L'elemento umano della macchina.

di piccolo_uragano_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1/2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


La ragazza si aggirava aggraziata per i corridoi con la bacchetta pronta ad attaccare o difendersi (in certi casi non c’era differenza) ed istinti quasi felini attivi per muoversi al buio. Sentiva i ritratti russare e pregava che non si svegliassero, ma si muoveva con passi piccoli e leggerissimi.
Doveva tornare nei sotterranei, e doveva tornarci in fretta. Se l’avessero beccata, allora …
Una luce, sicuramente di una bacchetta, si accese improvvisamente.
“Wilson?” chiese una voce.
Appunto. Beccata. Si girò di scatto rischiando di morire soffocata dalla sua stessa cravatta. Dietro di lei, Oliver Baston, Grifondoro del sesto anno, capitano e Portiere della squadra di Quidditch, la guardava con quegli occhi castani e un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.
“Baston.”  Disse per rispondere al saluto con aria superiore ma lui la prese per un braccio e la fermò.
“Dove credi di andare?” le chiese, con la bacchetta ancora accesa.
“A farmi i fatti miei, Baston. Perché non fai lo stesso?” rispose lei, beffarda.
“Non penserai di cavartela così, vero?”
“In realtà si, ci stavo pensando.”
“Da dove vieni?” le chiese guardandola dall’alto del suo metro e ottanta.
Lei osservò la mano del ragazzo che stava stretta al suo braccio, ma lui non accennò a lasciarla. Chi si credeva di essere?
“Allora?” le chiese dopo un po’.
“Credi davvero che te lo dirò?”
“Assolutamente sì.” Rispose secco, con la stessa arroganza che mostrava lei.
“Sei un povero illuso, Baston.” Ridacchiò lei. “Ti ricordo che anche tu stai infrangendo le regole.”
“Ti dirò  perché io mi aggiro nei pressi della biblioteca se tu mi dici perché tu ti aggiri nei pressi della biblioteca a mezzanotte e mezza.”
Lei lo guardò. Un sacco di ragazzine avevano una cotta segreta per lui, e guardandolo da vicino poteva capire perché. Non aveva nulla di speciale, ma era bello. Con i capelli scompigliati, la cravatta allentata ed un mezzo sorriso beffardo.
Lei invece, Serpeverde del sesto anno, era di una bellezza quasi sconcertante. Si faceva chiamare Jo, ed il suo vero nome era noto a pochi. Aveva dei capelli neri come la notte tenuti corti, sfioravano a malapena le spalle, mossi quasi cotonati, una pelle bianca come la neve e due occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. Era alta, magra e in forma. A sua volta Capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, nel ruolo di Cacciatrice. Rinnegava la sua famiglia, gruppo di maghi Purosangue fieri di essere tali, anche se fingeva che gli fossero indifferenti.
“Ripeto, Baston. Sei un povero  illuso.” Sibilò, mentre lui si perdeva in quegli occhi da serpente.
Quell’aria così cattiva la rendeva ancora più bella. Era una vera Serpe. Si liberò dalla presa ferrea di quel bel Portiere e se ne andò, ma lui ebbe la brillantissima idea di gridare “Buonanotte!”  svegliando tutti quei quadri che iniziarono a strillare.
“Và al diavolo, Baston!” urlò di rimando. Tanto il danno era fatto, e si permise di camminare rumorosamente.
Lui la guardò allontanarsi, pensando che avesse un fascino sconcertante. Poi si diede dell’idiota e tornò in camera, maledicendosi per aver pensato una cosa del genere di una Serpeverde, sua avversaria sul campo e nella vita.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1/2. ***


Ecco a voi i primi due capitolo, diciamo così, di una ff nata per caso.
Un paio di spiegazioni. Sì, il nome Jo Wilson è palesemente copiato da Grey's Anatomy, ma mi piace come suona.
I nomi dei Serpeverde sono fedelmente presi da Pottermore.
Il titolo lo capirete più avanti. 
Buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate! 
C. 


“Jo, che hai fatto stanotte?”
Flora Carrow la guardava. Jo, così si faceva chiamare, il suo vero nome era Jessica, ma era un nome tremendamente comune e schifosamente Purosangue, così diceva lei. Purosangue come tutti quegli idioti dei Wilson. La Sala Grande esponeva la seconda colazione dell’anno, e la bella Wilson osservava il nulla.
“Jo? Jo!”
Scosse la testa come se si fosse appena svegliata ed osservò quella che in teoria era la sua migliore amica. “Che hai detto?” le chiese.
“Ho chiesto che hai fatto ieri sera.”
“Nulla d’interessante, davvero.” Rispose, sorseggiando succo di zucca.
“Sei tornata tardi.”
“Che fai, mi controlli, adesso?” rispose lei fredda.
“Ho fatto una semplice domanda.” Si difese la bionda. “In realtà volevo i particolari piccanti. Siamo appena tornate e già sparisci per una notte!”
Jo la guardò e scosse la testa. “Vuoi i particolari piccanti?” chiese, con una risata fredda.
“Si.” Squittì lei, in cerca di qualche informazione da divulgare nel giro di pochissimo.
“Sono stata in biblioteca. Eccoti il tuo particolare piccante, Flora. Biblioteca!
Flora Carrow scoppiò a ridere. “E sei tornata furiosa dalla biblioteca?”
Jo, istintivamente, lanciò un’occhiata al tavolo dei Grifondoro, dove Oliver Baston se la rideva con i gemelli Weasley.
“No, ero furiosa con quel cretino di Baston.”
Flora si lasciò sfuggire una risatina. “Ora ti sbatti i grifoni?”
Jo sbuffò esasperata e prese i suoi libri dal tavolo. “Per l’amor del cielo, Flora, io non mi sbatto proprio nessuno.”
“Puoi sbatterti me, se ti va!” esclamò Marcus Flint, idiota ripetente bocciato ai G.U.F.O. l’anno prima.
“Piuttosto muoio zitella, Flint.” Rispose Jo, alzandosi dalla sedia senza degnare il ragazzo di uno sguardo.
“Odio quando ti comporti così da Grifondoro, Jo.” Le disse Flora, ma quegli insulti parvero scivolarle addosso.
“Si, certo, certo. Ci vediamo a Pozioni.” Disse, andandosene, facendo rimbalzare quei capelli neri come la notte sulla divisa che le calzava a pennello, con i primi tre bottoni della camicia aperti e la cravatta allentata al massimo. Flora era stupida almeno quanto tutta la casata dei Serpeverde e tutta la sua famiglia. Ah, forse erano la stessa cosa, vista la loro stupida mania del sangue puro. Le tornarono in mente le parole di sua madre. “Stai venendo meno ai tuoi doveri di strega Purosangue, Jessica. E stai deludendo tutti. Non diventare una Traditrice del tuo Sangue.” Lei aveva guardato sua madre in quell’enorme salone tetro e sinistro, uno dei tanti saloni nel cuore di quel castello immerso nel bosco. “Aspetta che abbia compiuto diciassette anni, Candida, e ti giuro che non avrai più notizie della tua stupida figlia Traditrice.” Aveva ringhiato. Aveva smesso di chiamare sua madre ‘mamma’ all’età di tredici anni, e lei e suo padre avevano tagliato ogni genere di rapporto l’anno dopo. Suo fratello Tomas non era da meno. Stava al quarto anno e seguiva le orme dei genitori come fossero due dei, ma non rinnegava la sorella. L’altra sua sorella, invece, uscita da Hogwarts l’anno prima, era un caso altrettanto perso. Venerava la purezza del sangue e stava per sposare uno dei loro maledetti cugini. Si guardò riflessa in una vetrata: era dannatamente simile a loro. Gli occhi azzurri, i capelli scurissimi e la pelle marmorea. Era identica a sua sorella Blanca, ma lei non aveva mai portato i capelli corti. Lei, invece, prima dell’estate li aveva tagliati da maschiaccio, giusto per sottolineare la sua differenza da loro. Sia Jo che Blanca, come Candida e sua sorella Amanda, sembravano delle principesse. Principesse delle serpi.
Rimase a fissare il suo riflesso e non si accorse che Oliver Baston l’aveva raggiunta.
“Buongiorno Wilson.” Le disse gentilmente.
Jo.” Sottolineò lei, con aria stranamente amichevole. “Chiamami Jo.” Odiava essere riconosciuta per cognome.
Lui sorrise e le porse la mano. “Oliver.”
Lei accennò un sorriso e gli strinse la mano, e Oliver rimase sorpreso per quanto fosse fredda. Poi la guardò come se l’avesse già vista.
“Ma forse io e te ci conosciamo già, giusto?”
Lei si strinse nelle spalle. “Sei il Capitano dei Grifondoro e io quello di Serpeverde, e ci siamo incrociati ieri sera fuori dalla biblioteca, no?”
Si ricordava perfettamente di lui, invece. Era un altro di quei poveri bambini costretti a partecipare ai festini delle famiglie Purosangue, ma i Baston erano considerati Traditori del Sangue perché una di loro, Lucy, aveva sposato un Nato Babbano qualche anno prima, e loro non avevano battuto ciglio.
“No, tu sei la sorella di …”
Ecco un altro idiota che la ricordava per la sua famiglia.
“Sono la sorella di me stessa, Oliver.”
“Sei la sorella di Blanca. Vero?” Chiese, ignorando l’arroganza con cui Jo negò la sua famiglia.
“In teoria si.” Ringhiò lei, mentre si addentravano nei sotterranei.
“E in pratica?”
“In pratica non siamo sorelle.” Replicò fredda.
“E perché la teoria è diversa dalla pratica?”
Lei lo guardò con aria stufa. “Hai detto di conoscermi, no? Ecco, quindi conosci la famiglia in cui sono nata.”
“Si. Sei la figlia di Candida e Nicholas.”
“Sono la figlia di Candida e Nicholas, la sorella di Tomas e Blanca, sono …”
“E non ti chiami Jo. Ti chiami Jessica.”
Si fermò e lo guardò. “Dì un po’, Oliver Baston. Sei qui per renderti antipatico? Perché ci stai riuscendo!”
“Sono qui perché andando a Pozioni, in realtà.”
“E allora perché parli con la cretina che si fa chiamare Jo quando in realtà si chiama Jessica ed è la figlia di Candida e Nicholas Wilson?”
“Perché mi sembri carina.” Rispose lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza smettere di guardarla.
Oh, lei non era abituata a quel genere di cose. L’unico contatto umano che aveva era con Flora, e non era troppo sveglia. Agli allenamenti era nota per essere fredda e severa. Nessuno le aveva detto una cosa tanto dolce con tata semplicità. Certo, aveva avuto i suoi corteggiatori e le sue soddisfazioni date da storie di solo sesso, ma ‘sembri carina’ non aveva nulla di ambiguo e non glielo aveva mai detto nessuno.
Lui, d’altro canto, aveva in mente parole come ‘sei bellissima’, ma ‘sembri carina’ fu ciò che il suo orgoglio gli impose.
Lei lasciò che sul suo viso apparisse un ghigno degno di una Serpeverde. “Ti batterò comunque alla prima partita, Oliver Baston.” Scandì le lettere del suo nome come se pesassero.
“In sei anni non ricordo di essere mai stato sconfitto da te, Jessica Wilson.”
Lei istintivamente estrasse la bacchetta dal mantello e gliela puntò al collo, scaraventandolo contro il muro. “Chiamami di nuovo Jessica e ti giuro che non sarai in grado di raccontarlo.” Ringhiò. Poi lo lasciò andare, dirigendosi a grandi e pesanti passi verso la classe di pozioni, muovendosi nei sotterranei come se ci fosse nata, con la portata di una principessa.
E, ancora con la schiena al muro, Oliver Baston non poté fare a meno di pensare che Jo Wilson aveva del fascino da vendere.


Jo si sedette al solito posto nella classe di Piton, ancora semivuota, per niente pentita di aver quasi ucciso il portiere dei grifoni. Se l’era meritato. Flora arrivò cinguettante accanto a lei, capendo subito che non tirava aria buona. Era piuttosto frequente che Jo fosse di cattivo umore, e lei in sei anni ci aveva fatto l’abitudine. Dopo un paio di battute sui Grifondoro che Jo ignorò, Flora si alzò ed andò a sedersi accanto alla sua gemella Hestia, tremendamente simile a lei.
“Che ha la tua amica oggi?” chiese Hestia.
“Non apprezza le battute sui grifoni.” Rispose Flora.
“Beh, non le ha mai apprezzate.” Ribattè Hestia, alzando le spalle. “Non c’è che dire, è sempre stata strana.”
“Lei è Jo. Non aspettarti nulla da lei.”
Piton iniziò la lezione e Jo scosse la testa, dietro di loro. Non era la prima volta che le gemelle le parlavano alle spalle, e, comunque, non gliene fregava assolutamente nulla.


“Wilson?!”
Jo se ne stava beatamente svaccata su uno del divani verdi della Sala Comune, leggendo un vecchio libro in Rune Antiche come se fosse una rivista di gossip. Alzò lo sguardo come se le costasse moltissimo, e Draco Malfoy, pivello biondo del secondo anno, la guardava con un ghigno dipinto in volto.
“Che vuoi?” gli chiese.
“Devo parlarti.”
Lei alzò gli occhi al cielo. “Che vuoi?” ripeté, scandendo le parole con aria annoiata.
“Qui fuori.”
Sbuffò. “Malfoy, è una questione di vita o di morte?”
“Più o meno lo è.”
Con aria estremamente annoiata, appoggiò il libro sul divano e seguì fuori il piccolo Purosangue dagli occhi di ghiaccio. Lui la portò con aria impaziente in una classe abbandonata da secoli e illuminata solo da qualche candela.
Al suo interno, un uomo alto e con lunghi capelli biondi la osservava con disprezzo.
“Buongiorno, Jessica.” Sibilò Lucius Malfoy. Quell’aria gentile le fece alzare le antenne.
Jo.” Sottolineò lei. “Qui dentro sono Jo.”
Naturalmente lo conosceva. Lui e suo padre erano pappa e ciccia, i più fedeli servi di Lord Voldemort a loro tempo, e i primi a rinnegarlo quando cadde sconfitto da un bambino.
“Buongiorno, signorina Wilson.” Riformulò lui, rifiutando di correggere il nome. “Lei sa che le è stato dato il nome di Jessica in onore di sua nonna, una strega brillante e …”
“E lei sa, signor Malfoy, che il mio tempo è prezioso?” lo interruppe lei, lanciando un occhiata al ragazzino che affiancava il padre con aria fiera.
“Veniamo al sodo, quindi.” Sibilò l’uomo con un ghigno perfido. “Draco mi ha detto che sei Capitano della squadra di Quidditch, è esatto?”
In quel momento, avrebbe davvero voluto che non fosse così. Annuì una sola volta, capendo subito dove quel verme volesse arrivare.
“E tra non molto ci saranno le selezioni, anche questo è esatto?”
Annuì di nuovo, riducendo gli occhi a due fessure.
“Bene. Il sogno di Draco, dall’età di cinque anni, è quello di diventare Cercatore.”
“E il mio sogno è che nel mondo non ci siano distinzioni tra Purosangue e Nati Babbani.” Rispose lei, giusto per guadagnarsi l’espressione di disgusto dell’uomo.
“Mettiamola così. Draco si presenterà alle selezioni, dopo essersi duramente allenato per una vita intera, e se verrà preso delle Nimbus 2001, saranno … donate? A tutta la squadra.”
“Dio, questa si chiama corruzione! Non le voglio le sue scope, il ragazzino entrerà in squadra se se lo sarà meritato!” sbraitò lei.
Lui sembrò non accorgersene. “So che voli sulla vecchia Nimbus di tua sorella Blanca.”
Eccola, di nuovo. Sempre lei, sempre Blanca, sempre la sua dannata famiglia. “E con ciò?”
“Tuo padre non desidera regalarti una buona scopa da corsa?”
“Non finga di non sapere che io e Nicholas non ci rivolgiamo la parola da due anni e che quindi lui non mi passa mezzo zellino, signor Malfoy, perché lo trovo un comportamento ridicolo.”
Lucius e Draco sembrarono disgustati dal fatto che Jo chiamasse suo padre per nome, quasi quanto furono disgustati dal fatto che trovasse il comportamento di Lucius ridicolo. Come si permetteva? Draco fece per darle contro, ma Lucius lo fermò con un gesto.
“Pensaci, piccola Wilson. Pensaci bene. Perché le Nimbus verdi e argento sono già pronte, e credo anche che la tua vecchia Nimbus non reggerà un’altra partita. Sono stato abbastanza chiaro?”
Lei non abbassò ne la testa ne lo sguardo. “Non le hanno mai detto, caro Lucius che lei è un verme schifoso e che sarebbe da denunciare?”
Il ragazzino sbottò. “Tu, razza di stupida …”
Ma, di nuovo, a Lucius bastò una frazione di secondo per calmarlo. “Tuo padre mi aveva avvertito che hai un bel caratterino, sai?”
“Quell’uomo non sa assolutamente nulla di me.”
“Bene. Perché ha detto che non avresti mai accettato. Dimostrami che non è così.”
“Lei non è che …”
“Ah! Ferma, ragazzina. Sono una persona a cui devi rispetto.”
“Non mi sembra nella posizione migliore per parlare di rispetto, signore. Sta privando un altro abile giocatore del ruolo che si merita per soddisfare un capriccio del suo bambino viziato.”
“Credi che altri giocatori si presenteranno per il ruolo di Cercatore?” sorrise, soffocando una risata serpentesca. “Beh, buona giornata, signorina Wilson.” E poi, con la grazia di un pavone dai capelli lunghi, uscì dalla stanza, seguito da un cucciolo di pavone.
Lei tiro un calcio alla sedia che si ruppe, provocando una bestemmia non ripetibile. Poi, con la su solita regalità, iniziò a camminare nervosamente sentendo il bisogno fisico di prendere un po’ di aria ed uscire da quel dannato sotterraneo umido e buio, trovandosi ad osservare il campo da Quidditch in lontananza. Estrasse dal mantello il pacchetto di sigarette Babbane, e ne accese una con la bacchetta, aspirando nervosamente.
Quanto potevano essere viscide certe persone?! Il Quidditch era quel che nella sua vita era rimasto intatto, puro e semplice. Non c’era bisogno di sapere chi tu fossi, bastava che fossi bravo. E invece ora era il contrario.
“Ho sentito che sei senza Cercatore.” Esclamò una voce alle sue spalle.
Si girò sulla difensiva. Ma era di nuovo lui, quel maledetto Grifondoro di Oliver Baston. “Che cosa?” chiese, aspirando nervosamente.
“I gemelli mi hanno detto che Dean gli ha detto che Flint, il Cercatore idiota della tua Casa, non ha intenzione di presentarsi alle selezioni.” Disse, avvicinandosi a lei, che gli gettò il fumo in faccia.
“Merda.” Sibilò lei.
“Trovati qualcuno di fenomenale, perché io ho Harry Potter.”
“Fottiti, Baston. Con il figlio di James Potter in squadra hai il culo coperto.”
“Assolutamente sì. Credevo che potessimo chiamarci per nome, ormai.”
Lei ignorò quell’ultimo commento, e capendo quello che sarebbe successo nel giro di qualche settimana. Quella testa calda di Flint non si sarebbe presentato alle selezioni, e nessun altro Serpeverde aspirava al ruolo di Cercatore, non da quando il piccolo Potter era nella squadra nemica, e quindi lei sarebbe stata costretta ad accettare Draco e avrebbe fatto il loro gioco. In più, Lucius le aveva chiaramente detto che la sua scopa avrebbe fatto una brutta fine se non avesse accettato, e lei, sebbene provenisse da una delle più note e ricche famiglie di Purosangue, non aveva che qualche Galeone, visto che né Candida né Nicholas volevano mantenerla più.
“Merda.” Ripeté.
“Che ho fatto?” chiese Baston.
“Nulla, tu assolutamente nulla. Sono io ad essere una persona schifosa!” poi, con aria amichevole, gli passò la sigaretta.
“Non fumo.” Disse lui con aria altrettanto amichevole. “E non dovresti neanche tu.”
“Volo meglio di te anche con questa schifezza nei polmoni.”
“Questo non è vero!” protestò lui, ridendo.
Ma lei non aveva la minima intenzione di sorridere. Non adesso che si stava per abbassare al livello di tutte le altre serpi. Guardò Oliver, alto dieci centimetri buoni più di lei, e per un attimo pensò di confidarsi con lui, ma poi si diede della stupida: lei non si confidava mai con nessuno.
“Va tutto bene?” le chiese.
Ecco, ma come faceva?
“A meraviglia. Sono solo una persona di merda che è costretta a scendere a patti con un serpente viscido e biondo.” Gracchiò lei.
“Chi, Malfoy?”
Lei si girò di scatto sgranando gli occhi.
“L’ho visto girare nei pressi dell’ufficio di Piton prima con suo padre.” Disse lui alzando le spalle, come per giustificarsi.
Di nuovo, ebbe l’impulso di confidargli tutto, ma fu nuovamente bloccata dal fatto che lei non sapeva nemmeno come si facesse, a confidare qualcosa a qualcuno. Distolse lo sguardo da lui, per posarlo di nuovo sul campo da Quidditch, e poi perderlo tra gli alberi.
“Comunque” continuò lui interpretando il suo silenzio “secondo me non sei una cattiva persona. Qualsiasi cosa sia successa, si capisce che sei diversa da Blanca e dai tuoi. Non sei una cattiva persona.”
Lei, per la prima volta dopo mesi, piegò gli angoli della bocca in un piccolo accenno di sorriso. Ed era bellissima.
“Grazie.” Gli disse.
“Se … se ti andasse di dirmi cosa è successo, non farti problemi a cercarmi.”
Lei lo guardò con quel mezzo sorriso ancora impresso in volto. “Perché lo fai? Sono una stupida Serpeverde, io.”
“Non sei stupida, e … non m’importa che tu sia Serpeverde. Non fuori dal campo, almeno.”
“Dovresti odiarmi. I grifoni odiano le serpi.”
“Si, ma non m’importa.” Replicò lui secco.
No, non ci era per niente abituata. E tra non molto avrebbe fatto una cosa che l’avrebbe abbassata al livello dei suoi e di Blanca e Tomas, le avrebbe macchiato la coscienza, e non meritava l’amicizia di una persona tanto buona.
Fece l’ulitmo tiro di quella sigaretta e la buttò a terra, spegnendola con la scarpa Babbana e rovinata che portava al posto delle ballerine imposte dalla divisa femminile. Erano scarpe interamente nere, con gomma ai lati e sulla punta, lacci larghi e un logo con una stessa sulla parte interna della caviglia, con scritto Converse All stars.
“Ci si vede, Oliver Baston.”  Disse, andandosene e lasciandolo a pensare nuovamente che il fascino tenebroso di Jo Wilson fosse qualcosa di straordinario.



“Flint!” sbraitò Jo entrando nel dormitorio maschile dei Serpeverde.
Beccò qualcuno del sesto e settimo in mutande, ma non si preoccupò alcuni li aveva già visti anche senza mutande, altri erano pivelli del secondo anno e un altro era suo fratello Tomas.
Marcus Flint quasi tremò nel vederla così furiosa. “Che c’è?” chiese, cercando di mostrarsi duro.
“Che cazzo vuol dire che non ti presenterai alle selezioni?” ringhiò lei a denti stretti.
“Che non mi presenterò alle selezioni.”
“E perché?!”
Lui si lasciò andare sul letto. “Perché non mi va più di giocare a Quidditch.” Disse, alzando le spalle.
Stronzate!” urlò lei. “Sono tutte stronzate!”
Nessuno si girò a guardarla. Le sfuriate della Wilson non erano una novità, e le buone maniere non erano comunque mai state il suo forte.
“Credi quello che ti va di credere, Wilson. A me semplicemente non va più di giocare nella tua stupida squadra.”
Lei chiuse i pugni e se li portò sui fianchi, mostrando il suo fisico perfetto mentre respirava come un drago per calmarsi.
“Ti rendi conto che per colpa tua ora dovrò prendere in squadra quel raccomandato schifoso di Draco Malfoy?!”
“Draco è forte.” Intervenne un ricciolo del terzo anno. “L’ho visto a lezione con Madama Bum.”
“Stanne fuori, Davis.” Lo zittì lei. “Non t’importa di quel che accadrà alla squadra per colpa tua, razza di idiota?”
“Be’, avremo delle belle scope.” Intervenne il piccolo Malfoy, spuntato come per magia alle loro spalle.
Lei lo guardò con odio. “Draco, dì pure a qu… dì a tuo padre che le scope non le vogliamo.”
“Si che le vogliamo!” intervenne il portiere, ma Jo lo mandò al diavolo con un gesto.
“Le scope stanno già nell’ufficio di Piton, se è per questo.” Rispose il ragazzino, alzando le spalle. “Quando sarebbero le selezioni?”
“Che vuol dire che stanno già nell’ufficio di Piton?”
“Sei sorda o scema?”
Jo iniziò a camminare a grandi falcate verso quel ragazzino che a malapena le arrivava alle spalle, e trovandosi a pochi centimetri da lui lo fissò con odio.
“Stai attento a come parli, piccoletto. Impara il rispetto se vuoi rimanere a lungo nella mia squadra. Intesi?” sibilò.
Lui annuì freneticamente cercando in ogni modo di non mostrarsi impaurito, ma il panico nei suoi occhi era quasi palpabile. Se ne andò a testa alta dal dormitorio maschile per immergersi in un bagno caldo nel bagno dei Prefetti, cercando di dimenticare i sotterranei  e tutto lo schifo che ci viveva.


 
 
Il giorno dopo, Jo era in biblioteca per una ricerca di Storia della Magia, a sussurrare bestemmie perchè quel compito assurdo sulle imprese dei Troll nel XVIII secolo che non l’avrebbe portata a nulla. Flora, come al solito, si era rifiutata di seguirla e lei non aveva minimamente provato a convincerla. Stava meglio senza di lei, in certi casi.
Era una ragazza che stava semplicemente meglio da sola.
Era su una scala a pioli cercando di afferrare un libro sugli ultimi scaffali, quando rischiò di cadere.
“Serve una mano, Jo Wilson?” chiese una voce ormai familiare.
“No, Oliver Baston.” Rispose con aria annoiata.
“Sei sicura? Perché mi sembrava che stessi per cadere.”
“Illuso. Io non cado.” Prese il libro che le serviva e scese le scale con grazia, maledicendosi per quella piccola perdita d’equilibrio. Arrivata a terra, Oliver la guardava, appoggiato allo scaffale con un sorriso beffardo.
“Compiti di punizione?” chiese.
“No, è … Storia della Magia.” Ammise, senza abbassare lo sguardo.
“I Troll nel Diciottesimo Secolo? Ma la consegna è tra due settimane!”
Lei alzò le spalle. “E allora? Non sai mai quanti compiti assurdi ci assegnerà Piton.”
Lui la guardò come se avesse appena detto una cosa grandiosa. “Sei un genio.”
“Certo che lo sono!”
“Posso fare la ricerca con te?” chiese, improvvisando una finta faccia da angioletto.
Lei ebbe una reazione del tutto inaspettata. Sorrise. Non in modo forzato come aveva fatto il giorno prima, non in modo finto, ma sorrise davvero mostrando i denti e illuminando tutto con due occhi felici e trasparenti, rivelando un sorriso meraviglioso. “Perché vuoi il mio aiuto?”  chiese, ancora divertita per quella faccia nuova.
“Perché io ho una A e tu una E!”
“No, ho una O. Ho preso il G.U.F.O. con una O.” sbuffò, sedendosi al tavolo ed iniziando a sfogliare quel libro pesante e impolverato.
“Credevo avessi tutte E.” disse, sedendosi di fronte a lei.
“Tutte E con O in Storia della Magia.”
“Io ho sempre Accettabile e ti sto chiedendo una mano.”
Lo guardò severa, trucidandolo con occhi di ghiaccio.
“Per favore.” Riprovò a fare la faccia da finto angioletto, ma le fu tremendamente facile, questa volta, trattenere quel sorriso. Che voleva Oliver Baston dalla sua vita?
“Perché dovrei volerti aiutare?”
“Perché ti ho fatto sorridere.” Rispose lui con un sorrise tremendamente affascinante.
Lei piegò gli angoli della bocca. Aveva colpito nel vivo. Nessuno l’aveva mai fatta sorridere, se non un Babbano che viveva a Londra, tempo prima. “Okay, Baston. Ci sto.”
“Davvero?”
“Prendi appunti prima che cambi idea, e potrebbe accadere in fretta.”
Lui, svelto e spaventato, estrasse pergamene disordinate dalla borsa, una penna scura e le rubò l’inchiostro. Lei sbuffò, ma poi gli passò gli appunti, mentre sfogliava quel libro pesante e lui copiava gli appunti.
Poi, d’improvviso, sulla bocca di Baston si dipinse un sorriso.
“Che hai da ridere?” gli chiese, indispettita.
“Pensavo … che sei diversa dai tuoi, da Blanca e da tutti loro.”
Lei sorrise di nuovo, in modo timido e quasi imbarazzato. “Vuol dire tanto per me questa cosa che hai detto.”
“Lo so.”
“Lo sai?”
“Beh, le voci corrono. Candida e Nicholas non ti passano un soldo e Blanca ti tratta come se fossi l’ultimo anello della catena alimentare.”
Quel paragone la divertì. “In effetti è vero. Ma tu come lo sai?”
In un altro momento, si sarebbe imbestialita solo per il fatto di dover parlare della sua famiglia. Ma lui le aveva appena detto che lei era diversa, e questo valeva tanto.
“Mia madre dice che sei mille anni luce avanti rispetto a loro.” Disse, tornando a guardare gli appunti.
La madre di Baston se la ricordava appena. Ma in quel momento le fu estremamente simpatica.
“Io la penso come lei.” Aggiunse, visto che lei non accennava a rispondere.
“Tua madre è una brava persona.” Si limitò a dire.
“C’è una cosa che non mi è chiara, però.”
Tornarono a guardarsi. “Okay, chiedi.” Disse lei, in un sussurro.
“Tomas.”
Ecco. Tomas era uno dei suoi punti deboli. Aveva tentato in ogni modo di salvarlo dalle idee assurde dei suoi, ma non ci era mai riuscita. E questo le aveva fatto male.
“Tomas è fragile. Non è in grado di farsi una sua idea, ne di andare contro a ciò che si trova imposto. Ecco tutto.”
Chiuse il libro e salì sulla scala per riporlo al suo posto. Lui si alzò per tenere fermo il legno fragile della scala a pioli.
“Intendevo chiederti in che rapporti siete.”
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto se fosse mai stata su Marte.
Non c’era una risposta giusta, in realtà.
“Più o meno come con Blanca.” Rispose, secca. Ripose il libro ponendo la giusta fiducia nel suo equilibrio, questa volta, e poi scese, trovandosi vicina al suo viso come la sera di tre giorni prima.
“Non sembri una persona sola.” Disse, scrutandola. Sembrava davvero sicura di sé e piena di affetto, invece era sola, e quella sua specie di amica Flora Carrow non sembrava né troppo sveglia, né troppo affezionata a lei.
“Non sono sola.” Ribatté lei. “Ho Nanà.”
Lui la guardò stranito.  “Nanà?”
Jo annuì seria. “La mia gatta.”
Lui sorrise ma lei rimase seria. Quella gatta era davvero la sua più fedele compagna da quando aveva otto anni. Era cicciona e pigra, ma comunque una fedele compagna. Rossa, bianca e con macchie nere, una in particolare sull’occhio destro.
“Certo.” Disse lui, tornando a sedersi, pensando che Jo Wilson era più forte di quanto fosse disposta a mostrare.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Rieccoci :3 Allora, gli avvenimenti del capitolo per quanto riguarda il Quidditch sono fedelmente riprodotti dal libro della Camera dei Segreti. Detto questo, spero vi piaccia e buona lettura. :) 

Il giorno dopo, venerdì, Jo si svegliò poco prima dell’alba per un incubo in cui sua sorella la strozzava. Si mise di scatto a sedere sul letto mentre Flora, nel letto accanto al suo, dormiva beatamente. Rimase a guardarsi intorno per un po’ prima di decidere di farsi una doccia fredda per allontanare l’immagine del sogno dalla sua mente.
Uscì e si guardò allo specchio, convincendosi che non sarebbe successo nulla di male,quel pomeriggio.
Perché quel pomeriggio ci sarebbero state le selezioni di Quidditch.
Era a dir poco in ansia. Se Marcus non intendeva davvero presentarsi, allora lei sarebbe stata costretta ad accettare Malfoy, il suo ricatto e ciò che comportava. Lei odiava quelle cose eppure ora non aveva scelta.
Ben presto tutte le ragazze del dormitorio si svegliarono ed iniziarono a truccarsi, mentre lei, già vestita, iniziò ad allentarsi la cravatta perché si sentiva soffocare. Salutò Flora e sua sorella di sfuggita e poi scese, diretta in Sala Grande, decisa a fare il giro più lungo possibile perché camminare le schiariva le idee.
Si imbatté nei gemelli Weasley quasi per caso, ma loro la salutarono come fosse loro amica. “Buongiorno Jo!” esclamò Fred.
Lei lo guardò stranita. “Buongiorno ragazzi … come mai questa gentilezza?” chiese, accennando un sorriso.
“Perché Oliver ci ha detto che sei simpatica.” Esclamò George.
“Gli amici di Oliver sono amici nostri.” Continuò Fred.
“Quindi ti diamo il buongiorno!”  aggiunse George, di nuovo.
Lei sorrise quasi come aveva sorriso il giorno prima con Oliver. “Beh, allora buona giornata a voi, ragazzi!”
“Ci si vede!” esclamarono all’unisono, prima di lasciarla con quel sorriso a metà e quei dubbi che le aleggiavano in testa.
“Oliver ha ragione.” Sussurrò Fred, credendo di essersi allontanato abbastanza perché lei non sentisse.
“Si, è davvero bellissima.” Rispose George, quando i due girarono l’angolo.
Lei scosse la testa e riprese a dirigersi verso la Sala Grande facendo quel giro assurdo. Le erano sempre stati simpatici, gli Weasley, anche perché nella sua famiglia ne parlavano solo male. Invece, tra i corridoi, erano solo molti fratelli accomunati da capelli rossi e sorrisi contagiosi. Dopo un paio di minuti arrivò, trovando già al tavolo dei Grifondoro Oliver con i gemelli,  e i tre alzarono le mani per salutarla con dei sorrisi giganti. Lei ricambiò il saluto, e loro le fecero segno di raggiungerli lì, e lei, istintivamente, si guardò la cravatta verde e argento, allentata con il nodo sotto al seno. Loro le fecero segno che non importava. Si avvicinò leggermente imbarazzata, e quando fu abbastanza vicina, Oliver esclamò “A noi non importa se sei una serpe, Jo.”
Lei accennò nuovamente un sorriso.
“Beh, certo, magari ai tuoi compagni non andrà a genio che tu faccia colazione con noi.” esclamò Fred.
“Ma non lo facciamo proprio per questo!” Aggiunse George.
“Non … non m’importa di quello che pensano.” Rispose lei, istintivamente. “Più che altro, forse non sono gradita qui.”
“Non dire sciocchezze.” La schernì Oliver. “Dici tanto che non t’importa di quel che pensano di te, e poi ti fai problemi  per dei grifoni?”
“Oh, non per me!” si affrettò a rispondere. “Per voi che invitate una serpe al vostro tavolo.”
I gemelli scoppiarono a ridere ed Oliver sorrise. Lei guardò i rossi senza capire e poi tornò a guardare Oliver, che non aveva smesso un secondo di guardarla.
“Non importa a noi, sai? Sei Serpeverde solo per la divisa, per il resto sei …” ma venne interrotto dai gemelli.
“Simpatica!” esclamò Fred.
“E gentile!”
“Quindi possiamo considerarci amici.”
“Ma non fare cose da serpe.”
“O potremmo ritirare l’offerta.”
Lei perse il sorriso e indietreggiò un poco, mentre una voce nella testa le ricordava le selezioni e ciò che sarebbe successo. Loro lo notarono e si scambiarono un’ occhiata dubbiosa.
“Va tutto bene?”  chiese George.
“Abbiamo detto qualcosa che non va?”
“Perdonali, sono senza freni.”  Si scusò Oliver.
“Oh, non è per voi, sono io che … beh non sempre tutto va come si vorrebbe.” Disse, cercando di nascondere la faccia in una tazza di caffè.
“Jo, è successo qualcosa?” le chiese Oliver.
“Dobbiamo farla pagare a qualcuno?”
“Perché avremmo giusto qualche idea da mettere in atto!”
Lei sorrise e cambiò argomento, sentendo gli sguardi di tutti i Serpeverde che le perforavano la schiena, mentre i tre grifoni si gettavano nel loro argomento preferito: il Quidditch. Oliver era a dir poco entusiasta per l’allenamento del giorno dopo. Loro, con uno sguardo, decisero di accettare il cambio d’argomento con leggerezza, ma Oliver le fece capire che non l’avevano bevuta, non l’avevano bevuta per niente. E capì che stava per perdere le uniche persone che erano state gentili con lei nei sei anni ad Hogwarts.

“Perché ti sei seduta con i Grifondoro?”
“Che palle, Flora.”
Si sedettero al solito banco per la lezione di Incantesimi, e la voce di Flora era più acuta e fastidiosa del solito.
“Dai, dimmi perché!”
“Non devo renderti conto di quel che faccio.” Disse Jo, cercando di sminuirla.
“Beh, siamo amiche, no? E quindi devi farlo, voglio dire, se io ti chiedo una cosa tu devi rispondermi, e in …”
“Io non ti devo proprio niente!” esclamò Jo con un sorriso nervoso.
Flora sembrò profondamente offesa, e, come succedeva ormai da giorni, si andò a sedere con sua sorella, parlando male di quella che era sempre meno sua amica.

“Dì un po’, Baston.” Buttò lì Percy Weasley. “Come mai stamattina tu e i gemelli ve la spassavate con la Wilson?”
Jo.” Sottolineò Oliver, entrando ad Incantesimi. “Perché è simpatica.”
Varcata la soglia, la videro seduta da sola ad un banco doppio, in fondo alla classe, a fissare il vuoto.
“A me non sembra molto a posto.” Rispose Percy, mentre Oliver si fermava a guardarla.
Lei alzò lo sguardo e lo vide, e lui alzò il pollice per chiedere se fosse tutto okay. Lei rispose con lo stesso gesto ed un sorriso per nulla convincente. Lei era trasparente, ed era semplice capire che qualcosa stava per succedere.


Le selezioni andarono esattamente come ci si aspettava: Marcus non si presentò, e Jo rimase l’unica ragazza in squadra, contestata come Capitano in ogni modo possibile. Malfoy fece arrivare le sette scope, e Jo non lo ringraziò, ma fissò il ragazzino con odio, e lui rispose con un sorrisetto compiaciuto. Poco dopo, al campo li raggiunse il professor Piton, cosa piuttosto insolita.
“Buongiorno, professore.” Disse Jo. Piton non le stava simpatico, anzi, ma una delle poche cose utili che sua madre le aveva insegnato erano le buone maniere.
“Wilson … Questo è il permesso richiesto da Draco Malfoy per allenarsi domani mattina.” Le disse con la solita aria apatica, consegnandole un foglio.
“Credevo che il campo fosse dei Grifondoro, domani.” Contestò Jo.
“Ho notato la tua vicinanza poco gradita con la squadra avversaria, Wilson, ma il mio permesso annulla il loro, e, comunque, abbiamo la priorità.” Replicò lui, per poi dileguarsi e lasciare Jo con insulti morti in gola.
Grandioso. Con i Grifondoro sarebbe andato tutto all’aria nel giro di pochissimo. Mandò tutti a cambiarsi mentre lei rimase lì, al centro del campo, a guardarsi attorno. In quel momento, odiò il Quidditch. Lo odiò perché, così come l’aveva salvata due anni prima, quando era stata ammessa nella squadra, ora stava rovinando la semplicità della nascita di un legame che la faceva stare bene, la faceva sorridere. Perché doveva essere tutto così difficile? Perché non era stata semplicemente Smistata a Grifondoro? Mondo idiota, si ripeté, perché il mondo è idiota, ecco perché.


La mattina dopo, si svegliò di buon ora. Decise di ritardare gli allenamenti il più possibile, sperando che Oliver e la sua squadra finissero presto. Scese in Sala Comune e si mise a leggere un libro Babbano che parlava di una ragazza Babbana che faceva uso di una droga Babbana. Era totalmente immersa nella lettura, quando una voce chiese “Che cosa è lo zoo di Berlino?”
Alzò lo sguardo e Draco Malfoy la stava guardando, in divisa dal allenamento, con la scopa in spalla. Guardava la copertina di quel libro come se fosse un mostro.
“È il titolo del libro.” Rispose fredda, tornando a leggere noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.
“Non credo di averlo mai letto.” Aggiunse il maghetto.
Lei alzò gli occhi al cielo. “Perché, tu leggi?” gli chiese, scettica.
“Quel che mio padre mi fa prendere dalla biblioteca di famiglia.” Rispose, con aria fiera.
Lei accennò un sorriso beffardo. “Non credo che la biblioteca dei Malfoy sia degna di certi libri Babbani.” Poi, prima che lui rispondesse, aggiunse: “Puoi tornare di sopra, Draco. Non ho intenzione di salire prima delle dieci, e sono appena le nove meno cinque.”
“Perché no?”
“Perché vorrei che i Grifondoro avessero il tempo per finire il loro allenamento.”
Miles Bletchley, Portiere dell’ultimo anno, fece la sua comparsa dietro Draco. “Sappiamo che simpatizzi col nemico, Wilson. Ma siamo più importanti noi.”
“E in base a cosa?”
La domanda sconcertò i ragazzi, mentre il resto della squadra si unì agli altri due, chiedendo di scendere a gran voce. Lei si oppose con decisione, ma loro erano sei e lei era una sola, e presto la cosa sarebbe degenerata.
“Non ci faremo problemi a picchiare una ragazza!” esclamò uno di loro.
“E poi, perché non sei ancora vestita?” chiese Draco.
Lei si guardò. Indossava una maglia azzurra che le esaltava il seno perfetto e dei pantaloni grigi di una tuta sponsorizzati da una marca Babbana. “Perché non saliremo prima delle dieci.” Ribadì lei.
“Sono le nove e diciassette.” Rispose Miles.
“Vatti a cambiare!” rispose l’altro Cacciatore.
Lei si alzò ma poi ricordò che, probabilmente, quei sei idioti sarebbero andati a segnare il territori con i grifoni, e si fermò a guardarli. “Ricordatevi che il permesso di Piton ce l’ho io.” Sibilò, con sguardo severo.
Loro lanciarono urla di protesta, ma lei era già scesa verso i dormitori femminili. Si prese tutto il tempo possibile, pregando che Oliver avesse già finito, ma alle dieci e due minuti Marcus Flitt scese nel dormitorio femminile, dicendole che i ragazzi minacciavano di andare ad uccidere i Grifondoro a mani nude se lei non fosse  salita subito. Si raccolse i capelli in una piccola coda, prese la scopa e tornò in Sala Comune con aria furiosa.
“Voi non torcerete un capello ai Grifondoro, sono stata chiara?” ringhiò, furiosa più con sé stessa che con loro.
I sei annuirono e si aprirono in due come le acque con Mosè per farla passare. Fece il giro più lungo che riuscì ad inventarsi riuscendo a tirare le dieci e venti, ma alle dieci e ventitré fu abbastanza vicina al campo per notare che i Grifondoro erano nel pieno dell’allenamento. Maledì sé stessa per quello che stava per fare, quando Oliver Baston scese in picchiata verso di lei con aria furiosa.
“Il campo è mio!” esclamò. “L’ho prenotato io, per tutto il giorno!”
Si trovò ad un passo da lei.
“Lo so.” ammise Jo, guardandolo dispiaciuta. “Ma mi ha costretta … cioè. Mi ha dato il permesso Piton.” Estrasse dalla tasca il pezzo di pergamena che le era stato consegnato dal professore di Pozioni il giorno prima e lui lo lesse con aria preoccupata.
“Avete un nuovo Cercatore?” chiese, poi, restituendole la pergamena. “E chi è?”
Prima che lei potesse rispondere, Draco Malfoy si presentò davanti a lui, mentre gli altri Grifondoro si schierarono dietro al loro Capitano sulla difensiva.
“Non sei per caso il figlio di Lucius Malfoy?” chiese Fred.
“Lascia che ti mostri il generoso dono che Lucius ha fatto a tutta la squadra.” Sorrise Miles, mentre mostrarono le scope con aria fiera, dicendo che erano uscite da appena un mese, e Jo lo guardò male per zittirlo. Lui rispose con una smorfia, mentre Ron Weasley e l’amica sua e di Potter si avvicinavano a loro.
“Che succede?” chiese Ron al giovane Cercatore. “Che ci fa lui qui?” chiese guardando Malfoy.
Prima che Jo potesse fermarlo, Draco si era già fatto avanti per rispondere. “Io sono il nuovo Cercatore di Serpeverde, e tutti stanno ammirano i manici di scopa che mio padre ha comprato alla nostra squadra.”
Hermione Granger, la piccola strega castana tra Harry e Ron, non ci mise due secondi per rispondere. “Per lo meno i giocatori di Grifondoro sono stati scelti per il talento, nessuno di loro si è dovuto comprare l’ammissione.”
Malfoy rispose prima che Jo potesse tappargli la bocca. “Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue.” Sibilò, con disprezzo.
Fu un attimo. Miles si tuffò davanti a Malfoy per impedire che Fred e George gli saltassero addosso, e Jo si mise davanti a loro, passando involontariamente dalla parte dei grifoni, pensando per un secondo di lasciare che i gemelli lo ammazzassero, ma li tenne fermi con le mani, mentre la sua divisa verde e argento faceva a pugni con le sette divise scarlatte con cui si era schierata. Spostò Miles con un calcio.
“Come osi?!” strillò la ragazza. “Mi sembrava di essere stata chiara con te, stupido ragazzino arrogante!”
Malfoy la guardò impaurito e Ron Weasley si interpose tra loro, puntando contro al biondino una bacchetta piuttosto malridotta. “Questa la paghi, Malfoy! Mangialumache!” Jo adorò quel piccolo Weasley per un secondo, prima che l’incantesimo non colpisse il Cercatore, facendo cadere a terra Ron. Hermione Granger gli si sedette accanto, e Jo cercò di tenerlo seduto.
“Stai bene?” gli chiese, spaventata.
Lui fece per rispondere ma vomitò due lumache viscide e verdi. L’incantesimo gli si era ritorto contro.
I sei Serpeverde scoppiarono a ridere, mentre i Grifondoro circondarono Ron, ma solo Jo osò toccarlo, mentre continuava a sputare lumache. Lo tirò in piedi e poi si rivolse ad Harry ed Hermione. “Portatelo da Hagrid.” Disse loro. “Vi raggiungo appena posso.”
Loro presero Ron per le braccia e lo portarono via, mentre lei incrociò lo sguardo di Oliver che le trafisse lo stomaco. Era stata bene con lui in quei due giorni di quasi amicizia, e le spiaceva davvero rovinare tutto.
I gemelli le batterono una pacca sulla spalla, mentre l’intera squadra si allontanava, e Malfoy ancora rideva. Jo lo afferrò per il colletto della divisa sportiva. “Tu, stupido piccolo Purosangue viziato, non osare mai più dire una cosa del genere in mia presenza!” ringhiò, e lo lasciò cadere. Non si girò, sapeva che tutti i Grifondoro avevano assistito a quell’ultima scena.
“Alzatevi in volo, prendente confidenza con la nuova scopa e poi mostrate a Malfoy gli esercizi base dei miei allenamenti!” urlò. “Io torno tra poco!” sbatté la scopa a terra e iniziò a correre verso la capanna del guardiacaccia.

Hagrid aprì la porta con aria spaventata. “Oh, sei tu.” Le disse, vedendola. Non era la prima volta che andava da lui, le faceva piacere la compagnia del mezzogigante e spesso passava a chiedergli come stesse. Spalancò la porta e la fece entrare. Ron vomitava lumache in un secchio con i suoi amici accanto.
“Credo non ci sia altro da fare che aspettare che finiscano.” Osservò Hermione.
“Non esiste un contro incantesimo.” Le disse Jo, sedendosi per terra a gambe incrociate davanti a Ron. “Mi dispiace per quel che ti ha detto quel cretino di Malfoy.” Disse ad Hermione.
“Che cosa è successo?”  chiese Hagrid. “Chi ha cercato di incantare?”
“Malfoy ha insultato Hermione. Dev’ essere stata una cosa pesante perché tutti si sono arrabbiati.” Disse Harry.
“Era pesante.” Gli rispose Jo. Poi guardò Hagrid. “L’ha chiamata sporca Mezzosangue.” Sibilò.
“È la cosa più cattiva che gli sia venuta in mente.” Sospirò, poi, tra sé e sé. Per i Purosangue convinti come i Malfoy, essere Nati Babbani era una cosa orribile e rendeva i maghi inferiori a loro. Stronzate.
Guardò i ragazzini. I tre Grifondoro la trattavano gentilmente e lei gliene era grata.
“È un insulto spregevole e veramente cattivo. Significa uno con il sangue sporco, nato da genitori Babbani. Alcune famiglie, come la mia o i Malfoy, si credono superiori ad altri perché non hanno Babbani nell’albero genealogico, e sono detti ‘purosangue’. Ma non c’è differenza. Un mago è un mago, basta.”
“Prendi Neville.” Aggiunse Ron. “Lui è un Purosangue e non è molto brillante.” Ebbe un conato e poi riprese a parlare. “È orribile da dire. Quasi tutti oggi hanno dei Babbani in famiglia. Se non avessimo sposato dei Babbani, ci saremmo estinti.” Vomitò altre tre lumache mentre Jo lo osservava dispiaciuta.
“Mi dispiace davvero, ragazzi.” Sospirò poi.
“Non è colpa tua.”  Le disse Harry.
“Harry Potter, non dovrei dirtelo in quanto Capitano Serpeverde, ma Malfoy non ha speranze contro di te.” disse, alzandosi e accennando un sorriso. Lui sorrise e lei gli scompigliò i capelli con aria amichevole. “Fatemi sapere come sta, okay? E se aveste bisogno, sapete dove trovarmi.” Salutò Hagrid e se ne andò, tornando dai Serpeverde, sforzandosi per non insultare la sua squadra ogni tre parole. Malfoy era bravo, ma privo di riflessi, e non aveva ben presente chi fosse il Cercatore avversario.
Salì sulla sua scopa e iniziò a fluttuare per aria, sentendosi sé stessa per la prima volta dopo mesi. Amava volare, lo amava davvero. Era sempre stato l’unico modo per sentirsi libera di essere sé stessa, libera dal peso di quella famiglia all’antica e libera di non pensare a nulla. Fece lavorare la squadra fino allo sfinimento, mentre il Portiere riuscì a parare solo un paio dei suoi lanci. Era davvero furiosa. Lanciava continue occhiate a suo fratello Tomas, seduto sugli spalti insieme ad un suo amico (che sembrava essere loro cugino Alexander) e la rabbia non sbollì nemmeno nel primo pomeriggio, quando vedendo gli altri sfiniti, decise che era abbastanza. Li spedì negli spogliatoi maschili insultandoli, mentre lei si diresse verso quello femminile. Si fece una doccia cercando di rilassare i muscoli, ma non ci riuscì. Quando ne uscì, indossò dei vestiti Babbani (gli stessi che aveva indossato quella mattina) e si diresse verso la Torre Grifondoro, pregando che nessuno la riconoscesse. Cercò di essere gentile con la Signora Grassa, ma quella non accennava a lasciarla entrare senza parola d’ordine. Stava per perdere la pazienza, quando Fred Weasley la raggiunse.
“Sapevo che eri qui.” Le disse. Per uno strano motivo, i gemelli sapevano sempre dove erano tutti.
“Me ne vado subito, volevo solo sapere come sta Ronald e dire a Baston che il campo è libero, se vi va.”
Lui la guardò dispiaciuto. “Non offenderti, Jo, ma non credo abbia voglia di vederti. Sai, il Quidditch per lui è tutto. Ci ha svegliati all’alba per farci allenare, oggi, e …”
“Si, si, ho afferrato. Ti ringrazio.” Tagliò corto lei. “Puoi farmi sapere come sta Ron?”
Lui guardò la Signora Grassa, sussurrò la parola d’ordine e si sporse verso il corridoio che portava alla Sala Comune. “EHI, CATY!” Una voce femminile gli chiese cosa volesse. “MIO FRATELLO RON STA LI’?” La stessa voce negò. Fred tornò a guardare Jo, che stava per andarsene, quando lui la fermò. “Se aspetti George, lui potrà dirti dove sono.”
“Tu non sei arrabbiato con me?” chiese, con aria curiosa.
“Io? No.” Rispose lui.
“Hai detto tu che …”
“So quel che ho detto. Ma hai dato contro a Malfoy, impedito a noi di ucciderlo e soccorso Ron, quindi per me la soffiata del campo è annullata. Sei ancora mia amica.” Aggiunse, con un sorriso.
Lei fece la sua solita smorfia di quasi sorriso. “Ti ringrazio. Ehm, cercherò Ron da sola, non preoccuparti.” Lo salutò con un cenno e corse giù per le scale. Quando se ne fu andata, Oliver Baston uscì dal buco del ritratto.
“Che voleva?” chiese, al suo amico.
“Sapere di te e di Ron.”
“Di me?”
“Ha detto di dirti che il campo è libero.”
Lui guardò eccitato l’orologio. “Non sono nemmeno le tre! Possiamo ancora recuperare!”
E Fred si maledì per averlo detto.


“Come sono andati gli allenamenti?”
Jo guardò le gemelle Carrow. “Volete farmi credere di non sapere nulla?”
“Beh qualcosa sappiamo.” Esclamò Flora. “Per esempio sappiamo che hai difeso una Sanguesporco.” Aggiunse, con una punta di disgusto.
Jo sbuffò. Era rientrata nei sotterranei da due minuti e aveva già bisogno di respirare aria pulita. “Quella ragazzina è una strega migliore di tutte e due voi.” Buttò lì.
“Hai davvero dato a Draco dello stupido arrogante?” chiese Hestia, ignorando il commento.
“Stupido ragazzino arrogante, si. Io dico ciò che penso.” prese il suo libro dal comodino e andò alla ricerca di un posto dove nessuno andasse a cercarla. Il primo posto che le venne in mente fu il campo da Quidditch, ma avvicinandosi scoprì che Oliver aveva colto l’attimo e stava facendo allenare la squadra. Continuò dritta per la sua strada, arrivando da Hagrid. Passò a salutarlo chiedendo come stesse Ron, ma lui rispose che se ne era andato per non saltare il pranzo. Lei, come al solito, non si era accorta di aver saltato un pasto.
“Ma tu, tu stai bene?” le chiese Hagrid.
Lei improvvisò il solito mezzo sorriso. “Certo, a meraviglia.” Lo rassicurò. “Oh, belle le zucche.” Aggiunse, poi, prima di andarsene.
Raggiunse una panchina sulla sponda del lago e si sedette lì, aprendo il libro ed ignorando il mondo esterno. Alcuni passavano e la guardavano, ma lei aveva imparato a non curarsene. Voleva solo capire come andasse avanti quel libro, cercando di dimenticare quel brutto sabato. Cercò di dimenticare tutto il mondo, desiderando di fuggire in quel posto a cui si era ripromessa di non pensare, a quel posto nel cuore di Londra in cui si era ritrovata per caso e da cui era stata portata via. Pensò a quel ragazzo, si era ripromessa di non pensare mai più nemmeno a lui, ma lui era un uragano e quando pensava a lui anche per caso, non riusciva a smettere. Era pazzesco. Chiuse il libro e si mise a guardare il lago, girandosi tra le mani il ciondolo (che di solito nascondeva abilmente sotto la camicia) con una J e una stellina che lui le aveva comprato in giro per Londra. Pensò anche a come se n’era andato, improvvisamente, non facendosi più trovare al solito pub. Non sapeva dove trovarlo. “È partito.” Aveva detto il barista. Lei ed il suo bel vestito erano tornati al Paiolo Magico dopo essersi presa una bella sbronza. Non lo aveva mai tolto, quel ciondolo. E non aveva intenzione di farlo.
 Arrivò l’ora di cena. Con addosso sempre i suoi vestiti Babbani, presi l’estate prima, si diresse a cena. I Grifondoro non la invitarono al tavolo con loro, ma Fred e George la salutarono lo stesso. Cercò Ron, ma i gemelli mimarono con le labbra la parola ‘punizione’ e lei si sedette in un angolo vuoto del tavolo delle serpi, priva di espressione. Mangiò velocemente e poi si alzò, decisa a buttarsi nell’umidità dei sotterranei solo per farsi una sana dormita.


“Secondo voi l’ha fatto apposta?” chiese Oliver.
I gemelli lo guardarono straniti. “Dì, hai visto come ha difeso Hermione?”
“Come ha attaccato Malfoy?”
“E come ha soccorso Ron?”
Lui li guardò dubbioso. “Mi ha soffiato il campo!”
“Oliver, tu devi iniziare a fare questa cosa, guarda.” Gli disse Fred, mostrando i due palmi delle mani e portandoli su e giù ad alternanza come fossero una bilancia.
“Umanità.” Disse George, indicando la prima mano del gemello. “E Quidditch.” E indicò la seconda.
“In questo caso …” aggiunse Fred, portando la mano ‘umanità’ leggermente più sopra rispetto alla mano ‘Quidditch’. Oliver li zittì con un gesto e tornò a mangiare, mugugnando “comunque il campo era mio”. 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


(Anche) questo capitolo viene pubblicato nel giorno del mio compleanno e dedicato alla mia dolce Draco394 per ringraziarla, per aver creduto in me fin da subito. 

Due giorni dopo, Jo era in biblioteca a finire quel compito di Storia della Magia che aveva iniziato con Oliver, e pensare a lui fu inevitabile. Per un po’, pensò di scrivere una copia anche per lui per farsi perdonare, ma poi si ricredette subito. Lei non aveva nulla da farsi perdonare, dopotutto. Ammettere di avere sbagliato, se anche fosse successo, non era nelle possibilità.
In quei due giorni, il fatto che Oliver Baston si fosse comportato come se lei non esistesse affatto le aveva dato sorprendentemente fastidio, ed il fatto che le avesse dato così fastidio le dava ancora più fastidio. Indi per cui era arrabbiata con sé stessa, perché non aveva nessun diritto per pensare ad Oliver Baston. Non erano amici, non erano che due vecchi conoscenti, erano due rivali, capitani di squadre avversarie da secoli. Allora perché continuava a pensare a lui?
Chiuse il gigantesco libro decisa ad andarsene, quando sentì dei passi striscianti e fu proprio Oliver Baston a sedersi davanti a lei. “Buongiorno, Jo.” Disse, guardandola.
Lei lo guardò stupita. “Credevo che volessi Cruciarmi.” Rispose, sgranando quegli occhi chiari e bellissimi.
“In effetti ci ho pensato, si. Ma poi ho deciso che potremmo essere amici.”
“Potremmo essere cosa?”
“Amici. Sai, quando si mangia insieme, ci si prende in giro, ci si confida problemi e dubbi, si fanno scherzi a … okay non alle serpi, ma …”
“Oliver so cosa significa essere amici, è solo che …” Si bloccò. È solo che non ne ho mai avuti.
Lui allargò ancora di più il suo sorriso. “Non fare la vittima dicendo che non ne hai mai avuti. Ora hai me e i gemelli. E credevo che tu e la Carrow foste amiche.”
Jo sbuffò. “Amiche mi sembra esagerato come termine. Siamo mezze cugine e vicine di banco.”
“In quanto tuo nuovo amico ho il dovere di dirti che io e i gemelli siamo migliori delle Carrow.” Disse, mordicchiando una matita e roteava su una sedia.
“Ci ero arrivata. Ma non ho detto di volervi come amici.”
Lui fece quella faccia da cucciolo abbandonato che l’aveva fatta ridere meno di una settimana prima, e ebbe lo stesso effetto in quel momento. Vedendo la reazione positiva che quella faccia aveva suscitato nella sua nuova amica, sbatté le palpebre un paio di volte, e a quel punto la (nuova) risata contagiosa di Jo invase la biblioteca, tanto che lei dovette chinare la testa su quel libro chiuso per non guardarlo e non farsi cacciare dalla biblioteca.
Ma tutti la stavano guardando, perché nessuno aveva mai visto Jo Wilson ridere così di gusto.
Quando Oliver ebbe la decenza di ricomporsi e assumere nuovamente la sua faccia da Capitano fissato e tremendamente affascinante, si accorse che persino i libri, in quel momento, lo stavano osservando.
“Jo.” Sussurrò.
Lei alzò lo sguardo. “Che c’è?”
“Ci guardano tutti.”
Lei alzò le spalle. “E chissenefrega.” Poi si alzò, raccolse le sue cose e ripose il libro sullo scaffale. Poi si voltò ad osservare Oliver, che la osservava masticando quella maledetta matita.
“Dove vai?” le chiese.
“A farmi un giro. Vieni con me?”
“Pensavo dovessimo fare Storia della Magia.”
Lei si rimise a sedere e si avvicinò a lui. “Mentre tu mi snobbavi, io l’ho finita.” Sussurrò con una voce da Sherlock Holmes.
“Ma io non sono nemmeno a metà.”  Rispose lui con lo stesso tono.
“Non sono molto esperta in materia, ma … mi risulta che tra amici ci si passino i compiti.”
Oliver sorrise, e qualcosa all’interno dello stomaco di Jo si mise a ballare la samba – ma che diavolo le stava succedendo?



Dieci minuti dopo, Jo Wilson e Oliver Baston erano seduti sulla sponda del Lago Nero, su una panchina vecchia di secoli, e discutevano dell’ultima Coppa del Mondo e della finale che la Germania aveva vinto senza troppi complimenti. Lei aveva un’opinione diversa dalla sua, naturalmente, e la cosa sembrava divertirli moltissimo. Si spintonavano come due bambini, e Jo aveva riscoperto quanto fosse bello ridere. Togliendosi il maglione per il sole inaspettato di metà settembre, Jo mostrò involontariamente quel ciondolo a J, senza farci troppo caso, ma Oliver lo notò.
“Che hai al collo?” le chiese.
Lei sembrò ricordarsene solo in quel momento. Prese la J e la stellina di alluminio riciclato tra le mani e il suo sorriso scomparve. “Un ciondolo.” Rispose.
“È un bel ciondolo.” Le disse.
“Grazie.”
“Non sembra venga da Diagon Alley, però.” Osservò.
Lei incarnò un sopracciglio e lo guardò con un mezzo sorriso. “No, non viene da lì, ma da un mercatino della Londra Babbana.”
“E i tuoi ti lasciano girare per la Londra Babbana?”
“Ero scappata di casa, la scorsa estate.” Rispose, come se fosse assolutamente normale.
“Davvero?”
“Davvero!”
“E perché sei tornata sui tuoi passi?”
 perché lui non mi ha più voluta, suggerì una vocina nella sua testa.  Lui se n’è andato, e io non avevo motivi per continuare a girare per le strade di Londra cercandolo in ogni cosa.  Scacciò il pensiero di quel ragazzo e tornò a guardare Oliver.
“Londra non aveva più niente da offrirmi.” Si limitò a dire, maledicendosi per essersi dimenticata il pacchetto di sigarette nel sotterraneo.
“E quanto sei stata lontana da casa?”
Lei ci mise qualche secondo per decidere che si, ora erano amici, e che si sarebbe potuta fidare. Prese fiato e parlò come una macchinetta, pur di nascondere i suoi sentimenti.
“Dopo i G.U.F.O., sono tornata al castello dei Wilson e  ci sono rimasta per meno di una settimana. Poi sono scappata, ho alloggiato al Paiolo Magico, stretto amicizia con un gruppo di Babbani conosciuti in un pub e avuto una breve storia con uno di loro. Poi, veloce com’era arrivato, se n’è andato. I nostri amici non mi hanno voluto dire dove potessi trovarlo, così me ne sono andata anche io, sono tornata al castello dai miei, per le ultime due settimane. Chiusa parentesi Londra.”
“No.” Rispose lui, secco.
“No?”
“È tutt’altro che chiusa. Come si chiamava lui?”
“Ha importanza?”
Parlare di lui la irritava tremendamente. Forse ne era stata innamorata, forse no. Non aveva importanza. L’unica cosa che importasse era che lui era partito, senza preavviso, senza lasciarle detto niente, lasciandola con un “Ci vediamo stasera, piccola.” E ora, parlare di lui le dava fastidio. Le provocava un tremendo prurito alla bocca dello stomaco e si sentiva il cuore in gola. Per la prima volta si era concessa di amare, di affidare ogni cosa ad una persona al di fuori di lei, e lui era scappato. E forse, non lo avrebbe mai perdonato.
“Si.”
“No.” Ribadì Jo, in modo altrettanto secco.
“Ha importanza perché tu tenevi a lui e perché porti ancora il suo ciondolo.”
“Lo porto perché mi piace come simbolo. E no devo dare spiegazioni a te, Oliver-so-tutto-io-Baston.” Replicò, alzandosi e incrociando le braccia al petto con aria furiosa.
Anche lui si alzò, e alzò anche le braccia, in segno di resa. “Scusami. Non era mia intenzione farti irritare.”
Lei rimase indecisa sul da farsi. Oliver Baston le stava davvero chiedendo scusa? “Non fa niente.” Biascicò. Poi guardò il Lago scurirsi con il crepuscolo. “Forse dovremmo rientrare.” Gli disse, interrompendo il silenzio.
“Forse dovremmo, si. Solo se mi perdoni.”
Non sfoderò la sua faccia da cucciolo, non provò a influenzare quella sua decisione in alcun modo. Voleva essere perdonato in modo sincero, e si mostrò in tutta la sua semplice bellezza, all’ombra di un tramonto che se non si fossero messi a litigare sarebbe risultato estremamente romantico. Lei lo guardò. Gli occhi sinceri, l’uniforme sgualcita, la cravatta slacciata, i capelli scuri e scompigliati. Dovette impiegare gran parte delle sue forse per non ripetersi che era davvero bello.
“Non sono arrabbiata.”
Non stava mentendo. Fino a meno di un minuto prima era furiosa perché era stata costretta a toccare uno degli argomenti che più odiava, ma le era bastato guardarlo per ricredersi. E il sorriso che comparve su quel volto confermò che non era affatto arrabbiata.
“Perfetto.” Rispose. “Allora credo che potremmo raggiungere Fred e George in Sala Comune.”
Jo sorrise leggermente imbarazzata. “Io non posso entrare nella vostra Sala Comune.”
“Sei amica mia, no?”
“Sono Serpeverde.” Ribadì lei con aria scocciata.
“Ma non m’importa.”
Oliver si alzò, le prese un braccio e provò ad alzarla di peso, ma lei non si mosse di mezzo millimetro, anzi, sorrise della sua ingenuità, mentre a malapena sentiva la presa di lui sul suo braccio. “Sei un illuso, Baston.” Disse, come quella notte nel corridoio.
“Si, si, lo hai già detto.” Rispose lui. Si guardò attorno quasi con timore, poi tornò a guardare Jo, e prima che lei potesse interpretare il suo sguardo, lui aveva applicato la sua presa da Portiera sulle sue gambe, prendendola in spalla come fosse un sacco di patate, e scoprendola leggerissima. Lei scoppiò a ridere, aggrappandosi alla sua camicia, protestando con insulti pesanti per quella sorpresa poco gradita.
“Stai un po’ zitta, serpe!” le disse, dopo essere rientrato nel castello.
“Oliver Baston, dannato stupido grifone, mettimi giù immediatamente!” stava urlando lei.
“Almeno se devi insultarmi abbassa la voce, ci guardano tutti!!”
“Guardano il mio culo.” Replicò lei con aria saccente.
“Oh.” Rispose lui, voltando la testa e rendendosi conto che il leggendario fondoschiena di Jo Wilson era esattamente accanto al suo viso. “Bel culo, Wilson.” Ammise poi, fingendo di non averlo mai guardato prima.
“Maniaco.”  Replicò lei, mentre lui sorrideva a Nick-Quasi-Senza-Testa.
“Buongiorno Nicholas! Sa dirmi se Fred e George …”
“In Sala comune con gli altri, signor Baston!” rispose il fantasma. “Chi è la sua nuova amica?” chiese poi con aria curiosa.
Lui si girò perché Jo potesse guardare il fantasma in faccia. “Non siamo amici.” Ribadì la Serpeverde, in un verso molto simile ad un abbaio.
“Oh, Jessica, che piacere!”
“Come non siamo amici?! Mi sembrava di avere deciso che …”
“Signore, la prego, lo convinca a mettermi giù!”
Il fantasma rise. “Oh, no, è così divertente!”
Oliver salutò cordialmente e decise che era ora di raggiungere la meta. Fare le scale non fu altrettanto facile, ma tra la potenza dei suoi muscoli (che Jo sentiva tendersi e stirarsi ad ogni gradino) gli permisero di cavarsela solo con un po’ di fiatone. Arrivati davanti al quadro della Signora Grassa, che lo guardò insospettita, disse la parola d’ordine, senza preoccuparsi della privacy e di tutte le altre cose a cui serviva la parola d’ordine. Attraversò il passaggio, e arrivato in Sala Comune, si trovò davanti ad una riunione della famiglia Weasley: la piccola Ginny aveva sfidato Ron agli scacchi dei maghi, e Harry, Hermione, Fred, George e Percy li osservavano curiosi, ma gli occhi dei gemelli si spostarono immediatamente sul fondoschiena inconfondibile che stava accanto alla faccia soddisfatta del loro amico Oliver.
“Ciao, Jo.” Disse Fred. “Ti prego, entra così anche a Pozioni domani.”
“Idioti!” strillò lei.
“Oh, si, tira un altro po’ d’insulti. Non ne hai già urlati abbastanza dal Lago a qui, no?” la stuzzicò Oliver.
“Deficiente! Fred, ma il mio culo è così riconoscibile?”
“Diciamo che è indimenticabile.” Rispose George.
Una ragazza con l’uniforme stropicciata, i capelli scuri e una frangetta conosciuta in tutta Hogwarts spuntò dal dormitorio femminile. “Che cosa sarebbe indimenticabile?” chiese.
“Il cuo di Jo, Caty.” Rispose Fred, accennando un sorriso alla Grifondoro.
Caty Roxel, stesso anno dei gemelli, osservò Baston ed il fondoschiena di Jo. “Oh, benvenuta, Wilson.” Disse, con tono cordiale ma diffidente, perché, comunque fosse, Jo era una serpe.
“Roxel, ti prego, aiutami a far ragionare questi idioti!” esclamò, in cerca di solidarietà femminile. Caty diffuse la sua inconfondibile risata per tutta la Sala, mentre Fred esclamò “Ti prego, Wilson, ho una così bella visuale!”
“WEASLEY!” urlò la serpe. “Oliver, credo che ora potresti mettermi giù, o potrei vomitare sul tuo, di culo.”
“Ed è altrettanto indimenticabile, aggiungerei.” Rispose il ragazzo, mollando la presa sulle gambe di lei e scostando la spalla per lasciarla cadere. Ma lei fece appello ai suoi riflessi e riuscì a non cadere per terra, mettendosi in piedi e sistemandosi la camicia con aria scocciata, mentre si guardava attorno. “Carino qui. Di sotto è tutto cupo e umido.”
“Siamo meglio noi!” rispose Fred, ma Jo lo ignorò, salutando Hermione che la osservava curiosa.
“Ciao, Jo.” Disse la ragazzina.
“Ciao, Hermione.” Rispose la serpe con aria gentile. “Harry Potter, ciao anche a te.”
Il maghetto sorrise e alzò la mano in segno di saluto, mentre osservava la partita incuriosito. Percy Weasley si fece avanti e porse la mano. “Sono Percy, Prefetto, non abbiamo mai avuto occasione di presentarci.”
Jo sorrise cordialmente e strinse la mano. “Ciao, Percy.” Il Prefetto Weasley si allontanò con aria quasi imbarazzata e Jo tornò a guardare Oliver. “Perché mi hai portato ad una riunione del clan Weasley?”
“Tecnicamente il clan non è al completo.” Rispose Oliver in un bisbiglio. “E poi c’è Caty!” disse, indicando la ragazza.
Jo sembrò notarla solo in quel momento. “Scusa, Caty, non volevo essere maleducata. Sono Jo, solo Jo.” Disse, esibendo un sorriso formale ma luminoso, mentre lei e Caty si stringevano la mano.
“Caty Roxel, molto piacere. Oliver e i gemelli parlano molto di te.”
Jo stava per Cruciare Oliver, Fred e George, quando Caty sembrò accorgersi della gaffe. “Devo andare, Angelina mi aspetta. Jo, a presto, e se hai bisogno mi trovi qui, okay?” Jo sorrise e annuì, mentre Caty Roxel si dileguava e Fred Weasley arrossiva fino alle dita dei piedi, cercando di nascondersi, mentre il suo gemello invitava i due nuovi arrivati a sedersi accanto a loro. Jo si mosse senza il minimo imbarazzo, mostrando interesse per la partita di scacchi, scompigliando i capelli a Ron con aria amichevole, mentre lui sorrideva imbarazzato.
“Regina in L3.” Gli sussurrò, mentre Ginny protestava.
“Ron!” esclamò Harry, guardando spaventato l’orologio a cucù a pochi metri da loro. “Ron, Hermione! Dobbiamo andare alla festa!”
“Festa?” chiesero all’unisono i gemelli.
Ron li guardò con aria annoiata. “La festa di complemorte di Nick-Quasi-Senza-Testa!”
“Oh, ecco perché era così di buon umore, prima!” disse Oliver.
“Festa di complemorte? Che cosa triste!” esclamò Jo.
“Non venite a cena, quindi?” chiese Ginny.
“C’è il pollo!” aggiunse Fred.
I tre si alzarono con aria amareggiata, salutando tutti e con l’umore sotto le scarpe, si avviarono verso il sotterraneo in cui si sarebbe svolta la festa, mentre la Regina Bianca si spostava sulla casella indicata da Jo.
“Giochi tu?” la invitò Ginny.
Jo guardò Oliver e i gemelli, che risposero annuendo. “Sì.” Disse poi la ragazza, sedendosi al posto di Ron.
Jo, in poche mosse, risollevò la situazione disastrose che Ron le aveva lasciato, stracciando Ginny ma sentendosi in colpa, mentre i gemelli se la ridevano.
Poi, affamati, i gemelli dissero che era ora di scendere a cena, e quando tutti si alzarono per seguirli. Ginny rimase seduta al tavolo degli scacchi.
“Ginny, non vieni?” chiese Jo, con una nota di tenerezza nella voce. Quella ragazzina le sembrava tremendamente indifesa.
Lei parve svegliarsi da un sonno profondo. “voi andate, io vi raggiungo.”
Jo sorrise, alzò le spalle e raggiunse gli altri, posando una mano sulla spalla di Oliver, con il quale scambiò uno sguardo d’intesa. Arrivati in Sala Grande, Jo non esitò a sedersi con loro. Come prima cosa, perché non aveva voglia di raggiungere le altre serpi, e poi perché i gemelli glielo avevano praticamente ordinato. La serpe, però, poteva sentire addosso lo sguardo deluso di suo fratello Tomas, che avrebbe riferito tutto a Candida Wilson, convinto che la sincerità avrebbe rimesso tutto a posto, in quella strana famiglia. Paradossalmente, però, Jo si sentiva molto più in famiglia con Oliver ed il clan Weasley che al castello Wilson. Con loro scherzava ed era libera di essere sé stessa, mentre in quel posto grigio e tetro, terribilmente simile ai sotterranei, si sentiva solo in gabbia. La cena passò abbastanza velocemente, mentre i gemelli acclamavano Jo – pareva che nessuno avesse mai battutto Ginny a scacchi. Quando si alzarono, Jo senza rendersene conto si stava avviando con loro alla Torre Grifondoro, ma fu una buona cosa, perché loro cinque (Fred, George, Percy, Oliver e Jo) si trovarono in prima fila davanti ad uno spettacolo tetro e spaventoso.
Harry, Ron ed Hermione stavano davanti a loro con aria spaventata. Sul muro, una scritta rossa recitava LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTE, NEMICI DELL’EREDE TEMETE. Accanto alla scritta, la gatta del custode Argus Gazza era appesa per la cosa come se fosse fatta di stoffa, e non di carne ed ossa.
Rimasero tutti di sasso. Pochi di loro sapevano cosa fosse la Camera dei Segreti in questione, ma tutti capirono cosa sarebbe successo da lì a poco. Jo osservò i tre ragazzini, che la osservarono a loro volta, scuotendo la testa in risposta ad uno sguardo interrogativo. Fece per sussurrare qualcosa ad Oliver, ma qualcuno, in mezzo a loro, urlò.
“Temete, Nemici dell’Erede! Ora tocca a voi, mezzosangue!” Draco Malfoy si fece largo tra la folla, e il suo ghigno fu bloccato dall’espressione furiosa del Capitano della squadra dei Serpeverde. Prima che Jo potesse parlare, fu di nuovo interrotta, questa volta da Gazza, che si avvicinava urlando, fermandosi a mezzo metro da Jo, che si allontanò con aria spaventata.
“Cosa succede? Cosa succede?” poi, vide la gatta e sembrò sul punto di avere un infarto. “La mia gatta! La mia gatta, cosa è successo? Oh, Mrs Purr!” a quel punto, i suoi occhi si posarono su Harry. “Tu! Sei stato tu ad uccidere la mia gatta!”
Jo, per la terza volta, fece per parlare, senza paura di difendere Harry, convinta di quel suo sguardo sincero, ma fu interrotta, questa volta, da Silente. Staccò la gatta, concludendo che non era morta ma pietrificata. Poi parve accorgersi degli alunni dietro di lui. Ordinò loro, in modo freddo, di tornare nei dormitori, trattenendo Harry, Ron ed Hermione. Jo fece appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Hermione, prima di essere trascinata dagli altri studenti. Gli Weasley si erano stranamente zittiti, e la cosa era strana, davvero strana. Jo si fermò.
“Non sono stati loro.” Disse, in un sussurro.
“Abbiamo motivo di crederlo, però.” Replicò Percy.
Oliver e i gemelli lo guardarono dubbiosi, mentre Jo sorrise sarcasticamente. “Non starai puntando il dito contro tuo fratello Ronald, vero, Prefetto Weasley?”
“Io non …” iniziò Percy, ma fu preso sottobraccio dai gemelli che lo portarono via, mentre Oliver rimase con Jo nel corridoio ormai deserto.
“Ti proporrei di accompagnarti giù, ma …”
“So badare a me stessa.”
“Appunto. Buonanotte, Jo.”
Lei piegò le labbra in una smorfia. “Tra i Serpeverde non sarà una buona notte.” sussurrò, fissandosi le scarpe come se ne fosse stata colpevole.
Oliver, in tutta risposta, sorrise. “Ma tu non sei certo una Serpeverde come gli altri.” le premette un polpastrello contro il piccolo naso, mentre lei, sorridendo, si allontanava tornando controvoglia ad indossare la maschera della ragazza senza emozioni per rientrare nei sotterranei, e affrontare quella che (ne era certa) per molti sarebbe stata una notte di febbricitante eccitazione in attesa della ‘vendetta sui nemici dell’erede’, e in attesa dell’erede stesso. Senza badare a nessuno, chiuse le tende del suo baldacchino e cadde in un sonno profondo, sognando di essere nata Weasley con i capelli rossi e nessun obbligo di sentirsi fiera di essere una Purosangue.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Jo fu svegliata dal suono dei cassetti del comodino di Flora che si aprivano, e dal suo poco rispetto per il sonno altrui. Si girò in modo da poterla guardare, controllandosi i capelli, per assicurarsi che non fossero rossi come nel sogno. Intanto, Flora si spennellava la faccia cercando di coprire le occhiaie, date un po’ dalla sua insaziabile sete di pettegolezzi, un po’ dal succhiotto ben visibile sul collo, che, a intuito, doveva essere opera di quello scimmione privo di neuroni di Marcus Flitt.
“ … ‘giorno.” Borbottò Jo, in un goffo tentativo di essere gentile.
“Buongiorno Jo.” Rispose Flora. “Dormito bene?”
Jo annuì, indicandosi il collo per chiederle di quel succhiotto. “Di nuovo Flitt?”
Flora annuì, stranamente felice ed amichevole. “Tu e Baston?”
Jo socchiuse gli occhi, stringendosi nella felpa gigante che usava come pigiama. “Io e Baston cosa?” chiese.
“Non te la fai con lui ora? Sembravi così felice ieri sera, a cena.”
“Flora, quante volte te lo devo dire? Io non mi faccio nessuno, non dopo …” si bloccò. Stava per pronunciare il suo nome, di nuovo. “Non mi faccio nessuno e basta.” Disse fredda, cercando di nascondere il fatto che, di nuovo, stesse per parlare di lui. Automaticamente, allungò la mano verso il comodino e si mise il ciondolo.
“Afferrato. Però Baston è carino, non negare.” Disse, mentre si stringeva la cravatta, e Jo si alzava a malincuore.
“Mh.” Disse. “Ma tu non lo odiavi?” “No, non più.” Rispose Flora, mentre Jo si toglieva la felpa per infilarsi la camicia ed il maglione in un colpo solo.
“Non più?”
“Non da quando ti ha fatta ridere.”
Jo guardò Flora come se avesse appena infranto un tabù, poi come se fosse una strana creatura Oscura, e poi, sorprendendola, sorrise. Non come con Oliver e gli altri, un sorriso più forzato e meno luminoso, ma sorrise, mentre si infilava le scarpe. “Si, mi fanno sorridere.”
Sorrise anche al pensiero del sorriso di Oliver quando ridevano insieme, sorrise pensando a quanto lui fosse in grado di farla sentire leggera e libera senza nemmeno accorgersene. Questo da una parte la spaventò a morte, dall’altra aumentò pericolosamente la sua voglia di vederlo.
Flora rispose al sorriso, mentre si assicurava che la cravatta fosse perfetta e Jo si sistemava il nodo della sua più o meno all’altezza del ciondolo babbano.
“Jo?”
“Si?”
“Hai idea di chi possa essere l’erede di Serpeverde?”
Jo la guardò, scuotendo la testa. “Era troppo bello per essere vero.” Sbuffò, mentre si avvicinava all’uscita del dormitorio con a tracolla la borsa con i libri.
“Sono seria!” rispose Flora, seguendola.
“Io non lo sono di sicuro, tu e tua sorella nemmeno perché i vostri genitori sono Corvonero. Mettiti il cuore in pace.” Spalancò la porta ed uscì, maledicendosi per aver pensato che Flora fosse gentile solo perché le andava.
Flora, dal canto suo, capì che era una causa persa e si diresse da sua sorella, mentre Jo saliva le scale accorgendosi di avere bisogno di uscire dal sotterraneo perché le veniva da soffocare. Incrociò Malfoy con le sue marionette (Tiger e Goyle). Il ragazzino la salutò con finta gentilezza, e lei, già di pessimo umore, rispose con un grugnito.


“Jo Wilson?”
Si girò di scatto. Prima che riuscisse a metterla a fuoco, Caty Roxel, seguita da quella che, a intuito, era Angelina Johnson, con dei riccioli da invidia e una camminata elegante.
“Caty Roxel.” Rispose Jo, fermandosi, invidiando quella sua cravatta rossa e oro.
“Ciao, io sono Angelina.” Disse la riccia, alzando la mano in segno di saluto.
Jo rispose al saluto con un gesto goffo, chiedendosi perché la Roxel l’avesse fermata per i corridoi alle otto e mezza della mattina.
“Hai visto i ragazzi?” chiese la  Grifondoro.
“Beh di sicuro non erano nella mia Sala Comune.” Rispose Jo, accennando un sorriso.
Caty si bloccò un secondo, per poi recuperare la sua solita parlantina. “No, nel senso, i gemelli e Baston hanno detto che sarebbero venuti a cercarti, perché volevano che fossi tu a parlare con Harry, Ron ed Hermione, sai, per ciò che è successo ieri hanno detto che tu hai più tatto in certe cose, e si sono svegliati presto apposta per venirti a cercare e …”
Jo la bloccò con un gesto. “Mi dispiace, Caty, ma io non li ho proprio visti.” Disse, con un sorriso gentile, ma, in quel momento, si sentì chiaramente Flora Carrow strillare “Smettetela! Non so dove sia andata!” e, un secondo dopo, la videro voltare l’angolo del corridoio seguita da Fred, George e Oliver.
“Oh, eccoti! I tuoi amici sono più simpatici di Gazza!”
Fred e George la presero come un’offesa molto seria, mentre Oliver scoppiò a ridere, mentre si poggiava una mano dietro la nuca ed esclamava “Ciao Jo!”
Jo alzò la mano quel tanto che bastava per fare ‘ciao ciao’ e sorrise imbarazzata.
“Tutto okay, Flora?”
“Ritiro tutto quello che ho detto stamattina sui Grifondoro! Tutto!” strillò lei, mentre si allontanava da loro.
Jo fece la faccia di una che se l’aspettava, mentre Oliver le era fin troppo vicino. “Che le avete fatto?”
“Siamo stati nei sotterranei a cercarti.” Cominciò Fred.
“Ma tu non c’eri.” Continuò George.
“Poi abbiamo incontrato Flora, e le abbiamo chiesto …”
“ … in modo abbastanza insistente …”
“ … dove fossi, ma lei ha detto, che non lo sapeva e noi non le abbiamo creduto, allora poi …”
“Siamo arrivati qui!” concluse Oliver.
Jo annuì. “Di solito la mattina vado verso la Sala Grande per bere il mio sacro santo caffèlatte.”
“Giusta osservazione!” esclamò Caty Roxel alle sue spalle. “Che cosa vi avevo detto io?”
Oliver e i gemelli abbassarono la testa come tre bambini colpevoli. “Che probabilmente sarebbe andata in Sala Grande per la colazione.” Sospirarono i battitori.
“Appunto.” Esclamò Angelina Johnson. “E io direi che questa colazione dovremmo proprio farla.”
“Ho bisogno del mio caffèlatte.” Aggiunse Jo, avviandosi a grandi passi verso la Sala Grande. Erano ancora troppo vicini ai sotterranei perché lei potesse sentirsi libera di essere sé stessa.
“Si, ma ti dovevamo parlare di …”
“Parlerò con i tre ragazzini, si, ma non credo c’entrino nulla con quello  che abbiamo visto ieri sera.”
“Come fai a sapere che ti stavo parlando di quello?!” chiese Oliver, stupito.
Jo sorrise, scambiandosi uno sguardo complice con Caty, che sorrise a sua volta.
“Intuito, Baston, intuito!” esclamò la serpe, ridendo, lontana dai sotterranei.


“Non abbiamo fatto nulla!”
“Harry Potter, calmati.” Jo lo invitò a sedersi di nuovo. “Sono assolutamente convinta che voi non abbiate nessuna colpa, vi sto chiedendo se avete visto, sentito o capito qualcosa.”
Alla parola ‘sentito’ i tre si guardarono con aria sospetta.
Jo stava seduta sul tavolino al centro della Sala Comune dei Grifoni, davanti a lei, i tre ragazzini se ne stavano sul divano rigidi, e dietro di lei, Oliver, Fred, George, Percy e Caty attendevano risposte a braccia incrociate.
“Avete sentito qualcosa?” domandò Jo, togliendosi la cravatta.
“Ne ho abbastanza di questa buffonata.” Sbuffò Percy. “Ho di meglio da fare, io.”
Jo lo guardò con indifferenza. “Ciao, allora, Prefetto Weasley.” Percy era sicuramente il membro del clan Weasley che le stava meno simpatico.
Lui la fulminò con lo sguardo, prima di imboccare la scala per i dormitori, mentre i tre ragazzini continuavano a scambiarsi sguardi perplessi. Poi, tornarono a guardare Jo, sentendo che di lei avrebbero potuto fidarsi.
“Beh.” Cominciò Ron. “Harry ha …”
“Ho sentito una voce.” Ammise lui con aria quasi colpevole.
Jo rimase impassibile. “Che cosa diceva?”
“Che avrebbe ucciso, che aveva sete di sangue.”
Jo, di nuovo, non mostrò emozioni. Lei non credeva che Harry fosse pazzo, o almeno non lo dava a vedere, e il ragazzo gliene fu grato. Con un gesto nella mano, lo invitò a continuare il racconto.
“Era come se si muovesse … nel muro.”
“Nel muro.” Ripetè Jo. “E voi due non avete sentito nulla?”
“No.” Rispose la Granger. “Abbiamo seguito quella voce, quella che sentiva Harry e … ci siamo ritrovati davanti alla scritta.”
“Jo?” chiese Ron.
“Si, Ron?”
“Noi ci possiamo fidare di te.”
“Si, certo.”
“Quindi posso chiederti una cosa?”
Jo annuì.
“È una cosa brutta, vero, la Camera dei Segreti?”
Jo, per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, si girò per chiedere consiglio agli altri. Loro scossero la testa. Tornò a guardare il trio e si guardò le mani, poi prese un respiro profondo.
“Io non so molto. Quello che so ve lo posso dire, ma dovete promettermi una cosa.”
I tre si guardarono e poi annuirono.
“Dovete promettermi che non farete nulla di stupido senza prima aver coinvolto noi. Vorrei potervi aiutare. E credo che valga anche per loro.”
“Sicuro!” esclamarono i gemelli.
“Mi aggiungo. Potete contare su di me.” Aggiunse Oliver, leggermente arrossito dopo quel ‘noi’.
Harry, Ron ed Hermione sorrisero. “Promesso.” Dissero.
Jo sorrise, guardò di nuovo gli altri e poi tornò seria. “Io non so molto, davvero. So che è una leggenda, una leggenda che parla di … discussioni tra i fondatori perché Serpeverde voleva limitare l’accesso alla scuola ai Purosangue. Lui odiava davvero i Babbani, ma teniamo in considerazione che in quel periodo, i Babbani tendevano a dare fuoco ai maghi e alle streghe. Credo che Hogwarts sia stata fondata  anche per questo, per … salvare i giovani maghi. Comunque, Salazar non andava d’accordo con gli altri tre, e scappò. Alcuni sono convinti che prima di fuggire, costruì una stanza segreta che sarebbe stata aperta solo dal suo degno erede.”
Hermione annuì, pensierosa, mentre Harry e Ron si guardarono perplessi.
“Potresti chiedere informazioni alla tua famiglia! Voglio dire, voi siete Serpeverde da secoli, no?” esclamò Ron, dopo qualche istante.
Jo sembrò rattristarsi. “Ron, io non … non ho una famiglia. Cioè, teoricamente sarei una Wilson, praticamente i miei genitori mi rinnegano.”
“Ma come?! Gli Wilson sono tra i Purosangue più nobili di sempre, e …” poi, il ragazzino sembrò capire. “Oh. Sei una traditrice del tuo sangue?”
“Esattamente.” Ammise Jo, con un sorriso triste.
“Quindi non potresti chiedere ai tuoi di dirti …” iniziò Harry, poi i ragazzi si scambiarono un’occhiata piena di pensieri.
“Tu no. Ma Blanca si.” Disse Oliver, dando voce ai pensieri di tutti.
“Harry?”
“Si?”
“Dammi carta e penna.”

Cara Blanca,
come stai? Come vanno i preparativi per il matrimonio?
Qui le cose procedono come sempre, ma ultimamente stanno accadendo troppe cose strane. Tomas sta bene, l’altro giorno lui e Alexander sono venuti a vedere gli allenamenti. Ieri, è comparsa una scritta sul muro del terzo piano che parlava della riapertura della Camera dei Segreti. Credo tu ne sappia qualcosa di più di me: ho un ricordo vago della mamma e della zia che ne parlano, ma ero piccola. Tu eri più grande, ricordi qualcosa? Sapresti darmi qualche informazione utile?
Grazie in anticipo,
tua sorella Jessica.


“Jessica?” chiese Hermione.
Jo le fece segno di lasciare stare, mentre piegava la pergamena e la metteva un una busta.
“Ti presto il mio gufo.” Disse Harry, mentre Jo gli rivolgeva un sorriso gentile e lui afferrava la lettera.
“Blanca Wilson, castello Wilson.” Disse, con aria leggermente disgustata, mentre il trio si avviava alla guferia.
“Speriamo bene.” Sospirò Oliver, appena furono usciti.
“Speriamo di non metterci troppo nei guai.” Aggiunse Caty, ritrovandosi gli occhi di tutti addosso. “Ho detto troppo!” aggiunse, in sua difesa.
“Speriamo che Blanca non faccia la stronza.”  Aggiunse Jo con un sospiro, fissando la porta.
Oliver le mise goffamente una mano sulla spalla. “Andrà bene.” Le disse.
Lei sorrise. “Andrà bene.” Ripeté. Per qualche strano motivo, ora che lo aveva detto lui ci credeva un po’ di più.
“Comunque sia, Jo ... Se tu fossi nata Babbana, saresti stata una bravissima psicologa.” Aggiunse Caty, stiracchiandosi  e trattenendo uno sbadiglio.
Jo sorrise tristemente. “Si, me lo hanno già detto.”

“Dove hai detto che studi?”
Lei lo guardò, seduti in un bar davanti ad due frappé. “In Irlanda.”
“Figo. Che scuola è?”
“Una scuola di chi sa farsi i fatti propri.” Rispose Jo, ridendo, maledicendo i jeans Babbani che portava e prudevano moltissimo. Era luglio, ma a Londra erano necessari i jeans lunghi per via della pioggia.
Lui, con quei riccioli scuri e quegli occhi chiarissimi, sfoggiò il più seducente dei suoi sorrisi.
“Secondo me, invece, dovresti fare la psicologa.” Aggiunse, senza smettere di ridere.
“La cosa?”
“La psicologa! Dai, non dirmi che non sai cosa sia. In Irlanda esistono gli psicologi, ne sono sicuro!”
“Non nella mia scuola!”
“Oddio, ma come fai a non saperlo? È quel medico, che ti fa sdraiare su un lettino e parlare dei tuoi problemi, e … insomma, hai capito!”
Jo bevve l’ultimo sorso di frappé e poi appoggiò un gomito sul tavolino e si tenne la testa con una mano. “No, però non fa niente. Io non diventerò una psicologa, e per favore tu non diventare insegnante!”
“Forse io diventerò psicologo e tu insegnante.”
“Ne io ne te diventeremo psicologi, Edward.”


“E tu che hai risposto?” chiese Caty, costringendo Jo a scendere dalla sua nuvoletta.
Jo fece per rispondere, perché Caty le stava simpatica, e parlare di lui le pesava sempre meno, ma fu interrotta da Oliver, che si alzò di scatto portandosi le mani nei capelli. “Tra dieci giorni siamo contro di voi a Quidditch, Jo!”
Jo lo guardò come se avesse scoperto l’acqua calda. “Si, ci alleniamo giovedì e lunedì.”
“Vi stracceremo!” esclamò Fred.
“Guarda che Malfoy non così è male.”
Oliver si chinò quel tanto che bastava per arrivare a pochi centimetri dal viso di Jo, seduta sul divano, e sussurrò: “Io ho il piccolo Potter, Wilson.”
“Ma io sono io, Baston.” Ribatté lei, per niente intimidita dalla vicinanza e dal tono di sfida. “Non ho bisogno di un ragazzino del secondo anno come Cercatore per essere grandiosa.”
“Ti credi grandiosa, Wilson? Lo vedremo.”
“Ho centrato i tuoi anelli talmente tante volte con la mia Pluffa che conosco i tuoi punti deboli.”
Fred colse la palla al balzo. “E lui presto metterà qualcosa nel tuo, di anello!”
“Non è proprio un ane…” Ma George fu fermato da Jo, che aveva scostato Oliver con un gesto semplicissimo come se stesse scacciando una mosca, si era diretta a grandi passi verso Fred e gli aveva afferrato il colletto della camicia.
“Dimmi un’altra cosa del genere, Weasley, e ti ritroverai appeso a testa in giù in Sala Grande.”
Per la prima volta Fred sembrava impaurito. Primo perché Jo lo stava sollevando da terra come se pesasse quanto un chihuaua, e poi perché faceva davvero paura.
Caty scattò in piedi. “Jo. Stava .. stava solo scherzando.” Le sfiorò una spalla, ma lei sembrava fatta di pietra.
Lasciò andare Fred, senza avere il coraggio di chiedere scusa ma rendendosi conto di avere sbagliato, e se ne sarebbe andata, se Harry non fosse comparso sulla porta insieme a Ron ed Hermione, sventolando una lettera indirizzata a lei e osservando la situazione tesa con aria interrogativa.
“Va tutto bene?” chiese la Granger.
“Tutto bene.” Rispose Fred. “La lettera è di Blanca?”
“Si.” Rispose Ron. “Ha risposto subito!”
Harry porse la lettera a Jo, che storse il naso leggendo che era indirizzata a Jessica Amanda Wilson.
Si rimise a sedere, aprendo la busta con lo stemma degli Wilson e quello dei Serpeverde.

Jessica,
mi fa piacere che tu ti sia fatta sentire. Quando è la prossima partita? Io ed Amos vorremmo venirti a vedere, il signor Malfoy ci ha riferito che hai preso suo figlio Draco in squadra.
I preparativi per il matrimonio vanno benissimo, e ti pregherei di tornare a casa, a Natale, per la prova del tuo abito da damigella. Mamma e papà sono disposti a dimenticare il tuo atteggiamento per rendere perfetto il matrimonio, e ho convinto anche zia Amanda a cercare di essere gentile.
Mi chiedi della Camera dei Segreti: mamma ne ha parlato proprio ieri sera. Ha detto che Lucius ha ricevuto una lettera da Draco che lo avvertiva della stessa, strana, scritta sul muro di cui mi parli nella tua lettera.
Non so dirti molto così su due piedi, ma mi premeva risponderti subito. Ricordo anche io quella discussione, ma vagamente. Dopotutto, non sono troppo più vecchia di te. Posso dirti, però, che ho sentito papà borbottare qualcosa a proposito di un diario e dell’erede di Salazar, dicendo che Lucius è uno dei servi migliori che Vold Tu-Sai-Chi potesse desiderare, e che la Camera era già stata aperta, mezzo secolo fa, ed era morta una Sanguesporco. Sull’erede non so dire altro, francamente, se non che, ad intuito, si trova al castello ... Guardati le spalle.
Tomas mi ha detto che stai legando con dei Grifondoro. Attenta al nemico, Jessica.
Ti darò maggiori informazioni appena potrò,
tua
Blanca C. W.
P.S. simpatica la civetta.


“Malfoy!” esclamò Ron. “Ecco perché ha detto …”
“Pensate che l’erede sia lui?” chiese Caty.
Jo era bloccata, come paralizzata. Oliver lo notò subito. Le sfiorò una spalla e lei scattò come se avesse preso la scossa, guardandolo terrorizzata. Il suo dito era rimasto sul quel ‘Vold’ cancellato e sostituito dalle parole Tu-Sai-Chi.
“Jo, lui … è morto.”
Lei finse di tranquillizzarsi. “Si, certo, è … morto.”
Oliver sorrise, ma lei non rispose al sorriso.


Fuori dalla Sala Grande, Jo Wilson camminava assorta nei suoi pensieri, mentre Flora le raccontava nei minimi dettagli la sua ultima avventura con Marcus, e lei non ascoltava. Sembrò tornare sulla terra ferma solo quando Oliver Baston le sfiorò una spalla. “Scusa, Carrow, posso rubartela qualche minuto?” chiese.
Flora rispose che non c’era problema e cercò qualcun altro a cui raccontare la sua vita privata, mentre Jo osservava Oliver senza vederlo, mentre si appoggiava al muro e si guardava attorno.
“Va tutto bene, Jo?” le chiese.
“Si, certo.” Rispose lei, automaticamente.
“Perché non hai cenato con noi?”
“Non sono stata invitata.”
Oliver fece un mezzo sorriso. “Con la presente, ti comunico che sei invitata a sederti con noi ogni giorno, e a entrare nella Sala Comune quando ti pare. Ti dirò io la parola d’ordine. Questa settimana è Acquaviola, o almeno fino a quando Paciock non se la dimentica.”
Lei abbassò gli occhi e finse un sorriso. “Grazie.”
“È … è per la lettera di Blanca, vero? Non era mia intenzione costringerti a scriverle, nel senso …”
“Si, tranquillo.” Tagliò corto lei, mantenendo uno sguardo triste e preoccupato.
“Jo … lui … Voldemort è morto.”
La ragazza rabbrividì al suono di quel nome e si spense un po’ di più. “Nessuno di loro è mai stato convinto che sia morto, nessuno. E io li conosco tutti, quei Mangiamorte schifosi. È nascosto, perché è debole, ma non è morto.”
Lui le accarezzò una guancia. “Non avere paura. Hai noi, ora. Hai me.”
In quel momento, quelle parole le sembrarono così vere che non trovò un valido motivo per avere paura. E, per questo, sorrise di cuore. “Ti batto comunque in volo, Oliver.”
Lui, vedendo che Jo era tornata ad essere se stessa, iniziò a prenderla in giro, camminando, si ritrovarono sulla Torre di Astronomia, a parlare del più e del meno, come se fossero amici di vecchia data che si rivedono dopo tanto tempo, e Jo si sentì libera, leggera e pura.

Nella settimana seguente, Jo, Oliver, Caty, Angelina, Fred e George formarono quello che era a tutti gli effetti, un gruppo di amici. Passavano insieme ogni minuti libero, e Jo arrivò a sedersi con Oliver anche a lezione. Dopotutto, non stava scritto da nessuna parte che non si potesse fare, ma anche se ci fosse stata una regola che lo impediva, lei lo avrebbe fatto ugualmente. Non si notava né la differenza di Casa, né la differenza d'età, (Oliver e Jo erano al sesto anno, mentre tutti gli altri erano al quarto) e spesso anche Harry, Ron ed Hermione sedevano in Sala Comune accanto a loro.
Quel giorno, però, Jo aveva allenamento, e Caty e Angelina avevano costretto i ragazzi a seguirle in biblioteca.
Fred e George si sedettero davanti ad Oliver.
“Dì un po’, Capitano.” Lo chiamò George.
“Hai intenzione di chiedere a Jo di uscire o aspetterai di invecchiare e perdere il tuo fascino?”
“E sarebbe un peccato, perché a quel punto il suo leggendario c…”
“Idioti.” Si intromise Caty, sedensosi accanto a Oliver, mentre Allock si elogiava da solo leggendo i suoi libri, seduto poco più in là.
“Perché dovete pensare solo a quello?” chiese Angelina. “C’è altro in una ragazza. Soprattutto in Jo.”
“Esatto.” Affermò Oliver. “È intelligente, simpatica, bellissima, e …”
“E tu sei cotto a puntino.”
“Io sto bene da solo, Fred.”
“Sei un bugiardo.” Lo schernì Angelina. “Lei ti piace.”
Oliver scosse la testa e fece finta di prestare atenzione all'argomento di Trasfigurazione che i gemelli avrebbero dovuto recuperare.
“Posso metterti una buona parola, se ti va.” Sussurrò Caty, con un sorriso. “Anche se non credo che ce ne sarà bisogno.”
“Che intendi?” chiese Oliver, voltandosi verso di lei.
“Che tu le piaci, no? È ovvio.”
“Come fai a dire che è ovvio?”
Fu Angelina a rispondere. “Ti fa i compiti, si siede sempre accanto a te, sa ogni cosa di te, e …”
“Perché siamo amici.”
“Questo non è essere amici, Oliver. E tu faresti meglio a non fartela scappare.” Lo mise in guardia Caty.


Gli allenamenti del giorno dopo avevano sfinito i cinque Grifondoro, ma Oliver sembrava davvero entusiasta, e Jo sembrava seriamente divertirsi a prendersi gioco dei suoi amici, in Sala Comune davanti al camino. Gli atri Grifondoro ormai erano abituati al fatto che lei fosse lì, come se fosse ovvio e assolutamente naturale. Mentre Fred e George alimentavano le battute di Jo, Ron entrò in Sala Comune di corsa, sventolando una busta con lo stemma degli Wilson, con dietro di lui Harry ed Hermione.
Jo si fece seria, afferrò la lettera, invitò i tre a rimanere, e aprì la lettera.

Jessica,
confermo quanto scritto nella lettera precedente: la Camera dei Segreti fu aperta esattamente cinquant’anni fa dall’erede di Salazar Serpeverde in persona. Non so altro, ma sarò al castello per la tua prossima partita. Mi piacerebbe parlare con te di questa cosa. Sono sicura che sarete fortissimi.
Blanca C. Wilson.


“Verrà qui.” Disse, poi, tornando ad essere fredda.
“Può farlo?” chiese Fred.
Jo scosse la testa. “No, ma lei … ottiene tutto ciò che vuole. Lei è Blanca, la figlia prediletta.”
“Sembri preoccupata.” Le disse Oliver.
“Questa sua gentilezza mi puzza. Mi chiederà un sacco di favori al matrimonio.”
“Si sposa?”
“A giugno, il giorno del suo compleanno. Mi ha chiesto di tornare a casa a Natale, per le prove dell’abito.”
Oliver le fece l’occhiolino. “Se ti trattano di nuovo male, puoi sempre scappare di nuovo.”
“Non … non ho più dove andare.” Ammise lei , con una punta di tristezza. Perché il ricordo di quell’estate a zonzo per Londra riusciva sempre ad intrufolarsi nei loro discorsi?
Oliver sorrise con naturalezza. “Puoi venire da me.”
“E poi potete venire da noi.” aggiunse Fred. “Nel caso la mamma di Oliver non ti faccia mangiare, nostra madre cucina porzioni doppie.”
Jo sorrise. “Grazie, davvero.”
“Ti apro la porta di casa mia solo se ti presenti con il vestito che ti farà provare Blanca, però.” Aggiunse Oliver, scompigliandole i capelli con affetto. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Goffo tentativo di descrivere una scena d'amore e una partita di Quidditch (attenendomi fedelmente al libro). Spero di non aver deluso nessuno. :)


Jo Wilson se ne stava seduta sul suo letto a baldacchino, con le gambe incrociate, mentre sembrava trovare sollievo nell’aggrovigliasi ciocche di capelli attorno all’indice e vedere quanto resistevano prima di strapparsi, mentre con l’altra mano accarezzava Nanà, accoccolata sulle sue gambe. Pensava. Pensava che Oliver Baston, il Capitano della squadra che avrebbe affrontato dodici ore dopo, le piaceva più di quanto fosse concesso, e che gli altri membri della squadra erano troppo suoi amici perché lei potesse essere se stessa sul campo e, soprattutto, che Blanca se ne sarebbe accorta, e la sua gentilezza sarebbe svanita.
Sarebbe andato tutto all’aria, e sarebbe stata solo colpa sua. Colpa sua e del suo cuore debole, colpa sua e di un nuovo, disperato bisogno d’affetto.  Si morse il labbro da tanto si sentiva in colpa: aveva giurato che non avrebbe mai più avuto bisogno di nessuno al di fuori di sé stessa.
“Che c’è?” chiese una voce.
Jo sobbalzò. Non si era nemmeno accorta che Flora fosse tornata.
“Andrà tutto a puttane, Flora. Andrà tutto a puttane, e sarà colpa mia.” Non voleva dirlo, non voleva confidarsi, ma la sua voce aveva detto tutto prima che lei potesse accorgersene.
Flora si sedette ai piedi del letto di Jo, guardandola torturarsi quella ciocca di capelli. “Se deve andare tutto a puttane, assicurati che accada alla grande.”
Jo alzò lo sguardo. “È quasi ora.” Disse, controllando allarmata la sveglia sul comodino.
“Porta Oliver con te, oggi. Rendi la tua disfatta indimenticabile.”
Jo accennò un sorriso. Prima di ogni partita, era solita occupare una stanza da bagno sconosciuta alla maggior parte degli studenti di Hogwarts. Riempiva la gigantesca vasca di schiuma colorata, si metteva il costume da bagno e, la maggior parte delle volte, la si vedeva tornare nei sotterranei la mattina più rilassata che mai. Solo Flora sapeva dove fosse, perché le copriva le spalle.
Senza pensarci nemmeno un secondo, prese la borsa con gli asciugamani e uscì dal dormitorio.
Mentre saliva le scale verso la Torre Grifondoro, Jo non riusciva a credere che stesse davvero dando ascolto ad un consiglio di Flora Carrow. Non fece in tempo a maledirsi per questo, perché Fred e George Weasley uscirono dal ritratto della Signora Grassa, guardando la Serpeverde come se sapessero perfettamente che sarebbe arrivata, e guardandola con aria interrogativa quando notarono che sotto la camicia stropicciata e slacciata, era ben visibile un costume a righine azzurre e bianche.
“Buonasera, Jo.” Disse George.
“Possiamo fare qualcosa per te?” chiese Fred.
Jo chinò leggermente la testa. “Oliver. Mi serve Oliver.”
“Non credo sia possibile, signorina. Al momento, il signor Baston sta facendo su e giù nel dormitorio maschile mentre ripassa lo schema per la partita di domani.” Rispose Fred.
“E io intendo salvarvi da questo calvario!”
I gemelli si scambiarono uno sguardo d’intesa. Nessuno era mai riuscito a calmare Oliver Baston nella sua ansia pre-partita.
“Vediamo che sai fare, piccola Wilson.”  Disse Fred, lasciandola passare. Lei entrò in Sala Comune, salì le scale e, per la prima volta, si addentrò nel dormitorio maschile, in cui regnava odore di calzini, shampoo e Burrobirra. Trovare Oliver non fu affatto difficile. Faceva davvero su e giù come un leone in gabbia, parlottando da solo, ma senza permettere a nessuno di contraddirlo. Nessuno dei ragazzi disse nulla vedendo entrare Jo, accompagnata dai gemelli. Loro per natura non erano pettegoli, e, ormai, la notizia dell’amicizia della serpe con Oliver non faceva più scalpore.
Lui non la vide subito. In realtà, non sembrava vedere nessuna delle persone che aveva accanto. Ma quando si accorse di lei, così, in piedi in mezzo al dormitorio, con le braccia incrociate sul petto, la sua solita aria saccente ed un sopracciglio incarnato, sembrò tranquillizzarsi improvvisamente.
“Ciao, Oliver Baston. Ce l’hai un costume da bagno?”
“Che razza di domanda è?” rispose lui, ricominciando a fare avanti e indietro.
“Si da il caso che io stasera abbia deciso di salvarti la vita.” Si guardò attorno. “E di salvarla anche alle persone che dormono lungo il tuo percorso, visto che sembri un autistico isterico.”
“Sembro un che cosa?”
“Un autistico isterico.
“Non ho idea di che cosa voglia dire, ma tu non dovresti essere ad insegnare ai tuoi giocatori a perdere con dignità?”
Lei non si mosse di un millimetro. “Sai quanto ci metto a tornare indietro e andare a spassarmela da sola?”
Lui sbuffò, estrendo la bacchetta. “Accio costume.” Disse. “Ora?”
“Ora saluta cordialmente le persone che hai torturato con il tuo autismo prima del mio arrivo.” Rispose lei, con un sorriso sarcastico.
In quel momento, lui si accorse che erano circondati da ragazzi Grifondoro che lo guardavano come se si aspettassero delle scuse. “Ciao gente, ehm … scusatemi.”
Jo sorrise. “Fantastico. Ora, seguimi.”

Senza dire una parola, iniziarono a correre per i corridoi, senza smettere di ridere ma senza dire mai una parola, per paura di rompere quel momento quasi magico e quell’atmosfera che avevano creato. Dopo qualche minuto, si trovarono davanti ad una gigantesca porta di legno scuro. Jo si fece di nuovo seria, senza un filo di fiatone o di paura, perché, di nuovo, stava evidentemente infrangendo le regole. Lui non osò chiedere nulla, non osò fare altro che non fosse contemplare la sua bellezza quasi divina.
Quando ebbe aperto la porta, si trovarono in un gigantesco bagno con delle gigantesche vetrate incantate ed una gigantesca vasca idromassaggio, straboccante di schiuma colorata e bolle di sapone. Sembrava un posto sconosciuto e dimenticato da tutti, ed Oliver era quasi sicuro di non essere mai stato in quel lato del castello, eppure lui, Fred e George avrebbero giurato di conoscerlo tutto.
E lei era lì, in piedi nel mezzo di quella specie di piccolo centro benessere, che lo guardava come se si aspettasse che succedesse qualcosa, mentre lui era semplicemente esterrefatto.
“Come …”
Blanca.” Si limitò a dire lei. “Lo ha rimesso a posto lei, al suo quinto anno. È bellissimo, non trovi?”
“Merlino.” Sussurrò lui. “È meraviglioso.”
Lei non storse il naso al nome del più grande mago di ogni tempo, si limitò a sfilarsi la gonna e la camicia alla velocità della luce, lanciare quelle sue scarpe babbane in un angolo della stanza e si immerse in quella vasca gigantesca, con una sigaretta già sulle labbra, accanto ad un sorriso mozzafiato.
“Prima di ogni partita vengo qui. In realtà ci vengo spesso, ma la prima volta è stato la sera prima della mia prima partita da Capitano. Blanca mi ha presa e mi ha portata qui, perché stavo avendo la stessa crisi isterica che avevi tu poco fa. Vengo qui spesso, da allora. Mi rilassa.”
Lui non disse una parola. Era come imbambolato, davanti a quello che sembrava un quadro sbiadito di un angolo di  paradiso. La ragazza più bella che avesse mai visto era immersa in una vasca piena di bolle colorate e lo guardava, sorridendo, tirando con la sigaretta.
“Hai intenzione di entrare o vuoi rimanere lì in piedi a fissarmi fino a domani mattina?” chiese lei, quando si accorse che la stava guardando, buttando fuori il fumo.
Forse, si disse il Grifondoro, anche rimanere a contemplarla per l’eternità non era una brutta opzione. Non era padrone del suo corpo nel momento in cui si sfilò la maglietta ed i pantaloncini da Quidditch, per poi infilare sopra le mutande un costume Babbano pieno di colori che sua sorella gli aveva regalato due anni prima. Si immerse in quella vasca meravigliosa, senza mai staccare gli occhi dai suoi.
Rimasero a guardarsi, mentre parlavano di cose che non erano assolutamente rilevanti, arrivando comunque a dimenticare che poche ore dopo avrebbero dovuto sfidarsi sul campo da Quidditch.
Dopo un momento di silenzio, lui chiese: “Hai paura?”
“Di cosa?”
“Di quello che sta succedendo, della Camera dei Segreti e dell’Erede di Serpeverde.”
Lei sorrise, aspirando quel fumo aspro. “No.” Rispose serenamente. “Questa storia dell’Erede e della Camera non è altro che … una gigantesca macchina per mettere paura, messa in moto dallo stesso dannatissimo Salazar. È stata rimessa in moto cinquant’anni fa, ed è stata rimessa in moto anche ora. E noi … noi siamo l’elemento umano all’interno di questa macchina, e siamo liberi di scegliere come agire.”
Lui annuì. “L’elemento umano della macchina … mi piace come modo di vederla.” Poi riprese a guardarla, perdendosi per l’ennesima volta in quegli occhi azzurrissimi. “Ho sempre pensato che avessi una marcia in più, Jo Wilson. Ora credo di averne la conferma.”
Lei tirò indietro la testa e si guardò attorno. “Anche se sono Serpeverde?”
“Sai che non sei davvero come loro, Jo. Lo sei solo per via della tua famiglia, ma tu sei molto di più della tua famiglia.”
Lei annuì, come se a quell’argomento si fosse già rassegnata da tempo. “Mi piace come modo di vederla.” Gli fece il verso. “E tu, Oliver Baston? Hai paura della Camera dei Segreti e dell’Erede di Serpeverde?”
Lui sembrò doverci pensare su. “Ho … paura che cambi le cose.”
Lei fece l’ultimo tiro. “Beh, qui non cambierà niente.”
Lui si guardò attorno di nuovo. “Mi piace qui. Davvero.”
“Chiudi gli occhi.” sussurrò lei. Lui eseguì, sentendosi il cuori in gola. “Ascolta il tuo respiro, ascolta il tuo cuore immerso nella schiuma, ascolta i tuoi pensieri, e poi dimmi se questo non è il centro dell’infinito.”
Lui si rilassò, poi sorrise. “Sembri una di quelle Babbane che insegnano yoga.”
Anche lei, che invece di chiudere gli occhi lo guardava, guardava quegli addominali scolpiti e quel collo teso, sorrise. “Ascolta l’infinito, Oliver Baston.”
Lui, come se quelle parole avessero tutt’altro significato, la raggiunse in quattro bracciate, fino a ritrovarsi a pochi centimetri dalle sue labbra, sentendo il suo respiro sul viso. Senza dire niente, le prese la mano e se la portò sul petto, mostrandole un battito troppo veloce ed irregolare. Lei sorrise, senza mai tirare indietro il viso, senza mostrarsi impaurita da quella vicinanza che non avrebbe più permesso loro di considerarsi ‘amici’. Lo guardò negli occhi, e, togliendosi la maschera da dura, gli spostò la mano sul suo, di petto, sfiorando un seno, mostrando che, sebbene il suo respiro fosse assolutamente regolare e il suo sguardo non tradisse agitazione, il suo battito era accelerato e irregolare più di quello di Oliver.
Lui in tutta risposta, le accarezzò il viso, e lei sentì un brivido percorrerle la schiena. In quel momento, decise che non valeva la pena smettere di emozionarsi per una carezza.
Lui le posò dolcemente le labbra sulle sue, quasi come se avesse paura, ma lei rispose al bacio. Portando le braccia dietro al suo collo, abbandonandosi a lui come se in quel momento, nel mondo, esistessero solo loro.
"Sei mia." sussurrò schiudendo le labbra, allontanandosi leggermente dal suo viso.
Lei sorrise, nella penombra. "Solo se stai zitto e mi baci, Baston." rispose, con un sussurro altrettanto flebile, e lui riprese a baciarla con più foga, lei si sedette sopra di lui, e lui delicatamente le slacciò il costume, benedicendo Blanca Wilson per quel  posto nascosto.


Jo si lasciò cadere davanti a Flora, al tavolo Serpeverde della Sala Grande. Flora le porse una tazza di caffelatte, mentre Hestia le squadrava. Jo profumava di bagnoschiuma in modo nauseante, ma c’era anche qualcosa di più. Era come persa nel suo mondo, ed era strano che fosse seduta lì e non con i Grifondoro.  C’era qualcosa, qualcosa nel suo sguardo, nel suo modo di muoversi, e nel suo sviare le domande su come avesse passato la notte.
Non sembrava per niente interessata alla partita che avrebbe dovuto affrontare da lì a qualche ora, anzi, sembrava che la cosa non gli facesse ne caldo ne freddo. Il caffelatte –il suo amatissimo caffellatte- sembrava non attirarla nemmeno un po’, mentre fissava la tazza come se questa potesse darle una risposta.
“Jess?” chiese una voce flebile dall’altro capo del tavolo.
Jo storse il naso. “Jo.  Mi chiamo Jo.” Sbuffò, voltandosi verso Tomas e Alexander Wilson, che la guardavano come se ne avessero paura.
“Perdonami, ma per me rimarrai sempre Jess.” Rispose il biondino.
“Che vuoi, Alex?” chiese lei in risposta, con aria più che scocciata.
“Si dice in giro che oggi Amos e Blanca saranno alla partita. È ver… oh. Hai un succhiotto sul collo.”
Lei, senza mai mostrare emozioni, si coprì il collo con una mano dove i capelli non arrivavano perché ancora troppo corti. “Si, ci saranno Amos e Blanca. È un problema per voi?”
“No.” Rispose Tomas, abbassando gli occhi e trascinando via Alexander, come se si vergognasse.
“Tomas?” chiese Jo al ragazzino di spalle. Lui si girò e la guardò con impazienza. “C’è qualche problema?”
“No.” Rispose lui di getto. “Nessun problema.”
Hestia Carrow, che non si faceva mai gli affari suoi, si intromise con la sua vocina odiosa e squillante. “Hai problemi con lei o con il suo succhiotto?”
Jo fu veloce come un serpente nel rispondere. “Ha un problema con te che non sei in grado di capire quando è il caso di tenere chiusa la bocca, Hestia.”
Lei sembrò profondamente offesa. Marcus Flint, lo scimmione ripetente che si vedeva con Flora segretamente (ed era per questo che lo sapevano tutti) ebbe la malsana idea di dire la sua. “Dai, Jo, ha solo detto …”
“Tu hai il suo stesso vizio. Raccogli la mia squadra di cretini e dì loro che ci vediamo tra mezz’ora al campo.” Lo liquidò Jo, e con aria furiosa si alzò, andando verso i sotterranei. Evitò volontariamente di guardare il tavolo dei grifoni, e capì di avere commesso uno sbaglio quando sentì dei passi dietro di lei, e la stessa voce che aveva sussurrato il suo nome per tutta la notte, ora lo urlava per i corridoi.
“Lasciami stare, Baston.” Ringhiò, tornando a chiamarlo solo per cognome come se niente fosse successo.
Lui riuscì a raggiungerla. Cercò di afferrarle un braccio, ma lei sviò la presa senza degnarlo di uno sguardo. “Dai, Jo, fermati.”
Lei si bloccò, senza girarsi per guardarlo. Lui si porse davanti a lei. “Volevo solo sapere come stai.” Le posò una mano sulla spalla, e questa volta lei non oppose resistenza, nemmeno con lo sguardo. Era priva della sua maschera da dura, mostrava la sua espressione spaventata, perché alla fine, a lui si poteva mostrare.
“Sei il Capitano della squadra avversaria, Oliver. Ecco come sto.” Buttò lì lei. Poi ricominciò a camminare a passo spedito verso i sotterranei, lasciandolo lì, a guardarla sparire dietro l’angolo, sperando di vederla tornare.
Pochi secondi dopo, fu raggiunto da Fred Weasley.
“Oliver?” chiese dubbioso, notando che il suo amico osservava un corridoio vuoto.
Oliver si girò e lo guardò come se non si aspettasse di trovarlo lì. “Si?”
“Non vorrei romperti, eh, ma … la partita.”
Lui sembrò ricordarsene in quel momento, il che spaventò a morte il rosso. “Sono il Capitano dei Grifondoro.”
“Si.” Disse Fred.
“E lei è il Capitano dei Serpeverde.”
“Si.” Rispose Fred, con un po’ meno sicurezza. “Non hai intenzione di raccontarmi cosa è successo, vero?”
“Esatto.” Rispose il Portiere. “Io sono il Capitano Grifondoro. Lei è il Capitano Serpeverde.”
“Si.” Ripeté Fred, sempre più preoccupato per la salute mentale del suo amico, che, per inciso, fissava ancora il corridoio deserto. “Oliver?”
“Dimmi, Fred.”
“La partita.”
Solo al tono allarmato di Fred, Oliver riuscì ad imporsi di smettere di fissare quel corridoio. “La partita!” esclamò con tono allarmato, poi iniziò a correre verso la Torre Grifondoro.


“Okay, branco di idioti. Io non sarò il Capitano più simpatico della storia, ma … Zitto, Draco.” Jo aveva messo i suoi giocatori il fila e camminava avanti e indietro davanti a loro, fuori dagli spogliatoi prima di entrare in campo, sentendo chiaramente lo sguardo di Oliver perforarle la schiena attraverso le fessure che, lo sapeva perfettamente, separavano i due spogliatoi. “Vi ho allenati bene. Ho creduto in voi. Vi ho dato fiducia” fissò Draco come se avesse voluto ucciderlo “anche quando non la meritavate. Vi ho sopportati, allenati, ancora un po’ e vi avrei dovuto insegnare a stare in equilibrio sulla scopa … ma non vi ho mai Cruciati, mai uccisi, non vi ho mai presi a calci in culo, nemmeno quando lo meritavate davvero tanto. Mi aspetto una ricompensa per questo. Mi aspetto un gioco pulito, rispettoso e magari anche vincente.”

Al di là del muro, Oliver Baston osservava la squadra avversaria, con accanto gli inseparabili Fred, George e Harry.
“Loro avranno anche scope più veloci, ma noi siamo più forti.” Sentenziò il Capitano, smettendo di guardare dall’altra parte.
“George?” chiese Fred, senza staccarsi dalle fessure. “Sbaglio o uno dei Battitori le ha appena guardato il culo?”
Oliver scattò come una molla, tenendo la scopa come se fosse una spada. “Chi? Cosa? Come? Dove? Quando? Come si permette?”
Fred e George risero. Non era del tutto vero (tutti i Serpeverde stavano guardando il sedere di Jo fasciato nei pantaloni verdi), ma la loro attenzione fu attirata da ben altro.
Una ragazza che sembrava Jo, ma non era Jo era entrate nell’area riservata ai giocatori.
Non era Jo per un milione di motivi.
Il primo era, sicuramente che Jo l’avevano tenuta d’occhio fino a quel momento.
La differenza tra le due, però, era tanto sottile quanto evidente. Fisicamente erano assolutamente identiche: stessa pelle pallida, stessi capelli scurissimi, stesso fisico scolpito. La ragazza che era appena entrata, però, sembrava ben più vecchia dei suoi diciannove anni. I capelli erano raccolti in una treccia elegante e lunga che si appoggiava su una spalla, come se fosse nata pettinata in quel modo, gli occhi sembravano in grado di uccidere, ed era vestita come se avesse dovuto fare visita al Ministro della Magia. Era più altezzosa, snob e vipera di Jo. Era evidentemente infastidita dall’ambiente odorante di sudore, mentre Jo non sembrava farci troppo caso. Portava un ciondolo con un serpente attorcigliato ad una W, ed un anello di fidanzamento che non faticava a brillare anche attraverso le fessure di quelle travi rotte.
“Per Godric.” Sussurrò George.
La sua bellezza leggendaria, così come quella della sorella, era sconcertante. Sembrava uscita da un quadro di cent’anni prima, ma essersi messa al passo coi tempo con assoluta facilità. Si muoveva sicura sui tacchi a spillo, anche nel fango, risultando superiore all’ambiente, con le mani appoggiate sui fianchi come se avesse dovuto sfilare. La videro dire qualcosa a Jo, e videro la ragazza rispondere con un sorriso palesemente falso.
“Che c’è?” chiese Oliver.
Certo, Blanca era sempre stata bellissima: ma era sempre rimasta sulle sue, e vederla fuori dai sotterranei era raro. Era sempre stata fidanzata con un suo cugino di terzo grado, Amos Carrow, a sua volta cugino diretto delle gemelle e fratello di Alexander, migliore amico di Tomas. Entrambi avevano ottenuto i M.A.G.O. con il massimo dei voti, ed ora lavoravano per il Ministero, in una posizione che, solitamente si raggiunge dopo secoli di carriera.
“Blanca Wilson ci sta degnando della sua presenza.” Comunicò Angelina con una punta di sarcasmo.

“Jessica?”
Jo stava per ringhiare che lei non era Jessica, quando sua sorella Blanca, più bella ed in forma che mai, entrò nell’area giocatori.
“Oh, sei qui! Per Morgana, non ti trovavo. Volevo solo avvisarti che sono arrivata, e farti gli auguri per la partita, e …”
“Sto cercando di accattivarli, Blanca. Hai qualcosa da suggerire?”
Blanca mosse la  mano come per scacciare una mosca fastidiosa. “Sono solo dei Grifondoro, no?”
Jo mosse la mascella in modo nervoso come per impedire che cadesse.
Draco Malfoy fece un passo avanti.“Non sai la novità, grande Wilson? La tua sorellina e i grifoni sono amici del cuore, ora.”
“Stai zitto, ragazzino.” Sibilò Jo, esibendo uno sguardo così cattivo che Draco deglutì, senza avere il coraggio di rispondere.
Blanca fulminò Jo per come aveva trattato Malfoy, e si rivolsero lo stesso sguardo di ghiaccio. “Dovremo parlare di molte cose, Jessica, dopo questa partita.”
Lei incrociò le braccia sul petto e si avvicinò a Blanca, che era più alta solo grazie ai tacchi a spillo. “Okay.” Si limitò a dire. “A dopo.”
“Buona fortuna.”

Mentre Jo afferrava la Pluffa, ben decisa a sfogare la sua rabbia ed i suoi sensi di colpa, vide perfettamente una cosa che non si vede tutti i giorni: un Bolide apparentemente normalissimo, aveva preso di mira Harry Potter due volte in mezzo minuto. Lanciò la Pluffa verso il secondo anello, segnando i primi dieci punti e sentendosi tremendamente in colpa, dopo aver incrociato lo sguardo carico di domande di Oliver. Affiancò Fred il tempo necessario per dire “Stai con Harry, il Bolide è stregato!” lui si alzò di almeno una decina di metri per raggiungere il Cercatore con la divisa scarlatta. Prima che iniziasse a diluviare, Jo riuscì ad incrociare lo sguardo fiero di Blanca, sentendosi fiera a sua volta, quello indifferente di Amos e quello entusiasta di Tomas. Lucius Malfoy, invece, pareva quasi indignato. Lee Jordan, intanto, annunciava che i Serpeverde erano in vantaggio per trenta a zero. Recuperò la Pluffa e la scaraventò verso il terzo anello, ma Oliver riuscì a pararla, lanciandola subito ad Angelina mentre rivolgeva a Jo una boccaccia amichevole. Lei rise, dimenticando lo sguardo di Blanca che le rimaneva ancorato alla scopa. Fece un giro dietro gli anelli, passando davanti a tutti gli studenti che sotto la pioggia stavano assistendo alla partita, sentendosi abbracciata da urli d’approvazione. Recuperò nuovamente la Pluffa, riuscendo a segnare ad Oliver il quaranta a zero, e subito dopo, con la velocità di una lince, il cinquanta ed il sessanta. Maledicendosi, si accorse che non aveva mai volato così veloce. Come se l’avesse sentita pensare, Lucius Malfoy la stava fissando. Lei sussurrò delle bestemmie a Salazar e pesanti insulti all’uomo.
Fece solo in tempo a rendersi conto che Fred e George stavano dietro ad Harry come due cagnolini, quando si accorse che Oliver stava chiedendo un intervallo.
Fece segno alla squadra di raggiungerla, e loro eseguirono. “Chi ha manomesso il Bolide per dare la caccia a Potter?!” era costretta ad urlare, per via della pioggia e dei cori.
“Non siamo stati noi, Wilson!” esclamò il battitore, sentendosi accusato.
Le bastò guardare negli occhi ciascuno di loro per rendersi conto che non stavano affatto mentendo, ma che erano sorpresi quanto lei ed i Grifondoro.  Lei riprese il volo verso i grifoni, arrivando in tempo per sentire George incolpare Oliver di aver messo troppa pressione al loro Cercatore, prima di venire invasa da un mare di fischi. Si posizionò accanto ad Oliver.
“Non sono stati loro, Baston.” Gli disse.
“E chi ti dice che non ti stiano mentendo?” chiese lui in risposta. Ormai, erano completamente fradici.
“So riconoscere quando qualcuno mente.” Rispose lei con tono saccente. Poi si rivolse ad Harry. “Tu stai bene?”
“Si.” Rispose lui. “Ma se Fred e George non mi lasciano in pace, non prenderò mai il Boccino.”
“Ma ti staccherà una gamba se rimani scoperto!” replicò lei.
“Gliel’ho appena detto io!” esclamò Angelina.
“Ti staccherà la testa!” aggiunse Oliver.
“Lasciatemelo affrontare da solo!” strillò il ragazzino, e Madama Bumb ordinò a Jo di allontanarsi dalla squadra avversaria.  “Dannatissimo Merlino.” Sibilò la ragazza, battendo una mano sulla spalla di Oliver e allontanandosi facendo pirolette sulla scopa.
Dopo pochi minuti, con la pioggia sempre più fitta, Jo si rese conto che i Cercatori avevano avvistato il Boccino, e vide chiaramente il Bolide colpire brutalmente il gomito di Harry. Si alzò in picchiata, scacciandolo con la punta della scopa, per dare ad Harry il tempo di ripartire. Draco, intanto, la guarda con disprezzo.
“Il Boccino, idiota!” gli urlò, ed il ragazzo parve ricordarsene in quel momento, partendo in quarta per raggiungere Potter, mentre lei si concentrava sulla Pluffa, vide George proteggerla dal secondo Bolide, che altrimenti l’avrebbe buttata giù dalla scopa.
Lo guardò con riconoscenza. “Grazie, George!”
“Ora siamo pari.” Rispose lui, prima di ripartire. Jo ci mise un attimo a capire che, proteggere Harry le era venuto automatico, ma per lui voleva dire tanto. Sorrise, in mezzo alla pioggia prima di tornare a concentrarsi sulla Pluffa e sugli anelli di Baston.
Con un tonfo ed uno spruzzo, vide Harry cadere a terra, con il Boccino stretto in mano e un espressione dolorante dipinta in volto. Gettò la scopa come se si trattasse di una scopa vecchia e da buttare (in effetti, la vecchia scopa di Blanca, la trattava meglio) trovandosi di nuovo accanto ad Oliver, accanto ad Harry, mentre Madama Bumb annunciava la vittoria dei Grifondoro, a lei sembrava una cosa assolutamente irrilevante.
Oliver era accanto a lei, di nuovo, e Harry stava male. Il fatto che avessero vinto o perso non contava affatto.
Quando il professor Allock, con la sua aria egocentrica, si avvicinò, Jo ed Oliver si guardarono come se si aspettassero dei guai seri.
“No, la prego, lei no!” Gemette Harry, quando Allock estrasse la bacchetta dal mantello.
Jo prese subito le sue difese. “Professore, credo che dovrebbe aspettare Madama Chips o comunque qualcuno di più competente per …”
“Non sapete ciò che dite!” esclamò l’uomo. “Si tratta di una formula semplicissima, eseguita un milione di volte, e …”
“Portiamolo semplicemente in Infermeria!” esclamò Oliver. Era bagnato e sporco di fango, ma Jo era comunque accecata dal suo sorriso mentre si complimentava con Harry.
Anche a Jo venne automatico sorridere in modo amichevole. “Bel colpo, Potter. Sei grandioso.”
“Merito del suo Capitano!”
Jo scoppiò a ridere, e, automaticamente, si raggomitolò sul petto di Oliver (visibilmente rilassata), così come faceva sempre sul divano della Sala Comune. Lui, in un primo momento ne fu sorpreso (non erano in Sala Comune, loro avevano fatto l’amore meno di dodici ore prima e i Grifondoro avevano vinto) ma l’abbracciò, come a prenderla sotto la sua ala protettrice, stupendo tutti e lasciando che le voci corressero e che arrivassero dove volevano, a loro non importava più nulla che non fosse quell’abbraccio.
In quel momento, sentirono Allock pronunciare una formula strana, e, un momento dopo, il braccio di Harry sembrava un giocattolo di gomma. Allock si rese conto del danno fatto, chiese a Hermione e Ron di portare Harry in Infermeria, ma l’attenzione di Jo era già altrove. Blanca, camminava verso di lei, tenendo la bacchetta alta, provocando uno scudo trasparente che le impediva di bagnarsi. In quel momento, Jo si rese conto di essere fradicia. Si staccò da Oliver, disse a Ron che sarebbe passata in Infermeria più tardi, e prese un respiro pronfondo.
Era ora del faccia a faccia con Blanca. 

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Capitolo 7
*** capitolo 7. ***


Blanca smise da camminare e di picchiettare i tacchi a spillo ovunque solo quando si trovò al centro della Torre di Astronomia. A quel punto si voltò, guardò sua sorella, rendendosi conto in quel momento che lei era ancora gocciolante, la asciugò con un colpo di bacchetta.
“Grazie, ringhiò lei. “Come mai tutte queste gentilezze? Credevo che mi odiaste tutti.”
L’espressione di Blanca non mutò, mentre Jo era un libro aperto. “Sei mia sorella, Jessica.”
Jo sbiancò. Era da giugno che cercava di chiudere Blanca fuori dalla sua vita, e lei ora voleva recuperare i rapporti. Le risuonarono in testa le parola della stessa Blanca. Non voglio una sorella come te. La porta che sbatte, i passi veloci sulle scale. Il desiderio di sparire.
Finse un sorriso, con una punta di ironia. “Sei mesi fa non la pensavi così.” Disse.
“Le cose cambiano.” Replicò Blanca prontamente.
Jo non disse nulla, supponendo che fosse Blanca ad avere qualcosa da dire.
“Jessica io tra sei mesi mi sposo.” Buttò lì.
“Lo so.”
“E vorrei che tu venissi al mio matrimonio e fingessi di essere felice.”
“Non posso essere felice in quel castello, Blanca. Non con tutti loro attorno.”
Blanca annuì, come se volesse attutire il colpo. “Sono venuta qui per recuperare i rapporti con te, Jessica. L’ho fatto perché … perché credevo non avessi nessuno. Poi mi hai chiesto della Camera, e poco fa ti ho visto abbracciare il figlio dei Baston. E mi è chiaro che non sei sola, ma mentre venivo qui ho pensato … certo che non é sola, è altruista e generosa, non deve averci messo tanto a farsi amici gli Weasley. E poi ho visto come hai protetto Potter dal Bolide, e come uno dei gemelli ha poi protetto te. ho capito più di te in questa partita che in una vita, Jessica, e ti confesso che sono abbastanza spaesata. Come fai ad essere figlia della mia stessa madre? Io sono stata educata a pensare solo a me stessa, a pensarmi superiore, a contare solo su di me. Tu sembri il mio esatto opposto. Sembri essere stata cresciuta da Molly Weasley, non da mia madre. Chi sei?”
“Se fossi la figlia di Molly Weasley” rispose lei dopo un po’. “vorresti comunque recuperare il tuo rapporto con me? Se io fossi quella che hai visto oggi, e non quella che fingo di essere quando sono al castello, mi diresti lo stesso che sono tua sorella?”
Blanca sembrò trovarsi spaesata da quella domanda. “Credo di si.”
“Okay.” Replicò prontamente Jo. “Perché io sono fatta così, perché io abbraccio il figlio dei Baston, perché io proteggo Potter dai Bolidi. E voglio essere accettata per quella che sono, non per quella che tu vuoi che io sia. Voglio essere Jo, solo Jo, non Jessica Wilson. Voglio essere io, e se tu rivuoi indietro tua sorella, devi prendermi così.”
Blanca annuì pensierosa tre volte, poi si morse un labbro. “Okay, allora.” Lasciò passare qualche istante di silenzio, e poi disse “La … Camera dei Segreti può essere aperta solo ed esclusivamente dall’Erede di Salazar, ma lui è già stato qui, nel 1942, e l’ha già aperta. Quindi è improbabile che possa essere stata aperta di nuovo, a meno che chi l’ha aperta cinquant’anni fa non abbia detto a uno studente attuale come farlo …” Jo fece per dire qualcosa, ma sua sorella glielo impedì “No, non pensare subito ai Malfoy. Sono brave persone, e comunque Lucius è nato nel 1953.” Jo scosse la testa e rise in modo isterico. “Nel ’42 morì una Nata Babbana, fu espulso il probabile colpevole, ma nessuno ha mai trovato la Camera. Si dice che ci viva un mostro gigante, e che sia stato questo mostro ad uccidere la ragazzina. Credo si tratti di un drago, o cose simili. Ecco tutto.”
Jo assimilò tutte le informazioni. “Ti ringrazio, Blanca.”
“Non c’è di che. Sai dove posso trovare Tomas?”
Jo scosse la testa. “No, io e … io e lui non parliamo molto. Non credo si muova spesso dai sotterranei, comunque.”
Blanca esibì un sorriso finto e bellissimo, fece per andarsene ma poi sembrò ricordarsi di una cosa. “Jessica, quest’estate sei stata a Londra e io non so nulla di quei due mesi, e va bene, va bene così. Ma se tu e Baston doveste stare insieme, gradirei saperlo.”
“Io e Baston non stiamo insieme, Blanca. Mettiti il cuore in pace.” Rispose.
“Ah no?” ne sembrò sorpresa.
“No.” Replicò lei, abbassando lo sguardo, come se fosse una cosa di cui avere vergogna. Blanca ne rimase sorpresa: Jo non aveva mai abbassato la testa. Con la solita grazia, se ne andò, lasciando Jo a fissarsi le scarpe dia gioco.

“Ciao, Harry Potter.” Jo si sedette sul letto, aprendo una scatola di Cioccorane che gli erano state mandate. “Non dovrei dirlo, ma sei stato grandioso, oggi. Davvero.”
Harry sorrise. “Grazie.”
“Come sta il tuo braccio?”
“Non lo sento più.” Rispose il ragazzino, mostrando il braccio fatto di gomma, che aveva tutta l’aria di essere solo un peso morto. Jo addentò la Cioccorana, ridendo, mentre la ranocchia addentata si dimenava. “Fred e George hanno detto che sono stato un idiota a farmi curare da Allock.”
“Lo odio, Allock. Nemmeno Nicholas, mio padre, ha un ego così grande.”  Si bloccò. Senza rendersene conto, aveva parlato della sua famiglia. Ma, stranamente, la cosa non le pesava affatto.
Harry invece, sorrise. “Beh, mentre lui faceva sparire le mie ossa tu eri avvinghiata ad Oliver.” Disse, con un sorriso beffardo.
Jo gli lanciò una gelatina di quelle che stava mangiando. “Io non mi avvinghio proprio a nessuno, piccolo Potter.”
Lui rise. “Oh, Oliver e gli altri mi hanno detto che se vuoi andare alla festa, dopo la predica di Blanca, ti aspettano.”
“Perché lo hanno detto a te?”
“Oliver sapeva che saresti passata a trovarmi. Ha detto che sei prevedibile quanto il tuo Cercatore.” Jo fece per tirargli un’altra gelatina, ma Harry si difese dicendo “Sono solo un messaggero!”
Risero insieme. “A proposito di Blanca, sono venuta qui per un motivo.”
“Oltre a rubarmi i dolci?”
“Si.” Jo si fece seria. Abbassò la voce e controllò che nessuno li stesse ascoltando. L’intera squadra Serpeverde, Capitano escluso, erano al capezzale di Malfoy, che, per inciso, non aveva assolutamente nulla ma si lamentava come una femminuccia. “La Camera dei Segreti venne aperta esattamente cinquant’anni fa, ma poi non fu mai più trovata. Morì una ragazza, una Nata Babbana, e venne espulso un ragazzo che ne era presumibilmente il colpevole. È impossibile che il degno erede di quello stronzo di Salazar sia tornato a studiare qui, ma è possibile che stia dicendo a qualcuno di fidato come raggiungere ed aprire la Camera.” Harry guardò subito i Serpeverde. “Non pensare solo a lui, Harry Potter. Allarga la visuale.” Harry tornò a guardarla ed annuì. “Ecco tutto. Oh, e so che non ci crederai, ma non sono stati loro ad incantare quel Bolide.”
“Non devi difenderli, Jo.”
Jo sorrise. “No, infatti. Vado a farmi una doccia, ora. Ciao Harry Potter, stammi bene.” Gli scompigliò i capelli con aria amichevole, poi, a grandi passi, si allontanò sotto lo sguardo pronto a giudicare dei sei Serpeverde.

Pochi metri dopo l’Infermeria, Fred e George Weasley la guardavano come se la stessero aspettando, e lei non se ne stupì più di tanto. Aveva smesso di chiedersi come facessero quei due a sapere sempre dove si trovassero tutti.
“Abbiamo il compito di portarti alla festa, Jo.” Disse Fred.
“E siamo autorizzati ad usare la forza, se ti dovessi rifiutare.” Aggiunse George.
Lei sospirò. “No, datemi almeno il tempo di lavarmi.” Aveva quasi un tono implorante.
“Non possiamo, Jo.” Rispose George.
“Ordini del Capitano!”
“Dite al vostro Capitano che mi farò una doccia e poi arrivo. Non posso venire alla vostra festa vestita da Capitano Serpeverde, dai.”
I gemelli si guardarono come se avessero dovuto decidere qualcosa. Poi squadrarono Jo. “Hai un quarto d’ora.” Sentenziò George.
“Poi ti veniamo a prendere.” Aggiunse Fred.
“A dopo!” urlò Jo mentre correva via.

Tredici minuti dopo, Jo correva verso il ritratto della Signora Grassa, con i capelli ancora umidi e una camicia senza maniche sopra a degli eleganti jeans scuri Babbani. Comunicò la parola d’ordine alla Signora Grassa, che ormai si era persino stancata di storcere il naso all’idea che lei fosse a conoscenza della parola d’ordine.
Quando entrò, si rese conto che Fred e George Weasley erano davvero stati grandiosi. La Sala Comune era stata visibilmente Allargata per ospitare anche molti studenti Tassorosso e Corvonero. I divani erano stati Duplicati, e la musica Babbana da discoteca non si capiva da dove provenisse. Striscioni, coriandoli e decorazioni portavano inciso o disegnato il leone simbolo dei Grifondoro. Al centro della Sala, Oliver Baston reggeva due calici di Whisky Incendiario, mentre faticava a stare in piedi. Con una risata palesemente brilla, porse il secondo calice a Jo.
“Quanto hai bevuto?” chiese, sconvolta. Aveva visto gente ridotta molto peggio di lui (perlomeno riusciva ancora a camminare) quando viveva a Londra, ma sentire la risata di Oliver pesantemente influenzata dall’alcol l’aveva sconvolta.
“Io? Non molto.” Rispose, mostrandosi più lucido di quanto si aspettasse, anche se la voce era brilla. “Non abbastanza, comunque.”
“Smettila.” Gli disse lei. “Non ti godrai la festa, se ti ubriachi.”
“Se è l’unico modo per non pensarti, Jo Wilson, credo che berrò ancora molto.”
Jo non rispose. Non ci riuscì. Quelle parole la fecero sentire tremendamente in colpa. Trangugiò quel bicchiere di Whisky, per niente infastidita dal bruciore che le provocò in gola.
Sentì le labbra di Oliver posarsi sul suo orecchio sinistro. “Devi dirmi … devi dirmi se quello che è successo ieri notte significa qualcosa, o … o se è stato solo un errore, perché … perché sennò io ne esco scemo.”
“Sei ubriaco, Oliver.” Rispose, istintivamente, per non pensare a quanto le aveva appena detto.
“Si, forse è vero.” Replicò il Portiere. “Ma ho comunque bisogno di sapere se questo cambierà le cose tra di noi o se non significa niente.”
Jo rimase spiazzata. Non aveva scampo: doveva rispondere. Oliver la fissava dritta negli occhi, e lei era di nuovo priva di maschere. Non avrebbe potuto mentire, ma del resto, non avrebbe avuto neanche senso farlo. Perché mentire ad una persona in grado di renderti libera di essere te stessa? Perche mentire all’unica persona in grado di farla sentire al posto giusto nel mondo?
“Non lo so, Oliver. Non lo so se ciò che è successo cambia le cose, so che non sono mai stata così bene con una persona.” Sussurrò.
Lui afferrò un altro bicchiere di Whisky. “Io ti voglio, Jo.”
Jo gli strappò il bicchiere dalle mani e lo trangugiò al suo posto, allontanandosi da lui, desiderando semplicemente di sparire. Tenendosi la testa tra le mani, si sedette sul primo scalino della scala che portava alla Torre Grifondoro, ritrovandosi a sperare che quei due bicchieri di Whisky Incendiario avessero lo stesso effetto di quindici bicchieri di vodka Babbana.
Io ti voglio, Jo.
Le parole le risuonavano in testa come una vecchia tortura. Lui la voleva. Lui, che le aveva fatto toccare il cielo meno di ventiquattro ore prima, lui che era in grado di farla ridere, lui che la faceva sentire sé stessa. Lui che con uno sguardo la faceva sentire importante. Lui che quando lei si girava per guardarlo, la stava già guardando. Lui che l’aveva accolta come se fosse la cosa più normale del mondo, lui che era entrato nella sua vita con la potenza di un Bolide. Lui che era in grado di rubarle il sonno, lui che la seguiva anche in biblioteca, lui che le aveva riempito la vita. Lui la voleva. E lei aveva paura. paura di tornare di nuovo a stare male, paura di ritrovarsi di nuovo da sola, paura di soffrire di nuovo per una persona a cui di lei non importava, paura di dare troppo senza più ricevere niente. Aveva paura, paura di amare. E allo stesso tempo ne aveva bisogno. Aveva bisogno che Oliver le stesse accanto, aveva bisogno che Oliver l’amasse, aveva bisogno dei suoi baci e delle sue carezze. Avrebbe passato mille altre notti con lui, per poi passare mille altri giorni a fare i cretini con Fred, George, Caty e tutti gli altri. Aveva bisogno di lui, e aveva paura di ciò che provava.
Sentì dei passi dietro di lei, e, girandosi, vide Caty Roxel che si avvicinava a lei con un (grande) bicchiere stracolmo di Whisky.
“Grazie.” Le sussurrò.
“Dovere, serpe. Sembri messa piuttosto male.”
Lei guardò la Grifondoro. E decise che era arrivato il momento di confidarsi con qualcuno. “Ho fatto l’amore con Oliver.”
Lo disse talmente velocemente che Caty ebbe bisogno di ripetersi mentalmente quanto appena sentito per capirne il significato.
“Oh.” Disse poi. “Si, lo avevo intuito. Ma non era la tua prima volta, no?”
“Non … questa volta è stato diverso, Caty. Non avevo mai fatto l’amore. Aveva fatto sesso, del buon sesso, mi ero divertita, ma non mi ero mai emozionata. Non mi ero mai sentita una cosa sola con un ragazzo, non mi sono mai trovata a desiderare che non finisse mai. Non mi sono mai  sentita così. Lui mi manda in tilt, mi annienta, mi …”
“Lui ti dà l’opportunità di essere te stessa, Jo. Ed è questo che ti fa paura. Perché tu non sei mai stata davvero te stessa, dico bene?”
Jo trangugiò il Whisky, sentendo la testa girare. “Devo ubriacarmi.” Disse, poi. “Non voglio pensare a lui. Ho appena perso la prima partita del campionato per colpa del mio Cercatore idiota, ed è giusto che io anneghi nell’alcol.”
Caty annuì. “Mi unisco a te, allora.”
Si alzarono, si presero a braccetto e tornarono alla festa con un legame che nasce e tanta voglia di sentirsi qualcun altro.

“OOOOLIVEEEER!” una ragazza Tassorosso del quinto anno stava avvinghiata a Baston come un pipistrello. Lui era ancora ubriaco, e teneva la bottiglia di Whisky Incendiario direttamente in mano. Fred e George, accanto a lui, si tenevano in piedi a vicenda mentre cantavano dei cori irlandesi. La piccola Hermione li osservava delusa, seduta accanto a Ron, mentre Jo, Angelina e Caty erano sdraiate per terra, e ridevano a crepapelle per cose che vedevano solo loro.
Nel momento in cui Jo si accorse della ragazzina avvinghiata a Baston con le tette all’aria, si alzò di scatto. Fred e George, che normalmente avrebbero cercato di fermarla, scoppiarono semplicemente a ridere. Lei strappò dalle mani di Oliver quella bottiglia ancora mezza piena, ne bevve tre sorsi senza esitazione. Perse un poco l’equilibrio quando staccò la bottiglia dalla bocca, ma lo sguardo che rivolse alla ragazzina fu comunque spaventoso.
“Chi sei tu?” chiese alla ragazzina.
“Emily.” Rispose lei, con tono altrettanto brillo.
“Emily, vattene.”
“No.” Rispose la Tassorosso.
Jo le rivolse un altro sguardo di ghiaccio. “Emily, vattene, e non farmelo ripetere.” La voce della Serpeverde, in quel momento, assomigliava davvero allo strisciare di un serpente. La ragazzina ne fu talmente impaurita che si staccò da Oliver e corse via.
“Perché lo hai fatto?” chiese Oliver, come se se ne fosse reso conto solo dopo. “Era carina!”
“Perché tu mi farai impazzire, Oliver Baston.”
Lui, nonostante l’alcol in circolo, recuperò un tono sobrio per rispondere: “Tu lo hai già fatto, Jo Wilson.”
Ciò che successe dopo, fu poco chiaro a tutti. Alcuni giurarono di avere visto Jo ballare in reggiseno.  Altri dissero di aver visto chiaramente Baston minacciare un grifone del loro anno perché la stava puntando. Angelina e Caty rimasero sdraiate sul tappeto a ridere, convinte di guardare le stelle e di essere stese in un prato. Fred e George ad un certo punto sparirono, ma prima dell’alba collassarono entrambi sul divano della Sala Comune.
La prima cosa che Jo sentì quando si svegliò, fu un gran mal di testa. Era un buon segno, perché significava che era ancora viva. Poco dopo essersi resa conto di essere ancora viva, si rese conto se era appoggiata a qualcuno, e l’odore che sentì sotto di lei e tra i suoi capelli era troppo familiare, ormai, per confonderlo. Aprì un occhio, ricevendo la conferma di aver dormito abbracciata ad Oliver Baston. Poi sentì freddo, e si rese conto di avere la camicia slacciata, e soprattutto che la camicia non era sua. Aveva la maniche lunghe e lei ci sarebbe stata dentro tre volte. Non aveva bisogno di guardare Oliver e notare che era a torso nudo per rendersi conto che era sua. Si accorse di avere i capelli pieni di piume ed teneva in mano l’angolo di un cuscino semi vuoto e quasi esploso. L’altro angolo, era stretto nella mano di Oliver. Si mise a sedere. Il secondo odore che sentì, fu quello della Sala Comune dei Grifondoro, e la cosa le fede relativamente piacere. Quando vide Fred e George addormentati in una poso molto poco naturale sul divano accanto al loro, non poté fare a meno di sorridere. Angelina e Caty erano nella stessa loro condizione, con la bottiglia di Whisky, ormai vuota, ancora stretta nella mano.
“Che cosa è successo?” chiese una voce sotto di lei.
Oliver era sveglio. “Non me lo ricordo.” Rispose lei.
Oliver si massaggiò le tempie, poi notò il cuscino e le piume nei capelli di Jo – e in tutta la stanza. “Battaglia di cuscini.” Sentenziò poi.
“Ci ero arrivata.” Rispose lei. “Sarà meglio che vada.” Disse poi, cercando di alzarsi, ma la presa ferrea di Oliver glielo impedì.
“No. Rimani ancora un po’ con me.”
Jo sorrise, accarezzandogli i capelli. Era tornato tutto come prima, e non era stato nemmeno troppo difficile permettere che accadesse. Si ristese sopra di lui, senza riuscire a fare a meno di ridere quando notò tutto il casino che avevano combinato.
In quel momento, Harry Potter varcò la soglia della Sala Comune, rimanendo piuttosto sconvolto. “Oliver!” esclamò.
Lui alzò un braccio. “Sono qui!”
Harry dovette scavalcare il corpo inerme di Caty per raggiungerlo, e notare Jo sopra di lui. “Che cosa è successo?”
“Ci siamo divertiti.” Rispose Jo. “Sei già stato dimesso?”
Lui annuì. “Jo … è stato pietrificato un ragazzo.” Lei si fece seria, e Harry raccontò tutto ciò che era riuscito a sentire durante la notte. Silente aveva confermato tutto: la Camera dei Segreti era stata davvero aperta, e da quel momento, ogni Nato Babbano era in grave pericolo. Anche Oliver ascoltò con grande interesse, passando una mano sulla schiena di Jo quando si mostrò sconvolta. Harry raccontò anche della macchina fotografica e del rullino esploso, ma Jo ebbe comunque l’impressione che non fosse tutto.
“Harry, c’è qualcos’altro che dovresti dirci?” chiese la ragazza.
“No.” Rispose lui. “Devo solo parlare con Ron ed Hermione.”
“L’ultima volta che li ho visto ero ancora sobrio.” Disse Oliver.
“No, quando sono arrivata eri già ubriaco.” Gli rispose Jo, e Harry decise di lasciarli a discutere da soli.
Poco dopo, mentre loro ancora discutevano su quanto avessero bevuto, Ginny Weasley scese la scale dei dormitori con aria sconvolta.
“Ciao, Ginny.” Salutò gentilmente Jo.
Lei si avvicinò. “Jo, tu … tu sai chi è l’Erede di Serpeverde?” chiese, sottovoce.
“No, piccola, non ne ho idea.” Rispose Jo, con aria dispiaciuta.
La ragazzina si allontanò con aria ancora più spaventata, e in quell’istante, Fred si svegliò. “Che cazzo è successo?” chiese, ancora prima di aprire gli occhi.
Jo rise, si alzò e si mise davanti a lui. “Ti sei ubriacato, George Weasley.”
“Io sono Fred.”
“Non è vero.” Disse, George, aprendo gli occhi. “Sono io Fred.”

“Siete dei veri cretini! È solo una bambina, ed è terrorizzata!”
Jo scendeva la scale verso la Sala Grande, giocando il ruolo della mammina severa, rimproverando Fred e George dopo averli beccati a terrorizzare Ginny, sbucando davanti a lei da dietro le statue, ricoperti di pelo, o comunque travestiti in qualche modo spaventoso. Si divertivano molto, ma la ragazzina sembrava esserne davvero terrorizzata.
“Ma ci stiamo divertendo!” protestò Fred.
“Spaventare a morte vostra sorella non è divertirsi!” strillò Jo.
“Scriverò alla mamma che per colpa vostra Ginny ha gli incubi, se non la smettete.” Sentenziò Percy, con il suo tono da Prefetto.
“È una questione di rispetto, dannazione!”
“Smettila di fare la mamma di turno, Wilson.” Le disse George.
“Se voi non vi comportaste come due pivelli del primo anno, io non dovrei fare la mamma di turno, Weasley!” rispose Jo, senza smettere di urlare. Tra il suo strillo e la minaccia  di Percy, i due gemelli rimasero seriamente terrorizzati.
Mentre Oliver si sforzava per non ridere di quella scena assurda, Jo si girò per continuare a camminare verso la Sala Grande per pranzare, quando si trovò davanti alla professoressa McGranitt.
“Buongiorno.” Salutò la Serpeverde.
“Buongiorno, ragazzi. Avrei bisogno di sapere chi di voi resterà a scuola per Natale.”
Jo storse il naso. “Io devo tornare da mia sorella per i preparativi del matrimonio, mi dispiace.” Rispose, visibilmente dispiaciuta. La McGranitt sorrise. Lei e Jo si andavano stranamente a genio.
“Voi, signori Weasley?” chiese ai tre Weasley.
“Noi torniamo a casa.” rispose Percy. “Solo Ronald ha stranamente deciso di fermarsi.”
La McGranitt annuì. “Signor Baston?”
“Torno a casa anche io, professoressa.” Rispose lui con tono gentile.
La strega si allontanò, lasciando i ragazzi da soli di nuovo.
“Sto davvero tornando al castello Wilson per Natale?” Chiese Jo con un sospiro.
"Se dovessi avere bisogno di scappare, chiamaci." le disse Fred, con l'intenzione di consolarlo.
"Sì, sai, quest'estate abbiamo preso la macchina incantata di nostro padre e abbiamo liberato Harry dai suoi zii babbani." continuò George.
"Avete rischiato grosso!" li richiamò Percy.
"Si, ma ci siamo divertiti!" esclamò George. 
"Quei babbani lo tenevano con le sbarre alla finestra!" aggiunse Fred.
"Ma non dire stupidaggini!" lo richiamò Jo.
"Te lo giuro!"
"Si, quei pazzi ..." e si allontanarono per i corridoi così, senza rendersi conto che Minerva McGranitt era rimasta dietro di loro, e, guardandoli, non aveva potuto fare a mano di essere più che felice per come Jo avesse legato con Baston e gli Weasley.


Piccolo spazio autrice. 
Aggiorno questa long prima di 'ti amo più di ieri e meno di domani' per la prima volta, per il semplicissimo fatto che il nuovo capitolo di 'ti amo bla bla bla' (nella prossima vita, ricordatemi di scegliere titoli meno lunghi) non è ancora pronto, anzi, attualmente è una schifezza, e poi, avevo voglia di aggiornare questa, perchè mi sto divertendo da morire a scriverla. 
Ringrazio di cuore love_is_everything per seguirmi e recensirmi sempre e regalarmi belle parole :3 grazie davvero!
Ringrazio anche le otto persone che hanno aggiunto questa long alle preferite, la persona che l'ha aggiunta alle ricordate e le nove che la seguono. :)
Per quanto riguarda gli scherzi dei gemelli a Ginny, sta scritto nel libro e io mi attengo a quello, per il resto, spero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative!
Fatto il misfatto! (perchè i malandrini c'entrano seeempre)
C. 


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Jo, fradicia, arrabbiata e piena di bagagli, si trovò davanti a quella che, a intuito, era casa Baston. Aveva camminato per più di due ore sotto al diluvio, con la Nimbus, il baule e la gabbia di Nanà, mentre nella testa le parole di Candida suonavano come il ticchettio di un orologio.
Vattene, Jessica, vattene e non provare a tornare di nuovo. Dimenticati di essere stata una Wilson: noi non abbiamo più a che fare con te e tu non avrai più a che fare con noi.
Stupida, stupida donna. Era davvero sua madre, quella? Era davvero una persona? Come può una donna dire a una figlia di andarsene così?
Jo guardò quel grande portone di legno come se si aspettasse che si aprisse da solo, mentre nella mano destra stringeva ancora il biglietto che Oliver le aveva dato sul treno, con scritto il suo indirizzo in caso di bisogno. Non era molto lontano dal castello Wilson, ma Jo, senza pensarci, si era fatta due ore e mezza di camminata sotto al diluvio universale. Fece un passo indietro per osservare meglio quella casa. era semplice ma bellissima. Erano due piani, e, a intuito, al piano di sopra tre o quattro stanze, perché non era molto grande. Ma anche da fuori, Jo sentiva odore di casa e di famiglia, come nella Sala Comune dei Grifondoro. Il piano di sotto era buio, mentre da alcune delle grandi finestre del piano superiore si poteva scorgere la luce artificiale e calda delle lampadine. Era a metà tra una casa magica e una casa babbana, ed era bellissima.
Vide, dalla finestra più a nord, la chioma spettinata di Oliver spostarsi saltellando, con addosso un maglione rosso e bianco, tipico natalizio. In un secondo, Jo raccolse un sassolino dal vialetto di ghiaia su cui si trovava,  e lo lanciò dritto sul vetro di quella stanza con la sua solita precisione, spaventando a morte Oliver. Il ragazzo aprì subito la finestra, e, appena vide che era Jo, la richiuse per precipitarsi di sotto.
Jo, da fuori, vide tutte le luci accendersi, e poi il gigantesco portone spalancarsi. Oliver, senza pensare al temporale e a tutto il resto, le corse in contro, levandola da terra con un abbraccio e facendola roteare e ridere esattamente come aveva bisogno.
“Merlino, Jo!” esclamò lui.
Lei sciolse l’abbraccio e lo guardò seria. “Mi dispiace, Oliver, mi dispiace, ma non sapevo dove andare e avevo il tuo indirizzo, e …”
Lui sorrise. “Non hai resistito nemmeno tre giorni, eh?”
Lei, invece, rise. “No, questa volta, Candida mi ha cacciata.”
Oliver assunse un’espressione più seria. “Ti ha cacciata?”
Jo annuì. “Ha proibito a Blanca e a tutti quanti di darmi anche solo mezzo zellino, di ospitarmi o altro. Mi ha detto di dimenticarmi di loro, e di dimenticarmi di essere stata una Wilson. Ho preso le mie cose e ho iniziato a camminare, e …”
“Sei venuta a piedi?!”
Lei si guardò, come ad indicare le sue condizioni.
“Sembri un pulcino bagnato, Jo Wilson.”
Lei sorrise. “Solo Jo.”
Oliver le passò una mano attorno alle spalle mentre afferrava la gabbia di Nanà e le baciava la fronte. “Puoi stare qui anche per sempre se ti pare, solo Jo.”

Jo varcò la soglia di quella casa, trovandosi in una perfetta fusione del mondo magico e di quello babbano. Era semplicemente qualcosa di spettacolare: alle pareti, quadri babbani e foto magiche, e Jo poteva vedere benissimo una cucina babbana di ultima tecnologia con una torta che si stava decorando da sola, mentre su uno dei divani in pelle, una sciarpa si stava creando.
“Hugo?” chiamo Oliver, e, immediatamente, un elfo domestico apparve davanti a loro.
“Il padrone ha chiamato Hugo, signore?” chiese.
“Si, per favore, prepara a Jo la camera degli ospiti e un bagno caldo.” Rispose Oliver, con tono gentile ma deciso.
“Hugo provvede subito, signore! La signorina Wilson gradisce lasciare a me i bagagli?”
“Jo.” Lo corresse la Serpeverde, passando all’elfo il baule, la scopa e la gabbia della gatta.
“Hugo ha sentito parlare di lei, signorina! Lei ha liberato gli elfi domestici degli Wilson solo poche ore fa!”
Jo sorrise. “Non tutti, purtroppo.” Oliver la guardò con aria interrogativa. “Hai pensato che me ne fossi andata senza lasciare il segno, Oliver Baston?” gli chiese, leggermente divertita.
“Non ti smentisci mai.”
Jo stava per ribattere, quando una donna con gli stessi occhi grandi ed espressivi di Oliver comparve alla fine delle scale. Se non avesse dimostrato al massimo trent’anni e non fosse stata evidentemente incinta, sarebbe potuta essere la madre di Oliver, vista la somiglianza, ma il suo sorriso dolce e accogliente scacciò ogni domanda ed ogni dubbio. Quella era sicuramente Lucy Baston, sorella maggiore di Oliver, moglie di un Nato Babbano.
“Ciao!” disse, avvicinandosi a Jo.
“Lucy, lei è Jo. Jo, lei è la mia sorella preferita. Te la posso prestare, ora che sei una mina vagante sotto tutti i punti di vista, sai? È un’ottima sorella!”
Lucy allargò quel suo sorriso. “Lo dice solo perché sono l’unica sorella che ha.” Poi tese la mano destra verso Jo. “È un vero piacere, Jo. Oliver parla sempre di te.”
“Non è vero!” si difese subito Oliver. “Comunque, Jo, lui” e indicò la pancia della sorella “è mio nipote Viktor!”
“Viktor?” chiese Jo, incarnando un sopracciglio. “Viktor come Viktor Krum, Cercatore della Bulgaria?”
“Esattamente!” esclamò Oliver.
“Ma tu tifi i Puddlemere!” contestò Jo.
“Ma lui è il più grande Cercatore di …”
“Mio figlio non si chiamerà Viktor!” sentenziò Lucy.
“Perché no?” domandò Oliver, sfoggiando la più tenera delle sue espressioni da cucciolo abbandonato.
“Perché né io né mio marito siamo mai saliti su una scopa, Oliver.”
“Ma io sì.”
“Tu sei lo zio, non il padre!”
“Sono lo zio più importante che ha!”
“L’unico! Dan è figlio unico!”
Jo sorrise, guardandoli. Facevano ridere, perché, anche se stavano discutendo, l’affetto reciproco era quasi tangibile.
Lucy sbuffò e poi parve ricordarsi di Jo. “Oh, ma tu sei fradicia!” estrasse la bacchetta, e, con un movimento quasi inesistente, la asciugò.
“Ti ringrazio.” Disse Jo, sfoggiando uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
“Lucy, sai che ho battuto Jo all’ultima partita?”
“Solo perché il mio Cercatore che preferisce insultare il tuo piuttosto che cercare il Boccino maledetto.” Sbuffò Jo.
“Ho vinto comunque!”
“Ti ho segnato sette gol, prima.”
Oliver parve colpito nell’orgoglio, e, prima che potesse rispondere, l’elfo domestico apparve di nuovo davanti a loro. “Signorina Jo, Hugo ha preparato la stanza degli ospiti ed il bagno caldo per lei, signorina!” squittì.
“Oh, grazie, Hugo.” Rispose Jo.
Oliver le posò una mano sulla schiena. “Vieni, serpe, ti faccio strada.”

Jo si trovò in una stanza rettangolare con un gigantesco letto matrimoniale e un terrazzo che dava sul giardino.
“Wow.” Sospirò. “Merlino, Oliver, è bellissimo qui.”
Lui sorrise. “Ti aspettavi uno sgabuzzino?”
“Forse.” Rispose, facendo spallucce.
“Fatti un bagno caldo, hai ancora la faccia da pulcino bagnato. Io ho la stanza qui accanto, se hai bisogno.” fece per andarsene, ma lei lo fermò dicendo: “Oliver?”
“Sì?”
“Grazie.”
Oliver sfoggiò uno di quei suoi sorrisi che avrebbero mandato fuori di testa chiunque, poi si chiuse la porta alle spalle, canticchiando l’inno di Hogwarts.

Quando Jo, con i capelli ancora umidi, un pacchetto in mano e un maglione appartenente ad una vita precedente, scese le scale in cerca di Oliver, era esattamente mezzanotte. Trovò Oliver in cucina, mentre sfogliava una rivista di Quidditch,davanti a due tazze fumanti. Era sicura di non aver fatto rumore, perché quando Oliver quasi per caso alzò lo sguardo e la vide, sobbalzò.
“Sono messa così male?” chiese, ridendo.
“No!” rispose subito lui. “Solo che non ti avevo sentita.”
Lei porse ad Oliver il pacchetto regalo, avvolto in una carta dorata con nastro rosso. “Buon Natale.”
Lui rimase stupito. “Ma …”
“No, è mezzanotte. Puoi aprirlo.”
“Allora, aspetta! Vado a prenderti il mio!” disse, correndo in salotto. Estrasse, da sotto al gigantesco albero di Natale, un pacchetto regalo confezionato con  gli stesso colori del regalo che Jo aveva appena fatto a lui. Quando se ne accorse, scoppiò a ridere.
“Buon Natale, Jo.” Sussurrò lui.
“Buon Natale, Oliver.” Rispose lei, ed erano talmente vicini che poteva quasi sentire di nuovo il sapore delle labbra del grifone sulle sue. Scacciò il ricordo di quella notte con semplicità e tornò a sorridere, ma Oliver notò subito che qualcosa nel suo sguardo, era cambiato.
“A che pensi?” le chiese.
Lei si ritrovò costretta a distogliere lo sguardo. “Penso che sto bene con te.”
“Io stavo pensando a quando abbiamo fatto l’amore.” Buttò lì lui, con una semplicità sconcertante.
Lei tornò a guardarlo, mostrando due occhi lucidi e due guance rosse. Istintivamente, lui la attirò a sé e la baciò con dolcezza, posandole una mano sui fianchi e una dietro la nuca, come a volersi accertare che lei non sparisse improvvisamente. Jo, in tutta risposta lasciò cadere il suo regalo per Oliver per portare le sue mani dietro al collo di Oliver e attorcigliare ciuffi ribelli attorno alle sue dita, assaporando la consapevolezza che voleva lui almeno quanto lui voleva lei, e che ormai ci era dentro con entrambe le scarpe, e non c’era modo di uscirne.

Jo aprì un occhio, quasi spaventata all’idea che tutto quello che era successo fosse solo un sogno. Sentendo un pesante braccio attorno alla vita, un respiro sul collo e il dolce profumo di Oliver un po’ ovunque, però, capì, che era tutto vero. La prima cosa che vide, fu la foto della squadra dei grifoni sul comodino. Oliver, tra i due gemelli, rideva come non mai. Dietro al comodino, una finestra (probabilmente la stessa alla quale lei aveva lanciato un sassolino la sera prima) tradiva uno strano silenzio ovattato e un bianco troppo esteso perché si trattasse ancora della pioggia di poche ore prima. Dormire abbracciata ad Oliver era, forse, la cosa più bella che avesse mai fatto. Fare l’amore con lui era bello in un altro modo, ma dormirci insieme era anche di più, perché  non aveva bisogno di sognare, tutto ciò che voleva era lì, accanto a lei. Era bello anche perché lei, sin da bambina, non aveva mai dormito bene. Dormire con lui, invece, scacciava i brutti pensieri e la faceva dormire serenamente.
Sentì chiaramente Oliver sorridere sulla sua spalla, e sorrise anche lei, senza nemmeno rendersene conto.
“Buongiorno.” Sussurrò lui.
Lei si girò per guardarlo, coronando il saluto con un bacio.
“Che bel buongiorno.” Gli disse lei, sorridendo come mai.
Lui rise. “Dobbiamo alzarci.”
Jo si lasciò cadere sul cuscino. “Dobbiamo?” chiese, con il tono di una bambina capricciosa.
Lui si stese accanto a lei. “Dobbiamo. È Natale.”
“Vuol dire che arriveranno tutti i tuoi parenti e farete un pranzo di Natale alla babbana?” chiese poi spaventata.
Oliver non perse il sorriso. “No. Mia sorella e suo marito andranno dai miei zii, io e te siamo stati invitati dagli Weasley.”
“E i tuoi genitori?”
Lui esitò. “Mio padre è morto, un paio di anni fa, e mia madre … è uscita di senno, diciamo. Tutti credono che sia in viaggio, ma vive da sua sorella. Loro avevano passato tutta la vita insieme, sai, e … per lei vivere senza di lui è qualcosa di inconcepibile.”
Lei rimase di sasso. Si sentiva in colpa: si era sempre lamentata degli Wilson, senza mai rendersi conto che loro, almeno, erano tutti interi. Non trovava parole, e quelle che trovava le morivano in gola.
“Non ti preoccupare per me,Jo Wilson: ho una sorella fantastica, un cognato cretino almeno quanto me e avrò anche uno splendido nipotino, fra tre mesi.” Si girò per guardarla meglio. “E poi ho te, che mi rendi felice con un sorriso a metà.”
Lei, agendo d’istinto, lo attirò a sé e lo baciò di nuovo, con dolcezza e senza fretta. Poi,con altrettanta dolcezza, si staccò dalle sue labbra e sussurrò: “Scusa.”
“Per cosa?” chiese lui, con stupore.
“Perché non sono la ragazza fantastica che ti meriteresti.”
“Smettila, Jo. Non cambierei una virgola di come sei.”
Lei accennò un sorriso. “Davvero?”
“Davvero. Mi piaci da matti così come sei. Mi piaci perché prendi il caffelatte alla mattina, perché porti i maglioni di tre taglie più grandi della tua, perché ti mangi le unghie, perché strilli sempre, perché disegni sui miei appunti, perché sei sempre spettinata, perché mi insulti ogni due parole, perché non hai esitato ad entrare nella mia vita con la delicatezza di un Bolide, mi piaci perché mi fai le linguacce, perché mi compri il regalo di Natale, perché ti porti quella gatta ovunque, perché sei fatta così, e sei esattamente ciò di cui ho bisogno. C’è una parte di me che si sta già perdutamente innamorando di te, Jo, e io non ho la minima intenzione di fermarla, se ti interessa saperlo.”
Jo, con il cuore a mille, si alzò e lo guardò da lontano, con gli occhi pieni di paura, mentre lui rimase lì, a tenersi la testa sulla mano, lei lo guardava, con addosso una canotta e delle mutande, in piedi in quella stanza rossa e oro.
“Io non sarò mai capace di darti l’amore che ti meriti, Oliver. Non so farlo, non mi è mai stato insegnato, però ho questo mostro nello stomaco che parte a ballare se stai accanto a me e mi fa stare bene, e poi con te accanto mi sembra sempre tutto più bello. E non sono brava a dire queste cose, perché mi è già successo che qualcuno mi ferisse, e non è stato piacevole, però ora ti guardo e mi rendo conto che lui non era nemmeno un decimo di quello che sei tu, e, voglio dire …”
“Jo.”
“… sono quel che ti meriti, ma …”
“Jo.”
“ … voglio averti accanto.”
Lui si alzò e si mise davanti a lei, con addosso solo i boxer. “Potremmo provarci, sai? Senza dirlo a nessuno, potremmo provarci, ad essere qualcosa di più, io e te.”
Noi.” gli sussurrò. “Noi. Questo lo so dire.”
Noi.” mancava pochissimo ad un nuovo bacio, quando qualcuno bussò alla porta.
“Oliver, noi andiamo! Saluta Jo!” disse Lucy, dall’altra parte della porta.
Jo rise. Lucy sapeva, sapeva tutto.
“Possiamo provarci davvero?”
“Senza dirlo a nessuno?”
“Non so, hai raccontato a qualcuno della notte nella vasca?”
Jo sorrise con aria di finta innocente.  “Ehm, no.”
“Lo hai detto a qualcuno?” chiese lui ridendo, iniziando a farle il solletico.
Jo scoppiò a ridere. “Oliver! No, è un colpo basso questo!”
“Lo hai detto a qualcuno?”
“Smettila!”
“Lo hai detto a qualcuno o no?”
“Scommetto che lo hai fatto anche tu!”
“Non sto dicendo di non averlo fatto, ti sto chiedendo se lo hai fatto anche tu!”
Lei, senza smettere di ridere, riuscì a liberarsi della sua presa. “Si, si, ne ho parlato con Caty quando eravamo ubriache.” Ammise, poi.
“Solo a Caty?”
“Solo a Caty. Tu a chi lo hai detto, oltre a tua sorella?”
“Come fai a sapere che ne ho parlato con mia sorella?”
“Si capisce! A quanti lo hai detto oltre a lei?”
“L’ho detto a Fred e George.”
Jo spalancò la bocca. “Fred e George Weasley! Le persone più indiscrete del Regno Unito!” si mise letteralmente le mani nei capelli.
“Sono degli ottimi amici!”
“Non sto mettendo in dubbio questo, dannazione, sto mettendo in dubbio il loro concetto di ‘privacy’!”
“Merlino, Jo! Tu mi hai portato via dal dormitorio e sono tornato la mattina dopo con dei succhiotti grandi quanto una Pluffa, e anche tu! Non è colpa di Fred e George!” strillò lui, mentre si allacciava i bottoni di una camicia di lino.
Lei, intanto, recuperò i suoi pantaloni. “Ma tu hai confermato il tutto! Dove sono i miei calzini?”
“E io che ne so?” chiese, ridacchiano. Poi si avvicinò a lei, prendendole il viso tra le mani. “Non parliamone più, okay? Chi vuole ci arriva. Sono amici, e gli amici non chiedono.”
“Lo dirai a Caty?”
“Che cosa c’entra la Roxel adesso?” chiese, con l’aria di essere già stanca di litigare, mentre si infilava la stessa camicetta che aveva alla festa per la vittoria dei grifoni.
Lui le si avvicinò. “Niente, amore, niente, non parliamone più.” Le disse, baciandole a stampo le labbra.
“Che cosa hai detto?” chiese lei con un sorriso beffardo.
“Che non ne dobbiamo parlare più.”
“Idiota. Prima.”
Lui sorrise. “Scusa, ma … sei bellissima quanto ti impunti su qualcosa, te l’ho mai detto?”
“Oliver.” Gli disse con aria seria.
“Jo?”
“Io non lo riesco a dire.” Replicò lei seria. “E questo mi fa arrabbiare ancora di più.” Ringhiò, poi.
Lui la baciò di nuovo. “Non voglio che tu me lo dica. Te lo dirò io, qualche volta.”
Lei lo baciò di nuovo. “Okay.”
“Okay.”

.
“Non ce l’hai fatta a stare lontana da noi per tre giorni, vero, Wilson?”chiese Fred, aprendo la porta di casa Weasley.
Jo allargò il suo sorriso. “No, hai ragione.” Poi indicò il sacchetto che aveva in mano. “Ho portato un po’ di arrosto.”
“Wow!” esclamò George, dietro di lui. “Sai cucinare, Jo?”
“Sì.” confermò Oliver, entrando dopo di lei, levandosi la giacca con naturalezza. “E anche piuttosto bene.”
Piuttosto?” chiese Jo, spalancando la bocca.
“Cucini meglio di come voli, questo è sicuro.” Replicò il Portiere.
“Io volo divinamente.”
“Ecco che ricominciano.” Sbuffò Fred.
“Mamma?” chiese Jo, chiamando a sé la signora Weasley. “Posso presentarti Jo Wilson?”
“Wilson?” chiese la donna, rimanendo folgorata dalla bellezza di Jo.
“No, gli Wilson mi hanno cacciata di casa. sono Jo, solo Jo.” Rispose, con uno dei suoi sguardi di ghiaccio, porgendo la mano a Molly Weasley.
“Ciao, cara! Io sono Molly, Molly Weasley, la madre dei tuoi amici scalmanati.” Disse la donna, stringendole la mano. “E se non hai dove andare, possiamo farti spazio, sai, non costa nulla stringersi un po’ …”
“Molly, lei sta già da me.” disse Oliver, porgendole l’arrosto. “E ha cucinato questo in dieci minuti, non so come abbia fatto.”
Jo alzò le spalle. “Spero vada bene.” Disse, porgendolo a Molly.
“Oh, è … è fantastico, grazie! Davvero!”
Jo rise, salutando anche Percy e la piccola Ginny, che sembrava assente e lontana. Si sedettero a tavola, scherzando, ridendo di ogni cosa. Era semplice, era tutto così semplice da non sembrare reale. Jo guardò Oliver, e gli sorrise. Poi guardò Fred e George, rivolgendo a loro un sorriso diverso, un sorriso complice. Poi si guardò attorno, in quella cucina grande quanto la metà dell’atrio del castello Wilson, ma – Jo lo avrebbe giurato – al castello non si era mai sentita a casa e in famiglia come in quel momento.



Non credo di avere nulla da dire, se non grazie a Sara che mi regala sempre parole d'affetto e che ama questo storia almeno quanto la amo io.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


La notte di Capodanno, per Jo, aveva sempre avuto un certo fascino. Era come una magia, una cosa che va al dì là della concezione umana. Per tanti non era che una scusa per festeggiare (Fred, George e Oliver, per esempio, che stavano cercando di capire come mettere i petardi sotto la neve e comandarli da lontano) per altri era una mezzanotte come tante (Percy Weasley non si smentiva mai) e per altri ancora era un buon motivo per stare in famiglia, pensò guardando Molly cucinare nervosamente nella cucina dei Baston.
“Ti serve una mano, Molly?” chiese Jo, varcando la soglia della cucina con i capelli umidi di doccia e un maglione grigio fatto a mano dalla signora Weasley.
“No, figurati cara.” Rispose lei. “Vai pure a divertirti con gli altri.”
Jo si avvicinò alla finestra e rivolse un’occhiataccia a Fred, George e Oliver in giardino. Per lei, non c’era molto da fare.
Fred era chinato per terra, e Oliver, prontamente, si sedette sopra di lui, facendolo affondare nella neve. George, che si era limitato a ridere moltissimo, si prese una palla di neve in pieno viso da suo fratello.
Jo sorrise, mentre la sua gatta le si strusciava contro le gambe. “Hai visto, Nanà? Hai visto quanto sono felici?”
Nanà miagolò, e Jo si chinò per accarezzarla.
“Hai visto, Nanà, che anche noi abbiamo trovato una famiglia?”
Nanà, inconsapevolmente, annuì.
“Ehi, Jo! Vieni a far vedere si hai le palle!” urlò Fred, vedendola da fuori.
Lei scosse la testa, e i tre, senza bisogno di parlare, si misero a correre per iniziare a tirare palle di neve alla finestra che proteggeva Jo. Lei, intanto, rideva come una bambina su una giostra.
Molly chiamò a tavola, e loro si ritrovarono tutti attorno al tavolo a mangiare un tacchino che fu molto apprezzato dai ragazzi.
Jo adorava il fatto che si sedessero tutti insieme a tavola. Aveva l’opportunità di guardarli tutti, uno per uno. Molly, con il suo fare materno, Arthur, stanco ma accogliente, Percy, rigido e freddo, Fred e George, i due burloni, e Ginny, timida e chiusa ma bellissima. Poi c’era Lucy, solare e gentile, e suo marito Daniel, timido ma simpatico. E poi c’era Oliver, Oliver e quegli occhi color nocciola che riempivano il cuore. Oliver e quegli occhi che quando lei si girava a cercarli, l’avevano già trovata. Indossavano tutti i maglioni fatti di Molly per Natale, il che li rendeva leggermente buffi, come degli orsetti peluche tutti vestiti uguali.
Fuori nevicava sempre più fitto, ma dentro casa si respirava il calore di una famiglia.
Prima che passassero alla seconda portata di tacchino, qualcuno suonò il citofono.
Istintivamente, Jo, Oliver e Lucy andarono verso la porta. Dalle finestra non si vedeva granché, se non una persona in piedi con un ombrello a cui la neve girava intorno, senza toccarlo mai.
C’era solo una persona al mondo che odiava la neve al punto di stregare l’ombrello per proteggersi, e Jo la conosceva fin troppo bene.
“Blanca.” Sussurrò Jo.
“Blanca?” chiese Oliver.
Lucy fece loro segno di stare zitti e aprì la porta. “Si?” chiese.
“Sono Blanca Candida Wilson.” Rispose la voce fredda di Blanca. “Mi chiedevo se mia sorella Jo fosse qui da voi.”
Jo, che era rimasta nascosta dietro la porta aperta, si mise al fianco di Lucy. “Dipende da cosa vuoi da lei.” Rispose, con voce altrettanto fredda.
“Puoi entrare, se vuoi.” La invitò Lucy.
Blanca fece qualche passo verso l’ingresso e poi si fermò sullo zerbino, davanti a sua sorella.
In quel momento, di nuovo, riuscivano ad essere il giorno e la notte, eppure ad essere perfettamente identiche.
Blanca era avvolta in un cappotto bianco, allacciato sul fianco, che le arrivava a metà coscia. Al di sotto di esso, mostrava fieramente le sue gambe lunghe e magre, avvolte in pantaloni di pelle che andavano a nascondersi dentro a degli stivali di drago probabilmente fatti apposta per lei. Guardava Jo dall’alto verso il basso, come a volerla sfidare, ed era evidente che si credesse nettamente superiore a tutte le persone che la circondavano. I capelli erano perfettamente pettinati e adagiati sulle spalle, gli occhi ben truccati e la bocca colma di rossetto.
Jo indossava un maglione largo sopra a dei leggins scuri, dei calzini di lana e teneva i capelli raccolti da un mollettone. Sfoggiava fieramente le sue occhiaie e le sue gambe muscolose, mentre da quegli occhi azzurri traspariva dubbio misto a disgusto.
“Chiedo scusa per l’interruzione: so che in tutte le famiglie, a quest’ora della sera e in questo giorno particolare si usa cenare tutti insieme.” Disse, rivolta a Oliver e Lucy.
“Non ti preoccupare.” La rassicurò Lucy.
“Di quanto sei?” chiese Blanca, quasi incuriosita dal pancione di Lucy.
“Sette mesi e una settimana.” Rispose fieramente lei.
“Beh, congratulazioni!”
Jo scosse la testa. “Che cosa vuoi, Blanca? Mi sembrava che tua madre non avesse lasciato dubbi. Io mi sarei dimenticata di essere stata una Wilson, e voi vi sareste dimenticati di me.”
“La mamma è dispiaciuta, Jessica.” Rispose prontamente Blanca.
“Lei non sa nemmeno cosa sia, il dispiacere.”
Blanca incassò il colpo a testa alta. “Ad ogni modo …” estrasse dalla borsa un appendiabiti con un copri vestito bianco. Jo non ebbe bisogno di chiedere né l’incantesimo né cosa fosse il vestito: conosceva Blanca fin troppo bene.
“Questo è il tuo vestito per il mio matrimonio. Abbiamo preso le misure e lo abbiamo realizzato apposta per te, ed è per questo che te lo lascio. Nessuno, a parte te, potrà mai indossarlo.”
Lucy schioccò le dita e Hugo, l’elfo domestico, apparve accanto a lei. Jo, senza mostrare emozioni, diede il vestito all’elfo, che scomparve di nuovo.
“Vorrei che tu partecipassi al mio matrimonio, Jessica. Tu e la tua nuova famiglia, ovviamente. Vorrei che partecipassi perché non mi va di perdere mia sorella.”
Jo incrociò le braccia sopra al petto. “E con questo che vuoi dire?”
“Che non m’importa se per mamma e papà non sei più una Wilson. Per me sei mia sorella. Faccio fatica a dirlo, lo sai, ma non sopporto l’idea di guardarmi nello specchio la mattina vedendo te, e senza sapere dove sei e come stai.”
Jo abbassò lo sguardo e sorrise. “Loro lo sanno che sei qui?”
“Loro lo sanno. Sanno che condivido le loro idee ed il loro stille di vita, sanno che darò ai miei figli la stessa educazione che loro hanno dato a me e sanno che ci tengo a te. E se la tua vita è a casa Baston, o a casa Weasley, io sarò comunque pronta ad aiutarti se avessi bisogno di aiuto.”
Jo rialzò lo sguardo, mostrando un sorriso sinceramente commosso. “Grazie.”
Blanca le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con un’occhiata che comunicava quel ti voglio bene che lei non era in grado di dire.
“Hai impegni per cena, Blanca?” chiese Lucy, posandole una mano sulla spalla.
Blanca si mostrò dubbiosa. “Non saprei, veramente.”
Lucy le sorrise. “Bene, allora che ne diresti di fermarti qui da noi?” Poi, come se si fosse improvvisamente ricordata di una cosa, le porse la mano. “Lucy Baston, comunque.”
“Oh, si. Tu hai sposato un Nato Babbano.” Rispose lei, maledicendosi immediatamente per quello che aveva detto.
“Blanca la cosa bella di questa famiglia è che con lo stato di sangue ci puliamo il c-“ Oliver le tirò un calcio. “Ahia!”
“Sono Lucy Baston, strega Purosangue che ha sposato un Nato Babbano da cui aspetta un piccolo Mezzosangue.”
Blanca finse un sorriso e le porse la mano. “Blanca Candida Wilson.” Poi guardò Oliver, e fu sufficiente uno sguardo. “Tu sei Oliver, vero?”
Oliver annuì.
“Stai attento a te, Oliver.” Disse, e poi sorrise, porgendogli la mano.

Quando Blanca entrò in sala da pranzo, a Fred Weasley cadde la forchetta dalla mano, e l’atmosfera si fece tesa.
“Bene, gente!” esclamò Lucy. “Lei è Blanca e si aggiunge a noi.”
Molly, con un colpo di bacchetta, aggiunse piatto posate e bicchiere davanti ad una sedia vuota. “Prego, cara. Spero ti piaccia la carne.”
Blanca annuì, iniziando a parlare con Molly di cucina e di incantesimi, mentre Fred e George, seduti davanti a Jo e Oliver, sussurravano parole poco carine.
“Dovevi dircelo, dannazione!”
“E io che ne sapevo?”
“Lei è Blanca Wilson, Jo, ma dove hai la testa?”
Jo alzò gli occhi al cielo. “Per l’amor del cielo, George, tieni a bada gli ormoni!”
“Come faccio a tenere a bada gli ormoni con Blanca Wilson seduta al mio tavolo?!”
“Come facevi quando veniva a scuola?”
“Non era così bella, Merlino! E poi aveva sempre l’altro Wilson che le girava attorno come un cane!”
“Ehi, l’altro Wilson è il suo futuro marito.”
Fred guardò Jo come si guarda una che della vita non ha proprio capito niente, poi continuò a mangiare come se non ci fosse un domani.
“Sei un lavandino, lo sai?” gli disse Jo, guardandolo schifata dalla sua mini porzione.
“E sono fiero di esserlo!” rispose lui, con la faccia nel piatto.
“Ti sentirai male, Fred.” Lo mise in guardia Oliver.
“Si, papà.”
“Oh, fottiti. Io ti ho avvertito!” rispose lui, ridendo.
“ … vero, Jo?” chiese una voce alla fine del tavolo.
“Che cosa è vero?” chiese lei, guardando sua sorella.
“Parlavo del pasticcio di carne che faceva la vecchia Annie.”
“L’elfo domestico di cui tenete la testa appesa, dici?” rispose Jo, con sarcasmo.
Blanca fece finta di niente. “Esattamente, quella Annie. Com’era il suo pasticcio?”
“Squisito. Perché, ne vuoi una teglia?” chiese, sorseggiando del vino rosso.
A Blanca si illuminarono gli occhi. “Tu conosci la ricetta?!”
Jo alzò le spalle. “Si, certo. L’ho portato a Molly per il pranzo di Natale.”
“Come puoi conoscere la ricetta? Annie non l’ha mai detta a nessuno!”
“Ehi, ricordi quando mi nascondevo in giardino e non mi trovavate più, e poi Candida mi metteva in castigo?”
“Sì.”
“Ero nelle cucine degli elfi a  guardare Annie cucinare.”
Blanca non ebbe paura di mostrarsi sorpresa. “Io non ho mai avuto il permesso per farlo! Mi cacciava!”
Jo fece di nuovo spallucce. “Scusa, Blanca, ma non mi sembra che tu fossi molto gentile nei suo confronti.”
Blanca sorrise e si lasciò cadere sulla sedia, mentre un petardo esplodeva rumorosamente sotto la neve in giardino.

Blanca era sulla porta di casa Baston. Erano le cinque del mattino, ormai, e lei si era rifiutata di fermarsi per dormire. Le prime luci del nuovo anno illuminavano lievemente il mondo attorno a loro, mentre Lucy stringeva di nuovo la mano a Blanca, questa volta con un sorriso di complicità.
Quando si fu richiusa la porta dietro di sé, Jo scosse la testa. “Stai attenta, Lucy. Blanca è una persona falsa e subdola.”
Lucy la guardò con stupore. “Come puoi parlare così di tua sorella?”
“Tu non la conosci. Lei è chiusa e tremendamente orgogliosa. Non farebbe mai una cosa del genere, mai.”
“Credi che possa averla mandata qualcuno, quindi?” chiese Oliver.
Jo annuì.
“Ti riesce troppo difficile pensare che possa aver messo da parte il suo orgoglio per te?” domandò Lucy. “Che lo abbia fatto solamente perché ci tiene a te?”
“No, Lucy, gli Wilson l’affetto non sanno cosa sia.”
“Eppure tu sei qui. E ci vuoi bene.”
“Ed è esattamente per questo che non sono più una Wilson.”
Oliver guardò Jo salire le scale con aria pensierosa, mentre avvertiva dentro di sé il bruttissimo presentimento che non sarebbe finita lì.


Chiedendo scusa per il ritardo, ecco il nuovo capitolo :3 sempre tante grazie a chi mi segue e a Draco394 che mi ha raggiunta a Sorrento per abbracciarmi - ti voglio bene. Ringrazio anche gossip_girl e love_is_everything per sopportare anche questa mia long. Tanto love anche a voi!
Il capitolo non è lungo come gli altri, ma avevo voglia di scrivere e di pubblicare, e serviva che questo momento avesse uno spazio tutto suo... intanto, la mia favolosa cartella 'bozze Oliver/Jo' promette grandi cose. 
Fatto il misfatto!

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Se c’era una persona che Jo odiava più di tutti, era Gilderoy Allock.
Tutti avrebbero pensato che odiasse i suoi genitori, suo fratello, ogni ex Mangiamorte o Draco Malfoy, ma se Jo avesse potuto uccidere una persona senza risultare mai colpevole, avrebbe scelto Gilderoy Allock. Non era per il suo ego stratosferico, non era per i suoi vestiti da idiota, non era per i suoi libri da cretino (anche se queste tre cose le facevano venir voglia di provare l’Anatema Che Uccide) era per quel sorrisetto sfacciato, per come muoveva le mani, per come impugnava la bacchetta, per come camminava da primadonna anche quando lei lo guardava come se fosse un escremento di drago.
E, in quel momento, era per il modo in cui sorrideva di quel serpente.
Harry era davanti a Draco, su un tavolo da duello, e il piccolo Malfoy gli aveva appena lanciato addosso una vipera di almeno due metri che ora si guardava attorno come se si trattasse solo di decidere chi divorare per primo.
Oliver, al capo opposto del tavolo, guardava il suo Cercatore con aria spaventata, e la cercava con quegli occhi castani come a volersi assicurare che fosse ancora lì.
Allock teneva la bacchetta puntata contro il serpente, sfoggiando quel sorriso odioso, e sembrava stesse cercando di capire quale formula inventarsi.
“Questo non gli fa nemmeno il solletico, parola mia.” Sussurrò a Fiona, accanto a lei. La bionda si limitò a ridacchiare, mentre Jo cercava di decifrare lo sguardo di Harry.
Come prevedibile, il serpente si limitò a fare un salto in aria per atterrare nuovamente sul tavolo con aria infastidita. Jo scosse la testa.
E questo dovrebbe essere un insegnante?
Fecero tutti un passo indietro, tranne Jo, Oliver, Fred e George.
Jo teneva le braccia incrociate sul petto e scuoteva la testa, mordendosi il labbro. Non era il serpente a farle paura (aveva in mente una mezza dozzina di incantesimi per farlo saltare in aria, sparire o semplicemente spaventarlo) ma era la reazione che, di lì a poco, avrebbe avuto Harry. Allock aveva fallito, e tutti aspettavano una sua mossa.
Il serpente, del tutto inspiegabilmente, si mise a fissare un tredicenne di Tassorosso con i denti a castoro. Jo incarnò un sopracciglio: ora poteva aspettarsi davvero ogni cosa.
Harry, con una tranquillità spaventosa, si avvicinò al serpente e sussurrò parole che Jo conosceva fin troppo bene.
Harry Potter stava parlando il serpentese.
Immediatamente, alcuni Corvonero scapparono terrorizzati. Due ragazzi erano già stati pietrificati, si parlava di un erede di Salazar e ora un Grifondoro stava chiacchierando allegramente con un serpente. E non era un Grifondoro qualunque.
Ron trascinò Harry verso la porta, mentre Hermione scrutava Jo, e Jo faceva segno ad Oliver e ai gemelli di seguirli.
 Meno di un minuto dopo, Harry fissava Jo con aria spaventata. “Perché non hai detto che sei un Rettilofono?!” gli aveva appena chiesto lei.
“Io sono che cosa?” chiese il ragazzino.
“Un Rettilofono!” esclamò Ron. “Parli con i serpenti!”
Harry, con un sorriso in faccia, raccontò di aver parlato con un boa constrictor l’anno prima allo zoo, e di averlo involontariamente aizzato contro suo cugino Dudley. “Che c’è di male?” esclamò poi, guardando l’espressione stupita di Jo e degli altri. “Scommetto che un sacco di persone sanno farlo!”
Jo si lasciò cadere sulla poltrona con espressione saccente. “Assolutamente no!” esclamò. “Ci saranno stati si e no dieci maghi in grado di farlo in tutto il mondo. Quel cretino di Salazar Serpeverde, ad esempio. Secondo te, perché il simbolo della sua Casa è un dannatissimo serpente?”
Fred, dietro di lei, scosse la testa, sussurrando che non ci aveva mai pensato.
“Non è un dono comune, Harry.” Intervenne Ron. “È una cosa malefica!”
“Se non avessi detto a quel serpente di non attaccare Justin, non …”
“Oh, è questo che gli hai detto?” contestò il suo amico.
“C’eri anche tu!” poi guardò gli altri, con aria infuriata. “C’eravate anche voi! Mi avete sentito!”
“Ti abbiamo sentito parlare in Serpentese, amico.” Gli rispose George. “La lingua dei serpenti.”
“Sembrava che lo stessi incitando ad attaccare, Harry.” Intervenne Oliver, grattandosi il capo.
“Io … io ho parlato un’altra lingua?” chiese Harry, con aria sempre più confusa.
“Tu hai parlato il Serpentese, Harry!” sentenziò Jo.
Fred guardò la sua amica con aria dubbiosa. “Come fai tu ad essere così informata?”
Jo alzò gli occhi al cielo e lo fulminò con quegli occhi da pura Serpeverde. “Cerca quanti ‘Wilson’ trovi sotto la parola ‘Rettilofoni’, Weasley.”
George spalancò la bocca. “I tuoi sono Rettilofoni?!” chiese, con aria quasi entusiasta.
“Dì un po’, George, ti sei dimenticato che loro non sono più i miei genitori?” sbraitò, alzandosi. “Si, Nicholas è un Rettilofono. Tu in casa hai gufi e topi, io sono crescita con mio padre che parlava ai serpenti.” Sembrò che volesse sputagli in faccia. “Tu sei stato educato ad amare il prossimo, io a distruggerlo.”
Oliver le sfiorò la spalla, per farle segno di fermarsi, ma lei si spostò come se il contatto con lui le facesse male, mentre George incarnava un sopracciglio e sorrideva. “Se tu sei stata progettata per uccidere non è colpa mia.”
“George, ma ti sembra il caso?!” lo richiamò Fred.
Jo scosse la testa, con il gelo negli occhi da serpente, e con la sua solita eleganza, girò i tacci e se ne andò. Oliver fece per seguirla, ma lei, senza nemmeno girarsi, gli fece segno di fermarsi. Aveva bisogno di stare da sola.

“Maledetto Weasley.” Borbottò, sedendosi per terra nel bel mezzo del campo da Quidditch, mentre si accendeva una sigaretta.
Come diamine si era permesso?
Lui non sapeva niente. Niente. Non aveva visto nemmeno la metà delle cose che aveva visto lei. Lui era cresciuto con dei genitori che lo amavano, mentre lei era cresciuta avendo orari prefissati per poter parlare con i suoi. Si mise a giocare con la cenere che cadeva a terra, mentre fumava senza buttare fuori, tenendosi il male della sigaretta dentro. Era così Jo, permalosa, testarda, sfacciata. Odiava il suo passato, eppure lo difendeva con orgoglio. Era il suo passato ad averla resa quella che era, ed era per questo che non lo avrebbe mai rinnegato, pur odiandolo con tutta sé stessa.
Senza nemmeno voltarsi, sentì l’odore di Oliver nell’aria.
“Ho detto di non seguirmi.” Disse, con tono freddo.
“Dici un sacco di stronzate.” Contestò lui, mettendosi a sedere accanto a lei. “Devi perdonarlo, lui …”
“Io non devo proprio niente a nessuno.”  Lo interruppe lei.
Oliver alzò gli occhi al cielo. “Dovresti perdonarlo, Jo. Non sa quello che dice, lo sai, dai, lui è … è George!”
Jo lo guardò come se scherzasse. “E allora? Non m’importa chi è! Ha detto delle cose che non doveva dire!”
“Lui non sa quello che ha detto.”
“Oh, Oliver, ma da che parte stai?!”
“Nessuna delle due. Ho appena rimproverato anche lui.”
Jo scosse la testa. “Manco fossi suo padre.” Fece l’ultimo tiro e spense la sigaretta.
“Harry è spaventato.” La informò.
“Mi dispiace.” Replicò lei con aria superficiale. In quel momento, non le importava di nulla.
“Credo abbia bisogno di te. In qualche modo, tu sei vicina a …”
“A cosa? Al fatto che sappia il Serpentese?”
“No.” Si affrettò a dire lui. “Penso che abbia bisogno di te perché tu, in qualche modo, lo capisci.”
Lei si alzò, pulendosi la gonna e scuotendo la testa. “Io non capisco proprio niente, in realtà.”
Anche lui si alzò, e le afferrò i fianchi, per baciarle dolcemente le labbra. “Questo lo capisci?”
Lei sorrise debolmente. “Solo se è un bacio di scuse.”
“Vedilo come vuoi.” Replicò lui, sorridendo. Le baciò la fronte e la strinse forte a sé.
E lei, di nuovo, tra le sue braccia si sentì a casa.

Jo, con i capelli ancora umidi e lo sguardo perso in una rivista di Quidditch, se ne stava seduta sua una poltrona di pelle nella Sala Comune di Serpeverde. Gli altri studenti sussurravano e la indicavano, ma lei sembrava divertirsi ad ignorarli. Quando Draco Malfoy, nei suoi dodici anni di arroganza, riemerse dal dormitorio, ruppe il silenzio.
“Wilson! Come mai non sei a fartela con Baston?” esclamò.
Jo non alzò nemmeno lo sguardo. “Perché mi faccio i fatti miei.”
Draco rise. “Beh, non sembra.”
“Si, Jo.” Aggiunse Flora. “Ultimamente sembra che tu ti diverta ad ignorarci e a crederti una Grifondoro.”
“Non hai nemmeno dormito qui, due notti fa.” Intervenne Daphne Greengrass.
Jo alzò gli occhi. “Come lo sai? Pare che ti stessi dando da fare con T-“
Ma Flora la interruppe. “Non era la prima volta che dormivi fuori.”
Jo chiuse la rivista e alzò gli occhi al cielo. “E con ciò?”
Flora, con uno sguardo di ghiaccio, alzò le spalle. “Non so se hai notato, Jessica, ma ultimamente in questa scuola succedono cose strane.”
Jo si alzò per avvicinarsi a sua cugina. “Interessante il tuo concetto di ‘cose strane’, Flora, davvero.” Scosse la testa e guardò gli altri. “Vi rendete conto dell’assurdità delle cose?”
“Interessante il tuo concetto di ‘assurdità’, Jessica.” Replicò Miles con aria saccente. “A noi sembra tutto abbastanza chiaro.”
“Allora illuminami, Miles.”
“Beh.” Il ragazzo alzò le spalle. “L’ultima volta che la Camera è stata aperta, è morta una Sanguesporco.”
Jo alzò un sopracciglio. “E state facendo una lista di chi vi fa più comodo che tiri le cuoia?”
“No, ci stiamo chiedendo se ‘Traditrice del proprio Sangue’ sia allo stesso livello di ‘Sanguesporco’.” Era la voce di Tomas. Tomas, che era stato suo fratello.
Si girò a guardarlo, per essere certa che fosse lui.
E una volta credevo pure di volergli bene.
“Non sarà così semplice liberarti di me, fratellino.”
“Tornatene da Baston.” Disse una ragazza in mezzo alla folla.
“Si, non ti vogliamo qui.”
“Devi decidere da che parte stare.”
“Oh.” Replicò, senza nemmeno sapere chi avesse parlato. “Sicuramente non dalla vostra.”
“Allora per noi te ne puoi anche andare.” Rispose Flora. “Tanto dormire con il tuo Oliver non è una novità, giusto?”
Jo rise nervosamente. “Stai scherzando, Carrow?”
Lei scosse la testa, e Jo si guardò attorno. Ogni singolo studente Serpeverde la fissava con disgusto.
“Oh, andate a prenderlo in culo, tutti quanti.”

Entrò nella Sala Comune Grifondoro con sguardo furioso, il suo baule in mano e la scopa da corsa in spalla, mentre Nanà sa seguiva senza capire. Gettò il baule in una angolo e si sedette sulla poltrona. L’unico pensiero lucido che riuscì a concepire, era che avrebbe avuto bisogno di una birra babbana.
“Ciao.” Disse una voce dietro di lei.
“Ciao, Ron.” Rispose, girandosi.
“Oliver è all’allenamento.”
“Si, lo so.” La gatta le si accucciò sulle gambe.
“Posso sedermi?”
“Certo.” Rispose Jo, con un sorriso gentile. Ron le piaceva, era sincero e genuino.
“Lo aspetterai qui?”
“Non lo so, in realtà. Sono qui perché non ho dove andare.” Indicò il baule e la scopa.
“Che cosa è successo?”
Jo, senza preoccuparsi di insulti o parolacce, raccontò l’intero accaduto a Ron.
“Miseriaccia!” disse lui, alla fine. “Ma lo possono fare?  Voglio dire, si può cacciare una compagna dal dormitorio?”
“Non lo so.” Rispose Jo alzando le spalle. “Sicuramente non andrò ad implorarli di ..”
“Chi dovresti implorare?” chiese la voce di Fred, entrando nel dormitorio.
“Le altre serpi.” Rispose Jo, mentre l’intera squadra di Quidditch rientrava. Oliver, sudato ma entusiasta, le baciò le labbra con dolcezza, chiedendo cosa fosse successo.
“Mi hanno cacciata.”
“Lo possono fare?”
Jo alzò le spalle. “Flora è Caposcuola. Tecnicamente, può anche ordinarmi di gettarmi nel Lago.”
“Hai almeno fatto una grande uscita?” chiese George, accomodandosi sul divano accanto a Ron.
“Gli ha detto di andare a prenderlo in culo tutti quanti.” Annunciò Ron, con sguardo orgoglioso.
Oliver rise. “Lo hai fatto davvero?”
“Che altro potevo fare? Mi hanno augurato di saltare in aria!” si difese Jo.
“Puoi stare qui, comunque.” Le disse Fred. “E se il letto di Oliver è troppo piccolo, puoi sempre …”
Fred!” esclamò Oliver.
“Non sto parlando del tuo uccello, Oliver, ma del tuo letto.” Puntualizzò Fred.
Jo rise. “Non voglio darvi fastidio, ma non sapevo dove altro andare.”
“Oh, siete tornati!” esclamò la voce di Hermione, da sopra le spalle. “E c’è anche Jo!” Hermione li raggiunse ed i gemelli le raccontarono ciò che era successo.
“Dovresti parlarne con Piton e la McGranitt, Jo.” Concluse Hermione.
“Oh, sto proprio morendo dalla voglia di confessare tutto a Piton, Hermione.” Scherzò Jo. “Apprezzo il consiglio, piccola, ma ti sarei grata se questa cosa non arrivasse al tavolo degli insegnanti.”
Hermione scosse la testa, visibilmente in disaccordo. “Questa storia finirà male, parola mia.”



Eeeeeccomi. Non riuscivo a farmi venire una schifossissima idea, chiedo venia. Ora inizia a bazzicarmi in testa qualcosa. 
So che è molto diversa dalla mia altra long, anche come linguaggio, ma mi aiuta per imparare a scrivere cose nuove. 
Bene, vado ad affondare la testa nel libro di inglese. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatto il misfatto!

 

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