Flightless bird

di Insomniacs_Lullaby
(/viewuser.php?uid=264731)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 - The Train ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 – The headquarters ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 - The Train ***


Chapter 1 – The train
Caldo.
Caldo afoso e aria viziata.
Ormai il vagone è invaso dal silenzio, rotto solo da qualche colpo di tosse.
So che dovrei essere grata di essere a bordo. So che molta gente è morta nel tentativo di salire.
So perfettamente che sono l’unica della mia famiglia ad esserci riuscita, ma se provo ad immaginare l’inferno, in questo momento, lo vedo esattamente così: un enorme treno merci, pieno zeppo di alcuni dei sopravvissuti ai bombardamenti. Niente ossigeno, niente spazio.
Ho i polmoni che fanno male, fatico a respirare, sono in piedi da ore, attaccata allo sportellone.
Non posso sapere da quanto sono esattamente schiacciata qui in mezzo. Il mio bellissimo orologio è andato perso tra le macerie di quella che un tempo era la mia casa, la mia bellissima villa. In quanto al cellulare, non ne ho uno da anni. Le linee telefoniche sono state chiuse o distrutte, internet ormai è solo un ricordo.
Penso e ripenso a quello che ho passato nell’ultimo periodo, gli amici che ho perso.
Ho 17 anni, ma sono già stanca di questa vita.
Mi sento di nuovo incredibilmente egoista, c’è chi una vita non l’ha più.
Decido di smettere di pensare, provoca solo altro dolore. La musica è ciò che mi servirebbe ora.
Nella mia mente compaiono le parole di una vecchia canzone, la mia preferita. Le ripercorro con il pensiero, le sento attraversarmi il cuore.
“I was a quick, wet boy, diving too deep for coins
All of your street light eyes wide on my plastic toys…”
Una piccola lacrima va a rimarcare i segni già tracciati dalle altre. Non sono lacrime di dolore o di paura, quelle credo di averle già versate tutte. Sono lacrime di malinconia, di una profonda e cupa tristezza.
Nonostante sia ferma in quest’angolo da moltissimo tempo, non mi sono ancora preoccupata di osservare i visi e le espressioni delle persone vicine a me.
Alzo lo sguardo, e subito un orribile ritratto di miseria mi si apre davanti.
Donne, uomini e bambini di ogni età si ammassano nel vagone. Molti sono seduti, alcuni in piedi.
I volti sono segnati dal dolore e dall’immensa stanchezza, ma nessuno piange. Sanno di essere quasi arrivati in quella che dovrebbe essere una città che potrà offrire loro un luogo più sicuro.
Io non ne sono convinta.
Certo, la situazione da noi era insostenibile: morti per le strade, bestie randagie che bazzicavano qua e la, poco cibo per troppe persone.
Se non si moriva per le bombe e le sparatorie, si rischiava di morire di fame.
In molti, quindi, ogni giorno cercavano di salire su un treno, per cercare fortuna.
Tendenzialmente chi partiva si lasciava tutto alle spalle. Altri invece facevano avanti e indietro, tra la campagna e Blauvil, per portare il poco cibo che avanzava a coloro che non riuscivano a salire sul treno.
Erano chiamati Angeli Neri, a causa della sporcizia incrostata ai loro vestiti e ai loro visi. Salvavano molte vite, o almeno ci provavano.
Prima di questa notte mi sono sempre chiesta il motivo per cui in molti non volevano provare a salire sul treno, mia madre compresa.
Ora ho capito. La folla è talmente tanta che si rischia di morire schiacciati, e se si riesce a montare a bordo, finche non si chiudono i portelloni, si rischia di cadere sui fili ad alta tensione. L’ho visto succedere a molte persone nel giro di pochi minuti. Orribile.
Di nuovo mi vengono le lacrime agli occhi.
Canta Christina, canta.
“Then when the cops closed the fair, I cut my long baby hair
Stole me a dog-eared map and called for you everywhere
Have I found you
Flightless bird, jealous, weeping
Or lost you, Americ…”
Un rumore assordante blocca il ritmo dei miei pensieri, poi uno scossone. Il treno si è fermato.
Ho il cuore che batte a mille.
Siamo arrivati. Sono viva. Sono salva.
Provo a prendere un respiro profondo, ma l’aria ormai sembra di fuoco. Ho i polmoni che bruciano e sembrano scoppiare.
Siamo tutti ancora in silenzio, ma gli sguardi si sono animati, le teste si sono sollevate e in molti si alzano in piedi.
Sentiamo voci, grida e passi provenire da fuori.
-Sono arrivati, cosa aspetti ad aprire, muoviti!- La voce di una donna riecheggia nel vagone.
E poi, finalmente le porte si aprono.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2 – The headquarters ***


Chapter 2 – The headquarters
 
Ci tirano giù uno ad uno.
L’uomo che mi tende il braccio avrà una cinquantina d’anni, e sembra ancora parecchio forte. I contadini sviluppano un’innata muscolatura nelle braccia e nelle gambe, a causa del duro lavoro nei campi.
La prima cosa che mi viene in mente è che non sono messi tanto meglio di noi. Magri, sporchi…ma stranamente sorridenti.
A differenza nostra, le loro pelli sono scottate dal sole. Siamo talmente lontani da Blauvil che il fumo e le nubi che ormai nascondono il cielo della città qui non arrivano.
In silenzio ci fanno attraversare un’immensa distesa di erba che, illuminata dalla luna, ha un che di spettrale e meraviglioso allo stesso tempo.
Dopo una decina di minuti, finalmente arriviamo nel “quartier generale”.
Noi ragazzi sentivamo spesso parlare di questa costruzione dagli AngeliNeri, che si divertivano a inventare storie su come sia impossibile da raggiungere o dotato di estremi sistemi di difesa. Visto dal vivo, però, sembra quasi un palazzo abbandonato.
È un enorme edificio di cemento armato, che un tempo avrebbe dovuto svilupparsi su cinque piani. Ora sono 4, essendo l’ultimo crollato da poco. L’edera cresce indisturbata su tutto il perimetro e su gran parte dei muri, e i vetri delle finestre sono quasi tutti rotti o crepati.
Mi prende il panico. Cosa diavolo pensavo di ottenere venendo qui? Pensavo davvero di salvarmi? Di mettere fine al dolore?
Una ragazza mi appoggia una mano sulla spalla, e solo adesso mi accorgo di essermi fermata.
-Coraggio cara, non badare all’apparenza. È l’anima quella che conta davvero.-
Sempre tenendomi la spalla mi accompagna nell’ultimo tratto di strada.
Siamo ora davanti alla porta d’ingresso. È incredibilmente strana e fuori luogo.
È di metallo arrugginito, e fino a qui nulla di strano.
Ciò che mi colpisce è la luce rossa intermittente che proviene dall’architrave. È un sensore, come quelli che bloccano le porte delle strutture militari in città.
Rimango a bocca aperta nell’osservare ciò che avviene in seguito:
L’uomo che mi aveva aiutato poco prima a scendere dal treno sta ora puntando un laser verde sul sensore. La porta si apre.
-Si scende!-
 
Nessuno sembra minimamente stupito da ciò che sta succedendo. Probabilmente ero l’unica a non prendere sul serio le storie degli AngeliNeri. O almeno, ora sono l’unica…
A bocca spalancata scendo il milione di scale che ci portano in quello che, a detta delle persone che sento bisbigliare, dovrebbe essere il vero e proprio quartier generale.
Ci ritroviamo davanti ad un’altra porta, molto diversa dalla prima.
La seconda porta è laccata di bianco, con due strisce rosse  che ne attraversano la parte più alta e più bassa. Al centro c’è un piccolo computer, al quale l’uomo di prima si avvicina. Inserisce un codice di 7 cifre e le porte si aprono, facendomi vedere la postazione militare più d’avanguardia che io avessi mai visto.
È tutto bianco e rosso, come le porte, eccetto gli strumenti elettronici, in gran parte di metallo.
Radar, trasmettitori, sismografi, armi, maschere antigas…c’è di tutto.
Dopo averci permesso di dare un’occhiata approssimativa al tutto, finalmente cominciano le presentazioni.
- Alcuni di voi mi hanno riconosciuto, altri non mi hanno mai visto. Lasciate quindi che mi presenti. Io sono Warren. Vivo qui da prima dell’inizio della guerra, per due anni ho fatto l’AngeloNero. Gestisco l’accampamento profughi e gran parte dei campi. Vi spiegherò brevemente come funziona qui. Molti di voi già lo sapranno, ma tengo a precisare che non vivrete come parassiti in questi luoghi sicuri. Vi sarà concessa una settimana per rimettervi in forze, vi verranno dati cibo e acqua in quantità, per quanto piccole, sufficienti. Al termine di questa settimana dovrete scegliere in quale settore di questo piccolo centro lavorare. Potrete diventare AngeliNeri, come contadini, come tecnici. Ogni mese vi verrà data l’opportunità di cambiare la vostra scelta, in base ovviamente alle possibilità. Se deciderete di lavorare all’aperto passerete molto tempo con me. Se invece opterete per il treno dei pendolari, che è il modo in cui molti di noi chiamano gli AngeliNeri, farete compagnia. In caso optiate per il lavoro tecnico, Sebastian sarà felice di aiutarvi. Detto questo, Sharon vi accompagnerà nei vostri alloggi temporanei.-
Nel fare i nomi degli altri due “capi” del centro, Warren aveva indicato la ragazza che prima mi aveva consolata e un altro uomo, con i capelli lunghi legati dietro la nuca e un paio di occhiali dalla montatura leggera e squadrata.
Noto solo ora che Sharon è estremamente giovane. Avrà si e no 20 anni.
Tiro fuori tutto il coraggio che ho in corpo e mi avvicino. Sono sempre stata molto timida, non sono brava a fare amicizia, ma questa ragazza mi ispira. Ci provo:
-Ciao…-
-Come?- L’ho colta di sorpresa, stava camminando spedita verso un lungo corridoio e non si guardava alle spalle. – Oh ciao, sei tu! Io sono Sharon, ma penso tu lo abbia capito dalla lunga e noiosa presentazione di Warren. Tu invece sei?..-
-Mi chiamo Christina. Warren sembra a posto, e finalmente credo di aver capito qualcosa di più su questo posto.-
Lo sguardo le si illumina, e la cosa mi lascia stupita.
-Ti piace davvero? Vedi che non era così male come sembrava? È solo un modo per tenere alla larga gli sconosciuti e i militari che a volte ispezionano i campi. Non trovano mai nessuno perché abbiamo messo dei sensori lungo tutta la linea di confine, e quindi veniamo avvisati prima se qualcuno entra. Quando vedono questo rudere abbandonato non si fermano nemmeno a controllare, dalle finestrelle rotte si vede che è vuoto.-
Oddio ma parla un sacco. Mi piace. Almeno non ci saranno momenti morti tra di noi.
Ha un’immensa massa di capelli rossi leggermente mossi, gli occhi verdi e tante piccole lentiggini sparse sul viso.
Le sto osservando la piccola bocca a cuoricino quando ricomincia a parlare, ma sta volta con tutti.
-Eccoci, siamo arrivati. Questi sono i vostri dormitori provvisori.- Apre la porta con un laser verde. –Starete qui nella settimana di riposo, i pasti verranno serviti nella mensa grande, ma se non vorrete venire potrete semplicemente ordinare ciò che volete dal foglio che ogni giorno un addetto tecnico vi porterà. Sulle brandine ognuno di voi troverà dei vestiti puliti e la mappa del centro. Adesso a turno potrete cambiarvi e lavarvi. Ha piovuto abbondantemente quest’anno, e abbiamo abbastanza acqua per tutti. Mi dispiace comunicarvi però che la doccia sarà fredda, e ne sono concesse due a settimana. –
Due docce a settimana?! Mi sembra un sogno. In città il sistema idrico funzionava male e perdeva. Il massimo era una doccia ogni settimana. Per un membro solo della famiglia. Io facevo la doccia ogni 3 settimane…almeno sino a quando ho avuto la casa. Una volta crollata mi lavavo nel fiume come tutti, ma non serviva a molto.
Sto per piangere, questa volta dalla gioia.
Mi fiondo sul primo letto che trovo, prendo i vestiti e li annuso. Sanno di pulito. C’è un vestito a fiori bianco e azzurro, un paio di scarpe da ginnastica, una maglia nera a maniche corte e un paio di pantaloncini di jeans. Ovviamente sono tutti vestiti raccolti dagli AngeliNeri durante le ricognizioni nelle case distrutte, quindi non sono proprio in buono stato, ma le lacrime iniziano a scorrere calde sulle mie guance.
-Che succede, non ti piacciono? Posso chiedere a Warren se c’è qualcos’altro…-
Sharon è dietro di me e mi guarda preoccupata.
Non ci penso su due volte e le getto le braccia intorno al collo.
-Questo è molto più di quanto avessi sperato, davvero, grazie…-
Mi asciugo le lacrime con le maniche della felpa lurida che indosso ora. Ho assoluto bisogno di una doccia.
-Quando hai finito di sistemarti, vieni nella sala comune, voglio presentarti ad un po’ di persone. Oh, e dimmi se i vestiti sono della tua taglia, magari ti trovo qualcuno con cui scambiarli.-
-Aspetta, dov’è la sala comune? Non ci sono i nomi sulla mappa!-
Non sono mai nemmeno stata brava a leggere le mappe.
Sharon tira fuori una matita dalla tasca del golfino verde che indossa, e fa una grossa X su uno spazio circolare nella parte est dell’edificio.
-Ci vediamo qui…- dice puntando la X con la matita, -…a mezzanotte e mezza. So che sarai stanca ma ti prego vieni.-
-Ci sarò sicuramente, aspettami li.-
Le stampo un bacio sulla guancia e scappo verso le docce, contenta di avere qualcuno con cui parlare.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3108094