Crossed paths.

di Role
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


1.

 

 

John Watson detestava svegliarsi presto.

Credeva fermamente che fissare una lezione di biologia alla prima ora, per giunta del lunedì, fosse parte di un vasto piano malefico, atto unicamente allo scopo di distruggerlo.

Quale malato insegnante poteva essere pronto, di prima mattina, a trattare una delle materie più complesse del suo corso di studi?

Questi quesiti amletici gli tormentavano la mente, mentre si sforzava di non scivolare nelle pozzanghere che, in quella giornata uggiosa di novembre, sembravano ricoprire ogni marciapiede di Fleet Street.

  Erano ormai due mesi, e la pioggia non sembrava avere la benché minima intenzione di fermarsi.

John ne era entusiasta. Adorava la pioggia.

Permetteva una visione unica della città, pronta a sorprenderlo ad ogni angolo.

Erano le sette e cinquantasei, e sapeva di essere terribilmente in ritardo.

Doveva impegnarsi, ottenere quell’ A-level, altrimenti la borsa di studio per medicina sarebbe stata soltanto un’illusione.

Entrò in classe trafelato, pochi minuti dopo, ignorando lo sguardo di disapprovazione del professor Williams e limitandosi a mugugnare delle scuse.

Era la prima lezione del trimestre e si stava già prodigando a fare la sua bella impressione.

Raggiunse in fretta l’unico posto libero, dietro Sally Donovan ed estrasse il libro dal banco.

Avrebbe dovuto essere immacolato, per lui era la prima lezione di biologia del semestre.

Aprì il testo alla pagina segnata sulla lavagna.

Oh, perfetto, l’osmosi.

Avevano già approfondito l’argomento in precedenza.

Diede una rapida scorsa al paragrafo, per un breve ripasso.

L’osmosi indica la diffusione di un solvente attraverso la membrana semipermeabile dal compartimento a concentrazione minore di soluto a quello a concentrazione maggiore. Sebbene gli altri tipi di diffusione operi-

Il biondo interruppe la lettura, distratto da qualcosa di ben più interessante.

Una nota, scritta in una calligrafia elegante e flessuosa, accompagnava la definizione.

Errato. Sono compartimenti a minore o maggiore potenziale chimico idrico, è improprio definirli in base alla concentrazione. Idiota.

 

Dovevano essere gli appunti di un ragazzino del primo anno, nessun altro aveva potuto prendere in mano quel libro.

Eppure…quale ragazzo del primo anno poteva correggere il volume con tale puntigliosità e competenza?

Il mistero si infittiva e non faceva che acuire la curiosità di John.

L’insegnate continuava a spiegare, ma le parole non trovavano nulla a cui appigliarsi nella mente del ragazzo.

Scrisse distrattamente qualche appunto sulle soluzioni isotoniche.

Quando finalmente suonò la campanella, John si costrinse a distogliere lo sguardo.

Si sentiva dannatamente stupido, ma valeva la pena tentare.

Prese la penna rossa e rispose.

Non ti sembra di essere un po’ presuntuoso? 

Chiuse il libro e lo ripose nel banco. Deciso ad accantonare la questione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: Sia John che Sherlock frequentano il sixth form, due anni di preparazione tra i sedici e i diciotto, al termine del liceo vero e proprio, per conseguire gli A-levels (ovvero una “specializzazione” in alcune materie, per accedere all’università).

Ho immaginato che ogni professore abbia la sua aula, e che gli studenti ripongano il libro nel banco (essendo il libro unico per il biennio.), senza assumerne la proprietà.

 

Angolo autrice

 

Salve ecco a voi una nuova raccolta…dopo tanto tempo.

Sempre e solo rigorosamente Johnlock u.u

Spero di riuscire ad aggiornare con regolarità due volte a settimana e…beh, non ho molto altro da dire XD

Alla prossima, Role.

P.s. Per informazioni, aggiornamenti o prendere a pizze in faccia l'autrice, vi segnalo questa bbellissima (ma anche no) pagina facebook :3  https://www.facebook.com/RoleEfp

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

Per gran parte della sua vita, Sherlock Holmes si era chiesto se per caso indossasse una maschera buffa, senza che nessuno si fosse mai degnato di informarlo.

Le risatine che avevano accompagnato il suo passaggio nei corridoi, nel corso della sua carriera scolastica, avevano finito per insediarsi nella sua mente.

Un tarlo fastidioso e instancabile, annidatosi nella sua mente, con l'unico scopo di farlo impazzire.

Era forse per quello che, ogni mattina, si sforzava di arrivare per primo in classe?

Era soltanto quell’infantile desiderio di essere ignorato a condizionarlo? Non lo sapeva.

Forse, in realtà, cercava di nasconderlo a se stesso.

Aveva sentito fin troppe volte la parola freak, accompagnata da deboli sussurri che, come una macabra colonna sonora, segnavano la sua entrata.

Si era autodiagnosticato almeno una sessantina di patologie psicologiche, cercando di convincere Mycroft a trovare uno psichiatra che le certificasse.

Forse, con una diagnosi alla mano, avrebbe potuto giustificare il rifiuto della società.

Avrebbe fatto qualunque cosa pur di restare da solo. Qualunque.

Se gli avesse consentito di tenere alla larga le persone, probabilmente, avrebbe ceduto volentieri i suoi genitori a un mercante di schiavi.

Aveva deciso di lanciarsi nello studio.

La chimica era semplice. Lo capiva.

Sequenze di atomi che si incastravano perfettamente in elementi.

Elementi che avevano un posto stabilito nelle molecole.

Nessuno avrebbe impedito a quelle particelle di disporsi ordinatamente per conseguire il loro scopo. 

Nessuno.

Dopo pochi anni avrebbe potuto fare qualcosa della sua vita, da solo, come aveva sempre sperato di fare.

Pregustava quei momenti ogni giorno, quando qualche lingua tagliente gli intralciava la strada.

Quel periodo sarebbe finito.

Era il suo mantra.

Risuonava ad ogni passo, mentre camminava verso la scuola.

Copriva i sospiri, gli permetteva di andare avanti.

Come quel giorno, quando, entrato nell’aula di biologia , il suo mantra copriva una stupida spiegazione sui cloroplasti e i sospiri scoraggiati dei suoi compagni,  maledettamente incapaci.

Sherlock ne approfittò per revisionare gli argomenti precedenti.

Conosceva il programma del loro anno alla perfezione.

Sfogliava le pagine, come in un puerile gioco di figurine.

Questo è semplice.

Quest’altro è da idioti.

Seriamente? Questo non è roba da quarta elementare?

Avrebbe volentieri saltato il capitolo dell’osmosi, vista la recente spiegazione...

Eppure, odiava le cose incomplete…

Magari sono anche ossessivo compulsivo. Annotò mentalmente.

Ad attirare la sua attenzione fu l’illeggibile calligrafia che aveva tracciato una risposta, sotto i suoi appunti.

Una parte dentro di lui, seppellita sotto anni di freddezza, sospirò di sollievo all’idea che non fosse una presa in giro o un insulto pesante…

Cosa andava a pensare? No, lui era superiore. Inflessibile.

Le parole di un decerebrato coetaneo non potevano neanche sfiorarlo.

La scritta, in ogni caso, recava una semplice domanda.

Non ti sembra di essere un po’ presuntuoso? 

Era stupido rispondere.

Lo avrebbe esposto a eventuali scherzi.

Eppure non resistette.

Era un tono indisponente, non aggressivo.

Ho l’intelligenza necessaria per esserlo.

Incuriosito dal suo fantomatico interlocutore, cercò qualche indizio nel banco che gli permettesse di dedurre di più.

Un capello castano, ma da ragazza.

Forse Molly Hooper, secondo anno. 

Era una ragazzina romantica e emarginata.

Lo fissava, troppo, in modo imbarazzante per entrambi.

No, improbabile. Non solo la calligrafia era da ragazzo, ma la giovane era troppo timida per cercare di interagire con lui in tale modo.

Uno studente nuovo, forse.

Senza farsi scoprire dal professore infilò una mano nel banco e ne estrasse un quadernetto verde.

Perfetto.

La calligrafia corrispondeva.

John H. Watson.

Interessante.

Sherlock decise che, correggendo i suoi appunti (dannatamente pieni di errori di concetto), la lezione sarebbe passata più in fretta.

 

 

 

 

Angolo autrice.

Capitolo due....ci siamo :3 come i miei lettori già sapranno, tendo a prediligere uno stile di capitolo a "raccolta" breve, coinciso, e ad aggiornare con più frequenza.

Per scrivere questo capitolo sono sorti grandi dubbi sulla deduzione del sesso grazie alla grafologia, ma pare che sia possibile, quindi sono tranquilla u.u

Ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono, ricordano  o recensiscono. Siete belle persone.

                                                                                 Grazie sempre, Role.

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

 

Ad un primo sguardo, John Watson sarebbe sembrato l’essere più diligente della terra.

Silenzioso, con lo sguardo perennemente rivolto a libri e quaderni, attirava su di se l’ammirazione dei professori.

Non saltava le lezioni, non rispondeva sgarbatamente e non era mai stato colto impreparato.

Un esempio magnifico dello studente che qualunque professore avrebbe desiderato.

Il tipico alunno che avrebbe fatto grandi cose, senza dubbio, ripetevano instancabilmente i suoi insegnanti ai signori Watson, prima di affrontare le insufficienze di sua sorella Harriet.

Una sera, però, con la casa a sua disposizione, forte dell’assenza di verifiche scritte o orali nel giorno successivo, aveva deciso di dare sfogo a ciò che qualunque adolescente maschio avrebbe fatto, disponendo di calma e discrezione.

Timidamente si era seduto, rilassandosi e tirando un sospiro di sollievo.

Con aria quasi colpevole aveva predisposto le sue dita, deciso a sfogare la sua frustrazione.

Esercitando una lieve pressione, quasi gemette di piacere per la sensazione di rilassamento che si propagava attraverso la sua spina dorsale.

Il desiderio dentro di lui era cresciuto incessantemente, durante quel periodo costellato da interrogazioni e stress scolastico.

Per settimane aveva desiderato di sedersi lì, su quella poltrona, per giocare al suo videogioco preferito.

Finalmente poteva dedicarsi al pigiare ritmico dei tasti sul joystick.

Con un rapido movimento di dita permise a Sora si sferrare un attacco di fuoco contro i nemici.

Una piccola parte, dentro di lui, si sentiva colpevole.

Avrebbe dovuto ripassare, non giocare a Kingdom Hearts.

Eppure, per una volta, si sarebbe concesso quel lusso.

 Incurante dei suoi doveri scolastici.

                                                                   ***

Quando il professore, entrando in classe, annunciò un’interrogazione a sorpresa, John Watson ebbe quasi sicuramente un infarto.

Una spiacevole sensazione di ansia mista a nausea si fece strada nel suo stomaco.

L’ultimo capitolo studiato era un totale buco per lui, si era limitato a prendere alcuni appunti!

Non poteva fare a meno di lasciarsi prendere dal panico.

Il professore avrebbe posto una domanda per ciascuno, riguardanti gli argomenti studiati.

Una semplice verifica per accertarsi che, nonostante il periodo tranquillo, la classe continuasse a studiare.

Per sua fortuna, la W era in fondo all’elenco.

 Aveva almeno mezz’ora per provare a rileggere i suoi appunti.

Li estrasse dal banco, cercando di assimilare più possibile.

Dei segni rossi onnipresenti lo incuriosirono…

Non li aveva lasciati lui.

Con impareggiabile minuzia, qualcuno aveva deciso di dedicarsi ad una correzione approfondita dei suoi appunti.

John non si chiese neanche per un attimo chi fosse stato.

Era certo che il suo misterioso interlocutore avesse colpito ancora.

Diede una scorsa veloce agli appunti sugli acidi nucleici.

Avrebbe giurato che le basi azotate dell’RNA fossero adenina-timina e citosina-guanina…

Pareva, però, che il suo correttore non fosse d’accordo…

Oh, andiamo John. Anche i bambini sanno che la timina è sostituita dall’uracile.

Come faceva a conoscere il suo nome?

Il giovane non lo sapeva, ma ora come ora non era il suo problema principale.

-John Watson? – Il professore proferì il suo nome, quasi come una condanna a morte.

-Si, signore. – Rispose pronto.

- Parlami dell’RNA. -

Sembrava una presa in giro.

Tra tutti gli argomenti studiati quell’anno…proprio quello? Forse la legge di Murphy esisteva davvero.

Iniziò, con sicurezza, ad elencare i vari tipi di RNA e la sua funzione e collocazione nella cellula.

Arrivato alla parte delle basi azotate decise di fidarsi.

Non aveva molta scelta, no?

-Ovviamente nell’RNA, a differenza del DNA, la timina è sostituita dall’uracile. –

-Ottimo Watson, puoi sederti. –

Era fatta.

Era riuscito a sopravvivere.

Scribacchiò un grazie sul banco, ripromettendosi di rintracciare il suo salvatore e ringraziarlo di persona.

 

 

 

Angolo autrice.

Capitolo tre :3 e sono ancora viva…si inizia a vedere qualche sviluppo.

Volevo ringraziare tutti coloro che leggono, recensiscono e hanno inserito la storia tra le preferite :3 siete meravigliosi.

                                                                                                                               Grazie mille, Role.

Fb (per aggiornamenti o bestemmie all’autrice…mi trovate qui :3) https://www.facebook.com/RoleEfp

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

 

Nella settimana successiva all’interrogazione di biologia, John Watson non ebbe ulteriori contatti con il suo misterioso salvatore.

Non avrebbe dovuto esserne sorpreso, lo sapeva.

Quel contatto che per lui era diventato un mistero, degno di interesse e riflessione, probabilmente, per il suo interlocutore non aveva rappresentato niente.

Soltanto uno stupido ragazzino del primo anno, incapace di prendere appunti sull’acido ribonucleico.

Eppure, il ragazzo non riusciva a lasciarsi alle spalle quella questione.

Negli ultimi sedici anni, la sua vita era stata infinitamente piatta.

Nulla era stato capace di scuoterlo come quella questione.

Ogni volta che quel sarcastico individuo commentava i suoi appunti, una scarica di adrenalina sembrava pervaderlo.

Facendo quei pensieri, non poteva fare a meno di sentirsi come una ragazzina in calore.

Fatto sta, però, che quella situazione andava risolta.

Non poteva andare avanti così.

Avrebbe scoperto l’occupante di quel banco.

A qualunque costo.

                                                                 ***

In effetti, il prezzo era più caro di quanto si potesse immaginare.

Ascoltare Mike Stamford che gli snocciolava le sue pene di cuore era quasi peggio del dolore fisico.

Eppure, l’amico era nel consiglio studentesco.

Non c’era modo migliore per sapere precisamente quale classe transitasse in quell’aula e, per giunta, e a quale orario.

Solo la prima usava il suo stesso libro, ergo, era quasi certo che il ragazzo del mistero si trovasse lì…

Si, decisamente, un giorno avrebbe dovuto darsi all’investigazione.

Dopo circa un’ora di vaneggiamenti di Mike su una certa Betty che, per la cronaca, non sembrava per niente interessata al ragazzo, John ottenne l’agognata informazione.

Poté così appuntare, dettagliatamente sul suo quadernetto, l’orario di biologia dell’altra prima.

Era fatta.

Il giorno seguente avrebbe svelato l’arcano.

 

Con passo baldanzoso, già dalla prima mattina, si era recato a scuola impaziente.

Le prime due ore erano sembrate interminabili.

Sentiva l’aspettativa crescere lentamente dentro di lui.

Poteva essere chiunque…

Nel cambio d’ora, aveva osservato il volto di chiunque incontrasse, alla ricerca di un indizio rivelatore.

Non sapeva cosa aspettarsi.

 Questo non faceva che incrementare l’adrenalina dentro di lui, rendendolo irritabile con gli altri e completamente assente durante le lezioni.

Quando una ragazza, durante matematica, gli aveva chiesto una matita, lui le aveva quasi ringhiato contro, per poi scusarsi per tutto il resto dell’ora.

Quando finalmente, ignorando del tutto la lezione di letteratura su John Donne, chiese di andare in bagno, sembrava quasi che un peso gli si sollevasse dal cuore.

Percorse i corridoi, sentendosi come una ragazzina al primo appuntamento.

Dio, a volte era un idiota.

Era un essere un umano, provava emozioni come lui.

Avrebbe solo dato una sbirciata passando davanti alla porta, per poi tornarsene in classe, felice e contento.

Quando, però, trovando la porta chiusa, si trovò costretto a guardare dal buco della serratura, avrebbe dovuto capire che la cosa non sarebbe andata a buon fine.

 

Vediamo, la seconda fila a sinistra…

Non riusciva a vedere bene, c’era una ragazza a coprirlo.

Dai, andiamo. Spostati. Non ho tutto il giorno…

Poi, qualcuno aprì la porta.

 

John avrebbe dovuto vagamente ringraziare che non si aprisse verso l’esterno, altrimenti avrebbe potuto dire addio a mezza faccia.

Eppure, l’essere trovato in quella posizione, sulla porta di una classe, non era esattamente ottimo per la sua reputazione.

-John? Hai bisogno di qualcosa? – Chiese il professore vagamente perplesso, alzando gli occhi dal testo.

-N-no, signore…ero solo…caduto. –

Era arrivato a quel punto, ormai doveva portare a termine la questione.

Seduto al suo posto, intento ad osservarlo con i suoi penetranti occhi blu e un sopracciglio alzato, c’era Sherlock Holmes.

Il freak della scuola.

 

 

 

Angolo autrice.

Ci siamo u.u il primo “incontro”. Questo capitolo è arrivato un po’ in ritardo, ma la scuola sta uccidendo la povera autrice u.u XD chiedo venia.

Come al solito, vorrei ringraziare tutti quelli che seguono, leggono o recensiscono u.u siete meravigliosi.

Ah! ricordatevi che per aggiornamenti o prendermi a parole ( e so che, prima o poi, sentirete il bisogno di farlo) c'è la magica pagina fb https://www.facebook.com/RoleEfp

                                                                                                                                Alla prossima, Role.

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.

Nei giorni seguenti, John aveva trascorso ore intere a cercare di comprendere quali emozioni lo stessero attraversando.

Non era mai stato popolare.

Non era uno sportivo e le ragazze non sembravano molto interessate a lui…

A volte era stato perfino definito un secchione!

Eppure, come mai aveva avuto quella reazione nello scoprire che Sherlock Holmes era il suo misterioso interlocutore?

Delusione? Si, forse un po’.

Nella sua scuola giravano voci strane su quel ragazzo.

Era quasi certo che la maggior parte fossero dicerie, soprattutto quella in cui si cibava di topi…

Non poteva fare a meno, però, di chiedersi come mai una persona del genere si fosse interessata a lui.

Era perfettamente consapevole di essere preda del pregiudizio.

La più meschina piaga della società.

Quell’orribile serpente velenoso che, di bocca in bocca, si diffondeva, portando discordia.

Sapeva di essere superiore. Non ne aveva dubbi.

Le chiacchiere di qualche cheerleader senza scrupoli non lo avrebbero condizionato.

No, e poi no.

Un giorno sarebbe stato un medico, avrebbe affrontato tante realtà diverse dalla sua e non poteva farsi fermare dalle apparenze.

Sherlock lo aveva praticamente salvato da morte certa, o da un brutto voto in biologia, che dir si voglia.

Glielo doveva.

                                                                            ***

Dal canto suo, Sherlock Holmes era rimasto segretamente divertito dalla curiosità di Watson.

Forse il ragazzo non era stupido come sembrava…

Era stato quasi sorprendente rendersi conto che non tutti i suoi compagni di scuola erano dei completi idioti.

Avrebbe quasi potuto riiniziare a credere nell’umanità.

Quasi. Non esageriamo.

C’era soltanto un piccolo dettaglio che, in un attimo, era stato capace di spazzare via le sue speranze.

La faccia sorpresa, non in bene, che John non era riuscito a trattenere, quando lo aveva visto.

Confusione, realizzazione e, infine, disgusto.

Era il freak della scuola. Ormai associava quell’espressione al volto di chiunque.

Forse aveva delle manie di persecuzione, ma era certo che almeno il novantanove percento degli studenti la pensasse così.

Le parole che suo fratello, fin dalla prima volta in cui qualcuno si era rifiutato di sedergli accanto, gli aveva rivolto come incoraggiamento, facevano parte di ciò che era.

Caring is not an advantage, Sherlock.

Se non si fosse legato a nessuno, non avrebbe sofferto.

Sulla carta sembrava l’equazione ottimale.

Sospirò tornando ad ascoltare la lezione.

Avrebbe dato qualunque cosa per non essere umano…

Lasciarsi alle spalle la variabile della solitudine, giungere al risultato perfetto.

Avrebbe tenuto John Watson fuori dalla sua vita, per il bene di entrambi.

Il biondino avrebbe mantenuto il suo status sociale, senza essere minimamente danneggiato dallo zimbello della scuola.

Il professore aveva smesso di farneticare in modo estremamente poco competente sui procarioti, Sherlock se ne era a malapena accorto.

Eppure, come mai i suoi, solitamente irrequieti e fastidiosi, compagni stavano in silenzio?

Soprattutto, perché lo fissavano tutti?

-Holmes…stavi prestando attenzione? –

No, che non stava prestando attenzione.

Domanda stupida.

-Ovviamente. –

Di cosa stava parlando? Andiamo, doveva aver sentito qualcosa…

Progetto di biologia…giusto…quello di metà semestre.

Quello a coppie, che finiva per fare da solo.

-Bene, dicevo. John Watson ha richiesto di essere il tuo compagno. Va bene? –

Era ovvio che non andava bene, ma non aveva altra scelta.

Non è che ci fosse la fila per collaborare con lui…

-Come vuole professore. – asserì impassibile.

-…Bene. Dunque, per gli altri, se potete definire le coppie entro giovedì per…-

Il professore continuò il suo vagheggiamento.

Sherlock era pervaso da diverse sensazioni.

Era irritato. Odiava collaborare.

Eppure, una parte di se, una piccolissima parte, nascosta sotto anni di indifferenza, era invasa dalla curiosità.

Era arrivato il momento di chiarire il mistero John Watson.

 

 

 

Angolo autrice.

E…incredibile ma vero. Ho scritto questo capitolo! Non ci speravo più!

Volevo ringraziare tutti coloro che recensiscono, seguono o semplicemente leggono questa fanfiction u.u siete stupendi.

Ho da fare un piccolo annuncio. In seguito al periodo un po’ pesante, pubblicherò, fino a nuovo avviso, una volta per settimana u.u

                                                                                                                    Alla prossima, Role.

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.

Non sapeva da cosa avesse avuto origine quella malsana idea.

Sembrava quasi che la sua mano, improvvisamente dotata di volontà propria, avesse deciso che quel gesto era giusto e che, pertanto, andava fatto.

John Watson, secchione della classe, aveva alzato la mano e chiesto al professore di collaborare con Sherlock Holmes, stramboide della scuola, nella realizzazione del progetto di scienze di metà semestre.

Le reazioni scaturite da quel gesto avevano spaziato dall’estrema sorpresa del professore, alle risatine scettiche dei compagni.

Quando il biondo, però, era stato costretto a precisare di essere serio, il silenzio si era fatto strada tra i ragazzi, lasciandoli attoniti.

 

Non era normale.

Le loro menti già galoppavano, alla ricerca di una spiegazione plausibile.

Cosa poteva esserci dietro quella scelta?

John Watson non prendeva in giro la gente, dunque non era un pretesto per uno scherzo.

Non aveva tantomeno bisogno di alzare i suoi voti collaborando con uno studente esperto.

E allora, perché?

Essendo incapaci di trovare una soluzione a quel mistero, fecero ciò che gli veniva meglio.

In poche ore, tutta la scuola parlava di quella vicenda.

Il pettegolezzo si era diffuso in ogni anfratto, infettando la mente di chiunque fosse disposto a tendere l’orecchio.

Ho sentito che Sherlock gli ha fatto il lavaggio del cervello!

Mary Sanders mi ha detto che stanno insieme!

Ho sentito che praticano il sadomaso tutti i giovedì!

Il biondo, da pressappoco invisibile, divenne oggetto di attenzione.

Nei corridoi serpeggiava, di bocca in bocca, il suo nome.

Cosa aveva da insinuare quella gente sul suo orientamento sessuale?

Lui era etero!

Eppure, nel profondo, le voci non gli importavano davvero.

Sherlock lo affascinava, più di quanto fosse pronto ad ammettere.

Non era una questione sentimentale, ovviamente.

Sentiva soltanto il bisogno di essere reso partecipe di ciò che avveniva nella sua mente.

Al termine delle lezioni, decise che era giunto in momento di affrontarlo direttamente.

Carico di determinazione si recò al suo armadietto, intenzionato ad instaurare un primo contatto.

Per l’amor del cielo, John, non è un alieno.

Attese pazientemente per venti minuti, prima di vederlo arrivare.

Camminava spedito, quasi speranzoso di non essere notato.

 La camicia un tantino troppo stretta e i capelli scompigliati.

Sembrava un poeta maledetto.

Gli scoccò uno sguardo penetrante.

Sentì i glaciali occhi azzurri che lo attraversavano, studiandolo e traendo informazioni.

In pochi attimi lo ebbe davanti.

Alto, fin troppo. Doveva quasi alzarsi sulle punte per guardarlo bene.

-I-io…-

Calma, John, coinciso.

Sherlock, dal canto suo, pareva completamente indifferente alla difficoltà del ragazzo nel relazionarsi con lui.

-Devo mandare un sms. –

Il biondo si riscosse.

Okay, sms. Gli sms si mandano con il telefono.

Vuole un telefono!

-T-tieni. – riuscì a proferire, porgendogli l’oggetto.

Osservò attentamente il ragazzo che pigiava ritmicamente i tasti, quasi incantato.

-Dì a tua sorella di smetterla di mangiarsi le unghie, non è una bella abitudine. – Disse senza alzare lo sguardo dall’apparecchio.

- Come sai…? –

- Minuscoli graffi sui tasti, mai uniformi, chi lo usa non ha mani curate, a differenza delle tue. Inoltre, è un modello che andava di moda due anni fa, ed è stato usato in questi due anni. Sul retro è irregolare al tatto, probabilmente per i rimasugli della colla degli strass. Una ragazzina ti ha dato il suo telefono, chi altro userebbe gli strass? Un modello così danneggiato indica che non l’hai comprato, ti è stato ceduto da qualcuno e hai dovuto togliere da solo gli strass. Ergo, una parente stretta, probabilmente una sorella minore. –

Era incredibile.

Nessuno poteva essere capace di una cosa del genere.

-E’ stato…pazzesco. –

Il moro alzò lo sguardo stupito e vagamente compiaciuto.

-Non è quello che la gente dice di solito…-

Come potevano disprezzare un talento del genere? Era geniale.

-Cosa dicono di solito? –

- Sta zitto…-

Una risata pervase entrambi.

Per la prima volta dopo tanto tempo, John rideva per davvero.

Decisamente, Sherlock andava approfondito.

 

 

 

Angolo dell’autrice.

Meglio tardi che mai u.u capitolo sei. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi seguono, leggono e recensiscono u.u

                                                                                             Alla prossima, Role.

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Capitolo 7
*** 7. ***


7

Sherlock non riusciva ancora a capacitarsi di quella situazione.

Come aveva fatto quel ragazzo, fin troppo ordinario, a superare la barriera di pregiudizio in cui la società lo aveva relegato?

Non lo sapeva, e come poteva? Fin dall’asilo nessuno era stato capace di cotanta impresa.

Perfino coloro che, ingenuamente, sembravano propensi ad instaurare un contatto con lui erano stati scoraggiati dalle voci dell’ignoranza.

Vieni qui, Victor. Non voglio vederti giocare più con quel bambino.

Quel tono preoccupato, che pensavano non riuscisse ad udire, aveva contraddistinto la sua infanzia.

Quei momenti di rifiuto e sconforto, mentre sedeva attendendo pazientemente il ritorno di John, nella cucina di casa Watson, sembravano tremendamente lontani.

La madre di John, o Gwen, come aveva precisato ad ogni tentativo di Sherlock di rivolgerle un appellativo più rispettoso, continuava a versare thè nella sua tazza e a rifornirlo di biscotti, senza smettere di riempire la cucina con chiacchere leggere ed effimere.

-E così avete già qualche idea per il progetto? – Chiese sorridendo e sedendosi al tavolo della cucina.

Sherlock aveva passato i silenziosi momenti precedenti alla domanda, osservando la signora.

I capelli biondi e gli occhi azzurri erano identici a quelli del figlio.

Perfino la forza che quest’ultimi trasmettevano non faceva che ricordargli John, era impressionate.

Quando però la donna gli pose la domanda, essendo concentrato sul dedurre di più riguardo alle scorribande extraconiugali della stessa (Le ginocchia di una donna cinquantenne, che peraltro indossava una gonna, potevano dire molto sulla sua vita sessuale), si ritrovò a balbettare la prima cosa che gli venne in mente.

-I-I trapianti di cuore! – rispose forse con troppa veemenza e la donna scoppiò a ridere.

-Oh Sherlock, sei davvero un bravo ragazzo. John non invita mai i suoi amici. – Aggiunse continuando a ridere.

Amici. Lui e John Watson erano Amici.

No, non era possibile. Sherlock Holmes non aveva amici.

Probabilmente c’era una qualche legge della fisica a definirlo.

Quella della signora Watson era una comprensibile svista.

Eppure, la definizione di amico stranamente sarebbe calzata al suo rapporto con il giovane Watson.

Decise di non soffermarsi su quella questione e la seppellì in un antro ben nascosto della sua mente dove, per un bel po’, avrebbe dovuto rimanere indisturbata.

Fu immensamente lieto di sentire il campanello, preannunciante il ritorno di John dal potenziamento di matematica.

Il ragazzo accolse con vaghi mugolii la ramanzina della madre sul ritardo e, incurante, fece cenno al moro di seguirlo nella sua stanza.

Sherlock era piuttosto convinto che, qualora avesse riservato il medesimo trattamento a sua madre, si sarebbe ritrovato in strada dopo pochi attimi.

Non che gli sarebbe dispiaciuto del tutto, in realtà.

La camera del biondo non deluse le sue aspettative.

Ordinatissima e spoglia.

L’unico tocco di colore era dato dalla libreria che prendeva tutta la parete.

Testi di ogni genere, nuovi e più datati, si incastravano perfettamente in un mosaico multicolore, in contrapposizione al bianco che contraddistingueva il restante mobilio.

Che Watson amasse leggere e, a giudicare dal callo sul suo anulare, scrivere, non era un mistero, eppure la visione di quei testi, indubbiamente letti, lo rassicurò.

Non era un completo idiota.

Non appena iniziarono a discutere del nodo senoatriale e delle cellule pacemaker del cuore, Sherlock iniziò a rilassarsi.

Erano scienze. La sua materia, ben diversa dalle complesse convenzioni sociali.

Le due ore trascorsero rapidamente nella pianificazione e stesura di una buona parte della tesina.

John rispondeva con arguzia ai commenti piccati di Sherlock e, dopo poco, quest’ultimo iniziò ad essere semplicemente se stesso, senza sentire il bisogno di provare l’idiozia del compagno.

Si accordarono per trascorrere del tempo in biblioteca il giovedì seguente.

Quando Watson lo accompagnò alla porta era ormai buio.

-Be’… a domani. – disse il biondo con naturalezza.

Era così…normale. Due amici che si salutavano, per poi rivedersi il giorno dopo a scuola.

Il più prevedibile dei clichè.

Sherlock sentiva un calore spandersi nel suo petto, qualcosa di mai sentito prima.

Una stabilità che mai avrebbe pensato di avere.

Mugugnò un saluto e si girò, con le mani affondate nelle tasche del cappotto.

Dio, quel John Watson continuava ad essere un mistero.

 

 

Angolo autrice

Capitolo sette *^* wow sono ancora viva XD i nostri beneamini piano piano iniziano a conoscersi u.u Come sempre, grazie mille a tutti coloro che leggono, recensiscono e seguono :3 siete grandiosi.

                                                                                                                         Alla prossima, Role.

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.

John a volte detestava sua madre.

Era cara donna, per carità.

Aveva cresciuto i suoi figli in modo esemplare e non si era mai scoraggiata di fronte alle difficoltà che la sorte le aveva posto davanti.

Si era sempre dedicata alla famiglia e sembrava aver totalmente perso, qualora prima ne’ fosse stata in possesso, la capacità di lamentarsi

Eppure, aveva un piccolo difetto.

E, ovviamente, secondo il suo figlio minore, piccolo non era altro che un mero eufemismo.

Per un ragazzo discreto e riservato come John, una madre chiacchierona e tremendamente curiosa era una piaga infernale.

Quella sera, a cena, sembrava che, per la sua genitrice, Sherlock fosse diventato improvvisamente il centro dell’universo.

Ogni singola frase proferita da lui o Harriet, per la madre sembrava spunto per porre una nuova domanda sul ragazzo dagli occhi penetranti appena conosciuto.

-Ma’, mi passi il pepe? –

- Certo cara! Piuttosto, John, Sherlock dove abita? - Chiese con la naturalezza la signora Watson, come se quella domanda non fosse assolutamente fuori contesto.

Il ragazzo si limitò a mugugnare qualcosa sul quartiere Belgravia.

Conoscendo sua madre, sarebbe stata capace di trovarsi “casualmente” a passare ripetutamente davanti casa di Sherlock, e ciò non doveva accadere.

Riuscì miracolosamente ad evitare qualsivoglia domanda futura, usando un escamotage a cui qualunque pettegola, per giunta inglese, non sarebbe mai riuscita a resistere.

-Mamma, hai sentito che Kate Middleton sembra essere di nuovo incinta? –

In pochi attimi, un fiume di parole senza controllo travolse i due ragazzi.

 

                                                                               ***

Quando Sherlock entrò nella biblioteca della scuola, vide John estremamente concentrato e chino sul libro di biologia.

Il moro sapeva di essere in anticipo, e il ragazzo sembrava essere lì da un bel po’.

Si concesse, dunque, qualche minuto per osservarlo.

Credeva fermamente che, l’unico modo per comprendere davvero qualcuno, fosse guardarlo quando egli sapeva di non essere visto.

Solo in tal modo si sarebbe potuta comprendere la vera essenza di quell’individuo.

Il biondo corrugava la fronte, mordicchiando nervosamente una matita quando si trovava a leggere un paragrafo particolarmente complesso.

Sembrava congelato in quell’attimo, come se nulla potesse sconvolgerlo.

Sarebbe rimasto lì ad osservarlo per ore ma, dopo qualche minuto, lo sguardo del biondo incrociò il suo.

Sherlock vide un sorrisetto divertito allargarsi sul suo volto e, seppur controvoglia, si costrinse a dirigersi verso di lui.

-Hey…che guardavi? – Chiese ironico.

Il moro esitò.

Non era avvezzo alle convenzioni sociali, ma qualcosa, dal fondo della sua mente, gli suggeriva di non dire la verità.

-Stavo…riflettendo. – Rispose convinto, accomodandosi al tavolo del biondo.

Il ragazzo, sorprendentemente, decise di non indagare oltre e Sherlock gliene fu grato.

-Ho pensato di creare una tesina più ampia. Visto l’argomento, sarebbe opportuno fare un collegamento con la letteratura, che ne dici di Mary Shelley? – Propose John, mostrandogli alcuni fogli, su cui Sherlock riconobbe la calligrafia che, tempo prima, aveva trovato sul suo libro.

Il moro era sicuro di aver già sentito quel nome e, allo stesso modo, era abbastanza certo di averlo cancellato per far posto a qualche nozione concretamente utile.

-Chi è costei? – Domandò semplicemente.

L’incredulità di John trasparì inequivocabilmente dal suo volto.

-E’ l’autrice di Frankenstein, Sherlock! Come fai a non sapere chi sia? –

-Noioso. –

L’altro scoppiò a ridere, seguito dal sogghignare dell’altro.

-Sei…incredibile…-

Non lo aveva mai visto ridere. Era un suono limpido, cristallino, che non sembrava appartenere alla sua voce profonda.

Watson non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentiva vagamente soddisfatto.

Sherlock stava ridendo con lui.

Non aveva mai visto nessun altro essere reso partecipe di tale onore.

-Toh! Guarda i due fidanzatini! –

Sherlock avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.

Chi altro poteva distruggere quell’atmosfera idilliaca?

A volte, lo aveva seguito nei suoi incubi, senza lasciargli scampo.

Era lui, accompagnato dal fedele compagno Sebastian Moran.

La figura di Jim Moriarty, dall’altro lato del tavolo, li fissava sorridendo.

John non poté fare a meno di pensare che, se avesse dovuto dare un volto all’aggettivo subdolo, senza dubbio avrebbe scelto quel ragazzo.

-John caro, c’è di meglio di questo stramboide. Non ti ricatta mica per fargli compagnia? –

Disse con voce altalenante e fintamente scherzosa.

Sembrava quasi che stesse giocando.

Sherlock si preparò a fornire una risposta acida per mandarlo via.

Quello scambio di battute sembrava essere la storia della sua vita.

Moriarty lo provocava e diffondeva voci orribili sul suo conto. Lo isolava.

Il moro si isolava sempre di più nella sua bolla, lasciando il resto all’esterno.

Sarebbe stato così anche quella volta.

Eppure, John lo precedette.

-Sherlock è mio amico. Tu mi disgusti. –

Amico.

Quella parola si fece largo nella sua mente, e ne riempì ogni anfratto.

Amico.

Cinque lettere, capaci di assumere un significato così potente.

La ritirata, non senza espressione sdegnata, del bullo, fu soltanto una piccola ricompensa al confronto di quella parola e delle emozioni che gli aveva provocato.

Sherlock avrebbe avuto bisogno di riflettere a lungo.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice.

Questo capitolo è più lungo del solito u.u forse anche per farmi perdonare per il ritardo u.u

Vorrei ringraziare tutti coloro che seguono, recensiscono e leggono u.u tra oggi e domani cercherò di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo. Chiedo perdono, sono sono sotto esami ed, ergo, mezza morta.

                                                                                                             Alla prossima, Role

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

Se Sherlock non avesse avuto la totale certezza di essere stato sveglio, avrebbe pensato di essersi inventato tutto.

La biblioteca, Moriarty, perfino John stesso.

Tutti lo consideravano un pazzo, ergo, delle allucinazioni erano perfettamente plausibili.

Aveva rivisto quella scena milioni di volte, quella sera.

Sembrava che la sua mente non fosse capace di concepire altro.

Il mind palace che, fin da piccolo, era stato il suo rifugio, era inaccessibile.

Era sempre stato un luogo di disperazione, spesso sconforto, dove nascondere le paure per mostrarsi forte.

Era diventato il suo rifugio, ma pur sempre colmo del suo malessere.

Non quella sera, però.

Tutto, nella sua mente, parlava di John Watson.

Era ordinario, così maledettamente ordinario.

Eppure, migliore di chiunque altro avesse mai incontrato.

La sua risata cristallina non sembrava intenzionata ad abbandonarlo.

Una dolce melodia che sembrava accompagnarlo, scacciando il velo di solitudine che da sempre lo aveva contraddistinto.

Come poteva un semplice studentello del primo anno, peraltro con capacità grammaticali discutibili, riuscire dove tanti psicologi avevano fallito?

Per la prima volta, da tempo immemore, Sherlock stava bene.

Nessun peso gli opprimeva il petto, nessuna ansia sembrava pronta a soffocarlo.

Il moro non capiva come, una semplice parola di cinque lettere, fosse stata capace di tale prodigio.

Quella sera, dopo aver bruscamente congedato i genitori e il fratello, corse in camera sua.

 Non riuscì a chiudere occhio.

Continuò a fissare il soffitto, totalmente incapace di distogliere il pensiero da John.

 

 

 

                                                                            ***

John avrebbe dovuto percepire che qualcosa non andava, già dalla sua entrata nell’edificio.

Da quando era diventato amico di Sherlock, non era raro che le persone mormorassero al suo passaggio o che, tuttalpiù, lo guardassero incuriosite.

Quel giorno, però, gli sguardi non erano della stessa natura.

Sembravano quasi…compatirlo.

Perché poi avrebbero dovuto guardarlo in quel modo? Si chiedeva.

Certo, Sherlock a volte aveva un caratteraccio, ma non al punto da suscitare cotanta partecipazione…

Capì che qualcosa di brutto era accaduto quando, entrando nella classe di matematica, calò il silenzio più assoluto.

Occupò il solito posto, al fianco di Mark Stamford, e aprì il libro, con l’intento di ripassare.

Quando, dieci minuti dopo, l’amico non si era ancora deciso a smettere di fissarlo, decise che era arrivato il momento di indagare sulla questione.

-Mark, perché mi stai fissando? Anzi, perché…tutti mi stanno fissando? – Chiese spazientito.

Il ragazzo spalancò gli occhi.

-J-John…non lo sai? –

Sembrava sentitamente preoccupato e, in parte, sconvolto.

Il biondo era sull’orlo di una crisi di nervi.

-No, evidentemente non lo so. – Sbuffò.

Magari c’era un compito in classe e non lo sapeva.

Forse con un po’ di fortuna avrebbe potuto cavarsela…

-Sherlock è stato investito da un auto. L’ha portato via un ambulanza… –

Il cuore di John perse un battito.

No, non poteva essere. Doveva esserci un errore.

Magari era uno scherzo.

Eppure, a giudicare dal comportamento di tutti (e dal tono di Stamford), non era così.

Sentiva la mente annebbiarsi, man mano che l’amico lo aggiornava.

Sherlock aveva perso molto sangue.

Si alzò.

Non poteva farcela.

Doveva vederlo.

Uscì dalla classe, incurante delle conseguenze.

John Watson non saltava le lezioni, non faceva gesti avventati.

A meno che non ci fosse di mezzo Sherlock Holmes.

 

 

 

Angolo autrice.

E….siamo al nono capitolo u.u vi lascio un po’ in sospeso.

Vorrei ringraziare tutti coloro che seguono, recensiscono e leggono u.u siete fantastici (Lo so che sono ripetitiva, ma ci tengo tanto u.u)

 

                                                                                                                                        Alla prossima, Role.

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Capitolo 10
*** 10. ***


10.

Il tempo scorreva senza che John se ne rendesse conto.

Il ragazzo correva, senza una ragione.

Sperava che l’adrenalina, ormai entrata in circolo, gli annebbiasse la mente.

Quelle cose non avrebbero salvato Sherlock, ne era consapevole, ma non sapeva cos’altro fare.

Era un ragazzino.

Un semplice umano, messo davanti alla sua impotenza.

Era così che un giorno si sarebbe sentito, diventando medico?

Era così grande la responsabilità che si sarebbe trovato a fronteggiare?

Eppure, non era un pensiero primario.

La domanda che, nitidamente, aveva preso forma nella sua mente sembrava pronta a distruggerlo.

Perché Sherlock?

Ad ogni respiro affannoso sembrava intensificarsi.

Perché non qualcun altro?

Era una riflessione disgustosamente egoista, lo sapeva, ma infondo non gli importava.

C’erano tante persone banali nel mondo, infinite, messe al confronto di Sherlock.

Individui, senza i quali, l’ordine delle cose sarebbe rimasto invariato.

Non riusciva a pensare ad altro mentre l’infermiera della scuola lo visitava, rilasciandogli poi il certificato che gli avrebbe permesso di abbandonare l’edificio.

-E’ al St. Mary. –

Il biondo osservò sorpreso gli occhi gentili dell’anziana donna.

Se, una parte di se, era seccata dalla diffusione del pettegolezzo, l’altra si ripromise di ringraziare l’infermiera.

Sul permesso c’era scritto che aveva un’emicrania e, forse, non era del tutto errato.

Come un emicrania batteva continuamente nella sua testa, peggiorando di minuto in minuto.

Il quesito insisteva, mutando e nutrendosi delle sue debolezze.

Perché non me? Perché lui?

Sentiva le lacrime bagnargli il volto.

Dio solo sapeva quanto Sherlock avrebbe avuto da ridire su quella cosa.

 John pregava con tutto se stesso di poter sentire, ancora una volta, una di quelle critiche.

Quando finalmente giunse nella hall dell’ospedale del quartiere, si costrinse ad alzare la testa e respirò profondamente.

Si diresse verso la reception e pose la fatidica domanda.

-Mi scusi…sa qualcosa di ecco…Sherlock Holmes? –

Al bancone c’era una donna di mezza età.

Masticava rumorosamente un chewin gum dall’odore a dir poco nauseabondo, mentre compilava dei moduli con aria seccata.

-Sei un parente? – Chiese secca.

- No, signora. Sono un amico…il migliore…se almeno potesse…dirmi se è…-

John non aveva mai supplicato nessuno in vita sua, ma, infondo, c’è sempre una prima volta.

-Scusa ragazzo, Regole. – Disse continuando il suo lavoro.

Regole.

La vita di Sherlock Holmes, la persona migliore che avesse mai conosciuto, valeva così poco?

-Scusa, sei John…giusto? –

Sentì una mano sulla spalla e si voltò di scatto.

Un ragazzo sulla ventina, con i capelli castano rossicci, lo osservava attentamente dall’alto.

Il biondo si costrinse ad annuire.

-Sono Mycroft Holmes, il fratello di Sherlock. –

John non era un grande esperto in deduzione, ma riusciva a capire le persone.

Nel pronunciare il nome dell’amico, aveva intravisto un barlume di sofferenza, ben celato, nel suo sguardo.

Così dannatamente simile a lui.

Quel pensiero gli provocò un dolore indescrivibile.

Doveva vederlo, né aveva il diritto.

Lo vide indicare alcuni dei sedili della sala d’attesa con l’ombrello che stringeva nell’altra mano.

-John, dobbiamo parlare della condizione di salute di mio fratello. –

Il biondo era sul punto di esplodere.

Non voleva essere trattato come un ragazzino, non doveva essere preso con le pinze.

-Mi dica come sta. Ora. – La sua voce vibrava di rabbia.

Si rendeva conto di non essere l’unico a soffrire in quel momento, ma ormai aveva perso il controllo.

Mycroft decise che era inutile indorare la pillola, il ragazzo avrebbe sofferto comunque.

-E’ stato operato d’urgenza e, al momento, è in coma. Potrebbe non superare la notte. –

Fu secco, come un colpo di pistola inferto in guerra.

John boccheggiava, chiedendosi se sarebbe mai più riuscito a respirare di nuovo.

 

 

Angolo autrice.

Eccoci qui u.u capitolo dieci, stranamente puntuale. Come al solito, ci tengo a ringraziare coloro che leggono, recensiscono e seguono u.u

Non me la sento di lasciarvi così, quindi vi dico da subito che, il prossimo capitolo, sarà dal punto di vista di Sherlock u.u di più non posso dire…chi vivrà vedrà u.u

 

                                                                                                        Alla prossima, Role.

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