Humanoid Love

di Madam Morgana
(/viewuser.php?uid=728281)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Problemi ***
Capitolo 3: *** Ira ***
Capitolo 4: *** Dolore ***
Capitolo 5: *** La Fine ***
Capitolo 6: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 7: *** Altruismo ***
Capitolo 8: *** Ospiti ***
Capitolo 9: *** Emozioni ***
Capitolo 10: *** Sentimenti ***
Capitolo 11: *** Mancanze ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Prologo.






In famiglia, oggi, c'è un gran trambusto.
Non che sia una novità, per i Walker. Solitamente la mattina, soprattutto, c'è sempre un gran tumulto perché Scott deve recarsi a lavoro e sua moglie gli prepara sempre la colazione.
I suoi tre figli, poi, scendono giù dal letto a causa della forte fragranza del caffè che s'imprime nelle pareti ed infine percorrono le scale per recarsi in cucina, senza contare che devono recarsi anche a scuola.
La famiglia Walker ha sempre avuto da fare, non è mai stata con le mani in mano, ovviamente, ma oggi è diverso il fermento che aleggia in casa.
Finalmente è arrivato il Pacco.
Lo stavano aspettando da due settimane, o almeno solo Scott sua moglie ed i suoi due figli, la terza un po' meno.
Eleonor guarda la provenienza della scatola: Department of Science and Tecnology of Sydney.
I suoi occhi brillano, così come quelli di Scott che sembra più eccitato di lei.
Loro figlio Edward – un paffuto bambino di soli nove anni – saltella in giro per casa continuando ad urlare “è arrivato, è arrivato” che sicuramente anche i vicini hanno capito di cosa si tratta.
Sostanzialmente almeno ogni casa deve ricevere quel Pacco. Perché ormai il secolo all'avanguardia permette di risparmiare su tantissime cose, ed all'interno del Pacco ci sarà la salvezza dei Walker.
Scott non dovrà più pagare per la domestica, Edward e Tyson avranno quello che tanto vogliono, e la loro vita sarà perfetta. Tutti sono entusiasti, tranne Amira che se ne sta in disparte, a masticare la sua gomma tra i denti facendola scoppiare una volta gonfiata.
Le braccia incrociate al petto di chi non ha nulla di entusiasmante da vedere, la consapevolezza che prima o poi si stancheranno. Perché, in fondo, tutti si stancano di tutto prima o poi.
«Amira, tesoro, vieni dai che tra un po' tuo padre apre la Scatola!» gli occhi di Eleonor che divampano di gioia, mentre Edward ha raccattato suo fratello, trascinandolo dalla cucina. Entrambi sono abbastanza piccoli, ma sanno bene cosa c'è dentro la Scatola.
«Allora, come vi sentite? Siete tutti pronti? Da oggi la nostra vita cambierà, lo sapete no?» esclama Scott, entusiasta, tutti rispondono con un “sì” cantilenato in coro, anche sua moglie che ormai non è più una bambina.
«Perché non apri quella dannata Scatola? Così la fate finita una volta per tutte!» Amira guarda la Scatola che poggia sul tappeto del salotto, mentre Edward e Tyson annuiscono all'unisono, sicuramente più felici di lei.
« Non sei felice, Amira?» chiede suo padre, sapendo che alla figlia mai nulla è andato bene. Difatti questa scrolla le spalle, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto, tornando a masticare la sua gomma alla fragola.
« E' solo un ammasso di ferraglia papà, state facendo troppo baccano, oggi è Sabato ed i vicini non lavorano. Dovreste fare meno casino!»
«Vero, ma oggi è il nostro turno, no? Non sei felice che anche noi possiamo permettercelo, adesso?» continua Scott, marcando la cosa. Ma ad Amira, comunque, non frega granché. Per lei quei soldi spesi, poteva pure risparmiarseli.
«Indifferente» continua lei, ancora una volta scrolla le spalle.
«Oh, andiamo Scott, apri la Scatola!» sua madre non sta più nella pelle, la vede sorridere poi battere le mani e saltellare. Tra lei ed i suoi fratelli non c'è granché di differenza se non che quelli si girano intorno ad una fascia d'età che non supera i tredici anni, mentre lei ormai ne ha quaranta.
Ed allora, Scott, esausto anche lui dell'attesa, annuisce chinandosi sul Pacco.
Con attenzione lascia scorrere tutto lo scotch intorno al perimetro della Scatola, mentre Tyson ed Edward si allungano di poco per vederne il contenuto.
Eleonor fa lo stesso, mentre Amira rimane impassibile.
Una volta tolto il nastro, Scott toglie via il cartone in eccesso,ed infine ammira l'interno.
I raggi solari lo illuminano.
«Presto Eleonor, aiutami ad alzarlo» e lei subito, Eleonor, pronta ad avanzare per aiutarlo. Lo priva dell'involucro trasparente ed insieme lo mettono in piedi. Dalla Scatola sbuca fuori un biglietto, che probabilmente allegano ogni qualvolta ne mandano uno.
«Allora papà? Cosa dice? Dai cosa dice?» Tyson si mette in piedi, saltellando nella speranza di poter arrivare a suo padre, nonostante l'altezza che li differenzia è parecchia. Questi china di poco le braccia per far leggere al figlio il contenuto.
«Visto figliolo? Ci ringraziano per aver scelto il dipartimento di scienze e tecnologia di Sydney»
Edward e sua madre stanno già ripulendo il tappeto, mettendo via l'involucro trasparente e la scatola.
La famiglia Walker, tranne Amira, guarda entusiasta il suo nuovo arrivo.
«Ci hanno dato anche il manuale d'uso, ma non credo servirà considerando ch'è già montato» esprime il capo famiglia.
Un robot nuovo di zecca. Un robot nuovo di zecca alla famiglia Walker. Finalmente è il loro turno.
E sono entusiasti loro, considerando che tutto il vicinato ne ha già uno. Scott lo guarda, e deve proprio ammettere ch'è perfetto, somiglia tantissimo ad una persona vera! E' meraviglioso. L'unica pecca è di averlo ricevuto nudo, ma non sarà un vero e proprio problema considerando che a Scott avanzano vestiti ormai stretti.
«E' bellissimo papà!» esclama Edward, aggrappandosi alla gamba dell'androide.
Eleonor annuisce, schioccando un bacio sulle labbra del marito, mentre Tyson emette un verso d'indignazione riguardo ai genitori che ancora si sbaciucchiano davanti a loro.
«E' spaventoso» è l'unica cosa che riesce a dire Amira, guardando l'umanoide davanti a lei. Certo, è bello e questo non lo può escludere, ma la somiglianza ad un vero essere umano la spaventa tantissimo. Con quei capelli finti e biondi, le palpebre chiuse ed il bottoncino rosso sul lato sinistro del petto.
E' spaventoso” si ripete, che forse in un secolo così all'avanguardia produrre queste cose rende la gente felice.
Ed è triste pensare che tantissime persone perderanno il lavoro, negli anni a venire, essendo sostituiti da questi personaggi robotici. Amira non approva la cosa, ma chi è lei per cambiare il parere delle persone? E' pur sempre una ragazzina di diciassette anni.
«Tu sei spaventosa!» esclama Tyson, riportandola alla realtà.
Dal canto suo esce fuori la lingua, ed il fratello ricambia nel modo più buffo possibile.
«Basta ragazzi! Adesso lo accendiamo!» a quella frase tutti tacciono, compresa Amira.
Scott pigia il bottone rosso all'altezza del petto, e dopo pochi secondi questi spalanca gli occhi che si rivelano essere di un blu oltremare.
«Modello numero ottocentodiciannove, seicentodiciannovesimo inviato dalla Department of Science and Tecnology of Sydney, ritrovamento attuale Sydney. Condizioni fisiche: stabili. Batteria: 100%, durata massima dodici ore, prossimo riavvio tra dodici ore.»
Nessuno parla, tra i presenti, gli Walker se ne stanno nel più religioso silenzio, ascoltando la tiritera che l'umanoide si appresta a dire, un po' come una filastrocca che gli hanno inculcato nella mente.
Non appena termina ciò, sbatte le palpebre più volte, un cigolio metallico che proviene dai suoi piedi lascia comprendere a Scott che sa muoversi perfettamente.
L'essere avanza verso di lui, sbatte nuovamente le palpebre «Salve, sono Ottocentodiciannove, grazie per aver scelto il Department of Science and Tecnology of Sydney, sarò lieto di rendermi utile. In cosa posso servirla, signore?»
La felicità di Scott nell'avere qualcuno, adesso, in grado di poterlo aiutare è palpabile. Eleonor ha smesso di parlare da tempo, ormai, completamente affascinata dall'umanoide. I suoi figli leggermente sbigottiti ma felici al tempo stesso «Oh, è un piacere averti tra di noi, Ottocentodiciannove. Io mi chiamo Scott, e questa è mia moglie Eleonor, mio figlio Edward e mio figlio Tyson» che forse presentare la famiglia è anche giusto, secondo Scott. Stringe i suoi cari mostrandoli come la cosa più preziosa.
L'umanoide li osserva, mentre fa uno scan interiore per collocare volti, età e tutto ciò che deve sapere.
Lentamente, poi, volta il capo. I suoi occhi cristallini, adesso, osservano Amira, che – a differenza dei suoi consanguinei – non si è presentata. E' che a lei, non piace quel coso. Perché non può etichettarlo in altro modo. E' solo un oggetto a cui è stato insegnato l'alfabeto e dato un cervello artificiale, niente di più. Non ha nemmeno un cuore che batte.
«Ah, lei è mia figlia Amira» Scott si avvicina a lei, stringendola dolcemente. Questa sbuffa un po', continuando a ruminare la sua gomma tra i denti perdendosi negli occhi del robot.
«Lieto di conoscerla, Miss. Sono Ottocentodiciannove grazie per aver scelt – »
«Lo so chi sei, e non c'è bisogno di ripetere tutta la tiritera, una volta basta ed avanza!» esclama, forse già stufa del nuovo intruso.
Sale le scale, abbandonando il salotto, entrando poi nella sua stanza sbattendosi la porta alle spalle.
La sua vita è già abbastanza complicata, considerando che in casa sono già in cinque. La presenza di quel coso di certo non passerà inosservata, considerando che passeggerà tra le stanze come se nulla fosse.
Ed a lei non va bene, ad Amira non va bene avere un robot in casa che farà tutto quanto, a partire dalle faccende che svolge sua madre per poi passare a risolvere gli affari di lavoro di suo padre, per non parlare che magari giocherà insieme a Tyson ed Edward come una persona normale.
Pazzesco!
Amira affonda la testa nel cuscino, già esausta nonostante siano solo le otto di un Sabato mattino.
Non può sopportare tutto questo, perché la sua vita è già complicata, con la sua famiglia sempre troppo stressante, ed il suo ragazzo: Josh. Così distante, schivo e per niente apprensivo, ma che comunque ama. Ora, come se non bastasse, arriva un fantoccio di metallo a complicargliela ulteriormente, quella cazzo di vita.
Spera solo di avere abbastanza forza in grado da fronteggiare contro tutti, altrimenti non le resterà che crollare, nonostante non sia la tipica ragazza che si abbatte facilmente.
Intanto, Josh lampeggia sul cellulare.
«Pronto?» la voce di Amira leggermente frustrata.
«Ehi, cosa c'è che non va?» Josh, dal canto suo, lo nota. Perché ormai conosce bene Amira e capisce quando c'è qualcosa che non va.
«Indovina un po'? Ai miei è arrivato il rottame. Non fanno altro che gioire, sono felice tu mi abbia chiamato»
«Ho appena finito l'allenamento di lacrosse. Ti va se passo a prenderti? Ce ne andiamo al cinema, poi magari ti fermi a casa mia»
Lei rotea gli occhi, accenna un flebile sorriso e poi si morde le labbra, che forse le proposte di Josh sono l'unica cosa di cui essere realmente entusiasti, nonostante il loro rapporto sia cambiato. Almeno lui è reale ed ha un cuore che batte.
«Oddio amore, sei sempre così – » ma non finisce la frase che la porta richiama la sua attenzione: qualcuno sta picchiando la mano su di essa.
Amira scatta in piedi, mentre sistema approssimativamente i capelli folti castani.
E vorrebbe tanto urlare quando, nell'aprirla, si ritrova davanti l'umanoide in tutto il suo non-splendore.
«Josh, ti richiamo io!» esclama, mentre riattacca al suo amato.
«Cosa c'è?» ringhia, mentre incrocia le braccia al petto guardando dall'alto in basso l'essere che ha davanti.
Dal canto di questi, si permette di scansionare la figura di Amira, che ancora non ne aveva avuto l'occasione.
« Miss, sua madre voleva chiederle se gradisse la minestra, per questa sera, inoltre dovrei dare uno sguardo alla sua finestra, suo padre mi ha detto ch'è rotta» ed Amira stringe i pugni, digrigna i denti e manda giù un groppone formatosi all'altezza della trachea.
Si sposta per lasciarlo entrare, poi si stende nuovamente a letto osservando il soffitto sopra di sé.
Ottocentodiciannove, invece, apre la finestra. Le sue dita chiare che tastano il perimetro dell'infisso mentre cerca di trovare il problema riportato da Scott.
«Comunque non voglio la minestra, non mi piace. E se stai cercando la riparazione da fare ti dico subito che l'ho fatta io, di già, almeno una settimana fa. Che mio padre è troppo indaffarato per darmi una mano, e tu sei arrivato solo oggi, dunque...»
L'essere annuisce, fa per andarsene via quando Amira lo chiama «Aspetta!»
Lui si volta, con cigolii metallici che provengono dai suoi piedi «Non ti dispiacerà prendere la mia roba sporca vero?» esprime lei, con un ghigno di malizia. Afferra poi i panni sporchi, che comprendono slip, reggiseni e calzini ed infine le ripone nelle braccia dell'essere.
«Ah, Ottocentodiciannove, li voglio brillanti. Chiaro? Bril-là-nti!» lui annuisce, poi avanza verso la porta e, prima di richiudersela alle spalle fa un piccolo inchino davanti la sua padroncina «Come desidera, Miss»
Percorre poi le scale, con ancora i vestiti tra le braccia.
Eleonor l'avverte, così si volta, notando i panni sporchi della figlia.
«Ma cosa?! Ehi, questi doveva lavarli lei!» esclama, forse indignata del comportamento assunto da sua figlia. I panni se li è sempre lavati da sola, cose troppo intime in fondo.
L'umanoide sbatte le palpebre due volte, mentre se ne sta impalato davanti la signora – intenta a lavare i piatti sporchi.
«La Miss mi ha detto di dirle che lei non gradisce la minestra, inoltre la finestra è stata riparata da lei, poi mi ha detto di lavarle i panni sporchi»
«Ottocentodiciannove, lascia stare i panni e resta un po' con Edward e Tyson, non mi va di lasciarli soli considerando che tra un po' esco con Amelia, una mia cara amica. Mio marito è andato in giro, Amira rimarrà a casa ma sicuramente resterà a parlare con Josh, il suo ragazzo. Edward e Tyson sono ancora troppo piccoli, ed allora bada a loro due. I panni li laverai quando tornerò io, intesi?»
Lui annuisce e, «Come desidera, Madam» esce dalla cucina per dirigersi in bagno, dove posa i panni in una grande cesta già piena di vestiti sporchi.
Trova i due figli della sua padrona a giocare sul tappeto del salotto, con modellini di aeroplanini telecomandati e piccole macchinine rosse.
I due, notandolo, smettono di giocare ma, a differenza di Amira, lo guardano con amore e dolcezza. Troppo entusiasti di avere un nuovo amico.
«Scusate il disturbo, signorini, ma vostra madre mi ha – »
Edward si alza in piedi, afferrando una macchinina da terra, poi avanza verso l'androide e, sorridendo, si aggrappa alla sua gamba «Vuoi giocare con noi?» chiede, con occhi pieni di gioia.
«Ne sarei lieto, signorino» esprime Ottocentodiciannove, seguendo il suo padroncino verso il tappeto.
Tyson ed Edward lo fanno sedere insieme a loro, dandogli qualche macchinina che lui lascia scorrere sulla texture del divano.
«Hai mai giocato con le macchinine, Ottocentodiciannove?» chiede Tyson, visibilmente turbato dal fatto che il robot non muova la macchinina ma, bensì, l'osserva scansionandola.
Questi sembra uscire dal suo stato di trance, ruota di poco la testa ed infine sbatte due volte le palpebre per mettere a fuoco la figura del bambino.
«No, sarei felice di imparare a giocare» ed a quell'affermazione Edward scoppia a ridere, divertito, mentre batte le mani. Che forse trova più divertente giocare con il nuovo amico piuttosto con le macchinine prive di vita.
Ed insieme al fratello, poi, insegnano al robot tutto quello che si deve sapere sul giocare insieme. Addirittura gli mostrano come telecomandare l'aeroplanino, nonostante sua madre li abbia sempre rimproverati, che proprio farlo volare in una stanza chiusa non è un bene, si finisce con il rompere sempre qualcosa.
Però, ad Ottocentodiciannove, tutto quello piace. Piace il modo in cui l'oggetto si alza prendendo il volo, le ruote della macchina che sfrecciano sul tessuto del tappeto, i sorrisi dei suoi padroncini ed anche la spensieratezza che dimostrano.
Scansiona le loro emozioni: “stato attuale: felici” e li memorizza così.
Quando poi terminano il gioco, Ottocentodiciannove s'alza in piedi, tendendo le mani verso i bambini «Non avete ancora fatto colazione, considerando che sono già le undici del mattino non mi sembra più consono farla, ma posso prepararvi uno spuntino» esprime, sbattendo le palpebre. I suoi occhi blu che fissano i bambini, ora felici.
«Davvero? Yeah, che bello!» la felicità di Tyson è palpabile, che forse chiederà un immenso frappè al cioccolato, magari accompagnato da qualche biscotto.
«Cosa gradireste mangiare?»
«Per me del latte con biscotti!» urla Edward, quasi come se il robot non riuscisse a sentirlo, mentre, invece, è tutto il contrario.
«Io voglio il frappè al cioccolato e dei biscotti!» sentenzia invece Tyson.
E l'androide si dirige in cucina, mentre tiene le mani dei ragazzi. Li fa accomodare sulla sedia e poi rovista dentro il frigo alla ricerca del latte.
«Ehi, Ottocentodiciannove?» Edward fa dondolare i piedi, mentre stringe i pugnetti battendoli sul tavolo. Gonfia poi le guance, simulando una smorfia carina.
«Sì, signorino?» le mani dell'androide che fanno scivolare il ghiaccio dentro il frullatore, pronto ad azionarsi. Si volta, dando una rapida occhiata ai bambini, assicurandosi che stiano bene.
«Visto che sei amico mio e di Tyson, ti piacerebbe avere un nome?» ed Ottocentodiciannove li guarda, con quel blu che sembra accendersi.
«Un... nome?»
«Sì, un nome da... umano. Come il mio e come quello di Tyson, capisci?» continua Edward, cercando di spiegare quanto meglio può nonostante i suoi nove anni.
«Nessuno me ne ha dato uno» perché Ottocentodiciannove è sempre stato Ottocentodiciannove, solo questo.
«Però a te piacerebbe?» dice Tyson, appoggiando l'argomento del fratello.
«Sì, mi piacerebbe, signorino» sentenzia infine lui, che forse non aveva mai valutato l'essere reputato come umano e, come tale, avere un nome.
«Perfetto! Allora da oggi ti chiamerai Luke! E sarai nostro amico» Edward batte le mani, felice del nome. Tyson annuisce freneticamente.
«Luke?» esprime l'androide, mentre dentro se aziona la scansione per non dimenticarsi quel nome appena ricevuto.
«Esatto, dunque da oggi non dovrai più presentarti come Ottocentodiciannove, va bene?»
E lui annuisce, perché forse non è male avere un nome, nonostante lui sentimenti ed emozioni non ne abbia. Ma avverte una strana sensazione, dentro se, tra i suoi ingranaggi.
«Luke» si ripete, rovesciando dentro il bicchiere il frappè appena fatto.
«Sì, Luke!» i due bambini, entusiasti, l'osservano.
Ognuno di loro, poi, riceve il suo spuntino ed infine Luke si accomoda accanto a loro, osservandoli mangiare.
«Grazie per averci preparato la merenda, Luke!» sentenzia Edward.
E Luke è lì, con il tovagliolo in mano, pronto a pulire le labbra sporche del suo padroncino.
«Grazie a voi per il nome»
«Ormai sei nostro amico!» esclamano.
E Luke metabolizza anche quella parola, mentre i suoi occhi cristallini osservano la felicità delle piccole cose.
Sono passate poche ore dal suo arrivo, ma in un certo senso si sente al posto giusto. La famiglia Walker è la sua famiglia, adesso.
 
 
SBAAAAAAAAAM

 
Amori miei cari, sono sempre io la vostra sclerotica preferita (ma quale preferita Morgana, levati)
beh a parte la mia vocina tra parentesi, allora che dire?Ebbene sì, ho cominciato un'altra storia
perché molte di quelle che sto scrivendo, in realtà, le ho già finite. Rispetto solo i calendari di
pubblicazione ma comunque sono terminate, prendi
Nascosto nel Buio, ad esempio, che ormai
l'ho finita di scrivere da tantissimo tempo.Comunque bando alle ciance.
E' la prima volta che mi introduco in ambito science-fiction, e spero ci stia riuscendo.
Diciamo che Luke è particolare, qui.
Secondo voi riuscirà Amira ad accettarlo? Cosa ne pensate della storia? Vi prende? Mi auguro vivamente di sì.
Spero di poter leggere le vostre opinioni a riguardo, perché ci tengo davvero ed inoltre vorrei sapere cosa ne pensate.
Detto questo vi lascio con la foto di alcuni personaggi!

 
Madam Morgana

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Problemi ***


 
Problemi.





 
Ad Amira non sono mai piaciute le giornate piovose, mai.
Odia dover abbandonare il suo letto caldo e confortevole per recarsi a scuola. Non che sia una di quelle ragazze che preferiscono poltrire senza far nulla, ma è pur sempre una diciassettenne dall'animo sognante, ansiosa di scoprire il mondo da ogni possibile angolazione, senza imporsi limiti.
E' così Amira, che non sta mai ferma un secondo, iperattiva e piena di vita, si tuffa a capofitto in qualsiasi avventura, propensa a fare nuove conoscenze e, dunque, avere nuovi amici.
La nuova Amira, sarebbe meglio dire, considerando che prima i mostri dell'amore le hanno divorato l'anima, logorandola ogni giorno sempre più. Poi è arrivato Josh, e l'ha conquistata.
E' bastato poco per cadere ai suoi piedi, ed Amira non sa se sia una cosa positiva o meno, catalogandosi come ragazza dai sentimenti facili. L'ha conosciuto nella mensa scolastica, scoprendo poi che si apprestava a fare volontariato insieme alla sua comunità. Davano hot – dog ai poveri, augurandogli un Buon Natale, ed era successo quell'Inverno.
Per Amira era stato una benedizione Josh, anche lui pieno di vita e positivo fino al midollo. Poi qualcosa era cambiata, ed ora erano... diversi.
Dunque il circolo vizioso torna a girare. Di nuovo.
Perché Josh ha smesso di chiamare Amira, ha smesso di farle complimenti come faceva un tempo, ha smesso di baciarla dolcemente, di andare al cinema, al parco o in qualsiasi posto che a lei piacesse. Si limitano a dello squallido sesso a fine settimana, niente più, niente meno. Per lei quella nemmeno si chiama “relazione” ma le va bene così, perché s'è l'unico modo per tenersi stretto il suo ragazzo, l'accetta. Solo quello, solo sesso a fine settimana. Semplicemente solo sesso.
I suoi pensieri si arrestano nel momento in cui lascia scivolare fuori dalle coperte il braccio destro; afferra la sveglia e, svogliatamente, guarda l'ora.
Sono le sette del mattino e tra un'ora esatta dovrà già essere seduta tra i banchi di scuola. Che casino! pensa, forse troppo pigra per abbandonare il letto.
In fondo a chi non piace rimanersene tra le coperte? Abbracciando lenzuola e pensieri? A tutti. E lei, di certo, non è da meno
Tuttavia abbandona il suo giaciglio, strisciando i piedi riesce ad arrivare alla porta che poi spalanca, e quasi non le viene un infarto quando, ce l'ha davanti.
«Ma sei impazzito? Dovresti bussare prima, stupido coso!» lui la guarda, sbatte le palpebre due volte e poi accenna un sorriso, mentre inclina di poco la testa lasciando udire cigolii metallici.
«Buongiorno, miss» ma ad Amira, Ottocentodiciannove, continua a non piacerle. Incrocia le braccia al petto e poi si appoggia allo stipite della porta, osservandolo.
«Devi smetterla di apparire così, intesi? Soprattutto dietro la porta di camera mia! Stupido!» lui annuisce, indietreggia un po' e poi s'inchina formalmente.
«Mi perdoni, miss. Comunque sua madre mi ha mandato per – »
«Lo so per cosa ti ha mandato, ma come vedi sono già sveglia e stavo già scendendo a fare colazione, dunque se permetti» e dicendo così lo sorpassa, lui si volta a guardarla ancora e poi la nota, mentre scende le scale per recarsi al piano inferiore.

«Mamma devi smetterla di mandarmi Ottocentodiciannove in camera, chiaro?» Tyson aggrotta le sopracciglia, mentre lascia il cucchiaio dentro la scodella colma di latte e cereali, assottiglia lo sguardo, infuriato.
«Ehi, non chiamarlo così! Un nome lo ha anche lui! Si chiama Luke!» Amira soffoca una risata, mentre scuote il capo.
Non sa se esserne spaventata oppure sbigottita, incredula, dal comportamento di suo fratello. Probabilmente ha qualche rotella fuori posto!
Ma Edward lo asseconda, a bocca piena gracchia un “ha ragione, è nostro amico!” ed allora Amira è conscia di aver perso i suoi due fratelli, quel coso gli ha fottuto completamente la ragione ed il buon senso, nonostante a quella tenera età si ragioni ben poco.
«Mamma ma li senti? Si sono bevuti il cervello, completamente!» ringhia lei, roteando il cucchiaio dentro la sua tazza, senza mandar giù nulla, quasi certamente priva di ogni appetito a causa della situazione.
Dal canto di sua madre, Eleonor, sospira alzando le spalle senza smettere di lavare i piatti. Che forse dare tutti i servizi a Luke, l'annoierebbe.
«Amira, tesoro, perché non provi ad accettarlo? Ha già potato tutte le aiuole, lavato i panni, stirato le camice di tuo padre, riparato la porta e porterà anche Edward e Tyson a scuola, oggi» ha già fatto tutto questo? Ma sono solo le sette del mattino, pensa Amira.
«Sono matti, gli hanno dato un nome mamma! Un nome da umano! Lui non lo è affatto!»
«Adesso basta Amira, l'offendi!» Scott, nonché capo famiglia, approda nella stanza. Ripiega il giornale posizionandolo sotto l'ascella e poi si siede accanto ai suoi figli, non prima di aver dato loro un'amorevole pacca in testa.
Ed Amira lo guarda, suo padre, che probabilmente ha perso anche lui la ragione. Come può, un essere – che nonostante non si veda è pur sempre pieno di ingranaggi e metallo – privo di vita, avere un nome da umano? E' inammissibile.
«Non ha sentimenti papà, non può offendersi» tecnicamente è così, perché non ha un cuore ed è solo programmato per alleviare gli affanni della vita. Sbrigare faccende, intrattenere, occuparsi dei lavori più pesanti, riparare. Insomma tutto può fare, tranne che offendersi, diavolo!
Amira vorrebbe spiegarlo ulteriormente, ma si blocca nel momento in cui l'osserva scendere le scale, con le braccia piene di vestiti sporchi.
E più lo guarda più lo detesta, lei, consapevole che i suoi genitori gli stiano dando troppe attenzioni. Ad un coso privo di vita, poi, uno stupido ammasso di ingranaggi.
«Oh, ehi Luke vieni un po' qua!» lo richiama Scott. E questi annuisce, nonostante abbia le braccia piene di roba sporca da lavare.
«Mi piacerebbe tu accompagnassi anche Amira, a scuola, se per te non – »
«Cosa? Papà ma tu sei fuori! Non penserai che mi lasci accompagnare da un robot! E' assurdo è la risposta è NO!» urla. Si alza dalla tavola senza aver ultimato la sua colazione, oramai la fame è passata già da un pezzo.
Percorre nuovamente le scale, abbandonando la famiglia al dolce ozio mattutino, e poi si rifugia nella sua stanza, almeno per quei dieci minuti restanti prima di andarsene a scuola.
Si veste, sistema la tracolla – infilando i libri della giornata – si guarda allo specchio sistemandosi approssimativamente i capelli scuri e poi mette un filo di lucidalabbra sulle sue mezzelune piccole.
Soddisfatta, ripercorre le scale, dove tutti stanno ancora consumando la colazione.
«Sto andando a scuola» ringhia.
«Tesoro fatti accompagnare da – »
«No, mamma, no!» esclama lei, totalmente frustrata. Issa meglio la tracolla e poi, con occhi furenti, da un'ultima occhiata alla famiglia.
Luke è sempre sorridente, che la guarda con i suoi immensi occhi azzurri più del mare.
«Buona giornata, miss!»
«Va' al diavolo!» sbotta, sbattendosi la porta dietro le spalle.

La giornata fuori da casa potrebbe anche essere accettabile.
Gli uccelli cantano sugli alberi, le macchine popolano la strada, i negozi sono aperti, i saldi affissi ai vetri, ed un via vai sconsiderato di gente che pensa ai fatti suoi. Tutto nella norma, se non fosse per Josh che, ancora, non la chiama.
Amira fissa il cellulare che tanto ormai non vibra, né squilla più. Se ne sta impalata alla fermata del bus in attesa di quest'ultimo per andare a scuola, ed è strano come, ormai, la situazione sia degenerata.
Prima il suo desiderio era quello che il bus saltasse le corse, un po' per rimanere incollata alla cornetta del cellulare, a parlare con Josh, ed un po' perché a lei la scuola non piace. In entrambi i casi il suo ragazzo prevaleva comunque.
Ora invece è diverso, con la solitudine che si moltiplica nel petto, sul cellulare che non squilla, e nella città di Sydney completamente affollata da gente che pensa per sé.
Intasca nuovamente l'aggeggio attendendo il mezzo che, per sua fortuna – o sfortuna – arriva dopo una ventina di minuti.
A scuola è un vero caos, con via vai di ragazzini del nuovo anno e puttanelle che sfoggiano gambe lunghe come colli di giraffa.
Amira si avvicina al suo armadietto, posa i libri al suo interno e, subito dopo, due mani le si parano davanti, tappandole gli occhi.
«Indovina un po' chi è?» sospira, lei, 'ché probabilmente riconoscerebbe quella voce anche in mezzo ad una marea di gente che urla.
Sfila delicatamente le mani dal suo viso e poi si volta, accennando un sorriso.
Calum Hood, nonché suo migliore amico, sorride smagliante. Quella dentatura perfetta e quei occhi ridotti a due piccole fessure che luccicano più di stelle.
Amira gli allaccia le braccia al collo, e lui affonda il viso tra i suoi capelli, inspirando a pieni polmoni il suo buon profumo.
«Cal, che bello vederti» esprime. Probabilmente l'unica cosa positiva della giornata, il ragazzo.
E non appena l'abbraccio cessa, Calum si concede qualche istante per perdersi negli occhi color cioccolato di Amira, sempre così piena di vita, ma non ultimamente. 'Ché lui conosce Josh e ciò che sta succedendo, ma di dirglielo ancora proprio non ha voglia. La vede già stressata di suo, aspetterà qualche giorno, o forse due.
«Ehi, come stai?» chiede, sistemando poi i propri libri nell'armadietto accanto a quello di Amira.
Questa sospira, poggiandosi al metallo dello stipo, incrocia le braccia e sbuffa.
«Domanda di riserva?»D'altronde come dovrebbe andare? Già quello è il peggio.
«Non credo ce ne sia una, allora?»
«Non so cosa succeda tra me e Josh, dico davvero. Insomma non ho fatto nulla per suscitare in lui questo strano comportamento, visto che sei amico di Josh, potresti spiegarmi che gli prende?» il moro serra la mascella, stringe i pugni e cammina spedito per recarsi alla stanza delle lezioni.
«Io e Josh non siamo più, amici» spiega, cercando di reprimere rabbia e disprezzo.
A quelle parole, Amira storce il naso perché Josh e Calum sono sempre stati amici, sono sempre stati migliori amici il che è diverso.
«Che cosa? E come mai?» chiede, perché in fondo a lei importa del suo amico, ci tiene davvero a Calum considerando ch'è un'ancora forte a cui aggrapparsi. Un' appiglio che difficilmente si smuove, nonostante il vento delle delusioni soffia impetuoso sulla sua vita.
«Non è più il Josh di prima, è cambiato e a me... non piace più» le parole di lui, le fanno capire che Josh non è cambiato solo con lei, che c'è qualcosa di losco, nascosto nei meandri della sua persona. E lei si chiede perché non confidarsi con amici e fidanzata, potrebbero almeno provare ad aiutarlo.
«Mh, lo so bene. Mi manca quello che eravamo, Cal, mi manca tanto» e Calum lo sa. Del sesso a fine settimana, dell'amore che sbiadisce come una vecchia foto ingiallita dal tempo, sa dei sentimenti forti di Amira e quelli di Josh, che purtroppo si stanno affievolendo, spegnendo come un fiammifero giunto alla fine. Calum sa tutto, perché Amira ormai gli racconta ogni cosa, e ad ogni modo lei è un libro aperto per lui, che sa leggere bene le pagine di vita della ragazza.
Non gli sfugge nulla, bella o brutta cosa che sia.
Una volta arrivati nella stanza della lezione – che si rivela filosofia – si siedono insieme, Amira sfila il cellulare e da una rapida occhiata allo schermo che non accenna nessuna novità.
«Smettila di guardare lo schermo Ammy, tanto non ti chiamerà» e lei sospira, perché forse un po' lo sa, ma la speranza è l'ultima a morire.
«Vorrei sapere cosa succede, dove ho sbagliato e cosa devo fare per farmi amare come un tempo»
«Semplicemente molte cose non rimangono belle per sempre, lo sai» dice lui, stringendo i pugni.
«Già, lo so. Ti va di passare a casa mia oggi? Magari facciamo i compiti insieme» perché tanto lo sa che con Josh non uscirà, e probabilmente nemmeno si sentiranno. Calum è l'unica certezza, l'unica cosa bella in un mondo di sbagli e pregiudizi.
E lui sorride, perché mai volterebbe le spalle ad Amira, forse troppo affezionato. Le da una lieve pacca sulla spalla e poi annuisce.
E va bene così, poi tornano al silenzio non appena la Smith entra in classe per spiegare la lezione giornaliera.
Con la sua voce gracchiante e con la stupida filosofia che tanto nessuno ricorderà nella vita, una volta usciti da quelle quattro mura infernali. Nemmeno Amira, che di filosofia nella sua vita ne ha davvero bisogno.
Alle undici, finalmente, la campanella trilla forte rimbombando nei timpani degli studenti. E' un attimo ed Amira, Calum e tutti gli altri ragazzi della classe si precipitano fuori, andando al bar per fare uno spuntino. Più che altro non è tanto per la fame, quanto per distrarsi sia dalla scuola che da Josh, almeno per Amira.
«Prendiamo un frappè, che dici?» chiede il moro, facendosi largo nell'orda di studenti. Amira annuisce, lo segue e sospira. Perché oggi, almeno per lei, la giornata non è delle migliori.
Si appartano, poi, in un tavolino del bar scolastico, e finalmente sorseggiano il loro frappè alla fragola.
«Mi aiuti oggi con biologia? Non ho capito alcuni capitoli» Amira gira e rigira più volte la cannuccia trasparente dentro il bicchiere lungo di vetro, gli occhi vacui di chi non si preoccupa realmente dell'andazzo scolastico, non in quel momento, almeno.
«E me lo chiedi? Certo che sì, scema» lei è grata a Calum, molto. L'ha sempre aiutata, e non solo scolasticamente parlando.
Poggia una mano pallida nel braccio di lui, carezzandolo dolcemente, abbozzando un lieve sorriso smorto. Ma tutto finisce nel momento in cui Josh entra nel bar, seguito dalla sua cerchia di amici tra cui c'è anche Michael, lo spocchioso riccone figlio di papà. A lei proprio non va giù, come una pillola senza film.
«Ammy, tesoro!» Josh afferra il resto di un caffè appena pagato, lo intasca e poi si dirige verso loro, «Guarda, c'è pure Hood, che piacevole sorpresa» quanto sia piacevole, poi, questo ancora non si sa.
Calum stringe i pugni, ormai Josh è cambiato troppo con il suo fare altezzoso di chi non si abbassa alla plebe, frena l'istinto di picchiarlo e lo fa solo per la sua migliore amica.
«Josh...» sospira, lei, con pupille che si dilatano alla vista del proprio amato. Il cuore palpita forte.
«Che stavi facendo?» Josh guarda Calum con fare sprezzante, perché prima erano amici mentre adesso Hood ha deciso di darci un taglio con la sua comitiva, non appena ha saputo quella cosa.
«In realtà stavamo rientrando, vieni Ammy» il moro afferra da un braccio Amira, che ormai non capisce più quello che passa nella testa del suo amico. Guarda il suo ragazzo ridere, forse di lei o magari di Calum: continua a non capirlo.
«No, aspetta Calum io devo – »
«No, Amira, andiamo. E' meglio» il meglio di Calum, è strano. E' una cosa da fuggitivi.
Il moro l'ha portata in una stanza vuota, una classe vecchia e quasi certamente dimenticata. Il tanfo di polvere e muffa pizzica le narici di Amira, che intanto si stringe nelle spalle guardandosi intorno.
«Che ti è preso Calum? Me lo spieghi?»
«Ascolta, un giorno mi ringrazierai. Certo non so fino a quanto, ma mi ringrazierai, credimi. Amira lo sai anche tu che Josh non fa per te, non più. Ma quando ti decidi a lasciarlo? Quando?» stringe i pugni, Calum, lottando contro se stesso per frenare l'istinto di dirle la verità, quello che Josh nasconde. E lo fa solo per lei, per il sorriso che ormai non vede più sulle sue labbra, per quei occhi tristi e vuoti come il fondo di una bottiglia. Lo fa solo per lei, che il suo bene va oltre i limiti. Solo per lei.
«Magari è solo un periodo. Ma io non voglio lasciarlo, Calum, lo amo!»
«E tu sei sicura che lui ami te?!» sbotta lui, le unghie che si conficcano nei palmi, le nocche sbiancate del tutto.
Gli occhi di Amira s'accendono di luce propria, gemme che imperlano il suo pallore del viso.
«C – Che stai dicendo? Certo che mi ama!»
«Andiamo, vieni, prendiamo le nostre cose e poi andiamo a fare geometria analitica, non parliamone più» che forse è meglio, vorrebbe aggiungere. Ma non lo fa. Perché è già abbastanza doloroso vederla in quello stato, anche solo provando ad accennare la verità gli occhi di Amira si sono fatti smeraldini, rugiada pronta a bagnare la pelle. E forse non è ancora pronta, probabilmente no.
Cercherà di farla ridere un po', almeno ci proverà quel pomeriggio.
 
SBAAAAAAAAAM

Bimbi miei belli, eccomi! ç__ç
Come vi pare la storia? Io, tecnicamente, mi ci sto impegnando tanto. Anche
perché non ho mai valutato le science-fiction e dunque è la prima volta, però
ci provo, ecco! E spero a voi possa piacere. Diciamo che questo capitolo è
un po' così, di passaggio. Perché ci tenevo a farvi conoscere un po' la vita
di Amira, tra casa e scuola. E poi qui conosciamo Calum, che è il suo
migliore amico. u.u Lui ad Amira ci tiene tantissimo, che carino ç__ç
Purtroppo Ottocent - Luke (Altrimenti Edward e Tyson mi spennano
come una gallina u.u) non appare tantissimo in questo capitolo, ma prometto
che i seguiti saranno più movimentati grazie al nostro bel robottino ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo tantissimo al parere dei lettori!
Grazie per essere arrivati sin qui! Un bacione ed alla prossima.


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ira ***


 
Ira.



 
«Amira, tesoro, com'è andata la giornata?» Eleonor è seduta sul divano, intenta a fare zapping con il telecomando. Da quando quel coso è arrivato in casa, la sua vita sta cambiando. Troppo sedentarietà.
Amira poggia la tracolla per terra, sfilandosi il giubetto primaverile, ed infine sbuffa dirigendosi verso il frigo per bere un po' di aranciata.
«Bene, bene, ma quando si mangia? Ho fame!» che in effetti sono le due, ed a lei piacerebbe sgranocchiare qualcosa.
Ma dal canto di sua madre non c'è nessuna risposta, intenta a ridacchiare per qualche scenetta di sit-com americana. Roba da pazzi che a quarant'anni perde tempo ancora con quelle stronzate!
Delusa, forse da troppe cose, percorre le scale per salire in camera, mentre sente un gran frastuono provenire dalla stanza accanto di Tyson ed Edward.
Spalanca la porta, trovandoli intenti a giocare «Si può sapere perché state facendo tutto questo baccano?» è furiosa, Amira, che almeno a casa gradirebbe un po' di pace.
Edward si alza dal tappeto, corre verso lei e l'abbraccia e dunque le si scioglie il cuore come neve al sole, come cioccolata su di un pentolino.
«Sorellona!» esclama il bambino, forse abbastanza felice. Tyson, invece, continua a giocare, perché Amira è strana e non la sopporta tanto. La cosa è reciproca.
«Tesoro, è andata bene la tua giornata?» chiede lei, nella speranza di una risposta positiva.
Lui annuisce felice, poi torna a giocare ed Amira li lascia ai suoi svaghi da bambini, perché è bello pensare che ad un'età simile l'unica fissazione siano le macchinine o i puzzle.
Si reca, dunque, nella sua stanza, ma la porta è già spalancata. Stringe i pugni e trattiene i nervi quando, al suo interno, lo vede.
«Si può sapere cosa diavolo stai facendo?» perché lei non lo chiamerà Luke, è un robot, non un umano. Per lei sarà sempre Ottocentodiciannove.
«Buongiorno Miss, com'è andata a scuola?» lei inarca un sopracciglio, guardandolo incredula. Tecnicamente lui non dovrebbe fare quelle domande, perché è meccanico, non è stato programmato per interessi di cose mondane, cose da umani.
Si siede nel letto, incrocia le gambe a mo' d'indiano e lo fissa.
«Come mai questa domanda?» chiede, ancor più curiosa della risposta.
Luke sbatte le palpebre, accenna un sorriso e la guarda. I suoi occhi blu persi in quelli smeraldo di lei.
«Madam mi ha detto che è segno di una buona educazione chiedere sulla giornata, ed io voglio essere... rispettoso nei suoi confronti, Miss» delucida, che da quando è lì sembra essere attratto dal mondo degli umani. Dagli atteggiamenti che assumono e da tutto ciò che fanno, si è permesso di osservarli in tutte le loro sfaccettature, e gli piacciono.
«Si dice educato nei suoi confronti, comunque capisco. E cosa ci stavi facendo, esattamente nella mia stanza?» che non si beve quella palla, anche se fosse vera. Poteva chiederglielo quando si sarebbero visti in giro per casa. Perché ad Amira non piace quando invadono il suo territorio, è pur sempre la camera di una ragazza.
«Stavo riparando il suo attaccapanni, quello dietro la finestra. In più il suo armadio cigola, dunque mi sono permesso di ripararlo, Miss»
«Mh, va bene, adesso puoi andare» si tuffa all'indietro, abbandonando pensieri e voglia di parlare, osserva il soffitto cosparso da chiazze grige, mentre sbuffa sonoramente.
Ma Ottocentodiciannove non l'ascolta, i suoi occhi la fissano ancora, non sbatte le palpebre e dentro se attua una delle tante scansioni.
Nell'elaborato si è permesso di scansionare le sensazioni di Amira, e purtroppo lui le nota. Lei sembra...triste, turbata da qualcosa.
E' una cosa nuova per lui, perché ha sempre visto Tyson ed Edward essere felici giocando con le macchinine, e si chiede perché Amira non lo faccia, potrebbe trovarla lì, la felicità.
«Miss?»
«Non vedi che sono stanca? Voglio riposare...» gli da le spalle, chiudendo gli occhi concentrandosi sul vuoto, nella speranza che le palpebre diventino pesanti, come macigni, e si chiudano per lasciarla riposare.
«La Miss è triste, non è così?» a quelle parole lei sbarra gli occhi, si mette seduta sul letto e fissa Luke, incredula. Sebbene le dia fastidio tutto quello, desidererebbe almeno un po' di privacy, soprattutto in quelle circostanze.
«Non dovrebbe importarti, devi limitarti a fare il tuo lavoro. Chiaro? Ai fatti miei ci penso io!» ringhia, la sua idea si rafforza ulteriormente: non lo sopporta.
Lui continua a fissarla, però, perché anche gli occhi di Amira sono belli, forse simili ai suoi e... perché comincia a pensare quelle cose?
«Miss, ha forse bisogno di una macchinina?» però questa volta Amira sorride amaramente, scuotendo il capo.
Perché lo sa, che Ottocentodiciannove ha conosciuto la felicità di Tyson ed Edward però la loro è facilmente reperibile con qualche gioco, la sua non più.
«Sto bene così, ti prego va' via»
«Come desidera, Miss» ed una volta abbandonata la stanza, Amira sprofonda in un pianto isterico. Lacrime amare di chi l'amore non l'aveva valutato così, né letto nei libri né visto nei film. E piange per Josh e per il loro rapporto cambiato, per il sesso squallido di fine settimana che ormai è più obbligo ed abitudine che qualcosa di piacevole, piange per Calum che probabilmente sa qualcosa tenendola all'oscuro.
Piange, perché può fare solo quello. Piangere di nascosto, però, perché non vuole rovinarsi l'aria da dura che si è costruita durante gli anni.
Poi tutto si fa buio, e finalmente Morfeo la prende con se.

Quando apre gli occhi, sono le quattro del pomeriggio. Velocemente si alza dal letto, dirigendosi allo specchio. Ha una brutta cera, e le guance sono incrostate di lacrime, il trucco ormai è andato, sparso un po' sul viso ed un po' sul cuscino.
Sfila la maglia ma, nel momento in cui sta per afferrarne un'altra, la porta si spalanca.
La privacy ormai non è più di casa.
«Ehi, diavolo! Mia madre non ti ha ancora spiegato che prima di aprire la stanza devi bussare?» il volto di Amira va in fiamme, sente le guance prendere fuoco. Perché, nonostante tutto, lui è pur sempre un ragazzo e lei è pur sempre in reggiseno.
«Sono mortificato, Miss» china il capo in segno di scuse, ma lei lo trascina dentro rendendosi conto che lui è privo di ormoni e ghiandole, probabilmente nemmeno si eccita.
«Cosa c'è adesso?» chiede, mentre rovista nell'armadio per cercare una possibile maglia pulita. Alla fine opta per una canotta nera, sgualcita e logorata dal tempo. Allaccia i capelli in una coda alta ma pur sempre sfilacciata e poi comincia a sistemare la stanza.
«Volevo sapere se...» Ottocentodiciannove sta per dire che sì, stranamente si è “preoccupato” o forse sarebbe meglio dire turbato riguardo a prima, ma la porta distrae il suo momento, ed Amira si fionda ad aprire, consapevole di chi sia.
Calum sotto braccio tiene due o tre libri, Amira gli allaccia le braccia al collo felice, mentre Luke se ne sta fermo ad osservare, o magari scansionare.
«Cal!»
«Ammy, come va adesso?» chiede, perché gli importa maledettamente troppo di lei, è pur sempre la sua migliore amica. Lei sorride, poggia le labbra sulle sue guance in un caldo bacio affettuoso.
Ed ancora Luke scansiona il gesto, immagazzinandolo nella sua mente robotica.
Calum, però, lo nota, inarca le sopracciglia «Non mi avevi detto che avevi visite» perché lui ancora non sa del nuovo arrivo in casa Walker.
Amira rotea gli occhi, sbuffa ed abbandona l'abbraccio, andandosi a sedere a centro del letto.
«E' l'androide dei miei» Calum si avvicina a quest'ultimo, a differenza di Amira a lui piace, gli porge una mano e sorride.
«Che forza, megagalattico!» però Luke non sa cosa fare, osserva la mano del ragazzo e poi fissa Amira.
«Devi stringerla, babbeo!» lo informa.
E allora questi lo fa, stringendo l'organo tattile forse con troppa forza, Calum riesce a liberarsi della presa, borbottando un po' «Diavolo, amico, hai una bella presa. Sono Calum, comunque»
«Sono Luke, lieto di – »
«Ottocentodiciannove, lasciaci soli!» Luke si volta, sbatte le palpebre più volte e poi annuisce, inchinandosi davanti a Calum che lo guarda entusiasta.
L'androide abbandona la stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
«Non mi avevi detto che la tua famiglia ne avesse acquistato uno» perché il moro ancora non ha avuto la possibilità di comprarne uno, la sua famiglia – nonostante non sia ridotta al lastrico – ancora non può permetterselo.
«E' stata un'idea di mio padre, per me sono soldi inutili. Alla fine mia madre non fa più nulla, ci pensa solo Ottocentodiciannove, non gioca più nemmeno con i miei fratelli, capisci?» lui annuisce, ma comunque non è arrabbiato come lei. A lui piace la tecnologia, ed i robot sono l'ultima invenzione migliore di sempre.
«Vedila così, non dovete sbattervi per tante cose, no?» sinceramente Amira non la vede così, perché sbattersi per tante cose, come dice Calum, potrebbe distrarla dalla sua vita che sta cambiando. Da Josh ch'è assente, distante, disperso in chissà quale altra dimensione.
«Allora? Credo perderemo un bel po' di tempo, considerando che i capitoli sono molti» e Calum annuisce, perché dai calcoli fatti dovrebbero stare sui libri almeno per buona metà del pomeriggio, l'amica deve recuperare tante cose.
«Sì, hai ragione, cominciamo» Amira prende i libri dalla mensola poi torna a sedersi sul letto, accanto a Calum, ed i pensieri sulla biologia prendono il soprassalto contro quelli impetuosi di Josh.

«Luke, puoi passarmi quel martello?» soffia Scott, mentre asciuga la sua fronte colma di sudore, ispezionando meglio il suo lavoro.
Il robot annuisce, si avvicina all'altro tavolo colmo di cianfrusaglie ed afferra un martello, tornando dal suo padrone.
«Ecco, signore» poi torna a guardarlo. Fissa come l'uomo intaglia e martella sulla sua nuova scultura, un piccolo busto di legno che raffigura il presidente. A Scott, nel tempo libero, è sempre piaciuto dedicarsi all'arte dell'intaglio, considerandolo costruttivo e sicuramente piacevole.
Col tempo i suoi intagli hanno preso valore, vendute a tantissime persone che ne sono sempre rimaste affascinate, compresi i vicini spocchiosi ed antipatici.
La stanza, o ancor meglio sarebbe dire il Laboratorio, è un garage trasandato pieno di polvere, arricchito da tavoli pieni di aggeggi e ceppi non lavorati. Ama starsene nel suo Laboratorio, perché lì nessuno può disturbarlo, nessuno può parlare, gridare, girare con macchinine ed aeroplanini e soprattutto guardare stupide ed insulse sit-com americane. Semplicemente è solo suo, quel piccolo posto, migliore di qualsiasi Oasi.
«Vedi, Luke, è molto semplice imparare. In più adoro passare così il tempo, perché nessuno mi rompe le scatole, e soprattutto posso dedicarmi a qualcosa che mi piace fare» e l'umanoide annuisce, il suo sguardo vacuo quasi come fosse in trance, mentre fissa la perfezione del suo padrone rivolta verso la scultura.
«E molto bravo, signore» afferma.
«Tempo, passione e dedizione Luke, tempo, passione e dedizione. Ci sono voluti anni per imparare anche a fare un misero taglio. La costanza, Luke, la costanza. Ci vuole molta costanza» e Luke annuisce, perché grazie alla costanza il signor Walker riesce a realizzare sculture meravigliose, a detta sua.
Costanza.
«Costanza, signore?»
«Costanza, Luke. Quando qualcuno persevera, continuità di una caratteristica, capisci cosa intendo?» dice, mentre incava il coltelletto sul viso della scultura per creare gli occhi.
«Capisco, signore» ed ora, per lui, la costanza è il signor Walker perché continua a credere sul suo lavoro da scultore, praticato nel tempo libero. Costanza è Scott Walker,che pur troppo indaffarato non si arrende, continua a praticare quello che più gli piace fare.
«Vedo che impari molto in fretta» ribatte l'uomo. Effettivamente, deve ammettere che questi androidi sono parecchio all'avanguardia.
«Il mio database è ben fornito, Signore»
«Lo credo bene, la Department si fa pagare abbastanza ma non fallisce in nessuna cosa che crea e produce, sa il fatto suo» e se Luke avesse sentimenti, il suo petto si riempirebbe di orgoglio nel preciso istante in cui Scott pronuncia quella frase.
«Signore, ha ancora bisogno di me?» chiede l'automa, perché forse comincia a sentirsi stanco.
Le pupille che si dilatano velocemente, poi che tornano alla misura normale, ed il gesto si ripete, quasi come se stesse andando in corto circuito da un momento all'altro.
Scott alza il viso, interrompendo il suo lavoro, «Qualcosa non va, Luke?»
«La mia batteria, signore, segna l'8% credo che io debba – e s'interrompe, la sua voce che muta, ingrossandosi – che io debba...»
«Va' pure a caricarti, Luke, ci vediamo tra un po'» e detto questo Scott torna al suo intaglio, mentre l'umanoide, a passo lento e con tic metallici da per tutto, sale nuovamente le scale, abbondando il seminterrato per recarsi nello sgabuzzino dove si caricherà grazie alla presa della corrente.


«Oddio ti prego, facciamo una pausa!» Amira è esausta. Sono passati solo tre quarti d'ora da quando lei e Calum hanno cominciato biologia, ma giura che il suo cervello è più fuso del formaggio.
Calum si acciglia, incrocia le braccia al petto e sbuffa, «Ammy, non andiamo da nessuna parte così, abbiamo solo fatto sei pagine e già sei stanca»
«Ehi, per me non è ripasso! E' come se tu stessi parlando un'altra lingua, mica ti capisco!» perché in effetti per Amira la biologia è un'incognita, non l'ha mai capita e nemmeno apprezzata. Sbotta indispettita, forse da Josh che non la chiama o magari a causa della materia, si rotola sul letto mentre i capelli s'incollano al viso.
E Calum sorride, stendendosi al suo fianco, smette i suoi rimbrotti verso l'amica e sospira, scuotendo il capo. Non riesce mai a dirle di no.
«Hai vinto, hai vinto, prendiamoci cinque minuti di pausa»
«Possiamo fare quindici?» chiede lei, speranzosa di un sì.
«Dieci, non un minuto in più, non uno in meno» e per lei va bene così.
Alza le braccia verso il soffitto, e Calum fa lo stesso, andando poi ad intrecciare le dita con quelle di Amira, perché sono perfette insieme, le loro mani.
Il colore della pelle di lui, è come quello di lei: ambrato.
Amira sorride, perché su Calum può sempre contare in qualsiasi cosa. Che sia per sfogarsi, per recuperare qualche materia ed anche per uscire insieme. Semplicemente è un buon amico, di quelli che si trovano raramente. Si ritiene fortunata, almeno in quel contesto.
«Grazie Cal, fai sempre tanto per me» dice poi, mettendosi su di un fianco per guardarlo meglio, le mani sempre strette ed unite come cordame di una nave.
«Non tutto, purtroppo» s'acciglia, lui, perdendosi negli occhi della ragazza. Vorrebbe fare di più, tipo allontanarla da Josh, perché non è più lui, non è più il suo lui.
Ed è frustrante sapere la verità ma non poterla dire, consapevole del male che porterebbe. Le tristi verità, sono un po' per tutti, ed Amira dovrà fronteggiarne una abbastanza grossa, eppure non vorrebbe essere lui a lanciare quella bomba, perché non è giusto e perché Josh dovrebbe avere le palle per affrontare la cosa, da uomo vero e maturo che continua a credersi, ma che comunque non è.
«E invece sì, fai moltissimo per me» lo riprende lei, schioccandole un dolce bacio sulla fronte.
«Su, torniamo a studiare» Calum si alza dal materasso, tirandosi con se Amira, che sbotta e sbuffa insoddisfatta del poco tempo a disposizione.
Poi tornano ad incollare gli occhi sui libri, e gli argomenti scolastici prendono di nuovo la meglio su tutto.
«Lascerò la materia, quest'anno» la determinazione e la voglia di recuperare, cominciano a svanire, perché sul serio crede che non ce la farà. Non può farcela a prescindere perché nella sua mente ci sono tantissimi altri pensieri, come l'amore ormai mutato tra lei ed il suo ragazzo.
Calum mordicchia la matita tra i denti, increspando le sopracciglia, poi incrocia le braccia al petto e la guarda con fare scocciato, quasi si vedono le vene che pulsano a causa dell'ira repressa «Ammy non mi piaci così, devi darci un taglio, dannazione. Non puoi pensare a Josh tutto il tempo!»
Ad Amira cominciano a dare fastidio, però, tutti quei rimproveri da parte di Calum, perché lui più che mai dovrebbe capire che non è facile, né dimenticare né provare a pensare ad altro. Non è assolutamente facile, e men che mai vorrebbe sentirsi dire quelle cose più di una volta.
Così si alza dal letto, stando attenda a non inciampare, stringe i pugni e lo guarda «Smettila Calum, smettila! Dovresti capirlo che soffro! Che non è facile dimenticare quello che eravamo e quello che, invece, siamo adesso! Parli così perché tu non ce l'hai, una ragazza» e quelle parole arrivano dritte nel cuore di Calum, si fanno largo dentro di lui e roteano come lame di coltelli infilzate e rigirate continuamente. Perché Amira non lo capisce che lui a lei ci tiene tantissimo e che, nonostante sia solo uno stupido migliore amico, prova sempre a non farle pesare la cosa.
Si alza dal letto, afferrando i libri mettendoseli sotto braccio «Ah, no eh? Cercavo solo di aiutare, ma oggi sei più acida di uno yogurt scaduto, Amira!»
«Che cosa hai detto?» e lei quella frase non se l'aspettava proprio, l'ha ferita.
«Che sei più acida di uno yogurt, non ti sopporto Amira!» e dicendo così va via, aprendo la porta e scendendo le scale. Di certo non l'aiuterà in biologia e nemmeno proverà a tirarle su il morale, e questo è quanto.
Saluta la signora Walker e poi torna a casa sua, lasciandola alla sua testardaggine.
Ed Amira ora piange, perché sa di essere una cogliona. Stesa nel suo letto, stringe i pugni e singhiozza, non può fare altro.
Josh sta rovinando tutto, sia la relazione che la splendida amicizia con Calum.
 
SBAAAAAAAAAM

Bimbiiiiii!
Morgana alla carica, yeah! (Morgana vai via, daje)
A dire il vero non pensavo di postare così presto,
cioè il capitolo lo avevo pronto già da un bel po' però
ero parecchio indecisa se pubblicarlo ora o magari più
avanti. In ogni caso spero di non avervi delusi.
Purtroppo Calum si è parecchio adirato con Amira
e posso anche capirlo, però non c'è da biasimare
la povera Amira ç__ç
Luke scarico mi ha fatto tenerezza, hahaha piccino!
Fatemi sapere cosa ne pensato, mi piace tanto scambiare
quattro chiacchiere con voi, siete la gioia di Morgana ç__ç
Un bacione ed al prossimo capitolo!


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Dolore ***


 
Dolore.


 
Luke apre gli occhi, mentre la la spioncina sul lato sinistro del suo petto comincia a luccicare di un verde pastello.
Il signor Walker sfila la presa dalla corrente, ed accenna un sorriso: è carico.
L'androide avanza, abbandonando la sua postazione vicino al muro, in piedi, che l'ha tenuto immobile per almeno dodici ore, o forse più, di certo non può ricordarlo.
Spalanca gli occhi, mentre scansiona la stanza in cui si trova, all'apparenza un po' trasandata e sporca.
Scatoloni ricoperti di polvere da per tutto, una bici vecchia, racchetta da tennis appoggiata al muro di fronte a lui, attrezzi per il giardinaggio ed anche un remo da canoa.
Luke scansiona ogni cosa, senza farsi sfuggire nulla, cercando di collocare ogni oggetto ad il corrispettivo nome.
«Buongiorno, Luke» il signor Walker lo distrae dal suo lavoro. Lui gira di poco il capo, sbatte le palpebre due volte e poi accenna un flebile sorriso.
«Buongiorno, signore» e si sente rigenerato, adesso ch'è carico.
Segue il suo padrone, uscendo dalla stanza, ritrovandosi in uno stretto corridoio pieno di porte, probabilmente in ognuna di essa ci saranno le stanze dei suoi proprietari, più piccoli o grandi che siano.
Scott cammina davanti a lui, fiero e solare come non mai «Oggi verrai a lavoro con me, ho del materiale abbastanza pesante da portare, forse non te l'ho detto ma porto marmi pregiati che servono alla fabbricazione di tavoli da collezione ed anche intere sculture, lavoro per conto di una ditta parecchio nota. Nel tuo manuale d'uso ho letto che puoi sollevare parecchie tonnellate, dunque farai al caso mio» spiega, e l'umanoide lo sta a sentire.
«Verrò volentieri con lei, signore» poi entrambi si accomodano nelle sedie, in cucina, mentre la signora Walker prepara la colazione.
Per Luke è strano quel silenzio, senza Tyson ed Edward che gironzolano per casa, e Scott pare intuirlo ancor prima di sentirlo parlare.
«Jessy, una vicina, è venuta a prendere i bambini per portarli a scuola. Ho spiegato loro che oggi non potevi proprio, tu, dunque ho cercato un sostituto» spiega l'uomo, mentre davanti ai suoi occhi è finalmente arrivata la colazione che comprende uova strapazzate, bacon e salsa piccante. Una bomba mattutina, insomma.
Per quanto riguarda Luke, lui di certo non tocca cibo ma si accomoda comunque per intrattenere i suoi proprietari.
La signora Walker si siede subito dopo finito di preparare la sua colazione, «Luke, gentilmente, potresti tagliare delle fette di pane?» e lui annuisce, si munisce di coltello e ben presto taglia varie fette perfette tra di loro, come se avesse un righello per misurarle.
Poi le ripone davanti la signora, comincia a fissarli senza sbatter ciglio, ma poi è costretto ad interrompere il contatto visivo quando sente qualcosa alla sua destra.
Perché il suo udito è altamente sviluppato, riuscirebbe a sentire anche il più minimo rumore.
Volta il capo e lei è lì, con occhi rossi e gonfi, i capelli arruffati e la camicia da notte rosa che ricopre il suo gracile corpo.
Amira oggi non sembra in forma, e non serve un cervello umano per capirlo, perché Luke ci è arrivato da solo.
«Amira, tesoro, buongiorno!» sua madre la guarda preoccupata, mentre inclina di poco il capo per osservarla meglio. Cerca di cogliere quel lato che sua figlia non vuole mostrare, ma non riesce a ricavare la risposta alle sue domande.
Amira si accomoda nella sedia di fronte a Luke, senza alzare il capo, si stringe tra le braccia e si mordicchia le labbra.
«Dormito male?» chiede suo padre, forse curioso quanto la madre. Ed Amira non ha voglia di parlarne, la sua unica risposta è un sospiro, poi alza le spalle in segno di resa.
«Buongiorno Miss» ma per Amira non è giornata, ed Ottocentodiciannove potrebbe solo rovinargliela ulteriormente. Lo fissa con disprezzo, poi distoglie lo sguardo non appena si rende conto quanto lucenti siano le sue iridi.
Sono finte, inutile perdere tempo a fissarle, pensa subito dopo.
Se ne sta immobile, Amira, a fissare la vita che ruota comunque che lei sia felice o no, che sia contenta di come stanno andando le cose o triste. La vita gira, e di certo non l'aspetta, ruota anche con l'amore rotto tra lei e Josh, senza alcuna distinzione. Non indietreggia nemmeno per attendere la rimpatriata tra lei e Calum, che per la cronaca le manca terribilmente.
Sua madre Eleonor probabilmente ha captato qualcosa, perché quando gli occhi di Amira s'incupiscono ulteriormente i motivi possono essere due soltanto. Che si tratti di Josh o Calum Hood, il suo migliore amico.
«Amira, che succede?» Eleonor è davvero preoccupata, desidererebbe più dialogo con sua figlia, ma questa scuote il capo e si alza dalla sedia, andandosi probabilmente a vestire per fronteggiare un'altra giornata asfissiante.
«Avrà litigato con il suo ragazzo, tesoro, non preoccuparti. E' normale alla sua età» Scott invece sembra curarsene poco e niente, alla fine è normale per lui.
Poi invece c'è Luke, che per quanto sprovvisto di sentimenti, a lui importa di Amira. Ed ancora non sa spiegarsi il perché.
Che si sia rotto?


I cancelli dell'Inferno si aprono alle otto e mezzo.
Amira entra a capo chino, facendosi largo tra gli studenti, dando lievi spallate riesce ad arrivare al suo armadietto.
Solitamente lei e Calum s'incontrano sempre lì, per prima, per scambiare quattro chiacchiere e farsi forza quando, purtroppo, hanno lezioni diverse.
Oggi invece sembra essere sparito, per di più il suo armadietto fa i capricci e di aprirsi proprio non ha voglia.
Sta per arrendersi quando una mano da dei lievi colpetti, e questo si sblocca aprendosi.
Amira si volta per scoprire il viso dell'aiutante, e quasi non sbocca quando vede uno della cricca del suo ragazzo, quello che più odia poi.
«Ciao dolcezza» Michael Clifford. Vent'anni, ripetente, ultimo anno. Sempre l'ultimo ma mai l'ultimo per davvero, considerando che l'ha già ripetuto due volte.
Lei rotea gli occhi, sbuffando, si stringe i libri al petto e cerca di andarsene, ma Michael la blocca, afferrandola dal braccio «Ehi, non mi ringrazi?» chiede, abbastanza infastidito ma al contempo anche parecchio eccitato. Per qualche perversa ragione a lui Amira piace.
«Non mi sembra di averti chiesto aiuto, o sbaglio?» e lei proprio non lo sopporta, Michael Clifford, perché è colpa sua se Josh è cambiato. E' lui a capo della comitiva orrenda di cui ormai ne fa parte, è colpa di Michael Clifford se il loro amore non è più lo stesso. Di cosa dovrebbe ringraziarlo?
«Andiamo bambola, che ho fatto per suscitare così tanto odio da parte tua?» esprime lui, poggiandosi all'armadietto di Calum, incrociando le braccia al petto.
Si morde il labbro, mentre la squadra, e la trova addirittura sexy in divisa scolastica.
«Sloggia Michael, oggi non è giornata!» perché davvero non lo è, di certo non sarà lui a migliorarla.
«Quanto mi ecciti quando fai così, Ammy» a quelle parole lei sgrana gli occhi, Michael ha perso l'unico briciolo di ragione che gli rimane, ammesso e concesso ne abbia avuta una, prima.
Ad ampie falcate si dirige alla classe della prima lezione, si accomoda al suo banco ed attende. Perché oggi lei e Calum hanno letteratura insieme, a prima ora.
Eppure lui ancora non è arrivato, la sua sedia non è occupata.
Quando la Harrison entra di gran carriera, l'umore di Amira si incupisce ulteriormente. Calum quasi certamente, ormai, non verrà.
«Un minuto di attenzione, prego, da oggi si unisce un altro studente alla lezione. Clifford prendi posto dove preferisci» perfetto, peggio di così non poteva andare, è l'unica cosa che Amira riesce a pensare.
Difatti Michael non perde tempo, ed appoggia la tracolla sul suo banco, prendendo posto al suo fianco.
«Ciao, tesoro» sussurra, vicino al lobo destro di lei, questa arriccia il naso, strizzando gli occhi.
Quel lurido verme di Michael vicino, segnerà la giornata come la peggiore di tutta la sua vita: che diavolo!
Non gli risponde, non sta al suo gioco, pensa semplicemente ad ascoltare una delle tante numerose lezioni della Harrison, che però oggi sono tremendamente interessanti.
Le manca Calum, vorrebbe tanto avercelo vicino, se solo si cucisse quella stramaledetta bocca ogni tanto, a quest'ora Michael non sarebbe seduto accanto a lei, con quello sguardo da strafottente, autoritario, egocentrico ed altezzoso, e con quella lurida mano viscida poggiata sulle sue cosce.
Dopo due ore stancanti di letteratura, la campana trilla segnando la pausa. Michael si alza dalla sedia, avvicinandosi alla finestra. Sfila una Chesterfield dal pacchetto rosso e la porta alle labbra, accendendola subito dopo.
Indignata dal suo comportamento, Amira si alza dirigendosi verso la porta. Non vuole rimanere un minuto di più con quel ragazzo, la sua mano viscida poggiata per due ore sulle sue cosce è bastata ed avanzata. Se solo Josh sapesse quello che le ha detto quella mattina.
Afferra i libri dal sottobanco, mentre Michael si concede di guardarle il culo sodo da sopra la gonna, ride ed espira grosse nuvole di fumo.
«Ehi, Walker, dove vai di tutta fretta?» chiede, senza smettere di fumare. Getta la cenere dalla finestra, con fare di chi non gli importa granché se qualcuno, da sotto, potesse passare da un momento all'altro.
«Sto andando via, e stai pur certo che dirò a Josh quello che mi ha detto questa mattina. Senza contare che la tua mano viscida mi ha palpeggiato la coscia per due ore di fila, vediamo ancora quanto ti sarà amico!»
Ma la reazione di Michael sconvolge Amira. Di fatti questo scoppia in una fragorosa risata, mentre residui di fumo abbandonano le sue labbra sottili. Getta poi il mozzicone ancora fumante fuori dalla finestra, avvicinandosi pericolosamente a lei.
Ed Amira riesce a sentire il puzzo di sigaretta, mentre si perde negli occhi verde smeraldo di Michael Clifford.
«Ah, sì? Credi che mi faccia il culo quel moccioso del tuo ragazzo?» abbaia, continuando a ridere. Di certo Amira conosce l'età di Josh, a malapena maggiorenne, e conosce anche quella di Michael.
«Non sarà felice di scoprire che uno dei suoi amici ci prova spudoratamente con me!» ringhia lei, indispettita e, sì, anche soddisfatta di quanto detto. Minacciare uno come Clifford è la cosa migliore da fare.
«Povera illusa» bofonchia lui, incrociando le braccia al petto ed allontanandosi quanto basta per guardarla completamente, «fattelo dire, che sei una bella gnocca Amira ma – s'interrompe, rotea gli occhi e poi riprende – credo che il negretto dell'amico tuo debba dirti qualcosa riguardo a Josh» Amira sbarra gli occhi, improvvisamente la gola si secca ed il terreno sembra mancargli.
Allora nascondeva davvero qualcosa, Calum? Pensa.
«Che vuoi dire?» chiede, curiosa e preoccupata al tempo stesso.
Dal canto di lui non c'è traccia di sentimenti, positivi o negativi che siano. A lui tutto scivola, inesorabilmente.
«Non sono io a dover parlare, amore. A me non tocca la cosa, chiedilo al tuo ragazzo oppure al tuo amico, Hood»
«Che devo sapere? Parla, diavolo!» la rabbia che comincia a salirle è paragonabile all'alta marea.
Michael sospira, con un salto si accomoda al davanzale della finestra e poi sfila l'ennesima sigaretta, perché quella di prima non gli è bastata. Con pacatezza l'accende, la porta alle labbra e riprende ad aspirare dal filtro.
«Il tuo ragazzo è un bello stronzo, Ammy, e visto che Hood non ti ha detto nulla, lo farò io – si prende una pausa, la guarda con occhi accesi e poi fa un altro tiro – l'altra sera siamo andati a bere, giusto un goccetto perché avevano vinto gli Arizona Cardinals. Comunque ci siamo ubriacati fino al vomito, e poi delle gnocche da paura sono venute per divertirsi un po', giusto perché erano troie fino al midollo. Il tuo amato non ci ha pensato due volte a limonare con una pel di carota. Potresti anche perdonarlo, se non fosse che adesso si vedono regolarmente facendo sesso nella sua auto. E sai una cosa? Lei è a capo delle cheearleaders per la squadra di questa scuola, guarda un po'. Il mondo è piccolo, eh? Probabilmente a Josh non bastavi, che devo dirti? I maschi sono stronzi Ammy, belli o brutti, che si mostrino dolci o stronzi, sono dei bastardi. Nessuno escluso» il mondo di Amira si fa buio, una cappa nera che l'avvolge del tutto.
La vista che si annebbia, le gambe che tremano e la voglia di piangere senza però farsi vedere. Osserva Michael e la sua noncuranza in quanto appena detto, e vorrebbe spaccargli il muso. Vorrebbe spaccarlo a Josh ed alla troia con cui si vede, ma l'unica cosa che fa è piangere, senza volerlo, senza dare alle alle lacrime il consenso di scendere.
«C – Calum lo sapeva?» dice, tra un singhiozzo e l'altro.
E Michael scrolla le spalle, guardando fuori dalla finestra senza dar peso alle lacrime di lei «Calum faceva parte della nostra cricca, da quando Josh si vede con Delia non è più dei nostri. Non voleva mancarti di rispetto, comunque pensavo te lo avesse detto»
«Ma non lo ha fatto, invece» e non sa se provare ammirazione verso Calum, sempre pronto a preoccuparsi ed a starle vicino anche abbandonando la sua comitiva, oppure odiarlo ulteriormente perché, diavolo, lei doveva saperlo.
Stringe i pugni, e tutta la buona voglia di chiamare il suo migliore amico appena arrivata a casa, svanisce. Tutto si fa insensato, inutile, mentre corre tra i corridoi della scuola per tornarsene a casa.
E non sono mai state così caotiche, le strade di Sydney per lei, ma in quel preciso istante vorrebbe solo essere sola, mentre corre a più non posso con il cuore che le trafigge la cassa toracica per come batte forte.
Le lacrime le annebbiano la vista, e si ritrova a sbattere più volte contro corpi a lei sconosciuti accaparrandosi occhiatine furenti ed insulti gratuiti, ma non le importa. Nulla potrà far male quanto il tradimento di Josh così inaspettato, inopportuno. Un tradimento che francamente lei non meritava perché non ha mai fatto nulla per guadagnarselo.
Sbatte sull'ennesimo uomo, è pronta a scusarsi ma quando alza il capo per vedere chi è un po' si rasserena.
«Amira, che succede?» Scott la guarda spaventato, con aria di chi teme il peggio. E' pur sempre sua figlia e nonostante il suo carattere tutto pepe le vuole un bene dell'anima. Al suo fianco, Luke, contribuisce con sguardo attonito mentre regge vari blocchi di marmo più o meno grandi.
Amira si stringe nelle spalle, annaspa aria e poi si tuffa tra le braccia di suo padre, mentre scoppia in un pianto liberatorio.
Scott l'osserva, mordendosi il labbro mentre carezza la sua gracile schiena, poi da una rapida occhiata all'androide che basta a fargli capire di posare i blocchi marmorei per terra, vicino alla porta del suo negozio.
«Mi spieghi cosa sta succedendo, Amira?» riprova l'uomo, spostando il corpo della figlia in avanti, per poterla osservare.
«Josh... – s'interrompe a causa di un singhiozzo. Per Amira parlare è un enorme sforzo adesso, le parole vengono intervallate da minuti che sembrano ore – mi... mi ha... mia ha tradita, papà! Per tutto questo tempo! E Calum... Calum lo sapeva, capisci? Ma non mi ha detto nulla! Io mi fidavo di lui...perché papà, perché a me?» il cuore di Scott si accartoccia, mentre sente salirsi la bile, poi tutto dentro lui prende ad inacidirsi, come fosse un latticino stantio lasciato in frigo. Non sa che dire, non sa che fare, perché in momenti come quelli le parole non servono, semplicemente renderebbero il tutto parecchio fastidioso ed insopportabile, più di quanto non lo è già.
«Va' a casa Amira, mh? Riposa un po'» perché forse è la cosa migliore da dire.
«Ma non capisci? Non ho bisogno di riposare papà! Josh, è tutta colpa sua! Tutta colpa di Josh! Lo odio, lo odio!» angosciata, abbandona la presa del padre e poi torna sui suoi passi.
Si guarda le punte delle Converse rovinate, e per un minuto sembra andar bene così, con singhiozzi che le interrompono il regolare respiro.
Poi tira su col naso, e decide di andarsene senza più dir nulla. Fare quella scenata per strada è stato imbarazzante, e se ne rende conto solo adesso ch'è troppo tardi per tornare indietro.
Si allontana, dirigendosi a casa, lasciando scorrere dentro le sue cuffie The Trooper degli Iron Maiden.
Scott la guarda, mentre ormai diventa un puntino lontano, uguale a tutte le altre persone che aleggiano nel marciapiede di Sydney «Luke, seguila»
L'automa inclina la testa, sbatte due volte le palpebre «Seguire la Miss, Signore? Ma il suo marmo – »
«Va' con lei, è meglio. Io posso benissimo cavarmela da solo» ribatte, che sicuramente marmi e pietre levigate non pesano quanto il macigno nel petto della figlia.
Ed allora Luke non fa più domande, si limita agli ordini che gli vengono affibbiati «Come gradisce, Signore»

«Sono a casa!» Amira non ha la forza di urlare, ed anche se l'avesse non ne ha motivo. Sua madre le ha lasciato un biglietto sul tavolo, “io ed i tuoi fratelli siamo andati a fare shopping, quando torni scaldati il pranzo. Tuo padre rimarrà a lavoro fino a tardi, credo, in caso contrario raggiungeteci al centro commerciale. Un bacio, tesoro” ed un po' è grata del fatto che nessuno sia in casa.
Si guarda intorno, poggiando la tracolla per terra, indietreggia un po' ma, per l'ennesima volta, va a sbattere contro qualcosa.
Si volta e sbuffa, perché davvero non è giornata, e non migliorerà di certo. «Miss»
«Cosa vuoi?» sputa lei, colma d'ira. Perché diavolo Ottocentodiciannove è lì, adesso, quando un attimo prima era con suo padre a lavoro? A quanto pare Scott si è preso la briga di mandarglielo, come regalo di ben servito, pensa Amira.
L'androide la guarda, mentre dentro di se avverte rumori impetuosi tra gli ingranaggi, e non sa spiegarsi se qualcosa sta cambiando, al suo interno, se si stia rompendo. E dire che il dipartimento di scienze e tecnologia di Sydney non ha mai fallato in nulla.
Gli occhi di Amira sono rossi a causa dei continui pianti, perché oggi ha già versato tante lacrime, e Luke nota i due zaffiri leggermente arrossati, «Miss, perché sta piangendo?»
«Non fare domande, intesi? Non voglio parlarne, e tu non hai bisogno di sapere!» gli urla, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche. Sente il fiele salirgli in gola e corroderle la trachea, una voragine spacca in due le sue interiora fino a sgretolarle. Amira muore ogni minuto che passa, mentre a stento si sorregge in piedi nella speranza di non cadere.
E' che lei non può cadere, perché è sempre stata forte. Ed ora, come non mai, le servirebbe Calum. L'unica spalla su cui può realmente piangere e mostrarsi per quello che è, adesso. Al diavolo i loro assurdi litigi.
«Ha litigato con il suo ragazzo, Miss?» ma Luke continua, distraendola dai suoi pensieri quasi come se ci provasse gusto a rigirare il coltello dentro la piaga.
«Sta' zitto! Sta' zitto, stupido coso! Cosa puoi capirne tu? Un cuore che batte nemmeno lo hai, sei uno stupido giocattolo!» ma la frase sembra far muovere più velocemente le rotelle grige posizionate al petto di Luke, che guarda in maniera impassibile la sua padroncina. L'osserva salire le scale di tutta fretta, e poi sente il rumore della porta sbattersi con violenza.
Ma Luke non demorde, percorre le scale e si ritrova, così, davanti la porta di Amira. L'ascolta piangere, singhiozzi che sicuramente le scombussolano il petto, e più ode ciò più i suoi ingranaggi girano all'impazzata.
Eppure è carico.
Delicatamente abbassa la maniglia, per entrare non prima di aver bussato cortesemente, senza però ricevere risposta «Miss?»
Lei non risponde, nemmeno lo rimprovera, troppo impegnata a piangere per dargli attenzioni. Luke si accomoda ai bordi del letto di lei, carezzandole dolcemente alcune ciocche corvine, e seppur Amira detesti l'androide, in quel momento è grata di avercelo vicino.
«Cosa ho fatto di sbagliato per meritare così tanta sofferenza, Ottocentodiciannove?» gli chiede, quasi come se lui sapesse la risposta, obbligato a dargliela.
Ma dal canto suo non prevale nessuna delucidazione, i suoi occhi blu osservano la ragazza dal volto imperlato di lacrime e dagli occhi rossi che non si muovono.
«Il mio database non ha risposte a riguardo, Miss, sono desolato» perché lui, comunque, ha provato a cercarla, la cazzo di risposta. I suoi ingranaggi corrono all'impazzata quando vede la sua padroncina in quello stato.
«Non può averle, non ci sono. Sono risposte che solo la vita può dare, una vita senza programmi o cose elettroniche» delucida, forse per far capire a Luke che la tecnologia non è alla base di tutto, soprattutto in quel preciso istante.
Si siede ai bordi del letto, accanto a lui, passandosi entrambi i palmi sulle guance, cacciando via le lacrime annidate nella sua pelle. Poi si sporge in avanti, ed afferra una ballerina di cristallo dal comodino.
«Me l'ha data Josh, questa, la prima volta che siamo usciti insieme. L'ho vista in una vetrina di un negozio artigianale. Lavoravano il vetro soffiato, ed io ero particolarmente attratta da quell'arte, all'epoca. Dunque lui decise di regalarmene una, qualche giorno dopo» spiega, con un velo di amarezza tra le parole che comunque Luke avverte.
Poi un gesto inaspettato, lei poggia la ballerina sulle mani dell'automa che si perde ad osservarla e scansionarla. Il suo database rivela un vetro poco pregiato ch'è stato lavorato con cura ed attenzione, però.
Benché non sia costosa, la sua padrona sembra tenerci particolarmente molto.
Se la rigira tra le mani, osservando i dettagli del tulle e dei lacci delle scarpine, il volto riprodotto a regola d'arte e due incavi che rappresentano gli occhi. Il piccolo piedistallo su cui poggia è anch'esso in vetro.
Ma i suoi organi tattili lo tradiscono, e sbadatamente la ballerina scivola dalle sue mani schiantandosi contro il suolo.
Amira sgrana gli occhi, delusa, infastidita e piena di tantissime emozioni negative. L'androide, invece, osserva l'oggetto incapace sul da farsi.
«Cosa hai fatto?!» urla, in preda all'ira. 'Ché se prima aveva deciso di dargliela, una possibilità, all'automa, adesso è tornata sulle sue vie. Si alza dal letto, raccoglie i cocci e li osserva, mentre nuove lacrime solcano il suo viso ormai abituato al pianto.
«Miss... mi dispiace, non era mia intenzione – » prova, Luke, a scusarsi. E' mortificato.
Ma poi lo sguardo di disprezzo della sua padrona fa vorticare nuovamente i suoi ingranaggi.
«Vattene via! Sparisci dalla mia vista! Hai capito? Devi andartene. Ti odio stupido robot, ti odio! Sei schifosamente odioso, non voglio più vederti!» spinge Luke fuori dalla porta, sbattendosela dietro le spalle e tornando a piangere.
L'umanoide fissa il color mogano della porta per diversi minuti, mentre strani cigolii disturbano il suo cervello robotico. Poi scende le scale, in tutto il suo silenzio, dedicandosi ai lavori di casa.


 
SBAAAAAAAAAM


Bomba sganciata!
Ve lo aspettavate il tradimento da parte di Josh?
'Ché anche se Michael è lo stronzo antipatico di turno
forse un po' Amira deve essergli grata. Senza di lui,
probabilmente, non lo avrebbe scoperto tanto facilmente.
Per di più si è anche incazzata con Calum, ma alla fine
come darle torto? O forse siete dalla parte di Cal?
E lo scoppio con Luke e la ballerina di vetro?
Amira è furiosa, senza contare che, per lei, quell'oggetto
era assai prezioso, poveretta ç__ç
Se siete arrivati qui, vi ringrazio infinitamente. Io vi ringrazio
di cuore per come continuate a sostenermi e supportarmi, davver
grazie infinitamente.
Spero nelle vostre recensioni, per sapere cosa ne pensate. Il
vostro parere è importantissimo per me.
Un bacione ed alla prossima!


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La Fine ***




La Fine.




 
Amira fissa il soffitto. Trova piacevole farlo quando i pensieri diventano insostenibili, guardare il vuoto e perdersi in esso le da una strana sensazione, più che altro la rasserena. Lo fa anche in quel preciso momento, ma le sue lacrime continuano a scendere impetuose, senza mai smettere.
E piange per Josh che non l'ama più, che l'ha tradita senza alcun rimorso, per Calum che non la chiama, e per la ballerina di cristallo che Luke ha fatto scivolare per terra, rompendosi in mille pezzetti.
Piange perché trova sollievo nelle lacrime e, perché no, anche distrazione. E visto che Calum probabilmente è ancora ferito a morte, Amira decide di fare la prima mossa, di chiamarlo e scusarsi.
Digita frettolosamente il numero, mentre nuove lacrime sono pronte ad abbandonare il suo viso.
Dall'altra parte della cornetta, il ragazzo risponde con voce scocciata, quasi come se non la desiderasse proprio quella chiamata.
«Sì?» Amira lo nota, però, Calum diverso e forse non più disponibile come prima. Ma non vuole perderlo, lotterà per riprendersi l'amicizia e la sua fiducia.
«C – Calum? Sono io...» dice, tra un singhiozzo e l'altro, perché proprio non riesce a smettere di piangere.
«Amira che succede?» Ed il problema è proprio quello, non succede assolutamente nulla. Niente di niente, perché lei non ha coraggio di fare qualcosa, trova consono piangere e basta.
Si stringe nelle spalle, annaspando aria che si blocca nella trachea. Gli occhi che diventano lucidi o forse che non hanno mai smesso di luccicare « Calum, Josh mi ha – l'ennesimo singhiozzo che spezza le parole – mi ha...»
«Chi te lo ha detto, Ammy?» Dentro lui scatta qualcosa, spegne la radio ed accosta, perché di prendere un'altra multa proprio non ha voglia.
«Michael, l'ha fatto oggi, a scuola. Me lo ha detto, ed ha anche detto che tu lo sapevi! Perché Calum? Perché?»
E Calum lo sa, il perché, ma proprio non vuole dirglielo. Non trova giusto che lei soffra così, gratuitamente, che sebbene sia spigolosa, acida e burbera è pur sempre una ragazza dolce dal cuore fragile.
E si sa, quelle stronze hanno il cuore di burro, Amira è l'esempio.
«Ammy non potevo dirtelo, non ancora. Stavi già troppo male, con il fatto dell'automa in casa, poi, sei diventata più irascibile del solito. Stavo aspettando il momento giusto ma non credere che io sia stato superficiale o menefreghista, perché non lo sono affatto» però Amira lo sa che Calum non è affatto superficiale, ed in un certo senso apprezza la sua preoccupazione. Nonostante tutto, nonostante il male che abbia provato quando, a dirglielo, è stato Michael Clifford. Il ragazzo più odioso dell'universo.
«Va bene, è solo che... come faccio adesso? Cosa faccio?» Calum rotea gli occhi, stringe il manubrio su entrambe le mani e per poco non sbatte la testa contro il volante reprimendo qualche attacco d'ira. Cerca di essere sempre parecchio gentile con Amira, ma proprio non ci riesce, non in quel preciso momento «Amira ma sei stupida o cosa? Devi lasciarlo, cazzo, non ti basta sapere che ficca la lingua in gola ad una ragazza che non sei tu? – s'interrompe nel momento in cui avverte i nuovi singhiozzi dell'amica, dall'altra parte della cornetta. Sospira, stringe ulteriormente la presa sul volante fino a far sbiancare le nocche e poi guarda fuori dal finestrino, cercando di calmarsi – Ammy quello che sto cercando di dirti è che devi chiamarlo. Dovete vedervi e dovete lasciarvi. Semplicemente questo. Anzi io fossi in te lo chiamerei, nemmeno lo degnerei della mia faccia, non un giorno in più, ha già avuto abbastanza da te. Ammy lo devi fare, Josh ormai ha Delia, una stupida troia. Non ti merita» Amira sospira, annuisce e si lascia cadere nuovamente all'indietro, sul morbido materasso.
«Non è così semplice, lo sai. Non per me, almeno» perché non lo è affatto per Amira, che ha sempre amato tanto. Il suo amore è bastato per entrambi, per lei e Josh. Offuscando la verità su quest'ultimo.
«Allora trova la forza per farlo, chiaro?» l'ennesimo rimbrotto di Calum, e l'ennesimo singhiozzo di Amira scandisce il tempo passato.
«Vado a farmi una doccia, e poi penserò a tutto quanto. Grazie Cal, ci sentiamo più tardi e scusami per tutto» e riattacca così, mentre Calum dubita che possa sentirsi bene con una doccia rinfrescante.
Ma non ha molto altro da dirle, o da fare per farla star bene. Il tempo sanerà le ferite, lenirà i dolori di un'amore sbagliato e non corrisposto. Questo è quanto.
Poi parte di nuovo, dirigendosi a casa di Josh, perché questa volta la faccia gliela spaccherà sicuramente. Nessuno può far piangere Amira.


«E dunque Amira è già rincasata?» Scott sfila la giacca di pelle, la poggia sullo scaffale degli attrezzi e si rolla le maniche della camicia.
Luke regge alcuni coltelletti che servono ad intagliare l'ennesima scultura, mentre fissa il busto del presidente appoggiato sul piano da lavoro.
Sono le sei del pomeriggio, ed Amira non è ancora uscita dalla sua stanza. In realtà non si è fatta vedere in giro per casa, forse affranta per l'accaduto di qualche ora prima.
«Sì, ho fatto come ha detto lei, Signore. L'ho seguita e credo sia ancora nella sua stanza» gli fa presente.
Scott annuisce, poi si dedica all'intaglio.
La scultura del presidente è ormai terminata, quasi, bastano dei piccoli ritocchi qua e là sul colletto della giacca e qualche pieghetta sul viso, per accentuare le rughe.
Luke l'osserva, rapito, mentre porge l'ennesimo coltello al signor Walker.
«Ti è piaciuto venire con me a lavoro oggi, Luke?» chiede, perché se la risposta sarà positiva, di certo lo riporterà domani. Del resto, almeno per lui, è stato un sollievo avercelo vicino.
«Molto, Signore. Sono lieto di poterla aiutare» delucida, perché alla fine il suo lavoro è quello. Deve solo limitarsi alle cose per cui è stato programmato.
Eppure, lo avverte, quello strano spiraglio dentro lui. Una piccola fessura, quasi del tutto invisibile ma tanto potente da permettere ad uno sciame d'api di entrargli dentro e rovinargli gli ingranaggi. E' strano, lo giura, ma crede di sentirsi... in colpa?
«Signore, c'è una cosa che vorrei chiederle» Scott termina il suo lavoro, si pulisce le mani su di un panno pulito e si accomoda in una sedia. Fa cenno a Luke di copiarlo, e questi non perde tempo per esaudire l'ordine del suo padrone.
«Sei di nuovo scarico, Luke?» ma lui scuote il capo. Fissa la punta delle sue scarpe, sbatte le palpebre due volte e poi torna a guardare il signor Walker, con quell'aria perennemente assente.
«No Signore, la mia batteria segna ancora il cinquanta percento. E' per un'altra cosa, Signore.» a quel punto Scott inarca un sopracciglio.
«Sono tutto orecchi, Luke» e smette di parlare, il signor Walker, mentre incrocia le braccia al petto fissa l'umanoide davanti a lui, con aria di chi è assai curioso.
Dal canto dell'automa non c'è nessun ripensamento sulla frase; sbatte nuovamente le palpebre «Potrebbe darmi un ceppo, Signore?»
Un ceppo?
Scott s'acciglia. Non perché tenga particolarmente a dei ceppi, perché alla fine può sempre recuperarli o comprarli. Trova strano che a Luke, automa assai all'avanguardia e ricco di cose, dentro un database assai fornito, serva un ceppo.
Sospira, si gratta il mento e poi si guarda intorno alla ricerca di qualcosa senza sapere cosa, effettivamente.
«Un...ceppo?» Magari ha sentito male, quasi certamente. E dunque ripete la parola, per assicurarsi che le sue orecchie comincino a fare capricci. Ma il capo di Luke s'abbassa ed alza subito dopo, in un segno di assenso.
«Potrebbe, Signore?» chiede nuovamente, assicurandosi di essere più dolce possibile. Più educato, possibile, come direbbe Amira.
E per Scott, di certo quella non è una richiesta impossibile. Titubante e non del tutto sicuro della cosa, si alza dirigendosi al tavolo degli attrezzi. Ispeziona i ceppi e poi prende quello migliore, dandoglielo.
«Ecco a te» dice, porgendoglielo.
Luke lo scansiona, rilevando la parte migliore di esso, annuisce ed abbozza un sorriso «La ringrazio, Signore»
«Solo... a cosa ti serve un ceppo, Luke?» perché la curiosità ha sempre portato il signor Walker a non farsi i fatti propri.
I cigolii metallici che provengono dai piedi di Luke gli lascia comprendere che, in effetti, adesso vorrebbe pure andare. Quasi come se avesse da fare. «Ah, lasciamo perdere, non sono nemmeno sicuro di sapere a cosa ti serva, un ceppo» e torna alla sua scultura. Alla scultura del busto del Presidente.
Luke s'inchina, formale, e poi sparisce salendo le scale ringraziando mentalmente il suo padrone.


«Non dovresti piangere per lui, sorellona» Edward si accomoda ai piedi del letto di Amira, mentre la fissa piangere. E lei si maledice, perché, davvero, tutto vorrebbe tranne che Edward fosse lì in quel preciso momento.
Semplicemente ha dimenticato di chiudere la porta, troppo assorta dai suoi pensieri e troppo consapevole che la solitudine, adesso, le logorerà le viscere.
Osserva il bambino, mentre gattona verso di lui, gli stringe la piccola mano paffuta e poi gli lascia un tenero bacio sopra, mentre tira su col naso sperando di non risultare assai ridicola.
Sono le sei del pomeriggio, ed Amira ancora non ha smesso di piangere. Non ci riesce, è contro la sua volontà.
Le mani grassottelle di Edward giocherellano con le ciocche sue color cioccolato, mentre i suoi grandi occhi scuri la guardano preoccupato.
«Come mai sei venuto qui, Ed? Non giochi con Tyson?» chiede, nella speranza che il fratello ci ripensi e si dedichi ai suoi giochi noiosi.
Lui scuote il capo, mordicchiandosi il sottile labbro inferiore, e poi scrolla le spalle «Tyson sta studiando» la informa. Ed Amira sospira, perché anche lei dovrebbe studiare ma lo studio, al momento, è l'unica cosa che meno le interessa.
«Allora stai un po' con Ottocentodiciannove, no?» ed ancora, Edward scuote il capo in risposta negativa.
«Luke ha da fare, Ammy, non può giocare con me» Amira si siede sul letto, incrocia le gambe a mo' d'indiano ed osserva il fratellino che pare essersi imbronciato parecchio.
«Sta aiutando papà?» chiede, perché tanto sa ch'è tornato, suo padre. Ha sentito la porta sbattere, solo lui lo fa, solo lui fa sbattere la porta.
Edward alza le spalle, è la sua unica risposta. «Non lo so in realtà, credo di sì, forse»
«Voglio riposare un po', adesso, è meglio che tu vada» ed allora, il fratellino abbandona il letto, a piccole falcate si dirige verso la porta e poi esce, richiudendosela dietro.
Amira sbuffa, perché non le piace dire bugie, men che mai a suo fratello Edward, per Tyson nemmeno se li fa tutti quei problemi.
Ad ogni modo non ha altra scelta, deve chiarire con Josh ed eventualmente farla finita una volta per tutte.
Apre l'armadio, afferrando una maglia pulita, poi degli skinny neri ed infine sistema i capelli, spazzolandoli più volte con fare assente e distratto.
Si guarda allo specchio, ed è grata che quest'ultimo non possa parlare altrimenti le urlerebbe quanto faccia schifo in quel preciso momento.
Indispettita dai suoi pensieri, afferra la tracolla ed esce, percorrendo le scale di tutta fretta.
Una volta arrivata sull'uscio, Luke balugina davanti a lei, interrompendo le sue faccende «Miss? Dove sta andando?» chiede.
Ma Amira non l'ha di certo perdonato, nonostante Josh sia uno stronzo e quella stupida bambolina di vetro nemmeno dovrebbe interessarle più «Non sono affari che ti riguardano, stupido coso, e non parlarmi più!» ringhia. Gli occhi smeraldi di lei si posano nei due zaffiri di lui, che seppur finti splendono di luce propria.
Luke sente gli ingranaggi roteare, vorticare velocemente. Ma, ancora una volta è consapevole di essere carico.
«Mi perdoni per l'inconveniente di oggi, Miss non volevo rompere la sua ballerina» nel suo tono sembra esserci un piccolo spiraglio di risentimento, ma poi Amira si ricrede. Lui non ha sentimenti, non può averli: è un robot.
Non gli da risposta, scuote il capo e va via, chiudendosi la porta dietro sé con un sonoro tonfo.
E Luke torna alle sue faccende, le fa di tutta fretta considerando che sta lavorando ad una cosa.


La casa dei Bellier è a due isolati dopo il parco, ed Amira è costretta a prendere un taxi, con i pochi spiccioli racimolati grazie ai resti della colazione al bar.
Si guarda intorno, mentre scende dalla vettura, scorgendo parecchie case dai mattoncini color senape e graziose aiuole che adornano il vialetto.
E' simile alla via in cui abita lei, a differenza che lei aiuole, nel suo vialetto, ormai non le annaffia più nessuno. Nemmeno la signora Bullet che sembra essere amante del pollice verde.
Ed Amira, allora, rimane a fissare i fiori, così belli e pieni di vita, vorrebbe averne un mazzo in mano, per portarseli a casa. Ma perché far morire fiori così belli? Dunque depenna l'idea, avanzando verso l'uscio.
E' lì che si blocca, è lì che il cuore prende a palpitare forte, è lì che la sua vita intera le passa davanti come diapositive proiettate sul grande schermo.
Avverte un leggero tremolio che parte dai piedi, salendo verso le gambe come un serpente attorcigliato sui suoi arti, ha paura, Amira, ch'è sempre stata una guerriera senza macchia né timore.
Ma dovrà affrontare Josh. Dovrà chiudere il capitolo di quell'insulsa storia.
Prende forza, ingoia il malloppo formatosi alla trachea e poi picchia le nocche sul legno tamburato della porta. Batte due volte, non una in più né una in meno, se non dovesse esserci nessuno, farà dietrofront e tornerà a casa.
Ma la signora Bellier non tarda ad aprire, con un sorriso sornione incastrato tra i denti. Sembra felice di vederla, probabilmente ignara dei comportamenti di Josh.
«Amira, tesoro, che piacevole sorpresa!» esclama, mentre arriccia una ciocca castana nel dito indice.
Ed Amira finge un sorriso, perché nonostante Josh sia un cafone a lei la famiglia Bellier piace moltissimo.
Il padre di Josh, Bernard, è parecchio simpatico; senza contare che ama l'umorismo. Adelaide, la moglie, è pacata, docile ed affabile, mentre sua sorella Mitchelle sa essere una buona amica, e molte volte le ha dato dritte su come conquistare Josh, all'inizio.
Si è sempre trovata bene, lei, con i Bellier.
«Io... io – cercavo Josh» biascica, mentre fissa le sue Converse rovinate.
Adelaide annuisce, spostandosi sul lato sinistro ed Amira allora entra in casa, guardandosi intorno.
Quasi certamente quella sarà l'ultima volta in cui potrà entrare in quella casa, perché una volta chiuso con Josh non vorrà più sapere dei Bellier, nonostante le mancheranno tantissimo.
«Oh, è di sopra nella sua stanza. Vieni, ti faccio strad – » ma Amira scuote il capo, perché la stanza di Josh la conosce abbastanza bene. Tantissime volte sono rimasti al suo interno, perdendosi a fare l'amore fin quando, stremati, erano costretti a smettere a causa della stanchezza.
Ad Amira pizzicano gli occhi, perché i ricordi bruciano come fiamme infuocate che marchiano qualcosa, le fiamme roventi dell'amore la carbonizzano.
Percorre le scale, congedandosi con la signora Adelaide, e poi si ritrova davanti la porta di Josh, da cui proviene un'assordante musica rap.
Sospira, perché ormai il momento è arrivato. Picchia le nocche sul legno verniciato ed attende.
Il ragazzo apre la porta, appoggiandosi allo stipite di essa, sembra lieto di ritrovarsi Amira davanti.
«Ehi, bambola, che bello vederti» ormai lei, però, non ci casca più. Né ai suoi complimenti né a nient'altro.
Stringe i pugni e frena la voglia di scaraventargliene uno in faccia. Amira lo guarda con fare sprezzante, mentre il suo cuore ribolle di rabbia e delusione.
«Puoi smettere di fingere, Josh» dice, e lui si acciglia. Perché non capisce quella frase e francamente nemmeno capisce la presenza di Amira, così di punto in bianco. Solitamente prima lo chiama, avvisandolo.
E lui congeda sempre Delia quando magari si vedono da lui, per fare sesso.
«Cosa?» la guarda intontito e preoccupato allo stesso modo, mentre lei lo sposta entrando nella sua stanza, accomodandosi nel suo letto.
Si guarda intorno, quasi come se stesse cercando un indizio di Delia, che tanto nemmeno la conosce.
«So di Delia. Cosa aspettavi a dirmelo? Volevi continuare a lungo questa stupida farsa? Perché Josh? Perché? Io non ti bastavo, per caso? Non ero sufficiente? » poi s'interrompe, però, quando nota il suo labbro inferiore spaccato, con una crosta all'angolo destro della bocca.
E le viene naturale, preoccuparsi, nonostante non dovrebbe. Non più, almeno. Magari quella crosta gliel'ha procurata Delia, durante il sesso violento, chi lo sa.
«Che ti sei fatto lì?» incrocia le braccia al petto, mentre si continua a guardare intorno. Non potrebbe reggere gli occhi di Josh, che qualche ora prima sapeva suoi.
«Il negretto dell'amico tuo è venuto a farmi una visita. Comunque non so cosa mi sia preso. Vero, ti ho tradito ma non ne avevo intenzione. Poi comunque ho conosciuto Delia, e lei mi piace. Ed è diverso il rapporto tra me e lei, lo adoro. Mi fa sentire libero» ma Amira non resiste. Cerca di reprimere le lacrime ma non ci riesce, le lascia scendere.
Stringe i pugni, mentre si alza dal letto: è finita.
«Peccato che Calum ti abbia spaccato solo il muso, doveva fare molto di più» e non dice più nulla, singhiozza semplicemente mentre percorre le scale.
E' finita, pensa. E' finita sul serio. Ed ora torna a casa, perché vuole solo piangere e dimenticare. Vuole solo piangere, dimenticare e parlarne con Calum.
Questo è quanto.


 
SBAAAAAAAAAM
 
 
Ebbene sì, per Ammy e Josh è finita, e direi anche finalmente!
Cioè non se lo meritava proprio, povera piccola, questo tradimento.
Comunque poveretta, che tenerezza ç___ç
E cosa pensate di Calum? ha fatto bene ad essere così duro con lei?
C'è che lui a lei ci tiene molto, ma ormai lo avete capito bene, forse
meglio di me.
C'è anche che persino Edward, fratellino di Amira, le consiglia di non
piangere per quello stronzo.
E poi c'è Luke, che nonostante sia privo di sentimenti, ha chiesto un
ceppo al signor Walker.
Secondo voi a cosa gli servirà? Sono curiosa di sapere cosa dite, ehehehe.
Senza contare che io ai vostri pareri ci tengo da morire. ç__ç
Un bacione ed a presto!

Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sensi di colpa ***



Sensi di colpa.


 
E' Domenica mattina, e nonostante Amira potrebbe dormire lei proprio non ci riesce.
Pensa a Josh, ed al suo comportamento da vigliacco. Pensa a come una stupida sgualdrinella dalle gambe facilmente apribili è stata in grado di rovinare il loro amore.
Non che sia stato uno di quelli degno di essere raccontato nei libri, certo, ma era pur sempre amore. E per lei bastava, non aveva grosse pretese.
Ma tutto, prima o poi, finisce, ogni cosa ha il suo ciclo e la storia con Josh è giunta al termine della sua rotazione.
Sbuffa, perché di pensarci ulteriormente non ha voglia. Ha già versato parecchie lacrime nei giorni precedenti, è Domenica e la vuole passare senza pensieri. Si prende un giorno libero dai compiti e dal piangersi addosso, Amira, che secondo lei quelle richiedono più sforzi di un lavoro stesso.
Si mette comoda sul letto, afferra poi il cellulare sbloccando lo schermo e fissa lo sfondo. Una foto di Josh e lei, al mare, felici e radiosi come non mai. E si chiede se, anche nel preciso istante in cui sia stata scattata la foto, quel lurido verme stesse mentendo.
Ma si è ripromessa di non pensarci, almeno la Domenica. Ed allora, lancia il cellulare – non curandosi di dove possa andare a finire – sul letto, stendendosi nuovamente.
Si passa le mani sul volto, con fare nervoso, perché sa che non sarà una gran bella Domenica.
Proprio quando decide di alzarsi dal giaciglio, il cellulare comincia a vibrare: una chiamata da Calum.
Alle otto del mattino.
Alle otto del mattino di Domenica.
E' strano, secondo Amira – che sa bene quanto possa essere pigrone il suo migliore amico.
Sblocca il cellulare e risponde, cercando di sembrare normale, nonostante dentro abbia le fiamme della delusione che le bruciano il cuore.
«Pronto?» gracchia, con la voce ancora impastocchiata dal sonno. Fissa le ciocche scure dei capelli, afferrandone qualcuna tra le dita ed attorcigliandola con noncuranza.
«Ciao, Ammy. Come stai?» le parole di Calum vengono masticate da una bocca che, probabilmente, ha appena sbadigliato. Simbolo che, quasi certamente, anche lui ha dormito poco o nulla. Ed Amira è grata, ancora una volta, perché Calum è un ragazzo speciale. Si accolla i suoi problemi come fossero suoi.
«Potrebbe andare meglio, ehi, ma come mai non stai dormendo? E' Domenica, Cal!» gli delucida, nel caso lui se lo fosse dimenticato.
Dall'altra parte della cornetta, però, lei ode un lieve risolino accennato. «Ero preoccupato, spero tu non abbia pianto troppo Ammy, non per quel verme almeno.»
Ha pianto anche abbastanza, Amira, invece, però a Calum non glielo vuole dire altrimenti lui s'intristisce ulteriormente. E non vuole, non a causa sua.
«Ho pianto il giusto, diciamo. Comunque mi chiedevo se magari oggi potevamo vederci»
Amira sente una piccola imprecazione, e non riesce a trattenere una risata fresca, limpida. Di chi si è appena tolto un macigno grosso dal petto.
«Certo, certo che sono libero! Ti passo a prendere questa sera, che ne pensi? Andiamo al centro commerciale o dove preferisci tu» e Calum parla troppo velocemente, almeno per lei che ancora alle otto del mattino non riesce a ricordare nemmeno il suo nome.
«Perfetto allora, ci vediamo questa sera?»
«A 'sta sera.» e chiudono così, con Amira che sorride e Calum che probabilmente si massaggia il mignolo del piede, imprecando mentalmente contro quello stupido comodino posizionato troppo vicino al suo letto.

Quando Amira scende le scale, in casa non c'è nessuno.
Si guarda intorno alla ricerca di qualche Walker, ma non vede i suoi familiari. Poi, attaccato con una calamita-souvenir della Norvegia, sul frigo nota un post-it. Lo stacca e ne legge il contenuto.
Siamo andati da nonna, abbiamo provato a svegliarti ma sei una pigrona. Tuo padre ha detto ch'era meglio lasciarti dormire.
Edward ci ha raccontato di Josh. Amore non pensarci, quando arriviamo a casa mangeremo del gelato alla fragola fino a scoppiare. Nel frattempo resta con – ” ma non finisce di leggere il biglietto che, subito, sente un frastuono provenire dal bagno.
Impaurita, poggia il pezzetto di carta sul tavolo e si dirige a passo lento verso l'altra stanza adiacente alla cucina.
Ci risiamo.
«Che stai facendo?» Amira poggia le spalle sullo stipite della porta, mentre incrocia le braccia al petto fissa Ottocentodiciannove intento a specchiarsi.
Soffoca una risata, perché secondo lei quel coso tutto è tranne che intelligente.
L'automa volta lentamente la testa, accennando un lieve sorriso. Perché – nonostante i continui insulti da parte della sua piccola padrona – a lui Amira piace. E' simpatica e la trova anche una ragazza carina.
E da quando pensa quelle cose?
«Oh, buongiorno Miss» avanza verso di lei, quest'ultima indietreggia e sospira schiaffeggiandosi la fronte.
Possibile che sia così stupido?
«Ciao a te. Posso sapere cosa stavi facendo?» chiede ancora, perché un po' è curiosa ed un po' crede che sul serio sia stupido. In ogni caso domandar non costa nulla, soprattutto a Ottocentodiciannove che proprio non lo capisce, né sopporta.
«L'ho visto fare al Signor Walker, Miss. Lo fa tutte le mattine» ed anche Amira lo sa, perché tutte le mattine Scott Walker impiega più di dieci minuti davanti allo specchio, osservando la sua figura mentre sistema la chioma corta brizzolata. C'impiega più di una ragazza, che nella norma spende il tempo per il make-up. E comunque le ragazze hanno un valido motivo, oltre alla chioma da gatto spelacchiato da sistemare.
«Va bene, io intanto vado a prepararmi la colazione» perché forse è meglio lasciarlo perdere, quel coso, in fondo è stupido.
«Va bene, Miss, io intanto le sistemo la stanza» ma lei non risponde, alza le spalle e basta. Si dirige in cucina, aprendo poi il frigo ed estraendo una bottiglia in vetro di latte. Dal mobiletto alto della cucina estrae il pacco di cereali, e poi si accomoda. Immerge una giusta dose di avena dentro la ciotola colma di latte, e fa roteare il cucchiaio in senso antiorario. Visto che Ottocentodiciannove non c'è, si concede anche un sonoro sbadiglio ed una sana grattata al sedere, insomma nessuno la sta guardando e di certo lei non è fatta di porcellana.
Quando termina la colazione, poi, si reca nella sua stanza, trovandola chiusa.
Allora una cosa l'ha imparata, pensa Amira. Perché tante volte l'ha rimproverato, troppo cafone e senza buone maniere. Invece adesso la porta è chiusa, ed un po' a lei fa piacere.
Quando la apre la stanza è nel perfetto ordine. Il letto sistemato con lenzuola fresche, pulite, il tappeto spazzolato, la finestra spalancata per lasciar circolare l'aria. I vestiti non sono più sulla scrivania, i libri che ha letto qualche giorno fa sono nuovamente nella piccola libreria accanto all'armadio e... e poi Amira sbarra gli occhi.
Perché proprio non ci può credere, è impossibile quello che vede.
Sulla scrivania è poggiata una piccola ballerina di legno, identica a quella rotta da Luke qualche giorno prima.
Amira avanza pian piano, fino ad arrivare allo scrittoio. Afferra poi la statuetta rigirandosela tra le mani: è identica.
Il tutù, le scarpette, persino gli occhi minuscoli e le righe dei capelli attorcigliati in uno chignon. E' impossibile, ma deve crederci: è uguale alla ballerina di Josh. L'unica cosa a differenziarla è il materiale.
Amira l'osserva: ogni intaglio è stata fatto con cura, precisione ed amore.
Con ancora la riproduzione di legno in mano, scende le scale andando alla ricerca del possibile intagliatore.
E lo cerca ovunque, ma non lo trova. Non appena sente rumori provenire dal seminterrato, comprende che quasi certamente è di sotto, a sistemare la roba di suo padre.
Luke è lì, infatti, che assesta i vari attrezzi appendendoli ai ganci sul muro quasi come se stesse seguendo un criterio d'ordine. Amira cammina con passo lento, ma Luke l'avverte grazie ai sensori super sviluppati ed allora si volta.
«Miss» la sua voce sempre lieta. Ripone l'ennesimo utensile al gancio e poi torna a guardarla.
Amira si morde le labbra, che proprio non sa cosa dire. Può essere che magari si sbaglia a pensare quella cosa, ma deve chiederlo. «L'hai fatta tu?»
Luke osserva l'oggetto, scansionandolo, poi torna a fissare Amira con occhi lucenti ed infine annuisce «Sì,» è tutto quello che dice.
«Io – perché?» è stupida come domanda, e si rende conto che non sta facendo domande intelligenti, almeno quel giorno.
Luke, però, non sembra trovarla tanto insensata. Torna al suo lavoro, senza ignorarla «La Miss era parecchio dispiaciuta quando ho fatto cadere la sua riproduzione in vetro. Avevo capito che per lei fosse importante, ed allora ho cercato di copiarla su di un ceppo» il cuore di Amira fa un capitombolo, le sale fino in gola e poi torna giù, probabilmente sotto terra.
Osserva la statuetta della ballerina, trovandola meravigliosa, addirittura migliore rispetto a quella precedente.
«E' meravigliosa» gli fa sapere, perché forse un po' di dolcezza se la merita pure, quell'automa dallo strano carattere.
Ammesso e concesso che ce l'abbia, un carattere. Tuttavia Amira non può non notare che, Ottocentodiciannove è diverso. E' speciale.
«Sono lieto che le piaccia, Miss» e lei sorride. Lentamente si avvicina a lui, guardandolo – per la prima volta – con occhi che non disprezzano né odiano.
Solleva di poco il braccio, ed alla fine poggia la mano sulla guancia fredda di Luke «Grazie... Luke.»
E poi va via, non distraendolo né rubandogli altro tempo per dedicarsi alle sue faccende.
Torna nella sua stanza, accomodandosi al suo letto, mentre continua ad osservare la bambolina di legno. Luke ha fatto davvero un buon lavoro, ed un po' comincia a sentirsi in colpa per come l'ha trattato.
Per come l'ha trattato da quando è uscito dalla scatola, 'ché probabilmente è l'essere più dolce sulla Terra.
Ad Amira fa male il cuore, lo sente accartocciarsi. Fa male sapere che poteva essere più gentile con una delle poche persone che la trattano bene.
I suoi occhi si inumidiscono, sta quasi per piangere, quando sente picchiettare alla porta.
Si mette composta, sistema i capelli e «Avanti!»
«Miss, ho finito con i lavori di suo padre. Mi chiedevo se avesse qualcosa da farmi fare» perché alla fine lui è progettato per alleviare gli affanni della vita.
Amira ci pensa, ma non ha nulla da fargli fare perché a lei pensa già per se, non ha mai avuto bisogno di nessuno. «Vieni, siediti un po' con me»
Lui annuisce, e con cigolii metallici si avvicina al letto della sua piccola padrona. Si siede, ed osserva la stanza, scansionandola.
Amira l'osserva, per la prima volta l'osserva per davvero. E nota i suoi occhi celesti e grandi, le ciocche bionde dei suoi capelli, i lineamenti perfetti, la pelle bianco latte. Lo guarda, per la prima volta si accorge di lui.
«Mi dispiace per come ti ho trattato per tutto questo tempo. Ti chiedo scusa» lui annuisce, come se non gli servissero quelle parole, perché lui ha già perdonato Amira. O quasi certamente non è mai stato arrabbiato con lei.
«Non deve dispiacersi Miss, ormai è passato» e forse è vero, comunque lei si sente ugualmente in colpa.
Guarda per l'ennesima volta qualche dettaglio della ballerina di legno e poi sorride «Dove hai imparato? Sei davvero bravo»
«Ho guardato suo padre, Miss, è davvero un bravissimo intagliatore. Inoltre sta finendo il busto del Presidente» la informa, quasi come se fosse di vitale importanza saperlo.
«Grazie, ancora, Luke» e questa volta non ha problemi a scandire il suo nome. Quel nome che, sin dal primo giorno, Tyson ed Edward gli hanno dato. Perché hanno creduto in lui, hanno subito capito ch'è speciale. Solo lei è un po' tarda, tutti lo avevano capito tranne lei. Forse.
«E' un piacere per me, Miss, sono qui per servire» e lei le stringe la mano, intrecciando le dita con quelle di lui che sembra copiare i suoi gesti, o almeno ci prova.
Poggia il capo sulla sua spalla, e rimangono così, per minuti che poi diventano ore. Non c'è bisogno di nulla, né di parole. E' la richiesta di Amira per Luke, quella: rimanere insieme a lei.

La Domenica, a pranzo, la famiglia Walker mangia sempre il tacchino.
Tutte le sante Domeniche, nessuna che sfugga a quel calvario, per Amira. Perché a lei il tacchino proprio non piace.
A servirlo, in un vassoio argenteo, è Luke che sta attento a non scottarsi.
Edward e Tyson giocano a tirarsi molliche, mentre il padre cerca di farli smettere, Eleonor – sua moglie – addita il marito strillandogli di lasciare giocare i bambini, 'ché alla loro età è normale tutto quello. Scott borbotta, smettendo di rimproverarli, e poi tutti ridono, compresa Amira che trova la sua famiglia adorabile, alle volte.
Luke poggia il tacchino sul tavolo ed Amira lo guarda di sottecchi, ma lui la nota. Le accenna un sorriso lieve e poi s'inchina davanti a lei, in maniera formale. Ed Amira pensa che, adesso, potrebbe anche smetterla. Non c'è alcun bisogno di prendere in considerazione, ancora, quei modi assurdi e così riverenti.
Con se ha portato la bambolina di legno, la ballerina che Luke le ha intagliato. E' accanto al suo bicchiere di vetro perché, a lei – adesso – piace osservarla. Sarà un portafortuna.
Tuttavia, Scott la nota. Perché lui, di legno intagliato, se ne intende parecchio.
«Oddio, Amira, è bellissima» esclama, mentre trangugia una coscia di tacchino con salsa piccante.
Amira sfiletta la sua, senza alcuna voglia di mandarla giù. Solleva il capo e punta gli occhi su quelli del padre, che studiano la statuina nei minimi dettagli.
«E' un regalo» dice soltanto, mentre la prende e la nasconde in tasca. Non vuole che suo padre la guardi con occhi inquisitori. Le da assai fastidio.
Eleonor pulisce le sue labbra con il tovagliolo, si versa del vino rosso dentro il bicchiere e poi sorride «Sì? E' stato Calum per caso?» chiede, perché anche lei è curiosa. Un po' come ogni membro della famiglia Walker che si rispetti.
Amira si stringe nelle spalle, infila la mano dentro la tasca della felpa carezzando la piccola bambolina di legno e scuote il capo.
«Me l'ha fatta Luke» ed a Scott cade la forchetta, finendo sul piatto, facendo schizzare la salsa del tacchino sulla tovaglia bianca.
Tyson si volta, con i suoi grandi occhi celesti fissa la sorella, che invece non scolla gli occhi dal piatto quasi come se percepisse ogni sguardo dei familiari.
«Davvero?» gli chiede il piccoletto, mentre Edweard – invece – ingurgita l'ennesimo boccone di pane morbido.
«Sensazionale. Amira mostrami quella – » ma lei alza lo sguardo, con occhi furenti fissa il padre che sembra non comprendere quell'astio improvviso.
«E' la mia bambolina, intesi? Ed ora continuiamo a mangiare»
Comunque a fine pranzo Scott ha insistito così tanto che Amira gli ha concesso una rapida sbirciata alla ballerina.
La studia nel dettaglio, osservando la lavorazione minuziosa. E' perfetta, e nemmeno lui riuscirebbe a fare una copia degna di quella.
Così richiama Luke, che intanto si era perso in cucina per lavare i piatti sporchi.
«Luke, vieni qui un secondo» perché un po' non crede ad Amira, insomma lui non ha insegnato a Luke l'arte dell'intaglio.
E' del tutto impossibile che quel capolavoro l'abbia fatto lui.
Ad ogni modo, dopo una manciata di minuti, Luke arriva con suoni e cigolii metallici.
S'inchina formale davanti al suo padrone e poi lo guarda, attendendo l'ennesimo comando.
Tra le mani, Scott, stringe la ballerina di Amira «L'hai fatta tu, questa?» gli chiede.
Luke scansiona la scultura, poi fissa il signor Walker con quei occhi celesti, vacui, «Sì, Signore»
«Luke, tu lo sai che non sei programmato per dire bugie, vero?» perché se così fosse ci sarebbe qualcosa che non quadra. Tuttavia l'espressione dell'automa rimane inerme, la stessa di quella precedente. Ed a Scott lascia intendere che, in effetti, stia dicendo la verità.
«Lo so, Signore» e nella stanza cala il silenzio. All'improvviso Eleonor fissa l'androide con fare sbigottito, mentre Edward urla un “urca” che almeno spezza quell'odiosa assenza di rumori.
«Spiegami un po' come hai fatto e perché. Io non ti ho insegnato nulla» controbatte, quasi come se lo stesse rimproverando. Ma la frase non infastidisce l'umanoide.
«Avevo fatto scivolare per sbaglio la ballerina di cristallo che la Miss mi aveva mostrato. Sembrava tenerci particolarmente, ho pensato potesse valere molto. Nonostante il vetro di cui era stata fatta non era di alta qualità. La Miss, comunque, si è arrabbiata ed io allora ho voluto provare a riprodurre la statuetta sul legno. Ho visto come fa lei, Signore, e ci ho tentato. La Miss ha gradito, a lei non piace, Signore?»
Ma a Scott, in tutto quel contesto, solo una cosa l'ha sconvolto.
Pensare.
Luke davvero può pensare?
Sapeva quanto fosse all'avanguardia il dipartimento di scienze e tecnologia di Sydney. Sapeva del cervello robotico, ma era pur sempre programmato.
Invece le parole di Luke sono diverse, quasi come se lui... pensasse da se, senza alcuna programmazione.
Amira si alza dalla tavola, va verso il padre e gli arraffa la bambolina dalle mani.
«Basta papà, lascialo stare» ringhia, visibilmente infastidita dal comportamento del padre. Che se prima era lui a rimbrottarla di continuo, questa volta è lei. Sta facendo il terzo grado al povero Luke.
«Amira, tuo padre stava solo – » ma lei la blocca. Ha già sentito abbastanza.
E' una Domenica diversa, quella, perché nessun Walker si è mai alzato da tavola prima di finire il pranzo, invece Amira lo fa.
Si alza da tavola, andandosene in camera sua, percorrendo le scale. Odia dover ascoltare quel terzo grado.
Per cosa poi? Per una bambola che Luke le ha intagliato con amore? Non ha senso, diavolo.
Ed allora Amira si sofferma un secondo, perché, stranamente... sta difendendo Luke?
I suoi pensieri vengono spazzati dal picchiettio della porta. Si mette comoda sul letto e sbuffa, incrociando le gambe a mo' di indiano. «Avanti»
«Miss, sua madre mi ha detto di portarle il dolce» e gli occhi di Amira s'illuminano. Stende i muscoli facciali, simulando un sorriso, mentre fa cenno a Luke di sedersi accanto a lei.
E questo fa quanto richiesto, ipotizzando sia un'ordine.
«Scusa le domande di mio padre» gli dice, mentre spezza in due, con la forchettina, la fetta di torta «la mangiamo insieme?» chiede infine.
Ma l'automa fissa il dolce, lo scansiona e rivela una superficie leggermente umidiccia. Di certo potrebbe andare in corto circuito, considerando i suoi fili elettrici all'interno.
«Miss, sono costretto a rifiutare il suo dolce gesto» la informa. E allora lei capisce, accenna l'ennesimo sorriso e ingurgita il primo boccone di torta alla fragola.
«Pensavo che la Department avesse sviluppato qualcosa per permetterti di mangiare» e manda giù un'altra forchettata di torta. Perché, davvero, Luke non sa quello che si perde.
«La Department mi ha programmato per alleviare gli affanni della vita umana, Miss, non ha pensato al cibo» la informa lui, perché sa a cosa serve.
Amira s'incupisce un po'. Sa che Luke è un robot, eppure sentirgli dire quelle cose la intristiscono. E' come se l'automa fosse vincolato a servire, solo quello, nient'altro. Non ha il diritto di provare emozioni, né qualcosa che solo gli umani possano fare. E' triste.
«Comunque siamo amici, da oggi, che ne dici? O almeno proviamo ad esserlo» spiega lei.
E gli ingranaggi di Luke tornano a vorticare velocemente, dentro il suo corpo di fili.
«Mi renderebbe molto felice, Miss»
Ed Amira sorride, perché forse non tutti i mali vengono per nuocere.
Non tutti i pacchi vengono per nuocere.
 

SBAAAAAAAAAM


Chi l'avrebbe mai detto? Ebbene sì, Amira con i sensi di colpa
non appena scopre cos'ha fatto Luke per lei. E voi? Lo sospettavate?
In realtà credo che era abbastanza facile da intuire, hahahaha. Poi
notiamo come Amira cerchi di avvicinarsi al bel robottino, e oddio sono
così carini, non trovate? C'è anche da dire che per lei è una sorpresa
quella piccola riproduzione in legno, perché forse capisce abbastanza bene
che ha più importanza quella fatta da Luke che quella regalata da Josh.
C'è che Luke, forse, non è poi così privo di sentimenti, voi che dite?
Come sempre ci tengo tantissimo ai vostri pareri, spero di sentire la vostra
opinione. Ricordate: Morgana vi ama tantissimo! ç___ç
Un bacione grande.


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Altruismo ***


 
Altruismo.




 
Amira si guarda allo specchio: non è soddisfatta.
Si volta verso il letto, e nota la catasta di vestiti sparpagliati sul materasso. E' che proprio non gliene va a genio nemmeno uno. Abiti corti, lunghi, colorati, troppo scuri, appariscenti, smorti, spenti.
Insomma un guardaroba da rifare, probabilmente. Ed è proprio la mancanza di abiti che la porta ad indossare una gonna nera corta fin sopra le ginocchia ed una maglia del medesimo colore con la raffigurazione di Emily The Strange. Non che sia convinta, dell'abbigliamento, ma quello ha e quello indossa. E' stanca di cambiarsi.
Nel momento in cui spazzola i capelli davanti allo specchio, sente la maniglia della porta cigolare ed abbassarsi, ed allora si volta.
Luke è davanti l'uscio che la fissa, con quei grandi occhi celesti inespressivi ma che, secondo lei, vogliono dire qualcosa.
Tuttavia Amira fa finta di non notarlo, continua a spazzolarsi i capelli concedendosi qualche attimo per osservarlo di sottecchi. E non fa nulla, l'automa, rimane nascosto dietro la porta a fissarla quasi come se stesse studiando ogni minimo dettaglio che, prima, gli fosse sfuggito.
Ed un po', a lei vien da ridere, perché adesso che ha smesso di rimproverarlo potrebbe pure entrare.
Poggia la spazzola sulla scrivania, sistemando alcune ciocche «Guarda che ti ho visto, Luke, puoi entrare se vuoi!» dice.
Ed allora l'automa apre la porta, inchinandosi formalmente davanti a lei, le buone maniere proprio a dimenticarle. Sono state progettate ed inserite nel suo database.
«Non volevo disturbare, Miss, chiedo scusa» Amira arriccia il naso, incrocia le braccia al petto e poi si avvicina a lui.
«Non disturbi affatto, 'sta tranquillo» gli fa presente, con letizia «e non inchinarti, non devi più ormai!»
Anche questa volta lui annuisce, poi torna a guadare Amira mentre si specchia, e memorizza anche quel gesto della sua padrona, trovandola... adorabile?
Come può trovarla adorabile? Lui, poi, ch'è privo di sentimenti.
«Dannazione, tra un po' devo vedermi con Cal e non sono soddisfatta del mio vestiario» sbuffa lei. Perché nonostante l'uscita sarà con il suo migliore amico, vuole apparire comunque carina.
L'automa, allora, solleva lo sguardo – dapprima posato sulla mensola dei libri – «E' splendida Miss, non ha bisogno di cambiarsi di nuovo» ed il cuore di Amira perde un battito.
Perché, nonostante l'umanoide sia programmato per alleviare gli affanni della vita, non hanno inserito dentro lui complimenti gratuiti. Tutto è stato progettato ai fini di uno scopo, ma è strano Luke, che sembra aver dimenticato il suo vero compito.
Si avvicina a lui, e lo fissa con i suoi grandi occhi cerulei «D – Davvero?»
«Non sono stato programmato per le bugie, Miss. E' bellissima sul serio» e quelle parole, però, le fanno male. Arrivano come lame taglienti all'altezza del petto e perforano il suo organo, rigirando le falci al suo interno quasi come se provassero gusto.
Amira poggia la mano sulla guancia dell'automa, notando quanto possa essere freddo e privo di calore. Si mordicchia le labbra ed infine sorride, perché nemmeno Josh le aveva mai fatto così tanti complimenti sinceri, essi venivano fatti sempre ai fini di avere l'ennesima mezz'ora di sesso nel suo letto.
«Luke...» sussurra.
«Non lo faccia aspettare, Miss, vada o si preoccuperà» dunque lei annuisce, perché ha ragione.
Afferra la borsetta nera e percorre le scale, girandosi un ultima volta per guardare Luke, e poi va via, lasciandolo nella sua camera.
«Amira, Calum è – » ma lei la blocca, perché sa che il suo amico è sempre così puntuale. Difatti nota la sua auto fuori.
«Lo so, è arrivato e non voglio farlo aspettare» dice meccanicamente, riprendendo le parole di Luke. Dopo aver salutato sua madre, esce, dirigendosi verso Calum.
Una volta entrata in macchina, il moro la guarda e sorride, perché nota la vecchia Amira – radiosa e spensierata – e non può che esserne felice.
«Ehi, Ammy, sei splendida!» le dice, perché oltre ad essere meravigliosamente bella indossa degli abiti carinissimi.
Le guance di Amira diventano di un lieve color porpora, che però il ragazzo non potrà vedere a causa della scarsità di luce. Ed Amira è grata alla sera, in quel momento, perché di mostrarsi color cremisi proprio non ha voglia.

«Basta ti prego, non potrei reggere altro! Nemmeno lo voglio il gelato, vomiterò!» Calum ride, mentre – invece – lui il gelato riuscirà a mangiarlo eccome.
Amira l'ha sempre vista come una ragazza difficile, anche nel cibo. Pensa sempre a quella stramaledetta linea, 'ché se sgarra è la fine. Ma secondo il moro anche con qualche chilo in più starebbe bene, è troppo pelle ed ossa.
Entrambi sono appartati in un tavolino del “Millenarium” - un graziosissimo bar a pochi isolati dal centro commerciale.
Si recheranno lì, dopo, ma prima hanno deciso di passare al Mc' per mangiare qualcosa, ed Amira – nonostante adori il cibo del Mc' – proprio si sente in colpa con la sua dieta ferrea.
Sbuffa, mentre la signorina porta la coppetta alla fragola, parandogliela davanti agli occhi. Quasi come se anche la donna le stesse a dire di mangiare, almeno quella sera.
«Sei troppo scheletrica, Ammy, che vuoi che sia un gelato? Lo digeriamo subito, tanto dopo andiamo al centro commerciale» la informa Calum, che però è un pozzo senza fondo.
Lei, invece, si guarda intorno rassegnata ormai a mangiare il suo gelato alla fragola. Deve ammettere che il Millenarium è un bar abbastanza carino, e lei non ci è mai stata. Il moro conosce molti posti in cui lei non è mai andata, considerando le restrizioni da parte di Josh e della sua gelosia.
Non le permetteva di andare in determinati posti, pieni zeppi di ragazzi.
Ed un po' litigavano, perché Amira è sempre stata una tipa combattiva e libera, e di vedersi le ali tappate proprio è stato un colpo. Ma poi, pian piano, si era abituata ed in certi posti nemmeno voleva andarci, di sua spontanea volontà.
Ora, finalmente, è diverso. Può tornare a godersi qualsiasi cosa, eppure avverte un leggero pizzichio agli occhi.
«Ammy?» Amira sbatte gli occhi, cacciando indietro lacrime che nemmeno dovrebbe più versare, non per un farabutto mascalzone.
Trangugia l'ennesima cucchiaiata di gelato e torna a sorridere, fissando Calum «Sì?»
«Non ti piace il gelato?» chiede lui, perché ha visto il cambio improvviso d'umore della sua migliore amica. E' stanca di vederla star male, e quella serata è solo per loro. Devono divertirsi.
«No, no! E' buonissimo!» spiega lei, perché non vuole dirgli a chi stava pensando. Si preoccuperebbe ulteriormente. Ma l'altro sembra intuirlo.
«Ammy, Josh ormai è un capitolo chiuso. Intesi? Chiuso, completamente» Amira annuisce. Ormai lo sa anche lei.
«Sì, è un capitolo chiuso» si ripete, più a se stessa che all'altro.
«Piuttosto, dimmi come va con l'amico metallico in casa» borbotta Calum, che davvero è rimasto affascinato e, sì, anche piacevolmente colpito dalla presenza di Ottocentodiciannove in casa Walker. A lui è piaciuto fin da subito.
«Luke? Beh, svolge il suo lavoro. E... » e fa tanto altro, pensa. Fa quello che non dovrebbe fare, questo è quanto.
Perché Amira l'ha capito che c'è dell'altro in Ottocentodiciannove. Ha capito che non è uno stupito giocattolo robotico inscatolato e mandato alla sua famiglia per aiutarli con le cose quotidiane. Ha capito: ha capito tanto ed un po' non riesce a capacitarsene.
Non riesce a comprendere come, un ammasso di fili, possa essere stato scosso dai sensi di colpa. Lui, poi, che sensi di colpa non dovrebbe averne minimamente.
Amira pensa alla ballerina di legno, quella identica a quella di vetro che Luke ha rovesciato per terra, rompendosi in mille pezzi. E pensa a come sia stato gentile, altruista e pieno di rimorso per costruirgliela.
Ma com'è possibile? Come può un essere privo di vita, sviluppare quelle caratteristiche?
«Ammy?» Calum la richiama, perché la serata non sta andando secondo i piani. Amira sorride poco e nulla, a detta sua, ed è strano.
Sbuffa, poggia le banconote sul tavolino e poi se la tira dietro, prendendola da un polso «okay, ho capito che il gelato non ti va a genio. Andiamo direttamente al centro commerciale, magari ti distrai un po'».
E lei non obietta, lo segue. Poi salgono nuovamente in macchina e Calum accende la radio, lo lascia nella stazione preferita di Amira. Stanno passando Asleep degli Smith ed è la sua preferita.
Guarda Calum, poi sorride, e questo basta per far credere al moro che non potrebbe andar meglio di così, in quel momento.
Con Asleep come sottofondo ed il sorriso di Amira che incornicia il tutto. Solo loro, solo Asleep, solo la loro adolescenza.
Quando arrivano al centro commerciale, vengono sovrastati da una baraonda di gente, intenta ad entrare ed uscire dai vari negozi.
Ad Amira non piace il frastuono, ma farà uno strappo alle regole, perché probabilmente ha parecchio bisogno di perdersi un po' tra i pensieri delle persone per non pensare ai suoi.
Calum l'afferra da un braccio, poi grazie alle scale mobili salgono al piano superiore. Il moro vuole farle vedere il nuovo negozio di abbigliamento femminile, quello che ha un'infinità di gonne nere con merletti e pizzi, ad Amira sono sempre piaciute. E' quello il suo genere.
«Ho pensato che potesse piacerti» spiega lui, fermandosi proprio davanti al negozio dall'insegna scura.
Amira sgrana gli occhi, entusiasta, saltella e sorride spontaneamente «Oddio Calum, dobbiamo per forza entrare!» anche se lui, quello, lo sapeva già.
Difatti perdono mezz'ora solo per scegliere una gonna, che poi si rivela simile a quelle che lei ha già, ma se un semplice pezzo di stoffa merlettato può renderla felice, chi è Calum per contraddirla? Del resto lui vuole la felicità della sua migliore amica, quella che Josh le ha portato via.
«Allora, sicuro che questa ti piaccia? Non so, non credi che sia troppo corta?» Calum sbatte la mano destra sulla fronte, schiaffeggiandosela. Sa bene che Amira è e sarà sempre un'eterna indecisa, ma per lui quelle gonne sono tutte uguali.
Tuttavia annuisce, un po' perché non vede l'ora di uscire ed un po' perché, sì, quel capo è bello davvero.
Alla fine a pagarla è Calum, perché voleva regalarle qualcosa. Lo aveva già prestabilito. Ed Amira le schiocca un bacio sulla guancia, perché amici migliori di lui, non potrebbero esistere.
Usciti dal negozio, camminano tranquillamente, salendo e scendendo dai piani, girovagando alla ricerca di tutto e niente.
Si fermano ed entrano in un negozio di videogiochi, perché Calum è un patito di essi. E mentre si dividono alla ricerca del famigerato gioco che il moro sta cercando da più di una settimana, Amira si sente sfiorare i capelli, in maniera gentile, dolce, ma allo stesso tempo perversa.
Si volta, e quasi non le viene un colpo quando «Bambola, sei una meraviglia. Non poteva entrare creatura più bella, dentro questo negozio» si ritrova Michael Clifford, lo spocchioso compagno nuovo di corso, davanti a lei.
Sbuffa, Amira, che proprio non lo sopporta. Nonostante grazie a lui abbia saputo la verità.
«Smamma, Michael!» ringhia, ma lui non l'ascolta. Perché Amira ogni qualvolta si comporta così, a lui salgono gli ormoni. Non può farci nulla.
L'afferra da un polso, avvicinandosela fino a far scontrare il petto con il suo, e poi le alza il viso con l'indice destro.
«Quando fai così ti sbatterei anche negli scaffali dei videogiochi, amore mio» sussurra, mentre Amira cerca d'indietreggiare. Perché Michael Clifford fuma peggio di un aborigeno nel pieno della cerimonia del fumo, ed a lei da assai fastidio.
Tuttavia la stretta di Michael è forte, e difficilmente riuscirà a svincolarsi da quella presa. Maledice Calum e la sua fissa per i giochi, a quest'ora non avrebbe incontrato quel tizio dai continui cambi di tinte.
«Io invece ti sbatterei la borsetta in faccia, ora se non ti dispiace potresti lasciarmi? Grazie» lui l'ascolta poco, però, ammorbidisce la presa ma non la lascia.
Le ruba un bacio a fior di labbra e poi si permette anche di palparle il sedere, perché secondo lui è da favola.
«Clifford, lasciala stare!» fortuna vuole che Calum abbia trovato il suo gioco, tornando dalla sua amica e notandola in difficoltà. Michael, allora, azzera le distanze ed accenna un ghigno mentre incrocia le braccia al petto.
Fissa i due, come se non avesse fatto nulla di male «Adesso è single, posso baciarla, no?»
Amira sta per scoppiare, avanza per tirargli un pugno ma il moro la ferma «Hai pensato che probabilmente lei non voglia baciarti?» ringhia, inferocito.
«Amira dovrebbe ringraziarmi, invece di trattarmi come uno che non si lava da mille anni» lo rimbrotta Michael, perché nonostante abbia modi bruschi di approcciarsi con le persone, è solo grazie a lui se la verità è venuta fuori.
«Come pensi che io possa ringraziarti quando ti comporti così?» gli urla la ragazza, perché se avesse avuto più tatto Michael, di certo l'avrebbe ringraziato. Lo guarda con cipiglio severo, e rafforza l'idea che loro non potranno mai diventare amici.
«Sei comunque una pupa Ammy, e quello stupido non sa cosa si è perso» ed allora le guance di lei diventano colo cremisi, Calum rotea gli occhi e se la trascina dietro. Perché tanto sa che Michael Clifford è un assurdo donnaiolo, e ci prova con metà istituto.
Escono dal centro commerciale, ed entrano nuovamente in macchina.
Calum liscia un po' il manubrio, con fare pensante, mentre Amira vuole solo tornarsene a casa.
«Mi dispiace per quello stupido di Clifford» cerca di spiegarle, ma lei non l'ascolta. Non ce l'ha con lui, ma con quello stupido idiota.
«Non è colpa tua, ti prego torniamo a casa» e lui annuisce.


A casa c'è già silenzio.
Scott probabilmente è di sotto, nel seminterrato, a completare il busto del presidente di cui Luke le aveva parlato. Tyson ed Edward sicuramente dormono, così come Eleonor.
Amira si guarda intorno, notando come la casa scintilli. Sa ch'è tutta opera di Luke, eppure in un certo senso non lo trova giusto.
Poggia la borsetta sulla sedia, si sfila le scarpe e sale in camera sua stando attenta a non far rumore, 'ché a quell'ora forse era meglio non rientrare. Fortuna vuole che i genitori hanno smesso di aspettarla da tempo, considerando che conoscono Calum e si fidano ciecamente di lui.
Entrando nella sua stanza, Amira può notare come brilli anche quest'ultima ed un po' è felice. Pensa a quando dava dello stupido giocattolo all'automa e di quante cose tristi gli abbia detto, eppure nonostante tutto Luke ci ha sempre passato su, senza badare alla sue parole taglienti. Magari perché è privo di sentimenti, pensa Amira. O forse perché, in realtà, ha un cuore che batte ch'è più grande di quello degli umani stessi, ribatte contro se stessa, ora stesa sul letto.
E non riesce a non pensare all'automa, alle sue parole di quel pomeriggio e di come brillino i suoi occhi, che a confronto le stelle non son nulla.
Si gira e rigira nel grande letto, senza riuscire a chiudere occhio, perché le iridi azzurre dell'automa le trapassano il petto e le provocano grandi scossoni.
Decisa, si alza dal giaciglio, a piedi nudi contro le piastrelle del pavimento riesce ad arrivare alla porta che poi spalanca, percorre il piano sottostante e si dirige nello sgabuzzino, dove sa che lo troverà.
Luke alloggia lì.
Delicatamente picchietta alla porta, ma nessuno apre.
Dallo spiffero dell'uscio intravede dei fasci di luce multicolori; probabilmente Luke è in carica ed un po' le dispiace disturbarlo, ma lei deve vederlo. Sente di averne bisogno.
Ed è per questo che entra nella stanza, dopo aver bussato una seconda volta. Nota Luke vicino al muro, una presa sul fianco ed i suoi occhi celesti che, adesso, sono rossi.
L'umanoide, sebbene in carica, rivela una presenza nella stanza che poi associa ad Amira. Quest'ultima fa due passi indietro, perché stava cominciando a vedere Luke più come una persona che come un ammasso di ferraglia, leggermente amareggiata fa per uscire, ma l'automa sfila la presa dal fianco e così i suoi occhi tornano sulle sfumature cerulee.
«Miss, le serve aiuto? Visto che tutti erano andati a dormire io mi sono permesso di – » Amira scuote il capo, e non sa perché i suoi occhi comincino a pizzicare. Bruciano e fanno male.
«No, io – non ho bisogno di nulla» e non dice nient'altro, lei, che trova stupido dire a Luke che, sì, un po' voleva vederlo. Però forse solo un po'.
«Mi chiedevo se si fosse divertita con Calum Hood, Miss» ed Amira grana gli occhi, perché non aveva mai detto il nome di Calum all'umanoide. Lo guarda, mentre l'altro fa la stessa cosa abbozzando un sorriso.
«Ma tu come sai il suo nome?» chiede, perché è lecito domandare visto le circostanze.
«L'ho scansionato quando l'ho visto la prima volta» la informa lui, come se fosse normalissima la cosa. In realtà Amira è un po' spaventata, perché ad Ottocentodiciannove non sfugge nulla.
«Mi sono divertita, sì» sospira, perché ha omesso la parte in cui Clifford le ha rubato le labbra per baciarle senza permesso. Sa che Luke rivelerà le sue emozioni, ma non ha voglia di discuterne.
Eppure lui la sorprende nel momento in cui annuisce e «Non chiederò altro Miss, quando e se le va di parlare può contare su di me» dice. Amira sa che Luke è speciale, l'ha capito da quando ha intagliato la sua ballerina, riproducendola al meglio su un ciocco di legno.
Eppure adesso rafforza quell'idea quando, l'automa, si è permesso di comportarsi da umano. A non chiedere e rispettare il silenzio, senza fare l'invadente.
«Luke?»
Questi alza lo sguardo – dapprima posto sulla presa che lo collegava al muro – e la guarda inclinando di poco il capo «Sì, Miss?»
«Ecco io... mi chiedevo se, cioè insomma – fa una pausa, lei, perché non sa se sia la cosa giusta da fare, si morde le labbra con fare nervoso – ecco, tu potessi accompagnarmi a scuola, domani»
In realtà si sorprende Amira, che prima non voleva nemmeno vedere Luke in giro per casa. E' bastata una stupida bambolina di legno a farle cambiare idea. Sembra strano, eppure in quella piccola statuetta ha visto tutto il sentimento, l'amore, la passione e la forza di volontà che Luke ha. E non crede che la Department non abbia dato emozioni e sensazioni all'automa, Amira crede ne abbia più lui che alcuni umani stessi.
Torna dunque a guardarlo, attendendo ansiosamente la risposta mentre Luke sembra pensarci un po' «Sarei lieto di accompagnarla domani, Miss» dice.
Ed allora a lei tutto quello basta, quella risposta le basta.
Si avvicina a Luke, e poi prende la presa dalle sue mani gelide, mentre lo fissa dolcemente.
Perché alla fine, l'automa, ha davvero un buon cuore. Ed Amira lo capisce solo adesso, da quando è uscito dalla scatola.
«Lascia, faccio io» gli dice, mentre solleva di poco la maglia di Luke, scoprendo il fianco sinistro ove sono riposti due piccoli buchi. Ipotizza, allora, che la presa va messa lì.
Infila lo spinotto al fianco di Luke, mentre l'altra attaccatura finisce al muro.
Gli occhi dell'automa tornano sulle striature cremisi ma questa volta Amira non indietreggia, né fugge.
Poggia le mani sul petto di Luke, si solleva di poco ed infine preme le sue labbra sottili sulla guancia dell'automa.
«Buonanotte, Luke» e va via così, incerta se quest'ultimo l'abbia sentita o meno.
 

SBAAAAAAAAAM

Vi erano mancati, Amira e Luke?
A me, personalmente, sì.
Hola miei piccoli tesori! :D Come state?
Spero bene! Allora, diciamo che questo capitolo
è un po' così, ma spero comunque che vi piaccia.
A me personalmente ha fatto impazzire la parte
in cui Amira aiuta Luke a caricarsi. Non sono dolcissimi?
Finalmente Ammy ha messo da parte tutto l'odio viscerale
che provava per lui, perché, diciamocelo, non se lo meritava
proprio! Senza contare che lui a lei sembra tenerci particolarmente.
E c'è ch'è speciale, ormai è risaputo.
Ma c'è anche che, quel complimento, Ammy non se lo aspettava proprio.
Fatemi sapere, come sempre, cosa ne pensate. Siete voi ad alimentare
le mie storie ç__ç
Morgana vi ama, e vi manda un grosso bacione.
Alla prossima!


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ospiti ***


 
Ospiti.


 
Quello che sveglia Amira dal suo sonno tranquillo, non è né un sogno né un incubo. E' semplicemente la vibrazione del cellulare che, purtroppo, ha dimenticato sotto il cuscino.
Sblocca lo schermo, mentre ancora ci vede poco a causa degli occhi impastati dal sonno, e riesce a leggere solo un nome che le procura una strana morsa al petto.
Come se il messaggio l'avesse inviato un serial killer, Amira balza dal letto, corre verso la porta e percorre le scale di tutta fretta, infischiandosene di essere a piedi scalzi.
Corre verso la cucina, fermandosi sulla soglia solo quando incontra sua madre Eleonor, indaffarata a giocare con Edward, perché il piccolo ha l'influenza e non è andato a scuola.
«Mamma! Perché non me l'hai detto!» Sbotta Amira, 'ché lei deve sapere sempre tutto e quando ciò non accade le palpitazioni le fanno uscire il cuore dal petto. E' inammissibile che oggi si sia svegliata così, e dire che aveva dormito anche bene!
Dal canto della genitrice, poggia il giocattolo del figlio sul tavolo, mentre pulisce ad Edward le labbra sporche di cibo, si avvicina alla figlia e le sistema alcune ciocche scure.
Amira è impazientita, e, sì, anche incazzata. Tutto si aspettava tranne che ricevere quel messaggio da quella persona.
«Amira calmati, inutile che fai così!» cerca di spiegarle la madre, pur sapendo che non si calmerà, lei.
«Calmarmi? Mamma dici che devo calmarmi? Lo sai che non sopporto Ashton e la sua famiglia del cavolo. Lo sai, accidenti! E per di più dovranno pernottare qui due o tre giorni? Non esiste mamma, dimmi che è uno scherzo!» ma sua madre scuote il capo, si morde nervosamente le labbra e guarda il figlio che ancora non si è mosso da dove l'aveva lasciato.
«Ammy tua zia ci tiene moltissimo a vedere i tuoi fratelli e passare un po' di tempo con tuo padre, capisci?» e sebbene Amira odi suo cugino Ashton, purtroppo si ritrova ad annuire. In fondo chi è lei per obiettare?
Ma lo sa, sa bene che quando arriveranno tutto cambierà. Perché Ashton è antipatico, altezzoso ed autoritario, senza contare che qualche volta l'ha pure spiata mentre era in doccia, roba da pazzi!
«Dov'è papà?» chiede, perché magari può riuscire a fargli capire che i suoi zii, lì non possono rimanere.
E quando Eleonor le comunica che è nel seminterrato insieme a Luke, questa si precipita di sotto.
Spalanca la porta, con il fiatone di chi ha percorso le scale o – meglio – ci è scivolata sopra. I suoi occhi guizzano da una parte all'altra della stanza, poi si posano su quelli del padre che, ormai, sta passando il lucido sulla statuetta del presidente. Nota anche l'automa, vicino a lui, che lo guarda con attenzione mentre gli porge attrezzi e quant'altro.
«Papà!» esclama, entrando nella stanza. Questi si pulisce le mani, poggia la stuoia sul piano da lavoro e guarda la figlia, abbozzando un sorriso.
«Oh, buongiorno anche a te, Amira» Scott è felice, forse per il busto del presidente o magari perché ben presto rivedrà sua sorella.
«Perché non mi hai detto che zia AnneMarie verrà a trovarci? Lo sai che a me Ashton non piace proprio!» sbotta, perché a lei poco importa di farlo rimanere male. In fondo a lei non era stato detto nulla.
«Buongiorno Miss» gli occhi cerulei di Luke si poggiano sulla figura di Amira, si permette di rilevare le sue emozioni e nota quanto possa essere adirata la sua padroncina.
Dal canto di quest'ultima, si volta quanto basta per notare il viso dell'automa. Gli sorride cordiale, «Buongiorno Luke» dice, perché lo trova grazioso in quel preciso momento. Mentre aiuta il padre con il suo passatempo.
«Non ne abbiamo avuto il tempo, tesoro, tua madre ed io dovevamo parlartene ieri ma poi sei uscita con Calum e sei rientrata tardi dunque noi – »
«Un messaggio da tuo nipote! Ecco come l'ho saputo! E sai cosa mi ha detto? “Non vedo l'ora di vederti, cugina” io non lo sopporto papà. Non lo sopporto. Scordati di dargli la camera degli ospiti, scordatelo. E' vicina alla mia camera» ringhia, conficca le unghie sui palmi, affila lo sguardo e serra le labbra, attendendo la risposta del padre.
Ma Scott non può esaudire le sue richieste. Alla fine Ashton – seppur stronzo o magari sgarbato – è pur sempre suo nipote. Ed anche Scott quando aveva l'età di Ashton si comportava allo stesso modo.
E' solo un ragazzo Amira, anche io alla sua età mi comportavo in quel modo” le ha detto, ma a lei poco importa. Ci sono modi e modi di comportarsi, e spiarla sotto la doccia o utilizzare la scusa di farsi prestare qualcosa proprio mentre lei si sta vestendo non è uno dei migliori. Senza contare ch'è stronzo, Ashton, con quel sorriso da bastardo e quei occhi verdi che ti scavano fino a fartele uscire dalla bocca, le budella.
E' il classico stronzo da cui starne alla larga. Fondamentalmente non è il tipo che chiede, ma bensì che prende senza alcun permesso. E lei non lo sopporta. Non lo sopporta proprio.
«Dimmi almeno quanto tempo a disposizione ho, per rilassarmi, allora» cerca di dirlo nel modo più calmo possibile, nonostante dubiti di esserci riuscita.
Scott torna a lucidare la sua scultura, mentre Luke rimane nel più assiduo silenzio; secondo lui è la cosa migliore da fare.
«La zia verrà all'ora di pranzo» dice infine.
«Fantastico, davvero! Fantastico, cazzo!» ha provato a trattenersi, ma non ci è riuscita.
Suo padre, allora, smette di dedicarsi all'intaglio solleva il braccio e sta per darle un ceffone – perché l'educazione la prima cosa, senza contare che, nella bocca di una ragazza, le parolacce nemmeno dovrebbero esserci – e quest'ultima chiude gli occhi perché tanto forse un po' se lo merita pure. Aspetta la sua punizione, ma qualcosa ferma il gesto.
Luke afferra il braccio del suo padrone, forse mosso dall'impulso. «Signore»
Scott strabuzza gli occhi, si volta verso l'automa e lo guarda. Perché non credeva che la Department avesse sviluppato anche la difesa su terzi. «Luke?»
«Mi conceda di dirle che probabilmente sta esagerando, signore. La Miss non ha scusanti, ma credo che vada bene anche un... rimprovero» continua l'automa, ed Amira si limita ad osservarlo, mentre il suo cuore si accartoccia.
Si morde le labbra e vorrebbe tanto ringraziare Luke, ma forse è meglio non parlare visto le circostanze. 'Ché una volta è riuscita a farla franca, ma due volte sarebbero troppe. E l'automa non potrà sempre salvarla.
«Hai ragione Luke, non so cosa mi sia preso. Amira vai in camera tua, per piacere» e lei non ci pensa due volte. Si avvicina alla soglia, guarda un'ultima volta l'androide che ricambia l'occhiata e poi torna al piano superiore, addentrandosi nella sua stanza.
Decide di vestirsi adeguatamente, perché visto che non riuscirà a persuadere suo padre quanto meno si mostrerà decente.
L'ha detto anche a Calum, sia di Scott che di Luke e questi sembra non crederci.
Amira, Luke è sensazionale!” le ha detto, ed anche lei pensa la stessa cosa. Forse anche troppo sensazionale.
Sfila la sua sottana rosa, ma la porta richiama la sua attenzione. «Miss?»
E, se prima lo reputava uno stupido giocattolo privo di ormoni e sentimenti, adesso Amira rovista nell'armadio per prendere una di quelle magliette lunghe fino alle ginocchia, la indossa e si dirige alla porta, che spalanca subito dopo.
«Luke...» sussurra, appoggiandosi allo stipite. Sorride, perché forse è contenta di vederlo.
«Volevo sapere come stava, Miss. Suppongo che suo padre, prima, abbia esagerato» la strana preoccupazione che Luke le riserva, continua a farle palpitare il cuore. Ed è strano, perché lei non l'aveva assolutamente valutato quell'effetto. Non generato da un androide, per lo più.
Si morde le labbra, scostandosi di poco per permettere all'automa di entrare dentro la camera. E questi lo fa, senza alcuna obiezione.
«Grazie per avermi aiutata, prima» e lui sbatte le palpebre due volte.
«Sono stato programmato per – »
«Non è nel tuo programma questo, Luke» spiega, anche se è inutile. Sa bene che Luke capisce cosa è nel suo programma e cosa, invece, non è stato inserito. E' un automa, è normale che lo sappia.
Dal canto di quest'ultimo, infatti, preferisce il silenzio. Cosa che mai aveva scelto, considerando la sua “programmazione.”
«Suo cugino Ashton non le piace, Miss?»
«Diciamo che non è il genere di persona che mi piace avere in casa, però cosa posso farci? Mio padre e mia madre mica mi ascoltano, sono sempre messa da parte, Luke. Inutile parlarne ulteriormente, sprecherei solo fiato e non mi va» dice, buttandosi a peso morto all'indietro.
E Luke annuisce, standosene seduto mentre osserva le pareti della stanza, poi le mensole, i libri, l'armadio, la scrivania ed anche i poster che Amira ha appeso tanto tempo fa.
Viene interrotto dalla sua padroncina quando, battendo la mano sul letto, richiama la sua attenzione.
«Stenditi vicino a me, Luke» gli chiede, e lui lo fa. Perché continua a pensare di essere stato programmato per quello: alleviare gli affanni e rispondere agli ordini, «Non voglio vedere Ashton, non lo sopporto» continua Amira nella speranza che l'automa dica qualcosa.
Eppure, per la prima volta, lui cambia argomento nel momento in cui il suo corpo scontra la morbidezza del materasso. Gli piace.
«Non avevo mai provato un letto. E' davvero morbido, Miss» ed Amira ride, perché lo trova dolce.
Poggia una mano sulla cresta ordinata di Luke, sfiorando i suoi capelli sintetici ma che, comunque, sembrano dannatamente veri.
Ne arriccia qualche ciocca tra le dita affusolate, e poi fa scontrare gli occhi con quelli dell'automa.
«Ti piacerebbe averne uno?» chiede.
Ma Luke non sembra entusiasta, perché a lui serve solo la presa della corrente, rimane sempre un robot e come tale ha le sue abitudini «Miss credo che mi servirebbe ben poco se sono sprovvisto di presa e corrente» controbatte, e lei annuisce perché ha ragione. Che domanda sciocca.
«Sai, sei così strano Luke. All'inizio ti davo dello stupido giocattolo, mi rendo conto che invece sei simile a me, ci differenziamo per poche cose»
«Lei ha un cuore che batte, Miss» ed Amira, allora, si morde le labbra. Perché Luke, a quanto pare, non ha dimenticato quella stupida frase che ha detto il giorno in cui ha scoperto di Josh e lui ha tentato di saperne di più.
Quel giorno Amira gli ha ricordato che lui era sprovvisto di cuore e, come tale, rimaneva un giocattolo robotico.
E si è pentita, adesso, perché un cuore, Luke, lo ha. Forse più grande di tanti altri umani.
«Non ha importanza Luke, molta gente è munita di cuore ma sono insensibili e privi di sentimenti» cerca di spiegarli, perché un po' sa di collegare quella frase a Josh, ormai suo ex ragazzo.
«Si lasci il passato alle spalle, Miss, non le fa bene ricordare»
«Credo tu abbia ragione, ma alle volte non riesco a dimenticare quello che c'è stato tra – »
«Non può dimenticarlo, è normale. Ha la memoria Miss, quella difficilmente va via» sospira, Amira, perché trova il vero nelle parole di Luke.
E si fa piccola piccola, mentre si avvicina all'automa. Poggia il capo sul suo petto, ma purtroppo non c'è nessun cuore che batte. Ed allora cerca d'immaginarselo, il battito, perché ha sempre avuto una gran fantasia, lei.
«Stringimi» gli sussurra, e lui la guarda incredulo. Non sa cosa fare ed è strano, considerando che il suo database è assai fornito.
«Miss?»
«Stringimi, Luke» ed allora lei lo aiuta. Prende le sue mani e si cinge il bacino, facendo capire all'automa dove posizionarle. Questi si lascia guidare, ed in poco tempo Amira è avvolta in un abbraccio privo di tepore ma che, sicuramente, la scalda più delle braccia di Josh.
«Gli umani fanno questo, Miss?»
«Quando la gente è triste sì, ma anche quando sono felici. Gli abbracci servono per... insomma non lo so, ma l'unica cosa di cui sono certa è che io, in questo momento, ne sento un maledettissimo bisogno» lo dice tutto d'un fiato, senza lasciarsi sfuggire nulla. Poco le importa del passato in quel preciso momento, con Luke che le cinge il bacino ed il proprio capo poggiato sul petto dell'automa.
Quasi avverte una sensazione di appagamento, e crede che sia giusto. Che quel momento sia giusto.
«Può abbracciarmi quando vuole, Miss. Quando sente il maledettissimo bisogno» ed Amira non desidererebbe sentire parole migliori di quelle.
Avverte un pizzichio agli occhi che, però, non si accentua in lacrime.
E stanno bene in quel modo, Amira e Luke, avvolti in un maledettissimo abbraccio.

Eleonor sistema la maglia ad Edward, che nonostante stia poco bene deve pur sempre rimanere pulito e profumato perché gli Irwin stanno arrivando.
E che gioia, pensa Amira.
Scott sistema la tavola, poggiando le forchette alla destra, i coltelli ed il cucchiaio a sinistra. Che poi non se ne intenda di galateo è tutta un'altra storia, senza contare che magari ha posato l'argenteria in maniera errata.
Luke gioca con Tyson, invece, mentre quest'ultimo gli racconta l'andazzo scolastico. Amira si perde ad osservarli, entrambi seduti sul divano con gli occhi celesti dell'automa che guardano il suo padroncino. Attento, vigile, come se – sul serio – gli importasse qualcosa della scuola di Tyson.
Che sia così, o no, Amira di certo non lo scoprirà.
Avanza verso loro, suo fratello sta ancora blaterando ma poi si blocca nel momento in cui Luke distoglie lo sguardo per posarlo su Amira, che ormai gli è davanti.
Ed allora il ragazzino sbuffa, gonfia le guance e va da sua madre, che forse lei ascolterà.
«Miss» e si alza dal divano, come se stesse aspettando gli ordini di lei.
Questa scuote il capo, si morde il labbro e fa incontrare gli occhi con quelli dell'automa «Mio cugino con la sua famiglia arriverà a breve» sussurra, senza nascondere il velo di disgusto che prova.
E Luke l'avverte, senza bisogno di scansionarlo.
«Resti se stessa e vedrà che andrà bene» e lei lo farà.
Entrambi sorridono, ma il sorriso di Luke è il migliore, a detta di Amira.
Sta per regalargli una carezza quando, però, la porta richiama la sua attenzione.
Quasi avverte il trillo in maniera fastidiosa, immaginandosi chi c'è dietro la porta.
Scott si precipita ad aprire, e poi abbraccia la sorella che dall'ultima volta che Amira l'ha vista si è tinta i capelli di biondo.
Quando la famiglia entra di gran carriera, Amira rotea gli occhi perché Ashton le ha già fatto l'occhiolino due volte, manco avesse un tic all'occhio.
Poi si sfilano le giacche, AnneMarie corre da Eleonor, Harry e Lauren vanno da Tyson ed Edward – che questi sono entusiasti nel mostrargli i nuovi giochi – Scott parla con Trevis Irwin ed infine Ashton si avvicina ad Amira, che però non si è mossa, rimanendo vicino a Luke.
«Sei sempre più bella, Ammy» gli occhi verdi di suo cugino si posano sul suo volto, poi scendono sinuosi sulle forme, quasi come se la stesse spogliando anche solo con lo sguardo. Ed Amira è disgustata, vorrebbe urlare ma l'unica cosa che la trattiene e Luke e le sue parole incoraggianti.
«Grazie» dice allora, perché non ha altro d'aggiungere.
Ashton sposta lo sguardo sull'automa, accenna un sorriso e poi sbuffa «Siete muniti di un bell'elettrodomestico a quanto pare» sbotta.
«Non osare chiamarlo così, stupido!» Scott si volta, perché l'ha sentita Amira. Ed ancora non ha perdonato il comportamento di prima.
Questa abbassa lo sguardo, si morde le labbra e non dice più nulla, mentre avverte gli occhi di Ashton puntati sul suo viso chino.
«Mi fai vedere la mia stanza?» le chiede, e lei accetta. Controvoglia, ma accetta.
C'è ancora mezz'ora che li separa dal pranzo, e probabilmente Ashton l'ha calcolata questa mezz'ora. Percorrono le scale, salendo, ritrovandosi davanti la camera degli ospiti che, purtroppo, si presenta accanto a quella di Amira.
Questa apre la porta, mostrandogliela «Questa è la tua camera» però ad Ashton non sembra importare.
E non perde tempo a poggiare le sue manacce sul fondo schiena della cugina, «Se tu dovessi sentirsi sola, questa notte, sappi che io sono proprio qui».
Amira si sposta, perché non andrebbe mai da Ashton, che intanto ha poggiato il capo nelle sue spalle. Riesce ad avvertire i suoi riccioli castani solleticargli la pelle, indignata si sposta.
«Perfetto, grazie cugino. Io adesso andrei, ti lascio alla sistemazione» di tutta fretta scende al piano inferiore, dove AnneMarie ed Eleonor stanno parlottando sull'andazzo scolastico dei propri figli.
«Mamma, posso dare un aiuto in cucina?» chiede, notando quanto sia cambiata sua zia. La ricordava diversa, ma il tempo – di certo – passa anche per quest'ultima.
Eleonor scuote il capo, però, perché crede che debba passare più tempo con Ashton e dargli una possibilità, sono cugini del resto.
«Tesoro perché non mostri ad Ashton qualcosa? Io ho già tua zia che mi aiuta, per di più il pranzo è pronto a momenti, dunque direi proprio di no. Divertiti, amore!» quasi non soffoca un urlo isterico, lei, che divertimenti con Ashton non ne potrà mai avere.
Dal canto di quest'ultimo, si permette di scendere le scale e parli del diavolo e spuntano le corna, pensa Amira continuando ad odiarlo.
«Già, perché non mi mostri qualcosa?» e marca bene l'ultima parola, permettendosi di sfiorarle il sedere che, secondo lui, è il migliore.
Poco le importa che ha di fronte sua cugina, gli ormoni sono ormoni e l'istinto maschile prevale anche sulla parentela.
Amira sbotta, si sposta e gli occhi suoi s'accendono, iniettati di sangue lo fissano e se solo non ci fosse Scott che parla con suo zio a qualche metro di distanza, un pugno se lo beccherebbe pure, il cugino Irwin.
Decide di mostrarle il seminterrato, luogo in cui suo padre lavora alle sculture di legno e ne lascia una buona parte, esposte come trofei.
Percorrono le scale in religioso silenzio, Amira accende poi la luce ed incrocia le braccia al petto.
«Mio padre qui ci lavora,» spiega, nonostante sappia che ad Ashton non gli importi. «si passa il tempo facendo sculture di legno»
«Interessante» Ashton invece si permette di guardare le curve prosperose della cugina, che degli intagli di suo zio non gliene frega un'accidente.
Amira china il capo, perché quei occhi che, costantemente, la scrutano cominciano ad infastidirla parecchio.
Si morde le labbra, guardandosi la punta rovinata di entrambe le scarpe. Sente i passi di Ashton farsi più vicini, poi quest'ultimo poggia la sua viscida mano sulla schiena di lei, facendola appiattire contro il suo petto.
Le sposta una ciocca corvina dal viso, permettendosi così di guardarla meglio «Sei bellissima Amira» e risulterebbe anche un complimento carino se non fosse per la sua mano che continua a vagare indisturbata lungo tutta la schiena, prospettandosi sempre più in basso e sfiorandole i glutei.
«Toglimi le mani di dosso» ringhia lei, cercando di staccarsi da quello che, ipoteticamente, sarebbe suo cugino.
Ma la forza di Ashton non è proporzionale alla sua, e finisce per fallire ritrovandoselo molto più vicino «Dammi un bacio».
«Scordatelo, e diavolo, lasciami andare!» però tutto quello piace al ragazzo, la trova eccitante Amira.
Stringe i glutei tra le dita, affondandoceli meglio, sta per far scontrare le sue labbra con quelle di lei quando cigolii metallici provenienti dalla scala li interrompono.
«Rammaricato d'interrompere qualcosa, signori, ma il pranzo è pronto» ad Amira gli occhi pizzicano, tanto, bruciano pure. Non sa perché ma sente l'impellente bisogno di giustificarsi con Luke.
«Luke...» sussurra, ma questi ha già ripercorso le scale.
Ashton allora si morde le labbra, cerca di trattenere la risata ma ci riesce ben poco «Che ti prende Ammy? Non mi dirai che ti piace il robottino»
E lei un pugno questa volta glielo da, perché se lo merita tutto. Si svincola da quella presa viscida e percorre le scale di gran fretta, ritrovandosi poi in cucina.
Prende posto accanto a Tyson, mentre Ashton arriva sedendosi accanto a suo fratello Harry.
Tutti sono a tavola, poi Luke comincia a portare le portate.
Amira cerca il suo sguardo che, però, non trova. E non sa perché, ma si sente uno schifo.
«Allora Travis, come vanno gli affari?» Scott inforca qualche raviolo, lo porta alle labbra e mastica, attendendo la risposta del cognato.
«A gonfie vele, direi. C'è anche da dire che tante tue sculture sono state vendute» ed al signor Walker il petto gli si gonfia manco fosse un pallone da mongolfiera. E' orgoglioso.
Anche AnneMarie è felice, perché riconosce la bravura di suo fratello, Eleonor è entusiasta mentre i bambini cominciano a lanciarsi molliche di pane.
Ashton non smette di guardare Amira, invece, nonostante lei non ricambi le sue occhiate perverse.
Luke è in cucina, sicuramente a tagliare l'involtino gigante di carne, con spezie pregiate portate dall'Egitto da Trevis, perennemente in viaggio.
Ad Amira la fame è passata, forse per Ashton così impulsivo o magari perché Luke così privo di emozioni comincia a farle male. Non saprebbe spiegarselo.
«Allora Ashton, cosa mi dici? L'hai trovata la fidanzatina?» continua Scott, ed Ashton sorride beffardo, pulendo le labbra con il tovagliolo di stoffa e versandosi del vino rosso nel bicchiere.
Da una rapida occhiata ad Amira che gli sta di fronte, e poi si morde le labbra «Non ancora, diciamo che ci sto lavorando» e lei quasi non si affoga con la sua stessa saliva.
Perché, sul serio, Ashton se lo scorda!
Il pranzo termina solo nel tardo pomeriggio, perché AnneMarie li ha deliziati con le sue torte alla frutta, poi sono usciti a fare una passeggiata, lasciando Luke a casa, con il cuore di Amira ch'è rimasto tra quelle quattro mura, insieme all'automa. Perché, sul serio, lei nemmeno voleva uscire.
Avrebbe senza ombra di dubbio gradito rimanere insieme all'androide, che è più affabile di suo cugino.
Ritornano a casa solo alle dieci di sera, dopo l'ennesima sosta in qualche locale a bere e con i piedi di Amira che invocano pietà.
Si dirige nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Ashton cerca di salutarla, ma la trova chiusa.
Si morde le labbra e sorride, perché tutto quello a lui piace. S'inoltra in camera sua, quando un'idea malsana gli balena in mente. Perché ha ben capito cosa blocca Amira nell'avvicinarsi a lui.
«Ehi, Luke puoi venire su un minuto?» urla, nella speranza che l'automa lo senta.
Questi non appena rivela la voce dell'ospite, sale le scale ed apre la porta. Rimane sulla soglia e lo fissa, sbattendo le palpebre due volte «Signore?»
«Ciao Luke» e si mette comodo a letto, accavalla le gambe e porta le mani dietro la testa, a mo' di cuscino.
Una fresca brina entra dalla finestra aperta, facendogli muovere i capelli castani.
«Posso esserle d'aiuto, signore?» ed Ashton inarca un sopracciglio, sorride ed annuisce.
«Certamente, amico mio»
«Cosa posso fare per lei?» continua l'automa, attendendo gli ordini.
Dal canto di Ashton l'ennesimo risolino, divertito si mette su, incrociando le braccia e poi fissa l'automa con fare beffardo. «Salta»
«Signore?» perché, in fondo, la trova davvero una richiesta stupida, quella. Ma se potesse appagare qualche affanno dell'ospite perché non farlo.
«Salta, ho detto!» urla il riccio, incitandolo.
Ed allora l'automa lo fa, salta su se stesso senza fermarsi. Ashton, però, si schiaffeggia la fronte sbuffando, quasi indispettito.
«Non su te stesso, coglione. Sei proprio messo male. Salta, ma fuori dalla finestra»
Luke sbarra gli occhi, si affaccia alla finestra e calcola la distanza dal suolo. Saranno all'incirca tre metri e mezzo o quattro.
«Il mio database rivela troppa distanza dal suolo, signore, non credo che io – »
«Salta e basta, ho detto!»
Ed allora Luke lo guarda per un'ultima volta, sbatte le palpebre due volte e poi annuisce.
Un solo balzo, fuori dalla finestra, un tonfo pesante che fa sussultare Amira dall'altra parte della stanza. E quando apre le serrande per vedere cosa è successo, sgrana gli occhi.
Luke è per terra, al suolo, i suoi occhi si aprono e chiudono velocemente, con dei tic fastidiosi.
Fumo dalle spalle, dalle gambe e dal petto che esce. Amira non vuole crederci, non può crederci.
Corre le scale, apre la porta e si precipita fuori, pronta a soccorrerlo.
«Luke! Oddio Luke, ti prego... » sfiora i capelli biondi, mentre osserva gli occhi suoi leggermente socchiusi.
«Miss» la voce non è più la stessa, è leggermente ingrossata come fosse scarico.
Ad Amira gli occhi bruciano, poi lascia cadere le lacrime, mentre poggia il capo sul petto di Luke.
Scott arriva subito dopo, sgranando gli occhi «Ma che succede?»
«Si è buttato dalla finestra, e indovina un po' per ordine di chi? Del tuo amato nipote! Lo odio papà, lo odio!» ringhia, mentre sente un fuoco assurdo bruciarle le viscere. Scott sospira, poggia la mano sulle spalle sussultanti di Amira e si morde le labbra.
«Non preoccuparti tesoro, possiamo ripararlo» e questo basta, per Amira.
 

SBAAAAAAAAAM

Ehm, allora, diciamo che questo capitolo è così... triste?
In realtà non so dirlo, ma è più un miscuglio di tristezza ed odio.
C'è che, francamente, non volevo fosse Ashton ad interpretare la
parte dell'odioso cugino anche perché io non me lo vedo proprio
a comportarsi così, ma poi mi son detta "Morgana che vuoi farci?
Devi stravolgere i personaggi, anche, devi provarci!" Ed allora
eccolo qui, un Ashton insopportarbile.
Amore mio, Ash, scusami tantissimo ç___ç
Che ne pensate della storia? Vi piace come si sta svolgendo?
C'è Che Ash è furiosamente geloso, ed ha capito che qualcosa, sotto sotto
Amira la nasconde.
E sa bene che c'entra Luke, in questa storia.
C'è che non lo sopporta, ed allora lo fa saltare giù, gli ingranaggi e le rotelle
di Luke, allora, prendono a funzionare male, collidersi, ed è per questo che va in fumo.
Amira è sconvolta, che abbia capito cosa sta succedendo dentro lei, grazie al robottino?
Poi c'è Scott, che, finalmente, la rassicura.


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Emozioni ***


 
Emozioni.

Quando Luke apre gli occhi, si guarda intorno incerto sul posto in cui si trova. Scansiona la stanza, rivelandola come lo sgabuzzino. Scott gli sta ancora sistemando alcune cose, compresi i bulloni ai piedi che gli permettono di camminare.
Alla destra del padre, Amira fissa con attenzione ogni gesto da lui svolto, quasi come se volesse accertarsi che stesse facendo bene il suo lavoro.
«Miss» sussurra l'automa, notando come la sua voce sia tornata naturale.
Amira sbarra gli occhi, mentre un sorriso sornione le contorna le labbra leggermente carnose, avanza verso lui e poi si precipita tra le sue braccia, stringendolo. Scott la fissa turbato, ma non nega che gli piace il modo in cui sua figlia abbia cambiato idea sull'androide. Perché lo sa anche lui, che Luke è buono.
Ed alla fine li lascia da soli, perché crede che parlare a Trevis sull'accaduto del giorno prima sia la cosa migliore. Suo nipote quello, proprio non doveva farlo.
«Luke! Oddio come sono felice che tu stia bene» sussurra, mentre nasconde il viso nell'incavo del suo collo. Questi si permette di accennare un sorriso, inspirando il profumo dei capelli di Amira, che rileva come muschio e miele.
«Sono... felice anche io, Miss» non sa se sia giusto dirlo, perché lui emozioni non ne ha. Eppure avverte uno strano movimento tra gli ingranaggi, come se qualcosa si fosse incastrata al suo interno bloccando la rotazione.
«Tranquillo che Ashton la pagherà cara, non doveva farlo» ringhia, indispettita e sì, anche frustrata. Senza contare che l'ha visto bene, il modo in cui Luke l'ha guardata quando Ashton per poco non la baciava.
Ed ha anche avvertito una strana sensazione angosciante, all'altezza del petto, desiderando solo di giustificarsi con Luke, nonostante non ne avesse realmente bisogno.
«Suo padre mi ha sistemato, Miss, l'importante è questo, no?» chiede, perché forse è giusto così. Che Ashton non paghi le conseguenze perché ormai lui sta bene.
Ma la sua padroncina scuote il capo, perché secondo lei le cose non vanno risolte così, potrebbero solo peggiorare.
«No, Luke, potevi non funzionare più ed io…» si blocca, Amira, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche. Conficca le unghie nei palmi e fissa le punte di entrambe le Converse, come se le trovasse meravigliosamente interessanti.
Non vuole dirlo, Amira, che forse la vita senza Luke non saprebbe più immaginarsela, perché è un bravo robot, o forse un bravo umano. Ha smesso di pensare che avesse un automa in casa quando, quest'ultimo, le aveva intagliato una graziosa ballerina in legno.
Ed allora tutto era cambiato, con Amira che forse una speranza a Luke voleva darla e con quest'ultimo che aveva messo da parte tutte le cose brutte da lei dette in precedenza.
«Miss?» Luke sa che la frase non è finita, che c'è dell'altro però non vuole forzare la sua padroncina, ha smesso di farlo da un bel po'.
Questa alza il capo, mentre le labbra si curvano all'insù, perché è una gioia vedere Luke, sapere che il pericolo è scampato e che non ha bisogno di pensare ad una vita senza lui.
Ma poi perché pensa quelle cose?
«Se dovesse chiamarti di nuovo, Ashton, tu non andarci. Smettila di obbedire, una volta tanto, Luke» ma lui inclina il capo, sbatte le palpebre e la fissa.
«Miss, ma io sono stato programmato per – »
«No Luke, non... non voglio perderti!» sbotta, forse un po' infastidita di quella risposta perché non l'aveva programmata. E' uscita così, di getto, senza la benché minima programmazione. E diavolo parla proprio come Luke!
Si avvicina a lui, gli prende le mani e poi le poggia sulle proprie guance piccole.
L'automa si permette di studiarle, mentre sfiora la pelle color latte della sua padrona. La trova anche morbida e piacevole da carezzare.
«Non mi perderà, Miss» e questo è quanto, ma basta ad Amira per farle sentire una strana sensazione al petto che la porta a sorridere come una stupida. Poi avverte il cuore accartocciarsi ma va bene così, 'ché forse non è una sensazione sgradevole.
«Allora vedi di non prendere più ordini da mio cugino Ashton, va bene?» lui annuisce, sorride e sistema una piccola ciocca di capelli scuri che la sua padrona aveva sul viso.
«Come desidera, Miss» forse è anche un bene che Luke pensi sia un ordine, almeno non lo trasgredirà.

A tavola Trevis, Scott, Eleonor, AnneMarie ed Ashton stanno consumando l'abituale colazione australiana. Si è permessa di cucinarla da sola, il promo pasto mattutino, Eleonor, perché suo marito era troppo impegnato con Luke.
Quando Amira fa capolino in cucina, Ashton le riserva una di quelle occhiate eloquenti e forse troppo perverse, ma lei è furibonda e sicuramente non lo guarderà.
Si accomoda di fronte a lui, come da copione, ma subito lascia cadere dentro la sua tazza una giusta dose di latte che poi si permette di farcire con del cacao in polvere.
«Spero saprai cos'ha fatto tuo figlio, zio» perché Amira non ha dimenticato il comportamento insolente di Ashton, e se suo padre non ha ancora accennato nulla a riguardo lo farà lei.
Trevis si morde le labbra, guarda la sua ciotola semi vuota e poi da una rapida occhiata a suo figlio, che sembra non curarsi di ciò che ieri ha fatto.
Scott è furioso, perché già è bastata la predica a suo nipote ed anche a suo cognato, Amira dovrebbe smetterla.
«Amira, credo che per te si sia fatta l'ora di andare a scuola, che dici?» la rimbrotta suo padre.
Questa rotea gli occhi e si alza da tavola, seguita da Ashton che sembra un mastino da come le va dietro.
Salgono le scale, e lei sta per chiudersi la porta della stanza dietro le spalle, quando suo cugino mette un piede sull'uscio, bloccando la chiusura.
«Amira, aspetta!»
«Non pensare che abbia dimenticato quello che hai fatto, non te lo perdonerò mai» gli delucida, perché lei non ha mai cambiato idea su ciò che pensa, e di certo non lo farà proprio adesso. Con un tipo come Ashton, poi.
«Ti accompagno a scuola, che dici?» ma lui ci prova. Amira ugualmente scuote il capo, gli pesta il piedi e poi si chiude la porta alle spalle.
Non potrebbe mai perdonare una cosa sgradevole come quella ch'è accaduta. Far saltare Luke fuori dalla finestra, per un suo assurdo capriccio poi. Roba da pazzi!
Velocemente si spoglia, rifila qualche maglia forse un po' vecchia e sbiadita, e poi degli skinny neri. Raccoglie i capelli scuri in una crocchia disordinata, afferra lo zaino e poi apre nuovamente la porta, trovandosi Ashton appoggiato al muro, con le braccia conserte.
Quasi certamente la stava aspettando.
«Ancora qui? Ma che vuoi Ashton?» ringhia. Questi si avvicina, la prende da un polso e cerca di trascinarla di sotto. Ma qualcuno blocca tutto quello, perché Luke è sempre stato lì, dall'altra parte del corridoio, a sistemare la stanza di Tyson ed Edward.
Ed allora poggia la mano sulle dita del ragazzo dai capelli ricci, i suoi occhi lo scansionano e poi sbatte le palpebre.
«Accompagno io la Miss a scuola, oggi» delucida. Con una gentilezza che Ashton proprio non merita, pensa lei.
Lei alza il capo, sorride: è felice Amira, che Luke in qualche modo l'abbia salvata ancora una volta.
Ashton rotea gli occhi, con quel sorriso da bastardo che contorna le sue labbra sottili «Non vorrai farmi credere che tu accompagnerai mia cugina a scuola?! Sei uno stupido giocattolo!» ed allora Amira usa l'altra mano per darglielo, un ceffone. Se lo merita.
Spinta dalla rabbia gliene dà un altro, e poi un altro ancora, fino a quando Luke è costretta a spostarla.
«Non osare mai più chiamare Luke in quel modo!» sbotta, frustrata, mentre Luke l'allontana di qualche centimetro da suo cugino.
Ashton si massaggia la mascella, e ride. Amira ha una forza minima rispetto alla sua, ma in qualche modo si fa sentire.
La guarda, le piace, vorrebbe sfiorarla ed averla. Stupido robot «E' assurdo che ti lasci accompagnare da un coso come lui!»
«Il coso sarai tu! Luke non è uno sporco maiale come te!» e fa per allontanarsi, seguita da Luke che un po' ricorda l'angelo custode, accanto a lei.
Ashton li segue, afferra nuovamente il polso di Amira e la volta, perché proprio non può sopportare il fatto che uno stupido automa accompagnerà una bella ragazza come sua cugina a scuola.
«Ammy siamo partiti con il piede sbagliato, dai facciamo pace» chiede, nella speranza di un'altra possibilità. Ma gli occhi iniettati di sangue che sua cugina ha, gli fanno capire che quella richiesta è stata assai stupida.
Ed allora si rassegna, li lascia andare e lui se ne torna nella sua stanza, sfogliando sicuramente qualche rivista.
Per quanto riguarda Amira e Luke, sono già catapultati nella caotica e calda Sydney, quel giorno sicuramente più affollata del solito considerando la bella mattinata.
C'è che a Sydney il sole picchia sempre forte, ed i turisti ne approfittano per fermarsi nella capitale.
Ad Amira non sono mai importate quelle cose, eppure è felice di far notare come le persone si divertano in giro per le strade, agli occhi degli altri l'automa risulta come un comunissimo essere umano.
Ed allora lei non renderà evidente di avere un robot vicino, modo per cui gli afferra la mano e la intreccia con la sua, le dita che si completano come tasselli di un puzzle.
Luke abbassa il capo per notare quella stretta: è piacevole. Non sa spiegarsi perché, non sa capire il motivo per cui i suoi ingranaggi continuano a non funzionare bene, non comprende la ragione di quei strani cigolii. L'unica cosa che sa, è che ha paura di essere sostituito nel momento in cui rivelerà quelle cose al suo padrone.
«Miss?» si guarda intorno, un po' spaesato e, sì, anche sperduto. Se non ci fosse Amira sicuramente dovrebbe fare affidamento ai suoi sensori per ritrovare la via di casa.
«Sì?» lei è felice, invece, forse ha dimenticato tutta la rabbia di poco prima. Perché Ashton adesso è lontano e nessuno può più guastarle la giornata, non con Luke vicino e lontani da casa, poi.
China il capo, nel momento in cui Luke fa lo stesso, e si sofferma sulle loro mani che sono in perfetta sintonia. Amira le scruta, e capisce che forse sono state fatte per ricongiungersi, per incontrarsi, per essere strette in quelle dell'altra.
Si morde le labbra, perché non dovrebbe pensare quelle cose. E poi cosa le sta succedendo?
«Lo fanno le persone che vogliono dare affetto, che vogliono far capire a quella persona ch'è speciale» ed allora Luke annuisce, ed intensifica – sebbene di poco – la stretta, senza fare alcun male ad Amira, «ehi, me la stai stringendo troppo forte!» e si permette pure di ridacchiare.
L'automa sorride, scoprendo la sua dentatura bianca e lucida. «Spero la Miss abbia capito quanto sia speciale per me, allora»
E le guance di lei si colorano di un rosso porpora che, prima, solo Josh era stato in grado di vedere. Quel bastardo che nemmeno la meritava.
Si morde le labbra, e cerca d'intensificare anche lei la stretta, poi alza lo sguardo e fissa il robot.
«Senti, che ne dici se andassimo in giro per la città, oggi? Se marino la scuola mi prometti di non dire nulla ai miei?» Luke s'acciglia, probabilmente per lui non c'è molta differenza da quella domanda e un ordine. E dunque annuisce, perché non vorrebbe mai vedere Amira soffrire per un rimprovero dei suoi genitori.
Cambiano traiettoria, con lei che lo guida dall'altra parte della città e lui che si lascia trascinare perdendosi ad osservare quanto grande possa essere la capitale, abbellita da un sole cocente che picchia sulla testa e da un venticello armonioso che scompiglia i capelli.

«Vengo sempre qui quando ho un po' di tempo libero. Solitamente ci vengo con Cal, ma oggi sono felice di avere te vicino» Amira è stesa sull'erba di un piccolo prato poco conosciuto. Nessuno si spinge fino a tanto. C'è che a Sydney la gente visita i negozi costosi e famosi, non i prati. E lei, ch'è sempre stata rinchiusa da muri troppo alti di negozi sfarzosi, preferisce starsene da sola, attorniata da un po' di verde e dal canto di qualche uccello nascosto dalle fronde degli alberi.
Luke è seduto sull'erba. Vigile, scansiona ogni cosa come a voler rinnovare il suo database, aggiungendo dell'altro ed arricchendolo ulteriormente.
Amira poggia la mano su quella dell'automa, ch'è l'ha affondata nei piccoli fili d'erba, si permette di solleticarla, passando l'indice su tutte le dita, in modo tale che l'altro possa guardarla interrompendo il contatto visivo con la natura.
«E' un bel posto, Miss» perché lo pensa davvero, Luke. Tutto quel verde gli piace, e trova carino il modo in cui gli uccelli cinguettano, fanno da cornice ad un posto tanto bello.
Amira si solleva, allora, sedendosi sul posto, appoggia il capo sulla spalla di Luke e guarda davanti a se, notando come alcuni alberi siano diventati imponenti. Davvero tanto, imponenti.
«Possiamo venirci tutte le volte che vuoi, Luke» e lui annuisce, non chiede né dice altro.
Timidamente e forse un po' titubante, allunga la mano alla ricerca di quella di lei, che poi va a stringere notando come questa ricambi la stretta. E, di nuovo, le loro dita sono intrecciate in un puzzle di vita umana e robotica.
«Miss, crede che io possa provare sentimenti come voi?» la domanda sorprende Amira, però, che posa lo sguardo su quello dell'automa. Non è un quesito che si sarebbe aspettata, perché purtroppo sa bene fino a dove si sia spinta la Department, con gli sviluppi sulla robotica.
Eppure non vuole scoraggiare Luke, perché forse nel suo cuore, brama il giorno in cui un'impossibile realtà possa renderlo di carne ed ossa.
«Non vedo perché non dovresti» sussurra, forse più per convincere se stessa che lui.
«Sono solo un giocattolo di metallo ed ingranaggi, Miss» ed il cuore di Amira si accartoccia nel momento in cui Luke delucida la realtà. Quasi con violenza e crudeltà, senza però darci peso, perché lui continua a non averceli i sentimenti.
Ma a lei fa male, tutte le volte che lo dice il suo cuore si spezza. Ed una metà, giura – se solo potesse – la donerebbe a lui, per renderlo umano.
Perché forse non ha realmente importanza se al suo interno Luke sia ricoperto di filamenti di diversi colori, rotelle, bottoni o altro.
La verità è che lei lo adora così, con quel suo “Miss”, la sua cordialità, la sua incapacità in alcune cose, nonostante sia un robot. C'è che a lei, Luke piace, perché è diverso. E va bene così, non lo sostituirebbe con nessun altro.
Timidamente si sporge in avanti, forse un po' dubbiosa, ma sa che deve farlo.
Posa le mani sulle guance di Luke, che ora la guarda un po' incerto. Poi è un attimo, Amira poggia le labbra su quelle di lui, chiude gli occhi e si lascia trasportare dal vento gentile e dal profumo d'erba. E' come se il mondo tornasse a ruotare nel senso giusto, ogni cosa sembra essersi messa al proprio posto. C'è che è giusto trovarsi lì, in quel posto sperduto da tutti ma non da lei, c'è che è giusto avere Luke vicino, che le sta cingendo il bacino in maniera dolce, quasi come se avesse paura di farle male.
E forse l'unica cosa che potrebbe risultare imperfetta è che Luke un cuore non lo ha, non dovrebbe nemmeno provare emozioni, ma invece sembra tutto il contrario.
Perché anche Amira capisce che quel bacio è stato voluto anche da lui, lo comprende da come l'automa muove le labbra sulle sue, con dimestichezza ma non con prepotenza.
E le piace, terribilmente. Sarà l'atmosfera, il luogo, l'aria, la natura. Ma le piace, tanto.
Si fermano nel momento in cui a lei serve aria, perché probabilmente l'automa avrebbe continuato all'infinito.
Entrambi si stendono, ed Amira poggia il capo sul petto di Luke, immaginandosi di nuovo il battito del suo cuore che va all'impazzata, proprio come il suo.
«E' un bacio, Miss?» anche se, in fondo, sa bene cos'è.
Amira sorride, annuisce e chiude gli occhi. Non potrebbe essere in un posto migliore di quello.
«E' un bacio, Luke»
«Perché me lo ha dato, Miss?» chiede, perché l'ha visto fare qualche volta a Scott Walker con Eleonor.
«Perché volevo dartelo, adesso hai un pezzetto di me, in te»
«Avevo già un pezzetto di lei, Miss» la risposta sorprende la ragazza, che lo guarda stranita. Non si sarà appropriato di qualche indumento intimo, spera.
«E cosa avevi?» gli sussurra, a fior di labbra. E le trova così invitanti, Amira, tanto da desiderarle di nuovo sulle sue.
Luke sorride, le sistema qualche ciocca corvina dietro l'orecchio e poi si avvicina a lei, soffiando sulle sue labbra carnose «Tutte le volte che mi sorride, Miss, mi sento vivo. Non da automa, né da robot tutto fare, ma da umano»
Ad Amira quello basta per farla avvicinare di nuovo, le loro labbra che si ricongiungono, baci e carezze di chi non aspettava altro, rotolati tra l'erba e cullati dal vento.
Si baciano ancora, e poi ancora, come fosse l'unica cosa a tenerli in vita, ormai.

«Ammy, sarà tutto il giorno che provo a chiamarti, ma che fine hai fatto?» Calum è furioso, e, sì, anche preoccupato. C'è che lui, ad Amira, ci tiene davvero. L'ha sempre fatto e vedere come non abbia preso le chiamate né risposto ai messaggi, quella mattina, un po' l'ha sorpreso.
Solitamente la sua amica non lo ignora mai, pertanto deve avere una scusante valida. La sua voce al telefono è squillante, e lei è costretta ad allontanarla prima di potergli rispondere.
Sbuffa, si rotola nel letto e poi sfiora le proprie labbra, ripensando ancora ai baci di Luke e della meravigliosa giornata che hanno trascorso insieme.
«Ho avuto da fare» lo informa, perché non vuole dirgli tutto quanto. Tra l'altro se lo può anche permettere, lui mica le ha detto di Josh subito. Anzi in realtà non l'ha proprio fatto, se non fosse stato per quello spocchioso di Clifford non avrebbe mai saputo nulla, probabilmente.
«Non sei nemmeno venuta a scuola» la riprende, il che è doppiamente preoccupante. Ma Amira non demorde, non dirà né di Luke, né del bacio né tanto meno di aver marinato la scuola. Ed un po' gli sta bene, a Calum, così la prossima volta impara a tenerle le cose nascoste.
«Cal, davvero, ho avuto da fare. Però sto bene. Hanno lasciato compiti?» cerca di cambiare discorso, ma Calum continua.
«Amira perché non vuoi dirmi cos'hai fatto oggi? Che stai nascondendo?» perché tanto di compiti non ne hanno lasciati molti e comunque lei può sempre copiare da lui. Non è questo il motivo della chiamata.
«Ma non sto nascondendo nulla, Cal!» continua, mentre si morde nervosamente le labbra. Sente gli occhi pizzicare perché, lei, la realtà la conosce ma non la vuole ammettere. Non vuole dirlo nemmeno a Calum, che ha baciato Luke.
Ad un tratto la porta si spalanca, rivelando l'automa con una cesta piena di vestiti puliti.
Amira sorride perché forse non ha perso le sue buone abitudini. Le abitudini per cui è stato creato dalla Department.
Lo guarda, lui fa lo stesso, entrambi si fissano per minuti interminabili «Cal, ti richiamo io» e chiude la chiamata, perché non riuscirebbe a ragionare con Luke nella sua stanza.
Dal canto dell'automa, accenna semplicemente un sorriso, mentre posa la cesta vicino alla porta.
«I vestiti puliti, Miss»
Amira si alza dal letto, dirigendosi verso l'androide, poi lo prende per mano e lo dirige verso il letto «Grazie, Luke» esce come un sussurro, quella frase. E dire che, prima, Amira non si sarebbe immaginata proprio di essere così gentile con un'automa. Tanto meno baciarlo e sentire una strana sensazione al petto.
«Suo cugino Ashton vuole vederla, Miss» ed allora tutta la positività di prima svanisce nel momento in cui il biondo enuncia quella frase. Amira incrocia le braccia al petto, rotea gli occhi e sbuffa perché spera solo che i suoi zii vadano via, trascinandosi quell'impiastro fastidioso di suo cugino Ashton.
«Beh, allora digli che ho da fare» sbotta, e Luke scuote il capo. Quasi come se stesse andando contro le regole per cui è stato programmato.
«Miss, credo sia il caso che lei vada» sussurra, avvicinandosi dolcemente alla sua padroncina.
Le guance di Amira si colorano di un leggero rosso cremisi, mentre si morde le labbra per bearsi di quegli occhi cerulei magnifici.
«Luke?» sussurra, a fior di labbra.
«Miss?»
«Baciami» e quello basta per l'automa. Preme le labbra su quelle di Amira in un caldo e casto bacio, mentre poggia le mani sul viso angelico di lei per sfiorarne la delicatezza.
E giura, Luke, che forse in mezzo a tutti quei ingranaggi qualcosa stia andando più veloce. Non sa bene cosa, né perché. L'unica cosa certa è che a lui, Amira, piace. E non sa spiegarsi il motivo, perché lui non aveva valutato la possibilità di avere sentimenti da umano.
Ma non vuole pensarci, non adesso, perché le labbra della ragazza sulle sue, non potrebbero rendere il momento migliore di così. Insieme, solo loro. Solo loro e basta.
 

SBAAAAAAAAAM

Bimbi miei adorati, ammettetelo che siete un concentrato
di fluff e scleratine varie, al momento, eh? Ammettetelo, su!
Anche perché Morgana si sente proprio come voi, in questo
esatto momento.
Diciamo che, finalmente, sembra esserci un po' di tregua, almeno
per il momento.
C'è che Amira mostra il rifugio segreto a Luke, quello in cui si reca quando
vuole riflettere lontano dalla caotica capitale ed allora il biondino
si apre con lei, tanto che alla giovane scatta qualcosa, e, come una molla,
preme le labbra su quelle del robot. Non sono carinissimi? ç___ç
Li adoro, sono dolci!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, confido nelle vostre più dolci parole che,
come sempre, mi spronano a proseguire. Davvero grazie di cuore. Siete i lettori
migliori di sempre.
Un bacione grande.


Madam Morgana.

PS: oggi Morgana è proprio una macchinetta di idee, e beh, se
volete, potete leggere la oneshot che ha pubblicato su Ashton.

Vi lascia il link qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Sentimenti ***


 
Sentimenti.


 
Quando Amira varca la soglia della stanza di suo cugino, lo vede steso sul letto, con le gambe accavallate, intento a leggere l'ennesimo fumetto di qualche artista a lei sconosciuto.
Tossicchia, nella speranza di farsi sentire, e di fatti ci riesce notando come Ashton metta via, immediatamente, il giornalino.
«Ammy» il suono della sua voce, per un solo istante, sembra aver abbandonato quella perversione che di solito lo avvolge.
Amira incrocia le braccia al petto, perché proprio non riesce a dimenticare la crudeltà con cui ha trattato Luke.
Si morde le labbra, in procinto di sferrargli l'ennesimo cazzotto ma cerca di opprimere quella sensazione.
«Cosa vuoi, Ashton?» chiede, perché forse a lei piacerebbe pure avere un buon rapporto con suo cugino, ma è costretta a trattarlo brutalmente a causa del suo carattere strano; senza contare ch'è anche un lurido verme cafone. Insomma sarebbe l'ideale per un tipo come Michael Clifford!
Tuttavia Ashton scende dal letto, si avvicina a lei e poggia la mano sul suo braccio pallido e magro, sfiorandolo dolcemente. Amira alza il capo, con sguardo corrucciato incrocia gli occhi suoi smeraldi e poi attende la risposta. 'Ché se cerca di ammaliarla con quelle moine si sbaglia di grosso.
Vorrebbe tornare da Luke, e stare un po' più di tempo con lui, ma quello stupido l'ha chiamata e di certo non può sprecare tempo così, lei, con un cretino come Ashton che cerca sempre di sedurla.
«Mi dispiace per il tuo androide, non volevo. Non so cosa mi sia preso» lo dice tutto d'un fiato, nella speranza che le scuse appaiano più veritiere possibili. Non è solito abbassarsi a certi livelli, lui, ma lo fa perché Trevis l'ha rimproverato abbastanza e poi non vuole Amira contro, nonostante il loro rapporto non sia dei migliori.
«Luke. Si chiama Luke» lo riprende lei. Spera solo che lo chiami per nome, è stanca di sentire androide, automa, robot o umanoide. Senza contare che, come l'ha chiamato la prima volta, ovvero elettrodomestico, le ha procurato un bruciore al petto quasi come se avesse lingue di fuoco a solleticarle il cuore.
«Luke, allora. Mi dispiace per Luke» prova lui, incrociando le braccia al petto. Cerca lo sguardo comprensivo di sua cugina, ma non lo trova perché lei non lo perdonerà mai. E' cafone, spavaldo, pervertito ed anche stronzo!
«Io adesso andrei, ho troppe cose da fare» cerca di liquidarlo così, ma la presa di Ashton sul suo polso la blocca.
Si volta e gli occhi di suo cugino sono intenti a fissarla, forse per l'ennesima volta in quella giornata.
Serra la mascella, lo vede deglutire «Ti sei presa una cotta per lui, Amira?»
Amira sbarra gli occhi, incredula e,sì, anche stupita. Non aveva valutato l'idea che ad Ashton funzionasse il cervello, senza contare che quella domanda, così, posta senza alcun criterio non se l'aspettava.
Il mondo sembra vorticare velocemente, mentre sente il suolo sgretolarsi sotto ai suoi piedi. Avverte le braccia formicolare, e la presa di Ashton farsi più lenta. Non sa cosa rispondere, né quello che pensare. Perché, adesso, quella domanda le rimbomba in testa come un quesito da risolvere per se, e non per dar risposta a suo cugino.
Non sa che fare, Amira, che aveva conosciuto Luke solo come automa, o peggio, come Ottocentodiciannove.
Non sa cosa pensare di quella giornata, delle cose belle che lui ha fatto per lei, di quella sensazione di benessere che ha provato e che non sentiva sulla sua pelle da tantissimo tempo.
E' frustrata, combattuta, l'unica cosa che vuole fare è piangere senza un tangibile motivo.
Riesce a scrollare la presa dalla mano di Ashton, poi corre via, all'impazzata, sbattendo contro il corpo minuto di suo fratello Tyson che adesso impreca contro lei, perché gli ha rotto la miniatura della Ferrari.
Non appena è in camera, chiude la porta, perché non vuole vedere né sentire nessuno. Brama la solitudine ed un bagaglio di risposte alle domande che, ora, popolano la sua mente.
E pensa che, nel caso in cui Ashton avesse ragione, si ritroverebbe in un grosso guaio.
Cosa penserebbero i suoi genitori, poi?
Perché lo sa, che Luke non può invecchiare, che il tempo passa solo per lei e per i suoi genitori. Lui può solo ammaccarsi, rallentare i suoi processi, ma mai invecchiare.
Ecco perché è impossibile tutto quello.
Ed allora perché si sente così male? Perché vuole solo piangere pur sapendo che una relazione come quella sarebbe insostenibile?
Altre domande affollano la sua mente, quasi come se scalciassero per farsi sentire.
In preda ad un pianto isterico, urla.
Poi si accascia a letto, e continua il suo pianto. Ed in quel momento la porta si spalanca; Luke è lì, davanti alla soglia, con gli occhi cerulei completamente sbarrati e le mani strette a pugni.
L'ha sentita gridare a causa dei suoi sensori sviluppati «Miss, che succede?» chiede, avanzando verso lei.
Ma per Amira, in quel preciso istante, Luke è l'unica persona che non dovrebbe nemmeno vedere. Si tappa gli occhi, forse per non mostrarsi piangente o magari per non vedere Luke, «Vattene! Vattene via, ti prego Luke!» ma questi non le da ascolto.
Si siede ai bordi del suo letto e le stringe i polsi in maniera delicata, impercettibile «Miss, mi guardi» sussurra.
«Non posso, sono orribile quando piango e il trucco mi cola» singhiozza lei, completamente avvolta dai sussulti come fosse una cappa che l'avvolge.
«Miss, per me lei è bella anche con gli occhi rossi e il trucco sbavato» delicatamente Luke porta via le mani dal suo volto, e si perde ad osservare Amira ricoperta di cristalli sul viso. E' un pensiero egoista, quello che scava le viscere dell'automa, ma giura che vederla in quel modo, con le lacrime sul volto, la rendano più bella. Come una rosa bagnata dalla rugiada fresca mattutina.
Ed allora il cuore di Amira si accartoccia, perché non è giusto che lui le dica quelle cose, di certo non migliora la posizione dei suoi sentimenti, e non ha dato nemmeno risposte al suo cervello che l'affligge con domande.
Non è giusto, pensa Amira.
Non è giusto che Luke non sia umano.
«Ho paura, Luke» gli confida, perché sa che, comunque, l'altro non dirà mai quanto appena udito. Amira è preziosa ai suoi occhi e di svergognarla o spifferare i suoi segreti a tutti proprio non ha voglia, senza contare che c'entra anche lui, in quella situazione.
La stringe a se, ricordandosi che gli abbracci si danno nel momento in cui se ne avverte il maledettissimo bisogno, e crede che per la sua padroncina quel maledettissimo bisogno sia proprio in quell'esatto momento.
Infatti questa lo stringe di rimando, così forte come se avesse paura di perderlo.
Luke liscia i suoi capelli corvini, ed ascolta il respiro spossato dai sussulti causati dal pianto.
«Perché, Miss?»
«Ho paura del domani, del futuro in generale» continua lei, mentre stringe Luke ancora più forte, se possibile.
E lui non dice nulla, probabilmente dovrebbe consolarla e rassicurarla ma non ci riesce perché anche lui avverte qualcosa all'interno del suo corpo metallico. Una sensazione che non era stata programmata, una sensazione che il suo database non riconosce. Sembra un virus che si fa spazio dentro lui, infettando i suoi fili metallici ed i suoi ingranaggi, ma non ha la forza per ribellarsi perché forse, un po' gli piace pure.
«Oggi è il giorno che le faceva paura ieri, Miss. Non pensi al domani» Amira si sposta di poco per guardarlo, mentre i suoi occhi chiari si perdono nelle iridi dell'automa.
Questi abbozza un sorriso, spostando dal viso di lei alcune ciocche corvine intente ad incorniciarle il volto.
Poi si china di poco, e per la prima volta è Luke a baciarla di sua spontanea volontà. Amira si lascia guidare, mentre entrambi schiudono le labbra per permettere alle lingue di sfiorarsi in una danza dolce e suadente.
Le mani dell'androide si poggiano sui fianchi di lei, mentre quest'ultima arriccia qualche ciocca dei capelli biondo grano tra le sue dita.
E giura che tutte le paure sono andate via, tutti i dubbi, le insicurezze ed altro, sono sparite. Come nuvole che vengono spostate dal vento.
Si staccano solo perché ad Amira manca il fiato, poi poggia il capo nel petto di Luke ed immagina ancora una volta i battiti suoi, ama farlo dopo averlo baciato. La fa sentire giusta.
«Non urli più, Miss, la prego. Mi è preso un colpo»
Amira ridacchia, coprendosi le labbra con il palmo destro, annuisce e sospira. Ora è tranquilla «Non urlerò più, te lo prometto Luke» e lui le crede.

La famiglia Irwin ha deciso di non sostare dagli Walker più del dovuto, perché continuano ad essere mortificati dell'accaduto.
Di Luke catapultato fuori, dalla finestra, e dallo strano comportamento del figlio, che ancora non riescono a capire.
C'è che Ashton non ha mai detto a nessuno della sua strana infatuazione verso Amira 'ché verrebbe etichettato come strano, e poi il rapporto incestuoso non sarebbe visto con occhi consenzienti da qualcuno, dunque tace e basta 'ché forse è meglio lasciarsi etichettare strano e riservato.
Entrambi le famiglie stanno cenando, o meglio dire mangiando la pizza.
Trevis e Scott borbottano felici, con entrambi i nasi rossi come fossero due renne sperdute di Babbo Natale, allegri fino alla punta dei capelli, innalzando boccali di birra e ripassandosi qualche vecchia vicenda della vita giovanile.
Eleonor ed AnneMarie chiacchierano in sottofondo parlando di cosmetici e moda, perché sì sa, le signore parlano sempre delle stesse cose.
Ed i bambini giocano, come se non fossero nemmeno in tavola: giocare è l'unica cosa che li distrae.
E poi c'è Ashton, che nonostante tutto, nonostante sappia che quella sia l'ultima sera – o meglio dire le ultime ore – trascorsa con sua cugina, non dice nulla. Trangugia la sua pizza con fare nervoso mentre non batte ciglio per guardarla.
Amira è stressata, frustrata e, sì, anche pensierosa. Perché nonostante abbia frenato la crisi di pianto e di urla non riesce a non pensare alle parole del cugino, alla sua domanda a cui ancora non ha dato risposta.
Finisce la sua pizza, alzandosi da tavola, perché non vuole più rimanere. Fingerà di sentirsi stanca così da poter andarsene a letto, «Io andrei, ho finito la cena» espone. Si guarda intorno mentre gli occhi inquisitori dei parenti la scrutano.
«Ma Amira! I tuoi zii andranno via a momenti, non riesci a rimanere qualche istante in più?» farnetica suo padre, che secondo lui alzarsi da tavola per primi è segno di cattiva educazione.
Trevis scuote le mani in segno che, sì, è tutto okay. In fondo è giovane Amira, ha bisogno di staccare la spina un poco «Lasciala andare Scott, ci salutiamo adesso che ne dici tesoro?» e lei annuisce.
Si dirige verso suo zio per poi abbracciarlo, fa la stessa cosa con AnneMarie, Harry e Lauren. Quando poi arriva ad Ashton, è un tuffo al cuore.
Si morde le labbra, lo fissa con fare di chi non sa come muoversi, ma questi apre solo le braccia perché vuole solo stringerla.
E lei allora si decide ad abbracciarlo; timidamente si fionda su di lui, mentre il cugino le cinge le braccia ai fianchi. Nasconde il capo nell'incavo del collo di lei, e si permette anche di morderglielo delicatamente, senza però lasciare nessun marchio.
Poi schiude le labbra, e con voce roca sussurra «So che ti sei innamorata di Luke, ma fai meglio a ricordare che l'amore non può sempre trionfare» e lei lo scansa.
Lo fissa con odio, disprezzo e disgusto, mentre poggia le dita sulla zona da Ashton baciata. Digrigna i denti e poi va via, correndo verso le scale, ritrovandosi poi al piano superiore.
Si chiude in stanza, sbattendo la porta e spera che gli Irwin tornino il prossimo anno, o addirittura non tornino più.
Si stende, fissa il soffitto e respira. Respira, Amira, perché non può fare altro. Perché lei lo sa che c'è del vero nelle parole di quell'assurdo cugino, eppure non vuole credergli. Non vuole credere né ammettere a se stessa che quello che prova per Luke sia amore.
Non può essere vero, perché se così fosse la vita le avrebbe giocato un brutto tiro.

Quando si sveglia, nel cuore della notte, Michael fissa il soffitto e sbuffa. Sposta le coperte e poi si alza dal letto, trascina i piedi verso la finestra, l'apre e poi si affaccia notando quanto siano lucenti le stelle e quanta luce possa emanare una luna raggiante che si pavoneggia nel manto buio.
Michael fissa quel panorama con occhi stanchi, mentre distrattamente si passa le mani sul viso.
C'è che lui è stanco di comportarsi in quel modo ma, allo stesso tempo, comincia a non sopportare più Josh, 'ché ormai ha deciso di passare troppo tempo con Delia, e dunque si vedono poche volte.
E gli manca Calum, perché lui sì che era un amico importante. Uno che potevi chiamarlo a qualsiasi ora del giorno o della notte, ma era sempre pronto per qualche avventura.
Rimpiange i vecchi tempi, quelli dove ancora erano una comitiva felice, motivo per cui spinto dalla nostalgia afferra il cellulare dapprima posto sul comodino, sblocca lo schermo e guarda l'ora.
Sono le tre, ma a lui poco importa. Frettolosamente digita il suo numero e lascia partire la chiamata, attendendo la risposta di qualcuno che – vista l'ora – magari sta anche dormendo.
Eppure riceve la risposta, dopo un sonoro sbadiglio, simbolo che, sì, aveva ragione. Lui stava dormendo.
«Che vuoi Clifford?» Calum ha la voce impastata dal sonno, e Michael sorride, mentre passa l'indice sulla fessura della finestra, togliendo la polvere annidata agli angoli.
«Volevo sentirti» controbatte, senza troppi giri di parole. E poi il silenzio. C'è che Calum non si aspettava quella chiamata ma nemmeno quell'affermazione. Da uno come Michael, poi, che tutto è tranne che nostalgico.
Sospira, schiocca la lingua al palato e poi si rigira tra le coperte. «Alle tre del mattino?»
«Alle tre del mattino» e poi nulla più. Deglutisce, fissa il panorama e giura di sentire uno strano nodo partire dalla trachea, pronto a tradire la sua voce. Cerca d'ingoiarlo, mentre ode il rumore delle coperte di Calum che si spostano.
«Non siamo più amici, io e te» ma Michael ride, perché trova il falso nelle parole di Calum. E' impossibile che un'amicizia come la loro muoia per uno stupido come Josh Bellier. Loro non c'entrano nulla!
Michael torna a sedersi sul letto, fissa i suoi piedi cerei che vengono baciati dalla pallida luce lunare, poi si stende e fissa il soffitto.
Deglutisce, gli occhi che pizzicano e la consapevolezza che lui non può piangere, perché nonostante tutto lui è e resterà sempre un duro.
«Lo sai anche tu che non è così, Hood» e Calum lo sa, certo che lo sa. Sa che Michael è sempre stato un buon amico, forse un po' troppo strano ma sempre amico era.
E sa anche quante cazzate hanno fatto insieme, di come hanno riso prima che Josh entrasse nella loro cricca, prima che lui conoscesse Amira ch'era fidanzata con il loro amico, prima che scoprisse il tradimento di Josh nei riguardi di Amira.
«Invece è così» e cerca di convincere più se stesso che l'altro, perché, sul serio, Michael ormai è cambiato. Con quel fare arrogante di chi vuole portarsi una ragazza a letto giusto per il gusto di farlo.
Michael deglutisce, e non lo nasconde più. Non le nasconde più. Gli occhi pizzicano, poi diventano lucenti ed infine acquosi. Sorride nervosamente, passandosi una mano sui capelli, perché se solo Calum fosse lì, in quel preciso momento, lo prenderebbe a pugni. «Non è così, Calum! Non hai potuto dimenticare come stavamo bene prima. Come ci divertivamo a fare cazzate, insieme. E di come tua madre continuava ad essere una rompi cazzo e di come io e te la prendevamo per il culo. Di come al signor Handerson fottevamo le rose del suo giardino per poi venderle nel giorno di San Valentino. Non hai potuto dimenticare di quante volte abbiamo citofonato nel cuore della notte, per poi correre all'impazzata con la paura costante di ricevere una secchiata d'acqua in testa. Non puoi Calum, non puoi...» e Calum stringe i denti, sta piangendo ma nessuno può sentirlo, nemmeno Michael, perché soffoca i singhiozzi contro il cuscino.
Vorrebbe tornare indietro e vivere la vita una seconda volta, permettendo ad Amira di aggregarsi alla sua comitiva, senza però stare con Josh. Quello è l'unico sbaglio. E' stato il frutto marcio in un cesto pieno di frutta fresca.
«Calum?» continua Clifford, gli occhi acquosi che continuano a fissare il soffitto.
«Mh?» sussurra il moro, spera solo che l'altro – dall'altra parte della cornetta – abbia sentito il mugolio, che di aprire bocca per parlare senza piangere, proprio non ci riuscirebbe.
«Le stelle quanto luccicano?» chiede, quasi come se la discussione di prima si fosse distolta. E Calum sorride, perché quella frase l'avranno ripetuta un miliardo di volte, e la risposta è sempre quella.
Calum, le stelle quanto luccicano? L'aveva detta Michael, una volta, quando – entrambi – stremati per l'ennesima corsa notturna, si erano appartati in una panchina del parco, a fissare quel cielo che li accompagnava con le loro bravate.
E poi Michael aveva alzato il capo, e Calum aveva fatto altrettanto.
E Calum ma le stelle quanto luccicano?
Poco. La nostra amicizia brilla di più. Le aveva risposto il moro.
E da quel giorno la domanda la ripetevano spesso, dando sempre la stessa risposta.
Ed ora che Clifford l'ha chiesto, a Calum fa male il petto, e trema il cuore, la voglia di vivere, la consapevolezza che le cose cambiano e che le stelle possono luccicare di più, molto di più. D'altronde sono palle infuocate luminescenti.
«Mi manchi Calum» sussurra, prima di decidere che quella chiamata deve terminare in quel modo, senza la risposta del moro. Perché è giusto così. Riattacca la chiamata, e Calum guarda il suo cellulare come se, ancora, Clifford fosse in linea.
I suoi occhi color cioccolato fissano il vuoto, poi, mentre torna a rigirarsi nelle coperte.
Sa che Michael ormai non può più sentirlo, ma a lui poco importa, «Poco. La nostra amicizia brilla di più» poi chiude gli occhi, e si addormenta di nuovo.



SBAAAAAAAAAM

Tesorini! ç___ç
Lo so, lo so, dovete picchiarmi perché sono in un mega ritardo!
Megagalattico, direi, ma finalmente sono riuscita ad aggiornare.
Allora, che ve ne pare del capitolo? Francamente la parte che più
preferisco è quella tra Michael e Calum, oddio quanto sono cari...
Quel Josh ha rovinato tutto, non trovate? E' stato in grado di dividere
Calum e Michael, ma il moro tiene troppo ad Ammy, e non voleva farla soffrire.
E Michael? Vi sta ancora sulle scatole? Credo che, dopo questo capitolo, forse
l'odiate un po' di meno. Almeno sapere perché si comporta così, adesso, è solo
uno scudo, una maschera.
Comunque, passiamo ad Amira, invece, ed a ciò che Ashton le ha spiaccicato in faccia.
Che abbia ragione, suo cugino? Che si sia presa una cotta? In fin dei conti ha pianto ed urlato.
Secondo voi cosa sta succedendo?
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati sin qui, siete i lettori migliori di sempre e tengo tantissimo
a voi ed ai vostri pareri.
Prometto e spero, di poter aggiornare presto!
Un bacione grande grande.


Madam Morgana.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Mancanze ***


 
Mancanze.

Amira si fa largo tra l'orda scalpitante di studenti, riesce a superare l'atrio, poi si dirige verso gli armadietti.
Sospira, poi sorride, perché Calum sta cercando – forse invano – di aprire il suo stipo che sembra fare i capricci. Molte volte ha detto che l'avrebbe sistemata, quella dannata anta cigolante, ma ancora non l'ha fatto.
E lei ride, perché infondo il moro è un amico perfetto, eccezionale. Lui c'è sempre stato quando il resto del mondo le ha voltato le spalle, anche quando l'amore con Josh è cambiato, lui è rimasto per lenire i suoi dolori, per renderle la vita più facile da essere vissuta. Si sente triste, Amira, a guardare Calum e nascondergli quel segreto.
Eppure per qualche ragione a lei ignota sa di star facendo la cosa giusta, perché non può dirgli che lei e Luke si sono baciati.
E non può dirgli che, forse l'è piaciuto. Non può dirgli che ne ha voluto ancora, avara di bacie carezze date con sentimento, diverse da quelle che riceveva senza aver nessun scopo di sesso, di squallido sesso.
Amira guarda Calum, mentre sente gli occhi annacquarsi, cerca di scacciare le lacrime, si morde l'interno guancia e poi avanza verso il suo amico, stringendo al petto una pigna di libri.
«Fa i capricci oggi?» chiede, riferendosi all'armadietto. E Calum si volta, con quel sorriso che forse il Sole invidia.
Stringe le spalle ed annuisce, poggiandosi poi all'anta, incrociando le braccia al petto. C'è che non ha dimenticato lo strano comportamento di Amira, tuttavia al momento non vuole pensarci perché tanto sa che prima o poi tutti i nodi verranno al pettine.
«A quanto pare sì, ciao Ammy» e le schiocca un bacio umido sulla guancia di porcellana, poi la stringe perché adora manifestare tutto l'amore e l'affetto che prova per lei.
Ed Amira ricambia l'abbraccio; la giornata non sarebbe potuta cominciare meglio di così, perdendosi tra le braccia del suo migliore amico con la consapevolezza che tutto è perfetto insieme a lui, il legame dell'amicizia è alla base della vita.
«Oggi abbiamo l'ora di letteratura insieme, vero?» eppure Calum ha smesso di ascoltarla nel momento in cui è entrato Michael, facendosi largo tra gli studenti, con quell'aria da spavaldo e quella cazzo di Chestfield tra le labbra. Sembra così diverso dal Michael di ieri notte, quando l'ha chiamato alle tre del mattino per dirgli che gli manca.
Amira poggia la mano pallida sul braccio dell'amico, cercando di avere nuovamente la sua attenzione, senza però riuscirci, e quando si volta per vedere cosa distrae così tanto il moro non ci vuole credere.
Insomma lei lo sa, che lui e Michael ormai non sono più amici, ma il fuoco che consuma le iridi del suo amico sembrano voler dire altro.
«Cosa c'è che non va, Calum?» sussurra, riponendo i libri che non serviranno nell'armadietto.
E Calum fa lo stesso, tornando in se, china il capo apre l'anta dello stipo e fruga al suo interno «Ieri mi ha chiamato Michael» le confessa.
«E?» cerca di invogliarlo a continuare il discorso, lei, che ha sempre detestato le frasi a metà. Sa che c'è dell'altro, altrimenti Calum non sarebbe così giù.
«Ed erano le tre del mattino, mi ha chiamato per... » si morde le labbra, poggia la testa all'anta e chiude gli occhi. Non sa perché, eppure non riesce a parlarne, nemmeno con Amira che non ha mai conosciuto segreti con lui.
«Calum, parla, cosa c'è che non va?» ringhia, perché presume che Clifford abbia fatto qualche casino, e di certo non glielo perdonerebbe mai. Calum è sacro per lei, anche perché nessuno si è mai preso cura di lei come ha fatto lui.
Stringe i pugni, ingoia un nodo di rabbia e poi fissa con occhi furenti l'amico, che ha scelto il mutismo come miglior risposta.
E Calum scuote il capo, si stringe nelle spalle e va via, perché questa volta non riesce a parlarne, non così facilmente.
Non riesce a dirle che anche a lui, Michael manca da morire.

La decisione è stata presa di petto, perché altro non poteva fare.
Amira arriverà tardi a lezione, ma la cosa non sembra turbarla. Sa dove trovarlo, perché l'ha visto lì con Josh ed i suoi amici, tante volte.
Avanza verso il corridoio, arrivando quasi alla sua fine. In un aula dimenticata da tutti, i ragazzi solitari se ne stanno rinchiusi a rollarsi canne e fumare in tranquillità, prima era un'aula comune per tutti, poi però Michael ed i suoi amici ne hanno preso possesso.
Amira ne è certa, è lì che si trova quel pallone gonfiato di Michael.
Non appena è giunta alla fine del corridoio, non ode nulla. La stanza ha la porta socchiusa ma da essa non proviene nessun rumore. Titubante e non del tutto sicura che quella volta ci sia qualcuno, poggia la mano sul legno tamburato della porta, la spinge ed avanza.
La sorpresa di non scorgere tutti è tanta, Michael – però – è lì. Seduto su di una cattedra assai vecchia, scorticata agli angoli di entrambe le parti.
Sbatte i piedi sul compensato, forse non seguendo nessun ritmo. Sta fumando, ma per Amira non è una novità vederlo fumare.
Incrocia le braccia al petto, perché lui ancora non l'ha notata, avvolto nel suo grigiore di pensieri. Tossicchia a causa dell'alone scuro ed allora Michael la sente, si volta, le sorride beffardo e poi torna a guardare fuori dalla finestra lontana. «Ciao bambolina, non ti hanno detto che questo non è un posto per delle ragazzine come te?»
Amira prega il cielo di darle forza a sufficienza per non sferrare un pugno a quello stupido, si liscia i capelli con fare nervoso e poi avanza fino ad arrivare vicino a lui, «Cosa hai fatto a Calum? Ha detto che l'hai chiamato! Beh, sai cosa? Non è lo stesso stamattina, è triste, spento, chiuso, mi evita ed è tutta colpa tua Clifford! Devi lasciarlo in pace, intesi?» ma Michael non la sopporta un minuto di più, mosso dall'ira stringe il suo polso tra le dita, fino a che Amira riesce a comprendere che il sangue stia trovando qualche ostacolo nel passare fluente.
Deglutisce, e fissa per la prima volta Michael negli occhi. Il suo sguardo è diverso, non più da pervertito maniaco, né da beffardo egocentrico. E' più un'occhiata colma d'odio, e per la prima volta, lei ha davvero paura.
«Ora mi stai a sentire, Ammy. Intesi? Calum ed io eravamo due inseparabili amici, poi si è unito a noi quello stronzo del tuo ex, siamo diventati... o meglio, eravamo diventati un trio perfetto fino a quando il tuo fidanzato non ha deciso di ficcare il cazzo nel buco di un'altra ragazza, ed allora Calum se l'è data a gambe perché non voleva vederti soffrire, non voleva mancarti di rispetto. Ma sai che c'è, Ammy? Che a me manca, non sei tu la sua unica amica, cazzo! Non sei la sola che tiene a lui! E sapere che l'ho perso per una cosa che non ho fatto mi da fastidio» poi le lascia il polso, sente gli occhi annacquarsi di nuovo, proprio come la notte precedente, ma non piangerà. Non davanti Amira, che intanto ha deciso di massaggiarsi il polso dolente.
E lei non sa che dire, perché per la prima volta prova compassione per Michael, ora intento a cercare l'ennesima sigaretta con fare nervoso. Vorrebbe esprimersi, ma risulterebbe inappropriata visto le circostanze. Si morde le labbra, fissa la punta delle sue scarpe e poi sospira, gli occhi bruciano, le prime lacrime che – prepotentemente – vogliono rigarle il viso.
E c'è che, forse, Amira piangerà per entrambi.
Per Michael che continua a nascondere il vero carattere, per lei che non sa mettere a freno la lingua, e per Calum che, probabilmente, anche lui sente la mancanza di un amico come Clifford.
«La lezione sta per cominciare, non vorrai destare sospetti, Ammy» sbotta il ragazzo, quasi come se volesse rimanere da solo. Tutto ciò fa comprendere ad Amira che, sul serio, è sofferente, malinconico, un Michael che stenta a riconoscere.
Silenziosamente decide di andar via, non rubandogli altro tempo. C'è che la solitudine fa capire tante cose, mette al proprio posto cocci di un vaso caduto a causa di un impetuoso vento, e lei lo lascerà riflettere.

«Dove sei stata?» la rimbecca Calum, con un sussurro che spera sia abbastanza udibile. C'è che odia dover coprire Ammy, perché non sa mai cosa dire, e spesso si sente a disagio perché, diamine, suda così tanto quando è costretto a dire bugie.
Dal canto di Amira si guarda intorno, tutti l'osservano come esterrefatti, dal canto della professoressa, invece, nota solo un sospiro accennato.
La saluta cordiale, e poi torna a spiegare la lezione con tranquillità.
«Avevo una cosa importante da fare, ma perché mi guardano così?» in fondo, chiedere è lecito, perché Amira non è mai stata la classica ragazza da urlo, in grado di far girare la testa a tutti.
Ed è allora che Calum diventa paonazzo, mordicchia il tappo della penna Bic ed inchioda lo sguardo sulla pagina a quadretti del quaderno, già del tutto scritta.
«Calum? Parla!» continua lei, considerando che l'amico non sembra voler introdurre l'argomento.
«Okay, magari ho esagerato ma... sono stato costretto Ammy, giuro! E poi non sono un bravo bugiardo, lo sai, insomma ho dovuto dire alla professoressa che, ecco sì – un attacco di mal di stomaco» ed Amira diventa bordeaux.
Con fare nervoso si passa una ciocca corvina dietro l'orecchio, cerca di reprimere l'ira mentre sente un vociferare sgradevole dietro lei, probabilmente la stanno già deridendo.
Diavolo, Calum Hood fa così schifo a mentire, pensa. Senza contare che la scusa del mal-di- stomaco è davvero orrenda.
Chissà cosa pensano i compagni di lei, adesso, magari immaginandosela seduta sul tazzone del water.
«Ti odio Calum!» lo rimbrotta, anche se alla fine non lo pensa davvero.
E l'amico non può non ridere, perché forse anche lui si stava immaginando Ammy con i-problemi-di-stomaco.
E' buffo, ma alla fine lei non riesce ad avercela con lui, scuote il capo, sta per dirgli l'ennesimo “ti odio” quando la Lewis li riprende, e “alla prossima la spedisco io, in bagno, signorina Walker, ma a suon di calci! E con una nota che la porterà dal preside” quel rimprovero ad Amira basta per farle chiudere quella stramaledettissima boccaccia.
I compagni tornano a ridere, poi tutto tace e lei vorrebbe solo sparire sotto terra, stupido Calum Hood!
Per fortuna, il tempo sembra passare velocemente, e lei ne è lieta. Esulta nel momento in cui la campanella trilla forte, facendo rimbombare il suono all'interno del suo padiglione auricolare.
Afferra le cose dal sottobanco, seguita da Calum, e poi insieme escono dall'aula, mescolandosi perfettamente all'orda di studenti impazziti.
Calum si guarda intorno, perché sa bene che anche Michael, ormai, ha letteratura con loro, eppure quella mattina non si è presentato, sebbene l'abbia visto entrare a scuola.
Si morde le labbra con fare nervoso, mentre – distrattamente – segue Amira intenta a dirigersi al bar. Probabilmente prenderanno lo stesso frappè di sempre, ci saranno le stesse persone, gli stessi gruppi e quasi certamente Michael sarà insieme alla sua cricca.
Alla cricca di cui, un tempo, anche lui ne faceva parte.
Entrano nella piccola stanza già piena zeppa di studenti, a stento riescono ad avvicinarsi al bancone e, dopo l'ennesima indecisione di Amira sul cosa prendere, optano per gli stessi frullati di sempre.
Fragola per lei, menta per lui
Riescono a trovare un tavolino libero, uno di quelli verdi traslucidi, in abbinamento con le sedie in plastica.
Amira gira la cannuccia più volte, mentre fissa Calum che, con fare assente, succhia la menta dalla cannuccia.
Sembra pensieroso, ed ancora non ha proferito parola. Ed è strano, considerando la sua parlantina repentina.
E' preoccupata, Amira, che non ha mai visto il moro così di cattivo umore, soffia dentro la cannuccia, mentre il frappè comincia a presentare le prime bolle che, scoppiettanti, riprendono il ragazzo dal suo stato di trance.
«A cosa stai pensando?» gli chiede, pur sapendo che probabilmente lui non parlerà. E non ci sono mai stati segreti, tra loro, ma capisce che se non vuole parlarne, è per una buona ragione.
Di fatti questi continua a bere il suo frappè alla menta, guardandosi intorno. Amira non demorde, torna a succhiare il contenuto del suo e si stringe nelle spalle, «Ho parlato a Michael, oggi – spiega, mentre Calum smette di bere il suo frullato, incrocia le braccia al petto e la guarda con occhi di chi vuole saperne di più – manchi anche a lui, terribilmente» perché è inutile mentirgli, e poi lei non mentirebbe mai su cose così importanti.
L'amico scrolla le spalle, si morde le labbra fino ad avvertire un retrogusto metallico e poi torna a bere, facendo scivolare la menta lungo la sua trachea «Beh, non dovevi. Io e lui non siamo più amici» ma Amira sa che non è così. Perché Calum smette di vivere, di sorridere, di sentirsi Calum Hood, il ragazzo positivo di sempre, quando dice quelle cose.
E sa che l'amicizia tra lui e Michael non è finita ma, bensì, è destinata a fiorire. E le dispiace, perché inconsapevolmente la colpa è sua. Sua e di Josh soltanto.
«Non è vero, non dovresti mentire a te stesso. Smettila di essere forte, smettila di fingerti forte quando lo sai bene che ti manca, perché nasconderlo così?» ed allora Calum sbotta, si alza dal tavolo, poggia le banconote su di esso e guarda Amira con cipiglio severo.
C'è che su tutto si può discutere, ma sull'argomento amicizia, più in particolare, su Michael e lui, proprio non è il caso.
Stringe i pugni, fino a far sbiancare le nocche «Ma che ne capisci tu? Io l'ho fatto solo per te! Non potevo rimanergli amico sapendo che nella sua banda c'era anche il tuo ragazzo che, ehi, ha preferito infilare il cazzo nel buco di un'altra ragazza» sputa. Gli occhi di Amira si annacquano, iridi traslucide che fissano la figura sfocata del bicchiere ora semi pieno.
C'è che ancora le fanno male i ricordi, e non desidera riviverli.
Non in quel modo così brusco e cruento di cui Calum Hood ha sempre avuto paura a manifestare. E' sempre stato così gentile, lui, e sentirlo parlare in quel modo l'amareggia terribilmente.
Afferra lo zaino da terra, poggia le monete sul piattino e poi esce, perché a lei non importa se Calum le ha pagato anche il suo frappè, non vuole i suoi soldi.
E considerando che la lezione è finita, non ha altro motivo per rimanere a scuola, o al bar che dir si voglia.
Uscendo scontra Michael Clifford, ma poco importa in quel momento.
China il capo, e corre via. Vuole solo tornare a casa.

A casa, Eleonor sta cucinando la torta alle fragole, ed Amira se ne rende conto quando, aprendo la porta, un profumo dolciastro le invade le narici.
L'investe completamente, solleticandole il viso quasi come fossero due mani gentili a sfiorarla.
Sospira, sfila le scarpe e le ripone vicino all'uscio, poi poggia lo zaino accanto e si avvia in cucina, non prima di aver appeso la giacca nell'appendiabiti.
«Ciao, mamma» e le schiocca un bacio sulla guancia, mentre fissa con quanta attenzione la donna stia preparando l'impasto.
Dall'altra parte della penisola, Luke è intento a tagliuzzare le fragole in modo simmetrico. Probabilmente ancora non si è accorto di Amira, visto ch'è entrata in maniera silenziosa.
Gli si avvicina piano, poggiando poi una mano sul suo viso, «Luke...» sussurra, quasi come se avesse paura di intaccare il suo lavoro.
L'automa volta di poco il capo, smette di tagliuzzare le fragole e poi sbatte le palpebre due volte, con fare pur sempre meccanico ma che, Amira, ormai ha imparato ad apprezzare.
«Miss...» sussurra, poi osa fissarle le labbra, così invitanti e rossastre. Forse più invitanti delle fragole che sta tagliando.
Lei sorride, si alza in punta di piedi e, maldestramente, riesce ad arrivare alla guancia fresca di lui. Gli schiocca un bacio, non curandosi di Eleonor che, astutamente, si è goduta la scena.
«Stai aiutando mia madre?» chiede, e lui annuisce perché alla fine rimane pur sempre progettato per svariati scopi.
«Madam voleva preparare una torta alle fragole, perché pare che sia la preferita della Miss» ed allora Amira sorride, perché forse quello doveva rimanere un segreto, ma infondo Luke non è stato progettato per dire bugie, per mantenere segreti.
Nonostante continui a nasconderne uno davvero grosso, come del bacio, ad esempio.
«Adoro la torta alle fragole» spiega, incastrando lo sguardo in quello ceruleo di Luke, che, in realtà, ha già scansionato le sensazioni di Amira.
E l'avverte, quel senso di tristezza, sgomento e turbazione. Vorrebbe chiederle cosa succede, ma ha imparato a saper rispettare gli umani, ad attendere che questi si confidino.
Le sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mentre il colore delle guance di lei tendono sul cremisi. «m'impegnerò per fare al meglio il mio lavoro, Miss»
«Siete molto amici, vedo» constata Eleonor, che ricordava l'astio di Amira, fino a qualche giorno fa. E' che non si capacita di come siano potuti diventare così amici in poco tempo.
Amira, allora, torna in se, si allontana da Luke e poi va verso sua madre, ancora intenta a perfezionare l'impasto.
«Beh, le cose cambiano, no, mamma?» ed Eleonor è d'accordo sulla deduzione di Amira, forse.
«Già, cambiano» sussurra, forse un po' troppo pensierosa. C'è che Amira non è mai stata dolce con tutti, solo con Calum e, ai tempi delle ceneri, con Josh dapprima fidanzati.
Mai si sarebbe immaginata tutta quella gentilezza riguardo ad un'automa che, tecnicamente, non è nemmeno umano.
«Vado a fare i compiti, mi mandi Luke con una fetta di torta, poi?» chiede, con occhi luccicanti e grandi, forse un po' per intenerire sua madre che, sorridendo, accetta.
Alla fine conosce Amira e sa bene quale carte gioca quando le serve qualcosa, senza contare che i suoi grandi occhi smeraldini intenerirebbero anche un serial killer. Che piccola demonietta!
E quando ormai la torta è stata ultimata, con tanto di cottura che ha reso la crosta friabile e croccante, ne taglia una fetta generosa, la lascia scivolare in un piattino di ceramica e spedisce Luke in camera di Amira, tornando ai fornelli.
Dal canto dell'automa, ormai, ha imparato le buone maniere. Picchia le nocche sul legno tamburato della porta ed attende risposta.
«Avanti» anche se, in fondo, Amira lo stava già aspettando da un po'.
L'altro entra nella stanza s'inchina formale ed è allora che lei scuote il capo, sbuffando di poco. Si alza dal letto indirizzandosi verso lui, gli afferra il piattino dalle mani e «Non dovresti più inchinarti, visto le circostanze» china il capo, mentre sente il rossore delle guance propagarsi lungo tutto il viso, fino alla punta delle orecchie.
Luke poggia l'indice sul mento di lei, costringendola ad alzare lo sguardo per fissarlo.
I loro occhi che s'incontrano di nuovo, la consapevolezza che quegli attimi fugaci, di un tenero amore, sono sbagliati.
«Miss, lei è così bella» sussurra, avvicinandosi di poco, mentre il respiro di Amira s'infrange piano sulle labbra dell'altro. Si lecca le proprie, con fare invitante, e Luke la guarda mentre avverte i sensori collidersi tra loro, quasi come se stesse fondendo qualcosa, al suo interno.
E non resiste, giura che la sua lucidità sia andata a puttane, un attimo dopo le labbra della ragazza vengono catturate dalle sue, in un bacio passionale di chi, probabilmente, non stava aspettando altro.
Che poi ad Amira non importasse granché della torta, lui l'ha capito bene.
Si studiano entrambi, mentre le lingue guizzano velocemente, Amira attorciglia tra le dita una ciocca di capelli sintetici tra le dita, mentre sente il cuore andare all'impazzata, dimenticandosi del dolore che Calum le ha inflitto prima, al bar della scuola.
Smettono solo quando a lei manca il respiro. Poi entrambi si stendono a letto, ed Amira si rannicchia nel grande petto di Luke, mentre questi, ormai, ha imparato a dare gli abbracci.
«Oggi ho litigato con Calum, sai?» gli confida, e Luke la sta a sentire, perché a lui importa tutto, della sua piccola padroncina.
«Davvero?» e lei annuisce. Si morde le labbra con fare assente, intanto che continua a farsi piccola in quel petto grande.
«Sì, comunque credo che sia agitato per Michael, era suo amico prima. Ma da quando Josh mi ha tradita, lui ha preferito lasciare la sua comitiva per non farmi un torto. Ecco io l'ho trovata carina, come cosa, ma Calum adesso non sta bene. Ha bisogno del suo amico, capisci cosa voglio dire?» e per quanto lui non sia stato programmato per comprendere i rapporti degli umani, ha capito quello che Amira gli ha spiegato.
Sfiora una guancia di lei, facendo piccoli cerchietti immaginari sulla sua gota rosata. «Sì, capisco, Miss. Credo che dovrebbero parlare, i due»
E lei annuisce, perché la pensa proprio come lui, «Ho provato a parlare con Calum, ma appena ho tentato di approcciarmi con quest'argomento mi ha cominciato a dire cose abbastanza sgradevoli, e così sono andata via.»
Eppure Luke ha smesso di ascoltarla da un bel po', ora, intento a fissare il movimento delle labbra ad ogni parola enunciata. Amira se ne rende conto solo quando, non udendo la sua voce, è costretta a richiamarlo. «Lukey?»
«Miss, devo dirle una cosa» sussurra, e poi cattura le sue labbra con fare gentile ma, al contempo, possessivo. Perché non sopporterebbe vedere Amira con un umano.
«Cosa c'è, Luke?» lo guarda negli occhi, il cuore che fa le capriole non appena il bacio cessa.
«Non sopporterei di vederla con un altro umano» e quello le fa capire che Luke è speciale, nonostante ormai lo pensi da tempo.
Sorride, gli carezza le gote e poi si avvicina per catturargli le labbra ancora una volta.
Amira e Luke si baciano, ancora ed ancora.
Non glielo dice, ma lei lo sa. Sa bene che non riuscirebbe a baciare un umano. Non ci riuscirebbe proprio, ed il motivo è semplice.

 

SBAAAAAAAAAM
 
 
Oltre che logorroica, ora Morgana è diventata anche ritardataria. Scusatela ç___ç
Hola bimbi miei belli! Come state? Spero bene! Io sto morendo di caldo, giuro!
A mia discolpa posso dire che, in questo periodo sono a corto di idee, e francamente
do anche la colpa al caldo, sigh! Comunque, a parte questo, spero che il capitolo vi sia
piaciuto anche perché, come avrete ben visto, posto sempre in ritardo ormai a causa
della carenza di idee.
Comunque, bando alle ciance.
Amira scopre, così, che a Michael manca Calum, terribilmente. Calum, invece, scappa
che proprio non vuole dire ad Ammy che anche a lui, il suo amico, gli manca da morire.
Poi c'è Luke, che, timidamente, rivela alla sua padroncina che, sì, non sopporterebbe di
vederla con un altro umano.
Spero nei vostri più dolci pareri, e prendetemi a pomodori in faccia se il capitolo non è bello
davvero mi scuso, ma le idee vanno a farsi fottere per ora.
Un bacione e grazie per essere arrivate sin qui.

Madam Morgana.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3098199