Black Friars - La Corporazione dei Nodi

di Georgia Freya Hydref
(/viewuser.php?uid=64654)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** St. Augustus ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


BF prologo

Disclaimers:  i nomi, i personaggi e luoghi  appartengono interamente a Virginia de Winter. 
La parte che seguito a scrivere d'ora, in aggiunta a quelli già "esistenti", sarà frutto della mia fantasia.
 








( parte prima  )














Ed ecco passare di là una volpe furbacchiona,
 che al primo colpo d'occhio notò quel magnifico formaggio giallo.
Subito pensò come rubarglielo.

"Salire sull'albero non posso" si disse la volpe,
"perché lui volerebbe via immediatamente, ed io non ho le ali… Qui bisogna giocare d'astuzia!".

Il corvo e la volpe

 Fedro

 















Prologo






































Giunse l’imbrunire.
L’aria penetrava tra la fitta trama del mantello cogliendolo così con un brivido che lo scosse nel profondo, insediandosi perfino dentro le ossa.
Se lo strinse addosso come meglio poté: gli prudevano le mani sotto i guanti di pelle, ancora spettatrici silenzione dei geloni che gli increspavano le nocche.
Senza emettere suono, fletté ancora di poco le ginocchia come gli era stato insegnato e attese.
Con la cartina alla mano aveva valutato attentamente quale fosse il luogo migliore per cacciare. Aveva escluso la brughiera, troppo arida e dalla bassa vegetazione per consentire un buon punto di osservazione.
Così, alla fine, aveva deciso di addentrarsi ancora di più nella foresta giungendo ad un campo ai piedi dei Monti Eirani, in prossimità di Loch Danich.
Alta e rigogliosa l'erba cresceva selvaggia e incolta, nascendo dal suolo con un verde brillante e terminando con una tonalità gialla paglierina tipica dei periodi autunnali. 
C'erano anche bassi arbusti, fiori di campo variopinti ed esili, un ossimoro in tanto disordine.
 Tese le orecchie, spalancò gli occhi finchè non sentì il bruciore obbligarlo a sbattere le palpebre.
Un sordo scricchiolio e la vide.
Il fulvo manto si muoveva con eleganza tra i fili d’erba, il naso affusolato annusava l’aria e con la coda voluminosa si inoltrava nella vegetazione.
Eccola, pensò stringendo spasmodicamente l’impugnatura della sua pistola da caccia; con un colpo secco di mano appoggiò la canna dell’arma all’altezza dell’occhio destro 
puntando con precisione il centro della schiena dell’animale .
Trattenne il fiato.
Inspirò. 
Espirò.
Poi, inavertitamente, le orecchie della bestia si alzarono di scatto e con il muso puntato verso il cielo tese la schiena in una curva rigida. Gli occhi bruni puntarono quelli azzurri affilati del ragazzo. Con acuta intelligenza lo fissò , poi fece un balzo e corse via, conscia del pericolo.
«Maledizone!››
«Un buon cacciatore si sarebbe accorto di essere contro vento, Fabian››
Jordan IV Vandemberg sorrise mesto al figlio poggiando affettuosamente una mano sulla spalla del ragazzo. Il Vento del Nord si alzò nuovamente, scarmigliando i capelli e i mantelli ondeggiarono oltre le loro spalle.
Era biondo con qualche accenno brizzolato, gli occhi blu erano acuti e il viso aguzzo incorniciato da folte basette.
Anche vestito con abiti contadini impolverati riusciva a risultare regale e imponete.
« Suvvia, figliolo. Sono gli errori che fanno di noi degli uomini, sono certo che la prossima volta non cadrai in fallo..›› rispose ilare l'uomo porgendogli una mano aiutando Fabian ad alzarsi , il giovane intanto gli lanciava occhiate truci. 
Si rassettarono entrambe i vestiti: si pulirono gli stivali ricoperti di fango ed erba con un fazzoletto poi sbatterono con le mani la polvere sparsa sul mantello aiutando l'ascesa di una densa nuvola di sporcizia; in fine riposero le armi e si incamminarono verso la strada del palazzo. 
Il sole intanto tramontava dietro le irte cime dei monti dalle nevi perenni dipingendo ,per un'ultima  frazione di secondo, la vallata con una luce cremisi.
Fabian aveva lo sguardo assorto, calciava distrattamente le pietruzze che trovava sotto la suola «Era una volpe, padre. Il mio è stato un errore da sciocco.››
«Vero, ma pensaci Fabian›› Jordan IV gli lanciò uno sguardo attento, allungò una mano e lo fermò tendendolo per le spalle. «la volpe è un animale intelligente, agile. Di certo non avrebbe aspettato a farsi ammazzare da un ragazzino quando fugge da cacciatori esperti. Il vento del Nord è più insidioso, spira quando meno te lo aspetti e con intensità. Ci si accorge troppo tardi di essere sulla sua traiettoria››
Alzò un sopracciglio scettico facendo sogghignare il padre. 
« E poi, se mi è concesso, sei molto abile con la spada e il fioretto, ma un pò meno con la pistola...›› il figlio lo guardò furioso «Avresti potuto ammazzare qualche povera anima. Me, ad esempio. Cosa avremmo raccontato a tua madre poi?›› Con gli occhi rivolti al cielo, proseguirono il loro cammino finchè non avvertirono sotto i piedi la strada ghiaiosa che portava dritta al palazzo. Non era mai stata una dimora sfarzosa, era semplice e si distaccava dalle eccessive decorazioni delle dimore di Altieres. Era bianca, piuttosto quadrata, a due piani. Guardando con attenzione era possibile vedere i lumi appena accessi che con la loro luce pallida lambiva le tende di velluto pregiato.
Una figura si ergeva davanti all'ingresso, seduta su un elegante divano da esterno arricchito da volute e decori di ferro battuto. Lady Marianne Vandemberg poggiò con grazia il libro sul tavolino di pietra, una mano posta sulla pancia.
Aveva i capelli castani intrecciati e legati in una elaborata pettinatura tipica delle terre del nord, il sorriso impertinente e gli occhi a mandorla verdi sottigliati.  Era elegante, avvenente anche solo indossando un abito adatto alle donne in attesa.
Si alzò in piedi, le mani poste ai lati dei fianchi, le ciglia debitamente aggrottate.
« E' della terra quella che vedo sul naso, Fabian?» si avvicinò aggiustandosi il mantello sulle spalle. Degnò il marito di uno sguardo veloce « Marito, alla buon ora. Sono più di due ore che vi aspetto» aveva la voce melodiosa, vellutata.
Marianne di Valdyer era stata allevata da donne dal temperamento acceso che le avevano insegnato l'arte della manipolazione, dell'ironia e della seduzione. Sebbene il suo status attuale non le permettesse di mostrare appieno le sue carte, sapeva giocare abilmente e colpire, con precisione degna di un maestro d'armi, i punti scoperti del suo avversario...in questo caso, i quattordici anni passati a fianco di un Vandemberg l'avevano preparata all'uso costante del sarcasmo che esibiva ogni qual volta ne cogliesse l'occasione.
«
Perdonaci» rispose solamente Jordan, sorridendole perfido. 
Lo trucidò con lo sguardo «Ti pare il modo di andare in giro? Vestito come un contadino, non che abbia qualcosa contro i contadini, ma penso a che incidente diplomatico possa accadere se per sbaglio venissi rapito o ferito da qualche tuo suddito. Chi ti avrebbe riconosciuto, pieno di polvere e fango! Dove siete stati? ››
«Cose da uomini. Sua Altezza non dovrebbe rientrare?›› 
Oltraggiata fece una smorfia con il viso, increspò le labbra e con stizza prestò attenzione al suo ragazzo. Poggiò le mani ai lati del viso, tirando dietro le orecchie i ciuffi biondi, poi con i pollici ripulì le gote. «Domenic ti stava aspettando.›› disse a Jordan con noncuranza. Diede una pacca gentile alle spalle del figlio spingendolo fino all'ingresso «Chiedi a Isobel se può preparati un bagno caldo, abbiamo ospiti sta sera e sei lontano dall'essere presentabile. ››
Fabian le sorrise mesto, fece un mezzo inchino e salutò con cortesia le guardie. Infine si dileguò.
Re e regina si studiarono per un lungo istante, gli occhi che esprimevano disappunto, tenerezza e sussurravano parole più di quanto le loro bocche potessero fare.
«A caccia eh? Non penso foste là per delle lepri o fagiani. Conoscendo Fabian sarete andati a cercare la volpe.›› Marianne si fece vicino a lui, tese la mano passandola distrattamente sul volto statuario del marito, le dita che tracciavano linee intorno alle labbra.
«Come sempre Sua Altezza riesce a leggere nella mia mente››. il respiro che solleticava i polpastrelli anticipò il bacio ruvido che le diede sul palmo.
«Marianne, prenderete freddo. Entriamo te ne prego.
Si avvicinò posando le labbra sulla gota «Ti aspetta nello studio. Era crucciato, non mi ha spiegato quale fosse il motivo.›› gli sussurrò all'orecchio. 










*      *      *



«
Domenic amico mio, che succede?›› si sedette sulla poltrona al lato opposto della scrivania.
Lo studio era parzialmente illuminato dal bagliore tenue delle candele, in una perfetta penombra Domenic Weiss pareva come sempre un punto di luce accecante sebbene il cruccio disegnato sul viso stridesse sul suo volto.
« Eira, succede. Mi è stata consegnata dopo la tua uscita con Fabian.››
« Cos'è?›› si avvicinò al tavolo di ciliegio, prese tra le mani la missiva. Il sigillo, un cerchio con le foglie di cipresso intrecciate dal quale faceva capolino al centro il volto appuntito della volpe reale,  faceva mostra di se sul fronte della lettera come chiusura della busta.
« Una dichiarazione di guerra, attaccheranno Aldenor se non riusciremo ad arrivare ad un patteggiamento.›› 
Scese un silenzio pesante, Domenic si posò sulla scrivania guardando il suo Re dritto negli occhi.« Se attaccassero lo faranno senza preavviso, senza che si riesca a pensare a una qualche strategia militare...non riusciremo neanche ad unire un esercito! ››
«Come mi consigli di agire?››
Un lieve bussare distrasse i due uomini «Padre, mi hanno mandato ad avvisarvi che la cena è stata servita››  Fabian aspettava sulla porta, « Lord Langemburg,›› fece un profondo inchino seguito da un accenno di capo da parte di Lord Cancelliere 
Poi, accortosi dell'atmosfera tesa che appesantiva la stanza, scrutò il padre, sondando lo sguardo preoccupato dell'uomo «c'è qualcosa che non va?››

Jordan sorrise al figlio «Niente Fabian, avvisa tua madre che tra un attimo scendiamo.›› si alzò dalla poltrona aspettando che il figlio uscisse quando, ripensandoci lo trattenne. 
« Stavo ripensando alla nostra battuta di caccia. Ricordi quello che ti ho detto sul vento del nord? Vorrei che lo tenessi a mente come monito per il futuro. Devi diffidare del Vento che spira da nord, perché la sua bordata si mostrerà selvaggia. Quando non è possibile imprigionare il vento impietoso si deve solo imparare a restare in piedi e valutare se camminare con o contro di esso.››








Nota d'Autrice

Buona sera a tutti, in primis scrivo due righe veloci su quello che sarà d'ora in avanti la narrativa della storia.
Sebbene prenda spunto dallo scritto di Virginia de Winter, tengo a precisare che ho deciso di fare una qualche modifica riguardo abiti ed ambientazioni: come sempre accade quando si leggono dei libri la nostra mente figura un'immagine precisa che magari non coincide a quanto scritto, così quando c'era scritto Feluca o cappelli piumati la mia mente vedeva cilindri e bombette, quando parlava di abiti ampi e ricchi di sottogonne io immaginavo il vestiario tipico delle dame di fine 19esimo secolo. 
Con ciò voglio precisare che qualche descrizione di abiti, luoghi, oggetti, non corrispondesse al mondo inventato da Virginia è perchè il mio immaginario l'ha trasformato in qualcosa di diverso.

Detto questo, che era giusto un punto di precisione per i capitoli che seguiteranno, mi auguro sia stata una lettura di vostro gradimento e vi auguro buona lettura per il futuro! :)

Vostra, Georgia Freya Hydref


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** St. Augustus ***






1.



















                                   S t .   A u g u s t u s













Put him in the bed with the captain's daughter
Put him in the bed with the captain's daughter
Put him in the bed with the captain's daughter
Early in the morning

Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Early in the morning

That's what we do with a drunken sailor
That's what we do with a drunken sailor
That's what we do with a drunken sailor
Early in the morning

Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Early in the morning

Irish Rovers - Drunken Sailor


















Amava Orleanne.
L’aveva amata prima ancora di averla vista, quando le era stata solo raccontata, ma dopo avervi fatto visita non poteva far altro che alimentare questo suo sentimento.
C’era stato un tempo in cui l’aveva vista attraverso gli occhi delle sue cugine, un’immagine onirica lontana, troppo irreale per essere vera. Tempo addietro le era stato detto che Altieres ti riempiva di nostalgia anche senza averla mai vista e ora, respirando appieno l’aria frizzante del meridione, non poteva far altro che pensare a quanto fosse stata vera quell’affermazione.
Quel giorno il sole si stava dimostrando più caldo del solito, le lambiva distrattamente il viso con il suo tocco rovente penetrando, per quanto potesse, attraverso l’elegante ombrellino di finissimo pizzo bianco, accessorio necessario e molto in voga tra le fanciulle meridionali.
Distrattamente se lo rigirò tra le mani creando sulla terra arroventata un’ombra ballerina che oscillava irrequieta come avesse una propria volontà. Osservandola, un sorriso malinconico le si dipinse in volto .
Governare le ombre era una prerogativa della parte immortale della sua famiglia, discendenti diretti della sua antenata Rosa dei Blackmore. L’ombra le ricordava i momenti in cui stava accanto a Cain, il suo ritrovato fratello, il quale con un sorriso furbo si divertiva a giocare con l’oscurità dei lumi creando, per puro scherzo, le figure più bizzarre.
Era stata una sua scelta passare le Feriae Aestivarum presso la capitale del suo regno. Azzardato, vero. Ma pensava di essere in dovere di visitare le sue terre che tanto aveva iniziato ad amare. Mandò giù la nostalgia e il senso di colpa per non aver portato con sè Julian, pensando solo a godere del poco tempo che ancora aveva prima del ritorno al Collegio.
I giorni ad Altieres sembravano non passare mai, si intercalavano gli astri senza dare l’impressione che fossero passati giorni, mesi.
Alla sua destra il mare splendeva, proiettando sulle sue acque limpide, un caleidoscopio di colori.
Le coste scoscese e irte erano foderate dalla pungente vegetazione tipica dei paesi caldi, così sconosciuta agli occhi di una straniera del nord. Aguzzando lo sguardo era possibile notare il via vai dei piccoli pescatori a bordo di modeste scialuppe, le mosse cicliche, le mani nodose che afferravano con coscienza le reti controllando quali frutti il mare e gli dei li avessero concesso.
Riprese il cammino, dondolandosi sui piedi, lungo il ciottolato.
Gli alberi in fiore facevano bella mostra di sè sporgendosi da spinosi parapetti delle ville che li ospitavano.
Fayette ,vista la sua attitudine a ciarlare smodatamente di una qualunque inezia, aveva riempito i silenzi durante le colazioni descrivendole, minuziosamente, piccanti pettegolezzi sulle dimore arroccate lungo le coste della Nazione.  
A detta sua, l’ubicazione delle suddette case permetteva ai proprietari di godere appieno la brezza frizzantina del libeccio, tant’è che il prezzo delle abitazioni aveva raggiunto vertici così alti da essere disponibili solo a chi effettivamente possedesse un’ingente capitale, come per esempio ricchi ereditieri o aventi titoli nobiliari. Alcuni la sceglievano anche come luogo di villeggiatura, soprattutto erano signorotti delle Nationes Settentrionali.
Ricordava che un giorno, approfittando di una delle rare mattinate uggiose, lei e Fay erano uscite dal palazzo a Ora Media senza farsi vedere dai cugini, recandosi alla panetteria sul versante di ponente degustando in gran segreto il pane appena sfornato. Avevano passeggiato senza una meta precisa recandosi di tanto in tanto in qualche bottega comprando eleganti vestiti meridionali dai colori vivaci e candidi o piluccando frutti esotici dalle bancarelle del mercato cittadino. Infine, prima di fare ritorno al palazzo, avevano riempito un elaborato cestino di vimini con dolci prelibatezze, prodotti tipici dei Mastri Pasticcieri di Orleanne.
Avevano percorso il sentiero a ritroso, ridacchiando saltuariamente del chiacchiericcio di alcune cameriere quando Fayette d’un tratto aveva avvolto il braccio della cugina con la mano guantata avvicinandosela a sé.
«Vedi quella stamberga?» aveva bisbigliato con grande confidenza «Ora come avrai notato è abbandonata ma, anni fa, era un luogo di sregolato sfarzo»
Sophia aveva osservato con maggior attenzione l’abitazione che faceva bella mostra di sé dietro una coltre di rampicanti e erbacce.
«Ho sentito questa storia da una cameriera, al Collegio. Dice che la proprietaria fosse una giovane arricchita, probabilmente grazie all’eredità del defunto marito, che era talmente prosperosa da aver chiesto ad ogni Mastro Falegname di costruirle una carrozza su misura. In ebano e mogano, se la memoria non mi inganna» aveva alzato un sopracciglio sbuffando, poi si era avvicinata ancora di più alla ragazza «A quanto si racconta aveva un amante di Salimarr, un marinaio, al quale intestò tutto. Ma, un giorno, questo scappò con l’esiguo bottino lasciando la vedova sola nella sua dimora.» l’aveva guardata con insistenza «il giorno dopo la trovarono morta nel salone d’ingresso ancora abbigliata con abiti da viaggio. Dissero che avesse stretto tra le dita un biglietto da viaggio di una corriera internazionale.»
Sophia si era ritrovata a deglutire, guardando con raccapriccio la solare villa tingersi di toni sinistri. L’incanto si ruppe quando Fay con teatralità aveva sospirato.
«Un amore vizioso consumato da una tragedia. Non lo trovi romantico?»
Ricordò di aver stretto la mano della cugina, di aver tirato un sorriso e di aver proseguito fino alla dimora dei Sinclair. Aveva sentito Nanà raccontare una favola simile alle sue cuginette Granville, uno spauracchio per bambini, in cui però la protagonista si ritrovava ad annegare in mare, vestita da viaggio, dopo aver maledetto con una preghiera disperata  ogni marinaio affiché trovasse perizie nella via verso casa o che non ne facesse ritorno alcuno.






 

                                                                              *   *   *

 










Si ravvide dai suoi pensieri quando una mano delicata la percosse dolcemente.
Alexandria Mayfield ghignò ravvivandosi i capelli corvini sulla fronte. A quanto pareva, osservandola con una certa attenzione, era accaldata come se avesse passato lungo tempo a correre o camminare di gran carriera.
«Avete terminato di azzuffarvi?»
«Credo che Justin abbia mal digerito la notizia che sua cugina, una donna che gli dei ce ne scampino, abbia tra le mani un’arma tanto potente che solo Gabriel sinora possedeva» tubò melensa mentre con un battito risoluto ricompose il drappo della lunga gonna salmone.
Ridacchiò tenendo l’ombrellino ancora ben issato sopra la sua testa.
Il suo rapporto con Alexandra si era dimostrato guerrigliero all’inizio. Venute a conoscenza della sua presenza al Collegio di Altieres, le cugine Mayfield si erano decise a trovare ogni mezzo affinché se ne andasse, chiedendo perfino aiuto agli dei. Dopo aver quasi ucciso Fay ed aver condiviso rocambolesche avventure, il loro rapporto era andato via via a solidificarsi, facendo capire a Sophia di quanto fosse bello avere delle amiche e delle complici.
Ristabilendo Sophia come reggente della corona di Altieres, non che discendente diretta di Clarisse Granville, si erano risvegliati anche i  sei cavalieri dell’Ordine della Croce tra cui Jerome, cugino e migliore amico di Gabriel, Jordan Valdemberg, Julian suo “fratello” e, il caso volle, anche Alexandria. Questo fatto non era andato decisamente a genio a Justin che, di temperamento più vivace del gemello Drayden, aveva iniziato una serie di infinite scaramucce con la suddetta cugina la quale, troppo furba dal farsi fregare, aveva iniziato a incassare vincite, alimentando così la gelosia della parte maschile della sua famiglia.

«Ma credo sia terminata oggi. Al porto stanno allestendo una fiera per festeggiare St. Augustus, protettore dei mari meridionali, propiziandosi la pesca per i giorni a venire. I soldati sono stati chiamati all’ordine per sorvegliare la zona.» regalò a Sophia un sorriso sincero, ammettendo tacitamente un qualcosa che la principessa comprese solo in seguito.
Avvampò colorando le gote di un tenue color pesca, dissimulò il suo imbarazzo con un colpo di tosse accennato.
C’era Gabriel al porto.
E si era premurato di farglielo sapere.
«Ora, capirai bene che sia nostro obbligo renderci presentabili per un’apparizione pubblica. Vieni, » le porse la mano, incoraggiandola « andiamo al palazzo, ci cambiamo e i rechiamo alla fiera agghindate da vere dame del sud!»
Tirandola lievemente, iniziarono a correre a perdifiato seguendo la dolce inclinazione del terreno. Sophia teneva stretto l’ombrello sottobraccio, la mano posata sul cappello dalla tesa larga lo schiacciava lievemente impedendogli la fuga e l’altra stringeva quella della cugina. Risero di gusto, sotto lo sguardo curioso dei passanti.
Intanto, il sole si preparava a tramontare, incorniciato da raggi cremisi. Le luci nei lampioni iniziavano ad accendersi, pallidi nella fredda dimora.

 









                                                                 *   *   *

 










«Oh no, Sophia! Quello non è assolutamente adatto!» esasperata, una mano estrasse dall’armadio ad angolo un vestito di elegante pizzo bianco e azzurro «Ecco, questo penso sia perfetto! St. Augustus è il protettore del mare, amante del color turchese della menta piperita. Quindi, »concluse con voce ferma Fay «sei perfetta!»
«No, Fay. Credo che questo sia più elegante» protestò Caroline ondeggiando davanti agli occhi un abito lungo color verde acqua «l’abito che le hai proposte tu è molto sfacciato. E’ una regina, non una cortigiana di malaffare.»
«Siamo ad Altieres, Caro. Questi abiti non potrebbe indossarli alla Vecchia Capitale neanche a desiderarlo.  E’ assolutamente perfetto il mio, elegante e sensuale quanto basta per renderle giustizia.»
«Hai ripetuto perfetto almeno una decina di volte, Fay» Alexandria alzò lo guardo dal libro che stava sfogliando distrattamente, non perdeva mai occasione di redarguire la cugina che, irritata, scoccò la lingua al palato.
Sophia era aggrappata alla colonna del baldacchino, respirando a fatica mentre una cameriera si occupava a stringere il corsetto. Aveva seguito il battibecco delle cugine distrattamente, inspirando l’aria tra i denti, di tanto in tanto, borbottando esclamazioni poco consoni a signore e maledicendo tutti gli dei per quella tortura quotidiana. Non vedeva già l’ora di tornare in camera, aprire i lacci anche a costo di usare un coltello da frutta e di riiniziare a respirare.
«Quindi? Quale scegli?» Caroline scrutò la ragazza con insistenza.
«Quello bianco di Fay è perfetto» ringhiò sbuffando.
Terminato di allacciare il corsetto la cameriera si allontanò dalla stanza con un profondo inchino, chiudendosi le porte alle spalle. Fayette gongolante aiutò la cugina a infilarsi il delicato vestito aderente, legandole alla vita una gonna a balze color turchese. L’aiutò ad acconciale i capelli, slegandole le trecce e fermando i capelli con qualche campanula bianca.
«Sfacciata , ecco cosa mi fa pensare quel vestito. Penso abbiate esagerato, ma poco importa. Fay risponderà direttamente a Gabriel se qualche sguardo indiscreto scorrerà su di te, cugina.» così, con stizza, Caroline aggiustò il cappellino color pesca sulla testa, infilò in guanti e uscì dalla stanza.
Fayette fece un gesto con la mano, come per dire di non bardarle, e si rimirò allo specchio un’ultima volta.
«Non darle peso, litigano quando possono» Alexandria le sorrise incoraggiante.
«Andiamo a mangiare, conosco una locanda in cui cucinano un ottimo pescato»
Il cielo era spruzzato qua e la da stelle, piccoli fari luminosi nell’oblio della notte; le vie di Altieres erano addobbate a festa: saltimbanchi intrattenevano giovani fanciulle con giochi di prestigio, speziali pesavano i sacchettini di iuta su bilance d’ottone. La travolsero bambini con il volto coperto da una maschera azzurrina, facendola sorridere debolmente. Come le era stato promesso, aveva cenato in una locanda chiamata Osteria del Pescatore Matto, un luogo molto conosciuto nella Nationes per la freschezza del pesce. Aveva assaggiato tutto un po’, tenendo lo stomaco libero per i dolci freddi che i pasticcieri le offrivano alle bancarelle. Rassettò le gonne un paio di volte, contorcendosi le mani ogni volta che sentiva degli scalpitii di zoccoli alle sue spalle. Aveva visto la sua scorta osservarla da una distanza di sicurezza più che congeniale, si era accorta anche di Drayden vestito con la giubba nera dell’esercito.
Disinteressata, o almeno così sperava sembrasse, veleggiò con lo sguardo sopra la folla chiassosa sperando di scorgere un viso in particolare.
Vide Jerome, si fissarono negli occhi per un lungo instante poi, con un inchino rigido, si allontanò non senza averle strizzato un occhio.
«Cercavi qualcuno, Sofia?»
Sarcasmo e presunzione la colpirono allo sterno, facendo pompare il cuore quanto più credeva potesse fare.
Gabriel Stuart Sinclair fece mostra di se sorridendo freddo, irrigidendo appena la povera Sophia che, col cuore che galoppava, fece un sorriso metà tra lo stupito e il divertito.
In livrea da comando, era una visone per gli occhi. Il portamento impeccabile e impertinente, lo sguardo di ghiaccio, Gabriel attirava indubbiamente lo sguardo di molti.
«Qualcuno ti ha privata della parola, principessa trovatella?»
Sophia lo guardò con fierezza, ghignando impercettibilmente.
«Si, cercavo Jerome. Ma come può vedere, Capitano Stuart, l’ho trovato»

Impertinente, diabolica.
«Mia signora, non vorrei rubarle la compagnia di Jerome, ma credo, anzi sono certo, che il vostro futuro sposo sia un soggetto particolarmente possessivo.»
Gelosia, fastidio.
Un passo e Gabriel le fu davanti, poco più di un palmo li separava. Incurante della piccola folla di curiosi adunata intorno a loro, Stuart le passò una mano ai lati del viso, sfiorando le efelidi sotto gli occhi, poi con naturalezza studiata, le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sofia»
L’accento di Altieres, quella parlata dedicata solo a lei.
Stare con lui era sempre stata una contraddizione: dal loro primo incontro aveva capito che un solo suo tocco le poteva infliggere un dolore indescrivibile e, nonostante ciò, si era trovata a provare un’irrefrenabile necessità di stargli vicino. Lo aveva imbrogliato, aveva chiesto l’aiuto degli dei per fargli un incanto d’amore e poi si era trovata vittima della sua stessa maledizione. Si era imprigionata da sola, una preda in balia del suo carnefice.
Aveva vinto al suo desidero, gli aveva messo tra le mani il suo cuore, il suo regno. E ora non poteva vivere senza di lui.
Si fece coraggio, assottigliando lo sguardo.
St. Augustus era il santo protettore del mare e dei marinai, divinità di riguardo nelle Nationes bagnate dall’Oceano Meridionale.
Festeggiato in giorni diversi nelle quattro nationes, il mese che si prestava meglio ai festeggiamenti giugno ed in particolare ad Altieres la sera a cavallo  dell’equinozio d’estate, serata avvolta da un’aura di magia data anche l’importanza che davano gli altierenses all’inizio della nuova stagione.
Madrina Lala le aveva raccontato la bellissima tradizione del lancio dei viveri in mare per auspicarsi raccolti abbondanti, del falò delle reti per augurarsi il ritorno dal mare dei marinari e del vino di mais bevuto al crepuscolo per ingraziarsi il santo protettore.
Mantenne fermo lo sguardo sebbene distratta dal tanto rumore che percepiva intorno a lei: musica e risa si levarono proprio alla sua destra e le fu impossibile tenere quello sguardo ostile.
«Vieni, ti faccio da guida in questo trambusto. Devo mostrarti qualcosa» glielo sussurrò all’orecchio, una labile ombra ammantata di oscurità alle sue spalle.
Le prese la mano, con delicatezza la trascinò lungo tutto il porto soffermandosi di tanto in tanto di fronte a qualche bancarella scambiando saluti o semplicemente comprandole qualche assaggio. Più lei lo guardava e più faticava a credere che a breve si sarebbero sposati, le sarebbe appartenuto come lei sarebbe appartenuta a lui.
Gli occhi di Gabriel gridavano al più cruento dei peccati, grigi e affilati da scatenare brividi di paura ma anche di perdizione; era stati quegli occhi a metterla in trappola, quel sorriso ellenico, alle volte artefatto, a buttare una scommessa su se stessa giocando le carte della vendetta per legarlo a sé.
E lui l’amava.
L’amava a tal punto da diventare folle per la paura di perderla. Gli era capitato fino troppe volte per considerarli labili incidenti. Non esistevano coincidenze, gli era scivolata dalle mani troppo facilmente che, inconsapevolmente dovette aver esagerato a stringerle la mano perché una piccola protesta le uscì dalle sue labbra.
«Perdonami, moen treseur, con tutta questa calca e, conoscendo la tua passione per la fuga, temevo potessi non trovarti più al mio fianco. »
Tese una mano arpionando i neri crini di Sophia, un gesto intimo e  spensierato che le strinse il petto in una morsa pungente.
Un colpo di tosse li costrinse a separasi.
Jerome fece un breve inchino a lei e poi guardò l’amico.
« Diana sta attraccando, Gabriel. »
« Arriviamo»
Li guardò entrambe come se avessero appena detto che i cavalli si fossero appena alzati in piedi e avessero giocato a carte in una taverna.  Risero entrambe e poi Stuart prese la parola per spiegare “chi” stesse attraccando.
«A Delamàr, è risaputo, abbiano una sregolata passione più per le proprie navi che per le donne. Ad Altieres non siamo così esagerati, ma portiamo rispetto a chi viaggia per mare portando viveri e merce di primo consumo. I marinai allora, vista la lunga assenza dalle proprie mogli, iniziarono secoli fa a chiamare le imbarcazioni con nomi da donna.» Tirò un sorriso indicando a Sophia un puntino indefinito posto sul fianco occidentale del porto. Era indistinguibile tanto fosse piccolo « Diana è il primo veliero dell’esercito marittimo di Altieres. Raggiungiamo gli altri e andiamo ad accogliere come dei veri sovrani il nostro esercito.»











                                                                    *   *   *

 








Quando sopraggiunsero, era stata sollevata una passerella di legno che collegava il ponte al molo. Il puntino indistinguibile che aveva visto un attimo fa si era trasformato in un’immensa imbarcazione dai toni scuri. A prua, precisamente in punta allo scafo, faceva mostra di se una figura di donna, con lunghi capelli color fragola e dai seni scoperti, che teneva le mani poggiate sul legno della nave.
« Lei è Diana » ghignò complice Dray alla sua sinistra, per poi tornare a borbottare qualcosa al gemello che non si trattenne dal ridere sguaiatamente.
Si mise al fianco dei suoi parenti come esigeva l’etichetta e attese.
Iniziarono a scendere alcuni ragazzi, trasportando barili e casse di legno.
L’esercito marino aveva le divise di colori forti: i pantaloni erano bianchi con sul lato piccole strisce blu, la camicia allacciata con doppio fiocco era anch’essa bianca e splendeva sulla giubba blu e rossa.
« Fay ha già trovato la sua anima gemella. Credo non tarderà a fantasticare il suo futuro insieme ad un rispettabile gentiluomo della marina » Sandria le era al fianco e con sufficienza guardava la piccolina della famiglia che, tutta  agitata, si rassettava con contegno le gonne scampanate.
«So che non hai dimestichezza con questo genere di incontri, come dire, più formali. Ti voglio dare un piccolo consiglio quando inizieranno a scendere i marinai china solamente il capo e saluta cortesemente il comandate. Al resto penserà Gabriel.»
Così fece, salutò con capo i marinai che pian piano si riversavano sul molo, tutti ben eretti e fieri, attese solo che scendesse il comandante.
Tenne lo sguardo fisso sulla nave, quando una risata cristallina ruppe quel ligio silenzio. Era musicale e roca, come quando dei bicchieri tintinnavano tra loro. Si alzò sulle punte, sporgeva un cappello dai lati ricurvi e un pennacchio che terminava la tesa, la giubba aveva attaccate sulle spalle corde intrecciate di color oro che convergevano all’asola di metallo al lato del petto.
Era giovane.
Ad un tratto, tentando di sporgersi ancor di più oltre la spalla di Jerome per vedere meglio, capitolò in avanti rompendo la riga composta che aveva formato e, incespicando rumorosamente sui suoi piedi per non cadere a terra, trasse a se tutta l’attenzione degli osservatori.
Gabriel alzò gli occhi al cielo coprendosi con una mano un sorriso spontaneo.
Ci fu un silenzio torbido, ora sembrava esser riuscita ad attira l’interesse del comandante.
Questi alzò di scatto la testa con un ondeggiare di piume mostrando così a tutti il suo volto. I crini color caramello erano una perfetta cornice agli occhi smeraldini. Il viso era aguzzo e femmineo, quasi troppo perfetto per appartenere ad un giovane uomo, portava fieramente un pizzetto tagliato ad opera d’arte da mani esperte.
Stupita, spalancò gli occhi più del dovuto.
« Sophia » un risolino elegante, pronunciato con la dura e aspirata cadenza del nord.
« Philipe? »

 


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3111111