C'è un mondo

di La Mutaforma
(/viewuser.php?uid=68889)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** un istante di beatitudine ***



Capitolo 1
*** I ***


C'è un mondo oltre la barricata. Dove suonano musica, dove versano il vino, dove regna l'entusiasmo. Il sole irradia i suoi abitanti, il vento trasporta le loro canzoni.

C'è, ma lui non riesce a vederlo. Oltre la barricata vede solo la morte sulle baionette dei soldati.

La fine di ogni cosa.

 

I

 

Enjolras”

È il primo pensiero che riesce a formulare. Intorno a lui la rivoluzione agonizza sotto i colpi della guardia nazionale e così i suoi eroici figli.

Corre, ma non sa in che direzione. Ovunque riconosce cadaveri, ma non può fermarsi. Continua a correre, e se l'ingiustizia che muove il mondo vorrà tenerlo in vita, alzerà per loro il suo canto funebre. Altrimenti morirà con loro.

Per adesso corre ancora e ripete il suo nome ossessivamente, cercandolo nei volti devastati dei suoi compagni, nelle loro mani sconfitte. Risale le scale correndo e inciampando e forse dovrebbe essere più attento a non fare rumore. I soldati sono ovunque e in qualunque momento potrebbe ritrovarsi un colpo di fucile alla schiena.

Ma per fare silenzio dovrebbe camminare piano, e camminare piano è arrivare tardi.

Sempre che non sia già troppo tardi.

Finalmente riconosce in un bagliore i suoi capelli biondi, ora viscidi di sangue. Non è più un dio. Gli dei non sanguinano, gli dei non muoiono.

Davanti a lui, la carabina di un municipale.

Viva la repubblica” La voce di Grantaire è un suono strozzato. È troppo tardi per salvarlo, ma è ancora in tempo a morire con lui. È molto più di quanto avrebbe mai sperato. Si posiziona accanto ad Enjolras, il petto si gonfia in profondi respiri. “Dividiamoci questo piombo. Quando tutto questo finirà, comandante, potrà dire di averne presi due con un solo colpo, che grande storia! Scommetto che le daranno una medaglia al valore per questo! Che spettacolo!”

Non può smettere di parlare, ha paura. Non ha mai avuto così paura ed è troppo sobrio per affrontare la morte. Lo sproloquio nervoso di Grantaire ottiene in reazione lo sguardo confuso e spaesato di Enjolras, poi la risata sguaiata del gendarme.

Riconosco questa parlata da folle pensatore. Tu sei quel matto di Grantaire! Mi ricordo di te!” Grantaire invece no, non si ricorda di lui “Una sera mi battesti a scacchi. Sei stato un bravo giocatore, uno onesto. Mi offristi da bere e dicesti che un giorno avrei ricambiato il favore. Un folle previdente! Chi lo avrebbe mai detto!” la carabina si abbassa “Su, puoi andare, non posso sparare ad un uomo così”

Grantaire sente i nervi tesi, il sangue pulsare nelle tempie. “Quindi è questo il nuovo gioco? Dei due condannati uno lo grazi e lo lasci andare? Prima eravate uno scarso giocatore di scacchi, ma adesso siete più potente di quel Dio che muove ogni cosa! Ebbene, mi piace, davvero una bella trovata, ma questa, comandante, è la mia ultima partita.” Gli batte il cuore più veloce, recupera i battiti perché sa che saranno gli ultimi. “Adesso onora il tuo debito, capitano; lascia andare questo ragazzo non meno folle di quest'uomo che hai davanti agli occhi. Giochiamoci quest'ultima partita.”

Gli occhi di Enjolras si accendono di rabbia, o di angoscia. “Grantaire, non te lo lascerò fare! Che follia è mai questa?”

Sono troppo sobrio per fare l'eroe. Non sono mai stato coraggioso.

Sono inutile, cittadino Enjolars, lo hai detto tu stesso, e più di una volta anche. Sono uno scarto delle osterie alla chiusura, e solo un tavernaio potrebbe mai piangere la mia fine. La tanto amata patria ha ancora bisogno della tua fiducia e del tuo coraggio. Vai adesso! Non perdere tempo, questa è una partita tra me e il capitano”

Non è nemmeno sicuro che il gendarme davanti ai suoi occhi sia davvero un capitano, ma i titoli hanno poca importanza. Lui è l'uomo armato, Grantaire invece non è un eroe né un soldato. Non è nessuno, è un ubriacone senza identità. Ce n'è uno in ogni osteria; lui occupava l'angolo buio del Musain e non era migliore dei suoi compagni caduti.

Beato il primo a cadere, che non vede tutti gli altri morire e non ha il tempo di chiedersi come sarà quando verrà il suo turno. Che mi venga almeno concesso di essere l'ultimo e tra tutti gli amici che non ho potuto salvare, che io possa scorgere la sua figura che si allontana, i suoi passi portarlo in salvo.

È un bel modo di morire, il migliore a cui potesse mai aspirare.

Enjolras cambia espressione quando si parla della patria ma non accenna ad andare via. È Grantaire a spingerlo via con violenta disperazione, prima che questo gioco venga a noia al soldato. Tira un sospiro di sollievo mentre osserva Enjolras spostarsi lentamente di lato, arrendevole, offeso. Vivo. Potrebbe scappare via dalla porta, ma non lo fa. Resta immobile, a lato, a metà tra Grantaire e il soldato.

Vuoi restare? Vuoi vedermi morire?

Gli occhi del suo condottiero sembrano bruciare di un sentimento che va oltre la rabbia e l'odio. Sono arrendevoli ma ancora fieri, sconfitti non dalle armi ma da quel sacrificio. Gli uomini potenti come Enjolras vengono piegati, ironicamente, solo dalla loro stessa impotenza. Non c'è nulla che possa fare ora e lui brucia. Non si direbbe che è Grantaire a morire, così sereno mentre lo guarda e gli rivolge un timido sorriso, il suo ultimo saluto.

Un momento dopo scoppia una confusione di immagini e suoni. Il rumore dello sparo echeggia secco, il grido di Enjolras invece è viscerale, fa spavento. Non saprebbe dire con precisione quale dei due ci sia stato prima.

Invece di sprofondare nelle nere braccia rassicuranti della morte, il dolore gli esplode tutto nella spalla in un mare di luce che gli acceca la vista.

Mentre cade, strisciando con la schiena contro la parete dietro di lui, ha il tempo di vedere Enjolras che si avventa sul gendarme, ancora gridando.

Anche stavolta, non saprebbe dire cosa sia successo prima e cosa sia successo dopo.

 

C'è un mondo

 

Il dolore lo risveglia. Riesce solo a masticare una bestemmia, la voce gli esce roca e impastata. Non ha mai provato così tanto dolore in vita sua. Una mano gli infila prontamente qualcosa in bocca, qualcosa di soffice, come una stoffa. Forse una giacca o una camicia. Grantaire riesce a sfogare il dolore solo nel morso, affondando i denti, e morde fino a quando la mascella dolente non lo distrae (parola grossa, non potrebbe mai distrarsi) dal dolore alla spalla.

Lentamente riesce ad aprire gli occhi e riconoscere Enjolras chino su di lui a -gli sta davvero scavando dentro la spalla?!

Oh, Dio.

 

Dopo essere svenuto e rinvenuto più volte -ovviamente, non c'era nulla per farlo addormentare- Grantaire si riprende del tutto.

Forse non proprio del tutto, ma almeno è vivo e forse fuori pericolo.

Enjolras è inginocchiato accanto a lui, chino sulla sua ferita come se il suo sguardo potesse preservarla dalle infezioni (sinceramente, se lui fosse stato un batterio maligno non avrebbe mai osato sfidare occhi così). Lo guardava con severa preoccupazione; poteva allo stesso modo abbracciarlo sollevato o dargli un pugno in faccia.

Come stai?”

Deludente via di mezzo tra l'abbraccio e il pugno.

Fa male”

Lo so”

Mi hai davvero tirato il piombo dalla spalla?”

Dovevo, saresti morto. Dopo tutta la fatica per portarti qui sarebbe stato deludente”

Deludente.

...Cristo.” Grantaire sente di poter svenire di nuovo. “Mi hai davvero tirato via un pezzo di piombo dalla spalla. Con le dita. Sbalorditivo.”

Sarebbe stato più sbalorditivo se la pallottola in questione non fosse stata nella sua spalla, comunque.

Disinfettato e ricucito, sei anche meglio di prima. Probabilmente avrai una cicatrice da mostrare.” fa una pausa “Sei svenuto più di una volta, temevo saresti morto.”

Lo pronuncia quasi con affetto, il suo tono duro si è sciolto e si è fatto più dolce. Grantaire chiude gli occhi: Enjolras era davvero preoccupato per lui.

Ero pronto a quello”

Non era pronto invece a quella conversazione.

Stringe gli occhi per guardarsi intorno, scruta la densa oscurità intorno a loro.

Dove siamo?”

In una vecchia cantina sotto il Musain.”

Non vedo il vino”

Te l'ho detto, è vecchia. Ci tenevamo le armi qui sotto.” Ma ovviamente Grantaire non lo sapeva, non si era mai interessato a quelle cose.

Quindi i municipali ci camminano di sopra?”

Enjolras rimane in silenzio. “Credo che non ci sia nessuno.”

Da quanto tempo siamo qui?”

...Da un po'. Sei rimasto privo di sensi abbastanza a lungo.”

Rimangono in silenzio, senza sapere cosa aggiungere. È una fortuna che Grantaire abbia una bocca larga sempre pronta alle inutili discussioni, le battute provocatorie e qualunque parola inopportuna.

Che posticino delizioso. Certo, un po' umido, un po' buio, ricorda vagamente l'entrata degli inferi. Non ci sarebbe una lanterna per farci luce? Anche una candela, fa più atmosfera.”

Enjolras risponde con un sospiro. “Tutto quello che ho trovato è una lanterna ma ha poco olio. Comunque, non ho cercato molto approfonditamente.”

in realtà non si è allontanato da Grantaire se non per qualche minuto, la lanterna l'aveva vista mentre scendeva le scale della botola e l'aveva usata mentre estraeva il proiettile. Non ha mai fatto nulla di simile prima; gli era capitato di assistere a delle operazioni di emergenza e aveva solo una vaga conoscenza del procedimento.

Le sue mani non hanno mai tremato, ma questo Grantaire non può saperlo.

Forse è meglio conservare l'olio per quando dovrò controllarti la ferita”

O forse è meglio restare al buio e non guardarsi. Sarebbe un po' come stare da soli se si stesse in silenzio.

La tua dedizione mi commuove!”

Se si stesse in silenzio.

Possibile che tu non possa smettere di essere inopportuno?! Nemmeno adesso?”

Enjolras ne ha bisogno. Grantaire lo sa e per questo continuerebbe a parlare. Potrebbe non smettere mai, solo per ottenere qualche reazione, anche la più rabbiosa. È quello che ha sempre fatto.

Ma stavolta non ce la fa.

Resta in silenzio, accanto ad Enjolras. Nel buio non saprebbe dire quanto gli sta lontano. Poi, l'oscurità inghiottisce ogni cosa e Grantaire ritorna ad essere solo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


L'autrice consiglia la lettura con questo sottofondo  Buona lettura e grazie del sostegno. 

 

II

 

C'è buio e silenzio. È notte? È giorno? Chissà. Qui sotto sembra tutto uguale. Sopra la sua testa non si muove una trave. Che la morte sia un po' così? Un limbo nero in cui il tempo passa senza portare con sé alcun mutamento?

No, il respiro disordinato di Grantaire lo riporta alla realtà.

È vivo. Sono vivi.

Allunga una mano per sfiorare la sua fronte: è tiepida. È un tipo pieno di sorprese, Grantaire, e mentre ci pensa si scopre a sorridere amaramente. Sopravviverà, il piombo può solo scalfire la dura pietra, che essa sia intagliata come un dio o come un gargouille.

Pazzo, pazzo Grantaire. Cosa doveva essergli saltato in mente? Rischiare la vita così!

Per salvare la sua.

La consapevolezza lo tormenta. Non sa quanto tempo è passato, ma non ha mai dormito. Migliore di qualunque sentinella, è rimasto a scrutare il buio, ad ascoltare il silenzio. A controllare che Grantaire non fosse morto.

Ogni principio di riflessione era smorzato da quell'unico scopo: restare concentrato.

Purtroppo, l'apparente pacifico silenzio (apparente, anche i cimiteri sono silenziosi) viene interrotto da un verso gutturale di Grantaire al suo fianco. È sveglio.

Ho fame”

Primo pensiero. A questo, Enjolras non aveva pensato. Ma adesso tutta la fame che aveva dimenticato comincia a ruggire ferocemente nello stomaco.

...Sì, anche io.” risponde lui, flebile.

C'è qualcosa da mangiare qui sotto?”

Non che io ricordi”

Rimangono in silenzio per qualche istante, chiusi nelle loro riflessioni. “Allora cosa suggerisce il nostro comandante? Restiamo qui a morire di fame?”

Non chiamarmi comandante.” risponde Enjolras, freddo nella sua aggressività. Poi, accorgendosi lui stesso del suo tono violento, decide di parlare con più delicatezza. “Non disperarti. Aspettavo che ti svegliassi, adesso andrò a cercare da mangiare.”

Grantaire nota immediatamente due cose: non è vero che aspettava che si svegliasse e la sua delicatezza fa un suono nevrotico. Non che si aspettasse qualcosa di diverso.

Tu? E se fossi riconosciuto da qualcuno? Se ci fosse qualche guardia in giro?”

Dubito. Non si sente un passo da quando siamo scesi qui sotto. E comunque, tu non puoi andare.”

Chi dice che non posso?”

La tua spalla.”

Grantaire si morde un labbro, nervoso. “E se invece ci fosse qualcuno?”

Allora morirò” e prima di qualunque altra contestazione, Enjolras si alza e raggiunge i gradini di pietra che portano al piano superiore. Grantaire osserva la sua figura, ombra nell'ombra, spingere contro la porta della botola.

Enjolras!” lo chiama, un'ultima volta. Un filo di luce bianca esce dalla botola e illumina quel viso livido. Fuori è notte. “...Torna presto.”

Lo vede annuire, poi sgusciare fuori. La botola si richiude.

 

Non torna così presto, a dire il vero. Grantaire ignora la fame che gli rode lo stomaco ma resta in ascolto. Segue il rumore dei passi leggeri di Enjolras e vorrebbe essere lì con lui, per guardargli le spalle. Ci ha anche provato, ad alzarsi. Il dolore alla spalla lo ha ributtato per terra. È riuscito con molta fatica a mettersi seduto, con la schiena contro la parete, e ha continuato ad aspettare, con la fronte sudata e contratta dallo sforzo.

Finalmente, sente il cigolio mostruoso della botola che si apre e richiude, come una bocca che si apre sull'inferno. Nel silenzio, quel rumore è così forte che chiude gli occhi per lo spavento e prega che nessun altro lo abbia sentito. La paura amplifica ogni piccolo rumore, lo trasforma in un urlo disumano.

I passi di Enjolras lungo le scale invece sono più delicati e rassicuranti, riportano la pace. La luce di una lanterna nella sua mano lo segue e illumina i gradini ammuffiti. Sul viso pallido del figlio della repubblica, le ombre si muovono disordinate, i lineamenti fieri sembrano sfigurati. Non indossa più nemmeno la giacca rossa che il giorno prima (si suppone, quanto tempo è passato?) mostrava con grande orgoglio.

Ci hai messo troppo”

Mi dispiace, devi essere molto affamato”

Che tu sia dannato Enjolras, non ero impaziente per la fame.

Hai trovato qualcosa?”

Del pane e dell'acqua, non è rimasto quasi niente”

Dimenticavo il grande banchetto sulla barricata.” Avevano diviso quel poco che avevano.

Ce lo faremo bastare per un po'. Ho trovato un'altra lanterna e una coperta. Puoi tenerla tu.”

Le tue premure mi lasciano senza parole, Enjolras, ma permettimi di contestarti. Sei pallido e stanco, in camicia per giunta. Io ho dormito tanto, mi sono ripreso dal colpo ormai. Dovresti riposare.”

Non ne ho bisogno.” replica testardamente.

Si siede accanto a lui e gli porge un pezzo di pane senza guardarlo. La lampada illumina lo spoglio ambiente d'intorno: ci sono solo loro, nient'altro. Grantaire si costringe a masticare lentamente, pur di illudere lo stomaco di essere sazio. Enjolras invece non mangia.

Rimangono in silenzio a scrutare il buio davanti a loro, in quella cantina di cui non si vede la fine. Potrebbe essere tranquillamente infinita oppure essere terminata appena dopo la riga di oscurità che la luce fioca non può raggiungere.

Nessuno ha la forza di alzarsi e controllare.

Enjolras si volta verso di lui. “Se hai finito di mangiare devo controllarti la ferita”

Non sapevo fossi un cerusico, o una suora. Di certo ne hai lo spirito.”

Stai zitto, Grantaire.”

Gli sbottona il gilet e gli apre la camicia. La macchia di sangue è secca ma Grantaire la guarda con paura e stupore. Persino un cinico può meravigliarsi di fronte alla morte, e lui, che c'era stato ben vicino, è ancora più meravigliato. Le dita di Enjolras sono frettolose ma, meravigliosamente, sanno anche essere delicate. Con gentilezza comincia a srotolare la fascia tricolore che durante la battaglia aveva portato alla cinta e che aveva usato per fasciare la spalla di Grantaire. Aveva preferito non chiedersi quanto fosse pulito, o idoneo ad un bendaggio provvisorio. Ma almeno la ferita è ancora chiusa, proprio come Enjolras l'aveva ricucita (con non troppa precisione, ma aveva fatto del suo meglio) e forse sarebbe stato più saggio non toccarla; ma Enjolras era troppo ansioso. Doveva vederla, doveva accertarsi che non fosse infetta, che Grantaire non si fosse tirato via tutti i punti con un movimento di troppo. Afferra la bottiglia accanto a lui e versa del vino sulla ferita. Grantaire bestemmia, si lamenta e si agita tutto, ma Enjolras non gli permette di muoversi, gli tiene il braccio bloccato.

Cerca di non muoverti, ti strapperai i punti.”

Hai idea di quanto faccia male?! Che il diavolo mi porti, brucia come l'inferno!”

Enjolras ha gli occhi bassi mentre lo fascia. “Mi dispiace”

Grantaire sospira. “Non è mica colpa tua se brucia”

Lo è

Riconoscendo a cosa si riferisce, con quel tono e quell'espressione, Grantaire decide di ignorarlo e spinge la testa all'indietro e chiude gli occhi. “Che fine ha fatto la tua giacca?”

La tenevi in bocca quando ti sei svegliato”

Mi hai ficcato la tua giacca in bocca?”

Ti saresti morso la lingua. Peccato non averci pensato prima.” Vorrebbe suonare ironico ma il tono non lo aiuta e lo capiscono entrambi. “Scusa” aggiunge dopo.

Grantaire scuote la testa. “Non devi fingere di non essere sconvolto”

Chissà se mentre cercava da mangiare ha visto i corpi dei loro compagni. Dopo una breve riflessione, Grantaire né è convinto. È è impossibile non vederli. Anzi, è quasi del tutto sicuro che ha fatto un giro per vederli tutti. Lo immagina mentre chiude loro gli occhi e gli accarezza le teste come ultimo saluto, apprensivo e delicato come una madre che controlla i figli che dormono.

Quale orribile immagine. Niente di sorprendente se Enjolras è così angosciato.

Grantaire scaccia quel pensiero dai suoi occhi stanchi e tenta di alzare una mano per confortarlo, per accarezzarlo, ma il dolore lo costringe ad abbassare il braccio con un grido soffocato.

La sinistra, Grantaire, usa la dannata sinistra.

Ti ho detto di non fare movimenti bruschi o ti strapperai i punti! La prossima volta ti ricucio da sveglio!”

Non era un movimento brusco, lo giuro!” strappa al dolore un lieve sorriso “Volevo accarezzarti.”

Enjolras lo fissa confuso. “Perché?”

Perché è quello che fanno le persone per confortare le altre.”

Il biondo condottiero vorrebbe rispondere che non ha bisogno di alcun conforto, ma sa che aprirebbe un'inutile discussione. Ha chiaramente bisogno di conforto, e persino lui non può negarlo.

Abbassa lo sguardo. “Grazie...”

Grantaire sorride dolcemente e chiude gli occhi, godendosi l'atmosfera alleggerita tra loro, lo stomaco pieno (vabbe') e la ferita adesso più fresca.

Grantaire?”

Ti ascolto”

....Perché lo hai fatto?”

Doveva aspettarsi una domanda del genere, ma non aveva avuto tempo di pensare a nulla. Era pronto a morire, non ad affrontare le conseguenze in caso si fosse salvato.

Perché...” si morde il labbro “Era giusto”

Giusto? Tu credi nel giusto, Grantaire? Quando mai hai fatto qualcosa di giusto?”

Pensavo non fosse troppo tardi per cominciare!” risponde ridacchiando; la sua risata fa il suono di un corvo che gracchia.

Lo hai fatto per te stesso?”

Grantaire china la testa in avanti, i riccioli scuri gli coprono gli occhi. “No. Volevo... salvarti. Solo questo, Enjolras. Volevo che tu fossi vivo, perché è più importante della mia vita.” perché sei più importante della mia vita “Mi dispiace non averlo fatto per la patria, forse lo avresti capito e ti avrebbe reso più felice.” La parola “patria” ha un sapore ironico nella sua bocca: lui non è figlio di nessuno, è un abitante di una terra senza nome.

Allora dimmi perché!”

Lui esita e sorride con amarezza. “Meglio di no. Disapproveresti.”

Come potrei...!” Enjolras si morde il labbro ma sa che replicare non lo porterà da nessuna parte. “Sei stato un folle. E molto coraggioso.”

Mai Grantaire avrebbe pensato di udire queste parole e lo stesso Enjolras non pensava le avrebbe mai pronunciate.

Anche tu mi hai salvato.” gli risponde l'ubriacone, una luce flebile negli occhi e il sorriso che sembra una maschera teatrale deforme, non bello e non brutto. Grottesco, a tratti ironico, a tratti drammatico, ma sempre Grantaire.

Non direi, sei ferito.”

Sono vivo, tanto mi basta. Mi serve solo l'aria che respiro. Dopotutto non sono mai stato troppo bene, mi sono capitate cose peggiori.” Sarà, ma lui non se le ricorda. O forse sì, peggiori, ma non lo avevano mai fatto sanguinare. “Com'è successo? Quella guardia non era un gran giocatore, se posso dirlo.”

La luce della lanterna illumina gli occhi azzurri di Enjolras di una luce sincera e disperata. “Non potevo permettere che quella guardia ti fucilasse davanti ai miei occhi!”

Quello che non dice è che era saltato addosso alla guardia con la violenza di un animale per dirottare il colpo, anche a costo di prendersi il calcio del fucile nello stomaco. Non dice che si era fiondato sul soldato e aveva lottato finché non era riuscito a strappargli il fucile dalle mani. Lo aveva colpito così violentemente che già al primo colpo le braccia gli dolevano. Ma il suo corpo era tutto un fremito, tutto eccitato dall'adrenalina della lotta, dal sangue della guardia ai suoi piedi. Un colpo per ogni compagno, un colpo per se stesso che aveva fallito.

Poi, l'euforia della violenza lo aveva lasciato stremato, senza forze. E poi aveva visto Grantaire a terra.

Aveva sentito un grande vuoto nel petto, un freddo glaciale lo aveva preso tutto. Si era inginocchiato in lacrime davanti al suo corpo e prendendogli la mano l'aveva sentita debolmente calda, il polso ancora pulsante.

In qualche strano, assurdo modo, Grantaire (Grantaire, maledizione!) aveva riacceso la speranza in lui, gli aveva dato uno scopo, qualcosa in cui credere. Forse, il fatto che si fosse salvato, poteva essere utile a qualcun altro.

...Grazie per avermi salvato, Grantaire.”

Grazie a te per aver restituito il favore.” risponde l'altro, sfiorandogli il braccio. Enjolras osserva la sua mano con un piccolo sorriso, poi afferra la coperta e la appoggia sulle spalle di entrambi.

Sei un maledetto testardo, Enjolras”

Lo so”

Restano seduti a contemplare il vuoto davanti a loro, spalla contro spalla; una bottiglia li separa, invalicabile come una barricata.

Enjolras spegne la lanterna.

 

Ognuno pensa che l'altro stia dormendo e entrambi sono svegli.  

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


III

 

Quando Enjolras aveva pensato che quella cantina era un limbo senza tempo come la morte non si era sbagliato di troppo. Infatti, adesso anche Grantaire sta cominciando a pensare la stessa cosa.

Solo il dolore, caldo e pulsante come un avvertimento, lo tiene in vita.

Non sa quanto tempo sia passato, ma nel frattempo Enjolras si è addormentato, rapito da un sonno agitato, febbrile, peggiore della placida morte senza sogni che indurisce le membra e alleggerisce l'anima. Il sonno dei vivi è popolato da incubi e ombre, dai fantasmi ben più tranquilli di loro.

Grantaire riaccende la lampada: avevano deciso di usarla il meno possibile, per non consumare l'olio troppo in fretta, non sapevano quanto tempo sarebbero rimasti in quella cantina.

Per Dio, di questo passo moriremo prima di consumare tutto l'olio.

La luce brilla sulla fronte sudata di Enjolras come la rugiada sull'erba; gli occhi sono chiusi e stretti sotto le sopracciglia contratte, le labbra serrate. Grantaire gli sfiora appena il braccio e lui si risveglia di soprassalto, come se qualcuno lo avesse tirato via da qualunque incubo stesse animando la sua mente.

“Cosa c'è?”

“Stai male.”

“Mi hai svegliato per dirmi questo?”

Grantaire sbatte le palpebre. Non sa come dirglielo con delicatezza, quindi glielo dirà in modo spietato e diretto, come al solito. “Sei andato a cercarli. È per questo che volevi salire di sopra. Volevi vederli.”

Enjolras non risponde subito, poi annuisce leggermente col capo.

“Non è colpa tua”

“Lo so”

“Sapevano qual era il prezzo da pagare, ti hanno seguito lo stesso.”

“E sono morti”

“Enjolras!” gli afferra il braccio “Reagisci! Sapevamo tutti che ci sarebbero state delle perdite, eravamo tutti pronti a morire, anche io!”

“Eravamo pronti a morire per la Patria, non per me!”

Grantaire, indispettito, aggrotta le sopracciglia, e volge altrove lo sguardo. “Non era mia intenzione offenderti con quel gesto.”

Riceve un sospiro di risposta. “Lo so. Mi hai salvato la vita. Te ne sono grato, per quanto strano possa sembrarti. Eppure... continuo a non capire. Perché io sono qui? Perché io tra tutti gli altri sono vivo? Ero pronto a dare la mia vita, più di chiunque altro. E invece sono salvo, e vorrei sapere perché...”

“Anche io sono vivo. Te l'ho detto, l'ingiustizia e il caso muovono il mondo e noi non possiamo farci niente. Queste cose non avranno mai un senso, quindi non chiederti il perché. È così e basta.”

Il cinismo è acido sul suo spirito ferito e Enjolras crolla con la fronte sul ginocchio, chiedendo pietà. Grantaire sospira e con più dolcezza sorride e gli accarezza il braccio. “Tu mi hai salvato. E non dalla guardia, non dalla pallottola, non dalla morte. Tu mi hai salvato come nessun altro avrebbe mai potuto fare. Mi hai dato qualcosa in cui credere, qualcosa per cui vivere e morire. Dicevi che non ne sarei stato capace, e invece è così.”

Enjolras alza lo sguardo e una luce commossa splende nei suoi occhi, più forte della lanterna tra di loro. Poi, si acciglia di nuovo.

“Non ti credo”

“Ah, ironico. Adesso sei tu a non credermi! Se questo è l'inferno, questa è la legge del contrappasso! Il cinico non viene creduto! Pensa quello che vuoi, ma questa bocca bislacca ha un solo difetto: dice solo il vero. Io ho creduto in te Enjolras, sempre, e che io sia dannato se lo merito, sempre crederò in te.”

Si guardano negli occhi per un tempo impossibile da stabilire, abbastanza a lungo da non vergognarsi. Poi, Enjolras abbassa lo sguardo, le lunghe ciglia scure proiettano un'ombra delicata sugli zigomi non più di marmo, ma di carne e sangue.

“Allora ti ho deluso. Hai creduto alla persona sbagliata.”

Come posso dirtelo? Come posso farti capire che tu non sei uomo ai miei occhi, ma più folgorante di un dio sulla terra? E questa rabbia, questo sguardo deluso, questo dolore, ti rendono così umano, così bello. Sei come un marmo, ma sei vivo. Non vedi che tremo davanti a te? Come puoi dirmi una cosa così?

Allunga il braccio verso di lui (quello che riesce a muovere) e la mano gli sfiora la guancia, le dita si allacciano dietro il collo e sotto il mento (è incredibile, sembrano essere state fatte per quello tanto che è facile, non ha dovuto nemmeno pensarci) e gli solleva il viso.

“Tu non mi deluderai mai Enjolras.”

Lo ha detto con tono serio e fermo ma in realtà il cuore gli pulsa selvaggiamente nel petto. È vivo, non è mai stato più vivo di così. Né più sobrio, né più sveglio. Il suo viso è più vicino di quanto avesse mai immaginato e anche gli occhi di Enjolras, di solito fermi e glaciali, sono commossi.

L'azzurro diventa cielo e Grantaire impara a volare.

È la prima volta che Enjolras ha un'espressione così vera; appartiene anche lui ai mortali e non lo guarda più come un dio, ma come uomo, uno disperato e sorpreso. Le sopracciglia si curvano verso l'alto e gli occhi si fanno commossi e lucidi di lacrime. Sorride di gratitudine e lo bacia.

Così. Improvviso e fulmineo. Enjolras non ci ha pensato più di un istante; se lo avesse fatto, probabilmente si sarebbe fermato, non avrebbe mai osato. Si sarebbe persino dato dello stupido solo per averlo pensato.

Grantaire, dal canto suo, non riesce nemmeno a crederci. Lo sta immaginando? Se lo chiedono entrambi. Ma è così, Enjolras lo bacia e le sue labbra tremano, il suo respiro si spezza. È solo un istante, un fulmine, un battito d'ali che lo ha portato in cielo. Poi Enjolras si allontana bruscamente, il capo chino.

La dura ricaduta.

“...Perdonami.”

È l'unica cosa le sue labbra riescono a formulare, ma si scusa più con se stesso che con lui. Grantaire invece allunga il braccio senza esitazione e lo stringe a sé. È spaventato e felice, il cuore palpita nel suo petto come un tamburo (proprio come dicevi tu, Enjolras!) ma non sa se è la paura o l'emozione di averlo così vicino.

Enjolras non si scosta, non si ribella. Affonda il viso nella sua spalla e piange.

Nessuno ha detto che gli uomini come Enjolras non piangano, ma lui piange come nessun altro. Stringendo i denti e i pugni, abbracciandolo con violenza, le spalle scosse dai singhiozzi silenziosi come dalle frustrate. Piange i compagni caduti, gli ideali traditi, il fallimento, piange per la vergogna e la disperazione, ma nessun pentimento. È un prezzo difficile da sopportare ma che è pronto a pagare ancora.

Grantaire si aggrappa agli umidi riccioli biondi e gli bacia la fronte più e più volte e l'usuale maschera beffarda si scioglie insieme alle lacrime.

Piangono insieme. Nessuno li sente.

 

Sono rimasti abbracciati a lungo, per secoli interi. Persino Enjolras si è arreso e non ha più opposto resistenza. Il mondo potrebbe finire da un momento all'altro (e forse è già successo) che senso ha negarsi un po' di pace?

Grantaire ha avuto il tempo di pensare a molte cose e di non capire nessuna di esse. Ha pensato alle tante sfumature del buio, al colore del dolore, alla sua anima nera che, contro ogni aspettativa, non è solo fumo, ma anche fuoco e calore.

A quella di Enjolras, rossa e sfavillante come il Sole, che nonostante tutto ha delle ombre.

Poi ha pensato alla sua stessa ombra, a come questa diventi più lunga quanto più lui si avvicina a contemplare la luce ardente di Enjolras.

“Stavo pensando...”

“A cosa?”

“A Marius. A quando lo rimproverai perché era troppo distratto e sospirava per la sua donna.”

Cosette

“Come lo sai?”

Grantaire sorride amaramente. “Ne abbiamo parlato, qualche volta. Era curioso e voleva ricevere consiglio da qualcuno che non si vergognava di parlare senza mezzi termini. E che ovviamente non fosse occupato in altre faccende più importanti.”

Enjolras si vergogna, si agita e si maledice e non mostra nulla di tutto ciò. “Non l'ho trovato. Non è con gli altri.”

“Forse è vivo”

“Non sono così ottimista.” Sospira “Chissà se lei lo sta aspettando. Chissà se guarda con ansia alla finestra, se resta in attesa anche la notte per sentire i suoi passi. Ma lui non tornerà mai più da lei. Me lo ricordo così... pieno di gioia, di vita. Pieno d'amore che non ha avuto l'occasione di dimostrare.”

“Mi stai dicendo che vorresti non averlo rimproverato quella sera?”

Enjolras chiude gli occhi. “No, probabilmente lo avrei fatto lo stesso. Però forse avrei capito tante cose che non mi spiegavo.”

Non sono così tante. Molte ancora non riesce a spiegarsele.

Si addormentano abbracciati prima di trovare delle risposte. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


L'autrice consiglia di sentire questo. Buona lettura. 
 



IV

 

È tutto così strano ora.

Grantaire dorme ancora, il capo ripiegato su un lato, i riccioli scomposti come rovi scuri, aggrovigliati. Enjolras non ne ha paura; sono spine che non possono pungere le sue dita, come candidi uccelli che costruiscono il loro nido nei rovi, il posto più sicuro dove rifugiarsi.

Il biondo amante della libertà è rimasto tutto il tempo tra le sue braccia, appoggiato alla sua spalla, gli occhi rivolti verso Grantaire. Con timore gli sfiora la guancia ruvida, i capelli neri, delicatamente, con la punta delle dita, per non svegliarlo, e tutto è così assurdo. Sente un calore mai provato nel petto, lo stomaco leggero. È così che ci si sente? Non sa nemmeno cosa pensare e si sente prima stupido, poi al sicuro, e infine felice. Non ha mai provato niente del genere, non ha mai neanche solo pensato a niente del genere. Deve ammettere che si sente spaventato, e allo stesso tempo sereno.

Quali cose sconosciute, quali misteri, quali enigmi la vita ci pone davanti!

Come sono sciocco. Che mi prende adesso? Succede davvero così in fretta? Oh, a quali sciocchezze sto pensando? Cielo, sto sbagliando tutto. Quando sono diventato così stupido?

È un sentimento che non lascia sicurezze, e ha il terrore di starsi illudendo. Eppure, Enjolras sorride. Riflette a lungo, resta accoccolato tra quelle braccia grosse e senza grazia in cerca di riparo dal freddo umido e per proteggere lui stesso quell'uomo che era stato ad un passo dalla morte, solo per lui. Muto nei suoi pensieri, i suoi occhi vagano sul suo viso, dove la luce della lampada crea contrasti di ombre nere e piccoli bagliori.

Si sente quasi in colpa per non averlo mai capito. Mentre lui è così imbarazzato, così ansioso, Grantaire sembra più naturale in quell'abbraccio, lo stringe al petto a costo di ferirsi la spalla, come se non avesse mai desiderato altro dalla vita.

Non gli chiederà perdono, ma è felice di aver capito, anche se tardi. È felice di aver capito quello di cui parlavano tutti.

Mentre lui naviga e si lascia trasportare come dalle onde da questi pensieri, Grantaire riapre gli occhi che brillano, blu come il mare che lo stava cullando, non appena lo rivede. Enjolras, colto come un ladro sul furto, si allontana di scatto, sgusciando via dalle sue braccia. Resta seduto sulle ginocchia, davanti a Grantaire, col capo basso, gli occhi serrati, aspettando che lui cominci a parlare di nuovo, a sproposito, senza mai interrompersi, come sempre.

Probabilmente non smetterà di prendersi gioco di lui per quello che è successo, per un gesto impulsivo, per una mancanza di lucidità, per un istante in cui la disperazione e il desiderio di supporto (perché ha così tanta paura di pensare quella parola?) si erano fatti più forti.

Passano minuti interi e Grantaire non ha ancora detto nulla.

Quando Enjolras alza gli occhi, gli sta porgendo un sorriso e un pezzo di pane.

 

“Hai mai avuto dei sogni? Delle aspirazioni?”

Di qualcosa bisogna pur parlare. Curioso che nessuno abbia portato una scacchiera in quella cantina, avrebbe reso quel vuoto più sopportabile.

Poiché nessuno ha ancora inventato una scacchiera in questo limbo, torniamo alle vecchie abitudine e comunichiamo.

Grantaire si gratta la testa pigramente. “Forse. Mi avranno tradito, i piccoli bastardi.”

“E li hai abbandonati tutti?”

“Ho capito che non sarei andato da nessuna parte in ogni caso. Perché impegnarsi tanto? La vita è già abbastanza breve, tanto vale godersi quel poco che abbiamo a disposizione, senza sprecarlo, senza conservare niente, senza aspettarsi niente.”

Enjolras sospira e piega la testa all'indietro. “Sei senza speranze”

“Pensavo fossi soddisfatto quando ti ho detto che credo ciecamente in te. Sei più testardo di un predicatore!”

“Ero curioso se fossi mai stato un idealista, o meno cinico.”

Grantaire non saprebbe dirlo. Ogni cosa l'ha annegata nel vino.

“E tu, Enjolras? Sei mai stato meno idealista? Cosa c'era prima della rivoluzione? Eri figlio di pasciuti borghesi, mantenuto dai genitori? Facevi la bella vita? Cosa ti ha spinto a guardare verso i comuni mortali?”

Enjolras sospira con stanchezza e solleva il capo per guardare il vuoto davanti ai suoi occhi. Un buio che li inghiottisce, che non ha pietà. Il suo sguardo si addolcisce, ma è pieno di amarezza. In un momento, Grantaire vede quello che ha visto Enjolras.

L'illusione.

“Forse non è il momento adatto per parlarne.”

“Non c'è molto altro da fare se hai notato. Abbiamo quasi finito il pane e hai sprecato il vino che era rimasto.”

“Non lo considererei spreco, ti ho disinfettato la ferita.”

È vero, durante tutto quel tempo gli ha controllato periodicamente la ferita, con la cura di un medico esperto. Una volta, Grantaire l'aveva sorpreso ad accarezzargli la cicatrice con la punta della dita, una fugace carezza che lo aveva commosso, ma aveva tenuto quel sorriso per sé e non aveva detto nulla.

“Beh, lo hai fatto troppe volte.”

“Preferivi rischiare?”

Grantaire sorride beffardo. “Ho la gola secca, per non dire che adesso moriremo di fame e di sete. Questo non lo chiami rischiare?”

Enjolras aggrotta le sopracciglia. “Molto bene, allora andrò a cercare altre provviste.”

“Non provarci nemmeno, vengo con te”

“Sei ferito!”

“Mi hanno sparato ad una spalla ma questo non mi impedisce tutte le altre mansioni fisiche. Posso ancora parlare, pensare, camminare e, meraviglia delle meraviglie, anche tutte e tre le cose insieme! Non è da tutti, sai?” Tuttavia si solleva con fatica, le gambe intorpidite dalla mancanza di movimento; è costretto ad appoggiarsi alla parete dietro di lui per non cadere. “Andiamocene da qui, Enjolras. Non possiamo restare, è troppo rischioso. Non voglio essere sopravvissuto alla barricata per morire di fame qui sotto e fare la vita del ratto.” La vita che aveva sempre fatto. “Diamo un senso a questa cosa. Andiamocene.”

Enjolras si morde il labbro e assume un'espressione pensierosa. “Hai ragione. Non possiamo restare. Dobbiamo... lasciare Parigi.” Non è stato facile dirlo. Ha sacrificato tutto per Parigi, è impensabile abbandonarla ora.

Ma morire adesso sarebbe inutile.

L'altro annuisce. “Non essere in pena per me, ce la faccio a camminare. Se dovessi stancarmi troppo te lo dirò e ci fermeremo. Non voglio morire.”

Il cuore gli batte forte. Non vuole morire adesso. Non può.

Enjolras gli fa un cenno del capo e si alza con scioltezza, sale le scale di pietra come un gatto. Calcola ogni movimento, ogni rumore. È molto prudente; deve esserlo per entrambi. Grantaire non può dirsi così leggiadro: barcolla come un ubriaco e la spalla sinistra striscia pesantemente contro la parete di pietra.

Enjolras spinge la porta della botola e tende il braccio a Grantaire per aiutarlo ad uscire. L'altro si aggrappa a lui con un gemito sfuggito dalle labbra serrate, il respiro irregolare e rumoroso.

Fuori è notte. Il Musain è devastato, la luce livida della luna illumina le travi martoriate, i segni della battaglia. Contro una parete sono rimaste poche sedie rotte, l'angolo dove si svolgevano i loro incontri. Su una di quelle sedie Grantaire passava tutte le sere a indirizzare i suoi sospiri ad Apollo, poi crollava con la testa sul tavolo, addormentato, ubriaco, inebriato. E nei suoi sogni intossicati dal vino ogni cosa pareva deforme, tranne il viso perfetto e severo di quell'uomo che suscitava in lui meraviglia e devozione.

Non è rimasto niente, hanno portato via tutti i corpi, probabilmente mentre si erano addormentati (stremati dalla disperazione, stretti l'uno all'altro, dentro la stessa lacera coperta) ed erano troppo stanchi per sentire le loro rigide membra strisciare sulle travi sopra le loro teste.

Enjolras stringe i pugni ma non c'è nulla che possa fare. Gli occhi vagano su un mucchio di stracci abbandonati in un angolo, coccarde e bandiere. Il rosso è il sangue dei loro uomini, i figli della barricata, gli eroi della Repubblica.

Non verranno dimenticati. Forse la città ha troppo paura di parlarne, ha troppa paura di ricordarli, ma non lui. Lui non li dimenticherà mai.

Ruba un po' di tempo per salutare quel luogo di entusiasmo e di ideali, il dissacrato tempio del loro ardore, consacrato alla libertà, al vino, all'amore, poi infila quello che è rimasto del pane e la bottiglia d'acqua in una borsa, le loro uniche provviste per il viaggio.

Grantaire, invece, sta rovistando nel mucchio di stracci nell'angolo.

“Cosa fai?! Non essere irrispettoso!”

Non lo ascolta nemmeno e tira dal mucchio una giacca blu, quella meno malconcia, e un berretto scuro. Si avvicina ad Enjolras e gli copre i riccioli con il cappello, senza troppa grazia. “Se ti vedessero potrebbero riconoscerti. Un bel viso come il tuo è difficile da dimenticare. E poi sei in camicia, morirai di freddo prima di riuscire a lasciare Parigi.”

Enjolras fissa la giacca tra le sue mani. “Apparteneva ad un compagno”

“Un eroe della barricata, gli daremo onore nella nostra memoria. Ma comunque, la giacca non gli serve più.” risponde il cinico. Il portavoce del popolo si arrende, forse per una folata improvvisa di vento, e si infila la giacca. È larga di spalle e consumata sui gomiti, ma non può chiedere di meglio.

“Andiamo, cercheremo qualcos'altro da mangiare lungo la strada.”

 

Usciti dal Musain, riscoprono le stelle nel cielo, uniche spie della loro fuga. Anche dai loro occhi Enjolras e Grantaire devono scappare. È una fortuna che le stelle siano vedette silenziose; non hanno voce per richiamare le guardie.

Il cinico cammina rasente al muro, respirando forte ogni volta che il dolore alla spalla pulsa più dolorosamente. È lui a guidare Enjolras lungo strade secondarie, vicoli illuminati dalle bettole in festa, ma solo in apparenza. In ogni risata fragorosa si nasconde il principio di una rissa.

Se Enjolras può considerarsi un grande esperto della gloriosa storia francese e della sfavillante Parigi, nessuno meglio di Grantaire conosce la vita notturna della città, i suoi lati più oscuri e spaventosi, la Parigi di quando cala il tramonto.

È difficile da ammettere, ma senza di lui, senza questo zoppicante ubriacone, sarebbe perso, oltre che morto.

Gli cammina dietro, pronto a soccorrerlo se dovesse cadere per il troppo dolore alla spalla e per un momento si sente in colpa per non aver mai capito le sue provocazioni e il suo buffo atteggiamento istrionico, i sorrisi larghi come una maschera comica che cela un attore con sentimenti veri, umani, vivi.

Due uomini sostano sul ciglio dell'osteria, cantando un motivo stonato, sollevando i boccali vuoti.

“Grantaire!”

Grantaire continua a camminare.

“Ma quello è proprio Grantaire!”

“Sì è lui! Finge di non conoscerci!”

Sono ubriachi. Enjolras ha paura che attirino attenzioni indesiderate. Abbassa la testa e nasconde il viso tra il cappello e il colletto della giacca. Sente la rabbia bruciargli il viso. Lui, che voleva portare la libertà alla Patria, che voleva che ogni uomo fosse uguale a tutti gli altri, proprio lui scappa e si nasconde come un ladro. Proprio lui trema davanti agli ubriaconi di Parigi, col timore che qualcuno possa riconoscere i suoi occhi fieri, mai sconfitti.

Grantaire, con una calma che non gli appartiene, solleva la testa e ride. “Come posso scordarmi una faccia così brutta!”

“Nemmeno tu sei troppo bello”

“Vi ringrazio signori”

“Perché non ti fermi a bere qualcosa con noi? Poi ci facciamo una partita a carte! Come un tempo, ricordi? Il tuo amico può unirsi a noi! Non sembra parlare molto” altre risate “Meglio, tu da solo parli per tre!”

Grantaire sgrana gli occhi quando li sente parlare di Enjolras e continua a camminare. “Mi dispiace amici, ma sarà per la prossima volta. Ho già bevuto stasera!”

“Infatti già barcolli come una spugna! Grantaire sa come godersi la vita!”

Le risate sguaiate li seguono strisciando nelle ombre lungo i vicoli; più si allontanano e più l'eco si confonde con un grido disperato, straziante, che sale dagli inferi e percorre la loro stessa strada.

Grantaire si aggrappa alla mano di Enjolras.

“Sei stanco?”

“Non fermarti. Camminiamo più velocemente. Conosco la strada.”

 

Camminano tutta la notte, con la luna come faro e testimone. Grantaire è instancabile. Col respiro spezzato, instabile sulle gambe, non si arrende e continua a camminare. Enjolras gli tiene prima una mano, poi lo sorregge per le spalle, poi lo supplica di fermarsi; invece proseguono, come gli eroi nei poemi epici.

La campagna intorno alla città si apre davanti ai loro occhi quando il cielo è ancora scuro, in quella fase della notte che precede l'alba, quando le stelle cominciano a sbiadire come candele nella nebbia. È qui che Grantaire si siede nell'erba fresca, con le ginocchia piegate, la mano che si prende la spalla. Enjolras si siede accanto a lui, gli occhi azzurri si perdono nel cielo scuro e sembrano affogare.

“C'era un tempo...” mormora, quasi a se stesso “C'era un tempo in cui le cose erano diverse. I miei occhi erano diversi. C'era tutto un mondo davanti a me che sembrava una canzone che parlava di libertà. Ed era bellissimo. Ero infervorato da magnifici sogni, da ideali di gloria e di onore, pensavo che fosse questo il mio dovere di cittadino.” parla con un tono animato dall'entusiasmo e spezzato dalla delusione, la forza nella sua voce non è tanto il coraggio quanto l'amarezza, la rabbia. Il suo sorriso è un triste veleno. “Ogni cosa era una poesia, ogni grido era libertà. Ogni uomo era un re e chinava il capo solo davanti alla Patria.”

Cade il silenzio. Enjolras stringe le labbra, trattenendo il dolore nelle labbra tese. “Ma più non sento cantare quella canzone; la musica è sparita e quel mondo non c'è più. E forse non è mai esistito davvero. Non so se considerarmi folle ad aver pensato che qualcosa del genere esistesse realmente e che io potessi contribuire a concretizzare quei sogni, quegli ideali... che sciocco dovevo sembrare ai tuoi occhi. Ubriaco tra gli ubriachi. Eppure... non è stato vano. Non permetto a me stesso di pensare che sia stato sangue sprecato. Io credo in quello che ho detto, a quello che gridavo nelle piazze e nelle strade!” sospira “Ho forse creduto nelle cose sbagliate?”

Grantaire lo ha ascoltato con le nere sopracciglia aggrottate come avvoltoi; la sua reazione è un semplice sorriso. Non buffo, non bislacco. Solo un sorriso. Sincero, colmo d'affetto. Con tenerezza gli mette le mani sulle spalle, come per sorreggerlo, per dividere con lui quel peso insostenibile. “Non abbatterti, Enjolras. Sono stato accecato dal vino così a lungo che pensavo non avrei più nulla al di là della bottiglia. Non conosco quel mondo, ma ho sentito quella canzone anche io. E c'è ancora, Enjolras, guarda meglio, non lasciare che la disperazione ti annebbi la vista. Non perdere mai la speranza. Non smettere di credere.”

Enjolras gli circonda la vita con un braccio, gli accarezza debolmente la schiena e si abbandona sulla sua spalla, pensieroso. Nel silenzio, Grantaire poggia le labbra sulla sua fronte calda e sorride, intonando sottovoce un canto.

Do you hear the people sing?

Singing a song of angry men?

It is the music of a people

Who will not be slave again!

When the beating of your heart

Echoes the beathing of the drums

There is a life about to start

When tomorrow comes!”

 

Sul viso commosso e fiducioso di Enjolras fa breccia un sorriso, la sua mano si stringe in quella di Grantaire. Una luce accende il cielo all'alba, all'orizzonte, e loro sono lì a vederla.

Mai era capitato che un cieco guidasse un uomo verso la luce.

“Lo vedo, Grantaire. Andiamoci insieme.”

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

Un grazie, anche se minimo, è doveroso.

Ringrazio tutte le persone che hanno letto questa breve storia senza pretese, soprattutto quelle che hanno supportato l'idea prima che venisse messa su carta. I vostri commenti mi hanno dato fiducia nella caratterizzazione dei personaggi. Grazie di cuore, avete indirettamente contribuito a questo piccolo lavoro.

Grazie a Sere, cui è dedicata la storia e ha offerto il suo contributo costringendomi a scrivere. È tutta colpa sua.

La storia finisce qui, il prossimo capitolo sarà solo un finale alternativo collegato al primo capitolo che mi ha ispirato Sere (sempre colpa sua). Lei dice che è triste. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** un istante di beatitudine ***


Questo capitolo è un bonus, un finale alternativo su cosa sarebbe successo se Enjolras non fosse riuscito a salvare Grantaire. L'essere crudele che mi ha ispirato questa cosa è WandererS, prendetevela con lei.

L'autrice consiglia di ascoltare questo per aumentare i feels a livello tragico.

 

 

 

 

Un istante di beatitudine

 

 

 

 

“Viva la repubblica” La voce di Grantaire è un suono strozzato. È troppo tardi per salvarlo, ma è ancora in tempo a morire con lui. È molto più di quanto avrebbe mai sperato. Si posiziona accanto ad Enjolras, il petto si gonfia in profondi respiri. “Dividiamoci questo piombo. Quando tutto questo finirà, comandante, potrà dire di averne presi due con un solo colpo, che grande storia! Scommetto che le daranno una medaglia al valore per questo! Che spettacolo!”

Non può smettere di parlare, ha paura. Non ha mai avuto così paura ed è troppo sobrio per affrontare la morte. Lo sproloquio nervoso di Grantaire ottiene in reazione lo sguardo confuso e spaesato di Enjolras, poi la risata sguaiata del gendarme.

“Riconosco questa parlata da folle pensatore. Tu sei quel matto di Grantaire! Mi ricordo di te!” Grantaire invece no, non si ricorda di lui “Una sera mi battesti a scacchi. Sei stato un bravo giocatore, uno onesto. Mi offristi da bere e dicesti che un giorno avrei ricambiato il favore. Un folle previdente! Chi lo avrebbe mai detto!” la carabina si abbassa “Su, puoi andare, non posso sparare ad un uomo così”

Grantaire sente i nervi tesi, il sangue pulsare nelle tempie. “Quindi è questo il nuovo gioco? Dei due condannati uno lo grazi e lo lasci andare? Prima eravate uno scarso giocatore di scacchi, ma adesso siete più potente di quel Dio che muove ogni cosa! Ebbene, mi piace, davvero una bella trovata, ma questa, comandante, è la mia ultima partita.” Gli batte il cuore più veloce, recupera i battiti perché sa che saranno gli ultimi. “Adesso onora il tuo debito, capitano; lascia andare questo ragazzo non meno folle di quest'uomo che hai davanti agli occhi. Giochiamoci quest'ultima partita.”

Gli occhi di Enjolras si accendono di rabbia, o di angoscia. “Grantaire, non te lo lascerò fare! Che follia è mai questa?”

Sono troppo sobrio per fare l'eroe. Non sono mai stato coraggioso.

“Sono inutile, cittadino Enjolars, lo hai detto tu stesso, e più di una volta anche. Sono uno scarto delle osterie alla chiusura, e solo un tavernaio potrebbe mai piangere la mia fine. La tanto amata patria ha ancora bisogno della tua fiducia e del tuo coraggio. Vai adesso! Non perdere tempo, questa è una partita tra me e il capitano”

Non è nemmeno sicuro che il gendarme davanti ai suoi occhi sia davvero un capitano, ma i titoli hanno poca importanza. Lui è l'uomo armato, Grantaire invece non è un eroe né un soldato. Non è nessuno, è un ubriacone senza identità. Ce n'è uno in ogni osteria; lui occupava l'angolo buio del Musain e non era migliore dei suoi compagni caduti.

Beato il primo a cadere, che non vede tutti gli altri morire e non ha il tempo di chiedersi come sarà quando verrà il suo turno. Che mi venga almeno concesso di essere l'ultimo e tra tutti gli amici che non ho potuto salvare, che io possa scorgere la sua figura che si allontana, i suoi passi portarlo in salvo.

È un bel modo di morire, il migliore a cui potesse mai aspirare.

Enjolras cambia espressione quando si parla della patria ma non accenna ad andare via. È Grantaire a spingerlo via con violenta disperazione, prima che questo gioco venga a noia al soldato. Tira un sospiro di sollievo mentre osserva Enjolras spostarsi lentamente di lato, arrendevole, offeso. Vivo. Potrebbe scappare via dalla porta, ma non lo fa. Resta immobile, a lato, a metà tra Grantaire e il soldato.

Vuoi restare? Vuoi vedermi morire?

Gli occhi del suo condottiero sembrano bruciare di un sentimento che va oltre la rabbia e l'odio. Sono arrendevoli ma ancora fieri, sconfitti non dalle armi ma da quel sacrificio. Gli uomini potenti come Enjolras vengono piegati, ironicamente, solo dalla loro stessa impotenza. Non c'è nulla che possa fare ora e lui brucia. Non si direbbe che è Grantaire a morire, così sereno mentre lo guarda e gli rivolge un timido sorriso, il suo ultimo saluto.

Un momento dopo scoppia una confusione di immagini e suoni. Il rumore dello sparo echeggia secco, il grido di Enjolras invece è viscerale, fa spavento. Non saprebbe dire con precisione quale dei due ci sia stato prima.

Il colpo di fucile lo inchioda alla parete, le mani corrono sullo stomaco, dove il dolore è nero, caldo, viscido. Cade seduto, il capo reclinato su una spalla. La consapevolezza è serena; la morte è una porta, e se qualche volta Grantaire aveva provato a guardare attraverso buco della serratura, adesso è aperta e non ha paura di quello che nasconde.

I suoi occhi stanchi si fermano su Enjolras che grida e lotta con il soldato. Vorrebbe gridargli di andare via, di mettersi in salvo, ma la voce esce dalle sue labbra in un gemito, sovrastato dal rumore della lotta.

Infine, un colpo più forte riporta il silenzio nella stanza.

“Enjolras...”

Chiama il suo nome, la sua voce striscia dalla gola e raggiunge l'amante della libertà con le mani coperte di sangue. Perché è così, la libertà si ottiene con la guerra, col sangue, tutto quello che abbiamo lo abbiamo perché lo abbiamo preso da qualcun altro, che a sua volta ce l'ha rubato.

Enjolras sgrana gli occhi e corre a buttarsi in ginocchio accanto a lui. Con una mano gli regge la testa, con l'altra solleva quelle di Grantaire. La macchia di sangue sul suo stomaco riempie i suoi occhi di orrore.

“Grantaire...”

“Devi andare via...”

Le sue labbra tremano, i suoi occhi si riempiono di lacrime. Scuote la testa come scosso da un improvviso tremore.

“...è tutta colpa mia.”

Grantaire ha la vista annebbiata ma lo vede chiaramente piangere.

“È solo colpa mia! Pazzo, pazzo Grantaire... avresti dovuto fuggire quando eri ancora in tempo per farlo! Perché?! Perché non mi hai dato ascolto?”

Grantaire è pallido in volto, ma sorride. “Tu sei vivo...”

“A chi importa?! Abbiamo perso, tutto è perduto!”

“Sei vivo...” il suo sorriso gli spezza il cuore “Non c'è cosa al mondo più preziosa...”

Enjolras si morde il labbro, poggia la fronte sui riccioli scuri del compagno ferito. “Ti salverò! Tu non morirai! Non ho potuto salvare tutti gli altri ma tu vivrai! Sono vivo io, vivrai anche tu! Insieme, Grantaire! Devi restare sveglio! Devi fidarti di me!”

“Io mi fido di te... io credo in te. Ho sempre creduto in te...”

Enjolras lo stringe a sé, il viso sporco di sangue lavato dal pianto. “Andrà tutto bene, vedrai... fidati di me.”

Si guarda alle spalle, verso la porta, chiedendosi se può davvero trasportare Grantaire lontano da quel posto, senza aggravare la ferita. Quanto lontano possono andare prima che muoia dissanguato?

La paura gli agita il petto, gli deforma i lineamenti.

L'altro invece è tanto più sereno, debole, in pace. Si lascia cullare dalle braccia ansiose di Enjolras, dalle sue mani tremanti di collera e di paura.

Poi, dei passi risalgono velocemente le scale.

Enjolras è pronto, il suo sorriso si fa nevrotico. Se devono morire, allora moriranno insieme. Non ha paura. Questa è la fine che gli spetta, non chiede niente di meglio.

Ma alla porta non compare un soldato.

Un uomo in divisa, sì, ma non un soldato. È quel volontario, Fauchelevent. È vivo anche lui. Deve aver sentito le urla.

Sotto il manto celeste del miracolo si cela un'orrenda visione e Enjolras spalanca gli occhi. È pronto a morire, non a vivere, non a scappare.

Monsieur Enjolras! Siete vivo! Dobbiamo andare!”

Enjolras scuote la testa, disperato, istintivamente stringe l'amico più forte, come se qualcuno avesse potuto portarglielo via. L'uomo si avvicina e si china su Grantaire, osserva brevemente la sua ferita. Non ci vuole molto per constatare che non può essere salvato. “Non c'è niente che possiamo fare per lui... dobbiamo andarcene.”

“No! Non posso!”

“Enjolras non sprecate la vostra vita in questo modo! Non posso più restare! Marius è vivo ma è ferito, devo portarlo via da qui! Venite anche voi! Venite ad aiutarmi!”

“Non lo farò mai! Non posso abbandonarlo!”

“Venite via! Conosco la strada! Non c'è più tempo!”

Grantaire gli accarezza delicatamente il braccio, gli sfiora la mano. Sono le sue ultime energie, ma è così felice di starle usando per quelle deboli carezze. “Enjolras... devi andare. Quest'uomo è degno della tua fiducia, puoi andare con lui. Non farlo aspettare...”

Enjolras china la fronte sul suo capo, scosso dai singhiozzi. “Ti prego... non puoi chiedermi una cosa del genere... non posso lasciarti qui da solo...”

“Non ho paura, ci sei tu con me e vivrai, questo mi rende felice. Possa pure aspettarmi l'inferno dopo, il mio paradiso è quaggiù...”

Tutta la beatitudine eterna per lui dura pochi minuti.

Queste ultime parole lo hanno stremato, i suoi occhi non riescono quasi più a distinguere le linee sul suo viso, quei lineamenti tanto amati ora sono più lievi dei sospiri che gli indirizzava. “Enjolras... io... io... devi sapere...”

La voce stanca si interrompe e in un baleno il volontario afferra Enjolras per le spalle con una forza inimmaginabile, trascinandolo via. Enjolras scalcia, piange, grida e chiama il nome di Grantaire. Sulla soglia della porta allunga un'ultima volta la mano verso di lui, disperatamente, opponendo resistenza per raggiungerlo.

Grantaire risponde con un sorriso, sollevando a stento il braccio.

“...Ti ho amato.”

Il rumore dei passi e le urla di Enjolras si fanno più distanti alle sue orecchie. Muore, ma lui è in salvo.

Il silenzio gli porta la pace.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3105678