Over the limits

di dilpa93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First: fight ***
Capitolo 2: *** Second: apologize ***



Capitolo 1
*** First: fight ***







"Quando la verità viene sepolta cresce, soffoca, accumula una tale forza esplosiva
che, il giorno che scoppia, fa saltare ogni cosa con sé"
Émile Zola

 
 


 
Si era svegliato non appena aveva fatto giorno; la luce penetrava di poco nella stanza, il sole non era ancora sorto del tutto eppure Rick, benché avesse ancora gli occhi chiusi, era riuscito a percepire i primi raggi solari sul viso. Aveva inarcato la schiena sentendo le ossa scrocchiare ad ogni più piccolo movimento. Accanto a lui Kate dormiva ancora profondamente, su quel sorriso involontario che le contornava le labbra aveva letto la beatitudine nel poter poltrire a letto qualche ora in più, ricordando quell’aria soddisfatta quando, per una sera, aveva potuto spegnere il cellulare, felice di aver finalmente un giorno libero che avrebbe potuto passare a casa facendosi coccolare da lui.
Si era scostato da lei con attenzione, cercando di non pesare troppo sul materasso per non farle percepire neanche il suo più piccolo movimento. Messe le pantofole, si era passato una mano sul viso e l’altra tra i capelli scompigliandoli leggermente, ci avrebbe pensato più tardi Kate a sistemarglieli in quel gesto che faceva ormai parte della loro routine. Ogni mattina si svegliavano e puntualmente lei, dopo essersi scambiati il loro buongiorno, ridacchiava divertita iniziando a passargli le dita tra quei ciuffi scombinati.
Arrivato in cucina aprì il rubinetto facendo scorrere l’acqua fresca, riempiendo poi il bicchiere fino all’orlo. L’arsura l’aveva colto già nel mezzo della notte, quell’unica volta in cui si era dimenticato di tenere qualcosa da bere a portata di mano sul comodino. Era ancora troppo assonnato per alzarsi, così si era semplicemente girato avvolgendo Kate in un abbraccio e si era rimesso a dormire.
Bevve avidamente; svuotò il bicchiere in pochi secondi abbandonandolo poi sul bancone della cucina, lasciando che scivolasse sulla superficie in marmo.
Il suo studio lo accolse quando ormai il sole aveva già cominciato a scaldare le strade di New York. Si sedette sulla sedia, accese il portatile picchiettando con le dita sulla scrivania aspettando che il sistema si avviasse. Scarabocchiò un paio di frasi su di un foglio, appuntandosele per il prossimo capitolo del romanzo a cui stava lavorando ma, come sempre più spesso accadeva, se non le avesse trascritte al più presto, certamente quel post-it sarebbe scomparso e le sue idee con lui. Finalmente sul desktop apparve lui, sorridente tra le donne della sua vita, e pian piano le miriadi di cartelle comparvero coprendo lentamente i loro volti, tutti tranne quello di Kate. Fissando il suo sorriso, il modo in cui gli stringeva la mano, la sua testa poggiata sulla sua spalla, qualcosa scattò in lui, un pensiero che aveva cominciato a tormentarlo da qualche giorno ma che si era ripromesso di non lasciar mai libero. Il silenzio, la luce mattutina, il volto di Kate, furono sufficienti per infrangere quel patto con se stesso. Si lasciò andare contro lo schienale della sedia incrociando le braccia dietro la nuca e chiuse gli occhi, cercando di trovare una spiegazione a quelle domande che gli ronzavano in testa. Fu così che lo trovò Kate, pensieroso a girare come un bambino dandosi leggere spinte con la punta dei piedi.
“Spero che tu non abbia già preso il caffè”, mormorò rivelando la sua presenza.
Rick si fermò di colpo aprendo gli occhi. Si sforzò di sorriderle vedendola avanzare verso di lui con le tazze fumanti in mano. Si era già cambiata, infilando un paio di jeans e una maglietta in cotone bianco, mentre lui ancora indossava il pigiama. Andò a sedergli in braccio lasciando le tazze vicino alla targa Captain Castle, oggetto di cui andava molto fiero. “Qualcosa non va? Se il caffè lo hai già preso non fa nulla. Non devi berlo per forza”, scherzò, cominciando poi a sistemargli i capelli.
“No, non è questo. Anzi, un caffè mi ci vuole proprio.” Ignorando l’avvertimento della ceramica ancora bollente, avvicinò il bordo alle labbra ed immediatamente, con il primo sorso, si scottò l’interno della bocca. Gemette appena, mentre Kate cercò di trattenersi dal ridere, per l’ingenuità del marito, arricciando la bocca. Si morse il labbro mentre lo guardava lamentarsi in silenzio, con smorfie strane e curiose, e poi lo baciò con dolcezza. “Va meglio?”, non rispose, limitandosi a guardarla negli occhi. Dio, l’amava così tanto ed erano così felici in quel preciso momento che si domandò se fosse giusto rischiare di rovinare quell’attimo e, perché no, l’intera giornata con i suoi dubbi.
Avevano promesso di essere sinceri l’uno con l’altra, che si sarebbero fidati ricordando cosa, il non farlo, aveva comportato in passato, certe abitudini però erano dure a morire, ma lui non voleva sentirsi responsabile per non averci nemmeno provato.
“Rick, che cosa c’è?”, le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio carezzandole il viso. Avrebbe voluto baciarla, come aveva fatto lei poco prima, ma sarebbe stato tremendamente ipocrita probabilmente dato quello di cui stavano per parlare. Non era sua intenzione arrivare ad un litigio, sicuramente non lo avrebbe voluto neanche Kate, ma si sa come vanno a finire certe cose, si inizia con una minuscola ed apparentemente insignificante questione e, da lì, una marea di cose che si credevano risolte vengono a galla, mostrando quanto invece ci sia ancora da sistemare.
“Stavo solo pensando ad una cosa...”, lasciò la frase a metà, sospesa come la spada di Damocle sulla testa di Beckett.
“Quando mi sono svegliata il tuo lato era piuttosto freddo... Direi che a questa cosa ci hai più che solo pensato”.
Bizzarro come in ogni occasione importante, prima di parlare, si faccia un respiro profondo. Per un attimo si fermò a pensare a quale fosse il significato di quella sorta di rituale... prendere tempo? Riordinare le idee? Confezionare una bugia plausibile?
Rick non aveva il tempo per fare nessuna di quelle cose, la voce di Kate che lo richiamava riecheggiava attorno a lui impedendogli anche solo di concentrarsi.
“Stavo ripensando al tuo esame per diventare Capitano, io-”, ma Kate lo interruppe prima che potesse proseguire. “Aspetta, credevo fossi d’accordo. Io p-pensavo che fosse un’opzione valida, che anche tu saresti stato felice della cosa.” Aveva raddrizzato la schiena, interrompendo bruscamente quel suo giochicchiare con i capelli corti alla base della nuca di Rick.
“Lo sai come la penso. Sono d’accordo con qualsiasi scelta tu voglia fare. Non è più la tua vita, è la nostra adesso, ma è comunque la tua carriera, non mi opporrò mai alle tue scelte in questo ambito. Io voglio il meglio per te.”
“Allora cosa c’è?”
“Vorrei solo che tu me ne avessi parlato prima”, lo sguardo di Kate si allargò improvvisamente, le pupille dilatate, quasi a coprire totalmente l’iride verde prato.
Non ci aveva pensato, minimamente. Solo in quel momento si rese conto che probabilmente non era ancora entrata nella vera ottica della vita di coppia, della vita matrimoniale o comunque di cosa questa realmente significasse. “Mi dispiace, io non credevo fosse così importante. Si, insomma, non pensavo-”
“È questo il problema Kate!”, aveva urlato all’improvviso, come se non riuscisse a tenersi più dentro quelle parole. E con quel grido i suoi buoni propositi volarono via, foglie sospinte in un turbine dal vento. “Non pensi mai di parlarmi di ciò che ti passa per la testa. Io ci provo, adoro cercare di capirti con un solo sguardo. Amo la sfida, l’osservarti di nascosto, stupirti, arrivare ad avere gli stessi pensieri. Amo poter essere premuroso con te dopo averti sorpresa, poterti consolare senza che ci sia il bisogno che tu mi dica cosa ti affligga. Ma io non ho i super poteri Kate! Mi piacerebbe, ma non è così.” Kate lo fissò immobile, aveva spostato gli occhi freneticamente seguendo ogni movimento delle sue labbra. Non riusciva a dire nulla, non conosceva così bene questo lato di lui. Lo aveva visto arrabbiarsi, ricordava indistintamente almeno un paio di occasioni in cui, da quando avevano dato l’avvio alla loro storia, avevano discusso, ma erano momenti così rari che non aveva avuto il modo di abituarcisi. Non che volesse farlo, ma odiava trovarsi impreparata, specialmente quando non indossava la sua armatura di detective, perché adesso era davanti a lui, senza difese, totalmente vulnerabile. “Hai idea di quanto io abbia provato a capire cosa ti fosse successo il giorno del trasloco? A come poter rimediare a qualcosa che, presumibilmente avevo fatto, senza aver idea di che cosa si trattasse?”
“Il-il giorno del trasloco? Di cosa stai parlando?”
“Andiamo Kate, hai cambiato umore nel giro di cinque minuti. Stava andando tutto bene, inscatolavamo pentole, mettevamo via libri e poi tutt’un tratto ti sei come spenta. So bene quanto sia stato difficile per te lasciare quel posto, a quanti ricordi tu abbia dovuto dire addio, ma avresti potuto dirmelo tu, avrei voluto sentirtelo dire da te. Mi sarebbe persino piaciuto che, di fronte alla mia insistenza, tu mi avessi mandato al diavolo pregandomi di lasciarti elaborare la cosa per conto tuo almeno per un po’. Credi forse che non lo avrei capito?”.
Si era alzata umettandosi le labbra; Rick aveva sentito un leggero formicolio alle gambe, sostituito immediatamente da una sensazione di freddo dopo che il corpo di Kate gli aveva fatto come da coperta.
Kate era rimasta in silenzio a guardare fuori dalla finestra per qualche secondo poi, voltandosi nuovamente verso di lui, aveva incrociato le braccia appena sotto il seno. “Va bene, vogliamo parlare di cose non dette?”, era questo il suo modo di difendersi, l’unico che in quel momento avrebbe potuto usare, ricordargli le volte in cui anche lui aveva agito d’impulso, fargli capire che in quella relazione lei non era la sola a non dire le cose. Nacque così quel botta e risposta, una sorte di gara “al rinfaccio”.
“Sei stato mandato via dal distretto e nel giro di qualche settimana ti ho ritrovato sulla scena del crimine con una licenza da investigatore privato!”. Da quanto tempo se lo teneva dentro? Aveva finto che tutto andasse bene, come al solito, gli aveva persino regalato quel cappello alla Sherlock Holmes. Cosa di cui alla fine non si era pentita, ricordando quel gioco di ruolo tra le lenzuola che l’aveva eccitata più di quanto avrebbe mai immaginato.  
“Innanzitutto, non credo che le due cose siano minimamente paragonabili. E in secondo luogo, volevo farti una sorpresa. Avevo trovato un modo per poter lavorare ancora con te. Certo, non era lo stesso che darti fastidio al distretto seduto accanto a te alla scrivania, ma pensavo ti avrebbe resa felice. Cercavo una soluzione per mantenere la nostra routine tale.” Rick aveva riabbassato i toni, cercando invano un modo per rimediare alla maniera in cui le aveva praticamente gettato addosso la sua frustrazione poco prima. Ma lei non sembrava intenzionata a riportare, quella che sarebbe potuta essere una chiacchierata chiarificatrice, a toni civili.
“E Marte? Ti sei iscritto ad un programma per andare su un altro pianeta, Castle! Vorrei farti notare che non è esattamente dietro l’angolo.”
“Sbaglio o lo hai fatto anche tu? Ho detto che mi dispiace, un sacco, e a dimostrarlo ci sono le mie ripetute scuse e l’averci iscritti ad un viaggio di coppia. Ok, detto così suona abbastanza patetico o-o strano, ma mi conosci e sai bene quanto questa cosa sia romantica, almeno dal mio punto di vista.”
“Rick sembra quasi che tu abbia una giustificazione per tutto!”.
Fu nel momento in cui lo disse, in cui lesse lo sgomento nello sguardo di Rick e in quel luccichio umido, che capì che ad aver parlato era la rabbia del momento. La prima a giustificarsi era sempre stata lei, lo sapeva bene, eppure era così difficile ammetterlo, era più facile dare la colpa agli altri e in quel caso gli altri erano lui. L’orgoglio che per anni l’aveva spinta a fingere di non provar nulla per quello che ora poteva chiamare suo marito, quello che non l’aveva mai fatta fermare davanti ad un caso che sembrava irrisolvibile, le impedì di fermarsi. Le parole continuarono ad uscire e come nella teoria del piano inclinato, dove la pallina che vi è posta sopra continua a rotolare, rotolare e rotolare sempre più velocemente, iniziarono a sfuggire al suo controllo. “Vediamo se riesci a trovare una giustificazione per Parigi, Rick”, e quel Rick aveva del tutto il suono di una sfida, lo stesso suono che aveva avuto quattro anni prima mentre litigavano furiosamente nel vecchio appartamento di Kate. Un suono che Castle non aveva mai dimenticato.
“Stai davvero mettendo in mezzo mia figlia, Kate?”.
Erano poche le cose a cui Rick teneva davvero, sua figlia, sua madre e Kate erano tra queste. Non riusciva a trattenersi quando qualcuno se le prendeva con loro, diventava l’uomo che la detective aveva visto in quella stanza durante le indagini per il rapimento di Alexis, l’uomo che per un attimo le aveva fatto paura. Lui amava Kate più della sua stessa vita, ma in questo caso non poteva schierarsi con lei. “Non ho avuto altra scelta. Eravamo ad un punto morto! Se non fossi andato...”
“Avremmo trovato una soluzione, un modo! Diamine Rick, saresti potuto morire laggiù, ho rischiato di non rivederti più e questo solo per la tua cocciutaggine! Se me lo avessi detto io-”.
“Tu cosa?! Saresti forse venuta con me? Mi avresti appoggiato? Se te lo avessi detto non sarei partito, mia figlia probabilmente sarebbe morta in quella gabbia.”
Mentre aveva preparato la borsa per raggiungere la capitale francese e aveva aspettato che l’aereo si alzasse in volo, aveva riflettuto a lungo su quello che stava per fare. Più di una volta era stato tentato di tornare indietro, più di una volta aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca e aveva sfiorato il numero di Kate sullo schermo, ma alla fine non l’aveva mai chiamata. Quando l’idea di non partire si faceva largo nella sua testa, questa veniva immediatamente sovrastata dall’idea che se lui non avesse fatto nulla, la sua bambina avrebbe potuto non farcela e lui non si sarebbe mai perdonato per essere stato un codardo e non sarebbe riuscito a perdonare nemmeno Kate.
“Come puoi dire una cosa del genere? Credi così poco in me?”
“È del tuo senso di giustizia in cui in quel momento non riuscivo a credere e non volevo certo mettere a rischio te e il tuo lavoro per qualcosa di cui era mia responsabilità occuparmi”, aveva formulato in tono dolce quell’ultimo pensiero, tendendo poi il braccio verso di lei nel tentativo di afferrare le sue mani per poter far intrecciare le loro dita, ma con un movimento brusco Kate si allontanò lasciandolo appeso al niente. “Dio Kate”, mormorò con voce roca portandosi la testa fra le mani. “Io ti affiderei la mia vita!”
“Ma non quella di Alexis...”
“In quel momento no, in quel momento non riuscivo a ragionare con lucidità. Quando ho avuto paura che potesse accadermi qualcosa, la prima persona a cui ho pensato per potersi occupare di Alexis sei stata tu. Ci conoscevamo da un paio di anni ed ero pronto a consegnarla nelle tue mani. Lo so, in quel momento l’ho detto scherzando, con quel mio solito modo giocoso che non riesco mai a mettere da parte, però sapevi quanto io fossi sincero. Ma quando è scomparsa, quando sono rimasto notti intere a fissare le sue foto incorniciate... in quel caso era solo mia la responsabilità! Sono andato a Parigi per riprendermi mia figlia e non mi sentirò mai in colpa per questo, non potrai mai farmi sentire in colpa per quello, ma tu...”, aveva cercato di non parlarne, aveva fatto di tutto per trattenersi negli anni dal ritirare fuori questa storia, ma ora l’aveva lì, come un nodo in gola. Gli impediva di deglutire, di respirare, aveva disperatamente bisogno di sciogliere quel nodo. “Tu sei andata a Washington senza dirmi nulla e delle volte ancora mi domando, se io non avessi trovato quel biglietto aereo tu me lo avresti mai detto? Prima di accettare il lavoro, mi avresti detto che ci sarebbe stata quella possibilità, me ne avresti parlato?”.
“Non abbiamo già discusso abbastanza di questa storia?”, sbuffò, tornando per un istante a guardare al di là del vetro. Il sole non era ancora alto, stava sorgendo con pigrizia quella mattina, come se anche lui si volesse pendere un giorno libero, quel giorno libero che lei aveva creduto di poter spendere oziando e lasciandosi coccolare da suo marito, ma che era stato rovinato fin dal principio, perché anche il solo svegliarsi senza lui accanto non era mai un buon giorno.
Si sfiorò le cosce, strette nel denim leggermente ruvido, e poi fece scorrere le dita trai capelli, fino alle punte. “Lo sai cos’è successo, lo sai che sono andata nel panico. Non credevo possibile avere sia te che quel lavoro, non credevo di essere pronta a una relazione a distanza. Volevo la certezza di quel posto, volevo essere certa che l’offerta fosse reale prima di parlartene.”
“E mentre io ignoravo tutto, tu pensavi a come sarebbe stato lavorare all’FBI mentre tagliavi i funghi...”, non gli era mai andata giù. Lei stava preparando allegramente la cena, mentre tra le sue mani era capitata quella carta d’imbarco.
“Come se il fatto che io stessi affettando i funghi fosse importante.”
“Certo che non lo è, è la fiducia che conta! Ed ecco che torniamo a quello stupido esame da capitano. Lo avevi detto tu, non avresti dovuto mantenere dei segreti con me, e invece siamo di nuovo al punto di partenza. Quando fai così, quando mi nascondi le cose mi sembra di impazzire, mi fai sentire come, come...”
“Come cosa?”
Si era alzato andandole di fronte, i raggi del sole gli si infransero sul volto illuminandolo a tratti. Le posò una mano sulla spalla, andando ad alzarle il viso con l’altra, prendendole tra l’indice e il pollice il mento. “Come se non ti fidassi di me. Sembra quasi che il nostro matrimonio sia solo un passatempo e, dopo tutto quello che entrambi abbiamo dovuto affrontare, non me lo merito Kate.”
“Io mi fido di te, il fatto che non ti parli di certe cose non significa il contrario”, gli aveva sfiorato la guancia. Un gesto leggero e rapido, riportando poi il braccio lungo il fianco. “Sono cambiata in  questi anni, ma una parte di me è ancora l’introversa ed insicura Kate e questo non potrà mai cambiare. Ma quando mi fido di te succede sempre qualcosa e questo di certo non mi aiuta.”
Lo disse con calma quasi innaturale, ma quelle parole suonarono come una nuova accusa alle orecchie di Rick e quell’equilibrio che stavano ritrovando stava per spezzarsi di nuovo senza che nessuno dei due potesse immaginarlo. “Quindi sarebbe colpa mia?”
“Beh, dimmelo tu. L’ultima volta ti ho affidato la nostra relazione, quel nostro piccolo segreto, la nostra bolla personale, e mi sono ritrovata a puntare la pistola contro di te sdraiato sul divano mentre quell’intervistatrice stava per divorarti la faccia!”.
Rick non riuscì a trattenere una risata. Kate lo guardò accigliata, non capendo cosa avesse scatenato in lui quella reazione così puerile. Lo scrittore non riusciva a smettere, e più lui rideva, più i nervi di Kate faticavano a controllarsi.
“Scu-scusami...”, aveva mormorato cercando di soffocare le risa. “Sarebbe questa la mancanza di fiducia che in questi anni ti ha fatto dubitare di me e per la quale hai scelto di non condividere le tue decisioni importanti con me?”, un ultimo risolino uscì dalle sue labbra, nonostante lo sforzo per tenerle chiuse e poi riprese a parlare con serietà e compostezza. “Ero d’accordo nel tenere nascosta la nostra relazione, ma proprio per questo non avevo motivo di rifiutare il suo invito a uscire. Come mi sarei giustificato, cosa avrei potuto dire in diretta tv? Sono stato a debita distanza da lei per tutta la serata. Credi che forse dopo anni passati ad aspettarti, avrei rovinato tutto nel giro di un paio di giorni? Non le ho certo chiesto io di spogliarsi, non l’ho spogliata io, Kate. L’ho respinta in ogni modo possibile, ma mi è praticamente saltata addosso! Invece Vaughn non mi sembra ti abbia costretta a fare nulla...”.
Il viso dell’imprenditore miliardario gli apparve nuovamente davanti agli occhi. Le ultime parole che questi gli aveva rivolto, con quel sorriso ipocrita che gli aveva fatto venire, per la seconda volta in poco tempo, voglia di spaccargli la faccia, giravano intorno a lui come un’eco. Aveva davvero insinuato che lui, Richard Castle, non sapesse quanto straordinaria e speciale fosse Kate? Certo che lo sapeva. Anche ora, mentre stavano litigando al posto di poltrire nel letto l’uno tra le braccia dell’altro o rilassarsi nella vasca da bagno, sapeva che, a discapito dei difetti che poteva avere, lei era la persona migliore che avesse mai avuto l’onore di conoscere e con la quale avrebbe avuto il privilegio di condividere tutta la sua vita.
“Rick, non è successo niente con lui. Io...”
“Me lo sono ripetuto a lungo, Kate, che tu non lo avresti mai fatto, eppure eravate così vicini.”
“Non c’eri, non sai come si sono svolti i fatti!”
“So che se non fosse partito quel proiettile probabilmente qualcosa sarebbe successo... come sono andate realmente le cose, mh? Lui con il suo fascino inglese, belle parole e larghi sorrisi ti ha conquistata?”.
La mano di Kate si ritrovò sulla guancia di Rick, ma questa volta non in una carezza.
Il male era sopportabile, nonostante il rossore sembrasse indicare il contrario. Contrasse appena la mascella, mordendosi il labbro superiore senza però fare movimenti di altro genere. Lei ritrasse la mano, guardandola, poi la chiuse a pugno abbassando con questa anche lo sguardo. Un paio di lacrime caddero finendo direttamente sul tappeto ai loro piedi.
“Mi dispiace Castle”, fece solo una breve pausa, per poi continuare e fargli così capire il vero motivo per cui si stava scusando. “Mi dispiace che Meredith e Gina non si siano rivelate le donne che credevi, mi dispiace che alla prima occasione ti abbiano ferito tradendoti, però io non sono come loro. Ma tu non mi hai mai creduta su questa storia, non è vero?”.
“Certo che ti ho creduto! Con tutto quello che ci siamo detti fino a d’ora... Dio, non ho fatto altro che crederti in tutti questi anni. I-mi-fido-di-te, ma non posso essere l’unico a fidarmi in questa relazione, non voglio essere l’unico. Sono scomparso per due mesi e la prima cosa a cui hai saputo pensare quando ho detto di non ricordare nulla era che stessi mentendo! Hai davvero creduto che l’uomo che stavi per sposare se la sarebbe data a gambe così, dopo aver inseguito quel folle del tuo ex marito senza sosta, solo per fargli firmare i documenti di divorzio?”.
Avrebbe voluto non fosse così, ma la verità, anche se lui lo ignorava, era che quella non era stata la prima volta in cui aveva dubitato della sua parola. Dovette ammettere che quando Tyson aveva fatto di tutto per incolpare Rick, per sbarazzarsene una volta per tutte incastrandolo per omicidio, aveva davvero creduto che un fondo di verità potesse esserci. Era stato così facile dirgli che non aveva mai smesso di credergli, ed in fondo sarebbe stato così se non fosse stato per quel minuto, quei sessanta secondi in cui, mentre piangeva sfogandosi con Lanie e il fazzoletto che teneva tra le mani era diventato più simile ad una pallina antistress, lo aveva davvero creduto capace di tradirla e poi uccidere.
“Questo è ingiusto da parte tua. In quei due mesi mi sono sentita morire, giorno dopo giorno! Ho fatto di tutto per riuscire a ritrovarti, per riaverti con me, non ho mai, e dico mai smesso di sperare che tu fossi vivo. Poi ricompari, ti svegli, scopro che sei stato quasi sempre in città, che non hai mai provato ad avvertire anche solo tua madre o Alexis e mi dici di non ricordare? Io... Lo avevo fatto anche io, mi sono svegliata e ho finto di non ricordare. Avresti potuto fare lo stesso e del resto non sarebbe stata la prima volta in cui avresti deliberatamente deciso di mentirmi.”
Il tempo parve fermarsi, cristallizzato in quelle ultime parole che Kate aveva detto, ed improvvisamente Rick sentì un peso sul petto.
Paura.
Paura che Kate stesse davvero per incolparlo di averla voluta proteggere, paura che non vedendolo reagire avrebbe pronunciato quelle cinque parole.
“Il caso di mia madre...”.
E così era stato, l’aveva detto e da quello non sarebbero più tornati indietro.
L’argomento sembrava essersi risolto anni prima ed invece era ancora un tasto dolente, c’erano molte cose non dette e tutto quello che Kate si era tenuta dentro in merito era venuto fuori in una manciata di secondi. Avevano urlato, avevano entrambi cercato di difendere le loro argomentazioni nonostante tutto risultasse inutile. Entrambi si erano scoperti capaci di dire cose che non pensavano, e così Rick si ritrovò solo in quello studio ad ascoltare il rimbombo della porta di casa che si chiudeva con violenza. Kate era scappata un’altra volta, gli occhi traboccanti di lacrime sentendo Castle dirle che senza di lui non sarebbe mai arrivata a Bracken, che non avrebbe mai dato giustizia a sua madre. La gola in fiamme dopo aver urlato a suo marito che quella era la sua vita, che non si sarebbe dovuto immischiare; dopo avergli praticamente detto, tra le righe, che se il Capitano era stato ucciso da Lockwood, forse un po’ di colpa l’aveva anche lui.





Diletta's coroner:

Torno con una mini, min, mini long, il prossimo sarà già l'ultimo capitolo.
I Caskett avevano un po' di cose in sospeso, o meglio le avevo io. Quindi prendetela un po' come un mio sfogo personale...
Buona serata!
Sbaciotti

*Per la mia compagana di manicomio*
"My name is Diletta.
I'm the fastest girl alive and I kill every character in every fanfiction.
I'm the queen of angst and a totally crazy girl..."

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Capitolo 2
*** Second: apologize ***







"Quando la verità viene sepolta cresce, soffoca, accumula una tale forza esplosiva
che, il giorno che scoppia, fa saltare ogni cosa con sé"
Émile Zola





 
Un tonfo l’aveva svegliata all’improvviso. Si era messa seduta guardando la sveglia sul comodino con la coda dell’occhio; aveva rinvigorito le guance pizzicandole appena e poi si era sfilata la fascia che portava tra i capelli.
Una volta scostate le lenzuola, aveva indossato la vestaglia che teneva ai piedi del letto; i colori sgargianti parvero prendere vita, come sulla tavolozza di un pittore, non appena aprì le tende facendo entrare la luce del sole primaverile.
Si era data una rinfrescata al viso, spalmandovi poi sopra la crema idratante, ed infine si era spazzolata i capelli. Voleva essere presentabile anche quando in casa non c’era altro che la sua famiglia. L’importante, come diceva sempre, era non farsi mai trovare impreparati.
Scese le scale e lo trovò seduto sul divano a sfogliare svogliatamente un libro, probabilmente uno dei tanti che la casa editrice gli aveva mandato così che li recensisse, e se lui si era deciso a leggerne anche solo uno significava che qualcosa non andava.
“Buongiorno tesoro”, in risposta ricevette un grugnito, seguito dallo sbattere delle pagine l’una sull’altra e dal tonfo sordo della copertina rigida del romanzo gettato malamente sui cuscini del divano accanto a lui.
“Kate dorme ancora?”, domandò fingendosi ingenua e versando l’acqua calda nella tazza in cui la bustina del tè, aromatizzato ai frutti di bosco, stava già aspettando. Aveva capito, dal momento in cui aveva visto suo figlio da solo nel salone, che il rumore che l’aveva svegliata era stato causato dalla porta d’ingresso e c’era una sola persona che avrebbe potuto provocarlo: Kate.
“No... è-è uscita.”
“Uhm”, poggiò appena le labbra sulla superficie d’acqua ora colorata di un tenue viola, assicurandosi così che non fosse troppo bollente. “Ero sicura fosse il suo giorno libero...”. Sospirò violentemente, ravvivandosi poi i capelli, “Si vede che sto invecchiando più velocemente del previsto.”
Rick sorrise a quell’affermazione, si alzò e la raggiunse sedendosi acanto a lei su uno degli sgabelli. “Non stai invecchiando madre, è solo dovuta uscire.”
Nessuno disse più nulla per qualche minuto, e per lui fu fin troppo evidente il fatto che Martha sapesse sin dal principio quale fosse il motivo dell’assenza di Katherine. “Si è strillato...”, sussurrò mesto. Non ebbe subito il coraggio di incrociare lo sguardo della donna a fianco a lui, ma quando si decise a farlo i suoi occhi parlarono per lei. “Non presumere che sia mia la colpa. Non lo è, non del tutto almeno.”
“Caro, non ho detto nulla.”
“Non serve... negli ultimi anni sei sempre stata dalla sua parte, sei sempre riuscita a trovare un modo per giustificarla. Sono contento che voi andiate d’accordo e non finirò mai di ringraziarti per avermi sostenuto anche quando sembrava impossibile che sarei riuscito a convincerla a darmi una possibilità ma, per quanto io la ami, lei non ha sempre ragione, come delle volte sono io a non averla.”
“Richard, per quanto ne so, potrebbe essere lei ad avere torto, come potresti essere tu, o come potreste averlo entrambi”, bevve un altro sorso chiudendo gli occhi per assaporare al meglio l’aroma fruttato. Quando li riaprì vide suo figlio con il capo sul bancone, nascosto tra le braccia, come faceva quando era bambino e aveva avuto una brutta giornata. Gli carezzò la nuca aspettando che lui ruotasse di poco il capo verso di lei e, quando lo fece, gli sfiorò con dolcezza il viso. “Qual è stato il motivo della discussione?”, allo sguardo accigliato di Richard, che aveva arricciato labbra e naso di fronte a quella richiesta, Martha si affrettò a spiegare. “Non voglio assolutamente impicciarmi caro, però mi sarebbe utile per darti qualche mio prezioso consiglio”, e detto questo nascose, come colpevole, il viso dietro la tazza iniziando a bere per mascherare l’imbarazzo di essere stata colta in flagrante.
Rick si sollevò a fatica dal banco; facendo leva sulle braccia si raddrizzò nuovamente iniziando a tamburellare con le dita sul marmo. “Diciamo solo che ci siamo rinfacciati un po’ di cose... parecchie cose.”
“E Kate è andata via.”
“Credo che sarebbe più giusto dire che è scappata, ma... si.”
“E non credi che dovresti andare a cercarla?”
Per la seconda volta in quella mattinata, si ritrovò a sorridere in un momento che appariva del tutto inappropriato.
“No... non siamo una coppia convenzionale, non lo siamo mai stati. Lei non è la donna che fugge e vuole che tu la rincorra. Ha bisogno dei suoi spazi, dei suoi tempi. Tra noi è sempre stata una questione di tempi sbagliati. Non dobbiamo affrettare nulla, e andarla a cercare vorrebbe dire spingere le cose in una direzione. Prima di venire da me, la notte del diploma di Alexis, ha avuto bisogno di tempo per riflettere e del resto anche io, quella sera, ho pensato tanto. Deve solo capire cosa vuole davvero.”
Strinse la mano di sua madre, le baciò il dorso e poi si alzò incamminandosi nuovamente verso lo studio.
“E tu Richard, tu cosa vuoi?”
“Voglio lei”, affermò deciso. “Voglio che torni a casa. Spero che voglia ancora questa famiglia e che capisca che dobbiamo imparare a parlarci, a fidarci almeno tra di noi. Perché litigare con lei...”, Martha, pur restando immobile, tese l’orecchio per cogliere quelle ultime parole espresse in un sussurro a stento udibile. “Mi spezza il cuore”, e lasciando scivolare la mano lungo lo stipite della porta, si ritirò con la sola compagnia di se stesso.
 
Il tempo veniva scandito solo dal ticchettare dell’orologio.
Un rintocco, due rintocchi, tre rintocchi...
Non si era accorto fosse già arrivato mezzogiorno. Credeva davvero che per quell’ora Kate sarebbe ormai rientrata, invece erano ore che non si faceva sentire.
Cominciò a chiedersi se sua madre non avesse avuto ragione, se non sarebbe dovuto andare a cercarla obbligandola, in un certo senso, a risolvere subito quella lite a cui più pensava, più gli sembrava essere sfociata dal nulla. Mentre questi pensieri gli affollavano la mente, penetranti e persistenti come un mal di testa che non ne vuole sapere di passare, sentì la serratura scattare e il leggero cigolio che era solito accompagnare la chiusura della porta.
Si affacciò dallo studio sul salone; Kate era di spalle, rimase a guardarla far strisciare contro il legno la catenella dorata.
Dopo il rapimento, dopo che la Nieman l’aveva quasi uccisa privandola della sua identità, non dimenticava mai di chiudere con due mandate e di mettere il catenaccio.
“Sei tornata.”
Quasi non aspettandosi di trovarlo lì, Kate si irrigidì di colpo. La vide contrarre le spalle, per poi rilassarle nuovamente in una manciata di secondi.
Tirò su con il naso eppure, quando si voltò verso di lui, Rick non vide nessuna lacrima segnarle il viso, nessun rossore attorno agli occhi ed improvvisamente ricordò che quello era un semplice gesto che le aveva visto spesso fare nelle situazioni emotivamente stressanti.
“Scusa per averci messo tanto...”, si torturò le dita facendole schioccare ad una ad una.
Rick scosse la testa, sorridendole con aria comprensiva. Con un cenno veloce del capo le indicò il divano e, vedendola annuire, la raggiunse e si sedettero l’uno accanto all’altra. Ma nonostante questo, sembrava ancora esserci una barriera tra loro, invisibile ed impenetrabile. Rick non si trattenne dal provare a superarla; tamburellando sulle cosce, aprì le dita della mano destra a ventaglio, superando impercettibilmente quel muro ma fermandosi appena prima di arrivare a sfiorarle il ginocchio.
“Sono stata cattiva e meschina... tu avevi ragione e-”
“Non sei stata meschina.”
“Si invece”, avrebbe voluto avere il coraggio di confermarlo a voce alta, ma lasciò che quel pensiero si formulasse solo nella sua testa. Era stata avventata e crudele con lui che era colpevole solo di averle chiesto una spiegazione, di averla pregata di aprirsi e fidarsi. Ma a spaventarla non erano state le urla e la sua aggressività, a spaventarla era stata la facilità con cui aveva lasciato che la cattiveria si impossessasse di lei.
“Io non volevo avere ragione”, proseguì dopo pochi istanti Rick. “Non devi pensare che sia questo ciò che voglio sentirmi dire.”
“Non lo dico per te o perché credo sia quello che vuoi, lo dico perché lo penso. Tu avevi ragione e io torto. Avrei dovuto parlarti prima dell’esame di capitano. Non so perché non l’abbia fatto... ho passato le ultime ore a pensarci, ma non sono riuscita a trovare una risposta. Quando mi hai fatto notare la mia mancanza non sapevo come replicare, così ho cominciato a darti contro. Mi sono sentita piccola”, ci pensò un istante, piccola non era la parola giusta. Si morse il labbro inferiore schioccando poi la lingua, “Mi sono sentita umana... è questo quello che mi fai.”
Rick sgranò gli occhi. Non pensava di avere questo effetto su Kate, non voleva averlo se lei lo leggeva come qualcosa di negativo.
Quante volte si era data della sciocca, quante volte lui aveva ribattuto dolcemente, dicendole che non lo era, che era solo umana? Era questo che aveva fatto, l’aveva trasformata facendola diventare qualcuno che non le piaceva?
La guardava perso e Kate, notando quello sguardo di smarrimento nel marito, si affrettò a spiegare. “Sono sempre stata presa dal mio lavoro, dal mostrarmi forte, la ragazza determinata che niente e nessuno può scalfire. Ma tu l’hai fatto... hai raschiato la superficie. Per troppo tempo mi ero dimenticata cosa volesse dire essere solo me stessa. Sei stato tu a ricordarmelo, me lo ricordi ogni giorno, e stamattina, davanti alle tue affermazioni, non sapevo cosa dire. Kate non sapeva cosa rispondere, ma le detective... lei lo sapeva fin troppo bene e ho lasciato che prendesse il sopravvento.” Si umettò le labbra, secche dopo tutto quel parlare. “Me la sono presa per quel viaggio su Marte! Quale persona sana di mente lo avrebbe fatto?”, chiese retoricamente, con quel tono giocoso che solitamente apparteneva a Rick, non a lei.
Lo vide sorridere e di rimando fece lo stesso perché già quella, di per sé, era una conquista quel giorno.
Farlo sorridere era una conquista tutti i giorni.
Poi, però, bisognava tornare alla realtà, restare con i piedi per terra e sistemare ciò che aveva rischiato di rompersi. “Ho sparato a zero sul caso di mia madre, ho disprezzato l’aiuto che mi hai dato.”
Scosse la testa, ancora una volta. “Non avevo il diritto di dirti che non lo avresti mai risolto senza di me. Sono io che ho sbagliato.”
“No, sono io ad aver sbagliato”, Rick corrugò la fronte. Stavano sul serio facendo a gara a chi avesse sbagliato di più? Ma se era il solo modo per risolvere le cose, a lui stava bene così. “Si tratta di mia madre, è vero, ma senza di te dove sarei? Non sarei qui, non saremmo qui. Mi ritroverei ancora sola la notte, nel letto vuoto a leggere e rileggere quel fascicolo senza fare un passo in nessuna direzione. E quello che ho detto su Montgomery... Come ho potuto insinuare che la sua morte sia anche solo in parte colpa tua? Co-come puoi perdonarmi per averti detto quelle parole?”
“Shh...”, aveva provato a tranquillizzarla, a fermare quel fiume in piena. “Kate, eravamo arrabbiati. Abbiamo raggiunto il limite, c’è stato un momento in cui entrambi abbiamo semplicemente iniziato a darci contro, ad appigliarci anche alla più minuscola cosa solo per ferirci. Non so come ci siamo arrivati, ma non voglio che accada più, e questo”, mormorò con un’alzata di sopraciglio riferendosi a ciò che Kate aveva appena detto, “fa parte di quell’oltre-limite”.
Rimase il silenzio a parlare per lui, a dirle che non doveva scusarsi per quelle parole. Poi, spalancò gli occhi blu.
Erano più scuri.
Succedeva sempre nei momenti in cui era richiesta estrema serietà: inspiegabilmente, si scurivano.
Più profondi, più magnetici.
Lei annuì con il capo, acconsentendo a quell’implicita richiesta di non dire “mi dispiace” per quell’accusa che, in quel litigio, aveva voluto essere solo una provocazione.
“E poi Parigi! Ti ho rinfacciato Parigi, l’esserti comportato da padre! Non posso dirti che io sia contenta e approvi ciò che hai fatto, è stato così impulsivo, così...”, prese un bel respiro e si stirò ancora una volta le dita prima di sentirle avvolgere dalla mano grande di Rick. Sospirò, “Vorrei poterti dire che se me lo avessi detto avrei lasciato tutto e ti avrei seguito, ma anche in questo caso avevi ragione. Avrei provato a dissuaderti, a convincerti che continuare a lavorare da qui sarebbe stata la cosa migliore... ma nonostante questo, c’è una cosa per cui non posso dirti che mi dispiace, per cui non potrò mai scusarmi.”
La guardò perplesso, sentendo le sue esili mani diventare sempre più fredde anche se ancora avvolte dal calore della sua.
“Sei sparito Rick...”, la voce cominciava già a tremarle e la gola a seccarsi. “Spartito, letteralmente. Ho guardato dentro quella macchina in fiamme e tu non c’eri.”
Non glielo aveva mai raccontato, non aveva mai voluto raccontargli come fossero andate le cose quel giorno. La storia la conosceva a memoria, tramite sua madre, attraverso le parole di Alexis o dei ragazzi, ma lei no. Non gli aveva mai dato modo di conoscere il suo punto di vista. Non inventava nessuna scusa, semplicemente, ogni volta che intraprendevano l’argomento, lei riusciva a trovare un modo per glissare e spostare su altro la conversazione.
“Non credere che non ne fossi sollevata”, gli carezzò il viso sentendo la guancia calda contro il suo palmo freddo. “Mentre correvo verso i resti dell’auto non riuscivo a respirare. Non avevo avuto il tempo di pensare al tuo corpo carbonizzato sul sedile anteriore, eppure quell’immagine si è formata dal nulla, in meno di un secondo. Tu non eri lì e... oddio, ne sono stata felice. Era vera e propria felicità. In un momento come quello, per una manciata di secondi, sono stata felice.”
“Kate...”, mormorò appena senza trovare altro da dire, perché non c’erano parole giuste per commentare ciò che gli era appena stato detto.
“Ci siamo messi a cercarti immediatamente, ed ogni minuto, ogni ora, ogni giorno che passava era come cadere di nuovo in quel baratro in cui ero finita da ragazzina e dal quale tu mi avevi salvata. Mi sono guardata allo specchio una sera... ci ero già passata davanti tante volte, ma non mi ero più soffermata a guardarmi da settimane, solo un’occhiata di sfuggita, sai, di quelle che dai senza pensarci. E quella sera, guardandomi, non ho visto me stessa. Voglio dire, ero io, ma non quella di adesso. Ho rivisto la giovane matricola del distretto, quella che si rintanava di nascosto negli archivi, tenendo la torcia stretta tra i denti, a spulciare tra i fascicoli del caso di sua madre.
Due mesi... due mesi sono davvero tanti. Senza notizie, senza indizi... e poi d’improvviso eri di nuovo lì. Quando mi hanno chiamata e sono corsa in ospedale ho provato nuovamente quella felicità sentita mesi prima non trovandoti tra i resti di quel telaio ormai bruciato.” Si passò le mani tra i capelli lasciandoli ricadere all’indietro. Poi, con la mano chiusa a pugno davanti alla bocca cercò di mascherare inutilmente il tremore alle labbra. Rick se ne accorse, ma rispettoso restò in silenzio, aspettando che continuasse. “Era bello riaverti lì, la tua mano nella mia. Vederti dormire con il tuo solito ciuffo sbarazzino che si impenna sulla fronte”, anche in quel momento quel ciuffo non sembrava volerne sapere di restare al suo posto, e ancora una volta le dita di Kate vi si mossero rapide attraverso per sistemarlo. “Non eri ancora sveglio e hanno cominciato ad arrivare prove, indizi... video che ti ritraevano per le strade della città. Abbiamo trovato quella tenda, i tuoi oggetti personali. Cosa avrei dovuto pensare? Ho provato a mettere la razionalità da parte, ma non ci sono riuscita. Tu non ricordavi, e... mettiti nei miei panni! Quelle foto erano prove schiaccianti, non sapevo più cosa fosse giusto o sbagliato e la sola cosa da fare, il solo modo che avevo per separare le cose era affrontare il tuo caso come se fosse un caso qualunque!”
“Kate, posso solo immaginare quanto sia stato difficile, ma prova anche tu a metterti nei miei di panni. Mi sveglio felice di rivederti, senza capire cosa sia successo, convinto che non siano passati che un paio di giorni, e la prima cosa che fai è accusarmi... ero totalmente confuso.”
“Credi che non lo fossi anche io?! Tu dicevi di non ricordare niente, due mesi svaniti nel nulla”, si portò la mano sulla fronte, le dita sfioravano la pelle quasi a volerla consumare. “Tesoro, vorrei poterti dire che mi dispiace per come ho agito, ma non posso e se non saremo mai d’accordo su questo io davvero-”
“Non voglio che ti scusi”, la interruppe d’un tratto, con il tono più calmo che in quella mattinata gli avesse mai sentito usare. “Stamattina ero fuori di me. Non dico di aver dato fiato alla bocca senza pensare o che non fossi convinto circa le cose che ti ho detto, ma su questo argomento non avevo mai pensato a mente fredda e distaccata. Non mi avevi mai detto come fossero andate le cose e, benché Alexis e mia madre mi avessero raccontato tutto più e più volte, è diverso sentirmelo dire da te, è diverso poterti guardare, perché i tuoi occhi, ancora adesso, riescono ad esprimere esattamente ciò che hai provato in quelle settimane. È per questo Kate che ho bisogno che impariamo a parlarci e dirci subito tutto. Odio questi fraintendimenti, non sopporto che restino irrisolte così tante cose tra noi. Vorrei solo che tu parlassi con me.”
Sembrava distrutto mentre pronunciava quelle parole, affranto perché temeva davvero che sua moglie non si fidasse di lui.
“So che può essere difficile e che potresti vederlo come un’invasione della tua privacy, ma non voglio fare dei passi indietro nel nostro rapporto.”
“Nessuna invasione Rick. Sono stata una sciocca, una vera sciocca. È solo che... non lo so nemmeno io”, sospirò rammaricata andando poi a rannicchiarsi tra le braccia dell’uomo che più ama e che più l’ama al mondo, e che l’aveva invitata semplicemente con uno sguardo e allungando il braccio verso di lei. “A volte penso che siano cose talmente stupide che non valga la pena parlartene. Sono proprio un disastro.”
“Voglio sapere tutto, anche le cose sciocche e superflue. Ogni cosa che ti riguarda non sarà mai stupida per me”, le baciò il capo e la cullò contro il suo petto, sentendo il suo cuore rallentare e finalmente tornare a battere ad un ritmo normale.
Kate ruotò il capo quel tanto che le bastava per poterlo guardare, senza però allontanarsi dal suo corpo, il suo porto sicuro. Lo scrutò con occhi gioiosi e innamorati, e con una leggera pressione delle dita sul divano si protese verso di lui. “Mi dispiace”, gli sussurrò in un soffio sulle labbra. Quando Rick si fece in avanti per catturarle definitivamente in un bacio, lei si tirò indietro lasciandolo con la voglia di quel bacio bloccata in gola. “Mi dispiace”, mormorò ancora e a questo altri ne seguirono, mentre ogni volta che lui si faceva avanti per baciarla, lei si tirava indietro.
Quando Kate si alzò dal divano, con l’ennesimo mi dispiace, lui la seguì. Ognuno in balia dell’altro, in quel gioco di sguardi, scuse, sorrisi e malizia. Rick si muoveva rapito, fissandole le labbra con il  desiderio di assaggiarle, e lo stesso faceva Kate. Lo provocava, ma ormai anche lei stava per cedere.
La camera da letto non le era mai sembrata tanto lontana.
Finalmente sentì il letto contro i suoi polpacci e, prima di perdere l’equilibrio e lasciarsi andare sul materasso, lo afferrò per il colletto della camicia portandolo con sé. Le loro labbra si incontrarono dolci e attente, per poi lasciarsi prendere dall’impeto che avevano messo da parte.
Da quando l’aveva vista rientrare, Castle non aveva desiderato altro che stringerla a sé, ora era sua e non aveva nessuna intenzione di farsela scappare. Non appena la sentiva lasciare la presa sulle sue labbra, nel mero tentativo di riprendere fiato, se ne riappropriava, quasi con il timore che Kate potesse improvvisamente tirarsi indietro.
Ritrovandosi sotto di lei, sbuffò giocosamente. Per una volta era davvero convinto che lo avrebbe lasciato condurre i giochi, che gli avrebbe lasciato la possibilità di gestire le cose dall’alto. Di rimando, lei inarcò il sopracciglio destro, mentre con le dita giocherellava con la camicia slacciandogli lentamente i bottoni.
Troppo lentamente.
Si chinò su di lui succhiandogli lascivamente il collo, e per ogni bottone gli premeva le labbra sul petto in un bacio. Arrivata all’ultimo si bloccò di colpo, lasciandolo con quell’espressione confusa in volto e l’eccitazione a mille di cui erano simbolo il battito accelerato del suo cuore, che riusciva a sentire sotto il palmo della sua mano, e i pantaloni troppo stretti per la sua virilità che ora premeva contro il suo punto più intimo e sensibile.
“Cosa... cosa c’è?”, ecco che, di nuovo, quell’irrazionale ed infondata paura che lei si sarebbe tirata indietro tornò a fargli da padrona.
Kate rialzò il capo facendo ruotare il collo, così da poter liberare il viso dai capelli. Guardò teneramente Rick e la sua aria spaventata, sorridendo per tranquillizzarlo. “Prima...”, respirò pesantemente, affannata. “Prima di andare avanti, ho bisogno di sapere se c’è altro... altro che vuoi dirmi, che ti ha dato fastidio o ferito. Non voglio rimandare questo discorso o lasciare che altre cose creino degli attriti, non voglio che... si, insomma, che Beckett bitch si metta di nuovo tra noi.”
“Come ti sei appena chiamata?”, domandò trattenendo a stento le risate.
Da quando Kate aveva cominciato a darsi bizzarri appellativi, a prendere giocosamente faccende serie? Forse l’influenza di Rick cominciava a farsi sentire più di quanto entrambi avrebbero mai potuto immaginare.
“Non ridere”, lo riprese cercando anche lei di restare seria. “Mi sembrava adatto... devo ammettere che stamattina sono stata una vera stronza in certi momenti, serviva un modo per descrivere quel lato di me e... si, credo che Beckett bitch sia carino”, mormorò puntando le braccia sui fianchi. Rick scosse la testa divertito ed incredulo. Le colpì delicatamente il naso con l’indice e, dandosi slancio in avanti, la baciò fuggevolmente sulle labbra tornando poi a sdraiarsi.
“Va bene Beckett bitch”, ridacchiò beccandosi poi un pugno all’altezza della spalla. “Ehi!”, si lamentò massaggiandosi la parte lesa. “E questo per che cos’era?”
“Chiamiamolo un friendly remainder che questo nomignolo va usato con cautela e solo in determinate situazioni.”
“Katherine Beckett sei assolutamente la donna più impossibile che io conosca.”
“Mi ami anche per questo, non è vero?”
“Soprattutto per questo...”, le sfiorò il braccio con l’indice, carezzandolo avanti e indietro sentendo pian piano la pelle d’oca affiorare. Continuando quella tortura, scavò nei suoi pensieri trovando qualcosa di cui, in quella giornata, non aveva ancora avuto l’opportunità di parlare. “Una cosa a dire la verità ci sarebbe...”. Kate cercò di mantenere un contatto con la realtà mordendosi il labbro inferiore e guardandolo intensamente, ma era inutile, i brividi che dal braccio la percorrevano lungo il collo fino alla schiena e al basso ventre, rendevano tutto più difficile. Rick interruppe finalmente quei movimenti circolari, afferrando poi tra le dita una ciocca di capelli. “Li hai tagliati... quando mi sono risvegliato in ospedale e ti ho vista, ho notato subito che avevi tagliato i capelli.” Rimase in silenzio, l’espressione seria e le labbra tirate. Non resistette a lungo, sorrise vedendo anche lei rilassarsi nuovamente. “Non mi hai chiesto un parere prima di farlo”, brontolò scherzosamente, spingendo il labbro inferiore all’infuori in quell’adorabile broncio.
“Non c’eri per interpellarti, ma non temere, non accadrà più.”
“Bene, perché mi piacciono lunghi”, e come a voler confermare quella sua affermazione, vi fece scorrere le dita attraverso. Poi, tenendo la mano dietro la sua nuca, la spinse contro di sé baciandola con fervore, riprendendo finalmente ciò che era stato interrotto.
 
Kate fu la prima ad addormentarsi, nonostante fosse solo pomeriggio. Era crollata tra le sue braccia. Esausta fisicamente, ma soprattutto emotivamente. Rick ne sentiva il dolce respiro cadenzato, sarebbe potuto restare ore ad ascoltarla e guardarla dormire. Mosse un poco il braccio, sfiorandole il fianco nel tentativo di avvicinarla di più a sé. Con un’ultima occhiata studiò per l’ennesima volta il suo corpo nudo, appena visibile attraverso il lenzuolo bianco che le si poggiava morbido sulle curve semplici ed uniche. Le lasciò un bacio sulla tempia vedendola poi fare una piccola smorfia a quel contatto, forse aveva interrotto un sogno...
Puntò gli occhi sul soffitto ed in un sospiro chiuse gli occhi. Aveva bisogno di un po’ di riposo anche lui. Si sentiva sollevato e soddisfatto di quella giornata che si era aperta preannunciando una catastrofe, come un cielo nero preavviso di tempesta.
E la tempesta era arrivata.
Ma una volta dissipate le nuvole quello che era rimasto era meraviglioso, solo che al posto dell’odore delle gocce di pioggia sull’erba, lui poté ispirare quello della pelle calda della donna che ora gli dormiva accanto, al posto del canto degli uccelli, lui aveva sentito Kate scusarsi e aprirsi come in rari momenti aveva fatto.
Si lasciò anche lui andare alla stanchezza, i muscoli affaticati, il corpo spossato, le palpebre pesanti che aveva chiuso già da un po’. Così Morfeo lo portò con sé, e mentre lui dormiva beato, nel suo sonno Kate si agitava.
Nonostante tutto, sentiva che sarebbe stato difficile in certe occasioni dirsi ogni cosa. Sentiva che, presto o tardi, non sarebbe riuscita a dirgli subito la verità, temeva davvero che avrebbe rovinato tutto e sarebbero tornati al punto di partenza e quest’insensata ed irragionevole paura non l’avrebbe mai abbandonata.
 
 
 
 


Diletta’s coroner:
 
I nostri fantastici Caskett hanno risolto, stanno bene e direi che hanno recuperato il giorno di relax che sembrava totalmente perduto (anche se mi sa che si sono stancati di più u.u).
Ma siccome si tratta di me, potevo forse farla finire con un happy ending in tutto per tutto? ASSolutamente no... Kate avrà sempre una parte di sé più introversa, chiusa, insomma, da #BeckettBitch (vado fiera di questo hashtag, perdonatemi), è stata così per tanto tempo e le abitudini sono difficili da abbandonare, ma mai dire mai...
Perdonatemi per questa ff "sfogosa" (licenza poetica), ma avevo bisogno che Kate si scusasse e dicesse che la maggior parte della colpa questa volta l'aveva lei!
Ora che l'ho scritta torno nel mio angolino
Baci baci

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