Quello
che sto facendo è
semplicemente assurdo.
Mi
do dello stupido quando arrivo
nei pressi della discarica.
Un
illuso, ecco cosa sono. Pronto
a vedere il suo sogno che si smonta. Eccola, l’illusione.
Sembra quasi vera, ma
altrimenti che illusione sarebbe?
Niente
di più di un miraggio.
Aspetto che si dissolva mentre mi avvicino.
Succede
qualcosa di strano: non
scompare, anzi, si fa sempre più nitida.
Possibile
che sia reale? Non dovrebbe
esserlo, ma a quanto pare lo è.
Sgrano
gli occhi. È proprio lei.
Con
la sua corporatura esile e i
suoi capelli ramati.
Annie.
Quando
i nostri sguardi si
incrociano, accenna un sorriso.
Ricambio,
e finalmente ci
salutiamo. Al suono della sua voce, però, mi sveglio dal
sogno a occhi aperti e
mi ricordo di essere Finnick, un ragazzino del Distretto 4 con un
mucchio di
problemi da risolvere. Mi torna in mente
l’assurdità della situazione. Un mio
amico vuole fermare gli Hunger Games e io ne voglio parlare con la
prima
sconosciuta che mi ha aiutato a farmi passare un mal di testa.
Però
durante la mia breve vita ho
imparato a fidarmi dell’istinto. Il sesto senso che mi
avverte di sollevare la
rete da pesca al momento giusto e che tante volte mi ha permesso di
andare a
dormire con la pancia piena.
Ora
l’istinto mi consiglia di
parlare con Annie.
«
Ciao » La saluto timidamente.
«
Ehi » Sorride.
Mi
accorgo di non avere la più
pallida idea di cosa dire. Perché non ci ho pensato prima?
«
Io, uh, volevo solo dirti che
mi è passato il mal di testa ».
Lei
ride, prima di rispondere.
«
Sono contenta che tu stia
meglio! Dopotutto da queste parti se non stai bene, dopo un po' muori
di fame
».
Mi
rendo conto che non so niente
di lei. Chissà com’è la sua situazione.
La osservo meglio. Indossa dei
pantaloni corti e una semplice canottiera bianca un po’
sgualcita. Non certo
vestiti da ricchi.
«
Sei del Porto? Non ricordo di
averti mai vista » ammetto.
«
Già. Abito con i miei zii ».
«
Capisco ». Il suo tono si è
fatto più cupo, e trovo che sarebbe indelicato chiedere
altro.
«
Sai che invece il tuo viso mi è
familiare? È come se ti avessi già visto da
qualche parte » dice.
Rabbrividisco.
C’è stata
un’occasione in cui tutta Panem mi ha visto e ho proprio
l’impressione che
Annie parli di quell’episodio. Ma non voglio assolutamente
aiutarla a
ricordare, perché mi farebbe molto male.
Cerco
disperatamente di cambiare
discorso, così ci ritroviamo a parlare dei rispettivi
lavori. Scopro che lavora
nell’impianto di lavorazione del pesce, un grande edificio
nel quale viene
portata la pesca per ripulirla e prepararla alla spedizione verso
Capitol City.
«
E tu sei un pescatore? »
Chiede.
«
Sì » rispondo « da cosa si
capisce? »
«
Dal tono di voce » dice « è lo
stesso che aveva mio padre. Quando mi portava a pescare con lui, mi
diceva
sempre di parlare piano per non far scappare i pesci ».
«
Anche tuo padre era un
pescatore, quindi? » Chiedo, pur avendo paura di toccare
tasti dolorosi per
lei.
«
Già ».
Non
aggiunge altro, così non
insisto.
«
Ti andrebbe di mangiare con me?
» La proposta mi esce spontaneamente, e in un momento
così non sembra neanche
forzata.
«
Volentieri! » risponde senza un
attimo di indecisione.
Sto
tornando a casa. Cerco di
allungare il tragitto il più possibile, perché
devo assolutamente togliermi
questo sorriso idiota dalla faccia e il ripercorrere gli eventi della
giornata
non mi aiuta affatto. Annie ed io abbiamo mangiato insieme sulla
spiaggia,
seduti uno di fianco all’altra. E dopo un po’ ho
scoperto che parlare con lei
era diventato molto più facile di quanto non lo fosse stato
all’inizio. Prima di
salutarci, ci siamo promessi di rivederci nello stesso posto domani
mattina.
Questo
mi ricorda un’altra cosa.
Domani mattina, prima di vedere Annie, incontrerò Brian. Ho
paura di cosa potrà
dirmi. Ho paura che stia già pensando a come fermare gli
Hunger Games.
Qualsiasi tentativo sarebbe inutile: è semplicemente
impossibile anche solo
avvicinarsi a Capitol City.
Però
la disperazione può portare
a compiere pazzie vere e proprie. È per questo che sono
preoccupato per lui.
Che
ne è del mio rapporto con
Brian? L’ultima conversazione che abbiamo avuto è
stata piuttosto confusa. La
penultima è stata un incubo. Non so se possa essere definito
un litigio, ma la
sua frase mi ha fatto male.
Dopo
quello che ti è successo tre anni fa, come fai a rimanere
impassibile?
Questa
frase riporta a galla tutti
i fantasmi del mio passato, così come ha fatto la
chiacchierata con Annie. Ma stavolta
sono solo.
Come
in un sogno a occhi aperti,
rivivo per l’ennesima volta quei giorni. E sprofondo nei
ricordi.
La
giornata era calda, come
sempre in quel periodo dell’anno. Ma quel giorno nessuno
badava al caldo. Era
un giorno speciale. Si sarebbe tenuta la Mietitura per i sessantunesimi
Hunger
Games. Avevo dieci anni, il che significa che ero troppo piccolo per
essere
sorteggiato. Ma c’era un’altra persona a cui tenevo
che aveva tutte le carte in
regola per partecipare ai Giochi. Era Sebastian, mio fratello.
Prima
di uscire da casa avevo
ceduto al pianto e avevo supplicato mio fratello di non andare. E lui,
sapendo
di doversi mostrare forte di fronte al fratellino mi aveva parlato.
“Non
devi preoccuparti per me. Ci
vediamo fra poco, non appena tutto sarà finito. È
una promessa" e con
queste parole mi aveva asciugato le lacrime.
Non
avevo badato affatto al nome
della ragazza estratta. Il silenzio era assoluto mentre le dita
dell'annunciatrice frugavano nella boccia dei bigliettini. Il silenzio
era
assoluto, nella piazza del Distretto 4. Senza più avere il
tempo di realizzare
cosa stesse succedendo, la voce aveva annunciato il nome, e l'effetto
era stato
quello di una palla di cannone che mi colpiva dritto nello stomaco.
«
Sebastian Odair »
Angolo
dell’autore
Ciao
a tutti, lettori silenziosi
e non! Ci ho messo taaanto tempo ad aggiornare, lo so, ma ho avuto
parecchi
contrattempi, compreso il mio primo blocco dello scrittore…
Perdonatemi,
prometto che in futuro sarò più puntuale!
E
niente, spero che il capitolo
vi sia piaciuto, se vi va lasciate una recensioncina, mi fa sempre
piacere!
Alla
prossima!
|