Broken Rose di deba (/viewuser.php?uid=122551)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** epilogo ***
Capitolo 1 *** capitolo 1 ***
capitolo 1
Broken Rose
PROLOGO
Ripenso
spesso a quel momento.
In
quell’istante ero quasi convinta di vivere un deja vu, di vivere un momento già
successo e in qualche modo, lo era davvero, solo, stavolta c’eri tu nei miei
pensieri. Tu e le tue parole.
“Non puoi prenderti la
colpa di tutto”.
Una
cosa che tendevo fare spesso all’epoca. Credevo che il mondo girasse intorno a
me e che ogni evento fosse direttamente legato a me. Che ipocrita che ero,
eppure non ero certo una che tendeva a mettersi in mostra, o forse si. Forse lo
facevo davvero.
Magari
è questo che ti ha fatto attrarre a me, così uguali e così diversi.
Quell’istante
in cui allungasti la tua mano, quando ormai sapevo che la morte sarebbe
arrivata, lo capimmo entrambi, quello che ci legava era amore.
Vero
amore.
Capitolo 1
“Ehi,
vecchio!”
Dissi
con molta ‘educazione’ al mio mentore, mentre lo raggiungevo alla nostra solita
ora di allenamenti.
Lui
stava in piedi all’entrata della palestra, con la solita postura che
caratterizzava tutti i guardiani, la sua forse era più rigida. La sua
espressione poteva lasciar intendere che fosse abbastanza sull’incazzato, ma la
scintilla divertita nei suoi occhi indicava che non se l’era presa per il modo
in cui lo avevo chiamato, ormai c’era abituato o rassegnato, dipendeva dai
punti di vista. Certo, di fronte ad altra gente non mi permettevo tale
espansività, perché se c’era una cosa che avevo imparato, era che non importava tu fossi un umano, un vampiro o un
dhampir, perché se eri un adolescente al 99%, spettegolavi su tutto ciò che ti
arrivava a tiro. Inoltre, se vivevi dentro quattro mura come me, le notizie facevano
presto a correre e ad arrivare all’orecchio degli insegnanti e soprattutto del
preside Thompson, il quale (sue testuali
parole) era stufo di vedermi e darmi punizioni.
Forse
vi starete chiedendo su cosa sto farneticando, scusate, mi presento.
Sono
Rose Hathaway ho 17 anni e vivo nell’accademia St. Thomas, in Atlanta. Questa
accademia è un po’ speciale, perché come accennavo prima, è frequentata da
vampiri e dhampir. Non stiamo certo parlando di vampiri alla twilight (magari… ), perché questi, a differenza
del bello e dannato Edward Cullen, nascono da genitori vampiri e vivono una
vita lunga quanto un uomo umano può sperare. Non sono immortali, ma non si
ammalano praticamente quasi mai, hanno dei sensi un po’ più sviluppati e alcuni
di loro sono specializzati in qualche potere che varia tra l’aria, l’acqua, il
fuoco e la terra. E poi ci sono i dhampir, ovvero quelli come me, che nascono dall’unione
tra un umano e un moroi, come noi
chiamiamo i vampiri. Possiamo nascere anche da un moroi e un dhampir, ma mai da
due della nostra specie. Bah, va capire tu la selezione naturale. Pace Darwin.
Noi
dhampir non abbiamo poteri, però siamo forti e veloci, abbiamo la parte
migliore dei moroi e quella degli umani, il sole ci abbronza e il sangue non ci
tocca, a parte ai deboli di stomaco; è questo che ci permette di svolgere al
meglio il nostro lavoro, quello per cui io ora sto studiando in questa accademia,
ovvero diventare guardiano, al fine di proteggere loro, i moroi. Vi starete
chiedendo: proteggere da chi. Dai strigoi.
Un
umano, un dhampir o un moroi possono divenire uno strigoi in seguito ad una
trasformazione dettata da un singolo morso, oppure un moroi affascinato
dall’idea di immortalità potrebbe trasformarsi volontariamente, uccidendo una
persona nutrendosene.
Lo
strigoi è un mostro che uccide e purtroppo a differenza dei moroi, è immortale
e doppiamente più forte, ma non invincibile. Il sole lo incenerisce, come il
fuoco, la decapitazione lo uccide e un paletto d’argento forgiato dai quattro
poteri dei moroi lo annienta. Per fortuna lui non possiede i poteri dei moroi,
ci mancherebbe altro, tuttavia solo i guardiani riescono a tenergli testa, grazie
alla nostra predisposizione genetica al combattimento e alla preparazione che
riceviamo in queste accademie. Proteggere i moroi è fondamentale, soprattutto
per preservare la nostra specie.
Non
tutti i dhampir però diventano guardiani, alcuni scelgono di ritirarsi, di
vivere tra gli umani, troppo codardi per vivere questa vita penso io, ma
ammetto che sono pochi i maschi che lo fanno. Al contrario le donne. Poiché i
dhampir possono procreare altri dhampir solo con un moroi, si penserebbe che la
cosa non sia molto un problema. Sbagliato. Le moroi non si darebbero mai solo
per riproduzione, loro si sentono di essere superiori, ciò non sfiora i moroi
maschi, che se la spassano alla grande, ma nessuna moroi si preoccupa, perché
sa che nessuno di loro sosterrà mai un relazione lunga con noi. Così ne esce un
elevato numero di madri single che si allontanano da questo mondo e
preferiscono allevare i loro figli tra gli umani, o in comunità. Quest’ultime
però non godono di buona reputazione.
Come
avrete ben capito non è quello che è capitato a me. Mia madre è un guardiano
popolare, uccide a dritta e manca, vive per il suo lavoro. Non ricordo
perfettamente il suo viso, è un po’ che non la vedo. L’indifferenza nei suoi
confronti regna sovrana, anche se a volte mi chiedo se non avesse potuto
cercare di creare un legame tra noi.
Come
non detto, non voglio pensarci, già il solo fatto che sia quasi una celebrità
mi irrita all’inverosimile, poiché sono più che certa che tutti si aspettino
che sia una buona erede delle sue capacità. Vedo gli insegnanti guardarmi
delusi quando non mi comporto come loro desidererebbero e questo mi fa
incavolare il doppio, e ne combino di
peggio.
Ecco
perché mi sono ritrovata con un mentore, l’accademia spera che io cambi, ma
credo che anche il vecchio stia per perdere le staffe.
Il
vecchio in questione è un russo, Nikolai Lazar, nella sua giovinezza è stato
uno dei guardiani più temuti, ora ha 60 anni e fa da istruttore in questa
accademia e devo ammettere che mi da tanto filo da torcere, sarà vecchio, ma
non riesco mai a batterlo in combattimento, maledetto!
“Quale
onore, pensavo non saresti venuta!” mi dice lui con serietà e il suo accento
marcato russo.
“Stavo
per prendere a pugni un reale dalle mani lunghe, ma poi ho visto l’ora e sono
corsa qui!” gli dico angelicamente.
I
suoi occhi si chiusero in segno di disperazione.
I
moroi non sono tutti uguali, o meglio, sono divisi in casate e una decina di
queste hanno origini così vecchie, che oggi vengono considerate reali. Sono più
ricchi degli altri, e di conseguenza pretendono di fare tutto ciò che vogliono.
Motivo per cui si avvalgono di più guardiani che li proteggano. Leggende
metropolitane narrano di moroi che con i loro poteri si battevano a fianco dei
guardiani contro gli strigoi, ma se così fosse, si tratterebbe di un bel po’ di
tempo fa.
Le
ragazze dhampir, che in questa accademia sono ben poche, sono un po’ diverse
dalle ragazze moroi. Queste ultime sono bellissime da togliere il fiato, sembrano
modelle, ma sono così magre da non avere molte curve, quello che invece non si
può dire per le dhmapir. Siamo magre si, ma abbiamo tutte la curve al posto
giusto, cosa che fa girare la testa ai moroi più del dovuto. Ecco perché tanti
moroi non hanno problemi a fare figli con le dhampir, ma i moroi, soprattutto i
reali, non possono abbassarsi ad una vita con loro, sarebbe ad oltre modo
scandaloso.
Ed
ecco perché quel Ivashkov dalle mani lunghe aveva provato a palpeggiarmi,
perché lui, come tanti stupidi di questa scuola, pensa che mi sarei gettata fra
le sue braccia solo per il fatto di essere un reale. Ammetto che sia stato
coraggioso, non godo certo di buona reputazione qui, non che io abbia cercato
di essere mai amichevole vero, però di amici ne ho ben pochi. Con i moroi ambo i sessi tengo le distanze. Agli
occhi dei maschi sono tipo “bella impossibile”
e quindi chi di loro riuscirebbe nell’impossibile, sarebbe un dio.
Patetico! Agli occhi delle moroi sono una minaccia. Mah!
Loro
saranno la mia priorità un giorno, lo so, ma per il momento con questi idioti,
non voglio avere niente a che fare.
Per
quanto riguarda gli altri novizi, ovvero dhampir che studiano a diventare
guardiani, bè con la scusa di ‘allontaniamo
la fama di mamma’, non ho creato buoni rapporti con alcuni di loro, poiché
tutti volevano sapere le storie delle battaglie del guardiano Janine Hathaway,
ma come spiegare che neanche io conosco quella donna? E poi in un posto in cui
ti vedono crescere fin da quando avevi 4 anni, se si fanno un’idea di te, non
la potrai più cambiare.
“Rose,
Rose, tante volte mi ricordi Dimka.”
Ritorno
al vecchio che mi guardava esasperato, ma a mio parere divertito.
“Dim..
chi? Ah, si. L’altro suo allievo. È poi mai riuscito a raddrizzarlo?”
Nikolai
in alcune situazione esasperanti mi diceva che gli ricordavo un dhampir a cui
aveva fatto da mentore anni prima in Siberia, sembrava fosse un caso perso come
me.
“Oh,
si. È stata una delle mie più grandi soddisfazioni.”
Gli
si leggeva orgoglio negli occhi.
Cercavo
di immaginare questo Dimka come una versione più giovanile del vecchiaccio, ma
continuavo a vedere un Nikolai dai capelli grigi e al massimo senza qualche
ruga, era orripilante. Certo il vecchiaccio se li portava bene i suoi anni, ma
nella mia mente contorta avevo creato un mostro.
“Non
ci riuscirai con me vecchio!” gli dissi con sfida.
“Vedremo!
Ora muoviti!”
Sbuffai
e iniziai i miei allenamenti con la solita corsa intorno all’accademia. La
prima lezione, ricordo ancora, era stata: se sei di fronte a uno e più strigoi
e non hai armi a tua disposizione, corri! Io avevo riso, me lo ricordo bene, ma
lui aveva sbraitato per una buona mezz’ora che loro sono veloci e neanche
correndo mi sarei salvata. Così zitta e mosca per tre settimane non avevo fatto
altro che correre come un ghepardo. Ero più che certa, che sarei stata in grado
di fare un solco tutto intorno all’edificio a furia di correre
Dopo
un paio di giri sentii un movimento fugace al mio fianco e notai Nikolai.
“Sicuro
di farcela a starmi dietro?” lo rimbeccai.
Lui
in tutta risposta mi fece un ghigno e mi sferrò un pugno, che ovviamente non
avevo previsto. Mi prese su una costola e mi fece deragliare.
“Accidenti
a te!” riuscii a dire tra un affanno e l’altro.
Ultimamente
aveva iniziato a farmi attacchi a sorpresa, ma mai mentre correvo. Dannato.
Mi
rialzai sbuffando.
“Oggi
dovevamo iniziare con i paletti!” gli dissi in tono da bambina capricciosa.
Lui
rise ironico.
“Se
avessi parato quel pugno, forse!”.
Lo
guardai sbalordita.
“Ma…
mi hai preso alla sprovvista!”.
Camminò
avanti e indietro con le mani dietro la schiena, per poi fermarsi e con scatto
teatrale della testa, la girò verso di me disse: “Imparerai mai che qui si
parla di combattere con degli strigoi? Con loro niente è preparato, niente è
facile. Mettitelo in testa!”
Non
riuscii a controbattere, perché quella era una di quelle rare volte che potevo
ammettere almeno a me stessa che avesse ragione e che io avevo sbagliato.
Abbassai
lo sguardo e lui mi mandò nella sala dei manichini finti strigoi a combattere
contro di loro con mosse base. Come dire: umiliante.
Mentre
tenevo su la guardia e sferravo pugni e calci, ripensai a mia madre. Non amavo
parlare di lei, perché era quello che era. Ma cosa era? Una madre mancata o un
guardiano fantastico? Odiavo quello aveva fatto o quello che avrei voluto essere?
Invidiavo a quanto pare un po’ la sua fama, perché la mia allo stato apparente
delle cose era pessima: attacca brighe e irresponsabile; di certo doti poco ben
viste in un futuro guardiano.
Presi
ad arrabbiarmi così tanto che tirai un pugno al manichino al punto da farlo
saltare via dalla sua base e che andò a
sbattere contro un paio di sacche facendo tintinnare qualcosa a terra. I miei
occhi parvero scorgere il gioiello più bello che avessi mai visto, un paletto.
Mi
avvicinai lentamente e lo presi con mani tremanti, era la prima volta che ne
vedevo uno così da vicino, figuriamoci prenderlo in mano. Era lungo come un
avambraccio, appuntito da una parte e con un’elsa di pugnale dall’altra. Era
leggero eppure sentivo il peso di quello che avevo in mano, o meglio del suo
significato.
Mi
avvicinai sognante ad un manichino e provai ad infilzarlo, ma con mio stupore
non ci riuscii.
“La
cosa più brutta che abbia mai visto fare!”
Mi
voltai di scatto e vidi il vecchio guardarmi dall’ingresso della sala. Da quanto
era li? Giusto in tempo per la mia figuraccia o da prima? Dubito che mi avesse
lasciato prendere in mano il paletto se fosse così.
“Non
so di cosa parli, stavo solo… solo…”
Solo
cosa? Provando ad infilzare un stupido fantoccio strigoi, fallendo amaramente?
Sbuffai
a braccia curve. Lui si avvicinò.
“Dov’è
il cuore Rose?”
Volevo
rispondergli che era un fantoccio, ma mi morsi la lingua, oggi l’avevo già
combinata grande.
“Il
cuore è qui, ci si passa attraverso lo sterno e le costole.”
Lessi
una scintilla di approvazione nel suo sguardo serio. Le lezioni scolastiche,
quelle scritte soprattutto come la matematica, le seguivo a giorni alterni, ma
chissà perché tutto ciò che poteva riguardare anche solo lontanamente gli
strigoi, mi interessava. A volte perfino andavo in biblioteca a leggermi libri
enormi, e cavoli mi stupivo di me stessa quando lo facevo, perché non mi pesava
quanto invece leggere una mezza pagina di numeri.
“Nelle
lezioni pratiche dovreste già avere iniziato con il paletto!”
La
mia risposta lo stupì.
“A
dire il vero si, ma in realtà no. Albert, cioè… il Guardiano Hanson…” A volte i
guardiani come Hanson, quelli so tutto io, li chiamavo per nome giusto per
sbeffeggiarli un po’. Con Nikolai il rapporto era diverso, ma per lui a
differenza degli altri, provavo rispetto. “… continua a dilungarsi sulla
teoria, perché dice che è più importante e poi sarà più facile farlo nella
pratica.”
Sbuffò.
“Si,
si vede!”
Gli
scoccai un’occhiataccia, ma a ripensarci aveva ragione, era da poco iniziato
l’ultimo anno e questo avrebbe dovuto avere la priorità da subito.
“Rose!
L’anno prossimo tu e la tua classe dovreste diplomarvi e non sai neanche
maneggiare un paletto, ti sembra sensato?”.
Continuò
poi il suo discorso in russo, dal quale capivo solo il nome di Hanson o un Roza
ogni tanto. Gli capitava a volte chiamarmi così in questi discorsi chiari.
Lo
guardai con un sopracciglio alzato.
“Non
fa una piega quello che hai detto, compagno!” dissi ironica.
Lui
mi guardò un po’ divertito. “ Abitudine, mi è più facile dire le cose nella mia
lingua!”.
“Dovresti
insegnarmela!”.
Lui
mi guardò incredulo.
“Tu
vuoi solo imparare le parolacce!”
Ah!
Colpita e affondata.
Sogghignai
e gli tirai una linguaccia.
Esasperato
ancora per un secondo, tornò a farsi serio.
“E’
solo che non ho mai approvato i metodi del guardiano Hanson. Quindi, Rose…”
disse cambiando palesemente discorso, “…abbiamo dieci minuti ancora. Che ne
dici se proviamo a insegnarti manualmente a passare tra lo sterno e le
costole?”
E
così passammo il restò della lezione con il vecchio che mi insegnava le varie
angolazioni di trapasso e la giusta forza da metterci. Risultato? Non era un
cazzo facile!
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Capitolo 2 *** capitolo 2 ***
capitolo 2
Capitolo 2
Mancava
poco all’alba, ovvero alla mia notte. Vivendo a stretto contatto con i vampiri,
il giorno e la notte venivano per forza invertiti, certo il sole non li
uccideva seduta stante come per gli strigoi, ma li indeboliva parecchio.
Avevo
deciso di andarmene a letto, ero un po’ più stanca del solito, quando incontrai
Martin Ivashkov, il moroi dalle mani lunghe.
“Oh
no, per favore, ancora tu, sono stanca e me ne voglio andare a letto, ok?”
Lui
con il suo solito sorriso sprezzante, non parve accettare la cosa.
“Già
stanca, Hathaway? Volevo stancarti io!”.
Che
patetico, sempre le solite battute squallide.
“Giusto
per sapere, quant’è che tu i tuoi amici stronzetti avete scommesso per chi mi
porta a letto per primo?”.
Lui
sorrise di più, cattivo.
“Davvero
pensi di valere qualcosa dhampir? Scommetto piuttosto che diventerai una sgualdrina di
sangue.”
Lo
aveva detto davvero?
Venivano
chiamate sgualdrine di sangue quelle dhampir che non volevano diventare
guardiani, e che invece spesso restavano incinta dei moroi e
sceglievano di vivere in delle
comunità. Ovviamente già dal nome si poteva intuire
che servigi offrissero
queste dhampir, ed era questo che le rendeva l’ultima
ruota del carro di questo mondo e che garantiva alle moroi femmine il
ritorno
dei loro maschi a casa. Le apparenze prima di tutto.
Nel
frattempo che la mia rabbia ribolliva, la mia mano aveva già stretto il collo
di Martin sbattendolo al muro.
Per
un attimo una scintilla di paura gli passò per gli occhi.
“E
tu davvero pensi che potrei mai venire con un verme come te?” gli dissi con
disprezzo.
Strinsi
ancora di più la mia mano, e la cosa iniziò davvero a spaventarlo.
“Davvero
credi tu, di valere qualcosa perché sei un reale viziato?”. Ero furiosa.
Lo
vidi spostare lo sguardo oltre le mie spalle e sussurrare per quanto concesso
il nome del preside. Lo lascai all’istante. Accidenti, Thompson mi avrebbe
espulsa sto giro. Mi voltai sulla difensiva e non vidi nulla, mentre invece,
sentivo Martin alle mie spalle sogghignare e riprendere fiato
contemporaneamente. Mi girai e lui si era già allontanato.
“Sei
una sfigata Hathaway!” e con questo si dileguò.
Rimasi
sconcertata per come mi aveva presa in giro, mi aveva davvero fregata. Ero
scioccata che gli fosse venuta in mente un’idea così intelligente.
La
sua testa, forse non era proprio vuota. Già sentivo, l’indomani, tutta
l’accademia ridere di me.
A
passo di marcia andai in camera e mi buttai a letto vestita, volevo
dimenticarmi dell’accaduto il prima possibile.
Il
mattino seguente, ovvero a sole ormai tramontato, il mio risveglio fu orrendo.
Avevo avuto incubi tutta la notte. Avevo
sognato quel dannato di un Ivashkov che si era tramutato in uno strigoi con la
pelle cadaverica e le pupille cerchiate da una anello rosso, segno
indistinguibile di uno di loro, e anche in quella forma aveva le mani lunghe.
Solo che in questo caso era più forte e non riuscivo a difendermi. Dal nulla
poi era spuntato fuori un paletto e chissà perché non riuscivo ad infilzarlo. Al
sogno, o meglio, all’incubo, si era poi aggiunto Hanson, che mi borbottava di studiare
meglio quel capitolo e alla fine, forse la parte più bella, era arrivato
Nikolai e aveva preso a pugni… Hanson. Ok, questa parte aveva un che di comico,
ma l’amaro in bocca mi era stato lasciato dalla sensazione di non riuscire ad
avere la meglio su uno strigoi. E che quel strigoi mi sembrasse così vero. Non
ne avevo mai visto uno da vicino. L’unica fonte che avevo, erano le foto nei
libri e i documentare dei guardiani.
Era
stato davvero un incubo.
Da
questo ‘bel’ risveglio, non potei non ricordarmi gli avvenimenti accaduti prima
di andare a letto, ed era meglio perciò farsi una bella doccia e mostrare la
faccia più stronza che avevo, per difendermi da tutto ciò che avrebbero potuto
dirmi.
Mezz’ora
dopo feci il mio ingresso in mensa e come già sapevo attendermi, alcune
occhiate si diressero insistentemente verso di me. Alcune sogghignavano, alcune
invece, da parte del popolo femminile moroi, disprezzavano.
Queste
proprio non le capivo.
Fui
affiancata da un novizio che poteva rientrare nella categoria ‘persone apposto’ di Rose Hathaway.
“Ehi,
Alan!”.
“Ehi!”
mi disse lui un po’ imbarazzato. Era palese il perchè.
“Hai
sentito anche tu, vero?” mi riferivo alla figuraccia fatta con Ivashkov.
Lui
alzò sorpreso le sopracciglia.
“Già,
ma è vero?” chiese un po’ titubante.
Sbuffai
amareggiata.
“Si.
Mi ha fregata.”
La
sua faccia cambiò mille espressioni di disagio.
“Ehi,
Alan. Non è mica una tragedia. Mettiti nei miei panni, se ci fosse stato
davvero il preside Thompson, mi avrebbe espulsa!”.
“Non
credo espellano per una cosa del genere!” disse con voce cattiva.
Non
gli diedi peso.
“Uccidere
un moroi? Hai ragione, probabilmente mi impiccherebbero senza un processo!”.
Il
suo sguardo vacillò perdendo lucidità.
“Uccidere?”.
Forse
avevo esagerato.
“No,
non volevo ucciderlo. L’ho solo preso per il collo per non tirargli un pugno!”.
“Pugno,
collo, uccidere, ma di cosa stai parlando Rose?”.
Lui
mi guardava stranito ed io non ci capivo più niente.
“Perché
tu di cosa stai parlando? Non è questo che va a raccontare in giro Martin? Che
mi ha fatto credere che il preside Thompson avesse visto che avevo alzato le
mani su di lui, e io me la sono fatto sotto?”.
Che
umiliazione.
Lui
sospirò impercettibilmente, sbattendo gli occhi più volte.
“Oh,
che sollievo. Non volevo crederci che quello che avevo sentito fosse vero!”.
“Scusa,
ma cosa stai farneticando, Alan?”.
Lui
si grattò la testa a disagio.
“Scusa
se ho dubitato di te un secondo, ma sapevo che non avresti mai fatto una cosa
del genere!”.
“Alan…”
l’ho rimbeccai.
“Ok,
non fare niente di stupido o insensato, ma…”.
“Mi
sto arrabbiando…”.
Chissà
perché, ma sospettavo che la giornata sarebbe andata peggio di quanto mi
aspettassi.
“Martin
dice in giro che sei andata a letto con lui!”.
“COSA?”
sbraitai.
Mi
voltai di scatto verso il tavolo dove sedevano i reali e quando sentii le rise
di beffa che avevano nei miei confronti, i miei piedi stavano già dimezzando i
metri che ci separavano, senza che io avessi dato loro l’ordine. Non ci pensai
proprio, ma così spontaneamente arrivai a Martin e gli tirai un pugno
sull’occhio che lo fece cadere dalla
sedia e con mio grande soddisfazione gli tolse quel suo sorriso sprezzante.
“Lurido
verme schifoso, neanche se fossi l’ultimo esemplare maschio rimasto sulla
terra, verrei a letto con te!”.
Lo
dissi a voce alta in modo da farmi sentire, non che avessi bisogno di
attenzione. Tutti mi guardavano, alcuni perfino mi battevano le mani e urlavano
felici che avessi tappato la bocca a quell’arrogante. Certo i guardiani non
potevano pensarla così. Si avvicinò Nikolai e neanche farlo a meno, Hanson. Che
scherzo poco divertente.
Mi
misero ognuno una mano sulla spalla e mi guidarono fuori, io non opposi
resistenza.
Una
volta in giardino, Hanson iniziò a sbraitare quanto il mio gesto sconsiderato
mi avrebbe creato problemi. Che loro vanno protetti, non picchiati. Che loro vengono prima.
Eccola
qua. Cercavo sempre di dimenticarla, ma quella frase, per chiunque voglia
diventare guardiano era la preghiera quotidiana da dire, la legge in cui
credere. Noi li proteggeremo sempre, anche a costo della nostra vita.
Dopo
altri cinque minuti di ramanzina a cui avevo prestato poca attenzione Hanson
disse: “Va in classe Hathaway, il preside al momento è assente e tornerà alla
fine delle lezioni. Allora lui deciderà che farne di te!”.
Il
vecchio non aveva detto una sola parola, e chissà perché, il suo silenzio era
più significativo di tutto quello che aveva farneticato Hanson.
A
capo chino presi la mia strada.
Sentii
Hanson dire a Nikolai che finalmente gli dimostravo rispetto. Buffone, di certo
anche Nikolai la pensava così, perché non gli rispose, ma mi seguì.
Non
volevo voltarmi e vedere nei suoi occhi delusione, era così vecchio che avrebbe
potuto essere il padre che non ho mai conosciuto, di cui mia madre non mi aveva
mai parlato, e che mi era sempre mancato.
“Rosemarie!”.
Perfetto.
“Se
mi chiami con il mio nome intero sono finita!”.
Non
fece espressioni.
“Devi
imparare a controllare le tue emozioni, non devi lasciare che siano esse a
prendere le decisioni al posto tuo!”
Lo
guardai sorpresa.
“Non
posso neanche cercare di difendermi, dire perché ho reagito a quel modo?”.
Il
suo sguardo era serio.
“No.
Perché è comunque sbagliato, tu ti alleni tutti i giorni nei combattimenti, lui
no. Eravate in una situazione non eguale, non ti fa onore. È come picchiare un
bambino. E poi, ci sono altri modi per affrontare le situazioni. Tu hai preso
la via più semplice: alzare le mani. Ti sei lasciata comandare dalle tue
emozioni e non dalla ragione. Questo è un difetto imperdonabile per un
guardiano, il quale deve sempre essere vigile e lucido in tutto quello che fa.
Se non cambi, non sarei mai in grado di diventare come tua madre.”
E
con questa stangata finale se ne andò.
Non
so se lo preferivo silenzioso o così, perché in ogni caso, sapeva centrare il
bersaglio.
Forse
silenzioso, almeno si poteva dedurre i suoi pensieri e non sentirti sfracellare
in faccia i tuoi peggiori incubi.
Con
una morsa allo stomaco andai in palestra dove gli altri novizi erano già
arrivati. Dovevamo combattere a coppie, ma stranamente oggi nessuno si
acciuffava per fare coppia con me.
Qualcuno
mi si era avvicinato dicendo un mi dispiace, alcuni un ben ti sta, altri un era
ora che qualcuno gli desse un pugno a quello. Qualcuno mi disse che non aveva
mai creduto al pettegolezzo di Martin.
Fatto
sta che però tutti si tenevano alla larga, non si sapeva ancora la mia sorte.
Potevo uscirne più forte di prima, o cadere nella vergogna.
Una
persona però si avvicinò, Alan.
“Sono
dispiaciuto, se non te lo avessi detto…”.
Si
sentiva in colpa, lo capivo.
“Figurati,
lo avrei saputo da qualcun altro e di sicuro il fine sarebbe stato lo stesso!”.
Era
ancora in apprensione.
“Ti
espelleranno?”.
Lo
guardai un po’ smarrita alla sola idea.
“Non
sarà così facile liberarsi di me!”.
Mostrai
una sicurezza non mia. Cosa diavolo avrei mai fatto se mi avessero espulso?
Dove sarei mai andata?
Io
non so com’è il mondo al di fuori di queste mura, io fuori di qua, sono davvero
sola. Senza famiglia e senza amici. Ripensandoci, la mia vita sociale faceva
proprio schifo.
L’allenamento
iniziò e io, non ci stavo con la testa. Alan riuscì a sopraffarmi due volte,
cosa che non era mai accaduta, in maniera così ravvicinata poi.
Il
resto della giornata non fu tanto diversa. Vivevo in una bolla d’aria tutta mia
e continuavo a ripensare alle parole di Nikolai. Stavo davvero buttando la mia
vita a rotoli.
Al
termine delle lezioni nessuno mi aveva ancora convocato in presidenza, per cui
sospettavo che Thompson non fosse ancora tornato e dato che andare ad allenarmi
col vecchio mi intimoriva da paura, me ne andai in camera.
Per
strada intravidi Martin, che alla mia vista si defilò facendosi piccolo
piccolo, non prima però di avermi urlato da lontano: “Avrai quel che ti
meriti!”.
Sbuff.
Che idiota.
Una
volta in camera mi gettai sul letto e andai in dormiveglia persa nei pensieri,
fino a quando sentii bussare alla mia porta.
Mi
ridestai di scatto, quanto tempo era passato?
Erano
le quattro e trenta, fra poco ci sarebbe stato il coprifuoco e anche la mia
condanna.
Alla
porta c’era Nikolai, stavolta con uno sguardo meno duro, forse un po’
dispiaciuto per aver nominato mia madre. Non gliene avevo mai parlato, ma per
le varie situazioni venutasi a creare in passato, ci era arrivato da solo.
“Il
preside Thompson ti sta aspettando!”
Senza
altri accenni prese a camminare ed io gli fui subito dietro. Chissà com’ero
conciata. Non avevo fatto una doccia e non mi ero neanche cambiata dalla divisa
scolastica. Di sicuro non dimostravo molto pentimento e serietà.
“Vecchio,
dimmi la verità, che ne sarà di me?”
Lui
continuava a camminare e mi rispose a pochi passi dalla mia sala delle torture:
l’ufficio del preside.
“Non
lo so, ma sarebbe uno spreco perdere un altro guardiano!”.
Wow,
niente di rassicurante.
Non
era un segreto che il numero dei guardiani non fosse alto come quello dei
moroi. Quelli delle casate reali potevano avvalersi il diritto di avere più
protezioni rispetto ad una casata normale, che spesso restava scoperta e presa
di mira dagli strigoi. Il fatto poi che le donne fossero ben poche a prendere
questa strada, le risorse erano davvero minime. Che l’avrei scampata per
questo? Sarebbe stato un miracolo.
Entrai
nell’ufficio e Nikolai prese posto a braccia conserte lungo il muro sulla mia
destra, vicino alla finestra. Mossa tipica di un guardiano, mettersi nei punti
strategici.
Il
preside Thompson sedeva indaffarato sulla sua scrivania ed io mi avvicinai alla
sua scrivania.
“Sieda,
sieda signorina Hathaway!”.
Non
volevo farlo, ma le gambe mi stavano cedendo in preda all’ansia. Maledette
emozioni.
Alzò
gli occhi e mi guardò neutro.
“Ma
guarda, non fiata una mosca. Sarà mica che qualcuno si sia accorta di avere
sbagliato?”.
Sembrava
quasi divertito ed io volevo rispondergli per le rime, ma avrei peggiorato la
situazione.
“Non
ha niente da dire?”.
Presi
un grosso respiro, ripensando all’episodio di Martin, ma appena prima di
emettere un suono incrociai lo sguardo di Nikolai.
Controlla le tue
emozioni. Sentivo la sua voce con l’accento russo nella
testa.
“Niente,
signore. Qualsiasi sia stato il motivo che mi ha portato a fare quello che ho
fatto, ho sbagliato a comportarmi così!”.
Mi
stavo rodendo per dire quelle parole, era stato davvero uno sforzo estenuante, sudavo quasi.
Certo,
quello che non potevo aspettarmi era di lasciare il preside senza parole.
Sembrava incredulo. Volevo quasi sghignazzare per quella scena, ma così avrei
mandato tutto a quel paese.
Sbirciai
verso Nikolai, e lo vidi fissare il vuoto con sguardo fiero. Ciò mi riempì di
ego, conscia di aver fatto la cosa giusta ai suoi occhi.
Thompson
prese a schiarirsi la voce per parlare, ma Nikolai attirò subito la mia
attenzione poiché la sua postura si era irrigidita e si guardava in giro in
allerta.
“C’è
odore di fumo!”
Credevo
scherzasse, ma quasi un secondo dopo lo sentii anch’io. Qualcosa bruciava.
La
porta dell’ufficio si spalancò di forza, mostrando il guardiano Felk, un donna
di circa trenta anni, che in quell’istante ne dimostrava cinquanta, era
fradicia di sudore e affannata, il suo volto pieno terrore.
“Gli
strigoi ci attaccano!”.
E
come per completare in bellezza quella notizia agghiacciante, un esplosione
seguita poi da un’altra, fecero tremare la terra sotto i nostri piedi.
Buonasera a tutti.
Ho
postato il secondo capitolo sperando di accalappiarvi in questa
mia storia. Come potrete vedere in seguito, i personaggi sono sempre
loro, nei loro caratteri
che
ci hanno conquistato. Toccherò le scene più belle dei
primi libri della saga e cercherò di farvi innamorare di questa
mia creazione.
Sarò lieta di confrontarmi con i vostri giudizi.
Alla prossima.
xoxo
Deba
|
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Capitolo 3 *** capitolo 3 ***
capitolo 3
Buonaseraaaa...
ecco a voi il terzo capitolo. Un po' struggente.
Spero vi piaccia.
xoxo
Capitolo 3
Il
preside si attaccò subito al telefono parlando con non so chi. Il guardiano
Felk si ritirò dicendo che sarebbe andata nella parte occidentale della scuola,
dove c’erano gli alloggi dei moroi e dei
dhampir più piccoli. Nikolai mi strattonò più volte per le spalle.
“Rose.
Rose!”.
Non
sapevo di essermi irrigidita in tale maniera. Ero in preda al panico. Ero vittima della paura, la sentivo strisciare
dentro.
“Non
farti prendere dal panico, Rose! Ho bisogno che tu adesso corra. Corri verso
gli alloggi dei moroi. Lì sarai al sicuro!”.
Stavo
cercando di sbloccarmi, ma il mio cervello era fermo solo su un punto.
“C-com’è
possibile? Noi abbiamo difese magiche…”.
La
mia voce si affievolì. Il signor Thompson si avvicinò dicendo qualcosa che non
capii, mentre Nikolai annuiva lui sparì
oltre la soglia.
“Rose,
ci penseremo dopo a come hanno fatto a rompere le difese, ora ti prego, dimmi
che andrai agli alloggi, hanno bisogno di me!”.
Lui
era un guardiano con forte esperienza, avrebbe ucciso quantità di strigoi ne
ero sicura, così come già indicava la sua nuca. I guardiani che avevano ucciso
degli strigoi avevano un contrassegno sulla nuca, oltre al tatuaggio col
simbolo della promessa che facevano una volta diplomati, e potevi trovarci
tanti molnija (delle saette
incrociate) quanti questi ne aveva abbattuto, e il collo di Nikolai ne era
zeppo.
Feci di si con la testa, forse enfatizzai
troppo il gesto, ma temevo che il mio collo non mi obbedisse, e lui teso corse
via.
Cercai
di muovere un passo, ma i miei piedi erano come asfaltati a terra.
Dannazione, Rose!
Mi dissi mentalmente, muovi quei
maledetti piedi!
È così che pensi di
diventare un guardiano?
No,
non dovevo farmi vincere dalle paure, o da qualsiasi altra emozione, dovevo
saperle comandare, dovevo sapermi controllare.
Non
era facile, ma mossi un passo, e poi un altro, e senza accorgermene stavo
correndo. C’era così tanto fumo in corridoio, che l’aria iniziò a mancare e
tossii. Cercavo di trovare ossigeno muovendo all’impazzata a destra e sinistra,
ma l’aria era ormai irrespirabile. Alzai la maglietta alla bocca e corsi nel
piazzale, lo so che non avrei dovuto, ma non resistevo più e quando trovai uno
spazio respirabile mi fermai e tossendo ripresi aria. Quando mi calmai alzai lo
sguardo verso l’accademia e lo spettacolo che mi attese fu spettrale.
Tre
quarti degli edifici stavano andando a fuoco, era surreale. La notte era come
illuminata a giorno e più mi sforzavo di trovarvi un senso, più la mia mente si
sconnetteva e andava in panico. Cercai di distrarmi, ma fu peggio. Ai margini
dell’ampio piazzale due guardiani stavano combattendo tre strigoi. Rimasi
scioccata. Non ne avevo mai visto dal vivo, e l’unica cosa a cui riuscivo a
pensare, era che all’accademia non ci istruivano come si deve. Erano
dannatamente più feroci e veloci, di quello che la mia mente, nei vari anni di
istruzione aveva infine metabolizzato.
Un
falshback mi fece rabbrividire. Le immagini dell’incubo della notte precedente
mi passarono davanti agli occhi e mi accorsi di quanto quel Martin-strigoi
assomigliasse a quelli originali.
Dannazione
a me, ma cosa credevo? Erano mostri, non potevano certo correre allegramente
con fiori in mano, ed io dovevo svegliarmi, era questo il mio futuro:
combatterli, ma sarei stata in grado? Volevo andare ad aiutare quei guardiani
in numero inferiore, ma appena mossi un passo, vidi che erano riusciti ad
impalarne uno e ora si preparavano ad affrontare i due che restavano.
Probabilmente sarei stata solo d’intralcio. Ricordai che Nikolai voleva che
fossi in salvo e perciò, anche se una parte di me era amareggiata, mi voltai.
Guardai
lo stabile degli alloggi moroi e con mio sollievo vidi che le fiamme non lo
avevano toccato. Non ancora almeno.
Corsi
verso la sua ubicazione, ma quando fui nei pressi, sentii qualcuno urlare
aiuto.
Affannata
mi guardai attorno, cercando di capire da dove provenisse quella richiesta.
Proseguii per il lato dello stabile che dava sull’enorme prato e dietro ad
alcuni cespugli vidi una moroi inginocchiata a terra, che gridava e piangeva.
Se l’avesse sentita uno strigoi sarebbe morta e mi stupivo del fatto che non
fosse ancora successo. Dovevo portarla in salvo, subito!
“Ehi,
tu!”.
La
ragazza strillò.
“Sshhh,
va tutto bene. Sono …”
“Hathaway!”
piagnucolò.
Guardai
meglio e sotto i chili di mascara sciolto, riconobbi Lucinda Ivashkov, sorella
di Martin mani lunghe. Oltre il danno, la beffa.
Scacciai
il disprezzo che provavo, anche perché era niente in confronto alla vita reale,
era stupido.
“Lucinda,
ce la fai ad alzarti?”.
Lei
mi guardava con le lacrime che ancora sgorgavano, terrorizzata.
“I-io…
sono… c-c’era una f-festa.. non..”.
La
strattonai per le spalle.
“Torna
in te, maledizione. Devo portarti al sicuro o moriremo!”.
“Moriremo…”
disse lei con filo di voce, mentre tremava come una foglia in una burrasca.
Mi
inginocchiai alla sua altezza, e con voce più ferma possibile le dissi: “Se non
vuoi morire, devi alzarti! Subito!”
L’ultima
parte parve darle un po’ di lucidità. Iniziò a guardarsi intorno spaventata.
“Riesci
ad alzarti in piedi?”.
Cercò
forse di capire le mie parole, e poi annuì. La aiutai.
“Ora
ascoltami bene, dobbiamo correre verso i vostri alloggi. Li saremo al sicuro,
come le norme ci hanno insegnato. Pensi di farcela?”.
Annuì
ancora.
“Al
mio tre. Uno. Due. Tre.”.
La
trascinai e presi a correre. Stavo allerta e come ci veniva insegnato, misi il
moroi in una posizione protetta, in questo caso, tra me e lo stabile. Io
all’esterno controllavo ogni angolo visibile e fu ciò che mi permise di vedere
un’ombra sulla mia sinistra. Uno strigoi ci stava per attaccare.
Mi
fermai da stupida e con me Lucinda. Lui a pochi passi ci guardava trionfante.
Perché
mi ero fermata?
Vidi
un sasso a terra e il più velocemente possibile lo presi e glielo tirai contro,
mentre lui lo afferrava come fosse arrivato lentamente, io avevo spintonato via
Lucinda e con una voce che non ammetteva repliche, le dissi di correre senza
mai fermarsi. Fortunatamente mi ascoltò.
Ecco
cosa avevo fatto: un diversivo. Io ero il diversivo.
Lo
strigoi mi puntò e mi diede un pugno che faticai a parare, ma non so come ebbi
la giusta lucidità per sferrargli un calcio a sorpresa, che andò a segno, ma
non lo stordì.
Cominciammo
a girare attorno studiandoci. Era più alto di me, di ben venti centimetri. I
suoi vestiti erano sporchi e strappati. I suoi muscoli in tensione gridavano:
pericolo e i suoi occhi: morte. Non potevo non guardarlo in faccia, ma la cosa
mi turbava parecchio. Quegli occhi cerchiati di rosso erano orribili.
All’improvviso
fece una mossa, persi un secondo e fu lo sbaglio più grande che potessi fare,
perché si trattava di una finta e lui spostandosi di lato mi colpì così forte
che mi mandò a terra, sbattendo la testa al suolo.
Era
stato velocissimo ed io ora ero senza fiato, poiché mi aveva centrato allo
stomaco. Lo sentii avanzare ancora, ma non arrivò nessun colpo. Nikolai si era
messo in mezzo e ora combattevano davanti a me. Erano alla pari, ma notai che, mentre
i colpi dello strigoi erano dettati dal nulla, in quelli di Nikolai riconoscevo
gli insegnamenti che mi aveva dato.
Perché
non mi ero mai impegnata di più?
Con
una finta da maestro, Nikolai infilzò il suo paletto nel petto dello strigoi,
uccidendolo. Era stato impeccabile.
“Rose,
perché non sei al sicuro?”.
Era
accorso da me, tastandomi la testa. A quanto pare ero ferita, perché vidi la
sua mano cosparsa di sangue. Ecco cos’era quella cosa che sentivo colarmi lungo
il viso.
“Una
moroi era in pericolo, dovevo aiutarla! In quel momento mi è sembrata la scelta
giusta da fare!”.
Mi
sorrise gentile.
“Si,
hai fatto bene!” il suo sguardò però si allarmò di nuovo “Alzati, dobbiamo
andare…”.
Non
finì la frase che uno strigoi lo attaccò alle spalle. Aveva abbassato le difese
e questo lo metteva su una situazione di svantaggio. Lo strigoi gli sferrò un
pugno, colpendolo, ma mentre egli perdeva l’equilibrio riuscì a tagliarlo con
il paletto facendolo urlare.
“Corri
Rose!”.
Non
volevo muovermi, ma in questo caso, qual era la cosa giusta da fare?
Mi
alzai barcollando e incapace di intendere e di volere, provai a correre e vidi lo
strigoi seguirmi.
Perché
diamine mi seguiva? Perché gli strigoi oggi si stavano comportando nel modo
contrario in cui li conoscevamo? Di solito attaccavano il più forte, non il più
debole.
“No!”
urlò Nikolai. “Stai combattendo con me!” e lo chiamò in qualcosa di russo.
Lo
strigoi parve non sentirlo, io mi girai per guardarlo avanzare verso di me,
magari sarei stata una distrazione che avrebbe permesso a Nikolai di finirlo,
ma a quanto pare la stessa tattica, la usò lo strigoi.
Vidi
la scena a rallentatore.
Nikolai
stava per acchiappare lo strigoi, il quale con una lama che non avevo visto
nascosta dalla mano aperta tirò un fendente alla sua gola… squarciandola.
Il
sangue iniziò a zampillare… ovunque. Era così rosso, che riuscivo a vederlo
nonostante fosse notte. Lo strigoi
cambiò atteggiamento subito, era famelico e si fiondò sul collo di Nikolai.
In
quell’istante il mio mondo si fermò e tutta la mia vita, tutte le mie scelte mi
passarono davanti. Rividi le lezioni di quel dannato vecchio, i suoi
insegnamenti. Tutto ciò in cui credevo andò in frantumi. Uccidere strigoi non
sarebbe più stato solo lavoro, non più.
Volevo
urlare, volevo dilaniare le mie corde vocali pur di far in modo che quel
strigoi la smettesse, che avesse un modo per rimettere tutto in ordine, che
ridasse la vita a Nikolai. Quello che vedevo però, era che lui gliela stava
togliendo… a sorsi, e mi venne da vomitare. Non poteva essere vero. Nikolai non
poteva essere… e quell’essere non poteva…
Iniziai
a guardarmi attorno in cerca di qualcosa, dovevo fermare questo orrore, e fu allora
che lo vidi. Il paletto di Nikolai. A metà strada tra me e lo strigoi.
Qual
era la cosa giusta? Questa!
L’adrenalina
scorreva a fiumi in me, e mentre correvo verso il paletto e lo prendevo in
mano, mi ero resa conto che Nikolai non mi aveva spiegato come colpire il cuore
da dietro, ma solo da davanti. E si era trattato solo di ieri, ma sembrava un
anno fa. Tutto era lontano ormai, annebbiato, triste. Scossi violentemente la
testa per concentrarmi. Dovevo far girare lo strigoi, così forse avrei avuto
una possibilità per piantargli il paletto nel cuore, anche se forse avrei avuto
solo la possibilità di farmi ammazzare. Dovevo tentare, doveva onorare quel
dannato vecchio. Una lacrima sfuggì incontrollata, mentre un piano stupido, si
davvero stupido, perché così lo avrebbe definito un guardiano, mi apparve in
testa e non solo per il fatto che mi trovassi ancora lì.
Nascosi
il paletto nella mano sinistra lungo il corpo e contemporaneamente alzai il
braccio destro, fingendo di avere un’arma pericolosa, o così speravo avrebbe
inteso quel mostro. Urlai, per attirare la sua attenzione che era mezza sfocata
nella sete di sangue, come se stessi per colpirlo, e questa era la parte
stupida del piano. Un guardiano doveva muoversi in silenzio, non attaccare i
cartelloni del suo arrivo, ma io, non avevo scelta. Se fossi scappata, me ne
sarei davvero pentita, per il resto della mia vita.
Come
sperai, lo strigoi pensò che avessi un’arma e ancora in ginocchio di fronte a me, si voltò a destra col busto
per bloccarmi il braccio in una morsa, ahimè, di ferro. Dovevo muovermi o un
braccio spezzato sarebbe stato l’ultimo dei miei pensieri. Con la mano sinistra,
quella nascosta in cui stringevo il paletto, tirai un fendente sulla sua nuca,
che lo fece urlare e piegare macabramente la testa all’indietro, luogo in cui
accorsero anche le sue mani. Speravo reagisse così.
Ora
sapevo che quella era la mia unica possibilità di sopravvivere, non potevo
perdere neanche un secondo. Mi spostai di lato e inquadrai il suo cuore, poi
con l’angolazione che mi aveva insegnato Nikolai lo infilzai con tutta la forza
che avevo in corpo, forza che non pensavo di possedere.
“Muori!”
dissi, e la cosa che mi spaventò di più fu la mia voce. Irriconoscibile.
Lo
strigoi stramazzò al suolo, sapevo che era morto, o almeno una parte lontana di
me forse se ne era resa conto, ma era un voce così impercettibile, che la
sensazione che lui fosse ancora li in grado di fare del male, era mille volte
più grande. Con la coda dell’occhio scorsi il corpo inerme di Nikolai e rimasi
scioccata di quello che vedevo, o meglio non vedevo. La sua faccia sempre
seria, era una maschera di sangue e il suo collo squarciato. Sembrava sbranato.
Iniziai ad affondare il paletto nel cuore ancora, e ancora e ancora. Ormai
aveva una voragine. Non vedevo niente. Non sapevo niente. Ero persa. Sapevo
solo che dovevo vendicare Nikolai.
Quando
non ebbi più forza di alzare il braccio, mi accovacciai vicino al mio vecchio,
dovevo vegliare su di lui. Se un altro mostro fosse arrivato a richiamo del suo
sangue, lo avrei difeso.
Il
braccio mi faceva male, ma non volevo mollare la presa, strinsi il paletto più
forte, tremando, anche se non ne capivo il motivo.
Non
so dopo quanto tempo udii delle voci, mi sembrava che chiamassero il mio nome,
ma non ne ero certa.
Forse
si trattava di un trucco, dato che questi strigoi erano come preparati.
“State
indietro!” dissi prontamente.
Con
la mano libera attirai il corpo di Nikolai più vicino a me.
“Non
osate avvicinarvi!” e per enfatizzare il mio ordine, tirai un fendente con il
paletto in aria, di fronte a me, nella direzione in cui avevo sentito le voci.
La
mia mente cercava di capire come fare a riattivarsi, non riuscivo a mettere a
fuoco quanti avversari avevo.
Presi
a battere più volte gli occhi e sentii una voce lievemente familiare.
“E’
sottoshock. Serve del tranquillante!”.
Non
vedevo niente, tutto era offuscato e chi parlava? Chi era sottoshock?
Non
feci a tempo a pensare ad altro, perché un fastidio alla nuca mi fece perdere
le forze, i sensi, e me stessa.
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Capitolo 4 *** capitolo 4 ***
capitolo 4
Buonasera,
Nikolai è morto. Che impatto avrà nella nostra Rose?
Buona lettura...
xoxo
Capitolo 4
Una
luce fastidiosa mi svegliò.
Aprii
gli occhi più volte, perché non riuscivo a mettere a fuoco le cose. Quando
finalmente pensai di farcela, mi accorsi dov’ero. Ero nell’infermeria
dell’accademia, o meglio, quel che ne restava.
Con
uno sguardo più nitido, vidi che la parte in fondo era crollata, e c’erano solo
macerie e parte dei muri anneriti dal fuoco. La parte in cui stavo io era
ancora bianca, miracolosamente.
Provai
ad alzarmi, ma la testa iniziò a pulsare in una maniera così dolorosa, che
ricaddi sul cuscino. Non prima però di essermi resa conto che tutti i muscoli
mi dolevano all’inverosimile. E con questa scoperta purtroppo, ricordai tutto.
Mi
accorsi di essere attaccata ad uno di quegli aggeggi che segnano il ritmo
cardiaco, poiché il mio cuore iniziò a battere furioso.
Nikolai
era morto.
Un
immagine insanguinata mi passò per la mente, un collo sbranato e il suo viso
distrutto. Mi veniva da vomitare. Presi a sudare freddo visibilmente.
“Ti
sei svegliata finalmente.”.
Scossa
mi spaventai. Voltai lo sguardo e a pochi passi da me vidi il preside Thompson.
Cercava di sorridermi rassicurante, ma il suo sguardo era sconvolto.
“Ti
ho spaventata, scusa!”.
Prese
lentamente una sedia e con movimenti stanchi si accasciò su di essa.
Io
lo guardavo, ma non parlavo e intanto cercavo di calmarmi e riportare i miei
battiti sul normale. Non sapevo che dire. Non avevo da che dire.
Lui
tolse gli occhiali e con aria pensierosa li pulì con un fazzoletto che aveva
preso dalla tasca della giacca. Una volta finito se li rimise, guardandomi.
“Hai
dormito per più di 30 ore, Rose!”.
Sbarrai
gli occhi alla sua frase. Com’era possibile? Era passato più di un giorno dall’
attacco?
Iniziai
a guardarmi in giro, in cerca di un qualche indizio che potesse rivelarmi
cos’era accaduto in quell’arco di tempo. So che avrei potuto semplicemente
chiedere al preside, ma non riuscivo a parlare. Non ricordavo come fare. Non
volevo ricordar come fare. Avrebbe significato che ero viva, che ero reale, che
tutto era reale e avrei dovuto affrontare tutto e raccontare...
“Quando
ti abbiamo trovata, eri davvero sotto shock. Abbiamo dovuto darti un
tranquillante.”
Avevo
un vago ricordo di questo, molto confuso direi.
“Tre
guardiani hanno perso la vita!”.
E
uno sapevamo benissimo chi fosse. Sentivo la rabbia montarmi dentro, dietro la
tristezza, eppure, sembrava relegata da qualche parte, perché ero certa che il
mio viso, visto da fuori, fosse di una calma spaventosa.
Vidi
infatti Thompson corrucciare lievemente le sopracciglia, per poi ritornare al
suo viso stanco.
“Otto
moroi sono stati portati via!”.
Il
mio viso era sempre impassibile, ma dentro afferravo e mettevo assieme tutte
queste informazioni.
Quegli
otto ormai a questo ora, se non erano morti, ci mancava poco. Chissà se Lucinda
era riuscita a salvarsi. Supponevo che lo avrei saputo presto.
Gli
Ivashkov non solo erano una casata reale, ma ai giorni nostri erano quei moroi
che appartenevano alla stessa discendenza della Regina attualmente al potere
nel nostro mondo politico. Quindi, se un Ivashkov era stato preso, ci sarebbe
stato di sicuro una specie di lutto mondiale.
“L’accademia
sarà chiusa!”.
I bip aumentarono.
Cosa?
Di che diavolo parlava? Le difese, in qualsiasi modo fossero state spezzate, si
potevano ricreare. Perché chiudere l’accademia?
Vedevo
Thompson in attesa, forse che io parlassi, ma non lo feci e lui sospirò.
“Alcuni
edifici sono stati danneggiati in modo irreparabile. Lo vedrai tu stessa quando
uscirai di qui. Non si può fare altro che abbattere tutto e ricostruire, e nel
frattempo gli studenti non possono rimanere qui.”
E allora che ne sarà di me?
“Buona
parte degli studenti sono stati richiamati dai propri familiari a casa. La
parte restante sarà accolta nell’accademia di St. Vladimir, nel Montana e nella
St. Matthew, nel Connecticut. Alcuni sono già in viaggio, poiché lì sono già
state rinforzate le difese e il numero dei guardiani.”
Riuscii
solo a pensare che nel Montana o nel Connecticut non c’ero mai stata. Anzi a
dir la verità, non ero mai stata da nessuna parte. Avevo passato quasi tutta la
mia vita qui e pensare che ora tutto sarebbe stato distrutto, distruggeva in
qualche modo una parte di me. Ancora.
“Avrei
potuto far trasferire anche te, sebbene non fossi cosciente, ma sapevo che
sarebbe stato ancora più traumatico. E poi sono più che sicuro che avresti
voluto essere presente.”.
Provava
a farmi incuriosire per parlare, ma non potevo, era la mia difesa da questo
dolore. Gli lanciai solo uno sguardo lievemente interrogativo, ma lui capì.
“Allo
scoccare della mezzanotte, in quel che resta della cappella, daremo un giusto
riconoscimento alle nostre perdite, prima che il loro corpo venga rispedito nel
loro paese natale, dai loro familiari.”
Chissà
se Nikolai aveva dei familiari. Non mi sono neanche mai posta il quesito.
Chissà se avrebbe avuto una donna che piangeva sulla sua tomba, o un figlio.
Davvero non ne avevo idea e questo mi logorava nel cuore.
Gli
rivolsi un’occhiata riconoscente, mentre dalla porta entrava l’infermiera
Allison Grey, la classica signora anziana, che poteva essere la nonna di tutti.
“Oh,
piccola Rose.” Disse una volta che mi fu vicino, accarezzandomi delicatamente,
come se potessi rompermi da un momento all’altro.
“Prendi
questi antidoloriferi, so che ti saranno d’aiuto!”
E
il Signore solo sapeva se ne avevo bisogno. La testa mi stava scoppiando.
Presi
due pillole con un sorso d’acqua, e l’infermiera Grey così com’era entrata, se
ne andò.
Passarono
un paio di minuti silenziosi, nei quali la mia mente parve svuotarsi, ma poi
l’atmosfera fu rotta dallo spostarsi della sedia in cui c’era il preside, che
si stava alzando.
“Riposa
ancora un po’, sono solo le tre di pomeriggio. Ti farò portare qualcosa da
mangiare. Poi se ce la fai ad alzarti prepara le tue cose perché all’alba di
domani ce ne andiamo tutti.”
E
prese ad incamminarsi verso la porta.
Era
tutto stato deciso, l’accademia sarebbe stata abbandonata. Temevo di vedere le
sue condizioni, ma ricordavo vivamente il fuoco che si propagava, e già allora
sapevo che i danni sarebbero stati elevati.
Quando
aprì la porta il preside si fermò. Sembrava combattuto. Si girò serio.
“Rose,
hai abbattuto tu lo strigoi?”.
Un
brivido a quel nome mi pervase la schiena visibilmente. Vidi il preside
dispiacersi. Io lo guardai tetra dentro e annuii percettibilmente.
In
risposta lui trattenne ancora il respiro.
“Aveva
ucciso… il guardiano Lazar?”.
Mi
irrigidii e strinsi le mani a pugno, non volevo sentir parlare di questo.
Lui
sospirò afflitto.
“Sei
stata coraggiosa, Rose. Ho sempre saputo che eri diversa da quello che volevi
dare a vedere, e lo sapeva anche il guardiano Lazar. Era stato lui a chiedermi
di poterti fare da mentore per raddrizzarti, lo sapevi? Per lui, eri destinata
a fare grandi cose.”
Non
attese un mio cenno, perché quando compresi le sue parole, se n’era già andato.
Non
potevo crederci. Pensavo che fosse stato il preside a pormi la presenza di
Nikolai. Che fosse stata sua l’idea di questi allenamenti extra, a causa del
mio comportamento. E invece no. È questo che significavano le sue parole. Era
lui ad avermi scelto.
Ero
incredula.
Rimasi
in questo stato comatoso quel tanto che le medicine facessero effetto, poi pian
piano mi alzai.
Tutte
le articolazioni avevano subito i dolori di quella notte, e ora si sfogavano
sul mio sistema nervoso.
Indossavo
una maglia e dei pantaloni non miei, chissà di chi erano. Infilai le scarpe,
che per fortuna erano mie, e notai che qualcuno le aveva pulite, ma non volevo
sapere il perché, perciò mi incamminai per vedere cosa mi attendeva.
Quello
che vidi, alla luce del sole, non mi scompose molto. Sapevo già cosa
attendermi. Un piazzale deserto coperto da detriti, la palestra completamente
distrutta, così come le aule, gli uffici e la mensa. Gli alloggi erano
parzialmente anneriti, ma erano più o meno intatti. Un’accademia fantasma.
Mi
avviavi verso quella che non sarebbe stata mai più camera mia, casa mia.
Nonostante tutto, dentro era tutto intatto, qualcosa di familiare intorno a
quel turbinio di emozioni. Vidi che mi era stato portato qualcosa da mangiare,
come aveva detto il preside Thompson, e solo alla vista di quel panino mi
accorsi di avere molta fame. Nonostante tutto ero a digiuno da più di un
giorno. Così senza troppi preamboli lo divorai.
Quando
finii di spazzolare tutto, decisi che era ora di fare una doccia, ma una volta
in bagno non potei non soffermarmi davanti allo specchio. A quanto pare qualcuno si era dimenticato di
mettermi al corrente del mio aspetto. All’attaccatura dei cappelli in alto a sinistra,
scendeva verso giù una sutura con cinque punti, ero un po’ gonfia, ma la cosa
peggiore era il lieve colore violaceo che arrivava fino all’occhio.
Ebbi
un flash di un colpo d’acciaio che mi faceva cadere e sbattere la testa a
terra.
D’istinto
tirai su la maglia, e come supponevo avevo un ombra altrettanto violacea nella
zona dello stomaco dove avevo ricevuto il pugno.
Scacciai
quei pensieri, perché qualcosa stava montando dentro me.
Mi
guardai ancora una volta e vidi del sangue ancora rappreso sui capelli. Aprii
l’acqua del box e mi ci buttai dentro, vestita.
Alle
dieci di sera ero pronta.
Tutta
la mia vita era stata infilata in un paio di scatoloni e mi ero già preparata
per quella sorta di funerale nel quale avrei dato addio per sempre al mio
mentore.
Ero
seduta sul letto, quando qualcuno bussò. Una volta aperto trovai il preside
Thompson.
“Rose,
tutto bene?”.
No.
La testa mi scoppiava e avevo male dappertutto, tanto per cominciare.
Annuii.
Volevo
parlare, ma temevo che se lo avessi fatto, mi sarei rotta.
“Seguimi
allora, per favore?”.
Non
sapevo dove saremo andati, ma composta lo seguii.
Giungemmo
in quella che un tempo era la sala delle riunioni, ora macerie, passammo oltre
ed entrammo su un’altra sala, che metteva un po’ di soggezione. Le luci intorno
era soffuse, tranne al centro, in cui sedeva un guardiano di nome Michael, accanto
ad un aggeggio e ad una specie di confessionale. La stanza era vuota, a parte
lui e altri tre guardiani alle pareti.
Vorranno
mica esorcizzarmi?
“Lo
vedo, Rose, che sei chiusa nel tuo lutto, ti daremo tutto il tempo che hai
bisogno per affrontare questa catastrofe. Ognuno reagisce a modo suo, ma noi
vogliamo farti sapere che sappiamo bene la persona che potresti essere, e in
qualche modo vogliamo onorare anche te. Se vorrai, potrai ricevere…” e mi
indicò il guardiano Michael “… il molnija
che ti spetta, anche se non hai ancora il simbolo della promessa!”.
Ero
stupefatta. Veniva tatuato un molnija
a coloro che erano riusciti ad uccidere uno strigoi, ed io non avevo ancora metabolizzato
il fatto che ne avessi ucciso uno. Mai avrei immaginato che il mio primo
molnija avrebbe avuto un costo così alto. Avrei potuto tirarmi indietro se lo
avessi voluto, ma per quanto sembrasse da pazzoidi, questo molnija alla mia
vista era diverso dal suo solito significato. Il compito di questo molnija era
quello di non farmi dimenticare mai, il motivo per cui ora me lo stavano
tatuando.
Mossi
silenziosa i passi, verso il guardiano Michael, che gentile mi guardava, e mi
inginocchiai di fronte a lui, col capo chino così da scoprire il collo e
lasciar cadere i miei lunghi capelli davanti. Quando iniziò, pensai che avrei
dovuto tagliarli, o almeno, così facevano tutti i guardiani donna, così che gli
altri potessero vedere i loro tatuaggi.
Fu
più doloroso di quanto immaginassi, aggiungendolo alla testa che scoppiava, ma
non frignai neanche un secondo. Al termine, i guardiani presenti mi strinsero
la mano. Qualcuno mi disse di farmi coraggio, qualcun’altro che un giorno
sarebbe stato un onore combattere assieme, fui felice che nessuno disse
congratulazioni, ma intuii che nessuno lo avrebbe fatto. Non ci si congratula
con la morte.
Fui
mandata nelle cucine a mangiare qualcosa velocemente, dato che mancava poco più
di mezz’ora alla mezzanotte, ma da li feci un giro più lungo e cercai
l’infermiera Grey, perché la mia testa scoppiava. Purtroppo non la trovai, così
strinsi i denti e quando fu l’ora, mi recai nella cappella.
Già
da fuori mostrava le percosse subite nell’agguato. Quando entrai l’atmosfera mi
colpì. Le sedute erano macerie dovute all’incendio che aveva colpito per metà
la struttura, ed erano raggruppate ai lati. I muri di pietra avevano resistito.
Le candele rischiaravano l’ambiente, rendendolo lugubre, ma sacro. Davanti
all’altare erano state posizionate delle specie di bare, e di fronte a loro, in
semi cerchio, i guardiani e il preside Thompson. Pensavo che avrei trovato solo i quattro
guardiani di prima, ma con mio stupore ce n’erano tipo una quindicina, la
maggior parte mai vista. Immaginavo che chi aveva potut, si era recato lì per porgere
il suo saluto a questi guardiani, che
avevano dato la loro vita per gli altri, per me…
Mentre
avanzavo, scorsi lo sguardo di un dei guardiani scrutarmi. Non sapevo chi
fosse, ma il suo sguardo ero così carico di emozioni che mi lasciò per un
secondo interdetta. Non so cosa cercasse di vedere in me, ma sentivo che non mi
stava guardando solo esteriormente, cercava di leggermi dentro. Distolsi lo
sguardo dai suoi occhi, mi sentivo imbarazzata anche perché, non potevo non
ammettere, che fosse davvero bello.
Arrivai
nei pressi delle tre bare, gli altri due guardiani che avevano perso la vita
erano coloro che stavano di guardia al cancello principale che portava fuori da
questa accademia. Non li conoscevo benissimo, ma erano parte di questa grande
‘famiglia’ in cui avevo vissuto finora. Mi fermai un po’ lì, poi andai verso la
bara che avvolgeva il mio mentore. Non molto distante da lui, stava quel
guardiano, che a quanto pare non mi fissava più, anche se sembrava che stesse
cercando di impedirsi di farlo. Sapevo di non averlo mai visto, eppure il suo
portamento era così familiare.
Quando
alzai lo sguardo su Nikolai, il mio mal di testa esplose, sembrava che ci fosse
una guerra nucleare al suo interno. Mi morsi la lingua e guardai il mio
mentore. Per fortuna tutto quel sangue che ricordavo, non c’era più. Vestiva la
sua tenuta da guardiano più bella, la quale, fortunatamente, nascondeva quel
taglio che sicuramente aveva al collo. Nemmeno mi accorsi che avevo iniziato a
respirare affannosamente, mi mancava l’aria. Fissavo il viso sereno di Nikolai,
che ora sapevo, mi aveva scelta.
Dannato vecchio, cosa
farò senza di te?
Lo
vidi nella mia mente ghignare con la sua solita smorfia e dirmi, che non
sarebbe stato questo a fermarmi.
Mai
prima d’ora mi accorsi di quanto la figura di Nikolai fosse per me importante.
Lo pensavo essere una palla al piede, ma invece era tutt’altro.
Volevo
piangere, ma non ci riuscivo, non sapevo esprimere il mio dolore, sapevo solo
che mi mancava l’aria.
Le
ginocchia mi cedettero, mentre cercavo di restare in piedi tenendomi sulla
bara, ma il mal di testa era ormai più forte di tutte le mie volontà.
Sentii
qualcuno chiamare il mio nome, poi tutto divenne nero ed io mollai. Mi lasciai
andare in quel scuro oblio, che però non mi inghiottì perché qualcuno mi
afferrò sul baratro di quel abisso. La mia mente parve addormentarsi, ma una
cosa riusciva a tenermi in ballo: un profumo. Un profumo di dopobarba che non
avevo mai sentito e che all’epoca ancora non sapevo, non avrei più dimenticato.
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Capitolo 5 *** capitolo 5 ***
capitolo 5
Capitolo 5
Sedevo
sotto un albero a mangiare il pranzo, o la cena, come preferite. Ero a metà del
primo giorno di lezione. Mi avevano dimessa ieri, dopo una settimana di
‘convalescenza’ nell’infermeria della St. Vladimir.
A
quanto pare, ero svenuta durante la cerimonia di onorificenza ai guardiani
caduti nell’attacco strigoi della mia accademia. La causa era dovuta a un forte
trauma cranico. Incosciente ero stata poi trasferita qui, dov’ero rimasta sette
giorni a letto, con un via vai di persone a me sconosciute. Alcuni erano
studenti che volevano sbirciare, altri il preside o qualche guardiano, ma
nessuno da colpirmi notevolmente. Continuavo nel mio mutismo, che ben presto
aveva fatto pettegolezzo, e oggi che avevo ripreso le lezioni, sapevo per certo
di essere, ufficialmente, il fenomeno da baraccone di turno. O la pazza. Così,
per evitare sguardi o altro, mi ero rifugiata fuori a mangiare. L’aria era
fredda, ma questo era il male minore in confronto al dentro.
Anche
qui, come alla St. Thomas, i novizi nelle prime ore di lezione svolgevano
combattimenti e rinforzavano i muscoli in palestra. Le mie abitudini si erano
incasinate, per cui sentivo davvero la necessità di allenarmi, ma gli
insegnanti non erano del mio stesso parere e mi avevano lasciato in disparte a
seguire le lezioni, seduta. Questo si, mi rendeva pazza.
Le
ore dopo il pranzo non furono molto diverse. In classe i novizi e i moroi mi
guardavano bisbigliando. Erano circolate molte voci, dato che alcuni della mia
vecchia scuola erano venuti qui. La massima era che uno strigoi mi aveva
tagliato la lingua, ma nessuno sembrava supporre che io avessi combattuto. Per
tutti ero una vittima sopravissuta e che ne era uscita, beh pazza. Chissà,
forse lo ero davvero. Di certo nessuno aveva mai visto il mio molnija, dato che
i capelli avevo deciso di tenerli sciolti, per coprirlo e coprirmi, non volevo
attirare l’attenzione, ma più cercavo di non farlo più succedeva il contrario.
Quando
le lezioni terminarono, non potei che sospirare e filarmela il più presto
possibile dall’ultima ora. Nell’uscire di fretta dalla classe urtai qualcuno,
facendogli cadere un libro di mano. Lo guardai ed era una moroi bionda, dal
viso angelico. Era davvero bella, e come tutte della sua specie, magra da far
invidia ad una modella. Per scusarmi le presi il libro e glielo porsi. Lei mi
guardò, sorpresa forse, ma comunque dolce. “Ti ringrazio, ma sono stata io a
venirti addosso. Ti chiedo scusa!”.
Una
moroi così gentile, non l’avevo mai incontrata, forse mi prendeva in giro. La
guardai negli occhi, e non vidi risa, bensì tristezza. Tanta tristezza.
Annuii
con un lieve sorriso, poi me ne andai. Non so perché, ma quella moroi mi lasciò
un retrogusto dolceamaro in bocca.
Ero
sulla strada per tornare al mio alloggio, persa ancora nei pensieri riguardanti
quella moroi, quando qualcuno mi urtò. Di nuovo. Dovevo togliermi il vizio di camminare
a testa bassa. Questa giornata voleva non finire più.
“Ehi,
pazza-dhampir. Certo che non sei niente male!”.
Un
moroi biondo platino, immaginavo della mia età, mi guardava con sguardo di
beffa. Mi ricordava Martin Ivashkov.
“Si
dice che facevi la preziosa nella tua scuola!”.
Si
avvicinò quel tanto per rendermi conto che sapeva d’alcol. A quest’ora? Ma
bene! Le accademie erano davvero tutte uguali.
Mi
stava dando sui nervi e la mia solita rabbia, che si annidava dentro di me,
stava forzando per uscire. Era dal giorno dell’attacco strigoi che provavo
questo sentimento, e cercavo di rinnegarlo.
“Signor
Zeklos. Sono sicuro che la preside Kirova, sarà lieta di ricevere una sua
visita.”
Un
guardiano di nome Alberta, una donna di un metro e ottanta di circa cinquanta anni,
si avvicinò ponendo in distanza di sicurezza quel moroi, che presto si sarebbe
trovato con qualche ossa rotta.
Avrei
voluto mettermi a ridere. Non trovavate divertente la situazione? Sempre i
soliti problemi a corrermi dietro.
“La
preside ha troppo da fare per occuparsi di me. Non trovo giusta disturbarla e
poi non stavo facendo niente di male, non è vero paz… ?” . Mi guardò, immagino
si stesse rendendo conto di non sapere il mio nome. “Beh, comunque, giusto?”.
Aveva
posto la domanda a me, che ovviamente non risposi.
Lui
ghignò. “Visto?”. Ora rivolto al guardiano.
E
con faccia divertita se ne andò.
Alberta
mi guardò un po’ preoccupata.
“Tutto
bene?”.
Dannazione,
odiavo questo sguardo, lo sguardo che aveva ogni maledetto guardiano che
incontravo in questo posto. Loro sapevano, ovviamente, com’erano andate le
cose.
Annui
distaccatamente.
“Ti
stavo cercando, Rose!”.
E
perché mi cercava?
“E’
arrivata questa!”.
Era
una lettera, la presi e riconobbi la calligrafia di mia madre.
Alzai
di nuovo lo sguardo sul guardiano Alberta, ma non lasciandole dire altro, con
un cenno del capo me ne andai finalmente in camera mia.
Cara Rose,
sono venuta a
conoscenza di cosa è accaduto all’accademia. Sono contenta che tu stia bene.
Avrei voluto offrire il
mio aiuto alla St. Vladimir, ma il moroi che proteggo teme per la sua
incolumità, quindi finché avrà bisogno dei miei servigi, rimarrò qui.
Fatti forza.
A presto.
Janine Hathaway
Che
buffo, non si era neanche firmata mamma, forse si rendeva conto di non esserlo.
Una
rabbia improvvisa mi fece scaraventare il primo oggetto che trovai davanti
contro il muro.
Che
strazio. Io avevo bisogno di lei, io che ero sua figlia, ma lei anteponeva a
tutto il suo lavoro. Già… loro vengono
prima. Come dimenticarlo? Di sicuro, non c’era nessuno più devoto di lei a questo
motto.
Per
distrarmi provai a svolgere qualche compito, poi stanca me ne andai a letto.
Dovevo darmi da fare, perché più me ne stavo con le mani in mano, più ero
stanca e più ero stanca più rimanevo indietro con gli allenamenti. Avevo un obiettivo
e lo avrei raggiunto, in un modo o nell’altro.
L’indomani
al tramonto mi alzai con un obiettivo: continuare quelle sessioni di
allenamento che facevo con Nikolai. Forse non avrei trovato nessuno che mi
insegnasse nuove mosse, ma almeno avrei mantenuto una buona resistenza fisica.
Sapevo
che a quell’ora era ancora in vigore l’orario del coprifuoco, erano regole basilari
di tutte le accademie, ma non me ne era mai importato granché di rispettare i
regolamenti. Infilai perciò dei leggins e una felpa, non raccolsi i capelli e
una volta messe le scarpe da ginnastica uscii a correre.
La
St. Vladimirs era simile alla St. Thomas, gli edifici erano un po’ più vecchi,
ma la disposizione di essi era la medesima. La vegetazione era un po’ diversa,
meno verde, se aveva senso.
Dopo
un paio di giri dell’accademia, mi accorsi che questa era più grande e che il
mio stare ferma si risentiva. Dovevo darmi da fare per tornare in forma. I mal
di testa erano ormai scomparsi, perciò potevo benissimo rimettermi in pari con
gli altri novizi e avrei cominciato fin da subito, quel giorno non sarei rimasta
seduta.
Stavo
giungendo nei pressi della palestra quando l’aria mi portò al naso un profumo
estasiante. Mi fermai di botto in cerca da dove provenisse. Sapevo esattamente
che profumo fosse, lo avevo sentito una sola volta, ma mi era entrato così in
profondità che non lo avrei più potuto dimenticare. Cercai li intorno la
presenza di qualcuno, ma non vidi nessuno e pian piano il profumo svanì. Che mi
fossi immaginata tutto?
Restai
inebetita un po’, fin quando non mi accorsi che l’accademia stava prendendo
vita, e che quindi avrei dovuto sbrigarmi se non avessi voluto arrivare tardi
in palestra.
Quando
feci il mio ingresso in palestra in tenuta da allenamento, calò il silenzio.
Fantastico. Mi misi in disparte e aspettai arrivassero i guardiani di turno.
“Ehi,
ciao!”.
Mi
si avvicinò un ragazzone dai capelli biondo cenere. Aveva l’aria simpatica. Io
lo guardavo e basta, infatti parve imbarazzarsi.
“Sono
Mason Ashford. Tu sei, Rose Hathaway, la figlia di Janine Hathaway.”
Non
era una domanda e questo comunque gli fece perdere quel minimo punto di
simpatia che potessi avergli accordato.
Socchiusi
gli occhi cercando di non mostrargli quanto furiosa fossi in realtà e annuii
risentita.
Lui
si agitò impercettibilmente.
“I-io
non credo a quello che si dice in giro.”
E
detto ciò tornò al suo posto grattandosi nervosamente la testa. Un po’ mi
pentii di essermi comportata a quel modo, era sincero quando mi aveva
praticamente detto che non credeva fossi pazza, forse ora si era ricreduto.
Abbassai
gli occhi stanca di tutto ciò, e intanto sentii entrare i guardiani.
Alzai
gli occhi e il mio cuore inspiegabilmente prese a battere più forte. Uno dei
due guardiani ero quello che alla cappella della St. Thomas mi fissava
intensamente e che lo stava facendo anche adesso. Sudavo freddo e non capivo
perché fossi così agitata. L’altro guardiano era Alberta ed anche lei mi notò,
ma non con la stessa intensità del suo compagno.
“Signorina
Hathaway, perché è in tenuta d’allenamento?”.
Nessuno
fiatò, neanche io. Le lanciai solo uno sguardo deciso che lei parve accettare
come spiegazione.
“Va
bene, se te la senti non obietterò. Guardiano Belikov , a te la parola!”.
Belikov.
Guardiano Belikov, finalmente un nome a quel viso. E che viso. Questo dio greco
alto un metro e novanta, coi capelli neri un po’ lunghi e legati alla nuca con
un piccolo codino era davvero l’uomo più bello che avessi mai visto e che mi
avesse mai colpito così tanto. Di questo non riuscivo a capacitarmene. Su e giù
doveva avere venticinque anni, ma dai molnija sul suo collo forse anche di più.
“Tutti
in cerchio attorno al tappeto da combattimento. A due a due farete dei
combattimenti, e vediamo se abbiamo smesso di fare errori elementari. Se
andrete bene, riprenderemo le lezioni con il paletto, alle quale si unirà alla
pratica il guardiano Hanson della St. Thomas.”
Tutti
lo ascoltavano con rispetto, io seguivo la sua voce calda e profonda con un
lieve accento russo, come il canto di una sirena, ma la magia si ruppe al nome
Hanson. Albert che insegnava a come usare un paletto? Era una barzelletta?
Nessuno
rideva, per cui la notizia non era una battuta. Pensierosa a riguardo, seguii
gli altri novizi intorno al tappeto e
ben presto dimenticai la barzelletta, intenta a seguire i combattimenti dei
miei nuovi compagni. Stavano combattendo ora un certo Eddie, che era stato
scelto da una certa Margaret. Non se la cavavano male, seguivano alla lettera
gli insegnamenti che ci venivano dati, ma lui era un po’ più forte di lei e la
mise al tappeto presto.
Ne
susseguirono altri, e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che con gli
strigoi non era così facile. Loro lo ripetevano spesso, i guardiani che ci
insegnavano intendo. Tante volte Nikolai lo aveva detto anche a me, ma non
avevo mai capito finora cosa intendesse veramente.
Un
novizio aveva appena messo fuori combattimento un altro con un calcio
all’addome, davvero niente male. L’altro avrebbe avuto un bel livido il giorno
seguente. Belikov, di cui ora mi rendevo conto di voler sapere il nome, chiamò
Mason, il ragazzo che mi aveva parlato prima.
“Avanti
Mason, scegli un compagno!”.
“Rose
Hathaway!”.
Lo
disse come se ci avesse pensato per giorni. La cosa sbalordì tutti, anche
Belikov.
Mossi
diversi passi, per ritrovarmi poi davanti a Mason al centro del tappeto.
“Quando
volete!” disse Alberta.
Mason
si mise in guardia e mi tirò un pugno all’addome che parai per un soffio. Mi
sentivo strana e mi sembrava che il mio corpo rispondesse in ritardo. Girammo
intorno, la sala era nel silenzio più totale, e il mio avversario continuava ad
attaccare, mentre io continuavo a parare malamente.
Vidi
i guardiani lanciarsi un’occhiata, forse pensavano non fossi pronta o in grado.
Non potevo passare per una disabile accidenti. Feci un respiro e l’immagine
dello strigoi che aveva ucciso Nikolai mi lampeggiò nella testa, e fu la fine.
Una
rabbia dentro esplose, feci una finta bassa che destabilizzò il mio avversario,
così tirandomi su velocemente sferrai un calcio rotante che lo colpì di lato
buttandolo a terra. Stavo per avventarmi su di lui, ma un profumo di dopobarba
mi fermò e sentii subito qualcuno bloccarmi le braccia. Il mio cuore sussultò
quando vide Belikov a pochi centimetri
dal mio viso, guardarmi intensamente.
“Respira!”
mi disse su un orecchio ed io obbedii.
Invasi
le mie narici del suo profumo e questo mi calmò, non accorgendomi neanche di
essermi agitata. Sentii Alberta chiedere a qualcuno di aiutarla e solo allora
mi accorsi che lei ed Eddie stavano
aiutando Mason a rimettersi in piedi che sembrava molto intontito. Solo allora
mi resi conto che il mio calcio lo aveva spinto fuori dal tappeto e che
probabilmente aveva sbattuto la testa a terra. Ed io, invece di fermarmi, lo
stavo per attaccare di nuovo, se… se Belikov non mi avesse fermato. Mi voltai
sconvolta verso di lui e lui purtroppo mi lasciò andare, forse capendo che non
ero più un pericolo. Guardai gli altri studenti e tutti erano intorno a Mason,
nessuno si era reso conto del mio scatto di follia. Qualcuno rise a una qualche
battuta e l’aria parve rasserenarsi. Mason stava bene e si stava facendo largo
per avvicinarsi a me, che ero ancora sul tappeto immobile. Aveva un sorriso
gentile, non era arrabbiato.
“Wow,
mai visto una finta così. Sapevo che dovevi essere un osso duro!”.
Era
tranquillo e alzò una mano per darmi il cinque, alzai la mano d’istinto e lui
la colpì.
I
guardiani poi ci richiamarono per avvertirci che la lezione era finita.
Continuai
le lezioni seguenti sconvolta da me stessa e dalle mie reazioni.
Salveee
Eccoci qui, 5 capitolo.
Rose ha iniziato
la sua nuova vita, ma non è semplice e se ne sta accorgendo
passo dopo passo. A troppi fantasmi con cui fare i conti.
Riuscirà a superarli tutti?
A presto
xoxo
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Capitolo 6 *** capitolo 6 ***
capitolo 6
Capitolo 6
Quella
notte non dormii. Ripensavo al combattimento con Mason e non riuscivo a trovare
pace. C’era qualcosa che non andava in me, e lo sapevo.
Era
ancora presto per alzarsi, ma stare a letto sembrava un’utopia così misi una
tenuta da ginnastica e dopo un paio di giri di corsa, andai in palestra. Sapevo
che anche qui dovevano avere una sala coi manichini e non mi fu difficile
trovarla. I luoghi erano suddivisi, più o meno, con la logica che c’era anche
nella mia accademia. Guardai il manichino senza viso davanti a me e iniziai a
prenderlo a pugni lentamente, poi come spesso ultimamente accadeva, scattai
d’ira e iniziai a sfogare la mia rabbia sul fantoccio.
“Non è così che
risolverai i tuoi problemi”.
Quella
voce.
Mi
voltai colta in flagrante, mentre il mio cuore sussultava un po’. Non avevo più
ripensato a lui.
Il
guardiano Belikov era in piedi all’ingresso in tenuta d’allenamento,
ma per un nano secondo, non so perché, ebbi la sensazione di vedere Nikolai.
Mi
tirai indietro dal manichino scioccata, mentre ansimavo.
Si
avvicinò silenzioso, fissandomi e soppesandomi con lo sguardo.
“Dovresti
parlare con qualcuno.”
Sgranai
gli occhi, mentre il sudore mi gocciolava ai lati del viso. Sembrava un modo
carino per dirmi di andare dallo psicologo. Arretrai alle sue parole.
“Non
spaventarti, lo dico per te, per il tuo bene. Così non risolverai nulla, e sarà
sempre peggio!”.
Sembrava
parlasse per esperienza o forse sembrava solo molto convincente, ma io non ero
pazza dannazione. Io stavo bene avevo solo… bisogno di tempo.
“Guardami
bene. Gli altri guardiani sbagliano a pensare che quando sarai pronta tornerai
in te. So cosa ti sta accadendo e lasciarti ad affrontare tutto da sola sarà la
tua rovina.”
Stava
cominciando ad innervosirmi. Volevo andarmene, non volevo ascoltare.
Feci
altri passi all’indietro, verso l’uscita. Lui dallo sguardo duro intese la mia
posizione.
“Non
diventerai mai un buon guardiano così. Di questo passo, non lo diventerai
mai!”.
Questa
sua frase mi infuriò. Chi credeva di essere, non mi conosceva nemmeno.
Vidi
il suo sguardo brillare furbo, sapeva di aver toccato il punto giusto.
“Si
aspettano tutti grandi cose, perché sei figlia del guardiano Hathaway, ma per
quanto mi riguarda, resteranno molto delusi!”.
La
sua bocca si storse in un ghigno compiaciuto. Mi stava praticamente dicendo che
non sarei mai diventata come mia madre, che non sarei mai diventata un
guardiano, che non sarei diventata nessuno.
Qualcosa
in me esplose, quella cattiveria che arginavo da giorni fuoriuscì e mi accecò
dalla rabbia. Nemmeno mi accorsi che avevo attaccato il guardiano Belikov.
Lui
sembrava aspettarselo perché parò subito i miei colpi. Tutte le lezioni di
Nikolai mi frullavano per la testa ed io, colma di adrenalina, le stavo
provando tutte, ma il mio avversario sembrava anticiparmi qualsiasi mossa.
“E’
questo il meglio che sai fare?” mi disse dopo un paio di attacchi, ma il suo
tono era cambiato e non era più cattivo come prima, sembrava speranzoso quasi.
D’altro canto dopo un po’ mi accorsi che anche io ero cambiata, non era più la
rabbia a guidarmi, bensì la frustrazione che lui sapesse in anticipo ogni mia
mossa. Il mio scopo prima era farlo tacere, ora era sopraffarlo. Tutta me stessa
si aggrappò su ciò.
Dopo
non so quanto tempo, cominciai a risentirne, tutta l’adrenalina stava scemando
e sentivo il mio corpo abbandonarmi a poco a poco. Lui mi colpiva, ma sapevo
per certo che si stesse trattenendo. Non capivo perché in tutto questo, la
sensazione familiare che provavo in sua presenza continuasse ad invadermi.
Ormai
per la mente non avevo più niente da sfoggiare, mi passava per la testa solo
una finta che mi aveva insegnato Nikolai qualche giorno prima del… .
Mi si formò un groppo allo stomaco al suo
pensiero.
Cercai
di non distrarmi e ricordai le parole del vecchio durante la sua spiegazione, e
dopo aver finto un attacco di lato, mi girai veloce per colpire la schiena del
mio avversario, ma chissà perché, neanche questo funzionò. Belikov riuscì ad
intuire anche questa mossa, e mi spedì al tappeto e nel cadere me lo trascinai
dietro.
I
suoi occhi stavano a poca distanza dai miei. Aveva parato tutti i miei
attacchi, riconoscevo che aveva combattuto in modo fantastico, quasi aggraziato
quanto una persona a me nota… Nikolai.
Questa
scoperta mi bloccò, mozzandomi il fiato, mentre ancora lo guardavo, e lui
faceva lo stesso. Quando smisi di respirare lui si destò all’improvviso, come
se solo allora si fosse accorto della nostra vicinanza. Io mi alzai lentamente,
ancora sgomenta e fissandolo. Ecco perché quella sensazione familiare, la sua
postura, il suo modo di combattere… impossibile… ma forse…
Lui
a disagio si voltò di spalle, stava per andarsene, ma qualcosa lo fece fermare.
Un nome. Una voce. La mia.
“Dimka!”.
Lui
si voltò con occhi sgranati, increduli. Questa era una risposta più che
sufficiente.
Io
lo guardavo scioccata, conscia forse di averlo sempre saputo.
“..
avrei dovuto capirlo subito...”.
Parlavo
più a me stessa.
Sorrisi
amara, tutte le mie difese si stavano abbassando.
Fissavo
lui, ma non lo guardavo davvero. Davanti a me altre scene. Nikolai che che mi
sgridava divertito e io che lo stuzzicavo come una monella.
“Lui mi parlava spesso di te…”
Era
ovvio chi fosse quel lui, ed ero
certa di avere ragione, perché gli occhi di Belikov iniziarono a brillare,
forse commosso, chi poteva dirlo.
In
quel momento mi accorsi cos’ero successo. Avevo parlato. Avevo scavalcato le
mie muraglie, per arrivare a lui… e lui, ora mi guardava sereno. Risentii le
sue parole quand’era entrato nella sala dei manichini, il suo provocarmi e solo
allora capii. Come sapeva fare il mio vecchio, Belikov-Dimka, aveva toccato
l’unico tasto che mi avrebbe fatto scattare, che mi avrebbe svegliata, che mi
avrebbe fatto reagire. E ora che le difese erano state aperte tutto ciò che mi
rimaneva dentro, si riversò fuori in lacrime amare. Tutte quelle lacrime che
avevo soffocato.
In
un primo momento vidi Belikov combattuto, ma poi si avvicinò e mi lasciò affondare
il viso sul suo petto.
“Sfogati,
Roza!”.
Quel
nome mi scatenò un’ondata di lacrime più furiosa della precedente, ma più
piangevo, più sentivo alleggerirmi, tanto che riuscii a dire ciò che non avevo
neanche mai avuto il coraggio di pensare per paura dell’intensità del significato
di quelle parole.
“E’
morto per colpa mia. È tutta colpa mia… Nikolai .. colpa… mia…”.
Deliravo.
Belikov
mi staccò da se, e i singhiozzi presero a rallentare mentre mi perdevo nel suo
sguardo serio.
“Non
puoi prenderti la colpa di tutto!” la sua voce risuonava alto sonante.
Rimbombava in quella sala e nella mia testa. “…puoi pentirti delle tue
decisioni e desiderare di aver fatto le cose in un altro modo, Rose, ma anche
il guardiano Lazar ha fatto le sue scelte, come altri quel giorno, e tu non puoi
essere responsabile per tutti loro. È ora che tu capisca ciò!”.
Rimasi
sconvolta dalle sue parole. Lui sapeva cosa provavo e aveva fatto in modo che
lo dicessi e che capissi. Aveva ragione, sapevo che era vero, e ora iniziavo a
vergognarmi per come mi ero comportata. Se volevo diventare un guardiano questo
genere di cose potevano succedere: perdere un amico, uccidere qualcuno…
“Io
ho ucciso…”. Ancora un singhiozzo lontano mi vibrò nel torace.
Lui
mi accennò un sorriso gentile.
“Nessuno
si riprende facilmente dalla sua prima uccisione, anche se la vittima è un
mostro a tutti gli effetti. Tutti noi abbiamo dovuto farci i conti la prima
volta, ma la cosa importante è non perdere di vista il nostro obiettivo, non
perdere di vista chi siamo e perché facciamo queste cose. Non perdere di vista
noi stessi. E il più delle volte la cura migliore è proprio parlarne. Non tenersi
tutto dentro!”.
Dopo
non so quando la mia bocca si curvò in un sorriso, con un retro gusto amaro.
“Quel
vecchiaccio mi diceva sempre di dovermi controllare…”.
Lui
mi guardò strabuzzando gli occhi.
“Vecchiaccio?”.
Sembrava
davvero imbarazzato per il modo in cui chiamavo Nikolai, tanto che la sua
faccia mi fece ridere, e ridere, e ridere…
Da
quanto non sentivo la mia risata, mi ero dimenticata il suo suono, come mi ero
dimenticata l’emozione che ne suscitava.
Quando
smisi mi sentii rinata, mi sentii di nuovo me stessa ed era una sensazione
bellissima.
Avevo
toccato il fondo, ora non potevo far altro che risalire.
Lo
guardai e una domanda stupida mi affiorò sulla labbra.
“Che
significa Dimka?”.
Lui
sorrise.
“E’
il diminutivo del mio nome. Dimitri.”.
Dimitri
Belikov. Suonava divinamente.
“Non
aveva più senso, che ne so, Dimi?”.
Lui
curvò le labbra in un accenno di sorriso.
“Non
funziona così nella lingua Russa!”.
“Già,
di sicuro. Beh, a me piace di più Dimitri.”
E
detto ciò, il mondo tornò al proprio posto. Dimitri mi portò alla realtà
ricordandomi l’ora. Feci per andarmene, ma prima di uscire, mi voltai e gli
dissi grazie.
Grazie
a lui avevo ripreso a vivere e di sicuro non lo avrei dimenticato mai.
Risciacquavo
i capelli dallo shampoo, e non potei non rendermi conto dei miei giorni passati
in quello stato comatoso. Dimitri mi aveva riattivato il cuore, riportato in
vita. Prima ero solo un automa. Ero arrivata ad essere lo zimbello della St.
Vladimir e questo doveva cambiare. La gente avrebbe dovuto ricordare il mio
nome per ben altri motivi, non certo perché momentaneamente non in grado di
intendere e di volere.
Il
mio cuore sembrava esplodermi nel petto, ero carica come non lo ero da tempo,
sapevo che avevo ancora molta strada da percorrere, prima di divenire un
guardiano a tutti gli effetti, ma dovevo farcela a tutti i costi, per me
stessa, e per quel vecchiaccio che aveva creduto così tanto in me.
Camminavo
sotto le arcate che aggiravano i giardini
per recarmi in mensa per la colazione, o almeno speravo di trovare ancora
qualcosa, perché ero in dannato ritardo, quando a metà strada notai che c’erano
dei moroi, presumibilmente reali nel loro atteggiarsi, che stavano intimorendo
un’altra moroi. La riconobbi quasi subito. Era la moroi dagli occhio tristi, a
cui avevo raccolto il libro.
Avviccinandomi sentii cosa si dicevano.
“E
tu saresti una reale? Per fortuna non sei rimasta che tu!”.
Era
stata una moroi dalla voce nasale e cattiva a dire queste parole. Si era tirata
indietro i capelli rossicci, lisci come seta, aveva l’aria di una stronza
ricercata, e si atteggiava come capo combriccola. La moroi bionda parve
risentirne parecchio, perché i suoi occhi già tristi di suo, si riempirono di
lacrime. Stava cominciando a respirare affannosamente, sembrava avere una crisi
di panico.
Non
mi erano mai piaciute queste cose. Prendersela con gli indifesi e
dispensare
cattiveria gratuita. Non era solo un capriccio il sogno di diventare un
ottimo guardiano, bensì la possibilità che diventando un
nome riconsciuto, avrei
ricevuto così tante richieste da poter decidere io chi servire.
Proteggere i
moroi, che davvero ne avevano bisogno.
Giunsi
in quel gruppetto, dove la folla stava aumentando, e mi misi a scudo davanti
alla moroi bionda.
La
stronza panteta si spaventò al mio arrivo, ma quando mi riconobbe rise
aspramente.
“Ma
guarda, la pazza-dhampir che arriva in difesa della pazza-moroi.”
La
sua combriccola rise dopo di lei.
Io
la guardavo minacciosa, poi mi rasserenai e gli volsi un sorriso amichevole,
che la fece smettere, ma non perdere, quel ghigno sul viso.
“Dovresti
sapere cosa si dice dei pazzi!”. Sorridevo ancora mentre mi avvicinavo al suo
viso, che ora parve incredulo nel sentirmi parlare. In fin dei conti ero sempre
la muta dell’accademia.
“I
pazzi sono così instabili, che non si sa mai come possano reagire!”. L’ultima
parola gliela sussurrai a pochi centimetri dal viso. Lei si era bloccata
incredula. Tutti in silenzio guardavano la scena. La muta pazza aveva parlato.
Qualcuno
da lontano disse che stavano arrivando i guardiani, così tutti si dispersero
velocemente. La ragazza moroi che avevo affrontato si era ripresa e prima di
allontarsi, guardò la moroi alle mie spalle, poi me e disse: “Vi siete scavate
la fossa da sole!” e se ne andò ancheggiando.
Doveva
intimorirmi? Perché a me aveva solo dato un pizzico di quotidianità normale
nella mia vita.
Mi
voltai ricordandomi della moroi alle mie spalle.
“Ehi,
tutto bene?”.
Lei
mi guardava incredula, le lacrime non erano scese, e questo mi bastava.
“N-nessuno
aveva mai preso le mie difese! Grazie.”.
Io
le sorrisi rassicurandola.
“Perché
non ci sono mai stata io!”.
Il
suo viso fu rischiarato da un timido sorriso. Era davvero la moroi più bella
che avessi mai visto. I suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle, tutto di lei
la faceva brillare.
“Io
sono Rose Hathaway, anche se forse lo sai già!”.
Come
sempre la mia peggior fama mi precedeva sempre.
“Il
mio nome è Vasilisa Dragomir, ma ti sarei grata se mi chiamassi solo Lissa!”.
Un
momento Dragomir? Conoscevo benissimo questo nome, anzi sfidavo tutti a non
saperlo. I Dragomir erano una delle casate che godevano di maggior rispetto tra
i reali, ma il destino aveva decimato i suoi componenti fino ad una sola
famiglia. E la disgrazia peggiore era arrivata qualche anno prima, dove i
rimanenti erano morti in un incidente stradale. Voci di corridoio parlava di
sopravissuti, altre dicevano che erano morti tutti. Ricordai le parole della
stronza di prima “Per fortuna non sei
rimasta che tu”. Come si può dire una cosa così spregevole?
Lei
parve capire l’impatto che avrebbe avuto su una che non la conosceva il suo
nome, e mi lasciò il mio tempo per apprendere ciò.
“Quella
rossa è stata davvero una grande stronza!” mi riferii a ciò che le aveva detto
prima.
Lei
non si aspettava che le dicessi così, probabilmente era solita sorbirsi domande
su suoi parenti, di certo io non le avrei chiesto niente. Figuriamoci.
Lei
mi sorrise e stava per rispondermi, ma i guardiani di cui si era nominato
l’arrivo prima, con tempismo splendido fecero la loro apparizione.
Erano Dimitri e il guardiano Alberta. Non so
se lo immaginai solo, il mio cuore, sussultare.
Lui
parlò non appena ci fu vicino.
“Principessa,
ci sono problemi?”.
“Nessuno,
guardiano Belikov, ho solo avuto il piacere di conoscere Rose.”
Era
sincera. Mi sorrise dolce, dopo aver parlato educatamente con Dimitri, il quale
mi guardava con sospetto. Perché sembrava aspettarsi che adesso ne combinassi ad
ogni passo? Io gli sorrisi angelicamente, e questo gli fece brillare gli occhi
di …divertimento? Ammonimento? Non avrei saputo dirlo. Contemporaneamente
ammirai Lissa, non sembrava nemmeno che un minuto prima una ragazza le stesse
ricordando di essere sola al mondo. Capii che doveva essere una persona che si
teneva tutto dentro, per non dare peso dei suoi problemi agli altri. Sbagliava, come io avevo capito
che sbagliavo. O meglio, come Dimitri mi aveva fatto capire che sbagliavo.
Perché
diamine risolvere i problemi degli altri era sempre più facile che risolvere i
propri?
“Bene,
allora principessa se non le è un fastidio l’accompagnerò alla sua lezione,
dato che sono di strada. Tu, signorina Hathaway, proseguirai a Tecniche avanzate di combattimento con
il guardiano Belikov” disse Alberta.
“La
ringrazio” disse gentile Lissa, poi si rivolse a me “Rose, pranziamo assieme
oggi?”.
Mi
sarebbe piaciuto diventare sua amica.
“Volentieri.
A dopo, Lissa!”. Lei mi sorrise, e un’Alberta alquanto solare la scortò via. Non
potei non notare i capelli corti sbarazzini del guardiano, che permettevano di
vedere benissimo i molnija e il marchio della promessa, una esse orizzontale.
Inconsciamente mi toccai la parte del collo in cui c’era il mio tatuaggio.
Dimitri
mi guardava pensieroso come il suo solito e io finta di niente presi a camminare
verso la palestra.
“Lo
nascondi!”.
La
sua voce calda iniziava ad essere familiare e mi faceva rabbrividire lungo la
schiena.
Si
stava riferendo al molnija. Aveva visto che avevo guardato il collo di Alberta
e che mi ero toccata il mio.
“Non
è vero.” Almeno credevo. “È solo che… non voglio tagliare i miei capelli, non
ancora.”
Tutti
i guardiani femmine li tagliavano, ma a me piacevano troppo i miei lunghi
capelli neri.
Sembrava
volesse confidarmi qualcosa, ma qualcosa lo bloccò, rimettendo la maschera
salda che avevo visto portare sempre in presenza della gente. Un guardiano
dall’aspetto fiero e intoccabile. Con me, anche quella mattina, sembrava fosse
stato più se stesso. Forse il fatto di aver avuto lo stesso mentore, ci univa
un po’.
“Puoi
sempre legarli!” e si indicò il codino che portava lui. Certo i suoi capelli
erano corti anche se sciolti, ma forse per non averli in viso li legava, almeno
pensavo io.
“Se
sciolti possono essere un’arma usata contro di te. Uno strigoi può prenderti
per i capelli e tirarli, così da farti perdere l’equilibrio e prenderti in
contropiede!” lo disse come se fossimo ad una lezione di combattimento.
“Grazie
per la dritta, compagno. Mi piacciono troppo i miei capelli.”
Non
lo guardai, e da lì in poi continuammo in silenzio sino in palestra. Da dove mi
era uscita compagno? Lui non aveva detto niente, e speravo non se ne fosse
accorto. Sapevo bene che non era Nikolai, eppure sentivo un feeling, qualcosa,
che mi faceva sentire tranquilla e al sicuro.
All’ingresso
mi fermai e lui dietro di me. Mi era tornato in mente il combattimento con
Mason il giorno prima.
“Come
sapevi che non mi sarei fermata ieri?”.
Non
specificai cosa, ma sapevo che lui mi avrebbe capita. Lui sembrava capirmi
sempre.
“I
tuoi occhi” disse, dopo una piccola pausa. “Erano inarrestabili.”.
Ricordai
chi credevo di combattere.
“Ai
miei occhi, vedevo uno strigoi”. Ammisi e lo guardai.
Lui
annuiva. Poi dal nulla lo vidi tornare nella sua solita postura da guardiano
intoccabile. Le confidenza era finite.
“Sai
vero che dovrò riportare il fatto che sei tornata nelle tue piene facoltà
mentali!”.
“Che
il mio momento pazzo è finito?” dissi ironica. “Si, lo sospettavo. So che i
guardiani vorranno sapere cosa è successo quella notte, ma riferisci loro che
lo dirò solo dopo che avranno risposto a delle mie domande!”.
Riuscii
a sorprenderlo e incuriosirlo.
“Quali
domande?”.
Oh,
molte domande. Quell’attacco non avrebbe mai dovuto verificarsi.
“Sono
sicura che sarai presente anche tu, perciò vedrai.”
E
lo lasciai ammutolito.
Buonaseraaa
Un legame che sembrava già inspiegabilmente esistere, inizia a prendere forma per i nostri personaggi preferiti.
Che ne pensate di questo Dimitri che aiuta Rose a tornare in sè?
Rose sembra aver trovato anche un'amica sincera, contente?
Ditemi cosa ne pensate mie preziose lettrici <3.
Un bacio
|
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Capitolo 7 *** capitolo 7 ***
capitolo 7
Capitolo 7
Quel
giorno combatterono i novizi che non avevano combattuto il giorno prima. Io nel
mezzo della lezione mi avvicinai a Mason.
“Ehi…
Mason. Come stai?”.
In
un primo momento fu sgomento del fatto che gli parlassi, ma si riprese subito.
Credo
che provasse del rispetto per me.
Se
solo sapesse.
“Hathaway.
Tutto bene dai, un lieve bernoccolo.” Rise grattandosi la testa.
Seguì
un silenzio imbarazzante, che cercai di rompere subito.
“Ehm…
Volevo chiederti, voi da avete iniziato ad allenarvi con il paletto?”.
Lui
fu confuso per il cambiamento di discorso.
“Oh,
beh, l’anno scorso ci siamo dedicati alla teoria. E quest’anno dal primo giorno
abbiamo fatto pratica.”
Accidenti,
erano più avanti di me. Perché non tutte le accademie seguivano lo stesso
metodo di insegnamento?
“Perché
me lo chiedi?”
Gli
sorrisi tesa.
“No,
niente. No sapevo bene a che punto foste voi.”
Lui
si fece bastare la risposta, poi mi rivolse uno sguardo triste.
“Mi
dispiace per quello che è accaduto alla tua accademia!”.
“Ti
ringrazio”risposi troppo in fretta.
Lui
non disse altro.
Mi
persi un po’ sul pensiero che, riflettendoci bene, tra gli studenti era andato
a scemare lo spavento causato dall’attacco degli strigoi alla St. Thomas. Certo,
loro avevano solo sentito parlare, non avevano visto quello che io avevo visto, e sicuramente, si
sentivano protetti qui. La cosa però non era vissuta in egual modo dai
guardiani. Sapevo abbastanza da accorgermi, che il numero dei guardiani
presenti alla St. Vladimir era superiore al normale, e spesso vedevo coppie di
guardiani aggirarsi con sguardo vigile per l’accademia. Sapevo inoltre, grazie
al mio udito sopraffino, che molti reali avevano raddoppiato le loro guardie
nelle loro casate, cosa che mi aveva accennato anche mia madre nella sua
lettera. Tutto era normale, niente era apposto.
L’ora
successiva, un certo Stan parlava di come bisognava sorvegliare un moroi.
Questa parte la conoscevo già per mia fortuna. Si trattava della tecnica di
sorveglianza a “coppia”, quando due guardiani sorvegliano uno o più moroi. Uno
dei due funge da guardia prossima e cammina con i moroi, l’altra è la guardia
lontana che a distanza controlla un’area più vasta con un numero più elevato di
minacce.
“Qual
è la figura più importante delle due?”
chiese poi il guardiano Stan.
Un
certo Ryan proruppe dopo un lungo silenzio: “Quello con i moroi.”.
Il
guardiano socchiuse gli occhi per adocchiare meglio la sua preda. “Oh, signor
Aylesworth. Può rallegrare la sua
impeccabile risposta di particolari?” era ironico, ovvio.
Ryan
si tirò su dalla sua posizione stravaccata.
“Beh,
è ovvio che il guardiano che si trova vicino ai moroi sarà quello che si
scontrerà per primo con gli strigoi che
attaccheranno, per cui sarà quello con più responsabilità nel proteggerli.”.
Elementare,
poco fantasioso.
“Lei
dice?” lo guardò con occhi lievemente socchiusi. “Qualcun altro a favore della
teoria del signor Aylesworth?”.
Mi
accorsi di aprir bocca ancora prima di aver deciso mentalmente se farlo o no,
ma accidenti, volevo mettermi in mostra. Dovevo.
“Veramente…”.
“Si?”
Stan si destò subito in cerca di quella voce. A quanto pare non erano molti
quelli che si offrivano di parlare alle sue lezioni. Quando i suoi occhi si
puntarono su di me, parve sorpreso, ma tornò al suo solito cipiglio da
studioso.
“Prego
signorina Hathaway continui.”
“Ryan
potrebbe avere ragione, ma qualcuno potrebbe anche dire che è la guardia
lontana quella con più responsabilità. Deve controllare un territorio più vasto
e stare allerta al minimo segnale di pericolo. Forse sarà proprio lui il primo
a combattere con gli strigoi che attaccheranno, perché probabilmente sarà anche
il primo ad accorgersene.”
Lui
seguiva attento il mio discorso e così l’intera classe. Scorsi Mason farmi
l’occhiolino seduto nei primi banchi.
“Magnifico,
signorina Hathaway, ma la sua risposta non specifica chi dei due lei ritiene
più importante.”
Sorrisi.
“Nessuno
lo è. O meglio, non lo è nell’uno nell’altro, bensì entrambi. La guardia
lontana, vigile, avviserà il più velocemente possibile la guardia prossima, la
quale preparerà la difesa fino all’arrivo del suo compagno e insieme
sconfiggeranno il pericolo in agguato.”
Stan
mi guardava attento.
“Eccellente!
Signor Aylesworth, spero abbia preso appunti”.
Solo
eccellente? Poteva farmi un’ola.
Sentii
la classe ridere e bisbigliare, io ero fiera di aver dato quella che a mio
parere era la risposta più esatta.
“Guardiano
Belikov ha bisogno?”.
Mi
voltai di scatto verso la porta alle mie spalle in fondo all’aula, con il cuore
in gola. Dimitri nella sua eleganza più battagliera, si ergeva dritto e
immobile guardando Stan.
“La
signorina Hathaway è desiderata dalla preside Kirova.”
Chissà
se aveva visto il mio momento di gloria.
“Prego
signorina può andare.”
Tutti
mi guardavano; chi indifferente, chi più malizioso in attesa di qualche scoop
non in mio onore, come lo sguardo di Ryan, che probabilmente non gradiva la
figura fatta.
Nel
tragitto non dissi nulla e neanche Dimitri disse niente. Lo vedevo pensieroso e
non ebbi il coraggio di attirare l’attenzione.
Nell’ufficio
della preside, oltre a lei, trovai ad attendermi il preside Thompson, Alberta,
un altro guardiano e il mio carissimo Albert. Restai sconvolta nel vederlo, non
perché fosse lì, sapevo che si trovava in questa accademia, e sapevo che nel
mio “interrogatorio” lui di sicuro sarebbe stato presente, ma ciò che mi colpì
fu il suo viso. Lo ricordavo diverso, più giovane forse, meno pensieroso e meno
tetro. L’attacco doveva averlo segnato tantissimo. Forse questo poteva spiegare
molte cose, come il suo passaggio dalla teoria alla pratica.
“Signor
Thompson” dissi in parte felice di vederlo, era un legame della mia vecchia
vita. “Non sapevo fosse qui.”
“Ciao
Rose, sono contento di vedere che stai meglio. Non resterò molto a dire il
vero.”
Di
certo questa non era la sua accademia, chissà cosa avrebbe fatto. Forse avrebbe
seguito da vicino la ricostruzione della St. Thomas.
“Bene,
Rose.” Disse la Kirova. “Puoi sederti!” e allungò il braccio in direzione delle
sedie di fronte alla sua scrivania, e così feci. Lei era seduta di fronte a me,
Thompson era in piedi al suo fianco. Alle pareti Alberta e Hanson a sinistra e
Dimitri a destra. Non mi volsi a guardarlo, ma sentivo la sua presenza
imponente. L’altro guardiano di cui non conoscevo il nome, e che nessuno mi
presentò, sedeva su un angolo con una macchina da scrivere di fronte a lui.
Sospettavo che avrebbe scritto anche i miei respiri. E non mi sbagliai di
molto.
A
prendere parola fu Thompson che per prima cosa, si assicurò di chiedermi se
sapessi il motivo per cui fossi lì, dopo di che, mi chiese di raccontargli la
mia storia.
Presi
un grosso respiro, poi iniziai a parlare. Raccontai di quando ero stata
convocata dal preside, a causa del pugno dato a Martin Ivashkov. Thompson e
Hanson replicarono entrambi l’esattezza del fatto e il guardiano anonimo
scrisse tutto. Mi accorsi che probabilmente quei scritti sarebbe finiti tra gli
annali dei guardiani, la mia testimonianza sarebbe entrata nella storia, e
tutti avrebbero ricordato che Rose Hathaway aveva dato un pugno ad un moroi. E
non un moroi qualunque.
Dannazione!
Si
notò la mia esitazione e Thompson mi chiese se fossi in grado di continuare. La
parte peggiore non era ancora arrivata, ma mi ero posta un obiettivo, e per
arrivarci avrei dovuto passare anche questo esame con me stessa.
“Si,
posso continuare.”
Sentivo
gli sguardi tutti su di me, specialmente uno e cercai di non farmi prendere
troppo dalle emozioni. Dovevo comportarmi come un guardiano, dove loro vengono prima e le nostre emozioni
e i nostri problemi non sono la priorità. Cercai di mostrarmi più distaccata
possibile e proseguii col mio discorso. Nikolai che mi ordinava di andare agli
alloggi moroi, la corsa fuori, le grida di aiuto di Lucinda Ivashkov.
“Come
hai agito?”.
“Sapevo
di doverla proteggere. Lei era in stato di shock ho dovuto alzare la voce e
darle qualche scossone per vedere un qualche barlume di lucidità. Sapevo che
più stavamo lì, più la possibilità che uno strigoi sopraggiungesse fosse reale,
allora le ho detto di correre verso gli alloggi. Lei stava tra me e il muro, ma
a metà strada è arrivato uno strigoi.”.
Mi
fermai rivivendo il mio stesso racconto, mi accorsi che in quel momento quella
era stata la decisione più logica e migliore che mai avrei potuto fare.
“E
cosa è successo dopo?”.
“Ho
cercato di distrarre lo strigoi.” Mi ricordai del mio stupido tentativo. “Non
avevo armi, gli ho tirato un sasso, mossa stupida lo so, ma lo ha distratto
giusto il tempo perché spingessi via Lucinda, obbligandola a scappare.” Intuivo
che fosse riuscita a salvarsi, non c’era stato nessun cataclisma da parte della
regina da quanto ne sapevo.
“Si
è salvata, almeno?”.
Thompson
era serio, ma vidi i suoi occhi ammorbidirsi.
“Si,
Rose, sei riuscita a salvarla”.
Annuii.
Almeno una delle tante decisioni prese era andata a buon fine quella notte.
Quella
notte… una scintilla dentro me si accese.
“Prima
di continuare voglio che mi diciate una cosa.”
Vidi
Thompson e la Kirova scambiarsi uno sguardo. Annuirono perché proseguissi.
“Come
hanno fatto gli strigoi oltrepassare le nostre difese?”
Non
li vidi scomporsi più di tanto, capii che probabilmente si aspettavano quella
domanda.
“Non
ci è permesso dare questo tipo di informazioni agli studenti.”
Penso
che i miei occhi schizzarono dalle orbite.
“CHE
COSA?” urlai.
“Emil!”
disse Thompson contemporaneamente. Il guardiano alla macchina da scrivere si
fermò. Non mi resi conto del rumore ticchettante dei tasti, finché non smise.
“Io
non sono gli studenti. Io sono Rose Hathway una ragazza che credeva di essere
al sicuro nell’accademia in cui viveva.”
Hanson
era sbiancato. Thompson era a disagio. Dimitri sembrava urlarmi calmati, per un secondo credetti di
vedere del fumo uscirgli dalle orecchie.
“Lo
so, Rose, per questo ho fermato il guardiano Emil. Nel rapporto risulterà che
tu hai chiesto e noi abbiamo negato la risposta, sapevamo che questa domanda
sarebbe stata posta, e tutti noi eravamo d’accordo che avresti avuto le tue
risposte.”
Chinai
il capo dalla vergogna, come sempre mi lasciavo prendere dalle emozioni, e non
davo agli altri il giusto valore. Non erano poi tutti incompetenti come
pensavo.
“A
patto che ciò che ti diremo in questo ufficio, rimarrà qua dentro.” Continuò Thompson.
Lui
mi guardava serio ed io annuii, imbarazzata dalla scenata che avevo iniziato a
fare.
“Bene”
disse tamponandosi del sudore inesistente sulla sua fronte, forse era solo un
modo per sfogare il suo disagio.
“E’
stato trovato un paletto vicino le mura sud, sai cosa significa?”.
Rividi
la St. Thomas nel suo immenso verde, circondata di pini dalle altezze
impensabili. Rividi il lato sud, dove spesso correvo e facevo esercizi di
nascondigli con Nikolai. Un paletto aveva detto. Le difese magiche venivano
erette dall’accostamento dei poteri dei moroi, così come venivano forgiati i
paletti, per questo erano fatali per gli strigoi e una protezione sicura per
noi, ma forse i due poteri assieme non potevano coesistere. Aveva senso ed era
terribile.
“Il
paletto ha annullato l’effetto delle difese.”
“Si,
Rose”.
Mi
ci volle un po’ ad arrivare allo step successivo.
“Gli
strigoi però non possono toccare i paletti.” Guardai Dimitri che mi osservava a
sua volta, assimilava il mio capire cosa stava accadendo, le informazioni di
cui stavo venendo in possesso. In quel momento potevo considerarmi una loro
pari. Avrei dovuto esserne fiera, ma gli argomenti toccati, non mi lasciavano
gasarmi di ciò.
“Significa”
provai a trarre la conclusione, riponendo lo sguardo su Thompson “che degli
umani li hanno aiutati.”
Thompson
annuì.
Non
era un segreto che gli umani che venivano a conoscenza dell’immortalità
desiderassero ottenerla, ma da quanto sapevo, non erano mai stati messi in
mezzo alla guerra, che da anni ormai combattevamo.
Eppure
quella notte l’avevo intuito, che qualcosa non andava, che quei strigoi erano
diversi e si comportavano in modo diverso.
“Gli
strigoi stanno diventano sempre più furbi, è una cosa spaventosa.” Dissi e gli
altri guardiani sembravano essere del mio stesso avviso.
Mi
accorsi che stavo sudando, mi alzai per muovere qualche passo, avevo bisogno di
sgranchirmi un po’ le gambe.
Avrei
discusso di questo con Dimitri più tardi, sapevo che non mi avrebbe respinto, o
almeno speravo non lo facesse. Rimisi a posto le idee e poi sicura mi sedetti
di nuovo sulla sedia, per continuare il mio racconto. Thompson fece un cenno ad
Emil e questi si rimise in posizione. Ticchettò sui tasti non appena ripresi a
parlare.
Il
pugno dello strigoi, l’arrivo di Nikolai, l’arrivo dell’altro strigoi, Nikolai
che cerca di farmi fuggire e il comportamento strano dello strigoi e
l’uccisione di Nikolai. Quando raccontai quella parte mi vennero le lacrime agli
occhi, ma resistetti, non ne versai neanche una. Infine, raccontai come avevo
ucciso lo strigoi e il mio interrogatorio finì lì. Rilessero ciò che Emil aveva
scritto ed io lo firmai, poi mi congedarono ed io mi defilai in fretta, avevo
bisogno di aria fredda. La testa mi
vorticava. Aver rivissuto quella notte mi aveva lievemente scombussolata e il
mio tatuaggio sembrava pizzicare, ma sapevo essere la mia impressione.
Ben
presto il cortile si riempì di gente. Non me ne ero accorta, ma era ora di
pranzo. Avevo appuntamento con Lissa e mi accorsi di non vedere l’ora di
parlarci assieme, di fare magari qualche chiacchierata, di comportarmi come una
ragazza di 17 anni. Una cosa che forse non avevo neanche mai fatto. Tutta la tensione
provata mi aveva fatto capire quanto in realtà necessitassi di un po’ di tranquillità
e normalità.
La
incontrai all’ingresso della mensa, mi aspettava in piedi.
“Ciao”
le dissi.
Lei
alzò lo sguardo, sembrava emozionata.
“Ciao”
forse non credeva sarei andata.
Entrammo
e mi diressi verso il banco dei cibi, una specie di buffet, ma una volta
arrivata ricordai che Lissa non era una dhampir.
“Scusa.
Devi passare per caso dai donatori?”.
I
donatori: umani che davano il loro sangue di spontanea volontà. Erano così
fatti delle endorfine rilasciate dal morso dei vampiri, che ne erano
assuefatti, come drogati, e non potevano essere più felici di venire morsi.
“No,
tranquilla, sono andata stamattina, per oggi quindi sono apposto!”.
Annuii,
così ci prendemmo ognuna qualcosa da mangiare e con il vassoio ci sedemmo un
po’ in disparte dalla confusione. Si, perché oggi in mensa c’era davvero il delirio.
Girava lo scoop della pazza, ovvero io, che aveva ripreso a parlare e dello
scontro avvenuto con la moroi rossa, ma non era solo questo ad agitare gli
animi.
“A
parte il siparietto di stamani, cos’è che agita così tanto la mensa?”.
Lissa
mi guardava curiosa.
“Non
hai saputo? La regina Tatiana verrà in visita alla St. Vladimir.”
La
regina in tour? E questa da dove saltava fuori?
“Non
ci credo!”.
Annuì,
un po’ titubante anche lei.
“Pare
che voglia dimostrare che lei non è impaurita, come la maggior parte dei moroi,
da quello accaduto alla tua accademia.”
Sfacciata
di una regina.
“Dovrebbe…”
mi uscì il commento in modo molto acido e tetro.
“Come?”
Lissa
sembrava molto colpita dalla mia reazione, ma non seppi dire in che modo.
Ripensai
a come gli strigoi erano entrati alla St. Thomas, e fu stupido pensare che la
regina non ne fosse a conoscenza. Riflettei sul suo comportamento e giunsi al
fatto, che se fossi la regina probabilmente cercherai di mantenere la calma per
evitare crisi di panico. Forse non era poi schiocco questo tour.
“No,
scusa. Nel senso, che la regina dovrebbe avere paura di essere attaccata, è
coraggiosa a venire qui.” Provai a salvare la faccia.
“Si,
la penso anche io come te” mi sorrise tenera.
Perché
gli altri moroi dovevano avercela con lei? Era una ragazza a mio parere,
gentile e dolce con tutti.
“Lissa,
posso chiederti perché quella str… quella rossa ce l’aveva con te questa
mattina?”.
Il
suo sorrise vacillò, rimase, ma notai che non toccava più i suoi occhi, ora
tristi.
“E’
Camille Conta. Devi sapere che in passato, mi ero messa con un ragazzo, Aaron.
Lui era, ed è, parte del gruppo dei reali. Mi sono messa con lui, ammetto,
perché tutti si aspettavano che lo facessi. Lui mi faceva la corte, era dolce
ed io non ho potuto rifiutare, ma non l’ho mai amato e quando la cosa si stava
facendo troppo seria, non ce l’ho fatta, ho mollato. Lo avrei illuso troppo,
non potevo continuare questa messa in scena, ma mollarlo ha avuto degli effetti
collaterali che mi hanno portato ad essere evitata da tutti, perfino dai
non-reali.”
Alzò
le spalle come se fosse una cosa normale, che potesse succedere, essere
ripudiata da tutti.
“Che
cattiveria! E a te sta bene così?”.
Lei
sorrise triste. “Probabilmente me lo merito.”
La
guardai sbalordita, nessuno doveva pensare di meritare di rimanere emarginata.
Oddio. Realizzai che ancora una volta io, bue, stavo dando del cornuto
all’asino. Che sciocca.
“Nessuno
merita ciò, Lissa. E sono sicura che tu sei davvero troppo buona.”
Lei
sorrise. “Non lo so.”
“Te
lo dico io fidati. Che ne dici, Lissa, diventiamo amiche?”.
Le
tesi la mano come per poter suggellare il rapporto con una stretta di mano e
renderlo reale.
“Ti
avviso però, non godo sempre di ottima reputazione!”
Lei
mi guardò con occhi brillanti.
“Dici
davvero?”
Io
sorrisi. “Certo che si!”.
Lei
allungò la sua candida mano e strinse la mia.
“Amiche.”
Seraaa!
Eccoci già al settimo capitolo. Ringrazio chi mi segue e apprezza, anche silenziosamente, la mia storia.
Tornando
al capitolo, vediamo che la vita di Rose inizia ad intrecciarsi con
quella dei componenti dell'accademia S. Vladimir e cosa ben più
fondamentale,
inizia a legarsi alla nostra bene amata Lissa. Non poteva di certo mancare la loro grande amicizia!
Spero vi sia piaciuto e come sempre, alla prossima!!
xoxo
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Capitolo 8 *** capitolo 8 ***
capitolo 8
Capitolo 8
Quando
terminarono le lezioni quel giorno mi sentii più viva che mai. Era successo di
tutto ed io ero piena di entusiasmo, come non lo ero da un bel po’.
Camminavo
con Lissa nei corridoi, dopo che lei mi aveva appena confessato, imbarazzata,
che doveva andare dalla psicologa Carmack. Lo faceva due volte a settimana, ma
non mi disse il perché.
Di
certo, una ragazza che restava sola, dopo la morte della sua famiglia e la
quasi estinzione della sua casata, non doveva essere una persona molto
spensierata. Ai miei occhi lei non era pazza, come lo pensava il resto
dell’accademia, anzi, vedevo solo quante buone qualità la distinguessero dagli
altri.
Stavamo
ridendo di una delle mie battute stupide sul mio intervento nella lezione di
Stan, che le avevo raccontato, quando dalla porta della signora Carmack, alla
quale eravamo quasi arrivate, uscì un moroi dai capelli neri e dagli occhi
furenti. Qualcuno doveva avergliele fatte girare tanto. Una cosa però mi colpì
e fu vedere quegli occhi così carichi di rabbia, trasformarsi in quiete una
volta incontrato la figura di Lissa. Era stato come vedere redenta un’anima
persa, spettacolare.
Guardai
Lissa e lei era calma, come sempre, forse i suoi occhi ora erano leggermente
più brillanti. L’aria puzzava di cotta bella e buona.
Il
ragazzo si fermò davanti a noi dopo aver sbattuto la porta.
“Non
so come fai a sopportarla quella!” di sicuro si riferiva alla psicologa, perché
con la testa aveva accennato verso la porta.
Lissa
sorrise angelica.
“Hai
poca pazienza, ecco perché. Christian, lascia che ti presenti la mia nuova
amica, Rose. Rose, lui è Christian.”
Se
c’era un’altra persona con cui Lissa andava d’accordo, non vedo come mai non me
lo avesse menzionato. Forse si piacevano, ma nessuno si faceva avanti e quindi
ognuno restava per le sue.
“Ciao!”
gli dissi, dandogli la mano, ma lui non la prese, anzi la guardò con un ghigno.
“Guarda
che non ho la lebbra!” gli dissi un po’ acida. Che cafone.
“Voglio
solo risparmiarti una crisi di nervi dopo che avrai saputo chi sono. L’ultima a
cui ho dato la mano è andata a farsi esorcizzare da padre Anthony. Tzè.” E così
si allontanò, cupo com’era uscito dalla signora Carmack.
Mi
voltai e guardai Lissa in cerca di spiegazioni.
“Ora
devo andare, Rose, sono in ritardo, ma dopo potrei venire nel tuo dormitorio,
ti va?”.
“Si,
certo. Mi ha proprio incuriosito quel Christian.”
Lei
aprì la porta tranquilla.
“E’
solo incompreso, tutto qui” disse, poi si chiuse la porta alle spalle.
Era
triste, quando lo aveva detto e mi lascò davvero senza parole. Più tardi
speravo che me ne avrebbe parlato, nel frattempo, però, avrei cercato un’altra
persona con cui dovevo ancora parlare. Ci avevo pensato durante tutte le
lezioni del dopo pranzo.
Rivivere,
raccontando, l’attacco degli strigoi mi aveva destabilizzato e necessitavo
parlarne. Lui si era offerto di ascoltarmi, no?
O
forse io avevo capito male e lui intendeva che tutti i guardiani sarebbero
stati disposti a farlo?
Poco
importava, ormai ero diretta a passo di carica verso la palestra, visto che sospettavo
di trovarlo lì e così fu. Si stava allenando con dei manichini. All’ingresso mi
bloccai affascinata a guardarlo. Si muoveva come Nikolai mi aveva insegnato, con
qualcosa di più, qualcosa forse solo di suo. Era così concentrato e così
determinato. Il suo sguardo bruciava, sembrava si stesse sfogando, ma con
moderazione. Forse solo in quel momento capii cosa Nikolai intendesse quando
diceva che eravamo simili.
“Ti
stai controllando!”.
La
mia voce lo colse di sorpresa, perché lo vidi vacillare, ma quando si voltò non
c’era traccia di stupore sul suo viso.
“Cosa
te lo fa pensare?”.
Si
era ripreso e si era impossessato della maschera da guardiano intoccabile.
“I
tuoi occhi!”.
Non
capivo da dove arrivasse quella tranquillità con cui gli parlavo, ma mi
sembrava di avere con lui un legame vecchio di cent’anni. Mi veniva così
normale e non capivo perchè. Eppure avrei dovuto portargli rispetto, dato che
era un guardiano, un mio insegnante ed era pieno zeppo di molnija.
La
mia risposta lo innervosì leggermente, ma se la cosa lo avesse toccato non
avrei saputo dirlo. Vedevo che si dava un contegno. Cosa mi ero messa in testa?
Non potevo trattarlo come una specie di amico, per lui ero solo un’allieva. Di
sicuro bellissima e dotata, viva la mia modestia, ma comunque un’allieva.
“Le
lezioni sono terminate, Rose. Come mai sei qui?”.
Giusto,
perché ero lì? Ah, si, l’avevo quasi scordato. Bastava guardarlo per perdere il
lume della ragione.
Ok, stop! Contegno!
Iniziai
a camminare di lato, per dargli leggermente la schiena, mi sentivo imbarazzata.
“Dopo
il rapporto di oggi e di alcuni avvenimenti avvenuti questi giorni, mi sono
resa conto di aver bisogno del tuo aiuto.”
Alzò
un sopracciglio, non sembrava preparato a questa piega di conversazione.
Ancora.
“Non
credo di aver capito.”
Sospirai.
“C’era
un motivo se Nikolai era il mio mentore. Lui mi aiutava non solo nel
combattimento. Lui mi insegnava a dominarmi.” Mi seguiva attento e vigile con
lo sguardo. “Come lo aveva insegnato a te.”
Lo
vidi sbattere lentamente gli occhi, stava assemblando e magari formulando una
delle sue risposte da psicologia avanzata.
“Ti
sto chiedendo di farmi da mentore.”
Fissò
i suoi occhi nei miei e dopo un silenzio lungo una vita, rispose.
“No!”.
Suonò
così secco e preciso. Ero convinta mi avrebbe detto di si.
“I-io
ne ho bisogno.” Balbettavo agitata. “E poi qui hanno già iniziato con il
paletto. Io ho fatto solo la teoria. Sono indietro”. Cercavo di arrampicarmi
sugli specchi, la sua risposta mi aveva fatto defluire il sangue dai piedi al
cervello.
Lui
mi guardava un po’ meno duro, ma sapevo non avrebbe cambiato idea.
“Rose,
hai ucciso uno strigoi. Non penso proprio che sei più indietro dei tuoi
compagni. Farai presto a metterti in pari.”
Sapevo
di guardarlo come un cucciolo bastonato. Mi sentivo come una bambina a cui le
veniva negato il suo giocattolo preferito.
“Perché
no? Insomma io…”
“Roza,
no!”.
Lo
disse con una tale intensità, che mi fece sudare e rabbrividire allo stesso
tempo. Avevo una sensazione strana allo stomaco, mi sentivo come rifiutata. Oh,
dannazione. Dovevo andarmene o sapevo avrei pianto.
A
cosa diavolo stavo pensando quando sono venuta qui? Io non capivo. Avrei messo
la mano sul fuoco che con me lui si comportava diversamente che con gli altri,
ma a questo punto mi domandavo se fosse un bene o un male.
“Scusi
il disturbo” dissi come se parlassi ad un estraneo. Quello che insomma avrebbe dovuto essere lui, in effetti.
Mi
girai e camminai via. Affrettavo i passi sempre di più, volevo mantenere almeno
un po’ di dignità. Quando fui sicura di essere fuori dalla sua visuale iniziai
a correre, inoltrandomi nella vegetazione che circondava la scuola e mi fermai
solo quando sentii di avere un fiume in piena sul viso.
Stupida.
Stupida. Stupida.
Che
reazione era quella? Perché piangevo? Non era normale, che diavolo mi prendeva?
Aprii
gli occhi e distrarmi fu facile. Ero nella parte sud est della scuola, ma non
avevo mai notato questo spettacolo. Al chiaro di luna, di fronte a me, si
arrampicavano, intorno ad una piccola fontana, un cespuglio di rose nere. Era
impossibile che ne crescessero di quel colore, eppure ce le avevo proprio di
fronte a me, sbocciate e profumate. Quella visione mi calmò, erano uno
spettacolo surreale. Restai ad osservarle per un tempo indefinito.
Dopo
minuti o ore mi ricordai che Lissa sarebbe venuta nel mio dormitorio, perciò
come un fulmine mi misi a correre, conscia di aver trovato un paradiso, un
posto che sembrava calmare i miei nervi sempre tesi. Questa cosa mi aveva allentato
la pressione dentro ed ero ben intenzionata a rivendicare quel posto come mio.
Mi vedevo già mentre appendevo un cartello con su scritto ‘proprietà di Rose Hathaway’.
Passai
accanto alla palestra, era inevitabile, e con la coda dell’occhio scorsi una
figura sulla porta. Avrebbe potuto essere Dimitri, ma non ero sicura e non mi
voltai per verificarne la veridicità. Dovevo evitare lui e il pensiero di lui.
Arrivai
al dormitorio e vidi Lissa seduta sui divani della sala comune.
“Scusa,
scusa, scusa.”
Lei
mi guardava tranquilla come sempre.
“Tranquilla,
Rose. Sono appena arrivata.”
Le
sorrisi e la portai nella mia camera.
“Allora
com’è andata?” le dissi una volta seduta a gambe incrociate sul mio letto.
“Bene,
è contenta che siamo diventate amiche.”
Risi
“Perché
non sa ancora che ti porterò sulla cattiva strada.”
Anche
lei rise.
Mi
ritornò in mente di quel Christian.
“Lissa.
Racconta… c’è del tenero tra te e il bel tenebroso di oggi?”
Le
guance rosse che le si infuocarono la dicevano lunga.
“No,
Rose, ma come ti salta in mente.”
“Ma
se sei tutta rossa!”
Presi
a sghignazzare alla grande, mentre lei si portò le sue pallide mani sul viso.
“Io
e Christian siamo conoscenti e basta.”
La
guardai con un sopracciglio alzato.
Lei
sbuffò, ma col sorriso.
“L’ho
conosciuto per caso. Nel mio posto in cui vado sempre a pensare, che a quanto
pare si è rivelato essere anche il suo.”
Ti
prego fa che non sia il cespuglio di rose nere, dissi mentalmente incrociando
le dita.
“E
questo posto dove sarebbe?”.
Lei
diventò più rossa.
“La
mansarda della cappella. Ho scoperto per caso una porta che conduceva sulla
soffitta, quando avevo quindici anni.”
Se
i conti non erano sbagliati, era il periodo della morte dei suoi genitori. Trovai
conferma nei suoi occhi tristi.
“Wow,
davvero romantico, ma non credi che andrai all’inferno nell’avere incontri
amorosi in un luogo sacro?”
Lei
prese a ridere. “Rose, ma che dici! Non è affatto come pensi.”
“No?”
ridevo sotto i baffi.
“No!”
disse lei sorridente e esasperata. “Veramente siamo andati avanti a litigare
per un po’ su chi avesse il diritto di usare quel posto e alla fine siamo
giunti ad un compromesso. Ognuno lo usa a sua discrezione e non interferisce
nelle abitudini altrui.”
Mmmh
.. qualcosa mi mancava da tutto ciò.
“Cosa
non mi stai dicendo, Lissa?”.
Lei
si morse un labbro mostrando un canino.
“Oh,
Rose. Neanche mi conoscessi da una vita.”
Alzai
le spalle divertita. “Con alcune persone mi è più facile capirle.” E mi
maledissi quando il viso di Dimitri si fece largo nei miei pensieri.
“Tutto
ok, Rose?”.
Mi
ridestai.
“Come?
Perché?”.
“Ti
eri incantata.” Osservò curiosa lei.
“Sono
pazza ricordi? Comunque se non sbaglio stiamo deviando dal binario principale.”
La
guardai eloquente e lei sorrise imbarazzata. Era davvero bella, Lissa.
“Non
so, davvero. Cioè avevamo fatto questo accordo, però ultimamente lo incontro
spesso e parliamo molto. Abbiamo tante cose in comune.”
“Ti
piace!” sentenziai.
I
suoi occhi uscirono dalle orbite.
“Cosa?
Non è vero. Parliamo solo e non so neanche se siamo amici, in giro per
l’accademia non mi saluta mai.”
Uh,
tasto dolente. Questa cosa le importava davvero, lo sentivo da come lo aveva
detto.
“Davvero?
E gli hai mai chiesto perché?”.
“Lui
dice che non vuole rovinarmi la reputazione. Come se non fosse già compromessa
di suo.”
E
qui ritornammo al punto di partenza. Perché quel ragazzo credeva di essere una
disgrazia vagante?
“E
perché pensa ciò?” non riuscivo a capirlo.
“Perché
in fondo è vero…” restai perplessa dalle prime parole di Lissa, infatti lei se
ne accorse. “No, Rose, non fraintendermi. Io ho conosciuto il Christian che gli
altri effettivamente non conoscono e non la penso come tutti.”
Ok
la cosa doveva essere davvero più grande del previsto.
“Lissa
io ancora non capisco.”
Lei
mi guardò rassicurante.
“Il
cognome di Christian è Ozera”
“Oh”.
La
mia risposta non fu di certo ricordata come una delle migliori della mia vita.
Ciao a tutti!
Ecco l'ingresso di un altro personaggio: Christian!
Come avete notato i due si sono già conosciuti e la pentola già bolle da un po'... contenti??
Rose, invece, è stata "rifiutata" dal nostro Dimitri, cosa ne pensate?
Ci vediamo al prossimo capitolo =)
Infiniti grazie sempre a chi mi segue.
xoxo
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Capitolo 9 *** capitolo 9 ***
capitolo nove
Capitolo
9
Gli
Ozera erano una delle casate reali della nostra società. Gli altri reali e i
non- preferivano volentieri stare alla larga e non intaccare la loro
reputazione con nessuno di loro.
Parlando
con Lissa, ero venuta a conoscenza del fatto che Christian, non fosse solo uno
sfortunato appartenente a quella casata, ma era, bensì, quell’Ozera.
Come
tutti sapevano, la differenza tra i moroi e gli strigoi stava nel fatto che i
primi erano vivi e mortali, i secondi non morti e immortali; i primi, provano
emozioni e sentimenti come l’amore, i secondi, invece, erano degli egoisti e
orribili assassini. In passato, durante uno dei tanti attacchi che gli strigoi
facevano direttamente alle casate, i genitori di Christian furono portati via,
e alcune voci sostennero che fossero stati trasformati per loro volontà, altre
dissero il contrario. Lissa quella sera mi raccontò che i genitori di Christian
in seguito ritornarono per riprendersi il figlio e trasformarlo a loro volta in
uno strigoi, ma la zia di lui, una certa Tasha Ozera, combatté con tutte le sue
forze, salvandolo. Tutto quello che però oggi si ricorda era il fatto che
divennero degli strigoi, e tutti, a quanto pare, non aspettavano altro, che
anche lui facesse la stessa fine.
Il
giorno dopo la chiacchierata con Lissa, mi accorsi di come quel Christian fosse
ovunque, non lo avevo mai notato fino a quando non seppi della sua esistenza,
eppure c’era. Certo, a guardarlo lui non si aiutava poi molto nella sua
reputazione. Vestiva abiti dark e indossava sul viso una perenne maschera
scontrosa. Non mi stupì, infatti, accorgermi di come gli altri studenti si
ponessero nei suoi confronti. Se lui camminava al centro di un corridoio, la
gente di conseguenza camminava attaccata ai muri pur di non toccarlo, se lui
sedeva su una sedia, magicamente attorno a lui si formava un cerchio vuoto, un
confine che nessuno osava oltrepassare. In un certo senso mi ricordava me,
nella mia vecchia scuola, solo che la mia fama, non era certamente alla pari
della sua.
“A
che pensi?”
Lissa
era appena tornata dai donatori ed io mi ero praticamente imbambolata con un
boccone a mezz’aria del mio pranzo.
“A
Christian.”
Lei
si incupì.
“Non
rattristarti Lissa, non sono certo una Santa e non mi ritengo migliore degli
altri. Non sono nessuno per trattare Christian come fosse uno strigoi.”
Lei
sospirò felice e gli occhi le se inumidirono.
“Non
dirmi che stai per piangere?”.
Lei
scosse la testa come una bambina contenta e mi regalò un sorriso angelico. Era
una persona davvero dolce e sensibile.
Finito
il pranzo l’accompagnai alla sua prossima lezione, tanto poi ci saremmo riviste
alla sesta con cultura moroi 4. Avevo
scoperto che Lissa era davvero brillante e una terribile secchiona.
Per
strada incontrammo Christian. Vidi Lissa speranzosa guardarlo, di sicuro
sperava la salutasse, ma lui fece finta di niente.
Eh no!
Mi
dispiaceva molto, ma da quando avevo conosciuto Lissa, avevo inconsciamente
deciso che non avrei più permesso a nessuno di trattarla male o farla soffrire
ingiustamente.
“Ciao
Christian. Bella giornata oggi, vero?” dissi.
Molto
ironico visto che la luna non era ancora al pieno del suo apice e quindi era buio.
Lui
si voltò ad occhi sgranati verso di me, di certo lo avevo preso in contro
piede.
“Stai
scherzando, vero?” mi disse scioccato.
Lissa
mi aveva conficcato le unghie sul braccio, e io le tirai una gomitata sulle
costole. Leggera ovviamente.
“Sono
solo educata e ti sto salutando. Tu Lissa non saluti?”.
Lissa
aveva le guance letteralmente in fiamme.
“C-Ciao!”.
Lui
la guardò, e come mi aspettavo, i suoi occhi si addolcirono. Non poteva poi
essere tanto cattivo come voleva sembrare.
“Lissa”.
Fece un cenno con la testa e si allontanò quasi di corsa.
Un
attimo.
“E
io chi sono?” gli urlai, ma non si voltò, in compenso si voltò l’intera
accademia presente. La pazza rivolgeva la parola allo strigoi, che spasso.
“Rose,
ma che figura mi hai fatto fare!”.
“E
perché mai, lo hai solo salutato balbettando e rossa come un pomodoro!” risi
della sua innocenza.
“Ooooh!”
si coprì il viso con le mani.
“Non
dirmi che ho fatto male. Vi piacete e si vede lontano un miglio. Fregatene
degli altri se pensi ne valga davvero la pena.”
Lei
tolse le mani dal viso e mi guardò pensierosa.
“Tu
dici?”.
Le
sorrisi.
“Si,
dico!”.
“Oh,
Rose!”. E così dicendo mi saltò al collo abbracciandomi. Nessuno mi aveva mai
abbracciata. Nessuno, eccetto forse Dimitri, quella mattina, se si poteva poi definire
un abbraccio quello! Mi irrigidii e lei capì altro.
“Oh,
scusami, forse non dovevo prendermi questa confidenza”.
Si
stava agitando.
“No,
no Lissa. È solo che non sono abituata agli abbracci.”
“Scusa
non lo farò più”. Era triste e lo ero anch’io. Iniziavo a tenerci davvero tanto
a Lissa.
“No,
ti prego. Mi è piaciuto. Mi ha fatto sentire… bene!” fino alla parte in cui
subentrava Dimitri, ma quello non potevo dirlo ad alta voce.
“Davvero?”.
“Si,
davvero. Ora corri in classe che fai tardi e io pure.”
“Ok,
a dopo!”
“A
dopo” sussurrai.
Terminata
l’ultima lezione, io e Lissa, ci recammo in biblioteca, per svolgere le lezioni
che avevamo in comune.
Stavamo
percorrendo il piazzale, quando la mia vista troppo perfetta vide Dimitri, che
camminava poco più in là e andava verso gli edifici alle nostre spalle. Ero
riuscita ad evitarlo il giorno prima e tutta la mattinata di oggi, ma di certo
non ero famosa per la mia fortuna sfacciata.
Quando
ormai ci stavamo incrociando, lui salutò per primo, ma non accennò a fermarsi.
“Buongiorno,
Principessa. Buongiorno, signorina Hathaway”.
Anche
io camminavo spedita nella mia direzione e Lissa inconscia, era il mio unico scudo
tra me e lui.
“Buongiorno
Guardiano Belikov” disse lei educata come sempre.
Io
non lo guardai e non parlai.
“Rose,
perché non hai salutato?” mi disse Lissa dopo alcuni passi. Feci finta di
cadere dalle nuvole.
“Come?”.
Lei
sorrise.
“Hai
sempre la testa fra le nuvole. Abbiamo incontrato il guardiano Belikov e non te
ne sei nemmeno accorta.”
“Davvero?
Che dormigliona sono.”
Lei
rise e anche io, ma dentro mi odiavo. Mi dispiaceva mentirle. Solo, non mi
andava di raccontarle il perché volessi evitare Dimitri. O semplicemente, mi
rifiutavo di dire veramente il perché me l’ero presa così tanto.
“Forse
non lo sai, ma il signor Belikov al momento è il mio guardiano.”
Una
cosa che mi fece storcere il naso fu quel signor
Belikov. Dannazione anche io dovevo trattarlo come un adulto, non come…
argh!
“Son
contenta per te, di sicuro sei in buone mani. È un ottimo combattente.”
Lei
era serena.
“E
tu come lo sai?”.
Oh,
già. Io come lo sapevo?
Ripensai
a lui che mi metteva al tappetto.
“A
parte i suoi infiniti molnija, so chi era il suo mentore. E fidati” dissi con
un groppo allo stomaco “era un insegnante fantastico”.
Si
era fermata e mi guardava triste.
“Rose”.
Allungò
una mano sul mio viso e fermò una lacrima che non mi ero accorta fosse scappata
al mio controllo.
Sorrisi
triste, almeno su questo sapevo che potevo dirle la verità, perciò le raccontai
chi era il grande Nikolai Lazar.
Dopo
averle raccontato parte della mia vita, della quale faceva parte anche quel
dannato vecchiaccio, riuscimmo a trovare spazio anche per i compiti. Finiti ci
dividemmo. Io desideravo ardentemente fare un po’ di allenamento, visto che con
Nikolai ormai mi ero abituata fare due allenamenti al giorno, in aggiunta a
quelli giornalieri, mentre Lissa, rossa in viso, sarebbe andata alla cappella.
Speravo incontrasse Christian e di sicuro anche lei lo sperava.
Mi
misi la mia tuta e iniziai a correre un bel po’, prendendo a pugni qualche
albero secolare. Scorticavo le mie mani, ma lasciavo delle belle conche sul
tronco.
Quando
mi sentii sfinita mi recai al mio nuovo posto zen e mi sedetti ad ammirare le
rose nere.
“Sono
belle, vero?”.
Mi
voltai a quella voce sconosciuta.
“Avevo
intuito da lontano che eri tu, siete inconfondibili!”.
Non
capivo cosa farneticasse.
“Sono
Sonia Karp. Insegnante di scienze jolly”.
Mi
ricordai di averla vista qualche volta, ma in effetti a insegnare scienze c’era
un altro moroi. Chissà perché non insegnava regolarmente?
“Rose
Hathaway, piacere!”.
“Le
ho curate io, sai? Sono speciali. Ti rilassano, non è vero?”.
Annuii.
Era
un po’strana la moroi.
“Devi
stare vicino a Lissa!”. Mi alzai veloce.
Perché
quel strano dialogo stava prendendo questa piega?
“Lissa
è speciale. In futuro avrà bisogno di molto aiuto. Spero sarai in grado di
difenderla!”
“Non
capisco.”
Ed
effettivamente non capivo, ma forse si riferiva al fatto che fosse l’ultima
della sua casata.
“Capirai”
e sorridendo se ne andò confondendosi nell’oscurità.
Questa
si che era pazza e sembrava pure uno spettro.
Decisi
di tornarmene indietro, dovevo farmi una doccia. Si avvicinava l’ora del
coprifuoco e non me n’ero accorta.
Ero
ormai al confine degli alberi con la radura dell’accademia, quando sentii delle
voci. Riconobbi a stento la voce di Christian.
“Siete
solo dei buffoni” aveva detto.
“Ha
parlato lo strigoi. Dove sono mamma e papà, ah?”
Sbucai
fuori proprio quando sentii quest’ultima frase, ma com’è che in questa
accademia vendevano cattiveria gratis? A quanto pare era una moda prendere in giro
gli orfani.
“Chi
è?”si dissero subito allarmati quelli che riconobbi come Ryan Aylesworth, Ralf
Sarkozy e il nuovo mani lunghe Jesse Zeklos.
“Oh,
è la pazza dhampir. Manca solo la pazza moroi e il terzetto da baraccone è al
completo.”
Tutti
risero eccetto me, che li trovavo al quanto patetici e Christian che era una
maschera apatica.
“Tornatevene
nei vostri alloggi!” dissi minacciosa.
“Vuoi
venire con noi?” disse Jesse languido.
Feci
una faccia schifata. “Neanche morta!”
“Sai
ti preferivo muta!” disse lui.
“Anche
io” disse Ryan cattivo. A quanto pare gli bruciava ancora la brutta figura
fatta con Stan.
“Se
non volete un occhio nero, andatevene!”.
Risero
come alla mia miglior battuta.
“Avanti
ragazzi, prendiamoli!” non so da chi partì quell’ordine.
I
due moroi si lanciarono su Christian, mentre Ryan, che era un dhampir, attaccò
me.
Parare
le sue mosse fu davvero facile, e lo mandai al tappeto con un bel pugno. Quando
mi voltai per aiutare Christian, vidi i due moroi prendere fuoco. Loro
urlavano, mentre Christian era serio con lo sguardo puntato su di loro. Era
stato lui.
“Christian.”
Lo chiamai. “Christian fermati ti prego. Non puoi ucciderli!”. Non sapevo a che
punto volesse arrivare.
“Christian!”
lo chiamai e finalmente si voltò verso di me proprio nell’esatto istante che le
fiamme smisero di ardere. Mi resi conto che le fiamme non avevano bruciato i
moroi e nemmeno i vestiti. Era strabiliante. Non avevo mai conosciuto nessun
moroi di quell’età che sapesse maneggiare così bene il suo elemento e
soprattutto che lo usasse per combattere. Era legenda.
I
due moroi e il dhampir si alzarono spaventati e corsero via, anche Christian
fece per andarsene.
“Ehi,
te ne vai?”.
Aveva
le mani in tasca e si voltò con la testa.
“Ho
sonno, vado a letto”.
Riprese
a camminare ed io lo seguii.
“Com’è
che sai maneggiare così bene il fuoco?”.
“Non
tutti hanno dei guardiani.”
I
non reali certo, ma lui avrebbe dovuto. Era pur sempre appartenente ad una
casata reale. Possibile che il risentimento verso i suoi genitori fosse così
alto?
“Perché
ce l’avevano con te?”.
Lui
mi guardò come se fossi stupida, parlò come se gli avessi posto un'altra
domanda.
“Non
è la prima volta, solo non li avevo mai deliziati così da vicino della mia
arte. O della tua. Probabilmente te la faranno pagare.”
Sorrise
come un angelo delle tenebre.
“Non
che mi facciano paura.” Ghignai a mia volta.
“Mpf!”
sbuffò alzando le spalle.
Fece
un paio di passi poi si fermò.
“L’unica
nota positiva è che finalmente qualcuno può difendere, Lissa.”
Lo
raggiunsi e mi misi di fronte con le mani sui fianchi.
“Potevi
difenderla tu!”.
“Sarebbe
stato peggio…” era così sincero.
Alzò
di nuovo i suoi occhi, forse accorgendosi di aver abbassato troppo le difese.
“Guardati
le spalle.”
E
così se ne andò.
Mi
stavo facendo la doccia e mi resi conto che in silenzio, c’erano tante persone che
tenevano a Lissa. Seppur mi accorsi per motivi diversi.
Non
capivo Sonia Karp a cosa effettivamente si riferisse. Sembrava davvero un
po’pazza.
A
Christian lei piaceva, e molto potevo supporre, ma il suo fantasma interiore
era più forte dei sentimenti che forse provava. E infine c’era lui, Dimitri.
Chi altro avrebbero potuto assegnare ad una persona importante come lei. Lui
era sicuramente il migliore ed io dannata, mi ero ripromessa di non pensarlo
più.
Il
mattino seguente Lissa venne a prendermi in camera. Avrei voluto allenarmi un
po’ ma avevo paura di incontrare colui che non doveva essere nominato dalla mia
mente, alla faccia di Harry Potter.
“Ehi,
Rose. Non sai quante notizie si apprendono dal mio alloggio al tuo.”
Era
su di giri.
“Ti
trovo piuttosto contenta.” Lei sorrise di più.
“Stanotte
non ho chiuso occhio, ma sono arrivata ad una conclusione.”
Alzai
un sopracciglio.
Lei
sedeva sul mio letto mentre finivo di mettermi la divisa.
“Quale
conclusione?”.
Lei
arrossì un po’.
“Sai,
ieri alla cappella ho incontrato Christian. Era un po’ seccato che tu lo avessi
salutato ieri. Soliti discorsi, dice che è una disgrazia vagante.”
Si
interruppe e forse riviveva nella sua mente la scena.
“E
la conclusione di stanotte che centra?”.
Lei
mi guardò adorante.
“Che
è merito tuo se ho avuto il coraggio di dirgli che so badare a me stessa, che
se io voglio salutarlo e parlargli davanti agli altri, lo faccio.”
Era
davvero orgogliosa, non credeva davvero sarebbe mai riuscita a fare una cosa
del genere, e un po’ mi beai di questo suo ringraziamento.
“Sono
fiera di te, Lissa, ma lui che ha detto?”.
Lei
storse un po’ la bocca.
“Ha
detto che sarei stata presa in giro di più, ma gli ho detto che la gente doveva
smetterla di trattarmi come una bambina indifesa, che non sa prendere le
decisioni da sola. Non ha più risposto e ha cambiato argomento. Non ero mai
riuscita a lasciarlo a rubargli l’ultima parola!”
Gongolava,
intuivo che per lei era una cosa nuova sentirsi forte dentro.
Istintivamente:
l’abbracciai. Abbracciai io qualcuno per prima, per la prima volta.
Lei
si stupì poi mi strinse forte.
“Ti
voglio bene, Rose.”
“Anche
io, Lissa, davvero!”
Davvero.
Le volevo bene. Era impossibile non volergliene.
Ci
incamminammo verso la mensa.
“Allora,
ma che notizie hai appreso?”.
“Oh,
si.” Mi disse ancora euforica da prima. “Si dice che Ryan Aylesworth abbia un
occhio nero.”
Io
sogghignai.
“Mi
fa piacere!”.
Lei
mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
“Oh
no. Sei stata tu!”
Sorrisi.
“Che
è successo?”.
“Non
so se dovrei metterti in mezzo, ma centra anche Christian.”
Lei
si fermò e mi prese per un braccio delicatamente.
“Cosa?
Voglio sapere tutto!”
Sospirai.
Era ovvio volesse sapere.
“E
va bene. Allora…”
E
così le raccontai il nostro incontro scontro.
Buonasera!
Intanto un grazie infinite a voi che mi seguite e soprattutto a chi mi lascia un suo pensiero!! <3
Ma tornando a noi! Nono capitolo!
Rose
scopre chi è davvero Christian e il fardello che si porta
dietro. Troviamo una Lissa già bella cotta, che trova forza
dalla sua nuova amica nell'inseguire
il suo istinto!!
Abbiamo un nuovo ingresso: Sonya Karp. Non la trasformerò in strigoi se vi interessa!!!
E Dimitri... beh, Dimitri ci aspetta nel capitolo 10!
*me perfida*
Spero vi sia piaciuto. Buon Weekend a tutti!
xoxo
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Capitolo 10 *** capitolo 10 ***
capitolo 10
Capitolo 10
Quando
arrivai in palestra per la lezione, scoprii amaramente che oggi era il turno di
Dimitri. Finsi di non vederlo e quando entrai, andai da Mason che stava
parlando con Eddie.
“Ehi,
Rose. Tutto ok?”.
“Si,
ragazzi, voi?”.
Si
strinsero nelle spalle. “Tutto bene, parlavamo dell’occhio nero di Ryan. Lui dice
che ha preso un’anta in camera, ma a noi la cosa puzza.”
Eddie
annuiva. “Esatto, sappiamo bene cosa produce un pugno su un occhio, ed è molto
simile a quello che ha Aylesworth!”. Rise.
“Ma
davvero?” cercavo di essere interessata. Ripensavo alla reazione di Lissa
appena raccontato il fatto di ieri. Si era infuriata davvero, come non avevo
mai visto, quando le avevo riferito la cattiveria detta a Christian, ma ciò che
mi stupì, fu che mi rimproverò per avere alzato le mani su Ryan. Mi disse che
non sempre la violenza era la soluzione. Sempre troppo buona, ma ciò mi ricordò
Nikolai e di conseguenza lui, Dimitri. Alzai lo sguardo e lo trovai a fissarmi.
Imbarazzata mi voltai dall’altra parte, e vidi Ryan entrare in palestra.
Mason
mi colpì il fianco con una gomitata, dicendomi di prestare attenzione, per
confermagli la loro teoria.
Ryan
ci passò davanti e un lampo di rabbia gli passò negli occhi, quando il suo
sguardo incontrò il mio , poi proseguì come nulla fosse.
Mason
ed Eddie non se ne accorsero e ripreso il loro discorso sul fantomatico pugno,
dopo avermi chiesto conferma.
Christian
aveva ragione, dovevo guardarmi le spalle.
La
lezione iniziò quando arrivò Hanson. Quel giorno ci saremmo esercitati con il
paletto. Quello che ci diedero era finto, ma comunque molto simile
all’originale. Iniziarono l’allenamento con una serie di affondi e tattiche a
vuoto. Per me era tutto nuovo e faticai a mantenere il loro ritmo, poiché non
conoscevo i loro schemi di esercizi. La cosa mi irritò all’inverosimile. Sentirmi
così ignorante mi infuriava. I miei movimenti erano tutti insicuri e deboli.
Mancavano
15 minuti al termine delle lezioni e Hanson, un po’ più informa dell’ultima
volta che lo avevo visto, fece una cosa che mi aveva già portato a metterlo
nella mia lista nera, quando ancora insegnava alla St. Thomas.
“Bene,
ora uno alla volta da solo ripeterà l’esercizio. Chi vuole iniziare?”.
Solo
che alla St.Thomas era ripetere il concetto della sua spiegazione teorica a
voce.
Di
solito, se ero di buon umore, non mi tiravo mai indietro quando c’era qualcosa
di pratico da fare, ma sentirmi così impreparata era davvero frustante.
“Perché
non la Hathaway, che è tanto sapientina!”.
Non
ci volle tanto a capire che era stato Ryan a parlare. Alcuni risero alla sua
battuta, soprattutto quelli vicino a me, che mi avevano visto alquanto
impacciata tutta la lezione.
Stronzo.
“Perché
non lei, signor Aylesworth.”
Non
aveva parlato per tutta l’ora, e lo stava facendo ora, perché?
Dimitri,
con la sua voce possente aveva riportato la sala in silenzio, e Ryan con la
bocca tirata si portò al centro ed eseguì l’esercizio.
Quando
tornò al suo posto, mi guardò beffardo.
Guardai
attenta l’esercizio svolgersi più volte dai miei compagni, fino a quando fu
chiamato il mio nome.
Sudavo
per l’agitazione, ma avevo imparato l’esercizio ormai a forza di guardarlo
fare.
Lo
feci e per fortuna non andò così male, a parte un passaggio che saltai. Hanson
mi riprese subito, com’era solito fare all’epoca, e la cosa ovviamente mi
irritò, ma mi morsi la lingua fino a farla sanguinare, pur di non rispondergli
malamente.
Stavo
per uscire dalla palestra, quando notai che nell’angolo che svoltava c’era la
figura di Dimitri, appoggiata di schiena.
Non
volevo incontrarlo, non volevo parlarci, mi sentivo una codarda ed ero così
altamente incazzata da prima, che non avevo nessunissima voglia di affrontarlo
ora. Così l’unica cosa che mi rimase fu partire di corsa, facendomi passare per
una in ritardo. Gli sfrecciai davanti così veloce, che non seppi mai se il mio
piano era funzionato o semplicemente, se lui non era li per me e non mi avrebbe
fermato comunque.
In
mensa, dopo che io e Lissa prendemmo il pranzo, decidemmo di sederci con
Christian, che stava nel tavolo più isolato della mensa, da solo.
“Wow,
wow… che state facendo?” ci disse in panico, non appena giungemmo al suo
tavolo. Ci sedemmo come nulla fosse.
“Pranziamo”
dissi beffarda.
“Ok”
fece per alzarsi, allora gli tirai un calcio da sotto al tavolo.
“Ahi,
ma sei pazza?” mi disse guardandomi.
“Ehi,
come sai che non è stata Lissa?” la quale mi guardava curiosa, mentre Christian
mi guardava come per dire: stai
scherzando vero?.
“Siete
davvero testarde” disse oltraggiato. “Questa cosa non porterà altro che guai.”
Che
stress.
“Sei
davvero petulante, Ozera. Tanto, anche se stiamo ognuno per conto nostro in
mezzo ai casini ci finiamo lo stesso, io per lo meno di sicuro. Quindi, perché
non fare un fronte unito?”.
Mi
guardava ad occhi spalancati, ma non avrei saputo dirne il perché.
“Senti…”
iniziò a parlare, ma Lissa lo interruppe.
“Christian,
perché non possiamo essere amici?” traballò un po’ sulla parola amici.
Lui,
come sempre, si addolcì. Era quasi divertente la cosa.
“Non
mi lascerete in pace fino a quando non cedrò, vero?” disse sconfitto, poi
guardò verso di me. “Hathaway questo è colpa tua, porti la gente sulla cattiva
strada.”
Lissa
si alzò di colpo.
“Rose,
non ha colpe. Perché non capisci?”.
Lissa
aveva gli occhi lucidi, mi si strinse il cuore, poi prese e se ne andò.
“Lissa”
chiamai, ma non si fermò.
Guardai
Christian, che sembrava provare le mie stesse emozioni. Volevo correre da lei,
ma la questione doveva finire.
“Corri
da lei.” Gli dissi a bassa voce.
“Cosa?”
disse lui risentito. “E’ colpa tua tutto questo, lo sai.”
Lo
inchiodai con il mio sguardo.
“Non
sono io a parlare di nascosto con Lissa, e poi fingere che non esista un
secondo dopo.” Lo vidi subire il colpo.
“Ora,
se non vai da lei, ti prendo a pugni!”.
Lui
mi guardò sbeffeggiandomi.
“Com’è
che devi sempre arrivare alla violenza?”.
Pure
lui mi fa la morale? No, eh!
“Senti…”
inziai, ma mi bloccò.
“Non
darmi ordini Hathaway!” e se ne andò.
Sperai
davvero che andasse da lei.
Alzai
lo sguardo e vidi che tutti mi guardavano, che noia. Ormai mi era passata la
fame, per cui, mi alzai anche io e buttai tutto nei cestini.
Per
uscire passai davanti al tavolo dei reali, dove una plateale Camille Conta mi
indicava e rideva assieme a Jesse. Le mani mi tremavano e stavo per perdere il
controllo così mi lanciai fuori e corsi al mio paradiso zen.
Come
annusai e accarezzai le rose nere, una calma mi invase. Erano davvero una
benedizione, dovevo ringraziare la Karp per coltivarle. Mi ricordai le sue
parole su Lissa e provai una tensione che passò per il corpo come una scarica e
poi scomparì. Dovevo parlarne con Lissa, capire che legame c’era tra loro due.
Che
cavoli, neanche alla St. Thomas avevo tutti questi casini, possibile che fossi
davvero io ad essere così sbagliata? Forse mi impicciavo troppo o forse la
malasorte mi riportava sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. O forse
no.
“Chernaya
Roza”
Sobbalzai alla sua voce.
Ero seduta di fronte alle rose, con le
ginocchia al petto. Non volli girarmi e lui rimase li in piedi per un bel po’,
poi mi sorprese e si sedette vicino a me.
“Vuol dire rosa nera. Non avevo mai notato
questo cespuglio.” La sua voce era calda e tranquilla, quella che usava con me.
“Le ha coltivate Sonia Karp”.
Con la coda dell’occhio vidi che si era
sorpreso.
“Come lo sai?”.
“Ero seduta qui un giorno, e lei è
comparsa dal nulla, e me lo ha detto. È davvero strana, lo sai?”
Tutti i miei buoni propositi andarono in
frantumi e lo guardai. I suoi occhi erano così profondi che mi ci potevo perdere
dentro e annegarci felicemente.
“Non è strana.” Mi disse in rimprovero.
“E allora cos’è?” sembrava una domanda
semplice, ma la sua espressione di chi la sa lunga, mi fece capire che dovevo
davvero indagare su di lei con Lissa.
Ok, lo ammetto, la maggior parte delle
volte ero io ad impicciarmi delle cose.
“Vede il mondo in modo diverso da noi.
Rose, spostiamoci da qui, dobbiamo parlare.”
Perché dovevamo spostarci?
“Possiamo anche farlo qui.”
Lui sbuffò con una luce strana negli
occhi.
“La pausa pranzo sta finendo,
incamminiamoci verso l’accademia.”
Questa volta fu il mio turno di sbuffare,
non era molto convincente.
“Ok”. Mi alzai e lui fu presto al mio
fianco, ma quasi attento a non sfiorarmi.
Io non parlavo era lui che doveva farlo,
ma a quanto pare non iniziava e la calma apparente di prima iniziò a
trasformarsi in un miscuglio di emozioni soffocanti.
Non mancava molto al limitare del bosco,
così mi fermai di botto e lo affrontai un po’ acida.
“Allora?”
I suoi occhi erano un delirio di
emozioni.
“Mi stai evitando. Palesemente, oserei aggiungere”.
“Si”.
Gli dissi così sinceramente, che mi
lasciò interdetta e così lui.
Sembrava frustrato.
“Tu non capisci…”
Ora mi infuriai.
“Come faccio se tu non ti spieghi!”
Si irrigidì.
“Non posso farti da mentore!”.
Che nervoso.
“Perché?” urlai. Non potevo e non dovevo
comportarmi così, lo sapevo, ma ero stanca e poi con lui non riuscivo a non essere
dannatamente me stessa.
Sembrava incerto, lo vedevo combattere
una battaglia interiore, possibile che provasse quello che provavo io? Se fosse
stato così, avrebbe potuto spiegare i suoi comportamenti.
“Io non sono Nikolai” disse infine e mi
lasciò davvero scioccata. Tutto avrebbe potuto dirmi, ma mai avrei pensato una
cosa del genere.
“Mai pensato tu lo fossi!” dissi dopo un
tempo che parve infinito. Si, me lo ricordava, ma di certo non ho mai pensato a
lui come suo sostituto e forse sarebbe stato meglio.
L’aria autunnale si faceva ormai sempre
più fredda col passare del tempo, e in quel momento sembrava gelare qualsiasi
cosa. Qualsiasi emozione. I miei capelli mi circondarono il viso e lui, in
quell’istante, mi guardò come non aveva mai fatto, come se mi vedesse per la
prima volta.
“D’accordo” disse dopo un po’. Io dal
canto mio mi sorpresi. Non capivo cosa gli avesse fatto cambiare idea e non
capivo cosa centrasse Nikolai. Avevo il cuore che batteva forte e mille domande
da porre, ma avevo paura che avrebbe cambiato idea, così mi limitai a
sorridere. Di sicuro lui non provava quello che provavo io. Forse era così
tanto legato a Nikolai, che la sua morte lo aveva molto segnato e magari io che
lo avevo conosciuto potevo ricordarglielo di più. Poteva essere. Solo allora mi
accorsi che lui lo aveva chiamato Nikolai. Niente ‘guardiano Lazar’ o qualche
forma rispettosa. Forse stava arrivando a qualche suo limite, ma qualsiasi esso
fosse, non lo aveva oltrepassato. Lo guardai negli occhi e vidi il tumulto di
prima cessare. Sciolse la sua posa rigida, e mi regalò un sorriso fugace che
non mi aveva mai rivolto. Durò poco ma mi infiammò dentro.
L’atmosfera parve rasserenarsi.
“Inizieremo lunedì. prima e dopo le
lezioni. Te ne pentirai!” ghignò malefico.
Credeva di intimorirmi?
“Non mi spaventi, compagno!”
E così gli tirai un pugno sulla spalla,
che ovviamente, non lo colpì mai.
Imprecai e lui si fece serio
all’improvviso.
“Hai fatto tu quell’occhio al tuo
compagno?”
Guardai da un’altra parte avvampando.
“Non so di cosa stai parlando.”
Lui mi guardava severo.
“Ti ha fulminato con lo sguardo tutta la
lezione.”
Avrei voluto chiedere come potesse
esserne certo, ma non volevo supporre altro, mi sentivo così in confusione.
Perché ha accettato solo dopo che gli ho
detto che non pensavo che lui fosse Nikolai, perché questi sbalzi d’umore?
Riusciva a farmi esplodere la testa.
“Potrebbe essere successo qualcosa…”
“Rose…” iniziò lui, ma io lo bloccai
parlando a mia volta. “Si, lo so, la violenza non risolve nulla!” Non serviva che
ci si mettesse pure lui.
Lui mi trafisse con lo sguardo.
“Sul serio, Rose, devi controllarti. Non
puoi rischiare di macchiare il tuo curriculum con risse tra dhampir, oppure con
i moroi. Ti porterà danno quando uscirai di qui.”
Aveva ragione, lo sapevo, me lo ripeteva
spesso Nikolai.
“Non fanno altro che provocarmi, che
dovrei fare? Tu non hai idea…”.
Ero stanca, davvero, di dovermi sempre
ritrovare in mezzo alle cattiverie degli altri. Sapevo combattere, e questa era
la mia arma per difendermi da tutto.
“Dimentichi che sono stato un novizio
anche io.”
Lo guardai sorpresa. Cercai di
immaginarmi Dimitri all’accademia come studente, bello e impossibile, e
soprattutto, come mi ricordava spesso Nikolai, attaccabrighe. Ghignai.
“Hai menato tanto anche tu, ah?”
Mi fulminò con lo sguardo e io sorrisi.
Mi faceva sorridere il modo in cui si arrabbiava.
“Ok, dai.” Dissi con un tono davvero
troppo dolce per i miei gusti. Non credevo nemmeno di possederlo. “Come hai
fatto a cambiare? A diventare quello che sei ora. Tutti ti portano rispetto.”
Dissi seria l’ultima frase.
Mi guardò con uno sguardo vivo.
“Lo farai Rose, quando capirai chi è il
vero nemico contro cui combattere!”.
“Ma io lo so chi…” “No!”. Scosse lui la
testa.
“Saperlo è un conto, capirlo è un altro.
Lo devi capire qui.” E si indicò il cuore.
Io lo guardavo rapita e ammaliata.
Lui mi guardava immerso nei suoi
pensieri, che avrei voluto saper leggere.
“La pausa è finita, torna in classe”!
Quelle parole un po’ più rigide ruppero
quell’alone di confidenza che ci avvolgeva.
Torna
in classe, voleva sottolineare quasi la differenza tra noi, a
me almeno, parve capire questo. Non capivo quando avevo iniziato a guardarlo in
maniera diversa, o forse l’avevo sempre visto così, fin dalla prima volta che
il suo sguardo aveva incrociato il mio in quella cappella mezza distrutta. Ciò
nonostante, il problema stava nel fatto che io non avrei dovuto provare quel
batticuore che spesso avevo in sua presenza, ed era meglio se me lo facevo
passare in fretta, prima di finire inghiottita in uno sconforto più grande di
me.
Eccoci qua!
Mi ha divertito questo capitolo, e soprattutto questa mia Rose.
Che sia riuscito Christian a buttare giu i suoi muri e correre da Lissa?
E del nostro bel misterioso Dimitri, che cosa ne pensate?
hihhi io lo adoro <3
Alla prossima mie care lettrici.
Baci
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Capitolo 11 *** capitolo 11 ***
capitolo 11
Capitolo
11
Lissa era pronta già da un po’ tutta
impaziente, mentre io stavo finendo gli ultimi ritocchi. Ad uno sguardo fugace
allo specchio il risultato non era davvero male. I miei capelli erano stati
passati prima con la piastra frisè e poi cotonati alla base, erano una figata.
Il trucco era nero e marcato. Il vestitino sexy da strega, nero, mi fasciava
perfettamente. Lo aveva fatto arrivare Lissa, grazie al suo infinito conto in
banca per l’occasione: Halloween.
Anche lei aveva lo stesso vestito, solo color rosso sangue, ma la differenza
era un po’ vistosa. Io sembravo qualcuno che stava per girare un porno, lei
invece era bellissima. Era magra, come tutte le moroi, e quindi il vestito non
la fasciava in modo provocante come il mio.
Mi stavo per mettere le scarpe con il
tacco, quando lei iniziò di nuovo a camminare come una pazza in giro per la sua
stanza.
“Lissa, ti prego fermati. Tra poco
vomito!”
Iniziava a farlo rispettivamente ogni
dieci minuti.
“Oddio, Rose, non sono mai stata così
agitata!”.
Le sorrisi dolce.
“Vedrai che andrà tutto bene!”
In quel momento bussarono alla porta.
“Oddio, dì che non ci sono.”
La fulminai.
“Dopo tutto il casino e le tattiche
fatte, vuoi tirarti indietro proprio ora?”.
Lei mi guardava come un cucciolo
impaurito.
“Hai ragione”.
Sembrava stesse riprendendo il lume
della ragione. La abbracciai e le diedi un bacio.
“Lisciati il vestito, io apro!”
E lei mi sorrise.
Aprii e come ci aspettavamo alla porta
c’era Christian, vestito con i suoi soliti abiti dark.
“Uhm, bel vestito!” gli dissi ironica.
Lui mi guardò scocciato, ma un po’
divertito.
“Non farmi…” ma le sue parole si
fermarono a mezz’aria, mentre i suoi occhi si spalancarono mentre fissava
adorato qualcosa alle mie spalle. Forse era meglio dire qualcuno, e sapevamo
tutti bene chi.
Era passata una settimana dalla
discussione avvenuta in mensa e da quando Dimitri mi aveva accettato come sua
allieva. Ricordo che le lezioni successive di quel giorno, non incontrai Lissa,
che invece trovai, una volta terminate, seduta fuori dalla mia camera.
Risi ancora al pensiero della sua
faccia.
Ero corsa da lei preoccupata. “Lissa,
tutto ok? Hai una paralisi facciale?” subito mi ero preoccupata nell’averla
vista in lontananza seduta sulla mia porta. Poi man mano che mi avvicinavo
vedevo il suo viso color rosso fuoco e il suo sorriso risplendere in una
maniera terrificante, mostrando macabramente i canini.
Una volta accanto, lei non continuava a
parlare. Aprii la porta della mia camera e la trascinai, nel vero senso della
parola, all’interno.
“Lissa, ok, ora inizi a spaventarmi!”.
“b-b-b…” balbettava. Non sapevo se
ridere per quanto fosse buffa, o piangere dalla disperazione di vederla in
catalessi.
“Lissa!”. La presi per le spalle e la
urtai più volte sempre più forte.
“Mi ha baciata…” sospirò poi. Quasi non
l’avevo sentita.
“Wow” urlai io, facendola poi, parole
sue, diventare sorda.
Questo è quello che l’aveva paralizzata,
il suo primo bacio con Christian. In seguito mi raccontò tutto nei minimi dettagli.
Era scappata dalla mensa per rifugiarsi alla cappella. Christian l’aveva
raggiunta poco dopo. Non appena lo vide, lei disse di aver iniziato ad
insultarlo. Conoscendola, non penso che avesse usato epiteti davvero cattivi,
buona com’era, tuttavia, avevo intuito dal racconto, che lei aveva continuato a
parlare così a lungo, che lui, per zittirla, non aveva potuto fare altro che
baciarla. E baciarla. E baciarla…
Da qui fu poi spiegato quella paralisi
di pura beatitudine.
La settimana seguente Christian si
sforzò palesemente di stare in nostra compagnia di fronte alla gente. L’impatto
iniziale fu davvero catastrofico, il mutismo regnava sovrano quando eravamo noi
tre nei paraggi, ma la cosa che più mi sconvolse fu vedere, giorno dopo giorno,
moroi e dhampir che si avvicinavano a me o a Lissa per sapere se non avevamo
paura di Christian o per chiederci se aveva qualche caratteristica strigoi. In
un modo distorto, eravamo diventati popolari anche noi.
Un’altra cosa di cui mi accorsi, fu
vedere il cambiamento dei dhampir nei miei confronti, quando si seppe che
Dimitri era diventato il mio mentore. I più stupidi mi derisero, perché
credevano che fosse una punizione per qualcosa. Ryan ad esempio, che mi
prendeva in giro quando passavo dinnanzi a lui dicendo che me l’ero meritato.
Uno con un po’ più di sale in zucca, come Mason o Eddie, invece, si prostrarono
ai miei piedi dall’invidia di avere un dio della guerra come insegnante.
Mi allenavo con lui prima e dopo le
normali lezioni, quindi ero felice sapere che Lissa non sarebbe stata sola,
bensì in compagnia di Christian. Ed ero inoltre felice di vedere che Dimitri mi
aveva preso sul serio e mi dilaniava ogni giorno. Ero contenta più che altro
che concentrarmi così tanto nei suoi insegnamenti mi permettesse di non pensare
ad altro. A lui ad esempio.
Così si stava chiudendo ottobre, con una
nuova fiamma di determinazione che cresceva dentro me.
“Lissa sei bellissima!” disse Christian
rimirando la mia streghetta di amica.
Lei arrossì intonandosi di più al suo vestito.
La cosa iniziava ad imbarazzarsi e come
avevo imparato ultimamente, per evitare di fare da terza incomoda, ruppi
l’atmosfera.
“Figliolo, non riportare la mia bambina
dopo la mezzanotte!” imitai un padre brontolone.
“Oddio, Hathaway, che ti sei fumata?” mi
disse lui esasperato.
“Niente di buono ancora!” lo rimbeccai.
“Rose, aspettiamo l’arrivo del tuo
cavaliere?” chiese Lissa dolcemente divertita.
Scossi la mia testa e la mia balla di
fieno di capelli.
“No, no andate. Arriverà fra poco,
vedrete. Ci vediamo nella sala!”.
Christian esultante e Lissa comprensiva,
si avviarono al ballo consci di essere ad una specie di primo appuntamento.
Io ero felice per lei, l’avevo vista
ancora più radiosa questa settimana, e lui, forse, meno burbero. Forse.
Il mio cavaliere non si fece attendere
ancora per molto.
“Oh, Rose. Sei fantastica.” Mi imbarazzò
molto il tono che aveva usato. Avevo la vaga impressione che per lui
quell’uscita non avesse lo stesso significato della mia.
“Mason, anche tu non sei niente male!”
ammiccai.
Era vestito da pirata sbudellato dai
colpi di pistola, infatti era pieno di fori di proiettile ovunque.
Mi aveva invitato un paio di giorni
prima. Beh, forse non proprio invitato. Combattevamo l’uno contro l’altro in
palestra. Quando lo atterrai per la terza volta su cinque, i colpi gli fecero
perdere i sensi per pochi secondi. Mi preoccupai molto quel giorno, ero stata
attenta a non fargli troppo male e mi sentivo in colpa. Lui se ne accorse e col
senno di poi, molto furbo mi strappò un si per il ballo in maschera. L’aveva
buttata sul ‘almeno non mi annoio da solo’, ma ora la situazione sembrava
cambiata.
Alzai mentalmente spallucce. Mason era
simpatico e fin quando non avrebbe dimostrato palesemente le sue intenzione, mi
sarei comportata come con un amico qualunque.
Stavamo arrivando all’ingresso della
sala che avevano addobbato per la festa, quando i miei occhi non poterono non
riconoscere la figura di Dimitri all’entrata, in compagnia di Alberta. Il mio
cuore tiranno come sempre iniziò a battere furioso e iniziai a pentirmi di
essere così vestita, o meglio poco vestita. Sembravo una teenager al ballo
della scuola, e la cosa brutta era che lo ero davvero.
Non appena mi vide, provai un po’ di
soddisfazione nel vederlo, anche se per un solo decimo di secondo, sbarrare gli
occhi. Aveva percorso tutto il mio corpo in un batti baleno e ne ero più che
certa non avesse perso neanche un punto. Lo so, mi ostinavo a credere che lui
potesse vedermi come qualcosa di più, e forse vedevo cose che non esistevano,
davo ad alcuni gesti significati che non avevano.
“Signor Ashford, signorina Hathaway. La
festa è già iniziata.” Alberta ci guardava con occhi addolciti, ci vedeva come
una coppia che aveva una cottarella. Avrei dato tutto, davvero, per avere una cotta
per Mason, ma invece non riuscivo a togliere gli occhi di dosso a Dimitri, che
come sempre quella divisa lo rendeva dannatamente sexy. E altrettanto sembrava
far lui, non li toglieva di dosso a me, non riuscivo a decifrare i suoi
pensieri, i miei forse erano anche troppo palesi.
“Guardiano Petrov, colpa mia, ho fatto
aspettare la mia dama” e con questo Mason fece scorrere una mano lungo la mia
schiena. Gesto che mi infastidì decisamente e lui … beh, lui continuava a guardarmi impenetrabile.
“Buona serata!” ci augurò Alberta, io mi
ripresi all’ultimo e riuscii a fare un debole sorriso verso di lei, mentre
Mason mi spingeva dentro. La musica era decisamente assordante per le miei
sensibili orecchie eppure, sentivo il battere del mio cuore, al di sopra di
tutto.
Mason mi fece ballare un paio di
canzoni, e poi mi portò anche da bere. Come cavaliere non era davvero male, ma
speravo davvero che non si montasse la testa. Era davvero un buon amico.
Trovare Christian e Lissa fu decisamente
difficile, ma appena mi resi conto che nel lato sud della stanza si stava
formando un gruppo davvero vistoso e sospetto, intuii dove fossero. Abbandonai
il mio accompagnatore senza una spiegazione e mi fiondai in quel punto.
Camille Conta in un abito da Morticia
stava inveendo contro una seria Lissa ed un furioso Christian. La stronza moroi
era accerchiata dai suoi amici reali, tra cui Jesse mano lunghe e Aaron, il
disperato ex.
“C’è qualche problema?”. Arrivai
mettendomi davanti a Lissa, così da farle da scudo.
Scusami
Dimitri, ma non riesco davvero a star fuori dai guai.
E chissà perché, ma in un momento così
dovevo pensare a lui.
Il mio arrivo destò un po’ la fazione
nemica, agitandola.
“Possibile che la bella principessina
deve sempre avere la mammina a fianco? O chissà forse quello che dicono è
vero…” ghignava. “Il tuo amore per lei è così forte, e sei davvero gelosa
marcia di quello lì…” indicò sprezzante Christian “…che te l’ha soffiata, da
renderti ancora più acida!”.
Rise, seguita dagli altri.
“Che vai ad insinuare?”.
Ma la gente era scema?
“L’abbiamo capito sai? Non ti devi
vergognare. Rifiuti tutto il genere maschile, era ovvio che le tue ambizioni
fossero altre. E Lissa diciamolo, è un caso patologico giusto per te. Potreste
andare dallo psicologo assieme!”
Ero furibonda. Neanche mi accorsi che
avevo caricato il mio destro e la stavo per colpire sul naso. Glielo avrei
rotto. Vedevo e pregustavo già il suo sangue zampillare e il suo viso
deturpato. Fortuna o sfortuna qualcuno mi bloccò. Riconobbi subito quel tocco,
quel calore poteva emanarlo solo una persona.
“Cosa sta succedendo?” La sua voce.
Camille Conta che neanche si accorse
della fine che stava per fare, starnazzò come un’anatra.
“Niente, ci divertiamo.” Il suo tono era
leggermente cambiato. “Andiamo a ballare.” E tutto il suo gruppo infame tolse
il suo brutto viso dalla mia vista.
I miei muscoli erano ancora contratti, e
sentivo Dimitri bloccare il mio attacco ancora in corso. Il mio pugno chiedeva
di essere sferrato.
“Rose, calmati!” Lissà mi guardava
intensamente negli occhi, e con un tepore più esile mi afferrò il pugno chiuso racchiudendolo
nelle sue delicate manine. L’animo buono di Lissa mi calmò.
La mia vista rosso sangue riprese a
vedere lucidamente. Vedevo Christian, una maschera di puro odio, Lissa invece,
era preoccupata e anche Mason lo era, che a quanto pare mi aveva seguita. E
infine, Dimitri… beh, Dimitri, mi faceva una predica con lo sguardo.
Abbassai il braccio e lei mi abbracciò.
“Non te la prendere, Rose. Sappiamo com’è
fatta”.
“Scusa, Lissa” e le feci un sorriso amaro, poi
mi girai e andai via.
Quando passai accanto a Dimitri gli
dissi:”Scusa”, ma non mi soffermai oltre.
Mi dispiaceva per non essere riuscita a
evitare di ricorrere alla violenza e lo ringraziavo per essere stato lì e
avermi fermato, prima di fare qualcosa che avrebbe potuto rovinarmi la
carriera. Avevo già una nota di demerito per aver colpito un moroi nella mia
precedente scuola, un'altra sarebbe stato un suicidio pubblico.
Nessuno mi seguì, tutti mi lasciarono il
mio tempo e di questo li ringraziai tacitamente. C’era qualcuno che mi
conosceva davvero nel profondo e sapeva quando avevo bisogno dei miei spazi.
Il mattino seguente era domenica. Quando
mi alzai feci una cosa che non avevo mai fatto neanche nella precedente accademia:
andai alla funzione religiosa.
Avevo passato una notte piuttosto
movimentata, in un dormi veglia terrificante incorniciato di incubi che mi
facevano sudare all’inverosimile.
Odiavo questi scatti d’ira che mi
portavano a perdere la testa.
Quando entrai nella cappella ortodossa
russa, pochi si girarono sorpresi a guardarmi. Dimitri era su un angolo in
piedi che guardava dritto davanti a sé, eppure ero più che certa mi avesse
visto. Cercai la chioma bionda platino di Lissa e la trovai a metà cappella al
fianco di Christian. Lei era sempre stata una forte credente, mentre Christian
non lo sapevo, forse era solo per non macchiare ulteriormente la sua già
fangosa notorietà.
Quando mi sedetti a fianco a Lissa,
notai i suoi occhi preoccupati, sorridermi dolci.
“Rose, tutto bene?” disse Lissa.
Christian mi fece un cenno con la testa
e io contraccambiai.
“Si, tranquilla. Scusami per ieri!”.
Lei negò con la testa.
“Non ti devi scusare. Ti capisco!”. E mi
sorrise comprensiva. “Vuoi stare con noi, oggi?”.
“No, no figuriamoci!”.
Lissa aveva organizzato un picnic
romantico per lei e Christian. Non avrei mai potuto rovinarle il loro
pomeriggio d’amore.
“Non sarebbe un p…” “No, Lissa, davvero
e poi oggi avevo intenzione di fare degli allenamenti extra per sfogarmi un
po’”.
Lei mi guardò dubbiosa, poi annuì.
“Ok, ma se cambi idea sai dove
trovarmi!”.
Io le sorrisi e le urtai la spalla con
la mia.
“Ok, amica.”
Il sacerdote spuntò subito dopo e iniziò
la funzione. Parlò spesso di Vladimir, un moroi che avevamo santificato e da
cui avevano dato il nome a questa accademia. Era stata una persona buona e
gentile che aveva aiutato sempre il prossimo, anche con miracoli. Affiancato
dal suo immancabile dhampir, Anna.
Mi aveva sempre affascinato questa
storia, quando la leggevo dai libri. Il mondo e le persone sembravano migliori
in quell’epoca, o almeno così interpretavo io.
Terminata la funzione salutai Lissa e
Christian e me ne tornai in camera mia. Non avevo davvero intenzione di fare
allenamento quel giorno, ma poi, mentre parlavo con Lissa, mi era sembrata la
soluzione più logica. Avrei davvero sfogato i miei nervi così.
Arrivai in palestra e chissà perché mi
sorpresi trovare Dimitri lì. Pensavo che almeno la domenica bazzicasse in giro,
ma a quanto pare per lui quello era più confortevole del suo alloggio. Sedeva
su una sedia, indossando la sua divisa sexy e stava leggendo. Risi quando vidi
cosa.
“Western? Davvero?”.
Lui ghignò, non era sorpreso, di sicuro
aveva già percepito la mia presenza.
“Ad ognuno i suoi hobby.”
Risi.
“E perché leggi in palestra?”.
Lui non sollevò lo sguardo dal suo
libro, ma continuava a parlare con me.
“La domenica tutti stanno ben attenti a
stare alla larga da questo posto. È il luogo più tranquillo dell’accademia,
fidati.” E sull’ultima parola finalmente alzò lo sguardo. Mi osservò e poi si
rimise a leggere.
Non sapevo se questo significava
discorso chiuso o cosa.
“Non vorrai allenarti anche oggi?” disse
dopo un periodo abbastanza lungo dove io non mossi un passo e nemmeno respirai.
“A dire il vero…”
“Rose, un giorno di riposo serve. Sia
per il fisico che per la mente.”
Sbuffai sonoramente e lui ghignò.
Non sapevo se andarmene o restare qui e
provare ad intrecciare una conversazione. Del resto non avrei avuto niente
altro da fare e l’idea di interrompere Lissa e Christian nel mezzo di qualche
effusione d’amore davvero non mi allettava.
Così dopo qualche secondo mi buttai a
peso morto su un materasso degli esercizi, poco distante da lui.
“Ho paura di chiederti cosa stai
facendo?” chiese Dimitri dopo un po’, ironicamente.
“Mi riposo… come hai detto tu!”.
Sollevai la testa quel tanto per vedere
Dimitri alzare gli occhi al cielo. Con me era davvero diverso che con gli
altri. Più sciolto.
“Ieri sera stavo per cedere… ancora…”
Volevo che la situazione non mi
imbarazzasse, e così tirai fuori l’accaduto della sera precedente. Tanto prima
o poi ne avrei dovuto parlare, lo so. Lui, tuttavia, non disse nulla.
“Se non fosse stato per te a quest’ora
sarei stata espulsa!”.
Lui chiuse il libro e mi guardò dritto
negli occhi.
“Vedrai che presto capirai la tua
strada.”
Io guardai in basso.
“Non ne sono sicura” bofonchiai. Lui mi
diceva che dovevo capire nel cuore chi era il mio nemico, ma ancora non capivo
come fare.
“Ti sei già resa conto del sbaglio che
stavi per fare, è già un passo avanti, fidati!”.
Si, mi fidavo di lui, ma io non mi
fidavo di me come faceva lui.
Una vampata d’aria dalla porta aperta mi
fece rabbrividire e staccare la testa da questi pensieri malsani.
“L’aria è sempre più fredda, secondo me
nevicherà presto.”
Lui rilassò lo sguardo e riprese il suo
libro.
“E’ possibile.”
Io lo studiai ancora un po’.
“Se nevicherà ti sentirai un po’ più a
casa, no?”.
Lui sollevò lo sguardo leggermente
divertito.
“E perché pensi ciò?”.
Io feci una faccia ovvia.
“La Siberia è uno strato di ghiaccio e
neve, no?”.
Lui rise. Rise davvero, non lo aveva mai
fatto.
“Non capisco che concezione hai tu della
mia terra, ma fidati che il clima non è poi tanto differente.”
Io lo guardavo da una parte rapita,
dall’altra affascinata nello scoprire caratteristiche riguardanti lui e la sua
vita.
“Mah, secondo me è come dico io. Però
fidati che quando uscirò di qui, sarà il primo posto che visiterò, così vedremo
chi ha ragione.” Sbottai seria, mentre lui mi guardava divertito.
“Vedremo…” disse.
Quella parola aleggiò nell’aria come una
promessa.
Pubblico di corsaaaa mie cari!!
Spero vi piaccia..come sempre <3
Vi lovvo
|
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Capitolo 12 *** capitolo 12 ***
capitolo 12
Capitolo
12
Passarono due settimane dall’episodio di
Halloween e l’accademia aveva già dimenticato qualsiasi evento successo, poichè
più interessata ad altro. La St. Vladimir era sempre più euforica e popolata,
grazie all’arrivo di guardiani extra e di qualche reale con il suo seguito, in
vista della visita che avrebbe fatto la regina da lì a qualche giorno.
In tutto questo io, Lissa e Christian ci
godevamo il fatto di essere stati messi in secondo piano, a noi non importava
di metterci in bella mostra dai nuovi arrivati e ce la spassavamo alla grande.
Con Dimitri le sessioni di allenamento
erano sempre più intensive. Avevamo passato due settimane a fare un riepilogo
di quello che già Nikolai mi aveva insegnato e poi lui aveva iniziato ad
approfondire il tutto, anche le esercitazioni con il paletto. Gli allenamenti mi
entusiasmavano un mondo, però, c’era altro.
Mi accorgevo che spesso, prima o dopo
gli allenamenti, mi guardava. A volte con ammirazione, altre con orgoglio,
altre non avrei saputo dire cosa. Quelle sensazioni che mi lasciava erano
magnifiche, e a volte vivevo per quei due secondi di sguardi. Durante gli
allenamenti diventava professionale e di questo ne ero grata. Non avrei saputo
concentrarmi con quello sguardo che ero convinta, regalava solo a me. Ciò nonostante,
cercavo in tutti i modi di accantonare questi pensieri da cotta per lui, perché
non sapevo come affrontarli e poi, perché, in fin dei conti stavo bene così.
Avevo iniziato una routine con i suoi allenamenti e gli incontri con Lissa (e
Christian, ovvio) e temevo di poter rovinare tutto. Inoltre, con il passare dei
giorni, stavamo iniziando ad instaurare un legame di fiducia tra compagni che,
ora come ora, era la mia unica ancora salda di emozioni che avevo, e non potevo
rischiare di perderla. Tutti i miei sentimenti, quindi, erano stati accuratamente
piegati e relegati in fondo al mio cuore, in una cassetta di sicurezza che speravo
fosse inacessibile.
Quel giorno mentre osservavo le rose
nere che come sempre mi donavano una tranquillità disarmante, fui colta di
sorpresa dalla signora Karp. Ancora.
“Rose, Ciao. Ancora qui?”.
Vestiva degli indumenti dai colori poco
vividi e i suoi capelli sciolti la facevano sembrare quello che immaginavo
sempre, uno spettro.
“Buongiorno, Signora Karp.” Le dissi
rispettosa. “ E’ il mio paradiso zen qui.”
E indicai le rose davanti a me. “Vorrei
proprio sapere come fa a mantenerle così belle.”
Lei sorrise in modo strano, ovvero, come
sempre.
“Oh, piccola Rose con la magia, ovvio.”
Mi diedi mentalmente della stupida, era
ovvio.
“Certo. Il suo elemento deve essere la
terra.” Le sorrisi imbarazzata per non averlo intuito prima.
Lei invece sorrise come prima, forse più
strana ancora.
“Sbagliato.”
Come sbagliato? Il mio viso era puro
stupore.
“Allora l’acqua.” Forse aveva un buon
pollice verde e tutto stava nell’irrigazione.
Lei rise apertamente.
“No, Rose”.
Volevo fare i nomi degli altri due
elementi, eppure avevo intuito che la risposta non sarebbe cambiata.
“Ti ricordi cosa ho detto la scorsa
volta?” disse con uno sguardo attento.
Certo che lo ricordavo, e la cosa mi
disturbò perché non avevo più avuto tempo di fare le mie domande a Lissa.
Annuii.
“Soprattutto dopo il diploma. Proteggila
sempre!”
E con uno sguardo enigmatico si dileguò.
Ok, la situazione qui iniziava davvero a
preoccuparmi. Dovevo trovare Lissa. Subito.
La vidi nell’atrio che camminava mano
nella mano con Christian. I due si affiatavano ogni giorno sempre di più. A
volte mi capitava di provare invidia per il loro rapporto, erano così complici
e di sicuro non erano mentore e allieva.
Accidenti
a me e ai miei pensieri.
“Ehi Lissa”.
La vidi guardarmi lievemente
preoccupata.
“Rose, sembra che tu abbia visto un
fantasma!”.
In
effetti…
“Non ci sei molto lontana.”
Lei corrugò la fronte.
“Senti… ma tu...” speravo di non causare
l’ennesima catastrofe. “…che rapporti hai con la Karp?”.
La
cosa che più mi accigliò fu la reazione di Christian. Si
rabbuiò. A quanto pare lui sapeva qualcosa che io non sapevo, e
questo mi
dava davvero fastidio.
“Lissa?” la chiamai ancora vedendo che non accenava a rispondere.
“Ti chiedo scusa per non avertene mai
parlato prima.” disse tutto d'un fiato.
La mia faccia era un grosso, enorme e
lampeggiante punto di domanda.
“Andiamo nella mia stanza, ti spiegherò
tutto!”
Dieci minuti dopo ci trovavamo a gambe
incrociate sul suo letto. Christian non c’era, era stato beccato da un
guardiano nel corridoio e i maschi non potevano stare nella parte del
dormitorio femminile. Questa cosa non mi dispiacque neanche un po’. Volevo
parlare solo con lei e basta, come all’inizio. Non gliene facevo una colpa, ma
da quando stava con Christian aveva meno tempo per me. Mi mancava e basta, ma
ero sicura che anche io, se avessi avuto la possibilità di stare con Dimitri,
sarei stata uguale. Magari, invece di tante effusioni, ci saremo presi a botte
di più. Sorrisi all’idea.
“Posso farti una domanda?” mi chiese lei
dolcemente.
“Si…” annuii un po’ distratta dai
pensieri che mi vorticavano in testa.
“Perché mi hai chiesto della signora
Karp?”.
“Ci ho parlato due volte finora e in
entrambe all’improvviso mi ha detto di proteggerti e aiutarti sempre”.
Lissa sorrise rilassata alla mia risposta.
“Vedi…” iniziò. “Volevo parlartene da un
po’, ma non ho mai trovato l’occasione… giusta.” Si guardò in giro triste, poi puntò
il suo sguardo azzurro limpido su di me.
“Sai che vado due volte la settimana
dalla signora Carmack.”
Annuii.
“In una delle due sedute si unisce anche
la signora Karp”.
Aggrottai la fronte.
“Fate delle sedute di gruppo?”.
“Si” rise “ma la paziente sono sempre e
solo io.”
Era serena, la cosa non doveva essere
troppo preoccupante, no?
Restai zitta e lei continuò.
“Mi aiuta per la mia specializzazione”.
In quel momento una ‘o’ muta si formò
sul mio viso. Spesso dimenticavo che Lissa era una moroi ed infatti mai mi ero
posta il quesito di quale elemento fosse specializzata. Sapevo che Christian
era specializzato sul fuoco, ed infatti lo avevo visto con i miei occhi
bruciare due persone senza scottarle veramente, ma di Lissa, non sapevo nulla.
“E qual è il tuo elemento?”.
Lei si rattristì un po’.
“Hai mai sentito parlare dello
spirito?”.
Cosa? Ero scioccata. Ne avevo intravisto
qualche paragrafo in uno dei tanti vecchissimi libri della St. Thomas, ma era
un argomento così vecchio e quasi leggendario che non gli avevo prestato
attenzione. Ora mi maledii.
“Vorresti dire che sei un conoscitore
dello spirito?”.
Lei sembrava sorpresa.
“Sai di che parlo?”.
Annuii poi negai con la testa.
“Ho solo letto qualcosa una volta, ma è
tipo una cosa leggendaria, non so altro.”
Lei sorrise.
“Sai St. Vladimir era un conoscitore
dello spirito.”
Chissà perché, ma la rivelazione non mi
stupì poi molto. Aveva senso.
“Tutti quei miracoli che faceva…”
“Si” disse lei serena, sapevo che era
contenta di poterne parlare con me. “Usava lo spirito per aiutare la gente.”
“Ma come?”.
Non capivo cosa fosse lo spirito.
Lei si guardò intorno forse sperando di
trovare qualcosa per spiegarsi meglio, poi il suo sguardo si posò su una mia
mano.
Seguii ogni sua mossa non sapendo cosa
stesse per fare. Prese la mia mano tra le sue e poi una lieve luce si sprigionò
da esse, avvolgendo la mia mano di una calore che mi toccò il cuore. Fu la
sensazione più bella mai provata in tutta la mia vita.
La cosa più stupefacente però, fu vedere
le mie nocche sbucciate, rimarginarsi e guarire.
“Porco cazzo!” mi sfuggì, era un
miracolo!
Lei rise della mia reazione.
“Lissa, ma è una cosa…” non trovavo la
parola per definirla, o forse non era ancora stata inventata.
Lei si stava richiudendo in quel suo
bozzolo timido che aveva quando l’ho conosciuta.
“Ok, strabiliante penso possa andare.”
Lei mi fissò attenta.
“Non pensi sia qualcosa di sbagliato?”.
Ora capivo. Capivo quella parte di Lissa
che mi sfuggiva sempre. Si sentiva diversa e chissà, forse sbagliata.
“Lissa, non potrei mai pensare questo. È
un dono, ma se devo essere sincera, mi spaventa.” Mi affrettai subito a spiegarle il mio pensiero.
“No, non è come pensi. Capisco cosa voleva dire Sonia Karp. Se la gente, se…
persone cattive venissero a sapere di questo potere, tu saresti in pericolo.
Sono sicura che questo potere è molto più grande di una semplice
cicatrizzazione delle mie nocche sbucciate e io ho paura… ho paura per te,
Lissa!”
Avevo paura davvero, per lei!
Qualche lacrima prese a scendere dai
suoi occhi.
“Oh, Rose… sei speciale…”
La Karp aveva ragione. Quella pazza non
era pazza, o meglio si comportava da tale, ma quel che diceva aveva davvero
senso.
Poi un fulmine immaginario attraversò la
mia mente, facendomi vedere e sentire frasi e situazioni che mi fecero arrivare
ad una conclusione.
Le stranezze della Karp, le rose
stranamente rilassanti, quel dialogo strano con Dimitri…
“Anche la Karp è un conoscitore dello
spirito!”.
Non era una domanda.
Lissa mi guardò affascinata.
“Sei davvero perspicace.”
Volevo capire il meglio possibile questo
mondo.
“Lissa, vieni un attimo con me?”
Lei mi chiese dove, ma non le detti
spiegazione e lei alla fine annuì e basta.
Quindici minuti dopo eravamo nel mio
paradiso zen.
Appena Lissa fu di fronte alle rose la
vidi sorridere dolce e allegra. Era come se fosse appena entrata in casa sua.
“Queste rose…” iniziai “..sono speciali,
vero?”.
Lei mi guardò ancora con l’espressione
felice di prima. “Si, cosa ti fanno provare?”.
Io guardai le “mie” bellissime rose e
sorrisi.
“Tranquillità. I problemi qui, sono meno
difficili. La vita è più serena.”
Lei annuiva alla mia spiegazione e io
continuai a parlare.
“La Karp mi aveva detto di averle
coltivate. Quindi dopo aver valutato il tutto, sono arrivata a quella
conclusione.”
Lissa accarezzò una rosa.
“I conoscitori dello spirito non sono
tutti uguali. C’è chi non sa nemmeno di esserlo, chi invece come me lo scopre
presto, e può imparare a usarlo e gestirlo. Questo potere ha mille
sfaccettature ed è in grado di fare tante cose. A seconda della forza interiore
della persona e anche della sua fantasia, si possono anche inventare poteri
nuovi. Queste ad esempio.”
Ispirò l’odore delle rose e poi
continuò.
“Sono impregnate di spirito e come hai
detto tu, rilassano il corpo e la mente. Io ne sono immune perché sono
abbastanza forte da non farmi catturare dal loro potere, ma se abbasso le mie
difese posso bearmi della calma apparente che donano”.
Si girò e mi sorrise, ma i suoi occhi si
stavano rattristando.
“Due anni fa, ho trovato nel bosco un
uccellino ferito. Era durante la lezione di scienze e all’epoca la signora Karp
era l’unica insegnante. Mi ero allontanata e quando vidi quel povero animaletto
a terra non so… impazzii. Ero da poco rimasta sola e avevo tante di quelle
emozioni contrastanti dentro, che sentirmi impotente anche davanti a quel
povero uccellino mi infuriò. Non so cosa feci di preciso, so che dopo averlo
accolto nelle mie mani, quel piccoletto che un secondo prima era mezzo morto
ora cinguettava felice e sbatteva le ali. La signora Karp vide, e poi, beh, poi
mi spiegò tutto.”
Io annuivo rapita dal discorso.
“Pensavo che la Karp fosse una pazza la
prima volta che ci ho parlato qui.” Dissi sinceramente.
Il sorriso di Lissa svanì.
“La signora Karp è l’esempio di quelle
persone che non hanno saputo subito cosa fosse lo spirito ed ha usato i suoi
poteri sconsideratamente e senza monitoraggio. Rose, questo potere se non
controllato ci fa diventare pazzi.” Era dannatamente seria.
Ok, questo potere iniziava a piacermi
sempre di meno.
“Ma non ha soluzione? Una medicina?
Qualcosa?” non volevo che la mia amica potesse un giorno uscire di senno.
“No, Rose. Il massimo che possiamo fare è
prendere psicofarmaci. Ci aiutano a non andare in depressione se ci limitiamo
nell’usare lo spirito! Ecco perché vado regolarmente dalla signora Carmack”.
Avevo paura a chiedere. “E tu?”.
Quasi non mi ero sentita.
“Non preoccuparti per me, Rose. Come ti
ho detto l’ho scoperto subito e non sono in pericolo. Prendo dei farmaci si, ma
sono leggeri è solo per combattere la voglia che ho di usare lo spirito, ma
riesco a controllarmi. Fidati!”
Capivo ora molti suoi sbalzi d’umore che
avevo notato da quando la conoscevo. Quando lei pensava che non la osservassi,
vedevo che i suoi occhi si spegnevano e che il suo viso provava qualche segno
di pena. Io ho sempre dato per scontato che pensasse alla sua famiglia e stesse
ancora molto male, ma forse era solo lo spirito che chiedeva di essere usato.
Come
me.
Mi resi conto che le mie emozioni
chiedevano di essere manifestate tramite la forza, perché era la cosa che mi
riusciva meglio usare ed io mi affidavo davvero ciecamente ad essa. Era per questo,
forse che per gli allenamenti extra di Dimitri non mi stancavano mai, e se
magari andavo a letto che le avevo prese tutto il santo giorno, il giorno dopo
ero più pimpante che mai. Io, però, a differenza di Lissa non mi controllavo,
non riuscivo a controllarmi. Forse, non ci avevo mai provato davvero.
Esposi questi miei pensieri a Lissa e
lei non mi derise, ne mi fece credere che il mio problema fosse inferiore al
suo, anzi, mi abbracciò e mi manifestò tutto il bene che provava per me, che
nessuno aveva mai provato per me.
“Oh, Rose. Allora facciamo un patto. Io
ti sosterrò sempre, sarò sempre al tuo fianco, pronta a ricordarti cosa
potresti perdere se perdi di vista l’obiettivo finale e tu… tu farai lo stesso
per me. Se pensi che inizio ad essere troppo dipendente dallo spirito, fermami.
Ci aiuteremo insieme!”.
Sorrisi felice. Avevo raccontato a Lissa
di Nikolai, avevo scoperto parte delle mie carte. Era la prima che aveva
davvero saputo da me, la mia voglia di diventare un guardiano. Il migliore.
“Lissa, anche senza patto l’avrei fatto
lo stesso. Un secondo dopo che mi avevi raccontato tutto, avevo già deciso che
sarei stata al tuo fianco, sempre!”
Ci abbracciamo e piangemmo come bambine,
felici di poter contare finalmente su qualcuno, dopo tanto tempo passate da
sole.
Più tardi tornando ai nostri alloggi,
Lissa mi raccontò qualche altro aneddoto sui conoscitori dello spirito ed io
ero così presa dai suoi racconti, che non mi accorsi di quella figura dritta e
fiera che ci aspettava all’ingresso dei dormitori.
La stavamo per oltrepassare, ma lei a
quanto pare non voleva passare inosservata.
“La tua attenzione per i dettagli è
davvero scarsa.”
Più tardi, ripensai a quelle parole per
molte ore, analizzai l’intonazione usata e ciò che volevano significare.
Ripensai soprattutto a tutto quello che sapevo di lei e ai ricordi legati a
lei. Ripensai al buio che mi scatenava dentro e cosa avevo provato quando
sbalordita la chiamai.
“Mamma?”
Buondì!!
Capitolo incentrato sui poteri di Lissa. Ho cambiato qualcosina dall'originale, come avete potuto vedere.
Nella
mia storia lo spirito è leggermente più conosciuto, e
Lissa ne è più consapevole, motivo per cui ho lasciato
che la nostra pazza Karp, restasse nella sua forma moroi e non
incontrasse il desiderio di diventare uno strigoi.
Rose entra a far parte di questo nuova consapevolezza e non ne rimane impaurita, ma fiduciosa.
Il
bel clima non poteva rimanere per troppo però, Rose deve
combattere i suoi demoni, ed ecco il primo di tutti: Janine Hathaway.
Cosa succederà ora alla sanità mentale della nostra protagonista?
Lo scopriremo presto...
un bacio miei lettori <3
|
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Capitolo 13 *** capitolo 13 ***
capitolo 13
Buonasera.
Oggi scrivo prima del capitolo, perchè voglio prepararvi psicologicamente ad uno dei miei capitoli preferiti.
E' stato scritto di getto ed io lo trovo molto emozionante, spero sia così anche per voi.
La nostra Rose è quasi pronta ad affrontare i suoi demoni interiori e vedremo un altro momento di cambiamento per lei.
Vi auguro una buona lettura...
baci
Capitolo
13
Ero fuggita come una codarda. Ritrovarmi
mia madre lì, spuntata dal nulla senza preavviso, mi aveva colto di sorpresa,
mi aveva spiazzato. Era il mio incubo peggiore ed io non avevo potuto far altro
che scappare.
Quella notte non dormii neanche un
secondo, quindi quando mi alzai il giorno dopo, avevo delle occhiaie che non
facevano nessuna invidia all’occhio nero che avevo fatto a Ryan il mese prima.
Mi ero recata in palestra con più di
mezz’ora di anticipo e invece di andare a correre iniziai a prendere a pugni
qualsiasi oggetto o manichino che sembrava volermi sbeffeggiare.
Andai avanti fino a quando non arrivò
Dimitri, il quale mi trovo in un bagno di sudore. La parola sexy non rientrava
di certo nella mia didascalia quel giorno.
“Rose, da quanto tempo sei qui?”.
Non mi ero accorta di essere così a
corto di fiato, fin quando non mi ritrovai a respirare affannosamente per
rispondere.
“Qual-che mi-nuto...”
Lui alzò un sopracciglio per far
intendere che non se la era bevuta.
“O… for-se più…” dissi in quella che
credevo sarebbe finita in una crisi respiratoria.
Lui sbuffò un po’ arrabbiato poi mi
prese per un braccio e mi trascinò di forza nel bagno vicino. Una scarica
elettrica partì dal punto in cui mi aveva toccato e mi passò per tutta la
schiena. Lo guardavo scettica, non capivo che stesse facendo. Solo quando mi
prese le mani e lo portò sotto il getto ghiacciato dell’acqua mi accorsi che mi
ero ferita, di nuovo, le mani.
Storsi il naso al pensiero dello spreco
di energia di Lissa. Non erano passate neanche 24 ore da quando mi aveva
guarita.
Quando chiuse il rubinetto, mi prese
delicatamente le mani in un asciugamano e me le tamponò piano, poi prese la
valigetta medica e mi disinfettò le ferite per poi passarci sopra della garza
cicatrizzante. Non erano delle semplici sbucciature, mi ero fatta delle gran
belle lesioni.
Per tutto il tempo della medicazione
eravamo rimasti in silenzio. Lui mi medicava con un tocco così leggero che non
credevo che le sue forti mani muscolose fossero in grado di fare, ed io lo
guardavo in ogni suo più piccolo dettaglio. Quando finì incrociò il mio sguardo
e ciò che vidi fu preoccupazione. Era travolgente il modo in cui i suoi occhi,
quando lui lo permettesse, fossero così espressivi. Distolsi per prima lo
sguardo, in quanto imbarazzata dalle emozioni che si frastagliavano tra di noi,
in lui e in me. Non ero più in grado di controllare niente. La testa mi faceva
male, pensavo di essere riuscita finalmente a vivere un periodo di calma e
invece, tutto si andava di nuovo a incasinare.
Mi alzai e me ne andai. Avevo bisogno di pace. Non ero in grado di gestire tutto
questo.
“Rose”
lo sentii chiamare, quando fui sullo stipite della ports, ma io non potevo
affrontare tutto, non lì, o sarei crollata. Al suono della sua voce dalla
sfumatura preoccupata avevo tentennato sui passi, ma mi costrinsi a non
fermarmi e mi avviai al mio paradiso zen.
Arrivata nei pressi delle rose presi una
grande boccata d’aria beandomi del loro profumo. Era sbagliato, lo so, ma i
timori pian piano si dissolsero, il grande dolore che sentivo nei confronti di
Dimitri si attenuò e il male provato quando avevo rivisto mia mamma sembrò un
esagerazione.
“Non dovresti passare troppo tempo
qui!”.
Dimitri a quanto pare mi aveva seguito.
Una parte di me era abbastanza lucida da sapere che i miei problemi non
sarebbero scomparsi e che quello che provavo era una pia illusione; ed ero una
debole, perché mi stavo avvalendo di una scorciatoia per non affrontare la
situazione, ma non avrei potuto reggere quello che sentivo dentro un secondo di
più.
“Lo so…”
Lui mi guardò sorpreso, di sicuro si
chiedeva se io sapessi cos’erano veramente quelle rose, perché di sicuro lui lo
sapeva e me lo aveva già fatto capire una volta. Solo che all’epoca non sapevo
la verità.
“… Per questo sono venuta qui!”.
Con un cipiglio di rimprovero misto
sorpresa si avvicinò di più a me.
“Hai visto tua madre!”.
Non era una domanda, ovvio. Doveva
averla vista e Dimitri sapeva leggermi dentro. Sapeva che avrei sbarellato,
perché in qualche modo sapeva capirmi. Tiranno, il mio cuore batté furioso.
No, accidenti, non dovevo lasciarmi
andare così. Dovevo mantenere quel solido muro che avevo costruito intorno al
mio cuore.
“Già.” Dissi tesa.
Sentivo il calore della presenza vicina
di Dimitri. L’aria sembrava elettrica fra noi.
“E lei hai parlato?”.
Io risi amaramente.
“No, sono fuggita… come una ladra!”.
Avevo risposto un po’ aspramente,
ripensarci mi aveva fatto provare disprezzo, per me stessa, ma solo per un
secondo. Le rose si portarono via tutto il mio disappunto.
“Di cosa hai paura?”.
Il suo tono era calmo e dolce, così
forse non lo avevo mai sentito. Mi spiazzò per un secondo, la mia mente cercava
di afferrare qualcosa che doveva mettere a lucido, ma non ci riusciva, così mi
concentrai sulla sua domanda, e rispondere fu, ovviamente, facile.
“Temo di essere rifiutata… in faccia…
perché è così che mi sono sentita per tutta la vita.”
Anni e anni di frustrazione
semplicemente riassunti in una frase così breve, eppure così vera. Il fatto che
mia madre non passasse con me i compleanni o le feste, come accadeva invece
agli altri dhampir o moroi, o che non mi chiamasse mai o non si facesse mai
vedere, mi aveva fatto sentire sbagliata, non voluta, rifiutata…
Sentivo tutti elogiare il grande
guardiano Janine Hathaway e mi veniva il vomito sapere che quel nome fosse lo
stesso di mia madre, che tutti mi invidiassero per essere sua figlia, ma io non
mi ci sentivo.
Lo sguardo di Dimitri si era addolcito e
sembrava volermi consolare, era davvero strano, non era da lui. Con una mano
prese ad accarezzarmi il viso, io cercai di sorridergli.
Si, non era decisamente da lui e una
scintilla mi fece ricordare che eravamo in prossimità delle rose.
Non sapevo quanto queste su di lui
avessero effetto, ma mi sentivo in colpa approfittare così di lui, sarei stata
tutta la vita in quella posizione, ma non era giusto ne per lui, ne per me, che
mi illudevo e basta.
“Forse dovremmo allontanarci un po’ da
qui!” sussurrai roca, involontariamente.
Una scintilla di lucidità si accese nel
suo sguardo, che presto si tramutò in quello impassibile che aveva sempre tra
la gente. Ritirò come scottato la sua mano e si allontanò di qualche passo
dalle rose, ma non se ne andò. Era comunque qualcosa.
“Ti chiedo scusa…” disse lui poco dopo,
freddo.
L’avevo raggiunto e l’effetto delle rose
stava diminuendo, il mio dolore interiore stava tornando più forte di prima.
“E di cosa?” gli dissi decisamente
acida.
Lui si stupì al mio tono ed io scossa
dal suo sguardo mi calmai un po’ e cambiai argomento.
“Lo so che lo spirito contenuto in
quelle rose non risolverà i miei problemi.” Ero amara e triste mentre gli
parlavo “Necessitavo però di quella pace che sanno darmi, sono stanca di
provare tutto questo dolore, perché poi mi farà esplodere e sappiamo entrambi
le cazzate che potrei combinare. Stavo migliorando e lei è rispuntata.”
Il cipiglio freddo di Dimitri parve
riscaldarsi.
“Forse è l’occasione giusta per
affrontare anche questo tuo ultimo scheletro nell’armadio.”
Sembrava volesse dirmi qualcos’altro, ma
non ne ero veramente sicura.
Ringhiai dalla frustrazione.
“Insomma non chiedevo tanto nella mia
vita, solo farmi credere che di me gli importasse qualcosa. Mio padre non so
neanche come si chiama. Non so se sono nata da una atto d’amore o se magari si
è comportata come una sgualdrina di sangue. Forse sarei stata meglio in una
comunità, almeno avrei saputo cosa il futuro mi aspettava.” Sputai schifata questo
mio pensiero di rabbia e ciò che non mi aspettai, fu la sua reazione.
Si allontanò leggermente da me, nel suo
sguardo una punta di rabbia.
“Ma come credi sia la vita nelle
comunità?” mi sussurrò duro. Ero rimasta davvero scioccata dalla sua reazione.
Insomma, non ero abituata a tutti questi cambi d’umore, lui di solito era così
calmo e attento, pronto a difendersi e a difendere a qualsiasi spostamento
d’aria. L’unica emozione che emanava di solito era una rispettosa aria battagliera,
ma ovviamente avevo detto di solito, ovvero tra la gente della St. Vladimir
Academy. Lui con me, non capivo perché, era diverso, forse se stesso.
Lo vidi chiudere gli occhi e respirare
profondamente per calmarsi. Si, era davvero arrabbiato, ma per cosa, per le
comunità?
Oh,
no.
Di sicuro sbiancai quando il mio
cervello iniziò a ragionare.
“Dimitri… io… non volevo insinuare
niente, mi dispiace se ti offeso.”
Ero prossima alle lacrime, tutto avrei
voluto tranne che ferire in qualche modo lui.
Se avevo capito bene la sua reazione, lui era cresciuto in una comunità di
sgualdrine.
Quando riaprì gli occhi era di nuovo
calmo, ma non parlava, mi osservava.
“Scusami”singhiozzai.
Mi portai il dorso della mano alla
bocca, come per fermare i singhiozzi che mi scuotevano dalla testa ai piedi.
Ero esausta dalle emozioni e lui era la goccia che fece traboccare il vaso.
“La gente spesso e volentieri parla
senza sapere bene quello che dice. So bene cosa si dice delle comunità in cui
vivono i dhampir che non prestano la loro vita al servizio dei moroi, eppure
sono cresciuto in una di quelle famiglie e ti posso assicurare che sono
famiglie piene d’amore.
Avevo smesso di singhiozzare, ma
piangevo ancora.
“Non te ne faccio una colpa per le tue
parole, non potevi sapere.”
“I-io…” balbettai “non so niente del
mondo là fuori. Non so cosa di c’è vero e cosa no. Conosco solo quello che ho
sempre sentito dire tra le mura di un’accademia”.
I suoi occhi parvero addolcirsi.
“Non te ne faccio una colpa, Rose. Non
sono arrabbiato con te.”
Tirai su col naso. C’era qualcosa che mi
sfuggiva.
“E’ per questo che eri attacca brighe
quando eri un novizio? Ti prendevano in giro?”.
I suoi occhi scintillarono.
“Anche.” Rispose.
La cosa però mi insospettì, affilai lo
sguardo e lui di tutta risposta si mise a ridere.
L’avevo già detto vero che soffre di
personalità multipla?
Lo guardavo incredula.
“Rido, perché non ti sfugge nulla,
Roza”.
Mi riscaldòil cuore quando mi chiamò
così. Non era perché lo faceva anche Nikolai. Il mio vecchio mi faceva provare
affetto, lui mi faceva battere il cuore. Furioso.
“Ero attacca brighe è vero, ma solo con
i moroi… maschi.”
Mi bloccai quasi senza respirare, ero
sempre attenta quando lui mi raccontava qualcosa di se stesso, della sua vita.
Quando si confidava… con me.
“Io so chi è mio padre”.
Lo guardai incredula, le famiglie nelle
comunità potevano essere amorevoli, ma non era certo grazie ai moroi maschi,
che invece se la spassavano e non restavano mai a lungo. Era raro perciò che
qualche dhampir sapesse chi fosse il padre.
“ In uno strano modo gli piaceva mia
madre, quindi lo vedevamo spesso per casa. Inoltre, è anche il padre di una
delle mie due sorelle. “Si bloccò mentre si massaggiò per brevi secondi le
tempie, di sicuro stava rivivendo quello che di sicuro era un ricordo orribile.
Quando riprese a parlare mi guardò fisso negli occhi, ma forse ero solo il suo
punto di riferimento, perché nel suo sguardo non vedevo me, ma i suoi ricordi.
“Quando veniva però non trattava bene
mia madre.”
“In che senso?” sbottai presa dal suo
racconto.
“Nel senso che la picchiava, e lei lo
lasciava fare…”
Mi portai le mani alla bocca al pensiero
di cosa avesse vissuto.
“Ti prego, dimmi che gliel’hai fatta
pagare a quel bastardo”.
Lui finalmente mi guardò davvero. Il suo
sguardo bruciava di un fuoco d’odio sepolto da tempo.
“Avevo tredici anni e nonostante la mia
età, ero più forte di lui. L’ho fatto piangere.”
Un ragazzo che vede il padre picchiare
la madre, è qualcosa che non auguro a nessuno. E come ho sempre detto, odio chi
dispensa cattiveria gratuita. Alzare le mani su una donna poi, la trovo la cosa
più ripugnante al mondo.
Mi avvicinai e gli posai una mano sul
braccio. Lui non si scostò, credevo lo avrebbe fatto, ma non lo fece, forse aveva
bisogno di non sentirsi orribile. In qualche modo era sempre suo padre.
“Avrei fatto la stessa cosa al tuo
posto.”
I suoi occhi si chiusero e un sospiro
lieve abbandonò la sua bocca.
Quando li riaprì mi sembrò più sereno.
“Conoscendoti, di sicuro!”. Restai
spiazzata. Aveva fatto una battuta. Su un argomento davvero delicato, ma aveva
fatto una battuta.
Iniziammo a ridere come due deficienti.
Chi era quest’uomo davanti a me? Si,
perché Dimitri non era un ragazzo della mia età, era un uomo di 24 anni. Ed io,
mi trovavo dannatamente bene con lui.
Quando finimmo di ridere il silenzio
regnò sovrano. Eravamo occhi negli occhi.
Fui ancora una volta io a interrompere
il momento, non sapevo cosa aspettarmi. Avevo paura di fare un passo falso e sentirmi rifiutata anche da lui, ma
anche Dimitri parve riassumere la sua maschera, conscio dei miei pensieri.
“Come hai fatto a diventare ciò che sei
ora?” non volevo che si creasse un imbarazzo più grande tra noi.
Lui sogghignò.
“Me l’hai già posta questa domanda.”
È vero. Sbuffai.
Per rispondere ad essa avrei dovuto
rispondere ad un’altra. Chi è il nemico da combattere? Che sia forse mia madre?
Ghignai, ma la cosa non mi sembrò poi tanto buffa come credevo. Forse il nemico
non era inteso gli strigoi, o almeno non solo loro.
Per un attimo mi sentii più vicino alla
risposta.
“Rose, parla con tua madre. Alla fine
lei ha solo voluto diventare, quello che vuoi diventare tu. Uno dei migliori
guardiani.”
Con questa frase mi lasciò abbandonata a
me stessa e ai miei pensieri. Si, ormai ci eravamo arrivati tutti che io volevo
diventare come lei, eppure odiavo che non c’era mai stata, ma solo così lei era
potuta diventare quello che è ora.
“Argh…” mi arruffai i cappelli dalla
frustrazione. Stavo provando comprensione. No, non dovevo.
Arrivai alla prima lezione in ritardo,
così mi presi una punizione. Quella mattina non avevo corso, così tutti i giri
che mi fece fare Albert non li sentii nemmeno, con suo disappunto.
“Devo fare i complimenti alla sua
resistenza fisica, signorina Hathaway!” mi disse, prima di lasciarmi andare
alla lezione successiva. C’era qualcosa di brillante nel suo sguardo, forse si
aspettava di vedermi strisciare in ricerca di ossigeno, e l’avevo sorpreso
facendogli credere che forse non ero una menefreghista, come invece mi aveva
sempre considerato alla St. Thomas. Si perché, mai e dico mai, Albert Hanson,
in tutti i miei anni di vita, mi aveva detto qualcosa che assomigliasse, anche
lontanamente, ad un complimento. Eppure non potevo non rendermi conto che dopo
l’attacco strigoi lui fosse decisamente cambiato e che io fossi
irrimediabilmente cambiata.
Io che mi impegnavo nelle lezioni, io
che avevo amicizie, io che mi innamoravo e sempre io, che avevo deciso di
affrontare mia madre…
Durante la lezione di Stan, furono
presenti alcuni dei guardiani arrivati per l’occasione
‘Queen tour’ , come la chiamavo io, qui
alla St. Vladimir. Stan aveva precisato che in seguito agli eventi spiacevoli
accaduti, sarebbe stato più istruttivo ascoltare le storie di chi, a parer suo,
lavorava sul campo. A quelle parole, un veleno mi aveva irradiato il corpo. La
catastrofe alla mia accademia poteva essere riassunta semplicemente in un
‘spiacevole evento’? A nessuno di certo importava l’epiteto usato, ma per me
era come un affronto.
E quando dicono ‘non c’è due senza tre’,
eccola spuntare dietro a quei due energumeni di guardiani, con quei capelli
ramati corti e ricci, così diversi dai miei, segno che forse assomigliavo
decisamente a mio padre. Mi mossi irritata nel mio banco e sentii, chissà come,
lo sguardo di Dimitri, che stava in piedi in fondo all’aula, perforarmi la
schiena.
Quando i guardiani presero a raccontare
le loro esperienze, i miei compagni iniziarono con tutta una seria di “Ooooh”,
“Aaaaaah”, mentre dentro di me urlavo.
Facevano sembrare così semplice gli
scontri, come se una volta preso il diploma tutti i novizi fossero in grado di
sterminare a decine quegli esseri. Una cosa che avevo imparato sulla mia pelle
era che le accademie non ti preparavano psicologicamente a quello che ci
aspettava davvero. Le tecniche, i combattimenti erano tutte buone basi, ma la
prova più dura era quella psicologica, che affronti solo quando ti ritrovi uno
strigoi in carne ed ossa davanti a te per la prima volta.
La mia pazienza andò a farsi benedire nel
momento esatto che a parlare fu mia madre. Tutti pendevano dalle sue labbra.
Era raro che ci fossero guardiani femmina e ancora più raro che fossero delle
combattenti il cui valore aveva fatto il giro del mondo.
Raccontava di un ballo privato di una
famiglia moroi importante, durante il quale ci fu un attacco strigoi. Lei
ovviamente raccontò in modo così semplice come riuscì a sbarazzarsi di circa
sei o sette strigoi, che l’avevano attaccata da ogni parte possibile, anche in
gruppo di due o tre, cosa rara visto che gli strigoi non erano in grado di
creare legami tra loro senza sbranarsi l’un l’altro. La collera mi ribollì fino
ad esplodere.
“Basta!” era la mia voce, ovviamente,
che non era riuscita a rimanere incastrata in gola. Mia madre si bloccò
sorpresa, Stan era allibito, odiava le interruzioni nel mezzo dei discorsi, ed
evitai di voltarmi verso Dimitri.
Mi alzai, cercando tuttavia di
controllarmi.
“Basta” ripetei a bassa voce.
Tutti mi guardavano.
“Dovreste ripeterci che gli strigoi sono
dei mostri, che la loro forza è disumana, che per quanto possiamo immaginarceli
nella mente, il giorno in cui ce li troveremo davanti ci sconvolgerà, perché
qualsiasi nostra fantasia non sarà mai giusta come la realtà. Fate sembrare
così facile le loro uccisioni, quando in realtà non lo è.”
I guardiani mi guardavano incuriositi
più che scioccati dal mio sfogo. Mia madre mi guardava in un modo strano,
avrebbe potuto sembrare compassione, ma non la conoscevo così affondo da poter
sapere i suoi modi di fare. Alcuni dei miei compagni mi guardavano sconvolti,
altri sogghignavano e non ci voleva molto a capire chi.
“Signorina Hathaway!” mi riprese serio
Stan. Non avevo un brutto rapporto con quel guardiano, ma sapevo che ci teneva
all’educazione, prima di tutto.
“Le chiedo scusa guardiano Stan…” io che
chiedo scusa? Ero proprio cambiata. “…ma ora come ora le storie più sensate che
potrebbero raccontare a dei novizi, è semmai il loro primo faccia a faccia con
uno strigoi, dopo il marchio della promessa, quand’erano… noi!” e plateale allargai le braccia indicando la classe dei
dhampir che l’anno seguente si sarebbe diplomata. Poi guardai uno ad uno i
guardiani di fronte a me e chiesi loro: “E’ stato così entusiasmante il vostro
primo incontro?” lo dissi con una punta di sfida, e fui soddisfatta quando vidi
gli occhi dei presenti cambiare direzione dai miei, segno che la risposta era
quella che sapevo io. Chi non spostò lo sguardo fu mia madre, che seria mi
guardava, sembrava quasi volermi rimproverare, ma arrivava tardi per le
punizioni e tirate d’orecchio.
Alcuni dei studenti capirono la gravità
della situazione, ma altri no. Ryan, idiota qual era non poteva starsene zitto.
“Hathaway, fai tanto la splendida, ma tu
cosa vuoi saperne? Chi credi di essere tu
in confronto a loro?” disse sprezzante, ridendo poi guardandosi attorno
cercando di trovare sostegno nei nostri compagni, ma solo due e tre gli diedero
retta.
Chiusi gli occhi, mentre lacrime nervose
sentivo che cercavano di farsi spazio. Nell’oscurità da me creata rividi quel
strigoi sgozzare Nikolai e mi lasciò spiazzata. Era tanto che il mio cervello
si rifiutava di farmi vedere quell’immagine, e ora quel ricordo come offeso, si
era fatto sentire pesantemente, e cercava vendetta.
Aprii gli occhi di scatto e sapevo di
averli lucidi e sconvolti, segno che gli argini stavano per cedere, e dopo aver
spostato rumorosamente la mia sedia arrivai violentemente davanti a Ryan, che
sembrava leggermente spaventato. Credeva che lo avrei colpito di nuovo? Non
questa volta, non era lui il nemico.
Furiosamente con le mani che tremavano
mi tirai su i capelli e gli rivelai il mio segreto, anzi lo rivelai a tutti. Il
molnija sembrava bruciarmi sulla pelle, ma sapevo essere solo la mia immaginazione.
Avevo avuto il coraggio di mostrare al mondo quel simbolo che per me non era un
segno di valore, ma un ricordo da non dimenticare.
“Ecco chi sono, Ryan!”.
Dopo la soddisfazione di
vedere i suoi occhi uscire fuori dalle orbite, uscii dall’aula sotto mormorii
che sapevo non si sarebbero fermati per molto tempo.
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Capitolo 14 *** capitolo 14 ***
capitolo 14
Capitolo
14
Uscita, feci alcuni passi e poi sferrai
un calcio al muro, che ovviamente mi fece più male che bene. Le lacrime avevano
vinto e ora rigavano il mio viso, ma cadevano lente e silenziose per non
disturbarmi e intanto sfogare il loro rancore.
“Rosemarie”.
Quella voce non l’avevo sentita spesso
nella mia vita, ma sapevo che era sua.
Mia madre si avvicinò a me, non volevo
voltarmi, ma ormai sentivo il suo respiro sulle spalle e mi infastidiva.
Trovai due occhi castani seri, troppo
simili ai miei, perforarmi l’anima.
“Vedo che non cambi mai, la tua lingua è
sempre troppo lunga.”
Non cambi mai? Parlava davvero a me?
“Cosa pensi di sapere tu di me? Solo perché ti fai passare i
rapporti sotto banco dai miei guardiani, non significa che tu possa sapere come
sono fatta! Che tu possa conoscermi! Quando è stata l’ultima volta che mi hai
visto? Cinque, sei anni fa?”.
Non sapevo se ciò fosse vero, ma intuivo
che i guardiani potessero entrare in possesso di tutte le carte che volevano, e
poi non pensavo che la mia cartella accademica potesse essere top secret.
Le braccia da prima conserte si posarono
sui suoi fianchi, facendomi sentire piccina piccina, nonostante lei fosse venti
centimetri più bassa da me. Riusciva incutere timore al solo guardarla.
“Sai che non posso venire a coccolarti
ogni volta che vuoi! Ho dei doveri a cui adempiere.”
Doveri… , risi a quella parola. L’ultima
volta che ci eravamo viste, avremmo passato assieme si e no 2 minuti, perché
lei doveva seguire il suo moroi, motivo per cui era venuta al St. Thomas
all’epoca, cosa che effettivamente accadeva anche adesso. Lei si trovava qui perché
era al servizio di quel Szelsky.
“Coccolarmi? È davvero questo che pensi
io vorrei da te? Si vede che non mi conosci, anzi a dire la verità mi chiedo
come tu sia riuscita a riconoscermi ieri. Per me è stato più semplice, insomma,
quante tappe femmine vuoi che ci siano tra i guardiani?” dissi acida.
In risposta mi lanciò uno sguardo
fiammeggiante, le sue mani chiuse a pugno. Qualcuno stava perdendo le staffe.
“Ti stai comportando come una bambina di
cinque anni!” mi rimproverò andandosene, e la cosa più brutta è che mi sentii
proprio come tale. Una bambina.
Questa volta però non sarebbe finita
così, lei era uno di quei nemici che dovevo superare. Ormai avevo capito la risposta
al quesito di Dimitri e ora volevo solo che lei mi rispettasse.
“Fermati, non abbiamo finito di parlare.
Fuggi anche tu, per non sentirti dire quello che infondo sai essere vero!”
Lei si bloccò rigida e si voltò con uno
sguardo indecifrabile.
“Si, mamma,” dissi ironicamente quel
nome “ perché infondo tutto quello che avrei voluto era che ti comportassi
anche solo per cinque minuti da mamma. A Natale, al mio compleanno, se facevo
qualcosa di giusto all’accademia. Non chiedevo chissà cosa, anche solo una
telefonata, per farmi capire che c’eri, che mi volevi bene.
“Se ci fosse stata sincerità e dialogo,
anche se ero solo una bambina avresti potuto farmi capire il tuo desiderio di
diventare un buon guardiano e che io non ero un intralcio.” Le mie parole erano
piene di risentimento e spolverate di un velo di tristezza. Lei mi guardava
impassibile, forse un po’ più pallida. “Invece hai preferito distruggere un
possibile rapporto con me, per essere chi sei ora. Vuoi che ti dica la verità?
Anche io diventerò un buon guardiano, anzi diventerò il migliore guardiano che
questa terra abbia mai visto, e mi impegnerò a non dimenticarmi di nessuno.
Perché quando diventerò quel guardiano vorrò avere qualcuno al mio fianco a
condividere quella gioia con me. Tu, invece, chi hai?”
I suoi occhi erano sbarrati di fronte a
quella verità. Mentre dicevo quelle parole, nuove verità riuscivo a capire. Lei
era quello che era si, ma infondo era sola. O almeno credevo potesse essere
così. Era andata avanti senza sosta per il suo obiettivo, lasciandosi alle
spalle non solo me. Forse la mia paura più grande non era lei, ma diventare davvero
come lei. E questa verità lasciò
sconvolta anche me.
Ci guardammo a lungo negli occhi. I suoi
erano un po’ lucidi, stava mostrando delle emozioni e non era decisamente da
lei.
Alla fine decisi di voltarle le spalle,
forse per ripicca, forse perché non avevo più voglia di rimanere a guardare
quegli occhi così umani. Non erano davvero da lei.
Mossi due passi, quando lei sussurrò
qualcosa che non avrei mai più sentito a voce alta per il resto della mia vita,
ma che custodii in segreto nel mio cuore fino alla fine dei miei giorni.
“Scusami bambina mia…di tutto…”.
Mi fermai a quelle parole come si fermò
per un secondo il mio cuore bisognoso d’affetto, poi quando esso riprese il suo
naturale corso, io ripresi la mia strada.
Quando terminarono le lezioni quel
giorno fui più che lieta. La mia sceneggiata aveva fatto il giro dell’accademia
in meno tempo di quanto avessi pensato e tutti ora non facevano che fissarmi, i
più coraggiosi invece mi avvicinavano per sapere se avevo davvero ucciso uno
strigoi e ovviamente di raccontargli l’accaduto.
Riuscii a girare intorno alle loro
domande in modo davvero egregio, senza litigare con nessuno.
Lissa mi aspettava all’ingresso,
accompagnata da un Christian davvero serio. Lei sapeva. Gli avevo confessato
tutto dopo che lei aveva confessato tutto di lei a me, ma con Christian non mi
ero sentita ancora pronta di dire niente.
Ci incamminammo lontano da quegli occhi
avidi di sapere.
“Come stai Rose?” mi chiese preoccupata
Lissa.
“Non mi crederai, ma mi sento bene. Più
leggera forse. Dopo la mia scenetta ho parlato con mia madre e mi sono
sfogata.”
Lei mi sorrise.
“Non avrei voluto proprio essere nei
suoi panni”.
Mi conosceva abbastanza da sapere che
non avrei risparmiato niente.
Risi anch’io davvero più leggera, e
notai l’espressione corrucciata di Christian.
“Insomma Ozera, sputa il rospo”.
Lui mi guardò sorpreso, poi la sua
espressione tornò la stessa di sempre.
“Niente Hathaway, stavo cercando di
riprendermi dal fatto che forse non sei proprio inutile”. Rise ironico.
Christian mi stava facendo a modo suo un
complimento.
“Se vuoi un autografo sarò più che
felice di accontentarti!”.
Lui alzò un sopracciglio.
“Figurati, ora non montarti la testa.”
Alzai le spalle.
“Peggio per te!”.
Poi sorrisi e anche lui, che prese
teneramente Lissa per le spalle.
Avevamo un rapporto strano noi due,
infine un po’ gelosi l’uno dell’altro del rapporto che avevamo con Lissa, ma
tenevamo entrambi a lei e questo faceva si di provare una sorta di rispetto
reciproco.
Sapeva che avevo detto a Lissa che avrei
desiderato diventare il suo guardiano una volta arrivati al diploma e che mi
sarei impegnata con tutta me stessa. Questo molnija per lui forse era solo una
garanzia in più che la sua amata sarebbe stata al sicuro.
“Beh, ragazzi ora devo andare alla
tirata d’orecchi che mi farà Dimitri.”
“Rose, se vuoi ho procurato un vestito
anche per te per l’incontro di stasera con la Regina.”
Negai con la testa.
“No, Lissa mi son già fatta procurare un
vestito adatto per me”. Lei rimase sorpresa.
“E non ti dirò niente, sarà una
sorpresa”.
Christian sghignazzò.
“Speriamo bene!”.
“Ehi!” lo spinsi, poi ridemmo e ci demmo
appuntamento quella sera davanti i dormitori moroi.
Arrivai da Dimitri decisamente in
ritardo. Avevo camminato verso la palestra con davvero molta calma, perché
stavo cercando di riordinare tutti i miei pensieri e tutte le mie rivelazioni
di quel giorno.
Avevo capito. Il mio nemico più grande
era la paura. Paura che sotto
svariate forme mi impediva di pensare lucidamente. La paura provata di fronte a
quello strigoi che uccise Nikolai. La paura che poi il suoi ricordo continuava
a darmi. La paura per Lissa, per il suo dono e quello che gli potrebbe succedere.
La paura di affrontare mia madre e di diventare quello che odio di lei.
Per diventare il migliore guardiano che
sogno di essere un giorno, devo imparare a saper affrontare le mie paure. Solo
così potrò proteggere Lissa, vendicare ogni giorno la morte di Nikolai
sconfiggendo il male convertito in strigoi, e ricordarmi sempre chi sono, chi
sono stata, per non perdere mai quelle persone che ora credono in me e mi
vogliono bene.
Quando varcai l’ingresso della palestra
i miei occhi si incontrarono con quella che mi resi conto essere la mia ultima
paura da affrontare. La paura di amare Dimitri.
Lo guardai per la prima volta con occhi
nuovi. Lui se ne stava appoggiato ad un tavolo con un spolverino da cowboy, che
avevo notato portava spesso. Gli dava un’aria misteriosa e davvero sensuale. Mi
sentivo diversa, forse più matura e magari più degna di stare con lui. Era
anche questo un problema e la mia voglia di diventare il migliore. Lui aveva
girato il mondo, protetto moroi importanti e il suo collo era segno evidente
del suo valore in battaglia e aveva solo 24 anni, ma il suo nome era conosciuto
e chi lo pronunciava lo faceva con rispetto.
Lui, intanto, mi guardava assorto nei
suoi pensieri.
“Non mi fai una predica?” chiesi dopo un
silenzio che iniziava ad essere assordante.
Il suo viso poteva sembrare una morsa di
ghiaccio, ma lo conoscevo abbastanza da sapere che c’era qualcosa di ironico.
“Dovrei?” mi chiese semplicemente.
“No!” gli dissi più che convinta.
Notai un angolo della sua bocca
resistere ad un sorriso.
“Prima che tu mi chieda il perché, sappi
solo che ho trovato la risposta!”.
I suoi occhi brillarono.
“Si, l’avevo intuito che c’eri arrivata
o che comunque ci fossi vicino.”
“E ora?”.
Lui sembrava stesse trattenendo una
risata.
“Ora puoi combattere contro di me!”.
Non so che faccia feci, ma a quanto pare
lui la trovò piuttosto esilarante.
“Ok,
compagno, fatti sotto!”.
I suoi occhi tornarono a concentrarsi e
il Dimitri battagliero entrò nel suo corpo.
“Sai, quando oggi hai urlato come una
pazza in mezzo all’aula ero già pronto a venirti a prendere per i capelli…”.
“Ma dimmi che c’è un ma?” dissi
angelica.
Lui non si scompose. “…ma condivido
quello che hai detto. I novizi non sono preparati al meglio psicologicamente!”.
Fui sbalordita e non trovando cosa dire,
gli sorrisi.
In tutta risposta, come faceva spesso
Nikolai, mi colpì a tradimento, ma non così veloce da non riuscire ad attutire
quello che si sarebbe trasformato in un bel ematoma sullo sterno.
“Dannato! Sei peggio di quel
vecchiaccio.” dissi piena di adrenalina.
“Non distrarti!” e riprese ad
attaccarmi.
Combattemmo per un bel po’. Sentivo il
mio corpo più agile e più forte di quanto non lo fosse stato quella volta con
lo strigoi, eppure per quanto ci provassi, non riuscivo a mettere al tappeto il
mio avversario.
L’ennesimo colpo a vuoto mi fece
incazzare.
“AAAhhh… uffa! Si può sapere in cosa
sbaglio?” gli urlai in uno schizzo degno di nota.
Lui sudato da far venire strani pensieri,
fece il suo solito mezzo sorriso.
“Le tue mosse sono giuste è solo che io
le metto in pratica da più tempo di te!”.
Lo guardai, penso, con due occhi da
cerbiatto.
“Tutto qui?”.
“Sei forte, fidati di me, devi solo
continuare ad allenarti così!” mi disse, poi si girò aggiungendo che sarebbe
andato a prendere dell’acqua, trovai la situazione più che invitante. Cercando
di fare il meno rumore possibile, presi la rincorsa per attaccarlo, ma chissà
perché, mi ritrovai a spalle a terra con lui che mi sovrastava. Era riuscito a
vincere anche questa volta.
Stavo per dirgliene quattro, ma notai
solo allora la nostra vicinanza. Lui e le sue labbra erano dannatamente vicine
alle mie. Sentivo il suo respiro tiepido sul collo e il suo dopobarba mi
mandava in estasi. I suoi occhi erano due pozzi in cui stavo annegando sempre
più.
Non mi accorsi come, non capii in che
modo, ma mi trovai a toccare le sue labbra con le mie. Le sfiorai piano,
dolcemente, carpendone ogni fattezza. I nostri respiri erano un intreccio che
mi faceva battere il cuore nelle orecchie.
I suoi occhi si socchiusero mentre sentivo
che anche lui cercava lo stesso contatto. Non so perché, ma ero così preda da
quella emozioni che lo chiamai. Lo volevo più vicino e chiamarlo in quel
momento mi sembrava il modo per fargli capire la mia volontà, ma quel suono
debole e roco fece l’effetto contrario.
Dimitri spalancò terrorizzato gli occhi,
guardandomi come se fossi un mostro. Si alzò in piedi e iniziò a camminare
avanti e indietro torturandosi i capelli che ora non erano più legati nel suo
codino da battaglia.
“Rose noi, non possiamo…”
Nel frattempo mi alzai anch’io e non
sapevo come comportarmi, avevo ancora il cuore che mi batteva nel petto.
“Perché no?” dissi in preda all’emozioni
ed al suo cambio d’umore.
“Perché non possiamo!” ribadì subito
lui.
“Non puoi negare che non ci sia qualcosa
tra noi…” non so dove trovai quel tono fermo, quando dentro di me stavo bruciando.
“Rose, no. Io sono il tuo mentore, sono
un adulto, tu sei un’allieva, una bambina.”
Una bambina? Ero questo per lui? Eppure
un secondo prima non eravamo quei due che lui sosteneva, ma solo due persone
che si volevano o almeno mi era parso di capire questo.
“Non lo saremo per sempre.” Ribattei,
non so con quale coraggio.
“E’ vero, ma è sbagliato.”
Cosa può esserci di sbagliato?
“Tu non mi vuoi?” volevo tapparmi le orecchie
per la paura di sentire la risposta, che purtroppo arrivò lo stesso.
“No, Rose…” disse disperato.
Sentii inconfondibile il mio cuore
andare a pezzi, i cocci caddero a terra come bicchieri di cristallo.
“Beh, questo cambia tutto!”.
I suoi occhi erano pieni di dolore, come
le mie parole. Che non mi volesse perché era contro le regole era un conto, che
non volesse me punto, era un altro.
“Scusami, spero che riuscirai a
dimenticare l’accaduto!” la mia voce era incolore.
Mi voltai per andarmene.
“Rose…” mi chiamò stanco lui.
“Devo cambiarmi per l’incontro con la
Regina!” e detto questo fuggii via.
Ero sotto la doccia e ridevo mentre
lacrime amare si confondevano al getto caldo e allo shampoo.
“Come potevo pensare di piacergli?”
Scossi la testa come per scacciare dai
pensieri una cosa buffa.
Cosa poteva trovare di attraente in me,
a parte il mio corpo che di certo non era quello di una bambina, anzi. Una che
la disciplina non sa cos’è, che piagnucola per la mamma, e prende a botte i
suoi compagni di classe. Che stupida sono stata, avrei dovuto pensarci di più
invece di vedere cose che non esistevano e dare significati a situazioni che
non ne avevano. Eppure ero sicura di piacergli in qualche modo, ma forse per
lui ero solo un’ottima compagna di combattimenti e basta. Un’amica.
A quanto pare, però, avevo frainteso
tutto e ora forse avevo rovinato il rapporto che c’era tra di noi. Chissà se
sarebbe stato ancora il mio mentore?
Le dita si erano raggrinzite segno che
era ora di uscire dalla doccia, dato che poi l’acqua era da un po’ che scendeva
pure fredda.
Mi avvolsi nel mio grande accappatoio e
mi sedetti senza forze sul mio letto accanto al mio abito. Sorrisi triste. Un
paio di giorni prima, avevo chiesto a Dimitri se era possibile trovare una
specie di divisa da guardiano, un fac simile, per sembrare un guardiano anche
se non lo ero. Lui mi aveva un po’ preso in giro per la mia idea, ma io gli
avevo detto che volevo comportarmi già come tale, che avevo deciso che dopo il
diploma sarei diventata il guardiano di Lissa e anche se eravamo ancora in
accademia, io volevo già esserlo per lei. Camuffare in un esercitazione quello
che in realtà io avrei preso per vero. Così ero arrivata alla conclusione che
in un incontro ufficiale come quello con la regina, io non potevo arrivare
vestita certo come al party di Halloween. Lui era rimasto molto sorpreso e non
aveva più riso, anzi gli vidi una punta di orgoglio per me negli occhi, che mi
fece sbattere le farfalle nello stomaco in modo vorticoso.
Infatti, poi mi disse di essere molto
fiero di me e che sarebbe stato felice di aiutarmi.
Due giorni dopo mi aveva dato un pacco
con dentro questa meravigliosa divisa nera. Non aveva stemmi ufficiali o
simboli specifici, era interamente nera, ma era fatta con lo stesso materiale
di quella dei guardiani, era comoda per eventuali combattimenti ed elegante al
punto giusto, e non potevo non ammettere che mi stava divinamente e mi dava
un’aria di rispetto. I pantaloni con i tasconi erano aderenti alle mie lunghe e
toniche gambe, così anche la giacca dai bottoni a doppio petto.
Dimitri mi aveva poi detto che aveva dovuto
fare rapporto al preside ed agli altri guardiani della mia idea, per
scongiurare eventuali domande dopo, e che tutti avevano preso di buon grado la
mia iniziativa.
Ed ora eccomi lì, che mi guardavo allo
specchio ed ero decisamente uno schianto. La mia pelle leggermente ambrata mi
permetteva di non dover mettere fondotinta per uniformare il colore, così mi
ero concessa una crema idratante e poi un tocco di blush sugli zigomi. Le mie
lunghe e folte ciglia erano uno spettacolo al naturale, con un po’ di rimmel davano al mio sguardo
un’intensità disarmante. Mi stavo tirando un casino e sapevo benissimo il
perché, non volevo apparire debole di fronte a Dimitri, dopo la figuraccia
fatta in palestra, e volevo dimostrargli che io non ero una bambina.
L’ultimo tocco per la mia figura fu
acconciare i miei capelli in un elegante e fermo chignon, il mio viso sarebbe
stato più illuminato e il mio molnija non sarebbe più stato nascosto.
Se volevo davvero sembrare un guardiano
dovevo ricordarmi la base dei nostri ideali: loro vengono prima.
I miei problemi, Dimitri, sarebbero
andati al secondo posto, come succederebbe se io fossi davvero un guardiano che
deve dare il suo corpo e la sua mente alla protezione del suo moroi.
Con questa piena convinzione presi un
respiro ed uscii dalla mia stanza.
Ehm... ehm...
c'è stato un bacio... uuuh.
In questo capitolo, come avete visto ci sono tanti riscontri con i libri, spero vi sia piaciuto il modo di incastrarli tra essi.
Hihi
lo so che mi odierete per aver interotto così bruscamente il
loro primo bacio, ma così sarebbe troppo semplice e la vita
purtroppo non lo è mai.
Detto questo ci vediamo al prossimo capitolo. Che cosa succederà all'incontro della nostra Queen Tatiana?
xoxo
|
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Capitolo 15 *** capitolo 15 ***
capitolo 15
Capitolo
15
“Oh, mio Dio. Rose, non riesco a
toglierti gli occhi di dosso!”
Lissa mi guardava con gli occhi a
cuoricino e non la smetteva di farmi complimenti, gonfiando il mio ego.
“Dai, Liss… almeno così ti abitui anche
tu a vedermi in vesti più serie…”.
Lissa mi stava accarezzando la divisa,
quando Christian ridacchiò.
“Rose, ricordati che l’abito non fa il
monaco!”
Gli lanciai uno sguardo di fuoco che lo
fece, seppur con poca convinzione, smettere di ridere.
“Farai girare la testa a tutti stasera.”
Nel mio compito non erano certo compresi
tutti, ma non lo dissi ad alta voce. Chissà cosa avrebbe pensato Lissa, se gli
avessi detto che ero innamorata del mio mentore, che oltre tutto era il suo
guardiano ufficiale.
“Non credo Lissa, ma è meglio andare,
non possiamo arrivare dopo la Regina”.
Quando si è piccoli, all’accademia,
oltre che ad insegnarti a leggere e a scrivere, viene insegnato il bon ton e
come comportarsi se mai si fosse alla presenza di regnanti. Ed era ben palese a
tutti quanto ci tenesse l’attuale Regina ad essere adorata e ammirata, quindi
non era il caso di fare un ingresso dopo di lei.
Quando entrammo nel salone che di solito
usavamo per la mensa, non potemmo non rimanere a bocca aperta.
I tavoli erano stati disposti in file ai
lati così da creare un corridoio al centro della sala, che terminava con un
tavolo per la Regina ben in vista che tutti, appunto, avrebbero potuto ammirare
da qualsiasi angolazione si trovassero.
Le tovaglie usate erano pregiatissime e
le candele e i vasi di rose rosse e gigli dava all’intera sala un posto adatto
per una regina.
Quando entrammo, il corridoio creato ci
mise praticamente al centro dell’attenzione. Oltre agli studenti, c’erano
alcuni reali e delegazione di reali con i loro guardiani giunti appositamente per
l’evento e tutti chi più, chi meno, ci osservava, i meno educati ci indicavano.
Visti da fuori chi eravamo? Il figlio di
due moroi trasformati in strigoi e da cui non ci si aspettava altro che la
stessa sorte, che stava mano nella mano con l’ultima discendente della casata
reale dei Dragomir. A loro fianco un’altra studente vestita come un guardiano:
per i più esperti era la stronza Hathaway, per altri, la figlia di un grande
guardiano e colei che a soli 17 anni aveva ucciso uno strigoi da sola, per giunta
in ancora dubbie circostanze.
Cercai di non guardarlo, ma mentre
avanzammo, per un nano secondo, i miei occhi si scontrarono con quelli di
Dimitri, il quale mi stava fissando, voltai bellamente il mio sguardo e mi
fermai con i miei amici, vicino ad Eddie e Mason, i quali ultimamente avevano
preso confidenza con Lissa e Christian.
Un brusio diverso ci fece capire che era
arrivata la Regina, così tutti, tranne i guardiani alle pareti, ci
inginocchiamo al suo ingresso.
La Regina Tatiana aveva all’incirca 60
anni con un caschetto di capelli bianchi che la faceva sembrare più una
bambina, che una donna vissuta. Era circondata da quattro solenni guardiani che
vestivano una giacca rossa e nera, la divisa ufficiale della corte reale.
Durante la sua camminata/sfilata la
Regina si fermava a scambiare qualche parola con qualche studente, segno
inevitabile che i genitori di lui fossero ben visti, e che l’indomani, lo
stesso, si sarebbe gasato per essere stato riconosciuto dalla regina.
Quando ella fu di fronte a noi si fermò
e vidi le sue scarpe rivolgersi nella nostra direzione.
“Vasilisa Dragomir” disse la regina
Tatiana.
Lissa si alzò facendo un inchino e
rimanendo comunque col capo leggermente chino.
“Maestà!” disse lei con garbo.
“Vasilisa” ripetè con enfasi, mentre
sembrava pensasse a qualcosa. “Il tuo nome è stato portato da molte eroine delle
favole russe nel corso della storia. E’ un nome che non va sottovalutato.” Si
fermò ancora in una pausa indistinta. “A pari passo sta il nome Dragomir, un
nome che impone rispetto su ognuno che incontra, come un ben noto regnante del
passato.”
Non volava una mosca. Me li immaginavo
tutti con gli occhi fuori dalle orbite che ascoltavano parola per parola il
discorso della regina, e tutti già pronti a fare ammenda con Lissa il giorno
dopo. A scuola ci potevano anche essere i bulletti, ma una volta terminata essa,
solo i favoriti reali avevano un futuro rigoglioso davanti a se.
“Nonostante le sorti della tua casata, ci
si aspettano grandi cose da te…” e chissà perché pensavo che la regina si
riferisse allo spirito. “Hai tante ottime caratteristiche, ma non soffermarti
solo sulla compassione!”
Con la coda dell’occhio vidi Christian
stringere i pugni. Era molto chiara la frecciatina della regina. Aveva
palesemente scambiato l’amore di Lissa e Christian per della compassione per
lui. Davvero regalmente odiosa la nostra signora.
La regina fece un altro passo, mentre
Lissa si inginocchiava al suo posto, poi si fermò ancora, sempre nella solita
direzione.
“Rosemarie Hathaway!”
Ero scioccata. La regina si stava
rivolgendo a me? Il massimo che si chiedeva alla regina era almeno riconoscere
il valore dei novizi con un saluto chinando il capo, ma parlagli? La sala si
fece, se possibile, ancora più ammutolita.
Non mi alzai come aveva fatto Liss, non
era nelle mie possibilità da dhampir. Rimasi inginocchiata e chinai la testa
più di quanto possibile.
“Maestà”dissi ancora scioccata.
“Ancora novizia, ma il tuo nome già si
conosce.”
Lasciò la frase a mezz’aria e proseguì,
come niente fosse. Era un complimento, giusto? Rimasi ammutolita ad analizzare
l’accaduto.
Quando la Regina arrivò al suo tavolo,
prendemmo posto per la cena, i moroi nella zona più vicina alla regina, mentre
i novizi più distanti. Non vedevo l’ora che finisse per parlare con Lissa e
Christian dell’accaduto. Di sicuro Christian era furente e non gliene davo i
torti ed io, bè non sapevo che dire.
Durante la cena Mason non fece altro che
adularmi, ripetendo ciò che la regina mi aveva detto.
“Cavoli Hathaway, l’avevo capito subito
quando sei arrivata che non eri una sprovveduta, perfino la regina stravede per
te.”
Io risi della sua allegria, ma che la
regina stravedesse per me, ne dubitavo. Mi sembrava una persona molta astuta,
che non dispensasse caramelle per generosità.
Poi
Mason si sporse verso di me.
“Rose…ma.. cosa si prova a…?”.
Mi zittii alla sua domanda. Sapevo
benissimo a cosa si riferiva.
“Scusa, non volevo…” disse lui subito
pentito.
Non so cosa mi smosse, ma parlai. Forse,
perché avevo deciso di affrontare le mie paure o forse perché, dopo l’accaduto
con la regina, la testa viaggiava in una strada parallela alla mia.
“Non so bene cosa ho provato!”
Lui mi guardò prestando attenzione, vidi
anche Eddie guardarmi curioso.
“Quel strigoi aveva appena ucciso il mio
mentore davanti ai miei occhi, ed io pensavo solo a vendicarlo.”
Mason mi mise una mano sopra la mia per
consolarmi.
“Scusa se ho toccato un brutto tasto, io
non lo sapevo del tuo mentore. In effetti, qui pare che si siano dimenticati tutti,
che degli strigoi sono entrati indisturbati in un accademia!”
Lo guardai eloquente.
“Almeno qualcuno che la pensa come me.”
Anche Eddie disse che la pensava alla
stessa maniera.
“E ora capisco anche la tua scenata di
oggi!” disse quest’ultimo.
“Già.” Risi. “Gli strigoi sono davvero
orribili” ma dissi strigoi un po’ troppo forte e vidi molte teste girarsi su di
me, così abbassai la voce facendo finta di niente. “Quando mi sono trovata di
fronte quell’essere sono rimasta scioccata. Gli si legge in faccia che sono dei
morti privi di emozioni, sono davvero dei mostri e sono dannatamente forti e
veloci.”
Mason ed Eddie pendevano dalle mie
labbra.
“Accidenti!!” disse Mason, poi diede una
pacca al suo amico “Riusciremo a fargli il culo, vero amico?”
E l’altro gli sferrò un pugno annuendo,
alleggerendo un po’ la situazione.
“Però dai, facci vedere il tatuaggio!”
chiese Eddie.
Alzai le spalle e mi voltai il giusto
perché i loro occhi vedessero bene il mio molnija.
“Wow!” disse Mason “Ora ti porterò più rispetto
di prima!”
“Certo che devi, sennò ti farò il culo!”
dissi, ed Eddie aggiunse:”Di nuovo!”.
E ridemmo come pazzi.
Mi voltai alla ricerca dello sguardo di
Lissa, per vedere come procedeva la sua cena, ma nel farlo non potei non notare
che Dimitri mi stesse fissando, ancora. Perché diamine continuava a guardarmi?
Ero irritata dal suo comportamento.
Trovai la mia amica seduta a fianco del
suo ragazzo e come mi ero immaginata, richiestissima. Vedevo le persone intorno
a lei parlarle e guardarla con devozione. Chi non ne era molto felice era
Christian, che era palesemente estromesso da qualsiasi argomento stessero
discutendo.
Finita la cena iniziò il ricevimento e
potei così allontanarmi dal mio settore dhampir. Vidi Lissa uscire di
soppiatto, così le andai dietro, rallentando un po’ però a causa della folla di
persone che dovevo raggirare.
Una volta fuori presi una grande boccata
d’aria che non pensavo di cercare così avidamente. Non ero abituata a tutto
quello bon ton.
Andai verso il cortile interno e notai
che Lissa non era sola. Quella serpe di Camille Conta era li.
Ero vicino quel tanto da poter percepire
le parole cariche di odio ed invidia della rossa.
“Anche la regina trova rivoltante il
fatto che stai con quello strigoi, eppure state così bene insieme, due reietti
della società!” sputò acida.
Arrivavo alle spalle di Lissa, per cui
non mi aveva vista arrivare, ma rimasi di sasso quando iniziò a parlare e vidi
Camille Conta rimbambirsi all’improvviso.
“Io e Christian ci amiamo e lui è un
bravo ragazzo infondo!” disse angelicamente Lissa.
Camille ripetè come un’automa che sapeva
che Christian infondo fosse un bravo ragazzo, poi la salutò e se ne andò.
Lissa sospirò afflosciando le spalle poi
si voltò e finalmente mi vide.
“Hai usato la compulsione” le dissi
sconvolta. Non lo avevo mai visto fare del vivo e ne ero rimasta davvero
scioccata. In effetti, era proibito privare del libero arbitrio le altre
persone. In teoria tutti i moroi erano in grado di farlo, ma non tutti in
effetti sapevano farlo bene, non avevo esperienza sul campo, ma sapevo che la
compulsione di Lissa andava ben oltre il normale e di sicuro c’era lo zampino
dello spirito.
La mia amica abbassò gli occhi colta sul
fatto .
“Scusami Rose, avrei dovuto trattenermi,
ma ero davvero al limite della sopportazione delle sue cattiverie!”
Mi avvicinai preoccupata. Chissà se
Lissa era stata presa in giro in mia assenza e di Christian, perché di sicuro
quest’ultimo mi avrebbe informata se lo avesse saputo.
“Quando hai usato l’ultima volta lo
spirito?” chiesi in ansia, speravo che non lo usasse troppo.
“Una settimana fa” mi disse sincera. “Al
sabato e la domenica non prendo i farmaci, così posso usare al minimo la magia,
senza troppe ripercussioni su di me!”
“Grazie a Dio!” dissi grata e poi
l’abbracciai.
“Fammi capire” dissi dopo “ma ora
Camille andrà in giro a dire che Christian è un bravo ragazzo?”.
Lei sorrise timida “Se qualcuna gli
parla di lui può essere!”.
“Cavoli!” non sapevo se la situazione
era divertente o terrificante.
Tornammo al ricevimento e rimanemmo lì
un’altra ora. Mia mamma si avvicinò e disse che era lieta che la regina avesse
fatto il mio nome con rispetto quella sera. Non sapevo se fosse davvero lieta o
meno, ma ammetto che un po’ mi fece piacere. Le presentai anche Lissa, e fui
colpita che si comportò davvero bene, per i suoi standard.
Trovai Dimitri a fissarmi ancora molte
volte e intuivo che volesse parlarmi, ma ero davvero grata che fosse uno dei
guardiani di turno per la vigilanza, così non avrebbe potuto muoversi di lì per
tutta la serata. Non sapevo cosa avrebbe potuto dirmi e temevo di tutto, così
quando vidi che il ricevimento si avviava alla conclusione levai le tende e
tornai in camera mia, dopo aver accompagnato Lissa nella sua.
L’indomani alla messa domenicale vi
partecipò anche la simpaticissima regina con i guardiani reali al seguito. Sarebbe
ripartita la sera stessa, all’alba. Sapevo ci sarebbe stato anche Dimitri e
come il suo solito si sarebbe posizionato in fondo, nascosto nella sua ombra,
perciò evitai, con tutta me stessa, di guardare da quella parte mentre entravo,
e andai a sedermi quasi di corsa vicino a Lissa.
“Non fanno che salutarmi tutti!” dissi
Lissa stizzita.
“E’ normale, sei ciò che si avvicina di
più alla pupilla della regina!”dissi un po’ prendendola in giro, anche se a
dire il vero, quella mattina sembrava che tutti i dhampir salutassero pure me.
Sapevo, comunque, che il suo buon animo era riuscito ad arrabbiarsi per le
parole dette in riferimento al suo rapporto con Christian.
“Ed io cosa dovrei dire che mi ha
salutato Camille Vipera Conta?” disse Christian, sporgendosi in avanti, per
farsi sentire.
Io repressi una risata e vidi che anche
Lissa cercava di non ridere. Avrei voluto vedere la faccia di Christian in
quell’esatto istante.
Il povero Ozera stava per replicare, ma
entrò il sacerdote, così tornammo seri.
Terminata la funzione aspettammo che la
regina uscisse, e una volta fatta la sua sfilata, potemmo avviarsi anche noi
alla nostra domenica di riposo.
Appena uscite vidi in lontananza Dimitri
camminare verso la nostra direzione e il mio cuore rotto prese a pulsare
insistentemente. Non sapevo come reagire, ma il mio problema fu risolto quando
un guardiano della regina sorpassò Dimitri, arrivando per primo a me. Vidi il
mio mentore fermarsi di colpo non sapendo anche lui che fare.
Con fatica spostai lo sguardo sulla
persona di fronte a me.
“Rosemarie Hathaway?”.
Sembrava una domanda, perciò dissi
“Si!?”.
“Sei richiesta al cospetto della regina!
Seguimi!”.
Così dicendo si voltò e prese a camminare.
Guardai spaesata Lissa, che anche lei era rimasta sbigottita da questo nuovo
avvenimento, poi guardai Dimitri che era ancora lì nella stessa posizione. Vidi
che il guardiano se ne stava andando di buona anda senza aspettarmi e non
sarebbe stata una bella figura se fosse arrivato dalla regina senza di me,
perciò senza dire niente rincorsi quello sconosciuto.
Mi misi al suo passo, mentre lui non
cambiava espressione e continuava fiero per la sua strada.
“Posso sapere il tuo nome?” gli chiesi,
ero curiosa e almeno un giorno se avessi avuto bisogno avrei potuto dire di
conoscere un guardiano della regina. Risi malefica dentro di me.
Lui mi guardò di sfuggita. “Mikhail
Tanner” disse.
“Non ho combinato qualcosa vero?” dissi
innocentemente. Immaginavo che la regina avesse già sfruttato tutta la simpatia
che conosceva la sera prima.
Il guardiano non disse nulla. Sbuffai.
“Se ti portassi dalle rose della Karp
forse saresti più simpatico!” borbottai tra me, ma lui mi sentì, infatti mi
fermò saldamente per un braccio.
“Che nome hai fatto?”.
Rimasi interdetta dalle miriadi di
emozioni che gli passarono per il viso.
“Sonya Karp!” dissi scioccata di getto.
“E’ qui?” chiese raggiante, guardandosi
intorno come se si aspettasse di vederla spuntare fuori da un momento all’altro.
“Si” annuii poco convinta.
“Non lo sapevo” disse tra se e se.
La sua reazione mi faceva pensare a
qualche romanzo rosa da vecchietta in veranda.
“Non è che le piace la signora Karp,
vero?” chiesi furba.
Lui mi guardò paonazzo. Centro.
“Andiamo!” disse risoluto riprendendo a
camminare.
Arrivammo alla sala riunione, al di
fuori della quale stavano immobili altri due guardiani. Uno dei due si mosse e
aprì la porta annunciandomi, poi uscì lasciando la porta aperta.
Inghiottii un boccone inesistente e feci
per entrare, quando mi ricordai di Mikhail. Stava in piedi, aspettando che
entrassi.
“Chiedi della signora Carmack, saprà
dirti dove cercare!” gli dissi amichevole e lui rimase di sasso, non disse
nulla, ma un angolo della sua bocca si piegò un po’ all’insù.
Dovevo smetterla di comportarmi da
agenzia matrimoniale, quando la mia vita amorosa faceva schifo.
Mi ricordai dove mi trovassi, così
lasciai fuori i pensieri ed entrai al cospetto della regina.
Nella sala c’era solo un guardiano,
dietro ad una sedia davvero elegante che non avevo mai visto nell’accademia,
sulla quale sedeva la regina Tatiana vestita di un tailleur degno di una donna
d’affari.
Mi inginocchiai e la salutai: “Maestà”.
“Signorina Hathaway devo prepararmi per
partire per cui sarò veloce. Ti ho fatta chiamare per due motivi.”
Due neanche uno, iniziavo seriamente a
preoccuparmi. Inoltre speravo che respirasse tra una parola e l’altra, non mi
ci vedevo a fare bocca a bocca con la regina se restasse senza fiato.
“Il primo è un ringraziamento per aver
salvato mia nipote Lucinda durante l’attacco alla St.Thomas”.
L’avevo dimenticato che la regina era
parente di Lucinda e Martin, dal tono freddo con cui lo aveva detto però, mi
chiedevo se fosse davvero vero.
“Ho fatto il mio dovere, Maestà!”.
I suoi occhi scintillarono.
“Ne sono più che certa. Siamo tutti in
attesa di vederti in azione dopo la promessa e sono sicura che potrai ricevere
qualche incarico degno di nota.”
La guardai scioccata dalla piega del
discorso. Che volesse ripagarmi del mio atto di salvataggio? Non credo, i
guardiani lo facevano tutti i giorni. Qualcosa non tornava.
“Io sarò il guardiano di Lissa… di
Vasilisa.” Mi corressi e un secondo dopo mi maledii per la mia sincerità, ma
sospettavo che comunque lo avrebbero capito tutti prima o poi.
Ciò che non mi piacque fu vedere
l’espressione della regina, come se nella sua testa stesse urlando’bingo’.
“Sono sicura che non ti sarà difficile
diventare il suo guardiano, ti ho notato ieri, il tuo modo di vegliare su di
lei” arrossii per questa sua affermazione “e sono più che certa che capirai
quello che sto per dirti!”
Intuivo dal suo sorriso calcolatore che
le cose non mi sarebbero piaciute.
“Vasilisa è l’ultima Dragomir, su di lei
incombe un enorme peso e una grande responsabilità, sei d’accordo con me?”
Annuii, avevo improvvisamente la gola
secca.
Perché stiamo parlando di Lissa?
“Sai anche in cosa è specializzata
Lissa?”
Volevo rispondere di no, ma eppure dissi
“Si, Maestà!”
Sorrise fredda.
“Allora sai bene che lei avrà bisogno di
una protezione maggiore. La inviterò a risiedere a corte dopo il diploma, visto
che non ha una famiglia da cui tornare, e lì potrà andare a qualsiasi college
voglia e tu ovviamente sarai con lei, come suo guardiano!”
Sembrava mi stesse dando il contentino.
“Ma..”
Ecco il ma della situazione. Avrei
voluto alzare gli occhi al cielo.
“Ma poiché tutto ciò avvenga ho bisogno
che Vasilisa e quell’Ozera si lascino. Lei è una reale molto importante e ho
già calcolato il suo matrimonio con il mio caro nipote Adrian, molto più simile
e adatto a lei.”
Sbarrai gli occhi alla sua richiesta.
Voleva che Christan e Lissa si lasciassero?
“Anche Christian fa parte di una casata
reale.” Non sapevo che dire, mi aveva lasciato di sasso.
“E’ vero, ma non godono di buona
reputazione, grazie proprio ai suoi genitori se non sbaglio.”
“Ma…”
Non mi lasciò parlare.
“Vorresti forse dirmi che la loro
relazione qui è ben vista?”.
Sbarrai gli occhi. Da quando stavano
insieme, Lissa aveva subito attacchi più spregevoli di quelli che le riservava
prima Camille Conta, dettati solo dalla sua invidia di non avere alle spalle il
nome di una famiglia importante al livello dei Dragomir.
“Ti ricordo che se voglio posso rovinare
il futuro di Vasilisa , del tuo poi, non ne parliamo. Perciò se ci tieni così
tanto a Vasilisa, come sembra, sono più che certa che farai la scelta giusta!”
La guardai a bocca aperta. Ero sconvolta
dalla sua perfidia.
Lei sorrise malefica.
“Bene, è tutto. Puoi andare!”.
Voltò lo sguardo in un’altra direzione
segno che il mio tempo era finito e che dovevo andarmene.
Feci un inchino e me ne andai muta come
un pesce e con le gambe molli come gelatine.
E non poteva mancare lei, la nostra simpatica regina.
I nostri personaggi ne saranno sconvolti, come potranno reagire?
E di Dimitri cosa ne pensate? Che gli passerà per la testa?
hihi.... chi vivrà vedrà...
baci
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Capitolo 16 *** capitolo 16 ***
capitolo 16
Capitolo
16
Stavo attraversando il cortile in uno
stato comatoso. Le parole perfide della regina Tatiana mi stavano vorticando in
testa.
Dove riusciva ad arrivare la cattiva
ambizione della gente? Chissà sotto quel caschetto cosa stava progettando
quella stronzetta regale. Non ne avevo idea.
E chi era poi questo Adrian? Aveva detto
che era simile a Lissa, che si riferisse alla loro importanza sociale o alla
loro specializzazione?
Mi accorsi di essere impalata nel bel
mezzo del cortile, quando vidi Dimitri a passo di carica puntare su di me ed il
mio corpo che non faceva niente per allontanare la distanza tra noi. Non avevo
tempo per affrontarlo ora, dovevo trovare Lissa ed informarla. I due diretti
interessati avrebbero dovuto sapere la minaccia che incombeva su di loro.
“Rose, tutto bene?” Dimitri mi guardava
indecifrabile, eppure la sua tonalità traspariva un velo di apprensione.
“Magnificamente, ma devo andare!”.
Ritrovai l’uso delle gambe e feci per
svignarmela.
“Fermati!”.
Il suo tono era duro e non ammetteva
repliche, simile a quello che usava durante gli allenamenti. Era il mio
mentore, ed io ero abituata ad eseguire i suoi ordini. Mi fermai, ma non mi
voltai.
“Vedo che sei sconvolta. Cos’è successo
con la regina?”.
Ed ora che centrava? Perché voleva
parlare della regina?
“Non sono fatti tuoi. Se ha parlato con me
e non con te, ci sarà un motivo!”.
Ero furiosa. La rabbia provata dal suo
rifiuto, la rabbia provocata dalle minacce della regina si stavano accumulando
dentro di me. La regina era un nuovo ostacolo da superare, ma il problema era
che si trattava della nostra regnante, tutti erano devoti a lei e anche se non lo
fossero stati realmente, era la legge che lo dettava.
Non sentii Dimitri rispondermi così mi
voltai e lo trovai che mi fissava serio, come se stesse per farmi una predica.
“Scusa…”.
Che stupida ero. Cosa serviva
comportarmi così? Dimostrava solo che ero davvero una bambina e non un’adulta
in grado di sapere quando era ora di parlare seriamente e quando la vita
personale aveva la precedenza. Sapevo essere così cieca quando mi arrabbiavo.
Lui non era solo l’uomo che amavo. Prima
di tutto ciò, era stato un amico, un compagno e un mentore.
E poi ora come ora lui era il guardiano
di Lissa, anche se forse la notizia non l’avrebbe presa tanto a cuore come me.
Forse avrebbe pensato che esagerassi, che tra Lissa e Christian non c’era poi
questo grande amore che li avrebbe distrutti se un giorno sarebbero stati
separati, ma lui doveva comunque sapere e io gli avrei aperto gli occhi su loro
due. Avevo visto il cambiamento di Lissa e anche quello di Christian. Lei era
più radiosa, più felice. Lui, anche se non lo avrei mai ammesso a voce alta,
era simpatico e meno burbero.
“Rose…”
Lasciò il mio nome a mezz’aria.
Io lo guardai, non sapevo cosa cercavo
di leggere nei suoi occhi, ma vedevo il suo conflitto interiore su cosa dire.
Decisi che questo non era certo il momento più adatto. Lissa veniva prima.
“Devo trovare Lissa!” deviando tutta la
sua attenzione su di lei.
“E’ successo qualcosa?” chiese
guardingo.
“No, ma potrebbe…”.
Cinque minuti dopo riuscimmo trovare
Lissa e Christian nel loro nascondiglio sul soppalco della cappella, per
fortuna con tutti i vestiti ancora addosso.
Quando Lissa mi vide, mi corse incontro.
“Rose, che voleva la regi…” si bloccò
quando notò che non ero sola.
“Guardiano Belikov.” Disse sorpresa, poi
si voltò preoccupata verso di me. “Cos’è successo?”.
Christian che se ne stava seduto, alla
vista di Dimitri si alzò paonazzo. Mi fidavo di Dimitri, sapevo non avrebbe
accennato nulla al preside di loro, o almeno speravo.
“Mettiamoci comodi, mi accorgo ora che
comunque abbiamo tutto il tempo per decidere che cosa fare!”.
Mi sedetti a terra sbuffando, lasciando
cadere le braccia a terra sfinita.
Era vero, fino al diploma almeno, c’era
tutto il tempo per trovare un piano.
“Fare cosa?” chiese Lissa.
Dimitri mi osservava ancora guardingo
come prima, Christian era corrucciato e forse arrabbiato perché avevo portato
Dimitri lì.
“Non guardarmi così Ozera. Dimitri è il
guardiano di Lissa per il momento e deve sapere cos’ha in mente quella str…” mi
morsi la lingua “La regina!”.
“La regina?” dissero in un coro
scioccato i due piccioncini. Dimitri era impassibile.
Annuii.
“A quanto pare non era solo un consiglio
spassionato quello che ti ha dato ieri sera!” dissi rivolta a Lissa. Tutti
avevano capito che il suo riferimento alla compassione di Lissa, non era altro
che un modo come un altro per definire la relazione con Christian.
I due mi guardarono in preda di
sentimenti differenti, uno impaurito l’altro furioso.
“Vuole che vi lasciate!”.
Bomba sganciata.
Lissa si portò le mani al viso,
Christian si alzò di scatto.
“Dovrà passare sul mio cadavere!”.
“Potrebbe anche farlo!” dissi tetra.
Ormai non dubitavo che la regina potesse spingersi oltre certi confini.
“Rose!” mi ammonì Dimitri. “Sono accuse
molto gravi quelle fai, se qualcuno dovesse sentirti, neanche la tua buona
condotta potrebbe salvarti!”.
Lo guardai di traverso, ma lui ancora
non sapeva, perciò lo zittii ripetendo loro la mia intera conversazione con
miss simpatia. Prima la sua falsa bontà nel ringraziarmi, poi torcere contro di
me il mio senso del dovere per poi infliggermi il colpo di grazia minacciando
il mio futuro e quello dei miei due amici.
“A quanto pare la mia buona condotta non
mi servirà comunque!” dissi infine poi rivolta a Dimitri.
I miei tre amici erano sbiancati. Lissa
iniziò a piangere, mentre Christian fece ardere il fuoco nelle sue mani per
sfogarsi. Dimitri mi guardava indecifrabile.
“Oh, Rose, perché tutte a noi?” mi si
lanciò poi contro Lissa, abbracciandomi.
“Non lo so, ma ti prometto che troveremo
una soluzione. In un modo o nell’altro. Scapperemo se sarà necessario!”.
“Rose, non fare già progetti suicidi.
Tutto quello che hai detto è qualcosa di grave. Dovremmo ben riflettere sul da
fare e hai ragione dicendo che c’è tempo, per cui rifletti prima di parlare!”
non accettai di buon grado le parole di Dimitri. Lui forse davvero non capiva
il sentimento che c’era tra Lissa e Christian, e il mio legame con loro. Ci
eravamo fatti forza insieme in questo ultimo periodo e la cosa ci aveva unito
inconsapevolmente.
“Ti do ragione sul fatto che comunque
non troveremo la soluzione oggi!”. Non di certo sui miei progetti suicidi, come
diceva lui, perché a mali estremi, estremi rimedi.
Mi alzai, dato che Lissa si trovava ora
tra le braccia di Christian che cercava di consolarla.
Io volevo passare in biblioteca. Fare
ricerche su questo Adrian per carpire più notizie possibili.
“Ragazzi, ci vediamo domani!”.
Lissa alzò i suoi occhioni umidi. “Dove
vai Rose?”.
Mi fece tenerezza il suo tono di
apprensione nei miei confronti. Avevo paura che potessi scappare davvero, ma
non avrei mai potuto senza di lei.
“Ho delle cose da fare, ne riparliamo
domani, ok?”
Annuì poco convinta, poi si aggrappò di
nuovo a Christian il quale mi fece un cenno con la testa, per salutarmi.
Mi avviai e Dimitri e mi seguì.
“Rose, aspetta, dove stai andando
adesso?”.
Mi fermò per un braccio. Il suo toccò mi
fece battere il cuore.
“Vado a fare delle ricerche in
biblioteca!”.
Lui chiuse gli occhi come se fosse
disperato.
“Non fare niente di stupido! C’è il tuo
futuro in gioco, oltre a quello della principessa o di Christian Ozera!”
“Futuro…” dissi ironica. Lui mi guardò.
“Il mio sogno è diventare il miglior
guardiano che si sia mai visto…” presi un respiro, cercavo di tenere a bada la
rabbia in me “ …ma non per questo sono disposta a farmi comprare in questo modo, sul dolore di altre persone. Persone a cui
tengo poi. Dimostrerò il mio valore a modo mio e non perchè la regina fa i
capricci!”.
Mi sentivo ardere di una forza nuova.
“Sono fiero di sentirti dire queste
parole!” Dimitri era …orgoglioso.
I suoi occhi brillavano, ma il mio cuore
batteva. Distolsi il mio sguardo dal suo, mentre ricordai il sapore delle sue
labbra sulle mie.
“Devo andare!” dissi. Il mio tono si era
raggelato e anche lui al loro suono.
“Aspetta…!”.
“No” negai anche con la testa, volevo
allontanarmi il più possibile da quel dolcissimo ricordo. La felicità provata
in quell’istante e la consapevolezza che mai la riproverò più. Una voragine
all’altezza del cuore si aprì, sembrava inghiottirmi. “…io… d-devo
trovare informazione su quel Adrian…lasciami stare…” farneticavo balbettando.
Sentivo le lacrime salirmi agli occhi.
“Noi non possiamo stare assieme!” disse
per interrompere il mio delirio e ci riuscì benissimo, perché aveva toccato il
tasto dolente.
Lo guardai con occhi sbarrati.
“Noi non possiamo…” ripetè a voce più
bassa, sembrava stesse convincendo più se stesso che me. Io non lo capivo.
“Perché?” sussurrai e non sapevo se mi
avesse sentito. “Io credevo… mi hai fatto credere…”.
Accidenti si! Io non ero pazza, non mi
ero sognata le cose, ne ero più che certa dannazione!
Una lacrima fuggì debole al mio
controllo e lui lo notò. Notava tutto di
me e io di lui.
“Tu devi divertirti, stare con i ragazzi
della tua età. Hai tante esperienze da fare, cose che io ho già fatto.”
Che idiozia. Io non ero mai stata come
gli altri. Le feste non mi interessavano, non volevo altri ragazzi, volevo lui…
sempre!
“Mi conosci abbastanza da sapere che
quelle cose non mi interessano…”
Lui mi guardava conscio che era la
verità.
“Io sono il guardiano della principessa,
dopo la promessa potresti diventarlo anche tu, ma non ti lascerebbero la
guardia totale, io rimarrei nella mia posizione.”
E questo adesso cosa centrava col fatto
che non potevamo stare assieme?
“Non capisco…” dissi quasi singhiozzando.
Dovevo darmi un contegno. Inghiottii un boccone inesistente che si depositò
come un mattone sul mio stomaco alle sue parole.
“Se ci trovassimo nel mezzo di un
attacco tu e io non saremmo lucidi per proteggerla. Una parte di te si
preoccuperebbe per me e una parte di me lo farebbe per te. La principessa
sarebbe in pericolo. Sempre.”
La terrà iniziò a crollarmi da sotto i
piedi. Quella verità era un schiaffo in faccia. Aveva ragione. Provai ad
immaginarmi lo strigoi dei miei incubi che ci attaccava ed il mio terrore per
Lissa e Dimitri avrebbe offuscato quello che avrebbe dovuto essere il mio compito, ed
è vero, loro vengono prima, anche di me, anche del mio cuore.
Uno scorcio autolesionista mi fece
pensare al fatto che fino al diploma io non sarei stato effettivamente il
guardiano di Lissa, ma che senso provare magari ad essere felici sapendo che
tutto poi dovrebbe comunque finire? E in quel momento di sicuro potrebbe essere
peggio ancora, tornare ad essere due guardiani qualunque. Sarebbe solo un
suicidio.
Alzai il mio sguardo incollato a terra,
che ora era solo inondato di lacrime, la voragine del mio cuore sempre più
grande, faceva male e faticavo quasi a respirare. Senza accorgermene mi portai
una mano all’altezza in cui sembrava divorarmi.
“Ora capisco!”
Lui alzò una mano e con dito portò via
una lacrima, che lasciò al suo tocco una scia di fuoco.
“Vai a riposarti un po’, sei
distrutta!”.
Questo suo preoccuparsi mi faceva ancora
più male.
“No” dissi. Ero davvero esausta, non
avevo quasi la forza di parlare. “Vado in biblioteca”.
“No, Roza, farò io quelle ricerche non
preoccuparti!” era così dolce, troppo. Iniziai a singhiozzare.
Lo vidi avvicinare un’altra volta la sua
mano, ma stavolta si fermò.
“Vai nella tua stanza, ci vediamo agli
allenamenti domani!”.
Non aggiunse altro e se ne andò.
Il cielo oscuratosi già quella mattina
ora sembrava lugubre. Era specchio di ciò che provavo dentro. Prese a piovere
ed io fui felice di alzare in alto la testa, per confondere il mio dolore con
la pioggia fredda di fine novembre. Una pia illusione sperava che si sarebbe
portata dietro anche il mio dolore.
Eh si... cattiva io.. i nostri due begnamini si sono detti addio...ma sarà vero??? muhahahah !!!!
La pazzia è dilagante da questa parte del computer... hihi
Tuttavia restate incollati allo schermo, presto si evolveranno nuovi scenari!!
baci baci
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Capitolo 17 *** capitolo 17 ***
capitolo 17
Capitolo
17
L’accademia sembrava un mercato. Gente
che correva a destra e manca, i corridoi erano pieni di valigie e tutti gli
studenti gridavano invece di parlare.
La notizia era giunta la settimana prima
e da allora questa era l’atmosfera media generale. La regina della simpatia
aveva generosamente fatto mettere a disposizione di alcune accademie di questa
parte del mond un lussuoso Hotel ad Aspen, in modo tale che tutti i moroi e i
novizi, più alcune ingenti famiglie reali, fossero nello stesso luogo, così che
un esercito di guardiani avrebbero potuto sorvegliarci e proteggerci meglio di
quanto avrebbero potuto fare ognuno a casa propria. La scelta, diceva il
mandato della regina, era stata fatta in seguito alla catastrofe della St.
Thomas e degli innumerevoli attacchi strigoi avvenuti alle famiglie di casta
reale.
Io ero più che felice, perché avrei potuto
finalmente mettere il piede fuori da un’accademia e non avere più davanti agli
occhi il solito panorama che non riusciva a cambiare il mio stato d’animo. Dopo
la mia crisi di pianto con Dimitri e l’eliminazione di una nostra possibile
relazione futura le cose erano state un po’ complicate. Saltai i primi giorni
di allenamenti, perché non avevo davvero la forza di affrontarlo, ma ben presto
mi accorsi che lo avrei incontrato ugualmente durante le lezioni, quindi il
quarto giorno mi presentai. Lui non menzionò nulla sulle mie assenze e
riprendemmo gli allenamenti da dove erano stati interrotti l’ultima volta.
Evitavo di guardarlo troppo a lungo e di
non farlo mai e poi mai negli occhi, era più che faticoso, ma almeno potevo
fingere di non trovarmi davanti all’uomo che amavo incondizionatamente.
Allenamenti a parte il nostro rapporto stavo tornando, passo dopo passo,
com’era prima, senza l'imbarazzo palpabile che c'era nell'aria e questa era una magra consolazione.
Davanti a Lissa fingevo un’allegria che
non mi apparteneva, e il pensiero di raccontarle il motivo per cui stavo giù,
davvero non mi entusiasmava. Qualche volta il mio malessere dettato dalla mia
voragine era così mentalmente intenso che il sorriso spariva di botto e più
volte Lissa mi aveva chiesto cos’avevo, e la minaccia della regina era ormai il
mio alibi.
“Hai finito di preparare la valigia,
Rose?”mi svegliò Lissa dai miei pensieri, mentre lei era intenta su cosa
mettere nella sua.
“La mia era pronta, un’ora dopo che
avevano dato la notizia, Liss.”
“Cosa?” chiese incredula.
Risi della sua faccia. Era facile a
volte dimenticarmi dei problemi in situazioni come queste, quando eravamo solo
io e lei in una stanza, chiuse fuori da tutto. Capitava a volte che anche solo
la presenza di Christian, mi facesse
male, perché lui, almeno per il momento, era libero di vivere il suo amore e
poteva combattere per tenerselo.
Chiusi gli occhi e quando li riaprì nei
miei pensieri c’era solo Lissa.
“Non distrarti, che ti ricordo partiamo
domani!”.
Lissa cacciò un urletto e iniziò a
riempire la valigia a velocità record.
L’Hotel che la regina ci aveva concesso
era a cinque stelle e la mia mandibola aperta non poteva contenere tutto il
lusso che vedevo.
Facchini che ti seguivano come cagnolini
pronti a servirti in ogni momento, camere singole, doppie o triple simili ad
appartamenti, cibo servito ad ogni ora ed in ogni luogo. Le piste innevate
erano fantastiche e non vedevo l’ora di imparare a sciare.
La camera mia e di Lissa era al primo piano
ed era enorme.
“Accidenti Lissa, spero non ti perderai mentre
dal letto vai in bagno.”
La mia amica rise.
“Devo ammettere che è davvero un
esagerazione.”
“La regina ci sta proprio comprando!”.
La mia battuta raffreddò però
l’atmosfera.
Non avevamo ancora un piano contro le
assurde richieste della regina, la quale non voleva altro che Lissa e Christian
si lasciassero. Mi chiedevo come una regina con tutte le sue faccende politiche
di cui occuparsi, potesse avere il tempo da comportarsi come l’antagonista
nelle fiabe.
Contro ogni previsione era stato
Christian a prenderla più male di Lissa. Gli stava se possibile più attaccato
di prima, fregandosene apertamente di tutte le occhiatacce che gli venivano
lanciate. Occhiate che erano decisamente diminuite , quando mi resi conto che
Lissa stava usando decisamente troppa compulsione.
La loro vita amorosa era minata, ma
almeno potevano ancora viversela, la mia invece era stata stroncata sul
nascere.
Cercai di sviare subito i miei pensieri.
“Dai Lissa, troveremo la soluzione,
sennò male che vada fuggiremo a Las Vegas e vi faremo sposare furtivamente,
come succede nei film!”.
Lissa rise, ma io mi chiedevo seriamente
se la cosa avrebbe potuto risolvere il problema. Prima della fine dell’anno
accademico saremmo stati tutti maggiorenni e la cosa si sarebbe potuta fare.
Pubblicizzando poi il loro matrimonio, la regina non avrebbe avuto più nessuna
scusante per separarli, poiché legalmente legati da un vincolo.
Risi con Lissa, ma tenni nella mia testa
l’idea come seriamente sfruttabile in extremis.
“Pensavo di andare a vedere la camera di
Christian e poi di passare dai donatori, vieni con me?”
L’idea di andare a curiosare nella
stanza di Christian proprio non mi andava, perciò declinai l’offerta.
“Pensavo a dire il vero di andare fuori
a guardare le piste, ci rivediamo a cena che dici?”
“Ok, a dopo” e prima di andarmene Lissa
mi diede un abbraccio che durò più di quanto mi aspettassi e sentii in esso una
amore e una speranza che prima non percepivo. Sapevo che il merito non era solo
della mia fantasia, ma dello spirito di Lissa. Avrei dovuto sgridarla, ma sapevo
che voleva solo farmi capire che c’era. Sorrisi e prima che mi accasciassi a
terra per raccontarle tutto, scappai via.
Le piste innevate , illuminate da enormi
fari, risplendevano nell’oscurità del nostro pomeriggio ormai inoltrato. Volevo
prendermi un insegnante per imparare, ma Mason sentendomi parlare durante il
viaggio, si era offerto subito per vestire le vesti da istruttore. Accettai
volentieri, sapevo che mi sarei divertita di più con lui. L’indomani, ero
certa, se ne sarebbero viste di tutti i colori.
Camminai un po’ in mezzo alla neve,
pensando che da lì a due giorni sarebbe stato Natale, e che non sarebbe stato
lo stesso di sempre. I miei Natali spesso e volentieri mi vedevano a cenare la
vigilia e il 25 dicembre assieme alle poche persone rimaste nell’accademia,
poiché tutti, almeno a Natale ritornavano dalle proprie famiglie, mentre io,
spesso sedevo all’ingresso aspettando l’arrivo di mia madre. Quand’ero piccola
spesso arrivava a portarmi un misero regalo, che era sempre un maglione, poi
crescendo, la visita si trasformava in pacchi postali e cartoline di auguri,
che non avevano ne calore ne odore.
Quest’anno invece avrei passato il
Natale in un posto di lusso, con tante facce nuove, e anche se con il cuore in
lacrime, avrei avuto accanto nuovi amici, che anche solo un anno prima non avrei
pensato di avere.
Seduta su una staccionata al limitare
della fine di una pista fissavo la luna. Non lo notai subito, ma il cambiamento
del vento mi portò l’odore di fumo di sigaretta e rivelò così una presenza che
mi fissava silenziosa.
“Chi c’è?”.
Un ragazzo moroi di circa vent’anni
capelli castani con due furbi occhi azzurro ghiaccio si avvicinò con un sorriso
in faccia. Aveva un cappotto che gli stava a pennello, nell’insieme si notava
che il suo vestiario era decisamente lussuoso e lui,dovevo ammettere, era davvero carino.
“Ti osservavo, piccola dhampir. Sono
rimasto affascinato dalla profondità del
tuo sguardo!”
Rimasi scioccata dalla sua frase, non
capivo se diceva sul serio o se mi prendeva in giro.
Si avvicinò ancora, squadrandomi più
sfacciatamente di come facevano di solito i moroi. Aveva qualcosa che mi metteva
in allerta, non so perché. Forse perché sembrava uno di quei moroi che pensava
di poter fare ciò che voleva con una dhampir femmina visto il suo ceto sociale.
“Hai un buon odore!”.
La sua affermazione mi spiazzò.
“Io… cosa?”
Ghignò e il suo sorriso fu risaltato
dalla luce lontana dei lampioni della pista e la luce lunare.
La sua faccia da schiaffi avrebbe dovuto
farmi sfoderare un pugno dei miei e levare le tende, ma non so come non
riuscivo ad andarmene. Un punto lontano della mente voleva farmi ricordare
qualcosa, solo non sapevo cosa, forse una sensazione già provata.
“Sei qui con un’accademia?”.
Cambiava sfaccettatura molto
velocemente.
“Si, con la St. Vladimir!”.
Ghignò ancora.
“A quanto la promessa? Potrebbe
interessarmi un guardiano come te!”
Per un momento la mia dignità si fece
sentire, come osava questo qui a parlarmi in questo tono da messaggi
subliminari.
Saltai giù dalla staccionata, in modo da
averlo di fronte, per essere ben chiara.
Era poco più basso di Dimitri, e chissà
perché proprio con lui dovevo confrontarlo.
“Spiacente, ma sono già il guardiano di
qualcuno!”
I suoi occhi scintillarono dalla
sorpresa e fece un altro tiro dalla sigaretta.
“Senti, ma devi proprio fumare?”.
Lui alzò le spalle.
“Un vizio come un altro. E’ di casata
reale lui?”.
Buttò la sigaretta e ne accese un’altra,
questo era fuori e poi di cosa stava parlando?
“Lui? Ma che dici? Sei ubriaco?”
In effetti emanava un leggero odore
alcolico.
“Di chi sarai il guardiano?” chiese
davvero serio.
Che sciocca, da luogo comune di tutti i
moroi che vedevano noi dhampir solo come sgualdrine di sangue, era ovvio che
pensasse sarei diventata il guardiano di un lui e magari importante.
“Vasilisa Dragomir” gli dissi acida.
I suoi occhi si spalancarono sorpreso, poi tornò
alla sua faccia solita, quella da schiaffi, con un ghignò disegnato da sfottò.
“Immagino tu sia la figlia di Janine
Hathaway” disse ora squadrandomi più interessato.
L’insieme mi fece sfiorare la pazzia.
“No, io sono Rose Hathaway!” dissi per
definire il concetto che io non volevo essere paragonata a mia madre per
l’ennesima volta. “Come l’hai capito?” chiesi poi, avevo nominato Lissa e lui
l’aveva legata a me.
“Che vuoi, la nostra società vive di
pettegolezzi. L’amica dell’ultima dragomir che alla bellezza di 17 anni uccide
uno strigoi, così coraggiosa da essere notata pure dalla regina. La tua fama ti
precede!”
Mi soffiò poco distante dal visto, poi spostò
lo sguardo sul mio collo. Sapevo cosa cercava, perciò alzai il cappuccio,
nonostante avessi i capelli sciolti.
L’aver nominato poi la regina, mi aveva
toccato di più.
“Tu non sai niente di me! E poi si può
sapere chi sei tu?”.
Mi fissò intensamente poi parlò come
niente fosse.
“Adrian Ivashkov!”
Una lama ghiacciata mi attraversò la
schiena.
Cazzo. Cazzo. Lui era quell’Adrian. Quello
che la regina voleva combinare con Lissa. Quella maledetta, altro che hotel di
lusso per proteggerci tutti, stava solo muovendo le sue pedine.
Mi tirai indietro scottata da quel nome,
e a lui non sfuggì, mi guardava quasi confuso.
Dimitri mi aveva fatto avere una breve
relazione su questo Adrian, nipote della regina. La sua casata era famosa per
essere la più ricca e potente e i suoi componenti essere degli egoisti
impertinenti che credevano di poter avere tutto quello che volevano. Lui,
figlio di Nathan e Daniella Ivashkov, era famoso per le sue numerosi notti
brave e per essere uno sciupa femmine. La cosa che più mi aveva lasciato
di stucco era il fatto che non ci fosse nessun documento sul quale fosse
specificato la sua specializzazione.
“Devo andare!” dissi facendo un altro
passo indietro.
Lui cercava di studiarmi.
“Di già? Sembra che il mio nome ti abbia
spaventato, non sono da temere, perché non resti e mi conosci meglio!”.
Oddio , ma ci stava davvero provando
così spudoratamente? Chissà se Dimitri lo sentisse cosa direbbe?
Abbassai gli occhi un secondo triste.
Cosa
vuoi che direbbe? Niente, lui non direbbe niente. Perché io e lui non potremmo
mai stare assieme. Questo pensiero, come sempre, mi appannò
per un momento gli occhi.
“Ehi, stai bene?”. Sembrava davvero
preoccupato.
“Stammi alla larga!” dissi incerta, ma
un po’ fredda. Presi a camminare, per tornare in camera.
“Ci vediamo presto allora, Rose!”
sembrava quasi allegro e spensierato come all’inizio. Doveva avere qualche
disturbo della personalità.
“Non ci contare!” dissi io, senza
voltarmi.
Andai in camera mia e mi feci una doccia
superbollente, che speravo mi avrebbe aiutato a sciogliere un po’ i miei
muscoli rigidi. L’indomani avrei dovuto fare un po’ di allenamenti, perché la mia
muscolatura ne risentiva.
All’ora di cena passai per la camera di
Christian, dove sapevo avrei trovato anche Lissa. Ci incamminammo verso la
sala, e non sapevo come intavolare il discorso Adrian.
Vedemmo un tavolo libero e ci sedemmo,
non prima di aver ricevuto una sacco di saluti da chiunque incrociavamo, ovviamente
pochi erano rivolti a Christian, la cosa iniziava davvero a stancarmi.
Il buffet sbordava di cibo e Lissa
decise di restare sul leggero, visto la sua visita dai donatori, così si avviò
versò i finger food. Io mi fermai al tavolo di Mason per dirgli di vederci
mezz’ora più tardi il giorno dopo, vista la mia intenzione di allenarmi un po’.
Stavo ridendo di una sua battuta quando
il mio sguardo catturò la figura di Dimitri, era da mezza giornata che non lo
intravedevo. I suoi occhi si posarono sui miei, così io deviai lo sguardo e nel
farlo vidi Adrian che stava attaccando bottone con Lissa. Dannazione.
“Scusa, Mason, ci vediamo domani!”.
Non guardai nemmeno il mio amico e mi
fiondai a passo di carica dalla mia amica. Arrivai e mi frapposi tra lei e lui.
“Stalle distante!” gli intimai.
“Rose, che succede!” mi chiese la mia
amica, ignara di tutto.
Adrian si riprese subito, nella sua aria
sfacciata.
“Piccola dhampir, non sarai gelosa. Se
fai così mi piaci di più!”.
Sussurrò l’ultima parte avvicinandosi
pericolosamente al mio viso. Non so perché ma la sua vicinanza pericolosa mi
imbarazzò. Spostai per un breve secondo il mio viso dal suo e potei notare lo
sguardo serio di Dimitri che sembrava perforarmi.
Mi ritrovai a pensare le stesse parole
di Adrian: non sarai geloso Dimitri?
Sorrisi triste per la mia stupida
pensata, poi ritornai al mio nemico di fronte a me, che sembrava mi stesse
studiando. E stranamente anche lui si voltò verso Dimitri, per poi ritornare un
po’scioccato su di me.
Perché quello sguardo? Mi stava mettendo
davvero a disagio.
“Non te lo ripeterò più, non avvicinarti
né a me e soprattutto né a lei.”
In quel momento se avessi avuto la
regina qui davanti l’avrei presa a pugni davanti tutti.
Presi Lissa per un braccio e la
trascinai al nostro tavolo.
“Rose, ma chi era quello? Non mi
sembrava una persona pericolosa, anzi, se devo essere sincera mi emanava
un’aura di fiducia!”
Restai pensierosa a quelle parole, non
potevo più avere dubbi ormai.
“Io, invece, sono felice che Rose sia
intervenuta, a me non piaceva quel tipo, ti stava troppo vicino, mi stavo per
alzare io sinceramente!” Christian era leggermente infastidito.
Dovevo dirglielo subito.
“Quello è Adrian Ivashkov!”
Lissa si portò le mani alla bocca,
mentre Christian si alzò di scatto dalla sedia stringendo le sue mani in due
pugni che sembravano volergli spezzare le dita.
“Stai calmo Christian!” lo tirai giù per
una manica.
“Stai calmo? Proprio tu mi dici di stare
calmo? Come fai a sapere che è lui!”
“L’ho incontrato prima fuori” sussurrai
perché non mi sentissero altro che loro. “Volevo dirvelo dopo cena in un posto
più tranquillo, per evitare scenate.”
A Christian scappò una fiammella dalla
mano.
“Smettila, non credo che lui sappia di
essere nei piani della regina fessa!”.
Christian sbuffò.
“Come puoi saperlo, magari hanno architettato
la cosa insieme.”
“Non lo so, ho il sospetto che lui non
sappia nulla, per cui ti chiedo di non fare nulla. Ho una teoria e indagherò
per vedere se ho ragione o no!”.
“Di cosa stai parlando!”
Alzai gli occhi al cielo
“Fidati di me, ok?”.
Contro ogni mia aspettativa, Christian
abbassò rassegnato le spalle.
“Ok”.
Si fidava davvero di me. Restai un
attimo sconcertata.
Prese poi la mano di Lissa e le baciò il
dorso. Lei con gli occhi lucidi si perse nei suoi occhi. Per la mia salute
mentale, sviai lo sguardo altrove.
Finita la cena Christian fu rapito da
Mason ed Eddy, non so per fare cosa. I due dhampir pian piano avevano
conosciuto meglio quell’Ozera e anche senza compulsione avevano capito che non
era pericoloso come lo descriveva la
gente, anzi avrei giurato che lo trovassero pure simpatico.
Lissa, invece, doveva incontrarsi con la
Karp, per una seduta spiritica. Risi mentalmente per la mia battuta mancata.
Sonya Karp, pensai, chissà poi se quel
Mikhail era riuscito a trovarla. Era una cosa che avrei dovuto scoprire per
quietare la mia curiosità dilagante.
Visto che ormai ero rimasta sola, decisi
di andare a letto con l’intenzione di alzarmi presto l’indomani.
Olèè..
Ecco a voi Adrian! Vi è piaciuta la sua entrata? La stessa del libro più o meno, non avrei potuto fare altrimenti.
Che ne pensate di lui? Sarà come dice Rose? All'oscuro di tutto?
Lo scopriremmo presto...
a presto mie cari lettori...
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Capitolo 18 *** capitolo 18 ***
capitolo 18
Capitolo
18
Me ne stavo seduta su un sasso, che ben
presto mi accorsi essere la punta di una montagna che sovrastava su un dirupo
senza fine. Dietro a me una distesa d’erba, da cui non nasceva neanche un
piccolo fiore. Una brezza fredda mi sventolava i capelli ed io ero persa a
guardare l’orizzonte senza sole.
“Un posto davvero triste”.
Al mio fianco si materializzò Adrian
Ivashkov con la sua faccia da schiaffi e vestito di una camicia bianca e di un
paio di jeans strappati che davvero non gli stavano male.
Ma che andavo a pensare?
“E tu che fai qui?” ero più che certa di
stare a sognare e non mi capacitavo della sua presenza. Possibile che il mio
subconscio fosse stato così scioccato da ripropormelo nel mio stato più
comatoso?
Oh, stranissimo io e superio di quel moroi di Freud…
“Non capisco il tuo comportamento nei
miei confronti!” sembrava sincero, ma il suo sorriso tornò furbo sul suo viso.
“Come se non lo sapessi, so bene cosa
state architettando tu e quella megera!” risposi acida, alzandomi poi dal mio
sasso.
Il paesaggio ora era cambiato e ci
trovavamo di nuovo sulla neve, ma non era Aspen, era un luogo in cui non ero
mai stata e mai avevo immaginato di andare.
Lui mi fermò per un braccio e mi girò.
La sua presa sembrò così reale.
“Di cosa stai parlando?” era spiazzato.
Lo guardai, avrei potuto credergli, ma
poi mi ricordai che era solo un sogno.
Sorrisi.
“E’ solo un sogno questo, no? Io posso
benissimo credere che tu non centri nulla!”.
Era ancora serio.
“Davvero non capisco di cosa parli!”.
Risi e lanciai una palla di neve al
nulla.
“Non ha senso parlarne, questo è un sogno.”
Mi lasciai cadere di schiena tra la neve morbida che ben presto sfumò via,
lasciando spazio alla camera d’hotel nella quale dormivo.
Il sole fuori aveva preso la sua lenta
discesa ed io ero già bella e stranamente riposata per un po’ di corsetta.
Quel sogno ancora mi frullava per la
testa, davvero non capivo come fosse possibile che avessi sognato proprio lui,
ero un po’ scioccata e mentre presi a correre il pensiero ancora non mi voleva
lasciar stare.
Dopo un po’ di Sali e scendi sui fuori
pista mi fermai per un po’ di stretching.
“Rose”.
La sua voce calda mi arrivò fino al
cuore. Persi un solo secondo a bearmi di quel suono. Mi rimisi poi in piedi
alla velocità della luce.
“ Ciao Dimitri.”
Silenzio. Era davvero imbarazzante.
“Volevo… sapere se Adrian Ivashkov vi
crea problemi!”.
Con coraggio alzai i miei occhi nei
suoi.
Era una maschera di autocontrollo, come
sempre.
“Ho già chiarito che non si deve
avvicinare a me e a Lissa, anche se ho quasi la sensazione che lui non sappia
del piano della regina.”
Non gli avevo ancora esposto i miei
pensieri a riguardo. A volte dimenticavo che era il guardiano di Lissa e
meritava di sapere.
“Cosa te lo fa pensare?”.
Sembrava interessato.
“Non ne ho ancora le prove, ma le avrò
presto!”.
“Cosa vuoi fare? Non avrai intenzione di
cercarlo? Finirai per metterti nei guai.”
E ora che gli prendeva?
“Come potrei sennò trovare le risposte
che cerco?” gli dissi stizzita. Non riuscivo più a continuare a parlargli,
avevo già superato da un pezzo il limite di sopportazione che ho in sua presenza,
la mia voragine si stava facendo sentire.
“Potrebbe essere pericoloso, indagherò
io.”
“Smettila!” urlai, lasciandolo a bocca
aperta. “Non capisci? Per me è importante riuscire a trovare una soluzione a
questo problema, non è solo per il mio futuro da guardiano o solo per Lissa…”.
Lo guardai, sembrava normale come sempre, ma i suoi occhi tradivano il suo
sconcerto per la mia reazione. “Andava tutto così bene…”Dissi sospirando tra le
parole, per riprendere un po’ di calma. La minaccia della regina aveva mandato
in frantumi tutti i miei sforzi per rendere la mia vita e me migliore.
“Vedrai che le cose si aggiusteranno”.
Sospirai. “L’hai detto pure tu una
volta. E’ della regina che stiamo parlando. Ci vorrebbe un miracolo!”
“Bè siamo nel periodo giusto, non
credi?”.
Feci una risata isterica.
“Questo non è uno stupido film di Natale
con il buon fine. Non succedono queste cose nella realtà.”
“Possiamo essere noi a rendere reale il
miracolo.”
Questo era troppo. Lo sapevo che tentava
di aiutarmi, infondo era il suo obiettivo di mentore, e forse era questo che
più mi infastidiva. Era solo lavoro.
“Basta!” gli urlai in faccia. “Basta tu
e le tue stupide balle zen! Non fai che predicare a destra e a manca lezioni di
vita.” Dovevo fermarmi, ma non ci riuscivo. “Sembra che ti piaccia starti a
sentire mentre parli, ma sappiamo che non è così, non con me almeno. Sei quasi
sempre in tensione, incastrato nel tuo stupido ruolo da mentore, dove sei
costretto a fare in modo che di me ti importi.” Gli stavo fisicamente puntando
un dito contro.
L’ultima parte parve toccarlo.
“Costretto?”
“Si” dissi con convinzione che in realtà
forse non provavo davvero, gli stavo dicendo delle cose cattive ed era
sbagliato. “Sono una ragazzina come tante per te, e tu lì pronto a dispensare
perle di saggezze pensando che…”
Improvvisamente afferrò la mia mano che
gli indicava il petto e la portò sopra la mia testa, facendomi indietreggiare
fino a quando toccai con la schiena un grosso tronco.
“Non dirmi cosa provo!” ringhiò.
E fu allora che mi accorsi quanto in
realtà fossimo più simili di quello che pensavo. I suoi occhi, come avevo
sempre intuito, erano davvero lo specchio della sua anima ed era la spiegazione
al fatto che lui sembrava capirmi sempre.
“E’ così non è vero?” dissi a voce alta quello
che pensavo.
“Cosa?” disse lui non capendo.
“Sei sempre in lotta con te stesso, per
riuscire a dominarti. Sei come me!”
“No” disse, mentre lo vedevo tentare di
riprendere padronanza delle sue azioni. “Ho imparato a controllarmi!”
Mi ricordai all’inizio, quando gli avevo
chiesto come aveva fatto a diventare la persona che era e capii che in realtà
lui non aveva mai smesso di tentare di essere migliore, bensì era in gioco ogni
giorno per esserlo.
“Invece no. Fai buon viso a cattivo a
gioco” gli dissi capendolo sempre di più. “Ogni giorno cerchi di dominarti, a
volte ci riesci… altre, non hai voglia…”
“Rose…” disse solo, sembrava una
supplica che mi chiedeva di fermarmi, peccato che il treno Rose Hathaway fosse
partito per la tangente e non avevo
voglia di fermarlo. Forse mi avrebbe fermato lui, ma non mi importava,
presa dall’istinto lo baciai. E lui ricambiò.
Il bacio era puro istinto primordiale,
era un qualcosa di passionale e al tempo stesso animalesco. Lui mi teneva
premuto contro l’albero, con una mano ancora teneva fermo il braccio sopra la
mia testa e l’altra era scivolata dietro la mia testa tra i miei capelli.
Andata e ritorno dal paradiso e tappa all’inferno.
Fu lui a fermarsi, facendo due passi
indietro e frapponendo distanza tra noi.
Mi guardava con un scintillio di rabbia
e qualcos’altro negli occhi.
“Non dispenso balle zen, cerco di
insegnarti l’autocontrollo”.
Io continuavo a guardarlo, presa ancora
com’ero da quel bacio.
“Non farlo mai più” e così dicendo se ne
andò.
Ero cosciente che mi ero comportata in
modo subdolo, sfruttando delle debolezze che non sapevo Dimitri avesse, ma era
stato più forte di me, ma lui, dannazione, aveva ricambiato il mio bacio. Era
vero o no tutto quello che mi aveva detto in passato sul perché non potessimo stare
assieme?
Ero ormai prossima alla palestra quando
come per magia sbucò fuori l’ultimo dei miei problemi aggiunti in lista.
“Piccola dhampir, sei mattiniera!”.
Mi girai per dirgliene quattro, ma
rimasi senza parole quando l’Adrian del mio sogno si materializzò ai miei
occhi. Cioè Adrian era sempre Adrian, io però mi riferivo a suoi vestiti. Il
moroi di fronte a me aveva la stessa camicia bianca e gli stessi jeans
strappati, com’era possibile che io li avessi sognati senza averli mai prima
visti?
“Che scherzo è questo?” gli rivolsi in
tono poco amichevole.
Lui mi guardò come ignaro del mio
problema.
“Va tutto bene? Non hai una bella cera!”
dissi lievemente divertito.
“Non so a che gioco stai giocando, ma
sappi che è meglio per te se la finisci subito!” lo rimbeccai acida. Davvero
non capivo cosa stava succedendo.
“Ehi, ehi, calma piccola dhampir. Hai
dormito male per caso?” disse ancora con il suo tono divertito.
Non mi era chiaro se mi stava provocando
o se ero io che mi immaginavo tutto.
Non lo degnai di risposta e me ne andai.
Sembrava avere la capacità di trovarmi ovunque, per cui tornai in camera, dato che fra poco avrei dovuto
vedermi con Mason, e necessitavo urgente di una doccia.
Quando arrivai trovai Lissa intenta ad
asciugarsi i capelli lucenti che si ritrovava.
“Buongiorno, Rose, sei andata ad
allenarti?”.
Annuii sconnessa, persa com’ero nei miei
pensieri.
Dopo un po’ di silenzio, mentre mi
prendevo il cambio per la doccia, Lissa parlò ancora.
“Senti, Rose, c’è una cosa di cui ti
devo parlare!”.
Il suo tono sembrava molto serio, per
cui la mia attenzione fu subito puntata su di lei.
“Che succede?”.
“Ecco…” muoveva imbarazzata il piede.
“Volevo dirti… ieri sera a cena… ho provato una cosa strana… con … Adrian…”.
La guardai. Era sempre bella qualsiasi
espressione il suo viso facesse, come ora, che gli si leggeva in faccia la
tensione e il suo timore.
“Che vuoi dire?” chiesi guardinga.
“Ecco… quando mi era vicino, ho provato
una sorta di legame, non come quello provo con Christian sia chiaro, solo… non
so, mi sentivo un po’ più energica, come con la signora Karp. Io… oh, Rose, non
so che sto dicendo… e credo di essermelo pure sognato stanotte…”
Anche lei? Ok, non era più una
coincidenza allora!
“E cosa hai sognato?”
Lei si sedette pensierosa sul suo letto.
“Eravamo su un posto che non conoscevo e
lui mi faceva delle domande su di me, su di te…”
Domande su di me?
“E cosa ti avrebbe chiesto?” gli chiesi
davvero curiosa.
“Beh, voleva sapere se secondo me, lui
poteva piacerti..” disse arrossendo.
“Cosa?” urlai. “Ma sta scherzando?”.
Lei alzò le braccia imbarazzata.
“E’ quello che ho sognato!”.
Sospirai confinando gli attacchi
isterici.
“Scusa e che altro?” le chiesi.
“Stavo dicendo… non sapevo cosa dirgli,
perciò gli risposi che era troppo vecchio per te, e lui disse che per te non
era un problema… non so perché ho sognato sta cosa, giuro che non mi capisco
Rose, forse ci sono dei problemi con il mio spirito…”
Oddio. Non avevo uno specchio di fronte
a me, ma ero più che certa di essere sbiancata come un cadavere. Ormai non
avevo più dubbi, ma il fatto era che lui sapeva. Che ci avesse visto
stamattina? No, io non credevo, non avevo percepito la presenza di nessuno
oltre a noi, ma forse lui sapeva come mimetizzarsi. Ci avrebbe minacciati?
“Deve essere così…”continuò ancora
disperata, Lissa. “forse la mia magia cerca di dirmi qualcosa…”
“Cos’è successo poi?” chiesi ora
concentrata su di lei.
“Mi sono svegliata, ero spaventata…oh,
Rose…che mi sta succedendo?”.
Buttai i vestiti che avevo in mano sul
mio letto, e andai da Lissa per abbracciarla e tranquillizzarla.
“Liss, non hai niente stai tranquilla.
Tu stai bene, davvero!”.
Lei mi guardava poco fiduciosa.
“No, io credo che…” e singhiozzò.
“Anche io ho sognato, Adrian!”
Lei smise di singhiozzare e mi guardò
incredula.
“E se proprio devo essere sincera, penso
che quello non fosse frutto della nostra fantasia, è successo davvero!”.
Ora la mia amica mi guardava davvero
senza capire.
“In che senso?”.
“Credo che Adrian sia un conoscitore
dello spirito.”
Lissa sbattè più volte le palpebre,
perciò parlai ancora.
“L’hai detto pure te, ti emana le stesse
sensazioni che la Karp ti da. E poi so per certo che nessuno sa in cosa lui è
specializzato. Deve essere così, ed è il motivo per cui quella megera vi vuole
assieme, anche se non credo che lui lo sappia.”
La mia amica era sbiancata di più, se la
sua carnagione lattea poteva permetterglielo.
“Forse non hai tutti i torti…” disse
come in trans. “Quella sensazione vicino a lui…”
Guardava nel vuoto mentre la sua mente
fabbricava.
“Rose, hai ragione. Anche lui è come me…
cosa facciamo, ora?”
Ci pensai. Non aveva senso continuare in
sotterfugi, non avremmo risolto nulla. Forse ciò che ci rimaneva era un scontro
diretto con l’interessato e mettere le
carte in tavola.
Lui ci cercava forse, perché aveva
captato qualcosa in Lissa e non perché doveva. Non sembrava poi neanche tanto
sicuro di cosa Lissa possedesse, visto che glielo aveva pure esplicitamente
chiesto. Forse era meno esperto della mia amica, e nel caso in cui avessimo
pensato che mentisse, avremmo potuto avvalerci della super compulsione di
Lissa, sperando che per lui fosse troppo da cui difendersi.
In quel momento arrivò Christian e Lissa
gli fece un rapido aggiornamento, e poi visto lo sclero che gli stava venendo
al moroi, esposi anche i miei ultimi pensieri.
“Quindi lo accerchiamo?” chiese
Christian, troppo euforico. Di sicuro fantasticava in una spedizione punitiva.
“Si, ma non come stai pensando.” Lui
storse la bocca.
“Non ho detto nulla!” rispose acido.
“Non serve.”
Sbuffò.
“Beh, che ne dite se ne riparliamo
mentre facciamo colazione?”.
Colazione? Che diamine di ora era?
“Oh, cazzo! Mason!” urlai.
Ero quindici minuti in ritardo.
Constatai che non puzzavo, per cui la
doccia l’avrei rimandata a dopo, anche perché non ero nemmeno riuscita ad
allenarmi decentemente.
Misi una maglietta termica e dei leggins
del medesimo tessuto, poi misi una tuta da sci che avevo noleggiato il giorno
prima e mi fiondai fuori, rimandando il discorso con i miei amici a dopo.
Mason sedeva nella sala d’attesa assieme ad
Eddie e non mi sembravano infastiditi.
“Scusa, scusa, mi sono persa in
chiacchiere con Lissa!!” gli dissi a testa bassa.
Mason rise.
“Hathaway, non avrei mai pensato che un
giorno ti avrei visto pregare!”
Era sorridente come sempre, per cui mi
ero preoccupata per niente.
Gli sferrai un pugno.
“Che cazzone!”.
E ridemmo.
Venti minuti dopo eravamo in pista con
tutto il nostro equipaggio: scii, racchette e caschetto.
Non lo volevo mettere, ma continuavano a
dirmi che la testa dura non era sufficiente. Davvero divertente.
“Allora, questo è lo spazzaneve!”
incrociò le punta dei scii davanti, ma senza farli toccare. “Così ti fermi o
rallenti, hai capito?”.
Perché mi ripeteva le cose a
rallentatore? Non ero disabile!
“Oddio, mi sto già annoiando, ragazzi ci
vediamo dopo, vado a farmi la nera!”
Ed Eddie se la diede a gambe. Insomma,
non era colpa mia se non sapevo come fare.
“Sbruffone!” gli urlai, e lo sentii
ridere in lontananza.
“Ok, spazzaneve!” dissi, e provai ad
imitare Mason.
All’inizio mi sentivo davvero disabile,
visto che non ero abituata a portare ai piedi quei cosi, ma nel giro di poco lo
facevo senza problemi.
“Bene, niente male, Rose. Ora, a scii
pari, prova a seguirmi mentre scendo!”.
Guardavo come Mason si muoveva e lo
imitavo. Lo seguii senza problemi.
“Fantastico, impari davvero in fretta,
andiamo su una verde e beh, guarda che faccio ed imitami!” rise. “Poi, se vuoi,
ti farò un autografo!” rise ancora.
“Sbruffone due, dacci un taglio e
andiamo alla seggiovia!”.
Ci sedemmo sulla seggiovia, e non potei
non pensare a quanto mi stessi divertendo, e traditore, il pensiero di Dimitri,
mi trafisse. Stavo facendo cose da ragazzi, cose della mia età e mi stavo
divertendo. Per un secondo mi sentii in colpa del divertimento che provavo, ma
poi pensai che in fin dei conti ero davvero ancora una ragazzina, non potevo
sempre pensare di fare l’adulta 24 ore su 24, anche perché io ero anche questo,
una ragazzina quasi maggiorenne.
Accantonai i brutti pensieri e una volta
scesa senza troppi intoppi, seguendo i consigli del mio affidabile istruttore,
prendemmo a scendere la mia prima pista della mia vita.
Guardavo attentamente Mason e seguivo
ogni suo momento, rifacendolo uguale, arrivai in fondo un paio di volte che mi
sentivo gasatissima.
“Rose, non ci credo che non eri capace,
sei quasi più brava di me” disse allegro il mio amico.
“Si, quasi..” risi io. Avevo allentato
tutte le mie tensioni e stavo bene.
“Che ne dici di una rossa?” propose lui.
“Cambia tanto?”.
Lui alzò le spalle.
“Solo qualche discesa più ripida ogni
tanto, niente che ormai tu non possa affrontare!” provocò.
“Ok, dai!” dissi entusiasta.
Raggiungemmo l’inizio della pista rossa
e dopo un’occhiata Mason partì ed io al suo seguito. L’inizio era soft come le
altre precedenti, ma dopo una curva a 90 gradi le cose cambiarono. Essendo
notte la neve era nettamente ghiacciata e la pista era dura, ci furono un paio
di dossi che iniziarono a farmi sbandare e sentivo che il mio equilibrio era
messo a dura prova. Tutti i miei riflessi non mi permisero di concentrarmi
anche sul fatto che stavo prendendo davvero velocità. Un’altra curva secca mi
si stagliò davanti ed io non riuscii a prenderla, per cui finii dritta sul
fuori pista. Il fuori pista era disseminato di alberi qua e là e ormai non
sapevo più come fermarmi. Ad un tratto vidi un albero un po’ più orizzontale
degli altri e decisi con un piede di prendere uno slancio e magari cambiando
direzione e forza, sarei riuscita ad aggrapparmi a qualche ramo. Ciò che non
avevo calcolato però furono le dimensione dei miei scii. Quando alzai la gamba
per mettere il piede su quel tronco, lo scii si inclinò e la punta si conficcò
a terra. Nell’insieme percepii nettamente il mio ginocchio compiere uno strano
movimento, poi rovinai precipitosamente sulla neve e non so come, ma svenni.
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Capitolo 19 *** capitolo 19 ***
capitolo 19
Chiedo
umilmente scusa per le recensioni a cui ancora non ho risposto. Mi sono
trasferita e sono ancora molto in alto mare perchè il computer
non è con me... appena posso vengo a postare.
Tranquille
questa storia avrà il suo finale, anche perchè è
già scritto, serve solo una piccola ricontrollatina.
Vi avverto, non manca molto!!!!!!
Con questo vi lascio, ancora con le mie scuse, al prossimo capitolo..
baci
Capitolo
19
Un ronzio di sottofondo iniziò a
riportarmi alla luce. Mi stavo svegliando.
Per un momento pensai di essere nell’infermeria
della St. Thomas, dopo il disastro dell’attacco strigoi. Il bianco regnava
sovrano e mi chiesi se avevo sognato tutto. Che Nikolai fosse appena morto? Che
non avessi davvero conosciuto tutte quelle persone?
“Rose, oh Rose…”
Questo pensiero sfumò con la voce rotta
dal pianto di Lissa.
Se lei esisteva davvero, allora, non mi
ero immaginata nulla. Ed infatti, eccola lì, Lissa, bella e dolce come sempre.
“Eravamo nella hall quando Mason è
entrato di corsa chiedendo aiuto… oh, Rose, non farmi più prendere uno spavento
del genere!”
La mia amica, che solo ora mi accorsi essere
seduta accanto al letto in cui ero, si allungò per abbracciarmi.
“Via, via che visito la paziente!”.
La dott.ssa Olendzki a quanto pare era
venuta in viaggio con noi dalla St. Vladimir e si aggirava per questa stanza,
come se fosse a casa sua. La stanza dell’infermeria era di un lusso poco adatto
alla sua funzione, ma eravamo in un hotel a cinque stelle, ora che ci pensavo,
per cui forse era normale.
“Segui il mio dito con gli occhi!”.
La dottoressa muoveva l’indice
lentamente a destra e a sinistra e con una piccola luce fastidiosa, mi
accecava.
“Non dovresti avere traumi celebrali, ti
consiglio di rimanere a riposo oggi, se mai dovessi avere mal di testa dimmelo
subito. Anche nei giorni a seguire, d’accordo?”.
“Si”. Sibilai piano.
Erano le stesse cose che mi aveva detto
quando mi aveva dimesso alla St. Vladimir.
La guardai, aspettavo che mi dicesse
altro. Ormai il mio cervello si stava rimettendo in moto, ed ero più che certa
che il mio ginocchio era andato, anche se io non sentivo dolore mentre tentai
di muovere le gambe sotto il lenzuolo.
“Ragazzi non fatela stancare, torno più
tardi!”
E la dottoressa uscì.
Mi guardai attorno e notai che il
plurale intendeva anche Christian, appoggiato cupo vicino alla porta.
“Rose” guardai di nuovo la mia
amica seduta li a fianco. “Tutto bene, davvero?”.
Annuii lentamente, la testa un po’
mi girava.
“Cos’è successo?”chiesi piano.
“Mason ha detto che sei uscita di
pista e sei andata a sbattere con la testa su un sasso, per fortuna aveva il
caschetto, dovresti vederlo si è rotto in due!”.
Non mi ricordavo di aver sbattuto
la testa.
“E poi?”
Notai Lissa esitare leggermente.
“Mason aveva paura di muoverti, per
cui è corso dentro a chiamare aiuto. Noi eravamo nella hall, con il guardiano
Belikov ed è stato lui a soccorrerti e portarti qui.”
Dimitri. Era corso ad aiutarmi. Mi
voltai a guardare la stanza come per cercarlo, con il cuore a mille. Dopo quel
bacio, non sapevo cosa aspettarmi di vedere.
“Doveva sbrigare una cosa, non è
qui!”.
Cosa non mi stava dicendo Lissa? La
guardai ancora, più attentamente. Lissa era pallida e leggermente stanca.
No! Portai una mano per coprirmi la
bocca.
“Lissa sicura che ho battuto solo
la testa?”.
Lei abbassò gli occhi e quando
guardai Christian, vidi che lui fissava lei con rabbia.
“Cosa hai fatto, Liss?”.
Lei alzò lo sguardo colpevole ed io
la fissai intensamente. Si rimise a piangere.
“Oh, Rose, la tua gamba, io… non
potevo non aiutari… non avresti più combattuto per mesi… l’ho fatto per te… per
me…non dovevo, ma…”
Sospirai profondamente sconsolata.
Mi voltai verso Christian.
“Quanto ne ha usato?”.
Non ero arrabbiata, ero rassegnata,
al suo posto, per lei, avrei fatto altrettanto.
“Troppo” digrignò. “Le ho detto di
andare subito dalla Karp e dalla Carmack, ma voleva aspettare che tu ti
svegliassi!”
Era furioso.
“Lissa, ora sto bene e noi faremo i
conti dopo, lascia che Christian ti porti lì”
Le dissi seria.
“Adrian ci ha visto!”.
E ora lui che centrava? La guardai
stupita.
“Quando Mason è corso qui, il
guardiano Belikov si è fatto spiegare dov’eri, poi ha mandato Mason a chiamare
la dott.ssa Oldenzki, noi tre siamo corsi e… tu eri lì…priva di sensi, sembravi
morta, ma Belikov ci aveva rassicurati che respiravi ancora, ma poi vidi la tua
gamba… non era messa bene…ed io… non potevo…non…iniziai a curarti e nessuno di
noi aveva notato che Adrian ci aveva seguito…”
Accidenti!
“Lissa, andiamo dalla Karp!” ora
capivo perché Christian era così furioso. Per Adrian.
“Dov’è ora?”.
“Con Belikov!” rispose Christian.
Che si stavano dicendo? Accidenti a
me. Stupida.
“Non darti colpe” disse ora più
calmo Christian, lasciandomi di stucco.
Non mi sarei mai aspettata
comprensione proprio da lui.
“E’ tutta colpa mia!”. Esposi
questo pensiero tormentato a voce alta.
“Tanto dovevamo lo stesso cercare
un modo per parlarne, no?”chiese senza sprizzare davvero allegria come poteva
sembrare.
“Non così…” sussurai tra i denti.
Christian si avvicinò e prese Lissa
per una mano, invitandola ad andare.
“Starò bene, ci vediamo dopo!” le
dissi rassicurandola con un sorriso piuttosto forzato.
Lei contraccambio debole il mio
sorriso e con il suo amato uscirono dalla stanza.
Non restai sola a lungo, sentii la
porta aprirsi e il mio cuore prese a galoppare, ma fu deluso subito. Non era
chi mi aspettavo.
“Piccola dhampir, sei sulla bocca
di tutti!”.
Gli lanciai uno sguardo di fuoco.
“E tu che ci fai qui?” lo gelai.
Sorrise, con la sua smorfia furba
alla Adrian. Iniziavo a pensare che non fosse una smorfia calcolata, ma che gli
venisse naturale.
“Ho saputo che ti eri svegliata e
sono venuto a farti visita.”
Neanche fossimo amici da una vita.
“Non hai proprio altro da fare? Una
sbronza? O qualche moroi a cui correre dietro?”.
Chiesi quasi in supplica.
“Perché mai? A me piaci tu!” lo
disse con una sincerità disarmante, che preferii prenderla come una battuta. “E
poi, non ho ancora bisogno di bere, fra poco vado a cena!”
Restai un po’ scioccata, tirandomi
su con la schiena troppo in fretta.
“Scusa, ma che ora è?”. Dissi con la
testa che girava.
Guardò il suo costosissimo orologio
da polso.
“Le sei del mattino, piccola
dhampir. Sei rimasta priva di sensi per tutta la giornata!”
Mi ributtai a peso morto tra i
cuscini.
“Fantastico” gracchiai. La testa pulsava
un po’.
Restammo in silenzio e lui con
nonchalance prese il pacchetto di sigarette e fece per accendersene una.
“Ehi, ma che pensi di fare?”
Lui mi guardò con l’aria di uno che
stava facendo una cosa normalissima.
“E’ un’infermeria.” Dissi ovvia in
risposta alla sua espressione.
Alzò gli occhi al cielo e rimise le
sue sigarette in tasca.
“Il tuo… mentore” enfatizzò la parola mentore “stava per prendermi a
pugni”rise.
Dimitri che perdeva le staffe con
un moroi di casata reale? Poco probabile.
“Menti” dissi tranquilla, senza nemmeno
guardarlo.
Lui rise, ma non divertito.
“Già, troppo signore per farlo,
troppo adulto…” lanciò l’ultima
parola come una sfera infuocata.
Ok, mi stava provocando ed io
distesa sul quel letto non sembravo un avversario temibile.
Scalciai via le lenzuola e con un
cerchio alla testa mi misi in piedi. Notai che il ginocchio mi dava un leggere
fastidio, come una botta. Di sicuro meglio di quello che avrebbe potuto essere.
“Che fai? Dovresti restare
distesa…” disse lui con un velo di preoccupazione.
“Smettila di fare l’amico un
secondo prima e l’enigmista quello dopo! Parliamoci chiaro, no?”.
Lui forse non si aspettava quella
piega, ma forse aveva frainteso. Io non avevo certo intenzione di parlare di
Dimitri, non mi sarei mai permessa. Quella era una cosa solo nostra.
“Che intenzioni hai? So che hai
visto Lissa…”.
Parve perdersi un secondo sulla mia
frase lasciata a metà, poi riaccese il suo sorriso stupido per un secondo,
forse intuendo che non avrei parlato di Dimitri.
“Già…” rise senza divertimento “è
buffo, mi avete posto la stessa domanda.”
Stavo per chiedere chi, ma capii un
secondo dopo, ma non mi lasciai distrarre.
“Allora?”.
“Allora a te risponderò, perché sei
te!” disse guardandomi intensamente e sentendomi un po’ strana, come calamitata
verso di lui. E in quel momento capii.
“Smettila!”.
Lui mi guardò colpito, e sentii
venire meno quella sensazione strana.
“Qualsiasi cosa cercavi di fare,
smettila. Basta con questa cosa da conoscitore dello spirito!”.
Lui mi guardò senza capire.
“Conoscitore dello spirito?” mi
chiese ingenuamente.
“Mi stai prendendo in giro?!” disse
beffata. “Stavi usando lo spirito su di me, manipolando i miei sentimenti, come
la prima volta che ci siamo parlati e come stanotte, quando sei entrato nei
miei sogni e in quelli di Lissa, ammettilo!”.
“Conoscitore dello spirito?” ripeté
come un bambino che sta imparando una parola per la prima volta. Non mi guardava
più, cioè guardava il vuoto, ma i suoi occhi sembravano spenti.
“Vorresti farmi credere che non sai
cos’è quella magia che ti senti scorrere dentro?” sputai acidamente.
Lui sembrava sbiancato e dopo aver
perso ogni sfacciataggine si lasciò andare sulla sedia in cui sedeva prima
Lissa.
Mi avvicinai lentamente per
osservarlo più da vicino.
Sembrava sconvolto, e continuava a guardare
il vuoto. Non disse niente per un bel po’ e non sembrava intenzionato a parlare
o a tornare in sé. Le sue braccia erano abbandonate lungo il corpo senza vita, mentre
le mani avevano ogni tanto dei spasmi nervosi che mettevano i brividi.
“Che ti prende?” chiesi. Iniziavo un
po’ a preoccuparmi.
Passava il tempo, ma lui non dava cenno
di riprendersi. Possibile?
“Adrian”. Volevo toccargli una spalla,
ma quando stavo per sfiorarlo, mi fermai. Non sapevo come comportarmi.
Dopo un po’ si accorse che avevo
parlato, o peggio si accorse quasi della mia presenza, come se fino a prima non
esistessi. Poi calò di nuovo il capo con lo sguardo fisso nel vuoto.
“Ad-…” provai a chiamarlo ancora, ma
iniziò a parlare.
“Mi hanno sempre fatto credere di avere
un handicap.” Sussurrò. Sembrava davvero scioccato.
“Chi?” gli chiesi con un tono più
dolce del voluto, solo, la sua espressione mi aveva davvero toccata.
“Gli specialisti che mi avevano
visitato a causa della mia mancata specializzazione in un elemento!” Sembrava parlasse
a se stesso.
Però era strano! Era vero si, che
lo spirito fosse un segreto che molti tenevano, nemmeno tutti i guardiani della
mia scuola erano a conoscenza della sua esistenza e che Lissa ne fosse
specializzata. Figurarsi in scala mondiale. Era un potere che doveva rimanere
al più oscuro possibile, ma che il nipote della regina non lo sapesse, mi
sembrava una cazzata.
“Non ti credo.” Dissi calma e
fredda.
“Avevo capito di essere diverso
dagli altri, ma più di dirmi che magari la specializzazione poteva presentarsi
più tardi, non mi hanno mai detto altro. Il fatto che vedessi delle cose, per
loro erano allucinazioni, che potevano essere curate con qualche seduta da un
psichiatra. Non ho mai confessato di saper fare altro. Ho tenuto per me le cose
che riuscivo a fare, cercavo di nasconderlo, di non usarlo, eppure era ed è
impossibile, o quasi.”
Parlava come una persona disperata
che si sfoga per la prima volta in vita sua, che fossi davvero la prima persona
a cui diceva tutto ciò? Sembrava sincero, ma tuttavia qualcosa non tornava.
“Adrian, come posso crederti? La
simpatica zia che ti ritrovi lo sa, come fai a non saperlo tu?”.
Alzò gli occhi sbarrati su di me,
cambiando umore di nuovo.
“Non ti credo!”disse come offeso. Si
alzò, ma sembrava spaventato, come se avesse paura a credermi. “Come fai a
dirlo tu?”
“Beh, l’ha detto lei, tra le righe,
un secondo dopo avermi detto che se avessi voluto avere un futuro roseo da
guardiano, avrei dovuto far mollare Lissa e Christian, così lei si sarebbe
potuta mettere con te”.
I suoi occhi sembravano voler
uscire dalle orbite.
“Tu menti!” era incredulo. Si alzò
nervoso e senza neanche guardarmi, con le dita tremanti, si accese una
sigaretta, nonostante gli lanciassi occhiatacce.
“Non
può essere vero… non avrebbe
senso… lei è sincera con me… io sono
normale…lei mi apprezza per come sono…
sempre…”
continuava a dire frasi sconnesse a se stesso.
Terminò la sigaretta e ne accese
un’altra. Sbuffai, ma non dissi nulla, andai solo alla finestra e la spalancai,
poi mi sedetti sul letto, aspettando che tornasse in se. Non era di certo la
reazione che mi sarei aspettata da lui, tuttavia rimasi ad aspettare che si
riprendesse. Ero ormai sicura che lui non centrasse. E se così non fosse, avrei
fatto in modo di fargli recapitare una palata di oscar per la sua recitazione dannatamente
reale.
Tre sigarette dopo parve
riprendersi.
“Non mi stai prendendo in giro,
vero?”.
Negai con la testa paziente.
Si sedette esausto poi mi rivolse
un ombra del suo solito sorriso.
“Ora capisco perché ce l’avevi
sempre con me”.
Accennai anch’io ad un sorriso.
“E non ti posso neanche dare torto”
continuò lui. “Senti, Rose,” era la prima volta che mi chiamava con il mio nome
“Cosa sai dirmi dello spirito?”.
Mi imbarazzai lievemente.
“Non credo di essere la persona più
adatta con cui parlarne! Dovresti parlare con la signora Carmack e la signora
Karp, sono loro che aiutano Lissa a controllare la magia.”.
Mi sorrise in un modo così triste
che mi strinse il cuore.
“Sono venuto a trovarti per capire
di più di te e invece, siamo finiti a scoprire di più su di me.”
Non sembrava che stesse parlando
davvero con me, guardava il cielo attraverso la finestra e parlava a se stesso.
“La vita sa essere così ironica!”.
Perché mi sembrava stesse
delirando?
“Ora vado. Riposa piccola dhampir.”
Non risposi, non sapevo come
rivolgermi a lui. Cambiava umore così in fretta.
Un secondo prima di uscire, si
voltò indietro.
“Lo penso davvero quando dico che
mi piaci.”
E se ne andò, lasciandomi
decisamente senza parole. Com’era volubile questo Adrian? Un attimo prima
sembrava un furbo calcolatore, poi l’attimo dopo sapeva essere davvero dolce.
…ma
a cosa andavo a pensare…
Se era dolce o meno, non mi
riguardava affatto.
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Capitolo 20 *** capitolo 20 ***
capitolo 20
Capitolo
20
La sala da pranzo era un scintillio
sfarzoso di rosso e oro. Era Natale e l’hotel aveva esposto un ricco buffet che
sembrava avere cibo a non finire.
I miei amici mi stavano aspettando
su un grande tavolo e provai una piacevole morsa allo stomaco al pensiero che
questo natale non sarei stata da sola, era una dolce sensazione.
Avevo una felpa e un paio di jeans,
non avevo avuto la forza fisica e psichica di mettermi in ghingheri. Al polso
però, faceva bella mostra il regalo di Natale di Lissa, me l’aveva dato di
ritorno dalla visita con la Carmack. Per gli altri forse poteva non significare
nulla, ma per chi dava valore alle tradizioni avrebbe potuto capirne
l’importanza. Si trattava di un chotki, un bracciale che sembrava quasi un
rosario in versione ridotta, la croce d’oro che penzolava riportava lo stemma
della casata dei Dragomir. Quando l’avevo aperto non avevo potuto credere ai
miei occhi. Questo tipo di bracciale veniva dato al guardiano che godeva di
piena fiducia da parte della casata da lui protetta e ora, anche se non
ufficialmente, io portavo un oggetto storico, pieno della fiducia di Lissa per
me.
Giunta al tavolo, notai che era più
affollato di quanto pensassi. C’erano Lissa e Christian, Mason, Eddie, mia
madre, che avevo scoperto essere anche lei lì ad Aspen col suo moroi,
ovviamente il vizio di non farmi partecipe della sua vita era ancora grande. C’era
perfino Dimitri, con mio stupore, non lo vedevo da quel bacio e non era venuto
a trovarmi nemmeno per un secondo, cosa che mi aveva ferito più del dovuto.
Sapevo che poteva essere arrabbiato con me, ma questo non me lo sarei aspettato
da lui. Quando arrivai non mi guardò e la cosa mi fece male.
Lui sedeva tra Eddie e una moroi
che non avevo mai visto. La guadai bene e notai che metà del suo viso era
sfregiato da una cicatrice che nonostante ciò, non le toglieva di dosso la sua
bellezza mozzafiato, bensì quasi la rendeva parte di essa. Questa sedeva
accanto a Christian. C’erano due posti liberi uno accanto a Lissa e l’altro
accanto a mia madre, ovviamente mi sedetti vicino alla mia amica.
Avevo passato la notte un po’
insonne, e sapevo che nel frattempo Christian e Lissa avevano avuto un
confronto con Adrian, riguardo alla sua nuova scoperta. Me lo aveva accennato
di fretta Lissa stamattina, mentre ero ancora in un dormiveglia indotto dai
farmaci che mi aveva somministrato la dottoressa Oldenzky per i miei mal di
testa passati, presenti e futuri e speravo di aver capito male quando Lissa, forse,
aveva accennato al fatto di aver usato la compulsione su di lui per sapere se
mentiva. Difatti non avevo ben capito com’era ora la situazione con Adrian, solo
che in teoria doveva esserci una sorte di tregua per Natale.
A Natale si è tutti più buoni,
dicono.
Mi sedetti e Christian mi presentò
la moroi affascinante, che sembrava avere davvero un buon feeling con Dimitri,
mentre arrivavo li avevo notati subito e sentito, che parlavano di qualche
episodio noto solo a loro.
“Zia, questa è l’amica di Lissa,
Rose. Rose, lei è mia zia Tasha Ozera”.
Ringraziai mentalmente Christian,
di non avermi presento come la figlia di Janine Hathaway.
Le feci un sorriso un po’ tirato,
che lei invece contraccambiò molto sinceramente, non notando la mia falsità.
Un tarlo nascosto di una vecchia
conversazione di Lissa su Christian, mi ricordò che quella non era una zia,
bensì la zia e difatti guardando bene, quella era proprio la cicatrice di un
morso. Quella era la famosa zia che combatté contro i genitori tramutati in strigoi
di Christian, i quali volevano trasformare loro figlio in un mostro come loro. Nonostante
non avesse avuto un addestramento da guardiano, cercò di combatterli quel tanto
che bastava perché arrivassero i guardiani. Era stata davvero coraggiosa e per
questo pensai che meritasse rispetto, solo, doveva smetterla di guardare con
quegli occhi da cerbiatto il mio Dimitri.
Mio.
Che stupida, in fin dei conti non
avevo alcuna pretesa su di lui e se a Dimitri lei piaceva davvero, avrei dovuto
essere felice per lui e disperare in silenzio per me. Come no.
“Rose Hathaway, è davvero un
piacere conoscerti. Ho sentito molto parlare di te.”
Mi sentivo leggermente in
imbarazzo. Lei era così posata e così donna, che sentivo di non poter regger il
confronto, non dal punto di vista fisico, ma dal portamento.
“Spero solo cose buone.” Dissi più
amichevolmente possibile. Poi guardai Christian e per stemperare aggiunsi:
“Vero, Christian?”
Lui, che in mezzo a tutte quelle
persone sembrava più a suo agio del solito, disse ridendo: “Ovvio, che no!”
Tutti risero.
La cena prese una piega leggera,
non sembrava esserci nessuna preoccupazione su quel tavolo, forse era questa
quella magia del Natale che avevo sempre visto nei film, che mi guardavo da
sola in camera, quando c’erano feste come questa.
Perfino Adrian, che sembrava
sobrio, interagiva ogni tanto nei discorsi con i miei amici e non era davvero
antipatico come pensavo.
Stavo mangiando non so che tipo di
carne affogata in una salsa sublime, quando ebbi una visione del fantasma del
natale passato, centrava Nikolai, sembrava un ricordo che non pensavo di aver serbato,
ma Mason mi chiese per la ventesima volta, da quando avevo fatto l’incidente,
come stavo e persi il pensiero.
Si sentiva in colpa per avermi
convinto a fare quella pista, pensando che sarei stata in grado di farla.
“Sto bene, Mason, basta sentirti in
colpa. Non penserai mi basti questo per fermarmi?”.
Ridevo, ma dentro bruciavo perché
così continuava a ricordarmi cosa aveva dovuto fare Lissa per me.
“Lo so, ma ho preso davvero uno
spavento enorme!”
Come dargli torto, avevo avuto una
gamba andata e un trauma cranico da coma, ma questo non lo avrebbe saputo mai.
“Christian, pensi che riuscirai mai
a battere tua zia sulle piste?”.
Tasha Ozera aveva intelligentemente
cambiato piega al discorso e alleggerito l’atmosfera che si stava creando. La
tensione la vedevo negli occhi di chi sapeva .
“Potrei farlo, invece, l’età avanza
anche per te!” rispose Christian.
“Non è questa l’educazione che ti
ho insegnato, mascalzone! Ti farò ricredere, vedrai!”
Risero tutti.
“Dopo cena sarò ben lieto di darti filo
da torcere, zia!” disse sicuro di se il mio amico.
Tasha finse una faccia offesa, ma
divertita.
“I ragazzi d’oggi sono davvero
senza rispetto, non trovi, Dimka?”.
Avevo alzato di qualche centimetro
la forchetta dal piatto, ma quel nome detto con così particolare familiarità
dalla voce di lei, mi fece scattare una reazione così veloce da non riuscire a controllarla. Il mio corpo si era
bloccato e aveva perso per un secondo il controllo, tanto che la mia mano aveva
lasciato la presa della forchetta, che cadde nel piatto con un rumore così
fastidiosamente secco che lasciò tutti zitti e fissi su di me.
“Rose…” disse Lissa piano. Sembrava
preoccupata.
Cercai di riprendermi.
“Scu-sate mi è scivolata… la
forchetta…mi è …scivolata…” la mia voce era instabile e tutti mi guardavano. Mi
sentivo soffocare, avevo bisogno di aria. “Vado un attimo al bagno”.
Mi alzai senza guardare in faccia
nessuno ed uscii nella notte fredda di Aspen.
L’hotel era contornato da luci
natalizie, l’illuminazione delle piste faceva sembrare giorno, ma io avevo
bisogno di oscurità. Perciò raggirai l’hotel e andai verso est, dove poco più
in là c’era un precipizio e nessuna pista, se non un orizzonte senza fine.
Trovai un sasso poco innevato e dopo averlo pulito mi ci sedetti.
Non mi ero portata la giacca ed era
davvero freddo, nonostante la mia pelle da dhampir fosse meno sensibile di
quella di umano, ma ehi, era pur sempre meno 15 gradi.
“Sembra una scena già vissuta!”.
Mi voltai di scatto, Adrian si
stava accendendo una sigaretta come niente fosse.
Il sogno, vero. Sembrava una scena
contorta di quell’illusione da lui creata.
“Come hai fatto a trovarmi?” gli
chiesi, non dando corda alla sua frase.
Fece un tiro e poi sbuffò fuori il
fumo.
“Quelle poche volte che sono sobrio
vedo delle cose. Ora so per certo essere questo fantomatico potere dello
spirito e non so più se sia meglio questo o l’idea dello psichiatra.”
Disse piuttosto amareggiato
l’ultima parte.
Aveva scoperto da praticamente 24
ore di essere un conoscitore dello spirito, non lo dava a vedere, ma dentro
doveva essere sconvolto. Io, almeno, lo sarei stata.
“Cosa è che vedi?” chiesi
interessata a scoprire cosa lui fosse in grado di fare.
“Sonya Karp le chiama aure, è come
se la nostra anima avesse un colore ed io riesco a vederlo, eppure riesco a
distinguerlo tra le persone, nonostante il colore sia lo stesso per tutti.
Cambia le tonalità e la vividezza.”
Ero rimasta davvero spiazzata
dall’enormità del potere dello spirito e dalle sue sfaccettature.
“E’ così che mi hai trovata?”.
Spense la sigaretta e ne accese
un’altra.
“Già, piccola dhampir. Quando sto a
contatto ravvicinato con le stesse persone, riesco a trovarle più facilmente,
come se seguissi la scia della loro aura.”
Accidenti, neanche Lissa sapeva
farlo.
“Sei un navigatore praticamente”
gli dissi.
Lui sghignazzò, ma la sua risata
non contagiò anche me.
“Prima in tavola, quando hai fatto
cadere la forchetta, la tua aura ha avuto uno scoppio di luce, assieme ad
un’altra!”.
Un’altra? Poteva essere la sua, ma non volevo chiederglielo, era
come ammettere qualcosa.
O forse stando zitta facevo peggio?
Lo guardai in faccia, e lui stava
già facendo lo stesso.
“Beh, ora a dire il vero, se ti
interessa, la tua aura, per quel che vedo, è scura come i sentimenti che di
sicuro stai provando!”.
Mi infastidiva che si stesse
parlando di me.
“Ed hai imparato tutto questo solo
in un giorno?” dissi un po’ acida.
Lui ghignò. “Pensa cosa potrei fare
in una settimana!”
Non risposi, non ero in vena di
moine. Avevo solo bisogno di starmene da sola un po’, chiedevo troppo?
“Senti, non voglio sembrarti
stronza, ma…”
Lui mi interruppe.
“Ok, ho capito, dirò dentro che sei
andata a farti una sauna in non so che punto dell’hotel, ma almeno tieni
questo.”
E senza chiedermi il permesso o
cosa, mi mise sulle spalle il suo caldo giaccone firmato, che a contatto con i
miei vestiti freddi, mi fece rabbrividire.
Quando dissi ad alta voce ‘grazie’,
lui era già rientrato da un po’.
Quando iniziai a notare che il
cielo si andava schiarendo capii che era ora di andare a dormire, come tutti
già stavano facendo di sicuro.
Cercai di fare poco rumore quando
rientrai in stanza, ma non appena chiusi la porta la luce si accese.
“Rose, ma dove sei stata?”
La mia amica mi corse incontro
abbracciandomi tutta agitata, portava ancora i vestiti della cena.
“O mio dio, ma sei gelata!”.
Eppure io stavo bene, non avevo
freddo, o forse non lo sentivo.
“Va tutto bene!” le dissi calma,
forse troppo.
Lei mi scrutò con i suoi limpidi
occhi azzurro cielo.
“Rose, è da un po’ che non parli
davvero con me, eppure io vedo che non stai bene!”
La guardai sorpresa, la mia amica
sapeva che stavo male e fu ora che capii quell’abbraccio che mi aveva dato il
giorno del mio incidente con gli scii.
Sospirai e andai a sedermi sopra il
mio grande letto.
Lei mi seguì e mi coprì con un
pail.
“Questo è il cappotto di Adrian,
lui allora sapeva che stavi fuori e non in giro per l’hotel in cerca di una
sauna decente come ci aveva detto. Il che in effetti, mi sembrava davvero una
cavolata!”
Ghignai, aveva detto davvero quella
stronzata, pensavo avesse una fantasia un po’ più fervida.
“Avevo bisogno di starmene un po’
da sola.” Sospirai. Potevo dirle o no di Dimitri?
“Perché sei scappata così?” mi
chiese la mia amica. “Siamo rimasti tutti un po’ straniti, Adrian poi si è
comportato strano, ha detto: “Non toccherebbe a me, ma…” e poi si è alzato
penso venendoti dietro, visto che poi è tornato rifilandoci quella
spiegazione.”
Lui e le sue frasi che non dovrebbe
nemmeno pensare.
“Che vuoi che ti dica… ormai abbiamo
capito che Adrian un po’ fuori lo è…”.
Vidi Lissa intristirsi un po’.
“Lo è davvero?” chiesi seria. Lissa
mi aveva parlato del potere
autodistruttivo dello spirito.
“La signora Karp mi ha spiegato che
Adrian ha abusato troppo il suo potere, non sapendo come controllarlo. Tutte le
storie sulle sue notti brave, non erano altro che il suo modo di rimanere
normale. Beveva a fumava per non essere lucido e non riuscire ad usare lo
spirito, ma non è stato abbastanza.”
Rimasi davvero senza parole.
Quel povero ragazzo era stato
egoisticamente lasciato a se stesso e questo era stato il risultato.
“Può guarire?” ma sapevo già la
risposta, bastava guardare la Karp.
Lissa negò con la testa.
“Potrà solo evitare di non
peggiorare più, tutto sommato non è poi così fuori, ha solo qualche sviamento
ogni tanto.”
Si l’avevo notato, lui e la duplice
personalità.
Restammo in silenzio per un po’.
Lei mi fissava in attesa. Qualcosa avrei dovuto dire, non tutta ma almeno una
parte di verità.
“Non posso dimenticare quello che è
successo alla mia accademia, quella che è stata casa mia da tutta una vita, e
ancora di più non riesco a cancellare la mancanza che ho per Nikolai. Ti ho
sempre detto che era il mio mentore, ma per me
era anche di più, solo dopo me ne sono resa conto, ma per me era un po’
il padre che non ho neanche mai conosciuto.”
“Rose…” disse lei dispiaciuta. Lei
poteva capire, lei era rimasta senza genitori, senza famiglia.
Le afferrai una mano e lei me la
strinse.
Era vero quello che avevo detto,
prima fuori avevo potuto analizzare con calma la mia reazione alla pronuncia di
quel nome. Non centrava solo la gelosia per Dimitri, e la presenza di quella
donna, il fatto che loro fossero gli adulti, era anche il significato che si
nascondeva in quella parola.
“Il grandissimo guardiano Lazar è
stata la prima persona che ha creduto davvero in me, in me come persona, con
tutti i miei difetti ed il mio brutto carattere, a prescindere di chi fossi
figlia” ripensai alle parole del preside Thomposon. “E l’ho scoperto solo dopo la
sua… morte…” era sempre difficile dirlo ad alta voce.
Rimpianti, avevo tanti rimpianti.
Mi misi a piangere.
“Non potrò mai ringraziarlo, non mi
vedrà diventare un guardiano e… sono dannatamente arrabbiata con lui… perché lo
credevo invincibile, ma non lo era… ed io, non l’ho potuto salvare…”.
Quel deja vu da fantasma del Natale
passato che avevo avuto a tavola, era un ricordo di quando avevo dodici anni ed
ero rimasta sola a Natale, come sempre. Nikolai mi aveva tenuto compagni e
aveva cenato con me, chissà perché mi era tornato in mente proprio oggi.
Lei mi abbracciò stretta.
Non pensavo di avere dentro ancora tutto questo sentimento fermo, per la scomparsa di quel vecchio.
“Sono sicura che il ringraziamento
più grande che puoi dargli è nel profondo del tuo cuore, impegnandoti a
raggiungere il tuo obiettivo.”
Mi passò un fazzoletto, mentre con
un dito portava via una mia lacrima.
“Nessuno è invincibile, perché
nessuno può vincere la morte, anche gli strigoi possono morire, ma loro sono
senza un’anima, noi invece si. E io, Rose, ci credo alla vita dopo la morte su
questa terra e forse un giorno io rincontrerò i miei genitori e mio fratello e
tu, un giorno, rincontrerai il tuo mentore.”
Lei aveva fede, io non ce l’avevo,
ma per un solo secondo, tutta la speranza che le sue parole trasmettevano mi
avvolsero facendomi credere davvero, che un giorno, ci saremmo rivisti.
“Grazie” sussurrai alla mia amica.
Lei mi guardò ancora in attesa di
qualcosa, ma poi mi sorrise dolce e disse: “Andrà tutto bene”.
Annuii.
“Troveremo, Rose, il modo di
contrastare la regina. Adrian si metterà dalla nostra parte, ne sono certa e poi
io forse avrò bisogno di un guardiano dopo il diploma, non so se il guardiano
Belikov ci sarà, non possono non affidarmi te, se io lo voglio!”.
Una lama fredda mi trapassò la
schiena.
“Cosa intendi dire?” le chiesi
cauta.
Cadde come dalle nuvole.
“Oh, si, certo. Prima Christian mi
ha confidato che la zia Tasha ha chiesto al guardiano Belikov di diventare il
suo guardiano, ma secondo me lei è innamorata da lui. L’ho osservata tutta la
sera!” disse ridacchiante, io non riuscivo a respirare.
Dimitri non poteva diventare il suo
guardiano, lui, non…una scena fantomatica di lui e lei che si baciavano mi
strinse il cuore nel petto facendo riaprire quella voragine che sembrava
volerlo inghiottire e lasciare al suo posto un buco vuoto.
Pensare di non poter stare assieme era
doloroso. Pensare che lui stesse con un’altra realmente era morire.
“Rose, sei pallida stai male? Hai
preso troppo freddo fuori!”.
Mi sembrava di stare in una
giostra.
“Si, ho bisogno di riposare, ho un
po’ di mal di testa.” La mia voce era apatica.
Lissa scostò le coperte del mio
letto.
“Chiamo la dottoressa?” chiese
preoccupata.
“No, una dormita… e passa vedrai…”mi
stavo sforzando a sembrare normale, ma avevo un dolore forte all’altezza del
cuore che mi divorava.
“Buonanotte, Rose e tranquilla andrà
tutto bene”.
Feci un sorriso tirato, mentre lei
spegneva la lampada del mobiletto a fianco al mio letto, e l’oscurità mi
permise di infilare la testa sotto le coperte e inorridire di fronte al fatto
che potevo perdere davvero Dimitri per sempre e che questa volta la cosa, mi
avrebbe annientato irrimediabilmente.
Un Natale da dimenticare.
Ecco
l' ingresso di Tasha Ozera, ma sarà solo marginale. Ammetto che
è quasi finito tutto, ricordo che il mio obiettivo principale
era la love story di Rose e Dimitri, quindi non voletemi male se non
approfondisco gli altri personaggi di contorno.
Detto ciò che ne pensate? Ammetto di essermi commossa nello scrivere lo sfogo di Rose per Nikolai. Voi?
E Dimitri che farà? muhahah come se non lo sapessimo...
Baci a tutti, alla prossima.
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Capitolo 21 *** capitolo 21 ***
capitolo 21
CAPITOLO
21
“Non sarai qui da ieri sera spero.”
Adrian molto ironico si avvicinava
vestito di un paio di boxer azzurri ghiaccio, quanto i suoi occhi.
Non avevo dormito molto la notte
precedente, dopo la notizia shock che Dimitri potesse diventare il guardiano di
Tasha Ozera. Nell’istante in cui chiudevo gli occhi le immagini di loro due
assieme mi assilavano, per cui al mattino mi ero alzata desiderosa di fare un
giro. Ero capitata casualmente davanti alle terme del rifugio, ma visto che ero
in cerca di qualcosa che rilassasse, avevo deciso di fermarmici. Lissa era
andata con Christian dalla Carmack, ma le avevo fatto sapere dove mi trovavo,
così da evitarle un’altra crisi di nervi e sarebbero dovuti arrivare da un
momento all’altro.
Ero appena entrata nella vasca
circolare dell’idromassaggio alla schiena, quando era arrivato Adrian e si
sedette di fronte a me.
“Certo che per la fantasia che hai
potevi trovare una scusa migliore, no?” dissi con una punta di ironia.
Mi stavo sforzando di fingere che
Lissa non mi avesse detto niente, era da stupidi lo so, ma avevo deciso che se
volevo mantenere un po’ di sanità mentale dovevo fingere a me stessa che le
cose non stessero andando di male in peggio. Stavo scappando dai miei
sentimenti, di nuovo e ne ero conscia. Dopo tutta la mia forza di volontà per
cambiare, per superare il disastro alla mia St. Thomas, per essere qualcuno di
più, stavo rovinando dolorosamente a terra, dove c’ero già stata.
Scossi la testa e scacciai quei
pensieri. Guardai Adrian che rideva, forse, come non avevo mai fatto.
I capelli gli cadevano un po’ sulla
fronte, i suoi occhi erano magnetici, il suo fisico era perfetto e il suo
sorriso era stranamente meno furbo del solito. Mi accorsi che era davvero
bello.
“Forse… ma ero più preoccupato per
te, che per le scuse che stavo dando ai tuoi amici.”
L’aveva detto fissandomi
volutamente negli occhi. Lo guardai a mia volta, incapace di voltare lo sguardo
altrove. Non riuscivo ad abbassare lo sguardo.
“Ehi Rose!”.
Il richiamo di Lissa mi distrasse
da quello strano legame che stavamo creando.
“Oh, ciao… Adrian!” continuò poi la
mia amica accorgendosi della mia compagnia.
Lui contraccambiò il saluto con un
movimento meccanico. Christian lo minacciò con lo sguardo e si attaccò di più a
Lissa, mentre si immergevano nel cerchio dell’idromassaggio. A quanto pare la
tregua di natale era finita.
Ci fu un minuto imbarazzante di
silenzio, dopo il quale cercai di schiarirmi la voce per risolvere in parte la
situazione.
“Allora direi che è ora di parlarci
chiaro tutti, non trovate?”.
Adrian mi guardò tranquillo, Lissa
un po’ meno e Christian, beh, era violaceo in viso.
“Io continuo a dire che ci sta
fregando!”.
“Christian!” lo ammonì Lissa.
Sbuffai.
“Adrian, ascoltami.” Lo guardai
dritto negli occhi. “Hai a che fare con questi programmi infernali che si è
fatta la mente bacata di tua zia?”.
Lui mi guardava di rimando e disse
“No”.
Lo guardai ancora un po’. Non
pensavo affatto che stesse usando lo spirito e sapevo che di sicuro Lissa lo
avrebbe percepito.
“Ti credo”. Dissi sicura.
“Sbuff” grugnì Christian.
Aveva avuto già la prova dalla
compulsione di Lissa, ma a quanto pare la gelosia lo accecava.
Guardai ancora Adrian.
“Che succederà quando la regina
della simpatia farà la sua mossa? Tu da che parte starai?”
Lui sorrise innocentemente poi
guardò la mia amica.
“Sei una ragazza carina e una bella
persona, ma… mi dispiace Lissa, non sei il mio tipo, per cui non vedo perché
dovrei sposarti.”
Aggiunse un alzata di spalle, poi
si voltò e mi strizzò l’occhio.
Ok, Adrian stava flirtando con me e
la cosa non sapevo se mi infastidisse o no.
*
Passarono i giorni e la situazione
regina si andava a stemperare. Christian stava iniziando a fidarsi del fatto
che Adrian non gli avrebbe portato via la ragazza e che non ci avrebbe traditi
con la regina. Questo, almeno, lo speravamo tutti in silenzio.
Quest’ultimo avevo iniziato a
passare molto tempo con noi ed io me lo ritrovavo dappertutto. In ristorante era
lì, nelle piste era lì, una volta lo avevo trovato perfino fuori della mia stanza.
Non sapevo cosa pensare, perciò non lo facevo. Non pensavo a nulla e non davo significato
a quello che faceva.
Con Dimitri non avevo più parlato, quando
ci ritrovavamo forzati nella stessa stanza, i nostri occhi spesso si
intrecciavano incapaci di evitarlo, ma mai più di questo.
Le vacanze ormai erano giunte al termine
e tutti, chi più felice chi meno, ci preparavamo per ripartire per la St. Vladimir.
*
Guardavo Lissa che piegava
accuratamente i suoi vestiti e li appoggiava in modo ancor più meticoloso nel
suo trolley. Ci stava mettendo davvero troppa precisione.
“Qualcosa non va?”.
Tardò qualche secondo a
rispondermi. Alzò di scattò la testa, sorpresa che la guardassi.
“Hai detto qualcosa?”.
Si, c’era decisamente qualcosa che
la preoccupava.
“Ti ho chiesto se va tutto bene.”
Lei sospirò, distendendo le spalle
rigide e sedendosi sul suo letto.
“Stavo pensando.”
Non le chiesi la domanda ovvia,
aspettai che lei continuasse.
Alzò il suo sguardo azzurro cielo.
“Christian ha sentito parlare Tasha
e il guardiano Belikov”.
Mi si strinse lo stomaco in una
presa d’acciaio. Cercai di mantenere il mio viso ferreo, ma l’accostamento di
quei due nomi assieme, mi aveva preso alla sprovvista. Dopo la sconvolgente
rivelazione di Lissa a Natale, avevo ben eclissato tutte le possibilità che
avrebbero potuto mettermi nella stessa stanza con loro due, ora non avevo
scampo, c’erano i loro fantasmi a perseguitarmi.
“E cos’ha sentito?”
Forse era meglio non parlare, la
mia voce era fredda e robotica. L’arte del camuffamento non era tra le mie doti
primarie. Fortunatamente Lissa non sembrava accorgersi delle mie doppie
personalità.
“C’è stato un altro attacco da parte
degli strigoi.”
Il cambio di scena mi svincolò in
parte dalle mia morsa d’acciaio. I miei valori di guardiano stavano tornando a
galla, perciò aprii bene le orecchie a ciò che diceva.
“Non so di quale casata fossero, ma
erano reali. sono stati uccisi tutti, anche i loro guardiani”.
Rabbrividii e contemporaneamente la
rabbia nei confronti di quei mostri mi salì e dovetti conficcarmi le unghie nei
palmi delle mani.
“Cos’hanno intenzione di fare a
riguardo?”.
Lissa scrollò le spalle.
“Christian ha sentito che Tasha
avrebbe cercato di diffondere l’idea che i moroi potessero combattere a fianco
dei loro guardiani.”
Dannazione. Quella donna era
coraggiosa e intelligente, ovvio che Dimitri ne poteva essere attratto.
Basta
Rose con questi pensieri.
“Tu cosa ne pensi?”chiesi.
“Credo che abbia ragione, e che i
moroi dovrebbero scegliere se imparare a combattere o no, ma so già che questa
cosa non avverrà.”
Lo pensavo anche io.
“Ho passato molto tempo tra le
casate reali, alcuni sono umili, ma la maggior parte siede sugli allori, per
loro sarà un oltraggio alla loro posizione sociale”.
Annuii al suo ragionamento, non
faceva una piega.
“La penso come te, loro dipendono
esclusivamente da noi guardiani, per questo esistiamo in fondo, no?”.
Lissa annuì.
“Il guardiano Belikov ha risposto
più o meno la stesse cosa”.
Mi morsi la lingua. Rimasi zitta e
il silenzio iniziò a pesare.
“E’ quasi il tramonto e devo
passare dai donatori.”
Mi ripresi leggermente.
“Per il viaggio?” chiesi
riferendomi al fatto che avrebbe cenato col sangue invece che con una bistecca.
Annuì.
Ero stata così presa da me, da non
preoccuparmi per lei.
“Cosa dice la Carmack?”.
Sorrise un po’.
“Pare che la vicinanza di Christian
mi faccia bene, mi rasserena”.
Un punta di invidia si illuminò, ma
la spensi subito.
“Sono contenta”.
Lei arrossì lievemente.
“Non penso di averti mai
ringraziato per.. avermi dato coraggio!”.
Le sorrisi con quel calore che la
dolcezza di Lissa sapeva ricavarmi dal cuore, come la prima volta che ci
eravamo scontrate uscendo dall’aula.
“L’hai già fatto, non ricordi?” e
alzai a testimone il chotki della casata Dragomir.
Rise e io le lanciai un cuscino.
“Muoviti e vai dai donatori!” lei
annuì convinta e ci salutammo.
Sentii la porta chiudersi e mi
guardai attorno. La valigia era fatta.
Non lo avrei mai creduto possibile,
ma mi mancava la St. Vladimir. Mi mancavano i momenti belli che per la prima
volta avevo assaporato nelle mia vita: amicizia, realizzazione, l’innamoramento…
Mi alzai, avevo voglia di
camminare.
Girai per tutto il rifugio, mi spinsi
fin dove non mi ero mai addentrata. Arrivai in un corridoio che terminava con
una porta di vetro che dava su una scalinata. Non ci pensai e salii. Con mia
meraviglia dietro ad una porta di ferro battuto, trovai un magnifico terrazzino
innevato, segno che non ci passasse mai nessuno. All’orizzonte il tramonto dei
vampiri era agli inizi. Un punto di luce vivissimo che a poco a poco si alzava
nel cielo. Era l’alba più bella che avessi mai visto, su un cielo limpido e uno
sfondo innevato. Spostai con la mano la neve fredda da un rialzo e mi ci
sedetti, abbracciandomi le ginocchia. Indossavo una maglia leggera, ma per
niente al mondo sarei rientrata per prendermi una giacca, con il rischio di
perdermi la bellezza di fronte a me.
Appoggiai tranquilla il mento sulle
mie ginocchia, ma i miei allarmi si riattivarono quando sentii la porta di
ferro aprirsi, trasalii nello scorgere la figura imponente di Dimitri.
Puntai il mio sguardo sul sole
crescente, mentre il mio cuore batteva furioso nel mio torace, lo sentivo quasi
rimbombarmi nelle orecchie. Sentii dei movimenti ed un secondo dopo il caldo
giaccone da cowboy di Dimitri mi coprì le spalle, che al contatto con la mia
pelle fredda mi fece rabbrividire.
“Congelerai” disse la sua voce
autoritaria e profonda.
Intestardita non volevo
ringraziarlo.
“Il sole è quasi sorto del tutto,
aspettavo l’arrivo dei raggi di sole.”
Anche lui prese ad ammirare lo
spettacolo di fronte a noi, sedendosi al mio fianco.
“E’ pur sempre inverno.”
Sempre con la risposta pronta lui.
Restammo in silenzio per un po’,
ognuno perso nei propri pensieri.
“Vedo che vai d’accordo con tua
madre.” Disse ad un tratto.
Lo sbirciai con l’angolo
dell’occhio. Guardava attratto il sole, eppure non mi sembrava rilassato come
voleva far vedere e in effetti, come dargli torto. Era dal giorno del mio bacio
a tradimento, o come vogliamo chiamarlo, che non ci parlavamo. I nostri
dialoghi a venire erano stati forma di occhiate nascoste o evidenti snobbate,
da parte mia e da parte sua.
“Non è propriamente andare
d’accordo, ma ormai sono adulta abbastanza da poter parlare con lei come fosse
un qualsiasi altro guardiano, col solo fatto che lei ha il mio stesso dna.
Tutto quello di cui potevo sfogarmi con lei, l’ho fatto e continuare comunque
non mi farà avere un’infanzia diversa. Chissà… magari un giorno avremmo di
nuovo un legame”.
Mia madre mi aveva parlato,
trattando più che altro discorsi politici, ed avevo più di una volta appreso
che fosse il suo modo disperato di interagire con me, poiché non sapeva fare
altro. Io l’avevo accettato ed eclissato il mio disappunto.
Sentii un pizzicore ai margini
della mia visuale e trovai Dimitri a guardarmi. Sembrava serio eppure i suoi
occhi brillavano, sembrava orgoglioso. Lo guardai a mia volta.
Ecco lì.
Il mio primo vero amico. Si, questo
era stato Dimitri, prima di tutto quel sentimento che ne era poi derivato. Un
mentore, un amico e solo ora che ce lo avevo a fianco a parlare come un tempo,
mi accorsi di quanto in realtà mi mancasse anche solo semplicemente Dimitri,
come persona.
Decisi in quel momento che non mi
sarei mai più privata di lui e che in qualche modo mi sarei accontentata.
“Dovresti accettare.”
La sua fronte si corrugò.
“Di cosa parli?”
Distolsi un secondo lo sguardo.
“L’offerta di Tasha. Dovresti
accettarla.” Il mio cuore sanguinava. “Per te potrebbe essere un’ottima
occasione”. Un’ottima occasione di guardiano e di poter avere una famiglia.
Questo lo pensai solo, ma fece male ugualmente.
Lui era visibilmente sorpreso e
prima che potesse dire qualsiasi cosa, dissi quello che avevo da dire.
“Mi dispiace per le cose che ho
detto quel giorno…” sapevamo tutti quale giorno, evitai di menzionare poi quel
bacio. “Sono successe tante cose, tutte assieme…” ti ho conosciuto, ti ho rispettato e mi sono stupidamente innamorata di
te, che sei il mio mentore. “Ti ho attaccato ingiustamente. Non importa
quello provo… per noi. Se ti renderà felice quella proposta, accettala!”
Il suo corpo perse rigidità.
“Roza…”
Quel nome, detto dalle sue labbra,
era una gioia e un dolore per le mie orecchie. Non aggiunse altro in quel momento,
ma mi avvolse le spalle con un braccio, attirandomi sul suo petto, sul suo
cuore.
Ah! Sbuffo tenue…
Ho adorato la scena del terrazzo nei
libri e non potevo non riportarla.
Questi due sono il mio sogno <3
Che ne pensate mie care? Gli strigoi
non demordono, Tasha nemmeno, ma Rose sembra di si… cosa succederà??
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Capitolo 22 *** capitolo 22 ***
capitolo 22
Miei dolci lettori.
L'avventura si avvicina sempre più alla fine. Spero di non aver deluso mai nessuno.
Manca un capitolo e poi ci aspetta un epilogo un po' particolare...
a presto.. baci..
Capitolo
22
L’ultimo attacco strigoi aveva
scatenato il terrore in tutte le casate reali e non. Gli studenti moroi erano
divisi, così come lo erano i loro genitori, di fronte alla propaganda che Tasha
Ozera stava coraggiosamente, dovevo ammetterlo, pubblicizzando in ogni dove e
che inaspettatamente aveva avuto un
riscontro più positivo di quanto avessi mai pensato. Lei, semplicemente,
ricordava a tutti, che in passato, i moroi combattevano a fianco dei loro
guardiani, armati dei loro poteri e del loro coraggio. Questa affermazione era
stata vista dai più snob come un’offesa alla loro posizione, e di questo c’era
da aspettarselo. Rispondevano dicendo che non erano dei cavernicoli e che
proteggerli era esclusivamente compito nostro. Questo non faceva altro che
scatenare dibattiti su dibattiti, senza risolvere nulla.
Ciò che mi stupì di più, fu
accorgersi che nell’accademia le cose erano leggermente diverse. Si, c’erano
moroi che sbeffeggiavano le idee di Tasha, ma erano un numero minimo, alcuni
invece avevano fondato club segreti e avevano iniziato a cercare di dominare le
loro specializzazioni. Di questo ne ero a conoscenza perché Christian era stato
subito richiesto come insegnante, ma aveva maleducatamente, come sempre,
declinato ogni tentativo di tenerlo per qualche modo separato da Lissa.
Il consiglio reale e la regina si
incontravano quasi ogni giorno, ma non erano ancora giunti ad una soluzione. Di
questo ci teneva informati Adrian, che aveva così tante fonti che era sempre al
corrente di tutto. Lui si era stabilito in pianta stabile alla St. Vladimir. Si
era preso una “vacanza” dal college, ed era tornato con noi all’accademia. La
decisione era stata presa soprattutto per altri motivi. Il fatto che fosse
venuto a conoscenza dello spirito era il principale. Lui e Lissa avevano
iniziato a lavorare con la Carmack per sviluppare lo spirito, essendo ognuno di
loro capace di qualcosa che all’altro non riusciva. Adrian invidiava
soprattutto che Lissa sapesse guarire le persone e tentava ogni giorno con un
fiore malato. La dottoressa li supervisionava ed evitata che eccedessero
nell’uso del loro grande dono, o maledizione, come preferivo pensarlo.
Sonya Karp mancava da un po’ di
giorni, e Adrian fu subito ben predisposto nel darmi delucidazioni a riguardo.
La signorina si era recata a corte per motivi personali. In segreto speravo che
avesse a che fare con quel guardiano, Mikahil.
Come se non bastasse la primavera
si stava avvicinando e questo poteva significare solo una cosa: l’inizio dei
pre-esami finali per noi novizi. Il lunedì seguente sarebbe cominciata l’esercitazione
più temuta. Avremmo vestito i panni di veri guardiani, seguendo un moroi
assegnatoci in precedenza, nella sua vita quotidiana, il nostro compito
ovviamente proteggerli da eventuali attacchi di strigoi. Essendo un
esercitazione, gli strigoi in questione non erano altro che i nostri guardiani
camuffati, ma questo non faceva venire meno la tensione.
Si avvicinava il grande giorno
e con mio grande disappunto, scoprii
essere stata assegnata a Christian, il quale non sembrava essere molto più
felice di me. Lissa, invece, ne era entusiasta. Diceva che eravamo troppo
scorbutici e che questo poteva farci andare d’accordo. Io serbavo alcuni dubbi
a riguardo. Eddie fu assegnato a Lissa, ed invidia a parte, ero contenta che
lei avesse lui. Mi fidavo di Eddie. Era molto preparato e intelligente. Quello
a cui andò peggio di tutti fu Mason. Il moroi assegnatogli fu Camille Conta.
Non serviva aggiungere altro.
La sera prima dell’inizio dell’esercitazione avevo
i nervi a fior di pelle e non riuscivo a dormire. Non capivo da cosa derivasse
tutta questa agitazione, ma il fatto che non riuscissi a calmarmi mi mandava
fuori di testa. Sgattaiolai fuori dalla mia camera, conscia che fosse attivo il
coprifuoco e feci una passeggiata sotto il sole notturno. Subito non mi accorsi
dove stavo andando, ma pian piano mi accorsi che i miei piedi erano diretti al
mio paradiso zen. Arrivata però ebbi una grande delusione. Il fatto che la cara
signora Karp fosse in visita a corte,
aveva significato mancanza di cure alle mie bellissime rose nere. Le rose
sembravano appassire a vista d’occhio, così come quella sensazione di calma che
speravo di trovare.
“Nervosa per domani?”.
Mi girai di scatto al suono della
sua voce profonda.
Vidi un mezzo sorriso in risposta
al mio spavento.
“Ti ho vista sbucare dai tuoi
alloggi. Sei fortunata che fosse il mio giro di ronda.”
Sbuffai per essermi fatta beccare.
“Fai troppo bene il tuo lavoro”.
Ghignò.
“O forse non hai saputo
mimetizzarti al massimo”.
Gli feci una smorfia in risposta.
“Per sei settimane non ci
alleneremo, spero di non perdere il mio tocco”.
Lui rise.
“Ormai, non ho più niente da
insegnarti, sai tutto, devi solo applicarlo come tu ben sai.”
Alzai le spalle.
“Mah…”.
Al ritorno dalla montagna, io e
Dimitri eravamo ritornati quelli di prima. In parte. Lui non sembrava più teso,
come prima della partenza, ma tuttavia quegli sguardi che solo lui sapeva
lanciarmi non erano affatto diminuiti. La cosa mi frustrava e cercavo di
lasciar correr e non darci peso, buttandomi a capofitto su tutti i suoi
insegnamenti.
“Davvero Rose, io mi farei
proteggere da te, diventerai un buon guardiano.”
Lo guardai riconoscente, volevo
quasi aggiungere altro, ma mi sembrava fuori luogo, perciò battei in ritirata.
“Grazie. Ora torno in camera. Ci
vediamo domani!”
Sperai di non essere sembrata
troppo strana, ma a ripensarci cavoli, io strana c’ero nata.
*
La prima settimana d’esercitazione
passò abbastanza tranquilla, tralasciando l’episodio dell’altro ieri. Mason era
stato uno dei primi novizi ad essere attaccato, nel suo caso, da un
Alberta/strigoi e lo scontro non era stato dei più memorabili, soprattutto
contando che la sua protetta, Camille Conta, dallo spavento si era messa a gridare istericamente. E per istericamente,
intendevo che attualmente mezzo corpo studentesco era momentaneamente sordo.
Sottoscritta compresa. Mason comunque era riuscito a mettere in una posizione
di sicurezza il suo moroi e riuscire ad impalettare (figuratamente) lo strigoi.
Stavo accompagnando Christian in
mensa, ed era tutta la mattina che avevo una brutta sensazione, ero più che
sicura che quel giorno mi avrebbero attaccato. Ero in allerta e fiutavo ogni
spostamento dell’aria. Camminavo all’esterno lasciando Christian tra me e il
muro.
“Giuro che mi stai facendo
innervosire”.
Gli lanciai un’occhiataccia.
“Ok, come non detto. Senti, tu
che…”
Stava leggermente tentennando, così
gli prestai più attenzione.
“Tu che hai un po’ più di
confidenza con Adrian, potresti chiedergli se ha novità sulla regina.”
Christian apparentemente era quello
che avevo preso questa storia il più male possibile, e da una parte non gliene
davo torto, dato che il problema era in parte “colpa sua” o così di sicuro si
sentiva. Era un argomento dolente pure per me, visto che riguardava anche la
mia dipartita.
“Gli chiederò se ha sentito
niente…” stavo parlando quando un movimento furtivo mi fece accapponare la
pelle.
Stan mi stava attaccando.
Automaticamente chiusi ogni
possibilità di via che portasse a Christian. Estrassi il mio finto paletto e
studiai il mio avversario. Mi colpì più del dovuto il fatto che fosse trasandato
come uno strigoi vero e proprio o forse ero io che lo vedevo davvero così.
Si buttò su di me, velocemente
riuscì a schivare il suo colpo. Gli rifilai un pugno, ma a suo volta un suo
gomito riuscì a tirarmi un colpo secco sullo stomaco. Mi lasciò senza fiato,
non per la potenza, quanto per quello
che scatenò dentro di me, aveva involontariamente schiacciato un interruttore.
Mi aveva centrato sullo stesso punto in cui lo strigoi mi aveva colpito un
secondo prima dell’arrivo di Nikolai ed eccola, a tradimento, quell’immagine
che non riuscivo a cancellare mi si parò più vivida che mai. Il suo collo
lacerato da quel mostro...
Stan/strigoi caricò un altro colpo
che parai malamente. Lo deviai sbagliato e sentii il mio sopracciglio pulsare,
mentre qualcosa di caldo mi colava lungo il viso. La sensazione di deja vu era
sempre più forte come il mio respiro.
Cercai di focalizzare quello che mi
circondava e la certezza che fosse un esercitazione e non quel ricordo.
“Rose”.
Christian urlò il mio nome e a
fatica ritornai in me, ripetendomi che non era il passato e che Christian ne
era la prova.
Cercai di regolarizzare il mio
respiro ed eclissare quella rabbia cieca che già sentivo montarmi dentro, nei
colpi che iniziai a sferrare al mio avversario una volta in me. Tutte le mosse
che Dimitri mi aveva insegnato, mi passarono a flash nella testa e in due
secondi uccisi fintamente lo Stan/strigoi.
Stavo sudando e non me ne ero
neanche resa conto. Il silenzio che c’era attorno a me si trasformò in un
boato, quando mi accorsi di avere più pubblico di quanto pensassi.
Arrivò Alberta che aiutò il
guardiano Stan a rialzarsi, il quale mi guardava pensieroso.
“Non so cosa ti sia preso
all’inizio, ma mi complimento con il tuo destro.” Era sincero, ma notai altro
nel suo sguardo. Osai quasi dire preoccupazione.
Scrollai la tensione e il suo
sguardo di dosso e cercai di sorridere, perché cavolo era riuscita a salvare il
mio protetto, ma dovevo ammettere che era stato lui a salvare me. Se Christian
non mi avesse svegliato dal mio stato di trans in cui stavo precipitando le
cose sarebbero finite diversamente, lo sapevo.
Gli spettatori a poco a poco si
diradarono e restammo solo io e il mio moroi.
“Tutto bene?” guardava il taglio
sul mio sopracciglio.
Annui percettibilmente. Stan mi
aveva concesso il permesso di andare in infermeria, per cui accompagnai il mio
moroi dai donatori, dove avrebbe dovuto incontrarsi con Lissa, e lo lascia
sotto la protezione momentanea di Eddie. Ero il suo guardiano e avevo comunque
dei doveri a cui adempiere.
Mentre la dottoressa mi medicava la
ferita, non facevo altro che pensare a Nikolai. Ero così convinta di averla
supertata, che rendermi conto che invece non era altro che una bugia mentale,
mi dava un stordimento continuo.
Lasciai l’infermeria senza neanche
sapere se avevo salutato o meno la dottoressa, persa com’ero dentro di me.
La giornata sembrava non voler
finire più, tanto che quando accompagnai Christian nel suo dormitorio la sera,
ero sfinita come se avessi fatto una maratona.
“Ehi, Rose” mi disse, mentre me ne
stavo andando. Mi voltai e restai in ascolto.
“Sei stata grande oggi”. Era
sincero, e non ironico come sempre.
Alzai un pollice e gli sorrisi, poi
me ne andai prima che aggiungesse altro.
Sulla strada del ritorno incontrai
Adrian o meglio lui sbucò dal nulla facendomi prendere uno spavento, ero
davvero ko.
“Ho sentito delle tue performance.”
Mi sorrise sbarazzino.
“A quanto pare, ma ho solo fatto il
mio dovere!”. Minimizzai.
Lui alzò le spalle e si incamminò
al mio fianco.
“Dicono che metti paura” mi
guardava di sottecchi.
Ghignai, ma lui mi osservava sempre
più serio.
“La tua aura è un po’ scura…”
“E allora?” mi misi sulla
difensiva.
Mi fermò per un braccio.
“Cosa ti corrode dentro?”.
Lo guardai spiazzata da quella
domanda così diretta.
Nikolai. Mi sussurrava il mio
inconscio.
Spostai il mio sguardo dal suo, era
troppo da sorreggere.
“Perché mi tieni alla larga da
te?”.
Mi voltai di nuovo verso di lui,
non capendo, sembrava stesse per iniziare uno dei suoi deliri dallo sguardo che
aveva. Mi guardava. Intensamente.
Mi teneva già per un braccio, mi
afferrò anche l’altro avvicinando il suo viso di più al mio.
Che cosa stava succedendo?
Ero inerme e così stanca da non
riuscire a reagire. Nel mio giorno migliore lo avrei già allontanato e magari
pure messo al tappeto, ma in quel momento ero sfinita, sola e completamente
confusa.
“Di cosa parli?” chiesi
balbettando.
“Lo so che probabilmente hai ancora
dei sentimenti per un’altra persona, ma sai come me che la cosa non avrà mai
futuro”.
Mi irrigidii. E adesso perché mi
diceva quelle cose?
“Io ti vedo dentro ricordi?”
sorrise come imbarazzato di questo fatto. “Non lo faccio apposta, lo sai, ma
resta il fatto che ti vedo. Vedo cosa provi costantemente, e quanto soffri. Io
voglio lenire questo tuo dolore. Voglio aiutarti. So che posso, se tu ti
lascerai aiutare…”
Non so come, iniziai a piangere. Le
sue parole, dovevo ammetterlo, mi avevano toccato. Mi guardava così
intensamente e lo vidi, si stava avvicinando. Voleva baciarmi. In cuor mio
sapevo che se lo avessi baciato, sarebbe stato uno sbaglio, perché fingere di
potermi buttare sulle sue braccia, non avrebbe cambiato il fatto che ogni fibra
del mio essere amava Dimitri. Non so perché, ma sapevo che il mio amore per il
mio mentore, era qualcosa più grande di me, di noi, di tutto. Eppure, Adrian si
avvicinava ed io non mi scostavo, forse perché lui non me lo permetteva, forse
io non me lo permettevo, ma io continuavo a piangere e lui si fermò.
Mi guardò sconsolato con i suoi
occhi così limpidi. Mi dispiaceva per lui e per me stessa, per non potermi
innamorare di lui.
“Il coprifuoco è attivo da
mezz’ora!”
La voce imponente di Dimitri
squarciò l’aria intorno a noi.
Adrian si staccò piano da me
sospirando, per nulla intimidito dal tono di Dimitri, che si trovava alle sue
spalle. Io ancora non l’avevo visto, eppure non presagiva nulla di buono.
Come Adrian si spostò, incrociai lo
sguardo di Dimitri, sembrava calmo e furioso allo stesso tempo, ma quando notò
che piangevo afferrò saldamente Adrian per un braccio.
“Che cosa sta succedendo qui?”
tuonò.
Lo stava guardando con rabbia.
Mai avrei pensato di poter rimanere sconvolta di una
cosa così. Sconvolta di Dimitri, che aveva agito prima di pensare.
Lui non lo
faceva.
Mai.
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Capitolo 23 *** capitolo 23 ***
capitolo 23
Rullo di tamburi... siamo alla fine.
il prossimo capitolo che posterò sarà l'epilogo e spero davvero di non aver deluso nessuno.
Gli addii li conservo per la prossima volta, per cui buona lettura e spero vi piaccia.
xoxo
CAPITOLO
23
Dimitri fissava Adrian con sguardo
affilato, con una punta furente.
“Niente… purtroppo…” disse il moroi
in un tono quasi da sbruffone, ma che però arrivò come un lamento.
Il sopracciglio di Dimitri fece un
scatto leggermente percettibile, che non prometteva bene, per chi come me lo
conosceva.
“Non succede niente” dissi io,
prima che la situazione si fraintendesse più del dovuto.
Dimitri mi guardò per capire se gli
stavo nascondendo qualcosa, perciò a mia volta lo fissai caricando il mio
sguardo di tutta la sincerità possibile. Non so cosa ci vide, ma lasciò andare
il braccio di Adrian.
Fece un respiro per calmarsi e
tornò in se.
“Torni ai suoi alloggi, signor
Ivashkov” fece Dimitri nella sua veste professionale
Adrian non sembrava capire la
gravità della situazione o forse faceva finta a non intuirlo. Fece un passo
indietro, ma non per andarsene, bensì per essere di nuovo rivolto verso di me.
“Rose… Dovevo provarci…” accompagnò
la frase con una lenta alzata di spalle, come se infondo si aspettasse che le
cose sarebbero andate così.
Lo guardai, ma non sapevo cosa
rispondergli, amavo Dimitri e le cose non sarebbero mai cambiate. Non potevo
sforzare dei sentimenti falsi per lui, non sarebbe stato giusto, per entrambi.
I suoi sembravano capire la mia
silenziosa spiegazione e allora se ne andò, lasciando me e il mio mentore in un
silenzio delicato.
Mi voltai a guardarlo e lui fece lo
stesso, non sapevo se dovevo dire qualcosa o meno, perciò mi girai e mi avviai verso
i miei alloggi.
L’aria era strana, un po’
elettrica, e le temperature andavano ad alzarsi. L’inverno stava passando.
Ormai ero arrivata, ancora una
decina di passi e potevo dire fine a questa infinita giornata, ma
all’improvviso sentii il profumo di quel dopobarba circondarmi e la sua mano
afferrare il mio braccio e trascinarmi dietro a lui. Priva di qualsiasi volontà
e scioccata che mi avesse rincorso, lo seguii attratta come una falena verso la
luce.
Si inoltrò un po’ nel bosco e alla
si fermò. La sua mano ancora stretta sul mio braccio.
Non fece cenno di muoversi. Io gli
stavo dietro, il naso gli sfiorava di un millimetro il soprabito da cowboy che
portava sempre e che io ora adoravo più che mai.
Tentai di muovermi, quando lui
parlò.
“No!”.
Guardai stordita la sua schiena,
come se lo stessi guardando in viso.
“Cosa?” dissi, effettivamente, non
capendo.
“No” ripetè lui, voltandosi.
Il suo sguardo un fuoco tenebroso
di sentimenti.
“Ho detto no. A Tasha.”
Il mio cuore perse un battito, e
poi un altro.
Mi aveva davvero lasciato a bocca
aperta, mai avrei pensato che sarei riuscita a sentire quelle parole uscire
dalla sua bocca, nemmeno nei miei sogni. Eppure, stava succedendo, proprio ora.
Cercai di riprendermi ed essere
sicura di aver capito giusto.
“Perché? Era la tua occasione di
avere una famiglia” dissi di getto. “Lei è pazza di te”.
O cotta, come diceva sempre Lissa.
“Per un po’ ho pensato che avrebbe
potuto funzionare, ma sapevo che in verità, l’avrei solo presa in giro”.
Come io con Adrian?
“Perché?” chiesi ancora, senza
fiato dalle mille emozioni che mi sconvolgevano.
Eravamo rinchiusi in una bolla
privata.
“Perché sapevo che il mio cuore non
le sarebbe mai appartenuto…”
Mi guardava perforandomi l’anima.
Tutto questo non aveva senso.
“Tu avevi detto…”
“Ho mentito!” disse agitandosi, le
mani tra suoi splendidi capelli. “Tu… tu mi prendi come non mi è mai successo
prima. Quel giorno avevi ragione” sorrideva sarcastico “…io mi domino, sempre.
E tu, una ragazzina, eri riuscita a capirlo, eri riuscita a leggermi l’anima e
questo, mi ha spaventato.”
Tacque un secondo, un minuto o
forse ore.
“ Tasha è simpatica, intelligente e
non mi avrebbe spaventato perché…”
E allora capii.
“Perché lei non ti capisce!”
completai la sua frase. Tutte le sensazioni che mi dava e avevo su di lui erano
sempre state vere, non erano mai state frutto della mia fantasia, come volevo
credere.
Lui mi guardò svuotato del suo
macigno.
“Quando a Natale mi ha chiamato con
il mio diminutivo e ho visto la tua faccia, per un momento, ho provato quasi
odio per lei, perché ti aveva fatto soffrire, anche se inconsapevolmente. Mi
sono odiato anche’io, perché sono rimasto seduto”.
A lui era sempre importato. Questo
mi bastò.
Mi bastò per sentire il mio cuore
in parte riprendere vita, solo in parte però, perché alla fine c’era un’altra
consapevolezza.
“Però non possiamo stare assieme”.
Lui mi guardò consapevole anch’esso.
“No.”
“Tu il mio mentore, ed io una
studentessa”.
Si avvicinò. “Si”.
La mia voce si incrinò.
“E fra pochi mesi tu sarei il
guardano di Lissa, e sperando, anche io”.
Un altro passo. “Si”.
Era a pochi centimetri da me.
Sentivo il suo calore fin dentro le ossa.
Azzardai un sospiro. “Fra pochi
mesi…” e quindi non ora.
Stupendomi lui disse “Si”.
Si chinò con l’intenzione di
baciarmi, con mia sorpresa mi tirai leggermente indietro. La sua sorpresa forse
era più grande della mia.
“Hai detto che non avrei più dovuto
farlo” sussurrai.
Gli stavo dando la possibilità di
scegliere, di capire se lo voleva davvero o fosse solo una volontà presa dalla
situazione.
“Te l’ho detto… ho mentito” sussurrò
a sua volta, prendendo la sua decisione.
Per quei pochi momenti non ci
furono più ostacoli tra noi. Solo Dimitri e Rose, che si volevano.
*
Ero felice, come forse non lo ero
mai stata. Sapevamo che dovevamo tornare indietro, era da un po’ che eravamo
nel bosco e per la prima volta incamminarsi verso l’ignoto, non fu poi così
spaventoso come nel passato avevo temuto. Non sapevo che cosa aspettarmi da
quella svolta, ma ciò non mi importava. Tutto quello che sentivo era il mio
cuore battere gioioso e la mia mano stretta in quella calda dell’unico uomo che
sarei mai riuscita ad amare così intensamente.
Ad un passo dalla vita reale lui mi
attirò di nuovo a se e mi baciò ancora. Non avrei più potuto fare a meno dei
suoi baci, lo sapevo.
Ci staccammo, cercando di regolarizzare
i nostri respiri.
“Cos’è successo oggi durante
l’attacco?” mi chiese tornando lentamente nei suoi panni da mentore.
“Cosa ti hanno riferito?” chiesi
nella mia beatitudine.
“Nulla” mi disse tranquillo “Ti ho
visto. Non me lo sarei mai perso”. Persi un battito.
Mi aveva tenuto d’occhio. Era una
cosa che avevo relegato nel cuore, la paura che non sarebbe venuto a vedere il
frutto dei nostri duri allenamenti. Lo amai, se possibile, più di un secondo prima.
“Cosa ti è preso? L’ho visto sai,
lo spavento nei tuoi occhi.”
Mi incupii leggermente al ricordo
delle sensazioni provate.
“Nikolai” dissi “La sua morte.
Speravo di averla superata e invece…” lasciai morire la frase nel nulla.
Lui sorrise triste e mi accarezzò
il viso. Non ero abituata a quel tocco delicato su di me, ma sapevo che ne
avrei conservato il ricordo per sempre.
“Non penso ci riuscirai mai. Hai
visto morire una persona importante, non sono cose che si dimenticano
facilmente. Oh, Roza… solo il tempo ti aiuterà a convivere con questo, te
l’avevo già detto, no?”.
Era una cosa che sapevo, ma detta
da lui sembrava una cosa realmente possibile. Lui sapeva infondermi la forza per
affrontare tutto.
Gli sorrisi.
Staccammo le nostre mani e ci
incamminammo verso gli alloggi.
Questa disastrosa giornata sembrava
voler terminare col lieto fine. Era tutto troppo bello, io ero troppo felice, era,
davvero, tutto troppo… E la cosa iniziò ad innervosirmi.
Qualcosa non andava. Mi bloccai e
Dimitri lo stesso. Si guardava attorno in allerta, quindi non era solo una mia
impressione.
Provai a concentrarmi e notai una
cosa.
“Troppo silenzio” dissi. Lui annuì.
Gli uccellini e gli altri rumore
tipici del bosco circostante si erano zittiti in un secondo.
L’orribile soluzione ai nostri quesiti
non tardò arrivare, con i suoi spaventosi occhi e l’aura di morte.
Gli strigoi stavano attaccando la St.
Vladimir.
Ne vedemmo due, che a loro volta ci
avevano visto. Ci attaccarono senza indugio.
Io non pensai e agii.
Come una cosa sola, io e il mentore
combattemmo in sintonia come se lo facessimo da una vita. Io non avevo il
paletto perciò, misi il mio strigoi in difficoltà fino a quando, dopo che
Dimitri impallettò il suo, mise fine all’esistenza anche del mio avversario.
Ci guardammo attorno in attesa di
vederne spuntare altri.
Lui mi strattonò, perché gli
prestassi ascolto.
“Devi correre ad avvertire gli
altri guardiani” annuii piena di adrenalina.
“Dì loro buria” disse con tutta la sua intensità.
“Buria”. Ripetei.
“Corri”. Gridò.
Non persi tempo questa volta. Era
una giornata di deja vù, ma ero ben conscia di quello che avevo attorno ora e
non mi sarei più fatta prendere alla sprovvista dagli eventi.
Corsi a perdifiato attraverso l’accademia
e appena sperai di essere udibile, iniziai a gridare quella parola. Buria.
Alcune luci si accesero, alcune
porte si aprirono. Alberta fu la prima che incrociai.
“Rose” mi guardò accigliata.
Non persi tempo. “Gli strigoi ci
attaccano. Buria!”
Com’era comparsa, Alberta, si era
anche volatilizzata. Non sapevo quella parola quale processo avesse dato il
via, ma il mio compito non era certo terminato qui.
Nel giro di qualche minuto i
guardiani si erano suddivisi e si stavano già dividendo gli incarichi. I moroi
erano da proteggere e questo era una cosa che sapevo anche io, ma sapevo anche
che Dimitri era la fuori.
Corsi indietro per la strada che
avevo fatto pochi minuti prima e quando uscii sotto il cielo stellato, rimasi
sconvolta da quello che mi trovai davanti. La battaglia era già in atto. Cercai
Dimitri con lo sguardo, ma non lo vidi. Tuttavia, mi balzò subito agli occhi un
guardiano a terra la cui vita gli era stata da poco strappata. Provai una morsa
d’odio per gli strigoi. Notai, poi, anche un’altra cosa: il suo paletto ancora
nel fodero. Non ci pensai due volte, lo raggiunsi e presi la sua arma.
Tutta la stanchezza che pensavo di
avere scomparve, e una forza crescente mi diede coraggio.
Speravo che Lissa fosse al sicuro,
così come tutti. Andai verso l’alloggio dei moroi più vicino, e si trattava di
quello dei bambini. Volevo aggiungere un membro in più alla linea difensiva.
Durante il tragitto incontrai uno
strigoi, che mi prese piuttosto alla sprovvista, ma lo riuscii ad impalettare
con una mossa strategica insegnata da Dimitri.
Poco dopo incontrai un altro mostro
che però non si lasciò sopraffare come quello appena trovato. Era più grosso e
decisamente più forte. Non ci pensò molto e mi attaccò usando, ovviamente,
tutta la sua forza. Usava gambe e braccia con una velocità davvero estenuante.
Riuscii a tagliarlo su un braccio
facendolo gridare e arrabbiare di più.
Mi colpì forte su una spalla
facendomi cadere.
Ok, stavo iniziando a sudare
freddo.
Mi preparai ad infilzare il mio
avversario in qualsiasi punto possibile, quando improvvisamente prese fuoco,
come una torcia. Le sue grida erano orribili e fastidiose, ma nel girò di poco
morì.
Mi guardai soprafatta intorno.
Sapevo che viso cercare, ed eccolo lì. Christian.
La sua faccia era seria e coinvolta.
“Dovresti essere al sicuro negli
alloggi!”.
Lui sbuffò.
“Un grazie no, eh?”.
Mugugnai qualcosa, ma lui parlò ancora.
“E’ la mia vendetta personale…”
Diceva sul serio. Era davvero
sicuro di quello che stava facendo. Aveva caricato in quelle parole, tutto il risentimento
che fin da piccolo si portava dietro, a causa di scelte non sue.
Ci guardammo ancora una volta negli
occhi e credo pensammo alla stessa cosa. Le mie doti e le sue doti.
Annuimmo contemporaneamente e
iniziammo a cercare gli strigoi affannosamente.
Ucciderli, grazie all’aiuto di
Christian, era davvero un gioco da ragazzi.
C’erano molti strigoi che tentavano
di entrare negli alloggi dei moroi giovanissimi e altrettanti erano anche i
guardiani, tra cui Dimitri. Ero felice di sapere che stesse bene.
Combattemmo per un po’ con tutte le
nostre forze, fin quando notai che Christian stava per cedere, aveva esaurito
tutte le sue energie e allora gli dissi di mettersi in salvo.
“Posso continuare” urlò offeso.
Lo strattonai.
“Hai dimostrato il tuo onore, ora
ti prego raggiungi gli altri moroi.”
Perse concentrazione ed io anche.
Uno strigoi lo attaccò alle spalle, lo scostai malamente facendolo cadere
brutalmente a terra e mi trovai così messa in svantaggio nei confronti di quel
mostro.
Iniziavo a perdere lucidità,
l’adrenalina era andata a calare e tutta la stanchezza accumulata nella
giornata si stava facendo sentire, proprio nel momento peggiore.
Lo strigoi mi tirò un pugno al viso
che mi fece accasciare a terra.
Sarei morta, lo sapevo. Già una
volta mi ero trovata a faccia a faccia con quella che credevo sarebbe stata la
mia ora, e forse, da quella volta, l’avevo solo prolungata.
Le forze mi avevano ormai
abbandonata. Non sentivo più i rumori della battaglia, a parte il distante battito
del mio cuore. I miei occhi si tenevano aperti a fatica, eppure ancora
resistevano e sapevano, che non erano quegli occhi rossi che volevano guardare,
non sarebbero stati quelli, l’ultima cosa che avrei visto. Voltai lo sguardo in
quella che ero certa essere la direzione giusta, me l’aveva indicata il cuore.
Ed eccolo lì. Dimitri stava correndo verso di me e mi tendeva la mano. Ero conscia
di essere troppo distante e lo era anche lui.
I suoi occhi incontrarono i miei, ed
ecco cosa volevo vedere: il suo amore per me. Non mi bastava altro. Me ne
andavo sapendo di aver amato e di essere stata amata.
“Ti amo” pensai di sussurare, poi l’oscurità calò su di
me.
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Capitolo 24 *** epilogo ***
epilogo
Ringrazio
chiunque abbia seguito questa mia storia. È stata una illuminazione di una notte
e l’ho scritta di getto. Ho adorato Dimitri e Rose in ogni libro e questo è stato
solo un modo per riviverli ancora una volta.
Spero
davvero di non aver deluso nessuno e detto questo vi saluto e vi ringrazio ancora
una volta.
Xoxo
Deba
EPILOGO
Dimitri
Baia.
Erano anni che non tornavo a casa.
Il mio villaggio natale si era modernizzato dall’ultima mia visita. La via
centrale del paese aveva aperto nuovi ristoranti e nuovi negozi, tuttavia,
l’aria di casa era sempre la stessa. Il paesaggio circostante immutato. Era
estate ora, i boschi verdeggianti e l’aria tiepida.
Sorrisi al ricordo di quando Rose
disse, che vivevo circondato da neve e ghiaccio. Era così sicura di ciò.
Ricordo che disse, che la prima cosa che avrebbe fatto uscita dall’accademia,
sarebbe stata venire a visitare la mia terra ed io, in quello stesso istante, ci
avevo creduto davvero. Quegli occhi erano stati sinceri all’epoca e proprio
quegli stessi occhi, ora, mi scrutavano ad un paio di passi da me. Avevamo
mantenuto entrambi la promessa.
Da un po’ di tempo ormai, il mio
hobby preferito era diventato capire cosa il suo cervello stesse elaborando. Il
più delle volte mi sorprendeva sempre, anche se lei era certa che io le
leggessi la mente.
“A cosa pensi?” le chiesi
tranquillo, come solo con lei riuscivo ad essere. Me stesso.
Lei sorrise colta come sul fatto.
“I tuoi occhi brillano. Sei
contento di essere qui”.
Era raggiante e lei non riusciva a
capire che i miei sentimenti erano un riflesso dei suoi.
“Lo sono.”
Mi sorrise ancora e procedetti a
piedi attraverso la città in cui ero cresciuto, con lei al mio fianco. Una cosa
che solo tre mesi prima non avrei creduto possibile.
Ricordo come fosse ieri la prima
volta che la vidi. Il funerale del nostro stesso mentore. Lei era così spenta,
così spaventata e così bella. Sapevo chi era e cosa aveva fatto, eppure a
colpirmi di più, furono quegli occhi, così profondi, così intelligenti, che
cercavo a tutti i modi di leggere già all’epoca.
Innamorarmi di lei fu facile, ammetterlo
a me stesso per niente.
C’era così tanto a bloccarmi, l’età
per esempio o il fatto che fossi un guardiano della sua accademia. Ero più che
certo che la gente non avrebbe capito, ma fortunatamente, cambiai idea grazie a
lui. Lui che fu importante per entrambi noi, il guardiano Lazar.
È una semplice frase che serbo
segreta dentro di me: a tessere la tela
del tuo destino, sei solo tu.
Sapevo il potere che Rose esercitava
su di me, e quando mi chiese di diventare il suo mentore le disse subito di no.
Dovevo evitare di creare qualsiasi sorta di legame tra noi, ma c’era poco da
fare, mi accorsi, che c’era già. Inspiegabilmente c’era già. Il fatto che lei
mi evitasse, mi feriva, e non volevo ammetterlo, ma per fortuna trovai una
scusa a me stesso e le dissi di si.
E’ una delle scelte di cui sono
stato più sicuro. Come quella con Tasha. Avrei fatto uno sbaglio enorme se
avessi detto di si, avrei reso infelice lei e me. Io incapace di
contraccambiarla e lei costretta ad una vita senza amore.
Ebbi, infine, la certezza di aver
fatto la scelta giusta in quell’istante, quando la mia Roza stava per essere
colpita da quel strigoi. Era come se stessero per uccidere me, mi era passata
davanti la mia intera esistenza e tutto ciò a cui pensavo era,di non aver avuto
ancora la possibilità di viverla, la mia piccola dhampir. Lei mi aveva guardato
con uno sguardo carico di tutto l’amore che provava per me e lì, mi fu chiaro,
che non avrei potuto vivere senza di lei.
Avevo lanciato il mio paletto con
tutta la forza possibile e fu abbastanza per fermare quel dannato, che presto
morì grazie alle ultime energie del moroi Ozera. Un ragazzo coraggioso a cui
devo la mia felicità e tutta la mia più sincera ammirazione per il lavoro
svolto durante l’attacco strigoi. Fu soprattutto grazie a lui, che quella notte
riuscimmo a ricacciare indietro gli strigoi, spaventati dal suo talento.
“Ho paura” disse Rose,
mordicchiandosi nervosamente un unghia.
La guardai interrogativo,
ritornando al presente.
“E se non dovessi piacere a tua
madre?”
Risi per quell’intervento. Solo lei
poteva sconfiggere senza timore dieci strigoi alla volta, e farsi prendere dal
panico per una cosa così.
L’attirai a me, mettendo un braccio
attorno alle sue spalle. Una sensazione a cui non ero ancora abituato, ma che
mi piaceva, mi piaceva molto.
“Non potrà essere altrimenti. Sei
riuscita a riportare a casa il figliol prodigo, te ne sarà grata in eterno.”
Anche lei sorrise solare, poi si
guardò attorno e sospirò.
“Sono sicura che anche a Lissa
sarebbe piaciuto questo posto”.
La strinsi di più a me, sapevo
quanto le mancava l’amica.
“E chi dice che non potremmo
portarla? Chissà, magari un giorno, il tuo moroi e il mio vorrebbero venire a
farsi una gita in questi posti, no?”
La possibilità che io e Rose
fossimo assegnati entrambi a Vasilisa era un altro fattore contrario e che mi
aveva bloccato ad una nostra ipotetica relazione. E a metterci lo zampino, come
se non bastasse, ne era intervenuta perfino la regina in persona, che fino a
prima rispettavo come un Dio.
Fortunatamente riuscimmo ad
aggirare l’ostacolo, e ci avvalemmo dell’intelletto.
Christian Ozera fece domanda perché
diventassi il suo guardiano ed io, ovviamente, accettai e Rose fu di
conseguenza assegnata a Vasilisa.
La mia Roza… dopo l’attacco strigoi
si era ripresa alla grande e aveva superato l’esame finale brillantemente, una
delle migliori novizie, che l’accademia avesse mai visto.
Infine, vedersi non sarebbe stato più
un problema, dal momento in cui che Vasilisa si era scoperta in attesa di un
bambino. La loro felicità era palpabile, quando li si guardava e mi chiedevo se
fosse lo stesso vedendo me e Rose dall’esterno.
I due si sarebbero sposati la
settimana prossima, il giorno prima dell’inizio ufficiale del nostro incarico
come guardiani ed io e la mia Rose avremmo presenziato a testimonianza del loro
amore.
Adrian Ivashkov, il quale non
riuscivo ancora a digerire per il fatto che avesse provato a baciare Roza, ci
aveva informato che la regina aveva dato in escandescenza quando aveva saputo
la notizia della gravidanza di Vasilisa e il conseguente matrimonio. Lui era ritornato
a corte e si era offerto di tener d’occhio la regina Tatiana, non sapendo le reali
intenzioni della stessa a riguardo. Lui doveva molto a Vasilisa e le era debitore.
Noi, a nostro modo, ci saremmo mantenuti sempre allerta. Non so di preciso come,
ma Rose, aveva un informatore fidato tra i guardiani reali, solo lei poteva essere
così brillante.
Eravamo tutti pieni di entusiasmo
per la vita che ci si stagliava davanti. Io per primo mi ero ritrovato sorpreso
di quanto in quest’ultimo anno fossi cambiato. Avevo scoperto di aver ancora
tanto da apprendere, ancora tanto da dare. Il nostro percorso era solo
all’inizio e insieme a Roza ero certo che avrei vissuto ancora tante avventure
come quella che si stava parando proprio di fronte a noi.
Eravamo giunti davanti alla casa di
mia madre.
“Pronta?” le chiesi ironico.
“No” disse ovvia.
Risi. “Ti amo, Roza”.
“Mi sembra il minimo” disse
burbera.
E risi ancora, e ancora. Non c’era
nessuno come lei. Non ci sarà mai nessuno come noi.
The
end
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