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Guardo
il led rosso che lampeggia davanti a me e so che dovrei parlare, fare il mio
rapporto giornaliero, ma qualcosa mi blocca la voce sul fondo della gola. Oggi
è l’ultimo giorno che guarderò la telecamera che ho davanti, l’ultimo in cui
dormirò nel mio scomodo letto, l’ultimo del mio addestramento, l’ultimo che
vivrò sottoterra in una scatola di metallo senza aver mai visto il sole,
l’ultimo giorno in quella che chiamo casa da tutta la vita, l’ultimo per molto
tempo, probabilmente per sempre.
Sono
stata scelta per la missione più importante. A detta di molti, l’ultima
possibilità che ci rimane.
M.O.R.T.E.,
la chiamano, invitante vero? È un acronimo dato dagli scienziati, non quali
siano le parole precise, credo che sia in latino. Ma io preferisco Missione Organizzata Respingi Tizi Esaltati.
Io
ci rido sopra, ma non ci sarebbe niente da ridere.
È
l’alba di un nuovo secolo e i vampiri hanno dominato ogni terra emersa da ormai
ottant’anni. Sono la razza evoluta, dicono
loro. Sono il progresso, dicono loro.
Gli
umani sono allevati come animali da pascolo, per essere bevuti vivi, caldi e
senza che oppongano resistenza. Il mondo in superficie è di cemento e
alluminio, un po’ come lo è qui sotto. In realtà non sono mai uscita dal
sottosuolo, ma è quello che mi hanno detto. Quello che tutti sanno. La nostra
Terra non è più quella che i nostri nonni conoscevano.
Qui
nell’ultima comunità di umani liberi ci insegnano fin da quando siamo piccoli
che la nostra vita è appesa ad un filo, che esiste il male ed ha un nome: vampiri. Grazie ai grandi saggi del
passato che hanno tramandato quello che era, studiamo la nostra storia per
poterla tramandare e tenere in vita quello che siamo stati come razza
dominantee che non potremmo mai essere
più.
Ma
c’è qualcos’altro. Una piccola flebile speranza.
Il prototipo di una macchina che può viaggiare nel passato, per cambiare questo
presente e donarci un futuro che per noi non esiste più.
Giro
il capo verso destra e osservo il profilo del mio viso nello schermo. Sono solo
una ragazza di vent’anni, ma sono stata scelta io, tra tutti i ragazzi che
hanno intrapreso l’addestramento per la M.O.R.T.E.
Fisso di nuovo
l’obbiettivo della telecamera e sono più sicura di me: << Capitano Isabella
Marie Swan. Sabato nove settembre duemilacento, ore nove e zero tre. Stazione
dell’Arca, bunker blindato. Questo è l’ultimo video che farò per un po’ di
tempo, credo. Se tutto va come dovrebbe. L’Operazione sta per iniziare. I
giorni di prova sono finiti, ora, incomincia la realtà. >>
· ∫
∙
Hola a tutti! Questa è la prima long che
pubblico e quindi ho bisogno di supporto.
Lasciatemi una recensione per dirmi se
vi piace la trama e questo piccolo prologo, se avete trovato errori (spero di
no) o, in generale, se avete dei suggerimenti o delle critiche da farmi.
Se ci sarà un responso positivo potrei
pubblicare il primo capitolo a breve, quindi fatemi sapere se continuare o no.
Apro
gli occhi e osservo il buio intorno a me. Per un momento credo che oggi sia un
giorno normalissimo, che mi aspetti la solita magra colazione alla mensa, poi
la mattinata di studio della storia o delle nozioni di sopravvivenza e per
finire la lezione di combattimento. Dopo aver consumato uno scarso pasto, il
mio impegno nella comunità: in infermeria o nelle cucine.
Un
giorno qualsiasi nella vita di tutti noi abitanti dell’Arca. Ma mi ricredo
subito.
Oggi
ci sarà il trasferimento.
Dopo
essermi vestita della mia uniforme da soldato, percorro il corridoio principale
che mi porterà allo studio della Dottoressa Jordan, il capo dell’Arca, dove mi
saranno date le ultime informazioni sulla missione.
Mi
sembra di guardare queste pareti con occhi diversi. Sono le solite lastre di un
materiale ignifugo, non più riflettenti o lucide, ma vedo comunque una me
riflessa lì. Una bambina che guarda sorridendo il proprio padre, il suo eroe. Il
mio eroe. Poi mi vedo un po’ più cresciuta triste e sola, ma con la
determinazione negli occhi. La stessa che oggi, ora mi porta a bussare e attendere
il permesso di entrare.
I
miei superiori sono tutti li ad aspettarmi, insieme a Amelia, la Dottoressa a
capo del reparto infermieristico e mia più grande amica.
<<
Benvenuto Capitano Swan. >> inizia la Jordan << Ci rimangono solo
le ultime istruzioni prima del trasferimento. Come lei sa, la M.O.R.T.E. è una
missione molto importante per tutti noi e lei è stata considerata idonea ad
intraprendere questo grande onore. >>
Mi
guarda fisso negli occhi come per imprimermi più a fondo le sue parole, ma io
sono preoccupata a trattenere l’ilarità. Ma ha sentito quello che ha detto? Mi
immagino se qualcuno all’oscuro di tutto (cosa impossibile dato che chiunque
abbia più di due anni conosce la missione M.O.R.T.E.) fosse entrato e avesse
sentito quello che mi diceva: devo essere onorata del fatto che mi stanno
mandando a morte. In effetti è
proprio così, la morte, solo che tutti vengono scelti per la “missione”. Anche
le persone più buone. O i migliori come mio padre.
Pensare
a queste cose non mi fa bene, voglio passare all’azione, le cerimonie come
questa mi sono sempre sembrate inutili.
<<
Sperando che il trasferimento arrivi a compimento, lei per riuscire ad
inserirsi nella società deve riuscire a contattare il governo di quell’epoca e
consegnargli questa lettera. Loro capiranno la gravità della situazione, ma se
le faranno domande, cosa che credo avverrà sicuramente, non deve assolutamente
rispondere, la sua è una missione in incognito. >>
Questo
lo sapevo già. La difficoltà della missione, secondo me, sta tutta lì. Far si
che questo presente che conosciamo oggi cambi, non permettere che i vampiri si
impadroniscano del mondo, ma contemporaneamente non svelare a nessuno chi sono
o quale sia effettivamente la mia missione, per interferire lo stretto
necessario nel passato. Per far si che la cosa non mi sfugga di mano.
<<
Credo che questa lettera basti a farsi aiutare dal presidente dell’epoca, ma se
così non fosse abbiamo pensato a delle precauzioni, Dottoressa Tennant? >>
Si
gira verso Amelia che prende la parola: << Si, abbiamo sintetizzato un
siero dal veleno dei vampiri, come tu sai già, e te lo inietterò così
diventerai più forte e veloce. Non come un vampiro, ma di sicuro molto più di
un semplice umano. È lo stesso che iniettiamo ai nostri esploratori, in caso
vengano scoperti e attaccati da dei vampiri. C’è solo un effetto collaterale,
ossia il tuo odore che ti identifica come umana agli occhi dei vampiri,
diventerà, come dire..più stuzzicante, ecco >>
<<
Ma lì dove andrò non ci saranno vampiri assetati di sangue, pronti a saltarmi a
dosso mentre cammino tranquillamente per la strada. No? >> chiedo,
confusa. Una volta gli umani erano tranquilli e ignari del pericolo. Non
avevano paura di uscire di casa.
<<
Infatti sarà relativamente al sicuro. Gli unici vampiri che dovresti incontrare
sono quelli della missione. >> riprende la Jordan << Non abbiamo
foto da mostrarle sia per quanto riguarda i capi della Nazione sia per questi
vampiri, ma, comunque, ha già molte informazioni: conosce gli usi e i costumi
di quel tempo così come le loro tecnologie, molto limitate rispetto ad oggi, le
mappe degli Stati, la planimetria dell’ufficio del potere, la Casa Bianca, e
l’esatta collocazione della cittadella Forks. Se non ha altre domande, direi di
procedere >> detto questo mi fa segno di precederla.
Ho
passato tutta la vita a sapere che potevo essere scelta per questo. Che la mia
vita poteva fare la differenza per la poca umanità rimasta, la poca che è
riuscita a salvarsi. Non so di preciso quali fossero i criteri che mi hanno
selezionata, ma so il perché ero entrata nel gruppo di addestramento nonostante
fossi la bambina più mingherlina dell’Arca: quando fu scoperta la formula per
viaggiare nel passato e i nostri migliori scienziati iniziarono a lavorarci su,
sapevano di aver bisogno di volontari che imparassero quanto più possibile
della storia e della geografia, che sapessero sopravvivere ad un mondo che non
conoscevano e portare a termine la missione di salvezza dell’umanità.
Ad
oggi non possiamo più aspettare. Il viaggio doveva essere intrapreso il prima
possibile, perché qui sotto la gente more sempre di più, per lo scarso cibo che
riusciamo a coltivare e raccogliere nelle profondità più oscure della terra,
per il poco ossigeno che le vecchie e rugginose tubature ci portano e per le
epidemie che spesso ci attaccano.
Dopo
un lungo corridoio segreto, che anch’io non avevo mai percorso, arriviamo nel
laboratorio allestito per la macchina del tempo, pieno di computer e altri
macchinari. A noi si affianca uno scienziato: <<È tutto pronto, signora. >>
<<
Procediamo >> è la sola risposta della Jordan.
Mi
fanno sedere su di una sedia molto consulta e mi si avvicina Amelia con la
siringa che contiene il siero, che mi renderà più forte. Dall’altro lato si
avvicina lo scienziato che mi applica dei sensori sulla fronte, per misurare i
miei parametri suppongo.
Sono
distratta a osservarlo, ma mi accorgo subito quando il siero mi entra in
circolo. Brucia e si espande a macchia d’olio dal mio braccio a tutto il mio
corpo ad una velocità impressionante. Sento come se ogni cellula che è in me
stesse morendo di atroci sofferenze e che non possa fare nulla per impedirlo e
mi faccio prendere dal panico. Amelia mi tiene ferma alla sedia con l’aiuto di qualcun
altro e mi sembra di sentirla sussurrare che andrà tutto bene e che presto
finirà, ma non ne sono sicura perché il siero è arrivato alle orecchie e il
mondo si fa silenzioso. Arriva agli occhi e diventa tutto buio per un tempo che
mi sembra lunghissimo e breve contemporaneamente. Quando riapro gli occhi che
non mi ricordavo di aver chiuso, è tutto cabiato.
Intorno
a me sembra tutto più limpido di come l’ho sempre visto. Vedo con precisione
ogni difetto nel metallo che fa da parete alla stanza. La luce a energia solare
che scoppietta lievemente. Mi giro verso Amelia e posso giurare di riuscire a
contare ogni sua singola lentiggine. Vedo il suo lieve sollevarsi del petto,
che le permette di respirare, e so con certezza quando prende fiato per
incominciare a parlare.
<<
È tutto finito, tranquilla >> la sua voce è diversa da come la ricordavo.
Sento
uno scricchiolio e guardo verso la mia mano: senza volerlo, mentre ero accecata
dal siero, devo aver strinto troppo forte la sponda della sedia, perché ora si
vede il segno lasciato dalla mia mano. Ho quasi paura a guardarmi allo specchio
e scoprire che il mio incubo più profondo si è avverato: vedere occhi rossi al posto dei miei castani, vedermi
vampira. Come la feccia che ha
distrutto l’umanità, che ha ucciso mio padre. Ho quasi ribrezzo di me stessa, ma,
anche se mi sento profondamente cambiata, capisco che non sono diventata il mio
eterno nemico. Osservo le persone intorno a me e non provo alcun impulso di
cibarmene, come credo che sentano i vampiri. Sono ancora umana. Umana ma con
delle capacità sovraumane.
<<
Siamo sicuri che abbiamo scelto bene per la missione? Insomma, sembra un povero
agnellino in procinto di essere sacrificato. Se non riesce a reggere questo,
come farà a portare a termine la missione? >> dice in tono scettico la
Jordan.
Io
non sono un agnellino. Sono sul punto di dimostrarglielo quando mi precedono.
<<
È solo un po’ spaesata. La lasci abituare. >> mi difende Amelia <<
Come va Bella? È tutto un po’ strano vero? Stai tranquilla ti abituerai presto.
Forse sarebbe meglio rimandare il trasferimento a quando si sarà rimessa del
tutto, Dottoressa Jordan. >>
<<
Ogni minuto è prezioso, non c’è tempo da perdere. Portatemi la borsa. >>
poi si rivolge nuovamente a me << Qui dentro c’è tutto ciò di cui avrai
bisogno, il Dottor Barson te ne illustrerà il
contenuto e le funzionalità >>
Mi
giro verso lo scienziato che prende subito parola, frugando nella borsa:
<< Oltre ad un cambio di vestiti, abbiamo cercato di essere più possibile
fedeli a quelli dell’epoca, c’è questo che è semplicemente il S.A.M che hai imparato ad usare in infermeria, ma
riadattato in modo che sembri un cellulare, il sistema di comunicazione che
usavano all’epoca, poi c’è questa pistola anti-vampiro che però può essere
usata anche contro umani schiacciando questo pulsante, per uccidere o per
stordire a seconda di come hai posizionato questa leva qui. Non c’è altro a
parte qualche barretta di vitamine assemblate. >>
Viaggio
abbastanza leggera, quindi. Ma mi sembra giusto, credo che se mi presentassi
dal presidente con un arsenale di armi laser e al plasma non farei una buona
impressione.
<<
Bene, sei pronta per il trasferimento >> interrompe i miei farneticamenti
sulla possibile faccia di quei nostri antenati se mi vedessero arrivare con una
doppia mitragliatrice al plasma e quel piccolo cannone portatile tanto buffo
quanto letale.
Mi
accompagnano alla piccola camera contenitiva che somiglia ad una cassaforte e
io mi rannicchio per riuscire ad entrarci.
<<
Secondo quello che sappiamo la nostra Arca si trova in un tunnel della vecchia
metropolitana, quindi a trasferimento effettuato ti troverai lì in mezzo a
molta gente. Cerca di passare inosservata e vai subito alla Casa Bianca per
chiedere il supporto del governo. Ricordati di non dirgli che vieni dal futuro,
è molto importante che non lo sappiano >> vorrei rispondergli male, me lo
avrà detto almeno un milione di volte e ancora crede che non lo sappia.
Ma
non la ascolto attentamente come dovrebbe fare un bravo soldato con un suo
superiore. Sono più preoccupata per questo macchinario e che sarò io a fare la
cavia. Ha bisogno di molta energia, quindi gli scienziati non hanno potuto
provare se funzionava prima di oggi. Sarò la prima viaggiatrice nel tempo e,
per un bel po’, anche l’ultima, dato che per questo solo trasferimento abbiamo
dovuto risparmiare energia per oltre dieci anni, ed avevamo già una scorta.
Questo mi impone un rischio molto alto. Mi sono preparata a lungo per la mia
vita dopo, ma non potevo fare nulla per il trasferimento. Devo abbandonarmi a
chi ha menti più brillanti della mia e che, anche se oggi mi sottopongono al
trasferimento, non sono ancora sicuri della riuscita al 100%. Non saranno
neanche se arriverò davvero sana e salva nel 2014, perché non avrò alcun modo
di contattarli e loro di contattare me. Sto rischiando la mia vita, ma per una
causa molto più grande di me. Per salvare la mia gente da quello cui stiamo
andando incontro in questo presente. È un grande onore e una grande
responsabilità.
Amelia
davanti a me quasi piange. Allargo le braccia per invitarla a stringermi per
l’ultima volta. Si rannicchia nel buco dove sono seduta e non mi lascia per un
bel po’, tanto che la Jordan ci richiama all’ordine. Mi lascia sussurrandomi un
addio singhiozzato.
<<
Buona fortuna >> mi dice invece la dottoressa Jordan. E chiudono il
portellone.
Mi servirà,
penso solamente.
· ∫ ∙
Eccoci con il primo
capitolo. Scusate l’attesa, ma si sono ancora qui.
Non ho niente in
particolare da dire sul capitolo, è solo un’introduzione sul personaggio di
Bella, che ha un carattere molto diverso da quella nel libro, e ho scritto una
breve panoramica sul futuro da dove proviene. Non ho descritto molto l’Arca perché avrà
sufficiente spazio nei ricordi di Bella nei prossimi capitoli.
Riguardo al prossimo
capitolo, non posso dire quando arriverà, perché ancora non l’ho neanche
iniziato. Spero che riuscirò a seguire una cadenza settimanale, ma non prometto
nulla.
Infine ringrazio, 1717 , alice91 , astrosara , T13_lper aver inserito la storia tra le seguite, 1717che mi ha inserito anche
tra le ricordate (forse un errore?
Non so ma sono felice lo stesso J), AlessiaB94 che mi ha addirittura inserito tra le preferite ♥ e la carissima PAM 76 che mi ha lasciato una recensione♥♥
Seguite il suo esempio
per darmi suggerimenti e critiche, ma non siate troppo cattivi! ♥
Sono
la prima persona al mondo ad aver viaggiato nel tempo. È sicuro. Ed è sicuramente
la cosa più emozionante che io abbia mai fatto. Vorrei prendere il mio TAB dal cassetto
del comodino, accanto alla mia branda, e incominciare a descrivere questa
esperienza. Lasciare una testimonianza, reale, di quello che è accaduto. Vorrei
saperne di più di scienza per poter descrivere con accuratezza, passaggio per
passaggio, il modo in cui le mie cellule si sono scompattate in un numero
assurdo di elettroni e come si siano ricompattate in modo assolutamente
perfetto al loro stato di origine. Vorrei osservare, in quei buffi macchinari
scientifici, me stessa. Allungare un braccio sotto la lente e, osservare tutte
le mie cellule tornate alla loro esatta collocazione.
Sono
qui. Nel passato. Seduta per terra, con la schiena appoggiata alla parete, e
sono certa che a occhi esterni non appaio tanto normale. Ma, beh, non sono
normale: vengo dal futuro. Sbuffo, dandomi della cretina. Se esponessi questi
miei pensieri a voce alta di certo non contribuirei a cambiare questo aspetto.
Mi rinchiuderebbero direttamente in quei posti per malati di mente, comuni nel
passato. Nel presente, mi correggo mentalmente. Devo incominciare da subito a sembrare
una normale ragazza del ventunesimo secolo.
Rimango
qui seduta per altri minuti, non so quanti, a osservare questo via vai di
gente. Non credo di aver visto un così grande concentrato di persone in un
unico, stesso e soffocante luogo. Ma sono l’unica a cui manca il respiro? In
questo presente le persone sono miliardi, mi dovrò abituare.
Penso
a qualche minuto fa quando, appena arrivata, sono rimasta schiacciata da due o
forse più persone, spintonata di qua e di là fino a che non sono arrivata a
questa parete e mi sono accasciata. Nessuno si è accorto che sono apparsa
all’improvviso e nessuno mi ha guardata. Oh, si, credo che quelli a cui sono
finita addosso mi abbiano vista, ma dopo un paio di secondi si saranno già
scordati di me. Non mi aspettavo di certo comitati di ben venuto, ma qui in
mezzo a tutta questa gente mi sento come se non ci fossi. Come se fossi ancora
nel presente e non fossi un più uno,
nei miliardi di persone che popolano questo passato.
Sento
dei tintinni accanto a me e subito assumo una posa più rigida e guardo l’uomo,
vestito in maniera elegante secondo gli standard del passato, si disperde nella
numerosa folla. Credo che li abbia appena lanciati a me: tre piccoli oggetti
tondi di metallo, che riconosco come la valuta di scambio che si usava nel
passato, o forse gli sono caduti accidentalmente, in ogni caso sarebbe
problematico rincorrerlo per porgerli indietro, quindi me li metto nella tasca
della casacca. Credo che mi possano essere utili, dato che al momento non ho
nulla da dare in cambio di cibo o altro che mi potrebbe servire. Con le
barrette energetiche che ho posso andare avanti due giorni, ma forse avrò
bisogno anche di qualcos’altro.
Convengo
tra me e me che sarebbe meglio alzarsi e darsi da fare, ma appena raggiungo la
posizione eretta un potente coniato di vomito mi assale: rimetto ai miei piedi
e probabilmente addosso a molte delle persone che camminano vicino a me. Credo
di sentire imprecazioni o forse insulti, ma non sono sicura perché le orecchie
mi fischiano. Mi appoggio al muro e scivolo di nuovo a sedere. La puzza di bile
mi arriva ancora più forte, un minuto e
mi rialzo, mi dico. Inarco la testa contro la parete sudicia dietro di me e
chiudo gli occhi.
Quando
apro gli occhi credo che sia passato solo un secondo, ma a giudicare dal fatto
che sono sdraiata sul pavimento in una posizione scomposta, con il naso premuto
sul lercio per terra e in mezzo al silenzio, presuppongo che sia passato molto
più tempo. Faccio leva sui bracci e lentamente mi metto a sedere. Tutta la
gente di prima è come se si fosse vaporizzata: intorno a me c’è solo un
sinistro silenzio, interrotto da uno strano suono dalla provenienza ignota.
La
luce sopra di me scoppietta e fa fuoriuscire un lieve ronzio. Mi guardo intorno
e vedo, dall’altra parte della stanza, un’altra persona seduta addossata ad un
muro, per terra. Ha una sudicia e vecchia coperta addosso e credo che stia
dormendo. Grazie alla mia vista, che da solo qualche ora è molto più
sviluppata, vedo quanto è pallido e anziano. All’Arca nessuno vive così a
lungo.
Il
suo volto è solcato da numerose rughe e, anche se non ho mai visto una persona
tanto in là con gli anni, credo che comunque non si senta molto bene. A occhio
e croce non vivrà più di qualche settimana.
Traballante
mi alzo in piedi appoggiandomi con una mano al muro. Mi sento stanca e
affamata, oltre che sporca e puzzolente, così decido di mangiare qualcosa di
quello che mi hanno messo nello zaino, quello che ho ancora sulle spalle.
Quando
lo tiro giù mi accorgo che è aperto e, soprattutto, vuoto.
Controllo
bene, incredula, ma non appare niente di quello che doveva esserci. Spalanco
gli occhi, incredula, il mio zaino è vuoto.
Le
scorte di barrette vitaminiche, i vestiti e il documento che mi ha dato la
Jordan.
La
pistola! Il SAM!
Come
farò a portare a termine la missione senza? Un botto acuto e delle risatine mi
risvegliano dal mio sconcerto. Mi giro verso dove è venuto il suono e penso che
potrebbero essere le persone che si sono appropriate della mia roba.
A
casa, nel presente, c’è una legge specifica contro chi si appropria dei oggetti
altrui e la pena è finire nelle prigioni.
Nessuno vuole finire nelle prigioni, si dice che da lì vengono prelevati e
mandati in superficie senza nessuna
protezione o arma, senza possibilità di
ritorno. Anche io che sono un ufficiale non so se sia vero, fatto sta che
nessuno ruba o commette altri crimini di questo tipo. Siamo una comunità e ci
conosciamo tutti fra di noi.
Evidentemente
nel passato non è così, dovrò tenerlo a mente e non fidarmi di nessuno. Forse
non c’è neanche una legge contro i ladri o forse non viene fatta rispettare.
Le
risate provengono da oltre questo muro, non so quanto lontano, mi devo ancora
abituare al mio nuovo superudito. Devo camminare sulle rotaie, non ho mai visto
un treno o una metropolitana, ma auspico che faccia rumore e che riesca a
sentirla arrivare. Dopo pochi metri a camminare nel semi-buio mi avvicino alla
rientranza illuminata da dove provengono i rumori. Mi accosto al muro e mi
affaccio furtivamente: lo spazio è più piccolo del locale dove ero prima, ma
comunque più grande di quello che mi ero immaginata. È pieno di rifiuti e di
casse di legno accatastate alle pareti; non credevo che esistesse un posto più
sudicio di quello in cui ero prima, ma questo lo batte, e alla grande. I muri
sono pieni di scritte colorate e disegni di dubbio genere.
Sul
fondo ci sono quattro persone.
· ∫ ∙
Vi starate chiedendo: è
un miraggio o cosa? Chi è questa tizia che aggiorna dopo quasi due mesi? Due
sottolineiamo. Sempre se c’è ancora qualcuno che si ricordi di questa storia.
Non sono sicura di meritare un perdono, ma voi siete molto gentili e me lo concedete
lo stesso, vero?♥♥♥
Non so veramente cosa
dire. Sono imperdonabile, ritardataria cronica e tutto quello che volete.
Spero che ci sia ancora
qualcuno che voglia leggere questo nuovo capitolo, o che si ricordi a che punto
siamo arrivati.
Vi lascio al capitolo,
spero che non ci sono strafalcioni, appena l’ho finito ho subito pubblicato,
quindi perdonatemi.
M.O.R.T.E.
Missione
Organizzata Respingi Tizi Esaltati
· ∙
Un
nuovo mondo
Sul fondo ci sono quattro persone.
Di
scatto ritorno alla mia posizione iniziale coperta completamente dal muro.
L’azione è durata solo pochi secondi e nessuno si è accorto di nulla, ma io ho
potuto vedere tutto.
Le
quattro persone nella stanza sono dei ragazzi giovani, forse della mia età o
poco più. Ridacchiano e si spintonano tra loro. Due di loro hanno in mano la
pistola e il SAM. Ai loro piedi ho visto degli stracci neri e marroni, che
potrebbero essere i miei vestiti di ricambio. Le altre cose non le ho viste.
Senza quasi rendermene conto entro in modalità battaglia e mi sento subito
carica di energie.
Il
mio obbiettivo è uno solo: riprendermi le mie cose. Ad ogni costo.
Prendo
un respiro e dò il via all’azione.
<<
Okay. Avete dieci secondi per restituirmi la roba che mi avete rubato. >>
I
ragazzi si girano di scatto verso di me e mi guardano smarriti. Sono uscita dal
mio nascondiglio e ho assunto una posa di superiorità: col mento in alto e le
mani appoggiate ai fianchi, sperando che tutto si risolva con le buone.
Il
ragazzo biondo con la mia pistola viene avanti di un passo e prova ad assumere
una posizione simile alla mia, una mano sul fianco e il mento alto. Non
sorride. Guardandolo bene sembra il più vecchio dei quattro, probabilmente
anche più grande di me.
Un
angolo della sua bocca si alza in un ghigno. Non mi vede come una minaccia.
Sono un pelo più bassa, più minuta, più giovane: sono una ragazzina per lui.
Qualcuno che può facilmente intimorire.
Non
sa che ho dovuto combattere per tutta la vita contro pensieri come il suo. Non
sa che nessuno mi dava credito. Non sa che ho fatto ricredere tutti quelli che
mi davano della povera orfanella. Non sa che adesso sono rispettata da tutti. E
non sa che potrei ucciderlo in meno di cinque minuti, anche senza usare la mia
super forza.
Povero
illuso.
Reprimo
a forza l’assoluto desiderio di levargli quel sorrisino dalla faccia. È solo un
ragazzo ed io sono in missione. La missione prima di tutto.
Anche
un altro avanza e mi guarda a fondo. È quello che ha in mano il SAM.
<<
Perché non vieni a prendertela? >> dice il più giovane.
Uno
dopo l’altro anche gli altri due ragazzi si schierano formando un muro. A
quanto pare vogliono far parte dei giochi.
<<
Gira a largo, ragazzina >> dice il primo, come se non avesse neanche
sentito quello che ha appena detto il suo compare più giovane.
Ok.
Fine della diplomazia.
Mi
avvicino con passo lento e cadenzato, senza temere nulla. Guardo fisso il
ragazzo che ha la pistola, quello biondo e più grande. Quello che, molto
stupidamente, mi ha dato della ragazzina. Primo passo: riprendermi la pistola. Non
credo che sia riuscito a levare la sicura, ma è meglio non correre rischi.
Arrivo
davanti a lui. Non ha alzato la mano che impugna l’arma, di sicuro non ha mai
sparato a nessuno e non vorrà iniziare oggi, con una ragazza.
Le
mie mosse sono veloci ed accurate: faccio un passo in avanti e metto la mano
sulla canna della pistola, nello stesso momento lo colpisco alla mandibola, traballa
un po’ e lascia la presa.
Prima
che abbiano il tempo di reagire do una gomitata in faccia al ragazzo a destra
che cade per terra rantolando. Meno uno.
Tengo
saldamente la pistola con la mano destra, puntata verso il basso. Non voglio di
certo sparare a dei ragazzini. Anche se mi danno sui nervi. Controllo, mi
ripeto. Devo controllarmi e cercare di non usare tutta la mia forza. Dopo aver
preso il siero, sento che potrei uccidere chiunque con un sol colpo.
Intanto,
il biondino a cui ho preso la pistola si è ripreso, ma resta fermo e non prova
ad attaccarmi. Gli altri due non sembrano dello stesso avviso.
Indietreggio
velocemente di qualche passo per avere più manovra d’azione. Quando uno dei
ragazzi è abbastanza vicino mi preparo per la mia mossa: sposto il mio
baricentro all’indietro sentendo la forza che mi arriva alle gambe da tutto il
corpo, mi butto in avanti con un calcio mirato al fegato. Il malcapitato
striscia lungo il pavimento per un paio di metri e non si rialza. Spero che non
abbia riportato gravi danni. Mi sono trattenuta notevolmente, ma non so se
abbastanza.
Inaspettatamente
l’altro ragazzo riesce a colpirmi con un pugno allo stomaco. Indietreggio e premo
con la mano il punto dove le sue nocche mi hanno colpito. Niente di grave, ho
dovuto sopportare molto peggio. Lo stendo dopo pochi secondi con un banalissimo
pugno sul naso. Non ha molta resistenza.
A
questo punto rimane solo il biondino, che è rimasto in disparte per tutto il
tempo. Bel capo quello che si fa proteggere dai suoi sottoposti e resta in
disparte anche quando le cose si mettono male. Sono sicura che se urlassi un
forte BUH cadrebbe a terra dallo spavento.
Alzo
il braccio in cui ho ancora in mano la mia pistola e gliela punto addosso.
<<
Non sparare! Non è come credi. Non.. >>
<<
Mani in alto. >> è l’unica cosa che dico. Non mi interessa sentire le sue
inutili preghiere per avere salva la vita. Il mio obbiettivo non è di certo
sparargli, riceverà lo stesso trattamento degli altri.
Un
paio di passi e sono davanti a lui, che, impudentemente, non si è tappato la
bocca: continua a borbottare parole come distintivo
e polizia, che a me non dicono
niente. Potrei chiedergli dove cavolo hanno messo la lettera, di certo
risparmierei il tempo di cercarla tra questi rifiuti.
È
ancora sotto tiro quando sposta pericolosamente la mano verso l’interno della
sua giacca. Forse non ha ben chiara la situazione.
Lo
blocco alla parete col peso del mio corpo e premo il braccio contro la sua
gola. Sembra muscoloso ma non credo che possa respingermi. Non dimentichiamoci
che adesso ho la “super-forza”.
Trovo
facilmente il punto tra il collo e la spalla che lo fa svenire. Mi viene
addosso a peso morto. Okay la super-forza, ma questo è pesante davvero. Mi
scosto e lascio che cada malamente per terra. Sogni d’oro, fiorellino.
·
∫ ∙
Finalmente
sono riuscita a trovare l’uscita di questo buco sotterraneo. L’orientamento non
è mai stato il mio forte, ma non so come riuscivano a capire dove andare nel
passato. Non ci sono cartelli né indicazioni di qualche tipo. Se questa è la
prassi dovrò procurarmi una cartina.
Non
sono riuscita a trovare la lettera, avrò rivoltato quel posto da cima a fondo,
anche sotto la sporcizia che sembrava essere lì da anni. Come farò senza? Ho
voglia di spaccare qualcosa e credo che questo gradino si sia appena offerto
volontario.
Il
marmo vola dall’altra parte della stanza, rimbalzando sulle piastrelle che
ricoprono i muri qui intorno. Un suono più simile ad un ruggito che ad un urlo
esce dai miei denti serrati. Ho fallito. Quanto sarà che sono qui? Dodici, sedici
ore? Ed ho già fallito la Missione. Questi stupidi uomini preistorici. Non
sanno riconoscere un timbro federale quando ne vedono uno? Se non fosse stato
per qui ladri da quattro soldi, ora sarei già in viaggio per la Casa Bianca.
Forse sarei già arrivata, dipende da quale lato del mondo mi ritrovo. E questo
cavolo di posto! È possibile che prima non riuscivo neanche a girarmi intorno
da quando era affollato e adesso è deserto? A parte quell’uomo che ancora dorme
sul pavimento di là. Che razza di barbari c’erano nel passato: lasciare un uomo
vecchio e malato così, come se non esistesse. Come possono non capire che cosa preziosa è?
All’Arca,
la donna più anziana che c’è, è rispettata da tutti. Quando la si incontra,
anche per caso, si china la testa. Ogni bambino và ad ascoltarla rapito, ai
suoi congressi. Deve avere sessant’anni. È nata pochi decenni dopo che i
vampiri si erano rivelati al mondo. Ricorda ancora qualcosa di quegli anni.
Ricorda
ancora il sole.
Alzo
lo sguardo davanti a me. Alla fine di questa rampa lo vedrò anch’io, per la
prima volta. Ho perso la lettera. Ho compromesso, forse irrimediabilmente, la
Missione.
Ma
posso ancora far avverare il sogno che avevo fin da bambina. Posso uscire da
sottoterra e vedere finalmente il cielo, le nuvole, ..il sole.
· ∫ ∙
Che ne dite? Il combattimento era
chiaro? Non credo di essere molto brava in scene come quella >.<
Ringrazio con tutto
cuore le persone che hanno messo tra i preferiti, le ricordate e le seguite
questa storia. Un grazie particolarmente sentito a chi ha commentato lo scorso
capitolo: Ninfea_Dae bedwvi amo troppo. ♥♥♥
E grazie in anticipo a chi commenterà questo, anche se
fosse solo per dirmi di stare attenta ai pomodori che mi tirerà in faccia. * si
nasconde sotto al tavolino*
Mi raccomando aggiungetemi come amica
su Facebooke iscrivetemi al
mio nuovo gruppo, dove posterò spoiler e immagini della storia e molto
altro.
Il capitano Isabella Swan ha viaggiato nel tempo per
intraprendere una misteriosa missione denominata M.O.R.T.E., che, spera, potrà
salvare il futuro da cui proviene. Arrivata è stata subito derubata da una
banda di ladruncoli ed ha perso la lettera che era una chiave fondamentale dell’operazione.
Messo al tappeto questi, va dove non è mai andata: in superficie.
M.O.R.T.E.
Missione Organizzata Respingi Tizi Esaltati
· ∙
Preistorici
Ricordo
che quando ero bambina avevo paura del buio. Era abbastanza strano visto che il
sistema di illuminazione a raggi solari dell’Arca copre neanche la metà delle
gallerie e delle celle, e che, quindi, ci sono molti tratti in cui il buio è
così nero che non riesci ad avere la percezione dello spazio che ti circonda.
Tutti ci siamo abituati, adesso anche io, ma al tempo avevo così paura che mi
si pietrificavano le gambe e non riuscivo a proseguire oltre.
Il
problema vero sopraggiungeva quando mio padre partiva per le missioni
all’esterno ed io dovevo muovermi da sola. Il più delle volte mi perdevo e
correvo a perdifiato ad occhi chiusi, causando più di una volta incidenti
multipli.
Un
giorno mio padre mi insegnò a combattere questa paura: ha preso la coperta più
grande e spessa che avevamo e ci ha coperti, mi ha detto che devo essere più
forte, che le paure più grandi si sconfiggono con il ricordo delle gioie più
grandi. Mi ha chiesto cosa mi faceva diventare felice, solo a pensarlo. Risposi
subito con “il Sole”: la signora Preston, che ci
faceva lezione, ne aveva mostrato un fotogramma al teleschermo, una volta, e lui
stesso mi aveva raccontato di quando l’aveva visto alla sua prima uscita, in
una delle sue missioni. Ne ero affascinata, ed ogni volta chiedevo sempre più
dettagli: quanto era grande, se era riuscito a toccarlo, ecc. Da quel giorno,
quando mi trovavo al buio, pensavo intensamente al Sole. A quanto fosse bello,
enorme e luminoso. Il solo pensiero riusciva a rischiarare anche il buio più
tenebroso.
Credo
che inconsciamente, anche oggi, quando mi trovo in un posto buio il mio
pensiero va a quel pianeta infuocato che sta a milioni di chilometri da qui. E
che io non ho mai visto.
E
che non riesco a vedere neanche adesso.
Il
cielo del passato è illuminato dal
sole, sì, che a sua volta è coperto
da delle nubi minacciose.
Mi
siedo per terra (tanto ormai è un’abitudine) e appoggio la schiena al muro
dietro di me.
Potrei
ripetermi una di quelle frasi zen che dice sempre la signora Preston. Che la
vita è una continua sfida e che tocca a me scacciare le nuvole da questa, che
ciò che non mi distrugge mi fortifica. Ma (s)fortunatamente non sono mai stata
brava con queste cavolate.
Probabilmente
quando distribuivano la saggezza, ero andata in bagno.
· ∫ ∙
Il
passato è quantomeno buffo e questi
preistorici quantomeno idioti. Non
sono una sprovveduta, ho studiato storia e so che dal XX secolo gli uomini si
facevano trasportare da un scatola di latta chiamata automobile, e so che prima
del XXII secolo queste erano molto diffuse e orribilmente inquinanti, ma non
riesco a capire la logica di questo..casino.
Queste lamiere ambulanti sono dappertutto, si intrecciano in un modo che non
avrei mai immaginato, non rispettano i segnali per l’arresto (dei cosi alti con
luci rosse, gialle e verdi) e fanno un rumore assordante che non capisco come
facciano le persone a sopportare. Per non parlare del puzzo. All’Arca ci sono
delle bocchette che purificano l’aria in circolo, ma essendo comunque
sottoterra ho sempre pensato che all’esterno l’aria fosse così pura da non fare
a meno di prendere grandi boccate d’aria. La realtà sembrerebbe totalmente
l’opposto. O, almeno, è così nel passato.
Sarei
curiosa di analizzare la tossicità dell’aria, sono sicura che raggiungerebbe
picchi allarmanti. Ma la cosa che mi sconcerta di più è la quantità di persone.
In questa città –non ben identificata- ci sono molte, molte persone, di tutti i
tipi e che fanno cose di tutti i generi. Da quando sono qui, sono passate una
quantità spropositata di automobili e quasi altrettanti di persone a piedi. Ad
un certo punto è passata anche un automobile molto più grande delle solite e,
dai grandi finestrini, si vedevano uomini e donne schiacciati come i pomodori
nei barattoli della conserva. Credevo di essere preparata al fatto che nel
passato il numero di essere umani era enorme. Ma mi sento soffocare, come se
non rimanesse ossigeno per me. La gente mi passa vicino continua a sbattermi
addosso, quasi non riesco a capire da che parte sto andando, ne se mi sto muovendo verso un punto
preciso.
Finalmente
ho trovato un punto meno affollato dove fermarmi e ragionare. È un’estremità
dei passaggi sopraelevati, dove si può camminare senza finire all’altro mondo
tramite schiacciamento da parte di mezzi di locomozione imprecisati. Credo che,
comunque, sia pericoloso anche stare qui, dove non c’è nessun tipo di riparo
tra me e queste automobili. In caso di bisogno mi affiderò al mio allenamento.
E ai miei sensi-extra da vampiro,
ovviamente.
Accanto
a me c’è uno strano cilindro dal diametro ridotto, ma molto alto. Non so bene a
cosa serva, ma sembra stabile, quindi mi ci appoggio con una spalla.
Sono
stata addestrata a trovare soluzioni logiche e ben ponderate a enigmi certe
volte totalmente insensati. Ed è quello che devo fare adesso. Già prima di
partire avevo studiato uno schema di punti da affrontare, a prova di bomba. O
almeno è quello che pensavo. Semplice e diretto, sono i sinonimi di efficiente:
Punto
numero 1 – capire in che città sarei spuntata fuori.
(
non abbiamo dati all’Arca sulla geografia passata, di nessuna era passata. Ogni
cosa che avevamo è andata distrutta o è stata giudicata non attendibile)
Punto
numero 2 – ottenere informazioni, sul nome della città che avrei dovuto
raggiungere per arrivare a questa fantomatica Casa Bianca.
(
nessuno sa molto sull’argomento, tranne i fatti ovvi cioè casa, termine antico per abitazione, bianca, colore bianco. Quindi non ho idea di cosa aspettarmi)
Punto
numero 3 – raggiungere questo luogo e ottenere un colloquio privato col capo
della nazione in carica.
(
dove in pratica io gli mostravo la lettera sigillata della Jordan, che per la
cronaca ho perso. Credo che questo punto sia da rivedere)
Punto
numero 4 – ottenere gli aiuti sulla Missione.
(
a quel punto iniziare la missione vera e propria)
Lineare e conciso. Infallibile. Il problema è
che sono ancora al punto numero uno, senza aver ottenuto nulla di
significativo, e sono passate già quasi ventiquattro ore.
Le
informazioni che ho ottenuto, grazie alle mie prove di comunicazione con questi
preistorici sono state..discutibili.
Il
più delle volte sono stata ignorata, cosa che potrei anche riuscire a
sopportare, in alcune sono stata trattata così in malo modo da non riuscire
quasi a trattenermi, per non parlare delle volte in cui mi si sono rivolte
parole di cui non conosco il significato, ma di cui potrei facilmente intuirlo. Credo di non essere mai stata
più vicino al passo di commettere il mio primo omicidio.
Lo
ammetto il mio piano non è a prova di bomba. Sono piuttosto demoralizzata.
Forse non hanno fatto la scelta migliore a mandare me. Osservo questo mondo a
me sconosciuto e non so come poter portare avanti la Missione. Queste persone
sembrano così uguali a me, che quasi credo di potermi confondere fra loro.
Andare dove mi porta la corrente per sempre, oppure, al contrario, sedermi qui
e non muovermi. Aspettare che una di queste automobili mi arrivi addosso.
Ricordo
quando mio padre mi diceva che dovevo essere forte. Di non sopravvivere alla
vita, ma di viverla. Ho basato tutto su questo principio e credevo di avercela
fatta: ero la prima del mio corso in storia e sono stata scelta tra tutti i
giovani per intraprendere la Missione. Tutti sanno chi è Isabella Marie Swan.
Ho sentito che alcune bambine più piccole mi prendono come esempio.
Ed
io credevo di esserlo davvero. Ma adesso non ne sono più così sicura.
Mi
fermo un secondo dai miei sproloqui mentali e metto a fuoco la scena che, quasi
inconsciamente, mi sono girata a guardare. Una donna piuttosto in carne sta
strillando tra questo ammasso di buoi, dietro alle automobili ferme. Da qui non
vedo bene quel che sta succedendo, ma alcuni passanti si sono fermati ed hanno
le creato una specie di cerchio intorno.
In
tutta sincerità non mi importa niente degli stupidi problemi degli uomini
preistorici, ho già i miei a cui pensare. Ma un particolare mi impedisce di
voltare la mia attenzione altrove: un tizio, piuttosto giovane direi, con
cappello e occhiali verdi cammina a passo veloce cercando di crearsi un valico
tra la gente, spesso si guarda indietro sospettoso. Ha proprio l’aria di essere
colpevole di qualcosa, e non è per niente bravo a mascherarla.
Lo
seguo con lo sguardo e vedo che si infila in un vicolo stretto e all’apparenza
deserto. Appena svoltato l’angolo, un altro ragazzo che era appoggiato al muro
li vicino lo segue. Quando ha alzato il viso l’ho riconosciuto. Era uno dei
ragazzi più grandi che ho messo al tappeto prima, infatti sfoggia un bel livido
sulla mascella.
Non
mi convincono. Proprio per niente.
Le
questioni dei preistorici non mi devono interessare. Devo concentrare le mie
energie sulla Missione.
Non
li seguirò.
· ∫ ∙
Ho
trovato un buon punto d’osservazione, così posso spiarli tranquillamente. Il
ragazzo più giovane ha una specie di zaino con una sola tracolla e la sta dando
a quello che stava appoggiato al muro. Non ho ben chiara la situazione, ma
sembrerebbe che sono piuttosto inclini al rubare la gente, e credo che abbiano
rubato a quella donna.
<<Non è un gran bottino, Tom >> dice
quello più alto << solamente qualche spicciolo >>. Il ragazzino sta
in silenzio, quasi intimorito. Deve essere un suo superiore. O comunque
qualcuno a cui non può rispondere a tono.
<<
Che ne dici, Mark? Secondo te possiamo accettarlo? >> continua quello. Da
un angolo scuro spunta una terza figura, che avanza con passo tranquillo.
<<
Io dico.. >> la sua voce è strana, come dire cristallina. Ha troncato di
botto la frase e da qui mi sembra di vederlo prendere un respiro profondo.
In
un attimo mi è accanto, faccio appena in tempo a mettermi dritta e a scansarmi
dalla sua traiettoria. Ma lui, velocissimo, riesce a riacciuffarmi subito.
È
un vampiro.
<<
Io dico che abbiamo compagnia. >> si china più vicino, tanto da sfiorarmi
i capelli << una compagnia con un bel profumino >>
La
sua vicinanza riesce a farmi uscire dall’impasse in cui ero caduta. Non avevo
mai visto un vampiro. Un vampiro non mi aveva mai toccata..
Gli
do velocemente un calcio alla ceca e mi dibatto per far in modo che mi lasci le
braccia. Riesco a liberarne una e immediatamente gli sferro un pugno sullo
stomaco. Ho usato tutta la mia forza, ma il vampiro arretra solo di qualche
passo, con sguardo sorpreso. Ne approfitto e corro a perdifiato verso il punto
da cui sono entrata nel vicolo, dove ci sono centinaia di persone tra cui
nascondersi.
Non
penso, corro soltanto, più veloce che posso, ma percepisco comunque il vampiro
dietro di me raggiungermi.
L’ultima
cosa che vedo è l’asfalto che si avvicina.
· ∫ ∙
Le scuse sono d’obbligo, quindi perdonatemi. Non è che non
ho l’ispirazione, è che i capitoli di passaggio sono sempre i più duri e Bella
si fa di quelle seghe mentali..
Comunque spero che
abbiate passato buone feste e che l’inizio dell’anno sia dei migliori. Io sono
felice di essere riuscita a pubblicare, anche se il capitolo non mi soddisfa.
Voi che ne dite? Se avete delle critiche le accetto volentieri.
Come avete visto ho
messo un piccolo riassunto degli scorsi capitoli, per facilitarvi a riprendere
il filo. Spero che sia stato utile.
Ringrazio chi ha
inserito MORTE tra le seguite, le preferite e le ricordate. Ringrazio inoltre Queen D e bedwper avermi lasciato una
recensione. ♥♥
Ringrazio anche chiunque
si fermi a leggere questo capitolo, questa storia. Significa molto per me.
Mi raccomando
aggiungetemi come amica su Facebooke iscrivetemi al mio nuovo gruppo, dove posterò spoiler e immagini
della storia e molto altro.
Il capitano Isabella Swan ha viaggiato nel tempo per
intraprendere una misteriosa missione denominata M.O.R.T.E., che, spera, potrà
salvare il futuro da cui proviene. Arrivata, ha perso la lettera che era una
chiave fondamentale dell’operazione. Per la prima volta è in superficie, in un
mondo di cui non conosce niente: automobili, semafori e metropoli sono solo parole
nei libri di storia per lei, ma il vero choc sono le centinaia di persone che
popolano il passato. Il mondo è ignaro di quel che si nasconde nei vicoli bui,
ma Bella ha già trovato quel che popola i suoi incubi: un vampiro.
M.O.R.T.E.
Missione Organizzata Respingi Tizi Esaltati
· ∙
Vampiro
Sento
il mio corpo che viene girato. Lo sento, ma è come se lo vedessi in modo
distaccato. Non ho percezione di quello che c’è intorno a me. Ma il mio istinto
mi dice che non sta succedendo niente di buono. Lotto contro me stessa per rivenire
a galla, e quando ci riesco è come se mi fossi tolta degli occhiali appannati
con cui sentivo tutto come un eco.
Sono
sdraiata, la guancia è schiacciata contro il freddo cemento, in
contrapposizione al liquido caldo che mi bagna il resto del viso. Il male alla
fronte. La presenza che incombe sopra di me. Niente che prometta bene, insomma.
<<
Cazzo fai, Mark! >>
Dopo
queste parole si sente il rumore di qualcosa che si scontra contro dei bidoni
di ferro.
Con
gli occhi mezzi socchiusi riesco a vedere che la figura sopra di me è il
vampiro. Avvicina le zanne alla zona del collo, sotto l’orecchio. Sento il suo
respiro pesante sulla pelle.
Ho
solo pochi secondi prima che mi morda.
Istintivamente
gli mollo un pugno. Un colpo non molto preciso che però ottiene il risultato di
fermarlo sorpreso per un paio di secondi. Giusto il tempo di prendere la
pistola che avevo infilato nei pantaloni, dietro alla schiena.
Il
metallo è una presenza rassicurante tra le mie dita, che mi fa rinsavire dalla
confusione e dalla velocità dell’azione. Il colpo parte diretto al petto del
vampiro: una luce gialla esce dalla canna e colpisce in pieno il cuore
dell’essere. So che sono stata precisa, nonostante non abbia preso la mira,
perché cade immediatamente all’indietro in un tonfo. Ho mirato dritto, anche se
fissavo i suoi occhi. Neri, un tutt’uno con le pupille. Spaventosi.
Non
credo di capire ciò che sta succedendo: mi sento le membra pesanti e l’unica
cosa che vorrei fare è sdraiarmi, ma appena chiudo gli occhi mi sento di nuovo il
suo schifoso fiato sul collo, nel punto in cui mi voleva mordere.
La
paura mi ha attanagliato le gambe. Giro la testa e il braccio, che impugna
ancora la pistola anti-vampiro, avanti e indietro, verso l’uscita e la fine del
vicolo. Sobbalzo ad ogni fruscio e alito di vento.
Dopo
un tempo imprecisato di puro terrore, le gambe cominciano a rispondere di nuovo
ai miei comandi. Mi alzo traballante, continuando a osservare ogni ombra e ogni
cavità dove la poca luce non riesce a schiarire la notte. La pistola sempre
puntata davanti a me.
Okay, Bella. Adesso devi darti una
calmata. Dico a me stessa. Prendo un respiro profondo e,
lentamente, abbasso l’arma. Il cuore continua a battermi forte nel petto, le
gambe tremano.
Devo
ragionare per priorità. La prima cosa è sbarazzarsi del corpo del vampiro.
Dalla
cavità più bassa nell’impugnatura della pistola estraggo una boccettina di
plastica contenente un liquido trasparente. Una formula chimica inventata nel
laboratorio dell’Arca. La svito e lascio cadere una piccola goccia sulla sua
guancia. La soluzione scivola ad arco sulla pelle fredda e morta, lasciando una
scia rossa sul percorso intrapreso. Sembra quasi che l’essere pianga sangue. Lo
stesso sangue di cui si è impossessato uccidendo umani innocenti.
Mi
allontano di un paio di passi, incuriosita da come quella singola goccia
incenerirà il corpo, ma sempre guardandomi furtivamente le spalle. Quando il
liquido è penetrato interamente, la pelle comincia velocemente ad arrossarsi,
fino a diventare rosso vivo in alcuni punti e nero carbone in altri. La
soluzione consuma ogni tessuto che incontra sulla sua strada, portando con se
anche gli indumenti che aveva indosso. Sembra di vedere un legno supersite di
un intenso focolare, ormai ridotto a brace.
Al
primo alito di vento si disintegra, lasciando solo cenere.
Al
secondo posto nella lista delle priorità, mi lampeggia la scritta: testimoni.
Solo
pochi secondi fa c’erano due ragazzi, il più giovane, quello con gli occhiali
verdi, è sparito. Mentre cammino ispezionando il perimetro, mi accorgo che il
vicolo non è chiuso come pensavo. Una stretta viuzza non illuminata, spunta
sulla sinistra. Probabilmente, quando ha visto che le cose si stavano mettendo
male è scappato di lì. Grazie alla mia vista sviluppata, vedo che il vicolo
sbocca in un altro più illuminato, e che entrambi sembrano vuoti.
Quindi
la mia attenzione è per il ragazzo sdraiato per terra contro dei barili di
ferro che emanano un odore ripugnante. Accucciata vicino a lui sento il suo
cuore battere, ma anche i suoi capelli pieni di sangue. Questo mi ricorda della
mia ferita alla fronte. Mentre l’adrenalina scivola via, il dolore si fa più
forte, ma non credo che sia una ferita grave. E comunque al momento non ho
tempo per preoccuparmene. Do qualche pacca sulle guance del ragazzo, ma questo
non sembra voler rinvenire.
È
già quasi buio ed io non ho concluso nulla, tranne essere attaccata da un
vampiro. Non ho altro tempo da perdere.
Esco
dal vicolo nella sera rischiarata dalle luci accese dei pali.
· ∫ ∙
Sono
arrivata, non so come, ad un oggetto sollevato da terra dove ci si può sedere. Somiglia,
infatti ad una sedia, ma è più lunga. Quando sono arrivata era piena di persone
che si sono alzate all’improvviso, ed io, allertata, mi sono fermata a
osservare.
Dopo
poco si è fermato una di quelle automobili enormi, e sono saliti tutti,
lasciando la panchina libera.
Esausta
mi sono seduta appoggiando la schiena alla struttura di plastica trasparente
che ripara l’oggetto. Quando è ripartito il mezzo, ha lasciato solo una signora,
che è venuta a sedersi accanto a me.
Mi
sono ritratta un po’, lasciando dello spazio tra di noi. Non saprei dire quanti
anni abbia, se l’avessi incontrata sull’Arca avrei detto che è vecchia, ma nel
passato il tenore di vita era più lungo.
<<
Sai mica se la Linea 21 è in ritardo, cara? >>
Mi
giro verso la fonte della voce e capisco che la signora sta proprio parlando
con me.
Non
ho mai parlato con qualcuno che non ho mai visto, se non consideriamo gli
episodi con i ladri e quando cercavo di capire in che città fossi, all’Arca ci
conosciamo tutti ed io non parlavo molto neanche con loro.
<<
Non lo so. >> dico pettinandomi frettolosamente i capelli davanti alla
fronte, per nascondere il sangue secco che avrò sicuramente.
<<
Spero di no, cara. Sai, ho fatto più tardi del previsto e non mi piace
viaggiare col buio, ma dovevo per forza rientrare. Mia madre mi ha proposto di
rimanere da lei a dormire, ma domani ho il lavoro e come farei ad arrivare a
Forks in tempo? Poi lei è una tale chiacchierona che mi farebbe…
>>
<<
Forks? >> la interrompo velocemente. Non ho capito molto bene il resto
del discorso, il dolore alle tempie è aumentato rendendomi quasi sorda, ma
quando ha pronunciato quel nome mi sono rinvenuta. Forks. È il nome della città
della missione, non quella dove si trova la casa bianca, ma quella dove sarei
dovuta andare dopo. Quella dove ci dovrebbero essere quei vampiri.
<<
Si, la conosci? È dove abito, sei di lì? Non credo di averti mai visto, ma sai,
vedo così tanti ragazzi tutti i giorni.. È una piccola cittadella non molto
lontana da qui. Vedi? >> Gira il busto indicando il pannello dietro le
nostre spalle. Non ci avevo fatto caso, è una cartina!
<<
Eccoci qui, Seattle. Prendendo la Linea 21 ci si arriva diretti, all’unica
fermata di Forks, davanti all’ospedale. Sai, anche se è solo di una piccola
città è molto rinomato, forse lo conosci? Casa mia fortunatamente è lì vicino,
così non devo camminare troppo al buio. Anche se comunque è una città sicura,
molto più di Seattle, di sicuro. Tu dove hai detto che devi andare? Non è
sicuro girare col buio. >>
Sento
la signora parlare e parlare ancora, ma i miei occhi sono ancora sulla cartina
a fissare la piccola scritta che dice Forks e quella della città dove, a quanto
pare mi trovo ora, Seattle.
Qualcosa
mi tocca la spalla, ed io trasalisco. Sono troppo
esausta per alzarmi, ma mi metto più dritta e scruto il buio che si fa più
vicino.
<<
Ho detto, dove devi andare? >> A parlare è stata la signora, ed anche a
toccarmi per reclamare la mia attenzione. Sono proprio esausta, non ho più la
percezione di quello che si trova intorno a me. La testa pulsa sempre più
forte. Mi sento pesante e vorrei solo sdraiarmi qui e dormire.
<<
Forks. >> ripeto. È l’unica cosa a cui riesco a pensare. Ci sono così
vicina..
<<
Cosa, vai a Forks? Allora possiamo fare la strada assieme, ci sediamo vicine
sul pullman, così mi puoi raccontare dove vivi e chi sono i tuoi genitori. Vai alla
Forks High School? Non ti ho mai notata, ma, scusami
se lo dico, i ragazzi di oggi hanno un po’ tutti la stessa faccia. Sai ieri è
venuto uno che…. >>
La
signora continua a parlare, ma io non la ascolto e lei sembra non
preoccuparsene. Mi sembra così strano, ma forse era normale nel passato parlare
con chiunque, anche se non lo conosci e non l’hai mai visto prima.
Sento
le forze che piano piano mi stanno abbandonando. Non svenire,
mi comando. Apro una cerniera esterna dello zaino e prendo un pezzo della
barretta energetica di cui mi hanno fornito all’Arca. Con tutto questo
trambusto mi sono anche dimenticata di mangiare.
Con
qualcosa sotto i denti, riesco a trovare la forza di alzarmi quando arriva il
nostro mezzo. La signora mi precede e, saliti i primi gradini, mi fa segno di
accomodarmi sulla sedia imbottita accanto a lei.
Mi
sento ancora confusa, per non parlare del dolore alla testa, e non riesco a
ragionare bene. Sento solo il borbottio confuso della signora che continua a
parlare, accanto a me.
Quando,
però ripenso al vampiro con cui mi sono battuta poco fa, solo pochi minuti fa,
qualcosa mi attanaglia lo stomaco. Un gran
ben venuto, Bella. Mi impongo di non pensarci.
Dopo
un tempo sorprendentemente breve, la signora si alza. Ed io la seguo di
riflesso.
Scendiamo
lentamente, io per poco non inciampo sui gradini. La testa mi scoppia e lei
continua a borbottare qualcosa, ma oramai non riesco neanche più a concentrarmi
sul comandare ai miei piedi di fare un passo davanti all’altro.
Credo
di essere caduta per terra. Chiudo gli occhi, o forse li ho già chiusi.
L’ultima
cosa che sento sono due mani inumanamente ghiacciate ai lati del mio viso. Un brivido
freddo mi percorre.
· ∫ ∙
Oggi mi sono obbligata a finire il capitolo e sono rimasta
tutto il giorno a scrivere solo per voi che mi avete scritto parole così belle
e mi seguite (spero) anche se ci metto eternità ad aggiornare.
A proposito di questo,
ditemi se preferireste leggere capitoli a metà, ma aggiornati più spesso, o va
bene così con i capitoli interi. Io prometto solennemente che mi impegnerò a
scrivere più spesso.
Oggi un enorme grazie
speciale a EdwardandBellaforeverper aver recensito lo
scorso capitolo. Mille grazie a chi mi ha aggiunto ai
preferiti/seguite/ricordate e anche a chi legge silenziosamente.
Avevo pensato di
pubblicare il capitolo ieri per la festa della donna, ma non sono riuscito a
finirlo. Comunque, vi auguro lo stesso tanti auguri, e spero che siate tutte
delle donne forti come la mia Bella di questa storia. Avete visto ha sconfitto
un vampiro?
Se volete mi potete
aggiungere come amica su Facebooke potete trovare il mio gruppo sulla storia.
Il capitano Isabella Swan ha viaggiato nel tempo per
intraprendere una misteriosa missione denominata M.O.R.T.E., che, spera, potrà
salvare il futuro da cui proviene. Per la prima volta è in superficie, in un
mondo di cui non conosce niente: automobili, semafori e metropoli sono solo
parole nei libri di storia per lei, ma il vero choc sono le centinaia di
persone che popolano il passato. Dopo aver incontrato inaspettatamente un
vampiro ed essere riuscita ad ucciderlo, scopre di essere a Seattle, vicino
alla cittadina Forks, il punto cruciale della sua operazione.
M.O.R.T.E.
Missione Organizzata Respingi Tizi Esaltati
· ∙
Risveglio
Lentamente
il sonno scivola via dal mio corpo e mi ritrovo pian piano cosciente di me
stessa. Per precauzione fingo di dormire ancora: mantengo il respiro regolare e
gli occhi chiusi, e mi concentro sugli altri sensi per capire dove mi trovo e
se c’è qualcuno con me.
Muovo
leggermente le gambe e le dita sulla trapunta fresca. Non indosso più gli
scarponi e la divisa, qualcuno deve avermi spogliato e fatto indossare questo
strano abito rigido.
Mi
irrigidisco al pensiero. Avevo agganciato la pistola ai pantaloni, di sicuro
devono averla trovata. Avranno controllato anche lo zaino. Forse sono in una
cella, verrà un soldato e mi interrogherà sulla mia identità e altre cose a cui
non potrò rispondere. Non mi faranno più uscire.
Le
mille e più ipotesi mi rimbalzano nella mente, ma, per adesso, l’unica cosa di
cui sono certa è che ora sono da sola, non ho percepito nessun respiro con il
mio udito sviluppato.
Apro
lentamente gli occhi e mi guardo in torno. Sono sdraiata in uno dei due letti
che occupano la stanza, c’è una porta in fondo sulla sinistra e un’unica
finestra vicino a me. È abbastanza ampia e in basso da poterla usare come via di
fuga, ma è coperta dall’esterno da una lamiera di metallo con vari forellini da
cui entrano spiragli di luce. Sembra cedevole e credo di poterla aprire facilmente,
quindi, a meno che le misure di sicurezza per i prigionieri lascino a
desiderare, probabilmente non è praticabile per scappare. Forse mi trovo a
diversi metri da terra.
Sul
comodino bianco c’è un bicchiere che contiene un liquido trasparente. Lo prendo
e lo annuso per capire cosa sia, ma sembra solo della banalissima acqua. La
bevo e rimetto il bicchiere dove l’ho trovato. Il liquido rischiara la mia gola
secca, non mi ero accorta di avere così tanta sete. Mi guardo in giro per
vedere se c’è altra acqua in giro.
La
stanza è completamente bianca, non lo avevo notato. Orribilmente bianca e asettica. I letti, gli scarsi mobili, il
pavimento, i muri e i soffitti sono completamente di questo colore. Forse era
una sorta di tortura psicologica del passato.
Sorpresa,
vedo l’unica macchia scura, dietro al mobile vicino al letto: il mio zaino.
Cosa ci fa qui, non l’hanno sequestrato?
Mi
alzo troppo velocemente ed un capogiro mi fa appoggiare alle sbarre bianche del
letto. Niente di preoccupante, dopo un paio di secondi è già passato. Mentre
sto aprendo la cerniera, un rumore di passi seguito dal cigolio della porta che
si apre mi fa scattare in piedi. Mi metto in posizione di attacco.
Se
non si aspettano che sono sveglia li portò cogliere di sorpresa ed atterrarli
prima ancora che possano capire quel che sta succedendo, con un po’ di fortuna
e le mie abilità da vampiro potrei riuscire a scappare prima che si rendano
conto di avermi decisamente sottovalutata. Avrebbero dovuto mettermi varie
guardie armate a sorvegliarmi o, almeno, incatenarmi al letto. Peggio per loro.
Mentre
sto perfezionando l’azione nella mia mente, quello che pensavo fosse un soldato
entra nella stanza. Sono così presa in contro piede che mi blocco e osservo la
figura, sorpresa. È una donna bassina e decisamente in sovrappeso vestita anche
lei di bianco. Ha due grandi occhiali e l’aria di chi non ha mai fatto
movimento fisico in vita sua. Il contrario di quello che mi aspettavo, direi.
Sono la prima a dire che non si debba giudicare il proprio avversario dalla
forma fisica, i miei compagni all’Arca l’hanno dovuto imparare a loro spese, ma
questa donna non potrebbe competere neanche con un cadetto iniziato di cinque anni.
Sono
così interdetta che mentre la donna si avvicina di qualche passo, non mi muovo
neanche.
<<
Cosa ci fai lì? Rimettiti sdraiata, cara. Il dottore dovrebbe arrivare a
momenti. >> dice << Ti ho portato dell’acqua, sono sicura che sarai
assetata. >>
Sono
ancora più confusa. È una trappola?
La
signora posa la bottiglietta sopra un mobile e un esatto secondo dopo qualcun
altro entra dalla porta.
Non
faccio in tempo a maledirmi per aver abbassato la guardia, che mi accorgo che
mi hanno messo nel sacco. Era davvero una trappola. Mi hanno distratto con la
donna e poi è arrivato il vero pericolo. Il vampiro.
Non
avevo calcolato che potevano essere questi
esseri a tenermi prigioniera, ora devo essere assolutamente più cauta.
E
meno male che nel passato i vampiri rimanevano nascosti e gli esseri umani non
ne incontravano mai uno. Due giorni che sono qui ed ecco un altro vampiro.
<<
Faccia sdraiare la signorina, signora Goll >>
dice l’essere. Continua a tenere lo
sguardo basso su dei fogli che ha in mano.
<<
Credo che dobbiamo farti alcune domande. >> continua questo, rivolto a
me.
Alza
lo sguardo e lo vedo per la prima volta negli occhi, ed è un’altra sorpresa. È
pallido, biondo e della solita bellezzavampiresca, ma i suoi occhi non sono
rossi né neri, ma marroni dorati.
Probabilmente
si accorge della mia postura, che automaticamente è passata da offensiva a
difensiva, e corruga le sopracciglia.
Muove
un mezzo passo verso di me ed io, parallelamente,mi schiaccio al muro. Sento i battiti
accelerati del mio cuore, i muscoli in tensione. Sono stata addestrata a combatterli, mi ripeto, ne hai già fatto fuori uno. Ma ripensare
all’episodio non è una buona idea. C’è anche mancato un pelo che ci rimanessi,
ieri.
Calmati.
Mi ripeto. Se mi muovo abbastanza velocemente potrei coglierlo di sorpresa e
riuscire a fuggire dalla porta.
Sempre
che non ce ne siano altri fuori.
<<
Stai tranquilla. Sono il dottor CarliseCullen, te come ti chiami? >>. Dice con voce
tranquilla e abominevolmente carezzevole.
Sto
quasi per partire all’attacco, ma mi blocco. Cullen? È possibile?
Quei
vampiri Cullen di Forks che avrei dovuto trovare?
<<
Sai dove ti trovi? >> continua il dottore.
Muovo
piano il capo. Non per rispondergli, ma per cercare di fare ordine nel mio caos
mentale. Ho davvero trovato un vampiro Cullen?
<<
Siamo al Fork’s Hospital Center. Ti ho trovato qui
davanti, ieri sera. Svenuta. La signora Pall, che era
con te, ha detto che non ti conosceva, di averti incontrata sull’autobus. Avevi
un leggero trauma cranico, quindi ti abbiamo ricoverata per una notte. >>
L’essere parla lentamente scandendo bene
le parole, con un mezzo sorriso dolce e sguardo rassicurante. È molto bravo a
tranquillizzare la gente, se non sapessi che è un vampiro, mi fiderei di lui e
di quello che dice. Ma sono stata preparata per sospettare di tutto e tutti,
figuriamoci di lui.
La
signora di prima mi si avvicina e mi tocca delicatamente la spalla. Io continuo
a scrutare il vampiro.
<<
Siediti, cara. >> dice la donna, accompagnandomi gentilmente verso il
letto.
Mi
siedo ma mantengo i piedi ben ancorati a terra, così da poter scappare più
agilmente in caso di bisogno.
Ho
trovato un vampiro Cullen, credo che la scelta
migliore sia prendere tempo e studiarlo. Devo assecondarlo per far si che possa
andare avanti la missione.
I
suoi strani occhi dorati sono ….gentili. Mi mettono i brividi.
Penso
a tutte le persone che non sanno della sua vera natura e vengono soggiogati dal
suo aspetto rassicurante.
<<
Come ti chiami? >> chiede il vampiro. Il suo sorriso rassicurante mi
confonde. Perché ha gli occhi dorati invece che rossi? E perché non sembra per
nulla turbato dalla vicinanza di umani? Forse ha mangiato di recente. Ma questo
non spiega perché non cerchi di mangiarmi me.
Ricordo bene uno degli effetti collaterali del siero per la forza vampiresca,
il mio sangue è diventato molto più appetibile.
<<
Come ti chiami? >> ripete.
Come
mi devo comportare? Pensavo di avere più tempo per mettere a punto un piano.
<<
Isabella Swan >> rispondo. A quanto ne so era un nome comune anche nel
passato, ma l’essere aggrotta i suoi strani occhi.
Spero
di non aver già combinato un pasticcio.
<<
Ora ti devo visitare, Isabella >> e si avvicina ulteriormente a me
allungando una mano.
Velocemente
scavalco il letto e rimango tesa dall’altro lato. Tra me e il vampiro c’è solo
il misero riparo del letto.
Anche
se sembra gentile e innocuo, so bene che in realtà non lo è. Non voglio che si
avvicini ulteriormente.
<<
Stai tranquilla, Isabella. Sono un dottore, ti devo fare solo un controllo.
>> dice, distendendo le braccia in atteggiamento rassicurante.
Un
dottore? Lui, un vampiro?
Abbiamo
la stessa concezione della parola?
La
donna si avvicina e mi porta delicatamente sul letto. Di lei non ho di certo
paura, ma non posso fidarmi di un succhiasangue.
<<
Dove siamo? >> chiedo con voce sussurrata, anche se vorrei farmi valere e
metterlo al tappeto. Il mio grande vantaggio è che sembro debole, anche se non
lo sono, devo continuare a fargli credere che sia così, per poterlo prendere di
sorpresa.
<<
In ospedale, cara. >> mi risponde la donna. << Fatti visitare e poi
risponderemo alle tue domande. Anche noi ne abbiamo da farti.>>
Sposto
lo sguardo sul dottore-succhiasangue. Si avvicina
lentamente come se avesse davanti un coniglietto impaurito, studiando le mie
reazioni. Cerco di rimanere più immobile possibile e, quando mi tocca il polso,
devo costringermi a non saltare in piedi e spingerlo via.
Mi
accorgo che anche lui trattiene il respiro e che poi, mentre fa i controlli di
base, in piccole sorsate, ricomincia ad inspirare ed espirare lentamente. Lo fa
senza dare nell’occhio, ma io che lo sto controllando attentamente lo noto.
Alla
fine ricomincia a respirare normalmente.
Si
è messo alla prova con brevi respiri per tastare la situazione, allora anche su
di lui fa effetto il mio sangue più invitante. Presumo che essendo un dottore,
nell’ipotesi che mi abbia detto la verità, abbia spesso a che fare con il
sangue e che quindi riesca a controllarsi bene. Ma questo è più che bene, non
mi ha mai dato l’impressione che fosse sul punto di avventarsi addosso a me.
<<
Bene, tutto a posto. >> dice sorridendo e facendo fermare le mie
congetture mentali. << Ora, non ti abbiamo trovato documenti addosso o
nello zaino, quindi devo sapere la tua data e luogo di nascita e la residenza.
>> dice, prendendo in mano i fogli di prima.
È
arrivato il momento di decidere come andrà avanti la cosa, come procedere affinché
la Missione possa avere successo.
Inutile
dire che il piano che avevo progettato prima di partire è impraticabile, quindi
le nuove opzioni sono:
A
– Stendere il vampiro, prendere lo zaino e uscire da quella porta. Quello che
incontrerò è un mistero, ma l’ipotesi più verosimile è un orda di vampiri.
Questa
opzione vede una mia probabile morte all’ 85% , circa.
B
– Raccontargli tutta la verità. Dire che sono nata nel 2069 all’Arca, un luogo
sotterraneo nei locali della vecchia metropolitana.
Questa
opzione distruggerebbe in tronco il senso della Missione.
C
– Opzione non rinvenuta.
Ma
ci deve essere un’opzione c. Le altre sono impossibili da attuare.
Quel
Cullen
continua a guardarmi con quei suoi occhi dorati. Aspetta la mia risposta. Abbasso
lo sguardo devo fare, inventarmi una falsa identità? Non credo che sarei capace
di fornire dettagli precisi e veritieri, mi scoprirebbe subito.
<<
Io…non.. >> non so neanche io cosa voglio dire.
Mi servirebbe solo una scusa per prendere tempo..
<<
Non ti ricordi? >> chiede gentilmente il dottore-succhiasangue.
Non
mi ricordo, cosa? La domanda? Mi crede scema?
Stringo
forte le labbra per trattenere le parole. Quel lurido coso, feccia della natura, come si permette..
<<
Forse la botta ha intaccato in qualche modo la sua memoria. Dimmi cosa riesci a
ricordare. Ricordi perché sei qui e da dove vieni? Il nome dei tuoi genitori?
>> continua lui.
Mi
tasta gentilmente il capo. Le sue mani fredde mi fanno irrigidire.
<<
Stai tranquilla, probabilmente è un’amnesia temporanea. Succede, a volte. Ricorderai
tutto presto. >> conclude.
Sono
basita. Il vampiro non mi poteva suggerire una soluzione migliore. Sarà tutto
più semplice se affermo di non ricordare niente.
<<
Io..io, non ricordo..>> balbetto affannata. Sono una brava bugiarda e
tutti mi crederanno. Sorrido, ma solo nella mia mente.
La
Missione non è compromessa.
· ∫ ∙
Ci sono, in super ritardo anche rispetto ai miei soliti
ritardi, ma ci sono. Vogliate perdonarmi.
Da qui in poi inizia la
vera storia e inizieremo a vedere i personaggi originali di Twilight, ansi, Carlile è già entrato in scena.
Bella farà finta di non
ricordare niente e cercherà di mandare avanti la Missione MORTE, all’insaputa
dei vampiri di turno.
Spero che il capitolo vi
sia piaciuto, lasciate una recensione per commentarlo o per segnalarmi delle
sviste.
Mille grazie a chi mi ha
aggiunto MORTE ai preferiti/seguite/ricordate e a chi legge silenziosamente.
Un saluto particolare a Crepuscolina13 per aver recensito lo scorso capitolo.
Se volete mi potete
aggiungere come amica su Facebooke potete trovare il mio gruppo sulla storia.