nell'aria e sembravano quasi formare dei fiumi di luce. Forse non era abituata ad una simile vista perché aveva frequentato sempre poco la montagna e la campagna, abituata com'era al chiasso della riviera marittima, che era ormai la sua seconda casa. In quel momento, però, era felicissima di essere lì.

In realtà, non c'era niente di particolare da fare, se non una passeggiata tra i vialetti, i cipressi ed i cespugli, che poi si sarebbe trasformata in una corsa furibonda, e poi ancora in un rientro in punta di piedi, per evitare che il padrone della casa che avevano affittato beccasse tutti in evidente flagranza di uscita notturna. Ma l'allegria, le voci, la confusione, il senso di libertà causato dall'essere finalmente in vacanza, tutto avrebbe reso quella sera indimenticabile ai suoi occhi, anche a distanza di anni. Più di qualsiasi altro pensiero, però, era stata la conoscenza di Luca ad averla lasciata del tutto stupefatta. Quella sera, più che mai, le sembrava di vivere in un mondo tutto suo, e di essere in compagnia delle persone più giuste che avrebbe potuto desiderare.

 

la questione in sospeso mi ha tenuta sveglia

sono le 2...tu chi ami?
Ci penso finché non sono del tutto sveglia

so che sto camminando avanti e indietro

desiderando che tu sia alla mia porta

aprirei la porta e tu diresti “Ehi!”

 

Se la notte prima si era addormentata con facilità, stanca per il viaggio e con la prospettiva di una lunga giornata davanti, quella sera faceva proprio fatica a prendere sonno. O anche solo a stare ferma, in realtà. Nonostante fosse il 9 Dicembre, il gelo all'esterno fosse quasi insopportabile per lei che era super freddolosa e la giornata appena trascorsa fosse stata tutt'altro che leggera, il suo primo impulso sarebbe stato quello di farsi un'altra passeggiata fuori, tra le stelle. Con Luca, magari.

Già. L'aveva conosciuto da poco, anzi, da pochissimo, e non poteva dire subito che le piacesse. Di sicuro, però, l'aveva colpita, e si sentiva già attratta da lui. Ma era inutile correre con la fantasia: magari il giorno dopo lui non avrebbe nemmeno fatto caso a lei, e lei avrebbe perso una notte di sonno nell'inutile tentativo di fantasticare su non so cosa. Quello che le sarebbe piaciuto di più sarebbe stato parlare ancora un po' solo con lui, conoscerlo meglio, capire quali erano le sue passioni ed i suoi interessi. Non ci sarebbe voluto molto, dal momento che, in quella gita, tutti stavano imparando a conoscersi. Dal momento che tanto, ormai, era sveglia, le sarebbe piaciuto che lui aprisse la porta della sua camera e la invitasse a parlare con lui anche lì, sulle scale. Peccato che dividesse la camerata con altre sette persone. Va bene, va bene, meglio dormire, magari un'altra volta!

 

e questa sono io, che prego che questa sia solo la prima pagina

non dove finisce la storia

i miei pensieri ripeteranno il tuo nome, finché non ti rivedrò di nuovo.

 

Queste sono le parole che ho trattenuto

mentre me ne stavo andando, troppo presto

sono stata incantata di averti conosciuto.

Per favore, non essere innamorato di qualcun'altra.

Per favore, non avere qualcuno che ti sta aspettando.

 

Mentre bagagli, masserizie, gommoni, vassoi e qualunque altro oggetto pesante veniva caricato nuovamente sui pulmini, c'era una certa tristezza nell'aria. Un pomeriggio di viaggio e tutti sarebbero stati nuovamente a casa. La malinconia, però, come sempre quando era finita una bella vacanza, era mischiata ad una palpabile contentezza. Era un peccato lasciare quell'angolo di mondo, vero; ma era anche eccitante il pensiero di tornare a casa, con il Natale alle porte e dei nuovi amici.

Mentre saliva sul pulmino, fu raggiunta da Luca, che le chiese se c'era posto accanto a lei. Ovviamente c'era!

Fu l'occasione che, probabilmente, entrambi avevano aspettato per chiacchierare seriamente dei propri gusti ed interessi. Così lei scoprì la sua passione per i classici, per la storia, per le materie umanistiche in generale; piuttosto curioso per la media degli ingegneri, ma del tutto perfetto per lei. Ma parlarono anche di molti altri argomenti, e, man mano che i minuti passavano, lei aveva sempre più una sensazione di affinità con lui. Anche lui era appena stato in Germania! Anche a lui piacevano i romanzi storici! In tutti quegli anni di liceo, non aveva mai conosciuto un ragazzo con dei gusti così adulti e raffinati. Forse era anche perché era un po' più grande, ma non si trattava solo di quello.

Avrebbe voluto che quel viaggio non finisse mai: si sentiva protetta, come in una sorta di limbo. Aveva lasciato troppo presto la Toscana, ma non era ancora arrivata a casa. Giù da quel pulmino avrebbero potuto esserci problemi, incomprensioni, tanto tempo da far passare prima di re-incontrarlo... o, addirittura, un'altra ragazza che lo stava già aspettando. Nel suo cuore pregava che non fosse così.

Il loro era stato un incontro troppo bello e speciale per venire rovinato dalla vita di tutti i giorni e dal non vedersi.

Le guglie di Milano si videro troppo presto perché lei non ricominciasse a pensare con nostalgia alle notti toscane. La nebbia, infatti, copriva tutto, e non si vedeva nemmeno un pezzetto di cielo, figurarsi le stelle.

Era ancora immersa nell'atmosfera di incanto di quei giorni, e le ci sarebbe voluto non poco per riadattarsi alla vita quotidiana. Ma sapeva che quella gita sarebbe stata solo un inizio. Di che cosa, non lo sapeva: ma si augurava che sarebbe stato bellissimo.

Il Natale, le luci scintillanti della festa, delle nuove amicizie, una ritrovata sensazione di libertà ed allegria, e forse un amore: che altro le sarebbe mancato per essere felice?

 

questa notte è scintillante, non lasciarla andare

sono stupefatta, arrossisco per tutto il tempo del ritorno a casa

passerò tutto il tempo a chiedermi se sai

che sono incantata di averti conosciuto

questa notte è perfetta, non lasciarla andare

sono stupefatta, danzo tutt'intorno alla stanza

passerò tutto il tempo a chiedermi se sai

che sono incantata di averti conosciuto

NOTA AUTORE: ecco l'ottavo capitolo! Questa è una one-shot. Enchanted è la mia canzone preferita in assoluto tra quelle di Taylor, quindi mi piacerebbe davvero sapere che cosa ne pensate di questa raccolta di racconti. "Lettori silenziosi", fatevi avanti!! A presto :-)

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Capitolo 9
*** Red ***


NOTA AUTORE: sono stata in dubbio se considerare il capitolo precedente, "Enchanted", come una sorta di one-shot, oppure no. Alla fine ho deciso che la storia raccontata meritasse una continuazione. Spero tanto che vi possa piacere. Aspetto con tanta curiosità qualche commento in più... fatemi sapere che cosa pensate di queste storie! :-)
 

Amarlo è come guidare una nuova Maserati

giù per un vicolo cieco, più veloce del vento

passionale come il peccato, è finito così presto

amarlo è come cercare di cambiare idea

una volta che stai già volando in caduta libera

come i colori in autunno

così brillanti prima che si perdano del tutto

 

Era stata colpa di suo fratello, senza dubbio. Se lui non fosse stato dannatamente allergico alla polvere, non si sarebbe ritrovata in quel sabato mattina a pulire la camera di entrambi, lottando con i nugoli di sporcizia che lui si era guardato bene dal rimuovere. Oppure era stata colpa sua e della sua fissazione per l'ordine: da qualche anno, quando camera sua, oppure il suo armadio, o ancora le sue mensole raggiungevano uno stato di confusione davvero penoso, stabiliva delle giornate durante le quali, avendo tempo libero, rivoluzionava tutto, sistemando anche il più piccolo foglietto fuori posto.

In definitiva, non vi era alcuna colpa: che cosa avrebbe dovuto fare? Finire sepolta sotto cataste di volantini stravecchi, magliette usurate, calzini rotti? Certo che no.

Tuttavia, in quel preciso istante si ritrovava a maledire la sua scelta di fare ordine. Già, perché da una delle tante borse di carta che aveva accatastato ai piedi dell'armadio era fuoriuscita, dispettosa ma inesorabile, una cartolina di Pienza.

 

L'aveva rigirata con cautela, osservando la data. Sapeva che il tempo fosse trascorso, ma davvero non si aspettava che si trattasse di sette anni e mezzo.

Aveva tantissimi ricordi di quel frammento di vita confusionario ed indimenticabile che era stato l'ultimo anno di liceo, e Pienza era uno dei più belli.

Alcune immagini di quei giorni le ritornavano ancora in mente, limpide come se le avesse appena vissute.

Le stelle, le colline, le corse nella notte, il calore del camino, i tramonti.

Luca.

 

Dopo essersi conosciuti, durante quei tre giorni pieni di promesse, non si erano più perduti, come lei aveva temuto, ma avevano continuato a cercarsi.

Luca aveva una macchina di lusso, nera e sottile, silenziosa e veloce. Era con quella che era solita riaccompagnarla, dopo le loro serate insieme. Lei a quel tempo stava ancora vivendo la memorabile avventura della scuola guida (un incubo, sia durante che a posteriori, ma purtroppo anche una tappa obbligata) e guardava fuori dal finestrino, assorta. Le strade del paese erano buie già da molte ore, per via della stagione invernale, e, da dentro l'abitacolo, era difficile vedere al di fuori. La velocità del veicolo dava l'impressione di poter sbattere contro un muro o un vicolo cieco da un momento all'altro, ma, stranamente, questo contribuiva soltanto a farla sentire leggera. Come se nulla le importasse. Come se si sentisse proiettata in un altro mondo.

Il loro gruppo di amici aveva organizzato un fine settimana in montagna, a gennaio, che li aveva visti sempre più vicini e felici di frequentarsi. Durante le notti lei non riusciva a dormire, si avvolgeva nel plaid a quadretti rossi e verdi e si avvicinava alla grande finestra della sua camera, sopra il termosifone. La spessa distesa di neve che circondava la casa si rifletteva nel cielo, rendendolo viola ed oro anche in piena notte. I colori cambiavano rapidi, portati dal vento, e non vi era una sfumatura uguale all'altra, così come i suoi giorni con Luca erano tutti diversi. Non erano una coppia, ma non erano nemmeno amici, ed ogni giorno lei scopriva qualcosa di nuovo su di lui.

Per la prima volta nella sua vita, la passione stava prendendo il sopravvento sulla sua razionalità, e lei stessa aveva deciso di permettersi di vivere giorno dopo giorno, guardando a quello che il futuro le avrebbe riservato.

 

toccarlo è stato come capire che tutto quello che hai sempre voluto

era lì proprio davanti a te

impararlo a memoria è stato facile, come conoscere

tutte le parole della tua vecchia canzone preferita

combattere con lui è stato come risolvere le parole crociate

e capire che non c'era nessuna risposta esatta

rimpiangerlo è stato come desiderare

di non aver mai capito che l'amore potesse essere così forte

 

Luca non era solo l'affascinante e raffinato intellettuale che l'aveva colpito all'inizio. Era anche un ragazzo semplice e di compagnia, che amava il calcio, che chiacchierava volentieri durante le serate di gruppo. Era una persona sensibile e spiritosa, che coglieva subito nei suoi occhi un lampo di preoccupazione o di tristezza, tutte le volte – ed erano state parecchie, in quell'anno – che lei si sentiva insicura e preoccupata. Nel corso dei suoi anni di liceo, aveva cercato più e più volte una persona matura, disponibile, interessante, finendo solo per imbattersi in ragazzini svogliati, presuntuosi ed infantili. Luca era, in un certo senso, la versione in carne ed ossa di tutti i suoi sogni di ragazzina.

Passava talmente tanto tempo a guardarlo, a parlargli, a pensarlo, che se chiudeva gli occhi le sembrava di conoscerlo alla perfezione. Aveva memorizzato i tratti del suo viso, il profilo della sua mascella, il taglio lungo dei suoi occhi, i suoi disordinati capelli castani…

Avevano condiviso poco tempo insieme, ma vi era già un senso di intimità e familiarità. Da quella volta in cui lui si era addormentato sulla sua spalla il contatto tra loro due era sempre immediato, come se fosse una naturale abitudine presa da tempo. Una volta, mentre abbracciava Luca, aveva sentito la sua canzone preferita provenire da un bar vicino e l'aveva interpretato come un “segno” che tutto andava bene, che lei era sulla strada giusta, che finalmente sarebbe stata felice.

 

Dopo alcune settimane, però, il loro “frequentarsi” non era diventato ancora una vera e propria relazione. Luca continuava a comportarsi in pubblico come se lei fosse solo un'amica, anzi, in alcune occasioni era stato perfino maleducato.

Aveva iniziato a sparire, a diradare le telefonate. E lei aveva cominciato a capire.

Naturalmente loro due non stavano insieme, in nessun senso. Tuttavia, le era sembrato che la loro vicinanza fosse tale da escludere il pensiero che lui stesse frequentando qualcun'altra. Eppure si era sbagliata.

Chiara era una ragazza più grande di lei, che non aveva proseguito gli studi dopo il liceo, lavorava e non aveva il minimo interesse per tutte quelle discussioni di cultura, storia e letteratura che lei e Luca facevano quotidianamente. Era una ragazza semplice, estroversa ed allegra, molto lontana dal suo carattere, forse troppo simile a quello di Luca. Era possibile che lui avesse trovato in lei una sorta di anima gemella con cui confrontarsi ed in Chiara la persona che veramente lo completava. Queste però erano solo supposizioni, dal momento che Luca aveva rifuggito il confronto ed a lei era toccato il penoso compito di ascoltare i pettegolezzi della compagnia tentando di capirci qualcosa.

Era appena venuto allo scoperto un altro lato di Luca che non conosceva: il suo essere un vero e proprio puzzle irrisolvibile, fatto di cambiamenti repentini e di cose non dette.

In seguito ad alcuni giorni di prolungato silenzio da parte di Luca, lei aveva deciso di concentrarsi sulla scuola, visto il momento delicato.

Il primo sabato sera che aveva deciso di uscire nuovamente a cena con gli amici che aveva trascurato, però, si era ritrovata davanti una scena che l'aveva colpita come un pugno in pieno petto: Luca e Chiara mano nella mano, ufficialmente allo scoperto come coppia.

 

Era meravigliata di come fosse riuscita a mantenere la calma, a cenare ed a parlare con gli altri come se niente fosse. Tuttavia, prima del dolce, conoscendo i suoi amici e sapendo che avrebbero finito per tirare tardi in quel ristorante, aveva deciso di aver bisogno di un po' d'aria. Fingendo di aver ricevuto una telefonata, era uscita nell'aria frizzante della sera. Si trattava di uno di quei momenti in cui rimpiangeva di non aver mai iniziato a fumare: se l'avesse fatto, non solo ora avrebbe avuto dieci minuti di pace, ma forse il gesto avrebbe contribuito a calmarla.

Invece era lì da meno di un minuto quando aveva sentito la porta richiudersi dietro le sue spalle. Era Luca, ovviamente.

Si sarebbe degnato di darle una spiegazione almeno ora?

Dopo un breve silenzio, Luca aveva detto: “Tutto bene?”

Due misere parole. Tutto bene.

Quanto avrebbe voluto dirgli: no, non va tutto bene! Come potrebbe? Mi hai scaricato prima ancora di avere una relazione con me, senza nemmeno dirmelo!

Tuttavia, era troppo tardi. In pochi minuti Luca era riuscito a distruggere la passione che l'aveva guidata in quei mesi.

La loro automobile si era schiantata in fondo a quel vicolo cieco che lei non aveva voluto vedere, ed ora non aveva nessuna intenzione di ferirsi con le lamiere accartocciate.

Aveva guardato il suo interlocutore dritto negli occhi ed aveva risposto: “Sì.”

Luca, forse colto da rimorso, aveva insistito rispondendole: “Sicura?”

Come poteva esser sicura che sarebbe stata bene, quando il suo volo stava per terminare contro un pavimento ghiacciato? Quando era certa che, nei giorni successivi, non avrebbe fatto altro che rimpiangere la forza dei suoi sentimenti?

Aveva alzato lo sguardo ed aveva nuovamente risposto “sì”.

Poi si era voltata senza guardarsi indietro ed aveva oltrepassato nuovamente la porta del ristorante.

 

il suo ricordo ritorna in flashback ed echi

mi dico che è il momento ora, bisogna lasciarlo andare

ma andare avanti dopo di lui è impossibile

quando vedo ancora tutto nella mia testa

che brucia, rosso!

cara, era rosso!

 

Era ormai inutile ripensare a quello che era stato e provare a ripercorrere quello che era successo quella sera. 25 anni non erano 18, lei non era più la stessa persona e non aveva più la sensibilità adatta per comprendere il suo atteggiamento di tanti anni prima. Una parte di lei si diceva che sarebbe stato più adulto e più corretto avere un confronto, anche breve, ma, anche a distanza di anni, non poteva dimenticare che era stato Luca il primo ad evitarla e che lei non aveva fatto altro che difendere il suo orgoglio e la sua dignità.

 

Per quel che riguardava mesi che erano seguiti al suo saluto definitivo a Luca, non ricordava tutto con la medesima esattezza. Riusciva a richiamare solo il ricordo di una primavera in cui ella si era fatta, giorno dopo giorno, più tenace e combattiva.

I primi giorni erano stati durissimi.

Si era aggrappata con tutte le sue forze ad ogni libro, film e canzone che lei e Luca avevano commentato insieme, chiedendosi perché per loro non c'era stato un lieto fine.

Si era sentita più sola che mai all'interno della compagnia, perché si era ritrovata costretta a fingere che non le importasse avere nelle vicinanze la “coppietta felice” costituita dal ragazzo che l'aveva scaricata e dalla sua rivale in amore.

La nostalgia aveva ingrigito i ricordi colorati di quei mesi che le erano sembrati così felici.

Nonostante si sentisse più triste e sconfortata che mai, non aveva desistito, e, a poco a poco, aveva recuperato il sorriso.

 

Perfino anni dopo, tuttavia, si ritrovava ad avere un vago rimpianto. Non le mancava Luca; tutti erano diventati adulti, la compagnia si era di fatto sciolta, lei aveva conosciuto un buon numero di altri ragazzi, Luca era sparito dalla circolazione e persino Chiara stava per sposare un altro ragazzo.

Quello che le mancava con intensità struggente, anche ora che teneva in mano una cartolina spiegazzata di molti anni prima, era la se stessa precedente.

Le mancava il colpo di fulmine, la conoscenza spontanea di una persona speciale, l'intesa istantanea, quella naturalezza della quale si era sempre meravigliata.

Perfino la sofferenza, le lacrime, le notti insonni, la rabbia, la gelosia assumevano una connotazione quasi positiva ai suoi occhi, ora che quella storia, di fatto, apparteneva ad un'altra sua vita.

 

Perdere Luca era stato qualcosa di oscuro, paragonabile al blu di quelle notti di tardo inverno in cui aveva iniziato a capire che non c'era più posto per lei nella sua vita.

Avere nostalgia di lui era stato più grigio di quella nebbia che aveva portato via con sé le stelle di Pienza e i cieli viola e dorati di quei giorni sulla neve.

Amarlo, però, era stata una scelta coraggiosa e forte come una fiamma rossa.

Ed il rosso, nel bene e nel male, era sempre stato il suo colore preferito.

 

perderlo è stato blu, come non ho mai conosciuto

averne nostalgia è stato grigio scuro, tutta sola

dimenticarlo è stato come cercare di conoscere

qualcuno che non hai mai incontrato

ma amarlo è stato rosso!

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Capitolo 10
*** The best day ***


Ho cinque anni, sta diventando freddo, ho addosso il mio cappotto

Ti sento ridere, ti guardo che sorridi, e corro, e corro

oltre al campo di zucche ed al trattore che va,

e guarda, ora il cielo è d'oro,

abbraccio le tue gambe e mi addormento mentre torniamo a casa

 

Da piccola, era una bambina testarda e curiosa. Tutto del mondo la sorprendeva e la affascinava. Questo comportava che la maggior parte delle volte fosse di buonumore, e pronta a conoscere quel che c'era fuori di casa. In questo, uno dei suoi più grandi alleati era suo padre. Infatti lei, specie quando non era proprio più piccolissima e cominciava ad avere un po' di volontà propria, adorava trascorrere le ore in giardino o nell'orto con lui. Il sabato pomeriggio perfetto, per lei, iniziava sempre con una capatina al negozio di fiori e semi poco distante da casa, dove papà si divertiva a lasciarle scegliere i colori. Inutile dire che spesso finivano per essere in disaccordo: lei avrebbe riempito tutto di bianco, rosa e colori pastello, papà voleva dei colori più accesi e vivaci. Almeno sui semi non c'era nulla da contestare, visto che erano delle bustine già pronte in variante unica.

Poi, una volta tornati a casa, entrambi si cambiavano e, con stivali di gomma e vecchi vestiti, si mettevano in cortile a piantare i fiori appena scelti. A lei piaceva comporre i grossi vasi, facendo delle prove per vedere quali colori si accostassero meglio tra loro. Un po' meno le piaceva sporcarsi le mani, cercare di smuovere la terra dura con la paletta e, nelle giornate più gelide, fare scorta di acqua fredda per irrigare i fiori. Ma non c'era alcun problema, perché spesso era papà a svolgere i compiti che per lei erano più sgraditi. L'acquisto di primule e viole, fatto ogni anno tra febbraio e marzo, era uno dei suoi appuntamenti preferiti, ed annunciava l'arrivo della primavera. Poi, più avanti, verso maggio, c'era la scelta dei più allegri e colorati fiori estivi. Ormai aveva imparato tutto sulle piante, o quasi.

In estate invece, sempre con papà, si dedicava all'orto, ed agli alberi da frutto nel giardino sul retro. Spesso, insieme a lui, le capitava di cogliere le prugne, le albicocche e poi, più in là nella stagione, i fichi e l'uva.

Molte volte papà dava a lei il compito di raccogliere i pomodori, che erano una pianta abbastanza bassa perché lei ci potesse arrivare.

Si divertiva molto, anzi, era uno dei suoi passatempi preferiti...dopo la lettura, ovviamente. Spesso suo fratello Simone si aggregava a loro, ma, come papà, sceglieva di fare i lavori più “manuali”, lasciando a lei campo libero su come “organizzare” il giardino.

E nelle giornate d'estate, quando il sole iniziava a cambiare colore ed il cielo sembrava d'oro, e lei e papà risalivano dall'orto con dei grandissimi cesti pieni di frutta e verdura, e la mamma preparava marmellate, verdure alla griglia, sughi, pesto ed altre prelibatezze, sembrava quasi che ci fosse qualcosa da festeggiare.

Lei andava a letto insieme a Simone, stanca e felice, convintissima di stare trascorrendo delle giornate splendide.

 

Ora ho tredici anni e non so perché i miei amici devono essere così cattivi

e torno a casa, tu mi abbracci stretta, e prendi le chiavi

e guidiamo, e guidiamo, finché non troviamo una città abbastanza lontana

e parliamo ed andiamo per negozi

finché non ricordo più neanche i loro nomi

 

L'inizio dell'adolescenza, per alcuni versi, era stato difficile. Nel giro di pochi mesi era stata catapultata dalle medie al liceo, e, dopo i primi mesi di sicurezza, non era più sicura che il cambio fosse stato in meglio. Certo, alle medie era in una classe piena di ragazzi, le ragazze erano pochissime ed in qualche modo costrette a spalleggiarsi tra loro, e più di una volta aveva pianto perché i maschi più bulletti l'avevano trattata in modo rude oppure perché, con la confusione che poteva fare una classe quasi maschile, era stata negata loro la gita dell'ultimo anno.

Quando si era iscritta al liceo classico, ed aveva notato che finalmente, dopo ben otto anni, le ragazze erano in maggioranza, si era sentita meglio.

Solo che poi era stato peggio, molto peggio.

Lei era abituata da ormai troppo tempo a stare in mezzo ai ragazzi, e continuava a comportarsi come aveva fatto prima, ma si rendeva conto di trovarsi in tutt'altro ambiente. I confronti diretti e le belle litigate con tanto di cazzotti che era solita fare insieme ai ragazzi non servivano più. L'ambiente sembrava, all'apparenza, più tranquillo, ma c'era una cattiveria ed una rivalità strisciante tra le sue compagne, che lei non sapeva gestire, né, spesso, neanche riconoscere. Molte volte si ritrovava a riflettere su alcune frasi che sul momento le erano sembrate innocenti, ma che erano delle vere e proprie bombe a mano ben celate.

Ed il problema più grande era che, durante le scuole medie, nessuno dei ragazzi, se non occasionalmente ed in modo ironico e leggero, aveva mai messo in discussione il suo modo di vivere, vestire, comportarsi con la famiglia, e così lei aveva finito per sentirsi piuttosto sicura delle sue scelte, cosa che la esponeva alle critiche ed ai patetici tentativi di demolizione delle altre. Solo che lei, allora, non lo capiva.

Probabilmente non sapeva come avrebbe fatto senza la comprensione di sua madre. Mamma aveva tentato per mesi, anzi, per anni di spiegarle che si trattava solo di invidia nei suoi confronti, ma lei non aveva troppa autostima di se stessa, e non capiva perché avrebbero dovuto invidiare proprio lei. E non capiva che l'unica caratteristica che irritava veramente le altre era il fatto che lei, seppur piena dei dubbi delle quattordicenni, ragionasse con la sua testa e non si lasciasse influenzare dai pareri altrui. Così tornava a casa e finiva per litigare con mamma perché non capiva che cosa ci fosse in lei che non andava e perché le altre ragazze fossero così piene di rabbia e tristezza, mentre lei aveva solo voglia di divertirsi come faceva con le sue compagne delle medie.

Quando mamma aveva perso le speranze di farla ragionare, spesso finiva per trascinarla in paese, oppure in qualche centro commerciale. Lì entrambe giravano per negozi, provavano vestiti, finché lei non trovava qualcosa che le piaceva. Era in quei momenti che iniziava a sentirsi meglio, e sentiva riaffiorare le sue sicurezze: ok, aveva quattordici anni, non sapeva ancora bene che fare della sua vita, però, checché ne dicessero le altre, aveva scelto la scuola che le piaceva, aveva uno sport e degli interessi, aveva ancora le sue amiche delle medie e riusciva a prendere decisioni e ad organizzarsi bene. E, dettaglio essenziale, era vestita molto meglio della maggior parte di loro.

Con un nuovo sorriso, tornava a casa. E mamma se ne stava in silenzio, soddisfatta, perché la sua tecnica funzionava sempre.

 

ho un bravissimo papà, la sua forza mi fa più forte

e grazie al cielo ho il mio fratellino, dentro e fuori è meglio di me

sono cresciuta in una bella casa, ed ho avuto lo spazio per correre

ed ho avuto i miei giorni migliori con voi

 

Anche quando era stata arrabbiata con i suoi genitori ed aveva desiderato andarsene a vivere da sola, era sempre riuscita a capire che, pure nelle incomprensioni, entrambi avevano agito in buona fede e per il suo bene.

Era cresciuta, e, che lo avesse voluto o no, aveva finito per ereditare molte caratteristiche, alcune da mamma ed altre da papà.

Non era stato sempre facile accettare i loro difetti (nei quali spesso poi lei si ritrovava), né tantomeno staccarsi da loro e provare a fare scelte diverse, ma, a ventritré anni, vedeva con chiarezza tutto il bene che le avevano fatto.

Suo padre l'aveva spinta fin da piccola ad avere più coraggio, ad autoaffermarsi con maggiore consapevolezza, ad andare oltre le regole del gruppo. Lei era rimasta più volte interdetta di fronte a questi consigli, ma capiva anche che la maggiore sicurezza che aveva avuto durante l'adolescenza le era derivata da lui. Era vero, papà a volte aveva tentato di crescerla “come un maschio”, ma adesso lei era felice che lui l'avesse fatto. La sua maggior vicinanza al mondo maschile l'aveva aiutata molte volte a reagire con decisione ed a non chiudersi come molte sue compagne avevano fatto.

Quanto a sua madre, le aveva insegnato l'importanza della disponibilità, della generosità, dell'allegria. Era merito suo se non si era mai persa in invidie ed in rivalità, se aveva imparato a riconoscere questi sentimenti ed a distaccarsene, per poi prendere un'altra strada.

Infine, un ruolo fondamentale era stato rivestito da suo fratello Simone. Da piccola, si era più volte chiesta come sarebbe stato avere una sorella invece di un fratello, ma ora, col senno di poi, non avrebbe cambiato Simone con nessun altro al mondo. Aveva imparato che, per molti versi, niente era meglio di una testa maschile ed una femminile costrette a convivere ed a crescere insieme. Lei e Simone avevano condiviso esperienze uguali ma diverse allo stesso tempo: per entrambi le amicizie, lo sport, la scuola, il confronto con la famiglia. Sempre in modo diverso, sempre confrontandosi tra di loro. Essendo maschio e femmina, era venuta a mancare quella componente competitiva che di solito c'era tra fratelli dello stesso sesso. In compenso, lei aveva provato una certa gelosia quando, essendo giunto Simone alla pubertà, delle ragazzine avevano iniziato a girargli intorno; ma era stata una fase di breve durata.

In realtà, spesso lei pensava che Simone, per tanti versi, fosse migliore di lei, fosse più sicuro, più maturo, anche se lei era la maggiore. Questo non era certo, forse era più una sua idea che una verità; vero era, però, che entrambi avevano bisogno del sostegno e dell'affetto dell'altro.

Non le era mancato niente, era cresciuta felice, in una bella villetta con un bel giardino, dove aveva potuto correre e giocare.

Era per quello che, a volte, si sentiva colta da un'improvvisa sindrome da Peter Pan: aveva passato i suoi giorni migliori con la famiglia, e sperava che ce ne sarebbero stati altri ancora.

 

Ora so perché gli alberi cambiano in autunno

So che eravate dalla mia parte anche quando sbagliavo

e vi voglio bene per avermi dato i vostri occhi

stando dietro, e guardandomi risplendere, e non so se lo sapete

ma sto cogliendo la mia occasione per dirvi

che oggi ho avuto il mio miglior giorno con voi

 

Aveva appena compiuto ventitré anni, e la giornata del suo compleanno era stata splendida. Aveva partecipato alla laurea di una sua amica, avevano fatto un aperitivo insieme, c'era stato un bel regalo anche per il suo compleanno, aveva fatto shopping lì a Milano con un'altra amica, poi, verso sera, era venuta ancora un'altra amica a portarle un pensiero ed a mangiare la torta con lei.

Era stato bello vedere che, alla fine della cena, la sua famiglia le aveva dato un pacchetto con un regalo. Nonostante il tempo trascorso, era sempre parte di qualcosa di importante.

Non era più la bambina che piantava viole e petunie in giardino, né la ragazzina che doveva affrontare le difficoltà del liceo. Tuttavia, aveva ancora bisogno di loro, e loro di lei. Sarebbero rimasti l'uno a fianco dell'altra, anche quando si sarebbero materialmente allontanati, perché c'erano sempre stati, anche quando lei aveva sbagliato e non aveva seguito i loro consigli di proposito o per dispetto.

Tutti i giorni che sarebbe riuscita a trascorrere, in qualche modo, con loro, sarebbero stati, in un certo senso, i migliori.

NOTA AUTORE: ringrazio davvero di cuore chi legge e chi recensisce! Per quanto riguarda la storia, in questo capitolo parliamo di... famiglia! La scelta di "The best day" come canzone di accompagnamento mi è parsa la più naturale.
Anche il prossimo capitolo riguarderà questo tema, anche se tratterà una diversa questione. Come sempre, invito i "lettori silenziosi" a farsi sentire ed a dirmi cosa pensano della storia :-)
Buona lettura ed a presto!!

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Capitolo 11
*** This love ***


NOTA AUTORE: con questo capitolo si completa la "coppia" di capitoli a tema famiglia. Questa è una storia estremamente personale, quindi mi piacerebbe davvero ricevere un piccolo commento, in quanto non è stata molto semplice da scrivere. Ringrazio comunque di cuore tutti coloro che leggono, e Tota22, che continua ad essere presente con le sue recensioni. Piccola precisazione: so bene che, in realtà, "This love" è una canzone che si riferisce ad una relazione. Tuttavia, spero che apprezziate comunque la mia interpretazione personale del testo.
 

Acqua blu e chiara

l'alta marea è arrivata e ti ha portata qui

e come un fantasma, ancora e ancora, ancora e ancora

le cicatrici si fanno più scure, le correnti ti hanno portato qui ancora

 

Le onde si rifrangevano sulla sabbia, portando a riva la spuma bianca del mare. Era una giornata di una bellezza rara, considerando la stagione. Marzo era appena iniziato; tuttavia, il sole brillava, riflettendosi sull'acqua chiara, pulita e forse già troppo calda. Quanto a lei, era una vera fortuna che fosse scesa per le vacanze di Carnevale e che avesse trovato un panorama splendido ad accoglierla. Certo, per lei quella piccola baia di scogli e sabbia, con l'acqua così stranamente trasparente, era un posto speciale da molti anni: l'aveva sempre considerata un angolo di mondo riparato, tranquillo, quasi riservato a lei. Seduta su quegli scogli proprio in riva al mare, nel corso degli anni, aveva ripensato a moltissimi eventi della sua vita. Ora, ad oltre 24 anni, si ritrovava a fare quello che già una volta le era accaduto ed aveva sperato non sarebbe successo più: affidare alle onde un dolore imprevisto ed una malinconia che non poteva fare a meno di insinuarsi in lei. Non c'era un modo di allontanare fisicamente quel ricordo da lei, neppure percorrendo mille miglia, nemmeno immaginando di strapparsi il cuore. Più fissava la splendida distesa marina di inizio primavera, più una serie di immagini le si presentava nella mente.

Un mese. Un tempo che era passato fin troppo in fretta, e che, in ogni caso, non era bastato a guarirla dallo strappo doloroso che aveva subito. Vi erano momenti in cui riusciva quasi a scordare quello che era successo; poi, però, tutto le ritornava in mente, più vivo e più crudele di prima, come a ricordarle che le sue cicatrici si stavano facendo di giorno in giorno più scure e profonde.

Uno dei motivi per i quali era così un bene che se ne fosse andata al mare per qualche giorno era il fatto che, spesso, la sua stessa casa non la aiutava a dimenticare.

C'era sempre un quadro, una foto, un oggetto di troppo.

Senza dubbio quello che lei aveva appena trascorso era stato uno dei periodi più emozionanti e movimentati della sua vita.

Tuttavia, non bastava guardare tutto il servizio fotografico della sua laurea, avvenuta tre settimane prima. Non era sufficiente dedicarsi al nuovo stage, trovato in frettissima ed a sorpresa. Non era nemmeno abbastanza rifugiarsi nel ballo, cosa che aveva cercato disperatamente di fare fin dal 4 febbraio.

Dovunque si girasse, il suo sguardo cadeva su qualcosa che riportava alla memoria la nonna.

 

urlando in silenzio, e nei miei sogni più selvaggi

non ho mai sognato questo

 

Il primo pensiero, quando aveva saputo che per la nonna non c'era più niente da fare, era stato: per favore, non domani, non di nuovo. Il ricordo della scomparsa del nonno, avvenuta ormai quasi quattro anni prima, e, in modo particolare, del giorno del funerale, le era rimasto fortemente impresso. Quello che più ricordava di quella caldissima giornata di giugno era l'atmosfera che l'aveva accompagnata. Per tutto il tempo si era sentita come se fosse preda di una lenta corrente: case, fatti, persone le scivolavano a fianco, e lei non poteva far altro che muovere un piede dopo l'altro ed affrontare quello che le si presentava davanti. Proprio come succedeva ad una corrente, le cui acque si fanno sempre più tumultuose, fino ad arrivare alla cascata finale, così per lei quella giornata era stata una lenta discesa, e le era toccato fare tutto, dall'arrivo a casa dei nonni fino al ritorno dal cimitero.

Aveva odiato quella sensazione di impotenza e tristezza, quasi, all'improvviso, il mondo fosse stato coperto da una coltre soffocante, e non poteva proprio pensare di rivivere tutto questo una seconda volta.

… Eppure, non più di quattro giorni dopo, aveva dovuto farlo. Il 6 febbraio, dopo due giorni di pianti e di urla (non sempre così) silenziose, una settimana prima della sua laurea, lei e la sua famiglia avevano seppellito la nonna. Era inverno, il freddo era pungente, e non si trattava né della stessa chiesa né dello stesso cimitero dell'altra volta, ma fin troppi dettagli erano simili.

Il sole continuava a brillare, il cielo seguitava ad essere azzurro, le lacrime scendevano senza alcun preavviso e, tutto intorno, la vita era come ovattata.

Fino a quando non aveva visto il nome della nonna sulle carte funerarie, lei si era sentita come illusa, quasi ci fosse una piccola speranza che non fosse vero; tuttavia, quel nome, impresso nero su bianco, l'aveva riportata alla realtà.

Il resto della mattinata era stata soltanto una lunga discesa lungo un fiume scivoloso e fangoso che non pensava avrebbe avuto la forza di attraversare. Non si sa come, aveva tirato fuori dal cuore, ancora una volta, il coraggio di guardare i fatti così com'erano e di restare presente a se stessa. Solo in quel modo la sua vita aveva potuto ricominciare lentamente a scorrere.

 

scuotendomi, girando, lottando nella notte per qualcosa di nuovo

e noi siamo come un fantasma, ancora e ancora, ancora e ancora

una lanterna che brucia e scintilla solo per te

ma tu sei sempre andata, andata, andata

 

I mesi successivi, sia quelli primaverili che quelli estivi, erano stati, allo stesso tempo, insoliti e frenetici. Oltrepassata la soglia cruciale della laurea, era iniziato un periodo di sperimentazione, di ricerca, di nuova organizzazione delle giornate.

I momenti di pausa e di soddisfazione si alternavano ad altri di incertezza e paura del futuro, e le era chiaro che molte delle sue certezze avrebbero presto dovuto essere messe in discussione.

L'unica costante di quel periodo non riusciva però a non essere il ricordo della nonna. Non c'era fine settimana in cui suo padre non tornasse dall'appartamento ormai vuoto, portando con sé fotografie, servizi, statue, persino quadri che avevano lentamente iniziato a riempire la loro casa. Poche cose l'avevano sbigottita come quelle poche volte che le era capitato di entrare nel piccolo trilocale della nonna. L'aveva trovato, sì, dimesso e forse anche triste, ma, al tempo stesso, ancora pieno di vita, di ricordi, dell'essenza stessa di lei. Quando la nonna era morta in ospedale, ed era stata portata in una cappella funeraria lì sotto, il suo primo pensiero era stato: “Nemmeno a casa sua ha potuto stare! Dovevamo mandarla a morire in quel posto di merda!”. Tuttavia, nei mesi seguenti, aveva finito col sentirsi, in un certo senso, contenta che in quell'appartamento la nonna fosse stata soltanto viva. Quel luogo era ormai così legato alla nonna, e lei si muoveva dentro in modo tanto naturale e silenzioso, che si sarebbe aspettata di vedersela comparire davanti da un momento all'altro, con gli stessi occhiali e la medesima vestaglia. Sembrava quasi un controsenso pensare che tutti quegli oggetti non avessero più una proprietaria.

Tra quelli che si era portata a casa, c'era anche un piattino natalizio sui toni dell'azzurro, con alcune palle decorative blu ed una candela bianca. Ricordava luogo e tempo in cui l'aveva visto per la prima volta: davanti alla chiesa, esposto su una bancarella natalizia, in un inverno imprecisato tra il 2000 ed il 2002. Le era piaciuto subito; così, con i suoi pochi spiccioli (che forse erano ancora lire), l'aveva comprato e poi regalato alla nonna. Buffo che, in tutti questi anni, lei l'avesse conservato su un mobile, sopra un centrino di pizzo, senza romperlo e senza nemmeno utilizzare la candela. Ma lei era fatta così: apprezzava enormemente ogni piccola cosa e, soprattutto, cercava di farla durare. E poi, quando mai aveva avuto occasione di accendere una candela di Natale a casa sua? Non era stata mai sola. Era sempre stata ospitata dalla sua famiglia, anche per la notte.

Un altro pensiero che la intristiva era quello che la nonna non sarebbe più venuta a passare delle settimane da loro. Quando era piccola – ma non solo- aspettava quelle giornate con impazienza, e, nel momento in cui la nonna se ne andava provava un'improvvisa tristezza. Negli ultimi anni era diventato difficile occuparsi della nonna, per via della demenza senile, ed anche per sua madre era diventato piuttosto pesante. Le tornavano in mente episodi delle più recenti vacanze di Natale, quando era lecito aspettarsi da lei le trovate più strambe, e quando, a volte, era difficoltoso dormire la notte, perché la nonna avrebbe potuto benissimo alzarsi alle tre di notte ed accendere tutte le luci. Eppure le ultime pazzie non riuscivano ad offuscare tutto quello che, in oltre vent'anni, la nonna aveva fatto di buono per lei e per la famiglia.

Era stata una persona paziente, gentile e generosa, e la sua presenza silenziosa, nel corso degli anni, era stata un dono prezioso.

 

io ho perso l'interesse, oh, sono affondata con le navi

e tu sei apparsa, proprio in tempo

 

C'era un pensiero che, durante e dopo la morte della nonna, si era fatto sempre più insistente in lei: quello di essere stata, in modo del tutto inconscio ed involontario, un po' la sua preferita. Sulla carta, ne avrebbe avuto tutti i motivi: per la nonna, era l'unica femmina su due figli e quattro nipoti, e questo aveva sicuramente pesato.

Tuttavia, la nonna le era stata spontaneamente vicina in tanti momenti della sua vita piuttosto importanti.

Per esempio, c'era stato un giorno in cui lei non aveva avuto affatto voglia di andare a scuola, e lei l'aveva curata come se fosse stata davvero malata, con tanto di riso in bianco e boule dell'acqua calda.

Oppure uno degli ultimi giorni di scuola delle superiori, quando il tempo non aveva permesso di festeggiare poi molto, così si erano consolate guardando un film.

O ancora quando si era ammalato il nonno, il consuocero della nonna, ed era stata proprio lei a convincerla a non essere triste davanti a lui.

Certo, ripensandoci, forse alcuni di questi erano stati momenti tra donne, ma era sicura che questo c'entrasse fino ad un certo punto.

La verità è che si erano volute bene perché, in un certo senso, si erano scelte. Si erano trovate bene fin da quando lei era piccolissima, questo sentimento le aveva accompagnate fino alla fine.

 

questo amore sta lasciando un marchio permanente

questo amore sta brillando nel buio

 

Dopo la morte della nonna, aveva dovuto lottare con una serie di sentimenti spiacevoli.

Vi era innanzitutto il modo in cui era morta: nella più totale confusione. Era stata ricoverata per un presunto ictus, curata per un'infezione, ritenuta fuori pericolo e poi, due giorni dopo, mentre suo padre stava firmando le carte per una lunga degenza, il suo cuore aveva iniziato a cedere. Questo aveva portato lei, come già le era successo in passato, ad inveire contro medici, ospedali, sanità ed ordine costituito. In alcuni momenti le sembrava che il malessere della nonna fosse stato sottovalutato; in altri, che i medici avessero preso deliberatamente in giro la sua famiglia.

Non aveva nemmeno amato l'atteggiamento di parte della famiglia, e si era ritrovata più volte ad arrabbiarsi con altre persone.

Lei si era portata nel cuore un risentimento ed una rabbia che, alcune volte, durante la notte, pareva quasi stringersi in un groppo alla gola e soffocarla. C'erano attimi tremendi in cui aveva paura che la sua famiglia andasse in pezzi, che non restasse più nulla della sua infanzia, che, con la dipartita della nonna, si fosse chiusa una splendida parte del suo passato, di cui sarebbero rimaste solo delle memorie, forse sempre più cristallizzate e sbiadite.

Tuttavia, con il passare dei mesi, si era accorta che quelle sue paure e quelle sue – comunque giustificabili – rabbie non erano altro che ombre che danzavano nel buio.

Purtroppo neanche il più grande luminare del mondo avrebbe potuto salvare nonna: aveva quasi 90 anni, pesava 30 chili e quasi niente in lei, ormai, funzionava come avrebbe dovuto.

La sua famiglia non stava sparendo, ma semplicemente cambiando. Una generazione se ne stava andando, ma tutti stavano facendo nuove scelte di vita, e, chissà, forse prima o poi sarebbero arrivate anche grosse sorprese positive.

E, sì, forse i ricordi della nonna, con gli anni, si sarebbero fatti più rari e confusi, ma, allo stesso tempo, il suo affetto le aveva impresso un marchio che nemmeno il tempo sarebbe riuscito a rimuovere.

 

hai baciato la mia guancia e ti ho guardato andar via

il tuo sorriso è il fantasma che non ce l'ho fatta a lasciare

quando sei giovane, corri e basta

ma poi torni a quello di cui hai davvero bisogno

 

Il segreto di tutto, chissà, poteva essere in quel pomeriggio di inizio febbraio, quando era andata in ospedale a salutare la nonna, quando ancora si sperava che si sarebbe ripresa. La nonna era in uno stato di confusione totale, confondeva tutti i nomi, era controllata a vista. Eppure l'aveva guardata, l'aveva riconosciuta, le aveva parlato, le aveva chiesto se era stanca. Mi ha decisamente viziato, erano stati i pensieri di lei in quel momento.

Quando se n'era andata insieme agli altri, la nonna aveva detto: “Ciao, ciao a tutti.... ciao, Silvia”. Il suo era stato l'unico nome che era riuscita a ricordare... l'unico che aveva azzeccato. Era stato allora che una scossa elettrica l'aveva pervasa: lei lo sa, se ne sta andando, mi sta dicendo addio.

Visto che le condizioni mediche della nonna, quel giorno, erano così discrete, era stato facile scacciare il pensiero. Tuttavia, non più tardi della sera successiva, il cuore della nonna aveva iniziato a cedere, e lei aveva capito di aver avuto ragione.

 

L'immagine del suo ultimo sorriso rivolto a lei le era venuta in mente, a tratti, nelle situazioni più disparate. La sua vita, nel frattempo, era andata avanti nel modo più inusuale, con molte novità e moltissimi cambiamenti. Soprattutto ora che aveva avuto ben due esperienze lavorative come professoressa, si domandava spesso che cosa ne avrebbe pensato la nonna. La immaginava felice mentre le dava la notizia, preoccupata che la cose andassero bene, soddisfatta di sua nipote.

I suoi ultimi mesi erano stati una corsa, a volte difficile ed a volte sfrenata, verso il futuro. Per quanto, però, fosse ancora giovanissima e avesse ancora molto da fare, vedere e pensare, sarebbe sempre tornata, con il cuore, a quello di cui aveva realmente bisogno, proprio come la sua famiglia, e come la nonna, che ne era stata – ed ancora era – una componente essenziale.

 

Era davvero l'amore tra loro due ad aver formato un “ponte” tra la vita e la morte.

Era un affetto che le portava gioia e dolore allo stesso tempo, ma niente vi avrebbe posto fine.

Nel momento in cui aveva lasciato fisicamente andare la nonna, le era entrata nel cuore. L'amore che la nonna le aveva donato era tornato da lei, ed ora toccava a lei custodirlo e farlo crescere. Questo sarebbe stato il modo migliore di tenerla sempre con sé.

 

questo amore è buono, questo amore è cattivo

questo amore è una vita che torna dal regno dei morti

queste mani...ho dovuto lasciarle libere

e questo amore è tornato da me.

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Capitolo 12
*** You are in love ***


NOTA AUTORE: ecco a voi una nuova "coppia" di capitoli! In essa si parlerà di amicizia e di amore, e sarà a tema... wedding! Chi ama i matrimoni? Non nego che siano molto divertenti, persino per una scetticona come me!
I toni sono diversi dall'ultimo tema che ho trattato, un po' più leggeri, ma spero che la storia vi piaccia comunque.
Come sempre, grazie di cuore a tutti voi lettori.

 

uno sguardo, la stanza buia, gli uomini solo per te

il tempo si è mosso troppo in fretta, tu hai giocato a tua volta

i bottoni su un cappotto, lui ha scherzato con te

non c'è prova, non ce n'è molta, ma tu hai visto abbastanza

 

Era piuttosto tardi, ma il ristorante era aperto da poco. I grossi tavoli in legno erano gremiti di persone, sedute su sedie o panche. Festoni e lampade di carta pendevano dal soffitto, e piccole luci colorate correvano intorno ai muri. La musica latino-americana suonava ad alto volume già da un po'. L'atmosfera era proprio quella che ci si sarebbe aspettati un sabato sera: allegra, confusionaria, spensierata.

Proprio l'ideale per questo periodo, pensò lei. Si trovava ad un tavolo con le sue amiche dell'Università, in occasione del compleanno di Jennifer, una di loro. Mentre ordinavano una abbondante cena messicana, non poteva fare a meno di guardare i volti delle persone intorno a lei. Quanto le erano mancate le sue amiche!

Aveva iniziato da pochi mesi a frequentare i corsi della Magistrale e, sebbene si trovasse bene ed avesse conosciuto altre persone con cui era già diventata molto amica, le mancavano le sue storiche amiche della Triennale.

Lei era stata, infatti, l'unica a laurearsi in tempo, mentre tutte le altre avevano aspettato un anno. Nessuna di loro, dunque, l'aveva accompagnata ai corsi quell'anno. Quando se n'era resa conto per la prima volta, aveva avuto una gran paura che tutto quello che avevano costruito in quegli splendidi tre anni sarebbe andato perduto.

Ora, però, mentre si versava la sangria e rideva, si chiedeva come un dubbio del genere avesse mai potuto venirle in mente. Era evidente che la loro separazione fisica non aveva niente a che vedere con la loro amicizia.

Cibo e chiacchiere scorrevano intorno al tavolo, e sembrava loro di non essersi mai lasciate. Forse non era moltissimo, ma per lei era abbastanza per capire che non aveva motivo di preoccuparsi.

Tutto era rimasto esattamente come prima... come quando frequentavano insieme i corsi della Triennale e lei scopriva, finalmente, che cosa si provava ad avere un gruppo di amiche sincere e fedeli.

 

poche parole, lei guida, caffè a mezzanotte, educatamente riflette

la catena sul tuo collo, lei dice: guarda su, e le tue spalle tremano

non ci sono prove, un tocco, hai sentito abbastanza

 

Quando aveva iniziato l'Università, l'unica ragazza in cui riponeva grande fiducia era la sua amica del cuore. Aveva sempre creduto nell'amicizia femminile, ma gli ultimi anni di liceo avevano messo a dura prova questa sua convinzione. Le invidie e le rivalità all'interno della sua classe l'avevano profondamente stufata, e l'abbandono volontario da parte di quella che riteneva la più stretta amica tra loro era stata la batosta finale.

Per questo motivo, si teneva stretta l'unica ragazza che riteneva davvero sua amica, e non era per niente sicura che l'Università le avrebbe portato nuove amicizie.

E invece... era successo, e nemmeno lei sapeva spiegarsi come fosse accaduto.

Era iniziato tutto quasi per caso, tra i banchi delle aule dove si tenevano le lezioni del primo semestre della sua vita. Lei conosceva già Isabella dai tempi del liceo (era in un'altra sezione); poi, lei aveva conosciuto Elisabetta, ed Isabella aveva conosciuto Cinzia e Jennifer. Il secondo anno si erano aggiunte Martina e Licia. Insieme, le ragazze condividevano lezioni, pranzi, colazioni, libri e consigli. Certo, ognuna di loro era diversa, ma si completavano, un po' come nei classici telefilm al femminile.

Isabella era la più appassionata di lettura ed editoria, in cerca di esperienza lavorativa in quel settore già dai primi anni; era anche una delle più mature ed adulte, già con un'ispirazione di andare a vivere da sola, sempre pronta a consigliarla quando era in difficoltà.

Elisabetta veniva da un piccolo paese, con gli amici di sempre ed il fidanzato all'interno della compagnia storica; estroversa, spensierata e semplice, aveva seguito insieme a lei la quasi totalità delle lezioni della Triennale, e con lei condivideva l'attaccamento alla famiglia ed alle piccole cose di ogni giorno.

Cinzia, innamorata dell'arte, dei viaggi e dello shopping, era estremamente sensibile, spesso cerebrale ed indecisa. Era però anche un'ottima confidente ed un'amica presente, specie sulle questioni “di cuore”.

Jennifer, la più adulta di tutte, lavorava già a pieno ritmo durante gli anni dell'Università ed aveva da sempre una storia seria con Alessandro. Grande organizzatrice, anche di feste e serate, non era solo la voce della ragione, ma anche un'inguaribile ottimista, sempre sorridente.

Martina, grande appassionata di editoria e comunicazione e super amica di Jennifer, era a volte un po' pigra e in difficoltà per quanto riguardava gli studi ed il futuro, ma sapeva anche essere profonda e riflessiva. Inoltre, era una single “impenitente” come lei, quindi costituiva un'ottima spalla.

Licia era un personaggio: svampita, distratta, svagata, era anche allegra e pronta a far festa. Dava al gruppo quel tocco di follia che mancava.

Infine c'era lei, quella più legata all'Università, la più studiosa, la ballerina a tempo perso. A detta sua, la più “ragazzina”. A detta delle altre, invece, quella con il miglior carattere e la più presente per le altre.

Da brava detrattrice di se stessa qual era, lei non avrebbe mai e poi mai pensato simili cose; tuttavia, con il tempo aveva imparato a ritenerle vere, perché le vedeva con i loro occhi. Non poteva ancora crederci, ma era avvenuto quello che non si sarebbe mai aspettato: aveva un gruppo di amiche vere. Al confronto, come le sembrava ridicolo e miserabile il “gruppetto” di oche del liceo!

Questa volta iniziava ad avere accanto una presenza vera e costante, che, a poco a poco, l'aveva conquistata. Era così che aveva vissuto la loro amicizia: lasciandosi conquistare.

Un esempio di questo era stato il loro primo sabato sera insieme. Lei usciva da un periodo davvero pessimo e non aveva alcuna voglia di condividere una cena, sia pure con le sue amiche. Alla fine, però, si era convinta ad andare, e, con sua grande gioia, aveva scoperto che la serata era anche una “festa di compleanno in ritardo” per lei, visto che a fine settembre non ce n'era stato il tempo. Senza dire niente, le altre le avevano comprato un regalo. La serata era stata piacevolissima; niente a che vedere con altre che lei aveva trascorso ultimamente con altre persone, sentendosi a disagio e fuori posto.

Mentre tornava a casa, verso mezzanotte, in macchina con Isabella ed il suo ragazzo, che guidava, sentiva di avere appena iniziato qualcosa di grande e bello. Ancora una volta, c'erano pochi segni, ma le sembravano sufficienti per indicarle la via.

 

la mattina, il suo posto, toast bruciati, domenica

tu tieni la sua maglietta, lei conserva la sua promessa

e per una volta tu lasci andare le tue paure ed i tuoi fantasmi

un passo, non molto, ma è detto abbastanza

 

Quella prima sera non si era sbagliata. In effetti, nel corso dei mesi e degli anni i loro ritrovi erano diventati un piacevole appuntamento, più o meno fisso. C'erano stati aperitivi, cene, giornate insieme. Ognuna di queste occasioni era sempre attesa da lei con allegria, quasi con impazienza. E non era solo perché, nel corso degli anni, aveva iniziato a diminuire il tempo in compagnia di altre persone con cui si trovava meno bene ed a considerare le altre ragazze come il suo gruppo di riferimento.

Era soprattutto perché, negli ultimi tempi, aveva imparato ad apprezzare singolarmente ognuna di loro. Non si trattava più di “appartenere ad un gruppo”, di “adattarsi”. Negli anni precedenti aveva avuto a che fare più volte con queste idee, per lei piuttosto adolescenziali e fastidiose. Finalmente stava riuscendo a buttarsele alle spalle, e ad apprezzare la compagnia delle singole persone, come una persona adulta avrebbe dovuto fare.

Riusciva a confidarsi piuttosto facilmente con ognuna di loro, le faceva piacere pensare a tutte loro, e ciascuna di esse era ormai una componente della sua vita.

Le sue paure del passato, come quelle di non essere accettata, di restare esclusa, di non riuscire ad essere in confidenza con altre ragazze per via dei suoi successi personali, stavano lentamente svanendo.

Ancora non sapeva che il destino aveva in serbo per loro una dose extra di felicità... soprattutto per una di loro.

 

una notte si sveglia, con uno strano sguardo sul volto,

fa una pausa, poi dice: “voi siete i miei migliori amici!”,

e tu sapevi cos'era... lei è innamorata

 

Era di nuovo autunno. Lei era tornata da poco da un weekend con altre amiche, la sua seconda e ultima (?) Tesi era in via di preparazione, e quel sabato (l'ultimo prima dello scattare dell'ora solare, che lei detestava con tutto il cuore) c'era in programma un aperitivo a Milano con le altre ragazze.

Dopo un breve giro per la zona Università, avevano deciso di sedersi all'aperto, vista la giornata ancora mite, e di ordinare i loro drink. Mentre chiacchieravano, Jennifer aveva esordito, con un tono disinvolto ed un sorriso sospetto, chiedendo: “Che cosa succederà tra un anno?” Le risposte che si erano susseguite erano le ipotesi più assurde, da “Ti pubblicano il libro?” (Isabella, ovviamente) a “Sta per arrivare un fratellino/sorellina?” (lei, altrettanto ovviamente).

Finché, alla domanda “Compri casa con Alessandro?”, Jennifer si era arrestata ed aveva risposto: “...Non proprio”.

Era stato allora che la realtà era balenata davanti agli occhi della maggior parte di loro. Una realtà che scintillava come il piccolo brillante al dito dell'amica.

...ti sposi?!?”

La risposta era sì.

Sì, Jennifer si sposa, e ci sta invitando.

Perché ci vuole con noi quel giorno.

Perché noi siamo le sue più care amiche.

 

Il primo pensiero che era venuto alla mente di tutte era stato qualcosa come: “Incredibile!”, “Non è possibile”, “Non ci posso credere!”. Era bastato poco tempo ad ognuna di loro, però, per capire che non era niente di diverso dal corso naturale della vita. Jennifer ed Alessandro erano sempre stati insieme, avevano sempre avuto intenzioni serie. Per loro era giustamente arrivato il momento di fare una scelta.

Ed era così che ognuna di loro si trovava nell'eccitante ruolo di amica della sposa. Ci sarebbe stato da divertirsi, ne erano certe!!

 

Va così

voi due state ballando in un ballo incantato, tutt'intorno

e lei tiene una foto di voi nel suo ufficio in città

tu capisci ora perché loro hanno perso la testa e combattuto le guerre

e perché io ho passato tutta la mia vita a provare a mettere questo in parole

 

L'anno che era seguito era stato pieno di eventi, sorprese e cambiamenti per tutte loro. Tra lauree, lavori, disavventure e belle sorprese, il matrimonio, da evento lontano, era diventato una realtà sempre più vicina. C'era stato da pensare a divertenti sorprese per gli sposi, alle musiche, ad animare la festa, al vestito, a scarpe ed accessori, al regalo. Tuttavia, i giorni erano scivolati via molto in fretta.

Prima di rendersene conto, era arrivato il grande giorno.

...Era stata una giornata indimenticabile, sotto tanti punti di vista.

Alla fine, dopo il taglio della torta, terminato il lungo pranzo, gli sposi avevano iniziato il classico ballo lento, a cui si erano aggiunte alcune delle altre coppie.

Forse era per colpa del troppo cibo, del troppo vino, dei palloncini a forma di cuore, della canzone scelta, del sole che stava lentamente tramontando; fatto sta che tutta la sala sembrava immersa in un'atmosfera incantata.

Quanto a lei, seduta su una delle sedie ricoperte di tessuto bianco avorio, con il suo vestito acquamarina ed i suoi tacchi blu, si sentiva perfettamente in pace con il mondo. Non avrebbe voluto davvero essere da nessun'altra parte.

Quello era il posto giusto dove stare, perché era giusto condividere la felicità con un'amica che con lei aveva diviso moltissimo, ed era bello poter festeggiare.

Non si trattava soltanto di gioire per l'unione degli sposi, che erano chiaramente felici e molto emozionati; c'era nell'aria qualcosa di intenso, come una promessa.

Come se, in quella giornata, tutti i presenti stessero pensando: siamo giovani, siamo amici, e, a dispetto di tutti i guai della vita, un giorno ci ritroveremo di nuovo così, a festeggiare, perché siamo felici di esserci, e di essere insieme.

 

Era a questo che pensava, mentre si allontanava in macchina, nel buio, per tornare a casa. Davanti a lei c'erano Isabella ed il suo ragazzo, proprio come quella sera di anni prima.

La lezione più importante che aveva imparato, e che ancora stava apprendendo, era che i sentimenti non avevano bisogno di grandi discorsi o esibizioni.

Era possibile provare una grande gioia anche così, sul sedile posteriore di una macchina, guardando fuori dal finestrino, in silenzio, senza luci, né nulla di particolare da vedere.

Lei si era sempre considerata una scribacchina, una ragazza con la mania di annotare tutto quello su cui rifletteva. Nel corso degli anni era riuscita a scrivere tanto e degli argomenti più disparati, ma, quando si trattava di amore, aveva sempre la sensazione che qualcosa della materia le sfuggisse dalle mani. Le mancava sempre qualcosa, come un pizzico di autenticità, di spontaneità. Per questo motivo, più e più volte aveva lasciato perdere ed aveva scritto di altro, aspettando tempi migliori.

Esperienze come questa, però, le insegnavano che, con ogni probabilità, non erano necessari grandi sforzi. La verità veniva alla luce da sola, anche così, lungo la strada di casa.

I suoi amici erano innamorati, e stavano iniziando una nuova strada insieme.

Così come lei, in un certo senso, era innamorata delle sue amiche, perché la loro compagnia, in questi anni, le aveva aperto un nuovo mondo.

Ed era tutto qui. Senza molte parole in più.

 

tu puoi sentirlo nel silenzio, silenzio

puoi sentirlo sulla via di casa, di casa

puoi vederlo a luci spente, luci spente

voi siete innamorati, vero amore

voi siete innamorati

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Capitolo 13
*** Wildest dreams ***


Lui ha detto: usciamo da questa città

guidiamo fuori dal centro, lontano dalla folla

ho pensato: ora il Paradiso non può aiutarmi

niente dura per sempre, ma questo mi butterà giù

 

Quell'estate non sarebbe stata ricordata come uno dei suoi periodi più sereni. Era laureata da poco e non aveva rimediato altro che delle ripetizioni ed uno stage che stava per finire, e, viste le prospettive attuali, già così le era sembrato di cavarsela bene; non faceva che litigare con i suoi genitori; provava paura per il futuro e, di conseguenza, spesso anche per le cose più assurde; si sentiva esausta, malinconica, demotivata; aveva voglia di andare in vacanza e, al contempo, le sembrava che lasciare casa fosse l'ultima soluzione da attuare al mondo.

E poi, certo, anche se non ci pensava più da tanto, c'era IL problema.

Era riuscita a chiuderlo in un angolo della mente per tanto, troppo tempo; tuttavia, non avendo, disgraziatamente, nient'altro a cui pensare in quegli ultimi giorni di routine prima del mare, ogni tanto c'erano dei momenti a cui vi si dedicava.

Erano due anni e mezzo, incredibile a dirsi. Un tempo straordinariamente lungo, considerata la sua età. Eppure era così.

Due anni e mezzo nei quali non aveva vissuto nemmeno una vicenda, un episodio, neppure un pensiero sentimentale.

E la verità era che, dopo delle vacanze di Natale ormai lontane, dopo essere stata messa alla porta dal ragazzo del momento con l'ennesimo “no grazie”, si era detta: bene, ora basta comportarsi così.

Era salita in montagna per festeggiare Capodanno e, mentre faceva scoppiare luci e botti nella neve, aveva iniziato a capire il vero senso di quella festa: buttare via quello che non le serviva più. Negli anni precedenti aveva commesso errori che scusava, vista la giovanissima età, ma che non aveva nessuna voglia di ripetere.

Aveva sopportato la compagnia di persone noiose, poco stimolanti e soprattutto malfidenti e prevenute solo per fare contenti ragazzi che con quella gente andavano a nozze e che più volte l'avevano ignorata tutto il tempo lo stesso.

Aveva provato gelosie ed invidie immotivate nei confronti di ragazze di cui, più passava il tempo, più intuiva le fragilità e le pochezze.

Aveva vissuto con trepidazione, paura e rabbia momenti che avrebbero potuto essere magici, se solo non ci fosse stata l'illusione dell'amore (non ultima la vacanza che si era appena lasciata alle spalle).

Si era messa in secondo piano, criticata, anche disprezzata; tutto per trovare un compromesso con l'altra persona e poi ritrovarsi sempre lì, al bordo della felicità, senza nessuno che le tendesse una mano e le dicesse: vieni, attraversa con me questo ponte.

Era stato difficile, all'inizio, accettare realmente questa situazione. Tuttavia, con il passare del tempo la sua intuizione si era rivelata giusta.

Dopo oltre due anni, se ripensava a quel passato ormai messo in un cassetto, tutto quello che le veniva in mente era una serie di pianti, corse, discussioni, notti in bianco... in qualche modo inutili e senza senso, perché aveva sbagliato tutto fin dal principio. Aveva posto al centro l'altro e non se stessa, e, cosa di gran lunga peggiore, si era convinta che l'amore dovesse essere qualcosa da meritare e conquistare, quasi come se lei non ne fosse all'altezza.

In quel periodo, però, lei era decisamente “oltre” i ragazzi del suo passato. Le sembrava che ad interessarsi a loro fosse stata un'altra persona, non lei.

Nonostante quegli anni fossero stati complicati e difficili da vivere, per una serie di motivi che con l'amore c'entravano poco e niente, lei si era liberata, a poco a poco, del vecchio mantello.

Si vedeva più allegra, femminile, sorridente, sfacciata. Era più libera di esprimere le proprie opinioni, di condividerle, di proseguire per la propria strada.

… Restava però IL PROBLEMA. Erano tante, tantissime le volte in cui si ritrovava a pensare che, se si fosse “innamorata” di nuovo, magari, stavolta, sul serio, avrebbe corso il rischio di ritornare ad essere quella di prima. Era quella la sua vera paura, lo spettro che la spingeva a fuggire da ogni relazione.

Aveva costruito la sua nuova serenità interamente da sola, e, visti i problemi costanti con lavoro, famiglia ed altro, non sapeva proprio come avrebbe potuto fare altrimenti. Era questo il concetto che cercava di spiegare ogni volta e che falliva miseramente nell'esporre. Il guaio era che non sapeva proprio come esprimersi senza sembrare una delle solite “zitelle” che sotto sotto non aspettavano nient'altro che l'amore. Era esattamente il contrario... era tanto, tantissimo tempo che lei non si aspettava più proprio niente. E le andava bene così... non solo “per ora”.

Così, quella sera piovosa di luglio, con il cuore ancora pesante per l'ultimo litigio in famiglia, proprio il giorno prima di andare al mare, si era diretta alla festa organizzata da Jennifer e Alessandro, i suoi amici futuri sposi, ed aveva deciso di scrollarsi di dosso i problemi proprio come aveva sempre fatto nell'ultimo periodo.
 

dimmi che ti ricorderai di me

che sto con un vestito carino e fisso il tramonto, baby

labbra rosse e guance rosate
 

La festa era entrata quasi subito nel vivo. Dal momento che l'obiettivo sarebbe stato quello di consegnare gli inviti per il matrimonio, tutti i presenti alla serata erano gli amici degli sposi. La serata era pessima e fredda, perciò, anche se aveva smesso di piovere, tutti si erano rifugiati all'interno, alternando cibo ed aperitivo. Lei aveva salutato le amiche, stretto le mani a qualcuno che non conosceva, quindi si era seduta con la sua amica Cinzia con un bicchiere in mano, sbirciando l'ingresso.

Era stato allora che dal cancelletto, con le prime luci della sera che si accendevano, era passato un ragazzo che lei non aveva mai visto prima. Non aveva nulla di speciale, ad una prima occhiata: capelli e occhi castani, maglietta bianca, sorriso semplice. Era chiaramente un amico dello sposo, a giudicare da come aveva salutato Alessandro e gli altri ragazzi. Fu in quel momento che lei sentì qualcosa che non le era capitato da anni a questa parte: una scossa bella forte, come se, all'improvviso, tutto il freddo della serata fosse svanito.

Si era voltata verso Cinzia ed aveva commentato, in tono casuale: “Però... c'è un po' di gente nuova, stasera, vero?” La sua amica aveva riso ed aveva risposto: “Sì, non so chi siano tanti dei ragazzi! Però lì è arrivato uno carino... ed è solo! Dovresti andare a presentarti!”

Il suo primo impulso era stato: oh no. Neanche tra un milione di anni.

Niente le impediva, però, di girare intorno agli invitati alla festa e di farsi notare... in qualche modo. Va bene, va bene, era fuori allenamento, e con questo?

Era pur sempre armata di vestitino a fiori, tacchi, cascata di ricci (ora con meches rosse!) ed una dose di “faccia tosta” derivante da 12 anni di spettacoli nei costumi più strampalati.

Si era appena servita di un bicchiere di spumante quando aveva notato che il ragazzo in questione stava aiutando Alessandro a distribuirli. Accidenti! Ecco a cosa portavano anni passati a far tutto da sola!!

Ovviamente, come da copione, il ragazzo si era avvicinato a lei e le aveva chiesto se voleva un bicchiere di spumante; altrettanto ovviamente, lei era stata costretta a rispondere che ce l'aveva già. Il ragazzo le aveva risposto: “Non è che ne vuoi un altro, per sicurezza?” Sicurezza di che? Di avere un bicchiere sempre pieno? Era pure simpatico! Lei era scoppiata a ridere; poi, però, aveva rovinato tutto con un cortese “no grazie”. Andiamo... né ubriacarsi, né protrarre la scenetta le sarebbero stati di grande utilità. O forse sì. Oh Cielo!

Mentre cercava un'altra scusa per avvicinarsi (del tipo “non vuoi altri bicchieri vuoti, per sicurezza?”) Cinzia, che quella sera avrebbe vinto il premio per “miglior tempismo”, l'aveva portata via dalla folla. Aveva poi indicato un ragazzo in occhiali e camicia blu intento a distribuire fette di pizza. “Che ne dici di Francesco?” le aveva chiesto con calore. La sua onesta risposta sarebbe stata: “Dico che Francesco è un nome di merda e che mi ha già portato male una volta”. Okay, forse era un po' esagerata: il poveretto non ne aveva alcuna colpa.

Dopo essersi guadagnata una fetta di pizza e zero sguardi da parte del ragazzo in questione, però, le era apparso evidente che, con buona pace di Cinzia, il suo preferito della serata era decisamente un altro.

Dopo aver mangiato, era iniziata la parte più bella della serata. Le luci si erano spente, le candele si erano accese ed era stato allora che Fabrizio ed Anna, due amici suoi e della sposa, che si sarebbero occupati dell'animazione del matrimonio, avevano iniziato a suonare ed a cantare.

Varie canzoni erano state proposte, ma quasi tutti sembravano troppo timidi per fare qualcosa che non fosse bisbigliare. Visto che era l'unica o quasi a conoscere tutte le parole, si era ritrovata più volte praticamente a duettare con Anna, cosa che, se pure nel buio, aveva finito col porla un po' al centro dell'attenzione. Nonostante l'imbarazzo, le sembrava di essere sulla strada giusta: per una volta, si era fatta notare, e l'aveva fatto semplicemente mostrando la sua passione per la musica e la sua voglia di festeggiare. Non aveva dovuto forzarsi o fingere di essere qualcuno che non era.

Ad un certo punto, nel bel mezzo della semioscurità, aveva notato il ragazzo ancora senza nome che sorrideva a un suo amico, indicandola.

Certo, avrebbe potuto dire: “Guarda che bella ragazza!” così come “Senti questa com'è stonata!”, ma non le importava granché, visto che, a modo suo, era riuscita finalmente a catturare la sua attenzione.

E poi, non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che il commento fatto all'amico su di lei fosse positivo. Riconosceva quel genere di sguardo e di sorriso, anche se, dall'ultima volta, era passato troppo tempo. Era un po' come se il messaggio fosse “Sì, anche a me farebbe piacere conoscerti”.

 

io dico: nessuno deve sapere quello che facciamo [...]

e la sua voce è un suono familiare, niente dura per sempre

ma questo ora sta diventando buono
 

L'arrivo delle vacanze e la partenza, nel pomeriggio successivo alla festa, l'avevano un po' colta di sorpresa, dal momento che era ancora piuttosto frastornata dagli eventi della serata precedente. Non era successo nulla di straordinario, eppure per lei era stato importante. Sentiva rinascere all'improvviso dentro di sé, infatti, una serie di sensazioni che aveva creduto dimenticate, o delle quali aveva scordato persino l'intensità.

C'era qualcosa dentro di lei che le faceva pensare che forse non era diventata “asettica” e fredda come ormai credeva, e che forse era semplicemente rimasta in attesa di un momento migliore.

Il “ragazzo misterioso”, innanzitutto, aveva smesso di essere un'identità senza nome: ricorrendo a complicati ed ingegnosi sistemi (leggi: ...Facebook) aveva scoperto che si chiamava Davide, che era del suo anno e viveva nel paese di Alessandro.

Sentendosi una sorta di adolescente alle prime armi, aveva ispezionato il suo profilo con cura ed aveva visto che non sembravano esserci donne nella sua vita.

Durante i primi giorni di vacanza, aveva osservato (con una certa invidia, visto che quell'anno il suo luogo di vacanza era piovosissimo) le fotografie delle sue vacanze insieme alla sorella ed agli amici. Le era capitato di ripensare al perché quel ragazzo l'avesse così colpita, ma, con ogni probabilità, il motivo di questa sua attrazione risiedeva nella sua assoluta normalità.

Poteva sembrare un concetto banale, ma non lo era per niente, visto che lei, per anni, non aveva fatto altro che rincorrere, con ostinazione, delle persone che, all'interno del gruppo, si distinguevano, spesso perché particolarmente “virtuose” o considerate di esempio. Ormai, era già molto tempo che lei si sentiva stufa dei “maestri di vita”, dei ragazzi che credevano di avere in tasca tutte le risposte, che stavano sul loro piedistallo a giudicare gli altri, e che, secondo lei, covavano dentro di sé soltanto una grande insicurezza. Aveva iniziato da tempo ad evitare quelle persone, anche solo sul piano dell'amicizia, e non avrebbe certo ricominciato ora.

Tutto quello che avrebbe desiderato era soltanto una persona semplice che la trattava come una sua pari e che si trovava bene con i suoi stessi amici; per questo motivo, una volta tanto, le pareva proprio di essere sulla buona strada.

Un giorno si era decisa a chiedere l'amicizia su Facebook a Davide, ma, presa dal panico, aveva cancellato la richiesta più o meno due ore dopo. ...Okay, forse questa non sarebbe stata ricordata come una delle sue imprese più coraggiose.

Con lo scorrere dei giorni di vacanza, aveva avuto modo di riflettere su molte questioni importanti di quel periodo, e, com'era naturale, aveva pensato un po' meno a Davide, anche se ogni tanto tornava con la mente alla festa e sorrideva. Più passavano le settimane e più si ritrovava semplicemente a pensare con allegria al matrimonio ed a come sarebbe stato, indipendentemente dai ragazzi presenti.

Fino a quando, un giorno di settembre, non si era ritrovata ad aprire di nuovo, dopo un po', la pagina di Davide, ed a scoprire che... ora il ragazzo sembrava essere tutt'altro che libero. Oh merda.

 

tu mi vedi col senno di poi, [...]

bruciare tutto

un giorno, quando mi lascerai,

scommetto che queste memorie ti seguiranno

 

Il piazzale davanti alla piccola chiesa si stava riempiendo di invitati. In parte nascosta dietro ai suoi amici, lei osservava gli altri. Davide era arrivato, e con lui la ragazza, che lei aveva subito ribattezzato dentro di sé “la stangona”. Avrebbe potuto sembrare un po' infantile, ed in effetti lo era, ma che altro avrebbe potuto pensare di una fanciulla decisamente più alta di lei, con un vestito con inserti di pizzo tutto scollato sulla schiena, con delle scarpe estive dal tacco altissimo e senza calze ad ottobre? Perfino la treccia che si era fatta, invece di farla sembrare Cappuccetto Rosso, su di lei sembrava un dettaglio all'ultima moda.

Oh, beh. Poco importava. La soluzione migliore era considerarsi fuori dai giochi e concentrarsi definitivamente sul senso di quella giornata.
 

Qualche ora dopo, era convinta che nulla sarebbe potuto andare meglio di così. C'erano stati festeggiamenti fuori dalla chiesa, il trasferimento al ristorante, l'aperitivo all'aperto, le prime portate del lunghissimo pranzo. La giornata era meravigliosa, considerata la stagione; tutti si erano tolti la giacca e, tra un primo piatto e l'altro (!), passeggiavano in giardino chiacchierando (… e cercando di smaltire). In ogni caso, lei si sentiva leggera, perché anche la cucina era ottima, e le sembrava di avere appetito. O forse era solo il suo buonumore che rendeva tutto più semplice.

Mentre, sul balcone, parlava con Elisabetta e Matteo, due suoi amici, aveva intravisto dietro di sé Davide ed altri che erano usciti a fumare.

Non voleva essere paranoica, ma, dal momento che, mentre i suoi amici erano seduti, lei era in piedi, sui tacchi, a cercare di spiegare loro i passi del suo nuovo corso di latino – americano, aveva il vago sospetto che lui stesse guardando lei. Di nuovo. Possibile che si facesse beccare sempre a combinare le cose meno opportune?

...Era fatta così!

 

Al momento del taglio della torta, c'era stato il tradizionale ed inevitabile lancio di bouquet da parte della sposa.

Si aspettava che l'avrebbero coinvolta.

Temeva che, come suo solito, l'avrebbero spedita in prima fila, anche se nel gruppo c'erano una decina di ragazze fidanzate, ed una di esse aveva anche l'anello.

Tuttavia, non era stata pronta per il momento in cui il bouquet aveva puntato decisamente nella sua direzione, l'aveva colpita sfacciatamente in zona decolleté e le era finito tra le mani.

A detta dei presenti, aveva fatto la faccia più scioccata di sempre. In effetti, non ci poteva credere. Che cos'era, quella? Una specie di presa in giro del destino?

Il vincitore del lancio della giarrettiera, invece, era stato... no, non Davide. Va bene imitare la commedia romantica più scadente, ma a tutto c'è un limite, no??

A prendersi l'agognato premio era stato, in realtà, Francesco, il ragazzo che tanto piaceva a Cinzia ed alle altre sue amiche. Per la serie “Oltre al danno, la beffa”; in quel caso, la beffa sarebbe stata costituita dalle ripetute prese in giro delle altre.

Mentre erano ancora in giardino, Francesco le si era avvicinato e le aveva detto, con inaspettata baldanza: “Dobbiamo ballare, sai? È la tradizione!”

Oddio, pure. Questa proprio non la sapeva. Comunque, aveva deciso di essere gentile, e, con quello che si augurava fosse un sorriso incoraggiante (anche se dopo l'ultimo bicchiere di bianco non poteva esserne sicura), aveva risposto: “Ma dai, davvero? Okay, va bene.”

L'aveva invitata a ballare, poi?

Si era più avvicinato a lei nel corso della serata senza ritrarsi timorosamente?

Robert Downey Junior si sarebbe presentato la mattina dopo alla sua porta, dicendole “Prendo te come mia sposa”?

 

Era stato così che, senza cavaliere e senza più nulla da mangiare, si era unita alla sue amiche, che stavano chiacchierando con altre ragazze, tra le quali “la stangona”. Non appena si era avvicinata, quella l'aveva indicata ed aveva detto: “Beh, con il bouquet, lei è rimasta fregata!”.

In quel momento, lei aveva represso vari pensieri. Nell'ordine:

1 – Ma ammazzati!

2 – Perché dici “lei” se sono davanti a te? Hai schifo a parlare con me?

3 – Perché “fregata”? Sono tradizioni che si sono inventate per scherzare, che male c'è?

4 – No, seriamente. Ammazzati.

Un sorriso di circostanza, come al solito, l'aveva aiutata.

Quanto a lei, si sentiva svuotata, leggera, felice. Aveva passato una giornata meravigliosa con i suoi amici e si era divertita tanto.

Per quel che riguardava Davide... tutto quello a cui riusciva a pensare era che non le importava, nel senso buono.

In quella piccola vicenda era riuscita, come suo solito, a sbagliare tattica, a mancare i tempi e ad avvicinarsi solo di striscio all'obiettivo.

Nonostante questo, per la prima volta dopo tanto tempo, le sembrava di aver colto, se non la persona giusta, almeno il contesto, il modo di comportarsi, la maniera di affrontare le difficoltà.

Si trattava di un piccolissimo passo, che, agli occhi di tanti, non avrebbe avuto, forse, nessuna importanza. Tuttavia, a lei era servito, e non solo perché si era sentita “tornare viva” in questo campo, ma anche perché aveva cominciato ad imparare che i sentimenti non si subivano, bensì si vivevano, e che – soprattutto – essi nascevano perché si era se stessi, e non cercando in tutti i modi di accontentare l'altro o di meritarlo.

Si trattava di una riflessione preziosa; per questo, ella era sicura che avrebbe comunque conservato un buon “ricordo” di lui. E forse, con un po' di fortuna, anche lui di lei.

 

la mia ultima condizione è […]

dimmi che ti ricorderai di me

che sto con un vestito carino e fisso il tramonto, baby

labbra rosse e guance rosate

dimmi che mi vedrai ancora, anche se solo per finta […]

dimmi che mi vedrai ancora, anche se solo nei tuoi sogni più selvaggi

sogni più selvaggi

NOTA AUTORE: siamo arrivati alla fine di questa "coppia" di capitoli a tema wedding. Grazie mille a tutti coloro che mi hanno letto e...se vi va, recensite! Ovviamente accetto anche le critiche. Questa storia è un esperimento rispetto alle mie solite storie (scrivo di più nel campo fanfiction), quindi mi piacerebbe davvero avere qualche opinione in più. A presto :-)

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Capitolo 14
*** Clean ***


NOTA AUTORE: Bentornati, cari lettori!! Questo capitolo non è parte di una "coppia", come tanti altri, ma una semplice one-shot. L'argomento è... particolare, lo riconosco. Potremmo definirla la storia di una vocazione, o della passione di una vita. Come sempre, vi ripeto che aspetto i vostri pareri più che volentieri... anche le critiche, ovvio!! Buona lettura!

la siccità è stata davvero il peggio

quando i fiori che avevamo cresciuto insieme sono morti di sete

sono stati mesi e mesi di avanti e indietro

e tu sei ancora su di me come un vestito macchiato di vino

che non posso più indossare

nella mia testa, mentre perdevo la guerra,

ed il cielo diventava nero come una perfetta tempesta

 

Se c'era qualcosa di cui, nel corso della sua vita, non aveva potuto mai, mai e poi mai dubitare, era l'abilità e, allo stesso tempo, la passione di una vita: studiare.

Lei aveva sempre saputo di voler dedicare una vita alle Lettere, per quanto la sua indecisione e la sua paura del futuro l'avessero spinta, a volte, a pensare ad altre strade. Per questo, mentre le sue compagne di liceo avevano pianto e tremato all'idea di affrontare tema e versione, lei aveva conseguito la Maturità classica quasi in scioltezza ed aveva chiuso le porte delle superiori con un certo senso di sollievo. Sempre per lo stesso motivo, dopo i primi mesi di Università in cui si era sentita sconvolta a causa delle mille novità, aveva ingranato, senza perdersi nemmeno un esame ed un buon voto. Aveva conseguito la Laurea Triennale con lode (e lodi dei prof che l'avevano seguita) ed iniziato la Magistrale praticamente nello stesso momento. Lo studio era una delle costanti della sua vita, ma non si trattava solo di questo. La questione fondamentale era il fatto che lei amasse l'Università, punto e basta. La amava in toto, in ogni suo particolare, e, più passava il tempo, più si affezionava alle cose minuscole. Le piaceva arrivare, fare lezione, mettere in ordine gli appunti, prendere un caffè al bar con le altre amiche letterate, restare tra i chiostri per un pranzo con gli amici, fare ricerca in biblioteca, restare seduta a studiare in corridoio o in un'aula libera... vivere lì, in generale. La vita accademica era una parte essenziale della sua vita e non si sarebbe riuscita ad immaginare in altro modo. Per questo motivo non si era saputa spiegare perché, a 23 anni, all'inizio del suo secondo ed ultimo anno di Magistrale, era arrivata, un giorno, a dirsi: non ne posso più.

 

Quell'autunno era iniziato come i precedenti: dopo gli esami a settembre, le lezioni erano riprese, così come gli appuntamenti con gli amici e le sue attività consuete. Ciò nonostante, c'era una sensazione che la inseguiva fin dall'estate. Era una sorta di stanchezza, di fatica... come se non avesse più senso lottare. Si sentiva come se quell'anno, qualsiasi cosa lei avrebbe fatto, si sarebbe rivelato un perfetto disastro.

Aveva iniziato a passare moltissime notti in bianco, senza spiegarsi il perché. La sua routine quotidiana, da piacevole e confortante, era diventata una sorta di trappola noiosa. Forse alcune lezioni le sembravano già sentite; o magari apprendere passivamente, senza dare un contributo personale, l'aveva stufata.

Si sentiva come bloccata in mezzo ad una palude fangosa, senza via d'uscita: non poteva restare dov'era, perché l'avrebbe soffocata; tuttavia, non poteva nemmeno uscirne, perché il futuro la spaventava. Non c'era più la sete di sapere, di conoscenza, di scoperta che l'aveva animata negli anni precedenti; stava arrivando ad un punto di saturazione.

Sotto Natale, convinta che questo l'avrebbe aiutata a dare una scossa alla grigia routine degli ultimi mesi, aveva deciso di andare dalla sua solita relatrice a chiedere la Tesi per la Magistrale. Era uscita dallo studio felice e con tutti gli onori: aveva un progetto splendido, seguito dalla professoressa in persona.

Già qualche ora dopo, però, mentre restava seduta su una panchina del chiostro, si era accorta che quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Scrivere la Tesi l'avrebbe obbligata a scegliere: se non ce l'avesse fatta perché ormai studiare era diventato faticoso ed un po' ripetitivo, sarebbe rimasta nel limbo degli ultimi esami universitari; se però ce l'avesse fatta... sarebbe dovuta uscire.

Francamente, in quel momento non sapeva quale delle due opzioni fosse la peggiore.

Una volta, aveva letto un romanzo di una scrittrice che le piaceva, Sophie Kinsella. Nel libro, La regina della casa, la protagonista si sentiva, dopo essere stata licenziata, come se avesse avuto una “relazione sentimentale di sette anni” con lo studio legale in cui era stata impiegata. Anni prima ne aveva riso. In quel momento, nel ripensare a quelle pagine, le saliva in gola un groppo amaro. Quanto era vero! La sua “relazione” con l'Università si era ormai guastata, ed era tempo di guardare avanti.

Non c'era altra soluzione. Nonostante questo, quanto era difficile accettarla! La tempesta era iniziata.

 

non c'era nient'altro da fare

e le farfalle diventate cenere coprivano tutta la mia camera

così ho fatto un buco dando un pugno al tetto

ho lasciato che il flusso portasse via tutte le mie immagini di te

l'acqua riempiva i miei polmoni, urlavo così forte ma nessuno udiva niente

 

A dispetto delle aspettative, i mesi successivi avevano visto un costante miglioramento sia delle sue giornate che del suo umore. Anche se con molti pianti, nervosismi ed ansie, aveva iniziato a far entrare nel suo cuore l'idea che sarebbero stati i suoi ultimi mesi in Università. Quello che davvero le serviva era un cambio di prospettiva: nei mesi precedenti si era concentrata troppo sull'aspetto accademico per poter vedere davvero quello che aveva guadagnato in questi anni e che non le sarebbe stato portato via, come le passioni, gli amici, le certezze di ogni giorno. Riuscendo ad inserire lo studio all'interno di un quadro più ampio, aveva rivalutato le sue giornate, e capito che, a poco a poco, era giusto stringere i denti e concludere un percorso che era stato bello e stimolante. Doveva a se stessa almeno questo.

Così aveva terminato gli ultimi esami, e, nell'autunno successivo, si era dedicata alla Tesi, iniziando ad arrotondare con qualche lezione privata. A quel punto dell'anno, si sentiva già una persona piuttosto diversa; non solo aveva scoperto di amare davvero il soggetto della Tesi che aveva scelto, ed aveva ritrovato energia ed entusiasmo nello studiare e nel fare ricerca, ma, a differenza di tanti suoi compagni laureandi, che si sentivano sull'orlo di un precipizio, lei si sentiva più sollevata e fiduciosa nel futuro, anche se, in quel momento, non c'erano grandi punti fissi.

Così, quando la tanto sospirata Laurea era stata fissata per febbraio, perfettamente in linea con i tempi che si era prefissata, lei non aveva più pensato, per l'ennesima volta, soltanto al punto di vista scolastico: si era occupata personalmente di vestiti, confetti, aperitivi con i compagni, festeggiamenti con gli altri amici.

A ventiquattro anni (e mezzo), si era presa la sua seconda Laurea con lode. E dopo un lungo pomeriggio in Università, dopo una discussione brillante e tanti (in)aspettati complimenti, dopo un mare di foto e riti goliardici, dopo un aperitivo insieme ai (tanti!) presenti alla sua laurea, dopo un sabato ed una domenica passati a festeggiare con amici di Università e non... era uscita.

 

I giorni successivi erano passati in una bruma di stanchezza ed incredulità; prima ancora che se ne potesse rendere conto, aveva trovato un piccolo stage. Si trattava di un apprendistato – ovviamente non retribuito, ok – in un'associazione culturale che si occupava di eventi in città ed editoria. Aveva accettato la mezza giornata, continuando a dare lezioni private pomeridiane. L'ambiente era piuttosto informale e lavorare lì era tutt'altro che sgradevole.

Quella primavera si era sentita sorprendentemente leggera: aveva deciso di prendere quell'esperienza come una “palestra” per il futuro, per abituarsi al mondo del lavoro. Lei era sempre stata una fan della teoria “dura e pura”, ma in quei mesi aveva scoperto che non le dispiaceva affatto uscire un po' dal seminato e tentare un approccio più pratico alle materie umanistiche. Dopo molti ripensamenti, si era comprata un piccolo pc ed uno smartphone; aveva imparato questioni economiche ed amministrative di cui non aveva mai sentito parlare fino a poche settimane prima; aveva perfino iniziato ad apprezzare il fatto di non avere più il costante pensiero dello studio, specie nei weekend e nei momenti liberi. Ed il fatto di aver corretto le bozze di un libricino su uno dei poeti milanesi viventi più importanti l'aveva riempita di gioia.

 

Quando, verso l'estate, il suo tirocinio stava per finire e si era messa alla ricerca di un impiego vero, la sua allegria aveva iniziato a svanire. Non si sentiva più leggera come una farfalla, ma esausta, come se fosse stata coperta di qualcosa, tipo cenere, che le impediva di muoversi.

Dei suoi primi colloqui di lavoro, solo uno su quattro le aveva dato una parvenza di onestà. Il lavoro che aveva fatto durante lo stage le piaceva, ma sembrava che non ci fosse modo di replicarlo. A questo problema si era aggiunto qualche dissapore in famiglia ed una strana rabbia. Era come se covasse dentro di sé un desiderio di libertà ed indipendenza che non vedeva, purtroppo, realizzato a breve.

A luglio inoltrato, concluso lo stage, era iniziata per lei l'estate. L'agosto insolitamente piovoso di quell'anno l'aveva aiutata a scoprire qualche nuovo angolo della zona dove di solito passava le vacanze, aveva contribuito a farle fare una “gita” da un'amica ed anche a farle passare qualche giorno in beata solitudine.

Alcune notti si svegliava in seguito ad incubi, oppure, durante il giorno, provava, di nuovo, un amaro groppo in gola. C'erano attimi in cui rimpiangeva la scelta di Lettere, anzi, rimpiangeva la scelta di studiare, in generale. Le capitava di andare dalla parrucchiera, dall'estetista, dal panettiere, e di pensare: se solo mi fossi accontentata di uno di questi mestieri...! Se solo non avessi coltivato l'ambizione di studiare! Forse ora sarei serena, si diceva. Tutte le cose meravigliose che aveva imparato in quegli anni... che cosa se ne sarebbe fatta? Davvero non lo sapeva. Una singola esperienza di stage era stata ottima, ma al quel punto non era più sufficiente. Senza contare che, se non avesse trovato una soluzione in fretta, avrebbe continuato a dipendere dai suoi genitori e, con ogni probabilità, a litigarci, perché delle volte era nervosa senza motivo. L'acqua, sia di cielo che di mare, riempiva i suoi polmoni; aveva voglia di gridare, ma nessuno sembrava comprendere il suo problema. Le frasi che sentiva più spesso erano: “Sei laureata da poco!”, “Aspetta, qualcosa salterà fuori”, “Eh, cosa vuoi, c'è crisi”. Era già stufa di sentirle! Era rientrata in città poco prima di Settembre.

 

la pioggia è venuta, battente, mentre stavo annegando

è stato allora che ho potuto finalmente respirare

 

A Settembre, molto prima del previsto, erano usciti i bandi del Dottorato. La carriera accademica era qualcosa a cui, negli anni precedenti, aveva pensato moltissimo e con serietà. Anche mentre faceva il tirocinio si era ripetuta, più volte: “Dai, magari l'anno prossimo faccio il Dottorato”.

Sarebbe stato semplice rientrare nel circuito dell'Università, ricominciare con i corsi, la ricerca, il rapporto costante con un relatore, lo studio. Peccato che in quel momento le paresse infinitamente difficile.

Aveva provato a dirsi frasi come: “il tuo entusiasmo è scarso perché sai che la tua relatrice va in pensione e che sarai abbinata ad un altro prof”; “forse non sei motivata perché il concorso è spesso pilotato, dai, prova!”. Tutte motivazioni verissime che, in effetti, le lasciavano possibilità quasi nulle di entrare.

Tuttavia, anche se ci fosse stata una reale opportunità di entrare, lei sapeva benissimo di non volere. Era ormai oltre quel mondo, per quanto lo avesse amato. Sentiva di aver dato davvero tutto, almeno per il momento.

Aveva rinunciato al Dottorato senza troppi ripensamenti.

 

C'era un'altra cosa, invece, a cui si era sempre rifiutata di pensare, ma che ora continuava a farsi strada tra i suoi pensieri: insegnare.

Si era sempre detta di non farlo, sia perché il mondo delle scuole era diventato difficilissimo, sia perché sia sua madre che sua zia erano insegnanti, e lei era sempre stata restia a seguire le orme di famiglia.

Che aveva da perdere, però? Tutti i lavori erano difficili da trovare e da praticare. E scegliere lo stesso mestiere di qualcuno di famiglia non significava essere dei doppioni. Ogni lavoro poteva essere differente, se svolto con la propria personalità.

Proviamo, si era detta.

Era stato così che, ad inizio ottobre, pochi giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno, era stata chiamata dalla sua prima scuola.

 

L'inizio era stato sorprendente. Aveva passato i primi giorni senza dormire, mangiando a stento, in preda all'ansia. Sentirsi chiamare “prof” e passare dall'altra parte della cattedra dopo tanti anni era stato per lei un impatto sconvolgente. La scuola, un Istituto Professionale di periferia, aveva una pessima fama, era povera e piuttosto disorganizzata, ma non era questo che si sarebbe ricordata. Quello che le sarebbe rimasto per sempre nel cuore era l'accoglienza che le era stata riservata. Aveva due classi su tre al Triennio, perciò i suoi alunni avevano pochi anni in meno di lei, ma... l'avevano accolta, eccome.

Ogni giorno si doveva alzare prestissimo e fare un lungo viaggio; doveva affrontare colleghi, ragazzi, lezioni e responsabilità quotidiane; ogni volta che usciva da scuola, però, si sentiva come se respirasse aria nuova.

Giorno dopo giorno, infatti, la smetteva di rimpiangere la sua scelta di aver studiato. Quello di cui aveva bisogno davvero – e se ne rendeva conto proprio in quel momento – era di far fruttare quello che aveva imparato, di restituire almeno un po' di quello che aveva ricevuto. Il momento in cui usciva dall'Istituto e capiva di aver passato la mattinata a fare qualcosa di bello ed importante era decisamente il migliore della giornata. I dubbi restavano, le paure continuavano a covare in un angolo, ma i giorni passavano, l'uno dopo l'altro.

Sfortunatamente, dopo meno di un mese il Ministero aveva ribaltato tutte le carte in tavola ed a lei, che era supplente, era toccato andarsene.

Separarsi dai ragazzi era stato uno strazio ben peggiore del previsto. Un paio di ragazze di quinta avevano pianto e l'avevano seguita in aula professori; il clima era tristissimo in tutte e tre le classi; per due giorni aveva ricevuto biglietti, lettere e persino torte di commiato. Lei stessa aveva passato due giorni a piangere, non tanto per lei, quanto per i ragazzi, ai quali si era sinceramente affezionata.

Nonostante si sentisse con il morale a terra, non poteva fare a meno di pensare che fosse stata per lei un'esperienza meravigliosa. Niente l'aveva gratificata più che sentire dai suoi stessi ragazzi – più di uno – che avrebbe trovato di sicuro qualcos'altro, perché era tagliata davvero per fare la professoressa.

Mentre si trovava in aula professori a dare qualche ultimo consiglio di lettura ad una delle ragazze di quinta (“Quando ho capito che se ne sarebbe andata mi è crollato il mondo addosso!” aveva commentato, e lei non aveva potuto evitare di pensare “... A te,eh??”), le erano venute in mente le prof.di Lettere del liceo che tanto aveva adorato. Le sembrava fosse ieri, ma... era trascorsa una vita. Ora stava dal loro lato, in un certo senso. E questo pensiero, non si sa come né perché, le dava la consapevolezza di avercela fatta.

 

Non c'era stato troppo tempo per piangersi addosso. Cinque giorni dopo si trovava in una scuola media del paese di fianco al suo, pronta a ricominciare. Con le spalle più solide, un sorriso più deciso ed una nuova consapevolezza alle spalle.

 

sobria da 10 mesi, devo ammettere

solo perché sei pulita, non significa che non ti manchi

più vecchia di 10 mesi, non lascerò perdere

ora che sono pulita non rischierò

la siccità è stata davvero il peggio

quando i fiori che avevamo cresciuto insieme sono morti di sete

 

Ovviamente aveva dovuto affrontare tutto un altro mondo. L'impatto con i ragazzi più piccoli era stato sicuramente più difficile, ed anche la routine quotidiana era un po' diversa. Si trattava – serve dirlo? - di un'altra supplenza a tempo “indeterminato” - dove qui l'aggettivo non sta a significare “sei a posto, vai tranquilla!”, bensì “ringrazia Dio per ogni giorno che lavorerai, perché quest'anno il Ministero continua a combinare casini”. Ovviamente la situazione di incertezza non giocava a suo favore, e si univa, ogni giorno, a tanti dubbi e difficoltà. La passione per il lavoro svolto chiamava a sé, inevitabilmente, delle responsabilità. Si andava avanti giorno dopo giorno; lei era stordita da tutte le novità, ma cercava di non lasciarsi travolgere.

Era ormai metà novembre, ed erano passati ben nove mesi da quel giorno di febbraio in cui aveva salutato l'Università. Si era aspettata il vuoto siderale, il nulla, una certa disperazione.

Oh, certo, le emozioni erano state davvero infinite, e non erano di certo esaurite: sapeva benissimo che altri colpi di scena l'avrebbero aspettata. Non sapeva quanto a lungo sarebbe durato il suo nuovo incarico, né se l'insegnamento sarebbe stato davvero il mestiere della sua vita (aveva gettato buone basi, ma era così giovane!), né se un giorno le sarebbe venuto il desiderio di tornare a studiare, di fare un altro mestiere o chissà cos'altro.

Quello che sapeva era che, anche se provava nostalgia per la vita universitaria, era riuscita a non far diventare questo sentimento un attaccamento morboso e senza futuro; e che il suo vero nemico era il rischio di ostinarsi in una situazione che non la soddisfaceva completamente, piuttosto che cambiare.

Ora capiva di poter avere – pur con mille tentennamenti! - il coraggio di svoltare. Era uscita dal pantano fangoso in cui si era trovata. E forse, forse... aveva individuato la chiave per uscire da altri che avrebbe trovato in futuro.

 

E, quella mattina, se n'era andata ogni traccia di te!

...penso di essere finalmente pulita.

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Capitolo 15
*** Superstar ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, ecco a voi un nuovo capitolo di questa raccolta. Come la precedente, "Clean", si tratta di un'altra one-shot, sul tema dell'...essere fangirl! Questa è la storia di una ragazza come tante e del suo cantante preferito di una vita. Spero tanto che la apprezziate. Grazie per le visualizzazioni che continuano ad aumentare! Abbiate coraggio, lasciate un piccolo commento!! A presto :-)
 

questo è sbagliato, ma non posso fare a meno

di pensare che non ci sia niente di più giusto, tesoro

giunge di nuovo un nebbioso mattino e non posso farci niente

ma vorrei vedere il tuo viso

 

Il Febbraio di quell'anno sembrava indugiare nel portar via l'inverno. La neve e la nebbia coprivano tutto, immergendo il paese in un'atmosfera magica e rarefatta. La luce perlacea del mattino confondeva i contorni di cose e persone, ed il freddo era così pungente ed intenso da invitare a non uscire.

Da sempre, in situazioni del genere, il suo trucco era uno solo: ascoltare un po' di musica con le cuffie. Riempirsi le orecchie di note di primo mattino, mentre faceva colazione, si pettinava e si avviava verso la metro, era sempre stato il metodo migliore per infondere a se stessa un po' di energia ed entusiasmo e per affrontare la giornata ancora agli inizi.

Bastavano, infatti, poche battute per farle nascere sulle labbra un sorriso che altrimenti non avrebbe visto la luce, e pochissime parole del testo per mettere in moto la sua testa ed il suo cuore all'istante.

Suo fratello la accusava sempre di avere sempre avuto, e di mantenere tuttora, un rapporto adolescenziale con i suoi cantanti preferiti. Verissimo, senz'altro.

Ma era anche vero che la musica era una sua grandissima passione, da sempre.

Che aveva sempre adorato ascoltarla, suonarla, ballarla e (anche se in questo era un po' meno brava) cantarla.

Che si era emozionata ai concerti ai quali le era capitato di partecipare.

Che i testi erano considerati da lei delle alternative alla poesia... e lei ne aveva un archivio pieno, diviso per cantanti, con le traduzioni ed i versi più significativi sottolineati.

E, anche se adorava spaziare tra i generi e gli autori più diversi, vi erano cantanti che, anno dopo anno, erano restati con lei, l'avevano accompagnata e, in un certo senso, anche aiutata. Erano quelle persone a cui lei, come la migliore delle adolescenti infatuate, aveva sempre pensato come se fossero una sorta di amici. Le sembrava che la conoscessero, che riuscissero ad intuire i suoi sentimenti e che avessero scritto quelle parole proprio per lei. Ecco, se avesse mai incontrato dal vivo uno di loro, non sapeva davvero come avrebbe reagito.

Tra questi, un posto speciale ed unico sarebbe sempre, sempre stato riservato a Filippo Neviani, in arte Nek.

 

e so che, fin dalla prima nota suonata,

infrangerei tutte le regole solo per vederti

sorridi con quel bel sorriso

e tutte le ragazze in prima fila urlano il tuo nome

 

Ricordava con assoluta chiarezza il momento in cui aveva capito, saputo, deciso che lui- e solo lui- sarebbe stato il suo idolo. E, a differenza della maggior parte delle sue coetanee, non era stato durante la pubertà, bensì molto prima.

Era l'estate del '97, lei aveva sette anni (quasi otto, ormai) ed era finalmente libera dalla scuola e, con essa, dal noiosissimo obbligo di andare a letto presto senza poter guardare quel che più le piaceva alla televisione. Quella sera, infatti, le nove erano ormai passate, ma c'era ancora luce e dalla porta-finestra entrava solo caldo.

Papà faceva il turno serale, mamma era in cucina a fare altro, il fratello, una volta tanto, non la tormentava chiedendole di giocare insieme a lui.

Sapeva che mamma aveva intenzione, in seguito, di guardare un programma musicale, quindi si era accoccolata in poltrona ed aveva iniziato a seguirlo senza di lei. Era una delle prime volte che ascoltava musica che non fosse puramente “da bambini”, e le piacque subito. Quelle melodie, infatti, le sembrarono subito più belle e più profonde di quelle infantili che ascoltava di solito.

Ad un certo punto, però, l'incravattato e lampadato conduttore annunciò che sul palco stava per salire qualcuno di speciale. Si trattava, infatti, della rivelazione dell'anno appena trascorso, già sulla scena da un po', ma che aveva appena riscosso un enorme successo con il suo ultimo disco. Si chiamava Nek, anche se questo, ovviamente, era solo il suo nome d'arte.

Fu allora che sul palco salì un venticinquenne dai capelli “elettrizzati” e dagli occhi super azzurri, con dei grossi tatuaggi sul braccio, una chitarra ed un grandissimo sorriso. Cantò due canzoni, presentandole come nuovi singoli.

 

...Era ipnotizzata. Non c'era storia: lui era il migliore di tutti quelli che erano finiti sul palco. Non ricordava con chiarezza quali fossero stati i suoi esatti pensieri in quel momento (dopotutto era solo una bambina) ma sicuramente l'aveva trovato bellissimo, ed anche bravissimo e simpaticissimo. Tutto issimo, insomma.

Alla fine della sua esibizione, il conduttore aveva invitato tutti a rimanere in linea perché, in seguito, Nek sarebbe tornato per suonare il suo più grande successo dell'anno passato, Laura non c'è.

Conservava ancora viva la memoria della felicità che aveva provato nel momento in cui aveva saputo che Nek si sarebbe esibito di nuovo. Non c'era stata scusa, orario, sonno che tenesse: lei doveva restare lì ad attenderlo. Era calato il buio, era venuto troppo tardi perfino per i suoi orari estivi, papà era tornato dal lavoro e suo fratello era andato a letto, ma non c'erano santi, lei aspettava.
Finalmente il palco si era riempito di allegre ballerine in minigonna e reggiseno ed il presentatore era riapparso dicendo: “Ed ecco a voi di nuovo Nek...si sono fatte tutte belle per lui!”. Ecco, di quello sì che aveva un ricordo distinto: era assolutamente sicura di aver pensato: “Anche io, anche io, anche iooo!!”.
E poi era bastato ascoltare quel bellissimo ragazzo cantare di nuovo, con la sua chitarra, le sue splendide melodie, e la sua voce semplice e vera, per capire che era stato amore a primo ascolto.

 

Tre anni dopo, nel 2000, era uscito il CD “La vita è”, destinato a restare uno dei suoi preferiti di sempre. Lei aveva ormai finito le elementari, era circondata da coetanei che avevano iniziato ad ascoltare musica, e così le era sembrata la cosa più naturale chiedere ai genitori di regalarle l'audiocassetta. Le sue amiche ascoltavano perlopiù musica pop commerciale, ma a lei non interessava poi molto. Sì, i Backstreet Boys non erano male, e non c'era nulla di malvagio nelle Spice Girls, però non le davano le stesse emozioni. Le piacevano anche altri cantanti, ma Nek era il suo preferito, e non più solo per gli occhi, il sorriso e le belle melodie.

Aveva passato l'estate, infatti, a leggere il libretto con i testi e ne era rimasta molto colpita. Le sue canzoni preferite erano Miami, la storia di un ragazzo che va in cerca di una ragazza che per lui è, più che altro, una metafora della libertà, e Tu mi dai, canzone in cui il protagonista cerca di riconquistare la sua donna, perché sa che lei gli dà quel che lui non ha. E l'amore non era certo l'unico argomento trattato nel disco. C'erano canzoni come Meglio esserci, che presentava il tema della droga, o Con la Terra sotto di me, che denunciava la povertà nel Terzo Mondo.

Ma forse le parole migliori di tutto il CD (anzi, pardon, cassetta) erano contenute nella prima traccia del lato B: Mi piace vivere, vivere, fare e decidere, anche di testa mia. Mi piace vivere, vivere...è il mio carattere, e poi sia quel che sia! Se sbaglio chi lo sa, ma scelgo sempre io quello che mi va!

Un consiglio perfetto per una ragazzina di 10-11 anni, giusto?!?

 

la solitudine del mattino mi raggiunge

quando non sogno te

quando il mio mondo oggi si sveglia

tu sarai in un'altra città

 

I 13 anni erano un'età tremenda, ecco la verità. Quell'autunno ed inverno era quasi impazzita: il suo corpo si deformava, il suo carattere era in evoluzione continua, l'umore cambiava ogni cinque minuti ed aveva una paura folle di andare alle superiori. Nulla era più facile da gestire come un tempo: la famiglia, la scuola, le amicizie, e soprattutto l'amore. Era cotta persa, e senza alcuna speranza, del bello della scuola, un simpaticone che giocava a calcio, si faceva le canne dietro la palestra, sfoggiava occhiali da sole blu e sorrisi a comando. Quel ragazzo, in poche settimane, era diventata la sua disperazione: dormiva malissimo, non le andava di fare colazione, andava a scuola con in testa tutto meno che lo studio e passava i sabati pomeriggio in centro con una sua amica nella speranza di incontrarlo.

Una delle sue salvezze era stato – che domande! - il nuovo CD di Nek, Le cose da difendere. Un titolo emblematico, visto che si trovava ad un punto di svolta nella sua vita, in cui avrebbe dovuto decidere che cosa considerare un ricordo dell'infanzia e che cosa conservare. Aveva preso l'abitudine di dormire con accanto il suo lettore CD, per ascoltare la splendida musica di Nek quando l'ansia le impediva di prendere sonno. Un paio di sue canzoni prima di alzarsi le davano la giusta grinta per andare a scuola ed “affrontare” (si fa per dire, eh) quel ragazzo così speciale.

Ed alcuni pomeriggi che si sentiva più giù del solito aveva preso l'abitudine di starsene sdraiata sul letto con la sua musica nelle orecchie.

Le sue semplici parole erano il segreto del suo malumore, della sua agitazione, di quei pensieri così nuovi che la spaventavano e la eccitavano. Lì dentro vi era tutto quello che provava, che nessun altro riusciva ad esprimere così bene.

Nek era da qualche parte, lì fuori. In un'altra città. Forse in Italia e forse no. Ma ciò che era certo era che la stava aiutando.

 

hai suonato nei bar, suoni la chitarra

ed io sono invisibile, e tutti sanno chi sei

e tu non vedrai mai mentre mi fai addormentare

con le tue canzoni, ogni notte, alla radio

 

Negli anni successivi, c'erano stati moltissimi altri momenti in cui le canzoni di Nek erano state il simbolo della sua vita.

Le aveva cantate durante gli anni del liceo, incurante delle sue compagne che un po' deridevano questa sua passione.

Ne aveva ascoltata una speciale, Quando sarò lontano, mentre si trovava nelle Marche con degli amici e non faceva altro che pensare ad un ragazzo che aveva conosciuto durante un weekend in Toscana.

Aveva scritto persino un tema su di lui, anzi, un saggio intitolato “la poesia nella vita ed in ciò che ci circonda”, ed aveva pure preso 9, perché... beh, perché la sua prof. era semplicemente l'unica che avrebbe potuto capire ed accettare una scelta del genere.

Lui le aveva spesso regalato degli occhi nuovi, per vedere in modo diverso non solo l'amore, ma anche, spesso, la vita stessa. Le sue parole così semplici, schiette, vere le erano entrate nel cuore per sempre.

Tanti erano gli insegnamenti che non avrebbe mai, per nessun motivo, dimenticato.

 

quindi abbassa quel faro, dimmi cose come

non riesco a staccare i miei occhi da te”

non sono niente di speciale, solo un'altra ragazza

con gli occhi spalancati, disperatamente

innamorata di te

dammi una foto da appendere sul muro, superstar

oh dolce, dolce superstar.

 

Il mondo della musica era ormai molto diverso. Anche lo stesso Nek si era modernizzato, creando account sui social network e restando in contatto con i fan. Era finito il tempo delle audiocassette e delle interviste sui mensili. Lei non aveva più 7 anni, ma 25, ed anche lui, ormai, aveva passato i 40 e si era fatto una famiglia.

Le capitava spesso di vedere adolescenti esaltate all'idea di seguire i propri idoli, e restava sempre stupefatta a causa della poca comprensione che mostravano i suoi coetanei. Lei, invece, si rivedeva molto in loro. Le sembrava improbabile che fosse passato già un decennio da quando era una tredicenne un po' folle.
Avrebbe voluto dire loro di lasciar perdere la serietà dei suoi coetanei, di non ascoltare chi diceva loro “Adesso lui è la tua vita, ma presto lo dimenticherai”, perché lei non aveva mai scordato quella torrida sera del '97. Ma non voleva passare per pazza, quindi si accontentava di sorridere loro incoraggiante.

Aveva appena letto che sarebbe uscito il nuovo disco di inediti di Nek. Non le restava che pensare: “...quando vuoi. Davvero, quando ti pare. Oggi, domani, tra dieci anni ancora. Sarò sempre presente, sarai sempre la mia superstar.”

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Capitolo 16
*** Never grow up ***


La tua piccola mano è aggrappata al mio dito

ed è così tranquillo il mondo stanotte

le tue piccole palpebre si muovono perché stai sognando

così ti rimbocco le coperte ed accendo la tua luce preferita

per te tutto è divertente, non hai niente da rimpiangere

darei tutto quello che ho cara, perché tu rimanessi così

 

La giornata era splendida: il sole di giugno brillava alto nel cielo ed il grande parco acquatico era pieno di persone. In cosa sperare di meglio, quando si hanno sedici anni, la scuola è finita e l'estate appena iniziata?

Però... c'era un piccolo problema; un problema biondo, con gli occhi azzurri, tenacemente aggrappato alla sua mano. Si chiamava Cristina, aveva otto anni e, in quel giorno di campo estivo, le era stata affidata per tutto il giorno. E lei non ci aveva messo molto a capire che dietro quel faccino angelico si nascondeva una peste. Era tutto il giorno che le correva dietro, perché Cristina aveva un'incredibile voglia di fare qualsiasi cosa non fosse starsene ferma, e pretendeva assolutamente la sua presenza. Meglio ancora, in braccio. Aveva voluto stare in braccio a lei in piscina, sulla sdraio, sul prato, sul pullman. Ed ogni volta che lei le aveva proposto uno stop, aveva replicato con un: “Non sono mica piccola!”

Lei avrebbe voluto dirle: “Guarda me! Ho il doppio dei tuoi anni e sono a pezzi!”, ma sapeva che il suo compito era quello di starle dietro tutto il giorno e di sorvegliarla con mille occhi, perché, vivace com'era, avrebbe sicuramente potuto cacciarsi in qualche pasticcio. Così si armò di pazienza e, con il migliore sorriso di cui era capace, seguì Cristina che trotterellava sul prato, verso chissà quale meta.

 

Fu solo una delle tante giornate impegnative – anzi, distruttive – di quell'estate. Lei e le sue amiche, infatti, si ritrovarono a gestire un gruppo di bambine vociante, allegro, irrefrenabile. Le settimane scivolavano via, una più afosa ed infuocata dell'altra, e tutte continuavano ostinatamente a tenere per mano quelle piccole pesti, a correre con loro per i prati, a mangiare con loro, a stare abbracciate sul pullman e, cosa più dolorosa di tutte, a trasportarle a cavalluccio nella piscina dei piccoli.

Quanto a lei, si sentiva stupefatta. Aveva accettato più per noia e per voglia di riempire l'estate che per altro quel compito di volontariato, ma ora era sempre più convinta che fosse stata una delle sue scelte più azzeccate. Almeno, quello era il suo punto di vista: sedici/diciassette anni non erano più pochissimi, ed in lei c'era una grande voglia di conoscere altri ragazzi della sua età ed anche più grandi, di inserirsi in qualche compagnia per uscire un po' di più, e di fare qualcosa che fosse utile, non solo a se stessa.

E per ora, sì, stava andando tutto come previsto: aveva fatto amicizia con tante ragazze, si era inserita in quel gruppo, tornava a casa ogni sera felice e soddisfatta, con qualcosa da ricordare.

Ma quello che non si sarebbe mai aspettata era il fatto di affezionarsi davvero a quelle bambine. Si era sempre considerata una tiepida amante dei piccoli, senza alcun particolare entusiasmo, ed era sicura di non avere le qualità richieste per stare con loro. Vedeva dall'esterno gli altri animatori, sicuri di sé, urlanti, con il megafono il mano, organizzati ed instancabili, e si diceva: io, mai!

In quelle settimane, però, aveva capito qualcosa di importante: non era necessario tutto ciò. Bastava star dietro alle bambine, prenderle in braccio, ascoltarle, voler loro bene: non cercavano carisma o decisione, ma, al contrario, attenzione alla persona, premure, tranquillità. Quello che era più giusto fare non era imporsi su di loro con polso facendo vedere “quanto si era bravi”, ma costruire un rapporto all'interno del quale entrambi avessero bisogno l'uno dell'altro.

Ed era così, più che mai. Le pareva ancora qualcosa di strano, ma non erano solo le bimbe ad aver bisogno di lei per indossare il costume, per mangiare, per mettere a posto i loro zainetti. Era lei che non poteva fare più a meno dei loro sorrisi e dei loro abbracci. Quell'estate avrebbe imparato per la prima volta che l'affetto dei bambini era gratuito e per sempre, e che la ripagava con una gioia che non sempre le sue coetanee erano in grado di darle.

Sarebbe rimasta a fare volontariato anche in autunno ed inverno, questo era certo, con quelle adorate piccoline. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché quel rapporto che aveva con loro non si interrompesse.

 

sei nella tua macchina, sulla strada per il cinema

e sei mortificata, tua madre ti sta accompagnando

a 14 anni c'è molto che non puoi fare

e non puoi aspettare per muoverti da sola e comandare

ma fa' in modo che non ti accompagni fino all'edificio

ricorda che anche lei sta diventando più vecchia

e non perdere il modo in cui danzi in pigiama

mentre ti prepari per la scuola

 

La macchina si illuminò per un attimo, poi si confuse di nuovo col buio. Con un movimento rapido, la ragazzina aprì il sedile del passeggere e si sedette, rivolgendo un largo sorriso alla sua interlocutrice e prontissima ad intavolare una lunga conversazione – sì, beh, chiamiamolo pure monologo. Si chiamava Elisa ed era una campionessa internazionale di chiacchiera senza sosta in automobile.

Ma lei c'era abituata, perché ormai la riaccompagnava a casa tutti i lunedì sera.

Erano trascorsi ben sei anni da quell'estate da ricordare, ed il suo desiderio si era avverato. Era rimasta con le amiche durante l'inverno a leggere le favole e disegnare insieme alle loro bambine; le aveva accompagnate durante le scuole medie, tra gli ultimi giochi e le prime ribellioni; e, ormai da tre anni, faceva volontariato con gli adolescenti, al lunedì sera.

Le vivaci piccole che aveva tenuto per mano mentre passeggiavano nel cortile erano diventate delle ragazze a tutti gli effetti. La “terribile” Cristina si era alzata, aveva fatto crescere i capelli ed andava al Liceo Artistico; quando le capitava, scherzava ancora con lei su quelle lontane giornate trascorse insieme, e lei le diceva: “Adesso, quando una bambina vorrà stare in braccio a te sempre e comunque, pensami...!”, e Cristina non poteva far altro che darle ragione.

Alcune delle ragazze più grandi, come Elisa, avevano ormai la stessa età di quando lei aveva iniziato ad occuparsi di loro. Tutto era cambiato, ma non era meno bello.

Quella sera Elisa era particolarmente contrariata... come tante altre sere, del resto. Forse era tipico della sua età. Quando erano insieme, non faceva che raccontarle nel dettaglio tutti i suoi pensieri. Più precisamente, incomprensioni con le sue compagne, nuove passioni che scopriva dentro di sé, vestiti e poi ragazzi, ragazzi ed ancora ragazzi. Ogni volta che la ascoltava, le sembrava di fare un salto indietro nel tempo. Era per quello che cercava di consigliarla al meglio: le diceva di farsi coraggio, di pensare con la sua testa, di assecondare le sue passioni. Ma Elisa, che aveva giustamente una grande voglia di pestarci il muso da sola, non era per niente convinta e la sommergeva con un'altra serie di dubbi marzulliani. “E se poi faccio così...? E se succede questo..? E però come posso evitarlo...?”

Non erano domande semplici, soprattutto se poste a una povera ventidue-ventitreenne ancora adolescente sotto molti punti di vista e forse troppo emotivamente coinvolta per rispondere con obiettività. Tuttavia, lei continuava ad essere la confidente preferita di Elisa, e non solo.

Ora le sue ragazze non avevano più bisogno di una sorta di mamma che le controllasse e che giocasse con loro, ma si dimostravano sempre felici di avere al loro fianco qualcuno come una sorella maggiore, che era già passata attraverso quei problemi per loro così spinosi, e che le potesse consigliare al meglio. Non era sempre un compito leggero, ma lei cercava di svolgerlo al meglio.

 

Fotografa nella tua mente la tua cameretta

ricorda cosa si sentiva quando papà tornava a casa

ricorda i passi, ricorda le parole dette

e tutte le canzoni preferite del tuo fratellino

ho appena capito che tutto quello che ho un giorno se ne andrà

ed eccomi qui nel mio nuovo appartamento

in una grande città, mi hanno appena accompagnato

è molto più freddo di quello che avevo pensato

quindi mi rimbocco le coperte ed accendo la mia luce notturna

e vorrei non essere mai cresciuta

 

La verità era che spesso, osservando le ragazze, si rendeva conto di quanto fosse cresciuta lei stessa, insieme a loro, con l'unica differenza che loro si erano trasformate da bambine a ragazze, e lei da ragazza a donna.

Quello che avrebbe più voluto consigliare loro – ed anche a se stessa – era di godersi il bello di questi ultimi anni, giorni, attimi di vita prima dell'età adulta.

Il conforto della propria camera, il ritorno a casa dei propri genitori, le risate a tavola, i discorsi fatti insieme, la musica che si sentiva di solito in casa, tutto quello che per lei rappresentava l'infanzia, ed anche un porto sicuro, presto sarebbe cambiato, se non proprio scomparso.

 

Era in quei momenti che lei stessa finiva per domandarsi: ma tu, sei sicura di essere molto meglio di loro? Come puoi pensare di avere delle responsabilità su di loro, se anche tu spesso ti senti più bambina che mai? Non desidereresti anche tu, a volte, non essere mai cresciuta?

Era inutile negarlo: per quanto tutte le sue ragazze avessero una loro famiglia, anche lei sentiva di avere avuto una parte nel loro processo di crescita. E spesso era capitato che venissero a raccontare a lei qualche segreto, dicendo: “Non dirlo ai miei genitori!”. A volte si sentiva impreparata nei confronti di questa situazione.
In passato, aveva avuto dei periodi di sfiducia, in cui guardava le amiche che svolgevano lo stesso servizio e si chiedeva se le ragazze non avrebbero fatto meglio a rivolgersi a loro, che, ai suoi occhi, erano più estroverse, più sicure e più piene di esperienze di lei.

Per quanto, però, si facesse problemi e complessi, i fatti continuavano a smentirla: Elisa le chiedeva consigli in amore anche se aveva già avuto più ragazzi di lei; tutte volevano salire sulla sua macchina, anche se non era la più brava delle autiste; e, quando si era laureata, più di una le aveva detto che era un esempio, anche se lei non si era mai vista così.

Ed andava a finire che lei stessa, attraverso i loro occhi, si sentiva migliore, più coraggiosa, e la paura di crescere veniva accantonata.

 

oh cara non crescere mai, non crescere mai

resta solo così piccola

oh cara non crescere mai, non crescere mai

può restare tutto solo così semplice

non lascerò che nessuno ti ferisca, che nessuno ti spezzi il cuore

ed anche se lo vuoi, prova solo a non crescere mai

Oh, non crescere mai

 

Gli anni che aveva dedicato alle ragazze – e che avrebbe continuato a dedicare, finché loro avessero avuto bisogno di lei – non sarebbero andati perduti.

I pomeriggi di sole trascorsi a portarsele sulle spalle ed a tenerle in braccio.

Le giornate d'inverno a disegnare insieme.

Le sere insieme, ad aiutare gli altri o a chiacchierare.

Quei viaggi e quei week-end che avevano passato sulla neve o al mare, in città o lontani dalla civiltà.

Le notti trascorse a riaccompagnarle a casa, ad ascoltare le loro confidenze, ad abbracciarle mentre piangevano sul portone.

Non era stato tempo perso. Anche quando sarebbero cresciute, lei le avrebbe sempre ricordate con affetto; ci sarebbe stata, se l'avessero chiamata; non avrebbe lasciato che nessuno facesse del male alle sue piccole.

L'importante era che ai loro occhi il loro rapporto rimanesse prezioso.

Anche quando sarebbero state adulte, in un angolo del suo cuore non sarebbero cresciute mai.

NOTA AUTORE: Cari lettori, ecco a voi un'altra one-shot. Il tema scelto è quello del rapporto che ognuno di noi può avere con i più piccoli. Adoro "Never grow up": è una delle mie canzoni preferite di Taylor (come si sarà intuito dalla raccolta, amo alla follia i testi del terzo album, Speak Now). La trovo una canzone delicata e piena di sentimento. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Aspetto sempre una vostra recensione, anche piccola piccola! Ringrazio comunque tutti voi che state leggendo.
A presto :-) :-)

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Capitolo 17
*** Invisible ***


Cari lettori, ecco a voi un'altra one-shot. Come già accaduto nel corso della raccolta, verrà nuovamente trattato il tema dell'amore, in una sua ulteriore sfaccettatura, un po' introspettiva ma anche, spero, emozionante.
Mi auguro che il capitolo vi piaccia. Buona lettura!



Lei non può vedere il modo in cui i tuoi occhi

si illuminano quando sorridi [...]

E tu non puoi vedere me, che ti voglio come tu vuoi lei

ma tu sei tutto per me

 

Una semplice cena tra amici. Chiacchiere, risate, discorsi più seri, teglie di cibo fatte passare per il tavolo. La degna conclusione di una giornata che si era rivelata buona, con un esame appena passato e un po' di relax in arrivo.

Ed un tormento interiore ben celato.

Era di nuovo di fianco a lui... e le pareva proprio che nulla fosse cambiato in nove mesi.

 

Eppure pensava di aver superato così bene quel momento. Non pensava più a lui, davvero; aveva passato quel che restava dell'inverno, tutta la primavera, buona parte dell'estate a ripeterselo, ed a stupirsi di quanto si fosse ripresa in fretta dalla delusione che aveva provato. Forse aveva troppe novità a cui pensare, o forse, semplicemente, non ce l'aveva fatta ad affrontare anche quello, nel bel mezzo di un anno che era già stato sufficientemente lungo e complesso.

Ora, invece, non sapeva più che pensare. Tutta la vicenda che riguardava lei e lui le sembrava del tutto assurda, e senza alcuna speranza; ma i suoi pensieri al riguardo continuavano a tormentarla. Si chiedeva se succedesse anche a lui, ma ci credeva poco. Gliel'aveva anche detto, che aveva altro per la testa.

E le aveva anche ripetuto che cercava un altro tipo di ragazza, che i loro obiettivi nella vita erano diversi, che frequentarla era stato bello ma la vedeva solo come un'amica.

Erano anni che non le succedeva di prendere picche da un ragazzo che frequentava, e sperava che non le sarebbe mai più capitato. Era così sicura di sé, quella volta, che aveva anche scelto uno dei momenti peggiori per affrontare il discorso, solo perché era il primo momento buono che le era capitato. L'aveva pagata cara. Pensava che quei quattro giorni a Padova, città che amava molto, si sarebbero rivelati una sorpresa positiva. Invece si era ritrovata di nuovo nei guai, nel bel mezzo di un viaggio che per fortuna era durato pochi giorni, costretta a stare insieme agli altri ed anche a lui, a dare retta alle altre persone che erano in vacanza con loro. Obbligata, insomma, a mangiare quando avrebbe voluto digiunare ed a dormire quando avrebbe desiderato solo piangere. Non sapeva come avrebbe fatto se non ci fosse stata la sua migliore amica, che era l'unica a conoscere la vicenda. Quel che più desiderava fare era tornarsene a casa, dove nessuno l'avrebbe potuta vedere né avrebbe potuto intuire i suoi pensieri, e dare libero sfogo alla tristezza.

 

Solo che non l'aveva fatto. Il giorno successivo al suo ritorno era nuovamente partita per una notte, per festeggiare un Capodanno sorprendentemente positivo. Poi aveva avuto pochi giorni per continuare a stendere la Tesi Triennale, e poi era scesa alcuni giorni nella casa al mare. E poi ancora, gli ultimi ritocchi alla Tesi per tutto gennaio, e la tanto attesa e festeggiata Laurea, a metà febbraio. Vacanze di Carnevale, un nuovo semestre della Magistrale, vacanze di Pasqua. L'estate che si avvicinava sempre più e le ultime ed affannose settimane piene di impegni, non  solo universitari. Molte, troppe cose a cui pensare. E lei si sentiva contenta, ma anche sempre più stanca.

Non aveva più ripensato molto a quello che era successo a Padova, e non le sembrava neanche di sentirsi così addolorata al riguardo. Provava una delusione mista a rabbia, che però riusciva ad allontanare con facilità. Il più delle volte, sceglieva la via forse più facile, e se la prendeva con il “sistema” della loro compagnia di amici: non era colpa di loro due, era la divisione in gruppetti che aveva creato problemi, oppure il fatto che altre ragazze fossero un po' gelose, o chissà cos'altro ancora.

Certo, se la prendeva anche con lui, soprattutto per il fatto che avesse rifiutato di “ripensarci” e che l'avesse liquidata in tre minuti. Le bastava quel pensiero perché si dicesse: “Adesso basta!”, e smettesse immediatamente di rivangare quella vicenda.

Era così che aveva affrontato i mesi successivi: con l'intenzione, celata e mai dichiarata, di fargli un dispetto.

Lui non amava molto il mare? Bene, e lei c'era tornata tutte le volte che aveva voluto.

Lui non era troppo amante dello shopping, ed a volte era un po' tirato con i soldi? Benissimo, lei s'era fatta regalare occhiali da sole di Cavalli ed una borsa di Braccialini per la laurea, aveva fatto shopping come sempre ed anche di più, era andata a cene ed aperitivi con le amiche dell'Università infischiandosene di quanto spendeva.

Si era buttata anima e corpo in quelle che erano le sue passioni (teatro, cinema, ballo, letture) ben sapendo che lui non si era mai troppo interessato a nulla di tutto ciò, e ripetendosi: “Ecco, meglio così, almeno ho più tempo per questo!”

Era quasi come se stesse cercando di ripetergli: “Guarda! Guarda come sto bene senza di te! Non ho bisogno di te! Vivo pure meglio! E avevi ragione tu, siamo troppo diversi, sparisci!”

In un certo senso, era sempre un modo di pensare a lui, ma lei non se n'era resa conto.

 

C'è un fuoco dentro di te che non può fare altro che illuminare [...]

E tutto quello a cui penso è

come fare in modo che tu pensi a me

ed a tutto quello che potremmo essere

 

A fine luglio, lei era partita per l'abituale agosto al mare. Avrebbe potuto partecipare ad una vacanza tra amici, ma aveva finito per preferire la tranquillità della famiglia. In quel momento, in realtà, era piuttosto felice di aver detto no.Una vacanza avventurosa sarebbe stata un'immensa fatica che non l'avrebbe affatto ricaricata.

In effetti, si era proprio goduta quell'agosto. Si sentiva serena e leggera; era andata in spiaggia, si era crogiolata al super sole ed al super caldo, era stata con la sua famiglia ed i soliti amici del mare, aveva nuotato tanto e letto ancor di più, aveva mangiato e dormito beatamente, aveva ballato a tutte le feste paesane e si era emozionata durante i fuochi di Ferragosto. E non aveva alcuna voglia di tornare a casa.

Almeno finché, passate le feste di mezza estate, e poi altri giorni ancora, non aveva realizzato che le restava meno una settimana prima del ritorno. Ed anche che per lui, quel giorno, era il suo compleanno.

“Beh, dal momento che ha detto di stare assolutamente tranquilla sulla sua amicizia, posso anche scrivergli per vedere come va”, si era detta. Così gli aveva scritto, e lui le aveva risposto. Le aveva detto che la vacanza con gli amici era stata davvero bella, e che lei avrebbe dovuto venire.

Quella frase così piccola le aveva causato una nuova ondata di rabbia. Piuttosto incontrollata, a dire il vero.

“Non è possibile!”, si ripeteva mentre stava sul lettino e si spalmava il solare con troppo entusiasmo, “come può osare dirmi una cosa del genere? Io non ero già intenzionata ad andare con loro per tanti altri motivi, e dopo quello che è successo quest'inverno, poi... Ma cosa si aspettava che facessi, eh?!? Che stessi lì due settimane, intorno a lui, facendo finta che non me ne importasse niente, ad illudermi ancora che, visto che eravamo in vacanza insieme, potessimo essere ancora più che amici? Che pretese assurde!”

Tutto ciò, poi, per una frase che probabilmente lui aveva buttato lì più per educazione che per altro. Di male in peggio!

 

Anche ora che era a casa da quasi un mese, e che il mare era un ricordo sempre più lontano, non aveva ancora risolto questo problema. Ricominciare a vederlo ancora tutti i giorni o quasi, dopo il grande distacco che c'era stato in estate, non le faceva affatto bene, anzi. Spesso le sembrava che non le fosse affatto passata.

Come se, in tutti quei mesi, non avesse fatto altro che nascondere sotto a rabbia, delusione, indignazione, voglia di restare sola i suoi sentimenti, che forse non erano poi così cambiati.

E dire che, all'inizio, non le sembrava nemmeno di essere così cotta, anzi! Quando l'aveva conosciuto, cinque anni prma, frequentava ancora il liceo, e non le aveva fatto il benché minimo effetto, anzi, ad essere sinceri, le era sembrato pure un po' sfigato. Poi però era passato un sacco di tempo, c'erano state tante difficoltà, e lui aveva continuato ad esserci. Era rimasto con lei all'interno della compagnia, che era diventata sempre meno numeroso, e, a poco a poco, lei aveva iniziato a conoscerlo. Era una persona piuttosto riservata, che non parlava facilmente di sé e delle sue preferenze, se non interpellato; però, una volta avvicinato, era molto simpatico e divertente, e soprattutto era un ragazzo gentile e disponibile, che si faceva gli affari suoi e non aveva la brutta abitudine (che lei aveva trovato già in troppi ragazzi) di sparare giudizi a zero sul mondo, o di dividere le persone in categorie.

Per il suo modo di fare, sempre in seconda linea, era spesso snobbato dalla maggior parte delle ragazze. Esse, infatti, lo consideravano simpatico, sì, ma niente di speciale, e poi magari sceglievano di frequentare altri ragazzi che, ai suoi occhi, erano presuntuosi ed anche un po' cattivi.

Lui invece, in tutti quegli anni, non aveva mai spettegolato degli assenti tipo vedovella ottantenne dal dottore, non aveva mai insultato le ragazze per qualche motivo fisico o non, non si era mai comportato in modo ipocrita come aveva visto fare tante altre persone, anche quelle che sulla carta erano più stimate. Era sempre andato per la sua strada, le aveva dato una mano quando lei gliel'aveva chiesto, aveva continuato a comportarsi normalmente con lei anche quando molti altri avevano avuto di che ridere alle sue spalle.

Forse per altri era poco e niente, ma per lei era tantissimo.

 

Come ombre in una luce sbiadita

Oh, siamo invisibili

voglio solo guardarti negli occhi e farti capire [...]

 

Tu mi vedi attraverso, e basta

ma se solo mi conoscessi

noi potremmo essere un bel miracolo, incredibile

invece che solo invisibile

 

Se avesse dovuto trovare un termine per descrivere la situazione che stava vivendo, avrebbe senz'altro usato invisibile.

Era invisibile quello che era successo quell'inverno: entrambi non ne avevano parlato con quasi nessuno, e tutte le persone intorno a loro non se n'erano accorte. Tutto era rimasto come se non fosse successo niente... come se lei non avesse sofferto in silenzio, come se lui non si fosse sentito male all'idea che la loro frequentazione non fosse quella che sperava. In quei giorni di vacanza entrambi si erano comportati quasi con naturalezza, cercando di nascondere agli altri ed anche a se stessi quel che era successo. Tuttavia, bastava indugiare un attimo di più nel parlare che entrambi si rendevano conto che qualcosa era decisamente cambiato.

Lui continuava ad essere invisibile per gli altri. Lei non sapeva se poi lui fosse riuscito ad uscire almeno una volta con qualche altra ragazza, o se al momento stesse frequentando qualcuno in modo più serio, però continuava a vederlo da solo.

Infine, lei stessa continuava a sentirsi invisibile ai suoi occhi. Era ovvio che lui continuava a comportarsi come prima nei suoi confronti, ed era gentile ed amichevole come sempre. Ciò nonostante, lei aveva come la sensazione che lui avesse iniziato a fare più caso a lei solo da quando la loro frequentazione era andata a finire male. Prima l'aveva vista solo come un'amica come tante altre. L'aveva guardata attraverso, e si era fermato a quello.

E non era certo l'unico problema: la sua sensazione era che lui continuasse a guardare verso di lei solo in modo superficiale. Le aveva detto di desiderare un altro tipo di ragazza. Benissimo, ma come? In che senso?

Con ogni probabilità, lui aveva guardato a quelle differenze che li dividevano, le stesse alle quali aveva pensato anche lei quando si era imposta di fregarsene.

In effetti, sì, era vero, avevano due visioni del mondo piuttosto diverse: lei studiava storie e romanzi ed aveva un'idea poetica di qualsiasi cosa, lui invece si occupava di tutt'altro nella vita; le passioni di lui erano la moto, i motori in generale, la pallavolo, quelle di lei erano di stampo molto più culturale; era anche vero che lui non andava pazzo per cose per cui lei avrebbe perso giornate intere, e viceversa. Ma, alla fine, che cos'erano tutte queste considerazioni, se non frasi limitate all'apparenza?

Era anche innegabile che spesso facessero entrambi commenti molto simili di fronte alla medesima situazione, che si trovasssero bene con le stesse persone ed addirittura avessero almeno un importante amico comune.

Quando ne aveva parlato con le amiche, alcune le avevano fatto notare di pretendere troppo da lui, perché era evidente che non si conoscevano. Ma non era vero: lei ormai lo conosceva. Era lei quella che avrebbe dovuto farsi conoscere da lui, sempre che lui lo desiderasse. Così non sarebbero più stati invisibili.

NOTA AUTORE: Invisible è una canzone, secondo me, poetica e delicata, ed ho cercato di trattare il tema centrale del testo con la stessa attenzione. Sono ovviamente curiosissima di leggere le vostre opinioni.

Ho aggiornato oggi perché da domani mi "trasferirò" nella casetta al mare per un po' di sospirate ferie, dopo un anno di lavoro ahimé precario ma anche spesso soddisfacente. Ovviamente sarò presente sempre come lettrice e "recensitrice". Penso che i miei aggiornamenti come "scrittrice" saranno un pochino più lenti, ma... restate connessi, se vi va!
Colgo l'occasione per augurare a tutti una buona estate e buone vacanze.
Non so se siate a casa da scuola/studiate/lavoriate, e come siate messi in questo periodo, ma... cercate il più possibile di godervelo!
A presto, ed un abbraccio enorme ad ognuno di voi. <3

 

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Capitolo 18
*** Bad blood ***


NOTA AUTORE: Cari lettori, ecco a voi una nuova one-shot, ispirata all'ultimo singolo di Taylor, Bad Blood. Il tema è in linea con il testo della canzone, quindi non credo che avrete grosse sorprese. La narrazione di questo capitolo è un po' diversa dalla maggior parte dei precedenti, perché la storia verrà raccontata da più punti di vista. Si tratta solo di un esperimento... spero che vi piaccia! Aspetto comunque i vostri pareri. Grazie in anticipo a tutti voi.

Perché, cara, ora abbiamo sangue cattivo

sai che una volta era amore folle

quindi dai un'occhiata a quello che hai fatto

perché, cara, ora abbiamo sangue cattivo

ehi! Ora abbiamo problemi, e non penso li possiamo risolvere

tu hai fatto un taglio molto profondo

e cara, ora abbiamo sangue cattivo

 

La vetrina del negozio era discreta, elegante e, soprattutto, ricolma di oggetti per la casa. C'erano vassoi di porcellana dipinti a fiori che lei avrebbe scelto immediatamente per casa sua, coppette per gelato quasi identiche a quelle di sua madre ed una serie infinita di candele profumate che lei non utilizzava mai ma che sembravano piacere tanto a parecchia gente. Distolse lo sguardo e varcò la porta del negozio. Era lì per un altro motivo, ed era sicura che avrebbe trovato quello che cercava. Appena voltato lo sguardo verso destra, ebbe una conferma di quel che aveva pensato: una serie di cornici d'argento scintillava su alcuni ripiani di vetro poco distante. Non appena le vide, sorrise soddisfatta: quella boutique era una delle migliori, e l'idea, per quanto classica, non avrebbe sfigurato, dal momento che gli sposi avevano optato per fare a meno della lista nozze. Dal momento che era ormai estate e l'ultimo contratto di supplente le era stato chiuso da un mese, Stella non aveva avuto problemi a cercare, in quegli afosi giorni di luglio, il regalo per il matrimonio di Milena. Tuttavia, era felice di essere giunta ad una soluzione, perché alla cerimonia mancavano davvero pochi giorni.


 

“Pochi giorni che lavoro qui, ma mi sento già un po' stanca. Facesse solo meno caldo...” Questi erano i pensieri di Marina, mentre scendeva dalla moto quel mattino di luglio. Era molto presto e la temperatura sembrava gradevole, ma Milano in estate non era mai stata il luogo più vivibile, e sicuramente il clima sarebbe diventato meno sopportabile con il trascorrere delle ore. Fortunatamente l'archivio dove aveva iniziato da poco a lavorare, anche se in un luogo storico, era tutt'altro che obsoleto ed era dotato di aria condizionata. Guardando il suo abbigliamento (bermuda e t-shirt), decisamente adatto per una corsa in moto ed uno dei suoi preferiti, si chiese, per l'ennesima volta in quelle settimane, se l'abito scelto per il matrimonio di Milena fosse una scelta giusta. Sapeva che il nero non era il colore più consigliato in queste situazioni, ma sperava che il pizzo, il disegno sbarazzino a fiori e qualche accessorio un po' ricercato avrebbero valorizzato la sua mise.

Non avrebbe certo potuto scegliere l'altro abito elegante che aveva nell'armadio: le stava molto bene, ma era avorio, troppo simile all'abito della sposa, ovviamente bianco.


 

Bianco per i confetti, bianco per i fiori, bianco per gli inviti e, naturalmente, un mare di bianco su se stessa. Queste tonalità candide non erano sempre state le sue preferite in assoluto (aveva sempre amato anche la sobrietà dei colori più scuri), eppure, da quando il suo matrimonio aveva iniziato a prendere lentamente forma, Milena aveva iniziato a vederle ovunque. Quella mattina si era riprovata per l'ennesima volta l'abito, e si era vista costretta ad ammettere che quel colore contrastava magnificamente con i capelli scuri, che per quel giorno avrebbe raccolto.

Soltanto cinque giorni alla cerimonia, ed ancora così tanti pensieri per la testa! L'anno appena trascorso era passato in un lampo, per via dei numerosi impegni che l'avevano travolta. Perfino in quei giorni le era stato difficile tenere fede a tutte le ultime incombenze dovute al termine di un anno di lavoro, alla casa ed a molto altro.

La verità era che, più quella data si avvicinava, più sembrava che ci fossero troppe cose da fare.


 

Troppe cose da fare per mesi e mesi, e poi, d'un tratto, l'estate si era presentata, magnifica e liberatoria come l'aveva sempre aspettata. Dopo mesi e mesi di studio, Sam si sentiva davvero ad un passo dalla laurea. Era stato piuttosto difficile, per lui, quando, rimasto un po' indietro negli studi rispetto alle sue amiche, aveva dovuto proseguire da solo. Queste ultime avevano cercato di venirlo a trovare in Università, di stargli accanto, ma non sempre erano riuscite. Inoltre, per quanto tutti loro potessero illudersi in proposito, era iniziata una diversa fase della loro vita, ed i tempi in cui facevano colazione ogni mercoledì nell'ora buca occupando il tavolino in fondo al loro bar preferito erano rimasti soltanto un bel ricordo. Tuttavia, in quei giorni Sam si sentiva sollevato. Stava anche lui per concludere il lungo percorso che aveva intrapreso con le sue amiche, e la sua soddisfazione personale lo avrebbe ricompensato di tutte le rinunce, specie di quelle fatte in quegli ultimi due anni.


 

Due anni. Era già passato così tanto tempo dal giorno in cui aveva festeggiato la seconda e più importante delle sue lauree. Quella mattina, quando si era svegliata, un pensiero l'aveva colta: avrebbe tanto voluto ripensare con intensità a quella ricorrenza, riguardare le fotografie, telefonare agli amici con cui aveva condiviso l'esperienza. Peccato che non potesse farlo.

Già, perché non c'erano foto goliardiche dell'evento che testimoniassero una sua corsa per l'Università con una coroncina in testa o una sua ubriacatura rituale, ma soltanto qualche rigido ritratto di famiglia con la Tesi in mano. E poi, purtroppo, non c'erano nemmeno degli amici. Era rimasto soltanto un breve elenco telefonico con quattro numeri che non sapeva se avrebbe mai più richiamato.

Non era proprio di Camilla fermarsi a rimuginare su quello che era stato, soprattutto se riguardava altre persone e non lei, ma, in quel momento, con il telefono in mano, si rese conto, per la prima volta, che il problema che lei stessa, ai tempi, aveva creato era ormai irrisolvibile. Due anni prima le era sembrato semplicemente di chiudere una porta, ma non si era resa conto di aver inferto una coltellata.

 

hai dovuto proprio fare questo?

Io pensavo di potermi fidare di te

dovevi proprio rovinare quel che brillava?

Ora è tutto arrugginito

dovevi colpirmi dov'ero debole?

Cara, non potevo respirare, ho strofinato così forte

sale sulle mie ferite, come se tu stessi ridendo davanti a me

oh, è così triste pensare ai bei tempi, io e te

 

Se c'era qualcosa che Marina non poteva tollerare erano le persone che, senza alcun rimorso, infrangevano la sua fiducia. Per quanto, con il suo carattere forte e risoluto, le costasse ammetterlo, lei si era molto fidata di Camilla. Le era sembrata una ragazza introversa e riservata, fin troppo presa dallo studio, ed era stato naturale, per lei, prenderla sotto la sua ala protettiva. Sapeva dei problemi di nervi e di alimentazione della ragazza, e, insieme a Milena ed a Stella, la portava sempre in qualche bel locale, dopo le lezioni, per convincerla a pranzare, oppure la persuadeva a tornare a casa quando il suo mal di testa era troppo forte, o ancora portava per tutti delle barrette di cioccolato che le amiche consumavano ridendo nei chiostri dell'Università. Se chiudeva gli occhi poteva ancora rievocare l'allegria di quei giorni luminosi.


 

“Luminoso” era la parola giusta per descrivere il loro rapporto. Lei, Marina, Stella, Sam e Camilla, in quegli ultimi due anni di Università, erano stati davvero inseparabili. Lei, Marina e Sam erano amici da anni; Stella si era aggiunta in seguito, desiderosa di fare nuove conoscenze oltre alle sue amiche storiche della Triennale, che per la Specialistica avevano preso altre strade; nel loro gruppo, infine, era entrata Camilla. A Milena sarebbe sempre rimasta in mente l'immagine del gruppetto per intero, di fronte ad un caffè ed una brioche, che chiacchierava, ora più tranquillamente, ora in modo molto animato. Una parte di queste piacevoli memorie, però, si era arrugginita con il tempo, in modo forse irreversibile. Il dispiacere che in quel momento provava le faceva pensare che quei momenti di quotidianità condivisa fossero stati in realtà una sorta di prezioso brillante.


 

Brillante era l'aggettivo che più rappresentava Marina, con la sua creatività e le sue molte idee. Milena era rassicurante, una vera roccia per il gruppo. Stella era gentile, di compagnia, a volte fin troppo paziente con gli altri. Lui, Sam, si riteneva il confidente preferito di quelle che ormai era abituato a considerare le “sue” donne. Tuttavia, quando era stato evidente che Camilla sarebbe stata la prima a terminare i due anni di Specialistica, e le altre tre ragazze, parlando con lui, avevano fatto commenti come “Sam, sono così contenta, a luglio festeggiamo!” oppure “Alla laurea di Camilla, non voglio che lei faccia storie, le faremo una festa come si deve!”, lui aveva iniziato ad avere un brutto presentimento.

Già, perché, negli ultimi tempi, era riuscito ad ascoltare anche le confidenze di Camilla, e le era sembrato strano che la ragazza, che avrebbe dovuto essere emozionatissima, visto anche il suo amore per gli studi, non nominasse mai l'imminente laurea, e, anzi, evitasse l'argomento con un certo fastidio.

Sam non avrebbe mai voluto smorzare l'entusiasmo delle altre sue tre amiche, ma, a giudicare dall'atteggiamento di Camilla, sarebbe già stato un miracolo se le avrebbe rese partecipi.
 

 

Non li aveva resi partecipi... nemmeno uno di loro quattro. Camilla ricordava bene quei giorni: la sua soddisfazione personale al pensiero di avercela quasi fatta, la sensazione che un mare di porte le si sarebbero schiuse davanti. In quel luglio di due anni fa aveva già dichiarato la sua intenzione di proseguire a tutti i costi nella carriera accademica, con il Dottorato ed altri lunghi anni di ricerca. Era il suo sogno, e non avrebbe consentito che altri glielo portassero via. Per questo motivo, aveva ritenuto opportuno tagliare i ponti con gli amici.

Non li aveva informati della Laurea, si era resa pressoché irreperibile, e, dopo la cerimonia, aveva mandato a loro un sms di congedo, che riportava soltanto: “Ho preso 110 e lode. Grazie per questi anni meravigliosi.”

Subito dopo la laurea, si era sentita troppo felice per poter pensare ad altro che non fosse il suo fantastico trofeo. Solo ora, a due anni di distanza, rileggendo un asettico sms inviato da un cellulare miseramente vuoto ed un po' inutile, si sentiva come se non potesse più respirare.


 

Respira, si era ripetuta tante volte. Quando aveva letto il gelido annuncio di Camilla, Stella era rimasta diversi minuti a fissare il telefono, immobile. Anche se i toni del messaggio erano distaccati, quasi cordiali, le sembrava quasi di sentire una sinistra risata dell'amica in sottofondo. In pochi minuti, avevano iniziato a tornarle in mente una serie di episodi che aveva precedentemente accantonato: l'espressione di superiorità di Camilla quando qualcuno di loro veniva rimandato ad un esame o prendeva un voto inferiore al suo; la maggiore disponibilità della ragazza proprio quando aveva bisogno degli appunti; la sua tendenza a tenere nascosta al gruppo gran parte della quotidianità...

ma perché li aveva presi in giro a quel modo? Li aveva sempre considerati inferiori a lei senza che loro se ne accorgessero?

 

hai pensato che saremmo state bene?

Ho ancora cicatrici sulla mia schiena dal tuo coltello

quindi non penso che sia il passato

questo genere di ferite durano e durano

quindi pensi che sia tutto passato?

Tutte queste cose si ritorceranno contro di te

ed il tempo può curare, ma non questo

quindi, se mai ti avvicini a me, non farlo e basta

oh, è così triste pensare ai bei tempi, io e te

 

Da quel giorno in avanti, sarebbe stata bene. Erano passati sei mesi dalla sua laurea ed aveva vinto il Dottorato. Camilla aveva coronato il suo sogno: era stata l'unica e la migliore. Per questo motivo, quando, poche ore dopo aver ritirato il suo risultato, aveva incontrato per puro caso Milena in Università, le era sembrato spontaneo raccontarle gli ultimi avvenimenti. Quest'ultima, forse per gentilezza, forse (lo sperava) per ammirazione nei suoi confronti, l'aveva invitata ad unirsi a lei, Stella, Marina e Sam per il pranzo.

Quella giornata si sarebbe rivelata un balsamo per la sua autostima. In poche ore aveva scoperto che Milena cercava lavoro, che Marina e Stella erano alle prese con la Tesi, che Sam era ancora piuttosto indietro con gli studi. Lei era sempre la prima. Era tutto perfetto.


 

“Perfetto! Di una perfetta inutilità!” era stato il pensiero di Milena non appena era salita sul treno per tornare a casa. A che le era servito essere disponibile ancora una volta ed invitare Camilla a pranzo? Non aveva fatto altro che vantarsi. Milena si sarebbe data della stupida per non averlo capito subito, ma era evidente che il suo obiettivo fosse stato fin dall'inizio quello e non il puro e semplice piacere della loro compagnia. Aveva creduto per un attimo che il torto subito fosse ormai nel passato, ma era chiaro che Camilla non si era ancora resa conto del male che aveva compiuto. Era come se quel giorno avesse lanciato loro nella schiena un ennesimo coltello.


 

Un coltello tra le scapole avrebbe fatto meno male. Stella ne aveva parlato parecchio, anche con le sue amiche di più vecchia data, ma non si era ancora fatta una ragione. Continuava a ripensare alla vacanza fatta non molto tempo prima con i suoi amici, nella casa in Toscana di Marina. Avrebbe potuto esserci anche Camilla a posare davanti alla grotta Byron, a mangiare gelato in spiaggia, a scambiarsi confidenze durante il viaggio in automobile. La sua scelta, però, era stata un'altra, e lei non poteva fare a meno di augurare ugualmente all'ex-amica un futuro sereno, anche se la lasciava piuttosto sgomenta il fatto che come unica compagnia avesse scelto i libri.


 

Libri, libri e libri. Sam non vedeva altro. I volumi erano disposti in pile ordinate all'interno della Sala di Consultazione, e moltissimi di essi erano talmente grossi che Sam dubitava che sarebbe riuscito a sollevarli. Era lì per una ricerca piuttosto urgente, ed aveva intenzione di cominciare subito, ma, ad un tratto, si era bloccato. Ad un banco solitario, sommersa da scartoffie ed appunti, c'era Camilla. Sam sapeva che non era più lì in qualità di studentessa, bensì di dottoranda ed assistente, ma ebbe lo stesso una piccola fitta al cuore. Camilla aveva un aspetto stressato, un volto pallido ed un'espressione piuttosto sofferente: per essere una persona che aveva raggiunto il suo obiettivo, dava l'impressione di una consistente infelicità.

Sam aveva previsto che la decisione della ragazza di escludere tutto e tutti le si sarebbe ritorta contro, ed avrebbe desiderato salutarla, parlarle come se niente fosse, chiederle come andava. Tuttavia, c'era qualcosa che gliel'aveva impedito, ed era il sangue cattivo che in quel momento correva tra di loro e che Camilla non aveva fatto nulla per evitare.


 

Evitarla sarebbe stata la scelta migliore, ma Marina si era ben presto resa conto che non ce n'era bisogno. Dopo quel pranzo pre-natalizio in cui aveva annunciato di aver vinto il posto in Università, Camilla era di nuovo scomparsa. Sam aveva detto di averla vista qualche volta in biblioteca, ma di non averle parlato. Marina non aveva più la forza né il coraggio di illudersi. La sua ex-amica non l'avrebbe cercata mai più. E, in ogni caso – si scoprì a pensare – nemmeno lei l'avrebbe voluta nuovamente incontrare.

 

i cerotti non curano fori di proiettile

tu dici “mi dispiace” solo per fare scena

tu vivi così, tu vivi coi fantasmi

i cerotti non curano fori di proiettile

tu dici “mi dispiace” solo per fare scena

tu vivi così, tu vivi coi fantasmi

se tu ami così, il sangue scorre freddo

 

“Che dirvi, ragazzi? La prossima settimana sono un po' occupata! Devo firmare gli ultimi documenti per la fine della scuola, e poi ho il matrimonio...”

“Milena, sei unica!” scoppiò a ridere Sam. “Solo tu puoi parlare del tuo matrimonio così, come se non fosse niente!”

“Ma sì, in fondo... cosa vuoi che sia?!?” ribadì l'amica con un sorrisetto.

“In ogni caso” si intromise Marina “spero che noi tre arriveremo in tempo e nella chiesa giusta. Se ci sono io a fare da navigatore, chissà che cosa potrebbe succedere.”

“Non ti preoccupare” intervenne Stella sollecita “sei sempre meglio di me.”

“Ragazzi, mi fa davvero piacere che veniate...” iniziò Milena cautamente.

“Oh, Milena, per favore” tagliò corto Sam. “A noi fa ancora più piacere. Ci mancherebbe altro!”

“Però io sabato mattina vorrei proprio che facessimo una bella foto di gruppo dei fantastici quattro, che ne dite?” propose Stella.

“Ma certo!” si accalorò Marina. “Sarà una splendida giornata.”

Stella alzò gli occhi dal suo gelato. Come al solito, era stata l'unica ad ordinare il dolce a fine pasto, e non si era nemmeno accontentata del più piccolo. Sì, avevano ragione. Sarebbe stata una giornata davvero splendida.


 

“Splendida giornata, vero?”

Camilla annuì in direzione della madre, distratta. Quel sabato mattina di luglio il sole era scintillante ed il cielo terso. Lei aveva appena iniziato la sua pausa estiva ed aveva portato a termine tutti i suoi impegni, persino con anticipo, proprio come suo solito. Tutti si erano dichiarati entusiasti della sua carriera accademica e forse avrebbe addirittura terminato il Dottorato prima del tempo.

C'era però qualcosa che continuava ad angustiarla, qualcosa che si presentava con fastidiosa intensità in tutti quei momenti in cui non dormiva, divorata dallo stress per i suoi studi, oppure digiunava per ore, restando sui libri e fermandosi solo per un caffè e, se proprio voleva premiarsi, una fettina di melone. Quel qualcosa aveva l'aspetto di un abbraccio in fondo ad un'aula dell'Università, di una brioche alla marmellata offerta in un mattino freddo, di una barretta di cioccolato messa nella sua mano con un sorriso.

Quel mattino, poi, aveva proprio la sensazione di starsi perdendo un evento importante, anche se probabilmente era soltanto suggestione. Si chiese che cosa stessero facendo Milena, Marina, Sam e Stella in quel momento.

Forse erano alle prese con il lavoro, con la famiglia, con altri amici... non ne aveva idea. Dopo essersi ripetuta più volte un “mi dispiace, non posso farci niente, io ho scelto un'altra strada” che sapeva essere soltanto una giustificazione, si era del tutto disinteressata alle loro vite. In quel momento, però, capì di provare un'intensa nostalgia per quello che era stato e che ora le pareva soltanto una lunga teoria di fantasmi. Curiosamente, nonostante il clima e la stagione, l'unico suo compagno rimasto in quella mattina silenziosa era soltanto il freddo.

 

Perché, cara, ora abbiamo sangue cattivo

sai che una volta era amore folle

quindi dai un'occhiata a quello che hai fatto

perché, cara, ora abbiamo sangue cattivo

ehi! Ora abbiamo problemi, e non penso li possiamo risolvere

tu hai fatto un taglio molto profondo

e cara, ora abbiamo sangue cattivo

 

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