Adventure

di One_Love_One_Passion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Freedom ***
Capitolo 2: *** uncontrollable curiosity ***



Capitolo 1
*** Freedom ***


La notte era ancora giovane.
Il sole, che aveva reso quella giornata particolarmente ardente, era tramontato da qualche ora, risucchiando con se tutte le sfumature arancioni, rosa e rosso pastello, senza tralasciare la minima ombra di un colore caldo.
Era sorprendente come il caos generale, causato dal continuo starnazzare dei clacson, dalle accecanti luci intermittenti che mostravano i prodotti sul mercato o qualche nuova svendita, dai fastidiosi squilli dei cellulari e le urla dei cittadini newyorchesi che imprecavano e maledicevano chiunque contribuisse al chiasso, cioè tutti, si fosse placato al calare del sole, come se tutta New York avesse tirato un sospiro di sollievo, come se dal tramonto in poi si azionasse una sorta di ''basta''.
Nel limpido cielo notturno brillavano un'infinita quantità di stelle, chi più o meno grandi, che sapevano catturare avidamente l'attenzione della vista umana che, nonostante saltasse da un punto ad un altro, riusciva sempre ad essere imprigionata da quello straordinario spazio immenso.
In un vecchio quartiere ancora abitato sostava il silenzio, le luci erano spente, le porte serrate con la massima cura e tutti erano stati rapiti da un sonno profondo.
Un fruscio.
Un rumore talmente debole che non disturbò la quiete dei cittadini addormentati, stanchi di quella giornata stressante sopra ogni limite.
Il suono si ripeté, ma stavolta con maggiore potenza, e, con incredibile rapidità, sbucò fuori da un vicolo nascosto una ragazza.
Era giovane, probabilmente una donna che sfiorava i diciassette anni, bella come quella luna che l'osservava, se non di più, dalla pelle chiara come il latte, arrossata dal freddo della notte,  leggermente più alta della media, la schiena dritta, le gambe sode e dai muscoli forti, i fianchi pronunciati e il seno, non eccessivamente grande, situato nel petto che racchiudeva il respiro affannato della fanciulla, i lunghi capelli mori che incorniciavano il viso pallido, lievemente rosso sulla punta del naso e sulle guance, che davano risalto alle due iridi verdi, dalle sfumature giallognole, che scrutavano ciò che la circondava.
Sfrecciava tra i palazzi, attraversando strade e svoltando ogni tanto se voleva, correndo a perdifiato per almeno un'altra ora.
Libera.
Era quella l'unica cosa che contava veramente.
Finalmente era libera.
La felicità le inumidì gli occhi, non importava il fatto che indossasse vestiti logori e che fosse sporca di polvere e terra, non le interessava se i piedi le facevano un male impressionante ad ogni passo,  se le mani erano rosse e con qualche livido, se sul viso aveva un taglio che attraversava metà fronte oppure che le labbra fossero screpolate erano un tormento, non riusciva a fermarsi.
Perché?
Voleva godersi quella sensazione di freschezza ancora per un po', il vento che scompigliava i capelli ribelli, la fatica era tale da far battere il cuore talmente forte che poteva sentirlo nelle orecchie, si sentiva potente e piena di vigore, perché fermarsi?
Le strade erano così aperte, piene di uscite, nascondigli, ripari ed erano così grandi, era una vera gioia immergersi dentro, lo sguardo era grato di tutto quello spazio, poteva muoversi, poteva correre e provava per la prima volta dopo tanto tempo il gusto dolce della libertà.
Il sudore che le rinfrescava il collo era una pura gioia per tutti i sensi, e anche se i vestiti cominciavano man mano ad attaccarsi alla pelle riusciva riscontrare una sorta di sollievo nel gelo di quella sfrenata corsa.
La ragazza si leccò istintivamente le labbra.
Dopo aver assaporato in pieno quella magnifica sensazione decise di fermarsi.
<< Finalmente. >> mormorò, commossa.
Inspirò lentamente l'aria fresca, era così pulita e vera da sembrare surreale.
Il laboratorio era pieno di prodotti chimici, l'odore era talmente sgradevole che ogni volta che respirava non faceva che tossire, le faceva paura quel posto, non perché avesse un aspetto macabro, ma odiava essere rinchiusa in quella stanza e i primi mesi non faceva altro che piangere, voleva ribellarsi, ma se ci avesse anche solo provato l'avrebbero frustata, odiava come la trattavano, odiava ciò che le avevano fatto.
Ogni giorno veniva sottoposta a test, quasi sempre le somministravano strani farmaci che le causavano il volta stomaco e, un volta, svenne per il dolore atroce ai muscoli, ma a nessuno importava, loro lo sapevano le reazioni che ci sarebbero state sul suo corpo eppure non si sono fermati, incuranti della salute della ragazza.
Il corpo della ragazza tremò, ma non per il freddo.
Il ricordo era talmente limpido che poteva ancora sentire il fruscio dei documenti, lo scricchiolio della porta quando si chiudeva e lo schiocco quando quelle maledettissime ampolle si scontravano, solo lei sapeva quanto le detestava.
Ciò che le avevano iniettato non aveva mutato le sue caratteristiche fisiche, ed a ciò era molto grata, ma in cambio le avevano donato una forza soprannaturale, superiore a quella di venti uomini messi insieme, anche se vedendola non si direbbe mai tanto grazioso e pallido è il suo fisico.
Con il palmo si asciugò gli occhi velati di gioia, perché finalmente la vita era stata buona con lei.
Ricordò come la noia prendeva spesso il sopravvento della sua mente, costringendola a lunghe riflessioni su se stessa, si chiedeva il più delle volte cosa avesse mai fatto per meritarsi una simile tortura, si detestava quando, nel bel mezzo della notte, i ricordi riaffioravano all'improvviso nella sua testa, mettendola subito in uno stato di depressione, odiava soprattuto come le avevano tolto la sua positività e si stupiva di se stessa di quante volte aveva pensato di preferire la morte a quello schifo.
Prese un profondo respiro cercando di stabilire il battito del cuore, che galoppava come una mandria di cavalli imbizzarriti, appoggiò una mano a terra mentre col dorso dell'altra asciugò gli occhi umidi.
Un sibilo annientò la tranquillità della giovane donna, il fiato le si bloccò in gola e si immobilizzò all'istante.
Un'altro sibilo.
Riusciva a captare il suono flebile di una voce, alzò il capo e capì che proveniva dal tetto di un negozio, con il massimo silenzio iniziò a salire le scale antincendio, gradino per gradino, finche, dopo essersi accertata di non essere stata seguita, chiuse gli occhi e ascoltò.
Qualcuno sospirò, con aria annoiata.
<< Che noia. >> brontolò una voce, proprio come fanno i bambini quando si stufano del giocattolo nuovo. << Non c'è nessuno, perché siamo ancora qua? >> chiese, accentuando con un tono lievemente acuto la sua lamentela.
<< Questa volta Mikey ha ragione, Leo. >>  aggiunse un'altra voce. << Forse è il caso di ritornare al rifugio, non vorrei che il Sensei si pentisse di averci lasciato qualche ora in più. >>
<< L'ultima volta che siamo tornati tardi ci ha fatto allenare per più di dieci ore. >> sbuffò qualcuno.
Tutti e quattro rabbrividirono al pensiero.
La ragazza, finora accovacciata vicino alla scala che portava al tetto, aprì gli occhi, stropicciandoli un poco per mettere a fuoco, cercò di respirare piano col naso nel tentativo di non fare il minimo rumore, poggiò le mani al muro e, mordendosi il labbro nel mentre, si alzò con lentezza.
Finalmente in piedi, si girò e, un dito alla volta, toccò il bordo del tetto di quel piccolo palazzo, facendo leva sui bicipiti incominciò a sollevarsi, restando con il piedi che sfioravano la finestra di un'appartamento, e preferì di gran lunga evitare l'utilizzo delle scale per non far troppo chiasso.
Quattro figure sostavano su quell'edificio, una era in piedi, il corpo era immobile, ma teso e la mente sembrava altrove, un'altra era seduta, appoggiata ad un piccolo comignolo che fuoriusciva dal tetto, un'altra era inginocchiata e teneva in mano una piccola torcia, pareva stesse smontando qualcosa, riusciva a sentire la presenza di un'altra di quelle strane ombre ma l'unica cosa che vedeva era il buio.
Qualcuno sospirò. << Eh va bene, torniamo a casa. >>
Tutti e tre parlarono, chi sbuffava un 'finalmente', chi gridava entusiasta e chi riprendeva quest'ultima voce nel tentativo di fargli abbassare la voce.
La ragazza cedette la presa e cadde.
Tutte e quattro le figure si pietrificarono.
<< Qualcuno ci ha seguiti. >>
La ragazza sgranò gli occhi, era spaventata dal tono di voce di quella figura, così autoritaria, ferma, schietta.
Un ricordo la fece tremare.
-Sono loro- pensò, si mise una mano sulle labbra, come a voler soffocare il respiro. -Sono venuti a prendermi-
Si sentì il cozzare di due spade, avevano tirato fuori le armi.
La ragazza raccolse tutto il coraggio che le rimaneva e si alzò in piedi, guardò le scale e fece per scendere ma poi si bloccò, ci sarebbe voluto troppo e sarebbe potuta cadere, fissò i diversi metri che la separavano dal marciapiede, poi spostò lo sguardo sulle scale e poi di nuovo sul pavimento.
Decise.
Afferrò la ringhierà, appoggiò il peso e balzò.
I muscoli si tesero, una scossa le attraversò la schiena ed uno strano calore si diffuse per tutto il corpo, le venne all'improvviso la pelle d'oca e, senza nemmeno accorgersene, era già atterrata.
L'onda d'urto che aveva causato era talmente forte da aver provocato delle spaccature nel cemento.
La mente scacciò via ogni pensiero, il corpo si mosse da solo ed iniziò a correre.
<< Sta scappando! >>
La ragazza perse di vista le quattro figure, ma era certa che in qualche modo la stessero inseguendo.
Il cuore si era fermato in gola mentre il suo pulsare nelle orecchie, il vento si insinuava nei capelli, accarezzandoli col suo brio, il freddo era umido e si incastrava nelle ossa, facendo tremare per un'altra volta la ragazza, le dita si erano già congelate mentre il respiro conservava ancora il suo calore.
La paura era palpabile.
Proseguì sempre dritto, svoltò varie volte a sinistra e un paio a destra, si addentrò in un vicolo ceco e ritornò rapidamente indietro, scorse un figura sui tetti ed una dall'altra parte della strada, intuì che stavano provando a circondarla.
-Due sono ai mie lati- ipotizzò, poi ci rifletté su. -Quindi molto probabilmente gli altri due sono avanti, pronti a bloccarmi la strada-
Si fermò subito e tornò indietro, nella speranza di guadagnare tempo, ora chi prima la inseguiva e stava ad aspettarla avanti era in netto svantaggio, doveva occuparsi degli altri al più presto se voleva uscirne viva.
Riecheggiò nel silenzio un'imprecazione, la ragazza sorrise.
Corse per un'altro paio di minuti sempre dritto, poi si diresse verso una piazza e si introdusse in un vicolo a più uscite, doveva riflettere e si fermò tra due palazzi.
Qualcuno sostava sul tetto del palazzo alle sue spalle, ne percepiva il respiro affannato.
Ricominciò a correre, evitando sempre i lampioni o le fonti di luce, cercando di non farsi vedere.
Abbassò le maniche della giacca e alzò il cappuccio.
Stavolta, invece di correre dritto e poi svoltare, fece il contrario, cambiando sempre la strada su cui si muoveva, per poi camminare di soppiatto tra i palazzi sempre nella stessa direzione.  
Sentendo qualcuno far volteggiare qualcosa di affilato, ricominciò a correre, sbattendo il viso su un palo, cadde a gambe all'aria e si sentì un'idiota.
Si alzò barcollante in piedi, le girava ancora la testa.
Qualcuno balzò davanti a lei, producendo un tonfo che smosse i lampioni.
Il respiro si fece quasi mancare nel petto della giovane donna, che perse l'equilibrio.
Il suo inseguitore era alto, molto più di lei, ben piazzato, spalle larghe e grosse, fasciato in alcuni punti, come sulle nocche o sui polsi, la pelle era scurissima, e quel color verde bottiglia sembrava la conseguenza del versamento di un acido, le dita erano solamente tre sulla mano, stretta in un pugno con forza, ai lati, posizionati su un grande guscio, vi erano due Sai.
La punta delle armi scintillò, la ragazza deglutì.
Poggiò i palmi dietro la schiena e si mise seduta, osservando rapita quell'enorme creatura.
La tartaruga si voltò, facendo notare la fascia color rosso scarlatto alla ragazza, e fece segno a qualcuno di restare lì, la giovane alzò il capo e vide altre tre figure sul tetto accanto a lei, sgranò gli occhi, l'avevano circondata.
La ragazza si portò le ginocchia al petto quando il mutante fece un passo, scrutandola con i suoi occhi verde smeraldo.
<< Chi sei? >> chiese, cercando di tenere fermo il tono.
La rabbia era talmente evidente che la ragazza ebbe un fremito, si portò una mano al petto e si ricordò di aver rubato un fascicolo mentre stava scappando da dove la tenevano prigioniera.
Lo strinse con fare protettivo, non avrebbero avuto niente da lei.
<< Già, chi sei? >> ripeté qualcuno sul tetto, prendendosi gioco del mutante sul marciapiede.
Si sentì il suono di uno schiaffo.
La ragazza si strinse il cappuccio al viso, nascondendosi in quel piccolo involucro di stoffa.
Si sentì un bisbiglio.
<< Ragazzi, adesso fa quella voce. >> avvisò.
<< Ti ho fatto una domanda. >> affermò a denti stretti, irritato.

La giovane sbatté più volte le palpebre, l'espressione era tesa e in ansia, la paura aveva reso più chiara l'iride, che adesso era quasi giallastra, serrò le labbra e si allontanò un poco.

Qualcuno sul tetto scoppiò a ridere.

<< Sono il grande e grosso Raph e ti ho fatto una domanda. >> imitò, facendo il tono più grave che potesse avere.
Stavolta non prese non uno ma bensì due sberle.
<< Ahia! >> gridò.
Il mutante si voltò e lo fulminò con lo sguardo, tutti si zittirono.
<< Sto veramente perdendo la pazienza. >> sbraitò.
Tese bruscamente i muscoli, impugnò i Sai e si avvicinò rapidamente.
La ragazza era balzata in piedi di colpo, il cuore incominciò a battere all'impazzata, il calore strinse in una morsa le braccia e, senza accorgersene, aveva stretto le dita in un pugno, e quasi spinta dalla paura era scattata in avanti, colpendo l'inseguitore al petto.
La tartaruga fece un volo di un paio di metri e, quando si alzò, incominciò a digrignare i denti per il dolore.
La figura sul tetto lanciò un urlo divertito.
<< Persona misteriosa uno, Raph zero! >> esclamò, entusiasta. << Dimmi Raphie, come ci si sente ad essere sconfitto? >>
Il mutante ringhiò. << Và al diavolo, Mikey. >>
La tartaruga riprese i Sai, stringendoli con ferocia sovrumana e li rinfoderò nel guscio, camminò verso la sua preda, fissandola attentamente per quanto il buio non glielo permettesse.
La strinse per le spalle e la sbatté al muro, facendola gemere all'impatto.
Il panico assalì la giovane, non avrebbe permesso che la riportassero in quel posto, avrebbe lottato contro tutti e quattro se avesse dovuto.
Il cappuccio cadette all'indietro, scoprendo ciò che vi era nascosto.
Il mutante spalancò violentemente gli occhi, il fiato rimase sospeso nel petto, la bocca lievemente aperta e lo sguardo che si spostava da una parte all'altra.
<< Una… ragazza? >> chiese, basito.
<< Eh? >> disse qualcuno.
<< Una… che? >> domandò un'altra figura.
Si avvicinò al viso della fanciulla, scatenandone orrore.
D'istinto, gli diede un'altro pugno, spedendolo dall'altra parte della strada.
<< Ma sei scema?! >> urlò, poi sgranò di nuovo gli occhi quando il suo sguardo si incastrò in quello terrorizzato della ragazza, sembrava così perso e confuso.
La tartaruga usò i Sai per far leva e si alzò di scatto, la ragazza aveva avuto un sussulto nel vedere con che velocità si era rimesso in piedi e, quasi d'istinto, staccò un pezzo di mattone, adocchiò il lampione e mirò alla lampadina, che si frantumò all'impatto.
Il mutante dalla fascia scarlatta si coprì il viso con le braccia, evitando che il vetro andasse negli occhi, e quando li riaprì la ragazza era scomparsa.
Prima che potesse voltarsi, uno dei suoi fratelli parlò, alquanto allarmato.
<< Cavolo, cavolo, cavolo, cavolo! >> gridò.
<< Che succede, Donnie? >> chiese qualcuno, una voce piuttosto giovane.
<< Sono le cinque e mezza! >> strillò, incominciando a scuotere la persona accanto. << Sai cosa significa? >>
Una fascia blu oceano comparve dalla penombra, gli occhi spalancati. << Splinter. >> mormorò, raggelando.
<< Esatto! >> esclamò. << Se non torniamo al rifugio all'istante, ci friggerà i gusci. >> ipotizzò, rabbrividendo.
I primi due scattarono come razzi, mentre il terzo rimase a fissare sotto il palazzo. << Raph, non vieni? >>
<< Hmm…? >> fece, ritornando alla realtà, si voltò e non vide nessuno. << Hey, Aspettatemi! >>

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Le gambe erano partite da sole e, senza indugiare, aveva cominciato a correre come una forsennata, il diversivo era stata un'ottima idea.
Il respiro era ancora affannato e le scarpe si erano letteralmente consumate, i vestiti erano sudati e lerci, come il resto del corpo, ma era fiera di se stessa, era riuscita a fuggire.
Una morsa allo stomaco la bloccò, mise la mano sul ventre e ascoltò il brontolio causato dalla fame, mentre l'altra accarezzò la gola secca e dolorante.
Si guardò attorno.
Dall'orizzonte si poteva notare il sole che spuntava tra gli scogli, i gabbiani sostavano su qualche tronco, chi garriva e chi stava in silenzio, il cielo stava prendendo sfumature azzurre, mischiandosi un poco con il bianco delle nuvole, il mare era calmo e si poteva udire il suono delle onde.
Era arrivata fino al porto.
La vista divenne confusa e per un attimo perse l'equilibrio, cadendo sulle ginocchia.
<< Che botta. >> mormorò, toccando con le dita il piccolo bernoccolo sulla fronte.
Si guardò le spalle, insicura, e notò sollevata che nessuno l'aveva seguita.
La testa le faceva male.
Toccò la ferita sulla fronte, fece un smorfia contrariata quando l'unghia si conficcò per sbaglio nella carne scoperta, estrasse lentamente la mano ed osservò inorridita il sangue che sporcava le dita,  strappò un pezzo della maglietta e asciugò il taglio.
Poggiò il peso sulla spalla destra per alzarsi, ma non appena fece pressione la ragazza strizzò gli occhi e trattenne il respiro, il muscolo pizzicava la pelle e le veniva voglia di grattarsela, ma preferì evitare di scorticarsi da sola, il dolore era fastidioso e ciò che le faceva rabbia era il fatto che fosse tutta colpa di quella cosa, insomma, di quel mutante.
-Non conosce il concetto di delicatezza- sbuffò. -Mi ha spiaccicata al muro come una mosca.-
Si mise in piedi con lentezza, barcollando prima a destra e poi a sinistra, sbatté più volte le palpebre alla vista di due figure in lontananza.
Strinse con forza le dita alle meningi nella speranza di alleviare il suo dolore, che era diventato insostenibile.
Il cielo le sembrò cambiar colore, divenendo all'improvviso rosa pallido, ricercò con lo sguardo quelle figure ma notò soltanto due puntini sfocati, tutto si offuscò e i colori si mischiarono insieme,  giallo e rosso le parvero uguali, la testa cominciò a pulsare, cadde a terra, la vista si affievolì e poi non vide più nulla.
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Era cosciente, ma non riusciva a svegliarsi.
Quella percezione di vuoto era piacevole, la sua mente fluttuava, leggera, e quell'assenza di gravità non le dispiacque, avrebbe voluto restare per l'eternità così.
Caldo.
Quell'orribile sensazione si diffuse per tutto il corpo, rompendo l'equilibrio precedente, e dopo un paio di minuti l'afa si fece insostenibile.
Si sforzò di aprire le palpebre, due pozze verdi comparvero da sotto le ciglia, sbatté più e più volte gli occhi, lì strizzò con le mani e quando mise a fuoco il respiro le si bloccò in gola.
Si trovava in una piccola cameretta, l'aspetto era confortevole e per qualche strano motivo si sentì al sicuro, le pareti erano state dipinte da poco e si poteva ancora sentire l'odore fresco della vernice, doveva avere all'incirca due o tre giorni, il color pesca dava risalto ai mobili in legno, tra cui un armadio in fondo alla stanza e un piccolo comò vicino alla finestra, il letto era a una piazza e mezzo e, a differenza di quel minuscolo spazio che le davano per dormire, questo le parve enorme, le coperte erano calde e la coprivano fino al mento, i cuscini erano soffici e tremendamente invitanti.
Si alzò di malavoglia, scostando da una parte il piumone color panna, e quando toccò il parquet notò sorpresa che i piedi non le facevano più male, si portò la mano alla fronte e si stupì quando la pelle avvertì la ruvidità di un filo, l'avevano medicata.
Si avvicinò alla porta e quando l'aprì si scontrò contro una signora, ad entrambe scappò un gridolino.
La donna era sulla cinquantina, poco più bassa di lei, il corpo era in carne e con un grande seno nel petto, i capelli erano raccolti in una cipolla, ma si potevano vedere le sfumature castane in alcuni punti, gli occhi color nocciola erano leggermente sgranati,  in mano teneva un vassoio.
<< Accipicchia, mi hai fatto prendere uno spavento. >> disse, mettendosi una mano al petto con fare sconvolto.
La ragazza si alzò in piedi, ancora intontita dalla situazione. << I-Io… >>
<< No, no. >> fece, muovendo l'indice a destra e a sinistra. << Devi riprendere le forze, cara mia, poi mi spiegherai tutto. >>
La rimise nel letto e pose il vassoio sulle ginocchia della ragazza.
Lei cercò di dire qualcosa, ma la donna la zittì e le scompiglio i capelli. << Non fare complimenti. >>
Sul piatto c'erano delle uova sode, dei pomodori, tonno e una grande porzione di carne.
Non si era mai resa conto della sua fame finché, sotto gli occhi meravigliati della donna, non aveva divorato tutto in pochi minuti, trangugiando successivamente una bottiglietta d'acqua.
<< Povera piccina. >> mormorò la donna, portandosi le mani al petto. << Deve essere molto che non mangi. >>
Prese la ragazza per le spalle e la mise in piedi, poi la condusse in un piccolo bagno, dove l'aspettava un'enorme vasca piena d'acqua fino all'orlo.
<< Su entra. >> la incitò. << Io torno subito. >>
La ragazza si spogliò e gettò i vestiti a terra, si guardò allo specchio, osservando la pelle graffiata e sporca.
Si infilò nella vasca e le scappò un sospiro di sollievo quando il piede, e successivamente tutto il corpo, si inebriarono a contatto con l'acqua calda, la ragazza iniziò a sfregare la spugna insaponata sulle braccia, poi sulle gambe e dove vi era più sporcizia, la donna comparve da dietro la porta e con se teneva alcuni prodotti, massaggiò la testa della ragazza, soprattutto sulla nuca e facendo schiuma su buona parte dei capelli.
Qualcosa le sfiorò le spalle, la donna aveva fatto scendere le mani lungo i fianchi, poi verso le cosce e infine sulle braccia. << Sei proprio una bella ragazza. >> ammise, contenta.
La fanciulla arrossì al complimento.
La donna continuò a testare la pelle della ragazza, incuriosita. << Anche se un po troppo pallidina, per i miei gusti. >>
Le pettinò i nodi e strizzò bene i capelli, avvolgendoli in un asciugamano.
La donna buttò i vecchi stracci e ritornò con degli altri abiti.
La ragazza se li mise, non erano proprio nuovi ma conservavano un certo fascino, trovò molto graziosa la gonna rossa, i leggins neri arrivavano alla vita ma erano coperti dalla camicia bianca, per fortuna a maniche corte, si mise i calzini e un paio di scarpe leggere da ginnastica.
<< Perché? >> chiese lei, facendo sussultare la donna. << Perché fa tutto questo? >>
La donna sorrise. << Perché non farlo? >>
Quella frase la colpì, erano semplici ma il significato era profondo, quella bontà nelle parole era indescrivibile.
<< Ha una figlia? >> domandò.
<< Purtroppo non ho avuta la possibilità di averne una tutta mia. >> ripose, il tono leggermente malinconico.
<< Mi chiamo Jessica. >> si presentò.
<< Io sono Amanda Campbell. >>
La donna sgranò gli occhi. << Cos'hai alla schiena? >> disse, toccando i segni sotto le spalle.
La ragazza ebbe un attimo di panico, le disse la prima scusa che ebbe in mente.
La donna la portò dal marito, un uomo alto e robusto, la barba bianca e gli occhi chiarissimi.
<< Cosa? >> disse l'uomo, sorpreso.
Amanda bisbigliò all'orecchio del marito. << Quanti anni hai, figliola? >> chiese, la donna.
<< Sedici. >>
L'uomo sbatté le mani sul tavolo. << Assurdo. >> gridò. << Al generale Evans gli è dato di volta il cervello?! >>
<< Tesoro, calmati. >> mormorò.
<< Mandare una bambina sul campo! >> strillò.

La coppia propose alla ragazza di rimanere ma ella si rifiutò, aveva già un posto dove andare, ma si sarebbe fermata comunque un altro paio di giorni.
La mora sedeva sul letto, davanti alla finestra, osservando rapita il cielo.
Era l'una passata e il sonno l'aveva completamente abbandonata, un'idea gli balenò in mente.
Aprì la finestra e uscì.

 

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Capitolo 2
*** uncontrollable curiosity ***


L'aria era fredda a New York.
Il vento era debole, ma gelido.
Soffiava piano, spostando le foglie spiegazzate a terra, smuovendo le serrande delle case, rendendo il respiro ghiacciato e i barboni che sostavano vicino ai cassonetti rabbrividivano, infreddoliti.
Ogni tanto passava un'autobus alle fermate, ma quasi nessuno saliva all'interno.
Jessica sostava sul tetto di un palazzo, pensierosa.
Rifletteva sull'incontro avvenuto il giorno prima, quei mutanti parevano spietati ed erano sicuramente armati fino ai denti, eppure quando aveva creato il diversivo non l'avevano inseguita.
-Strano- pensò.
Possibile che loro facessero parte del clan che l'aveva rapita? Eppure non sembrava.
Il vento le mosse i capelli, che iniziarono ad ondeggiare nell'aria, il soffio le rinfrescò il viso, chiuse gli occhi e si godette quella sensazione di lussuria che provava quando il freddo le pizzicava le guance, il suono le invase le orecchie e le parve di udire una canzone, aprì gli occhi ed essa svanì.
Inspirò l'aria.
Non le pareva ancora vero.
Era libera.
Un pensiero finì verso la signora Amanda, una persona alquanto eccentrica, che amava il duro lavoro e le soddisfazioni che ne derivavano, Mr.Campbell, invece, era una persona un po' vecchio stampo ed era evidente che aveva vissuto un’esperienza di guerra, ma sapeva essere comprensivo anche se il suo atteggiamento protettivo era esagerato a volte, la personalità era alquanto bizzarra.
La scusa di essere stata in guerra aveva funzionato.
Ricordava ancora le loro facce mentre guardavano, turbati, i diversi tagli e cicatrici sulla schiena della ragazza.
La mora portò le dita sulla sulla spalla e toccò una ferita cicatrizzata, rabbrividì e ritrasse all'istante la mano, si portò le ginocchia vicino al petto e poi si sdraiò, lasciando le gambe a penzoloni sul bordo del palazzo.
Quella sera il cielo aveva deciso di non mostrare le stelle, coprendosi di grosse e bitorzolute nuvole color grigio.
Riaffiorò un ricordo, si mise subito sulle ginocchia.
Estrasse il fascicolo incastrato al lato della gonna e cominciò a sfogliare i vari fogli. La maggior parte di essi era composta da mappe e piccoli spunti, su cui vi erano molte cancellature, alcuni pezzi di carta erano accartocciati, ma mostravano soltanto codici e parole che non capiva, in fondo vi era un modulo sui cui era stata spillata una sua foto, a parer suo vecchia, dove aveva ancora l'apparecchio, e sotto partivano un fiume di informazioni: data di nascita, gruppo sanguigno, una descrizione fisica alquanto dettagliata e, addirittura, la lista dei voti del liceo.
Jessica fissò il foglio, pietrificata. Il volto era sbiancato all'istante, la presa delle mani si fece sempre più forte, come se la ragazza dubitasse dell'esistenza di ciò che teneva fra le dita.
Cercò di dire qualcosa, ma le parole non uscirono dalle labbra.
Rilesse per un'altra mezz'ora quei documenti, ma la mentre pareva altrove.
Fece una smorfia.
Doveva ammetterlo, non riusciva a smettere di pensare a quegli occhi, a quel bellissimo smeraldo e al modo in cui la guardava, sembravano sorpresi e leggermente imbarazzati, come se non rientrasse nel loro codice d'onore inseguire una ragazza e incuterle timore.
Che strane creature.
Sbuffò. -Non ero spaventata- disse a se stessa, indispettita.
Guardò il cielo. Con molta probabilità erano all'incirca le undici e mezza, se non di più.
Si alzò in piedi, stiracchiandosi un poco, e in lontananza vide delle luci.
Il respiro le si fermò in gola.
-Esplosivo- pensò.
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In un piccolo edificio situato ad ovest, isolato dal porto e dalla confusione, vi erano quattro appartamenti, tutti disabitati. Il padrone, per timore di eventuali attacchi o imprevisti, aveva creato un passaggio segreto nella libreria, accessibile solo grazie ad uno speciale riconoscimento delle impronte, che conduceva ad un laboratorio e studio sotterraneo.
Le pareti erano gelide al tatto e la stanza iniziava a raffreddassi col passare delle ore, l'atmosfera era inquietante e nessuno osava aprire bocca, se non per respirare, e l'unico suono udibile era il digitare dei tasti e il bip che scattava ogni mezz'ora, segnando il raggruppamento dei dati e la rielaborazione del loro progetto, di cui andavano fieri. Il capo ne sarebbe stato felice.
Il colore delle pareti s'immedesimava nella situazione, trasmettendo freddezza e distacco, il grigio.
Gli uomini sulle sedie erano particolari, all'apparenza imperturbabili, e ognuno aveva la sua mania:  chi della pulizia, chi della punteggiatura, chi della precisione e chi invece preferiva il disordine, ma che nessuno si azzardasse a cambiare la postazione dei loro bizzarri congegni, sapevano essere belve quando volevano.
Tutti erano concentrati.
Ogni tanto qualcuno sorseggiava il caffè, alzando la tazza con una pacatezza robotica, come se avesse bulloni al posto delle ossa. I loro sguardi saettavano da una parte all'altra, le occhiaie dalle sfumature violacee erano marcate dal sudore. Ogni tanto nell’orbita s’intravedeva un barlume di razionalità, avvinghiato immediatamente da una strana luce, che negli occhi porta il nome di pazzia.
Scrivevano. Correggevano. Inviavano.
Macchine, ecco cosa sembravano.
La porta sbatté all'improvviso, ma nessuno si sorprese.
Un uomo, alto e robusto, era coperto da un'armatura di ferro in quasi tutto il corpo, respirava affannosamente e ogni tanto ringhiava, furioso. Scese le scale, che scricchiolavano sotto il peso del metallo.
<< Quella maledetta ragazzina. >> bofonchiò, serrando i pugni. Dietro la schiena aveva delle armi agganciate alla corazza grigia, incominciò a scrocchiare le dita, una ad una, assaporando lo schiocco che producevano, era evidente che non vedeva l'ora di sfoderarle, le sue bambine.
Molti deglutirono, agitati.
Uno di loro alzò la mano, leggermente tramante, pareva essere il più giovane. << Capo…? >> disse, l'accento messicano che addolciva la parola.
L'uomo rispose, infastidito, ma non si voltò. << Cosa vuoi, José? >>.
Indicò lo schermo del computer, incerto. << G-Guardi. >>
L'uomo ridusse gli occhi a due fessure, poi li strabuzzò. Un ghigno gli si allargò sulle guance, rise a gran voce. << Perfetto. >> sibilò, scompigliando i capelli a quel piccolo genio, che sussultò. << Continua così, piccolo José, e stampami questi dati. >>
<< S-Si. >> balbettò, intimorito.
L'uomo era euforico e anche quando uscì dalla stanza si sentiva la sua voce.
José tremò, infreddolito. << Basta poco per cambiare l'umore del capo… >> deglutì. << Shredder. >>

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Quattro figure saltavano sopra i palazzi, indisturbate.
Era un miracolo che Splinter li avesse fatti uscire.
Era da poco che la ronda era cominciata eppure già si stavano annoiando.
Il loro leader, dalla fascia blu scuro che ricordava il colore dell'iride, era davanti al gruppo e con la coda dell'occhio osservava i movimenti degli altri, quel giorno aveva un brutto presentimento.
Il più alto e slanciato teneva in mano un piccolo cellulare dove nello schermo vi era una sorta di GPS, aveva gli occhi bordeaux racchiusi nella fascia viola e, anche se sembrava distratto, non cadeva mai al suolo.
Il più basso, e apparentemente il più giovane, aveva gli occhi azzurri che si spostavano continuamente da una parte all'altra, osservando ammaliato la bellezza mozzafiato della New York notturna, strinse meglio la fascia arancione e fece un doppio salto, giusto per fare scena.
Tutti sembravano attenti e concentrati sulla missione, tranne lui. I denti erano ancora stretti dalla rabbia e gli occhi smeraldo trasmettevano imperturbabilità, anche se la furia che provava era tale che avrebbe potuto spaccare la roccia con le mani. La fascia scarlatta era sudata, come il resto del corpo, ma il vento dava sollievo a quel senso di fatica. Pensava, ripensava e, mentre correva, non riusciva a togliersi dalla testa quella ragazza.
-Colpito da una donna, ma scherziamo?-
Sbuffò, ma gli altri parvero non accorgersene.
<< Allora, Donnie, quanto manca? >> chiese Leo, mentre saltava sopra un tettuccio.
La tartaruga parve non aver sentito, ma rispose quasi subito. << Non molto, ma dobbiamo sbrigarci. >>
Aumentarono il passo, e tutti rimasero in silenzio.
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Jessica sapeva riconoscere un esplosivo.
Ricordava le reazioni nelle ampolle nel laboratorio ed ormai il meccanismo le si era impresso, spessissimo accadevano scoppi e l'odore della polvere da sparo era divenuta aria per lei.
L'odore era secco e pizzicava al naso.
Incominciò a camminare silenziosamente tra i palazzi, sbucando e rientrando continuamente in piccole scorciatoie, ogni tanto correva, ma solo se sentiva dei rumori alle spalle. Per fortuna le scarpe avevano una suola morbida e non produceva suono. Si guardò dietro la schiena, e quando vide che nessuno la seguiva, iniziò a correre.
La gonna era sorprendentemente comoda e la camicia, grazie alle maniche corte, non la faceva sudare.
Attraversò un paio di incroci, svoltò varie volte e proseguì dritto fino all'origine dello scoppio: il porto.
Il mare era piuttosto movimentato, ma il suono delle onde era piacevole e non la disturbò più di tanto, si nascose dietro una grande cisterna blu, gli occhi saettarono ovunque ma nulla catturò la sua attenzione.
Lo sguardo cadde sulle mani, le nocche erano rosse, decise di scaldarle con il fiato e il corpo tremò, infreddolito.
Si sedette e strinse le mani al petto, la gonna era sufficientemente lunga da arrivare alle ginocchia ma il pavimento era gelato ed umido, i brividi di freddo aumentarono e, sfiorandosi le braccia, notò di avere la pelle d'oca.
Una decina di auto erano accostate davanti all'imbarco, con i fari spenti, e anche se sembrava non ci fosse nessuno, la mora avvertiva la presenza di almeno venti persone.
Quando iniziarono a parlare, le luci si accesero e l'accecamento fu tale da stordirla per un minuto.
Cominciò gradualmente a mettere a fuoco e, dopo aver stropicciato gli occhi più volte, riuscì di nuovo a vedere, nonostante la testa le girasse un poco.
Intorno alle auto vi erano un gruppo di mutanti, chi dalle dimensioni più o meno grandi, che discutevano sul da farsi e, nonostante fosse notte fonda, c'era chi aveva il coraggio di gridare, o meglio ululare.
<< Ti vuoi stare zitto, brutto cane peloso…? >> gracchiò qualcuno.
Il mutante sbuffò. << Cane peloso a chi? Sono un lupo! >>
Una ragazzina, il quale sesso era riconoscibile solo dal petto, era ricoperta da piume bianche e nere, le braccia avevano lasciato posto a due grandi e robuste ali, che agitava ogni volta che s'innervosiva. << Tch. E a chi importa? È la stessa cosa! >>
Il lupo parve offeso. << Mi stai paragonando ad un… cane? >> disse, la voce sempre più stridula.
Dietro un furgone comparve un uomo, o quel che ne restava, quasi totalmente mutato, il pelo era corto e di un color nocciola, gli occhi erano scurissimi, lo sguardo glaciale.
<< Sentiamo, lupacchiotto, hai qualcosa contro i cani? >> chiese, ed a causa della voce grave parve stesse sbraitando, lo prese per il collo e lo sollevò all'altezza del mento.
<< N-No, assolutamente! >> esclamò il lupo, intimorito. Si toccò le orecchie e poi quelle del mutante. << Visto? Cugini. >>. Sorrise, forzatamente.
Il cane borbottò, ma lo mise giù.
Il lupo spinse l'aquila, facendola quasi cadere. << Maledetto volatile, non riesci ad abbassare le penne per una volta?! >>
L'aquila fece un'espressione confusa. << E cosa centro io adesso? È colpa tua se ululi come una donna incinta in travaglio! >>
<< Ah, giusto. Perché tu ovviamente hai la voce di un angelo, gracchi peggio di una cornacchia! >>
Un altro mutante si sporse avanti, dividendo i due litiganti, era alto e robusto come il cane, solo che il pelo era più lungo e folto e i colori più accesi.
La tigre li sollevò entrambi, uno per braccio. << Cosa state facendo voi due? Non è tempo di litigare, bambini. >>
Il lupo si pietrificò, terrorizzato di nuovo dallo sguardo freddo del mutante, molto simile a quello del cane. L'aquila non si diede per vinta e incominciò a scalciare e tirare pugni a vuoto.
<< Bambina a me? Ti faccio vedere io! >>. Rinunciò quando, resasi conto di essere impotente, il lupo l'aveva fulminata con gli occhi e aveva mimato con le labbra un 'Se non ti stai zitta, ti stacco tutte le piume.'
<< Cosa vi ho detto sul comportamento in missione? >> chiese, gustandosi le loro facce rassegnate.
Sospirarono insieme. << Non dobbiamo attirare l'attenzione, distruggere gli attrezzi ma soprattutto dobbiamo collaborare. >>
<< E…? >>
<< Ci dispiace, Tiger Claw. Non succederà più. >>
Li posò giù, facendoli cadere con un tonfo. << Adesso mi piacete. Forza, al lavoro. >>
Si fissarono aspramente negli occhi e qualcuno giurò addirittura di aver visto una scarica elettrica passare per l'iride, si misero fronte contro fronte e ricominciarono a litigare, ovviamente dopo che la tigre si era allontanata.
<< Cornacchia. >>
<< Donna incinta. >>
La tigre si voltò. << Avete detto qualcosa? >>
Il lupo abbracciò la nemica all'istante. << N-Nulla. >> E sorrise di nuovo.
<< Sarà meglio per voi. >> sbuffò, per poi voltarsi.
Jessica non rimase sorpresa da quei comportamenti, dopotutto erano ancora in parte umani e le venne addirittura da ridere.
Dopo aver discusso per venti minuti, il capo, che sembrava essere la tigre, ordinò ai mutanti più robusti di prendere ciò che stava all'interno dei veicoli e trasportarlo nel punto prestabilito, gli altri rimasero a parlare e tracciare segni su dei fogli.
Una di quelle creature attivò un microfono posto sull'orecchio e iniziò a fare delle domande, evidentemente era una recluta nuova. La persona che rispondeva aveva la voce troppo acuta per essere un adulto, eppure, dal modo in cui spiegava, sembrava conoscere la chimica più di chiunque altro, come se avesse studiato all'università.
<< Grazie, José. >>
<< De nada. >>
<< Ah, un'altra cosa. A che ora esploderà? >>
Ci fu una piccola interferenza, e la ragazza non riuscì ad afferrare una sola parola.
La paura le si irradiò nel petto, soffocandole il fiato.
Si era cacciata in una brutta situazione.
Senza farsi notare, diede un pugno ad una guardia e ne prese gli indumenti. La piccola armatura era semplice, nera e marrone, ed era divisa in due pezzi, quello sopra copriva a malapena l'ombelico e le maniche erano talmente corte da non arrivare al gomito, vi erano un paio di fasce blu elettrico sotto il seno ed erano strette saldamente al torace, la parte sotto era composta da dei pantaloncini scuri e  una gonna dal tessuto leggero, che sfiorava le ginocchia. Alcuni punti erano in rame e proteggevano le parti più importanti, come le spalle, il petto e il ventre.
Decise di fare la stessa acconciatura del ninja, e si legò i capelli in due code basse.
Prima di avviarsi, si avvicinò alla ragazza che aveva colpito, doveva avere all'incirca quattordici anni. Il cuore le si strinse in una morsa, e sperò che per colpa sua non passasse dei guai, le baciò la fronte e la nascose meglio che poteva, poi le sussurrò un << Mi dispiace. >>
Abbassò la mascherina che aveva in fronte e si coprì metà volto.
Non aveva sentito la voce della ragazzina, ma dallo sguardo insicuro che aveva ipotizzò che non parlava molto e se lo faceva, il tono doveva essere basso e imbarazzato. Per fortuna, i capelli della guardia erano color nocciola e si potevano confondere facilmente con i suoi al buio.
Doveva fermare quell'esplosione, in qualsiasi maniera.
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Le tartarughe si fermarono, il respiro affannato.
Il vento gli asciugò il sudore, e recuperarono presto le forze.
Tre estrassero le armi strette al guscio e scrutarono gli edifici, sempre allerta in caso di attacco, il mutante dalla fascia viola tirò fuori una piccola sfera bianca che proiettò la mappa dell'intera zona, sull'aggeggio lampeggiò un puntino rosso e il proiettore zoomò il più possibile, riuscendo a localizzare la via.
Senza dir nulla, incominciarono a correre.
Dovevano disattivare quel congegno al più presto, altrimenti sarebbero stati guai per le persone che abitavano nelle vicinanze.
Il leader, però, non riusciva lo stesso a spiegarsi come mai avessero scelto proprio quel posto, quando per mutare più gente sarebbe stato più efficace andare al cuore della città.
Beh, meglio per loro.
Il fratello interruppe i suoi pensieri. Era riuscito a rintracciare il mutageno anche a chilometri di distanza, ed ora avevano una chiara immagine della struttura del dispositivo. Era grande, formato da un materiale resistente alla sostanza corrosiva che vi era all’interno, il colore non si vedeva molto bene ma ipotizzò fosse un viola scurissimo, era composto da quattro piani: quello più in alto, dove vi era installato un congegno di una complessità inimmaginabile che riusciva a far cambiare stato al mutageno da denso a liquido, per poi solidificarlo, disintegrarlo e creare una polvere. C’erano delle scale per ogni piano, ma scartarono l’idea che qualcuno salisse fino a quel punto. In mezzo vi era un’ammasso di fili collegati a computer attaccati alla superficie, supposero che era lì dove davano i comandi, come azionare quell’aggeggio. Il terzo strato era inutile, reggeva solo il quarto, che era piantato letteralmente sotto il cemento.
<< Forse ricavano l’energia da sottoterra. >> ipotizzò il leader.
<< Quindi se Donnie non riuscisse a disattivare quella… cosa… >> disse il rosso, interrotto successivamente dal fratello.
<< Si, Raph. Saremmo costretti ad entrare nel terzo strato e distruggere il quarto. >>
L’arancione aveva gli occhi a forma di cuore, le mani strette al petto come una donna spaventata. << A voi non sembra un’enorme coppa gelato? Chissà, magari hanno programmato il nostro arrivo. >>
Tutti sospirarono, poi Raffaello disse << Se combini una delle tue, giuro che ti programmo un pugno. >>
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Jessica si guardò intorno, e quando non vide nessuno liberò un sospiro.
Trovava difficile camminare con quella specie di armatura, la ragazzina era più magra di quanto pensasse. I pantaloncini erano elastici e non le davano fastidio, il vero problema era il petto. La quattordicenne aveva un bel corpicino, ma era ancora in fase di crescita, era normale che portasse due misure in meno rispetto alla mora. Avrebbe resistito, anche se il seno chiedeva pietà. Avrebbe voluto tanto togliere quel pezzo di rame che stringeva il petto, tanto aveva una fascia sotto, ma così facendo avrebbe creato confusione e tante, tante domande a cui non avrebbe saputo rispondere, facendo saltare la copertura.
Molti dei ninja si erano disposti in due file, lasciando un corridoio vuoto. Cercò un posto più nascosto possibile, ma si accontentò della penombra.
-Accidenti, ma proprio a me doveva capitare una ragazza dagli occhi azzurri? E poi, il mio naso è quattro volte il suo.-
Sobbalzò quando tutti estrassero le proprie armi, e lei si ritrovò a farlo per ultima. Però, a pensarci, era un comportamento che si potevano aspettare da una ragazza timida e distratta.
La tigre si fece avanti, urlando a gran voce. << Buona sera, miei compari. Oggi siamo qui riuniti per il volere di Shredder! >>.
A quel nome tutti acclamarono, mentre lei si limitò ad applaudire. << Adesso, però, rifletteremo sulla nostra vita, sulle nostre scelte. Una delle quali appartiene alla piccola Allyson, che ha deciso di sacrificare il proprio aspetto, mutandosi come tutti, per servire al meglio il nostro unico capo. Fatti avanti, ragazza. >>
Jessica guardò ognuno di loro, aspettando che qualcuno si facesse avanti.
<< Forza, non essere timida. >> disse, indicando la mora.
-Eh…?-
Le diedero una spinta e fu subito al centro.
<< Bene. >> mormorò Tiger Claw. << Inginocchiati. >>
-Prendere nota. Restare a casa a fare la brava bambina piuttosto che rimanere fuori al freddo a farsi mutare.-
<< Senti, ragazza. Non ho tutto il tempo. >> sbuffò. << Chiamatemi Aquila. >>
Il volatile di prima le si avvicinò, le strinse la mano nelle piume e la rassicurò. << Hey, Allyson, ne abbiamo già parlato. Rilassati, non farà male. >>
Jessica si voltò quanto sentì il fodero sfiorarle la coscia. L’Aquila sgranò le palpebre riconoscendo il colore degli occhi della ragazza, fece per prendere l’arma ma, facendo leva sulla forza, Jessica fece inginocchiare la mutante e le mise la katana sotto il mento, in modo che sfiorasse la gola.
Tutti sussultarono, alcuni sguainarono le spade. La mora si tolse la mascherina, il vento le diede sollievo. Cercò di tenere la voce ferma, e si sforzò di nascondere la paura. << Fate un passo e… >> La frase si completò da sola nelle menti degli altri.
La tigre non sembrava intimorita. << Non ne hai il coraggio. >>
Jessica chiuse gli occhi, raccolse tutta la forza che aveva e diede un calcio nello stomaco alla mutante, che si piegò e sputò sangue.
-Scusa. Non odiarmi, sono stata costretta.-
<< Cosa vuoi? >> chiese il Lupo, la voce gli tremava e aveva l’impressione che sarebbe scoppiato a piangere. << Ti prego, non uccidere mia sorella. >>
La luce nei lampioni si affievolì, poi il buio li inghiottì. Molti andarono nel panico e si alzò un rumoroso brusio.
Jessica si accovacciò a terra e strinse la ragazza-uccello il più che poteva. Non era cattiva, anzi, aveva visto della dolcezza quando la guardava sotto gli occhi di un’amica, quando era ancora nei panni di Allyson. Era inerme tra le sue braccia. La prese in braccio e la nascose vicino alla quattordicenne.
I lampioni si illuminarono di colpo, si coprì il viso con le dita e uscì da dietro il furgone. Si rimise la maschera d’istinto.
Sgranò gli occhi.
Il mutante dell’altro giorno, era lì, appollaiato a terra e sfrugava nelle tasche di un uomo, insieme a lui vi erano altre tre tartarughe. Quando lui avvertì la sua presenza l’unica cosa che le venne in mente di fare fu correre.
Il macchinario era imponente, il colore scuro richiamava la tempesta e per un attimo le parve di vedere una scarica elettrica che vi passava intorno.
Anche usando la forza, ogni balzo era una vera impresa e sprecava energie che non aveva.
La tartaruga contrasse la mascella e tirò uno dei suoi Sai. L’arma le sfiorò una ciocca di capelli, affondò nel metallo a poca distanza dal volto.
Jessica si voltò, la stava raggiungendo. Si tolse la parte superiore in rame dell’armatura e la tirò come un frisbee nella speranza di colpirlo, ma il rosso la schivò senza difficoltà.
Ghignò, soddisfatto dell’espressione intimorita di lei.
Dopotutto, lui era alto, grosso ed armato. Lei? Aveva la forza dalla sua parte, ma era piccina in confronto e poco agile.
La mora estrasse il Sai dalla superficie e lo usò per scalare. La tartaruga la afferrò per una gamba e le scappò un gemito, la caviglia le faceva male sotto tutti quegli sforzi.
Non appena raggiunse il secondo strato, lei gli diede un calcio alla spalla e riuscì a liberarsi, ma le cadde l’arma, che fu subito raccolta dal rosso.
I comandi erano a pochi metri di distanza da lei, e il mutante era in piedi. Lo sguardo le cadde sulla superficie blu e riuscì a scorgere una sostanza verde, prese la katana e fece un foro profondo. Il liquido sgorgò come un rubinetto. Questo l’avrebbe rallentato.
Diede un’occhiata dietro di sé e i suoi occhi s’incrociarono con due iridi rossastre, quasi marroni.
Il mutante dalla fascia viola la guardò, stupito, e velocizzò i salti, in modo da raggiungerla prima.
Raffaello le stava a pochi metri di distanza e corse per andarle contro. Jessica premette il bottone con su scritto SICUREZZA e due porte d’acciaio si aprirono, proteggendo i computer e lei. La tartaruga ci sbatté contro e imprecò.
Donatello fece un balzo, alzando il Bo per colpirla. Lei sbloccò la sicurezza e sgattaiolò in mezzo alle gambe della tartaruga, appena in tempo per vedere il rosso scontrarsi con il fratello.
Fecero tutti gli strati rotolando e imprecando, soprattutto il rosso.
Jessica ritornò ai comandi, respirando a fatica. Un tintinnio catturò la sua attenzione. Un mazzo di chiavi.
Si alzò e vide una specie di serratura vicino ai tasti. Inserì la chiave più piccola all’interno e sospirò sollevata quando essa entrò, era quella giusta.
Lo schermo del computer si accese all’istante divenendo azzurro. Una scritta nera comparve al centro ma Jessica nemmeno la lesse, e cliccò su ‘cerca’.
Non si accorse che mentre digitava, leggeva ciò che scriveva. << Sistema… di controllo… interno. >>
Una fila di scritte apparvero all’improvviso, e dopo averle guardate tutte, sbuffò quando trovò a caratteri maiuscoli la parola DISATTIVAZIONE. La freccetta si posizionò sopra e premette.
Una voce meccanica la fece sobbalzare.
<< La modalità DISATTIVAZIONE verrà azionata, e la procedura non sarà ripristinabile. Siete sicuri di voler spegnere il dispositivo? >>
Comparvero due caselle, Jessica cliccò su ’Si.’
<< Siete estremamente sicuri? L’azione non potrà essere fermata. >>
La mora premette di nuovo sulla casella, l’ansia che imperlava la fronte sotto forma di sudore.
<< Sicuri, sicuri? >>
<< Non scherziamo! >>. Ri-premette.
<< L’azione è stata confermata, ma siete ancora in tempo. Siete sicuri, sicuri, sicuri, sicuri? >>
Unì le mani come se pregasse e mise in pratica una delle sue tecniche imbattibili: gli occhioni. << Ti prego…? >>
<< Non puoi commuovere un computer. >>
Una risatina la distrasse. Si voltò, e vide Raphael e il fratello smettere di litigare, per poi trattenere un sorriso strozzato.
Jessica sperò che il computer non la prendesse per i fondelli un’altra volta e ri-cliccò sulla casella.
<< Allontanarsi dal dispositivo. >> La ragazza sospirò, Alleluia! L’euforia fu cancellata al suono di quelle tre parole. << Modalità sicurezza cancellata. Il dispositivo verrà azionato tra 5 minuti. >>
Il respiro si bloccò.
-Eh…?-
4:59.
-EEEH…?-
Iniziò a premere tasti a casaccio, ma poi le venne un’idea migliore.
Estrasse la katana e, con un’aggressività impressionante, ruppe lo schermo di tutti i computer, affondando l’arma nel metallo ripetutivamente. Il fiato si fece corto ma, non si fermò.
Quando la lama si spezzò le venne un tonfo al cuore e per la furia iniziò ad usare il fodero come un martello, usandolo per colpire ferocemente ogni filo, ogni cosa.
Era così frustrata, accidenti. In che diamine di situazione si era cacciata?
Aveva messo le mani non su una, ma su ben due ragazze e il senso di colpa rischiava di soffocarla.
Su ogni colpo sferrato alle pareti, scaricava tutta la rabbia che provava.
-Maledizione, maledizione! Non doveva andare così, perché sono stata così stupida da uscire da quella casa? Giuro, se fossi un’altra persona, mi prenderei a sprangate.-
Odiava essere costretta a far uso della sua forza. Odiava se stessa in quel momento, e quella maledettissima situazione.
Mise più energia nel colpo e per sbaglio, l’indice si frappose tra il fodero e il muro.
Cadde in ginocchio e dovette massaggiare il dito più volte per attenuare il dolore.
Il suono di un piccolo scoppio.
Si avvicinò a quel che restava della struttura e cercò di sbirciare oltre il bordo.
Qualcuno aveva manomesso il terzo strato, perché le fonti di luci erano spente, e per lo più distrutte.
Prima che avvenne, Jessica udì il flebile suono di un taglio poi, tutto esplose.
A parer suo, il mondo sembrò cadere a pezzi. Tutto parve andare a rallentatore. Intorno alla struttura, e all’area di cemento a cui era avvinghiata, si crearono delle minuscole crepe che crebbero, e crebbero fino a scontrarsi l’un l’altra e spaccare il suolo. I colori si susseguirono rapidi, cambiando sfumatura ad ogni millesimo di secondo, finche, tutto non si avvolse in un cupo e scuro grigio.
La forza dell’esplosione era stata di una potenza inimmaginabile, soprattutto di velocità.
Era precipitata dalla struttura, ora si trovava a terra e stentava a non perdere i sensi. Mentre cadeva ricordava di aver gridato, ma il frastuono era stato tale da aver coperto l’urlo. L’orecchio destro fischiava, e temeva di aver perso l’udito in quella parte. Inspirò ed espirò con grande fatica. Giurava di aver sentito un crack vicino all’avambraccio, i muscoli si contrassero involontariamente e una scarica di dolore le attraversò dalla spalla fino alla punta delle dita, dovette stringere i denti e respirare profondamente più volte per non svenire.
Quando si mise in ginocchio non riuscì a trattenere un gemito, soffocò un mugolio quando sfiorò la ferita con le unghie, le dita s’imbrattarono di un rosso scurissimo.
Attorno a lei, una pozza di sangue. La testa girò per un attimo.
Dopo sforzi che parevano uno più atroce del precedente, riuscì ad alzarsi e, con gran fortuna, constatò di essersi rimediata solo una banale sbucciatura al ginocchio e numerosi tagli.
Titubante, strinse il palmo destro sul braccio ferito. Il dolore fu tale da toglierle il respiro, digrignò i denti e sottomise l’impulso di strillare. Era un’agonia ma, almeno fermò in parte il flusso del sangue.
Zoppicò sopra le macerie, ogni passo era prezioso.
Si guardò dietro, nessuno la seguiva. Si voltò e vide quattro figure appena visibili tra il fumo. Erano accucciate tra le rocce, in attesa. La fissavano come una preda sana in un bosco di malattie.
Indietreggiò.
Ognuna delle quattro tartarughe sfoderò la propria arma dai gusci e incominciò a farla roteare, come in un rito tribale.
Si voltò di nuovo, ma stavolta dietro di lei non si apriva una strada malridotta dall’onda d’urto, ma una possibile via di fuga.
Si concentrò, come quella volta sulle scale anti-incendio. Non sapeva come era capace a sfruttare quel vigore che possedeva, era insinuato dentro di lei. Lo fece e basta, e la sofferenza lasciò posto ad un temporaneo torpore.
Fissò i mutanti con aria di sfida, intuì che l’inseguimento stava per avere inizio.
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*Din don*
Lettori: Chi sarà mai?
*Apre*
Moi: CHIEDO UMILMENTE PERDONO A VOSOTROS LETTORI.
       Lo so, non ho scuse. Ma, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, vi prego, dobbiate perdonare la sottoscritta. Avete presente il blocco dello scrittore? Beh per fortuna io non l'ho avuto, PERÓ, sono un'eterna indecisa. Quindi è tutto uno scrivi/cancella. Ora ho le idee più chiare e ho gia in mente cosa fare del terzo capitolo, inizierò a lavorarci già da domani.
Chiedo ancora umilmente perdono.
Vi prego.
Perdonatemi.
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Ps: perdono. T.T




 

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