Racconti di terra, mare, cielo ed eroi

di Mikirise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #52: Il mio orologio è sballato! ***
Capitolo 2: *** #69: I draghi sotto terra ***
Capitolo 3: *** #73: L'odio irrazionale ***
Capitolo 4: *** #6: La trappola degli inglesi ***
Capitolo 5: *** #13: Gold ***
Capitolo 6: *** #62 Reciti te stessa ***
Capitolo 7: *** #46 Sarò il sangue se tu sarai le ossa ***



Capitolo 1
*** #52: Il mio orologio è sballato! ***


Mitchell era nervoso. Sistemava la camicetta di Malcom, per l'ennesima volta, dando un'occhiata veloce ai capelli biondi del ragazzo e ai suoi grigi occhi confusi.

Dal canto suo, Malcom lo lasciava fare perché, cavolo, Mitchell è adorabile quando è nervoso e gli tremavano le mani leggermente, e, comunque, pensava che l'incontro con le sue sorellastre non dovesse essere così impegnativo. Poi, aveva cercato di calmarlo in ogni modo, ricordandogli che, dai cavolo, Drew, come Lacey e Piper e tutti della Cabina Dieci, già lo conoscevano. Era praticamente cresciuto al Campo Mezzosangue e sapeva come rapportarsi con tutti. Cosa sarebbe cambiato ai loro occhi al presentarsi come il ragazzo di uno dei loro fratellastri?

Quando Percy aveva iniziato a uscire con Annabeth, lui mica aveva fatto tante storie.

“Non dire cose stupide.”

“Sono figlio di Atena…”

“E pensavi che scoiattolo si scrivesse con la gl -scogliattolo-, voglio ricordarti.”

“Sono dislessico. Siamo seri? Mi vuoi sgridare per questo?” Malcom sorrise, prendendo le mani di Mitchell, che ancora percorrevano la sua maglietta nella speranza di togliere qualsiasi pelo su quella o sporcizia. Aveva dovuto anche fare delle migliorie a quella roba arancione, per rendere il biondo presentabile davanti a quelle belve della moda.

Per la prima volta da quando avevano iniziato quella relazione, si stava mentalmente lamentando del look da Nerd di Malcom. Ed era stata la propensione del ragazzo alle bretelle, ai risvoltini e alla trasandatezza durante i periodi di creazione -Malcom era una specie di genio, un mago della progettazione, delle idee- ad attrarre fatalmente il figlio di Afrodite verso di lui. Qualcosa che va al di là del sesso, qualcosa che è attaccata all'anima, che giusto un cultore dell'amore può capire.

Sospirò.

“Adesso posso entrare?” chiese il biondo, mentre il moro giocherellava nervosamente con le sue mani.

Mitchell annuì leggermente, prese un lungo respiro e, insieme, entrarono nella Casetta Dieci.


🎀🎀



Ecco. In quel momento anche Malcom era nervoso. Doveva trattenersi dal mangiucchiarsi le dita delle mani, mentre i ragazzi della Cabina Nove, seduti intorno al loro tavolo, lo guardavano con un sorriso, a volte dolce, a volte perplesso, a volte leggermente geloso del fratellastro.

Piper aveva riso, congratulandosi con loro. Lacey aveva trattato Malcom come avrebbe potuto trattare la Strega Cattiva di Biancaneve. Ma era Drew che lo preoccupava.

Lei, la sua pettinatura perfetta, i suoi occhi truccati, lo guardava dall'alto dei palmi della sua mano e sembrava volergli scrutare l'anima.

Eppure lo conosceva da sempre.

Sapeva che i figli di Afrodite erano molto legati. Come lo erano tutti i fratellastri, certo, ma lo erano con il doppio legame della fratellanza e di una confraternita da far paura alle confraternite dei college. Era una cosa che aveva sottovalutato, ma che Mitchell, che gli teneva stretto il mignolo, sotto il tavolo, aveva avuto sempre ben chiaro.

“Beh…” il biondo sorrise nervoso, sistemandosi una ciocca di capelli troppo lunghi dietro l'orecchio.

“Li shippo” lo interrompe Drew, con aria di sfida e sorridendo appena, puntando qualcosa dietro le sue spalle col mento. Malcom si giro di scatto, ma non vedendo niente che potesse attirare la sua attenzione si rigirò verso Drew, con aria interrogativa.

I figli di Afrodite la guardavano, improvvisamente scandalizzati, eccitati e curiosi.

Malcom si voltò verso Mitchell, per chiedergli cosa stesse succedendo, e il moro aveva nascosto il viso tra le mani, scuotendo la testa. Capendo che non avrebbe ottenuto una spiegazione dal suo ragazzo si girò verso Piper, che, con le braccia incrociate, aveva alzato un sopracciglio, guardando Drew.

“Ti ha sfidato” spiegò la Capo-Cabina, senza distogliere lo sguardo dalla sorellastra. “È un gioco…” Cercò con cura le parole. “Innocente. Indichiamo una coppia a caso, che può essere di amici, fidanzati, a volte anche fratelli e diciamo: li shippo. È un modo per dire che ci piacerebbe se stessero insieme. Rientrano nel gioco le diciture di OTP e tutto il resto ma… in pratica inventiamo delle storie su di loro, e chi racconta la storia più romantica vince. Non ci sono regole. Possiamo raccontare le storie più disparate e improbabili, basta che sia una storia bella e romantica. Per terminare la partita devi vincere al meglio di tre, il che vuol dire che devono essere raccontate almeno sei storie: una a round…” La castana continuava a non essere molto sicura, nel suo tono. Lanciò uno sguardo a Mitchell, che si accarezzava la fronte in imbarazzo. “Di solito è un gioco tra noi. Quando lo diciamo a qualcun'altro è come se lo stessimo sfidando.”

“Come con le spade?”

“Credevi che non facessimo niente durante le vostre stupide Cacce alla Bandiera?” sbuffò Drew, spazientita. “Li shippo, stupido testone. Vuoi uscire con mio fratello? Allora combatti da uomo. Inizio io. Li shippo.” Puntò di nuovo qualcuno dietro la spalla del ragazzo.

Mitchell stava boccheggiando. Girò la testa e vide Percy e Jason che borbottavano qualcosa sul fare un'imboscata contro Clarisse, che per l'ennesima volta aveva monopolizzato l'Arena.

Non ebbe neanche il tempo di rigirarsi che la figlia di Afrodite aveva già iniziato.












#52: Il mio timer si è fermato quando ti ho visto!

















 

Il mio orologio è sballato! Ne voglio un altro! Ora!




Il polso di Sally aveva quell'ombra pallida che rimane ai grandi dopo che hanno incontrato le loro anime gemelle, ma Sally non aveva nessuno accanto.

Seduta in cucina, tenendo in braccio il suo piccolo Percy, che giocherellava contento con il suo panda di peluche, raccontava, guardando verso le strade di New York, le incredibili storie di suo padre, Poseidone, uomo bello, uomo forte, uomo coraggioso e buono e… e Percy gli assomigliava così tanto! I suoi occhi che custodivano il mare in tempesta, i suoi capelli l'irrequietezza, il suo sorriso la bontà… sembrava il ritratto delle buone qualità del padre.

Il suo piccolo, piccolo Percy.

“Ma perché allora non è qui?” chiese un giorno lui, tornato da scuola, confuso per la sua mancanza di un padre e il non sentirla da sé quella mancanza. Il polso di Percy era marchiato da un piccolo timer che aveva segnalato alla mamma come qualcuno avrebbe portato via il suo bambino presto, da giovane, o come avrebbe potuto non trovarla l'anima gemella, perché…E lui spesso se lo accarezzava, il polso, come a ricordare questo piccolo dettaglio a Sally, che sempre lo abbracciava, spaventata dal momento in cui avrebbe potuto vederlo allontanarsi. “Il suo timer non si è fermato quando lo hai visto?”

La mamma sorrise leggermente, accarezzandogli la testa mentre guardava gli occhioni del figlio andare verso l'alto. “Tuo papà” iniziò a bassa voce. “Il tuo papà non aveva timer. Non aveva tempo.”

Percy sbatté le palpebre, arricciando le labbra e poggiando il suo zaino per terra.

Fu la prima volta che, da bambino quasi cresciuto, vide un timer fermo e una donna sola, senza di lui. E, per la prima volta, pensò che forse, quel mito del Vero Amore, che sarebbe arrivato a loro quando un timer al polso, marchiato come una voglia, si fosse fermato, non fosse nient'altro che questo: un mito.

Per la prima volta gli sembrò così stupido che semplicemente smise di guardarsi il polso. Che semplicemente si dimenticò di possedere un timer che contava i secondi che lo separavano dal suo primo incontro con la sua anima gemella. Che semplicemente smise di credere nell'amore.
















Più che alla ricerca dell'amore, Percy era alla ricerca di un'amicizia: non tutti vogliono stare accanto ad una persona come lui. Forse è un po' problematico. Forse ha problemi a socializzare. Giusto un po', però.

Insomma, non aveva mica delle tendenze anti-sociali! -Lo avevano detto gli psicologi della scuola, Percy non aveva idea di quello che significava… anche se gli stessi psicologi avevano accennato a qualcosa a cui Percy non aveva fatto caso: sei un errore, avevano detto, guardandogli il polso.

Non erano gli psicologi a potergli conseguire degli amici.

Se qualcuno avesse deciso di parlargli, invece che starsene a metri di distanza a sparlare di lui, forse si sarebbero resi conto che anche lui poteva essere un buon amico. Uno bravo davvero. Uno che non abbandona mai.

“Ehi!” Percy corse verso quella massa di persone tutte uguali, tutte grosse, tutte con quella smorfia di cattiveria sul viso, che avevano sollevato un povero ragazzino, che teneva una lattina di Coca-cola in mano. “Mettetelo giù!”

Le ultime parole famose.

Una ragazza con i capelli rossi e delle bruttissime lentiggini sul viso, fece cenno a un ragazzino di gettare il malcapitato nel bidone della spazzatura, poi prese Percy dalla vita, sollevandolo come un sacco di patate, e butta anche lui nel bidone della spazzatura. Rise, mentre lo faceva. Rise con tutta se stessa e questo fece innervosire il moro come non mai.

Appena riuscì a sguazzare nel bidone della spazzatura, con un pochino di autocontrollo, dopo aver imprecato tra le labbra cose che non avrebbe mai voluto Sally sapesse, aiutò il ragazzino, con i ricci castani, quasi mori, a risalire in superficie.

Puzzavano entrambi, tanto che avrebbero voluto vomitare entrambi. E lo fecero. Entrambi.

“Sei stato gentile a voler provare ad aiutarmi” mormorò il ragazzino, asciugandosi le labbra con la manica della giacca. “Cioè, sì, non il miglior salvataggio della storia, ma…”

“Figurati” rispose Percy, facendo svolazzare la mano. “Odio i bulli.”

“Anch'io” rise l'altro, porgendogli la mano. “Mi chiamo Grover.”

Il moro sorrise e capì che quella, forse, era la frase che dicono le persone quando vogliono essere tue amiche.


















Grover aveva un'insana fissazione per i Timer dell'Anima Gemella.

Controllava il suo ogni pochi minuti, mormorando qualcosa sul quanto fosse impaziente di conoscere la persona che stava aspettando per lui.

Percy commentava sempre, nonostante l'argomento lo annoiasse molto, con una battuta secca, o una smorfia. Così si assicurava che le parole di Grover gli morissero nella gola, smettendo, finalmente di pensare a quanto fosse bello sapere che, da qualche parte in questo mondo, qualcuno stava guardando un timer che ticchettava allo stesso ritmo del suo timer.

Grover era un inguaribile romantico, sempre con la testa tra le nuvole, mentre Percy doveva preoccuparsi che i bulli non lo prendessero di mira e correre da una parte all'altra in pensiero perché le ragazze parlavano sempre di possibili risse in cui veniva implicato quel piccolo e insicuro ragazzino.

Insomma, normalmente era Percy a preoccuparsi.

Poi anche Grover aveva iniziato a preoccuparsi per Percy. Anche se non si aspettava che la sua preoccupazione derivasse da qualcosa d'insignificante ai suoi occhi.

Il ragazzino si era reso conto di un andamento irregolare nel Timer di Percy.

Aveva notato che c'erano stati periodi in cui il conto alla rovescia seguiva i secondi normali, quello di tutti gli altri, e, in quei momenti, segnalava anni e anni d'attesa per il moro. In altri periodi, i secondi arrivavano a scorrere molto più velocemente di secondi normali: secondo quel timer, mancavano, all'incontro con l'anima gemella di Percy, pochi giorni, a volte poche ore o secondi.

Subito dopo, il timer si azzerava. Come se andasse in tilt, si spegneva e scompariva dal polso del ragazzo, per ricomparire pochi secondi dopo, come se nulla fosse successo.

E si fermava. Non c'era alcun ticchettio, non c'era alcun conto alla rovescia, solo un timer fermo.

“Mi hanno dato un orologio tarocco” aveva riso il moro, quando Grover glielo aveva fatto notare. “Capita.” Alzò le spalle, come se l'amico gli avesse appena commentato le condizioni meteorologiche, lamentandosi della pioggia.

“Non hai paura di non incontrarla?”

“Chi?”

“La tua anima gemella.”

Percy alzò di nuovo le spalle e prese a mangiare un pezzo di cioccolato al latte. “Capita.”














La prima volta in cui Percy si chiese se in effetti il suo timer avesse bisogno di una controllatina da un orologiaio biologo, aveva quattordici anni, sapeva già di essere un semidio, e stava iniziando ad avere un problema pratico sui suoi sentimenti.

Non per questo però, si era ricordato di avere un timer che attendeva di ricongiungersi con il suo gemello.

Chi aveva fatto alzare il polso a Percy, per controllare il suo timer, che in quel momento si stava comportando esattamente come un orologio normale (andando avanti e non indietro), fu Afrodite, nella sua limousine, che si truccava con alquanta nonchalance.

“Da quando i mortali hanno questo Timer dell'Anima Gemella, o come vuoi chiamarla, incorporato nel loro corpo, è una noia assurda” aveva detto la dea, lanciando uno sguardo al ragazzo. “Tutti sanno chi devono amare, tutti sanno quello che devono fare, è come se si concentrassero su una sola persona, invece di sbagliare, come facevano nell'antichità. Allora, sì, avevo un divertimento tutto mio e adoravo vedere le persone che piangevano con il cuore spezzato.”

“Un bel divertimento.”

“Già.” Afrodite annuì, con un'espressione sconsolata dipinta sul viso. “Grazie al Fato, ogni tanti anni nasce qualcuno col Timer che va contro le possibilità della Realtà. E si comporta esattamente come si comporta il tuo Timer, variando con il variare delle possibilità del tuo incontro con la tua Anima Gemella. Detta tra me e te, penso che sarà un po' impossibile che voi v'incontriate. Perché Zeus stesso è contro un possibile incontro tra i vostri due mondi.”

Percy alzò un sopracciglio, poco interessato alle parole della dea. “A me, in questo momento, non importa niente.”

“Perché sei nell'impresa?”

“Artemide è stata catturata!”

Questa volta fu Afrodite ad alzare un sopracciglio, mentre parlava di quanto fosse noiosa e poco bella quella dea, facendo capire a Percy che non era quella la ragione che voleva sentire.

Il ragazzo arricciò le labbra, sbattendo le palpebre, per poi abbassare lo sguardo sulle sue mani intrecciate. “Annabeth è nei guai.”

La dea gli prese il polso tra le mani, con un sorriso dolce. “Ti dico un segreto?” chiese con un sorriso furbo. “Per qualche tempo il tuo Timer stava aspettando lei.”

Percy arrossì visibilmente, tenendo lo sguardo ancora più basso e giocherellando con le sue mani.

“Sei così carino” mormorò con una punta di compassione la dea, sorridendogli.

Era un vero peccato che l'anima gemella di Percy non fosse Annabeth.













Il Timer di Percy non stava aspettando Annabeth.

Lui non ci aveva fatto caso, ma lo capisce quando prende la decisione di credere in Luke. Per quieto vivere, dice di averlo capito dopo, quando la bionda abbassa la testa sul biondo e si scambiano quelle ultime parole, prima che Luke muoia, tra le labbra il nome di Thalia. Dice di averlo capito un po' più tardi, quando Annabeth, per amore di un ragazzo sconfitto dice di averlo amato fin da quando era piccola, preoccupata, un po', della reazione del moro, che comunque le sorrise, come a dirle Non è colpa tua.

Per quieto vivere, le dice che, in quel momento aveva capito che loro non coincidevano. E quando lei rispose che, ogni tanto, lo guardava il suo timer, che lo sbirciava appena, come a cercare una corrispondenza col suo polso, che lei già lo sapeva che loro due non erano stati fatti come una mela sola -con una citazione da Platone che Percy non riesce a cogliere-, lui abbassa la testa, si gratta la testa e, a capo chino, chiede scusa.

Annabeth guarda il suo polso e gli dice che a lei mancano pochi mesi. Poi sarebbe arrivata la sua anima gemella. Sorrise nel farlo. Come a perdonarlo. Lei ci credeva, che il suo timer si sarebbe fermato, prima o poi, davanti a lui, che il timer di lui si sarebbe regolarizzato, grazie a lei. Ma non era successo. Non sarebbe mai successo.

Percy non dice quando capisce che la sua anima gemella non è Annabeth. Non dice nemmeno perché lo sa. E, comunque, a lui, questo pensiero non viene in mente perché guarda il suo timer.

Lo capisce quando deve fare la sua scelta. Quella che tanto temeva da sempre. Quella che lo ha perseguitato da quando aveva dodici anni.

Mentre Crono veniva sconfitto, sentiva come se ci fosse qualcun'altro accanto a lui. Sentiva una metà che terminava il suo lavoro, alla quale aveva affidato metà della pesante e opprimente responsabilità di essere un eroe. Una metà che, per metà, aveva salvato il mondo. Con lui.

In quel momento, prima ancora di pensare a sua mamma e al segnale blu sopra l'Empire State Building, o a quello che sarebbe stato un po' più tardi -Grover stava bene? E Nico, con quei soldati-zombie? I ragazzi del Campo? Sarebbero tornati tutti quanti? Sì, vero? Sì?-, rimane lì, in piedi, e si sente completo. O, almeno, si sentiva così, ma non fisicamente.

Si sentiva completo, ma da lontano -o qualcosa del genere. Perché la metà non era in quel momento accanto a lui, ma era con lui spiritualmente.

A posteriori quel pensiero lo inorridì.

Grover e i suoi sentimentalismi… lo avevano contagiato.













Risvegliarsi con davanti una lupa, non è assolutamente la cosa più bella in questo mondo.

Nel senso: ok, Lupa, sei una forte e tutto, ma i denti te li potresti anche lavare. E quando Percy fece questa battuta, stropicciandosi l'occhio destro con la mano, mezzo assonnato, Lupa lo morse e lo svegliò del tutto.

Prima di cominciare a lottare per davvero, lo annusò. Gli annusò il polso e lo guardò come una mamma gelosa guarda il ragazzo della propria figlia.

Percy ricambiò lo sguardo e, quando toccò per la prima volta Lupa, per difendersi dal suo primo attacco, lui, sporco di fango e ancora con gli occhi a mezz'asta, non si rese conto di quel piccolo dettaglio che Grover gli avrebbe fatto notare immediatamente.

Il suo timer, cavolo. Il suo cavolo di timer, si stava comportando come un Timer dell'Anima Gemella. Al tocco di una dea che lui stesso non aveva mai sentito parlare.











È nel sogno che qualcosa formicola, mentre dormicchia a Nuova Roma, rigirandosi nel suo nuovo lettino.

Sa di aver dimenticato qualcosa d'importante: insomma, doveva avere una vita prima di arrivare al Campo Giove, prima d'incontrare Era, o Giunone, o chissene frega. Una mamma. Degli amici. Un fratello. Un migliore amico. Una migliore amica.

Ricorda il nome di Annabeth. Un qualcosa che doveva essere stato una specie di rottura di un rapporto amoroso prima ancora del tempo del rapporto stesso. E che Era -o whatever- ci teneva abbastanza nel dargli un appiglio alla sua precedente vita. Forse perché voleva che questa strana missione funzionasse. O forse perché temeva che succedesse qualcosa che…

Vede un ragazzo dai capelli mori e ricci, lavorare con dei cacciavite e roba stranissima, che aveva visto usare prima ai figli di… no, aspetta, a chi li aveva visto usare? E due ragazzi. Sì, ecco. Due ragazzi che continuano a chiedergli quando avrebbe finito di lavorare.

Non è la ragazza a colpirlo -sì, carina, ma niente di che. È il biondo, che si porge oltre la spalla del ragazzo, a fare in modo che le sue mani formichilino.

Lo riesce a guardare negli occhi e, dèi, allunga la mano nel sonno per raggiungerlo, ma si risveglia a terra.

Era rotolato fuori dal letto. Non ci pensò più di tanto. In meno di pochi secondi, riprese a sbavare, sul pavimento.








Quando aveva portato Hazel e Frank, con le braccia intorno alle loro spalle, a guardare quell'enorme nave volante -bellissima e stranamente familiare- non pensava che…

La prima cosa di cui si rende conto è Annabeth che lo butta a terra, e poi lo abbraccia con affetto. Lui ride, accarezzandosi il collo e a lei, comunque, non importa niente, gli scompiglia i capelli, parlando sopra a un Leo -così lo avrebbe conosciuto-, che farfugliava qualcosa su una Annabeth che rivoleva indietro i suo Percy Jackson anche se no, non erano fidanzati sono solo amici, che cavolo Leo.

Poi Percy si gira e guarda verso Reyna. Lei parlava con un biondo, lo stesso del sogno.

“…Lei è Annabeth e normalmente non atterra gli amici con una mossa di kung-fu.”

Poi i loro occhi s'incontrano, verde nell'azzurro, e succede quello che nessuno dei due pensava potesse succedere.








“No, porca cacca. Gli dèi mi odiano. Ma cosa ho fatto adesso?”

Jason inclina la testa e guarda il maggiore con aria innocente e, allo stesso tempo, divertita. “Giuro non mi offendo.” Alza poi le mani.

“I nostri orologi sono sballati. Lo avevo detto a Grover che è tarocco, il mio.” Annuisce, incrocia le braccia, arriccia le labbra, annuisce di nuovo e ripete: “È tarocco.”

“Va bene.”

“Tarocco.”

“Ok.”

“Insomma. È da praticamente sempre che continua a fermarsi, poi riprende a fare il suo conto alla rovescia, e poi…” Percy sta parlando più a se stesso che al biondo, che, seduto sul letto della sua cabina, lo guarda andare avanti e indietro. “Va avanti.”

Jason spera che Piper e Leo non siano dietro la porta a sentire quello che il moro sta dicendo. Nell'Argo II, i pettegolezzi viaggiano a velocità esorbitanti. Soprattutto dopo l'incontro con Bacco.

Piper era sicura che Jason e Percy dovessero parlare e confrontarsi invece di far competere i loro pegaso. Anche perché la loro, come chiamarla?, tensione li aveva portati a quasi uccidersi a vicenda.

“Vero?” Percy si morde il labbro inferiore con maggior vigore.

“Anche il mio timer faceva così.” Jason alza le spalle. “E poi, comunque, mica ci credo in questa roba.”

“Sì, una stupidaggine.”

“Enorme.”

“Esorbitante.”

“Che poi, com'è possibile questa roba degli dèi senza tempo? Sono tutti dei grandissimi idioti a sballare così gli orologi dei mortali. Non è carino.” Percy si butta a sedere sul letto, incrociando le gambe.

“Un timer biologico, stiamo scherzando? Come fa a sapere il tuo corpo quando vedi soltanto la tua anima gemella? E poi, dai, parliamo, tipo, di Hazel. Come vogliamo metterla con lei? Perché quando l'ho incontrata il suo orologio stava ancora facendo il conto alla rovescia?”

Percy gli lancia un'occhiata. Il Timer va oltre il volere degli dèi. Ma non glielo dirà, certo che no. “E comunque io all'amore mica ci credo.”

Jason sbatte le palpebre. Pensa a Thalia. Pensa a sua mamma. Pensa a suo padre. Poi guarda Percy e scuote la testa. “No. Nemmeno io.”

“Bene.”

“Bene.”

Percy annuisce e si alza dal letto. Si gira. Apre la bocca, come per dire qualcosa. La chiude. “Ci vediamo.” Ed esce.








Percy che cade nel Tartaro gli spezza il cuore.

Un attimo prima era lì, l'attimo dopo non c'era più.

Come il timer che aveva nel polso. Prima c'era il ricordo delle lancette che si muovevano -come volevano loro, ok, ma si muovevano-, il quadrante fermo allo 0, dello stesso colore di una voglia.

Percy cade nel Tartaro, con Annabeth, e il Timer di Jason si macchia di nero. Come se Percy fosse morto.

L'unico che sembra disperato quanto lui, è Nico.

Ma Percy non è morto. Jason lo sente nell'aria. Percy non può essere morto.








Percy torna e ridà il respiro a Jason. I polmoni si riempono di nuovo di aria e vorrebbe tanto poter abbracciare il moro, quando compare nella Casa di Ade, ma gli sembra che lui potrebbe cadere in pezzi al solo tocco.

Cadere nel Tartaro cambia le persone.

Jason avrebbe voluto essere accanto a lui. Combattere al suo fianco quei mostri dei quali parla. Averlo riportato lui ad essere il Percy che tutti loro conoscevano. Un po' sente di essere geloso di Annabeth, che sorride al figlio di Poseidone e gli stringe la mano, come a dirgli che lei per lui c'era sempre. Doveva essere lui, Jason, a stare accanto a Percy. Non Annabeth.

I loro Timer si colorano di un violaceo rosa in pochi giorni, quando Jason prende Percy dal polso e gli dice di avergli mentito: lui a quel cavolo di Timer ci credeva, lo guardava, lo curava.

E tutta quella roba di aspettare, di avere un Timer tarocco andava bene, se voleva dire aspettare lui. Non poteva vivere senza il suo occhio destro.









“Hey.”

“Hey.”

Silenzio. Percy conta tre battiti, prima di parlare, guardando una Annabeth che, da lontano, lo incitava con ampi movimenti delle braccia.

“Tipo che…” Bel modo di cominciare. Grammaticalmente corretto. Si noti il sarcasmo. “Hai una gomma?”

“Mi stai seriamente chiedendo se ho una gomma?”

“Secondo Grover è sempre un buon modo d'iniziare un discorso. Chiedere un chewing-gum, o offrirlo.”

“Cosa buona e giusta.” Jason annuì, condiscendente.

“Quindi hai un chewing-gum?”

“No.”

“Nemmeno io.”

Quattro battiti. In una canzone sarebbero stati quattro quarti di silenzio. Certamente troppi.

“Continuo a non credere nell'amore. Non in quello in cui credono tutti quanti, con i loro Timer che hanno sempre funzionato bene e cose così.” Le parole di Percy uscono ad una velocità disumana, mentre lui tira fuori tutte le parole che riesce a trovare nella sua testa. Una testa apparentemente troppo vuota, perché presto inizia a balbettare. Poi boccheggia e, di nuovo, sta zitto.

“Va bene.” La risposta di Jason arriva dopo un po' con un cenno leggero della testa.

Il moro si morde le labbra e si chiede per quale motivo è sempre così difficile.

“Ma se c'è qualcuno che mi può tenere testa quello sei tu” dice, in modo un po' insicuro, dopo tutto. E spera tanto che Jason capisca quello che gli sta cercando di dire. Perché, per quanto Percy fosse impulsivo e stupido e passionale, in un certo senso, continuava a essere, da qualche parte, lo stesso bimbo che guardava sua mamma, sola e poi con quel Gabe il Puzzone, che aveva odiato. E aveva odiato anche suo padre per essere stato l'amore di sua madre che l'aveva lasciata sola. Non credeva nel Timer. “In te ci credo, però” finisce e poi, sempre con quella timidezza che poco gli doveva essere congeniale, prende la mano di Jason.

Jason sorride. Si gira verso di lui. “Okay.”

Il moro adesso è confuso. Sbatté le palpebre, guardando il semidio, che ha ripreso a guardare il mare, senza aggiungere una parola. “Okay?” chiede. “Okay cosa?”

Jason vorrebbe tanto scoppiare a ridere, ma si trattiene. Stringe la mano di Percy e sorride. “Nelle mie false memorie fatte da Era, io e Piper ci siamo messi insieme sotto un cielo stellato e stavamo volutamente escludendo il povero Leo.” Abbassa lo sguardo, al menzionare l'amico. “Ma mi piace più così. Davanti al mare, senza un chewing-gum in bocca e con te. Quindi, va bene.”

“Va bene?”

“Va bene.”

Un quarto di silenzio.

“Comunque non pensare che perché va bene allora smetterò di chiamarti bro e ci andrò più piano con te durante gli allenamenti” lo avverte alzando un dito contro il suo viso e con un tino dannatamente serio.

“Magari adesso i combattimenti potrebbero essere più interessanti” ridacchia il biondo, con un tono leggermente malizioso, mentre si gira verso l'altro.

E ride, ride tantissimo nel vedere il moro arricciare le labbra e aggrottare le sopracciglia, come se non avesse ben capito le sue parole.

Adorabile.







Note:
Le due persone che leggono le mie bozze, ormai, mi chiamano Paladina della Jercy. Ahah, questo fa ridere perché… SCRIVETE PIÙ JERCY, RAGAZZE!
Penso sia arrivata nella mia top5 di ship preferiti in Percy Jackson… superando la Percabeth e, non mi tirate pomodori, la Pernico. Quindi sì, sono arrivata alla conclusione che è la mia prima ship in classifica con Percy in mezzo… mmmmmmmm.
Ciò non toglie che la Caleo è la mia OTP e che i miei ship stiano aumentando vertiginosamente.
Cento prompt? Dio… in cosa mi sono messa??  

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Capitolo 2
*** #69: I draghi sotto terra ***


Gli occhi dei figli di Afrodite, non appena Drew chiuse bocca, volarono verso il biondo, che aveva aggrottato le sopracciglia, puntando il suo sguardo su Piper.

La Capo-Cabina, intuendo la tacita domanda del ragazzo, alzò gli occhi al cielo, accavallando le gambe e poggiando le spalle sullo schienale della sedia, quasi volesse sembrare completamente a suo agio con quelle storie -della gara contro Drew e la storia di per sé che vedeva il suo ragazzo stare con il ragazzo di una delle sue migliori amiche. “Lei ama quella coppia, non ci posso fare niente” borbottò, alzando le spalle e facendo un gesto di non curanza con la mano. Sembrava addirittura abituata a certe storie.

“Ma ha capito di essere stato sfidato?” chiese irritata Lacey, tirando la maglietta della castana e lanciando un'occhiata feroce a Malcom, che si ricordò di quella volta in cui aveva aiutato la bambina a riottenere le sue scarpe, dopo essere stata punita con le scarpe ortopediche della Cabina Dieci. Sembrava tanto carina e dolce, mentre piagnucolava. Tanto indifesa… e invece! Quella traditrice avrebbe dovuto stare dalla sua parte. Almeno un po'!

“Ha ragione” concordò Piper, inclinando la testa. “Hai dieci secondi per iniziare a raccontare, altrimenti vincerà Drew a tavolino. Il round, dico. Non tutta la sfida. Dieci.”

Mitchell premette la sua mano contro il mignolo del biondo, lanciandogli un'occhiata supplicante.

Andiamoceneandiamociandiamoceneandiamocene.

E poi chi li avrebbe sopportati i suoi fratellastri che avrebbero cercato di farli lasciare in tutti i modi possibili?

Distolse il suo sguardo da quello del ragazzo, che indignato, gli tirò la mano verso il basso, facendolo piegare in avanti.

Malcom alzò gli occhi al cielo.

Bene, adesso era in litigio con tutta quanta la Casetta Dieci. Afrodite doveva proprio odiarlo.

“Nove” pronunciò Drew con un sorriso troppo cattivo sulle labbra, poggiando il mento sul dorso di una sola mano.

Malcom si guardò intorno, sperando che qualcuno, qualche dio, qualche Musa, avesse pietà di lui e lo aiutasse a trovare il modo di battere Drew al suo stesso gioco. Era un vero peccato che la sua mente non fosse stata allenata a certi giochetti sulle storie. Cose del genere le facevano i figli di Apollo, mica lui. A lui piaceva state rinchiuso nei laboratori della sua casetta, da bravo scienziato pazzo, a progettare e studiare. E detta così sembra più sfigato di quanto in realtà non fosse.

“Otto.” Questa fu Lacey. Malcom si appuntò di non aiutarla a riavere le sue scarpe indietro mai più, nemmeno se si fosse messa a piangere con i suoi enormi occhioni nocciola puntati su di lui. No, no. Ora capiva perché la cavalleria era morta. Per colpa di bambine come lei!

I suoi occhi viaggiavano alla stessa velocità di quando era in battaglia -seriamente, questa sfida lo stava mettendo nei guai, quasi quanto Will lo faceva con il suo arco e la sua risata da saputello.

Doveva pensare in fretta.

“Sette.” Piper si stava divertendo. Le si leggeva in faccia. Chissà a cosa stava pensando. Carina anche lei. Grazie mille. Vi odio tutti.

Poi vide Leo saltellare da fuori il lago, seguito da una Calypso sbuffante, che gli chiedeva per quale motivo si dovevano mettere una tuta da sommozzatore per nuotare, invece di fare come tutte le persone normali e prendersi un costume da bagno, che le sopracitate persone normali usavano per fare il bagno, appunto.

Scoppiò a ridere e li indicò con così tanta naturalezza da chiedersi se le sue preghiere fossero state accolte. “Li shippo” cominciò.

I figli di Afrodite si volsero verso di lui e, eccitati, aspettarono che iniziasse a raccontare.












#69 Sono un ammaestratore di draghi e ti proverò che sono delle creature pacifiche!AU (Dragon Trainer!AU)


 

I draghi sotto terra




Era così la loro vita.

Era la stessa che da generazioni i Vecchi Saggi del Villaggio insegnavano ai giovani, con ancora gli occhi grandi e pieni di speranza, che brillavano con la stessa intensità dei brillanti fulmini di Thor. Era quella la leggenda, era quella la vita. E nessun'altra sarebbe potuta essere. E nessun'altra sarebbe stata.

Calypso è seduta davanti al Grande Fuoco, accanto a Rachel, che, distratta, disegna sulle sue mani con il succo delle more che ha raccolto quella mattina.

Le tiene la mano, Calypso, quando il fuoco scoppietta troppo vicino a loro e deglutisce. Deglutisce sempre davanti al fuoco. Perché, come insegnano i Vecchi Saggi, il Fuoco consuma e distrugge, il fuoco, mandato da Thor contro la Natura, è tutto quello che ricorda della notte in cui Zoe è scomparsa. E un drago. Un drago nero dalle ali così grandi da poter coprire l'intero Villaggio, volendo.

Deglutisce e stringe la mano della rossa, che le lascia una carezza sulla testa, un buffetto gentile, prima di continuare a disegnare sul suo corpo i segni della Fortuna, della Saggezza, della Guida.

È quando la castana deglutisce per la terza volta che la Vecchia Ecate, dagli occhi dello stesso colore della Notte, alza il suo braccio verso il fuoco e questo si abbassa, come a volersi allontanare dal suo tocco. La Vecchia Ecate la guarda, prima di aprire le sue labbra screpolate e maneggiare il fuoco perché prenda la forma che lei desidera.

Calypso grida, quando un drago di fuoco apre le sue fauci contro di lei. Si alza in piedi, col fiato corto, mentre i giovani del Villaggio ridono della sua reazione. Così stupida, così ingenua, così piccola. Loro i draghi li uccidono, non si lasciano spaventare.

Rachel le passa di nuovo una mano sulle spalle, facendola sedere sul prato verde e bagnato, accanto a lei. Non avevano detto una sola parola.

La Vecchia Ecate piega le sue sottili e screpolate labbra in un sorriso che poteva sembrare anche crudele. Il drago di fuoco vola in mezzo al gruppo di giovani prossimi al rito d'iniziazione, e, accanto a questo, il fuoco crea la figura del mondo così come lo conoscono i Vichinghi.

La mano di Calypso continua a stringere quella di Rachel, e Rachel continua a dipingere i simboli delle Antiche Rune. Per lei e per suo padre.

“Il mondo ebbe inizio dal Fuoco e dal Ghiaccio. Da due mondi contrastanti e separati, che avrebbero creato il caos, se uniti insieme.” La nebbia si alza, circondando i giovani in cerchio. “I due mondi, separati dall'abisso crearono Imir e la Giovenca, liberatrice, o madre, del Generatore, che diede alla luce il Generato, Burr. Burr, buona divinità, fu padre di Odino. E Odino fu padre del mondo in cui viviamo, popolato da nani, da creature magiche buone, dagli esseri umani. Ad Odino dobbiamo la creazione dell'Albero della Vita, ad Imir diamo la colpa della nascita di esseri malvagi quali gli Spiriti Neri, ma, soprattutto, i Draghi, annidati nelle montagne più alte, pronti a razziare i raccolti e distruggere l'umanità sotto il comando di Loki, con il Lupo Fenrir. Loro, che furono liberati dal Dio del Caos, dopo che suo fratello, il grande e potente Thor, con le sue sole mani afferrò centinaia di loro, intrappolandoli all'interno della Terra e creando l'isola sopra la quale noi stessi viviamo. E loro sbuffano, sbuffano, sbuffano, creano quei soffi di aria calda, pronti ad uscire, pronti ad ucciderci, pronti a distruggere. E quando scappano è nostro dovere, di noi, popolo al servizio di Odino, combatterli, perché il Regno di Loki non veda mai il suo inizio.” Il drago creato dal fuoco torna ad essere fuoco, in un vortice veloce e confusionario, mentre la Vecchia si avvicina ad esso, gli occhi posati sulla chioma castana di Calypso. La nebbia è sempre più alta. Il tempo della prova sempre più vicino. La stretta della mano di Rachel sempre più debole. “Sapete qual è la vostra prova. La nebbia vi abbraccerà nella sua completezza e vi porterà là dove si trova un drago. Uccidetelo. Portate qui un suo dente. Solo così, come sempre si è fatto, diventerete veri uomini, vere donne. Non uccidere un drago è male. Perché significa voler combattere al fianco di Loki. Perché significa tradire Odino. E la vostra famiglia. Sceglierete il male, o l'essere uomini?”

La nebbia li avvolge e sembra tanto essere il fiato di un drago. Al contatto con la pelle di Calypso brucia. Brucia anche lei. O, almeno, così si sente.

È sola. Com'è giusto che sia sola una persona durante la sua prova di passaggio all'età adulta.

Ma quando vede degli occhi gialli ad un palmo dal suo naso cade a terra, rivedendosi bambina, davanti alla sua casa in fiamme.


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La prima volta che Leo aveva visto un drago, era di notte.

Charles gli aveva dato un calcio dal suo sacco a pelo dritto alla sua faccia, facendolo svegliare con un suo piede a pochi millimetri dal viso e mugugnare qualcosa di odioso, mentre si stropicciava gli occhi, sbadigliando.

"Cosa?" aveva chiesto, infastidito, con la voce roca, portando la sua guancia accanto alla spalla e socchiudendo di nuovo gli occhi, sperando di poter scivolare piano piano nel suo sonno. "Cosa?"

Charles gli fece cenno di abbassare la voce, portando l'indice davanti alle sue labbra. Poi, con gli occhi, indicò il Cielo della Notte dei Morti.

Miliardi di stelle ardevano nel cielo, tanto che alcune sembravano voler scendere verso la Terra e farla bruciare insieme a loro.

Leo si alzò a sedere, continuando a guardare il cielo illuminarsi di colori che andavano oltre il normale colore della notte. Il cielo bruciava. La terra si riscaldava.

Una palla di fuoco, arancione e rossa, prese a cadere dal cielo verso gli alberi del Bosco Parlante, ad una velocità che non diede il tempo a Leo nemmeno di spalancare ancora di più gli occhi ed avvicinarsi alla finestra.

Lanciò uno sguardo a Charles, che sorrise, invitandolo a guardare ancora il cielo.

La palla di fuoco era un drago dalla pelle dei colori caldi dell'autunno, un drago così imponente da poter distruggere tutto con la sua sola coda. E cadeva, cadeva, cadeva, sempre più velocemente verso la casa dei due fratelli.

Fu allora, quando il fuoco sembrava tanto vicino, quando il ragazzino iniziava a sentire un fastidioso calore sulle braccia, sulle guance, su tutto il corpo, che un altro drago, dalla pelle colorata del bronzo, lo bloccò interponendo il suo corpo tra la Terra e la palla di fuoco, colpendolo e riportandolo in cielo, facendo brillare la stella in alto nel cielo.

Il drago sbattè le ali, rimanendo a mezz'aria per qualche secondo, prima di volare verso la Luna e scomparire sotto la luce di questa. Era grande. Era potente. Era buono. E Leo alzò gli occhi, guardando Charles tornarsene nel suo sacco a pelo e sdraiarsi.

"Ogni anno torna qua e ci protegge dalla pioggia di fuoco. Forte, eh?"

"I draghi sono buoni?" chiede Leo. No, perché era cresciuto con l'idea che fossero creature del Caos, malvagie, a cui nessuno potesse avvicinarsi senza morire. No, perché gli sembrava strano che un drago custodisse la sua casa. No, perché non sapeva che le stelle che vedeva in cielo fossero draghi infuocati, che illuminavano la notte.

Charles lasciò passare un po' di tempo, prima di rispondere, per pensare a quali parole pronunciare, e perché il sonno aveva iniziato a prendere il controllo su di lui. "I draghi sono fedeli."


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Quando Calypso si sveglia, fatica a ricordare come è arrivata in quel letto. All'inizio pensa alla sua camera, e vorrebbe correre alla finestra, chiamare a gran voce Rachel e invitarla a girare trai boschi oltre il Deserto di Fuoco, alla ricerca delle erbe medicamentose. Poi si ricorda della prova, dell Vecchia Ecate, degli occhi dorati che aveva visto e fa toccare solo ad un suo piede nudo la terra.

E si chiede dov'è. E si chiede come ci sia finita lì.

Vede un ragazzo coi capelli così ricci da sembrare un cespuglio di rovi, dalla carnagione scura, come scura può essere solamente la pelle dei nani, sporca di terra. Lo vede che saltella verso la stanza e in mano ha un pezzo di pane.

Non le dice il suo nome e il piede di Calypso rimane a terra, nudo e indifeso, come lo è lei. Lui si gira e sorride. E, dei, cosa vuole? E, dei, chi è? E, dei, perché sembra voler essere così -così, con lei?

Calypso non sa se mangiare quel pezzo di pane che lui le porge. Lo guarda. Le dita incrociate sotto quello, le gambe riunite sul letto e quel ragazzo che la guarda e ogni tanto fa strane battute -"Non ti mangia mica", o "Dovresti seriamente mangiare, non vorrei diventassi la Biancaneve del Mare del Nord". E lei, comunque, non risponde. Continua a guardare il pane.

Sarebbe rimasta nel suo stato di mutismo, arricciando le labbra, in una smorfia leggera ed elegante, ignorando quel ragazzo che saltellava per la camera, e che a sua volta la ignorava -perché va bene che si deve essere ospitali, ma, cavolaccio, star dietro ad una muta volontaria è frustrante ed irritante.

Cerca di ricordare, Calypso. Com'è finita là? Perché? E dove si trova esattamente questo ?

Vuole seriamente restare muta, girare il pane, che già si stava raffreddando tra le mani e correre a cercare il drago che le era stato assegnato per terminare la sua infanzia e tornarsene a casa. Ma si paralizza, rendendo briciole il pane croccante.

Davanti alla finestra, un drago dalla pelle giallognola volava, ficcando il muso dentro casa e sbuffando.

"Frank!" esclama il ragazzo, dando una pacca sul naso al drago, con un sorriso smagliante. Corre fuori, felice. E Calypso si controlla le tasche e lo segue a piedi nudi sull'erba fresca, senza che lui se ne accorga.

Ma si rende conto di una cosa: la terra ai suoi piedi è calda, come lo è il terreno del Cimitero dei Draghi, vicino casa sua.



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Fu quando un drago bronzeo cadde dal cielo, però, che Leo capì le parole di Charles. Fu solo in quel momento che il ragazzino si rese conto dell'intelligenza e dell'umanità dei draghi.

Era corso, corso forte, corso fino a perdere il fiato e i polmoni, fino ad arrivare al posto in cui la bestia era caduta, esausta per aver impedito a quelle palle di fuoco di distruggere la collina sulla quale la casa del ragazzino si trovava. Ed era ferito. E sembrava morente.

Charles era corso dietro di lui, perché, diamine, i draghi sono fedeli, Leo. Sono fedeli ma non a noi. Sono fedeli alla Terra. Aveva provato a fermarlo, afferrandogli le spalle e tirandolo indietro con le braccia, ma Leo, ribelle e piccolo, si era gettato in avanti e lo aveva respinto velocemente e con la forza che solo l'adrenalina può donare.

Si avvicinò con le gambe tremanti, mentre il fratello lo guardava allontanarsi, con gli occhi puntate sulle sue piccole spalle e il drago sbuffò.

Sbuffò e dalle sue narici uscì una nuvoletta di gas, gas bollente, che avrebbe bruciato la mano di Leo, se lui non la avesse ritratto con un gesto veloce. Ma non per questo si allontanò dal drago: cadde sulle ginocchia e gli accarezzò il muso, mentre la bestia lo osservava, forse curioso da quel gesto così innocente. Con la coda circondò Leo e Charles andò sulla difensiva, afferrando quell'unico pugnale che aveva preso per sua difesa. Non servì.

Festus. Fu questo il nome che Leo diede a quel drago e disse a suo fratello che lo aveva capito, che lo aveva toccato e che ci aveva parlato. Beh, forse non parlato parlato. Forse avevano comunicato in maniera differente. Forse Leo aveva intuito, dopo aver lanciato uno sguardo all'espressione di suo fratello che correva verso il drago, col suo pugnale in mano.

Festus non era fedele alla Terra. O a Loki. O al Caos. Mi spiace Imir.

Efesto, il padre di Leo e Charles, aveva scelto quella collina, per poter costruire una casa, perché era calda e accogliente e perché, su quella, la neve si scioglieva, diventando acqua.

Festus amava letteralmente quella collina. Perché all'interno di quella collina, dormiente, dopo la battaglia contro Thor, dormiva un dragone.

Che fosse fratello, figlio, padre o madre di Festus, questo Leo lo considerava assolutamente irrilevante. Stava semplicemente difendendo qualcosa che amava. Andando oltre il bene e il male, lui custodiva la collina. E questo sembrò umano, agli occhi del ragazzino. E questo sembrò bellissimo. E il suo popolo, che uccideva i draghi, gli sembrò così stupido, per non aver visto quello che una notte, ai suoi occhi, sembrava così evidente. Non era una novità, che fossero ottusi, comunque.

Aveva fermato Charles, facendogli vedere che stava bene e, con le loro erbe, avevano dato un primo aiuto al drago bronzeo, che ancora li guardava, diffidente, forse, grato, sicuramente.

"Non capisco cosa vuoi che facciamo" aveva detto il fratello maggiore, grattandosi la testa e passandogli la borsa di pelle, dubbioso, ma anche incuriosito.

Non erano mai stati bravi con le erbe medicamentose, ma il rudimento delle erbe per disinfettare una ferita era a loro familiare. Entrambi erano molto portati a ferirsi anche inutilmente, con gli strumenti del padre, con qualsiasi cosa potesse anche non sembrare pericolosa. Era una caratteristica che avevano preso da Efesto. In un certo modo, l'essere così -poco prudenti e attenti alla loro sanità fisica- li rendeva uniti e fieri. Perché a volte si è fieri di stupidaggini.

"Possiamo avere la fedeltà dei draghi" Leo alzò gli occhi e guardò gli occhi del fratello, mentre una sua mano continuava ad accarezzare il muso di Festus, che ormai aveva abbassato le palpebre, esausto. "Se noi saremo fedeli ai draghi."

Charles sbattè le palpebre, arricciò le labbra e inclinò la testa. Si andò ad inginocchiare dall'altra parte del muso di Festus, che gli sembrò essere l'essere più bello che lui avesse mai visto. Sorrise e poggiò una mano accanto all'orecchio del drago. "E come vuoi averla, la fiducia dei draghi?"

Leo aggrottò le sopracciglia, come se il tutto non fosse ovvio. "Curando lui" la semplice risposta.



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Quando arriva accanto al ragazzo, lui ride, tenendo una mano sul muso del drago giallo davanti a lui. E lei si paralizza.

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

Nei momenti di panico, nel pericolo, quello che il Maestro Ares aveva insegnato loro era attaccare attaccare attaccare. Per difendersi, si attacca. E quindi porta la sua mano al suo fianco, là dove nasconde il pugnale e punta i suoi occhi su quello neri del drago.

“Abbassa le armi, Raggio di Sole” la avvisa il ragazzo, girandosi verso di lei. E la guarda in un modo strano, serio, forse un po' deluso. “E poi, Frank non è mica un drago. I draghi sono carini.”

E sotto gli occhi di lei, le ali di un drago diventano braccia, e il muso un viso, e la coda scompare.

Un ragazzo alto, alto, troppo alto, che intrappola la testa del più basso in un abbraccio, scompigliandogli i capelli con forse un po' troppa energia e sovrastando gli “Ahi!” del ragazzetto con una fragorosa risata. “Carini mai” borbotta, per poi lasciarlo andare.

E Calypso pensa stregoneria. E fa due passi indietro, passando il suo sguardo trai due ragazzi, che prendono a parlare di una Hazel, di un Charles e di draghi.

Parlano della Tana dei Draghi.





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Festus si dimostrò essere un drago mansueto, mettendo da parte la sua abitudine di bruciare gli alberi e giocare come avrebbe fatto un topo con le rondini. Ma, cosa incredibile, disdegnava la carne. La odiava proprio.

Preferiva erba, bacche e, chissà perché, aveva un amore unico per il ferro.

Leo non se la sentiva, comunque, di criticare la dieta del suo drago: gli andava bene anche così. E in questo modo aveva capito che non tutti i draghi erano uguali, come non tutte le persone erano uguali.

Festus era vegetariano e che Leo gli presentasse delle pecore, che le facesse pascolare davanti a lui, non cambiava il fatto che il drago le guardava annoiato e continuava a giocherellare con i fili d'erba.

E rimaneva accasciato a terra, come a voler rimanere accanto a quel dragone che viveva nella collina sotto i suoi piedi. Festus venerava la collina, o l'essere dentro la collina, e non l'avrebbe mai abbandonata.

Se fosse stato il drago ad affezionarsi a Leo, come se Leo fosse stato un cane, o Leo si fosse affezionato a Festus come se Festus fosse stato un cane, era difficile da dire. Forse era Leo l'animaletto da compagnia di Festus, e andava bene così. Anche così.

Per questo quando una notte di mezza estate si svegliò, dopo la Pioggia di Fuoco, e vide Festus girare la testa verso di lui, si chiese cosa stesse facendo, quel drago e perché non scendesse. Quando Festus si alzò nel volo più alto che Leo avesse visto, Leo capì che Festus se ne stava andando. E quando vide che, in groppa al suo drago c'era suo fratello, sbatté le palpebre e capì che la casa sulla collina era rimasta sola, con solo lui all'interno.



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Il ragazzo, che si chiama Leo, non è stupido, a quanto pare: le ha tolto tutte le armi che portava con sé, ma non il pugnale. Forse la voleva mettere alla prova e, a giudicare dal modo in cui le lancia alcune occhiate, lei non l'ha superata.

Ma neanche Calypso è stupida.

Leo conosce la Tana dei Draghi, per qualche strana ragione e lei deve uccidere un drago. Non uno della tribù dell'Oriente, che idolatravano le creature di Loki e si potevano trasformare in draghi, e ne è grata, perché Frank sembra una persona molto dolce, con i suoi modi di fare impacciati mentre cucina e mentre Leo inizia a ridere di qualche sua stranezza.

Forse sarà più facile ottenere la fiducia del ragazzo d'Oriente, che gentilmente le sorride e segue i codici di tutte le tribù. Sicuramente, pensa Calypso, è stato lui a convincere Leo ad ospitarla, cosa che gli faceva onore ai suoi occhi, guadagnando un trattamento di riguardo da parte della ragazza: l'ospitalità è stato uno dei principi di Odino, un sintomo di anima buona.

Invece Leo, lui ha capito. Calypso capisce che Leo ha capito.

Ed eppure la sorprende, portandola sul tetto della sua casa, una notte, e puntando il cielo col dito. Era la sua terza notte in quella casa, almeno la terza da cosciente ed ebbe paura, così tanta paura da cercare di nuovo il suo pugnale accanto al suo fianco, da prendere la mano di Leo e cercare di portarlo a terra, per salvarlo. Ma lui la ferma e continua ad indicare.

La Pioggia di Fuoco, così la chiama. E palle di fuoco cadono dal cielo, minacciando la tranquilla casa sulla collina.

Calypso aguzza lo sguardo e si rende conto, con orrore che quelle palle di fuoco sono draghi, che hanno perso il loro equilibrio in cielo e cadono a terra.

“Sei impazzito?” grida, girandosi verso il moro. “Moriremo!”

Lui sorride, perché è impazzito del tutto, e continua a guardare il cielo. Dalla porta della casa esce anche Frank, che alza gli occhi e sorride, con uno straccio in mano che lo faceva sembrare una mamma piuttosto robusta.

La palla è sempre più vicina, si fa tutto sempre più caldo e Leo tiene stretto il polso di Calypso per non farla scappare. E lei pensa Morirò così.

Non muore, invece.

In alto, nel cielo, un enorme drago bronzeo s'interpone tra le palle di fuoco e la casa. Allontana il pericolo, combatte contro quel nemico senza viso, poi gira in tondo sopra il tetto, poi scende e porge il muso a Leo. Ma non è il solo: decine di draghi, piccoli, grandi, gialli, verdi, rossi, bianchi, di tutti i colori visti dall'occhio umano, atterrarano ai piedi della collina e fecero una riverenza ad essa, prima di arrivare davanti a Frank, di fronte alla casa sulla collina. Come gatti, prendono a rotolarsi sull'erba e non sputano fuoco, non si sognano nemmeno di far del male a nessuno di loro.

Leo sorride, si butta su di lui e lo abbraccia. Il drago sembra voler fare le fusa, strusciando il suo muso sulla guancia del ragazzo. E il tutto sembra incredibilmente tenero e giusto.

Calypso continua a guardare e non sa che fare, perché nessuno le ha insegnato che un drago può fare le fusa ad un essere umano, o che possa proteggere la casa in cui vivono due ragazzi, o che possa sorridere. Un drago può sorridere!

Frank torna dentro casa, asciugandosi le mani, sorridendo soddisfatto e gridando che in poco tempo sarà pronta la cena, a chi fosse riferita la frase, se a lei e Leo o ai draghi è un mistero. E lei ancora non sa che fare.

“I draghi non sono cattivi” mormora Leo, accarezzando dietro le orecchie della bestia bronzea, con un sorriso dolce e nostalgico. “I draghi sono fedeli.”



🔥🐉


Quell'anno arrivarono dei draghi dall'oriente, nella notte della Pioggia. Comparirono come compaiono gli stormi di rondini in primavera, inattesi e felici, mentre i draghi di fuoco cadevano dal cielo.

Leo non poté che rimanere a guardare, col naso all'insù e la meraviglia negli occhi.

Schiere di draghi, ordinati, compatti e bellissimo, stavano proteggendo la collina, creando giochi di fuoco nel buio della notte e colorando di rosso la luna, che sembrava ardere letteralmente.

Festus era tra loro e, non appena le luci arancioni del cielo si spensero, si precipitò a terra, ad accarezzare con cura e devozione il ragazzino, che ormai non si teneva nemmeno più in piedi, tanta era la meraviglia.

Decine di draghi lo seguirono, svolazzando sopra la casa e annusando l'erba, o lo stesso Leo.

E per quanta fosse la meraviglia del ragazzino, davanti a quei cuccioli che si sparavano scintille, mordendosi le orecchie reciprocamente e giocando tra loro, fu il drago più grande, che seguiva Festus, ad attrarre la sua attenzione.

Perché era diverso dagli altri draghi: era lungo, ricordava un serpente, aveva le d'amore molto corte, due stranissimi baffi sul muso e sputava acqua, non fuoco.

“Sono l'erede imperatore della Cina” proclamò il drago, alzando il muso verso l'alto, che diventava magicamente un viso, e lui, incredibilmente, diventava un essere umano, con mani, piedi e busto. Leo non cadde a terra dalla sorpresa solo perché Festus lo teneva in piedi con la coda, cullandolo neanche fosse stato il suo cucciolo. “E ti ringrazio per aver custodito il segreto dei Draghi e il loro Tesoro.”

Leo stava ancora boccheggiando. “Cosa?”

Il drago-ragazzo, che poi si sarebbe scoperto chiamarsi Fa, ma che lui avrebbe chiamato Frank, alzò un sopracciglio, scuotendo la testa e sorridendo appena. Nella sua versione umana non aveva i baffi, notò Leo. “Tuo fratello mi ha detto che forse non avevi capito. Questo Leo,” indicò la collina tutta, aprendo tutte le braccia. “Questo è il Tesoro dei Draghi.”

E Leo scoppiò a ridere perché, dai, quel ragazzo che cercava di essere pomposo e di darsi un tono, sembrava tanto ridicolo, nel farlo.



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È il quinto giorno e Calypso non vuole scendere dal tetto.

Sa che è stupido, perché qualsiasi drago, anche il più piccolo, sa volare e può salire sul tetto in qualsiasi momento, ma la cosa in quell'istante, per lei, sembrava avere senso. Quindi non scende dal tetto, il sole le sta cuocendo la testa, la notte le gela le ossa e Leo la prende in giro. Perché una persona che fa cose stupide, nella credenza comune, è stupida.

Ma è bello stare sul tetto.

Frank sale due volte al giorno e le porta da mangiare e Leo ha ordinato ai draghi di stare lontani da lei. La cosa che sorprende Calypso è che i draghi lo ascoltino e lo riveriscano come dei figli davanti ad un padre. E quella dolcezza negli occhi del ragazzo, che li cavalca, li fa salire in volo, e poi accarezza loro la pancia.

Quando Leo dice a un drago di rotolare, il drago rotola, quando dice di acchiappare una palla, loro la acchiappano, quando li vuole cavalcare, loro si fanno cavalcare. Una simile adorazione non è riservata neanche a Frank, che, eppure, doveva essere importante, lui, mezzo drago mezzo uomo.

La notte, quando Leo esce per qualsiasi ragione, lo seguono due o tre piccoli draghi, che lo custodiscono, lo riscaldano e lo riportano a casa sano e salvo.

E Calypso non capisce perché.

I draghi sono fedeli.

“Perché sono fedeli a te?” chiede Calypso, abbracciando le ginocchia e abbassando lo sguardo sul ragazzo.

“Perché sei su un tetto da cinque giorni?” ride Leo, abbandonando sulla spalla destra un bastone che usava per percuotere i rami di un melo. “I misteri della vita.” E alza le spalle.

“Perché i draghi hanno bruciato la mia casa e io ero dentro la mia cameretta” risponde lei, alzando un lato della bocca. “E se io sarò dentro casa, qualcuno potrebbe morire, di nuovo.” E chissà perché lo ha detto. Sbatte le palpebre e le cose continuano a sembrare giustissime così. Anche se quel ragazzo lo conosce appena.

Leo sembra capire tutti i sottintesi che la ragazza ha lasciato nelle sue parole - “Potrei morire”, o “Potreste morire cercando di salvarmi”, ma anche “Non mi fido dei tuoi draghi”- e torna a guardare l'albero di melo. Accarezza Festus.

“Tra poco partirete” sussurra abbassando la testa e il drago scuote la testa, a volersi liberare dalla tera sulle sue orecchie. Un segreto tra lui e il drago. Leo torna a guardare Calypso. “Loro sono fedeli a me, perché io sono fedele a loro.”

Calypso ci pensa e allunga una gamba verso la scala. Ci pensa ancora e guarda Festus muovere la coda, come un cane, felice e sorridendo. Si aggrappa alla scala e prende a scendere.

Quando la punta dal suo piede, fasciato da uno stivale di pelle di bue, tocca terra, succede qualcosa che la spaventa.

La terra vibra e dal profondo della collina un mugugno si alza, simile ad un gemito di un neonato.

Frank si catapulta fuori dalla casa, ansimando, e guarda Leo, che sorpreso, guarda Calypso. Lei, la ragazza, sbatte le palpebre e si attacca alle mura.

La collina tace di nuovo e Festus prende il volo, insieme agli altri draghi, perché il Grande Giorno è vicino.



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C'era questa leggenda che gli aveva raccontato Frank e con la quale Leo dovette iniziare a convivere.

Una leggenda delle tribù orientali, di quel grande paese del quale un giorno Frank sarebbe diventato imperatore. E raccontava di come i draghi fossero buoni e gentili e amassero gli uomini.

Raccontava di questo quattro re dragoni che, per amore di quelle tribù, avrebbero riportato la pioggia sulle loro terre andando contro l'Imperatore di Giada e andando contro la punizione di essere schiacciati sotto le montagne. Diceva, questa leggenda, che, i re dragoni, per fare in modo che in quelle terre gli uomini non morissero di sete o di fame, convertirono i loro lunghi corpi in corsi d'acqua che portavano acqua potabile alle tribù orientali.

I capo-tribù di quelle terre, come Frank, potevano trasformare il loro corpo nel corpo dei dragoni, e cercavano di custodire i draghi rimanenti sulla terra, per gratitudine e bontà. I draghi delle tribù orientali erano comunque differenti dai draghi che conosceva Leo, ma Frank aveva detto che come vi erano diverse peculiarità da uomo a uomo a seconda delle terre in cui abitavano, così ce ne erano per i draghi. Poi aggiunse che stava cercando il Tesoro dei Draghi, per custodirlo, come lo avevano custodito i suoi antenati, prima di lui, perché là in Ciaina -"Cina, Leo!"- non si è un buon capo-tribù se non si protegge il Tesoro dei Draghi.

“E questo sarebbe il grande Tesoro?” Leo aprì le braccia, per mostrare la collina sotto di loro e fare una smorfia dubbiosa.

Frank toccò terra, annuendo. “Quello sotto di te, Leo, è l'ultimo uovo deposto dai re-dragoni prima di essere schiacciati dalle montagne. Vivi proprio sopra il futuro re, o la futura regina dei draghi.” Gli lanciò un'occhiata per assicurarsi che lo capisse e forse l'espressione sul volto del riccio non fosse molto intelligente, perché alzò gli occhi al cielo, impaziente.

“Chissà che dolore deporlo.”

Appunto.

“E tra quanto nascerà Leo II?” continuò dando una distratta pacca sull'erba. “E perché alcuni draghi lo attaccano tutti gli anni? E come ci è finito qui? E perché…”

Frank lo fermò con un gesto della mano. “Quei draghi che abbiamo fermato, sono sotto gli ordini di uomini malvagi che temono il ritorno dei dragoni in Cina e nel mondo. Attaccano quando l'uovo è più vulnerabile, secondo quello che mi ha detto tuo fratello… Temono il caos, quando i draghi non fanno che portare armonia. Qui li chiamano…”

“Creature di Loki, sì, sì. Noia. E quindi, quando nasce Leo II?”

Frank arricciò le labbra, indeciso, poi sorrise, guardando lo sguardo pieno di vita e curiosità di Leo. “Le leggende dicono che… non sono sicuro ma… quando un seguace del fulmine accetterà il fuoco nascerà il drago.”

Stettero in silenzio per qualche secondo, seduti uno di frote all'altro, mente i draghi intorno a loro giocavano, gioiosi e innocenti.

C'era questa domanda che stava affollando la testa di Leo, ma aveva pura a farla. Aveva paura della risposta. Sbatté le palpebre, grattandosi la testa.

Avrebbe potuto chiedere dove aveva trovato così tanti draghi da portare in quella collina. Poteva chiedere su quella strana profezia che Fa Zhang aveva pronunciato. Cosa era il fuoco e chi era il seguace del fulmine. Come aveva fatto Charles a sapere di lui. Poteva chiedere di passargli il suo bastone. Poteva fare una battuta sul fatto che i seguaci di Odino, per sconfiggere Loki usavano le creature di Loki. Ma c'erano cose molto più importanti, in quel momento.

C'erano persone più importanti.

“Dov'è Charles?”

E Frank abbassò lo sguardo, strinse la mani in un pugno e gli chiese scusa.



🔥🐉




È il trentesimo giorno di Calypso su quella collina e inizia a sentirsi a casa. Non sapeva esattamente perché ma le cene con Frank e le litigate con Leo le sembrano la cosa più bella in questo mondo.

Continua a non accettare i draghi, però, perché le fanno paura. Le fanno tanta paura.

Per questo si nasconde dietro Leo, quando Festus cerca di avvicinarsi a lei. E c'è quella strana espressione sul viso del moro, come se desiderasse ardentemente che lei accettasse, se non tutti i draghi, almeno Festus.

C'è voluto poco per Leo ad entrare nel cuore di Calypso. Come amico, sia chiaro. Come amico, o compagno rompiscatole di avventure. Lei non aveva certo la voglia di renderlo triste, di vederlo solo o… va bene, niente. Dimentica.

Erano stati i suoi piccoli gesti a farle capire quanto fosse dolce. Quel salire sul tetto quando lei non voleva scendere da quello. Quel ridarle i suoi vestiti puliti. Quelle battutine per farla ridere, quando la vedeva un po' giù. Era bastato questo.

Leo le prende una mano, con una dolcezza che, forse, usava solo per i draghi. Allunga l'altra mano verso il muso di Festus e il drago abbassa il naso, dolcemente.

Leo la spinge verso quello, guardandole la mano, lentamente, con pazienza, mentre Festus muove la coda. E Calypso lo guarda come se fosse il peggiore dei traditori.

“No” mormora, cercando di ritrarsi al tocco del ragazzo.

E lui risponde: “Fidati di me,” con quello sguardo che fa sentire Calypso male al solo pensiero di volergli dire di no. “Non ti faranno niente” continua Leo e le dita di Calypso stanno per toccare le squame di Festus. “Se tu gli dai l'opportunità di fidarti di te, lui lo farà. Davvero.”

Calypso si chiede una cosa, allora. Parla di Festus o parla di lui? Deve guadagnarsi la fiducia di Festus o di Leo? Perché lei già si fida di Leo e vuole davvero che lui si fidi di lei.

Quindi non guarda Festus, quando la sua mano tocca la testa del drago. Guarda Leo, che le restituisce lo sguardo, questa volta più dolcemente, in modo più rilassato. Era come se Calypso avesse accettato una parte di lui, come se fino a quel momento lei non lo avesse accettato completamente. I draghi fanno parte di lui, per qualche motivo e lei voleva avvicinarsi a loro solo per comprendere quello sguardo dolce sul viso del ragazzo, solo per avere accesso anche lei a quella parte di lui.

E Festus muove la coda come un cane e sembra felice che lei gli gratti dietro le orecchie. Sbatte le ali, ma non prende il volo.

Forse è per questo che Leo e Calypso non si rendono conto di quello che sta succedendo ai loro piedi.

Il pianto che sembrava un ruggito all'interno della collina. La casa che prende a tremare e si distrugge, cadendo su se stessa, la stessa casa in cui Leo è cresciuto. Festus li prende con la bocca e vola in alto.

Frank prende le sembianze di un drago e lo segue, prendendo più comodamente Calypso sulle sue spalle, dalla bocca del drago

Leo guarda a terra e si dà dello stupido per non aver pensato alla sua casa distrutta, mentre un cucciolo di drago, piccolo come un neonato, nonostante si trovasse in quell'uovo gigante, apriva gli occhi verso il cielo nuvoloso.

E Calypso, davanti a quella meraviglia, continua a guardare Leo, tenuto dalla maglietta trai denti di un drago.




🔥🐉


Tutte le volte che Frank e i draghi se ne andavano, alla fine delle Pioggie di Fuoco, la casa era vuota.

Leo cercava di occupare la mente con tante attività, correndo per il bosco e cercando piccoli draghi che necessitassero della sua protezione o di una Tana.

Ma era sempre sola, quella casa. Per questo, quando vede una ragazza a terra, svenuta, non ci pensa due volte a portarla nella sua casa, a curarla, a prendersi cura di lei.

Dice di averlo fatto per noia, ma lo fa perché ha un buon cuore e si sente solo. E perché lei, nel sonno, continua a ripetere: “Non tornare dentro, Zoe. Lasciami lì.”


🔥🐉


Frank sembra felice. Continua a ripetere roba come: “Tu eri la seguace del fulmine, e tu sei il fuoco, certo!”

Leo non è rimasto molto tempo a guardare le macerie della sua casa. Ha trovato molto più interessante guardare il draghetto che sarebbe dovuto essere un re dragone, ma che aveva degli occhioni così grandi e belli da intenerire il più duro dei cuori.

“Che ci devo fare con questo?” Leo prese il draghetto dalla coda e lui si arrampicò sul braccio del ragazzo, infilando gli artigli nella sua pelle. “Mi sta facendo male.”

“È adorabile.” Il commento della ragazza. E stava veramente propendendo le braccia per poterlo prendere in braccio, cosa che sembrava strano anche a lei. Poco prima nemmeno voleva toccarlo, un drago e adesso, quello che era venuta a fare, le sembra una cattiveria immane, contro una creatura così piccola e indifesa. “Devo trovare una nuova casa” si rende conto, chiedendosi se sarebbe mai riuscita a rivedere Rachel. Non poteva tornare alla sua tribù senza il dente di un drago, soprattutto se non aveva intenzione di uccidere un drago, perché quel cuccioletto tra le sue braccia era seriamente adorabile. Anche se era il re dei draghi.

“Casa mia si è distrutta” sbuffa il moro. “Se vuoi tipo… non so… potremo costruire una casa e… se vuoi, potresti rimanere qui.”

Frank si apre in un sorriso enorme e grida, grida forte: “Lo sapevo! Potreste fare la famigliola felice!” poi non grida più e un po' si vergogna di quello che ha appena detto. “Cioè. Magari voi due potreste… dici di sì, Calypso?”

La ragazza vuole veramente scoppiare a ridere, ma si concentra sulla figura di Leo, che combatte contro il draghetto bianco sulla sua testa e sbuffa.

“Ovviamente” sorride. E dice sì a tutto quello che può significare Leo. 






Note:
Doveva essere una piccola storia. Piccola piccola come una formica e poi Malcom prende la mano e fa questo. Sono tipo 6500 parole. Eh, cavolo. Tu che sei arrivai fino a qui hai una pazienza che nemmeno io! La mia prima intenzione, con le storie era farle gareggiare veramente: come i bambini, quale vi è piaciuta di più? Il problema è che devo calcolare 100 storie divise in cinque battaglie diverse all'ultimo ship e quindi niente. Se devo far vincere, esempio, Lacey, e a voi le storie di Lacey non piacciono? Ecco. Io sono una tiranna despota che decide chi vince.
Sono potente. E lo siete anche voi, se siete arrivati fino a qui, davvero!
Quindi, grazie per l'appoggio! Questa volta Caleo. L'ho detto. Le bandiere dell'OTP non mi abbandoneranno!

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Capitolo 3
*** #73: L'odio irrazionale ***


I figli di Afrodite lo stavano guardando in un modo strano. Un misto di stupore, ammirazione e tenerezza, come se li avesse stupiti in positivo -grazie agli dei.

Mitchell gli aveva lasciato la mano da metà della storia e aveva poggiato gli avambracci sul tavolo di legno, alzando gli occhi chiari su di lui, nella stessa posizione che assumeva quando lo guardava lavorare. E quello sguardo, invece, Malcom lo conosceva bene: amava quello sguardo. Amava Mitchell. E Mitchell amava guardarlo mentre creava, per qualche motivo.

Piper sbattè le palpebre e scosse la testa, a volersi riprendere da qualcosa -Malcom si chiedeva da cosa. "Va bene. Allora..." Indicò se stessa, la piccola Lacey e Mitchell, tra i mugugni irritati dei fratellastri. "Saremo i giudici. Quindi. Lacey?"

La ragazzina assottigliò lo sguardo verso il biondo e, nel farlo, per la prima volta sembrò, agli occhi di Malcom, davvero sorellastra di Drew. "La storia di Drew era più bella. Romantica e semplice. Malcom ha strafatto con tutte quelle leggende. Penso abbia perso il filo del racconto. Cina, Vichinghi, draghi... ha dato più importanza a loro e poca alla coppia. La Caleo è fantastica, ma lui non è all'altezza di raccontarla." Incrocia le braccia, muove leggermente la testa di lato e sorride.

Ah, bene. I figli di Afrodite sono dei critici letterari -si potevano definire così? Oh, aspetta. Caleo? Cos'è? Malcom si guardò bene dal commentare.

"Mitchell?"

Il moro si alzò dalla sua posizione rannicchiata e arricciò le labbra, come a doverci pensare su. "Direi che più che semplice, la storia di Drew fosse banale" cominciò, aggrottando le sopracciglia. "In fondo, beh, la storia di Percy la sappiamo già. Poteva variare qualcosa, invece ha solo ricalcato quello che conosciamo di lui, mettendo qualche elemento Jercy qua e là. Invece Malcom ha usato la fantasia, e che lui conosca le leggende e tu no, dovrebbe farti chiedere qualcosa, Lacey."

La bambina sbattè le mani sul tavolo, pronta a rispondere alla provocazione del maggiore, ma la mano di Piper le si poggiò sulla spalla. Non dovette neanche parlare perché la piccoletta chiudesse la bocca e si sedesse, sbuffando.

"Penso" iniziò la Capo-Cabina, adocchiando la sorellastra. "Penso che Drew abbia sottovalutato Malcom. E che la storia sia stata all'altezza delle nostre migliori battaglie. Quindi il primo round lo ha vinto lui." Piper non ammetteva repliche. Lacey la fulminò con lo sguardo, come a chiederle da che parte stesse e Mitchell sorrise a Malcom.

Uno a zero per il figlio di Atena, che ancora si stava chiedendo cosa c'entrasse il Jercey nella battaglia che stava conducendo in quel momento. Drew, però, continuava a sorridere, come se avesse previsto tutto questo.

"Allora." Di nuovo, la Capo Cabina attirò l'attenzione su se stessa. "Ha vinto Malcom e comincia lui. Hai una coppia in mente?"

Il biondo si morse le labbra -non pensava di dover trovare in fretta un'altra storia. Doveva pensare. Fare presto prima che inizino a fare il conto alla rovescia.

Incrociò lo sguardo del suo ragazzo e gli venne in mente qualcosa. Non aveva mai pensato in quei termini gli dèi, ma poteva funzionare. Forse. "Io shippo Ade e Persefone" sputa velocemente.

Piper sorrise. Si doveva star proprio divertendo. Lo invitò, con un gesto veloce della mano a iniziare la sua storia.











#73 Sono l'insegnante di suo figlio e chiamo per parlarle della sua condotta, also verrebbe a cena con me!AU








 

L'Odio Irrazionale









Premettiamo due o tre cose: punto uno, Persefone era una bella donna; punto due, non aveva nessun kink strano o sintomo di pazzia repressa -Demetra aveva controllato-; punto tre, se Persefone era single era perché lei voleva essere single.

Non erano gli uomini a stare lontani da lei. Insomma, per chi l'avevano presa? Era? No, lei non spaventava gli uomini come faceva sua zia, o come Artemide, che era arrivata al punto di sparare addosso ad un ragazzo che aveva avuto l'ardire di seguirla durante la Caccia al cervo. No, Persefone declinava gentilmente le offerte degli uomini e se ne tornava ad essere felice insieme alle sue poesie e ai suoi fiori.

Essere una professoressa della Jefferson Middle School le dava abbastanza tempo per se stessa, per il suo orto in giardino e per i suoi capelli. Week-end liberi, vacanze e ponti abbastanza larghi, poteva anche tornare a New York per l'estate, a trovare sua madre, che, tutte le volte che la vedeva, si lagnava di quanto fosse pallida, magra e dall'aspetto malaticcio. Come potesse vedere Persefone pallida, quando quella viveva in California era un mistero, ma la donna non ci faceva tanto caso: la melodrammaticità di Demetra l'aveva cresciuta, in fondo, e anche i suoi cereali.

Quindi il quadro poteva essere considerato generalente positivo.

Una tranquilla vita, in una tranquilla città, con un lavoro tranquillo. E nessuna nuvola all'orizzonte. O almeno così credeva.

Persefone sospirò, poggiando le mani sui fianchi e chiedendosi per quale motivo i ragazzini dovessero essere così problematici e rompiscatole. Prese i libri di testo con entrambe le mani, muovendosi verso il giardinetto verde, con grande grazia, nonostante la fretta.

La gonna che portava si muoveva col vento, verso destra, e i libri volevano aprirsi contro il suo petto. Per questo e perché aveva capito che non poteva acchiappare un mocciosetto con entrambe le mani occupate, gettò i libri mentre camminava. Si alzò in punta di piedi, afferrando il bimbo moro che stava scavalcando il muretto per uscire fuori dalla scuola per la gamba. Lo tirò verso il basso e lo acchiappò per il colletto, mentre questo si dimenava, neanche fosse stato un pesce.

"Nico Di Angelo" mormorò, guardando il ragazzino fulminarla, come se, dentro di sé, la stesse maledicendo con le peggiori parole che poteva conoscere un ragazzino di dieci anni. "Cercavi di scappare?"

"Fatti gli affari tuoi."

La professoressa ruotò gli occhi. "Penso che chiamerò i tuoi genitori."

"Se trovi mio padre me lo saluti" rispose lui, con le sopracciglia aggrottate e una chiara epressione irritata.

Persefone non ci fece caso -ragazzini-, e lo trascinò in sala professori.




️📓📚





Persefone aveva parlato con le sue colleghe, più Dioniso, molte volte sulla condotta del Di Angelo.

Ah, ma il ragazzino non ha avuto una vita facile. Ma Nico in fondo è un ragazzo molto dolce. Dovremmo trattarlo con i guanti, povero bambino.

Questo non toglieva che il ragazzino desse molto spesso dei grattacapi un po' a tutti i professori, cercando di scappare dalla scuola, dicendo di non voler fare i compiti e con quella sua condotta anti-sociale. Se mai un agente dell' FBI si fosse presentato a Persefone, la donna avrebbe indicato il moro come un possibile terrorista. E Persefone non capiva perché questa cosa non faceva ridere Era, o, almeno, Arianna.

Il fatto che il ragazzino continuasse a dare problemi, aveva dato modo alla professoressa di prepararsi in testa un discorso ben organizzato e con dei punti specifici, da non saltare assolutamente.

Il fatto era che Persefone contava col fatto di poter contare sul proprio cervello nel momento del colloquio col genitore. Grosso, grosso errore.

Nico se n'era stato seduto scompostamente sulla sedia, alzando gli occhi, ogni tanto e commentando il fatto che lui, di grossi guai alla scuola, non ne aveva causati poi così tanti, che non doveva per forza chiamare suo padre. Anche perché lui mica risponderà, no. E invece, da maleducato, Ade si presentò.

E addio bellissimo discorso di Persefone Gardner, perché già da quel momento il suo cervello, vuoi per il caldo di fine primavera, vuoi per chi si era ritrovata davanti, andò in fumo, cadde a terra come una biglia caduta dalla mano di un bambino. E tanti saluti.

"Suo figlio è un angioletto" blaterava, con la confusione negli occhi e chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato in lei.

C'era solo una cosa chiara nella sua testa: non voleva mai più sentirsi così; non voleva più vedere Ade Di Angelo.

L'uomo l'aveva guardata e, esattamente come il figlio, alzò un sopracciglio, non molto convinto delle parole della donna.

"E allora perché mi ha chiamato?"

Ade non era mai stato uno di così tante parole. Nico si era girato verso di lui, perche, davvero?, il compito di suo padre era sempre stato quello di grugnire davanti ai professori, annuire e dire cose come Vedremo cosa possiamo fare con questa peste.

"Beh, ha cercato di scappare da scuola..." Persefone non aveva più la forma normale degli occhi. No. Se è vero che l'occhio è direttamente collegato al cervello, attraverso gli occhi, Nico riusciva a vedere lo stato del muscolo grigio della sua professoressa e, no, la cosa non gli piaceva.

"Allora non è un angioletto."

"Dovrebbe tenerlo d'occhio."

"Va bene."

"Va bene."

E Nico li guardò osservarsi in silenzio per almeno due minuti buoni, prima di schiarirsi la gola e fingere due o tre colpi di tosse. Aveva paura di dover fingere di avere un attacco epilettico per attirare l'attenzione del padre.

"Allora buona giornata" si riprese l'uomo, sbattendo leggermente le palpebre.

"Si, va beh" borbottò lo studente, le mani nelle tasche, un piede già fuori dall'aula professori e uno sguardo trovo. "Ciao." E trascinò il padre fuori dalla stanza.

Persefone respirò di nuovo e pensò di essere uscita illesa dal problema Di Angelo.


📚✒️📓




Zeus era scoppiato a ridere, davanti all'uomo e alla sua tazza di caffè, perché lui poteva essere il più piccolo dei tre fratelli ma Ade era sempre stato il più, come definirlo?, ingenuo dei tre.

Il più grande e il più tonto. Quello che di donne ci capisce poco o niente.

"Lo sapevo io che dovevo parlare con Poseidone" sbuffò il fratello maggiore, mettendo un broncio imbarazzato e guardando fuori dalla finestra.

Zeus passò una mano trai capelli, continuando a ridere e dovette stare attento a non rovesciare la sua tazza di caffè e il suo cornetto e voleva smetterla di ridere, ma Ade era così tonto.

"Ti sei preso una cotta per la professoressa di tuo figlio." Alzò la testa e cercò di fermare la ridarella. "E non sai come attirare la sua attenzione. Poseidone ti direbbe cose stupide come: non ti preoccupare. Invitala a cena, sii te stesso e certamente la conquisterai." Ade si chiese perché Zeus stesse parlando con così tanto sarcasmo. A lui sembrava seriamente un buon piano conquistare la donna della sua vita -aveva già deciso che avrebbe sposato quella professoressa e l'avrebbe resa mamma di quei due marmocchi che vivevano a casa sua, facendola diventare la professoressa Di Angelo e non Gardner.- con la dolcezza con cui Poseidone aveva conquistato Sally. Zeus fermò i suoi pensieri, alzando una mano aperta davanti al suo viso. "La cosa andrebbe bene, se tu non fossi così tu. Io vorrei essere gentile, davvero, ma sei il peggiore sfigato tonto che io abbia mai conosciuto. Fin dai tempi di Maria, lo sei sempre stato."

Ade si grattò la testa. Incassò le parole del fratellino stoicamente: alla fine tutti sanno che l'autostima di Ade non era mai stata tanto alta. "Allora cosa dovrei fare?"

"Me." E no, Zeus non sembrava minimamente imbarazzato delle sue parole. Tutta l'autostima mancante in Ade era andata a finire nell'ego smisurato del fratellino. "Devi essere un figo. Uno che va a prendere suo figlio a scuola con la moto, porta gli occhiali da sole e il giubbotto di pelle e che parla un'ottava sotto il tuo tono di voce. Le donne amano le voci virili, gli uomini forti e rudi..."

"Ma tu non sei mai andato a prendere né Thalia né Jason a scuola..."

"...e devi raderti il petto. Quando ti porterai a letto questa potrai pensare a me."

"Disgustoso" commentò il fratello maggiore, ma niente, Zeus già stava pensando a dove portare suo fratello a fare shopping.

"Ah, dimenticavo" l'uomo puntò un dito contro Ade. "Dì a tuo figlio che si deve comportare male male male. Uccida il criceto della sua classe, o bruci un'aula..."

"E questo perché...?"

Zeus alzò gli occhi al cielo. "Perché allora potrai rapire la tua nuova conquista."



✒️📚📓




Nico voleva morire.

Nascose la faccia dentro il giubbotto e sperò che suo padre scomparisse. Ma lui continuava a stare lì, vestito come un idiota degli anni Sessanta -molto alla Danny Zuco, sul quale Nico non poteva più sbavare, grazie 'pà- e la professoressa Gardner continuava a fissarlo dall'entrata di scuola e lui desiderava così tanto morire che non capiva come fosse possibile che continuasse a vivere.

"Ma a papà piace la prof di Scienze?" gli chiese Hazel, tenendo il suo zainetto sulla spalla con una mano.

Nico la fulminò con lo sguardo, acchiappò il suo polso e la trascinò via.







✒️📚📓









"La condotta di suo figlio è peggiorata." Questa volta Persefone aveva abbastanza sicura, mentre parlava con Ade. Riusciva a mantenere un tono fermo, nonostante lo guardasse negli occhi e quella stupida sensazione che aveva avuto la prima volta che lo aveva visto era un po' scemata. Forse perché lo aveva visto andare a prendere i suoi figli con quella giacca di pelle. Sembrava veramente stupido. "Stiamo arrivando a pensare di espellerlo."

Nico non sembrava molto interessato alla conversazione, mentre suo padre gli lanciò un'occhiata pieno di sottintesi. Se avessero espulso suo figlio sarebbe stata colpa sua, ne era consapevole.

"Non è più un angioletto?" provò a tirare sul ridere, ma si leccò le labbra in segno di nervosismo e non rise.

Nico roteò gli occhi.

"Dovrebbe prendere più seriamente il suo ruolo da genitore" terminò lei.

Il ragazzino stava sorridendo sotto i baffi, mentre suo padre lo trascinava fuori dall'aula professori.





✒️





"Sei stupido." Questo fu il commento di Poseidone al telefono, quel pomeriggio e Ade si chiese per quale motivo quelle parole non gli sembrassero poi così sbagliate. "È perché sei stupido" ripeté il fratello. "Quante volte ti ho detto di non ascoltare Zeus?"

"Mai."

"Perché pensavo non fossi così stupido da ascoltare Zeus!" gridò Poseidone nell'orecchio di Ade, che allontanò la cornetta del telefono da sé, chiudendo un occhio e aggrottando le sopracciglia. "Una donna non va certo conquistata con sotterfugi e piani. Così vanno conquistate le femmine, cretino."

Il fratello maggiore arricciò le labbra, non molto convinto. "E la differenza tra femmine e donne sarebbe...?"

L'esasperazione di Poseidone si riusciva a percepire nonostante quello si trovasse a New York e Ade a Las Vegas. Bastò uno sbuffo e un secondo di silenzio per far sapere al maggiore che gli sfuggiva qualcosa di ovvio. "Tu vuoi portarti a letto questa professoressa e non rivederla più?"

"No…"

"Questa è la differenza, idiota."

Stettero in silenzio per un minuto buono, Poseidone preso a fare qualsiasi cosa Poseidone potesse fare nel tempo libero -Ade avrebbe giurato di aver sentito suo nipote Percy gridare contro Tyson qualcosa come: "Smettila di intrappolarmi in quella cavolo di rete!", ma non volle investigare- e Ade preso a pensare.

I pensieri di Ade sono sempre stati, fin da quando lui e i suoi fratelli erano piccoli, un mistero per chiunque non fosse lui, rendendolo impossibile da comprendere ad una persona normale. Ade era uno che pensava sempre alle cose peggiori. Era una Drama Queen, diceva sua figlia abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia; uno che di film mentali se ne faceva così tanti da rendere obsoleto il cinema, scontata la televisione e noiosa la radio. E forse la frase che disse successivamente era stato solo il risultato delle parole di Poseidone, o forse aveva iniziato a pensare alle molteplici strade a cui lo aveva avviato Zeus, che, a proposito, nella testa di Ade adesso era un traditore che lo aveva consigliato male solo perché voleva che suo fratello stesse da solo per sempre. Questo non era propriamente vero: Zeus lo aveva consigliato così in buona fede, solo, beh, era stupido, quindi lo aveva consigliato male. Tutto qua.

"Adesso mi odierà" borbottò a mezza voce cosa che fece tornare l'attenzione di Poseidone su di lui.

"Senti" sospirò il fratello minore. "Perché non fai una bella cosa e non chiedi a quella professoressa di andare a cena con te? Così. Sincero, semplice. Preparale il più bel primo appuntamento a cui sia mai stata e conquistala essendo te, non Zeus."

"Seh." Ade ruotò gli occhi. "Va beh, ciao."





✒️






"Senta." Nico alzò le spalle e guardò la donna dalla sua altezza al di sotto della media, per la sua età. Cosa stesse facendo era un mistero anche per lui, ma se c'era una cosa che aveva imparato dalla sua convivenza con la sua famiglia era che per amore ci si metteva in imbarazzo continuamente, anche se la tua famiglia dici di odiarla. "Non dico che voglio che lei sia la mia matrigna, mi fa schifo pensarla come la mia matrigna. Preferirei morire da solo in un'isola sperduta del Pacifico, ma... Senta, io non so quale sia il problema di mio padre. Ha quarant'anni e si comporta come un adolescente idiota e arrossisce in continuazione e ha dei fratelli idioti. È una cosa di famiglia. E adesso va in giro per la casa piagnucolando perché zio Zeus gli ha rovinato la vita. Ora, a me non frega niente, giuro, ma Hazel pensa che potrei aiutare mio padre a non essere triste. Non dico sposatevi. Continuo a dire che faresti schifo come madre, ma dagli una possibilità. Cioè le dia. Mio padre è stupido -perché è stupido-, ma non è cattivo."

Persefone guardò il ragazzino continuare ad alzare le spalle, come a togliere importanza alle sue parole.

"E poi a lei piace" continuò Nico in un borbottio infastidito. "Se dirà di no, penso che la prossima persona che deve affrontare sarà Hazel. L'ho fermata per un pelo, questa volta."

"A me non piace tuo padre." Persefone incrociò le braccia e gonfiò le guance, in un'espressione degna della bambina più capricciosa al mondo.

Nico alzò gli occhi e, davvero, avrebbe tanto voluto mostrare tutte le volte in cui aveva intravisto la sua professoressa a guardare dalla finestra suo padre sulla motocicletta e la giacca a pelle, l'espressione da idiota che aveva quando i loro sguardi s'incontravano e quei lunghi e imbarazzanti sguardi che si scambiavano -prendetevi una stanza, cavolo. "Seh."




✒️


Persefone era solo confusa.

Certamente non gli piaceva quell'idiota in motocicletta.

"No, infatti" annuì Arianna, senza neanche alzare gli occhi dai compiti in classe d'inglese.

Perché sembrava appunto un idiota, tossendo con quella sigaretta in mano quando era così ovvio che lui non fumasse. O con quello sguardo strano, vacuo, un po' da cucciolo, come se fosse continuamente dimenticato. Era uno che avrebbe dovuto essere rinchiuso in un ospizio per giovani vecchi, a dirla tutta.

"Certo, hai ragione." Arianna le parlava come si parla a un bambino lamentoso e un po' petulante.

Non la stava ascoltando. "Non mi stai ascoltando?"

"Se volessi ascoltare qualcuno che non accetta i suoi sentimenti me ne starei a casa a sentir blaterare Atena, non pensi?" sbuffò alla fine, abbandonando la penna rossa sul tavolo, per poi poggiare la guancia su una mano. "Ti rendi conto che questi idioti hanno scritto IDK? Siamo seri? Su un tema?"

"Io non sono come Atena."

“Come Artemide?”

“Io non sono come Artemide.”

Arianna roteò gli occhi. Cos'altro potrebbe fare? Vorrebbe seriamente mettersi a parlare dei sentimenti della collega, se solo non avessero fatto altro nelle ultime due settimane, e se solo la conclusione non fosse sempre, continuamente la stessa del giorno prima, senza che Persefone riuscisse ad uscire da un grattacapo così semplice. Allora disse la stessa cosa che le aveva detto il giorno prima, il giorno prima del giorno prima e il giorno prima del giorno prima del giorno prima: “Invitalo a cena.” Così semplice, così diretto. Arianna la guardò come se la conclusione fosse ovvia, ma il viso della donna non sembrava essere d'accordo, perché scosse la resa e continuò. “Controlla se è vero che non ti piace. Se ti ritrovi a cena con un cretino, almeno hai mangiato decentemente, se invece Papà Di Angelo si dimostrerà un brav'uomo…” lasciò la frase sospesa a metà.

Persefone si morse il labbro e non disse niente, lasciando l'insegnante inveire contro il cattivo inglese dei suoi studenti.




✒️





L'occasione si presenta, perché Nico ama veramente suo padre e non vorrebbe mai vederlo infelice, altrimenti, Persefone ne è sicura, non avrebbe mai fatto una cosa così stupida, sapendo che sarebbe stato beccato subito. Non in pieno giorno, non durante il suo turno di sorveglianza.

Poi c'era stata quell'occhiata da parte del ragazzino, dopo aver suonato l'allarme anti-incendio, quel E chiamerà mio padre?

Persefone avrebbe preferito non chiamare Ade, ma cos'altro avrebbe potuto fare?

E poi si erano trovati lì, uno davanti all'altro, e nessuno dei due spiccicava parola. Nico roteava gli occhi, come sempre, perché, dei, possibile fossero così imbranati? Imbarazzanti, idioti, incredibilmente fuori dal mondo.

“Ho fatto suonare la campanella anti-incendio” dice allora, e sia gli occhi di Ade che quello di Persefone si posano su di lui, seduto sulla sedia girevole, davanti alla scrivania nell'aula dei professori. Li trova patetici. “E alla signorina Persefone tu papà piaci. Anche a papà lei vecchia racchia, piace. Non so per quale motivo. Neanche fosse carina, ma okay. Quindi…” Nico aveva dovuto bere molti caffè e rimanere sveglio tutta la notte, per accettare quello che stava facendo. Davvero? Doveva procurare una ragazza al padre? E quella ragazza doveva proprio essere la sua insegnante di Scienze? Qualcuno ai piani superiori lo odiava. “Volete uscire a cena?”

Ade si grattò la testa, imbarazzato. “Beh…” E il silenzio imbarazzato cade ancora nella stanza. Forse Zeus aveva ragione e Ade sarebbe dovuto morire da solo, perché non sapeva parlare con una ragazza.

Nico doveva convincersi a non dire cose cattive. Si stava graffiando le mani, per non dire cose cattive.

“Va bene” dice lei. “Io esco con lei e suo figlio la smetterà di fare qualsiasi cosa stia facendo.”

“Guarda che a me mica stai simpatica” protestò il ragazzino, ma, ormai, chi lo stava ascoltando?

Ade sorrideva come un idiota, guardandola con gli occhioni a cuoricino, e lei lo guardava leggermente diffidente, forse perché veramente non sapeva cosa doveva aspettarsi da quell'uomo. Le aveva mandato messaggi contrastanti. Non lo conosceva mica.

“Domani?”

“Questa sera” propose lui. E non sembrava ammettere repliche.







✒️



Hazel si portò alle labbra la tazza piena di latte caldo, con le gambe incrociate sulla sedia e gli occhi puntati sul fratello maggiore e poi su suo padre e la sua insegnante di Scienze.

“La dovrei chiamare mamma?” Alzò un sopracciglio, sussurrando all'orecchio di Nico, che la fulminò con lo sguardo.

“Non ci provare.”

“Abbiamo una nuova Non-si-sa-bene-cosa per colpa tua.”

“Sta zitta.”

“Perché papà sta tipo… che schifo, la bacia!”

“Ci dobbiamo abituare.” Ma nemmeno lui stava guardandoli più, e le fece distogliere lo sguardo, rischiando di farle versare il latte sulle ginocchia. “Papà è felice.”

“Io no.” Hazel arricciò le labbra e guardò la sua tazza coi cereali, indicando quella che sarebbe dovuta essere la loro Nuova-Nonna che saltellava contenta, buttando tutto il cibo spazzatura che Nico, Hazel ed Ade avevano collezionato in anni. “Addio doppi-cheesburger” sospirò.

Nico le diede un colpo alle costole, con un gomito. “Possiamo sempre scappare e andare al McDonald.”

Famiglia è sacrificio.







Note:
Sono scomparsa per un po' e continuerò a scomparire. Questo perché devo mettermi in testa di studiare, perché, ricordate che studiare è importante.
Detto questo, ci ringrazio sempre, perché siete dolcissime, con le vostre recensioni e le vostre parole e vi voglio bene.
 

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Capitolo 4
*** #6: La trappola degli inglesi ***


I semidei -il che voleva dire tutti i semidei- guardavano verso il cielo, il che era piuttosto stupido, perché la storia appena raccontata parlava invece del dio dell'Inframondo, certo non di Zeus, no?

Malcom si passò una mano sul viso. Ah, vero. Zeus faceva la parte del fratello idiota. Ops. Colpa di Malcom.

Comunque non capitò niente. Non successe niente nell'arco di due minuti e i figli di Afrodite presero quello come un buon segno per continuare la battaglia. O almeno, così fece Piper, che riportò l'attenzione dei suoi fratellastri sulle sue dita, che facevano il conto alla rovescia.

Era già arrivata a cinque.

Mitchell aveva ripreso la mano di Malcom. "Hai fatto una scelta rischiosa" aveva sussurrato, con un sorriso. Sembrava davvero preoccupato, neanche da questa sfida dipendesse davvero la vita di Malcom. "Speriamo vada bene."

Lacey li fulminò con lo sguardo, mentre il fratellastro poggiava la fronte sulla spalla del biondo -"La prossima volta scegli uno ship meno pericoloso" continuava a ripetere, come se Malcom capisse le sue parole. E Drew riprese a ridere.

Le dita di Piper erano tre, ben alzate. Stavano per diventare due.

"Tutti sapete cosa shippo" disse Drew e prese a raccontare, senza che Malcom capisse, ma con gli occhi complici dei suoi fratelli e quelli preoccupati di Mitchell.

















#6 Ti ho accidentalmente versato una pozione d'amore! Au





 

La trappola degli inglesi










Silena aveva diciotto anni e il fatto che suo padre non si fidasse ancora a lasciarle il negozio era snervante. No, davvero. Non era stato lui a iniziare a piangere come un ragazzino davanti ad una cliente il giorno in cui le erano arrivate le... beh, i... cavolo, le sue cose, okay? Lo era venuto a sapere mezzo mondo che la piccola Silena era diventata donna un po' tardi e le ragazze della sua scuola -tremende pettegole-, avevano riso di lei, che aveva sviluppato alla vergognosa età di diciassette anni -sì, diciassette-, e che non voleva dare il suo primo bacio al primo che capitava e che... non si stava parlando di questo, vero?

Insomma. Silena ormai era una donna in quasi tutti i sensi e suo papà avrebbe dovuto accettarlo e fidarsi di lei, no?

"Lo sai che i nostri dolci non sono... tradizionali. Non è che non mi fido di te. Io mi fido di te, ma... l'ultima volta che ti ho lasciata da sola, hai dato i cioccolatini con la pozione che fa crescere la barba ad una ragazza. Ti ricordi come ci ha sofferto lei?"

Silena sbuffò, poggiando la sua tazzina di the davanti a lei e borbottando un: "È stato solo un caso."

"E il ragazzo con i capelli fluenti? E la ragazza punk trasformata in Cenerentola? E..."

"Ho capito, papà" sbottò lei, incrociando le braccia sotto il petto e distogliendo lo sguardo con un gesto stizzito.

"Sono sicuro che diventerai brava come tua madre e tante persone saranno felici grazie a te, ma per ora..."

"Per ora sono un'imbranata in mezzo a pozioni d'amore. Grazie papà." E se ne andò in camera sua.









Troppo imbranata per fare la strega?

No, non strega. L'aiutante di Cupido, così voleva essere chiamata sua madre e così si sarebbe fatta chiamare lei. L'aiutante delle persone, avrebbe detto.

Con quelle pozioni, che facevano tornare il sorriso, che avveravano sogni, che facevano avere dei bellissimi sogni, piuttosto che gli incubi e che rilassavano. E i dolci di suo padre, così buoni e fatti con così tanto amore...

Silena voleva veramente tanto aiutare. Era anche portata a fare scherzi crudeli, a volte, è vero. Ad esempio, quella roba della ragazza punk diventata Cenerentola lo aveva fatto apposta. Sì, non era una scusa. Il fatto è che Thalia se ne andava in giro con quella sua aria da saputella, sputando sull'amore e sulla bellezza e... l'aveva fatta arrabbiare non poco. Certe cose non devono essere dette davanti a Silena. L'amore non vale la pena? Gliela farò vedere io, la polverizzerò. Alla fine, con quella sua bravata era riuscita a mettere insieme una coppia. Ops. Luke le era debitore.

Si versò una tazza di the -in negozio non c'era nessuno e poteva tranquillamente prendersi un respiro, tanto suo padre avrebbe continuato a girare trai dolciumi, parlando coi ragazzi che guardavano le mura colorate e cercando di capire che cioccolatino dar loro per farli stare meglio. Il lavoro di Silena non era così appagante. Lei stava lì, si guardava le unghie, oh, ottima scelta di dolce, io amo quel cioccolato, sono due dollari e... noia.

Versò un'altra tazzina, più per abitudine che per altro.

Sua mamma, Afrodite, versava sempre una tazzina in più di the. Si era inventata la scusa di chi potrebbe venire a bere the con lei, ma la verità era che anche lei poteva essere vista come una svampita madre di sua figlia. Certe cose sono di famiglia.

E stava per portarsi la tazzina alle labbra, quando un ragazzo, di cui neanche si era resa conto della presenza -strano, visto che era enorme e sembrava ingombrante-, le sorrise con timidezza, chiedendole se, beh, sì, potesse bere un po' di quel the. Non perché volesse essere invadente, ma perché alla sua madre adottiva -la mamma di suo fratello, quello laggiù che parlava animatamente con il papà di Silena- piaceva molto il the, da quando aveva scoperto che il figlio odiava il caffè, e stava cercando una buona marca per regalargliela e...

Silena sorrise, mentre il ragazzone si grattava la testa, sempre più in imbarazzo. "Certo che puoi prendere il the." Sorrise. "Poi dimmi se ti è piaciuto."

Vedere il ragazzone con in mano quella tazzina -rosa, era rosa, santo cielo!- fu esilarante, ma Silena non disse niente e lo guardò continuando a sorridere. Quanto potevano essere dolci gli imbranati?

"Com'è che ti chiami?"

"Charles. Mi chiamano tutti Beckendorf ma..." Il ragazzo bevve un altro sorso, per poi alzare lo sguardo su di lei.

"Charlie andrà bene. Io sono Silena. Ti piace il the?"

Il ragazzo la stava guardando con aria imbambolata, sembrava essersi dimenticato come parlare, tanto che aprì la bocca un paio di volte, per poi non dire niente, esattamente come un pesce. Annuì soltanto e la cosa sembrò molto strana. "C-che m-arca?" chiese incerto,

Silena aggrottò le sopracciglia, prendendo in mano la cassetta del the e distogliendo lo sguardo dal ragazzone. E... oh, cavolo. Oh, santo cielo. Oh, tutti gli dei vengano in mio soccorso. Oh, cosa ho fatto. "AproditeNow" mormorò. Aveva appena somministrato un filtro d'amore ad un povero, innocente ragazzo.










Esistono diversi tipi di pozioni-barra-filtri d'amore.

Quelli che portano a galla i tuoi veri sentimenti, quelli che manipolano i tuoi sentimenti, quelli che rimuovono ogni tipo di inibizione e quelli che fanno tutto. Nel senso, tutto tutto. Quelli che creano l'amore dal niente.

Sua mamma aveva sempre detto: Sta lontana da quei filtri. E, certamente, Silena lo aveva fatto. Poi, beh, poi ha mischiato il the con i filtri e... oh, dei, cos'aveva fatto?

Non avrebbe chiesto aiuto a suo padre. Per niente. E poteva darle tutti i gianduiotti che voleva per farle dire tutta la verità, se voleva, ma non lo avrebbe mai fatto di sua spontanea libertà. Mai.

E quel ragazzo carinissimo, dolcissimo e completamente senza speranze che passava tutti i giorni là davanti al negozio, con le orecchie rosse -perché sono quelle potevano arrossire, dovuto alla sua bellissima carnagione-, che gli lanciava delle occhiate fugaci e poi niente -perché si vedeva proprio che non era uno che sapeva come parlare di sentimenti-, era innamorato di lei, cavolo, di lei! E lei era… lei non lo... Oh, cielo.

Silena voleva scomparire. Aveva dato un filtro d'amore a un povero, dolce, semplice ragazzotto e cos'avrebbe dovuto fare ora? Oh Dio, cosa? Spezzargli il cuore? Quel filtro d'amore fino a quando avrebbe avuto effetto?

"Eh." Piper fece rotolare la cassetta del the tra le sue mani, fissandolo, mentre un ciuffo castano le ricadeva accanto all'occhio. "Questo filtro è..." Se qualcuno poteva aiutare Silena quelle erano le ragazze che erano state, o che erano, dipendenti del suo negozio, studentesse della sua stessa via. E Piper era una delle migliori, nonostante tutto, e, soprattutto, la più discreta di tutte.

"Dimmi che non è definitivo."

"Non lo è" la rassicurò la ragazzina, puntando i suoi occhi su quelli della maggiore. "Ma l'effetto non si fermerà finché lui non s'innamorerà per davvero di qualcuno. Nel senso, questo filtro non è abbastanza potente da cancellare anche solo una cotta. Se Beckendorf si prendesse una cotta per qualcuno, o venisse messo nella situazione di scegliere tra te e qualcosa che ama per davvero, come la sua famiglia, allora il filtro si annullerebbe." Sembrava pensierosa, come se sapesse qualcosa che non poteva dirle. Ma la maggiore era troppo preoccupata per rendersene conto.

Silena si sfregò le mani, in un chiaro gesto nervoso, annuendo. "Tu lo conosci bene Charlie, eh."

"Sono amica di suo fratello." Piper riconsegnò il the alla ragazza. "Posso... prima che tu vada da Drew a pensare a come spezzare il cuore di Beckendorf posso chiederti un favore?"

"Certo." Chissà, magari Piper ha una cotta per Charlie e il tutto si sistemerà nella maniera migliore, con una coppia felice grazie a Silena. Chissà.

"Potresti dare una possibilità a Beckendorf?"

"Cosa?"

"Nel senso, lui è molto dolce e... ti prego, non creare un precedente perché diventi un..." Non riusciva neanche a terminare la frase. Scosse la testa e alzò le mani, inziando ad andarsene. "Non capiresti."

Infatti Silena non capì.












Quel povero ragazzo è innamorato di lei e lei non sa cosa fare. Drew è scomparsa -"Sono lontana da voi umili mortali, per un viaggio dai miei nonni."- e, ohmmiodio, Charlie è entrato in negozio, accompagnato da quell'elfo di suo fratello -secondo suo padre, Leo ha un problema di cuore, dovuto ad una ragazza che tratta tutti bene, tranne lui. Uomini masochisti. Tsk-.

Charlie non dice molto, Leo è preso a guardare il cioccolato e prendere quello che ha preso l'ultima volta. Poi, da bravo fratellino parla un attimo col papà di Silena e dopo lo ringrazia tanto e prende degli orsetti gommosi alla frutta, in confezione da regalo e li porge a Charlie. Pagano tutto insieme, ma Leo prende i suoi cioccolatini e corre fuori, lasciando gli orsetti gommosi in mano al fratellone.

"Ciao" borbotta incerto e tiene la testa bassa, quasi si vergognasse a parlarle, o non trovasse le parole.

"Ciao." E quel sorriso intenerito poteva anche risparmiarselo, ma il ragazzo davanti a lei era così dolce che... Meglio parlare. Troviamo un argomento. "Il the? Ha fatto scalpore in casa?" Silena non è stupida, non gli ha dato il filtro d'amore, ovviamente, gli ha dato un the dal carattere orientale, così, per non perdere la faccia, ma la verità è che non sapeva che gusto avesse un filtro d'amore, quindi...

"Esperanza e Leo lo stanno già per finire." Lui sorrise imbarazzato e, oh, quant'era carino. "Ma, io volevo..." Non finì la frase, le passò gli orsetti gommosi e disse: "Pensavo che quando passo non sorridi molto e tuo padre dice che sono i tuoi preferiti e..."

Oh.

Silena avrebbe tanto voluto abbracciarlo.











Stare sotto il bancone è cosa buona e giusta. Soprattutto se ti sei resa conto di non voler perdere l'amore -fittizio- di un tizio dolcissimo che non sa per quale motivo non era riuscita a vedere prima e che se avesse incontrato qualcuno di cui innamorarsi sul serio avrebbe dimenticato lei e tutta la faccenda e...

Perché lui è veramente tanto dolce. E intelligente. E non ci prova con le ragazze come quegli idioti del suo vecchio liceo, che, tipo, pensavano di conquistare una ragazza con qualche battuta squallida a sfondo sessuale -sessuale?- e con un sorriso da idiota. No. Charlie aveva quelle piccole attenzioni, come il fatto che si rendeva conto di quanti sorrisi nascevano sul suo viso, o le sue diverse risate e che avesse parlato con suo padre, parlando piuttosto chiaro sui suoi sentimenti e sulla ragazza alla quale erano rivolti. Poi, quando era davanti a lei, balbettava come un bambino e le sue orecchie diventavano rosse rosse e... oh Dio.

Stare sotto il bancone è cosa buona e giusta.

"Cosa fai sotto il bancone?"

"Una cosa buona e giusta."

Suo padre la prese dal braccio, esattamente come quando, anni prima, non voleva parlargli per paura che si rendesse conto del suo dente danzante in bocca e delle carie nella sua dentatura da bambina, e la fece alzare, mentre la ragazza si rendeva conto di essere in un negozio deserto. E che cavolo, va sempre a finire così.

"Hai qualche carie?" Ma quanto può essere simpatico suo padre? L'uomo chiuse la cassa con dolcezza, guardando la figlia e sorridendo. "Che succede?"

"Ho diritto al mio avvocato. Ti prego non ti arrabbiare."











L'unico modo che suo padre trovò per terminare quella farsa del fitro d'amore, fu una contro-pozione, sì, va beh, un antidoto, da mettere nel the. E Silena, a malincuore, diede una cassetta di the a Charlie, dicendogli che voleva fosse un regalo per lui e la sua famiglia.

E okay, il piano sembrava star andando a buon fine. E Silena si stava nascondendo sotto il bancone perché sapeva perfettamente che Charlie non sarebbe passato e non avrebbe mai cercato di guardarla senza guardarla e...

"Il sotto-bancone è occupato, Piper. Trovati una stanza anti-panico tua!" Silena piagnucolò, abbracciandosi le ginocchia e sbattendo la testa contro il legno.

"Ah, okay. Beckendorf, mi spiace, Silena ha detto che non vuole parlarti."

Stupida Piper!

Silena si alzò così in fretta da sbattere la testa contro il tavolo, prima di riuscire ad uscire dal sotto-bancone e ritrovarsi davanti a Charlie che la guardava, curioso, con la testa inclinata. Si massaggiò la testa mora, dandosi slancio anche con le mani per rimanere in piedi e poi appoggiarsi al ripiano di legno. "Charlie!" salutò con una punta d'incertezza, subito dopo aver fulminato con lo sguardo Piper, che rideva sotto i baffi, la traditice.

Charlie in risposta sorrise e non sembrava essere cambiato niente dal giorno prima, messa da parte la maglietta orrendamente arancione con sopra scritto Camp Half-Blood e un pegaso. "C-ciao, ehm, io..."

No, decisamente, non sembrava cambiato per niente. Cade il silenzio imbarazzato tra loro, mentre Piper li fissa, facendo da perfetto terzo incomodo -una delle vocazioni delle sua vita.

"Il the? Cosa dice Esperanza?"

Charlie inclinò la testa un po' indeciso su cosa dire e del perché Silena gli chiedesse una cosa del genere. Alzò le spalle e disse: "A Esperanza sembra che abbia un sapore molto malinconico. Non so cosa voglia dire, ma anche Leo ha detto qualcosa del genere e..."

"Tu non lo hai bevuto?"

Il ragazzo abbassò la testa, intrappolandola tra le sue spalle, come se fosse pronto a confessare un terribile segreto che non avrebbe voluto dover dire a Silena. Ma si era comunque fatto forza, dicendo: "Non l'ho bevuto perché... vorrei poterlo bere con... te." L'espressione era del tipo: Ti prego non mi colpire emotivamente.

E ad essere stata colpita era stata invece Silena, che sentì un pugno allo stomaco e una voglia matta di tornare nella sua stanza anti-panico -il sotto-bancone, che non era una stanza, ma okay- e di piangere. Eh, sì, piangere.

"Un appuntamento." Commento della miglior ficcanaso del mondo. Piper sorrideva come un'idiota. "Molto all'inglese, bravo Beckendorf." Ammiccò e Charlie aveva l'espressione di chi voleva sprofondare nella terra e non tornare più. "Silena" chiamò con velata minaccia, dietro quel sorriso.

"Charlie, pensavo non mi avresti mai chiesto di uscire." Sorrise. Era nella cacca.









Quindi, eccoli, seduti uno davanti all'altro, con quel benedetto the pronto e Silena sta seriamente pensando di rovesciare il tutto e far finta di niente. Nel senso, doveva veramente guardare gli occhi di Charlie spegnersi nel guardarla e lui smetterla di balbettare e... era troppo.

Charlie le sorride, parlando dell'ultima esplosione causata da suo fratello e del fatto che gli sembra strana. No, aspetta, cosa? "Va tutto bene?"

"No, cioè, sì. Sono solo..." Muove le mani come se volesse cancellare le sue parole, le sue espressioni, tutto.

Charlie sembra triste, adesso. Complimenti Silena. Ma non può smettere di deglurire, di stringere i pugni e guardare il ragazzone prendere in mano la sua tazza e portarsela alle labbra e bere. Alla fine Charlie beve il dannato antidoto, sotto il gazebo di casa sua, poco lontano da uno strano macchinario costruito da Leo.

Silena trattiene il respiro, che altro fare? Chiude gli occhi, non è pronta.

"Sicura che vada tutto bene?"

Apre un occhio solo, poi l'altro e guarda Charlie. Di nuovo, non sembra diverso, oltre allo sguardo preoccupato, certo. "Penso che tu mi piaccia davvero tanto" si lascia sfuggire con un sospiro. E ancora non riesce a guardarlo negli occhi. Ma lui arrossisce e cerca il coraggio sul suo petto per poter fare quello che vorrebbe tanto fare.

Le poggia una delle sue enormi mani sotto il mento e fa in modo che lo sguardo di lei fosse incatenato solo col suo. "Io ti amo, come la vogliamo mettere?"

E Silena non sa che fare, la mano di Charlie che riesce a coprire entrambe le sue mani e lei che non ci vede più, non sente più, non capisce più niente. Si butta su di lui e versa tutto il suo the sul suo vesitino bianco e sulla maglietta del campo estivo del ragazzo, e intrappola le sue labbra tra le sue di labbra e lo abbraccia, lo stringe a sé e a quel paese il filtro d'amore.







Ci sono dei fattori.

Ci sono Leo e Piper. Leo, che li aveva spiati e registrati e che ora proiettava ovunque, in qualunque momento e per qualsiasi occasione, il loro primo bacio, mentre Charlie sprofonda nella più imbarazzante vergogna -anche perché la prima volta che lo ha fatto, lui e Silena erano mano nella mano e, oh, che imbarazzo-.

E c'è Piper.

"Il filtro d'amore durava, sì e no, due ore" spiega, sistemando i cioccolatini. "Però che non fosse abbastanza potente per sovrapporsi a una semplice cotta era verissimo."

"E non me lo potevi dire subito?"

"No." Piper la guarda come se fosse impazzita tutta insieme. "Beckendorf è cotto di te da sempre, in un modo o nell'altro dovevo aiutarlo. Poi, finalmente tu hai iniziato a guardarlo e lui ha preso coraggio e..."

"Come facevi a sapere che sarebbe andata così? Come...?"

"Non lo sapevo" alzò le spalle la più piccola. "Ho giocato a poker, non lo sapevo proprio."

“E papà? Lo sapeva?”

Piper sorrise. Eh, doveva veramente rispondere?

Silena sorrise. Oh, che importa. "Dì a Leo che seve smetterla di proiettare quel bacio ovunque."

"Come se mi ascoltasse."







Note:
Cof cof, è la mia prima Charlena. Cof cof, mi è piaciuto tantissimo scriverla. Cof cof li amo.
Non so se si è capito, ma Silena e suo padre vivono in un mondo completamente babbano, molto alla Chocolat, in cui lei fa il cioccolato e la gente pensa sia una strega e no, sono solo le ricette di sua madre e lei si muove col vento. Eh, più o meno qualcosa del genere, solo che se n'è andata solo Afrodite e il papà di Silena conosce la strada del cioccolato ❤️
Sono proprio brava a spiegare le cose eh? No. Va bene, alla prossima!


 

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Capitolo 5
*** #13: Gold ***



Forse il fatto che Piper sembrasse soddisfatta e sorridente, doveva, in un modo o nell'altro, fargli capire quello che stava succedendo.

Mitchell aveva alzato di nuovo la schiena, lasciandogli la mano e girando il busto verso i suoi fratellastri. Muoveva il piede nervosamente, facendo ballare la sedia sulla quale era seduto. Malcom gli posò una mano sul ginocchio e il moro sorrise.

"Cosa ne dici, Lacey?" Piper aveva un talento speciale per comandare, si vedeva, perché era completamente a suo agio, mentre batteva silenziosamente i polpastrelli sul tavolo di legno.

La bambina sembrava indecisa, mordendosi le labbra e passando il suo sguardo ai due sfidanti. Decisamente non sembrava sicura di quel che avrebbe dovuto dire. "Drew" sputò alla fine, probabilmente più per presa di posizione che per altro. "La sua storia, nonostante fossero entrambe piuttosto semplici, è stata più..." Inclinò la testa. "Incalzante. Come ritmo, dico. Pensa al punto di vista, ad esempio. È riuscita a mantenerne uno solo, senza annoiare, mentre Malcom, forse perché doveva inventare una storia su due piedi, ma ha faticato a mantenere una coerenza... ecco."

Malcom sbattè le palpebre. Mai pensato di aprire un giornaletto di critica? Quanti anni aveva Lacey? Dieci? "Uau" mormorò con un sorriso. Forse Lacey non votava contro di lui perché lo odiava a prescindere.

"Sono d'accordo" commentò pigramente Piper. "Anch'io la penso così. Quindi, per maggioranza, direi che Drew ha vinto il secondo round. Ehi tu," puntò un ragazzino distratto. "A quanto stanno?"

"Uno a uno?" rispose il figlio di Afrodite, simile a Mitchell, uno piccolo, con gli occhi scuri e un sorrisetto furbo. "Ma ho paura che il punto di Drew sia dovuto alla paura degli dei e a un cameo della giudice nella storia." Appunto.

"Oh, sta zitto." Piper alzò gli occhi al cielo. "Qui abbiamo cose più importanti a cui pensare."

Drew, che fino a quel momento era stata in silenzio, con quel suo sorrisetto da vipera, sciolse la tessitura che avevano formato le sue dita, intrecciandosi tra loro. E inclinò la testa, leggermente, indicando, proprio col dito, una Hazel presa a carezzare la criniera di uno dei pegaso nel Campo. Frank era a pochi passi da lei, intento a sentire uno sfogo di Grover sulla condotta di alcuni semidei romani nel Campo Mezzosangue. "Li shippo" mormora.

Malcom si chiedeva cosa le passasse per la testa, cosa stesse pensando e perché avesse preso a parlare così poco.

Poi lei iniziò a raccontare e Malcom dovette abbandonare le sue confabulazioni.


















#13 Faccio di tutto per scoprire l'identità di questo supereroe e tu cerchi di depistarmi perché in realtà sei tu!






 

Gold
















"Leo." Hazel schivò un colpo d'ascia, piegando velocemente la testa di lato, per poi correre dalla parte opposta del gigante davanti a lei. "Leo!" chiamò di nuovo, mentre s'infilava sotto i tombini della città, inseguita da quel gigante fatto di spazzatura e fango -o almeno così sembrava a lei. Per conferma avrebbe dovuto parlare con Leo, che, ehi, mica rispondeva. "Cavolo Leo!" Premette le dita sul suo auricolare, cercando di captare una risposta dal ragazzo in questione.

"Sono la Torre di Controllo. E in missione mi devi chiamare Firestorm. Ne abbiamo già parlato!” La voce del ragazzo la raggiunse con quel tono che sembrava essere molto offeso, e se lo immaginava con la sua tazza di latte in mano e gli auricolari attaccati alla testa, mentre inveiva davanti al computer. Hazel alzò gli occhi al cielo. Leo.

“Leo. Non so se te ne sei reso conto, ma sarei, tipo, inseguita da un gigante metaumano, che puzza come tua zia Rosa e che vuole, non so, uccidermi. E lo dovrei uccidere prima io, se tu mi dici come fare, certo.” Voltò la testa, cercando di capire, in mezzo al buio, quanto fosse lontano il gigante. "Quindi, Leo, dimmi come ucciderlo."

"Non capisco. Chi è Leo?"

"Giuro che appena ti vedo ti uccido" ringhiò la ragazza, vedendosi davanti a un vicolo cieco sotto le strade di New York, mentre il metaumano gigante la stava raggiungendo. Come lo aveva chiamato Leo? Golia? "Firestorm!" Hazel doveva essere impazzita per chiamarlo così -per essersi messa la tuta che aveva progettato per lei, per essersi messa dentro questa storia. E quel Golia stava arrivando e lei non sapeva che fare.

"Affogalo." La voce di Leo arrivò lapidaria. Nessun rammarico, né nient'altro, solo una sentenza.

"Cosa? Leo, non so se te lo ricordi: Percy non è venuto con me. Ci sono solo io. E non controllo l'acqua." Si guardò intorno. Era morta morta morta morta morta morta. Il gigante stava arrivando con quella sua stupida ascia, e i suoi piedoni da... era morta. "Leo!"

"Allora, uno, il nome da supereroe di Percy è Demigod ed è così che lo devi chiamare mentre siamo in missione..."

"Leo!"

"Sono Firestorm! E dai! Impegnati un po'... due, devi affogarlo sotto le macerie. Riesci a far crollare tutto quello che hai intorno a te, senza ammazzarti?"

"È uno scherzo?" Hazel stava iperventilando, cercando uno scorcio nel muro davanti a lei. I passi di Golia si fermarono e lei si voltò di scatto, lasciando che i suoi capelli ricci volassero sul suo viso. "Non c'è un altro modo?"

"L'unico modo per tenerlo buono. Come ha fatto David a uccidere Golia? Sassi. Altrimenti non ti avrei mandata, non pensi?"

Golia e la sua ascia erano proprio davanti a lei, con quel sorriso sadico e quel dito che sanguinava sulla lama dell'arma. Che schifo quel sangue. "Riuscirei a resistere qualche ora. Dove sei?"

"Sempre con te, Miss Sottosuolo." Per quanto la frase potesse suonare canzonatoria, Hazel capì che quella era l'ennesima promessa di Leo -quante volte l'aveva salvata da qualche strana situazione, sia nei panni di Firestorm che come semplice Leo? Sarebbe andato con lei, in quella missione, se solo il suo fuoco fosse stato utile contro Golia. E, a proposito di quel gigante, non era un po' troppo vicino a lei?

"Se non mi salvi, giuro su mio fratello che il mio spirito verrà a tormentarti la notte. Capito, Leo Firestorm? Se stai a litigare con quella Calypso, invece che a salvarmi, te la farò pagare." Aprì le braccia verso le pareti, con le dita ben aperte e distanziate tra loro. Golia si avvicinava ad un passo lento -"Cammina nello stesso modo in cui parlano i Dalek" avevano commentato Percy e Leo, davanti a degli irritati Hazel e Jason- e lei prese due o tre respiri profondi, chiudendo gli occhi.

"Questa volta potrei anche curarti le ferite" scherzò Leo.

Hazel sorrise, aprendo gli occhi dorati, chiudendo le mani a pugno e tirandole verso il suo stomaco. "Oh, lo sai che quello non è un privilegio tuo." E tutto crollò sopra di lei e Golia.













"Aaho" si lamentò la ragazza, strizzando gli occhi e stringendo la presa sugli angoli del tavolo, rannicchiandosi un po' su se stessa.

Frank sorrise con gentilezza, con quella sua espressione da orsetto abbraccia-tutti, che poco conveniva ad uno della sua stazza. Cercò di fare più delicatamente, poggiando il cotone sulla testa ferita di Hazel, che, comunque, continuava a fare espressioni doloranti e assolutamenre adorabili. Leo, dal canto suo, come sempre, girovagava per l'attico, con le mani dietro la schiena e cercando una scusa per scappare via. "Rispiegami la storia" disse il ragazzone, cercando di mantenere un aspetto sicuro. "Saresti caduta da...?"

"Da cavallo, Frank." Leo roteò gli occhi, girandosi verso di loro. "Airon oggi era nervoso. L'arrivo di Tempesta durante gli esercizi non ha aiutato. Mentre Hazel cercava di far trottare via Airon, quello si è messo a cavalcare, per poi impennarsi di colpo e far cadere Hazel. Visto che è arrivato nelle proprietà dei Laboratori Olympus, ho visto tutto e sono andato a prendere la tua ragazza, che adesso non è svenuta in mezzo a dei melograni geneticamente modificati grazie a me. Di niente, a proposito, Hazel." Niente da dire. Leo era un bugiardo perfetto.

Le cose erano andate un po' diversamente ma, ops, non tutte le relazioni sono fatte per essere basate sulla verità e la fiducia, a quanto pareva.

"Non ti poteva portare a casa qualcun'altro? Chiunque? Annabeth? Calypso?"

Hazel sorrise, prendendo una delle enormi mani di Frank tra le sue, piccoline e soffici -e che avevano ucciso qualcuno, qualcuno di cattivo, sì, ma lo avevano fatto e... le mani di Frank erano morbide e pulite. "Leo è stato un tesoro." Ed è inutile che fai tanto il geloso: è innamorato di un'altra. Una supercattiva che stordisce con la sua sola voce, Ninfae, che è bella da morire e che è arrivata nella vita di Firestorm prima che lui e Gold facessero la stupidaggine di volerci provare. Perché ai tempi, forse, Hazel-barra-Gold era innamorata di Leo-barra-Firestorm. Forse. Ma non è comunque una storia che Hazel poteva raccontare a Frank. Eh, no.

Poteva parlargli di Calypso, però, di quanto quelle litigate ai Laboratori Olympus sapessero già di coppia, di quanto fossero carini insieme, mentre discutevano su cose che lei nemmeno capiva. Calypso era una scienziata di non si sa bene che ramo della biologia, Leo un ingegnere - "Come i Fitzsimmons" sorrideva sempre Percy, ma nessuno, al di fuori di Leo, lo capiva mai. Quello lo avrebbe raccontato dopo, e, forse, quella tenera gelosia di Frank si sarebbe calmata.

"Sono solo preoccupato." Frank la guardò, seduta sul tavolo della cucina, con le gambe corte e un cerotto in testa, con quegli occhi dorati che lo scrutavano incuriositi. "Ultimamente ti fai più male del solito..."

Hazel lanciò uno sguardo preoccupato verso Leo, che non sembrava essersi gelato, né nient'altro. "Lo sanno tutti che Hazel è un'imbranata."

"Già." Un giorno, davvero, avrebbe ucciso quel ragazzo. Frank lo guardava con la testa inclinata, mentre sospirava. "Ma com'è andata a te la giornata? Clarisse ti ha fatto sparare contro una quercia?" Meglio cambiare discorso.

Il ragazzo sospirò, abbassando anche le spalle. "No," rispose con un sorriso stanco. "Ma oggi ho visto Gold in azione, finalmente."

Questa volta, anche Leo trattenne il respiro.



















"Lo sa." Hazel entrò nei laboratori con le mani sulle guance e un'espressione terrorizzata in volto. "Lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa."

Se si contavano tante altre squadre, probabilmente la loro era una delle più piccole. Una piccola squadra di supereroi che combattevano il male in una piccola parte di New York e nel New Jersey, quando proprio dovevano. Jason diceva che in California un vasto gruppo di supereori controllava la parte Ovest del paese, cercando di sconfiggere metodicamente tutti i supercattivi, ma ad Est, a New York, ci si arrangiava con quello che si aveva. A dirla tutta, a Hazel quel che si aveva sembrava tantissimo, ma non per questo quella doveva essere la realtà.

"Chi sa cosa?" Annabeth la guardò, quasi annoiata, bevendosi una tazza di caffè, davanti al suo computer, rivolta più a Leo, che seguiva la ragazza, che a Hazel stessa.

Quindi erano: Hazel, Leo, Percy, Jason e Annabeth. Solo loro cinque. Loro cinque contro i metaumani. Hazel, che aveva il potere della telecinesi e qualcos'altro legato alle allucinazioni e alla manipolazione della realtà; Leo, che oltre ad avere il controllo sul fuoco, era un cervellone, che aveva progettato e migliorato le loro tute da supereroi, nonché un sacco di armi, insieme a Annabeth; Percy, che aveva il controllo dell'acqua e comunicava con pesci e cavalli; Jason, che controllava l'aria e poteva volare. E poi Annabeth, che era un po' la Watch Tower del gruppo, colei che faceva in modo che tutti quanti tornassero a casa sani e salvi. E che occultava le loro vere identità, certo.

"Pensa che Frank possa capire che lei è Gold. Io le ho detto che Frank è stupido e non ci arriverà mai, ma non mi crede."

"Giuro che lo lascio a terra, morto."

"È colpa mia se ti scegli i ragazzi più stupidi?"

"Frank non è stupido!"

"No? Mr. Tarzan non lo è, Jane?"

Hazel era sul punto di scoppiare, prendere i capelli in testa tra le mani e staccarseli, ringhiare come una tigre e azzannarlo, non importava quante volte le aveva salvato la vita, non importava proprio. Forse, sì, questa volta sarebbero passati a litigare sul serio, se solo Annabeth non si fosse staccata dalla sua tazza di caffè e non avesse detto: "Penso che, se Frank ancora non sa niente della doppia identità di Hazel, sia perché lei ha già usato i suoi poteri su di lui, o no?"

I due si fermarono di colpo, sotto gli occhi grigi della bionda, che aveva alzato le spalle, incurante. Una fitta di colpa assalì Hazel. No, non aveva mai fatto niente del genere, per sviare i sospetti dei suoi cari, non aveva causato loro delle allicinazioni, aveva solo mentito, ma usare i suoi poteri... no, non poteva, non avrebbe potuto.

"Non capisco di cosa ti preoccupi, Haze." Annabeth tornò al suo computer e alla sua tazza di caffè, probabilmente si era appena svegliata e diceva le prime cose che le venivano in testa, ma quello... quello era suonato leggermente cinico e crudele e necessario. "Devi pensare al tuo bene e a quello di chi ami" terminò la bionda e, forse, quello sguardo lanciato a Leo era la promessa che nulla di quello che era successo a lui, sarebbe successo a lei.

"Forse dovresti lasciare che noi t'iniziamo a medicare" sussurrò appena il texano.

















"Percy, ti prego, ti scongiuro, no." La voce di Annabeth stava letteralmente distruggendo il timpano di Hazel, che aveva pensato a togliersi l'auricolare e tanti saluti. "Leo si può occupare di salvare le persone dentro la casa," Leo rispose uno Yep, prima di sorridere verso Hazel e alzare i due pollici in alto, correndo nella casa in fiamme. "Tu segui quel metaumano e portalo qui. Jason, portalo tu." Jason prese dalla tuta Percy, alzandosi in volo, e cercando di raggiungere -come lo aveva chiamato Leo? Badfire? Prometeo? Era un nome?

"Io che faccio?" chiese la ragazza.

"Ora facciamo una chiacchieratina tra donne."Annabeth ci mise un po' a continuare, forse perché stava cercando di rendere privata la loro conversazione, cosa che riuscì a fare, perché disse: "Ti devi occupare di Ninfae."

"Cosa? Dov'è?" Hazel prese a girare la testa a destra e a sinistra, cercando di trovare la figura della supercattiva in mezzo al buio della notte.

"Qui." Annabeth sospirò. "Proprio davanti a me. Torna alla Base, ora."



















Annabeth stava bene, e questa era una buona notizia. Il fatto che lei stesse bene, però, non fermò Hazel dal gettare addosso un'intero tavolo per bloccare la cattiva e per star sicura che non potesse neanche pensare di far del male a nessuna di loro.

"Hazel" chiamò dolcemente Ninfae, cercando di rialzarsi in piedi. "Hazel ascoltami. Voglio solo dimenticare."

La ragazza sgranò gli occhi, guardando verso la bionda, che si mordeva le labbra, nervosamente. "Come fa a sapere i nostri nomi?"

"Leo è un libro aperto, per chi lo sa leggere, vero Calypso?" Annabeth aveva le braccia incrociate e quell'espressione addolorata in viso, mentre si avvicinava verso la supercattiva, che rideva in maniera quasi isterica, passandosi una mano davanti agli occhi. "Vero?" ripeté, inginocchiandosi accanto a lei e non capiva cosa volesse fare, se abbracciarla, o farle del male, o entrambe. Le strappo solo la maschera dal viso, come era sempre giusto fare con i cattivi, ma lei... lei non era... lei era Calypso.

Hazel non voleva veramente trovarsi lì. No, non voleva. "Calypso?" chiese, perché, davvero? La stessa Calypso che le sorrideva tutte le mattine che doveva andare ai Laboratori Olympus, la stessa che si divertiva a creare nuove specie di rose, con la sua laurea in Biologia, o in Biotecnologie, chi la capiva quando iniziava a parlare di quella roba? Giusto Annabeth. Giusto Leo. Oh, Leo! La Calypso che tirava ortaggi a Leo, che prendeva con lui del the e che discuteva per qualsiasi stupidaggine... oh, Leo.

"Io... voglio solo dimenticare chi siete. Non voglio che... Hazel, devo dimenticare. Prima che Atlas sappia, toglimi tutte le informazioni su di voi dalla testa, fa in modo che voi siate al sicuro, che le vostre famiglie siano al sicuro. Io..."

"In carcere. Ecco che fine dovresti fare. Tu. Tu che distruggi le vite delle persone senza neanche un motivo, che fai del male che..." Annabeth doveva essere furiosa. Era rossa in viso e no, non sarebbe successo di nuovo a Leo. Lo avevano promesso. Si erano ripromessi di salvarlo da ogni tipo di situazione dolorosa. Sono stati i cattivi, si ripetevano in testa, a uccidergli la mamma, a far saltare in aria il fratello, a far scomparire il papà. Non un'altra vittima, non un altro dolore. Non aveva già sofferto abbastanza? "Tu..." Le tremavano le labbra e solo in quel momento Hazel si rese conto che anche le sue mani stavano tremando violentemente.

"Rinchiudicimi, allora." Calypso, Ninfae, la guardava dritta negli occhi. "Ma distruggete qualsiasi informazione nella mia testa che vi possa fare del male."

Toccava a Hazel. Annabeth le lanciò uno sguardo interrogativo. Cosa avrebbero dovuto fare?

Che la ragazza si avvicinasse alle altre due, non sembrò così strano. E Gold si guardò le mani. Non poteva cancellare dei ricordi, lo sapeva bene, non rientrava nelle sue capacità. Poteva fare un'altra cosa, però, che avrebbe fatto molto male alla sanità mentale di Calypso -Ninfae. Oh, Leo. Qual era la cosa giusta da fare? Cos'avrebbe dovuto fare, pensare, decidere? Se ci fosse Frank lì davanti, lei lo farebbe? Lei...?

Le toccò la fronte e gli occhi di Calypso persero luce, finché la ragazza non li chiuse.

"Cos'hai fatto?"

Hazel voleva mettersi a piangere. Cadde in ginocchio, vedendo davanti ai suoi occhi i ricordi modificati nella testa di Calypso. Lo amava. Lo amava. Dio, se lo amava. E lei l'aveva fatta diventare una possibile schizofrenica, con problemi a riconoscere la realtà e la fantasia. Pianse. Tantissimo. Oh, Leo. Scusa. Scusa. Scusami tanto.

Calypso riaprì gli occhi e non era più Calypso. Era Ninfae, che scomparve dalle mani di Annabeth in meno di due secondi. Scappata dalla prigione.

Nella fretta aveva anche dimenticato la sua maschera, che Annabeth teneva in mano, stringendola, nel pugno.


















Non voleva andare nei Laboratori Olympus, perché vedere la faccia sconvolta di Leo, quando Calypso lo aveva guardato come se fosse stato la feccia peggiore in questo mondo, l'aveva ferita nel profondo, e quello sguardo smarrito, quando Annabeth gli aveva detto che Calypso era una spia dei supercattivi -non avevano avuto il coraggio di dirgli che era Ninfae, non ancora, a piccoli passi-, era stato uno schiaffo. E lo sguardo vuoto, di quando gli aveva detto che era stata lei a modificare la sua memoria, era stato come sentirsi pugnalare al cuore e i suoi polmoni non funzionassero più e...

Leo aveva fatto una battuta. Ma sicuramente non stava bene. Si vede che ho occhio per le donne. Come avrebbero dovuto dirgli che Ninfae era Calypso? Perché risultava loro così doloroso, anche solo ammetterlo? Leo era una calamita per tragedie, si vede.

"I supereroi hanno una pausa pranzo?" La voce di Frank arrivò alle sue orecchie e Hazel sobbalzò.

"I poliziotti hanno una pausa ciambelle?" Seduta sulle scale anti-incendio del palazzo, Gold inclinò la testa, per poi incrociare le gambe intorno al tubo d'acciaio e lasciarsi scivolare a testa in giù, mentre Frank la guardava curioso. "Non penso."

“Qualcuno me lo ha già detto” borbottò Frank, pensieroso. E sì, che qualcuno glielo aveva già detto. Leo era un fermo sostenitore dei poliziotti, nonostante il suo carattere schivo e, a volte al limite della legalità e ripeteva in continuazione frasi contro lo steriotipo a loro affidato. Ma non era questo, quello che fece venire i brividi ad Hazel. Era il modo in cui le scrutava gli occhi, a preoccuparla.

Gold sorrise. Alzò il palmo della mano e Frank non la vide più.

















Frank era entrato in fissa con questa storia che voleva andare a trovare Leo a lavoro.

Non c'era niente di strano, si era detta Hazel, mentre nel tram guardava fuori dalla finestra. Ultimamente non gli aveva raccontato niente che riguardasse Leo e Calypso e, l'ultima volta che aveva visto il texano, lui sembrava molto triste, quasi col cuore spezzato e Frank poteva sembrare essere ostile a Leo, poteva sembrare che gli stesse antipatico, ma in realtà gli voleva un bene dell'anima. In realtà di poteva preoccupare tanto per lui.

Hazel aveva volutamente ignorato il fatto che il suo ragazzo osservasse i suoi occhi con molta più frequenza e con molta più intensità. Non era una cosa che doveva importare. Perché se le conseguenze fossero state le stesse di quelle di Calypso, allora grazie, ma no grazie.

“È strano” aveva detto Frank, seduto sul tavolo della mensa dei Laboratori, con al suo fianco Hazel e Leo, che mangiava a testa bassa e parlava pochissimo.

Ma lui non parlava di Leo. Aveva gli occhi puntati su Calypso, che mangiava da sola, su un tavolo circolare e sembrava star parlando da sola. Poco prima, la ragazza aveva tirato in testa una melanzana al texano, gridando di star lontano dal suo giardino -come i vecchietti. Ma lei non stava più scherzando. Dopo aver lanciato quella melanzana, non aveva sorriso verso Leo, non aveva fatto una battuta. Aveva ringhiato e se n'era andata. “Cos'è…?”

Calypso si alzò di colpo dal suo tavolo, facendo cadere la sedia dietro di lei. “Questo non è vero!” gridò al nulla, per poi guardarsi intorno e rendersi conto che tutti la stavano guardando. Hazel sapeva che non riusciva più a distinguere con chiarezza finzione e realtà e sapeva anche che era colpa sua. E voleva andare da lei, e dirle che tutto andava bene, che sarebbe migliorato col tempo, se non si lasciava andare, ma poi ricordava chi era e si fermava. E stava zitta.

Frank guardò Leo, che chiuse gli occhi nello stesso modo in cui avrebbe fatto se fosse stato colpito e aggrottò le sopracciglia. “Dovresti andare a parlarle.”

Annabeth lo fermò col solo sguardo. Leo abbassò la testa, facendo toccare la sua guancia alla spalla. “Abbiamo fatto la cosa più sicura, per Leo” ripeteva sempre la bionda, alla riccia, che vedeva quello che stava succedendo a Calypso come un avvertimento -potrebbe succedere a Frank.

Abbiamo fatto la cosa più giusta?
















“Hanno preso dei poliziotti.” La voce di Leo avvertì Jason e Hazel, che si fermarono di colpo, aspettando che continuasse con le notizie e le indicazioni. “Jason, dovresti occuparti dell'ostaggio. Non penso che sia una buona cosa che Hazel si avvicini troppo al grattacielo.”

“Perché?” Hazel alzò gli occhi verso il piano più alto del palazzo, mentre Jason si preparava a prendere il volo.

“Problemi tecnici” intervenì la voce di Annabeth. “Saresti troppo distante dalla terra per poter usare i tuoi poteri di telecinesi e saresti più d'impiccio che d'aiuto. Creeremo una una trappola e tu devi essere pronta ad intrappolare il metaumano quando cadrà da lassù. Va bene?”

“Okay” annuì la ragazza, facendo cenno di approvazione verso Jason, che con un sorriso prese il volo.

Si guardò intorno per qualche secondo, vedendo alcuni civili correre spaventati e gridare nel panico. Sospirò. Doveva aiutare. Prese a creare delle vie sicure, perché nessuno si ferisse e assicurando che il metaumano non avrebbe fatto ulteriori danni. Salvò due bambini dalla caduta di grossi mattoni e un paio di macchine dovettero frenare di colpo, vedendosela davanti, gridando di portare via chiunque potessero portare via. Poi alzò gli occhi verso l'alto e le sue iridi dorate divennero due sottili linee tra le luci notturne.

“Jason” chiamò, non sentendolo più battibeccare con Percy che, probabilmente, seduto accanto a Leo e Annabeth, stava mangiando qualche dolcetto blu, preparato dalla mamma. “Jason?” Nessuno rispondeva, come se l'avessero isolata dalla comunicazione della loro squadra. Non di nuovo.

Una bambina le tirò la tutina, con degli occhioni pieni di lacrime perché non trovava più sua sorella, perché doveva proteggere sua sorella e non ci stava riuscendo e…

Hazel l'aveva data in custodia ad un poliziotto giovane che guardava il cielo, come lei, tenendo in mano un walkie-talkie. “Tienila al sic…” stava dicendo, quando, finalmente, sentì un rumore provenire dal suo auricolare.

Un urlo tanto forte da farle posare la mano sull'orecchio. “No!” Lo scoppio di Jason. “Annabeth. Annabeth! È…”

“Raggiungilo.”

Hazel assottigliò di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi verso l'alto, mentre la bambina e il poliziotto indicavano qualcosa che cadeva dall'ultimo piano del grattacielo. La figura di Jason, fasciata nella tutina anche troppo aderente progettata da Annabeth -adoravano metterlo in imbarazzo-, cercava di raggiungere il primo oggetto in caduta libera.

“Hazel. Quello è Frank.” Leo parlava a bassa voce, cerando di sembrare calmo, cercando di non agitarla troppo. “E se non trovate un modo per non farlo schiantare a terra, morirà.”

Le mancò il respiro, mentre riusciva a sentire un ceffone arrivare sulla nuca dell'amico e un lamento ovattato, mentre i suoi sensi mettevano a fuoco Frank. Frank che cadeva. Frank che sarebbe potuto morire. Una rete una rete una rete. Deve trovare una rete e stenderla e fare in modo che Frank non si spezzi l'osso -perché sì, Leo le ha raccontato che fine fa Gwen, la ragazza di Spider Man, e no, non era esattamente quello che più desiderava.

Una rete una rete una rete una rete una rete.

Aprì il cofano della macchina della polizia e iniziò a cercare e si sentiva dannatamente lenta e voleva morire.

Jason lo salvò.

Salvò Frank, che era ferito, che aveva del sangue che cadeva copiosamente da… dappertutto. E lo teneva come un gattino, per paura di fargli del male e fermarlo con troppa bruschezza -perché potevano anche chiamarlo Superman Biondo, ma conosceva l'esistenza della fisica: dopo averlo afferrato aveva preso a cadere con lui, rallentandone la velocità e salvando il sedere dei cittadini newyorkesi.

Hazel si buttò su di loro, con niente in mano, perché normalmente i poliziotto non si portano teli, o reti, nel cofano e se fosse stato per lei Frank sarebbe morto. Prese tra le mani il viso del ragazzone, piangendo sollevata e stando attenta a non fargli del male.

Voleva ripetere il suo nome, abbracciarlo, baciarlo, dirgli quanto si era sentita spaventata, ma non lo poteva fare. Jason la prese per la spalla, per riportarla alla Base e Hazel non ci voleva tornare alla Base, voleva che quei cavolo di paramedici arrivassero e mettessero in salvo il suo Frank, o per lo meno lo portassero all'ospedale, in cui lei li avrebbe seguiti anche subito, per stare certa che...

"Dov'è il metaumano?" chiese, cercando gli occhi azzurri di Jason, che sospirò, sentendosi quasi in colpa.

Certo, ovviamente.

Il metaumano aveva gettato Frank come diversivo e poi era scappato via, a fare festa con la sua banda di supercattivi, trai quali c'era anche Ninfae che saltellava felice e incurante del dolore che causava. Perché sembrava che i supercattivi vincessero sempre. Sempre. Hazel ci provava, a non pensarci, a ignorare quanto tutta la sua squadra avesse perso a causa dei cattivi e di quanto i cattivi, in realtà, potessero essere non cattivi a volte.

I paramedici arrivarono dopo che Jason prese di forza Hazel, caricandosela sulle spalle e portandola verso la Base -freddo e calcolato, come sempre: Jason era un soldato, non dava tempo ai sentimentalismi, se questo era inconveniente.

"Annabeth." La testa di Hazel era a penzoloni, attaccata alla schiena del biondo, che aveva già preso il volo, ma la sua voce uscì tremendamente seria, tanto da far paura a tutta la squadra. "Non decidere mai più cos'è conveniente che io sappia."

"Non essere ipocrita." Tutti sentirono la sua risposta, Hazel ne era certa. Se la immaginava seduta, ancora davanti al suo computer, che beveva altro caffè. "Come se tu non avessi mai fatto delle scelte discutibili solo per tenere in salvo un'amica."

Che Annabeth fosse così lucidamente eroica, faceva paura.













Frank aveva uno sguardo strano, sdraiato sul letto dell'ospedale, seguendola con gli occhi, silenziosamente. Hazel fece finta di niente, sistemando un vaso di fiori accanto a lui - "Me li manda Calypso?" "Calypso non ha niente a che fare con noi."- Sistemava i petali di rose con uno zelo che normalmente non avrebbe avuto e, di tanto in tanto, si girava verso di lui, sorridendo incerta.

"Dopo essere caduto" dice ad un certo punto il ragazzo, carezzandosi la fronte. "Penso che Gold fosse accanto a me. Non so perché. Credo piangesse."

Hazel si sedette su quella poltrona vicino alla finestra e arricciò le labbra. "Mi offendo a sapere che nel momento di una possibile morte, il mio ragazzo sogna una supereroina e non me."

Frank arrossì violentemente, balbettando parole senza senso, probabilmente scuse, che comunque la sua ragazza non voleva sentire.

Bastava che non capissse chi era Gold, no?











La tensione all'interno della squadra era palpabile e poco serviva che Percy facesse battute e cercasse di farli ridere tutti: Hazel era sul punto di lasciare tutto e fare, finalmente, quello che lei credeva giusto, seguendo il suo cuore e nient'altro.

Che Annabeth volesse seguire il suo cervello, le dava fastidio e che avesse il controllo di tutte le loro azioni in missione non era qualcosa che le faceva piacere. In più, quel soldatino di Jason, che le dava ragione a prescindere -"La nostra prima missione è far tornare tutti a casa, sani e salvi. Conoscendoti, vedendo Frank cadere ti saresti buttata dietro di lui e poi? Chi avrei dovuto salvare? Come avrei fatto a riportarci a casa? Non puoi pensare solo ai tuoi sentimenti, in battaglia."- le dava così sui nervi da voler prendere a calci entrambi i biondi. Ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto.

Hazel non era, comunque, utilizzabile in missione, non in quella situazione, quindi niente. La lasciavano nella Torre di Controllo e quella volta in cui Ninfae stava per uccidere Firestorm, la ragazza stava soffrendo dentro e voleva chiedere scusa a Leo e sentì un battito del suo cuore fermarsi, quando lui disse: "Qualcosa mi dice che Calypso è ancora piuttosto arrabbiata con me, eh?"

E se Leo non si era arrabbiato con loro, per essere stato protetto in una maniera così poco giusta, che diritto aveva Hazel di tenere il broncio?













Successe che una volta Gold aveva fatto cilecca con i suoi poteri. Era successo una sola volta e, sì, forse Jason e Annabeth avevano ragione e Hazel era completamente inutile quando era sotto pressione, o quando voleva proteggere le persone che amava.

Percy e Frank erano dietro di lei e il palazzo stava crollando su se stesso. C'era Chris, un altro poliziotto, un po' di metri più in là e Hazel, in un primo momento, sentendo Leo che le diceva che la casa aveva la particolarità di essere stata fatta con la struttura di pietra, perse il controllo sui suoi poteri e una trave stava per cadere su Percy. Hazel aveva alzato la mano, cercando di fermare la trave e se l'era rotta. Dopo che Annabeth le aveva gridato di non pensare a chi le stava intorno, ma al fatto che doveva salvare molta più gente - "Te l'ho detto. In missione cerca di essere più fredda possibile."-, Hazel aveva fatto in modo che l'edificio reggesse finché tutti furono fuori, al sicuro.

Ma si era comunque rotta una mano.

"Cosa ti è successo?" Frank tornato da una missione chiede a Hazel cosa le è successo. Uno dei paradossi della loro vita. Anche il fatto che l'avesse chiamata per essere sicuro che si facesse trovare a casa sua, per poter fare quella cena che avevano deciso di fare così tanto tempo prima, sarebbe stato strano, se non fosse stato Frank a chiederlo.

"Perché?" Hazel sembrava distratta, ma questo perché era appena entrata dalla finestra del bagno nell'appartamento. Aveva dovuto correre come una forsennata e cercare di riprendere fiato, prima che Frank entrasse dalla porta, e anche fingere di star preparando qualcosa -quando tutti e due sanno che lei non sa cucinare, ma compra tutto dal ristorante all'angolo... a proposito, dov'e Jason con la cena? Doveva portarle la cena... oh, e adesso come farà?

Frank fece un gesto con la mano e Hazel cercò di imitarlo, rendendosi conto, però, di non poterlo fare, a causa della fasciatura intorno al suo polso e sul suo palmo. Oh, quello.

"Cos'è successo a te" chiese lei, cercando di prendere tempo e indicando la sua andatura zoppicante. Una buona bugia richiede tempo.

"Uno di quei criminali che vuole distruggere New York."

"Un metaumano?"

"Lo fai suonare divertente."

Hazel sorride e no, non è divertente, ma che importa? Jason ha lasciato il cibo davanti alla finestra della cucina, Frank non se n'è accorto e si spera che abbiano dimenticato la mano fasciata.

"Tu cosa ti sei fatta?"

"Rissa ai Laboratori. Dovresti vedere l'altra." Okay, cosa stava dicendo?

"Cosa?"













Si vedeva lontano un miglio che Hazel non sapeva mentire e forse Frank stava iniziando a capire tutto.

“Dobbiamo trovare un modo per confondere le acque.” Annabeth, seduta sulla sua sedia del Laboratorio, masticava nervosamente una matita, lanciando degli sguardi preoccupati agli altri membri della squadra.

“Potremmo tenere Hazel fuori dalle missioni” iniziò Leo, giocherellando con un cacciavite. “Con i suoi poteri potrebbe dare l'illusione che Gold sia accanto a noi a combattere i cattivi e massacrare gente, mentre se ne sta qui, o in un posto in cui Frank la possa vedere.”

“È un buon piano” annuì Jason, incrociando le braccia, accanto all'enorme finestra che dava sulla città. Si guadagnò, suo malgrado, un'occhiataccia da parte di Percy, che stava seduto accanto alla più piccola, con una smorfia. “Fallo.”

Hazel si grattò la guancia con un io, lanciando uno sguardo ai suoi compagni. Ovviamente l'unico contrario a questo piano era Percy, che continuava a sbuffare.

Percy odiava mentire a chi voleva bene.

“Va bene. Un nuovo periodo alla Torre di Controllo, allora” sospirò la ragazza. "In pratica la schiavetta degli eroi..."

"Voglio una coca-cola, Torre di Controllo!" gridò divertito Leo, poi sorrise verso di lei e andrà tutto bene, vedrai.


















"Perché nascondersi dietro una maschera?"

Hazel stava per sputare tutto il latte che aveva in bocca. Si trattenne appena in tempo, tappandosi la bocca con la mano e girandosi verso la finestra del bar. "Come?"

"Perché Demigod, o Firestorm, o Gold, si nascondono dietro una maschera? Insomma, non fanno cose cattive, no? Non dovrebbero essere fieri di quello che fanno?" Frank sembrava veramente sopra le nuvole, con le sue grandi mani intrecciate sulla tazza gli occhi scuri puntati chissà dove.

"Ancora con la tua cotta per Gold?"

Il ragazzo posò il suo sguardo su di lei e inclinò la testa. Ultimamente Hazel era strana. Cioè, parlava in modo strano e diceva tantissime bugie. Frank non era stupido. Lanciò un'occhiata alla mano fasciata della ragazza. Gli vennero in mente gli occhi dorati di Gold, che davvero, sembravano tanto simili a quelli di Hazel. No, davvero, Frank non era stupido. "Domani non posso cenare a casa tua. Lavoro..."

"Se vuoi ti raggiungo" sorrise Hazel dolcemente. "Così Clarisse non ti potrà bullizzare mentre mangi."

Lì ti volevo.



















"È una cavolata."

"Tu fallo"

"E che mi dai?"

"Cosa vuoi?"

"Tu sai cosa voglio."

"No, guarda, non è che lo so. Se mi dai un indizio..."

"Beh, sai no? Magari con Clarisse..."

"Che c'entra Clarisse?"

"Beh, potresti aiutarmi, diciamo."

"Cos- oh! Ah, okay. Che schifo. Cioè, va bene."

"Allora dovrei fare questa cavolata, così, giusto perché tu credi in cosa?"

"Io non ho fatto domande su Clarisse, Chris."














“Sta controllando i tabulati telefonici. E le apparizioni di Gold.” Annabeth sospirò, passandosi una mano sulla fronte, mentre Leo, accanto a lei, cercava di bloccare le informazioni dal cellulare di Hazel, perché nessuno potesse più controllare le informazioni della sua SIM. Non sembrava starci riuscendo. Se avesse avuto il cellulare a portata di mano, forse, ce l'avrebbe fatta, ma il cellulare della ragazza -che si mordeva nervosamente le labbra, dietro di loro- era stato rubato qualche giorno prima, mentre lei e Frank si stavano dirigendo agli studi Olympus. “Non ci vorrà molto prima che faccia due più due.”

Leo si girò verso l'amica, con le labbra incollate tra loro, in un'espressione preoccupata. “Il cellulare è nella stazione di polizia dove lavora Frank. È sicuramente lui. E deve aver reclutato Malcom per proteggere le informazioni.”

“Sì, ma perché? Ultimamente sono stata fuori dal campo e…”

“Anche Gold” la fermò Annabeth. “Perché per un motivo o per un altro, tutte le volte che entravamo in azione, era impossibile contattarti. Eri sempre con Frank.”

“Calmiamoci un attimo. Frank non è poi così furbo. Dai. È un… un poliziotto che si fa prendere in giro dalla sua ragazza da quanto? Tre anni? E questo perché ha sempre aspettato che Hazel gli dicesse tutto. Non l'ha mai forzata a…”

“Pensi non sia lui?”

Leo arricciò le labbra. No, sicuramente era stato Frank. Tutte le prove conducevano a lui. Quindi sicuramente sarebbe stato così. “Dico che non sembra da lui, ecco.”

“Pensavamo la stessa cosa di Calypso” azzardò Hazel, continuandosi a mordere le labbra. “Magari è un supercattivo e non me ne sono mai resa conto… in fondo, cosa mi dice il contrario?”

Annabeth guardò i due ragazzi, per poi sospirare e riprendere a maneggiare con il computer per controllare le mosse dei poliziotti. Si erano fermati.

“Non voglio fare quello che ho dovuto fare a Calypso” mormorò Hazel e suonò così egoista alle sue orecchie, sotto lo sguardo di Leo, che sarebbe voluta morire in quel momento. Ma lui non disse niente e aspettò che qualcuno dicesse qualcos'altro. Perché lui non voleva proprio parlare.

“Forse dovresti dirglielo. Che sei Gold, dico. Tutti i gruppi hanno un alleato nelle centrali di polizia e…” Annabeth deve schioccare la lingua sul palato. “Potrebbe essere una scappatoia.”

Le due ragazze lanciarono un'occhiata a Leo, che continuava a torturarsi le mani, Dio solo sa pensando a cosa.

“Se è per salvare la mente di Frank, fatelo.” Annuì. “Una vittima in più non fa giustizia.”

Nella centrale di polizia avevano ricominciato a cercare le prove dell'identità segreta di Gold.











Le ragazze avevano abbandonato Leo, ognuna per andarsi a fare gli affari suoi. Hazel, sicuramente a progettare la sua rivelazione a Tarzan là, mentre Annabeth aveva in programma qualcosa come una maratona di film romantici da guardare da sola -come fanno le vere donne.

Lui non aveva piani. In realtà li aveva avuti, ma quella chiacchierata con le ragazze gli aveva chiuso lo stomaco e la voglia di fare qualsiasi cosa. Bon che non volesse Frank salvo! Lui voleva bene al ragazzone ma…

Giocando con il cacciavite, prese a martellare su un piccolo marchingegno che stava portando a termine grazie al progetto di Annabeth. Probabilmente lo avrebbe rotto per poi ricorso ruolo dal nulla quella notte.

Stava giusto per prendere il martello quando…

“Leo.”

Il ragazzo alzò lo sguardo, guardando stupito la persona che stava in piedi sulla porta. “Cosa…?” prese a chiedere.

“Io so chi sei.”















Hazel stava respirando con fatica, mentre Frank la guardava con quello sguardo innocente. Le aveva preso le mani e sembrava volerla incoraggiare, alzando un sopracciglio. Sembrava veramente non sapere nulla di quello che sarebbe potuto uscire dalle labbra di lei.

“Sono Gold” sputo fuori, chiudendo gli occhi e aspettando una reazione negativa da parte di Frank, che semplicemente inclinò la testa.

“Okay.”

“Okay? Solo okay?”

Frank aggrottò le sopracciglia e sorrise. “Okay. Ho una cotta per Gold. E tu non puoi essere neanche gelosa di te stessa.” Strusciò il pollice contro la mano piccola di Hazel, che continuava ad essere piuttosto confusa dalla sua reazione. “E poi quante persone conosco coi tuoi stessi occhi?”

“Sapere no. Intuivo qualcosa. Le ferite, gli appuntamenti posticipati, eri anche strana. Ho provato a tenerti più vicina possibile per vedere quando scomparivi, ho fatto domande sui supereroi e poi ho cercato di prendere il tuo cellulare, ma quando ho provato a farlo non ce lo avevi più. Si vede che sei furba.”

“N-non hai tu il mio cellulare?”

“Perché mai dovrei rubartelo?”

I due si guardarono per qualche secondo e Hazel prese a sudare freddo. “Chiama Leo” ordinò, alzandosi in piedi e prendo a camminare intorno al tavolo.

“Cos-? Perché dovrei…?”

Ma Frank non finì la frase. Il suo cellulare iniziò a squillare e lui alzò il suo sguardo su Hazel, prima di aggrottare le sopracciglia e frugare nelle sue tasche. Era Leo. Ma cosa cavolo…?

“Leo?” rispose al cellulare, senza distogliere gli occhi dalla sua ragazza, che sembrava ancora più allarmata dopo questa strana coincidenza - “Raramente l'Universo è così pigro.”

“Calypso” rispose Leo. La sua voce era ad intermittenza e sembrava faticare molto per parlare. “…perché ma… ho paura che… Laboratori Olympus… non… io. Chris Rodriguez… venduto. Capito? Non… lei ricorda o… scoperto… forse è stata lei… ci sono tutti… pericolo.”

La telefonata si chiuse da sola. Frank rimase per qualche momento immobile, guardando fisso davano a sé. “Leo è in pericolo. Cosa non doveva ricordare Calypso?” Entrò nei panni del poliziotto, girando da una parta all'altra della stanza, caricando una pistola e andando a prendere un giubbotto anti-proittili.

A Hazel fu di nuovo tolto il respiro e la paura di quello che sarebbe potuto succedere a Leo a causa di un suo lavoro fatto male la stava facendo sentire inutile, un'idiota, male. “Lei è Ninphae” riuscì a sussurrare e Frank sbatté le velocemente, come colpito da una rivelazione.

“Andiamo. Ho bisogno di un Super per salvare Leo.”

“Anche lui è un Super.” Hazel lo seguì chiudendo la porta dietro di loro e cercando di mantenere il passo con quel gigante.

Lui aggrottò le sopracciglia. “Altre confessioni dopo, per favore.” Davanti alla porta del condominio, Frank si fermò di colpo, girandosi verso la ragazza, che andò a sbattere contro la sua schiena, connub leggero lamento. “Devi stare attenta” disse lui, guardandola. “Non potrei vivere senza di te.”

Lei sorrise, prima guardando per terra, rossa, poi si alzò in punta di piedi e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia. “Vale lo stesso per me.”
























Note:
Cosa? Ah, sì. La storia finisce così. Sorry (ho bisogno di più supereroi in giro…)  

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Capitolo 6
*** #62 Reciti te stessa ***


Sono ancora tutti in silenzio, come aspettando che Drew continui. Ma il ragazzo si ferma, forse bloccato, forse semplicemente perché la storia così doveva finire.

“E poi?” Un ragazzo della Casa Dieci tira in avanti il busto, per porgere la domanda è cercare gli occhi del figlio di Atena. Forse questo round sarà suo.

“E poi cosa?”

“Non può essere finita così, alla fine Leo…?” Il ragazzo insiste e Malcom sorride, perché è questo quello che sperava di ottenere. Più si è incuriositi, più la storia piace, teoricamente. Appunto. Solo teoricamente.

Alla fine tutto andrà come deve andare.

Piper lo osserva per neanche una frazione di secondo. Sono al terzo round, potrebbe essere il penultimo, per quanto ne sa lei, quindi non perde tempo e si gira verso Drew. Spera solo di poter finire entro cena e che le ninfe non stiano di nuovo nascondendosi tra le file romane per andarsene a Nuova Roma, solo perché i romani sono proprio carini. “Tocca a Malcom.”

Anche Drew sembra abbastanza allegra, probabilmente, pensa, Malcom le servirà il round su un piatto d'argento e Mitchell faccia quello che faccia, rimarrà con loro e non se ne andrà con quel biondo che non sa nemmeno sistemarsi le bretelle. “Le shippo” mormora indicando la capo-cabina e poi qualcuno di biondo, dietro le sue spalle, e i figli di Afrodite girano velocemente la testa verso di lui, perché sanno di chi sta parlando e deve essere una mossa molto avventata. Chi non risica non rosica.

Piper arriccia le labbra e che la storia abbia inizio.






#62 Sono una spia segreta e fingo di esserti amico solo per avere informazioni su tuo padre!AU

 

Reciti te stessa





Annabeth è stata cresciuta a pane e libri, perché è così che una persona deve crescere, secondo Atena, e comunque nessuno si lamenta. Né mai lo farà, perché se c'è una cosa che Annabeth ama al di fuori dell'architettura è la parola scritta. Quindi la copertura le viene fuori abbastanza naturale. Si chiede se sta fingendo, in effetti.

Muove i capelli verso una spalla, in maniera anche abbastanza casuale, come se si stesse sistemando meglio per continuare a leggere. Deve sembrare tutta una casualità. Jason, in un altro tavolo, sta sorseggiando un caffè, con gli occhi socchiusi perché è inutile, passano gli anni, ma lui gli occhiali ancora se li dimentica a casa. Leo farà aspettare la ragazza per ancora un po', giusto il tempo per poter far studiare la situazione ai due biondi e far loro decidere come agire.

Quando consegna la cioccolata calda alla castana, tutto è pronto, il piano viene ripetuto nella mente dei due più e più volte, appena si siede, nella grande tavolata, aprendo il computer e sorseggiando la cioccolata, Piper non si rende conto nemmeno di essere in mezzo ad una trappola. Passano i minuti e aspettano.

Annabeth fa finta di voler vedere l'orario dal cellulare e finge di rendersi conto di averlo scarico. Le prese sono tutte occupate, un po' per il piano, un po' per pura e semplice fortuna. Per questo si avvicina alla ragazza, le chiede scusa per il disturbo ma vorrebbe tanto mettere a caricare il telefonino in quella presa, se solo…

Piper non è stata cresciuta da persone maleducate e sorride. L'aiuta a raggiungere la presa ed è pronta a tornarsene a pensare agli affari suoi, perché ha una tesi di laurea su cui lavorare e non dovrebbe veramente distrarsi, ma la bionda sorride e si siede davanti a lei, leggendo placidamente. L'amore ai tempi del colera. Sorride tra sé e la ragazza sociale che è in lei non ce la può proprio fare a non interagire con una persona che legge proprio quel libro.

“Ti sta piacendo?”

“Lo sto rileggendo.” Annabeth sorride e alza una spalla. “Sarà almeno la decima volta. È il mio libro preferito.”

A Piper le si illuminano gli occhi e chiude il computer. Non per niente si sta laureando in Lettere, non riesce a resistere. “Anche il mio.” E la tesi viene dimenticata, come il computer e il cellulare.

Jason fa segno affermativo a Leo. Piper è caduta nella trappola.


~•~



Annabeth butta lo zaino sul divano, stiracchiandosi, e Leo le lancia un'occhiata veloce, prima di ritornare ai suoi aggeggi. “Sembra quasi una vacanza, eh?” mormora il ragazzo, ancora girato di spalle.

“Sì.” Lei si siede sul divano, per poi sdraiarcisi completamente. È abituata a missioni d'azione, con gente che vede per una settimana e poi basta, con persone che è sicuro lavorino per altra gente cattiva. Missioni in cui si spara, la gente viene ferita, a volte muore. Cercare di ottenere informazioni su un candidato al Senato da sua figlia sembra una stupidaggine. Forse quello che ci vuole dopo Luke. Forse per questo l'agenzia li ha mandati in parte diverse del mondo a fare cose semplici, perché sono una squadra troppo unita e una spia non può essere unita a qualcosa o qualcuno. Il pensiero vola a Percy, da qualche parte in Thailandia, a fare chissà cosa, lontano da Grover, che sta da qualche parte in latinoamerica, e da Thalia, che chissà dove l'hanno mandata. La verità è che per superare Luke, dovevano stare tutti e tre insieme, che cavolo. Ma quando si diventa spie, si perde il diritto a poter soffrire in gruppo, si vede. “Una vacanza.”

“Lo dicono tutti.” Leo si gira verso di lei e cerca di prendere posto sul divano, spingendo via i suoi piedi. “Potremmo vedere Jessica Jones, che dici?”

Lei sorride. Una spia soffre in silenzio. Annuisce e Leo sembra veramente troppo eccitato.


~•~


“Sarò ripetitiva…” Piper incrocia le gambe e morde un panino con tonno e maionese, girandosi verso Annabeth, che, sulla panchina tiene le ginocchia attaccate al petto. “… ma non hai la faccia di una Lily.”

La bionda ride, portandosi verso l'altra ragazza, sul prato. “E che faccia avrei?”

“Non so. Forse una Anna. Hai mai pensato ad una Elizabeth? Lily è… non lo so. Non sembri averne la faccia.” Piper addenta di nuovo il panino, tenendolo in bocca e liberarsi le mani, per potersi sbottonare la maglietta a quadri e godersi il sole stranamente troppo caldo di inizio maggio. “Hai un secondo nome?”

“Bloody Mary.”

Le ragazze si guardano negli occhi per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere.

Annabeth scuote la testa e poggia i palmi delle mani sull'erba piacevolmente fresca. “E poi parla lei. Io non ti avrei mai fatta laureanda in Lettere. Psicologia, magari, o Antropologia.” Arriccia il naso. “Forse Relazioni Internazionali?”

Piper sorride, scuotendo la testa. “No, no. Non mi prenderebbero mai sul… voglio dire, non mi piace nemmeno stare sotto i riflettori e cose così. Relazioni Internazionali mi darebbe troppe responsabilità. Mi ci vedi ad incontri importanti come ambasciatrice degli Stati Uniti o…?”

“Sì.”

Sbatte gli occhi velocemente, mordendosi il labbro inferiore, per poi alzare le spalle. “Mi sopravvaluti, Beth.” Ci pensa un po' su. “No, nemmeno Beth va bene. Che ne dici di Liz, come la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio?”

“Non mi puoi semplicemente ri-battezzare, Pip.”

“Ma continui a non avere lo sguardo di una Lily.” Finisce finalmente il suo panino e ne prende altri due dalla sua borsa. Ne porge uno ad Annabeth, che non può fare altro se non afferrarlo, perdendo temporaneamente l'equilibrio da seduta, per quanto velocemente ha spostato le braccia e il baricentro, e comunque non ha granché fame. “Non so come sia possibile, ma ti conosco da solo una settimana e mi pare che tu sia dimagrita tantissimo.”

“Mhm? No. È un'impressione.”

Piper alza un angolo della bocca e fruga ancora nella sua borsa. Ne tira fuori un quarto panino, probabilmente pieno di Nutella, per come questa usciva dai bordi, all'interno della busta di plastica. “Papà dice sempre: se si è un po' rotondini si è amati. Beh, in realtà dice amatini e continua con qualcosa sul Martini, ma non voglio farti sentire le battute da papà di mio papà.” Sorridono entrambe, scartando i tre panini. “Magari è semplicemente perché mi hai detto che sei nuova da queste parti e sei lontana dai tuoi amici… fatto sta che non ti devi preoccupare.” Le porge la metà del panino alla Nutella, senza perdere mai il sorriso. “Ti puoi accontentare di me. E amore è condivisione!”

Annabeth la osserva in trance, poi scuote la testa e cerca di tornare coi piedi per terra. È la prima volta che Piper nomina suo padre.



~•~


“Le persone in media ci mettono una ventina di giorni per abituarsi a qualcuno.” Leo mangia popcorn e sputa volontariamente un seme che non si era aperto sulla ragazza, che lo spinge verso terra. “Dopo che Piper si abituerà a te, sarà tutto in discesa” continua, anche se Annabeth gli tiene la mano sulla guancia, rendendogli difficile parlare.

“Sì, sì.” Lo lascia andare, aiutandolo ad alzarsi da terra. “Non sono abituata a missioni così lunghe, tutto qua.”

“È impossibile. Anche le migliori spie ci mettono almeno due mesi ad avere informazioni. Ottenere la fiducia delle persone non può essere così facile, per te.” Ricomincia a mangiare popcorn, afferrando il telecomando e inserendo una password di Netflix.

“Per me non lo era.” Si gira verso la televisione e mordicchia l'unghia del pollice. “Percy è bravo a ottenere fiducia.”

“Ah.”

“Mi sto abituando a te, Leo.” Annabeth gli sorride, tirando un pugnetto sulla spalla del ragazzo. Anche lui sorride e lei la vede quella scintilla, quella che vuol dire che lui già le vuole bene e non saprebbe nemmeno dire il perché.

“Tu mi adori dalla prima volta che mi hai visto” dice, scuotendo la testa. “Che ne dici di una maratona di iZombie? È carino…”


~•~

“No, no, senti. Sono seria. Ho guardato in faccia il mio professore di Lettere Comparate e gli ho detto: Professore, ha appena accannato un congiuntivo; sono sicura potrà passare oltre un errore di distrazione come il mio.” Piper si aggrappa al palo per non cadere a terra, e morire in modo abbastanza stupido, cadendo da un palazzo, e continua ad annuire. “Ti giuro che mi ha messo il massimo dei voti.”

“E magari poi ha provato a metterti le mani sotto la maglietta.” Annabeth ruota gli occhi e si aspetta una risposta sarcastica, che non arriva. “Non lo ha fatto, vero?”

“Oddio, no.” La castana scoppia a ridere, muovendo le mani davanti a lei, come a cancellare anche soltanto l'idea. “Ho preso la ricevuta e sono saltellata via dall'aula, quindi no, no, proprio no.” Lascia penzolare le gambe nel vuoto sottostante a loro e le è sembrata veramente un'idea eccezionale quella di salire su quel palazzo e guardare New York dall'alto, perché dal basso le cose sono veramente troppo diverse e forse un po' più brutte.

“Una volta avevo un professore d'Ingegneria che mi odiava.” Anche Annabeth lascia che i suoi piedi stiano immersi nell'aria vuota, ma non guarda in basso. Guarda verso i palazzi. “Mi ha bocciato una volta con un 59. Poi mi ha promosso con un 60 e mi rovinava la media. Ho voluto rifare l'esame una terza volta. L'ho così tanto odiato. La terza volta, Luke ha fermato tutto il nostro gruppo nel fare qualsiasi cosa stesse facendo e hanno iniziato tutti a studiare Ingegneria con me. Anche Percy, che però non ci ha capito niente e aveva preso a odiare quel professore forse più di me. Arriva il giorno dell'esame e passo lo scritto con 80, il che penso sia un miracolo, ma mancava l'orale. E poco prima di entrare, erano tutti lì, per me. E…” Annabeth alza le spalle e scuote la testa.

“Devono volerti molto bene.”

“Devono, appunto. Non sai quante volte io, Percy e Grover…” Si blocca, rendendosi conto di star andando oltre e non è per questo che l'hanno arruolata e allenata. Deve stare più attenta. Sorride. Comunque non ha notizie di Percy e Grover da quasi un mese. E non ha ancora pianto per Luke. “Tu non hai amici, o…?”

Piper arrossisce, guardando i piedi dondolanti. “In realtà no.” Si gratta dietro la nuca, forse anche abbastanza imbarazzata. “O forse sì, ma, sai, alla fine si scopriva sempre che stavano con me per, non so, i miei soldi, o mio padre. Nessuno è mai stato interessato a me.” Alza una spalla, scuotendo la testa, come se volesse sminuire la faccenda e Annabeth si sente così cattiva in quel momento che vorrebbe fermare tutto e chiedere scusa.

La storia dell'abituarsi ed affezionarsi va su due rotaie, a quanto pare e adesso capisce perché Percy iniziava sempre a lagnare quando dovevano uscire allo scoperto. I sentimenti feriti. Ma è il suo lavoro e non può fare altro se non farlo al meglio, quindi inclina la testa, aggrotta le sopracciglia e dice: “Oh, ma dai! Tuo padre mica è Tristan McLean!” Ride, portando il suo peso indietro, sulle mani poggiate al pavimento di cemento.

Quando cala un silenzio imbarazzato da parte di Piper sa che ha fatto centro, e lascia sfumare il suo sorriso lentamente.

“Tuo padre non è Tristan McLean. Smettila.”

Piper chiude l'occhio destro, come a proteggerlo da possibili sofferenze.

“Piper, il tuo cognome è Colfer. Ho controllato. E smettila di prendermi in giro. Non ci casco.”

La castana si gratta di nuovo la testa, con un piccolo sorriso. “Beh…” inizia.

“No.”

“Però, sai? A mio papà piaceresti. Sei il tipo di persona che vuole sia mia amica. Solo, ti direbbe, che segui troppo la testa e troppo poco il cuore.” Piega la gamba, per poter appoggiare la testa sul ginocchio e guardare Annabeth, che alza un sopracciglio, come a dire che non crede ad una parola che le esce di bocca. “Noi cherokee lo seguiamo sempre il cuore.”

“Mia madre direbbe che segui troppo il cuore e troppo poco la testa.” Non può fare a meno di pensare che forse proprio per questo è finita dritta nella sua trappola. Troppo cuore.

“Allora ci completiamo!” Piper ne sembra felicissima. Le prende una mano e il sorriso diventa più ampio, un po' più luminoso. “Se non fosse stato per cuore non ti avrei nemmeno parlato, no?”

Eh.

No.


~•~

Come faccia Leo a vivere ventiquattro ore su ventiquattro davanti a degli schermi è uno dei misteri della vita.

“Beh, devo controllare che tu e Jay-Jay torniate alla nostra bellissima stanza di albergo tutte le sere, senza che nessuno vi riconosca… e poi non sto sempre davanti a uno schermo.” Leo mangiucchia un taco, sporcandosi di salsa, con le gambe incrociate. “Dormo pure.”

“E mi convinci a guardare serie TV per almeno metà nottata.”

“Eh, sì. Ma Doctor Who ne valeva la pena, no?”

Annabeth non ha il coraggio di dirgli che lei e gli effetti tarocchi della BBC non vanno molto d'accordo, quindi si limita ad arricciare le labbra e sedersi sul suo letto. “Come va con Jason?” chiede, per cambiare argomento e perché il biondo non si vede in camera da settimane.

“Sta bene. È entrato nelle grazie del capo-guardie in meno di una giornata. Pensa che ora lo deve chiamare Coach ed essere il suo pupillo. Senza andarsene in giro mezzo nudo, magari.” Il ragazzo ride, perché vedere in difficoltà il suo migliore amico è uno dei suoi hobby preferiti. “E a proposito, mi dice di ricordarti che… senti, non mi uccidere, okay? Lo ha detto lui. E poi non vorrei che… io so che tutti voi venite spediti a questi tipi di missioni perché vi serve un momento di pausa, o come prova, per vedere se avete ancora la stoffa per fare le spie e… tu sei una brava ragazza, Annabeth, ma… non penso tu stia superando così bene la prova.”

La ragazza alza un sopracciglio, incuriosita e offesa allo stesso tempo. “Cosa?”

“Piper. La Reginetta di Bellezza, là, è simpatica e sono sicuro che è una brava persona, ma, vedi, noi siamo spie. Allora niente sentimentalismi per noi, o amicizie. E tu ti stai abituando a lei. Piper non è tua amica e tu non sei amica di Piper. Stiamo solo raccogliendo informazioni su suo padre e appena avremo finito, ce ne andremo. Se non saprai farlo, odio dirlo, perché, davvero, tu mi piaci molto, ma non penso che l'Agenzia ti possa tenere ancora.”

Annabeth annuisce, cercando di analizzare le parole di Leo il più freddamente possibile. Ha ragione. Sa come funziona l'Agenzia e sa anche che se non riesce a rimanerne un membro, non potrebbe più rivedere la famiglia che lì si è creata. Grover. Thalia. Percy. Sarebbero persi come perso è stato Luke. E non se lo può permettere. “Va bene” dice, perché nessuno vale quanto la sua famiglia.

E aveva bisogno di ricordarselo.

“Mi faresti un favore, Leo?”


~•~


Quando vede Jason passare per il corridoio, vestito di nero e con gli occhiali da sole, che seguiva un signore anzianotto e anche troppo vivace, accanto ad una ragazza che sembrava veramente troppo forte, Annabeth finge di non conoscerlo, e gli passa accanto senza dire una parola.

Ma vedere Jason è un buon ammonimento e gira la testa verso gli occhi di mille colori di Piper e ricorda che lei non può far parte della sua altra famiglia. E che è stata una stupida a pensare di essere stata mandata lì per qualsiasi cosa che non fosse per testare quanto fosse pronta a tornare a lavorare per l'Agenzia. Non una specie di vacanza, che in effetti non avrebbe avuto molto senso, ma un modo di testare la sua lealtà e oggettività. Lei, comunque, non si è mai data il lusso di piangere Luke. Questo doveva voler dire qualcosa.

“Casa di tuo padre è enorme. Non hai mai paura di perderti?”

Piper la osserva, per poi scuotere la testa con un sorriso. Lei nemmeno ci aveva fatto caso. “Stai iniziando a crederci che sono una McLean?”

“No. Sì. Forse? E comunque non…” Annabeth sta per terminare la frase, quando nota che la ragazza tiene lo sguardo fisso su un punto del corridoio, quasi come stesse pregando.

Vorrebbe chiedere cos'ha.

Le prende d'istinto la mano, come fa sempre Grover quando pensa che qualcuno è giù di morale, e cerca di attirare la sua attenzione. La scruta, cerca il problema ma non lo capisce molto bene, finché non sente una terza presenza dietro alle sue spalle. Si gira e vede la ragazza che prima camminava di fianco a Jason, sembrare dispiaciuta.

“Lui… fammi indovinare, ha avuto un'imprevisto e si scusa molto.”

La ragazza annuisce, lanciando un'occhiata veloce ad Annabeth e alle sue mani.

“Dai, Reyna. Non fare quella faccia da funerale. Non sono più una bambina. Basta che papà stia bene. Perché sta bene, vero?”

Di nuovo, la ragazza, questa Reyna, annuisce, cercando d'inquadrare Annabeth. Lo sente da lontano, la bionda, l'odore del sospetto. Questa ragazza nemmeno le ha mai parlato e già sospetta qualcosa. Beh, è il suo lavoro, in fondo, Piper stessa ha detto di aver avuto amici che la volevano accanto soltanto per suo padre. Comunque continua a non dire niente, le osserva e se ne va. Questo non toglie la sensazione sulla pelle della bionda dei suoi occhi. Sente di essere osservata anche quando le dà le spalle.

Annabeth non ha lasciato la mano di Piper. “Comunque non ho mentito. Mio papà è veramente Tristan McLean” dice la castana, cercando di chiudere le dita in un pugno. La mano intrecciata alla sua non glielo permette. “Non sono una bugiarda, okay? Solo che mio papà è un po' un supereroe senza maschera. Lo è sempre stato e quindi ha sempre girato da una parte all'altra degli Stati Uniti e ha letto tante favole della buonanotte a bambini che non avevano chi gliela leggesse. Mi dispiace solo che…”

“Pip, non importa.” La bionda alza le spalle e sorride. “C'è sempre una prossima volta e sono sicura che tuo padre voleva essere qui.”

“Non sono una bambina. Lo so.” Abbassa lo sguardo alle loro mani e la cosa le sembra molto interessante, perché continua a fissare la pelle più chiara di Annabeth. “Sono sicura gli saresti piaciuta, Lily. E lui sarebbe piaciuto a te.”

“Sono sicura di sì.” Ci pensa su e le dà una spallata leggera. “Per ora ti puoi accontentare della mia compagnia.”

Sorride. E sorride anche Piper.


~•~


È da dire che Annabeth aveva completamente capito male all'inizio. Cioè, lei pensava Reyna si sarebbe avvicinata a lei per ucciderla e svelare a tutti che è una spia. Non la posizione migliore del mondo. Annabeth sarebbe stata scoperta e addio lavoro all'Agenzia. Sarebbe andata a finire così, forse? E invece!

“La signorina McLean è…” Reyna l'ha fermata prima che potesse uscire dalla casa, immobilizzandola grazie ai cani. “Stai attenta a qualsiasi tuo movimento. È abituata ad essere sola, o trattata come una bugiarda.”

“Me ne sono resa conto.” Annabeth abbassa lo sguardo e si chiede se sta per avere il discorso del se le fai qualcosa ti spezzo le ossa da una guardia del corpo. No, perché queste situazioni capitano solo quando A) alla guardia piace veramente tanto litigare o B) la guardia è innamorata della protetta. Potrebbe essere la seconda, sorride a se stessa.

“Per favore, stai attenta.”

Decisamente l'opzione B. Lo ha detto in modo troppo malinconico e Annabeth vorrebbe veramente saperne un po' di più, ma Reyna se ne va di nuovo, senza aggiungere altro, lasciandola con un'informazione a metà.

~•~


“Non posso considerarla mia amica se viene pagata per sopportarmi.” Piper lo dice con così tanta semplicità da disarmare Annabeth. “Reyna è… Reyna e allo stesso tempo una guardia del corpo. Non penso mi avrebbe detto più di ciao se mi avesse incontrato al liceo.”

“Sì, ma adesso ti conosce meglio di chiunque altro, ti vuole molto bene, credo, no?”

La castana sembra pensarci, sorseggiando del caffè nero. “Non lo so. Pensala così. Io mi affeziono più di quanto già lo sono a Reyna, la considero mia amica, poi, un giorno, per chissà quale motivo la licenzio. Faccio in modo che non ci sia transizione di soldi tra noi. Lei rimane accanto a me o se ne va?”

“Non è un ragionamento da te.” Annabeth sbuffa, incrociando le caviglie sotto il tavolo.

“Infatti non l'ho fatto io. Lo ha fatto Reyna quando le ho detto che volevo essere sua amica. Anzi, che la consideravo un'amica. Io le voglio bene, ma non la posso considerare amica.”

“Siete gente strana, voi newyorkesi. Vi complicate la vita.”

“Uno: io sono Cherokee. Due: Reyna è portoricana. Tre: io considero te mia amica. Anzi. La mia unica e migliore amica.” Piper beve un altro sorso di caffè, abbastanza soddisfatta.

“Questo non toglie che siete strane.”


~•~

“Percy non è stato riassegnato a nessuna squadra. Così nemmeno Grover.” Leo giocherella con i bordi del suo quaderno, con le gambe a quattro, seduto su uno sgabello forse troppo precario. “Stanno aspettando che la vostra vecchia squadra torni operativa, devono aver passato la prova dell'Agenzia.”

“In pratica sono l'ultima a finire il compito in classe.” Annabeth si affaccia dal bagno, con lo spazzolino in mano. “Aspettano me. Thalia avrà…”

“Ecco. Thalia. Thalia…” Il ragazzo sospira. “Non dovrei dirti niente. Sono informazioni private e tu soprattutto…”

“Leo.”

Un altro sospiro e lui si gratta la testa. “Ha chiesto trasferimento, per così dire. Non vuole essere riassegnata alla vostra vecchia squadra, ma ora fa parte del progetto Artemide.”

Annabeth annuisce piano piano, cercando di assimilare la notizia. “Ah” riesce a dire. “Grazie Leo.”

Il ragazzo non ha il coraggio di chiederle se vuole fare una maratona de Il trono di spade, quindi sta zitto.


~•~


L'incontro con Tristan McLean è così dannatamente normale da sorprendere Annabeth. Lui è seduto accanto a Piper e la ascolta parlare, ride al momento giusto, racconta leggende cherokee, fa battute da papà, e dice: “Segui troppo la testa, Lily.”

Lui è veramente troppo normale, con hobby normali, con sogni normali e il solito rimorso del genitore che non riesce a passare abbastanza tempo col figlio. Non sembra quel tipo di persona con uno scheletro dentro l'armadio o in qualsiasi altro posto della stanza. Insomma, cucina anche torte!

Parlare con Tristan fa semplicemente venire nostalgia alla bionda. Sente la mancanza di suo padre, della sua mamma adottiva e i suoi fratellini. La mancanza di Percy. Grover gli manca come il sole. Thalia la vorrebbe vicino. E Luke…

Il momento più sbagliato per pensare a Luke è questo, sono passate settimane e dovrebbe averla già superata. Ora sta lavorando solo per essere riassegnata alla sua vecchia squadra, perché non può perdere anche loro e lo sanno tutti che, senza Annabeth, Percy potrebbe morire da un momento all'altro. Ma a volte il punto di rottura è così. Imprevedibile.

Tristan McLean le saluta e se ne va via. Annabeth scoppia a piangere e Piper le rivolge lo sguardo sorpresa, perché non sa cosa stia succedendo.

In pochi secondi, il pianto sembra diventare inconsolabile, interminabile e la bionda non riesce a riprendere il controllo su se stessa. Si dice basta, e si formano lacrime enormi che le offuscano la vista e che le soffocano il petto. Si dice basta e realizza che Luke non verrà a darle un colpetto in testa per prenderla in giro perché piange sempre, come quando erano piccoli, e che non lo farà più, perché non c'è e non ci sarà e non tornerà. Allora piange di più e più vuole smettere. Si sente annegare e riesce a borbottare: “Mi dispiace.” Cerca di pulire le lacrime, poi singhiozza e ricomincia. “Scusa io…”

Piper si porge verso di lei e la bacia. Un bacio abbastanza pieno di panico, un po' come lo è la castana, che non sapeva cosa fare nè cosa dire e non so è mai trovata in queste situazioni. Per questo ha seguito il cuore e Annabeth si calma, in effetti.

Le lacrime cadono ancora, ma quando Piper si stacca da lei, non chiede più scusa. La osserva, si lascia asciugare le lacrime e sembra entrare in una specie di trance, ancora una volta. Succede spesso, con lei.

“Papà dice sempre che un amico è per ridere ma soprattutto per piangere.” La più piccolina le prende le mani e sorride, alzando una sola spalla. “E sappi che io piango sempre. Quindi se vuoi farlo anche tu, sei la benvenuta.”



~•~

Jason ha una lavagna bianca e un pennarello. Su quella lavagna, tutti e tre devono scrivere tutto quello che vengono a sapere di Tristan McLean. È divertente perché sembra un Indovina-chi al contrario.

Leo ha scritto a grandi lettere È bello ma non quanto Leo Valdez e né Jason né Annabeth hanno cancellato la scritta, perché è abbastanza esilarante. Hanno elencato le innumerevoli associazioni in cui è entrato il futuro senatore, i posti che frequenta, hanno cercato i luoghi della sua gioventù e le parti del mondo verso le quali viaggia più spesso, da solo o con la figlia.

Sembra che ora conoscano Tristan più di quanto lui conosca se stesso.

Jason fissa la lavagna ogni sera.

“Forse possiamo credere tutti in un mondo migliore, se quest'uomo è veramente quello che dice di essere.” Annabeth lo commenta sorseggiando del caffè. Sa che il tempo passa ed eppure le piace avere la percezione di perderlo in quel modo lento. Per tutta la sua vita ha sempre corso. Non si è mai potuta fermare, ad esempio, con la sua laurea in Architettura, a dirsi che ce l'aveva fatta, che poteva realizzare il suo sogno. Cinque secondi dopo la laurea era una spia e non sapeva perché. Perdere tempo è un bel lusso, dopotutto.

“La prossima settimana Leo consegnerà il dossier su quest'uomo. E io penso che noi abbiamo finito, qui.”

“Mhm.”

Leo si stropiccia gli occhi e si butta si spalle sul letto, sdraiandosi con pochissima delicatezza. “Mi sono abituato a voi” tra lo scherzo e la vera e propria malinconia. Come possa essere possibile, lo sa solo Leo.

Jason sorride ma non dice niente.

Annabeth pensa che questo vuol dire che deve dire addio a Piper. E che non vuole.


~•~


“Lily continua a non starti bene come nome” dice Piper l'ultima volta che dovrebbe vedere Annabeth.


~•~

Jason ha chiesto che lui e Leo possano essere assegnati alla stessa squadra e Leo è così felice da abbracciarlo e schiaffargli un bacio sulla guancia, per poi fingere che questo non sia mai accaduto.

Annabeth torna ad abbracciare Percy e Grover, che sono stati in vacanza obbligatoria fino a quando lei non aveva finito la sua missione di spionaggio. E un po' inizia a mancarle Piper. Thalia ogni tanto riesce anche a sentirla. Sembra felice, addirittura. Ma una spia sembra sempre felice. Sembrare è facile.

“Nella mia ultima missione ho imparato che le spie hanno anche una vita privata.” Percy addenta un pancake e scuote la testa. “Mentono a chi amano in continuazione e allora mi sono chiesto se questo può essere una specie di lieto fine. Alcuni non sanno nemmeno il nome vero delle persone con cui sono sposati.”

“Siamo spie vere, Percy.” Grover scuote la testa e fa quel sorriso malinconico che Annabeth non ricordava facesse così spesso. “Non siamo in quelle commedie romantiche alla Una spia non basta. Certe cose non si possono fare.”

“Allora questo non è un lieto fine.” Percy finisce di mangiare e la questione è chiusa.

Annabeth non ha proferito parola.

~•~

“Mi chiamo Annabeth” dice con parole calcolate la bionda, muovendosi lentamente verso Piper, che la osserva incuriosita. Con mosse ancora più lente e ancora più freddamente calcolate, Annabeth si piega verso di lei e le lascia un bacio. “E se vuoi, solo per te, seguirò il mio cuore.”

La castana non capisce subito, come avrebbe potuto? Lo capirà dopo. Per ora si gode il bacio. 





Note:
Quando in dubbio, scrivi sulle 100 fanfiction che ti sei detta di scrivere un anno fa e tutto andrà bene. Sono tornata, più o meno. Diciamo più meno. Diciamo che ora sono uno zombie.

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Capitolo 7
*** #46 Sarò il sangue se tu sarai le ossa ***


I figli di Afrodite abbassano lo sguardo, pensierosi, quando Piper scruta il figlio di Atena.

“È ora del verdetto.” Mitchell cerca di attirare di nuovo l'attenzione sulla competizione, ma lancia un'occhiata preoccupata a Malcom, che si morde le labbra, più nervoso di prima. “Io voto per la storia di Malcom. C'è un retroscena, i personaggi sono stati usati bene e anche a me piacciono Piper e Annabeth, anche se non si ha un vero e proprio lieto fine. Mi piace.”

La Capo Cabina annuisce, posando lo sguardo su Lacey, che giocherella con le pellicine delle dita, e non risponde subito. “La storia di Malcom era carina e tutto, ma la verità è che se dobbiamo metterla sul piano della coppia entrambe le storie sono sullo stesso livello. Mitchell dice che la storia di Malcom è migliore in quanto a retroscena, ma i personaggi secondari sono appena accennati. Leo lo vediamo sempre a lavorare per l'Agenzia e non sappiamo perché non ha una squadra, la squadra di Jason è sconosciuta e non sappiamo nemmeno come sia morto Luke, nella storia. Non so. Ho trovato molto più completa quella di Drew. Anzi, forse è stata costruita un po' più intelligentemente: ci sono due coppie che lentamente si danno il cambio, come se ci debba essere un seguito. Per poco, ma pensò che Drew abbia raccontato la storia migliore.”

Tutti posano il loro sguardo su Piper, che tamburella le unghie sul tavolo. “Mi piace come Malcom descrive le situazioni con leggerezza e delicatezza. Sono queste le cose che ricerca una figlia di Afrodite. Ma… per quanto mi piaccia, devo essere imparziale e dire che per stile e trama, Drew lo supera. Anch'io voto per lei.”

Mitchell chiude un'altra volta gli occhi, come se fosse stato colpito da un pugno in pancia. “Se vince questo round, vince tutto” sussurra, terrorizzato.

Insomma, niente pressioni Malcom.

“Tocca ancora a me, quindi.” Drew sorride e si guarda intorno. Vede Will e Nico discutere su qualcosa, forse del fatto che il moro ha cercato di scappare dal Campo Mezzosangue appena si è reso conto delle feste entranti del mese. Troppi semidei con cui socializzare. “Li shippo.” Li indica e si prende qualche secondo per cominciare.

Malcom finge di non sentire il “Siamo spacciati” sussurrato da Mitchell dopo aver visto la coppia dalla sorellastra indicata. Deve solo pensare ad una buona storia. Solo quello.








#46 Stiamo insieme da tre mesi e solo ora mi dici che sei un werewolf!AU

 

Sarò il sangue se tu sarai le ossa





Nico non saprebbe dire quando tutto inizia per il semplice motivo che non ricorda un momento della sua vita in cui Will non ci sia stato. Non dice che Will era in prima fila, in primo piano, sempre visibile e pronto a ricevere gloria. Will lo ha conosciuto perché è un amico di Percy e Percy era tipo la sua cotta segreta delle elementari e…

Però sarebbe da stupidi dire che Will non ci fosse. Poteva pensare prima a questo particolare, magari gli avrebbe detto qualcosa su quello che gli stava succedendo intorno.

E non saprebbe indicare il momento in cui ha smesso di essere il tipo inquietante e leggermente troppo autoritario che cercava di tenerlo a letto durante le influenze e cose così, ed è diventato Will. Lo Will. L'unico Will. Quel Will. Will.

Può pensare che tutto abbia inizio per colpa di Hazel, perché Hazel ha sempre la colpa di tutto e poteva anche risparmiarsi di pensare che prima o poi la sua vita sarebbe stata normale. Un papà, la mamma adottiva, la nonna fissata coi cereali e due figli da mamme diverse. Lei è sempre stata convinta che la normalità potesse essere anche questa. E se ne andava in giro convinta, tenendo a braccetto suo fratello, fulminando chiunque le chiedesse se fosse adottata, ripentendo che tutto andava normale. Ma a Seattle, Nico lo sa bene grazie ai suoi gusti in serie TV, le cose non possono andare normali. Insomma. Dice niente Liv Moore? No, no. Non ascoltate mai Nico, eh. Sia mai che poi abbia ragione!

Hazel lo prendeva in giro e diceva che doveva smetterla di confondere realtà e fantasia. E la cosa sarebbe andata anche bene, se solo…

Poi è stata morsa e la loro vita da famiglia disagiata è andata tutt'altro che normale. E grazie tante. Gli occhi di sua sorella più piccola sono diventati dorati, cavolo, e lei ha iniziato a bere sangue di animali, cacciati da lei, cavolo. E la cosa è così irritante. I vampiri potevano scegliere lui per farlo diventare un pallido, figo, cazzuto vampiro? No. Hazel è meglio. Lei neanche ci credeva in voi! Stupidi ingrati.

Ma non è questo il punto. Non è questo. No.

Il punto è che Hazel cercava di far andare le cose normali e quindi, da brava sorella minore, ha cercato in tutti i modi di spingere Nico tra le braccia di Will e ignorava il povero Frank che, nel frattempo, cercava in tutti i modi di farle capire che sì, amici e tutto, ma a lui non sarebbe dispiaciuto che tutto andasse anche, come dire?, oltre. E questa è pure un'altra storia.

Quindi se Nico si è ritrovato, senza nemmeno rendersene conto, con uno stupido biondo come ragazzo, è tutta colpa di Hazel. E se adesso si trova in mezzo ad una stupida lotta tra vampiri e licantropi, o lupi mannari, o cani da compagnia, in realtà sarebbe tutta colpa di sua sorella minore, che i fatti suoi da vampiro se li potrebbe pure fare. O forse colpa di Will. Dipende dalla prospettiva.

Ma andiamo con calma. Dall'inizio. Nico si guarda i polsi intrappolati in catene di metallo e un po' gli dà fastidio dover pensare così tanto per arrivare all'inizio, ma tanto vale capire di chi è la colpa di tutto e, qualunque cosa succeda, qualunque sarà l'esito del suo stupido rapimento, allora se la prenderà con lui, o con lei. Basta pensare dall'inizio.


~


In in un certo momento della sua vita, Hazel deve andare a cacciare e poco importa tutto quello che dicono gli animalisti e i vegetariani. I cervi sono meglio degli esseri umani e non c'è niente di più strano di un vampiro che deve litigare con sua nonna perché non mangia i cereali. Nico non è sicuro di come questa cosa della dieta equilibrata funzioni con sua sorella, ma la cosa importa veramente poco.

Quando Hazel deve andare a caccia è irritabile. Un po' come se avesse il ciclo, quindi che iniziasse a sentire odori strani non sembrava poi così strano.

È successo quando stavano guardando un film idiota su due che sono scemi e si amano ma mica lo capiscono. Uno dei tanti, insomma. Hazel si è girata verso suo fratello, che cercava di spingere via il braccio di Will, attorcigliato al collo di lui, e ha fatto la stessa smorfia di quando suo padre non vuole uscire di casa perché non vuole proprio farsi la doccia. Ma non dice niente.

Aspetta che Frank e Will se ne vadano e con loro quel gruppo di amici che includeva Austin e qualche altro biondo. Ha aspettato pazientemente, mordendosi le labbra e facendo smorfie strane, senza dire niente.

“Puzzavano di cane” è sbottata alla fine, chiudendo la porta dietro di sé e assicurandosi di sentire il motore della macchina accentersi. “Cane.”

Nico ha pensato fosse un effetto collaterale della dieta di sua sorella. Aveva alzato le spalle e detto: “Il tuo ragazzo sembra un cane.”

Hazel aveva sbattuto le palpebre e se n'era andata verso la cucina. “Non è il mio ragazzo.” È stato tutto quello che ha voluto rispondere. E non riusciva a togliersi dalle narici la sensazione di aver respirato del pelo.


~

Pensandoci ora, forse sia Nico che Hazel non vengono mai ascoltati. Sua sorella è un cavolo di vampiro e lui non le crede quando dice di sentire odore di cane, o di cane bagnato, e roba così.

Il ragazzo lancia un'occhiata all'unica porta nel suo campo visivo. Deve provare a scappare. Non sa esattamente come. Prima o poi gli verrà in mente qualcosa. Come dice sempre Percy: piano? Quale piano?

In tasca ha un coltellino. Può essere un inizio, se riesce a raggiungerlo.


~

Hazel ha iniziato a sentire odore di cane in diversi momenti della giornata e ovunque. Ha iniziato a dire anche che la puzza si stava attaccando alla pelle di Nico. Cane bagnato, diceva. La cosa, ovviamente, non ha preoccupato il maggiore per niente. Alzava gli occhi al cielo e, visto che i vampiri non lo avevano voluto come uno di loro, che cercassero di non metterlo in mezzo, grazie. Aveva abbassato la guardia, cosa può dire?

Erano i primi momenti in cui lui e Will erano lui e Will. Ora. Nico non vuole fare lo sdolcinato e dire che era stato il periodo più bello della sua vita, che finalmente si sentiva accettato, che qualcuno aveva finalmente aveva il coraggio di tenergli testa e… insomma, no. Non dirà, non penserà, smancerie. Ma Will lo distrae.

Di solito è più concentrato, più attento. Ah, e più nerd. Oh, dei. Quanto ama il sovrannaturale! Se tutto fosse successo quattro mesi prima, sarebbe stato al settimo cielo, avrebbe accompagnato Hazel nei campi, avrebbe cercato le orme, assaggiato erba eccetera, ma, come dicono tutti, si può essere sfigati a metà quando si ha un ragazzo. Perché hai meno tempo per te stesso.

Will aveva preso questa bruttissima abitudine di farlo uscire di casa. Capisci il disagio? Gli faceva prendere aria fresca, luce solare… aria fresca, santi dei! E magari, sì, Nico brontolava e incrociava le braccia, come un bambino capriccioso, ma bastava un bacio -Will che si abbassava leggermente e gli lasciava un bacio a stampo, per poi sorridere, bastava questo e Nico si scioglieva. Ce l'ha proprio in pugno, niente da fare.

Quindi Hazel è stata lasciata sola alle sue confabulazioni e se solo Frank non fosse stato con lei, se solo lei non avesse avuto nessuno con cui ficcarsi nei guai… tutto questo non sarebbe successo.

Quindi, forse, è tutta colpa di Frank.


~

Essere bassi aiuta. Basta tirare su il fianco, verso la cassa a cui sono incatenate le mani e rubare, come ha imparato a rubare le chiavi di casa a suo padre, cosicché non si accorgesse che stava uscendo di casa più spesso, o che tornava tardi. Dettagli.

Ha il coltellino in mano, quando sente un rumore provenire dalla parte più lontana del capanno. Se deve scappare, deve scappare ora e non fare il rammollito. Cosa direbbe Leo? Un bum è meglio di un bla bla. E okay che ha origini messicane, ma la verità è che dovrebbe proprio migliorarlo il suo inglese.

Se fa rumore, attira l'attenzione di chiunque sia entrato. Concentrandosi per pochi secondi in quello spazio dovrebbe avere il tempo per arrivare almeno alla porta. E che, dalla porta in poi, qualcuno lo aiuti.

Con le dita cerca di liberarsi e ricordare i tempi in cui lui e sua sorella riuscivano ad aprire qualsiasi cosa con una graffetta e una moneta. Ma quelle sono pazzie infantili. Adesso che ha diciotto anni e le carte di Mitomagia le deve tenere nascoste nello zaino, ha smesso di rubare ai ricchi per dare a se stesso. Tira le catene col polso, ma l'unica cosa che ottiene è dolore.

E i passi si avvicinano.

Si vede che Nico è un perdente anche in questo caso. Beh. Ciao vita. Per lo meno adesso vedrà chi è l'idiota che lo ha rapito e gli ha ficcato un sacco in testa.Un sacco puzzolente, si deve precisare. Cosa che probabilmente qualcuno ci aveva vomitato dentro e, se nessuno lo aveva già fatto, Nico avrebbe rimediato il prima possibile.

Riprova a tirare via le catene, ma niente. I passi continuano ad avvicinarsi. E ad avvicinarsi. E ad avvicinarsi. È fregato.

E la cosa strana è vedere Frank arrivare davanti a lui e Hazel atterrare sopra la cassa a cui è legato. Will gli compare proprio dietro e gli fa venire un infarto. Sono i buoni, comunque. Tira un sospiro di sollievo.

Sono i buoni.


~

“Tua sorella mi sembra strana.”

Nico lo aveva guardato male e gli aveva dato un pugno sul petto, perché, davvero Will? Al loro quarto appuntamento -Nico ha letto le riviste e si è preparato fisicamente e mentalmente al quarto appuntamento, perché è quello in cui le cose… beh, le cose si fanno serie al quarto appuntamento, no? Si… si concretizza. Ed aveva parlato con la sua mamma adottiva, con sua sorella, aveva parlato con Piper McLean, la tipa guru dell'amore, per prepararsi, okay? E Will parlava di sua sorella? Ecco. Giusto questo poteva succedere. Grazie tante e ciao. Ancora.

“Sono serio.” Will aveva continuato guardando verso la portafinestra della serra -abbiamo già parlato del fatto che il biondo pretende che Nico abbia contatto con natura e aria fresca. Beh, più o meno. “I miei…” si era fermato, per poi strofinarsi le mani sui pantaloni. “I miei cugini l'hanno vista nel territorio intorno a casa e…”

“Territorio? Ma che siete degli scimpanzé? Siamo a Seattle. Magari stava lì a prendere un caffè.” Aveva sminuito con così tanta facilità, prima di ricordarsi che sua sorella è un cavolo di vampiro e che Will vive dall'altra parte della città. Mhm. Strano. Ma, al contrario di certe persone, Nico di Angelo non vende sua sorella. Aveva alzato le spalle e si era portato in bocca una manciata di patatine fritte rigorosamente da McDonald's, perché vita sana, okay, ma fino ad un certo punto.

“Vorrei solo che tu, beh, stessi attento…”

“Perché mia sorella se ne va in giro dall'altra parte di Seattle?” Aveva roteato gli occhi e, con la bocca piena, aveva continuato: “Non fare il paranoico, adesso.”

E, per la cronaca, non hanno concretizzato. Niente rovina l'atmosfera più di parlare della sorella del tuo ragazzo.

Quindi forse è colpa di Nico… no, fuori questione. Diamo la colpa a Will.



~




“Sembri un elefante, Frank” borbotta Nico, mentre Hazel rompe le catene con la sua super-forza da vampiro -che lui non è. “Ti si sente da metri di distanza.”

Frank arrossisce e Will, da bravo cane, lo abbraccia da dietro, mentre cerca di alzarsi in piedi e pulirsi dalla polvere sui pantaloni. La cosa lo irrita e rassicura allo stesso tempo. Quindi lo allontana un po' e cerca di andare verso sua sorella. Beh, fa finta di provarci. Will lo calma col solo tocco. E vabbe.

“E tu?” riprende il moro, girandosi verso di lui. “Ti sei vestito tutto di nero e ti sei dimenticato di coprire quella zazzera bionda? Davvero?”

E così anche Will arrossisce, mentre Hazel fa segno di stare zitti. Qualcuno sta parlando. E i buoni sono tutti qui, ricorda.



~



Scuola le puzzava di cani bagnati. E questo doveva essere un problema, per Hazel. Se ne lamentava in continuazione.

Se ne lamentava la mattina, quando si vestivano. Se ne lamentava durante i cambi d'ora. Se ne lamentava a pranzo. Se ne lamentava soprattutto quando andava al corso di Pittura. Se ne lamentava durante le lezioni, quando tornavano a casa, quando avrebbero dovuto studiare, quando andavano a dormire. Sempre.

E quindi la cosa non ha stupito molto Nico. Nel senso, sì, okay. È strano vedere tua sorella odorare la gente e forse Hazel poteva anche essere un po' più discreta. E poi lei stava al suo fianco ad ogni ora del giorno, quindi era effettivamente già successo che lui e Will presi da attacchi di affetto si fossero scambiati degli innocenti baci davanti a lei. E prima della storia della puzza di cane, Hazel non aveva mai reagito come una pazza. Ma, ehi, e pur sempre figlia di suo padre. Mai dire mai.

Nico aveva sorriso contro le labbra di Will, per poi allontanarsi, con gli occhi chiusi, mentre sentiva i muscoli delle spalle del biondo tendersi, come se fosse pronto ad un attacco. E quando aveva aperto gli occhi si era ritrovato una Hazel schiacciata al suo fianco con lo sguardo di una pazza. Quasi gli veniva un infarto.

Will aveva solo sospirato. “Dovremmo parlare di confini, Hazel.”

“Dici?”

Nico non ci ha capito niente. Si è guardato intorno e poi ha alzato le spalle. La cosa non lo ha turbato più di tanto, giusto in quel momento. E per i motivi sbagliati, che sono venuti fuori da… da cosa? Dall'esperienza di Katie e Travis che non facevano altro che litigare prima di mettersi insieme? Non tutti sono così.

Aveva afferrato la manica di Will e si era morso le labbra. Aveva paura che se ne andasse da Hazel e lo lasciasse lì. Non lo avrebbe potuto sopportare ed è stupido, ora se ne rende conto, essere geloso di sua sorella perché sta sempre in mezzo.

Will gli ha sorriso e non ha capito quello che passava per la testa di Nico, perché è così che funziona: se c'è qualcosa che non va, se ne parla. Nessuno ha il dono di poter leggere nella testa di qualcun altro. Vabbe, non tutti. Solo le creature sovrannaturali.

Gli occhi di Nico sono diventati un po' più scuri, da quella volta, ma nessuno se n'è reso conto, finché non è stato troppo tardi.


~

Hazel fa segno di andarsi a nascondere dietro le casse di legno e tutti, lentamente e cercando di non fare rumore, obbediscono. Will non lascia andare Nico neanche fosse scemo e, anche quando sta lì, con la massa di capelli biondi in bella vista, tiene la mano sulla spalla, chissà per quale motivo.

Non si sentono passi, e nemmeno rumori che siano collegati direttamente all'ambiente e la cosa è ancora più inquietante, come nei film dell'orrore, quando l'assassino si sta avvicinando, ma non sai da dove e la protagonista deve mettersi la mano sopra alla bocca per non far sentire il suo respiro.

“Hai iniziato una guerra!” Una voce femminile si alza e rimbomba per tutto il magazzino poco illuminato. “Come ti è venuto in mente d'iniziare una guerra?”

“Non sono stato io a farlo.” Un'altra voce, più bassa, maschile, più arrabbiata. “Sono stati loro. Hanno mandato qualcuno a…”

Nico si alza in punta di piedi per poter vedere chi parla, ma viene ricacciato in basso dalle mani di Will. Comunque riesce a vedere qualcosa, dei piccoli dettagli. La ragazza che sembra latinoamericana, il ragazzo biondo, pallido, con gli occhi che sembra gli schizzino fuori dalle orbite. Lui stringe i pugni e guarda in basso.

“Non cercare scuse.” La ragazza gli prende i polsi e schiaffa la sua faccia a pochi centimetri dal naso di lui. “Qual è il piano?”

“Sovrannaturale chiama sovrannaturale.” Il ragazzo si scansa e si libera i polsi.

Nico ha il respiro pesante e questa cosa gli ha ricordato un'altra cosa è sta cercando di mettere bene a fuoco i suoi ricordi, mentre Frank fa un passo indietro, mentre scuote la testa, guardando Hazel. Inciampa su qualcosa, forse un filo, forse un bastone, cerca di non cadere per terra e a terra ci finisce una chiave inglese, che cadendo fa un tintinnio che rimbomba ancora una volta per tutto il magazzino.

Nico non ha nemmeno il tempo di roteare gli occhi. Will lo afferra e da lì le cose non le capisce molto bene.


~

“Sovrannaturale chiama sovrannaturale” aveva detto Ade, aprendo le palpebre con due dita del figlio. “Decisamente così, a quanto pare. Complimenti Hazel, hai un fratello strega. Eh, ma io ve lo avevo detto che vostra nonna era una strega, come la vostra bis-nonna e la vostra bis-bis-nonna e… penso anche vostra cugina Ecate abbia qualcosa del genere, ma non sono molto convinto, e vi avevo detto che questo poteva assolutamente succedere durante la vostra pubertà che uno di voi iniziasse a… perché mi guardate così?”

In sua discolpa, quella è ed era la faccia normale di Nico quando guarda suo padre. È proprio più forte di lui. Lo giudica implicitamente da quando è nato, quindi niente. “Tu non hai mai detto nulla del genere.”

“Ah no?” Ade aveva messo a bollire l'acqua sul fornello e fatto un cenno a Will, che lo guardava con la bocca spalancata. “Non… mai? E quella volta sulla ruota panoramica che Hazel stava per vomitare? Non vi ho detto qualcosa come che quando sarebbe stata una strega si sarebbe dovuta abituare a volare su una scopa?” Aveva preparato tre tazze.

Hazel aveva assottigliato gli occhi e puntato i palmi delle mani sul tavolo. “Ma tu che figli hai cresciuto?”

“Non siamo mai andati al luna Park con mio padre.” Nico aveva alzato il mento, per cercare lo sguardo del biondo, che sta in piedi esattamente dietro di lui. Gli sorrideva, Will, e gli aveva poggiato la mano sulla spalla, come a volerlo abbracciare. Nico aveva sbuffato. “E comunque, in quale universo quello che hai detto tu è un avvertimento a tua figlia che potrebbe diventare una strega? E perché lo sono diventato io?”

“Era un avvertimento più che valido! E nemmeno l'unico. Quando Nico si è rotto il braccio ti ho anche detto che con un bididi-bodidi-bu un giorno avresti risolto tutto quanto. Vedi? Un buon avvertimento!”

“No. Non lo era.” Hazel si era accarezzata il ponte del naso e inspirato lentamente. “Ma nella tua testa lo hai sempre detto a me, non a Nico. Quindi perché il DNA da strega si è svegliato in lui?”

Ade aveva passato una tazza a Will e aspettato che il ragazzo stesse bevendo per rispondere. “Perché tu sei un vampiro.”

Nico aveva sentito una scossa e si era girato verso il suo ragazzo con tutto il corpo, aspettandosi una qualche reazione e cercando qualche giustificazione logica alle parole di suo padre, ma Will continuava a bere con tutta tranquillità il caffè, guardandosi intorno.

“Il clan ottiene quello che vuole. Di solito si prediligono le ragazze al percorso magico. Sono un po' sessisti e capirete per quale motivo io e i vostri zii abbiamo una vita normale. Tutti maschi. Il problema è che non puoi essere un vampiro e una strega, piccola. Quindi… Ma non si possono saltare due generazioni, o così pare. Se comunque si sono attivati i tuoi poteri, ehi, bello, adesso potrai cucinare tutto quello che vuoi solo con la forza del desiderio.”

“Insomma me ne vado ai sabba.” Nico aveva alzato le spalle e un lato delle labbra. “Figo.”

Poi la conversazione si è spostata sul fatto che Will sapeva il piccolo segreto di Hazel. E mai nessuno è stato così nervoso come in quel momento.



~

Will lo tiene esattamente come un sacco di patate, fa qualcosa con le mani e Hazel fa sì con la testa, prima di correre verso Frank. Quando Nico cerca di guardare dove lo sta trascinando, vede l'uscita e sua sorella che rimane nello sgabuzzino sporco e buio.

“Posso aiutare!” grida tirando un calcio a Will. “Non posso lasciarla qua! Non…”

Il biondo non lo ascolta nemmeno. Corre frettolosamente verso il boschetto. E dopo il boschetto verso la strada. E dopo la strada verso Seattle.

“Lasciami andare! Lasciami! Ora! Hazel!”

“Tua sorella se la caverà.”

“No! Non è vero! Non si sa ancora allacciare le scarpe! Non sa cucinare una cavolo di lasagna! È mia sorella minore e la devo proteggere, okay? Perché non se la sa cavare da sola! E quindi mi devi lasciare, ora! Devo tornare da lei!” Nico sembra addirittura isterico, mentre si agita e cerca di atterrare. “È praticamente già morta una volta perché non ero lì a proteggerla! Non può succedere ancora! Mettimi giù Will!”

Will alza le mani e la faccia di Nico si vede schiacciata sull'asfalto.

“Dicevo con più gentilezza” mormora il biondo, passandosi il dorso della mano sulle labbra e tirando su col naso.

“Nico. L'unica cosa che devo fare è portarti in salvo. Qualsiasi cosa succeda devo semplicemente…” Will vorrebbe finire la frase, ma non trova le parole e, prima ancora di riuscire anche soltanto a pensare a qualcosa, i passi pesanti di Frank, seguiti da quelli di Hazel iniziano ad avvicinarsi a loro, insieme ai loro fiatoni. Tira un sospiro di sollievo e si volta verso Nico.

Ma lui lo sta guardando con quell'espressione vuota e dice: “Perché? Con te sarò mai al sicuro? Tu sarai al sicuro?”

Hazel compare alla vista in quel momento. Giusto in tempo per vedere un macigno cadere sul petto di Will Solace.



~


“Aspettate cinque secondi.” Nico aveva alzato un palmo, sorridendo. “Tu sei un vampiro, no? E tu un lupo mannaro. Quindi mi avete appena trasformato in Bella Swan?”

Hazel aveva roteato gli occhi ed era tornata a leggere un libro, con le ginocchia strette e il pasto intoccato.

“Non sembri arrabbiato.” Will stava giocando con la cannuccia del frappé, gli occhi bassi e l'aria colpevole.

“Stai scherzando, spero.” Nico aveva tirato fuori uno di quei rari sorrisi entusiasti. “La mia vita sta arrivando agli stessi livelli di miticità di Mitomagia. È praticamente Natale!”

Il biondo aveva sorriso di rimando e gli aveva preso la mano gelida tra le sue, calde, quasi bollenti. “Promettimi solo che non ti metterai nei guai.”

“Paranoico.”


~

Mentre Hazel gli tocca la faccia, controllando che stia perfettamente bene, Nico cerca di rimettere in ordine le sue priorità.

“Sta scoppiando una guerra tra vampiri e lupi mannari. Sembra una cosa seria. mi hanno chiesto di schierarmi dalla loro parte. Sai, vampiri uniti contro il nemico comune.” La ragazza sorride dolcemente. “E qui hai un lupo mannaro e tua sorella vampiro. Frank dice che sua nonna ci ospiterebbe in Canada, se le cose vanno male.”

“Non avresti dovuto portare Frank con te. Si poteva fare male.” Nico si guarda intorno e cerca di mettere in ordine i pensieri.

“Ha detto qualcosa su Mitomagia. Non l'ho capito e visto che non l'ho capito non potevo trovare un buon argomento per lasciarlo a casa. Però ha scagliato delle frecce letali, là dentro.” Hazel si gira verso il canadese, che continua a dover riprende fiato, reggendosi al tronco di un albero ai lati della strada, mentre il lupo mannaro biondo gli passa una bottiglietta d'acqua e gli parla dell'importanza dell'idea razione negli esseri umani.

“È un bravo ragazzo.”

“Lo è anche Will.”

Il moro si mordicchia le labbra, pensando che forse deve aver ragione. Che ha ragione. Will è un bravo ragazzo e non farebbe mai male a… “Cosa hai detto?”

Hazel aggrotta le sopracciglia. “Che Will è un bravo ragazzo.”

Sta scoppiando una guerra tra lupi mannari e vampiri ed eccola, un vampiro che tesse elogi su un lupo mannaro. Nico sbatte una mano contro la fronte e si dà dell'idiota. Loro sono la chiave. Ecco perché. Sovrannaturale chiama sovrannaturale. “Dobbiamo parlare con i capi dei lupi mannari e con quello dei vampiri.”

“Sei impazzito?”

“Probabilmente.”



~

Nico le antiche regole non le conosceva e quindi non poteva rispettarle, così come anche Hazel. Fanno un passo falso appena fuori Seattle, mentre parlano con Will e quello può essere considerato l'inizio della guerra. Tutto per un malinteso.

Uno, due e pum! Hazel era stata attaccata da un tipo con i capelli biondi e che assomigliava lontanamente a Will. “Ha superato di nuovo i confini!” gridava e cercava di colpirla, mentre lei schivava i pugni con i alche difficoltà.

“Austin! Basta!”

“Ha superato il confine!” Non si fermava, era una furia. Colpiva alla cieca, con una violenza animalesca e Hazel riusciva a malapena a stargli dietro. “Deve essere punita!”

Will era inefficace e Hazel era in difficoltà. È Nico a proteggerla, allora. Non se ne rende subito conto, ma un vento aveva iniziato ad alzarsi con sempre più forza e delle ombre iniziavano a radunarsi ai suoi piedi. “Sta lontano da mia sorella” dice con calma e il ragazzo, quell'Austin, non ha il tempo di alzare gli occhi. Viene inghiottito per qualche secondo dal buio, che roteava intorno a lui, opprimente, solo per poi riapparire, terrorizzato e tremante.

Hazel si era alzata in piedi, correndo verso suo fratello, e Will era corso dal ragazzo che la aveva attaccata. Lo abbraccia e inizia a mormorargli qualcosa, quando inizia a balbettare qualche parola sconnessa.

“È suo fratello.” Hazel aveva poggiato la sua mano sulla pancia, attenta a dove metteva i piedi, andando verso la strada da cui erano arrivati. “Quello più piccolo. L'ho visto a scuola e… non volevo fargli male.”

“Tu non gli hai fatto niente” taglia corto Nico.


~

Il confine è qualcosa di magico, conclude Nico. Succede qualcosa se lo si infrange, quindi è meglio non infrangerlo proprio. Hazel è alla sua destra e Will alla sua sinistra, ognuno confinato alla parte in cui gli antichi accordi li hanno limitati. Frank è in macchina a giocare col cellulare.

“Will” chiama, girandosi verso il ragazzo. “Mi dispiace.” Gli prende la mano e tiene bassa la testa. “Io mi fido di te.”

“Beh, ti conviene, no?”

“Sai quello che voglio dire.”

“Allora dillo.”

Nico sbuffa, poggiando le mani sui fianchi. “Diciamo che se tu e mia sorella foste in pericolo, prima di lasciarti morire di una morte assurda e dolorosa, ci penserei qualche secondo.”

“Oh, beh, allora grazie.”

Non possono dirsi nient'altro. Sia da un territorio che dall'altro iniziano ad arrivare delle persone.


~


“Come dovrei guardarti, Nico?” Will aveva scosso la testa e lo aveva stretto a sé con tanta forza. Stava per arrivare il periodo della luna piena e presto sarebbe andato a correre insieme agli altri lupi e ululare, probabilmente. O chissà cosa fanno i lupi mannari in quel periodo. Magari stanno seduti sotto gli alberi a lucidarsi il pelo. “Come l'essere più fantastico in questo mondo? O come una brava persona, che è quello che sei? Come…”

“Come il mostro che ha quasi ucciso tuo fratello.”

“Austin sta bene.” Il ragazzo ha poggiato la fronte sulla massa corvina di Nico. “E anche Hazel sta bene” mormora. “E io ti amo.”

Nico arrossisce e lo abbraccia timidamente indietro. “Si vede che sei un masochista.”


~

“Noi non abbiamo chiesto questa guerra. Ci siamo visti attaccati da alcuni dei vostri, che hanno risvegliato i lupi dormienti in noi. Pensate veramente che è stata una nostra scelta trasformare i nostri corpi? Sottometterci al volere anche affettivo di questi?” Il capo dei lupi mannari è una biondina che ha l'aspetto di poterti uccidere col solo uso del mignolo. E vicino a lei c'è Percy, che si gratta il naso. Chi se lo sarebbe aspettato Percy Jackson lupo mannaro? “Se non aveste iniziato ad invadere il nostro territorio, come nei patti, tanti di noi non si sarebbero risvegliati con il lupo e tutto questo non sarebbe mai successo.”

“Non è stata nostra intenzione oltrepassare i confini. Ma molti di noi non sono stati vampiri dai tempi dell'accordo. Molti di quelli che vedi oggi sono stati morsi senza un motivo apparente in svariati angoli della città. Molti di noi vivono al di là del confine e non possono andare a trovare parenti, genitori, perché voi prendete il gesto come un'offesa personale.” Il capo dei vampiri è quella ragazza dei magazzini. Ha vicino il biondo del magazzino, quello che, presumibilmente ha rapito Nico, chissà per quali ragioni. Non sembra entusiasta della situazione, ma mai dire mai. “Creiamo un nuovo accordo e accettiamo il fatto che, quello che vedete come una dichiarazione di guerra è solo lo sbaglio di tanti vampiri novelli, che le regole non le conoscono.”

“Una convivenza tra lupi mannari e vampiri è fattibile” prende parola Nico, indicando sua sorella e il suo ragazzo.

“Voi avete rapito lo stregone.” La bionda guarda Nico. “Era sotto la protezione di uno di noi.”

Il capo dei vampiri punta il suo sguardo sul ragazzo accanto a lei e sospira. “Il responsabile sarà punito. Possiamo dire che lo stregone è anche sotto la protezione di uno dei nostri.”

“Allora brindiamo al nostro prossimo accordo di pace, Reyna.” La bionda sorride e inclina la testa. “E che Nico ne sia il garante.”

“Non potrei essere più d'accordo, Annabeth. E che tutti i prossimi di Angelo possano vegliare sugli accordi tra lupi e vampiri.”

Si danno la mano e sembrano felici. Solo Nico si gira verso Hazel e chiede: “In cosa mi sono cacciato, esattamente?”


~

“Ambasciator Strega.” Will s'inchina e scoppia a ridere.

“Sta zitto. Siete peggio dei bambini.” Nico sbuffa e beve il suo frappé. “Ogni stupidaggine, ogni più piccola stupidaggine e mi chiamate, neanche
fossi la vostra babysitter. A saperlo vi lasciavo uccidervi a vicenda nella vostra stupida guerra.” Sbuffa ancora e Will ride. Sta ridendo troppo, la cosa gli dà fastidio, quindi pensa di andare per il colpo basso. “Una delle cosa più divertenti che mi ha spiegato Annabeth, sai qual è?”

Will scuote la testa, mentre si gratta via una pellicina del dito. “Quale?”

“Che avete la cosa delle papere e della mamma. Nel senso. Le papere che seguono ovunque e dell'amore incondizionato. Fa troppo ridere.”

Il biondo si morde le labbra e abbassa lo sguardo. “Non è divertente, l'imprinting.”

“No?”

“No. È roba seria. Sai cosa vuol dire avere un imprinting col tipo che sta a guardare un altro per anni? Che non ti guarda nemmeno per sbaglio e sta lì tutto il tempo a dire e dirsi che non vale praticamente niente come amico e… io so cosa vuol dire.” Gira la cannuccia distrattamente, scuotendo la testa indignato. “Un vero inferno, ecco cosa.”

Nico inclina la testa. Che cavolo. Doveva essere solo un gioco. Un modo per prenderlo in giro. E invece lui doveva far diventare tutto sentimentale. Si gratta la testa. “Comunque per quell'altra volta, no? Ti ricordi? Beh, sì, carino. T'm anch'io.”

“La prossima volta comprale le vocali.”

“Sta zitto e accontentati. Non sono sempre così magnanimo.” Nico incrocia le braccia e guarda fuori dalla finestra, mentre sente il sorriso di Will sulla sua pelle. 

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