Il marchio di fuoco

di Isabelle_Mavis
(/viewuser.php?uid=841184)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cagnolino troppo cresciuto vs lupi quasi fantastici ***
Capitolo 3: *** Ricordi, apatia da fantasma e molte altre cose allegre ***
Capitolo 4: *** Punto extra: firmare la propria condanna a morte ***
Capitolo 5: *** Tra riunioni di famiglia e poveri peluche ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

Megan aprì gli occhi.

Dalla sensazione che provava, dedusse che non si era semplicemente svegliata dopo una rigenerante dormita. No, si era svegliata dopo il vuoto. Era come se ci fosse stato un black-out, perché prima c’era la sua molto movimentata vita e dopo il buio, durato chissà quanto. Bene, ora però era di nuovo in sé. Provò a muovere gli arti e si mise a sedere intorpidita. Si guardò intorno. Quello che la sorprese di più non furono le sue condizioni fisiche o il luogo sconosciuto in cui si trovava, ma il fatto di non provare ansia. Insomma, chiunque si sarebbe spaventato a morte data la situazione, no? Invece lei era calma, di una serenità quasi sinistra. Forse si poteva associare ai suoi sensi non ancora ben attivi.

Si alzò definitivamente in piedi, accompagnata dal rumore delle foglie e dei rami spostati da un leggero vento. “Una foresta?” si chiese mentalmente. “Povera me, di solito i film horror iniziano sempre così”. Sospirò e memorizzò ogni dettaglio utile, tipo che era l’alba e che lei indossava un jeans, delle scarpe da ginnastica e una felpa con sotto una maglietta arancione a mezze maniche un po’ grande. Sopra c’era scritto “Campo Mezzosangue”. Megan socchiuse gli occhi, come se stesse pensando a qualcosa di importante. Poi però tornò normale. Aveva appena deciso di esplorare la zona circostante, quando qualcosa si insinuò nella sua mente. Lo avvertì subito, come un pezzo di ghiaccio sulla schiena, e rabbrividì.

Alla fine una voce parlò: -finalmente ti sei svegliata, mia fanciulla-. Sembrava appartenere ad una donna. Megan la paragonò ad un brano suonato con l’arpa; aveva sfumature delicate ma autoritarie, certo, però era come se alcune note fossero sbagliate, rovinando l’insieme e rendendolo irritante. La ragazza si sentì strana, violata: avere una voce nella testa la intimoriva. -E’ giunta l’ora che tu compia il tuo dovere. Per questo ti ho scelta. Un'impresa va portata a termine e tu sei l’eroina- continuò, come se nulla fosse. Megan avrebbe tanto voluto dire di no o chiedere spiegazioni, eppure sospettava che non fosse la cosa più saggia da fare. Quella donna… da come parlava, si capiva che le stava nascondendo qualcosa, a partire dalla sua identità. Non poteva fidarsi, proprio come non poteva rifiutare.                                                            

–Il tuo compito è molto semplice: dovrai trovare colei che guida quelli come te. Lei ti indicherà la strada e dopo arriverai al Campo Giove, dove dovrai stare per un po’ di tempo, abbastanza per sembrare degna di fiducia. E sarà allora che ti darò nuove istruzioni. Per il momento ti basti sapere questo, piccola semidea-. Megan dischiuse la bocca dalla sorpresa. Era confusa, ma non poteva permettersi di vacillare.                                                

 -Ora va’ e trova la Lupa. Svolgi la missione che ti ho affidato e non deludermi, Megan Jackson-.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cagnolino troppo cresciuto vs lupi quasi fantastici ***


1- CAGNOLINO TROPPO CRESCIUTO VS LUPI QUASI FANTASTICI

Megan desiderava tanto avere qualche indizio. E invece si ritrovava a vagare da ore in mezzo alla foresta senza avere la più pallida idea di come trovare la Lupa. Era stanca, indolenzita e cosa più importante era irritata. Si appuntò mentalmente di chiedere delle informazioni in più a quella specie di donna-fantasma (ovviamente dopo averla sistemata per bene) nel loro prossimo “incontro mentale”.

La ragazza interruppe i suoi pensieri lamentosi e vendicativi per guardarsi intorno: a giudicare dal paesaggio verde, era ancora lontana dalle prime zone abitate. “E se anche incontrassi qualcuno? I mortali non possono aiutarmi” pensò e ridacchiò leggermente immaginando la faccia del povero sventurato al quale avrebbe chiesto indicazioni per la Lupa, colei che guida i semidei. D’un tratto il suo sguardo passò dal divertito al triste. Chissà per quale motivo la donna che l’aveva scelta non le aveva cancellato la memoria: per una missione come quella sembrava più indicato fare piazza pulita di tutto ciò che potesse comprometterne la riuscita. Sapeva cosa e chi era, conosceva l’esistenza degli dei e di tutte le altre figure mitologiche; ma sopra ogni cosa ricordava la sua famiglia, i suoi amici e la sua casa. Decise di non farsi troppi problema e di custodire gelosamente ciò che le era rimasto. Il Campo Mezzosangue, suo fratello, quello scontroso del suo migliore amico… le mancava tutto terribilmente. Faceva quasi male fisicamente. Ma non poteva perdere tempo a crogiolarsi nella malinconia: aveva un’impresa da mandare a termine e una donna-fantasma da accontentare. Per prima cosa decise di fermarsi a riposare: doveva escogitare un piano e una tabella di marcia.

“Punto 1: capire come trovare la Lupa” si disse. Megan fece mente locale, mentre si appoggiava con la schiena al tronco di un albero. Non aveva armi né cibo o acqua, perciò non avrebbe retto a lungo. Cercò di ricordare qualche mito legata a questa Lupa, ma fallì miseramente: non era un genio in certe cose come qualcuno di sua conoscenza. Poi le vennero in mente le parole della donna-fantasma: “colei che guida quelli come te”. Megan sorrise. Non era lei a dover trovare la Lupa, ma il contrario. “Quella brutta… cercavi di mettermi alla prova con un trucco così patetico? 1-0 per me, fantasma”. Bene, ma… come avrebbe fatto a farsi trovare? Riflettendoci, se guidava i semidei doveva anche aiutarli per logica. Quindi se fosse stata abbastanza in pericolo sarebbe dovuta uscire allo scoperto per darle una mano. O una zampa, su questo Megan era ancora incerta. “Sarà un gioco da ragazzi” pensò “io sono una calamita per i guai”. Si guardò intorno fino a che non si focalizzò su un cespuglio di fiori con le spine. Ne prese una ben affilata e si punse un dito con decisione e forza: doveva uscire abbastanza sangue. Sperò che funzionasse: di solito il suo sangue era bramato da molti, dato il padre divino che aveva. Ma la calma continuava a regnare indisturbata.

–Andiamo, oggi non avete fame?- imprecò sottovoce la semidea. Fu allora che un ringhio non umano si alzò da un punto non molto lontano dalla ragazza. Megan stava quasi per esultare vittoriosa, quando sentì alle sue spalle il terreno scricchiolare. Si girò con cautela, per poi ritrovarsi davanti ad un animale grande quanto un cavallo ricoperto di pelliccia. Una Chimera. Riconoscibile per il serpente al posto della coda, il quale faceva scattare la lingua sibilando. Tra tutti i mostri in cui poteva imbattersi, le era capitato quello più difficile da seminare in una corsa. La sua solita fortuna. Il mostro ringhiava e avanzava a rallentatore. Megan prese un grosso respiro prima di correre il più veloce possibile. Faceva di tutto per evitare gli ostacoli (quali il terreno granuloso, le piante e gli alberi), ma avvertiva il leone dietro di lei che le teneva testa e si apprestava a catturarla.

-Ehi, cagnolino troppo cresciuto, sei una lumaca!- urlò per provocarlo. Forse non avrebbe dovuto perché con un salto la Chimera le si parò davanti, bloccandole la strada. Megan mantenne la calma: era tutto nei piani.

–Ma che bravo! Da quando ti dedichi al salto in lungo?- chiese con un’espressione innocente. Nella mente però stava pregando per un miracoloso intervento da parte della Lupa. La Chimera continuava ad avanzare minacciosa, mentre la semidea arretrava; peccato che perse l’equilibrio a causa di una radice e finì a terra. Il cagnolino troppo cresciuto scattò sovrastandola. “Che bella morte epica, davvero. Infondo, ho sempre desiderato finire nello stomaco di una Chimera” pensò sarcastica. Non vedeva vie d’uscita: si era affidata all’intervento della Lupa, ma purtroppo non avrebbe dovuto darlo per scontato. D’un tratto si ricordò che non era sola: suo padre e i poteri da lui ereditati rimanevano con lei. Megan non era brava come suo fratello, perciò si affidò all’istinto paterno del dio. Chiuse gli occhi, concentrandosi. Avvertiva la Chimera sopra di lei che si preparava al colpo finale, pregustando il sapore della vittoria.

Quindi un ululato si alzò nell’aria. Megan sentì il mostro venire spinto lontano da lei e dopo rumori di lotta, ringhi e ululati. Socchiuse gli occhi con l’intenzione di sbirciare solo per poi sgranarli: tre lupi tenevano testa alla Chimera, azzannandola e graffiandola. Questa però mise da parte la sorpresa iniziale per rispondere agli attacchi. Si avventò sul lupo più vicino, uno grigio scuro, e gli morse una zampa, facendolo rotolare a terra. Come se fossero stati colpiti nel profondo (orgoglio?) gli altri due saltarono sopra al mostro. Megan rimase a bocca aperta: quei lupi erano fantastici! In un attimo la Chimera si trovò in svantaggio e scappò in ritirata. Saggia idea. Dopo una mangiata di secondi i lupi ulularono, come a voler comunicare la posizione e la vittoria. Tra queste “esclamazioni da lupi” Megan fu attratta da una più sicura e dominante delle altre, come se appartenesse al capo branco. Poi fu il silenzio assoluto: i tre lupi vicino alla semidea drizzarono le orecchie e girarono la testa di scatto verso un punto alla spalle della ragazza. Lei li imitò curiosa alzandosi in piedi e la vide. Dalla foresta emersero altri lupi, ma l’attenzione di tutti era concentrata sulla lupa nel mezzo: occhi tipo argento fuso e pelliccia rosso scuro. Si posizionò di fronte a Megan, facendola sentire piccola. Insomma, non che fosse alta, ma non era neanche molto bassa. E invece si sentì minuscola rispetto alla grande Lupa. Le due si guardarono negli occhi. Argento contro verde acqua.

-Alla fine la Lupa parlò. –Perciò sei tu la piccola semidea in pericolo. Hai rischiato molto oggi.- Anche lei, come la donna-fantasma parlava telepaticamente, facendosi capire tramite il movimento delle orecchie, del muso. A differenza dell’altra sua “fredda chiacchierata”, ora Megan si sentì relativamente al sicuro. Be’, quella Lupa non sembrava del tutto amichevole.

–Hai messo in gioco la tua stessa vita perché contavi nell’intervento del mio branco. Coraggiosa o solo molto spericolata e avventata? Da quello che ho potuto scoprire sei nuova, perciò forse non sai che noi non aiutiamo nessuno. Conquista o muori, è questa la regola dei lupi. I semidei devono arrivare da soli al traguardo per fortificarsi- proseguì. Megan si rese conto che sarebbe potuta morire e basta. Eppure… -Allora perché mi avete soccorso?- chiese, nonostante la paura di sembrare ingrata e altezzosa. La Lupa piegò di lato la testa. –La terra freme, noi lo avvertiamo. E’ in atto qualcosa di grande- rispose enigmatica. La semidea si chiese che razza di risposta fosse, dal momento che era ancora più confusa. Lasciò correre. –Se tu sei la Lupa, allora puoi indicarmi la strada per il Campo Giove- disse Megan. –Naturalmente. Quello che cerchi è a sud. Ci saranno altri pericoli e altri mostri, ma noi non ti seguiremo. Sarai da sola: questo è il viaggio d’inizio, figlia di Nettuno- l’avvertì il capo branco. Megan sentì il suo cuore saltare un battito. Nettuno. Quel nome la faceva sentire cullata, protetta e anche iperattiva. Ma forse quest’ultima cosa era dovuta ai suoi istinti da mezzosangue: un fattore di riconoscimento come la dislessia. Eppure Nettuno non era il nome giusto.

–Nettuno? Non era Poseidone?- rise la semidea. La Lupa si accigliò. –Quel nome è greco. I Romani invece lo hanno battezzato come Nettuno. Curiosa questa tua osservazione- commentò l’animale. Megan avrebbe voluto tirarsi uno schiaffo: non poteva destare sospetti. Decise di essere più discreta possibile in futuro. –Va bene, ho capito. Ma non ho né armi né altro con me, come farò?- chiese, cambiando discorso. Fu allora che si fece avanti un lupo con uno zainetto stretto fra le fauci.

–Qui dentro c’è tutto ciò che potrebbe esserti utile. Per quanto riguarda l’arma, prova a frugare nelle tasche- disse. Megan prese lo zaino e ringraziò dubbiosa, mentre tutti i lupi cominciavano a mescolarsi tra gli alberi. L’ultima fu la Lupa. –Ti consiglio di cambiare maglia prima di arrivare al Campo Giove. I Romani sono molto severi.- e con questo sparì.

"Ho cambiato idea. I lupi sono quasi fantastici”.

ANGOLO AUTORE

Salve! Eccomi qui con il primo capitolo vero e proprio *-* E' la mia prima storia e non sono ancora esperta in certe cose xD Spero comunque che la storia vi piaccia :3 Si accettano consigli ;) Be'... non so se dovrei dire altro, essendo il mio primo angolino D: Ma... Alla prossima Semidei! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ricordi, apatia da fantasma e molte altre cose allegre ***


Ricordi, apatia da fantasma e molte altre cose allegre 

 Non si era mai sentita così sola. Era in una prigione all’interno di una nave da crociera da giorni. Ricordava bene gli ultimi momenti passati nella beata ignoranza. Per lei era iniziata come una solita giornata noiosa: all’orfanotrofio anche le risate dei più piccoli risultavano deprimenti. Ma Megan cercava di non pensarci troppo. Non le importava se le tutrici dicevano che era troppo grande ormai per l’adozione quando credevano di non essere sentite. Non le importava se gli altri bambini la consideravano strana per le numerose volte in cui si era cacciata nei guai allagando i bagni. Perché lei continuava a sperare in un cambiamento. Ironia della sorte, quel pomeriggio durante la passeggiata di gruppo per le strade di New York incontrò quel ragazzo biondo con la cicatrice di nome Luke. Da quanto era riuscita a capire, lei era la presunta figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi e il suo sangue avrebbe potuto far risorgere il loro padrone. Seppur aveva tentato all’inizio di ribellarsi, aveva presto capito di non avere speranze. E ora era lì, rannicchiata in un angolo con le ginocchia al petto, cullata dalle oscillazioni della nave causate dalle onde del mare. Tutto le sembrava così assurdo: dei, mostri, Titani? E poi, non aveva mai conosciuto suo padre. Non che ricordasse sua madre, poiché era troppo piccola quando morì.

Megan sospirò. Era quasi sicura che non sarebbe più uscita di lì. Be’, poco dopo sentì delle voci e dei passi e in un attimo la porta del corridoio si aprì. Era uno dei compagni di Luke insieme a due ragazzi e una ragazza. Questi vennero spinti nelle celle senza tante cerimonie e la porta si chiuse di nuovo. “Bene, ora non sono sola. Dovrei fare un discorso di benvenuto ai nuovi sventurati?” si chiese mentalmente. Stava quasi per aprire bocca seriamente, quando uno dei ragazzi parlò. –Ehi, Sapientona, qualche brillante idea per farci uscire di qui?- La ragazza sbuffò sonoramente.
–Se solo tu stessi zitto e mi facessi riflettere, Testa d’Alghe, forse mi verrebbe qualcosa in mente-
-Non dare la colpa a me se quel megalomane di Luke ci ha catturato!- si difese allora il ragazzo, prima che l’altro intervenisse. –Tyson pensa che Annabeth maltratti troppo fratello Percy- piagnucolò. Megan si lasciò sfuggire una risatina: quei tipi erano davvero buffi, nonostante le circostanze.
-Avete sentito?- sussurrò il ragazzo di nome Percy. –Cosa?- chiese quello che doveva essere il fratello, Tyson. La ragazzina rimase paralizzata: uno di loro l’aveva sentita. Forse era davvero il momento giusto per il discorso di benvenuto. Poi però la ragazza chiamata Annabeth s’intromise schioccando le dita e facendo tornare tutti sull’argomento principale. Megan rimase in silenzio ad ascoltare. –Ho trovato! Percy, potresti far oscillare la nave? Così forse riesco a prendere lo zaino con dentro il nastro di Ermes- spiegò pratica. –Perfetto, ci provo- acconsentì l’interpellato.

“Che hanno in mente? E come farà a far oscillare la nave? Un momento… “ ragionò la bambina. Pensò a tutte le volte in cui si era cacciata nei guai per aver combinato qualcosa di molto anomalo con l’acqua. Come allagare i bagni, rompere fontane. Tutte le stranezze nella sua vita avevano assunto un senso nel momento esatto in cui venne rapita. Anche se non lo ammetteva, nel profondo conosceva la risposta. Per questo Luke l’aveva scelta, e proprio per quel motivo non aveva detto a nessuno dei suoi poteri continuando a negare. Eppure, forse per la prima volta, desiderò saperli usare a piacimento per aiutare quei ragazzi. Purtroppo, potè soltanto restare a guardare. Dopo poco tempo la nave si ribaltò ad un lato e Annabeth si lasciò sfuggire un urletto di vittoria. –L’ho preso! Ora liberiamoci.- Seguirono alcuni rumori insoliti di nastro adesivo e dei passi dei ragazzi che attraversavano il corridoio.
–Finalmente! A Tyson non piacciono le celle- esclamò a voce alta, facendosi sgridare dall’amica.  –Così ci farai scoprire, smettila di urlare!-
 –Giusto, campione. Dobbiamo essere silenziosi e uscire di qui alla svelta- concluse, continuando a camminare. Megan saltò in piedi e corse alle sbarre, stringendole. –Ehi!- bisbigliò.
–Fratellone, hai sentito?- chiese Tyson. Percy annuì. Annabeth indicò la cella dentro la quale era rinchiusa Megan.  –C’è una bambina- sussurrò. I tre le andarono incontro e la ragazzina li osservò. La ragazza, Annabeth, aveva i capelli raccolti in una coda disordinata e gli occhi grigi; indossava una maglia arancione con la scritta “Campo Mezzosangue”, proprio come Percy. Il ragazzo aveva i capelli scuri in disordine e gli occhi di un intenso verde mare: le assomigliava incredibilmente. Tyson invece… aveva un solo occhio. Tutto normale, no? No! Megan sgranò gli occhi. –Lui è un c-ciclope-. Percy le sorrise rassicurante. –Esatto. Ma tranquilla, non è cattivo. Io sono Percy Jackson, mentre lei è Annabeth Chase. Puoi fidarti di noi-disse. Megan annuì, incerta. A quel punto Annabeth aprì bocca. –Come ti chiami? E perché sei qui?- chiese, osservandola come se le potesse leggere l’anima con i suoi occhi color tempesta. –Sono Megan… Megan e basta. Mi hanno rapita, Luke e gli altri, perché dicono che il mio sangue potrebbe risvegliare il loro padrone, un certo Crono- raccontò la ragazzina, con la voce che le tremava: era da tanto tempo che non si fidava di qualcuno. La ragazza bionda rimase allibita. –Luke? Non farebbe mai qualcosa del genere ad  una bambina…- sussurrò, più a sé stessa che agli altri. Fu allora che prese la parola Percy. –Va bene, "Megan e basta", ti facciamo uscire di qui. Ma puoi dirci per quale motivo il tuo sacrificio potrebbe risvegliare Crono?- volle sapere, mentre  con il nastro adesivo faceva sparire pian piano le sbarre. 
–Dicono che sono una semidea, anche se non so bene cosa significa. Secondo loro sono figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi- spiegò  spostando lo sguardo a turno sui presenti, per studiare le loro reazioni: Annabeth era ancora sconvolta, mentre Percy respirava forte come se stesse cercando di fare provvista di ossigeno. L’unico 
spensierato era Tyson, che giocava con i fili della sua maglia sfilacciata. –Da cosa l’hanno capito? Che sei la figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi intendo- disse il ragazzo dagli occhi color del mare. 

–Per il mio odore, credo. E per il colore degli occhi- rispose, incrociando finalmente lo sguardo con Percy. Fu allora che una piccola scarica elettrica le attraversò la spina dorsale, facendola rabbrividire. Era sicura che anche il ragazzo che aveva di fronte fosse capitata la stessa cosa. Entrambi stavano aprendo la bocca come per dire qualcosa, ma Annabeth trattenne il respiro indicando un punto imprecisato sopra la testa della bambina. Lo videro tutti: un tridente fatto di luce quasi azzurra.

Megan si svegliò di colpo con il respiro pesante, la fronte sudata e il battito cardiaco accelerato. Si guardò intorno: era nella camera di un hotel. Lo aveva trovato dopo essere uscita finalmente dalla foresta. Dopo aver mostrato una buona dose di soldi trovato nello zaino e dopo aver inventato una scusa decente per giustificare il suo essere sola (molti quattordicenni girano per le strade sperdute da soli, ovvio), il proprietario le aveva dato le chiavi di quella piccola e non proprio elegante camera. Lo sguardo dell’uomo rientrava nella seria “ti tengo d’occhio ragazzina, guai a te se combini qualcosa”.

Megan si diresse in bagno per lavarsi il viso, sperando di lavare anche le preoccupazioni. Perché aveva fatto quel sogno? Aveva ricordato una parte del suo passato: il suo primo incontro con Percy e gli altri. Dopo l’avevano portata con loro per il resto della missione, proteggendola e cercando di capire di più di tutta quella faccenda. Dopotutto, perché Poseidone avrebbe dovuto riconoscerla solo dopo aver incontrato Percy? Be’, perché così facendo era sicuro di affidarla in buone mani: finalmente i due figli del dio del mare riuniti! Anche se non si era mai fatto vivo, aveva comunque cercato di proteggerla. Alla fine la portarono al Campo Mezzosangue: Megan ricordava la sorpresa di tutti nel vederla, soprattutto di Chirone (il centauro che insegnava al Campo). Insomma, il giuramento tra i Tre Pezzi Grossi era stato violato per ben due volte! Alla faccia di Zeus… Megan riuscì comunque a legare con tutti, specialmente con Annabeth. Mentre Tyson le saltava al collo abbracciandola ogni volta che la vedeva ripetendo che aveva sempre desiderato una sorellina. Con Percy fu tutto più delicato: all’inizio era un po’ impacciato (il grande Percy Jackson temuto perfino dai Titani che tremava all’idea del fratello maggiore!); ma con il tempo il loro rapporto diventò invidiabile, tanto che lui e sua madre Sally la invitarono a stare con loro adottandola. Fu allora che Megan capì a pieno il significato di “famiglia” e di “casa”. La figlia di Poseidone chiuse gli occhi.  Dei, quanto le mancavano i dolci di Sally, gli abbracci di Tyson, le ramanzine di Chirone, gli scherzi dei fratelli Stoll e anche gli allenamenti con Clarisse. Le mancavano da morire Annabeth la Sapientona e quella Testa d’Alghe di suo fratello. Evitò di pensare a Quella Persona: non avrebbe retto.

Alzò le palpebre, guardandosi allo specchio. Vide una ragazza di 14 anni con un viso quasi infantile, un fisico asciutto, i capelli scuri lunghi fino a metà schiena lisci all’inizio e ondulati alle punte, gli occhi azzurri sfumati di verde e blu. Lei era quella ragazza: Megan Jackson, la figlia di Poseidone. E avrebbe portato a termine l’impresa, così da poter tornare a casa. Ma lo avrebbe fatto con determinazione. “Oh, andiamo, dov’è finito il mio ottimo senso dell’umorismo? Mi sa che quell’apatia della donna-fantasma è contagiosa. Meglio non pensarci troppo”. Prese tutte le sue cose e lasciò l’hotel, per poter riprendere il suo viaggio. 

ANGOLO AUTORE

Salve! Come va? E cosa ne pensate di questo terzo capitolo? Be', con questo si capiscono molte cose, anche se la strada è ancora lunga ;) abbiamo il passato di Megan e i suoi ricordi sul suo primo incontro con Percy e tutti gli altri, ma chi è quella persona alla quale non ha voluto pensare? Si scoprirà prossimamente ^-^ nel capitolo seguente dovrebbero comparire personaggi molto... popolari xD Non resta che aspettare u.u
Un saluto, Isabelle *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Punto extra: firmare la propria condanna a morte ***


PUNTO EXTRA: FIRMARE LA PROPRIA CONDANNA A MORTE

Il sole era alto in cielo, contrastato solo da qualche nuvola. Era mattina inoltrata e Megan camminava al lato della strada quasi del tutto isolata. Si era cambiata la maglia, come suggerito. Aveva lo zaino sulle spalle e la felpa con le maniche alzate fino ai gomiti. Aveva svolto i Punti 1 e 2, ovvero trovare la Lupa e farsi indicare la strada. Ora c’era il Punto 3: arrivare a destinazione.  La Lupa le aveva detto di andare a sud, perciò lei continuava nella direzione che sperava fosse giusta. Mentre camminava provava ad immaginare il Campo Giove. Da quanto aveva capito era tipo il Campo Mezzosangue solo versione Romana. Oltre al nome delle divinità e delle creature mitologiche, intendeva. I semidei per logica rimaneva sempre tali. Forse. Non aveva mai sentito nessuna storia a riguardo: Megan fu invasa dalla curiosità, non vedendo l’ora di confrontarsi con loro. Certo, doveva fingere che suo padre fosse Nettuno e non Poseidone e doveva evitare di farsi uscire qualche parola di troppo, ma per il resto… Wow! Chissà come erano organizzati: divisi anche loro in  base ai genitori? Potevano mangiare al tavolo con chi più preferivano? Ma più di tutto: erano forti in combattimento?                                                                                                                                                                                                                          

La figlia del dio del mare non stava nella pelle per testare lei stessa le loro abilità. Mise subito il broncio quando si ricordò di non avere con sé la sua spada. Poi ricordò la conversazione con la Lupa e si tastò tutte le tasche, curiosa di scoprire se in quel momento si sarebbe verificata la stessa magia della spada di suo fratello, Vortice. Il suo sorriso non si spense, perché le sue dita sfiorarono qualcosa. Lo estrasse con cura, notando con stupore che l’oggetto in questione era un bracciale con le perline azzurre piene d’acqua salata; al centro c’era un ciondolo a forma di tridente. Glielo aveva donato una Nereide sotto ordine di suo padre: con quel bracciale non solo aveva un’arma sempre con sé, ma poteva dominare anche i suoi poteri. Tutto sommato, Poseidone teneva alla sua sicurezza. Il sistema del bracciale era simile a Vortice, poiché bastava fare pressione sul gancio per farla trasformare nella sua spada dai riflessi argentati.  L’unica differenza era che non si materializzava nella sua tasca per magia, ma poteva farla apparire al polso in sembianze di gioiello concentrandosi. Decise di indossarlo semplicemente per il momento.                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Continuò a camminare per alcuni minuti, poi vide due figure vicino ad un’auto ferma. A prima vista, sembrava che stessero cercando di aggiustarla. Le venne in mente un’idea e si avvicinò quel tanto che bastava per non far passare inosservata la sua presenza.                                                                                                  

–Ehi- cantilenò, sorridendo allegra. “Ecco che ricomincia la recita” pensò nella mente. Erano due ragazzi molto  simili, solo che uno era più basso  e con i capelli più scuri. Quello alto alzò lo sguardo dal motore della macchina e sembrò sorpreso.                                                                                                                                  

–Ehi.  Possiamo fare qualcosa per aiutarti?-                                                                                                                                                                                      

–Anche voi avete problemi con la macchina? Io e mio fratello eravamo diretti a sud, solo che abbiamo bucato, perciò sono andata in cerca di aiuto. Ma… credo di essermi un po’ persa: questo posto  sembra tutto uguale!- si lamentò, non smettendo di sorridere.                                                                                                        

Questa volta a parlare fu l’altro ragazzo. –Abbiamo un problema al motore, sembra, ma non riusciamo a capire molto-. Megan trattenne un brivido lungo la schiena: il solo sentire la voce di quel ragazzo la metteva in allarme. “Dunque, non posso fidarmi, ma ormai devo continuare la recita”. Fece un passo in avanti.                              

–Posso dare un’occhiata? Non posso garantire niente, ma forse riesco a capire cosa c’è che non va-. Quello alto annuì e le fece spazio. Megan si sporse ad osservare la situazione: tutte quegli ingranaggi le facevamo venire il mal di testa. Oh, avanti, era figlia di Poseidone, non di Efesto! Pregò gli dei di aiutarla, promettendo un sacrificio che comprendeva un intero banchetto. Cercò anche di ricordare qualcuna della lezione che le aveva fatto Beckendorf al Campo. E come per miracolo vide un bullone allentato:  le sembrava che la circolazione dell’aria e la pressione dovevano essere tenute sotto controllo. Prese lo strumento che era posato al lato del cofano e si diede da fare. Quando rialzò lo sguardo, i due ragazzi la stavano fissando.  Alzò le spalle.

–Ecco fatto, ora dovrebbe andare bene.- disse. Il ragazzo più alto sospirò e provò a far partire la macchina: dopo un primo momento di capricci, si sentì il rassicurante rumore delle fusa del motore.                                                                      

 –Grande! Grazie mille, davvero. Io sono Peter e lui è mio fratello Mike. Tu sei?-                                                                                                                                  

-Megan. Piacere di conoscervi-                                                                                                                                                                                                        

-Piacere nostro! Dobbiamo ripagare il favore, perciò vorresti un passaggio?-. “Come no. E magari anche un gelato. Alla vaniglia. Con tanto di aroma di semidei”.            

–Oh, no. Non posso chiedervi questo. Sono sicura che…-                                                                                                                                                                

-Non possiamo lasciarti qui da sola. E poi anche noi andiamo in quella direzione. Magari una volta arrivata a destinazione cerchi di recuperare tuo fratello- s’intromise Mike, sorridendo solo con la bocca. Negli occhi aveva una strana luce. Megan sospirò: non aveva scampo. si costrinse  a farsi vedere sicura. Ancora non aveva che tipo di mostri si trovava davanti, ma il tintinnio del bracciale le ricordò che lei con la sua spada aveva affrontato di peggio.                                                                                                                                                                                

–Perfetto, allora. Andiamo-
 
 
Megan non sapeva con precisione da quanto tempo fossero in viaggio, ma ogni secondo che passava era sicura di dover inventare una scusa e scappare. La sua agitazione cresceva, proprio come l’atmosfera che c’era in quel fuori strada. Peter continuava a guidare, parlando ogni tanto e guardandola di sfuggita. Mike invece non smetteva di fissarla. Megan, seduta vicino al finestrino per ogni evenienza, studiava la situazione dallo specchietto laterale. Il ragazzo nel centro la guardava in modo quasi affamato, come se aspettasse un solo piccolo segnale per saltarle addosso ma nel frattempo si limitava ad assicurarsi la sua presenza. La semidea era riuscita ad appiccicarsi talmente tanto allo sportello da non dover neanche sfiorare Mike, ma sembrava non bastare: le mancava l’aria.                                                              

Stizzita, si voltò finalmente a guardare il ragazzo. –Potresti smetterla di fissarmi? Non è molto carino da parte tua-. Quello sbatte le ciglia e prese a guardare di fronte a lui, impassibile. Peter rise nervoso. –Scusalo, ma non ci sa proprio fare con le ragazze-.                                                                                                              

Mike si accigliò. –Già. E’ solo che il tuo odore… è così intenso-                                                                                                                                                      

-Proprio così. Sai, è stato più facile di quanto ci aspettassimo. Sapevamo che a sud c’erano molti semidei, ma trovarne una per strada da sola che chiede perfino un passaggio sembra una barzelletta.- Megan prese un grosso respiro, poi si voltò di scatto per aprire la portiera. Era chiusa. Sentì Peter ridere piano.                     

 –Quanta fretta. Non ha voglia di passare un altro po’ di tempo con noi? Voi mezzosangue siete così divertenti: non riuscite a scappare dal pericolo finchè non ve lo trovate proprio davanti. Anche Odisseo è diventato molto voglioso di scappare quanto ha scoperto che noi stavamo praticamente distruggendo le sue navi e divorando i suoi uomini- La figlia del dio del mare ragionò in fretta. Ma certo! Lestrigoni: giganti cannibali. Mise una mano sul braccialetto di nascosto. -Ma mio fratello... si vendicherà. Vi cercherà solo per poi uccidervi in modo molto doloroso. Peter rise. -Sappiamo che non c'è nessun altro con te. Non sentiamo l'odore. Sei sola, ragazzina. Megan cercò di apparire rilassata. – Ora mi mangerete? Che paura!- disse sarcastica, guardandoli.

Peter strinse i denti. –Mike, falla fuori- ordinò. Il fratello sorrise, prima di lanciarsi contro Megan, la quale  in un unico movimento prese la spada nella mano e colpì il mostro proprio al petto, facendolo esplodere in cenere. Dalla sorpresa Peter frenò bruscamente con una manovra laterale. Megan ne approfittò per rompere il vetro e sgusciare fuori con non pochi problemi. Finì sopra i detriti, ferendosi in più punti e sbucciandosi i gomiti per l’impatto con il cemento. Peter nel frattempo era uscito dalla macchina. –Piccola semidea, come hai osato uccidere mio fratello? Ma questo non è un problema, perché presto la nostra nuova protettrice ci permetterà di rigenerarci a nostro piacimento in poco tempo- spiegò. Si stava avvicinando, così la semidea si affrettò ad alzarsi con la spada in pugno. Non capì le parole del mostro,  ma preferì non rischiare. Corse oltre il bordo della strada e scivolò il più lentamente possibile dal ripida discesa. Evitò gli alberi e cercò di non farsi intralciare dalle erbacce. Una volta arrivata sulla strada si guardò intorno. Fu allora che vide due persone con l’armatura alla fine della distesa d’erba, a guardia di quella che sembrava l’entrata di un tunnel. Avvertì il mostro che la raggiungeva, così cominciò a correre. Agitò le braccia e urlò aiuto. Dopo averla notata, le due guardie le andarono incontro.

-Che succede? Sei una semidea, vero?- chiese il ragazzo. Megan annuì. –Quel mostro mi stava inseguendo. Sono Megan- chiarì. La ragazza annuì. –Io sono Gwen e lui è  Dakota. Ti portiamo dentro, vieni- avanzarono verso l’entrata del tunnel. Quando uscirono, Megan rimase a bocca aperta: davanti a lei una distesa enorme di erba attraversata da un fiume, dopo il quale c’era… il Campo Giove. Poteva notare i vari templi, la piazza, i campi d’addestramento, molti altri palazzi con un architettura tale che la ragazza desiderò poterla fare vedere ad Annabeth. C’erano molte altre costruzioni che sembravano vere e proprie abitazioni e la mezzosangue rimase stupita di ciò: il Campo Mezzosangue non era così grande! Ma non ebbe tempo di ammirare molto altro perché i due ragazzi la incitava ad attraversare il fiume mentre loro avrebbero affrontato il mostro. “Oh no,non posso scappare come una codarda” pensò ostinata, ma cominciò comunque ad immergersi nel fiume. Si sentì subito strana, come se quello non fosse un semplice fiume ma molto di più: aveva una forza propria che la avvolgeva. Di solito si sentiva più forte nel suo elemento, ma in quel momento era come rinata. Notò che sempre più persone le venivano incontro dalla città preoccupate, quasi tutte con l’armatura. Senza pensare oltre girò lo sguardo verso le due guardie che aveva trovato all’entrata del tunnel. Erano un po’ in difficoltà, nonostante la maggioranza numerica. La ragazza di nome Gwen parava i colpi a fatica, mentre Dakota cercava di colpire Peter. La situazione peggiorò quando il mostro colpì il semidio facendolo finire a terra, concentrandosi dopo su Gwen. Megan li raggiunse in fretta, sperando di riuscire a proteggere la ragazza dal colpo del Lestrigone. Con la spada davanti a sé si posizionò fra i due. Peter sorrise quasi nel vederla entrare in azione. Stava per attaccarla quando si fermò di colpo e la sua espressione si fece attenta. Poi tornò normale, leggermente sorpreso e deluso.                                                                                                                                                        

–A quanto pare non posso ucciderti. Piccola semidea, non sai che sei entrata proprio nella tana del lupo? Sono sicuro che…- non finì mai la frase perché Megan aveva evocato un’onda che lo sommerse facendolo esplodere in cenere. Sospirò, felice di essersela cavata ma pensierosa dalle strane parole del mostro. Perché non poteva ucciderla? Era forse in qualche modo immune? Le sue riflessioni vennero interrotte dal ritorno alla realtà.

Si girò verso Gwen. –Stai bene?- chiese. La ragazza  annuì, ma la guardava quasi impaurita. “Forse è ancora scossa” si disse.  Dakota si avvicinò loro.

–Wow! Tutto quello che hai fatto… davvero pazzesco. Meglio se andiamo dagli altri- attraversarono il fiume e si ritrovarono praticamente circondati da persone che bisbigliava, facevano domande oppure esclamava per lo stupore.

–Silenzio, ragazzi- ordinò una voce femminile, facendo cessare la confusione. Megan si guardò intorno alla ricerca della persona che aveva parlato, finché la folla non fece spazio ad una ragazza dagli occhi e i capelli scuri. Indossava un’armatura un po’ più elegante degli altri. La nuova arrivata si guardò intorno con sguardo indagatore. –Dakota, Gwen. Eravate voi di guardia, perciò volete spiegarmi cos’è successo precisamente?- domandò sicura. Il semidio fece un passo avanti, prendendo la parola anche per la ragazza, che era ancora un po’ scossa. –Un mostro, niente di più. Inseguiva la nuova arrivata e ci ha dato un po’ di problemi ma la ragazzina qui ci sa fare- spiegò. Megan sorrise fra sé compiaciuta. La ragazza che sembrava essere proprio il capo la studiò. Poi qualcuno urlo:- ha comandato l’acqua! E’ una figlia di Nettuno!-. l’espressione della ragazza si fece sorpresa e preoccupata, mentre intorno a lei ripartivano le chiacchiere. Tornò in sé e riprese la situazione sotto controllo. –Molto strano. Una figlia di Nettuno che arriva dopo la fine della Guerra contro i Titani. Un grande segno di sfortuna.- disse. Megan rimase stupita dalle sue parole e non riuscì a parlare.

Al suo posto, un ragazzo si fece spazio fra la folla. –Avanti, Reyna, è appena arrivata, non vorrai già spaventarla spero- aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri; sul labbro aveva una piccola cicatrice. Indossava la stessa uniforme della ragazza di nome Reyna, la quale sorrise un po’ divertita.

–Va bene. Se credi di riuscire ad accoglierla meglio di me allora ti cedo il posto, Jason. Vedremo se è effettivamente un brutto segno. Cerca di non metterci troppo e portala da Ottaviano per l’ammissione. Sai cosa devi fare dopo- gli sorrise. Poi guardò Megan negli occhi. Stava valutando l’idea di dirle qualcosa, ma poi si voltò e invitò tutti i presenti di tornare al proprio lavoro, lasciando la ragazza sola con Jason. Le sorrideva. Megan giurò di aver già visto quel sorriso da qualche parte.

–Lo so, è tutto un po’ strano. Io sono Jason, Pretore di Nuova Roma da poco, da dopo la Guerra più precisamente- si presentò. Megan cercò di mostrarsi amichevole.

–Io sono Megan, Megan Jackson e sono figlia di Nettuno, come avrai capito-

-Già. Non preoccuparti di Reyna: in realtà è meno dura. Vieni, ti faccio fare il giro per il Campo e dopo andiamo da Ottaviano per decidere se sei una minaccia oppure no- “Molto rassicurante” pensò sarcastica. Le venne in mente una cosa.

–Non ti sei presentato come si deve però- Jason sorrise di più.

–Giusto, scusa. Sono Jason Grace, figlio di Giove- Megan per poco non svenne. “Giove?! Grace?!”. Quello era uno scherzo davvero pessimo. Ora capiva perché le era sembrato familiare: era il fratello di Talia. Cercò di sembrare indifferente e annuì seguendolo, ma nella sua testa si stava scatenando un uragano. “Punto 3: trovare il Campo Giove, fatto. Punto extra: firmare la propria condanna a morte, fatto”.

ANGOLO AUTRICE

Ciao! Per prima cosa mi scuso per il ritardo, ma la scuola sta finendo e per questo ci sono molti impegni finali. In questo capitolo Megan è finalmente arrivata al Campo e ha incontrato i primi veri e propri personaggi del libro (Jason *-*). Perché quel mostro non ha potuto ucciderla? Riuscirà Megan ad ambientarsi bene senza destare sospetti e finire così la sua missione? E come affronterà i Romani? Spero che la storia vi stia piacendo e ringrazio i lettori silenziosi: per essere la mia prima storia credo di cavarmela bene per il momento :3 come al solito, desidero conoscere le vostre opinioni *-* Ci rivediamo al prossimo capitolo (spero di non fare ritardo), un saluto Isabelle ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tra riunioni di famiglia e poveri peluche ***


TRA RIUNIONI DI FAMIGLIA E POVERI PELUCHE

-E da qui si può andare sia a Nuova Roma che alla collina dei templi- concluse Jason. Aveva mostrato a Megan le terme, la Via Principalis e gli alloggi militari divisi in base alle Coorti. Le aveva spiegato la classificazione dei semidei (diversa dal Campo Mezzosangue) e un po’ di regole. L’aveva rassicurata dicendole che se tutto andava bene entro sera anche lei avrebbe avuto un gruppo e una casa. Megan era sicura che quel “se” non era una parola, messa lì a caso. Troppe cose potevano andare per il verso sbagliato. E questo la spaventava tantissimo. Nel caso peggiore, avrebbe fatto compagnia ad Ade negli Inferi. Ma doveva rischiare. In compenso però aveva osservato e ascoltato molto. Tutta una serie di informazioni si erano depositate nella sua mente. Tipo il comportamento dei romani, i vari nomi mitologici che cambiavano insieme alla figura stessa molte volte. Come ad esempio i satiri: lì erano chiamati fauni ed erano parecchio assillanti con la loro elemosina. Gli dei invece avevano un carattere diverso: questo l’aveva incuriosita talmente tanto da farle chiedere i dettagli a Jason, cercando di sembrare solo una ragazza spaventata in cerca di risposte più che la spia quale era. Da come il figlio di Giove si comportava con la ragazza, capì che le aveva creduto; era dalla sua parte come se in lei rivedesse sé stesso. Le dispiaceva mentirgli: dopotutto era suo cugino (teoricamente parlando), nonché fratello di Talia. Purtroppo ancora non sapeva quanto poteva fidarsi, quanto il suo lato romano prevalesse su tutto il resto. Così accantonò quella piccolissima parte di lei che voleva fidarsi a tutti i costi del semidio e raccontargli ogni cosa. Una  volta a casa avrebbe avuto molto da narrare. Preferì non inserire quel maledetto “se”. Si concentrò sulla sua mostra guidata del Campo Giove. Annuì. –Bene. Perciò da che parte andiamo?- chiese, scrutando da lontano il paesaggio.                                                                                                                                              

–Destra. Prima di entrare a Nuova Roma, devi parlare con Ottaviano, discendente di Apollo e augure del campo, al tempio- istruì. Continuarono a camminare. Arrivati al ponte, Megan si stancò di quel silenzio. “Vediamo se riesco a scoprire altro, caro il mio Grace”.                                                                                                               

–Jason Grace, Pretore di Nuova Roma, figlio di Giove e guerriero rubacuori del Campo Giove. Hai vinto anche un premio Nobel?-. Jason rise un pochino. Megan pensò che prima o poi avrebbe dovuto impegnarsi per farlo ridere sul serio: era troppo rigido e mantenuto. Questo genere di sfide le donavano un senso euforico che poteva eguagliare solo un combattimento. L’ultima volta aveva vinto, ma c’era voluto tempo. Il ragazzo che doveva far ridere non collaborava, rimanendo invece serio e cupo come la morte… ops, che ironia.                                                                                                                                                                                                 

–Ehm… no. Devo ancora abituarmi- rispose allora il mezzosangue, sospirando.                                                                 

–Ad essere un guerriero rubacuori o un Pretore?-                                                                                                

-Pretore. Non lo sono da molto e richiede tanta responsabilità. Ma aspetta… cosa? Guerriero rubacuori?- domandò, alzando le sopracciglia e sorridendo. Ancora una volta Megan si fermò un secondo di troppo a guardare quegli occhi color cielo. Erano così familiari ma così diversi e sconosciuti da quelli che conosceva lei… “Megan, smettila. Impegnati con la recita piuttosto” si rimproverò, prendendo un respiro profondo.     

–Già. Qui tutti pendono dalle tue labbra- costatò. Un po’ come succedeva al Campo Mezzosangue con Percy. Con un sorriso, capì che Jason e suo fratello erano molto simili. O almeno la carica che occupavano, perché per il senso d’umorismo… il romano doveva lavorarci sopra. Capì anche che Reyna e Annabeth erano invece le figure femminili con maggiore potere. Doveva ancora appurarlo, ma Reyna e Jason non sembravano una coppia, a differenza dei due suoi amici. Ma ciò che più la preoccupò, lasciando stare le situazioni amorose (lavoro della cara vecchia Afrodite), era che se Reyna avesse avuto anche solo un po’ delle caratteristiche di Annabeth, lei sarebbe stata in guai grossi. Doveva ottenere la sua fiducia il più in fretta possibile senza dare nell’occhio. Essere una figlia di Nettuno non giocava a suo favore, da quanto aveva capito. “Sarà un gioco da ragazzi” pensò sarcastica.                                                                                                     

–Oh… sì. E’ strano in effetti. Devo fare l’abitudine anche a questo-                                                                                            

-D’accordo. Dopo però me lo firmi un autografo?- Jason rise nuovamente, purtroppo sempre in modo controllato. Megan sbuffò. Senza rendersene conto erano arrivati all’ingresso del recinto intorno ai templi.     –Quindi… a cosa hai detto che servono?- chiese, guardandosi intorno. Al Campo greco non c’era niente del genere. Loro erano molto meno formali: bruciavano cibo in onore degli dei grazie ad un falò! Qui, c’erano veri e propri luoghi di culto. Non sapeva se la cosa le piacesse, ma sicuramente si sentiva in dovere di mantenere un certo contegno religioso. Tutta quella divina concentrazione di potere la metteva in soggezione. –Ehm… servono per pregare. Fare offerte. Hai presente, no?-                                                            

Megan annuì, pensierosa.  –Avete un tempio per ogni divinità?- Jason sorrise imbarazzato –Sì, si può dire di sì. Anche se alcuni sono più grandi e frequentati di altri- La figlia di Poseidone capì a cosa si riferisse. Alcune costruzione erano spettacolari: imponenti, ricche di particolari. Altre erano più semplici ma comunque decenti. “Annabeth impazzirebbe. Devo chiedere se è vietato come nei musei di fare foto con il flash” pensò. –Questo è dedicato a Venere, quello a Bacco. Lì in fondo abbiamo Vulcano e Mercurio. Cerere e Diana, ovviamente- Jason prese a indicare i vari templi man mano che li vedeva. –Ci sono anche Minerva e Giunone. Ma i veri “pezzi grossi” sono i templi di Giove, Marte e Bellona, lì al centro- Megan studiò tutto con attenzione. Poi si morse il labbro. –Sbaglio o manca Plutone? Cos’è, non merita un tempio?- buttò giù, infastidita. Ricordava ancora quanto fosse stato chiaro Percy a riguardo degli omaggi a tutti gli dei. A quanto pareva i romani non erano così perfetti. Il figlio di Giove la guardò prima confuso, poi si rabbuiò un poco. –Ovvio che ha un tempio in suo onore. Solo che non è proprio il nostro dio preferito, ecco. Porta sfortuna proprio come Nettuno- spiegò. Per Megan fu come ricevere uno schiaffo. –Dov’è? Il tempio di mio padre, intendo- sussurrò. Jason con un cenno del capo indicò qualcosa alle spalle della ragazza. La semidea si voltò dopo un grosso respiro. Solo per rimanere a bocca aperta subito dopo averlo individuato. Sentì il terreno mancarle sotto i piedi. Più che un tempio, sembrava uno sgabuzzino. Era di un colore sbiadito e l’interno non era illuminato altro che dalla luce che filtrava da una piccola finestra frontale.                                        

–P-posso… entrare?- domandò incerta. Le sembrava giusto chiedere il permesso. Jason la scrutò in viso, quasi volesse consolarla. Poi si riscosse –Certo. Sì, vai pure. Io ti aspetto qui. Non metterci troppo se puoi- La figlia di Poseidone non rispose neanche e si avviò. Mentre varcava la soglia sentì un brivido percorrerle la schiena. All’interno c’erano qualche vecchia offerta e un paio di mozziconi di candele. Al centro, tutto impolverata, la statua raffigurante Nettuno. Megan si avvicinò titubante. Allungò un braccio fino a sfiorare il marmo con le dita. Spolverò frettolosamente il viso e lo ammirò. Aveva visto suo padre poche volte, ma erano bastate a imprimerlo a fuoco nella sua mente. I capelli ribelli, gli occhi penetranti con le solite rughe d’espressione che gli donavano un’aria da ribelle sempre pronto a sorridere. Quello che aveva davanti era diverso, più rigido. Nonostante questo non potè fare a meno di trattenere le lacrime. Sentiva un groppo in gola, ma si costrinse a mandarlo giù.                                                                                                                                         

Le mancava tutto. E vedere com’era ridotto il tempio di suo padre la fece accendere di una lieve rabbia. Non poteva permettere che le cose rimanessero tali. Si promise che sarebbe tornata a dare una sistemata appena possibile. Chiuse gli occhi. “Papà, volevo solo dirti che sto bene. Se ti interessa. Cercherò di tornare a casa il prima possibile, tu però cerca di proteggermi. Ma soprattutto, veglia su Percy. Ti prego. Non mi perdonerei mai se gli accadesse qualcosa mentre non  ci sono” .     

***                                                                                 

Finita la preghiera e la breve riunione di famiglia, tornò da Jason. La ragazza sorrise. –Quanta polvere! Spero che non sia così anche dal vivo. Nettuno, intendo. Altrimenti povera mia madre, quanto coraggio!- esclamò. Ripresero a camminare, diretti chissà dove. Jason girò il viso per guardarla meglio. –Tua madre come ha preso la chiamata della Lupa? Giuro che ho ascoltato ogni genere di reazione, quindi non mi scandalizzo, promesso. Non lo dico neanche a nessuno. Puoi dirmelo se ti va- Megan percepì più di quanto avrebbe dovuto. Jason era davvero amichevole. In poche parole le aveva detto senza preoccupazione che poteva confidarsi con lui. Invito allettante. Significava essere sulla buona strada per la fiducia.                                                  

–Non ha reagito in nessun modo. E’ morta prima- confessò, senza guardarlo. Sentì il figlio di Giove sussultare.                                                                                                                                                                                         

–Oh, mi dispiace- mormorò. –Tranquillo, è successo tanto tempo fa. Non la ricordo neanche- lo rassicurò, vedendolo un po’ bianco. “Che buffo. Io lo tranquillizzo mentre è la mia di madre a non esserci più” pensò. Era vero che non ricordava. Per lei la sua famiglia ora era al Campo Mezzosangue. Quella la ricordava eccome.                                                                                                                                                                                           

Si fermarono di colpo.                                                                                                                                                                 

–Siamo arrivati- annunciò il semidio. Davanti a loro c’era un tempio formidabile quanto gli altri. solo che qui sembrava esserci qualcuno dentro. Megan lo capì dal leggero borbottare e dal filo di fumo che usciva dall’ingresso. La ragazza guardò il romano che le era accanto confusa. –Qui c’è Ottaviano. In  base a cosa avvertirà, si deciderà il da farsi- precisò Jason, invitandola ad entrare. Un ragazzo biodo era in piedi di spalle, impegnato a mormorare parole in latino (sembrava quello, ma Megan non poteva giurarci),mentre… sventrava peluche? Megan trattenne una risata. Jason sembrò rendersene conto e sorrise complice.                         

–Ehm… Ottaviano? E’ arrivata una nuova semidea al campo e ci serve sapere il tuo parere a riguardo- disse il Pretore, annunciando la sua presenza. Ottaviano si girò, infastidito. Poi guardò Jason e Megan e sorrise. Sembrava più un ghigno, in effetti. Gli occhi azzurri non erano per niente rassicuranti.                                                   

–Oh, caro il nostro Jason. Ti sei ridotto a fare da guida ai novellini? Patetico- Il figlio di Giove lo guardò male. “Qui circola cattiva aria” notò Megan.  Decise di immischiarsi. –Patetico? Disse quello con i peluche- Ottaviano si girò verso di lei di colpo, irritato; Jason ridacchiava.                                                                             

L’augure sembrò sul punto di dire qualcosa, quando assottigliò lo sguardo. Sorrise un po’.  –Parentela divina?- volle sapere. –Figlia di Nettuno- si presentò allora la ragazza, precedendo il fratello di Talia. –Ma guarda! Lo immaginavo però, sai? Ultimamente al campo arrivano solo mezzosangue inetti- commentò, alludendo visibilmente a Jason, dal momento che lo guardava con sufficienza.                                                                  

-Certo, come no. Senti, Ottaviano, sono un Pretore- Jason sottolineò la parola con enfasi  - perciò ho da fare. Non farmi perdere tempo. Fai uno dei tuoi giochi di magia con i peluche e facciamola finita- Ottaviano sbuffò borbottando qualcosa, con le guance rosse dall’imbarazzo.                                                                                               

–Tu, ragazzina, vieni qui- ordinò. Megan si fece avanti.                                                                                                                                

–Mia madre era così ispirata quando sono nata che “ragazzina” le sembrava banale come nome, sai?- domandò, ironica. L’augure schioccò la lingua sul palato, chiaro segno di disapprovazione. –Non ti sei presentata, ragazzina-.                                                                                                                                                         

-Di solito si chiede prima. Per cortesia. Ma probabilmente non conosci il significato di questa parola-. Vedendo che Ottaviano si impegnava per non rispondere, continuò. –Megan. Mi chiamo Megan Jackson-. Non sapeva se usare il suo cognome, lo stesso di suo fratello, fosse una buona idea. Ma ormai era troppo tardi per rimediare. Ottaviano annuì, ma non sembrava aver prestato attenzione. Stava estraendo un pugnale dal fodero. La figlia di Poseidone posò una mano sul bracciale, d’istinto. Si tranquillizzò quando capì che il coltello era destinato a un peluche e non a lei. Il ragazzo sventrò un povero orsacchiotto di pezza e chiuse gli occhi mormorando.  Nel frattempo Megan si ritrovò a mordersi il labbro inferiore con veemenza, preoccupata. “Apollo… divino Apollo, le ho mai detto che è incantevole? No? Bene, approfitto di questo momento per dirlo ora. Adoro le sue poesie e le sue canzoni e… ehm, sì… sta da dio con gli occhiali da sole. Scusa il gioco di parole, ma ecco… vede… è così “s-t-u-p-e-n-d-o” che non trovo le parole. Insomma, giuro che se mi aiuta le dedico… la mia prossima idea creativa!” si ritrovò a pregare. Quando Ottaviano aprì gli occhi poco dopo, sembrò confuso. Si voltò verso i due semidei. –Allora?- lo spronò Jason, impaziente. Megan sentì il battito cardiaco aumentare quando il discendente di Apollo cominciò a parlare. –Non era molto chiaro. Troppe informazioni e poi il silenzio. Eppure gli dei non sembravano contrari. Come se non gli importasse. Visto? Niente di che, figlia di Nettuno. Non sei pericolosa neanche la metà di un sassolino. Può restare-. Megan era troppo occupata a cacciare l’aria che aveva trattenuto nei polmoni in un sospiro di sollievo per far caso al paragone del sassolino. O quasi. “Grazie agli dei! Sarebbe stato scocciante combattere contro un intero campo di semidei”. Non avevano scoperto che era un’infiltrata. Per il momento. Ma dallo sguardo di Ottaviano che doveva stare attenta e pronta a tutto. Evidentemente la teneva d’occhio, nonostante tutto.                                                                                                               

–Meno male. Così potrai assaggiare l’ottima torta al cioccolato che c’è come dessert  a cena. Vieni, dobbiamo avvisare Ryna. E dopo… bhè, verrai assegnata ad una Coorte- spiegò Jason, tranquillo.                       

–Già. Goditela, la torta- concordò Ottaviano, con un ghigno. Quello che aveva appena detto aveva  tutta l’aria di essere una minaccia. Megan decise in definitiva che Ottaviano non le piaceva per niente. Preferiva di gran lunga il solito vecchio metodo dell’oracolo  che c’era al Campo Mezzosangue invece dell’augure schizzato dei romani. E poi Rachel dare le stava simpatica. Il figlio di Giove le circondò le spalle con un braccio, come a volerla difendere da quel mingherlino di Ottaviano. Senza dire una parola di più uscirono dal tempio.

ANGOLO AUTRICE

Salve semidei! Sono tornata :) allora, prima di tutto devo scusarmi per la mia sparizione. Non sono stata rapita da Gea, attenzione! xD Le mie vacanze estive sono durate più del dovuto, ma in assenza di tempo, ispirazione e con alcuni problemi tecnici, non ho potuto fare altrimenti. Perciò spero di rimediare! ^-^ Questo è un capitolo un po' più lungo rispetto agli altri. Volevo avvisarvi che i capitoli precedenti sono in revisioni, perciò potrebbero esserci piccoli cambiamenti, in modo che la storia possa successivamente essere più lineare. Passando alla trama, invece, qui abbiamo la visita del Campo Giove. Megan e Jason sembrano sulla giusta via per diventare amici, ma ancora è presto da dire! Ottaviano fa inoltre la sua comparsa insieme ai suoi peluche ;) avremo modo di studiare meglio questo personaggio e la sua ostilità verso la protagonista. Nel frattempo che io riesca a scrivere il prossimo capitolo, mi farebbe davvero piacere ricevere dei commenti (positivi e negativi) perché servono molto a migliorare. Forza! Alla prossima :) -Isabelle

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3117032