Smile

di DianaSpensierata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Scientist ***
Capitolo 2: *** Keep The Faith ***
Capitolo 3: *** Begin Again ***
Capitolo 4: *** Change ***
Capitolo 5: *** The Lucky One ***
Capitolo 6: *** Fearless ***
Capitolo 7: *** Will You Be There ***
Capitolo 8: *** SOS ***
Capitolo 9: *** Demons ***
Capitolo 10: *** Disaster ***
Capitolo 11: *** Innocent ***
Capitolo 12: *** Stranger In Moscow ***
Capitolo 13: *** Too Little Too Late ***
Capitolo 14: *** All Too Well ***
Capitolo 15: *** Where I Stood ***
Capitolo 16: *** Slipped Away ***
Capitolo 17: *** Here We Are ***



Capitolo 1
*** The Scientist ***


Camminava. I passi scricchiolavano sulla ghiaia. Infagottata in abiti decisamente troppo grandi, la figura femminile si faceva strada tra le lastre di pietra cercando un nome, gli occhi velati di ricordi, le labbra imbronciate in un’espressione triste che ogni tanto scivolava in un sorriso, ogni tanto in una smorfia, i capelli ormai tendenti al grigio che le ricadevano da sotto il cappello nero davanti a quello che un tempo doveva essere stato un bel volto. Trovò il nome che cercava, e con un sospiro si sedette a gambe incrociate sul terreno.
Quando qualcuno che ami se ne va, è come uno schiaffo in faccia, un pugno nello stomaco, ti crolla la terra da sotto i piedi. Sophie nella sua vita aveva subìto quel tipo di schiaffo più volte, eppure l’ultima fu la più dolorosa. Dire addio a Michael fu la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare.
E così si trovava, di fronte a una stupida lastra di pietra, fredda, anonima, davanti alla quale il mondo intero avrebbe potuto piangere senza mai dare l’impressione che fosse meno dimenticata, abbandonata.
Canticchiò, ignorando il tremolio della voce, quella canzone che conosceva talmente bene che era ormai diventata il suo silenzio. Il loro silenzio. Sapeva che parlare non sarebbe servito a niente: nemmeno quando i suoi genitori se n’erano andati le era mai stato d’aiuto, e poi le era impossibile fingere che Michael le avrebbe risposto.
Si calcò il cappello sulla testa e si strinse nella giacca, per ripararsi forse dal freddo, forse dalla solitudine. Tormentò la rosa che teneva tra le mani. Se lui fosse stato lì, probabilmente avrebbero riso di quanto fosse un gesto scontato, regalare dei fiori. Ma lui non avrebbe più riso, e così neanche lei.
Iniziò a piovere. Niente di più appropriato, si disse ironica, storcendo la bocca. Lasciò il fiore a terra e appoggiò la schiena alla pietra, pensando che dopotutto non sarebbe stata una cattiva idea non muoversi più da lì. Quelle stupide lastre le avevano portato via tutto, e ormai lei non era più tanto diversa da loro. Una semplice custode del passato.
Sospirò. All’inizio oppose un po’ di resistenza ai ricordi, ma poi si lasciò travolgere dal sapore dolceamaro di quella storia, rivivendola, quasi come se non ne avesse fatto parte, eppure assaporandone ogni doloroso istante, che sapeva non avrebbe mai dimenticato.


ANGOLO AUTRICE
Ciao Ragazze! Allora, ho iniziato questa storiella, questa fanfiction sul mio (nostro) idolo... spero vi piaccia! Il titolo di ogni capitolo si riferisce alla canzone che io ci associo, sarebbe bellissimo per me se voleste ascoltarle di volta in volta mentre leggete! La prima canzone, The Scientist, è dei Coldplay, lo so è molto triste ma per un inizio così ci voleva... Mi raccomando, recensite come pazze, voglio sapere cosa pensate!

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Capitolo 2
*** Keep The Faith ***


~~Michael adorava quei momenti. Quelli in cui il desiderio, l’aspettativa del pubblico erano lì solo per lui e poteva farli durare a piacere… godersi le urla, la tensione, mentre invece la sua, accumulata durante le prove, svaniva e lui ascoltava solo il suo respiro. Fece il segnale concordato e la musica iniziò, sentiva l’entusiasmo crescere in lui per la consapevolezza di come il pubblico diventava sempre più avido delle sue note… si sentiva in cima al mondo, invincibile, finalmente.
Sembra impossibile, ma fu come un flash immediato: nonostante la luce puntata contro il palco, riuscì, nella prima fila, a posare gli occhi su un viso che perfino da quella distanza si distingueva dagli altri… no, quella donna non aveva il tipico atteggiamento adorante delle sue ammiratrici, era lì con qualcosa in più, come se stesse vivendo la musica per la prima volta, ma allo stesso tempo la conoscesse. “Io voglio conoscere lei” pensò deciso.
Allungò la mano. E, come sempre, il suo volere si realizzò.

Sophie si innamorò. Si innamorò delle melodie, delle parole, dei ritmi veloci, delle coreografie vivaci. Si innamorò di quella musica che aveva ignorato per tanto tempo, fingendo di odiarla, per puro spirito di contraddizione, essendo la preferita della madre. Si innamorò, solo come ci si può innamorare della musica, all’improvviso, semplicemente, come bambini, con stupore. E a fatica resse lo stupore di rendersi conto che un artista di fama mondiale stava tendendo la mano verso di lei, indicandola e invitandola a salire sul palco, proprio durante quella canzone.
Lo raggiunse. Era come camminare…

…al rallentatore, in unsogno… quella ragazza era un sogno, una canzone, quella canzone, piena di armonia eppure con qualcosa di oscuro dentro, che le note sembravano però allontanare, spingendola verso qualcosa di nuovo.

Una nuova vita… partendo da quel momento, da quella canzone. Una volta salita sul palco, prese senza pensarci un attimo il microfono che le era stato offerto, e cantò, con voce sottile e fluida, via via sempre più forte, le parole che le sembrava di aver vissuto ogni giorno della sua vita, sentendosi potente e sfondando ogni barriera, oltre la quale poteva affacciarsi sulla sua vita, sorridere finalmente anche ai ricordi più brutti. Dopo tanto tempo, sorridere.

La canzone terminò. La donna sembrò metterci un po’ ad accorgersene, ma poi sentì l’esplosione del pubblico e scoppiò a ridere, guardando Michael che le sorrise e le andò incontro. Si abbracciarono.

*inizio flashback* Sophie si svegliò nel cuore della notte. Tastò il comodino alla ricerca di carta e penna, facendo cadere un paio di oggetti prima. Imprecò, accese la luce e cominciò a scrivere.
Non sapeva perché l’ispirazione per i suoi testi le venisse solo ed eslusivamente di notte, ma quando succedeva non poteva lasciar scivolare via le parole, che sicuramente una volta messe insieme avrebbero dato vita a qualcosa di niente male. Aveva già scritto quasi una dozzina di canzoni, ormai sapeva come funzionava, non le restava che assecondare il processo.
La porta della sua camera si spalancò. – Cos’è successo? – chiese sua madre, troppo stanca perché anche il viso esprimesse la stessa preoccupazione della voce. Doveva aver sentito cadere la sveglia.
– Niente, mamma. Mi è solo caduta questa per sbaglio.–
– Come mai sei sveglia?–
– Dovevo solo buttare giù un paio di righe.–
– Non potevi aspettare domani?–
Sophie sorrise scuotendo la testa. – Mamma, ai grandi cantanti succede così. E io diventerò una grande cantante.–
*fine flashback* Quel ricordo la colpì all’istante. Sbattè le palpebre e si staccò da Michael, ancora sorridendo, anche se un po’ frastornata. Tornò con le gambe che le tremavano in mezzo al pubblico accompagnata da occhiate di invidia e ammirazione, disorientata dalla consapevolezza di avere, da anni, perso il suo più grande sogno. Ma allo stesso tempo felice di aver avuto l’occasione di ricordarlo, forse tardi, forse non troppo. Sorrise di nuovo e ballò tutte le canzoni successive.

È andata alla grande, si disse Michael una volta nel camerino, accasciato sulla poltrona, troppo stanco per cambiarsi.
Ancora una volta la magia, la trasformazione che subiva sul palco aveva dato i suoi frutti. Chiunque lo avesse consciuto davvero e a fondo lontano da quel rifilettore, si sarebbe reso conto di quel mondo che l’adrenalina e la musica nascondevano, senza però eliminare mai del tutto. Ma nessuno sapeva, capiva né poteva capire. Eccetto forse…
Non appena il ricordo della donna che aveva chiamato sul palco si presentò, recuperò le forze e si precipitò fuori, ignorando i richiami dello staff. Era dannatamente freddo, ma voleva rivederla.

Sophie uscì dalla folla così come vi era entrata all’inizio di quella notte grandiosa. Aveva dimenticato il potere che la musica poteva avere su di lei, eppure ora, con un sorriso che pensava non avrebbe rivisto per molto tempo, si voltò un’ultima volta prima di lasciare l’edificio, che sembrava ancora rieccheggiare le note dell’ultima canzone.
Vide una figura nella penombra. Accigliata, si trascinò fuori dalla calca, e, incredula, riconobbe Michael. Rispondendo al suo cenno, sbalordita di avere la precedenza sui migliaia di fan in attesa di un saluto, un abbraccio, un autografo, lo raggiunse dietro lo stadio.

Le sorrise tendendole la mano. – Credo tu sappia il mio nome. Però non conosco il tuo.–
– Sophie… sono Sophie–
– E’ stato bellissimo cantare con te, davvero. Hai una splendida voce.–
Sembrò rimanere incredula di fronte al complimento. – Oh, non lo so. L’ultima volta che ho cantato seriamente avrò avuto… diciassette anni? Ora non mi ci dedico più…–
– Dovresti, Sophie. Potresti fare grandi cose e grandi canzoni con quella voce.– quasi ancora prima di pensarci, di rendersi conto che era quello che più voleva da quando l’aveva sentita cantare, glielo chiese. – Ti andrebbe di fare un duetto con me?–

Questa volta la donna ammutolì per un po’, quasi scioccata. – S-sul serio?– rise all’idea. Doveva essere uno scherzo. – No, non sono la persona adatta.–
– Questo dovrei capirlo io per primo, non credi?– replicò, sembrando divertito. Il suo sguardo si fece più intenso. – Perché sei venuta qui?–
Sophie arrossì, ancora confusa ma consapevole che la verità non era la cosa più carina da dire ad un artista di fama mondiale, tuttavia ammise: – Per caso…–
– E’ così che inizia tutto.–
Cercò di mettere a fuoco quelle parole, capirle, ma senza successo.
– Perché non torni dentro? Ti faccio sentire la canzone, così , per vedere se ti piace.–
Ancora esitante, lo seguì comunque di nuovo dentro lo stadio, cercando di calmarsi, pensando che non aveva nessun obbligo, ma neanche nessun limite. In quella situazione assurda e straordinaria, la scelta era nelle sue mani. E questa volta sentiva che non avrebbe sbagliato, affidandosi semplicemente alla canzone che Michael stava iniziando a suonare alla tastiera. Avrebbe dovuto immaginare che anche quella melodia, energica e allo stesso tempo accorata, e quelle parole splendide, forti, l’avrebbero fatta innamorare, e fare quella scelta.
Quando la canzone finì fu come risvegliarsi da un sogno, avendone però ancora le immagini impresse nella mente.

Michael si rivolse verso di lei, teso. Aveva appena appoggiato l’accordo finale, eppure lei aveva ancora un’espressione indecifrabile. Forse la canzone non le era piaciuta. O forse non era pronta. Forse la canzone di prima non aveva allontanato quell’ombra che lui aveva visto, quell’ombra che neanche i riflettori illuminano, quell’ombra che anche lui aveva. Ti prego, accetta.

– Allora?– chiese lui, con un sorriso.
Sophie si morse il labbro. Per la prima volta non riflettè: sapeva. E disse il sì che le cambiò la vita.

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Capitolo 3
*** Begin Again ***


Nelle due settimane successive al concerto, Michael era tornato a casa, promettendole un incontro e facendosi lasciare il numero di telefono di Sophie. In quel periodo organizzò impaziente il lavoro che li attendeva, lavorando duramente e con precisione alla parte strumentale, e facendo preparare la casa per il suo arrivo.
Sebbene abitasse a Santa Barbara, un po’ distante dallo studio di registrazione , non avrebbe permesso che lei passasse il suo tempo in un anonimo albergo; anche perché nonostante il suo incredibile talento, Sophie non era una professionista, e perciò da un punto di vista razionale l’avrebbe rallentato, prolungando il lavoro più del necessario. Ma non gli importava, la sua voce sarebbe perfetta. Inoltre il suo album era uscito da poco più di un anno e il contratto con la casa discografica non gli metteva fretta per i successivi due. Perciò, con quel tempo a disposizione, e la voce di Sophie, si convinse che il lavoro sarebbe risultato all’altezza delle sue aspettative.

Finalmente, un pomeriggio, il telefono squillò.
– Pronto?–
– Sophie– la donna riconobbe immediatamente la dolcezza nella sua voce.
– Michael… sono io.–
– Sono tornato. Sono atterrato ora. Posso portarti fuori a cena? Per parlare della canzone.–
– Certo, ti aspetto– gli diede l’indirizzo.
– Passo a prenderti alle 8–
– D’accordo…– non fece in tempo a salutarlo che lui riattaccò subito.
Controvoglia, non essendo una grande amante dello shopping, fece una scappata al negozio più vicino e comprò un abito da sera. Una volta arrivata a cas a, indugiò parecchio tempo davanti allo specchio, non riconoscendo niente della vecchia Sophie nell’immagine che stava guardando. Probabilmente era una cosa positiva. E quell’agitazione, considerata la situazione, era normale, anzi quasi riduttiva. Sorrise al suo riflesso, cercando di convincersi di essere serena. Non riuscì a concludere il tentativo prima che suonassero alla porta.
Corse ad aprire e trovò Michael, in smoking (ma con il cappello), in piedi davanti a lei, sorridente. A lasciarla senza fiato sarebbe bastata la concretezza di quel momento, e invece no, ci si mise anche quel sorriso. Sophie lo ricambiò come meglio potè, pur sentendosi improvvisamente minuscola.
– Sei pronta?– le domandò. La donna annuì e si lasciò accompagnare all’interno della limousine, cercando di non inciampare nelle scarpe col tacco.
Non ci sono parole per spiegare la meraviglia e lo sconcerto che provò una volta entrata nel ristorante.
– Oh Michael, non dovevi. Io sono una tipa da fast food– gli sussurrò, aggrappandosi al suo braccio, temendo che tutto quel lusso l’avrebbe inghiottita e risputata coperta di diamanti.

Michael scoppiò a ridere. Si accomodarono al tavolo che aveva prenotato, e attirarono subito l’attenzione degli altri clienti. Era abituato a quel mormorio, ma si voltò per vedere che effetto avrebbe avuto su Sophie. In realtà lei sembrava più concentrata sull’enorme quantità di posate allineate accanto ai piatti.
– Chiunque sieda al mio tavolo può scegliere la posata che preferisce– le strizzò l’occhio.
– Soprattutto se è un tipo da fast food, giusto?– rispose lei sorridendo. Sembrava impaziente di discutere della futura collaborazione, ma ci volle una buona mezz’ora prima che gli altri clienti smettessero di avvicinarsi al loro tavolo, dichiararsi onorati di vederla, mr Jackson, e chi è la splendida donna seduta con lei, buona serata, vi ringrazio.
– E’ sempre così?– gli chiese lei infine, con un sorriso ora un po’ più stanco.
– Quasi sempre– confermò lui, leggermente innervosito ma deciso a non rovinare la serata.
– Se non ti spiace, vorrei chiederti alcune cose sul lavoro che mi hai offerto…– bevve un sorso di vino. – Per prima cosa, dove registreremo?–
– A Los Angeles.–
– E nel frattempo dove dormirò?–
– A casa mia, a Santa Barbara.–
Sgranò gli occhi, sorpresa. – Davvero?–
– Certo, spazio ce n’è, e poi sarà molto più comodo per entrambi.–
– Mi prometti che ci saranno meno posate?– ironizzò lei, tornando a sorridere.
– Lo giuro– si mise la mano sul cuore.
– Allora ci sto– rise Sophie. – Un’altra cosa…–
– Sì, avrai una percentuale sulla vendita– annuì lui distrattamente, aspettandosi la domanda. Ma l’espressione della donna sembrava sorpresa. – Non era quello che volevi chiedermi?–
– Credo di non averci neanche pensato– ammise lei.
Quella era musica per le sue orecchie. Sedersi al tavolo con qualcuno per parlare d’affari che non avesse preso in considerazione l’aspetto economico, era certamente una novità per lui. Ma una novità piacevole.

Le sembrava strano poter guadagnare ancora di più da quell’enorme opportunità. Com’è possibile che le cose stiano andando bene?, si ritrovò a chiedersi, innumerevoli volte durante la cena.
– Inoltre se il brano diventasse un singolo potresti venire in tournè con me e farti un nome–
A Sophie per poco non andò di traverso il vino. – Come?–
Michael scoppiò a ridere. – Scusa, forse sto correndo troppo. Vediamo come verrà la registrazione. Quando ti va di partire?–
– Se questo è il tuo modo di rallentare, puoi fare di meglio– replicò lei con un sorriso.
– Mi dispiace, intendevo se c’è un periodo in cui sai che dovrai essere a San Bernardino.–
Sophie riflettè. Non aveva un lavoro, né appuntamenti, né una famiglia, se non fosse stato per la sorella che abitava in Europa. – In realtà, niente mi trattiene qui. Posso partire in qualunque momento.–
– Anche stasera?–
Avrebbe voluto esclamare qualcosa del tipo “mi prendi in giro?” ma poi si rese conto di non avere nessuna obiezione sensata.  Partire quella sera, tra una settimana… che differenza poteva fare? – Beh, okay, lascia solo che torni a casa e metta via un paio di cose e…–
– Ti comprerò tutto quello che ti serve una volta arrivati a Santa Barbara, non preoccuparti– replicò senza esitare.
– Non è necessario– fece lei con un cenno.
– Ma lo faccio con piacere. È il minimo per ringraziarti di aver lasciato tutto per partire.–
Probabilmente Sophie doveva aver già bevuto un po’ troppo vino, perché prima di rendersene conto rispose: – In realtà non ho lasciato niente…– tuttavia Michael non fece domande, e lei gliene fu grata.

Fu una serata piacevole, anche se (o forse, soprattutto perché lo fu) così fuori dall’ordinario per lui. Sophie era una compagnia decisamente piacevole, così diversa dalle persone che lo circondavano di solito. Si era sentito più solo a feste, durante il lavoro, e beh, con chiunque altro che quella sera, a quel semplice tavolo per due. Non aveva mai chiesto altro che qualcuno con cui passare il tempo in modo naturale, senza schermi, doppie facce e sorrisi falsi, interessati… e credeva di aver finalmente trovato quel qualcuno in Sophie. – Vorrei brindare a te, ragazza da fast food–.


ANGOLO AUTRICE
Nuovo capitolo fresco fresco! Questa volta, una canzone di Taylor Swift, Begin Again. Eh sì, perché questa cena non è che l'inizio della nuova vita di Sophie che, come scoprirete prossimamente, non è stata affatto facile... ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Change ***


~~Non aveva nemmeno immaginato che non avrebbero usato gli aerei di linea, eppure avrebbe dovuto prevederlo. Dopo aver lasciato il ristorante, aveva insistito per prendere alcune cose da casa sua, dopodichè avevano raggiunto un piccolo aereoporto privato, dove un jet stava già scaldando i motori. Un uomo caricò il suo bagaglio nella stiva mentre le guardie del corpo che, seppur a rispettosa distanza, erano stati con loro per tutta la sera, li guidavano all’interno.
L’ambiente era incredibilmente confortevole, e la comodità delle poltrone si conciliava fin troppo con il vino e con la stanchezza, così, senza nemmeno rendersene conto, dormì per tutto il viaggio fino a Santa Barbara.
Appena svegliata era ancora troppo intontita e non si rese completamente conto del fatto che stessero scendendo per salire sull’ennesima limousine, ma quando arrivarono a Neverland non potè non riscuotersi.
Michael la osservò in disparte mentre si guardava intorno. Probabilmente cercava di indovinare cosa ne pensasse, ma perfino lei faticava a capirlo. In quanto ragazza da fast food, non poteva non sentirsi in qualche modo fuori posto di fronte all’eccentricità della villa: era tutto troppo. Eppure si rese conto che c’era qualcosa di familiare nell’atmosfera generale, che la faceva sentire più a casa di molti altri luoghi. Rimase per un tempo interminabile a rimirare le stanze, gli arredi, il grande pianoforte nel salotto, le statue, i quadri, con un sorriso forse un po’ ebete, ma non c’è posto che abbia più bisogno di tempo per essere assimilato e capito di Neverland.
Michael sembrò rendersene conto, perché le lasciò a disposizione quel tempo. Quando poi lei si voltò, lui senza dire una parola, ma con un gran sorriso, l’accompagnò nella sua stanza, piena di comodità ed esagerazioni di ogni genere. – Credo sia grande più o meno come il mio appartamento– osservò ridendo.
– E come la valigia che ti sei portata dietro– scherzò lui.
Sophie incrociò le braccia davanti al petto. – Non potevo soggiornare nella camera della casa di Michael Jackson senza…– aprì la valigia che era stata appoggiata sul pavimento – il mio lussuosissimo pigiama di flanella scozzese.– inarcò un sopracciglio, come a sfidarlo a fare di meglio.
Lui scoppiò a ridere. – E quanti pigiami di flanella hai per aver riempito la valigia?–
– Beh, soltanto un paio, ma ci sono un sacco di oggetti che sono indispensabili per vivere in una casa del genere. Sai, per ricordarmi che sono povera e che prima o poi mi sveglierò– sorrise.
– A proposito di svegliarsi, anche se l’hai fatto da poco, sarai comunque stanca.–
Lei annuì. – La serata è stata rilassante, ma quelle scale Michael…–
Lo fece ridere di nuovo. – Buonanotte– le disse dolcemente.

Il giorno seguente Michael bussò alla sua porta all’ora che gli parve più ragionevole. Sophie lo invitò ad entrare e lo accolse ancora in pigiama e con i capelli arruffati, seduta a gambe incrociate mentre guardava fuori dalla finestra.
– Buongiorno, dormito bene?–
– Ho rischiato di perdermi in mezzo alle coperte, ma sì, ho dormito bene.–
– Ti va di fare colazione?–
– No grazie, non ci sono molto abituata. Diciamo che di solito mi sveglio più vicino all’ora di pranzo…–
Michael rise. – Conosco il problema. O almeno, lo conoscevo, prima di…–
– Diventare Michael Jackson?–
– Già– sorrise. – Perciò lavori part time?–
Sophie si morse un labbro. Tornò a guardare verso il giardino. – Non lavoro, in realtà.–
– Come mai, se posso chiedertelo?–
La donna sospirò e si rannicchiò contro il vetro, stringendo le ginocchia al petto. Sembrava incredibilmente giovane, senza trucco e con quell’aria assonnata. Eppure fu il tono con cui parlò che lo fece intenerire ancora di più. – Diciamo che ho un po’ valutato male le cose. All’inizio, scegliendo l’indirizzo di studio, ero convintissima e entusiasta, ma non avevo considerato certi “fattori”.–
– Che intendi?–
– MI sono laureata in psichiatria col massimo dei voti, e con un’offerta di lavoro arrivata un mese dopo la laurea, non potevo rinunciare, e così mi ci sono buttata. Sbagliando.– sospirò. – Quello che non avevo considerato, era quanto entrassi nei problemi delle persone. Perciò, sentendo tutte quelle storie orribili, diventai più o meno io quella da psicoanalizzare– fece una risata secca. – Una volta dichiarata inabile, lasciai il lavoro senza pensarci due volte.–
– E’ una storia davvero triste…–
Sophie scrollò le spalle. Doveva esserci voluto del tempo per calcolare quell’indifferenza. – Adesso non importa. Sono contenta di essere qui. Preferisco non pensare a cosa succederà dopo. A quando mi sveglierò.– sorrise.
– Resta il più possibile– disse Michael di slancio. La donna lo guardò incuriosita. – Insomma… nessuno ti manda via. Lavoreremo finchè la canzone non sarà perfetta. Ed è meglio che tu lo sappia fin da subito…–
– Che sapppia cosa?–
– Che sono un perfezionista!–

Se ne sarebbe presto accorta. Le ore in sala di registrazione si susseguivano rapidamente e le pause si riducevano sempre di più, il lavoro era quasi estenuante. Dopo una settimana Sophie era quasi allo stremo delle forze, a causa anche del continuo avanti indietro da Santa Barbara allo studio di Los Angeles.
Chiariamo, era entusiasta di tutto quello. La prima volta che entrò nello studio avrebbe voluto urlare: aveva realizzato il suo sogno. L’ambiente era fantastico e i collaboratori di Michael non la snobbarono affatto, anzi la trattarono da subito amichevolmente, e già dal secondo giorno era come se li conoscesse da sempre.
Quella mattina, quando Michael bussò alla sua porta, le sembrava di essersi appena addormentata. Ormai lui sapeva di non dover attendere la sua risposta la mattina, pesante com’era il suo sonno. Lo sentì scrollarla.
– Mmm– brontolò.
– Forza, tra un’oretta partiamo– disse semplicemente.
– Buongiorno anche a te–
– Anche a te. Non sapevo che dalle tue parti “mmm” fosse un saluto.–
– Neanche dirmi che dovrò lavorare è il massimo.– replicò lei, voltandosi a guardarlo. – Sul serio, mi vuoi morta?–
– Non esagerare– sorrise lui, e fece per andarsene.
Lei lo fermò. – Non sto scherzando, Michael. Io per lavorare bene ho bisogno di dormire. Lo dico per te!–
Sospirò. – Ti prometto solennemente che oggi lavoreremo meno del solito.–
– Manterrai la promessa?–
– Certo!–
Non la mantenne.
Sophie gli tenne il broncio per tutto il viaggio di ritorno (almeno, per il tempo in cui fu sveglia). Lui la guardava di sottecchi. Sembrava divertito. Quando entrarono in casa, la fermò prima che salisse le scale. – Oh, andiamo. Domani riposeremo. Promesso.–
– L’ultima volta che hai fatto una promessa non è andata bene– replicò lei.
– E se domani ti lasciassi dormire fino a tardi?–
– Se non vedo non credo! E comunque, prima dovrei arrivarci, in camera.–
– Ma?–
– Le scale, Michael– piagnucolò, cercando di trattenere una risata.
– Beh, se è solo questo il problema…– la prese in braccio e la portò fino al piano superiore.
Quando la lasciò andare, lei protestò. – Neanche fino in camera? Che gentiluomo–
– Non posso farci niente, pesi.–
Lei sgranò gli occhi. – Doppiamente gentiluomo! Mi stai dando della cicciona?–
Michael le diede un bacio sulla guancia. – Buonanotte.–
Sophie lo spintonò via ridendo. – Non hai risposto.–



ANGOLO AUTRICE
Eccoli di nuovo qui, Michael e Sophie, alle prese con loro stessi e con la loro autrice che non li lascia mai stare!!... Il titolo del capitolo (un'altra canzone di Taylor Swift, lo so sono banale, temo ne troverete molte altre anche più avanti!..), l'avrete capito, si riferisce all'inizio sia del loro lavoro che della loro convivenza, che porterà un po' di scompiglio nelle vite di entrambi... o forse farà loro solo del bene? Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 5
*** The Lucky One ***


~~Dormì profondamente. Dopo un tempo per lei indefinibile bussarono alla porta. Sapendo che si sarebbe aperta comunque, non fece neanche lo sforzo di alzarsi, e si voltò semplicemente verso Michael. Vedendola sembrò quasi intenerito di fronte all’aspetto generale probabilmente comatoso che doveva avere. Con una smorfia chiese che ore fossero.
– Le quattro…–
Si rizzò a sedere. – Cosa? Ho dormito tutto il giorno?!–
– No, Sophie… le quattro di mattina.–
La donna digerì lentamente la notizia. In effetti dalla finestra non proveniva luce naturale. – Prima che ti insulti, conterò fino a dieci e ti chiederò perché mi hai svegliato.– Michael le sembrò in difficoltà. Si accigliò. – Tutto bene?–
– Sì, volevo solo…– fece un sorriso forzato. – Non importa.–
Uscì dalla stanza lasciandola senza parole. Lo seguì in corridoio. – Aspetta!– si voltò a guardarla in modo strano, e ci mise un po’ a capire il perché: non aveva indossato i pantaloni del pigiama. Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, Michael con lei.
– A questo punto mi viene da pensare che dovrei svegliarti più spesso a quest’ora.–
– Sai, aggiungo un indumento allo scoccare di ogni ora.–
– Chissà come ti avrei trovato a mezzanotte…– replicò lui.
– Cicciona?– ipotizzò lei, inarcando un sopracciglio. Michael scoppiò di nuovo a ridere.  – Sul serio, va tutto bene?–
Annuì. – E’ meglio che torni a dormire. Domani sarà una giornata lunga…– lei fece un’espressione insofferente. – in giro per Los Angeles.–
– In giro?– il suo viso si illuminò.
– In giro.–
– Vedi? È così che si mantengono le promesse– gli sorrise, tornando in camera sua. – Buonanotte.–

Il mattino seguente, come promesso, si concessero di fare i turisti. O almeno, per quanto possibile. Michael non aveva voglia di coprirsi il volto anche quella mattina, ma sapeva che uscire allo scoperto avrebbe avuto il suo prezzo. Lasciò però che le guardie del corpo allontanassero la gente che si avvicinava: era troppo stanco per essere amichevole.  La notte precedente era stato male, motivo per cui aveva svegliato Sophie. Aveva evitato in tutti i modi possibili l’argomento, pentito di averla chiamata, ma lei era sicuramente rimasta piuttosto confusa, anche se come al solito l’aveva nascosto con il sarcasmo.  Quella mattina però sembrava quasi non fosse successo niente, e al momento Sophie sembrava impegnata a riempirsi gli occhi di Los Angeles.
– Che ne dici un po’ di shopping?– propose lui.
– Ammetto di non esserne una patita-non guardarmi così, so di essere una donna- ma per Los Angeles credo si possa fare un’eccezione…–
Mezz’ora più tardi Michael si stava già pentendo dell’invito. Sophie aveva effettivamente tirato fuori la donna che era in lei, e ormai ci aveva preso gusto a camminare avanti e indietro per i negozi, caricandosi di abiti e sfrecciandogli davanti al naso ogni due secondi. Stava esaminando una giacca tempestata di colori, quando distrattamente gli chiese: – E’ dura convivere tutti i giorni con gli assalti dei fan?–
– In realtà, di solito lo trovo molto piacevole. È che a volte per stanchezza, a volte per voglia di… non so, essere invisibile,  diventa tutto più pesante.– si rabbuiò. – Mi dispiace di dare questo peso anche a te.–
– Cosa intendi?– chiese lei, quasi sparita dietro la montagna di vestiti.
– Magari preferiresti fare la turista, e vivere il tutto più tranquillamente… dev’essere noioso per te essere continuamente interrotti, come anche l’altra sera, alla cena.–
Sophie scaricò i vestiti all’interno del camerino e si voltò verso di lui ridendo. – Non dirai sul serio! Tutto questo è incredibile, mi sto divertendo un mondo. Sono solo gelosa che nessun fan accorra per me…–
– Per ora– sorrise lui, mentre la donna spariva dentro il camerino.

– Grazie per questi regali– gli sorrise Sophie qualche ora più tardi, mentre si accomodavano in un ristorante. Effettivamente si era fatta un po’ prendere la mano nei negozi, ma ora rifletteva che probabilmente non le piaceva lo shopping perché non aveva mai avuto il denaro per fare del vero shopping. Ridacchiò tra sé.
– Figurati… ti vedo di buon umore.–
– Lo sono. Questa città è fantastica.–
– Non ci eri mai stata?–
– Sono colpevole! Avrei sempre voluto farlo, ma…– si strinse nelle spalle sorridendo. – A volte è facile perifno dimenticare quello che si vuole.–
– Capisco– annuì lui.
– Questo pomeriggio lavoriamo?–
– No, io ho un appuntamento in città… tu puoi tornare in limousine, io arriverò più tardi col jet.–
– Oh, d’accordo.– esitò. – I tuoi animali sono rinchiusi, vero?– aveva avuto l’occasione di vedere di sfuggita lo zoo di Michael, e le sarebbe piaciuto moltissimo, se non fosse stato per la parte esotica, ricca di pitoni, tarantole… rabbrividì al solo pensiero.
– Certo, tranquilla. Non capisco perché ti spaventino…–
– Perché sono spaventosi.–
Scoppiò a ridere. – Non è una risposta–
– Che posso dirti? Anche agli psichiatri è concesso avere delle fobie. E poi a chi piace circondarsi di animali viscidi e velenosi?–
– A chi li compra, per esempio?–
– Non lo posso immaginare.–
– E io immagino che non ti piacerebbe uno scherzo…– buttò lì Michael con malizia, ricordando quando da piccolo metteva serpenti nel letto della sorella minore.
– Non pensarci neppure! Fidati che prenderei il primo volo. Al liceo lasciai il mio ragazzo che ci scherzava su.–
– Addirittura?–
– Beh… era uno dei motivi.– alzò le spalle con aria innocente, finendo di masticare l’ultimo boccone. Poi guardò nel piatto di Michael. – Come, non mangi?–
– In realtà mi è passato l’appetito–
– Ehi, non fare il geloso, avevo il ragazzo ma non ti conoscevo ancora… e se ti può consolare lui non mi ha mai visto in mutande.– scoppiarono a ridere. – Però scusa, non ce la faccio a vederti il piatto pieno. Posso, vero?–
Michael rise di nuovo, divertito dalla sua solita spontaneità. – Certo. Non capisco come tu faccia a mantenere quel fisico mangiando in questo modo.–
– Allora ammetti che sono magra!–sorrise soddisfatta. – Comunque, mica posso rivelarti tutti i miei segreti...– si guardò attorno. – C’è ancora dell’aragosta?–
Un paio di ore più tardi, trovandosi sola nell’immensa casa, prese a girovagare nelle stanze. Capitò di fronte alla stanza di Michael, rinunciando alla tentazione di entrare più per paura di essere scoperta che per rispetto. In fondo era solo curiosa.
Tuttavia una strana sensazione non la lasciò per tutto il giorno. Aveva notato in lui qualcosa di strano durante il pranzo, nonostante avessero scherzato come al solito. Per mangiare poco, mangiava sempre poco, ma era sembrato quasi… a disagio, se non triste. Si domandò dove fosse in quel momento.

– Anestesia locale o totale?–
Michael riflettè. – Totale.– sentì l’ago entrargli nella pelle e in breve tempo tutto si fece confuso. Al risveglio avrebbe finalmente potuto lavorare al meglio delle sue capacità. Si rilassò e si lasciò andare sentendosi sempre più leggero.

– Che ti è successo? Hai fatto a botte per comprare l’ultimo disco di Michael Jackson?– scherzò, vedendolo rientrare in casa con il naso fasciato.
– No, solo un piccolo intervento– rispose. Sembrava ancora più a disagio di prima… forse non si aspettava di trovarla alzata. In effetti era piuttosto tardi.
– Come mai?–
– Per poter cantare meglio–
– Affascinante– commentò, incerta. Gli chiese se gli andava di mangiare qualcosa.
– Grazie, non ho fame.–
Sophie iniziava a spazientirsi. – Perché invece di fare il lunatico non mi dici cosa c’è che non va?–
– Perché invece di non fare la ficcanaso non vai a dormire?– sembrò accorgersi solo dopo di quello che aveva appena detto. Comunque tardi per ritirarlo.
– Chiedo scusa, sei sparito tutto il giorno, torni conciato così e non mi è permesso di preoccuparmi?–
– Non siamo mica sposati–
– Che diavolo c’entra?– replicò lei, alzando la voce.
– Che se volessi qualcuno che mi tempesta di domande mi sposerei. O andrei a fare un’intervista.–
Sophie scosse la testa e iniziò a salire le scale. Michael la prese per un braccio. – Aspetta– sospirò. – Mi dispiace.–
Lei incrociò le braccia davanti al petto. – Ti rendi conto che mi hai paragonato a un branco di giornalisti solo perché ti ho chiesto come stavi?–
– Ho detto che mi dispiace.–
– Questo potrei perdonartelo. Ma, Michael…– si avvicinò per guardarlo negli occhi, facendo lo sguardo più ferito che le riuscì. – Mi hai paragonato a una moglie. Le scuse non basteranno.–
Finalmente riuscì a farlo ridere. La abbracciò, lasciandola un po’ sorpresa.– Se vuoi posso andare a fare botte per comprarti l’ultimo disco di Michael Jackson.–
Anche lei rise. – Tranquillo. Abito con uno che gli somiglia, posso accontentarmi.. sempre che non faccia più il lunatico.–
– Non posso garantirlo– sospirò lui, di nuovo serio.
– Ma perché?– sbottò, allontanandosi.
– Non mi va di… riempirti dei miei problemi.–
– E’ la parte migliore dell’essere sposati– replicò lei.
Michael sorrise. – Davvero. Lascia perdere.–
– Solo se mangi un tramezzino con me.– lui alzò gli occhi al cielo. – Dai! Mi conosci, sai che lo mangerò quasi tutto io.–
– Okay. Ti va di portarlo in camera mia?–
– D’accordo– fece spallucce. Lo raggiunse un paio di minuti più tardi. – Servizio in camera– sorrise.


ANGOLO AUTRICE
The Lucky One, un'altra canzone di Taylor Swift (vi avevo avvertite!)... vi consiglio di leggere il testo della canzone, è splendido e rende la mia scelta più comprensibile... il "fortunato" è Michael, o almeno così crede il mondo... siamo già negli anni Novanta e lui sta già scontando il prezzo della sua fama, lo saprete meglio di me, e rischia che costi anche a Sophie... ma in fondo lei è forte, o no?...

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Capitolo 6
*** Fearless ***


~~La stanza di Michael era stupenda ed enorme. Le sembrò che entrando avrebbe potuto perdercisi. La sua aria smarrita lo fece ridere. – Dimmi che dopo un po’ ci si abitua, ti prego– rise anche lei.
– Ebbene sì. Se vedessi com’era la mia casa quand’ero bambino… in tutto in famiglia eravamo in undici, nemmeno questa casa intera sarebbe stata sufficiente, credo.–
– In undici? Come facevano i tuoi genitori a distinguervi?–
– Beh, io ero quello che cantava meglio.–
– Evviva la modestia!– alzò gli occhi al cielo, appoggiando il piatto col panino sul tavolino accanto alla finestra dov’era seduto Michael. Si accomodò vicino a lui e guardò fuori. – E’ stupendo.–
– Vero?– sorrise lui. Iniziò a mangiare. – La tua famiglia, invece?–
Sophie si irrigidì. – Prima dimmi che sono una brava cuoca.–
– Sei una brava cuoca– rise.
– E potrei sempre dirti che se avessi voluto tutte queste domande mi sarei sposata.–
L'espressione di Michael si fece più triste. – Ho detto che mi dispiace.–
– Hai ragione, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento. È che è un po’ difficile parlarne per me. Eventi… troppo recenti.–
– Brutti?–
La donna annuì, in silenzio. Era dalla sera della cena che non pensava ai suoi genitori, ma si rese conto che il dolore non era sparito, non si era nemmeno affievolito. Doveva aspettarselo… in fondo era accaduto tutto all’improvviso, non sarebbe stato facile pensare a loro con il sorriso, senza un briciolo di nostalgia, rimpianto, per molto tempo.
– Ehi, non importa se non vuoi parlarne– la riscosse Michael con dolcezza.
Sophie gli sorrise debolmente. – Beh, posso dirti che comunque ho avuto una bella infanzia. Normale, ma bella. Cantavo tantissimo da ragazza, sai? Anche se non ho mai preso delle lezioni…–
– Non hai mai preso delle lezioni?!– esclamò, incredulo.
Lei rise, scuotendo la testa. – Non volevo che cambiassero il mio modo di cantare. Essendo modesta come te, pensavo la mia voce fosse già perfetta, senza il bisogno di “aiuti esterni”.–
– Beh, in fondo è una cosa che hai o non hai.–
– Già… però ho studiato pianoforte per una decina di anni. Poi la chitarra, perché per alcune mie canzoni era l’accompagnamento migliore.–
– Aspetta. Le tue canzoni?–
Sophie si morse il labbro. Aveva detto troppo. Non che se ne vergognasse, ma non è poi così semplice dire a certe persone che hai passato anni a comporre canzoni. Le sembrava una presa in giro. Ma ormai ci era dentro… – Sì, quand’ero ragazza scrivevo qualcosa– buttò lì.
– Non ci credo. Devi farmele sentire!–
La donna scoppiò a ridere. – Sul serio, Michael. Senza offesa, non è così facile sottoporti i miei tentativi musicali, insomma, sei tu….–
– Andiamo. Ti sei addormentata sul mio jet privato. Ti ho visto in mutande. Non ti facevo così pudica.–
– Era diverso!– rise. – Lì non c’erano confronti.–
– Allora potrebbe aiutarti vedermi dormire in camera tua? O vedermi in mutande?– scoppiarono di nuovo a ridere.
– Non mi darai pace finchè non ne avrai sentita una, vero?–
– Hai indovinato.–

E così, dopo aver promesso di non avere le aspettative che invece, visto il talento di Sophie, aveva, potè finalmente sentire una sua canzone. E ne rimase entusiasta: con quel tono profondamente nostalgico, e le note semplici ma armoniose, era splendida.
– Giura che non mi stai prendendo in giro!–
– Lo giuro! È meravigliosa.–
– Come se l’avessi scritta tu?– scherzò Sophie.
– Mi hai detto di non fare paragoni…–
– E’ vero. Ma dai, non è possibile che la mia canzone ti piaccia. Mi stai prendendo in giro!–
– Mai stato più serio in vita mia.– lei continuava a ridere: non riusciva a credergli. – Te l’ho detto un milione di volte che hai talento. Ti ho chiesto di fare un duetto con me. Non sei ancora convinta?–
– Io sì. È la ragazzina che ha scritto questa che non ti crede.–
– Dille che Michael Jackson sarebbe fiero di cantare con lei.–
Sorrise. – Forse un giorno capirà.–
La serata continuò finchè non intravidero le prime luci dell’alba. Entrambi cominciavano ad avvertire il peso della stanchezza, e all’ennesimo sbadiglio che non era riuscito a mascherare, Sophie accennò a lasciare la camera.
– Aspetta– disse lui quando era già in piedi, quasi, troppo vicina alla porta.
– Sì?–
– Non voglio che tu vada a dormire.–
– I tuoi sbadigli dicevano il contrario.– scherzò. – Seriamente, siamo entrambi distrutti, è stata una giornata eterna.–
– Lo so, ma…–
Lei attese. – Cosa?– lo incalzò dolcemente.
– Resta.–
Il “cosa?” che pronunciò subito dopo aveva un tono completamente diverso dal primo. Michael non voleva spaventarla, ma non avrebbe dormito un’altra notte temendo che i dolori lo cogliessero, senza sapere cos’altro fare oltre a prendere le pastiglie. Fino a quel momento era stato bene e, forse ingenuamente, ma si sentiva di attribuirlo a lei.
– Ti fidi di me?–
Sophie finse di riflettere. – Allora, calcoliamo i pro e i contro… pro: mi hai offerto la tua aragosta, mi hai regalato un mucchio di vestiti, non hai approffittato di me quando ero in mutande, hai finto che ti piacesse la mia canzone…–
– Non fingevo– rise lui. – E i contro?–
– Ci sto pensando…– tacque per un po’. – Mi tocca risponderti che sì, mi fido.–
– Allora resta.–

Indugiò per un po’ sulla porta, ma poi acconsentì. Lo lasciò per fare una rapida doccia, e poi, dopo aver asciugato i capelli per qualche minuto e infilato la vestaglia, ritornò nella sua stanza.
– Non pensavo di vederti senza il pigiama di flanella– scherzò lui.
– La parte sopra, intendi.– rise. – Dove..?–
Michael scostò le coperte e lei non potè nascondere la sorpresa. Il piano era: uno dei due nel letto, e l’altro per terra, o sulla poltrona, o… insomma, non lì. Eppure, forse per la stanchezza, forse perché non le dispiaceva così tanto, le sue gambe si mossero da sole, e si infilò lentamente sotto le coperte, lui accanto a lei.
*inizio flashback*
– Sai, ci sono due modi di stare a letto con un uomo– le disse sua sorella maggiore una sera, mentre erano a casa da sole. Sophie aveva quindici anni, lei quasi venti.
– A destra o a sinistra?– scherzò.
– No, stupida. Ci puoi letteralmente andare a letto, e allora quello può avere numerosi significati. Ma se invece ci dormi accanto, può voler dire soltanto una cosa.–
– E cioè?–
– Per sempre.–
*fine flashback*
Quel ricordo la allarmò, e per un po’ fece resistenza alla sensazione di conforto che provava lì, ma durò poco. Era tutto troppo tranquillo per preoccuparsi, e non riuscì nemmeno ad andarsene come avrebbe voluto quando si accorse di sentire che non sarebbe stata l’ultima notte passata lì. Perché era felice. Era a Casa.


ANGOLO AUTRICE
E riecco Taylor Swift che accompagna questa serata magica... Fearless... entrambi lasciano, per una volta, le proprie paure fuori dalla porta: Michael la paura di soffrire, Sophie  quella di non soffrire. A volte, dopo tanto dolore, una sensazione di benessere può allarmare e confondere...
Ragazze, stiamo entrando nel vivo della storia e allo stesso tempo nella parte cui tengo di più... e intanto vedo che in molte state leggendo questa storia, continuate così!... spero davvero vi piaccia... al prossimo aggiornamento!
 

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Capitolo 7
*** Will You Be There ***


~~Il risveglio non fu improvviso, ma lento e tranquillo. A mano a mano che riemergeva dagli strati di sonno, Michael ricordava i dettagli della sera precedente. Quando guardò accanto a sé e vide il letto vuoto, divenne prima confuso, poi allarmato. Ma subito udì la porta della camera aprirsi e vide Sophie raggiungerlo con una tazza di the.
– Buongiorno– lo salutò sedendosi ai piedi del letto e porgendogli la tazza.
Michael si raddrizzò e le  sorrise. La guardò alla luce naturale che filtrava dalla finestra: era di una bellezza semplice eppure sconvolgente, con i capelli castani scompigliati, il viso struccato dai tratti dolci, quasi bambini, resi più severi dalle sopracciglia scure. – Che ore sono?–
– Mezzogiorno– rise lei. Michael rimase a bocca aperta: era stato bene tutta la notte. – Lo so, anch’io non ci credevo!–
– Già… a questo punto credo che lavoreremo qui.–
– Okay, ti aspetto giù–
– Guarda che io intendevo in camera.–
– Sul serio?– fece lei incredula. Michael rise.
– Ma sì, tanto siamo a buon punto– rispose con leggerezza, anche se il lavoro era stato causa di maggior parte delle tensioni di quei giorni. Ma, come aveva detto la sera precedente, non voleva farglielo pesare.

– Sicuro di volerlo lasciare così?– stavano lavorando nella sua stanza da ormai un paio d’ore, ma Sophie era ancora un po’ perplessa per la proposta di Michael per il testo, avendo imparato a conoscere il suo modo di scrivere, di solito molto pulito, dolce.
– Certo! Tutti i cantanti mettono parolacce nelle loro canzoni, ogni tanto.–
– Sì, ma tu non sei tutti i cantanti– osservò lei.
Michael sembrò spazientirsi. – Ma qui mi serve! Hai capito il testo, no? È rabbia. È frustrazione. È una preghiera. Perché quei giornalisti non stanno semplicemente “facendo il loro lavoro”. Stanno gonfiando ogni cosa al peggio. E questo fa soffrire.– abbassò lo sguardo, ma Sophie intravide la stessa espressione che aveva lei ogni volta che si lasciava scappare qualcosa di troppo.Avrebbe voluto sviare la tensione con il suo solito sarcasmo, ma, una volta tanto, non sapeva cosa dire. – Scusa– Michael si affrettò a riempire il silenzio. – Era per dire che deve rimanere così…–
– Lo capisco. Beh, in realtà no.– ammise.
Lui mise da parte i fogli del testo e sospirò, stendendosi sul letto. – E’ come se, qualsiasi cosa succeda, loro fossero sempre pronti, in agguato, a rovinare tutto.–
Sophie si morse il labbro inferiore. – Senti, lo so che io sono completamente fuori da tutto questo, ma finchè hai la tua vita, la tua musica, i tuoi fan… cosa sono le loro parole?–
– Non sarebbero niente, se la gente non ci credesse.–
– Non i tuoi fan– replicò, decisa. – Né le persone che ti conoscono davvero. –
– Non lo so, Sophie…–
– Io sì. Fidati, no? E adesso smetti di deprimerti e torniamo a lavorare.  Anche perché vorrei farti notare una cosa…– si allungò verso i fogli con il testo, trovandosi col viso a pochi centimetri da quello di Michael. Ignorando il colorito che dovevano aver preso le sue guance, gli indicò un verso. – Qui… la parte che hai scritto per me… è meravigliosa, solo che non credo di avere la voce abbastanza alta per arrivarci.–
– Secondo me sì– rispose lui dolcemente.
– Certo, urlando, ma non voglio che nel mezzo di una splendida canzone la gente si domandi “come mai Michael Jackson ha inserito i versi di un maiale al macello nella registrazione? Strana scelta stilistica”. Non ridere! Qui sì i giornali dovrebbero farsi qualche domanda!–
Scoppiarono entrambi a ridere. Furono costretti a curare molto la voce di Sophie in quel punto, cosa che la fece sentire in colpa, come fosse un peso per lui. Una volta presa una pausa, mentre camminavano negli enormi giardini, glielo chiese. – Perché hai scelto me?–
Inclinò il capo. – Cosa intendi?–
– Ci sono centinaia di cantanti professioniste che non vedono l’ora di collaborare con te, e che non ti farebbero perdere tutto il tempo che ti faccio perdere io. Quindi, perché?–
– Senti, non ci sono spiegazioni. Mi sono innamorato della tua voce, tutto qui.–
– Ma perché?–
– Vuoi proprio sentirti fare dei complimenti, vero?–
Lei gli tirò un pugno giocoso. – No! È solo che voglio capire.–
– Okay… è che è completamente diversa dalla mia, eppure insieme, soprattutto in quella canzone, danno qualcosa di potente, di speciale, non credi?–
– Io di speciale ci vedo solo quello che ci hai messo tu…–
– Non ti credo. Insomma, hai visto anche come ti trattano allo studio di registrazione… è proprio per il tuo talento che ti trattano esattamente come me. Anche loro hanno visto quello che ho visto io, fin dal primo giorno che ti hanno sentita, sai?–
– Pensavo di fargli pena, in realtà…– mormorò lei, sovrappensiero. Fino a quel momento non si era resa conto fino in fondo di quanto era strano essere lì. La sua voce, certo, non era male, ma finchè canti al saggio scolastico è un conto, quando però vai a duettare con Michael Jackson è tutta un’altra storia…
– Mettiamola così: quanto sono perfezionista io? Sii sincera–
– Non sei perfezionista… sei pignolo– alzò le sopracciglia sorridendo innocentemente.
Michael scoppiò a ridere. – Appunto! Quindi non potrei neanche sopportarti lì dentro se non trovassi che tutto quello che fai è perfetto– lo vide arrossire leggermente. – Intendo, con la voce…–
– Okay, ignorerò il fatto che ci stai provando con me– lo prese in giro. – … e mi limiterò a ringraziarti.–
– Beh, con che scusa ti trattengo qui se non ti lusingo ogni tanto?–
– Come ieri sera?– ironizzò lei, ripensando al loro litigio. Di nuovo, però, lo vide rabbuiarsi. – Ehi, andiamo, non posso neanche scherzarci sopra? Di solito ti piace il mio senso dell’umorismo–
– Non mi piace che mi vengano ricordate le mie cazzate, ecco tutto–
– Forse allora non dovresti farle?– inarcò un sopracciglio. Lui si fermò. Lei continuò a camminare, spazientita. Lo sentì chiamarla.
– Non arrabbiarti.–
– Non sono arrabbiata, Michael. È solo che non ti capisco! Succede che ad un certo punto inizi a comportarti così e io non so cosa pensare, non capisco perché!– esclamò gesticolando.
– Ho dei problemi, va bene?–
– Allora parlamene!– si voltò bruscamente, trovandosi di fronte a Michael. – A volte ho l’impressione che basti aprire un giornale per saperne di più su di te di quello che so io.–
– Sei ingiusta. Sai cosa ne penso dei giornali.–
– E’ un esempio– sbuffò, esasperata. – Voglio dire che se con loro ti esponi, con il rischio di essere ferito, perché non lo fai con me?–
– Nemmeno tu vuoi parlare di certe cose.–
– E’ diverso, Michael. Se fossero cose che si mettono in mezzo un giorno sì e l’altro anche te ne parlerei.–
– Vuoi sapere tutto, allora?– disse a bassa voce. – Bene, te lo dirò. Ho avuto un’infanzia schifosa. Anni fa ho avuto un incidente sulle scene, che si ripercuote ancora oggi sulla mia salute, devo prendere medicinali dopo medicinali, per poi dormire e vivere male comunque. Sono da solo in una casa enorme per la maggior parte del mio tempo e non riesco a parlare con l’unica che persona che mi fa sentire meno solo per paura che mi lasci. Come mi è già successo molte volte.–

Senza aggiungere altro,e odiandosi per il tono che aveva usato, si diresse a grandi passi verso casa. Sophie non lo seguì.
Una volta entrato, si appoggiò alla porta, nervoso. Le aveva mentito, in realtà non aveva mai detto niente perché voleva proteggerla, e voleva che vedesse solo i lati migliori del suo carattere. Ma, dopo che la sua salute aveva iniziato a peggiorare, era diventato difficile tenerli separati, e aveva finito con l’incasinare tutto. Forse rendersi conto che starle vicino lo faceva sentire meglio lo aveva messo in una specie di stato di paranoia, e temeva che non avrebbe sentito lo stesso se avesse condiviso i suoi problemi.
Beh, ora aveva trovato modo di scoprirlo.
Per sfogarsi, si sedette alla tastiera e cantò Will you be there, guardando fuori dalla finestra e aspettando che Sophie rientrasse.

Camminò per il giardino canticchiando tutte le canzoni-sfogo che le venivano in mente, facendo lo slalom tra i membri dello staff, che le sorridevano cordialmente, alcuni un po’ perplessi visto che, sempre sovrappensiero quando si trattava di guardare come si conciava prima di uscire, era ancora in vestaglia. Si strinse nei lembi di tessuto verde e guardò verso la casa dove Michael era rientrato da parecchi minuti ormai.
Forse è vero, forse sbagliava a pretendere che lui le parlasse di più, quando anche a lei non andava di raccontare molto di sé. Ma in quel luogo magico, così distante da casa, e da tutto ciò che fino a quel momento aveva conosciuto, sentiva di potersi allontanare dal suo passato. Di poter fingere che non facesse più parte di lei. Certo, i ricordi dei suoi genitori ancora l’assalivano all’improvviso, ma finchè non ne parlava le sembrava tutto molto meno reale, senza, soprattutto, gli sguardi di pietà che l’avevano accompagnata dal giorno del funerale e mai più abbandonata del tutto.
Eppure, c’era una soluzione per parlarne a Michael nel modo giusto.

La vide correre verso di lui. Si allontanò dal pianoforte e andò ad aprire la portafinestra. Quando se la trovò di fronte, d’istinto la prese tra le braccia. – Mi dispiace.–
– No– disse lei col fiatone, staccandosi da lui. Lo prese per mano e lo riaccompagnò vicino alla tastiera, mentre si sedeva sullo sgabello. – Devi sentire questo.–
Fu la prima volta che Michael pianse ascoltando una canzone. Guardò Sophie mentre cantava le parole  che come un pugno lo colpivano nello stomaco, raccontandogli, nel modo più diretto che entrambi conoscessero, la sua storia, la storia dei suoi genitori, la loro morte. Rimase in piedi accanto allo sgabello, con gli occhi pieni di lacrime, sentendosi uno stupido, per tutta la durata della canzone. Appoggiato l’accordo finale, Sophie non si voltò a guardarlo, rimase a testa china, con le mani in grembo, per dei minuti, senza dire niente. Non che ci fosse molto da dire.
All’improvviso Michael non resistettè più e la strinse di nuovo a sé. Lei gli allacciò le braccia intorno alla vita, appoggiandogli la guancia bagnata sulla camicia, e rimasero così, senza parole, mentre il tempo si fermava.
Quando finalmente Sophie trovò il coraggio di rialzare lo sguardo, aveva un nuovo sorriso. Era come il cielo dopo la tempesta: splendido.

– Hai ragione. Forse anch’io dovrei parlare di più. Anche se non siamo sposati…–
Questa volta Michael non si offese, anzi ricambiò il sorriso. La fece alzare dallo sgabello e l’accompagnò di nuovo fuori, andando però nella direzione opposta rispetto a prima. Si sedettero ai piedi del suo albero preferito. – Sai, non riesco neanche immaginare come sia… perdere i genitori.–
– Così come io non riesco a capire quello che hai passato tu. Ma…questo non vuol dire che non possiamo sostenerci a vicenda– azzardò, guardandolo.
– Lo so. Anzi, tu mi sei stata molto più d’aiuto in questi giorni che chiunque altro prima.–
– Vedermi in mutande fa magie– ammiccò lei, ritrovando subito il buon umore.
Michael scoppiò a ridere. – Sarà.– le passò un braccio intorno alle spalle e Sophie appoggiò la testa sulla sua spalla. Finalmente ho fatto una cosa giusta, si disse. Non era mai stata brava a risolvere le discussioni, orgogliosa com’era, eppure magicamente accanto a Michael era naturale, intuitivo sapere cosa fare. Guardò le fossette sul suo viso mentre sorrideva, con lo sguardo perso, grata di essere amica di quell’eccentrico personaggio.
– Sai, mia madre sarebbe stata felice di consocerti. In realtà era stata lei a prenotare il biglietto per il tuo concerto. Quando l’ho trovato, ho deciso di venire…–
– Allora non eri lì proprio per caso– sorrise lui. – Perciò è merito dei toi genitori se adesso siamo qui?–
– Lo è– annuì lei, che non ci aveva mai pensato. – E’ strano pensare che perfino le cose peggiori possano avere un risvolto positivo. E forse un po’ egoistico…–
– Non crederlo neanche per un secondo! Dimostra solo grande forza, trarre il meglio dal peggio–
Lei scoppiò a ridere. – Non sono forte.–
– Dici sul serio? Hai avuto il coraggio di buttarti in questa avventura dopo tutto quello che ti è successo, e non c’è un solo giorno che non ti abbia vista sorridere. E li conosco i sorrisi falsi: ma i tuoi non lo sono mai.–
– Non credere che riesca a pensare ai miei genitori così, come a pensare a cosa fare per colazione.–
– Non intendo questo. Però la stai affrontando alla grande, secondo me.–
– Cosa ne sai, tu?– replicò senza guardarlo.
– Senza offesa, ma sei quasi trasparente.–
Sophie si imbronciò. Non voleva essere trasparente. Le piaceva condividere le cose con Michael, ma doveva essere lei a scegliere quali cose e in che modo. – Eppure prima che ti cantassi quella canzone non sospettavi di niente–
– Ad essere sinceri avevo notato che ti…– si schiarì la voce. – … portavi dietro come un peso. L’ho capito fin dalla sera del concerto.–
Si alzò di scatto. – Così hai pensato, visto che ti facevo pena, di offrirmi tutto questo?–
Michael la guardò, stanco. – Perché è così difficile parlare con te?–
– Dimmelo tu, visto che sono trasparente– incrociò le braccia. Forse si stava comportando lei in modo irrazionale adesso, ma non poteva fare a meno di erigere la solita barriera con cui si proteggeva ogni volta che qualcuno arrivava troppo vicino.

Lui la raggiunse e le si mise di fronte. – Non voglio lottare con te, Sophie. Solo esserti amico.–
La donna si mise le mani tra i capelli.Sembrava più rilassata quando tornò a guardarlo. – Buona fortuna. Ho un caratteraccio.–
– Siamo in due– le sorrise.
– E’ vero– rise lei. La vide rabbrividire.
– Hai ancora la vestaglia addosso?!–
– In effetti sì…–
Michael scoppiò a ridere. Era sempre così distratta. La guardò con tenerezza. – Vieni, andiamo a mangiare.–
Era come un piccolo diamante, pensò. Spigoloso ma prezioso, splendido. Riusciva a passare dall’essere scontrosa a dolcissima in un batter d’occhio, poteva essere sì trasperente ma di sicuro imprevedibile… non aveva mai conosciuto una persona come lei. Ogni cosa con gli altri era calcolabile, intuibile, anche perché dettata sempre o dall’invidia o dall’interesse, o magari da tutti e due. Invece con Sophie non era mai pronto. Perché lei agiva animata da qualcos’altro, nonostante l’ombra gigantesca che a volte mostrava a volte nascondeva, qualcosa che ancora brillava, quando rideva, quando cantava. Ed era proprio quella scintilla a fare in modo che, per la prima volta in vita sua, Michael si fidasse di qualcuno.


ANGOLO AUTRICE
Eccomi qui, ragazze, con un nuovo capitolo, uno a cui tengo in modo particolare perchè ora i personaggi iniziano a venire fuori, a svelarsi a noi ma anche a loro stessi. Sono deboli, sono umani, come ricordava lo stesso Michael nella canzone che dà il titolo al capitolo; eppure il sostegno che riescono a darsi, nonostante i loro battibecchi, crea qualcosa di speciale. Ci saranno, l'uno per l'altro?
 

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Capitolo 8
*** SOS ***


~~Terminarono di cenare. Sophie si ritirò nella sua stanza per telefonare alla sorella Jane, che non vedeva dal giorno del funerale, ormai erano passati quasi due mesi. Al telefono sembrava sempre la stessa. Non le raccontò cosa le stava succedendo, non sapeva perché, ma voleva tenere quel sogno tutto per sé,forse per non rischiare che le sembrasse troppo reale, oppure, ancora peggio, un’ennesima presa in giro. Ad un tratto dall’altro capo della cornetta cadde il silenzio. Trovò un solo modo per riempirlo. – Mi mancano, Jane.–
Sentì un sospiro. – Lo so. Pensare che continuo a credere che sia uno di loro, ogni volta che squilla il telefono. Dici che sia normale? Sei tu la psichiatra di famiglia, non so a chi altro fare riferimento–
Sophie rise nonostante le lacrime agli occhi. – Vorrei ricordarti che sono un po’ fallita nel mio lavoro.–
– Questo non ti toglie quello che hai… la tua empatia ti tormenterà sempre e dovunque e lo sai…–
Fu lei a sospirare adesso. In effetti la sua empatia non sembrava tornarle molto utile nel capire Michael. O era forse che lo capiva troppo? “Forse devo solo dormire” si disse, tutto quel pensare iniziava a farle venire il mal di testa. Salutò la sorella e si sdraiò a letto, addormentandosi quasi subito.
Dei rumori strani la svegliarono. Nella confusione del sonno, sentì dei passi irregolari salire le scale e passare davanti alla sua porta, accompagnati da un respirare affannoso, insolito. Facendo bene attenzione, questa volta, a essere vestita, si infilò nel corridoio e vide la porta della stanza di Michael socchiusa.  Vi battè le nocche, ma non ottenendo risposta la spalancò.

Michael continuava a tastare il fondo del cassetto. “Devono essere qui, devono essere qui”. Aveva bisogno delle pastiglie, adesso. Aveva il corpo madido di sudore e stava per perdere il controllo, finalmente la sua mano si strinse intorno alla familiare confezione rigida e potè richiudere il cassetto. Camminò a quattro zampe verso il tavolino per prendere l’acqua, ma fu fermato dalla figura di Sophie davanti alla sua porta che lo guardava terrorizzata.
– Sophie, io…–
– Michael che succede?– il tono era allarmato.
– Non volevo svegliarti. Non… sto tanto bene, tutto qui, tranquilla.– forzò un sorriso.

Quello non è un sorriso, si disse Sophie, scuotendo la testa. Voleva avvicinarsi a lui, ma non sapeva bene cosa fare. – Vuoi che… chiami qualcuno?–
– Non è necessario. Adesso starò meglio, vedrai.– era gattonato fino al bicchiere d’acqua dall’altra parte della stanza e stava ingerendo i medicinali, come fossero pasticche di zucchero. Rimase seduto vicino alla finestra e non parlò più.
Sophie avrebbe dovuto essere pronta a tutto quello. Aveva visto nel corso della sua carriera situazioni ben peggiori. Eppure nessuna di quelle aveva coinvolto una persona a lei vicino, e così si ritrovò catapultata in quel doppio incubo senza nemmeno rendersene conto. Non era poi così forte come credeva lui.
Stai calma, si disse. Ci manca solo che vai nel panico anche tu.
Andò a sedersi davanti a lui, che sembrava esserci e non esserci, non la guardava negli occhi. Gli prese il mento tra le dita, e il suo sguardo sembrò per un attimo indirizzarsi a lei, ma era perso, vuoto. Michael era già andato a dormire, stava guardando il suo fantasma. E non era per niente una bella sensazione. Avrebbe voluto gridare e scappare. Ma non poteva essere così codarda, così egoista.
– Forza– lo aiutò ad alzarsi e a sdraiarsi a letto. Michael non disse una parola, si addormentò e basta. Lei rimase in piedi accanto alla  finestra, cercando di rimanere vigile nel caso si svegliasse stando male di nuovo, ma senza accorgersene si stava accasciando lentamente per terra, e l’ultima cosa che vide furono i raggi del sole che iniziavano ad entrare dalle finestre.

Michael si svegliò lentamente, gli sembrava di aver dormito una settimana. Si girò su un fianco e vide Sophie rannicchiata contro il muro, addormentata. Non capiva perché fosse lì, ma poi vide la scatola di medicinali per terra e iniziò a ricordare. “Non era così che doveva andare” si disse, scuotendo la testa. Andò verso di lei, la prese in braccio e la adagiò sul letto. Si sistemò accanto a lei e accese la televisione con il volume al minimo, aspettando che si svegliasse. Era ancora di malumore per la faccenda della sera precedente, eppure non potè fare a meno di sorridere vedendola dormire. Forse la guardò troppo a lungo, perché ad un tratto la sorprese a ricambiare il suo sguardo.
– Buongiorno–.
Sophie non rispose e si girò verso il televisore. Era impossibile capire se fosse arrabbiata, triste, preoccupata. E sembrava intenzionata a non farlo capire, non avrebbe parlato finchè non lo avesse fatto lui, così Michael gliela diede vinta. – Mi dispiace.–
– Te lo ricordavi?–
– In realtà no, ma quando stamattina ti ho trovata lì e ho visto le pastiglie…–
– Capisco– sospirò. – Non mi servono spiegazioni, Michael.–
– Cosa intendi?–
– Quello che ho detto. Mi hai già parlato dei tuoi problemi,e lo capisco. Ora perché non facciamo colazione?– propose con un sorriso, alzandosi e uscendo dalla camera. Tutto qui? Si aspettava, ora più che mai, una sfuriata, e l’avrebbe capito. E invece rimase, in quel silenzio fin troppo tranquillo, da solo a letto come uno scemo, confuso come non mai.

Sophie si appoggiò alla porta del suo bagno cercando di fare dei respiri profondi, come le diceva sempre sua madre. Ma non ce la fece e scoppiò in un pianto silenzioso, rinchiusa nel suo tentativo di essere utile a Michael, e di non fare l’egoista dicendogli quanto fosse terrorizzata da tutto quello. Erano diventati amici; lui si aspettava (okay, aveva bisogno) del suo aiuto; lei non poteva darglielo; eppure era convinta che sarebbe riuscita a fingere.
Sbagliava.
Solo una settimana più tardi, scappò in giardino, mentre Michael parlava con dei membri dello staff, per prendere una boccata d’aria: non ce la faceva più. Ogni sera lo scenario si era ripetuto uguale a quella sera, e lei minuto dopo minuto si sentiva sempre più schiacciata da quella situazione. Gli unici momenti che viveva serenamente con lui erano diventati quelli in sala di registrazione, ma a causa della sua salute anche quelli si stavano diradando.
Che ne era del suo sogno? Era lei a trasformare sempre le cose in un incubo?
Michael non potè scegliere momento peggiore per trovarla. Le venne incontro sorridendo, e lei non riuscì a non buttarsi tra le sue braccia piangendo. Era più debole di un filo d’erba, non avrebbe voluto mostrarsi così. Lo spinse via.

– Okay, non posso non essere confuso– fece lui, prendendola per un braccio. Erano giorni che non parlavano più, non come prima almeno. Qualcosa era cambiato, e sapeva benissimo cos’era stato a provocare quella situazione. Ora nemmeno lei brillava più. Per lui era così da tempo, il mondo poteva chiamarlo star quanto gli pareva ma lui si era spento… non voleva che le succedesse lo stesso.
– E’ che non ce la faccio più, Michael. Sto rivivendo tutto quello che mi ha fatto scappare dal mio lavoro. Io non posso…–
– Ti prometto che non succederà più–
– Di solito non te la cavi bene con le promesse– osservò, scherzosa solo in parte.
– Beh, allora te lo giuro! Sono stati solo giorni un po’ più difficili di altri.–
– E io non ti sono di nessun aiuto.–
– Dici sul serio?–
– Guardami, Michael! Non può che farci male! Tu ti droghi e io do di matto! C’è qualcosa che non va!–
– E’ perfetto, invece– si avvicinò a lei.
– Che?–
– Non è tutto così sbagliato come sembra. Devi credermi… finchè ci sei tu so che posso cambiare–
– Non è vero e tu lo sai! Non puoi schiacciare i tuoi problemi e fare posto ai miei solo perché hai un cuore enorme Michael– urlò.
Lui la guardò attentamente. – Ammetto che è il modo più strano in cui qualcuno mi abbia mai fatto un complimento.–
Sophie ricambiò il suo sguardo, sembrava ancora una tempesta, eppure, come al solito all’improvviso, scoppiò a ridere. Michael abbracciò quella piccola luce. – Lo vedi? Basta solo questo.–
– Che cosa? Essere instabile?– replicò ironica.
– Sorridere.– le diede un bacio sulla fronte. Lei lo guardò negli occhi, sapevano che le cose non si sarebbero sistemate così facilmente, eppure era vero, bastava prenderle nel modo giusto. Con la persona giusta.
Dovette distogliere lo sguardo per non rovinare tutto baciandola.


ANGOLO AUTRICE
In quest'ultimo capitolo arriva una canzone di Indila (vi prego ascoltatela, è stupenda, davvero)... un SOS, dunque. Ma di chi? Beh, di entrambi. La salute di Michael, malgrado lui cerchi di nasconderlo, urla per essere presa in considerazione, eppure questa è proprio l'ultima cosa di cui Sophie ha bisogno... e così anche il suo passato ritorna, come un fiume in piena, a travolgerla, e lei vuole scappare, ma da Michael non si scappa... e lui mai la lascerebbe andare via, perchè (ormai l'avrete capito) inizia davvero a provare qualcosa per lei...
Continuate a seguire la storia mi raccomando, ve l'ho detto, significa molto per me... grazie per le visite nuove che trovo ogni giorno, mi scalda davvero il cuore... al prossimo aggiornamento!!

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Capitolo 9
*** Demons ***


~~I giorni seguenti, le cose effettivamente andarono meglio.Lavorarono di più, ma era stata Sophie stessa a proporlo, come modo per distrarsi, e stranamente funzionò. Passavano parecchie ore in sala registrazione, a volte si fermavano anche a Los Angeles per la notte. Lui stette male soltanto una sera, in hotel, ma poi le sembrò sereno per il resto delle settimane. Il brano era quasi finito ed erano entrambi entusiasti, nel frattempo Michael continuava ad avere ispirazioni per altre canzoni e Sophie adorava guardarlo scrivere e creare, si sentiva incredibilmente fortunata a poter assistere a quello che il mondo intero avrebbe pagato oro per vedere.
Purtroppo, più il brano si completava, più la prospettiva del suo ritorno si faceva vicina, ed era una sensazione che non le piaceva per niente. Già prima era insofferente a quel tipo di vita, ma ora che aveva assaggiato quell’esperienza non concepiva proprio di lasciarsela alle spalle, rinchiuderla in un angolo della sua mente e andare avanti.

Anche quella sera, a cena, Sophie era stata più chiusa del solito. Ormai era da giorni che si comportava in modo strano, e Michael credeva di sapere il perché, però lo feriva il fatto che non volesse parlarne. Era proprio orgogliosa…
Una volta finito di mangiare, rimasero in salotto, lui a guardare lei, lei a guardare fuori dalla finestra, con la sua solita aria triste. – Sophie…–
– Sì?–
Insistette con lo sguardo su di lei, che però continuò a rimanere voltata. – Ormai il lavoro è quasi finito.–
Sospirò. – Sì.–
– Cosa credi che accadrà dopo?–
– E’ semplice… io tornerò a casa con un bell’assegno, tu continuerai con il tuo eccentrico stile di vita, e racconteremo queste giornate quando saremo vecchi e stanchi ai nostri nipoti– rispose lei, con un tono di voce nuovo, che Michael non riuscì a decifrare. Nascondeva ironia? Semplice realismo? Tristezza?
– Non mi piace l’idea.– disse di getto.
Sophie fece un sorriso diverso dal solito, triste. – Neanche a me.–
– Allora perché l’hai detto?–
– Perché è così che andrà.–
– Non pensi di poterlo cambiare?–
– Non lo so. Perché lo vuoi cambiare?–
– Perché tu hai cambiato me.–
Sophie si voltò, finalmente, a guardarlo. Sembrava sorpresa. – E cosa cambieresti?–
– La verità?–
Sophie alzò gli occhi al cielo, poi lo guardò, divertita. – No, dimmi una bugia.–
Michael le sorrise. – Beh… io cambierei la parte in cui tu te ne torni a casa.–
– Oh, meno male, temevo cambiassi la parte del bell’assegno– scherzò ricambiando sorriso. – E se non torno a casa, cosa faccio?–
– Resti qui.–
– Perché?–
– Perché ne ho bisogno.–
– Perché?–
Non bastavano le parole a dirlo.
La baciò.

Le ci volle un po’ per rendersene conto. Sentì le sue labbra sulle sue, era tutto così assurdo e improvviso. Eppure era la sensazione più bella del mondo. Si strinse a lui, intrecciando le dita tra i suoi riccioli ribelli. Il tempo si fermò, mentre la sua mente correva veloce, dai ricordi alle paure, che nemmeno adesso la lasciarono sola, insomma si era avvicinata così tanto a quell’uomo che solo pochi giorni prima l’aveva spaventata a morte, eppure le sembrò più giusto che sbagliato, in quel momento.
Si separarono.
– Ottima risposta– gli sorrise.
Lui le accarezzò il viso.  – Va tutto bene?–
Allora è vero, era trasparente. Cercò di imbottigliare i suoi dubbi e ricacciarli indietro, ma Michael li vedeva lo stesso. Non sapendo come fuggire la domanda, lo baciò di nuovo.
– Ottima riposta– mormorò lui.
Alcune ore più tardi, nel cuore della notte, si trovavano nella stanza di Michael. Lui dormiva, lei non ci riusciva.
Avrebbe dovuto essere felice, finalmente. Ma non riusciva a fare neanche quello.
Eppure Michael stava meglio, doveva fidarsi di lui, lasciarsi andare, senza paura di rimanere scottata.
Rimase nel buio della stanza a tenergli la mano. – Ti prego, non farmi del male…– sussurrò.

Michael non si mosse, ma sentì quella frase. E gli fece più male di un pugno nello stomaco.
Rimase sveglio tutta la notte, mentre lei sembrò essersi addormentata, alcuni minuti più tardi. Non sarebbe riuscito ad affrontare il suo sguardo il mattino seguente, sapendo cosa pensava veramente. Così in silenzio uscì in giardino.
Come ho potuto essere così ingenuo?si chiese. Credevo davvero di poterla trascinare come niente fosse in questo disastro di vita che mi ritrovo? Scosse la testa. Si aspettava che lei fosse diversa. Che riuscisse a capire quel mondo… forse le stava chiedendo troppo, visto il suo passato. Eppure non avrebbe potuto lasciarla  fuori ancora a lungo, Sophie era una donna fantastica e sarebbe stato impossibile fingere di non amarla. Proprio per questo aveva bisogno che si fidasse di lui. Invece quella frase sembrava aver dimostrato tutt’altro…
Abbattuto, decise che non sarebbe rientrato per un bel po’. Aveva bisogno di tempo.

Sophie si svegliò nel letto vuoto. Aspettò che Michael rientrasse; ma invano. Scese e chiese ai membri dello staff, ma nemmeno loro lo avevano visto. La limousine non si era mossa. Dopo un’ora, mentre l’ansia continuava a crescere (che fosse uscito e si fosse sentito male?...), di lui non c’era ancora traccia. Sarebbe stato impossibile cercarlo in tutta la tenuta, e non lo trovò in nessuno dei posti in cui le venne in mente di andare. I membri dello staff non sembravano preoccupati, dicevano che ogni tanto lo faceva, che bisognava lasciargli i suoi spazi. Si morse la lingua tutto il giorno per non mandarli a quel paese e dargli degli irresponsabili, perché sapeva che quando parlava in preda all’agitazione non ne veniva fuori niente di buono.
Michael rientrò solo quella sera. – Dove diavolo sei stato?– si precipitò verso di lui.
– Fuori– non la guardava negli occhi.
– Questo l’avevo capito, ma perché non mi hai detto niente? Ero preoccupata– lui non rispose. Iniziò ad innervosirsi. Il suo sguardo era più buio del cielo fuori. – Che cosa c’è?–
– C’è che non ce la faccio, Sophie.–
– Cosa vuoi dire? Non ce la fai a fare cosa?–
– A stare con te, se non ti fidi di me.–
Si accigliò. – Non capisco…–
– Ti ho sentita stanotte.– la guardò. – Come puoi pensare che ti farei del male?– Sophie rimase senza parole. Lui fece un sorriso amaro. – Wow, grazie della fiducia.–
– No, aspetta, tu non c’entri niente… è… solo una cosa mia…–
– Ma adesso non ci sei più solo tu lo capisci?–
– Sì! È questo che mi spaventa!– urlò. Si morse il labbro: non voleva piangere davanti a lui, di nuovo. – Ho paura che ci faremo male.–
– Ma perché?–
– Lo sai.– abbassò lo sguardo, sentendosi una stronza.
Lo sentì sospirare. Le voltò la schiena e andò in salotto.
Lo seguì. – Non volevo, Michael.–
– No, hai ragione. La mia vita pesa già abbastanza a me, non vorrei pesasse anche a te.–
– Ma non è questo! È che io non penso di essere in grado di aiutarti–
– Eppure lo sei– si voltò. – Non hai idea di come mi senta quando sono con te.–
– Io non posso far sparire i problemi, Michael…–
– Io dico di sì. Perché per una volta non usi quel coraggio che ti ritrovi per rendere migliore la tua vita, invece che solo per sopravvivere?–
Aveva ragione. Si coprì il volto con le mani. – E’ solo il primo giorno, e sono una fidanzata orribile.–
– Concordo– rise lui.
– Ehi!– gli tirò un pugno giocoso. Si abbracciarono.
– Io non ti chiedo di essere perfetta, Sophie. Solo di esserci.–
– Anche tu non sei un granchè come fidanzato… inzi già dicendomi che non sono perfetta?– inarcò un sopracciglio. – Tutti i fidanzati farebbero l’esatto contrario–
– Ma io non sono tutti i fidanzati– la prese in giro lui, ricordandole quando gli aveva detto che non era “tutti i cantanti”.
Scosse la testa, sorridendo. – Avresti anche ragione.–
– Lo so. E dico sul serio. Tu devi solo restare. Il resto verrà da sé, vedrai.– tacque un attimo. – Ti fidi di me?–
– Sì.–
– E di te?–
La domanda la spiazzò. Era l’ultima a cui avrebbe voluto rispondere. – Ci sto arrivando– disse.
– Meglio di niente– la baciò.


ANGOLO AUTRICE
Okay, ragazze, lo so, lo so. Pensavate che dopo la scena del bacio sarebbe andato tutto bene... ma, già il titolo del capitolo parla da sè. Entrambi si portano dietro un bagaglio per niente leggero, e così diventa difficile anche amare nonostante si sia innamorati. Però... abbiate pazienza, sarà un viaggio in salita, ma "ci stiamo arrivando"... al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 10
*** Disaster ***


~~La mattina seguente a letto le annunciò che quel pomeriggio sarebbero arrivati alcuni bambini sfortunati a visitare Neverland. Gli accarezzò il braccio con un sorriso – E’ un bel gesto da parte tua.–
– Non saprei. Forse è più importante per me che per loro.–
– Cosa intendi?–
– Intendo che amo passare il tempo con i bambini. Sono… speciali. Veri. Puri. Innocenti. Li preferisco sinceramente alla maggior parte delle persone.–
– Spero di non essere la “maggior parte delle persone”– inarcò un sopracciglio.
– Indovina…– la baciò per la milionesima volta solo quel giorno.
Sophie gli sorrise di nuovo. – E io cosa faccio intanto?–
– Beh, puoi venire in giro con noi.–
– Dici sul serio? Non è che io sia così brava con i bambini…–
– Sarà per via del tuo caratteraccio!– la donna sgranò gli occhi fingendosi offesa e gli saltò addosso riempiendolo di pugni. – E’ per dimostrare che sei dolce e sensibile che mi prendi a pugni?– replicò lui osservandola scettico. Lei scoppiò a ridere, arrendendosi. – Comunque scherzavo. Sono convinto che ti troverai bene.–
– L’esperienza insegna il contrario, Michael– rispose con una smorfia.
– Scommettiamo?–
Quel pomeriggio andarono ad accogliere i bambini ai cancelli di Neverland insieme. Sophie sembrava un po’ tesa, ma Michael era convinto che si sarebbe trovata benissimo. I loro gridolini di gioia li raggiunsero all’istante, e lui vide il sorriso di lei accendersi, come a conferma dei suoi pensieri.
I bambini li attorniarono felici e rumorosi, tanto che a malapena riuscì a presentare Sophie. Entrambi presero per mano due di loro e iniziarono ad camminare in mezzo al gioioso trambusto.
Michael, come aveva già fatto altre volte, mostrò ai bambini la proprietà, rispondendo alle domande più assurde e divertenti che quegli occhi e bocche spalancate gli rivolgevano.  E nel frattempo Sophie li seguiva dappertutto e sembrava completamente a suo agio, prendeva in braccio i bambini, rideva con loro, parlava loro di lui rispondendo ad ogni domanda con leggerezza e allegria.
La sera arrivò in un batter d’occhio. I bambini cenarono con loro, e alcuni di loro si sarebbero fermati per la notte. Appena finito di mangiare, lui e Sophie si trovarono finalmente soli. Le si avvicinò, cingendole la vita con le braccia. – Ti sei divertita?–

Sophie scoppiò a ridere. – Guarda, Michael, io non sarò brava coi bambini, ma di sicuro loro sono bravi con me.–
Anche lui rise, gli occhi colmi di gioia. – Sei stata meravigliosa.–
– Senti chi parla!– gli strizzò l’occhio. Nonostante fosse ancora molto allegra, il continuo correre dietro ai bambini iniziava a farsi sentire, e cercò, con scarso successo, di mascherare lo sbadiglio.
– Forse sarà meglio andare a dormire– suggerì lui, prendendola per mano e conducendola in camera. Sophie si accocolò felice nel suo letto, aspettando che lui tornasse dopo aver dato la buonanotte a quei pochi bambini che si erano fermati a dormire. Quando sentì bussare dopo pochi minuti, però, non si trovò davanti il suo viso.
– Posso?– chiese Jeremy, il bambino di cinque anni con cui Sophie aveva passato gran parte della giornata. Prima che potesse rispondere, altre tre testoline fecero capolino dalla porta socchiusa, al che la donna capì che sarebbe stata una notte molto, molto lunga.
Michael entrò dopo di loro e si sdraiò a letto, guardandola con un’espressione in bilico tra il dispiacere e il divertimento. Nel frattempo si ritrovarono stretti tra tutti quei bambini che sembravano non avere nessuna voglia di dormire.
– Sophie?– chiese una bambina.
– Dimmi Keyla.– sorrise lei.
– Tu e Michael vi sposerete?–
Scoppiò a ridere. – Non credo, tesoro.–
– Perché?–
– Già, perché?– ripetè Michael. Era difficile capire nel buio della camera se scherzasse.
Comunque lo fulminò con lo sguardo. – Beh sposarsi è una decisione difficile da prendere.–
– Mica tanto– scosse la testa la bambina, decisa. Era così buffa!
– Cosa ne sai? Sei sposata?– le chiese, accarezzandole i capelli.
– No ma lo sanno tutti. Basta essere innamorati. Voi siete innamorati?–
*inizio flashback*
–Non ci posso credere. È l’unico uomo che abbia mai amato. Non può avermi lasciato così– disse Sophie tra le lacrime, mentre Jane l’abbracciava. – Com’è che tutti si fidanzano? Costruiscono famiglie insieme? Vivono felici e contenti? Perché tutte queste cose mi evitano come la peste?–
–Dire di amare è pericoloso– rispose seria Jane.
–Perché non dici “amare” e basta?– replicò, asciugandosi le lacrime.
– Tu puoi amare chi vuoi, amerai tante persone Sophie. Ma se dici a un uomo “ti amo” gli metti il tuo cuore in mano. E le mani possono creare ma anche distruggere. Non dare mai questo potere ad un uomo–.
*fine flashback*
Sophie deglutì, a disagio. Quel ricordo l’aveva colpita nel momento meno opportuno… e intanto non aveva ancora risposto. Il silenzio cresceva.
– Chi tace acconsente– scherzò Michael, cercando di allentare la tensione.
– No!– insistette Keyla. – Per amarsi sul serio bisogna dirselo almeno una volta.–
– Non è detto, sai? Ci sono tante cose che due persone possono fare per dimostrarselo.–
Lei scosse la testa. – Se non lo hai detto almeno una volta non vale!– questa ragazza è un demonio, pensò Sophie sconsolata. – Non ve lo siete ancora detto?–
– Io e Michael non ci conosciamo da tanto, Keyla.–
– Okay ma dovete dirlo! Come nelle favole.– sorrise trasognata.
– Non sempre si è pronti a dirlo– le scappò. Doveva essere la stanchezza che le impediva di tenere per sé quello che pensava. Michael le rivolse uno sguardo strano ma, di nuovo, al buio fu difficile decifrarlo.
– Nelle favole non si fanno tutti questi problemi– disse un’altra bambina.
– E’ vero!– concordò Keyla. – Dillo, Sophie! Dillo! Dillo! Dillo!–
Quel coro era la goccia che fece traboccare il vaso.

Michael vide Sophie lasciare la stanza accompagnata dalle voci dei bambini, e per la seconda volta fu come un pugno allo stomaco.
– State qui buoni, vado a vedere se sta bene– disse uscendo. La trovò seduta sulle scale. – Dai, torna dentro– sospirò.
Lei scosse la testa. Stava piangendo.
Michael rise amaramente. – Mio dio, non posso crederci.–
– A cosa?– chiese, asciugandosi le lacrime.
– Ti pesa davvero così tanto dire che mi ami?–
– E tu che ne sai che ti amo?– rispose brusca.
Deglutì. – Scusa. Sai, dopo quello che abbiamo fatto in questi due giorni, mi era venuto il sospetto… ma evidentemente…–
– Ti prego, non insistere.–
– Non sto insistendo! Voglio solo capire, cazzo!–
Lei lo guardò, triste come non mai. – E’ difficile– sussurrò.
Michael fece un respiro profondo e si sedette accanto a lei. Rifiutò però la mano che gli tendeva. – Lo è sempre, ci sono abituato. Però puoi provare lo stesso –
Non rispose.
Michael si innervosì di nuovo. – Come puoi avere così tanta paura di me?!–
– Non è di te che ho paura! È di dire che ti amo!–
– Ma perché?–
Scosse la testa.
– E’ di nuovo la storia dei farmaci? Lo hai visto che sto meglio ultimamente no?–
– Sì, infatti non c’entra. È che…– sospirò. – Hai mai sofferto per amore?–
– Sì.–
– Diciamo che è questo che mi spaventa.–
– Quindi ancora non ti fidi di me.–
– E’ dell’amore che non mi fido Michael! Io non l’ho mai avuto, anche quando credevo di averlo mi è scivolato via dalle dita! Perché dovrebbe essere diverso adesso?–
Lui la guardò negli occhi. Finalmente le prese la mano. – Perché ci sono io.–

In fondo Michael era davvero diverso da chiunque avesse mai conosciuto prima, ammise Sophie. Forse era ingiusto fare paragoni con quello che le era successo prima. Si arrese e annuì, ricambiando lo sguardo di lui. Quasi non ci credeva che avesse tutta quella pazienza con lei. Come poteva non amarlo?
– Sai una cosa? È tardi, andiamo a dormire– la fece alzare con lui e si incamminò verso la camera.
– Aspetta– lo trattenne Sophie.
– Che cosa?–
– Ti amo– sussurrò, e lo baciò.
Mentre si stringeva a lui, sentì applaudire. Si girarono e videro i bambini che, rimasti nascosti fino a quel momento, ora gioivano della loro riconciliazione. Michael la guardò e insieme scoppiarono a ridere. Camminarono per mano verso la stanza, lei diede uno scappellotto giocoso ai bambini. Si infilarono di nuovo tutti sotto le coperte.
– Sophie?– chiese Keyla.
“Cos’altro vuole?” – Sì, tesoro?–
– Allora vi sposate?–
Sorrise a Michael e schioccò alla bambina un bacio in fronte. – Sì, e tu sarai la mia damigella.–

Sembra impossibile, ma per tutta la settimana seguente lui e Sophie non litigarono.
Terminarono il brano. Michael non vedeva l’ora di realizzare il video per  poterlo lanciare come singolo, così ottenuto il consenso di Sophie fece preparare i costumi, si consultò con alcuni collaboratori e coreografi e programmò tutto per filo e per segno, come era solito fare.
Non immaginava che la sua vita, e di conseguenza quella di Sophie, stavano letteralmente per crollare sotto i loro stessi piedi.
Anche quella mattina avevano dormito fino a tardi, svegliandosi entrambi con il sorriso e la bocca dell’altro sulle labbra. Sembrava tutto perfetto. Ad un tratto il maggiordomo bussò piuttosto insistentemente alla porta.
– Non siamo presentabili– rispose ridendo.
– E’ importante–
Si rintanarono sotto le coperte mentre Gail apriva la porta.  – Bert Fields al telefono, mr Jackson.–
Il suo avvocato? Perchè lo cercava a quell’ora della mattina? Poi guardò la sveglia: in effetti erano le dieci passate. – Grazie, la prendo nel mio studio.–
Il maggiordomo annuì e li lasciò. Michael si alzò e si infilò i pantaloni. Diede un altro bacio a Sophie. – Torno subito–.

Sophie annuì e ne approfittò per andare in bagno a rinfrescarsi. Sorrise serena alla sua immagine: da giorni tra lei e Michael andava alla grande. Ormai le sue paure e i suoi dubbi erano una storia vecchia, e non vedeva l’ora di passare il resto della vita tra quelle mura, a fianco all’uomo che amava – sì, amava.
Poteva essere più fortunata?

Non riusciva ad immaginare niente di peggio. Per un pezzo non riuscì a parlare, nemmeno a muoversi. Nel frattempo la voce di Bert dall’altro capo del telefono ribadiva, per filo e per segno, quella notizia così dura da digerire.
– Michael?–
Forse stava ancora dormendo. Sì, la sera prima in effeti aveva mangiato più del solito. Era normale fare incubi ogni tanto, giusto? Presto si sarebbe svegliato accanto alla donna che amava. Andava tutto bene.
– Michael.– la voce di Bert lo chiamò di nuovo. Lacrime di rabbia gli pizzicarono gli angoli degli occhi.
– Sì, ci sono.– prese un respiro profondo. – Vieni questo pomeriggio. Ne parliamo con calma.– sempre che fosse possibile mantenere la calma.
Allora è vero. Una bugia, mostruosa, inquietante, basta a rovinare una vita. Si sentì mancare al solo pensiero che milioni di persone l’avrebbero sentito, e centinaia, forse migliaia lo avrebbero creduto vero.
E Sophie? Poteva darle un altro peso del genere da portare, proprio quando le cose andavano bene? No, non poteva farle questo. Era troppo bello tra di loro, e voleva tenerlo così. Sarebbe stato difficile, eccome… mentirle a quel modo. Fare finta di niente di fronte a tutto quello… ma in fondo, era in buona fede. Doveva proteggerla.

Preoccupata di non vederlo più uscire, Sophie bussò alla porta dello studio. Quando Michael le diede il permesso, entrò e lo trovò seduto davanti alla finestra, incredibilmente pallido.
– Ehi, va tutto bene?– gli si avvicinò. Lui si girò e rimanendo seduto le strinse la vita e si aggrappò alla sua vestaglia come fosse l’unica certezza che aveva al mondo. Perplessa, Sophie gli accarezzò dolcemente i capelli, poi lo costrinse a guardarla negli occhi. Era uno straccio. Che avesse ricevuto brutte notizie? – Michael…–
– E’ tutto okay– sorrise lui, in modo forzato, troppo. – Stavo solo pensando… che non so cosa farei senza di te.–
– Inventatene un’altra– lo prese in giro con uno spintone, ma preferì non insistere su cosa avesse. – Ti va di fare colazione? Questo pomeriggio dobbiamo andare a girare–
– Ehm… piccolo imprevisto… più tardi ho un incontro d’affari qui, quindi per il video dobbiamo aspettare, mi dispiace.–
– Ookay– annuì. Poi si inginocchiò di fronte a lui e cercò di contagiarlo con il suo buonumore, ma nemmeno stuzzicarlo con il solito sarcasmo sortì particolari effetti. Così lo lasciò in camera e telefonò a sua sorella per ingannare il tempo.

Dopo aver pianto, Michael cercò di ritrovare un po’ di ottimismo. La verità doveva venire fuori, Bert veniva da lui per quello. Lui doveva solo reggere i primi giorni, e poi quelle voci si sarebbero rivelate per quello che erano.
Purtroppo avrebbe dovuto prevedere che, se la verità doveva venire fuori, lo avrebbe fatto in tutti i sensi.
E infatti pochi giorno dopo, quando la famiglia Chandler presentò la denuncia ufficiale, i giornali impazzirono.


ANGOLO AUTRICE
Ragazze, fa schifo anche a me riportare le vicende giudiziare e mediatiche di Michael... eppure è giusto, è giusto ricordarle, perchè anche nelle fanfiction c'è un po' di realtà... anche se la realtà, a volte, è un disastro (vi suggerisco caldamente di ascoltare la canzone di JoJo, a proposito!...) e beh, sì, questi due non riescono a stare tranquilli un attimo, ormai l'avrete capito... come se la caveranno tra un disastro e l'altro?
Continuate a seguire Smile mi raccomando, che ogni giorno le vostre visite alla storia mi fanno venire sempre più voglia di continuare... grazie, e spero di vedere anche nuove recensioni, mi farebbe immensamente piacere davvero... ora basta fare la lecchina, al prossimo aggiornamento!
 

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Capitolo 11
*** Innocent ***


~~In preda ad una strana sensazione Sophie aprì gli occhi e tastò il materasso al suo fianco, trovandolo vuoto. Infilò gli abiti abbandonati la sera prima ai piedi del letto e una camicia di Michael e ciabattò pigramente fino al piano di sotto.
Come quasi ogni mattina, lo trovò in salotto a parlottare con il suo avvocato.
– Signor Fields– lo salutò con un cenno. Michael era stato piuttosto vago nello spiegare la sua presenza, accennando ai diritti di alcune canzoni.
– Signorina Sophie, buongiorno–
– Ciao– le sorrise Michael, con la solita aria tesa che aveva messo su in quei giorni. Lei lo superò ricambiando il “sorriso” e andò a sedersi a bordo piscina, sperando che fosse l’ultima volta che Bert veniva da loro. Non sapeva perché, ma la sua presenza non la metteva tranquilla.
Un uomo sulla sessantina stava controllando i filtri dell’acqua e la salutò levando il cappello da baseball. Sophie gli sorrise.
– Come va, signorina?–
– Non c’è male.– poi si sporse in avanti sulla sdraio, con aria innocente. – Solo mi annoio un po’, Michael non fa che confabulare con Bert.–
L’uomo si irrigidì impercettibilmente, ma lei lo notò, pur non sapendosi spiegare il perché. – La capisco. Ma quei due si trovano spesso. Sa, Michael ha occhio per gli affari, come saprà è interessato ad acquistare i diritti di molte canzoni, ma per farlo serve sempre un consulto legale.–
– Non sapevo fosse così complicato. Pensavo fosse semplicemente come un’asta, chi offre il prezzo più alto, vince.–
– Magari, signorina, magari.– gli sorrise l’uomo.
Sophie ricambiò. – Da quando lavora qui, signor…?–
– McKenzie. Ma mi chiami pure Alfred. Comunque da quando mr Jackson si è trasferito qui.–
– E’ praticamente di casa– sorrise lei.
– Già… ma anche lei sembra intenzionata a trattenersi qui–
Sophie arrossì leggermente. – Può essere. Insomma, è un posto meraviglioso, dovrebbe vedere da dove vengo.–
– Lo immagino, lo immagino. Nemmeno io sto a Buckingham Palace, signorina.– le si avvicinò, spostandosi a lavorare su un filtro più vicino a lei. – Comunque non credo stia qui perché è una bella casa.–
– Forse no– ammise lei, divertita dalla sfacciataggine dell’anziano membro dello staff. – Ci sono sempre tanti motivi per cui fermarsi in un luogo.–
– Tanti quasi quanti quelli per cui ce ne andiamo da un luogo, vero?–
– Già. Quasi.–
L’uomo probabilmente notò la sua espressione triste a quella frase, perché cercò di rimetterla a suo agio. – Credo non sia prematuro dirle… benvenuta a Neverland– le strizzò l’occhio.
– Grazie. Consigli di sopravvivenza?–
– Se sopporta -voglio dire, va d’accordo- con Michael, andrà alla grande.–
Lei scoppiò a ridere. – Non penso mi creerà problemi.–

– Hai capito, Michael?–
Si riscosse. Si era perso a guardare Sophie fuori dalla finestra, solare, bellissima. Perfino, o forse soprattutto in quel momento, riusciva ad apprezzarla. Ma non era il momento adatto.
– Credo di sì. Però sono fiducioso. Insomma, non possono trovare prove su cose che non sono accadute, giusto?–
L’espressione di Bert lo smentì. – Sono arrivati ad una denuncia fasulla. Non sappiamo fin dove potrebbero spingersi.–
Michael fece schioccare la lingua, amareggiato. – Hai portato i giornali?–
L’avvocato annuì, e gliene porse diverse copie. I titoli erano agghiaccianti. Tutti lo sapevano. – Suppongo che presto ti richiederanno delle interviste.–
– Oggi no. Non me la sento. E non voglio giornalisti alle porte di Neverland. Ti do carta bianca, ma li devi tenere lontani.–
– Sono un avvocato, non una guardia del corpo, Michael. Finchè non entrano nella villa, non si può dire che facciano qualcosa di male, solo il loro lavoro.–
– Ma il loro lavoro è male!– sbattè la mano sul tavolo. Si alzò e camminò verso la finestra, cercando di riprendere il controllo.
– Mi dispiace. Questo è tutto quello che posso fare. Se vuoi posso organizzare un incontro con la famiglia…–
– Per cosa? Sentirmi dire altre cattiverie?–
– Trovare un accordo, magari.–
Michael si avvicinò a Bert con aria minacciosa. – Se li pago, non sembrerò poi così innocente. Non ho niente  per cui pagare. Non ho fatto del male a nessuno, io.–
L’avvocato sospirò. – Lo so. Ti sto solo parlando delle varie opzioni.– si alzò, rimise i documenti nella valigietta e si preparò ad andarsene.
– Riprenditi i giornali. Non voglio leggere nient’altro.–
– Sicuro che non sia meglio sapere cosa dicono?–
– Sicurissimo, grazie.– glieli porse con sdegno. – E tu non una parola. Con la stampa, chiaramente no comment. Ma se qualcun’altro dovesse fare qualche domanda…–
– Con qualcuno intendi lei?– domandò Bert, indicando con un cenno del capo Sophie dall’altra parte del vetro, distesa in tutta la sua bellezza mozzafiato sulla sdraio a bordo piscina.
– Sì– rispose con tono sofferente. – Ricorda. Sei qui per i…–
– …diritti di alcune canzoni. Stai tranquillo. Sia per lei, che per i Chandler. Qualcosa inventeremo.–
Non è mai un buon segno quando il tuo avvocato usa il verbo inventare, si disse Michael, sconsolatamente. Gli strinse la mano e lo salutò. Lo guardò uscire, rivolgere un cenno a Sophie e dirigersi verso il cancello.
Mentre lei si accingeva a rientrare, il telefono squillò. Sapeva che sarebbe successo. Sollevò la cornetta, pronto al peggio.
– Salve, sono Christina Newman, una giornalista di…–
– Non rilascio nessuna intervista.–

– Chi era?– domandò Sophie, vedendo Michael sbattere la cornetta del telefono con fare rabbioso.
– Nessuno.– perplessa, lei inarcò un sopracciglio, come a dirgli che in quanto a bugie poteva fare di meglio. – Jermaine– ammise lui.
Immediatamente capì. Michael le aveva parlato del conflitto con il fratello che si era scatenato quando lui aveva pubblicato una canzone, criticandolo e accusandolo di essersi “sbiancato”.  – Che diavolo vuole ancora?–
– Non lo so, non mi interessa–
– Fai bene a non rispondere– lo rassicurò. – Per questo Bert è qui?–
– Come?–
– Mi chiedevo come mai fosse qui così spesso… mi sembrava strano, visto che mi avevi detto che dovevate solo discutere di alcune canzoni…– buttò lì, guardandolo.
– Sì, in effetti è qui per entrambi i motivi.– Michael sospirò, sembrava stanco, abbattuto. – Scusa se non te l’ho detto…–
– Fa niente. Non dev’essere facile…–
– No. Non lo è per niente.–

Complimenti, si disse quella sera. Erano andati a letto da un pezzo, lei dormiva. Convinta che lui fosse stato sincero… avrebbe aspettato ancora un giorno, si disse. Non uno di più. La mattina seguente avrebbe subìto un interrogatorio, gli sarebbe servito il suo appoggio e ormai era passato troppo tempo. Si alzò silenziosamente e aprì il cassetto, cercando la nuova confezione di pillole. Non c’era.
– Cercavi questa?– si voltò verso Sophie. La stava stringendo in mano e lo guardava con aria stanca. Fu preso da un attacco di panico.
– In effetti sì– si avvicinò per prenderla, ma lei la infilò sotto il cuscino e ci si sedette sopra, sfidandolo.
– Guardami. Quella roba non si tocca. Non ne hai bisogno, okay?–
– Sì che ne ho bisogno.–
– Perché, Michael, perché? – stava quasi urlando.  – Va bene, Jermaine ti sta mettendo sotto pressione ma ignoralo, non gli hai risposto fin’ora e non lo farai, capisco che ti faccia tornare alla mente brutti ricordi ma non puoi lasciare che le tue droghe tornino a rovinarci la vita–.
Sapeva cosa avrebbe dovuto dirle. La verità, era così semplice. Eppure le parole non venivano fuori. – Ti prego, Sophie, sono l’unica cosa che mi aiuta–
– Ci sono anche io– replicò lei con aria sofferente.
No, non è vero. Ma la colpa è mia.
Davanti al suo silenzio, la vide indispettirsi. Cercò di mascherarlo, come al solito con poco successo. Poi ebbe un guizzo negli occhi. – Sai una cosa?–
– Cosa?–
– Questa cazzo di casa è diventata una gabbia, Michael. Siamo chiusi qui dentro da due settimane. I giorni che passavamo a Los Angeles stavi meglio. Devi uscire. Dobbiamo uscire. Perciò, vieni.– si alzò e lo prese per mano. Troppo sorpreso per opporsi, la seguì finchè non furono in cortile.
– Dove mi stai portando?–
– Fuori.–


ANGOLO AUTRICE
Nuovo capitoletto! E' arrivato presto, non riesco più a smettere di scrivere ragazze mi dispiace! A parte gli scherzi, non ho molto da dire questa volta, solo spero veramente che vi stia piacendo, nonostante la piega che stanno prendendo le cose ma come ho già detto, quando la realtà è così... naaah basta che mi viene il magone!
Recensite giorno e notte!!!! Alla prossima,
Diana_mj

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Capitolo 12
*** Stranger In Moscow ***


~~Non aveva mai guidato una limousine, fu divertente. Alle guardie del corpo sarebbe preso un colpo se li avessero visti, ma sorprendentemente non era stato così. Scesero dall’auto e Sophie lo trascinò con sé sul tetto di uno degli alberghi in cui avevano alloggiato mentre lavoravano. Si affacciarono alla terrazza: la vista era splendida. Michael tacque a lungo, sembrava ancora triste, ma meno angosciato. All’improvviso la strinse a sé. – Non so come fai, ma non so neanche cosa farei se tu non ci riuscissi.–
Lei sorrise, ricambiando la stretta.  Poi lo guardò negli occhi. – A cosa ti riferisci?–
– Al modo in cui riesci a stare con me. Sei sempre così naturale… è raro per una persona come me vedere questo atteggiamento intorno a sé. Ma tu l’hai sempre avuto.–
Sophie sorrise.  – Beh, in realtà ti ho conosciuto quasi allo stesso tempo come star e come persona. Probabilmente se fossi cresciuta con le pareti tappezzate di tuoi poster, sarebbe diverso.–
– Non avevi neanche un mio poster? E me lo dici così?–
– Neanche tu ne avevi di miei– obiettò lei con una smorfia.
– Se avessi potuto, ci avrei riempito la casa– la baciò.
– Mi prometti di restare così?– chiese lei, aggrappandosi alla sua camicia.
– Così come?–
– Come stasera. Non mi piace il Michael che è saltato fuori negli ultimi giorni.  A costo di dire una frase disgustosamente dolce e piuttosto egoista, ma…– lo strinse più forte. – … fallo per me.–
Lui le accarezzò la schiena. Quando disse – Okay–, la sua voce suonava così lontana, quasi imbottigliata, come le migliaia di cose che non le stava dicendo. Sophie se ne era resa conto. Ma continuava a sperare che non fosse niente di grave.

Si alzò dal letto molto presto, non erano rincasati da più di tre ore. Raccolse i vestiti, pronto a quell’inferno che sarebbe stata la sua deposizione.
– Quando torno ti dirò tutto, tesoro. Del resto non m’importa niente.– le sussurrò, dandole un bacio in fronte. Lasciò la camera insieme ai sensi di colpa, quasi che sussurrarle quella frase fosse stato come averle già parlato. O forse semplicemente non aveva posto per i sensi di colpa, tanto era angosciato.

Il letto rimaneva insistentemente vuoto, mentre Sophie continuava a svegliarsi e riaddormentarsi. Quando si decise ad alzarsi, era sicura che avrebbe trovato Michael di sotto a parlare con Bert, ma così non fu. Incrociò Alfred.
– Buongiorno– gli sorrise. Lui si toccò il cappello in risposta. – Sai dirmi dov’è Michael?–
– E’ andato in città.–
– Ah. Come mai?–
– Non ne ho idea– distolse lo sguardo.
Sophie alzò gli occhi al cielo. – Non sei molto credibile.–
– Sapevo che era una psichiatra, ma che leggesse nel pensiero…– le sorrise. – In effetti, credo che sia andato in città per una sorpresa…–
La donna sorrise. – Bene. Allora non sono stata poi così originale– rispose pensierosa. In effetti anche lei aveva una sorpresa per Michael… alcuni giorni prima aveva chiesto alla sorella di spedirle alcune cose a  Los Angeles. Ormai si era sistemata a Neverland, non voleva nemmeno dare un’occhiata a quello che si era lasciata alle spalle. Il pacco doveva già essere arrivato. – Lo raggiungo in città, se torna prima di me ti dispiace avvisarlo?–
– Sì– fece lui. Come? – Si era raccomandato di farla aspettare qui, e di non dirle niente della…–
– Sì, ho capito, la sorpresa. Stai tranquillo, me ne assumo la responsabilità.–
Buffo, Sophie dovette discutere anche con l’autista e con la guardia al cancello, prima di decidere di chiamare un taxi. Doveva essere proprio una grande sorpresa!

La folla di giornalisti era soffocante. Tutti quei microfoni protesi, quelle domande incalzanti, quelle accuse arroganti… fortunatamente Bert e un paio di guardie del corpo lo scortarono all’interno della centrale, lasciarono tutta quella massa schifosa con un “no comment”.
Sedere al tavolo degli interrogatori come un criminale fu umiliante. Lo furono anche le domande dell’agente, che sembrava essersi costruito già una sua idea di com’erano andate le cose. Un’idea assolutamente sbagliata, e offensiva. Michael rabbrividiva soltanto a sentire il suo tono di voce secco, le insinuazioni che tagliavano l’aria di netto. Era difficile rimanere calmo senza scivolare nell’apatia, nella tristezza. Bert lo spalleggiò come potè, ma fu comunque molto provante. L’unica fonte di sollievo era che al ritorno avrebbe parlato con Sophie che ora lo stava aspettando a casa, protetta dallo staff a cui aveva lasciato le precise istruzioni di non farla uscire e di non far trapelare alcuna notizia all’interno, lasciando radio e televisori staccati. Era al sicuro, e presto lo avrebbe aiutato e sostenuto.

Sophie si trovava nel taxi da più di un’ora ormai. Erano appena giunti al centro di Los Angeles ma procedevano a rilento. Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino e fu piuttosto confusa dalla scena che le si parava davanti.
– Come mai ci sono tutti quei giornalisti davanti alla centrale?– domandò al tassista.
– Non lo sa?– l’uomo scosse la testa, con una smorfia di disgusto. – Stanno interrogando Michael Jackson, finalmente. Chissà che lo rinchiudano una volta per tutte.–
Sophie battè le palpebre, sicura di aver capito male. – Come, scusi? Di cosa sta parlando?–
Il tassista si voltò verso di lei e la guardò come se avesse tre teste. – Ma lei dove vive? Non li legge i giornali, non li sente i notiziari?–
– Non ultimamente.–
– Ha! Beata ignoranza. Comunque, quel figlio di puttana ha molestato un ragazzo di tredici anni, e ora stanno cercando di incastrarlo.–
Sophie deglutì, sentendosi improvvisamente girare la testa. Iniziò a vedere sfocato tutt’intorno. – Non è possibile…–
– Mi creda, la gente non fa accuse del genere per niente. Troveranno anche le prove, comunque, è solo questione di tempo. E poi, è sempre stato un tipo strano. Tutte le star lo sono, è vero, ma lui aveva qualcosa di… sinistro. L’ho sempre detto, io. E ora per dimostrarlo ci è dovuto andare di mezzo un ragazzino!– scosse la testa di nuovo, fortemente indignato. – Ma si rende conto? È una vergogna.–
– Mi faccia scendere– sussurrò Sophie, allungando le banconote che aveva in mano.
– Qui? È sicura? Tra poco il traffico si sbloccherà e …–
– Sono sicura. Anzi, mi aspetti in fondo alla strada, penso che tornerò indietro presto.–
– Non c’è problema– rispose quello, prendendo tra due dita le banconote.
La donna, completamente intontita e sicura di essere finita in una specie di universo parallelo, scese lentamente dall’auto. C’era qualcosa di sbagliato in tutta quella storia. Probabilmente l’autista aveva bevuto. Essere stata nel taxi di un alcolizzato per tutto quel tempo era comunque più rassicurante della storia assurda che aveva appena sentito.
Si avvicinò alla folla di giornalisti, e toccò sulla spalla una di loro. – State aspettando Michael Jackson?– domandò con voce tremante. La giornalista fece appena in tempo ad annuire, che la porta della centrale si spalancò e insieme a tutti i suoi colleghi iniziò a urlare, ad allungare il microfono, a sollevarsi in punta di piedi per vedere l’uomo del momento. Sophie indietreggiò, sentendo le domande che facevano. Barcollò e le si annebbiò la vista.
Sentì la voce di Michael dire: – Sono tutte menzogne. Non c’è niente di vero. Sono innocente.– le guardie lo guidarono in mezzo ai giornalisti. Con loro c’era Bert, l’avvocato. Fu il primo a vederla. Fece un cenno a Michael, che alzò lo sguardo verso di lei. Colse negli occhi tristi un lampo di puro terrore. – Sophie!– urlò.
Lei scosse la testa, con le lacrime che le scendevano lungo le guance. Corse in mezzo alla strada, facendo inchiodare la macchina che passava in quel momento. Arrivata all’altro lato, afferrò la maniglia del taxi che l’aspettava, mentre Michael continuava ad urlare il suo nome, a dirle di aspettare, ma le guardie non gli permettevano di raggiungerla. Sophie rimase con la mano sulla maniglia. Gli lanciò un ultima occhiata, e poi entrò nel taxi, lasciandosi cadere pesantemente sul sedile.

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Capitolo 13
*** Too Little Too Late ***


~~Fu quello sguardo. Lo fece sentire malissimo, l’ennesimo pugno nello stomaco. Questa volta però era diverso.  Era dolore, era accuse; ma non le stesse che gli rivolgevano la polizia e i Chandler.
Aveva sbagliato. Michael lo capì solo in quel momento.
Doveva seguirla. Tornare a casa, la loro casa, e dirle che l’aveva fatto per il suo bene, per proteggerla da tutte le bugie che la gente aveva creato per distruggerlo. Doveva dirle che non voleva lasciare che distruggessero anche lei.
Con uno sguardo che non ammetteva repliche, ordinò di sfrecciare dritto fino a casa. Subito.

Le lacrime continuarono a correre sulle sue guance, non ci fu modo di trattenerle. L’autista propose di fermarsi, ma lei glielo vietò e gli ordinò di andare più veloce che poteva. A Neverland avrebbe ritirato le sue cose e sarebbe sparita, per sempre.
Avrebbe potuto ascoltare la versione di Michael. Era certa che non le avrebbe mentito.
Ma era troppo facile dire la verità adesso, dopo che aveva dovuto scoprirla da sé. Era in ritardo. Un ritardo che non poteva essere perdonato.
– Ma perché piange, signorina?–
Sophie non sapeva cosa rispondere. Cosa avrebbe potuto dire? Che l’uomo che amava le aveva mentito, mentre tutto il mondo sapeva la verità, per chissà quanto tempo? – Ha un sacchetto?–
Vomitò l’anima, sebbene non avesse nemmeno fatto colazione quella mattina. La tensione era troppa, e una volta riempito il sacchetto, si sentì svuotata, e si accasciò sul sedile, con la faccia probabilmente tendente al verde e il mascara rigato sulle guance. Non riusciva a pensare a niente, e non tentò neppure di sforzarsi. Dimenticare. Dimenticare. Era l’unica cosa che voleva e doveva fare. Poi sarebbe stata meglio.
– Ha il mal d’auto? Vuole che mi fermi?–
– Sto benissimo. Vada a Santa Barbara più in fretta che può.–
– E’ sicura?–
Avrebbe ritirato le sue cose. Sarebbe tornata a casa sua. Una casa vuota, ma almeno sincera. Dove nessuno le avrebbe nascosto nulla. Dove nessuno l’avrebbe fatta sentire amata per poi portarle via tutto. Dove non sarebbe stata la Sophie che aveva duettato con Michael Jackson, che aveva vissuto con Michael Jackson, che aveva dormito con Michael Jackson, che si era confidata con Michael Jackson. Sarebbe tornata ad essere Sophie, psichiatra fallita, immersa in debiti non suoi fino al collo, dal carattere un po’ cupo, dallo sguardo severo, dal passo deciso. Non era certamente perfetta, quella Sophie. Ma era una Sophie a cui non si mentiva. – Sicurissima–.
Pagò il tassista –che aveva avuto il buongusto di stare zitto per il resto del viaggio- e gli chiese di aspettarla, un’altra volta, per poi portarla all’aeroporto.
Arrivò davanti al cancello, dove l’attendeva la guardia. – Signorina, ha fatto un buon viaggio?–
Sophie non rispose e corse lungo il viale. Fece per entrare nella casa, quando vide di nuovo Alfred, e si fermò, di fronte al suo sorriso cordiale.
– Sapevi tutto, non è vero?–
– Mi scusi?–
– Michael doveva farmi una sorpresa, no? È incredibile la sfacciataggine con cui mi ha mentito, mr McKenzie– scandì il suo cognome per sottolineare il fatto che stava prendendo le distanze. – Tutti voi lo sapevate. L’autista, che ha detto che l’auto non andava. La guardia, che mi ha chiesto dove andavo, se volevo essere accompagnata. Che gentile, no?– urlò. – E lei, con quella storia della sorpresa. Sa una cosa? Me l’avete fatta, la sorpresa. Proprio una bella sorpresa!–
Alfred la guardò, senza parole. Non era stupito, si sentiva in colpa. Quindi non sbagliava. – Signorina, non so cosa dirle.–
– Non… deve dire niente. Io vado a fare i bagagli.– lui cercò di avvicinarla, ma lei lo respinse bruscamente. – Stia lontano! Non si azzardi a toccarmi!– scoppiò a piangere. – Tutti mi avete mentito! Tutti! Anche Michael!– continuò a singhiozzare, sempre più forte. – Ero pronta a rifarmi una nuova vita qui, a lasciare tutto ciò che avevo, e diventare una persona nuova, migliore, per lui, per voi. Sa, le avrei sorriso tutte le mattine, le avrei chiesto come stava, avremmo scambiato quattro chiacchiere. Invece no. Avete…– scosse la testa. – …distrutto tutto. Complimenti.–
Percorse a lunghi passi la distanza che la separava dalla casa, e salì in camera, riempiendo la valigia in fretta e furia, lasciando a terra tutto ciò che sembrava intenzionato a non permetterle di chiuderla. Non si guardò indietro, lasciando la camera. Si soffermò invece davanti alla stanza di Michael, che era diventata anche la sua. Si coprì la bocca con una mano e soffocò l’urlo di rabbia, che però non si trattenne dall’eccheggiare lungo il corridoio, pensando a quante menzogne erano nate lì dentro.
Corse giù per le scale, trascinando il bagaglio, con una forza dettata solo dalla furia, e ignorò Alfred, che tentava di rincorrerla.
– Signorina, aspetti, non ha capito!–
– E’ lei che non ha capito– sibilò, continuando a camminare. – Io me ne vado. Punto. Non sprechi fiato. Continui il suo lavoro.–
– Non solo il lavoro è importante.–
Sophie fece una risata secca. – Complimenti. Lei sì che è un uomo sensibile! Peccato che tutta la sua attenzione per il prossimo l’avrebbe dovuta tirar fuori un po’ di tempo fa– varcò il cancello, senza una sola parola di saluto. Nel giro di un minuto stava già sfrecciando a tutta velocità verso l’aeroporto.


ANGOLO AUTRICE
Ciao ragazze! Scusate, ultimamente scrivo poco e cose tristi, lo so... sì, Sophie se n'è andata. So che speravate nel contrario ma non è riuscita a capire le ragioni di Michael... ascoltate la canzone di JoJo che dà il titolo al capitolo, è veramente bella e forse vi farà capire un po' di più Sophie... lo so che è dura moonwalkers, ma stringete i denti, la storia non finisce qui!! Al prossimo aggiornamento <3
 

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Capitolo 14
*** All Too Well ***


~~Quando Michael lo seppe, diede di matto. Prese in mano un vassoio di cristallo sul tavolino vicino alla piscina e lo scagliò per terra.
– Una sola cosa avevo chiesto! Di tenerla qui! E non solo l’hai lasciata uscire prima, hai anche lasciato che indisturbata facesse i bagagli e se ne andasse via! Ma che diavolo hai nel cervello?– si accanì contro Alfred, non sentendosi ancora pronto a rivolgere tutta quella rabbia verso se stesso, come avrebbe dovuto.
– Io ho fatto il possiblie, glielo posso assicurare.–
– Lo vedo, tutto il possibile che hai fatto. Bel lavoro! Se il possibile non bastava, dovevi tentare l’impossibile! È una donna, mio dio, non un carroarmato! Potevi benissimo trattenerla aspettando che io arrivassi.–
– Non volevo farle del male.–
Michael gli puntò un dito contro. – L’hai fatto.–
– Anche lei– ribattè l’uomo.
Quella frase lo colpì come un pugno nello stomaco. – Sei licenziato.–
Dopo aver pronunciato quelle parole taglienti, corse in casa, per vedere se Sophie avesse lasciato un biglietto, o anche solo un indizio che indicasse dove volesse andare, ma non aveva lasciato niente, solo un paio di abiti sul pavimento della sua vecchia camera. In preda a una rabbia cieca, Michael li strappò e gettò in un angolo. Andò poi nella sua camera, tremando, e non trovando niente nemmeno lì, si abbandonò al dolore e iniziò a piangere, inginocchiato sul pavimento.
Quella ragazza da fastfood, quel sorriso contagioso, quella voce splendida, quella piccola luce, se n’era andata.

Le sembrò che fossero passati mesi da quando si era svegliata quella mattina, notò stancamente mentre si trovava sul volo diretto a San Bernardino. Era successo tutto così in fretta che non era riuscita a pensare a nient’altro, accecata dal dolore, se non tornare a casa.
Casa: il posto dove sei stato più felice? No, il posto dove non sono nate menzogne.
Chiuse gli occhi, e tutti i ricordi le si presentarono con straziante nitidezza, immagini che le urlavano che era stata un’idiota a credere, a legarsi, ad amare, a dire di amare. Avrebbe dovuto accorgersi… avrebbe dovuto sapere… con tutta la paura che aveva avuto di rovinare tutto, alla fine era rimasta impotente a guardare come gli eventi spazzavano via la cosa più preziosa che avesse mai avuto.

La casa sembrava incredibilmente vuota. Non riusciva nemmeno più a sentirla come casa sua, da quando era tornato e non l’aveva trovata. Erano passate circa tre ore, ed era rimasto sul pavimento della sua camera, immobile, disperato.
Bussarono alla porta. Senza attendere risposta, Bert entrò. – Se è tutto a posto, io vado.–
Michael annuì lentamente. – Vai.–
– Non hai detto che è tutto a posto.– replicò l’avvocato con un sorriso gentile.
– Come potrebbe esserlo?–
Bert sospirò. – Hai ragione. – si guardò intorno. – Non hai idea di dove possa essere andata?–
– Sarà andata in un albergo, oppure è tornata a casa.–
– Se sai dove abita, puoi sempre provare a raggiungerla, quando le acque si saranno calmate.–
– Non vorrà vedermi. Nemmeno se la imploro.–
– La ami?–
– Con tutto il cuore.–
– Allora so che ci proverai. E, se lei ricambia, ti ascolterà.–
– L’ho ferita, Bert. Si fidava di me.–
– Ma…–
– Senti, non ha importanza, okay? Ci vediamo domani per discutere dell’interrogatorio, oggi sono troppo stanco.–
L’avvocato annuì. – Va bene. Se ti serve qualcosa, chiamami.– lasciò la casa.
– Non mi serve qualcosa, ma qualcuno.– sussurrò Michael alla stanza vuota.

Le fece uno strano effetto rientrare a casa sua dopo tanto tempo. Le sembrò più accogliente di quanto ricordasse, ma anche più silenziosa. Ricordò, appena varcata la soglia, la sera della cena con Michael. L’ultima sera passata lì, e l’inizio di tutto. L’inizio della fine, pensò amaramente. Se solo avessi usato il cervello, invece che seguire l’istinto. Sempre che fosse stato istinto, e non follia.
Abbandonò la valigia contro la parete e si infilò dritta in camera. Non trovò le sue cose. Sapeva benissimo dov’erano. Avrebbe dovuto richiamare l’ufficio postale di Los Angeles e farsi mandare indietro gli scatoloni.
Si stese sul letto. Dopo un minuto di profondo silenzio, delle note familiari ebbero la sfacciataggine di ripresentarsi nella sua mente. E, per l’ennesima volta quel giorno, scoppiò in lacrime.

Quando si svegliò, per un attimo Michael ebbe l’illusione che avrebbe trovato Sophie al suo fianco. Ma il letto vuoto bastò a schiaffargli in faccia la realtà.
Non gli importava più niente del processo, di cosa pensava il mondo. Anche se la questione con la famiglia Chandler si fosse risolta, che senso avrebbe avuto? Cosa valeva vincere, se non aveva nessuno con cui festeggiare, e continuare a vivere?
Tanto valeva marcire in carcere per il resto della sua vita. Forse sarebbe stato meglio.
Avrebbe potuto andare a cercare Sophie, ma non se la sentiva, né di viaggiare, né di ritrovarsi di fronte allo sguardo che gli aveva lanciato prima di salire sul taxi, e sparire per sempre.
Che idiota, si disse. Se fosse stato sincero fin dall’inizio, lei avrebbe capito, lo sapeva. E allora perché nascondere la verità, anche se orribile? Di tutte le motivazioni che lo avevano convinto ad agire in quel modo, non riusciva a ricordarne una.
Sapeva solo che aveva rovinato la cosa più bella che avesse mai avuto.

Sophie si svegliò, distrutta come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte. Nei primi istanti non riconobbe il letto in cui si trovava. Ma poi realizzò dove si trovava e perché, e fu nuovamente dura controllare le lacrime. Quel luogo le era così estraneo ora… soltanto ventiquattr’ore prima pensava che non ci avrebbe mai più rimesso piede, e che si sarebbe lasciata quella vita alle spalle. Invece ora aveva una nuova realtà da dimenticare.
Punto e a capo.
Rimase a fissare il soffitto, cercando di guardare al futuro, ma era così dura farlo, dovendo escludere la persona che ne aveva fatto parte fino al giorno prima. Più tentava di guardare avanti, più tornava indietro. Devo fare qualcosa, si disse, in preda alla disperazione.
Si alzò e evitando lo specchio, considerando che l’occhiata di sfuggita che ci aveva lanciato fosse abbastanza, iniziò a malincuore a svuotare la valigia, così carica di ricordi. Appese i suoi vecchi vestiti nell’armadio, ma non riuscì a toccare quelli di Michael che nella fretta si era portata dietro. Si buttò sotto la doccia, insensibile all’acqua bollente che le sferzava la pelle. Ma, una volta uscita, sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Non importava a quale costo.
Doveva eliminare Michael dalla sua vita.
Per sempre.

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Capitolo 15
*** Where I Stood ***


~~Camminava. Percorreva a passo veloce strade che probabilmente conosceva troppo bene per permettersi di guardarle con attenzione, mentre, sotto il berretto che poteva essere interpretato sia come un modo per aggrapparsi alle vecchie mode, sia come un modo per nascondere il più possibile il volto, i suoi occhi continuavano a cambiare. Ormai l’avrete capito, sono un’osservatrice attenta. E beh, era come se riflettessero ricordi belli e devastanti che si susseguivano nella sua mente, in modo irrefrenabile. A tratti infatti aveva uno sguardo rabbioso, a tratti triste, a tratti felice, ma di quella felicità che ti porta in alto per poi ributtarti giù, facendoti un male cane. Ogni pensiero che faceva sembrava essere per lei più doloroso e improvviso di uno schiaffo, eppure resisteva, non smetteva di camminare, di cercare qualcosa. Chiunque l’avesse incrociata per strada probabilmente non sarebbe riuscito a notarlo ad un primo sguardo, ma osservandola bene si avvertiva un’incredibile forza in lei, che ti lasciava senza fiato, senza sapere spiegarne il perché. Non sembrava il tipo di donna a cui puoi offrire da bere come a una qualunque. Devi darle un motivo per fidarsi di te, sempre che, con quei ricordi dolorosi che le sferzavano l’anima come un vento invernale, infernale, sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi di nuovo a qualcuno. Una combinazione esplosiva di dolore e forza, di voglia di dimenticare e di bisogno di ricordare, di sorrisi e lacrime, di sguardi decisi e occhiate sfuggenti. Una lotta continua, che però non le impediva di andare avanti, cercare. E sembrò che la ricerca avesse dato i suoi frutti, quando rallentò il passo, attratta da qualcosa.

Sophie si fermò di fronte a un bar, soffermandosi sull’annuncio che era affisso all’ingresso. Spinse la porta, sperando che fosse ancora valido.
Si avvicinò a una ragazza di poco più di vent’anni, bionda, minuta, che si trovava dietro il bancone, leggendo una rivista.
– Mi scusi?–
Alzò lo sguardo. – Sì?–
– Salve. Mi chiamo Sophie. Sono venuta per il posto di cameriera, è ancora vacante?–
La ragazza le rivolse un sorriso raggiante, che avrebbe trovato contagioso, se non fosse stata… beh, lei. – Oh certo che lo è! Ormai non ci speravamo più! Come sono contenta che lei sia qui!–
– Dammi pure del tu– fece Sophie, abbozzandò un sorriso, che probabilmente risultò più simile ad una smorfia.
– Perfetto, anche tu allora– non smetteva di sorridere e squittare. Sprizzava allegria da tutti i pori. Forse è proprio quello che mi ci vuole, si disse. – Lauren!– urlò. – Lauren è la mia migliore amica, lavora qui con me al bar, ma sai, in due è un disastro prendere le ordinazioni, cucinare e tutto il resto.–
– Che succede?– chiese Lauren, emergendo da una porta in fondo al locale. Era completamente l’opposto di Annie, l’espressione seria anche se piuttosto amichevole, alta, con i capelli mori, un tono di voce grave, quasi sussurrato.
La ragazza bionda sorrise, tirando Sophie per un braccio verso Lauren. – Lei è Sophie. È venuta qui per il posto di cameriera!–
Lauren piegò le labbra carnose in un sorriso incredibilmente dolce, reso ancora più bello dai suoi denti perfetti e dagli occhi luminosi. – Fantastico. Ne avevamo proprio bisogno.–
– Gliel’ho detto! La assumiamo, vero? Io la adoro già!– esclamò, esasiata. Sophie si sentiva leggermente frastornata.
– Calmati, Annie.– fece lei, alzando gli occhi al cielo. – Ti prego di scusarla, tesoro, ma lei è sempre così. Ti ci dovrai abituare.– le sorrise di nuovo. – Hai mai lavorato come cameriera?–
Sophie annuì. – Sì, per circa un anno qualche tempo fa, per potermi pagare l’università.–
– Sei laureata?– chiese Annie, sgranando gli occhi.
– Sì…–
– Ma sembri così giovane! E in cosa sei laureata?–
– In psichiatria, ma…–
– Non ci credo! E vieni qua a fare la cameriera? Sicura di non avere bisogno tu di uno psichiatra?– continuò la ragazza, sempre più incredula.
Sophie le sorrise. – Non proprio. Ma voglio davvero fare questo lavoro.–
– In questo caso– intervenne Lauren – benvenuta. Quando ti va di iniziare?–
– Anche subito– rispose lei, scrollando le spalle.
– Grandioso! Tra mezz’ora saremo sommersi di clienti. Stacchiamo alle tre, e riprendiamo alle sette. Chiudiamo a mezzanotte. Tutto chiaro?–
Sophie annuì. Le due ragazze le diedero tutte le indicazioni più superflue e ovvie che potesse immaginare, ma aveva proprio bisogno di quello, di essere sommersa di parole, di cose da fare, e clienti per i quali sforzarsi di sorridere. Si ritrovò con grande sorpresa a ritenersi fortunata per quell’occasione, e un’ora più tardi si stupì incontrando la sua immagine di sfuggita nello specchio in fondo al locale, come aveva fatto quella mattina a casa, e vedendo una persona che la guardava di rimando con aria allegra, e quasi di sfida, come a dire “non riesci a crederci, vero?”.

L’ora di staccare arrivò in un lampo. Sophie aveva passato più di due ore ad accogliere clienti, indicare tavoli, raccogliere ordinazioni, camminare avanti e indietro per servire, apparecchiare, sparecchiare, pulire. Alle tre di pomeriggio, era esausta, ma felice.
– Hai superato la prima mezza giornata. Fidati, se sopravvivi a questo, non hai più problemi– le sorrise Lauren mentre puliva il bancone.
– Chi ben comincia è già a metà dell’opera!– canticchiò Annie, danzando da un tavolo all’altro mentre li sistemava.
La sua amica alzò gli occhi scuri al cielo. Poi li posò di nuovo su Sophie. – Ti serve un passaggio?–
– No, grazie, non abito molto lontano.–
– Davvero? Non ti ho mai vista da queste parti. Dove stai?–
– Praticamente dietro il centro commerciale.–
Lauren annuì, ma ovviamente Annie non potè trattenersi dal commentare in maniera entusiasta anche quel particolare così inutile della sua vita. – Dici sul serio? È stupenda quell’area. Ci abita un mio amico. Ma è costosa, vero? Lui per fortuna è medico e guadagna abbastanza da mantenere lui e la sua stupida famiglia.–
– Annie!– la ammonì Lauren. – Lasciala perdere. Ce l’ha ancora col suo “amico” perché le ha spezzato il cuore.–
– Non innamorarti mai di un dottore.– scosse la chioma bionda. – Anzi, non innamorarti mai.–
Lo so già, grazie.
Mentre si allontanava, dopo aver abbozzato un sorriso di saluto, continuava a sentire le due ragazze litigare. Prevedeva che quel teatrino sarebbe andato avanti all’inifinito… e non sbagliava. Ma ci si buttò a capofitto, giorno dopo giorno, impegnandosi in quel lavoro che, sperava, le avrebbe tolto ogni energia. E ogni sera, infatti, rientrando a casa, aveva a malapena la forza di infilarsi sotto la doccia prima di andare a dormire. Era sfinita. Ironicamente, era il meglio che si potesse aspettare.
Così Sophie trascorse giorni, settimane, mesi, con due nuove irresistibili amiche, un nuovo lavoro, circondata da nuovi volti e nuovi luoghi, ricostruendo mano a mano la sua vita… mentre i giornali mandavano in pezzi quella di Michael. Non poteva fare a meno di seguire le notizie. Avrebbe voluto, dovuto evitarlo, ma era impossibile, ne sentiva parlare spesso, dai clienti del bar o direttamente da Annie e Lauren, che tuttavia non seppero mai la verità. E lei ascoltava e soffocava, continuando con quella vita frenetica, convinta che seppellendo il tutto le cose si sarebbero sistemate. Eppure, da ex psichiatra, avrebbe dovuto sapere che non funzionava così.
Esplose circa un anno dopo la sua fuga da Neverland, quando, dal nulla, ricevette una busta a casa. La aprì: era un cd. L’effetto che le fece sentire la sua voce e quella di Michael insieme registrate nella canzone a cui avevano lavorato tanto, fu devastante, di nuovo, e la fatica di reprimere quella piccola voce che voleva gioire del fatto che Michael si ricordasse di lei fu estrema. Ma non si tornava indietro.
Eppure per anni fu involontaria spettatrice della vita di Michael. C’era così tanto rumore intorno a lui ormai, che nemmeno tapparsi occhi e orecchie sarebbe stato utile. A nessuno dei due. Sophie continuò a soffocare ogni cosa: la pubblicazione della loro canzone con la sorella Janet, il matrimonio, i figli, il peggioramento della sua salute, la scomparsa dalle scene e la promessa del suo ritorno… si abbandonò alla routine di quella nuova vita, vi si aggrappò, la difese, e sopravvisse. Quasi indenne.
Finchè non arrivò il 25 giugno 2009.


ANGOLO AUTRICE
Sono tornata!
Grazie di aver seguito la storia anche durante la mia assenza, ma ormai è inutile che mi dilunghi su questo punto, non riuscirei mai a esprimere davvero quanto vi sono grata.
Ancora pochissimi capitoli e anche Smile giunge al termine! Tenete duro ragazze, anche perchè... so che effetto vi ha fatto leggere quella data, lo capisco e lo condivido con tutto il cuore. Ma questo almeno non è l'ultimo capitolo, sarei un mostro a chiudere così!
Al prossimo aggiornamento carissime lettrici <3

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Capitolo 16
*** Slipped Away ***


~~Radio che gracchia. Sole che filtra dalla finestra. Lenzuola calde. Nessuna voglia di lasciarle. Sguardo alla sveglia. Suoni ancora confusi. Poi un nome.
Voci concitate. Frasi accavallate, si rincorrono veloci. Brutte notizie da Los Angeles.

Un urlo. Il suo, ma Sophie non lo riconobbe.
Radio che continua a gracchiare. Sole che filtra dalla finestra, ma sembra molto meno luminoso. Lenzuola fredde. Sguardo a terra. Suoni troppo chiari. Ancora quel nome.
Pareti che si schiacciano. Pareti tra le quali lei era rimasta, mentre la notte si portava via Michael Jackson, senza poter fare niente.
Vuoto sotto di sé. Sensazione di non valere più di quelle lacrime che scivolavano allo stesso modo in cui lei era scivolata fuori dalla vita di Michael. E in cui oggi lui era scivolato via. Fiato corto. Ricordi ammassati. Pizzicotti sulla pelle. Era sveglia.
Lui no.

Radio a terra in frantumi. Lenzuola stracciate. Sguardo perso. Nessun suono. Quel nome sotto la pelle.
Il sole non c’era più.

*

Passarono settecentotrenta giorni.
Sophie si svegliò rannicchiata in poltrona. Indossava quei pochi vestiti di Michael che le erano rimasti. Ormai avevano perso il suo profumo.Erano stati settecentotrenta giorni più o meno tutti uguali. Dopotutto, lei non si era mai illusa che avrebbe dimenticato. Lo stereo girava a vuoto. Aveva ascoltato la loro registrazione per ore, finchè non si era addormentata. Il cappello le era caduto a terra. Lo raccolse e se lo calcò in testa fino quasi a coprirle gli occhi. Non c’era stato comunque molto da vedere neanche negli ultimi due anni, se non flashback brutalmente vividi. Sentì un’auto nel vialetto di casa. Sicuramente Annie e Lauren l’avrebbero travolta di domande sul perché non era andata a lavorare, pur sapendo che lei non rispondeva mai. Suonarono alla porta. Strano, non le sentiva battibeccare dall’esterno. Forse erano abbastanza di buon umore per lasciarla stare e capire che voleva rimanere sola. – Ragazze, non sono presentabile...–
– Lo sei sempre– una voce maschile. Che cazz…? Oh, dunque era quel ragazzo arrogante con cui le amiche l’avevano costretta a uscire. Già dopo il primo appuntamento la dava per “conquistata”… irritante.
Tanto valeva aprirgli, forse vederla vestita da uomo e senza trucco l’avrebbe scoraggiato. – Senti, non…–
Ma non era lui.

Sophie… era sempre Sophie, eppure era cambiata, e molto. Tranne che per quello sguardo. Dopo averlo tanto cercato, finalmente Michael lo incontrò e ci si tuffò riempiendosi di quella sensazione che da anni gli mancava.
Vide che portava i suoi vestiti. E il cappello.
Non riuscì a parlare.

Iniziò a piangere senza neanche rendersene conto. Fu una cosa istintiva, probabilmente scoppiò ancora prima di reallizare chi aveva davanti. Cadde in ginocchio.
Michael si inginocchiò di fronte a lei e le scostò le mani dal viso, asciugandole le lacrime. La guardò. – Ehi, ragazza da fast food. Me lo offri un caffè?–
Sophie ricambiò lo sguardo caricandolo di tutta la sofferenza soffocata in quegli oltre quindici anni e prese a tempestargli il petto di pugni. – Che razza di idiota se ne uscirebbe con una frase del genere dopo essersi comportato da stronzo e avermi nascosto neanche una semplice verità ma una verità che sapeva tutto il mondo e dopo aver finto di crepare per chissà quale cazzo di ragione facendomi piangere come una deficiente non per un giorno, non per una settimana, ma per due anni Michael?!?–
– Il tuo idiota– sussurrò.
Ogni riserva di Sophie svanì. Baciò le labbra che aveva baciato diciannove anni prima, sentendo il profumo che aveva creduto perso per sempre. Non aveva mai pianto lacrime più dolci di quelle che ora le scorrevano sul viso mescolandosi a quelle di Michael. Così come doveva essere.


ANGOLO AUTRICE
Ed eccoci qui...
Due premesse: per prima cosa, questo non è l'ultimo capitolo!... secondariamente, spero che nessuno si senta offeso dalla svolta della finta morte di Michael. Non sono tra quelli che ci credono, ma mi sembrava adatto per la fanfiction, almeno qui possiamo far finta che sia così...
E invece, oggi è il 25 giugno. E sei anni fa, eravamo noi quelle impotenti intrappolate tra le mura di casa nostra, ascoltando alla radio parole inaccettabili. Ci siamo passate tutte...
Questa volta ho "solo" una cosa di cui ringraziarvi...
GRAZIE DI RICORDARVI DI MICHAEL.

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Capitolo 17
*** Here We Are ***


~~Si sollevarono, ancora con le labbra unite. Michael chiuse la porta d’ingresso dietro di sé e ci si appoggiò, stringendo l’unica certezza della sua vita, nonostante ne avesse fatto parte per così poco; l’unica ragione di una vita che ora sarebbe continuata solo per lei, per loro.
Quando si separarono, lo sguardo di Sophie era ancora accusatorio. E a ragione.
– Mi devi delle spiegazioni– disse col fiato corto. Michael annuì. La accompagnò sul divano.
– Qual è la prima delle domande?– chiese, fingendo un tono leggero.
– Sei un po’ meno decomposto di quanto mi sarei aspettata, quindi direi di inziare da questo– inarcò un sopracciglio in quel suo solito, irresistibile modo, facendo ricadere la solita ciocca chiara sull’occhio. Dio, quanto gli era mancata…
Cercò di trattenere il sorriso. – Sophie… la mia vita negli ultimi anni è stata un inferno. Nuovi processi, debiti, accuse, minacce, congetture. Io… non ce la facevo più.–

Le montò dentro una rabbia enorme. – E’ tutto qui? Non ce la facevi più? Cristo, Michael! Ma quanti anni hai? La gente normale quando ha dei problemi li affronta, non muore mica! E i tuoi figli? E i tuoi fan? Che diavolo hai nel cervello!?–
Michael le prese le mani. – Credimi, Sophie, se ci fosse stato un altro modo, ci avrei pensato.–
– Come quando hai deciso di mentirmi?– intrecciò le braccia davanti al petto. Qui lo voleva.
– No. Lì ho sbagliato.– disse semplicemente.
– Non ti fidavi di me?–
– Non c’entra niente. Volevo solo proteggerti. Era un peso troppo grande…–
– Appunto Michael! Avremmo potuto portarlo in due. Invece hai voluto fare tutto da solo. E per cosa?–
– Te l’ho detto.– replicò guardandola. Era tutto senza senso, eccome se lo era. Ma in qualche modo, Sophie capiva. Sentiva che non le importava più niente. Il sole era tornato.
Solo… – Perché sei qui? Perché adesso?–
– Sarei venuto il giorno stesso, te lo giuro. Ma non potevo, dovevo lasciar calmare le acque. Ed è stato difficilissimo nascondermi in questi due anni… ora posso muovermi, ma è ancora rischioso. Insomma, mi assomiglio abbastanza, non trovi?–
Sophie, per la prima volta, rise. Vide Michael distendersi di fronte alla sua reazione.  – Non hai risposto al perché qui.–
– Non è ovvio?–
– No.– lo sfidò.
– Sono qui perché, Sophie, voglio chiederti se hai voglia di passare il resto della tua vita in compagnia di un cadavere, lottando per nascondermi e difendere il mio-nostro segreto, finchè morte (vera) non ci separi.–

Lo guardò. Era imperscrutabile. – Michael. Da quando sei entrato da quella porta non hai detto mi dispiace nemmeno una volta.–
Aveva ragione. – Io…–
– Zitto– disse, alzandosi dal divano e raggiungendolo. – Sei entrato qui, mi hai chiesto un caffè, mi hai baciato…–
– … tecnicamente sei tu che hai baciato me– obiettò.
– Zitto!– tratteneva a stento le risate. – … mi hai baciato, mi hai raccontato la tua storiella, e mi hai fatto la proposta…– scoppiò a ridere. – …più cretina e splendida che io abbia mai sentito!–
Anche Michael rise, sciolta la tensione, e l’abbraccio. – E’ un sì?–
– Vaffanculo!– gli tirò un altro pugno. – Di’ che ti dispiace!–
– Sophie Jackson, mi scuso ufficialmente con lei per averle mentito, averla delusa, fatta piangere, baciata (anche se continuo a sostenere che sia stata lei…) e averle dato della cicciona.– lei sgranò gli occhi.  – Certo che me lo ricordo, e lasciatelo dire, sei ancora uno schianto.–
– Ti direi lo stesso ma parti avantaggiato, dovresti essere in stato di decomposizione da un po’, il paragone non è valido…–

Lei lo fissò a lungo mentre rideva, come a voler imprimere nella mente il viso che temeva avrebbe dimenticato. Quanto poteva essere facile amarlo dopo averlo perso? Parecchio, a quanto pareva. Fu così che, con un nuovo ma allo stesso tempo antico sorriso sulle labbra, Sophie disse il secondo sì della sua vita.

*

Camminavano. Mano nella mano, un gesto così semplice, eppure che sembrava essere costato così tanta fatica, esattamente come quei sorrisi che di quando in quando si scambiavano. Lei, sottile, lineamenti dolci, lui, tratti piuttosto familiari, portamento elegante. Canticchiavano per strada una canzone vecchia di ormai una quindicina d’anni, di quelle che non ti rimangono in testa a meno che non abbiano una storia dietro. Ma quella ce l’aveva.


ANGOLO AUTRICE
E così, eccoci qui, ragazze. Questo è veramente l'ultimo capitolo...
Volevo ringraziarvi infinitamente per avermi accompagnato in questo viaggetto, è la prima volta che pubblico una fanfiction ma il modo in cui mi avete accolta mi ha dato la forza e l'ispirazione per continuare. Infatti, state all'erta: a breve arriverà una nuova storia! Probabilmente il mio nickname sarà diverso (ho fatto richiesta ieri all'amministrazione), ma sarò sempre io!
Grazie, grazie grazie grazie, cercate di sopravvivere alla nostalgia per Sophie (xD) perchè chiunque abbia nel cuore Michael non se ne va mai davvero perchè lui non lo fa. E anche noi lo abbiamo sempre nel cuore. E io, vi posso solo lasciare con un'ultima preghiera: non smettete mai di sognarlo. Di cantarlo, di ballarlo, di amarlo. Non lasciate che scivoli via. Vivetelo e raccontatelo, ma soprattutto, siate fiere di farlo.
Io lo sono, ogni giorno.
With love,
Diana
 

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