Avevo nove anni, ed era un giorno di inizio primavera. Ricordo
esattamente il calore del sole, l'odore di carta che riempiva la libreria, il
chiacchericcio della folla visibilmente agitata. Non potrei dimenticare come stringevo
la mano di Davide, il mio migliore amico di sempre, e pensavo che quello era il
giorno più bello di tutta la mia vita. Doveva esserlo. Stavo per
incontrare E.D., il mio scrittore preferito, alla sua prima apparizione pubblica.
Avrei scoperto il volto del misterioso uomo che aveva scritto i libri più
belli, più intensi, più forti che io avessi mai letto. "Ti
rendi conto, Davide? E.D. sarà qui tra poco, e potrò vederlo, parlargli,
e... " Lui, accanto a me, sbuffò. Era bassino e magro, con un folto
ciuffo di capelli che gli ricadeva sul viso. "Io l'ho letto il libro che
mi hai prestato, e nemmeno mi è piaciuto." Non potei fare a meno
di scuotere la testa. "I suoi libri sono così intensi, forti, e ogni frase sembra musica..." Davide alzò
le spalle. "Sarà, ma io preferisco giocare a Super Mario. Perchè
non hai chiesto a Dafne di accompagnarti?" "Aveva un impegno."
spiegai. "E poi a lei non piace E.D." "Nemmeno a..." "Shhhh!"
lo zittii, strattonandolo. E.D. era entrato nella stanza, e fui estremamente stupita
quando mi resi conto che Endre D., E.D. in arte, non era che un ragazzino. Aveva
diciotto, forse diciannove anni, e lo sguardo cupo e quasi impaurito. Non parlò,
non salutò, non sorrise. Prese posto e iniziò a firmare autografi
alle persone in fila, con movimenti automatici, come se la sua mente si trovasse
in un universo parallelo e il corpo fosse lì a gestire le mansioni poco
piacevoli. Quando fu il mio turno, sorrisi e porsi la mia copia di "Peccato
originale", eccitata. Lui incrociò il mio sguardo. "Hai dei bellissimi
occhi, piccolina." osservò, senza la minima emozione. "Sembrano
riempirsi di luce ad ogni tuo movimento. Sei felice?" chiese. Davide alzò
le sopracciglia. "Sophie è sempre felice..." Mentre arrossivo,
Endre mi sfiorò appena la mano e mi osservò come se fossi una creatura
rara. Quattro mesi dopo, nelle librerie di tutto il mondo uscì il nuovo
successo del caso letterario dell'epoca: si chiamava Sophie, e parlava di una
bambina dagli occhi color acquamarina che arrossiva delicatamente. "Sono
la sua assistente personale, Davide. Puoi crederci?" chiedo al mio coinquilino,
che occupa l'altra metà del divano. Abitiamo insieme da circa quattro anni,
ormai: io, lui e Dafne. "Sì, dato che non fai altro che ripeterlo
da una settimana." mi risponde lui, sfogliando distrattamente una rivista
scientifica. "Senti questa: la fisica quantica risolve l'enigma del gatto
nella scatola ipotizzando che il gatto sia vivo e morto, ma in due universi paralleli." Sbatto
le ciglia più volte. "Sì, certo. Credi che si ricordi di me?" "E'
ovvio! " risponde lui, con un velo di ironia nella voce. "Sono sicuro
che un uomo che ormai scrive articoli per ogni giornale, colleziona presenze in
tv e nelle trasmissioni radiofoniche si ricorda di ogni sua fan! Del resto sono
passati solo quattordici anni, no?" "Ma mi ha dedicato un libro!"
protesto, mancando Davide con un cuscino foderato di stoffa lucida. "Quante
volte devo dirtelo? E' stata sicuramente un coincidenza." Sbuffo. "Quante
persone si chiamano Sophie, Davide?" "Per prima cosa, molte. E poi
tu hai gli occhi azzurri, non color acquamarina." "Questo non è
vero. Sono proprio color acquamarina." replico, avvicinandomi al mio amico.
"Tu non noti mai i dettagli." Lui scuote la testa, ridendo. "Ripeti
le stesse cose da diciannove anni. Diciannove!" Sospiro. Sono diciannove
anni, infatti, che Davide non fa caso ai dettagli. Né ascolta quando viene
richiesta la sua attenzione; tantomeno, ricorda appuntamenti, compleanni o eventi
importanti. Persino ai compiti di storia, alle superiori, non riusciva a tenere
in mente nomi, alleanze e guerre. "Sophie." sussurrava sempre. "Ma
in che anno...?" Allungo le gambe, occupando ben più della mia
metà del divano, ma Davide non sembra notarlo. "Sono terribilmente
eccitata. Lui è un genio, è il genio. Certo, il finale del
suo ultimo libro era piuttosto scontato e..." "Ecco, ci risiamo."
scuote la testa, improvvisamente serio e rassegnato. "Ci risiamo, Sof. Pensavo
stessi cercando di smettere." Cerco il suo sguardo, per poi rivolgergli
un'occhiata interrogativa. "Di straparlare, intendi?" "Esatto."
Lo dice con aria grave, come se stesse parlando del peggior vizio del mondo. Straparlo
ogni tanto, in effetti. Ma non è niente di insopportabile. Non per me,
almeno. "Sto ancora cercando di smettere." mento, alzando le spalle. Davide
ride, facendomi dimenticare l'espressione seria di prima. "Tranquilla, sei
ugualmente adorabile. E a proposito di lingue lunghe..." si interrompe un
secondo, giusto il tempo di parare il mio cuscino. "Ha chiamato tua madre,
e una delle tue innumerevoli sorelle. Emily, credo. O Charlotte. O forse era Maria.
Ad ogni modo, tua madre è preoccupata perchè ha visto E.D. in tv
e non le è sembrato affidabile, e mi ha trattenuto circa un'ora, spiegandomi
per filo e per segno perchè ti vietava di leggere quei libri, da bambina.
Ne hai davvero letti tre in un giorno?" chiede, piuttosto scettico. Annuisco.
"Erano brevi. Mia sorella?" "Ha squittito che era
eccitata e felice per te, che Endre D. è un gran figo, per usare
le sue parole, e che ti invidia da morire. Potevo sentire che stava saltando,
persino attraverso il telefono. Ora che ci penso, deve essere Emily." Sospiro.
Conosco bene quella descrizione. "E' Emily." Segue qualche
minuto di silenzio, scandito solo dal pesante ticchettio dell'orologio che occupa
buona parte del muro. Non ho mai capito perchè Dafne abbia dovuto comprare
un orologio tanto grande, ma credo sia qualcosa collegato al Feng Shui. "Senti
questa!" riprende Davide, che è passato ora a sfogliare una rivista
di cucina. "La cucina molecolare permette di creare il gelato tramite l'azoto
liquido." Non ho idea di cosa stia parlando, e osservo distrattamente
le mie mani. "A proposito di gelato, quando pensano di aggiustare l'impianto
di riscaldamento? "L'idraulico ha detto che verrà la prossima settimana." Mi
gratto la testa, riflettendo. "Da quante settimane l'idraulico ci dice che
verrà la settimana prossima?" "Quattro." risponde Davide,
alzandosi e mettendo a posto minuziosamente il cuscino. "Lo so, lo so, dovrei
parlarci." "Dovresti minacciarlo di morte." suggerisco, sdraiandomi
completamente sul mio scomodissimo divano verde scuro. Davide, in piedi, mi osserva
con un sorriso divertito, e mi scompiglia i capelli affettuosamente. "Sei
proprio bella, Sof. Sono sicura che Endre D. ti adorerà." Ecco
perchè lo adoro: sa dire la cosa giusta al momento giusto. "Grazie."
sussurro, girandomi sulla pancia come un gatto assonnato. Dafne entra in quel
momento, esordendo con un "Da quando abitiamo al Polo?" E' minuta, magra,
quasi spigolosa, con capelli scurissimi e una carnagione lattea. "Lo so,
lo so." è la risposta di Davide, che non ammette repliche. "A
chi tocca cucinare, stasera?" "A me!" esclama Dafne, felice.
"Vi preparo uno stufato di tofu in brodo..." spiega, dispondendo alcune
buste in cucina. Davide mi rivolge un'espressione sofferente, che non posso
fare a meno di ricambiare. "Sopporta." gli dico, sottovoce. "E'
solo una volta a settimana, in fondo." Dopo una cena a base di tofu insipido
e racconti sull'ultima lezione di yoga -"Devo farti conoscere il mio maestro,
Sof, è talmente sexy..."- decido di andare a letto. Ho bisogno di
energie, perchè tra qualche ora sarò davanti alla porta di casa
D., e la sua attuale assistente -Bianca, mi pare si chiami- mi darà tutte
le istruzioni necessarie. E rivedrò il mio scrittore preferito di sempre,
perchè in fondo devo ammettere che non ho mai dimenticato quello sguardo
enigmatico e il suo modo di guardarmi, quasi come se mi stesse studiando. Affondo
la testa nel cuscino e, finalmente, dormo. Sono le
otto, quando arrivo davanti alla villa di Endre D. Non è affatto come immaginavo:
piuttosto piccola, bianca, dall'aria modesta. Non mi sembra neppure di scorgere
alcuna piscina, ma c'è qualcosa nel piccolo giardino varipinto che infonde
buon umore. Noto anche una piccola serra, dalla quale una pianta di limoni fa
capolino. Respiro, cercando di farmi forza. Rimango davanti al cancello almeno
dieci minuti. Sono pronta. Sono pronta. Prontissima. Ho il vestito giusto, le
scarpe giuste, il trucco giusto. Avrò bisogno anche di qualche risposta
giusta, ma non posso procurarmente, adesso. "Sono pronta!" esclamo,
a voce alta. "Bene, perchè abbiamo il videocitofono e francamente
mi ero stancata di aspettare." mi risponde una voce femminile metallica,
proveniente dal citofono. Nascondo il viso tra le mani. "Sono Sophie Gràìn."
sussurro, rossa per l'imbarazzo. Il cancello si apre, e percorro il piccolo sentiero
che conduce alla casa in religioso silenzio. Ad accogliermi alla porta c'è
una ragazza bionda dagli occhi scuri come l'inchiostro. "Ciao, Sophie, io
sono Bianca. Prego, entra, ti faccio fare un giro della stanze." Sfilando
il cappotto, accenno un sorriso imbarazzato. Seguo Bianca, che mi mostra stanze
ampie, ben arredate, dai colori tenui e tenute in perfetto ordine. "E
queste sono le stanze degli ospiti." spiega, indicando una lunga fila di
porte in legno scuro. "Non che Endre abbia mai ospiti." sembra quasi
ridere sotto ai baffi. "Dov'è la stanza di Endre?" chiedo,
curiosa. Bianca ridacchia nuovamente, come se fosse a conoscenza di qualcosa
estremamente divertente e non potesse dirmelo. "Al piano di sopra. Endre
vive lì, e a nessuno è permesso salire, eccetto a Inga, la domestica,
che può pulire due volte al mese. Azzardati a salire e verrai licenziata
in quattro secondi. E' così che ho avuto il mio posto: l'assistente precedente
era salita per portare da mangiare a Endre, dato che non mangiava da più
di ventiquattro ore. Aveva paura stesse male. Dovresti sapere che a volte Endre
non mangia per un paio di giorni, ma non è affatto un problema." Sono
quasi spaventata, ma cerco di sembrare il più calma possibile. "Quello
è il mio studio?" chiedo, indicando un'angusta stanzetta con un pc,
un telefono e una scrivania traballante. "Esatto. La tua comunicazione
con Endre, in casa, sarà sotto forma di e-mail. A lui non piace parlare,
in ogni caso." Mentre appoggio la mia borsa sulla scrivania, mi guardo
intorno. La stanza è minuscola, bianca, e fa quasi paura. "Allora!"
esclama Bianca, in un tono forzatamente allegro. "Immagino che dovrei parlarti
di lui, no? Di Endre. Da dove inziare?" posa un dito sulle labbra piene.
"Allora, Endre è un mostro. Non ha anima, cuore, insomma. E' freddo
e crudele, e non perderà occasione per umiliarti e farti piangere. Adora
torturare le sue assistenti, ma in genere in pubblico ha un certo contegno."
la ragazza osserva la mia espressione terrorizzata e mi dà una pacca sulla
spalla. "Oh, ci farai l'abitudine. Ovviamente abiterai a casa tua, ma sappi
che lui potrebbe chiamarti nel bel mezzo della notte per mandarti dall'altra parte
della città a prendere alcune copie di un manoscritto che vuole rileggere.
A volte lo fa per puro sadismo, credo. Viaggerete spesso. Endre ha qualche casa
in giro per il mondo e ogni tanto soggiornerete lì, altrimenti in qualche
hotel di lusso. Questa è la parte divertente!" Deglutisco, pensando
che non mi sembra affatto divertente. Ma non parlo. "Ora, la tua mansione
è semplicemente fare quello che ti chiede, ma ci sono alcune regole che
devi assolutamente rispettare. Punto primo, mai porre domande. E mai contraddirlo.
Non devi suggerirgli di mangiare meglio, bere meno o cambiare vita. Ah, a proposito,
questa è la lista della spesa settimanale." Mi porge un figlietto
spiegazzato, che leggo attentamente. Pane, tonno in scatola, fagioli in scatola,
acqua, coca cola, burro d'arachidi, tortillas, pollo surgelato e mele. Non esattamente
una dieta corretta e bilanciata. "Endre mangia di sopra." continua
Bianca. "Usa la cucina del piano di sotto solo in rarissime occasioni. Dov'ero
rimasta? Ah, sì, certo. Endre è claustrofobico, e soggetto a crisi
di panico. Ovunque vada, dovrai assicurarti che le scale siano agibili. Non prende
l'ascensore. Detesta anche le macchine e gli aerei, quindi in caso di viaggi devi
assicurarti che nessuno gli parli o lo tocchi. La cosa vale anche per te, ovviamente.
Nel caso avesse, per qualche ragione, una crisi di panico, cerca di ignorarlo.
Gli passano in qualche minuto. In genere suda freddo e non riesce a respirare,
ma l'unica cosa che conta è che tu non lo tocchi. Endre odia essere toccato,
beh, tranne dalle sue donne ovviamente." "Le sue donne?" chiedo. "Una
diversa ogni sera, più o meno. Verso le undici esce, e Dio solo conosce
la sua meta. Feste, festini, cose del genere. Torna quasi sempre con una bella
donna, e quella è la stanza che... beh... hai capito. Non entrarci per
nessuna ragione." "Credo che rimarrò confinata nel mio studio."
rispondo, senza mostrarmi troppo simpatica. "Non è una cattiva
idea. Endre ha un solo amico, comunque, il londinese. Si chiama Edward e sta spesso
qui. E' simpatico. Umano, almeno." Sospiro. Il ritratto di E.D. non solo
non corrisponde affatto ai miei pensieri, ma neppure ai miei ricordi. Possibile
che quel ragazzo dallo sguardo cupo ma gentile si sia trasformato in un mostro
senza cuore? "Ah!" esclama Bianca, come se avesse improvvisamente
ricevuto l'illuminazione. "Lui è davvero bello, ma non provarci mai.
Non si fa le assistenti, purtroppo. E' per questo che mi ha licenziata." Dalla
mia posizione, mi sembra di scorgere una figura che ci osserva dalla penombra
del corridoio. Mi sporgo leggermente, ma la figura scompare proprio come era venuta. Stropiccio gli occhi. "Allora..." chiedo. "Quando
lo vedrò?" Bianca alza le spalle. "Quando avrà bisogno
di te. Ti lascio il mio numero, comunque. Per ogni evenienza." Fingo un
sorrido e mi guardo intorno. Non so bene perchè, ma ho quasi l'impressione
che questa sarà la mia nuova prigione, per un po'.
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