Demigods In The Shadows

di scarlett_midori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Combatto contro il Minotauro, invece di spassarmela con Magnus ***
Capitolo 2: *** II: Un semidio iperattivo invade la mia vita. ***
Capitolo 3: *** III: Un'arpia e Jace contribuiscono alla distruzione della mia porta. ***
Capitolo 4: *** IV: Un'Idra distrugge la mia nuova giacca di Gucci. ***
Capitolo 5: *** V: La situazione peggiora e criticano il mio stile. ***
Capitolo 6: *** VI: Incontro un Centauro senza cavallo. ***
Capitolo 7: *** VII: I Lightwood spariscono. ***
Capitolo 8: *** VIII: L'incontro di due mondi. ***
Capitolo 9: *** IX: La Pel di Carota ci delizia con una profezia ***
Capitolo 10: *** X: Di figure rosse e incubi infernali. ***
Capitolo 11: *** XI: Dei inutili e strani tatuaggi ***
Capitolo 12: *** Extra: Clarissa e la nuova runa. ***
Capitolo 13: *** XII: Un Portale per il Futuro. ***
Capitolo 14: *** XIII: La strada per l'Inferno è lastricata di anime e resort. ***
Capitolo 15: *** XIV: Loft distrutti e arrivi di eroi. ***
Capitolo 16: *** XV: La salvezza comporta il sacrificio. ***
Capitolo 17: *** XVI: Il sacrificio di chi? ***
Capitolo 18: *** XVII: La consapevolezza della realtà. ***
Capitolo 19: *** Epilogo: Ricordi nascosti nel vino rosso. ***



Capitolo 1
*** I: Combatto contro il Minotauro, invece di spassarmela con Magnus ***


New York.
Alec camminava tranquillo, osservando il paesaggio notturno offerto dal panorama estivo newyorchese.
L'aria era calda, le strade semi vuote e stranamente silenziose.
Il loft del sommo Stregone di Brooklyn non era lontano ed il Nephilim già poteva avvertire l'emozione che lo assaliva, come ogni volta prima di un loro incontro.
C'erano cose a cui non ci si abituava mai.
Come non ci si abituava a sentire uno strano respiro affannoso provenire da dietro un vicolo scuro.
Alexander si bloccò e rivolse uno sguardo cupo alla strada buia, cercando di individuare la fonte di quel rumore animalesco e quasi spaventoso.
Era abbastanza sicuro che Magnus non avesse un mostro come vicino.
Fece qualche passo avanti e per poco non scivolò su una pozza di sangue. Sangue!
Indietreggiò velocemente ed estrasse un lungo coltello - ultimo regalo di Jace - e, silenzioso, avanzò lungo il vicolo spettrale.
Sperava solo di non trovarsi davanti a qualche vampiro con troppa fame e nessun ritegno per gli Accordi.
La sua mano era stretta attorno all'impugnatura del pugnale e l'adamas brillava sotto la poca luce proveniente dalla luna.
Il rumore di quel respiro era sempre più vicino e Alec cominciò a credere di non avere a che fare con un vampiro e nemmeno un lupo mannaro.
I suoi occhi chiari si adattarono difficilmente alla poca luce, ma forse sarebbe stato meglio non vedere la figura che ora si stagliava enorme, davanti a lui.
Tre metri? Forse di più; era quella l'altezza dell'enorme mostro che immobile fissava Alec con piccoli ma luminosi occhi.
Il ragazzo sbatté velocemente le palpebre e strinse a sé il pugnale.
Cos'era quella cosa che lo stava fissando?
Almeno aveva capito la fonte del rumore.
Solo per un attimo sperò di star sognando: altrimenti, come si spiegava la presenza di una figura metà toro e metà uomo davanti a lui?
Non si trattava del Minotauro, vero?
Lasciò che la domanda vagasse irrisolta nella sua mente, eppure non poteva pensare ad un altro nome da dare a quella strana creatura.
«Stai giù!»
Una voce sconosciuta gli urlò contro e il Minotauro sembrò destarsi da quell'apparente torpore. La bestia si mosse velocemente in avanti, correndo verso la fonte di quel grido.
«Scappa!» Urlò ancora la voce e Alexander vide finalmente: un ragazzo, apparso dalla penombra di un cassonetto verde, stava correndo verso il Minotauro. La spada sguainata verso l'alto, lo sguardo fiero.
Il Nephilim non riuscì a ricordare a chi somigliasse il ragazzo.
Intanto, lui strinse ancora a sé il pugnale e guardò il ragazzino saltare verso la creatura e colpirla direttamente nel fianco.
Sfortunatamente, non sembrò abbastanza.
Il mostro aveva preso il suo aggressore per le gambe e lo stava strattonando in aria, divertito.
Il ragazzo non urlava: come faceva a non essere spaventato da quella creatura?
Fu allora che Alec decise di intervenire: silenziosamente aggirò la figura incombente del mostro e lo colpì ad una gamba pelosa.
«Che diavolo fai? Scappa subito!» Urlò il ragazzo, ancora appeso a testa in giù. La spada gli era scivolata dalle mani e giaceva lontano da lui, verso il fondo del vicolo.
«No, o questa.. questa cosa ti ucciderà» urlò Alec, a sua volta e si guardò intorno, allarmato.
Il Minotauro stava estraendo una lunga clava, probabilmente pronto a colpire la sua vittima.
Nonostante la ferita procuratagli da Alec, era concentrato solo sull'altro, come se avesse avuto un conto in sospeso da risolvere.
«Va' via!» esclamò per l'ultima volta il ragazzino, e il Nephilim notò la sua maglietta arancione con l'iscrizione "Camp Half Blood".
Il Cacciatore era ancora più confuso di prima; continuava a domandarsi chi - o cosa - potesse essere quella persona, perché c'era una creatura mitologica in un vicolo di New York, e perché lui era ancora lì, immobile.
Il versante destro del muro era accompagnato da una rampa di scale arrugginite, ma abbastanza stabili.
Alexander cominciò ad arrampicarsi, pensando che avrebbe tanto voluto avere il suo arco con sé, quella sera.
Il mostro aveva cominciato a muovere l'enorme clava per aria a ritmi regolari, e con stessa regolarità la sua vittima si alzava e si abbassava, cercando di non finire spiaccicato.
Una volta in cima alla rampa di scale, Alec camminò lungo il piccolo bordo del muro.
Aveva il pugnale tra i denti, cosa che, in diverse circostanze, avrebbe fatto ridere Jace e Magnus, e anche lui stesso. Ma, momentaneamente, la situazione era abbastanza grave.
Il ragazzino era sempre più affaticato e si alzava con più lentezza, non gli rimaneva molto tempo. Fortuna che il Minotauro non sembrava molto sveglio.
Alec saltò: il pugnale tra le mani, il vento sulla faccia.
Atterrò sulla schiena del mostro, e cercò di aggrapparsi a lui non grande forza.
L'avvenimento ancora non sembrò disturbare la creatura.
«Ma sei pazzo?»
Alec poteva leggere facilmente lo sgomento e la paura negli occhi dell'altro.
Non parlò, si limitò ad infilare, con grande forza, il pugnale nella spalla desta del Minotauro.
La creatura sembrò infastidita. Lasciò cadere la clava sull'asfalto e cominciò a girare su se stessa, nella speranza di prendere Alec.
Il Cacciatore continuò a colpirlo con più forza, mentre grugniti spaventosi cominciavano a venir fuori dalla sua bocca.
Come lo avrebbe sconfitto definitivamente, però?
Non dovette pensare alla risposta per molto tempo, però.
Il ragazzo, sollevatosi verso l'alto un ultima volta, colpì in pieno il petto del Minotauro.
Questo si sbriciolò letteralmente, lasciando cadere Alec e lo sconosciuto verso l'asfalto duro.
«Per l'Angelo! Ma tu chi sei?»
Indolenzito e frastornato, Alec si alzò velocemente e si allontanò un poco dalla figura del ragazzo.
«Tu chi sei, piuttosto.»
In qualche modo la spada gli era magicamente apparsa tra le mani, e questo gli aveva dato la possibilità di dare il colpo finale al mostro...
«E poi cos'era quella creatura?» domandò più a se stesso che all'altro e lo fissò sgomentato, mentre copriva la punta della spada con un tappo e questa diventava una penna.
«Sei uno Stregone?»
L'altro scosse la testa. Aveva i capelli ricci e neri incollati alla fronte e un paio di occhi verdi che sembravano brillare anche al buio.
Mise la penna-spada nella tasca e si pulì una guancia sanguinante con la maglietta. Fece qualche passo verso Alexander e gli porse la mano.
«Mi chiamo Percy Jackson, e ti ringrazio per avermi aiutato a sconfiggere il Minotauro.»

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Capitolo 2
*** II: Un semidio iperattivo invade la mia vita. ***


Il loft dello Stregone ancora puzzava di zolfo, ma il padrone di casa stava facendo il possibile per eliminare quell'odore così insistente e fastidioso.
Evocare demoni non era per niente legale per il Conclave, specialmente ora che i mondi dei Nascosti e degli Shadowhunters erano più vicini.
Nonostante tutto, però, Magnus ancora evocava demoni qualche volta, specialmente se la commessa era da parte di gente molto ricca.
Mentre un leggero profumo di lavanda si diffondeva nell'aria, Chairman Meow fece la sua comparsa e si sistemò sul divano, giocando con il suo gomitolo viola.
Dopo l'ultimo incidente con il topino meccanico, Magnus aveva ristretto i giochi del gattone a gomitolo e pupazzi immobili.
«Ma dove sarà..» stava brontolando Magnus, allungando lo sguardo prima verso il gatto e poi verso la porta del loft.
Capitava che a volte Alec fosse in ritardo, ma quella sera, i due era impegnati in una cenetta di coppia con Jace e Clary, e Isabelle e Simon. Il tutto si sarebbe semplicemente trasformato in un party tra bambini, ma Clary e Isabelle insistevano sul fatto che, probabilmente, sarebbe stato utile alla memoria di Simon.
Magnus aveva semplicemente accettato, a patto che Jace se ne stesse in un piccolo angolo, chiuso in una gabbietta per chihuahua.
Isabelle, ridendo, glielo aveva promesso e lo Stregone ci contava.
«Alec» la voce era un misto tra preoccupazione e irritazione. «Tutto bene?»
In sottofondo si udiva una voce di un ragazzo...
«Alexander, sei in compagnia?»
«Io, ehm, è complicato. Comunque stiamo arrivando.»
«Stiamo? Ma chi?»
La chiamata era stata già interrotta e Magnus Bane si trovò immobile, a chiedersi cosa mai quella serata avrebbe portato.
*~*~*
Il ragazzo aveva i capelli neri, corti ed un paio di occhi verde mare, quel genere di verde che era difficile da dimenticare. Si era presentato come un certo Percy Jackson, e Magnus non poté fare a meno di ricordare quel nome, letto sui giornali un paio di volte negli anni precedenti. Era abbastanza sicuro che non fosse uno Shadowhunter (considerata anche l'assenza di Marchi), anche se i suoi occhi schizzavano velocemente qua e là, come per captare il pericolo.
Questo era stato abbastanza chiaro dopo che Perry - Magnus non ne era sicuro del suo nome - era saltato in avanti e, sguainata una penna Bic, voleva attaccare Chairman Meow, apparso improvvisamente.
Alec, nel frattempo, aveva stranamente lo sguardo rilassato ma fermo, come se avesse già capito tutto della situazione.
«Dii Immortales! Ma quello non è un gatto.»
Magnus sbuffò e scosse la testa, seccato.
«Alexander, vorresti spiegarmi la presenza di questo tuo... amico, qui?»
Le guance del Cacciatore erano diventate rosse e lo sguardo non era più tanto tranquillo.
«Lui, beh, abbiamo combattuto insieme contro il.. contro il..»
«Contro chi, Alec?»
«Il Minotauro» concluse la frase Percy.
Lo sguardo di Magnus era indecifrabile e confuso. Lo Stregone piegò la testa all'indietro e cominciò a ridere.
«E chi è? Il nuovo serial killer di New York?» Il suo tono di voce non nascondeva un certo sarcasmo.
Percy Jackson lo guardava come se davanti avesse un pazzo, o solo l'ennesimo umano a cui spiegare la sua storia. Era pronto a parlare, ma Alexander gli fece cenno di mantenere il silenzio e raccontò lui la storia al fidanzato.
«Magnus, immagino conoscerai gli dei greci...» si intromise alla fine Percy.
«Beh, sono reali. Alti tre metri, se di buon umore, vestiti in modo regale se non in vacanza. Certo, c'è il capo del Campo Mezzosangue, Dioniso, che indossa sempre quelle camicie..»
«Percy, basta.» Il tono di voce di Alec era gentile.
Magnus batté un paio di volte le lunghe ciglia, ma poi annuì pronto a saperne di più di tutto quel mondo a lui oscuro, fino a quel momento.
«E quindi voi sareste i paladini degli dei o cose simili?» chiese il Figlio di Lilith e poi si accomodò sulla sua nuova poltrona di pelle blu. Aveva visto tante cose nella sua lunga vita, ma mai aveva creduto che gli dei potessero essere reali. Specialmente con l'avvento del Cristianesimo. Non che lui avesse mai creduto a qualcosa in particolare, ma essendo figlio di un demone, per qualche fazione pur parteggiavi.
«Oh, no. Noi siamo semidei, i loro figli.»
«Figli?»
«Figli? Gli dei hanno figli?»
Magnus cercò di non sembrare troppo sorpreso.
«Oh si, io ad esempio sono figlio di Poseidone.»
Poseidone, non il dio preferito da Magnus, forse, a lui si confaceva più Apollo. Non era forse splendente come un sole?
Alec avrebbe detto di sì.
«E ci sono altri come te?»
«Un intero campo! Figli di Ermes, Atena...» A quell'ultima parola, Percy arrossì, forse il ragazzino aveva anche una fidanzata.
«Va bene, va bene. Per ora ho ricevuto anche troppe informazioni. Ho la testa che mi scoppia..»
Lo Stregone, alzatosi dalla poltrona,  si sistemò i capelli allo specchio, cercando di concentrarsi. Piegò poi le braccia al petto e guardò i due ragazzi di fronte a lui.
«Ricapitolando: il Minotauro vi ha attaccati, e voi siete riusciti a sconfiggerlo, bravi! Alec, però, non è un semidio, quindi non avrebbe neanche dovuto vederlo il mostro, perché esiste la Foschia. Il problema ora è che anche noi abbiamo la nostra Foschia... Quindi, dalle vostre parole, vorreste farmi capire che c'è qualcosa che non va? E che ovviamente io dovrò occuparmene, giusto?»
Alec e Percy si guardarono e risero, senza nessun motivo apparente.
«Giusto» affermò Jackson.
«Forse potremmo chiedere al Conclave, per un supporto.»
«No, meglio non coinvolgerli. Sarebbero capaci di incappare anche nell'ira degli dei dell'Olimpo.»
Alexander, suo malgrado, rise. Intanto Percy stava fissando gli occhi di Magnus Bane.
«Ma..»
Si avvicinò cautamente a lui e alzò le punte dei piedi, per guardarlo meglio.
Lo Stregone si trovò vicino al viso di un semidio molto invadente.
«I tuoi occhi..»
«Già, sono uno Stregone, ragazzino.»
«Wow! Quindi un Figlio di Ecate
Magnus spinse Percy lontano da lui.
«Alec, chiama Jace e gli altri, abbiamo del lavoro da fare.
E no, Perry, sono figlio di un demone.»

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Capitolo 3
*** III: Un'arpia e Jace contribuiscono alla distruzione della mia porta. ***


Jace ed Isabelle giunsero al loft venti minuti dopo la chiamata abbastanza confusa ricevuta da Alexander.
Avevano osservato il nuovo arrivato - un certo Percy Jackson - per lungo tempo, avevano ascoltato la sua storia in silenzio e alla fine si erano guardati negli occhi, scoppiando a ridere un momento dopo.
Percy aveva assunto un'espressione accigliata, così Magnus aveva deciso di intromettersi nella conversione.
«Voi cacciate demoni schifosi, convivete con vampiri, fate e lupi, provate ad essere almeno un po' comprensivi con lui, no?»
Isabelle stava annuendo lentamente, mentre Jace ancora fissava Percy con quegli occhi dorati e severi.
«Non ho ancora capito quale è il nostro compito, comunque» esordì Jace con fare sbrigativo.
«Eseguire gli ordini?» propose Percy, sul volto un sorriso di sfida.
«Quali ordini? Forse i tuoi, pivello?»
«E allora i tuoi? Chi ti credi di essere?» Percy continuava a guardare Jace e a pensare che quel suo modo di essere gli ricordava una persona. Non un amico, un...
Abbandonò il pensiero e si voltò verso Magnus che stava osservando Alec, intento a parlare sottovoce con la sorella.
«Datevi una calmata, entrambi.» Lo Stregone puntò il dito prima verso Jace e poi verso Percy. I due si lanciarono un ultimo sguardo di sfida, ma poi tornarono a concentrarsi sulla conversazione precedente.
Il tutto era decisamente confuso e l'unico modo per avere un'idea chiara dell'accaduto sarebbe stato investigare.
«La situazione è decisamente intricata. Io ho bisogno di tempo per fare delle telefonate, voi per organizzarvi al meglio. Ho già spiegato che sarà meglio non coinvolgere il Conclave, almeno per ora.»
Jace e Isabelle annuirono insieme, ovviamente non erano nuovi a situazioni in cui nascondevano informazioni preziose al Conclave, o perfino ai genitori...
Magnus si schiarì la voce e continuò: «Percy, credi di poter coinvolgere qualche tuo compagno nelle ricerche?»
«Certo, certo. Appena tornato al Campo parlerò con Chirone, anche se...»
«Aspetta un secondo: quel Chirone? Il Centauro?»
Jace era nuovamente sorpreso.
«Il maestro di Ercole?» aggiunse Isabelle, anche lei un po' disorientata.
«Oh sì, proprio lui. Ne sapete di cose, però...» Chi occhi di Percy celavano un po' di titubanza.
«Abbiamo una grande cultura, noi. Conosciamo molte lingue, tra cui anche il latino e il greco antico.» Jace aveva quel ghigno insopportabile sulla faccia.
«Sì e io conosco anche la lingua dei demoni, ma ora andiamo avanti?» Magnus parlava con fare sbrigativo.
«Perry, continua il discorso.»
«In realtà è Percy, ma va bene, ci sono già abituato a causa di Bacco...
Sì, quel Bacco, il dio del Vino.» Si affrettò ad aggiungere, prima di essere sommerso da altre domande.
«Dicevo... Chirone, forse, ci assegnerà un'impresa. Il problema è che tre di noi non potrebbero bastare, quindi forse... Non lo so, ho bisogno di parlare con Annabeth. Lei è la mente.»
Percy cercò di nascondere un'espressione triste, che però venne colta ugualmente dallo Stregone.
«Va bene.» Magnus raccolse dal pavimento Chairmen Meow, che poi socchiuse gli occhi e si addormentò tra le braccia del padrone.
«Per stasera è abbastanza, ci vediamo domani pomeriggio qui, alle cinque. Siamo tutti d'accordo?»
Percy annuì. «Ci saremo. Grazie per l'aiuto.»
Fece un cenno di saluto a tutti ed uscì. L'ultima cosa che Magnus udì da parte sua fu il saltellare giù dalle scale.
«Andiamo anche noi, Clary ci sta aspettando.» Isabelle abbracciò forte Alexander.
«Non vedo l'ora di incontrare altri piccoli figli di dei. Sarà fantastico.»
Il tono usato da Jace era anche fin troppo sarcastico.
«Jace, mi raccomando, comportati da Cacciatore serio» lo ammonì il parabatai. Jace si limitò ad alzare un sopracciglio.
«Resti qui?» Chiese Isabelle al fratello. Magnus era momentaneamente sparito in camera da letto.
«Sì, Izzy. Ci vediamo domani.» Le sorrise e accompagnò entrambi alla porta.
«Salutami Magnus.»
«Certo.»
«Buonanotte, fratello» sussurrano Jace ed Isabelle ed andarono via, inghiottiti dalle ombre di una calda notte.
*~*~*
Il pomeriggio era afoso e caldo, ma fortunatamente nel loft c'era una inebriante aria fresca. Le cinque erano passate da un po', oramai e Magnus era decisamente seccato. Non sopportava proprio le persone ritardatarie.
Nell'attesa della loro venuta era steso sul letto, su una coperta color oceano, affianco ad Alec. Stava attorcigliando i suoi capelli tra le dita con assoluta tranquillità. Il Cacciatore stava sonnecchiando, ma questo non impediva a Magnus di parlargli, seppur sottovoce.
«Si sono davvero allungati...» bisbigliava e gli accarezzava i capelli.
«Forse dovrei tagliarteli io, che ne pensi?»
Alec si girò verso il fidanzato, fin troppo sveglio, ormai.
«Tu non toccherai i miei capelli.»
«E perché no? Sono anche un grande hair stylist, io!» Le labbra dello Stregone erano imbronciate.
«Non mi interessa, i capelli no.» Alec, invece, era divertito.
Magnus si alzò dal letto, brontolando parole come: "posso toccare tutto, ma i capelli no".
Alec cominciò a ridere.
«Suvvia, dovresti concentrarti su altro, invece che sui miei capelli.»
«Io mi...»
Un forte tonfo colpì la porta principale e Magnus ed Alec, rapidamente, raggiunsero il salotto.
Si udì uno strano urlo, non umano, proveniente dall'esterno.
«Per l'Angelo!» Il Cacciatore corse nuovamente verso la camera per recuperare il suo arco.
Magnus, nel frattempo, aprì la porta e notò un ragazzino magro e pallido svenuto accanto alla sua porta.
In fondo alle scale, Percy, una ragazzina bionda ed un... - un ragazzo mezzo capra? - stavano combattendo un'enorme arpia.
Magnus raccolse il ragazzo dal pavimento e lo tenne tra le braccia.
«Correte dentro!» urlò.
«Me ne occupo io!»
Pochi secondi dopo, nonostante qualche esitazione, i tre stavano correndo sulle scale. L'arpia, con loro grande sorpresa, non li stava inseguendo.
«Magnus» sussurrò Alec e, alla vista dei ragazzini, depose l'arco.
«L'arpia sta andando via. Ho creato un campo di forza abbastanza forte da disorientarla.»
Magnus chiuse la porta e si appoggiò su di essa, stanco.
La ragazzina bionda corse alla finestra e spostò la tenda; lo sguardo intelligente rivolto all'insù.
«È andata via» annunciò sorpresa e finalmente sorrise.
Magnus annuì, poi adagiò con cura il ragazzino sul divano.
«Che gli è successo?» domandò Alexander e fece qualche passo verso di lui.
«Non lo sappiamo. Improvvisamente è stato catapultato via» spiegò il ragazzo-capra, già al suo fianco per curarlo. Gli occhi di Percy erano allarmati.
«Sarà stata l'arpia» suggerì Alec, ma Percy stava scuotendo la testa.
«Le arpie sono agli ordini di Ade, dio dei Morti, non avrebbero mai attaccato lui, proprio un figlio di Ade.»
Chissà perché quell'informazione fece venire i brividi ad Alec. Eppure guardando quel piccolo ragazzo così pallido e smunto, non poteva fare a meno di pensare a se stesso da ragazzino...
«Io non capisco proprio perché abbia attaccato» disse la ragazza.
«Lo scopriremo.» Percy le toccò una spalla con fare dolce e la guardò.
«Voi altri state bene, ragazzini?» domandò Magnus e tirò fuori una scatola con bende pulite e disinfettate.
«Io sì e comunque il mio nome è Annabeth.»
«Io sono Grover» disse l'altro. Magnus capì, in seguito, che si trattava di un satiro.
«Il ragazzo svenuto si chiama Nico. Con noi ci dovrebbe essere anche Clarisse, ma oggi era impegnata, ci raggiungerà presto» spiegò Percy e si sedette sul divano, guardando Nico. Annabeth era ancora vicino alla finestra, stranamente silenziosa.
Alexander camminava avanti ed indietro, forse a disagio in quella situazione.
«Io sono Magnus Bane, sommo Stregone di Brooklyn.»
Il viso di Grover era meravigliato.
La porta cadde a terra con un tonfo e i presenti urlarono, tutti gli sguardi rivolti verso l'entrata.
«Oh. Io ho solo bussato» si giustificò Jace e poi rise.
Lui, Isabelle e Clarissa fecero la loro entrata in scena all'interno del loft e Magnus capì che quella sarebbe stata una lunga, lunga serata.
«Perfetto, ora siamo proprio al completo» commentò sarcastico e, schioccate le dita, la porta tornò al suo posto.

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Capitolo 4
*** IV: Un'Idra distrugge la mia nuova giacca di Gucci. ***


L'articolo di giornale era molto chiaro a proposito dell'accaduto: nuovo centro commerciale distrutto da vandali durante la notte.
Ma lo stato dell'enorme edificio era troppo catastrofico per essere semplicemente colpa di "vadali" e in una sola notte, per giunta.
Magnus non conosceva i colpevoli, né tanto meno se l'accaduto fosse legato ai vari disordini di quei giorni, ma era sicuro che avrebbe dovuto controllare.
*~*~*
Da Taki's l'atmosfera era abbastanza allegra, quella mattina. Allegra finché Jace, Isabelle, Alec, Nico, Percy, Annabeth e Grover non fecero la loro entrata nel locale.
Percy e Jace ancora continuavano a guardarsi in malo modo, ma le rispettive presenze degli amici facevano in modo di mantenere tutto calmo, per quanto possibile.
Annabeth si guardava intorno, meravigliata e curiosa. Aveva cominciato ad osservare, con un certo interesse, un gruppo di pixie. Ne lodava mentalmente la bellezza, ma, allo stesso tempo, si chiedeva quali potessero essere i loro poteri. Passò in rassegna il resto degli ospiti del locale, fino a posare lo sguardo su un gruppo di ragazzi muscolosi, dalla pelle olivastra scaldata dal sole e dalle movenze veloci. Non che fosse particolarmente interessata ai ragazzi nello specifico - la sua storia d'amore con Percy andava davvero bene - ma voleva assolutamente sapere quali creature potessero essere.
«Lupi mannani» le sussurrò improvvisamente Isabelle, mentre le faceva spazio accanto a lei.
Annabeth annuì e si accomodò al suo fianco.
«Ora capisco.»
Nico era in piedi dietro a Percy, con sguardo grave. Grover stava mordendo una lattina vuota di Pepsi, sotto lo sguardo confuso di Jace.
«Bene, siamo qui per raccogliere le varie informazioni» esordì Alexander, leggermente arrossato, dopo essersi reso conto di avere addosso lo guardo di tutti.
«Siamo stati al Campo. Dioniso ha dichiarato di non sapere nulla degli avvenimenti e che il Minotauro ha attaccato perché l'ho infastidito.»
Solo Jace rise.
«Ha anche detto di non sapere nulla di voi Nephilim, ma abbiamo ovviamente qualche dubbio» aggiunse Annabeth.
«Voi cosa sapete?»
«Quasi niente» cominciò a dire Jace «suoi nostri libri, gli dei sono solo quelli che vivevano nell'immaginario degli uomini di tanto tempo fa, i Pagani. Non c'è nessun accenno a figli di dei, satiri che mangiano lattine o campi magici comandati da dei ubriaconi.»
«Stai molto attento a come parli, Jace.»
Percy alzò lo sguardo sul Cacciatore e fece per tirare fuori Vortice.
Annabeth guardò Percy e scosse la testa, Isabelle portò la mano sulla sua frusta.
«Direi di calmarci, va bene? Non mi sembra che ci sia bisogno delle armi. Jace, smettila.» Il tono di voce di Alec era grave. Il parabatai cercò di controbattere, ma l'altro scosse la testa.
«Ci siamo messi in contatto con il Popolo delle Fate, il problema è non sarà disposto ad aiutarci, non dopo gli avvenimenti con la famiglia Blackthorn. Stiamo attraversando un momenti molto delicato» spiegò Alec, in seguito.
«Magnus si sta mettendo in contatto con gli altri Figli di Lilith. Luke ha detto che i lui ed il suo branco ci terranno informati. Così anche Lily e gli altri vampiri.»
Percy e gli altri annuivano e prendevano mentalmente nota di tutto quello detto da Alec.
«Chi è Luke?» domandò curiosa Annabeth.
«Il padre della mia ragazza, nonché un lupo mannaro.»
«Quindi la tua fidanzata è un lu...»
«Per l'Angelo, no!» Jace e gli altri Cacciatori stavano ridendo.
«Io potrei chiedere informazioni a mio padre» disse Nico, ad un tratto. Ci fu un silenzio imbarazzato per qualche momento, ma poi il sorriso dolce di Alec migliorò la situazione.
«Mi sembra un'ottima idea, Nico.»
Il ragazzino sembrava più pallido del solito; nonostante il sole, la sua pelle appariva ancora più bianca.
Nico annuì lentamente e si avviò verso la porta del locale.
«Bene, vi terrò informati.»
La sua figura esile fu inghiottita da un gruppo di persone in entrata e l'ultima cosa che Alec vide fu il luccichio della sua spada nera al sole.
«Bene, direi che stiamo diramando un'ottima rete di informazioni.» Nonostante la situazione, il tono di voce di Annabeth era sollevato.
«Io posso chiedere alle ninfe e agli altri satiri di raccogliere informazioni...»
La lattina era finita, ora i vari tovaglioli bianchi avevano preso il suo posto.
«Ninfe?» domandò Isabelle, socchiudendo gli occhi.
«Sì, ninfe dei boschi.»
«Oh. Mi chiedo, allora, come il Popolo delle Fate non le abbia mai incontrate...»
Alec e Jace si accigliarono.
Alexander abbassò lo sguardo sul display illuminato del cellulare.
«Magnus, dimmi.» Il Cacciatore, che inizialmente aveva sorriso, ora aveva lo sguardo allarmato.
«Sì, ho capito, stiamo arrivando.»
«Che è successo?» stava domandando Jace, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita con gli altri.
«Il centro commerciale distrutto questa notte. Demoni, tanti demoni. E... e...»
«E cosa, Alexander?»
«Magnus giura di star combattendo contro l'Idra.»
*~*~*
A soli cento metri dal centro commerciale distrutto si intravedeva un'altissima figura. Il lungo corpo squmoso, le lunghe teste a forma di serpente.
Percy ed Annabeth erano subito corsi all'attacco, come se per loro fosse normale combattere contro un mostro mitologico. Nel frattempo, tutt'intorno, decine di demoni stavano continuando a distruggere quel poco che rimaneva dei detriti dell'edificio.
Alla vista dei Nephilim, si erano uniti in un piccolo gruppo e si erano preparati per attaccare.
Jace sguainò la sua spada angelica, Isabelle la frusta e Alec prese una freccia dal gruppo e cominciò a colpire.
In contemporanea, il suo sguardo vagava allarmato tra i detriti in cerca della figura del fidanzato.
Sul corpo dell'Idra si potevano intravedere segni di bruciature, segnale che Magnus aveva cercato di combatterla. Ma ora non c'era traccia di lui e Alec cercò di non pensare al peggio. Si posizionò su un cumulo di detriti, continuando a scoccare frecce.
Percy (Alec si trovò a chiedersi come) era sul dorso dell'enorme creatura e la colpiva ripetutamente alla schiene. Annabeth ne colpiva invece i dorsi.
Alec ricordava bene il mito, secondo il quale, se si tagliavano le teste del mostro ne sarebbero ricresciute altre due dalla ferita.
In quel caso, il fuoco era utile. Intanto, Jace e Isabelle parevano affaticati e si davano da fare per uccidere più demoni insieme, ma di Magnus ancora nessuna traccia.
Alexander si accorse, con un certo disappunto, che quella appena scagliata era l'ultima freccia a sua disposizione.
Ad un tratto, tutto sembrò troppo veloce: i demoni sembravano momentaneamente sconfitti, l'Idra troppo stanca per continuare a divincolarsi.
Isabelle rimase indietro, cercando di liberarsi dalla morsa di un demone apparso all'improvviso.
«Vai!» aveva urlato a Jace ed Alec era corso in aiuto di sua sorella.
«Percy, come posso aiutarti?» La voce di Jace sembrava lontana anni luce da lui. Il figlio di Poseidone guardò Annabeth e il Nephilim.
«Proviamo a tagliate le tre teste inseme!»
«Ma Percy!» ribattè Annabeth.
«Non ci restano molte altre scelte» urlò, ancora a cavallo del mostro. Si avvicinò pericolosamente alla seconda testa del mostro. Jace era a destra, Annabeth a sinistra. Sarebbe stato complicato per lei tagliare la testa dell'Idra con un semplice pugnale, ma davvero non rimanevano molte altre scelte.
«Ora!»
Le teste del mostro caddero a terra, mozzate, con un orrendo tonfo.
Il sangue aveva macchiato tutto, ma per un secondo sembrò che il loro attacco avesse funzionato ed invece le nuove teste già si stavano rigenerando dalle ferite.
«Ci vuole del fuoco.»
I lunghi colli della creatura presero fuoco magicamente, uccidendo le teste prima che potessero attaccare e svilupparsi del tutto.
«Magnus!» esclamò Percy e saltò già dall'Idra, ormai accasciata al suolo.
«Beh, non si può dire che non sia stato un bello spettacolo.»
Lo Stregone si pulì le mani sulla giacca ormai sgualcita e scosse la testa.
«Era di Gucci!»
Alec corse verso Magnus, portando le braccia al collo e stringendolo forte a sé.
«Alexander...»
Lo Stregone respirò il suo profumo che sapeva un po' di fumo, ma sorrise grato.
Percy e Jace si strinsero la mano, Annabeth e Izzy sorrisero.
«Ehi, ma dov'è Grover?»
*~*~*
Nico si era presentato a casa di Magnus Bane molto tardi. Gli altri avevano raggiunto già ore prima le loro case. Avevano cenato, curato le ferite e si erano dati appuntamento il giorno dopo.
Magnus stava dormendo, stanco per l'eccessivo uso di magia. Chairman era accucciato al fianco del padrone.
«Sono Nico Di Angelo, scusa l'ora ma ho delle informazioni importanti da riferire.»
Alec non poté fare a meno di sorridere dolcemente al broncio di quel piccolo semidio.
«Entra e spiegami tutto.»
Gli indicò un posto sul divano al suo fianco, ma Nico scosse la testa, preferendo rimanere in piedi.
«Ho parlato con mio padre. Inizialmente mi ha detto di non sapere niente, ma è alquanto improbabile che non sappia nulla.»
Alec si soffermò a pensare alle parole "un dio come lui", chiedendosi cosa mai il ragazzino volesse intendere.
«Va' avanti.»
«Le sue parole precise sono state: colui che di sangue demoniaco era composto, ha lasciato un debito da pagare. Il debito si sta riprendendo ciò che è suo.»
Il viso di Alec era più pallido del solito.
«Alexander, hanno un senso per voi, queste parole?»
«Ho paura di sì, Nico.»

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Capitolo 5
*** V: La situazione peggiora e criticano il mio stile. ***


«Dritto davanti a te, Clary. Suvvia, non è complicato.»
La Cacciatrice alzò gli occhi al soffitto, ma non si diede per vinta. Quando Jace decideva davvero di fare il bravo maestro, il risultato era avere un ragazzo petulante e perfezionista.
Clary strinse il coltello affilato tra le mani e si concentrò sul manichino. Cercava davvero di concentrarsi, ma il caldo era insopportabile e non capiva perché non potesse godersi qualche giorno di meritata vacanza.
Lanciò il coltello che sfiorò il corpo imbottito del manichino e si conficcò nella parete.
«Va bene, va bene.» Jace bevve lentamente dalla bottiglia, socchiudendo leggermente gli occhi. Le pupille dorate, per un attimo, non videro nulla. Poi si ritrovarono davanti l'espressione corrucciata di Clarissa.
«Okay, la prossima volta sarò più...»
«Gentile? Paziente? Comprensivo?» propose Clary e le sopracciglia bionde del fidanzato si inarcarono.
«Uhm, certamente!» Trattenne una risata. Si avvicinò con passo felpato alla ragazza e unì le labbra alle sue.
Nello stesso istante, Izzy aprì la porta della sala degli allenamenti e simulò un colpo di tosse.
«Izzy» il tono di voce di Jace era gelido.
«Alec mi ha chiamata poco fa, ha detto che c'è una cosa importante di cui dobbiamo discutere.»
«Ora?» domandò Clary, sistemandosi la maglietta nera.
«Ora» rispose e scomparve dietro la porta, i lunghi capelli corvini che ondeggiavano al suo passo...
*~*~*
Percy aveva cercato di mettersi in contatto con suo padre, dopotutto ora avevano un buon rapporto, o almeno così il ragazzo immaginava.
Però, nonostante tutto, di Poseidone non c'era nessuna traccia. Solo qualche bollicina proveniente dalla sabbia bagnata.
Percy immaginava di doversela cavare ancora una volta da solo e questo non lo preoccupava, solo che la situazione era davvero complessa e la scoperta di un altro mondo - fino a quel momento sconosciuto - lo aveva fatto sentire davvero sconnesso. Fortunatamente aveva il supporto di Annabeth e di Grover, immancabili compagni d'avventura.
Quella mattina, per giunta, si sentiva ancora più strano a causa del sogno che aveva fatto. Era stato particolarmente vivido ed orrendo.
Le immagini mostravano un ragazzo, più grande di lui di qualche anno, seduto su un trono di ossa (inquietante dettaglio che riportava i pensieri di Percy ad Ade) e con in volto un ghigno davvero spaventoso e cattivo.
Percy avevo avuto la possibilità di passeggiare per il luogo in cui il sogno era ambientato, ma ricordava a stento una grande piazza con al centro una fontana.
Nel sogno, il ragazzo non faceva nulla, si limitava ad osservare il trono vuoto affianco a lui e a parlare lentamente e sottovoce. Percy aveva pensato che il ragazzo potesse essere pazzo...
Il sogno, in seguito, era mutato e, per poco, non si vide altro che non fosse sangue. Poi urla, dolore.
A quel punto, Percy si era svegliato, senza più molta voglia di tornare a dormire.
Fortunatamente era l'alba e poche ore dopo si sarebbe incontrato con i Cacciatori.
Avrebbe raccontato loro il suo sogno? Questo ancora non lo sapeva.
Sicuramente ne avrebbe parlato con Annabeth, forse lei avrebbe saputo dare una spiegazione alquanto razionale all'incubo.
Uscì fuori dalla sua cabina ed osservò i pochi ragazzi già a lavoro. Clarisse si stava avvicinando a lui: aveva la solita espressione di superiorità stampata sul volto, ma gli occhi apparivano più sereni.
«Jackson.»
«Hey.» Percy avvertì il familiare contatto di Vortice contro la sua mano; sorrise.
«Oggi tornerete da quei Cacciatori? Verrò anche io.»
«Sì, partiremo tra poche ore.»
La figlia di Ares annuì convinta e si allontanò, diretta verso l'Arena.
«Percy!» Il ragazzo si girò di scatto, sentendo una voce alle sue spalle, fortunatamente era solo Grover.
«Ti ho trovato finalmente.»
«Qualcosa non va?»
«No, è che da quando è accaduta tutta la faccenda non abbiamo proprio avuto tempo per parlare» ammise il satiro e si toccò i folti capelli neri sul capo.
«Già, ma sembra che il mondo non voglia lasciarci un po' di vacanza.»
Stavano camminando verso i tavoli imbanditi per la colazione.
«Uhm. Che ne pensi di tutta questa storia?»
«Che è davvero confusa...»
«Lo credo anche io» sussurrò Grover e scosse la testa.
«Dei Cacciatori, invece?»
«Loro sono... okay, immagino. A parte quel Jace, che non so chi si creda di essere, ma per il resto va bene. Però, nonostante tutto, qualcosa non mi torna.»
«Cosa?»
«Davvero ne sanno così poco come dicono?»
«Probabilmente» aggiunse Annabeth, apparsa improvvisamente alle spalle di Percy. Gli diede un bacio dolce su una guancia e salutò Grover con affetto. Tra le braccia aveva una pila di fogli.
«E quelli?» domandò Percy, indicandoli.
«Sto facendo qualche ricerca su di loro, ma niente.»
«Dai fogli non si direbbe» notò il satiro.
«Ah, questi? Solo leggende.»
Percy annuì e la guardò per qualche minuto, prima che la ragazza raggiungesse il tavolo del suo gruppo.
Più tardi le avrebbe sicuramente parlato.
*~*~*
Clary, Jace, Isabelle, Alec e Magnus erano seduti intorno ad un tavolo, a casa dello Stregone e si guardavano con aria affranta.
Lo sguardo peggiore era sicuramente quello di Clarissa: sfuggente, malinconico. Magnus era sicuro che rivivere quei momenti non avrebbe giovato a nessuno del loro gruppo.
Si chiese anche quando avesse cominciato a considerare sé stesso come parte di quel gruppo, ma non era decisamente il momento adatto per pensarci.
«Ragazzi, dobbiamo approfondire la questione. State basando i vostri malumori su delle parole riferite dal dio delle Cose Poco Luminose, suvvia!»
Sapeva bene che scherzare proprio su quell'argomento non era adatto, ma sicuramente non avrebbe accettato di starsene lì immobile a piangersi addosso. Non lo aveva fatto nel momento peggiore - quando stava per accettare di perdere i suoi ricordi per salvare i mocciosi - e non lo avrebbe fatto in quel momento.
«Siete Shadowhunters, comportatevi da tali.»
Gli sguardi dei ragazzi si alzarono dal tavolo e Jace ed Alec annuirono.
«Direi, per prima cosa, di chiedere udienza ad Ade» suggerì Jace «voglio sentire quelle parole dalla sua bocca.»
Magnus scoppiò in una grande risata.
«Biondino, stai scherzando, spero. I tuoi intenti suicidi non sono ben accetti, oggi.»
«Magnus...» sussurrò Alec.
«Ma per favore, Alexander! Vi sentite già pronti ad affrontare un viaggio in un Inferno che per voi potrebbe anche non esistere? Per presentarvi al cospetto di un dio che vi incenerirà con un solo sguardo?»
Nessuno aggiunse altro, dopo quelle parole.
Magnus sospirò, già stanco a quell'ora del mattino.
Per fortuna, fu salvato dall'arrivo dei semidei.
Percy, Annabeth e una ragazza che Magnus non aveva mai visto, entrarono e Percy chiuse la porta con cautela.
«Salve.»
«Ciao, piccoli semidei.»
«Io sono Clarisse, figlia di Ares.»
Per qualche motivo oscuro agli altri, Jace rise, ma subito la fidanzata lo colpì con una gomitata.
«È un piacere fare la tua conoscenza, io sono Magnus Bane. E loro sono» indicò i Nephilim seduti al tavolo «Alec, Isabelle, Clary e Jace.»
Clarisse alzò un sopracciglio, decisamente disorientata dalla vista degli abiti dello Stregone.
«Non pensavo che gli Stregoni andassero conciati così in giro» disse semplicemente. I Cacciatori si raddrizzarono sulle sedie, i volti un po' allarmanti e un po' divertiti.
«Come scusa?»
«Hai capito.»
Magnus respirò profondamente, decisamente combattuto sulla decisione di controbattere o meno.
«Io ho stile. Almeno non abbino quegli orrendi pantaloni verdi ad una maglietta arancione. E tu, fino a pochi giorni fa, neanche conoscevi l'esistenza di esseri superiori come me!»
Era il massimo della gentilezza, dopo un offesa del genere.
La ragazzina alzò le spalle, come se non fosse stata minimamente turbata dalla critica.
Alec si alzò e si avvicinò a Magnus, prendendogli poi la mano.
"Sei sempre bellissimo" gli aveva sussurrato e Magnus aveva risposto "lo so".
Percy guardò male Clarisse e le colpì la spalla con un movimento impercettibile agli occhi degli altri.
«Ora, affrontate le varie divergenze di stile, direi di parlare di cose serie» annunciò Magnus.
«Qualcuno vuole dire qualcosa, prima di iniziare?»
Percy alzò la mano e Magnus gli sorrise.
«Bene, allora... Per caso, conoscete un ragazzo dai capelli biondi chiarissimi, seduto su un trono di ossa?»
Dopo averne discusso con Annabeth, insieme avevano deciso di parlarne con i Cacciatori, forse loro avrebbero conosciuto il protagonista del sogno di Percy.
Gli Shadowhunters si guardarono tra loro, avevano lo sguardo allarmato, confuso e sussurravano frasi che Percy non riuscì a sentire.
La ragazza dai cappelli rossi (Clary, forse) aveva negli occhi lo sguardo peggiore.
Percy sperò solo di non aver peggiorato le cose.

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Capitolo 6
*** VI: Incontro un Centauro senza cavallo. ***


Nico era sicuro di voler aiutare quei Cacciatori. Era rimasto davvero incuriosito da tutta la faccenda e specialmente dalle parole del Padre. Però, non aveva voluto rivelargli di più e Nico, nel suo sguardo, aveva letto un immenso orgoglio nel trattenere le informazioni.
Ovviamente, il ragazzo si era arrabbiato, aveva provato a discutere, ma le sue parole erano state alquanto inutili.
Intanto, ancora immerso nel pensieri di quei giorni, si ritrovò a salire le scale che lo separavano dalla porta della casa dello Stregone.
Sperava davvero di trovare Alexander e il suo sorriso così rassicurante.
Non che Magnus non fosse una brava persona, ma il suo essere così estroverso metteva molto a disagio Nico.
Non capiva come Magnus ed una persona timida come Alec potessero stare insieme, insieme per davvero.
Altro argomento imbarazzante, per lui.
Una volta che Nico ebbe suonato alla porta si ritrovò davanti lo sguardo penetrante dello Stregone.
«Piccolo figlio di Ade.»
Magnus alzò un sopracciglio, osservando Nico e facendolo sentire ancora più piccolo e a disagio.
«Ciao. C'è Alexander?»
Lo Stregone continuò a mantenere quello sguardo di superiorità.
«No, ora non c'è. Posso fare qualcosa io, per te?»
No, decisamente.
«No, no. Dovevo solo riferire un messaggio... da parte di Percy.»
Un gatto apparve, proveniente dal salotto e si insinuò tra le gambe del padrone. Con una certa sorpresa, Nico si accorse che il gatto non stava scappando avvertendo la presenza del semidio.
«È abituato alla magia e ad altre bizzarrie» spiegò Magnus Bane, come se avesse letto il suo pensiero.
«Uhm, bene.»
«E poi, Percy non può fare una telefonata? Manda te come sua civetta?»
Lo Stregone aveva accennato un sorriso divertito.
A quanto pare, si stava riferendo a qualcosa che Nico non conosceva e capiva.
«Noi semidei non usiamo la tecnologia, specialmente i cellulari. È come se fossero dei rilevatori per farci trovare più facilmente dai mostri» spiegò brevemente, mentre l'altro annuiva interessato.
«Ora vado, a presto» salutò e andò via.
Lo Stregone gli fece un cenno di saluto con le dita, dalle quali (ma forse il ragazzo aveva visto male) stavano fuoriuscendo delle scintille blu.
*~*~*
La luna alta nel cielo faceva intuire che era già notte fonda, mentre Percy continuava a muoversi nel letto, in preda agli incubi.
"Perché lei non è qui con me? Guarda nei miei occhi, sorella mia, mia sposa e vedrai il mio tipo d'amore."
Il sogno era confuso e rumoroso. Poi, ad un tratto, tutto cessò.
Percy si ritrovò in un luogo a lui sconosciuto, che celava una calma apparente. Aveva i brividi.
Il luogo era una grande casa, ben arredata e sulle pareti si potevano osservare quadri di diverse persone in divise nere.
Percy camminò lungo il corridoio e si ritrovò in una camera chiusa.
«...io vado a controllare di là, tu resta con lui.»
Quella voce gli era familiare, ma non riuscì a capire a chi potesse appartenere.
Solo due figure dai visi sfocati animavano il suo incubo: un bambino, che tra le mani stringeva un fumetto ed un ragazzo alto, dai capelli neri. Percy lo vide con un paio di occhi rossi e rabbrividì ancora.
«Tu mi hai visto, vero ragazzino?»
Il piccolo scuoteva freneticamente il capo.
«Io... io non ho visto nulla.»
La grande mano del ragazzo era già in alto e brandiva un'arma, e Percy si sentiva come immobile.
Avrebbe voluto reagire, ma sarebbe cambiato qualcosa? Se quell'avvenimento stava per accadere, era già destinato ad avverarsi?
Eppure Percy sentiva quell'incubo come se fosse un lontano ricordo.
«Non lo dirò a nessuno» stava gemendo il piccolo, mentre tra le mani stringeva ancor più il giornaletto.
«Su questo hai ragione: non lo dirai mai a nessuno.»
E la mano scendeva con furia cieca verso il corpo esile del piccolo.
Improvvisamente, il volto del bambino era chiaro e limpido e Percy riconobbe, in quella pelle candida e negli capelli neri, una vaga somiglianza ad uno dei Cacciatori. A due dei Cacciatori, in realtà...
L'ultimo squarcio di incubo fu l'immagine sanguinante del ragazzino, steso a terra. Morto.
Percy si svegliò di soprassalto. Aveva il respiro affannato e gli occhi offuscati da qualche lacrima.
Non avrebbe di certo pianto, ma tante domande affollavano la sua testa.
Il sole era appena sorto e stava illuminando pian piano tutta la collina ed il Campo.
Percy era confuso, disorientato e questi erano i momenti in cui parlare con Chirone si sarebbe rivelato utile.
«Che vuol dire che Chirone non c'è?»
Mr. D era beatamente steso su una sedia a sdraio e sorseggiava un the freddo, mentre osservava il sole sorgere.
«Significa quello che ho detto, Perry
Percy scosse la testa, non pensando al fatto che, ancora una volta, quel dio avesse sbagliato di proposito il suo nome.
Erano giorni che Dioniso non tornava al Campo ed ora che era lì era ovviamente inutile.
«Posso sapere almeno dov'è o quando tornerà?»
Il dio sorseggiò ancora il suo drink e sospirò.
«Ah, Apollo, sempre così lento a far sorgere il sole...»
«Cosa?»
«Il luogo in cui si trova non ti riguarda e non so quando ritornerà. Fine conversazione.»
Percy alzò gli occhi al cielo e andò via, era inutile continuare a parlare con chi non aveva voglia di ascoltare.
Si sarebbe tenuto i suoi pensieri per sé, almeno per il momento.
Percorso lentamente l'intero Campo si diresse verso la spiaggia. Il tiepido calore della sabbia e specialmente l'acqua del mare lo avrebbero fatto sentire meglio. Magari avrebbero lavato via quell'orrenda sensazione di di impotenza...
*~*~*
Dopo la visita del semidio, la sera prima, Magnus era andato a letto, ma era stato davvero difficile addormentarsi. Aveva passato una notte insonne al fianco di Alec (giunto al loft a notte fonda) e aveva parlato. Ad un certo punto, anche da solo. Ed ora era in piedi e mezzo addormentato, avvolto nella sua magnifica vestaglia rosa fluo, "acquistata" in Brasile una settimana prima.
Si preparò un caffè e assaporò l'aroma del profumo provenire dalla macchinetta.
Si appoggiò alla finestra ed osservò le strade di Brooklyn che lentamente si riempivano di gente: chi cominciava a lavorare, chi tornava a casa dopo una notte di sballo. I mondani, creature che avrebbero fatto di tutto pur di dimenticare i problemi per una notte.
Lo sguardo di Magnus venne catturato da un piccolo furgone che aveva appena parcheggiato davanti casa sua.
Indietreggiò spaventato e confuso, quando, dal posto del guidatore uscì una strana creatura con il corpo ricoperto da... occhi!
Magnus ne rimase un attimo affascinato. La strana creatura aprì le portiere e fece scendere un uomo dall'aspetto maturo e ben vestito, seduto su una sedia a rotelle.
Lo Stregone accennò un sorriso, anche perché, una coppia così non poteva che essere diretta alla dimora del Sommo Stregone di Brooklyn.
Schioccò le dita e si ritrovò vestito di tutto punto e, quando i due si avvicinarono alle scale e il signore ben vestito suonò al citofono, Magnus fece apparire per lui un ascensore che lo avrebbe portato direttamente davanti alla porta del loft.
Infatti, così fu e pochi minuti dopo, Magnus era davanti all'entrata ed osservava l'uomo davanti a sé.
«La ringrazio per l'ascensore, è stato gentile da parte sua.»
Magnus sorrise.
«Prego, entri pure.»
Forse era troppo incuriosito dalla faccenda per capire che stava facendo entrare in casa uno sconosciuto.
«Posso chiedere lei chi è?»
L'uomo si voltò verso lo Stregone e allungò una mano verso di lui.
«Piacere, Magnus Bane, io sono Chirone e so che stai collaborando con i miei protetti.»
Oh.
Lui era Chirone.
Magnus si chiese dove avesse lasciato il cavallo.
«Il piacere è il mio, immagino. Ma vedo che lei sa già chi sono.»
«Percy mi ha parlato di lei, Mr. Bane ed io ero davvero curioso di capire chi stesse aiutando loro ad investigare.»
Chirone sorrise e non sembrò troppo sconvolto dall'abbigliamento di Magnus o dai suo occhi di gatto.
«La situazione è davvero delicata, c'è bisogno del massimo dispiegamento di forze.»
«Esattamente.» Però, Magnus era davvero confuso. Perché scomodarsi a venire fin lì solo per dire quelle parole? O solo per conoscerlo?
Certo, lui era fantastico e famoso, ma l'incontro con Chirone era qualcosa di strano, quella mattina.
«Sarei potuto venire io da lei.» Magnus fece un leggero cenno alla sedia a rotelle.
«Questa è solo per contenere la mia vera forma, non si preoccupi. Inoltre, il Campo è invisibile agli occhi degli altri.»
«Sa, non sono comunemente aggiunto nel gruppo de "gli altri".»
Il Centauro sorrise ed annuì brevemente.
«Ma Chirone, perché lei è qui?»
«È l'ora che anche io racconti quello che so, poi valuteremo assieme se dirlo ai cacciatori e ai semidei. Va bene?»
Magnus scrutò il volto dell'uomo, cercando qualche segno di ipocrisia, che però non trovò.
«Okay, la ascolto.»
Si aggiustò la camicia azzurra, i capelli e si sedette di fronte a Chirone.
 

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Capitolo 7
*** VII: I Lightwood spariscono. ***


L'hotel Dumort vantava da diversi decenni una decadenza senza pari, ma questo piaceva ai vampiri che vivevano lì. Era un luogo chiuso, oscuro, in una periferia altrettanto scura e fin dove nessuno sarebbe andato a disturbare.
Anche nei giorni peggiori - quelli in cui i vampiri udivano inconsueti schiamazzi divertiti di bambini - l'hotel Dumort conferiva loro una certa calma.
I vampiri erano creature schiette, attente, ma specialmente erano facilmente irritabili.
Il massimo grado di irritazione lo raggiungevano alla vista dei Cacciatori. Però, non per tutti era così.
Magnus ricordava ancora Raphael. Aveva un ricordo limpido e nostalgico di lui, nonostante il "piccolo" vampiro avesse sempre preferito Ragnor, invece del Sommo Stregone.
Ad ogni modo, rimaneva il fatto che i vampiri fossero creature alquanto suscettibili e specialmente per quello (Magnus si domandava se fosse davvero la verità) lui era lì, a combattere con i vampiro, semidei e Cacciatori, contro un gruppo davvero numeroso di demoni che aveva attaccato l'hotel verso le undici del mattino.
Orario inconsueto per i demoni? Magnus credeva di no, ma sicuramente le undici era un orario troppo strano per i vampiri, ancora mezzi addormentati e irritati dalla forte luce del sole.
I demoni erano riusciti a penetrare nell'edificio e avevano attaccato i Figli della Notte.
Il perché? Beh, a quello ci avrebbero pensato dopo, non appena quegli schifosi mostri sarebbero diminuiti.
I Cacciatori erano stati allertati il prima possibile e al loro seguito erano apparsi Percy, Annabeth e Clarisse, pronti a combattere. Anche il giovane satiro aiutava, facendo crescere intorno alle gambe dei nemici radici che li bloccavano.
Per un motivo ancora più strano, le armi usate dai semidei funzionavano contro i demoni. La situazione era davvero, davvero strana.
Nonostante tutto, un aiuto in più non faceva male.
«Stupida creatura» sbottò lo Stregone, colpendo in contemporanea i dieci occhi di una creatura gialla e vomitevole.
Per giunta, aveva anche la giacca tutta rovinata.
Intanto, Jace ed Alec combattevano schiena contro schiena, eliminando con una certa abilità un gran numero di demoni. Clary era a pochi metri da Jace, che, nonostante stesse combattendo e fosse concentrato al massimo, controllava le mosse della fidanzata. Isabelle faceva schioccare la frusta con grande abilità e maestria, lasciando al suo passaggio pezzi più o meno enormi di demoni.
I tre semidei se la stavano cavando altrettanto bene; Chirone aveva spiegato che loro, fin da ragazzini, ricevevano un addestramento che li preparava ad ogni evenienza. Bene, pensò Magnus, questa era davvero una strana evenienza.
Clarisse combatteva davvero bene e aveva sul viso un'espressione corrucciata, ereditata sicuramente da suo padre: Ares, il dio della guerra.
Il suo aiuto sarebbe stato davvero gradito, in quel momento.
Però, non sarebbe arrivato nessun aiuto dall'alto, Magnus lo sapeva, ma almeno nella loro squadra c'erano anche i vampiri.
Tutti i demoni che erano entrati nell'hotel, erano stati fatti a pezzi dai vampiri. Erano davvero aggressivi, specialmente perché stavano difendendo il loro territorio.
«Izzy
Magnus udì la voce di allarmata di Alec e subito il panico lo assalì. Vide il fidanzato correre in aiuto alla sorella e sorreggerla, dopo che un demone l'aveva attaccata e colpita ad una spalla. Jace e Clary sarebbero voluti correre in aiuto alla ragazza, ma erano troppo occupati a difendersi e ad eliminare i nemici, sempre più numerosi.
Magnus vide una figura alta, viola e snella, avvicinarsi a passo veloce e quasi invisibile ai fratelli Lightwood. Cercò di correre verso di loro, ma la sua strada fu interrotta dall'arrivo di diversi altri mostri.
«Andate via!» urlò loro e una forte luce azzurra proveniente dalla sua mano, spazzò via alcuni di loro.
Quello che vide poco dopo aver eliminato i demoni non gli piacque minimamente: Jace e Clary erano più lontani da Alec e Izzy, i semidei erano perfino dalla parte opposta. Alec si stava facendo strada tra i demoni, ma manteneva Izzy accanto a lui e questo lo stava rallentando.
Magnus cercò di creare un varco tra i vari demoni che lo stavano attaccando, in modo da raggiungere Alexander ad aiutarlo.
La figura viola era apparsa nuovamente, ma i fratelli Lightwood sembravano non vederla. Appariva invisibile ai loro occhi.
Il panico assalì nuovamente lo Stregone che rallentava sempre di più, a causa del numero maggiore di demoni, sembrava davvero che si moltiplicassero ad ogni colpo inferto ad un altro di loro.
«Alec, attento» gridò Magnus, ma allora, perché lui non lo stava ascoltando?
Isabelle si accasciò improvvisamente al suolo e Alec cercò di tirarla su; lo Stregone poteva perfino sentire il fidanzato che invocava con tono agitato il nome della sorella.
Improvvisamente, Magnus avvertì un dolore lancinante alla schiena. Un dolore che lentamente lo percorse, finché lui non si trovò steso a terra, senza possibilità di muoversi.
A quel punto, alcuni demoni si erano allontanati di qualche passo, tanto che Magnus poté vedere Alec inginocchiato a terra, con la sorella tra le braccia, mentre cercava di farla riprendere.
La figura viola era apparsa nuovamente e questa volta Alec la intravide per un attimo. Portò le mani sulla sua spada e si guardò intorno allarmato.
Magnus era come uno spettatore muto, che guardava un film e che quindi non poteva intervenire.
La figura viola apparve davanti ad Alexander, ma lui non la vide subito. Si accorse di lei solo quando ormai era troppo tardi: l'essere stringeva tra le mani un pugnale, che ormai era a pochi centimetri dal petto di Alec. Magnus avrebbe volto urlare, ma la sua voce era come scomparsa, era tutto inutile.
Il pugnale si conficcò dritto nel cuore di Alec.
L'ultima cosa che Magnus vide fu l'espressione terrorizzata e dolorante di Alec, mente i suoi occhi azzurri incontravano i propri e lo guardavano finalmente. Era come se nell'ultimo momento avessero detto: "sei qui, per fortuna."
Però, Magnus, non era riuscito a fare nulla.
Un altro colpo gli procurò un dolore lancinante alla testa, ma ora non gli importava. Chiuse gli occhi e sprofondò verso il nulla.
*~*~*
Percy si stava dando da fare contro quei demoni. Erano creature davvero schifose, ma variegate. Avevano davvero tanti modi per essere orrende.
La sua Vortice, però, riusciva ad ucciderli ed infatti, una volta colpiti al cuore o alla testa, questi si sgretolavano e alla fine non rimaneva niente, se non polvere nel vento.
I Cacciatori, però, avevano detto a Percy e agli altri di stare attenti al sangue dei mostri, in quanto era velenoso e poteva anche ucciderli. Nonostante tutto, il figlio di Poseidone aveva detto loro, con aria invincibile, di stare tranquilli e Alec gli aveva scompigliato i capelli con fare fraterno, raccomandando comunque di fare molta attenzione.
Annabeth se la stava cavando e Grover dava, come sempre, il suo contributo.
La cosa che però aveva più sconvolto Percy era stata la scoperta dei vampiri, di un intero covo di vampiri. Covo che, decenni prima, era stato un hotel di lusso, o almeno così diceva Magnus. Ora, però, era davvero in pessime condizioni... Condizioni che ti aspetteresti dalla casa di creature della notte?
Percy non lo sapeva, ma Annabeth era rimasta un po' affascinata dalla architettura fatiscente del luogo.
"Decadente" aveva aggiunto Percy e, come spesso accadeva, aveva ricevuto uno sguardo di disappunto da Annabeth, seguito dalle parole: "tu non capisci nulla di architettura, Testa d'Alghe."
Ed infatti era vero, ma almeno sapeva combattere.
Pochi demoni dopo, lo spazio intorno all'hotel Dumort era sgomberato da ogni forma di demone e Lily - una vampira! - aveva ringraziato per l'aiuto e assicurato la sparizione delle creature malvagie anche all'interno del loro covo.
Nonostante l'apparente vittoria, c'era qualcosa che non andava.
Tra i Cacciatori mancava qualcuno e subito Percy si accorse che si trattava di Alec e della sorella. Per di più, da lontano aveva intravisto un corpo ferito accasciato al suolo.
Jace e Clary erano corsi verso il corpo (che poco dopo si capì essere Magnus) ma questi non si riprendeva.
Jace aveva fatto due volte il giro intorno all'hotel, ma non c'era traccia dei corpi di Alec e Isabelle. Grover e Annabeth avevano aiutato Clary a portare via Magnus, fino al suo loft, invece, Percy e Clarisse si erano uniti a Jace, nella ricerca dei due Cacciatori.
Il viso di Jace era pallido, e intanto continuava a tenere la mano su una Runa - tempo, prima, avevano brevemente spiegato anche la funzione degli pseudo tatuaggi - e parlava sottovoce.
Era visibilmente agitato, nonostante tutto però, dopo due ore di ricerche e varie telefonate, dei Lightwood non c'era traccia.
*~*~*
Nel pomeriggio, a casa Bane era giunta una strana ragazza dalla pelle azzurra. Aveva un viso dolce e un'espressione confortante. Stava curando Magnus, che steso sul suo letto dalle lenzuola blu, era conciato davvero male e aveva gli occhi costantemente umidi, come se stesse piangendo nel sonno. Percy si chiese se tutto quello potesse essere vero.
Una sola mattinata era stata capace di far crollare l'equilibrio della squadra. Almeno i semidei stavano bene, ma neanche questo lo faceva sentire bene.
Jace era uscito nuovamente ed oramai era fuori da più di sue ore. Non aveva voluto al suo fianco neanche Clary, che era rimasta accanto a Magnus, a stringergli la mano.
Grover e Clarisse erano invece tornati al Campo, con il compito di riferire a Chirone tutto l'accaduto.
Annabeth, stanca, stava riposando sul divano di Magnus, ma Percy non riusciva a stare semplicemente immobile, così scrisse un biglietto alla sua fidanzata ed andò via.
Fortunatamente Blackjack rispose subito alla sua chiamata, così poté salire in groppa al suo amico, sorvolare la città e cercare i Cacciatori scomparsi. Si sarebbe reso utile, almeno un po'.
*~*~*
«Padre, tu non puoi.»
Si udì poco dopo, una grossa risata sarcastica.
«Forse hai dimenticato che questo è il mio regno, ragazzino.»
«Ma come puoi averlo fatto?»
«Non sono affari tuoi. Ora scompari dalla mia vista, o pagherai tu le altre conseguenze.»
 
 
 
 
 
[Salve! Voglio ringraziare chi fino ad ora ha seguito la storia. E' la mia prima fanfiction crossover e spero vi piaccia. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, specialmente perchè in questo capitolo sono stata un po' cattiva, ahah.
 
Un saluto e al prossimo capitolo di Demigods in The Shadow! <3

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Capitolo 8
*** VIII: L'incontro di due mondi. ***


Lo Stregone aprì gli occhi e la prima sensazione che avvertì fu uno straziante dolore alla testa.
Si toccò la fronte con le dita livide e si accorse di avere la testa fasciata. La vista era ancora offuscata e i ricordi confusi.
Perché era lì in quelle condizioni? Perché Jace era seduto vicino al suo letto e lo fissava con sguardo intenso?
I suoi occhi color miele brillavano nella penombra della camera da letto.
«Herondale... Che ci fai qui?» domandò piano e si accorse dello strano tono che la sua voce aveva.
Jace non parlava, il che era abbastanza strano per uno come lui.
«Ho provato... Ho provato» stava dicendo e aveva la voce spezzata dal dolore.
Dapprima Magnus si sentì confuso, non riusciva a capire di cosa mai stesse parlando.
Poi, però, i ricordi lo avvolsero tanto violentemente da farlo scoppiare in lacrime. Si coprì il volto con il lenzuolo, per evitare lo sguardo del Cacciatore.
«Magnus...» bisbigliò Jace e allungò il braccio verso lo Stregone, che però si ritrasse.
«Magnus...» ripeté piano, ma l'altro non lo ascoltava ormai, occupato a fare a pugni con i ricordi di... quanto tempo era passato?
Jace si sfilò via la maglia e avvicinò al letto dello Stregone.
«Guarda, Magnus, guarda» gli ordinò con voce ferma, anche se una guancia era rigata da una lacrima che era sfuggita.
«La mia runa parabatai è ancora integra. Magnus!»
Jace prese il viso dell'altro tra le mani e lo fissò, dritto negli occhi felini. Aveva un espressione sul viso mai vista dal Cacciatore, neanche nei momenti peggiori. Quello, però, per lui - e non solo - doveva essere il momento peggiore.
«La runa è... è...»
«La runa è integra, Magnus. Significa che c'è ancora speranza, sia per lui che per Isabelle.»
Per un attimo, si scorse un velo di sollievo negli occhi dei due, ma nonostante ciò, i Lightwood rimanevano dispersi. In chissà quale parte, di chissà quale dimensione...
*~*~*
Percy aveva sognato nuovamente quella notte ed era stato l'ennesimo incubo, ambientato chissà dove e in quale tempo.
La scena era confusa e pesante, come se il tutto fosse coperto da una spessa coltre di nebbia.
Un ragazzo era a terra, morente e al suo fianco c'era quella che Percy identificò come Clarissa. Non serviva molta intelligenza per capire cosa stesse succedendo. Il ragazzo teneva stretta la mano di Clary e la guardava con occhi imploranti e addolorati, come se si stesse scusando per chissà quale misfatto.
La cacciatrice era senza parole, l'unica cosa che Percy sentì pronunciare dalla sua bocca fu il nome "Jonathan".
Il semidio capì che il nome apparteneva al ragazzo morente e nonostante ciò Clarissa non sembrava convinta delle sue stesse parole.
Poco dopo la scena cambiò e Percy si trovò davanti a quella che doveva essere sicuramente una creatura infernale, forse un demone?
Al suo cospetto c'era Magnus e poco dietro gli altri cacciatori, tra cui un ragazzo che Percy non conosceva.
I suoni erano ovattati e lui non riusciva a capire nulla. Si chiese, ancora una volta, a cosa tutti quei sogni servissero.
Alec ora era accanto a Magnus e parlava, l'unica frase che il ragazzo comprese fu: "non voglio il mondo, voglio te".
Subito venne trafitto da un dolore al cuore, al solo pensiero di quelle che ora erano le condizioni di Magnus ed Alec.
Prima che potesse, però, soffermarsi su quei pensieri la scena cambiò un'ultima volta e lui vide solo una figura alta e viola girare velocemente attorno ad un punto indefinito.
Ora sì che poteva definirsi davvero confuso.
Ma il sogno sfumò poco dopo, non appena avvertì la presenza di Annabeth ed una mano che lo destava dagli incubi.
«Percy» sussurrò la calda voce della figlia di Atena e Percy notò un tenue raggio di luce illuminarle i capelli biondi.
«Ehi.» Si stofinò gli occhi e si mise seduto sulle lenzuola color acquamarina.
«Non dovresti essere qui» la avvertì, ma nonostante ciò le prese la mano e la tirò a sé, abbracciandola forte.
Dopo l'ennesima notte di incubi, la presenza di Annabeth era l'unica cosa che lo faceva stare davvero bene.
«Lo so, Testa d'Alghe, ma da fuori si udivano strani lamenti sommessi, ho pensato che fosse il caso di controllare» dichiarò la semidea e accarezzò i capelli neri del fidanzato.
«Tutto okay?» domandò semplicemente e Percy rimase in ascolto della sua voce, la quale lo faceva stare bene quanto il lento frusciare delle onde.
«Vorrei solo capire il significato dei miei sogni, sempre che abbiano un significato.»
Erano ancora stretti nell'abbraccio.
«Beh, i sogni fatti da noi semidei hanno sempre un significato, lo sai.»
«Ma almeno, la maggior parte delle volte, mi consentono di vedere un pezzo di futuro. Questi sembrano essere solo avvenimenti passati» spiegò Percy.
«Conoscere il passato è fondamentale per agire sul presente.»
«Sì, sarà così» acconsentì Percy e spostò il viso dalla spalla della ragazza, per cominciare a baciare le sue labbra.
«Buongiorno anche a te» disse infine, vedendo la ragazza sgattaiolare via dalla sua cabina.
Era il momento di uscire da lì ed affrontare la realtà.
Investigare, andare a controllare Magnus, parlare con Nico. Già, Percy avrebbe cominciato proprio dall'ultima cosa, magari gli sarebbe tornata utile.
*~*~*
Nico era sparito, o almeno, erano due giorni che di lui non c'era traccia.
Era stato quello l'argomento iniziale di discussione a casa Bane, nella quale, quel pomeriggio era arrivato anche Chirone. Il tavolo era stato sposato e tutti erano seduti sul divano oppure sul pavimento. Magnus se ne stava in piedi sulla soglia della porta della cucina, nonostante le sue condizioni. Al suo fianco c'era la sua amica azzurra, che lo aveva curato e di cui Percy aveva finalmente scoperto il nome - Catarina.
Jace e Clary erano vicini e si tenevano la mano e la cacciatrice, a sua volta, teneva la mano ad un ragazzo dai capelli castani e il viso intelligente. Aveva anche lui qualche marchio sulla pelle bianca. Nel fissarlo, Percy, sentì come la strana sensazione di averlo già incontrato in precedenza.
«Buon pomeriggio a tutti» esordì Chirone, leggermente rattristato, ma rivolse ugualmente un sorriso di incoraggiamento ad Annabeth e Percy.
Percy ricambiò e tenne più stretta la mano della ragazza.
«Siamo tutti qui oggi per parlare di cose accadute un paio di mesi fa... Inizialmente neanche io ero a conoscenza di tutti gli avvenimenti e nemmeno ora credo di sapere tutto, ma nonostante ciò, devo a tutti una spiegazione.»
Nessuno parlò, nel loft si udì semplicemente la voce di Catarina che ordinava all'amico di prendere una pozione curativa.
Chirone, nel frattempo, si guardò le mani e Percy pensò a quanto fosse diverso in quel momento, specialmente se confrontato al professore che impartiva a Percy storie di miti, secoli prima, sembrava ormai.
«Le nostre ninfe dei boschi avevano cominciato a sparire. Dapprima, io pensavo che fosse stato a causa della morte del dio Pan, ma la morte di un dio così pacifico e buono non avrebbe mai causato una cosa del genere.»
Grover fu l'unico ad annuire.
«Poco dopo ci accorgemmo che queste sparizioni erano iniziate già mesi prima e quindi iniziammo ad investigare.»
«E che cosa scopriste?» domandò il ragazzo dai cappelli castani.
«Scoprimmo che il tutto era a causa di una certa Regina della Corte Seelie.»
Jace e Clary si guardarono negli occhi, sconvolti e quando Percy vide lo sguardo disorientato del terzo ragazzo, capì il luogo nel quale lo aveva visto: il sogno della notte precedente.
«A dopo i commenti, per favore» disse Chirone, non appena i cacciatori cominciarono a bisbigliare tra loro.
«Quello era stato il primo contatto tra il nostro e il vostro mondo, ragazzi e mai cosa fu più disastrosa. La Regina, ovviamente, non era interessata alla ninfe, ma cercava il modo di arrivare agli dei, o ai semidei. Voleva ottenere potere.»
«Non mi sorprende minimamente» commentò Jace.
«Io ancora non capisco, cosa c'entra questo con gli avvenimenti di queste settimane?» chiese Clary.
«Un attimo di pazienza» disse Chirone.
«Siete tutti a conoscenza del rapporto che intercorreva tra la Regina e... Sebastian» intervenne improvvisamente Magnus.
«Ebbene, la Regina gli svelò il piccolo segreto appena scoperto e lui cercò a tutti i costi di avere un contatto con gli dei.»
«Tutto questo non ha senso, i demoni erano al suo servizio, Lilith era sua madre, stiamo parlando di tutt'altro universo!» commentò nuovamente Jace.
«Ha ragione» ammise Annabeth «come hanno potuto due mondi agli opposti incontrarsi e non causare un declino della realtà a noi conosciuta?»
«Grazie all'unica cosa che questi due mondi hanno in comune: la magia» spiegò Magnus e si poggiò su una delle poltrone, già affaticato.
«È servita una grande quantità di Stregoni, Stregoni morti. Sebastian fu furbo, poiché uccise unicamente quelli che ormai si erano ritirati dal mondo, o dei quali, comunque, sarebbe stato difficile ritrovare le tracce.»
«E riuscì ad incontrare questi dei dell'Olimpo?»
«Sì, Simon» rispose ancora Magnus.
«O almeno, solo uno di loro ha detto di averlo incontrato: Ares» confessò Chirone.
«E ti pareva» sussurrò Percy e scosse la testa.

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Capitolo 9
*** IX: La Pel di Carota ci delizia con una profezia ***


Alec era confuso. 
Non appena aprì i suoi grandi occhi azzurri non vide nulla, non ricordò nulla. 
Avvertiva solo un vago e circoscritto dolore al petto. 
La cosa che più gli doleva era la testa e, per giunta, aveva la vaga sensazione di star dimenticando qualcosa di fondamentale. 
«Magnus!» esclamò improvvisamente e l'unica risposta che ebbe fu l'eco della sua voce, che si avvicinava e poi spariva. 
Il luogo che lo stava ospitando non gli permetteva di vedere nulla, ma fortunatamente lui aveva con sé una stregaluce. 
Si toccò la tasca dei pantaloni e ne riconobbe la forma: almeno qualcosa andava bene, in quella totale confusione. 
La luce prodotta gli permise di vedere poco lontano, ma fu abbastanza per notare il corpo di Isabelle steso a terra, a pochi passi da lui. 
Così, il Cacciatore cercò di alzarsi, ma fu bloccato da qualcosa che lo impediva: aveva una morsa attorno alla caviglia e questa morsa era collegata ad una catena di appena mezzo metro. 
Alec digrignò i denti e cercò di svegliare la sorella, ma lei sembrava dormire profondamente. 
Alec sperò con tutto se stesso che Izzy stesse solo dormendo. 
«Sta' tranquillo» gli consigliò una voce e il Cacciatore girò improvvisamente il capo, lasciando vagare gli occhi stanchi e approfittando dell'aumentare dell'intensità luminosa. 
Il perimetro di quel luogo non era squadrato, anzi i muri e i pavimenti non lavorati ricordarono ad Alec le caverne di Edom, ma no, lui non poteva essere di nuovo lì. 
«Sta solo dormendo» disse ancora la voce e a quel punto sembrò riaffiorare qualche ricordo. 
Una battaglia, troppi demoni, Isabelle, una figura viola troppo veloce, gli occhi allarmati di Magnus. 
Alec ricordò di essere morto, ma avvertiva il suo corpo e, cosa più importante, non avrebbe mai lasciato morire Isabelle. 
«Ha vegliato su di te per molte ore.»
Nico. Ad un tratto, Alec ricordò e riconobbe la piccola e arrabbiata voce del semideo, figlio di Ade. 
«Nico, sei tu?»
«Già.»
Alec allungò il braccio munito di stregaluce verso il ragazzino e lo vide: seduto a terra, le spalle contro la parete rocciosa, il viso emaciato. Però, nonostante l'aspetto tetro, non sembrava avere ferite particolarmente gravi. 
«Che ci fai lì? E sai che posto è questo?» chiese lo Shadowhunter. 
Lo sguardo del ragazzo sfuggiva, come se volesse evitare di essere guardato.
«Nico, per favore, se sai qualcosa dimmela.»
Il semidio sembrava sul punto di piangere, ma sicuramente si trattava solo della sua impressione a causa della testa dolorante e lo sguardo offuscato. 
«Ho fatto il possibile ed ecco a cosa mi ha portato. Prigioniero nella mia stessa casa.»
Ora sì, Alexander non avrebbe capito più nulla e aveva la vaga impressione che Nico non gli avrebbe dato delle risposte. 
E poi, cosa significava "prigioniero nella mia stessa casa"?
Forse... ma no, non poteva essere possibile. 
«Nico, rispondi solo ad una mia domanda, per favore. Io e mia sorella siamo morti durante la battaglia?»
«Oh, no. È stato molto peggio, siete stati rapiti da lui» sussurrò il semidio, con voce spettrale.
«Lui? Lui chi? Tuo padre? Questo è il regno di tuo padre, Nico?»
Per quanto l'idea lo terrorizzasse, tutto era possibile oramai. 
«Lui non rapisce più nessuno dai tempi di sua moglie, se non erro.»
«Cosa? E allora chi è stato, Nico?»
Forse qualche mostro mitologico, forse il famoso Cerbero o Caronte. 
Ma Alec si sarebbe ricordato di un enorme cane a tre teste o una figura dalla lunga barba bianca (però, non credeva che Caronte fosse proprio come descritto nella Commedia).
«Allora, mi rispondi?»
Nico, però, era immobile e muto. Continuava a contemplare sofferente un punti fisso nella caverna.
«Non sprecare il fiato con lui» disse una terza voce, che si rivelò essere quella di Isabelle. 
«Izzy!» Alec, seduto, si lanciò contro la sorella per accoglierla in un abbraccio, ma ricordò troppo tardi di avere una caviglia legata. 
Trattenne a stento un urlo di dolore. 
«Alec, sta attento.» La sorella allungò la mano in direzione di quella del fratello e le loro dita sporche di terra e sangue si toccarono.

*~*~*

Erano passati due giorni dall'incontro a casa di Magnus, dalle confessioni di Chirone e da una vaga spiegazione degli avvenimenti accaduti precedentemente. 
In tutto quel tempo, di Alec, Isabelle e Nico non c'era stata traccia. 
Jace, a quel punto, ne aveva parlato con Maryse, che dopo la notizia era scoppiata in lacrime, ovviamente dopo che Jace l'aveva lasciata sola. Ma il Cacciatore l'aveva sentita piangere da dietro la spessa porta del suo ufficio. Aveva pensato che, dopo la morte di Max, quella fosse la notizia peggiore.
Nonostante tutto, la donna aveva impiegato la forza di qualche Shadowhunters nella ricerca dei due Lightwood scomparsi. 
Magnus aveva consigliato di non rivelarle nulla a proposito del mondo dei semidei e così il Cacciatore aveva fatto. 
Anche Simon e Clary erano impegnati nelle ricerche e Magnus giurò di aver visto sul volto dell'ex vampiro uno sguardo nuovo, più determinato, ma infinitamente addolorato a causa della scomparsa di Isabelle. 
Lo Stregone stesso non aveva smesso di fare incantesimi per rilevare la presenza della Shadowhunter, di Nico... e di Alec. 
Non lo dava a vedere, ma stava soffrendo come non mai. 
Il fatto che gli incantesimi non riuscissero a trovare i dispersi poteva significare ben due cose: la presenza dei ragazzi era camuffata da un potente incantesimo, oppure (cosa a cui Magnus non voleva neanche pensare) i ragazzi non erano più nella loro dimensione, ergo c'erano elevate possibilità che fossero morti. 
Ma la runa parabatai di Jace era ancora integra e quella era l'unica speranza che manteneva tutto il gruppo in vita. 
Anche i semidei partecipavano alle ricerche, o almeno alcuni di loro. Da quello che Magnus aveva intuito, un figlio di Ade non era molto ben voluto dagli altri, quindi, i semidei che stavano partecipando alle ricerche erano due: Percy e Annabeth, con il fondamentale aiuto di Grover. 
«Magnus.» La voce di Simon riportò lo Stregone alla orrenda realtà. 
«Jace è qui» disse Simon e poggiò la mano destra sulla schiena del Figlio di Lilith.
Magnus si sentiva ancora poco bene, ma non gli importava, aveva ugualmente accettato l'invito di Chirone di presentarsi al Campo Mezzosangue. 
Più che un invito, in realtà, era un esperimento, per controllare se la Vista degli Shadowhunters e dei Nascosti coincidesse con quella dei Semidei. 
Se Magnus e Jace avessero visto il Campo, su ordine di Chirone, sarebbero potuti entrare. Sarebbe stata anche l'occasione per programmare un piano d'attacco, a cosa non si sapeva ancora, ma Clarisse sembrava felice di farlo. 
«Sono pronto.» 
Lo Stregone aveva indossato un semplice completo nero, c'era appena un po' di trucco sui suoi occhi e i capelli erano senza gelatina, quindi ricadevano lunghi sulle spalle. 
Jace fece il suo ingresso affiancato da Clary (che avrebbe continuato le ricerche con Simon) e rimase un attimo scioccato dall'aspetto di Magnus. Nonostante ciò, non espresse nessuna parola, la situazione non lo richiedeva. 
Magnus si limitò a guardarlo intensamente negli occhi e il Cacciatore ricambiò lo sguardo, annuendo lievemente. Era da giorni che lo facevano, era il modo che aveva lo Stregone di controllare l'integrità della runa. 
«Bene, possiamo andare» annunciò e fece un cenno a Jace. 
Il cacciatore salutò con un bacio Clary, con un mezzo sorriso Simon.
Pochi minuti dopo erano in viaggio verso la collina Mezzosangue. 

*~*~* 

Percy era accanto all'albero che un tempo era stato Talia e che, nonostante la resurrezione della ragazza, risplendeva di forza e bellezza grazie al Vello d'Oro. 
Il figlio di Poseidone era in attesa della venuta di Magnus e Jace, anche se ancora nessuno sapeva se i due avrebbero visto il Campo. Non lo disturbava il fatto che i due visitassero la sua casa, anzi. Dopo la sparizione di Nico e dei Lightwood i rapporti tra lui e Jace si erano stabilizzati, avevano altro a cui pensare e non potevano concentrarsi sulla loro "stupida ed immaginaria faida", come l'aveva definita Annabeth. 
E Percy era d'accordo, almeno per il momento, dato che era ancora molto preoccupato per la sorte di Nico. 
Dopo la battaglia contro Crono, i loro rapporti erano migliorati, ma Percy sentiva ancora di essere in debito. 
Forse, se lo avesse salvato...
Il sole di mezzogiorno illuminò i capelli biondi di un ragazzo e la chioma scura di un altro. Entrambi erano vestiti di nero. 
Inizialmente, Percy non riconobbe i due e specialmente Magnus (il volto cadaverico, l'aspetto sobrio), ma poi li vide ed alzò una mano nella loro direzione. 
I due si bloccarono improvvisamente e si guardarono intorno; Magnus controllò qualcosa su un pezzo di carta, Jace si guardò intorno confuso. 
Percy, intanto, sventolava ancora la mano in alto. 
Si accorse che Jace lo aveva notato, quando lo guardò negli occhi e alzò di rimando una mano nella sua direzione. 
Non poteva crederci! Quello Stregone e quella testa dura di uno Shadowhunter lo avevano visto ed ora stavano scendendo la collina, verso di lui, verso il Campo.

 

Dioniso era sparito nuovamente, quindi non ci sarebbero stati particolari problemi a causa della presenza di due "estranei".
Dopo un veloce giro tra le tante cabine - Magnus aveva dichiarato di voler far amicizia con i figli di Afrodite e di Apollo una volta che le cose fossero migliorate - Percy condusse i due alla Casa Grande, davanti alla quale c'erano Chirone (nella sua maestosa forma equina) ed Annabeth. 
Percy sorrise amabilmente, non appena incrociò lo sguardo dagli occhi grigi e tempestosi della fidanzata.
«Buongiorno a tutti» disse Magnus ed intanto guardò ancora in giro, con fare curioso. 
Jace sembrava, invece, un po' sopraffatto da tutto quel nuovo mondo.
«Sono scioccato! Piacevolmente, si intende. Ormai non c'è più nessun dubbio, c'è stata quasi una piena fusione dei nostri mondi» dichiarò Chirone.
«Nonostante ci siano ancora vari punti oscuri da chiarire e semidei e Shadowhunters da salvare. Avete il mio pieno appoggio e quello dei Party Pony, in un'eventuale battaglia.»
«Party Pony?» Jace sollevò un sopracciglio e Magnus gli toccò leggermente la spalla, come un'esortazione a non controbattere.
«Sembra il nome che avrebbe potuto utilizzare la band di Simon» si limitò a dire, ma, a parte Magnus, nessuno sembrò capire. 
«Bene, se volete seguirmi, vi mostro l'interno dell'abitazione e possiamo-»
«Rachel!» esclamò Percy allegro, vedendo l'amica avvicinarsi a tutti loro. 
Chirone e Annabeth le sorrisero, Magnus rimase indifferente, Jace sembrava ipnotizzato dal movimento dei capelli rossi della ragazza.
«Un'altra semidea?» domandò il cacciatore.
«No» rispose Annabeth «è il nostro Oracolo.»
A quel punto Magnus sembrò interessato e Percy accennò anche un sorriso.
«Oracolo?»
«Buongiorno a tutti» esclamò la ragazza, abbastanza allegra.
Percy indicò Magnus e Jace, e Rachel rimase un attimo a fissarli.
«Loro sono i nostri ospiti speciali... Magnus Bane, è uno Stregone. Lui, invece, è Jace...»
«Herondale» lo aiutò il cacciatore.
«Jace Herondale, uno Shadowhunter.»
Gli occhi verdi di Rachel brillarono sotto al sole, mente guardava i nuovi arrivati.
«Piac-»
Si bloccò improvvisamente: lo sguardo fisso, un mano allungata in avanti, mentre indicava Jace e Magnus.
Percy ebbe paura di quello che sarebbe potuto accadere, non poteva succedere proprio in quel momento. 
Un fumo verde dall'odore rancido avvolse il corpo della ragazza e lei cominciò a tremare tutta, al che tutti fecero un passo indietro.
«Ma cosa sta succedendo?» domandò Magnus, sconvolto ed affascinato allo stesso tempo.
Percy non rispose, era occupato a guardare la scena con preoccupazione. Aveva sul viso un'espressione grave.
Intanto, il corpo magro di Rachel si era tutto intorpidito.
Il momento peggiore fu quando la ragazza - ormai nei panni dell'Oracolo - aprì la bocca e pronunciò quelle parole:

I figli degli dei le ombre incontreranno,
Vestiti di neri e marchiati dagli angeli questi ultimi saranno.
Di colui che è stato, il debito pagheranno,
Il mondo silenzioso e oscuro affronteranno.
E chi dello Stregone alla fine avrà chiesto,
Tornar non potrà, se non mesto.
L'unica cosa che il nemico sconfiggerà
La forza dell'incontro dei due mondi sarà.

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Capitolo 10
*** X: Di figure rosse e incubi infernali. ***


«Perfetto! Penso che ora sia tutto chiaro.»

Questa era stata la stupida battuta di Jace, dopo la profezia di Rachel. 
A quel punto, Magnus lo aveva colpito dietro la testa con una mano e Percy non poté far altro che trattenere una risata, anche perché la sua amica era appena svenuta a terra e lo spirito dell'Oracolo era volato via. 
Dopo quel momento, per il semidio era stato chiaro che lo Stregone avesse un'ottima memoria, almeno quando si trattava di ricordare profezie, anche perché, Percy era abbastanza sicuro che Magnus avesse chiamato Simon una volta "Seamus" ed un'altra "Sam".
Sicuramente lo Stregone avrebbe fatto concorrenza ad un certo Dioniso, in fatto di nomi.

Un'ora dopo, i due semidei, Jace, Magnus e Chirone erano seduti intorno al tavolo da ping-pong della Casa Grande e si guardavano negli occhi, confusi. 
Magnus aveva trascritto la profezia su un pezzo di carta apparso magicamente dalla sua mano e continuava a leggere. 
«Sicuramente i primi versi sono molto chiari: la Profezia parla dell'incontro tra semidei e Shadowhunters.»
«Genio» commentò Jace, ma stranamente Magnus non disse nulla, forse non aveva udito la voce del cacciatore.
«Il resto è abbastanza confuso...»
«Lo penso anche io» aggiunse Annabeth mestamente. 
«Ma quando io e te, Percy, abbiamo fatto troppo affidamento alle profezie?» chiese la semidea, improvvisamente piena di positività.
«Noi, beh...»
«Abbiamo o non abbiamo sempre superato ogni difficoltà, anche la più complessa?»
«Certam-»
«E abbiamo sempre vinto, alla fine?»
«Sì!» riuscì ad esclamare Percy, alla fine, non interrotto dalle altre frasi della ragazza. 
Era fin troppo euforica in quel momento, forse cercava di compensare, a causa della sparizione di Nico. 
Anche Percy si sentiva incredibilmente in colpa, ma nonostante ciò, avrebbe fatto di tutto per salvarlo. 
«Una cosa mi è poco chiara e mi disturba» disse Chirone, rimasto in silenzio fino a quel momento. A Percy non piacque il suo tono, era quello che riservava ai suoi alunni quando doveva punirli, oppure quando doveva avvisare qualche semidio (Percy la maggior parte dei casi) a proposito d'imprese suicide o cose del genere. 
«"E chi dello Stregone alla fine avrà chiesto,
Tornar non potrà, se non mesto"» citò Chirone e gli occhi furono puntati su Magnus.
«Non so a cosa si riferisca, ma io faccio parte del team dei buoni!» disse Magnus ed un sorrisino furbo si dipinse sul suo volto giovane. 
«Non siamo ridicoli! 
Magnus non punisce neanche il suo grasso gatto» aggiunse Jace. «Non è grasso, è solo-»
«Basta.» Il tono di voce di Chirone era serio e abbastanza spaventoso.
«Qui non accusiamo nessuno, la mia era solo un'osservazione. Ad ogni modo, la Profezia non è abbastanza chiara» disse il Centauro. 
«Le profezie non sono mai chiare» commentò Annabeth. 
«Io propongo di lasciar perdere questa profezia e di concentrarci, invece, sulla ricerca di Isabelle e Alec. Mi sembra che anche uno dei vostri sia scomparso, quindi» disse Jace e si alzò dalla sedia. Fece un cenno con la mano a Magnus e poi salutò gli altri. 
Percy continuava ad osservare i suoi movimenti felini. Il semidio posò poi lo sguardo su Magnus e scorse in quei suoi occhi strani qualcosa di nuovo, ma che non riuscì a spiegare. 
«Noi andiamo, le ricerche ci aspettano.»
Ora anche lo Stregone era in piedi e stava facendo un cenno di rispettoso saluto a Chirone. Il maestro ricambiò.
«Sarà lo stesso anche per noi, a breve» disse Annabeth. 
Poco dopo, Jace e Magnus erano andati via, diretti fuori dal Campo Mezzosangue e la figlia di Atena stava facendo loro strada. 
Anche Percy stava per lasciare la Casa, quando la voce di Chirone lo chiamò.
Il Centauro aveva uno sguardo grave sul volto.
«Percy, stai attento.»
Il ragazzo sorrise ed annuì.
«Intendo, stai attento a loro, ragazzo mio. Non sai quanto ancora possiamo fidarci.
È stato il loro mondo a cominciare questa guerra silenziosa. È stata la sete di potere, la superbia. 
Stai attento.»

*~*~*

"Sii coraggioso, Alec" aveva sussurrato una volta lo Stregone, allo Shadowhunter e lui non fece altro che annuire. 
Lui doveva essere sempre coraggioso: affrontava demoni, mostri, difficoltà. 
Eppure, ora, Alexander era abbastanza sicuro che il fidanzato non si riferisse a quello. 
A lui serviva il coraggio per affrontare la realtà, gli altri e specialmente se stesso.
"Sii coraggioso, Alec" ripeté il ragazzo nella mente, sperando di esserlo davvero, in quella situazione. 
Non ricordava neanche quanti giorni fossero ormai passati da quando si era ritrovato chiuso in quel luogo. 
L'unica cosa che lo tratteneva dall'impazzire o dal lasciarsi andare era la presenza di Isabelle, poco lontana da lui. 
Il resto era una lenta e dolorosa agonia. 
Da un tempo indefinito, non lontano dal luogo in cui erano prigionieri, Alec aveva cominciato ad udire strane voci e lamenti. 
Sembravano echi lontani di ricordi tristi e dimenticati, come se qualcuno avesse raccolto tutto il dolore delle persone e lo avesse portato in quel luogo. 
Intanto, Alec stava attento anche al piccolo semidio, Nico, che se ne stava accasciato al terreno e sembrava dormire. 
«Ma quando smetteranno?» chiese Isabelle, ad un tratto. 
Al suono della sua voce, Nico sembrò destarsi dal torpore momentaneo: allungò le braccia e poi spostò i capelli scuri dagli occhi.
«Non smetteranno mai» rispose tetro, ma Alec avrebbe tanto preferito che continuasse il suo sonno.
«Dove siamo?» chiese Alec; oramai era l'unica domanda che rivolgeva a Nico e il semidio, puntualmente, non rispondeva. 
Il tempo avrebbe continuato a scorrere allo stesso modo, in quelle ore, ma, ad un tratto, i ragazzi furono accecati da una luce rossa, proveniente da un punto indefinito della caverna. 
«Alec» sussurrò Izzy e il fratello raccolse dalla tasca la sua pietra di stregaluce, più per abitudine che per un vero e proprio bisogno di luminosità.
«Salve, miei cari ospiti
Anche ad una certa distanza, Alec poté scorgere sul viso di Nico uno sguardo misto tra disgusto e confusione.
«Chi sei?» domandò Alec, coprendosi in parte gli occhi, a causa della troppa luce emessa dallo sconosciuto.
«Sono solo qualcuno di passaggio» rispose la figura.
«Oh, scusate» sussurrò quasi, pochi secondi dopo, forse accortosi della troppa luce prodotta dal suo corpo.
Solo dopo aver battuto un paio di volte le ciglia scure, Alec poté mettere a fuoco la figura che aveva di fronte. 
Il corpo era umano, ma aveva la pelle di uno strano colorito (rosso scuro tendente al viola) e i capelli lunghi erano biondi, quasi bianchi.
«Per l'Angelo» esclamò Isabelle «ma tu chi sei?» disse, nonostante la domanda fosse stata già formulata. 
«Non vi dirò il mio nome, non ora» rispose e non sembrò cattivo o pericoloso, solo buffo. 
Nico di Angelo era rimasto immobile a fissare lo sconosciuto, come se lo avesse già visto da qualche parte. 
«Nico» bisbigliò Alec, ma il figlio di Ade non si mosse. 
Fu invece il nuovo arrivato a parlare: «Vi ho portato dell'acqua, miei cari.»
Alec vide una bottiglia d'acqua apparire davanti a lui e desiderò tanto poterla bere. Lo stesso accade davanti ad Isabelle e Nico. 
«Bene, è stato un piacere fare la vostra conoscenza. A presto, piccoli
E subito ci fu uno scoppio di luce rossa-viola, che fece svenire i due cacciatori e il semidio. 
Alec, successivamente, credette che quello appena vissuto fosse stato unicamente un sogno, ma quando si svegliò diverse ore più tardi, vide la semplice bottiglia d'acqua e si dovette ricredere. 
A quel punto, si sentì ancora più confuso.
"Sii coraggioso, Alec" si disse e si lasciò cullare dal suono lontano della voce di Magnus. 

*~*~*

Era solo l'ennesimo incubo su qualche evento passato accaduto agli Shadowhunters, oppure era qualcosa di più? 
Percy non seppe rispondere a quella domanda, finché la nebbia presente nel suo sogno non sfumò.
Il figlio di Poseidone si ritrovò circondato da persone che parlavano, tanto che, per pochi secondi, tutto sembrò fin troppo normale.
L'illusione della normalità durò poco, in quanto, subito dopo essersi reso reso conto del luogo, Percy desiderò nuovamente la nebbia. 
Le persone si trasformarono in corpi trasparenti e smunti, le parole in lamenti e singhiozzi. 
Ovunque guardasse, Percy non scorgeva nulla che non fosse dolore, disperazione o rimpianto. 
Fortunatamente non c'erano molti luoghi del genere al mondo, quindi identificare il posto fu fin troppo facile: si trattava della Prateria degli Asfodeli. 
Il regno del suo grande amico Ade, benissimo. 
Il semidio cominciò a camminare velocemente tra le anime, ma essendo un sogno, non riusciva a muoversi molto bene. 
Improvvisamente, il suo sguardo fu catturato da una luce rossa proveniente dall'alto. Davanti a sé, ora, Percy scorgeva una parete rocciosa molto ripida. 
Ma non la scalò, poiché, socchiusi gli occhi si trovò direttamente in cima e davanti a sé scorse una caverna senza fondo.
Non avvertiva la stessa potenza e cattiveria, ma quella sembrò un'entrata che lo avrebbe portato direttamente verso l'Abisso. 
Scacciò via il pensiero e prese a camminare velocemente verso la caverna. 
La figura rossa gli era appena passata accanto correndo velocemente e Percy si sentì improvvisamente assonnato, nonostante nella realtà stesse dormendo. 
Fece qualche altro passo verso la caverna e notò tre corpi poggiati a terra.
Camminò ancora, finché non riconobbe nel primo corpo avvistato una ragazza alta, magra e dai lunghi capelli corvini. Isabelle? 
Era davvero Isabelle?
Allungò lo sguardo a destra e vide accasciato al muro Nico di Angelo. 
Si ritrovò al suo fianco e gli accarezzò una guancia candida. Era pallido, ma ancora vivo. Ed era ancora il bambino a cui avrebbe dovuto salvare la sorella. 
«CHI È?» Una voce spaventosa tuonò alle spalle del semidio ed egli fu risucchiato via dal suo sogno.

«Annabeth! Annabeth!» 
Percy bussò freneticamente alla porte della Cabina sei. 
«Annabeth!» urlò ancora e dopo, aperta la porta dalla ragazza, si ritrovò sulla faccia un libro lanciato da un altro figlio di Atena. 
Percy non ci fece molto caso.
«Testa d'Alghe, sai che ore sono? Che sta succedendo?»
«Annabeth, so dove si trovano Nico, Isabelle e probabilmente anche Alec.»
«Come fai... Oh» sussurrò la ragazza, avendo compreso poco dopo. 
«Dove si trovano, Percy?»
«All'Inferno

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Capitolo 11
*** XI: Dei inutili e strani tatuaggi ***


Sembrava un'idea assurda. 
Probabilmente lo era, in realtà, considerato che si trattava di andare all'Inferno. Di nuovo.
La cosa peggiore era che l'Inferno in questione era il regno del dio Ade. 
Senza Nico di Angelo (secondo Percy, rapito anche lui) sarebbe stato abbastanza difficile entrare. 
Percy, ancora un po' spaventato e confuso, aveva spiegato alla squadra (beh, sì, ormai si definivano tali) che uno degli ingressi al regno di Ade era situato a Los Angeles. 
Jace e Clary si erano guardati negli occhi e avevano scosso leggermente il capo, poiché ora la città era un territorio poco sicuro, a causa del Popolo delle Fate in rivolta e i vari problemi legati ai Blackthorn. 
Magnus, successivamente, ricordò anche che Tessa e James si trovavano lì, oramai. 
«Clary potrebbe aprire un Portale» aveva proposto Annabeth. 
Subito Jace aveva scosso ferocemente il capo e aveva pronunciato un sonoro "no".
«Potrei farlo anche io» aveva proposto Magnus, «ma non ho idea di come sia fatto il posto.»
"E mi piacerebbe tanto continuare a non saperlo" aveva poi pensato, ma, in tutti i casi, si trattava di salvare Alexander, Isabelle e il piccolo Nico di Angelo, quindi non si sarebbe mai e poi mai tirato indietro. 
La squadra aveva sospirato e scosso la testa e aveva passato il resto del pomeriggio a pensare a come risolvere la faccenda. 
Era giunta ormai sera e, sia semidei che cacciatori e Magnus, non erano riusciti a creare un piano d'azione perlomeno decente. 
Nulla. 
«Mi manca Isabelle» aveva detto, improvvisamente, Simon e tutti nella sala avevano sospirato ancora.
«Non mi pare il caso, comportati da Shadowhunter il quale speri di diventare» lo aveva ammonito Jace, ma il suo tono di voce era meno duro. 
«Riposate questa notte, ragazzi. Domani mattina ne riparliamo.»
Magnus aveva assunto un'espressione gentile nel dire quelle parole, ma dentro di sé sentiva solo il bisogno di stare da solo.
Ormai era davvero stremato, le ferite della battaglia erano quasi guarite, ma non avrebbe sopportato la mancanza di Alec e degli altri un solo altro giorno.

*~*~*

Percy Jackson socchiuse gli occhi e si rilassò per pochi istanti, godendosi l'aria fresca della sera. Era sollevato dal non sentire quel caldo tremendo delle giornate precedenti. 
Aveva le dita delle mani intrecciate in quelle di Annabeth, mentre camminava al fianco di Clary. La ragazza gli stava raccontando di quando aveva aperto un portale e quasi era morta, cadendo in un lago. 
«Non sono vie di passaggio molto sicure, se non si conosce il posto in cui andare» spiegò la cacciatrice. Jace, intanto, camminava accanto a Simon qualche passo avanti e i due sembravano parlare di qualche tecnica di combattimento orientale.
«Percy è stato nel regno di Ade» disse improvvisamente Annabeth e il figlio di Poseidone si ritrovò semplicemente ad annuire, non volendo ricordare quell'esperienza.
«Se i portali li potessi creare io, saremmo già lì» scherzò Percy, ma il viso di Clary era serio, come se davvero volesse far creare (o disegnare?) un portale al semidio.
Sicuramente, il ragazzo non era famoso per la sua bravura nel disegno...
«Inoltre, nel mio incubo ho visto il posto preciso in cui sono prigionieri» continuò Percy, «sarebbe facile per me guidarvi, credo.»
Annabeth lo guardò e alzò un sopracciglio, sorpresa dal momentaneo tono del ragazzo. 
«Percy...» sussurrò la semidea ad un tratto e si fermò.
Il suo sguardo era puntato verso una macchina sportiva color rosso sangue. Sul cofano c'era lo stemma di un cavallo, solo che non era immobile. Nitriva e galoppava sul posto e dalle sue piccole narici usciva perfino del fumo bianco.
«Oh, no. Lui.» 
«Lui chi?» chiese Clary e chiamò il nome di Jace, in modo che lui e Simon li raggiungessero. 
«Bella macchina» commentò Simon con un sorriso.
Erano rimasti immobili alla fine del marciapiede e ora stavano fissando - chi con astio, chi con sorpresa - un ragazzo uscire fuori dal posto guida.
Indossava una giacca di pelle rosso scuro e un paio di pantaloni neri, fin troppo stretti per i gusti di Percy.
I Nephilim lo osservavano con curiosità, Jace sembrava già odiarlo. 
Ma il semidio sapeva bene chi fosse quella figura che velocemente aveva attraversato la strada ed ora fissava tutti con un gran bel sorriso spavaldo. 
«Perseus Jackson.
Che piacere rivederti, potrei dire, ma non è così.»
«Ares» disse secco Percy, ma non sorrise. 
Un brusio confuso si avvertì da parte dei tre Shadowhunters. Era il primo dio che incontravano e probabilmente non era il massimo.
«Alto tre metri...»
«...macchina sportiva?»
«E lui sarebbe il dio della Guerra?»
Annabeth era colei che stava mantenendo un aspetto calmo e rispettoso.
«Salve, divino Ares» disse infatti.
«Cosa la porta qui?» continuò a chiedere, sempre con tono gentile.
«Il ristorante giapponese in fondo alla strada» dichiarò il dio. «E voi
Percy si sorprese quando si accorse che Ares non stava indicando i semidei, bensì gli Shadowhunters.
«Cosa?» Sembravano tutti molto confusi.
«Senta, supremo dio delle scop-, ehm, spade» si corresse Jace, «cosa desidera da noi?»
«Divino Ares, non ha già incontrato un nostro... simile?» 
«Già ed è stata un'esperienza noiosa e irritante. Sempre meno di Percy Jackson, ovviamente.»
Percy incrociò le braccia al petto e restò stranamente immobile a guardare la scena, non riuscendo a trovare una spiegazione plausibile a tutto quello.
«So che altri due dei vostri sono prigionieri di Ade. 
Beh, sappiate che non sarà facile» dichiarò il dio. 
«Nulla è facile per noi» rispose Jace e assunse la stessa postura di Percy.
«Oh, certo. Posso immaginare.» 
Ares lanciò un'occhiata verso la macchina, probabilmente per controllare la presenza della sua "amica".
«Se è solo questo quello che hai da dire, puoi andare, Ares. Ti attendono.» 
«Jackson, non essere impertinente. O rimpiangerai di non aver accettato l'offerta di essere immortale.»
Il dio della Guerra si rivolse poi ai cacciatori: «e voi, semmai riusciste ad arrivare all'Inferno, state attenti allo Stregone.»
Detto questo, infilò una mano in tasca, fece l'occhiolino e si diresse verso la sua macchina rossa. 
«Ma quale Stregone?»
Tutti si guardarono intorno con aria attonita. 
«È Ares, potrebbe dire qualunque cosa» sussurrò Percy, stanco.
«Già, ma abbiamo già sentito parlare di questo Stregone» rispose Annabeth.
«Che non è Magnus» puntualizzò Clary, quasi irritata. 
«In realtà questo non lo sappiamo, potrebbe...»
«Non è Magnus. Lui è buono.» 
La faccia di Clary era più rossa dei suoi capelli, quindi Percy decise di chiudere il discorso. Almeno per il momento.
Poco dopo, i ragazzi scambiarono solo poche altre parole (Simon aveva fatto promettere a Percy di raccontare la storia dell'immortalità), poi si erano salutati ed erano andati via. 

«Ehi, Testa d'Alghe» aveva sussurrato Annabeth, una volta trovatasi sola davanti alla Cabina numero tre. 
«Sei sempre fantastico, credi in te.»
E Percy si era limitata a baciarla dolcemente sulle labbra e a stringerla a sé, mentre ascoltava il familiare fruscio dell'acqua provenire dall'interno.

*~*~*

Nel tempo successivo la figura rossa era apparsa molte volte. 
Era gentile con Alec, Isabelle e Nico, anche se quest'ultimo era sempre discreto e continuava a non fidarsi del nuovo arrivato. 
«Se passeggia con tanta facilità in questo regno, significa che ha il permesso di mio padre. E non bisogna fidarsi di mio padre.»
Il ragionamento non faceva una piega, ma Alec vedeva in quell'uomo (o qualunque altra cosa fosse) qualcosa di familiare.
Inoltre, quando era lì con loro le catene sembravano essere più larghe, il rumore di quelle voci piangenti più tenue.
Anche la stessa voce della figura rossa era davvero rilassante. 
«Andremo mai via di qui?» domandò Alec, più a se stesso che ai presenti.
«Ma certo, mio caro Alexander» sussurrò l'uomo rosso - sì, così lo avrebbe chiamato.
«Ma prima, aspettiamo che accada una cosa.»
«Cosa?» domandò Izzy.
«Ve lo dirò a tempo debito, piccoli

*~*~*

Magnus ripensò alla battaglia, ai demoni, ai cacciatori, ad Alec. 
Al dolore provato vedendolo sparire. 
Al dolore fisico. 
Magnus Bane, quella sera, ripensò a fin troppe cose, persino ad un lontano ricordo della battaglia. 
Un ricordo che continuava a perseguitarlo, fin dalla mattina, dopo che Percy Jackson aveva raccontato il suo sogno. 
Il semidio aveva raccontato di una figura rossa accecante; Magnus ricordava una strana luce rosso-viola, che lo colpiva. 
I pensieri erano offuscati già allora, ora sembravano perdersi lentamente nella memoria. 
Il tempo passava troppo velocemente, in quei giorni, ma lui avvertiva il ricordo di Alec con maggior forza.
«Sii coraggioso, Alec» sussurrava tutte le sere, una volta rimasto solo. 
Sperava che quella semplice frase potesse fare essere d'aiuto.

*~*~*

Percy dormiva tranquillamente. 
Il che era già abbastanza strano, poiché i suoi sogni erano sempre popolati da dei adirato, improbabili giganti o vari nemici. 
Ultimamente, alla lista, si erano aggiunti anche incubi in cui erano presenti Shadowhunters psicopatici e tanto, tanto sangue. 
Ma quella notte sembrava tranquilla e l'unica immagine che affollava la testa del semidio era quella di una penna. 
Una penna che correva lungo un figlio bianco e che disegnava strane forme curve, intervallate da linee dritte. 
"Oh, quello sembra un tridente" diceva tranquillamente nella sua testa, mentre osservava le varie linee accavallarsi.
Sembrava quasi che prendessero vita. 
La penna era impugnata da una piccola mano, una mano d'artista sicuramente. 
E così, il sogno trascorreva tranquillo mentre quell'indecifrabile disegno prendeva vita e si elevava dal foglio.

Percy urlò. 
Uno strano bruciore lo colpì al braccio ed egli si svegliò di soprassalto. Sceso dal letto, corse verso la fontana e immerse il braccio all'interno.
Forse era stato morso da qualche insetto. Un insetto davvero gigante, ipotizzò il semidio.
L'ipotesi dell'insetto, però, fu scartata subito dopo, non appena Percy posò gli occhi sul suo braccio.
Come diavolo era potuto accadere che il disegno che stava sognando era apparso sul suo braccio?
Incredulo, immerse nuovamente il braccio nell'acqua, ma non accadde nulla. 
Non sembrava si trattasse di semplice inchiostro nero. 
Bene, Annabeth lo avrebbe ammazzato alla sola vista di un tatuaggio.
Un tatuaggio che sembrava... 
No, non era possibile.
Dii immortales, perché quel tatuaggio sembrava una runa degli Shadowhunters?


 

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Capitolo 12
*** Extra: Clarissa e la nuova runa. ***


Clary osservò il foglio bianco, immobile sotto il suo sguardo. Sentì la mano stringersi intorno alla matita da disegno. 
Era un tocco leggero, ma allo stesso tempo esprimeva grande forza. 
Jace era disteso sul letto e dormiva: Clary poteva ascoltare il suo respiro per ore e immaginare contemporaneamente il petto che si alzava e si abbassava. 
Era come un'instancabile e meravigliosa danza. 
Finalmente, il Nephilim viveva un sonno tranquillo. 
Intanto, la mente della Cacciatrice elaborava freneticamente immagini, suoni, sensazioni, parole, ricordi.
La matita si sollevò leggermente dal tavolo e andò a posarsi sul foglio.
Proprio come quando disegnava, Clary si lasciò trasportare dalle emozioni, mentre tutto quello che aveva nella mente prendeva forma. 
Fu come dare vita a qualcosa di nuovo e, in realtà, di questo di trattava tutte le volte che la creazione di una nuova Runa si faceva spazio nella sua testa.
Clary aprì gli occhi, che si adattarono facilmente alla penombra della camera da letto.
In sottofondo poteva ancora udire il respiro tranquillo di Jace. 
Tutto sembrava essere rimasto uguale, o meglio, quasi tutto.
La cacciatrice posò gli occhi sul foglio e la vide: linee morbide come seta si intervallavano a linee più dure. Le sembrò di scorgere anche un tridente in quel groviglio di tratti. 
Se la si osservava a lungo, la Runa trasmetteva una sensazione di lealtà e collaborazione. 
Clary scosse la testa, sorpresa: dalla runa, disegnata su semplice foglio di carta, stava trapelando una luce verde brillante.
Lo stesso colore dell'acqua del mare dopo una tempesta.
La ragazza socchiuse ancora una volta gli occhi, lasciandosi trasportare dalla bellezza della sua creazione. 
Sperava davvero che quella Runa sarebbe tornata utile, molto presto.

 

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Capitolo 13
*** XII: Un Portale per il Futuro. ***


Magnus Bane era intento a fissare il braccio destro di Percy Jackson e a cercare una spiegazione per l'accaduto. 
Ovviamente non ne aveva una. Come poteva?
L'avvenimento aveva sconvolto tutti, perfino Chirone che, in quel momento, era in compagnia di tutti gli altri nel loft dello Stregone. 
Clarissa era seduta accanto a Percy, e Magnus stava controllando anche il suo braccio, sul quale appariva la stessa Runa.
«Siete collegati» esordì improvvisamente Magnus, scuotendo le spalle. 
Jace aveva guardato Percy con uno sguardo assassino, Annabeth aveva incrociato le braccia al petto, sconvolta.
Simon, a quanto pare, trovava la situazione divertente, poiché aveva stampato sul volto un sorriso cretino. 
Grover era accanto a Chirone e entrambi avevano assunto un'espressione seria.
«Clary, la Runa l'hai creata tu. Quali sensazione ti suggerisce?»
La Shadowhunter era arrossita e aveva abbassato lo sguardo sulla Runa, cominciando a fissarla.
«Empatita, condivisione.»
«Sii più precisa, Clary: condivisione di che cosa?» domandò Magnus, cercando di approfondire. 
«Ricordi» sussurrò la ragazza e chiuse gli occhi.
«Io vedo... Per l'Angelo! Vedo un luogo strano, una barca, del fuoco verde...»
«Ehi, smettila!» esclamò improvvisamente Percy e si allontanò dalla cacciatrice.
«Scusa...» sussurrò Clary, «non l'ho fatto con intenzione, sono solo rimasta sommersa da migliaia di ricordi.»
«Non mi piace questa cosa» disse Chirone e Annabeth annuì.
«Non credo piaccia neanche a Clary. La Runa collega entrambi, il che significa che-»
«Che Percy ha accesso ai miei ricordi.»
«No!» intervenne improvvisamente Jace, che si avvicinò a Magnus e gli chiese di risolvere la situazione.
«C'è un motivo per tutto» rispose semplicemente lo Stregone e vide Annabeth farsi avanti.
«Ed io credo di sapere il perché di tutto questo, ragazzi.»

*~*~*

Alec sognò di trovarsi all'Istituto, nella sua camera, steso sul suo letto e con in mano una foto di Magnus.
Lo scatto immortalava lo Stregone addormentato e con il corpo attorcigliato tra le coperte di seta.
Alexander aveva scattato quella fotografia una mattina d'estate: il sole era appena sorto e il suo fidanzato non si sarebbe svegliano se non tra molte ore.
L'Alec del sogno stava sorridendo al dolce ricordo della mattine e stava anche desiderando di poter rivivere tutto quello.
«Alec, Alec.» Una voce lo scosse dal sonno.
«Che succede?» chiese il ragazzo e riconobbe la voce della sorella che lo avvisava dell'arrivo della figura rossa, che ormai faceva compagnia loro ogni giorno.
«Salve, ragazzi.»
La figura si accomodò a terra, a gambe incrociate e sorrise ai presenti.
«Cosa vuoi, questa volta?» borbottò Nico di Angelo, ma l'altro non disse nulla e si limitò a sorridere.
«Patatine» disse poco dopo, «so che a voi umani piacciono.»
E lanciò ai presenti pacchi di patatine, come se fosse il gesto più naturale del mondo.
Nico scansò via i pacchetti e si girò dall'altra parte, sussurrando parole poco carine.
«Grazie» sussurrò invece Alec e accennò un sorriso timido.
«Alec, data la tua gentilezza, voglio farti un regalo.»
Questa frase, non solo sorprese i fratelli Lightwood, ma destò anche Nico.
«Un regalo?»
«Oh, sì, potrei farti vedere un pezzo del tuo futuro. Magari con la persona che ami...» 
E quelle parole furono lasciate in sospeso nell'aria, mentre la mente di Alec lavorava freneticamente e cercava di non farsi convincere da quell'essere.
«Non credo sia una buona idea, Alec» suggerì Isabelle e cercò lo sguardo del fratello, che però era ancora perso nel vuoto. 
Nico era sull'attenti, cercando di capire bene la situazione prima di un eventuale commento da parte sua.
L'uomo in rosso sorrideva invece tranquillamente, a quanto pare aveva tanto tempo da sprecare con tre sconosciuti.
«Va bene, Alec, non devi rispondermi ora. Tornerò domani, piccoli.»
E dopo quell'ultima parola irritante andò via, lasciando gli altri presenti ad osservare l'ormai familiare luce rosso-viola che faceva parte di lui.

«Non dovremmo fidarci di lui» disse Nico.
«Questo lo hai già detto.» Izzy sospirò e allungò una mano verso il fratello, accorgendosi, con suo disappunto, che lui era ancora immerso nei suoi pensieri.
Alec fissava un punto indistinto della stanza, intento a pensare a quanto i fatti strani fossero. 
"Gli avvenimenti si ripetono" pensò il Cacciatore, "passato e futuro sono solo due modi diversi di definire il presente e non ho intenzione di rovinarlo nuovamente."

*~*~*

Annabeth era intelligente. 
Tanto intelligente. A tratti, forse troppo, anche perché, la sua spiegazione non faceva una piega, ma spaventava tutti i presenti. 
La semidea aveva abilmente intuito che, grazie allo scambio di ricordi che Percy e Clary potevano permettersi, la Shadowhunter poteva tranquillamente conoscere l'inferno di Ade.
«Ergo, lei può aprire un portale e noi possiamo andare a salvare i nostri compagni.» 
Un "oh" generale si era diffuso nel salotto, seguito da commenti confusi.
«Buona idea.» 
«Idea stupida.»
«La nostra unica opportunità» intervenne Magnus e, poco dopo, fece apparire sul tavolo un grande figlio bianco e dei pennarelli.
«È l'ora della ricreazione?» domandò Jace, creandosi spiritoso.
«C'è bisogno di un piano d'azione» ipotizzò Chirone, mentre guardava fuori dalla finestra. Il centauro aveva avvistato tra le nuvole uno stormo nero, avvicinarsi pericolosamente al loft.
Altre creature stavano attivando anche a piedi, lasciando scie di una strana sostanza lungo la strada. 
«Demoni» urlò quasi Simon, accanto a Chirone.
«Dracene» sussurrò invece Annabeth.
«Altri demoni» notò Jace.
I presenti si guardarono. 
Tutti estrassero la propria arma, Magnus creò un incantesimo di difesa davanti alla porta. 
Percy si era stranamente avvicinato a Clary e i due parlavano sottovoce.
«Quanto potrà reggere quella porta, Magnus?» domandò Chirone.
«Abbastanza a lungo» rispose lo Stregone e aggiunse sottovoce "se mi diatruggono la casa li desintegro".
«Ho mandato un messaggio-Iride a Clarisse, arriverà presto con i rinforzi» avvisò Annabeth.
Nel loft si era creata una strana situazione: Chirone era davanti alla finestra e avvisava i presenti di quello che accadeva, Grover e Simon erano davanti alla porta principale, Jace era all'erta in cucina, Annabeth fissava il foglio bianco e pensava freneticamente ad un piano d'attacco.
«Si stanno avvicinando tutti!» urlò Chirone e Magnus creò un incantesimo di difesa anche alla finestra, dopo che un mostro ci si era schiantato sopra e aveva incrinato il vetro.
Percy e Clary era immobili in un angolo e si tenevano per mano.
Cosa?
Magnus si accorse troppo tardi di quello che stava succedendo, purtroppo. 
Ad un tratto fu travolto dalla luce proveniente dal portale: Percy fu il primo a saltare, seguito dalle parole spaventate della fidanzata; poi arrivò Jace che, dopo uno sguardo ammonitore rivolto a Clary, corse verso il portale e lo attraversò.
La Shadowhunter stava facendo la stessa cosa, ma Magnus corse verso di lei e la spinse via, non potendo permettere che anche lei finisse in quel regno a loro poco conosciuto.
Lo Stregone, a pochi passi dal Portale, tentò poi di chiuderlo, ma accade una cosa strana: fu come se il suo corpo fosse stato improvvisamente risucchiato all'interno.

L'ultima cosa che lo Stregone udì fu la voce di Clary che urlava e poi il buio.

 

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Capitolo 14
*** XIII: La strada per l'Inferno è lastricata di anime e resort. ***


L'Inferno non è mai come te lo immagini.
Non importa quanti libri tu abbia letto o in quanti film tu possa averlo visto; purtroppo, non è mai come te lo figuri. 
Se poi, è anche l'Inferno di un dio pagano, davvero non sai bene cosa aspettarti. -

Magnus aprì gli occhi lentamente e la prima cosa che avvertì fu un dolore lancinante ad un fianco. Non sapeva bene da cosa fosse stato causato, sapeva solo che faceva troppo male. 
Il suo secondo pensiero fu a proposito di quello che era da poco successo, quindi cercò di alzarsi e di trovare le persone che sarebbero dovute essere con lui.
«Jace... Percy...» sussurrò lo Stregone. Poggiò le mani sulla terra secca e si alzò in piedi, anche se faticosamente.
Per fortuna, il cacciatore e il semidio erano a pochi passi da lui, anche se apparentemente svenuti. 
«Ehi, ragazzini» sussurrò ancora Magnus. 
Mentre cercava di destare i due, alzò gli occhi e si guardò intorno: una spessa coltre di nebbia grigia copriva il territorio e rendeva impossibile guardarsi intorno. 
Magnus si chiese come sarebbero potuti essere sicuri del luogo, a causa di tutta quella nebbia. 
Forse, il Portale non aveva funzionato e ora si trovavano nel Limbo.
«Magnus...»
La voce era quella di Jace, mentre Percy risultava ancora svenuto. 
«Ehi, tutto okay?» domandò il figlio di Lilith a Jace e poi si avvicinò al semidio. Frugò nelle tasche di quest'ultimo e trovò un pezzo di quella che avrebbe dovuto essere ambrosia. Ne sbriciolò un pezzo e aiutò Percy a mandarla giù. 
Il figlio di Poseidone aveva appena aperto gli occhi e si guardava intorno con sguardo confuso. Intanto, Jace aveva preso la sua stregaluce, la quale aveva contribuito a dare un tocco spettrale all'ambiente.
«Percy, puoi dirci dove siamo?» domandò Magnus e l'altro fortunatamente annuì. 
«Bene. E dove siamo?» chiese Jace, con meno gentilezza. 
«Nella Prateria degli Asfodeli.»

*~*~*

«GIÙ!» urlò Chirone, mentre l'ennesimo colpo cercava di abbattere il muro protettivo creato da Magnus, ma che non assicurava il palazzo dai tremolii prodotti.
«Ora che Magnus non è qui, la protezione durerà molto di meno» disse Clary, mentre raggiungeva Simon e gli stringeva forte la mano. Il fatto che il suo migliore amico fosse lì avrebbe reso la situazione più facile da affrontare, almeno per Clary. 
«Proponete di andare all'attacco?» chiese Grover, visibilmente agitato.
«Clarisse sta arrivando! Ho appena ricevuto da lei un messaggio-Iride. Per nostra fortuna, ha con lei la maggior parte dei migliori guerrieri del Campo, più qualche figlio di Apollo, in caso di necessità.»
Chirone, dopo quella notizia, sembrò sentirsi meglio. 
Anche gli altri presenti sembravano sollevati.
«Simon, credi che dovremmo avvisare qualcuno?»
«Sì, Clary. Chiama Luke e il suo branco, Maryse Lightwood e gli altri Cacciatori più fidati...»
Un'altra esplosione, questa volta più potente, scosse tutto l'edificio e i presenti videro una pioggia di piccole schegge colorate andare a pezzi e poi disintegrarsi.
«L'incantesimo si è spezzato!» urlò qualcuno e gli altri cominciarono a cercare in modo frenetico le armi, per tenersi pronti ad un attacco. Clary aveva cominciato a chiamare tutti; Annabeth e Simon controllavano le finestre della cucina. Chirone e Grover la porta. 
«Sembra tutto troppo calmo» esclamò Simon, agitato. In mano impugnava una spada, cosa che non smetteva di sorprendere Clary. 
«Ma qualcuno sta controllando le altre finestre?» chiese Annabeth, allarmata.
E nessuno rispose, poiché pochi secondi dopo, dalle porte delle camere del grande loft cominciarono a riversarsi decine di demoni.
«Per l'Angelo!» urlò Clary. Il telefono cadde a terra. 
Lei indietreggiò verso gli altri: erano circondati dentro e fuori. 

*~*~*

«Tranquillo, Jace» disse Magnus «gli altri se la staranno cavando bene. La casa è protetta dal mio incantesimo.» 
E nello stesso momento in cui lo Stregone lo stava dicendo, avvertì qualcosa spezzarsi. Poi ebbe una brutta, bruttissima sensazione. 
Intanto, la nebbia si era diradata e Percy stava facendo strada agli altri due, lungo la via che li avrebbe condotti a salvare i loro amici. Ma, dopo pochi minuti di cammino, i tre cominciarono ad avvertire strani lamenti. 
«Che diavolo è?»
«Sono i lamenti dei miliardi di anime che abitano questo posto da sempre. Questi sono i loro sogni spezzati, i loro rimpianti, le loro sofferenze» spiegò Percy, leggermente affaticato. 
Intanto, Magnus era rimasto qualche passo indietro, a causa alla sua ferita al fianco che non decideva a guarire. Lo Stregone ebbe la vaga impressione che in quel maledetto luogo, la sua magia non facesse molto effetto.
«Fantastico! E questi tuoi amici fanno mai un sonnellino?» 
«Abbi rispetto per i morti, Jace. Un giorno sarai uno di loro.»
«Io? In questo fantastico resort a cinque stelle? No, grazie.»
Percy scosse la testa, ma non disse nulla ulteriormente. Aveva capito che il sarcasmo era il modo che aveva il cacciatore di difendersi. 
«Alzate la testa, ecco l'altura.»
Magnus e Jace fecero come indicato da Percy, ma quello che videro non piacque loro: in mezzo alla Prateria si stagliava un specie di torre di pietra nera altissima. La cima era anche controllata da decine di arpie che volavano in cerchio. 
«Anche se, non ricordavo che ci fosse questa specie di montagna» osservò Percy, molto confuso.
«Può essere stata opera di Ade?» La voce di Magnus era affaticata, come sarebbe riuscito a scalare quell'enorme parete rocciosa?
«È il suo regno, quindi sì, ma tutto questo non ha davvero senso. Ci sfugge qualcosa...»
«Sì, ma a quanto pare noi non siamo sfuggiti alla vista delle arpie» fece notare Jace.
«No,» urlò Percy «correte!»
E ovviamente, i tre cominciarono a correre verso la parete rocciosa, Percy e Jace con tanto di spada sguainata. 
Forse, stavano per concludere il loro giro nell'oscurità... 

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Capitolo 15
*** XIV: Loft distrutti e arrivi di eroi. ***


Vetri rotti, porte buttate giù, mobili disintegrati ed un'orrenda puzza proveniente da esseri demoniaci. 
Tutto questo sarebbe stata la sorpresa per il Sommo Stregone di Brooklyn, semmai fosse tornato al suo loft, e se il loft fosse ancora esistito al suo ritorno.

Annabeth impugnò la sua arma e, spalla a spalla con Clary, cercò di disintegrare i vari demoni che le stavano attaccando.
La cacciatrice si muoveva bene in battaglia ed era un'ottima compagna in quelle situazioni. 
«Non il divano» urlò Clary, dopo averlo visto incenerirsi davanti ai propri occhi. Sospirò e continuò a combattere. 
Grover aveva preso il suo flauto e magicamente le varie piante che abitavano il loft di Magnus erano diventate più rigogliose e avevano cominciato a stritolare i nemici. 
Chirone non era più in difficoltà: si era liberato della sedia a rotelle ed era apparso in tutta la sua forma (cosa che aveva creato qualche problema di spazio, ma aveva spaventato un po' i demoni, perlomeno). 
Intanto, anche Simon combatteva, felice di mettere in mostra tutto quello che aveva imparato all'Accademia. 
«Ci serve una strategia» disse Annabeth, mentre puliva il suo pugnale imbrattato di icore (sangue di demone, per gli Shadowhunters) sul bordo di una poltrona di pelle. 
«Miglior strategia: uscire vivi da tutto questo» rispose Simon e respinse un altro demone. 
Nonostante tutto, però, i demoni continuavano a riversarsi nell'appartamento, mentre essi era decisamente in inferiorità numerica.
Non avrebbero potuto resistere ancora per molto. 
Pochi secondi più tardi, andò in pezzi anche la finestra principale del salotto, ma per fortuna non erano altri demoni o le dracene che affollavano l'esterno, ma i lupi! Il branco di Luke era appena apparso e già stava uccidendo decine e decine di demoni.
Clary e gli altri sorrisero, però la battaglia non poteva davvero continuare nel loft o l'intero palazzo sarebbe stato distrutto.
«Portiamo lo scontro all'esterno» ordinò Chirone e chiese a Grover di aprire la porta. 
"Come riuscirà ad uscire da lì Chirone?" si chiese Grover, ma la la sua domanda ebbe subito risposta non appena aprì la porta, e parte della finestra e del muro dell'entrata furono distrutti dall'attacco dei demoni insieme alle dracene. 
«Uscite tutti subito» urlò Chirone e tutti sembrarono molto felici di farlo. 
Però, la situazione all'esterno non era delle migliori, poiché i nemici stavano li attendendo tutti ed erano pronti a continuare la battaglia.
Tutto sembò andare per il peggio, ma improvvisamente Clarisse e gli altri figli di Ares apparvero e subito cominciarono a scontrarsi e a combattere. Finalmente la battaglia sembrava aver preso la giusta piega.

*~*~*

Le arpie erano veloci e feroci.
Il loro compito era proteggere il territorio dagli intrusi e ci stavano riuscendo molto bene. 
Si erano avventate su Percy, Jace e Magnus con forza e i ragazzi non avevano fatto altro che respingerle. 
Nonostante gli attacchi, però, erano riusciti ad avvicinarsi abbastanza alla grande montagna per vedere che alla base c'era un'entrata. Una specie di caverna oscura. 
Magnus guardò Percy e fece un cenno verso l'entrata appena trovata. 
Percy scosse le spalle, non aveva la più pallida idee se fosse o meno un luogo sicuro. 
«Ci entro per primo» disse Magnus e corse verso la caverna. In altre situazioni non sarebbe stato così avventato, ma tutti loro non avevano molte alternative.
Inoltre, lo Stregone non riusciva neanche a difendersi al meglio in quel luogo e il dolore al fianco era sempre più forte. 
Magnus entrò, ma non vide nulla. Il luogo era completamente buio e, apparentemente, disabitato.
«Venite!» urlò a gran voce, in modo che anche gli altri avrebbero potuto seguirli.
Sarebbe anche potuto sembrare che la scelta di nascondersi in quel posto fosse sciocca, poiché si sarebbero presto ritrovati rinchiusi insieme alle arpie. 
Magnus, però, aveva notato che le creature non si avvicinavano alla montagna. Si limitavano a controllarla da lontano. Era come fossero intimorite da qualcosa; Magnus non sapeva bene cosa, ma avvertiva un grande ed oscuro potere provenire da tutt'intorno. 
«Magnus» esclamò Percy, poco dopo essere arrivato nella caverna. Jace era al suo fianco e entrambi sembravano stare bene nonostante fossero affaticati e ricoperti da qualche ferita.
«Che posto è questo?» chiese Jace e Magnus si guardò ancora una volta intorno ma non vide ugualmente nulla.
«Tira fuori la tua stregaluce, Jace.»
«Le arpie non ci stanno seguendo» notò il semidio, compiaciuto, «perché?»
«Non importa, per una volta siamo fortunati.»
La luce della pietra tra le mani del cacciatore rischiarò un po' tutt'intorno, ma quello che videro tutti fu solo un lungo tunnel. 
«A quanto pare non è una semplice caverna.» 
Percy fece qualche passo avanti, credendo di riuscire a sentire qualcosa ma il luogo era completamente silenzioso.
«Dovremmo andare?» 
Jace impugnò nuovamente la spada e il semidio fece lo stesso. 
Magnus annuì brevemente e si appoggiò alla parete di roccia nerissima. 
«Giusto un attimo...» disse, con voce flebile. 
«Magnus è tutto okay?»
Percy si era avvicinato a lui e cercava di guardalo negli occhi. 
«No, il fianco continua a farmi male» spiegò lo Stregone e, per la prima volta da quando aveva avvertito il dolore, si alzò la maglia e controllò.
«Dii immortales» sussurrò Percy e piegò la testa di lato per guardare meglio. 
Anche Jace si era avvicinato e ora guardava Magnus con sguardo grave.
Dal fianco destro si estendeva uno strano colorito livido. Da quel punto, e per tutto l'addome la pelle era nera. 
«Che diavolo...»
«Non so bene cosa sia, ma credo sia opera della magia, non c'è altra spiegazione.»
«Non puoi guarire?» chiese Percy. 
«Non ci riesco, è come se questa specie di ferita bloccasse anche i miei poteri.»
Jace assunse un'espressione ancora più tetra e si guardò intorno, nervoso. 
«Dobbiamo andare e non ti lasceremo qui, Magnus.»
«Io non ci sarei rimasto.»
«Bene, puoi appoggiarti a me» propose Jace e rispose la spada. 
«No, biondino. Ce la faccio ancora, ma non permettetemi di svenire. Voglio guardare negli occhi colui che si è permesso di fare del male ad Alec e agli altri.»
Annuirono tutti. 
Si incamminarono lungo la strada offerta dalla montagna, camminando lentamente e facendo affidamento all'unica e piccola fonte di luce tra le mani di Jace. 
«Per quanto credete dovremo ancora salire?» chiese Percy, abbastanza nervoso. L'aria sembrava essersi rarefatta e l'atmosfera era davvero cupa.
«Non credo manchi molto» rispose Jace, più per rassicurare se stesso, che per altro. In quel posto era impossibile avere un vero e proprio senso dell'orientamento, il che rendeva il tutto più frustrante.
«Ehi!» esclamò Percy, andando a sbattere contro la schiena di Magnus, che si era fermato improvvisamente.
«Colpa del tuo amichetto qui avanti, si è fermato di colpo.»
E poco dopo tutti capirono il perché: si trovavano davanti ad un incrocio. Ed ora, desta o sinistra?
«Odio gli incroci, finisce sempre male» borbottò Percy.
«Dove andiamo?»
«Io direi a sinistra, mi sembra di vedere qualcosa» notò Magnus. E qualcosa c'era davvero! 
Da quello che sarebbe dovuto essere il fondo della strada, proveniva una luce rossa, con strane sfumature viola. 
«Potrebbe essere una trappola, Magnus» constatò Jace, non molto convito. 
«Potrebbe, ma quella luce mi ricorda qualcosa... Qualcuno.
Fidatevi.»
Percy annuì e superò Magnus e Jace, incamminandosi verso il vicolo sinistro. Dopo tutto quello che aveva passato con lo Stregone e anche con Jace, pensò di potersi fidare di lui. Almeno un po' di più di quello che aveva fatto Chirone. 
«Allora, andiamo?»

*~*~*

Nico, Isabelle e Alec giacevano a terra, apparentemente addormentati. L'uomo rosso li guardava e sorrideva contento. 
«Bene, miei cari ospiti, i vostri amici stanno arrivando.»

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Capitolo 16
*** XV: La salvezza comporta il sacrificio. ***


 

Nella mente di Nico Di Angelo non c'era altro che oscurità. Una lugubre, spaventosa oscurità, senza un'apparente via d'uscita. 
Nulla aveva senso, in quel luogo; il corpo del ragazzo sembrava fluttuare, come se non ci fosse gravità.
«Bianca!» si ritrovò ad esclamare, improvvisamente e si girò verso una figura che lo stava osservando.
«Bianca» ripeté Nico, addolorato e allungò una mano verso la figura della sorella, che riusciva a scorgere nonostante le tenebre. 
«Resta con me, Bianca» sussurrò, sentendo di non poterla lasciare andare nuovamente, anche se si trattava solo di un'immagine sfocata. 
E in quanto immagine, poco dopo scomparve, ma non prima di aver detto: «stai tranquillo, Nico. Presto dimenticherai tutto.» 

Luce. Tanta, troppa luce. Era accecante ed Isabelle non riusciva a tenere gli occhi aperti più di qualche secondo, senza poi sentire le pupille e la testa andare a fuoco.
Così si ritrovò a barcollare in un luogo che non poteva neanche vedere e riconoscere.
«Ehi, Izzy.» Una voce, anzi, un sussurro. La cacciatrice cercò di riconoscere il suono di quelle parole, ma fu difficile.
«Isabelle, sorellina» ripeté la voce e la ragazza rimase immobile, come pietrificata. 
Non poteva essere lui, non un'altra volta. 
Non Max, non lui di nuovo.
Isabelle aprì gli occhi, perché doveva farlo, doveva assistere a quella visione.
«Andrà tutto bene, Izzy. Presto saremo di nuovo insieme.»
Ma c'era qualcosa di diverso in quel timbro di voce, era sì familiare, ma non apparteneva a Max...
«Max?» chiese la Nephilim, cercando di aprire gli occhi.
E prima che la testa si disintegrasse in mille pezzi, riuscì a vedere il contorno di una figura alta.
«Non sono Max, Izzy. Anche se lui è con me. Sono Alec.»
Alec?
La ragazza si sentì male, nuovamente disorientata. 
Cosa era accaduto al suo fratello maggiore? Non poteva essere morto anche lui, dannazione!
«È okay, Izzy. Presto saremo tutti insieme vedrai. La squadra Lightwood al completo.»

Alec non si era mai sentito così strano, come in quella situazione. Avvertiva il corpo fluttuare nel vento forte, ma non veniva sbattuto da una parte all'altra. 
Cercava di guardarsi intorno, ma preferiva dormire, anche se una voce continuava ad infastidirlo. 
Era la voce di Jace. Cosa voleva? Alexander aveva solo bisogno di dormire.
«Ho bisogno del mio Parabatai, Alec. Alec. Alec.»
«Sono qui Jace, come sempre» ripeteva il cacciatore.
«Quando tornerai, è importate che tu dica a Clary che la amo tanto.»
«Non puoi dirglielo tu, Jace?»
«No, fratello. E dille anche che ci vedremo presto.»
Ma Alec non capiva tutto quello, non riusciva a comprendere il modo in cui l'altro si stava comportando.
«Alec, dammi la mano.»
E così fece, ma quella di Jace era inconsistente. Era un velo bianco che si muoveva con il vento.
«Jace...» sussurrò Alec, riuscendo ad aprire finalmente gli occhi.
«Sto andando, fratello mio. Vi voglio bene e ricorda a Clary che... Ricordale che...»

*~*~*

I semidei si era occupati delle dracene e di buona parte dei demoni. I Nephilim, insieme ai lupi, avevano provato ad eliminare gli altri. 
Ad un certo punto, la battaglia sembrava essersi conclusa...
La strada era completamente distrutta, ma i palazzi intorno sembravano non aver subito gravi danni e le persone all'interno apparivano estranee a quello che era appena accaduto all'esterno.
«Come è possibile?» chiese Annabeth e alzò lo sguardo verso una finestra, dalla quale si intravedeva una famiglia seduta a tavola.
Stava tranquillamente cenando e chiacchierando.
I ragazzi - Clary, Simon, Clarisse ed Annabeth - li osservarono stupiti.
«Probabilmente dovremmo ringraziare Magnus...» suggerì Clary e poggiò la schiena contro un muro, troppo stanca per continuare a stare in piedi.
«Quindi credete che ci sia una sorta di incantesimo protettivo?» domandò Annabeth, curiosa.
«Sì, ma a quanto pare Magnus non ha considerato la distruzione della sua casa» sussurrò Simon, come se, fosse spaventato dalla visione del loft distrutto.
«Una casa distrutta non è un dramma, l'importante è che non ci siano feriti» dichiarò Clarisse e cominciò ad allontanarsi, per controllare lo stato degli altri semidei.
«Quindi ce l'abbiamo fatta davvero?» chiese Simon, ancora incredulo.
«Non abbiamo vinto, non finché Jace, Magnus e Percy saranno ancora in quel luogo» disse Clary, con un tono di voce improvvisamente arrabbiato.
«E Nico, Isabelle ed Alexander» aggiunse Annabeth, come se davvero ce ne fosse bisogno.
Simon abbassò lo sguardo, Clary intanto si allontanò dai due, diretta da Luke, per ringraziare tutti dell'aiuto.

*~*~*

La fonte della luce rossa non fu subito visibile, forse perché era più lontana di quanto tutti avessero calcolato.
Percy aveva in mano la sua Vortice, Jace la sua spada angelica e Magnus cercava di concentrarsi per non svenire, da un momento all'altro, a causa della ferita che si stava espandendo. Ma non gli sembrava il momento per riferirlo ai suoi compagni, quindi non parlò.
Non parlavano (stranamente) neanche gli altri due, probabilmente troppo agitati per pensare a qualcosa. 
L'unica cosa che si udiva erano i passi sulla terra arida e una leggera pulsazione, probabilmente proveniente dalla fonte della luce. 
«Restiamo uniti» suggerì Percy, come se ci fosse altra scelta. 
«Comunque, non mi è ancora chiaro il modo in cui usciremo da questo luogo» sussurrò Jace e tenne più vicina la spada.
«Con un grande boom, ragazzi» rispose Magnus, confuso. 
Poi tutto sembrò fermarsi: la luce si affievolì, ogni rumore scomparve.
«Che cosa...»
«Salve, eroi. Se è questo il modo in cui vi piace essere definiti.» 
«Sexy, va bene comunque» suggerì Jace, e Percy rise, stranamente.
«Chi sei?» chiese Magnus, guardandosi intorno, ma non vedendo nulla, nonostante il Nephilim avesse preso la stregaluce. 
«Il mio nome non viene pronunciato da molto, ormai, è causa di sventure.»
Finalmente, una piccola fonte di luce, riuscì a rischiarare l'ambiente e i ragazzi videro chi era la persona causa del tutto.
E rimasero un po' delusi, nel trovarsi davanti un uomo alto, dai folti capelli neri e gli occhi di un rosso brillante. 
Era vestito completamente di bianco, cosicché tutti gli altri colori risaltassero. 
Magnus alzò un sopracciglio nell'osservare il nemico e non trovò neanche una semplice battuta da fare.
«Delusi dal mio aspetto?» chiese, come se avesse letto le menti degli altri.
«Beh, solitamente sono così. Bello, affascinate. Il problema arriva quando mi arrabbio, purtroppo. E voi mi avete fatto tanto arrabbiare.»
«Noi? Neanche ti conosciamo» disse Jace, ormai nervoso.
«Voi. Voi Nephilim. La razza più schifosa che sia mai esistita! Credete di essere i migliori, i superiori.»
Mente diceva queste cose, i contorni della sua figura sembrarono essere meno definiti...
«Sei uno Stregone. Tu sei uno Stregone» dichiarò improvvisamente Magnus e fece un passo indietro, poggiandosi alla parete di roccia.
«Sono nato Stregone, sì, mio caro Magnus Bane. 
La tua fama ti precede, ma sei comunque nulla al mio confronto» disse e allungò una mano in direzione di Magnus. Quel solo gesto, parve far aumentare il dolore della sua ferita.
«Perché sei proprio qui, nel regno di un dio Greco?» chiese Percy, sperando di distrarlo dall'altro, per non fargli più del male. 
E funzionò, più o meno.
«Bene, io ho una storia da raccontare, voi degli amici da salvare» disse la creatura, con voce malefica. E la stessa mano che stava usando per far del male a Magnus, la usò per spostare una grande parete di roccia nera. 
«Alec!» urlò Magnus, quando vide quello che la parete di roccia stava nascondendo.
I corpi immobili di Alec, Isabelle e Nico era sospesi in aria. Al di sotto dei loro corpi, il vuoto totale. Una buia, fredda ed incalcolabile oscurità.
«Nico...» sussurrò Percy, e per la rabbia strinse Vortice più forte nella mano, pronto a scattare per attaccare lo Stregone rosso.
«No, fermo» urlò ancora Magnus «sono lì fermi, immobili e non cadono grazie a lui. Se lo colpisci, potrebbero...»
«Ah, finalmente qualcuno di intelligente. La morte ti porta ad essere perspicace, Bane.»
«Cosa? Morte?» Jace, che era rimasto immobile a fissare i corpi a mezz'aria dei suoi fratelli, a quelle parole si destò.
«Sì, Jace, la ferita è mortale» sussurrò Magnus.
«Ma avrete tutti abbastanza tempo per ascoltare la mia storia, allora siete pronti?»

Sebastian, per avere più potere, dopo la scoperta del mondo degli dei greci, aveva deciso di contattarli.
Da solo, ovviamente, non c'era riuscito, così aveva chiesto aiuto ad uno Stregone potentissimo e antico che lo aveva accontentato (al cospetto di Sebastian era apparso allora Ares, dio della guerra, che però non aveva soddisfatto le sue richieste, poiché il dio era anche impegnato nella guerra contro Crono e non aveva voglia di perdere tempo con chi considerava semplicemente un mortale).
La ricompensa di Sebastian, per lo Stregone, sarebbe comunque dovuta essere un'enorme fonte di potere proveniente da uno degli dei, in modo che l'antico Stregone, avesse potuto riacquistare la sua forma corporea e quindi tornare sulla Terra.
Ovviamente, Sebastian non aveva tenuto conto del vero potere degli dei e del fatto che nessuno di essi lo avrebbe preso in considerazione, nonostante le richieste. Inoltre, il Nephilim non era neanche a conoscenza della guerra in corso.
Lo Stregone, quindi, non aveva ricevuto nessuna ricompensa e dopo la morte di Sebastian, decise di vendicarsi. A causa di una frattura in uno dei regni demoniaci, riuscì a riacquistare parte dei poteri terreni.
Intanto, gli Shadowhunters e i Semidei si era incontrati. Riuscendo ad approfittare di questo, lo Stregone contattò Ade e riuscì ad arrivare nel suo inferno.
Ad Ade non importava degli Shadowhunters, e quindi acconsentì al piano dello Stregone. 
Però, mentre la creatura metteva in atto il piano, non rapì solo i Lightwood, ma anche il figlio di Ade, Nico di Angelo.
Un po' preoccupato della reazione di Ade, creò una dimensione a parte nello stesso inferno e nascose lì i prigionieri.
Alla fine del racconto, erano tutti sconvolti e, allo stesso tempo, confusi. 
Jace era quello che appariva il più arrabbiato dei tre, ma solo perché Percy era terrorizzato all'idea di quello che avrebbe fatto Ade, e Magnus stava lentamente morendo.
«Non capisco» urlò Jace, avvicinandosi a Magnus e tentando di svegliarlo, «hai i tuoi poteri, cosa vuoi da noi?»
«Lascia andare i nostri amici» intervenne Percy. 
«Nonostante l'aspetto fantastico, non sono ancora perfetto, miei cari amici, manca solo il potere di Bane e raggiungerò l'apice!»
«Magnus... svegliati, dannato Stregone. Avevi detto che non avrei dovuto lasciarti svenire. Magnus...»
Lo scuoteva con talmente tanta energia che, ad un tratto, il figlio di Lilith aprì gli occhi.
«È uno Stregone antico e tanto potente, sinceramente non pensavo che fosse sopravvissuto... È davvero tanto vecchio. Deve essersi nascosto in uno dei regni demoniaci, per tutti questi anni» spiegò Magnus, con un filo di voce.
«Jace, non potete sconfiggerlo, ma Ade potrebbe fare qualcosa...»
«Ma...»
«Zitto e avvicinati, ti spiegherò cosa fare.»

*~*~*

Le ultime parole di Magnus erano state: "quando tornerai, è importate che tu dica ad Alec quanto lo amo", e Jace gli aveva detto che sarebbe stato stesso lui a dire quelle parole. Lo Stregone, però, non lo aveva ascoltato e aveva aggiunto: "ricordagli che... Ricordagli che..."
E poi non aveva più parlato. Il cacciatore temette che fosse già morto, ma invece stava raccogliendo le energie per il suo ultimo atto da eroe. 
Percy, informato del piano, annuì serio. Jace aveva evitato di riferirgli del sacrificio, ma il semidio non era stupido.
Intanto, lo Stregone rosso sembrava immerso nei propri pensieri, ma in realtà stava assorbendo gli ultimi poteri di Magnus.
«ORA!» 
Fu quello il segnale di Jace a Percy (e a Magnus). 
I due impugnarono le spade e corsero verso il nemico, pronto a colpirlo. 
"Ma così lascerà andare Izzy, Alec e Nico."
"Fidati di me."
Lo Stregone rosso sembrava esattamente consapevole di quello che stava per accadere, così non si mosse di molto.
Con un semplice gesto della mano respinse i due guerrieri, che vennero sbattuti conto la parete di pietra. 
E da perfetto malvagio, schioccò le dita, lasciando cadere nel vuoto i corpi dei ragazzo addormentati.
«Siete degli stupidi, ed ora morirete anche voi, insieme al vostro amico.»
«Nico!» urlò Percy e, barcollando, si alzò.
La risata dello Stregone rosso riempì l'aria e la forza che stava scatenando creò una crepa nella parete, che lasciò intravedere la splendida vista dell'inferno.
«Jace...» Percy era agitato. Dov'erano i loro amici?
Jace non lo sapeva, dannazione!
Magnus era troppo debole per mantenere l'accordo sulla sua parte di piano, il cacciatore avrebbe dovuto immaginarlo.
Ma, mentre la potenza del nemico aumentava e si avvenivano i primi lamenti delle arpie, i corpi di Isabelle, Alexander e Nico sorsero nell'oscurità. 
«Ma chi ha osato!
Oh, tu, piccolo Stregone, sei più forte di quanto mi aspettassi.»
Percy sorrise alla vista degli amici, un po' meno quando il corpo di Nico venne scagliato giù dalla montagna, attraverso la crepa.
Era a conoscenza del piano, ma era comunque una visione orrenda a cui assistere. Specialmente se le arpie non fossero intervenute...
«Cosa state combinando!» tuonò lo Stregone e si avvicinò a Magnus, per ucciderlo definitivamente.
«Dobbiamo andare» ordinò Jace, prevedendo Alec tra le braccia.
«Tu prendi Isabelle» aggiunse.
Ma Percy non si stava muovendo.
«Percy, andiamo!»
«Jace... Magnus. No, no, non può.»
Lo Stregone rosso era arrabbiato, iracondo e tutta questa forza sprigionata stava mandando in pezzi la montagna nera.
«Percy, andiamo, o non ne uscirà vivo nessuno. Magnus... Magnus ce la farà» mentì il Cacciatore e, appena il semidio prese Isabelle tra le braccia, tornò indietro, lungo il tunnel precedentemente percorso.

Il corpo di Nico di Angelo precipitò, precipitò e precipitò. Era anche pieno di ferite a causa delle pietre taglienti della montagna nera.
Ma, prima che toccasse il suolo, venne afferrato e salvato da due arpie che si erano accorte dell'accaduto.
Non passò molto tempo prima che Ade si accorgesse di quello che stava succedendo e decidesse di intervenire. 
La montagna stava andando lentamente a pezzi, creando confusione nel regno del dio, ormai furioso. 
«TU, STREGONE» disse e quello che accadde successivamente causò talmente tanto rumore da far scuotere l'intero regno.
Ade, furioso e contrariato, aveva fatto implodere la montagna, nonostante un'esplosione sarebbe stata più scenica, ma avrebbe anche distrutto parte dell'inferno. 
Prima che tutto questo accadesse, però, Jace, Percy, Izzy e Alec erano riusciti ad allontanarsi abbastanza per potersi salvare. 

«Riscatterò il mio debito, Shadowhunters. Siatene sicuri» aveva detto Ade, dopo aver trovato i ragazzi che vagavano ancora nel suo regno.
Aveva mantenuto una strana calma (forse perché Nico era sano e salvo), ma Percy aveva intravisto nei suoi occhi uno strano luccichio malvagio.
Così, il dio aveva indicato loro una diversa via d'uscita, che li avrebbe condotti direttamente a New York. 
Nessuno sapeva come avesse fatto di precisi, né avevano voglia di domandare qualcosa. 
Tutti volevano solo tornare a casa, anche se casa significava più nessun Magnus Bane.

 

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Capitolo 17
*** XVI: Il sacrificio di chi? ***


Si immagina il ritorno a casa come qualcosa di positivo, qualcosa di bello. Si crede che la casa sia il luogo in cui puoi essere te stesso e stare bene con chi ti circonda.
La casa è il posto che condividi volentieri con le persone che ami...

Era passato un giorno dal ritorno dei ragazzi dagli Inferi, ma nessuno era veramente contento. 
Erano tutti apparsi tra le macerie del loft dello Stregone, svenuti ma sani. C'erano tutti, mancavano solo Magnus e Nico. 
Dopo l'arrivo, gli altri presenti erano subito intervenuti: i semidei si erano occupati di Percy, che dopo un sorso di ambrosia era stato decisamente meglio. Avrebbe solo dovuto riposare. 
Alec, Isabelle e Jace erano stati portati all'Istituto e i Fratelli Silenti si erano occupati di loro.
Catarina era arrivata nell'infermeria dell'Istituto qualche ora dopo, trovando sveglio solo Jace. Clary e Simon si erano addormentati sulle poltrone poco comode, accanto ai loro amici.
Fu istintivo per la Stregona cercare il vecchio amico con lo sguardo, sperando di scorgerlo da qualche parte. Anche svenuto e ferito, si sarebbe occupata lei di lui, ma, in verità, non c'era... Dov'era Magnus?
«Non è tornato con noi.»
Le parole di Jace Herondale la colpirono dolorosamente e a stento poté trattenere le prime lacrime.
«La ferita infertagli da quell'essere era mortale. Ha consumato le sue ultime energie per salvare Alec, Izzy e il semidio.»
A quel punto, Catarina non seppe cosa dire, fare.
Stupido, stupido, stupido Magnus. Perché doveva fare l'eroe? Perché non aveva pensato ad un piano migliore per salvare anche se stesso? 
Ingrato, egoista. 
La Stregona corse via. Non voleva essere presente al momento in cui Alec si sarebbe risvegliato. Non poteva sopportare oltre, non poteva riuscire davvero a guardare lo Shadowhunter negli occhi, mentre apprendeva la notizia della morte della persona amata.
Non poteva.

*~*~*

«Dove sarà Nico? Ero sicuro che fosse tornato con noi.»
«Percy, se ciò che ricordi è vero, probabilmente Ade lo avrà tenuto lì con sé per curarlo... Sono sicura che starà bene.» 
«Lo spero.»
Percy era disteso sul bagnasciuga, godendosi l'acqua salata che gli stava rimarginando anche la più piccola ferita esterna. Ma non c'era rimedio per le ferite interne, che non accennavano a guarire. 
Il semidio si sentiva in colpa per Magnus, per Nico e perfino di aver portato scompiglio nel regno di Ade. Avrebbe voluto fare qualcosa, ma non c'era rimedio per la morte.
Annabeth gli si avvicinò lentamente e si inginocchiò nell'acqua al suo fianco. Gli prese la mano e si limitò a tenerla stretta, sperando nel conforto di quel tocco.
Le loro vite sembravano sempre più confuse, avrebbero tanto voluto qualche momento di pace.
«Pensi che dovremmo andare a trovare gli Shadowhunters?» chiese il ragazzo, quasi in un sussurro.
«Penso che, almeno per ora, tu debba restare qui immobile e aspettare Nico, magari. Andrà meglio, Percy, credimi.»
«Sì, sapientona. Hai ragione anche questa volta» disse il Figlio di Poseidone, anche se non ne era pienamente convinto. Sperò solo le onde portassero via al più presto tutti quei pensieri.

*~*~*

Erano rare le volte in cui davvero aveva apprezzato il buio. Solitamente, amava contemplare l'oscurità più assoluta quando sapeva che, dentro di sé, qualcosa non andava. 
C'erano stati tempi bui per tutti, nelle varie realtà e situazioni, ma sapeva che, alla fine, sarebbe comunque sorto il sole. Anche nei momenti peggiori come quello che stava vivendo, ci sarebbe stato un momento di pace. 
Però, non voleva che la pace arrivasse con la morte, perché aveva tanto ancora per cui vivere. Tanto da fare, troppo amore da donare e un'immensa conoscenza da trasmettere a qualcuno, presto o tardi. Forse un erede, forse una semplice persona assetata di conoscenza.
Erano tante le cose che poteva fare, non riuscendo a cambiare il mondo magari, ma forse riuscendo a migliorare se stesso. Aveva una partita di scacchi in sospeso con un'amica, un "ti amo" ancora da pronunciare, fastidio da dare ad un biondino.
Amici da commemorare, amati da ricordare e un futuro da programmare, almeno in parte.
Era per quella ragione che non voleva morire, non voleva scomparire, ma vivere, vivere. Vivere ancora una volta, una nuova vita, la stessa vita, una vita fatta male, ma che gli apparteneva. 
Perché fare gli eroi non aveva mai portato a nulla di buono. Se la salvezza comportava davvero il sacrificio, sulle istituzioni d'uso avrebbero dovuto indicare il sacrificio di chi e la salvezza di chi altro, perché, davvero, quella situazione era davvero uno schifo. 
Perso nel buio più oscuro, la mente vagava libera, senza freni, mischiando eventi passati, sogni, desideri, amori, dolori.
Per un attimo, gli sembrò di vedere perfino quell'amico mai dimenticato, ma semplicemente sepolto nella memoria, per non soffrire.
Quel volto così familiare gli sorrideva un po', ed infatti lo Stregone si ritrovò a pensare: "dovevo aspettare di morire per vedere un tuo sorriso rivolto a me?"
«Ma tu non sei morto, stupido. Anzi, non farti vedere da queste parti ancora per molti anni, sto cercando di rilassarmi, sai?»
Già. Si ritrovò a piangere, senza un motivo preciso, forse solo a causa della nostalgia o per le parole dell'amico.
"Mi manchi, Ragnor. Ogni singolo giorno, come manchi a Catarina. Ha pianto così tanto la tua morte..."
«Porta i miei saluti a Catarina e ora basta, a parlare da solo con la tua stessa mente, non ti sembra ridicolo?
Trova in te la forza di risvegliarti.»
"Ragnor..."
«Mi manchi anche tu, ma ora basta, Magnus. Va' via da qui.»
 

La schiena colpì una superficie dura e quel colpo gli fece mancare il respiro per qualche secondo. Sentiva dolori in ogni parte del corpo, specialmente al fianco. 
Quando aprì gli occhi, ciò che vide fu spettacolare: un trono alto almeno quattro metri sul quale era seduto Ade. Non riuscì a capire se fosse arrabbiato o meno, alla fine comprese che quella era solo la sua espressione standard per gli intrusi che avevano invaso il suo territorio.
La voce del dio tuonò e quel rumore assomigliò molto alla frase: avrei dovuto lasciare che ti disintegrassi.
Magnus non si sentì molto meglio, a quel punto.
«Però, data la mia immensa misericordia...»
Davvero? Quella misericordia doveva avere il nome di Nico Di Angelo.
«Nonostante tu abbia scaraventato mio figlio giù, lungo un muro di pietra, mi è stato riferito che è stato fatto per salvarlo... E lui ora è salvo, qui accanto a me.»
Lo Stregone fece un po' fatica a scorgere Nico, in basso, piccolo piccolo, tra le vesti del padre che sembravano vivere di vita propria. La nuova frontiera del gotico, decisamente.
Nonostante ciò, notò Nico fargli un timido gesto di saluto, per poi tornare a fissare il pavimento nero.
«Che ne è stato dell'altro Stregone?» 
«Diciamo solo che la sua dimensione a parte, creata nel mio regno gli si è ritorta contro e lo ha rispedito dal luogo in cui era venuto.»
«Quindi, immagino che ora la frattura tra i nostri mondi sarà sanata...»
«Quasi, Stregone. Manca un ultimo dettaglio e sarai tu ad occupartene.» 

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Capitolo 18
*** XVII: La consapevolezza della realtà. ***


 

Alec era immobile davanti ai detriti di un loft che, un tempo, considerava casa sua. Era così strano vedere distrutto qualcosa che si era creduto immortale, forte e resistente ad ogni colpo. Pensare quelle cose non lo aveva di certo preservato dalle preoccupazioni, ma gli aveva dato qualche speranza in più. 
Speranza che non ci si aspettava di vedere frantumata lentamente, mattone dopo mattone.
Il Cacciatore fece qualche passo avanti tra i detriti di una felicità che era stata costruita faticosamente, anche attraverso il dolore e le sventure.
I piedi scricchiolarono sopra i resti dei vetri infranti, producendo un rumore simile a quello di ossa spezzate.
Qualche striscia di fumo superstite rendeva il panorama ancora più funereo, come se sapesse il significato di quel giorno.
Ad Alec non importò di sporcarsi i pantaloni bianchi, ne di procurarsi eventuali ferite a causa dei detriti, perché quelle sarebbero guarire. Quindi si inginocchiò tra i pezzi di quello che sembrava un divano e i resti di un mobile del soggiorno (forse, poiché era difficile distinguere tutte quelle cose tra la cenere e alla fine, neanche aveva importanza).
Lo sguardo del Nephilim vagò per un po' tra le macerie della felicità, lanciando che gli occhi fissassero prima una striscia di fumo, poi un piccolo fuoco, poi pezzi di uno specchio che mostrava il cielo azzurro.
Il sole del tramonto rifletteva su quel piccolo e sporco pezzo di specchio rotto, facendo apprezzare al ragazzo il calar del sole anche in quella circostanza. 
Non importava quanto dolore ci fosse sulla Terra e nei cuori delle persone, le cose belle, speciali, rimanevano tali per sempre, immutabili e speciali.
Un po' come lo era stato Magnus, immortale e speciale. Bellissimo e pericoloso. 
Sorprendente e tanto amato.

Alle spalle di Alexander, si era riunito un gruppo di persone. C'erano gli Shadowhunters, alcuni Semidei, c'era perfino Chirone. 
Tutti i loro volti tradivano il dolore che, in realtà, stavano sentendo. Chi più, chi meno. 
Isabelle, Clary, Catarina e Jocelyn sembravano sconvolte, come se non riuscissero a metabolizzare ancora l'accaduto. 
Jace era seduto sull'asfalto scuro, intento a tenere sotto controllo lo stesso dolore che Alec stava sentendo. Per questo, non riusciva neanche a stare in piedi.
Più indietro, Percy fissava un punto indistinto del vecchio loft dello Stregone: non ce la faceva proprio a non sentirsi in colpa. Annabeth, al suo fianco, gli stringeva ancora tanto forte la mano. Forse non aveva mai smesso da giorni. 
Tutto quello era stato fatto per rendere omaggio al Sommo Stregone di Brooklyn, nonostante Alec si fosse inizialmente opposto. Non gli andava proprio di camminare, respirare, vivere, dopo la notizia che aveva ricevuto da Jace.
Il parabatai gli si era avvicinato così lentamente, quando ancora erano in infermeria e Alec gli aveva sorriso, grato di vederlo sano e salvo dopo così tanto tempo. 
A stento poté credere alle sue parole successive. Aveva sperato fino alla fine che fosse uno stupido scherzo, che, appena messo piede fuori dall'Istituto avrebbe trovato Magnus fuori nel giardino, ad attenderlo seduto su qualche panchina...
La consapevolezza della realtà, invece, era arrivata così velocemente che Alexander non era riuscito a sopportare il dolore. Aveva urlato, minacciato di distruggere qualunque cosa e deciso che non sarebbe stato felice mai più nella propria vita. 
«Forse dovremmo dire qualcosa. Ognuno di noi, magari condividere con tutti i presenti un ricordo che abbiamo, insieme a... Insieme a Magnus» propose Luke, quasi sotto voce.
Alec riuscì a sentirlo ugualmente e si accorse anche che, dopo un paio di minuti nessuno aveva ancora detto nulla. 
"Dovrei dire qualcosa?" si chiese, ma era restio a condividere qualcosa con i presenti, specialmente in quel momento. 
Con il dito scrisse qualcosa sul pavimento sporco, approfittando del fatto che ci fosse la cenere: "Ti chiedo solo di smettere di essere morto." (*) 
Un leggero mormorio cominciò ad elevarsi alle spalle dello Shadowhunters; forse, qualcuno aveva cominciato a condividere i ricordi che aveva di Magnus.
Alec preferì comunque rimanere a terra, inginocchiato ad osservare il pezzo di specchio che continuava a riflettere il tramonto. 
Il brusio cominciò ad essere più forte e fastidioso, tanto che il Cacciatore alzò la testa. Era stanco di stare tra le persone, voleva tornare all'Istituto, chiudersi in camera e restare lì per il resto dell'eternità.
Quella parola (eternità) fece apparire un sorriso amaro sulle labbra, dato che gli portò alla memoria tanti, tanti ricordi, ovviamente legati a lui.
Si alzò, sentendo ancora i detriti scricchiolare sotto le scarpe e, quando si girò, per poco non svenne. 
Davanti a lui erano apparse due figure e una di loro era, era...
«MAGNUS.»
Urlò con tutta la voce che aveva in corpo, come avesse cominciato a dare sfogo a tutto il dolore. 
Magnus si alzò a fatica dal pavimento, ma appena sentì la voce di Alec seppe che, da quel momento, tutto sarebbe andato bene. 
Quando i due corpi si strinsero tra le braccia forti, fu difficile per entrambi trattenere le lacrime. E non importava che ci fosse tanta altra gente, in qualche modo, Magnus Bane era tornato e i detriti del suo loft, improvvisamente, non rappresentavano più la felicità distrutta, ma la speranza di un futuro migliore.

*~*~*

Dopo aver soccorso Nico, stanco per il viaggio ombra, non fu complicato raccontare la storia ai presenti. Per Magnus, fu molto più difficile subire i mille abbracci da parte di molti, ancora increduli di averlo lì.
Quando gli occhi dello Stregone incontrarono quelli di Catarina, lei scoppiò in lacrime. Per Magnus fu così bello tenerla di nuovo stretta tra le braccia forti. 
Poi le sorrise tranquillo e le sussurrò: "dopo dobbiamo parlare, mi serve il tuo aiuto."
Ad un tratto, prima ancora che Magnus potesse rendersi conto della propria casa distrutta, notò Percy alle proprie spalle.
«Mi dispiace così t-»
«Non c'è bisogno, Percy. È tutto okay, anzi dispiace a me.»
«Per che cosa?» Magnus non rispose, si limitò ad accarezzargli la testa e poi a sorridergli con fare quasi... paterno.
Percy Jackson avrebbe giurato di aver visto un'espressione sofferente sul suo volto, come se avesse voluto dire qualcosa, ma ci fosse ancora un ulteriore ostacolo.

«Bene, ora posso tornare a casa...» sentenziò lo Stregone ad un tratto, quando ormai tutti erano quasi andati via.
La consapevolezza che la propria casa fosse stata distrutta arrivò dopo pochi istanti.
Urlò ed imprecò in una lingua che nessuno sembrò riconoscere. Osservò con aria inorridita quel che restava del proprio loft, piagnucolando la perdita della casa, dei vestiti, dei mobili.
«Però, il campo di energia che avevi creato ci ha protetti» disse Clary, con la speranza di migliorargli il morale.
«Mi dispiace per i tuoi libri di magia, le pozioni...» continuò Catarina.
«Ah, non devi. In caso di incendio o... esplosione, queste cose sarebbero apparse a casa tua, mia cara amica.»
«Cosa?» 
«Sì, dovrebbe essere tutto nella tua soffitta. 
Poi mi occuperò del loft, tornerà come nuovo...
Per i vestiti ed il resto, ognuno di voi mi accompagnerà a fare shopping.
Ognuno di voi
Improvvisamente, non erano rimaste molte persone intorno a Magnus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[ (*) riferimento ad una puntata di Sherlock. ]

 

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Capitolo 19
*** Epilogo: Ricordi nascosti nel vino rosso. ***


Magnus Bane, Catarina Loss e Chirone erano seduti intorno al tavolo della Casa Grande, al Campo Mezzo Sangue. 
Il vecchio Centauro appariva preoccupato mentre Magnus gli raccontava tutta la storia, ma non si sarebbe mai opposto agli ordini di un dio.
«Ade mi ha riportato in vita, solo per questo motivo. I semidei devono dimenticare tutto ciò che è accaduto. 
Purtroppo, la frattura tra i nostri due mondi deve essere sanata...»
«Beh, capisco.»
«Devo ammettere che Ade è stato abbastanza teatrale quando ha cominciato a parlare della venuta di una sventura. Degli dei che avevano qualche problema... Strano ed oscuro più del solito.»
L'espressione di Chirone tardiva un certa consapevolezza di quelle parole.
«Le cose non vanno bene, per nessun dio, purtroppo. Dobbiamo fare come dice, i nostri ragazzi avranno molto altro a cui pensare, temo. È già tardi, ormai.»
Catarina allungò lo sguardo verso i vassoi contenenti tantissimo cibo fatto apparire e che lei e Magnus avevano modificato, aggiungendo una pozione. Avevano lavorato tre giorni su quella pozione, specialmente per produrne in così tanta quantità.
«Le pozioni non sono molto forti, ma daranno il tempo necessario perché i ragazzi si dimentichino di noi e degli avvenimenti che si legano a noi. Prenderanno il loro posto falsi ricordi, cose che erano soliti fare al Campo» spiegò Catarina. 
Chirone sospirò visibilmente e si toccò la barba con fare pensoso. 
«Appena ce ne saremo andati, si assicuri che tutti abbiano mangiato qualcosa.»
«Sbaglio o tra Percy e una Cacciatrice c'è un... legame?» chiese il Centauro, ad un tratto, ricordandosi di quel particolare avvenimento accaduto tempo prima e che aveva quasi sconvolto Percy.
«La Runa dovrebbe sparire dal corpo del ragazzo presto», spiegò Magnus, «rimarrà solo una cicatrice poco evidente. Per quanto riguarda Clary, non so.»
«Voi tutti non dimenticherete?»
«No, come non lo farai tu, Chirone. Ma tutti gli Shadowhunters avranno l'ordine assoluto di non interferire con nulla che riguardi il vostro modo, ve lo assicuriamo.»
Il Centauro osservò le portate piene di cibo squisito ed annuì un paio di volte.
«Per quanto riguarda il Regno delle Fate?»
«Il Conclave se ne occuperà, ma la situazione è molto delicata, al momento. Le Fate non dimenticano e serbano rancore a lungo» concluse Magnus e si alzò dalla sedia, seguito da Catarina.
«È stato fantastico conoscere il vostro mondo, Chirone. Spero andrà tutto bene.»
«Arrivederci, maestro» disse Catarina e sorrise gentile.
«Arrivederci a voi, anche se, in realtà, è un addio.»
 

*~*~*

Percy stava sorridendo agli Shadowhunters appena arrivati. Aveva fatto fare loro un giro per il Campo, avevano combattuto un po' insieme e poi aveva portato tutti sulla spiaggia, mostrando loro la sua personale bravura con l'acqua. Era riuscito a sorprendere perfino quell'Herondale.
Al tramonto, erano di nuovo tutti riuniti all'albero che segnava il confine tra due mondi.
Da lontano, i ragazzi notarono che anche i due Stregoni stavano arrivando.
Grover sorrise e strinse la mano a tutti i presenti; Annabeth abbracciò forte Clary e Isabelle; Percy si stava ancora intrattenendo in un'interessante conversazione con Simon, invece, Nico guardava tutti da lontano con il suo solito sguardo freddo.
«Non voglio dimenticare» sussurrò a Magnus, ad un tratto. Lo Stregone sospirò, mesto. Ovviamente, anche il ragazzo era presente quando Ade aveva dato istruzioni a Magnus, quindi sapeva la verità. Ma non sapeva che la pozione era dentro il cibo ed il resto. Nico non era solito intrattenersi alle feste e alle cene al Campo, era per quella ragione che Magnus gli aveva regalato un cioccolatino. Forse banale, ma il ragazzo lo aveva accettato e mangiato. Tra poche ora i Cacciatori e il resto sarebbero stati solo un sogno, anzi neanche quello.
«Bene, possiamo andare» disse Jace, ad un tratto, dopo aver stretto la mano a Percy Jackson, come una sorta di tregua.
Si allontanarono tutti verso il prato, pronti ad andare via.
«E stato un piacere, piccoli Semidei. Mi raccomando, siate sempre uniti» salutò Magnus.
«Sembra un addio, non sai fare di meglio?»
«Zitto, Testa d'Alghe.» Annabeth intervenne e diede una spinta al fidanzato.
«A presto, ragazzi» disse poi, la Figlia di Atena.
Sì, a presto.

*~*~*

Era stato difficile spiegare il perché della scelta di Magnus, scelta che non aveva neanche preso lui, inoltre.
«Ma perché hai accettato? Sai bene, quanto i ricordi possano essere importati per le persone!» esclamò Clary. Per fortuna Simon non c'era, pensò lei.
«Perché, Magnus?»
«Perché è stato l'unico modo che ho avuto per tornare, Clary. Sono vivo solo perché ho acconsentito a questo. Certo, fare un patto con un dio della Morte non è il massimo, ma si tratta di sopravvivenza.»
A quel punto, nessun altro parlò.
In un paio d'ore, Magnus era riuscito a ricostruire il loft ed ora stava facendo apparire dei mobili per arredarlo.
Jace, Clary, Isabelle e Catarina ( che era lì anche per curare finalmente la ferita sul fianco dell'amico, che ormai non era più mortale ) si erano riuniti per dare un aiuto allo Stregone.
«E poi, ci sono cose che vanno oltre la nostra comprensione. Qualcosa di malvagio sta arrivando e, ormai, riesco a percepirlo anche io.»
«Se le cose stanno così, non potremmo aiutarli?» propose Herondale.
«No» rispose Catarina, «ormai il velo tra i nostri due mondi si è richiuso e così dovrà essere sempre.»
«Dico davvero, ragazzi» continuò la Stregona, «anche se ogni scelta vi appare sbagliata, capite bene che certe cose non vi riguardano e che voi dovete difendere il vostro di mondo.»

*~*~*

Chairman Meow era apparso sul letto di Magnus a notte fonda, quando Alec si era già addormentato. Non aveva smesso di stringerlo un attimo, come se avesse ancora paura che potesse andare via.
Il gattone prese posto accanto al padrone e fece le fusa, felice di riaverlo lì. Era una fortuna che Magnus lo avesse reso "speciale", in tal modo non gli sarebbe mai accaduto niente di brutto.
Il Figlio di Lilith, stanco, soppesò nella propria mente tutti gli avvenimenti che erano accaduti: si sentiva in colpa, ma era felice di essere ancora vivo.
Ripensò, ad un tratto, alla Profezia della ragazza dai capelli rossi: i Semidei avevano incontrato gli Shadowhunters e tutti hanno dovuto pagare il debito lasciato da Sebastian Morgenstern. 
Triste e senza speranze era tornato chi aveva incontrato lo Stregone rosso, ma, alla fine, la salvezza era stata l'incontro tra i due mondi contrapposti. 
Magnus rise, pensando a quante cose la Profezia non avesse detto... Non che credesse davvero ad ogni parola...
Socchiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.
Alexander gli era vicino, nessuno era morto, lo Stregone rosso era sparito e, per una volta, lui poté tirare un sospiro di sollievo e godersi un calice di vino rosso tranquillamente.

 
 
 
 
Ringrazio davvero tutti coloro che hanno seguito, letto, recensito la storia.

Spero che vi sia piaciuta, perché io ho amato davvero scriverla.
Far incontrare due mondi a me così cari è stato fantastico e magico. 
Mi scuso per l'enorme ritardo di aggiornamento, ma finalmente siamo alla fine. Il che mi rende un po' malinconica, ma è okay. Un giorno, forse, qualcosa potrebbe cambiare. (Gli incontri sono sempre inaspettati.)

Ad ogni modo, grazie a tutti. ]

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