Broken Rose

di deba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


capitolo 1

Broken Rose

PROLOGO

 

 

Ripenso spesso a quel momento.

In quell’istante ero quasi convinta di vivere un deja vu, di vivere un momento già successo e in qualche modo, lo era davvero, solo, stavolta c’eri tu nei miei pensieri. Tu e le tue parole.

“Non puoi prenderti la colpa di tutto”.

Una cosa che tendevo fare spesso all’epoca. Credevo che il mondo girasse intorno a me e che ogni evento fosse direttamente legato a me. Che ipocrita che ero, eppure non ero certo una che tendeva a mettersi in mostra, o forse si. Forse lo facevo davvero.

Magari è questo che ti ha fatto attrarre a me, così uguali e così diversi.

Quell’istante in cui allungasti la tua mano, quando ormai sapevo che la morte sarebbe arrivata, lo capimmo entrambi, quello che ci legava era amore.

Vero amore.








Capitolo 1

 

“Ehi, vecchio!”

Dissi con molta ‘educazione’ al mio mentore, mentre lo raggiungevo alla nostra solita ora di allenamenti.

Lui stava in piedi all’entrata della palestra, con la solita postura che caratterizzava tutti i guardiani, la sua forse era più rigida. La sua espressione poteva lasciar intendere che fosse abbastanza sull’incazzato, ma la scintilla divertita nei suoi occhi indicava che non se l’era presa per il modo in cui lo avevo chiamato, ormai c’era abituato o rassegnato, dipendeva dai punti di vista. Certo, di fronte ad altra gente non mi permettevo tale espansività, perché se c’era una cosa che avevo imparato, era che non  importava tu fossi un umano, un vampiro o un dhampir, perché se eri un adolescente al 99%, spettegolavi su tutto ciò che ti arrivava a tiro. Inoltre, se vivevi dentro quattro mura come me, le notizie facevano presto a correre e ad arrivare all’orecchio degli insegnanti e soprattutto del preside Thompson, il quale (sue testuali parole) era stufo di vedermi e darmi punizioni.

Forse vi starete chiedendo su cosa sto farneticando, scusate, mi presento.

Sono Rose Hathaway ho 17 anni e vivo nell’accademia St. Thomas, in Atlanta. Questa accademia è un po’ speciale, perché come accennavo prima, è frequentata da vampiri e dhampir. Non stiamo certo parlando di vampiri alla twilight (magari… ), perché questi, a differenza del bello e dannato Edward Cullen, nascono da genitori vampiri e vivono una vita lunga quanto un uomo umano può sperare. Non sono immortali, ma non si ammalano praticamente quasi mai, hanno dei sensi un po’ più sviluppati e alcuni di loro sono specializzati in qualche potere che varia tra l’aria, l’acqua, il fuoco e la terra. E poi ci sono i dhampir, ovvero quelli come me, che nascono dall’unione tra un umano e un moroi, come noi chiamiamo i vampiri. Possiamo nascere anche da un moroi e un dhampir, ma mai da due della nostra specie. Bah, va capire tu la selezione naturale. Pace Darwin.

Noi dhampir non abbiamo poteri, però siamo forti e veloci, abbiamo la parte migliore dei moroi e quella degli umani, il sole ci abbronza e il sangue non ci tocca, a parte ai deboli di stomaco; è questo che ci permette di svolgere al meglio il nostro lavoro, quello per cui io ora sto studiando in questa accademia, ovvero diventare guardiano, al fine di proteggere loro, i moroi. Vi starete chiedendo: proteggere da chi. Dai strigoi.

Un umano, un dhampir o un moroi possono divenire uno strigoi in seguito ad una trasformazione dettata da un singolo morso, oppure un moroi affascinato dall’idea di immortalità potrebbe trasformarsi volontariamente, uccidendo una persona nutrendosene.

Lo strigoi è un mostro che uccide e purtroppo a differenza dei moroi, è immortale e doppiamente più forte, ma non invincibile. Il sole lo incenerisce, come il fuoco, la decapitazione lo uccide e un paletto d’argento forgiato dai quattro poteri dei moroi lo annienta. Per fortuna lui non possiede i poteri dei moroi, ci mancherebbe altro, tuttavia solo i guardiani riescono a tenergli testa, grazie alla nostra predisposizione genetica al combattimento e alla preparazione che riceviamo in queste accademie. Proteggere i moroi è fondamentale, soprattutto per preservare la nostra specie.

 

Non tutti i dhampir però diventano guardiani, alcuni scelgono di ritirarsi, di vivere tra gli umani, troppo codardi per vivere questa vita penso io, ma ammetto che sono pochi i maschi che lo fanno. Al contrario le donne. Poiché i dhampir possono procreare altri dhampir solo con un moroi, si penserebbe che la cosa non sia molto un problema. Sbagliato. Le moroi non si darebbero mai solo per riproduzione, loro si sentono di essere superiori, ciò non sfiora i moroi maschi, che se la spassano alla grande, ma nessuna moroi si preoccupa, perché sa che nessuno di loro sosterrà mai un relazione lunga con noi. Così ne esce un elevato numero di madri single che si allontanano da questo mondo e preferiscono allevare i loro figli tra gli umani, o in comunità. Quest’ultime però non godono di buona reputazione.

Come avrete ben capito non è quello che è capitato a me. Mia madre è un guardiano popolare, uccide a dritta e manca, vive per il suo lavoro. Non ricordo perfettamente il suo viso, è un po’ che non la vedo. L’indifferenza nei suoi confronti regna sovrana, anche se a volte mi chiedo se non avesse potuto cercare di creare un legame tra noi.

Come non detto, non voglio pensarci, già il solo fatto che sia quasi una celebrità mi irrita all’inverosimile, poiché sono più che certa che tutti si aspettino che sia una buona erede delle sue capacità. Vedo gli insegnanti guardarmi delusi quando non mi comporto come loro desidererebbero e questo mi fa incavolare il doppio, e  ne combino di peggio.

Ecco perché mi sono ritrovata con un mentore, l’accademia spera che io cambi, ma credo che anche il vecchio stia per perdere le staffe.

 

Il vecchio in questione è un russo, Nikolai Lazar, nella sua giovinezza è stato uno dei guardiani più temuti, ora ha 60 anni e fa da istruttore in questa accademia e devo ammettere che mi da tanto filo da torcere, sarà vecchio, ma non riesco mai a batterlo in combattimento, maledetto!

“Quale onore, pensavo non saresti venuta!” mi dice lui con serietà e il suo accento marcato russo.

“Stavo per prendere a pugni un reale dalle mani lunghe, ma poi ho visto l’ora e sono corsa qui!” gli dico angelicamente.

I suoi occhi si chiusero in segno di disperazione.

 

I moroi non sono tutti uguali, o meglio, sono divisi in casate e una decina di queste hanno origini così vecchie, che oggi vengono considerate reali. Sono più ricchi degli altri, e di conseguenza pretendono di fare tutto ciò che vogliono. Motivo per cui si avvalgono di più guardiani che li proteggano. Leggende metropolitane narrano di moroi che con i loro poteri si battevano a fianco dei guardiani contro gli strigoi, ma se così fosse, si tratterebbe di un bel po’ di tempo fa.

Le ragazze dhampir, che in questa accademia sono ben poche, sono un po’ diverse dalle ragazze moroi. Queste ultime sono bellissime da togliere il fiato, sembrano modelle, ma sono così magre da non avere molte curve, quello che invece non si può dire per le dhmapir. Siamo magre si, ma abbiamo tutte la curve al posto giusto, cosa che fa girare la testa ai moroi più del dovuto. Ecco perché tanti moroi non hanno problemi a fare figli con le dhampir, ma i moroi, soprattutto i reali, non possono abbassarsi ad una vita con loro, sarebbe ad oltre modo scandaloso.

Ed ecco perché quel Ivashkov dalle mani lunghe aveva provato a palpeggiarmi, perché lui, come tanti stupidi di questa scuola, pensa che mi sarei gettata fra le sue braccia solo per il fatto di essere un reale. Ammetto che sia stato coraggioso, non godo certo di buona reputazione qui, non che io abbia cercato di essere mai amichevole vero, però di amici ne ho ben pochi. Con  i moroi ambo i sessi tengo le distanze. Agli occhi dei maschi sono tipo “bella impossibile”  e quindi chi di loro riuscirebbe nell’impossibile, sarebbe un dio. Patetico! Agli occhi delle moroi sono una minaccia. Mah!

Loro saranno la mia priorità un giorno, lo so, ma per il momento con questi idioti, non voglio avere niente a che fare.

Per quanto riguarda gli altri novizi, ovvero dhampir che studiano a diventare guardiani, bè con la scusa di ‘allontaniamo la fama di mamma’, non ho creato buoni rapporti con alcuni di loro, poiché tutti volevano sapere le storie delle battaglie del guardiano Janine Hathaway, ma come spiegare che neanche io conosco quella donna? E poi in un posto in cui ti vedono crescere fin da quando avevi 4 anni, se si fanno un’idea di te, non la potrai più cambiare.

“Rose, Rose, tante volte mi ricordi Dimka.”

Ritorno al vecchio che mi guardava esasperato, ma a mio parere divertito.

“Dim.. chi? Ah, si. L’altro suo allievo. È poi mai riuscito a raddrizzarlo?”

Nikolai in alcune situazione esasperanti mi diceva che gli ricordavo un dhampir a cui aveva fatto da mentore anni prima in Siberia, sembrava fosse un caso perso come me.

“Oh, si. È stata una delle mie più grandi soddisfazioni.”

Gli si leggeva orgoglio negli occhi.

Cercavo di immaginare questo Dimka come una versione più giovanile del vecchiaccio, ma continuavo a vedere un Nikolai dai capelli grigi e al massimo senza qualche ruga, era orripilante. Certo il vecchiaccio se li portava bene i suoi anni, ma nella mia mente contorta avevo creato un mostro.

“Non ci riuscirai con me vecchio!” gli dissi con sfida.

“Vedremo! Ora muoviti!”

Sbuffai e iniziai i miei allenamenti con la solita corsa intorno all’accademia. La prima lezione, ricordo ancora, era stata: se sei di fronte a uno e più strigoi e non hai armi a tua disposizione, corri! Io avevo riso, me lo ricordo bene, ma lui aveva sbraitato per una buona mezz’ora che loro sono veloci e neanche correndo mi sarei salvata. Così zitta e mosca per tre settimane non avevo fatto altro che correre come un ghepardo. Ero più che certa, che sarei stata in grado di fare un solco tutto intorno all’edificio a furia di correre

Dopo un paio di giri sentii un movimento fugace al mio fianco e notai Nikolai.

“Sicuro di farcela a starmi dietro?” lo rimbeccai.

Lui in tutta risposta mi fece un ghigno e mi sferrò un pugno, che ovviamente non avevo previsto. Mi prese su una costola e mi fece deragliare.

“Accidenti a te!” riuscii a dire tra un affanno e l’altro.

Ultimamente aveva iniziato a farmi attacchi a sorpresa, ma mai mentre correvo. Dannato.

Mi rialzai sbuffando.

“Oggi dovevamo iniziare con i paletti!” gli dissi in tono da bambina capricciosa.

Lui rise ironico.

“Se avessi parato quel pugno, forse!”.

Lo guardai sbalordita.

“Ma… mi hai preso alla sprovvista!”.

Camminò avanti e indietro con le mani dietro la schiena, per poi fermarsi e con scatto teatrale della testa, la girò verso di me disse: “Imparerai mai che qui si parla di combattere con degli strigoi? Con loro niente è preparato, niente è facile. Mettitelo in testa!”

Non riuscii a controbattere, perché quella era una di quelle rare volte che potevo ammettere almeno a me stessa che avesse ragione e che io avevo sbagliato.

Abbassai lo sguardo e lui mi mandò nella sala dei manichini finti strigoi a combattere contro di loro con mosse base. Come dire: umiliante.

Mentre tenevo su la guardia e sferravo pugni e calci, ripensai a mia madre. Non amavo parlare di lei, perché era quello che era. Ma cosa era? Una madre mancata o un guardiano fantastico? Odiavo quello aveva fatto o quello che avrei voluto essere? Invidiavo a quanto pare un po’ la sua fama, perché la mia allo stato apparente delle cose era pessima: attacca brighe e irresponsabile; di certo doti poco ben viste in un futuro guardiano.

Presi ad arrabbiarmi così tanto che tirai un pugno al manichino al punto da farlo saltare via  dalla sua base e che andò a sbattere contro un paio di sacche facendo tintinnare qualcosa a terra. I miei occhi parvero scorgere il gioiello più bello che avessi mai visto, un paletto.

Mi avvicinai lentamente e lo presi con mani tremanti, era la prima volta che ne vedevo uno così da vicino, figuriamoci prenderlo in mano. Era lungo come un avambraccio, appuntito da una parte e con un’elsa di pugnale dall’altra. Era leggero eppure sentivo il peso di quello che avevo in mano, o meglio del suo significato.

Mi avvicinai sognante ad un manichino e provai ad infilzarlo, ma con mio stupore non ci riuscii.

“La cosa più brutta che abbia mai visto fare!”

Mi voltai di scatto e vidi il vecchio guardarmi dall’ingresso della sala. Da quanto era li? Giusto in tempo per la mia figuraccia o da prima? Dubito che mi avesse lasciato prendere in mano il paletto se fosse così.

“Non so di cosa parli, stavo solo… solo…”

Solo cosa? Provando ad infilzare un stupido fantoccio strigoi, fallendo amaramente?

Sbuffai a braccia curve. Lui si avvicinò.

“Dov’è il cuore Rose?”

Volevo rispondergli che era un fantoccio, ma mi morsi la lingua, oggi l’avevo già combinata grande.

“Il cuore è qui, ci si passa attraverso lo sterno e le costole.”

Lessi una scintilla di approvazione nel suo sguardo serio. Le lezioni scolastiche, quelle scritte soprattutto come la matematica, le seguivo a giorni alterni, ma chissà perché tutto ciò che poteva riguardare anche solo lontanamente gli strigoi, mi interessava. A volte perfino andavo in biblioteca a leggermi libri enormi, e cavoli mi stupivo di me stessa quando lo facevo, perché non mi pesava quanto invece leggere una mezza pagina di numeri.

“Nelle lezioni pratiche dovreste già avere iniziato con il paletto!”

La mia risposta lo stupì.

“A dire il vero si, ma in realtà no. Albert, cioè… il Guardiano Hanson…” A volte i guardiani come Hanson, quelli so tutto io, li chiamavo per nome giusto per sbeffeggiarli un po’. Con Nikolai il rapporto era diverso, ma per lui a differenza degli altri, provavo rispetto. “… continua a dilungarsi sulla teoria, perché dice che è più importante e poi sarà più facile farlo nella pratica.”

Sbuffò.

“Si, si vede!”

Gli scoccai un’occhiataccia, ma a ripensarci aveva ragione, era da poco iniziato l’ultimo anno e questo avrebbe dovuto avere la priorità da subito.

“Rose! L’anno prossimo tu e la tua classe dovreste diplomarvi e non sai neanche maneggiare un paletto, ti sembra sensato?”.

Continuò poi il suo discorso in russo, dal quale capivo solo il nome di Hanson o un Roza ogni tanto. Gli capitava a volte chiamarmi così in questi discorsi chiari.

Lo guardai con un sopracciglio alzato.

“Non fa una piega quello che hai detto, compagno!” dissi ironica.

Lui mi guardò un po’ divertito. “ Abitudine, mi è più facile dire le cose nella mia lingua!”.

“Dovresti insegnarmela!”.

Lui mi guardò incredulo.

“Tu vuoi solo imparare le parolacce!”

Ah! Colpita e affondata.

Sogghignai e gli tirai una linguaccia.

Esasperato ancora per un secondo, tornò a farsi serio.

“E’ solo che non ho mai approvato i metodi del guardiano Hanson. Quindi, Rose…” disse cambiando palesemente discorso, “…abbiamo dieci minuti ancora. Che ne dici se proviamo a insegnarti manualmente a passare tra lo sterno e le costole?”

E così passammo il restò della lezione con il vecchio che mi insegnava le varie angolazioni di trapasso e la giusta forza da metterci. Risultato? Non era un cazzo facile!

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


capitolo 2

Capitolo 2

 

Mancava poco all’alba, ovvero alla mia notte. Vivendo a stretto contatto con i vampiri, il giorno e la notte venivano per forza invertiti, certo il sole non li uccideva seduta stante come per gli strigoi, ma li indeboliva parecchio.

Avevo deciso di andarmene a letto, ero un po’ più stanca del solito, quando incontrai Martin Ivashkov, il moroi dalle mani lunghe.

“Oh no, per favore, ancora tu, sono stanca e me ne voglio andare a letto, ok?”

Lui con il suo solito sorriso sprezzante, non parve accettare la cosa.

“Già stanca, Hathaway?  Volevo stancarti io!”.

Che patetico, sempre le solite battute squallide.

“Giusto per sapere, quant’è che tu i tuoi amici stronzetti avete scommesso per chi mi porta a letto per primo?”.

Lui sorrise di più, cattivo.

“Davvero pensi di valere qualcosa dhampir? Scommetto piuttosto che diventerai una sgualdrina di sangue.”

Lo aveva detto davvero?

Venivano chiamate sgualdrine di sangue quelle dhampir che non volevano diventare guardiani, e che invece spesso restavano incinta dei moroi e sceglievano di vivere in delle comunità. Ovviamente già dal nome si poteva intuire che servigi offrissero queste dhampir, ed era questo che le rendeva l’ultima ruota del carro di questo mondo e che garantiva alle moroi femmine il ritorno dei loro maschi a casa. Le apparenze prima di tutto.

Nel frattempo che la mia rabbia ribolliva, la mia mano aveva già stretto il collo di Martin sbattendolo al muro.

Per un attimo una scintilla di paura gli passò per gli occhi.

“E tu davvero pensi che potrei mai venire con un verme come te?” gli dissi con disprezzo.

Strinsi ancora di più la mia mano, e la cosa iniziò davvero a spaventarlo.

“Davvero credi tu, di valere qualcosa perché sei un reale viziato?”. Ero furiosa.

Lo vidi spostare lo sguardo oltre le mie spalle e sussurrare per quanto concesso il nome del preside. Lo lascai all’istante. Accidenti, Thompson mi avrebbe espulsa sto giro. Mi voltai sulla difensiva e non vidi nulla, mentre invece, sentivo Martin alle mie spalle sogghignare e riprendere fiato contemporaneamente. Mi girai e lui si era già allontanato.

“Sei una sfigata Hathaway!” e con questo si dileguò.

Rimasi sconcertata per come mi aveva presa in giro, mi aveva davvero fregata. Ero scioccata che gli fosse venuta in mente un’idea così intelligente.

La sua testa, forse non era proprio vuota. Già sentivo, l’indomani, tutta l’accademia ridere di me.

A passo di marcia andai in camera e mi buttai a letto vestita, volevo dimenticarmi dell’accaduto il prima possibile.

 

Il mattino seguente, ovvero a sole ormai tramontato, il mio risveglio fu orrendo. Avevo  avuto incubi tutta la notte. Avevo sognato quel dannato di un Ivashkov che si era tramutato in uno strigoi con la pelle cadaverica e le pupille cerchiate da una anello rosso, segno indistinguibile di uno di loro, e anche in quella forma aveva le mani lunghe. Solo che in questo caso era più forte e non riuscivo a difendermi. Dal nulla poi era spuntato fuori un paletto e chissà perché non riuscivo ad infilzarlo. Al sogno, o meglio, all’incubo, si era poi aggiunto Hanson, che mi borbottava di studiare meglio quel capitolo e alla fine, forse la parte più bella, era arrivato Nikolai e aveva preso a pugni… Hanson. Ok, questa parte aveva un che di comico, ma l’amaro in bocca mi era stato lasciato dalla sensazione di non riuscire ad avere la meglio su uno strigoi. E che quel strigoi mi sembrasse così vero. Non ne avevo mai visto uno da vicino. L’unica fonte che avevo, erano le foto nei libri e i documentare dei guardiani.

Era stato davvero un incubo.

Da questo ‘bel’ risveglio, non potei non ricordarmi gli avvenimenti accaduti prima di andare a letto, ed era meglio perciò farsi una bella doccia e mostrare la faccia più stronza che avevo, per difendermi da tutto ciò che avrebbero potuto dirmi.

Mezz’ora dopo feci il mio ingresso in mensa e come già sapevo attendermi, alcune occhiate si diressero insistentemente verso di me. Alcune sogghignavano, alcune invece, da parte del popolo femminile moroi, disprezzavano.

Queste proprio non le capivo.

Fui affiancata da un novizio che poteva rientrare nella categoria ‘persone apposto’ di Rose Hathaway.

“Ehi, Alan!”.

“Ehi!” mi disse lui un po’ imbarazzato. Era palese il perchè.

“Hai sentito anche tu, vero?” mi riferivo alla figuraccia fatta con Ivashkov.

Lui alzò sorpreso le sopracciglia.

“Già, ma è vero?” chiese un po’ titubante.

Sbuffai amareggiata.

“Si. Mi ha fregata.”

La sua faccia cambiò mille espressioni di disagio.

“Ehi, Alan. Non è mica una tragedia. Mettiti nei miei panni, se ci fosse stato davvero il preside Thompson, mi avrebbe espulsa!”.

“Non credo espellano per una cosa del genere!” disse con voce cattiva.

Non gli diedi peso.

“Uccidere un moroi? Hai ragione, probabilmente mi impiccherebbero senza un processo!”.

Il suo sguardo vacillò perdendo lucidità.

“Uccidere?”.

Forse avevo esagerato.

“No, non volevo ucciderlo. L’ho solo preso per il collo per non tirargli un pugno!”.

“Pugno, collo, uccidere, ma di cosa stai parlando Rose?”.

Lui mi guardava stranito ed io non ci capivo più niente.

“Perché tu di cosa stai parlando? Non è questo che va a raccontare in giro Martin? Che mi ha fatto credere che il preside Thompson avesse visto che avevo alzato le mani su di lui, e io me la sono fatto sotto?”.

Che umiliazione.

Lui sospirò impercettibilmente, sbattendo gli occhi più volte.

“Oh, che sollievo. Non volevo crederci che quello che avevo sentito fosse vero!”.

“Scusa, ma cosa stai farneticando, Alan?”.

Lui si grattò la testa a disagio.

“Scusa se ho dubitato di te un secondo, ma sapevo che non avresti mai fatto una cosa del genere!”.

“Alan…” l’ho rimbeccai.

“Ok, non fare niente di stupido o insensato, ma…”.

“Mi sto arrabbiando…”.

Chissà perché, ma sospettavo che la giornata sarebbe andata peggio di quanto mi aspettassi.

“Martin dice in giro che sei andata a letto con lui!”.

“COSA?” sbraitai.

Mi voltai di scatto verso il tavolo dove sedevano i reali e quando sentii le rise di beffa che avevano nei miei confronti, i miei piedi stavano già dimezzando i metri che ci separavano, senza che io avessi dato loro l’ordine. Non ci pensai proprio, ma così spontaneamente arrivai a Martin e gli tirai un pugno sull’occhio  che lo fece cadere dalla sedia e con mio grande soddisfazione gli tolse quel suo sorriso sprezzante.

“Lurido verme schifoso, neanche se fossi l’ultimo esemplare maschio rimasto sulla terra, verrei a letto con te!”.

Lo dissi a voce alta in modo da farmi sentire, non che avessi bisogno di attenzione. Tutti mi guardavano, alcuni perfino mi battevano le mani e urlavano felici che avessi tappato la bocca a quell’arrogante. Certo i guardiani non potevano pensarla così. Si avvicinò Nikolai e neanche farlo a meno, Hanson. Che scherzo poco divertente.

Mi misero ognuno una mano sulla spalla e mi guidarono fuori,  io non opposi resistenza.

Una volta in giardino, Hanson iniziò a sbraitare quanto il mio gesto sconsiderato mi avrebbe creato problemi. Che loro vanno protetti, non picchiati. Che loro vengono prima.

Eccola qua. Cercavo sempre di dimenticarla, ma quella frase, per chiunque voglia diventare guardiano era la preghiera quotidiana da dire, la legge in cui credere. Noi li proteggeremo sempre, anche a costo della nostra vita.

Dopo altri cinque minuti di ramanzina a cui avevo prestato poca attenzione Hanson disse: “Va in classe Hathaway, il preside al momento è assente e tornerà alla fine delle lezioni. Allora lui deciderà che farne di te!”.

Il vecchio non aveva detto una sola parola, e chissà perché, il suo silenzio era più significativo di tutto quello che aveva farneticato Hanson.

A capo chino presi la mia strada.

Sentii Hanson dire a Nikolai che finalmente gli dimostravo rispetto. Buffone, di certo anche Nikolai la pensava così, perché non gli rispose, ma mi seguì.

Non volevo voltarmi e vedere nei suoi occhi delusione, era così vecchio che avrebbe potuto essere il padre che non ho mai conosciuto, di cui mia madre non mi aveva mai parlato, e che mi era sempre mancato.

“Rosemarie!”.

Perfetto.

“Se mi chiami con il mio nome intero sono finita!”.

Non fece espressioni.

“Devi imparare a controllare le tue emozioni, non devi lasciare che siano esse a prendere le decisioni al posto tuo!”

Lo guardai sorpresa.

“Non posso neanche cercare di difendermi, dire perché ho reagito a quel modo?”.

Il suo sguardo era serio.

“No. Perché è comunque sbagliato, tu ti alleni tutti i giorni nei combattimenti, lui no. Eravate in una situazione non eguale, non ti fa onore. È come picchiare un bambino. E poi, ci sono altri modi per affrontare le situazioni. Tu hai preso la via più semplice: alzare le mani. Ti sei lasciata comandare dalle tue emozioni e non dalla ragione. Questo è un difetto imperdonabile per un guardiano, il quale deve sempre essere vigile e lucido in tutto quello che fa. Se non cambi, non sarei mai in grado di diventare come tua madre.”

E con questa stangata finale se ne andò.

Non so se lo preferivo silenzioso o così, perché in ogni caso, sapeva centrare il bersaglio.

Forse silenzioso, almeno si poteva dedurre i suoi pensieri e non sentirti sfracellare in faccia i tuoi peggiori incubi.

Con una morsa allo stomaco andai in palestra dove gli altri novizi erano già arrivati. Dovevamo combattere a coppie, ma stranamente oggi nessuno si acciuffava per fare coppia con me.

Qualcuno mi si era avvicinato dicendo un mi dispiace, alcuni un ben ti sta, altri un era ora che qualcuno gli desse un pugno a quello. Qualcuno mi disse che non aveva mai creduto al pettegolezzo di Martin.

Fatto sta che però tutti si tenevano alla larga, non si sapeva ancora la mia sorte. Potevo uscirne più forte di prima, o cadere nella vergogna.

Una persona però si avvicinò, Alan.

“Sono dispiaciuto, se non te lo avessi detto…”.

Si sentiva in colpa, lo capivo.

“Figurati, lo avrei saputo da qualcun altro e di sicuro il fine sarebbe stato lo stesso!”.

Era ancora in apprensione.

“Ti espelleranno?”.

Lo guardai un po’ smarrita alla sola idea.

“Non sarà così facile liberarsi di me!”.

Mostrai una sicurezza non mia. Cosa diavolo avrei mai fatto se mi avessero espulso? Dove sarei mai andata?

Io non so com’è il mondo al di fuori di queste mura, io fuori di qua, sono davvero sola. Senza famiglia e senza amici. Ripensandoci, la mia vita sociale faceva proprio schifo.

 

L’allenamento iniziò e io, non ci stavo con la testa. Alan riuscì a sopraffarmi due volte, cosa che non era mai accaduta, in maniera così ravvicinata poi.

Il resto della giornata non fu tanto diversa. Vivevo in una bolla d’aria tutta mia e continuavo a ripensare alle parole di Nikolai. Stavo davvero buttando la mia vita a rotoli.

Al termine delle lezioni nessuno mi aveva ancora convocato in presidenza, per cui sospettavo che Thompson non fosse ancora tornato e dato che andare ad allenarmi col vecchio mi intimoriva da paura, me ne andai in camera.

Per strada intravidi Martin, che alla mia vista si defilò facendosi piccolo piccolo, non prima però di avermi urlato da lontano: “Avrai quel che ti meriti!”.

Sbuff. Che idiota.

Una volta in camera mi gettai sul letto e andai in dormiveglia persa nei pensieri, fino a quando sentii bussare alla mia porta.

Mi ridestai di scatto, quanto tempo era passato?

Erano le quattro e trenta, fra poco ci sarebbe stato il coprifuoco e anche la mia condanna.

Alla porta c’era Nikolai, stavolta con uno sguardo meno duro, forse un po’ dispiaciuto per aver nominato mia madre. Non gliene avevo mai parlato, ma per le varie situazioni venutasi a creare in passato, ci era arrivato da solo.

“Il preside Thompson ti sta aspettando!”

Senza altri accenni prese a camminare ed io gli fui subito dietro. Chissà com’ero conciata. Non avevo fatto una doccia e non mi ero neanche cambiata dalla divisa scolastica. Di sicuro non dimostravo molto pentimento e serietà.

“Vecchio, dimmi la verità, che ne sarà di me?”

Lui continuava a camminare e mi rispose a pochi passi dalla mia sala delle torture: l’ufficio del preside.

“Non lo so, ma sarebbe uno spreco perdere un altro guardiano!”.

Wow, niente di rassicurante.

Non era un segreto che il numero dei guardiani non fosse alto come quello dei moroi. Quelli delle casate reali potevano avvalersi il diritto di avere più protezioni rispetto ad una casata normale, che spesso restava scoperta e presa di mira dagli strigoi. Il fatto poi che le donne fossero ben poche a prendere questa strada, le risorse erano davvero minime. Che l’avrei scampata per questo? Sarebbe stato un miracolo.

Entrai nell’ufficio e Nikolai prese posto a braccia conserte lungo il muro sulla mia destra, vicino alla finestra. Mossa tipica di un guardiano, mettersi nei punti strategici.

Il preside Thompson sedeva indaffarato sulla sua scrivania ed io mi avvicinai alla sua scrivania.

“Sieda, sieda signorina Hathaway!”.

Non volevo farlo, ma le gambe mi stavano cedendo in preda all’ansia. Maledette emozioni.

Alzò gli occhi e mi guardò neutro.

“Ma guarda, non fiata una mosca. Sarà mica che qualcuno si sia accorta di avere sbagliato?”.

Sembrava quasi divertito ed io volevo rispondergli per le rime, ma avrei peggiorato la situazione.

“Non ha niente da dire?”.

Presi un grosso respiro, ripensando all’episodio di Martin, ma appena prima di emettere un suono incrociai lo sguardo di Nikolai.

Controlla le tue emozioni. Sentivo la sua voce con l’accento russo nella testa.

“Niente, signore. Qualsiasi sia stato il motivo che mi ha portato a fare quello che ho fatto, ho sbagliato a comportarmi così!”.

Mi stavo rodendo per dire quelle parole, era stato davvero uno sforzo estenuante,  sudavo quasi.

Certo, quello che non potevo aspettarmi era di lasciare il preside senza parole. Sembrava incredulo. Volevo quasi sghignazzare per quella scena, ma così avrei mandato tutto a quel paese.

Sbirciai verso Nikolai, e lo vidi fissare il vuoto con sguardo fiero. Ciò mi riempì di ego, conscia di aver fatto la cosa giusta ai suoi occhi.

Thompson prese a schiarirsi la voce per parlare, ma Nikolai attirò subito la mia attenzione poiché la sua postura si era irrigidita e si guardava in giro in allerta.

“C’è odore di fumo!”

Credevo scherzasse, ma quasi un secondo dopo lo sentii anch’io. Qualcosa bruciava.

La porta dell’ufficio si spalancò di forza, mostrando il guardiano Felk, un donna di circa trenta anni, che in quell’istante ne dimostrava cinquanta, era fradicia di sudore e affannata, il suo volto pieno terrore.

“Gli strigoi ci attaccano!”.

E come per completare in bellezza quella notizia agghiacciante, un esplosione seguita poi da un’altra, fecero tremare la terra sotto i nostri piedi.

Buonasera a tutti.

Ho postato il secondo capitolo sperando di  accalappiarvi in questa mia storia. Come potrete vedere in seguito, i personaggi sono sempre loro, nei loro caratteri

che ci hanno conquistato. Toccherò le scene più belle dei primi libri della saga e cercherò di farvi innamorare di questa mia creazione.

Sarò lieta di confrontarmi con i vostri giudizi.

Alla prossima.

xoxo

Deba

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


capitolo 3 Buonaseraaaa...
ecco a voi il terzo capitolo. Un po' struggente.
Spero vi piaccia.
xoxo





Capitolo 3

 

 

Il preside si attaccò subito al telefono parlando con non so chi. Il guardiano Felk si ritirò dicendo che sarebbe andata nella parte occidentale della scuola, dove c’erano gli alloggi dei moroi  e dei dhampir più piccoli. Nikolai mi strattonò più volte per le spalle.

“Rose. Rose!”.

Non sapevo di essermi irrigidita in tale maniera. Ero in preda al panico. Ero vittima della paura, la sentivo strisciare dentro.

“Non farti prendere dal panico, Rose! Ho bisogno che tu adesso corra. Corri verso gli alloggi dei moroi. Lì sarai al sicuro!”.

Stavo cercando di sbloccarmi, ma il mio cervello era fermo solo su un punto.

“C-com’è possibile? Noi abbiamo difese magiche…”.

La mia voce si affievolì. Il signor Thompson si avvicinò dicendo qualcosa che non capii, mentre Nikolai annuiva  lui sparì oltre la soglia.

“Rose, ci penseremo dopo a come hanno fatto a rompere le difese, ora ti prego, dimmi che andrai agli alloggi, hanno bisogno di me!”.

Lui era un guardiano con forte esperienza, avrebbe ucciso quantità di strigoi ne ero sicura, così come già indicava la sua nuca. I guardiani che avevano ucciso degli strigoi avevano un contrassegno sulla nuca, oltre al tatuaggio col simbolo della promessa che facevano una volta diplomati, e potevi trovarci tanti molnija (delle saette incrociate) quanti questi ne aveva abbattuto, e il collo di Nikolai ne era zeppo.

 Feci di si con la testa, forse enfatizzai troppo il gesto, ma temevo che il mio collo non mi obbedisse, e lui teso corse via.

Cercai di muovere un passo, ma i miei piedi erano come asfaltati a terra.

Dannazione, Rose! Mi dissi mentalmente, muovi quei maledetti piedi!

È così che pensi di diventare  un guardiano?

No, non dovevo farmi vincere dalle paure, o da qualsiasi altra emozione, dovevo saperle comandare, dovevo sapermi controllare.

Non era facile, ma mossi un passo, e poi un altro, e senza accorgermene stavo correndo. C’era così tanto fumo in corridoio, che l’aria iniziò a mancare e tossii. Cercavo di trovare ossigeno muovendo all’impazzata a destra e sinistra, ma l’aria era ormai irrespirabile. Alzai la maglietta alla bocca e corsi nel piazzale, lo so che non avrei dovuto, ma non resistevo più e quando trovai uno spazio respirabile mi fermai e tossendo ripresi aria. Quando mi calmai alzai lo sguardo verso l’accademia e lo spettacolo che mi attese fu spettrale.

Tre quarti degli edifici stavano andando a fuoco, era surreale. La notte era come illuminata a giorno e più mi sforzavo di trovarvi un senso, più la mia mente si sconnetteva e andava in panico. Cercai di distrarmi, ma fu peggio. Ai margini dell’ampio piazzale due guardiani stavano combattendo tre strigoi. Rimasi scioccata. Non ne avevo mai visto dal vivo, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare, era che all’accademia non ci istruivano come si deve. Erano dannatamente più feroci e veloci, di quello che la mia mente, nei vari anni di istruzione aveva infine metabolizzato.

Un falshback mi fece rabbrividire. Le immagini dell’incubo della notte precedente mi passarono davanti agli occhi e mi accorsi di quanto quel Martin-strigoi assomigliasse a quelli originali.

Dannazione a me, ma cosa credevo? Erano mostri, non potevano certo correre allegramente con fiori in mano, ed io dovevo svegliarmi, era questo il mio futuro: combatterli, ma sarei stata in grado? Volevo andare ad aiutare quei guardiani in numero inferiore, ma appena mossi un passo, vidi che erano riusciti ad impalarne uno e ora si preparavano ad affrontare i due che restavano. Probabilmente sarei stata solo d’intralcio. Ricordai che Nikolai voleva che fossi in salvo e perciò, anche se una parte di me era amareggiata, mi voltai.

Guardai lo stabile degli alloggi moroi e con mio sollievo vidi che le fiamme non lo avevano toccato. Non ancora almeno.

Corsi verso la sua ubicazione, ma quando fui nei pressi, sentii qualcuno urlare aiuto.

Affannata mi guardai attorno, cercando di capire da dove provenisse quella richiesta. Proseguii per il lato dello stabile che dava sull’enorme prato e dietro ad alcuni cespugli vidi una moroi inginocchiata a terra, che gridava e piangeva. Se l’avesse sentita uno strigoi sarebbe morta e mi stupivo del fatto che non fosse ancora successo. Dovevo portarla in salvo, subito!

“Ehi, tu!”.

La ragazza strillò.

“Sshhh, va tutto bene. Sono …”

“Hathaway!” piagnucolò.

Guardai meglio e sotto i chili di mascara sciolto, riconobbi Lucinda Ivashkov, sorella di Martin mani lunghe. Oltre il danno, la beffa.

Scacciai il disprezzo che provavo, anche perché era niente in confronto alla vita reale, era stupido.

“Lucinda, ce la fai ad alzarti?”.

Lei mi guardava con le lacrime che ancora sgorgavano, terrorizzata.

“I-io… sono… c-c’era una f-festa.. non..”.

La strattonai per le spalle.

“Torna in te, maledizione. Devo portarti al sicuro o moriremo!”.

“Moriremo…” disse lei con filo di voce, mentre tremava come una foglia in una burrasca.

Mi inginocchiai alla sua altezza, e con voce più ferma possibile le dissi: “Se non vuoi morire, devi alzarti! Subito!”

L’ultima parte parve darle un po’ di lucidità. Iniziò a guardarsi intorno spaventata.

“Riesci ad alzarti in piedi?”.

Cercò forse di capire le mie parole, e poi annuì. La aiutai.

“Ora ascoltami bene, dobbiamo correre verso i vostri alloggi. Li saremo al sicuro, come le norme ci hanno insegnato. Pensi di farcela?”.

Annuì ancora.

“Al mio tre. Uno. Due. Tre.”.

La trascinai e presi a correre. Stavo allerta e come ci veniva insegnato, misi il moroi in una posizione protetta, in questo caso, tra me e lo stabile. Io all’esterno controllavo ogni angolo visibile e fu ciò che mi permise di vedere un’ombra sulla mia sinistra. Uno strigoi ci stava per attaccare.

Mi fermai da stupida e con me Lucinda. Lui a pochi passi ci guardava trionfante.

Perché mi ero fermata?

Vidi un sasso a terra e il più velocemente possibile lo presi e glielo tirai contro, mentre lui lo afferrava come fosse arrivato lentamente, io avevo spintonato via Lucinda e con una voce che non ammetteva repliche, le dissi di correre senza mai fermarsi. Fortunatamente mi ascoltò.

Ecco cosa avevo fatto: un diversivo. Io ero il diversivo.

Lo strigoi mi puntò e mi diede un pugno che faticai a parare, ma non so come ebbi la giusta lucidità per sferrargli un calcio a sorpresa, che andò a segno, ma non lo stordì.

Cominciammo a girare attorno studiandoci. Era più alto di me, di ben venti centimetri. I suoi vestiti erano sporchi e strappati. I suoi muscoli in tensione gridavano: pericolo e i suoi occhi: morte. Non potevo non guardarlo in faccia, ma la cosa mi turbava parecchio. Quegli occhi cerchiati di rosso erano orribili.

All’improvviso fece una mossa, persi un secondo e fu lo sbaglio più grande che potessi fare, perché si trattava di una finta e lui spostandosi di lato mi colpì così forte che mi mandò a terra, sbattendo la testa al suolo.

Era stato velocissimo ed io ora ero senza fiato, poiché mi aveva centrato allo stomaco. Lo sentii avanzare ancora, ma non arrivò nessun colpo. Nikolai si era messo in mezzo e ora combattevano davanti a me. Erano alla pari, ma notai che, mentre i colpi dello strigoi erano dettati dal nulla, in quelli di Nikolai riconoscevo gli insegnamenti che mi aveva dato.

Perché non mi ero mai impegnata di più?

Con una finta da maestro, Nikolai infilzò il suo paletto nel petto dello strigoi, uccidendolo. Era stato impeccabile.

“Rose, perché non sei al sicuro?”.

Era accorso da me, tastandomi la testa. A quanto pare ero ferita, perché vidi la sua mano cosparsa di sangue. Ecco cos’era quella cosa che sentivo colarmi lungo il viso.

“Una moroi era in pericolo, dovevo aiutarla! In quel momento mi è sembrata la scelta giusta da fare!”.

Mi sorrise gentile.

“Si, hai fatto bene!” il suo sguardò però si allarmò di nuovo “Alzati, dobbiamo andare…”.

Non finì la frase che uno strigoi lo attaccò alle spalle. Aveva abbassato le difese e questo lo metteva su una situazione di svantaggio. Lo strigoi gli sferrò un pugno, colpendolo, ma mentre egli perdeva l’equilibrio riuscì a tagliarlo con il paletto facendolo urlare.

“Corri Rose!”.

Non volevo muovermi, ma in questo caso, qual era la cosa giusta da fare?

Mi alzai barcollando e incapace di intendere e di volere, provai a correre e vidi lo strigoi seguirmi.

Perché diamine mi seguiva? Perché gli strigoi oggi si stavano comportando nel modo contrario in cui li conoscevamo? Di solito attaccavano il più forte, non il più debole.

“No!” urlò Nikolai. “Stai combattendo con me!” e lo chiamò in qualcosa di russo.

Lo strigoi parve non sentirlo, io mi girai per guardarlo avanzare verso di me, magari sarei stata una distrazione che avrebbe permesso a Nikolai di finirlo, ma a quanto pare la stessa tattica, la usò lo strigoi.

Vidi la scena a rallentatore.

Nikolai stava per acchiappare lo strigoi, il quale con una lama che non avevo visto nascosta dalla mano aperta tirò un fendente alla sua gola… squarciandola.

Il sangue iniziò a zampillare… ovunque. Era così rosso, che riuscivo a vederlo nonostante fosse notte.  Lo strigoi cambiò atteggiamento subito, era famelico e si fiondò sul collo di Nikolai.

In quell’istante il mio mondo si fermò e tutta la mia vita, tutte le mie scelte mi passarono davanti. Rividi le lezioni di quel dannato vecchio, i suoi insegnamenti. Tutto ciò in cui credevo andò in frantumi. Uccidere strigoi non sarebbe più stato solo lavoro, non più.

Volevo urlare, volevo dilaniare le mie corde vocali pur di far in modo che quel strigoi la smettesse, che avesse un modo per rimettere tutto in ordine, che ridasse la vita a Nikolai. Quello che vedevo però, era che lui gliela stava togliendo… a sorsi, e mi venne da vomitare. Non poteva essere vero. Nikolai non poteva essere… e quell’essere non poteva…

Iniziai a guardarmi attorno in cerca di qualcosa, dovevo fermare questo orrore, e fu allora che lo vidi. Il paletto di Nikolai. A metà strada tra me e lo strigoi.

Qual era la cosa giusta? Questa!

L’adrenalina scorreva a fiumi in me, e mentre correvo verso il paletto e lo prendevo in mano, mi ero resa conto che Nikolai non mi aveva spiegato come colpire il cuore da dietro, ma solo da davanti. E si era trattato solo di ieri, ma sembrava un anno fa. Tutto era lontano ormai, annebbiato, triste. Scossi violentemente la testa per concentrarmi. Dovevo far girare lo strigoi, così forse avrei avuto una possibilità per piantargli il paletto nel cuore, anche se forse avrei avuto solo la possibilità di farmi ammazzare. Dovevo tentare, doveva onorare quel dannato vecchio. Una lacrima sfuggì incontrollata, mentre un piano stupido, si davvero stupido, perché così lo avrebbe definito un guardiano, mi apparve in testa e non solo per il fatto che mi trovassi ancora lì.

Nascosi il paletto nella mano sinistra lungo il corpo e contemporaneamente alzai il braccio destro, fingendo di avere un’arma pericolosa, o così speravo avrebbe inteso quel mostro. Urlai, per attirare la sua attenzione che era mezza sfocata nella sete di sangue, come se stessi per colpirlo, e questa era la parte stupida del piano. Un guardiano doveva muoversi in silenzio, non attaccare i cartelloni del suo arrivo, ma io, non avevo scelta. Se fossi scappata, me ne sarei davvero pentita, per il resto della mia vita.

Come sperai, lo strigoi pensò che avessi un’arma e ancora in ginocchio  di fronte a me, si voltò a destra col busto per bloccarmi il braccio in una morsa, ahimè, di ferro. Dovevo muovermi o un braccio spezzato sarebbe stato l’ultimo dei miei pensieri. Con la mano sinistra, quella nascosta in cui stringevo il paletto, tirai un fendente sulla sua nuca, che lo fece urlare e piegare macabramente la testa all’indietro, luogo in cui accorsero anche le sue mani. Speravo reagisse così.

Ora sapevo che quella era la mia unica possibilità di sopravvivere, non potevo perdere neanche un secondo. Mi spostai di lato e inquadrai il suo cuore, poi con l’angolazione che mi aveva insegnato Nikolai lo infilzai con tutta la forza che avevo in corpo, forza che non pensavo di possedere.

“Muori!” dissi, e la cosa che mi spaventò di più fu la mia voce. Irriconoscibile.

Lo strigoi stramazzò al suolo, sapevo che era morto, o almeno una parte lontana di me forse se ne era resa conto, ma era un voce così impercettibile, che la sensazione che lui fosse ancora li in grado di fare del male, era mille volte più grande. Con la coda dell’occhio scorsi il corpo inerme di Nikolai e rimasi scioccata di quello che vedevo, o meglio non vedevo. La sua faccia sempre seria, era una maschera di sangue e il suo collo squarciato. Sembrava sbranato. Iniziai ad affondare il paletto nel cuore ancora, e ancora e ancora. Ormai aveva una voragine. Non vedevo niente. Non sapevo niente. Ero persa. Sapevo solo che dovevo vendicare Nikolai.

Quando non ebbi più forza di alzare il braccio, mi accovacciai vicino al mio vecchio, dovevo vegliare su di lui. Se un altro mostro fosse arrivato a richiamo del suo sangue, lo avrei difeso.

Il braccio mi faceva male, ma non volevo mollare la presa, strinsi il paletto più forte, tremando, anche se non ne capivo il motivo.

 

Non so dopo quanto tempo udii delle voci, mi sembrava che chiamassero il mio nome, ma non ne ero certa.

Forse si trattava di un trucco, dato che questi strigoi erano come preparati.

“State indietro!” dissi prontamente.

Con la mano libera attirai il corpo di Nikolai più vicino a me.

“Non osate avvicinarvi!” e per enfatizzare il mio ordine, tirai un fendente con il paletto in aria, di fronte a me, nella direzione in cui avevo sentito le voci.

La mia mente cercava di capire come fare a riattivarsi, non riuscivo a mettere a fuoco quanti avversari avevo.

Presi a battere più volte gli occhi e sentii una voce lievemente familiare.

“E’ sottoshock. Serve del tranquillante!”.

Non vedevo niente, tutto era offuscato e chi parlava? Chi era sottoshock?

Non feci a tempo a pensare ad altro, perché un fastidio alla nuca mi fece perdere le forze, i sensi, e me stessa.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


capitolo 4

Buonasera,

Nikolai è morto. Che impatto avrà nella nostra Rose?

Buona lettura...

xoxo

Capitolo 4

 

 

 

Una luce fastidiosa mi svegliò.

Aprii gli occhi più volte, perché non riuscivo a mettere a fuoco le cose. Quando finalmente pensai di farcela, mi accorsi dov’ero. Ero nell’infermeria dell’accademia, o meglio, quel che ne restava.

Con uno sguardo più nitido, vidi che la parte in fondo era crollata, e c’erano solo macerie e parte dei muri anneriti dal fuoco. La parte in cui stavo io era ancora bianca, miracolosamente.

Provai ad alzarmi, ma la testa iniziò a pulsare in una maniera così dolorosa, che ricaddi sul cuscino. Non prima però di essermi resa conto che tutti i muscoli mi dolevano all’inverosimile. E con questa scoperta purtroppo, ricordai tutto.

Mi accorsi di essere attaccata ad uno di quegli aggeggi che segnano il ritmo cardiaco, poiché il mio cuore iniziò a battere furioso.

Nikolai era morto.

Un immagine insanguinata mi passò per la mente, un collo sbranato e il suo viso distrutto. Mi veniva da vomitare. Presi a sudare freddo visibilmente.

“Ti sei svegliata finalmente.”.

Scossa mi spaventai. Voltai lo sguardo e a pochi passi da me vidi il preside Thompson. Cercava di sorridermi rassicurante, ma il suo sguardo era sconvolto.

“Ti ho spaventata, scusa!”.

Prese lentamente una sedia e con movimenti stanchi si accasciò su di essa.

Io lo guardavo, ma non parlavo e intanto cercavo di calmarmi e riportare i miei battiti sul normale. Non sapevo che dire. Non avevo da che dire.

Lui tolse gli occhiali e con aria pensierosa li pulì con un fazzoletto che aveva preso dalla tasca della giacca. Una volta finito se li rimise, guardandomi.

“Hai dormito per più di 30 ore, Rose!”.

Sbarrai gli occhi alla sua frase. Com’era possibile? Era passato più di un giorno dall’ attacco?

Iniziai a guardarmi in giro, in cerca di un qualche indizio che potesse rivelarmi cos’era accaduto in quell’arco di tempo. So che avrei potuto semplicemente chiedere al preside, ma non riuscivo a parlare. Non ricordavo come fare. Non volevo ricordar come fare. Avrebbe significato che ero viva, che ero reale, che tutto era reale e avrei dovuto affrontare tutto e raccontare...

“Quando ti abbiamo trovata, eri davvero sotto shock. Abbiamo dovuto darti un tranquillante.”

Avevo un vago ricordo di questo, molto confuso direi.

“Tre guardiani hanno perso la vita!”.

E uno sapevamo benissimo chi fosse. Sentivo la rabbia montarmi dentro, dietro la tristezza, eppure, sembrava relegata da qualche parte, perché ero certa che il mio viso, visto da fuori, fosse di una calma spaventosa.

Vidi infatti Thompson corrucciare lievemente le sopracciglia, per poi ritornare al suo viso stanco.

“Otto moroi sono stati portati via!”.

Il mio viso era sempre impassibile, ma dentro afferravo e mettevo assieme tutte queste informazioni.

Quegli otto ormai a questo ora, se non erano morti, ci mancava poco. Chissà se Lucinda era riuscita a salvarsi. Supponevo che lo avrei saputo presto.

Gli Ivashkov non solo erano una casata reale, ma ai giorni nostri erano quei moroi che appartenevano alla stessa discendenza della Regina attualmente al potere nel nostro mondo politico. Quindi, se un Ivashkov era stato preso, ci sarebbe stato di sicuro una specie di lutto mondiale.

“L’accademia sarà chiusa!”.

I bip aumentarono.

Cosa? Di che diavolo parlava? Le difese, in qualsiasi modo fossero state spezzate, si potevano ricreare. Perché chiudere l’accademia?

Vedevo Thompson in attesa, forse che io parlassi, ma non lo feci e lui sospirò.

“Alcuni edifici sono stati danneggiati in modo irreparabile. Lo vedrai tu stessa quando uscirai di qui. Non si può fare altro che abbattere tutto e ricostruire, e nel frattempo gli studenti non possono rimanere qui.”

 E allora che ne sarà di me?

“Buona parte degli studenti sono stati richiamati dai propri familiari a casa. La parte restante sarà accolta nell’accademia di St. Vladimir, nel Montana e nella St. Matthew, nel Connecticut. Alcuni sono già in viaggio, poiché lì sono già state rinforzate le difese e il numero dei guardiani.”

Riuscii solo a pensare che nel Montana o nel Connecticut non c’ero mai stata. Anzi a dir la verità, non ero mai stata da nessuna parte. Avevo passato quasi tutta la mia vita qui e pensare che ora tutto sarebbe stato distrutto, distruggeva in qualche modo una parte di me. Ancora.

“Avrei potuto far trasferire anche te, sebbene non fossi cosciente, ma sapevo che sarebbe stato ancora più traumatico. E poi sono più che sicuro che avresti voluto essere presente.”.

Provava a farmi incuriosire per parlare, ma non potevo, era la mia difesa da questo dolore. Gli lanciai solo uno sguardo lievemente interrogativo, ma lui capì.

“Allo scoccare della mezzanotte, in quel che resta della cappella, daremo un giusto riconoscimento alle nostre perdite, prima che il loro corpo venga rispedito nel loro paese natale, dai loro familiari.”

Chissà se Nikolai aveva dei familiari. Non mi sono neanche mai posta il quesito. Chissà se avrebbe avuto una donna che piangeva sulla sua tomba, o un figlio. Davvero non ne avevo idea e questo mi logorava nel cuore.

Gli rivolsi un’occhiata riconoscente, mentre dalla porta entrava l’infermiera Allison Grey, la classica signora anziana, che poteva essere la nonna di tutti.

“Oh, piccola Rose.” Disse una volta che mi fu vicino, accarezzandomi delicatamente, come se potessi rompermi da un momento all’altro.

“Prendi questi antidoloriferi, so che ti saranno d’aiuto!”

E il Signore solo sapeva se ne avevo bisogno. La testa mi stava scoppiando.

Presi due pillole con un sorso d’acqua, e l’infermiera Grey così com’era entrata, se ne andò.

Passarono un paio di minuti silenziosi, nei quali la mia mente parve svuotarsi, ma poi l’atmosfera fu rotta dallo spostarsi della sedia in cui c’era il preside, che si stava alzando.

“Riposa ancora un po’, sono solo le tre di pomeriggio. Ti farò portare qualcosa da mangiare. Poi se ce la fai ad alzarti prepara le tue cose perché all’alba di domani ce ne andiamo tutti.”

E prese ad incamminarsi verso la porta.

Era tutto stato deciso, l’accademia sarebbe stata abbandonata. Temevo di vedere le sue condizioni, ma ricordavo vivamente il fuoco che si propagava, e già allora sapevo che i danni sarebbero stati elevati.

Quando aprì la porta il preside si fermò. Sembrava combattuto. Si girò serio.

“Rose, hai abbattuto tu lo strigoi?”.

Un brivido a quel nome mi pervase la schiena visibilmente. Vidi il preside dispiacersi. Io lo guardai tetra dentro e annuii percettibilmente.

In risposta lui trattenne ancora il respiro.

“Aveva ucciso… il guardiano Lazar?”.

Mi irrigidii e strinsi le mani a pugno, non volevo sentir parlare di questo.

Lui sospirò afflitto.

“Sei stata coraggiosa, Rose. Ho sempre saputo che eri diversa da quello che volevi dare a vedere, e lo sapeva anche il guardiano Lazar. Era stato lui a chiedermi di poterti fare da mentore per raddrizzarti, lo sapevi? Per lui, eri destinata a fare grandi cose.”

Non attese un mio cenno, perché quando compresi le sue parole, se n’era già andato.

Non potevo crederci. Pensavo che fosse stato il preside a pormi la presenza di Nikolai. Che fosse stata sua l’idea di questi allenamenti extra, a causa del mio comportamento. E invece no. È questo che significavano le sue parole. Era lui ad avermi scelto.

Ero incredula.

Rimasi in questo stato comatoso quel tanto che le medicine facessero effetto, poi pian piano mi alzai.

Tutte le articolazioni avevano subito i dolori di quella notte, e ora si sfogavano sul mio sistema nervoso.

Indossavo una maglia e dei pantaloni non miei, chissà di chi erano. Infilai le scarpe, che per fortuna erano mie, e notai che qualcuno le aveva pulite, ma non volevo sapere il perché, perciò mi incamminai per vedere cosa mi attendeva.

 

Quello che vidi, alla luce del sole, non mi scompose molto. Sapevo già cosa attendermi. Un piazzale deserto coperto da detriti, la palestra completamente distrutta, così come le aule, gli uffici e la mensa. Gli alloggi erano parzialmente anneriti, ma erano più o meno intatti. Un’accademia fantasma.

Mi avviavi verso quella che non sarebbe stata mai più camera mia, casa mia. Nonostante tutto, dentro era tutto intatto, qualcosa di familiare intorno a quel turbinio di emozioni. Vidi che mi era stato portato qualcosa da mangiare, come aveva detto il preside Thompson, e solo alla vista di quel panino mi accorsi di avere molta fame. Nonostante tutto ero a digiuno da più di un giorno. Così senza troppi preamboli lo divorai.

Quando finii di spazzolare tutto, decisi che era ora di fare una doccia, ma una volta in bagno non potei non soffermarmi davanti allo specchio.  A quanto pare qualcuno si era dimenticato di mettermi al corrente del mio aspetto. All’attaccatura dei cappelli in alto a sinistra, scendeva verso giù una sutura con cinque punti, ero un po’ gonfia, ma la cosa peggiore era il lieve colore violaceo che arrivava fino all’occhio.

Ebbi un flash di un colpo d’acciaio che mi faceva cadere e sbattere la testa a terra.

D’istinto tirai su la maglia, e come supponevo avevo un ombra altrettanto violacea nella zona dello stomaco dove avevo ricevuto il pugno.

Scacciai quei pensieri, perché qualcosa stava montando dentro me.

Mi guardai ancora una volta e vidi del sangue ancora rappreso sui capelli. Aprii l’acqua del box e mi ci buttai dentro, vestita.

 

Alle dieci di sera ero pronta.

Tutta la mia vita era stata infilata in un paio di scatoloni e mi ero già preparata per quella sorta di funerale nel quale avrei dato addio per sempre al mio mentore.

Ero seduta sul letto, quando qualcuno bussò. Una volta aperto trovai il preside Thompson.

“Rose, tutto bene?”.

No. La testa mi scoppiava e avevo male dappertutto, tanto per cominciare.

Annuii.

Volevo parlare, ma temevo che se lo avessi fatto, mi sarei rotta.

“Seguimi allora, per favore?”.

Non sapevo dove saremo andati, ma composta lo seguii.

Giungemmo in quella che un tempo era la sala delle riunioni, ora macerie, passammo oltre ed entrammo su un’altra sala, che metteva un po’ di soggezione. Le luci intorno era soffuse, tranne al centro, in cui sedeva un guardiano di nome Michael, accanto ad un aggeggio e ad una specie di confessionale. La stanza era vuota, a parte lui e altri tre guardiani alle pareti.

Vorranno mica esorcizzarmi?

“Lo vedo, Rose, che sei chiusa nel tuo lutto, ti daremo tutto il tempo che hai bisogno per affrontare questa catastrofe. Ognuno reagisce a modo suo, ma noi vogliamo farti sapere che sappiamo bene la persona che potresti essere, e in qualche modo vogliamo onorare anche te. Se vorrai, potrai ricevere…” e mi indicò il guardiano Michael “… il molnija che ti spetta, anche se non hai ancora il simbolo della promessa!”.

Ero stupefatta. Veniva tatuato un molnija a coloro che erano riusciti ad uccidere uno strigoi, ed io non avevo ancora metabolizzato il fatto che ne avessi ucciso uno. Mai avrei immaginato che il mio primo molnija avrebbe avuto un costo così alto. Avrei potuto tirarmi indietro se lo avessi voluto, ma per quanto sembrasse da pazzoidi, questo molnija alla mia vista era diverso dal suo solito significato. Il compito di questo molnija era quello di non farmi dimenticare mai, il motivo per cui ora me lo stavano tatuando.

Mossi silenziosa i passi, verso il guardiano Michael, che gentile mi guardava, e mi inginocchiai di fronte a lui, col capo chino così da scoprire il collo e lasciar cadere i miei lunghi capelli davanti. Quando iniziò, pensai che avrei dovuto tagliarli, o almeno, così facevano tutti i guardiani donna, così che gli altri potessero vedere i loro tatuaggi.

Fu più doloroso di quanto immaginassi, aggiungendolo alla testa che scoppiava, ma non frignai neanche un secondo. Al termine, i guardiani presenti mi strinsero la mano. Qualcuno mi disse di farmi coraggio, qualcun’altro che un giorno sarebbe stato un onore combattere assieme, fui felice che nessuno disse congratulazioni, ma intuii che nessuno lo avrebbe fatto. Non ci si congratula con la morte.

Fui mandata nelle cucine a mangiare qualcosa velocemente, dato che mancava poco più di mezz’ora alla mezzanotte, ma da li feci un giro più lungo e cercai l’infermiera Grey, perché la mia testa scoppiava. Purtroppo non la trovai, così strinsi i denti e quando fu l’ora, mi recai nella cappella.

Già da fuori mostrava le percosse subite nell’agguato. Quando entrai l’atmosfera mi colpì. Le sedute erano macerie dovute all’incendio che aveva colpito per metà la struttura, ed erano raggruppate ai lati. I muri di pietra avevano resistito. Le candele rischiaravano l’ambiente, rendendolo lugubre, ma sacro. Davanti all’altare erano state posizionate delle specie di bare, e di fronte a loro, in semi cerchio, i guardiani e il preside Thompson.  Pensavo che avrei trovato solo i quattro guardiani di prima, ma con mio stupore ce n’erano tipo una quindicina, la maggior parte mai vista. Immaginavo che chi aveva potut, si era recato lì per porgere il suo saluto  a questi guardiani, che avevano dato la loro vita per gli altri, per me

Mentre avanzavo, scorsi lo sguardo di un dei guardiani scrutarmi. Non sapevo chi fosse, ma il suo sguardo ero così carico di emozioni che mi lasciò per un secondo interdetta. Non so cosa cercasse di vedere in me, ma sentivo che non mi stava guardando solo esteriormente, cercava di leggermi dentro. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, mi sentivo imbarazzata anche perché, non potevo non ammettere, che fosse davvero bello.

Arrivai nei pressi delle tre bare, gli altri due guardiani che avevano perso la vita erano coloro che stavano di guardia al cancello principale che portava fuori da questa accademia. Non li conoscevo benissimo, ma erano parte di questa grande ‘famiglia’ in cui avevo vissuto finora. Mi fermai un po’ lì, poi andai verso la bara che avvolgeva il mio mentore. Non molto distante da lui, stava quel guardiano, che a quanto pare non mi fissava più, anche se sembrava che stesse cercando di impedirsi di farlo. Sapevo di non averlo mai visto, eppure il suo portamento era così familiare.

Quando alzai lo sguardo su Nikolai, il mio mal di testa esplose, sembrava che ci fosse una guerra nucleare al suo interno. Mi morsi la lingua e guardai il mio mentore. Per fortuna tutto quel sangue che ricordavo, non c’era più. Vestiva la sua tenuta da guardiano più bella, la quale, fortunatamente, nascondeva quel taglio che sicuramente aveva al collo. Nemmeno mi accorsi che avevo iniziato a respirare affannosamente, mi mancava l’aria. Fissavo il viso sereno di Nikolai, che ora sapevo, mi aveva scelta.

Dannato vecchio, cosa farò senza di te?

Lo vidi nella mia mente ghignare con la sua solita smorfia e dirmi, che non sarebbe stato questo a fermarmi.

Mai prima d’ora mi accorsi di quanto la figura di Nikolai fosse per me importante. Lo pensavo essere una palla al piede, ma invece era tutt’altro.

Volevo piangere, ma non ci riuscivo, non sapevo esprimere il mio dolore, sapevo solo che mi mancava l’aria.

Le ginocchia mi cedettero, mentre cercavo di restare in piedi tenendomi sulla bara, ma il mal di testa era ormai più forte di tutte le mie volontà.

Sentii qualcuno chiamare il mio nome, poi tutto divenne nero ed io mollai. Mi lasciai andare in quel scuro oblio, che però non mi inghiottì perché qualcuno mi afferrò sul baratro di quel abisso. La mia mente parve addormentarsi, ma una cosa riusciva a tenermi in ballo: un profumo. Un profumo di dopobarba che non avevo mai sentito e che all’epoca ancora non sapevo, non avrei più dimenticato.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


capitolo 5

Capitolo 5

 

 

 

 

Sedevo sotto un albero a mangiare il pranzo, o la cena, come preferite. Ero a metà del primo giorno di lezione. Mi avevano dimessa ieri, dopo una settimana di ‘convalescenza’ nell’infermeria della St. Vladimir.

A quanto pare, ero svenuta durante la cerimonia di onorificenza ai guardiani caduti nell’attacco strigoi della mia accademia. La causa era dovuta a un forte trauma cranico. Incosciente ero stata poi trasferita qui, dov’ero rimasta sette giorni a letto, con un via vai di persone a me sconosciute. Alcuni erano studenti che volevano sbirciare, altri il preside o qualche guardiano, ma nessuno da colpirmi notevolmente. Continuavo nel mio mutismo, che ben presto aveva fatto pettegolezzo, e oggi che avevo ripreso le lezioni, sapevo per certo di essere, ufficialmente, il fenomeno da baraccone di turno. O la pazza. Così, per evitare sguardi o altro, mi ero rifugiata fuori a mangiare. L’aria era fredda, ma questo era il male minore in confronto al dentro.

Anche qui, come alla St. Thomas, i novizi nelle prime ore di lezione svolgevano combattimenti e rinforzavano i muscoli in palestra. Le mie abitudini si erano incasinate, per cui sentivo davvero la necessità di allenarmi, ma gli insegnanti non erano del mio stesso parere e mi avevano lasciato in disparte a seguire le lezioni, seduta. Questo si, mi rendeva pazza.

Le ore dopo il pranzo non furono molto diverse. In classe i novizi e i moroi mi guardavano bisbigliando. Erano circolate molte voci, dato che alcuni della mia vecchia scuola erano venuti qui. La massima era che uno strigoi mi aveva tagliato la lingua, ma nessuno sembrava supporre che io avessi combattuto. Per tutti ero una vittima sopravissuta e che ne era uscita, beh pazza. Chissà, forse lo ero davvero. Di certo nessuno aveva mai visto il mio molnija, dato che i capelli avevo deciso di tenerli sciolti, per coprirlo e coprirmi, non volevo attirare l’attenzione, ma più cercavo di non farlo più succedeva il contrario.

Quando le lezioni terminarono, non potei che sospirare e filarmela il più presto possibile dall’ultima ora. Nell’uscire di fretta dalla classe urtai qualcuno, facendogli cadere un libro di mano. Lo guardai ed era una moroi bionda, dal viso angelico. Era davvero bella, e come tutte della sua specie, magra da far invidia ad una modella. Per scusarmi le presi il libro e glielo porsi. Lei mi guardò, sorpresa forse, ma comunque dolce. “Ti ringrazio, ma sono stata io a venirti addosso. Ti chiedo scusa!”.

Una moroi così gentile, non l’avevo mai incontrata, forse mi prendeva in giro. La guardai negli occhi, e non vidi risa, bensì tristezza. Tanta tristezza.

Annuii con un lieve sorriso, poi me ne andai. Non so perché, ma quella moroi mi lasciò un retrogusto dolceamaro in bocca.

Ero sulla strada per tornare al mio alloggio, persa ancora nei pensieri riguardanti quella moroi, quando qualcuno mi urtò. Di nuovo. Dovevo togliermi il vizio di camminare a testa bassa. Questa giornata voleva non finire più.

“Ehi, pazza-dhampir. Certo che non sei niente male!”.

Un moroi biondo platino, immaginavo della mia età, mi guardava con sguardo di beffa. Mi ricordava Martin Ivashkov.

“Si dice che facevi la preziosa nella tua scuola!”.

Si avvicinò quel tanto per rendermi conto che sapeva d’alcol. A quest’ora? Ma bene! Le accademie erano davvero tutte uguali.

Mi stava dando sui nervi e la mia solita rabbia, che si annidava dentro di me, stava forzando per uscire. Era dal giorno dell’attacco strigoi che provavo questo sentimento, e cercavo di rinnegarlo.

“Signor Zeklos. Sono sicuro che la preside Kirova, sarà lieta di ricevere una sua visita.”

Un guardiano di nome Alberta, una donna di un metro e ottanta di circa cinquanta anni, si avvicinò ponendo in distanza di sicurezza quel moroi, che presto si sarebbe trovato con qualche ossa rotta.

Avrei voluto mettermi a ridere. Non trovavate divertente la situazione? Sempre i soliti problemi a corrermi dietro.

“La preside ha troppo da fare per occuparsi di me. Non trovo giusta disturbarla e poi non stavo facendo niente di male, non è vero paz… ?” . Mi guardò, immagino si stesse rendendo conto di non sapere il mio nome. “Beh, comunque, giusto?”.

Aveva posto la domanda a me, che ovviamente non risposi.

Lui ghignò. “Visto?”. Ora rivolto al guardiano.

E con faccia divertita se ne andò.

Alberta mi guardò un po’ preoccupata.

“Tutto bene?”.

Dannazione, odiavo questo sguardo, lo sguardo che aveva ogni maledetto guardiano che incontravo in questo posto. Loro sapevano, ovviamente, com’erano andate le cose.

Annui distaccatamente.

“Ti stavo cercando, Rose!”.

E perché mi cercava?

“E’ arrivata questa!”.

Era una lettera, la presi e riconobbi la calligrafia di mia madre.

Alzai di nuovo lo sguardo sul guardiano Alberta, ma non lasciandole dire altro, con un cenno del capo me ne andai finalmente in camera mia.

 

Cara Rose,

sono venuta a conoscenza di cosa è accaduto all’accademia. Sono contenta che tu stia bene.

Avrei voluto offrire il mio aiuto alla St. Vladimir, ma il moroi che proteggo teme per la sua incolumità, quindi finché avrà bisogno dei miei servigi, rimarrò qui.

Fatti forza.

A presto.

 

Janine Hathaway

 

Che buffo, non si era neanche firmata mamma, forse si rendeva conto di non esserlo.

Una rabbia improvvisa mi fece scaraventare il primo oggetto che trovai davanti contro il muro.

Che strazio. Io avevo bisogno di lei, io che ero sua figlia, ma lei anteponeva a tutto il suo lavoro. Già… loro vengono prima. Come dimenticarlo? Di sicuro, non c’era nessuno più devoto di lei a questo motto.

Per distrarmi provai a svolgere qualche compito, poi stanca me ne andai a letto. Dovevo darmi da fare, perché più me ne stavo con le mani in mano, più ero stanca e più ero stanca più rimanevo indietro con gli allenamenti. Avevo un obiettivo e lo avrei raggiunto, in un modo o nell’altro.

 

L’indomani al tramonto mi alzai con un obiettivo: continuare quelle sessioni di allenamento che facevo con Nikolai. Forse non avrei trovato nessuno che mi insegnasse nuove mosse, ma almeno avrei mantenuto una buona resistenza fisica.

Sapevo che a quell’ora era ancora in vigore l’orario del coprifuoco, erano regole basilari di tutte le accademie, ma non me ne era mai importato granché di rispettare i regolamenti. Infilai perciò dei leggins e una felpa, non raccolsi i capelli e una volta messe le scarpe da ginnastica uscii a correre.

La St. Vladimirs era simile alla St. Thomas, gli edifici erano un po’ più vecchi, ma la disposizione di essi era la medesima. La vegetazione era un po’ diversa, meno verde, se aveva senso.

Dopo un paio di giri dell’accademia, mi accorsi che questa era più grande e che il mio stare ferma si risentiva. Dovevo darmi da fare per tornare in forma. I mal di testa erano ormai scomparsi, perciò potevo benissimo rimettermi in pari con gli altri novizi e avrei cominciato fin da subito, quel giorno non sarei rimasta seduta.

Stavo giungendo nei pressi della palestra quando l’aria mi portò al naso un profumo estasiante. Mi fermai di botto in cerca da dove provenisse. Sapevo esattamente che profumo fosse, lo avevo sentito una sola volta, ma mi era entrato così in profondità che non lo avrei più potuto dimenticare. Cercai li intorno la presenza di qualcuno, ma non vidi nessuno e pian piano il profumo svanì. Che mi fossi immaginata tutto?

Restai inebetita un po’, fin quando non mi accorsi che l’accademia stava prendendo vita, e che quindi avrei dovuto sbrigarmi se non avessi voluto arrivare tardi in palestra.

 

Quando feci il mio ingresso in palestra in tenuta da allenamento, calò il silenzio. Fantastico. Mi misi in disparte e aspettai arrivassero i guardiani di turno.

“Ehi, ciao!”.

Mi si avvicinò un ragazzone dai capelli biondo cenere. Aveva l’aria simpatica. Io lo guardavo e basta, infatti parve imbarazzarsi.

“Sono Mason Ashford. Tu sei, Rose Hathaway, la figlia di Janine Hathaway.”

Non era una domanda e questo comunque gli fece perdere quel minimo punto di simpatia che potessi avergli accordato.

Socchiusi gli occhi cercando di non mostrargli quanto furiosa fossi in realtà e annuii risentita.

Lui si agitò impercettibilmente.

“I-io non credo a quello che si dice in giro.”

E detto ciò tornò al suo posto grattandosi nervosamente la testa. Un po’ mi pentii di essermi comportata a quel modo, era sincero quando mi aveva praticamente detto che non credeva fossi pazza, forse ora si era ricreduto.

Abbassai gli occhi stanca di tutto ciò, e intanto sentii entrare i guardiani.

Alzai gli occhi e il mio cuore inspiegabilmente prese a battere più forte. Uno dei due guardiani ero quello che alla cappella della St. Thomas mi fissava intensamente e che lo stava facendo anche adesso. Sudavo freddo e non capivo perché fossi così agitata. L’altro guardiano era Alberta ed anche lei mi notò, ma non con la stessa intensità del suo compagno.

“Signorina Hathaway, perché è in tenuta d’allenamento?”.

Nessuno fiatò, neanche io. Le lanciai solo uno sguardo deciso che lei parve accettare come spiegazione.

“Va bene, se te la senti non obietterò. Guardiano Belikov , a te la parola!”.

Belikov. Guardiano Belikov, finalmente un nome a quel viso. E che viso. Questo dio greco alto un metro e novanta, coi capelli neri un po’ lunghi e legati alla nuca con un piccolo codino era davvero l’uomo più bello che avessi mai visto e che mi avesse mai colpito così tanto. Di questo non riuscivo a capacitarmene. Su e giù doveva avere venticinque anni, ma dai molnija sul suo collo forse anche di più.

“Tutti in cerchio attorno al tappeto da combattimento. A due a due farete dei combattimenti, e vediamo se abbiamo smesso di fare errori elementari. Se andrete bene, riprenderemo le lezioni con il paletto, alle quale si unirà alla pratica il guardiano Hanson della St. Thomas.”

Tutti lo ascoltavano con rispetto, io seguivo la sua voce calda e profonda con un lieve accento russo, come il canto di una sirena, ma la magia si ruppe al nome Hanson. Albert che insegnava a come usare un paletto? Era una barzelletta?

Nessuno rideva, per cui la notizia non era una battuta. Pensierosa a riguardo, seguii gli altri novizi  intorno al tappeto e ben presto dimenticai la barzelletta, intenta a seguire i combattimenti dei miei nuovi compagni. Stavano combattendo ora un certo Eddie, che era stato scelto da una certa Margaret. Non se la cavavano male, seguivano alla lettera gli insegnamenti che ci venivano dati, ma lui era un po’ più forte di lei e la mise al tappeto presto.

Ne susseguirono altri, e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che con gli strigoi non era così facile. Loro lo ripetevano spesso, i guardiani che ci insegnavano intendo. Tante volte Nikolai lo aveva detto anche a me, ma non avevo mai capito finora cosa intendesse veramente.

Un novizio aveva appena messo fuori combattimento un altro con un calcio all’addome, davvero niente male. L’altro avrebbe avuto un bel livido il giorno seguente. Belikov, di cui ora mi rendevo conto di voler sapere il nome, chiamò Mason, il ragazzo che mi aveva parlato prima.

“Avanti Mason, scegli un compagno!”.

“Rose Hathaway!”.

Lo disse come se ci avesse pensato per giorni. La cosa sbalordì tutti, anche Belikov.

Mossi diversi passi, per ritrovarmi poi davanti a Mason al centro del tappeto.

“Quando volete!” disse Alberta.

Mason si mise in guardia e mi tirò un pugno all’addome che parai per un soffio. Mi sentivo strana e mi sembrava che il mio corpo rispondesse in ritardo. Girammo intorno, la sala era nel silenzio più totale, e il mio avversario continuava ad attaccare, mentre io continuavo a parare malamente.

Vidi i guardiani lanciarsi un’occhiata, forse pensavano non fossi pronta o in grado. Non potevo passare per una disabile accidenti. Feci un respiro e l’immagine dello strigoi che aveva ucciso Nikolai mi lampeggiò nella testa, e fu la fine.

Una rabbia dentro esplose, feci una finta bassa che destabilizzò il mio avversario, così tirandomi su velocemente sferrai un calcio rotante che lo colpì di lato buttandolo a terra. Stavo per avventarmi su di lui, ma un profumo di dopobarba mi fermò e sentii subito qualcuno bloccarmi le braccia. Il mio cuore sussultò quando vide Belikov a pochi centimetri  dal mio viso, guardarmi intensamente.

“Respira!” mi disse su un orecchio ed io obbedii.

Invasi le mie narici del suo profumo e questo mi calmò, non accorgendomi neanche di essermi agitata. Sentii Alberta chiedere a qualcuno di aiutarla e solo allora mi accorsi  che lei ed Eddie stavano aiutando Mason a rimettersi in piedi che sembrava molto intontito. Solo allora mi resi conto che il mio calcio lo aveva spinto fuori dal tappeto e che probabilmente aveva sbattuto la testa a terra. Ed io, invece di fermarmi, lo stavo per attaccare di nuovo, se… se Belikov non mi avesse fermato. Mi voltai sconvolta verso di lui e lui purtroppo mi lasciò andare, forse capendo che non ero più un pericolo. Guardai gli altri studenti e tutti erano intorno a Mason, nessuno si era reso conto del mio scatto di follia. Qualcuno rise a una qualche battuta e l’aria parve rasserenarsi. Mason stava bene e si stava facendo largo per avvicinarsi a me, che ero ancora sul tappeto immobile. Aveva un sorriso gentile, non era arrabbiato.

“Wow, mai visto una finta così. Sapevo che dovevi essere un osso duro!”.

Era tranquillo e alzò una mano per darmi il cinque, alzai la mano d’istinto e lui la colpì.

I guardiani poi ci richiamarono per avvertirci che la lezione era finita.

Continuai le lezioni seguenti sconvolta da me stessa e dalle mie reazioni.






Salveee
Eccoci qui, 5 capitolo.
Rose ha iniziato la sua nuova vita, ma non è semplice e se ne sta accorgendo passo dopo passo. A troppi fantasmi con cui fare i conti.
Riuscirà a superarli tutti?
 A presto
xoxo

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


capitolo 6

Capitolo 6

 

 

 

 

Quella notte non dormii. Ripensavo al combattimento con Mason e non riuscivo a trovare pace. C’era qualcosa che non andava in me, e lo sapevo.

Era ancora presto per alzarsi, ma stare a letto sembrava un’utopia così misi una tenuta da ginnastica e dopo un paio di giri di corsa, andai in palestra. Sapevo che anche qui dovevano avere una sala coi manichini e non mi fu difficile trovarla. I luoghi erano suddivisi, più o meno, con la logica che c’era anche nella mia accademia. Guardai il manichino senza viso davanti a me e iniziai a prenderlo a pugni lentamente, poi come spesso ultimamente accadeva, scattai d’ira e iniziai a sfogare la mia rabbia sul fantoccio.

“Non è così che risolverai i tuoi problemi”.

Quella voce.

Mi voltai colta in flagrante, mentre il mio cuore sussultava un po’. Non avevo più ripensato a lui.

Il guardiano Belikov era in piedi all’ingresso in tenuta d’allenamento, ma per un nano secondo, non so perché, ebbi la sensazione di vedere Nikolai.

Mi tirai indietro dal manichino scioccata, mentre ansimavo.

Si avvicinò silenzioso, fissandomi e soppesandomi con lo sguardo.

“Dovresti parlare con qualcuno.”

Sgranai gli occhi, mentre il sudore mi gocciolava ai lati del viso. Sembrava un modo carino per dirmi di andare dallo psicologo. Arretrai alle sue parole.

“Non spaventarti, lo dico per te, per il tuo bene. Così non risolverai nulla, e sarà sempre peggio!”.

Sembrava parlasse per esperienza o forse sembrava solo molto convincente, ma io non ero pazza dannazione. Io stavo bene avevo solo… bisogno di tempo.

“Guardami bene. Gli altri guardiani sbagliano a pensare che quando sarai pronta tornerai in te. So cosa ti sta accadendo e lasciarti ad affrontare tutto da sola sarà la tua rovina.”

Stava cominciando ad innervosirmi. Volevo andarmene, non volevo ascoltare.

Feci altri passi all’indietro, verso l’uscita. Lui dallo sguardo duro intese la mia posizione.

“Non diventerai mai un buon guardiano così. Di questo passo, non lo diventerai mai!”.

Questa sua frase mi infuriò. Chi credeva di essere, non mi conosceva nemmeno.

Vidi il suo sguardo brillare furbo, sapeva di aver toccato il punto giusto.

“Si aspettano tutti grandi cose, perché sei figlia del guardiano Hathaway, ma per quanto mi riguarda, resteranno molto delusi!”.

La sua bocca si storse in un ghigno compiaciuto. Mi stava praticamente dicendo che non sarei mai diventata come mia madre, che non sarei mai diventata un guardiano, che non sarei diventata nessuno.

Qualcosa in me esplose, quella cattiveria che arginavo da giorni fuoriuscì e mi accecò dalla rabbia. Nemmeno mi accorsi che avevo attaccato il guardiano Belikov.

Lui sembrava aspettarselo perché parò subito i miei colpi. Tutte le lezioni di Nikolai mi frullavano per la testa ed io, colma di adrenalina, le stavo provando tutte, ma il mio avversario sembrava anticiparmi qualsiasi mossa.

“E’ questo il meglio che sai fare?” mi disse dopo un paio di attacchi, ma il suo tono era cambiato e non era più cattivo come prima, sembrava speranzoso quasi. D’altro canto dopo un po’ mi accorsi che anche io ero cambiata, non era più la rabbia a guidarmi, bensì la frustrazione che lui sapesse in anticipo ogni mia mossa. Il mio scopo prima era farlo tacere, ora era sopraffarlo. Tutta me stessa si aggrappò su ciò.

Dopo non so quanto tempo, cominciai a risentirne, tutta l’adrenalina stava scemando e sentivo il mio corpo abbandonarmi a poco a poco. Lui mi colpiva, ma sapevo per certo che si stesse trattenendo. Non capivo perché in tutto questo, la sensazione familiare che provavo in sua presenza continuasse ad invadermi.

Ormai per la mente non avevo più niente da sfoggiare, mi passava per la testa solo una finta che mi aveva insegnato Nikolai qualche giorno prima del… .

 Mi si formò un groppo allo stomaco al suo pensiero.

Cercai di non distrarmi e ricordai le parole del vecchio durante la sua spiegazione, e dopo aver finto un attacco di lato, mi girai veloce per colpire la schiena del mio avversario, ma chissà perché, neanche questo funzionò. Belikov riuscì ad intuire anche questa mossa, e mi spedì al tappeto e nel cadere me lo trascinai dietro.

I suoi occhi stavano a poca distanza dai miei. Aveva parato tutti i miei attacchi, riconoscevo che aveva combattuto in modo fantastico, quasi aggraziato quanto una persona a me nota… Nikolai.

Questa scoperta mi bloccò, mozzandomi il fiato, mentre ancora lo guardavo, e lui faceva lo stesso. Quando smisi di respirare lui si destò all’improvviso, come se solo allora si fosse accorto della nostra vicinanza. Io mi alzai lentamente, ancora sgomenta e fissandolo. Ecco perché quella sensazione familiare, la sua postura, il suo modo di combattere… impossibile… ma forse…

Lui a disagio si voltò di spalle, stava per andarsene, ma qualcosa lo fece fermare. Un nome. Una voce. La mia.

Dimka!”.

Lui si voltò con occhi sgranati, increduli. Questa era una risposta più che sufficiente.

Io lo guardavo scioccata, conscia forse di averlo sempre saputo.

“.. avrei dovuto capirlo subito...”.

Parlavo più a me stessa.

Sorrisi amara, tutte le mie difese si stavano abbassando.

Fissavo lui, ma non lo guardavo davvero. Davanti a me altre scene. Nikolai che che mi sgridava divertito e io che lo stuzzicavo come una monella.

Lui mi parlava spesso di te…”

Era ovvio chi fosse quel lui, ed ero certa di avere ragione, perché gli occhi di Belikov iniziarono a brillare, forse commosso, chi poteva dirlo.

 

In quel momento mi accorsi cos’ero successo. Avevo parlato. Avevo scavalcato le mie muraglie, per arrivare a lui… e lui, ora mi guardava sereno. Risentii le sue parole quand’era entrato nella sala dei manichini, il suo provocarmi e solo allora capii. Come sapeva fare il mio vecchio, Belikov-Dimka, aveva toccato l’unico tasto che mi avrebbe fatto scattare, che mi avrebbe svegliata, che mi avrebbe fatto reagire. E ora che le difese erano state aperte tutto ciò che mi rimaneva dentro, si riversò fuori in lacrime amare. Tutte quelle lacrime che avevo soffocato.

In un primo momento vidi Belikov combattuto, ma poi si avvicinò e mi lasciò affondare il viso sul suo petto.

“Sfogati, Roza!”.

Quel nome mi scatenò un’ondata di lacrime più furiosa della precedente, ma più piangevo, più sentivo alleggerirmi, tanto che riuscii a dire ciò che non avevo neanche mai avuto il coraggio di pensare per paura dell’intensità del significato di quelle parole.

“E’ morto per colpa mia. È tutta colpa mia… Nikolai .. colpa… mia…”.

Deliravo.

Belikov mi staccò da se, e i singhiozzi presero a rallentare mentre mi perdevo nel suo sguardo serio.

“Non puoi prenderti la colpa di tutto!” la sua voce risuonava alto sonante. Rimbombava in quella sala e nella mia testa. “…puoi pentirti delle tue decisioni e desiderare di aver fatto le cose in un altro modo, Rose, ma anche il guardiano Lazar ha fatto le sue scelte, come altri quel giorno, e tu non puoi essere responsabile per tutti loro. È ora che tu capisca ciò!”.

Rimasi sconvolta dalle sue parole. Lui sapeva cosa provavo e aveva fatto in modo che lo dicessi e che capissi. Aveva ragione, sapevo che era vero, e ora iniziavo a vergognarmi per come mi ero comportata. Se volevo diventare un guardiano questo genere di cose potevano succedere: perdere un amico, uccidere qualcuno…

“Io ho ucciso…”. Ancora un singhiozzo lontano  mi vibrò nel torace.

Lui mi accennò un sorriso gentile.

“Nessuno si riprende facilmente dalla sua prima uccisione, anche se la vittima è un mostro a tutti gli effetti. Tutti noi abbiamo dovuto farci i conti la prima volta, ma la cosa importante è non perdere di vista il nostro obiettivo, non perdere di vista chi siamo e perché facciamo queste cose. Non perdere di vista noi stessi. E il più delle volte la cura migliore è proprio parlarne. Non tenersi tutto dentro!”.

Dopo non so quando la mia bocca si curvò in un sorriso, con un retro gusto amaro.

“Quel vecchiaccio mi diceva sempre di dovermi controllare…”.

Lui mi guardò strabuzzando gli occhi.

“Vecchiaccio?”.

Sembrava davvero imbarazzato per il modo in cui chiamavo Nikolai, tanto che la sua faccia mi fece ridere, e ridere, e ridere…

Da quanto non sentivo la mia risata, mi ero dimenticata il suo suono, come mi ero dimenticata l’emozione che ne suscitava.

Quando smisi mi sentii rinata, mi sentii di nuovo me stessa ed era una sensazione bellissima.

Avevo toccato il fondo, ora non potevo far altro che risalire.

Lo guardai e una domanda stupida mi affiorò sulla labbra.

“Che significa Dimka?”.

Lui sorrise.

“E’ il diminutivo del mio nome. Dimitri.”.

Dimitri Belikov. Suonava divinamente.

“Non aveva più senso, che ne so, Dimi?”.

Lui curvò le labbra in un accenno di sorriso.

“Non funziona così nella lingua Russa!”.

“Già, di sicuro. Beh, a me piace di più Dimitri.”

E detto ciò, il mondo tornò al proprio posto. Dimitri mi portò alla realtà ricordandomi l’ora. Feci per andarmene, ma prima di uscire, mi voltai e gli dissi grazie.

Grazie a lui avevo ripreso a vivere e di sicuro non lo avrei dimenticato mai.

 

Risciacquavo i capelli dallo shampoo, e non potei non rendermi conto dei miei giorni passati in quello stato comatoso. Dimitri mi aveva riattivato il cuore, riportato in vita. Prima ero solo un automa. Ero arrivata ad essere lo zimbello della St. Vladimir e questo doveva cambiare. La gente avrebbe dovuto ricordare il mio nome per ben altri motivi, non certo perché momentaneamente non in grado di intendere e di volere.

Il mio cuore sembrava esplodermi nel petto, ero carica come non lo ero da tempo, sapevo che avevo ancora molta strada da percorrere, prima di divenire un guardiano a tutti gli effetti, ma dovevo farcela a tutti i costi, per me stessa, e per quel vecchiaccio che aveva creduto così tanto in me.

 

Camminavo sotto le arcate che aggiravano  i giardini per recarmi in mensa per la colazione, o almeno speravo di trovare ancora qualcosa, perché ero in dannato ritardo, quando a metà strada notai che c’erano dei moroi, presumibilmente reali nel loro atteggiarsi, che stavano intimorendo un’altra moroi. La riconobbi quasi subito. Era la moroi dagli occhio tristi, a cui avevo raccolto il libro.

 Avviccinandomi sentii cosa si dicevano.

“E tu saresti una reale? Per fortuna non sei rimasta che tu!”.

Era stata una moroi dalla voce nasale e cattiva a dire queste parole. Si era tirata indietro i capelli rossicci, lisci come seta, aveva l’aria di una stronza ricercata, e si atteggiava come capo combriccola. La moroi bionda parve risentirne parecchio, perché i suoi occhi già tristi di suo, si riempirono di lacrime. Stava cominciando a respirare affannosamente, sembrava avere una crisi di panico.

Non mi erano mai piaciute queste cose. Prendersela con gli indifesi e dispensare cattiveria gratuita. Non era solo un capriccio il sogno di diventare un ottimo guardiano, bensì la possibilità che diventando un nome riconsciuto, avrei ricevuto così tante richieste da poter decidere io chi servire. Proteggere i moroi, che davvero ne avevano bisogno.

Giunsi in quel gruppetto, dove la folla stava aumentando, e mi misi a scudo davanti alla moroi bionda.

La stronza panteta si spaventò al mio arrivo, ma quando mi riconobbe rise aspramente.

“Ma guarda, la pazza-dhampir che arriva in difesa della pazza-moroi.”

La sua combriccola rise dopo di lei.

Io la guardavo minacciosa, poi mi rasserenai e gli volsi un sorriso amichevole, che la fece smettere, ma non perdere, quel ghigno sul viso.

“Dovresti sapere cosa si dice dei pazzi!”. Sorridevo ancora mentre mi avvicinavo al suo viso, che ora parve incredulo nel sentirmi parlare. In fin dei conti ero sempre la muta dell’accademia.

“I pazzi sono così instabili, che non si sa mai come possano reagire!”. L’ultima parola gliela sussurrai a pochi centimetri dal viso. Lei si era bloccata incredula. Tutti in silenzio guardavano la scena. La muta pazza aveva parlato.

Qualcuno da lontano disse che stavano arrivando i guardiani, così tutti si dispersero velocemente. La ragazza moroi che avevo affrontato si era ripresa e prima di allontarsi, guardò la moroi alle mie spalle, poi me e disse: “Vi siete scavate la fossa da sole!” e se ne andò ancheggiando.

Doveva intimorirmi? Perché a me aveva solo dato un pizzico di quotidianità normale nella mia vita.

Mi voltai ricordandomi della moroi alle mie spalle.

“Ehi, tutto bene?”.

Lei mi guardava incredula, le lacrime non erano scese, e questo mi bastava.

“N-nessuno aveva mai preso le mie difese! Grazie.”.

Io le sorrisi rassicurandola.

“Perché non ci sono mai stata io!”.

Il suo viso fu rischiarato da un timido sorriso. Era davvero la moroi più bella che avessi mai visto. I suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle, tutto di lei la faceva brillare.

“Io sono Rose Hathaway, anche se forse lo sai già!”.

Come sempre la mia peggior fama mi precedeva sempre.

“Il mio nome è Vasilisa Dragomir, ma ti sarei grata se mi chiamassi solo Lissa!”.

Un momento Dragomir? Conoscevo benissimo questo nome, anzi sfidavo tutti a non saperlo. I Dragomir erano una delle casate che godevano di maggior rispetto tra i reali, ma il destino aveva decimato i suoi componenti fino ad una sola famiglia. E la disgrazia peggiore era arrivata qualche anno prima, dove i rimanenti erano morti in un incidente stradale. Voci di corridoio parlava di sopravissuti, altre dicevano che erano morti tutti. Ricordai le parole della stronza di prima “Per fortuna non sei rimasta che tu”. Come si può dire una cosa così spregevole?

Lei parve capire l’impatto che avrebbe avuto su una che non la conosceva il suo nome, e mi lasciò il mio tempo per apprendere ciò.

“Quella rossa è stata davvero una grande stronza!” mi riferii a ciò che le aveva detto prima.

Lei non si aspettava che le dicessi così, probabilmente era solita sorbirsi domande su suoi parenti, di certo io non le avrei chiesto niente. Figuriamoci.

Lei mi sorrise e stava per rispondermi, ma i guardiani di cui si era nominato l’arrivo prima, con tempismo splendido fecero la loro apparizione.

 Erano Dimitri e il guardiano Alberta. Non so se lo immaginai solo, il mio cuore, sussultare.

Lui parlò non appena ci fu vicino.

“Principessa, ci sono problemi?”.

“Nessuno, guardiano Belikov, ho solo avuto il piacere di conoscere Rose.”

Era sincera. Mi sorrise dolce, dopo aver parlato educatamente con Dimitri, il quale mi guardava con sospetto. Perché sembrava aspettarsi che adesso ne combinassi ad ogni passo? Io gli sorrisi angelicamente, e questo gli fece brillare gli occhi di …divertimento? Ammonimento? Non avrei saputo dirlo. Contemporaneamente ammirai Lissa, non sembrava nemmeno che un minuto prima una ragazza le stesse ricordando di essere sola al mondo. Capii che doveva essere una persona che si teneva tutto dentro, per non dare peso dei suoi problemi agli altri. Sbagliava, come io avevo capito che sbagliavo. O meglio, come Dimitri mi aveva fatto capire che sbagliavo.

Perché diamine risolvere i problemi degli altri era sempre più facile che risolvere i propri?

“Bene, allora principessa se non le è un fastidio l’accompagnerò alla sua lezione, dato che sono di strada. Tu, signorina Hathaway, proseguirai a Tecniche avanzate di combattimento con il guardiano Belikov” disse Alberta.

“La ringrazio” disse gentile Lissa, poi si rivolse a me “Rose, pranziamo assieme oggi?”.

Mi sarebbe piaciuto diventare sua amica.

“Volentieri. A dopo, Lissa!”. Lei mi sorrise, e un’Alberta alquanto solare la scortò via. Non potei non notare i capelli corti sbarazzini del guardiano, che permettevano di vedere benissimo i molnija e il marchio della promessa, una esse orizzontale. 

Inconsciamente mi toccai la parte del collo in cui c’era il mio tatuaggio.

Dimitri mi guardava pensieroso come il suo solito e io finta di niente presi a camminare verso la palestra.

“Lo nascondi!”.

La sua voce calda iniziava ad essere familiare e mi faceva rabbrividire lungo la schiena.

Si stava riferendo al molnija. Aveva visto che avevo guardato il collo di Alberta e che mi ero toccata il mio.

“Non è vero.” Almeno credevo. “È solo che… non voglio tagliare i miei capelli, non ancora.”

Tutti i guardiani femmine li tagliavano, ma a me piacevano troppo i miei lunghi capelli neri.

Sembrava volesse confidarmi qualcosa, ma qualcosa lo bloccò, rimettendo la maschera salda che avevo visto portare sempre in presenza della gente. Un guardiano dall’aspetto fiero e intoccabile. Con me, anche quella mattina, sembrava fosse stato più se stesso. Forse il fatto di aver avuto lo stesso mentore, ci univa un po’.

“Puoi sempre legarli!” e si indicò il codino che portava lui. Certo i suoi capelli erano corti anche se sciolti, ma forse per non averli in viso li legava, almeno pensavo io.

“Se sciolti possono essere un’arma usata contro di te. Uno strigoi può prenderti per i capelli e tirarli, così da farti perdere l’equilibrio e prenderti in contropiede!” lo disse come se fossimo ad una lezione di combattimento.

“Grazie per la dritta, compagno. Mi piacciono troppo i miei capelli.”

Non lo guardai, e da lì in poi continuammo in silenzio sino in palestra. Da dove mi era uscita compagno? Lui non  aveva detto niente, e speravo non se ne fosse accorto. Sapevo bene che non era Nikolai, eppure sentivo un feeling, qualcosa, che mi faceva sentire tranquilla e al sicuro.

All’ingresso mi fermai e lui dietro di me. Mi era tornato in mente il combattimento con Mason il giorno prima.

“Come sapevi che non mi sarei fermata ieri?”.

Non specificai cosa, ma sapevo che lui mi avrebbe capita. Lui sembrava capirmi sempre.

“I tuoi occhi” disse, dopo una piccola pausa. “Erano inarrestabili.”.

Ricordai chi credevo di combattere.

“Ai miei occhi, vedevo uno strigoi”. Ammisi e lo guardai.

Lui annuiva. Poi dal nulla lo vidi tornare nella sua solita postura da guardiano intoccabile. Le confidenza era finite.

“Sai vero che dovrò riportare il fatto che sei tornata nelle tue piene facoltà mentali!”.

“Che il mio momento pazzo è finito?” dissi ironica. “Si, lo sospettavo. So che i guardiani vorranno sapere cosa è successo quella notte, ma riferisci loro che lo dirò solo dopo che avranno risposto a delle mie domande!”.

Riuscii a sorprenderlo e incuriosirlo.

“Quali domande?”.

Oh, molte domande. Quell’attacco non avrebbe mai dovuto verificarsi.

“Sono sicura che sarai presente anche tu, perciò vedrai.”

E lo lasciai ammutolito.


 

Buonaseraaa
Un legame che sembrava già inspiegabilmente esistere, inizia a prendere forma per i nostri personaggi preferiti.
Che ne pensate di questo Dimitri che aiuta Rose a tornare in sè?
Rose sembra aver trovato anche un'amica sincera, contente?
Ditemi cosa ne pensate mie preziose lettrici <3.
Un bacio

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


capitolo 7

Capitolo 7

 

Quel giorno combatterono i novizi che non avevano combattuto il giorno prima. Io nel mezzo della lezione mi avvicinai a Mason.

“Ehi… Mason. Come stai?”.

In un primo momento fu sgomento del fatto che gli parlassi, ma si riprese subito.

Credo che provasse del rispetto per me.

Se solo sapesse.

“Hathaway. Tutto bene dai, un lieve bernoccolo.” Rise grattandosi la testa.

Seguì un silenzio imbarazzante, che cercai di rompere subito.

“Ehm… Volevo chiederti, voi da avete iniziato ad allenarvi con il paletto?”.

Lui fu confuso per il cambiamento di discorso.

“Oh, beh, l’anno scorso ci siamo dedicati alla teoria. E quest’anno dal primo giorno abbiamo fatto pratica.”

Accidenti, erano più avanti di me. Perché non tutte le accademie seguivano lo stesso metodo di insegnamento?

“Perché me lo chiedi?”

Gli sorrisi tesa.

“No, niente. No sapevo bene a che punto foste voi.”

Lui si fece bastare la risposta, poi mi rivolse uno sguardo triste.

“Mi dispiace per quello che è accaduto alla tua accademia!”.

“Ti ringrazio”risposi troppo in fretta.

Lui non disse altro.

Mi persi un po’ sul pensiero che, riflettendoci bene, tra gli studenti era andato a scemare lo spavento causato dall’attacco degli strigoi alla St. Thomas. Certo, loro avevano solo sentito parlare, non avevano visto quello che io avevo visto, e sicuramente, si sentivano protetti qui. La cosa però non era vissuta in egual modo dai guardiani. Sapevo abbastanza da accorgermi, che il numero dei guardiani presenti alla St. Vladimir era superiore al normale, e spesso vedevo coppie di guardiani aggirarsi con sguardo vigile per l’accademia. Sapevo inoltre, grazie al mio udito sopraffino, che molti reali avevano raddoppiato le loro guardie nelle loro casate, cosa che mi aveva accennato anche mia madre nella sua lettera. Tutto era normale, niente era apposto.

 

L’ora successiva, un certo Stan parlava di come bisognava sorvegliare un moroi. Questa parte la conoscevo già per mia fortuna. Si trattava della tecnica di sorveglianza a “coppia”, quando due guardiani sorvegliano uno o più moroi. Uno dei due funge da guardia prossima e cammina con i moroi, l’altra è la guardia lontana che a distanza controlla un’area più vasta con un numero più elevato di minacce.

“Qual è la figura più importante  delle due?” chiese poi il guardiano Stan.

Un certo Ryan proruppe dopo un lungo silenzio: “Quello con i moroi.”.

Il guardiano socchiuse gli occhi per adocchiare meglio la sua preda. “Oh, signor Aylesworth. Può  rallegrare la sua impeccabile risposta di particolari?” era ironico, ovvio.

Ryan si tirò su dalla sua posizione stravaccata.

“Beh, è ovvio che il guardiano che si trova vicino ai moroi sarà quello che si scontrerà  per primo con gli strigoi che attaccheranno, per cui sarà quello con più responsabilità nel proteggerli.”.

Elementare, poco fantasioso.

“Lei dice?” lo guardò con occhi lievemente socchiusi. “Qualcun altro a favore della teoria del signor Aylesworth?”.

Mi accorsi di aprir bocca ancora prima di aver deciso mentalmente se farlo o no, ma accidenti, volevo mettermi in mostra. Dovevo.

“Veramente…”.

“Si?” Stan si destò subito in cerca di quella voce. A quanto pare non erano molti quelli che si offrivano di parlare alle sue lezioni. Quando i suoi occhi si puntarono su di me, parve sorpreso, ma tornò al suo solito cipiglio da studioso.

“Prego signorina Hathaway continui.”

“Ryan potrebbe avere ragione, ma qualcuno potrebbe anche dire che è la guardia lontana quella con più responsabilità. Deve controllare un territorio più vasto e stare allerta al minimo segnale di pericolo. Forse sarà proprio lui il primo a combattere con gli strigoi che attaccheranno, perché probabilmente sarà anche il primo ad accorgersene.”

Lui seguiva attento il mio discorso e così l’intera classe. Scorsi Mason farmi l’occhiolino seduto nei primi banchi.

“Magnifico, signorina Hathaway, ma la sua risposta non specifica chi dei due lei ritiene più importante.”

Sorrisi.

“Nessuno lo è. O meglio, non lo è nell’uno nell’altro, bensì entrambi. La guardia lontana, vigile, avviserà il più velocemente possibile la guardia prossima, la quale preparerà la difesa fino all’arrivo del suo compagno e insieme sconfiggeranno il pericolo in agguato.”

Stan mi guardava attento.

“Eccellente! Signor Aylesworth, spero abbia preso appunti”.

Solo eccellente? Poteva farmi un’ola.

Sentii la classe ridere e bisbigliare, io ero fiera di aver dato quella che a mio parere era la risposta più esatta.

“Guardiano Belikov ha bisogno?”.

Mi voltai di scatto verso la porta alle mie spalle in fondo all’aula, con il cuore in gola. Dimitri nella sua eleganza più battagliera, si ergeva dritto e immobile guardando Stan.

“La signorina Hathaway è desiderata dalla preside Kirova.”

Chissà se aveva visto il mio momento di gloria.

“Prego signorina può andare.”

Tutti mi guardavano; chi indifferente, chi più malizioso in attesa di qualche scoop non in mio onore, come lo sguardo di Ryan, che probabilmente non gradiva la figura fatta.

 

Nel tragitto non dissi nulla e neanche Dimitri disse niente. Lo vedevo pensieroso e non ebbi il coraggio di attirare l’attenzione.

Nell’ufficio della preside, oltre a lei, trovai ad attendermi il preside Thompson, Alberta, un altro guardiano e il mio carissimo Albert. Restai sconvolta nel vederlo, non perché fosse lì, sapevo che si trovava in questa accademia, e sapevo che nel mio “interrogatorio” lui di sicuro sarebbe stato presente, ma ciò che mi colpì fu il suo viso. Lo ricordavo diverso, più giovane forse, meno pensieroso e meno tetro. L’attacco doveva averlo segnato tantissimo. Forse questo poteva spiegare molte cose, come il suo passaggio dalla teoria alla pratica.

“Signor Thompson” dissi in parte felice di vederlo, era un legame della mia vecchia vita. “Non sapevo fosse qui.”

“Ciao Rose, sono contento di vedere che stai meglio. Non resterò molto a dire il vero.”

Di certo questa non era la sua accademia, chissà cosa avrebbe fatto. Forse avrebbe seguito da vicino la ricostruzione della St. Thomas.

“Bene, Rose.” Disse la Kirova. “Puoi sederti!” e allungò il braccio in direzione delle sedie di fronte alla sua scrivania, e così feci. Lei era seduta di fronte a me, Thompson era in piedi al suo fianco. Alle pareti Alberta e Hanson a sinistra e Dimitri a destra. Non mi volsi a guardarlo, ma sentivo la sua presenza imponente. L’altro guardiano di cui non conoscevo il nome, e che nessuno mi presentò, sedeva su un angolo con una macchina da scrivere di fronte a lui. Sospettavo che avrebbe scritto anche i miei respiri. E non mi sbagliai di molto.

A prendere parola fu Thompson che per prima cosa, si assicurò di chiedermi se sapessi il motivo per cui fossi lì, dopo di che, mi chiese di raccontargli la mia storia.

Presi un grosso respiro, poi iniziai a parlare. Raccontai di quando ero stata convocata dal preside, a causa del pugno dato a Martin Ivashkov. Thompson e Hanson replicarono entrambi l’esattezza del fatto e il guardiano anonimo scrisse tutto. Mi accorsi che probabilmente quei scritti sarebbe finiti tra gli annali dei guardiani, la mia testimonianza sarebbe entrata nella storia, e tutti avrebbero ricordato che Rose Hathaway aveva dato un pugno ad un moroi. E non un moroi qualunque.

Dannazione!

Si notò la mia esitazione e Thompson mi chiese se fossi in grado di continuare. La parte peggiore non era ancora arrivata, ma mi ero posta un obiettivo, e per arrivarci avrei dovuto passare anche questo esame con me stessa.

“Si, posso continuare.”

Sentivo gli sguardi tutti su di me, specialmente uno e cercai di non farmi prendere troppo dalle emozioni. Dovevo comportarmi come un guardiano, dove loro vengono prima e le nostre emozioni e i nostri problemi non sono la priorità. Cercai di mostrarmi più distaccata possibile e proseguii col mio discorso. Nikolai che mi ordinava di andare agli alloggi moroi, la corsa fuori, le grida di aiuto di Lucinda Ivashkov.

“Come hai agito?”.

“Sapevo di doverla proteggere. Lei era in stato di shock ho dovuto alzare la voce e darle qualche scossone per vedere un qualche barlume di lucidità. Sapevo che più stavamo lì, più la possibilità che uno strigoi sopraggiungesse fosse reale, allora le ho detto di correre verso gli alloggi. Lei stava tra me e il muro, ma a metà strada è arrivato uno strigoi.”.

Mi fermai rivivendo il mio stesso racconto, mi accorsi che in quel momento quella era stata la decisione più logica e migliore che mai avrei potuto fare.

“E cosa è successo dopo?”.

“Ho cercato di distrarre lo strigoi.” Mi ricordai del mio stupido tentativo. “Non avevo armi, gli ho tirato un sasso, mossa stupida lo so, ma lo ha distratto giusto il tempo perché spingessi via Lucinda, obbligandola a scappare.” Intuivo che fosse riuscita a salvarsi, non c’era stato nessun cataclisma da parte della regina da quanto ne sapevo.

“Si è salvata, almeno?”.

Thompson era serio, ma vidi i suoi occhi ammorbidirsi.

“Si, Rose, sei riuscita a salvarla”.

Annuii. Almeno una delle tante decisioni prese era andata a buon fine quella notte.

Quella notte… una scintilla dentro me si accese.

“Prima di continuare voglio che mi diciate una cosa.”

Vidi Thompson e la Kirova scambiarsi uno sguardo. Annuirono perché proseguissi.

“Come hanno fatto gli strigoi oltrepassare le nostre difese?”

Non li vidi scomporsi più di tanto, capii che probabilmente si aspettavano quella domanda.

“Non ci è permesso dare questo tipo di informazioni agli studenti.”

Penso che i miei occhi schizzarono dalle orbite.

“CHE COSA?” urlai.

“Emil!” disse Thompson contemporaneamente. Il guardiano alla macchina da scrivere si fermò. Non mi resi conto del rumore ticchettante dei tasti, finché non smise.

“Io non sono gli studenti. Io sono Rose Hathway una ragazza che credeva di essere al sicuro nell’accademia in cui viveva.”

Hanson era sbiancato. Thompson era a disagio. Dimitri sembrava urlarmi calmati, per un secondo credetti di vedere del fumo uscirgli dalle orecchie.

“Lo so, Rose, per questo ho fermato il guardiano Emil. Nel rapporto risulterà che tu hai chiesto e noi abbiamo negato la risposta, sapevamo che questa domanda sarebbe stata posta, e tutti noi eravamo d’accordo che avresti avuto le tue risposte.”

Chinai il capo dalla vergogna, come sempre mi lasciavo prendere dalle emozioni, e non davo agli altri il giusto valore. Non erano poi tutti incompetenti come pensavo.

“A patto che ciò che ti diremo in questo ufficio, rimarrà qua dentro.” Continuò Thompson.

Lui mi guardava serio ed io annuii, imbarazzata dalla scenata che avevo iniziato a fare.

“Bene” disse tamponandosi del sudore inesistente sulla sua fronte, forse era solo un modo per sfogare il suo disagio.

“E’ stato trovato un paletto vicino le mura sud, sai cosa significa?”.

Rividi la St. Thomas nel suo immenso verde, circondata di pini dalle altezze impensabili. Rividi il lato sud, dove spesso correvo e facevo esercizi di nascondigli con Nikolai. Un paletto aveva detto. Le difese magiche venivano erette dall’accostamento dei poteri dei moroi, così come venivano forgiati i paletti, per questo erano fatali per gli strigoi e una protezione sicura per noi, ma forse i due poteri assieme non potevano coesistere. Aveva senso ed era terribile.

“Il paletto ha annullato l’effetto delle difese.”

“Si, Rose”.

Mi ci volle un po’ ad arrivare allo step successivo.

“Gli strigoi però non possono toccare i paletti.” Guardai Dimitri che mi osservava a sua volta, assimilava il mio capire cosa stava accadendo, le informazioni di cui stavo venendo in possesso. In quel momento potevo considerarmi una loro pari. Avrei dovuto esserne fiera, ma gli argomenti toccati, non mi lasciavano gasarmi di ciò.

“Significa” provai a trarre la conclusione, riponendo lo sguardo su Thompson “che degli umani li hanno aiutati.”

Thompson annuì.

Non era un segreto che gli umani che venivano a conoscenza dell’immortalità desiderassero ottenerla, ma da quanto sapevo, non erano mai stati messi in mezzo alla guerra, che da anni ormai combattevamo.

Eppure quella notte l’avevo intuito, che qualcosa non andava, che quei strigoi erano diversi e si comportavano in modo diverso.

“Gli strigoi stanno diventano sempre più furbi, è una cosa spaventosa.” Dissi e gli altri guardiani sembravano essere del mio stesso avviso.

Mi accorsi che stavo sudando, mi alzai per muovere qualche passo, avevo bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe.

Avrei discusso di questo con Dimitri più tardi, sapevo che non mi avrebbe respinto, o almeno speravo non lo facesse. Rimisi a posto le idee e poi sicura mi sedetti di nuovo sulla sedia, per continuare il mio racconto. Thompson fece un cenno ad Emil e questi si rimise in posizione. Ticchettò sui tasti non appena ripresi a parlare.

Il pugno dello strigoi, l’arrivo di Nikolai, l’arrivo dell’altro strigoi, Nikolai che cerca di farmi fuggire e il comportamento strano dello strigoi e l’uccisione di Nikolai. Quando raccontai quella parte mi vennero le lacrime agli occhi, ma resistetti, non ne versai neanche una. Infine, raccontai come avevo ucciso lo strigoi e il mio interrogatorio finì lì. Rilessero ciò che Emil aveva scritto ed io lo firmai, poi mi congedarono ed io mi defilai in fretta, avevo bisogno di aria fredda.  La testa mi vorticava. Aver rivissuto quella notte mi aveva lievemente scombussolata e il mio tatuaggio sembrava pizzicare, ma sapevo essere la mia impressione.

Ben presto il cortile si riempì di gente. Non me ne ero accorta, ma era ora di pranzo. Avevo appuntamento con Lissa e mi accorsi di non vedere l’ora di parlarci assieme, di fare magari qualche chiacchierata, di comportarmi come una ragazza di 17 anni. Una cosa che forse non avevo neanche mai fatto. Tutta la tensione provata mi aveva fatto capire quanto in realtà necessitassi di un po’ di tranquillità e normalità.

La incontrai all’ingresso della mensa, mi aspettava in piedi.

“Ciao” le dissi.

Lei alzò lo sguardo, sembrava emozionata.

“Ciao” forse non credeva sarei andata.

Entrammo e mi diressi verso il banco dei cibi, una specie di buffet, ma una volta arrivata ricordai che Lissa non era una dhampir.

“Scusa. Devi passare per caso dai donatori?”.

I donatori: umani che davano il loro sangue di spontanea volontà. Erano così fatti delle endorfine rilasciate dal morso dei vampiri, che ne erano assuefatti, come drogati, e non potevano essere più felici di venire morsi.

“No, tranquilla, sono andata stamattina, per oggi quindi sono apposto!”.

Annuii, così ci prendemmo ognuna qualcosa da mangiare e con il vassoio ci sedemmo un po’ in disparte dalla confusione. Si, perché oggi in mensa c’era davvero il delirio. Girava lo scoop della pazza, ovvero io, che aveva ripreso a parlare e dello scontro avvenuto con la moroi rossa, ma non era solo questo ad agitare gli animi.

“A parte il siparietto di stamani, cos’è che agita così tanto la mensa?”.

Lissa mi guardava curiosa.

“Non hai saputo? La regina Tatiana verrà in visita alla St. Vladimir.”

La regina in tour? E questa da dove saltava fuori?

“Non ci credo!”.

Annuì, un po’ titubante anche lei.

“Pare che voglia dimostrare che lei non è impaurita, come la maggior parte dei moroi, da quello accaduto alla tua accademia.”

Sfacciata di una regina.

“Dovrebbe…” mi uscì il commento in modo molto acido e tetro.

“Come?”

Lissa sembrava molto colpita dalla mia reazione, ma non seppi dire in che modo.

Ripensai a come gli strigoi erano entrati alla St. Thomas, e fu stupido pensare che la regina non ne fosse a conoscenza. Riflettei sul suo comportamento e giunsi al fatto, che se fossi la regina probabilmente cercherai di mantenere la calma per evitare crisi di panico. Forse non era poi schiocco questo tour.

“No, scusa. Nel senso, che la regina dovrebbe avere paura di essere attaccata, è coraggiosa a venire qui.” Provai a salvare la faccia.

“Si, la penso anche io come te” mi sorrise tenera.

Perché gli altri moroi dovevano avercela con lei? Era una ragazza a mio parere, gentile e dolce con tutti.

“Lissa, posso chiederti perché quella str… quella rossa ce l’aveva con te questa mattina?”.

Il suo sorrise vacillò, rimase, ma notai che non toccava più i suoi occhi, ora tristi.

“E’ Camille Conta. Devi sapere che in passato, mi ero messa con un ragazzo, Aaron. Lui era, ed è, parte del gruppo dei reali. Mi sono messa con lui, ammetto, perché tutti si aspettavano che lo facessi. Lui mi faceva la corte, era dolce ed io non ho potuto rifiutare, ma non l’ho mai amato e quando la cosa si stava facendo troppo seria, non ce l’ho fatta, ho mollato. Lo avrei illuso troppo, non potevo continuare questa messa in scena, ma mollarlo ha avuto degli effetti collaterali che mi hanno portato ad essere evitata da tutti, perfino dai non-reali.”

Alzò le spalle come se fosse una cosa normale, che potesse succedere, essere ripudiata da tutti.

“Che cattiveria! E a te sta bene così?”.

Lei sorrise triste. “Probabilmente me lo merito.”

La guardai sbalordita, nessuno doveva pensare di meritare di rimanere emarginata. Oddio. Realizzai che ancora una volta io, bue, stavo dando del cornuto all’asino. Che sciocca.

“Nessuno merita ciò, Lissa. E sono sicura che tu sei davvero troppo buona.”

Lei sorrise. “Non lo so.”

“Te lo dico io fidati. Che ne dici, Lissa, diventiamo amiche?”.

Le tesi la mano come per poter suggellare il rapporto con una stretta di mano e renderlo reale.

“Ti avviso però, non godo sempre di ottima reputazione!”

Lei mi guardò con occhi brillanti.

“Dici davvero?”

Io sorrisi. “Certo che si!”.

Lei allungò la sua candida mano e strinse la mia.

“Amiche.”

Seraaa!

Eccoci già al settimo capitolo. Ringrazio chi mi segue e apprezza, anche silenziosamente, la mia storia.

Tornando al capitolo, vediamo che la vita di Rose inizia ad intrecciarsi con quella dei componenti dell'accademia S. Vladimir e cosa ben più fondamentale, 

inizia a legarsi alla nostra bene amata Lissa. Non poteva di certo mancare la loro grande amicizia!

Spero vi sia piaciuto e come sempre, alla prossima!!

xoxo

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


capitolo 8

Capitolo 8

 

Quando terminarono le lezioni quel giorno mi sentii più viva che mai. Era successo di tutto ed io ero piena di entusiasmo, come non lo ero da un bel po’.

Camminavo con Lissa nei corridoi, dopo che lei mi aveva appena confessato, imbarazzata, che doveva andare dalla psicologa Carmack. Lo faceva due volte a settimana, ma non mi disse il perché.

Di certo, una ragazza che restava sola, dopo la morte della sua famiglia e la quasi estinzione della sua casata, non doveva essere una persona molto spensierata. Ai miei occhi lei non era pazza, come lo pensava il resto dell’accademia, anzi, vedevo solo quante buone qualità la distinguessero dagli altri.

Stavamo ridendo di una delle mie battute stupide sul mio intervento nella lezione di Stan, che le avevo raccontato, quando dalla porta della signora Carmack, alla quale eravamo quasi arrivate, uscì un moroi dai capelli neri e dagli occhi furenti. Qualcuno doveva avergliele fatte girare tanto. Una cosa però mi colpì e fu vedere quegli occhi così carichi di rabbia, trasformarsi in quiete una volta incontrato la figura di Lissa. Era stato come vedere redenta un’anima persa, spettacolare.

Guardai Lissa e lei era calma, come sempre, forse i suoi occhi ora erano leggermente più brillanti. L’aria puzzava di cotta bella e buona.

Il ragazzo si fermò davanti a noi dopo aver sbattuto la porta.

“Non so come fai a sopportarla quella!” di sicuro si riferiva alla psicologa, perché con la testa aveva accennato verso la porta.

Lissa sorrise angelica.

“Hai poca pazienza, ecco perché. Christian, lascia che ti presenti la mia nuova amica, Rose. Rose, lui è Christian.”

Se c’era un’altra persona con cui Lissa andava d’accordo, non vedo come mai non me lo avesse menzionato. Forse si piacevano, ma nessuno si faceva avanti e quindi ognuno restava per le sue.

“Ciao!” gli dissi, dandogli la mano, ma lui non la prese, anzi la guardò con un ghigno.

“Guarda che non ho la lebbra!” gli dissi un po’ acida. Che cafone.

“Voglio solo risparmiarti una crisi di nervi dopo che avrai saputo chi sono. L’ultima a cui ho dato la mano è andata a farsi esorcizzare da padre Anthony. Tzè.” E così si allontanò, cupo com’era uscito dalla signora Carmack.

Mi voltai e guardai Lissa in cerca di spiegazioni.

“Ora devo andare, Rose, sono in ritardo, ma dopo potrei venire nel tuo dormitorio, ti va?”.

“Si, certo. Mi ha proprio incuriosito quel Christian.”

Lei aprì la porta tranquilla.

“E’ solo incompreso, tutto qui” disse, poi si chiuse la porta alle spalle.

Era triste, quando lo aveva detto e mi lascò davvero senza parole. Più tardi speravo che me ne avrebbe parlato, nel frattempo, però, avrei cercato un’altra persona con cui dovevo ancora parlare. Ci avevo pensato durante tutte le lezioni del dopo pranzo.

Rivivere, raccontando, l’attacco degli strigoi mi aveva destabilizzato e necessitavo parlarne. Lui si era offerto di ascoltarmi, no?

O forse io avevo capito male e lui intendeva che tutti i guardiani sarebbero stati disposti a farlo?

Poco importava, ormai ero diretta a passo di carica verso la palestra, visto che sospettavo di trovarlo lì e così fu. Si stava allenando con dei manichini. All’ingresso mi bloccai affascinata a guardarlo. Si muoveva come Nikolai mi aveva insegnato, con qualcosa di più, qualcosa forse solo di suo. Era così concentrato e così determinato. Il suo sguardo bruciava, sembrava si stesse sfogando, ma con moderazione. Forse solo in quel momento capii cosa Nikolai intendesse quando diceva che eravamo simili.

“Ti stai controllando!”.

La mia voce lo colse di sorpresa, perché lo vidi vacillare, ma quando si voltò non c’era traccia di stupore sul suo viso.

“Cosa te lo fa pensare?”.

Si era ripreso e si era impossessato della maschera da guardiano intoccabile.

“I tuoi occhi!”.

Non capivo da dove arrivasse quella tranquillità con cui gli parlavo, ma mi sembrava di avere con lui un legame vecchio di cent’anni. Mi veniva così normale e non capivo perchè. Eppure avrei dovuto portargli rispetto, dato che era un guardiano, un mio insegnante ed era pieno zeppo di molnija.

La mia risposta lo innervosì leggermente, ma se la cosa lo avesse toccato non avrei saputo dirlo. Vedevo che si dava un contegno. Cosa mi ero messa in testa? Non potevo trattarlo come una specie di amico, per lui ero solo un’allieva. Di sicuro bellissima e dotata, viva la mia modestia, ma comunque un’allieva.

“Le lezioni sono terminate, Rose. Come mai sei qui?”.

Giusto, perché ero lì? Ah, si, l’avevo quasi scordato. Bastava guardarlo per perdere il lume della ragione.

Ok, stop! Contegno!

Iniziai a camminare di lato, per dargli leggermente la schiena, mi sentivo imbarazzata.

“Dopo il rapporto di oggi e di alcuni avvenimenti avvenuti questi giorni, mi sono resa conto di aver bisogno del tuo aiuto.”

Alzò un sopracciglio, non sembrava preparato a questa piega di conversazione. Ancora.

“Non credo di aver capito.”

Sospirai.

“C’era un motivo se Nikolai era il mio mentore. Lui mi aiutava non solo nel combattimento. Lui mi insegnava a dominarmi.” Mi seguiva attento e vigile con lo sguardo. “Come lo aveva insegnato a te.”

Lo vidi sbattere lentamente gli occhi, stava assemblando e magari formulando una delle sue risposte da psicologia avanzata.

“Ti sto chiedendo di farmi da mentore.”

Fissò i suoi occhi nei miei e dopo un silenzio lungo una vita, rispose.

“No!”.

Suonò così secco e preciso. Ero convinta mi avrebbe detto di si.

“I-io ne ho bisogno.” Balbettavo agitata. “E poi qui hanno già iniziato con il paletto. Io ho fatto solo la teoria. Sono indietro”. Cercavo di arrampicarmi sugli specchi, la sua risposta mi aveva fatto defluire il sangue dai piedi al cervello.

Lui mi guardava un po’ meno duro, ma sapevo non avrebbe cambiato idea.

“Rose, hai ucciso uno strigoi. Non penso proprio che sei più indietro dei tuoi compagni. Farai presto a metterti in pari.”

Sapevo di guardarlo come un cucciolo bastonato. Mi sentivo come una bambina a cui le veniva negato il suo giocattolo preferito.

“Perché no? Insomma io…”

“Roza, no!”.

Lo disse con una tale intensità, che mi fece sudare e rabbrividire allo stesso tempo. Avevo una sensazione strana allo stomaco, mi sentivo come rifiutata. Oh, dannazione. Dovevo andarmene o sapevo avrei pianto.

A cosa diavolo stavo pensando quando sono venuta qui? Io non capivo. Avrei messo la mano sul fuoco che con me lui si comportava diversamente che con gli altri, ma a questo punto mi domandavo se fosse un bene o un male.

“Scusi il disturbo” dissi come se parlassi ad un estraneo. Quello che insomma avrebbe dovuto essere lui, in effetti.

Mi girai e camminai via. Affrettavo i passi sempre di più, volevo mantenere almeno un po’ di dignità. Quando fui sicura di essere fuori dalla sua visuale iniziai a correre, inoltrandomi nella vegetazione che circondava la scuola e mi fermai solo quando sentii di avere un fiume in piena sul viso.

Stupida. Stupida. Stupida.

Che reazione era quella? Perché piangevo? Non era normale, che diavolo mi prendeva?

Aprii gli occhi e distrarmi fu facile. Ero nella parte sud est della scuola, ma non avevo mai notato questo spettacolo. Al chiaro di luna, di fronte a me, si arrampicavano, intorno ad una piccola fontana, un cespuglio di rose nere. Era impossibile che ne crescessero di quel colore, eppure ce le avevo proprio di fronte a me, sbocciate e profumate. Quella visione mi calmò, erano uno spettacolo surreale. Restai ad osservarle per un tempo indefinito.

 

Dopo minuti o ore mi ricordai che Lissa sarebbe venuta nel mio dormitorio, perciò come un fulmine mi misi a correre, conscia di aver trovato un paradiso, un posto che sembrava calmare i miei nervi sempre tesi. Questa cosa mi aveva allentato la pressione dentro ed ero ben intenzionata a rivendicare quel posto come mio. Mi vedevo già mentre appendevo un cartello con su scritto ‘proprietà di Rose Hathaway’.

Passai accanto alla palestra, era inevitabile, e con la coda dell’occhio scorsi una figura sulla porta. Avrebbe potuto essere Dimitri, ma non ero sicura e non mi voltai per verificarne la veridicità. Dovevo evitare lui e il pensiero di lui.

Arrivai al dormitorio e vidi Lissa seduta sui divani della sala comune.

“Scusa, scusa, scusa.”

Lei mi guardava tranquilla come sempre.

“Tranquilla, Rose. Sono appena arrivata.”

Le sorrisi e la portai nella mia camera.

 

“Allora com’è andata?” le dissi una volta seduta a gambe incrociate sul mio letto.

“Bene, è contenta che siamo diventate amiche.”

Risi

“Perché non sa ancora che ti porterò sulla cattiva strada.”

Anche lei rise.

Mi ritornò in mente di quel Christian.

“Lissa. Racconta… c’è del tenero tra te e il bel tenebroso di oggi?”

Le guance rosse che le si infuocarono la dicevano lunga.

“No, Rose, ma come ti salta in mente.”

“Ma se sei tutta rossa!”

Presi a sghignazzare alla grande, mentre lei si portò le sue pallide mani sul viso.

“Io e Christian siamo conoscenti e basta.”

La guardai con un sopracciglio alzato.

Lei sbuffò, ma col sorriso.

“L’ho conosciuto per caso. Nel mio posto in cui vado sempre a pensare, che a quanto pare si è rivelato essere anche il suo.”

Ti prego fa che non sia il cespuglio di rose nere, dissi mentalmente incrociando le dita.

“E questo posto dove sarebbe?”.

Lei diventò più rossa.

“La mansarda della cappella. Ho scoperto per caso una porta che conduceva sulla soffitta, quando avevo quindici anni.”

Se i conti non erano sbagliati, era il periodo della morte dei suoi genitori. Trovai conferma nei suoi occhi tristi.

“Wow, davvero romantico, ma non credi che andrai all’inferno nell’avere incontri amorosi in un luogo sacro?”

Lei prese a ridere. “Rose, ma che dici! Non è affatto come pensi.”

“No?” ridevo sotto i baffi.

“No!” disse lei sorridente e esasperata. “Veramente siamo andati avanti a litigare per un po’ su chi avesse il diritto di usare quel posto e alla fine siamo giunti ad un compromesso. Ognuno lo usa a sua discrezione e non interferisce nelle abitudini altrui.”

Mmmh .. qualcosa mi mancava da tutto ciò.

“Cosa non mi stai dicendo, Lissa?”.

Lei si morse un labbro mostrando un canino.

“Oh, Rose. Neanche mi conoscessi da una vita.”

Alzai le spalle divertita. “Con alcune persone mi è più facile capirle.” E mi maledissi quando il viso di Dimitri si fece largo nei miei pensieri.

“Tutto ok, Rose?”.

Mi ridestai.

“Come? Perché?”.

“Ti eri incantata.” Osservò curiosa lei.

“Sono pazza ricordi? Comunque se non sbaglio stiamo deviando dal binario principale.”

La guardai eloquente e lei sorrise imbarazzata. Era davvero bella, Lissa.

“Non so, davvero. Cioè avevamo fatto questo accordo, però ultimamente lo incontro spesso e parliamo molto. Abbiamo tante cose in comune.”

“Ti piace!” sentenziai.

I suoi occhi uscirono dalle orbite.

“Cosa? Non è vero. Parliamo solo e non so neanche se siamo amici, in giro per l’accademia non mi saluta mai.”

Uh, tasto dolente. Questa cosa le importava davvero, lo sentivo da come lo aveva detto.

“Davvero? E gli hai mai chiesto perché?”.

“Lui dice che non vuole rovinarmi la reputazione. Come se non fosse già compromessa di suo.”

E qui ritornammo al punto di partenza. Perché quel ragazzo credeva di essere una disgrazia vagante?

“E perché pensa ciò?” non riuscivo a capirlo.

“Perché in fondo è vero…” restai perplessa dalle prime parole di Lissa, infatti lei se ne accorse. “No, Rose, non fraintendermi. Io ho conosciuto il Christian che gli altri effettivamente non conoscono e non la penso come tutti.”

Ok la cosa doveva essere davvero più grande del previsto.

“Lissa io ancora non capisco.”

Lei mi guardò rassicurante.

“Il cognome di Christian è Ozera”

“Oh”.

La mia risposta non fu di certo ricordata come una delle migliori della mia vita.

Ciao a tutti!

Ecco l'ingresso di un altro personaggio: Christian!
Come avete notato i due si sono già conosciuti e la pentola già bolle da un po'... contenti??
Rose, invece, è stata "rifiutata" dal nostro Dimitri, cosa ne pensate?
Ci vediamo al prossimo capitolo =)
Infiniti grazie sempre a chi mi segue.
xoxo

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


capitolo nove

Capitolo 9                                               

 

 

Gli Ozera erano una delle casate reali della nostra società. Gli altri reali e i non- preferivano volentieri stare alla larga e non intaccare la loro reputazione con nessuno di loro.

Parlando con Lissa, ero venuta a conoscenza del fatto che Christian, non fosse solo uno sfortunato appartenente a quella casata, ma era, bensì, quell’Ozera.

Come tutti sapevano, la differenza tra i moroi e gli strigoi stava nel fatto che i primi erano vivi e mortali, i secondi non morti e immortali; i primi, provano emozioni e sentimenti come l’amore, i secondi, invece, erano degli egoisti e orribili assassini. In passato, durante uno dei tanti attacchi che gli strigoi facevano direttamente alle casate, i genitori di Christian furono portati via, e alcune voci sostennero che fossero stati trasformati per loro volontà, altre dissero il contrario. Lissa quella sera mi raccontò che i genitori di Christian in seguito ritornarono per riprendersi il figlio e trasformarlo a loro volta in uno strigoi, ma la zia di lui, una certa Tasha Ozera, combatté con tutte le sue forze, salvandolo. Tutto quello che però oggi si ricorda era il fatto che divennero degli strigoi, e tutti, a quanto pare, non aspettavano altro, che anche lui facesse la stessa fine.

 

Il giorno dopo la chiacchierata con Lissa, mi accorsi di come quel Christian fosse ovunque, non lo avevo mai notato fino a quando non seppi della sua esistenza, eppure c’era. Certo, a guardarlo lui non si aiutava poi molto nella sua reputazione. Vestiva abiti dark e indossava sul viso una perenne maschera scontrosa. Non mi stupì, infatti, accorgermi di come gli altri studenti si ponessero nei suoi confronti. Se lui camminava al centro di un corridoio, la gente di conseguenza camminava attaccata ai muri pur di non toccarlo, se lui sedeva su una sedia, magicamente attorno a lui si formava un cerchio vuoto, un confine che nessuno osava oltrepassare. In un certo senso mi ricordava me, nella mia vecchia scuola, solo che la mia fama, non era certamente alla pari della sua.

 

“A che pensi?”

Lissa era appena tornata dai donatori ed io mi ero praticamente imbambolata con un boccone a mezz’aria del mio pranzo.

“A Christian.”

Lei si incupì.

“Non rattristarti Lissa, non sono certo una Santa e non mi ritengo migliore degli altri. Non sono nessuno per trattare Christian come fosse uno strigoi.”

Lei sospirò felice e gli occhi le se inumidirono.

“Non dirmi che stai per piangere?”.

Lei scosse la testa come una bambina contenta e mi regalò un sorriso angelico. Era una persona davvero dolce e sensibile.

Finito il pranzo l’accompagnai alla sua prossima lezione, tanto poi ci saremmo riviste alla sesta con cultura moroi 4. Avevo scoperto che Lissa era davvero brillante e una terribile secchiona.

Per strada incontrammo Christian. Vidi Lissa speranzosa guardarlo, di sicuro sperava la salutasse, ma lui fece finta di niente.

Eh no!

Mi dispiaceva molto, ma da quando avevo conosciuto Lissa, avevo inconsciamente deciso che non avrei più permesso a nessuno di trattarla male o farla soffrire ingiustamente.

“Ciao Christian. Bella giornata oggi, vero?” dissi.

Molto ironico visto che la luna non era ancora al pieno del suo apice e quindi era buio.

Lui si voltò ad occhi sgranati verso di me, di certo lo avevo preso in contro piede.

“Stai scherzando, vero?” mi disse scioccato.

Lissa mi aveva conficcato le unghie sul braccio, e io le tirai una gomitata sulle costole. Leggera ovviamente.

“Sono solo educata e ti sto salutando. Tu Lissa non saluti?”.

Lissa aveva le guance letteralmente in fiamme.

“C-Ciao!”.

Lui la guardò, e come mi aspettavo, i suoi occhi si addolcirono. Non poteva poi essere tanto cattivo come voleva sembrare.

“Lissa”. Fece un cenno con la testa e si allontanò quasi di corsa.

Un attimo.

“E io chi sono?” gli urlai, ma non si voltò, in compenso si voltò l’intera accademia presente. La pazza rivolgeva la parola allo strigoi, che spasso.

“Rose, ma che figura mi hai fatto fare!”.

“E perché mai, lo hai solo salutato balbettando e rossa come un pomodoro!” risi della sua innocenza.

“Ooooh!” si coprì il viso con le mani.

“Non dirmi che ho fatto male. Vi piacete e si vede lontano un miglio. Fregatene degli altri se pensi ne valga davvero la pena.”

Lei tolse le mani dal viso e mi guardò pensierosa.

“Tu dici?”.

Le sorrisi.

“Si, dico!”.

“Oh, Rose!”. E così dicendo mi saltò al collo abbracciandomi. Nessuno mi aveva mai abbracciata. Nessuno, eccetto forse Dimitri, quella mattina, se si poteva poi definire un abbraccio quello! Mi irrigidii e lei capì altro.

“Oh, scusami, forse non dovevo prendermi questa confidenza”.

Si stava agitando.

“No, no Lissa. È solo che non sono abituata agli abbracci.”

“Scusa non lo farò più”. Era triste e lo ero anch’io. Iniziavo a tenerci davvero tanto a Lissa.

“No, ti prego. Mi è piaciuto. Mi ha fatto sentire… bene!” fino alla parte in cui subentrava Dimitri, ma quello non potevo dirlo ad alta voce.

“Davvero?”.

“Si, davvero. Ora corri in classe che fai tardi e io pure.”

“Ok, a dopo!”

“A dopo” sussurrai.

 

Terminata l’ultima lezione, io e Lissa, ci recammo in biblioteca, per svolgere le lezioni che avevamo in comune.

Stavamo percorrendo il piazzale, quando la mia vista troppo perfetta vide Dimitri, che camminava poco più in là e andava verso gli edifici alle nostre spalle. Ero riuscita ad evitarlo il giorno prima e tutta la mattinata di oggi, ma di certo non ero famosa per la mia fortuna sfacciata.

Quando ormai ci stavamo incrociando, lui salutò per primo, ma non accennò a fermarsi.

“Buongiorno, Principessa. Buongiorno, signorina Hathaway”.

Anche io camminavo spedita nella mia direzione e Lissa inconscia, era il mio unico scudo tra me e lui.

“Buongiorno Guardiano Belikov” disse lei educata come sempre.

Io non lo guardai e non parlai.

“Rose, perché non hai salutato?” mi disse Lissa dopo alcuni passi. Feci finta di cadere dalle nuvole.

“Come?”.

Lei sorrise.

“Hai sempre la testa fra le nuvole. Abbiamo incontrato il guardiano Belikov e non te ne sei nemmeno accorta.”

“Davvero? Che dormigliona sono.”

Lei rise e anche io, ma dentro mi odiavo. Mi dispiaceva mentirle. Solo, non mi andava di raccontarle il perché volessi evitare Dimitri. O semplicemente, mi rifiutavo di dire veramente il perché me l’ero presa così tanto.

“Forse non lo sai, ma il signor Belikov al momento è il mio guardiano.”

Una cosa che mi fece storcere il naso fu quel signor Belikov. Dannazione anche io dovevo trattarlo come un adulto, non come… argh!

“Son contenta per te, di sicuro sei in buone mani. È un ottimo combattente.”

Lei era serena.

“E tu come lo sai?”.

Oh, già. Io come lo sapevo?

Ripensai a lui che mi metteva al tappetto.

“A parte i suoi infiniti molnija, so chi era il suo mentore. E fidati” dissi con un groppo allo stomaco “era un insegnante fantastico”.

Si era fermata e mi guardava triste.

“Rose”.

Allungò una mano sul mio viso e fermò una lacrima che non mi ero accorta fosse scappata al mio controllo.

Sorrisi triste, almeno su questo sapevo che potevo dirle la verità, perciò le raccontai chi era il grande Nikolai Lazar.

 

 

Dopo averle raccontato parte della mia vita, della quale faceva parte anche quel dannato vecchiaccio, riuscimmo a trovare spazio anche per i compiti. Finiti ci dividemmo. Io desideravo ardentemente fare un po’ di allenamento, visto che con Nikolai ormai mi ero abituata fare due allenamenti al giorno, in aggiunta a quelli giornalieri, mentre Lissa, rossa in viso, sarebbe andata alla cappella. Speravo incontrasse Christian e di sicuro anche lei lo sperava.

Mi misi la mia tuta e iniziai a correre un bel po’, prendendo a pugni qualche albero secolare. Scorticavo le mie mani, ma lasciavo delle belle conche sul tronco.

Quando mi sentii sfinita mi recai al mio nuovo posto zen e mi sedetti ad ammirare le rose nere.

“Sono belle, vero?”.

Mi voltai a quella voce sconosciuta.

“Avevo intuito da lontano che eri tu, siete inconfondibili!”.

Non capivo cosa farneticasse.

“Sono Sonia Karp. Insegnante di scienze jolly”.

Mi ricordai di averla vista qualche volta, ma in effetti a insegnare scienze c’era un altro moroi. Chissà perché non insegnava regolarmente?

“Rose Hathaway, piacere!”.

“Le ho curate io, sai? Sono speciali. Ti rilassano, non è vero?”.

Annuii.

Era un po’strana la moroi.

“Devi stare vicino a Lissa!”. Mi alzai veloce.

Perché quel strano dialogo stava prendendo questa piega?

“Lissa è speciale. In futuro avrà bisogno di molto aiuto. Spero sarai in grado di difenderla!”

“Non capisco.”

Ed effettivamente non capivo, ma forse si riferiva al fatto che fosse l’ultima della sua casata.

“Capirai” e sorridendo se ne andò confondendosi nell’oscurità.

Questa si che era pazza e sembrava pure uno spettro.

Decisi di tornarmene indietro, dovevo farmi una doccia. Si avvicinava l’ora del coprifuoco e non me n’ero accorta.

Ero ormai al confine degli alberi con la radura dell’accademia, quando sentii delle voci. Riconobbi a stento la voce di Christian.

“Siete solo dei buffoni” aveva detto.

“Ha parlato lo strigoi. Dove sono mamma e papà, ah?”

Sbucai fuori proprio quando sentii quest’ultima frase, ma com’è che in questa accademia vendevano cattiveria gratis? A quanto pare era una moda prendere in giro gli orfani.

“Chi è?”si dissero subito allarmati quelli che riconobbi come Ryan Aylesworth, Ralf Sarkozy e il nuovo mani lunghe Jesse Zeklos.

“Oh, è la pazza dhampir. Manca solo la pazza moroi e il terzetto da baraccone è al completo.”

Tutti risero eccetto me, che li trovavo al quanto patetici e Christian che era una maschera apatica.

“Tornatevene nei vostri alloggi!” dissi minacciosa.

“Vuoi venire con noi?” disse Jesse languido.

Feci una faccia schifata. “Neanche morta!”

“Sai ti preferivo muta!” disse lui.

“Anche io” disse Ryan cattivo. A quanto pare gli bruciava ancora la brutta figura fatta con Stan.

“Se non volete un occhio nero, andatevene!”.

Risero come alla mia miglior battuta.

“Avanti ragazzi, prendiamoli!” non so da chi partì quell’ordine.

I due moroi si lanciarono su Christian, mentre Ryan, che era un dhampir, attaccò me.

Parare le sue mosse fu davvero facile, e lo mandai al tappeto con un bel pugno. Quando mi voltai per aiutare Christian, vidi i due moroi prendere fuoco. Loro urlavano, mentre Christian era serio con lo sguardo puntato su di loro. Era stato lui.

“Christian.” Lo chiamai. “Christian fermati ti prego. Non puoi ucciderli!”. Non sapevo a che punto volesse arrivare.

“Christian!” lo chiamai e finalmente si voltò verso di me proprio nell’esatto istante che le fiamme smisero di ardere. Mi resi conto che le fiamme non avevano bruciato i moroi e nemmeno i vestiti. Era strabiliante. Non avevo mai conosciuto nessun moroi di quell’età che sapesse maneggiare così bene il suo elemento e soprattutto che lo usasse per combattere. Era legenda.

I due moroi e il dhampir si alzarono spaventati e corsero via, anche Christian fece per andarsene.

“Ehi, te ne vai?”.

Aveva le mani in tasca e si voltò con la testa.

“Ho sonno, vado a letto”.

Riprese a camminare ed io lo seguii.

“Com’è che sai maneggiare così bene il fuoco?”.

“Non tutti hanno dei guardiani.”

I non reali certo, ma lui avrebbe dovuto. Era pur sempre appartenente ad una casata reale. Possibile che il risentimento verso i suoi genitori fosse così alto?

“Perché ce l’avevano con te?”.

Lui mi guardò come se fossi stupida, parlò come se gli avessi posto un'altra domanda.

“Non è la prima volta, solo non li avevo mai deliziati così da vicino della mia arte. O della tua. Probabilmente te la faranno pagare.”

Sorrise come un angelo delle tenebre.

“Non che mi facciano paura.” Ghignai a mia volta.

“Mpf!” sbuffò alzando le spalle.

Fece un paio di passi poi si fermò.

“L’unica nota positiva è che finalmente qualcuno può difendere, Lissa.”

Lo raggiunsi e mi misi di fronte con le mani sui fianchi.

“Potevi difenderla tu!”.

“Sarebbe stato peggio…” era così sincero.

Alzò di nuovo i suoi occhi, forse accorgendosi di aver abbassato troppo le difese.

“Guardati le spalle.”

E così se ne andò.

 

Mi stavo facendo la doccia e mi resi conto che in silenzio, c’erano tante persone che tenevano a Lissa. Seppur mi accorsi per motivi diversi.

Non capivo Sonia Karp a cosa effettivamente si riferisse. Sembrava davvero un po’pazza.

A Christian lei piaceva, e molto potevo supporre, ma il suo fantasma interiore era più forte dei sentimenti che forse provava. E infine c’era lui, Dimitri. Chi altro avrebbero potuto assegnare ad una persona importante come lei. Lui era sicuramente il migliore ed io dannata, mi ero ripromessa di non pensarlo più.

 

Il mattino seguente Lissa venne a prendermi in camera. Avrei voluto allenarmi un po’ ma avevo paura di incontrare colui che non doveva essere nominato dalla mia mente, alla faccia di Harry Potter.

“Ehi, Rose. Non sai quante notizie si apprendono dal mio alloggio al tuo.”

Era su di giri.

“Ti trovo piuttosto contenta.” Lei sorrise di più.

“Stanotte non ho chiuso occhio, ma sono arrivata ad una conclusione.”

Alzai un sopracciglio.

Lei sedeva sul mio letto mentre finivo di mettermi la divisa.

“Quale conclusione?”.

Lei arrossì un po’.

“Sai, ieri alla cappella ho incontrato Christian. Era un po’ seccato che tu lo avessi salutato ieri. Soliti discorsi, dice che è una disgrazia vagante.”

Si interruppe e forse riviveva nella sua mente la scena.

“E la conclusione di stanotte che centra?”.

Lei mi guardò adorante.

“Che è merito tuo se ho avuto il coraggio di dirgli che so badare a me stessa, che se io voglio salutarlo e parlargli davanti agli altri, lo faccio.”

Era davvero orgogliosa, non credeva davvero sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere, e un po’ mi beai di questo suo ringraziamento.

“Sono fiera di te, Lissa, ma lui che ha detto?”.

Lei storse un po’ la bocca.

“Ha detto che sarei stata presa in giro di più, ma gli ho detto che la gente doveva smetterla di trattarmi come una bambina indifesa, che non sa prendere le decisioni da sola. Non ha più risposto e ha cambiato argomento. Non ero mai riuscita a lasciarlo a rubargli l’ultima parola!”

Gongolava, intuivo che per lei era una cosa nuova sentirsi forte dentro.

Istintivamente: l’abbracciai. Abbracciai io qualcuno per prima, per la prima volta.

Lei si stupì poi mi strinse forte.

“Ti voglio bene, Rose.”

“Anche io, Lissa, davvero!”

Davvero. Le volevo bene. Era impossibile non volergliene.

 

Ci incamminammo verso la mensa.

“Allora, ma che notizie hai appreso?”.

“Oh, si.” Mi disse ancora euforica da prima. “Si dice che Ryan Aylesworth abbia un occhio nero.”

Io sogghignai.

“Mi fa piacere!”.

Lei mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.

“Oh no. Sei stata tu!”

Sorrisi.

“Che è successo?”.

“Non so se dovrei metterti in mezzo, ma centra anche Christian.”

Lei si fermò e mi prese per un braccio delicatamente.

“Cosa? Voglio sapere tutto!”

Sospirai. Era ovvio volesse sapere.

“E va bene. Allora…”

E così le raccontai il nostro incontro scontro.

Buonasera!

Intanto un grazie infinite a voi che mi seguite e soprattutto a chi mi lascia un suo pensiero!! <3

Ma tornando a noi!  Nono capitolo!

Rose scopre chi è davvero Christian e il fardello che si porta dietro. Troviamo una Lissa già bella cotta, che trova forza dalla sua nuova amica nell'inseguire

il suo istinto!! 

Abbiamo un nuovo ingresso: Sonya Karp. Non la trasformerò in strigoi se vi interessa!!!

E Dimitri... beh, Dimitri ci aspetta nel capitolo 10!

*me perfida*

Spero vi sia piaciuto. Buon Weekend a tutti!

xoxo

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


capitolo 10

Capitolo 10

 

 

 

Quando arrivai in palestra per la lezione, scoprii amaramente che oggi era il turno di Dimitri. Finsi di non vederlo e quando entrai, andai da Mason che stava parlando con Eddie.

“Ehi, Rose. Tutto ok?”.

“Si, ragazzi, voi?”.

Si strinsero nelle spalle. “Tutto bene, parlavamo dell’occhio nero di Ryan. Lui dice che ha preso un’anta in camera, ma a noi la cosa puzza.”

Eddie annuiva. “Esatto, sappiamo bene cosa produce un pugno su un occhio, ed è molto simile a quello che ha Aylesworth!”. Rise.

“Ma davvero?” cercavo di essere interessata. Ripensavo alla reazione di Lissa appena raccontato il fatto di ieri. Si era infuriata davvero, come non avevo mai visto, quando le avevo riferito la cattiveria detta a Christian, ma ciò che mi stupì, fu che mi rimproverò per avere alzato le mani su Ryan. Mi disse che non sempre la violenza era la soluzione. Sempre troppo buona, ma ciò mi ricordò Nikolai e di conseguenza lui, Dimitri. Alzai lo sguardo e lo trovai a fissarmi. Imbarazzata mi voltai dall’altra parte, e vidi Ryan entrare in palestra.

Mason mi colpì il fianco con una gomitata, dicendomi di prestare attenzione, per confermagli la loro teoria.

Ryan ci passò davanti e un lampo di rabbia gli passò negli occhi, quando il suo sguardo incontrò il mio , poi proseguì come nulla fosse.

Mason ed Eddie non se ne accorsero e ripreso il loro discorso sul fantomatico pugno, dopo avermi chiesto conferma.

Christian aveva ragione, dovevo guardarmi le spalle.

 

La lezione iniziò quando arrivò Hanson. Quel giorno ci saremmo esercitati con il paletto. Quello che ci diedero era finto, ma comunque molto simile all’originale. Iniziarono l’allenamento con una serie di affondi e tattiche a vuoto. Per me era tutto nuovo e faticai a mantenere il loro ritmo, poiché non conoscevo i loro schemi di esercizi. La cosa mi irritò all’inverosimile. Sentirmi così ignorante mi infuriava. I miei movimenti erano tutti insicuri e deboli.

Mancavano 15 minuti al termine delle lezioni e Hanson, un po’ più informa dell’ultima volta che lo avevo visto, fece una cosa che mi aveva già portato a metterlo nella mia lista nera, quando ancora insegnava alla St. Thomas.

“Bene, ora uno alla volta da solo ripeterà l’esercizio. Chi vuole iniziare?”.

Solo che alla St.Thomas era ripetere il concetto della sua spiegazione teorica a voce.

Di solito, se ero di buon umore, non mi tiravo mai indietro quando c’era qualcosa di pratico da fare, ma sentirmi così impreparata era davvero frustante.

“Perché non la Hathaway, che è tanto sapientina!”.

Non ci volle tanto a capire che era stato Ryan a parlare. Alcuni risero alla sua battuta, soprattutto quelli vicino a me, che mi avevano visto alquanto impacciata tutta la lezione.

Stronzo.

“Perché non lei, signor Aylesworth.”

Non aveva parlato per tutta l’ora, e lo stava facendo ora, perché?

Dimitri, con la sua voce possente aveva riportato la sala in silenzio, e Ryan con la bocca tirata si portò al centro ed eseguì l’esercizio.

Quando tornò al suo posto, mi guardò beffardo.

Guardai attenta l’esercizio svolgersi più volte dai miei compagni, fino a quando fu chiamato il mio nome.

Sudavo per l’agitazione, ma avevo imparato l’esercizio ormai a forza di guardarlo fare.

Lo feci e per fortuna non andò così male, a parte un passaggio che saltai. Hanson mi riprese subito, com’era solito fare all’epoca, e la cosa ovviamente mi irritò, ma mi morsi la lingua fino a farla sanguinare, pur di non rispondergli malamente.

 

Stavo per uscire dalla palestra, quando notai che nell’angolo che svoltava c’era la figura di Dimitri, appoggiata di schiena.

Non volevo incontrarlo, non volevo parlarci, mi sentivo una codarda ed ero così altamente incazzata da prima, che non avevo nessunissima voglia di affrontarlo ora. Così l’unica cosa che mi rimase fu partire di corsa, facendomi passare per una in ritardo. Gli sfrecciai davanti così veloce, che non seppi mai se il mio piano era funzionato o semplicemente, se lui non era li per me e non mi avrebbe fermato comunque.

 

In mensa, dopo che io e Lissa prendemmo il pranzo, decidemmo di sederci con Christian, che stava nel tavolo più isolato della mensa, da solo.

“Wow, wow… che state facendo?” ci disse in panico, non appena giungemmo al suo tavolo. Ci sedemmo come nulla fosse.

“Pranziamo” dissi beffarda.

“Ok” fece per alzarsi, allora gli tirai un calcio da sotto al tavolo.

“Ahi, ma sei pazza?” mi disse guardandomi.

“Ehi, come sai che non è stata Lissa?” la quale mi guardava curiosa, mentre Christian mi guardava come per dire: stai scherzando vero?.

“Siete davvero testarde” disse oltraggiato. “Questa cosa non porterà altro che guai.”

Che stress.

“Sei davvero petulante, Ozera. Tanto, anche se stiamo ognuno per conto nostro in mezzo ai casini ci finiamo lo stesso, io per lo meno di sicuro. Quindi, perché non fare un fronte unito?”.

Mi guardava ad occhi spalancati, ma non avrei saputo dirne il perché.

“Senti…” iniziò a parlare, ma Lissa lo interruppe.

“Christian, perché non possiamo essere amici?” traballò un po’ sulla parola amici.

Lui, come sempre, si addolcì. Era quasi divertente la cosa.

“Non mi lascerete in pace fino a quando non cedrò, vero?” disse sconfitto, poi guardò verso di me. “Hathaway questo è colpa tua, porti la gente sulla cattiva strada.”

Lissa si alzò di colpo.

“Rose, non ha colpe. Perché non capisci?”.

Lissa aveva gli occhi lucidi, mi si strinse il cuore, poi prese e se ne andò.

“Lissa” chiamai, ma non si fermò.

Guardai Christian, che sembrava provare le mie stesse emozioni. Volevo correre da lei, ma la questione doveva finire.

“Corri da lei.” Gli dissi a bassa voce.

“Cosa?” disse lui risentito. “E’ colpa tua tutto questo, lo sai.”

Lo inchiodai con il mio sguardo.

“Non sono io a parlare di nascosto con Lissa, e poi fingere che non esista un secondo dopo.” Lo vidi subire il colpo.

“Ora, se non vai da lei, ti prendo a pugni!”.

Lui mi guardò sbeffeggiandomi.

“Com’è che devi sempre arrivare alla violenza?”.

Pure lui mi fa la morale? No, eh!

“Senti…” inziai, ma mi bloccò.

“Non darmi ordini Hathaway!” e se ne andò.

Sperai davvero che andasse da lei.

Alzai lo sguardo e vidi che tutti mi guardavano, che noia. Ormai mi era passata la fame, per cui, mi alzai anche io e buttai tutto nei cestini.

Per uscire passai davanti al tavolo dei reali, dove una plateale Camille Conta mi indicava e rideva assieme a Jesse. Le mani mi tremavano e stavo per perdere il controllo così mi lanciai fuori e corsi al mio paradiso zen.

 

Come annusai e accarezzai le rose nere, una calma mi invase. Erano davvero una benedizione, dovevo ringraziare la Karp per coltivarle. Mi ricordai le sue parole su Lissa e provai una tensione che passò per il corpo come una scarica e poi scomparì. Dovevo parlarne con Lissa, capire che legame c’era tra loro due.

Che cavoli, neanche alla St. Thomas avevo tutti questi casini, possibile che fossi davvero io ad essere così sbagliata? Forse mi impicciavo troppo o forse la malasorte mi riportava sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. O forse no.

Chernaya Roza        

Sobbalzai alla sua voce.

Ero seduta di fronte alle rose, con le ginocchia al petto. Non volli girarmi e lui rimase li in piedi per un bel po’, poi mi sorprese e si sedette vicino a me.

“Vuol dire rosa nera. Non avevo mai notato questo cespuglio.” La sua voce era calda e tranquilla, quella che usava con me.

“Le ha coltivate Sonia Karp”.

Con la coda dell’occhio vidi che si era sorpreso.

“Come lo sai?”.

“Ero seduta qui un giorno, e lei è comparsa dal nulla, e me lo ha detto. È davvero strana, lo sai?”

Tutti i miei buoni propositi andarono in frantumi e lo guardai. I suoi occhi erano così profondi che mi ci potevo perdere dentro e annegarci felicemente.

“Non è strana.” Mi disse in rimprovero.

“E allora cos’è?” sembrava una domanda semplice, ma la sua espressione di chi la sa lunga, mi fece capire che dovevo davvero indagare su di lei con Lissa.

Ok, lo ammetto, la maggior parte delle volte ero io ad impicciarmi delle cose.

“Vede il mondo in modo diverso da noi. Rose, spostiamoci da qui, dobbiamo parlare.”

Perché dovevamo spostarci?

“Possiamo anche farlo qui.”

Lui sbuffò con una luce strana negli occhi.

“La pausa pranzo sta finendo, incamminiamoci verso l’accademia.”

Questa volta fu il mio turno di sbuffare, non era molto convincente.

“Ok”. Mi alzai e lui fu presto al mio fianco, ma quasi attento a non sfiorarmi.

Io non parlavo era lui che doveva farlo, ma a quanto pare non iniziava e la calma apparente di prima iniziò a trasformarsi in un miscuglio di emozioni soffocanti.

Non mancava molto al limitare del bosco, così mi fermai di botto e lo affrontai un po’ acida.

“Allora?”

I suoi occhi erano un delirio di emozioni.

“Mi stai evitando. Palesemente, oserei aggiungere”.

“Si”.

Gli dissi così sinceramente, che mi lasciò interdetta e così lui.

Sembrava frustrato.

“Tu non capisci…”

Ora mi infuriai.

“Come faccio se tu non ti spieghi!”

Si irrigidì.

“Non posso farti da mentore!”.

Che nervoso.

“Perché?” urlai. Non potevo e non dovevo comportarmi così, lo sapevo, ma ero stanca e poi con lui non riuscivo a non essere dannatamente me stessa.

Sembrava incerto, lo vedevo combattere una battaglia interiore, possibile che provasse quello che provavo io? Se fosse stato così, avrebbe potuto spiegare i suoi comportamenti.

“Io non sono Nikolai” disse infine e mi lasciò davvero scioccata. Tutto avrebbe potuto dirmi, ma mai avrei pensato una cosa del genere.

“Mai pensato tu lo fossi!” dissi dopo un tempo che parve infinito. Si, me lo ricordava, ma di certo non ho mai pensato a lui come suo sostituto e forse sarebbe stato meglio.

L’aria autunnale si faceva ormai sempre più fredda col passare del tempo, e in quel momento sembrava gelare qualsiasi cosa. Qualsiasi emozione. I miei capelli mi circondarono il viso e lui, in quell’istante, mi guardò come non aveva mai fatto, come se mi vedesse per la prima volta.

“D’accordo” disse dopo un po’. Io dal canto mio mi sorpresi. Non capivo cosa gli avesse fatto cambiare idea e non capivo cosa centrasse Nikolai. Avevo il cuore che batteva forte e mille domande da porre, ma avevo paura che avrebbe cambiato idea, così mi limitai a sorridere. Di sicuro lui non provava quello che provavo io. Forse era così tanto legato a Nikolai, che la sua morte lo aveva molto segnato e magari io che lo avevo conosciuto potevo ricordarglielo di più. Poteva essere. Solo allora mi accorsi che lui lo aveva chiamato Nikolai. Niente ‘guardiano Lazar’ o qualche forma rispettosa. Forse stava arrivando a qualche suo limite, ma qualsiasi esso fosse, non lo aveva oltrepassato. Lo guardai negli occhi e vidi il tumulto di prima cessare. Sciolse la sua posa rigida, e mi regalò un sorriso fugace che non mi aveva mai rivolto. Durò poco ma mi infiammò dentro.

L’atmosfera parve rasserenarsi.

“Inizieremo lunedì. prima e dopo le lezioni. Te ne pentirai!” ghignò malefico.

Credeva di intimorirmi?

“Non mi spaventi, compagno!”

E così gli tirai un pugno sulla spalla, che ovviamente, non lo colpì mai.

Imprecai e lui si fece serio all’improvviso.

“Hai fatto tu quell’occhio al tuo compagno?”

Guardai da un’altra parte avvampando.

“Non so di cosa stai parlando.”

Lui mi guardava severo.

“Ti ha fulminato con lo sguardo tutta la lezione.”

Avrei voluto chiedere come potesse esserne certo, ma non volevo supporre altro, mi sentivo così in confusione.

Perché ha accettato solo dopo che gli ho detto che non pensavo che lui fosse Nikolai, perché questi sbalzi d’umore? Riusciva a farmi esplodere la testa.

“Potrebbe essere successo qualcosa…”

“Rose…” iniziò lui, ma io lo bloccai parlando a mia volta. “Si, lo so, la violenza non risolve nulla!” Non serviva che ci si mettesse pure lui.

Lui mi trafisse con lo sguardo.

“Sul serio, Rose, devi controllarti. Non puoi rischiare di macchiare il tuo curriculum con risse tra dhampir, oppure con i moroi. Ti porterà danno quando uscirai di qui.”

Aveva ragione, lo sapevo, me lo ripeteva spesso Nikolai.

“Non fanno altro che provocarmi, che dovrei fare? Tu non hai idea…”.

Ero stanca, davvero, di dovermi sempre ritrovare in mezzo alle cattiverie degli altri. Sapevo combattere, e questa era la mia arma per difendermi da tutto.

“Dimentichi che sono stato un novizio anche io.”

Lo guardai sorpresa. Cercai di immaginarmi Dimitri all’accademia come studente, bello e impossibile, e soprattutto, come mi ricordava spesso Nikolai, attaccabrighe. Ghignai.

“Hai menato tanto anche tu, ah?”

Mi fulminò con lo sguardo e io sorrisi. Mi faceva sorridere il modo in cui si arrabbiava.

“Ok, dai.” Dissi con un tono davvero troppo dolce per i miei gusti. Non credevo nemmeno di possederlo. “Come hai fatto a cambiare? A diventare quello che sei ora. Tutti ti portano rispetto.” Dissi seria l’ultima frase.

Mi guardò con uno sguardo vivo.

“Lo farai Rose, quando capirai chi è il vero nemico contro cui combattere!”.

“Ma io lo so chi…” “No!”. Scosse lui la testa.

“Saperlo è un conto, capirlo è un altro. Lo devi capire qui.” E si indicò il cuore.

Io lo guardavo rapita e ammaliata.

Lui mi guardava immerso nei suoi pensieri, che avrei voluto saper leggere.

“La pausa è finita, torna in classe”!

Quelle parole un po’ più rigide ruppero quell’alone di confidenza che ci avvolgeva.

Torna in classe, voleva sottolineare quasi la differenza tra noi, a me almeno, parve capire questo. Non capivo quando avevo iniziato a guardarlo in maniera diversa, o forse l’avevo sempre visto così, fin dalla prima volta che il suo sguardo aveva incrociato il mio in quella cappella mezza distrutta. Ciò nonostante, il problema stava nel fatto che io non avrei dovuto provare quel batticuore che spesso avevo in sua presenza, ed era meglio se me lo facevo passare in fretta, prima di finire inghiottita in uno sconforto più grande di me.

Eccoci qua!

Mi ha divertito questo capitolo, e soprattutto questa mia Rose.

Che sia riuscito Christian a buttare giu i suoi muri e correre da Lissa?

E del nostro bel misterioso Dimitri, che cosa ne pensate?

hihhi io lo adoro <3

Alla prossima mie care lettrici.

Baci

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


capitolo 11

Capitolo 11

 

 

 

 

Lissa era pronta già da un po’ tutta impaziente, mentre io stavo finendo gli ultimi ritocchi. Ad uno sguardo fugace allo specchio il risultato non era davvero male. I miei capelli erano stati passati prima con la piastra frisè e poi cotonati alla base, erano una figata. Il trucco era nero e marcato. Il vestitino sexy da strega, nero, mi fasciava perfettamente. Lo aveva fatto arrivare Lissa, grazie al suo infinito conto in banca per l’occasione: Halloween. Anche lei aveva lo stesso vestito, solo color rosso sangue, ma la differenza era un po’ vistosa. Io sembravo qualcuno che stava per girare un porno, lei invece era bellissima. Era magra, come tutte le moroi, e quindi il vestito non la fasciava in modo provocante come il mio.

Mi stavo per mettere le scarpe con il tacco, quando lei iniziò di nuovo a camminare come una pazza in giro per la sua stanza.

“Lissa, ti prego fermati. Tra poco vomito!”

Iniziava a farlo rispettivamente ogni dieci minuti.

“Oddio, Rose, non sono mai stata così agitata!”.

Le sorrisi dolce.

“Vedrai che andrà tutto bene!”

In quel momento bussarono alla porta.

“Oddio, dì che non ci sono.”

La fulminai.

“Dopo tutto il casino e le tattiche fatte, vuoi tirarti indietro proprio ora?”.

Lei mi guardava come un cucciolo impaurito.

“Hai ragione”.

Sembrava stesse riprendendo il lume della ragione. La abbracciai e le diedi un bacio.

“Lisciati il vestito, io apro!”

E lei mi sorrise.

Aprii e come ci aspettavamo alla porta c’era Christian, vestito con i suoi soliti abiti dark.

“Uhm, bel vestito!” gli dissi ironica.

Lui mi guardò scocciato, ma un po’ divertito.

“Non farmi…” ma le sue parole si fermarono a mezz’aria, mentre i suoi occhi si spalancarono mentre fissava adorato qualcosa alle mie spalle. Forse era meglio dire qualcuno, e sapevamo tutti bene chi.

Era passata una settimana dalla discussione avvenuta in mensa e da quando Dimitri mi aveva accettato come sua allieva. Ricordo che le lezioni successive di quel giorno, non incontrai Lissa, che invece trovai, una volta terminate, seduta fuori dalla mia camera.

Risi ancora al pensiero della sua faccia.

Ero corsa da lei preoccupata. “Lissa, tutto ok? Hai una paralisi facciale?” subito mi ero preoccupata nell’averla vista in lontananza seduta sulla mia porta. Poi man mano che mi avvicinavo vedevo il suo viso color rosso fuoco e il suo sorriso risplendere in una maniera terrificante, mostrando macabramente i canini.

Una volta accanto, lei non continuava a parlare. Aprii la porta della mia camera e la trascinai, nel vero senso della parola, all’interno.

“Lissa, ok, ora inizi a spaventarmi!”.

“b-b-b…” balbettava. Non sapevo se ridere per quanto fosse buffa, o piangere dalla disperazione di vederla in catalessi.

“Lissa!”. La presi per le spalle e la urtai più volte sempre più forte.

“Mi ha baciata…” sospirò poi. Quasi non l’avevo sentita.

“Wow” urlai io, facendola poi, parole sue, diventare sorda.

Questo è quello che l’aveva paralizzata, il suo primo bacio con Christian. In seguito mi raccontò tutto nei minimi dettagli. Era scappata dalla mensa per rifugiarsi alla cappella. Christian l’aveva raggiunta poco dopo. Non appena lo vide, lei disse di aver iniziato ad insultarlo. Conoscendola, non penso che avesse usato epiteti davvero cattivi, buona com’era, tuttavia, avevo intuito dal racconto, che lei aveva continuato a parlare così a lungo, che lui, per zittirla, non aveva potuto fare altro che baciarla. E baciarla. E baciarla…

Da qui fu poi spiegato quella paralisi di pura beatitudine.

La settimana seguente Christian si sforzò palesemente di stare in nostra compagnia di fronte alla gente. L’impatto iniziale fu davvero catastrofico, il mutismo regnava sovrano quando eravamo noi tre nei paraggi, ma la cosa che più mi sconvolse fu vedere, giorno dopo giorno, moroi e dhampir che si avvicinavano a me o a Lissa per sapere se non avevamo paura di Christian o per chiederci se aveva qualche caratteristica strigoi. In un modo distorto, eravamo diventati popolari anche noi.

Un’altra cosa di cui mi accorsi, fu vedere il cambiamento dei dhampir nei miei confronti, quando si seppe che Dimitri era diventato il mio mentore. I più stupidi mi derisero, perché credevano che fosse una punizione per qualcosa. Ryan ad esempio, che mi prendeva in giro quando passavo dinnanzi a lui dicendo che me l’ero meritato. Uno con un po’ più di sale in zucca, come Mason o Eddie, invece, si prostrarono ai miei piedi dall’invidia di avere un dio della guerra come insegnante.

Mi allenavo con lui prima e dopo le normali lezioni, quindi ero felice sapere che Lissa non sarebbe stata sola, bensì in compagnia di Christian. Ed ero inoltre felice di vedere che Dimitri mi aveva preso sul serio e mi dilaniava ogni giorno. Ero contenta più che altro che concentrarmi così tanto nei suoi insegnamenti mi permettesse di non pensare ad altro. A lui ad esempio.

Così si stava chiudendo ottobre, con una nuova fiamma di determinazione che cresceva dentro me.

 

“Lissa sei bellissima!” disse Christian rimirando la mia streghetta di amica. Lei arrossì intonandosi di più al suo vestito.

La cosa iniziava ad imbarazzarsi e come avevo imparato ultimamente, per evitare di fare da terza incomoda, ruppi l’atmosfera.

“Figliolo, non riportare la mia bambina dopo la mezzanotte!” imitai un padre brontolone.

“Oddio, Hathaway, che ti sei fumata?” mi disse lui esasperato.

“Niente di buono ancora!” lo rimbeccai.

“Rose, aspettiamo l’arrivo del tuo cavaliere?” chiese Lissa dolcemente divertita.

Scossi la mia testa e la mia balla di fieno di capelli.

“No, no andate. Arriverà fra poco, vedrete. Ci vediamo nella sala!”.

Christian esultante e Lissa comprensiva, si avviarono al ballo consci di essere ad una specie di primo appuntamento.

Io ero felice per lei, l’avevo vista ancora più radiosa questa settimana, e lui, forse, meno burbero. Forse.

 

Il mio cavaliere non si fece attendere ancora per molto.

“Oh, Rose. Sei fantastica.” Mi imbarazzò molto il tono che aveva usato. Avevo la vaga impressione che per lui quell’uscita non avesse lo stesso significato della mia.

“Mason, anche tu non sei niente male!” ammiccai.

Era vestito da pirata sbudellato dai colpi di pistola, infatti era pieno di fori di proiettile ovunque.

Mi aveva invitato un paio di giorni prima. Beh, forse non proprio invitato. Combattevamo l’uno contro l’altro in palestra. Quando lo atterrai per la terza volta su cinque, i colpi gli fecero perdere i sensi per pochi secondi. Mi preoccupai molto quel giorno, ero stata attenta a non fargli troppo male e mi sentivo in colpa. Lui se ne accorse e col senno di poi, molto furbo mi strappò un si per il ballo in maschera. L’aveva buttata sul ‘almeno non mi annoio da solo’, ma ora la situazione sembrava cambiata.

Alzai mentalmente spallucce. Mason era simpatico e fin quando non avrebbe dimostrato palesemente le sue intenzione, mi sarei comportata come con un amico qualunque.

Stavamo arrivando all’ingresso della sala che avevano addobbato per la festa, quando i miei occhi non poterono non riconoscere la figura di Dimitri all’entrata, in compagnia di Alberta. Il mio cuore tiranno come sempre iniziò a battere furioso e iniziai a pentirmi di essere così vestita, o meglio poco vestita. Sembravo una teenager al ballo della scuola, e la cosa brutta era che lo ero davvero.

Non appena mi vide, provai un po’ di soddisfazione nel vederlo, anche se per un solo decimo di secondo, sbarrare gli occhi. Aveva percorso tutto il mio corpo in un batti baleno e ne ero più che certa non avesse perso neanche un punto. Lo so, mi ostinavo a credere che lui potesse vedermi come qualcosa di più, e forse vedevo cose che non esistevano, davo ad alcuni gesti significati che non avevano.

“Signor Ashford, signorina Hathaway. La festa è già iniziata.” Alberta ci guardava con occhi addolciti, ci vedeva come una coppia che aveva una cottarella. Avrei dato tutto, davvero, per avere una cotta per Mason, ma invece non riuscivo a togliere gli occhi di dosso a Dimitri, che come sempre quella divisa lo rendeva dannatamente sexy. E altrettanto sembrava far lui, non li toglieva di dosso a me, non riuscivo a decifrare i suoi pensieri, i miei forse erano anche troppo palesi.

“Guardiano Petrov, colpa mia, ho fatto aspettare la mia dama” e con questo Mason fece scorrere una mano lungo la mia schiena. Gesto che mi infastidì decisamente e lui … beh, lui continuava a guardarmi impenetrabile.

“Buona serata!” ci augurò Alberta, io mi ripresi all’ultimo e riuscii a fare un debole sorriso verso di lei, mentre Mason mi spingeva dentro. La musica era decisamente assordante per le miei sensibili orecchie eppure, sentivo il battere del mio cuore, al di sopra di tutto.

Mason mi fece ballare un paio di canzoni, e poi mi portò anche da bere. Come cavaliere non era davvero male, ma speravo davvero che non si montasse la testa. Era davvero un buon amico.

Trovare Christian e Lissa fu decisamente difficile, ma appena mi resi conto che nel lato sud della stanza si stava formando un gruppo davvero vistoso e sospetto, intuii dove fossero. Abbandonai il mio accompagnatore senza una spiegazione e mi fiondai in quel punto.

Camille Conta in un abito da Morticia stava inveendo contro una seria Lissa ed un furioso Christian. La stronza moroi era accerchiata dai suoi amici reali, tra cui Jesse mano lunghe e Aaron, il disperato ex.

“C’è qualche problema?”. Arrivai mettendomi davanti a Lissa, così da farle da scudo.

Scusami Dimitri, ma non riesco davvero a star fuori dai guai.

E chissà perché, ma in un momento così dovevo pensare a lui.

Il mio arrivo destò un po’ la fazione nemica, agitandola.

“Possibile che la bella principessina deve sempre avere la mammina a fianco? O chissà forse quello che dicono è vero…” ghignava. “Il tuo amore per lei è così forte, e sei davvero gelosa marcia di quello lì…” indicò sprezzante Christian “…che te l’ha soffiata, da renderti ancora più acida!”.

Rise, seguita dagli altri.

“Che vai ad insinuare?”.

Ma la gente era scema?

“L’abbiamo capito sai? Non ti devi vergognare. Rifiuti tutto il genere maschile, era ovvio che le tue ambizioni fossero altre. E Lissa diciamolo, è un caso patologico giusto per te. Potreste andare dallo psicologo assieme!”

Ero furibonda. Neanche mi accorsi che avevo caricato il mio destro e la stavo per colpire sul naso. Glielo avrei rotto. Vedevo e pregustavo già il suo sangue zampillare e il suo viso deturpato. Fortuna o sfortuna qualcuno mi bloccò. Riconobbi subito quel tocco, quel calore poteva emanarlo solo una persona.

“Cosa sta succedendo?” La sua voce.

Camille Conta che neanche si accorse della fine che stava per fare, starnazzò come un’anatra.

“Niente, ci divertiamo.” Il suo tono era leggermente cambiato. “Andiamo a ballare.” E tutto il suo gruppo infame tolse il suo brutto viso dalla mia vista.

I miei muscoli erano ancora contratti, e sentivo Dimitri bloccare il mio attacco ancora in corso. Il mio pugno chiedeva di essere sferrato.

“Rose, calmati!” Lissà mi guardava intensamente negli occhi, e con un tepore più esile mi afferrò il pugno chiuso racchiudendolo nelle sue delicate manine. L’animo buono di Lissa mi calmò.

La mia vista rosso sangue riprese a vedere lucidamente. Vedevo Christian, una maschera di puro odio, Lissa invece, era preoccupata e anche Mason lo era, che a quanto pare mi aveva seguita. E infine, Dimitri… beh, Dimitri, mi faceva una predica con lo sguardo.

Abbassai il braccio e lei mi abbracciò.

“Non te la prendere, Rose. Sappiamo com’è fatta”.

 “Scusa, Lissa” e le feci un sorriso amaro, poi mi girai e andai via.

Quando passai accanto a Dimitri gli dissi:”Scusa”, ma non mi soffermai oltre.

Mi dispiaceva per non essere riuscita a evitare di ricorrere alla violenza e lo ringraziavo per essere stato lì e avermi fermato, prima di fare qualcosa che avrebbe potuto rovinarmi la carriera. Avevo già una nota di demerito per aver colpito un moroi nella mia precedente scuola, un'altra sarebbe stato un suicidio pubblico.

Nessuno mi seguì, tutti mi lasciarono il mio tempo e di questo li ringraziai tacitamente. C’era qualcuno che mi conosceva davvero nel profondo e sapeva quando avevo bisogno dei miei spazi.

 

Il mattino seguente era domenica. Quando mi alzai feci una cosa che non avevo mai fatto neanche nella precedente accademia: andai alla funzione religiosa.

Avevo passato una notte piuttosto movimentata, in un dormi veglia terrificante incorniciato di incubi che mi facevano sudare all’inverosimile.

Odiavo questi scatti d’ira che mi portavano a perdere la testa.

Quando entrai nella cappella ortodossa russa, pochi si girarono sorpresi a guardarmi. Dimitri era su un angolo in piedi che guardava dritto davanti a sé, eppure ero più che certa mi avesse visto. Cercai la chioma bionda platino di Lissa e la trovai a metà cappella al fianco di Christian. Lei era sempre stata una forte credente, mentre Christian non lo sapevo, forse era solo per non macchiare ulteriormente la sua già fangosa notorietà.

Quando mi sedetti a fianco a Lissa, notai i suoi occhi preoccupati, sorridermi dolci.

“Rose, tutto bene?” disse Lissa.

Christian mi fece un cenno con la testa e io contraccambiai.

“Si, tranquilla. Scusami per ieri!”.

Lei negò con la testa.

“Non ti devi scusare. Ti capisco!”. E mi sorrise comprensiva. “Vuoi stare con noi, oggi?”.

“No, no figuriamoci!”.

Lissa aveva organizzato un picnic romantico per lei e Christian. Non avrei mai potuto rovinarle il loro pomeriggio d’amore.

“Non sarebbe un p…” “No, Lissa, davvero e poi oggi avevo intenzione di fare degli allenamenti extra per sfogarmi un po’”.

Lei mi guardò dubbiosa, poi annuì.

“Ok, ma se cambi idea sai dove trovarmi!”.

Io le sorrisi e le urtai la spalla con la mia.

“Ok, amica.”

Il sacerdote spuntò subito dopo e iniziò la funzione. Parlò spesso di Vladimir, un moroi che avevamo santificato e da cui avevano dato il nome a questa accademia. Era stata una persona buona e gentile che aveva aiutato sempre il prossimo, anche con miracoli. Affiancato dal suo immancabile dhampir, Anna.

Mi aveva sempre affascinato questa storia, quando la leggevo dai libri. Il mondo e le persone sembravano migliori in quell’epoca, o almeno così interpretavo io.

 

Terminata la funzione salutai Lissa e Christian e me ne tornai in camera mia. Non avevo davvero intenzione di fare allenamento quel giorno, ma poi, mentre parlavo con Lissa, mi era sembrata la soluzione più logica. Avrei davvero sfogato i miei nervi così.

Arrivai in palestra e chissà perché mi sorpresi trovare Dimitri lì. Pensavo che almeno la domenica bazzicasse in giro, ma a quanto pare per lui quello era più confortevole del suo alloggio. Sedeva su una sedia, indossando la sua divisa sexy e stava leggendo. Risi quando vidi cosa.

“Western? Davvero?”.

Lui ghignò, non era sorpreso, di sicuro aveva già percepito la mia presenza.

“Ad ognuno i suoi hobby.”

Risi.

“E perché leggi in palestra?”.

Lui non sollevò lo sguardo dal suo libro, ma continuava a parlare con me.

“La domenica tutti stanno ben attenti a stare alla larga da questo posto. È il luogo più tranquillo dell’accademia, fidati.” E sull’ultima parola finalmente alzò lo sguardo. Mi osservò e poi si rimise a leggere.

Non sapevo se questo significava discorso chiuso o cosa.

“Non vorrai allenarti anche oggi?” disse dopo un periodo abbastanza lungo dove io non mossi un passo e nemmeno respirai.

“A dire il vero…”

“Rose, un giorno di riposo serve. Sia per il fisico che per la mente.”

Sbuffai sonoramente e lui ghignò.

Non sapevo se andarmene o restare qui e provare ad intrecciare una conversazione. Del resto non avrei avuto niente altro da fare e l’idea di interrompere Lissa e Christian nel mezzo di qualche effusione d’amore davvero non mi allettava.

Così dopo qualche secondo mi buttai a peso morto su un materasso degli esercizi, poco distante da lui.

“Ho paura di chiederti cosa stai facendo?” chiese Dimitri dopo un po’, ironicamente.

“Mi riposo… come hai detto tu!”.

Sollevai la testa quel tanto per vedere Dimitri alzare gli occhi al cielo. Con me era davvero diverso che con gli altri. Più sciolto.

“Ieri sera stavo per cedere… ancora…”

Volevo che la situazione non mi imbarazzasse, e così tirai fuori l’accaduto della sera precedente. Tanto prima o poi ne avrei dovuto parlare, lo so. Lui, tuttavia, non disse nulla.

“Se non fosse stato per te a quest’ora sarei stata espulsa!”.

Lui chiuse il libro e mi guardò dritto negli occhi.

“Vedrai che presto capirai la tua strada.”

Io guardai in basso.

“Non ne sono sicura” bofonchiai. Lui mi diceva che dovevo capire nel cuore chi era il mio nemico, ma ancora non capivo come fare.

“Ti sei già resa conto del sbaglio che stavi per fare, è già un passo avanti, fidati!”.

Si, mi fidavo di lui, ma io non mi fidavo di me come faceva lui.

Una vampata d’aria dalla porta aperta mi fece rabbrividire e staccare la testa da questi pensieri malsani.

“L’aria è sempre più fredda, secondo me nevicherà presto.”

Lui rilassò lo sguardo e riprese il suo libro.

“E’ possibile.”

Io lo studiai ancora un po’.

“Se nevicherà ti sentirai un po’ più a casa, no?”.

Lui sollevò lo sguardo leggermente divertito.

“E perché pensi ciò?”.

Io feci una faccia ovvia.

“La Siberia è uno strato di ghiaccio e neve, no?”.

Lui rise. Rise davvero, non lo aveva mai fatto.

“Non capisco che concezione hai tu della mia terra, ma fidati che il clima non è poi tanto differente.”

Io lo guardavo da una parte rapita, dall’altra affascinata nello scoprire caratteristiche riguardanti lui e la sua vita.

“Mah, secondo me è come dico io. Però fidati che quando uscirò di qui, sarà il primo posto che visiterò, così vedremo chi ha ragione.” Sbottai seria, mentre lui mi guardava divertito.

“Vedremo…” disse.

Quella parola aleggiò nell’aria come una promessa.




 Pubblico di corsaaaa mie cari!!

Spero vi piaccia..come sempre <3

Vi lovvo

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


capitolo 12

 

Capitolo 12

 

 

 

 

Passarono due settimane dall’episodio di Halloween e l’accademia aveva già dimenticato qualsiasi evento successo, poichè più interessata ad altro. La St. Vladimir era sempre più euforica e popolata, grazie all’arrivo di guardiani extra e di qualche reale con il suo seguito, in vista della visita che avrebbe fatto la regina da lì a qualche giorno.

In tutto questo io, Lissa e Christian ci godevamo il fatto di essere stati messi in secondo piano, a noi non importava di metterci in bella mostra dai nuovi arrivati e ce la spassavamo alla grande.

Con Dimitri le sessioni di allenamento erano sempre più intensive. Avevamo passato due settimane a fare un riepilogo di quello che già Nikolai mi aveva insegnato e poi lui aveva iniziato ad approfondire il tutto, anche le esercitazioni con il paletto. Gli allenamenti mi entusiasmavano un mondo, però, c’era altro.

Mi accorgevo che spesso, prima o dopo gli allenamenti, mi guardava. A volte con ammirazione, altre con orgoglio, altre non avrei saputo dire cosa. Quelle sensazioni che mi lasciava erano magnifiche, e a volte vivevo per quei due secondi di sguardi. Durante gli allenamenti diventava professionale e di questo ne ero grata. Non avrei saputo concentrarmi con quello sguardo che ero convinta, regalava solo a me. Ciò nonostante, cercavo in tutti i modi di accantonare questi pensieri da cotta per lui, perché non sapevo come affrontarli e poi, perché, in fin dei conti stavo bene così. Avevo iniziato una routine con i suoi allenamenti e gli incontri con Lissa (e Christian, ovvio) e temevo di poter rovinare tutto. Inoltre, con il passare dei giorni, stavamo iniziando ad instaurare un legame di fiducia tra compagni che, ora come ora, era la mia unica ancora salda di emozioni che avevo, e non potevo rischiare di perderla. Tutti i miei sentimenti, quindi, erano stati accuratamente piegati e relegati in fondo al mio cuore, in una cassetta di sicurezza che speravo fosse inacessibile.

 

Quel giorno mentre osservavo le rose nere che come sempre mi donavano una tranquillità disarmante, fui colta di sorpresa dalla signora Karp. Ancora.

“Rose, Ciao. Ancora qui?”.

Vestiva degli indumenti dai colori poco vividi e i suoi capelli sciolti la facevano sembrare quello che immaginavo sempre, uno spettro.

“Buongiorno, Signora Karp.” Le dissi rispettosa. “ E’ il mio paradiso zen qui.”

E indicai le rose davanti a me. “Vorrei proprio sapere come fa a mantenerle così belle.”

Lei sorrise in modo strano, ovvero, come sempre.

“Oh, piccola Rose con la magia, ovvio.”

Mi diedi mentalmente della stupida, era ovvio.

“Certo. Il suo elemento deve essere la terra.” Le sorrisi imbarazzata per non averlo intuito prima.

Lei invece sorrise come prima, forse più strana ancora.

“Sbagliato.”

Come sbagliato? Il mio viso era puro stupore.

“Allora l’acqua.” Forse aveva un buon pollice verde e tutto stava nell’irrigazione.

Lei rise apertamente.

“No, Rose”.

Volevo fare i nomi degli altri due elementi, eppure avevo intuito che la risposta non sarebbe cambiata.

“Ti ricordi cosa ho detto la scorsa volta?” disse con uno sguardo attento.

Certo che lo ricordavo, e la cosa mi disturbò perché non avevo più avuto tempo di fare le mie domande a Lissa.

Annuii.

“Soprattutto dopo il diploma. Proteggila sempre!”

E con uno sguardo enigmatico si dileguò.

Ok, la situazione qui iniziava davvero a preoccuparmi. Dovevo trovare Lissa. Subito.

 

La vidi nell’atrio che camminava mano nella mano con Christian. I due si affiatavano ogni giorno sempre di più. A volte mi capitava di provare invidia per il loro rapporto, erano così complici e di sicuro non erano mentore e allieva.

Accidenti a me e ai miei pensieri.

“Ehi Lissa”.

La vidi guardarmi lievemente preoccupata.

“Rose, sembra che tu abbia visto un fantasma!”.

In effetti…

“Non ci sei molto lontana.”

Lei corrugò la fronte.

“Senti… ma tu...” speravo di non causare l’ennesima catastrofe. “…che rapporti hai con la Karp?”.

La cosa che più mi accigliò fu la reazione di Christian. Si rabbuiò. A quanto pare lui sapeva qualcosa che io non sapevo, e questo mi dava davvero fastidio.

“Lissa?” la chiamai ancora vedendo che non accenava a rispondere.

“Ti chiedo scusa per non avertene mai parlato prima.” disse tutto  d'un fiato.

La mia faccia era un grosso, enorme e lampeggiante punto di domanda.

“Andiamo nella mia stanza, ti spiegherò tutto!”

 

Dieci minuti dopo ci trovavamo a gambe incrociate sul suo letto. Christian non c’era, era stato beccato da un guardiano nel corridoio e i maschi non potevano stare nella parte del dormitorio femminile. Questa cosa non mi dispiacque neanche un po’. Volevo parlare solo con lei e basta, come all’inizio. Non gliene facevo una colpa, ma da quando stava con Christian aveva meno tempo per me. Mi mancava e basta, ma ero sicura che anche io, se avessi avuto la possibilità di stare con Dimitri, sarei stata uguale. Magari, invece di tante effusioni, ci saremo presi a botte di più. Sorrisi all’idea.

“Posso farti una domanda?” mi chiese lei dolcemente.

“Si…” annuii un po’ distratta dai pensieri che mi vorticavano in testa.

“Perché mi hai chiesto della signora Karp?”.

“Ci ho parlato due volte finora e in entrambe all’improvviso mi ha detto di proteggerti e aiutarti sempre”.

Lissa sorrise rilassata alla mia risposta.

“Vedi…” iniziò. “Volevo parlartene da un po’, ma non ho mai trovato l’occasione…  giusta.” Si guardò in giro triste, poi puntò il suo sguardo azzurro limpido su di me.

“Sai che vado due volte la settimana dalla signora Carmack.”

Annuii.

“In una delle due sedute si unisce anche la signora Karp”.

Aggrottai la fronte.

“Fate delle sedute di gruppo?”.

“Si” rise “ma la paziente sono sempre e solo io.”

Era serena, la cosa non doveva essere troppo preoccupante, no?

Restai zitta e lei continuò.

“Mi aiuta per la mia specializzazione”.

In quel momento una ‘o’ muta si formò sul mio viso. Spesso dimenticavo che Lissa era una moroi ed infatti mai mi ero posta il quesito di quale elemento fosse specializzata. Sapevo che Christian era specializzato sul fuoco, ed infatti lo avevo visto con i miei occhi bruciare due persone senza scottarle veramente, ma di Lissa, non sapevo nulla.

“E qual è il tuo elemento?”.

Lei si rattristì un po’.

“Hai mai sentito parlare dello spirito?”.

Cosa? Ero scioccata. Ne avevo intravisto qualche paragrafo in uno dei tanti vecchissimi libri della St. Thomas, ma era un argomento così vecchio e quasi leggendario che non gli avevo prestato attenzione. Ora mi maledii.

“Vorresti dire che sei un conoscitore dello spirito?”.

Lei sembrava sorpresa.

“Sai di che parlo?”.

Annuii poi negai con la testa.

“Ho solo letto qualcosa una volta, ma è tipo una cosa leggendaria, non so altro.”

Lei sorrise.

“Sai St. Vladimir era un conoscitore dello spirito.”

Chissà perché, ma la rivelazione non mi stupì  poi molto. Aveva senso.

“Tutti quei miracoli che faceva…”

“Si” disse lei serena, sapevo che era contenta di poterne parlare con me. “Usava lo spirito per aiutare la gente.”

“Ma come?”.

Non capivo cosa fosse lo spirito.

Lei si guardò intorno forse sperando di trovare qualcosa per spiegarsi meglio, poi il suo sguardo si posò su una mia mano.

Seguii ogni sua mossa non sapendo cosa stesse per fare. Prese la mia mano tra le sue e poi una lieve luce si sprigionò da esse, avvolgendo la mia mano di una calore che mi toccò il cuore. Fu la sensazione più bella mai provata in tutta la mia vita.

La cosa più stupefacente però, fu vedere le mie nocche sbucciate, rimarginarsi e guarire.

“Porco cazzo!” mi sfuggì, era un miracolo!

Lei rise della mia reazione.

“Lissa, ma è una cosa…” non trovavo la parola per definirla, o forse non era ancora stata inventata.

Lei si stava richiudendo in quel suo bozzolo timido che aveva quando l’ho conosciuta.

“Ok, strabiliante penso possa andare.”

Lei mi fissò attenta.

“Non pensi sia qualcosa di sbagliato?”.

Ora capivo. Capivo quella parte di Lissa che mi sfuggiva sempre. Si sentiva diversa e chissà, forse sbagliata.

“Lissa, non potrei mai pensare questo. È un dono, ma se devo essere sincera, mi spaventa.” Mi  affrettai subito a spiegarle il mio pensiero. “No, non è come pensi. Capisco cosa voleva dire Sonia Karp. Se la gente, se… persone cattive venissero a sapere di questo potere, tu saresti in pericolo. Sono sicura che questo potere è molto più grande di una semplice cicatrizzazione delle mie nocche sbucciate e io ho paura… ho paura per te, Lissa!”

Avevo paura davvero, per lei!

Qualche lacrima prese a scendere dai suoi occhi.

“Oh, Rose… sei speciale…”

La Karp aveva ragione. Quella pazza non era pazza, o meglio si comportava da tale, ma quel che diceva aveva davvero senso.

Poi un fulmine immaginario attraversò la mia mente, facendomi vedere e sentire frasi e situazioni che mi fecero arrivare ad una conclusione.

Le stranezze della Karp, le rose stranamente rilassanti, quel dialogo strano con Dimitri…

“Anche la Karp è un conoscitore dello spirito!”.

Non era una domanda.

Lissa mi guardò affascinata.

“Sei davvero perspicace.”

Volevo capire il meglio possibile questo mondo.

“Lissa, vieni un attimo con me?”

Lei mi chiese dove, ma non le detti spiegazione e lei alla fine annuì e basta.

Quindici minuti dopo eravamo nel mio paradiso zen.

Appena Lissa fu di fronte alle rose la vidi sorridere dolce e allegra. Era come se fosse appena entrata in casa sua.

“Queste rose…” iniziai “..sono speciali, vero?”.

Lei mi guardò ancora con l’espressione felice di prima. “Si, cosa ti fanno provare?”.

Io guardai le “mie” bellissime rose e sorrisi.

“Tranquillità. I problemi qui, sono meno difficili. La vita è più serena.”

Lei annuiva alla mia spiegazione e io continuai a parlare.

“La Karp mi aveva detto di averle coltivate. Quindi dopo aver valutato il tutto, sono arrivata a quella conclusione.”

Lissa accarezzò una rosa.

“I conoscitori dello spirito non sono tutti uguali. C’è chi non sa nemmeno di esserlo, chi invece come me lo scopre presto, e può imparare a usarlo e gestirlo. Questo potere ha mille sfaccettature ed è in grado di fare tante cose. A seconda della forza interiore della persona e anche della sua fantasia, si possono anche inventare poteri nuovi. Queste ad esempio.”

Ispirò l’odore delle rose e poi continuò.

“Sono impregnate di spirito e come hai detto tu, rilassano il corpo e la mente. Io ne sono immune perché sono abbastanza forte da non farmi catturare dal loro potere, ma se abbasso le mie difese posso bearmi della calma apparente che donano”.

Si girò e mi sorrise, ma i suoi occhi si stavano rattristando.

“Due anni fa, ho trovato nel bosco un uccellino ferito. Era durante la lezione di scienze e all’epoca la signora Karp era l’unica insegnante. Mi ero allontanata e quando vidi quel povero animaletto a terra non so… impazzii. Ero da poco rimasta sola e avevo tante di quelle emozioni contrastanti dentro, che sentirmi impotente anche davanti a quel povero uccellino mi infuriò. Non so cosa feci di preciso, so che dopo averlo accolto nelle mie mani, quel piccoletto che un secondo prima era mezzo morto ora cinguettava felice e sbatteva le ali. La signora Karp vide, e poi, beh, poi mi spiegò tutto.”

Io annuivo rapita dal discorso.

“Pensavo che la Karp fosse una pazza la prima volta che ci ho parlato qui.” Dissi sinceramente.

Il sorriso di Lissa svanì.

“La signora Karp è l’esempio di quelle persone che non hanno saputo subito cosa fosse lo spirito ed ha usato i suoi poteri sconsideratamente e senza monitoraggio. Rose, questo potere se non controllato ci fa diventare pazzi.” Era dannatamente seria.

Ok, questo potere iniziava a piacermi sempre di meno.

“Ma non ha soluzione? Una medicina? Qualcosa?” non volevo che la mia amica potesse un giorno uscire di senno.

“No, Rose. Il massimo che possiamo fare è prendere psicofarmaci. Ci aiutano a non andare in depressione se ci limitiamo nell’usare lo spirito! Ecco perché vado regolarmente dalla signora Carmack”.

Avevo paura a chiedere. “E tu?”.

Quasi non mi ero sentita.

“Non preoccuparti per me, Rose. Come ti ho detto l’ho scoperto subito e non sono in pericolo. Prendo dei farmaci si, ma sono leggeri è solo per combattere la voglia che ho di usare lo spirito, ma riesco a controllarmi. Fidati!”

Capivo ora molti suoi sbalzi d’umore che avevo notato da quando la conoscevo. Quando lei pensava che non la osservassi, vedevo che i suoi occhi si spegnevano e che il suo viso provava qualche segno di pena. Io ho sempre dato per scontato che pensasse alla sua famiglia e stesse ancora molto male, ma forse era solo lo spirito che chiedeva di essere usato.

Come me.

Mi resi conto che le mie emozioni chiedevano di essere manifestate tramite la forza, perché era la cosa che mi riusciva meglio usare ed io mi affidavo davvero ciecamente ad essa. Era per questo, forse che per gli allenamenti extra di Dimitri non mi stancavano mai, e se magari andavo a letto che le avevo prese tutto il santo giorno, il giorno dopo ero più pimpante che mai. Io, però, a differenza di Lissa non mi controllavo, non riuscivo a controllarmi. Forse, non ci avevo mai provato davvero.

Esposi questi miei pensieri a Lissa e lei non mi derise, ne mi fece credere che il mio problema fosse inferiore al suo, anzi, mi abbracciò e mi manifestò tutto il bene che provava per me, che nessuno aveva mai provato per me.

“Oh, Rose. Allora facciamo un patto. Io ti sosterrò sempre, sarò sempre al tuo fianco, pronta a ricordarti cosa potresti perdere se perdi di vista l’obiettivo finale e tu… tu farai lo stesso per me. Se pensi che inizio ad essere troppo dipendente dallo spirito, fermami. Ci aiuteremo  insieme!”.

Sorrisi felice. Avevo raccontato a Lissa di Nikolai, avevo scoperto parte delle mie carte. Era la prima che aveva davvero saputo da me, la mia voglia di diventare un guardiano. Il migliore.

“Lissa, anche senza patto l’avrei fatto lo stesso. Un secondo dopo che mi avevi raccontato tutto, avevo già deciso che sarei stata al tuo fianco, sempre!”

Ci abbracciamo e piangemmo come bambine, felici di poter contare finalmente su qualcuno, dopo tanto tempo passate da sole.

Più tardi tornando ai nostri alloggi, Lissa mi raccontò qualche altro aneddoto sui conoscitori dello spirito ed io ero così presa dai suoi racconti, che non mi accorsi di quella figura dritta e fiera che ci aspettava all’ingresso dei dormitori.

La stavamo per oltrepassare, ma lei a quanto pare non voleva passare inosservata.

“La tua attenzione per i dettagli è davvero scarsa.”

Più tardi, ripensai a quelle parole per molte ore, analizzai l’intonazione usata e ciò che volevano significare. Ripensai soprattutto a tutto quello che sapevo di lei e ai ricordi legati a lei. Ripensai al buio che mi scatenava dentro e cosa avevo provato quando sbalordita la chiamai.

“Mamma?”


 

Buondì!!

Capitolo incentrato sui poteri di Lissa. Ho cambiato qualcosina dall'originale, come avete potuto vedere. 

Nella mia storia lo spirito è leggermente più conosciuto, e Lissa ne è più consapevole, motivo per cui ho lasciato che la nostra pazza Karp, restasse nella sua forma moroi e non incontrasse il desiderio di diventare uno strigoi.

Rose entra a far parte di questo nuova consapevolezza e non ne rimane impaurita, ma fiduciosa.

Il bel clima non poteva rimanere per troppo però, Rose deve combattere i suoi demoni, ed ecco il primo di tutti: Janine Hathaway.

Cosa succederà ora alla sanità mentale della nostra protagonista?

Lo scopriremo presto...

un bacio miei lettori <3

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Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


capitolo 13

Buonasera.

Oggi scrivo prima del capitolo, perchè voglio prepararvi psicologicamente ad uno dei miei capitoli preferiti.

E' stato scritto di getto ed io lo trovo molto emozionante, spero sia così anche per voi.

La nostra Rose è quasi pronta ad affrontare i suoi demoni interiori e vedremo un altro momento di cambiamento per lei.

Vi auguro una buona lettura...

baci

 

Capitolo 13

 

 

 

 

Ero fuggita come una codarda. Ritrovarmi mia madre lì, spuntata dal nulla senza preavviso, mi aveva colto di sorpresa, mi aveva spiazzato. Era il mio incubo peggiore ed io non avevo potuto far altro che scappare.

Quella notte non dormii neanche un secondo, quindi quando mi alzai il giorno dopo, avevo delle occhiaie che non facevano nessuna invidia all’occhio nero che avevo fatto a Ryan il mese prima.

Mi ero recata in palestra con più di mezz’ora di anticipo e invece di andare a correre iniziai a prendere a pugni qualsiasi oggetto o manichino che sembrava volermi sbeffeggiare.

Andai avanti fino a quando non arrivò Dimitri, il quale mi trovo in un bagno di sudore. La parola sexy non rientrava di certo nella mia didascalia quel giorno.

“Rose, da quanto tempo sei qui?”.

Non mi ero accorta di essere così a corto di fiato, fin quando non mi ritrovai a respirare affannosamente per rispondere.

“Qual-che mi-nuto...”

Lui alzò un sopracciglio per far intendere che non se la era bevuta.

“O… for-se più…” dissi in quella che credevo sarebbe finita in una crisi respiratoria.

Lui sbuffò un po’ arrabbiato poi mi prese per un braccio e mi trascinò di forza nel bagno vicino. Una scarica elettrica partì dal punto in cui mi aveva toccato e mi passò per tutta la schiena. Lo guardavo scettica, non capivo che stesse facendo. Solo quando mi prese le mani e lo portò sotto il getto ghiacciato dell’acqua mi accorsi che mi ero ferita, di nuovo, le mani.

Storsi il naso al pensiero dello spreco di energia di Lissa. Non erano passate neanche 24 ore da quando mi aveva guarita.

Quando chiuse il rubinetto, mi prese delicatamente le mani in un asciugamano e me le tamponò piano, poi prese la valigetta medica e mi disinfettò le ferite per poi passarci sopra della garza cicatrizzante. Non erano delle semplici sbucciature, mi ero fatta delle gran belle lesioni.

Per tutto il tempo della medicazione eravamo rimasti in silenzio. Lui mi medicava con un tocco così leggero che non credevo che le sue forti mani muscolose fossero in grado di fare, ed io lo guardavo in ogni suo più piccolo dettaglio. Quando finì incrociò il mio sguardo e ciò che vidi fu preoccupazione. Era travolgente il modo in cui i suoi occhi, quando lui lo permettesse, fossero così espressivi. Distolsi per prima lo sguardo, in quanto imbarazzata dalle emozioni che si frastagliavano tra di noi, in lui e in me. Non ero più in grado di controllare niente. La testa mi faceva male, pensavo di essere riuscita finalmente a vivere un periodo di calma e invece, tutto si andava di nuovo a incasinare.

Mi alzai e me ne andai. Avevo bisogno di pace. Non ero in grado di gestire tutto questo.

Rose” lo sentii chiamare, quando fui sullo stipite della ports, ma io non potevo affrontare tutto, non lì, o sarei crollata. Al suono della sua voce dalla sfumatura preoccupata avevo tentennato sui passi, ma mi costrinsi a non fermarmi e mi avviai al mio paradiso zen.

Arrivata nei pressi delle rose presi una grande boccata d’aria beandomi del loro profumo. Era sbagliato, lo so, ma i timori pian piano si dissolsero, il grande dolore che sentivo nei confronti di Dimitri si attenuò e il male provato quando avevo rivisto mia mamma sembrò un esagerazione.

“Non dovresti passare troppo tempo qui!”.

Dimitri a quanto pare mi aveva seguito. Una parte di me era abbastanza lucida da sapere che i miei problemi non sarebbero scomparsi e che quello che provavo era una pia illusione; ed ero una debole, perché mi stavo avvalendo di una scorciatoia per non affrontare la situazione, ma non avrei potuto reggere quello che sentivo dentro un secondo di più.

“Lo so…”

Lui mi guardò sorpreso, di sicuro si chiedeva se io sapessi cos’erano veramente quelle rose, perché di sicuro lui lo sapeva e me lo aveva già fatto capire una volta. Solo che all’epoca non sapevo la verità.

“… Per questo sono venuta qui!”.

Con un cipiglio di rimprovero misto sorpresa si avvicinò di più a me.

“Hai visto tua madre!”.

Non era una domanda, ovvio. Doveva averla vista e Dimitri sapeva leggermi dentro. Sapeva che avrei sbarellato, perché in qualche modo sapeva capirmi. Tiranno, il mio cuore batté furioso.

No, accidenti, non dovevo lasciarmi andare così. Dovevo mantenere quel solido muro che avevo costruito intorno al mio cuore.

“Già.” Dissi tesa.

Sentivo il calore della presenza vicina di Dimitri. L’aria sembrava elettrica fra noi.

“E lei hai parlato?”.

Io risi amaramente.

“No, sono fuggita… come una ladra!”.

Avevo risposto un po’ aspramente, ripensarci mi aveva fatto provare disprezzo, per me stessa, ma solo per un secondo. Le rose si portarono via tutto il mio disappunto.

“Di cosa hai paura?”.

Il suo tono era calmo e dolce, così forse non lo avevo mai sentito. Mi spiazzò per un secondo, la mia mente cercava di afferrare qualcosa che doveva mettere a lucido, ma non ci riusciva, così mi concentrai sulla sua domanda, e rispondere fu, ovviamente, facile.

“Temo di essere rifiutata… in faccia… perché è così che mi sono sentita per tutta la vita.”

Anni e anni di frustrazione semplicemente riassunti in una frase così breve, eppure così vera. Il fatto che mia madre non passasse con me i compleanni o le feste, come accadeva invece agli altri dhampir o moroi, o che non mi chiamasse mai o non si facesse mai vedere, mi aveva fatto sentire sbagliata, non voluta, rifiutata…

Sentivo tutti elogiare il grande guardiano Janine Hathaway e mi veniva il vomito sapere che quel nome fosse lo stesso di mia madre, che tutti mi invidiassero per essere sua figlia, ma io non mi ci sentivo.

Lo sguardo di Dimitri si era addolcito e sembrava volermi consolare, era davvero strano, non era da lui. Con una mano prese ad accarezzarmi il viso, io cercai di sorridergli.

Si, non era decisamente da lui e una scintilla mi fece ricordare che eravamo in prossimità delle rose.

Non sapevo quanto queste su di lui avessero effetto, ma mi sentivo in colpa approfittare così di lui, sarei stata tutta la vita in quella posizione, ma non era giusto ne per lui, ne per me, che mi illudevo e basta.

“Forse dovremmo allontanarci un po’ da qui!” sussurrai roca, involontariamente.

Una scintilla di lucidità si accese nel suo sguardo, che presto si tramutò in quello impassibile che aveva sempre tra la gente. Ritirò come scottato la sua mano e si allontanò di qualche passo dalle rose, ma non se ne andò. Era comunque qualcosa.

“Ti chiedo scusa…” disse lui poco dopo, freddo.

L’avevo raggiunto e l’effetto delle rose stava diminuendo, il mio dolore interiore stava tornando più forte di prima.

“E di cosa?” gli dissi decisamente acida.

Lui si stupì al mio tono ed io scossa dal suo sguardo mi calmai un po’ e cambiai argomento.

“Lo so che lo spirito contenuto in quelle rose non risolverà i miei problemi.” Ero amara e triste mentre gli parlavo “Necessitavo però di quella pace che sanno darmi, sono stanca di provare tutto questo dolore, perché poi mi farà esplodere e sappiamo entrambi le cazzate che potrei combinare. Stavo migliorando e lei è rispuntata.”

Il cipiglio freddo di Dimitri parve riscaldarsi.

“Forse è l’occasione giusta per affrontare anche questo tuo ultimo scheletro nell’armadio.”

Sembrava volesse dirmi qualcos’altro, ma non ne ero veramente sicura.

Ringhiai dalla frustrazione.

“Insomma non chiedevo tanto nella mia vita, solo farmi credere che di me gli importasse qualcosa. Mio padre non so neanche come si chiama. Non so se sono nata da una atto d’amore o se magari si è comportata come una sgualdrina di sangue. Forse sarei stata meglio in una comunità, almeno avrei saputo cosa il futuro mi aspettava.” Sputai schifata questo mio pensiero di rabbia e ciò che non mi aspettai, fu la sua reazione.

Si allontanò leggermente da me, nel suo sguardo una punta di rabbia.

“Ma come credi sia la vita nelle comunità?” mi sussurrò duro. Ero rimasta davvero scioccata dalla sua reazione. Insomma, non ero abituata a tutti questi cambi d’umore, lui di solito era così calmo e attento, pronto a difendersi e a difendere a qualsiasi spostamento d’aria. L’unica emozione che emanava di solito era una rispettosa aria battagliera, ma ovviamente avevo detto di solito, ovvero tra la gente della St. Vladimir Academy. Lui con me, non capivo perché, era diverso, forse se stesso.

Lo vidi chiudere gli occhi e respirare profondamente per calmarsi. Si, era davvero arrabbiato, ma per cosa, per le comunità?

Oh, no.

Di sicuro sbiancai quando il mio cervello iniziò a ragionare.

“Dimitri… io… non volevo insinuare niente, mi dispiace se ti offeso.”

Ero prossima alle lacrime, tutto avrei voluto tranne che ferire in qualche modo lui. Se avevo capito bene la sua reazione, lui era cresciuto in una comunità di sgualdrine.

Quando riaprì gli occhi era di nuovo calmo, ma non parlava, mi osservava.

“Scusami”singhiozzai.

Mi portai il dorso della mano alla bocca, come per fermare i singhiozzi che mi scuotevano dalla testa ai piedi. Ero esausta dalle emozioni e lui era la goccia che fece traboccare il vaso.

“La gente spesso e volentieri parla senza sapere bene quello che dice. So bene cosa si dice delle comunità in cui vivono i dhampir che non prestano la loro vita al servizio dei moroi, eppure sono cresciuto in una di quelle famiglie e ti posso assicurare che sono famiglie piene d’amore.

Avevo smesso di singhiozzare, ma piangevo ancora.

“Non te ne faccio una colpa per le tue parole, non potevi sapere.”

“I-io…” balbettai “non so niente del mondo là fuori. Non so cosa di c’è vero e cosa no. Conosco solo quello che ho sempre sentito dire tra le mura di un’accademia”.

I suoi occhi parvero addolcirsi.

“Non te ne faccio una colpa, Rose. Non sono arrabbiato con te.”

Tirai su col naso. C’era qualcosa che mi sfuggiva.

“E’ per questo che eri attacca brighe quando eri un novizio? Ti prendevano in giro?”.

I suoi occhi scintillarono.

“Anche.” Rispose.

La cosa però mi insospettì, affilai lo sguardo e lui di tutta risposta si mise a ridere.

L’avevo già detto vero che soffre di personalità multipla?

Lo guardavo incredula.

“Rido, perché non ti sfugge nulla, Roza”.

Mi riscaldòil cuore quando mi chiamò così. Non era perché lo faceva anche Nikolai. Il mio vecchio mi faceva provare affetto, lui mi faceva battere il cuore. Furioso.

“Ero attacca brighe è vero, ma solo con i moroi… maschi.”

Mi bloccai quasi senza respirare, ero sempre attenta quando lui mi raccontava qualcosa di se stesso, della sua vita. Quando si confidava… con me.

“Io so chi è mio padre”.

Lo guardai incredula, le famiglie nelle comunità potevano essere amorevoli, ma non era certo grazie ai moroi maschi, che invece se la spassavano e non restavano mai a lungo. Era raro perciò che qualche dhampir sapesse chi fosse il padre.

“ In uno strano modo gli piaceva mia madre, quindi lo vedevamo spesso per casa. Inoltre, è anche il padre di una delle mie due sorelle. “Si bloccò mentre si massaggiò per brevi secondi le tempie, di sicuro stava rivivendo quello che di sicuro era un ricordo orribile. Quando riprese a parlare mi guardò fisso negli occhi, ma forse ero solo il suo punto di riferimento, perché nel suo sguardo non vedevo me, ma i suoi ricordi.

“Quando veniva però non trattava bene mia madre.”

“In che senso?” sbottai presa dal suo racconto.

“Nel senso che la picchiava, e lei lo lasciava fare…”

Mi portai le mani alla bocca al pensiero di cosa avesse vissuto.

“Ti prego, dimmi che gliel’hai fatta pagare a quel bastardo”.

Lui finalmente mi guardò davvero. Il suo sguardo bruciava di un fuoco d’odio sepolto da tempo.

“Avevo tredici anni e nonostante la mia età, ero più forte di lui. L’ho fatto piangere.”

Un ragazzo che vede il padre picchiare la madre, è qualcosa che non auguro a nessuno. E come ho sempre detto, odio chi dispensa cattiveria gratuita. Alzare le mani su una donna poi, la trovo la cosa più ripugnante al mondo.

Mi avvicinai e gli posai una mano sul braccio. Lui non si scostò, credevo lo avrebbe fatto, ma non lo fece, forse aveva bisogno di non sentirsi orribile. In qualche modo era sempre suo padre.

“Avrei fatto la stessa cosa al tuo posto.”

I suoi occhi si chiusero e un sospiro lieve abbandonò la sua bocca.

Quando li riaprì mi sembrò più sereno.

“Conoscendoti, di sicuro!”. Restai spiazzata. Aveva fatto una battuta. Su un argomento davvero delicato, ma aveva fatto una battuta.

Iniziammo a ridere come due deficienti.

Chi era quest’uomo davanti a me? Si, perché Dimitri non era un ragazzo della mia età, era un uomo di 24 anni. Ed io, mi trovavo dannatamente bene con lui.

 

Quando finimmo di ridere il silenzio regnò sovrano. Eravamo occhi negli occhi.

Fui ancora una volta io a interrompere il momento, non sapevo cosa aspettarmi. Avevo paura di fare un passo falso e sentirmi rifiutata anche da lui, ma anche Dimitri parve riassumere la sua maschera, conscio dei miei pensieri.

“Come hai fatto a diventare ciò che sei ora?” non volevo che si creasse un imbarazzo più grande tra noi.

Lui sogghignò.

“Me l’hai già posta questa domanda.”

È vero. Sbuffai.

Per rispondere ad essa avrei dovuto rispondere ad un’altra. Chi è il nemico da combattere? Che sia forse mia madre? Ghignai, ma la cosa non mi sembrò poi tanto buffa come credevo. Forse il nemico non era inteso gli strigoi, o almeno non solo loro.

Per un attimo mi sentii più vicino alla risposta.

“Rose, parla con tua madre. Alla fine lei ha solo voluto diventare, quello che vuoi diventare tu. Uno dei migliori guardiani.”

Con questa frase mi lasciò abbandonata a me stessa e ai miei pensieri. Si, ormai ci eravamo arrivati tutti che io volevo diventare come lei, eppure odiavo che non c’era mai stata, ma solo così lei era potuta diventare quello che è ora.

“Argh…” mi arruffai i cappelli dalla frustrazione. Stavo provando comprensione. No, non dovevo.

 

Arrivai alla prima lezione in ritardo, così mi presi una punizione. Quella mattina non avevo corso, così tutti i giri che mi fece fare Albert non li sentii nemmeno, con suo disappunto.

“Devo fare i complimenti alla sua resistenza fisica, signorina Hathaway!” mi disse, prima di lasciarmi andare alla lezione successiva. C’era qualcosa di brillante nel suo sguardo, forse si aspettava di vedermi strisciare in ricerca di ossigeno, e l’avevo sorpreso facendogli credere che forse non ero una menefreghista, come invece mi aveva sempre considerato alla St. Thomas. Si perché, mai e dico mai, Albert Hanson, in tutti i miei anni di vita, mi aveva detto qualcosa che assomigliasse, anche lontanamente, ad un complimento. Eppure non potevo non rendermi conto che dopo l’attacco strigoi lui fosse decisamente cambiato e che io fossi irrimediabilmente cambiata.

Io che mi impegnavo nelle lezioni, io che avevo amicizie, io che mi innamoravo e sempre io, che avevo deciso di affrontare mia madre…

 

Durante la lezione di Stan, furono presenti alcuni dei guardiani arrivati per l’occasioneQueen tour’ , come la chiamavo io, qui alla St. Vladimir. Stan aveva precisato che in seguito agli eventi spiacevoli accaduti, sarebbe stato più istruttivo ascoltare le storie di chi, a parer suo, lavorava sul campo. A quelle parole, un veleno mi aveva irradiato il corpo. La catastrofe alla mia accademia poteva essere riassunta semplicemente in un ‘spiacevole evento’? A nessuno di certo importava l’epiteto usato, ma per me era come un affronto.

E quando dicono ‘non c’è due senza tre’, eccola spuntare dietro a quei due energumeni di guardiani, con quei capelli ramati corti e ricci, così diversi dai miei, segno che forse assomigliavo decisamente a mio padre. Mi mossi irritata nel mio banco e sentii, chissà come, lo sguardo di Dimitri, che stava in piedi in fondo all’aula, perforarmi la schiena.

Quando i guardiani presero a raccontare le loro esperienze, i miei compagni iniziarono con tutta una seria di “Ooooh”, “Aaaaaah”, mentre dentro di me urlavo.

Facevano sembrare così semplice gli scontri, come se una volta preso il diploma tutti i novizi fossero in grado di sterminare a decine quegli esseri. Una cosa che avevo imparato sulla mia pelle era che le accademie non ti preparavano psicologicamente a quello che ci aspettava davvero. Le tecniche, i combattimenti erano tutte buone basi, ma la prova più dura era quella psicologica, che affronti solo quando ti ritrovi uno strigoi in carne ed ossa davanti a te per la prima volta.

 

La mia pazienza andò a farsi benedire nel momento esatto che a parlare fu mia madre. Tutti pendevano dalle sue labbra. Era raro che ci fossero guardiani femmina e ancora più raro che fossero delle combattenti il cui valore aveva fatto il giro del mondo.

Raccontava di un ballo privato di una famiglia moroi importante, durante il quale ci fu un attacco strigoi. Lei ovviamente raccontò in modo così semplice come riuscì a sbarazzarsi di circa sei o sette strigoi, che l’avevano attaccata da ogni parte possibile, anche in gruppo di due o tre, cosa rara visto che gli strigoi non erano in grado di creare legami tra loro senza sbranarsi l’un l’altro. La collera mi ribollì fino ad esplodere.

“Basta!” era la mia voce, ovviamente, che non era riuscita a rimanere incastrata in gola. Mia madre si bloccò sorpresa, Stan era allibito, odiava le interruzioni nel mezzo dei discorsi, ed evitai di voltarmi verso Dimitri.

Mi alzai, cercando tuttavia di controllarmi.

“Basta” ripetei a bassa voce.

Tutti mi guardavano.

“Dovreste ripeterci che gli strigoi sono dei mostri, che la loro forza è disumana, che per quanto possiamo immaginarceli nella mente, il giorno in cui ce li troveremo davanti ci sconvolgerà, perché qualsiasi nostra fantasia non sarà mai giusta come la realtà. Fate sembrare così facile le loro uccisioni, quando in realtà non lo è.”

I guardiani mi guardavano incuriositi più che scioccati dal mio sfogo. Mia madre mi guardava in un modo strano, avrebbe potuto sembrare compassione, ma non la conoscevo così affondo da poter sapere i suoi modi di fare. Alcuni dei miei compagni mi guardavano sconvolti, altri sogghignavano e non ci voleva molto a capire chi.

“Signorina Hathaway!” mi riprese serio Stan. Non avevo un brutto rapporto con quel guardiano, ma sapevo che ci teneva all’educazione, prima di tutto.

“Le chiedo scusa guardiano Stan…” io che chiedo scusa? Ero proprio cambiata. “…ma ora come ora le storie più sensate che potrebbero raccontare a dei novizi, è semmai il loro primo faccia a faccia con uno strigoi, dopo il marchio della promessa, quand’erano… noi!” e plateale allargai le braccia indicando la classe dei dhampir che l’anno seguente si sarebbe diplomata. Poi guardai uno ad uno i guardiani di fronte a me e chiesi loro: “E’ stato così entusiasmante il vostro primo incontro?” lo dissi con una punta di sfida, e fui soddisfatta quando vidi gli occhi dei presenti cambiare direzione dai miei, segno che la risposta era quella che sapevo io. Chi non spostò lo sguardo fu mia madre, che seria mi guardava, sembrava quasi volermi rimproverare, ma arrivava tardi per le punizioni e tirate d’orecchio.

Alcuni dei studenti capirono la gravità della situazione, ma altri no. Ryan, idiota qual era non poteva starsene zitto.

“Hathaway, fai tanto la splendida, ma tu cosa vuoi saperne? Chi credi di essere tu in confronto a loro?” disse sprezzante, ridendo poi guardandosi attorno cercando di trovare sostegno nei nostri compagni, ma solo due e tre gli diedero retta.

Chiusi gli occhi, mentre lacrime nervose sentivo che cercavano di farsi spazio. Nell’oscurità da me creata rividi quel strigoi sgozzare Nikolai e mi lasciò spiazzata. Era tanto che il mio cervello si rifiutava di farmi vedere quell’immagine, e ora quel ricordo come offeso, si era fatto sentire pesantemente, e cercava vendetta.

Aprii gli occhi di scatto e sapevo di averli lucidi e sconvolti, segno che gli argini stavano per cedere, e dopo aver spostato rumorosamente la mia sedia arrivai violentemente davanti a Ryan, che sembrava leggermente spaventato. Credeva che lo avrei colpito di nuovo? Non questa volta, non era lui il nemico.

Furiosamente con le mani che tremavano mi tirai su i capelli e gli rivelai il mio segreto, anzi lo rivelai a tutti. Il molnija sembrava bruciarmi sulla pelle, ma sapevo essere solo la mia immaginazione. Avevo avuto il coraggio di mostrare al mondo quel simbolo che per me non era un segno di valore, ma un ricordo da non dimenticare.

“Ecco chi sono, Ryan!”.

Dopo la soddisfazione di vedere i suoi occhi uscire fuori dalle orbite, uscii dall’aula sotto mormorii che sapevo non si sarebbero fermati per molto tempo.

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Capitolo 14
*** capitolo 14 ***


capitolo 14

 

Capitolo 14

 

 

 

Uscita, feci alcuni passi e poi sferrai un calcio al muro, che ovviamente mi fece più male che bene. Le lacrime avevano vinto e ora rigavano il mio viso, ma cadevano lente e silenziose per non disturbarmi e intanto sfogare il loro rancore.

“Rosemarie”.

Quella voce non l’avevo sentita spesso nella mia vita, ma sapevo che era sua.

Mia madre si avvicinò a me, non volevo voltarmi, ma ormai sentivo il suo respiro sulle spalle e mi infastidiva.

Trovai due occhi castani seri, troppo simili ai miei, perforarmi l’anima.

“Vedo che non cambi mai, la tua lingua è sempre troppo lunga.”

Non cambi mai? Parlava davvero a me?

“Cosa pensi di sapere tu di me? Solo perché ti fai passare i rapporti sotto banco dai miei guardiani, non significa che tu possa sapere come sono fatta! Che tu possa conoscermi! Quando è stata l’ultima volta che mi hai visto? Cinque, sei anni fa?”.

Non sapevo se ciò fosse vero, ma intuivo che i guardiani potessero entrare in possesso di tutte le carte che volevano, e poi non pensavo che la mia cartella accademica potesse essere top secret.

Le braccia da prima conserte si posarono sui suoi fianchi, facendomi sentire piccina piccina, nonostante lei fosse venti centimetri più bassa da me. Riusciva incutere timore al solo guardarla.

“Sai che non posso venire a coccolarti ogni volta che vuoi! Ho dei doveri a cui adempiere.”

Doveri… , risi a quella parola. L’ultima volta che ci eravamo viste, avremmo passato assieme si e no 2 minuti, perché lei doveva seguire il suo moroi, motivo per cui era venuta al St. Thomas all’epoca, cosa che effettivamente accadeva anche adesso. Lei si trovava qui perché era al servizio di quel Szelsky.

“Coccolarmi? È davvero questo che pensi io vorrei da te? Si vede che non mi conosci, anzi a dire la verità mi chiedo come tu sia riuscita a riconoscermi ieri. Per me è stato più semplice, insomma, quante tappe femmine vuoi che ci siano tra i guardiani?” dissi acida.

In risposta mi lanciò uno sguardo fiammeggiante, le sue mani chiuse a pugno. Qualcuno stava perdendo le staffe.

“Ti stai comportando come una bambina di cinque anni!” mi rimproverò andandosene, e la cosa più brutta è che mi sentii proprio come tale. Una bambina.

Questa volta però non sarebbe finita così, lei era uno di quei nemici che dovevo superare. Ormai avevo capito la risposta al quesito di Dimitri e ora volevo solo che lei mi rispettasse.

“Fermati, non abbiamo finito di parlare. Fuggi anche tu, per non sentirti dire quello che infondo sai essere vero!”

Lei si bloccò rigida e si voltò con uno sguardo indecifrabile.

“Si, mamma,” dissi ironicamente quel nome “ perché infondo tutto quello che avrei voluto era che ti comportassi anche solo per cinque minuti da mamma. A Natale, al mio compleanno, se facevo qualcosa di giusto all’accademia. Non chiedevo chissà cosa, anche solo una telefonata, per farmi capire che c’eri, che mi volevi bene.

“Se ci fosse stata sincerità e dialogo, anche se ero solo una bambina avresti potuto farmi capire il tuo desiderio di diventare un buon guardiano e che io non ero un intralcio.” Le mie parole erano piene di risentimento e spolverate di un velo di tristezza. Lei mi guardava impassibile, forse un po’ più pallida. “Invece hai preferito distruggere un possibile rapporto con me, per essere chi sei ora. Vuoi che ti dica la verità? Anche io diventerò un buon guardiano, anzi diventerò il migliore guardiano che questa terra abbia mai visto, e mi impegnerò a non dimenticarmi di nessuno. Perché quando diventerò quel guardiano vorrò avere qualcuno al mio fianco a condividere quella gioia con me. Tu, invece, chi hai?”

I suoi occhi erano sbarrati di fronte a quella verità. Mentre dicevo quelle parole, nuove verità riuscivo a capire. Lei era quello che era si, ma infondo era sola. O almeno credevo potesse essere così. Era andata avanti senza sosta per il suo obiettivo, lasciandosi alle spalle non solo me. Forse la mia paura più grande non era lei, ma diventare davvero come lei. E questa verità lasciò sconvolta anche me.

Ci guardammo a lungo negli occhi. I suoi erano un po’ lucidi, stava mostrando delle emozioni e non era decisamente da lei.

Alla fine decisi di voltarle le spalle, forse per ripicca, forse perché non avevo più voglia di rimanere a guardare quegli occhi così umani. Non erano davvero da lei.

Mossi due passi, quando lei sussurrò qualcosa che non avrei mai più sentito a voce alta per il resto della mia vita, ma che custodii in segreto nel mio cuore fino alla fine dei miei giorni.

“Scusami bambina mia…di tutto…”.

Mi fermai a quelle parole come si fermò per un secondo il mio cuore bisognoso d’affetto, poi quando esso riprese il suo naturale corso, io ripresi la mia strada.

 

 

Quando terminarono le lezioni quel giorno fui più che lieta. La mia sceneggiata aveva fatto il giro dell’accademia in meno tempo di quanto avessi pensato e tutti ora non facevano che fissarmi, i più coraggiosi invece mi avvicinavano per sapere se avevo davvero ucciso uno strigoi e ovviamente di raccontargli l’accaduto.

Riuscii a girare intorno alle loro domande in modo davvero egregio, senza litigare con nessuno.

Lissa mi aspettava all’ingresso, accompagnata da un Christian davvero serio. Lei sapeva. Gli avevo confessato tutto dopo che lei aveva confessato tutto di lei a me, ma con Christian non mi ero sentita ancora pronta di dire niente.

Ci incamminammo lontano da quegli occhi avidi di sapere.

“Come stai Rose?” mi chiese preoccupata Lissa.

“Non mi crederai, ma mi sento bene. Più leggera forse. Dopo la mia scenetta ho parlato con mia madre e mi sono sfogata.”

Lei mi sorrise.

“Non avrei voluto proprio essere nei suoi panni”.

Mi conosceva abbastanza da sapere che non avrei risparmiato niente.

Risi anch’io davvero più leggera, e notai l’espressione corrucciata di Christian.

“Insomma Ozera, sputa il rospo”.

Lui mi guardò sorpreso, poi la sua espressione tornò la stessa di sempre.

“Niente Hathaway, stavo cercando di riprendermi dal fatto che forse non sei proprio inutile”. Rise ironico.

Christian mi stava facendo a modo suo un complimento.

“Se vuoi un autografo sarò più che felice di accontentarti!”.

Lui alzò un sopracciglio.

“Figurati, ora non montarti la testa.”

Alzai le spalle.

“Peggio per te!”.

Poi sorrisi e anche lui, che prese teneramente Lissa per le spalle.

Avevamo un rapporto strano noi due, infine un po’ gelosi l’uno dell’altro del rapporto che avevamo con Lissa, ma tenevamo entrambi a lei e questo faceva si di provare una sorta di rispetto reciproco.

Sapeva che avevo detto a Lissa che avrei desiderato diventare il suo guardiano una volta arrivati al diploma e che mi sarei impegnata con tutta me stessa. Questo molnija per lui forse era solo una garanzia in più che la sua amata sarebbe stata al sicuro.

“Beh, ragazzi ora devo andare alla tirata d’orecchi che mi farà Dimitri.”

“Rose, se vuoi ho procurato un vestito anche per te per l’incontro di stasera con la Regina.”

Negai con la testa.

“No, Lissa mi son già fatta procurare un vestito adatto per me”. Lei rimase sorpresa.

“E non ti dirò niente, sarà una sorpresa”.

Christian sghignazzò.

“Speriamo bene!”.

“Ehi!” lo spinsi, poi ridemmo e ci demmo appuntamento quella sera davanti i dormitori moroi.

 

 

Arrivai da Dimitri decisamente in ritardo. Avevo camminato verso la palestra con davvero molta calma, perché stavo cercando di riordinare tutti i miei pensieri e tutte le mie rivelazioni di quel giorno.

Avevo capito. Il mio nemico più grande era la paura. Paura che sotto svariate forme mi impediva di pensare lucidamente. La paura provata di fronte a quello strigoi che uccise Nikolai. La paura che poi il suoi ricordo continuava a darmi. La paura per Lissa, per il suo dono e quello che gli potrebbe succedere. La paura di affrontare mia madre e di diventare quello che odio di lei.

Per diventare il migliore guardiano che sogno di essere un giorno, devo imparare a saper affrontare le mie paure. Solo così potrò proteggere Lissa, vendicare ogni giorno la morte di Nikolai sconfiggendo il male convertito in strigoi, e ricordarmi sempre chi sono, chi sono stata, per non perdere mai quelle persone che ora credono in me e mi vogliono bene.

Quando varcai l’ingresso della palestra i miei occhi si incontrarono con quella che mi resi conto essere la mia ultima paura da affrontare. La paura di amare Dimitri.

Lo guardai per la prima volta con occhi nuovi. Lui se ne stava appoggiato ad un tavolo con un spolverino da cowboy, che avevo notato portava spesso. Gli dava un’aria misteriosa e davvero sensuale. Mi sentivo diversa, forse più matura e magari più degna di stare con lui. Era anche questo un problema e la mia voglia di diventare il migliore. Lui aveva girato il mondo, protetto moroi importanti e il suo collo era segno evidente del suo valore in battaglia e aveva solo 24 anni, ma il suo nome era conosciuto e chi lo pronunciava lo faceva con rispetto.

Lui, intanto, mi guardava assorto nei suoi pensieri.

“Non mi fai una predica?” chiesi dopo un silenzio che iniziava ad essere assordante.

Il suo viso poteva sembrare una morsa di ghiaccio, ma lo conoscevo abbastanza da sapere che c’era qualcosa di ironico.

“Dovrei?” mi chiese semplicemente.

“No!” gli dissi più che convinta.

Notai un angolo della sua bocca resistere ad un sorriso.

“Prima che tu mi chieda il perché, sappi solo che ho trovato la risposta!”.

I suoi occhi brillarono.

“Si, l’avevo intuito che c’eri arrivata o che comunque ci fossi vicino.”

“E ora?”.

Lui sembrava stesse trattenendo una risata.

“Ora puoi combattere contro di me!”.

Non so che faccia feci, ma a quanto pare lui la trovò piuttosto esilarante.

 “Ok, compagno, fatti sotto!”.

I suoi occhi tornarono a concentrarsi e il Dimitri battagliero entrò nel suo corpo.

“Sai, quando oggi hai urlato come una pazza in mezzo all’aula ero già pronto a venirti a prendere per i capelli…”.

“Ma dimmi che c’è un ma?” dissi angelica.

Lui non si scompose. “…ma condivido quello che hai detto. I novizi non sono preparati al meglio psicologicamente!”.

Fui sbalordita e non trovando cosa dire, gli sorrisi.

In tutta risposta, come faceva spesso Nikolai, mi colpì a tradimento, ma non così veloce da non riuscire ad attutire quello che si sarebbe trasformato in un bel ematoma sullo sterno.

“Dannato! Sei peggio di quel vecchiaccio.” dissi piena di adrenalina.

“Non distrarti!” e riprese ad attaccarmi.

Combattemmo per un bel po’. Sentivo il mio corpo più agile e più forte di quanto non lo fosse stato quella volta con lo strigoi, eppure per quanto ci provassi, non riuscivo a mettere al tappeto il mio avversario.

L’ennesimo colpo a vuoto mi fece incazzare.

“AAAhhh… uffa! Si può sapere in cosa sbaglio?” gli urlai in uno schizzo degno di nota.

Lui sudato da far venire strani pensieri, fece il suo solito mezzo sorriso.

“Le tue mosse sono giuste è solo che io le metto in pratica da più tempo di te!”.

Lo guardai, penso, con due occhi da cerbiatto.

“Tutto qui?”.

“Sei forte, fidati di me, devi solo continuare ad allenarti così!” mi disse, poi si girò aggiungendo che sarebbe andato a prendere dell’acqua, trovai la situazione più che invitante. Cercando di fare il meno rumore possibile, presi la rincorsa per attaccarlo, ma chissà perché, mi ritrovai a spalle a terra con lui che mi sovrastava. Era riuscito a vincere anche questa volta.

Stavo per dirgliene quattro, ma notai solo allora la nostra vicinanza. Lui e le sue labbra erano dannatamente vicine alle mie. Sentivo il suo respiro tiepido sul collo e il suo dopobarba mi mandava in estasi. I suoi occhi erano due pozzi in cui stavo annegando sempre più.

Non mi accorsi come, non capii in che modo, ma mi trovai a toccare le sue labbra con le mie. Le sfiorai piano, dolcemente, carpendone ogni fattezza. I nostri respiri erano un intreccio che mi faceva battere il cuore nelle orecchie.

I suoi occhi si socchiusero mentre sentivo che anche lui cercava lo stesso contatto. Non so perché, ma ero così preda da quella emozioni che lo chiamai. Lo volevo più vicino e chiamarlo in quel momento mi sembrava il modo per fargli capire la mia volontà, ma quel suono debole e roco fece l’effetto contrario.

Dimitri spalancò terrorizzato gli occhi, guardandomi come se fossi un mostro. Si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro torturandosi i capelli che ora non erano più legati nel suo codino da battaglia.

“Rose noi, non possiamo…”

Nel frattempo mi alzai anch’io e non sapevo come comportarmi, avevo ancora il cuore che mi batteva nel petto.

“Perché no?” dissi in preda all’emozioni ed al suo cambio d’umore.

“Perché non possiamo!” ribadì subito lui.

“Non puoi negare che non ci sia qualcosa tra noi…” non so dove trovai quel tono fermo, quando dentro di me stavo bruciando.

“Rose, no. Io sono il tuo mentore, sono un adulto, tu sei un’allieva, una bambina.”

Una bambina? Ero questo per lui? Eppure un secondo prima non eravamo quei due che lui sosteneva, ma solo due persone che si volevano o almeno mi era parso di capire questo.

“Non lo saremo per sempre.” Ribattei, non so con quale coraggio.

“E’ vero, ma è sbagliato.”

Cosa può esserci di sbagliato?

“Tu non mi vuoi?” volevo tapparmi le orecchie per la paura di sentire la risposta, che purtroppo arrivò lo stesso.

“No, Rose…” disse disperato.

Sentii inconfondibile il mio cuore andare a pezzi, i cocci caddero a terra come bicchieri di cristallo.

“Beh, questo cambia tutto!”.

I suoi occhi erano pieni di dolore, come le mie parole. Che non mi volesse perché era contro le regole era un conto, che non volesse me punto, era un altro.

“Scusami, spero che riuscirai a dimenticare l’accaduto!” la mia voce era incolore.

Mi voltai per andarmene.

“Rose…” mi chiamò stanco lui.

“Devo cambiarmi per l’incontro con la Regina!” e detto questo fuggii via.

 

Ero sotto la doccia e ridevo mentre lacrime amare si confondevano al getto caldo e allo shampoo.

“Come potevo pensare di piacergli?”

Scossi la testa come per scacciare dai pensieri una cosa buffa.

Cosa poteva trovare di attraente in me, a parte il mio corpo che di certo non era quello di una bambina, anzi. Una che la disciplina non sa cos’è, che piagnucola per la mamma, e prende a botte i suoi compagni di classe. Che stupida sono stata, avrei dovuto pensarci di più invece di vedere cose che non esistevano e dare significati a situazioni che non ne avevano. Eppure ero sicura di piacergli in qualche modo, ma forse per lui ero solo un’ottima compagna di combattimenti e basta. Un’amica.

A quanto pare, però, avevo frainteso tutto e ora forse avevo rovinato il rapporto che c’era tra di noi. Chissà se sarebbe stato ancora il mio mentore?

Le dita si erano raggrinzite segno che era ora di uscire dalla doccia, dato che poi l’acqua era da un po’ che scendeva pure fredda.

Mi avvolsi nel mio grande accappatoio e mi sedetti senza forze sul mio letto accanto al mio abito. Sorrisi triste. Un paio di giorni prima, avevo chiesto a Dimitri se era possibile trovare una specie di divisa da guardiano, un fac simile, per sembrare un guardiano anche se non lo ero. Lui mi aveva un po’ preso in giro per la mia idea, ma io gli avevo detto che volevo comportarmi già come tale, che avevo deciso che dopo il diploma sarei diventata il guardiano di Lissa e anche se eravamo ancora in accademia, io volevo già esserlo per lei. Camuffare in un esercitazione quello che in realtà io avrei preso per vero. Così ero arrivata alla conclusione che in un incontro ufficiale come quello con la regina, io non potevo arrivare vestita certo come al party di Halloween. Lui era rimasto molto sorpreso e non aveva più riso, anzi gli vidi una punta di orgoglio per me negli occhi, che mi fece sbattere le farfalle nello stomaco in modo vorticoso.

Infatti, poi mi disse di essere molto fiero di me e che sarebbe stato felice di aiutarmi.

Due giorni dopo mi aveva dato un pacco con dentro questa meravigliosa divisa nera. Non aveva stemmi ufficiali o simboli specifici, era interamente nera, ma era fatta con lo stesso materiale di quella dei guardiani, era comoda per eventuali combattimenti ed elegante al punto giusto, e non potevo non ammettere che mi stava divinamente e mi dava un’aria di rispetto. I pantaloni con i tasconi erano aderenti alle mie lunghe e toniche gambe, così anche la giacca dai bottoni a doppio petto.

 Dimitri mi aveva poi detto che aveva dovuto fare rapporto al preside ed agli altri guardiani della mia idea, per scongiurare eventuali domande dopo, e che tutti avevano preso di buon grado la mia iniziativa.

Ed ora eccomi lì, che mi guardavo allo specchio ed ero decisamente uno schianto. La mia pelle leggermente ambrata mi permetteva di non dover mettere fondotinta per uniformare il colore, così mi ero concessa una crema idratante e poi un tocco di blush sugli zigomi. Le mie lunghe e folte ciglia erano uno spettacolo al naturale, con  un po’ di rimmel davano al mio sguardo un’intensità disarmante. Mi stavo tirando un casino e sapevo benissimo il perché, non volevo apparire debole di fronte a Dimitri, dopo la figuraccia fatta in palestra, e volevo dimostrargli che io non ero una bambina.

L’ultimo tocco per la mia figura fu acconciare i miei capelli in un elegante e fermo chignon, il mio viso sarebbe stato più illuminato e il mio molnija non sarebbe più stato nascosto.

Se volevo davvero sembrare un guardiano dovevo ricordarmi la base dei nostri ideali: loro vengono prima.

I miei problemi, Dimitri, sarebbero andati al secondo posto, come succederebbe se io fossi davvero un guardiano che deve dare il suo corpo e la sua mente alla protezione del suo moroi.

Con questa piena convinzione presi un respiro ed uscii dalla mia stanza.

Ehm... ehm...

c'è stato un bacio... uuuh.

In questo capitolo, come avete visto ci sono tanti riscontri con i libri, spero vi sia piaciuto il modo di incastrarli tra essi.

Hihi lo so che mi odierete per aver interotto così bruscamente il loro primo bacio, ma così sarebbe troppo semplice e la vita purtroppo non lo è mai.

Detto questo ci vediamo al prossimo capitolo. Che cosa succederà all'incontro della nostra Queen Tatiana?

xoxo

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Capitolo 15
*** capitolo 15 ***


capitolo 15

 

Capitolo 15

 

 

 

“Oh, mio Dio. Rose, non riesco a toglierti gli occhi di dosso!”

Lissa mi guardava con gli occhi a cuoricino e non la smetteva di farmi complimenti, gonfiando il mio ego.

“Dai, Liss… almeno così ti abitui anche tu a vedermi in vesti più serie…”.

Lissa mi stava accarezzando la divisa, quando Christian ridacchiò.

“Rose, ricordati che l’abito non fa il monaco!”

Gli lanciai uno sguardo di fuoco che lo fece, seppur con poca convinzione, smettere di ridere.

“Farai girare la testa a tutti stasera.”

Nel mio compito non erano certo compresi tutti, ma non lo dissi ad alta voce. Chissà cosa avrebbe pensato Lissa, se gli avessi detto che ero innamorata del mio mentore, che oltre tutto era il suo guardiano ufficiale.

“Non credo Lissa, ma è meglio andare, non possiamo arrivare dopo la Regina”.

 

Quando si è piccoli, all’accademia, oltre che ad insegnarti a leggere e a scrivere, viene insegnato il bon ton e come comportarsi se mai si fosse alla presenza di regnanti. Ed era ben palese a tutti quanto ci tenesse l’attuale Regina ad essere adorata e ammirata, quindi non era il caso di fare un ingresso dopo di lei.

Quando entrammo nel salone che di solito usavamo per la mensa, non potemmo non rimanere a bocca aperta.

I tavoli erano stati disposti in file ai lati così da creare un corridoio al centro della sala, che terminava con un tavolo per la Regina ben in vista che tutti, appunto, avrebbero potuto ammirare da qualsiasi angolazione si trovassero.

Le tovaglie usate erano pregiatissime e le candele e i vasi di rose rosse e gigli dava all’intera sala un posto adatto per una regina.

Quando entrammo, il corridoio creato ci mise praticamente al centro dell’attenzione. Oltre agli studenti, c’erano alcuni reali e delegazione di reali con i loro guardiani giunti appositamente per l’evento e tutti chi più, chi meno, ci osservava, i meno educati ci indicavano.

Visti da fuori chi eravamo? Il figlio di due moroi trasformati in strigoi e da cui non ci si aspettava altro che la stessa sorte, che stava mano nella mano con l’ultima discendente della casata reale dei Dragomir. A loro fianco un’altra studente vestita come un guardiano: per i più esperti era la stronza Hathaway, per altri, la figlia di un grande guardiano e colei che a soli 17 anni aveva ucciso uno strigoi da sola, per giunta in ancora dubbie circostanze.

Cercai di non guardarlo, ma mentre avanzammo, per un nano secondo, i miei occhi si scontrarono con quelli di Dimitri, il quale mi stava fissando, voltai bellamente il mio sguardo e mi fermai con i miei amici, vicino ad Eddie e Mason, i quali ultimamente avevano preso confidenza con Lissa e Christian.

Un brusio diverso ci fece capire che era arrivata la Regina, così tutti, tranne i guardiani alle pareti, ci inginocchiamo al suo ingresso.

La Regina Tatiana aveva all’incirca 60 anni con un caschetto di capelli bianchi che la faceva sembrare più una bambina, che una donna vissuta. Era circondata da quattro solenni guardiani che vestivano una giacca rossa e nera, la divisa ufficiale della corte reale.

Durante la sua camminata/sfilata la Regina si fermava a scambiare qualche parola con qualche studente, segno inevitabile che i genitori di lui fossero ben visti, e che l’indomani, lo stesso, si sarebbe gasato per essere stato riconosciuto dalla regina.

Quando ella fu di fronte a noi si fermò e vidi le sue scarpe rivolgersi nella nostra direzione.

“Vasilisa Dragomir” disse la regina Tatiana.

Lissa si alzò facendo un inchino e rimanendo comunque col capo leggermente chino.

“Maestà!” disse lei con garbo.

“Vasilisa” ripetè con enfasi, mentre sembrava pensasse a qualcosa. “Il tuo nome è stato portato da molte eroine delle favole russe nel corso della storia. E’ un nome che non va sottovalutato.” Si fermò ancora in una pausa indistinta. “A pari passo sta il nome Dragomir, un nome che impone rispetto su ognuno che incontra, come un ben noto regnante del passato.”

Non volava una mosca. Me li immaginavo tutti con gli occhi fuori dalle orbite che ascoltavano parola per parola il discorso della regina, e tutti già pronti a fare ammenda con Lissa il giorno dopo. A scuola ci potevano anche essere i bulletti, ma una volta terminata essa, solo i favoriti reali avevano un futuro rigoglioso davanti a se.

“Nonostante le sorti della tua casata, ci si aspettano grandi cose da te…” e chissà perché pensavo che la regina si riferisse allo spirito. “Hai tante ottime caratteristiche, ma non soffermarti solo sulla compassione!”

Con la coda dell’occhio vidi Christian stringere i pugni. Era molto chiara la frecciatina della regina. Aveva palesemente scambiato l’amore di Lissa e Christian per della compassione per lui. Davvero regalmente odiosa la nostra signora.

La regina fece un altro passo, mentre Lissa si inginocchiava al suo posto, poi si fermò ancora, sempre nella solita direzione.

“Rosemarie Hathaway!”

Ero scioccata. La regina si stava rivolgendo a me? Il massimo che si chiedeva alla regina era almeno riconoscere il valore dei novizi con un saluto chinando il capo, ma parlagli? La sala si fece, se possibile, ancora più ammutolita.

Non mi alzai come aveva fatto Liss, non era nelle mie possibilità da dhampir. Rimasi inginocchiata e chinai la testa più di quanto possibile.

“Maestà”dissi ancora scioccata.

“Ancora novizia, ma il tuo nome già si conosce.”

Lasciò la frase a mezz’aria e proseguì, come niente fosse. Era un complimento, giusto? Rimasi ammutolita ad analizzare l’accaduto.

Quando la Regina arrivò al suo tavolo, prendemmo posto per la cena, i moroi nella zona più vicina alla regina, mentre i novizi più distanti. Non vedevo l’ora che finisse per parlare con Lissa e Christian dell’accaduto. Di sicuro Christian era furente e non gliene davo i torti ed io, bè non sapevo che dire.

 

Durante la cena Mason non fece altro che adularmi, ripetendo ciò che la regina mi aveva detto.

“Cavoli Hathaway, l’avevo capito subito quando sei arrivata che non eri una sprovveduta, perfino la regina stravede per te.”

Io risi della sua allegria, ma che la regina stravedesse per me, ne dubitavo. Mi sembrava una persona molta astuta, che non dispensasse caramelle per generosità.

 Poi Mason si sporse verso di me.

“Rose…ma.. cosa si prova a…?”.

Mi zittii alla sua domanda. Sapevo benissimo a cosa si riferiva.

“Scusa, non volevo…” disse lui subito pentito.

Non so cosa mi smosse, ma parlai. Forse, perché avevo deciso di affrontare le mie paure o forse perché, dopo l’accaduto con la regina, la testa viaggiava in una strada parallela alla mia.

“Non so bene cosa ho provato!”

Lui mi guardò prestando attenzione, vidi anche Eddie guardarmi curioso.

“Quel strigoi aveva appena ucciso il mio mentore davanti ai miei occhi, ed io pensavo solo a vendicarlo.”

Mason mi mise una mano sopra la mia per consolarmi.

“Scusa se ho toccato un brutto tasto, io non lo sapevo del tuo mentore. In effetti, qui pare che si siano dimenticati tutti, che degli strigoi sono entrati indisturbati in un accademia!”

Lo guardai eloquente.

“Almeno qualcuno che la pensa come me.”

Anche Eddie disse che la pensava alla stessa maniera.

“E ora capisco anche la tua scenata di oggi!” disse quest’ultimo.

“Già.” Risi. “Gli strigoi sono davvero orribili” ma dissi strigoi un po’ troppo forte e vidi molte teste girarsi su di me, così abbassai la voce facendo finta di niente. “Quando mi sono trovata di fronte quell’essere sono rimasta scioccata. Gli si legge in faccia che sono dei morti privi di emozioni, sono davvero dei mostri e sono dannatamente forti e veloci.”

Mason ed Eddie pendevano dalle mie labbra.

“Accidenti!!” disse Mason, poi diede una pacca al suo amico “Riusciremo a fargli il culo, vero amico?”

E l’altro gli sferrò un pugno annuendo, alleggerendo un po’ la situazione.

“Però dai, facci vedere il tatuaggio!” chiese Eddie.

Alzai le spalle e mi voltai il giusto perché i loro occhi vedessero bene il mio molnija.

“Wow!” disse Mason “Ora ti porterò più rispetto di prima!”

“Certo che devi, sennò ti farò il culo!” dissi, ed Eddie aggiunse:”Di nuovo!”.

E ridemmo come pazzi.

Mi voltai alla ricerca dello sguardo di Lissa, per vedere come procedeva la sua cena, ma nel farlo non potei non notare che Dimitri mi stesse fissando, ancora. Perché diamine continuava a guardarmi? Ero irritata dal suo comportamento.

Trovai la mia amica seduta a fianco del suo ragazzo e come mi ero immaginata, richiestissima. Vedevo le persone intorno a lei parlarle e guardarla con devozione. Chi non ne era molto felice era Christian, che era palesemente estromesso da qualsiasi argomento stessero discutendo.

 

Finita la cena iniziò il ricevimento e potei così allontanarmi dal mio settore dhampir. Vidi Lissa uscire di soppiatto, così le andai dietro, rallentando un po’ però a causa della folla di persone che dovevo raggirare.

Una volta fuori presi una grande boccata d’aria che non pensavo di cercare così avidamente. Non ero abituata a tutto quello bon ton.

Andai verso il cortile interno e notai che Lissa non era sola. Quella serpe di Camille Conta era li.

Ero vicino quel tanto da poter percepire le parole cariche di odio ed invidia della rossa.

“Anche la regina trova rivoltante il fatto che stai con quello strigoi, eppure state così bene insieme, due reietti della società!” sputò acida.

Arrivavo alle spalle di Lissa, per cui non mi aveva vista arrivare, ma rimasi di sasso quando iniziò a parlare e vidi Camille Conta rimbambirsi all’improvviso.

“Io e Christian ci amiamo e lui è un bravo ragazzo infondo!” disse angelicamente Lissa.

Camille ripetè come un’automa che sapeva che Christian infondo fosse un bravo ragazzo, poi la salutò e se ne andò.

Lissa sospirò afflosciando le spalle poi si voltò e finalmente mi vide.

“Hai usato la compulsione” le dissi sconvolta. Non lo avevo mai visto fare del vivo e ne ero rimasta davvero scioccata. In effetti, era proibito privare del libero arbitrio le altre persone. In teoria tutti i moroi erano in grado di farlo, ma non tutti in effetti sapevano farlo bene, non avevo esperienza sul campo, ma sapevo che la compulsione di Lissa andava ben oltre il normale e di sicuro c’era lo zampino dello spirito.

La mia amica abbassò gli occhi colta sul fatto .

“Scusami Rose, avrei dovuto trattenermi, ma ero davvero al limite della sopportazione delle sue cattiverie!”

Mi avvicinai preoccupata. Chissà se Lissa era stata presa in giro in mia assenza e di Christian, perché di sicuro quest’ultimo mi avrebbe informata se lo avesse saputo.

“Quando hai usato l’ultima volta lo spirito?” chiesi in ansia, speravo che non lo usasse troppo.

“Una settimana fa” mi disse sincera. “Al sabato e la domenica non prendo i farmaci, così posso usare al minimo la magia, senza troppe ripercussioni su di me!”

“Grazie a Dio!” dissi grata e poi l’abbracciai.

“Fammi capire” dissi dopo “ma ora Camille andrà in giro a dire che Christian è un bravo ragazzo?”.

Lei sorrise timida “Se qualcuna gli parla di lui può essere!”.

“Cavoli!” non sapevo se la situazione era divertente o terrificante.

 

Tornammo al ricevimento e rimanemmo lì un’altra ora. Mia mamma si avvicinò e disse che era lieta che la regina avesse fatto il mio nome con rispetto quella sera. Non sapevo se fosse davvero lieta o meno, ma ammetto che un po’ mi fece piacere. Le presentai anche Lissa, e fui colpita che si comportò davvero bene, per i suoi standard.

Trovai Dimitri a fissarmi ancora molte volte e intuivo che volesse parlarmi, ma ero davvero grata che fosse uno dei guardiani di turno per la vigilanza, così non avrebbe potuto muoversi di lì per tutta la serata. Non sapevo cosa avrebbe potuto dirmi e temevo di tutto, così quando vidi che il ricevimento si avviava alla conclusione levai le tende e tornai in camera mia, dopo aver accompagnato Lissa nella sua.

 

L’indomani alla messa domenicale vi partecipò anche la simpaticissima regina con i guardiani reali al seguito. Sarebbe ripartita la sera stessa, all’alba. Sapevo ci sarebbe stato anche Dimitri e come il suo solito si sarebbe posizionato in fondo, nascosto nella sua ombra, perciò evitai, con tutta me stessa, di guardare da quella parte mentre entravo, e andai a sedermi quasi di corsa vicino a Lissa.

“Non fanno che salutarmi tutti!” dissi Lissa stizzita.

“E’ normale, sei ciò che si avvicina di più alla pupilla della regina!”dissi un po’ prendendola in giro, anche se a dire il vero, quella mattina sembrava che tutti i dhampir salutassero pure me. Sapevo, comunque, che il suo buon animo era riuscito ad arrabbiarsi per le parole dette in riferimento al suo rapporto con Christian.

“Ed io cosa dovrei dire che mi ha salutato Camille Vipera Conta?” disse Christian, sporgendosi in avanti, per farsi sentire.

Io repressi una risata e vidi che anche Lissa cercava di non ridere. Avrei voluto vedere la faccia di Christian in quell’esatto istante.

Il povero Ozera stava per replicare, ma entrò il sacerdote, così tornammo seri.

Terminata la funzione aspettammo che la regina uscisse, e una volta fatta la sua sfilata, potemmo avviarsi anche noi alla nostra domenica di riposo.

Appena uscite vidi in lontananza Dimitri camminare verso la nostra direzione e il mio cuore rotto prese a pulsare insistentemente. Non sapevo come reagire, ma il mio problema fu risolto quando un guardiano della regina sorpassò Dimitri, arrivando per primo a me. Vidi il mio mentore fermarsi di colpo non sapendo anche lui che fare.

Con fatica spostai lo sguardo sulla persona di fronte a me.

“Rosemarie Hathaway?”.

Sembrava una domanda, perciò dissi “Si!?”.

“Sei richiesta al cospetto della regina! Seguimi!”.

Così dicendo si voltò e prese a camminare. Guardai spaesata Lissa, che anche lei era rimasta sbigottita da questo nuovo avvenimento, poi guardai Dimitri che era ancora lì nella stessa posizione. Vidi che il guardiano se ne stava andando di buona anda senza aspettarmi e non sarebbe stata una bella figura se fosse arrivato dalla regina senza di me, perciò senza dire niente rincorsi quello sconosciuto.

Mi misi al suo passo, mentre lui non cambiava espressione e continuava fiero per la sua strada.

“Posso sapere il tuo nome?” gli chiesi, ero curiosa e almeno un giorno se avessi avuto bisogno avrei potuto dire di conoscere un guardiano della regina. Risi malefica dentro di me.

Lui mi guardò di sfuggita. “Mikhail Tanner” disse.

“Non ho combinato qualcosa vero?” dissi innocentemente. Immaginavo che la regina avesse già sfruttato tutta la simpatia che conosceva la sera prima.

Il guardiano non disse nulla. Sbuffai.

“Se ti portassi dalle rose della Karp forse saresti più simpatico!” borbottai tra me, ma lui mi sentì, infatti mi fermò saldamente per un braccio.

“Che nome hai fatto?”.

Rimasi interdetta dalle miriadi di emozioni che gli passarono per il viso.

“Sonya Karp!” dissi scioccata di getto.

“E’ qui?” chiese raggiante, guardandosi intorno come se si aspettasse di vederla spuntare fuori da un momento all’altro.

“Si” annuii poco convinta.

“Non lo sapevo” disse tra se e se.

La sua reazione mi faceva pensare a qualche romanzo rosa da vecchietta in veranda.

“Non è che le piace la signora Karp, vero?” chiesi furba.

Lui mi guardò paonazzo. Centro.

“Andiamo!” disse risoluto riprendendo a camminare.

Arrivammo alla sala riunione, al di fuori della quale stavano immobili altri due guardiani. Uno dei due si mosse e aprì la porta annunciandomi, poi uscì lasciando la porta aperta.

Inghiottii un boccone inesistente e feci per entrare, quando mi ricordai di Mikhail. Stava in piedi, aspettando che entrassi.

“Chiedi della signora Carmack, saprà dirti dove cercare!” gli dissi amichevole e lui rimase di sasso, non disse nulla, ma un angolo della sua bocca si piegò un po’ all’insù.

Dovevo smetterla di comportarmi da agenzia matrimoniale, quando la mia vita amorosa faceva schifo.

Mi ricordai dove mi trovassi, così lasciai fuori i pensieri ed entrai al cospetto della regina.

Nella sala c’era solo un guardiano, dietro ad una sedia davvero elegante che non avevo mai visto nell’accademia, sulla quale sedeva la regina Tatiana vestita di un tailleur degno di una donna d’affari.

Mi inginocchiai e la salutai: “Maestà”.

“Signorina Hathaway devo prepararmi per partire per cui sarò veloce. Ti ho fatta chiamare per due motivi.”

Due neanche uno, iniziavo seriamente a preoccuparmi. Inoltre speravo che respirasse tra una parola e l’altra, non mi ci vedevo a fare bocca a bocca con la regina se restasse senza fiato.

“Il primo è un ringraziamento per aver salvato mia nipote Lucinda durante l’attacco alla St.Thomas”.

L’avevo dimenticato che la regina era parente di Lucinda e Martin, dal tono freddo con cui lo aveva detto però, mi chiedevo se fosse davvero vero.

“Ho fatto il mio dovere, Maestà!”.

I suoi occhi scintillarono.

“Ne sono più che certa. Siamo tutti in attesa di vederti in azione dopo la promessa e sono sicura che potrai ricevere qualche incarico degno di nota.”

La guardai scioccata dalla piega del discorso. Che volesse ripagarmi del mio atto di salvataggio? Non credo, i guardiani lo facevano tutti i giorni. Qualcosa non tornava.

“Io sarò il guardiano di Lissa… di Vasilisa.” Mi corressi e un secondo dopo mi maledii per la mia sincerità, ma sospettavo che comunque lo avrebbero capito tutti prima o poi.

Ciò che non mi piacque fu vedere l’espressione della regina, come se nella sua testa stesse urlando’bingo’.

“Sono sicura che non ti sarà difficile diventare il suo guardiano, ti ho notato ieri, il tuo modo di vegliare su di lei” arrossii per questa sua affermazione “e sono più che certa che capirai quello che sto per dirti!”

Intuivo dal suo sorriso calcolatore che le cose non mi sarebbero piaciute.

“Vasilisa è l’ultima Dragomir, su di lei incombe un enorme peso e una grande responsabilità, sei d’accordo con me?”

Annuii, avevo improvvisamente la gola secca.

Perché stiamo parlando di Lissa?

“Sai anche in cosa è specializzata Lissa?”

Volevo rispondere di no, ma eppure dissi “Si, Maestà!”

Sorrise fredda.

“Allora sai bene che lei avrà bisogno di una protezione maggiore. La inviterò a risiedere a corte dopo il diploma, visto che non ha una famiglia da cui tornare, e lì potrà andare a qualsiasi college voglia e tu ovviamente sarai con lei, come suo guardiano!”

Sembrava mi stesse dando il contentino.

“Ma..”

Ecco il ma della situazione. Avrei voluto alzare gli occhi al cielo.

“Ma poiché tutto ciò avvenga ho bisogno che Vasilisa e quell’Ozera si lascino. Lei è una reale molto importante e ho già calcolato il suo matrimonio con il mio caro nipote Adrian, molto più simile e adatto a lei.”

Sbarrai gli occhi alla sua richiesta. Voleva che Christan e Lissa si lasciassero?

“Anche Christian fa parte di una casata reale.” Non sapevo che dire, mi aveva lasciato di sasso.

“E’ vero, ma non godono di buona reputazione, grazie proprio ai suoi genitori se non sbaglio.”

“Ma…”

Non mi lasciò parlare.

“Vorresti forse dirmi che la loro relazione qui è ben vista?”.

Sbarrai gli occhi. Da quando stavano insieme, Lissa aveva subito attacchi più spregevoli di quelli che le riservava prima Camille Conta, dettati solo dalla sua invidia di non avere alle spalle il nome di una famiglia importante al livello dei Dragomir.

“Ti ricordo che se voglio posso rovinare il futuro di Vasilisa , del tuo poi, non ne parliamo. Perciò se ci tieni così tanto a Vasilisa, come sembra, sono più che certa che farai la scelta giusta!”

La guardai a bocca aperta. Ero sconvolta dalla sua perfidia.

Lei sorrise malefica.

“Bene, è tutto. Puoi andare!”.

Voltò lo sguardo in un’altra direzione segno che il mio tempo era finito e che dovevo andarmene.

Feci un inchino e me ne andai muta come un pesce e con le gambe molli come gelatine.


 

E non poteva mancare lei, la nostra simpatica regina.

I nostri personaggi ne saranno sconvolti, come potranno reagire?

E di Dimitri cosa ne pensate? Che gli passerà per la testa?

hihi.... chi vivrà vedrà...

baci

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Capitolo 16
*** capitolo 16 ***


capitolo 16

 

Capitolo 16

 

 

 

 

Stavo attraversando il cortile in uno stato comatoso. Le parole perfide della regina Tatiana mi stavano vorticando in testa.

Dove riusciva ad arrivare la cattiva ambizione della gente? Chissà sotto quel caschetto cosa stava progettando quella stronzetta regale. Non ne avevo idea.

E chi era poi questo Adrian? Aveva detto che era simile a Lissa, che si riferisse alla loro importanza sociale o alla loro specializzazione?

Mi accorsi di essere impalata nel bel mezzo del cortile, quando vidi Dimitri a passo di carica puntare su di me ed il mio corpo che non faceva niente per allontanare la distanza tra noi. Non avevo tempo per affrontarlo ora, dovevo trovare Lissa ed informarla. I due diretti interessati avrebbero dovuto sapere la minaccia che incombeva su di loro.

“Rose, tutto bene?” Dimitri mi guardava indecifrabile, eppure la sua tonalità traspariva un velo di apprensione.

“Magnificamente, ma devo andare!”.

Ritrovai l’uso delle gambe e feci per svignarmela.

“Fermati!”.

Il suo tono era duro e non ammetteva repliche, simile a quello che usava durante gli allenamenti. Era il mio mentore, ed io ero abituata ad eseguire i suoi ordini. Mi fermai, ma non mi voltai.

“Vedo che sei sconvolta. Cos’è successo con la regina?”.

Ed ora che centrava? Perché voleva parlare della regina?

“Non sono fatti tuoi. Se ha parlato con me e non con te, ci sarà un motivo!”.

Ero furiosa. La rabbia provata dal suo rifiuto, la rabbia provocata dalle minacce della regina si stavano accumulando dentro di me. La regina era un nuovo ostacolo da superare, ma il problema era che si trattava della nostra regnante, tutti erano devoti a lei e anche se non lo fossero stati realmente, era la legge che lo dettava.

Non sentii Dimitri rispondermi così mi voltai e lo trovai che mi fissava serio, come se stesse per farmi una predica.

“Scusa…”.

Che stupida ero. Cosa serviva comportarmi così? Dimostrava solo che ero davvero una bambina e non un’adulta in grado di sapere quando era ora di parlare seriamente e quando la vita personale aveva la precedenza. Sapevo essere così cieca quando mi arrabbiavo.

Lui non era solo l’uomo che amavo. Prima di tutto ciò, era stato un amico, un compagno e un mentore.

E poi ora come ora lui era il guardiano di Lissa, anche se forse la notizia non l’avrebbe presa tanto a cuore come me. Forse avrebbe pensato che esagerassi, che tra Lissa e Christian non c’era poi questo grande amore che li avrebbe distrutti se un giorno sarebbero stati separati, ma lui doveva comunque sapere e io gli avrei aperto gli occhi su loro due. Avevo visto il cambiamento di Lissa e anche quello di Christian. Lei era più radiosa, più felice. Lui, anche se non lo avrei mai ammesso a voce alta, era simpatico e meno burbero.

“Rose…”

Lasciò il mio nome a mezz’aria.

Io lo guardai, non sapevo cosa cercavo di leggere nei suoi occhi, ma vedevo il suo conflitto interiore su cosa dire. Decisi che questo non era certo il momento più adatto. Lissa veniva prima.

“Devo trovare Lissa!” deviando tutta la sua attenzione su di lei.

“E’ successo qualcosa?” chiese guardingo.

“No, ma potrebbe…”.

 

Cinque minuti dopo riuscimmo trovare Lissa e Christian nel loro nascondiglio sul soppalco della cappella, per fortuna con tutti i vestiti ancora addosso.

Quando Lissa mi vide, mi corse incontro.

“Rose, che voleva la regi…” si bloccò quando notò che non ero sola.

“Guardiano Belikov.” Disse sorpresa, poi si voltò preoccupata verso di me. “Cos’è successo?”.

Christian che se ne stava seduto, alla vista di Dimitri si alzò paonazzo. Mi fidavo di Dimitri, sapevo non avrebbe accennato nulla al preside di loro, o almeno speravo.

“Mettiamoci comodi, mi accorgo ora che comunque abbiamo tutto il tempo per decidere che cosa fare!”.

Mi sedetti a terra sbuffando, lasciando cadere le braccia a terra sfinita.

Era vero, fino al diploma almeno, c’era tutto il tempo per trovare un piano.

“Fare cosa?” chiese Lissa.

Dimitri mi osservava ancora guardingo come prima, Christian era corrucciato e forse arrabbiato perché avevo portato Dimitri lì.

“Non guardarmi così Ozera. Dimitri è il guardiano di Lissa per il momento e deve sapere cos’ha in mente quella str…” mi morsi la lingua “La regina!”.

“La regina?” dissero in un coro scioccato i due piccioncini. Dimitri era impassibile.

Annuii.

“A quanto pare non era solo un consiglio spassionato quello che ti ha dato ieri sera!” dissi rivolta a Lissa. Tutti avevano capito che il suo riferimento alla compassione di Lissa, non era altro che un modo come un altro per definire la relazione con Christian.

I due mi guardarono in preda di sentimenti differenti, uno impaurito l’altro furioso.

“Vuole che vi lasciate!”.

Bomba sganciata.

Lissa si portò le mani al viso, Christian si alzò di scatto.

“Dovrà passare sul mio cadavere!”.

“Potrebbe anche farlo!” dissi tetra. Ormai non dubitavo che la regina potesse spingersi oltre certi confini.

“Rose!” mi ammonì Dimitri. “Sono accuse molto gravi quelle fai, se qualcuno dovesse sentirti, neanche la tua buona condotta potrebbe salvarti!”.

Lo guardai di traverso, ma lui ancora non sapeva, perciò lo zittii ripetendo loro la mia intera conversazione con miss simpatia. Prima la sua falsa bontà nel ringraziarmi, poi torcere contro di me il mio senso del dovere per poi infliggermi il colpo di grazia minacciando il mio futuro e quello dei miei due amici.

“A quanto pare la mia buona condotta non mi servirà comunque!” dissi infine poi rivolta a Dimitri.

I miei tre amici erano sbiancati. Lissa iniziò a piangere, mentre Christian fece ardere il fuoco nelle sue mani per sfogarsi. Dimitri mi guardava indecifrabile.

“Oh, Rose, perché tutte a noi?” mi si lanciò poi contro Lissa, abbracciandomi.

“Non lo so, ma ti prometto che troveremo una soluzione. In un modo o nell’altro. Scapperemo se sarà necessario!”.

“Rose, non fare già progetti suicidi. Tutto quello che hai detto è qualcosa di grave. Dovremmo ben riflettere sul da fare e hai ragione dicendo che c’è tempo, per cui rifletti prima di parlare!” non accettai di buon grado le parole di Dimitri. Lui forse davvero non capiva il sentimento che c’era tra Lissa e Christian, e il mio legame con loro. Ci eravamo fatti forza insieme in questo ultimo periodo e la cosa ci aveva unito inconsapevolmente.

“Ti do ragione sul fatto che comunque non troveremo la soluzione oggi!”. Non di certo sui miei progetti suicidi, come diceva lui, perché a mali estremi, estremi rimedi.

Mi alzai, dato che Lissa si trovava ora tra le braccia di Christian che cercava di consolarla.

Io volevo passare in biblioteca. Fare ricerche su questo Adrian per carpire più notizie possibili.

“Ragazzi, ci vediamo domani!”.

Lissa alzò i suoi occhioni umidi. “Dove vai Rose?”.

Mi fece tenerezza il suo tono di apprensione nei miei confronti. Avevo paura che potessi scappare davvero, ma non avrei mai potuto senza di lei.

“Ho delle cose da fare, ne riparliamo domani, ok?”

Annuì poco convinta, poi si aggrappò di nuovo a Christian il quale mi fece un cenno con la testa, per salutarmi.

Mi avviai e Dimitri e mi seguì.

“Rose, aspetta, dove stai andando adesso?”.

Mi fermò per un braccio. Il suo toccò mi fece battere il cuore.

“Vado a fare delle ricerche in biblioteca!”.

Lui chiuse gli occhi come se fosse disperato.

“Non fare niente di stupido! C’è il tuo futuro in gioco, oltre a quello della principessa o di Christian Ozera!”

“Futuro…” dissi ironica. Lui mi guardò.

“Il mio sogno è diventare il miglior guardiano che si sia mai visto…” presi un respiro, cercavo di tenere a bada la rabbia in me “ …ma non per questo sono disposta a farmi comprare in questo modo, sul dolore di altre persone. Persone a cui tengo poi. Dimostrerò il mio valore a modo mio e non perchè la regina fa i capricci!”.

Mi sentivo ardere di una forza nuova.

“Sono fiero di sentirti dire queste parole!” Dimitri era …orgoglioso.

I suoi occhi brillavano, ma il mio cuore batteva. Distolsi il mio sguardo dal suo, mentre ricordai il sapore delle sue labbra sulle mie.

“Devo andare!” dissi. Il mio tono si era raggelato e anche lui al loro suono.

“Aspetta…!”.

“No” negai anche con la testa, volevo allontanarmi il più possibile da quel dolcissimo ricordo. La felicità provata in quell’istante e la consapevolezza che mai la riproverò più. Una voragine all’altezza del cuore si aprì, sembrava inghiottirmi. “…io… d-devo trovare informazione su quel Adrian…lasciami stare…” farneticavo balbettando. Sentivo le lacrime salirmi agli occhi.

“Noi non possiamo stare assieme!” disse per interrompere il mio delirio e ci riuscì benissimo, perché aveva toccato il tasto dolente.

Lo guardai con occhi sbarrati.

“Noi non possiamo…” ripetè a voce più bassa, sembrava stesse convincendo più se stesso  che me. Io non lo capivo.

“Perché?” sussurrai e non sapevo se mi avesse sentito. “Io credevo… mi hai fatto credere…”.

Accidenti si! Io non ero pazza, non mi ero sognata le cose, ne ero più che certa dannazione!

Una lacrima fuggì debole al mio controllo e  lui lo notò. Notava tutto di me e io di lui.

“Tu devi divertirti, stare con i ragazzi della tua età. Hai tante esperienze da fare, cose che io ho già fatto.”

Che idiozia. Io non ero mai stata come gli altri. Le feste non mi interessavano, non volevo altri ragazzi, volevo lui… sempre!

“Mi conosci abbastanza da sapere che quelle cose non mi interessano…”

Lui mi guardava conscio che era la verità.

“Io sono il guardiano della principessa, dopo la promessa potresti diventarlo anche tu, ma non ti lascerebbero la guardia totale, io rimarrei nella mia posizione.”

E questo adesso cosa centrava col fatto che non potevamo stare assieme?

“Non capisco…” dissi quasi singhiozzando. Dovevo darmi un contegno. Inghiottii un boccone inesistente che si depositò come un mattone sul mio stomaco alle sue parole.

“Se ci trovassimo nel mezzo di un attacco tu e io non saremmo lucidi per proteggerla. Una parte di te si preoccuperebbe per me e una parte di me lo farebbe per te. La principessa sarebbe in pericolo. Sempre.”

La terrà iniziò a crollarmi da sotto i piedi. Quella verità era un schiaffo in faccia. Aveva ragione. Provai ad immaginarmi lo strigoi dei miei incubi che ci attaccava ed il mio terrore per Lissa e Dimitri avrebbe offuscato quello che avrebbe dovuto essere il mio compito, ed è vero, loro vengono prima, anche di me, anche del mio cuore.

Uno scorcio autolesionista mi fece pensare al fatto che fino al diploma io non sarei stato effettivamente il guardiano di Lissa, ma che senso provare magari ad essere felici sapendo che tutto poi dovrebbe comunque finire? E in quel momento di sicuro potrebbe essere peggio ancora, tornare ad essere due guardiani qualunque. Sarebbe solo un suicidio.

Alzai il mio sguardo incollato a terra, che ora era solo inondato di lacrime, la voragine del mio cuore sempre più grande, faceva male e faticavo quasi a respirare. Senza accorgermene mi portai una mano all’altezza in cui sembrava divorarmi.

“Ora capisco!”

Lui alzò una mano e con dito portò via una lacrima, che lasciò al suo tocco una scia di fuoco.

“Vai a riposarti un po’, sei distrutta!”.

Questo suo preoccuparsi mi faceva ancora più male.

“No” dissi. Ero davvero esausta, non avevo quasi la forza di parlare. “Vado in biblioteca”.

“No, Roza, farò io quelle ricerche non preoccuparti!” era così dolce, troppo. Iniziai a singhiozzare.

Lo vidi avvicinare un’altra volta la sua mano, ma stavolta si fermò.

“Vai nella tua stanza, ci vediamo agli allenamenti domani!”.

Non aggiunse altro e se ne andò.

Il cielo oscuratosi già quella mattina ora sembrava lugubre. Era specchio di ciò che provavo dentro. Prese a piovere ed io fui felice di alzare in alto la testa, per confondere il mio dolore con la pioggia fredda di fine novembre. Una pia illusione sperava che si sarebbe portata dietro anche il mio dolore.


 Eh si... cattiva io.. i nostri due begnamini si sono detti addio...ma sarà vero??? muhahahah !!!!

La pazzia è dilagante da questa parte del computer... hihi

Tuttavia restate incollati allo schermo, presto si evolveranno nuovi scenari!!

baci baci

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Capitolo 17
*** capitolo 17 ***


capitolo 17

 

Capitolo 17

 

 

 

 

L’accademia sembrava un mercato. Gente che correva a destra e manca, i corridoi erano pieni di valigie e tutti gli studenti gridavano invece di parlare.

La notizia era giunta la settimana prima e da allora questa era l’atmosfera media generale. La regina della simpatia aveva generosamente fatto mettere a disposizione di alcune accademie di questa parte del mond un lussuoso Hotel ad Aspen, in modo tale che tutti i moroi e i novizi, più alcune ingenti famiglie reali, fossero nello stesso luogo, così che un esercito di guardiani avrebbero potuto sorvegliarci e proteggerci meglio di quanto avrebbero potuto fare ognuno a casa propria. La scelta, diceva il mandato della regina, era stata fatta in seguito alla catastrofe della St. Thomas e degli innumerevoli attacchi strigoi avvenuti alle famiglie di casta reale.

Io ero più che felice, perché avrei potuto finalmente mettere il piede fuori da un’accademia e non avere più davanti agli occhi il solito panorama che non riusciva a cambiare il mio stato d’animo. Dopo la mia crisi di pianto con Dimitri e l’eliminazione di una nostra possibile relazione futura le cose erano state un po’ complicate. Saltai i primi giorni di allenamenti, perché non avevo davvero la forza di affrontarlo, ma ben presto mi accorsi che lo avrei incontrato ugualmente durante le lezioni, quindi il quarto giorno mi presentai. Lui non menzionò nulla sulle mie assenze e riprendemmo gli allenamenti da dove erano stati interrotti  l’ultima volta.

Evitavo di guardarlo troppo a lungo e di non farlo mai e poi mai negli occhi, era più che faticoso, ma almeno potevo fingere di non trovarmi davanti all’uomo che amavo incondizionatamente. Allenamenti a parte il nostro rapporto stavo tornando, passo dopo passo, com’era prima, senza l'imbarazzo palpabile che c'era nell'aria e questa era una magra consolazione.

Davanti a Lissa fingevo un’allegria che non mi apparteneva, e il pensiero di raccontarle il motivo per cui stavo giù, davvero non mi entusiasmava. Qualche volta il mio malessere dettato dalla mia voragine era così mentalmente intenso che il sorriso spariva di botto e più volte Lissa mi aveva chiesto cos’avevo, e la minaccia della regina era ormai il mio alibi.

“Hai finito di preparare la valigia, Rose?”mi svegliò Lissa dai miei pensieri, mentre lei era intenta su cosa mettere nella sua.

“La mia era pronta, un’ora dopo che avevano dato la notizia, Liss.”

“Cosa?” chiese incredula.

Risi della sua faccia. Era facile a volte dimenticarmi dei problemi in situazioni come queste, quando eravamo solo io e lei in una stanza, chiuse fuori da tutto. Capitava a volte che anche solo la presenza di Christian,  mi facesse male, perché lui, almeno per il momento, era libero di vivere il suo amore e poteva combattere per tenerselo.

Chiusi gli occhi e quando li riaprì nei miei pensieri c’era solo Lissa.

“Non distrarti, che ti ricordo partiamo domani!”.

Lissa cacciò un urletto e iniziò a riempire la valigia a velocità record.

 

L’Hotel che la regina ci aveva concesso era a cinque stelle e la mia mandibola aperta non poteva contenere tutto il lusso che vedevo.

Facchini che ti seguivano come cagnolini pronti a servirti in ogni momento, camere singole, doppie o triple simili ad appartamenti, cibo servito ad ogni ora ed in ogni luogo. Le piste innevate erano fantastiche e non vedevo l’ora di imparare a sciare.

La camera mia e di Lissa era al primo piano ed era enorme.

“Accidenti Lissa, spero non ti perderai mentre dal letto vai in bagno.”

La mia amica rise.

“Devo ammettere che è davvero un esagerazione.”

“La regina ci sta proprio comprando!”.

La mia battuta raffreddò però l’atmosfera.

Non avevamo ancora un piano contro le assurde richieste della regina, la quale non voleva altro che Lissa e Christian si lasciassero. Mi chiedevo come una regina con tutte le sue faccende politiche di cui occuparsi, potesse avere il tempo da comportarsi come l’antagonista nelle fiabe.

Contro ogni previsione era stato Christian a prenderla più male di Lissa. Gli stava se possibile più attaccato di prima, fregandosene apertamente di tutte le occhiatacce che gli venivano lanciate. Occhiate che erano decisamente diminuite , quando mi resi conto che Lissa stava usando decisamente troppa compulsione.

La loro vita amorosa era minata, ma almeno potevano ancora viversela, la mia invece era stata stroncata sul nascere.

Cercai di sviare subito i miei pensieri.

“Dai Lissa, troveremo la soluzione, sennò male che vada fuggiremo a Las Vegas e vi faremo sposare furtivamente, come succede nei film!”.

Lissa rise, ma io mi chiedevo seriamente se la cosa avrebbe potuto risolvere il problema. Prima della fine dell’anno accademico saremmo stati tutti maggiorenni e la cosa si sarebbe potuta fare. Pubblicizzando poi il loro matrimonio, la regina non avrebbe avuto più nessuna scusante per separarli, poiché legalmente legati da un vincolo.

Risi con Lissa, ma tenni nella mia testa l’idea come seriamente sfruttabile in extremis.

“Pensavo di andare a vedere la camera di Christian e poi di passare dai donatori, vieni con me?”

L’idea di andare a curiosare nella stanza di Christian proprio non mi andava, perciò declinai l’offerta.

“Pensavo a dire il vero di andare fuori a guardare le piste, ci rivediamo a cena che dici?”

“Ok, a dopo” e prima di andarmene Lissa mi diede un abbraccio che durò più di quanto mi aspettassi e sentii in esso una amore e una speranza che prima non percepivo. Sapevo che il merito non era solo della mia fantasia, ma dello spirito di Lissa. Avrei dovuto sgridarla, ma sapevo che voleva solo farmi capire che c’era. Sorrisi e prima che mi accasciassi a terra per raccontarle tutto, scappai via.

 

Le piste innevate , illuminate da enormi fari, risplendevano nell’oscurità del nostro pomeriggio ormai inoltrato. Volevo prendermi un insegnante per imparare, ma Mason sentendomi parlare durante il viaggio, si era offerto subito per vestire le vesti da istruttore. Accettai volentieri, sapevo che mi sarei divertita di più con lui. L’indomani, ero certa, se ne sarebbero viste di tutti i colori.

Camminai un po’ in mezzo alla neve, pensando che da lì a due giorni sarebbe stato Natale, e che non sarebbe stato lo stesso di sempre. I miei Natali spesso e volentieri mi vedevano a cenare la vigilia e il 25 dicembre assieme alle poche persone rimaste nell’accademia, poiché tutti, almeno a Natale ritornavano dalle proprie famiglie, mentre io, spesso sedevo all’ingresso aspettando l’arrivo di mia madre. Quand’ero piccola spesso arrivava a portarmi un misero regalo, che era sempre un maglione, poi crescendo, la visita si trasformava in pacchi postali e cartoline di auguri, che non avevano ne calore ne odore.

Quest’anno invece avrei passato il Natale in un posto di lusso, con tante facce nuove, e anche se con il cuore in lacrime, avrei avuto accanto nuovi amici, che anche solo un anno prima non avrei pensato di avere.

Seduta su una staccionata al limitare della fine di una pista fissavo la luna. Non lo notai subito, ma il cambiamento del vento mi portò l’odore di fumo di sigaretta e rivelò così una presenza che mi fissava silenziosa.

“Chi c’è?”.

Un ragazzo moroi di circa vent’anni capelli castani con due furbi occhi azzurro ghiaccio si avvicinò con un sorriso in faccia. Aveva un cappotto che gli stava a pennello, nell’insieme si notava che il suo vestiario era decisamente lussuoso e lui,dovevo ammettere, era davvero carino.

“Ti osservavo, piccola dhampir. Sono rimasto affascinato dalla  profondità del tuo sguardo!”

Rimasi scioccata dalla sua frase, non capivo se diceva sul serio o se mi prendeva in giro.

Si avvicinò ancora, squadrandomi più sfacciatamente di come facevano di solito i moroi. Aveva qualcosa che mi metteva in allerta, non so perché. Forse perché sembrava uno di quei moroi che pensava di poter fare ciò che voleva con una dhampir femmina visto il suo ceto sociale.

“Hai un buon odore!”.

La sua affermazione mi spiazzò.

“Io… cosa?”

Ghignò e il suo sorriso fu risaltato dalla luce lontana dei lampioni della pista e la luce lunare.

La sua faccia da schiaffi avrebbe dovuto farmi sfoderare un pugno dei miei e levare le tende, ma non so come non riuscivo ad andarmene. Un punto lontano della mente voleva farmi ricordare qualcosa, solo non sapevo cosa, forse una sensazione già provata.

“Sei qui con un’accademia?”.

Cambiava sfaccettatura molto velocemente.

“Si, con la St. Vladimir!”.

Ghignò ancora.

“A quanto la promessa? Potrebbe interessarmi un guardiano come te!”

Per un momento la mia dignità si fece sentire, come osava questo qui a parlarmi in questo tono da messaggi subliminari.

Saltai giù dalla staccionata, in modo da averlo di fronte, per essere ben chiara.

Era poco più basso di Dimitri, e chissà perché proprio con lui dovevo confrontarlo.

“Spiacente, ma sono già il guardiano di qualcuno!”

I suoi occhi scintillarono dalla sorpresa e fece un altro tiro dalla sigaretta.

“Senti, ma devi proprio fumare?”.

Lui alzò le spalle.

“Un vizio come un altro. E’ di casata reale lui?”.

Buttò la sigaretta e ne accese un’altra, questo era fuori e poi di cosa stava parlando?

“Lui? Ma che dici? Sei ubriaco?”

In effetti emanava un leggero odore alcolico.

“Di chi sarai il guardiano?” chiese davvero serio.

Che sciocca, da luogo comune di tutti i moroi che vedevano noi dhampir solo come sgualdrine di sangue, era ovvio che pensasse sarei diventata il guardiano di un lui e magari importante.

“Vasilisa Dragomir” gli dissi acida.

I suoi occhi si spalancarono sorpreso, poi tornò alla sua faccia solita, quella da schiaffi, con un ghignò disegnato da sfottò.

“Immagino tu sia la figlia di Janine Hathaway” disse ora squadrandomi più interessato.

L’insieme mi fece sfiorare la pazzia.

“No, io sono Rose Hathaway!” dissi per definire il concetto che io non volevo essere paragonata a mia madre per l’ennesima volta. “Come l’hai capito?” chiesi poi, avevo nominato Lissa e lui l’aveva legata a me.

“Che vuoi, la nostra società vive di pettegolezzi. L’amica dell’ultima dragomir che alla bellezza di 17 anni uccide uno strigoi, così coraggiosa da essere notata pure dalla regina. La tua fama ti precede!”

Mi soffiò poco distante dal visto, poi spostò lo sguardo sul mio collo. Sapevo cosa cercava, perciò alzai il cappuccio, nonostante avessi i capelli sciolti.

L’aver nominato poi la regina, mi aveva toccato di più.

“Tu non sai niente di me! E poi si può sapere chi sei tu?”.

Mi fissò intensamente poi parlò come niente fosse.

“Adrian Ivashkov!”

Una lama ghiacciata mi attraversò la schiena.

Cazzo. Cazzo. Lui era quell’Adrian. Quello che la regina voleva combinare con Lissa. Quella maledetta, altro che hotel di lusso per proteggerci tutti, stava solo muovendo le sue pedine.

Mi tirai indietro scottata da quel nome, e a lui non sfuggì, mi guardava quasi confuso.

Dimitri mi aveva fatto avere una breve relazione su questo Adrian, nipote della regina. La sua casata era famosa per essere la più ricca e potente e i suoi componenti essere degli egoisti impertinenti che credevano di poter avere tutto quello che volevano. Lui, figlio di Nathan e Daniella Ivashkov, era famoso per le sue numerosi notti brave e per essere uno sciupa femmine. La cosa che più mi aveva lasciato di stucco era il fatto che non ci fosse nessun documento sul quale fosse specificato la sua specializzazione.

“Devo andare!” dissi facendo un altro passo indietro.

Lui cercava di studiarmi.

“Di già? Sembra che il mio nome ti abbia spaventato, non sono da temere, perché non resti e mi conosci meglio!”.

Oddio , ma ci stava davvero provando così spudoratamente? Chissà se Dimitri lo sentisse cosa direbbe?

Abbassai gli occhi un secondo triste.

Cosa vuoi che direbbe? Niente, lui non direbbe niente. Perché io e lui non potremmo mai stare assieme. Questo pensiero, come sempre, mi appannò per un momento gli occhi.

“Ehi, stai bene?”. Sembrava davvero preoccupato.

“Stammi alla larga!” dissi incerta, ma un po’ fredda. Presi a camminare, per tornare in camera.

“Ci vediamo presto allora, Rose!” sembrava quasi allegro e spensierato come all’inizio. Doveva avere qualche disturbo della personalità.

“Non ci contare!” dissi io, senza voltarmi.

Andai in camera mia e mi feci una doccia superbollente, che speravo mi avrebbe aiutato a sciogliere un po’ i miei muscoli rigidi. L’indomani avrei dovuto fare un po’ di allenamenti, perché la mia muscolatura ne risentiva.

All’ora di cena passai per la camera di Christian, dove sapevo avrei trovato anche Lissa. Ci incamminammo verso la sala, e non sapevo come intavolare il discorso Adrian.

Vedemmo un tavolo libero e ci sedemmo, non prima di aver ricevuto una sacco di saluti da chiunque incrociavamo, ovviamente pochi erano rivolti a Christian, la cosa iniziava davvero a stancarmi.

Il buffet sbordava di cibo e Lissa decise di restare sul leggero, visto la sua visita dai donatori, così si avviò versò i finger food. Io mi fermai al tavolo di Mason per dirgli di vederci mezz’ora più tardi il giorno dopo, vista la mia intenzione di allenarmi un po’.

Stavo ridendo di una sua battuta quando il mio sguardo catturò la figura di Dimitri, era da mezza giornata che non lo intravedevo. I suoi occhi si posarono sui miei, così io deviai lo sguardo e nel farlo vidi Adrian che stava attaccando bottone con Lissa. Dannazione.

“Scusa, Mason, ci vediamo domani!”.

Non guardai nemmeno il mio amico e mi fiondai a passo di carica dalla mia amica. Arrivai e mi frapposi tra lei e lui.

“Stalle distante!” gli intimai.

“Rose, che succede!” mi chiese la mia amica, ignara di tutto.

Adrian si riprese subito, nella sua aria sfacciata.

“Piccola dhampir, non sarai gelosa. Se fai così mi piaci di più!”.

Sussurrò l’ultima parte avvicinandosi pericolosamente al mio viso. Non so perché ma la sua vicinanza pericolosa mi imbarazzò. Spostai per un breve secondo il mio viso dal suo e potei notare lo sguardo serio di Dimitri che sembrava perforarmi.

Mi ritrovai a pensare le stesse parole di Adrian: non sarai geloso Dimitri?

Sorrisi triste per la mia stupida pensata, poi ritornai al mio nemico di fronte a me, che sembrava mi stesse studiando. E stranamente anche lui si voltò verso Dimitri, per poi ritornare un po’scioccato su di me.

Perché quello sguardo? Mi stava mettendo davvero a disagio.

“Non te lo ripeterò più, non avvicinarti né a me e soprattutto né a lei.”

In quel momento se avessi avuto la regina qui davanti l’avrei presa a pugni davanti tutti.

Presi Lissa per un braccio e la trascinai al nostro tavolo.

“Rose, ma chi era quello? Non mi sembrava una persona pericolosa, anzi, se devo essere sincera mi emanava un’aura di fiducia!”

Restai pensierosa a quelle parole, non potevo più avere dubbi ormai.

“Io, invece, sono felice che Rose sia intervenuta, a me non piaceva quel tipo, ti stava troppo vicino, mi stavo per alzare io sinceramente!” Christian era leggermente infastidito.

Dovevo dirglielo subito.

“Quello è Adrian Ivashkov!”

Lissa si portò le mani alla bocca, mentre Christian si alzò di scatto dalla sedia stringendo le sue mani in due pugni che sembravano volergli spezzare le dita.

“Stai calmo Christian!” lo tirai giù per una manica.

“Stai calmo? Proprio tu mi dici di stare calmo? Come fai a sapere che è lui!”

“L’ho incontrato prima fuori” sussurrai perché non mi sentissero altro che loro. “Volevo dirvelo dopo cena in un posto più tranquillo, per evitare scenate.”

A Christian scappò una fiammella dalla mano.

“Smettila, non credo che lui sappia di essere nei piani della regina fessa!”.

Christian sbuffò.

“Come puoi saperlo, magari hanno architettato la cosa insieme.”

“Non lo so, ho il sospetto che lui non sappia nulla, per cui ti chiedo di non fare nulla. Ho una teoria e indagherò per vedere se ho ragione o no!”.

“Di cosa stai parlando!”

Alzai gli occhi al cielo

“Fidati di me, ok?”.

Contro ogni mia aspettativa, Christian abbassò rassegnato le spalle.

“Ok”.

Si fidava davvero di me. Restai un attimo sconcertata.

Prese poi la mano di Lissa e le baciò il dorso. Lei con gli occhi lucidi si perse nei suoi occhi. Per la mia salute mentale, sviai lo sguardo altrove.

 

Finita la cena Christian fu rapito da Mason ed Eddy, non so per fare cosa. I due dhampir pian piano avevano conosciuto meglio quell’Ozera e anche senza compulsione avevano capito che non era pericoloso come lo descriveva  la gente, anzi avrei giurato che lo trovassero pure simpatico.

Lissa, invece, doveva incontrarsi con la Karp, per una seduta spiritica. Risi mentalmente per la mia battuta mancata.

Sonya Karp, pensai, chissà poi se quel Mikhail era riuscito a trovarla. Era una cosa che avrei dovuto scoprire per quietare la mia curiosità dilagante.

Visto che ormai ero rimasta sola, decisi di andare a letto con l’intenzione di alzarmi presto l’indomani.



 Olèè..

Ecco a voi Adrian! Vi è piaciuta la sua entrata? La stessa del libro più o meno, non avrei potuto fare altrimenti.

Che ne pensate di lui? Sarà come dice Rose? All'oscuro di tutto?

Lo scopriremmo presto...

a presto mie cari lettori...

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Capitolo 18
*** capitolo 18 ***


capitolo 18

Capitolo 18

 

 

 

 

Me ne stavo seduta su un sasso, che ben presto mi accorsi essere la punta di una montagna che sovrastava su un dirupo senza fine. Dietro a me una distesa d’erba, da cui non nasceva neanche un piccolo fiore. Una brezza fredda mi sventolava i capelli ed io ero persa a guardare l’orizzonte senza sole.

“Un posto davvero triste”.

Al mio fianco si materializzò Adrian Ivashkov con la sua faccia da schiaffi e vestito di una camicia bianca e di un paio di jeans strappati che davvero non gli stavano male.

Ma che andavo a pensare?

“E tu che fai qui?” ero più che certa di stare a sognare e non mi capacitavo della sua presenza. Possibile che il mio subconscio fosse stato così scioccato da ripropormelo nel mio stato più comatoso?

Oh, stranissimo io e superio di quel moroi di Freud…

“Non capisco il tuo comportamento nei miei confronti!” sembrava sincero, ma il suo sorriso tornò furbo sul suo viso.

“Come se non lo sapessi, so bene cosa state architettando tu e quella megera!” risposi acida, alzandomi poi dal mio sasso.

Il paesaggio ora era cambiato e ci trovavamo di nuovo sulla neve, ma non era Aspen, era un luogo in cui non ero mai stata e mai avevo immaginato di andare.

Lui mi fermò per un braccio e mi girò. La sua presa sembrò così reale.

“Di cosa stai parlando?” era spiazzato.

Lo guardai, avrei potuto credergli, ma poi mi ricordai che era solo un sogno.

Sorrisi.

“E’ solo un sogno questo, no? Io posso benissimo credere che tu non centri nulla!”.

Era ancora serio.

“Davvero non capisco di cosa parli!”.

Risi e lanciai una palla di neve al nulla.

“Non ha senso parlarne, questo è un sogno.” Mi lasciai cadere di schiena tra la neve morbida che ben presto sfumò via, lasciando spazio alla camera d’hotel nella quale dormivo.

 

Il sole fuori aveva preso la sua lenta discesa ed io ero già bella e stranamente riposata per un po’ di corsetta.

Quel sogno ancora mi frullava per la testa, davvero non capivo come fosse possibile che avessi sognato proprio lui, ero un po’ scioccata e mentre presi a correre il pensiero ancora non mi voleva lasciar stare.

Dopo un po’ di Sali e scendi sui fuori pista mi fermai per un po’ di stretching.

“Rose”.

La sua voce calda mi arrivò fino al cuore. Persi un solo secondo a bearmi di quel suono. Mi rimisi poi in piedi alla velocità della luce.

“ Ciao Dimitri.”

Silenzio. Era davvero imbarazzante.

“Volevo… sapere se Adrian Ivashkov vi crea problemi!”.

Con coraggio alzai i miei occhi nei suoi.

Era una maschera di autocontrollo, come sempre.

“Ho già chiarito che non si deve avvicinare a me e a Lissa, anche se ho quasi la sensazione che lui non sappia del piano della regina.”

Non gli avevo ancora esposto i miei pensieri a riguardo. A volte dimenticavo che era il guardiano di Lissa e meritava di sapere.

“Cosa te lo fa pensare?”.

Sembrava interessato.

“Non ne ho ancora le prove, ma le avrò presto!”.

“Cosa vuoi fare? Non avrai intenzione di cercarlo? Finirai per metterti nei guai.”

E ora che gli prendeva?

“Come potrei sennò trovare le risposte che cerco?” gli dissi stizzita. Non riuscivo più a continuare a parlargli, avevo già superato da un pezzo il limite di sopportazione che ho in sua presenza, la mia voragine si stava facendo sentire.

“Potrebbe essere pericoloso, indagherò io.”

“Smettila!” urlai, lasciandolo a bocca aperta. “Non capisci? Per me è importante riuscire a trovare una soluzione a questo problema, non è solo per il mio futuro da guardiano o solo per Lissa…”. Lo guardai, sembrava normale come sempre, ma i suoi occhi tradivano il suo sconcerto per la mia reazione. “Andava tutto così bene…”Dissi sospirando tra le parole, per riprendere un po’ di calma. La minaccia della regina aveva mandato in frantumi tutti i miei sforzi per rendere la mia vita e me migliore.

“Vedrai che le cose si aggiusteranno”.

Sospirai. “L’hai detto pure tu una volta. E’ della regina che stiamo parlando. Ci vorrebbe un miracolo!”

“Bè siamo nel periodo giusto, non credi?”.

Feci una risata isterica.

“Questo non è uno stupido film di Natale con il buon fine. Non succedono queste cose nella realtà.”

“Possiamo essere noi a rendere reale il miracolo.”

Questo era troppo. Lo sapevo che tentava di aiutarmi, infondo era il suo obiettivo di mentore, e forse era questo che più mi infastidiva. Era solo lavoro.

“Basta!” gli urlai in faccia. “Basta tu e le tue stupide balle zen! Non fai che predicare a destra e a manca lezioni di vita.” Dovevo fermarmi, ma non ci riuscivo. “Sembra che ti piaccia starti a sentire mentre parli, ma sappiamo che non è così, non con me almeno. Sei quasi sempre in tensione, incastrato nel tuo stupido ruolo da mentore, dove sei costretto a fare in modo che di me ti importi.” Gli stavo fisicamente puntando un dito contro.

L’ultima parte parve toccarlo. “Costretto?”

“Si” dissi con convinzione che in realtà forse non provavo davvero, gli stavo dicendo delle cose cattive ed era sbagliato. “Sono una ragazzina come tante per te, e tu lì pronto a dispensare perle di saggezze pensando che…”

Improvvisamente afferrò la mia mano che gli indicava il petto e la portò sopra la mia testa, facendomi indietreggiare fino a quando toccai con la schiena un grosso tronco.

“Non dirmi cosa provo!” ringhiò.

E fu allora che mi accorsi quanto in realtà fossimo più simili di quello che pensavo. I suoi occhi, come avevo sempre intuito, erano davvero lo specchio della sua anima ed era la spiegazione al fatto che lui sembrava capirmi sempre.

“E’ così non è vero?” dissi a voce alta quello che pensavo.

“Cosa?” disse lui non capendo.

“Sei sempre in lotta con te stesso, per riuscire a dominarti. Sei come me!”

“No” disse, mentre lo vedevo tentare di riprendere padronanza delle sue azioni. “Ho imparato a controllarmi!”

Mi ricordai all’inizio, quando gli avevo chiesto come aveva fatto a diventare la persona che era e capii che in realtà lui non aveva mai smesso di tentare di essere migliore, bensì era in gioco ogni giorno per esserlo.

“Invece no. Fai buon viso a cattivo a gioco” gli dissi capendolo sempre di più. “Ogni giorno cerchi di dominarti, a volte ci riesci… altre, non hai voglia…”

“Rose…” disse solo, sembrava una supplica che mi chiedeva di fermarmi, peccato che il treno Rose Hathaway fosse partito per la tangente e non avevo voglia di fermarlo. Forse mi avrebbe fermato lui, ma non mi importava, presa dall’istinto lo baciai. E lui ricambiò.

Il bacio era puro istinto primordiale, era un qualcosa di passionale e al tempo stesso animalesco. Lui mi teneva premuto contro l’albero, con una mano ancora teneva fermo il braccio sopra la mia testa e l’altra era scivolata dietro la mia testa tra i miei capelli. Andata e ritorno dal paradiso e tappa all’inferno.

Fu lui a fermarsi, facendo due passi indietro e frapponendo distanza tra noi.

Mi guardava con un scintillio di rabbia e qualcos’altro negli occhi.

“Non dispenso balle zen, cerco di insegnarti l’autocontrollo”.

Io continuavo a guardarlo, presa ancora com’ero da quel bacio.

“Non farlo mai più” e così dicendo se ne andò.

 

 

Ero cosciente che mi ero comportata in modo subdolo, sfruttando delle debolezze che non sapevo Dimitri avesse, ma era stato più forte di me, ma lui, dannazione, aveva ricambiato il mio bacio. Era vero o no tutto quello che mi aveva detto in passato sul perché non potessimo stare assieme?

Ero ormai prossima alla palestra quando come per magia sbucò fuori l’ultimo dei miei problemi aggiunti in lista.

“Piccola dhampir, sei mattiniera!”.

Mi girai per dirgliene quattro, ma rimasi senza parole quando l’Adrian del mio sogno si materializzò ai miei occhi. Cioè Adrian era sempre Adrian, io però mi riferivo a suoi vestiti. Il moroi di fronte a me aveva la stessa camicia bianca e gli stessi jeans strappati, com’era possibile che io li avessi sognati senza averli mai prima visti?

“Che scherzo è questo?” gli rivolsi in tono poco amichevole.

Lui mi guardò come ignaro del mio problema.

“Va tutto bene? Non hai una bella cera!” dissi lievemente divertito.

“Non so a che gioco stai giocando, ma sappi che è meglio per te se la finisci subito!” lo rimbeccai acida. Davvero non capivo cosa stava succedendo.

“Ehi, ehi, calma piccola dhampir. Hai dormito male per caso?” disse ancora con il suo tono divertito.

Non mi era chiaro se mi stava provocando o se ero io che mi immaginavo tutto.

Non lo degnai di risposta e me ne andai. Sembrava avere la capacità di trovarmi ovunque, per cui tornai  in camera, dato che fra poco avrei dovuto vedermi con Mason, e necessitavo urgente di una doccia.

Quando arrivai trovai Lissa intenta ad asciugarsi i capelli lucenti che si ritrovava.

“Buongiorno, Rose, sei andata ad allenarti?”.

Annuii sconnessa, persa com’ero nei miei pensieri.

Dopo un po’ di silenzio, mentre mi prendevo il cambio per la doccia, Lissa parlò ancora.

“Senti, Rose, c’è una cosa di cui ti devo parlare!”.

Il suo tono sembrava molto serio, per cui la mia attenzione fu subito puntata su di lei.

“Che succede?”.

“Ecco…” muoveva imbarazzata il piede. “Volevo dirti… ieri sera a cena… ho provato una cosa strana… con … Adrian…”.

La guardai. Era sempre bella qualsiasi espressione il suo viso facesse, come ora, che gli si leggeva in faccia la tensione e il suo timore.

“Che vuoi dire?” chiesi guardinga.

“Ecco… quando mi era vicino, ho provato una sorta di legame, non come quello provo con Christian sia chiaro, solo… non so, mi sentivo un po’ più energica, come con la signora Karp. Io… oh, Rose, non so che sto dicendo… e credo di essermelo pure sognato stanotte…”

Anche lei? Ok, non era più una coincidenza allora!

“E cosa hai sognato?”

Lei si sedette pensierosa sul suo letto.

“Eravamo su un posto che non conoscevo e lui mi faceva delle domande su di me, su di te…”

Domande su di me?

“E cosa ti avrebbe chiesto?” gli chiesi davvero curiosa.

“Beh, voleva sapere se secondo me, lui poteva piacerti..” disse arrossendo.

“Cosa?” urlai. “Ma sta scherzando?”.

Lei alzò le braccia imbarazzata.

“E’ quello che ho sognato!”.

Sospirai confinando gli attacchi isterici.

“Scusa e che altro?” le chiesi.

“Stavo dicendo… non sapevo cosa dirgli, perciò gli risposi che era troppo vecchio per te, e lui disse che per te non era un problema… non so perché ho sognato sta cosa, giuro che non mi capisco Rose, forse ci sono dei problemi con il mio spirito…”

Oddio. Non avevo uno specchio di fronte a me, ma ero più che certa di essere sbiancata come un cadavere. Ormai non avevo più dubbi, ma il fatto era che lui sapeva. Che ci avesse visto stamattina? No, io non credevo, non avevo percepito la presenza di nessuno oltre a noi, ma forse lui sapeva come mimetizzarsi. Ci avrebbe minacciati?

“Deve essere così…”continuò ancora disperata, Lissa. “forse la mia magia cerca di dirmi qualcosa…”

“Cos’è successo poi?” chiesi ora concentrata su di lei.

“Mi sono svegliata, ero spaventata…oh, Rose…che mi sta succedendo?”.

Buttai i vestiti che avevo in mano sul mio letto, e andai da Lissa per abbracciarla e tranquillizzarla.

“Liss, non hai niente stai tranquilla. Tu stai bene, davvero!”.

Lei mi guardava poco fiduciosa.

“No, io credo che…” e singhiozzò.

“Anche io ho sognato, Adrian!”

Lei smise di singhiozzare e mi guardò incredula.

“E se proprio devo essere sincera, penso che quello non fosse frutto della nostra fantasia, è successo davvero!”.

Ora la mia amica mi guardava davvero senza capire.

“In che senso?”.

“Credo che Adrian sia un conoscitore dello spirito.”

Lissa sbattè più volte le palpebre, perciò parlai ancora.

“L’hai detto pure te, ti emana le stesse sensazioni che la Karp ti da. E poi so per certo che nessuno sa in cosa lui è specializzato. Deve essere così, ed è il motivo per cui quella megera vi vuole assieme, anche se non credo che lui lo sappia.”

La mia amica era sbiancata di più, se la sua carnagione lattea poteva permetterglielo.

“Forse non hai tutti i torti…” disse come in trans. “Quella sensazione vicino a lui…”

Guardava nel vuoto mentre la sua mente fabbricava.

“Rose, hai ragione. Anche lui è come me… cosa facciamo, ora?”

Ci pensai. Non aveva senso continuare in sotterfugi, non avremmo risolto nulla. Forse ciò che ci rimaneva era un scontro diretto con l’interessato  e mettere le carte in tavola.

Lui ci cercava forse, perché aveva captato qualcosa in Lissa e non perché doveva. Non sembrava poi neanche tanto sicuro di cosa Lissa possedesse, visto che glielo aveva pure esplicitamente chiesto. Forse era meno esperto della mia amica, e nel caso in cui avessimo pensato che mentisse, avremmo potuto avvalerci della super compulsione di Lissa, sperando che per lui fosse troppo da cui difendersi.

In quel momento arrivò Christian e Lissa gli fece un rapido aggiornamento, e poi visto lo sclero che gli stava venendo al moroi, esposi anche i miei ultimi pensieri.

“Quindi lo accerchiamo?” chiese Christian, troppo euforico. Di sicuro fantasticava in una spedizione punitiva.

“Si, ma non come stai pensando.” Lui storse la bocca.

“Non ho detto nulla!” rispose acido.

“Non serve.”

Sbuffò.

“Beh, che ne dite se ne riparliamo mentre facciamo colazione?”.

Colazione? Che diamine di ora era?

“Oh, cazzo! Mason!” urlai.

Ero quindici minuti in ritardo.

Constatai che non puzzavo, per cui la doccia l’avrei rimandata a dopo, anche perché non ero nemmeno riuscita ad allenarmi decentemente.

Misi una maglietta termica e dei leggins del medesimo tessuto, poi misi una tuta da sci che avevo noleggiato il giorno prima e mi fiondai fuori, rimandando il discorso con i miei amici a dopo.

 Mason sedeva nella sala d’attesa assieme ad Eddie e non mi sembravano infastiditi.

“Scusa, scusa, mi sono persa in chiacchiere con Lissa!!” gli dissi a testa bassa.

Mason rise.

“Hathaway, non avrei mai pensato che un giorno ti avrei visto pregare!”

Era sorridente come sempre, per cui mi ero preoccupata per niente.

Gli sferrai un pugno.

“Che cazzone!”.

E ridemmo.

Venti minuti dopo eravamo in pista con tutto il nostro equipaggio: scii, racchette e caschetto.

Non lo volevo mettere, ma continuavano a dirmi che la testa dura non era sufficiente. Davvero divertente.

“Allora, questo è lo spazzaneve!” incrociò le punta dei scii davanti, ma senza farli toccare. “Così ti fermi o rallenti, hai capito?”.

Perché mi ripeteva le cose a rallentatore? Non ero disabile!

“Oddio, mi sto già annoiando, ragazzi ci vediamo dopo, vado a farmi la nera!”

Ed Eddie se la diede a gambe. Insomma, non era colpa mia se non sapevo come fare.

“Sbruffone!” gli urlai, e lo sentii ridere in lontananza.

“Ok, spazzaneve!” dissi, e provai ad imitare Mason.

All’inizio mi sentivo davvero disabile, visto che non ero abituata a portare ai piedi quei cosi, ma nel giro di poco lo facevo senza problemi.

“Bene, niente male, Rose. Ora, a scii pari, prova a seguirmi mentre scendo!”.

Guardavo come Mason si muoveva e lo imitavo. Lo seguii senza problemi.

“Fantastico, impari davvero in fretta, andiamo su una verde e beh, guarda che faccio ed imitami!” rise. “Poi, se vuoi, ti farò un autografo!” rise ancora.

“Sbruffone due, dacci un taglio e andiamo alla seggiovia!”.

Ci sedemmo sulla seggiovia, e non potei non pensare a quanto mi stessi divertendo, e traditore, il pensiero di Dimitri, mi trafisse. Stavo facendo cose da ragazzi, cose della mia età e mi stavo divertendo. Per un secondo mi sentii in colpa del divertimento che provavo, ma poi pensai che in fin dei conti ero davvero ancora una ragazzina, non potevo sempre pensare di fare l’adulta 24 ore su 24, anche perché io ero anche questo, una ragazzina quasi maggiorenne.

Accantonai i brutti pensieri e una volta scesa senza troppi intoppi, seguendo i consigli del mio affidabile istruttore, prendemmo a scendere la mia prima pista della mia vita.

Guardavo attentamente Mason e seguivo ogni suo momento, rifacendolo uguale, arrivai in fondo un paio di volte che mi sentivo gasatissima.

“Rose, non ci credo che non eri capace, sei quasi più brava di me” disse allegro il mio amico.

“Si, quasi..” risi io. Avevo allentato tutte le mie tensioni e stavo bene.

“Che ne dici di una rossa?” propose lui.

“Cambia tanto?”.

Lui alzò le spalle.

“Solo qualche discesa più ripida ogni tanto, niente che ormai tu non possa affrontare!” provocò.

“Ok, dai!” dissi entusiasta.

Raggiungemmo l’inizio della pista rossa e dopo un’occhiata Mason partì ed io al suo seguito. L’inizio era soft come le altre precedenti, ma dopo una curva a 90 gradi le cose cambiarono. Essendo notte la neve era nettamente ghiacciata e la pista era dura, ci furono un paio di dossi che iniziarono a farmi sbandare e sentivo che il mio equilibrio era messo a dura prova. Tutti i miei riflessi non mi permisero di concentrarmi anche sul fatto che stavo prendendo davvero velocità. Un’altra curva secca mi si stagliò davanti ed io non riuscii a prenderla, per cui finii dritta sul fuori pista. Il fuori pista era disseminato di alberi qua e là e ormai non sapevo più come fermarmi. Ad un tratto vidi un albero un po’ più orizzontale degli altri e decisi con un piede di prendere uno slancio e magari cambiando direzione e forza, sarei riuscita ad aggrapparmi a qualche ramo. Ciò che non avevo calcolato però furono le dimensione dei miei scii. Quando alzai la gamba per mettere il piede su quel tronco, lo scii si inclinò e la punta si conficcò a terra. Nell’insieme percepii nettamente il mio ginocchio compiere uno strano movimento, poi rovinai precipitosamente sulla neve e non so come, ma svenni.


 

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Capitolo 19
*** capitolo 19 ***


capitolo 19

Chiedo umilmente scusa per le recensioni a cui ancora non ho risposto. Mi sono trasferita e sono ancora molto in alto mare perchè il computer non è con me... appena posso vengo a postare. 

Tranquille questa storia avrà il suo finale, anche perchè è già scritto, serve solo una piccola ricontrollatina. 

Vi avverto, non manca molto!!!!!!

Con questo vi lascio, ancora con le mie scuse, al prossimo capitolo..

baci 

Capitolo 19

 

 

 

Un ronzio di sottofondo iniziò a riportarmi alla luce. Mi stavo svegliando.

Per un momento pensai di essere nell’infermeria della St. Thomas, dopo il disastro dell’attacco strigoi. Il bianco regnava sovrano e mi chiesi se avevo sognato tutto. Che Nikolai fosse appena morto? Che non avessi davvero conosciuto tutte quelle persone?

“Rose, oh Rose…”

Questo pensiero sfumò con la voce rotta dal pianto di Lissa.

Se lei esisteva davvero, allora, non mi ero immaginata nulla. Ed infatti, eccola lì, Lissa, bella e dolce come sempre.

“Eravamo nella hall quando Mason è entrato di corsa chiedendo aiuto… oh, Rose, non farmi più prendere uno spavento del genere!”

La mia amica, che solo ora mi accorsi essere seduta accanto al letto in cui ero, si allungò per abbracciarmi.

“Via, via che visito la paziente!”.

La dott.ssa Olendzki a quanto pare era venuta in viaggio con noi dalla St. Vladimir e si aggirava per questa stanza, come se fosse a casa sua. La stanza dell’infermeria era di un lusso poco adatto alla sua funzione, ma eravamo in un hotel a cinque stelle, ora che ci pensavo, per cui forse era normale.

“Segui il mio dito con gli occhi!”.

La dottoressa muoveva l’indice lentamente a destra e a sinistra e con una piccola luce fastidiosa, mi accecava.

“Non dovresti avere traumi celebrali, ti consiglio di rimanere a riposo oggi, se mai dovessi avere mal di testa dimmelo subito. Anche nei giorni a seguire, d’accordo?”.

“Si”. Sibilai piano.

Erano le stesse cose che mi aveva detto quando mi aveva dimesso alla St. Vladimir.

La guardai, aspettavo che mi dicesse altro. Ormai il mio cervello si stava rimettendo in moto, ed ero più che certa che il mio ginocchio era andato, anche se io non sentivo dolore mentre tentai di muovere le gambe sotto il lenzuolo.

“Ragazzi non fatela stancare, torno più tardi!”

E la dottoressa uscì.

Mi guardai attorno e notai che il plurale intendeva anche Christian, appoggiato cupo vicino alla porta.

“Rose” guardai di nuovo la mia amica seduta li a fianco. “Tutto bene, davvero?”.

Annuii lentamente, la testa un po’ mi girava.

“Cos’è successo?”chiesi piano.

“Mason ha detto che sei uscita di pista e sei andata a sbattere con la testa su un sasso, per fortuna aveva il caschetto, dovresti vederlo si è rotto in due!”.

Non mi ricordavo di aver sbattuto la testa.

“E poi?”

Notai Lissa esitare leggermente.

“Mason aveva paura di muoverti, per cui è corso dentro a chiamare aiuto. Noi eravamo nella hall, con il guardiano Belikov ed è stato lui a soccorrerti e portarti qui.”

Dimitri. Era corso ad aiutarmi. Mi voltai a guardare la stanza come per cercarlo, con il cuore a mille. Dopo quel bacio, non sapevo cosa aspettarmi di vedere.

“Doveva sbrigare una cosa, non è qui!”.

Cosa non mi stava dicendo Lissa? La guardai ancora, più attentamente. Lissa era pallida e leggermente stanca.

No! Portai una mano per coprirmi la bocca.

“Lissa sicura che ho battuto solo la testa?”.

Lei abbassò gli occhi e quando guardai Christian, vidi che lui fissava lei con rabbia.

“Cosa hai fatto, Liss?”.

Lei alzò lo sguardo colpevole ed io la fissai intensamente. Si rimise a piangere.

“Oh, Rose, la tua gamba, io… non potevo non aiutari… non avresti più combattuto per mesi… l’ho fatto per te… per me…non dovevo, ma…”

Sospirai profondamente sconsolata.

Mi voltai verso Christian.

 “Quanto ne ha usato?”.

Non ero arrabbiata, ero rassegnata, al suo posto, per lei, avrei fatto altrettanto.

“Troppo” digrignò. “Le ho detto di andare subito dalla Karp e dalla Carmack, ma voleva aspettare che tu ti svegliassi!”

Era furioso.

“Lissa, ora sto bene e noi faremo i conti dopo, lascia che Christian ti porti lì”

Le dissi seria.

“Adrian ci ha visto!”.

E ora lui che centrava? La guardai stupita.

“Quando Mason è corso qui, il guardiano Belikov si è fatto spiegare dov’eri, poi ha mandato Mason a chiamare la dott.ssa Oldenzki, noi tre siamo corsi e… tu eri lì…priva di sensi, sembravi morta, ma Belikov ci aveva rassicurati che respiravi ancora, ma poi vidi la tua gamba… non era messa bene…ed io… non potevo…non…iniziai a curarti e nessuno di noi aveva notato che Adrian ci aveva seguito…”

Accidenti!

“Lissa, andiamo dalla Karp!” ora capivo perché Christian era così furioso. Per Adrian.

“Dov’è ora?”.

“Con Belikov!” rispose Christian.

Che si stavano dicendo? Accidenti a me. Stupida.

“Non darti colpe” disse ora più calmo Christian, lasciandomi di stucco.

Non mi sarei mai aspettata comprensione proprio da lui.

“E’ tutta colpa mia!”. Esposi questo pensiero tormentato a voce alta.

“Tanto dovevamo lo stesso cercare un modo per parlarne, no?”chiese senza sprizzare davvero allegria come poteva sembrare.

“Non così…” sussurai tra i denti.

Christian si avvicinò e prese Lissa per una mano, invitandola ad andare.

“Starò bene, ci vediamo dopo!” le dissi rassicurandola con un sorriso piuttosto forzato.

Lei contraccambio debole il mio sorriso e con il suo amato uscirono dalla stanza.

 

Non restai sola a lungo, sentii la porta aprirsi e il mio cuore prese a galoppare, ma fu deluso subito. Non era chi mi aspettavo.

“Piccola dhampir, sei sulla bocca di tutti!”.

Gli lanciai uno sguardo di fuoco.

“E tu che ci fai qui?” lo gelai.

Sorrise, con la sua smorfia furba alla Adrian. Iniziavo a pensare che non fosse una smorfia calcolata, ma che gli venisse naturale.

“Ho saputo che ti eri svegliata e sono venuto a farti visita.”

Neanche fossimo amici da una vita.

“Non hai proprio altro da fare? Una sbronza? O qualche moroi a cui correre dietro?”.

Chiesi quasi in supplica.

“Perché mai? A me piaci tu!” lo disse con una sincerità disarmante, che preferii prenderla come una battuta. “E poi, non ho ancora bisogno di bere, fra poco vado a cena!”

Restai un po’ scioccata, tirandomi su con la schiena troppo in fretta.

“Scusa, ma che ora è?”. Dissi con la testa che girava.

Guardò il suo costosissimo orologio da polso.

“Le sei del mattino, piccola dhampir. Sei rimasta priva di sensi per tutta la giornata!”

Mi ributtai a peso morto tra i cuscini.

“Fantastico” gracchiai. La testa pulsava un po’.

Restammo in silenzio e lui con nonchalance prese il pacchetto di sigarette e fece per accendersene una.

“Ehi, ma che pensi di fare?”

Lui mi guardò con l’aria di uno che stava facendo una cosa normalissima.

“E’ un’infermeria.” Dissi ovvia in risposta alla sua espressione.

Alzò gli occhi al cielo e rimise le sue sigarette in tasca.

“Il tuo… mentore” enfatizzò la parola mentore “stava per prendermi a pugni”rise.

Dimitri che perdeva le staffe con un moroi di casata reale? Poco probabile.

“Menti” dissi tranquilla, senza nemmeno guardarlo.

Lui rise, ma non divertito.

“Già, troppo signore per farlo, troppo adulto…” lanciò l’ultima parola come una sfera infuocata.

Ok, mi stava provocando ed io distesa sul quel letto non sembravo un avversario temibile.

Scalciai via le lenzuola e con un cerchio alla testa mi misi in piedi. Notai che il ginocchio mi dava un leggere fastidio, come una botta. Di sicuro meglio di quello che avrebbe potuto essere.

“Che fai? Dovresti restare distesa…” disse lui con un velo di preoccupazione.

“Smettila di fare l’amico un secondo prima e l’enigmista quello dopo! Parliamoci chiaro, no?”.

Lui forse non si aspettava quella piega, ma forse aveva frainteso. Io non avevo certo intenzione di parlare di Dimitri, non mi sarei mai permessa. Quella era una cosa solo nostra.

“Che intenzioni hai? So che hai visto Lissa…”.

Parve perdersi un secondo sulla mia frase lasciata a metà, poi riaccese il suo sorriso stupido per un secondo, forse intuendo che non avrei parlato di Dimitri.

“Già…” rise senza divertimento “è buffo, mi avete posto la stessa domanda.”

Stavo per chiedere chi, ma capii un secondo dopo, ma non mi lasciai distrarre.

“Allora?”.

“Allora a te risponderò, perché sei te!” disse guardandomi intensamente e sentendomi un po’ strana, come calamitata verso di lui. E in quel momento capii.

“Smettila!”.

Lui mi guardò colpito, e sentii venire meno quella sensazione strana.

“Qualsiasi cosa cercavi di fare, smettila. Basta con questa cosa da conoscitore dello spirito!”.

Lui mi guardò senza capire.

“Conoscitore dello spirito?” mi chiese ingenuamente.

“Mi stai prendendo in giro?!” disse beffata. “Stavi usando lo spirito su di me, manipolando i miei sentimenti, come la prima volta che ci siamo parlati e come stanotte, quando sei entrato nei miei sogni e in quelli di Lissa, ammettilo!”.

“Conoscitore dello spirito?” ripeté come un bambino che sta imparando una parola per la prima volta. Non mi guardava più, cioè guardava il vuoto, ma i suoi occhi sembravano spenti.

“Vorresti farmi credere che non sai cos’è quella magia che ti senti scorrere dentro?” sputai acidamente.

Lui sembrava sbiancato e dopo aver perso ogni sfacciataggine si lasciò andare sulla sedia in cui sedeva prima Lissa.

Mi avvicinai lentamente per osservarlo più da vicino.

Sembrava sconvolto, e continuava a guardare il vuoto. Non disse niente per un bel po’ e non sembrava intenzionato a parlare o a tornare in sé. Le sue braccia erano abbandonate lungo il corpo senza vita, mentre le mani avevano ogni tanto dei spasmi nervosi che mettevano i brividi.

“Che ti prende?” chiesi. Iniziavo un po’ a preoccuparmi.

Passava il tempo, ma lui non dava cenno di riprendersi. Possibile?

“Adrian”. Volevo toccargli una spalla, ma quando stavo per sfiorarlo, mi fermai. Non sapevo come comportarmi.

Dopo un po’ si accorse che avevo parlato, o peggio si accorse quasi della mia presenza, come se fino a prima non esistessi. Poi calò di nuovo il capo con lo sguardo fisso nel vuoto.

“Ad-…” provai a chiamarlo ancora, ma iniziò a parlare.

“Mi hanno sempre fatto credere di avere un handicap.” Sussurrò. Sembrava davvero scioccato.

“Chi?” gli chiesi con un tono più dolce del voluto, solo, la sua espressione mi aveva davvero toccata.

“Gli specialisti che mi avevano visitato a causa della mia mancata specializzazione in un elemento!” Sembrava parlasse a se stesso.

Però era strano! Era vero si, che lo spirito fosse un segreto che molti tenevano, nemmeno tutti i guardiani della mia scuola erano a conoscenza della sua esistenza e che Lissa ne fosse specializzata. Figurarsi in scala mondiale. Era un potere che doveva rimanere al più oscuro possibile, ma che il nipote della regina non lo sapesse, mi sembrava una cazzata.

“Non ti credo.” Dissi calma e fredda.

“Avevo capito di essere diverso dagli altri, ma più di dirmi che magari la specializzazione poteva presentarsi più tardi, non mi hanno mai detto altro. Il fatto che vedessi delle cose, per loro erano allucinazioni, che potevano essere curate con qualche seduta da un psichiatra. Non ho mai confessato di saper fare altro. Ho tenuto per me le cose che riuscivo a fare, cercavo di nasconderlo, di non usarlo, eppure era ed è impossibile, o quasi.”

Parlava come una persona disperata che si sfoga per la prima volta in vita sua, che fossi davvero la prima persona a cui diceva tutto ciò? Sembrava sincero, ma tuttavia qualcosa non tornava.

“Adrian, come posso crederti? La simpatica zia che ti ritrovi lo sa, come fai a non saperlo tu?”.

Alzò gli occhi sbarrati su di me, cambiando umore di nuovo.

“Non ti credo!”disse come offeso. Si alzò, ma sembrava spaventato, come se avesse paura a credermi. “Come fai a dirlo tu?”

“Beh, l’ha detto lei, tra le righe, un secondo dopo avermi detto che se avessi voluto avere un futuro roseo da guardiano, avrei dovuto far mollare Lissa e Christian, così lei si sarebbe potuta mettere con te”.

I suoi occhi sembravano voler uscire dalle orbite.

“Tu menti!” era incredulo. Si alzò nervoso e senza neanche guardarmi, con le dita tremanti, si accese una sigaretta, nonostante gli lanciassi occhiatacce.

“Non può essere vero… non avrebbe senso… lei è sincera con me… io sono normale…lei mi apprezza per come sono… sempre…” continuava a dire frasi sconnesse a se stesso.

Terminò la sigaretta e ne accese un’altra. Sbuffai, ma non dissi nulla, andai solo alla finestra e la spalancai, poi mi sedetti sul letto, aspettando che tornasse in se. Non era di certo la reazione che mi sarei aspettata da lui, tuttavia rimasi ad aspettare che si riprendesse. Ero ormai sicura che lui non centrasse. E se così non fosse, avrei fatto in modo di fargli recapitare una palata di oscar per la sua recitazione dannatamente reale.

Tre sigarette dopo parve riprendersi.

“Non mi stai prendendo in giro, vero?”.

Negai con la testa paziente.

Si sedette esausto poi mi rivolse un ombra del suo solito sorriso.

“Ora capisco perché ce l’avevi sempre con me”.

Accennai anch’io ad un sorriso.

“E non ti posso neanche dare torto” continuò lui. “Senti, Rose,” era la prima volta che mi chiamava con il mio nome “Cosa sai dirmi dello spirito?”.

Mi imbarazzai lievemente.

“Non credo di essere la persona più adatta con cui parlarne! Dovresti parlare con la signora Carmack e la signora Karp, sono loro che aiutano Lissa a controllare la magia.”.

Mi sorrise in un modo così triste che mi strinse il cuore.

“Sono venuto a trovarti per capire di più di te e invece, siamo finiti a scoprire di più su di me.”

Non sembrava che stesse parlando davvero con me, guardava il cielo attraverso la finestra e parlava a se stesso.

“La vita sa essere così ironica!”.

Perché mi sembrava stesse delirando?

“Ora vado. Riposa piccola dhampir.”

Non risposi, non sapevo come rivolgermi a lui. Cambiava umore così in fretta.

Un secondo prima di uscire, si voltò indietro.

“Lo penso davvero quando dico che mi piaci.”

E se ne andò, lasciandomi decisamente senza parole. Com’era volubile questo Adrian? Un attimo prima sembrava un furbo calcolatore, poi l’attimo dopo sapeva essere davvero dolce.

…ma a cosa andavo a pensare…

Se era dolce o meno, non mi riguardava affatto.

 


 

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Capitolo 20
*** capitolo 20 ***


capitolo 20

Capitolo 20

 

 

La sala da pranzo era un scintillio sfarzoso di rosso e oro. Era Natale e l’hotel aveva esposto un ricco buffet che sembrava avere cibo a non finire.

I miei amici mi stavano aspettando su un grande tavolo e provai una piacevole morsa allo stomaco al pensiero che questo natale non sarei stata da sola, era una dolce sensazione.

Avevo una felpa e un paio di jeans, non avevo avuto la forza fisica e psichica di mettermi in ghingheri. Al polso però, faceva bella mostra il regalo di Natale di Lissa, me l’aveva dato di ritorno dalla visita con la Carmack. Per gli altri forse poteva non significare nulla, ma per chi dava valore alle tradizioni avrebbe potuto capirne l’importanza. Si trattava di un chotki, un bracciale che sembrava quasi un rosario in versione ridotta, la croce d’oro che penzolava riportava lo stemma della casata dei Dragomir. Quando l’avevo aperto non avevo potuto credere ai miei occhi. Questo tipo di bracciale veniva dato al guardiano che godeva di piena fiducia da parte della casata da lui protetta e ora, anche se non ufficialmente, io portavo un oggetto storico, pieno della fiducia di Lissa per me.

Giunta al tavolo, notai che era più affollato di quanto pensassi. C’erano Lissa e Christian, Mason, Eddie, mia madre, che avevo scoperto essere anche lei lì ad Aspen col suo moroi, ovviamente il vizio di non farmi partecipe della sua vita era ancora grande. C’era perfino Dimitri, con mio stupore, non lo vedevo da quel bacio e non era venuto a trovarmi nemmeno per un secondo, cosa che mi aveva ferito più del dovuto. Sapevo che poteva essere arrabbiato con me, ma questo non me lo sarei aspettato da lui. Quando arrivai non mi guardò e la cosa mi fece male.

Lui sedeva tra Eddie e una moroi che non avevo mai visto. La guadai bene e notai che metà del suo viso era sfregiato da una cicatrice che nonostante ciò, non le toglieva di dosso la sua bellezza mozzafiato, bensì quasi la rendeva parte di essa. Questa sedeva accanto a Christian. C’erano due posti liberi uno accanto a Lissa e l’altro accanto a mia madre, ovviamente mi sedetti vicino alla mia amica.

Avevo passato la notte un po’ insonne, e sapevo che nel frattempo Christian e Lissa avevano avuto un confronto con Adrian, riguardo alla sua nuova scoperta. Me lo aveva accennato di fretta Lissa stamattina, mentre ero ancora in un dormiveglia indotto dai farmaci che mi aveva somministrato la dottoressa Oldenzky per i miei mal di testa passati, presenti e futuri e speravo di aver capito male quando Lissa, forse, aveva accennato al fatto di aver usato la compulsione su di lui per sapere se mentiva. Difatti non avevo ben capito com’era ora la situazione con Adrian, solo che in teoria doveva esserci una sorte di tregua per Natale.

A Natale si è tutti più buoni, dicono.

Mi sedetti e Christian mi presentò la moroi affascinante, che sembrava avere davvero un buon feeling con Dimitri, mentre arrivavo li avevo notati subito e sentito, che parlavano di qualche episodio noto solo a loro.

“Zia, questa è l’amica di Lissa, Rose. Rose, lei è mia zia Tasha Ozera”.

Ringraziai mentalmente Christian, di non avermi presento come la figlia di Janine Hathaway.

Le feci un sorriso un po’ tirato, che lei invece contraccambiò molto sinceramente, non notando la mia falsità.

Un tarlo nascosto di una vecchia conversazione di Lissa su Christian, mi ricordò che quella non era una zia, bensì la zia e difatti guardando bene, quella era proprio la cicatrice di un morso. Quella era la famosa zia che combatté contro i genitori tramutati in strigoi di Christian, i quali volevano trasformare loro figlio in un mostro come loro. Nonostante non avesse avuto un addestramento da guardiano, cercò di combatterli quel tanto che bastava perché arrivassero i guardiani. Era stata davvero coraggiosa e per questo pensai che meritasse rispetto, solo, doveva smetterla di guardare con quegli occhi da cerbiatto il mio Dimitri.

Mio.

Che stupida, in fin dei conti non avevo alcuna pretesa su di lui e se a Dimitri lei piaceva davvero, avrei dovuto essere felice per lui e disperare in silenzio per me. Come no.

“Rose Hathaway, è davvero un piacere conoscerti. Ho sentito molto parlare di te.”

Mi sentivo leggermente in imbarazzo. Lei era così posata e così donna, che sentivo di non poter regger il confronto, non dal punto di vista fisico, ma dal portamento.

“Spero solo cose buone.” Dissi più amichevolmente possibile. Poi guardai Christian e per stemperare aggiunsi: “Vero, Christian?”

Lui, che in mezzo a tutte quelle persone sembrava più a suo agio del solito, disse ridendo: “Ovvio, che no!”

Tutti risero.

La cena prese una piega leggera, non sembrava esserci nessuna preoccupazione su quel tavolo, forse era questa quella magia del Natale che avevo sempre visto nei film, che mi guardavo da sola in camera, quando c’erano feste come questa.

Perfino Adrian, che sembrava sobrio, interagiva ogni tanto nei discorsi con i miei amici e non era davvero antipatico come pensavo.

Stavo mangiando non so che tipo di carne affogata in una salsa sublime, quando ebbi una visione del fantasma del natale passato, centrava Nikolai, sembrava un ricordo che non pensavo di aver serbato, ma Mason mi chiese per la ventesima volta, da quando avevo fatto l’incidente, come stavo e persi il pensiero.

Si sentiva in colpa per avermi convinto a fare quella pista, pensando che sarei stata in grado di farla.

“Sto bene, Mason, basta sentirti in colpa. Non penserai mi basti questo per fermarmi?”.

Ridevo, ma dentro bruciavo perché così continuava a ricordarmi cosa aveva dovuto fare Lissa per me.

“Lo so, ma ho preso davvero uno spavento enorme!”

Come dargli torto, avevo avuto una gamba andata e un trauma cranico da coma, ma questo non lo avrebbe saputo mai.

“Christian, pensi che riuscirai mai a battere tua zia sulle piste?”.

Tasha Ozera aveva intelligentemente cambiato piega al discorso e alleggerito l’atmosfera che si stava creando. La tensione la vedevo negli occhi di chi sapeva .

“Potrei farlo, invece, l’età avanza anche per te!” rispose Christian.

“Non è questa l’educazione che ti ho insegnato, mascalzone! Ti farò ricredere, vedrai!”

Risero tutti.

“Dopo cena sarò ben lieto di darti filo da torcere, zia!” disse sicuro di se il mio amico.

Tasha finse una faccia offesa, ma divertita.

“I ragazzi d’oggi sono davvero senza rispetto, non trovi, Dimka?”.

Avevo alzato di qualche centimetro la forchetta dal piatto, ma quel nome detto con così particolare familiarità dalla voce di lei, mi fece scattare una reazione così veloce da non  riuscire a controllarla. Il mio corpo si era bloccato e aveva perso per un secondo il controllo, tanto che la mia mano aveva lasciato la presa della forchetta, che cadde nel piatto con un rumore così fastidiosamente secco che lasciò tutti zitti e fissi su di me.

“Rose…” disse Lissa piano. Sembrava preoccupata.

Cercai di riprendermi.

“Scu-sate mi è scivolata… la forchetta…mi è …scivolata…” la mia voce era instabile e tutti mi guardavano. Mi sentivo soffocare, avevo bisogno di aria. “Vado un attimo al bagno”.

Mi alzai senza guardare in faccia nessuno ed uscii nella notte fredda di Aspen.

L’hotel era contornato da luci natalizie, l’illuminazione delle piste faceva sembrare giorno, ma io avevo bisogno di oscurità. Perciò raggirai l’hotel e andai verso est, dove poco più in là c’era un precipizio e nessuna pista, se non un orizzonte senza fine. Trovai un sasso poco innevato e dopo averlo pulito mi ci sedetti.

Non mi ero portata la giacca ed era davvero freddo, nonostante la mia pelle da dhampir fosse meno sensibile di quella di umano, ma ehi, era pur sempre meno 15 gradi.

“Sembra una scena già vissuta!”.

Mi voltai di scatto, Adrian si stava accendendo una sigaretta come niente fosse.

Il sogno, vero. Sembrava una scena contorta di quell’illusione da lui creata.

“Come hai fatto a trovarmi?” gli chiesi, non dando corda alla sua frase.

Fece un tiro e poi sbuffò fuori il fumo.

“Quelle poche volte che sono sobrio vedo delle cose. Ora so per certo essere questo fantomatico potere dello spirito e non so più se sia meglio questo o l’idea dello psichiatra.”

Disse piuttosto amareggiato l’ultima parte.

Aveva scoperto da praticamente 24 ore di essere un conoscitore dello spirito, non lo dava a vedere, ma dentro doveva essere sconvolto. Io, almeno, lo sarei stata.

“Cosa è che vedi?” chiesi interessata a scoprire cosa lui fosse in grado di fare.

“Sonya Karp le chiama aure, è come se la nostra anima avesse un colore ed io riesco a vederlo, eppure riesco a distinguerlo tra le persone, nonostante il colore sia lo stesso per tutti. Cambia le tonalità e la vividezza.”

Ero rimasta davvero spiazzata dall’enormità del potere dello spirito e dalle sue sfaccettature.

“E’ così che mi hai trovata?”.

Spense la sigaretta e ne accese un’altra.

“Già, piccola dhampir. Quando sto a contatto ravvicinato con le stesse persone, riesco a trovarle più facilmente, come se seguissi la scia della loro aura.”

Accidenti, neanche Lissa sapeva farlo.

“Sei un navigatore praticamente” gli dissi.

Lui sghignazzò, ma la sua risata non contagiò anche me.

“Prima in tavola, quando hai fatto cadere la forchetta, la tua aura ha avuto uno scoppio di luce, assieme ad un’altra!”.

Un’altra? Poteva essere la sua, ma non volevo chiederglielo, era come ammettere qualcosa.

O forse stando zitta facevo peggio?

Lo guardai in faccia, e lui stava già facendo lo stesso.

“Beh, ora a dire il vero, se ti interessa, la tua aura, per quel che vedo, è scura come i sentimenti che di sicuro stai provando!”.

Mi infastidiva che si stesse parlando di me.

“Ed hai imparato tutto questo solo in un giorno?” dissi un po’ acida.

Lui ghignò. “Pensa cosa potrei fare in una settimana!”

Non risposi, non ero in vena di moine. Avevo solo bisogno di starmene da sola un po’, chiedevo troppo?

“Senti, non voglio sembrarti stronza, ma…”

Lui mi interruppe.

“Ok, ho capito, dirò dentro che sei andata a farti una sauna in non so che punto dell’hotel, ma almeno tieni questo.”

E senza chiedermi il permesso o cosa, mi mise sulle spalle il suo caldo giaccone firmato, che a contatto con i miei vestiti freddi, mi fece rabbrividire.

Quando dissi ad alta voce ‘grazie’, lui era già rientrato da un po’.

 

 

Quando iniziai a notare che il cielo si andava schiarendo capii che era ora di andare a dormire, come tutti già stavano facendo di sicuro.

Cercai di fare poco rumore quando rientrai in stanza, ma non appena chiusi la porta la luce si accese.

“Rose, ma dove sei stata?”

La mia amica mi corse incontro abbracciandomi tutta agitata, portava ancora i vestiti della cena.

“O mio dio, ma sei gelata!”.

Eppure io stavo bene, non avevo freddo, o forse non lo sentivo.

“Va tutto bene!” le dissi calma, forse troppo.

Lei mi scrutò con i suoi limpidi occhi azzurro cielo.

“Rose, è da un po’ che non parli davvero con me, eppure io vedo che non stai bene!”

La guardai sorpresa, la mia amica sapeva che stavo male e fu ora che capii quell’abbraccio che mi aveva dato il giorno del mio incidente con gli scii.

Sospirai e andai a sedermi sopra il mio grande letto.

Lei mi seguì e mi coprì con un pail.

“Questo è il cappotto di Adrian, lui allora sapeva che stavi fuori e non in giro per l’hotel in cerca di una sauna decente come ci aveva detto. Il che in effetti, mi sembrava davvero una cavolata!”

Ghignai, aveva detto davvero quella stronzata, pensavo avesse una fantasia un po’ più fervida.

“Avevo bisogno di starmene un po’ da sola.” Sospirai. Potevo dirle o no di Dimitri?

“Perché sei scappata così?” mi chiese la mia amica. “Siamo rimasti tutti un po’ straniti, Adrian poi si è comportato strano, ha detto: “Non toccherebbe a me, ma…” e poi si è alzato penso venendoti dietro, visto che poi è tornato rifilandoci quella spiegazione.”

Lui e le sue frasi che non dovrebbe nemmeno pensare.

“Che vuoi che ti dica… ormai abbiamo capito che Adrian un po’ fuori lo è…”.

Vidi Lissa intristirsi un po’.

“Lo è davvero?” chiesi seria. Lissa mi aveva parlato del  potere autodistruttivo dello spirito.

“La signora Karp mi ha spiegato che Adrian ha abusato troppo il suo potere, non sapendo come controllarlo. Tutte le storie sulle sue notti brave, non erano altro che il suo modo di rimanere normale. Beveva a fumava per non essere lucido e non riuscire ad usare lo spirito, ma non è stato abbastanza.”

Rimasi davvero senza parole.

Quel povero ragazzo era stato egoisticamente lasciato a se stesso e questo era stato il risultato.

“Può guarire?” ma sapevo già la risposta, bastava guardare la Karp.

Lissa negò con la testa.

“Potrà solo evitare di non peggiorare più, tutto sommato non è poi così fuori, ha solo qualche sviamento ogni tanto.”

Si l’avevo notato, lui e la duplice personalità.

Restammo in silenzio per un po’. Lei mi fissava in attesa. Qualcosa avrei dovuto dire, non tutta ma almeno una parte di verità.

“Non posso dimenticare quello che è successo alla mia accademia, quella che è stata casa mia da tutta una vita, e ancora di più non riesco a cancellare la mancanza che ho per Nikolai. Ti ho sempre detto che era il mio mentore, ma per me  era anche di più, solo dopo me ne sono resa conto, ma per me era un po’ il padre che non ho neanche mai conosciuto.”

“Rose…” disse lei dispiaciuta. Lei poteva capire, lei era rimasta senza genitori, senza famiglia.

Le afferrai una mano e lei me la strinse.

Era vero quello che avevo detto, prima fuori avevo potuto analizzare con calma la mia reazione alla pronuncia di quel nome. Non centrava solo la gelosia per Dimitri, e la presenza di quella donna, il fatto che loro fossero gli adulti, era anche il significato che si nascondeva in quella parola.

“Il grandissimo guardiano Lazar è stata la prima persona che ha creduto davvero in me, in me come persona, con tutti i miei difetti ed il mio brutto carattere, a prescindere di chi fossi figlia” ripensai alle parole del preside Thomposon. “E l’ho scoperto solo dopo la sua… morte…” era sempre difficile dirlo ad alta voce.

Rimpianti, avevo tanti rimpianti. Mi misi a piangere.

“Non potrò mai ringraziarlo, non mi vedrà diventare un guardiano e… sono dannatamente arrabbiata con lui… perché lo credevo invincibile, ma non lo era… ed io, non l’ho potuto salvare…”.

Quel deja vu da fantasma del Natale passato che avevo avuto a tavola, era un ricordo di quando avevo dodici anni ed ero rimasta sola a Natale, come sempre. Nikolai mi aveva tenuto compagni e aveva cenato con me, chissà perché mi era tornato in mente proprio oggi.

Lei mi abbracciò stretta.

Non pensavo di avere dentro ancora tutto questo sentimento fermo, per la scomparsa di quel vecchio. 

“Sono sicura che il ringraziamento più grande che puoi dargli è nel profondo del tuo cuore, impegnandoti a raggiungere il tuo obiettivo.”

Mi passò un fazzoletto, mentre con un dito portava via una mia lacrima.

“Nessuno è invincibile, perché nessuno può vincere la morte, anche gli strigoi possono morire, ma loro sono senza un’anima, noi invece si. E io, Rose, ci credo alla vita dopo la morte su questa terra e forse un giorno io rincontrerò i miei genitori e mio fratello e tu, un giorno, rincontrerai il tuo mentore.”

Lei aveva fede, io non ce l’avevo, ma per un solo secondo, tutta la speranza che le sue parole trasmettevano mi avvolsero facendomi credere davvero, che un giorno, ci saremmo rivisti.

“Grazie” sussurrai alla mia amica.

Lei mi guardò ancora in attesa di qualcosa, ma poi mi sorrise dolce e disse: “Andrà tutto bene”.

Annuii.

“Troveremo, Rose, il modo di contrastare la regina. Adrian si metterà dalla nostra parte, ne sono certa e poi io forse avrò bisogno di un guardiano dopo il diploma, non so se il guardiano Belikov ci sarà, non possono non affidarmi te, se io lo voglio!”.

Una lama fredda mi trapassò la schiena.

“Cosa intendi dire?” le chiesi cauta.

Cadde come dalle nuvole.

“Oh, si, certo. Prima Christian mi ha confidato che la zia Tasha ha chiesto al guardiano Belikov di diventare il suo guardiano, ma secondo me lei è innamorata da lui. L’ho osservata tutta la sera!” disse ridacchiante, io non riuscivo a respirare.

Dimitri non poteva diventare il suo guardiano, lui, non…una scena fantomatica di lui e lei che si baciavano mi strinse il cuore nel petto facendo riaprire quella voragine che sembrava volerlo inghiottire e lasciare al suo posto un buco vuoto.

Pensare di non poter stare assieme era doloroso. Pensare che lui stesse con un’altra realmente era morire.

“Rose, sei pallida stai male? Hai preso troppo freddo fuori!”.

Mi sembrava di stare in una giostra.

“Si, ho bisogno di riposare, ho un po’ di mal di testa.” La mia voce era apatica.

Lissa scostò le coperte del mio letto.

“Chiamo la dottoressa?” chiese preoccupata.

“No, una dormita… e passa vedrai…”mi stavo sforzando a sembrare normale, ma avevo un dolore forte all’altezza del cuore che mi divorava.

“Buonanotte, Rose e tranquilla andrà tutto bene”.

Feci un sorriso tirato, mentre lei spegneva la lampada del mobiletto a fianco al mio letto, e l’oscurità mi permise di infilare la testa sotto le coperte e inorridire di fronte al fatto che potevo perdere davvero Dimitri per sempre e che questa volta la cosa, mi avrebbe annientato irrimediabilmente.

Un Natale da dimenticare. 

Ecco l' ingresso di Tasha Ozera, ma sarà solo marginale. Ammetto che è quasi finito tutto, ricordo che il mio obiettivo principale era la love story di Rose e Dimitri, quindi non voletemi male se non approfondisco gli altri personaggi di contorno.

Detto ciò che ne pensate? Ammetto di essermi commossa nello scrivere lo sfogo di Rose per Nikolai. Voi?

E Dimitri che farà? muhahah come se non lo sapessimo...

Baci a tutti, alla prossima.

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Capitolo 21
*** capitolo 21 ***


capitolo 21

CAPITOLO 21

 

 

“Non sarai qui da ieri sera spero.”

Adrian molto ironico si avvicinava vestito di un paio di boxer azzurri ghiaccio, quanto i suoi occhi.

Non avevo dormito molto la notte precedente, dopo la notizia shock che Dimitri potesse diventare il guardiano di Tasha Ozera. Nell’istante in cui chiudevo gli occhi le immagini di loro due assieme mi assilavano, per cui al mattino mi ero alzata desiderosa di fare un giro. Ero capitata casualmente davanti alle terme del rifugio, ma visto che ero in cerca di qualcosa che rilassasse, avevo deciso di fermarmici. Lissa era andata con Christian dalla Carmack, ma le avevo fatto sapere dove mi trovavo, così da evitarle un’altra crisi di nervi e sarebbero dovuti arrivare da un momento all’altro.

Ero appena entrata nella vasca circolare dell’idromassaggio alla schiena, quando era arrivato Adrian e si sedette di fronte a me.

“Certo che per la fantasia che hai potevi trovare una scusa migliore, no?” dissi con una punta di ironia.

Mi stavo sforzando di fingere che Lissa non mi avesse detto niente, era da stupidi lo so, ma avevo deciso che se volevo mantenere un po’ di sanità mentale dovevo fingere a me stessa che le cose non stessero andando di male in peggio. Stavo scappando dai miei sentimenti, di nuovo e ne ero conscia. Dopo tutta la mia forza di volontà per cambiare, per superare il disastro alla mia St. Thomas, per essere qualcuno di più, stavo rovinando dolorosamente a terra, dove c’ero già stata.

Scossi la testa e scacciai quei pensieri. Guardai Adrian che rideva, forse, come non avevo mai fatto.

I capelli gli cadevano un po’ sulla fronte, i suoi occhi erano magnetici, il suo fisico era perfetto e il suo sorriso era stranamente meno furbo del solito. Mi accorsi che era davvero bello.

“Forse… ma ero più preoccupato per te, che per le scuse che stavo dando ai tuoi amici.”

L’aveva detto fissandomi volutamente negli occhi. Lo guardai a mia volta, incapace di voltare lo sguardo altrove. Non riuscivo ad abbassare lo sguardo.

“Ehi Rose!”.

Il richiamo di Lissa mi distrasse da quello strano legame che stavamo creando.

“Oh, ciao… Adrian!” continuò poi la mia amica accorgendosi della mia compagnia.

Lui contraccambiò il saluto con un movimento meccanico. Christian lo minacciò con lo sguardo e si attaccò di più a Lissa, mentre si immergevano nel cerchio dell’idromassaggio. A quanto pare la tregua di natale era finita.

Ci fu un minuto imbarazzante di silenzio, dopo il quale cercai di schiarirmi la voce per risolvere in parte la situazione.

“Allora direi che è ora di parlarci chiaro tutti, non trovate?”.

Adrian mi guardò tranquillo, Lissa un po’ meno e Christian, beh, era violaceo in viso.

“Io continuo a dire che ci sta fregando!”.

“Christian!” lo ammonì Lissa.

Sbuffai.

“Adrian, ascoltami.” Lo guardai dritto negli occhi. “Hai a che fare con questi programmi infernali che si è fatta la mente bacata di tua zia?”.

Lui mi guardava di rimando e disse “No”.

Lo guardai ancora un po’. Non pensavo affatto che stesse usando lo spirito e sapevo che di sicuro Lissa lo avrebbe percepito.

“Ti credo”. Dissi sicura.

“Sbuff” grugnì Christian.

Aveva avuto già la prova dalla compulsione di Lissa, ma a quanto pare la gelosia lo accecava.

Guardai ancora Adrian.

“Che succederà quando la regina della simpatia farà la sua mossa? Tu da che parte starai?”

Lui sorrise innocentemente poi guardò la mia amica.

“Sei una ragazza carina e una bella persona, ma… mi dispiace Lissa, non sei il mio tipo, per cui non vedo perché dovrei sposarti.”

Aggiunse un alzata di spalle, poi si voltò e mi strizzò l’occhio.

Ok, Adrian stava flirtando con me e la cosa non sapevo se mi infastidisse o no.

 

*

 

Passarono i giorni e la situazione regina si andava a stemperare. Christian stava iniziando a fidarsi del fatto che Adrian non gli avrebbe portato via la ragazza e che non ci avrebbe traditi con la regina. Questo, almeno, lo speravamo tutti in silenzio.

Quest’ultimo avevo iniziato a passare molto tempo con noi ed io me lo ritrovavo dappertutto. In ristorante era lì, nelle piste era lì, una volta lo avevo trovato perfino fuori della mia stanza. Non sapevo cosa pensare, perciò non lo facevo. Non pensavo a nulla e non davo significato a quello che faceva.

Con Dimitri non avevo più parlato, quando ci ritrovavamo forzati nella stessa stanza, i nostri occhi spesso si intrecciavano incapaci di evitarlo, ma mai più di questo.

Le vacanze ormai erano giunte al termine e tutti, chi più felice chi meno, ci preparavamo per ripartire per la St. Vladimir.

 

*

 

Guardavo Lissa che piegava accuratamente i suoi vestiti e li appoggiava in modo ancor più meticoloso nel suo trolley. Ci stava mettendo davvero troppa precisione.

“Qualcosa non va?”.

Tardò qualche secondo a rispondermi. Alzò di scattò la testa, sorpresa che la guardassi.

“Hai detto qualcosa?”.

Si, c’era decisamente qualcosa che la preoccupava.

“Ti ho chiesto se va tutto bene.”

Lei sospirò, distendendo le spalle rigide e sedendosi sul suo letto.

“Stavo pensando.”

Non le chiesi la domanda ovvia, aspettai che lei continuasse.

Alzò il suo sguardo azzurro cielo.

“Christian ha sentito parlare Tasha e il guardiano Belikov”.

Mi si strinse lo stomaco in una presa d’acciaio. Cercai di mantenere il mio viso ferreo, ma l’accostamento di quei due nomi assieme, mi aveva preso alla sprovvista. Dopo la sconvolgente rivelazione di Lissa a Natale, avevo ben eclissato tutte le possibilità che avrebbero potuto mettermi nella stessa stanza con loro due, ora non avevo scampo, c’erano i loro fantasmi a perseguitarmi.

“E cos’ha sentito?”

Forse era meglio non parlare, la mia voce era fredda e robotica. L’arte del camuffamento non era tra le mie doti primarie. Fortunatamente Lissa non sembrava accorgersi delle mie doppie personalità.

“C’è stato un altro attacco da parte degli strigoi.”

Il cambio di scena mi svincolò in parte dalle mia morsa d’acciaio. I miei valori di guardiano stavano tornando a galla, perciò aprii bene le orecchie a ciò che diceva.

“Non so di quale casata fossero, ma erano reali. sono stati uccisi tutti, anche i loro guardiani”.

Rabbrividii e contemporaneamente la rabbia nei confronti di quei mostri mi salì e dovetti conficcarmi le unghie nei palmi delle mani.

“Cos’hanno intenzione di fare a riguardo?”.

Lissa scrollò le spalle.

“Christian ha sentito che Tasha avrebbe cercato di diffondere l’idea che i moroi potessero combattere a fianco dei loro guardiani.”

Dannazione. Quella donna era coraggiosa e intelligente, ovvio che Dimitri ne poteva essere attratto.

Basta Rose con questi pensieri.

“Tu cosa ne pensi?”chiesi.

“Credo che abbia ragione, e che i moroi dovrebbero scegliere se imparare a combattere o no, ma so già che questa cosa non avverrà.”

Lo pensavo anche io.

“Ho passato molto tempo tra le casate reali, alcuni sono umili, ma la maggior parte siede sugli allori, per loro sarà un oltraggio alla loro posizione sociale”.

Annuii al suo ragionamento, non faceva una piega.

“La penso come te, loro dipendono esclusivamente da noi guardiani, per questo esistiamo in fondo, no?”.

Lissa annuì.

“Il guardiano Belikov ha risposto più o meno la stesse cosa”.

Mi morsi la lingua. Rimasi zitta e il silenzio iniziò a pesare.

“E’ quasi il tramonto e devo passare dai donatori.”

Mi ripresi leggermente.

“Per il viaggio?” chiesi riferendomi al fatto che avrebbe cenato col sangue invece che con una bistecca. Annuì.

Ero stata così presa da me, da non preoccuparmi per lei.

“Cosa dice la Carmack?”.

Sorrise un po’.

“Pare che la vicinanza di Christian mi faccia bene, mi rasserena”.

Un punta di invidia si illuminò, ma la spensi subito.

“Sono contenta”.

Lei arrossì lievemente.

“Non penso di averti mai ringraziato per.. avermi dato coraggio!”.

Le sorrisi con quel calore che la dolcezza di Lissa sapeva ricavarmi dal cuore, come la prima volta che ci eravamo scontrate uscendo dall’aula.

“L’hai già fatto, non ricordi?” e alzai a testimone il chotki della casata Dragomir.

Rise e io le lanciai un cuscino.

“Muoviti e vai dai donatori!” lei annuì convinta e ci salutammo.

Sentii la porta chiudersi e mi guardai attorno. La valigia era fatta.

Non lo avrei mai creduto possibile, ma mi mancava la St. Vladimir. Mi mancavano i momenti belli che per la prima volta avevo assaporato nelle mia vita: amicizia,  realizzazione, l’innamoramento…

Mi alzai, avevo voglia di camminare.

Girai per tutto il rifugio, mi spinsi fin dove non mi ero mai addentrata. Arrivai in un corridoio che terminava con una porta di vetro che dava su una scalinata. Non ci pensai e salii. Con mia meraviglia dietro ad una porta di ferro battuto, trovai un magnifico terrazzino innevato, segno che non ci passasse mai nessuno. All’orizzonte il tramonto dei vampiri era agli inizi. Un punto di luce vivissimo che a poco a poco si alzava nel cielo. Era l’alba più bella che avessi mai visto, su un cielo limpido e uno sfondo innevato. Spostai con la mano la neve fredda da un rialzo e mi ci sedetti, abbracciandomi le ginocchia. Indossavo una maglia leggera, ma per niente al mondo sarei rientrata per prendermi una giacca, con il rischio di perdermi la bellezza di fronte a me.

Appoggiai tranquilla il mento sulle mie ginocchia, ma i miei allarmi si riattivarono quando sentii la porta di ferro aprirsi, trasalii nello scorgere la figura imponente di Dimitri.

Puntai il mio sguardo sul sole crescente, mentre il mio cuore batteva furioso nel mio torace, lo sentivo quasi rimbombarmi nelle orecchie. Sentii dei movimenti ed un secondo dopo il caldo giaccone da cowboy di Dimitri mi coprì le spalle, che al contatto con la mia pelle fredda mi fece rabbrividire.

“Congelerai” disse la sua voce autoritaria e profonda.

Intestardita non volevo ringraziarlo.

“Il sole è quasi sorto del tutto, aspettavo l’arrivo dei raggi di sole.”

Anche lui prese ad ammirare lo spettacolo di fronte a noi, sedendosi al mio fianco.

“E’ pur sempre inverno.”

Sempre con la risposta pronta lui.

Restammo in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri.

“Vedo che vai d’accordo con tua madre.” Disse ad un tratto.

Lo sbirciai con l’angolo dell’occhio. Guardava attratto il sole, eppure non mi sembrava rilassato come voleva far vedere e in effetti, come dargli torto. Era dal giorno del mio bacio a tradimento, o come vogliamo chiamarlo, che non ci parlavamo. I nostri dialoghi a venire erano stati forma di occhiate nascoste o evidenti snobbate, da parte mia e da parte sua.

“Non è propriamente andare d’accordo, ma ormai sono adulta abbastanza da poter parlare con lei come fosse un qualsiasi altro guardiano, col solo fatto che lei ha il mio stesso dna. Tutto quello di cui potevo sfogarmi con lei, l’ho fatto e continuare comunque non mi farà avere un’infanzia diversa. Chissà… magari un giorno avremmo di nuovo un legame”.

Mia madre mi aveva parlato, trattando più che altro discorsi politici, ed avevo più di una volta appreso che fosse il suo modo disperato di interagire con me, poiché non sapeva fare altro. Io l’avevo accettato ed eclissato il mio disappunto.

Sentii un pizzicore ai margini della mia visuale e trovai Dimitri a guardarmi. Sembrava serio eppure i suoi occhi brillavano, sembrava orgoglioso. Lo guardai a mia volta.

Ecco lì.

Il mio primo vero amico. Si, questo era stato Dimitri, prima di tutto quel sentimento che ne era poi derivato. Un mentore, un amico e solo ora che ce lo avevo a fianco a parlare come un tempo, mi accorsi di quanto in realtà mi mancasse anche solo semplicemente Dimitri, come persona.

Decisi in quel momento che non mi sarei mai più privata di lui e che in qualche modo mi sarei accontentata.

“Dovresti accettare.”

La sua fronte si corrugò.

“Di cosa parli?”

Distolsi un secondo lo sguardo.

“L’offerta di Tasha. Dovresti accettarla.” Il mio cuore sanguinava. “Per te potrebbe essere un’ottima occasione”. Un’ottima occasione di guardiano e di poter avere una famiglia. Questo lo pensai solo, ma fece male ugualmente.

Lui era visibilmente sorpreso e prima che potesse dire qualsiasi cosa, dissi quello che avevo da dire.

“Mi dispiace per le cose che ho detto quel giorno…” sapevamo tutti quale giorno, evitai di menzionare poi quel bacio. “Sono successe tante cose, tutte assieme…” ti ho conosciuto, ti ho rispettato e mi sono stupidamente innamorata di te, che sei il mio mentore. “Ti ho attaccato ingiustamente. Non importa quello provo… per noi. Se ti renderà felice quella proposta, accettala!”

Il suo corpo perse rigidità.

“Roza…”

Quel nome, detto dalle sue labbra, era una gioia e un dolore per le mie orecchie. Non aggiunse altro in quel momento, ma mi avvolse le spalle con un braccio, attirandomi sul suo petto, sul suo cuore.

 

 

 

Ah! Sbuffo tenue…

Ho adorato la scena del terrazzo nei libri e non potevo non riportarla.

Questi due sono il mio sogno <3

Che ne pensate mie care? Gli strigoi non demordono, Tasha nemmeno, ma Rose sembra di si… cosa succederà??

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Capitolo 22
*** capitolo 22 ***


capitolo 22

Miei dolci lettori.

L'avventura si avvicina sempre più alla fine. Spero di non aver deluso mai nessuno.

Manca un capitolo e poi ci aspetta un epilogo un po' particolare...

a presto.. baci..

 

Capitolo 22

 

 

L’ultimo attacco strigoi aveva scatenato il terrore in tutte le casate reali e non. Gli studenti moroi erano divisi, così come lo erano i loro genitori, di fronte alla propaganda che Tasha Ozera stava coraggiosamente, dovevo ammetterlo, pubblicizzando in ogni dove e che  inaspettatamente aveva avuto un riscontro più positivo di quanto avessi mai pensato. Lei, semplicemente, ricordava a tutti, che in passato, i moroi combattevano a fianco dei loro guardiani, armati dei loro poteri e del loro coraggio. Questa affermazione era stata vista dai più snob come un’offesa alla loro posizione, e di questo c’era da aspettarselo. Rispondevano dicendo che non erano dei cavernicoli e che proteggerli era esclusivamente compito nostro. Questo non faceva altro che scatenare dibattiti su dibattiti, senza risolvere nulla.

Ciò che mi stupì di più, fu accorgersi che nell’accademia le cose erano leggermente diverse. Si, c’erano moroi che sbeffeggiavano le idee di Tasha, ma erano un numero minimo, alcuni invece avevano fondato club segreti e avevano iniziato a cercare di dominare le loro specializzazioni. Di questo ne ero a conoscenza perché Christian era stato subito richiesto come insegnante, ma aveva maleducatamente, come sempre, declinato ogni tentativo di tenerlo per qualche modo separato da Lissa.

Il consiglio reale e la regina si incontravano quasi ogni giorno, ma non erano ancora giunti ad una soluzione. Di questo ci teneva informati Adrian, che aveva così tante fonti che era sempre al corrente di tutto. Lui si era stabilito in pianta stabile alla St. Vladimir. Si era preso una “vacanza” dal college, ed era tornato con noi all’accademia. La decisione era stata presa soprattutto per altri motivi. Il fatto che fosse venuto a conoscenza dello spirito era il principale. Lui e Lissa avevano iniziato a lavorare con la Carmack per sviluppare lo spirito, essendo ognuno di loro capace di qualcosa che all’altro non riusciva. Adrian invidiava soprattutto che Lissa sapesse guarire le persone e tentava ogni giorno con un fiore malato. La dottoressa li supervisionava ed evitata che eccedessero nell’uso del loro grande dono, o maledizione, come preferivo pensarlo.

Sonya Karp mancava da un po’ di giorni, e Adrian fu subito ben predisposto nel darmi delucidazioni a riguardo. La signorina si era recata a corte per motivi personali. In segreto speravo che avesse a che fare con quel guardiano, Mikahil.

Come se non bastasse la primavera si stava avvicinando e questo poteva significare solo una cosa: l’inizio dei pre-esami finali per noi novizi. Il lunedì seguente sarebbe cominciata l’esercitazione più temuta. Avremmo vestito i panni di veri guardiani, seguendo un moroi assegnatoci in precedenza, nella sua vita quotidiana, il nostro compito ovviamente proteggerli da eventuali attacchi di strigoi. Essendo un esercitazione, gli strigoi in questione non erano altro che i nostri guardiani camuffati, ma questo non faceva venire meno la tensione.

Si avvicinava il grande giorno e  con mio grande disappunto, scoprii essere stata assegnata a Christian, il quale non sembrava essere molto più felice di me. Lissa, invece, ne era entusiasta. Diceva che eravamo troppo scorbutici e che questo poteva farci andare d’accordo. Io serbavo alcuni dubbi a riguardo. Eddie fu assegnato a Lissa, ed invidia a parte, ero contenta che lei avesse lui. Mi fidavo di Eddie. Era molto preparato e intelligente. Quello a cui andò peggio di tutti fu Mason. Il moroi assegnatogli fu Camille Conta. Non serviva aggiungere altro.

 La sera prima dell’inizio dell’esercitazione avevo i nervi a fior di pelle e non riuscivo a dormire. Non capivo da cosa derivasse tutta questa agitazione, ma il fatto che non riuscissi a calmarmi mi mandava fuori di testa. Sgattaiolai fuori dalla mia camera, conscia che fosse attivo il coprifuoco e feci una passeggiata sotto il sole notturno. Subito non mi accorsi dove stavo andando, ma pian piano mi accorsi che i miei piedi erano diretti al mio paradiso zen. Arrivata però ebbi una grande delusione. Il fatto che la cara signora Karp fosse in  visita a corte, aveva significato mancanza di cure alle mie bellissime rose nere. Le rose sembravano appassire a vista d’occhio, così come quella sensazione di calma che speravo di trovare.

“Nervosa per domani?”.

Mi girai di scatto al suono della sua voce profonda.

Vidi un mezzo sorriso in risposta al mio spavento.

“Ti ho vista sbucare dai tuoi alloggi. Sei fortunata che fosse il mio giro di ronda.”

Sbuffai per essermi fatta beccare.

“Fai troppo bene il tuo lavoro”.

Ghignò.

“O forse non hai saputo mimetizzarti al massimo”.

Gli feci una smorfia in risposta.

“Per sei settimane non ci alleneremo, spero di non perdere il mio tocco”.

Lui rise.

“Ormai, non ho più niente da insegnarti, sai tutto, devi solo applicarlo come tu ben sai.”

Alzai le spalle.

“Mah…”.

Al ritorno dalla montagna, io e Dimitri eravamo ritornati quelli di prima. In parte. Lui non sembrava più teso, come prima della partenza, ma tuttavia quegli sguardi che solo lui sapeva lanciarmi non erano affatto diminuiti. La cosa mi frustrava e cercavo di lasciar correr e non darci peso, buttandomi a capofitto su tutti i suoi insegnamenti.

“Davvero Rose, io mi farei proteggere da te, diventerai un buon guardiano.”

Lo guardai riconoscente, volevo quasi aggiungere altro, ma mi sembrava fuori luogo, perciò battei in ritirata.

“Grazie. Ora torno in camera. Ci vediamo domani!”

Sperai di non essere sembrata troppo strana, ma a ripensarci cavoli, io strana c’ero nata.

 

*

 

La prima settimana d’esercitazione passò abbastanza tranquilla, tralasciando l’episodio dell’altro ieri. Mason era stato uno dei primi novizi ad essere attaccato, nel suo caso, da un Alberta/strigoi e lo scontro non era stato dei più memorabili, soprattutto contando che la sua protetta, Camille Conta, dallo spavento si era messa a  gridare istericamente. E per istericamente, intendevo che attualmente mezzo corpo studentesco era momentaneamente sordo. Sottoscritta compresa. Mason comunque era riuscito a mettere in una posizione di sicurezza il suo moroi e riuscire ad impalettare (figuratamente) lo strigoi.

Stavo accompagnando Christian in mensa, ed era tutta la mattina che avevo una brutta sensazione, ero più che sicura che quel giorno mi avrebbero attaccato. Ero in allerta e fiutavo ogni spostamento dell’aria. Camminavo all’esterno lasciando Christian tra me e il muro.

“Giuro che mi stai facendo innervosire”.

Gli lanciai un’occhiataccia.

“Ok, come non detto. Senti, tu che…”

Stava leggermente tentennando, così gli prestai più attenzione.

“Tu che hai un po’ più di confidenza con Adrian, potresti chiedergli se ha novità sulla regina.”

Christian apparentemente era quello che avevo preso questa storia il più male possibile, e da una parte non gliene davo torto, dato che il problema era in parte “colpa sua” o così di sicuro si sentiva. Era un argomento dolente pure per me, visto che riguardava anche la mia dipartita.

“Gli chiederò se ha sentito niente…” stavo parlando quando un movimento furtivo mi fece accapponare la pelle.

Stan mi stava attaccando.

Automaticamente chiusi ogni possibilità di via che portasse a Christian. Estrassi il mio finto paletto e studiai il mio avversario. Mi colpì più del dovuto il fatto che fosse trasandato come uno strigoi vero e proprio o forse ero io che lo vedevo davvero così.

Si buttò su di me, velocemente riuscì a schivare il suo colpo. Gli rifilai un pugno, ma a suo volta un suo gomito riuscì a tirarmi un colpo secco sullo stomaco. Mi lasciò senza fiato, non  per la potenza, quanto per quello che scatenò dentro di me, aveva involontariamente schiacciato un interruttore. Mi aveva centrato sullo stesso punto in cui lo strigoi mi aveva colpito un secondo prima dell’arrivo di Nikolai ed eccola, a tradimento, quell’immagine che non riuscivo a cancellare mi si parò più vivida che mai. Il suo collo lacerato da quel mostro...

Stan/strigoi caricò un altro colpo che parai malamente. Lo deviai sbagliato e sentii il mio sopracciglio pulsare, mentre qualcosa di caldo mi colava lungo il viso. La sensazione di deja vu era sempre più forte come il mio respiro.

Cercai di focalizzare quello che mi circondava e la certezza che fosse un esercitazione e non quel ricordo.

“Rose”.

Christian urlò il mio nome e a fatica ritornai in me, ripetendomi che non era il passato e che Christian ne era la prova.

Cercai di regolarizzare il mio respiro ed eclissare quella rabbia cieca che già sentivo montarmi dentro, nei colpi che iniziai a sferrare al mio avversario una volta in me. Tutte le mosse che Dimitri mi aveva insegnato, mi passarono a flash nella testa e in due secondi uccisi fintamente lo Stan/strigoi.

Stavo sudando e non me ne ero neanche resa conto. Il silenzio che c’era attorno a me si trasformò in un boato, quando mi accorsi di avere più pubblico di quanto pensassi.

Arrivò Alberta che aiutò il guardiano Stan a rialzarsi, il quale mi guardava pensieroso.

“Non so cosa ti sia preso all’inizio, ma mi complimento con il tuo destro.” Era sincero, ma notai altro nel suo sguardo. Osai quasi dire preoccupazione.

Scrollai la tensione e il suo sguardo di dosso e cercai di sorridere, perché cavolo era riuscita a salvare il mio protetto, ma dovevo ammettere che era stato lui a salvare me. Se Christian non mi avesse svegliato dal mio stato di trans in cui stavo precipitando le cose sarebbero finite diversamente, lo sapevo.

Gli spettatori a poco a poco si diradarono e restammo solo io e il mio moroi.

“Tutto bene?” guardava il taglio sul mio sopracciglio.

Annui percettibilmente. Stan mi aveva concesso il permesso di andare in infermeria, per cui accompagnai il mio moroi dai donatori, dove avrebbe dovuto incontrarsi con Lissa, e lo lascia sotto la protezione momentanea di Eddie. Ero il suo guardiano e avevo comunque dei doveri a cui adempiere.

Mentre la dottoressa mi medicava la ferita, non facevo altro che pensare a Nikolai. Ero così convinta di averla supertata, che rendermi conto che invece non era altro che una bugia mentale, mi dava un stordimento continuo.

Lasciai l’infermeria senza neanche sapere se avevo salutato o meno la dottoressa, persa com’ero dentro di me.

La giornata sembrava non voler finire più, tanto che quando accompagnai Christian nel suo dormitorio la sera, ero sfinita come se avessi fatto una maratona.

“Ehi, Rose” mi disse, mentre me ne stavo andando. Mi voltai e restai in ascolto.

“Sei stata grande oggi”. Era sincero, e non ironico come sempre.

Alzai un pollice e gli sorrisi, poi me ne andai prima che aggiungesse altro.

 

Sulla strada del ritorno incontrai Adrian o meglio lui sbucò dal nulla facendomi prendere uno spavento, ero davvero ko.

“Ho sentito delle tue performance.” Mi sorrise sbarazzino.

“A quanto pare, ma ho solo fatto il mio dovere!”. Minimizzai.

Lui alzò le spalle e si incamminò al mio fianco.

“Dicono che metti paura” mi guardava di sottecchi.

Ghignai, ma lui mi osservava sempre più serio.

“La tua aura è un po’ scura…”

“E allora?” mi misi sulla difensiva.

Mi fermò per un braccio.

“Cosa ti corrode dentro?”.

Lo guardai spiazzata da quella domanda così diretta.

Nikolai. Mi sussurrava il mio inconscio.

Spostai il mio sguardo dal suo, era troppo da sorreggere.

“Perché mi tieni alla larga da te?”.

Mi voltai di nuovo verso di lui, non capendo, sembrava stesse per iniziare uno dei suoi deliri dallo sguardo che aveva. Mi guardava. Intensamente.

Mi teneva già per un braccio, mi afferrò anche l’altro avvicinando il suo viso di più al mio.

Che cosa stava succedendo?

Ero inerme e così stanca da non riuscire a reagire. Nel mio giorno migliore lo avrei già allontanato e magari pure messo al tappeto, ma in quel momento ero sfinita, sola e completamente confusa.

“Di cosa parli?” chiesi balbettando.

“Lo so che probabilmente hai ancora dei sentimenti per un’altra persona, ma sai come me che la cosa non avrà mai futuro”.

Mi irrigidii. E adesso perché mi diceva quelle cose?

“Io ti vedo dentro ricordi?” sorrise come imbarazzato di questo fatto. “Non lo faccio apposta, lo sai, ma resta il fatto che ti vedo. Vedo cosa provi costantemente, e quanto soffri. Io voglio lenire questo tuo dolore. Voglio aiutarti. So che posso, se tu ti lascerai aiutare…”

Non so come, iniziai a piangere. Le sue parole, dovevo ammetterlo, mi avevano toccato. Mi guardava così intensamente e lo vidi, si stava avvicinando. Voleva baciarmi. In cuor mio sapevo che se lo avessi baciato, sarebbe stato uno sbaglio, perché fingere di potermi buttare sulle sue braccia, non avrebbe cambiato il fatto che ogni fibra del mio essere amava Dimitri. Non so perché, ma sapevo che il mio amore per il mio mentore, era qualcosa più grande di me, di noi, di tutto. Eppure, Adrian si avvicinava ed io non mi scostavo, forse perché lui non me lo permetteva, forse io non me lo permettevo, ma io continuavo a piangere e lui si fermò.

Mi guardò sconsolato con i suoi occhi così limpidi. Mi dispiaceva per lui e per me stessa, per non potermi innamorare di lui.

“Il coprifuoco è attivo da mezz’ora!”

La voce imponente di Dimitri squarciò l’aria intorno a noi.

Adrian si staccò piano da me sospirando, per nulla intimidito dal tono di Dimitri, che si trovava alle sue spalle. Io ancora non l’avevo visto, eppure non presagiva nulla di buono.

Come Adrian si spostò, incrociai lo sguardo di Dimitri, sembrava calmo e furioso allo stesso tempo, ma quando notò che piangevo afferrò saldamente Adrian per un braccio.

“Che cosa sta succedendo qui?” tuonò.

Lo stava guardando con rabbia.

Mai avrei pensato di poter rimanere sconvolta di una cosa così. Sconvolta di Dimitri, che aveva agito prima di pensare.

Lui non lo faceva.

Mai.

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Capitolo 23
*** capitolo 23 ***


capitolo 23

Rullo di tamburi... siamo alla fine.

il prossimo capitolo che posterò sarà l'epilogo e spero davvero di non aver deluso nessuno. 

Gli addii li conservo per la prossima volta, per cui buona lettura e spero vi piaccia.

xoxo

CAPITOLO 23

 

 

 

Dimitri fissava Adrian con sguardo affilato, con una punta furente.

“Niente… purtroppo…” disse il moroi in un tono quasi da sbruffone, ma che però arrivò come un lamento.

Il sopracciglio di Dimitri fece un scatto leggermente percettibile, che non prometteva bene, per chi come me lo conosceva.

“Non succede niente” dissi io, prima che la situazione si fraintendesse più del dovuto.

Dimitri mi guardò per capire se gli stavo nascondendo qualcosa, perciò a mia volta lo fissai caricando il mio sguardo di tutta la sincerità possibile. Non so cosa ci vide, ma lasciò andare il braccio di Adrian.

Fece un respiro per calmarsi e tornò in se.

“Torni ai suoi alloggi, signor Ivashkov” fece Dimitri nella sua veste professionale

Adrian non sembrava capire la gravità della situazione o forse faceva finta a non intuirlo. Fece un passo indietro, ma non per andarsene, bensì per essere di nuovo rivolto verso di me.

“Rose… Dovevo provarci…” accompagnò la frase con una lenta alzata di spalle, come se infondo si aspettasse che le cose sarebbero andate così.

Lo guardai, ma non sapevo cosa rispondergli, amavo Dimitri e le cose non sarebbero mai cambiate. Non potevo sforzare dei sentimenti falsi per lui, non sarebbe stato giusto, per entrambi.

I suoi sembravano capire la mia silenziosa spiegazione e allora se ne andò, lasciando me e il mio mentore in un silenzio delicato.

Mi voltai a guardarlo e lui fece lo stesso, non sapevo se dovevo dire qualcosa o meno, perciò mi girai e mi avviai verso i miei alloggi.

L’aria era strana, un po’ elettrica, e le temperature andavano ad alzarsi. L’inverno stava passando.

Ormai ero arrivata, ancora una decina di passi e potevo dire fine a questa infinita giornata, ma all’improvviso sentii il profumo di quel dopobarba circondarmi e la sua mano afferrare il mio braccio e trascinarmi dietro a lui. Priva di qualsiasi volontà e scioccata che mi avesse rincorso, lo seguii attratta come una falena verso la luce.

Si inoltrò un po’ nel bosco e alla si fermò. La sua mano ancora stretta sul mio braccio.

Non fece cenno di muoversi. Io gli stavo dietro, il naso gli sfiorava di un millimetro il soprabito da cowboy che portava sempre e che io ora adoravo più che mai.

Tentai di muovermi, quando lui parlò.

No!”.

Guardai stordita la sua schiena, come se lo stessi guardando in viso.

“Cosa?” dissi, effettivamente, non capendo.

“No” ripetè lui, voltandosi.

Il suo sguardo un fuoco tenebroso di sentimenti.

 “Ho detto no. A Tasha.”

Il mio cuore perse un battito, e poi un altro.

Mi aveva davvero lasciato a bocca aperta, mai avrei pensato che sarei riuscita a sentire quelle parole uscire dalla sua bocca, nemmeno nei miei sogni. Eppure, stava succedendo, proprio ora.

Cercai di riprendermi ed essere sicura di aver capito giusto.

“Perché? Era la tua occasione di avere una famiglia” dissi di getto. “Lei è pazza di te”.

O cotta, come diceva sempre Lissa.

“Per un po’ ho pensato che avrebbe potuto funzionare, ma sapevo che in verità, l’avrei solo presa in giro”.

Come io con Adrian?

“Perché?” chiesi ancora, senza fiato dalle mille emozioni che mi sconvolgevano.

Eravamo rinchiusi in una bolla privata.

“Perché sapevo che il mio cuore non le sarebbe mai appartenuto…”

Mi guardava perforandomi l’anima. Tutto questo non aveva senso.

“Tu avevi detto…”

“Ho mentito!” disse agitandosi, le mani tra suoi splendidi capelli. “Tu… tu mi prendi come non mi è mai successo prima. Quel giorno avevi ragione” sorrideva sarcastico “…io mi domino, sempre. E tu, una ragazzina, eri riuscita a capirlo, eri riuscita a leggermi l’anima e questo, mi ha spaventato.”

Tacque un secondo, un minuto o forse ore.

“ Tasha è simpatica, intelligente e non mi avrebbe spaventato perché…”

E allora capii.

“Perché lei non ti capisce!” completai la sua frase. Tutte le sensazioni che mi dava e avevo su di lui erano sempre state vere, non erano mai state frutto della mia fantasia, come volevo credere.

Lui mi guardò svuotato del suo macigno.

“Quando a Natale mi ha chiamato con il mio diminutivo e ho visto la tua faccia, per un momento, ho provato quasi odio per lei, perché ti aveva fatto soffrire, anche se inconsapevolmente. Mi sono odiato anche’io, perché sono rimasto seduto”.

A lui era sempre importato. Questo mi bastò.

Mi bastò per sentire il mio cuore in parte riprendere vita, solo in parte però, perché alla fine c’era un’altra consapevolezza.

“Però non possiamo stare assieme”.

Lui mi guardò consapevole anch’esso. “No.”

“Tu il mio mentore, ed io una studentessa”.

Si avvicinò. “Si”.

La mia voce si incrinò.

“E fra pochi mesi tu sarei il guardano di Lissa, e sperando, anche io”.

Un altro passo. “Si”.

Era a pochi centimetri da me. Sentivo il suo calore fin dentro le ossa.

Azzardai un sospiro. “Fra pochi mesi…” e quindi non ora.

Stupendomi lui disse “Si”.

Si chinò con l’intenzione di baciarmi, con mia sorpresa mi tirai leggermente indietro. La sua sorpresa forse era più grande della mia.

“Hai detto che non avrei più dovuto farlo” sussurrai.

Gli stavo dando la possibilità di scegliere, di capire se lo voleva davvero o fosse solo una volontà presa dalla situazione.

“Te l’ho detto… ho mentito” sussurrò a sua volta, prendendo la sua decisione.

Per quei pochi momenti non ci furono più ostacoli tra noi. Solo Dimitri e Rose, che si volevano.

 

*

 

Ero felice, come forse non lo ero mai stata. Sapevamo che dovevamo tornare indietro, era da un po’ che eravamo nel bosco e per la prima volta incamminarsi verso l’ignoto, non fu poi così spaventoso come nel passato avevo temuto. Non sapevo che cosa aspettarmi da quella svolta, ma ciò non mi importava. Tutto quello che sentivo era il mio cuore battere gioioso e la mia mano stretta in quella calda dell’unico uomo che sarei mai riuscita ad amare così intensamente.

Ad un passo dalla vita reale lui mi attirò di nuovo a se e mi baciò ancora. Non avrei più potuto fare a meno dei suoi baci, lo sapevo.

Ci staccammo, cercando di regolarizzare i nostri respiri.

“Cos’è successo oggi durante l’attacco?” mi chiese tornando lentamente nei suoi panni da mentore.

“Cosa ti hanno riferito?” chiesi nella mia beatitudine.

“Nulla” mi disse tranquillo “Ti ho visto. Non me lo sarei mai perso”. Persi un battito.

Mi aveva tenuto d’occhio. Era una cosa che avevo relegato nel cuore, la paura che non sarebbe venuto a vedere il frutto dei nostri duri allenamenti. Lo amai, se possibile, più di un secondo prima.

“Cosa ti è preso? L’ho visto sai, lo spavento nei tuoi occhi.”

Mi incupii leggermente al ricordo delle sensazioni provate.

“Nikolai” dissi “La sua morte. Speravo di averla superata e invece…” lasciai morire la frase nel nulla.

Lui sorrise triste e mi accarezzò il viso. Non ero abituata a quel tocco delicato su di me, ma sapevo che ne avrei conservato il ricordo per sempre.

“Non penso ci riuscirai mai. Hai visto morire una persona importante, non sono cose che si dimenticano facilmente. Oh, Roza… solo il tempo ti aiuterà a convivere con questo, te l’avevo già detto, no?”.

Era una cosa che sapevo, ma detta da lui sembrava una cosa realmente possibile. Lui sapeva infondermi la forza per affrontare tutto.

Gli sorrisi.

Staccammo le nostre mani e ci incamminammo verso gli alloggi.

Questa disastrosa giornata sembrava voler terminare col lieto fine. Era tutto troppo bello, io ero troppo felice, era, davvero, tutto troppo… E la cosa iniziò ad innervosirmi.

Qualcosa non andava. Mi bloccai e Dimitri lo stesso. Si guardava attorno in allerta, quindi non era solo una mia impressione.

Provai a concentrarmi e notai una cosa.

“Troppo silenzio” dissi. Lui annuì.

Gli uccellini e gli altri rumore tipici del bosco circostante si erano zittiti in un secondo.

L’orribile soluzione ai nostri quesiti non tardò arrivare, con i suoi spaventosi occhi e l’aura di morte.

Gli strigoi stavano attaccando la St. Vladimir.

Ne vedemmo due, che a loro volta ci avevano visto. Ci attaccarono senza indugio.

Io non pensai e agii.

Come una cosa sola, io e il mentore combattemmo in sintonia come se lo facessimo da una vita. Io non avevo il paletto perciò, misi il mio strigoi in difficoltà fino a quando, dopo che Dimitri impallettò il suo, mise fine all’esistenza anche del mio avversario.

Ci guardammo attorno in attesa di vederne spuntare altri.

Lui mi strattonò, perché gli prestassi ascolto.

“Devi correre ad avvertire gli altri guardiani” annuii piena di adrenalina.

“Dì loro buria” disse con tutta la sua intensità.

Buria”. Ripetei.

“Corri”. Gridò.

Non persi tempo questa volta. Era una giornata di deja vù, ma ero ben conscia di quello che avevo attorno ora e non mi sarei più fatta prendere alla sprovvista dagli eventi.

Corsi a perdifiato attraverso l’accademia e appena sperai di essere udibile, iniziai a gridare quella parola. Buria.

Alcune luci si accesero, alcune porte si aprirono. Alberta fu la prima che incrociai.

“Rose” mi guardò accigliata.

Non persi tempo. “Gli strigoi ci attaccano. Buria!”

Com’era comparsa, Alberta, si era anche volatilizzata. Non sapevo quella parola quale processo avesse dato il via, ma il mio compito non era certo terminato qui.

Nel giro di qualche minuto i guardiani si erano suddivisi e si stavano già dividendo gli incarichi. I moroi erano da proteggere e questo era una cosa che sapevo anche io, ma sapevo anche che Dimitri era la fuori.

Corsi indietro per la strada che avevo fatto pochi minuti prima e quando uscii sotto il cielo stellato, rimasi sconvolta da quello che mi trovai davanti. La battaglia era già in atto. Cercai Dimitri con lo sguardo, ma non lo vidi. Tuttavia, mi balzò subito agli occhi un guardiano a terra la cui vita gli era stata da poco strappata. Provai una morsa d’odio per gli strigoi. Notai, poi, anche un’altra cosa: il suo paletto ancora nel fodero. Non ci pensai due volte, lo raggiunsi e presi la sua arma.

Tutta la stanchezza che pensavo di avere scomparve, e una forza crescente mi diede coraggio.

Speravo che Lissa fosse al sicuro, così come tutti. Andai verso l’alloggio dei moroi più vicino, e si trattava di quello dei bambini. Volevo aggiungere un membro in più alla linea difensiva.

Durante il tragitto incontrai uno strigoi, che mi prese piuttosto alla sprovvista, ma lo riuscii ad impalettare con una mossa strategica insegnata da Dimitri.

Poco dopo incontrai un altro mostro che però non si lasciò sopraffare come quello appena trovato. Era più grosso e decisamente più forte. Non ci pensò molto e mi attaccò usando, ovviamente, tutta la sua forza. Usava gambe e braccia con una velocità davvero estenuante.

Riuscii a tagliarlo su un braccio facendolo gridare e arrabbiare di più.

Mi colpì forte su una spalla facendomi cadere.

Ok, stavo iniziando a sudare freddo.

Mi preparai ad infilzare il mio avversario in qualsiasi punto possibile, quando improvvisamente prese fuoco, come una torcia. Le sue grida erano orribili e fastidiose, ma nel girò di poco morì.

Mi guardai soprafatta intorno. Sapevo che viso cercare, ed eccolo lì. Christian.

La sua faccia era seria e coinvolta.

“Dovresti essere al sicuro negli alloggi!”.

Lui sbuffò.

“Un grazie no, eh?”.

Mugugnai qualcosa, ma lui parlò ancora.

“E’ la mia vendetta personale…”

Diceva sul serio. Era davvero sicuro di quello che stava facendo. Aveva caricato in quelle parole, tutto il risentimento che fin da piccolo si portava dietro, a causa di scelte non sue.

Ci guardammo ancora una volta negli occhi e credo pensammo alla stessa cosa. Le mie doti e le sue doti.

Annuimmo contemporaneamente e iniziammo a cercare gli strigoi affannosamente.

Ucciderli, grazie all’aiuto di Christian, era davvero un gioco da ragazzi.

C’erano molti strigoi che tentavano di entrare negli alloggi dei moroi giovanissimi e altrettanti erano anche i guardiani, tra cui Dimitri. Ero felice di sapere che stesse bene.

Combattemmo per un po’ con tutte le nostre forze, fin quando notai che Christian stava per cedere, aveva esaurito tutte le sue energie e allora gli dissi di mettersi in salvo.

“Posso continuare” urlò offeso.

Lo strattonai.

“Hai dimostrato il tuo onore, ora ti prego raggiungi gli altri moroi.”

Perse concentrazione ed io anche. Uno strigoi lo attaccò alle spalle, lo scostai malamente facendolo cadere brutalmente a terra e mi trovai così messa in svantaggio nei confronti di quel mostro.

Iniziavo a perdere lucidità, l’adrenalina era andata a calare e tutta la stanchezza accumulata nella giornata si stava facendo sentire, proprio nel momento peggiore.

Lo strigoi mi tirò un pugno al viso che mi fece accasciare a terra.

Sarei morta, lo sapevo. Già una volta mi ero trovata a faccia a faccia con quella che credevo sarebbe stata la mia ora, e forse, da quella volta, l’avevo solo prolungata.

Le forze mi avevano ormai abbandonata. Non sentivo più i rumori della battaglia, a parte il distante battito del mio cuore. I miei occhi si tenevano aperti a fatica, eppure ancora resistevano e sapevano, che non erano quegli occhi rossi che volevano guardare, non sarebbero stati quelli, l’ultima cosa che avrei visto. Voltai lo sguardo in quella che ero certa essere la direzione giusta, me l’aveva indicata il cuore. Ed eccolo lì. Dimitri stava correndo verso di me e mi tendeva la mano. Ero conscia di essere troppo distante e lo era anche lui.

I suoi occhi incontrarono i miei, ed ecco cosa volevo vedere: il suo amore per me. Non mi bastava altro. Me ne andavo sapendo di aver amato e di essere stata amata.

“Ti amo”  pensai di sussurare, poi l’oscurità calò su di me.

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Capitolo 24
*** epilogo ***


epilogo

Ringrazio chiunque abbia seguito questa mia storia. È stata una illuminazione di una notte e l’ho scritta di getto. Ho adorato Dimitri e Rose in ogni libro e questo è stato solo un modo per riviverli ancora una volta.

Spero davvero di non aver deluso nessuno e detto questo vi saluto e vi ringrazio ancora una volta.

Xoxo

Deba

 

 

 

 

 

EPILOGO

 

 

Dimitri

 

 

Baia.

Erano anni che non tornavo a casa. Il mio villaggio natale si era modernizzato dall’ultima mia visita. La via centrale del paese aveva aperto nuovi ristoranti e nuovi negozi, tuttavia, l’aria di casa era sempre la stessa. Il paesaggio circostante immutato. Era estate ora, i boschi verdeggianti e l’aria tiepida.

Sorrisi al ricordo di quando Rose disse, che vivevo circondato da neve e ghiaccio. Era così sicura di ciò. Ricordo che disse, che la prima cosa che avrebbe fatto uscita dall’accademia, sarebbe stata venire a visitare la mia terra ed io, in quello stesso istante, ci avevo creduto davvero. Quegli occhi erano stati sinceri all’epoca e proprio quegli stessi occhi, ora, mi scrutavano ad un paio di passi da me. Avevamo mantenuto entrambi la promessa.

Da un po’ di tempo ormai, il mio hobby preferito era diventato capire cosa il suo cervello stesse elaborando. Il più delle volte mi sorprendeva sempre, anche se lei era certa che io le leggessi la mente.

“A cosa pensi?” le chiesi tranquillo, come solo con lei riuscivo ad essere. Me stesso.

Lei sorrise colta come sul fatto.

“I tuoi occhi brillano. Sei contento di essere qui”.

Era raggiante e lei non riusciva a capire che i miei sentimenti erano un riflesso dei suoi.

“Lo sono.”

Mi sorrise ancora e procedetti a piedi attraverso la città in cui ero cresciuto, con lei al mio fianco. Una cosa che solo tre mesi prima non avrei creduto possibile.

Ricordo come fosse ieri la prima volta che la vidi. Il funerale del nostro stesso mentore. Lei era così spenta, così spaventata e così bella. Sapevo chi era e cosa aveva fatto, eppure a colpirmi di più, furono quegli occhi, così profondi, così intelligenti, che cercavo a tutti i modi di leggere già all’epoca.

Innamorarmi di lei fu facile, ammetterlo a me stesso per niente.

C’era così tanto a bloccarmi, l’età per esempio o il fatto che fossi un guardiano della sua accademia. Ero più che certo che la gente non avrebbe capito, ma fortunatamente, cambiai idea grazie a lui. Lui che fu importante per entrambi noi, il guardiano Lazar.

È una semplice frase che serbo segreta dentro di me: a tessere la tela del tuo destino, sei solo tu.

 

Sapevo il potere che Rose esercitava su di me, e quando mi chiese di diventare il suo mentore le disse subito di no. Dovevo evitare di creare qualsiasi sorta di legame tra noi, ma c’era poco da fare, mi accorsi, che c’era già. Inspiegabilmente c’era già. Il fatto che lei mi evitasse, mi feriva, e non volevo ammetterlo, ma per fortuna trovai una scusa a me stesso e le dissi di si.

E’ una delle scelte di cui sono stato più sicuro. Come quella con Tasha. Avrei fatto uno sbaglio enorme se avessi detto di si, avrei reso infelice lei e me. Io incapace di contraccambiarla e lei costretta ad una vita senza amore.

Ebbi, infine, la certezza di aver fatto la scelta giusta in quell’istante, quando la mia Roza stava per essere colpita da quel strigoi. Era come se stessero per uccidere me, mi era passata davanti la mia intera esistenza e tutto ciò a cui pensavo era,di non aver avuto ancora la possibilità di viverla, la mia piccola dhampir. Lei mi aveva guardato con uno sguardo carico di tutto l’amore che provava per me e lì, mi fu chiaro, che non avrei potuto vivere senza di lei.

Avevo lanciato il mio paletto con tutta la forza possibile e fu abbastanza per fermare quel dannato, che presto morì grazie alle ultime energie del moroi Ozera. Un ragazzo coraggioso a cui devo la mia felicità e tutta la mia più sincera ammirazione per il lavoro svolto durante l’attacco strigoi. Fu soprattutto grazie a lui, che quella notte riuscimmo a ricacciare indietro gli strigoi, spaventati dal suo talento.

 

“Ho paura” disse Rose, mordicchiandosi nervosamente un unghia.

La guardai interrogativo, ritornando al presente.

“E se non dovessi piacere a tua madre?”

Risi per quell’intervento. Solo lei poteva sconfiggere senza timore dieci strigoi alla volta, e farsi prendere dal panico per una cosa così.

L’attirai a me, mettendo un braccio attorno alle sue spalle. Una sensazione a cui non ero ancora abituato, ma che mi piaceva, mi piaceva molto.

“Non potrà essere altrimenti. Sei riuscita a riportare a casa il figliol prodigo, te ne sarà grata in eterno.”

Anche lei sorrise solare, poi si guardò attorno e sospirò.

“Sono sicura che anche a Lissa sarebbe piaciuto questo posto”.

La strinsi di più a me, sapevo quanto le mancava l’amica.

“E chi dice che non potremmo portarla? Chissà, magari un giorno, il tuo moroi e il mio vorrebbero venire a farsi una gita in questi posti, no?”

La possibilità che io e Rose fossimo assegnati entrambi a Vasilisa era un altro fattore contrario e che mi aveva bloccato ad una nostra ipotetica relazione. E a metterci lo zampino, come se non bastasse, ne era intervenuta perfino la regina in persona, che fino a prima rispettavo come un Dio.

Fortunatamente riuscimmo ad aggirare l’ostacolo, e ci avvalemmo dell’intelletto.

Christian Ozera fece domanda perché diventassi il suo guardiano ed io, ovviamente, accettai e Rose fu di conseguenza assegnata a Vasilisa.

La mia Roza… dopo l’attacco strigoi si era ripresa alla grande e aveva superato l’esame finale brillantemente, una delle migliori novizie, che l’accademia avesse mai visto.

Infine, vedersi non sarebbe stato più un problema, dal momento in cui che Vasilisa si era scoperta in attesa di un bambino. La loro felicità era palpabile, quando li si guardava e mi chiedevo se fosse lo stesso vedendo me e Rose dall’esterno.

I due si sarebbero sposati la settimana prossima, il giorno prima dell’inizio ufficiale del nostro incarico come guardiani ed io e la mia Rose avremmo presenziato a testimonianza del loro amore.

Adrian Ivashkov, il quale non riuscivo ancora a digerire per il fatto che avesse provato a baciare Roza, ci aveva informato che la regina aveva dato in escandescenza quando aveva saputo la notizia della gravidanza di Vasilisa e il conseguente matrimonio. Lui era ritornato a corte e si era offerto di tener d’occhio la regina Tatiana, non sapendo le reali intenzioni della stessa a riguardo. Lui doveva molto a Vasilisa e le era debitore. Noi, a nostro modo, ci saremmo mantenuti sempre allerta. Non so di preciso come, ma Rose, aveva un informatore fidato tra i guardiani reali, solo lei poteva essere così brillante.

 

Eravamo tutti pieni di entusiasmo per la vita che ci si stagliava davanti. Io per primo mi ero ritrovato sorpreso di quanto in quest’ultimo anno fossi cambiato. Avevo scoperto di aver ancora tanto da apprendere, ancora tanto da dare. Il nostro percorso era solo all’inizio e insieme a Roza ero certo che avrei vissuto ancora tante avventure come quella che si stava parando proprio di fronte a noi.

Eravamo giunti davanti alla casa di mia madre.

“Pronta?” le chiesi ironico.

“No” disse ovvia.

Risi. “Ti amo, Roza”.

“Mi sembra il minimo” disse burbera.

E risi ancora, e ancora. Non c’era nessuno come lei. Non ci sarà mai nessuno come noi.

 

The end

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