Hey There Delilah

di tswizzle3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il diario ***
Capitolo 3: *** Quel ragazzo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 Prologo

Quel giorno pioveva particolarmente forte. Lo intuivo dal gran rumore che proveniva dall’esterno, non potevo vederlo perchè le mie persiane erano perennemente chiuse, la mia stanza era completamente, sempre buia; non volevo la luce, non volevo che nessuno mi disturbasse, stavo tutto il giorno sul letto, mangiavo pochissimo, non volevo vedere nessuno. Mia madre ogni tanto mi portava qualcosa da mangiare, ma la mia fame non aumentava mai, e mi accontentavo di qualche cosa ogni tanto, il mio stomaco era chiuso. Quella non era la mia casa, o meglio, lo era stata, ma io poi ero andato a vivere in un’altra casa, più grande, con la mia nuova famiglia. Ma dopo quello che è successo, sono tornato da mia madre. Mia sorella si era trasferita a Londra per studiare, quindi in casa c’erano solo mia madre, io e mia figlia. Aveva quattro anni e si chiamava Delilah. Era meravigliosamente carina, bionda e con due bellissimi occhi verde-acqua, un misto armonico fra i miei e quelli di sua madre. Era tantissimo che non la vedevo, avevo chiesto a mia madre di non farla entrare, o meglio, gliel’avevo imposto. Erano mesi che io ero in quello stato, uscivo dalla stanza pochissimo, solo nelle ore in cui la casa era deserta, e poi tornavo sul letto. Delilah, che non sapeva che io non volevo vederla, si intrufolò in camera mia mentre, come al solito, stavo straiato sulle coperte a fissare il soffitto. Saltò sulla mia pancia scoppiando a ridere, e si aspettava da me la stessa reazione. Come una volta. Come quando giocavo con lei per tutto il giorno. Invece stessi zitto.
 –Papà, perchè non giochi più con me?- Domandò dispiaciuta.
-Vattene- Risposi io serio.
-Ma io vorrei giocare con te ...- Continuò lei, sempre più desolata, non comprendendo la mia tristezza.
-Vattene via, Delilah, vai di là a giocare- Nonostante le mie parole, rimase ferma seduta sul mio ventre, fissandomi in attesa di una mia risata, si aspettava che io, come sempre prima di allora, mettessi via il broncio e la stringessi forte a me facendole il solletico. Allora iniziai a urlare, irritato, non volevo vederla, lei scoppiò a piangere, io ero fuori di me, mia madre entrò preoccupata e portò via la bambina. Quando spense la luce, io scoppiai in un disperato e silenzioso pianto. Amavo mia figlia con tutto me stesso, ma vederla mi procurava un dolore maggiore che rinunciare alla sua presenza. Mi ricordava lei. Mi ricordava mia moglie, in tutti i suoi tratti, bellissima, e così simile alla nostra bambina. E questo mi faceva soffrire. Dopo qualche minuto entrò mia madre, e si sedette sul bordo del mio letto, mentre io ero girato di schiena e fissavo il muro, di modo che lei non potesse vedere il mio volto rigato dalle lacrime.
-Perchè devi fare così?- Chiese lei accarezzandomi la nuca. –Lei non ne può niente. Le fai solo del male, e ne fai altrettanto a te. Ti ricordi cos’ha detto la psicologa ...- Sussurrò prima della mia interruzione.
-Io non ho bisogno di essere curato, non voglio andare dalla psicologa, odio tutti voi che cercate di farmi dimenticare tutto e sperate che io torni come prima-
-Non voglio che tu ti dimentichi di lei, non è possibile, non è giusto. Noi vogliamo solo aiutarti a vivere diversamente questa cosa-
-Allora lasciatemi in pace-
-Vorrei chiederti una cosa ... lo so che non hai voglia di parlarne, ma mi servirebbero le foto di quando Delilah era piccola ... e anche quelle di sua madre ... Sai, all’asilo stanno facendo un album in cui mettono le foto dei bambini dal giorno della nascita ad adesso, per poi portarlo a casa e continuarlo, e Delilah vorrebbe le foto di sua madre. Se mi dici dove sono vado a prenderle io-
-Domani te lo dirò, ora lasciami dormire in pace-
Mia madre si alzò e mi lasciò nuovamente solo. Guardai l’orologio. Erano le 8 passate. Non avevo fame. La richiesta di mia madre mi aveva chiuso lo stomaco più di quanto già lo fosse. Ero sollevato dal fatto che lei si fosse offerta di togliermi l’amaro compito di andare a cercare foto di mia moglie, perchè era l’ultima cosa che mi andava di fare.
Mi svegliai nel cuore della notte, come sempre, dopo il solito sogno che mi tormentava, come sempre. Io Delilah e mia moglie su una spiaggia dal mare cristallino e la spiaggia bianchissima, a ridere e scherzare, come una famiglia. A un certo punto mia moglie si alzava, e noi le chiedevamo dove stesse andando.
-Devo andare- diceva lei sorridente, nel suo leggero vestito bianco. Sembrava una dea. Continuava a sorridere, dandoci le spalle, e poi voltava la testa verso di noi, per continuare a guardarci mentre camminava verso il mare. Io provavo ad alzarmi, ma non riuscivo a staccarmi dalla sabbia. Delilah scoppiava a piangere, e quella meravigliosa spiaggia si trasformava in luogo oscuro e orribile, il cielo si copriva di nuvole e inizia a diluviare, tuoni e fulmini, freddo e vento, io prendevo Delilah terrorizzata fra le braccia, e guardavo verso la riva. Non vedevo più mia moglie, o forse c’era, ma la pioggia offuscava la mia vista. Il sogno poi si spostava sul divano della nostra casa, c’eravamo solo io e lei. Prendeva il mio volto fra le mani e con un sorriso angelico e sereno sussurrava: -Devo andare- E il sogno si interrompeva, e io mi svegliavo, senza mai sapere la destinazione del suo viaggio.
E così anche quella notte. Dove dovevi andare, Sophie, dove dovevi andare? Mi chiedevo in preda alla disperazione, ma soprattutto, perchè dovevi andartene?
Mi misi seduto, passandomi una mano fra i capelli. Erano decisamente un po’ troppo lunghi, era tanto che non li tagilavo. Anche la barba l’avevo un po’ troppo lunga, ma non me ne curavo affatto, l’aspetto non era il mio problema principale. Con l’immagine di Sophie sorridente in testa, decisi che dovevo andare io a prendere le foto per mia figlia. Non l’avrei mai fatto prima, ma quella notte, non so cosa, qualcosa mi condusse fino alla soffitta impolverata. Il cielo si era completamente rasserenato, e una luminosissima luna piena inondava la stanza dalla finestra sul tetto. Mi ricordai che Sophie aveva un bauletto in cui riponeva le sue cose, qualcuno doveva per forza averlo portato a casa di mia madre, perchè era lì su uno scaffale, e sembrava quasi chiamarmi. Lo presi in mano facendo un respiro profondo e mi sistemai nel rettangolo di luce sul pavimento. Era di legno rosso, con le sue iniziali incise sul coperchio. Passai la mano sulle lettere, e prima che potessi accorgermene, avevo già gli occhi pieni di lacrime. Non era uno sforzo da poco per me andare volontariamente a ripescare ricordi che avevo cercato di soffocare. In qualche modo avevo cercato di dimenticarla, ma finchè ci provavo era davvero impossibile riuscirci, perchè il pensiero di lei invadeva la mia mente ogni secondo. Dopo un altro profondo respiro, aprii il bauletto e abbassai lo sguardo per osservarne il contenuto. Lo sapevo, erano cose sue private, ma ... in qualche modo sapevo che potevo farlo. Al suo interno, per quello che potevo vedere attraverso gli occhi completamente bagnati, c’era un blocco di foto tenuto insieme da uno spago, e altre decine di fogli. Dopo essermi asciugato le lacrime, presi le foto, sfilandole dallo spago. La prima era una foto di me e Sophie il giorno del nostro matrimonio. 






 Spazio autrice
Ho ritrovato questo capitolo per caso in una cartella del pc, ed è un'idea che ho in testa da tantissimo, quindi penso che sia ora di pubblicarla, sperando che a qualcuno interessi! Ovviamente continuerò anche l'altra, ma questa è davvero troppo che circola fra i miei file, e ora voglio svilupparla; ditemi voi se pensate ne valga la pena.
Ovviamente, le recensioni sono graditissime, ditemi che ne pensate di questo breve prologo!
Grazie : )

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Capitolo 2
*** Il diario ***


Il diario

Una parte di me mi diceva che non ce l’avrei mai fatta a ripercorrere tutti quei ricordi, e avrei fatto meglio a lasciar fare quel lavoro a mia madre, ma un’altra parte mi impediva di lasciar perdere quelle foto. Ce n’erano un sacco, e rappresentavano tutti i momenti importanti della vita di Sophie, dalla sua nascita, alla foto con le sorelle, poi lei tra le braccia del padre, poi ancora un’altra del primo giorno di scuola. Quella che mi colpì fu un ritratto di quando avrà avuto più o meno sedici anni, forse era poco prima che io la conoscessi. Fissava la macchina fotografica con uno sguardo talmente magnetico e penetrante da sembrare quasi inquietante, i suoi bellissimi occhi azzurri catturavano sempre l’attenzione di tutti, e i suoi lunghi capelli biondi la rendevano meravigliosa. Io le dicevo sempre che era la mia principessa, e lei ogni volta con una battuta diceva che non era vero, che non era bella come dicevo io, e fingevo di arrabbiarmi, ma un po’ ci rimanevo male. Davvero non ce la facevo a farle capire quanto fosse stupenda, sembrava non capirlo, o forse non riusciva ad ammettere di avere qualche pregio, era sempre stata molto, forse troppo umile. Forse era stata colpa mia se non si sentiva abbastanza, forse non ero stato abbastanza convincente. “Forse” era la parola che più mi tormentava da quando se n’era andata, avrei tanto voluto avere meno dubbi e più certezze.
Presi in mano una fotografia che ritraeva me, Sophie e Delilah in ospedale, il giorno della nascita della bambina. Eravamo una bellissima famiglia, e quel giorno sentivo davvero che la mia vita si era realizzata. Mi sentii in colpa per come in quel periodo stavo categoricamente escludendo mia figlia dalla mia vita, ma mi riusciva ancora difficile averla intorno, mi ricordava troppo mia moglie e proprio non riuscivo a trattarla bene. Sapevo che un giorno sarebbe stato tutto diverso, ma quel giorno sembrava non arrivare mai, forse perchè qualsiasi cambiamento dipendeva unicamente da me e la mia forza di volontà era pari a zero.
Presi un braccialetto che giaceva fra i mille fogli, e lo riconobbi subito: era stato il primo regalo che le avevo fatto. Eravamo a una fiera di paese, lo vidi ad una bancarella e glielo presi, ed erano rari i giorni in cui non lo portava. Ormai era logoro, un tempo era una treccia di cuoio blu, ma con gli anni si era sbiadito sempre di più. Che bella serata che era stata quella della fiera, ci eravamo messi insieme da poco, lei avrà avuto sedici anni e io diciotto, ero terribilmente nervoso, non sapevo ancora come comportarmi con lei. Sophie invece era molto più spigliata, o meglio, apparentemente era molto disinvolta, ma in realtà non era molto estroversa, semplicemente sapeva fingere bene. Eravamo entrambi abbastanza introversi, ma non perchè non ci piacessero le persone, piuttosto perchè davamo più importanza al tempo passato per conto nostro. Spesso Sophie spariva per delle ore, e se subito mi preoccupavo, presto capii che semplicemente si era isolata nel suo mondo, probabilmente stava passeggiando o stava solo riposando in giardino, e non voleva essere disturbata. Aveva sempre un’aura di mistero intorno, lo pensavamo tutti. Era molto spontanea e altruista, ma c’era una parte di lei a cui nessuno riusciva mai ad accedere, sembrava nascondere molte cose, sapeva tenersi dentro tutto. Non era menefreghista, apprezzava l’aiuto e il sostegno delle persone che amava, ma spesso siccome le amava non voleva sovraccaricarle con i suoi problemi. Si potrebbe pensare che io la stia idealizzando, ora che non c’è più: non credo, perchè ricordo ancora i suoi difetti, non nego che spesso litigassimo anche per stupidaggini. Era abbastanza permalosa, non aveva mai voglia di spiegare cosa non andasse, e a volte tendeva a fare la vittima, specialmente quando io, magari nervoso, mi arrabbiavo con lei per qualcosa. Ecco, in quei casi era bravissima a farmi passare immediatamente dalla parte del torto.
Spesso mi ritrovavo a pensare come sarebbe stata Delilah crescendo, se sarebbe diventata come sua madre. Ma piuttosto mi chiedevo sempre come sarei riuscito a crescerla da solo, come avrei riempito il vuoto che apparteneva alla perdita della madre. Crescendo avrebbe avuto necessità e bisogni di fare cose che si fanno con le madri, e io cosa le avrei detto? Magari, anzi, molto probabilmente gliele avrei fatte fare lo stesso, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Non sarei stato un bravo padre, mi immaginavo già per sempre alle dipendenze di mia madre, Delilah sarebbe cresciuta in una famiglia strana, con un giovane padre assente e una nonna che si sarebbe fatta in quattro per far quadrare tutto. Non mi piaceva essere di peso a mia madre, odiavo non riuscire a essere indipendente, ma ero consapevole che innanzitutto non sarei voluto tornare nella casa mia e di Sophie, e inoltre che da solo non avrei fatto nulla di buono. Passavo le giornate sdraiato a letto, ma non a far nulla, a pensare, a riflettere, a sentirmi stupido, a cercare di ricordare la voce di Sophie, a cercare di sentirla vicina. È così che dicono, “sarà sempre con noi”, ma io non la sentivo, e mi mancava.
Spostai altri fogli, che non aprii, fino a raggiungere uno spessissimo quaderno rivestito in cuoio, e completamente ricoperto di adesivi raccolti in chissà quanti viaggi e avventure. Era un diario, me ne accorsi subito; strano, non mi ero mai accorto che Sophie ne tenesse uno. Ecco, l’ennesimo esempio di quante cose riuscisse a nascondere. Decisi di aprirlo, per leggere almeno qualcosa. Non era carino da parte mia leggere il suo diario. Ma erano le ultime parole che potevo sentire da lei, e tutto quello che stava succedendo mi sembrava una sorta di chiamata da parte sua a non dimenticare niente, era come se mi stesse dicendo che continuava a pensarmi, anche se non era più con me.
Feci un respiro profondo, poi aprii finalmente quel diario, ed era come se un enorme onda di ricordi mi si schiantasse in faccia. Faceva male, ma volevo e dovevo farlo, lei non doveva essere dimenticata.
 
19 maggio
Caro diario,
non ho mai avuto un diario, e non so se sarò molto costante nello scrivere cosa succede.
Mi sembra un po’ infantile tenere un diario, ma proviamo, magari sarà interessante.
Mi chiamo Sophie Alison Collins, ho 16 anni e abito a Holmes Chapel, che è un paese non molto grande, ecco, diciamo che non è affatto una metropoli, ma il mio mondo è qui, perciò mi piace. Ho due sorelle, Lily, che sarebbe il soprannome di Elisabeth, e Sarah, più piccole di me, che sono tanto carine quanto pestifere. I miei genitori si chiamano Peter e Claire, sono un po’ noiosi ma tutto sommato posso dire che la mia famiglia non è niente male.
Comincio subito col dire qualcosa in più, magari quando sarò grande e tornerò a leggere queste cose le troverò strane e forse buffe, in ogni caso voglio documentare il più possibile della mia vita, voglio lasciare un segno.
Oggi a scuola Luke si è seduto vicino a me. Luke, per la cronaca, è il ragazzo che mi piace da circa due anni, da quando il primo giorno di liceo l’ho visto entrare in classe. È un angelo, praticamente, capelli biondi e occhi azzurrissimi. È simpatico, è apprensivo e intelligente, è perfetto, e, cosa strabiliante, è mio amico, o meglio, è uno dei miei migliori amici. Non ho molte amiche femmine, sono molto legata a una che si chiama Lauren, e poi tra le altre persone di cui mi fido c’è Luke. Ovviamente non gli ho mai detto niente, per paura di rovinare la nostra amicizia, però mi è sempre piaciuto da morire.
Stavo dicendo, oggi si è seduto accanto a me. Abbiamo iniziato a parlare, e a un certo punto ha iniziato a raccontarmi della festa dello scorso weekend, a cui io non sono andata, mi ha detto di aver baciato Lauren. È stato un pugno nello stomaco. Lauren sapeva benissimo quanto a me piacesse Luke. Ho fatto comunque finta di niente e ho continuato ad ascoltare. Lui mi chiedeva consigli, era interessato a continuare a frequentarla, e io come una stupida ancora lo aiutavo! Lo so che può sembrare una sciocchezza, ma per me era importante. Non ho mai avuto un ragazzo. Lauren è così bella che li ha tutti ai suoi piedi, e doveva proprio mettersi con quello che piace a me.
-Ma sei sicuro di piacerle?- chiesi io, sperando per il meglio.
-Certo, mi ha baciato lei, e dopo la festa mi ha chiesto di uscire, ma io non so come comportarmi, per questo ti ho chiesto aiuto.- rispose, passandosi una mano fra i capelli.
-Beh, sai che c’è? Che la tua ruota di scorta, l’amica che cerchi solo quando hai bisogno, non ha proprio voglia di stare a sentirti, tu e quella potete fare quello che vi pare, ma per favore, lasciatemene fuori.- sbottai, prendendo la borsa e uscendo dalla classe. Non sapevo dove andare, mancava ancora un’ora alla fine della mattinata. Andai a cercare il professore, e gli dissi che non stavo tanto bene, se potevo andare in bagno. Lui mi disse di non preoccuparmi, e io mi considerai autorizzata a passare tutta l’ora in quella stanzetta dalle mattonelle imbrattate da lettere e cuori che testimoniavano dichiarazioni d’amore. Che schifo l’amore. Oggi mi sono davvero accorta di quanto sia stupido innamorarsi di qualcuno. Quando si prova un sentimento serio non si è mai ricambiati, perchè?!
Non so cosa fare. Questa mattina sono tornata a casa senza salutare i miei compagni, ma domani li rivedrò. Vedrò Luke e Lauren insieme, e sarà orribile. Come dovrò comportarmi? Cosa farò? Dovrei parlare a Lauren? Odio avere tutte queste domande, odio dover perdere le due amicizie che per me avevano più importanza.
Penso che mamma e papà si siano accorti che c’è qualcosa che non va, ma per fortuna Lily e Sarah, che per la cronaca hanno rispettivamente nove e sette anni, hanno pensato ad attirare la loro attenzione facendo come al solito un gran baccano.
Mi sento sola. Da chi andrò domani mattina? Mi sento tradita, Lauren sapeva tutto e non mi ha detto nulla.
Non ho voglia di andare a scuola domani, di vedere tutti, di fingere che vada tutto bene. Perchè la gente pugnala sempre alle spalle? Perchè io mi fido sempre di tutti?
Buonanotte,
Sophie

 
Non sapevo nulla di quella storia, e mi dispiaceva per Sophie, sicuramente non era stato bello sentirsi tradita dai propri migliori amici. Quando aveva scritto quella pagina noi probabilmente non ci eravamo ancora incontrati, o forse ci eravamo solo involontariamente incrociati nei corridoi della scuola. Io frequentavo l’ultimo anno, lei il terzo, e io sinceramente prima di conoscerla non l’avevo mai sentita nemmeno nominare. Ero abbastanza popolare, anche se non sempre mi piacevano le ragazze a cui piacevo io, diciamo che non mi piaceva passare da una ragazza all’altra, se non quando ero più piccolo e non sapevo ancora cosa volevo. In quel periodo probabilmente non mi sentivo con nessuno, anche perchè, siccome non ero molto bravo a scuola, passavo il tempo libero a studiare, avrei avuto l’ultima sessione di esami e poi sarebbe finito tutto. Non sapevo ancora cosa fare della mia vita, se avrei continuato a studiare o no, ero un po’ confuso a riguardo, e forse sinceramente nemmeno ci pensavo troppo. Neanche a dirlo, questo era uno degli argomenti principali delle litigate che avevo quasi quotidianamente con mia madre, perchè mia sorella era bravissima a scuola, stava studiando al college, mentre io ero la pecora nera della famiglia.
Voltai pagina, il diario era decisamente spesso e mi ci sarebbe voluto un po’ per leggerlo.
 
20 maggio
Che nervi. A quanto pare ieri sera Luke e Lauren sono usciti, me li immagino già tra poco tempo a fare coppia fissa.
Ovviamente stamattina mi sono seduta il più lontano possibile da quei due, soprattutto da Lauren, è lei che mi ha deluso da morire. Era seduta vicino a Luke, ed entrambi non sembravano preoccuparsi più di tanto di me. Mi sento terribilmente inutile, dimenticata, mi sento stupida. Dopodomani cominceranno gli esami, e questo significa solo una cosa, quest’anno sta per finire e io potrò passare un po’ di tempo in santa pace lontano da tutto e da tutti. Mi sento sola. Non so come farò a levarmi Luke dalla testa, e non so come farò a perdonare Lauren, so che lo farò ma non so come.
 
3 giugno
Gli esami sono finiti, spero siano andati bene. Ovviamente ora Luke e Lauren sono la coppia dell’anno, neanche a dirlo. Che rabbia, non so che dire, sono veramente delusa. Oggi ho incontrato un ragazzo, che se non sbaglio avevo già visto da qualche parte, probabilmente faceva l’ultimo anno della mia scuola. Ero al parco da sola, come molte altre volte stavo facendo una passeggiata per conto mio, quando ad un certo punto sento qualcuno che mi tocca sulla spalla. Mi sono spaventata, poi mi sono voltata e ho visto un ragazzo con qualcosa in mano, che mi guardava con un paio di splendidi occhi verdi.
-Questa forse è tua, ti è caduta mentre stavi camminando- sorrise, mentre io arrossivo e lui mi porgeva la mia collana preferita, quella con il cordino di cuoio e un ciondolo in legno.
-Grazie, sì, è mia- risposi imbarazzata, riappropriandomi dell’oggetto.
-Tutto bene, hai bisogno di qualcosa?- mi domandò, forse accorgendosi dei miei occhi arrossati perchè poco prima, come accadeva spesso in quei giorni, avevo pianto.
-Sì, tutto bene, grazie. Buona giornata- risposi, tornando sui miei passi, non volevo dare confidenza ad una persona che conoscevo da nemmeno un minuto, non lo facevo nemmeno con chi conoscevo da lungo tempo, figuriamoci con lui.
Però era così bello. Aveva dei capelli ricci e castani, e i suoi occhi erano qualcosa di meraviglioso. Penso che non me li toglierò facilmente dalla testa. Mi sento una bambina, dovrei sapere che non lo rivedrò mai più.
 

Sorrisi, perchè quel ragazzo ero io. Ricordavo quel pomeriggio, anche a me era rimasta impressa quella ragazza dagli occhi arrossati che camminava da sola nel parco, ma forse, essendo un maschio, ricordavo meno dettagli, mentre lei ricordava veramente ogni singola cosa.
Decisi di continuare a leggere, nonostante mi sentivo sempre sul punto di commuovermi, perchè tra poche pagine sarebbe sicuramente arrivata la mia parte preferita.




 Spazio autrice
Dopo secoli infiniti ho aggiornato questa storia, che 25 persone hanno letto, e per me è un gran successo. Vi prego con tutto il cuore, se vi va, di lasciare una recensione. Mi sta piacendo scrivere questa storia, era una vita che avevo questa trama in mente. 
Mi fate sapere che ne pensate?
p.s. un momento di comune festeggiamento per la fine delle scuole. ERA ORA. Che scuola fate? Io il classico, e quest'anno è stato abbastanza difficile, quindi non potrei essere più contenta di avere qualche mese di vacanza, anche se non riesco proprio a realizzare che quest'anno sia finito. 
A prestissimo :-)

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Capitolo 3
*** Quel ragazzo ***


Quel ragazzo

 
4 giugno
Incredibile.
Oggi sono tornata al parco, e indovina chi ho incontrato? Il ragazzo di ieri. Esatto, proprio lui, e dire che io non credo mai alle coincidenze. Sono una cosa stupida le coincidenze, vero? Siamo noi che cambiamo le cose, non c’è nient’altro che governa le nostre vite, intendo, non possiamo affidare tutto al destino.
Ad ogni modo, stava camminando da solo, e ad un certo punto ha alzato lo sguardo, e mi ha visto. Ha sorriso, rallentando, mentre si fermava davanti a me. Io ero un po’ tesa, ho sempre paura degli sconosciuti.
-Ciao ... va meglio oggi?- chiese lui, probabilmente riferendosi all’aspetto che avevo ieri.
-Sì, bene, grazie-
-Non ... non ci siamo presentati- sorrise lui porgendomi la mano –Harry-
-S-sophie-
-Bel nome. Ti sta benissimo-
-Non ... non ci avevo mai pensato- arrossii io, mentre sentivo il suo sguardo pesante sul mio viso timido.
-Ora io devo andare. Ci vediamo, magari ... domani. Tu vieni sempre qui?-
-Di solito-
-Non fare quella faccia spaventata, non sono un maniaco, te lo posso assicurare, stai tranquilla- ridacchiò, sfiorandomi la spalla mentre si allontanava da me. Mi voltai a guardarlo mentre camminava, e lui fece lo stesso, salutandomi con la mano e mimò con le labbra un “a domani, Sophie”.
Il mio nome è molto più bello pronunciato da lui.
Mi sento leggera, mi sento ... felice. È una situazione strana, ma per una volta cercherò di non essere sempre paurosa, mi farò un po’ di coraggio.
Io domani vado, ho ansia, ma vado. E se lui non ci sarà?
E’ anche successa un’altra cosa. Quando sono tornata a casa di ritorno dal parco, c’era Lauren seduta sui gradini della mia porta. In casa non c’era nessuno, evidentemente aveva bussato e poi aveva pensato di aspettarmi.
-Cosa c’è?- chiesi fredda senza nemmeno salutarla.
-Ciao Sophie. Possiamo parlare?- domandò, alzandosi in piedi.
-Prego- ironizzai io incrociando le braccia al petto.
-Io ... io non volevo farti stare così. E neanche Luke- Sentire il nome di quel ragazzo mi faceva rivoltare lo stomaco. –Te ne avrei parlato, ma cosa vuoi che ci faccia? A me piace lui, e io piaccio a lui, non possiamo farci nulla ...-
-Esatto, allora non fate nulla, non ce n’è bisogno, ma lasciatemi in pace- conclusi avvicinandomi alla porta, ma lei mi prese il polso con forza.
-Perchè non capisci? Sai cosa penso? Che tu stia diventando un po’ egoista. Pensavo saresti stata contenta per me, per lui, per noi due, siamo tuoi amici o no?-
Le sue parole mi ferirono tantissimo, aprii la porta e, entrata in casa, la chiusi rumorosamente. Scoppiai a piangere all’istante. Forse aveva ragione, ero un’egoista.
Ad ogni modo, ora voglio solo dormire. L’unica cosa che mi consola è che domani andrò al parco, so che è stupido, ma voglio rivedere quel ragazzo.

 
Mi venne da ridere, a ripensarci sì, sembravo un po’ un maniaco. In realtà era il mio modo di fare, ero completamente spudorato.
 
5 giugno
Mi sento ancora in colpa per quello che è successo con Lauren. Sul momento non sapevo come reagire, ma ci ho ripensato tutta la notte e ora sto iniziando a sentirmi male. Ora sto uscendo per andare al parco. Non sono al massimo dell’umore, ma c’è ancora qualcosa dentro di me che dice di voler rivedere quel ragazzo.
***
Sono andata al parco. È stata una delle cose più belle di sempre. Lo so, sembro patetica, e soprattutto lunatica, poche ore fa ero con il morale a terra. Lo so. Sono strana.
Ad ogni modo, torniamo alle cose importanti. Sono tornata al parco, nel posto dove di solito ci incontravamo. Mentre camminavo ero nervosa, ogni tanto mi chiedevo se quello fosse un appuntamento, ma poi scacciavo dalla mente quel pensiero e la parte severa di me zittiva quella infantile. Ad un tratto, mentre ero assorta nei miei pensieri, qualcosa mi sfiorò la spalla. Trasalii per un secondo, voltandomi di scatto. Era Harry, era solo Harry. “Solo” per modo di dire, nel senso che come al solito sono spaventata dagli sconosciuti.
-Ehi, ciao, ti ho spaventata?- sorrise lui ritraendo la mano.
-No, non troppo- ridacchiai io nervosamente, passandomi la mano tra i capelli.
-Come stai, Sophie?- chiese, mentre io ascoltavo il mio nome pronunciato così melodiosamente da lui.
-Bene ... tu?- domandai, anche se mi sembrava strano fare quella domanda ad un mezzo sconosciuto.
-Bene. Ti va se ... se facciamo due passi?- propose, anche se stava già cominciando a camminare.
-Tu vivi qui, giusto?- chiesi dopo qualche secondo, almeno per rompere quell’imbarazzante silenzio.
-Sì, tu?-
-Sì, anch’io.-
Era molto, molto imbarazzante, non sapevo che fare. Tutta la situazione era imbarazzante, sotto qualsiasi punto di vista, e in più io non sono la persona più socievole ed intraprendente del mondo.
-Posso dirti una cosa?- domandò lui, mentre io tornavo alla realtà.
-S-sì, dimmi- balbettai io arrossendo.
-Ti ho già detto che non sono un maniaco, quindi non prendere male quello che dico. Mi avevi ... incuriosito, diciamo, la prima volta che ti ho vista qui. Cioè, mi sei rimasta in mente tutto il giorno. Intendo, sai quando incontri qualcuno per caso e ti viene tantissima voglia di conoscere quella persona, perchè a prima impressione ti sembrano interessanti?-
-Sì, forse ... forse mi è capitato. Non so che prima impressione io possa aver fatto, stavo piangendo-
-Sì, me ne ero accorto. Spero non fosse nulla di grave-
-No, non era niente di grave. La mia migliore amica si è messa con un altro amico, che a me piaceva tantissimo. E lei lo sapeva- Ero stupita di me stessa. Io, Sophie Collins, che confido una cosa privata ad uno sconosciuto?! Forse a volte è più facile confidarsi con una persona che sappiamo non può giudicarci, nè giudicare quello che abbiamo fatto in passato.
-Beh, non sarà grave ma capisco che può essere spiacevole-
-Lei mi ha detto che sono un’egoista, che dovrei essere contenta per loro. Ma non ci riesco, e mi sento in colpa-
-E’ normale prendersela con chi ci fa una cosa del genere. Vedrai che col tempo passera tutto-
-Aspetta, ma ... come mai stai parlando con una sconosciuta della tua vita privata?-
-Hai cominciato tu il discorso!-
-Lo so, intendevo ... è strano, sei strano-
-Mi piace ascoltare le storie delle persone. È un mio hobby- sorrise lui con quel sorriso magico, mentre io per l’ennesima volta mi sentivo sciogliere. Io ridacchiai, e lui se ne accorse. –Che c’è? Non esiste solo la pesca o il bricolage come hobby! Tu non hai un hobby?-
-Io ... non so, non c’è niente in cui sono fenomenale-
-Non serve essere fenomenale per appassionarsi a qualcosa. Non c’è niente che ti appassiona?-
-Penso ... mi piace suonare la chitarra e ... scrivere canzoni. Ma non le faccio mai sentire a nessuno-
-Porta la chitarra domani pomeriggio, mi fai sentire qualcosa. Ti prometto che starò buono e non ti metterò in imbarazzo- La prima cosa che recepii fu “domani pomeriggio”. Voleva rivedermi, era una cosa bellissima per me.
-No, non ci pensare neanche! Mi vergogno da morire-
-Avanti, non preoccuparti. A me piace la musica-
-D’accordo, lo farò. Se avrò voglia-
Abbiamo chiaccherato ancora per un po’ di tempo, poi siamo tornati a casa, dandoci appuntamento per domani e scambiandoci i numeri di telefono.
Quando sono tornata a casa, c’era mia madre con le mie sorelle sul divano, guardavano la tv. Non c’era mio padre. Solitamente a quest’ora è sempre in casa.
-Papà dov’è?- chiesi, posando la borsa sulla poltrona.
-E’ dovuto andare via un paio di giorni per lavoro- disse mia madre, rivolgendomi appena uno sguardo.
-Vado in camera- dissi io, salendo le scale di corsa, come sempre, e chiudendomi in camera mia, come sempre.
 
6 giugno
Fantastico, è stata una giornata orribile.
Stamattina ho sentito la voce di mio padre arrivare dal piano di sotto. Mia madre però aveva detto che sarebbe stato fuori un paio di giorni. Silenziosamente mi appostai sulle scale. Non si origlia, lo so, ma ogni tanto si può fare un’eccezione.
-Ne hai già parlato alle bambine, Claire?- disse mio padre, includendo come sempre anche me fra le bambine.
-No, penso che lo farò in questi giorni. Tu hai trovato una sistemazione?-
-Sì, sto da Jennifer. Ora vado, ci ... ci sentiamo per il processo- Jennifer?! Processo?! Non capivo cosa stesse succedendo, o forse non volevo capire. Se stavano parlando del divorzio come supponevo, perchè erano così calmi? Era una cosa che si protraeva già da tempo? Non riuscii a resistere, corsi di sotto ancora in pigiama, appena in tempo prima che mio padre uscissi.
-Papà!- esclamai, fermandolo. Mia madre uscì dalla cucina, guardandomi in modo strano.
-Sophie. Pensavo dormissi- disse mio padre con un sorriso forzato.
-Io pensavo tu fossi via per lavoro- ribattei irritata fissando prima lui, poi mia madre. –Che succede?-






 Spazio autrice
Eccomi dopo lunghiiiissimi mesi ad aggiornare questa storia (con un capitolo ahimè cortissimo), anche se penso che non la legga nessuno, ma pazienza! 
Con l'inizio delle scuole, cosa che non gradisco eccessivamente, c'è sen'altro un lato positivo: sarò sempre a casa e avrò più tempo per aggiornare, nei momenti di pausa tra una versione di greco e una di latino. 
Voi come va? C'è qualcuna\o che inizia il liceo quest'anno? Se vi va raccontatemi qualcosa, fatemi compagnia, che scuola fate, o quale farete? Come sono andate le vostre vacanze? 
Aspetto le vostre recensioni. E, soprattutto, se vi va, nelle recensioni, consigliatemi qualche Fanfiction, mi piacerebbe tanto leggere qualcosa di nuovo, e inoltre avreste anche modo di pubblicizzarle un po', che non fa mai male! 
Se avete letto questo capitolo, mi farebbe piacere sapere che ne pensate, sarebbe importante per me.
Forse, se vi interessa ovviamente, potrei scrivere la seconda "stagione" (?) di Daydreams, per la quale ho mooooltissimi progetti.
Questo spazio autrice è interminabile lo so, mi siete mancate. Sì lo so, questa storia non ha recensioni MA ha qualche visualizzazione, quindi qualcuno che legge c'è, e a me fa tanto tanto tanto piacere, vi abbraccerei tutti :-*
Aspetto le vostre recensioni qui sotto babes!

-F-

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