Sangue Misto

di Pandora_2_Vertigo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16_Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Trasferirsi in una città. Nuova casa, nuova gente, nuovi panorami, nuova vita. Significa sempre lasciare qualcosa alle spalle, lasciarsi dietro un passato, una vita, breve o lunga che sia stata. Significa ricominciare da capo una nuova vita. Il mondo ti da una seconda possibilità. O così credi.
Perché il passato non ti molla, per quanto tu ti possa credere libera, per quando creda di aver lasciato indietro tutto e che questo non possa più ritornare, ci sono ricordi, immagini, frasi e punti fermi. Quei punti fermi che non ti lasciano, che ti seguono, che vivono con te. Non è così facile ricominciare da capo, perché è solo la continuazione, è solo aver ripreso una storia lasciata perdere per poco tempo, giusto quello per preparare le tue cose e partire, prendere un treno. Giusto il tempo che ti lasciano dei puntini di sospensione.
… uno
… due
…tre
 
 
Nuova vita per me. Nuova casa per me. Nuovo lavoro per me, o meglio nuovo posto di lavoro, perché quello che so fare non cambia: infermiera sono e infermiera resto, cambia l’ospedale, cambiano i colleghi, quello che non cambia sono i familiari che attendono impazienti e speranzosi in sala d’aspetto, le file all’accettazione, il continuo e infinito via vai di persone e purtroppo non cambia il suono dell’ambulanza, il sangue, articolazioni rotte. Il sorriso, il sorriso delle persone che aiuti, che ti ringraziano, che si mettono nelle tu mani, o meglio nelle mani dei dottori, alla fine il grosso lo fanno loro. Io sono solo un’infermiera.

- Signorina Murphy.. Kristina Murphy – “chi mi chiama?” penso girandomi verso quella voce; mi volto e vido un uomo, sulla quarantina passata, alto, un po’ stempiato, dotato di pancetta e camice bianco
- Si sono io – rispondo subito
- Mi segua nel mio ufficio, prego
- Dunque signorina, lei si è trasferita qua dal Minnesota, da Minneapolis giusto? – continua lui dopo essersi seduto dietro una scrivania piena di carte ammucchiate, tenendo in mano il mio curriculum vitae
- Si signore – rispondo mentre mi accomodo sulla sedia di fronte. faccio un po’ fatica a vederlo dietro quella montagna di carte, seppur ordinate.
- Non mi chiami Signore, siamo in un ospedale, non nell’esercito. Mi chiami Capo – e mi sorride gentile
- Va bene, Capo
“eh si, così invece mi sembra di essere al porto e fare la scaricatrice” penso, “va beh pazienza, vada per il Capo”. Sorrido anche io.

- Ha studiato alla Minnesota State University..
- Esattamente
- E ha lavorato per due anni…
- All’ Immanuel St. Joseph's Hospital, come infermiera al pronto soccorso – lo anticipo e sorrido ancora. Sempre sorridente, non smettere mai di sorridere, aiuta a fare buona impressione a lui, ma anche al mondo intero.

- Molto bene. E come mai si è trasferita qui da noi? Non le piaceva il Minnesota?
- Mi è stata offerta un’opportunità di lavoro qui da voi, ed essendo giovane e senza troppi legami…perchè no?
- Bene. Allora benvenuta a Denver signorina, benvenuta al Denver Health Hospital and Clinics. – mi sorride nuovamente, anche lui vuole fare buona impressione.
- La ringrazio…Capo.
- Comincerà a partire da settimana prossima. Intanto si goda questa bella città.
- Lo faro. A presto – gli stringo la mano, esco da quell’ufficio, dall’edificio, e respiro l’aria fredda di Denver in dicembre.

Avevo deciso di tornar alla mia nuova casa a piedi, dopo tutto l’aveva detto pure il Capo: si goda questa bella città. Si questo ero, una turista per una settimana, alla scoperta della città, della mia nuova città, tanto valeva camminarci e guardare la gente sui marciapiedi, chiusa dentro i cappotti per il freddo, o nei bar a bersi un bel caffè o una cioccolata calda. Si, avevo voglia di cioccolata calda.
Entro in un bar piccolo dall’aria così accogliente da catturarmi al volo. Ordino e non appena il cameriere mi porta la mia bevanda il cellulare comincia a vibrare.
- Pronto?
- Ciao Kris, allora il colloquio come è andato? – una voce allegra dall’altro capo, la conoscevo bene, era Frederic il mio fratellone
- Ciao Fred, come è andata…è andata! Inizio tra una settimana e nel frattempo sono in esplorazione. – rispondo con voce allegra, la cioccolata già faceva effetto, mi dava sempre un senso di euforia.
- Bene! E la casa? Ti sei sistemata?
- Beh si, più o meno– la mia mente va subito alle pigne di scatoloni nel salotto di casa, agli scaffali vuoti, ai pochi vestiti nell’armadio e alla due valigie ancora da disfare. Emicrania immediata
- E questo cosa vorrebbe dire?
- Eddai Fred, sono arrivata da neanche due giorni, dammi il tempo di riprendermi dal viaggio, e poi oggi ho avuto il colloquio. Tra poco vado a casa e comincio a sistemare. Ma ti prego non mi assillare, manco fossi la mamma!
- Già, la mamma… - la sua voce era diventata subito più triste
- A proposito, come sta? – chiedo con un tono più basso
- Come vuoi che stia? Manca solo che la abbandoni anche io… prima papà, ora tu sei partita senza un motivo logico…si sente sola, e io non sempre riesco a tirarla su.
- Ora sarebbe colpa mia? – replico un po’ indispettita
- Lo sai cosa voglio dire Kris! – si stava arrabbiando e sbuffava anche
- Si lo so, non ho dimenticato la situazione, non potrei mai farlo
La mia vita stava tornando a riprendermi…mio fratello, mia mamma…
 
Quella conversazione stava degenerando, come ogni conversazione negli ultimi tempi con mio fratello, quindi cercai di tagliare corto. Lui mi salutò con una minaccia:
- Lasciamo perdere. Comunque sappi che preso ti verrò a trovare per vedere come stai.
Praticamente gli chiudo il telefono in faccia.
La cioccolata ormai non mi va più, quella conversazione l’aveva resa amara, oltre che fredda. Pago ed esco dal bar dirigendomi a piedi verso casa, facendo attenzione ad evitare i cumuli di neve ai bordi del marciapiede.
Ci impiego mezz’ora ad arrivare al mio appartamento, in un vecchio palazzo alla periferia ovest di Denver. Abito al terzo piano, per fortuna con l’ascensore, anche se di quelli vecchi, tipo in ferro battuto che si aprono e si chiudono a mano. Sembra proprio una gabbia, ma mi evitava le scale e questo mi basta.
Prendo le chiavi dalla borsa, le infilo nella toppa della porta. Uno, due, tre, quattro, cinque giri. Trovo a tastoni l’interruttore della luce e lo premo. Davanti a me si parano una mezza dozzina di scatoloni a malapena aperti sul pavimento, in quello che era la stanza principale del mio piccolo loft; per il resto la stanza era riempito da un divano verdone su cui mi abbandono dopo essermi tolta cappotto e guanti , un tavolo pieno di libri, una libreria grande, ma mezza vuota, ancora da riempire e un mobile su cui erano appoggiati la televisione e il telefono.
Dalla mia posizione comatosa sul divano mi giunge il suono di un campanellino e subito dopo vedo una massa di pelo grigio-blu che trotterellando si avvicina a me.
- Vieni qui piccola! Come stai? Ti sono mancata?
- Miaoooo! – fu la sua risposta.
La mia miciona Mya ha fame. Quel batuffolone di pelo dagli occhi gialli è già a pancia all’aria per farsi coccolare. Decido quindi di alzarmi e dopo averle dato da mangiare inizio a sistemare un po’ delle mie cose, a cominciare dai vestiti che erano in valigia da due giorni almeno. Tirando fuori i vestiti dalla valigia trovo anche una foto che avevo portato con me: risaliva ad un paio di anni fa e ritraeva me a 21 anni il giorno in cui cominciai a lavorare come infermiera all’Immanuel St. Joseph's Hospital, con mio fratello e i miei genitori, quando ancora tutto andava bene. Quando papà stava bene.
Mi siedo sul letto a due piazze e rimango non so quanto a fissare quella foto; comincio a pensare alla mia famiglia, a mio papà morto da poco più di un anno per un incidente d’auto, a mia madre distrutta da quella perdita, a mio fratello che aveva preso le redini della famiglia e a me, che avevo continuato come se nulla fosse successo, per non cedere, per non ritrovami come mamma.
Un solletico caldo e morbido sulle gambe mi riporta alla realtà. Anche Mya è parte della mia famiglia, della mia vita che non mi abbandona mai…

Poggio la foto sul comodino affianco al letto e riprendo a sistemare i vestiti, svuotando entrambe le valigie. Sarebbe dovuto toccare agli scatoloni, ma non ne avevo proprio voglia.
Prendo una borsa nera ai piedi del letto e tiro fuori il mio pc portatile; grazie al cielo nell’appartamento c’è la connessione internet! Apro la posta elettronica e scrivo subito una mail a Erika la mia amica d’infanzia che ora vive a New York. Lei ha trovato il coraggio prima di me di lasciare il Minnesota per trovare la sua strada.
Lei aveva trovato il coraggio, io avevo trovato la via più comoda per non affrontare la mia realtà, la mia famiglia… e nonostante tutto, dovevo ammetterlo, mi mancava casa mia.

Ciao, storia che avevo pubblicato anni e anni fa su un forum e che ora riprendo e sistemo un pò.
Spero possa interessare.
Buonanotte

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Capitolo 2
*** 2. ***


Arrivata sera faccio una doccia calda. Ci voleva proprio. I miei pensieri si sciolgono con il vapore dell’acqua bollente sulla pelle e mi scivolarono addosso; quando chiudo il getto della doccia la mente è libera, sgombra.
Mi avvolgo l’asciugamano addosso e mi affaccio al grande specchio del bagno, che mostra la mia intera figura: alta e snella, con linee morbide; viso tondo, con labbra carnose e occhi verdi appena nascosti da un frangetta portata di lato, capelli castani e lunghi fino a metà arricciati in eleganti boccoli naturali.
Passo una mano sullo specchio appannato a causa del vapore, per vedere sul mio fianco la mia voglia a forma di cuore. Era sempre stata lì da che mi ricordassi e mi piaceva, ci ero affezionata. Ci passo sopra un dito e me la sfioro ricordando le sensazioni che suscita in me quando un uomo me l’accarezza…un lieve solletichio e una sensazione di caldo, come di bruciore sulla pelle; non che avessi avuto molti uomini, giusto un paio…ma quelle emozioni non si dimenticano facilmente.
Una ventata di aria fredda mi colpsce sulla schiena. Da dove accidenti arriva? Le finestre sono chiuse sia in bagno che nelle altre stanze. Un brivido mi scivola dal collo fino ai piedi, come se venissi accarezzata da una mano fredda. E’ una sensazione così contrastante con quella che avevo appena riportato alla mente.
Sento Mya miagolare nell’altra stanza..
Mi guardo attorno per cercare di capire da dove possa arrivare quello spiffero gelido, ma non trovo niente che possa spiegarlo.
“Beh una casa vecchia è normale che sia piena di spifferi no?” penso tra me. Prendo subito dei vestitti puliti per coprirmi. Sento bussare alla porta e mi risveglio dai miei pensieri.
Dallo spioncino vedo un uomo in tenuta blu, un poliziotto. Apro la porta. Un giovane sui 27 anni, alto, occhi e capelli color nocciola e un sorriso appena accennato sulle labbra. Proprio carino. No, molto più che carino.
- Buonasera Signorina.

- Buonasera…Agente. Che succede? – chiedo un po’ allarmata

- Chiedo scusa per il disturbo e per l’ora tarda, ma devo farle delle domande.
- Ma è successo qualcosa? Ho fatto qualcosa? È per il contratto d’affitto? Guardi che col padrone di casa è tutto a posto, è una persona gentilissima e …
“Calmati Kris, perché parli a vanvera? Che hai? La coda di paglia?”
- No no signorina non si preoccupi, lei non ha fatto nulla.
- Ah, meno male. Ma allora che succede?
- È stato commesso un omicidio a meno di un isolato da qui. – il sorriso abbozzato di poco prima era scomparso dal suo viso.
- Oh, mi dispiace
“ Che si dice in questi casi? Mi dispiace va bene?”
- Non si preoccupi. Lei ha sentito qualche rumore strano per caso? Non so urla, spari, qualsiasi cosa che non sia normale…
- Beh non direi, mi sono appena trasferita, non so quali siano dei rumori anomali da queste parti e comunque ero sotto la doccia fino a poco fa, quindi non ho sentito niente. Mi spiace, nemmeno le sirene della polizia. Ma chi è morto?
- Una ragazza, avrà avuto al massimo 25 anni, pensiamo stesse tornando a casa. Dai documenti abitava nelle vicinanze…
Avrei potuto esserci io al posto del cadavere. A quel pensiero un brivido mi percorre per tutto il corpo. Brrrrrrrrrr!
- Comunque se le viene in mente qualcosa, qualsiasi cosa chiami in centrale e chieda di me, sono il Tenente William Harper, per servirla – dice togliendosi il cappello e sorridendo con una fila di denti perfetti e splendenti.
- Ehm…va bene… - Non mi ero ancora ripresa del tutto da quel sorriso.
- Bene. E mi raccomando faccia attenzione di sera quando esce.
- Certo. E grazie – questa volta il sorriso smagliante me lo gioco io.
- Arrivederci.
Mi richiudo la porta alle spalle, dopo aver dato tutte e 5 le mandate con la chiave e aver inserito il chiavistello. Praticamente mi barrico dentro.
Mi accoccolo sul divano e Mya mi raggiunse subito, arrotolandosi di fianco a me facendo le fusa. Coccolandola accendo la tv. Una giornalista imbacuccata in un cappotto scuro parla di un omicidio, si trattava di quella povera ragazza. Dietro sullo sfondo si vedono le luci dei lampeggianti della polizia e dell’ambulanza, e quelle più luminose dei riflettori dei giornalisti, degli uomini della scientifica che facevano i rilevamenti sulla scena del crimine. Partono delle immagini girate in precedenza in cui una barella con sopra un corpo in un sacco nero veniva caricato sull’ambulanza, e il Tenente Harper, che faceva allontanare i giornalisti. “
….la vittima è una ragazza di 25 anni, ed è stata trovata da dei passanti accasciata in un vicolo della strada, già morta. La polizia non ho rilevato segni di violenza sulla vittima, e non è stato un tentativo di rapina. L’unico indizio sono degli strani segni come di punture, su collo e braccia...non ci sono testimoni dell’accaduto…



All’omicidio di quella sera ne seguirono altri, uno ogni giorno quasi e tutti nella stessa zona. Secondo le notizie riportate dai media tutti gli omicidi avvenivano di sera e le vittime riportavano sempre gli strani segni di punture sul collo e sul altre parti del corpo; l’unica cosa che cambiava era la vittima: non solo ragazze, ma anche giovani uomini. La loro età non superava mai i 40 anni; tutti erano stati aggrediti in strada.
Ormai la sera non si vedeva in giro molta gente e quei pochi passanti erano sempre in compagnia, mai da soli.
Dal canto mio, la sera mi barricavo in casa e mi vedevo un film noleggiato da Blockbuster nel pomeriggio durante i miei giri turistici della città.
Mio fratello Fred ogni tanto chiamava per chiedere come stavo, per tranquillizzare mia madre che andasse tutto bene e che non fossi in pericolo. Ovviamente li rassicuravo sempre, ma non ero proprio tranquilla nemmeno io.

Venerdì sera.
Usco dalla doccia avvolta nell’asciugamano e come al solito pulisco dalla condensa lo specchio di fronte a me con la mano. Prendo la crema idratante dal mobile del bagno quando uno spiffero d’aria ghiacciata proveniente dalle mie spalle mi investe la schiena…lascio cadere il barattolo per terra e parte della crema fuoriesce, mentre i brividi mi invadono ogni parte del corpo. Mi volto per vedere se la finestra del bagno è chiusa e così è. Nel silenzio più totale lo sento. Un grido agghiacciante per quanto soffocato, proveniente dal vicolo su cui si affacciava il bagno. Mya comincia a miagolare dalla stanza accanto e a soffiare, come quando si mette in posizione di attacco e le si rizza tutto il pelo. Mi avvicinai alla finestra e la spalanco guardando giù.
Il vicolo è poco illuminato, la poca luce arriva dai lampioni sulla strada principale. All’inizio non vido nulla, poi sento un rumore, come dei fruscii e girando lo sguardo verso il fondo del vicolo noto qualcosa muoversi…un ombra forse.
Non so bene cosa avevo visto e non so nemmeno cosa mi prese, ma la mia bocca si apre da sola
- Ehi c’è qualcuno? – urlo.
Un altro grido proprio dall’angolo in cui guardo, mi raggiunge, ma viene subito soffocato, bloccato. Qualcosa stava impedendo a qualcuno di urlare.
- Tutto bene? Che succede?
Ed ecco un rumore. No, un suono o meglio un ringhio, come di un animale arrabbiato…
Spaventata ricaccio dentro la testa e chiudo la finestra. Corro in camera e compongo il 911.
- 991 – una voce femminile all’altro capo
- Pronto! Dovete venire subito! C’è qualcosa che non va!
- Si calmi signora. Mi spieghi.
- C’è qualcuno nel vicolo dietro casa mia – dico agitata. Non sapevo nemmeno io cosa dire: un ombra impedisce a qualcuno di urlare? Mi avrebbero preso per pazza.
- E cosa sta facendo questo qualcuno signora?
- Credo che sia quell’assassino di cui parlano i giornali, vi prego venite in fretta! – ormai sono paranoica.
- Va bene signora, ma si calmi. Mi dia il suo indirizzo, manderemo subito una squadra.

Detto l’indirizzo alla centralinista e chiudo la comunicazione. Mi vesto al volo. Cosa diavolo sta succedendo sotto casa mia? Devo fare qualcosa!
“Dopotutto sono un infermiera” mi ripeto nella testa, potrebbe esserci una persona ferita. possoo aiutarla, devo aiutarla.
Cammino avanti e indietro vicino alla porta del bagno, indecisa se andare a guardare ancora fuori dalla finestra oppure no. Una parte di me è spaventata a morte, un’altra vuole vedere cosa sta succedendo.
Sento ancora un brivido percorrermi per tutta la schiena e dell’aria fredda accarezzarmi il collo. Paranoia. Tutte le finestre sono chiuse, in particolare quella del bagno, ma vedo i miei capelli spostarsi leggermente. No, non sono pazza. Non è uno spiffero a farmi tremare, è quella brezza gelida, come un soffio di paura, un alito di morte.
Mya è ora sotto la finestra del bagno e continua a soffiare e miagolare, come a caccia.
Faccio tre passi avanti nella sua direzione, sospinta dalla mia stessa paura e nuovamente un urlo soffocato, ma molto più debole rispetto agli altri mi raggiunge.
Non capisco più nulla.
Mi precipito verso la porta e la spalanco, faticando con le mille serrature. Corro affannata giù per le scale, non c’è tempo per quella trappola di ascensore. Apro il portone d’ingresso del palazzo e mi fiondo trafelata nel vicolo urlando
- C’è qualcuno?
Faccio qualche passo avanti. Vedo un ombra muoversi e scomparire. Sento il rumore di qualcosa che cade.
Dopo qualche secondo per far abituare i miei occhi alla luce fioca del vicolo avanzo ancora di poco.
Un urlo giunge alle mie orecchie. E’ la mia voce. Urlavo non me ne rendevo conto. Fisso immobilizzata il corpo appoggiato al muro del vicolo. Morto presumibilmente.
Ricomincio a tremare senza tregua. In lontananza un suono di sirene.

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Capitolo 3
*** 3. ***


- Mi ripeta esattamente quello che ha visto signorina – il tenente Harper davanti a me pronuncia quelle parole che avevo già sentito troppe volte in una sola notte. Nessun sorriso smagliante compare sul suo volto tirato. Mi trovo alla stazione di polizia e mi stanno interrogando.
- Come ho già detto, ero in bagno, ho sentito delle urla e mi sono affacciata alla finestra. Ho chiesto se qualcuno aveva bisogno di aiuto e ho avuto un altro urlo come risposta. Allora ho chiamato il 911 e poi, visto che le urla continuavano, sono corsa nel vicolo per vedere se potevo dare un mano, dato che sono infermiera. Quando sono arrivata ho visto solo un ombra che si allontanava e il corpo steso a terra – rispondo calma, era almeno la quinta volta che ripetevo le stesse identiche cose. Evito di parlare del ringhio che ho sentito, mi avrebbero presa per pazza.

Dopo aver visto il corpo a terra ed essere rimasta paralizzata a fissarlo, il suono delle sirene mi aveva riscosso e lentamente mi ero avvicinata al corpo, per provare a soccorrerlo. Era una donna di una trentina d’anni vestita in modo casual; subito mi ero inginocchiata per sentirle i battiti appoggiando indice e medio sul suo collo, ma il suo cuore aveva già smesso di pompare. Le avevo passato una mano sugli occhi spalancati per chiuderglieli.
Nel frattempo la polizia era arrivata e due agenti mi avevano puntato la pistola addosso. Uno di loro era il Tenente Harper
- Mani in alto!
“Proprio come nei film” subito avevo pensato


- E come mai era china sul corpo della vittima? – la domanda del tenente mi riporta alla realtà.
- Sono infermiera, stavo guardando se quella donna era ancora viva. – rispondo decisa, evidentemente non mi credono.
- Signorina Murphy è un po’ difficile crederle – la voce proviene da un agente appoggiato al muro della stanza. E’ alto, molto robusto, sui trent’anni. Un ghigno sul volto butterato, incorniciato da una barba di almeno un paio di giorni. Mi sta antipatico a pelle, ma chiunque mi sarebbe risultato antipatico in questa situazione. Porta una targhetta sul petto con scritto Agente C. Collins. – Era l’unica persona presente sulla scena del crimine, o meglio l’unica nell’intero isolato e per di più l’abbiamo trovata china sul corpo della vittima - ancora la sua voce.
- Stavo ascoltando se c’erano pulsazioni. – ribattei angosciata, dovevo avere gli occhi fuori dalle orbite
- E allora ci dica: secondo lei chi è stato?
- Non saprei…ho visto solo un ombra che si allontanava…
- E per gli altri omicidi? Ha un alibi? –il tenente Harper ha un tono incoraggiante.
- Mi sono appena trasferita e non ho ancora fatto conoscenze, la sera resto a casa...da sola. – la mia voce è appena un sussurro
- Per me la possiamo anche incriminare. - risponde l’agente Collins.
- Per me faresti bene a startene in silenzio - il Tenente Harper lo zittisce immediatamente, guardandolo torvo.
- Mi scusi Tenente –
“Ben ti sta” non posso fare a meno di godere di quel rimprovero.
Harper si volta a fissarmi, si vede che sta riflettendo a fondo sugli elementi a sua disposizione.
- Signorina Murphy, per ora può andare, ma si tenga a disposizione della polizia.
Mi ha creduto.
Con un sorriso enorme lo ringrazio e lo saluto con una stretta di mano.
Nell’uscire lancio un’occhiataccia all’agente Collins.

Apro lentamente la porta dell’ascensore e mi ritrovo davanti alla porta del mio appartamento. Sono stravolta, non vedo l’ora di andare a dormire.
- Sei arrivata finalmente! Si può sapere dov’eri finita!? – una voce dall’angolo buio del pianerottolo. Cerco a fatica di mettere a fuoco, ma non c’era bisogno, avrei riconosciuto ovunque la voce di mio fratello.
- Fred? Che diavolo ci fai Tu Qui!? – dico in un tono acuto.
- E me lo chiedi pure? Sei apparsa in tutti i notiziari come la possibile serial killer di Denver. Avrei dovuto stare sul divano ad aspettare l’esecuzione della pena di morte per venire a vedere cosa succede? – dice con un pizzico di sarcasmo. Avanza di un paio di passi e la poca luce del pianerottolo lo illumina: un ragazzone alto e grosso, tutto muscoli e cervello. Capelli castani portati corti e occhi verdi, proprio come i miei. Sul volto un paio di occhiali da vista e un sorriso strafottente…mi sta prendendo in giro di gusto.
- Esagerato….e mamma? Non l’avrai lasciata da sola! – lo rimprovero.
- È venuta zia Flora a farle compagnia e comunque è ancora in gamba, sa cavarsela da sola.
- Si lo so. Ma come l’ha presa? –
- Beh…che ne dici di fami entrare e di parlarne con calma? Così mi racconti tutto
- Forse hai ragione… -
La mia esperienza di ragazza indipendente è terminata dopo circa una settimana, da non credere.
Fred ha portato con se un borsone non troppo grosso, che abbandona vicino al divano.
Sentendo dei rumori Mya ci raggiunse in salotto. Subito passa a farsi coccolare prima da me e poi da Fred; anche lui le vuole molto bene.
- Ecco qua la mia miciona preferita! Allora, ti sono mancato?
- Miaoooo!
- Kris vedo che alla fine ce l’hai fatta a sistemarti…
- Fred ho passato una notte di inferno, che ne dici di raccontarmi brevemente tutto e dormire? Ne parleremo meglio domattina – dico esausta.
- La mamma sta bene non preoccuparti, sono venuto qui per controllare di persona e rassicurarla…non ci fidiamo molto delle tue parole: avevi detto di essere al sicuro e guarda in cosa ti sei cacciata.
- Oh andiamo, non mi è successo niente, sto bene. - cerco di alleggerire l’atmosfera
- Ma hai assistito ad un omicidio, pensano che sia tu l’assassina…
- No non lo pensano, altrimenti non mi avrebbero rilasciata
- Ma sicuramente ti terranno sotto controllo, esatto? Ma non ti devi preoccupare, ora ci sono io a proteggerti… - sorride
- Certo! Come no, è arrivato mio fratello, Superman di periferia! – dico sarcastica
- Mmmm non sono a quei livelli, ma me la cavo!
- Come scusa?
- Niente, niente, dormiamo che è meglio, domani riprenderemo il discorso.
- Se lo dici tu…ti va bene dormire sul divano?
Si sistemò alla meglio per la notte.
Una notte insonne per me, abitata da incubi, da urla e da ombre…la passai rigirandomi nel letto.

Mi sveglio definitivamente poche ore dopo, sentendo delle voci provenire dalla sala… riconosco quella di Fred e un’altra era familiare, ma non riesco ad identificarla.
- Oh ti sei svegliata! Il tenente Harper è passato per parlare con te. – la voce di Fred è allegra.
- Buongiorno signorina Murphy.
- Avanti tenente, la chiami Kristina – Fred lo sta incoraggiando a darmi del tu? Ma è completamente impazzito?
- Buongiorno tenente. Che ci fa qui? – biascico con la bocca impastata
- Buongiorno signorina….ehm….Kristina – dice scambiando un sorriso con mio fratello – Sono passato a vedere come sta e per sapere se ricorda qualcos’altro – mi sorride smagliante, ma il suo volto stanco. Anche lui ha dormito poco. Me tre lo osservo percorrermi con lo sguardo, mi rendo conto dello stato in cui sono: una vecchia maglia lunga e lisa come pigiama, che mi copre a malapena il sedere, calzini colorati ai piedi, pantofole arancioni a forma di zucca (un residuo di Halloween), capelli scarmigliati e sicuramente (non mi ero ancora vista) occhiaie modello “pugno in un occhio”. Avvampo all’istante, mentre con le mani cerco di tirare giù il più possibile la maglietta.
Con la coda dell’occhio vedo Fred ridere di gusto. Maledetto.
- Buongiorno tenente – ripeto impacciata
- Ti prego, a questo punto chiamami William…- sorride, sembra che un raggio di sole gli abbia illuminato il viso.
- D’accordo – sono totalmente imbambolata. – Allora accomodati, faccio il caffè intanto.
Corro in camera a mettere qualcosa di decente addosso, mentre Fred fa accomodare William.
Nell’ora seguente ripeto ancora tutta la mia storia. Se non altro così Fred è venuto a conoscenza degli avvenimenti e grazie alla presenza di William non può assalirmi di domande assurde e rimproveri.
- Ma come sono morte quelle persone? – mio fratello mi sorprende con questa domanda. Lo guardo stranita.
- Hanno tutte strani segni di punture sul collo e sul corpo, ma niente tagli o lacerazioni, niente ossa rotte, niente fori di proiettile. Il medico legale ha detto che i loro corpi erano quasi prosciugati, senza sangue, ma nei luoghi degli omicidi non ne abbiamo trovato nemmeno una goccia, è una cosa stranissima.
La risposta di William mi lascia senza fiato. Cosa poteva farsene un assassino di tutto quel sangue?
- E non avete idea di cosa possa farsene di quel sangue? – Fred mi legge nel pensiero.
- No.
- E avete detto che l’assassino non lascia tracce?
- Esatto e nessuno l’aveva mai visto fino a ieri sera.
Mi irrigidisco.
- Ma io ho solo visto un ombra – provo a difendermi.
- Si ma lui ha visto te – dice William. Sembra affranto.
Sia lui che Fred mi stanno fissando. I loro sguardi sono così seri e preoccupati.
- E questo cosa vorrebbe dire?
- Che sei seriamente in pericolo. – sentenzia Fred.
Per un attimo il cuore mi si ferma, così come il mio respiro. Evidentemente sbianco perché li vedo fissarmi preoccupati.
 
Mi riprendo pochi minuti più tardi.
- Ecco si è ripresa – una voce angelica giunge al mio orecchio, è William. Apro gli occhi e me lo trovo così vicino da poter sentire il suo profumo, è così buono. – Di nuovo buongiorno! Ci stavamo preoccupando.- mi sorride dolcemente.
Avrei potuto svenire ancora dopo questa visione paradisiaca. Invece mi faccio forza e mi tiro su.
- Che è successo? Sono svenuta? – domando.
- Si, ma direi che ti sei ripresa appieno – Fred rideva nuovamente
- Spiritoso! Scommetto che non ti sei nemmeno degnato di preoccuparti per me!
- No, Kristina, tuo fratello ti ha soccorso. – William lo sta difendendo mentre non accenna a smettere di sorridermi. Mi vuole morta, spirata per una visione celestiale non concessa ad una ragazza mortale.
- E va bene, scusa Fred e grazie – dico sbuffando.
Scoppiano entrambi in una fragorosa risata, alla quale mi unisco anche io. La tensione è scomparsa dalla stanza.


- Bene. Ora devo andare. – mi dice William - Kristina sta tranquilla, ci sarà sempre una pattuglia nel circondario a controllare la situazione. Sarai al sicuro.
Non feci nemmeno in temo a ringraziarlo.
- Mi ripeta esattamente quello che ha visto signorina – il tenente Harper davanti a me pronuncia quelle parole che avevo già sentito troppe volte in una sola notte. Nessun sorriso smagliante compare sul suo volto tirato. Mi trovo alla stazione di polizia e mi stanno interrogando.
- Come ho già detto, ero in bagno, ho sentito delle urla e mi sono affacciata alla finestra. Ho chiesto se qualcuno aveva bisogno di aiuto e ho avuto un altro urlo come risposta. Allora ho chiamato il 911 e poi, visto che le urla continuavano, sono corsa nel vicolo per vedere se potevo dare un mano, dato che sono infermiera. Quando sono arrivata ho visto solo un ombra che si allontanava e il corpo steso a terra – rispondo calma, era almeno la quinta volta che ripetevo le stesse identiche cose. Evito di parlare del ringhio che ho sentito, mi avrebbero presa per pazza.

Dopo aver visto il corpo a terra ed essere rimasta paralizzata a fissarlo, il suono delle sirene mi aveva riscosso e lentamente mi ero avvicinata al corpo, per provare a soccorrerlo. Era una donna di una trentina d’anni vestita in modo casual; subito mi ero inginocchiata per sentirle i battiti appoggiando indice e medio sul suo collo, ma il suo cuore aveva già smesso di pompare. Le avevo passato una mano sugli occhi spalancati per chiuderglieli.
Nel frattempo la polizia era arrivata e due agenti mi avevano puntato la pistola addosso. Uno di loro era il Tenente Harper
- Mani in alto!
“Proprio come nei film” subito avevo pensato


- E come mai era china sul corpo della vittima? – la domanda del tenente mi riporta alla realtà.
- Sono infermiera, stavo guardando se quella donna era ancora viva. – rispondo decisa, evidentemente non mi credono.
- Signorina Murphy è un po’ difficile crederle – la voce proviene da un agente appoggiato al muro della stanza. E’ alto, molto robusto, sui trent’anni. Un ghigno sul volto butterato, incorniciato da una barba di almeno un paio di giorni. Mi sta antipatico a pelle, ma chiunque mi sarebbe risultato antipatico in questa situazione. Porta una targhetta sul petto con scritto Agente C. Collins. – Era l’unica persona presente sulla scena del crimine, o meglio l’unica nell’intero isolato e per di più l’abbiamo trovata china sul corpo della vittima - ancora la sua voce.
- Stavo ascoltando se c’erano pulsazioni. – ribattei angosciata, dovevo avere gli occhi fuori dalle orbite
- E allora ci dica: secondo lei chi è stato?
- Non saprei…ho visto solo un ombra che si allontanava…
- E per gli altri omicidi? Ha un alibi? –il tenente Harper ha un tono incoraggiante.
- Mi sono appena trasferita e non ho ancora fatto conoscenze, la sera resto a casa...da sola. – la mia voce è appena un sussurro
- Per me la possiamo anche incriminare. - risponde l’agente Collins.
- Per me faresti bene a startene in silenzio - il Tenente Harper lo zittisce immediatamente, guardandolo torvo.
- Mi scusi Tenente –
“Ben ti sta” non posso fare a meno di godere di quel rimprovero.
Harper si volta a fissarmi, si vede che sta riflettendo a fondo sugli elementi a sua disposizione.
- Signorina Murphy, per ora può andare, ma si tenga a disposizione della polizia.
Mi ha creduto.
Con un sorriso enorme lo ringrazio e lo saluto con una stretta di mano.
Nell’uscire lancio un’occhiataccia all’agente Collins.

Apro lentamente la porta dell’ascensore e mi ritrovo davanti alla porta del mio appartamento. Sono stravolta, non vedo l’ora di andare a dormire.
- Sei arrivata finalmente! Si può sapere dov’eri finita!? – una voce dall’angolo buio del pianerottolo. Cerco a fatica di mettere a fuoco, ma non c’era bisogno, avrei riconosciuto ovunque la voce di mio fratello.
- Fred? Che diavolo ci fai Tu Qui!? – dico in un tono acuto.
- E me lo chiedi pure? Sei apparsa in tutti i notiziari come la possibile serial killer di Denver. Avrei dovuto stare sul divano ad aspettare l’esecuzione della pena di morte per venire a vedere cosa succede? – dice con un pizzico di sarcasmo. Avanza di un paio di passi e la poca luce del pianerottolo lo illumina: un ragazzone alto e grosso, tutto muscoli e cervello. Capelli castani portati corti e occhi verdi, proprio come i miei. Sul volto un paio di occhiali da vista e un sorriso strafottente…mi sta prendendo in giro di gusto.
- Esagerato….e mamma? Non l’avrai lasciata da sola! – lo rimprovero.
- È venuta zia Flora a farle compagnia e comunque è ancora in gamba, sa cavarsela da sola.
- Si lo so. Ma come l’ha presa? –
- Beh…che ne dici di fami entrare e di parlarne con calma? Così mi racconti tutto
- Forse hai ragione… -
La mia esperienza di ragazza indipendente è terminata dopo circa una settimana, da non credere.
Fred ha portato con se un borsone non troppo grosso, che abbandona vicino al divano.
Sentendo dei rumori Mya ci raggiunse in salotto. Subito passa a farsi coccolare prima da me e poi da Fred; anche lui le vuole molto bene.
- Ecco qua la mia miciona preferita! Allora, ti sono mancato?
- Miaoooo!
- Kris vedo che alla fine ce l’hai fatta a sistemarti…
- Fred ho passato una notte di inferno, che ne dici di raccontarmi brevemente tutto e dormire? Ne parleremo meglio domattina – dico esausta.
- La mamma sta bene non preoccuparti, sono venuto qui per controllare di persona e rassicurarla…non ci fidiamo molto delle tue parole: avevi detto di essere al sicuro e guarda in cosa ti sei cacciata.
- Oh andiamo, non mi è successo niente, sto bene. - cerco di alleggerire l’atmosfera
- Ma hai assistito ad un omicidio, pensano che sia tu l’assassina…
- No non lo pensano, altrimenti non mi avrebbero rilasciata
- Ma sicuramente ti terranno sotto controllo, esatto? Ma non ti devi preoccupare, ora ci sono io a proteggerti… - sorride
- Certo! Come no, è arrivato mio fratello, Superman di periferia! – dico sarcastica
- Mmmm non sono a quei livelli, ma me la cavo!
- Come scusa?
- Niente, niente, dormiamo che è meglio, domani riprenderemo il discorso.
- Se lo dici tu…ti va bene dormire sul divano?
Si sistemò alla meglio per la notte.
Una notte insonne per me, abitata da incubi, da urla e da ombre…la passai rigirandomi nel letto.

Mi sveglio definitivamente poche ore dopo, sentendo delle voci provenire dalla sala… riconosco quella di Fred e un’altra era familiare, ma non riesco ad identificarla.
- Oh ti sei svegliata! Il tenente Harper è passato per parlare con te. – la voce di Fred è allegra.
- Buongiorno signorina Murphy.
- Avanti tenente, la chiami Kristina – Fred lo sta incoraggiando a darmi del tu? Ma è completamente impazzito?
- Buongiorno tenente. Che ci fa qui? – biascico con la bocca impastata
- Buongiorno signorina….ehm….Kristina – dice scambiando un sorriso con mio fratello – Sono passato a vedere come sta e per sapere se ricorda qualcos’altro – mi sorride smagliante, ma il suo volto stanco. Anche lui ha dormito poco. Me tre lo osservo percorrermi con lo sguardo, mi rendo conto dello stato in cui sono: una vecchia maglia lunga e lisa come pigiama, che mi copre a malapena il sedere, calzini colorati ai piedi, pantofole arancioni a forma di zucca (un residuo di Halloween), capelli scarmigliati e sicuramente (non mi ero ancora vista) occhiaie modello “pugno in un occhio”. Avvampo all’istante, mentre con le mani cerco di tirare giù il più possibile la maglietta.
Con la coda dell’occhio vedo Fred ridere di gusto. Maledetto.
- Buongiorno tenente – ripeto impacciata
- Ti prego, a questo punto chiamami William…- sorride, sembra che un raggio di sole gli abbia illuminato il viso.
- D’accordo – sono totalmente imbambolata. – Allora accomodati, faccio il caffè intanto.
Corro in camera a mettere qualcosa di decente addosso, mentre Fred fa accomodare William.
Nell’ora seguente ripeto ancora tutta la mia storia. Se non altro così Fred è venuto a conoscenza degli avvenimenti e grazie alla presenza di William non può assalirmi di domande assurde e rimproveri.
- Ma come sono morte quelle persone? – mio fratello mi sorprende con questa domanda. Lo guardo stranita.
- Hanno tutte strani segni di punture sul collo e sul corpo, ma niente tagli o lacerazioni, niente ossa rotte, niente fori di proiettile. Il medico legale ha detto che i loro corpi erano quasi prosciugati, senza sangue, ma nei luoghi degli omicidi non ne abbiamo trovato nemmeno una goccia, è una cosa stranissima.
La risposta di William mi lascia senza fiato. Cosa poteva farsene un assassino di tutto quel sangue?
- E non avete idea di cosa possa farsene di quel sangue? – Fred mi legge nel pensiero.
- No.
- E avete detto che l’assassino non lascia tracce?
- Esatto e nessuno l’aveva mai visto fino a ieri sera.
Mi irrigidisco.
- Ma io ho solo visto un ombra – provo a difendermi.
- Si ma lui ha visto te – dice William. Sembra affranto.
Sia lui che Fred mi stanno fissando. I loro sguardi sono così seri e preoccupati.
- E questo cosa vorrebbe dire?
- Che sei seriamente in pericolo. – sentenzia Fred.
Per un attimo il cuore mi si ferma, così come il mio respiro. Evidentemente sbianco perché li vedo fissarmi preoccupati.
 
Mi riprendo pochi minuti più tardi.
- Ecco si è ripresa – una voce angelica giunge al mio orecchio, è William. Apro gli occhi e me lo trovo così vicino da poter sentire il suo profumo, è così buono. – Di nuovo buongiorno! Ci stavamo preoccupando.- mi sorride dolcemente.
Avrei potuto svenire ancora dopo questa visione paradisiaca. Invece mi faccio forza e mi tiro su.
- Che è successo? Sono svenuta? – domando.
- Si, ma direi che ti sei ripresa appieno – Fred rideva nuovamente
- Spiritoso! Scommetto che non ti sei nemmeno degnato di preoccuparti per me!
- No, Kristina, tuo fratello ti ha soccorso. – William lo sta difendendo mentre non accenna a smettere di sorridermi. Mi vuole morta, spirata per una visione celestiale non concessa ad una ragazza mortale.
- E va bene, scusa Fred e grazie – dico sbuffando.
Scoppiano entrambi in una fragorosa risata, alla quale mi unisco anche io. La tensione è scomparsa dalla stanza.


- Bene. Ora devo andare. – mi dice William - Kristina sta tranquilla, ci sarà sempre una pattuglia nel circondario a controllare la situazione. Sarai al sicuro.
Non feci nemmeno in temo a ringraziarlo.


Grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite. E' un onore. Pandora

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

Nel pomeriggio io e Fred andiamo a fare una passeggiata per Denver. Gli mostro l’ospedale dove tra un paio di giorni inizio a lavorare e altri luoghi più piacevoli della città.
Alla fine, per ripararci dal freddo ci rifugiamo in un bar a gustare una cioccolata fumante.
Chiacchieriamo del più e del meno osservando il cielo diventare sempre più scuro, le luci dei lampioni accendersi e le illuminazioni di Natale funzionare ad intermittenza.
 - Ora, seriamente, cosa pensi che stia succedendo? – la sua domanda mi sorprende.
- Scusa ma cosa intendi esattamente? Cosa vorresti dire?
- Pensi che si tratta di un serial killer? Un pazzoide? Cosa ne pensi?
- Francamente non ci ho riflettuto. Ma perché me lo chiedi?
- Non ti sembrano un po’ anomali questi omicidi?
- Fred dove vuoi arrivare? Si sono un po’ strane certe cose, come la storia del sangue scomparso o le punture, ma sarà l’opera di qualche psicopatico…francamente non mi ci sono soffermata più di tanto…ma perché queste domande?- mi guarda curioso
- Così, volevo sapere cosa ne pensavi
- E tu cosa ne pensi?
- Niente, niente…lasciamo perdere…
- No, ora me lo dici! – insistetti
- Se ti dicessi quello che penso davvero prima ti metteresti a ridere, poi mi daresti del pazzo!
- Davvero Fred, non ti seguo – lo guardo come un problema di matematica di livello universitario: allibita. – Sai qualcosa che io non so?
- Naaaaaaaaa! Stavo scherzando, ti stavo prendendo in giro! E come al solito ci sei cascata…è fin troppo facile con te!
- Cretino!

Per cena ordiniamo una pizza. Il fattorino suona al citofono e Fred scende a pagare.
- Sarà la pizza. Ci metto due secondi.
Nel frattempo sistemo i suoi vestiti in un angolo dell’armadio visto che ha deciso di rimanere per qualche tempo con me, anche se avrebbe dovuto accontentarsi del divano. Sento un rumore alle mie spallee  mi irrigidisco. Lentamente mi volto, ma tirai subito un grosso sospiro di sollievo: era Mya che dormiva sul letto e si sta stiracchiando.
“Mannaggia a me e alla mia fifa matta” penso dandomi un buffetto in testa.
Provo a rimettermi all’opera, ma la vista della città illuminata dalla porta-finestra della mia stanza mi cattura. Un brivido di freddo mi attraversa per tutto il corpo.
“Ancora quel maledetto spiffero, brrrr.”
Un altro suono alle mie spalle.
E’ di nuovo Mya, ma questa volta si è messa a soffiare e ringhiare. Mi volto verso di lei
- Piccola che hai? Che ti prende?
Le si è rizzato tutto il pelo sulla schiena, ringhiando in direzione del balcone oltre la porta-finestra. Deciso di assecondarla, girandomi. Riesco a intravedere solo un ombra. Mi avvicino e afferro la maniglia, aprendo la porta finestra. Un ventata d’aria gelida mi investe.
Guardo a destra e a sinistra, ma il balcone non è illuminato, ne intravedo a malapena i contorni. “Chissà che ho visto. Sto diventando paranoica” Mya non smette di ringhiare.
- La pizza è arrivata! Kris dove sei?
- Sono sul balcone. Eccomi – gli urlo – Mya vieni su che do la pappa anche a te. – rivolgendomi alla gatta.
La predo di peso e la porto in cucina, calmandola.
- Che ci facevi sul balcone con questo freddo?
- Mya si è messa a soffiare, mi sa che ha visto un piccione o qualcosa appoggiarsi al parapetto di fuori. Sono andata a vedere cos’era.
- Eed era un piccione?
- Non lo so, non ho fatto in tempo a vederlo, ho visto solo un ombra. Ma probabilmente si – gli sorrido tranquilla.
- Ah. –ha la fronte corrucciata.
- Fred tutto ok? A che pensi?
- Niente, niente. Mangiamo che si fredda – dice spalancando la bocca in un sorriso.

Il resto del weekend passa relativamente tranquillo, incubi a parte. La notte dormo agitata, continuo a sognare la sera dell’ultimo omicidio, quando corsi giù nel vicolo: rivivo tutto da capo, i brividi, le urla, la corsa per le scale, l’ombra che ho intravisto. Ogni volta che sogno però mi sembra di riuscire a intravedere sempre un pochino di più: suoni nuovi, come il battito del mio cuore accelerato o il respiro di quella giovane donna che pian piano si affievolisce.Mi sveglio sempre tutta sudata, col fiatone e mi ritrovo sempre a fissare la città, in piedi davanti alla finestra della mia stanza. Come se quella visuale mi richiamasse, mi tranquillizzasse.

Lunedì arriva in fretta. Per fortuna per i primi giorni mi hanno dato turni giornalieri, dalle 1 alle 19. Inoltre, per vedere come me la cavo, mi fanno assistere solo piccole ferite o articolazioni rotte, niente di traumatico. Fino a mercoledì il tempo passa velocemente.
Di giovedì non posso dire altrettanto.
Per un grosso tamponamento all’uscita dell’autostrada appena fuori città, tutti gli ospedali traboccano di feriti più o meno gravi…tagli, lesioni, perforazioni, traumi multipli. Sangue ovunque, i corridoi sono una fiumana di persone, il suono delle ambulanze riempie le orecchie.
Il mio turno finisce in ritardo di un paio d’ore.
Butto il camice sporco di sangue in uno degli appositi contenitori sparsi per il pronto soccorso e rimetto i miei vestiti. Nonostante questo mi sento ancora addosso l’odore acre del sangue, misto a quello dei farmaci usati per le anestesie: un misto del tipico odore di ospedale e di macelleria, non vedevo l’ora di andare a casa a farmi una doccia.
Usco dal pronto soccorso alle 21 passate.
Non vi è ombra di un taxi. Di farmela tutta a piedi non se ne parlava nemmeno, quindi mi dirigo verso la metropolitana. Nel frattempo chiamo Fred, dicendogli di non preoccuparsi che sto tornando a casa, anche se in stra-ritardo.
Il viaggio dura quasi venti minuti, ma me ne aspettano altri cinque a piedi dalla fermata a casa mia. Fa un freddo maledetto. Tremo.
Cammino guardando il cielo e cercando di intravedere le stelle, coperte dalle luci artificiali della città. Mi mancano le stelle.
Le strade sono deserte, a quell’ora sono tutti in casa a cenare o guardare la tv, l’unica in giro sono io. Sento de passi. Un ombra alle mie spalle. Le ultime parole famose. Affretto la mia andatura, ormai manca poco a casa.
“ Che fifona che sono” penso e se possibile tremo ancora di più. Anche quei passi velocizzano il loro intercalare, li sento sempre più vicino. Mi metto quasi a correre. Non voglio voltarmi, ma non resisto. Vedo un uomo. Corre lentamente, senza sforzo nella mia direzione. “Ma mi sta seguendo?”, penso.
Continuo a correre, ho il fiatone, ma nonostante quello mi sta raggiungendo.
Al primo incrocio che incontro svolto a destra. Mancano meno di 500 metri a casa. Mi appoggio un secondo al muro per riprendere aria, per la corsa e per la paura non riusco a respirare.
Sento i passi a breve distanza. Riprendo subito a correre.
- Signorina aspetti un attimo!- una voce calda, ma bassa, mi rimbomba nelle orecchie. Il cuore mi batte all’impazzata.
“ Ce l’ha con me? Che faccio?”
Non me ne accorgo, ma rallento. Non ce la faccio più. In pochi secondi mi raggiunge. Sono piegata su me stessa, con le mani sulle ginocchia, cercando di far entrare più aria possibile nei polmoni. Sento una mano sulla spalla. Mi rialzo di scatto e mi allontano di un passo. Ho il cuore in gola.
Lo vedo ridere. Quasi un ghigno sul suo volto.
- Calmati – mi dice. Ancora con quella voce calda, persuasiva. Respiro affannosamente. La testa sgombra, vuota. Lo osservao attentamente nella fioca luce della strada.
Capelli bruni, probabilmente neri, e mossi gli ricadono sulla fronte in modo straordinariamente casuale, ma perfetto. Occhi scuri, incorniciati da occhiaie. Labbra rosse e non troppo carnose. Un viso ovale, dai lineamenti perfetti. E’ più alto di me di almeno una spanna. Un fisico asciutto, comunque possente si intravede sotto il cappotto nero che porta aperto.
Non riesco a parlare, mi manca ancora il fiato. Distolgo lo sguardo e comincio ad allontanarmi.
Lui pigramente riprende a seguirmi. Lo sento come sghignazzare a bassa voce. Mi da sui nervi.
Arrivo davanti a casa percependo ancora la sua presenza alle spalle.
Raccolgo tutto il mio coraggio e mi giro ad affrontarlo.
- Si può sapere che vuoi? –E’ sparito. Non c’è più. Nemmeno un ombra.
Eppure sono sicura di averlo avuto dietro fino a pochi secondi prima.
Fisso il vuoto per qualche istante. Mi giro ed entro in casa.

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Capitolo 5
*** 5 ***


5.

Quella notte ho fatto il solito sogno, o meglio il solito incubo.

Sentivo le urla della giovane donna e correvo giù dalle scale.
Arrivavo nel vicolo.
Ma questa volta non c’era solo il cadavere di quella povera ragazza.
Lentamente i miei occhi si abituarono alla luce. Sentivo il mio cuore battere all’impazzata, il suo respiro sempre più debole.
Vidi un ombra sollevarsi dal suo corpo.
Un uomo girato di spalle. Un cappotto nero, lungo fino quasi ai piedi.
Si voltò nella mia direzione e cominciò ad avanzare.
Non riuscivo a vedergli il volto a causa della scarsa luminosità
Io lo fissavo immobilizzata. Il respiro mi si mozzò in gola.
Cominciai a tremare.
Brividi di freddo, brividi di paura.
Vidi i miei capelli spostarsi leggermente come sollevati da una leggera brezza. Intorno a me non c’era un alito di vento.
Continuava ad avanzare verso di me, lentamente.
Tentai di fare un passo indietro, ma non vi riuscì. Giunse alle mie orecchie un suono basso, sommesso. Un ringhio.
Mi bloccai.
Ci separavano pochi metri. Nelle mie orecchie rimbombava il suono dei suoi passi, il battito del mio cuore.
Evidentemente lo sentì anche lui
- Calmati – mi disse. Una voce calda, persuasiva…
Lentamente la luce raggiunse il suo volto.
Quella voce e quel viso….
Capelli bruni e ricci, occhi neri, labbra rosse e carnose.
Si fermò ad un passo da me e sorrise. Una fila di denti bianchi, perfetti, tra i quali spuntavano, un po’ più lunghi e appuntiti del normale i canini.
Provai a scappare ma non vi riuscì, il mio corpo non rispondeva ai comandi.
Si chinò verso di me, avvicinando le sue labbra al mio orecchio.
Questo movimento spostò dell’aria fredda. Di nuovo un tremore.
- Calma… hai un buon odore sai? Avrai sicuramente un buon sapore
Lo sentì appoggiare le labbra sul mio collo, gelide. Per poi lasciare spazio ai denti, ai canini. Sentii dolore…


Mi sveglio di soprassalto, urlando nel buio della mia stanza, madida di sudore.
La porta si spalanca.
- Kristina che ti succede? Che hai? – Fred urlando mi raggiunge e mi strattona
Finalmente smetto di urlare. Parlo con un filo di voce fissando il vuoto davanti a me.
- L’ho visto…
- Chi hai visto Kris? – continua ad urlare
- Ho visto l’assassino in volto, ho visto chi è… ho visto come uccide! – le mie parole sono poco più che un sussurro. Lo stringo forte a me.
- Kris, che dici? Tu non l’hai visto – non capisce.
- Invece l’ho visto, stasera tornado a casa. E l’ho visto nel vicolo, nel mio sogno.
- L’hai incontrato?
- Morde le persone Fred e gli succhia il sangue.
Mi fissa stupito.
- Lo so che sembro pazza, ma l’ho visto…nel sogno mi ha morsa! E quegli strani segni…
- Mi stai dicendo che è un vampiro... – non era una domanda.
- Lo so che sembro pazza, dico cose allucinanti!
- Non siamo in un film dell’orrore…
- Lo so! Dico cose senza senso…
- Non del tutto Kris…- lentamente sposto lo sguardo su di lui, a bocca aperta. - Forse è ora di raccontarti alcune cose, ti va?

Lo sto ancora abbracciando. Mi stacco da lui e lo guardo dritto negli occhi.
- Ma di che diavolo stai parlando? – urlo istericamente.
- Ci sono cose della nostra famiglia di cui sei stata tenuta all’oscuro.
- Tipo?
- Tipo che i vampiri non esistono solo nei film horror….
Pochi istanti di silenzio per metabolizzare quelle parole. Poi apro bocca.
- Ok. Poniamo il caso che i vampiri esistono e che l’assassino che ho visto è uno di loro, che c’entra questo con la nostra famiglia? – tengo le gambe sotto le coperte, ma agito le braccia mentre parlo. Fred era seduto di fronte a me.
- Centra perché noi li cacciamo - dice tranquillamente. Sbatto un paio di volte gli occhi.
- Noi?
- Beh si io, prima anche papà, ora sono solo.
- Scusa, ma io pensavo che tu facessi il promotore finanziario?
- Beh si, quello è il mio lavoro, è il modo in cui guadagno i soldi. Questo è un hobby!- facendo spallucce.
- Un Hobby! Un hobby! Un hobby! Ma ti sei rincitrullito! – sto urlando. E non poco. – spiegami come cavolo si fa a definire hobby l’andare a caccia di vampiri! Ma scusa, ora io non ne so niente, ma sarà piuttosto pericoloso!
- Ok ok Kris respira un secondo, su inspira, espira… - seguo il suo consiglio e respiro molto lentamente. – forse hai ragione, mi sono espresso male. Chiamala missione o come vuoi. Lo era papà e lo sono anche io. Si è pericoloso, magari non lo fosse.
- Lo era papà….e la mamma lo sa?
- Si, lo sa.
- Solo io non lo sapevo! E perché mai? L’unica all’oscuro di tutto io, perché?
- Perché per te è diverso! E non sarebbe cambiato nulla.
- lo dici tu questo. Ad esempio stasera mi sarei accorta di avere davanti un vampiro!
- Non hai di che preoccuparti.
- Eh già perché ci sei tu a difendermi, scommetto! – dico sarcastica.
- Beh si! Anche…
- Anche? Cosa non mi hai detto?
- ….
- Fred? Cosa non mi hai detto?
- Questa è una cosa un po’ più delicata…
- Muoviti! Di quello che hai da dire e basta!
- Noi non siamo fratelli.
Rimango zitta, per quanto? Secondi? Minuti? Ci fissiamo negli occhi. Occhi dello sesso colore. Uguali. Identici.
Una lacrima mi riga la guancia.
- Kris…- si avvicina e mi stringe di nuovo a se.
- Cosa vuol dire? Non capisco. – la mia voce è poco più di un sussurro.
- Avevo circa sei anni. Era pieno inverno. Papà tornò a casa con te in braccio, avrai avuto pochi mesi, forse un anno. Ci disse che dal quel momento tu saresti stata un nuovo membro della nostra famiglia. Ti adottammo.
- Sono stata adottata?
- Si. Quando cominciò ad addestrarmi per diventare cacciatore di vampiri mi raccontò di te. Mi disse che tua madre era stata morsa quando era già incinta. Papà era riuscito a strapparla al vampiro prima che la uccidesse, che vi uccidesse. Tua madre non morì ma il suo sangue era infetto. Il tuo sangue era infetto.
- Infetto?
- Contaminato, misto. Non era più solo sangue umano, perché era stata morsa. Comunque dopo pochi mesi nascesti tu. Mio padre controllava che tutto andasse bene, sia per te che per tua madre. Temeva che il vampiro che l’aveva morsa potesse tornare. E così accadde. – fa una pausa - Quando papà non c’era. Arrivò tardi. Per tua madre non ci fu più nulla da fare, ma salvò te. Il resto lo sai.


- Quindi il mio sangue è infetto? – dico quelle parole fissando il vuoto, sempre con la testa appoggiata alla sua spalla. Stretta a lui.
- È misto.
- Cioè?
- Significa che sei immune. Non sei umana del tutto. Ma non sei vampira. Non puoi venire morsa. O meglio un vampiro ti può mordere, ma tu non ne muori. Il tuo sangue si rigenera molto rapidamente.
- Cosa significa?
- Che in caso di necessità produci molto più sangue di quanto ne puoi perdere. Guarisci molto più velocemente del normale. Ti ferisci, non sei invincibile. Ma diciamo che sei un evoluzione.
- Evoluzione? Sono un mezzo mostro! – urlo cercando di allontanarlo.
- Non sei un mostro. – mi trattiene a se. – Sei mia sorella.
- No, non lo sono.
- Ho detto che sei mia sorella. Lo sarai sempre.


I giorni passano, un po’ tutti uguali.
In ospedale solite cose, sono assente. E si vede, infatti mi fanno assistere solo casi semplici.
Tutte le sere prendo i mezzi per tornare a casa. Non ho particolarmente paura, le strade non sono mai deserte, e gli omicidi sembrano essersi placati. Anche perché la zona è costantemente pattugliata dalla polizia.

Cammino vicino a casa, con la testa vuota, ormai così da qualche giorno. Da quella notte.
“Un mezzo mostro….” è il mio pensiero fisso.
Non umana.
Non vampiro.
Non appartengo a questo mondo, ma nemmeno a quello dei morti.
Un ibrido.
Alle mie spalle rumore di passi, ma non ci faccio troppo caso inizialmente.
Sorrido da sola, al mio destino. Guardo avanti a me. Isolata dal resto del mondo.
Continuo a camminare tranquilla, poi un brivido.
Con la coda dell’occhio vedo i miei capelli sollevarsi appena. Un ombra dietro di me. Una mano sulla spalla. Mi arresto pietrificata. Mi volto lentamente.
- Ciao. – Voce calda e suadente. Labbra rosse e morbide aperte in un sorriso. Capelli neri e mossi, sembrano così soffici, viene voglia di stringerli tra le dita.
Faccio un passo indietro, abbagliata dai suoi occhi. Neri, profondi, sembrano brillare nella poca luce della strada. È bellissimo.
- Ciao – rispondo. Continuo a fissarlo negli occhi.
- Oggi non scappi via?
- …no…
- E come mai? - Avanza di un passo. Io indietreggio.
- Dovrei? – gli rispondo con una domanda.
- Hai paura? – mi chiede in un tono allegro, quasi di presa in giro. Troppo sicuro di se.
- Forse, ma so che non devo averne.
- Non capisco. - dice piegando la testa di lato. Un altro passo verso di me. Rimango ferma. Neanche un metro ci separa. Occhi negli occhi. Cuore a mille.
- Non puoi, nemmeno io mi capisco ultimamente. – gli sorrido
“Kris ma che fai? Che ti sorridi! È il vampiro!” la mia coscienza cerca di farsi spazio nella mia mente.
Lui non dice nulla. Continua a guardarmi, incuriosito. Ora un passo in meno ci separa. Mi sono avvicinata io.
Sento caldo dentro di me. Un tepore che parte dal basso ventre e sale verso la gola. Probabilmente adrenalina. Intorno a lui, il gelo, come un alone indelebile… “di morte?” mi chiesi.
Alzo il braccio per toccarlo. Mi guarda curioso. Un altro passo.
Gli sfioro la guancia con le dita. è ghiacciato.
Mi prende la mano, lasciandola comunque vicino al suo volto.
- Cosa stai facendo? – mi chiede. Non sorride più, è serio.
- Sei freddo. E io così calda. È buffo. In fondo non siamo poi così diversi. – le parole escono da sole.
- Tu sei viva.
- Anche tu, in un certo senso. - provo a sorridere. I nostri occhi non si mollano.
- Cosa intendi dire?
stringe di più la morsa attorno alla mia mano.
- So chi sei. So cosa sei. E se lo so, è perché almeno in parte lo sono anche io.
Mi attira a se.
I nostri corpi aderiscono. Un contatto gelido.
Io sempre più calda. Il sangue pieno di adrenalina. Pulsazioni alle stelle. Ne sento il suono nelle orecchie.
Sguardi fissi.
Da così vicino posso notare che i suoi occhi non sono completamente neri, ma striati d’azzurro.
Mi passa un braccio intorno alla vita.
Mi stringe.
Le orecchie cominciano a fischiarmi. Si abbassa, verso il mio volto. O verso il mio collo?
La vista si annebbia. Buio.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6.

Non so esattamente per quanto tempo ho dormiito. Mi risveglio lentamente. Apro gli occhi. Una stanza buia.
Mi siedo, guardandomi attorno, coi sensi all’erta. Con la coda dell’occhio noto qualcosa alla mia destra, mi volto.
E’ lì. Immobile. Seduto sul tavolo di fianco a me una gamba a penzoloni. Mi osserva. Mi studia, serio.
- Dove sono? – chiedo. Nessuna risposta.
Giro lo sguardo. La stanza è illuminata dalla luce che proviene dalla strada. Io mi trovo mezza sdraiata su un divano in pelle nera. Ci sono pochi mobili, ma tutti in stile moderno: una libreria, uno stereo, una mensola piena di cd, un altro divano, un tavolo con poche sedie. Nemmeno una lampada. Le pareti sono bianche. Nell’angolo destro, vicino ad un’immensa vetrata che da sull’esterno, c’è un angolo bar, rifornito di bottiglie e bicchieri di ogni genere. La stanza è ampia, ariosa, ma cupa.
All’altra estremità un pianoforte nero. Isolato da tutto il resto dell’arredamento. Così diverso.
- Sai suonare? – mi chiede. Rimango sorpresa. Non mi aspettavo di sentirlo parlare. O almeno non in quel momento
- No – rispondo guardandolo. E’ nella stessa posizione di prima, ma ha inclinato la testa e un angolo della bocca è ora sollevato in una specie di sorriso. – Dove sono?
- È un peccato, avresti potuto suonarmi qualcosa. – scende dal tavolo e si avvicina al divano. Indossa un paio di jeans scuri e una camicia nera, mezza sbottonata, dalla quale si intravedono i pettorali scolpiti. Le maniche sono arrotolate fino ai gomiti. I capelli scarmigliati. – Che devo fare con te?
- Tanto per dirne una, potresti dirmi dove mi trovo e che ci faccio qui – rispondo prontamente.
Con un movimento fulmineo me lo ritrovo addosso, sopra di me, un braccio appoggiato allo schienale del divano e l’altro al bracciolo dietro la mia schiena. Il suo movimento mi spinge indietro, appiccicata alla pelle del divano. Non posso muovermi. Sgrano gli occhi nel trovarmelo così vicino. Tremo, per il freddo e per la paura. Il cuore mi martella nel petto.
Lui sorride soddisfatto, sicuro della sua superiorità. Della sua immortalità.
Si abbassa ancora più verso di me, mentre io rimango immobile. Inspira a fondo, poi inizia a seguire il profilo del mio volto col naso. Non muovo un muscolo, non respiro neppure. Rompe lui il silenzio.
- Hai un buon odore sai? – dice sottovoce, un sussurro.
Faccio mie quelle parole, continuo a ripeterle nella testa. Mi viene in mente il mio incubo. Un brivido lungo la schiena. Riprendo a respirare con più calma, lentamente, per necessità.
Lui continuava a fare su e giù con naso, sfiorandomi le tempie. Poi si ferma e sposta il suo viso per fissarmi negli occhi. Rispondo al suo sguardo, un po’ imbambolata. Ci stiamo scrutando a fondo.
I suoi occhi cercano la mia anima. I miei la cercano nei suoi, ma non la trovarono. Riesco a muovere la mano e, come in strada, la alzo per sfiorargli il volto. Di nuovo gelo. Gioco di sguardi.
- Hai paura? – sussurra.
- Temo quello che non conosco.
- Ma hai detto di sapere chi sono, cosa sono…
- Ma non so cosa vuoi fare, non mi hai fatto del male.
- Fino ad ora – ride maligno.
Si stacca dal divano, da me. Inizia a camminare per la stanza guardando il soffitto.
Appiccicata allo schienale osservo la sua figura perfetta, un passo dopo l’altro. Mi rilasso un pochino. Ora sta scuotendo la testa, ridendo silenziosamente.
- Lo trovi divertente? – chiedo.
- Oh si, molto - comincia a ridere sempre più forte.
Mi spavento per la sua risata, fredda, dura. Mi rannicchio sul divano, mi sento piccola e inerme. D’un tratto me lo ritrovo ancora addosso, nella stessa posizione di prima. Di nuovo troppo vicino a me. Riprende potere sui miei occhi.
- Cosa vuoi farmi? – mi trema la voce.
- Perché mi chiedi cose che già conosci? – dice scuotendo lentamente la testa. – Perché non mi dici chi sei tu?
- …Io? – totalmente imbambolata. Avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa. La mia volontà è annullata.
- Come ti chiami? Qual è il tuo nome? – mi sussurra dolce all’orecchio.
Una marionetta nelle sue mani.
- Kristina. – comincio a respirare sempre più forte facendo alzare il petto sempre di più ogni volta che l’aria entra e esce dai polmoni.
Mi pone una mano sul collo e lentamente la fece scendere, tra i seni, verso l’ombelico, fino ai fianchi, dove la maglia che indosso lascia intravedere la pelle, la mia voglia a forma di cuore.
- Shhhhh ora calmati. – mi dice piano, e io mi calmo.
Abbasso lo sguardo sulla sua mano e lo vedo avvicinarsi con le dita al bordo della maglia, sollevarla, disegnare dei piccoli cerchi sulla pelle.
Ogni giro mi provoca un brivido, come una scottatura. Ad ogni tocco inarco lievemente la schiena. Dalla bocca mi scappano piccoli mugolii di piacere. Mi aggrappo al suo collo, respirando velocemente. Non sono preparata a questa situazione.
Sono eccitata e spaventata. Mi provocava piacere, così freddo, pericoloso, afrodisiaco e provocante.
Quando mi passa le dita affusolate sulla voglia, una cascata di emozioni mi invade: la testa mi gira, chiudo gli occhi e mi abbandono totalmente a quel gesto.
Mi usce un gemito vergognoso dalle labbra. La pelle mi brucia.
Lo sento muoversi, insinuarsi tra me e il divano, spostandomi senza alcun sforzo e appoggiare il viso nell’incavo del mio collo.
Il suo alito freddo mi fa da calmante, prendo ossigeno e il respiro torna normale. Non toglie la mano dalla mia pancia calda. Adoro questo contatto così strano.
Ritorno alla realtà. La cruda realtà.
Su un divano, stretta ad un vampiro coi denti pericolosamente vicino al mio collo, completamente inerme. Sono sua.

I nostri visi si toccano, guancia a guancia. Caldo, freddo.
I nostri respiri si mischiano. Caldo, freddo.
Il mio corpo è in balìa delle emozioni chiuse in quella stanza. Così uniche, mai provate prima, potenziate dall’adrenalina che ho in circolo.
I pensieri concentrati su di lui. I sensi pronti a cogliere anche il più piccolo dei movimenti.
Quando mi sposta i capelli dal collo, quasi salto per lo spavento, ma la sua morsa è forte, sicura.
- Shhh shhh shhh, non puoi scappare ora.. Sta ferma! – sussurra tranquillo, ma deciso.
- Aspetta, aspetta…. – cerco di fermarlo, appoggiandogli la mano sulla testa dietro di me, ma sta già appoggiando le sue labbra bagnate dietro al mio orecchio e lo sento scendere, con quell’umida carezza fino al centro del collo.
- Perché dovrei aspettare? – biascica appoggiato alla mia pelle, inspirandone il profumo. – Accetta in tuo destino, abbandonati e sarà meno doloroso – dice mentre, tra una parola e l’altra bacia il collo, lo lecca.
Tremo scossa dai brividi. Eccitazione e paura. Caldo e freddo.
- Non… non puoi uccidermi.- tento di dire.
- Uhm? Questa è proprio bella – si solleva dal collo e comincia a ridere. Poi ridiventa subito serio – Scommettiamo?
Come un fulmine, riabbassa la testa e mi addenta.
Sento prima dolore, infatti gemo per il male procuratomi e cerco di oppormi, ma le sue braccia mi stringono salde, come incatenata. Poi percepisco il sangue che scorre via dal mio corpo, ma non più dolore, solo torpore che si diffonde a partire dal collo, verso la mente, le braccia, il cuore. Sento rallentare i battiti, come il mio respiro, sempre più flebile. Rimango in uno stato di semi incoscienza. Sento il suo corpo freddo adeso al mio e nonostante lo stordimento percepisco le linee dure degli addominali scolpiti che poggiano sulla mia schiena. Sento il sangue, la mia linfa vitale fluire via.
Secondi, minuti, forse ore.


Quando si sazia di me, si stacca dal mio collo, ma non si muove, rimanendo ancora in quella posizione. Non so dopo quanto tempo, il cuore pian piano aumenta il suo pulsare, il mio respiro torna regolare anche se debole. Apro gli occhi, lentamente mi giro verso di lui.
Tiene ancora la mano appoggiata sul mio ventre, l’altro braccio intorno al mio collo, la sua morsa si è allentata. La testa rivolta all’indietro appoggiata allo schienale del divano, con gli occhi chiusi. Un angelo di morte. Gli accarezzo il collo. Sembra dormire invece percepisce subito la mia carezza e fulmineo riapre gli occhi a mò di fessure, incattivito.
- Ma che diamine….sei? – dice stringendomi.
- Ho vinto la scommessa? – rispondo strafottente.
Non risponde, mi solleva dal divano come se fossi una foglia. Si alza e comincia a camminare avanti e indietro per la stanza.
- Ti ho morsa! – urla rivolto a me. – Ho succhiato il tuo sangue! Ne ho bevuto fino a saziarmi! Come puoi essere ancora viva? – la sua voce è sorpresa e arrabbiata.
- Ti avevo avvisato- dico ridendo, sicura di me. Forse troppo?
Non vedo i suoi movimenti. In compenso mi ritrovo addossata alla parete, sollevata da terra, sostenuta dalla sua mano stretta attorno al mio collo e da un braccio attorno alla pancia.
- Non ridere dolcezza! Avrai più sangue del normale, ma l’osso del collo posso spezzartelo quando voglio! – sospira al mio orecchio, con fare intimidatorio. Deglutisco a fatica, quella posizione non è certamente delle più comode. Comincio a scalciare.
Per tenermi ferma mi mette giù, mi sdraia sul pavimento e mi blocca braccia e gambe col suo corpo, ovviamente tutto avviene troppo velocemente per oppormi. Ora che si è nutrito è ancora più forte e rapido. Mi è impossibile ribellarmi, così mi calmo.
- Vedo che ci siamo capiti – mi fissa intensamente.
- Lasciami andare, hai ottenuto quello che volevi. Hai saziato la tua sete! – gli grido addosso.
- Si, ma la mia curiosità no. – si avvicina e mi lecca il collo, nel punto dove precedentemente mi ha morso. Invece del solito brivido, provo calore a partire dal basso ventre. Sono eccitata a causa dell’adrenalina e di quella creatura malvagia, straordinariamente bella e potente. – Dimmi chi sei – riprende guardandomi di nuovo.
- Ti ho già detto il mio nome- ha il potere di ipnotizzarmi.
- Ma io voglio di più - comincia a baciarmi dai forellini sul collo, all’orecchio, la guancia infine passa la lingua fredda sulle mie labbra. Respiro accelerata. Dischiudo la bocca, insinua la lingua e inizia a giocare con la mia. Rispondo a quel gioco morbosamente pericoloso, sapendo che è la cosa sbagliata, ma forse proprio per questo mi piace.
Mi lascia muovere, non mi tiene più fissa al pavimento. Mi aggrappo al suo collo e comincio a baciarlo.
- Ora me lo dici chi sei? – dice ridendo in una pausa. Mi fermo. Mi stacco da lui e lo guardo torva.
- Allora era solo un modo di convincermi a rispondere?
Ride forte alle mie parole, sdraiandosi di fianco a me.
- Stronzo! – mi alzo di scatto e mi dirigo verso la porta per andarmene.
Mi si para davanti, bloccandomi la strada.
- Dove pensi di andare? - Mi chiede prendendomi una ciocca di capelli con la mano. Se li arrotola sulle dita, mentre sul volto ha un’espressione divertita. In realtà sta giocando con me.
- A casa mia! – dico convinta.
- E pensi che ti lascerò andare così?
- Quello che vuoi l’hai ottenuto! Cosa te ne fai di me? Niente. Quindi lasciami andare.
- Eh no, mi sto divertendo a giocare con te!
Gli mollo uno schiaffo sonoro sul viso. So di non avergli fatto alcun male, ma io mio orgoglio ferito chiedeva vendetta.
- no, no, no, Ragazzina. Non farmi arrabbiare. – dice torvo. Mi afferra la mano con la quale l’ho colpito.
- Lasciami! – molla la presa.
- E va bene. Vattene. Tanto so dove trovarti. Sempre se non sarai prima tu a tornare qui da me. – ride sonoramente.
Divento rossa paonazza per la rabbia.
“ Brutto vampiro insolente, maleducato, strafottente….” Smetto di pensare guardandolo male, prendo le mie cose e scendo in strada.
Mi osservo attorno, memorizzando ogni particolare di quel luogo. Avrebbe potuto essermi utile sapere dov’ero.
Vedo i fari di una macchina. Un taxi.

Scusate la brevità e il ritardo di questo capitolo. Spero di riuscire ad aggiornare prima e con capitoli più lunghi. Grazie a chi legge. Pandora

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Capitolo 7
*** 7. ***


7.
- Si può sapere dove cavolo eri finita? – Fred mi accoglie in casa.
- All’ospedale avevano bisogno di qualcuno che facesse un doppio turno… - non gli dico nulla di quello che mi è successo. Anche perchè dire ad un cacciatore, tra l’altro mio fratello, che un vampiro mi ha sedotta, portata nel suo rifugio, ha bevuto del mio sangue e infine mi ha baciata, non mi sembra questa grande idea. Che avrebbe pensato di me?
O forse dovrei dirglielo? Alla fine si tratta di un assassino, spietato uccisore di giovani umani. E mio fratello potrebbe eliminarlo. So dove abita, quindi avrebbe potuto stanarlo e fare giustizia.
E’ la cosa giusta da fare?
Non ne sono così sicura…e poi, non raccontiamoci balle, quell’incontro non è stato del tutto negativo, mi sento ancora girare la testa al solo pensiero di noi due sul pavimento freddo.
”Kris riprendi il controllo!” Nel dubbio non dico niente. In caso potrò porre rimedio al mio errore.
- E non potevi chiamare per avvisarmi? – si è veramente preoccupato. Mi sento in colpa.
- Hai ragione Fred scusa – dico sospirando – non capiterà più. Come posso farmi perdonare?
- Sarà difficile Kris, devi imparare, non ci si comporta così. – mi guarda serio, poi non resiste e scoppia a ridere.
- Scemo! – rido anche io – Hai già mangiato? Ti preparo qualcosa?
- Sono a posto grazie, se vuoi ti ho avanzato una porzione nel microonde.
- Uh si sono affamata – è vero, la mia esperienza mi ha un po’ fiaccata, dovevo rimettermi in forze.
Mi reco nell’angolo cucina a scaldarmi la cena, seguita dalla mia fida gattona Mya.
- Ciao micia! Hai fame? – le dico mentre mi annusa la gamba – Che c’è? Puzzo?
Subito si lascia distrarre dall’odore del cibo in scatola che le verso nel piatto.
Fred intanto accende la tv, c’è il notiziario.

…la vittima è stata ritrovata, nella periferia ovest di Denver. Secondo la polizia il modus operandi è identico a quello dei precedenti omicidi. Pare che il serial killer sia tornato a colpire…

- Dannazione! – esclama Fred sul divano.
- È ancora il vampiro? – chiedo sedendomi accanto a lui.
- Dovrei chiedere a William, ma credo di si.
- A William? E come pensi di fare? Lo chiami e gli dici “Ciao William, per caso l’ultima vittima ha dei segni sul collo? Sai penso si tratti di un vampiro” – dico facendogli il verso
- Io no ma potresti farlo tu… - mi sorride sornione
- Come prego?
- Potresti invitarlo qua a cena, una cordiale cena tra amici...
- Ma non pensi che avrà già abbastanza da fare? Ancora un omicidio, nessun colpevole…
Driin!
Il campanello interrompe quell’assurda discussione, per fortuna! Che cavolo pretende Fred? Ma si è ammattito?!?
Apro la porta, sorpresa.
- Kristina buonasera – uno splendente Tenente William Harper sorride smagliante da oltre la soglia di casa.
- Tenente…William! Ciao…. – rimango un po’ frastornata dalla sorpresa e dalla sua bellezza.
- Ehi William, capiti a fagiolo! – mi raggiunge Fred alla porta. – Accomodati!
Ci spostiamo per farlo entrare.
- Grazie, anche se non posso trattenermi molto. A fagiolo? E come mai? – chiede incuriosito
- Niente – prendo subito la parola – Abbiamo appena visto il notiziario. Abbiamo saputo. – anticipo Fred, non mi fido molto di lui in questo momento. Potrebbe uscirsene con qualsiasi cosa.
- Già, in parte è anche per quello che sono qui. Una volante mi aspetta di sotto.
- Cioè?
- Kristina, dove ti trovavi allora dell’omicidio?
Il respiro mi muore in gola.
“E ora? Che dico? Mi sono ficcata in un bel casino”
- Era in ospedale a fare un doppio turno, è tornata da poco – Fred prende la parola vedendo che non rispondo.
- Già proprio così – mi arrendo.
- E non ti dispiace se controllo vero? Sai per togliere ogni minimo sospetto…
Mi irrigidisco. Non parlo. Fred mi fissa con occhi indagatori.
- Ma William, che bisogno c’è? – mi difende – non ti fidi?
- Non è che non mi fido, ma essendoci un certo coinvolgimento…
- Sai che ti dico? Fai bene a non fidarti! – dice in tono allegro Fred. Mi sconvolge, la mia bocca si spalanca ancora di più.
- Ma Fred… - provo a dire
- Inutile che mentiamo Kris, lo verrebbe a sapere. William, Kristina era a casa con me, dalla fine del suo turno.
- ah! E perché avete mentito?
- Sono suo fratello, è ovvio che nessuno mi crederebbe. Tutti penserebbero che la sto difendendo. Invece ti do la mia parola.
- Mmmm- ci guarda per pochi istanti - Beh non posso fare altro che fidarmi. Allora vado. A presto – ci guarda sorridendo, indugiando un attimo di più su di me. Rispondo al sorriso e se ne va richiudendo la porta dietro di se.
Fred che mi sta guardando calmo e serio.
- Ora mi racconti la verità per favore? – non è arrabbiato, si sta controllando. Traggo un respirone e comincio a parlare
- Ho incontrato il vampiro.- subito si avvicina preoccupato e mi pone le mani sulle spalle.
- Ti ha fatto del male? Stai bene? Perché non me lo hai detto?
- Perché non volevo farti preoccupare…

“oh mamma e ora che gli dico?” “beh dovresti dirgli la verità” “ ma non posso dirgliela! Potrebbe partire in quarta e andare ad ucciderlo” “E’ quello che si merita, è un assassino!” “sì lo so, ma non voglio! Non ancora! E poi come faccio a sapere che è lui il vampiro che ha ucciso tutte quelle persone?” “lo stai difendendo, ti ha morsa, ha bevuto il tuo sangue” “ma non mi ha uccisa”
“solo perché ne produci molto velocemente” “ uffa! dannazione a me”

La voce di mio fratello mi riscuote.
- Kris ma ti sei ammattita? Poteva farti di tutto...
- Ma sono qua Fred, davanti a te e sto bene!
- E che avete fatto? Sei stata via delle ore…
- Abbiamo…parlato.
- Parlato? E di cosa?
- Di chi è lui-

Andare a letto è un impresa.
Mio fratello è esterrefatto dalle mie parole, ovviamente non crede ad una sola delle fandonie raccontatagli e fa bene. D’altro canto non potevo fare altrimenti. Mi rifiuto categoricamente di rivelargli il nascondiglio del vampiro, ciò che mi ha fatto, soprattutto dopo che nel turbine dei miei pensieri si è installato il dubbio che non è lui il responsabile di tutte quelle morti. Un altro vampiro in circolazione.
Certo, non che quello che ho incontrato sia uno stinco di santo, ma non riesco ad accettare l’idea che sia lui l’assassino.
Mi concedo una doccia calda, per lavare via quella giornata incredibile, l’acqua calda scivola sulla pelle del viso, delle braccia, dei fianchi. Spanno il vetro dello specchio e raccolgo i capelli nell’asciugamano. Inclino la testa per osservarmi il collo. I forellini sono chiusi, cicatrizzati, ma ancora decisamente arrossati. Lego i capelli in una morbida treccia portata di lato a coprire i segni sulla gola. Mi volto a guardare la finestra del bagno, in attesa, come se aspettassi qualcosa.
“Ti auguri un’altra aggressione ora?”
Scuoto la testa per cacciare via quell’idea malsana, metto il pigiama e vado in camera.
Rimango sotto le coperte a fissare il soffitto della mia camera. Non ho sonno, non riesco a dormire. Assorta nei miei pensieri sento un rumore venire dalla sala. Mi alzo e lentamente, cercando di non fare rumori vado nell’altra stanza.
- Kris è inutile che cerchi di nasconderti, ti ho sentita.
- Oh…Fred scusa, ma che stai facendo?
Mio fratello non sta andando a letto, anzi indossa una giacca da moto nera e grigia.
- Da quando vai in moto?
- Da un pò.
- E dove la tieni?
- Stava in un garage a noleggio. Ma ora l’ho portata qui. È posteggiata fuori.
- Ed esci a farti un giro a quest’ora?
- Diciamo di si. - risponde un pò evasivo.
- Stai andando….a caccia? – chiedo incuriosita.
- Si, coltivo il mio hobby! – mi fa l’occhiolino sorridendo.
- E posso venire con te?
- Non se ne parla!
- Eddai Fred , portami con te!
- Nemmeno per sogno!
- Ma che ti costa?
- Kristina in questi giorni hai deciso di farla finita? Vuoi morire? Guarda che ci sono metodi più semplici…
- Smettila! L’hai detto pure tu che sono super resistente!
- Ho detto che guarisci più velocemente, non che sei invincibile! C’è una bella differenza!
Mi avvicino a lui lentamente e poi imitando un gatto mi struscio sulla sua spalla facendo gli occhini dolci.
- Kris non attacca.
- Frrr Frrr! Dai ti faccio anche le fusa…portami!
- No!
- Antipatico! E va bene stai attento però, ok? Ti devo aspettare asveglia?
- Non ce n’è bisogno, comunque non preoccuparti, ci tengo alla pelle Io! – risponde marcando l’ultima parola.
- Ahahahah! Come sei divertente!


Dalla porta finestra della mia stanza, lo osservo accendere la moto posteggiata vicino al portone di casa e poi allontanarsi a tutto gas.
“ Prima o poi dovrò farmi portare in giro”
Percepisco un movimento dall’angolo non illuminato del balcone. Un’ombra.
Mi appiccico col viso al vetro per cercare di vedere meglio. Un’alito di vento gelido, tremore lungo la schiena.
Non riusco a credere ai miei occhi.
- Cosa ci fai tu qui! – gli urlo attraverso la vetrata. E’ il mio vampiro. So che forse per chiamarlo “Mio” è un po’ presto, ma non so come altro fare. Inoltre ha in corpo parte del mio sangue, quindi diciamo che un po’ di lui mi appartiene.
- Sono venuto a curiosare. Tu non mi dici cosa sei, io voglio capirlo. – dice piano, ma la voce giunge nitida e chiara al mio orecchio.
Alzo un angolo della bocca in un sorriso. Mi fissava diretto tramite il vetro e i suoi occhi neri prendono controllo sui miei. Nonostante questo non mi perdo un particolare della sua figura: indossa il solito cappotto nero portato aperto e sotto una maglia bianca, su un paio di jeans scuri. Una vista sublime e semplice.
- Allora ti mancavo? – chiedo timida arrossendo
Scoppia a ridere.
- Potrei ucciderti toccandoti appena. – dice duro
- Certo….e allora che aspetti? – rispondo spavalda.
- Non posso entrare.
- Come?
- Devo essere invitato per farlo.
- Ah…
- Invitami. – sorride
- Direi di no.
- Dunque hai paura di me?
- No. Semplicemente è meglio così. Aspetta. – corro in sala, prendo sciarpa e cappotto, me li infilo ed esco sul balcone. Ride ancora.
- Tu sei completamente pazza! – dice piano, sorridendo maligno. Ancora più bello.
- Può darsi, ma non mi piace parlare tramite un vetro. Ho delle cose da chiederti.
- Ehi bammbolina, con calma. Qui comando io.
- A casa mia comando io.
Rimane sbalordito. Scuote la testa e sorridendo dice - Va bene come vuoi.
- Sei stato tu? – chiedo a bruciapelo.
- A fare cosa?
- A uccidere tutte quelle persone.
- Di persone ne ho uccise tante, come credi possa sopravvivere altrimenti?
- Ma quelle di cui parlano al telegiornale, sei stato tu? Sei tu che ho visto nel vicolo? – lo incalzo
- No non sono io, ma potrei benissimo esserlo. – dice serio
- Ma non lo sei giusto?
- Ti ripeto di no.
Di slancio mi lancio verso di lui e lo abbraccio.
- Lo sapevo che non eri tu – dico piano, sorridendo.
- Ehi ehi ehi! Che stai facendo? – mi stacca da addosso a lui – Che ti prende ora?
- Scusa. – arrossisco.
- Devi avere qualche rotella fuori posto.
- Può darsi – non riesco a smettere di sorridere. Questa rivelazione mi ha levato un peso dal cuore, nonostante non perda di vista il fatto che lui sia un vampiro e si nutre di sangue.
- Non esserne sollevata. Io non mi faccio tutta quella pubblicità, semplicemente ci sono modi più discreti di uccidere.
- Lo so…
- Io sono cattivo, sono un mostro. Bevo il sangue della gente. – dicendo questo fa un passo avanti come a volermi sovrastare.
Non so come rispondere a quelle parole. Mi limito a fissarlo intensamente. Lui allunga una mano e sposta la sciarpa dal mio collo. Osserva i segni procuratemi poche ore prima.
- Si sono già rimarginati…- dice accarezzandoli con un dito
- Già…
- Un’altra delle tue “capacità”?
- Diciamo così…
- E ne hai altre?
- No ho esaurito le sorprese.
- Peccato, eri interessante…
- Ero? Sono!
- No, hai finito le novità, ora sei una qualunque…. – dice sospirando.
- Beh ma non sai cosa sono esattamente.
- Si è vero, ma non mi interessa più.
- E come mai?
- Mi stufo facilmente dei giocattoli.
- Giocattoli? Io sarei un giocattolo? – quasi urlo.
- Shhhh non gridare – sposta il dito dal collo alle mie labbra. E’ così freddo. Il suo tocco mi provoca un brivido. – Tremi. – dice sorridendo.
Non rispondo, non voglio che levi il dito da sopra la mia bocca. Faccio un passo avanti.
- Come ti chiami? – ho bisogno di chiederlo.
- Cosa ti serve saperlo? Presto morirai.
- Vuol dire che me ne andrò col tuo nome sulle labbra – gli sorrido.
- Siamo melodrammatiche – sghignazza – mi chiamo Julian.
- Piacere Julian – gli sorrido sincera. – ora se vuoi posso morire in pace.
Ride sonoramente e scompare dalla mia vista.
Sbatto le palpebre un paio di volte. Come fa a volatilizzarsi?
Rientro.




A chi legge: chiedo perdono per il ritardo di questo aggiornamento.

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.

Lavoro, lavoro e ancora lavoro.
Le giornate passano velocemente tra una sutura, una radiografia e gestione dell’archivio. Il mio lavoro non è emozionante come quello del medico, ma di certo non noioso e di sicuro meno impegnativo. La responsabilità delle loro vite non è totalmente nelle mie mani.
Conosco bene le debolezze del corpo umano, d’altro canto il mio lato mostruoso mi è così sconosciuto…vorrei saperne di più. Ma a chi chiedere?
Mi trovo ad un bivio: mio fratello cacciatore di vampiri, conosce sicuramente tutti i loro difetti, punti a favore per lui che ne trae vantaggio, oppure Julian vampiro a tutti gli effetti, potrebbe raccontarmi i pregi di questaesistenza senza tempo, se ne avessi voglia.
Julian.
E’ passata una settimana dall’ultima volta che l’ho visto. I segni sul collo sono spariti alla vista, solo passandoci le dita si può riconoscere uno strato di pelle più liscia del normale, tessuto cicatriziale. In compenso la mia mente si diverte spesso a tornare in quell’appartamento buio e freddo e ogni volta il cuore accelera. Ogni tanto il suo volto viene a popolare i miei sogni, svegliandomi poi la mattina con un senso di tranquillità e serenità.
Che mi sta succedendo?
Dovrei esserne spaventata, temere il fatto che potrebbe comparirmi davanti da un momento all’altro, ma contro ogni logica, il mio animo è ben predisposto a questa circostanza.
Decido comunque che di chiedere prima a Fred.
Le sue uscite notturne ormai sono quotidiane, come le morti misteriose in città. Tutte le sere prende la moto ed esce a vegliare sulla metropoli. Mio fratello una specie di supereroe, che idea buffa! Mi preoccupo quando sento il rombo della sua moto allontanarsi. Potrebbe accadergli qualunque cosa, d'altronde non sapo come funzionino le relazioni tra vampiri e cacciatori, mi baso solo sulle poche cose che mi dice e su Buffy l’ammazza vampiri. Devo essere pronta a tutto. Anche a perderlo. Fa parte del gioco, questo me l’ha detto, però finchè torna a casa senza un graffio sto tranquilla.
E se incontrasse Julian? lotterebbero? Chi ne uscirebbe vincitore? Chi morirebbe? Per chi avrei sofferto di più?
Ho bisogno di fare chiarezza. Devo recuperare più informazioni possibili, da entrambe le parti.

- Fred stasera esci a caccia? – chiedo dopo essere rincasata dal lavoro
- Si perché?
- Non mi vuoi proprio portare con te?
- Kristina ti ho già spiegato che è molto pericoloso.
- Si, si, lo so, lo so, va bene… allora non ti dispiace se ti chiedo un po’ di cose vero?
- Spara.
- Come si uccide un vampiro?
- Kris cosa hai in mente esattamente? – mi guarda storto
- Niente Fred figurati, solo vorrei essere pronta a tutto, non ti pare giusto? Visto che non posso vederti in azione…
- Ok ok. Serve questa. – e tira fuori una pistola da sotto il divano. Luccica alla luce della lampada
- Tu tieni quella cosa tra i cuscini del divano? – comincio a ridere a crepalelle
- Guarda che la metto via e lasciamo perdere
Mi zittisco.
- Bene. Ci sono proiettili d’argento qua dentro, l’argento uccide vampiri e lupi mannari.
- Lupi mannari? Esistono i lupi mannari? – mi sto esaltando
- Esattamente come esistono i vampiri, sono i loro nemici naturali.
- E ne hai mai visto uno?
- Fortunatamente no, ma papà si. Tornando a noi. Se li colpisci con questi proiettili muoiono.
- Ok recepito. Altri metodi?
- Tipo?
- Che ne so, paletti di legno nel cuore?
- No
- Aglio?
- Nemmeno
- Croci? Acqua santa?
- Niente da fare, hai visto troppi film horror da ragazzina.
- Luce solare?
- Fuochino, non amano esporsi, ma non li uccide. Diciamo che limita le loro possibilità.
- E dormono nelle bare?
- Non so, non ne ho mai visto uno dormire.
- Come li riconosci?
- Beh a vista. Ormai individuo facilmente i loro tratti caratteristici: lineamenti perfetti, pelle molto pallida, occhiaie. Inoltre riconoscono me mentre io mi accorgo di loro. Diciamo che li individuo dai loro atteggiamenti.
- Ci sono anche vampiri donne?
- Ovviamente
- E come sono? Belle?
- Chi più chi meno.
- …Ci sono altre come me?
- Onestamente non lo so Kris.
- Ok lascia stare, non importa.
- Vuoi sapere altro?
- Si, prima o poi mi ci porterai a fare un giro in moto? – sorrisi
- Contaci sorellina!


Sono a metà dell’opera.
Conosco i difetti, ora mi mancano i pregi. So dove andare a cercare.
Il giorno seguente avviso Fred di un mio probabile ritardo, per un possibile doppio turno. Mi chiedo se quella scusa regge ancora o se mio fratello fa solo finta di credermi. Prendo un taxi una volta uscita dall’ospedale e mi indico l’indirizzo che mi sono segnata sull’agenda. E’ sera e le strade sono poco frequentate, ma illuminate dalle decorazioni del periodo. Mancavo pochi giorni a Natale e Denver è ricoperta da un lieve strato di neve. Per fortuna le strade ne sono sgombre.
Pago il tassista e rimango qualche secondo ad osservare il palazzo di fronte a me. E’ un condominio a tre livelli. La mia meta è il secondo piano. Entro, salgo le scale e mi ritrovo di fronte alla porta dell’appartamento.
“E ora che faccio? Busso? O provo ad entrare?”
Traggo un respiro profondo e busso alla porta.
Silenzio. Nessuna risposta. Poggio la mano sulla maniglia e la serratura scatta, la porta non è chiusa a chiave. Furtivamente entro, guardando in ogni direzione alla ricerca di una qualche presenza. Niente, nemmeno un ombra.
Curioso nell’unica stanza di cui è composto l’appartamento. Leggo i titoli dei volumi raccolti nella libreria, i cd sulle mensole, miscugli di classici e generi nuovi, tante epoche riunite. Mi avvicino alla finestra, scosto le tende e osservo la città illuminata per qualche secondo.
- Si entra in casa d’altri senza permesso? – una voce alle mie spalle. Mi volto rapida. Julian è seduto sul divano con in mano un bicchiere pieno di un liquido scuro. Gambe accavallate larghe. Jeans chiari e maglia nera, i capelli che gli ricadono docilmente ondulati sulla fronte. Una meraviglia.
- Da dove sei spuntato? Pochi secondi fa non c’eri! – dico con una mano sul petto per cercare di trattenere il cuore, che non ne vuole sapere di calmarsi.
- So muovermi rapido e silenzioso. Potresti morire senza nemmeno accorgertene. – dice in tono basso e intimidatorio.
- Si certo- rispondo assecondandolo – che bevi?
- Sangue – mi dice sollevando un sopracciglio, come stupito.
- Ovvio, domanda stupida.
- Che ci fai qui bambolina?
- Ho un nome se te ne fossi scordato!
- Certo, certo, ti scaldi subito eh? – sghigna – Che sei venuta a fare? Morire?
- Spiritoso, ho delle curiosità da soddisfare e tu puoi aiutarmi.
- In che modo?
- Rispondendo alle mie domande
- Parlare, sempre parlare, ma non ti annoi mai di parlare? – dice mentre con una mano fa ruotare il bicchiere e il liquido contenuto.
- Mi piace parlare, comunque che altro vorresti fare?
- Io un idea ce l’avrei – mi lancia un occhiata diretta, come se mi leggesse dentro.
Tremori lungo la spina dorsale. Scuoto le spalle per scacciare via i brividi. Lui comincia a ridere sonoramente. Si diverte un mondo a prendersi gioco di me.
- Mettiamo il caso che accetti di aiutarti, io cosa ci guadagno?
- Cosa proponi?
- Mmmm si potrebbe fare uno scambio equo, potresti dirmi cosa sei.
- Pensavo non ti interessasse più.
- Si, ma tanto vale saperlo prima di ucciderti no?
- Non è divertente…
- Per me si!
- Possiamo cominciare?
- Spara. – dice.
Mi siedo sul divano di fronte a lui, rosso scuro.
- Ti piace quello che sei?
- Ha i suoi pregi.
- Quali?
- Non invecchiare ad esempio, essere forte, rapido. Invincibile e immortale.
- Beh non proprio, puoi morire.
- Sono già morto.
- Hai capito cosa intendo.
- E tu che ne sai?
- Ho i miei informatori. Quanto anni hai?
- Venticinque
- Solo venticinque?
- Venticinque e un po’.
- Un po’ quanti?
- Mezzo secolo più o meno
- Potresti essere mio nonno insomma. – sorrido a quell’idea balorda. - Come si diventa vampiri?
- Ti interessa?
- Rispondimi, senza fare troppe storie.
- Devi essere morso da un vampiro. Ti deve prosciugare di quasi tutto il sangue e solo quando sei al limite, lui deve farti succhiare il suo sangue. Ne basta una goccia.
- Chi ti ha trasformato?
- Non ricordo.
- Chi ti ha insegnato tutto? Come cacciare? Come sopravvivere?
- Nessuno. Ho imparato tutto da solo. È istintivo.
- Modesto. Dormi una bara?
- No e non mi trasformo in pipistrello. L’aglio non mi infastidisce e le croci non mi spaventano. Ora basta domande, mi sono stufato!
- Ma…
- Niente ma, ora tocca a me.- Fulmineo passa sul divano rosso e mi si mise affianca. Allunga il collo per annusarmi – Il tuo sangue ha il sapore di quello umano, ma il tuo profumo no. È diverso dagli altri. Rivelami la tua natura Kristina. – dice piano, soave.
Lo fisso negli occhi. Gli sto davvero svelando chi sono? Mi ipnotizza. Non esito oltre.
- Sono un ibrido.
- Cosa significa?
- Sono in parte umana, e in parte no. Scorre del sangue di vampiro in me.
- Com’è possibile? – stringe gli occhi, come a concentrarsi.
- Mia madre fu morsa mentre era in cinta di me, ma non le fu letale. Morì in seguito. Il veleno del vampiro si mischiò al suo sangue e al mio.
- Per questo ti rigeneri più velocemente di un umana qualunque.
- Si.

Si arrotola i miei capelli tra le dita lunghe e candide, per poi passarmeli dietro l’orecchio.
Un tocco così innocente è in grado di liberare in me una marea di sensazioni: paura, eccitazione, calore, un non so che di pericoloso e naturalmente irresistibile. Sono come la falena che si avvicina al fuoco. Mi sarei bruciata?
Libera le falangi, mi accarezza la pelle del collo e porta la mano dietro la nuca. I nostri occhi si scrutano intensamente, potrei perdermi in quel nero profondo, abissale. Le striature azzurre sembrano spicchi di cielo sull’orlo dell’inferno più cupo, come un segno di dannazione.
Chiudi lentamente gli occhi, troppo presa a non pensare, a non ragionare, ad assaporare ogni carezza che quell’essere perfetto decide di concedermi.
Non so come dovrei sentirmi: fortunata per avere davanti a me un angelo perfetto o terribilmente sfortunata in quanto quella figura straordinaria era in realtà un demonio?
Decido che la mente può aspettare e mi concentro sul cuore.
Batte senza tregua, inesorabile, accelerando sempre più ad ogni carezza, ad ogni respiro.
Lo sento avvicinare il mio volto al suo.
- Kristina apri gli occhi – mi sussurra dolcemente Julian
Gli obbedisco. Ci separano pochi centimetri.
Ci guardiamo a fondo.
- Cosa cerchi?
- Voglio capire dove finisce la tua parte umana e dove comincia quella demoniaca.
- Detto così suon male.
- Ma è la verità.
- E ci sei riuscito?
- Si sono perfettamente fuse in te, eppure non c’è ombra di male in quello che fai, in quello che dici, nei tuoi occhi. Sei una creatura nuova Kristina.
Mi sento avvamapre.
- Così non mi rendi le cose facili però… – sorride dolce. Un sorriso diverso da tutti i precedenti. Ne rimango sorpresa
- Che intendi dire?
- Che mi fai venire appetito… - dice passandosi la lingua sulle labbra, come a pregustare il sapore del sangue. Dove è finito il lato dolce che ho intravisto?
- A- Aspetta. Vediamo di calmarci un attimo, ok?
- Ti stai agitando? Perché io sono calmissimo – cerca di ridurre le distanze già limitate tra noi, ma io mi allontano. Sentio il bracciolo del sofà alle mie spalle, non posso sfuggirgli oltre. Il respiro aumenta. La situazione è mutata radicalmente.
- Julian aspetta un attimo – comincia a spaventarmi, si avvicina lentamente.
- Di che hai paura? Non ti posso uccidere bevendo il tuo sangue.
- Si, ma non puoi mordermi ogni volta che mi incontri!
- Sei venuta tu da me, non ti ho cercata io. - le nostre gambe si toccano
- Te l’ho già spiegato il motivo, dovevo sapere alcune cose….
- Ed è davvero solo per quello? – allunga la mano per appoggiarsi al bracciolo, mi sta circondando, impedendomi la fuga
- ….ecco…. – non trovo le parole.
- Dimmi…- sussurra, i nostri volti di nuovo vicini, ancora di fronte.
- Io…- evito i suoi occhi, guardandomi attorno per cercare una via di fuga.
Mi prende il mento tra le dita e mi gira il volto per fissarlo. Come resistere a quello sguardo?
- Ti ascolto
- Io…io… - mi trema la voce
Lo vedi inclinare lentamente i bordi delle labbra, le sue spalle alzarsi e abbassarsi di poco, ma velocemente. Si stava piegando sempre più con la testa verso il basso, scosso da violenti tremori.
“Ecco ora scoppia e mi sbrana viva”
Alla fine non si trattiene più.
Chiudo gli occhi per lo spavento quando lo vedo sollevarsi. Vedo praticamente la mia vita passarmi davanti.
Esplode in una fragorosa risata, davanti ai miei occhi increduli appena riaperti. Ride a gran voce, si agita tutto e batte le mani sul sofà dal troppo sbellicarsi.
- Cosa ci trovi di tanto divertente? – disso amareggiata.
- Dovevi vederti, eri uno spettacolo!
- Mhp! Idiota. – rapida gli do le spalle e incrocio le braccia al petto.
Si è preso gioco di me! Io sono quasi morta dalla paura e lui si contorce sul divano in preda alle risate.
Non accenna a calmarsi.
Prendo le mie cose e lascio l’appartamento sbattendo la porta.
Mi maledico per l’idea balorda che hoavuto ad andare li.
Esco per cercare un taxi.

Grazie a chi legge! Pandora

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

Il taxi mi lascia davanti al portone ancora molto arrabbiata, il tragitto non mi ha aiutato a sbollire, anzi continuo a ripensare a Julian che si prende gioco di me per l’ennesima volta.
Rabbia, rabbia, rabbia.
Che cosa pensavo?
Che sarei andata là e ….e cosa? Che mi avrebbe baciato? Si ci speravo!
Ecco, ora che l’ho ammesso a me stessa sono ancora più infuriata.
Quasi non vedo l’ombra passarmi vicino e addentrarsi nel vicolo affianco a casa. Ma non mi sfugge, convinta sia Lui. “ Ah è venuto a chiedere scusa? Ora le sente!”
Mi dirigo al vicolo anziché entrare in casa.
- Sei tu vero? – inizio a urlare rivolta all’oscurità della strada - Ti ho visto! Che sei venuto a fare? Vuoi il mio perdono? Non attacca! Non ci si comporta così sai?
Silenzio, nessuna replica.
- Vampiro dei miei stivali sto parlando con te! Abbi la decenza di rispondere!
Ancora nulla.
Poi un suono. Basso, diabolico e tremendamente vicino. Un ringhio.
Il ricordo di quella sera, quando affacciata alla finestra del bagno avevo sentito il medesimo rumore mi riecheggia nella mente.
Brividi. Tremori. Paura. Faccio un passo indietro.
Ancora un ringhio e un passo nella mia direzione.
- Ti ho trovata, ti stavo cercando.
Non attendo oltre, scappo. Apro il portone di casa e lo richiudo il più velocemente possibile.
Mi appoggio al legno alle mie spalle e scivolo a terra.
Riprendo a respirare velocemente. Caccio aria giù nei polmoni a grandi boccate. Non mi sono nemmeno accorta di aver smesso di farlo. Mi sembra di soffocare.
Lentamente mi rialzo e salgo le scale fino al mio pianerottolo, per entrare nel mio appartamento.
Buio. Fred è uscito. Probabilmente a caccia.
Ho paura. Per me da sola in casa, con quella creatura malvagia in agguato. Per mio fratello che tornando avrebbe potuto incontrarla. L’assassino è li. L’altro vampiro. Cerca me.
Mi raggomitolo sul divano e non mi muovo più.

Quando sento la porta scricchiolare ed aprirsi quasi non respiro. Vedo un ombra allungare la mano verso l’interruttore della corrente e premerlo. La luce invade la stanza.
- Fred – urlo.
Gli corro incontro ad abbracciarlo con le lacrime agli occhi. Lui mi stringe, accarezzandomi i capelli.
- Kristina che succede?
- Era qui. Prima, l’ho visto.
- Chi?
- Il vampiro! L’assassino!
- Ancora?
- No no è un altro! Questo è quello che cerca la polizia. Quello cattivo!
- Shhh calmati – dice piano al mio orecchio.
Perché tutti mi dicono di calmarmi?
- Cerca di spiegarti…
- Il vampiro di cui ti ho parlato non è quello che uccide tutte quelle persone, cioè credo che uccida, non lo so, ma non è quello che ho visto nel vicolo togliere la vita di quella ragazza!
- Quindi ci sono due vampiri?
- Non lo so quanti ne esistono a questo mondo, io ne ho visti due! Uno malvagio e uno…un po’ meno – sono abbastanza confusa. Fred comprende al volo il mio stato d’animo.
- Un pò meno? Ti rendi conto di quello che dici?
- Mica tanto, si vede eh? – provo a sorridere.
- Un po’ – mi risponde sollevando i lati della bocca
- In ogni caso, quello che ho visto è quello che tutti cercano! Era qui! Giù nel vicolo, l’ho visto, o meglio l’ho sentito ringhiare! E mi cercava!
- Ne sei certa?
- Ha detto che mi cercava!
- E che ti ha fatto?
- Niente, sono scappata!
- Hai fatto benissimo!
- Si ma ora? Tu stai bene? L’hai visto?
- Intanto calmati. In casa non può entrare. Deve essere invitato per farlo.
- Si giusto, queste quattro mura mi proteggeranno. Non uscirò di casa. Saranno la mia tomba!
- Non dire cavolate! Mica ti puoi rinchiudere qui!
- Ma come posso uscire? È lì da qualche parte che mi aspetta!
- Con questo - mi porge un telo nero avvolto intorno a qualcosa. Lentamente avvicino la mano per toccarlo.
- Cos’è?
- Prendilo. – lo afferro. E’ leggero e ha una forma allungata sotto la stoffa. Metallo freddo e appuntito. Un piccolo pugnale. Scintilla irradiato dalla luce artificiale della stanza. Rimango a bocca aperta.
- È argento. Con questo potrai proteggerti.
- Dici? Non è che potrei combinare guai?
- Non credo che andrai in giro ad infilzare tutti quelli che passano.
- Hai ragione.
- Bene. Ora chiamiamo Wiliam.
- Come scusa? – rimango sorpresa.
- Un po’ di aiuto in più non può farci male.
- E che vuoi dirgli?
- Che hai incontrato l’assassino. Così aumenterà la vigilanza qua intorno e starai più al sicuro.

Quando suona il campanello Fred si alza ad aprire, sapendo già di chi si tratta.
William sorride appena gli viene aperto, il suo viso rischiara l’ambiente. Con lui c’è l’odioso agente Collins.
- Salve tenente.
- Salve Fred, possiamo accomodarci?
- Certo, entrate.
Superano la soglia, Collins muove il capo in cenno di saluto
- Buonasera tenente Harper, agente Collins – pronuncio le ultime parole in tono più basso e meno garbato. Non sopporto quella figura goffa ed opprimente.
- Buonasera Kristina. Ci può raccontare cosa è successo?
- Certo, stavo rientrando, ho visto un ombra nel vicolo. Stupidamente mi sono avvicinata. Era l’assassino. Sono scappata.
- È sicura che fosse lui? Come lo ha riconosciuto?
Il tenente Collins usa un tono strafottente, non crede ad una sola parola. Lo guardo storto.
- Ha detto che mi stava cercando.
- E ne ha riconosciuto la voce? Non ci ha detto che l’altra volta le aveva parlato… - insiste.
- Infatti non lo ha fatto.
- Allora come può essere così certa?
- Ecco, ho riconosciuto… - esito a parlare. Guardo Fred che mi incoraggia con un occhiata– ne ho riconosciuto il ringhio.
- Il ringhio? Stiamo parlando di un cane?.
- Collins!
William lo rimprovera scuotendo lentamente la testa.
- Si spieghi Kristina
Mi rivolge uno sguardo gentile. Mi viene spontaneo sorridergli, come per ringraziarlo.
- C’è una cosa che non vi ho detto. L’altra volta, quando mi sono affaccita alla finestra del bagno, lui mi aveva ringhiato contro.
- E perché non ce lo ha detto?
- Mi sembrava così irreale, mi avreste preso per pazza.
- Infatti – mi interompe Collins.
- Ora basta Agente! – il tono di William è più duro questa volta. Mio eroe. – Continui signorina.
- Prima nel vicolo ha ringhiato nuovamente. Quel suono è inconfondibile. Era lui ne sono sicura. – alzo il tono di voce per calcare quelle ultime parole.
Nessuno parla per qualche secondo. William mi osservava, in piedi di fronte al divano dove sono seduta. Sta valutando le mie parole.
- Le credo.
- Ma signore! – interviene l’incredulo Collins.
- Aumenteremo la sorveglianza nel quartiere. Non si preoccupi, lo prenderemo. Ora sarà meglio andare, non è vero Collins?
- Certo Signore.
- Tenente non so come ringraziarla – Fred gli si avvicina porgendogli la mano. William gliela stringe.
- Dovere.
Mi alzo per accompagnarli alla porta con mio fratello. Collins si allontana subito. Fred saluta e si diresse altrove. Rimiamo solo solo noi sulla porta.
- William grazie, davvero non so come ringraziarti. So che non è facile credere a quello che ho detto.
- Non preoccuparti Kristina. Presto si risolverà tutto. – sorride e mi accarezza la guancia con le dita. Un tocco caldo, gradevole, così affettuoso. Mi riscalda l’anima.
- Lo spero tanto – gli stringo la mano ancora appoggiata alla mia gota. Non voglio che se ne vada così velocemente.
- A presto – dice, ma senza cercare di liberarsi dalla mia presa. Sfrutta quel legame per trarmi a se e posare delicatamente le labbra sulla mia fronte. Calde. Umane.
- Si, a presto – lo lascio andare, troppo frastornata dalle emozioni di quella giornata per trattenerlo oltre.
Richiudo la porta alle mie spalle dopo averlo osservato prendere l’ascensore e sparire oltre il pavimento.
Fred mi aspetta sorridente sul divano.
- Allora? È già ai tuoi piedi?

Mi risveglio colpita dai raggi del sole che filtrano dalle persiane.
Apro gli occhi di soprassalto. E’ stata una notte senza sogni.
L’idea di uscire di casa da sola non mi alletta gran che, ma il lavoro chiama.
Mi trascino nell’angolo cucina e preparo qualcosa per me e Fred.
- Scusami, non volevo svegliarti.
- Non importa – sbadiglia sonoramente – tanto volevo già alzarmi per accompagnati all’ospedale.
- E come mai?
- Perché scommetto che hai una paura folle di uscire.
- Paura folle, che esagerazione! Solo un po’…
- Immaginavo – sorride sornione – dai ne approfitto per fare una passeggiata mattutina.
- Grazie! Ma poi stanotte sei uscito?
- No, ho fatto la guardia!
- Notato niente?
- No tutto tranquillo.
- Meno male. A tavola, è pronto!
Poso nel piatto i pan cake ancora caldi e verso nei bicchieri succo d’arancia. Metto in tavola lo sciroppo d’acero e comincio a mangiare.
– una frittella dolce è proprio quello che ci vuole!
- Sono d’accordo sorellina!

Alla fine del mio turno il cielo è già scuro. Ormai è inverno inoltrato, face buio presto.
“Natale è alle porte. Cosa potrei regalare a Fred?” penso mentre chiuo il mio armadietto e indosso il cappotto. Quando mi ritrovo davanti alle porte scorrevoli nell’atrio del pronto soccorso mi blocco. Ho paura ad uscire da sola al buio. Metto la mano in tasca e stringo forte il pugnale che mi ha dato mio fratello. Ci sta perfettamente nell’incavo del cappotto di lana.
Respiro a fondo e faccio un cenno d’assenso con la testa a me stessa per convincermi. Un passo davanti all’altro e giungo alle porte.
La fredda aria di dicembre colpisce il mio viso scoperto, non protetto dalla sciarpa di lana.
Velocemente mi dirigo verso il parcheggio dei taxi nella speranza di trovarne uno libero. Niente da fare. Sono proprio sfortunata. Mi tocca prendere i mezzi e questo significava fare a piedi il pezzo dalla stazione della metro a casa. Ho già sperimentato quanto sia poco piacevole quel tragitto di sera: proprio in quell’occasione ho incontrato Julian.
Sospiro e una sensazione dolce-amara mi riempie il cuore. “ Stupido idiota che non sei altro!”
“Macchè dico, qua la stupida sono solo io! Cosa pretendo?”
Rassegnata mi incammino verso la metropolitana, stringendo l’impugnatura nella mia tasca. Tengo tese le orecchie per cogliere qualsiasi suono fuori dal normale.
“Come se questo potrà salvarmi. Se vogliono possono muoversi e uccidermi senza che nemmeno me ne accorga!”
Parlo da sola. Ormai ho imboccato la strada della pazzia persa tra i miei pensieri.
- Ehi, che ci fai in giro di sera da sola? Non sai che è pericoloso?
Mi irrigidisco immediatamente. La voce proviene dalle mie spalle. E’ inconfondibile. Mi giro giusto per essere sicura di non averla sognata.
E’ appoggiato al muro di un palazzo, guarda dalla mia parte con un sorriso sfacciato sulle labbra. Il solito spaccone. Julian.
Mi volto e riprendo a camminare per la mia strada ancola alterata dal nostro ultimo incontro. Non manca molto alla fermata.
- Nemmeno mi saluti?
Me lo ritrovo di fianco senza emettere il minimo rumore nello spostamento.
- Sei ancora arrabbiata?
Mi afferra il braccio per fermarmi. Stringo la mano intorno al pugnale.
- Lasciami – sibilo.
- Altrimenti?
Mi guarda con espressione canzonatoria.
strattono il braccio e lui lascia la presa. Continuo a camminare, lui persiste a starmi a fianco. Arrivata alla metro scendo i gradini del sottopasso e mi avvio ai binari. Anche qua poca gente. Ma dove sono tutti?
Attende con me l’arrivo del treno, guardandomi, ma senza spiccicare parola. Io guardo avanti a me, ma lo controllo con la coda dell’occhio. Mi guarda e non si levava dal viso quel sorriso beffardo.
Che nervoso!
Arriva il convoglio, la porta si apre davanti a me, non scende nessuno così mi accomodo nel vagone semivuoto. Julian non molla, si siede di fronte a me. E’ invitabile incrociare il suo sguardo. Provo a sostenerlo, ma demordo dopo poco. Mi torturo le mani, non riesco a stare ferma, troppo agitata e nervosa. Ho bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Lui sorride.
Ho voglia di urlargli tutta la mia rabbia. A metà tragitto il vagone si svuota, rimanendo solo io e lui a fronteggiarci.
- Perché continui a ridere? – incomincio lo scontro.
- Perché mi diverti.
- Vai al diavolo.
- Già fatto, grazie.
- Cosa ci trovi di così divertente?
- Sei buffa!
- Uff! Idiota, spreco il mio tempo con te!
- Non mi sembra che in questo momento tu abbia molto altro da fare.
Di nuovo silenzio. Gli tirerei volentieri un paio di schiaffi, ma so che sarebbe inutile.
- Ho sentito dire che se nei guai.
- E tu che ne sai?
- Le voci girano in fretta
- Certo, tra amici vampiri, vi siete trovati al bar a parlare del più e del meno?
- Non esattamente. – dice sempre sorridente
- Anche questo ti diverte? Trovi buffa una mia possibile scomparsa?
- No
- E allora togliti quello stupido sorriso dalla faccia!
La mia fermata. Scendo seguita da Julian. Ritornati in superficie sento il rombo di una moto. Mi volto. Fred è lì.
- Che ci fai qui?
Lo raggiungo correndo. Mi volto indietro, il nulla dietro di me. Deve essere scomparso per l’ennesima volta. “Meglio così!”
- Ti sono venuto a prendere sorellina! Non è sicuro camminare da sole di sera ultimamente. Mi sorride porgendomi un caso. Rimane a fissare alle mie spalle. Gli occhi semi chiusi.
- Fred tutto bene?
- Sì. Eri sola Kris?
- Perché me lo chiedi?
- Niente, niente. Andiamo?
- Certo!
Mi infilo il casco, mi aiuta a montare sul sellino del passeggero e partiamo a razzo verso casa.

Grazie a chi legge e mi aggiunge alle seguite. Aggiornamento più lungo pre-ferie, al massimo aggiornerò tra una ventina di giorni...spero. Pandora

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Capitolo 10
*** 10. ***


10..

Fred è a caccia. La casa è buia, dalla finestra di camera mia filtrano dalle luci della città. Guardo fuori dalla finestra ampia e vedo i grattacieli illuminati, luci in lontananza che si muovono, la vita. Miliardi di vite umane in fibrillazione là fuori.
Io rinchiusa in questa stanza.
Un senso di claustrofobia. Mi manca l’aria.
Prendo il cappotto e spalanco la porta finestra. L’aria è gelida, ma faccio lo stesso un passo avanti. Mi appoggio al parapetto e respiro a fondo assaporando un goccio di libertà.
“Solo un attimo” penso “Adesso rientro, un secondo ancora”
L’ossigeno nei polmoni brucia, sembra che non passa per quelle cavità da un secolo, eppure respirare è una cosa così naturale, così umana.
Attendo ancora qualche istante prima di rientrare, troppo forse?
Un brivido. Nemmeno il tempo di percepire l’aria gelida sforarmi la pelle, che una morsa ghiacciata mi stringe il collo. Non riusco a respirare e nemmeno ad urlare, mi manca l’aria.
- Ora sei mia!
Sento quelle parole pronunciate a volume minimo.
Le ho percepite davvero o sono passate nella mia testa come un sogno, un incubo?
Non il tempo di tremare. Non il tempo i reagire. Non il tempo di infilare la mano in tasca e afferrare il pugnale d’argento. Non il tempo di oppormi.
Mi trascina al muro, sbattendomici rudemente addosso. Non provo dolore, non per l’impatto almeno.
Tutto il mio essere è concentrato sulla figura appoggiata a me che insinua la testa nell’incavo del mio collo. Me lo vidi piegato addosso.
Ricurvo, deve essere alto, almeno due spanne più di me.
Vestito di nero, porta i capelli corvini lunghi e lisci. Non riesco a scorgerne il voto, solo la pelle bianca. Mi morde. Provo sofferenza, ma dalla mia bocca non esce nemmeno il minimo suono.
Tento di oppormi, sollevando il braccio verso la tasca del capotto, ma le forze mi stanno abbandonando rapidamente.
Resto inerme, sostenuta dalle sue braccia.
Sento un liquido caldo scendere lungo il collo, sulla clavicola. Il mio sangue.
Quell’essere ne beve così avidamente, senza ritegno, da non riuscire a contenerlo tutto. Poi freddo.
Impregnando i miei vestiti, il contatto con l’aria rende il mio fluido freddo.
Il vampiro succhia. Per quanto continuerà? Mi salverò anche questa volta?
I muscoli sono intorpiditi, gli occhi faticano a rimanere aperti.
Poco importa, fisso il cielo sopra di me, ma in realtà non lo vedo. Aspetto ormai arresa, inerme.
I battiti rallentano, il respiro diminuisce, gli occhi si chiudono. Perdo i sensi.

Buio…
Solo un immagine nella mia testa. Due occhi. Rossi, demoniaci.
E’ una visione offuscata, non nitida. Ma li vedo, davanti a me. Vicini.
Non mi muovo, rimanendo immobile.
Le articolazioni bloccate, provo dolore a tentare un qualsiasi spostamento, anche minimo.
Sono viva?
Ricordo solo il dolore del morso, nient’altro. Quanto tempo è passato? Cosa è accaduto?
Ricordo la sorpresa, la stretta intorno al collo, il dolore. La figura oscura ricurva su di me.
Per quanto è durato il supplizio, da quanto sono sul balcone a congelare non saprei dirlo. Non sento nulla, nè caldo nè freddo. Non posso muovermi per il dolore. Mi ha forse ferita?
- Kris!
Sento chiamare una voce lontana. E’ attutita, come se fossi circondata dall’acqua.
- Santo cielo Kris che ti è successo?
Provo male all’altezza delle spalle, poi capisco, qualcuno mi sta stringendo e scuotendo. Quella voce mi richiama a se.
- Kris rispondimi! Stai bene?
E’ familiare, conosciuta. Mi urla nelle orecchie. Mi vuole con se.
- Riprenditi!
Fred. E’ mio fratello.
“Riprenditi” mi ordino.
“ Apri gli occhi”
Ci provo. Sento dolore. Ogni muscolo pulsa. Non ho la forza per muovermi.
Mi sento sollevare.
Emetto un suono. Sto tentando di reagire, ma l’oscurità mi circonda sempre.
Quanta difficoltà nel risvegliarmi questa volta.
Forse mi ha tolto molto più sangue. Sento ancora i battiti lontani del cuore. Non mi sono ancora ripresa.
Mi sento appoggiare su una superficie soffice, distesa. Poi vengo coperta. Mi sta mettendo a letto.
- Kris reagisci!
Il tono è disperato. Si sta davvero preoccupando.
Scuoto la testa. Provo come se l’osso del collo si fosse spezzato.
Perché tutto quel dolore?
- Ecco così sorellina. Forza!
Mi incoraggia. Mi infonde il suo calore stringendomi la mano. E’ bollente. Probabilmente sono io freddissima.
Raccolgo molte energie e riprovo a sollevare le palpebre. Lentamente.
Inizialmente vedo solo buio.
Poi un viso mi si affaccia. Lo vedo appannato. A grandi linee identifico il profilo di Fred. E’ sconvolto ma sorride.
- Brava, guardami Kris!
Sollevo un angolo delle labbra, non riesco a sorridere del tutto.
Mi accarezza i capelli, mi coccola.
Poi mi sposta la testa dall’altra parte e mi studia il collo.
- Maledizione! - Impreca. Probabilmente ha visto i forellini rossi all’altezza della giugulare.
Mi riporta il volto nella sua direzione ad incrociare i nostri occhi.
- Ora va tutto bene, è tutto passato.
Mi scalda la mano e mi accarezza, come si fa con un cucciolo o un bimbo impaurito. Mi invade un senso di calma e pace.
Lentamente il tepore invade il mio corpo, scaldandomi.
Il dolore dei movimenti diminuisce.
Riesco a sorridergli.
- Ehi.- dice più sereno
- Ciao – biascico
- Ora va meglio eh?
Annuisco.
- Che ore sono?
- Sono le quattro passate.
Sono passate all’incirca sei ore, tutto questo tempo appoggiata al muro, inerme, in balia delle intemperie invernali. E’ un miracolo non sia ibernata. Per di più con poco sangue in corpo.
- Hai ripreso un po’ di colore fortunatamente.
Lo guardo interrogativa.
- Quando ti ho trovata eri bianca con le labbra blu. Mi sembravi morta.
Rabbrividisco.
- Ti va di raccontarmi?
- Devo proprio? – sospiro.
- Direi…
- Mi ha morso.
- Chi?
- Il vampiro.
- Quale?
- Ehm…come dire? Quello famoso?
- Quello più pericoloso diciamo?
- …già .
Rido nervosa.
Come se l’altro non mi ha morso. Alla fine sono entrambi della stessa pasta. Per loro sono solo del cibo, del nutrimento.
Mi intristisco a quei pensieri.
- Ora come ti senti?
- Un po’ stanca
“Non è stato come l’ultima volta” penso, ma mi trattengo dal dirlo.
Non capisco il perché, ma mi ostino a tenere nascosto a Fred che tra Julian e me c’è stato quel contatto, quel momento unico. Quando l’uno diventa parte dell’altro.

Vado comunque a lavoro nonostante le obiezioni di mio fratello. Un po’ sulle nuvole, ma presente.
Il mio turno vola.
All’uscita mi copro bene per ripararmi dal freddo e mi avvio a prendere i mezzi, con la mano pronta in tasca tenendo stretto il manico del mio pugnale.
- Proprio non lo vuoi capire che non dovresti andare in giro da sola la sera eh?
Stringo il pugno attorno al metallo. Una reazione inevitabile.
Mi volto e trovo Julian appoggiato al muro di un palazzo. Etereo e bellissimo. Come l’ultima volta mi segue, io continuo a non considerarlo e riprendo il mio tragitto.
Mi si piazza affianco. Lo vedo con la coda dell’occhio annusare l’aria e arricciare il naso.
- Cosa! Che c’è? Cos’hai? – scatto alzando gli occhi al cielo. – Che ha il signor perfettino da ridire?
Mi giro verso di lui con le mani sui fianchi in tono di sfida.
Sono abbastanza tesa a causa della sua presenza. Ho ancora un conto in sospeso con lui.
- Hai uno strano odore addosso.
- Sarà odore di ospedale? Mi spiace non sia di tuo gradimento, ma adattati ok?
- Non è quello.
- Scusa ma stai dicendo che puzzo?- urlo e riduco gli occhi a due fessure.
- Si.
Respira. Conta fino a dieci.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro
…. Dieci!
- Ma come ti permetti! – urlo.
Provo a picchiarlo, gli tiro sberle, calci, non riusco a colpirlo.
- Che hai capito! Stai ferma!
Mi blocca le mani molto facilmente con una sola delle sue, si avvicina al mio viso ed inspira a fondo. Lo fisso curiosa. Ha un’espressione seria.
Passa la mano libera sul mio collo a spostarmi i capelli. Proprio dal lato dove sono stata morsa il giorno prima.
- Che fai? – chiedo allarmata.
- Ferma.
Mi zittisco. Mi tocca lievemente, ma basta a farmi tremare per la sua carezza gelida.
- Sei stata morsa.
- Si, pare tu non abbia più l’esclusiva…- rispondo sarcastica.
- Hai il suo odore addosso.
- Intendi…
- Del vampiro. Chi è?
- Non si è intrattenuto abbastanza per presentarsi, ma è abbastanza famoso. Li segui i notiziari ultimamente? È sempre il primo servizio.
- Non sto scherzando.
- Pensi che io mi sia divertita?
Lo guardo male. Non risponde.
Mi lascia le mani.
- Su cammina. Ti accompagno a casa.
- Come?
Sbarro gli occhi.
- Hai capito benissimo.
- E perché mai dovresti farlo?
- Per una questione…burocratica. – sorride – mi è stata toccata una proprietà.
- Proprietà? Io! Ma che ti credi? Io non sono tua. – sbuffo.
- E invece si! Ti ho morsa. Avevi il mio odore. È come un marchio. Ora ne hai un altro. Questo non va bene.
- Quindi?
- Quindi dovrò sistemare la questione.
- E come pensi di fare grand’uomo?
- Seguendoti. Prima o poi si rifarà vivo. – taglia corto.
- Ma…
- Niente obiezioni. Su cammina.
Mi spinge avanti con un buffetto.

Il resto del viaggio in metro rimaniamo in silenzio. Cammino seguita a distanza di un paio di passi da Julian.
La situazione ha preso una piega inaspettata.
“Ero sua” continuo a pensare e questo mi provoca un eccessivo afflusso di sangue alle gote. Devo esser color pomodoro. Persa nei miei pensieri, mi irrigidisco quando sento una mano appoggiarsi sulla spalla. Mancano poco meno di 500 metri a casa.
- Fermati.
- Come mai?
Mi volto a guardarlo. E’ molto serio. Gli occhi più neri del solito. Fissa un punto davanti a noi.
- Ci siamo. Prima di quanto mi aspettassi.
Seguo il suo sguardo.
Davanti a noi è comparso un uomo dove prima non c’era nulla.
E’ alto, vestito di nero, capelli corvini lunghi e lisci…
Lo fisso impietrita, smettendo di respirare.
Un aria gelida mi investe, inizio a tremare scossa da brividi.
Il mio corpo lo riconosce ancor prima che possa formulare qualsiasi pensiero.
Un ringhio basso giunge al mio orecchio.


Rieccomi rientrata dalle ferie. Buona lettura. Pandora

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Capitolo 11
*** 11. ***


11.
Tremo percorsa da i brividi e non respiro.
- Calmati Kristina, respira. – dice piano Julian in modo che possa sentirlo solo io.
- E’ lui? – riprende.
Annuisco.
- Lo immaginavo. – sentenzia socchiudendo gli occhi neri.
Sorride. Come può sorridere in una situazione come questa. Poi lo osservai meglio, capisco che è pronto per la lotta.
- Ora fatti da parte e non fare sciocchezze intesi?
Schizzo sul bordo della strada mentre continuo a spostare il mio sguardo da un vampiro all’altro. Si osservano in silenzio, studiandosi.
La tensione sta riempiendo l’aria.
- Qual è il tuo nome? – chiede Julian
- Samuel…ma non ti servirà saperlo, tra poco non esisterai più.
- Questo è da vedere.
Tesa, non so cosa sarebbe successo a breve. Chi avrebbe vinto? E in ogni caso, di me cosa sarebbe stato dopo? Essere contesa tra due vampiri non è il massimo.
Sento un rombo avvicinarsi sempre di più, non può essere nella mia testa, è reale. Tutti ci voltiamo in direzione del suono. Compare un faro ad illuminare la strada, è un moto. Mio fratello frena sgommando a pochi metri da noi. Scende velocemente e si toglie il casco. Non mi vede ma estrae la pistola dalla giacca.
“Ora succede il finimondo” penso. Chi avrebbe ucciso chi, ora?
- Fred aspetta! – urlo.
Finalmente mi vede, girandosi nella mia direzione.
- Kris che ci fai qui?
Mi raggiunge.
“Bella domanda…e ora che gli dico”
Lo abbraccio.
- Vi conviene allontanarvi. – dice Julian.
- No! La ragazza non si muove di qui. - urla Samuel
Julian gli ringhia contro.
- Kris andiamocene è troppo pericoloso per te stare qui! – mi dice piano all’orecchio Fred, anche se dal suo tono sembra più un ordine.
- Aspetta…
Lo trattengo per un braccio, mi sta già trascinando verso la moto.
- Kris credo che tu non stia afferrando la situazione.
- Capisco benissimo invece, voglio vedere.
- Tra poco si scanneranno, non hai motivo di rimanere qui.
- Invece sì – mi affretto a dire.
- Come?
- Sono io il motivo dello scontro.– dico sottovoce, guardando per terra.
Non ho il coraggio di incrociare il suo sguardo, mentre rimane in silenzio a contemplarmi.
- Abbiamo bevuto di lei, cacciatore. – urla Samuel per farsi sentire anche da noi.
Sul suo volto ha un’espressione orgogliosa, un lampo gli passa negli occhi rossi.
Stringo ancora di più il braccio di Fred. Quella voce suscita in me grande paura.
- Come “abbiamo”?
Mio fratello mi guarda senza capire. Quando sollevo la testa ho le lacrime agli occhi. Mi sento tremendamente in colpa per non averglielo detto.
- Scusami… - dico piano
Non risponde, mi attira a se e mi stringe.
- Come ho fatto a non accorgermene? – dice a se stesso.

Stringo forte le braccia attorno al busto muscoloso e possente di mio fratello.
- Che scenetta commovente, ma ora basta! – dice Samuel
- Che ne dici, torniamo a noi? – gli risponde Julian ghignando
Io e Fred portiamo la nostra attenzione ai duellanti in mezzo alla strada.
- Ora farai fatica a seguire i loro movimenti. – mi sussurra – sono in grado di muoversi molto rapidamente. Presta molta attenzione, non perderti il minimo particolare. È uno spettacolo macabro ma che avviene molto di rado.
Annuisco.
Da fermi immobili che erano improvvisamente non sono più nelle loro posizioni. Sono scattati simultaneamente l’uno contro l’altro. Sento un forte tonfo, i loro corpi che si scontrano. Non li individuo con precisione, i miei occhi carpiscono solo dei movimenti fugaci.
- Fred, non riesco a capire, cosa succede?
- Non sei abbastanza allenata. Lottano.
- Tu riesci a vederli bene?
- Si.
- Chi vince?
- In questo momento si eguagliano.
Sento solo dei tonfi, in rapida successione. Giro gli occhi in direzione dei suoni per individuarne la causa scatenante, ma non faccio in tempo a finire di muovermi che già posso cogliere il successivo. Sono veramente troppo lenta.
- Concentrati. Chiudi gli occhi individua i suoni. Quando riuscirai a identificarli chiaramente, allora li potrai anche vedere. – mi suggersce mio fratello.
Seguo il suo consiglio. Calo le palpebre e mi pongo in profondo ascolto.
Un tonfo segue l’altro come prima, ma ora non cerco più di seguirli, solo di individuare il punto esatto da cui si originano. Risultano così molto più nitidi e chiari. Percepiscoo anche altri suoni ora, come delle voci, parole. Oltre a lottare stanno anche parlando, ma non riusco a capire di che cosa. Ancora un botto. Lo trovo subito. Nitido, chiaro, preciso.
Mi volto all’istante e apro gli occhi.
Li vedo finalmente, due corpi neri avvinghiati. Si sferrano calci e pugni. Li perdo velocemente purtroppo.
- Ci sei quasi, devi solo allenarti. – mi consola mio fratello.
Lui sposta lo sguardo rapidamente da un lato all’altro, seguendo lo scontro senza difficoltà. Scruto i suoi occhi verdi concentrati. Vi trovo coraggio.
- Chi vince Fred? Non riesco a capirlo..
- Chi vorresti che vincesse?
- Ecco io…
- Tranquilla Kris, ormai so. Che altro hai da nascondermi?
- Ma non sei arrabbiato?
- Cambierebbe qualcosa? Solo il nostro rapporto, no non ne vale la pena.
Sorride, continuando a muovere gli occhi. I tonfi si susseguono in strada. Prendo coraggio.
- Julian.
- Come?
- Voglio che vinca Julian...
Ripresndo a concentrarmi sulla lotta che si svolge sotto i miei occhi.
I botti diminuiscono di intensità e frequenza. Che siano stanchi?
Riesco ad intravedere dei movimenti ora, anche se sfuocati.
Le due figure sono più distanti ora. Una sovrastava l’altra, evidentemente c’è qualcuno in difficoltà. Si fermano, davanti a noi.
Osservo meglio. Entrambi muovono il torace su e giù, come se avessero il fiatone.
La figura a terra ha i vestiti lacerati, il corpo ferito, ma non riesco a giudicare se lievi o profonde, in ogni caso ne esce pochissimo sangue. La faccia sconvolta dalla fatica e dalla rabbia, i canini brillano colpiti dalla luce del lampione. I capelli corti e neri ricadono scompigliati sulla fronte. E’ Julian. Samuel è in piedi di fronte a lui, lo fissa con sguardo malefico e ride.Una risata diabolica.
Stringo forte Fred, ma non nascondo il volto. No, voglio vedere. Devo vedere.
- Julian – urlo.
Si volta a guardarmi sorridendo.
“Come fai a sorridere ora?”
Tento di liberarmi dall’abbraccio di mio fratello, sento che devo fare qualcosa, ma cosa?
- Lasciami Fred.
Mi trattiene.
- Cosa hai intenzione di fare?
- Non lo so, ma non posso restare a guardare così.
Samuel si volta a guardarci.
- Cosa pensi di fare piccola umana? Nè tu, nè il cacciatore siete in grado di fare qualcosa.
Ride di nuovo e io tremo. Mi sento così inutile.
Afferra Julian per la maglia, lo solleva da terra e lo scaraventa addosso al muro di un palazzo. Julian cade assieme alla polvere del muro e rimane accasciato a terra, cosciente ma molto debole.
Sfuggo dalla presa di Fred e corro da lui.
- Julian come stai?
- Va via, stupida – dice piano – torna al sicuro.
- Voglio aiutarti!
- Ha ragione lui, non puoi fare nulla.
- Ma è tutta colpa mia, ci sarà qualcosa…
- No! Ora va via!
Con un braccio mi sposta, facendomi cadere a terra. Mi volto verso la strada e mi trovo davanti Samuel, con un ghigno famelico sul viso.
- Piccola stupida ragazzina
Mi solleva prendendomi per il collo. La presa è soffocante. Mi impedisce di respirare.
- Mettila giù, non è lei che vuoi – urla Julian alle mie spalle.
Sento scattare il calcio di una pistola.
- Lasciala andare immediatamente! – sibila Fred.
E’ di fianco a noi, con l’arma puntata sulla testa del vampiro.
E’ un attimo in cui tutto risulta immobile e statico.
Lentamente mi sento muovere verso il basso, la morsa intorno al collo si allenta e i miei piedi toccano nuovamente l’asfalto. Mi accascio sull’asfalto freddo, tenendomi le mani sulla gola e respirando a grandi boccate.
- Bene. Ora vattene!
- Posso sapere perchè non mi elimini cacciatore? – dice Samuel con una smorfia sul viso.
- Questa volta era una cosa tra vampiri. La prossima volta, se ti incontro finirà diversamente.
Si volatilizza davanti a noi.
Fred abbassa l’arma.
- Kris andiamo.
Mi rialzo. Muovo un passo per seguirlo, ma mi volto verso Julian ancora steso a terra


- Aspetta! Non possiamo lasciarlo qui! – gli urlo.
Mio fratello cammina davanti a me, verso casa.
- Si che possiamo!
- Dobbiamo aiutarlo.
- Non vorrai mica…
- Aiutami a sollevarlo, dobbiamo portarlo dentro.
- No.
- Vorresti lasciarlo qui così?
- Si riprenderà in meno di quanto credi. Kris ragiona, è un vampiro! Ti ha quasi uccisa.
Il suo tono è arrabbiato, anche il viso mostra i segni dell’ira.
Quanto ha ragione! E io lo so, lo so benissimo, ma non posso abbandonarlo esanime in mezzo alla strada. Non me lo sarei mai perdonata.
Il mio sguardo passa continuamente da mio fratello a Julian e viceversa.
- Non posso, devo aiutarlo…- sussurro angosciata.
- Non aspettarti collaborazione da pare mia allora. – mi dice duro.
- Ma come faccio?
- Sono affari tuoi. Non azzardarti a portarlo a casa.
- Come se fosse casa tua.
Mi guarda malissimo.
- Ok non lo porto a casa.
Prese la moto, la accese e se ne va.
Mi rivolgo a Julian ancora debole. Si sta rialzando a fatica. Si appoggia al muro con una spalla. Deve essere ferito ad un braccio.
- E così il fratellino è un cacciatore.
- Non fare l’antipatico, non sapevi nemmeno che avessi un fratello.
- Questo lo dici tu.
- Si, bla bla bla. Come ti senti? – dico avvicinandomi a esaminare le sue ferite.
- Passerà.
- Sì, ma intanto non puoi rimanere qui, devo portarti a casa.
- Cosa temi mi possa succedere? Sono già morto!
- E allora vediamo che non accada di nuovo. Sei debole, ti ha messo ko.
Si volta a guardare la strada.
- Ferito nell’orgoglio eh? Su andiamo a cercare un taxi.
- Non serve un taxi.
- E come ti ci porto a casa?
- Quante scuse per stare un po’ da sola con me, aggrappati forte. – mi invita a stringermi a lui.
- Ma che ti credi.
- Dammi retta.
Lo abbraccio. In pochi secondi ci solleviamo da terra e atterriamo sul tetto di un palazzo. Salta agilmente da un tetto all’altro. In poco tempo arriviamo davanti al portone del suo palazzo.
Il mio stomaco è abbastanza sottosopra.
Ho la nausea e i giramenti di testa mi impediscono di camminare dritta.
Entriamo. Invece che sostenerlo io, lui mi porta in braccio.
- Ma non dovevo aiutarti io? Il ferito sei tu.
- Ma guarisco in fretta.
- Anche io se è per questo
Ride gioiosamente. E’ un suono limpido e piacevole.
- Giusto, me ne ero scordato.
Mi appoggia sul divano in pelle nera, lui si sdraia su quello di fronte.
- Ora scusami, ma devo riposare.
- Allora non sei invincibile.
- No, soprattutto quando non bevo da un po’.
- Hai sete?
- Abbastanza.
- Non hai una scorta?
- Finita.
- Ah…
- Tranquilla. Non ti morderò. Devo solo riprendere le energie.
- …ok.
Abbasso lo sguardo e mi osservo le mani. Non riescvo a stare ferma, le dita mi scattano dal nervoso.
- Ne sei sicuro? – azzardo rialzando il viso e incrociando i suoi occhi.
- Come?
- Non…che non mi vuoi mordere?
“Ma che sto dicendo? Mi offro così gratuitamente ad un mostro assassino?”
- Mi vuoi tentare? – chiede malizioso.
- No, cioè sì, aspetta, che hai capito, lo dico per te. Sei debole e io non ne morirei…credo.
Mi sto riprendendo.
- Come? Credi?
- Ecco…l’ultima volta… è stato più difficile svegliami.
Distolgo gli occhi dai suoi. Mi annebbiano il cervello.
- Capisco. Magari ti ha tolto molto più sangue.
- Magari.
- Hai paura di lui?
- Sì.
- E di me?
- No.
Passa in un lampo sul divano affianco a me senza perderci per un secondo.
Solleva una mano e la posa, gelida, sul mio collo.
Sento la giugulare battere insistente sulla pelle al contatto con quel corpo freddo. Avvicina il volto alla sua mano, annusandomi la pelle. Mi lecca la gola.
- Tremi.
- Questa non è paura - dico sospirando.
Sorride.
- Cos’è allora? Parlami, descrivi ciò che provi, per me è così difficile ricordare certe sensazioni.
Mi bacia l’orecchio, la tempia, tenendo la mano dietro la mia testa per sorreggermi, muovendo il pollice per accarezzarmi alla base dei capelli.
Respiro abbondantemente l’odore del suo corpo, nella mia testa me lo immagino bianco, tonico e scattante. Questo non aiuta il mio buon senso a farsi strada in quella miriade di pensieri.
- Tu non provi niente?
- Sono morto.
Dicendo queste parole si rialza dal mio collo per guardarmi direttamente. Non capisco più nulla, perdendo i miei ragionamenti in quei ritagli azzurri, annegando nel nero dei suoi occhi.
Si avvicina famelicamente, mi accarezza il naso col suo. Mi sento scottare ovunque.
- Non ci credo.
- A cosa?
- Che non provi nulla. Non posso crederlo.
- Perché no?
- Perché mi fai questo allora?
Rispondo alle sue carezze, passandogli le mani tra i capelli. Morbidi e setosi, si insinuano tra le dita come se non avessero consistenza. I nostri sguardi non si lasciano, incatenati. Le nostre fronti si sfiorano.
- Per ringraziarti? – dice piano
- Non si risponde ad una domanda con una domanda. – dico imbarazzata da quella vicinanza.
- Allora prendila come un affermazione.
- Ringraziarmi di cosa?
- Diciamo di esserti offerta come mio pasto.
- Giusto.
Sorride e si rialza allontanandosi da me.
Subito mi manca il nostro contatto.
- Dovresti tornare a casa Kristina.
- Mi stai cacciando via?
- Non è saggio che tu resti qui. Non so per quanto potrò resistere dal morderti.
- Non farlo, non trattenerti.
Voglio sentirlo vicino a me. Le sue mani intorno alla mia vita e stringermi. E’ una cosa tanto sbagliata? Quasi voglio che mi morda, in modo che poi, una volta sazio, avrebbe potuto rimanermi accanto un pò di più.
- Ti rendi conto di quello che dici?
- Si, me ne rendo conto, ma non posso farci nulla. L’hai detto tu che ormai ti appartengo.
Ne sono convinta. Lui ormai è parte di me, un pò della mia vita fluisce in lui. Legati dal sangue.

Grazie a chi legge, a chi segue e a chi preferisce. Pandora

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Capitolo 12
*** 12 ***



12.
Mi guarda silenzioso, in piedi di fronte a me. Dalla camicia nera semi aperta e strappata, posso intravedere che le sue ferite si sono completamente rimarginate, dopo neanche un’ora dalla lotta. Il braccio prima dolorante ora non sembra aver mai sofferto.
Le ultime parole che ho pronunciato ancora aleggiano per la stanza. Mi sono chiaramente e definitivamente legata e donata a lui, al suo appetito, alla sua sete, al suo essere.
Mi alzo lentamente dal divano e mi avvicino a lui.
Ora siamo l’uno di fronte all’altra, a pochi centimetri di distanza. Mi sollevo in punta di piedi e gli bacio le labbra fredde, ad occhi chiusi, come una bambina al suo primo bacio. Innocente.
In realtà non sono pura, il mio sangue è già macchiato, fin dalla nascita. Forse è quello il mio destino.
Julian non si muove, solo i suoi occhi si chiudono un po’.
Mi abbasso, slaccio la zip del mio maglione e lo allargo, facendolo scivolare da un spalla, in modo da lasciar scoperto il collo e la linea che lo congiunge al braccio.
Mi rialzo nuovamente e con un braccio spingo la sua testa contro di me, contro la mia pelle appena lasciata libera dalla lana, che l’ha mantenuta calda.
E’ rigido, sento i suoi movimenti duri mentre appoggio la sua testa alla mia spalla. Sento il suo contatto freddo e rabbrividisco.
Questo tremore lo riscuote.
Inspira a fondo, comincia a baciarmi la pelle salendo e scendendo lungo la giugulare.
Comincio ad ansimare, mentre con la mano fredda mi solleva la maglia e si insinuava a sfiorarmi la pancia, poi mi stringe un fianco con le dita e mi attira a se.
Apre la bocca e morde.


Sento la vita lentamente abbandonarmi, comincio a riconoscere quelle sensazioni, i battiti che diminuiscono, il respiro che cala, la vista che si annebbia.
Perdo i sensi rapidamente, ancora indebolita dall’attacco precedente. Il mio subconscio però rimane sveglio e vigile.
Nel buio di quello stato di nulla, una sensazione di calore, una carezza sulla pelle.
Mi sento cullare da quel tepore, così avvolgente, la mente intorpidita non vuole più reagire. Come quando ti stai svegliando ma vorresti restare per ore tra le braccia di Morfeo. Il tepore aumenta.
La sensazione di essere toccata cresce, come i battiti del mio cuore, come la frequenza del respiro.
Una traccia fredda si muove lungo il mio fianco, delineando i contorni della mia voglia a forma di cuore. Come l’acqua di un ruscello di montagna su cui si riflettono i raggi brucianti del sole estivo.
Come fiocchi di neve che si sciolgono stretti in un pugno.
Si, mi sto sciogliendo.
Muovo la testa, ma i miei occhi ancora non si aprono.
Non sono più in piedi. Il mio corpo abbandonato, circondato.
Un altro tocco, ugualmente freddo segue la linea del mio collo, fino all’orecchio. Su e giù.
Brividi mi corrono lungo la schiena, mentre il resto del corpo è un bollore unico, vampate raggiungono e mi abbandonano come onde sul bagnasciuga.
I sensi riprendono il controllo lentamente. Ma ad ogni carezza, seppur minima, perdo il senno, la ragione e mi lascio riempire dal piacere che quel contatto.
Mi muovo lentamente e mi sento aderire ad un corpo, freddo e duro.
E’ attorno a me, è ovunque.
Le gambe intrecciate con le mie, distesi sul divano, mi lega a se.
Muovo una mano verso la sua: nonostante non lo vedo so che si stava intrattenendo lungo il mio fianco e cerco di fermarla.
Per potermi controllare, per poter ragionare. Per respirare di nuovo regolarmente. Inalare il suo profumo avvolgente. Apro gli occhi, per ritrovarmi a guardare i suoi. Neri e profondi.
Mi sorride e io ricambio.
Non servono parole, non servono futili frasi. Non ora.
Si avvicina e mi sfiora le labbra con le sue, una carezza. Questo basta a scatenarmi una tempesta dentro. Calore dal bassoventre, palpitazioni, la gola non mi duole per il morso ma per i continui sbalzi del mio fiato: veloce, lento, veloce.
Non mi muovo, lasciai che sia lui a guidare ogni pur minimo spostamento.
Posa nuovamente la sua bocca sulla mia, semi dischiusa e dolcemente mi morde il labbro inferiore.
Ancora non reagisco.
Insinua la lingua a giocare con la mia, così rispondo a quel tocco con uno altrettanto delicato, cominciando a muovere le labbra sulle sue.
Seguono carezze, sorrisi, giochi di dita intrecciate le une alle altre e poi sguardi.
Le mani corrono sulla pelle liscia e fredda, calda e vellutata, sul viso, sul collo, sul suo corpo scolpito, sulle linee dolci dei miei fianchi, dei miei seni, sui suoi pettorali delineati, sulla schiena ampia.
Respiri, sospiri, gemiti, all’unisono, uniti nei baci, uniti dal sangue e da quella notte un solo corpo, una sola anima.


Riapro gli occhi, svegliata dall’alito freddo di Julian sul collo. E’ ancora stretto a me, sembra dormire, ma so benissimo che in realtà è cosciente.
I nostri corpi nudi vicini hanno trovato un tepore intermedio, un po’ più caldo lui, un po’ più fredda io, nascosti da una coperta di lana, da cui fuoriescono le nostre teste da una parte e i nostri piedi dall’altra.
Quasi subito i suoi occhi imbambolano i miei e le sue labbra si curvano in un sorriso.
Mi sposta i capelli dal collo per osservarlo, per studiare i forellini che mi ha lasciato. Li accarezza con la mano fredda e il suo sguardo si incupìsce.
- Non preoccuparti – cerco di tranquillizzarlo sorridendogli – domani non ci saranno neppure più.
Tenta di sorridere, ma rimaniamo in silenzio. Lui mi fissa il collo, io il soffitto bianco della stanza, pensando ad un modo per tirargli su il morale, per farlo sorridere.
Com’è possibile che dopo tutto quello che abbiamo vissuto assieme, abbia uno sguardo terribilmente triste? ha lottato, mi ha difesa… non proprio, ha difeso una sua proprietà, ma forse ora, dopo questa notte, posso sperare che mi veda diversamente? Che quello che ci ha unito, che dopo avergli donato il mio sangue e la mia anima sia qualcosa di più per lui?
Mi volto a scrutargli il volto, per capire quali emozioni può provare in quel momento sempre se emozioni ne prova. Già una volta mi ha detto di non avere sentimenti, ma non gli avevo creduto. Neppure ora quando i nostri sguardi si incrociano di nuovo, al ricordo di quelle parole posso credergli.
E’ triste. Perché?
Io mi sento leggera, felice nel suo abbraccio. Gioiosa di essermi data a lui completamente, mi accontenterei anche di essere considerata una proprietà in quell’istante se solo mi donasse un timido sorriso. Invece distoglie lo sguardo e si alza abbandonandomi alla pelle del divano.
Mi lancia i vestiti, freddamente.
Li osservo e poi mi rivolgo a lui, a bocca aperta, pronta a chiedere spiegazioni, ma non ne ho il tempo.
Lui era è pronto.
- Ricomponiti, ti porto a casa.
Non riesco a spiccicare nulla tanto quelle parole mi sono penetrate dentro, più che per il loro significato, per il modo in cui sono state pronunciate. Dure, spietate. Apatico. Ed io? Un oggetto. Una proprietà. Col cuore spezzato in mille frammenti. Tanto piccoli, forse, da non poter essere riuniti assieme.
- Julian, ho fatto qualcosa che non dovevo?
- No.
- Ti ho infastidito?
- No.
- Vuoi che me ne vada?
- Si.
- Perché?
- Mi hai stufato.
- Capisco. – mento.
Non capisco. Non posso capire. Non voglio capire. Non è cambiato. Punto.
Sono stata sciocca. Conosco i suoi atteggiamenti.
- Non disturbarti allora – gli dico una volta rivestita – chiamo un taxi.
Esco dalla stanza. Silenziosa. Cerco coraggio dentro di me, cerco orgoglio nel profondo del mio essere.


Faccio scattare le serrature e apro la porta.
Fred mi aspetta sveglio, guarda la tv. Lo sguardo duro.
- Ciao – gli dico senza guardarlo in volto.
Ho paura di cedere e liberare tutto ciò che provo davanti a lui.
- Ciao – risponde.
- Vado a dormire. Buonanotte.
- Certo. Tutto bene?
- Si.
- Si è ripreso?
- Si.
- Ok.
- Ne sei felice?
- Dovrei esserlo? – chiede.
- Non lo so. Dovresti?
- No.
- Bene. – gli dico atona – A domani Fred.
Mi chiudo la porta della camera alle spalle. Mi tolgo i vestiti lasciandoli cadere per terra. Mi infilo il pigiama e mi lascio abbracciare dalle calde spire di Morfeo.

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Capitolo 13
*** 13. ***


13.
Al risveglio mi sento meglio. Non bene, ma nemmeno male. Come quando la tua squadra perde e tu non ci stai. Non è giusto. Perché tu hai tifato. Anche quando sapevi che ormai eravate sconfitti non demordevi, la incitavi. Sapevi che poteva reagire. Sapevi che non tutto era perduto, che bastava risvegliare la voglia di rivalsa della tua squadra.
Vendetta.
La tua squadra vuole la rivincita. Tu vuoi fargliela pagare, perché hai sofferto. Perché il tuo cuore si è spezzato. Perché hai mentito a tuo fratello per lui e guarda come ti ha ripagato.
Decisa, mi alzao dal letto e mi sposto in sala.
Fred è già sveglio e sta preparando la colazione. Meglio, almeno non lo avrei irritato ancora di più svegliandolo.
- Buongiorno – esordisco decisa. – Hai da fare oggi?
- Buongiorno – risponde freddo. – Io no, ma tu devi andare a lavorare.
- Certo, certo, vedremo. Devo chiederti un favore.
- Di che si tratta? – risponde alzando un sopracciglio, curioso.
- Addestrami.
Silenzio. Ci fissiamo negli occhi.
- No. – risponde dopo una lunga pausa.
- Eddai Fred, che ti costa, poi una mano può esserti utile no?
- È troppo pericoloso.
- Ma io guarisco in fretta, forse è più pericoloso per te.
Spavaldamente lo guardo sfidandolo con un sorriso.
- Perché dovrei?
E’ ancora dubbioso, non l’ho convinto.
- Te l’ho detto, per aiutarti.
- Non mi incanti Kris.
- Sono circondata da vampiri, un pò di auto difesa non può che farmi bene. Non sarò sempre fortunata. Prima o poi…
- Ci sarò io… e poi hai sempre il tuo eroe. – dice sarcastico.
- Già…- mi incupisco, ma mi riprendo in fretta – Lasciamo perdere quello, ok?
- Mi sono perso qualcosa. Kris, cosa non mi hai detto stavolta?
DRINN!
Salvata dal campanello. Corro ad aprire sorvolando sulla domanda di mio fratello. Dallo spioncino vedo una divisa blu e capelli castani spuntare da un berretto della polizia. Sorrido tra me e me.
- Ciao William! Oh scusa, forse Tenente è meglio?
- Ciao Kristina! Tranquilla, sono solo, William va benissimo. – risponde al mio sorriso con uno molto migliore, caldo e soave, come la sua voce.
- Ciao Will – saluta Fred raggiungendomi alla porta – vuoi entrare per un caffè?
- Grazie, un caffè di corsa è quello che ci vuole.
Si accomoda al tavolo con noi e gli riempio una tazza.
La sua presenza ha allontanato un po’ della tensione in casa e ha portato una ventata d’aria pulita.
- Come mai da queste parti? – chiede mio fratello.
- Volevo sapere se ci sono novità. Kris hai avuto altri…contatti?
So a cosa allude, istintivamente mi irrigidisco. Cosa rispondere? Fred ripose al mio posto.
- Per fortuna tutto tranquillo. Niente incontri ravvicinanti con assassini. – la butta sul ridere.
Gli sorrido per ringraziarlo.
- Bene – dice William cupo.
- Perché? Che è successo?
- Ha ucciso ancora. A pochi isolati da qui. Tutto come al solito.
- Accidenti! – ringhia Fred battendo un pugno sul tavolo.
Ci giriamo sorpresi a guardarlo: so cosa sta pensando e provando mio fratello, si sente in parte responsabile di quella morte, perché questa volta avrebbe potuto impedirla, ma ha lasciato scappare Samuel. William però non può capire, lui non sa.
- Fred calmati, il tuo senso di giustizia sta dando i numeri. – provo a difenderlo.
- Certo, scusatemi – dice mogio.
- Tranquillo, anche io spesso mi sento così frustrato dal non poter far nulla. - lo consola William alzandosi – ora il lavoro mi chiama. A presto ragazzi.
Lo accompagno alla porta e mi posa un bacio sulla guancia.
- Occhi aperti Kris, mi raccomando.
- Tranquillo Will, volevo giusto darle qualche lezione di autodifesa – dice Fred raggiungendoci sulla porta.
Lo guardo raggiante, l’ho spuntata.

Lavoro.
Addestramento. Lezioni di moto. Teoria sui vampiri. Teoria sui licantropi.
Lavoro.
Autodifesa. Arti marziali. Lezione sulle armi.
Lavoro.
Lezioni di moto.
Amore fraterno. Sorrisi. Complicità.
Lezioni, lezioni, lezioni. Pratica, pratica, pratica.
Lavoro, lavoro, lavoro.
Giorni interi senza vedere l’ombra di un vampiro, senza provare brividi o paura.
Serate tranquille, le prime ronde con Fred. Da non credere alla fine mi ha portato con se. Finalmente mi ha portata in moto.
Non gli chiesi se ce l’avesse con me per non avergli detto nulla di Julian. Mai gli domandai se mi avesse perdonato.
L’affetto che ci legava andava oltre.
Fratello e sorella.

Sono quasi una cacciatrice. Fred è orgoglioso di me. Io un po’ meno. Ho liberato cuore e mente dedicandomi solo al lavoro e all’addestramento. Ho imparato tutto molto in fretta, il mio corpo un po’ è cambiato, più scattante, più atletico e sodo. Questo è l’aspetto positivo.
I problemi arrivano quando rimango sola, quando vado a dormire. Rivedo Julian nella mia mente, i sorrisi, i baci, le carezze, il nostro contatto. Rivivo quell’unica notte in ogni sogno e in ogni incubo; mi sveglio sempre sul cuscino bagnato e col viso rigato di lacrime.
Mio fratello attribuisce gli occhi rossi al poco sonno e glielo lascio credere tranquillamente. Non l’ho più rivisto, non sono andata a cercarlo e lui non si è fatto vivo. Né lui, né Samuel.
Ogni sera durante la ronda osservo attentamente ogni angolo, ogni vicolo, seguo ogni ombra, annuso l’aria per cercare il suo odore. Fred ovviamente mi prende in giro, dice che non abbiamo l’olfatto così sviluppato come lo hanno invece i vampiri, che in quel modo non li avrei mai individuati. Si riferiva in generale, certo.
Ha ragione, non sono mai riuscita a percepire nulla se non l’odore di fogna o di rifiuti nei vicoli, ma di vampiri ne ho incontrati, qualcuno. Mio fratello si sincera che non siano troppo pericolosi e poi mi ci fa allenare, fino a farli stancare, poi li finisce lui.
Quando spara e i proiettili argentati li colpiscono, i vampiri stramazzano a suolo e diventavano come cenere.
La prima volta ne rimasi affascinata. Poi cominciai a pensare che quel mucchietto di polvere avrebbe potuto essere Julian, non lo trovai più tanto bello.
Una mattina quando mi alzo dal letto mi rendo conto che è il 24 dicembre, la Vigilia di Natale, e io non ho ancora comprato un regalo a mio fratello. Avevamo deciso che non sarebbe tornato a casa da nostra madre, ma avrebbe passato le feste con me, che non posso allontanarmi troppo a causa del lavoro. Ho ferie solo per due giorni.
La porta si apre lentamente.
- Buongiorno sorellina- entra Fred urlando gioioso con un vassoio in mano.
- ‘Giorno – rispondo tirandomi le coperte sopra la testa.
- Su, su, ci aspetta una giornata di shopping natalizio!
- Mmmmh!
Prende le coperte e me le strappa di dosso. Subito mi raggomitolo cercando di scaldarmi. Mi tira per le gambe e mi fa cadere dal letto, per poi scoppiare a ridere.
- Non c’è niente di così divertente mi sembra.
- A me pare il contrario!
- Va bene, ora sono sveglia, sei contento?
- Un po’ – dice sorridente baciandomi sulla testa – dai tirati su ora, ti ho portato la colazione.
Sorrido per ringraziarlo e bevo il mio caffè.
- Visto che oggi non devi andare in ospedale, pensavo che potremmo fare un giro in centro a prendere il mio regalo, ti pare?
- E se avessi già deciso cosa comprarti?
- Dubito – dice stizzito.
- Hai vinto – dico alzando gli occhi.
Se ne esce tutto felice col vassoio.
Prima di andare in centro però prendo il portatile e controllo la posta elettronica. Erika, la mia amica d’infanzia che si è trasferita a New York, non ha ancora risposto alla mia mail ed è passato quasi un mese. La cosa comincia a preoccuparmi. Io mi sono fatta sentire poco, ma questo silenzio non è da lei.
Sempre allegra, solare, quando eravamo insieme non stava un secondo zitta.
Dubbiosa prendo il cellulare e provo a chiamarla ma niente, nemmeno dai suoi genitori. Anche con loro si faceva sentire poco, da un paio di settimane, ma non se ne preoccupavano, non era la prima volta. Per loro forse, ma per me sì, non era mai scomparsa così a lungo.
Confido i miei timori a Fred, ma anche lui mi dice di non preoccuparmi.
Ormai sono paranoica, vedo problemi ovunque.
Spero che queste vacanze mi aiutino a rilassarmi.
Usciamo per negozi, così posso distrarmi un po’. Mio fratello come regalo sceglie un bel tris di guanti, cappello e sciarpa di lana grossa, color grigio fumo, in cambio lo convinco a comprarmi un maglione bianco a collo alto; ha l’aria di tenere caldo caldo ed è morbidissimo.
Compriamo altri regali e ci incamminiamo a casa pieni i pacchi e pacchetti, ovviamente i più pesanti li porta lui. Torniamo che il sole è già tramontato, e piccoli fiocchi di neve scendono candidi sulle nostre teste.
- Che facciamo stasera? Cenone? – chiedo a Fred.
- Veramente…
- Anche stasera? Anche la notte di Natale?
- Kris i mostri assassini non si fermano davanti a nulla, nemmeno alla rievocazione della nascita di Dio.
- Beh dovrebbero informarsi sulle tradizioni umane – dico imbronciata.
- Lo sanno, sono stati umani anche loro.. – mi dice scompigliandomi i capelli.

Rimango imbambolata davanti alla finestra della mia camera a rimirare le luci della città che si riflettono sui candidi fiocchi che scendono dal cielo.
Che tranquillità, che spettacolo unico. Un vero peccato prepararsi per uscire a fare ronda.
Mi concedo ancora qualche minuto, mi attorciglio la sciarpa al collo ed esco sul balcone a respirare a fondo l’aria fredda. Mi stringo le braccia attorno per scaldarmi, non rimango a lungo per non congelare. Chiudo gli occhi e mi rilasso. Svuoto la mente e mi perdo in quel nulla, come in catalessi, ma scossa dai brividi. Ho freddo, ma sto bene.
Inspiro bene dal naso, un lieve profumo mi penetra nelle narici. Dolce e avvolgente. Lo conosco, non mi è nuovo.
Anche così mi salgono le lacrime agli occhi, e la mente improvvisamente si riempie di ricordi piacevoli e dolorosi al contempo. Dentro di me rivedo gli occhi di Julian, neri, striati d’azzurro, i capelli che gli ricadevano disordinati sulla fronte, il collo lungo.
Una lacrima mi sfugge e scende lungo la guancia. Fredda, ghiacciata a contatto con l’aria nevosa.
I sensi troppo scossi, mi creano un’illusione: percepisco la sua presenza accanto a me, oltre al suo profumo che ormai ha intasato ogni percezione. Vorrei allungare un mano nel vuoto tanto sono convinta di poterlo toccare, è come se fosse davvero qui accanto a me.
Cosa darei per poterlo realmente accarezzare, per sentirmi sfiorare il collo col suo naso freddo o con le sue dita lunghe e affusolate. Gli concederei nuovamente tutta me stessa, non ho dubbi.
Ho indurito la mia scorza, mi sono allenata, vorrei fargliela pagare, è diventata quella la mia priorità, ma so che se me lo ritrovassi davanti mi scioglierei come burro tra le sue mani, come neve al sole.
L’unica lacrima traditrice che ha osato sfuggirmi ha scavato non solo sulla mia guancia, ma anche nel mio cuore, lasciando dietro a se un solco profondo e arido, ghiacciato. Il contatto con l’aria causa brividi lungo il corpo, tremori. Non credo di poter provare ancora più freddo, soprattutto sul mio volto.
Invece lo percepisco.
Un tocco leggero, quasi impercettibile, più flebile di una carezza lungo la traccia lasciata dalla mia lacrima. Vigliacca, non solo mi è sfuggita, ma mi gioca anche brutti scherzi.
Un istante dopo realizzo che il profumo di poco prima ora è ancora più forte, più vicino. Capisco che se solo aprissi gli occhi me lo ritroverei davanti.
Julian. E’ lì, lo sento.
Ma non trovo il coraggio, rimango immobile a gustarmi quell’illusione. Se non fosse che uno scherzo della mente?
Sarei sprofondata, tutti i miei sforzi sarebbero stati vani, tutta la fatica del cercare di metterlo da parte sarebbe diventata un buco nell’acqua.
Gli sorrido, è l’unica cosa che mi concedo. Sollevo gli angoli della bocca verso l’alto, nessuno lo avrebbe saputo, niente testimoni.
Io continuerò a mentire a me stessa. Un'altra carezza sempre sulla guancia. Immagino pure questa?
Non mi importa. Non voglio rompere questo momento di assoluta pace esteriore e di totale tempesta interiore, perché nonostante tutto sono felice.
Poi un sussurro, lieve e sommesso al mio orecchio.
- Sei diversa.
L’alito fresco raggiunge la mia pelle. La voce, la riconosco, è la sua, non lo sto immaginando.
- Resta così, non aprire gli occhi, non guardarmi. - riprende – Non me lo merito.
Gli obbedisco, mi lascio cullare dal suono melodioso delle sue parole e dal tocco gentile e leggiadro delle sue dita sul mio volto, lungo il collo.
Ancora qualche istante, non te ne andare, resta così.
Un rumore, la porta che si apre.
- Kris sei pronta? Ma quanto ti ci vuole a prepararti?
Fred è entrato in camera. Apro gli occhi.
Nulla, nessuno, vuoto, sola, sul balcone al freddo.
- Kris ma che stai facendo sul balcone? Ti ammalerai!
Mi volto sorridendogli.
- Guardavo il panorama e respiravo l’aria fresca. Lasciami un attimo di tregua.- dico rientrando a scaldarmi, chiudendo la porta finestra.
- Beh se vuoi tornare presto per aprire i regali ci conviene muoverci.
Mi da un buffetto sulla testa bagnata dalla neve e poi mi precede fuori dalla stanza.
Ho sognato? O era reale? Ancora non riesco a decidermi.
Guardo fuori, osservo le impronte nella neve e sorrido.
Prendo la giacca e mi fiondo giù per e scale con mio fratello.
Felice e leggera.

Prima o poi riceverò un commento? Grazie a chiunque legge!

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Capitolo 14
*** 14 ***


14.

Mi batto e uccido il mio primo vampiro. Tutto da sola.
Non è difficile, la mia preda è debole e affamata. L’abbiamo sorpreso prima che trovasse una vittima. Di serial killer ne basta uno in città.
Dopo averlo ridotto ad un mucchio di polvere con una pugnalata in mezzo alle scapole, mi rivolgo a mio fratello.
- Che ne dici? Sono stata brava?
- Si non c’è male, ma ricordati che non sarà sempre così facile.
- Ok ok. Abbiamo lavorato abbastanza per la sera di Natale, non trovi?
- Mmm si dai, oggi giro corto!
Gli sorrido serena.
Una risata risuona nel vicolo in cui ci troviamo. Dura e fredda, inconfondibile.
E’ Samuel, ne sono più che certa.
Ma non riesco ad individuarlo. L’eco tira brutti scherzi.
Un ombra si cala rapida dal tetto del palazzo alle nostre spalle. Ci giriamo rapidi e pronti alla lotta. - Cacciatore, hai addestrato la ragazzina?
- Che vuoi vampiro? Hai voglia di giocare alla lotta? – Fred risponde spavaldo.
- Mi trovavo dei dintorni, avevo sete.
Ha il potere di spaventarmi terribilmente facendomi rabbrividire.
- E’ la vigilia di Natale, non lo sai che si sta leggeri?
Guardo un po’ storta mio fratello. Vuole fare il simpatico con Samuel? Raccontagli le barzellette?
A Natale siamo tutti più buoni, penso.
Ma dubito che questo valga anche per il vampiro.
- Tre piccioni in un colpo solo, che fortuna.
- Tre? Come tre? – esclamo.
Mi guardo intorno e non vedendo nulla mi rivolgo a Fred. Lui annuisce.
Io continuo a non capire.
- C’è il tuo amico – mi sussurra, sorridendo sarcastico – non è la prima volta che ci segue.
- Ah. – rispondo impietrita.
Era l’ultima cosa che mi aspettavo. Julian. Ma dov’è?
Non riesco ad individuarlo.
Io non mi sono mai accorta di niente. Come posso pensare di aiutare mio fratello nella sua lotta?
- Esci fuori vampiro.- dice Samuel ad un volume di voce normalissimo, ma sapendo che l’interessato è in ascolto e che l’avrebbe sentito.
Julian si materializza tra me e Fred, leggermente più indietro. Da dove è spuntato lo sa solo lui.
Quasi non mi prendo un’accidenti dallo spavento.
- Bene, ora ci siamo tutti. Ma se permettete, tre contro uno è un combattimento sleale, quindi mi sono portato un amica. Vieni tesoro mio.
Da dietro l’angolo, si sentono dei passi lenti, che procedono costanti. Il suono dei tacchi sull’asfalto risuona tra i palazzi silenziosi. Si intravede la forma slanciata del corpo, i lunghi capelli lisci che ondeggiano a destra e sinistra seguendo il ritmo dei suoi passi. La prima vampira che avessi mai visto. Non immaginavo mi avrebbe sconvolto a tal punto.
Lentamente arriva sotto la luce e nonostante i lineamenti del suo viso siano più decisi, sono anche molto più affinati e al contempo leggiadri. La pelle bianca è imbelletata di rosa sulle gote come a rendergli un po’ di vita, gli occhi sono scuri, marcati da un tratto di matita che rende ancora più profonde le occhiaie che li circondano, i capelli sono lucenti e biondi.
Si ferma affianco a Samuel.
Non respiro, trattengo il respiro per almeno un minuto. Mollo la presa sul pugnale che scivola ai miei piedi. Riconosco quel volto, nonostante le iridi nella mia memoria fossero azzurre e i tratti molto più dolci. Mi passano davanti le immagini della mia adolescenza a Minneapolis.
Non può essere lei. Non la mia amica. Non Erika.
Mi giro sconvolta a guardare Fred. E’ ancora rigido, in posizione pronto a scattare.
- Fred… - non riesco a proseguire.
Lui mi guarda con la coda dell’occhio.
- Fred…- riprovo – è…la riconosci?
- Non è lei!
- Ma come? È lei, come puoi non riconoscerla.
- Non è più lei Kris.
Scuoto violentemente la testa. Come può dire così. Erika per me è una sorella, per lui era stato molto di più e ora rimane freddo e concentrato.
- Erika – mi rivolgo alla vampira, avanzando di un passo. – Erika che ti è successo?
Lei mi guardò incuriosita.
- Vi conoscete? Come è piccolo il mondo….ahahah! – sibila Samuel malvagiamente.
- Erika allontanati da lui. – le urlo.
- Smettila sciocca ragazzina.
Avanzo di un altro passo avanti. Ormai disperata, che importanza ha il resto?
Che hanno fatto alla mia amica? Chi è stato?
- Kris fermati. – soffia una voce soave alle mie spalle.
Mi volto verso Julian. E’ serio, ma il suo volto non è duro o arrabbiato, solo inespressivo. Muove la testa da una parte e dall’altra, come per dissuadermi.
Torno ad osservare la mia amica. Ma lo è ancora?
- Erika, sai chi sono? Ti ricordi di me? Sono Kris.- le urlo.
La vampira mi si avvicina, fino a rimanere separate solo da qualche passo.
La scruto attentamente, è sempre stata così alta? Il suo corpo era sempre stato così affusolato, ma al contempo compatto? Le sorrido, ormai allo stremo. Lei continua a fissarmi. Che stia ricordandosi di me?
Tenta di avvicinarsi ancora di più, ma un ringhio proveniente da dietro le mie spalle la blocca.
Abbassa lo sguardo, fa un sorriso storto, amaro.
Poi fulminea mi colpisce con un pugno allo stomaco.
Io disarmata, mi piego in due buttando fuori tutta l‘aria nei miei polmoni e mi accasciai a terra.

L’asfalto bagnato dalla neve sotto di me, mi inumidisce i jeans e mi ghiaccia le gambe.
Mi trovo inginocchiata per terra, con le mani attorno allo stomaco, gli occhi stretti per il dolore.
Nemmeno un secondo dopo un ringhio riempie l’aria.
Il vampiro alle mie spalle sta per scattare, lo sento.
- Fermo. – urlo – non ti muovere.
Risollevo la testa. Erika è li davanti a me che mi guarda con un sorriso beffardo. Mi rialzo. I miei compari mi hanno ascoltata e non si sono mossi, Julian imperturbabile, una statua di sale, mio fratello ancora in guardia, ma ha sfilato la pistola. E’ realmente lei? La mia amica? Forse semplicemente non lo è più. Lo era stata, le ho voluto bene, ma ora mi ha colpita.
Reagire. Se non altro per orgoglio. Provo a tirarle un pugno, ma è lesta e rapida, si abbassa schivandomi. Per poco non mi sbilancio e perdo l’equilibrio.
Non è decisamente come con il debole vampiro di poco prima. Erika, sempre accucciata, ruota su se stessa con una gamba tesa, nel tentativo di colpirmi le gambe male appoggiate a terra e farmi cadere. Fortunatamente intravedo i suoi movimenti e riesco a saltare nel momento giusto. Atterro lì a fianco, alle spalle ho sempre i miei compari a pochi passi, davanti la mia amica.
Ci studiamo. Lei è nettamente superiore, dotata di super forza e velocità. Io l’unica cosa di cui posso servirmi è l’argento.
- Fred – urlo – Dammi il coltello!
Mio fratello si china e me lo passa da dietro, direttamente in mano.
- Grazie – gli sussurro
- Credi che ora riuscirai a sconfiggerla? – sibila Samuel.
Non gli rispondo neppure. Cerco subito l’affondo, ma la manco. Si sposta tropo velocemente.
I miei occhi sono ancora troppo lenti e i miei movimenti troppo scontati. Contrattacca con un altro pugno allo stomaco, che riusco a schivare, ma solo parzialmente.
Accuso il colpo, rimanendo in piedi.
Respiro affannata. Decisamente inferiore. Samuel se la ride di gusto, mi da già per spacciata.
Forse non ha tutti i torti, non ho molte speranze di vittoria.
Lo scontrò non può continuare.
L’eco di sirene riempie la strada, non sono lontane.
- Ora basta. Andiamocene. – ordina Samuel.
Si dilegua all’istante e subito dopo Erika lo segue.
Respiro a fondo e mi inginocchio nella neve. Voltandomi vedo Fred avanzare nella mia direzione ed appoggiarmi una mano sulla spalla, sorridendo.
- Sei lenta sorellina, ma sei ancora viva . – mi dice sarcastico.
- Sono scarsa. – rispondo sbuffando.
- Poteva andarti peggio. Andiamo ora.
Gli sorrido e guardo oltre. Non c’è nessun’altro.
- Se ne è andato.
Non gli rispondo.
- Ci sei rimasta male?
- Certo che no! – grido acida.
- Ahhhhhhhh. Abbiamo la coda di paglia eh?
- E piantala.
Mi solleva da terra e mi prende in braccio.
- Sarà meglio allontanarci anche noi.
- Fred ma che fai mettimi giù.
- Andiamo! Così faremo più in fretta, vuoi forse affrontare William in questo stato?
- …No
- Ecco allora buona e zitta che non ci beccano.
Corre con me in braccio fino a casa.
Non eravamo lontani, ma non mi ero mai resa conto di quanto fosse forte e resistente.
- Cosa credi sia successo? – gli domando.
- Mi sa che i nostri amici si siano divertiti prima di giocare un po’ con te.
Mi lascia davanti al portone e chiamiamo l’ascensore. Ormai non abbiamo più fretta e possiamo usare questa trappola arrugginita.
Davanti alla porta dell’appartamento mi blocco. Valige. Mi volto a scrutare mio fratello che ha corrugato la fronte.
La luce del pianerottolo si accende.
- Ciao ragazzi! Ma dov’eravate? È un pò che vi aspetto! – una voce femminile, leggiadra e cristallina, pena di allegria. Mi ritrovo stretta in un abbraccio gioioso.
Riconosco la voce, riconosco il profumo e anche le fattezze.
- E-Erika?
- Si Kris, che bello vederti, è un casino di tempo che non ci sentiamo neppure. Sì, lo so che non ho avvisato che arrivavo, ma mi mancavi troppo, ho voluto farti una sorpresa per Natale!
Mi abbraccia e saltella. Sprizza felicità da tutti i pori.
Erika.
Erika.
Erika viva.
Io rimango ferma, imbambolata. Staccata da me, passa a Fred.
- Cucciolone, non mi saluti neppure? Non mi dici niente?
- Ma certo Erika, come stai?
Si abbracciano, ma vedo anche lui titubante.
- Ragazzi sono troppo contenta di vedervi! Ma quindi? Non mi fate entrare?
La fisso come se fosse un fantasma. In un certo senso lo è.
- Ma certo – dice mio fratello aprendo la porta – accomodati. Ah e Buon Natale!
A passo di zombi li seguo dentro e mi accascio sul divano.
La testa mi gira e le orecchie ronzano.
- Kris tesoro, stai bene? Sembra tu abbia visto un fantasma….o un vampiro? - dice queste parole facendomi l’occhiolino.

Un saluto da Pandora, scusate il ritardo.

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Capitolo 15
*** 15. ***


15.

- C-cosa?
La guardo esterrefatta. Mi ha appena chiesto se ho visto un vampiro.
Erika mi sorride, in piedi davanti a me.
Sono sconvolta.
La testa è un marasma confuso. Tutto ruota nonostante sia seduta.
Poco fa credevo di aver perso la mia migliore amica per sempre, poi me la  ritrovo davanti alla porta di casa, ora mi chiede se ho appena visto un vampiro!
La vedo accigliarsi.
- Oh, forse non dovevo dirlo…- dice facendo scomparire il sorriso dal suo volto innocente. – Fred ho detto qualcosa di sbagliato? – si rivolge a mio fratello.
Sempre incredula, lentamente giro lo sguardo verso di lui, che si sta aprendo una birra in cucina.
- No, Kris ora sa tutto. – dice come se niente fosse.
E’ sereno, non ne capisco il motivo. Lui non è sconvolto quanto me per la presenza di Erika nella stanza. Ma che sta succedendo?
- Fred? Lei sa?
- Certo.
- Come certo!
- Kris, io ed Erika siamo stati una coppia per 3 anni. È ovvio che sa.
A quel punto mi infurio, alzandomi rabbiosamente dal divano.
- Mi stai dicendo che l’unica imbecille che non ne sapeva niente di vampiri e tutto il resto ero io?
- Non vederla così…
- Io la vedo per quello che è!
- Kris ora cerca di calmarti che ti spiego. – dice Erika sorridendomi.
- Tu non parlare! – le rispondo acida – non so nemmeno se tu sei chi dovresti essere. Ti ho appena visto in versione vampiro e ora sei qui, auto-invitata a casa MIA!
- Versione vampiro?
- Si esatto, mi hai conciata per le feste!
- Veramente non ti seguo….
- Kris basta, calmati ora – Fred prende in mano la situazione. – evidentemente quella che abbiamo visto non era Erika.
- Ma…Ma…era lei…
- No, lei è qui, viva e vegeta.
- Ma era identica….
- Kris, sono io davvero… - mi dice implorante la mia amica avvicinandosi di un passo.
Mi prende la mano e la stringe a se. E’ calda e il suo profumo inconfondibile. Quante volte ci siamo prese la mano per consolarci, in passato. Una sensazione inimitabile.
Mi sciolgo e mi fido di lei.
- Erika, sicura di non avere una gemella malvagia? – dico calma e sorridente, ad occhi chiusi.
Ride di gusto assieme a mio fratello, l’atmosfera nella stanza si rilassa.
Fred arriva alle nostre spalle e ci circonda con le sue braccia forti, nelle mani tiene due bottiglie di birra.
- Ragazze mie, è Natale! Che ne dite di brindare a questa piccola riunione di famiglia?
Stappiamo, brindiamo e ci scambiamo i regali, immersi nella nostra oasi privata di felicità.
Erika ci ha portato dei doni, per ricambiare l’ospitalità.
A me un lettore mp3.
- Almeno quando viaggi sulla metro fino in ospedale non ti annoi – ha commentato.
- Grazie! Ma che ne sai che prendo la metro? – risponso accigliata.
- So più di quanto tu creda – dice, rivolgendo uno sguardo mellifluo in direzione di Fred.
Poi tira fuori uno scatolone dal borsone da viaggio, una specie di borsa di Mary Poppins…sembra senza fondo.
Mio fratello lo scarta e ne tira fuori un casco per la moto nero, opaco con disegni etnici bianchi. E’ stupendo.
- Questo perché so che vai come un matto quando sei di fretta.
- Non dovevi – le risponde sorridendole e avvicinandosi per porgerle un bacio sulla guancia.
Erika si sposta all’ultimo momento e le loro labbra si incontrarono. Gli passa le braccia dietro la nuca e lo trattiene a se. Non si staccano. E’ una situazione molto imbarazzante.
Non è la prima volta che li vedo baciarsi, sono stati una bellissima coppia, ma la loro storia è finita da un anno.
- Ehmm, ragazzi. – provo ad interromperli. – Scusate! – continuo alzando il tono di voce.
Lentamente si staccano e si sorrisdono.
- Siete sicuri che non avete qualcosa da dirmi? – tento di attirare l’attenzione.
Non si accorgono di nulla, rimanengono imbambolati a guardarsi.
- Vabbè, ditemi quando la mia presenza sarà di nuovo gradita. – sbuffando simpaticamente mi reco in camera mia.
Mya dorme sul letto nel suo angolo preferito. Ovviamente snobba la cesta che le ho preparato fin dal nostro arrivo in questa casa e che, per le feste, le ho pure addobbato.
- Auguri miciona! – dico accarezzandola e svegliandola.
Lei si stiracchia e miagola in risposta.
- Come sono ridotta, la notte di Natale a fare gli auguri alla mia micia. Meno male che ci sei tu. – dico stringendomela al petto.
Suona il campanello e Mya si spaventa. Nel tentativo di fuggire mi graffia un braccio.
- Ahi! Che male!
Mi alzo, sbircio in sala per essere sicura che i due piccioncini si siano staccati, vedo Fred intento ad aprire.
- Buona sera e Felice Natale a tutti!- una voce gioiosa riempie la stanza.
- William ,entra! Auguri anche a te!
Vedo lui e mio fratello stringersi la mano e darsi una pacca sulla spalla a vicenda.
Li raggiuno.
- Auguri Will, Buon Natale! – sfodero il più allegro dei miei saluti.
La sua presenza mi mette sempre di ottimo umore.
- Auguri Kristina!
Il suo sorriso smagliante, mi abbaglia per qualche istante e me lo ritrovo con le braccia attorno ai miei fianchi che mi posa un delicato bacio sulla guancia. Arrossisco per la sorpresa.
Staccandomi lo osservo, non è in uniforme, per una volta, ma indossavjeans e un maglione nero a collo alto, sotto ad un cappotto nero. Sta veramente bene.
- A-accomodati – dico piano.
- Grazie. Ho portato dello vino per festeggiare. – dice incrociando lo sguardo di Erika – Ciao, noi non ci conosciamo, io sono William.
- Piacere Erika. Sono in visita.
La mia amica non si fa imbambolare dal suo sorriso, solo a me succede?
Evidentemente si.
- Hey prima abbiamo sentito delle sirene… - esordisce mio fratelo.
- Alt! Stasera sono fuori servizio, non voglio sentir parlare di omicidi, sirene e ambulanze.
- Hai ragione. Fred tappati la bocca. – gli dico facendo la linguaccia a mio fratello.
Scoppiamo a ridere assieme.
A notte fonda Will si congeda, dopo una serata trascorsa in allegria, dopo aver parlato e scherzato a lungo con me, anche perché i due piccioncini hanno ritrovato il loro sentimento perduto.
Ci salutiamo, scambiandoci ancora gli auguri.
Mi posa un delicato bacio sulle labbra e richiuse la porta dietro di se.
Intontita dalle mille emozioni della serata, e dal vino, mi dirigo in camera mia e guardo fuori dalla finestra.
Osservai i tetti dei palazzi vicini, ma non vedo nulla.
Certo non mi aspetto di sicuro che un pipistrello atterri sul davanzale del mio balcone, però…spero di intravedere qualcuno.
Dopotutto è Natale.
Presto mi rassegno.
- Buon Natale Julian. – sussurro al nulla.

Riprendo il mio lavoro, troppo presto rivedo l’ospedale. Perennemente pieno, anche nei giorni di festa. Natale ha portato una vecchia amica e nuova allegria. Quale regalo migliore. Sono serena.
Non ho particolari preoccupazioni, a parte un vampiro che ce l’aveva con me, una immortale misteriosa identica alla mia migliore amica, ed un altro esemplare che….non so bene cosa pensare di lui.
I nostri contatti si sono ridotti, da proprietà che ero inizialmente, ora cosa sono?
Lascio i pensieri a casa, sotto il cuscino pronti ad essere tirati fuori appena spengo la luce della mia stanza. Tormentarsi ulteriormente è inutile.
Prepararsi psicologicamente a cosa sarebbe potuto accadere anche.
In qualsiasi caso ne sarei rimasta scioccata.


Finito il turno prendo la metro, ascoltando la musica col mio nuovo lettore mp3.
Scendo alla mia fermata e continuo a camminare con le cuffie nelle orecchie.
Mi isolo con le note dei Foo Fighters.
Dovrei prestare attenzione ad ogni singolo rumore. Dovrei essere pronta a qualsiasi pericolo. Dovrei. Ma non sono pronta. Me la trovo davanti. Non mi accorgo di nulla. Semplicemente o la testa ed è lì, davanti a me. La vampira. Sempre bellissima, porta i lunghi capelli biondi sciolti, un corto giubbotto marrone, jeans e stivali.
Una vera persecuzione. Alzo gli occhi al cielo, vorrei tanto imprecare.
Lentamente sorrido e mi levo le cuffie, ritirando il lettore in borsa, dalla quale estraggo il mio pugnale.
- Buonasera, qual buon vento?
Nessuna risposta.
- Mmm siamo di poche parole.
Niente.
- Almeno vuoi dirmi il tuo nome? So che non sei Erika.
- Helena – risponde dopo qualche secondo.
- Bene Helena – riprendo – Mi vuoi dire chi sei realmente?
Non risponde ma inclina la testa.
- Cosa vuoi da me?
- Samuel ha detto di ucciderti.
- Chi se ne frega di Samuel. Tu cosa vuoi?
- Sangue.
- Certo, ovvio. Faccio sempre domande scontate. Da dove vieni? Chi ti ha reso vampira? – chiedo, mettendomi comunque in una posizione di difesa.
So che non devo conversarci. Agire. Attaccare. Ma prima ho qualche domanda che richiede una risposta.
Non soddisfa la mia curiosità, ma mi attacca. Fortunatamente sono pronta, così sfuggo all’affondo dei suoi artigli, porta unghie molto lunghe e scommetto molto resistenti. Si sbilancia. Anche lei non deve essere una combattente molto esperta. Approfitto della situazione e la ferisco al braccio con la mia arma, lasciandole una ferita rossastra, da cui però non esce sangue.
Si riprende guardando la parte lesa e fissandomi dura, molto arrabbiata. Affonda ancora, ancora e ancora.
Evito il primo colpo, ma non il secondo, dritto allo stomaco, e con il terzo mi squarcia cappotto e maglione ferendomi al braccio, dalla spalla al gomito, perdo sangue, ma non mi preoccupo.
- Ok, siamo pari. – dico riprendendomi.
Ho l’affanno, lei ovviamente no.
Rapida, fulminea mi è di nuovo addosso, mi prende e mi spinge addosso ad un muro, facendomi urtare con la schiena. Per un attimo il colpo mi impedisce di respirare. Mi tiene alla base del collo, issata per aria
Da così vicino vedo che i suoi occhi sono rosso cupo, quasi nero.
Le sue labbra si curvano in un ghigno, mentre si passa la lingua sulle labbra, sta già pregustando il sapore del mio sangue.
Stringo ancora il mio pugnale tra le mani, provo ad affondarglielo nel petto. Siamo vicine, non sarebbe stato troppo complicato, più facile del previsto. Muovo appena il braccio, mi blocca il polso, lo stringe e me lo curva in modo innaturale. Per il dolore mollo la presa e sento il tintinnio del metallo che rimbalza sull’asfalto.
Non riesco a muovermi per la sofferenza. Mi sto arrendendo. Un morso in più non avrebbe cambiato la situazione, ma avrei perso la battaglia. Chiudo gli occhi. Mi aspetto di sentire lacerare la pelle del collo da un momento all’altro.
Non accade, sento una voce.
- Adesso basta.
E’ calma, fredda, bassa e molto vicina.
Scivolo a terra, nessuno più mi sostiene appresso il muro.
Gli occhi di Helena si allargano, sorpresi e sconvolti. Abbassa lo sguardo lungo il suo petto, come me. Vedo una mano spuntarle all’altezza del cuore e poi ritrarsi, fulminea stretta a pugno, lasciandole uno squarcio. La vampira si accascia, per poi sgretolarsi in miliardi di granelli di polvere.
Senza fiato, a bocca aperta rialzo lo sguardo dall’asfalto. Lo vedo bello e potente, immortale ai miei occhi come mai prima. Julian mi ha salvata.
Si inginocchia davanti a me e mi sorride.
- Respira Kris. – dice soave.
Gli obbedsco. Mi solleva e io mi stringo a lui passandogli le braccia attorno al collo, nonostante la mia ferita. Il dolore sta passando, non sanguina più; presto si rimarginerà lasciando solo delle cicatrici al posto dei segni degli artigli. Lo guardo. I suoi occhi sono dolci, mi rassicurano.
- C-come hai fatto?
- Ad eliminarla dici? È un trucchetto, non esiste solo l’argento per eliminare noi vampiri. Ora ti riporto a casa.
Si muove leggero e rapido tra i palazzi. L’aria fredda ci lambisce aggressiva. Mi stringo di più a lui.
Arriviamo al balcone della mia stanza e mi deposita a terra.
Mi sorrise e si gira per andarsene.
- Julian aspetta. Non andare.
- Non posso restare, non sono gradito.
- Entra un attimo, parliamone tutti assieme.
- Non invitarmi Kris.
- Aspetta dai, vado a chiamare Fred.
Non lo lascio rispondere, corro dentro, per fortuna non chiudo mai a chiave la porta finestra. In sala le luci sono spente. Strano. Che siano usciti?
Trovo un biglietto sul tavolo.
Ciao Kris,
siamo andati in un ristorantino per cena.
Scusaci se ti lasciamo sola, ma… Dai hai capito.
A dopo.
Un bacione, Erika.


Sorrido.
Corro di nuovo in camera, sul balcone. Non c’è più. Se n’ andato.
Una macchia rossa, sul parapetto attrae la mia attenzione. E’ un pacchetto, con un fiocco rosso, di seta.
Lo apro, contiene un ciondolo. Una croce, a braccia ondulate, con in centro un pietra azzurra.
La tiro fuori dalla scatola e me la lego al polso, facendo un paio di giri con il nastro nero.
La bacio e corro dentro, arrabbiata.

Aggiornamento natalizio, e si vede! Buon Natale a tutti! Pandora

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Capitolo 16
*** 16_Epilogo ***


16.

Non può sparire così tutte le volte.
Lascio un biglietto a mio fratello, dicendogli che Julian ha eliminato Helena, la sosia di Erika, e che mi sto recando da lui (scrivo anche l’indirizzo).
Arrivo all’appartamento con un taxi.
Slago le scale ed entro senza bussare, so di trovare aperto.
Nessuno, vuoto. Strano.
Mi siedo su divano di pelle, decisa ad aspettarlo.
Poco dopo la porta si apre.
- Che ci fai qui? –mi chiede mentre si toglie il cappotto nero e lo lancia sul divano affianco a me.
Non è molto contento di vedermi.
- Non te ne puoi andare così ogni volta – esordisco – e poi… volevo ringraziarti. È bellissima.
- Bene, l’hai fatto, ora sloggia. – mi dice senza nemmeno guardarmi in faccia.
Si reca all’immensa vetrata e guarda fuori.
- Ma si può sapere perchè ti comporti sempre male con me? Che ti ho fatto? – gli urlo dietro.
- Te ne devi andare, qui non sei al sicuro. Io sono un pericolo per te.
- Sempre con questa storia. – sbuffo.
Mi alzo e mi avvicino a lui.
- Ma non capisci? Presto Samuel verrà a cercarmi, ho eliminato la sua amichetta. Già non gli stavo moto simpatico…
Finalmente si gira. Gli sono dietro e subito gli circondo i fianchi con le mie braccia, appoggiandogli la testa sul petto.
- Sei tu che non capisci, non capisci niente. Sei un testone – sussurro.
Alza un braccio e me lo posa sulla testa, accarezzandomi i capelli. Scende fino al collo e con due dita mi solleva il volto, per posare le labbra sulle mie, dischiuse. Pronte ad accoglierlo. Un bacio dolce.
- Ma che bei piccioncini!
Ci stacchiammo sorpresi. Samuel seduto sul divano ci fissa con un sorriso ironico. Julian mi si para davanti, per proteggermi.
Samuel si avvicina tranquillo, ma con un pugno lesto lo colpisce e lo scaraventa contro la vetrata, che si frantuma. Mi scanso appena in tempo. Vedo il suo corpo precipitare di sotto, mentre l’ombra del vampiro malvagio lo segue all’esterno.
Urlo il suo nome invano, poi corro lungo le scale e arrivo di sotto rumorosamente.
Sono uno di fronte all’altro, in mezzo alla strada, pronti ad affrontarsi. Samuel si voltò verso di me. - Non ci provare – ringhia Julian.
Riporta la sua attenzione al suo avversario. Scattano insieme, fulminei. Uno verso l’altro. Si scontrarono a metà della loro distanza, liberando un rombo fortissimo. Grazie al mio allenamento posso seguire, almeno in parte, il loro scontro. Julian è nuovamente in difficoltà, inferiore anche se non di molto.
Nonostante questo combatte fiero come un leone, colpisce, affonda con gli artigli, accusa i colpi e reagisce, sempre, ogni volta più forte, caparbio. L’altro lo sovrasta in rapidità, in scaltrezza.
Continuo a seguirli per quel che riesco fino a che non me li ritrovo proprio davanti. Julian a terra e Samuel sopra di lui, con un ghigno maligno sul volto.
Lo graffia sul petto. Vedo lembi di stoffa volare in aria, il petto bianco squarciarsi sotto il mio sguardo, vedo comparire ferite rosse, da cui non usce una goccia di sangue.
Frugo nella borsa alla ricerca del pugnale e una volta trovato, più rapida che posso attacco Samuel. Lui si accorse dei miei movimenti, spostandosi, così riusco solo a ferirlo lievemente al volto. Ora una linea rossastra ora gli corre lungo tutta la guancia sinistra.
Ringhia cupo, cercando di ferirmi coi suoi artigli. Faccio un balzo indietro per evitarlo. Lancio uno sguardo a Julian. E’ ferito ma non grave, si riprenderà presto, devo solo concedergli ancora qualche istante.
Un dolore lancinante mi colpisce alla pancia. Mi sono distratta; quel maledetto ne ha approfittato subito, artigliandomi e lacerandomi la pelle. Mi porto la mano libera alle ferite.
Osservandolo, lo vedo infuriato. Ormai ha perso ogni controllo. Con un pugno al volto mi scaraventa a terra. Mi assesta poi un calcio allo stomaco, aprendo maggiormente le ferite che mi ha inflitto poco prima. Il braccio che ho usato per proteggermi la pancia non è servito a molto e ora è dolorante anch’esso.
Samuel ruggisce nell’aria fredda della città. Non brama più il mio sangue, vuole distruggermi. Provo a rialzarmi, ma non riesco a muovermi, il dolore si sta diffondendo lungo tutto il corpo e nonostante le mie capacità di guarire rapidamente, le ferite non sono poi così leggere.
Mentre respiro affannata, mi sovrasta pronto a finirmi, immagino. Lo guardo fiera. Non lo pregherò di risparmiarmi.
Sento un tonfo. Vedo Samuel inarcarsi e urlare, per poi accasciarsi lievemente in avanti. Alle sue spalle Julian. Lo ha colpito alla schiena.
Lo colpisce nuovamente, sempre alla schiena, sempre nello stesso punto e poi un colpo al volto e un calcio alle ginocchia per fargli perdere l’equilibrio.
Si accascia.
Julian respira velocemente, in affanno. Lo solleva di peso e lo lancia dall’altra parte della strada. Incassato il colpo, Samuel si rialza lentamente. Riprendono a lottare rapidi e fulminei. Io indebolita non riesco a seguirli bene.
Sento meno dolore, così provo ad alzarmi, ma una fitta mi colpisce alla pancia. È troppo presto. Provo a strisciare verso il bordo della strada, per appoggiarmi ad un muro. Sento un ruggito, poi un tonfo e vedo un corpo all’altro lato della strada accasciarsi lungo il muro.
Simultaneamente un ombra mi copre la visuale. Alzo lo sguardo per trovare Samuel che mi fissa. Julian non ce l’ha fatta. È lui quello steso a terra.
In quel momento capisco la reale potenza del mostro che mi sta davanti. Io non potrei mai nulla contro di lui.
Mi solleva in aria prendendomi per un braccio.
Urlo per il dolore. Mi lancia a terra poco distante, ruggendo come un animale feroce.
Cado di schiena, facendomi spalancare gli occhi e la bocca, ma da quest’ultima non riusce ad uscire alcun suono.
Passi. Si avvicina di nuovo mi risolleva, sempre allo stesso modo.
Capisco che continuerà così fino ad uccidermi, molto lentamente. Vuole farmi soffrire.
Questa volta atterro sul braccio dolorante. Per la terza volta mi solleva. Ci fissiamo negli occhi. Rossi, assassini, bramosi.
Uno sparo. Cado a terra nello stesso punto in cui mi ha raccolta. Della polvere si posa sui miei capelli.
- Kris!
Sento urlare il mio nome. Vengo sollevata, dolcemente questa volta.
Riconosco il profumo. Mio fratello mi stringe a se.
- Kris, come ti senti? Rispondimi!
- S-samuel?
- Tranquilla, non è più un problema.
Mi accorgo che sta camminando, mi sta portando via.
- Julian?
- Cosa?
- Come sta Julian? – sospiro.
- Qui non c’è nessuno Kris.
Non può essere.
L’ho visto a terra. Ferito contro il muro. Non può essere stato eliminato.
- No - riesco ad urlare.
Provo a muovermi, a liberarmi dalla presa ferrea di Fred.
- Stai calma, dove vuoi andare? Ti ho detto che non c’è nessuno!
- J-julian – urlo.
Fred si ferma, ma mi tiene vicino a se. Si volta verso l’altro capo della strada per mostrarmi la scena.
Rimane solo un mucchietto di polvere dove poco prima giacevo a terra. Nient’altro. Una folata di vento gelido la trascina via con se. Rabbrividisco.
- Sù, ti porto in ospedale.


- Sei pronta a tornare a casa?
- Certo fratellone! – rispondo allegra.
Comincio a non sopportare più l’odore di medicinale e le pareti bianche dell’ospedale. Una cosa è lavorarci, un’altra è stare immobile in un letto ad aspettare, aspettare, aspettare.
Finalmente mi hanno permesso di togliermi il camice da degente e rimettermi i miei vestiti. Fred me ne ha portati di nuovi e cestinato quelli con cui mi aveva trovato.
- Ancora non mi hai detto da dove arriva quella croce.
Mi guardo il polso. Avevo rimesso il monile regalatomi da Julian al suo posto appena mi era stato possibile.
- E’ un regalo. – lo liquido svelta.
- È suo?
- Ha importanza? – dico dura.
Si che ha importanza, rispondo dentro di me. Cancello subito quel pensiero e tutti i ricordi ad esso connessi. Ripensare a lui provocava solo dolore.
Non è tornato e non tornerà mai, mi auto convinco. Respiro profondamente, rimandando indietro le lacrime. Niente lascia pensare che si sia salvato dallo scontro. È sparito, non ha lasciato alcuna traccia. Non è tornato nel suo appartamento, non si è fatto sentire. Non è rimasto nulla di lui nemmeno in strada. In fondo, dentro di me, non avrei mai accettato l’idea di una sua “morte”.
Prima o poi sarebbe tornato. Ne sono convinta.
- Andiamo dai, Erika e Will ci aspettano da basso. – mi incalza dolcemente.
- Certo.


Le ferite riportate erano gravi, ma guarirono rapidamente.
L’aveva vista che respirava ancora tra le braccia del fratello, sarebbe stata al sicuro dopo quella notte. Samuel non c’era più.
Era in gamba, se la sarebbe cavata.
Ora aveva bisogno di sangue al più presto per rimettersi in forza, per andarsene.
Vede un vagabondo in un vicolo. Ubriaco, addossato ad un muro, sembra dormire.
Arriva silenzioso e rapido. Lo afferra e gli morde il collo, succhiando più che può, senza perdere una goccia di sangue, fino a saziarsi.
Quando non sente più il battito del cuore del clochard lo lascia a terra, senza vita.
Si passa la lingua sulle labbra scarlatte di sangue.


La fine di questa storia è giunta. Spero sia piaciuta. Il seguito di questa storia è "Chiaro di Luna" che trovate nel mio profilo. Buone vacanze, Pandora.

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