Eden's War

di ElderKurenai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap1: Master and Servant ***
Capitolo 2: *** 2. Per Vivere ***
Capitolo 3: *** Alba di sangue ***



Capitolo 1
*** Cap1: Master and Servant ***


Da una idea di Kurenai88 ed ElderClaud, vi presentiamo una fanfiction creata da queste due menti (in)sane.
Non vogliamo dirvi niente se non che si tratta di una AU decisamente particolare con presenza di furry (avete presente le donne gatto? Ecco...) ma decisamente giustificate.
Non aspettatevi però di vedere i soliti personaggi stereotipati al massimo, poiché abbiamo comunque cercato di essere il più realistiche possibili nonostante il genere che abbiamo deciso di usare.
buona lettura quindi!
Note: per i capitoli le due autrici si alterneranno a vicenda. Il primo capitolo comunque, è stato creato da ElderClaud!



Cap1: Master and Servant




A Kakuzu non piaceva particolarmente ricevere dei regali.
Lo trovava assai noioso, per il semplice motivo che gli sembrava di vincolarsi in qualche modo alla persona che gli faceva un regalo.
Non a caso lui non li aveva mai praticamente fatti se non in condizioni per così dire "obbligatorie"- al tuo capo aziendale infatti non puoi negarglielo- ma per il resto mai fatto uno.
Neppure a Natale.
Anzi, lui le festività le odiava proprio per l'alto consumo che ti inducevano a commettere.
A meno che gli introiti di tali consumi non andassero a lui, non vedeva proprio perchè doveva spendere soldi per qualcuno.
Non si era obbligati per forza a dimostrare l'affetto per qualcuno regalandogli un oggetto costoso.
E lui non è che avesse molti amici ad essere sinceri, ma quella era una filosofia di vita.
Il non vincolarsi a qualcuno per lui era vitale, dato che sin da ragazzino si era fidato sempre delle persone sbagliate. I "baffi" che aveva sul volto infatti, gli erano stati fatti da gente che lui considerava amici.
Da quel giorno potete ben immaginare non si fidò più di nessuno.

Ma guarda caso quel pezzente del suo collega Hidan gli aveva fatto un regalo di compleanno.
Un regalo che non valeva nulla ma che al contempo era costosissimo. Un qualcosa che puzzava ferocemente di illegale ma che con le giuste pratiche e burocrazia varia si tramutava in una adozione.

Il suo collega di ufficio infatti, che amava spesso infangarsi di illegalità dato il suo forte masochismo, aveva avuto la brillante idea di regalargli un gatto.
Ma non un gatto qualsiasi. Ma uno di quei gatti!
La stessa sera che gli presentò il felino ebbe la potente tentazione di sbattergli la porta in faccia sia a lui, sia a quella fottuta bestiaccia.
Invece lui incurante era entrato. Era entrato nel suo lussuoso appartamento di uno dei più alti e prestigiosi palazzi della down town della città.
Sette camicie sudate e tante cicatrici indelebili per ottenere il podio più alto di quella società e per ottenere quella merda di buco lussuoso.
“Eddai Kakuzu! È così che tratti un vecchio amico?!”
Hidan non era suo amico. Lui non aveva amici, e comunque non ne voleva affatto.
Sporchi, pidocchiosi amici...
“E poi... Se non lo hai notato sono venuto a portarti il tuo regalo di compleanno!”
Tralasciando che la checca sbiadita aveva con se solo la compagnia di una splendida- quanto eccentrica- biondina, alle sue mani aveva solo notato una vecchia valigia di pelle.
In principio non aveva notato che quella giovane era una di loro. Confondendo il regalo per ben altro.
“Se ti riferisci alla valigia Hidan... Stai sicuro che non ho nessunissima intenzione di andarmene di qui e di lasciare il mio posto di lavoro a te!”
Quell'ultima frase uscì dalle sue labbra rovinate con una certa marcatura, persino la giovane accompagnatrice la notò chiara e tonda.
E non ne fu sicuro, ma dalle rosee labbra gli sembrò di vedere spuntare un sorrisetto.
Tuttavia l'albino la prese bene quella battuttaccia, e sorvolando sulla questione rise cinico e indirizzò il capo brillantinato verso la giovane creatura.
Era avvolta da un impermeabile spesso e logoro, e l'unica cosa che si notava era che dai lunghi capelli dorati spuntavano due morbide orecchie nere da gatto.
In principio il vecchio agente di borsa aveva pensato che la bionda fosse una “amica” del suo stimatissimo collega. E che quelle bizzarre orecchie fossero solo il corredo di un fermaglio di cattivo gusto, ma notandola con più precisione vide chiaramente come quelle due orecchie si muovevano impercettibilmente nell'ambiente catturando così suoni e rumori dell'appartamento.
E fu allora che capì.
Capì alla perfezione tutto quanto prima che Hidan aprisse bocca.
Era lei il regalo.
“Non è graziosa? E pensa che non l'ho pagata un cazzo! Ed è totalmente in regola! Sai... Ad un uomo solo come te un po' di compagnia femminile non farebbe affatto male”
Quel bastardo gli aveva portato in casa una cosa completamente illegale e pericolosa!
Se le autorità l'avessero beccata in casa sua sarebbero stati dolori. Niente più vita da nababbi e niente più casa lussuosa ed esistenza agiata grazie ai soldi ottenuti con dura fatica.
Quella femmina difettosa sarebbe stata la sua rovina...
Perchè non era una donna normale, e da catalogare nella categoria felina non se ne parlava proprio. Lei era una chimera, o meglio conosciuta dal popolo come “difettosa”.
Il perchè è presto detto:
Alba city non era solo famosa per essere l'unica città dell'unico paese neutrale di quel mondo costantemente in guerra.
Era famosa soprattutto per le multinazionali che vi ci dimoravano e lavoravano- sotto lauto pagamento si intende- per le grandi super potenze in guerra.
La guerra- che a lui aveva giovato non poco portandogli nelle casse parecchio danaro grazie ad investimenti coraggiosi- aveva assunto connotati così grotteschi che ora sul campo di battaglia ci si buttava solo gli esperimenti umani che si facevano in tali laboratori.
Lui in passato aveva finanziato il progetto “Silla” con l'intento di fare soldi.
Ma quando iniziarono a saltare fuori i problemi di mescolare il DNA umano con quello dei felini aveva abbandonato tutto. Nonostante le promesse dei ricercatori.
Da questi esperimenti infatti, o nascevano le cosiddette fiere- di cui lui aveva visto la nascita della prima di quelle creature ribattezzata col nome Nii Yugito, in onore della figlia scomparsa del ricercatore capo- che avevano fattezze umane tralasciando gli occhi dalle pupille feline, oppure saltavano fuori le cosiddette belve. Che avevano praticamente l'aspetto di un gatto mannaro.
Se le prime creature erano adatte alle azioni rapide e allo spionaggio dato il loro aspetto praticamente umano- tralasciando una agilità e una struttura ossea più perfezionata di quella umana- gli altri, i secondi, erano utilizzati sul campo di guerra vera e proprio.
La ferocia dei grandi felini associata alla malvagità umana li rendeva delle macchine da guerra fin troppe perfette.
Se non fosse stato per i loro induttori comportamentali genetici che li facevano ubbidire ciecamente ai loro padroni, ci sarebbe quasi da averne paura.
E poi però... C'erano quelle come lei.
C'erano gli errori di laboratorio. Creature che non sapevi collocare se tra le fiere o tra le belve a causa del loro forte meticciato.
Il governo aveva bandito creature simili, dato che il loro utilizzo- a detta di molti ambientalisti pidocchiosi e bigotti- era da considerarsi “ambiguo” dato il loro aspetto decisamente... “strano”. La biondina che il collega gli aveva portato in casa infatti, sembrava una di quelle “ragazze gatto” che spopolano in tantissime delle fantasie erotiche adolescenziali e nel mercato del porno in generale.
Onde evitare polemiche varie e presunti maltrattamenti su tali creature- come se gli esperimenti non lo fossero già- il governo aveva predisposto il loro abbattimento nel caso dalle vasche di coltura saltasse fuori una di quelle “cose”.

Ma la corruzione dilaga ovunque, e basta una mazzetta o un semplice pezzo di carta per aggirare tutto.
Ma i suoi occhi smeraldini parlavano chiaro, non la voleva in casa, e voleva ammazzare quel fottuto albino.
“Fuori di qui Hidan... Adesso! E portati dietro quella cosa!”
Il tono era cupo e fatto come di pietra, non ammetteva repliche anche se il sottile sopracciglio alzato del collega pareva sfidarlo apertamente.
“Oh andiamo vecchio mio! Dopotutto che male vuoi che ti faccia la sua compagnia?! È ubbidiente ed è pure parecchio resistente...”
A quelle parole il moro assottigliò gli occhi a due fessure assassine.
“Che intendi dire...?”
Sapeva benissimo cosa intendeva dire, ed era quella stramaleddettissima leggenda su di lui e sul suo modo di approcciarsi alle donne.
Ovvero un modo solo in apparenza educato, ma che in realtà nascondeva una bestialità fuori dal comune.
Notizie pompate a più non posso con una punta di verità tuttavia. Ma Kakuzu non era uomo da sfoggiare pubblicamente la sua sessualità, dato che la considerava roba di dominio esclusivamente personale, all'incontrario del collega che spesso lo si vedeva con donne ogni giorno diverse.
Il biondo fece parecchia fatica a trattenere dentro di sé una risata isterica, il petto avvolto dal cappotto costoso tremava lievemente mentre la ridarella lo assaliva.
Poi però si limitò solo a sbuffare. E a poggiare a terra la grande valigia color mogano.
“Qui dentro troverai l'occorrente per vestire la gattina. Ad ogni modo fidati! Non è affatto male...”
Come a dire: io l'ho testata di persona!
Ma comunque a Kakuzu non venne data possibilità di replica dal momento che, così com'era venuto, velocemente il collega se ne andò. Dicendo a chiare parole solo un “buon cinquantesimo compleanno vecchia merda” prima di prendere l'ascensore che dall'ottantesimo piano riportava a terra.
Sospirò, ne sentiva davvero un grandissimo bisogno.
Una volta rimasto solo poi, guardandosi attorno nell'ampio e circolare salone, che faceva da ingresso e salotto, non trovò nessuno che corrispondesse alla descrizione di “biondina indesiderata”.
Sapeva alla perfezione che non se n'era affatto andata, perchè stando a quello che dicevano i ricercatori, erano una razza che si affezionavano presto a dove si trovavano.
Come i veri gatti infatti, tenevano in considerazione prima la casa e poi il padrone. E Kakuzu sentiva puzza di quattrini bruciati lontano un miglio.

Guardandosi un po' in giro nell'ampio appartamento infine, la trovò poi nella camera da letto.
Aveva abbandonato l'impermeabile all'ingresso della stanza e ora si trovava stesa a pancia in giù sul suo letto avvolto da pregiate sete nere.
Era nuda, come mamma l'aveva fatta. Ed era intenta a leggere con noia un libro preso da uno scaffale poco lontano e a muovere con grazia avanti e indietro le gambe toniche.
Aveva pure una coda, anch'essa in linea con le orecchie nere, che si muoveva piano e con movimenti fluidi.
Lo stava forse tentando?
Si sa, i gatti son veramente molto furbi, e dietro atteggiamenti innocenti infatti, si nascondevano i più maliziosi dei gesti. Ma lui non era uomo da cedere così facilmente, o almeno... Questo era ciò che aveva sempre pensato.
Ma avrebbe testato la sua resistenza molto presto.
Con passo fermo e deciso quindi, e trattenendo un ringhio di rabbia, le si avvicinò con valigia in mano.
Quella dannata “cosa” si era permessa di rovistare in giro per casa- mentre lui e l'altro conversavano- senza prima aspettare un ordine del suo nuovo padrone.
Decisamente seccante.
“Ehi tu - la gatta a sentir quella voce cavernosa si limitò solo a rizzare lievemente le orecchie e a guardare con noia il proprio tomo - in questa valigia ci sono i tuoi vestiti?”
Domanda scontata perchè la giovane fece spallucce limitandosi solo a mormorare un: “chiamali vestiti quelli”.
E in effetti aveva ragione. Perchè dandole le spalle si sedette pure lui sul proprio letto e decise di dare una occhiata a quella dannata valigia.
Gesù non lo avesse mai fatto. Quelli non erano vestiti, ma autentica merda che il suo degno compare doveva sicuramente trovare sexy.
Non li prese neppure in mano! A sol guardarli si disgustò e chiuse immediatamente quella vecchia valigia.
Erano sicuramente prodotti usati dalle peggio prostitute di Alba city, per cui si prefissò mentalmente di darle fuoco nel caminetto posto nell'ampio salone.
“Che schifezza... Comunque, prima che ti cacci via, hai un nome oppure devo solo chiamarti bestia?”
Il suo tono era ancora più duro e ora suonava quasi acido vedendo che la tipa non lo considerava affatto.
Forse era meglio chiamare la polizia e dare in consegna quella donna prima che combinasse macelli, ma era anche vero che... Quasi sicuramente lui sarebbe finito nei guai, e comunque da quello che aveva capito almeno quel coglione del suo “amico” aveva provveduto a sistemare la faccenda burocratica.

Tenersela o non tenersela quindi?! Era questo il vero problema...
Se l'avesse cacciata sarebbe finita nei guai, e lui con lei. E se l'avesse tenuta i colleghi avrebbero iniziato a sparlare di lui e della sua presunta perversione.
No, lui doveva fare le cose con calma e ben calcolate. Doveva solo aspettare il momento giusto...

“Non ho nome se ti interessa, il tuo amico si è limitato a sbattermi prima di darmi a te...”

Tuttavia a sentire quelle parole si distrasse non poco. La giovane ancora una volta fece spallucce interessata più che altro alla sua lettura che a lui.
Sembrava seguirla piuttosto bene, dato che gli occhi azzurri guizzavano da paragrafo a paragrafo leggendo velocemente ogni pagina.
A quanto pare le avevano insegnato pure a leggere... Chissà chi era stato?
Ed inoltre, rimase anche sorpreso dal tono della biondina. Forse era una seccatura, una situazione così imprevista che non sapeva come calcolare - ancora non sapeva se arrabbiarsi per davvero oppure no - ma se c'era una cosa che lo faceva sorridere, era la schiettezza con cui aveva identificato il suo collega.
Talmente bastardo da avergli dato un regalo già aperto. Riciclato se vogliamo.
Comunque sia, ora come ora era tardi per pensarci.
Erano le dieci di sera, e sfiga voleva che domani fosse addirittura sabato. Un giorno quindi di totale riposo.
Avrebbe risolto il casino domani, e lunedì avrebbe pensato poi ad ammazzare una volte per tutte il collega coglione.
Ora, tutto quello che poteva fare era di dare le basi di una, quanto meno, pacifica convivenza tra lui e quella gatta indesiderata. Era lui il padrone, e questo lei doveva metterselo in testa.
Ma a quanto pare la tizia ragionava proprio come un gatto, dal momento che effettivamente sembrava muoversi in casa come se fosse sua da un pezzo.
Irritante...
Irritante ma anche incredibilmente seducente, ormai aveva ben capito che giochetto stava giocando!

Ma c'era anche da mettere in conto un'altra cosa su Kakuzu, ovvero che lui una donna non la adocchiava da un pezzo.
Aveva provato ad andare con altre donne dopo il fallimento del suo unico matrimonio, ma nessuna sembrava soddisfarlo pienamente.
O erano troppo oche, oppure attaccate al suo denaro.
Volendo poteva avere tutte le più belle donne del mondo ai suoi piedi, ma non era questo ciò che lui voleva.
Egli voleva una compagna che in un qualche modo lo comprendesse, e da dopo la prima moglie non ne aveva trovate altre.
Non aveva più praticamente osservato un seno formoso o una bianca schiena, non aveva più sfiorato delle morbide gambe o fatto l'amore con una creatura che corrispondesse al sesso femminile.
Ora era in bilico tra bollire di rabbia e bollire di ben più altri malsani appetiti, e il gesto di avvicinarsi a lei fin quasi a sovrastarla sembrava di molto simile a quello della passione repressa.

Hidan era uno stronzo, un coglione e un opportunista.
Eppure gli aveva fatto un regalo che lui non poteva in nessun modo ignorare. In tutti i fottutissimi sensi.
Lo maledì ancora.
Lo maledì mentalmente mentre con le labbra sfiorava e risaliva calmo e placido la schiena della creatura.
Che come accortasi di quel lieve contatto fermò la sua lettura nervosa per concentrarsi a quelle attenzioni. Stranamente delicate per il gigante che gliele donava.
Lui poi la sentì chiaramente iniziare a fare le fusa. Un cupo e attutito tremito che giungeva sino a lui.
Splendido e dolce, incredibilmente invitante.
E più si avvicinava al suo viso, più la percezione del tremito divenne pure udibile a livello di orecchie. Una volta arrivato a saggiare le spalle si erano fatte decisamente più forti.

Ma proprio arrivato a lambire delicato l'orecchio sinistro- morbido e vellutato- egli si fermò.
Sorprendendo non poco la giovane gatta che già si crogiolava di quelle coccole quasi da copione.
Perchè lei stessa sapeva che il proprio corpo e fascino erano le armi migliori per farsi accettare.
“Da oggi in poi ti chiamerai Ino... Almeno finché starai con me, poi farai come ti pare. Domani andremo per negozi a comprarti qualcosa di decente e poi troverò un modo per cacciarti via”
Decisamente, a quelle parole l'interpellata si sorprese tantissimo.
Si aspettava ben altro come sempre era successo. Invece era accaduto tutto l'incontrario di tutto.
Egli non aveva ceduto, anche se in partenza sembrava ormai succube di lei, lui l'aveva a dir poco disillusa. Risultando schietto e inflessibile.
Ancora sconcertata poi, lo osservò alzarsi dal letto per raggiungere così la soglia della porta con ancora la valigia in mano. Evidentemente voleva bruciare per davvero quell'affare.
“Perchè Ino?!”
Il tono innocente di lei chiedeva solo quello, e non il perchè di quella sua decisione quasi pericolosa. Quasi scoccata per la mancata seduzione e di conseguenza per la mancata vittoria.

“Perchè era il nome di mia moglie...”

A sentirlo quelle parole parvero costargli tantissimo.
Cupe note scandite con una tonalità così roca che alle sue orecchie feline parvero essere quasi sofferte. Ma non che le importasse più di tanto ad essere sinceri.
La gatta viveva alla giornata, ma almeno voleva vivere bene.
E la parola “vestiti” l'aveva captata assai bene.
“Mi prendi... Dei vestiti belli non è vero? Posso sceglierli io vero?”
Aveva un tono speranzoso da bambina che al vecchio uomo d'affari non sfuggì affatto. Un altra constatazione di come quella creatura fosse materialista fino al midollo. Soprattutto per le cose belle.
“Sì Ino... Ti comprerò dei vestiti belli...”

Ma di questo se ne sarebbe parlato solo domani.
Continuando a darle le spalle infatti, Kakuzu si limitò a spegnere la luce della stanza senza minimamente darle la buonanotte. E recarsi dunque con passo spedito verso il salotto e il suo caminetto di marmo nero.
Avrebbe dormito sul divano questa volta, era un gentiluomo in fin dei conti, e quella era un essere vivente e non un giocattolo sessuale.

Ma prima però, avrebbe bruciato quella fottuta cosa.
Solo così almeno, si sarebbe un po' sfogato per quella situazione del cazzo.


Al domani ci avrebbe pensato solo domani.

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Capitolo 2
*** 2. Per Vivere ***


Nuova pagina 1

Questo capitolo è stato scritto da me, da Kurenai88.

Ma non sto ad annoiarvi e vi auguro subito una buona lettura.

A fine capitolo le risposte alle recensioni fatte da ElderClaud.

 

 

2. Per Vivere

 

Scrutò con attenzione l’embrione all’interno della vasca e lesse i parametri riportati nel piccolo schermino luminoso, posto al lato del numero dell’esperimento, confrontandoli con quelli dei precedenti controlli.

Prese nota dei piccoli cambiamenti ed annotò con calligrafia precisa e ordinata delle ulteriori verifiche da eseguire su quell’esperimento e andò avanti nel suo cammino giornaliero.

Ogni giorno eseguiva sempre le stesse azioni.

Arrivava al laboratorio molto presto.

Indossava degli abiti sterili.

Prendeva il blocco degli appunti e si infilava tra le vasche di coltura dell’immenso centro di Alba City.

Partiva dagli esperimenti che avevano raggiunto lo stadio embrionale poi passava agli esemplari adulti.

Uomini e donne rinchiusi dentro delle teche di spesso vetro trasparente, immersi in un’acqua dalle leggere tonalità azzurrine.

Forse, era improprio chiamarli uomini e donne perché non lo erano totalmente se non nell’aspetto. Quelle erano fiere e belve. Esseri dall’intelligenza umana con tratti animali come agilità e potenza.

Armi perfette per quella guerra con la quale Alba City, nonostante il suo essere neutrale, era divenuta famosa.

Proseguì il suo cammino, superando l’ala degli embrioni per entrare in quella che lei, mentalmente, aveva rinominato Sala Parto.

Nome sicuramente appropriato perché erano quelle vasche che davano alla luce i prodotti finiti, quelli destinati alle grandi potenze nazionali.

Con un gesto quasi meccanico si risistemò le spesse lenti sul naso e controllò il primo esemplare della lunga fila.

Sesso femminile.

Capelli scuri.

Pelle liscia priva di reazioni allergiche alle varie sostanze che venivano immesse nell’acqua.

Battiti nella norma per un esemplare della sua specie.

La analizzò con serietà appuntando ancora ogni dato riportato nello schermo luminoso, segnando un controllo ulteriore sui capelli e sulla cute.

Rialzò lo sguardo sulla fiera, perfetta in ogni suo dettaglio ma... tremendamente triste.

Ai suoi occhi quell’essere era triste.

Ogni individuo in grado di comprendere e respirare aveva diritto a un’esistenza ma loro non l’avrebbero mai avuta.

Tutta la loro vita doveva essere volta  alla guerra e alla fedeltà verso uomini che li avrebbero considerati alla stregua di oggetti.

Nonostante questo, c’era chi era convinto che non ne soffrissero grazie ai loro induttori comportamentali che li portavano alla totale obbedienza verso il loro padrone.

Proseguì con i controlli su un esemplare maschio fino a quando non notò una vasca la cui acqua aveva assunto una colorazione verde, ben lontana dal salutare e normale azzurro delle altre.

Osservò l’essere al suo interno, era un maschio quasi completo e pronto ad abbandonare la vasca ma qualcosa stata andando male.

La pelle mostrava delle macchie e lo schermino presentava dei battiti molto più lenti della normale.

“ Reazione allergica...”, mormorò piano, corrucciando la fronte.

Allungando la mano per sfiorare lo schermino luminoso.

Era stata una reazione di una notte e doveva controllare in che momento quella reazione era avvenuta per evitare che anche gli altri esemplari fossero infettati.

Lesse i vari orari della memoria di vita e segnò il momento in qui i battiti avevano iniziato a rallentare pericolosamente.

Segnò i vari dati nel blocco e la sostanza che aveva causato la reazione, impostando tramite lo schermino una sorta di antidoto.

Era quello uno dei suoi compiti.

Doveva assicurarsi che tutti gli esemplari fossero sani e in forze alla loro uscita dal laboratorio, cercare di curare quelli che avevano delle strane reazioni e... eliminare gli errori.

Non era un avvenimento raro che da quelle vasche uscissero delle chimere, esseri non totalmente uomini ma neanche fiere o belve.

Erano semplicemente chimere, il cui fisico pareva essere la fusione umana e animale.

Orecchie e coda animale su un corpo umano.

Privi di quei freni comportamentali che li portavano a ubbidire ciecamente all’uomo. Erano dotati di un’intelligenza propria ed era quello uno dei motivi per qui il governo aveva emesso un’ordinanza contro di loro.

Dovevano essere soppresse perché troppo pericolose per la società - in via ufficiale venivano soppresse per evitare maltrattamenti data la loro figura simile a quella dei personaggi degli anime e manga che spopolavano nel mondo.

“ Cerca di vivere...”, mormorò lei, fissando l’acqua divenire rossastra per l’immissione dell’antidoto.

Lei odiava dover uccidere, in realtà odiava tutto del suo lavoro.

Quelle creature, il loro diventare oggetti e armi, il dover sopprimere i più simili a un umano.

Lo odiava, ma doveva pur vivere.

Il denaro non comprava la felicità ma... in qualche modo bisognava pur sopravvivere e Shiho, promettente dottoressa e scienziata, doveva lavorare per vivere anche se la sua occupazione era faticosa e disgustosa.

Non poteva evitarlo neanche volendo.

Poteva solo combattere e cercare di guarire le future chimere per non doverle sopprimere.

Proseguì il suo cammino, eseguendo su altri esemplari lo stesso procedimento di cura o di controllo, fino a entrare in una sala di monitoraggio totale i cui computer, perennemente accesi, programmavano l’immissione dei liquidi - medicinali ma anche alimentari - nelle vasche di coltura.

Si sedette in un sospiro e, risistemandosi gli occhiali Shiho digitò le varie password per accedere al terminale.

Vide scorrere una lunga lista di nomi nello schermo mentre ricercava il suo ID.

Tantissimi scienziati e dottori lavoravano per quel laboratorio e tutti avevano un ruolo ben definito.

Quando la lista si arresto si allargò una finestra con la sua scheda.

Shiho. Anni ventisei.

Nata ad Alba City e residente nella medesima città.

Il tutto accompagnato da una voto di una giovane donna.

Occhi azzurri brillanti e intelligenti. Capelli rossi lisci raccolti con un’ordinata coda.

Era lei ma... diversa.

La persona che in quel momento guardava lo schermo non era la stessa della foto.

O meglio, era lei ma i sui occhi erano stanchi e coperti da spesse lenti, i suoi capelli raccolti in una coda improvvisata per il poco tempo che quel lavoro concedeva alla sua persona.

La donna della foto era piena di sogni e di speranze.

Un genio con idee innovative e abbastanza tenace da aver combattuto per quel lavoro, quando ancora non sapeva che cosa avrebbe comportato.

E in quel momento la donna che guardava quello schermo era piegata dal peso degli eventi che si erano susseguiti.

Rimaneva pur sempre un genio, ma non era soddisfatta.

Ma questo di certo non l’avrebbe mai buttata giù.

Né il peso che gravava sulle sue spalle né il dolore che sentiva ogni qualvolta che la avvertivano che uno degli esperimenti doveva essere soppresso.

Shiho era rimasta la stessa persona tenace e sapeva che c’era sempre un’alternativa.

Perché una vita era pur sempre una vita e se per salvarla bisognava seguire una via non tanto legale lei l’avrebbe seguita.

 

 

Noia.

Era quello il modo in qui Orochimaru, noto scienziato e dottore, definiva quelle intere giornate di controlli prive di una qualsivoglia attrazione.

Sempre le solite cose.

Controlli. Controlli. E ancora controlli.

Ultimamente il laboratorio nel quale militava, uno dell’enorme complesso di Alba City, pareva un mortorio.

I suoi studi erano così perfetti ed elaborati che vi erano pochi gli errori, e di fronte a quello l’uomo quasi sperava di trovare una piccola falla per rendere più interessante quella vita che, via via, andava a morire.

Fatto sta che, quella sera, le sue preghiere vennero accolte dalla vasca del settore degli adulti.

La donna all’interno della teca sembrava in salute.

Colorito sano e parametri nomali.

Ma non era quello a fare di lei un errore. Erano le sue orecchie e la piccola coda che spuntava in prossimità dell’osso sacro.

Un ghignò sfigurò il suo viso, illuminando sinistramente la pelle candida - sembrava quasi che quell’uomo non vedesse da mesi la luce del sole.

“ Finalmente.”, mormorò soddisfatto mentre estraeva dalla vasca una confusa ragazzina - era la prima volta che usciva e tra l’altro il suo processo di crescita non era ancora completo - che si lasciò obbedientemente guidare in un laboratorio adiacente.

L’aria era particolarmente gelida e la creatura, nuda, tremava sia per la paura che per la temperatura che le carezzava la pelle umida.

“ Su. Stenditi.”, ordinò divertito Orochimaru, indicando un lettino sul quale fece coricare l’altra.

Le orecchiette si muovevano lente mentre gli occhi, timorosi, seguivano i movimenti dell’uomo che, con calma, aveva iniziato a legarla con delle cinghie.

Appena l’ultima fu stretta sul ventre, la ragazzina emise un verso strozzato.

L’istinto di sopravvivenza, proprio della sua razza, era emerso subito nel sentirsi imprigionata.

Orochimaru ridacchiò, ignorando i suoi tentativi di fuga - non per niente aveva messo quelle cinghie rinforzate.

Si mosse per il laboratorio portando poi con se una siringa che brillava sinistramente di blu.

Ghignò ancor di più e, senza ripensamenti, infilò l’ago nel collo della bestia che gridò.

Entro due ore sarebbe morta, ma infondo: che importanza aveva la vita di quell’essere?

Era uno scarto di laboratorio e un pericolo per la società.

La morte era l’unica via e, sicuramente, avrebbe rallegrato la giornata di Orochimaru ed era solo quello che all’uomo interessava.

Voleva battere la noia e se per farlo doveva passare sulla vita di quella creatura, beh: l’avrebbe fatto senza rimpianti né ripensamenti.

 

Fatto ù.ù

In questo capitolo è stata mostrata la principale differenza tra due scienziati.

Ovviamente non è finita qui tra loro due XD

Quindi vi invito al prossimo capitolo ù.ù/

Ora la parola a Elder.

 

Bene! Eccomi qui a recensire!

Sappiamo che come inizio non vi era molto da mostrare, ma prometto che più si procederà, più le cose si faranno interessanti!

uchiha_girl: Felice che ti sia già piaciuto come inizio!

Rinalamisteriosa: Sì è ancora presto per un giudizio! Comunque eccoti il secondo XD!

kymyt: Grazie cara! Le cose si evolveranno "in peggio" sempre di più ù.ù

 

Si ringrazia inoltre DarkRose86, Targul, michy25, Ricklee, SkyEventide per aver messo questa storia nei loro favoriti!

Grazie tesori XD

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Capitolo 3
*** Alba di sangue ***


Capitolo scritto da ElderClaud!
Le recensioni saranno date da Kurenai88


Cap3: Alba di Sangue




La peculiarità di ogni cosa, risiede nelle abitudini singolari che possiede.


Alba city non era semplicemente la capitale del Paese della Pioggia solo perchè spesso e volentieri in quel luogo pioveva.
Lì la pioggia veniva a comando.
Ed era questa la parte più interessante di tutta la faccenda.
Ogni fine settimana il cielo sempre e comunque ricoperto di nubi si condensava sempre di più fino a diventare praticamente una massa nera e inquietante, illuminata a tratti da fulmini rabbiosi e saette scintillanti, e scaricava sulla città ettolitri ed ettolitri d'acqua come a proteggerla da altri agenti esterni.
La stranezza di questo fenomeno tuttavia, riguardava in gran parte anche la foresta pluviale che la circondava.
Alcuni sostenevano che essendo una metropoli costruita su una elevata altitudine era una cosa assai normale, come era sempre normale l'alba rossa di sangue che si stagliava all'orizzonte dei monti - di quel colore a causa della perenne foschia che circondava la foresta - ma alcuni sostenevano che quella pioggia venisse proprio quando qualcuno la voleva.
Quando qualcuno era impegnato magari in questioni importanti oppure semplicemente voleva lanciare costantemente un monito a tutte le nazioni di quel mondo.

In molti puntavano il dito contro il governatore Pain.
Puntavano il dito contro la torre più alta e sofisticata di quella città - quella che stava al centro della ragnatela intricata di strade e palazzi, di corsie sopraelevate e giardini all'avanguardia - e si innalzava alta e imponente su tutto questo.
Una struttura strana. Di cemento e metallo argentato. I cui volti di pietra dei Kami conosciuti fuoriuscivano da quell'intrigo di tubature come a cercare uno spiraglio d'aria alla loro potenza ormai morta e dimenticata.
Si sosteneva, tra le malelingue e gli sguardi ammirati, che Pain avesse creato il suo palazzo – o meglio il suo tempio – proprio su un mausoleo che era presente lì fin dai tempi in cui l'antico Eden copriva tutto il mondo intero...

Bei tempi quelli.

Ma l'egoismo porta sempre tutto allo sfacelo più assoluto, e ora l'unico suo regno fertile era quello che proteggeva con una pioggia tanto onirica quanto reale.
Tutto il mondo sembrava essere in guerra e lui nutriva quel mondo dando loro armi e mezzi per la sua disfatta alle porte.
Dall'alto dell'ultimo piano del suo palazzo egli osservava.
Il dio supremo osservava dalle grandi vetrate del suo immenso ufficio circolare, quel suo impero chiamato Alba city sottratto con la forza anni fa ad un governo che lo stava riducendo alla miseria più nera.
Quella nera scrivania di marmo dove ora era appoggiato con la schiena intento a sorseggiare il proprio liquore ambrato, non era sempre stata sua.
Le volte a crociera di pietra presenti sopra la sua testa non avevano visto sempre lui camminare per il tempio superiore ora trasformato nel suo ufficio personale.
Se un tempo quello era un luogo sacro dove i sacerdoti compivano sacrifici in nome degli dei antichi, ora era suo e se l'era preso con la forza bruta.
Pain non conosceva pietà e il suo cuore era come l'acciaio.
Il suo unico interesse era di avere il potere sul proprio mondo e di vederlo fiorire al massimo. Egli voleva che il proprio popolo fosse felice e che lo venerasse come il proprio salvatore.
E benché ciò potesse sembrare una contraddizione con il proprio essere, era tutto perfettamente nella logica del suo pensiero.
Sorseggiò ancora con assoluta calma e devozione, l'alcolico d'annata nel raffinato calice di cristallo. I suoi misteriosi occhi d'argento erano incentrati unicamente nell'osservare il panorama appannato fuori dalle finestre a muro che circondavano praticamente la grande sala. L'acqua non cessava di scendere dal cielo nuvoloso distorcendo così l'immagine della città che dominava.
Era fiero di quel panorama distorto. Ed era fiero delle mille leggende che lo circondavano.
Tra le quali, quella che lui controllasse la pioggia tramite i suoi occhi misteriosi. Ma su quella leggenda non si sarebbe mai pronunciato, anche se un pizzico di verità c'era...

“Governatore Pain, ci sarebbe qui il capo della polizia che desidera vedervi”

La voce metallica del citofono tuttavia, lo riportò momentaneamente alla realtà da quel suo sogno di gloria.
Distolse quindi lo sguardo dal cielo scuro - ormai prossimo all'alba - pieno di pinnacoli dalle scarlatte luci bianche e rosse e si concentrò verso il portone di metallo e pietra intarsiata posto all'ingresso dell'ufficio.
“Fallo entrare” disse poi laconico alla segretaria sempre al citofono della scrivania.
Asuma Sarutobi lui lo conosceva fin troppo bene.
Era il capo della polizia di Alba city, ed era sotto il controllo del gran consiglio che mal vedeva le gesta di Pain.
Quell'ammasso di vecchie cariatidi presente al senato infatti, in principio si era opposto con fermezza alla sua decisione di dare il via al progetto “Silla” e a quello di “Cariddi”.
Era immorale che si facessero esperimenti di tale genere su persone ed animali, ma quando poi i soldi iniziarono ad entrare nelle casse statali molti di loro, si zittirono e smisero di protestare.
Tuttavia tra di loro il malcontento regnava, e sembravano aver quasi fatto apposta ad aver preso con loro quel tradizionalista di Asuma.
Asuma...
Ma era convinto che ci fossero anche faccende personali che lo spingevano a portarsi quasi contro di lui.
Quando poi finalmente le porte si aprirono piano con un cupo suono, da esse fece capolino un uomo sulla quarantina avvolto da un impermeabile color cachi.
Bagnato sulle spalle e sulle braccia a causa della pioggia che non accennava a smettere, ma il suo possessore non ne sembrava turbato, dato che si stava fumando una sigaretta fresca di accensione.
“I miei saluti a voi... Governatore Pain”
Fece poi il nuovo arrivato mentre si avvicinava lentamente verso il giovane signore.
“Asuma... Qual buon vento ti porta nella mia umile dimora?”
Non vi era ne gioia né derisione nel tono del grande capo. Solo un freddo saluto fatto con sguardo imperscrutabile e fermo. E questo il nuovo arrivato lo sapeva alla perfezione.
Difatti, il poliziotto si limitò ad aggrottare le sopracciglia folte e ad estrarre una cartellina dall'impermeabile bagnato.
Nonostante l'acquazzone l'oggetto era perfettamente integro e il cartone rosso era perfetto come nuovo.
Il governatore guardò quasi di sottecchi quell'oggetto essere posato quasi in maniera brusca sulla lucida superficie della scrivania. Poteva solo immaginare di che si trattava.
“Ancora quei fanatici Asuma...?!”
Cartellina rossa significava solo guai alle sue decisioni irremovibili.
L'uomo alla vista di quello sguardo non ancora mutato si indispettì non poco. Ma non lo dette comunque a vedere, anche se non gli era mai andato a genio Pain - mai - non era tipo da contraddire in nessun modo soprattutto se avevi avuto a che fare con lui in passato.
Anche se la tentazione di strappargli tutti quei percing alle orecchie e al naso - tre file di perline nere su entrambi i lati del naso perfetto - era a dir poco immensa.
E guarda caso, Pain sospettava che in quegli occhi scuri si covasse un certo sublime risentimento.
“A quanto pare abbiamo una talpa in uno dei laboratori che avete dato in concessione ad uno dei vostri clienti governatore... Altrimenti non si spiegherebbero tutte queste incursioni di ambientalisti e altre faccende simili...”
La questione degli ambientalisti era problematica, ma quello delle talpe che non sopprimevano le chimere prima del loro parto effettivo era cosa ancor più gravosa.
Di quelle cose ne nascevano parecchie, e lui aveva garantito ai suoi due clienti che pretendevano fiere e belve – ovvero il Paese della Roccia e l'alleato Paese del Vento – la massima qualità del prodotto e quindi una percentuale minima di errori.
Per dare un freno a tali polemiche lui aveva dato la possibilità a chi lo desiderava di adottare una chimera prima che esca dalla sua vasca di coltura, ma la fregatura stava che nessun civile poteva entrare nei laboratori, e i ricercatori erano pagati anche per sopprimere quelle cose.
Si lasciò comunque scappare un sospiro un po' esasperato, ma oltre a quello non fece altro. Se non di allungare il calice di liquore verso l'uomo che aveva di fronte in chiaro segno di offrirgliene un po'.
“No grazie signore. Ma non bevo mai quando sono di servizio!” Puntualizzò il poliziotto. Che bene o male non gli dispiaceva far visita al giovane signore.
Giusto per vedere se riusciva un po' ad irritarlo o a sfidarlo, anche se ciò rimaneva un segreto intimo.
Di risposta Pain non fece altro se non accennare un “sì” con la testa. Poi, dopo le solite frasi di rito come la provvidenziale: “Appena sistemate alcune faccende ci darò una occhiata” da parte del governatore e un: “Confido in una vostra risposta anche da parte del senato” da parte di Asuma, i due si congedarono.
Non vi era più nulla da dire, e intanto dei riflessi rossastri stavano facendo capolino all'orizzonte tingendo le nubi di rosso.
Era ormai mattina e l'alba rosso sangue tingeva di scarlatto l'impermeabile del poliziotto che ora aveva dato le spalle al proprio superiore e si avviava all'uscita.
Come sempre.
Come ogni giorno da quando aveva deciso di lavorare per quelli del consiglio.
Solo che quando si lasciava scappare certi pensieri alle volte, aveva come l'impressione che Pain glielo leggesse in faccia.

“Ah... Asuma?!”
E come volevasi dimostrare, anche questa volta aveva lasciato intravedere troppo risentimento verso quel rivale bastardo.
Non si voltò neppure, se non voltando in maniera quasi impercettibile il capo verso di lui. E alle sue spalle il dio rimaneva impassibile verso il suo suddito.
“Non avercela con me se alla fine Kurenai ha scelto il sottoscritto a te...”
Esattamente.
Era questo ciò che più irritava il poliziotto di Pain. Il fatto che dopo una vita spesa a cercare di corteggiare una donna, arriva uno dal nulla e te la porta via.
Non glielo avrebbe mai perdonato, e il fatto che fosse il governatore e quindi il suo capo quasi non gliene importava un fico secco.
E non importava neppure a Pain che, una volta dette quelle parole, si voltò a guardare l'alba della sua città mentre la pioggia lentamente cessava di venire. Il tutto accompagnato dal liquore che lentamente aveva riniziato a sorseggiare.
Bevendolo calmo e gustandolo appieno come le sensazioni che provava l'altro intento ad andarsene. Culminando nel piacere più assoluto nell'atto in cui il portone si richiuse con un cupo rumore.

- - - - - - - - - - - - - - - - -

Correva a più non posso, e aveva quasi il sentore che i suoi passi rimbombassero come in un eco in alta montagna in quel terreno melmoso.

Non che li sentisse realmente a dire il vero. Il casco anti sommossa che indossava, attutiva quasi in maniera inquietante tutti i rumori che quella foresta morta produceva.
Alle sue orecchie poi, giungevano solo le scariche elettrostatiche delle cuffie rotte.
PorcaputtanaPorcaputtanaPorcaputtana!!
E anche la vista gli si annebbiava di contino, dato che avendo il fiato corto per come correva per la foresta - arrancando a causa della armatura che indossava – l'ossigeno che espirava si condensava in vapore sulla visiera in plexiglas del casco.
Puro lavoro di routine si era trasformato in un conflitto a fuoco degno quasi dei vecchi film di guerra che Choji amava tanto guardare a casa propria.
Solo che qui era ai confini del proprio paese - il Paese del Fuoco - ed era lontano da ogni tipo di comodità esistente.

Una radice maligna esposta alle intemperie ma non hai suoi occhi, fece poi inciampare il malcapitato che percorreva a fatica quel sentiero viscido e scuro.
“Ooh! Merda!”
Parole di rimprovero gli uscirono quasi sibilate nell'atto di cadere impotente sul sentiero che seguiva.
Cadde come un tronco morto e la caduta smosse parecchie gocce di nero fango che si andarono ad infrangere verso il grande albero possessore di quella radice.
“Merda!!” Disse ancora, questa volta a denti stretti per reprimere il nervosismo e la paura crescente.
Cercò di puntellarsi sui gomiti ma gli risultava quasi difficile data l'armatura anti sommossa che indossava. La sua unica fortuna era di avere il fucile mitragliatore ancora stretto tra le mani.
Ma perchè si erta arruolato nell'esercito?
Ah già... Per i soldi! Era così che si finanziava gli studi! Ma più sta cazzo di guerra imperversava, più le possibilità di tornare a casa si facevano minime.
E lui era stato mandato ai confini del mondo solo per proteggere una miniera di rame che confina con quei coglioni del Paese del Vento!
“Così non va Choji...” borbottò infine dopo che tali pensieri lo avevano per un nanosecondo attraversato.
All'interno di quel maledetto casco avvertiva solo il suo respiro ansante e i battiti del cuore che gli arrivavano sino alle orecchie. Era un rumore così insistente quello del proprio cuore che galoppava, che copriva quasi quello del respiro e il sibilo della ricetrasmittente rotta.
Doveva sbrigarsi a raggiungere il punto di raccolta. Lui era delle retrovie, e dopo che i gruppi speciali avevano piazzato le mine e le torrette dovevano coprire la fuga ai reparti esperti.
In una parola? Pedine sacrificabili.
Ed essendo lui di stazza “robusta”, la fuga gli era difficile. Ma comunque doveva farcela! Anche se era rimasto notevolmente indietro rispetto al gruppo.
E il brutto era che le cuffie non funzionavano merda!
“Ahh... Che giornata!”
disse una volta in piedi e barcollante. Sporco di fango ma con il fucile ben saldo nelle mani. Per rialzarsi aveva fatto leva sul calcio del fucile, e ora era ben visibile un pataccone di terra che aderiva a quel metallo letale quasi con sfida.
Patacca che lui tolse con un gesto seccato della mano prima di riprendere a correre a più non posso. Lui al momento sperava che non se ne fossero andati senza di lui, che non lo avessero lasciato lì da solo a proteggere quel posto!

E a furia di pensare, non si accorse immediatamente del primo rumore.
Caldo e attutito.
Ma lo sentì poi dopo, appena ripresa la marcia disperata. Quasi insospettito dal primo rumore infatti, aveva smesso di ansimare per il fiato corto e aveva rizzato le orecchie attento.
Isolando tutto in quella foresta.
Isolando i suoi passi che si facevano ora più lenti in quel sentiero melmoso, e isolando sempre di più il ronzio alle orecchie e il respiro affannoso.
Sentendo solo un silenzio così attutito da fare paura.
Poi lo sentì, e questa volta non si sbagliò.
Un ringhio. Un ringhio che sembrava un gorgoglio che veniva da dentro la gola.
A metà strada tra un rumore umano e quello animale. Sembrava provenire da tutte le parti...
Possibile che?!
Inghiottì saliva a secco e si portò il fucile ad altezza d'uomo, se doveva ingaggiare un combattimento con un nemico doveva essere pronto a tutto!

Ancora una volta quindi, cercò di analizzare la situazione e di osservare tutto di quel paesaggio oscuro.
Nulla di anomalo se non quel ringhio che ancora una volta gli fece sentire un tuffo al cuore sempre più doloroso. Sempre più vicino.
Come se ora fosse proprio alle sue spalle...

“CAZZO!!”

Avvertì lo spostamento d'aria quasi in tempo, un'ombra nera e quasi invisibile volò sopra la sua testa ad una velocità folle.
Chinò la testa di colpo avvertendo il pericolo che gli si era parato di fronte, e fece quindi in tempo ad evitare una artigliata seguita poi da un ruggito che pareva quello di un puma.
Il casco tuttavia, venne asportato come se fosse stata una foglia morta dalla sua testa, la violenza del colpo fece sbattere la visiera contro il naso senza però romperlo o altro.
I lunghi capelli castani quindi, si liberarono nell'atmosfera componendo la criniera al loro padrone.
Panico.
Paura primordiale.
Rabbia.
La prima scarica di proiettili la indirizzò praticamente ad un albero ove era passata quella cosa.
Scheggiando la corteccia e facendone volare via i pezzi.
Il piombo dei proiettili sembrava letteralmente bruciare quella pianta da tanto che erano incandescenti.
“Merda” sibilò il soldato, per poi essere ancora una volta distratto da quel sibilo irritante.
Nel silenzio posteriori a quelle mitragliate, quel ringhio si era fatto risentire facendogli gelare la schiena.

Era alla sua destra, ora riusciva a vedere quella cosa.
Nera.
Pelosa.
Grande.
Dagli occhi gialli e selvaggi.
Digrignò i denti fin quasi a spezzarseli il giovane Akimichi, e ruotando il torso di scatto puntò il proprio fucile verso il bersaglio in vista.
Scaricando un'altra pioggia di proiettili.
Il calcio del fucile ebbe un rinculo così potente da provocargli un livido sicuro all'interno del braccio destro.
Il piombo rovente si gettò contro l'ennesimo tronco all'urlo rabbioso del suo possessore.
Ma mancando ancora la creatura che con un agile salto raggiunse i grossi rami superiori facendo leva solo sulle “zampe” posteriori.
Lasciando sul fango nero un solco evidente.

Il soldato rimase spiazzato, con il fiato corto e il cuore in gola non gli pareva vero di essere in assoluta difficoltà. Era come giocare al gatto e al topo e lui era chiaramente il topo!
Quella creatura lì, che ora se ne stava appollaiata a fare le fusa e a muovere piano la lunga e affusolata coda sembrava prenderlo per il culo.
Era una belva, non una fiera.
E non riusciva a capire se catalogare quella creatura antropomorfa tra gli esseri intelligenti come gli umani oppure tra le semplici bestie.
Persino i lineamenti di quello che doveva essere un “volto” erano strani. Con gli occhi decisamente più grandi di quelli di un comune umano.
Schiudeva piano le palpebre lasciandogli quindi vedere le iridi color agata in un evidente atteggiamento rilassato.

Vaffanculo!
Choji odiava essere preso in giro in quel modo! Era peggio di quando gli davano del ciccione!
Deglutì nuovamente saliva e prese coraggio. Smettendo di tremare e osservando serio quella dannata creatura.
Forse era grazie a quelle fusa che si era calmato, ma era chiaro che doveva rimanere con i nervi saldi se non voleva fare una brutta fine.
Era in netto svantaggio.
La radio era rotta.
Era rimasto indietro e dubitava fortemente che il caposquadra si ricordasse pure il suo nome!
In una parola?! Era fottuto.
Ma se doveva morire, sarebbe morto da soldato, cercando di proteggere la preziosa miniera di rame dalle grinfie di quelli del Paese del Vento.
Ancora un sospiro, forse l'ultimo della sua breve esistenza. Prese la mira.
Anche se osservava la creatura all'interno del mirino rosso, quei suoi occhi rimanevano gialli e prepotenti alla sua vista. Era come il tiro al bersaglio, ma doveva rimanere prudente.
Era la prima belva della sua vita d'arme. E forse era pure l'ultima.
“Calma Choji” sussurrò lui, e finalmente si decise a premere il grilletto.

*Click*

Un suono vuoto e inquietante gli rimbombò nelle orecchie.
Un suono che vorresti mai sentire ma che invece ti ritrovi a sentire come la luce del sole in una calda giornata d'estate.
Riprovò ancora, e questa volta lo fece a ripetizione.
E sempre si ritrovò a sentire a ripetizione quel suono blasfemo. Il suono di un caricatore ormai vuoto.
“Merda! MERDA! Non ora!”
E quindi ancora una volta, gli istinti primordiali che era riuscito ad assopire tornarono prepotenti in lui.
Paura.
Rabbia.
Panico.
Voglia di essere lontano da lì.
Voglia di uccidere per non farsi uccidere.
Quella fottuta bestia lo sapeva... Lo sapeva che aveva finito i colpi del caricatore! Li aveva contati tutti mentre erano intenti a giocare!
Non era affatto stupida come creatura, e questa ne era la dimostrazione.

Ora toccò alla creatura reagire, e spalancando quegli occhi alieni guardò quasi divertita il povero soldatino inerme.
Niente fucile, niente arma con cui uccidere! Il gatto aveva disarmato il topo e ora che era stanco era giunto il momento di mangiarselo. E la belva sapeva che i suoi rispettabili padroni avrebbero apprezzato.
Scattò in avanti con gli artigli ben protesi verso il ciccione.
Il ruggito che uscì dalle sue fauci ricordava quello di un giaguaro e di un essere umano nella “oh” finale.
Era tutto come al rallentatore, persino i rumori erano attutiti.
La creatura gridava di un grido spaventoso, incurante dei rami sottili come fruste che gli sferzavano il viso senza tregua.
Essi si spezzavano sul suo corpo senza provocargli dolore alcuno.
E quello sciocco umano, come per imitarlo, gridò anche lui portandosi la mano alla cintura del petto ed estrarne il pugnale da caccia dalla sua fondina verticale.
E puntandolo come una spada verso il nemico invincibile. Il fucile inutilizzabile era stato buttato a terra quasi con irritazione.

“Choji! A terra!”

Poi una voce improvvisa, irruppe in quella scena a rallentatore come un fulmine a ciel sereno.
Una voce di donna che fece spalancare gli occhi ad entrambi gli sfidanti, ma che era ovvio che ormai era troppo tardi per prendere contromisure.
Akimichi conosceva alla perfezione la voce di donna che aveva urlato in quel preciso istante, il gatto mannaro invece no. E ne pagò le care conseguenze.
Con uno scatto il giovane soldato si riparò a terra schiacciando quasi il volto nel fango, mentre un boato e una folata di aria calda gli investì la schiena e il nemico che gli stava balzando addosso.
Solo un urlo, di dolore assoluto, e poi il nulla.
Solo il rumore di carne bruciata.
E appena rialzò lo sguardo verso quello che era una belva – ora letteralmente sventrata da un colpo di lanciagranate e con le viscere bruciate – distrutta dalla furia del suo folle caposquadra.

“C-caposquadra Anko...” balbettò lui, mettendosi in piedi a fatica a causa della pesante armatura.
La donna dinnanzi a lui sorrise quasi spavalda mentre si portava il pesante lanciagranate in spalla come se fosse stato fatto di carta.
Aveva pure lei una armatura antisommossa ma era rotta in più punti da colpi di proiettile e artigliate. Una fascia di garza sporca di sangue le copriva la fronte ma non i capelli ribelli.
Trattenuti a stento da un fermacapelli.
“Credevi davvero che ti avrei lasciato qui Choji?! A divertirti con una belva tutto da solo?!”
Se per alcuni Anko Miratashi poteva sembrare una folle assetata di sangue e maniaca... Credeteci! È davvero così!
Ma tuttavia possedeva un senso parecchio distorto di “amicizia” verso i suoi soldati e sottoposti, e per questo era una tra i migliori soldati di tutto il Paese del Fuoco.
Anche se era una donna inquietante, Choji non poté fare a meno di ringraziarla mentalmente.
“Avanti Akimichi! Torniamo alla nave. Ho appena dato l'ordine di un bombardamento a tappeto su tutta la zona! Non vorrai diventare una palla di lardo allo spiedo vero?!”
no certo che no. E anche se la battuta finale lo avrebbe fatto innervosire parecchio in una situazione differente, annuì deciso alla donna e si decise a seguirla.
Se non potevano avere loro quella miniera di rame, non l'avrebbe avuta nessun altro!

“Bene! Andiamo Akimichi, si va ad Alba city per rifornimenti!”




Bene! Ecco il terzo capitolo ad opera mia! Sorpresi? Confusi?
Beh, qualcosa è stato spiegato no? La trama prende forma, ma ancora non si sa bene il perchè questo mondo sia in guerra! A breve lo saprete! Ad ogni modo ci stiamo organizzando per le coppie!
Non sappiamo bene come organizzarci, dato che abbiamo notato che anche coppie che non ci piacciono particolarmente si trovano in questa trama piuttosto bene!
Però abbiamo bisogno di una vostra opinione! Perchè sennò la smettiamo subito e pure la sottoscritta smette con le sue storie!
E ora lascio la parola a Kurenai88!

Eccomi qui con le risposte alle recensioni del capitolo precedente ^O^

Rinalamisteriosa - In realtà anche Shiho dovrebbe ammazzarli solo che lei vede la loro vita diversamente XDD In ogni caso grazie ^O^
Lady_KuroiNeko - Grazie per aver recensito entrambi i capitoli! Ha fatto molto piacere sia a me che a Elder ^O^
Ecco TwT solo due...

Ringraziamo:
1 - DarkRose86
2 - ery twohands
3 - inuziku_rukiaXP
4 - kymyit
5 - Lady_KuroiNeko
6 - michy25
7 - Ricklee
8 - Shizuki
9 - SkyEventide
10 - Targul
11 - uchiha_girl

Che hanno messo la fic tra i preferiti - sono ben 11 ma perchè non recensite?!
Alla prossima!

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