You can ALWAYS count on me. FOREVER

di moni_cst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo1 ***






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Capitolo 1

 

Castle camminava avanti e indietro nella sala relax del distretto. Aveva in mano una tazza di caffè fumante e continuava ad osservarla. Una fitta allo stomaco gli tolse il respiro e per un istante il suo cuore batté in modo irregolare. Da quando aveva iniziato a frequentare Beckett il suo consumo di caffeina giornaliero era aumentato a dismisura e il suo dottore gli aveva consigliato di ridurre il numero delle tazze quotidiane. Nel checkup annuale, che da qualche anno aveva iniziato a fare, le analisi avevano evidenziato valori sopra la norma e il medico gli aveva suggerito di fare una gastroscopia a cui non aveva la minima intenzione di sottoporsi. Però quel bruciore di stomaco stava aumentando sempre di più e poi lui ne era sicuro: non c’entrava il caffè, la colpa era sicuramente di Henry Morgan, il medico legale dell’11° distretto della Polizia di New York.

 

Il dottor Morgan era una persona affascinante e, da quando Castle lo aveva incontrato, il suo interesse per lui era salito ogni giorno di più. Sembrava che vivesse fuori dal tempo in una dimensione tutta sua. I suoi vestiti erano di rara fattura e eleganza antica, con quel panciotto sempre perfettamente abbinato al completo.

Non indossava niente al polso ma controllava l’ora in un orologio da taschino con un gesto che, ogni volta, lo sorprendeva per la sua innata disinvoltura.

Inoltre, poche persone erano capaci di calamitare la sua attenzione come faceva lui quando iniziava a parlare. Aveva una capacità intuitiva fuori dal comune e sembrava conoscere molto bene ogni oggetto legato al passato, il che era piuttosto normale per una persona che vive nel seminterrato del più fornito e rinomato negozio di antiquariato di tutta New York. Probabilmente ne era anche il proprietario insieme al suo socio, un uomo anziano che gestiva personalmente gli affari. Ma per Castle, la cosa più affascinante di tutte era la profonda conoscenza che dimostrava avere per la storia anche nei dettagli più insignificanti, di quelli che davvero non si studiano a scuola. Conoscenza che aveva permesso di risolvere brillantemente il caso in cui erano stati recentemente coinvolti insieme per una collaborazione voluta fortemente dal capitano Gates.

Quando Beckett era stata convocata nell’ufficio della Gates, circa un mese prima, non si aspettava davvero che avesse due cose così insolite da comunicarle.

La prima l’aveva resa davvero felice: il periodo di ostracismo di Castle dal distretto sarebbe terminato quel giorno stesso, sempre se il signor Castle avesse avuto voglia di smettere a giocare a fare lo Sherlock Holmes, tanto per citare le testuali parole del capitano. Il procuratore le aveva telefonato quella stessa mattina dicendo che, viste le circostanze, visto l’importante servizio reso fino a quel momento e viste le altolocate conoscenze…. In realtà la Gates aveva confidato a Beckett che il sabato precedente era stata invitata a cena dal capo della Polizia e da sua moglie e che, in quella occasione, aveva avuto modo di fare un po’ di pressioni sull’importanza del reintegro di Castle, fosse solo per il cospicuo assegno che ogni anno Richard Castle staccava in occasione della Festa della Polizia in favore della Fondazione dei Familiari degli Agenti Caduti in Servizio.

La seconda notizia che Beckett si sentì comunicare era di certo non meno inaspettata e insolita. C’era stato un omicidio nella 25th Avenue proprio al confine tra l’11° e il 12° distretto. L’omicidio era di competenza dell’11° ma la Gates chiese a Beckett di mettersi in contatto con la detective Martinez della Omicidi dell’11° in quello stesso pomeriggio.  La vittima era il rampollo della famiglia Duncan, proprietaria della Duncan & Co., la maggior ditta import export di Newark, nonché cugino del marito della Gates. Il capitano voleva avere informazioni di prima mano, così aveva chiesto al tenente Reece, il diretto superiore della Martinez, di accettare nella sua squadra il detective Beckett. Reece non era sembrata entusiasta della cosa ma, avendo grado inferiore, non aveva potuto che accettare, suo malgrado.

 

Castle si portò lentamente la tazza alla bocca fermandosi un istante per assaporare l’aroma sprigionato dalla tostatura del caffè. Il vapore caldo lo indusse a chiudere gli occhi ed è proprio così che lo trovò qualche istante dopo la detective Beckett, appoggiato al bancone con un fianco e con le palpebre chiuse,

“Rick!” lo chiamò sottovoce ma lui non rispose.

“Rick!” riprovò più decisa avvicinandosi.

“Ehy”

“Che fai? Ti addormenti in sala relax?” chiese Kate strizzandogli un occhio “ così la Gates si pentirà di averti fatto tornare.

“Non sia mai!” scherzò lo scrittore“ stavo solo assaporando questo caffè prima con l’olfatto e poi…”

“…poi volevi venirmelo a portare. Grazie, sei un tesoro!” prese dalle sua mani il caffè e iniziò a berlo allontanandosi velocemente. Beckett sperava che lui non si accorgesse che quello era solo uno stratagemma per impedirgli di ingurgitare l’ennesima dose di caffeina.

Ma non funzionò.

“Kate! Il mio caffè!” provò a reclamare.

Sua moglie fece finta di non sentire e si diresse a passo svelto verso la sua scrivania.

“Kate! Non ti ci mettere pure tu! Non c’entra niente il caffè con le analisi. “

“Ah no?”

“No!”

“Bene!” si allungò dall’altro lato della scrivania e facendo scorrere il filo dietro il monitor del computer poggiò il telefono dalla parte di Castle “Allora chiama il St. Luke Hospital e prenota la gastroscopia” lo esortò.

Si stava comportando come un bambino e rifiutava di fare gli accertamenti dicendo che non ne aveva bisogno, ma la realtà era che suo marito stava affrontando per la prima volta un problema diverso da un raffreddore e non lo accettava.

Castle si alzò stizzito.

“Sto bene. PUNTO.”

“Allora perché sono notti che non dormi per il mal di stomaco?”

“Non dormo perché anche mia moglie non mi crede. E questo mi offende nel profondo” disse portandosi le mani al cuore con una melodrammaticità che avrebbe reso orgogliosa sua madre.

“Non mi dire che stai ancora farneticando sul Dr. Morgan” chiese spazientita Kate mentre rimetteva il telefono al suo posto.

“Non sto farneticando, sto dicendo che quell’uomo non è normale, non è.. non è… umano” disse seccato.

Kate si alzò dalla sedia, gli prese la mano e con lo sguardo lo invitò a risedersi. Poi prese un bel respiro come a controllare la sua pazienza o a cercare le parole giuste

“Rick, sai come la penso, ne parliamo da un mese. Mi piace da morire, ormai lo posso ammettere senza problemi, quando fai strane teorie sugli alieni o sull’esistenza degli zombie ma questa volta non ti seguo. Il dottor Morgan è sicuramente una persona molto particolare…”

“Tanto particolare…” la interruppe Castle.

“Ok, tanto particolare quanto intelligente ma da qui a cred…”

“Non a credere, Kate. Henry Morgan non è umano!”

Kate sbuffò spazientita roteando gli occhi al cielo.

“Kate, un uomo che non conosce la saga di Stars Wars non è normale. Dimmi quello che ti pare!”

“Rick, non mi offendo se decidi di scrivere un romanzo su di lui o se vuoi far avere a Nikki Heat una storia con un personaggio ispirato a lui…” chinò la testa aspettando la sua certa reazione.

“E Rook? Tradiresti Rook? E’ così?” la conversazione era salita di tono e Beckett fece cenno a Castle di stare tranquillo che stavano iniziando ad attirare l’attenzione.

La donna prese di nuovo un respiro e lisciò con le mani la copertina del fascicolo che aveva davanti.

“Scherzavo, Castle. Scherzavo. Ok?” Rispose mentre con la coda dell’occhio cercava di controllare che la loro conversazione privata rimanesse tale, anche se erano nell’open space.

“Ci sono! Ti piacerebbe provare l’ebbrezza di essere sedotta da un uomo immortale!”

Beckett lo guardò a lungo a bocca aperta. Poi socchiuse gli occhi come per inquadrarlo meglio e iniziò a parlare lentamente.

“Primo: non esistono Highlander perché di Sean Connery e Christopher Lambert non se ne trovano in giro poi molti… poi…” con la mano gli fece cenno di stare zitto visto che aveva ricominciato ad agitarsi “… Secondo: se una persona è brillante e riesce a calamitare l’attenzione di tutti quando parla, se molti rimangono affascinati dal suo carisma non significa che non sia normale. E soprattutto vorrei sapere dove ti è uscita fuori questa idea dell’immortalità. E’ di certo un uomo fuori dal comune, molto interessante, ma stop. Basta. Solo questo.”

Castle scosse la testa e se ne andò sconsolato verso al sala relax biascicando qualche parola incomprensibile tra sé e sé.

La detective Beckett si guardò intorno.

Le veneziane dell’ufficio della Gates erano chiuse da quando il capitano era arrivato questa mattina. Evidentemente non voleva essere disturbata. Si allungò per vedere se Ryan ed Esposito si erano accorti della scenetta di poco prima ma entrambi sembravano assorti nel loro lavoro. Ryan era intento a fare un controllo sul centro documentale delle persone scomparse, forse per trovare una corrispondenza con il corpo senza vita di una giovane donna ritrovato la notte precedente. Esposito stava lavorando alla stesura di un verbale. La detective guardò in sequenza prima il fascicolo che teneva in mano e poi Castle che dentro la sala relax si stava preparando un nuovo caffè con aria torva e accigliata. Doveva decidere se finire di firmare i documenti che Ryan ed Espo gli avevano lasciato sulla scrivania o se rimandare e affrontare Castle. Di questo passo si sarebbe ammalato sul serio.

Fissò a lungo le scartoffie indecisa sul da farsi poi prese il cellulare e cominciò a digitare un sms.

Adoro le tue teorie ma questa è assurda. Fammi togliere di mezzo le scartoffie e ce ne andiamo a casa dove ti prometto che ti ascolterò finché non mi convinci, con parole o altro ;-)

Beckett guardò verso la veneziane aperte della sala ristoro e vide Castle prendere in mano l’Iphone e leggere il messaggio. Lo scrittore si girò verso di lei e mimò un bacio nella sua direzione.

Mentre teneva la testa china a siglare ogni singolo dannato foglio del fascicolo, la parte che più odiava del suo lavoro, sentì il tono d’avviso di una nuova mail.

Non poté non sorridere apertamente nonostante il luogo dove si trovava. Alzò la testa in direzione di Rick e lo cercò con lo sguardo ma di lui nessuna traccia. Già aveva spiccato il volo. Rilesse piano la mail e pensò a quanto era fortunata ad aver sposato quell’uomo che rendeva la sua vita speciale ogni giorno.

 

Angolo di Monica:

La settima stagione di Castle è quasi alla fine e così la prima sorprendente stagione di Forever. In attesa di sapere se l’anno prossimo potremo dilettarci ancora guardando nuove puntate (cosa probabile per Castle ma ahimè molto improbabile per Forever) ho iniziato a pensare che Castle di fronte ad un uomo come Henry Morgan sarebbe andato in un “brodo di giuggiole”. Insomma chi se non uno come Castle in fondo potrebbe capire e credere alla particolarità della vita del Dottor Morgan?

Spero che questa storia vi piaccia e che abbiate intenzione di accompagnarmi in questa avventura.

Ringrazio tantissimo la mia red pen friend che come sempre mi è vicina durante la stesura delle mie storie – e davvero non solo *___* - e ringrazio Rebecca e Diletta che hanno letto in anteprima assicurandomi che non stavo andando OOC nella descrizione dei personaggi di Forever, di cui per la prima volta mi accingo a scrivere.

E un grazie sincero a chiunque vorrà leggere questa storia, magari facendomi sapere anche che ne pensa.

Un abbraccio

Monica

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Capitolo 2
*** Capitolo2 ***






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Capitolo 2

 

Il detective Beckett era ancora alla sua scrivania in un distretto ormai quasi deserto. Voleva terminare l’incartamento del caso Duncan così da lasciarlo nell’ufficio della Gates e potersi prendere l’indomani come il primo dei giorni di recupero che le spettavano. Aveva lavorato un paio di domeniche per quel caso e, da quando le finanze della Polizia non erano più rosee, avevano sostituito gli straordinari con giorni di permesso, una sorta di banca ad ore a cui attingere. Beckett sorrise tra sé e sé mentre siglava l’ultimo foglio del fascicolo: qualche anno prima avrebbe preso malissimo quella nuova direttiva sul contenimento costi perché la sua vita era il lavoro, invece quando si era ritrovata nella Posta in Entrata la mail con il link al comunicato dei sindacati, pubblicato nella intranet del Dipartimento di Polizia, aveva accolto la notizia con gioia, pensando di avere così più tempo libero per lei e per Rick.

Chiuse il fascicolo e lasciò ricadere la schiena all’indietro appoggiandosi completamente allo schienale. Aveva gli occhi affaticati e le spalle indolenzite per le troppe ore passate davanti al monitor. Cominciò a chiudere le applicazioni aperte per fare lo shut down del computer, quando pensò che forse Lanie avrebbe potuto aiutarla.

Mentre si stava sistemando per uscire, mettendo in borsa le chiavi della cassettiera, prese il cellulare e la chiamò.

“Parish” rispose la dottoressa al  primo squillo.

“Ciao Lanie, sono Kate, sei ancora al lavoro?”

“No, sono in metropolitana, sto tornando a casa. Kate ma lo sai quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo sentite? Possibile che se non lavoriamo sullo stesso cadavere, non riusciamo a vederci?” rispose un po’ contrariata. Guardò fisso negli occhi la signora anziana seduta davanti a lei che, avendo sentito evidentemente la sua ultima frase, era rimasta con la bocca aperta e aveva stretto la borsetta al grembo come se potesse essere una ladra assassina.

Kate si ritrovò a riflettere che, in effetti, da quando aveva iniziato a lavorare sul caso Duncan insieme alla detective Martinez e al dr. Morgan, non aveva più visto Lanie. Imperdonabile da parte sua, soprattutto sapendo che l’amica stava di nuovo passando un periodo di burrasca con Esposito.

“Lanie, hai ragione. Dobbiamo rimediare al più presto con uno dei nostri girls night out.”

“Già va meglio. Volevi dirmi qualcosa?”

“Sì. Per caso conosci il dr. Morgan, medico legale dell’11° distretto?” chiese.

“Non di persona. So che è arrivato in città un paio di anni fa. Hai lavorato con lui questo mese?” si informò la dottoressa.

“Sì. Per questo ti chiedevo se lo conoscevi”.

“Non mi dire che ti sei trovata meglio con lui perché so essere vendicativa, Kate Beckett” la minacciò Lanie scherzosamente.

“No tranquilla, Lanie“ disse scuotendo la testa Kate “sei sempre tu la mia apricadavere preferita. Però il dr. Morgan è un uomo affascinante e brillante, senza dubbio, e per questo volevo sapere se avevi informazioni su di lui.”

“Cos’è? La vecchia Beckett è ricomparsa e vuole buttarsi in una torbida relazione extraconiugale? Presentalo a me, babe, piuttosto” ridacchiò prendendo in giro l’amica sapendo bene quanto quello era finalmente per Castle e Beckett un momento di tranquillità nella loro storia costellata da tanti situazioni  difficili.

Un fastidioso stridore improvviso indusse Beckett ad allontanare il telefono dall’orecchio.

“Cos’è stato?” chiese.

“Solo una frenata un po’ brusca del treno…”

“Ah.. ok.  Non sono in cerca di nessuna torbida…lascia perdere… e comunque il dottor Morgan non è il tuo tipo! Senti Lanie, non è che potresti prendere qualche informazione su di lui da qualche collega, così… notizie in generale”

Il silenzio che ne seguì fece pensare a Beckett che fosse caduta la linea.

“Pronto? Ci sei?”

“Si, Kate, sono qui… Posso dirti che la tua richiesta è strana? Aspetta un attimo che è la mia fermata, devo scendere…” Si sentì nuovamente uno stridio di freni,  anche se meno forte di quello di prima e Lanie che scambiava un saluto con un passeggero.

“Allora Kate, dicevamo… ah sì, tu che sei una detective, chiedi a me, anatomopatologa, di cercare informazioni su una persona. Viva, per giunta!”

“Mi servono notizie dall’ambiente di lavoro. Abitudini, comportamenti strani, anni di servizio… cose così. Lo farai per me?”

“Certo che lo farò ma ovviamente poi devo sapere tutto!”

“Lanie, grazie. E non ti fare strane idee, la ricerca è per Castle non per me.”

“Castle?”

“Sì. Lo devo salvare dalla pazzia.” disse con enfasi, meravigliandosi però di non crederlo assolutamente folle nonostante le sue tante strane teorie. Ormai spesso era stata smentita e sebbene quella sembrava essere una delle elucubrazioni più strambe che Castle avesse mai fatto, era suo compito trovare una spiegazione razionale e plausibile per le stranezze di cui parlava Rick. In fondo era da quando lo conosceva che non aveva fatto altro, prima come sua partner e poi ora glielo doveva anche come sua moglie. “E’ convinto che quell’uomo sia… “ proseguì abbassando la voce “…inumano, per non usare la parola che usa lui che mi innervosisco solo a pronunciarla”

“Meglio non chiedere oltre. Mi informo e ti chiamo. Ma ricordati…ad una condizione: voglio sapere tutto. Ah Kate… com’è?”

“Chi? Il dottor Morgan?”

“Sì”.

“Te l’ho detto, Lanie, Henry Morgan è bello, Lanie. Davvero molto bello. Ha anche una voce profonda e sexy”

“Interessante…Kate. Sembra che il suo fascino non ti sia passato inosservato…Magari posso uscirci per verificare di persona queste stranezze…”

“Il fatto che io sia innamorata di Castle non significa che sono diventata cieca e sorda. Comunque dai retta a me. E’ bello ma non è il tuo tipo, ne sono sicura. Oltre al fatto che secondo me è cotto della detective con cui lavora… anche se mi sa che non se n’è ancora reso conto.”

“Ahahahaha Se lo dici tu, sarà sicuramente vero. Sei stata una grande esperta in materia. Ciao Kate. Ti chiamo quando ho notizie e ricordati che mi devi un’uscita”

“Sicuro. A presto, Lanie”.

 

Durante la conversazione con la dottoressa Parish, Kate era salita in macchina, aveva inserito il viva voce ed era ormai quasi arrivata a casa. Decise di fare un’altra chiamata.

“Esposito”

“Ciao Espo. Sono Kate. Sei in servizio domani?” chiese la donna mentre con gli occhi diede una rapida scorsa allo specchietto retrovisore.

“Sono in servizio anche stanotte, ho fatto il cambio turno con Johnson che ha la moglie con l’influenza… l’ho inserito nello Shifts Calendar… non ti è arrivata la notifica per l’approvazione?” chiese agitato pensando di aver dato per scontato la risposta positiva .

“No, o non ci ho fatto caso. Meglio così. Potresti farmi un favore?”

“Certo”

“Espo… una cosa che deve rimanere tra noi…”

“Capito”

“Mi fai una ricerca su Henry Morgan, per favore?”

“Chi? Non è il medico legale con cui tu e Castle avete lavorato al caso Duncan?” domandò abbastanza stupito della richiesta.

“Sì… e non chiedermi altro… ma se puoi farmi un controllo al volo, te ne sarei grata”

“Contaci! Ti chiamo quando so qualcosa. Ciao.”

Kate chiuse la comunicazione e si meravigliò con se stessa per tutta l’importanza che stava dando alle fantasie di Castle. Ma che l’avesse cambiata nel profondo?

 

Entrando in casa fu accolta da Love is stronger than pride, la canzone di Sade che Rick metteva in ripetizione continua quando voleva creare un’atmosfera particolare. Le aveva sempre detto che il testo gli faceva pensare un po’ alla loro storia d’amore e comunque era innegabile che creava un clima davvero romantico e un sottofondo musicale perfetto per certe occasioni.

Un effluvio di aromi provenienti dalla cucina la suggerirono che in forno c’era un arrosto. Le luci erano spente e l’ambiente era rischiarato solamente dalle calde fiamme del caminetto e dalle candele accese sul tavolo imbandito come nelle grandi occasioni. D’istinto prese in mano il cellulare per controllare la data e l’agenda. Di certo non poteva essersi dimenticata di una loro ricorrenza  ma voleva essere certa di non aver trascurato una delle date importanti per Rick, come il giorno in cui era stato pubblicato il primo libro di Derrick Storm o il giorno in cui aveva dato inizio alla saga di Nikki Heat.

Niente.

“Rick” provò a chiamare ma non ebbe risposta.

Appese la giacca nel guardaroba dell’ingresso e si diresse verso lo studio.

Tutto era spento e di lui nessuna traccia.

“Rick?” provò ancora.

Entrando in camera da letto sentì l’acqua della doccia che scorreva in bagno.

Si avvicinò piano alla porta e ma si fermò con la mano sulla maniglia. Girò su se stessa e iniziò velocemente a spogliarsi per fargli una sorpresa: era evidente che ancora non l’aspettava. Quando aprì piano la porta lo sentì canticchiare e immediatamente fu invasa da quel senso di beatitudine e serenità che provava da quando era diventata sua moglie e sembrava che il destino avverso avesse deciso per il momento di lasciarli in pace.

Rick aveva azionato tutte le bocchette dell’idromassaggio incorporato alla doccia e quindi non avrebbe sentito dietro di lui la porta scorrevole che si era aperta se non fosse stato per l’aria fresca che improvvisamente lo aveva investito. Non fece neanche in tempo a girarsi che Kate lo aveva cinto da dietro posandogli le labbra sulla base del collo.

Castle si appoggiò leggermente con tutto il corpo alla sua musa mentre un sospiro di soddisfazione gli sfuggì dalle labbra.

“Ehy”

“Ehy” fu la risposta di Kate mentre gli accarezzava con le labbra tutte le spalle.

“Tu-Sai-Rendere-Un-Uomo-Felice. Ti aspettavo più tardi”

“Ho immaginato” mugugnò mentre continuava il suo percorso esplorativo “Cosa si festeggia?” chiese sussurrando appena.

“Nulla….”

“Mi aspettavo di essere sommersa dalle parole…”

“Parole?”

“Pensavo che mi avresti inebriato con la tua dialettica fino allo stordimento pur di convincermi che Henry Morgan è un immortale…”

“Hai detto che ti potevo convincere con parole e altro… “ disse girandosi “…e io ho scelto altro” sussurrò impadronendosi della sua bocca.

 

Angolo di Monica:

La detective Beckett ha iniziato ad indagare sul conto del dottor Morgan mentre si apprestava ad essere sommersa dalle parole di Castle e invece …

Ringrazio chi sta leggendo questa storia e soprattutto chi l’ha messa nelle preferite e chi nelle seguite e un ringraziamento particolare a chi ha perso cinque minuti del suo tempo per lasciare una piccola recensione.

Inoltre, come ho scritto in risposta ad alcune di voi che me lo hanno chiesto, il titolo che contiene due parole così importanti per la serie di Castle e di Forever, è frutto della fantasia creativa della mia amica, co-autrice di altre storie e compagna di avventure, germangirl. Debora, grazie ancora.

Al prossimo.

Monica

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***






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Capitolo 3

 

 

Il vapore caldo dell’acqua della doccia aveva offuscato lo specchio e bagnato tutte le piastrelle del bagno. Kate prese il phon nel mobile sotto il lavandino e diresse il getto di aria contro la superficie riflettente finché non apparve una parte sempre più grande della sua immagina riflessa. Nel lavandino gemello Rick stava facendosi la barba alla cieca così spostandosi leggermente pulì nello stesso modo anche l’altra porzione di vetro rimasta ancora appannata.

La donna iniziò a spazzolarsi i capelli con una gestualità ritmica, quella di un gesto ripetuto milioni di volte, sempre uguale e con cadenza regolare. Rick la osservava divertito con la coda dell’occhio. Le piaceva vedere sua moglie che si prendeva cura di sé e trovava molto intimo e piacevole il tempo che dividevano in bagno, ognuno intento nelle proprie faccende.

“Allora Kate, non mi hai ancora detto se stanotte sono riuscito a convincerti su Henry Morgan” chiese rivolto verso di lei mentre controllava di sbieco lo specchio attento a non tagliarsi.

“Non mi sembra che la tua dialettica si sia sforzata molto” lo provocò.

“No, ma te l’ho detto che ti avrei convinto con altro” disse posando il rasoio sul lavello e spostandosi verso di lei. La strinse a sé cingendola con un solo braccio, attento a non sporcarle i capelli con la schiuma da barba che aveva in viso e su una delle mani. “E non mi dire che non hai gradito le mie… attenzioni” concluse pavoneggiandosi.

“In effetti avresti potuto dare di più” rispose Kate non riuscendo neanche per un secondo a mantenere l’espressione seria.

Era mattina e lei non doveva andare al distretto, aveva un giorno libero. Si sentiva felice e spensierata e aveva voglia di leggerezza, aveva voglia di giocare.

Queste erano le giornate che preferiva.

Si alzavano con calma, godevano della propria compagnia anche durante le fasi di preparazione alla giornata, quelle che di solito si fanno in fretta e furia perché altrimenti si fa tardi. Condividevano tante cose: prima un risveglio lento e tranquillo, poi il bagno e le attività connesse e poi si dedicavano ad una ricca colazione. Da quando si erano sposati stavano vivendo un momento molto focoso e passionale, dopo un periodo difficile in cui la distanza prima fisica e poi mentale non li aveva di certo aiutati a cacciare nefasti pensieri per vivere al meglio la loro intimità. Era sicura che quella mattina sarebbero tornati di nuovo a letto e che avrebbero fatto l’amore, ancora non sazi della splendida serata che avevano trascorso. Più lo facevano e più ne avevano voglia come in una spirale infinita di desiderio. Essendo giorno feriale, Alexis era già a lezione e Martha alle prove del nuovo spettacolo di cui era la protagonista, quindi non c’era nessun ostacolo a quel programma.

“Dare di più? Kate mi offendi!” rispose Rick un po’ risentito non avendo compreso le intenzioni canzonatorie della moglie che prese un po’ di schiuma da barba con un dito e gliela mise sul naso. Gli regalò uno splendido luminoso sorriso, poi passò la mano sulla sua bocca per togliere almeno un po’ di quella bianca spuma e lo baciò. Quando si staccarono Kate cercò di rassicurarlo anche se sapeva bene che quello era uno dei tanti copioni della loro vita privata, scherzavano, ridevano e si prendevano in giro a vicenda per poi capitolare con chiarimenti piacevoli e stuzzicanti.

“Sei il mio stallone, ok? Il problema è che non mi basta mai…” lo disse con grande naturalezza e semplicità, come se avesse detto che aveva appena comprato il latte. Si girò, prese il phon e si cominciò ad asciugare i capelli ormai solo umidi.

Rick era rimasto dietro di lei, compiaciuto, a guardarla.

Amava quanto lei quei momenti e adorava quando Kate gli diceva così chiaramente quanto gli piacesse fare l’amore con lui. Non era comune alle donne, per lo meno  non a quelle con cui si era intrattenuto in passato, essere così esplicite e allo stesso tempo così dolci. Mentre si rispalmava col palmo della mano la schiuma sul viso fece un sospiro che era tutto un programma.

“Kate, lo so che ti sembro un idiota per la questione di Morgan, solo che quell’uomo è davvero intrigante e  sono sempre stato attratto da simili cose” prese il rasoio e con una lentezza studiata lo iniziò a passare contropelo.

“Forse non hai tutti i torti.”

“Ti sei convinta che è immortale?” chiese stupito di quanto fosse stato semplice.

“No. Mi sono persuasa che è un tipo strambo. Ho chiesto ad Espo di cercare qualche informazione.” Spense il phon e si interruppe.

“Eh…. Su non mi tenere sulle spine…”

“Espo mi ha mandato una mail stanotte. Sembra che il caro dr. Morgan non abbia la fedina penale pulita. E’ stato arrestato diverse volte mentre passeggiava completamente nudo sulle rive dell’Hudson. Si è beccato alcune denunce per oltraggio al pudore.”

“Davvero? Io non ci ho mai pensato…” mormorò Castle quasi senza rendersi conto di averlo detto veramente ad alta voce.

“Già Castle, tu sei stato arrestato una sola volta nudo su un cavallo a Central Park, non reggi il confronto. Ti ha stracciato.” Lo prese in giro.

Lo scrittore fece un verso stizzito per essere stato battuto in originalità da quel dottore che tutto sembrava tranne essere un trasgressore quindi chiese con curiosità

“E come n’è uscito fuori? Lavora in stretto contatto con la polizia, non deve essere stato semplice per lui e per la Martinez”

“Pare che si sia giustificato dicendo che è affetto da sonnambulismo. Sembra che ne sia sempre uscito fuori senza conseguenze con l’ammonimento a comprarsi dei pigiami…” aggiunse perplessa Kate.

“Scommetto però che ogni volta viene ritrovato lo stesso nudo”

“Già! E’ strano, vero?” chiese Kate appendendo l’accappatoio.

Castle non riusciva a toglierle gli occhi di dosso nonostante avesse visto la moglie intenta a mettersi la crema idratante sul corpo decine di volte. Ma la vista di quel corpo nudo che tanto amava, con quella gamba appoggiata sulla vasca per facilitare l’applicazione del fluido anche nel retro del polpaccio, gli stava di nuovo mandando il sangue al cervello e anche più in basso. La vista di Kate intenta a spalmarsi la crema lo stava eccitando al punto di dimenticarsi del dottor Morgan. Tolse la maglietta con cui aveva dormito e si avvicinò alla moglie con un’espressione inequivocabile. Lei fece finta di rimanere sorpresa e stette al gioco, in fin dei conti anche lei non vedeva l’ora di passare al round successivo.

Lo squillo del telefono di Beckett però li riportò alla realtà.

“Non rispondere…” la voce rauca di Rick era supplichevole.

“Fammi vedere chi è..” rispose andando a recuperare il cellulare sul comodino.

“Aspetta Rick, rispondo. E’ Lanie”

“Pronto? Ciao Lanie!”

“Kate ho buone notizie per te.”

“Già? Come hai fatto?” chiese incuriosita la detective.

“Be’ diciamo che ieri sera ho fatto qualche telefonata e ho scoperto che l’assistente del dr. Morgan è un certo Lucas Wan…” raccontò la dottoressa.

“Sì, vero. L’ho conosciuto anche io”

“Perfetto. Quello che non sai è che Lucas è un mio vicino di casa…”

“Non ci credo”

Castle si mise a sedere sul letto accanto alla moglie che inserì il vivavoce.

“Insomma ieri sera l’ho chiamato e sono uscita a bere qualcosa con lui e tutto sommato Kate ho fatto proprio bene. Non solo ho avuto un po’ di informazioni sul tuo amico ma ho passato anche un bel …”

“Lanie! Fermati qui. Sei in vivavoce”

“Ciao Lanie” disse prontamente Castle.

“Kate ti ho detto mille volte che quando azioni l’altoparlante devi avvisarmi a meno che non stiamo parlando di cadaveri…” dall’altro capo del filo si sentì un rumore particolare, come di una risata sommessa.

“C’è qualcuno con te Lanie?” chiese Kate incredula. Espo era di turno al distretto e la situazione tra loro era ancora poco chiara. Non poteva credere che Lanie si stesse intrattenendo con qualcuno e che stesse per darle informazioni sul dr. Morgan alla presenza di un estraneo …. A meno che l’estraneo non fosse la fonte delle informazioni stesse. Lanie  e Lucas? No, c’era decisamente qualcosa che non quadrava.

“Noooo…. Sìììì” fu la risposta poco coerente della anatomopatologa “Insomma Kate non è il momento. E comunque non è quello che pensi”

Dall’altro lato del telefono ci fu solo silenzio.

Castle e Beckett si guardarono spaesati.

“Va bene. Vuoi sapere o no cosa ho scoperto sul tuo dottore?” chiese Lanie spazientita.

“Certo” risposero all’unisono i due.

“Il dr. Morgan è arrivato circa un anno fa a New York o, per lo meno, è da allora che lavora nell’ufficio di Medicina Legale che dipende dall’11° distretto.”

”Mmh”

“Sembra che sia un genio per le sue intuizioni e ha la particolarità di effettuare le autopsie iniziando il lavoro con un pugnale antico affilatissimo… pare che per lui sia una sorta di rituale ma di certo non è uno strumento in dotazione nei nostri uffici.”

“Strano…” mormorò Kate.

“Non strano, Kate. Stranissimo. Considera che nessun anatomopatologo usa nulla di diverso dalla strumentazione che ha a disposizione perché ti assicuro che non è possibile trovare una lama di un coltello più affilata e precisa di un bisturi. Quindi, da collega, trovo davvero questa cosa eccentrica e senza senso”.

“Capisco” fece piano Kate mentre con gli occhi si consultava con Castle.

“Aggiungo poi un’altra cosa. Il dr. Morgan non possiede un cellulare e sembra avere una particolare ritrosia nei confronti di tutte le innovazioni tecnologiche. Ma non è uno stupido, infatti Lucas mi ha confermato che fa eccezione per la strumentazione diagnostica di cui in obitorio si avvale esattamente come gli altri.”

“Interessante Lanie. Grazie. C’è altro?”

“No, è tutto. Anzi sì, una cosa: quando usciamo?”

“Dopodomani sera, stacco alle 18 e ci andiamo a bere qualcosa insieme, ok per te?”

“Bene. A dopodomani cara”.

Beckett chiuse la comunicazione e appoggiò il telefono.

Promise a Rick che sarebbe uscita con la Martinez che l’aveva invitata a bere una birra per ringraziarla della collaborazione, come era d’uso tra poliziotti, e ne avrebbe approfittato per fare qualche altra domanda. Poi spinse indietro Castle fino a farlo cadere con la schiena sul letto, gli si mise cavalcioni  e, abbassandosi lentamente, gli fece promettere che fino a quando non fosse uscita con la Martinez non avrebbero più parlato di Henry Morgan. Altri erano gli argomenti che voleva affrontare e altre le cose di cui si voleva occupare.

E lo baciò con rinnovata passione.

 

Angolo di Monica:

Una Beckett particolarmente disponibile a scavare e indagare sulle folli teorie di Castle… ah l’amore che fa fare!

E i Caskett caskettosi sono sempre irresistibili.

Henry Morgan e Jo Martinez sono ancora sullo sfondo di questa storia ma abbiate pazienza, arriverà anche il loro momento.

Ringrazio davvero tutti quelli che stanno seguendo questa storia.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***






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Capitolo 4

 

La giornata al distretto era tranquilla e ogni agente era impegnato a sistemare il lavoro ordinario che di solito rimaneva indietro quando i casi di omicidio erano così tanti da non lasciarli neanche respirare.

L’ufficio della Gates aveva la porta aperta tra un agente e l’altro. Il capitano stava approfittando del momento di relativa calma per portarsi avanti nei colloqui per la valutazione dei suoi detective. Esposito aveva appena terminato il suo e stava aspettando la fine del turno per poter andare via. Il pomeriggio e la notte erano di Ryan. Javier era molto soddisfatto dal feedback ricevuto dalla Gates: Beckett era stata molto obiettiva nel compilare la scheda delle sue competenze e questo non era così scontato.

Esposito era seduto alla sua scrivania, il computer già spento e gli occhi puntati all’ascensore per aspettare l’amico per il cambio turno. Mentre era assorto nei suoi pensieri ed era ancora gongolante per la valutazione ricevuta, che sperava avrebbe portato ad una gratifica a fine mese, non si accorse della Gates che era sopraggiunta dietro alla sua scrivania.

“Detective, mi accompagni a prendere un caffè, tanto Ryan non è ancora arrivato”.

Beccato in pieno mentre guardava con trepidazione l’ascensore.

Come diavolo sapeva che stava aspettando Kevin?

L’intuizione delle donne a volte lo mandava al manicomio. Era proprio quello uno dei motivi che avevano scatenato l’ultima terribile discussione con Lanie. Ormai non la sentiva da un mese e  ancora non si riusciva a capacitare che tra loro fosse davvero finita. Da vero macho spagnolo dal sangue caliente, nell’ultimo periodo aveva frequentato con assiduità locali notturni cercando di incontrare qualche bella donna con cui divertirsi un po’. Ma al di là del tempo passato al bar a bere e ridere con le sue conquiste,  la sua mente e il suo cuore erano sempre annebbiati dalla presenza, anzi dalla mancanza di Lanie. Nessuna di quelle donne poteva competere con la sua dottoressa. Potevano essere più giovani e più belle ma a lui piaceva lei, il suo corpo, la sua pelle setosa e scura, la sua risata, i suoi occhi….

“Esposito, vieni o no? Lo devo prendere da sola questo caffè?” la voce imperiosa del capitano lo riportò alla realtà. Si alzò di scatto e si diresse verso il suo capo che era già avviata alla sala relax.

Stava ancora armeggiando con la macchina dell’espresso quando il cellulare della Gates squillò.

 

L’Old Haunt era affollato come non mai. La nuova gestione stava andando molto bene e Castle era molto contento che, alla fine, quella decisione impulsiva di comprare quel locale per salvarlo dalla chiusura, si era trasformata negli anni in un ottimo investimento.  Quando Beckett aveva accettato l’invito della Martinez a bersi una birra insieme per festeggiare la fine del caso Duncan, non immaginava che l’sms che le avrebbe inviato con l’orario e l’indirizzo dell’appuntamento contenesse proprio l’indicazione dell’Old Haunt.

“Davvero questo posto è di Castle?” chiese Jo stupita.

“Già. Sono incredibili le coincidenze” rispose Kate “come mai lo conosci? Noi ci veniamo spesso …”

“Abito non molto lontano da qui, a Washington Heights, ci venivo sempre con mio marito e continuo a venirci anche adesso.” Un’ombra le offuscò il volto, tanto che Kate si trovò a chiedere quanto potesse essere difficile superare una separazione. Era evidente che quel cambio di umore mostrava tutta la nostalgia per ricordi belli e non più reiterabili. In quel momento il barman appoggiò sul bancone due boccali di birra.

“Il primo giro lo offro io, Mrs Castle”.

Kate fece un sorriso di ringraziamento. “Grazie Jack, sei sempre molto gentile”.

Questa interruzione aveva dato tempo alla Martinez di spazzare le nubi che le avevano adombrato il viso e un sorriso le illuminò il suo sguardo.

“Non vale, Kate. Dovevo offrire io, lo sai come funziona tra poliziotti, giusto?” esclamò riferendosi alla consuetudine in polizia che il conto veniva pagato da chi aveva ricevuto la collaborazione.

Beckett sorrise “ Tranquilla, ha offerto Jack non io, quindi sei a posto così”

“Ok. Vorrà dire che offrirò il prossimo giro.”

Beckett annuì con la testa poi alzò la pinta di rossa e decretò:

“A noi”

La Martinez alzò a sua volta il boccale “A noi. E ad una splendida collaborazione. Ti devo ringraziare, davvero. E non potevo scegliere un posto migliore per dirti quanto mi abbia fatto piacere conoscere un’altra donna con le palle nella omicidi.” Poi un po’ più timorosa aggiunse “Scusa. Ho esagerato?”

“Ma figurati!”

“Insomma trovo questo locale affascinante. E il fatto che non sapessi che sei la moglie del proprietario, rende questa serata ancora più perfetta.”

 “Intendi per il nostro feeling? Comunque non scherzare neanche a ringraziarmi. Ho solo fatto il mio lavoro.”

“Dai, sai che intendo. E’ una scocciatura quando dall’alto ti obbligano a collaborare con un altro detective che viene a ficcare il naso. Ecco tu non l’hai fatto. Non ti sei imposta: sei entrata nel caso e abbiamo lavorato insieme e, nonostante non sia la prima volta che lavoro in team, non mi era mai capitato di trovare una specie di alter ego che tra l’altro non aveva intenzione solo di dirigere dall’alto le operazioni. Abbiamo condiviso le indagini e questo è meno scontato di quanto tu possa pensare.”

Kate bevve un sorso di birra e prese un tovagliolo per tamponarsi le labbra.

“Grazie.” Disse davvero riconoscente per quel complimento.

Capiva bene cosa intendesse dire la sua collega essendo lei stessa una non molto incline alle collaborazioni, soprattutto quando ti vengono imposte. Si ricordava ancora come avesse mal digerito l’agente Shaw e tutti i successivi agenti mandati dal FBI a collaborare col 12°. E a quanto si fosse sentita a disagio quando lei, come agente federale, si era trovata a piombare nelle indagini altrui. Quando era successo poi che era arrivata dalla Gates si era sentita davvero a disagio con Espo e Ryan ad essere dall’altra parte della barricata.

Poi pensò a quello che aveva promesso a Castle e cominciò a fare quello che sapeva fare meglio: indagare.

“Allora tu e il dr. Morgan da quanto tempo lavorate insieme?” chiese.

“Da circa un anno.” Rispose Jo guardando fisso il boccale come se cercasse una risposta nella birra.

“Mi sembra che vi troviate bene”

“Puoi ben dirlo. Da quando è arrivato Henry il numero di casi risolti di mia competenza è aumentato a dismisura. Lavorare con lui è … è… stimolante. Mi sembra sempre di imparare qualcosa” un velo di tristezza le offuscò nuovamente il viso tanto che Beckett si chiese se avesse fatto un’osservazione inopportuna.

“Ci sono tante ombre nel tuo cuore.” si ritrovò a commentare pentendosi subito di averlo detto a voce alta. Si domandò se si stesse allargando troppo. In fin dei conti non conosceva quella donna se non professionalmente e stava spostando la conversazione su un tema personale.

Jo Martinez non si voltò neanche. Bevve un lungo sorso e solo dopo aver riposato il boccale sul bancone le rivolse uno sguardo interrogativo.

Kate maledisse il momento in cui aveva promesso a Castle che avrebbe approfittato della loro uscita per fare domande e cercare di sapere qualcosa in più su Henry Morgan.

Prese tempo sorseggiando con lentezza la birra e capendo che ormai era fatta e che doveva cercare una connessione più personale con quella donna per avere informazioni.

“Scusami” disse “ma sono una detective e capirai bene che non possono sfuggirmi i fantasmi che adombrano la tua persona.”

Jo annuì lentamente, non riuscendo a capire perché la conversazione stava prendendo quella piega.

“Ho un passato doloroso. Mia madre è stata assassinata quando avevo 19 anni ed è questo il motivo per cui mi sono iscritta in Accademia e entrata nella Omicidi.”

La Martinez la guardò stupita, sempre più confusa per quella confidenza. Per quel che aveva capito, Beckett era un tipo piuttosto riservato, proprio come lei, e per questo erano andate subito d’accordo. Almeno così credeva.

“Ho passato dieci anni a cercare l’assassino di mia madre e cercare di sopravvivere al dolore che mi attanagliava il cuore” proseguì Kate “quindi diciamo che ho un’attitudine naturale nel riconoscere un  altro animo tormentato.”

Jo annuì lentamente “ Mi dispiace per tua madre. E hai ragione, oltre ad essere un bravo detective sei anche un ottimo psicologo”

Kate si ritrovò a sorridere. Le faceva tenerezza quella donna che aveva davanti perché le sembrava di rivedere lei tanti anni prima quando ancora il suo animo era angustiato dai mostri che le avevano rovinato la sua giovinezza.

Accarezzò con il palmo della mano il bancone in noce massello e le sorrise.

“No, Jo. Non è come pensi tu. E’ solo che vedo i tormenti del tuo sguardo e non posso che non pensare a come ero io qualche anno fa.”

“Ho perso mio marito. Un infarto… è passato più di un anno ma ancora brucia. All’inizio pensavo che questo stordimento che provo sarebbe passato con il tempo, ma a volte ho la sensazione che invece il problema sono io. Non voglio staccarmi dal passato, dai ricordi…“

Beckett le aveva posato una mano sulla sua e stava per dire qualcosa quando Jo la anticipò “Come hai fatto ad uscirne? Cioè capisco che è passato molto più tempo per te ma…”

Questa volta fu Kate ad interromperla “Non dipende dal tempo. Dipende se incontri una persona che ti fa tornare di nuovo la voglia di vivere e di amare…”

“Castle?”

Kate annuì.

“Sarei andata avanti esattamente allo stesso modo ancora per altri dieci anni se Castle non fosse letteralmente piombato nella mia vita” poi ridendo divertita “Ecco un tipo di imposizione dall’alto che alla fine ha avuto un risvolto positivo!”

Jo la guardò stupita.

“Ho conosciuto Castle perché lo coinvolsi in un’indagine in cui l’assassino riproduceva esattamente le scene del crimine descritte in alcuni dei suoi romanzi. Alla fine del caso pensavo che le nostre strade di sarebbero divise e invece Bob Weldon, l’allora sindaco di New York, alzò il telefono e Castle iniziò a seguirmi come un’ombra per fare ricerche per il suo nuovo romanzo”

“E così sei diventata la sua musa…” disse Jo.

“Sì. E la cosa è piuttosto imbarazzante e lo è per certi versi ancora … ma ormai ci ho fatto l’abitudine”

“Immagino. Voglio dire, alla fine te lo sei sposato!”

“Non credere che sia stato tutto così semplice. Da quando ho conosciuto Castle fino al matrimonio ci sono state svariate donne, un paio di mie storie e almeno quattro anni di attesa” questa volta era Kate che si era immersa nei pensieri. Sicuramente voleva conquistare la fiducia di Jo per poterle poi fare le domande che la interessavano ma dovette constatare che era una persona con cui non era difficile aprirsi.

“E cosa è cambiato negli anni? Lui? Una volta faceva una vita dissoluta…” poi esitò e aggiunse ”scusa. Non avrei dovuto. Sai, anche a me piace Castle come scrittore e l’ho sempre seguito sin dai suoi esordi… e a quel tempo il suo nome era spesso nelle cronache rosa.”

“Lo so bene. Non ti preoccupare.” La rassicurò Kate “E la sua fama da sciupafemmine ha evitato che mi buttassi subito tra le sue braccia, sebbene all’inizio ne sia stata molto tentata… ma è stato un bene così. All’epoca sarei stata solo una sua conquista, una delle tante, invece abbiamo iniziato a lavorare insieme e piano piano sono rimasta affascinata dal suo modo di ragionare, da scrittore non da poliziotto, che mi ha aiutato a risolvere tantissimi casi. Io leggo gli indizi e mi baso sulle prove, Castle legge la storia che c’è dietro…” continuò citando una frase detta dallo stesso scrittore tanti anni prima. “Insomma poi ho conosciuto il suo lato paterno e piano piano negli anni siamo diventati molto amici. Fondamentalmente mi sono innamorata di lui molto prima di quanto io stessa fossi pronta a riconoscere. Poi ci siamo messi insieme, ma mi sono decisa solo quando ho rischiato di perderlo definitivamente” un brivido le attraversò la schiena come le succedeva ogni volta che si ripensava attaccata a quel cornicione.

“Sei stata fortunata…” commentò Jo.

“Non è stato facile fidarmi di lui e lasciarmi andare anche perché ero accecata dall’odio per l’assassino di mia madre. Non volevo dissipare nessuna delle mie energie mentali per qualcosa che non fosse quello. Non lasciare che il passato annienti il tuo futuro, Jo. Sei giovane.”

“Non sono pronta, Kate. Sean è ancora troppo presente non solo nei miei ricordi ma anche nel mio cuore e non riesco a guardare nessun altro uomo da quel punto di vista… non fraintendermi, non sono una santa, qualche nottata post sbronza con sconosciuti che mi hanno abbordato, tra l’altro proprio qui, c’è stata. Cercavo calore umano e invece mi hanno lasciato solo più vuoto dentro.”

Beckett si sentì molto combattuta. Quello era l’istante adatto per parlare di Morgan ma vedere l’anima della sua nuova amica così fragile in quel momento le fece venire qualche rimorso.

Rimasero un po’ in silenzio.

Jack vedendo entrambi i bicchieri vuoti si avvicinò dalla loro parte.

“Belle signore vi porto il bis o cambiate?” dando per scontato che la serata non era finita a livello alcoolico.

Jo si girò verso la sua nuova amica “Kate, me lo devi un altro giro, così offro io e sono più tranquilla” le disse facendole l’occhiolino poi aggiunse “ per me lo stesso. Per te?”

“Anche per me. Grazie”

Appena Jack si fu allontanato Beckett decise di affrontare la questione e non tanto per soddisfare le improbabili fantasie di Castle quanto perché l’intimità della conversazione era andata ben oltre il prevedibile e a questo punto non si poteva tornare indietro.

“Sai una cosa? Quando ci siamo incontrate la prima volta, dopo un paio di giorni ho pensato che tu ed Henry mi facevate tanto pensare a me e a Castle all’inizio”

La Martinez la guardò davvero incuriosita non capendo assolutamente come potesse paragonare uno scrittore fuori dalle righe ad un uomo tutto d’un pezzo come Henry quindi curiosa domandò “In che senso?”

“Nel senso che… quando ho visto Henry partire per la tangente con le sue deduzioni fantastiche derivanti da un eccezionale spirito di osservazione e da una capacità di collegare elementi di tipo diverso, ho notato come lo guardavi, come ascoltavi ogni sua parola rapita.”

“Certo Kate, l’esperienza mi ha insegnato che le sue parole danno degli spunti fantastici per sbloccare l’indagine e ne sei stata tu stessa testimone.”

“Vero” rispose Kate dopo aver afferrato il nuovo boccale traboccante di schiuma “eppure Jo, io ho visto lo stupore. Ti parlo di qualcosa che conosco molto bene perché era così che guardavo Castle quando all’inizio tirava fuori le sue teorie più assurde.”

“Può essere. In effetti sono sempre meravigliata dal pozzo di scienza che è. Una volta gli ho detto che per sapere tutte le cose che sa lui bisognerebbe vivere 20 vite diverse… a volte è destabilizzante. Sa davvero tutto.” Kate annuì mentre Jo proseguiva “Ma quella stessa volta mi ha detto che non ci vogliono 20 vite ma una vita molto lunga.”

Kate saltò sullo sgabello.

“Davvero ha detto così?” chiese.

“Assurdo vero? Neanche avesse 80 anni…”

In quel momento il cellulare di entrambe suonò contemporaneamente.

“E’ la Gates”

“E’ la Reece” dissero all’unisono guardandosi stupite.

 

 

Angolo di Monica

E finalmente troviamo il primo di personaggio di Forever, la detective Jo Martinez. Henry Morgan però è sempre l’indiscusso protagonista dello sfondo di questa storia… ma ancora per poco.

Ieri sera ho visto l’ultima puntata di Forever e sono rimasta di stucco… come molte di voi sanno non inizio a pubblicare mai se la storia non è già finita. Quind,i quando ieri ho sentito alcune frasi dette da Abe nella puntata sono letteralmente saltata sul letto… Troverete le stesse identiche frasi fra qualche capitolo…

Ora ho capito bene lo sgomento di Rebecca quando vide la puntata 6x01 dove Castle veniva avvelenato…

Vi ringrazio per l’attenzione con cui mi state seguendo, in molti avete messo la storia tra le seguite, qualcuna tra le preferite e le ricordate ed è evidente che la storia sia molto letta.

Ad ogni modo un grazie speciale a chi ha dedicato un po’ del suo tempo per lasciarmi delle recensioni, davvero grazie.

Al prossimo

Monica

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***






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Capitolo 5

 

La temperatura era davvero bassa, tanto che era smesso di nevicare. Ormai le strade erano ricoperte da una decina di centimetri di neve che, con quel gelo improvviso, rischiava di trasformare il suolo in piste di pattinaggio.

Il lago di Central Park, quello intitolato a Jacqueline Kennedy Onassis, appariva tetro nella notte e il freddo, soprattutto vicino alla riva, entrava dentro fino alle ossa.

La detective Martinez aveva parcheggiato vicino al cancello principale e mentalmente si chiese se forse sia lei sia Beckett non avessero fatto bene a passare a casa a cambiarsi. In fin dei conti, erano uscite per andarsi a bere una birra in un locale riscaldato e davvero non erano equipaggiate per attraversare Central Park fino a raggiungere la distesa d’acqua.

La maggior parte delle scene del crimine di omicidi commessi nel parchi erano quasi sempre vicino alle rive del lago. Guardando i tergicristalli che erano rimasti fermi in una posizione obliqua, Jo si soffermò ad osservare al di là del parabrezza poi si voltò verso Kate “Se vuoi ho un paio di stivali nel bagagliaio. Li tengo per le emergenze. Sono un 40, più o meno dovrebbero andarti” propose alla sua nuova amica. Già, nuova amica. Le confidenze all’Old Haunt avevano toccato temi cosi delicati e intimi per entrambe che sentiva una improvvisa affinità profonda con quella donna, che aveva avuto un passato doloroso ma che, oggi, sembrava aver trovato la propria dimensione e la propria serenità.

Kate si girò verso la collega, tentata dalla sua proposta. Allungò lo sguardo ai piedi di Jo: aveva delle scarpe basse nere ma non erano di sicuro adatte alla neve, anche se di certo meglio dei suoi tacchi. Ma come aveva fatto ad uscire di casa indossando quelle decolté?  Non aveva visto che il tempo era minaccioso? Pensò che era diventata talmente un’abitudine che aveva dimenticato di avere nel loft un’intera scarpiera dedicata agli stivali e agli anfibi che indossava durante le irruzioni nelle operazioni di polizia. Una volta usava anche lei calzature comode e basse ma poi aveva iniziato a piacerle vestirsi in modo più femminile, come a voler dimostrare che pur avendo un ruolo direttivo non aveva dimenticato di essere una donna. D’altronde era anche vero ciò che le aveva detto una volta Castle compiaciuto: di certo lei non si vestiva così per Esposito! Guardò Jo e pensò che una volta era come lei, anche nel vestirsi. E quel fremito emotivo che l’aveva colpita mentre erano all’Old Haunt, si ripropose ancora più forte.

Beckett le posò una mano sul braccio e la ringraziò rifiutando, in fondo l’errore l’aveva fatto lei e non c’era motivo che la Martinez sentisse freddo ai piedi a causa sua.

Scesero insieme e si avviarono a passo veloce lungo il sentiero che portava alla scena del crimine.

Victoria Gates in persona le accolse.

Il corpo ritrovato senza vita era della moglie di Duncan, lo sfortunato cugino del marito del capitano del 12° distretto, ucciso esattamente 40 giorni prima. Avevano chiuso il caso da pochi giorni e proprio quello era il motivo per cui la Martinez e Beckett si trovavano insieme quella sera quando entrambe erano state contattate per il nuovo omicidio. Il tenente Reece si unì alle tre donne. Kate e Jo si scambiarono uno sguardo d’intesa: la presenza di entrambi i loro responsabili diretti sulla scena del delitto faceva presupporre che ci fosse un interesse politico dietro.

Un brivido di freddo scese lungo la schiena di Beckett facendole contrarre tutti i muscoli involontariamente. Il gelo ai piedi era davvero insopportabile, le dita già compresse nelle strette punte erano sul punto di congelarsi. Kate sperò che quella serata non le avrebbe lasciato come ricordo dei geloni. Non li aveva più avuti da quando in una serata simile di quasi 20 anni prima era uscita con scarpe simili a quelle indossate quella sera, seppur con il tacco molto più contenuto, per far colpo sul suo ragazzo.

Dopo aver ascoltato Victoria descriverle i pochi elementi raccolti fino a quell’istante, Kate si avvicinò al cadavere della donna. Lo osservò come al suo solito da un paio di metri di distanza per prendersi il tempo di riordinare le idee e per avere una visione d’insieme. Vide la Martinez accanto a lei tesa e, seguendo il suo sguardo, comprese il motivo della sua agitazione. Il dottor  Henry Morgan era disteso a terra vicino alla riva a pochi metri dal cadavere. Sembrava stesse esaminando qualcosa di particolarmente interessante a giudicare dalla sua concentrazione e le parve curioso che, con i suoi abiti costosi, non prestasse la minima attenzione nel distendersi a terra in cerca di chissà quale fondamentale indizio.  Jo era concentrata su di lui quasi rappresentasse lui stesso il corpo da esaminare sulla scena del crimine.

Trattenne un sorriso e le posò una mano sulla spalla.

“Vieni Jo, andiamo” la esortò a seguirla.

“Aspettatemi! Ci sono anche io!” Una voce affannata alle loro spalle le fece girare contemporaneamente e si ritrovarono un Castle affaticato dalla corsa e vestito come se dovesse partire per la Siberia.

“Castle!” dissero le due donne all’unisono. Ormai Jo non si meravigliava più che Beckett lo chiamasse per cognome. Ci si era abituata ma all’inizio le sembrava molto strano: lei aveva sempre chiamato suo marito Sean, mai diversamente! Una strana abitudine.

“Tieni Kate, per favore, reggi questi” le disse porgendole il vassoio di cartone contenente tre caffè di Starbucks.

Beckett si affrettò ad aiutarlo e a liberargli le mani quando quasi si commosse vedendo che aveva portato con sé uno zaino con dentro calze di lana e i suoi stivali caldi con la pelliccia dentro.

Jo afferrò il suo bicchiere di caffè.

“Castle, dovremmo lavorare più spesso insieme. Decisamente!” esclamò alzando in aria la sua bevanda calda “ Davvero grazie! Non sai come ci stavamo congelando” Castle sorrise mentre aiutava Kate, che a quel punto aveva una sola mano disponibile, a cambiarsi le scarpe. Resasi conto della situazione la Martinez prese al volo dalle mani di Kate il vassoio permettendole di cambiarsi più agevolmente.

“Allora che abbiamo qui?” chiese Castle quando ognuno assaporava finalmente il suo caffè caldo.

La prima a parlare fu Beckett, che in cuor suo stava ringraziando il cielo per aver messo sulla sua strada quell’angelo di suo marito. Se fossero stati da soli gli avrebbe dimostrato tutta la sua gratitudine, invece l’unica cosa che si concesse di fronte agli altri fu un lungo sguardo d’intesa accompagnato da un sorriso, una tacita riconoscenza che per lungo tempo, quando erano ancora amici, avevano affinato fino a divenire una vera dichiarazione di dedizione all’altro, sottolineato dall’adagio dei poliziotti: that’s what partners are for.

I piedi stavano riprendendo temperatura per gli stivali appena indossati e le mani potevano godere del calore del caffè bollente. Aveva ragione la signora Buchanan, la sua tata di quando era piccola, che sosteneva che avendo le estremità del corpo calde si riusciva ad usare meglio anche il cervello.

Beckett iniziò così a ragguagliare Castle su quel poco che sapevano.

“La donna si chiama Laura Parson, moglie di Eric Duncan. E’ stata trovata un paio d’ore fa dalla polizia municipale che fa la ronda nel parco. Sembrerebbe morta per una pugnalata al cuore ma presenta anche fori di proiettili, probabilmente 9mm, in zone periferiche del corpo. Ferite non mortali, forse volevano semplicemente rallentare la sua fuga”.

Jo si intromise e continuò il resoconto della collega “Eravamo certi che l’assassino di Eric Duncan fosse Scott Turow, che in questo momento è in prigione quindi è evidente che c’è sfuggito qualcosa. E’ improbabile che questi due delitti non siano collegati tra di loro. Non credi Kate?” chiese conferma.

“Lo penso anche io. Sicuramente Turow era solo un pesce piccolo e noi abbiamo sottovalutato qualche elemento. Andiamo dal dottor Morgan?” propose guardando con naturale curiosità femminile la sua reazione. Dopo la chiacchierata di poche ore prima al pub voleva captare ogni segnale di interesse tra di loro.

Henry Morgan era carponi nella neve con il viso a non più di 5 cm dal suolo. Sembrava stesse odorando qualcosa, forse quella polvere grigia che sembrava essere stata sparsa casualmente senza un disegno preciso. Era ad una distanza di una ventina di metri dal corpo di Laura Parson, tra lei e la riva.

Henry sembrava non preoccuparsi minimamente del fatto che i suoi pantaloni a contatto con la fredda coltre bianca da almeno una decina minuti, si fossero bagnati. Lucas Wan lo seguiva passo passo annotando tutto ciò che il medico diceva.

“Henry!” lo chiamò la detective Martinez.

“Oh... Buonasera Jo, detective Beckett, Mr Castle” li salutò formalmente, come era nel suo stile, tanto che nessuno si meravigliò più di tanto.

“Cosa stai….” Jo non finì la frase che le passò un sibilo accanto all’orecchio. Subito dopo una raffica cominciò a colpire e a sollevare la neve accanto al piede del dottor Morgan.

“VIA! AL RIPARO!” gridò Beckett trascinandosi dietro Castle che, pensando fosse tutto terminato, si era chinato per raccogliere il bicchiere di caffè caduto in terra.

La Martinez stava aiutando Henry ad alzarsi e insieme a Lucas lo sorressero aiutandolo a trovare rifugio fino agli alberi dove si erano nascosti anche gli altri.

“Henry, come stai?” chiese Jo sgomenta, cercando di capire dove fosse stato colpito. La scia di sangue che aveva lasciato per terra risaltava nel candore della neve dando al cecchino la posizione esatta di dove si trovavano.

“Ci dobbiamo spostare da qui. Subito!” affermò sicura Beckett “Lì! Sotto gli alberi” gridò concitata “Speriamo non capisca dove andiamo”.

Henry era molto silenzioso e, stranamente, pensò Jo non aveva ancora messo a repentaglio la sua vita uscendo allo scoperto per cercare qualche riflesso che desse un indizio sul punto di partenza degli spari e non stava nemmeno partecipando alle ipotesi degli altri.

Castle si avvicinò a lui e a Lucas mentre le due detective, pistole alla mano, cercavano di muoversi in maniera coordinata. La Martinez continuava a svolgere il suo lavoro di protezione come da protocollo ma si vedeva la preoccupazione stampata in volto, tradita da quegli sguardi furtivi lanciati velocemente in direzione dell’amico ferito. Erano solo loro sulla scena del crimine. La Gates e la Reece se ne erano andate via insieme e la scientifica non era ancora arrivata.

“Come sta?” chiese Beckett rivolta a  Castle.

Castle controllò il dottore riverso in terra e gli aprì il cappotto e la giacca per controllare.

A tutti, a Castle stesso mentre pronunciava quelle parole, gelò il sangue nelle vene “Ha perso i sensi. E’ stato colpito ad una gamba e in pieno petto. Chiamo un ambulanza” gridò verso di loro agitato.

Ma prima ancora che potesse tirar fuori il telefono, una voce flebile lo interruppe:

“Sto bene, non è niente”.

Jo si precipitò verso di lui per controllare di persona e notò l’entrata del proiettile sotto lo sterno. Beckett era rimasta in disparte in allerta cercando di controllare movimenti sospetti. In caso ci fosse stato un nuovo attacco non voleva trovarsi impreparata.

“Andate! Non state qui. Sto bene e i soccorsi stanno arrivando. Andate a cercarlo” la richiesta uscì dalla bocca del dottor Morgan quasi come una preghiera.

“Non ti lascio” rispose di tutto punto Jo prendendogli una mano tra le sue e cercando di infondergli calore e coraggio insieme.

“No! Non lasciate che fugga. Io sto bene. Mi sento bene” la sua insistenza pareva davvero inopportuna ma non poterono provare a contraddirlo perché al contrario di quanto diceva, perse nuovamente i sensi.

Henry Morgan più volte aveva accusato Jo di essere stata troppo protettiva nei suoi confronti ma si era esposto spesso a degli inutili rischi facendole perdere ogni volta dieci anni di vita.

Mentre gli sosteneva la testa accarezzandogli i capelli e cercando di ricacciare indietro le lacrime che traballavano nella parte inferiore delle palpebre sentì una stretta alle mani.

“Vai!” le disse appena rinvenuto con un filo di voce.

“Andate!” insisté quasi con rabbia, raccogliendo le ultime forze di fronte ad un’allibita Kate, che non riusciva a capire quell’atteggiamento.

In realtà il dottor Morgan sentiva che le forze lo stavano per abbandonare e purtroppo conosceva bene quella sensazione che si prova poco prima di trapassare. Quella che ti lascia senza fiato e senza la forza di respirare e che ti fa osservare il tuo corpo e le persone accanto a te da un altro punto di vista, lontano da se stessi.

Non voleva morire davanti a loro perché sapeva bene che il suo corpo sarebbe svanito in poco tempo e questo significava solo una cosa: il dottor Henry Morgan stava per scomparire davvero. Avrebbe dovuto cambiare nuovamente vita. Il suo segreto sarebbe uscito fuori e lui ed Abe avrebbero dovuto abbandonare tutto e allontanarsi furtivamente nella notte.

Cercò di farsi forza e guardò tutti gli attimi più belli della sua lunga vita scorrergli davanti. E si rese conto che i ricordi migliori, quelli legati a sua moglie Abigail e ad Abe, vennero affiancati per la prima volta da un nuovo volto, quello di Jo, abbracciata a lui sulle scale di casa sua con una tazza di caffè in mano. La donna più dolce che avesse mai conosciuto, fragile e forte allo stesso tempo.

L’ambulanza arrivò a sirene spiegate e con un ultimo momento di lucidità riuscì a convincere il paramedico a non far salire nessuno sul mezzo di soccorso.

Nel percorso tra il Central Park e il Metropolitan Hospital Center, il dottor Henry Morgan morì per l’ennesima volta nella sua vita.

 

Angolo di Monica

Sono ancora avvilita per l’annunciata cancellazione di Forever quindi l’unica cosa che spero è che qualcuna di voi inizi a darsi da fare e a scrivere…

Finalmente il vero protagonista di questa storia ne entra a far parte e altrettanto velocemente muore. J Sono un po’ perfida.  Ma neanche tanto visto che sappiamo bene che fra poco il dottor Morgan  nuoterà nelle acque gelate dell’Hudson .

Riuscirà Castle ad avere la prova diretta della immortalità del dr. Morgan? O avrà la meglio il dr Morgan nella sua volontà di mantenere il suo segreto?

Continuate a seguirmi con la stesso  strepitoso, e visti gli inizi inatteso, entusiasmo.  

Grazie a tutti.

Un abbraccio

Monica

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***






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Capitolo 6

 

L’ambulanza era ferma davanti all’ingresso del Pronto Soccorso con i lampeggianti accesi e le porte spalancate.

La macchina della detective Martinez arrivò qualche istante dopo a sirene spiegate. Jo aprì la portiera quando l’auto non era ancora ferma e si precipitò vicino al capannello delle persone che si erano radunate tra il veicolo di soccorso e l’entrata dell’ospedale.

Un uomo della security stava gridando ordini nel tentativo di disperdere quei curiosi e far spostare l’ambulanza in modo da lasciare libero l’accesso per le prossime emergenze in arrivo.

C’era una gran confusione.

La Martinez, con la voce concitata per la preoccupazione e per l’adrenalina che aveva in circolo, si fece largo tra la gente per affacciarsi e farsi vedere da Henry. Voleva fargli sapere che lei era lì e che non lo avrebbe lasciato solo.

Non riusciva a respirare regolarmente per la tensione che aveva in corpo o più semplicemente l’ossigeno sembrava rarefatto. Tra le tante volte che lo aveva visto in pericolo, quella era la prima in cui era stato ferito in modo così grave. Non era un medico, ma una pallottola in pieno petto non era una passeggiata per nessuno e poteva solo sperare che non lo avesse preso nel cuore o nei polmoni.

Ma quando riuscì a scostare il portellone e a farsi spazio tra le persone vide all’interno la barella sporca di sangue ma vuota.

“Dove l’hanno portato?” chiese urlando nel vano tentativo di sovrastare il continuo parlottio di sottofondo. Riconobbe tra gli altri il paramedico che era intervenuto a Central Park e lo strattonò per un braccio ripetendo “Dove l’hanno portato?” e prima ancora che lui potesse rispondergli, lo incalzò “e perché, ferito com’era, lo hanno spostato su un’altra lettiga?”

Il ragazzo si girò verso di lei e verso Beckett e, bianco come un cencio, sussurrò qualcosa con voce così flebile che a stento riuscirono a sentirlo. Kate e Jo si guardarono allibite non capendo cosa volesse dire. Quell’uomo doveva essere ubriaco oppure un visionario.

“Cosa significa che lo avete perso?” chiese risoluta Beckett.

“Significa che è sparito! S-p-a-r-i-t-o.” rispose quello piagnucolando, sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.

“Stava meglio? Se n’è andato senza farsi curare?” Jo stava già perdendo la pazienza. Da Henry poteva aspettarsi di tutto, anche che avesse deciso di curarsi da solo, ma questa volta lo avrebbe affrontato perché se continuava a comportarsi così le avrebbe fatto venire un infarto.

“NOOO” riprese il giovane paramedico ”stava molto male. Sinceramente non ero certo che saremmo arrivati in tempo all’ospedale. Mi sono girato solo un attimo per cambiare la sacca della flebo e poi… puff … non c’era più” Beckett immaginò che quel ragazzo avesse visto un fantasma e che stesse per perdere i sensi, tanto era visibilmente sconvolto.

La confusione all’esterno dell’ospedale non aiutava, così lo trascinò verso l’ambulanza, lo fece sedere sul retro e gli diede un bicchiere d’acqua che aveva notato all’interno.

Con la coda dell’occhio vide Castle che si sfregava le mani mentre cercava di trattenere, viste le circostanze tragiche che avevano coinvolto il loro collega, il suo sorriso eccitato. Beckett lo fulminò con gli occhi prima che potesse dire o fare qualcosa di sconveniente. Si rivolse poi di nuovo al ragazzo “Mi sta dicendo che il dottor Morgan ha approfittato di una fermata ed è sceso dall’ambulanza così in fretta che neanche se n’è accorto? Gli hanno sparato in pieno petto, lo sa?”

“Certo che lo so e sa cosa significa per me questo?” urlò di rimando.

Il giovane venne scosso da un pianto disperato e, tra un singhiozzo e l’altro, riuscirono a capire il suo sgomento e la sua preoccupazione: aver perso un ferito nel nulla durante una corsa in ospedale non lo avrebbe salvato di certo da sicuro licenziamento.

Castle si avvicinò a Beckett e senza fare commenti inopportuni le raccontò che aveva parlato con l’autista che gli aveva confermato di non essersi mai fermato durante la sua corsa. Poi guardandosi intorno e assicurandosi che nessuno lo potesse sentire aggiunse sottovoce “secondo me è morto e domani lo ritroviamo in giro. Sicuro. Da vero Highlander”. Sembrava davvero certo del fatto suo, come se avesse avuto una lunga esperienza in merito all’immortalità, ma ciò non gli risparmiò una delle famose occhiate di sua moglie, penetrante come un Patriot lanciato con un obiettivo preciso: distruzione.

 

Abe, ancora insonnolito, mise la freccia e si apprestò a svoltare nella strada laterale che lo conduceva sulla riva dell’Hudson. Diede una rapida occhiata al display dell’orologio della sua macchina e sperò di non averci messo troppo tempo. Con quelle temperature esterne, avrebbe trovato suo padre in condizione di semi-assideramento. Meno male che il telefono che Henry teneva nascosto nella cavità di un albero secolare nei pressi della riva era carico. Ogni tanto si occupava di cambiare la batteria e portare quella sostituita a casa per rigenerarla. Lo faceva ogni mese e di solito era sufficiente. Ne aveva comprata una di scorta in modo che non succedesse che Henry dovesse tornare nudo fino al negozio di antiquariato, impossibilitato ad avvisarlo in alcun modo. Quelle erano state le occasioni in cui era stato arrestato e sinceramente negli ultimi tempi era successo fin troppo spesso. Meno male che la sua amica Jo Martinez e il tenente Reece erano riusciti ogni volta a sistemare le cose e a fargli mantenere il posto di lavoro ma la verità è che lui si sentiva in colpa. Stava diventando più vecchio e l’artrite non gli permetteva più di  alzarsi velocemente come in passato e a correre a salvare Henry da una sicura denuncia per oltraggio al pudore. Troppe volte nell’ultimo anno era arrivato eccessivamente tardi e non era riuscito ad evitargli l’arresto. Inoltre aveva la sensazione che avessero aumentato i controlli in quel punto del fiume…

Ad ogni modo sperava questa volta di essere stato abbastanza celere.

Si accostò nel posto concordato e in meno di trenta secondi vide sgusciare Henry da un cespuglio. Per fortuna non gli avevano rubato la coperta che tenevano nascosta lì per sicurezza. Non sempre la ritrovava, a volte qualche clochard la prendeva per riscaldarsi, incredulo per la fortuna di un ritrovamento così utile.

“Hhaiiii iiiimmpieeeegatoooo uuun ssssecolo, Abe” aveva le labbra viola e tremava visibilmente. Era in uno stato d’ipotermia abbastanza avanzato. Meno male che era stato previdente e, vedendo la temperatura di dieci gradi sotto lo zero, aveva alzato al massimo il riscaldamento della macchina.

“Henry, la mia artrite peggiora con questo tempo. Non sono riuscito a fare prima di così. Mi dispiace.” si girò verso i sedili posteriori e gli allungò una coperta pesante e un termos pieno di tè bollente.

“Tieni, riscaldati” con entrambe le mani iniziò a massaggiarlo vigorosamente.

Quando i tremiti del padre sembravano essersi calmati riprese a parlare mentre guidava verso casa.

“Allora Henry, come sei morto questa volta?” non riuscì a trattenere quel tono ironico che sapeva perfettamente quanto lo irritasse.

“Non ti stanchi mai di fare del sarcasmo sciocco e velleitario. Mi stupisco di te. Se potessi … ETCIUUUU’ morirei volentieri per sempre. Ma il concetto dell’assoluto è totalmente platonistico ed è quanto mai interessante studiare la reazione dell’essere umano alla percezione del dolore. Questo è l’unico scopo che posso dare alla mia ridicola e peculiare esistenza: la ricerca scientifica.”

“Non mi dire che una pallottola in petto non l’avevi già provata?” chiese Abe.

“In effetti sì, diverse volte, ma posso dire con certezza rigorosa che ciò che ho provato questa volta non è paragonabile alle altre. La vita equivale ad una serie di istanti. Non sappiamo quando avverranno o dove. Ma rimangono con noi seguendo la nostra anima. Sempre. Questa volta ho provato più dolore fisico perché era quello dell’anima che l’ha alimentato” affermò con sicurezza con lo sguardo fisso ad un punto indefinito davanti a sé.

“Non capisco. Di cosa stai parlando?” chiese Abe preoccupato per l’ipotermia del padre molto più che per le sua parole “E copriti, che questa volta ti viene una polmonite!”

Rimasero un po’ in silenzio aspettando che la luce del semaforo diventasse verde quando Abe riprese a parlare.

“Sei mai morto di morte naturale? Da quando ho l’età della ragione sei sempre rimasto vittima di decessi violenti… magari sai, cambiando e morendo per malattia… muori per davvero” lo disse quasi vergognandosi delle sue parole ma sapendo bene che l’immortalità era una vera e propria condanna per Henry.

“Vaiolo. Una delle mie dipartite è stata per vaiolo. Non funziona. Sono ancora qui.”

“Ok, ok. Insomma stavi dicendo che il dolore della tua anima ha amplificato quello fisico. In che circostanze sei morto Herny questa volta?”

“Ho rischiato di trapassare davanti a Jo. Sono stato ferito da un cecchino mentre analizzavo degli interessanti residui granulari sulla neve. Sapevo che non ce l’avrei fatta e quando è arrivata l’ambulanza sono riuscito a convincere il paramedico a non far salire nessuno con me. Sono deceduto e poi scomparso durante il tragitto.”

“Hai rischiato di morire davanti a Jo?” chiese incredulo Abe.

“Già e non guardarmi così. Sono avvilito. Ho rischiato di rovinare nuovamente la nostra vita, di dover fuggire, lasciare tutto e cambiare un‘altra volta. Non posso farti questo ancora, Abe” disse Henry con una profonda ruga nella fronte a sottolineare la sua angoscia.

“E’ andata bene e sono 65 anni che lo faccio, non sarà una volta in più a crearmi problemi. Però sto invecchiando. Non puoi rimanere solo al mondo con il tuo segreto. Prima o poi dovrai convincerti che sarà necessario fare entrare un’altra persona nella tua vita.” si voltò verso di lui passandogli la mano sul braccio per accarezzarlo e per sentire se stava riprendendo temperatura. “ Bevi quel tè che ti riscalderà”.

Henry sembrava in trance forse stava riflettendo su quanto aveva appena ascoltato.

Ma dopo qualche minuto di silenzio Abe proseguì “Capisco quanto hai sofferto per la morte della mamma, nel vederla invecchiare, ma è ora che tu abbia di nuovo una donna nella tua vita e che condivida con lei tutto. Hai la fortuna di aver incontrato una donna bella, attraente, dolce e molto intelligente. Potrebbe essere quella giusta per dividere di nuovo con qualcuno la tua vita e magari anche per avere un figlio. Ti devi assicurare di avere sempre una persona con cui condividere tutto questo.”

“Ma di cosa stai parlando?” chiese stupito il dottore.

“Di Jo, Henry, di Jo! Il destino l’ha messa sulla tua strada nel momento giusto, non lasciartela fuggire. Davvero, sto diventando vecchio e non so per quanto ancora potrò esserti di sostegno.” Abe parcheggiò la macchina in garage e si guardò intorno per essere sicuro che non ci fosse nessuno che vedesse Henry avvolto da una coperta strisciare accanto al muro fino all’entrata del negozio.

“Non ti piace Jo?” Non riusciva a capire e ad interpretare il mutismo in cui era entrato.

“Certo che mi piace.”

“E allora corteggiala! Se ti sei dimenticato come si fa ti posso dare qualche consiglio..” esclamò esasperato.

“Jo è una donna di una rara bellezza interiore, Abe. Ed è anche molto bella. Ma ha nel cuore ancora tanta sofferenza per la morte del marito. Si merita di avere accanto un uomo che la renda felice senza darle altre angustie e tormenti.”

“Oh andiamo! Nella vita è impossibile fuggire dalle preoccupazioni e poi è rimasta vedova già una volta… se sposasse te sarebbe certa di non esserlo più per tutta la vita!”

“ABE!”

“Scusami, scusa. Ok! Ma pensaci bene, Henry. Lei o un’altra, è ora che fai partecipe qualcun altro del tuo segreto.” Aprì la portiera e venne bloccato da una mano che gli afferrò il braccio.  Si fermò e vide lo sguardo ansioso di suo padre. Gli si strinse il cuore a vederlo così.

“Abe, cosa racconterò domani mattina a Jo?”

“Potresti far finta di niente e dire che si sono spaventati per nulla e che la ferita non era poi così grave. Vieni, andiamo. Hai bisogno di una doccia calda.”

Si incamminarono insieme verso il negozio ma si fermarono quando videro Jo che bussava forsennatamente alla porta.

“Dovevo immaginarmelo che non avrebbe aspettato fino a domani mattina” mormorò Abe soddisfatto.

“Andiamocene!”

“No” rispose perentorio l’anziano.

Il dottore raccolse tutte le sue forze e afferrò per le spalle il figlio.

“Dobbiamo fuggire. Ora. Senza prendere nulla. Dobbiamo sparire da questa vita e ricominciare in un altro posto. Andiamo! Dobbiamo cercare un luogo dove stare.”

“Ho detto di no! E’ ora che affronti questa cosa e Jo è la migliore persona al mondo che ti potesse capitare per farlo.” E prima che l’altro potesse impedirgli di farlo chiamò a gran voce “Jo. Siamo qui.”

 

 

Angolo di Monica

 

Il confronto Henry e Jo è alle porte.

Abe è stato chiaro: lui non è immortale e Henry deve condividere il suo segreto con qualcuno. Ma che novità! Mi pare di averlo già visto … :-/

Ad ogni modo spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.

Alla prossima

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Le strade di New York erano eccezionalmente deserte, probabilmente in pochi  osavano uscire con quel gelo. Le luci delle insegne pubblicitarie erano particolarmente splendenti, forse grazie anche il riflesso del manto stradale coperto da un sottile strato di ghiaccio.

Beckett aveva acceso il riscaldamento dell’auto e aveva direzionato il getto nella duplice posizione, che permetteva di non far appannare il vetro e di riscaldare i piedi.

Castle era accanto a lei ed era eccitato come un bambino.

Dopo la scoperta davanti all’ingresso dell’ospedale che il dottor Morgan non era stato ricoverato, ma se ne era andato in circostanze misteriose, Beckett aveva detto alla Martinez di andare a vedere se lo trovava da qualche parte, mentre lei e Castle si sarebbero occupati di tornare sulla scena del crimine. Lucas Wan era ancora lì e si sarebbero potuti far dare gli appunti dettati da Henry e inoltre avrebbero potuto parlare con la scientifica che nel frattempo aveva sicuramente cominciato a fare i rilievi.

Beckett guidava concentrata e attenta all’asfalto bagnato e insidioso e non aveva voglia in quel momento di dar retta alle elucubrazioni eccitate di suo marito. Per lei era assolutamente necessario ragionare per trovare una spiegazione simil-razionale a quello che era accaduto.  Doveva anche affrontare i fantasmi della sua anima. Nonostante fossero passati anni da quando era stata colpita da un cecchino durante il funerale del capitano Montgomery, non riusciva a dissipare quello stato di ansia e terrore che le aveva serrato il petto dal momento in cui aveva sentito il sibilo del primo sparo. Il ritmo cardiaco continuava ad essere irregolare nonostante cercasse di trarre respiri profondi e regolari come le aveva insegnato il dr Burke, lo psicoterapeuta che l’aveva seguita dopo il ferimento per farle superare lo stress post traumatico.

Castle invece stava solo cercando nella sua mente una possibile teoria che spiegasse la sparizione di quell’uomo e soprattutto stava vagliando diverse ipotesi sul suo prossimo ritorno.

“Secondo me, domani mattina lo troviamo in obitorio mentre sta facendo l’autopsia a Laura Parson come se nulla fosse accaduto” interruppe così il silenzio che regnava nell’abitacolo.

Beckett si voltò verso di lui e tirò su le spalle in un gesto di apparente indifferenza, non riuscendo a dare voce a nessun pensiero che le sembrasse coerente.

“Ma secondo te, come è sceso dall’ambulanza?” chiese lo scrittore.

Non ricevendo alcuna risposta decise di mettere al corrente Beckett della migliore delle ipotesi che aveva concepito “Secondo me è morto in quell’ambulanza e non appena l’anima ha lasciato il corpo … ZAC … il corpo s’è dissolto nel nulla”

“Castle, per favore, non cominciare”

“E’ l’unica spiegazione!” insisté l’uomo “Pensaci bene. Il dottor Morgan era troppo debole per potersi muovere liberamente in modo agile, addirittura riuscendo a scendere da un veicolo in movimento”

“Magari non era ferito gravemente come invece ci sembrava” si oppose Beckett.

“Quando è salito sull’ambulanza faceva fatica anche a respirare e aveva un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca quindi nel migliore dei casi è stato colpito ad un polmone. Credimi, Kate, quell’uomo non stava bene.”

Beckett poté solo annuire. Il medico sembrava in effetti versare in condizioni gravi.

“Ma anche io sono stata colpita in pieno petto eppure mi sono salvata…”

“Già dopo un’operazione d’urgenza a cuore aperto… e per favore non ricordarmi l’angoscia di quei momenti…” osservò Castle.

“Scusa. Anche io ne faccio volentieri a meno di rinvangare quegli attimi e anche quelli dopo, se è per questo. Ma in effetti non ricordo niente. Solo che sei precipitato sopra di me, mi hai detto di restare con te e che mi amavi… poi sono svenuta e mi sono risvegliata un paio di giorni dopo in ospedale attaccata ad una marea di tubi e ad un respiratore. Dubito che in quel lasso di tempo avrei avuto la forza di scappare… se è questo che intendi!”

“Kate…”

“Rick, guardami. Non riesco minimamente a spiegarmi che cosa sia successo ma ti prego: ho bisogno di credere che ci sia una spiegazione razionale a tutto questo e, almeno, intendo provare a cercarla.”

Castle le passò una mano sulla guancia sussurrando “Certo. Come vuoi”. Si rese conto che quello che per lui era una situazione irreale e quanto mai fantastica, per lei era solo un brutto momento che avrebbe rischiato di affondare tutte le sue certezze deduttive e logiche.

 

Il bollitore di ceramica fischiava sul fuoco.  

Abe si avvicinò a Jo e la invitò a sedersi. Da quando erano entrati nel retro del negozio di antiquariato aveva notato che la detective era nervosa e spaventata, soprattutto da quando si era resa conto che Henry era nudo sotto la coperta e non sembrava affatto sofferente, se non per il freddo. Abe aveva insistito che il padre andasse a farsi una doccia bollente prima di parlare con Jo, si augurava di dare  così ad entrambi il tempo per schiarirsi le idee. In cuor suo sperava tanto che Henry finalmente si aprisse con qualcun altro ma contemporaneamente sapeva quanto sarebbe stato difficile per lui farlo e per Jo credergli e accettarlo. Era riuscito ad accompagnare il padre al bagno con la scusa di sorreggerlo ed era riuscito a mormorargli un messaggio vago ma pieno di significato. Gli aveva infatti sussurrato dolcemente che avrebbe potuto farcela: in fondo una volta già era accaduto che una donna, Abigail,  avesse creduto ciecamente in lui.

Abe iniziò a versare il tè bollente nella tazza di un prezioso e antico servizio in ceramica per poi allungarla verso la donna che lo ringraziò con un sorriso appena accennato. Inserì poi anche una fettina di limone nell’altra ciotola che posò sul tavolo nel posto di fronte a quello della detective.

“Vuoi del limone anche tu, Jo?” chiese premuroso.

“No, grazie.” rispose per poi aggiungere “Abe, dove sta andando?” vedendo l’anziano che si allontanava con il suo tè in mano.

“Mi ritiro nella mia stanza, Jo. Henry arriverà a breve, sono sicuro “ e si incamminò fin all’imbocco del corridoio che portava verso la sua camera, poi si fermò un momento e girandosi aggiunse “Jo, Henry sta bene... almeno fisicamente. E’ questo quello che conta, no?” e si eclissò prima che l’altra potesse replicare.

La detective iniziò a sorseggiare il liquido ambrato assorta nei suoi pensieri quando un tweet del suo cellulare la riscosse. Lesse velocemente l’sms di Beckett che le diceva che la scientifica aveva finito e che il corpo era stato portato in obitorio scortato da Lucas e poi le augurava che lei stesse bene e avesse avuto fortuna nel trovare Henry.

Stava pensando se e cosa rispondere quando il suo medico legale preferito entrò in cucina vestito di tutto punto. Dopo una serata in cui gli avevano sparato e dopo una fuga senza abiti,  non si sarebbe immaginata di ritrovarselo agghindato come se stesse per uscire per una serata galante. Anche se, pensandoci, ogni giorno lui si abbigliava come se dovesse andare in qualche posto speciale.

Una delle sue tante particolarità.

Henry passò più volte la mano sui bottoni del gilet, come a voler lisciare una invisibile grinza.

Sembrava piuttosto nervoso.

Lei lo osservò a lungo, senza proferire una sola parola.

Aveva imparato a convivere con le sue stranezze ma questa volta avrebbe preteso delle spiegazioni. Avevano un caso da risolvere e, se avessero dovuto continuare a lavorare insieme, lei aveva assolutamente bisogno di sapere cosa stava succedendo. Non era tipo da far domande, molto riservata per natura e per convinzione, ma questa volta non avrebbe soprasseduto.

Henry si sedette al tavolo della cucina di fronte a lei. Prese il cucchiaino e iniziò a mescolare il contenuto, fissandolo come se potesse suggerirgli le parole da dire.

Ispirava l’aroma sprigionato dal fumo che si innalzava dalla tazza e sentiva gli occhi penetranti di Jo fissi sulla sua nuca. Lasciò passare una discreta manciata di secondi prima di avere la forza di alzare lo sguardo su di lei.

Sperava tanto che dicesse qualcosa, che le facesse qualche domanda perché questo avrebbe reso le cose più semplici, ma non fu così. La detective continuava ad osservarlo con un’espressione che non riusciva a decifrare: sgomento? Paura? Confusione? Curiosità? Rabbia? Preoccupazione?  Probabilmente nell’anima della sua amica tutte quelle emozioni stavano combattendo una guerra senza fine.

“Jo” allungò una mano e le presa la sua in un gesto intimo e inconsueto. Pensò che qualunque cosa avesse detto, sarebbe risultato assurdo e quindi tentò di trovare una connessione con lei con un contatto sensoriale.

“Jo” ripeté “so che ti starai chiedendo cosa è successo questa sera…” fece una pausa sperando di intravedere in lei qualche segnale che gli rivelasse in che direzione andare. Dovette cedere presto al suo silenzio e alla sua imperturbabilità.

“Mi sono sentito meglio e sono sceso dall’ambulanza in un momento di distrazione del paramedico”. L’aveva sparata grossa ed era evidente dallo sguardo di disappunto della detective. Quindi continuò “Non mi avrebbero mai lasciato andare e mi avrebbero trattenuto tutta la notte. Abbiamo un caso su cui lavorare. Non potevo perdere tempo così…” vedendo la titubanza dell’unica spettatrice del suo show aggiunse “sono un medico e sapevo che le ferite erano superficiali e quindi…”

Non riuscì a terminare la frase perché Jo lo interruppe.

“E ti sei fatto uno dei tuoi bagni notturni nell’Hudson, con la temperatura esterna sotto lo zero, così tanto per guarire dalle tue ferite?” domandò con un sarcasmo che non le era consueto. Si alzò di scatto, prese il cellulare che aveva appoggiato sul tavolo e si voltò verso l’uscita.

“Jo, aspetta. Dobbiamo parlare.”

Le strinse ancora più forte la mano che non aveva ancora lasciato per cercare di trattenerla ma Jo era visibilmente irritata.

“Henry, ho accettato tutte le tue stranezze e le tue strambe spiegazioni alle tante situazioni singolari in cui ti sei cacciato perché trovo che tu sia una persona straordinaria con un’eleganza e una gentilezza d’altri tempi e ho sempre pensato che la tua originalità meritasse come minimo rispetto. Ma sinceramente stasera hai esagerato.” Tirò la mano verso di sé per liberarsi e si diresse verso il negozio poi voltandosi, aggiunse con gli occhi lucidi “Ti ho visto salire su quell’ambulanza e non sapevo se fossi riuscita a rivederti vivo al mio arrivo in ospedale… ho trovato solo una barella piena di sangue e un paramedico che sembrava aver visto i fantasmi…” fece una pausa per prendere un respiro, affannata dalla concitazione del momento “Ti rendi conto di cosa si prova a sapere che una persona cara sta morendo? Eh? Lo sai?” volse lo sguardo verso il basso e quando lo rialzò, Henry notò nei suoi occhi dolore e sgomento. Provò a dire qualcosa ma lei lo fermò pronunciando lentamente in modo sarcastico “e ti ritrovo infreddolito e bagnato a farfugliare parole senza senso.”

“Jo, ti prego aspetta. Non andare. Gustiamo il nostro tè in modo da parlare con calma…”

“Per me non c’è niente da dire, Henry Morgan. Sei un bell’uomo, affascinante e gentile ma sicuramente sei troppo ombroso e misterioso per me.”

“Se tu lasciassi spiegarmi…”

Con la porta del negozio mezza aperta, pronta ad affrontare di nuovo la gelida notte di New York, Jo si girò appena verso di lui “Non posso più accettare mezze verità, Henry.”

Infilò il cappello appena in tempo per proteggersi dalla neve che scendeva inesorabile a imbiancare nuovamente le strade e si avviò a passo veloce verso l’auto.

Piccoli freddi fiocchi di neve si posarono sulla sua pelle trascinati via dalle calde lacrime che la detective non riuscì più a trattenere.

 

Angolo di Monica

 

In questo capitolo abbiamo due momenti importanti: la costante ricerca di Kate Beckett di dare una spiegazione razionale a tutto comincia a vacillare e Jo Martinez non si accontenta questa volta di una mezza verità e se ne va.

Vi ringrazio per le bellissime recensioni, alcune davvero strepitose tanto che mi sono perfino commossa.

Continuate a seguirmi non manca poi tanto alla fine…

Monica

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***






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Capitolo 8

 

La stanza dell’obitorio era deserta e fredda come non mai. Mentre la detective Beckett superava le porte a scomparsa di accesso alla sala autopsie, rabbrividì e si chiese se il gelo, che l’aveva ormai irrigidita da un paio di ore, era dovuto a motivazioni atmosferiche o alla situazione irreale che stava vivendo.  Pensò all’amica Jo che non si era più fatta sentire dopo il suo sms e si dispiacque per l’ennesima perdita che avrebbe potuto avere. Sperava con tutta se stessa che il dottor Morgan stesse bene e tutto sommato il fatto che fosse sparito era una notizia che poteva essere interpretata con una dose di pazzo ottimismo, almeno a detta di Rick. Aveva notato come suo marito, rendendosi conto del suo turbamento, avesse smesso di dar voce ai suoi pensieri ma lo conosceva abbastanza bene per sapere quanto in realtà fosse eccitato dalla situazione di cui erano stati testimoni.

“Detective, Mr Castle… dov’è la detective Martinez? Come sta Henry?” chiese ansioso Lucas Wan che impugnava la cartelletta dei documenti su cui stava appuntando tutte le annotazioni relative all’osservazione del corpo. Wan non sapeva ancora nulla di quello che era successo davanti al Pronto Soccorso quindi a Beckett toccò anche quell’ingrato compito.

“Lucas… Henry… non lo abbiamo trovato all’ospedale. Il paramedico dell’ambulanza ci ha detto che è sparito durante un momento di sua distrazione. Jo lo sta cercando…” omise volutamente ogni tipo di commento e scambiò con Rick uno sguardo abbastanza eloquente per indurlo a non aggiungere ulteriori informazioni o, peggio, commenti.

“Ah bene! Vuol dire che stava meglio e sarà andato a casa a cambiarsi. Bene, allora sarà qui presto per fare l’autopsia. Non chiamo il dottor Clarke che è di reperibilità per le urgenze oggi.”

Lo disse con una naturalezza che sconcertò entrambi i coniugi Castle, che si scambiarono un’occhiata alquanto palese. Evidentemente il suo assistente era così abituato alle stranezze di Morgan che non aveva assolutamente dato peso ad una cosa così bizzarra come quella di scendere da un’ambulanza in corsa, pur ferito.

La porta scorrevole si aprì nuovamente e Jo Martinez apparve sconvolta e turbata come nessuno di loro l’aveva mai vista. Prima ancora che potessero chiederle qualche cosa, lei decise di anticipare ogni possibile domanda, dando loro informazioni che sperava fossero sufficienti.

“Henry sta bene. L’ho trovato a casa, si sta cambiando e sicuramente si occuperà lui dell’autopsia. Un miracolo, direi.” Togliendosi il cappello che tratteneva ancora tra le maglie di lana qualche fiocco di neve, si rivolse a Kate.

“Che situazione avete trovato a Central Park? Ci sono novità?” chiese.

Beckett la guardò a lungo prima di risponderle ma decise che non era quello il momento per tirare fuori tutti gli interrogativi che le frullavano in testa. Se anche Jo, detective e donna razionale come lei, trovava normale tutta quella situazione, a lei cominciava  a mancare il terreno sotto i piedi. 

Si fece forza e, fingendo di raccogliere le idee prima di parlare, ragguagliò la collega.

“Quando siamo tornati sulla scena del crimine, Reece e Gates erano di nuovo lì. Il tuo capo ha mandato una squadra di agenti a controllare ogni palazzo la cui visibilità raggiunge il punto dove è stato colpito Henry. Invece la Gates ha chiamato il detective Esposito che ha un passato nelle forze speciali come tiratore scelto e può aiutare nel ricostruire la dinamica dei fatti.” Kate fece una breve pausa per accertarsi che Jo non volesse intervenire con qualche domanda poi proseguì sicura “per quanto riguarda Laura Parson” indicò con la mano il cadavere steso nel tavolo accanto a loro “presenta numerose ecchimosi e ferite superficiali che non ne hanno causato la morte ma che l’hanno indebolita al punto da rallentare notevolmente la sua fuga.”

“Quindi è stata braccata?”

“Così sembrerebbe”

“Modus operandi strano considerando che quest’omicidio va collegato a quello di Duncan. Dubito che ci troviamo di fronte ad un’aggressione a sfondo sessuale o ad una rapina” osservò la detective Martinez guardando Lucas in attesa di conferme.

“Oh.. sì. Scusate non sono abituato! Certo…. Allora… dall’esame preliminare del corpo non sembrano essere presenti lesioni nelle zone dei genitali, anche se il tampone ha dato esito positivo al DNA di un uomo, quindi probabilmente ha avuto un rapporto sessuale consenziente qualche ora prima del decesso...”

“Ah ah! Vedova allegra…” commentò in modo inopportuno Castle.

Lo sguardo incrociato delle due donne lo fece pentire amaramente di aver parlato.

Rifletté per un momento sulla forza incendiaria di quel paio di occhiate accoppiate: micidiale!

Wan continuò la sua disamina, come se non si fosse accorto di nulla.

“Queste ecchimosi sulle braccia e sulle gambe, fanno pensare che sia stata tenuta con forza da qualcuno e questo spiegherebbe le piccole bruciature, immagino di sigaretta, che ha sul petto e sul collo.”

“E’ stata torturata…” mormorò Jo con un filo di voce “povera donna”.

Sembrava essere sempre più provata.

“Per tutto il resto dobbiamo aspettare l’autopsia e la palla di vetro del mio capo” ironizzò Lucas, l’unico in vena di fare dello spirito in quella serata.

Beckett guardò la Martinez, assorta evidentemente nei suoi pensieri.

Sarebbe stato compito della sua collega, titolare dell’indagine, fare il punto della situazione e decidere il da farsi ma più la osservava e più si rendeva conto che doveva esserle capitato qualcosa in quel lasso di tempo. In quel momento non aveva nulla della detective con cui aveva lavorato per un mese consecutivo.

Prese l’iniziativa e diede a tutti appuntamento per un rapido briefing per la mattina dopo alle 12, quando avrebbero sicuramente avuto tutti notizie aggiornate.

Uscendo, Beckett si avvicinò a Jo chiedendole cosa fosse successo a Henry e cosa le fosse capitato ma la donna fu molto evasiva, rifiutò un passaggio a casa, d’altronde aveva la sua auto di servizio, e si giustificò dicendo solo che era molto stanca e che le emozioni della serata l’avevano provata più del solito. Una bella dormita l’avrebbe rimessa in sesto. Beckett annuì, non potendo che rispettare la volontà dell’altra, sapendo bene che, in certi momenti, si ha un bisogno assoluto di solitudine.

 

Lentamente i coniugi Castle percorrevano il corridoio che li avrebbe condotti davanti alla porta d’ingresso di casa. Rick prese la sua tessera magnetica e la avvicinò al sensore. Il led sopra la placca di ottone virò velocemente dal rosso, all’arancione, al verde. Kate fece un passo dentro casa poi si tolse le scarpe, in un gesto di abitudine: normalmente aveva i tacchi a spillo e non vedeva l’ora di mettersi in libertà. Il display digitale dell’orologio appeso sopra il camino spento, indicava che erano le due e tredici. Erano entrambi stanchi e infreddoliti, tanto che nonostante l’ora Rick si avvicinò al camino, controllò il serbatoio dell’etanolo e con rapidi movimenti accese le fiamme. Kate gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, bisognosa di un contatto fisico che la rassicurasse.

I suoi peggiori incubi erano tornati a galla nel giro di poche ore.

Si chiese se il percorso concluso ormai da anni con il dottor Burke fosse davvero terminato oppure se avesse interrotto troppo prematuramente gli incontri.

Aveva sempre pensato che da quando aveva lasciato entrare Rick nella sua vita non era più necessario nessun aiuto esterno, ma in quel momento le sue gambe tremavano e il mistero di Morgan l’aveva resa vulnerabile come non le accadeva da tempo.

Prese un grande respiro mentre lasciava che le braccia di Rick l’avvolgessero completamente in quell’abbraccio rassicurante che tanto amava.

“Hai sonno?” gli chiese all’improvviso alzando il mento per guardarlo.

“A dire il vero, non molto” rispose Rick rimanendo sul vago: non era il momento di confidarle quanto era eccitato per via della sparizione di Morgan.

“Neanche io…” aveva solo voglia di certezze in quel momento e in quelle condizioni non avrebbe mai potuto prendere sonno, così propose “che ne dici di un tè, coccole e chiacchiere?”

Rick non se lo fece dire due volte e subito si mise all’opera per riempire di acqua il bollitore e accenderlo. Kate nel frattempo aveva recuperato la coperta che utilizzavano per coprirsi quando trascorrevano intere nottate a parlare fitto fitto come due giovani amanti che passavano ore a raccontarsi a vicenda la propria vita.

Qualche minuto dopo che si erano sistemati sul divano, accoccolati stretti, Martha uscì dalla sua stanza in cerca della sua tisana notturna, abitudine che negli ultimi anni era diventata una vera e propria maledizione, specie d’inverno quando il freddo della casa non era per nulla accogliente. Vedendo il camino acceso e due figure indefinite che bisbigliavano tra loro, si fermò sul secondo gradino, indecisa se proseguire o no. La scelta non era facile perché quel torpore dato dalle fiamme scoppiettanti la stavano invogliando a scendere, ma il desiderio di non disturbare era altrettanto forte. Era stato così fortunato il suo Richard ad incontrare finalmente la donna giusta. Anzi erano stati tutti fortunati, anche lei e Alexis: in fondo lei aveva trovato una persona con cui parlare e con cui confrontarsi su Rick, senza mai avere il timore che il suo Richard potesse non gradire la cosa. Kate era una donna molto riservata e ora che lei stava invecchiando si sentiva più serena nel vedere il figlio aver trovato felicità e stabilità. In quanto ad Alexis finalmente aveva una figura di riferimento femminile che non fosse decrepita quanto lei, non lo avrebbe mai ammesso con nessuno ma quella era la realtà. Alexis l’aveva accolta e trasformata in una sorella maggiore, se non proprio madre, e ogni giorno coinvolgeva sempre più Kate nella sua vita.

Si appoggiò al muro e si soffermò a guardare quel bacio così lento e così appassionato che le vennero le lacrime agli occhi per quella scena romantica. Piano, cominciò a risalire e avviarsi di nuovo verso la sua camera: pazienza! Senza tisana non si sarebbe riaddormentata ma quello che stava accadendo in salone non meritava una spettatrice.

“Grazie”

“Non mi devi ringraziare se ti bacio, Kate” rispose divertito Rick.

“Sì invece, ti devo ringraziare perché non voglio mai dare nulla per scontato. Ringraziandoti, ricordo a me stessa quanto sono fortunata ad essere tra le tue braccia in questo momento”. Si acciambellò ancora di più, stretta a lui.

“Jo era strana all’obitorio, non trovi?” chiese Rick.

“Ieri sera, quando stavamo al pub, mi sono affezionata a lei in modo incredibile… rivedo in lei me stessa, tanti anni fa, con tutti i miei turbamenti.” Rick si scostò leggermente per poterla guardare negli occhi mentre con la mano le accarezzava i capelli.

“Ha perso il marito poco più di un anno fa. Infarto.” proseguì Kate.

“Davvero? Mi dispiace molto. ”

“Soffre molto. Sai Rick, ho trovato subito una sintonia con lei e le confidenze della nostra conversazione sono state naturali, spontanee. E ho avuto modo di chiederle di Henry, anche se siamo state interrotte.”

“Ti ha detto niente delle sue stranezze, della sua immortalità?” chiese lo scrittore.

“No, ha fatto solo un accenno al fatto che Henry le ha confidato che per sapere tutte le cose che sa,  bisogna vivere una lunga vita”.

“Vedi? Ho ragione”.

“Rick!”

“Insomma che ti ha detto di lui, delle sue abitudini?” incalzò.

“Niente, ci hanno chiamato per l’omicidio della Parson. Una cosa però l’ho capita”

“Cosa?”

“Jo Martinez è cotta di lui. Ma ancora non lo sa.” dichiarò certa delle sue parole.

Rick aveva dipinta in volto un’espressione delusa. Sua moglie non era riuscita a sapere nulla di saliente rispetto alle proprie curiosità.

Castle guardò le labbra di Kate e il solito, instancabile, desiderio di lei lo infiammò in un attimo. Delicatamente posò la mano sul suo seno e iniziò ad accarezzarla. Un gemito di apprezzamento non tardò ad arrivare, anche se la mente di Beckett ancora non era disposta a lasciarsi andare.

“Rick, pensi davvero che Henry sia morto in quell’ambulanza e si sia volatilizzato?”

“Non lo so, babe. Però ti confesso che mi piacerebbe che fosse così!” rispose non nascondendo la sua esaltazione ad un‘evenienza del genere.

“Sono ore che ci penso. Non penso ad altro. Non riesco a capire cosa sia successo. Non riesco a formulare una, dico UNA sola, teoria razionale di nessun tipo” esclamò con tono rammaricato.

“Sei solo stanca, Kate. Ci sei sempre riuscita e, purtroppo per me, anche questa volta ci riuscirai” disse infastidito Rick. Non aveva smesso un solo momento di accarezzarle il seno con la mano che si era insinuata sotto la maglia e aveva sapientemente slacciato il gancetto del reggiseno.

“Questa volta non è così. Anche se mi piacerebbe. Non so cosa sia successo, ma so che quando è arrivata la Martinez all’obitorio aveva la stessa espressione del ragazzo dell’ambulanza: sembrava avesse visto un fantasma”.

“Jo Martinez è solo esausta. Ha visto il suo partner ferito gravemente, l’ha visto salire su un’ambulanza non sapendo se lo avrebbe rivisto vivo… Kate… una cosa del genere è terribile: io l’ho vissuta e se hai ragione tu e Jo prova dei sentimenti per lui, tutto è ancora più devastante.”

“Non mi convince, Rick. Comincio a pensare che tu abbia ragione. Se domani Henry torna al lavoro senza neanche un graffio, penso che tu sia davvero nel giusto.” E si affrettò ad aggiungere “ma giurami che non lo dirai a nessuno, soprattutto ad Espo”.

“Mai come questa volta penso di aver torto. Hai sempre avuto ragione tu, c’è sempre stata una spiegazione razionale per tutto e ci sarà anche questa volta. Ma ti prometto che qualunque cosa accada, Espo non ne saprà niente” e le porse la mano libera per battere il cinque.

Risero cercando di far piano per non svegliare Martha che riposava al piano di sopra finché Kate lo baciò con desiderio e con una mano si avvicinò all’inguine, iniziando a donare le stesse carezze che lei stava ricevendo da un po’.

 

A qualche isolato di distanza, in Washington Heights, il dottor Henry Morgan era seduto su un gradino appoggiato ad una porta rossa. Stringeva il suo cappotto cercando di tenersi caldo ma il freddo del bagno nell’Hudson e il gelo preso in attesa che Abe lo recuperasse gli era rimasto nelle ossa. Tremava come una foglia mentre osservava il manto nevoso abbondante che era sceso quella notte. Erano quasi le due e sperava che presto la detective Martinez, la sua amica Jo, tornasse a casa. Quando l’aveva vista uscire dal negozio di antiquariato aveva notato il suo sguardo di dolore e delusione.

Era stato tutta l’ora successiva a cercare di capire cosa dirle il giorno dopo al lavoro.

Ma più inventava storie improbabili e più si sentiva stanco come mai in vita sua.

Forse aveva davvero ragione Abe. Se non voleva cambiare di nuovo vita, e suo figlio non ne aveva più nessuna intenzione, doveva fidarsi di lei e provare a raccontarle tutto, dall’inizio alla fine.

Dopo circa mezz’ora, sentì una mano poggiarsi sul capo che aveva protetto tra le gambe per ripararsi dal freddo.

“Henry! Cosa ci fai qui? Non ti è bastato il freddo che hai preso questa notte?” il tocco delicato della mano e la voce di Jo lo presero alla sprovvista.

Si accorse che stava tremando come una foglia. Era stanco e si doveva essere assopito al gelo. Di nuovo, quella stessa sera, era caduto in uno stato iniziale di ipotermia.

Alzò la testa e sorrise a quello che sperava potesse diventare il suo nuovo angelo custode, come era stata Abigail, prima fra tutte le cose, sua unica confidente.

“JJJooo, hooo bb..bbisooognooo ddddi ppp..ppaaarl…” le labbra viola erano gonfie e tumefatte.

“Santo cielo, Henry, vieni dentro. Hai proprio deciso di morire oggi?” esclamò, pentendosi subito dopo di quello che aveva detto. Non era carino dire una cosa del genere ad un uomo a cui nella stessa sera avevano sparato e che poi aveva avuto l’ardire di fare anche un tuffo nell’Hudson ghiacciato.

Il dottore seguì dentro casa la detective che cercò di scaldarlo come poteva. Tolse il piumone dal suo letto, non avendone un altro, e lo coprì.

Henry ispirò a lungo quell’odore che proveniva dalla coperta, l’odore di Jo.

Solo per quello già si sentiva meglio anche se continuava a tremare come una foglia.

Jo aveva acceso il bollitore elettrico per preparare una tisana calda e, in attesa che l’infuso fosse pronto, cominciò a sfregargli le braccia, il petto e le gambe. Non vedendo la situazione migliorare lo aiutò  a togliersi il cappotto e i vestiti umidi, si spogliò lei stessa, andandosi a mettere una maglietta oversize, e si sdraiò sul divano accanto al lui, infilandosi sotto il piumone.

Sperava di riuscire a fargli riprendere una temperatura accettabile con il calore del suo corpo.

 

 

Angolo di Monica

Ci siamo, questa volta Henry non potrà sottrarsi dal confronto con Jo, sempre che riesca a sopravvivere al gelo ;-)

Invece Kate e Rick trascorrono chiacchierando qualche ora sul divano davanti alla presenza discreta di Martha. Il confronto tra i due è chiaro… la razionalità di Kate vacilla a tal punto che lei pensa che questa volta, per la prima volta, ha ragione Castle e non c’è una spiegazione razionale per tutto. Rick invece è certo che prima o poi la verità uscirà fuori dando ragione alla logica di Kate.

Siete pronti a vedere come si evolverà la questione?

Siamo agli sgoccioli.

Stay Tuned!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***






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Capitolo 9
 
L’appartamento di Washington Heigths alle 2:30 della notte era terribilmente freddo. Il riscaldamento era rimasto spento tutto il giorno e con temperature così rigide l’ambiente si raffreddava velocemente. Da quando era rimasta sola, Jo aveva dovuto contenere le spese perché le entrate di Sean erano di gran lunga superiori allo stipendio di una detective della omicidi della polizia di New York. I mesi successivi alla prematura vedovanza, la giovane donna si era dovuta anche barcamenare con conti che non tornavano e nei momenti più bui di disperazione aveva persino preso in considerazione di lasciare quell’appartamento per prenderne uno più economico fuori Manhattan. Ma i ricordi di quella casa, i mobili, i quadri appesi alle pareti e ogni piccola decorazione era stata scelta insieme al marito e non voleva staccarsi da quell’unico filo conduttore che ancora lo legava a lui. I primi tempi non era neanche riuscita a dormire nel letto matrimoniale che aveva condiviso per anni con Sean e per tre settimane aveva passato le notti su quel divano, dove adesso era abbracciata ad un altro uomo, seppur in una situazione completamente diversa.
Henry aveva finalmente smesso di tremare come una foglia e la temperatura dei loro corpi si era lentamente uniformata  tra loro.
Morgan non aveva più detto niente da quando era entrato in casa quasi semiassiderato e in quel momento si era assopito, forse ormai stremato dai contrattempi delle ultime ore. Jo invece non aveva assolutamente sonno, era esausta mentalmente per gli ultimi avvenimenti ed in realtà era anche molto turbata: era abbracciata ad un uomo, stretta a lui il più possibile, con l’intento di non farlo morire per ipotermia.
Solo per quel motivo.
Eppure non riusciva ad ignorare, e Dio solo sa quanto ci stesse provando, quella sensazione di calore che aveva iniziato a propagarsi all’interno del suo petto. Conosceva molto bene quel tipo di emozione e non le capitava da tantissimo tempo.
Protezione.
Da quanto tempo non risposava abbracciata tra le braccia di un uomo?
Dalla notte prima che Sean partisse.
Da allora aveva avuto un paio di squallidi incontri sessuali, che l’avevano lasciata vuota e con un senso si solitudine ancora più grande, oltre ad una profonda impressione di mancanza di rispetto verso se stessa. Ma erano stati momenti di pura debolezza.
La situazione ora invece era completamente diversa.
Non c’era nessuna connotazione erotica in quell’abbraccio che le stava regalando quelle emozioni. Spostò la testa e si scostò un ciuffo di capelli che le coprivano un occhio impedendole di vedere bene il viso di Henry.
Riposava.
La sua espressione era più serena adesso. Per un  momento ripensò alle parole che le aveva detto Beckett all’OldHaunt solo qualche ora prima, anche se le sembrava fossero passati giorni interi da quella chiacchierata.  Fissò a lungo Henry e si chiese se Kate non avesse ragione. Quello che stava provando in quel momento, quel benessere che le aveva invaso il corpo da quando il gelo aveva smesso di fare da barriera tra loro, era la dimostrazione che la sua collega avesse ragione? Con una mano accarezzò il viso di Henry, soffermandosi a lungo per prolungare il contatto con la sua pelle. Si raccontò immediatamente che lo stava facendo per vedere se per caso gli fosse venuta la febbre. All’improvviso lo sentiva bollente. Era lui o erano i suoi pensieri a darle questa sensazione di calore?
Non era facile capirlo e comunque, anche se trovava Henry estremamente affascinante, c’erano due grossi punti di attenzione da prendere in considerazione. Uno riguardava proprio lei stessa: era pronta davvero a voltare pagina?
E sarebbe stata preparata per farlo con un uomo così misterioso e taciturno, così riservato da darle più volte l’impressione di mentire o comunque di omettere importanti informazioni che lo riguardavano?
In quel momento, abbracciata a lui stava quasi dimenticando la profonda frustrazione che aveva provato quando dopo la doccia le aveva detto l’ennesima bugia.
Questa volta aveva bisogno di una spiegazione e non si sarebbe accontentata di una mezza verità.
Un brivido la percorse per tutto il corpo come ad ammonirla che, se mai avesse ricevuto un chiarimento, la sua vita sarebbe stata segnata per sempre da qualcosa di grande. Ripensò anche ad Abe: quell’uomo voleva davvero bene ad Henry, un rapporto profondo di amicizia che meritava rispetto. Abraham lo conosceva sicuramente meglio di chiunque altro e quando aveva affermato che Henry stava bene… fisicamente almeno, chissà cosa voleva sottintendere.
Prese un grande respiro e chiuse gli occhi per pensare.
Quando li riaprì qualche istante dopo, vide Henry che la stava fissando con un’intensità che la mise quasi a disagio. Forse per quella intimità, in cui si erano ritrovati, così inusuale tra loro.
“Sono mortificato, Jo” disse il dottore.
La donna lo guardò. Non sapeva come comportarsi. Aveva lasciato scorrere i pensieri veloci e ora la situazione in cui si ritrovava le sembrava terribilmente imbarazzante.
“Ti sei addormentato”
“Ti prego di perdonarmi”
“Non ti devi scusare. L’importante è che tu abbia ripreso calore.“ disse allontanando la gamba che aveva appoggiata su di lui, poi, per giustificarsi di quella situazione, continuò “Non volevo svegliarti e sono rimasta immobile”.
Scostò leggermente anche il bacino e allentò la stretta delle braccia dopo aver scostato il viso riportandolo ad una distanza minima più  accettabile.
“Vuoi la famosa tisana? Riaccendo il bollitore” chiese nervosa.
“Jo, ti devo parlare” sussurrò Henry con evidente difficoltà “ e credimi non è facile”
“Mi hai raccontato l’ennesima balla stasera a casa tua. Non posso più lavorare con te. Non ce la faccio” si meravigliò lei stessa di quanto la sua voce risuonasse risoluta.
Ma aveva paura.
Ora che si era soffermata a lungo a pensare a loro due le sembrava impossibile tornare a ristabilire la situazione come prima.
Inaspettatamente Henry la attirò a sé e posò la sua fronte sull’incavo dell’attaccatura del suo naso. Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi.
“Jo, voglio dirti la verità ma sii certa che non è agevole per me. La conosce solo Abe ed Abigail, prima di lui. Probabilmente non mi crederai e …” fece un sospiro “e voglio che tu sappia che non ti biasimerei se ciò succedesse.”
La donna gli prese il volto tra le mani e lo allontanò.
Voleva guardarlo negli occhi.
“Mi stai spaventando… Cosa puoi aver fatto di così terribile, Henry? Perché nascondi a tutti la tua vita?”
Morgan chiuse gli occhi non sopportando quello sguardo indagatore, non duro, ma realmente preoccupato. Ora che finalmente aveva scoperto la fine di Abigail e il suo sacrificio per proteggerlo, aveva ancora più timore di rivelarle la verità: era conscio che non poteva tornare indietro a meno di cambiare nuovamente vita. Ma Abe era ormai vecchio e stanco e aveva bisogno di stabilità e inoltre non voleva perderla. Non voleva lasciarsi sfuggire quella donna che gli era stata vicino in silenzio e con fiducia. Si rese conto che non voleva rischiare di rimanerne privo e, l’unico modo per farlo, era sfidare la sorte.
“Sappi che nel caso tu … ecco … dovessi rimanere sconvolta da quello che ti sto per rivelare, non dovrai preoccuparti: dammi poche ore e sparirò per sempre da New York e dalla tua vita e non dovrai più preoccuparti di me.”
Le prese una mano.
“Henry, mi stai davvero spaventando.” Jo iniziò a tremare scossa da brividi e il dottore la strinse di più a sé, assaporando quel momento e augurandosi in cuor suo che fosse il primo abbraccio di una lunga serie.
Si rese conto che stava andando troppo avanti con la fantasia. Si trovava tra le sue braccia solo perché l’aveva aspettata a diversi gradi sotto lo zero  fermo per quasi un’ora. E lei, da donna pratica qual era, aveva trovato il modo più veloce ed efficace per scaldarlo.
Erano colleghi.
Solo colleghi.
Forse amici.
“Va bene, Jo. Non ti spaventare. Voglio solo che mi prometti una cosa: qualunque cosa io ti dica, fammi concludere. Poi prenderai le tue decisioni. Ok?”
Jo, sempre più intimorita ma anche curiosa, fece un cenno col capo.
Henry trasse un profondo respiro, sorrise, e ne prese un altro per infondersi maggiore coraggio. Iniziò il suo racconto scandendo bene le parole per essere certo che la detective non potesse fraintendere nulla.
“Sono nato il 19 settembre 1779 e la prima volta che sono morto è stato più di duecento anni fa…” fece una pausa per osservare l’espressione di Jo poi riprese subito, per paura di essere interrotto, e principiò a raccontare tutta la sua storia.
 
Un leggero chiarore filtrava attraverso le tende scure alle finestre della camera da letto di Jo. A giudicare dalla luce dovevano essere all’incirca le sette e mezzo. Era contento che la sua nuova confidente non fosse fuggita subito a gambe levate. Ma attendeva con ansia il momento in cui si sarebbe svegliata e avrebbe riflettuto sugli eventi della notte. Dopo aver finito il suo racconto con la sua morte in ambulanza e la sua ennesima rinascita nell’Hudson, Jo gli era apparsa turbata.
Molto turbata.
Era rimasta in silenzio per diversi minuti senza dire nulla e poi molto semplicemente aveva affermato che se non lo avesse visto ferito mortalmente al Central Park, non gli avrebbe mai creduto. Aveva aggiunto che aveva una discreta esperienza in ferite da arma da fuoco e che si era resa conto subito che le sue condizioni erano disperate. Non aveva più detto nulla se non che aveva bisogno di riposare e dormirci su.
Era evidente che aveva la necessità di elaborare la portata di tutto ciò che le aveva raccontato. Si era alzata e gli aveva detto che aveva un mal di schiena terribile e che se ne andava a letto, poi, un po’ pensando all’unico piumone in suo possesso, un po’ riflettendo sul fatto che ormai il danno era fatto, lo invitò ad unirsi a lei per distendersi un po’. Si era addormentata quasi subito e Henry aveva considerato positivo il fatto che non avesse rifiutato il suo abbraccio e lo avesse fatto entrare nel suo letto, tenendo a precisare che era un enorme atto di fiducia in lui, visto che dopo Sean nessuno aveva varcato più la soglia di quella camera.
Tutto questo lo  faceva ben sperare.
Henry era rimasto quelle poche ore della notte a guardarla, troppo emozionato per essere riuscito a confidarsi con qualcuno. Si augurava davvero che Abe avesse ragione e che Jo fosse la persona giusta per farlo. Per questo era impaziente di parlarle al suo risveglio. Solo allora avrebbe saputo cosa ne sarebbe stato della sua vita.
Un raggio di sole si fece spazio tra le nuvole e oltrepassò anche la tenda andando ad illuminare il viso stanco di Jo che si mosse, spronata dall’improvviso tepore.
Aprì leggermente un occhio con un’espressione confusa.
Poi ricordò tutto.
“Buongiorno” le disse Henry.
“Buongiorno” rispose con un filo di voce portandosi entrambe le mani a coprirsi il viso.
“Sei riuscita un po’ a riposare.” constatò, felice che ci fosse riuscita.
“Il letto è decisamente più comodo del divano” provò a scherzare.
“Senza alcun dubbio”
Jorealizzò solo in quel momento che aveva dormito tra le sue braccia.
Lo guardò e improvvisamente si rese conto di avere di fronte a lei un uomo con più di duecento anni. Henry la stava fissando, forse cercando di capire cosa pensava di fare.
Non voleva tenerlo sulle spine.
Aveva deciso di credergli.
In fin dei conti l’aveva visto quasi morto la sera prima e poi aveva ripensato a tutte le volte che era stato pescato dagli agenti, nudo sulle rive dell’Hudson. Non si era mai riuscita a spiegare come un uomo integerrimo come lui, potesse non resistere a quella tentazione e farsi arrestare più volte. Le sembrava addirittura più strana come cosa che ritenerlo immortale. E poi quegli strani appunti che aveva trovato nel suo laboratorio. Ora sì che avevano un senso.
In fin dei conti tutto quadrava.
“Henry?”
Lui si girò e la fissò in attesa.
Sapeva che quello sarebbe stato il momento del suo verdetto.
“Ti credo.” dichiarò facendo un cenno col capo per sottolineare quanto aveva affermato.
Il dottor Morgan fece un grande sorriso e preso da un impulso irresistibile la baciò.
Jo fu presa di sorpresa e per qualche attimo rispose al bacio, assaporando le sue labbra. Un piacevole e quasi dimenticato calore la infiammò dentro e ne fu spaventata.
Si fece forza e lentamente si staccò da lui.
“Mi dispiace, Henry. Non posso. E’ troppo presto, sono ancora sottosopra per quel che mi hai detto…”
Lui le sorrise e la strinse a sé.
“Ti aspetterò anche tutta la vita.”
Risero insieme, per scaricare la tensione di quel momento, poi iniziarono a fare progetti per inventare insieme una storia plausibile da raccontare a mezzogiorno a Rick e Kate Castle.
Di certo non sarebbe stato facile ma,con Jo dalla sua parte, tutto il resto non contava più.
Henry Morgan si sentiva un uomo fortunato: la sua vita stava cambiando di nuovo e si sentiva che avrebbe di nuovo trascorso anni sereni e felici.

 
Angolo di Monica
E siamo giunti alla fine di quest’altra storia con un finale che volutamente lascia spazio alla fantasia di ognuno di voi.
Vi ringrazio per l’affetto che mi avete dimostrato in un periodo in cui EFP stenta davvero a riprendere lo smalto di un tempo.
Un ringraziamento particolare va a Debora per tutto il tempo che ha dedicato a questa storia e non solo, a Rebecca che mi ha "htmllato" l'ultimo capitolo e infine a Daniela, compagna di tante avventure che è diventata, inaspettatamente,  una mia nuova lettrice: ne sono onorata J
E poi a Virginia e a Diletta che mi hanno lasciato delle recensioni davvero davvero splendide e articolate, sappiate che avete riempito di gioia il mio cuore.
Un grazie a chi ha messo la mia storia tra le preferite o le ricordate, a chi ha recensito tutti o solo qualche capitolo e a chi comunque ha dedicato il proprio tempo a questa storia arrivando fin qui.
Grazie.
Un abbraccio
Monica
 

 

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