L'Armata dell'Olimpo

di Writer_son of Hades
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I








             Saranno state ore che camminavo. Ma non ero stanca.
Faceva freddo, ma almeno non come le notti passate. Mi issai meglio lo zaino sulle spalle e misi le mani in tasca del giubbotto. Ad ogni respiro una nuvoletta di vapore mi usciva dalla bocca. Dovevo trovare il posto dell’appuntamento.
C’era solo fango per le strade della periferia. La neve che era caduta giorni prima ormai si era mischiata al terriccio maleodorante dando vita ad uno strano intruglio che mi bagnava gli scarponi. Girovagai ancora per un po’ prima di leggere su di un pezzo di legno appeso “Locanda da Cefalo”. Ero arrivata.
Mi avvicinai alla grossa porta dalla quale provenivano ovattate melodie di musiche da ballo e rumore di stivali e tacchi sul pavimento. Mi feci coraggio ed entrai.
Le urla assordanti mi colpirono come una palla di cannone. La locanda non era grandissima, ma i tavoli erano stracolmi di persone. Uomini con boccali di birra ed ambrosia grandi come un vaso da fiori che cantavano o biascicavano le parole della canzone mentre delle donne formose e davvero poco vestite si strusciavano come serpenti in cerca di cibo. Gli odori del sudore, del vomito, del fumo e dell’alcool si mescolavano insieme dando forma ad una strana nebbia che mi faceva lacrimare gli occhi.
Molti mi stavano già fissando in una maniera che proprio non stavo gradendo. Mi tirai più su il cappuccio della felpa nera e mi strinsi forte lo zaino alle spalle. La maggior parte saranno stati discendenti di Ermes.
Mi diressi con passo cauto al bancone che era appiccicoso dato l’alcool che veniva versato con noncuranza da un vecchio uomo calvo e con un grosso pancione, che avrebbe dovuto essere il barista.
Quando mi vide, prima finì di riempire altri cinque boccali di birra allungandoli con dell’ambrosia, poi mi si avvicinò con passo barcollante e mi domandò: – Cosa fa’, una ragazza così bella, in una locanda malfamata della periferia alle 2 di notte?
                – Bevo. – risposi semplicemente.
L’uomo mi fissò con gli occhi ridotti a due fessure ed uno strano sorrisetto sulla bocca. – Ottimo. – disse, per poi scomparire sotto al bancone per prendere una bottiglia scura dal collo lungo e stretto. Si avvicinò un bicchiere di normale misura e ne versò il contenuto con calma, facendo attenzione a non far cadere nemmeno una goccia sul tavolo.
                – Offre la casa. – mormorò aggiungendo un pizzico di polvere gialla allo strano liquido nero. Ambrosia e sangue degl’Inferi. È un cocktail davvero forte per una ragazza come me. Proprio quello che mi serviva.
L’uomo mi passò il bicchiere e io ne bevvi un sorso. Il gusto era così amaro che mi dovetti sforzare parecchio per non fare una smorfia di disgusto. Poi arrivò l’ambrosia e un dolce retrogusto di miele e di cioccolato mi riempì la bocca facendomi deglutire senza dover rimettere subito dopo.
L’uomo annuì fra sé e sé, soddisfatto.
                – Ti hanno già spiegato cosa devi fare? – mi domandò dopo che bevvi un altro sorso.
Io annuii, decisa.
                – Ottimo. Allora domani al confine con il pacco. – sussurrò, come se fosse servito a qualcosa in quel mare di urla.
Io non dissi più nulla e dopo un altro profondo sorso di quel liquido scuro mi alzai per uscire da quel posto infernale. Mi avviai lentamente e facendo attenzione a non finire nella mani di nessuno verso la porta. Aperta quella respirai finalmente quell’aria fredda, ma pulita.
Dovevo tornare al rifugio e dormire un po’, l’indomani avrei fatto ancora tardi. Mi incamminai allora da dove ero venuta e appena svoltai per un piccolo vicolo sulla destra vidi due figure alte e robuste che barcollavano, facendo fatica a reggere l’alcool. Decisi di cambiare strada, ma non mi ero accorta di un terzo proprio all’inizio del vicoletto. Mi si parò davanti, bloccandomi ogni via di fuga.
                – Dove scappi? – biascicò l’uomo che mi aveva fermata. Lo guardai meglio. Capelli lunghi e sporchi, mani callose e sporche di nero, vistosi muscoli. Discendente di Efesto.
Cercai di superarlo, ma mi bloccò prendendomi un braccio.
                – No, non andare via. – aveva un sorrisetto malizioso e l’alito odorava di birra in una maniera assurda.
Intanto sentivo i passi biascicati degli altri due che si stavano avvicinando. Ero stanca e un po’ intontita dalla bevanda presa prima, ma avvicinai lo stesso la mano alla vita per estrarre un pugnale. Quando anche gli altri due erano abbastanza vicini, con un rapido movimento perforai la mano del mio aggressore con l’arma e nel caos cominciai a correre via. Sono veloce a correre e lo ero. Ma il fango mi giocò un brutto scherzo quella notte. Inciampai violentemente scivolando sulla poltiglia di neve e terriccio, facendomi raggiungere e immobilizzare dagli uomini, ormai visibilmente arrabbiati.
Quello a cui avevo ferito la mano, infatti, mi tirò una sberla, mentre gli altri due mi tenevano le braccia ferme. Avevo freddo, ero stanca ed intontita.
                – Stupida ragazzina! Ti insegno io come ci si comporta! – sbraitò l’uomo più grosso strappandomi lo zaino dalle spalle. Io mi innervosii e gli tirai un calcio nei gioielli.
                – Cuciti la bocca, stronzo! – urlai mentre si accasciava a terra tenendosi le parti doloranti. Non si mosse più, per cui pensai che fosse svenuto. Meno uno.
Gli altri due fecero come se non fosse successo niente e continuarono a tenermi ferma e cercarono di togliermi anche il giubbotto. Io mi dimenai, tirai calci a destra e a manca, morsi una mano, ma ero stanca, infreddolita e rintontita.
Poi sentii la stretta di uno dei due che si allentò improvvisamente. Era successo qualcosa, ma non mi importò in quel momento. Tirai un pugno a quello ancora in piedi ed estraendo nuovamente il pugnale gli tagliai la gola. Il suo sangue mi sporcò la faccia, che ripulii passandoci sopra la manica del giubbotto, tutto strappato. Merda, pensai. Dovrò prenderne un altro.
Presi un colpo quando qualcosa mi scaraventò a terra. Tastai il suolo convulsamente ad una ricerca alla cieca del mio pugnale, per fermare il nuovo aggressore. Ma questo mi immobilizzò completamente buttandosi sopra di me, non lasciandomi un margine di movimento. Allora urlai, non sapevo cos’altro fare. Urlai così forte che mi fecero male i polmoni per lo sforzo. Questi però mi tappò la bocca e mi trascinò attaccata al muro del vicolo. Ero tutta bagnata e il fango mi era entrato sotto alla maglietta. Mi accorsi di una cosa strana. La mano che mi copriva la bocca era morbida e più piccola di quelle dei miei precedenti aggressori. Aveva anche uno strano profumo di … estate. Strano, vero? Era un misto di profumo dell’abbronzatura, limone e qualcos’altro di dolce che non riconobbi in quell’istante.
                – Shhhh. – sussurrò dolcemente al mio orecchio. Io stavo andando nel panico più totale.
Poi sentii dei passi provenire dalla strada vicina. E delle voci.
                – E non veniamo nemmeno pagati bene. – si stava lamentando un uomo. – Eppure ogni notte dobbiamo controllare queste maledette strade.
                – Non me ne parlare… – cominciò un secondo. – Questi cavolo di problemi con il Signore degli Inferi mi stanno facendo incazzare che-
                – Ma sei matto!? – lo sgridò l’altro con voce preoccupata. – Non puoi dire queste cose sul Signore Oscuro.
In quel momento uscirono dal muro e si fermarono all’entrata del vicolo. Grazie agli dei era tutto oscurato nascondendomi dalla loro vista.
                – Tanto non succede niente. – rispose quello con la divisa da soldato dell’Armata.
                – Sempre a tentare la sorte. – lo prese in giro l’altro avvicinandosi una bottiglia di vodka alla bocca, macchiandosi però tutta l’uniforme.
Quello che mi stava tenendo ferma, all’improvviso si mosse, provocando un leggero fruscio. I due si girarono verso il vicolo. Bravo coglione.
                – Hai sentito anche tu? – gli chiese quello senza bottiglia.
L’altro annuì. Si avvicinarono lentamente alla stradina buia ed io mi preparai ad attaccare. Continuavano a fare passi lenti e quando furono a qualche metro da noi, il mio aggressore si levò in piedi ed una freccia si piantò al centro del petto di uno dei due uomini. Io ne approfittai per sfuggire alla sua presa per fiondarmi sull’altro, ancora vivo, ma stordito dalla scena appena successa. Lo scaraventai a terra e gli presi la pistola, puntandogliela alla testa. Non potevo lasciarlo in vita, mi avrebbe denunciata al Consiglio e gli dei solo sanno cosa mi sarebbe successo dopo. Stavo per premere il grilletto, ma una freccia mi precedette. Sospirai sentendo il respiro dell’uomo sotto di me, cessare.
Mi alzai, ancora un po’ scossa. Avevo freddo, ero stanca e schifosamente intontita. Mi strofinai gli occhi e quando mi guardai le mani erano sporche di un liquido rosso accesso. Il sangue dell’uomo a cui avevo tagliato la gola era sulla mia faccia. Feci tanti respiri profondi. Chiusi gli occhi.
Poi, mi ricordai che c’era un altro che mi aveva attaccata. Mi voltai e vidi una figura che estraeva la freccia dal cadavere del soldato e cha la ripuliva meticolosamente. Portava un lungo giubbotto nero che assomigliava più ad un mantello con le maniche con un largo cappuccio tirato sulla testa. Una faretra di cuoio nero era riposta sulla schiena e l’arco era vicino.
Quando finì di ripulire la punta della freccia la ripose nella faretra e si avvicinò a me. Io arretrai d’istinto ma lui alzò la mani, in segno di resa.
                – Tranquilla. Non voglio farti niente. – mi disse una voce maschile dolce e vellutata come una melodia di cetra. – Non sono qui per farti del male, lo giuro. – ripeté.
                – Chi sei? – gli domandai, ancora infida a credergli.
Lui si portò una mano al cappuccio e lo tolse. In quel momento era come se l’intero vicolo si fosse illuminato. Letteralmente. Aveva un’aura luminosa attorno al volto, come se fosse stato una fonte di energia. Scostò i capelli biondi e li arruffò mentre due occhi nocciola mi fissavano.
                – Mi chiamo Aiden. – disse porgendomi la mano.
Poche persone potevano irradiare quella luce. – Discendente di Apollo.
                – Sì, – mi rispose ritraendo la mano visto che non la stringevo. – discendente di Apollo.
                – Sei stato tu con le frecce. – confermai da sola. – Perché aiutarmi?
Lui sorrise. Un sorriso che per poco non mi accecò. – Vorrei tanto risponderti. Ma presto capirai.
                – Capirò? – chiesi.  – Ma di che diamine stai parlando?
                – Sei molto forte. – mi disse cambiando completamente discorso. – Sarà un onore combattere al tuo fianco.
                – Okay, tu sei strano. – affermai cercando il mio zaino ed il pugnale per andarmene al più presto.
                – Sì, non sono del tutto normale. – canticchiò seguendomi. – Ma nemmeno tu lo sei.
Già… ne vendono di cose per sballare la gente.
Trovai il mio zaino completamente zuppo ed il pugnale vicino ad un corpo morto. Non mi domandai di chi fosse.
Feci per andarmene quando la sua voce mi bloccò: – Non si ringrazia?
                – Grazie per avermi quasi fatta diventare una ricercata per omicidio di due guardie dell’Armata. – risposi ironicamente, senza voltarmi.
                – Quasi. – si giustificò lui. – E prego, generale.
Generale? Ma cosa?...
Mi voltai verso di lui, ma era scomparso lasciando solo un dolce profumo di sole.

 





Spazio dell'autrice: Avevo preannunciato in "La Figlia della Terra" che stavo lavorando ad una storia con degli spunti da Percy Jackson. Bé, NON è questa. ahahahah!
Questa è un'altra idea che ho sviluppato di recente. 
Ho deciso di aggiornare ogni sabato e spero di riuscire a rispettare i tempi visto che ho altre tre storie da seguire.
Grazie di aver letto questo primo capitolo e se non vi è piaciuto giuro che i prossimi saranno migliori.
Lasciate una recensione che è sempre ben accetta.
Un bacione
Sempre la vostra 
Silvia

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II







               Iniziai a correre.
               Corsi più veloce che potevo.
               E corsi.
               E corsi.
               Anche quando sentii che i polmoni esplodevano.
               Corsi.
               Anche quando sentii le gambe tremare.
               Corsi ancora.
               E continuai a correre.
 
Quando mi fermai ero già quasi arrivata in periferia.
Imbucai una stradina deserta sulla destra e mi accovacciai su di un ammasso di cartoni. Cercai di riprendere fiato. Contai lentamente: 1 … 2 … 3 … 4 ….
                Stavano per prendermi.
Sono stata così stupida a non controllare! Sarebbe andato tutto liscio se fossi stata un po’ più attenta.
Rimasi in quella posizione, in quel vicolo abbandonato e mi addormentai, stremata.
 

Mi strinsi nel giubbotto ancora a brandelli dalla sera precedente e mi tirai su il cappuccio della felpa nera. Il vento freddo entrava lo stesso e mi faceva tremare fino alle ossa.
Le vie della periferia di Nuova Roma erano deserte. Normale, l’orario del coprifuoco era passato da diverse ore. Ma non potevo fare tardi.
Velocizzai il passo per arrivare al confine il prima possibile, se qualcuno mi avesse vista, come minimo sarei finita in prigione.
Mi ero risvegliata poco prima, quando la notte era già iniziata, con uno strano odore e quando avevo aperto gli occhi avevo trovato un barbone fare pipì di fianco a me. Ero corsa via e mi ero diretta verso la periferia per arrivare in tempo al mio appuntamento.
                Riuscii a vederla, la rete metallica e due uomini. Uno era seduto sul fango e l’altro lo guardava dall’alto. Quello che era in piedi, con un cappello nero, alzò lo sguardo verso di me. – Ciao Skia. – mi salutò con la voce gracchiante.
Io feci semplicemente un veloce segno di saluto alzando il mento e poi lanciai il sacchetto che tenevo al sicuro in tasca.
                – 150. – dissi.
I due uomini raccolsero il sacchetto ed estrassero il contenuto per controllarlo. Quello che mi aveva salutato esaminò una fialetta che conteneva la polvere nera. Si mise ad annuire compiaciuto.
                – Ottimo lavoro, ragazzina. – disse passando la fialetta nelle mani dell’altro. – Se non ti conoscessi potrei dire che sei discendente di Ermes. – e rise di gusto.
Io non mi feci confondere. – 150. – ripetei.
                – Sono solo tre. – commentò l’uomo avvicinandosi a me. – Ognuna costa almeno 30 al mercato.
                – Sì, ma queste sono vere. E ho dovuto rubarle nel tempio dei sacerdoti di Ade. – ribattei io, arrabbiata. – Hai idea di quanto sia difficile recuperare qualcosa dal tempio più antico di Nuova Roma?
                Ma l’uomo non si mosse. – Tanto ormai non c’è più nessuno lì. Il massimo che possiamo darti è 90, 100 per l’impegno se proprio vuoi.
Strinsi la mascella, adirata. – 150 dracme è il mio prezzo. Se no mi riprendo il pacco. – mi avvicinai al suo complice per riprendermi il sacchetto.
Lui rise e si librò in volo. Solo allora notai le scarpe alate ai piedi. Era ad un metro e mezzo da me e svolazzava con il sacchetto nella mano destra.
                – Vieni a prenderlo. – mi incitò. Io sbuffai. Stupidi discendenti di Ermes.
                – Datemi quello che mi spetta. – ringhiai.
                – Oppure? – mi canzonò quello ancora a terra. – Non hai poteri.
Strinsi i pugni. Era vero, non avevo poteri, non ero una mezzosangue come solo. Come tutti in quella stupida città. Ero mortale.
Ma una cosa l’avevo imparata. Quando i ragazzi più grandi cercavano di prendermi quel poco che avevo rubato, avevo imparato a difendermi da sola.
Mi voltai di scatto verso l’uomo a terra e gli piantai il mio pugno in mezzo alla faccia. Questo si tenne il naso con entrambe le mani e per poco non cadde. Quello in volo, vedendo la scena, mi piombò addosso colpendomi le costole con un calcio. Mi rialzai immediatamente tenendomi il fianco con un braccio e gli tirai un calcio nelle palle, lui si piegò in due e gemette per il colpo.
Ammettiamolo: è troppo facile mettere ko un uomo.
Feci per prendere il sacchetto con le fialette che aveva lasciato cadere poco lontano, ma qualcosa di freddo e duro mi premeva dietro alla testa.
                – No, no, no. – canticchiò quello a cui avevo tirato il pugno puntandomi una pistola alla testa. Maledetti discendenti di Ermes con i loro sporchi trucchi. E maledetta io a fidarmi di loro. – Gordias! Dalle 70 dracme, visto che si è comportata male. – ordinò all’uomo che si era appena alzato, anche se un po’ agonizzante. Quello estrasse un sacco di velluto che tintinnò quando mi atterrò davanti.
                – E ora vattene, mortale. – mi sputò, gettandomi a terra.
Caddi su di una pozzanghera di una fogna. Sentì gli uomini allontanarsi ridacchiando. Io rimasi a quattro zampe sulla terra fredda e umida, con i vestiti che puzzavano e i capelli fradici. Mi misi in ginocchio e presi la mia ricompensa con le mani che tremavano dal freddo. Estrassi le dracme dal sacco di velluto. Tutto quel lavoro per solo 70 dracme. Certo, mi sarebbero bastate per qualche giorno, ma dopo?
                Mi alzai a fatica, tenendomi il fianco dolorante con un braccio. Misi il sacchetto al sicuro in tasca del giubbotto e mi diressi lentamente verso una locanda ancora aperta. Cercai per molto fra le vie periferiche di Nuova Roma, ma poi trovai un piccolo hotel, un po’ fatiscente, ma a me sarebbe bastato. Entrai e vidi la pelata del proprietario che era stravaccato su di una orribile poltrona verde davanti alla tv. Stavano trasmettendo il telegiornale.
                – Il grande tempio dei sacerdoti di Ade ha deciso di chiudere prossimamente… – diceva la voce femminile fuori campo mentre le immagini del grande tempio passavano sullo schermo. – per via della mancanza di discendenti e della completa nullità di comunicazioni con il dio da più di cento anni. Il Gran Consiglio ha deciso che ben presto…
                – Siamo chiusi. – disse l’uomo sentendo la mia presenza.
                – Ho soldi. – risposi estraendo il sacchetto e facendo tintinnare le dracme al suo interno.
Il grassone si voltò per guardarmi. Quello che vidi nel suo sguardo fu compassione. – C’è una stanza libera al piano superiore. Terza porta a destra. – mi spiegò ritornando ad osservare lo schermo luminoso.
Io annuii. – Quanto per una notte?
                – Per questa volta niente. – disse l’uomo, chiudendo il discorso.
Io sbuffai, infastidita. Una cosa che detestavo era quando gli altri mi davano compassione. A casa serve? Niente!
Ma mi avviai lo stesso verso il primo piano e trovai la porta aperta con la chiave sulla serratura. Quel poco che ero riuscita a racimolare dovevo tenermelo il più lungo possibile ed ero troppo stanca per discutere. La aprii e quella emise uno strano scricchiolio.
La stanza non era molto grande. I muri erano completamente ricoperti da carta da parati verdastra rotta in parecchi punti. Al centro c’era un letto singolo con delle lenzuola bianche ed un copriletto rosa antico con a fianco un piccolo tavolino e una lampada. Il pavimento era di legno vecchio e l’odore di chiuso mi fece venire il voltastomaco. Corsi alla finestra di fronte al letto e la spalancai.
La notte era fredda, certo, ma l’aria era pulita.
La respirai per un po’ e poi mi avviai verso il piccolo bagno sulla sinistra. Vidi una doccia e mi spogliai immediatamente per lavarmi. Appoggiai gli scarponi, i calzini, i jeans vecchi, la felpa, la canottiera, l’intimo ed il giubbotto (tutto rigorosamente nero) sul letto e misi lo zaino a terra. Entrai nel bagno nuovamente e accesi l’acqua entrando nella doccia.
L’acqua era gelida, ma a me non importava. Uscii dopo qualche minuto e mi protesi per prendere un asciugamano. Il mio sguardo cadde per sbaglio sopra al lavandino.
Mi specchiai verso quel ammasso di vetri messi a caso che doveva assomigliare ad uno specchio. I capelli neri bagnati ricadevano pesanti sulle spalle per arrivare fino a poco sopra il seno. Gli occhi: due pozze nere dove sprofondare. E la pelle in netto contrasto, di un pallore inquietante e finalmente pulita da tutte quelle macchie scure dovute dal fango e dalla fuliggine della strada.
Non mi succedeva spesso, anzi, quasi mai, ma iniziai a pensare alle ragazze della mia età. Le vedevo spesso che si aggiravano a braccetto con le loro amiche per il centro storico di Nuova Roma. Ragazze di diciassette o diciotto anni con tuniche di lino, orecchini di diamanti, colane d’oro e acconciature elaborate, per trovare un ragazzo carino che si innamorasse follemente di loro.
Pensai a quanto fosse diversa la mia vita. Che per mangiare mi toccava rubare ogni giorno. Che all’amore, proprio non ci credevo.
Mi voltai di lato per rivedere il mio tatuaggio. Me lo ero fatta mesi prima in un negozietto nella periferia da un discendente di Iride. Erano due ali nere che sembrava mi uscissero dal costato sulla schiena. Andavo fiera di quel tatuaggio. Mi dava forza e coraggio.
Tornai con il volto verso lo specchio e notai il livido sulle costole dove l’uomo mi aveva colpita. Lo sfiorai e mi fece rabbrividire. Non mi ero rotta niente, ma avevo bisogno di una fasciatura.
Andai in camera, mi misi il reggiseno e un paio di mutande e dallo zaino estrassi una benda di garza ingiallita. Poteva andare. Tornai davanti allo specchio e mi fasciai il costato.
Mi guardai ancora. Le braccia irrobustite, nemmeno un segno di grasso, le gambe muscolose, le spalle dritte. E la spalla sinistra.
Erano sempre lì. Tre grosse file parallele che mi percorrevano la clavicola per poi scendere fino a metà schiena. Le cicatrici erano in bella vista ed indelebili. Ma non facevano male, non più ormai.
L’unica cosa che riuscivo a pensare vedendo il mio corpo, era a quando tutto era diverso. Al triste ricordo che avevo della mia infanzia.
                Vivevo bene a Nuova Roma, avevo una famiglia. L’unica cosa che mi piaceva ricordare della mia vita passata era quel pomeriggio nel giardino di casa mia. Io stavo correndo tra le braccia di mio padre e mia madre stava chiacchierando con mia nonna di non so cosa sotto ad un grande ombrellone. Sedevano su delle sedie di ferro bianco e sorseggiavano tisana da delle graziosissime tazzine dipinte a mano.
Ero felice. Ridevo e quando mi ritrovai fra le braccia di mio papà, lui mi strizzò le guancie paffute.
                 – Sei una bellissima bambina. – mi aveva detto sorridendo. Io mi ero aggrappata ai suoi ricci neri e mi ero messa a giocarci come facevo sempre.
                 – Amore mio, – mi aveva chiamata mamma. – Vieni all’ombra, ti scotterai.
                 – Sta bene, Vasilissa. – la rassicurò mia papà voltandosi verso sua moglie. In greco “vasìlissa” significa “regina”. E per mio padre, mia mamma era la sua meravigliosa regina.
La donna scosse la testa, ma sorrise.
                 – Sarà come te un giorno. – aveva detto mia nonna. Io non conoscevo il significato di quelle parole e non lo comprendo nemmeno adesso.
E poi, quella notte…
                Un rumore dalla camera mi fece sobbalzare e tornare immediatamente alla realtà. Mi affrettai ad uscire dal bagno e quando varcai la porta vidi una figura accovacciata sotto alla finestra.
                – Chi sei? – chiesi senza paura nella voce.
La figura non rispose. Si alzò così potei notare le scarpe da ginnastica sgualcite, i jeans tutti strappati e il giubbotto di tessuto impermeabile scuro. Alle mani aveva dei guanti senza dita e uno zaino sulla schiena. Ad occhio e croce avrebbe potuto misurare un metro e ottanta o poco meno. I lineamenti del mento davano l’idea di un ragazzo.
Non disse niente. Face cadere il suo zaino e si avvicinò al mio. Io d’istinto mi fiondai su di lui. Lo scaraventai per terra, prendendo il mio zaino e buttandolo al di là del letto. Appena mi voltai verso di lui mi prese un braccio e lo me lo fermò dietro la schiena costringendomi a voltarmi. Avendo la schiena scoperta, sentivo il suo giubbotto ruvido e freddo contro la mia pelle e il suo respiro caldo sul collo.
Gli pestai il piede e approfittai del suo momento di confusione per liberarmi e per prenderlo e buttarlo sul letto. Lui era a pancia in su e io gli tenevo ferme le braccia.
Poi, non so di preciso come, mi ribaltò, così mi ritrovai io sotto e lui sopra di me a tenermi ferma. La sue mani erano ruvide, ma leggere allo stesso tempo. Cercai in tutti i modi di liberarmi, ma la sua stretta era rigida e forte. Mi agitavo senza nessun risultato.
                Lui iniziò e ridacchiare. Così io smisi di muovermi e lo fissai.
                – Stai ridendo? – gli chiesi stupita.
Lui stava sorridendo. Si levò il cappuccio che copriva il volto mostrando una chioma castana e poi due occhi verdi.
                – Bé, sono sopra ad una ragazza che porta solo la biancheria intima, la situazione è parecchio ridicola. – affermò continuando a sorridere.






Spazio dell'autrice: ehilà! Sono tronata e perdonatemi il ritardo, ma sono stata via tutto il pomeriggio con mia cugina e mia sorella (ma chi te lo ha chiesto?! Bé, scusami...). In ogni caso ecco il secondo capitolo;) Spero vi piaccia (ovviamente) e che non vi faccia cagare (non sei ripetitiva.....no....).
Un bacione a tutti voi
Silvia



P.s.: Sì, ho cambiato di nuovo nome.... non riuscirò mai a decidermi  

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 Capitolo III











Lui iniziò e ridacchiare. Smisi di muovermi e lo fissai.
                – Stai ridendo? – gli chiesi stupita.
Lui stava sorridendo. Si levò il cappuccio che copriva il volto mostrando una chioma castana e poi due occhi verdi.
                – Bé, sono sopra ad una ragazza che porta solo la biancheria intima, la situazione è parecchio ridicola. – affermò continuando a sorridere.
 

*****************************
 

Lo guardai. – Ci conosciamo?
Ero sicura di aver già visto da qualche parte quegli occhi.
                – Non di persona. – disse alzandosi. Si avviò verso la finestra e la richiuse. Poi si rivoltò verso di me che mi ero seduta sul letto, cercando di riconoscere quel viso famigliare.
Mi guardò continuando a sorridere. – Dovresti … sì ecco … metterti qualcosa addosso.
                Io scossi la testa per risvegliarmi dai miei pensieri e mi infilai i vestiti che ormai erano caduti tutti per terra. Non feci in fretta, non ho problemi con l’intimità, erano anni che avevo dimenticato cosa fosse. Per tutto il tempo lui rimase in silenzio a fissarmi. Quando finalmente mi fui messa anche la felpa, mi sedetti sul letto a gambe incrociate e lo fissai.
                – Allora, chi sei? – domandai.
                – Ci siamo visti oggi davanti al tempio di Ade. – mi rispose incrociando le braccia al petto. – Ti stavano per prendere, ma io li ho distratti così sei potuta scappare.
Ora cominciavo a ricordare.
                Appena uscita dal retro del tempio con il sacchetto, avevo sentito una mano toccarmi la spalla. Mi ero voltata di scatto e un uomo con la divisa azzurra dell’Armata mi stava fissando con un brutto sorrisetto stampato in volto. Uno di quei sorrisetti che ti fanno già capire di essere spacciata.
                – Sempre bello arrestare qualcuno di prima mattina. – aveva detto in un ghigno. Avevo già iniziato ad odiarlo.
Poi aveva sentito un grido e l’uomo si era distratto cercando la provenienza di quel suono. Non mi era fatta sfuggire l’opportunità e avevo iniziato a correre via voltandomi indietro solo una volta, vedendo quegli occhi verdi che ora erano davanti a me.
                – Ora ricordo. – dissi guardandolo. – Ma perché sei qui? E perché volevi il mio zaino?
                – Dopo quello che hai fatto ti ho seguita. – spiegò. – Poi però ti ho vista picchiare quei due uomini e ho pensato che fossi davvero forte. Così …
                – Aspetta, aspetta. – lo fermai io. – Io mi stavo facendo prendere a botte da due uomini più grossi di me e tu hai semplicemente guardato e hai pensato che fosse forte?
Lui annuì.
                – E non ti è passato per l’anticamera del cervello che, magari, avessi bisogno di aiuto?! – lo sgridai.
                – Non credevo che lo volessi. – si limitò a dire, serio.
Io mi calmai. Forse era vero. Odio la gente che mi aiuta. So badare a me stessa.
                – Okay. – conclusi facendogli segno di continuare.
                – Così ti ho seguita fin qui, sono entrato dalla finestra e il resto lo sai già. – si appoggiò con la schiena al muro fatiscente.
                – Non mi hai ancora detto perché mi hai attaccata. – gli feci notare.
                – Tecnicamente sei tu che mi hai attaccato. – specificò lui. – Volevo solo istigarti e vedere di cosa eri capace.
                – E la tua diagnosi è? – chiesi un po’ adirata.
                – Che anche con mutande e reggiseno puoi mettere ko qualcuno. – disse sorridendo. – Anche se alla fine ho vinto io.
                – Cosa? Non è vero! – mi affrettai a ribattere. – Non hai neanche sfiorato il mio zaino.
                – Però alla fine eri tu quella sotto che non riusciva più a liberarsi. – fece un sorrisetto.
Io sbuffai. – Come vuoi. – poi tornai a fissarlo. – Come ti chiami?
                – Oh, perdonami. Io sono Arcadio, discendente di Pan, il signore delle selve. – fece un ampio inchino che mi fece leggermente ridacchiare.
                – Arcadio? – chiesi io, trattenendo una risata.
Lui annuì.
                – Che strano nome. – constatai io.
                – È in onore della terra natia di Pan, l’Arcadia. – mi spiegò avvicinandosi. – Come fai a non saperlo?
Vero. Sono stata così stupida a chiederlo.
                – Io … non sono andata a scuola. – ammisi. – Non ho potuto studiare molto bene la mitologia.
A Nuova Roma era indispensabile sapere la mitologia dato che gli abitanti erano i discendenti degli dei greci. Ma la storia la sapevo, più o meno. Me la raccontava mia mamma prima di andare a dormire.
Più di mille anni fa’ gli dei sono discesi dall’Olimpo e hanno distrutto l’intera popolazione mondiale. L’umanità stava distruggendo la terra e le sue meraviglie. Si scatenarono venti fortissimi, uragani, tsunami e terremoti. C’erano crepe nel suolo che portavano direttamente agli Inferi, intere città che andavano a fuoco e paesi travolti da valanghe di neve.
Così, dopo aver distrutto ogni singola forma di vita umana sulla superficie terrestre, ognuno degli dei decise di dare una seconda possibilità agli uomini scegliendo un uomo e una donna e di dargli una parte d’icore dorata, il sangue divino, che gli scorreva nelle vene, per procreare una progenie degna di un mondo migliore.
Così gli anni passarono e le generazioni crescevano con una parte divina nel proprio sangue. Insieme ad un rispetto profondo per gli dei, dei poteri derivati dall’icore dorata simili a quegli del dio ‘’creatore’’ crescevano con essi. Gli dei parlavano spesso con i loro discendenti, trattandoli come figli.
I discendenti crearono Nuova Roma e altre città per tutti coloro che erano degni di essere progenie degli dei.
                Ma era molto tempo che un dio in particolare non si faceva più sentire. Ade, il Signore degli Inferi. Anche i suoi discendenti stavano diminuendo drasticamente e per questo stavano chiudendo i templi. In quel preciso istante ci saranno stati vivi una decina di discendenti di Ade. Si erano sparse voci che spesso venivano uccisi, avendo paura della loro potenza, ma io non sapevo bene a cosa credere.
Senza la presenza del dio, i templi rimanevano vuoti, spogli e senza vita. I templi servivano a donare ciò che serviva ai discendenti del corrispondente dio per i propri poteri o per curare le varie malattie.
Quel giorno avevo rubato delle fialette di polvere d’ombra dal tempio di Ade che stavano smantellando. I discendenti di Ade la usavano per viaggiare nell’ombra senza sforzarsi.
                – Oh. – disse lui. – Mi dispiace.
                – Nessun problema. – risposi sovrappensiero.
                – E tu? Come ti chiami? – mi domandò.
                – Skia. – dissi guardandolo.
                – E poi sono io che ho un nome ridicolo. – mi canzonò sedendosi di fianco a me.
                – Ehi, ehi, ehi. – dissi fermandolo. – Credi di dormire qui, per caso?
                – Perché no? – domandò ironicamente mentre si stendeva. – Tanto ti ho già vista praticamente nuda.
                – Puoi smetterla di ripetere che mi hai vista in intimo? – stavo iniziando a stancarmi. – Perché sei qui? Non hai una famiglia?
                Lui si fece serio. – Potrei chiederti la stessa cosa sai.
Aveva ragione. Forse era da solo pure lui.
– In ogni caso, io sto da sola. Non viaggio con un’altra persona.
                – Bé, ora so il tuo segreto, per cui non puoi liberarti facilmente di me. – disse tra una sbadiglio e l’altro. – Possiamo dormire, adesso? È parecchio tardi.
                – Il mio segreto è che rubo e vendo a dei discendenti di Ermes. – lo canzonai. – Non è così sconvolgente. Se andassi a denunciarmi, non avrei problemi a nascondermi per tutto il tempo che voglio. Dopo di che verrei sicuramente a cercarti e ti ucciderei. E poi chi ti crederebbe, sei solo …
La sua risata mi interruppe. – Non è quello.
                Io lo guardai interrogativa. Ma di che parlava allora?
Lui notò che lo stavo fissando interrogativa. – Ma non lo sai?
                – Che cosa? – proprio non capivo a cosa si riferisse.
                – Oggi al tempio. – mi spiegò mettendosi seduto. – Hai aperto una crepa nel suolo.
                – Io … cosa? – non ci credevo. Mi alzai dal letto iniziando a camminare freneticamente.  Una crepa nel suolo? L’unica volta che l’avevo vista era stata quella notte che era successo il finimondo e la mia vita era finita. Che la mia famiglia era…no non potevo aver fatto una cosa del genere. Sentii una cosa strana nel petto. Una cosa che non sentivo da tanto tempo. La paura si insinuò nella mia anima e mi attanagliò il cuore.
                – Non te ne sei resa conto? – mi domandò curioso.
Io scossi la testa. Perché avrei dovuto farlo poi?
                – Bé, allora ti stupirà ancora di più quello che sto per dirti. – mi disse. – Gli unici discendenti che possono farlo sono quelli di Ade.
In quell’istante mi bloccai e smisi di camminare per la stanza. Fissai un punto davanti a me. Discendenti di Ade? Non era possibile. Ce n’erano pochissimi ormai e i miei genitori non lo erano affatto. O almeno, non ero riuscita a scoprire a che dio discendessero per cui ero solamente una mortale.
Era il secondo discendente che vedevo in due giorni ed entrambi sembravano davvero svitati.
                – Non è possibile. – dissi voltandomi verso di lui.
                – Sì che lo è. – ribatté lui alzandosi. – Devi accettarlo.
                – Sono una mortale. Non. È. Possibile. – ripetei scandendo meglio.
                – Non sono stupido. – mi fermò lui. Poi si avvicinò. – E nemmeno pazzo. So quello che ho visto.
                – Io non discendo da nessun dio. – ripetei, più a me stessa che a lui. – Sono una mortale. Una semplice mortale.
Succedeva. A volte se due discendenti da dei diversi facevano un figlio o anche se c’erano stati problemi durante il parto. Il bambino nasceva senza poteri o senza icore dorata nel sangue. Un comune mortale. Ma era una cosa davvero rara.
                – Non sei una mortale. I tuoi occhi, i tuoi capelli, la tua pelle. – ribadì lui mettendole le mani sulle spalle. – Sono chiari segni della discendenza di Ade.
                – E tu come lo sai?
Lui si fece serio. – Conosco … conoscevo una persona che era discendente di Ade.
                – Cosa le è successo? – chiesi dolcemente.
                Lui scosse la testa, come per cancellare un brutto ricordo dalla sua vista. – Non è importante. – sbottò. – Ora dormiamo. Domani ti porterò da un mio amico, che potrà aiutarti a capire.
                – Io non devo capire niente. – lo fermai mettendogli una mano al petto. – Io nemmeno ti conosco. Come posso fidarmi di te?
                – Devi. – mi disse di spalle mentre si toglieva il giubbotto, scoprendo un maglione blu scuro.
                – Non puoi dirmi cosa devo o non devo fare. – sbottai guardandolo mentre si toglieva anche quello con le scarpe e i pantaloni rimanendo solo un i boxer e una maglietta bianca.
                – Sì, invece. – infine si tolse anche la maglietta, mostrando il petto ben scolpito. Si mise a ridere. Io mi accorsi di avere la testa piegata di lato e lo sguardo imbambolato.
                – Mi faccio una doccia. – annunciò entrando in bagno.
Io sbuffai guardandolo scomparire dietro la porta. Aveva lasciato tutti i vestiti sparsi per il pavimento. Scossi la testa e mi tolsi la felpa restando in maglietta per andare a dormire. Mi misi a letto e spensi la luce. Mi addormentai nel giro di pochi secondi.
                Dopo un po’ sentii una ventata fredda e poi un corpo che si adagiava vicino al mio. Ero troppo stanca per reagire per cui ripresi semplicemente a dormire abbracciata da un dolce profumo di muschio e di foresta.






Spazio dell'autrice: E siamo arrivati a sabatooo! Capitolo fresco fresco e scritto durante i pochi momenti liberi che ho avuto questa settimana. 
Io sono ancora piena di verifiche e auguro a tutti quelli nella mia stessa situazione che "la fortuna sia sempre a vostro favore ragazzi!"
E con questo passo e chiudo! Ora vado a provare a studiare spagnolo e poesia.....
un abbraccio
Silvia


 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV










La mattina dopo mi svegliai con il sole negli occhi.
Mi voltai dall’altra parte facendo uno strano verso e mi coprii la faccia con il cuscino. Respirai. Aveva uno strano profumo. Respirai ancora. Sembrava un albero di quercia con un pizzico di pino. Respirai profondamente inebriandomi di quel dolce profumo.
Poi ricordai a chi appartenesse.
Mi alzai sui gomiti e con gli occhi ancora mezzi chiusi cercai per la stanza il colpevole.
                – Oh, la bella addormentata ha deciso di degnarmi del suo sguardo? – era appoggiato alla porta del bagno con l’asciugamano tra le mani.
Rituffai la faccia nel cuscino. – Arcadio, perché le tende non sono chiuse? – gli urlai con la voce soffocata dal tessuto.
                – Perché è ora di alzarsi. – sentii la sua voce avvicinarsi. – È così una bella giornata. E poi devo portarti dal mio amico che ti mostrerà veramente da chi discendi.
Lui e le sue stupide teorie.
                – Perché hai dormito nel mio letto? – gli domandai voltando leggermente la testa verso di lui.
                – Non ho dormito nel tuo letto. – si affrettò a dire.
                – Il tuo profumo di selva si sente lontano un miglio. – ribattei.
                – E tu puzzi di morti. – mi canzonò cercando di difendersi.
                – È impossibile visto che io non sono una discendente di Ade.
                – Giuro, che quando scoprirai di esserlo, ti prenderò in giro per non avermi ascoltato. – mi urlò tornando in bagno.
Dei! E mi alzai per prepararmi.
 

Quando uscimmo la temperatura era piacevole. Sembrava che tutto il gelo delle notti scorse fosse stato spazzato via. Non so perché decisi di seguirlo. Avevo una sensazione, questo è vero. Avevo questa sensazione che forse lui avrebbe potuto darmi una risposta. Ma forse erano solo delle stupide fantasie campate in aria da una ragazza mortale.
Ma lo seguii lo stesso. Lui si diresse verso il centro di Nuova Roma. Il posto peggiore del mondo. Abbiamo dovuto camminare per un’ora e forse più prima di lasciare la periferia e di entrare nella città. Era tutto ancora tranquillo. Passeggiavamo tra i vicoli popolari di Nuova Roma. Piccole case e condomini da massimo tre piani d’altezza si alternavano ad entrambi i lati della strada di sassi che stavamo percorrendo. Era quasi mezzogiorno, per cui si vedevano fumi uscire dai camini o dalla finestre dove era appeso il bucato. Rumori di gente che rideva si udivano dalle abitazioni più grandi. Il pranzo era solito mangiarlo con la famiglia tutta riunita. Per chi una famiglia ce l’aveva.
Abbassai lo sguardo al selciato e continuai a seguire Arcadio per un’altra buona mezz’ora.  Arrivammo ai limiti del centro e la folla di gente stava già iniziando ad aumentare. Sacerdoti del Gran Consiglio con le tuniche celebrative che passeggiavano nei giardini pubblici tra quelle meravigliose fontane e le statue raffigurative. Soldati dell’Armata che stavano ai lati delle strade e salutavano le persone che passavano con un largo sorriso sincero. Uomini e donne in abiti lussuosi e gioielli vistosi che camminavano per le vie di una Nuova Roma così diversa da come la vivevo io ogni giorno.
                – Non perderti a fissarli. – mi disse Arcadio, che si era fermato all’inizio di una via secondaria. – Loro non dovrebbero ricevere niente da te.
Era un tono di voce duro. Ma io annuii semplicemente e continuai a seguirlo per quella piccola via sulla destra. C’erano bancarelle che vendevano vasi d’argilla, gioielli e pietre preziose, vistosi abiti fatti a mano, colorati tessuti in porpora e celeste per le feste più sfarzose.
Io cercai di non incrociare lo sguardo di nessuno e mi focalizzai sulla schiena di Arcadio che procedeva sicuro attraverso tutto quel casino. Arrivati al fondo della lunga via, si fermò e bussò ad una porta dipinta di verde sulla sinistra.
                – Sì? – domandò una voce profonda da dietro l’infisso.
                – Sono io. – rispose Arcadio, sicuro.
Un uomo alto e con folti capelli biondi aprì la porta con un sorriso, forse riconoscendo la voce del ragazzo.
                – Arcadio! – lo salutò tirandogli una pacca sulla schiena. – Era tanto che ti aspettavo, vecchio mio.
                – È sempre un piacere rivederti zio.
A quelle parole mi voltai a fissare il ragazzo che fino a poco prima credevo non avesse nessuno. Proprio come me.
                – E lei è?.. – domandò l’uomo voltandosi verso di me.
                – In cerca di risposte. – risposi secca.
Il biondone si fece scappare una fragorosa risata. – Ah, l’adoro di già. Entrate.
Ci invitò facendoci spazio per passare. Seguii Arcadio dentro all’abitazione. Non era grande a differenza degli altri edifici che la circondavano. Era tutto rigorosamente in legno e c’erano solo delle piccole lampade sparse per la casa ad illuminarla, data l’essenza di finestre. Notai una piccola cucina ad angolo, un lungo tavolo con parecchie sedie intorno, una poltrona rosa posizionata davanti ad un caminetto e un soppalco con sopra la camera da letto. Una scala sconnessa portava al piano superiore.
                – Benvenuta nella mia umile dimora. – annunciò l’uomo sedendosi sulla poltrona sollevando un onda di polvere. – Il mio nome è Dasos. E come ti avrà già detto Arcadio, sono discendete di Pan, come lui.
                – No, non mi aveva detto di avere uno zio. – confermai io, rivolgendo al ragazzo una brutta occhiata. Sì, mi dava fastidio che mi avesse mentito.
                – Non è mio zio. – si affrettò a dire Arcadio. – Lo considero mio zio perché mi ha preso con lui quando hanno ucciso tutta la mia famiglia. – continuò in tono serio e duro. – Non ti preoccupare, nessuno dei miei parenti è ancora in vita.
Poi sbuffò e andò a prendersi qualcosa dalla cucinetta.
Tutta la mia rabbia improvvisamente svanì. Mi sentivo così in colpa. Per essermi arrabbiata con lui visto che aveva un parente e perché non gli ho creduto. Rimasi a fissarlo mentre armeggiava con i fornelli.
                – Sai quando arriveranno gli altri? – domandò Dasos guardando il ragazzo.
Lui scosse la testa, senza voltarsi.
                – Gli altri? – domandai, preoccupata.
                – Sì, degli amici di Arcadio. – disse sbrigativo l’uomo.
Dopo qualche minuto sentì qualcuno bussare alla porta. Dasos si alzò e compì lo stesso rito che aveva fatto prima con me e Arcadio.
                – Sì? – chiese, avvicinando l’orecchio alla porta.
                – Siamo l’Armata….chi vuoi che sia, Dasos! – lo rimproverò una voce femminile.
L’uomo aprì la porta e intravidi una chioma castana. La ragazza che aveva parlato entrò seguita da un ragazzo e da un’altra ragazza. Erano tutti e tre vestiti di nero o comunque  colori scuri. Occhio e croce avranno avuto la mia stessa età.
                – È lei? – domandò, puntandomi un dito contro in modo parecchio aggressivo.
                – Io cosa? – risposi con lo stesso tono.
                – Oh dei….non mi sembra molto sveglia. – mi canzonò, sbuffando.
                – Achlys, sii gentile. – la fermò il ragazzo in tono gentile. Portava corti capelli castano chiaro e mi si avvicinò con un bellissimo sorriso.
                – Piacere. – disse allungandomi la mano. – Io sono Samuel, discendente di Dioniso.
Gli occhi erano davvero strani. Avevano una colorazione sul violetto. Mi sembrava simpatico, ma non gli strinsi la mano. Perché erano qui? E perché tutti continuavano a chiedere se io ero io? Chi sarei dovuta essere?! Ero un po’ stufa di tutto questo mistero. Ero venuta in quel posto per avere delle rispose, non per non capirci ancora di meno.
Ritrasse la mano, vedendo che non accennavo a stringerla. – Mi scuso per il comportamento poco cordiale della mia amica.
                – Io sono Elai. – disse la ragazza che non aveva ancora aperto bocca. Aveva biondi capelli mossi che le ricadevamo sulle spalle come una cascata d’oro. Gli occhi erano di smeraldo e le labbra rosee a forma di cuore facevano intendere una solo provenienza.
                – Discendente di Afrodite. – la precedetti io con un tono di disgusto. I peggiori, dopo Zeus e Poseidone, erano i discendenti di Afrodite. Divi del cinema, cantanti, modelli e menate varie. Vanitosi e caparbi come pochi.
La ragazza fece una brutta smorfia sentendo il mio tono di voce e mi squadrò da cima a fondo.
                – Mi piace. – disse voltandosi verso Dasos. – Ma qualcuno dovrebbe cucirle la bocca.
                – Siamo in due a pensarlo. – concordò con lei Arcadio mentre portava in tavola dei panini con del tè.
I ragazzi si avvicinarono e si sedettero dimenticandosi completamente di me o di qualsiasi altra cosa. In effetti pure io stavo morendo di fame. Erano giorni che non mangiavo e quei panini avevano un aspetto davvero invitante.
                – Smettila di fare la permalosa e vieni qui. – mi prese in giro Arcadio in tono serio.
Odiavo il suo atteggiamento, odiavo tutti in quella stanza, ma lo stomaco si impossessò del mio corpo e mi fece sedere al tavolo con loro e addentare un panino. Dei se era buono.
Mentre mangiavo il terzo panino, dei rumori al piano superiore attirarono la mia attenzione. Sentii prima un tonfo e poi dei passi. Una figura incappucciata scese la scala appoggiata al soppalco e con un balzo si rimise in piedi. Il volto nascosto non lasciava intendere l’identità dello sconosciuto. Quella faretra e quell’arco, però, erano inconfondibili.
Mi alzai in piedi d’istinto. – Tu.
Il ragazzo si tolse il largo cappuccio nero mostrando quella chioma bionda che avevo visto due notti prima.
                – Potevi usare la porta. – gli disse Dasos, ma senza rimprovero nella voce.
                – Ho avuto dei…problemi… – rispose aggiungendo uno dei suoi sorrisi accecanti.
Io ero rimasta a fissarlo, senza capirci niente.
Con calma si tolse il cappotto nero scoprendo una felpa blu scuro e posò vicino alla scala la faretra e l’arco.
Quando finalmente mi degnò di uno sguardo, prima aggiunse un sorriso e poi disse: – Ehi.
Nemmeno fossimo vecchi amici che si ritrovavano per una rimpatriata. Dopo quello, ne avevo abbastanza. Avevo seguito uno sconosciuto che mi aveva aggredito la notte precedente solo per ritrovarmi in una casa dove si stava svolgendo un’adorabile riunione di vecchi amici.
Scossi la testa e mi domandai cosa mi fosse passato per la testa. Senza nemmeno pensarci due volte mi diressi verso la porta per uscire all’aria aperta, ma prima di poter metter mano sulla maniglia, una freccia si impiantò a cinque centimetri dalla mia faccia sullo stipite della porta.
Ne fissai la punta, prima di voltarmi verso il colpevole.
                – Non lasci la casa, fino a quando non abbiamo chiarito chi sei. – disse il ragazzo con l’arco teso fra le braccia. Non ricordavo nemmeno più il suo nome.
Lo fissai come se volessi strangolarlo con lo sguardo. Nessuno, e ripeto, nessuno poteva dirmi cosa fare o non fare.
                – Aiden, cerca di calmarti. – lo fermò Elai, la discendente di Afrodite.
Io strinsi i pugni e tirai la mascella. – Non prendo ordini da te, solo perché sei un Olimpo.
Il ragazzo ridacchio. – Mi ha davvero dato dell’Olimpo? – chiese guardando gli altri. – Senti, potremmo diventare grandi amici, un giorno. Ma per adesso non mi stai per niente simpatica.
                – Il sentimento è reciproco. – ribattei.
                – Ora basta. – intervenne Arcadio. – Ti ho promesso delle risposte e le avrai. – mi disse. – Ma prima dobbiamo aspettare una persona, perché anche noi abbiamo qualcosa da dirti.
Mi calmai improvvisamente, presa da una cieca curiosità. – A me?
                Il ragazzo annuì. – È tanto che ti cerchiamo.
Me? Perché avrebbero dovuto cercare me?
                – So che sembra strano. E lo è, in effetti. – disse Dasos, divenendo immediatamente serio. – Ma io conoscevo tuo padre.
                – Mio… – non riuscivo nemmeno a dirlo. Le parole mi morirono in gola tanta era l’emozione.
                – Non avrei dovuto dirtelo, ma se è l’unico modo per tenerti qui con noi, allora ne è valsa la pena. – continuò l’uomo.
Io non ci potevo credere. Volevo fare così tante domande che la mia testa stava per esplodere.
Poi ci fu effettivamente un’esplosione. Venne da fuori l’abitazione, ma fece comunque scuotere il terreno sotto i nostri piedi. Fissai spaventata la porta, temendo che chissà cosa potesse entrare. Non me ne resi nemmeno conto che stavo correndo verso un buco sulla parete vicina alla cucina stretta nella mano di Arcadio che mi incitava a rimanere concentrata.
                Era tutto buio là sotto, ma non so come, riuscivo a capire esattamente dove fossimo diretti.
                – Qualcuno ti ha seguito? – sentii chiedere da qualcuno più avanti.
                – No. Non lo so. – rispose incerto Arcadio che viaggiava al mio fianco.
Dopo qualche minuto di corsa sfrenata nel buio, emergemmo in un vicolo poco fuori il quartiere dove c’era l’abitazione. Dasos ci disse di andare a cercare un posto sicuro per la notte e che sarebbe andato a cercare qualcuno di cui non sapevo il nome.
                – Dove andiamo? – chiese Samuel.
                – Aiden, il cantiere è libero? – chiese Achlys.
                – Sono scappato da lì questa mattina. – mormorò il ragazzo.
                – Il vecchio ospedale? – optò Elai.
                – L’hanno abbattuto. – rispose Arcadio. – Dovremmo cercare i fratelli di Ecate.
                – Non abbiamo tempo e gli dei solo sanno dove si trovano quei due. – commentò Aiden.
E fu in quel momento che intervenni io, lucida. – Ho un posto perfetto, ma non so quanto vi potrà piacere.
Tutti mi fissarono, come imbambolati.
Arcadio fu il primo a parlare: – Okay. È sicuro?
Io annuii.
                – Speriamo solo sia vero. – si intromise Aiden, sistemandosi l’arco a tracolla e il cappuccio sulla testa. Lo guardai male e cominciai a correre verso ovest sapendo esattamente dove portarli.








Nota dell'autrice: Buongiorno a tutti! Nuovo capitolo solo per voi. Che ne dite? Vi è piaciuto? Bè, spero vivamente di sì. 
Non so voi, ma io sono ancora sommersa di verifiche e interrogazioni. Non ne posso più gente.
Un bacione a tutti e pregate gli dei per me
Silvia

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V









               Ero sicura di trovarla esattamente come l’avevo lasciata.
Ci vollero quasi due ore per raggiungerla, ma la strada la ricordavo bene. Arrivammo per il tardo pomeriggio e la roccia era calda dai raggi del sole della giornata.
L’avevo trovata due anni prima e ci avevo vissuto fino a quando l’Armata è venuta a controllarla e per poco non sono stata presa. Da allora non ci sono più tornata per paura di essere catturata, ma ora il cartello: “Miniera abbandonata. Non entrare.” mi dava un po’ di speranza.
                – Seguitemi e, per favore, attenti a dove mettete i piedi. – raccomandai loro.
Con una pietra ruppi il lucchetto del vecchio cancello arrugginito e con un spinta lo aprii. La miniera da fuori sembrava una semplice grotta davvero piccola, ma nessuno conosceva i suoi segreti come me. Entrammo nel condotto principale dove c’erano ancora le rotaie.
                – Aiden, vieni davanti con me per fare luce. – gli ordinai. Lui non disse niente e mi affiancò togliendosi il cappuccio. Subito il passaggio si illuminò e riuscii a distinguere le pareti famigliari. Dentro faceva freddo ed era umido, così cercai di affrettare il passo per portarli nel mio posto segreto.
Dopo un po’ di tempo nella galleria principale, mi fermai davanti ad una rientranza sulla destra. Feci cenno a Aiden con la mano di avvicinarsi e notai che era stata sbarrata con delle assi di legno. Sopra un altro cartello diceva di non passare. Sorrisi.
Staccate tutte le assi, il foro di circa un metro di diametro si aprì davanti a me. Andai per prima, seguita subito dopo da Aiden e Arcadio. Il buco era solo un’apertura per entrare in un corridoio secondario. Era lungo e alto e la temperatura era più secca e piacevole rispetto a quella della miniera. Quando tutti furono entrati, rimisi apposto le assi e ricominciai a camminare lungo il corridoio buio.
Contai attentamente i passi. Ventitré….ventiquattro….venticinque…venitsei…. mi bloccai.
                – Fate attenzione, qui iniziano le scale. – annunciai.
Aiden era al mio fianco e cominciammo a scendere i gradini in granito che portavano sempre più in profondità.
                – Ma, esattamente, dove stiamo andando? Dritti negli Inferi? – chiese Samuel.
Io ridacchiai. – Siamo quasi arrivati.
Infatti, dopo poco, i gradini terminarono e chiesi a Aiden di smettere di brillare. Lasciai i ragazzi al buio e armeggiai con lo zaino per tirare fuori i fiammiferi. Nel giro di poco avevo acceso tutte le lanterne nella grotta lasciando i ragazzi a bocca aperta.
Fissavano il soffitto che riluceva sotto la debole ma efficace luce delle lanterne. La volta, a cinque metri d’altezza, era completamente ricoperta di cristalli che luccicavano quando venivano colpiti dalla luce. La grotta sarà stata grande come un soggiorno di una casa, ma io ci ho sempre vissuto bene.
                – La temperatura è ottimale. – cominciai. – D’inverno è caldo, per via del vulcano che si trova sotto i nostri piedi. – quando lo dissi, mi guardarono impauriti. – Tranquilli, è spento da tempo ormai. Seguitemi che vi mostro il resto.
Li invitai a spostarsi in una stanza vicina. Dopo aver acceso le lanterne inizai a spiegare: – Questa è una piscina naturale con l’acqua che viene dalla sorgente e riscaldata sempre dal vulcano. – dissi mostrando loro il bacino circolare che usavo come vasca da bagno. Era circa di sette metri di diametro, ottimale per rilassarsi.
Mi mossi nella stanza vicino e mostrai un’altra caverna dove passavo l’estate. Era più grande di quella all’entrata e più fresca. Poi la piccola sorgente di acqua pulita e fresca che sgorgava da una rientranza sulla parete. L’acqua aveva corroso la roccia fino a formare una bacinella per contenerla. Infine li portai a vedere la latrina che avevo costruito da sola e la piccola dispensa. C’erano ancora dei barattoli di fagioli e carne in scatola. Per la latrina, avevo trovato un canale che fuoriusciva dalla miniera e ci avevo costruito sopra una tavoletta di legno come water.
                – È incredibile. – disse Samuel quando fummo tornati nella stanza principale.
                – È stato più un colpo di fortuna, forse. – risposi. – Questo posto l’avrà sicuramente usato qualcuno prima di me. Io sono stata solo molto fortunata a trovarlo e a tenerlo nascosto.
Elai estrasse dei teli dal borsone che si era portata a presso e li stendemmo a terra al centro della stanza, il posto più caldo. Il pavimento sembrava veramente riscaldato e mentre mangiavo la mia razione di carne in scatola, pensai che mi era mancato davvero quel posto.
Dopo il disastro di Quella notte, sono stata costretta a scappare per molto, troppo tempo. Dopo qualche anno che ho passato in mezzo alla strada, mi sono imbattuta in questo posto, quasi per caso. È stato un vero e proprio colpo di fortuna. Mi sono rimessa in piedi e ho riorganizzato la mia vita, decisa a sopravvivere.
                – Domani dobbiamo andare a cercare i fratelli di Ecate.– disse Aiden rompendo il silenzio.
                – E Dasos? – chiesi io. Non che mi importasse di quel tipo, ma sapeva qualcosa sulla mia famiglia e io dovevo sapere cosa.
                – Non è la priorità ora. – continuò il discendente di Apollo. – Dovremmo anche prendere provviste e delle coperte se vogliamo che questo diventi il nuovo quartier generale.
                – Aspetta cosa? – domandai tutto d’un fiato. – Quartier generale?
                – La casa di Dasos non è più sicura. – si intromise con un tono più dolce Arcadio. – Avranno cercato nostre tracce e forse distrutta. Non possiamo tornarci.
Il tono del ragazzo era assente.
                – Andrà bene. – ci rassicurò Samuel. – Domani è un altro giorno. Cerchiamo di essere positivi.
E detto questo si sistemò sulla coperta per riposare. Elai lo imitò e si mise vicino a lui. Achlys si distese poco dopo sulla sua e Aiden andò a posizionarsi vicino al muro.
Io guardai Arcadio.
                – Buonanotte. – gli dissi. Per poi stendermi a mia volta.
Lui non rispose, ma lo sentii stendersi vicino a me e avvolgerci con la sua coperta. Il suo profumo di foresta mi rilassò completamente.
 

                Nonostante il silenzio, il buio e il calore, non riuscii a chiudere occhio. Forse per la curiosità o per chissà che cosa. Mi voltai trovando il corpo di Arcadio. Non riuscivo a vedere il suo viso, ma sentivo il suo respiro caldo che mi sfiorava le guance.
Era tanto che non sentivo la presenza di qualcuno così vicino.
Ad un certo punto iniziai a sentire caldo. Troppo caldo. Il respiro mi diventò pesante e non riuscii più a sopportare la sua vicinanza. Mi alzai senza fare rumore e mi misi seduta lontana dal suo corpo.
Da quando condividevo il mio letto con qualcuno? Non mi riconoscevo più. Io ero abituata a viaggiare da sola, a cavarmela contando solo sulle mie forze. E a me bastavano.
Mi misi in piedi, non riuscendo a dividere la stanza con altre cinque persone. Con altri cinque sconosciuti.
Nel buio, camminai sicura verso l’entrata della piscina naturale. Sapevo dove andare, riconoscevo la strada. Arrivata alla stanza, tirai dritto nell’opposta direzione rispetto alla latrina, imboccando un corridoio più stretto e nascosto. Quel posto non lo avevo mostrato agli altri.
Continuai per pochi metri per il corridoio di roccia, ma ad un certo punto mi bloccai di colpo. Sentivo qualcosa di strano, qualcosa di diverso in quel luogo, qualcosa che non mi era famigliare. Mi voltai di scatto e presi la mano dello sconosciuto che mi aveva seguita e gliela torsi dietro alla schiena per tenerlo fermo.
                – Sono io. – sentii dire con voce mozzata.
                – Arcadio? – l’odore di selva l’aveva preceduto. Ma non mollai la presa. – Perché mi hai seguita?
                – Credevo volessi scappare. – poi lo sentii ridacchiare. – E poi, ti seguirei ovunque.
Lo mollai in malo modo, arrabbiata per il suo atteggiamento. – Sei odioso.
                – Oh, andiamo. Ammetti che adori la mia compagnia.
Sbuffai a ricominciai a camminare per il corridoio. Ma lui mi fermò prendendomi un braccio.
                – Dai, voglio davvero venire con te. – mi supplicò.
                – No.
                – Se non mi fai venire, mi metto ad urlare.
Maledetto.
                – Okay.
Ricominciai a camminare seguita da lui. Ci volle poco per arrivare all’entrata della stanza.
Dopo qualche secondo sentì un sospiro venire dalla sua parte. Pure io ero rimasta colpita la prima volta che l’avevo visto.
La stanza nascosta non era tanto grande, più o meno come la principale. Era per metà ricoperta da acqua. C’era una sorgente sotterranea che creava un piccolo lago che fluiva poi nella piscina naturale. Ma la cosa incredibile era il muro di fronte a noi. Lucciole di colorazioni fra il verde acqua, l’azzurro e il blu illuminavano la volta della grotta come milioni e milioni di lucine. Avevo imparato a conoscerle. Erano lucciole devote ad Ade, create per vivere in ambienti sotterranei.
                – È incredibile. – disse.
Mi sedetti sulla riva rocciosa e lui mi imitò, rimanendo sempre con lo sguardo verso le piccole luci.
Mi voltai verso di lui. I miei occhi si erano abituati all’oscurità e vidi i tratti del suo viso. Gli occhi riflettevano la luce azzurrina delle lucciole e la bocca era increspata in un sorriso.
                – Ma perché ce l’hai nascosto? –  mi chiese guardandomi. Forse anche lui si era abituato a quella luce.
                – Non lo so. – era la verità. – È il mio posto speciale. Ma non voglio che tu lo dica agli altri. Dovrà essere un segreto, chiaro?
                – Nemmeno fosse il tuo covo. – scherzò.
Io rimasi seria.
                – Okay, va bene. Non lo dirò a nessuno. Solo se tu mi prometti che possiamo tornarci quando vogliamo. – mi fece promettere.
                – No.
                – Sai, sento che è davvero da troppo che non caccio un urlo…. Potrei provare a vedere se riesco ancora a-
                – Prometto. – acconsentii a denti stretti. Lo sentii ridacchiare. Quanto mi dava sui nervi.
 
Restammo in silenzio ad ammirare le lucciole. Mi era mancato questo spettacolo.
               
                – Ti va di fare un bagno? – mi domandò improvvisamente.
                – Adesso?
                – Perché no? È buio, non posso vederti se ti spogli. – disse. E poi temei che facesse la sua solita battuta. – Tanto, ti ho già vista praticamente nuda.
                – Sapevo l’avresti detto. – ammisi.
 
Ancora silenzio.
Poi Arcadio cominciò a intonare un motivetto con le labbra chiuse. Non conoscevo quella canzone, ma la melodia era dolce.
                 
                It goes like the clouds,
                It floats like the sky,
                I want to go someplace and find you there.


Cantò quei versi sussurrandoli. La sua voce era graffiata mentre canticchiava il resto della canzone.

               Don’t go away,
               I need you to stay,
               I want to go someplace and find you there.

               And yes, you just run to him
               and I'll be down on my knees begging you
               Begging you "don't- I love you."


Non lo fermai. Era davvero bella. Chiusi gli occhi e mi immerse in quelle parole.

               I saw through your lies,
               I saw through your disguise,
               I want to go someplace and find you there.


Non so perché, ma una lacrima uscì involontariamente e mi strisciò la guancia. La lasciai correre, affidandomi all’oscurità.

               Don't go away,
               I need you to stay,
               I want to go someplace and find you there...

               I want to go someplace and find you there...

Aspettai un po’ prima di parlare. Mi sentivo così perdutamente sola in quel momento
                – Quando avrò delle risposte? – mormorai.
                – Mi dispiace averti trascinata dentro a questo. – era sincero. – Ma prometto che presto capirai molte cose. Dovrai solo avere un po’ più di pazienza.
Io abbassai lo sguardo. Erano anni che aspettavo delle risposte su tutta la mia vita. E ora che ero così vicina, nessuno mi diceva niente.
Qualcosa di insolito mi distolse dai miei pensieri.
                – Hai sentito? – domandai in un sussurro ad Arcadio.
                – Cosa?
Ancora quel fruscio.
Mi alzai lentamente e senza fare rumore, cercando invano di vedere attraverso quel muro di tenebre che mi circondava. Arcadio mi imitò, rimanendo in silenzio. Forse anche lui aveva sentito quel rumore.
Strinsi le mani a pugno, pronta a colpire se necessario, ma era impossibile che qualcuno avesse trovato quel posto.
Un fruscio e mi attaccò senza che nemmeno me ne accorgessi. Volai a terra a sbattei la schiena sul suolo duro, togliendomi il respiro. Poco dopo sentii un altro fruscio e anche Arcadio finire a terra. Tossii per riprendermi e mi rialzai. Qualcosa mi fece ricadere in ginocchio con un colpo allo stomaco ben piazzato.
                – Chi sei? Mostrati! – dissi con la voce mozzata. Mi tenni la pancia dolorante e cercai di rialzarmi.
                – Si cela nell’oscurità colui che non vuole mostrarsi.
La voce era così famigliare che per un secondo mi bloccai.
                – Perché sei qui? Come hai trovato questo posto? – chiesi ancora sperando di risentire quella voce.
La risposta arrivò poco dopo: – Questa è casa mia, siete voi gli intrusi.
Ancora quella sensazione. Ma perché?
                – Avevi detto che era sicuro. – disse fra i denti Arcadio al mio fianco.
                – Ti conosco? – continuai senza prestargli troppa attenzione.
                – Le ombre le hanno tutti, ma nessuno le conosce davvero.
                – Basta giochetti. – sbuffai. – Il mio nome è Skia. Figlia di Loudas e di Vasilissa. – dovevo cominciare da qualche parte. E quella voce mi diceva qualcosa. – Mortale.
Quando ci si presentava, prima si diceva il nome, poi i genitori, poi la discendenza. Nel mio caso nessuna.
Ci fu silenzio e temei che se ne fosse andato.
                – No.
                – No? – ripetei.
                – Non sei mortale. – ancora silenzio. – Sei una delle ultime discendenti di Ade.
                – Come lo sai? – non credevo alle sue parole.
La voce non mi rispose subito. Ma quando parlò, il tono sembrava rotto internamente.
                – Generazioni si sono susseguite. – cominciò. – Nostro padre lo era. E suo padre prima di lui.
La luce di un fiammifero illuminò una lanterna. Quella piccola luce mi sembrò accecante dopo tutto quel buio. Prima vidi solo una mano ricoperta da un guanto senza dita. Poi il raggio luminoso si ingrandì e riuscii a distinguere il volto della voce.
Capelli neri e sbarazzini del colore della pece. Occhi profondi e scuri dove affogare. Pelle pallida e cerea.
                – Ciao sorellina. – disse la voce. – È un po’ che ti cerco.






Nota dell'autrice: Allooooooora? Che ne pensate? Più o meno decente?? Lo spero...
Bé ho finalmente finito tutte le verifiche e interrogazioni di quest'anno!! Dei sono così felice! 
Un saluto a tutti quanti e spero che finiate anche voi con la scuola 
un abbraccio
Silvia
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI









L’ultimo ricordo che avevo di lui tornava a Quella notte.
Era fine agosto e papà mi stava rimboccando le coperte. Mi chiuse la finestra dalla quale entrava un forte vento, guardando fuori con fare preoccupato.
                – Cosa succede papà? – gli chiesi, vedendolo scuro in volto.
Lui chiuse definitivamente la finestra, tirando le tende. Si voltò verso di me con un sorriso tirato, ma a me bastava.
                – Sta arrivando un temporale, tesoro mio. – mi disse sedendosi al mio fianco.
                – Un temporale?
Avevo paura dei tuoni e dei lampi che tagliavano il cielo.
                – Sì, ma non devi avere paura. – mi rassicurò. – Il temporale serve a rinfrescare l’afa estiva. A pulire la polvere delle giornate più secche. All’inizio fa paura, ma poi passa. Tutto passa, amore mio.
                – Anche tutti quei lampi e tuoni? – domandai con il lenzuolo fino sotto al mento, impaurita.
                – Pure quelli. – mi sorrise, dandomi il bacio della buonanotte.
Poi uscì dalla porta della mia camera e la socchiuse.
Chiusi gli occhi e cercai di dormire, ma sentivo il vento che ululava e che sbatteva contro il vetro della mia finestra. Poi cominciarono i lampi e subito dopo il rombo assordante dei tuoni che facevano vibrare il letto e le pareti. E la pioggia che picchiava il suolo con forza e potenza di un proiettile.
                – Papà? – chiamai tremante. 
Mi aveva detto che sarebbe passato, che tutto passa. Ma io avevo lo stesso troppa paura.
                – Mamma? – provai, visto che lui non rispondeva.
Dopo un ennesimo tuono, mi alzai velocemente dal letto facendo svolazzare la mia camicetta da notte bianca e aprii la porta della mia camera per andare in quella di fronte.
Dietro a quella porta, identica alla mia, ero sicura di poter trovare un rifugio sicuro.
Senza fare troppo rumore l’aprii e mi fiondai nel grande letto con le coperte blu scuro. Trovai un braccio più robusto del mio e mi ci accovacciai contro.
                – Non riesci a dormire? – mi domandò in un sussurro la voce calda di mio fratello.
                – Il temporale fa paura. – risposi nascondendomi sotto alle coperte.
Lui mi fece passare il braccio attorno alle mia spalle e io mi accoccolai contro il suo petto stringendogli la maglietta. Aveva solo tre anni e qualche mese in più di me, ma era molto alto e robusto per un ragazzo della sua età.
Succedeva spesso che, quando avevo paura la notte, mi rifugiavo nel suo letto e la cose che apprezzavo di più, era che lui non mi respingeva.
                – Passerà. – mi rincuorò, citando nostro padre.
Mi strinsi a sotto le coperte e lui mi accarezzò la schiena.
Poi quel baccano. I colpi di pistola e quei mostri.
Avevo sette anni quando la vita che conoscevo, finì.
 
 

Erano dieci anni che non lo vedevo e l’ho sempre creduto morto dopo quell’ultima notte. Ora però era davanti a me, con il suo solito sorrisino stampato in faccia e gli occhi che brillavano.
Avrei dovuto piangere, forse, o correre ad abbracciarlo. Ma l’unica cosa che mi veniva in mente era tutta la fatica che avevo fatto per sopravvivere senza di lui.
Ricordi che avevo cercato in tutti i modi di cancellare dalla mia mente, riaffioravano. Il mio cuore, che aveva dimenticato da molto sentimenti come l’amore, la fratellanza o la nostalgia, mi sembrò riscaldarsi. E il mio istinto mi disse che quello non era un bene.
                – Sei cresciuta. – mi disse. – Non sei più una bambina.
                – Vattene. – risposi.
Il suo sorrisetto si smorzò.
                – Andarmene? – mi domandò, avvicinandosi. – Ti ho appena trovata. Non ci penso proprio.
                – Dove sei stato tutto questo tempo? – chiesi rigida e fredda.
Si fermò e mi guardò fissa negli occhi. – Skia… è complicato.
                – Sì, per me lo è stato. – il mi tono di voce non si sbilanciò nemmeno per un secondo. – Ho vissuto per strada, dovendo nascondermi. Sono stata picchiata, derubata. Solo dopo due anni sono riuscita a dormire sotto un vero tetto. Sì, è stato complicato, perché ero sola. E tu dove sei stato per tutto questo tempo?
                Non mi rispose subito. I suoi occhi erano velati da un muto dolore. Sospirò e mi disse: – Ti ho cercata, lo giuro. Ma sono stato preso dall’Armata un anno dopo la morte dei nostri genitori e sono rimasto in prigione per quattro anni. Quando sono uscito, tutto era cambiato.
                – Cos’era cambiato?
                – Io, il mondo, tutto.  Mi si sono aperte delle porte inaspettate e sono venuto a sapere di alcune cose che mi hanno portato a compiere delle scelte, che mi hanno allontanato da te. Ma non ho mai smesso di cercarti. Appena potevo andavo per le vie di Nuova Roma, casa per casa a chiedere se avevano trovato una bambina con i capelli e gli occhi neri. Ma non ti trovavo da nessuna parte. Devo dirti così tante cose. A partire da chi siamo e perché i nostri genitori…. – si bloccò lanciando uno sguardo ad Arcadio che era rimasto vicino a me senza aprire bocca.
                – E tu chi sei? – gli chiese mio fratello, acido.
                – È un ragazzo che mi doveva delle risposte. – lo precedetti io. – Nella stanza principale ce ne sono altri quattro. Li ho incontrati per caso e con loro c’era un uomo che conosceva nostro padre.
                – Non devi fidarti. – mi rispose secco. – Nostro padre era coinvolto in qualcosa di grosso, non puoi fidarti di chiunque ti dica che lo conosceva.
                – Ehi, noi lottiamo per le stessa causa, amico. – lo interruppe Arcadio.
Michael fece una brutta smorfia sentendo il ragazzo chiamarlo “amico” e si rivolse a lui in tono accusatorio: – Scusami, ti ho chiesto qualcosa?
                – Michael, io mi fido di lui. – e mi sorpresi di quelle mie stesse parole.
                – Io no. Per cui, ora vieni con me. – mi ordinò prendendomi una mano. Immagini della mia vita passata mi travolsero come un fiume in piena. Mi sciolsi subito dalla sua stretta.
                – No. Non vado da nessuna parte. Io so decidere per me. – risposi ferma. – Ma tu mi devi delle risposte.
Lui mi guardò leggermente offeso, ma si riprese e mi disse: – Cosa vuoi sapere?
                – Io, tu, nostro padre… sono veramente discendente di Ade? – domandai, timorosa.
Lui annuì: – Certo. Papà non ha fatto in tempo a dirtelo e ad insegnarti i loro segreti. Ma io lo sapevo.
Controllai il respiro per calmare il battito del cuore. Arcadio aveva ragione.
                – Io te l’avevo detto. – mi bisbigliò Arcadio all’orecchio. Gli mollai un pugno in pancia per zittirlo.
                – Ma… non è possibile… – balbettai. – Non ho nessun potere.
                – Questo non è vero. – si aggiunse Arcadio, massaggiandosi lo stomaco dolorante. – Circa due giorni fa, l’ho vista aprire una crepa al suolo.
                – È un dono di Ade. – spiegò mio fratello.
                – Io non… – non ci credevo.
                – Scusami, Michael. – irruppe Arcadio rivolgendosi a mio fratello. – Vorrei parlare un attimo con te, in privato.
Michael lo squadrò, ma alla fine lo seguì verso il fondo della stanza, dove iniziarono a discutere a sottovoce di qualcosa che non capivo.
Io mi sedetti a terra avvolta nuovamente dal buio. Tutte quelle volte che ho creduto di essere una semplice mortale. Ero una discendente di Ade. E ora, cosa avrei dovuto fare? Ero piena di domande in testa.
                – Va bene. – disse Michael raggiungendomi con Arcadio. – Andiamo a conoscere questi tuoi amici.
 
 
                Tornai nella stanza principale seguita da Arcadio. Dissi a Michael di aspettare prima di presentarsi agli altri.
Appena arrivai, trovai Aiden e Achlys che parlavano a ridosso del muro. Quando ci videro, smisero di parlare e Arcadio andò a svegliare Elai e Samuel.
                – Dove eravate finiti? – chiese Achlys in tono duro.
                – Dobbiamo presentarvi una persona. – mi precedette Arcadio, accendendo varie lanterne per illuminare la stanza. – Ho già parlato con lui ed è dalla nostra parte. Fidatevi di me.
                – Arcadio, ma che stai dicendo? – chiese Samuel confuso.
                – Vieni pure. – chiamai.
Mio fratello fece capolino dal suo nascondiglio di tenebre e si mostro agli altri ragazzi.
                 – Lui è mio fratello, Michael. E come me è discendente di Ade. – lo annunciai.
I ragazzi mi fissavano stupiti e lanciavano il loro sguardo da mio fratello a me come per scegliere quale delle due frasi che avevo appena detto avesse più senso.
                – Tuo cosa? – domandò Elai sbalordita.
                – Lo credevo morto pure io. – ammisi con la voce senza una sfumatura.
                – So che conoscete la storia di mio padre e per cosa ha combattuto. – cominciò con tono autoritario mio fratello. – Io sono dalla vostra parte e sarò felice di aiutarvi.
                – E chi ha detto che abbiamo bisogno di aiuto? – disse acido Aiden.
                – E questo da dove esce? – borbottò Michael, guardandomi. Io ricambiai il suo sguardo come per dirgli: “che ci posso fare?”.
                – Il mio nome è Aiden. – si presentò il ragazzo adirato dal tono dell’altro.
                – Discendente di Apollo. – lo precedette Michael. – Sarà per quello che non mi sei stato simpatico fin dal primo momento che ti ho visto.
Aiden incoccò una freccia all’arco scagliandola contro mio fratello ad una velocità impressionante, ma prima che arrivasse al suo petto, si era disintegrata in una nube di polvere nera. Michael sorrideva.
                – Regola numero uno. – quanto odiavo quando si metteva a fare quello che sapeva tutto. – Le tenebre battono sempre la luce.
                – Questo si vedrà. – ringhiò Aiden abbassando l’arco.
                – Io e Michael abbiamo parlato prima. – disse Arcadio per cercare di calmare le acque. – Credo che sia arrivato il momento di portare Skia dall’Oracolo.
                – No. – lo bloccò immediatamente Aiden.
                – Il cosa?
                – Non se ne parla.
                – Esiste ancora un Oracolo?
                – È in un posto segreto che solo pochi conoscono. – mi spiegò Arcadio. – Dopo che il Consiglio dei Sacerdoti ha smesso di ascoltare l’Oracolo, dicendo che gli dei parlavano a loro direttamente…
                – Balla colossale. – aggiunse Achlys.
                – Tuo padre, insieme ad altri uomini, ha nascosto l’Oracolo per continuare a contemplarlo, anche se era contro la legge.
                – Mio padre?
                – Ha fatto molte cose di cui non ci ha mai parlato, ma ha fatto tutto credendo nei giusti ideali e lottando per un mondo migliore. – mi spiegò Michael.
                – Lottato? Ma che cosa? – io non riuscivo a capire.
                – Adesso sei molto confusa, ma appena parlerai con l’Oracolo, tutto ti sarà più chiaro. – mi rassicurò Arcadio. – Te lo prometto.
Per un attimo volli credere a quelle sue folli parole.
                – Io dico che non è ancora pronta. – si intromise Aiden, serio. – È impulsiva e non ci possiamo fidare della sua reazione.
                – Dubiti di mia sorella? – lo sfidò Michael.
                – Credo che sarà un grande generale, ma non ora. È troppo presto. – gli rispose Aiden a tono. Seppi già che quei due si sarebbero odiati per molto tempo prima di diventare grandi amici.
                – Sono pronta. – li inchiodai. – Sono pronta a conoscere il mio destino.
 
 
               
 

 
Nota dell'autrice: Lo so... è parecchio corto. Ma prometto che aggiornerò più spesso da ora! Per cui tranquilli..
Bè basta... un bacione a tutti
Silvia

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII









Dopo le continue lamentele di Aiden, siamo riusciti ad uscire dalla miniera da un passaggio segreto che ci ha indicato Michael.
               – Conoscevi questo posto? – chiesi a mio fratello.
               – Sono stato qui per molto tempo. – mi rispose con lo sguardo concentrato su qualcos’altro. – Appena torniamo, ti devo mostrare delle stanze nascoste.
Ero eccitata all’idea, ma era ancora strano parlare con lui dopo tutto quel tempo.
Camminavamo spediti fra la periferia a est del centro di Nuova Roma. Arcadio era in testa con Aiden, Achlys, Elai e Samuel subito dopo e infine io e Michael. Arcadio aveva detto che il posto era nella periferia ovest, vicino al mare. Avremmo dovuto passare per il centro, facendo attenzione a non essere presi.
                – Cosa dovevi dirmi dei nostri genitori? – domandai a Michael.
Lui abbassò lo sguardo e subito non mi rispose.
                – L’Oracolo ti dirà tutto. – rispose evasivo.
Non volevo sapere più. Se Michael era ridotto così, non volevo sapere.
Era quasi mezzogiorno quando arrivammo nel centro. Arcadio e Aiden si fermarono dietro ad un angolo e sbirciarono sulla piazza principale.
                – Problemi? – domandò Michael avvicinandosi ai due.
                – L’Armata. – mormorò Aiden a denti stretti.
                – Non possiamo passare. Riuscirebbero a vederci. – continuò Arcadio.
                – Possiamo passare a nord e sorpassiamo la piazza. – disse Aiden cercando una soluzione.
                – Ci sono sicuramente truppe per l’intero centro, siamo stati solo fortunati a non beccarli prima. – spiegò Michael.
Il discendente di Apollo gli lanciò un’occhiataccia: – Oppure non ci sono.
                – Senti, novellino. – cominciò Michael, sfacciato. – Conosco l’Armata molto meglio di te, per cui se ti dico che ci sono truppe per tutta la piazza e nei dintorni, ho ragione.
                – Novellino? – ringhiò di risposta Aiden. – Ci sono dentro da più tempo di te.
                – Oh dei, ma faranno tutto il tempo così? – mormorò stancamente Achlys con una mano davanti alla faccia. Elai ridacchiò.
                – Smettetela di litigare e cerchiamo di decidere cosa fare. – prese in mano la situazione Arcadio.
Quella è l’ultima cosa che ricordo, perché dopo divenne tutto buio.
 
   
 
Quando mi risvegliai avevo male alla testa. Dei se faceva male. Le orecchie mi fischiavano e non riuscivo a mettere insieme un pensiero sensato. La vista era completamente offuscata. Delle macchie indistinte si muovevano davanti a me.
Chiusi gli occhi. Respirai lentamente per riprendere il controllo del mio corpo. Cercai di pensare all’ultima cosa che ricordavo. Ah, giusto: mio fratello e Aiden che litigavano… Nulla comunque che mi sarebbe servito per capire dove mi trovassi.
La testa cominciò a farmi meno male nel giro di poco tempo. Provai a riaprire gli occhi e mettendo lentamente a fuoco, riuscii a distinguere i miei pantaloni. Alzai la testa e un muro grigio si stagliò davanti a me. Non riconoscevo quel posto.
Ero seduta. Cercai di alzarmi, ma ero legata ad una sedia. Strattonai più forte, ma le corde erano belle strette. Poi sentii qualcosa di diverso dal ruvido della fune. Sembrava pelle umana. Accarezzai quella superficie liscia e morbida con la punta delle dita.
                – Skia? – la voce di Arcadio mi chiamò.
                – Sei tu? – chiesi sorridendo, contenta di non essere sola.
                – Sono qui. – mi disse fermo, prendendomi la mano. Io la strinsi cercando di farmi forza.
                – Dove siamo? Da quanto sono svenuta? Dove sono gli altri? E mio fratello? – domandai a raffica.
                – Siamo al quartier generale dell’Armata. Ti hanno presa alle spalle e ci hanno tramortiti. Io sono riuscito a raggiungerli e a cercare di fermarli, ma hanno preso anche me. – mormorò. – Mi dispiace.
Io non ascoltai quel “mi dispiace”. Aveva cercati di salvarmi, l’importante era quello, non se non c’era riuscito. Almeno non ero sola.
                – Come fai a sapere che siamo nel quartier generale dell’Armata? – chiesi invece.
                – Ci sono già stato.
                – Ma tutti siete stati in prigione almeno una volta? – domandai sarcastica.
                – Lottando contro il potere, ti capita di finire al fresco qualche volta.
Sbuffai. Dovevamo uscire.
                – Okay. Come ce ne andiamo?
In quel momento la porta si spalancò di colpo e entrarono due uomini con la divisa dell’Armata, seguiti da un terzo con un impermeabile scuro.
                – Finalmente conosco la grande figlia di Laudas. – disse l’uomo con fare teatrale. La bocca increspata in un sorriso maligno dava un orribile espressione al viso, percorso da una cicatrice biancastra dalla tempia fino alla mandibola.
                – Oh, ci sei anche tu, Arcadio. – continuò.
                – Ehi. Ci si rivede! – lo salutò il ragazzo con troppo entusiasmo.
                – È sempre un piacere. – mormorò alzando gli occhi al cielo, per poi tornare a puntarli su di me. – Ma siamo qui per te, generale.
                – Generale? – possibile che le persone siano sempre convinte che io sappia tutto?
                – Che carina. Fa’ pure finta di non sapere nulla. – ridacchiò l’uomo rivolgendosi alle due guardie ai suoi fianchi. Poi mi mollò uno schiaffo in piano viso facendomi fischiare di nuovo l’orecchio.
                – Non toccarla! – sento Arcadio dimenarsi dietro di me.
                – Smettila di giocare, stronzetta. – mi minacciò. – Dicci dove sono gli altri e non ti faremo nulla.
Sentivo la rabbia montarmi nelle vene. Giurai che avrei tirato un pungo a quel tizio appena mi sarei liberata.
                – Vediamo se ti è chiaro, stronzetto. – cominciai con la voce più tagliente che riuscivo a fare. – Io. Non. So. Di. Cosa. Tu. Stia. Parlando. – scandii lentamente ogni parola.
                – Testarda come il padre. – disse a denti stretti. – Non ho molta pazienza. Per cui te lo richiedo e questa sarà l’ultima volta. – aveva gli occhi marroni fissi nei miei. – Dov’è il tuo esercito?
Io non resistei all’impulso di sputargli in faccia. Lui prese una fazzoletto dalla tasca dell’impermeabile e si pulì il viso, per poi tirarmi un pugno sulla mandibola. Da tanta forza, per poco non caddi dalla sedia. Sentii il sangue colarmi dal labbro inferiore. Tornai dritta e con sguardo furibondo mi leccai il sangue che usciva dalla ferita, assaggiandone il sapere metallico.
                – Forse hai solo bisogno di un piccolo…incoraggiamento. – disse con un ghigno. Poi si rivolse alle guardie: – Portatemi il ragazzo.
I due uomini si mossero velocemente e presero Arcadio per le braccia. Lui cercava di liberarsi dimenandosi, tirando calci e testate, ma i due non mollavano. Lo portarono davanti a me e all’uomo con l’impermeabile.
Restai con lo sguardo fisso su di lui mentre si avvicinava ad Arcadio e gli mollava un pugno in pieno stomaco. Il ragazzo si piegò in due dal dolore.
Io non parlai e non mossi un muscolo, anche se dentro stavo scoppiando.
                – Oh, devo continuare? – mi chiese sarcastico, per poi tirargli un altro pungo. Arcadio gridò al quarto colpo.
                – Certo che ti piace vedere gli altri soffrire per te. – ridacchiò mollando un pungo in pieno viso al discendente di Pan.
Cercai di non mandarlo agl’Inferi solamente schioccando le dita. Dovevo fare qualcosa, non potevo vederlo così. Strinsi le mani e immaginai di teletrasportarmi davanti ad Arcadio. Non so come, ma mi trovai in piedi davanti ai due uomini.
Il tizio con l’impermeabile mi guardò sbalordito. Io non aspettai a piazzargli un destro sul naso, sentendomi realizzata.
Arcadio colpì la guardia sulla destra e io presi l’altro. Riuscì a metterlo ko in pochissimo tempo e mi misi il braccio di Arcadio attorno alle spalle per sorreggerlo. Immaginai di essere fuori e in uno sbuffo di tenebre eravamo in un campo di grano.
Aprii gli occhi e non ci credei subito. Ero riuscita a portarci fuori. Sorrisi come una scema.
Poi il gemito di dolore di Arcadio mi risvegliò dall’incanto. Il ragazzo si accasciò a terra con una mano attorno al costato.
Mi abbassai e senza nemmeno chiederglielo misi una mano sulle costole. Lui fece un brutto suono quando toccai la parte sinistra. Sentii una costola rotta.
                – Dove siamo? – mi chiese sussurrando.
Mi guardai intorno. – In un campo di grano nella parte sud di Nuova Roma. – annusai l’aria. –  Ma dovremmo essere vicini al mare. – risposi, per poi tornare a concentrarmi su di lui.
Lui fece come me e cercò di capire la nostra posizione. Sorrise. – Che gli dei ti benedicano.
                – Perché?
                – Siamo più vicini all’Oracolo di quanto credi. – poi cercò di alzarsi. Io lo aiutai e lui si appoggiò a me.
                – Dobbiamo trovare qualcosa per curarti prima. Non puoi camminare in queste condizioni. – dissi severa. Mi guardai ancora intorno e non molto lontano vidi che iniziava una foresta. – Se ti portassi in un bosco, staresti meglio?
                – Sì, ma così ci allontaneremmo dall’Oracolo.
                – Smettila di pensare al mio destino per un momento, prima dobbiamo curarti. – lo zittii cominciando ad avanzare verso gli alberi.
Fu una delle cose più difficili che io abbia mai fatto. Arcadio cadeva ogni dieci metri e poi pesava, pure per me. Qualche volta cercai di teletrasportarmi ancora, ma ero troppo stanca per riuscirci. Arrivammo alla base del bosco che eravamo entrambi grondanti di sudore e stremati. Camminai ancora per un po’ addentrandomi fra gli alberi, cercando di farmi forza e, appena trovai un albero bello grosso a fianco di un piccolo fiumiciattolo, mi ci accasciai sotto portando Arcadio con me.
                Ripresi lentamente fiato e lo sistemai sul tronco. Mi sfilai il giubbotto e la felpa, rimanendo in canotta, per fargli un cuscino. Gli aprii il suo di giubbotto e gli alzai il maglione, scoprendo il punto dove si trovava l’ematoma. Aveva un aspetto orribile.
Presi una foglia e la riempii di acqua del fiume per darla ad Arcadio. La bevve velocemente e gliene diedi un’altra.
                – Vado a cercare della legna. Conosci delle piante che possono curarti? – gli chiesi cercando di essere positiva.
                – Certo, ma non riuscirai a riconoscerle. – mi rispose con una smorfia di dolore.
                – Posso provarci. – dissi sicura.
Lui mi fissò serio, ma poi parlo: – Dovresti trovare una Corydalis. Allevia il dolore ed è composta da piccoli fiorellini lunghi viola oppure gialli. Si trova sulle superficie umide. Poi del muschio per cicatrizzare e dell’abete rosso che è balsamico.
                – Va bene. Torno presto. Tu non ti muovere. – gli ordinai.
                – Non ti lascerei mai. – disse con un sorriso.
Io alzai gli occhi al cielo e mi allontanai nel bosco, facendomi però sfuggire un leggero sorriso sulle labbra.
Camminai per un tempo che mi sembrò infinito. Il muschio e la legna per il fuoco furono facili da trovare, ma la Corydalis non la vedevo da nessuna parte. Avanzando verso l’alto trovai degli abeti e ne staccai la corteccia con la resina sopra. Cercai ovunque e, quando credevo di aver perso le speranze, scorsi uno strano colorito violetto non troppo lontano. Mi avvicinai di corsa e riconobbi i fiori lunghi i piccoli che mi aveva descritto prima Arcadio. Ne colsi il più possibile e tornai indietro di fretta, vedendo il sole tramontare.
Nel viaggio di ritorno mi imbattei in un cespuglio di more e ne colsi alcune per cenare.
Tornai all’accampamento e Arcadio era nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato.
Accessi immediatamente un piccolo fuoco e Arcadio mi spiegò come utilizzare le varie piante. Presi la corteccia dall’albero da cui era appoggiato e ci misi sopra la resina dell’abete, sciogliendola. Poi feci la stessa cosa con i fiori di Corydalis aggiungendo dell’acqua per fare un infuso. Mentre aspettavo che l’acqua si scaldasse cominciai a mettere la resina fusa sull’ematoma.
                – Non farti deconcentrare dal mio fisico per.. ah! – gemette dal dolore.
Quando cominciai a massaggiare fece un sacco di smorfie e cercò di trattenere i lamenti. Divenne tutto pallido e cominciò a sudare. Quando misi il muschio sopra, come mi aveva detto, e gli ebbi dato l’infuso, sembrò riprendersi.
Mangiammo le more e ravvivai il fuoco.
Il sole era tramontato da molto e aveva lasciato spazio alle stelle. Il freddo della notte cominciava a farsi sentire e la mia canotta non riusciva a riscaldarmi abbastanza.
               – Vieni qui. – mi invitò Arcadio allargando le braccia.
               – Sto bene. – risposi evasiva. Non volevo dargli fastidio.
               – Lo so. – mi colse di sorpresa. – Ma vieni qui.
Non me lo feci ripetere un’altra volta. Mi misi al suo fianco e lui mi circondò con il suo giubbotto. Emanava uno strano calore.
                – Adesso provo a fare una cosa. – mi disse mettendosi seduto. Alzò le braccia e sentii un fruscio venire dall’alto. I rami degli alberi cominciarono a piegarsi verso di noi e io ebbi paura che si spezzassero. Ma Arcadio li fece semplicemente sistemare a cupola attorno a noi e al fuoco, costruendo così una piccola capanna. Era ancora più pallido quando ebbe finito.
Presi dell’altra resina e gli risistemai il bendaggio di muschio. – Non devi sforzarti.
                Lo vidi sorridere. – Sto bene, grazie a te.
Io non lo guardai e continuai il mio lavoro. Quando ebbi finito lo sorpresi a fissarmi con quegli occhi verde scuro che illuminati dalla fioca luce del fuoco sembravano ancora più scuri.
Sì, era bello. Lo ammetto.
Cominciò a cantare quel motivetto che avevo sentito la prima volta nella grotta delle lucciole.
 
Don't go away,
I need you to stay,
I want to go someplace and find you there...

I want to go someplace and find you there.
 
Io rimasi in silenzio. Sentii il suo cuore accelerare il battito e pure il mio che dava le escandescenze.
La mia mano era ancora sopra il suo petto. Era strano quello che stavo provando, ma non mi sembrava qualcosa di male.
Avevo una voglia matta di toccargli le labbra, di morderle, di baciarle. La sua mano mi accarezzò i capelli per poi finire sulla ma guancia.
Forse non avrei dovuto farlo, forse era sbagliato.
Ma non mi importò molto in quel momento, per cui avvicinai lentamente le mie labbra alle sue e le unii. Sapeva di rugiada e di aria fresca.
Mi aggrappai al suo collo con le mani e lui fece scivolare le sue contro i miei fianchi. Fu un bacio senza senso, forse, nel mezzo di un bosco dimenticato dagli dei, sotto ad una capanna di rami, fra due sconosciuti.
Ma che Zeus mi fulmini ora, se non fu pieno di dolcezza.






Nota dell'autrice: Zam Zam nuovo capitolooooo! Ho deciso che finalmente era ora che si facessero porca mannaggia! Che ne dite? Carini vero? 
In ogni caso? Come sono iniziate le vacanze??? E l'anno è andato bene? Io devo ancora vedere i quadri e temo per matematica (sì insomma....non sono mai stata un vero e proprio genio....)
Bé un bacione a tutti
Silvia

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


    Capitolo VIII








Mi risvegliai al suono dolce di un respiro che non era il mio. Aprii lentamente gli occhi coprendomi dai raggi del sole. Mi voltai e vicino a me trovai Arcadio che riposava beatamente. Cercai di alzarmi senza fare troppo rumore e sgusciai fuori dalla capanna di rami. Mi alzai per sgranchire le ossa indolenzite. Mi tolsi i rami di pino dalle braccia e decisi di cercare qualcosa per la colazione.
Tornai per il sentiero che avevo percorso il giorno prima per cercare le piante curative. Presi dell’altra resina e del muschio per Arcadio. Trovai lo stesso cespuglio di more e più in giù scorsi uno di lamponi.
Feci rifornimento e feci per tornare quando sentii dei rumori provenire dal fitto del bosco. Mi abbassai. Cercai di controllare il respiro e mi nascosi dietro al cespuglio. Misi a terra le cose che avevo preso e mi preparai a combattere se necessario.
Cercai di voltarmi per vedere chi stava facendo tutto quel rumore. Mi girai verso sinistra e uno zoccolo di un cavallo per poco non mi schiacciò. Indietreggiai terrorizzata e un stridio di un aquila mi fece alzare lo sguardo in alto. Un mostro con le ali e la testa d’aquila, con il corpo da cavallo e la coda da leone troneggiava sopra di me.
                “Finalmente ti ho trovata!”
E parlava pure.
Mi alzai di scatto e corsi via. Pessima idea ovviamente.
Il mostro mi seguì e con una spinta mi fece rotolare per terra. Mugugnai per la botta ricevuta e mi voltai sulla schiena per vederlo in faccia. O in muso.
Era completamente nero. Tranne per gli occhi gialli.
                “Non scappare.”
E se un mostro alto due metri ti dice di non scappare, tu ovviamente ricominci a correre. Ma mi bloccò non appena misi un piedi per terra. Caddi di nuovo e mi rivoltai verso di lui.
                “Non voglio ucciderti.”
Io avevo il cuore che batteva all’impazzata.
                “Conoscevo tuo padre.” sentivo la sua voce nella testa. “Sono qui per aiutarti.”
Io mi calmai a quelle parole, ma non mi mossi.
                – Chi sei? – mi sentii stupida a parlare con quel mostro.
                “Il mio nome è Sofos. E sono un ippogrifo.” disse per poi fare un inchino.
Io ne approfittai per mettermi seduta.
                – Hai lottato con mio padre? – chiesi.
Lui annuì. “So che eri diretta all’Oracolo e che sarebbe stato il momento giusto per presentarmi.”
                – E perché sei qui?
                “Io ti devo proteggere e sarò al tuo fianco quando dovrai combattere.”
                – Combattere? – mi alzai di scatto. – E contro chi?
Sofos indietreggiò. “Non è compito mio dirtelo.”
                – Va bene. – mormorai. – Andiamo a prendere Arcadio. E nel frattempo penserò anche a come fare per dirgli che ho un ippogrifo personale.
                “Ippogrifo personale?” ripeté schifato. “Preferisco soldato.”
                – Soldato allora. – dissi tornando a prendere le cose che avevo lasciato dietro al cespuglio.
Quando lo raggiunsi, sentii degli altri rumori provenire dalla foresta. Sembravano dei mormorii.
Sofos drizzò le orecchie e cercò con gli occhi gialli la provenienza di quei suoni.
                “Dobbiamo andarcene.” mi disse.
I rumori si fecero sempre più forti e quando vidi un gruppo di uomini con la divisa dell’Armata, cominciai a correre senza farmelo ripetere due volte.
                – È laggiù! – sentii gridare dietro di me. Accelerai il passo seguita da Sofos al galoppo.
                “Sali!” mi ordinò.
                – Dobbiamo prima raggiungere Arcadio! – gli dissi di rimando.
Non mancava molto all’accampamento e sperai che Arcadio fosse già sveglio. Quando arrivai lo trovai seduto fuori dalla capanna.
– Per tutte le selve, che ci fai con un ippogrifo?! – gridò quando mi vide arrivare di corsa.
                – Non abbiamo tempo! Ci sono uomini dell’Armata! Sali in groppa all’ippogrifo! – gli ordinai salendo a mia volta.
                – E chi mi dice che mi posso fid-
                – Ora! – gli urlai prendendolo per le braccia.
Lui non obbiettò più e lo aiutai a salire mentre gli uomini ci raggiungevano.
                – Non fateli scappare! – gridò uno tirando un arco.
La freccia si piantò sul mio braccio destro e imprecai.
                – Via Sofos! – gridai staccandomi la freccia con forza.
L’ippogrifo gracchiò e cominciò a galoppare uscendo dal bosco. Appena fuori aprì le enormi ali nere e con un balzo fummo in aria. Il vento mi scompigliò i capelli e per poco non vomitai da quanto eravamo alti.
Arcadio fece un grido d’eccitazione, ma io mi aggrappai ancora di più alle piume.
                “Ti abituerai a volare.” mi disse.
                – Non credo. – brontolai.
                – Cosa? – mi chiese Arcadio non capendo perché parlassi da sola.
                – Ehm.. io lo capisco. Mi parla nella testa. – spiegai. La faccia che fece fu davvero ridicola.
Mi rivolsi a Sofos: – Portaci dall’Oracolo.
                “Io… sei sicura?” balbettò.
                – Sì. – risposi ferma.
Con un battito d’ali aumentò la velocità.
Non ci mettemmo molto ad arrivare. Atterrammo su di una sporgenza vicino sul mare. Le onde si infrangevamo metri sotto di noi sulle scogliere rocciose. Scesi dalla groppa di Sofos che mi tremavano le gambe.
Eravamo vicino ad una grotta. L’apertura non era molto ampia, uno due metri forse, ma l’aria che usciva aveva una strana energia. Sembrava molto antica. Io mi avvicinai e toccai le pareti biancastre della roccia. Il profumo del sale mi inondò le narici. Mi voltai verso Arcado che era rimasto a diversi metri di distanza con Sofos.
                – Devi andare da sola. – mi disse.
Non  volevo compiere quel viaggio da sola. Dopo anni che ero indipendente, non volevo conoscere il mio destino da sola. Aveva paura, ecco la verità.
                – Andrà tutto bene. – mi incoraggiò con un sorriso. – E ricorda da chi discendi.
Feci un respiro profondo e mi voltai verso l’entrata. Potevo farcela. Strinsi le mani a pugno e la paura divenne adrenalina. Entrai nella grotta sapendo che stavo facendo la cosa giusta.
 
Camminai per un tempo che mi sembro infinito. Ad ogni passo, una fiaccola di una pallida luce cerea si illuminava, mostrandomi la via. Andavo sempre più in profondità e l’aria era diventata pesante da respirare.
I sassi crepitavano sotto il mio passaggio e quello, oltre al mio respiro e al cuore che batteva, era l’unico rumore nella galleria.
Camminai ancora e ancora fino ad arrivare ad una porta di pietra. Irradiava un’aura antica che mi mise in soggezione. Delle scritte apparvero sulla parte superiore:
            
    το παρελθόν και το παρόν ανήκουν, αλλά το μέλλον είναι δικό μου

Non seppi bene come, ma riuscii a capirne perfettamente il significato: “Il passato e il presente vi appartengono, ma il futuro è mio.”
Dietro a quella porta c’era l’Oracolo. Non trovai maniglie o altro per aprirla, cosi cercai di spingere, ma non si mosse. Non seppi cosa fare. Doveva aprirla, ma come? Ci pensai per molto. Poi rammentai le parole di Arcadio: “Ricorda da chi discendi.”
Ero una discendente di Ade e in un solo modo i discendenti di Ade si spostavano da un posto all’altro. Chiusi gli occhi e immaginai di sorpassare quella porta. Quando li riaprii era tutto buio.
Forse ce l’avevo fatta, ma non riuscivo a distinguere il posto in cui ero capitata.
Una piccola luce illuminò la stanza. Proveniva da qualcosa davanti a me che non riuscii a distinguere subito. Quando la luce si fece più viva, riconobbi i contorni di uno scheletro seduto su di un trono. Feci qualche passo indietro quando questo si mise seduto e aprì la bocca facendo uscire del fumo azzurrino.
                – Innanzi a tutto con questa preghiera fra tutti gli dèi la prima profetessa, Terra, io venero. E le fonti del Plisto e la potenza di Poseidone ancora io invoco; e l'altissimo Zeus che tutto compie: come sua interprete io siedo su questo seggio.
E ora gli dèi mi concedano fortuna, che mi vada meglio rispetto a quelli che sono entrati qui prima: se sono arrivata dei Greci, entrino tirando a sorte il loro turno, come di rito: io darò profezia come il dio mi insegna. – recitò una voce roca e profonda che mi entrò nelle ossa facendole vibrare.
Non sapevo cosa dire o cosa fare. Avevo il respiro corto e di muoversi, proprio non se ne parlava.
                – Figlia di Laudas e discendente di Ade, sei qui per conoscere il tuo destino. – disse rivolgendosi a me.
Io cercai il poco coraggio che mi era rimasto e feci un passo avanti.
                – Prima desidero conoscere il passato. – cercai in tutti i modi di tenere la voce ferma.
                – Così sia. – rispose la voce. – Laudas, discendente di Ade, lottò contro l’Armata e il Grande Consoglio dei sacerdoti. Essi volevano estirpare i discendenti degli dei che non erano Olimpi e regnare sul mondo degli uomini. Fecero offerte a Zeus che ordinò al fratello, il dio dei morti, di non intromettersi nella vita dei propri discendenti. Così, il più potente degli dei minori, tacque.
Laudas, disperato, fece un dono prezioso ad Ade e agli dei. Una figlia, che sarebbe diventata il generale della nuova Armata dell’Olimpo, destinata a riportare la pace nel mondo degli uomini senza un aiuto divino. Gli dei sono stanchi e allo scadere dell’ultimo girono di primavera, attaccheranno gli uomini distruggendo definitivamente la razza umana dando vita ad una nuova era di soli dei. Dunque il compito di fermare i traditori spetta a te.
Skia, figlia del generale Laudas e discendente di Ade, tu sei stata scelta per comandare un esercito composto da coloro che vorranno seguirti contro l’Armata e contro il Gran Consiglio dei Sacerdoti. Sei stata scelta per essere il capo di un esercito che riporterà la pace nel mondo degli uomini e in quello degli dei.
                Io rimasi immobile. Questo era decisamente troppo. Mio padre mi aveva lasciato un compito troppo importante. A stento riuscivo a sopravvivere, come potevo comandare un intero esercito?
                – Perché? Perché proprio io? – chiesi con voce tremante.
                – Il peso che dovrai portare è pesante per una giovane ragazza come te. Molte vite saranno perse nella guerra che verrà. Persone a te care moriranno. Ma sei stata scelta per il tuo coraggio e per la tua audacia e per la tua umiltà affinché la pace possa finalmente regnare in questa terra. – rispose l’Oracolo. – Il tuo tempo qui è finito. Torna dal tuo popolo e reclama i tuoi seguaci. Crea la nuova Armata dell’Olimpo. Riporta la pace.
                Il fumo dell’Oracolo mi avvolse non lasciandomi il tempo di ribattere e quando si dissolse ero sulla scogliera, fuori dalla grotta.
Non mi accorsi nemmeno di Acadio e di Sofos che stavano cercando di capirsi a vicenda che mi accasciai a terra. Caddi in ginocchio con le braccia abbandonate in grembo. Tutto questo peso sulle mie spalle? Ce l’avrei mai fatta a compiere il mio destino?
Arcadio corse verso di me chiedendomi cosa mi avesse detto l’Oracolo.
Io lo fissai on occhi persi e disperati nello stesso momento.
                – Sono il generale della nuova Armata dell’Olimpo. – dissi semplicemente.





Nota dell'autrice: Sì, sono ancora viva per cui non uccidetemi per il ritardo! Ecco il capitolo tanto atteso! Ora conoscete la storia... chissà se Skia accetterà il suo destino oppure no... mah
Mi diverto a lasciare i finali in sospeso sì muahahahahahahahah *voce da pazza*
In ogni caso spero di aggiornare il più presto possibile così da non lasciarvi troppo con il fiato sospeso.
Un bacione a tutti quanti voi bellissime persone
Sempre la vostra
Silvia

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX





Rabbia.
Frustrazione.
Disperazione.
Smarrimento.
 
Sconfiggere l’Armata e il Grande Consiglio dei Sacerdoti?
 
Io? Come potevano gli dei e mio padre avermi affidato un compito simile?
 
                – Non posso! – sarà stata la cinquantesima volta che lo ripetevo.
                – Certo che puoi. Sennò non avrebbero scelto te. – la voce di Arcadio era controllata e rassicurante, ma non mi faceva effetto. Allungò una mano verso di me e la schivai.
Avevo il respiro irregolare. Mi presi la testa fra le mani.
                – Non riesco nemmeno a sopravvivere da sola, come posso portare la pace nel mondo?! – gridai al cielo. – Ditemi come posso farlo?! – mi facevano male le corde vocali da quanto urlavo.
                – Non sei sola. – mi disse Arcadio da dietro. – Io, tuo fratello, Elai, Samuel, Achlys, Aiden… siamo tutti stati chiamati dagli dei per seguirti. E non siamo i soli, gli altri dobbiamo trovarli. Siamo ricercati dall’Armata e dal Gran Consiglio. – mi spiegò con voce controllata. – Ma non sei sola. Non lo sarai mai.
                – Perché io? – mormorai al vento. – Che cos’ho di diverso dagli altri? Perché non hanno scelto mio fratello? Lui è quello coraggioso, lui è quello che avrebbe dovuto guidarci!
                – Io non ti conosco ancora bene…ma da quello che ho visto sei coraggiosa, umile e altruista.
                – Altruista? – dissi ironicamente. – No, non mi conosci affatto.
                – Eppure sei rimasta con noi. – mi bloccò con un tono più duro Arcadio. – Se non lo fossi avresti dovuto scappare e abbandonarmi quando potevi. Invece mi hai curato, ti sei preoccupata per me e non mi conosci nemmeno. Anzi, credo di starti parecchio sulle..
                – Questo non è il punto! – gridai voltandomi. – Il punto è che devo guidare delle persone in guerra. E io non so nemmeno chi sono.
Questa volta Arcadio non parlò.
Fissai l’orizzonte scuro. Stava per calare la notte. Adoravo la notte. La sua oscurità mi rilassava e mi rendeva più forte. Questa volta però nulla avrebbe potuto rendermi abbastanza forte. Ero sola.
                Sentii una mano che afferrava la mia. Il profumo di muschio mi fece intuire che Arcadio era al mio fianco, ma non riuscivo a guardarlo negli occhi. Tenni lo sguardo fisso davanti a me, forse cercando una risposta nelle stelle.
La stretta di Arcadio si fece più forte, cercando di attirare la mia attenzione. Alla fine lo guardai. I suoi occhi erano fissi nei miei ed erano pieni di qualcosa di davvero strano. Ammirazione. Vidi ammirazione e la voglia di seguirmi ovunque.
                – Non sei sola. – mi disse dolcemente.
Io rimasi in silenzio a fissarlo.
                – Non sei sola. – mi ripeté.
Mi prese il viso fra le mani come se fosse qualcosa di prezioso. Mi persi nei suoi occhi che mi infusero una pace quasi antica. Sentii il corpo rilassarsi. Ma la paura non era scomparsa del tutto.
                – Ci accampiamo qui per la notte. – decise. – Domani partiamo alla ricerca degli altri.
Annuii ormai in completa balia della sua voce.
Vedendomi smarrita mi avvolse con le sue braccia in un veloce abbraccio.
                – Torno subito. Vado a cercare qualcosa per accendere un fuoco. – mi salutò prima di allontanarsi e sparire.
Io fissai lo sguardo sull’orizzonte, dove il mare e il cielo diventavano un’unica cosa. Mi sedetti a terra e cominciai a strappare l’erba attorno a me senza un motivo preciso.
Sentii un rumore ovattato di zoccoli che si avvicinavano.
                – Credi che sarò in grado di farlo? – chiesi tenendo lo sguardo basso. – Credi che potrei davvero condurre un esercito in guerra?
                “Sei stata scelta per un motivo. Gli dei sanno che sei in grado.” mi rassicurò Sofos gracchiando.
Rimasi in silenzio fino a quando Arcadio tornò con qualche ramo secco. Accese un fuoco e mi porse delle bacche che aveva trovato lungo il cammino. Io le accettai, ma rimasero nella mia mano. Le fissai senza mai mangiarle. Arcadio non disse nulla, come me, per tutta la sera.
Quando sentii Sofos dormire a qualche metro da noi, mi avvicinai al discendente di Pan e mi accoccolai al suo petto. Non c’era un motivo preciso per cui l’avevo fatto, sentivo solo che era la cosa gusta da fare.
Mi addormentai così.
               


Mi svegliai all’alba e iniziammo a viaggiare (contro la mia volontà) in volo. Arcadio aveva deciso di tornare alla miniera abbandonata per controllare che magari non fossero diretti lì gli altri.
Arrivammo in poco tempo e senza essere visti. Atterrammo e fui molto contenta di toccare di nuovo terra. Mi affrettai ad entrare lasciando Sofos all’entrata, non sarebbe mai riuscito a scendere fino alla caverna.
Quando arrivammo c’erano delle luci e un po’ di speranza mi si infuse nel cuore. Ma quando arrivarono le urla, allora presi a scendere più velocemente le scale.
Appena entrai trovai due figure al centro della stanza, una era distesa e urlava, l’altra era sopra e stava facendo qualcosa con le mani.
                – Michael! – gridai riconoscendo il suo grido. Mi inginocchiai al suo fianco e gli presi la mano ritrovandola piena di sangue.
Davanti a me Aiden era tutto concentrato a fare qualcosa con le mani. Pronunciava parole antiche e vedevo della luce uscire dai polpastrelli delle dita.
Sul petto di mio fratello c’era una ferita bella profonda dalla quale continuava ad uscire sangue.
                – Che è successo? – chiesi preoccupata cercando di non far tremare la voce.
                – Quest’idiota ha cercato di salvarmi la vita. – disse duramente Aiden smettendo per un attimo di borbottare parole a caso.
Sentii Michael ridere sotto di me: – Bé credo di aver fatto bene a salvare questo cretino. – poi tossì ripetutamente.
                – Hai intenzione di smettere di parlare? Peggiori solo la situazione. – lo rimproverò il discendente di Apollo. Poi si rivolse a me: – Dopo che vi hanno presi siamo andati al quartier generale dell’Armata. Ma non ne siamo usciti bene.
                – Dove sono gli altri? – chiese Arcadio in piedi dietro di me.
                – Presi. Noi siamo riusciti a scappare per un pelo. – spiegò gravemente. – Stavano per trafiggermi con una spada, ma lui si è messo davanti e ci siamo teletrasportati qui.
                – Prego. – mugugnò mio fratello.
                – La spada ha preso lui in pieno. – mormorò Aiden. – Sto facendo il possibile. Ma è molto difficile curare con la luce uno che è fatto solo di ombre.
                – Devo andare a salvare gli altri. – decise Arcadio dal nulla andando a prendere delle armi.
Mi alzai di colpo pure io e lo raggiunsi.
                – Cosa credi di fare? – gli domandai mentre si sistemava alla cintura una spada.
                – Vado a prendere i miei amici.
                – Da solo?
                – Se necessario, sì. – mi ripose serio.
Poi mi sorpassò andando verso l‘uscita.
                – Vengo con te. – decisi più sicura che mai.
Lui si voltò verso di me con una strana faccia.
                – Ascoltala. – gli disse Aiden mentre continuava a curare Michael.
                – Non conosci l’Armata come me. Non posso rischiare di essere rallentato. – mi spiegò come se fossi una bambina.
Rimasi leggermente offesa, ma non lo diedi a notare.
                – Io vengo. – ripetei. – Un generale non può abbandonare i suoi uomini. – solo dopo aver pronunciato quelle parole mi chiesi da dove fossero uscite.
                – Lei lo sa? – chiese Michael alzando lentamente il capo.
                – Sì, l’Oracolo mi ha detto tutto. – spiegai sbrigativamente mentre cercavo la spada di mio fratello. La trovai al bordo della caverna. La raccolsi e me la fissai stretta alla cintura.
                – Tu cura mio fratello, noi torneremo per il tramonto. – ordinai sorpassando Arcadio verso l’uscita. Sentii i suoi passi silenziosi dietro di me e percepii una strana sensazione al petto. Come se fosse quello il mio posto.
                Raggiungemmo Sofos che fu felice di riprendere a volare dato che destava i luoghi chiusi. Seguendo lo indicazioni di Arcadio arrivammo al quartier generale dell’Armata abbastanza velocemente.
Atterrammo a distanza dal colle dove sorgeva la fortezza dell’Armata, più precisamente nel mezzo della foresta che lo accerchiava. Ci trovavamo a pochi chilometri dal centro, quasi al limite con le periferia a nord.
Scesi dalla groppa nera di Sofos e poggiai i piedi sul letto di aghi di pino secchi. Arcadio mi imitò subito dopo.
                – Questo è il piano. – iniziai convinta. – Entriamo senza essere visti e tu indichi la strada per arrivare dagli altri.
                – Perché non puoi teletrasportarci dentro? – chiese Arcadio.
                – Perché non credo di avere la forza poi di portarci tutti e cinque fuori. – mormorai. – Non sono ancora così brava con i miei poteri… rischierei di perdermi e di farvi del male. Quando li avremo trovati, solo allora utilizzerò il viaggio nell’ombra.
Arcadio annuì e mi spiegò più o meno dove avrebbero potuto essere i ragazzi. Non sembrava troppo difficile arrivarci.
Cominciammo ad avanzare in mezzo al bosco e chiesi a Sofos di aspettarci al limite della foresta per poi essere pronto per portare gli altri in salvo, se necessario. In caso di mal riuscita del piano, Arcadio avrebbe usato i suoi poteri sul bosco per riuscire a farci scappare.
Arrivammo dove gli alberi terminavano e cominciava la salita fino alla fortezza. Presi la mano di Arcadio e creai un turbine di tenebre attorno a noi per passare inosservati. Corremmo fino al portone principale. Io sentivo che il bozzolo di tenebre stava per cedere, dovevo allenarmi ancora tanto. Così ci trasportai dentro.
Appena dentro alle mura, caddi a terra stremata.
                – Scusa… non sono… abituata ancora. – farfugliai con il fiatone mentre Arcadio mi prendeva sotto alle ascelle e velocemente mi trascinava dentro ad una piccola stanza laterale. Le pareti erano strette ed ero costretta a toccarlo con le gambe e il petto. Ci voltammo verso una fessura sulla vecchia porta di legno. Due guardie erano davanti al portone e stavano controllando. Per un pelo.
Arcadio mise un dito davanti alle labbra facendomi segno di non fare rumore. Io annuii lentamente. Continuammo a guardare fino a quando non se ne andarono.
                A quel punto uscimmo e lui mi fece segno di andare a sinistra. Lo seguii per vari corridoi e scale che scendevano sempre di più. Stavamo procedendo molto bene, ma svoltato un angolo trovammo una coppia di guardie. Arcadio d’istinto tirò un pugno in faccia al primo, io mi avventai sul secondo, tappandogli la bocca per non farlo parlare. Arcadio spostò l’uomo al lato del corridoio mentre io tiravo un pugno in faccia al secondo per tramortirlo.
Procedemmo più velocemente, appena qualcuno avrebbe scoperto i due uomini semisvenuti avrebbe dato l’allarme e noi non potevamo permettercelo.
Scendemmo ancora un paio di rampe quando ci trovammo davanti ad una porta più piccola delle altre. Io presi la mano di Arcadio e senza perdere tempo ci portai dall’altra parte. Solo che non ci riuscivo. Riprovai ancora, ma non ci spostammo di un passo.
              – Ma che succede? – sibilai irritata.
              – Qui non puoi usare i poteri, sennò sarebbe troppo facile scappare. – mi spiegò Arcadio.
Gli mollai la mano.
Lui sembrò leggermente deluso all’inizio, ma si riprese tirandosi su le maniche e cercando di sfondando la porta con la spalla. Io lo fermai e diedi un calcio nel punto giusto: la porta di spalancò.
La cosa positiva? Dentro alla stanza, dietro a due celle con le grate c’erano gli altri. Quella negativa? Non erano soli. C’erano pure un numero di guardie pari a quello dei ragazzi catturati.
                – Almeno ci divertiamo un po’. – ironizzò Arcadio al mio fianco estraendo la spada. Io lo imitai concentrandomi già sul mio obbiettivo.        
                – E addio grande salvataggio… – mormorò Achlys seduta dietro alle sbarre.
Io attaccai per prima e Arcadio mi seguì a ruota. Riuscii a disarmare il primo velocemente, ma mi arrivò un colpo da sinistra che mi strappò i pantaloni sulla coscia. Mi voltai e in un secondo il colpevole era a terra senza vita. Mi girai per sconfiggere gli ultimi due. Arcadio se la stava cavando abbastanza bene con i sui due.
Avanzai e affondai sul braccio di uno mentre passavo sotto le gambe dell’altro. Lo infilzai da dietro e mi si accasciò davanti. Estrassi la spada e mollai un altro fendente contro quello che era ancora in vita. L’uomo si difese bene e mi fece un taglio sulla guancia, giusto il tempo di scappare dalla porta. Non lo rincorsi, non avevamo il tempo.
Mi voltai verso Arcadio che stava aprendo le celle.
Una ragazza con lunghi capelli castani che non riconobbi lo abbracciò appena aprì la sua: – Mi sei mancato tanto!
Arcadio ridacchio e ricambiò la stretta: – Anche tu, Maia!
                Io ero bloccata a guardare la scena quando qualcuno mi posò una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto e Samuel era davanti a me con un sorriso.
                – Grazie di essere venuta a prenderci. Tu stai bene? – mi chiese.
Io annuii: – Fisicamente è tutto apposto.
                – È lei? – domandò un ragazzo che non conoscevo a Samuel puntandomi un dito contro. Aveva i capelli più o meno del colore di Samuel, ma gli occhi erano di un azzurro elettrico e sembravano pieni di vita.
                – Skia, lui è Orion. – ci presentò.
                – Discendente di Ermes. E quella lì infondo è mia sorella. – disse con un sorriso indicando la ragazza che non smetteva di stare attaccata ad Arcadio. Non mi stava affatto simpatica.
                – Io sono discendente di Ade. E a quando pare anche il vostro… – mi presentai a mia volta, ma venni bloccata.
                – Generale! – esclamò qualcuno entrando dalla porta.
Avevamo perso troppo tempo a fare le presentazioni. Il tizio con l’impermeabile scuro che aveva ridotto malamente Arcadio l’ultima volta, ora era davanti a me con una ventina di guardie al seguito. La situazione era parecchio complicata.
Ci preparammo tutti a combattere.
                – Che carini… credono di poter sconfiggere venti guardie dell’Armata. – canticchiò l’uomo prendendoci in giro. – La situazione è molto semplice: nessuno esce dal quartier generale dell’Armata.
Non potevamo farlo. Eravamo solamente in due armati e anche se fossimo riusciti ad uscire, non so dove precisamente avrei potuto usare di nuovo i miei poteri per farci uscire.
Dovevo fare qualcosa e alla svelta. Per cui facevi la cosa assolutamente più stupida del mondo.
                – Prendetevi per mano. – ordinai tenendo la voce ferma e non smettendo di sfidare con lo sguardo l’uomo con l’impermeabile.
Tutti eseguirono l’ordine e Arcadio si spostò al mio fianco.
                – Skia non puoi usare i tuoi poteri. – bisbigliò al mio orecchio.
Io non lo ascoltai.
                – Credi di poterli trasportare fuori? – chiese ironicamente l’uomo. – Non si possono usare i poteri degli dei in questo posto, sennò sarebbe troppo facile, no?
Chiusi gli occhi.
Cercai di concentrarmi sulle ombre presenti nel mio copro cercando di sfruttarle per portarci fuori. Sentii freddo e un brivido corrermi lungo la spina dorsale. Percepii uno strano formicolio sulle punta delle dita e attorno a me il terreno che iniziava lentamente a vibrare.
Concentrai tutto il buio, tutta la disperazione che tenevo dentro. La concentrai sul petto sentendo una fitta di dolore lancinante.
                – Non è possibile. – sentii mormorare dall’uomo davanti a me.
Aprii gli occhi per vedere la sua faccia scioccata. Ghignai soddisfatta e sprigionai tutte le ombre che tenevo dentro. Mi ci tuffai dentro portandomi dietro gli altri.
Rispuntammo al limite del bosco. L’ultima cosa che ricordai prima di essere inghiottita dal buio, fu una sensazione di incredibile leggerezza e gli occhi verde scuro di Arcadio che mi fissavano preoccupati.






Nota dell'autrice: Eccomiii con un nuovo capitolo (finalmente!)! Sono così felice di tornareeee!
Spero vi sia piaciuto e ci vediamo sabato prossimo con il prossimo capitolo (spero.....no dai mi impegnerò ad aggiornare tra una settimana).
Scusate se non dico molto, ma devo proprio scappare a preparare le tortillas per la mia famiglia (Silvia giovane cuoca!)
UN ABBRACCIONE A TUTTI
Silvia
               
               
 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X








            Non so se quello che provai io fu qualcosa di veramente descrivibile. Ma ci provo lo stesso.
Dopo il viaggio nell’ombra, credo di essere svenuta. Solo che non percepii la caduta, perché mi sembrava più che altro di galleggiare, come se la mia anima si fosse distaccata dal corpo e fosse rimasta a mezz’aria lasciando cadere la carne al suolo.
Quella sensazione rimase a lungo fino a che non percepii un dolore lancinante. Quello durò più di tutto. Mi percorreva tutto il corpo e non potevo farci niente perché ero immobile. Non riuscivo ad aprire gli occhi o a rendermi conto di dove fossi. Potevo solo sopportare ed attendere che passasse. Ma non sembrava passare mai. Cercavo di urlare, di chiamare aiuto, ma era come se fossi in un’altra dimensione. Nessuno mi sentiva e dalla mia bocca non usciva alcun suono.
Non so quanto tempo passò di preciso. Forse ore, o forse giorni. Ma so che ad un certo punto tutto si quietò e sentii come se il copro si fosse liberato da un enorme peso. Mi sentivo libera.
Fu allora che riuscii ad aprire gli occhi.
Sbattei lentamente le palpebre e cercai di mettere a fuoco. Riconobbi la parete di roccia della miniera abbandonata. Una flebile luce la illuminava. Cercai di controllare il respiro e di guardarmi intorno. Cappi di essere attaccata ad uno dei lati rocciosi. Mossi lentamente il collo verso destra sentendo una fitta attraversare la spina dorsale.
Una figura scura era seduta scompostamente al mio fianco. Aveva le ginocchia alte e con le braccia le circondava per poi infilarci la testa dentro, nascondendola alla mia vista.
Volevo muovermi, volevo dire che ero viva. Ma avevo il corpo completamente indolenzito e di muoversi non se ne parlava proprio. Allora provai a parlare, ma quello che mi uscii era qualcosa molto simile ad un debole lamento, forse anche solo un sussurro.
Ma questo bastò per far alzare gli occhi alla persona davanti a me. Finalmente riconobbi il volto della figura. I capelli di Arcadio erano spettinati e i suoi occhi erano cerchiati di nero. Non dormiva da giorni. Ma per quanto ero stata incosciente?
Lui mi fissò con lo sguardo vuoto. Non credeva a quello che aveva davanti.
Io lo fissai a mia volta e emisi un “Ehi” un po’ più deciso rispetto a prima.
Vidi i suoi occhi illuminarsi improvvisamente di una luce di speranza. Le sue labbra incresparsi in un meraviglioso sorriso.
Si mise in ginocchio e mi tirò sé stritolandomi in un abbraccio.
                – Sei viva! Grazie agli dei sei ancora qui! – esclamò nascondendo il viso tra i miei capelli. Poi si staccò portando i nostri sguardi ad incrociarsi. – Ti credevo morta! Ma sei qui!
                – Sono contenta… pure io. – mormorai con voce roca.
Lui rise di gusto baciandomi direttamente sulle labbra, non lasciandomi nemmeno il tempo per rendermi conto di quello che stava realmente accadendo. Si staccò per guardami ancora.
Poi l’euforia svanì in un secondo. Il sorriso si smorzò e strinse le labbra. – Ma sei impazzita?!
                – Cosa? – domandai davvero confusa.
                – Come ti è passato per l’anticamera del cervello di fare una cazzata simile?! – mi gridò contro parecchio arrabbiato. – Potevi morire! Avresti potuto scomparire per sempre!
                – Ehi. – lo chiamai toccandogli una guancia.
Lui mi fissò.
                – Sto bene. – sussurrai. – Sono viva.
Sentii il suo battito rallentare e il respiro tornare controllato. L’espressione del suo volto si addolcì.
                – Ho avuto così tanta paura… – mormorò. – tu non hai idea di quanto ero-
                – Skia! – esclamò mio fratello entrando nella grotta. Mi corse incontro e mi abbracciò pure lui.
Lo ammetto: non ero abituata a tutto quel contatto fisico.
Quando si staccò lasciò spazio ad Aiden che mi mise le mani sul busto. Le fece scendere e salire più volte mentre recitava strane filastrocche in greco antico. Quando finì, si voltò verso Michael.
                – È incredibile. È come se non fosse successo niente. – spiegò drizzandosi. – Il metabolismo è completamente presente e funzionante.
                – A proposito di quello che è successo…  – mi intromisi. – qualcuno me lo può spiegare?
                – Dopo il viaggio nell’ombra, – intervenne Arcadio. – siamo spuntati nel bosco e ti ho vista svenire. Il punto è che ho cercato di prenderti, ma era come se non esistesse più il tuo corpo. – lo vidi sforzarsi di non farsi prendere dall’emozione. – Eri trasparente e tutto introno a te era freddo oppure moriva. Sofos è riuscito a portarti qui, non chiedermi come.
                – Ho cercato di capire cos’avessi, ma era come se non riuscissi a connettermi con il tuo corpo. Eri come in uno stato di transizione fra la vita e la morte. – mi spiegò Aiden.
                – Quando ci sforziamo troppo, noi discendenti di Ade, – si intromise Michael. – rischiamo di diventare noi stessi ombra. Durante questa transizione, possiamo solo contare su noi stessi e su quando siamo forti. – poi fece un sorrisetto. – Pochi sono riusciti a tornare indietro dall’oblio.
                Non mi rendevo conto di quello che avevo passato. Eppure ero lì. Ero viva.
Arcadio si sporse verso il suo zaino e mi diede una borraccia d’acqua. La bevvi tutta lentamente.
                – Sei rimasta incosciente per quattro giorni. – disse Arcadio.
Quattro giorni?!
                – Gli altri dove sono? – domandai.
                – Staranno arrivando. Sono andati a prendere delle provviste. – mi spiegò Aiden.
Io annuii mentre continuavo a bere sentendo che le forze tornavano con una calma inquietante. Poi mi venne un dubbio.
                – Se loro sono andati a prendere delle provviste…voi dove siete andati? – chiesi curiosa.
                – In centro.
                – Al mercato.
Risposero all’unisono. Poi si fissarono.
                – Prima in centro e poi al mercato. – spiegò meglio Michael lanciando un’occhiataccia all’altro.
                – Dovevo prendere delle medicine. – aggiunse il discendente di Apollo cambiando argomento. – Il numero sta aumentando e non posso farmi trovare impreparato se qualcuno rimane ferito.
Ero in qualche modo felice che ci fosse lui a sorvegliarci. Mi sentivo più sicura.
                – Mi pare ottimo. – aggiunsi prima di finire l’ultimo goccio d’acqua.
                – Senti Skia… vorremmo parlare con calma di quello che ti ha detto l’Oracolo. – cominciò Michael con voce grave.
Io d’istinto abbassai gli occhi e strinsi la mascella.
                – Non credo di sia molto da dire… – borbottai. Ma per fortuna venni bloccata da dei passi che provenivano dalle scale di pietra. Delle luci fioche di lanterne precedettero i ragazzi che entrarono rumorosamente.
                – Siamo tornati! – esclamò il ragazzo che ricordavo avesse il nome di Orion.
                – Sì, abbiamo sentito. – mormorò Michael alzando gli occhi al cielo. Io e lui non amiamo la compagnia.
                – E guardate chi abbiamo trovato! – esclamò Achlys, stranamente contenta.
Si avvicinarono  a noi due ragazzi che avranno avuto pressappoco l’età di Michael. Erano identici. Lei aveva capelli lunghi e lisci, di un castano caldo, che ricadevano fino a sotto il seno dando un’aria ancora più regale al viso allungato. Gli occhi di un viola scuro. Lui aveva ricci morbidi ma corti che incorniciavano il viso snello, e due occhi dello stesso colore della ragazza.
                 – Io sono Emphys. – si presentò la ragazza mantenendo un’espressione dura in viso. – Lui è mio fratello Perse. – continuò presentando il ragazzo al suo fianco. – Siamo discendenti di Ecate e siamo stati chiamati a seguire il Generale della Nuova Armata dell’Olimpo.
                – Loro sono i gemelli di Ecate. Sono molto famosi dalle nostre parti. – si intromise Samuel.
                – Un attentato alla nostra famiglia, ci ha costretti a venire a conoscenza molto presto del nostro destino. – continuò la Emphys. – Abbiamo aspettato a lungo prima di trovarti. Le voci girano. A Nuova Roma molti sanno che il Generale è arrivato.
Aveva un tono di voce così regale che mi sentivo nulla al suo confronto.
                – Allora siamo ufficialmente una minaccia. – risposi.
Lei mi piantò lo sguardo addosso.
                – Siamo una speranza.
Quelle parole mi bloccarono per un attimo.
Cercai di farmi forza e di mostrare un minimo di coraggio di fronte ai miei soldati. Lì, buttata a terra e con una coperta sulle spalle, sicuramente non davo l’idea di essere un vero e proprio Generale. Misi le mani a terra e cercai di alzarmi facendo leva su di esse. Ma non avevo abbastanza forza, non ancora. Arcadio mi mise un braccio attorno alla vita e mi issò in piedi.
Presi fiato e parlai con la voce che temevo mi tremasse: – Io sono Skia.
Allungai una mano e la ragazza la strinse non smettendo di tenere il suo sguardo fisso su di me. Sembrava che mi stesse studiando per capire se fidarsi o no di me.
                – Elai, portala a fare un bagno adesso. – ordinò Aiden voltandosi verso la discendente di Afrodite. – Deve rilassare i muscoli.
                – Posso farlo da sola. – risposi sentendomi lo sguardo dei nuovi arrivati addosso.
                – Hai bisogno di aiuto. – ribatté Aiden.
                – Non è vero. – borbottai. Poi feci qualche passo aiutata da Arcadio. Presi stabilità e mi aggrappai meglio a lui. Arrivammo alla porta della piscina naturale e tolsi il braccio dalle sue spalle, ma lui non mi lasciò il fianco.
                – Sei sicura? Non ho problemi ad aiutarti. – mi domandò Arcadio.
                – Ma io sì. – dissi cominciando a togliermi lentamente i vestiti per non fare movimenti troppo bruschi. – Posso farlo da sola.
Lo vidi annuire.
                – Ti aspetto qui fuori. Qualsiasi cosa ti serva-
Mi drizzai e gli diedi un veloce bacio sulla guancia, forse non se accorse nemmeno.
                – So badare a me stessa. – gli dissi togliendomi i pantaloni.
Lui se ne andò lasciandomi la mia privacy. Dopo essermi sfilata anche l’ultimo pezzo di stoffa mi immersi nell’acqua bollente. Sentii i muscoli distendersi e rilassarsi. Mi sedetti nella parte più bassa riuscendo a stare con la testa fuori dall’acqua. Poggiai il collo sulla roccia dietro di me e chiusi gli occhi.
 
               
               
               
 
 
               
 
Nota dell’autrice: Decimo capitolo gente! Che emozione! Sono consapevole che non ci sia molta azione e che sia corto, ma provvederò nei prossimi.
Bé sono stanca morta e perdonatemi se non sono riuscita ad aggiornare prima ma la scuola mi sta ammazzando… -.-“
Spero che a voi vada un po’ meglio, anche se non credo sia diversa la situazione.
Un abbraccio
Silvia
 
P.s.: volevo lasciare questo piccolo spazio ad una cosuccia che può interessarvi, oppure potete semplicemente sbattervene e saltare (per me è uguale tranquilli). Quello che volevo dire è che i nomi dei personaggi non sono dati a caso. Ci ho messo un po’ per sceglierli tutti, ho girato per siti e siti, consultato dizionari dei nomi ecc e alla fine ho trovato quelli che mi sembravano più adatti. Il punto è che ogni nome è collegato alla discendenza di ogni ragazzo e per condividere con voi il lavoro che ho fatto, vorrei mostrarvi come ho scelto i nomi dei personaggi fino ad adesso.
 
Skia (Ade): ombra in greco
Michael (Ade): da macario, che vuol dire morte buona in greco
Aiden (Apollo): da aeidein, che vuol dire canzone in greco
Arcadio (Pan): da Arcadia, cioè la terra natia di Pan
Samuel (Dioniso): da Semele, madre mortale di Dioniso
Elai (Afrodite): donna tramutata in colomba da Bacco
Achlys (Nemesi): nebbia in greco. Non centra molto ma la nebbia mi ricorda molto Nemesi per cui mi sembrava ci stesse anche bene.
Orion (Ermes): da Orione che è nato dall’urina di Zeus, Poseidone e Ermes. Fa’ un po’ schifo ma il nome mi piaceva tanto.
Maia (Ermes): nome della madre di Ermes
Emphys (Ecate): da empuse, figlie di Ecate
Perse (Ecate):  nome del padre di Ecate
 
Dunque ecco, se qualcuno era curioso di sapere (nessuno) se avevo scelto questi nomi a caso: ebbene no!
Farò una piccola noticina alla fine di ogni capitolo nel quale saranno presenti nuovi discendenti.
 
 
 
               
 
               
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


(Se volete saltare questo piccolo avviso, siete liberi di farlo e di odiarmi)
Piccolo avviso di questa povera *si indica*: volevo solo chiedervi scusa per tutto il tempo che sono stata assente. Sono successe varie cose e ho perso la voglia di fare ciò che amavo di più: scrivere. Mi sono bloccata e non trovavo più il piacere che trovavo prima.... ma adesso mi sono risollevata e ho ricominciato, con molta calma, a scrivere e questo mi ha fatto molto bene. Sono riuscita a prendere in mano la mia vita che stava sfumando lentamente e a rimetterla in ordine. Spero che sia perfetto come capitolo per ricominciare col piede giusto.
Buona lettura.

 


Capitolo XI       









                – Siamo pronti allora? – sentii la voce di Michael uscendo dalla stanza della piscina naturale.
Erano tutti in semicerchio di fronte ad Aiden e mio fratello.
                – Pronti per cosa? – chiesi avvicinandomi mentre mi asciugavo i capelli con un pezzo di stoffa.
Mi ero cambiata con i vestiti che aveva recuperato Elai. Un paio di jeans neri, una maglia a maniche corte e una felpa dello stesso colore.
Tutti si voltarono verso di me, accorgendosi della mia presenza.
                – Abbiamo escogitato un piano. – fu Arcadio a parlare per primo.
                – È arrivato il momento di trovare gli altri. – si intromise Aiden incrociando le braccia al petto. – Io e Michael saremo in circospezione e li porteremo qui, voi comincerete a preparare le stanze che Michael ci ha mostrato poco fa’. Poi ti farai spiegare meglio dagli altri.
                – Aspetta… – lo fermai. – Io che sono il Generale, devo rimanere nascosta?
                – Non ti sei ancora rimessa e poi… – rispose Michael lasciando la frase in sospeso.
Aiden la concluse seccamente: – E poi sei troppo imprevedibile.
Questo mi lasciò un poco interdetta.
                – Imprevedibile? – chiesi.
Tutti mi fissarono.
                – Sappiamo che hai ancora dei dubbi su te stessa e non possiamo permetterci di fallire lì fuori. – mi spiegò dolcemente Samuel.
                – Non prenderla male, ma quando ti sarai schiarita le idee potrai uscire. – concluse Elai.
                – Io sto bene e so chi sono. – trasparivo più sicurezza di quella che realmente avevo. – Io esco con voi, voglio recuperare personalmente i miei soldati.
Detto questo andai a recuperare uno zaino e, sempre sotto l’occhio vigile di tutti i presenti, lo riempii con una borraccia d’acqua, del cibo in scatola e un giubbotto. Lo issai sulle spalle e mi sistemai i miei pugnali alla cintura. Tirai su il cappuccio della felpa sui miei capelli neri e mi sistemai vicino a Michael.
                – Come preferisci. – acconsentì mio fratello.
                – Se viene lei, vengo pure io. – se ne uscì Arcadio.
Sentii Aiden sbuffare rumorosamente.
                – D’accordo, ma poi basta. Deve essere la missione di una notte al massimo, non possiamo perdere tempo. – brontolò il biondo.
Arcadio preparò velocemente le sue cose e ci dirigemmo verso le scale mentre gli altri ragazzi si sparpagliavano per compiere i vari lavori.
– Visto che sta calando la sera dobbiamo sbrigarci. Andiamo verso il porto a recuperare Erik e Luce. Lui discende da Eolo e lei da Eos. – mi spiegò Michael mentre raggiungevamo l’entrata della miniera abbandonata.
                – Vento e aurora… non credo possano essere molto combattivi. – mormorai io.
                – Se sono stati scelti ci sarà un motivo. – borbottò Aiden.
                – Che poi, come sapete quali sono stati scelti? – chiesi ignorando il commento del discendente di Apollo.
                – Vengono scelti dall’Oracolo, dagli dei. E ci vengono riferiti i nomi.
Io annuii, poi aggiunsi: – Faccio io o fai tu?
Michael mi fissò senza capire.
                – Il viaggio-ombra. – continuai. – Non pretenderai di arrivare dall’altra parte di Nuova Roma a piedi vero?
                – Io non viaggio più con le ombre. Non fa’ bene. – si intromise Aiden.
                – Stai scherzando? Dobbiamo rallentare la missione solo perché tu “non hai voglia”?!
                – Ho detto che fa’ male, non che non ho voglia. – precisò il biondo tagliente. – Mi indebolisce e fa’ lo stesso a voi. Passeremo per la campagna, niente più centro: troppo rischioso.
                – Ottimo, così il giro si allunga ancora di più. – borbottai.
Lui fece finta di niente e proseguì con Michael al suo fianco. Non litigavano più quei due.
                – Almeno così potrai riprendere le forze. – mi disse Arcadio camminandomi a fianco.
Sbuffai: aveva ragione.
Lo guardai e notai ancora i cerchi neri attorno agli occhi.
                – Sei rimasto a controllarmi tutto il tempo? – domandai, leggermente in imbarazzo.
                – Certo. – rispose come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.
Rimasi a guardarlo per un po’. Gli presi la mano per un attimo e gliela strinsi per poi lasciarla. Lui mi sorrise e io ricambiai, timidamente.
 
Camminammo per molto tempo e Arcadio mi fece una domanda inaspettata: – Cosa sono quelle cicatrici che hai sulla spalla?
Io, quasi d’istinto mi toccai la spalla destra e alzai lo sguardo sulla schiena di Michael che camminava davanti a me di pochi metri. Non aveva sentito la domanda.
Presi un respiro profondo per cercare di scacciare le immagini dalla mente.
                – È…una lunga storia. – risposi quasi balbettando.
                – Ho tempo.
                – Più brutta che lunga in verità. – continuai. – Forse te ne parlerò… ma non ora.
Lui non mi chiese altro e procedemmo in silenzio per le ore successive. Arrivammo ai margini di una radura che dava su di una scogliera per il tramonto. Quasi sullo strapiombo sul mare, si trovava una casetta di legno. Varie capre pascolavano intorno all’abitazione illuminata all’interno.
Ci avvicinammo con passo svelto e arrivati davanti alla porta Aiden guardò noi, per poi bussare.
Da dentro si sentirono dei passi e poi qualcuno aprì l’uscio. Una ragazza con dei deliziosi capelli biondi e occhi azzurri chiari ci scrutò uno a uno. Quando arrivò a me, si fermò più del solito e sgranò gli occhi.
                – Io ti ho vista. – mormorò.
                – Ciao Luce. – la salutò Aiden. – È arrivato il momento. – le disse dolcemente.
Lei non spostò lo sguardo dal mio e ci aprì di più la porta, permettendoci di entrare.
                – Mangiate qualcosa, riposatevi. Partirò con voi domani mattina. – ci disse sorridendo.
Noi entrammo ringraziando. Dentro, la casa era piccolina e non erano presenti delle stanze. Appena entrati sulla destra si trovavano due materassi coperti con tessuti colorati e fatti a mano. A sinistra c’era un altro materasso più piccolo con un bambino seduto sopra, intento a disegnare. Ci fece sedere su di un tappeto che occupava pressappoco tutto il perimetro dell’abitazione. Era pieno di colori e di disegni geometrici. Il caminetto davanti a noi riscaldava l’ambiente dandomi un senso di accoglienza che non provavo da tanto.
La ragazza era vestita con strani vestiti con frange e dello stesso colore del tappeto. Al collo portava una collana di piume e pietre colorate e ai polsi vari braccialetti di cuoio.
                Ci offrì dello stufato caldo che accettammo con gioia. Lei si sedette vicino a noi restando a fissarci con un sorriso stretto fra le labbra sottili. Il bambino che era sul letto si avvicinò barcollando a lei e le si sedette in braccio, per poi cominciare a giocare con i capelli di Aiden, seduto al suo fianco. Avrà avuto sì o no due anni.
Il discendente di Apollo lo lasciò fare e quando ebbe finito anche l’ultima goccia di stufato, lo prese in braccio e cominciò a far uscire fili di luce dalla punta delle dita che illuminarono il viso sorridente del piccolino.
                Io restai immobile a guardare la scena. Così tanta spontaneità e amore in un solo gesto. Cose che credevo di aver dimenticato. Cose che ora dovevo salvare.
La porta si aprì e un ragazzo sui trent’anni entrò.
                – Sono arrivati. – mormorò lui.
                – Partirò con loro domani mattina. – rispose Luce alzandosi e raggiungendolo.
Il ragazzo con gli stessi capelli biondi di lei, la fissò perso.
                – Luce, non puoi abbandonarmi. – la supplicò con la voce rotta dal pianto. – Per favore.
Lei gli prese il viso fra le mani e lo baciò sulla fronte. Una lacrima scese dagli occhi di entrambi.
Si sedettero per terra con noi e ci raccontarono la loro storia. Erano tre fratelli e pochi anni prima l’Armata era venuta ad ucciderli. Luce aveva iniziato ad avere delle visioni in cui l’Oracolo le parlava. Hanno preso solo i loro genitori ed erano riusciti a fuggire qui sulla scogliera, dove hanno vissuto di pastorizia.
Si sono nascosti in attesa di questo momento per due anni.
                – Temevo che questo giorno sarebbe arrivato. – ci disse infine suo fratello. – Dovrò lasciarla andare a combattere perché è giusto, ma sarà difficile senza di lei.
Si abbracciarono e mi sentii in colpa. Molti ragazzi avrebbero dovuto dire addio ai loro cari per andare a morire.
 
Ci sistemammo per terra con delle coperte e un paio di cuscini per dormire. Cosa che però io non riuscii a fare.
Sognai. Sognai il buio, il buio più profondo e freddo che potessi mai immaginare. Ero sospesa in mezzo a questo spazio infinito e percepivo la paura. Riuscivo a muovermi, ma non mi spostavo realmente. O forse sì… non riuscivo a capirlo.
Poi una luce. Sembrò accecante in mezzo a tutta quell’oscurità. Mi coprii gli occhi per un attimo, ma quella si affievolì quasi subito. Davanti a me, fluttuava l’Oracolo. I suoi occhi azzurri e vuoti mi scrutavano immobili. Come quando l’avevo incontrato nella grotta, parlò senza muovere la bocca e le voci che sentivo erano tre.
                – Stai abbracciando il tuo destino. Stai imparando a diventare ciò che sei destinata ad essere. – disse. – Ma non sei ancora pronta a guidarli.
                – Ci sto provando. –  mi difesi.
                – Non abbastanza! – gridarono le tre voci.
Mi zittii.
                – Dopo aver recuperato colei che discendente dall’alba e colui che discendente dal vento, dovrai cercare una ragazza, stirpe di un Olimpo. – mi ordinò.
Non mi diede il tempo di metabolizzare completamente la domanda, che lo spazio intorno a me cambiò. Mi trovavo all’interno di un palazzo meraviglioso. Lo riconobbi immediatamente, pochi edifici sono altrettanto magnifici a Nuova Roma. Iniziai a temere il peggio.
Ero in una camera da letto e davanti ad un enorme specchio che prendeva quasi l’intera parete, c’era una ragazza. Lunghi capelli di un biondo scuro le ricadevano sulle spalle magre e candide. Esse erano lascate scoperte dal vestito che aveva scelto di indossare. Era di un azzurro cielo, intonato con il colore degli occhi, e le ricadeva morbido sui fianchi, mettendo in evidenza le forme perfette del proprio corpo. Sorrideva al suo riflesso e non riusciva a smettere di specchiarsi.
Qualcuno bussò alla porta. Lei disse di entrare e un uomo dai tratti simili alla ragazza le si avvicinò.
                – Mia cara Elena, vedo che stai già provando l’abito per il ballo. – le disse mettendosi dietro al suo riflesso.
                – Non è mai troppo presto per essere perfetti, padre. – ripose leggiadra la figlia, per poi voltarsi, anche se con riluttanza, verso l’uomo. – Il ballo è fra due giorni e tutto deve essere perfetto.
Trattenni un conato di vomito, vedendo quella scena. Ma infondo non potevo aspettarmi molto di più dalla figlia del capo del Gran Consiglio dei Sacerdoti, dell’Armata e soprattutto, una discendente di Zeus.
 
Qualcuno mi scosse un braccio e mi risvegliai dal mio sogno. Sbattei le palpebre e Michael mi fissava ancora mezzo addormentato. Mi disse che dovevamo andare. Io mi limitai ad annuire, ancora con le immagini del sogno fisse in mente. Ne avrei parlato con gli altri, tornati al quartier generale.
Uscimmo dall’abitazione con Luce che era l’alba. Lei non si era portata via molto, solo un paio di vestiti di ricambio dentro ad uno zaino in pelle marrone. Procedemmo verso sud seguendo il margine della scogliera. Erik si trovava in un piccolo accampamento di pescatori poco lontano da lì.
Mentre camminavamo, mi accostai a Michael e gli chiesi: – Come avete fatto a sapere che erano qui i due ragazzi? Esattamente intendo.
                – Aiden è discendente di Apollo e loro possono parlare con l’Oracolo. – mi spiegò fissando la schiena del ragazzo biondo che camminava in testa a diversi metri da noi. – Mi ha detto che l’Oracolo lo avverte quando un discendente è pronto per essere richiamato, così gli mostra il luogo dove si trova e lui lo va a recuperare. Con gli altri: Samuel, Elai, Achlys e Arcadio è successo così. Alcuni invece, come Luce, hanno delle visioni già prima che Aiden arrivi, ma credo dipenda dalla volontà degli dei.
Io annuii ascoltandolo. Eppure la discendente di Zeus non mi sembrava affatto pronta per diventare una dell’esercito. Forse l’Oracolo non si riferiva a lei.
                Arrivammo al villaggio di pescatori in un’ora circa. C’erano una decina di case e molte galleggiavano sull’acqua. Uomini e ragazzi stavano sistemando le barche, probabilmente per partire al largo. Donne e bambine sistemavano le reti e le ricucivano dove erano disfatte. Insieme a Michael e ad Arcadio, mi avvicinai ad Aiden che scrutava i paesani con gli occhi socchiusi.
                – Cerchiamo di sbrigarci a trovare Erik. – mormorò.
                – Perché? – chiesi.
                – Nella mia visione, la giornata non finiva bene. – disse solamente, per poi incamminarsi verso un ragazzo che stava sistemando una barca blu.
Noi lo seguimmo in silenzio. Quando ci avvicinammo abbastanza, il ragazzo alzò lo sguardo e ci squadrò da capo a piedi, percependo degli estranei.
                – Un discendente di Ade e uno di Apollo insieme? Sembra l’inizio di una barzelletta. – disse alternando lo sguardo da Aiden a Michael.
Il biondo parlò: – Vorrei parlare un attimo con te, in privato.
                – Volete acquistare una barca? – domandò Erik.
                – Una cosa del genere, sì. – continuò Aiden. – C’è un posto tranquillo dove possiamo contrattare?
Erik continuò a fissarci per un po’. Poi buttò le corde all’interno della barca e fece segno con la testa al discendente di Apollo di seguirlo.
Prima di andarsene, Aiden si voltò perso di noi: – Non muovetevi.
Lanciò un ultimo sguardo a Michael e poi se ne andò con il ragazzo.
Noi restammo in riva al mare ad aspettare il suo ritorno. Io, Arcadio e Luce ci sedemmo per terra, ma Michael restò in piedi. Lo vedevo agitato e non capivo il perché.
Cominciai a guardare le persone intorno a noi. Stavano aumentando e continuavano a fissarci. Mi mettevano a disagio e in più mi facevano ansia.
Mio fratello continuava a camminare avanti e indietro passandomi di fronte. Alla millesima volta, non ce la feci più e mi alzai, prendendogli un braccio per fermarlo.
                – Che succede? – gli chiesi in un sussurro.
Incontrai i sui occhi, ed erano pieni di paura. Indietreggiai, avendo timore di quello sguardo.
                – Aiden mi ha raccontato la visione. – mormorò in un soffio. – Devo stare attento.
                – Cos’ha visto? – domandai.
                – Non posso dirtelo. Conoscere il proprio futuro può essere molto pericoloso.
                – Tu lo sai però. – ribattei.
                – Sì perché io servo…in un certo senso. – qualcosa poi attirò l’attenzione di entrambi. Il rumore di un gruppo di persone che marciavano insieme. L’Armata. Evidentemente anche Arcadio sentì lo stesso perché balzò in piedi facendo segno a Luce di imitarlo.
                – Dobbiamo andare. – mormorò Arcadio.
                – Aiden non è ancora tornato. – lo fermò Michael.
                – Allora andiamo a prenderlo. – decisi.
Ci dirigemmo verso dove avevamo visto scomparire Aiden insieme ad Erik. Per questo Michael serviva, per portarci via con le ombre e per questo non le utilizzate all’andata, per riposarsi e usarle quando sarebbe stato realmente necessario.
Sgattaiolammo tra le baracche di legno cercando tracce del discendente di Apollo. Quando andai a sbattere proprio contro di lui. Al suo fianco c’era Erik.
                – Sono arrivati. – lo avvertì Michael. – Dobbiamo andarcene.
                – Sono qui! – sentimmo gridare a pochi metri da noi. Un uomo dell’Armata, con l’uniforme azzurra, stava puntando una spada al petto di Aiden. Come avevano fatto ad arrivare così in fretta?
Nell’arco di un nano secondo altri tre arrivarono e ci circondarono.
                – Michael portaci via. – mormorai.
Lui stava fissando la spada che premeva sul petto di Aiden: – Non rischio un’altra volta.
Io annuii e mi sistemai davanti a Luce per proteggerla. Allargai le braccia e fissai il soldato davanti a me. Poi alzai un sopracciglio: – Che ne dici di un giretto agl’Inferi?
Prima che potesse ribattere una crepa nel suolo lo risucchiò, lasciando di lui solo la spada. Arcadio si avventò contro il secondo uomo e lo buttò a terra rotolando lontano. Michael estrasse la spada e spezzò quella che era puntata su Aiden, che prontamente sollevò una freccia contro il quarto uomo. Presi Luce per mano e la guidai dietro ad un’abitazione, con Aiden e Michael che mi seguirono. Erik aiutò Arcadio e dopo un po’ ci raggiunsero pure loro.
                – Prendetevi per mano, veloci! – ci ordinò mio fratello.
Tutto si fece buio mentre l’uomo con l’impermeabile e la cicatrice stava girando l’angolo. Quando uscimmo dalle tenebre eravamo nella grotta del quartier generale e Aiden svenne.
Michael riuscì a prenderlo al volo prima che cadesse a terra.






Nota dell'autrice: Allora, allora...capitolo pieno di cose nuove per riprendere il tempo che ho perso. Spero che vi sia piaciuto e conto di aggiornare il più presto possibile (se non è così per favore perdonatemi).
Un bacione a tutti voi bellissime persone,
sempre la vostra 
Silvia


Nomi nuovi:
Luce (Eos, aurora): è il nome di una ninfa, ma si adatta perfettamente alla sua discendenza
Erik (Eolo, vento): da aeraki che in greco significa "brezza"

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII








Michael si abbassò con Aiden fra le braccia, mentre noi ci avvicinammo.
                – Gli fa’ male viaggiare con le ombre. – ci spiegò mio fratello. – Per favore lo tenga qualcun altro. Non posso tenerlo io.
Arcadio si affrettò a reggere la testa al discendente di Apollo, mentre Michael si spostava. Lo vidi con lo sguardo affranto mentre fissava gli occhi chiusi di Aiden. Si allontanò in una delle stanze senza dire una parola.
                – Cosa possiamo fare? – chiesi chinandomi vicino ad Arcadio.
                – Se volete posso provare… – si intromise Luce con la sua dolce voce.
Io annuii. Lei mi sorrise e si inginocchiò a fianco di Aiden. Chiuse gli occhi e alzò le mani sopra al suo petto e alla sua pancia. Dai palmi uscirono dei fili di luce rosata e notai che i suoi capelli mossi cominciarono a colorarsi di un ramato caldo, nascondendo il biondo.
Recitò delle parole sotto voce e quando la luce terminò, gli occhi di Aiden si aprirono.
Lui alzò lentamente la testa verso Luce: – Grazie.
Lei sorrise solamente e poi si alzò.
                Nel frattempo erano arrivati anche gli altri. Samuel aiutò Aiden ad alzarsi, mentre Arcadio raccontava ai gemelli di Ecate come era andata la missione e io presentavo i nuovi arrivati ad Elai, ad Achlys e ai fratelli di Ermes.
Stavamo aumentando. Eravamo in tredici e ne sarebbero arrivati molti altri.
                Approfittai di quel momento per discutere con gli altri della mia visione. Spiegai nei minimi dettagli esattamente quello che mi aveva detto l’Oracolo e quello che avevo visto. Quando ebbi finito di raccontare, Samuel fu il primo a parlare.
                – Il ballo è domani ed è in onore del compleanno della figlia del capo dell’Armata e del Consiglio. – esordì.
                – O conosciuto anche come Priamo. – disse Maia.
                – La più grande testa di cazzo che il mondo intero abbia mai visto. – concluse la frase Orion, suo fratello, dandole il cinque.
Achlys ed Elai ridacchiarono.
                – Ma soprattutto, discendente di Zeus. – continuò Emphys con tono serio. Tutti si zittirono. – Sua figlia, Elena, compirà diciassette anni.
                – È chiaro quello che l’Oracolo vuole che facciamo. – intervenne Aiden. – Alcuni di noi devono andare al ballo e convincerla ad unirsi all’esercito.
                – Non credo sia pronta. – commentò Achlys. Tutti ci voltammo verso di lei. – Tutti la conosciamo. È una ragazzina viziata che si metterà a piagnucolare se la portiamo via dal suo bel palazzo.
                – Sarà difficile, ma dobbiamo provarci. – affermai, sicura. – Se l’Oracolo ha deciso, vuol dire che è pronta.
                – Molto bene, il Generale ha parlato. – confermò Perse, fissandomi con i suoi occhi scuri. – Ora ci resta da scegliere chi verrà con te.
                – Aiden, Arcadio, Elai ed entrambi i gemelli di Ecate. – risposi immediatamente. E così cominciai a spiegare il mio piano: – Non credo che avremmo il tempo di trovare dei vestiti per il ballo, ecco perché voi – dissi indicando con lo sguardo Perse ed Emphys. – dovrete creare un’illusione attorno a noi, vestendoci con i più pregiati capi di Nuova Roma. In più dovrete nascondere le facce ai soldati dell’Armata.
                – È complicato. – mormorò Perse.
                – Ma si può fare. – mi sorrise soddisfatta Emphys.
Le sorrisi a mia volta e poi continuai: – Elai verrai con me mentre parlerò con Elena. Se non deciderà di collaborare, dovrai convincerla con la tua voce.
                – Mi mancava entrare in azione. – commentò annuendomi.
                – Aiden e Arcadio, voi ci coprirete. E se le cose si mettono male, correte da me che vi riporterò al quartier generale con le ombre. – conclusi, fiera di me stessa come non lo ero stata mai.
                – È un ottimo piano. – si congratulò Samuel. – Adesso porto Luce ed Erik nelle proprie camere, poi comincerete ad allenarvi con la magia di Ecate.
Fece un cenno con la testa verso i due nuovi arrivati che lo seguirono verso un corridoio nascosto nella roccia che non avevamo mai notato prima.
Gli altri si dispersero e ognuno si sistemò da qualche parte della grotta. Aiden e Elai si sedettero vicini a chiacchierare con Achlys e Orion. I gemelli di Ecate si allontanarono insieme.
                Mi voltai, quasi involontariamente, verso Arcadio. Anche lui mi stava guardando. Mi sorrise timidamente e io non potei fare a meno di ricambiare. Ma il mio sorriso si smorzò di colpo quando Maia arrivò da lui e gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, per poi buttargli le braccia al collo. Io li fissai per un secondo, per poi sparire in un vortice di tenebre.
Quando riapparsi, mi sedetti sulla roccia fredda e cominciai a battere i pugni per terra e a gridare fra i denti. Le lucciole sentendo rumore cominciarono a spegnersi, impaurite. Ora la grotta era completamente buia.
                – Spaventi le lucciole. – disse una voce poco distante da me.
Mi voltai e rimasi in silenzio aspettando che le lucciole illuminassero il viso di Michael. Quando riuscii a distinguerlo lo fissai. Era seduto a un metro da me, così mi avvicinai a lui.
                – Perché facevi quei versi? – mi domandò.
Io sbuffai.
                – Non lo so… – mormorai con voce roca.
Era la verità. Perché mi importava così tanto di lui? Io non ero così. Io ero sempre stata sola.
                – Ho visto come lo guardi. – mi disse con la voce spezzata.
                – E io come guardi lui. – gli risposi.
Lo sentii ridacchiare vicino a me.
                – Non trovi sia esilarante? – mi chiese. – Le tenebre e la luce. Così vicine, ma che non si potranno mai fondere veramente. – aveva la voce graffiata dal pianto. – Due discendenti di Ade, ridotti in brandelli da una cosa stupida come l’amore.
Non potevo essere più d’accordo con lui. Eppure continuavo a pensare ad una cosa…
                – Perché?
                – …perché cosa? – domandò.
                – Perché noi no? – feci una pausa e poi continuai. – Perché noi non dovremmo essere felici? Perché non dovremmo conoscere l’amore? … solo perché discendiamo da un certo dio.
                – Perché dobbiamo sembrare indistruttibili. – mi rispose senza una sfumatura nella voce. – Siamo figli della morte. Dobbiamo essere freddi, per poter agire con giustizia. Non possiamo lasciarci prendere dai sentimenti come gli altri.
Io mi strinsi tra le gambe.
                – Perché quando arriverà il momento di decidere chi lasciare indietro e chi salvare, dovremmo avere la lucidità di scegliere con giustizia… – continuò. – E non per amore.
Forse aveva ragione lui. Non potevo lasciarmi distrarre dalla mia vera missione.
Per la prima volta dopo così tanti anni, rifeci quel gesto che ero abituata a fare: poggiai la mia testa sulla sua spalla, lasciando che poi il suo braccio mi circondi. E restammo così, in silenzio, fino a quando non venne il momento di raggiungere gli altri. Perché solo fra noi possiamo essere fragili, perché dobbiamo mostrarci forti di fronte al resto del mondo.
 
 


                – Ripassiamo velocemente il piano. – dissi mentre eravamo ancora nascosti nel boschetto alla base del colle.
Era la sera del ballo. Io, i gemelli di Ecate, Arcadio, Elai ed Aiden eravamo in cerchio. E con noi c’era pure Michael. Mio fratello aveva insistito nel venire con noi e io in un certo senso mi sentivo più tranquilla con lui.
                – Entriamo: tu con Arcadio, io con Aiden e Michael e gemelli insieme. – cominciò Elai. – Ci dividiamo e attendiamo la torta e in quel momento Michael porta la ragazza in camera.
                – A quel punto andiamo io e te in camera e la convinciamo. – conclusi io. – All’una ci troviamo tutti in camera della ragazza che torniamo a casa. Sia se lei viene volontariamente, sia se non è ancora convinta.
Tutti annuirono e ci alzammo in piedi.
                – Tocca a voi. – dissi voltandomi verso i gemelli.
Sorrisero entrambi e alzarono le mani. Della luce viola uscì dai loro polpastrelli e ci avvolse mentre anche i loro occhi si illuminavano di un viola scuro. I nostri semplici vestiti fecero posto ai migliori capi di Nuova Roma. I gemelli avevano un ottimo gusto in fatto di vestiti.
I ragazzi avevano lo stesso completo: pantaloni, camicia bianca e una giacca lunga che le maniche leggermente larghe. L’unica cosa diversa era il colore dei pantaloni e della giacca: Michael, ovviamente, li aveva neri; Arcadio di un verde scuro, simile ai suoi occhi; Aiden era tutto in bianco e Perse di un viola molto scuro.
Noi ragazze eravamo leggermente diverse. Elai era raggiante. Il vestito bianco aveva alla base delle sfumature rosate e presentava una profonda scollatura sul decolté. Era senza maniche e la schiena era scoperta. I capelli erano legati in un’acconciatura elaborata con dei fili di diamanti fra i riccioli biondi.
Emphys aveva i capelli neri lasciati sciolti e un vestito simile a quello di Elai, ma era di un viola scuro con delle linee morbide nere che evidenziavano le curve del suo corpo.
Io avevo un abito nero con dei brillantini sulla base, come se fossero stelle. Avevo la stessa scollatura di Elai e i miei capelli erano incredibilmente morbidi e raccolti in una bellissima acconciatura.
Poi mi ricordai della scollatura sulla schiena e mi toccai la spalla.
                – Non preoccuparti Skia. – mi  rassicurò Emphys. – La magia nasconde pure la tua cicatrice e il tatuaggio.
Io annuii pensierosa e mi voltai verso gli altri. Arcadio mi stava fissando con uno strano luccichio negli occhi.
                – Andiamo. – annunciai uscendo dal bischetto per andare nel sentiero di sassi. Gli altri mi seguirono e ci dividemmo a coppie.
Arcadio mi porse il braccio e il lo accettai, anche se titubante.
La villa si trovava pochi metri sopra di noi e la musica si sentiva già. Camminammo in silenzio e Arcadio continuava a fissarmi.
                – Arcadio è un’illusione. – gli dissi infine.
                – Scusami… – ridacchiò lui scuotendo la testa. – Sei meravigliosa sta sera. E non posso fare a meno di notarlo.
Io sentii un blocco sullo stomaco. Nessuno mi aveva detto una cosa simile.
                – Non esagerare. – lo bloccai io. – Maia potrebbe irritarsi se mi dedichi tutte queste attenzioni.
Lui stava per dire qualcosa, ma arrivammo all’entrata della villa. Due uomini con le divise dell’Armata stavano controllando il cancello principale dove vari invitati stavano entrando. Sperai solamente che la magia dei gemelli fosse abbastanza forte.
Mi strinsi ad Arcadio e lui mi mormorò un “sorridi” fra i denti. Io lo ascoltai sfoderando uno dei miei migliori sorrisi, sentendo i muscoli della faccia in una posizione per niente famigliare.
                – Benvenuti. – disse uno dei due uomini, mentre l’altro continuava a fissarci.
Noi passammo tranquillamente, lo stesso per i gemelli, ma quando Elai in mezzo ai due ragazzi arrivò, la fermarono.
                – Non vogliamo puttane. – la fermarono i due uomini.
Elai sfoderò il suo sorriso migliore: – Solo perché ho più di un uomo non vuol dire che io sia una puttana, miei cari signori. Lui è mio fratello. – disse alludendo ad Aiden. – E lui è il mio fidanzato.
Le due guardie la squadrarono da cima a fondo. Non si poteva dire di no ad una ragazza come lei.
                – Ora se non vi dispiace… – continuò Michael attraversando i due uomini.
Io tirai un sospiro di sollievo ed entrai con Arcadio.
La sala principale era enorme. Per un attimo trattenni il fiato. Il soffitto era intermente fatto di specchi e lampadari di cristallo pendevano da esso. Due file di quattro colonne percorrevano la sala. C’erano tantissime persone con gli abiti più sfarzosi. Ragazzi e ragazze che ballavano e bevevano insieme.
Ad un certo punto Arcadio mi portò un braccio attorno i fianchi e mi strinse di più a sé. Io lo fissai senza capire.
Lui ridacchiò e si avvicinò al mio orecchio. Il suo respiro caldo sul mio collo nudo mi stava facendo impazzire.
                – Un ragazzo appoggiato alla colonna continua a fissarti. – mi sussurrò. Io voltai leggermente la testa e in effetti trovai un ragazzo che mi guardava sorridendomi. – Volevo fargli capire che sei mia.
Io per un po’ rimasi imbambolata da quella bella sensazione del suo corpo così vicino al mio. Poi mi concentrai e mi allontanai da lui procedendo verso una statua nei corridoi laterali alla navata.
                – Skia che ti succede? – mi chiese raggiungendomi poco dopo.
Mi voltai verso di lui: – Rimani concentrato sulla missione. Non possiamo permetterci di fallire.
Lui sospirò, ma non distolse lo sguardo dal mio.
                – Abbiamo circa quattro ore prima della torta. – mi disse. – Per cui perché per queste quattro ore non ci possiamo rilassare e godere una festa a cui potremmo partecipare solo una volta nella vita?
Non aveva tutti i torti. Guardai la pista da ballo che gremiva di persone con bicchieri in mano. Intravidi perfino Elai e Aiden in mezzo alla folla che si agitavano mentre raggiungevano Michael e i gemelli con dei bicchieri pieni di bevande dai colori vivaci.
Quattro ore erano tante, pensai. Potevo provare a lasciarmi andare, infondo avevo diciassette anni.
Arcadio mi prese la mano. Non potei non accettare con un sorriso.
Ci avvicinammo al bancone dove servivano da bere e Arcadio ordinò due bicchieri di “bacio di Nyx”, un cocktail blu scuro e molto denso. Ha un gusto amaro, ma subito dopo dolce. Ne bevemmo un paio e poi lui chiese al barista qualcosa con il nome di “succo di Erato”. Io non lo conoscevo, ma il colore rosa acceso con tutta quella frutta dentro, gli dava un’aria proprio invitante. Lo assaggiai ed era molto dolce e leggermente speziato.
                – Cos’è questo succo di Eretro? – chiesi con la bocca leggermente impastata dall’alcool.
                – Erato. – mi corresse lui sorridendo. – È la musa della poesia erotica. E questo cocktail prende il nome suo perché dopo un paio di questi, bé… salteresti addosso a chiunque.  
                – Non ti preoccupare. Reggo molto bene l’alcool. – lo canzonai con un sorrisetto malizioso. Era vero, io reggevo benissimo l’alcool, ci volevano decide di drink prima di farmi vomitare, o perdere coscienza. L’unico effetto che mi faceva era di farmi sentire più sicura e leggermente più spavalda del solito.
                – Andiamo a ballare? – mi chiese quando finimmo di bere.
                – Non sono capace. – gli risposi.
                – Allora andiamo a fare un giro. – affermò prendendomi la mano, non dandomi così il tempo di rispondere.
Sorpassammo molte persone, la metà delle quali mi urlarono contro perché le urtai. Sembrava che Arcadio volesse scappare da quel posto.
Finalmente uscimmo da una porta finestra e ci ritrovammo nel giardino della villa. Era tutto illuminato da lanterne sospese nell’aria ed era grande più o meno come il centro di Nuova Roma. Ed era deserto.
Mi prese per mano e cominciammo a camminare lentamente per quell’immenso giardino. L’aria era fresca e respirai profondamente beandomi dell’aria della primavera.
Trovammo una fontana con delle panchine e ci sedemmo su una di esse. Eravamo in silenzio, quando Arcadio mi strinse la mano e mi chiese: – Perché hai parlato in quel modo di Maia prima?
Io deglutii e non riuscii a guardarlo negli occhi. Stava andando tutto bene, perché ha tirato fuori quell’argomento?
Sospirai rumorosamente prima di rispondergli: – Per il modo in cui lei si comporta con te. – forse era l’alcool che avevo in corpo a parlare, oppure ero semplicemente diventata matura. – La verità è che vorrei potermi comportare io così con te. – poi trovai perfino il coraggio di guardarlo. – Solo io.
Lui mi sorrise. Ma io non avevo finito.
                – Ma non posso. – lo fermai. – Sono una discendente di Ade, nonché il vostro Generale. Non posso essere distratta da certe cose stupide come l’amore.
Il suo sorriso scemò: – Cosa stai dicendo? L’amore non è una cosa stupida. Non sottovalutarlo.
                – L’amore inganna e disorienta. – ribattei. Era come se Michael stesse parlando al posto mio.
                – E allora perché baciarmi? – mi chiese, accusandomi.
                – Perché mi sembrava la cosa più giusta da fare. – mormorai. – Perché per una volta non avevo agito di testa, ma d’istinto.
Lui mi prese il viso fra le mani e mi baciò la fronte, poi le guancie e infine si fermò a pochi centimetri dalla mia bocca. Sentivo il suo profumo di muschio e corteccia.
                – Allora lasciati andare. – mi sussurrò con voce roca.
Deglutii a fatica, ma non reagii. Aspettai che le sue labbra si posassero sulle mie per poi far combaciare i nostri corpi.








Nota dell'autrice: INCREDIBILE SONO RIUSCITA AD AGGIORNARE IN TEMPO! (compliementi a me)
Allora, capitolo lasciato in sospeso, ma non vi preoccupate miei venticinque lettori (cit.) che sto già preparando il prossimo così voi poveri mortali saprete se riusciranno a portare via Elena dalla sua mega festa di compleanno. E che dire... Skia e Arcadio si sono chiariti e adesso tanti bei fiorellini per loro (non ha senso quello che ho appena scritto ma okay).
Spero che vi sia piaciuto almeno quando mi è piaciuto scriverlo.
Un abbraccio grande quanto il Monte Olimpo 
la vostra Silvia

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII











Il tempo volò in fretta, troppo in fretta.
Non volevo staccarmi dalla presa di Arcadio. Eravamo nascosti all’ombra di un salice ed era come se fossimo in un altro mondo. Dopo il primo bacio sulla panchina di pietra, lui mi ha trasportata sotto a quell’albero e non ricordo quanto tempo passò…ricordo solo le sue mani che mi accarezzavano la schiena nuda e le mie spalle premute contro la corteccia ruvida dell’albero. Ricordo le sue labbra e le mie, finalmente insieme, ricordo la loro pressione e la loro passione. Ricordo la sensazione di calore quando avvicinò di più a me, facendo combaciare le curve dei nostri corpi in fibrillazione.
Ricordo quando gli infilai d’istinto le mani sotto alla camicia di seta, andando ad accarezzargli il petto. Ricordo lui che con le punte delle dita percorreva la mia spina dorsale, provocandomi un’ondata di brividi. Ricordo i suoi baci umidi sul mio collo e sulle mie spalle, facendomi respirare più pesantemente. Ricordo io che mi aggrappavo ai suoi capelli sentendolo sospirare.
                Ma come ho già detto, il tempo volo troppo in fretta.
Premetti una mano sul suo petto per allontanarlo da me. Lui si staccò con il fiatone, ma rimase con la fronte appoggiata sulla mia.
                – Dobbiamo andare. – sussurrai in uno sbuffo.
Lui annuì semplicemente, prima di darmi un ultimo bacio e di portarmi fuori dal nostro piccolo angolo di mondo.
Comminammo vicini, io con la mano attorno al suo braccio. Poi sentii qualcosa di strano, come se ci fosse qualcosa di diverso. Mi guardai attorno, perplessa.
                – Che succede? – mi chiese Arcadio guardandomi.
Io non riuscivo a capire. Gli dissi di andare da Elai.
                – C’è qualcosa che non va? – mi domandò.
                – No, devo… solo controllare una cosa. – balbettai mentre continuavo a cercare con lo sguardo. – Arrivo subito, tu raggiungi gli altri.
Lui rimase a guardarmi ancora un po’, per poi andare senza aggiungere altro.
Appena si fu voltato, cominciai a camminare in direzione di quella sensazione. Sentivo come se i miei poteri fossero attirati da qualcosa.
Arrivata ad un altro spazio con una fontana e vari alberi intorno mi bloccai. Vidi comparire Michael e Aiden davanti alla fontana e prontamente mi nascosi dietro ad un albero. Mi resi invisibile con le ombre. Stavano litigando.
                – Parliamo allora! – gridò Michael.
                – Che cavolo ti succede!? – gli urlò di rimando Aiden.
Micheal puntò un dito contro di lui assottigliando gli occhi: – Cosa credevi? Che io avrei mai potuto provare qualcosa? Che- – si bloccò. Guardò verso di me. Se io avevo percepito lui che usava le ombre, sicuramente lui stava sentendo la mia presenza in quel momento.
Per fortuna, Aiden ricominciò a parlare, attirando completamente la sua attenzione.
                – Credevo che… non lo so! Credevo a qualcosa però! – gli sbraitò dietro il biondo.
                – Dimmi come potevi credere che avesse potuto succedere qualcosa fra noi?! – ringhiò mio fratello. – Aiden, guardaci! – gli disse prendendolo per le spalle. – Guardaci. – avevano i visi molto vicini. – Io sono tenebre, disperazione. Tu sei... la luce più bella di tutte. Capisci che non è possibile, vero?
Aiden fece un ulteriore passo verso di lui, mettendogli le mani sui fianchi. Michael si irrigidì.
                – I tuoi occhi emanano una luce che nemmeno immagini. – sussurrò con voce graffiata il biondo. – Non puoi dirmi che non senti niente adesso, non ti crederei.
Michael strinse le labbra: – È ovvio che ti sbagli. – sbuffò, anche se non si staccò dal ragazzo.
                – Invece ho ragione.  – mormorò il Aiden. – Prova a lasciarti andare…
 Io trattenni il respiro. Arcadio aveva detto lo stesso a me.
Guardai Michael che stava fissando gli occhi di Aiden e che cercava in tutti i modi di resistere alle sue labbra. Michael, lascia che l’amore ti avvolga il cuore. Andrà tutto bene. Non devi avere paura. Pensai, cercando di fargli arrivare quelle parole, prima di abbassare lo sguardo e di sparire nelle tenebre.
                Riapparsi a pochi metri dalla sala della festa. Mi strinsi tra le braccia e mi sforzai di entrare. Cercai Arcadio tra la folla di gente. Lo individuai dietro ad una colonna con Elai e i gemelli. Li raggiunsi facendo attenzione a non colpire nessuno. Quando mi vide arrivare, Arcadio sfoggiò un sorriso meraviglioso.
                – Ehi. – lo salutai facendo un sorrisetto timido.
                – Allora te e Arcadio dove eravate finiti? – mi domandò Elai.
Io la fissai, poi guardai Arcadio in cerca di aiuto: – Abbiamo perlustrato la zona. – risposi infine secca.
Appena lo dissi, Arcadio si mise una mano sulla faccia e Elai alzò un sopracciglio incrociando le braccia al petto. Guardò me, poi Arcadio e poi di nuovo me.
                – …sicuro. – mormorò lei con sguardo accusatore.
Agl’Inferi  i discendenti di Afrodite, pensai, mentre cercavo di comunicarle con gli occhi di non dire nulla.
                – Vado a cercare Michael e Aiden, tra poco c’è la torta. – annunciò la ragazza.
                – Io ho detto che siamo andati a prendere un po’ di aria perché non stavi bene. – mi sussurrò Arcadio all’orecchio.
                – Credo che in ogni caso se ne sarebbe accorta. Discende da Afrodite alla fine. – dissi io accennando ad un sorriso.
Dopo pochi minuti ci raggiunsero Aiden, Michael e Elai. Io cercai di non guardare i due ragazzi negli occhi. Per fortuna la musica venne stoppata e la gente si fermò immediatamente a guardare le scale principali. Una figura che irradiava luce si trovava in cima ad esse. Tutti cominciarono ad applaudire quando Elena cominciò a scendere le scale tenendo un lembo del suo vestito bianco come la neve. La gonna era lunga e morbida, probabilmente di seta, che le ricadeva sulla figura facendola sembrare incredibilmente sexy. Il corpetto era in diamanti e copriva solo il seno risaliva in una sottile linea verticale per la pancia. La schiena era scoperta e i meravigliosi capelli biondi erano lasciati sciolti sulle spalle.
Io continuai a giudicarla per tutto il tragitto. Una così sarebbe stata davvero difficile da convincere.
                Arrivata in fondo, Michael si sistemò velocemente i capelli passandoci le mani e poi disse: – Io vado.
E scomparì tra la folla adorante.
                – Ce la farà secondo voi? – chiese Arcadio.
                – Certo che sì. – rispondemmo insieme io e Aiden.
                – Fra trenta minuti io e Skia andiamo su. – affermò Elai.
Ci dividemmo, ma quando vidi Aiden che non smetteva di fissare qualcuno, mi fermai vicina a lui. Mi avvicinai e cercai di capire cosa avesse attirato così tanto la sua attenzione. Michael. Che stava parlando con Elena ed erano incredibilmente vicini.
Vidi il suo sguardo duro pieno di tristezza. Gli appoggiai delicatamente una mano sul braccio e lui mi guardò come se si fosse appena accorto che io fossi arrivata.
                – Lui tiene a te più di quanto credi. – gli sussurrai sicura nella voce.
Il suo sguardo sembrò addolcirsi e un sorriso si irradiò lentamente nel suo volto. Tornò a fissare mio fratello dall’altra parte della stanza.
Dopo qualche minuto di silenzio mi disse: – È questo che deve fare un Generale.
                – Come? – chiesi senza capire.
                – Donare forza. – mormorò mettendo una mano sulla mia, che era appoggiata sul suo braccio. – E speranza.
Io gli sorrisi, sinceramente. Poi mi appoggiai a lui con la testa. Chiusi gli occhi e non smisi di sorridere: avevo trovato un’altra famiglia.
                – Skia! – mi chiamò qualcuno poco dopo. Io aprii gli occhi e mi guardai intorno. Elai stavo venendo verso di me. – Dobbiamo andare.
Io guardai le scale e notai Michael che le salive mentre teneva per mano Elena.
                – È stato veloce. – commentai, visibilmente impressionata da mio fratello.
                – Seriamente? – domandò Elai alzando un sopracciglio. – Certo, sei sua sorella.. ma insomma, l’hai visto? Chi potrebbe resistere a quegli occhi neri e a quegli zigomi?
                – Elai.. non eri follemente innamorata di Samuel? – chiese Aiden con un sorrisetto.
Lei divenne tutta rossa e gli diede un pugno, non per niente leggero, sul braccio.
                – Stai zitto! – ringhiò.
Per essere una discendente di Afrodite non è molto capace a controllare il suo di amore, pensai.
                – È giusto che lo sappia. È il tuo Generale infondo. – si difese il ragazzo.
                – Samuel? – domandai con un sorriso. – È perfetto per te.
                – Sì, solo che non ha ancora trovato il coraggio di dirglielo. – spiegò Aiden.
                – Troverai il momento giusto. – la rassicurai mettendole una mano sulla spalla. – E sono sicura che lui prova qualcosa per te. Hai visto come ti guarda?
Lei mi sorrise, un sorriso pieno di speranza.
                – Ora è meglio se andate. – constatò Aiden.
Annuimmo e andammo a cercare i gemelli di Ecate. Li portai tutti ai piani superiori con le ombre e ci cambiammo i vestiti con la magia. In un certo senso era quasi contenta di tornare con i miei pantaloni strappati e la felpa nera piena di coltelli.
I gemelli uscirono dalla finestra per prepararsi alla fuga e noi ci avviammo silenziosamente per i corridoi, fino a quando non sentimmo dei suoni provenire da una stanza sulla destra.
Feci segno ad Elai dietro di me di fare silenzio e aprii lentamente la porta, abbastanza per vedere Michael che baciava con molta (troppa) passione la principessina.
Per poco non vomitai.
Mi feci coraggio e entrai mentre Elai chiudeva la porta dietro di me. Michael, sentendomi entrare, ribaltò le posizioni nel letto, mettendosi in ginocchio dietro alla ragazza, bloccandole la bocca con una mano  e con l’altra le fermò e braccia dietro alla schiena.
                – Ciao Elena. – la salutai tranquillamente.
Lei cercò di liberarsi dalla stretta, ma mio fratello era bravo in queste cose.
                – Non vogliamo farti del male. – le spiegai. – Vogliamo solo parlare.
Lei mi fissò come se volesse uccidermi. Poi Michael urlò, lasciandola andare. Cadde sul letto contorcendosi.
Io la fissai incredula. E chi lo sapeva che fosse capace ad usare i poteri della sua discendenza.
                – Che cosa vuoi, Skia? – sibilò con i pugni stretti.
                – L’Oracolo ti ha parlato? – chiesi con un briciolo di speranza.
                – Mi parla da quando sono nata. – ringhiò. – Vedo il tuo viso ogni notte che compio gli anni. Mi hanno dato della pazza. Mio padre mi ha insegnato a non fidarmi dei nemici del Consiglio.
                – È il tuo destino. Tuo padre non può capire. – cercai di spiegarle. – L’Oracolo, gli dei, ti hanno scelta per far parte dell’esercito che riporterà la pace sulla terra. Devi…
                – Un esercito? – chiese per poi scoppiare a ridere amaramente. – Con una ragazzina come Generale?
Feci una smorfia cercando di mantenere la calma: – Gli dei hanno scelto me per condurvi, ma io ho bisogno di ognuno di voi.
                – Gli dei non possono aver scelto la discendente di un dio dimenticato come giuda. – commentò acida. Stavo perdendo la pazienza. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu: – Cosa credi di poter fare, discendente di Ade? – mi sfidò, cominciando a gravitare a pochi centimetri dal suolo.
Ringhiai e sprigionai le ombre che mi scorrevano nel sangue, formando un’esplosione di tenebre che oscurò la stanza piena di luce.
                – Fatti avanti, principessina. – la sfidai a mia volta fissandola con gli occhi completamenti neri.
Lei sorrise soddisfatta e mi scaricò addosso un fulmine che riuscii a deviare per un pelo. La fissai assassina e le scagliai contro le ombre che stavo tenendo a bada. Poi mi teletrasportai al suo fianco e la portai a terra, facendole sbattere la schiena sul pavimento di marmo. Si formarono delle crepe sotto di noi. Era come se i nostri poteri fossero amplificati.
Lei mi prese i polsi e lanciò una scarica elettrica che mi fece tremare e urlare dal dolore. Caddi a terra, dandole la possibilità di alzarsi. Mi ripresi in pochi secondi e mentre stava per lanciarmi un’altra scarica, l’accecai con le tenebre. Elena barcollò all’indietro e andò a sbattere contro il muro. Le presi i polsi e la bloccai mentre l’aria attorno a me cominciava a diventare pericolosamente fredda. 
                – Skia basta! – gridò una voce femminile dietro di me. Elai stava usando la lingua ammaliatrice.
Io mi bloccai ed improvvisamente tutte le ombre svanirono. Avevo il fiatone e mi allontanai dalla ragazza che cadde a terra stremata.
                – Skia? – mi chiamò Elai. Mi voltai verso di lei e la trovai a qualche metro da me. Michael era dietro di lei e mi stava fissando incredulo. Avevano paura.
                – Che è successo? – domandai.
                – La stavi per uccidere. – mormorò Elai facendo un cenno con la testa ad Elena.
                – Ho visto la sua anima che stava uscendo da corpo. – aggiunse Michael.
Io mi bloccai. Avevo davvero fatto una cosa del genere? Mi guardai le mani e le nascosi nelle tasche, come se potesse cancellare quello che avevo appena fatto.
Elena era svenuta sul pavimento. Il vestito era in brandelli e il suo viso era di un pallore inquietante.
                – Prendetela e portiamola via. – ordinai, mentre continuavo a fissare il suo corpo steso al suolo.
Elai e Michael ubbidirono, e la presero in braccio. Uscimmo dalla stanza in silenzio, dirigendoci verso la finestra dove ci aspettavano gli altri.
Michael ci portò giù con le ombre e appena Arcadio mi vide, si avvicinò a me. Io, però, mi allontanai, richiamando l’attenzione di tutti.
                – Andiamo a casa. – dichiarai cominciando ad incamminarmi, tenendo sempre le mani dentro alle tasche.
                – Cosa è successo? – chiese Aiden toccando una guancia ad Elena. – Sento a malapena il suo cuore battere.
Mi bloccai, trattenendo il respiro. Mi voltai verso gli altri.
                – Ho perso il controllo. – spiegai tenendo gli occhi bassi. Non riuscivo a guardarli. – Ho rischiato di ucciderla.
                – Cosa?! – gridò Aiden.
                – Sta bene. – lo rassicurò Elai. – L’ha solo tramortita. Non è successo niente.
A momenti ci credetti pure io alle sue parole. Aveva usato la sua lingua ammaliatrice per convincerli.
                – Andiamo a casa. – ripeté Michael.
               
 
 
 
 
 

 

Nota dell’autrice: Perdonatemi ma devo scappare (di nuovo) perché domani ho compito di fisica e devo mettermi a studiare per bene!
Un bacione a tutti
Silvia



Elena (Zeus): Elena di Troia era una figlia di Zeus.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV












Il silenzio invadeva il luogo dove mi trovavo. Le uniche cose che sentivo erano il mio cuore che batteva e il mio respiro controllato.
Una debole luce con una provenienza sconosciuta illuminava un trono davanti a me. Non era un semplice trono però. Quando mi avvicinai capii come mai emanava così tanta luce, anche in un luogo così immerso nel buio: era interamente fatto di ossa.
Una figura scura vestita in una lunga tunica nera era seduta sopra. Non riuscivo a vedere il suo volto, ma ero sicura di aver già visto questa immagine quando le tenebre mi avevano inghiottita.
Solo una persona, o meglio, un dio, poteva essere davanti a me.
Quasi istintivamente mi inginocchiai salutando con rispetto il Signore degli Inferi.
“Manca poco tempo, Skia.”
Stavo sognando. Sentivo la sua voce tremante e ovattata.
“Il tempo è quasi giunto, recuperate gli ultimi e agite in fretta. Rendimi fiero.”
“Mio Signore, sarà fatto quanto chiedete.”
“Ascoltami: recati al mio tempio, nel colle. Ho un dono per te.”
 
 
Venni svegliata da un leggero rumore di passi sulla roccia.
Sbattei le palpebre e lentamente aprii gli occhi, mentre mettevo dritta la testa con una smorfia.
                – Ehi. – mi salutò piano Arcadio, avvicinandosi a me.
Portai una mano al collo dolorante, cercando di massaggiarlo. Non era il massimo dormire seduta per terra con la schiena appoggiata al muro di roccia.
Lui si piegò sulle ginocchia per arrivare più o meno alla mia altezza e mi diede un leggero bacio sulla fronte.      – Ciao. – gli sussurrai di rimando, aggiungendo un sorriso tirato.
                – Non ti va di andare a stenderti e a riposare? – mi chiese accarezzandomi una guancia.
Mi beai di quella bellissima sensazione.
                – Ho dormito qui. – risposi.
                – Intendevo su di un letto vero. – continuò lui. – Sono giorni che sei qui…non si sveglierà perché continui a guardarla.
Io rivolsi uno sguardo altre alle sbarre di tenebre.
                Dopo la fuga dal ballo, arrivati al quartier generale, ho dovuto spiegare per bene cos’era successo, predendomi tutta la responsabilità. Elena non si svegliava e Michael aveva insistito per tenerla dietro alle sbarre per la sicurezza di tutti. Aiden aveva fatto il possibile per salvarla, ma erano giorni che non dava segni di vita.
In un certo senso, mi sentivo di dover starle vicino. Ho deciso di mettermi a guardia della cella e di aspettare il suo risveglio… principalmente per scusarmi.
                – Non è stata colpa tua.
                – Tu non eri lì. – lo fermai, fredda.
Michael ed Elai avevano cercato di difendermi, spiegando che in effetti mi aveva provocata. Gli altri mi avevano perdonata, ma io non riuscivo a capacitarmi dell’orrore che avevo commesso.
                – Come potete accettare quello che ho fatto? – chiesi. – Stavo per ucciderla. Le ho tolto l’anima dal corpo.
                – Ognuno di noi ha commesso dei crimini per salvarsi o per salvare i propri cari. – mi spiegò. – Skia, non sei la prima che ha ucciso e non sarai nemmeno l’ultima.
Serrai le labbra, pensierosa.
                – Come ha reagito il padre? – domandai, cambiando argomento.
                – Siamo messi male. – mormorò con gli occhi bassi. – Le guardie sono raddoppiate. Le truppe sorvegliano ad ogni ora il centro e la periferia è praticamente impenetrabile. Forse molti discendenti sono ancora lì e sarà impossibile raggiungerli. In più, il cibo comincia a scarseggiare.
Mi resi conto che era troppo tempo che non stavo con loro e che non gli aiutavo. Dovevo riprendere in mano la situazione, cominciando dal sogno che avevo fatto. Dovevo capire di che colle stesse parlando Ade.
                 – Manda Michael, Maia ed Orion a prendere provviste, questa notte. – cominciai, alzandomi in piedi dopo tanto tempo. Sentivo le gambe indolenzite, ma pronte a rimettersi i moto. – Poi dì ad Emphys, Achlys e a Perse di cominciare ad allenare i nuovi arrivati, sia con i poteri che con la spada. 
Lanciai un ultimo sguardo alla ragazza con gli occhi chiusi, prima di dirigermi verso la sala comune, seguita a ruota da Arcadio.
                – Elai baderà alla ragazza e lascio a Samuel il comando mentre sarò via. – continuai.
                – Dove devi andare? – mi chiese prima di entrare nella sala comune.
                – Andrò fuori con Aiden, devo trovare un posto. – spiegai velocemente. – Dopo di che cercheremo gli altri. Se è vero quello che ho sentito, non abbiamo molto tempo. – conclusi.
Prima che entrassi nella stanza, Arcadio mi prese per un braccio e mi spinse addosso al muro di roccia. Me lo ritrovai a pochi centimetri dal viso.
                – Non mi ha assegnato nessun compito, Generale. – sussurrò con un sorriso. – Mi ritiene forse un cattivo soldato.
Mi leccai le labbra cercando di restare seria: – Vedi di essere qui, quando tornerò. Poi vediamo come potrai soddisfare al meglio il tuo Generale.
Okay. Ma questo da dove usciva? Mi chiesi mentre gli baciavo con intensità quelle sue meravigliose labbra, per poi lasciarlo nel buio del corridoio.
 
 
 
                – Un tempio di Ade su di un colle? – mi chiese Aiden. – Ne conosco uno abbandonato.
                – Meglio sbrigarci allora, sta per diventare buio. – constatai.
Lui mi fissò pensieroso, ma poi acconsentì.  
Salimmo le scale di pietra e trovai Sofos che riposava facendo le fusa vicino all’uscita della miniera. Gli accarezzai lentamente la piume nere e lui si svegliò alzandosi sulle zampe.
                “ Salve, padrona.” mi salutò gracchiando leggermente.
                – Sofos, ti ho detto di non chiamarmi così. – lo corressi passando una mano sulle sue piume così morbide. – Ti dispiace dare un passaggio a me e ad Aiden?
                “ Al discendente di Apollo?” domandò scuotendo la testa. “Anche no.”
                – Cos’ha detto? – mi chiese Aiden.
                – Che accetta. – risposi velocemente io fissando male l’ippogrifo. Poi salimmo in groppa e io gli sussurrai all’orecchio: – Cerca di essere più gentile.
Mi sembrò di sentirlo ridacchiare mentre prendeva la rincorsa e di prendere il volo.
Uscimmo dalla grotta che era sera, poco prima del tramonto. Aiden ci condusse verso nord, e arrivammo ai piedi del colle che ormai era il cielo si stava colorando di arancione e rosso. Scesi dalla groppa di Sofos accarezzandogli il muso per ringraziarlo.
                – Aspetta qui. – lo fermai prima che ci seguisse. Lui abbassò la testa per acconsentire.
Fissai la sua cima visto che non era molto alto. Era completamente ricoperto di salici piangenti e non riuscivo a scorgere un  tempio da quella posizione.
                – Dobbiamo andare verso la cima. – disse Aiden. Io lo seguii in silenzio, mentre mi spiegava la storia del colle. – Nei tempi passati veniva chiamato Viminale, per la numerosa presenza di salici, ed è il colle più piccolo dei sette che ci sono a Nuova Roma.
                – Chiaro che abbiamo messo un tempio di Ade qui. – commentai.
                – Io non sottovaluterei tanto il tuo dio. – rispose Aiden. – Ade controlla la morte e di conseguenza anche la vita. È molto più che poter curare le persone e cantare divinamente. – scherzò indicandosi.
Ridacchiai.
                – Io credo che lo abbiamo messo qui più per paura del suo potere. – concluse infine.
Alzai un angolo della bocca pensando che mi piaceva parlare con lui. Pensai che infondo l’Oracolo mi aveva fatto un favore a farmi conoscere dei ragazzi così speciali.
                – Siamo arrivati. – annunciò scostando l’ultimo ramo di un salice.
Davanti a noi si apriva una voragine nella collina.
                – Scendiamo. – annunciai, andando in testa. Aiden cominciò a emanare luce per poterci indicare la via.
Trovai delle scale di pietra e appena cominciammo a scendere sentii dei sussurri, come qualcuno che continuava a chiamarmi. Mi voltai più volte da tutte le parti, ma non vedevo nessuno.
Man mano che scendevamo sempre più in profondità, le voci aumentavano di intensità, tanto da diventare quasi assordanti. Sentivo i morti che mi parlavano, che reclamavano di essere ricordati e riconosciuti. Morti senza nome e senza riposo. Lamenti di donne, uomini e pianti di bambini.
Poi tutto cessò.
Improvvisamente il tunnel in cui eravamo entrati si aprì in uno spazio enorme che non riuscii a definire.
                Reclama ciò che è tuo di diritto.
Sentii la presenza di Ade in quel posto. Guardai Aiden che respirava a fatica e la sua luce si stava indebolendo. Dovevo sbrigarmi o sarei stata costretta a trascinarlo via da lì privo di sensi.
Ade era il dio dei morti, ma anche delle viscere terrestri, ricordai.
                Reclama ciò che è tuo di diritto.
Alzai un braccio di fronte a me e chiusi gli occhi. Percepii qualcosa con la punta delle dita, qualcosa che era sepolto. Ondeggiai lentamente le dita sentendo le viscere della terra che si contorcevano al mio comando. Cercai la causa di quel formicolio e quando lo sentii più vicino, strinsi la mano a pugno afferrando qualcosa di metallico e di freddo.
Aprii gli occhi: riuscivo a vedere nel buio la lama nera che stringevo nella mano. L’elsa in argento puro, scintillava con alla fine incastonato un teschio.
Sorrisi di gioia. Feci un inchino e corsi fuori con Aiden che arrancava.
                Fuori all’aria aperta era notte fonda. Eppure era solo il tramonto quando eravamo scesi. Il discendete di Apollo creò un alone di luce attorno a sé, ritornando a respirare normalmente.
Io non riuscivo a smettere di guardare la mia spada.
                – Smettila di fissarla così, mi fai quasi paura. – mormorò Aiden appoggiandosi alle ginocchia.
Io ridacchiai, presa dall’euforia: – Scusami. Sono…è…bellissima.
Poi sentii dei rumori. Provenivano dal fondo della collina. Erano grida di uomini. Anche Aiden se ne accorse, perché smise di risplendere e mi prese per mano per trascinarmi verso una sporgenza.
Nascosti dai rami dei salici, scrutammo i piedi del colle. Delle torce sulla lontananza si stavano avvicinando molto velocemente. L’Armata, pensai.
                – Stanno cercando noi? – chiesi.
Aiden indicò un punto poco più in là dell’Armata: – Stanno cercando loro.
Ci misi un po’ ad identificare quelle figure sotto la debole luce della luna. Vidi due ragazzi che stavano sorreggendo un terzo mezzo svenuto. Un quarto stava brandendo una spada che rifletteva la luce della luna.
                – Io vado da quello svenuto. Tu porta quello con la spada via con Sofos. – decisi alzandomi. Corremmo sul versante opposto della collina mentre Sofos continuava a gracchiare allarmato.
                – Devi riportarli al quartier generale senza che li tocchino, capito? – affermai mentre cercavo di calmarlo.
Strinsi l’elsa della mia spada e corsi seguita da Aiden verso il gruppo di ragazzi. Arrivammo troppo tardi. L’esercito dell’Armata li aveva accerchiati. Ci nascondemmo all’ombra dei rami di alcuni salici più bassi e cercai di ascoltare il dialogo.
                – …di scappare? – disse un soldato.
                – Vi prego, ascoltateci. – cominciò uno dei ragazzi che sorreggeva quello svenuto. – State combattendo dalla parte sbagliata. Dovete aiutarci.
                – Ferma la tua lingua, misero discendente di Estia! – lo minacciò il soldato avvicinandosi di un passo verso i ragazzi. Quello con la spada, in testa al gruppo, avanzò a sua volta arrivando quasi a far toccare le due lame. I suoi capelli avevano una stranissima colorazione sull’argento-oro sotto la luce della luna.
                – Ora tornerete con noi in prigione, dove meritate di stare! – ordinò il soldato per poi fare cenno agli altri di prenderli.
Fu allora che uscii allo scoperto, ricevendo un’occhiata sorpresa da parte di Aiden.
                – L’unico posto in cui meritano di stare è al mio fianco. – gridai attirando tutta l’attenzione su di me. Camminai lentamente verso il gruppo preparandomi a combattere. – Insieme agli altri soldati della Nuova Armata dell’Olimpo.
Sinceramente, mi aspettavo di tutto. Ma non che i soldati si mettessero a ridermi in faccia. Nessuno mi ride in faccia.
Sprigionai un’ondata di tenebre che zittirono improvvisamente tutta la folla.
                – Allontanatevi e non vi ucciderò. – li minacciai.
Nessuno si mosse, ma notai una certa incertezza nei loro sguardi.
Feci un cenno con la testa verso Aiden guardando il ragazzo con la spada in mano. Lui annuì abbassando la lama e cercò di uscire dal cerchio di soldati. Ma due si misero in mezzo.
                – Eh va bene. – mormorai infine. – Però io vi avevo avvertiti. – conclusi prima di annebbiare la vista di tutti i soldati. Tra le grida, corsi verso i due ragazzi che sorreggevano quella svenuta, perché sì era una ragazza.
                 – Prendetemi le mani. Vi porto via. – dissi porgendole verso di loro.
I due non si esitarono e si aggrapparono a me. Stavo per tuffarmi dentro ad un’ombra, quando il fianco cominciò a bruciarmi. Troppo. Gridai forte e estrassi la spada stringendo i denti. Mi voltai e incontrai la cicatrice dell’uomo con l’impermeabile. Ringhiai.
                – Non mi perdo nei tuoi giochetti da discendente di Ade. – mormorò l’uomo con un ghigno.
                – Andate dal biondo. – ordinai ai ragazzi senza smettere di fissare l’uomo.
Li vidi passare vicino a me.
                – Cerco di catturare quattro fuggitivi e mi ritrovo il Generale in persona. – mi canzonò lui girandomi intorno. – Che strano, dall’ultimo nostro incontro ti vedo molto più sicura di quello che stai facendo.
Non aprii bocca, mi limitai a fissarlo male.
                – E dimmi, Arcadio è qui perché è morto oppure?... – continuò prendendosi gioco di me.
                – È vivo e non vede l’ora di prenderti a calci nel culo. – risposi finalmente io. – Ma per il momento lo faccio io al posto suo.
Detto questo mi fiondai su di lui e rotolammo a terra.
 
 
Stavo correndo. Da tanto, tantissimo.
E cominciavo a sentire che stavo per svenire.
                – Muoviti! Ci stanno per raggiungere!
Il mio “giochetto” della cecità era durato poco perché mentre prendevo a pugni l’uomo con la cicatrice, due soldati mi bloccarono le braccia dietro alla schiena e mi misero in ginocchio. L’uomo si alzò pulendosi il sangue della faccia con la manica. Non smisi di stringere i denti in un ringhio mentre lo fissavo.
                – Il nostro Generale si tiene allenato. – mormorò con un ghigno. – E ora verrai con noi.
Stavo per cercare di liberarmi quando una freccia trapassò da parte a parte l’odioso uomo davanti a me. I suoi occhi rimasero incollati ai suoi, completamente spalancati. Si portò la mano al petto mentre cadeva a peso morto ai miei piedi.
Altre due frecce vennero scoccate da un punto impreciso davanti a me colpendo i due uomini che mi tenevano fermi.
                – Corri! – gridò una figura che impugnava un arco davanti a me.
Io non ci pensai due volte e mi liberai dalla stretta ormai debole dei due uomini. Mi alzai e una fitta mi colpì il fianco dove la lama mi aveva ferita. Strinsi i denti e mi diressi verso quella figura che mi prese per mano mentre correva via. Dietro di noi il resto dei soldati ci stava raggiungendo.
                – Muoviti! Ci stanno per raggiungere! – mi incitò quella che mi sembrava la voce di un ragazza.
Ansimai e mi aggrappai di più a lei: – Chi sei?
                – Non è importante. – mormorò lei. – Dove si trova l’entrata del quartier generale? – mi chiese.
                – Dimmi chi sei? – ripetei dolorante.
La sentii sbuffare sotto al cappuccio che le copriva il viso: – Sono stata scelta dall’Oracolo. – mi rispose sbrigativa. – Ora dimmi dov’è il quartier generale se non vuoi morire dissanguata.
Annuii e la condussi verso l’entrata della miniera mentre gli uomini continuavano a cercarci. Mi affidai completamente alla mia memoria per non inciampare o far cadere anche lei.
Scesi le scale praticamente in braccio suo e quando arrivammo infondo, entrando nella stanza principale, vidi un gruppo di ragazzi che parlavano fra loro. Riconobbi Arcadio che, appena mi vide, corse verso di me con lo sguardo preoccupato.
Mi prese dalle braccia della ragazza e mi sistemò per terra dove c’erano varie coperte. Sentii il calore del pavimento che mi faceva sentire un po’ meglio. Per tutto il tempo continuai a tenere la spada di Ade stretta nella mano.
                – Aiden! – urlò Arcadio mentre mi alzava la maglietta nera mostrando la ferita piena di sangue che mi bagnava tutto il ventre.
                Il biondo arrivò poco dopo insieme a mio fratello. Michael si inginocchiò dietro alla mia testa e mi prese una mano chiudendo gli occhi.
                – Cosa stai facendo? – gli chiesi.
                – Me l’ha insegnato Aiden. – rispose stringendomi di più le mani. Sentii il dolore che mi abbandonava lentamente mentre Aiden mi stava medicando la ferita profonda. Dopo dieci minuti mi sentivo un po’ meglio. Il discendete di Apollo mi fasciò il ventre quando finì di curarmi e mi fece sedere contro il muro di pietra dietro di me. Michael si appoggiò al mio fianco, pieno di sudore e molto più pallido del solito.
Arcadio mi prese il viso fra le mani e mi diede un leggero bacio sulla fronte.
                – Perché lei è qui?! – gridò qualcuno dietro al discendente di Pan.
Cercai con lo sguardo e Achlys era tenuta ferma da Samuel. Seguii il suo sguardo e vidi che fissava in modo assassino la ragazza che mi aveva salvata. Si era tolta il cappuccio e i suoi capelli lunghi castani tagliati in una frangetta mi coprivano in parte i suoi occhi.
                – Mi ha salvata. – intervenni io cercando di alzarmi in piedi con calma. Sentivo delle fitte di dolore, ma non ci feci caso. – Vi conoscete? – domandai avvicinandomi al gruppo di ragazzi che si era formato.
                – Tutti la conoscono. – rispose Elai incrociando le braccia al petto. – Tutti conoscono i discendenti di Artemide.
                – Delle teste di cazzo che pretendono di avere regole proprie. – commentò acidamente Maia.
                – Credono di poter agire come vogliono e autonomamente. – continuò Arcadio. – I peggiori discendenti per essere in un esercito.
                – Vivono da nomadi e sono disonesti. – si aggiunse Aiden. – Dovremmo essere una specie di cugini alla lontana visto che gli dei da cui discendiamo sono gemelli.
Per tutto il tempo che venne insultata, la ragazza rimase in silenzio e strinse i pugni.
                – Sono stata chiamata dall’Oracolo a seguire l’esercito della nuova Armata. – ringhiò fissando i presenti. – È vero che noi discendenti di Artemide preferiamo vivere da soli e da nomadi. Ma la dea mi ha detto di unirmi a voi. Ebbene sono qui per compiere il mio destino.
                – Non voglio una doppiogiochista nell’esercito. – la minacciò Maia.
                – Io sono il Generale. – mi intromisi alzando leggermente la voce, ma rimanendo composta. – Se l’Oracolo l’ha scelta, lei deve far parte del nostro esercito. In più, come vi ho già detto, mi ha salvato la vita. – le rivolsi un sorriso. – A me basta per fidarmi di lei.
                Alcuni ragazzi sbuffarono, altri alzarono gli occhi al cielo.
Io però credevo in lei.
                – Come ti chiami? – le domandai avvicinandomi a lei.
                – Dalya. – mi rispose con un mezzo sorriso. – In onore della città dove Artemide è nata: Delo.
                – Benvenuta nell’esercito della nuova Armata dell’Olimpo. – dissi, dandole ufficialmente il benvenuto nella compagnia. – Per gli altri… vedrai che impareranno ad amarti. Sono riusciti ad accettare una discendente di Ade come Generale per cui..
                – Grazie. – mi rispose annuendo.
Io le misi un braccio attorno ad una spalla e provai ad abbracciarla per ringraziarla a mia volta.
Ad un certo punto, Erik entrò di corsa nella stanza: – È sveglia! – esclamò, per poi cercare i miei occhi. – La discendete di Zeus si è svegliata.








Dalya (Artemide): Da Delo, città dove Artemide e Apollo sono nati.

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