After the pain

di JunJun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte. ***
Capitolo 2: *** Alba ***



Capitolo 1
*** Notte. ***


Frammento n°1

Frammento n°1. Notte.

Dice: “Non esiste notte tanto lunga che impedisca al sole di risorgere”.

 

*

 

Il buio, il silenzio. Il vuoto avvolgeva il suo spirito, le sue membra; niente più dolore.

Pace. Erano passati anni, dall’ultima volta che aveva provato questa sensazione. I ricordi di secoli di dolore lancinante che avevano dilaniato la sua carne andavano dissolvendosi insieme al suo corpo, e lui si sentiva sempre più leggero.

I ricordi della sua vita, creatasi artificialmente e poi cessata con tale violenza svanivano nel profondo della sua anima, così falsa, ma così viva e pulsante.

Lui, nato dalla morte, l’aveva sempre temuta. Per questo, aveva sviluppato la capacità di allontanarla, di evitarla per sempre. Resurrección. Credeva che questo potere lo avrebbe tenuto per sempre lontano dai suoi artigli letali, implacabili distruttori della perfezione del suo essere. Ma, una volta condannato, mentre viveva la sua interminabile agonia aveva imparato ad apprezzarla, ad amarla, fino ad arrivare ad invocarla, a chiamarla disperatamente, veloce, veloce, veloce, come sua unica salvatrice, unica difesa, unica liberazione dal dolore lacerante che gli straziava il petto.

Ed ora che finalmente lei l’aveva preso, si era sentito svuotato da ogni cosa.

Era finito tutto…ma ora…cosa sarebbe accaduto ora?

Aveva pensato che la morte lo avrebbe divorato, avrebbe distrutto il suo ego, cancellato la sua essenza, e lui si sarebbe annullato in essa. Eppure, seppur immobile in un mondo vuoto, era ancora lì.

Si chiese se avesse sbagliato i suoi calcoli, se fosse davvero questo il suo destino, se fosse questo il destino di un Arrancar ucciso in battaglia. E nello stesso momento in cui si pose questa domanda, la risposta balenò nella sua mente: lui era un Arrancar.

La morte era  degli esseri umani; non sua. Lui aveva ragionato basandosi sulla stessa paura primordiale provata dalle migliaia di anime che avevano formato la sua; ma lui non si sarebbe mai potuto annullare in essa, poiché lui non era una sua vittima designata, bensì suo figlio e discepolo.

Aveva commesso un errore di valutazione. Come rimediare? Non poteva combattere contro qualcosa fuori dalla sua portata, e sconfiggerla, ma d’altronde non poteva neanche lasciarsi vincere da lei, e trovare una vera e propria pace eterna. Sapeva solo che non voleva restare lì, lì eternamente sospeso a metà fra il tempo e lo spazio. Non voleva; non voleva, non era possibile, non lui, non dopo tutto quel dolore, no!

Il suo essere si raccolse in quell’unica volontà, riducendosi ad un unico, fermo punto e poi esplose in un grido forte, tremendo, disperato, che aleggiò sinistro intorno a lui. Gridò, gridò e qualcosa lo strappo’ via: si sentì trascinare brutalmente. La paura lo colse all’improvviso. Il vuoto si fece pesante, reale, e non riuscì più a sostenerlo, venne sopraffatto, scaraventato via, e precipitò giù, giù, sempre più giù…perdendo i sensi quando, di colpo, tutto cessò.

 

Dopo un buio interminabile, schiuse gli occhi.

Era disteso su una superficie dura. Si trovava in un luogo molto luminoso, ma non riusciva a distinguerne i contorni. La luce gli faceva lacrimare gli occhi, fu costretto a chiuderli e riaprirli più volte. Un rumore ritmico inquietante  dentro il petto lo fece rabbrividire, ma mai quanto l’ombra nera e sfocata che gli comparve davanti di colpo.

“Ben svegliato,” ghignò, “Apollo-san”.

 

 

___

 

Wow…

Rieccomi qui! Anche io sono risorta, dalle mie ceneri di banale ff-writer, per offrirvi come regalo di Natale queste righe di introduzione ad una piccola fanfic dedicata al mio personaggio preferito, in assoluto, di Bleach: Szayel Apollo Grantz!*^*

Per intenderci, lui: http://www.endlesstune.com /szayel.jpg .

La scrivo soprattutto per placare il movimento dentro il mio petto: da quando l’ho visto in azione negli episodi di Bleach dal 160 in poi,  è stato un vero e proprio “colpo di fulmine”: non so perché, so solo che è terribilmente sexy… *^*;

Per cui, dopo aver letto della sua fine (capitolo 305), ho deciso di scrivere di lui a partire dal momento della sua morte. Anche se per lui ogni secondo della sua agonia equivaleva ad un secolo, in realtà le sue ferite l’hanno ucciso dopo pochi minuti. Ho perciò tenuto conto di questo fatto, nei capitoli successivi.

Un bacio e Buon Natale!

 

Junny*

 

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Capitolo 2
*** Alba ***


Frammento n°2 Alba

Frammento n°2 Alba

Dice: Si giunge al mattino soltanto attraverso le ombre della notte”.

 

 

“Ben svegliato,” lo salutò l’ombra accanto a lui “Apollo-san”.

La voce rauca, il tono malizioso, quella reiatsu inquietante che l’avvolgeva: la mente di Szayel collegò le cose e reagì immediatamente, gridandogli che si trovava in una situazione di pericolo. Lui avrebbe voluto spalancare gli occhi, alzarsi e prendere velocemente le distanze da quell’essere, per poi esaminare meglio chi fosse; ma riuscì a malapena a cacciare un gemito spezzato.

I suoi muscoli erano bloccati, le sue palpebre pesanti, sudava freddo. L’aria che cercava di respirare invece di riempirgli i polmoni gli si bloccava in gola, soffocandolo.

L’ombra gli aprì la bocca con la forza, ed un istante dopo Szayel sentì il sapore vomitevole di un liquido troppo caldo colargli giù nello stomaco. Senza più aria, l’Arrancar non aveva neanche la forza di tossire; un brivido improvviso gli percorse tutta la colonna vertebrale, e gli occhi gli si rovesciarono dal dolore.

Il sapore del liquido appena bevuto gli impastava la lingua. “E’ veleno?” si chiese debolmente. “Di nuovo…veleno…?”

Perse coscienza. Un vago ricordo lo perseguitò sotto forma di incubo per molto tempo, fino a spegnersi in lui come una debole fiammella.

 

Quando riaprì gli occhi, Szayel era ancora senza forze. Intorno a lui non c’era luce ma una strana penombra, per cui gli era meno faticoso tenere aperti gli occhi, ma il mondo che vedeva era ancora senza contorni. Sforzandosi, scorse intorno a lui, con la coda dell’occhio, alcune flebili fonti di luce che però non riuscì ad identificare.

Sentiva il cuore battergli lentamente, troppo lentamente, nel petto. Decise di farsi forza.

Con molta fatica sollevò una mano e se la portò al viso, guardandola con interesse, come se su di essa mancasse qualcosa. Sollevò anche l’altra e se la portò al viso, toccando i capelli, la fronte, ma quando arrivò gli occhi sentì che anche lì mancava qualcosa, una parte di lui.

Ma cosa?

Si mise seduto, lasciando che se lenzuola del letto su cui era steso gli scivolassero via, lasciando scoperto il petto nudo. I lunghi capelli gli accarezzavano le spalle. Qualcosa dentro di lui lo spinse ad analizzare la situazione, ma nonostante in lui ci fosse il metodo di analisi, mancavano i dati di partenza da elaborare.

Aveva realizzato di essere vivo, ma non sapeva nient’altro. Non sapeva dov’era, né come ci fosse arrivato. Non ricordava cosa gli fosse successo… e neanche chi era.

Riprese a contemplarsi le mani, senza vederle realmente. Cercò di ricordare qualcosa, ma era come se il suo passato fosse bloccato all’interno di uno spesso strato di dolore, immondo ed interminabile, che lo aveva tormentato per così tanto tempo da aver preso il sopravvento su qualunque altra cosa. Troppo forte per essere sopportato, troppo lungo per svanire. Appena lo sfiorò, ricominciò a tormentarlo. Senza capire più nulla, Szayel strinse le mani alla testa, insieme ai capelli, e gridò di terrore, con quanto fiato aveva in gola.

Apollo-san!”

Al suo fianco, un essere comparso dal nulla si precipitò su di lui, e senza dir nulla lo abbracciò. Quel contatto lo sconvolse più del dolore, così smise di gridare; solo gli occhi rimasero sbarrati, e il respiro affannato.
“Va tutto bene,” disse la persona che lo stava abbracciando, con voce dolce e sommessa. “E’ tutto finito ora”.

Szayel, come se fosse sotto un incantesimo, rimase fermo per molto tempo in quella posizione, riscaldato da un piacevole calore, fino a che non si riaddormentò.

Quando si riprese, era mattina. La luce inondava la stanca in cui si trovava. Lui aveva sempre la vista sfocata, ma gli occhi non gli dolevano più. Se li strofinò, e si guardò intorno, sobbalzando nello scoprire che c’era qualcosa che gli tratteneva debolmente una mano. La sfilò via subito, spaventato, e la figura accasciata al bordo del suo letto, sentendolo, si mosse e poi si sollevò.

“Chi sei?” chiese lui sospettoso, cercando di metterla a fuoco.

Sei sveglio…” sì sentì dire dalla stessa voce dolce di poche ore prima. “Come ti senti?”

“E’ alquanto disdicevole, sentirsi rispondere ad una domanda con un’altra domanda,” osservò lui contrariato. “Di conseguenza dimmi, chi diavolo sei tu?”

“Ah…” mormorò lei, spaesata. “Ki,” disse infine. “Chōshun Ki”.

Quel nome non gli diceva nulla. Desideroso di saperne di più, Szayel portò una mano a quello che doveva essere il collo della figura, così velocemente da strapparle un gridolino. La portò a pochi centimetri dal suo viso, cercando di scorgerne i dettagli.

Sembrava un essere umano, femmina, molto spaventata. Non ispirava pericolo.

La lasciò andare.

“S-Sarai affamato…” disse Chōshun, visibilmente imbarazza. “Vado a prenderti da mangiare!” esclamò, e corse via a grandi passi.

Szayel rimase lì, nel letto, pensieroso. Si strofinò di nuovo gli occhi e poi si passò una mano fra i capelli, un gesto che gli sembrava molto familiare.

In pochi minuti, la ragazza fu di ritorno. “Perdona l’attesa!” gli disse. La sua voce suonava piena di imbarazzo. Posò su un ripiano accanto al letto quello che dal rumore sembrava essere un vassoio, poi gli mise fra le mani un oggetto morbido e caldo, dal profumo invitante. “Mangia!” disse. “Sarai affamato, non hai mangiato per giorni”.

Lui lo assaggiò, incerto, ma non ne parve soddisfatto.

“Non ti piace?”

“Suppongo di essere stato abituato a mangiare qualcosa di più…energetico,” constatò lui, con voce piatta.

“Mi dispiace,” ammise lei, triste. Seguì un lungo silenzio.

“Che situazione fastidiosa,” osservò infine Szayel.

“Cosa?”

“E’ una situazione fastidiosa,” ripeté. Odiava doversi ripetere. “Detesto non sapere cosa sta accadendo. Indagherei da solo, ma sono bloccato qui, nudo e quasi cieco.  Non capisco più di nulla di ciò che sta succedendo e non so cosa mi sia accaduto. Ki-san, dato che sei così gentile, mi spiegheresti perché diavolo sono qui?!” sbottò.

“Beh…” la sentì mugolare in risposta. “Io non ne so molto… Vedi, la nonna…ti ha trovato, alcuni giorni fa, a terra in mezzo alla strada, svenuto.  Non avevi nulla con te, solo…degli occhiali. Lei ti ha portato qui. Non sapevamo chi fossi, e nessuno del vicinato ti conosce. In TV non hanno detto nulla riguardo una persona scomparsa. Così ci siamo prese cura di te aspettando che ti risvegliassi per saperne qualcosa”.

Mentre parlava, Szayel la udì girare per la stanza, come se stesse cercando qualcosa. Quando tornò da lui, sentì che gli stava sistemando i suoi occhiali. La sua vista tornò perfettamente.

“Tu ricordi chi sei?” gli chiese lei.

Lui la guardò fisso: dal comportamento ingenuo sembrava una bambina, ma il corpo era quello di una giovane donna. La squadrò in un attimo, ma ad attirare la sua attenzione furono solo i suoi occhi, rosa pallido, ed i vestiti che indossava, completamente neri, come i suoi  lunghi capelli. “Sei un essere umano?” le chiese a bruciapelo.

“Eh? S-Sì,” rispose lei.

Szayel si guardò le mani. E lui? Cos’era lui? Qualcosa in lui gli diceva che quella ragazza apparteneva ad un mondo totalmente diverso dal suo.

“Tu non lo sei?” chiese lei piano.

“No, lui è un Dio, no?” osservò una voce roca ed inquietante alla loro destra, la stessa che Szayel aveva udito la prima volta che si era svegliato. Gli vennero i brividi. “Lui è uno stupendo Dio caduto dal cielo,” continuò la voce.

Szayel si voltò verso la porta: ferma all’ingresso c’era una donna molto anziana, alta la metà di lui, magrissima e con corti capelli grigi. Aveva il viso piagato dalle rughe. Indossava uno strano vestito multicolore, molto voluminoso, ed un gran numero di gioielli. Si poggiava su un bastone di legno.

Choushun arrossì.

“Un Dio…stupendo?” ripeté lui.

“Perché credi che questa qui ti abbia chiamato Apollo?” sbuffò la vecchietta, indicando Choushun con il bastone. Zoppicando, raggiunse la ragazza accanto al letto, e le schiacciò un pugno sulla testa.

Lei cominciò a piagnucolare, mugolando frasi del tipo: “Oh, nonna, perché glielo hai detto? Ah, mi fai male! Sei cattiva…no, nonna, ahi!”

Lui guardò le due, senza dir nulla. L’anziana smise per un attimo di schiacciare la testa alla ragazza e lo fissò. “Il mio nome é Rei Ki. Riguardo al tuo soprannome, tu non sai nulla di questa stupida roba occidentale, ma Apollo è…

“Il dio greco che unisce l’arte alla ragione,” completò Szayel. “E’ il dio del Sole, un ideale di bellezza,” concluse con garbo.

Rei si bloccò, sorpresa: “Bravo,” annuì. Poi riprese il suo lavoro.

“Sì, ma non è vero!” piagnucolò Chōshun, “Non sono stata io a dire questo, oh, davvero, io non…

“Peccato che non l’hai detto davvero,” commentò Szayel, sorridendo malizioso. “Perché il mio nome è proprio questo,” disse. “Credo…” osservò poi a bassa voce.

Le due lo guardarono, stupite.

“Vi ringrazio per la vostra gentilezza,” esordì Szayel con il suo tono un po’ strascicato, ritornando in sé. “Ora, so che potrei sembrare maleducato, ma vi dispiacerebbe uscire? Sapete, vorrei indossare qualcosa”.

Ma certamente!” gracchiò Rei allegra e, con una forza che Szayel non avrebbe mai creduto avesse, prese la nipote per il colletto del vestito e la trascinò via, ancora piagnucolante.

“Ti ho raccattato degli stracci in giro, sono lì sulla sedia,” disse, uscendo. “Ho pensato che ti sarebbero serviti, dato che mentre eri svenuto ti hanno rubato persino le mutande”.

“Ma che anziana premurosa,” mormorò lui fra i denti, a metà fra l’imbarazzo e l’irritazione. Si risistemò gli occhiali come per nascondere gli occhi.

“Bene, quando hai finito chiamaci, signor Dio Apollo,” disse sogghignando Rei. Buttò fuori Choushun, prima di sbattersi la porta alle spalle.

Szayel si mise subito in piedi. Percorse in due passi la piccola stanza in cui si trovava, affrettandosi verso i vestiti, poggiati sull’unica sedia di una vecchia scrivania. Se li infilò velocemente. Quella situazione lo aveva messo in imbarazzo. Quelle stolte lo avevano messo in imbarazzo. A quanto pareva, avevano avuto opportunità di ammirarlo, ridotto in quello stato, per un bel po’ di tempo.

Mentre raccoglieva gli indumenti, sentì la vocetta di Chōshun farfugliare, fuori dalla porta, “Ma perché glielo hai detto, ora non riuscirò più a guardarlo in faccia…”

“Dolcezza mia, e tu vorresti farmi credere che hai guardato solo la sua faccia? Io no”.

Szayel arrossì di rabbia. “Vecchia maniaca!” gridò internamente. “Ma tu guarda in che razza di situazione…

“E’ che… è così bello che non sembra di questo mondo…”

“Oh, oh,  tesoro, ho sentito un rumore dentro, scommetto che ti ha sentito!”.

“Oh,  NO! Oh, no, no, no! ORA NON RIUSCIRO’ PIU’ DAVVERO A GUARDARLO IN FACCIA!”

Quando Chōshun ebbe finito di gridare, sospirando, Szayel si tolse le mani dalle orecchie e finì di sistemarsi il paio di jeans e la vecchia maglia grigia, a righe, che gli erano stati assegnati. Notò nell’angolo opposto della stanza, accanto ad una finestra molto piccola, uno specchio. Si fermò davanti ad esso, e guardando il suo riflesso ammise che quella ragazza aveva ragione: persino quei vestiti scadenti riuscivano  a risaltare il suo fisico, asciutto ma perfetto; i lunghi capelli lisci, rosei, gli incorniciavano il volto dai lineamenti decisi e al contempo delicati, mentre lo sguardo, accattivante e sveglio, da intellettuale, era sottolineato dai suoi occhiali.

Sorrise, un sorrisetto malizioso che gli illuminò le iridi del colore del Sole. Anche se aveva perso parte dei suoi ricordi, si fidava delle sue capacità e della sua fortuna: non appena avesse avuto la possibilità, sarebbe tornato quello di prima, ne era convinto.

 

Szayel si attardò qualche altro secondo allo specchio, sistemandosi la riga laterale dei capelli con un vecchio pettine gettato sulla scrivania. Poi si avviò, con i suoi passi veloci e felpati, alla porta della stanza. La aprì sovrappensiero, e questa scivolò via con tale facilità da fargli perdere l’equilibrio; ciò avvenne perché era già stata aperta da quella che riconobbe essere Chōshun, che gli precipitò letteralmente addosso.

Non caddero perché lui la sostenne, ma lei gli finì praticamente fra le braccia.

“Che situazione banale,” pensò lui, indignato. “Questa persona è stata sicuramente gentile con me, per cui dovrei comportarmi in modo educato con lei. Ma i suoi sentimenti sono fin troppo comprensibili. Lei è fin troppo comprensibile. Non è per nulla interessante”.

La ragazza rimase immobile contro il suo petto, stretta nella sua presa forte.

Lui la sentì tremare, così abbassò lo sguardo, cercando di essere cortese: “Ti sei spaventata?” le chiese.

“Ti dispiacerebbe…” rispose lei, in tono gelido, “…levarmi le mani di dosso, Casanova?”.

“Cosa?” Szayel restò di sasso.

Nello stesso istante, sentì dei passi fermarsi davanti alla porta: si voltò, vedendo Chōshun. La sua espressione terrorizzata superava solo quella che aveva appena assunto lui. La ragazza alla porta indietreggiò, portandosi le mani al petto, pallida.  Szayel guardò prima lei, poi quella che stringeva fra le braccia, poi di nuovo la prima e si staccò di scattò dall’altra. Alla Chōshun alla porta vennero gli occhi lucidi, come se stesse per scoppiare a piangere; ciò infuse in Szayel una sensazione di puro terrore. Portò una mano verso di lei dicendo: “Aspetta!”, ma lei scappò via in lacrime.

Mentre sentiva i suoi passi di corsa far scricchiolare le scale di legno, Szayel fece qualche passo in avanti, imbambolato. Poi si rese conto che la ragazza dietro di lei stava ancora tremando come prima: ma come prima, non era per paura, bensì per la rabbia.

“Lo sapevo…” la sentì mormorare alle sue spalle, la voce così fredda da essere un sussurro, i pugni stretti. “L’avevo detto io alla vecchia che avevi una faccia da schiaffi…ma Cho ha cominciato a fare,No, ti prego, aiutiamolo, sta male, è carino, non può essere cattivo… ’ …COL CAZZO!” Alzò la testa, lui si voltò verso di lei, e vide l’inferno. “LO SAPEVO CHE AVREI DOVUTO LASCIARTI CREPARE LI’, STRONZO!” gridò. Grazie al suo acuto senso d’osservazione, Szayel realizzò che non era del tutto uguale a Chōshun: i suoi occhi erano castani. Ma per notare questo dettaglio, non vide il calcio che lei gli stava sferrando, che lo prese dritto allo stomaco, seguito da un secondo, al fianco destro, che lo stese a terra dolorante.

Cho-chan, aspetta! Non è come sembra!” strillò la ragazza, scappando fuori dalla stanza.

Szayel si rotolò a terra, dolorante. “Dove…diavolo…sono finito?” mormorò. “A-Aizen-sama…” disse, per istinto. Ma non riuscì a ricordare chi fosse Aizen.

 

___


Ecco qui! Capitolo 2 di 6! E’ molto “statico”, lo so, ma ho cercato di renderlo più snello possibile. Ho voluto soffermarmi sul passaggio di…Pollo?XD…dall’agonia infinita alla vita, e sulla presentazione di questi 3 nuovi personaggi: Choushun, Rei e Choujizome. Nel prossimo, ci sarà anche un ritorno di Ichigo e Rukia, insieme ad un bel colpo di scena.

Vi avverto, o incauti lettori! Per quanto le cose possano sembrare mettersi male (in molti sensi), nei prossimi capitoli, non pensate che in questa storia sia tutto scontato! Vi siete messi nelle mie mani iniziando a leggerla; per cui, se volete, continuate a leggere fino alla fine e lasciate fare a me: non resterete delusi!*-*;

 

Grazie a renge_no_hana e millissima, che mi han fatto venire voglia di scrivere subito il seguito!*.*; E’ sempre esaltante trovare altri fan del mio Arrancar preferito!

JunJun

 

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