Quando due mondi differenti si scontrano

di La_Folie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1: Cucina, shopping e... Londra ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II: L'accademia degli sguardi e dei sussurri ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III: Il buongiorno si vede dal mattino ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV: Vaniglia ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO V: Sensi di colpa ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VI: Informazioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Titolo: Quando due mondi differenti si scontrano

Reating: Arancione

Betareader: //

Autore: La_Folie

Avvertimenti: //

Genere: Romantico, Sentimentale, Malinconico.

Coppie trattate: Het

Disclaimer: Questo mio scritto non è assolutamente a scopo di lucro.





 
 
Quando due mondi differenti si scontrano


PROLOGO

Non potevo credere che quello che mi stava accadendo fosse reale: io, una normale ragazza di città, avevo vinto una borsa di studio per andare a studiare Musical Theatre al West End di Londra.
Dopo essermi allenata duramente per un anno intero in quel settore, aver fatto sacrifici, aver studiato duramente per dare il mio ultimo esame ed essermi esibita nello spettacolo di fine anno dell'accademia che frequento, la direttrice della scuola mi aveva chiamata sul palco dandomi un attestato e una busta bianca che, una volta aperta, vidi che conteneva tre biglietti di andata e ritorno per Londra della durata di tre mesi ognuno. Allora Hannah aveva annunciato a tutto il pubblico che avevo vinto una borsa di studio, con volo, vitto, alloggio e accademia pagati, della durata di nove mesi. Sarei dovuta partire agli inizi di settembre per andare a studiare Musical nella città più famosa al mondo per la quantità di teatri presenti sul suo territorio ed io non stavo più nella pelle.
Avevo deciso di andare a vivere insieme ad una famiglia inglese per apprendere meglio quella lingua di cui io ne ero follemente innamorata e non a caso studiavo proprio in un'accademia dove le insegnanti erano inglesi e che a volte ci facevano lezione in lingua!
La settimana che precedette la mia partenza fu la più difficile di tutte: dovetti fare un giro di chiamate per salutare tutti i parenti, poiché non li avrei potuti sentire per quasi un anno intero, passai quasi ogni giorno con le mie migliori amiche e quando tornavo a casa impazzivo per fare le valigie, sperando di non dimenticarmi niente a casa e nel frattempo fremevo per ciò che mi attendeva al di là delle alpi italiane.

Così quando quella mattina atterrai all'aeroporto di Heathrow non vedevo l'ora di cominciare con la mia nuova vita.
Appena uscita dal gate vidi delle persone venirmi incontro: erano un uomo alto, magro, con i capelli bianchi e gli occhi nocciola chiaro, e una donna bionda con gli occhi azzurri e di media statura ed erano coloro che per i successivi nove mesi sarebbero stati la mia famiglia.
«Good morning, Mr. and Mrs. Bower. I'm Giulia Matteucci. I'm glad to meet you and thank you for agreeing to host me in your home.» Li salutai presentandomi e ringraziandoli per aver acconsentito ad accogliere una perfetta sconosciuta in casa loro. Naturalmente arrossì dalla testa ai piedi poiché nonostante il mestiere che avevo deciso di intraprendere ero rimasta una timidona di prima categoria.
«Welcome in our family, Giulia. I'm David.» Disse il Signor Bower sorridendomi cordiale.
Vedendo l'uomo che avevo di fronte in difficoltà a pronunciare il mio nome, feci ciò che mi ero riproposta di non fare fin da quando avevo scoperto che sarei dovuta partire per Londra, ovvero permettere loro di chiamarmi con la versione inglese del mio nome e quindi dissi loro: «If for you is more simple, you can call me with the english version of my name, Juliet.»
La donna al suo fianco mi sorrise visibilmente sollevata e poi si complimentò con me per il mio inglese, anche se penso di conoscerlo realmente poco. La mia fortuna è stata quella di aver frequentato un liceo linguistico per quattro anni, ma dovendomi trasferire stabilmente in Inghilterra, ho dovuto dare anche gli esami di maturità con un anno di anticipo e quindi ora mi ritrovo a poter e dover frequentare, oltre alle lezioni di Musical, una specie di college per completare il mio percorso di studi.
«Thank you Mrs. Bower.» La ringraziai arrossendo.
«Oh, call me Anne.» Mi disse sorridendo.

Dopo aver preso le valigie, il Signor Bower mi aiutò a caricarle nella loro auto, una splendida Audi A7 grigia scuro, per poi entrare in macchina e partire per andare a Londra.
Durante tutto il tragitto, il quale durò circa mezz'ora, i Signori Bower mi parlarono della loro famiglia e delle loro vite: il Signor Bower o David, come mi aveva pregato di chiamarlo, lavorava per la Gibson Guitar Corporation, mentre la moglie era una manager dell'industria musicale e aveva lavorato anche con i più grandi artisti della musica internazionale. In sostanza non c'erano quasi mai in casa e spesso si assentavano anche per giorni interi. Mi dissero di avere due figli entrambi maschi e che uno dei due aveva un anno in più di me, mentre l'altro aveva quasi sette anni in più di me.
Il figlio più piccolo, Samuel, frequentava il college a Copenaghen e in questo periodo era a casa per le vacanze estive e sarebbe dovuto ripartire per la Danimarca a ottobre.
Il maggiore dei due, invece, viveva in un appartamento al centro di Londra e aveva già cominciato a lavorare da molti anni e lavorava sia in città che all'estero e quindi spesso stava via dall'Inghilterra per interi giorni, come i suoi genitori, e di conseguenza lasciavano Samuel con degli amici di famiglia poiché, fin quando non era diventato abbastanza grande, non sapeva cucinare o stirare e non era ancora oggi completamente indipendente, ma visto che ora c'ero io, forse l'avrebbero lasciato a casa con me.

Arrivammo davanti a un immensa villa protetta da un enorme e massiccio cancello in ferro battuto di colore nero, che si aprì non appena David premette il pulsante del telecomando che aveva preso in mano quando aveva posizionato l'auto in perfetta posizione sul vialetto d'ingresso.
Non abitavano in piena città, ma appena prima della periferia cittadina, in mezzo a tante villette a schiera immerse in immensi prati verdi, poiché lì l'aria era più pulita e salutare e la cosa mi piaceva tanto, ma d'altra parte questo significava che per arrivare al cuore di Londra, dove sarei dovuta andare io, mi sarei dovuta come minimo alzare ogni giorno alle quattro di mattina per poter andare a correre, fare colazione, fare una doccia e correre all'accademia per cominciare le mie lezioni.

Sentivo le ruote del veicolo calpestare la breccia al suolo, mentre io mi perdevo ad osservare quella meraviglia di casa dalle pareti color avorio e il paesaggio circostante decorato con un bel prato verde, alberi e siepi.
Quando scesi dall'auto, mi diressi verso il bagagliaio per prendere le mie valigie, ma Anne mi raggiunse prendendomi per mano impedendomi di fare qualsiasi cosa e David mi disse di seguirla, così la donna mi guidò verso il retro della casa dove vi erano un enorme piscina e un altro piccolo edificio dello stesso color avorio.
«Abbiamo pensato che avresti voluto un po' di privacy e vivere con due o tre uomini in casa non sarebbe stato il massimo per te che sei figlia unica e quindi con mio marito abbiamo deciso di cederti la depandance. Non badare alle dimensioni che dall'esterno potrebbero sembrarti piccole, ma ti posso assicurare che non è così. Sopratutto dall'interno.» Mi spiegò la donna mentre armeggiava con un paio di chiavi davanti al portone di quella che sarebbe stata la mia casa.
«No, va benissimo così. La ringrazio.» 
Anne riuscì ad aprire la porta e una volta entrata dentro mi ritrovo davanti a un'immensa casa che da quel giorno in poi sarebbe stata la mia piccola reggia: l'ingresso aveva le pareti di un giallo tendente all'arancione molto tenue e sui muri vi erano appesi alcuni quadri che ritraevano immensi paesaggi. Sul fondo si apriva una grande scalinata in marmo circondata da una ringhiera, anch'essa in ferro battuto, però di colore oro.
A destra c'era un corridoio che si apriva con un arco, il quale portava al salone, mentre oltrepassando le scale vi era un altro corridoio che andando verso destra portava alla cucina e alla sala da pranzo, mentre se si andava a sinistra si incontrava una piccola sala cinema.
Salendo le scale si arrivava in un piano con quattro camere con bagno e cabina armadio interni e due bagni esterni.
«Scegli quella che più ti piace e sistemati pure lì. L'unica stanza in cui non puoi entrare è la seconda stanza a destra perchè è quella di mio figlio.» Mi disse sorridendomi la vera padrona di casa.
Nel frattempo ci aveva raggiunte David con in mano le mie valigie e non appena le ebbe posate a terra mi disse «Comunque se non ti trovi bene qui, se vuoi parlare o vuoi stare in compagnia puoi venire anche di là. Sei tu a decidere. Per qualsiasi cosa noi siamo qui.»
A quest'ultima frase un sorriso nacque spontaneo sul mio viso. Non mi aspettavo che potessero dirmi una cosa del genere.
«Ora noi dobbiamo andare. Il lavoro chiama e noi siamo già stati troppo lontani dai nostri uffici. Ti manderò Samuel così ti porterà a fare un giro dell'altra casa e del quartiere.» Mi annunciò Anne.
Così, dopo che la porta di casa si fu chiusa dietro di loro, diedi uno sguardo all'orologio che avevo al polso, sentendo un leggero languorio, e vidi che era quasi l'ora di pranzo, così decisi di andare a dare un'occhiata in cucina per vedere se c'era qualcosa da mangiare, ma sia il frigorifero che le dispense erano evidentemente vuote e così mentre aspettavo il figlio dei signori Bower optai per salire al piano superiore, scegliere una stanza e cominciare a disfarre le mie valigie.

Improvvisamente sentì un rumore sordo provenire dall'esterno che mi fece sussultare e gelare sul posto, mentre il mio cuore prendeva a battere più velocemente del dovuto, ma riuscì a tranquillizzarmi non appena sentii il campanello suonare.
Lasciai perdere la maglietta che stavo piegando e mi diressi al piano inferiore per andare ad aprire la porta e mi ritrovai davanti un ragazzo alto, dai lineamenti allungati e magri. Aveva dei lunghi capelli biondi, lisci e gli occhi color nocciola. Indossava un paio di blue jeans stappatti qua e là e una felpa rossa e grigia e sul capo teneva un cappello anch'esso grigio.
«Ciao, io sono Sam.» Mi salutò il ragazzo sorridendo amabilmente. 
«Ciao, io sono Giulia.» Risposi ricambiando il sorriso, mentre mi spostavo dalla porta der farlo entrare in casa.
Ci dirigemmo entrambi verso la cucina e lui si sedette tranquillamente su uno sgabello del piano bar mentre io afferravo una bottiglia d'acqua dal frigorifero e dei bicchieri dalla credenza.
«Allora... come ti trovi qui?» Domandò per rompere il ghiaccio, ma nel frattempo constatai che mi scrutava attentamente. Sbaglio o mi stava studiando?
«Non saprei dire. La casa è enorme, io sono appena arrivata e non so rispondere alla domanda che mi hai appena fatto.» Risposi nervosamente mentre il mio sguardo finiva sui miei piedi, i quali erano diventati in quell'istante la cosa più interessante di quella stanza. Odio quando qualcuno mi pone domande a cui non so dare una risposta o a cui non posso rispondere in quel momento.
Quando posai lo sguardo su di lui, lo vidi abbassare il capo, così, pensando che se la fosse presa, tentai di rimediare a quella mia brusca risposta nel modo più calmo e dolce possibile: «Prova a chiedermelo tra due settimane e potrò risponderti.»
Lui alzò immediatamente lo sguardo e disse: «Hai ragione. Da quello che ha detto mio padre sei appena arrivata.» Mi sorrise tornando immediatamente allegro e questa sua felicità contagiò anche me. Non avevo mai visto qualcuno cambiare umore così velocemente.
«È vero. Senti... hai la più pallida idea di dove io possa andare a comprare qualcosa da mangiare? È ora di pranzo ed io sto morendo di fame.» Gli chiesi dopo un po' di tempo passato in silenzio.
«Oh.» Sussultò, ma non ne capivo il motivo. Insomma era ora di pranzo e avere la dispensa vuota in casa non aiutava certamente. Avere fame non era un crimine, quindi non capivo che cosa ci trovava di tanto strano nella mia domanda del tutto lecita.
Mi ammutolii in un'istante e abbassai lo sguardo verso il pavimento fino a quando non lo sentì ridere a crepapelle e chiedermi «Hai già fame? Sono a malapena le 12:00 p.m.!»
Spalancai gli occhi dalla sorpresa.
Le 12:00 p.m.? Ma... il mio orologio segnava le 13:00! Come poteva essere?
Incredula presi in mano il mio cellulare e diedi un'occhiata all'orario e ricordai di non aver cambiato l'orario sull'orologio quando sono partita e che adesso indicava ancora l'ora italiana e non quella inglese, la quale va un'ora indietro rispetto al nostro orario a causa del fuso.
Allora scoppiai a ridere anch'io e mi scusai con Samuel spiegandogli il motivo della mia fame, dettata dal viaggio che mi aveva scombussolato e dell'errore con il fuso orario, mentre lui mi disse che non c'era niente in cucina perchè i suoi genitori avevano deciso che quella mattina avrei pranzato con lui in casa loro e il pomeriggio saremmo andati a fare compere in giro per Londra, in modo da farmi vedere i negozi più economici dove poter andare a spendere e il luogo preciso dove si trova l'accademia.
A quel punto mi sedetti pure io su uno sgabello di fronte a lui e cominciammo a chiacchierare del più e del meno, come due amici di vecchia data che non si vedevano da tanto tempo, per conoscerci un po' di più.


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Buona sera a tutti!
Spero che questo prologo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia leggendo i prossimi capitoli.
Questa è la prima volta che pubblico qualcosa riguardante Jamie, anche se il suo fascino mi aveva già spinto a scrivere su di lui un bel po' di tempo fa.

Ultimo avviso e poi vi lascio liberi, promesso!

Ho una pagina facebook che potete seguire e dove potrete trovare news, curiosità e spoiler riguardanti le mie storie e i personaggi, così se avete delle domande da fare potrete scrivermele direttamente qui e non solo nelle recensioni: →
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Ora vi lascio liberi
A presto!
La_Folie

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1: Cucina, shopping e... Londra ***



CAPITOLO I
Cucina, shopping e... Londra


Samuel era davvero simpatico e mi sentivo già a mio agio con lui, il che era un miracolo visto i rapporti che avevo sempre avuto con i ragazzi: mi intimidivano troppo e quindi non riuscivo mai a parlare con loro se non quando si trattava di argomenti scolastici o di insopportabili lavori di gruppo imposti dai professori a scuola. Strano per una che studia musical, vero? Dovrei essere più aperta, mi dovrei lasciar andare e dovrei essere molto più loquace. Eppure per me non è così. Il teatro ti può far dimenticare chi sei per quelle due o tre ore facendoti vivere la storia di qualcun altro, ma finito lo spettacolo torni ad essere inevitabilmente te stessa e ad essere ignorata da tutto il mondo che ti circonda. Tutto quello che ho appreso in tutti questi anni di accademia, di stage e di master class mi sono serviti per riuscire a creare una maschera, la mia maschera.

Tutti indossano una maschera, chi più visibile e chi più nascosta, perchè tutti noi abbiamo degli scheletri nell'armadio che ci tormentano e facciamo di tutto affinchè essi non vengano scoperti dagli altri. Tutti noi vogliamo dimostrare al mondo di stare bene anche se in quel momento tutto va male e vogliamo sempre dimostrarci forti e indifferenti alle cattiverie gratuite che ogni giorno ci sommergono e quindi nasconderci dietro un'immagine che non è la realtà.
La nostra è la società della doppia medaglia: da un lato si è ciò che si aspetta di vedere la gente, mentre dall'altro siamo noi stessi e rimaniamo nascosti finchè qualcuno non cerca di scoprirci come siamo realmente.

Nonostante questo piccolo particolare, avevo passato uno splendido pomeriggio insieme al giovane Bower.
Mi aveva mostrato casa sua, la quale era enorme, e dopo aveva provato a cucinare qualcosa per entrambi e dopo aver bruciato tutto ciò che aveva provato a riscaldare, decise di portarmi a mangiare qualcosa in un McDonald, anche se io non ne avevo molta voglia perchè non mi piacciono i fast food, e poi proseguimmo verso vari Super Market per aiutarmi ad acquistare tutto il necessario per potermi sfamare e per cucinare qualcosa, perché a lungo andare mi sarebbe sicuramente mancata tantissimo la pasta.
Così gli proposi di aiutarmi a comprare le pentole necessarie e adatte alla cottura dei cibi italiani e io il giorno dopo avrei cucinato per lui.

A questa mia idea Samuel reagì immediatamente, poiché si mise a cercare immediatamente la sezione delle pentole e mi aiutò a trasportarle tutte quante fino a casa.
Usciti dal Market ci dirigemmo verso l'Accademia, che mi colpì molto per la sua grandezza e maestosità.
Ma quello che attirò il mio sguardo fu che vicino all'istituto c'era una piccola via che cominciava con una libreria che all'apparenza sembrava piccola, ma che in realtà nascondeva ben cinque piani colmi di libri, mentre affianco vi era un negozio di dischi.
Così pregai Samuel di poter andare in quei due negozi e di aspettarmi fuori insieme a tutta la spesa già fatta e, quando entrai all'interno della libreria, mi persi letteralmente tra i libri disposti ordinatamente in librerie e sui tavoli.
Il risultato, quando uscì anche dal negozio di dischi, fu la faccia sconvolta di Samuel per queste mie compere e quaranta sterline lasciate all'interno della libreria per l'acquisto di sei libri in lingua e altrettante sterline spese per l'acquisto di alcuni cd.
Quando il cielo cominciò ad inscurirsi mostrando i primi colori della sera tornammo a casa, ma a causa di tutte le buste che avevamo in mano, decidemmo di chiamare un taxi che ci condusse davanti al cancello di casa Bower.
Una volta arrivati, mi toccò anche discutere per chi avrebbe dovuto pagare la corsa, ma alla fine vinse Samuel perchè a lui non andava bene il fatto che una ragazza dovesse pagare sia per lei che per un ragazzo, sarebbe stato umiliante veder pagare una donna.

«Sei sicura che non vuoi una mano con la cucina?» Mi domandò Samuel, mentre cominciavo a tagliare i pomodori per preparare il sugo semplice.
Sentendo quella sua domanda, un tenero sorriso mi spuntò sulle labbra.
Sapevo perfettamente che gli inglesi non erano in grado di cucinare la pasta e quella domanda mi aveva fatto tenerezza perchè sapevo che Samuel voleva davvero darmi una mano d'aiuto.
Una volta pagato il tassista avevo deciso di ringraziarlo cucinando per lui un piatto italiano, una semplice pasta al sugo con delle foglie di basilico, e così in quel momento ci trovavamo entrambi nella cucina della mia nuova casa con me che cucinavo e lui che mi aiutava mettendo a posto la spesa.
«Sicura.» Dissi voltandomi per un secondo verso di lui e poi tornando a tagliare gli ingredienti da inserire nel sugo, ma notando uno strano silenzio e non volendo ipotizzare che si fosse offeso, pensai a qualcosa per farlo rendere utile in qualche modo.
«Se ne hai voglia, puoi cominciare ad apparecchiare questo tavolo.» Gli proposi indicandogli, con il cucchiaio di legno in mano, il tavolo alle mie spalle.
Samuel, capendo che ero riuscita ad interpretare i suoi pensieri, mi rivolse un grande sorriso e si alzò per andare a prendere due tovagliette da uno dei tanti cassetti che si trovavano in quella stanza.
Mentre il sugo si cuoceva, cominciai a preparare un po' di insalata per accompagnarla ad un paio di semplici fettine di carne di vitello che avrei cucinato per secondo e come dolce avevo comprato del gelato al cioccolato in vaschetta, perchè conoscendomi nei momenti nostalgici e di sconforto mi sarebbe potuto tornare utile mangiarne un po'.
Non appena la pasta fu cotta e il sugo altrettanto, servì i due piatti che avevo preparato a tavola. Samuel guardò i la pasta e poi mi disse ridendo: «Se ciò che hai cucinato è commestibile, sarai ufficialmente nominata cuoca della famiglia.»
Sorrisi di rimando e gli risposi: «Se ciò che ho preparato sarà commestibile, il mio caro bel critico di buona cucina, dovrai imparare a cucinare da solo perchè non ci sarò sempre io a prepararti il pranzo e la cena. Non tornerò sempre a casa.»
Samuel tornò immediatamente serio. Sicuramente non si aspettava questa mia risposta. «Cosa vuol dire che non tornerai sempre a casa?»
«Vuol dire che potrà capitare che a volte dovrò rimanere in accademia anche all'ora di pranzo oppure può succedere che io esca la sera con gli amici che spero di trovare qui a Londra. In più io qualche volta salto qualche pasto quando non ho fame.» Gli spiegai. «E poi ogni tanto dovrò tornare a trovare la mia famiglia in Italia e io non sarò qui per farti da cuoca, a meno che tu non voglia farti un bel viaggetto in aereo in mia compagnia.»
«Premettendo che fare un viaggetto non mi dispiacerebbe» cominciò a dire con un gran sorriso che nascondeva un po' di malizia celata «io rientro automaticamente nella tua lista di amici londinesi e, visto che abitiamo nella stessa casa, quando ti serve qualcosa basta chiedere al tuo amico Sam.» Mi disse con un sorrisetto furbo.
«Grazie Sam. Per me significa moltissimo.» Sorrisi riconoscente.
Lui mise in bocca una forchettata di pasta e cominciò ad assaporarla e una volta mandato giù il boccone disse: «È ufficiale: sei la nuova cuoca della casa.»
Io risi di cuore per l'espressione buffa che aveva in viso.
«No, davvero. È ottima. Non pensavo che la vera pasta italiana dovesse essere cotta in questo modo e avesse questo sapore così buono.» Disse pensando che non avessi inteso il suo complimento.
«Questo perchè sei inglese e voi inglesi non riuscite a comprendere la differenza tra pasta scotta e pasta cotta oppure tra piatto all'italiana e piatto italiano.» Gli spiegai. «Comunque, sono contenta che ti piaccia. Un giorno ti insegnerò a cucinarla in questo modo se ti fa piacere.»
«Certamente!» Si illuminò.

Durante la cena continuammo a chiacchierare di cose serie, ma anche stupide, giusto per conoscerci un po' di più e, a fine pasto, decidemmo di vedere un film nella sala cinema che la mia casa ospitava.
Dopo essere stati a lungo indecisi sul genere di film da guardare, optammo per uno d'avventura,  ma sfortunatamente mi addormentai quasi subito dopo aver visto una delle prime scene.


Jamie's POV. 

Non ne potevo più. Avevo bisogno di una pausa dalle telecamere, dalle premiere in tutto il mondo, dai paparazzi e dalla vita frenetica che da qualche anno a questa parte stavo vivendo di mia spontanea volontà.
Anche se mi trovavo a in una delle più belle città canadesi come Toronto, non riuscivo a vivere in pace con me stesso.
Sentivo che qualcosa stava cambiando sia dentro di me e sia all'esterno. Avevo come la sensazione che qualcosa stesse per accadere, ma non sapevo cosa.
Fino a qualche giorno fa avevo tutto ciò di cui avevo bisogno lì con me: la mia fidanzata, Lily. 
Questo perchè quando hai con te il tuo amore, hai tutto e  non hai bisogno di nient'altro, ma purtroppo con lei le cose non andavano molto bene qualche giorno fa abbiamo deciso di lasciarci, rimanendo però con la promessa che saremmo stati dei buoni amici l'uno per l'altra.
Quindi ora mi ritrovavo in un paese che, fondamentalmente, non conoscevo e senza qualcuno con cui poter sopravvivere a quest'avventura.
Non fraintendetemi, l'America è bellissima e piena di vita, ma Londra rimarrà per sempre la mia meravigliosa casa.
Ora, senza più Lily, riuscivo a sentire la mancanza dei miei genitori, di mio fratello e dei miei amici e avevo voglia di tornare a fare una vita che assomigliasse alla più normale e monotona che esistesse. Una vita che non prevedeva di dover scappare ai flash dei paparazzi che scattavano foto in qualunque momento e qualunque cosa tu stessi facendo solo per ottenere uno scoop.
Volevo essere libero di poter uscire con chiunque e di non dover inevitabilmente finire sulla prima pagina di una rivista per donne per un presunto flirt con una ragazza che in realtà era mia amica.
Fare l'attore di mestiere può sembrare tutto rose e fiori, ma la gente non sa come è in realtà quest'ambiente.
Avevo decisamente bisogno di un po' di tempo in cui poter staccare la spina e tornare a mia vera casa per riposarmi un po', uscire con il mio gruppo di amici e rivedere la mia amata famiglia.
Erano passati molti mesi da quando ero tornato a Londra e, anche se sentivo i miei genitori e mio fratello con costanza, avevo sempre la necessità di passare del tempo insieme a loro.

Pertanto quella mattina mi ero svegliato presto per poter preparare le valigie con calma e andare a lavorare un ultimo giorno sul set del nuovo film che stavo girando a Toronto per poi prendermi quelle tre settimane di pausa meritatissime, per poter tornare tranquillamente a casa.
Così quando quella sera uscì dal set, salutai tutto lo staff e tornai a casa.
La prima cosa che feci quando varcai la porta della mia casa fu prendere il mio iPhone e digitare il numero di mia madre, sperando che rispondesse, visto che sapevo che era impegnatissima per il suo lavoro, ma non ricevendo alcuna risposta le lasciai un messaggio nella segreteria telefonica: «Ciao mamma, sono Jamie. Volevo solamente avvisarti del fatto che sto tornando a casa. Ci sentiamo presto».

To be continued...

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Buona sera a tutti!
So che questo primo capitolo possa sembrare un po' noiosetto, ma vi servirà per capire che cosa succederà nei prossimi capitoli.
Spero che, nonostante ciò, il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia.

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Ora vi lascio liberi
A presto!
La_Folie

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II: L'accademia degli sguardi e dei sussurri ***



CAPITOLO II
L'accademia degli sguardi e dei sussurri


La mattina seguente mi svegliai immediatamente al suono della sveglia che avevo impostato la notte precedente alle 6:30 a.m., prima di andare a dormire, e subito un sorriso comparve sulle mie labbra non appena aprii gli occhi. Ero carica e di buon umore perché oggi sarebbe stato il mio primo giorno da allieva in una delle accademie di danza più prestigiose di Londra ed ero felice perché sentivo che pian piano ce la stavo facendo, nonostante i vari ostacoli, a far avverare il mio sogno più grande: diventare una performer.

Così quando mi alzai dal letto, scesi immediatamente in cucina a prepararmi una leggera colazione a base di yogurt, cereali, caffè ed acqua e limone... ormai era diventata una cosa abbastanza meccanica. Da quando avevo cominciato a frequentare le lezioni di Musical avevo dovuto cambiare anche la mia dieta, poiché gli artisti sono obbligati a mangiare in una maniera abbastanza differente rispetto al resto delle persone perché hanno delle necessità diverse. Ad esempio io avevo dovuto abbandonare una cosa che bevevo sempre, ovvero il latte: crescendo avevo sviluppato un'intolleranza al lattosio e quindi avevo cominciato a bere un tipo di latte che ne era privo, ma le mie insegnanti mi consigliarono di ridurne le quantità perché il latte dava fastidio alle corde vocali e quindi, per evitare di perdere continuamente la voce, come accadeva in precedenza, avevo deciso di lasciarlo, ma quando potevo berlo non me lo facevo dire due volte e lo riassaggiavo.

Comunque, una volta finito di mangiare corsi in camera mia per lavarmi e per prepararmi: indossai un top nero antisudore, un paio di calze senza piedi* nere cinquanta denari e il body nero con una culotte nera senza scritte e poi per il tragitto fino in accademia indossai sopra a ciò che avevo messo una felpa blu a maniche lunghe e con cappuccio, data l'aria leggermente fredda di Londra, e un paio di jeans, mentre ai piedi avevo deciso di indossare le mie solite e immancabili Converse nere.
Una volta pronta corsi in bagno per raccogliere i miei lunghi capelli castani in uno chignon alto e per truccarmi un pochino con un eye-liner nero e mascara e un rossetto color carne. Non feci nemmeno in tempo a vedermi allo specchio che vi era appeso in bagno che ero nuovamente in camera per preparare il borsone, nel quale misi le mezzepunte, le punte, le scarpe da ballo con il tacco, alcuni portalistini con degli spartiti ed altri vuoti, un asciugamano, dei cerotti, degli assorbenti (non si sa mai!), un libro – da leggere durante la pausa pranzo, in caso non avessi fatto amicizia con nessuno – e la borsa con dentro i cellulare e l'iPod, con i rispettivi caricabatterie, il portafoglio e le chiavi di casa. Una volta terminato tutto questo scesi in cucina e presi dal frigorifero una bottiglietta di energizzante e prima di uscire fuori dalla stanza afferrai da uno dei mobili una bottiglia da un litro e mezzo di acqua liscia a temperatura ambiente. Prima di andare via, però, indossai una delle mie tante e fedelissime sciarpe, me ne portavo sempre una dietro in caso di aria fredda o di mal di gola, e poi finalmente uscii di casa, chiudendola con le chiavi di riserva che, come mi aveva detto Samuel, si trovavano dietro uno dei grandi vasi posti all'ingresso e scappai letteralmente a prendere l'autobus che mi avrebbe condotto all'Underground più famoso del mondo.
Nonostante mi fossi svegliata presto ero in ritardo e per questo che quando salì sul bus avevo il fiatone, ma come se non bastasse non vi era neanche un posto a sedere e quindi mi toccò rimanere in piedi sia lì e sia in metro, poiché i posti a sedere ve ne erano davvero molto pochi, rispetto alla gente che vi viaggiava a quell'ora di mattina.

Quando arrivai in accademia erano le 7:45 a.m. ed ero fortunatamente in orario.
Prima di entrare però, alzai lo sguardo in alto e mi accorsi che il cielo di Londra era nuvoloso, ma pensai che era così solo perché era abbastanza presto.
Appena varcai la soglia della porta, però, mi ritrovai con tutti gli sguardi dei presenti che mi squadravano dalla testa ai piedi. C'era gente che addirittura si era presentata con un abito elegante!
Mi diressi verso la segreteria dell'accademia per andare a terminare l'iscrizione, pagando una piccola quota d'ingresso, e per prendere l'orario delle mie lezioni e il numero del mio armadietto con il rispettivo codice, ma appena vi entrai per presentarmi, la segretaria mi squadrò dalla testa ai piedi per il modo in cui ero vestita e successivamente mi disse in tono acido di ripresentarmi alla fine delle lezioni di quella giornata se no avrei fatto tardi e non mi avrebbero ammessa in classe. Peccato che io non sapessi nemmeno quale sarebbe stata la lezione che mi avrebbe atteso dopo quella di musical, così a tentativi, cercai gli spogliatoi femminili, ma appena vi entrai mi accolse nuovamente quella sensazione sgradevole di essere osservata da tutti, ed infatti fu proprio così, in quanto tutti mi stavano guardando e vociferavano tra di loro in silenzio per non farsi sentire dalla sottoscritta e il tutto con scarsi risultati, perché sentivo perfettamente la maggior parte delle cose che dicevano.
Alcune ragazze parlavano addirittura indicandomi e facendomi un identikit completo, dicendo anche da dove venivo e perché mi trovavo in quella scuola. In più alcune sbruffavano scocciate dalla mia presenza lì in quell'istituto.
Più che un'accademia di danza sembrava un'accademia degli sguardi e dei sussurri.
Appena trovai il mio armadietto, mi avvicinai immediatamente per inserirvi la combinazione che mi aveva consegnato pochi minuti prima quella sgradevole segretaria e non appena lo aprì, vi lasciai dentro il mio borsone e cominciai a spogliarmi velocemente, lasciandomi addosso solo gli indumenti necessari alla lezione, ma mentre stavo per chiudere il mio armadietto per dirigermi in classe, mi si avvicinò una ragazza castana che ad occhio e croce doveva avere la mia età. Era alta tanto quanto me, magra al punto giusto, tanto da avere un fisico perfetto, e aveva un viso dolce e, a prima vista, sincero. 
«Non farci caso. Fanno sempre così quando arriva qualche nuova alunna.» Mi disse mentre si appoggiava con una spalla ad un armadietto.
«Come scusa?» Le domandai perplessa.
«Dicevo che sei il giocattolino nuovo e quindi fino a quando non arriverà una nuova new entry tu sarai l'attrazione del momento.» Mi spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Odio essere al centro dell'attenzione.» Borbottai tra me e me, sperando di non essere sentita, ma ovviamente la fortuna quel giorno non era dalla mia parte.
«So come ti senti. Anche io ci sono passata quando sono entrata qua dentro.» Cercò di tranquillizzarmi, ma con scarsi risultati.
«Comunque, io sono Emily, per gli amici Emy.» Si presentò la ragazza, porgendomi la mano destra che io strinsi immediatamente presentandomi a mia volta.
«Io sono Giulia o Juliet, come ti pare. Per gli amici... scegli tu come chiamarmi. Tanto qui in Inghilterra non conosco nessuno». Dissi scrollando le spalle in modo non curante, per poi chiudere velocemente l'armadietto reinserendo la combinazione e voltandomi verso la figura al mio fianco.
«Ora conosci me.» Mi sorrise ed io non potetti non ricambiare il gesto. Quella ragazza aveva un sorriso così contagioso che ti rallegrava la giornata.
«Sei silenziosa, ma tagliente e sincera... Mi piaci!» Disse la ragazza per poi esclamare con sicurezza «Credo che questo sia l'inizio di una grande amicizia.»
Ci fermammo un paio di secondi ad osservarci per comprendere appieno il significato veritiero delle parole che aveva appena affermato e poi scoppiammo entrambe a ridere per poi uscire dagli spogliatoi e incamminarci lungo gli ampi corridoi dell'accademia.
«Quale disciplina hai ora?» Mi chiese dopo un paio di minuti.
«In realtà non ne ho la più pallida idea.» Sospirai imbarazzata per poi spiegarle per quale motivo mi trovavo in quell'edificio.
«Quindi mi stai dicendo che sei tu la vincitrice della borsa di studio di Musical Theatre?» Mi chiese spalancando gli occhi dalla sorpresa.
«Sì, ma non ho la più pallida idee dei corsi che dovrei seguire...»
«Lo so io!» Esclamò interrompendomi e girandosi verso di me, arrestando la nostra camminata. Lei probabilmente mi lesse la confusione in viso poiché cominciò a parlare nuovamente.
«Ora ti spiego: la nostra acting coach* di Musical ci aveva detto al termine dello scorso trimestre che era stata vinta una borsa di studio da una ragazza di una nazionalità straniera e che da questo trimestre in poi avrebbe frequentato i nostri corsi qui in accademia. Ora il fato vuole che la stessa insegnante mi abbia chiamato ieri sera e mi abbia lasciato il compito di farti ambientare, poiché, avendo controllato i nostri orari, frequenteremo le stesse lezioni tutto l'anno.» Mi annunciò con un sorriso a trentadue denti.
Pensai che quel giorno almeno una buona notizia mi era stata data. In più ero al mio secondo giorno della mia nuova vita da indipendente in Inghilterra e avevo già trovato un'amica e la cosa non mi dispiaceva affatto.
In quel momento, però, la campanella suonò interrompendo i nostri discorsi e facendoci affrettare a dirigerci verso la classe di Musical Theatre, dove si sarebbe tenuta la prima lezione della giornata.

Quando suonò la campanella che avvisava gli studenti del termine delle lezioni di quella mattina, tirai un sospiro di sollievo: avevo avuto due ore e mezza di Musical Theatre con riscaldamento di Pilates per ballerini annesso, due di Commercial e una di danza contemporanea. Ero totalmente esausta. Sapevo che in Inghilterra l'allenamento sarebbe stato molto più intenso rispetto a quello che facevo in Italia, ma non pensavo davvero che fosse così duro. Gli insegnanti erano severi, ma anche molto disponibili e chiari nella spiegazione dei vari otto.
Avevo conosciuto anche il direttore della scuola, il quale era venuto per congratularsi per la conquista della mia borsa di studio e per informarmi del fatto che essendo il mio primo giorno in accademia e non essendo abituata ai loro ritmi, avrei integrato tutti i corsi a poco a poco e che quel pomeriggio non dovevo rientrare per le altre lezioni.
Così, dopo aver essere andata in segreteria a ritirare il mio orario e a terminare l'iscrizione, feci pranzo insieme a Emily e, dopo aver concordato di ritrovarci il giorno seguente davanti all'ingresso dell'accademia, decisi di tornarmene a casa per riordinare le cose che non ero riuscita a sistemare il giorno precedente, ma percorrendo la strada per andare a prendere la metro, passai accanto ad un negozio che vendeva articoli da danza e rimasi incantata di fronte ad un body nero ricamato con disegni floreali, anch'essi neri, e con le maniche lunghe lavorate interamente con il pizzo. Stavo per entrare all'interno del negozio per chiedere di poterlo provare, ma cambiai idea non appena l'immagine di me con indosso quel body si fece spazio nella mia mente: la mia fisicità un po' troppo formosa non mi permetteva di indossare un body simile.
Rimasi a sospirare innanzi alla vetrina fino a quando non mi cadde l'occhio sul prezzo di quell'indumento: quel body costava ben ottanta sterline ed io di certo non potevo permettermi di spendere una cifra tale per un vestito che avrei utilizzato pochissime volte, così, sempre sospirando, ripresi la mia strada verso casa.

Feci appena in tempo a rientrare in casa perché subito dopo aver chiuso la porta un acquazzone tipicamente inglese aveva preso a cadere su Londra. Una volta varcata la porta di casa mi diressi verso il soggiorno dove posai sul divano il grosso borsone che mi trascinavo dietro da quella mattina e andai al piano superiore per farmi una doccia rilassante; così, una volta in camera, cominciai a preparare l'intimo, una felpa e un paio di pantaloni di una tuta che avrei indossato appena uscita dal box doccia e poi andai in bagno, posizionandomi difronte allo specchio posto sopra il lavandino e cominciai a disfare lo chignon che avevo fatto per andare in accademia, pensando che avrei auto lezione di danza classica, e mi struccai mentre facevo scorrere l'acqua per farla arrivare ad una temperatura che per me fosse abbastanza calda.
Una volta finito, mi svestii ed entrai in doccia e immediatamente il getto d'acqua che mi colpì iniziò a scaldarmi e a lavare via la stanchezza di quella giornata, rigenerandomi completamente.
Appena finito, uscì fuori dal box doccia avvolgendomi in un asciugamano grande e poi tamponai i capelli mentre mi dirigevo in camera per rivestirmi e asciugarmi i capelli: li asciugavo lì perché in bagno vi era troppo vapore e rischiavo di prendere la scossa a causa dell'umidità.
Una volta asciugati i capelli, cominciai a sistemare gli abiti che il giorno prima avevo buttato infondo all'armadio e  poi scesi in soggiorno per aprire il borsone e prendere gli indumenti sporchi per racimolarli e andarli a lavare nella lavanderia della casa e, in seguito, preparai la borsa per il giorno seguente, il quale, speravo, fosse un po' più tranquillo rispetto ad oggi.
Verso sera venne a salutarmi Samuel e a chiedermi come era andato il mio primo giorno in accademia e lui fu felice di sapere che avevo trovato un'amica su cui contare, perché, a suo parere, non si può sopravvivere in una gabbia di matti fatta solo di punte, tutù e regole se non si conosce qualcuno.
Una volta che ebbi terminato tutte le faccende e che Sam fu andato via preparai una cena leggera e veloce e poi andai a dormire, poiché ero distrutta.

Jamie's P.O.V.

Finalmente ero a casa. Non vedevo l'ora che quel maledetto aereo atterrasse a Londra, ma, come tutti sanno, gli aeroporti si trovano in periferia e quindi per arrivare a casa dovetti chiamare un taxi che mi conducesse nella mia amata città. Un'ora dopo essermi messo in viaggio feci fermare il tassista un po' prima del cancello di casa dei miei genitori, per evitare che essi vengano assediati dai paparazzi.  Fortunatamente aveva smesso di piovere non appena ero uscito dall'aero e avevo potuto trasportare i miei bagagli senza paura che si potessero bagnare.
Avevo già avvisato la mamma che sarei atterrato di notte e che quindi ci saremmo visti il giorno dopo, ma io volevo fare loro una sorpresa e quindi, invece di tornarmene al mio appartamento nel cuore di Londra, mi fermo in campagna da loro e per non farmi scoprire vado verso la dépendance, dove ho deciso di alloggiare per questa notte.
Arrivo davanti la porta di casa e come sempre la chiave è dietro il vaso: la prendo e la inserisco nella serratura, facendola scattare, e subito dopo entro in casa cercando di fare il meno rumore possibile per non essere scoperto dai miei nella casa affianco, i quali potrebbero venire a controllare per “rumori sospetti”.
Ricordai di quando invitai a casa un po' di amici senza il consenso dei miei e li ospitai nella dépendance per non farmi scoprire, ma i miei accorsero immediatamente, come se fossero stati chiamati. Il risultato? Stetti in punizione per un mese e non potetti uscire neanche per andare a fare le prove con il mio gruppo.

Appena entrai fui invaso da un odore strano, dolce, quasi di... pulito.
«Strano, questa topaia non viene mai pulita, chissà perché ora è così profumata» mi domandai tra me e me, mentre lasciavo cadere le mie valigie sulla poltrona del soggiorno e mi dirigevo al piano superiore per andare a dormire in quella che era camera mia.
Ero talmente stanco che non accesi nemmeno la luce per vedere dove mettevo i piedi e non appena arrivai vicino al letto, mi spogliai rimanendo in boxer, e mi ci buttai sopra cadendo in un sonno profondo.

To be continued...


*Per chi non fa danza o non mastica il linguaggio teatrale: il loro nome è proprio “calze senza piedi” poiché sono come dei collant, ma tagliati dalla caviglia in giù ed è per questo motivo che sono differenti dai leggins, perché sono vere e proprie calze.
*L'acting coach è l'insegnante di recitazione


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Buongiorno a tutti!
È passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ho pubblicato, ma purtroppo non riesco ad aggiornare velocemente perché da quest'anno ho tutti i pomeriggi occupati e non mi è permesso dedicarmi alla scrittura, come invece vorrei fare. Spero, comunque, che continuerete a seguire questa storia, anche se gli aggiornamenti saranno sporadici.
Passando a parlare del capitolo...
Qui si viene a conoscenza di un lato della nuova vita di Giulia, quella accademica (la quale è veramente strutturata in questo modo), si conoscono alcune sue abitudini alimentari e la si vede fare amicizia con Emily.
Abbiamo anche un nuovo/vecchio arrivato a Londra!
Jamie è ritornato a casa, ma... chissà che cosa succederà!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia.

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Ora vi lascio liberi
A presto!
La_Folie

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III: Il buongiorno si vede dal mattino ***


                                               


CAPITOLO III
Il buongiorno si vede dal mattino


La mattina successiva mi sveglio a causa del freddo che mi stava entrando nelle ossa: mi sono ritrovata raggomitolata sul bordo del letto, nel disperato tentativo di procurarmi un po' di calore, e senza coperte addosso. Chissà che cos'era successo la notte precedente per potermi essere risvegliata in quella maniera.
Erano i primi giorni di settembre, ma a Londra non faceva caldo come in Italia e per questo motivo avevo deciso di dormire con una coperta di pile sopra alle lenzuola del mio letto a due piazze: la notte la temperatura calava in maniera impressionante ed io, di notte, diventavo una tipa alquanto freddolosa.
Controllai l'orario sul cellulare che avevo posato sul comodino affianco al letto e, quando vidi che erano le cinque e mezza, cominciai a valutare le opzioni che avevo a disposizione: potevo tornare a dormire, e sperare di sentir suonare la sveglia alle sei, oppure potevo alzarmi e fare le cose con calma, ma dato che non volevo arrivare in ritardo al mio secondo giorno di accademia, decisi di alzarmi e di andare a preparare  una colazione leggera a base di biscotti integrali, latte di soia e caffè, quest'ultimo era una bevanda che non poteva mai mancare durante la giornata, poiché avevo la necessità di una grande quantità di caffeina per poter andare avanti.
Rabbrividendo e ancora mezza assonnata, scesi al piano inferiore e mi diressi in cucina per preparare il pasto più importante della giornata. Presi una moka e la preparai con l'acqua e il caffé, mentre in un bicchiere versai lo zucchero per preparare il cremino, ma un brivido di freddo, dovuto ai miei piedi nudi a contatto con il pavimento, mi costrinse a correre al piano superiore per indossare un paio di infradito.
Non appena arrivai in camera accesi la luce, perchè in quel modo avrei trovato in maniera più semplice le mie scarpe, ma nel momento in cui la stanza fu illuminata, non potei evitare di irrigidirmi sul posto, cacciando fuori un urlo: nel mio letto vi era un ragazzo biondo che dormiva tranquillamente al caldo sotto le mie coperte, ma che sentendomi urlare, il diretto interessato aprì gli occhi di scatto.
Nello stesso momento in cui mi vide, si spaventò. Quindi si portò una mano sul cuore e si tirò indietro contro la tastiera del letto, portandosi il piumone a coprirsi la parte inferiore del corpo, dato che aveva indosso solo un paio di boxer.
«Mi devi spiegare come fate voi fan a penetrare da qualsiasi parte. Ora nemmeno in casa mia non posso più stare in pace!» Cominciò a urlare, mentre, tenendosi sempre coperto, afferrava dal pavimento un paio di jeans skinny neri e cominciava a metterseli.
Io rimasi per un momento in silenzio, ancora scioccata a causa della situazione in cui mi trovavo, ma mi ripresi immediatamente e così risposi con uno «Scusami?»
Il tipo nel mio letto mi guardò storto. «Se qui c'è un intruso, quella non sono di certo io! Fino a prova contraria questa – dissi mostrando con l'indice della mano destra le quattro mura che ci circondavano – è la mia stanza, e questa – dissi facendo un gesto ancora più grande con gl'indici di entrambe le mani per indicargli lo spazio che ci circondava – è casa mia.» Spiegai in maniera nervosa. Se c'era una cosa che non sopportavo di più dei ritardi e di non avere sotto controllo ogni situazione era proprio quella di trovarmi a che fare con delle persone odiose.
Lui mi guardò ancora con un cipiglio contrariato in volto. «Fino a prova contraria questa è la dépendace di casa mia e qui io vedo solo un'insopportabile intrusa che non ha un valido motivo per stare qui!» Urlò alzandosi dal letto e venendomi in contro.
Una volta che mi fu vicino ebbi l'opportunità di osservarlo meglio: era alto circa un metro e ottanta, muscoloso, ma non eccessivamente, biondo e con degli occhi azzurri colmi di malizia e rabbia che incorniciavano quel viso da angelo che si ritrovava.
Eravamo fermi l'uno davanti all'altro e ci guardavamo grondanti di rabbia, quando improvvisamente sentì la porta di casa aprirsi e qualcuno correre per le scale, cosa che mi fece ancora una volta rabbrividire. Chissà chi era entrato. Ma quando i passi si fecerò più vicini alla camera da letto, sentì urlare il mio nome e così mi tranquillizzai, riconoscendo il timbro di voce che mi chiamava.
«Sam, sono qui!» Urlai in risposta.
Samuel arrivò in camera di corsa e a causa del fiatone parlava a scatti. «Che cos'è successo? Stai bene? Ti ho sentito urlare dalla mia camera nell'altra casa. Dovresti imparare a chiudere le finestre la notte o, in futuro, rischierai di svegliare i vicini.» Disse venendomi vicino. Evidentemente non si era accorto della persona che avevo affianco.
«Sam, io sto bene. Calmati. Vorrei solo sapere chi è questo qui!» Gli indicai i ragazzo accanto a me, il quale ci guardava con aria stupita, ma non quanto quella del giovane inglese che avevo davanti a me, il quale quando si voltò verso l'altra presenza nella stanza esclamò: «Jamie!»
«Ciao, fratellino.» Disse il nuovo arrivato.
«Fratellino?...» Cominciai, ma fui interrotta da un odore di bruciato che stava salendo al piano superiore. «Il caffè!» Esclamai ricordandomi della bevanda che avevo cominciato a preparare prima di questo incontro a sorpresa. Scansai i due ragazzi e corsi in cucina, dove il caffé aveva preso a bruciarsi e a traboccare dalla moka.
Spensi immediatamente il gas e buttai la bevanda bruciata all'interno del lavello, mentre con l'acqua fredda aprivo la piccola caldaia per mettere a cucinare nuovamente il caffé. 
La mia testa era totalmente in subbuglio e non ci stavo capendo letteralmente nulla di quello che stava accadendo. Sam non mi aveva mai parlato di un altro componente della famiglia. Chissà perchè.
Nel frattempo ero stata raggiunta dai due ragazzi, i quali si erano seduti in silenzio al piccolo tavolo presente in quella stanza.
«Qualcuno mi può spiegare ciò che sta succedendo? Credo di stare per impazzire.» Supplicai vedendo che nessuno aveva intenzione di parlare.
«Certo.» Cominciò Samuel. «Vedi, Giulia, lui è mio fratello maggiore, Jamie, e da quello che avrai potuto capire questa è casa sua, così come la camera dove hai deciso di sistemarti, ma dato che lui è un attore, e non essendoci mai a casa, mamma aveva deciso di utilizzare la sua casa per ospitare qualcuno, ma non aveva pensato al fatto che Jamie sarebbe potuto tornare. Anche perchè lui ha un appartamento tutto suo nel centro di Londra.» Spiegò il ragazzo con aria mortificata.
«Perfetto. Ci mancava solo questa.» Sussurrai tra me e me con la speranza di non essere sentita, ma come al solito questo non successe.
«Come scusa?» Domandò alterandosi il proprietario di casa.
«Stavo solo dicendo che ci mancava solamente che dovessi trovarmi un'altra casa.» Spiegai con tono esasperato. Ero al mio secondo giorno lì a Londra e già mi ritrovavo sommersa dai problemi: le mie compagne di accademia spettegolavano su di me, Sam aveva un fratello scorbutico che pretendeva di tornare ad abitare nella sua prima casa ed io che mi ritrovavo a non avere una casa ed un lavoro per potermela permettere. Potevo solo affermare che le cose mi stavano andando di male in peggio.
«Io non capisco invece come mamma abbia fatto a dare la mia casa in mano ad una stronza, altezzosa, presuntuosa e per niente sexy ragazza da quattro soldi. Visto che volveva ospitare qualcuno, poteva almeno cercare una coinquilina decente! E non una che sembra la protagonista sfigata di uno di quei film per adolescenti.»
Quelle parole mi colpirono come una lama, facendomi irrigidire. C'è un detto popolare che dice “pietre e bastoni ti rompono le ossa, ma non c'è parola che farti male possa”... non è assolutamente vero. Le sue parole mi avevano colpito e anche piuttosto violentemente. Potevo anche sembrare forte all'esterno, ma in realtà ero molto sensibile a ciò che mi veniva detto e prestavo molta attenzione alle parole che mi venivano pronunciate contro, tanto da farmi influenzare dal pensiero altrui.
Sentivo che da lì a poco sarei potuta crollare in un pianto, ma non volevo farmi vedere in quello stato da due persone sconosciute. Sarebbe stato troppo imbarazzante e poi Jamie avrebbe potuto sfruttare questa mia debolezza a suo favore. Era tempo di mettere da parte i sorrisi finti e di iniziare ad indossare l'armatura che mi avrebbe aiutato, come sempre, ad andare avanti.
Mi voltai verso il piano cottura, dove il caffè aveva preso ad uscire e una volta pronto lo bevetti velocemente per poi rivolgermi a Sam con il tono più calmo e piatto che ero riuscita a mettere in piedi «Vado a rifare le valigie. Sam, ti chiedo solo di tenerle fino a questa sera. Ora non ho tempo di andare alla ricerca di una sistemazione perchè devo andare in accademia, ma nel pomeriggio lo faccio, così tolgo il disturbo entro questa sera.» Annunciai, prima di voltarmi verso la porta e salire al piano superiore per fare le valigie.

Jamie's P.O.V.

Non sopportavo di non sapere quello che succedeva in casa mia e nella mia famiglia. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che qualcuno a me vicino mi avesse potuto mentire.
Quando quella mattina mi ero svegliato con l'urlo di quella ragazza, ricordo che la prima cosa che feci era stato pensare che stavo sognando quella ragazza sexy che sembrava un angelo sceso dal cielo, ma, successivamente, mi ero accorto che quella era la realtà e che lei era un'intrusa e, per di più, era un'intrusa in casa mia.
Avevo subito pensato che fosse una fan che si era intrufolata nella mia abitazione, poiché, ultimamente, venivo sempre perseguitato dai fan e dai paparazzi e non ne potevo davvero più.
Ammetto che, da quando eravamo in camera a quando eravamo scesi in cucina, mi ero fatto accecare dalla rabbia e avevo esagerato con le parole, ma lei era un'estranea. Non la conoscevo e non aveva il diritto di restare tra quelle mura, perchè non le appartenevano.
Continuai a guardarla anche quando bevette velocemente il suo caffé bollente. Le sue spalle erano rigide, ma quando chiese a Sam di tenere le sue valigie fino a quella sera, e lo fece con quel tono calmo, piatto e che non fa trasparire emozioni, una nuova emozione si fece largo in me: in quel momento mi sentivo quasi in colpa, ma non ero io ad essere in torto. Era lei la sconosciuta, anche dopo aver “chiarito” il malinteso, quindi io non dovevo preoccuparmene più di tanto.
Mi voltai verso mio fratello, il quale stava guardando nella mia direzione in malo modo, e lo vidi aspettare il momento in cui si sentì la porta della camera da letto chiudersi per poi cominciare a urlarmi contro.
«Ma cosa ti è saltato in testa! Lei non ti ha fatto nulla!»
«Perchè non mi avete detto nulla di questa cosa?» Urlai di rimando.
«Per rispondere alla tua domanda ti dico che mamma, papà ed io sapevamo che avresti reagito in questo modo ed è per questo che abbiamo deciso di non dirti nulla. Inoltre dovresti ringraziarmi perchè mamma voleva buttare giù la dépendance ed io l'ho persuasa a fittarla a ragazzi provenienti da altri paesi. Per questo motivo Giulia si trova qui.» Mi disse con rabbia. «Ed ora che è appena arrivata se ne va di nuovo e chissà se riuscirà a trovare un posto dove stare e qualche lavoro per mantenersi, visto che si è trasferita da nemmeno un giorno qui a Londra per poter studiare e tu hai rovinato tutto.»
Avevo capito la sua tattica: stava cercando di farmi sentire in colpa. Ma non era solo questo. C'era qualcos'altro sotto che il mio adorato fratellino mi stava nascondendo ed io avrei fatto di tutto per scoprirlo.
«Perché la voleva abbattere? Infondo questa è casa mia.» Domandai ancora.
«Come prima cosa, tu hai un appartamento tutto per te al centro di Londra; come seconda cosa, mamma voleva far costruire una serra e...» mio fratello si interruppe non appena sentì dei passi dirigersi verso l'ingresso. Sam si diresse velocemente verso la fonte del rumore ed io lo seguì: nell'atrio vi era Giulia che stava raggruppando tutte le sue cose in un angolo della stanza. Ora che si era cambiata, la potevo osservare meglio: aveva indossato un paio di leggins neri e sopra una maglietta bianca che le arrivava sopra la vita e che lasciava intravedere l'addome coperto da un qualcosa di nero. Le maniche della maglia scendevano lungo le braccia lasciando le spalle scoperte. Ai piedi, invece, portava un paio di Converse nere. Non c'era che dire: era davvero molto bella: non era eccessivamente magra e aveva le forme al posto giusto.
In un primo momento non si accorse della nostra presenza, ma appena lo fece, si voltò verso di noi e fece un piccolo sorriso verso il ragazzo più piccolo che avevo al mio fianco.
«Se non ti dispiace, lascio qui le mie valigie. Ora non posso portarle con me. Tornerò questa sera presto a riprenderle.» Disse con tono atono, in modo tale da non far trasparire al di fuori di sé alcuna emozione. Com'era possibile che sapesse farlo? Gli attori impiegano anni ed anni di lavoro per cercare l'espessione e il tono più atono per permettere a loro stessi di far trasparire un'emozione alla volta, mentre lei era in grado di mantere quell'espressione così indifferente senza mai scomporsi. Qual era il suo trucco? 
«Io...» cominciò, balbettando, mio fratello, per cercare di formulare una frase di senso compiuto, ma poi si limitò ad un semplice «va bene».
La ragazza annuì semplicemente. Poi prese da sopra una delle sue valigie un giubbotto nero ed una sciarpa blu notte e le indossò.
«Beh, allora io vado.» Disse per poi afferrare un borsone nero lì vicino e metterselo in spalla.
«Ok, ci vediamo più tardi.» Le rispose Sam, accompagnandola all'uscita, mentre io venivo ignorato da entrambi e me ne tornavo in cucina.


To be continued...


____________________________________________________________________________________________________________

Buonasera a tutti!
Anche se tardi ho aggiornato. Ho finito da poco di scrivere questo capitolo e non volevo farvi aspettare oltre.
Passando a parlare del capitolo...
Il primo incontro tra Giulia e Jamie non è stato per niente tranquillo. Ora che farà la ragazza? Riuscirà a trovare un posto dove stare? Il bell'attore si renderà conto del grave errore che ha commesso? Sam farà qualcosa per aiutare Giulia?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV: Vaniglia ***


CAPITOLO IV
Vaniglia

Il cielo cupo di Londra rispecchiava pienamente il mio cattivo umore. Mentre camminavo attraverso le strade affollate, riflettevo sul fatto che non riuscivo a credere che ero nella mia città preferita da nemmeno quarantott'ore e già ero stata cacciata di casa da uno dei membri di quella famiglia, perchè non era stato avvisato della mia presenza.
Perchè, poi, non era stato avvertito se lui abitava lì? Per quale motivo la sua famiglia l'aveva tenuto all'oscuro di tutto?
Aveva pienamente ragione su questo argomento, ma ora, a causa sua, ero nel panico più totale, perchè non sapevo dove andare e come fare per vivere. Di sicuro mi sarei dovuta trovare un lavoro per potermi mantenere. Inoltre se lo avessi detto ai miei genitori, loro mi avrebbero fatto tornare indietro immediatamente ed io non volevo rinunciare a questa opportunità che mi era stata concessa. Avevo fatto enormi sacrifici negli anni passati per arrivare a studiare qui in Inghilterra e ora, di certo, non me ne volevo andare perchè non avevo nulla di cui vivere.
Pensai a dei modi in cui risolvere il mio problema, ma non me ne venivano in mente nessuna.
Intanto ero arrivata in accademia e non appena entrai nell'edificio, cominciai a sentirmi nuovamente in ansia, proprio come il giorno precedente. Il fatto era che mi sentivo sempre sotto esame, il che era vero, poiché essendo una studentessa straniera, avevo gli occhi di tutti puntati addosso: gli insegnanti pressavano per avere un'occasione per sbatterci fuori e diminuire il numero degli allievi, mentre gli alunni guardavano gli altri per prendere in giro e spettegolare... insomma lasci una situazione di pace e trovi una situazione di bullismo psicologico. Che cosa c'è di peggio? Essere il loro bersaglio.
Io ero la nuova arrivata e quindi ero presa di mira da tutti. Soprattutto dai compagni. Ma questo non era una novità, data la mia esperienza in Italia.
Non appena arrivai nello spogliatoio, Emily venne immediatamente a salutarmi e a dirmi di sbrigarmi a spogliarmi e ad indossare le mezzepunte, perchè l'insegnante di danza classica voleva vedermi.
Così, non appena fui pronta, Emily mi condusse nella sala in cui si trovava la signora Williams, la quale non appena mi vide, fece uscire la mia accompagnatrice e mi si avvicinò, con fare molto attento, per osservarmi meglio.
Io, essendo una ragazza timida, mi sentii subito messa in soggezione, finchè con tono duro l'insegnante non mi disse di togliermi le scarpe e di andare sulla bilancia all'angolo destro della sala.
Una volta salita sullo strumento, la Williams mi si avvicinò e mi pesò. Poi si allontanò e si avvicinò alla scrivania che aveva affianco per andare a scrivere su un fascicolo con la mia foto, mentre io mi rimettevo le mezzepunte. Poi mi disse di andare alla sbarra e mi fece fare alcuni semplici esercizi, i quali, a mio parere, uscirono piuttosto bene, anche se con qualche imprecisione qua e là.
Ero in ansia e aspettavo che lei mi dicesse qualcosa, ma si limitò solamente a scrivere sul fascicolo e a dirmi quale esercizio svolgere e non parlò nemmeno quando non mi congedò.
Chissà per quale motivo si comportava in quella maniera. Inoltre mi domandavo che cosa avesse scritto per tutto quel tempo. 
Quando tornai allo spogliatoio per potermi preparare per la lezione successiva, sentì le altre ragazze sussurrare «Vedrete che la metterà a dieta» oppure «Con quella corporatura pensa di fare la ballerina e di trovare lavoro?». Non c'era bisogno che un'altra persona mi dicesse chi era l'oggetto dei loro discorsi, perchè non ci voleva molto per immaginare che ero io colei di cui discutevano. Sapevo perfettamente che erano cattiverie e che per fare questo lavoro dovevo accettare il fatto che ne avrei ricevute tante, ma io non ero ancora pronta a riceverne in tal maniera, perché ero ancora molto fragile e sensibile alle parole degli altri e l'armatura che mi stavo costruendo pian piano era vacillante. La mia mente non era abituata ad ignorare i pettegolezzi e ne soffrivo terribilmente.
Alle loro parole cercai di trattenermi e di non scoppiare il lacrime davanti a tutti e, con il groppone in gola, finì di prepararmi e mi diressi verso la prossima lezione sotto il loro sguardo attento. Sapevo che avrei avuto lezione con la maggior parte di quelle ragazze che erano in quella stanza e che quindi avrei dovuto tener duro fino a quando non fossi uscita di lì per andare a casa, ma adesso che una casa non ce l'avevo più, avrei dovuto accontentarmi solo di uscire di lì.

Il resto della mattinata non era andata benissimo a causa dei continui pettegolezzi che circolavano su di me. Inoltre l'ansia di non riuscire a trovare un alloggio per la sera non mi permetteva di concentrarmi abbastanza sulle lezioni e più volte ero stata richiamata per la mia “testa fra le nuvole”. Avevo persino chiesto ad Emily se conoscesse qualche posto economico dove stabilirmi temporaneamente, ma lei mi aveva risposto negativamente, offrendomi anche un posto nella sua camera a casa sua. Naturalmente io avevo gentilmente declinato l'offerta, perchè non volevo recarle disturbo, soprattutto perchè non ci conoscevamo da molto tempo e non volevo invadere i suoi spazi. Ero, io per prima, una ragazza riservata e, di conseguenza, non volevo mettere altre persone a disagio.
Quando suonò la campanella che segnava il termine delle lezioni mattutine, avevo perso completamente l'appetito. Così decisi di impiegare quel tempo, sperando di non perdermi, andando in giro alla ricerca di una qualsiasi sistemazione per la notte e di un lavoro che mi permettesse di rimanere a vivere a Londra.


Jamie's P.O.V.

Non ce la facevo più.
Da quando Sam era uscito di casa non avevo fatto altro che ricevere chiamate su chiamate da parte di mamma e di papà. Ovviamente non avevo risposto, dato che sapevo già quello che mi avrebbero detto: ovvero di far ritornare a vivere qui quella ragazza, ma io non ne avevo la minima intenzione.
Odio ricevere ordini dalle persone, soprattutto se questi ultimi riguardano me personalmente.
Non volevo e non voglio accogliere in casa una persona a me sconosciuta. Chi mi assicura che avrebbe rispettato la mia privacy e che non mi avrebbe venduto alla stampa solo per ricavarne qualche spicciolo?
Mi passai le mani tra i capelli e li strattonai con fare nervoso. Troppe domande assillavano la mia mente fin da quella mattina e io non potevo fare a meno di chiedermi se stavo facendo la cosa giusta. Per me, indubbiamente. Ma per lei?
Da come Sam me l'aveva descritta era una ragazza a posto. Mi aveva anche riferito che aveva vinto una borsa di studio di Musical Theatre e che aveva deciso di andare ad abitare con una famiglia del posto per migliorare la lingua e per risparmiare qualcosa in fatto di alloggi.
Non avevo nulla contro di lei. Anzi, era da ammirare quello che aveva fatto e col senno di poi, un po' mi dispiace per non averla ascoltata e di averla cacciata in quella maniera, ma mi dava fastidio il fatto che la mia famiglia aveva deciso di accoglierla in casa senza consultarmi.
Se l'avessi saputo prima, magari avrei agito diversamente o mi sarei preoccupato di trovarle un'altra sistemazione, ma no. Ero stato tenuto all'oscuro da tutto ed ora non c'era nulla che potesse farmi cambiare idea. Nemmeno le preghiere di mio fratello e le minacce dei miei genitori.
Mi alzai svogliatamente dal divano sul quale ero seduto e mi trascinai fino in bagno per farmi una doccia e, magari, schiarirmi i pensieri.
Mentre mi insaponavo, però, mi venne voglia di andare al Southbank Skatepark per svagarmi un po' e per non pensare alla situazione assurda in cui mi trovavo, così mi sbrigai a lavarmi e ad asciugarmi per poi andare in camera mia ed indossare un paio di skinny jeans neri, una felpa nera con cappuccio e una giacca di pelle del medesimo colore degli stessi abiti che indossavo.
Una volta pronto, scesi al piano inferiore, presi il mio portafoglio e il cellulare che avevo lasciato all'ingresso, dove si trovavano le valigie della ragazza italiana, e andai a recuperare il mio skate nel garage di casa.
Fuori il cielo pomeridiano era carico di nuvoloni grigi pronti a buttare giù tanta pioggia, ma non me ne preoccupavo più di tanto, visto che lo skatepark era al coperto e quello era il tipico tempo londinese. Così, mi diressi fuori dal cancello di casa per andare a prendere la metro e dirigermi verso uno dei luoghi più frequentati dai giovani di Londra. Infatti non si trattava solo di uno skatepark, ma lì affianco si trovava anche il famoso teatro Queen Elizabeth Hall e vi era una vista di Londra sul Tamigi spettacolare. Era uno dei luoghi della città che più mi piacevano.


Sam's P.O.V.

Quella mattina avevo raccontato a Jamie un po' di cose su Giulia per cercare di smuoverlo dalla sua convinzione, ma lui, testardo, non aveva voluto sentire ragioni. Preferiva mettere sulla strada una povera ragazza e non smussare il suo orgoglio e ammettere che aveva sbagliato ad agire in quella maniera.
Avevo avvisato i miei genitori di cosa Jamie aveva fatto e loro, alterati, mi avevano riferito che non rispondeva alle chiamate e che, quando sarebbero tornati a casa, ne avrebbe pagato le conseguenze. Jamie sarà anche il mio fratello maggiore, ma questa volta non la passerà liscia. L'aveva combinata grossa.
Mamma e papà non volevano mettere Giulia nei guai e mi avevano anche ordinato di cercare di convincerla a rimanere a casa nostra; ma quando all'ora di pranzo, sapendo che aveva terminato le lezioni, l'avevo chiamata per chiederle di tornare, aveva declinato l'offerta, dicendomi che aveva già recato fin troppo disturbo e che non voleva peggiorare i rapporti con mio fratello; quindi mi ero messo ad aiutarla per cercare un alloggio abbastanza decente ed economico dove farla rimanere. Non volevo che rinunciasse al suo sogno per colpa di quello sconsiderato di Jamie. Quest'ultimo non aveva capito quanto il suo soggiorno a Londra fosse importante e quanto questo le condizionasse il futuro.
Continuai a cercare fino alle 5 p.m., quando mi era squillato il telefono e avevo risposto alla chiamata da parte di Giulia, la quale mi chiedeva se poteva venire a recuperare le sue cose dalla dépendance. Ovviamente le accordai il permesso e le dissi che l'avrei aspettata in giardino. Speravo solo che Giulia avesse trovato un posto dove fermarsi almeno quella notte.
Mi avvicinai alla finestra della mia camera per poter vedere che tempo faceva fuori, quando vidi mio fratello uscire da casa sua e andare verso il garage. Una volta fuori vidi che aveva in mano il suo skateboard. Perfetto! Lei sarebbe venuta senza doverlo incontrare e lui non le avrebbe dato fastidio. Quell'imbecille aveva ottenuto, ancora una volta, quello che pretendeva.
Non appena lo vidi varcare il cancello di casa, scesi velocemente al piano inferiore, andai in cucina e uscii dalla porta sul retro che dava sulla veranda. Mi sedetti al tavolino che vi si trovava, per aspettare Giulia e, quando lei arrivò, non la feci nemmeno citofonare, perchè la precedetti sull'uscio.

«Sei proprio sicura di volertene andare?» Le chiesi, mentre lei raccoglieva la sua ultima valigia. Lei si fermò per un momento e sospirò.
«Sam, ne abbiamo già parlato.» Disse voltandosi verso di me. Era distrutta. Glielo potevo leggere in viso che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa che mi nascondeva. «Non voglio recarvi altro fastidio.»
«Non rechi alcun fastidio.» Affermai poggiando le mie mani sulle sue spalle. «Non pensare a ciò che ha detto Jamie. È solamente testardo ed orgoglioso. Vedrai che col tempo capirà.» Riprovai a convincerla, ma lei scosse la testa.
«Sam è tutto okay.» Disse facendomi un mezzo sorriso. «Starò bene e noi continueremo a vederci. Sei il mio unico amico qui a Londra.»
A queste parole mi immobilizzai per qualche secondo, ma poi non resistetti più e l'abbracciai fortissimo, inspirando il suo dolce profumo. In un primo momento rimase immobile, sorpresa da quel gesto, ma poi ricambiò anche lei. Dentro di me si faceva spazio un nuovo sentimento: sentivo che avrei dovuto proteggerla da tutto e da tutti. Come se fosse stata mia sorella. Era così fragile, ma allo stesso tempo così forte e combattiva. Ammiravo il suo essere così comprensivo e tenace.
«Non ti lascerò sola ad affrontare tutto questo.» Le promisi lasciandole una bacio sulla fronte. Era incredibile come mi fossi affezionato a lei dopo solo un giorno che la conoscevo. Avevamo parlato abbastanza il giorno precedente da sapere tutto ciò che era necessario l'uno sull'altra e viceversa. Più avanti, sicuramente, il nostro rapporto si sarebbe sviluppato maggiormente e avremmo saputo ancora più cose su ognuno di noi due.
«Ora devo andare.» Affermò staccandosi lentamente dall'abbraccio. «Perderò la metro se non lo faccio.»
Io annuì solamente, limitandomi a guardarla prendere le sue valigie e ad accompagnarla al cancello.
«Vieni qui quando vuoi. Questa è anche casa tua.» Le dissi prima che lei uscisse del tutto fuori.
Giulia si girò facendomi un sorriso per ringraziarmi e poi si voltò verso la strada cominciando a camminare, mentre io chiudevo il cancello e rientravo in casa.


Jamie's P.O.V.

Quello era stato un pomeriggio stranamente tranquillo. Solitamente, quando uscivo, qualche persona mi riconosceva e subito si creava un piccolo mucchietto di gente attorno a me, che andava via solamente dopo aver ottenuto un  autografo e una foto insieme; invece, quel pomeriggio, nessuno si era avvicinato e io mi ero pienamente goduto la quiete e i miei amici allo skatepark. Stando sempre in giro per il mondo era difficile incontrarli ed ero felice ogni qual volta ci riuscivo.
Non appena rimisi piede dentro casa, mi invase, inebriandomi, un dolce odore di vaniglia. Come se qualcuno fosse stato lì; e solamente dopo essermi voltato verso il mobile con lo specchio, dove era appoggiato lo svuota-tasche, lì all'ingresso, capì: osservando il riflesso potevo vedere l'altro lato della stanza totalmente vuoto.
Lei era stata qui e aveva portato via tutte le sue valigie, liberandomi casa. Quel che però non capivo era la fitta allo stomaco che mi era venuta in quel momento e quello stato di ansia che mi era piombato addosso non appena avevo constatato che lei se n'era andata, lasciando solo una scia di profumo.


To be continued...


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Buonasera a tutti!
Dopo un bel po' di  tempo ho ripreso a scrivere. Gli impegni sono tanti e la scuola non mi lasciava un attimo di respiro. In più ho avuto il blocco dello scrittore e quindi ci è voluto un po' di più per completare il nuovo capitolo della storia e spero che quello che è uscito fuori vi piaccia.

Passando a parlare del capitolo...
Giulia ha avuto una giornata abbastanza stressante, al contrario di Jamie che in un primo è nervoso e che poi riesce a rilassarsi.
Sam invece comincia a sviluppare un forte sentimento nei confronti della bella italiana. Che cosa succederà?
Spero che continuerete a seguire questa storia.

Vi ricordo la mia pagina facebook dove potete seguire e trovare news, curiosità e spoiler riguardanti le mie storie e i personaggi, così se avete delle domande da fare potrete scrivermele direttamente qui e non solo nelle recensioni: → https://www.facebook.com/pages/La_Folie/258082537697051?ref=hl


Ora vi lascio liberi
A presto!
La_Folie











 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO V: Sensi di colpa ***


                                                     


CAPITOLO V
Sensi di colpa


Jamie's P.O.V.
 

Da quel giorno erano passate due settimane. Due delle più stressanti che io abbia mai vissuto, tanto da farmi pentire, per una buona parte, di quello che avevo fatto; anche perché vedevo la mia famiglia allontanarsi da me.
I miei genitori, non appena furono tornati a casa, mi vennero a urlare contro l'enorme cavolata che avevo fatto e che questa volta non me l'avrebbero fatta passare liscia. Inoltre mi spiegarono i motivi della loro decisione di accogliere una sconosciuta in casa: mamma e papà avevano sempre voluto una figlia femmina di cui occuparsi, ma essendo ormai in là con gli anni, la mamma non poteva più avere bambini e, non riuscendo ad adottare una ragazza adolescente, avevano trovato la soluzione dell'ospitare, anche se temporaneamente, una ragazza straniera in casa.
Ora che sapevo ciò che c'era sotto, mi sentivo maggiormente in colpa per ciò che avevo combinato, perché avevo tolto ai miei la possibilità di realizzare un sogno, quando loro, invece, mi supportavano in tutto e per tutto.
Sam, dal canto suo, non mi rivolgeva la parola, ma lo vedevo sereno e quasi sempre sorridente davanti allo schermo del cellulare a messaggiare con qualcuno. Avendo sentito qualche conversazione tra lui e la mamma, sapevo che si sentiva ancora con quella ragazza italiana, alla quale si erano affezionati tanto velocemente, ed ero venuto a conoscenza che ogni tanto usciva con lei.
Da quello che avevo capito, adesso alloggiava, in attesa di trovare una sistemazione migliore, in un motel poco fuori Londra e aveva trovato lavoro in uno Strarbucks Coffee per riuscire a mantenersi.
I sensi di colpa mi stavano uccidendo da dentro, quindi avevo deciso di rimediare allo sbaglio che avevo commesso andando alla sua ricerca per tutta Londra, per poterla convincere a tornare a casa. Mi sarei persino sacrificato, ospitandola nella mia dépendance. Tutto ciò, a patto che lei avesse rispettato la mia privacy e non mi avesse venduto a nessuna testata giornalistica.
Volevo riconquistarmi la fiducia della mia famiglia passo passo e per questo motivo non chiesi nemmeno a Sam dove la potessi trovare, ma vagai per tutta la città alla sua ricerca per svariati giorni.

Quel pomeriggio, mentre tornavo da un pranzo di lavoro e mi dirigevo a piedi verso la mia casa nel cuore di Londra, passai casualmente per Vigo Street fermandomi ogni tanto ad osservare le vetrine delle grandi firme e quando arrivai vicino alla boutique della Burberry pensai che proprio lì accanto si trovava uno Starbucks. Così lasciai perdere i capi d'abbigliamento e mi diressi verso quel bar e, appena entrato, rimasi un po' perplesso dall'eleganza che caratterizzava quel luogo. Solitamente i bar sono molto moderni, mentre questo aveva le pareti color rosso borgogna e dei divani chester che davano al locale un tocco di classe.
Lentamente mi diressi verso un tavolo libero, lontano dagli sguardi indiscreti e dalle vetrine, e vi presi posto. Dopo aver letto un paio di messaggi che mi erano arrivati, posai il mio iPhone sul tavolo e presi il menù lì vicino per scegliere cosa ordinare. Mentre ero immerso nella lettura per la mia scelta, si avvicinò qualcuno che cercò di attirare la mia attenzione.
«Buon pomeriggio, Signore. Posso prendere la sua ordinazione?» Mi domandò una voce femminile con uno strano accento inglese. Avevo già sentito questa voce da qualche parte, così quando abbassai il menù per dare il mio ordine, rimasi come folgorato.
L'avevo trovata. Finalmente, dopo una settimana estenuante di ricerca l'avevo trovata. Ma ora che lei si trovava davanti a me, in carne ed ossa, non riuscivo più a tirar fuori la voce, nemmeno per salutarla, e il discorso che mi ero preparato se n'era andato a farsi benedire.
D'altro canto, anche lei, come me, era sorpresa di vedermi lì; ma la sua espressione stupita mutò troppo in fretta, facendola tornare ad un atteggiamento serio e professionale.
«Ripasso tra poco, visto che non ha ancora scelto niente.» Disse per poi voltarsi, ma prima che si allontanasse dal tavolo la richiamai per darle l'ordine e poi, dopo averla vista scarabocchiare sul taccuino che aveva in mano il nome del frappuccino che avevo chiesto, scomparve nella stanza situata dietro al bancone.
Nel frattempo che aspettavo la mia ordinazione, mi ero accorto di qualche occhiata curiosa che stavo ricevendo e di alcuni commenti che le persone sedute lì vicino stavano facendo sottovoce... come se io non avessi le orecchie per sentire ciò che dicevano sul mio conto o occhi per vedere chi stavano indicando. Quello che però mi infastidì più di tutto furono i commenti poco carini che fecero su quella povera ragazza che era venuta per chiedermi cosa desideravo prendere.
Dopo un paio di minuti la vidi comparire nuovamente nella sala con in mano un vassoio contenente una bottiglia d'acqua, un bicchiere e il mio frappuccino. La ragazza si avvicinò al mio tavolo e cominciò a poggiare velocemente sul ripiano tutto ciò che aveva in mano, mantenedo, però, lo sguardo basso, e, non appena lasciò anche l'ultimo oggetto che aveva nel vassoio, si voltò immediatamente per defilarsi. Fortunatamente i miei riflessi furono pronti e, non appena fece un passo per andarsene, allungai una mano e la bloccai per un polso, facendola, di conseguenza, voltare verso di me.
«Aspetta.» Le dissi, solamente.
Lei si voltò verso di me e, sempre mantenendo lo sguardo basso, mormorò «Devo andare. Sto lavorando.»
Lei fece per voltarsi nuovamente, ma la bloccai nuovamente. 
«Devo parlarti.»Le dissi brusco, ma lei scosse la testa in senso negativo.
Aveva ragione. Infondo, se fosse successa anche a me una cosa del genere, neanche io avrei voluto più avere a che fare con l'autore di tutti i miei problemi.
«Lasciami andare. Non posso e non voglio parlare con te e se mi trattieni ancora, mi farai solamente licenziare.» Mi disse con un tono tagliente, mentre liberava il suo polso dalla mia presa.
«Ti prego. » Le dissi disperatamente. «A che ora finisci il turno?»
Non potevo perdere l'occasione di parlarle, ora che l'avevo trovata. Pensavo che non mi avrebbe risposto e che avrebbe scosso nuovamente la testa, invece, capendo che non me ne sarei andato facilmente senza averle parlato, mi disse flebilmente «Tra mezz'ora».
«Allora ti aspetto qui.» La informai, per poi lasciarla tornare al suo lavoro.

Giulia's P.O.V. 

In quel momento tante domande stavano affollando la mia mente. Perché era qui? Come aveva fatto a trovarmi? Era stato Sam a dirgli dove lavoravo? Di che cosa voleva parlarmi? Ma la domanda che mi stava assillando di più era perché cercava proprio me, visto che era stato lui stesso a cacciarmi da casa sua. Ero confusa dal suo atteggiamento e non sapevo proprio come comportarmi. Non appena mi aveva lasciato libera, ero corsa nel retro per aiutare Emily a preparare altre miscele per i frappuccini.
Quando sono andata via da casa Bower, ho cercato un qualsiasi lavoro che mi potesse permettere di mantermi qui a Londra e di pagare le bollette e l'affitto della camera del motel dove alloggiavo. Dopo tre giorni di ricerca, chiesi nuovamente a Emily se avesse visto in giro qualche annuncio e lei mi rispose affermativamente, trascinandomi dopo le lezioni allo Starbucks dove adesso lavoravamo entrambe dopo il termine delle lezioni in accademia. Io lavoravo per necessità, mentre lei per mettersi qualcosina da parte e per «non lasciarmi ad affrontare tutto da sola».
Dopo due settimane passate insieme, potevo affermare di aver trovato in lei una buona amica e cominciavo a fidarmi. Inoltre le avevo fatto conoscere Sam e ogni tanto uscivamo in giro per Londra. Stavamo diventando un trio inseparabile, visto che non passava un giorno in cui non ci sentivamo per telefono o non ci incontravamo per fare un giro per la città.
«Chi è quel figo che ti ha trattenuta per chiederti il numero?» Mi chiese la mia pazza amica, non appena mi vide rientrare in cucina e appoggiarmi con il corpo alla porta chiusa alle mie spalle.
«Non mi stava chiedendo il numero.» Risposi leggermente alterata dalla sua insinuazione. Mi aveva cacciata di casa, quindi figuriamoci se mi avrebbe mai potuto chiedere il numero di telefono. Inoltre non ero per niente il suo tipo: lui era molto altezzoso e viziato ed io una semplice ed umile ragazza che aveva sempre dovuto lottare per ottenere le cose che desiderava.
«Se non ti ha chiesto il numero, allora che cosa voleva da te?» Mi domandò, smettendo per un momento di girare la crema che aveva nella pentola davanti a sé, per girarsi a guardarmi.
«Non lo so nemmeno io che cosa vuole.» Sospirai, facendo un'alzata di spalle per farle capire che davvero non conoscevo il motivo per cui era qui.
«Come non lo sai?! Allora, chi è?» Mi chiese ancora più incuriosita dalla mia risposta.
Sospirai nuovamente prima di risponderle «Colui che mi cacciata di casa».
«Aspetta, tu adesso mi stai dicendo che quel figo biondo seduto al tavolo quattro non è qui per chiederti il numero, ma è, in realtà, quel bastardo che ti ha buttata fuori di casa, col rischio di farti tornare in Italia?!» Esclamò alzando la voce di un'ottava.
«Esattamente.» Dissi rimettendomi in piedi per poi andare a prendere il barattolo con il cacao in polvere e avvicinarlo alla postazione della mia amica.
«Ha detto che vuole parlarmi.» Dissi dopo un paio di minuti trascorsi in silenzio a lavorare.
«E tu che gli hai risposto?» Mi chiese voltando il capo verso di me, mentre io rimasi concentrata a mescolare il latte caldo con il cacao.
«Gli ho detto che stavo lavorando e che non potevo fermarmi a chiacchierare, altrimenti mi avrebbero licenziata.» Dissi con falsa calma, perché effettivamente mi stava torturando il fatto di voler conoscere il vero motivo per cui si trovava qui. La mia amica sbuffò e uscì fuori dalla cucina per poter andare a servire i frappuccini che nel frattempo le erano stati chiesti di preparare, mentre io continuai il mio lavoro tranquillamente.
Ad un tratto, però, sentì la porta sbattere e questo mi fece spaventare non poco. Quindi mi portai una mano sul cuore per far rallentare i battiti e mi girai verso la fonte del rumore, per poi ritrovare la mia amica appoggiata alla porta con la bocca aperta.
«Che succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma.» Le dissi ridacchiando per la sua buffa espressione.
«Lu...Lui è an...ancora qui.» balettò scioccata.
«Lui chi?» Chiesi non capendo a chi si riferisse.
«Lui! Il tuo padrone di casa!» Sussurrò.
«Davvero?» Domandai sorpresa. Ormai pensavo che avesse perso le speranze. Era passata più di mezz'ora da quando ero entrata in cucina per dare una mano ad Emily e sinceramente non mi ero nemmeno resa conto che era finito il mio turno.
«Penso che sia davvero una cosa importante, se è rimasto qui ad aspettarti.» Mi disse la mia amica, avvicinandosi. «Inoltre il tuo turno di lavoro è terminato. Tra mezz'ora arriva Rob e così anch'io vado a casa.»
«E quindi? Che cosa dovrei fare secondo te?» Le domandai non seguendo la sua logica del mettermi fretta per farmi andare via.
«Cosa devi fare?! Devi andare a parlare con lui!» Mi urlò, mentre mi slacciava velocemente il grembiule e mi spingeva verso la porta. Mi consegnò il mio giubbotto di pelle nera e la mia borsa dello stesso tessuto e dello stesso colore dell'indumento che mi era stato messo in mano. Inoltre mi disse, mentre mi consegnava un caffè, che per qualsiasi cosa lei ci sarebbe stata e che mi avrebbe chiamata quella sera stessa per sapere come era andata la nostra conversazione.
Così, sospirando, indossai il giubbotto, sistemai i manici della borsa nell'incavo del gomito sinistro, mentre con la mano destra reggevo il caffè e con quella opposta reggevo saldamente il cellulare. Salutai Emily con un bacio sulla guancia ed uscì lentamente dalla cucina per poi dirigermi verso il tavolo del fratello di Sam.


To be continued...

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Buon pomeriggio a tutti!
Finalmente, tra un'ora di pausa e l'altra a lavoro sono riuscita a finire di scrivere il capitolo e a pubblicarlo.
Inoltre vi posso anticipare che ho quasi ultimato il prossimo, quindi, probabilmente tra due settimane sarà tutto vostro.
Passando a parlare del capitolo...
Giulia ha trovato un lavoro che l'ha condotta a stringere una forte amicizia con Emily e a delle belle sorprese, come Jamie!
Il bell'attore è tormentato dai sensi di colpa. chissà se riuscirà a farsi perdonare.
Che cosa succederà?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Spero che continuerete a seguire questa storia.

Vi ricordo la mia pagina facebook dove potete seguire e trovare news, curiosità e spoiler riguardanti le mie storie e i personaggi, così se avete delle domande da fare potrete scrivermele direttamente qui e non solo nelle recensioni: →
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Ora vi lascio andare
A presto!
La_Folie

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VI: Informazioni ***



Capitolo VI
Informazioni


Jamie's P.O.V.

Stavo aspettando Giulia che finisse il turno, anche se il suo orario di lavoro era terminato da un quarto d'ora, ma da quando era entrata in quella stanza dietro il bancone, che suppongo ospiti la cucina, non era più uscita, al contrario della sua collega.
L'altra ragazza presente in quel locale si era avvicinata una sola volta per domandarmi timidamente se andava tutto bene e se desideravo altro. Io approfittai della sua gentilezza per chiedere il conto e pagare il mio caffè, così quando Giulia sarebbe uscita, saremmo potuti andare a fare una passeggiata senza dover aspettare la fila per pagare la mia bevanda.
Nel frattempo, però, mi ero dedicato a cercare qualche informazione sulla ragazza, ma sul suo profilo Facebook aveva concesso la visibilità solo sui suoi anni e sul suo luogo d'origine, ma non mi permetteva di vedere altro, se non la sua foto profilo.
Certamente era una bella ragazza che era in grado di attirare le attenzioni del sesso opposto, ma la cosa che mi aveva colpito di più in lei erano i suoi occhi così espressivi da folgorare chiunque li guardasse.

Giulia's P.O.V. 

Uscita dalla cucina, mi diressi direttamente verso il tavolo quattro.
Inizialmente, il ragazzo non sembrò accorgersi della mia presenza, perché era troppo preso dal suo cellulare, ma quando fui abbastanza vicina, lo vidi alzare lo sguardo e squadrarmi dalla testa ai piedi, lasciando cadere il telefono sul ripiano davanti a lui.
«Mi scusi se l'ho fatta attendere.» Gli dissi non appena arrivai al suo tavolo.
«Non preoccuparti. Stavi lavorando e lo capisco.» Mi sorrise comprensivo, il che fece in modo di farmi arrossire vistosamente, anche se cercai di mascherare le mie guance rosse abbassando il capo e coprendomi il viso con i capelli che mi ricadevano ai lati del volto.
«La ringrazio per la sua comprensione Mr. Bower. Di cosa voleva parlarmi?» Domandai gentilmente. Non lo stavo trattando cordialmente per simpatia, ma solamente perché era un cliente del locale e, fino a quando mi trovavo sul posto di lavoro, non mi potevo permettere di trattarlo freddamente, o sarei stata licenziata in tronco.
«Come prima cosa, chiamami Jamie e poi dammi del tu. Non sono così vecchio. Anzi, penso che ci togliamo solo qualche anno, quindi, perché usare tutte queste formalità?» Mi disse sempre sorridendo. Poi continuò «Come seconda cosa, volevo chiederti se ti andava di fare due passi in mia compagnia. Ho già pagato il conto alla tua collega e, dato che tu hai terminato il tuo turno e, stranamente, il tempo regge, perché non uscire all'aria aperta per fare una passeggiata?»
Io rimasi sorpresa per le sue parole e, allo stesso tempo, cercavo di capire che cosa avesse in mente, dato che solo due settimane prima mi aveva scambiato per una stalker-fan e mi aveva insultata.
Nonostante la mia confusione, però, annuii per accettare la sua proposta e, così, dopo aver ripreso il suo telefono, uscimmo fuori dal locale, per poi cominciare a camminare l'una accanto all'altro.
Dopo una decina di minuti passati in silenzio, durante i quali, io sorseggiavo il mio caffè e lui scriveva qualcosa al cellulare, Jamie decise di cominciare a conversare.
«Ti starai chiedendo perché ho chiesto di vederti, vero?»
Io, continuando a guardare avanti e a sorseggiare il mio caffè, annuì solamente, in risposta alla sua domanda.
«Prima di tutto, volevo scusarmi per come mi sono comportato due settimane fa. Non avrei dovuto aggredirti e cacciarti via di casa in quel modo e me ne pento. Perciò ti chiedo scusa.»
Dal suo tono di voce, potevo dire che sembrava sincero, ma era pur sempre un attore e quindi avrebbe potuto ingannarmi con facilità. Quindi, dopo essermi ripresa dalla sorpresa per la sua confessione, anche questa volta, annuì per fargli capire che accettavo le sue scuse, anche se rimanevo sempre un po' diffidente nei suoi confronti.
«Penso che tu possa comprendere il fatto che ero spaventato all'idea di poter convivere con qualcuno che non conoscevo per niente e che avrebbe potuto vendere la mia quotidianità privata ai giornali.»
A questa scusa così banale, roteai gli occhi e, finalmente, gli risposi a tono «Questa è la cosa più assurda che io abbia mai sentito!»
Lui mi guardò stupito dalla mia esclamazione. Così, vedendo che non diceva nulla, continuai il mio discorso. «Tu non mi conosci. Sono una perfetta estranea per te e questa è la prima volta che parliamo. Quindi, chi ti dice che io non possa vendere ad una testata giornalistica questa conversazione e tutta la vicenda successa a casa tua?»
«Non lo faresti mai.» Disse sicuro di sé e delle sue parole, fermandosi a guardarmi in viso per scrutare un qualche segnale che potesse fargli capire che cosa pensavo. Poi mi domandò, subito dopo, visibilmente preoccupato «Lo faresti?»
Io fissai per un paio di secondi i suoi occhi color mare, per poi abbassare lo sguardo, visibilmente imbarazzata, e sussurrare un flebile e sincero «No.»
Lui sembrò molto sollevato dalla mia risposta, tanto da dirmi un «Ti ringrazio», prima di riprendere la nostra strada verso Regent Street.
«E poi non è vero che non ti conosco. Inoltre so che Sam ti ha informato su di me e la nostra famiglia.» Mi disse con tono saccente.
«Ma davvero!? Allora se sai tutto, Mr. ti conosco, dimmi chi sono.» Lo provocai.
«Ti chiami Giulia, hai diciotto anni, sei italiana e sei qui a Londra per gli studi.»
«Questo sì che è conoscere una persona!» Esclamai roteando, ancora una volta, gli occhi.
Si stava comportando da perfetto sbruffone, ma con me doveva abbassare le penne, perché, di certo, non gliel'avrei data vinta.
Dopo un altro paio di minuti di silenzio, passati ognuno a riflettere per conto proprio, finì di bere il mio caffè e, dopo aver buttato il bicchiere in un cestino, mi decisi a parlare. «Mi hai aspettato per quasi cinquanta minuti seduto in un bar e mi hai chiesto di fare una passeggiata solo per chiedermi scusa?»
«Sì... cioè... no! In realtà no. Volevo...» Cominciò a dire con fare imbarazzato, ma si interruppe per dei rumori provenienti da dietro le auto parcheggiate e, quando vide il flash di una macchinetta fotografica, si voltò verso di me, che nel frattempo, ero diventata bianca in viso a causa della paura, la quale mi aveva fatta immobilizzare.
Jamie, vedendomi in quello stato e capendo che non ero stata io a chiamare quel paparazzo, mi si avvicinò con fare preoccupato ed esperto.
«Ascoltami. Ora dovremo correre il più velocemente possibile per riuscire a seminarlo.» Mi sussurrò per non farsi sentire e, non lasciandomi nemmeno il tempo per elaborare ciò che mi era stato detto, mi afferrò per mano e cominciò a correre trascinandomi attraverso le strade affollate di Londra, rischiando anche di essere investiti, mentre il paparazzo ci inseguiva.
La mia mente si era ritornata lucida non appena Jamie aveva preso la mia mano e l'aveva stretta saldamente per non perdermi in mezzo alla folla.
Corremmo per non so quanto tempo, passando attraverso Brewer Street, Sherwood Street, Denman Street, Shaftesbury Ave, Rupert Street, Conventry Street e Swiss Court, fino ad arrivare a Leicester Square Garden. Ci fermammo solo quando fummo sicuri di non essere più seguiti.
Io nel frattempo non riuscivo a credere che Jamie mi avesse tenuta per mano durante tutto il tragitto. Sembrava anche lui spaventato per l'accaduto.
Non appena la sua pelle era entrata in contatto con la mia, avevo ricevuto come una scarica elettrica, che aveva attraversato il mio corpo e mi aveva riempita di adrenalina, rendendomi la lucidità e la prontezza che avevo perso per un minuto. Inoltre, una strana sensazione si era impossessata di me, facendomi sentire, in un certo senso, protetta. Era come se potessi affrontare mille uragani senza aver mai paura e questo perché Jamie, prendendomi per mano, mi aveva fatta sentire al sicuro e quindi ero riuscita a vedere la luce in un momento di completo terrore. Proprio per questo motivo, non appena il ragazzo mi lasciò la mano per riprendere fiato, quella sensazione di serenità svanì, lasciando al suo posto un senso di vuoto e di freddo.
Vidi una panchina libera, quindi, portandomi una mano a stringere la mia maglia all'altezza del cuore, mi diressi verso di essa e mi sedetti per riprendere fiato e far calmare il mio cuore che scalpitava incessantemente. Immediatamente mi si avvicinò Jamie con fare preoccupato.
«Stai bene?» mi chiese ansimando anche lui.
Feci un paio di respiri profondi, per poi rispondere con un debole «Sì».
Il ragazzo parve rassicurarsi un pochino e si sedette al mio fianco, ma si vedeva da lontano un miglio che era combattuto per qualcosa.
«Mi dispiace. Non pensavo di essere seguito, altrimenti saremmo rimasti all'interno di quello Starbucks.» Si scusò.
Era davvero dispiaciuto per l'accaduto e glielo si leggeva in viso. Infondo, il suo lavoro implicava anche l'essere seguito dai paparazzi quando meno se l'aspettava e lui non poteva farci niente.
«Non preoccuparti. Non è colpa tua. Non potevi saperlo.» Gli risposi comprensiva.
«Posso farti una proposta?» Mi chiese dopo un paio di minuti che avevamo trascorso in silenzio per ristabilire i nostri respiri.
Io annuì per farlo continuare ad espormi la sua idea.
«Io ho un appartamento qui vicino e...» cominciò grattandosi il capo con fare nervoso «ecco, sì, mi... mi chiedevo se ti andasse di continuare a parlare lì, dato che qui potrebbe comparire qualcun'altro e cominciare a pedinarci.» Finì di fare la sua proposta con un sorriso rassicurante. Un sorriso al quale nessuno avrebbe potuto negare qualcosa.
Timidamente annuì, abbassando subito dopo il capo, perché avevo sentito crescere sulle mie guance il rossore.
«Bene.» Disse rialzandosi in piedi e porgendomi nuovamente la sua mano per aiutarmi ad alzarmi. Io gli sorrisi, grata, e accettai la sua mano.
«Vieni, andiamo a chiamare un taxi.»
Non appena fui in piedi, mi lasciò la mano per poi poggiare la sua sulla mia schiena, con fare protettivo e, in questo modo, mi accompagnò sul ciglio della strada, dove chiamò un taxi per condurci a casa sua.

Sam's P.O.V. 

Ero appena rientrato a casa da un pomeriggio di shopping con mia madre. Inizialmente doveva esserci anche Giulia con noi, solamente che quando ero andato a prenderla allo Starbucks dove lavorava, Emily mi aveva detto che era andata via con il suo padrone di casa e che non era riuscita a rintracciarla perchè al suo telefono rispondeva sempre la segreteria telefonica.
Ero contento che finalmente era riuscita a trovare casa, così le avevo mandato anche un paio di messaggi su Whatsapp per saperne di più, ma lei non li aveva nemmeno visualizzati. Entrai su Facebook per vedere se era connessa, ma mentre sfogliavo i vari status dei miei amici, mi capitò tra le dita un post di uno dei tabloid più popolari d'Inghilterra, il quale ritraeva mio fratello che correva per le strade di Londra insieme ad una ragazza. Lessi velocemente l'articolo in cui i giornalisti dicevano di non essere a conoscenza dell'identità della bella moretta che accompagnava il bell'attore. Le foto erano leggermente sfocate e il viso della ragazza non si vedeva benissimo. Inoltre, se i giornalisti non conoscevano la sua identità era un bene, perchè per il momento la sua privacy sarebbe stata al sicuro, ma io, sfortunatamente, la conoscevo perfettamente: Giulia.



To be continued...

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Buongiorno a tutti!
Ecco qui il capitolo che avevo postato e che con l'ultimo aggiornamento del server era andato perduto.
Purtroppo per noi, è ricominciata la scuola, quindi non potrò passare molto tempo a scrivere nuovi capitoli e, di conseguenza, ci sarà un rallentamento della storia. :( Anche perché la maturità non è uno scherzo!
Passando a parlare del capitolo...
Jamie sta provando ad interagire con la ragazza italiana, ma vengono paparazzati e per questo Sam si preoccupa non appena vede le foto... che cosa succedera?
Spero che continuerete a seguire questa storia.

Vi ricordo la mia pagina facebook dove potete seguire e trovare news, curiosità e spoiler riguardanti le mie storie e i personaggi, così se avete delle domande da fare potrete scrivermele direttamente qui e non solo nelle recensioni: →
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Ora vi lascio andare
A presto!
La_Folie



 

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