Special days di lyrapotter (/viewuser.php?uid=34170)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capodanno ***
Capitolo 2: *** Severus Piton ***
Capitolo 3: *** Lily Potter ***
Capitolo 4: *** Arthur Weasley ***
Capitolo 5: *** San Valentino ***
Capitolo 6: *** Ron Weasley ***
Capitolo 7: *** Remus Lupin ***
Capitolo 8: *** Festa del papà ***
Capitolo 9: *** James Potter ***
Capitolo 10: *** Fred e George Weasley ***
Capitolo 11: *** Battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 12: *** Festa della mamma ***
Capitolo 13: *** Draco Malfoy ***
Capitolo 14: *** Battaglia dell'Ufficio Misteri ***
Capitolo 15: *** Dobby ***
Capitolo 16: *** Neville Paciock ***
Capitolo 17: *** Harry Potter ***
Capitolo 18: *** Ginny Weasley ***
Capitolo 19: *** Percy Weasley ***
Capitolo 20: *** Hermione Granger ***
Capitolo 21: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 22: *** Molly Weasley ***
Capitolo 23: *** Halloween ***
Capitolo 24: *** Bill Weasley ***
Capitolo 25: *** Charlie Weasley ***
Capitolo 26: *** Natale ***
Capitolo 27: *** Tom Riddle ***
Capitolo 1 *** Capodanno ***
DISCLAIMER : Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling
e a chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo
di lucro.
N.B. Le parti in corsivo sono i pensieri dei
personaggi
SPECIAL DAYS
CAPODANNO
31 dicembre 1977
Dormitorio di Grifondoro
Hogwarts
Ore 18.00
"Sei sicuro che non farà storie?".
"Se ne fa, lo possiamo sempre chiudere
nell’armadio fino a domani, no?".
"Non sarebbe molto carino… è pure l’ultimo
dell’anno…".
"Appunto. Perciò si deve festeggiare
degnamente: il 1978 comincerà una volta sola…".
"Moony* potrebbe non vederla in questo
modo".
"E a quel punto torniamo al mio piano
iniziale: lo chiudiamo nell’armadio!".
James Potter osservò il cipiglio deciso del
suo compagno di scorribande, nonché migliore amico, Sirius Black e capì che
parlava sul serio: nulla gli avrebbe impedito di mettere in atto il suo piano di
gozzovigliare fino a mattina per celebrare Capodanno, neppure le rimostranze di
Remus Lupin, loro amico e coscienza il più delle volte inascoltata.
"Che mi dici della tua fidanzata?" chiese
Sirius, passando all’amico due bottiglie di Whisky Incendiario di prima qualità,
appena trafugate dalle cucine, per nasconderle sotto il letto.
James si stampò un sorriso ebete sulla
faccia. Fidanzata, che bella parola, soprattutto se abbinata all’immagine di
Lily Evans, a parere di James la ragazza più bella del pianeta, che da tre
settimane (accidenti, erano già tre settimane!) era ufficialmente la sua
ragazza. Sirius continuava imperterrito a chiedergli che razza d’incantesimo le
avesse lanciato per convincerla, ma assurdamente nemmeno James sapeva
esattamente come fosse accaduto, né gli importava di saperlo!
"Con Lily me la vedo io, non preoccuparti.
Piuttosto dov’è ha messo i tu-sai-cosa?".
Sirius lo guardò con sguardo vacuo un paio di
secondi, poi balzò in piedi. "Porco merlino, li ho dimenticati!".
James lo guardò come se desiderasse
incenerirlo. "Tu che cosa?!".
Si avvicinò minaccioso.
"Ok, ok, non agitarti, Prongs*. Ora rimedio".
Detto questo, schizzò fuori dalla stanza.
Non andò molto lontano comunque: James stava
finendo di nascondere le provviste per quella sera quando lo raggiunse
l’inequivocabile suono di qualcuno che cadeva e subito dopo la voce adirata di
Remus.
"Sirius, razza d’imbecille! Guarda dove
vai".
Ma evidentemente il ragazzo era già corso
via, perché alcuni istanti dopo, il proprietario della celestiale voce entrò
nella camera.
James si affrettò a nascondere le ultime cose
e poi, assumendo un’aria innocente, chiese: "Problemi, Moony?".
"Solo un amico idiota che non guarda dove va"
rispose Remus, massaggiandosi un ginocchio. Il ragazzo scrutò James da capo a
piedi, si soffermò sulla sua espressione ed esclamò: "Che cosa avete
combinato?".
"Chi, noi?" ribatté James, in tono
innocente.
"Non mi incanti, James. La conosco quella
faccia. È quella da "Stiamo per fare qualcosa e tu non lo sai". Che avete in
mente?".
James si piegò davanti all’evidenza. Negare
sarebbe stato inutile.
"Ok, te lo dico. Tu però non
arrabbiarti…".
"Questo incipit non mi piace per niente.
Allora?".
"La verità è che io e Sirius avremmo
intenzione, questa sera, sì, sai visto che è l’ultimo dell’anno e tutto, di
fare…una festicciola… sì una festicciola. Niente di che, eh, una cosa
tranquilla…".
"Sì, certo le conosco le vostre feste
tranquille! Quanti alcoolici avete già fregato nelle cucine?".
"Alcoolici? Chi noi? Nooo, per chi ci hai
preso?" tentò di difendersi James, ma vedendo lo sguardo scettico di Remus si
arrese. "Solo una decina di bottiglie, tanto per sicurezza… allora, che ne
dici?".
Remus sbuffò, massaggiandosi le tempie con le
dita. "Tanto protestare sarebbe inutile" disse infine. "Fate pure, ma non
esagerate: non voglio inaugurare l’anno nuovo con una bella punizione… E state
attenti a Lily".
James, preparato a tutto meno che a una resa
così fulminea, aveva già aperto la bocca con una supplica accorata sulla lingua,
quando capì di aver ricevuto la benedizione di Remus e sorrise trionfante.
"Grazie, Moony, sei il migliore!".
"Io avrei in mente un altro aggettivo per
definirmi, ma pazienza".
Prima che se ne rendesse conto, James gli
saltò sulle spalle gridando "grazie, grazie, grazie".
Fu in quelle condizioni che Sirius li trovò
tre minuti dopo, quando tornò con un grosso pacco tra le mani e l’aria
cospiratrice.
31 dicembre 1977
Dormitorio di Grifondoro
Hogwarts
Ore 23.45
"Accidenti, se mangio qualcos’altro, credo
proprio che scoppierò…".
"Come, come? Ho appena sentito Sirius Black,
la fogna di Hogwarts, dire di essere pieno. Preparatevi, gente la fine del mondo
è vicina!".
"James Potter, se non fossi pieno come un
uovo e mezzo sbronzo, ti avrei già strangolato!"
"Uuuuh, che paura!".
James si abbassò appena in tempo per schivare
la bottiglia di Burrobirra vuota che saettò verso la sua testa.
"Mancato!".
STONCK!
La seconda bottiglia raggiunse il bersaglio e
andò a sommarsi alla devastazione generale che regnava nella stanza. Carte di
caramelle, bocconi mezzo mangiati e poi abbandonati, vassoio coperti di
briciole, bottiglie mezze vuote, perfino vestiti, visto che verso le undici
Sirius aveva avuto la brillante idea di fare una partita di strip-poker,
ingombravano ogni centimetro del pavimento del dormitorio. Remus aveva cercato
di arginare il disastro, ma dopo un paio d’ore aveva rinunciato, si era unito al
generale clima festaiolo e si era piegato ai desideri della maggioranza. Sì,
perché come previsto, la festicciola tranquilla promessa da James si era
trasformata in una serata di bagordi che aveva coinvolto la maggior parte dei
Grifondoro che non erano tornati a casa per le vacanze. L’unica a non essere
stata invitata, in realtà, era Lily Evans, che non avrebbe di certo approvato e
avrebbe proibito la festa.
In quel momento, il dormitorio ospitava più
persone di quante chiunque pensasse ne potesse contenere, la maggior parti delle
quali già troppo ubriachi per riuscire a mettere insieme due parole.
Tuttavia la festa non accennava a finire
troppo presto, anzi Remus stava cominciano a prendere in considerazione l’idea
di trasferirsi in sala comune per dormire: il gene festaiolo non rientrava
decisamente nel suo DNA!
Lo tratteneva la convinzione che James e
Sirius stessero architettando qualcosa: nessuno dei due aveva bevuto molto e per
di più il misterioso pacco che Sirius aveva portato quel pomeriggio era
misteriosamente scomparso. Remus aveva forse dato il suo beneplacito per quella
follia collettiva, ma era più che intenzionato a impedire qualunque cosa i due
malandrini stavano tramando all’altro capo della stanza.
"Cavolo, Padfoot*, mi hai fatto
male!".
"Oh, scusa" fece Sirius, per niente
pentito.
"Questa te la farò pagare, è una promessa" lo
minacciò James.
"Sì, come vuoi. Piuttosto, hai visto
l’ora?".
James guardò l’orologio. Mezzanotte meno
dieci. "È meglio andare, che ne dici?".
"Per la prima volta questa sera hai detto
qualcosa di intelligente, Prongs. Ce li hai?".
"Rimpiccioliti in tasca. E la scopa
nell’altra".
"Bene, allora vai. Io mi occupo di scaldare
gli animi…".
"E che mi dici di Capitan Occhio-di-Falco?"
domandò James ansioso, indicando Remus, che li scrutava dal suo
letto.
"Non ti agitare. Del lupacchiotto mi occupo
io. Tu va!".
I due Malandrini si dispersero: James si
diresse verso la porta, zigzagando tra le persone che lo fermavano per
complimentarsi della festa, mentre Sirius si diresse a passo sicuro verso Remus,
che stava già preparandosi a rincorrere James.
"Ehi, Moony, dove vai?" lo bloccò Sirius,
circondandogli la spalla con il braccio e porgendogli una bottiglia. "To’, resta
qui e bevi qualcosa con il tuo amico Padfoot".
"Non è alcoolica, vero?" chiese Remus,
occhieggiando preoccupato la bevanda. "Lo sai che non reggo
l’alcool…".
"Lo so, lo so" lo rassicurò Sirius. "È solo
Burrobirra".
Rassicurato, Remus bevve un sorso. E questo
fu il suo errore. Subito fece una smorfia strana.
"Sicuro che sia Burrobirra? Ha un sapore
strano…".
"Sicuro, sicuro" garantì Sirius, sorridendo.
"È solo un’impressione, dai bevi…".
Seppur scettico, Remus ubbidì. Neanche cinque
minuti dopo, grazie a quel Whisky Incendiario astutamente mascherato da
Burrobirra, il ragazzo era già ubriaco perso. Senza obiettare prese la seconda
bottiglia che Sirius gli porgeva con il suo miglior sorriso diabolico e si buttò
nella mischia della festa.
Sciogliersi un po’ non gli farà certo male,
pensò Sirius, guardando l’orologio. Mezzanotte
meno cinque. Bene, lo spettacolo
va a incominciare.
Saltò sul baule di Peter, che era crollato
quasi un ora prima e ora russava della grossa sotto il letto, fermò la musica
con un colpo di bacchetta e attirò su di sé l’attenzione di tutti i
presenti.
"Miei cari compagni Grifondoro, prima di
tutto grazie per essere convenuti alla nostra umile festicciola" esordì e subito
fu sommerso da una valanga di applausi. "Grazie, grazie, vorrei ringraziarvi uno
per uno, ma al momento sono troppo ubriaco per ricordarmi i vostro nomi. Anzi a
breve non ricorderò più nemmeno il mio!". Risate e altri applausi. "Un altro
anno si appresta alla fine, un anno che ha portato gioie, piaceri e la gloria di
vincere la Coppa delle case per quarta volta consecutiva, oltre ovviamente la
Coppa del Quidditch, grazie anche alle mirabolanti imprese del nostro cercatore,
nonché mio migliore amico, James Potter!". Un’altra ovazione. "Ora se James
fosse qui, gli chiederei di raggiungermi. Ma il prode Potter al momento è
impegnato: sta dando gli ultimi ritocchi alla nostra ultima sorpresa per questo
1977 e per aprire in modo degno un nuovo anno, che sarà l’ultimo per noi
Malandrini qui ad Hogwarts e ci auguriamo migliore del precedente. Ora prego
avvicinatevi tutti alle finestre e aspettate con me la mezzanotte".
Mancava meno di un minuto. In preda alla
curiosità, tutti si accalcarono alle finestre. Alcuni per avere una visuale
migliore uscirono dalla stanza per andare ad affacciarsi nelle altre stanze.
Tutti attendevano con ansia la mezzanotte per vedere quale spettacolo avessero
architettato i Malandrini.
50…49…48…
Arrivati al meno dieci, cominciarono a
contare tutti insieme ad alta voce.
10…9…8…7…6…5…4…3…2…1…
All’improvviso il cielo sembrò illuminarsi a
giorno, rischiarando l’intero parco sottostante. Tutti gridarono quando
sfavillanti fuochi d’artificio, i più belli che il castello avesse mai visto,
cominciarono a esplodere nel cielo notturno, colorandolo di tutte le possibile
sfumature dell’arcobaleno, in uno spettacolo senza precedenti. I Grifondoro
gridarono di stupore e gioia, quando le scintille andarono a formare nel cielo
le seguenti parole: BUON 1978 HOGWARTS
DAI TUOI FEDELI MALANDRINI
E subito sotto, un’aggiunta personale
dell’autore dello spettacolo, James, che in quel momento planava tra gli
applausi generali verso la finestra del suo dormitorio: LILY EVANS, TI AMO, che
scatenò l’ilarità dei Grifondoro.
Quando il clamore si fu calmato, la musica
riprese e tutti furono tornati a rivolgere la loro attenzione alla festa ancora
in pieno corso, James vide venire verso di lui Sirius, con in mano due
bicchieri. L’Animagus ne porse una all’amico, dicendo: "Ottimo lavoro con quei
fuochi, Prongs".
"Grazie, Padfoot. Ma dove li hai presi, così
all’ultimo minuto?".
"Nella Stanza delle Necessità, dove sennò? Mi
sono limitato a chiedere i migliori fuochi d’artificio che Hogwarts avesse mai
visto…".
"Beh, ha funzionato alla perfezione. Ma che
ne hai fatto di Remus?".
Sirius ridacchiò e indicò un gruppetto di
ragazzi più che ubriachi che cantavano una versione piuttosto stonata di
Jingle Bell Rock. "Il terzo da
sinistra".
E guardando attentamente, James riconobbe
l’amico, impegnato in quel momento in un improbabile assolo, che avrebbe con
tutta probabilità spaccato qualche vetro, una bottiglia di Whisky mezza vuota in
mano. James cominciò a ridere senza ritegno. "Sei un mostro crudele,
Padfoot!".
Anche Sirius rise, nella sua risata simile a
un latrato. Poi levò il calice. "Buon anno, Prongs".
"Buon anno, Padfoot".
Brindarono e bevvero alla salute del nuovo
anno, poi si ributtarono nella festa.
1 gennaio 1978
Sala comune di Grifondoro
Hogwarts
Ore 10.30
Lily Evans entrò nella sua Sala Comune
piuttosto preoccupata. In tutta la mattina non aveva visto né James, né gli
altri Malandrini. Anzi, nessun Grifondoro da che ne sapeva lei aveva ancora
lasciato il suo letto. Con fare deciso si diresse verso la scala a chiocciola
che conduceva ai dormitori maschili: avrebbe tirato giù dal letto quei pigroni a
pedate!
Si fermò davanti alla porta dei Malandrini e
bussò.
"James, apri. Sono Lily". Non ottenne
risposta, se non forse un grugnito.
Seccata, Lily abbassò al maniglia e aprì la
porta, dicendo: "James, insomma, è ora di alz-…".
Ma la frase le morì in gola davanti al
desolante spettacolo che si trovò di fronte: la stanza sembrava essere stata
attraversata da un ciclone tanto era in disordine. Per terra c’era di tutto:
pezzi di cibo, cartacce, rifiuti, bottiglie vuote, abiti. Uno dei bauli era
stato rovesciato, disperdendo ovunque il suo contenuto; un letto era stato
spostato al centro della stanza, tutte le coperte e le lenzuola ammassate in un
angolo. Ma ciò che sconvolse Lily più di tutto il resto, fu trovare tutti i
Grifondoro profondamente addormentati sul pavimenti, la maggior parte in
condizioni ben poco dignitose.
Per alcuni istanti, la ragazza fu troppo
stupefatta per dire alcunché, poi gridò, in tono molto simile a quello di
un’aquila: "POOOOOOOOOTTEEEEEEEEER!!!!!!!!!!!".
Lo strillò avrebbe resuscitato anche un morto
e infatti, un James scarmigliato, con le occhiaie e la faccia stravolta emerse
da un angolo della stanza, si guardò intorno un paio di volte per capire cosa
fosse successo e poi vide la furia assassina che era la sua fidanzata che lo
guardava dalla porta, gli occhi dilatati e le narici frementi.
"Ah, Lily, ciao" articolò il ragazzo,
assumendo una posa preoccupata.
"Ciao? CIAO?!" gridò la ragazza. "È tutto
quello che hai da dire per giustificare questa devastazione?".
"Quando mi saranno passati i postumi da
sbornia, saprò dirti qualcosa di meglio…".
"Che cosa è successo qui?" continuò
imperterrita a strillare Lily.
In quel momento, da un groviglio di corpi non
meglio identificabili, emerse Sirius, se possibile ancora più stravolto di
James. "Evans, abbassa il volume" la supplicò con voce impastata. "Ho mal di
testa".
"Che cosa avete combinato?" ripeté Lily, in
tono più moderato, ma che lasciava comunque trasparire la sua furia.
"Soltanto una festa" rispose James, troppo
stanco per pensare a qualunque scusa. "Sai, per festeggiare
capodanno…".
"E l’avete trasformato in un’orgia di
gruppo?" chiese ancora Lily, indugiando sugli altri Grifondoro, tutti mezzo
spogliati.
"Ma, no" si difese James. "Abbiamo solo fatto
una monumentale partita a strip-poker. Nessuno ha fatto sesso…".
"Parla per te" grugnì Sirius dall’altro capo
della stanza, prima di ricadere addormentato.
"E Remus ha permesso tutto questo?" domandò
ancora Lily, sconvolta.
"Chi mi chiama?".
Dal groviglio di coperte e lenzuola
nell’angolo emerse il viso, poi il busto di Remus: aveva la faccia di uno che è
appena stato investito da un treno, coi capelli tutti arruffati e gli occhi
rossi. La sua voce era impastata e incerta, come se non fosse ben sicuro di come
articolare le parole. E da quel che poteva vedere Lily, indossava soltanto una
cravatta di Grifondoro sul petto nudo.
La ragazza cercò James in cerca di
delucidazioni.
"Ha perso la partita"spiegò il ragazzo. "Era
l’anima della festa: incredibile cosa non fa un po’ d’alcool…".
Remus parve decidere di essersi sognato tutto
e si riaccasciò al suolo, addormentandosi di botto. Lily pareva troppo sconvolta
per parlare.
"Beh, buon anno, amore" le disse
James.
La ragazza si limitò ad annuire, dopodiché
richiuse la porta, lasciando che anche James ripiombasse nel sonno.
*Per miei gusti personali, uso la versione
inglese dei soprannomi dei Malandrini, in quanto la traduzione italiana non mi
piace per niente: se non lo sapete Moony è Lunastorta, Prongs Ramoso e Padfoot
Felpato
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora, che ve ne pare di questa mia piccola
follia? Spero sul serio che vi piaccia, tanto quanto a me è piaciuto scriverla.
Allora, se tutto va bene, questa storia inaugura una raccolta, dedicata
ovviamente al mondo di Harry Potter. Il filo conduttore sarà appunto la
narrazione di giorni speciali, quali ricorrenze o compleanni (le date di questi
ultimi saranno rigorosamente canon, secondo le dichiarazioni della Rowling), che
pubblicherò puntualmente quel giorno (esempio, oggi è capodanno e perciò questa
storia sul capodanno dei Malandrini) o il più vicino possibile in caso di
imprevisti. Contorto? Spero di no. E spero sul serio che vi piacciano queste mie
shot. Il mio piano è di coprire un anno solare, perciò di concludere il 31
dicembre: spero sul serio di mantenerlo.
Come potrete immaginare, gli aggiornamenti
dipendono non da me, ma dalle date, perciò saranno piuttosto distanziati tra
loro. Ah, se tra voi ci sono lettori delle altre mie fiction, vi giuro che
questo ulteriore impegno non mi porterà via troppo tempo (mi auguro). Vabbè, vi
ho detto tutto, il prossimo appuntamento è per l’Epifania, se mi giunge
l’ispirazione, altrimenti più probabilmente al 9/01 per il compleanno di
Severus.
Commentate numerosi,
bacibaci!!!!!!!
BUON ANNO A
TUTTI!!!!!!
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Capitolo 2 *** Severus Piton ***
SPECIAL DAYS
SEVERUS PITON
9 gennaio 1972
Dormitorio di Serpeverde,
ore 7.45
La sveglia cominciò a suonare, puntuale e
implacabile come la morte. Per alcuni istanti il suo proprietario fu tentato di
ignorarla e girarsi dall’altra parte; purtroppo le sveglie sono molto difficile
da ignorare, soprattutto quelle magiche: dopo un circa un minuto, l’oggetto
incantato aveva preso a saltellare sul comodino, trillando talmente forte da
spaccare i vetri e contemporaneamente gridando "Alzati, scansafatiche!". Al che
il ragazzo capì che era davvero ora di alzarsi, allungò una mano e mise a tacere
l’arnese infernale, maledicendo mentalmente il nome di sua madre per averlo
convinto a comprarla.
Il silenzio regnava sovrano: gli altri
studenti del dormitorio continuavano imperterriti a russare. Il ragazzo non se
ne stupì: era sempre il primo a svegliarsi la mattina e in quei primi mesi a
Hogwarts aveva imparato che nemmeno le bombe avrebbero costretto i suoi compagni
ad alzarsi un minuto prima dello stretto necessario.
Il giovane Serpeverde, pallido e piuttosto
magrolino, aveva capelli neri piuttosto unti e un lungo naso aquilino e di nome
faceva Severus Piton. Il ragazzo si era già vestito, lavato e aveva già infilato
i libri in borsa, pronto per lasciare silenziosamente il dormitorio e andare a
colazione, quando l’occhio gli cadde sul calendario appeso vicino alla porta.
9 gennaio, recitava sotto la data di quel
giorno. Lo stomaco di Severus si strinse in una morsa. Buffo, aveva dodici anni
già da quasi otto ore e se ne era completamente dimenticato. Non che sia particolarmente importante, rifletté, mentre scendeva la scala a
chiocciola e lasciava la sala comune. Un anno in più o un
anno in meno, che differenza vuoi che faccia?
Era strana la scarsa considerazione che aveva
per il suo compleanno: per quel che si ricordava non l’aveva mai festeggiato in
nessun modo particolare. Certo, sua madre gli faceva gli auguri e tutto, ma la
cosa finiva lì. Da suo padre non aveva mai ricevuto nemmeno un sorriso, figurati
un biglietto d’auguri o un regalo. E tutto sommato, Severus preferiva così: suo
padre lo odiava, o meglio odiava quello che era. E quello che era sua madre.
Maghi. Per il ragazzo era un vero mistero come i suoi genitori si fossero potuti
sposare, visto che ormai erano al punto che Tobias Piton non poteva nemmeno più
guardare la moglie senza cominciare a urlarle contro. E quello era il motivo
principale per cui era felice di essere di nuovo al castello, dopo un natale più
che mai deprimente a casa, culminato con i suoi genitori che litigavano sopra il
cenone della vigilia.
Per questo non si aspettava assolutamente
nulla da quel compleanno: probabilmente una lettera di auguri di Eileen era già
in viaggio, ma quello era la massima aspettativa.
Chi non si aspetta molto, non subisce grandi
delusioni, si disse, sedendosi al tavolo di
Serpeverde ancora semideserto, vista l’ora. Severus si guardò intorno guardingo,
ma non c’erano nemmeno loro. Evidentemente era ancora troppo presto per i loro
delicati corpicini per uscire dal letto.
Un lato positivo della
giornata, considerò, servendosi di porridge.
Niente lezioni coi Grifondoro. Poi ci pensò
meglio e si rese conto che quello era anche un aspetto negativo, perché
significava che non avrebbe visto nemmeno Lily. Il solo pensare alla rossa
grifoncina gli fece accelerare il battito del cuore e contrarre lo stomaco.
Perché dovevano essere in case diverse? Era l’unica persona che fosse davvero
felice di frequentare di quel posto. E ansioso di vedere.
Forse con un po’ di fortuna, ci vedremo dopo
le lezioni, si disse: questo bastò a fargli
aleggiare un sorriso sul volto pallido.
Terzo piano,
Hogwarts,
ore 16.00
L’ultima lezione della giornata, Incantesimi,
era appena finita. Severus, come tutti gli altri alunni, raccolse le sue cose,
ficcandole in borsa, captando comunque le ultime accorate raccomandazioni
dell’insegnante di ripassare quanto studiato in classe.
Severus si cacciò la borsa in spalle e si
eclissò, intenzionato ad andare in dormitorio e poi a cercare Lily. Aveva deciso
di voler rendere il giorno del suo compleanno perlomeno decente e vedere l’amica
era probabilmente l’unica cosa che poteva realizzare questo proposito. Fino a
quel momento, la giornata si era svolta senza particolari avvenimenti. A
colazione, il gufo di famiglia gli aveva portato, come previsto, un biglietto di
sua madre; per il resto, quel giorno era trascorso esattamente come tutti gli
altri: nessun "buon compleanno", nessun regalo, niente. Tutto come da copione.
Del resto, dubitava che qualcuno dei suoi compagni di Casa sapesse quando era il
suo compleanno: alcuni poteva anche definirli amici e considerarsi parte del
gruppo, ma non si sentiva legato a nessuno. Tranne Lily. Per questo, voleva
trovarla e passare con lei qualche ora prima di cena, a chiacchierare come
facevano sempre.
Fu lei a trovare lui.
Mentre si dirigeva a tutta velocità verso la
sua sala comune, qualcuno lo chiamò da dietro.
"Sev! Ehi, Sev!".
Severus si fermò e si voltò: solo una persona
lo chiamava in quel modo. E infatti, una graziosa ragazzina con brillanti occhi
verdi e lunghi capelli rossi raccolti in una treccia gli stava venendo incontro,
un gran sorriso stampato in faccia e le mani nascoste dietro la
schiena.
Il cuore di Severus, come sempre quando
vedeva Lily, cominciò a galoppare e il suo stomaco si attorcigliò.
Lily lo raggiunse, sempre sorridendo. "Ciao,
Sev!" trillò.
Anche Severus sorrise. "Ciao, Lily. Tutto
ok?".
"Oh, sì tutto ok" rispose lei, allegra. "Sono
davvero felice di averti trovato".
"Davvero?" chiese Severus, sorpreso.
"Perché?".
"Ti devo dare una cosa" fu l’enigmatica
risposta. "Chiudi gli occhi".
"Che cosa?" domandò il ragazzo, ancora più
stupito. Che cosa stava tramando?
"Sì, sì, chiudi gli occhi" ripeté Lily.
"Forza, ho una sorpresa per te".
E fece un cenno col capo, indicando le
proprie spalle.
Severus cercò di allungare lo sguardo, per
capire cosa stesse nascondendo l’amica.
"Ehi, non sbirciare!" lo rimproverò Lily,
scostandosi. "Allora, li vuoi chiudere o no gli occhi?".
Rassegnato, Severus ubbidì.
Dopo alcuni istanti, Lily gli disse: "Ok,
aprili".
Il ragazzo riaprì gli occhi. La sorpresa lo
lasciò congelato sul posto. Lily tendeva verso di lui un pacchetto regalo, con
un bel fiocco rosso in un angolo, corredato dal più splendente dei
sorrisi.
"Sorpresa!" cinguettò la ragazza. "Buon
compleanno, Sev!".
Severus era troppo stupito per fare alcunché:
parlare, muoversi, pensare…respirare! Osservava il regalo come se temesse
potesse aggredirlo, senza sapere cosa fare.
Il vederlo in difficoltà non sembrò
scoraggiare troppo Lily, che gli cacciò quasi a forza il pacchetto in mano.
"Forza, aprilo!" lo spronò.
Severus fu grato di ricevere un ordine
diretto: come un automa, cominciò a scartare il pacchetto. A operazione
conclusa, si trovò tra le mani una bella cornice d’argento, decorata con
l’immagine di un leone in alto a destra e di un serpente all’angolo opposto.
All’interno, c’era una foto magica di lui e Lily, scattata durante il loro primo
viaggio a Hogwarts il primo settembre precedente. Come un idiota, ben
consapevole di comportarsi come un idiota, Severus non riusciva a far altro che
fissare la fotografia, ancora paralizzato.
Vedendo che non reagiva, l’entusiasmo di Lily
si spense come una candela al primo sbuffo di vento. Il sorriso le morì sulle
labbra, mentre osservava accigliata l’amico.
"Perché non dici niente?" chiese,
evidentemente delusa. "Non ti piace? Pensavo ti sarebbe piaciuta…".
L’espressione dispiaciuta che le si dipinse
in volto fu sufficiente a sbloccare il cervello di Severus.
"È bellissima" mormorò. "Mi piace un sacco,
Lily".
Il sorriso ricomparve all’istante sul volto
della ragazza. "Sul serio? Non lo dici solo per farmi contenta? Puoi anche dirlo
che non ti piace, non mi offendo…".
"No, no" la interruppe Severus, di nuovo in
grado di parlare. "Mi piace davvero. Tanto. Mi hai un po’ colto di sorpresa,
tutto qua: non mi aspettavo mi facessi un regalo".
Lily sorrise ancora più apertamente. "Tu sei
mio amico, no, Sev? E io faccio un regalo per il compleanno dei miei amici".
Detto da lei, sembrava la cosa più naturale
del mondo. Come faceva a spiegarle quanto quella semplice cornice significasse
per lui? Era il primo genuino gesto d’affetto che riceveva da qualcuno che non
fosse sua madre: non c’erano parole per dire quanto fosse importante.
"Grazie" disse semplicemente, non sapendo
cos’altro aggiungere. "Grazie davvero, Lily".
"Non mi devi ringraziare" si schermì lei. "È
stato un piacere".
A sorpresa, si lanciò verso di lui,
abbracciandolo stretto. Dopo qualche esitazione, Severus ricambiò la stretta. E,
ancora più inatteso, quando si separarono Lily gli diede un bacio. Un semplice e
castissimo bacio sulla guancia, che fu più che sufficiente per fargli andare il
volto in fiamme e accelerare a dismisura i battiti del cuore.
"Cosa…?" cominciò, ma Lily lo interruppe. "Un
bacio di compleanno" scherzò. "Ancora auguri, Sev".
"Grazie" fu di nuovo l’unica cosa che Severus
fu in grado di dire.
"Prego" rise Lily. "Ora scusa, devo andare,
le mie amiche mi aspettano. Ci vediamo dopo".
E si allontanò con un ultimo sorriso e un
cenno della mano. Severus rimase a guardarla allontanarsi, finché non sparì
dietro un angolo. Si portò una mano sulla guancia, nel punto esatto dove poco
prima le labbra di Lily l’avevano sfiorato. Poi posò gli occhi sulla cornice e
la foto in essa contenuta e sorrise.
Quel compleanno non l’avrebbe mai
dimenticato.
9 gennaio 1992
Ufficio di Severus Piton,
Hogwarts
Ore 2.00
L’ufficio era immerso nell’oscurità più
totale: solo una solitaria candela bruciava sulla scrivania, dietro al qual
sedeva l’insegnante di Pozioni. Una bottiglia piena e un bicchiere inusato
stavano proprio di fronte a lui: li aveva fatti portare lì alcune ore prima da
un Elfo Domestico, ma non li aveva toccati. Non sapeva nemmeno perché li avesse
richiesti: ogni anno lo faceva e ogni anno la bottiglia restava chiusa, il
calice vuoto.
Ma forse quell’anno era diverso. Perché quel
anno il rimpianto per certi versi era ancora più forte dei precedenti, perché
quello era il primo anno che festeggiava il suo compleanno davanti alla
conseguenza diretta del suo più grande errore. Solo quattro mesi prima Harry
Potter era giunto ad Hogwarts: solo quattro mesi prima il figlio del suo più
acerrimo nemico e dell’unica donna che avrebbe mai amato si era seduto per la
prima volta di fronte a lui in aula. E incontrando quegli occhi verdi, identici
a quelli di lei, rimorso e senso di perdita in lui si erano acuiti più di quanto
potesse credere possibile.
Sospirò pesantemente: quel giorno compiva
trentadue anni. Un giorno come un altro: qualche formale formula di auguri dai
suoi colleghi e la festa si era conclusa lì, esattamente come ogni anno. E non
gli importava. Non gli importava di essere di un anno più vecchio. O meglio gli
importava, ma per tutt’altro motivo: perché adesso un altro anno lo separava da
quel compleanno, quello più felice della sua vita, l’unico che avesse davvero
meritato di essere vissuto…
Sospirò, tirando fuori dal primo cassetto una
cornice capovolta. Un tempo era d’argento, ma gli anni l’avevano ossidata in
diversi punti; tuttavia il leone e il serpente ai due angoli opposti della
cornice erano ancora in condizione perfette. Lo sguardo di Severus si posò sulla
foto: due ragazzini di undici anni che ridevano all’obiettivo, spintonandosi,
ricambiarono il suo sguardo.
Vent’anni lo separavano ora dal giorno in cui
la piccola, dolce Lily Evans gli aveva donato quella cornice. Vent’anni da
quando gli aveva dato un semplice bacio sulla guancia, un bacio innocente, senza
nessuna malizia. Un bacio di compleanno,
l’aveva chiamato.
E mentre osservava il volto sorridente di
Lily nella foto gli sembrò di sentir risuonare la sua risata cristallina e la
sua voce infantile.
Buon compleanno, Sev!
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora, che ne dite? Spero che vi piaccia, è
la prima volta che parlo di Severus e soprattutto dal suo punto di vista, spero
di averlo fatto bene e di non aver deluso i fan di Severus. A me il risultato
finale modestamente piace molto, un gentile omaggio alla coppia Severus/Lily,
che non è la mia preferita, ma che mi ha comunque commosso leggendo il capitolo
33 de "I Doni della Morte".
E ora grazie a chi ha commentato lo scorso
capitolo:
HermioneForever92
Alida
Lady Patfood
Prossimo appuntamento il 30/01 per il compleanno di
Lily.
A presto e bacibaci!!!!!!!
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Capitolo 3 *** Lily Potter ***
SPECIAL DAYS
LILY POTTER
30 gennaio 1981
Casa Potter,
Godric’s Hollow.
9.30
La giovane donna si svegliò di scatto,
balzando a sedere, con gli occhi spalancati e il respiro affannoso. Il ricordo
dell’incubo che l’aveva destata così bruscamente si fece lentamente strada nella
sua mente: Lily chiuse gli occhi, respirando profondamente e cercando di
calmarsi. Era solo un sogno, si disse. Solo uno stupido sogno. Ma sapeva perfettamente che quel
sogno sarebbe potuto diventare realtà in ogni istante: anche in quel preciso
momento Lord Voldemort poteva davvero comparite a Godric’s Hollow e uccidere
lei, suo marito e il loro bambino.
Non accadrà, pensò, decisa. Voldemort non metterà mai le
mani su Harry, non lo permetterò!
Rinfrancata e più tranquilla, si decise a
riaprire gli occhi e solo in quel momento realizzò che l’altra metà del letto
era vuota: James doveva essersi alzato mentre lei dormiva. Forse Harry piangeva, si disse, mentre tuttavia lampi di
irrazionale terrore le offuscavano la mente, facendo affiorare pensieri ben più
cupi e pessimistici. Piantala, Lily. Non essere così
negativa: James sta benissimo.
Come se fosse stato facile pensare positivo
coi tempi che correvano, man mano che quella guerra senza senso progrediva,
mentre i suoi amici e compagni morivano intorno a lei come mosche e la minaccia
di Voldemort si faceva sempre più vicina…
Lily sospirò. Non era questa la vita che
avrebbe dovuto avere una donna di vent’anni, una vita fatta di angosce continue
per sé stessa e i suoi cari, una vita in cui ogni giorno poteva essere
l’ultimo.
La giovane si impose di smettere di pensarci
e sgusciò fuori dal letto, rabbrividendo involontariamente. Quel inverno si
stava rivelando straordinariamente rigido: da metà novembre la neve aveva
continuato a cadere quasi incessantemente e, nonostante fossero quasi a
febbraio, il tempo non dava segni di miglioramento. Da un certo punto di vista
era perfino meglio così, perlomeno era più facile sopportare la prigionia
forzata, soprattutto per James, che da quando erano confinati in casa accoglieva
con gioia la minima scusa per uscire, fosse anche solo per andare a prendere il
latte.
Lily si infilò la vestaglia sopra la camicia
da notte e andò ad aprire le tende: un pallido sole invernale illuminava il
paesaggio innevato. Lily sorrise: le piaceva la neve, le era sempre piaciuta,
fin da quando suo padre da bambina la portava a fare lo slittino. Con quel
tempo, sarebbe stato l’ideale per passare dei bei pomeriggi all’aria aperta. Se
avessero potuto…
Distolse lo sguardo, cercando qualche indizio
su dove James fosse andato. Si era già vestito, dato che il pigiama giaceva in
disordine su una sedia. Sempre il solito, pensò con tenerezza,
raccogliendolo per ripiegarlo meglio. Nel farlo, un biglietto cadde per terra;
perplessa Lily lo raccolse e lo aprì: riconobbe subito la calligrafia del
marito.
Buon compleanno, amore!
Lo so, scommetto che non ti aspettavi che me
lo sarei ricordato…che vuoi farci, forse fra una decina d’anni ci riuscirò senza
ricevere imbeccate da Remus. Santo Moony, se non ci fosse lui…
Comunque, non ti preoccupare se non ci trovi
quando ti svegli: io e tuo figlio abbiamo deciso di fuggire a Cuba. Per quando
leggerai, starò già chiacchierando a tu per tu con qualche bella ballerina
latina… Non scherzo, lo sai che per me sei la sola e l’unica (puah, quanto sono
sdolcinato!). Però ero serio raccomandandoti di stare tranquilla: siamo andati
da Sirius a tirarlo su di morale, ha litigato con Melanie e sai come diventa
quando litiga con Melanie! Così gli porto il suo dolce e amato figlioccio per
distrarlo un po’. Non so quando torno, potrebbe essere una cosa lunga, ma ti
prometto che appena posso, mi fiondo da te per festeggiare degnamente il tuo
compleanno… dopotutto 21 anni non si compiono tutti i giorni, no?
Non preoccuparti, ancora auguri e a più
tardi,
il tuo bellissimo e perfetto
marito.
Lily rilesse il messaggio di James due volte,
prima di focalizzare appieno il significato delle parole. Non ci poteva credere:
spaventata com’era da quell’incubo, si era completamente dimenticata che era il
suo compleanno. E James l’aveva ricordato: uno coro d’angeli doveva aver messo
le ali!
Sì, e l’aveva pure lasciata sola per correre
dal suo migliore amico. Rifletté: se Sirius aveva sul serio litigato con
Melanie, era probabile che la sua amica piombasse lì da un momento all’altro in
cerca di conforto.
Beh, perlomeno non passerò la mattinata da
sola: sarebbe proprio deprimente. E James si è pure portato via
Harry…
Si infilò il biglietto in tasca e si avviò di
sotto, con l’idea di prepararsi la colazione. Tuttavia, quando entrò in cucina,
trovò una seconda sorpresa, più gradita: il tavolo era apparecchio con ogni ben
di dio, perfino una rosa rossa in un vaso. Accanto a quest’ultimo, spiccava un
nuovo biglietto, sempre di James.
Non sia mai che ti faccia cucinare oggi,
tesoro. Oggi sei la regina della casa e come tale non dovrai muovere un dito
tutto il giorno. Spero sul serio che la colazione non sia velenosa, per ogni
evenienza tieni pronto l’essenziale per una lavanda gastrica d’urgenza. Un
bacio, James.
P.S. nella remota possibilità che tu non
abbia visto il primo biglietto, io e Harry siamo da Sirius, perciò non
preoccuparti!
A quel punto Lily rivolse di nuovo
l’attenzione alla tavola riccamente imbandita. James, sei il solito
esagerato, pensò, occhieggiando la pila di frittelle ancora calde, le file
di toast giù imburrati, i vasetti di marmellata di almeno cinque gusti diversi e
l’ampia scelta di bevande. In poche parole, tutta quella roba sarebbe bastata a
sfamare un esercito intero!
Vabbè, almeno una volta all’anno lasciamoci
coccolare, si disse, sedendosi e allungando la
mano verso la marmellata alle fragole, la sua preferita. Aveva appena cominciato
a mangiare, che una ragazza alta e slanciata, con lunghi capelli corvini e occhi
color cielo, contornati da occhiali, entrò dalla porta sul retro, sorridendo
radiosa.
"Ecco qua la festeggiata" esordì. "Buon
compleanno, Lily. Ma non hai ancora finito?".
Lily ricambiò il sorriso della sua migliore
amica, Melanie Griffith, e rispose: "Mi sono appena alzata. Grazie, in ogni
caso… Ma che ci fai qui?".
"Che razza di amica sono se il giorno del tuo
compleanno non posso venirti a rompere le scatole, scusa?" ribatté l’altra,
ridendo. "Ma che ci fai qui tutta sola? Il tuo sciagurato marito ha osato
lasciarti sola il giorno del tuo compleanno? Ah, questa gliela faccio
pagare!".
"Il mio sciagurato marito, come lo chiami tu"
si difese Lily, "è andato a consolare il tuo fidanzato, perché a quanto sembra
avete litigato. Che è successo?".
Melanie fece un gesto adirato con la mano.
"Non mi va di parlare di Sirius Black o di qualunque cosa lo riguardi in questo
momento: ti basti sapere che il mio quasi ex-fidanzato è un
imbecille".
Lily sgranò gli occhi davanti al tono secco
dell’amica: era successo qualcosa di così grave? Tuttavia non fece ulteriori
domande, rispettando il desiderio dell’amica e sapendo che presto o tardi si
sarebbe confidata in ogni caso.
"Ok, non ne parliamo" acconsentì perciò.
"Vuoi qualcosa? James ha preparato da mangiare per cinquanta: dubito di poter
finire tutto…".
"Beh, se proprio insisti…" disse Melanie,
senza farsi pregare troppo e cominciando ad attaccare le frittelle.
"Allora" chiese poi, mentre si serviva del
succo di mela. "Che vuoi fare di bello oggi, festeggiata?".
Lily si strinse nelle spalle, addentando un
toast. "Non lo so. Immagino me ne starò qui ad aspettare che James e Harry
tornino… Che hai da fare quella faccia?".
Melanie infatti aveva messo su un’espressione
scandalizzata. "Lily Evans Potter, mi stai forse dicendo che il giorno del tuo
ventunesimo compleanno, e sottolineo ventunesimo, vuoi startene tappata in casa
come una nonna a fare la calza? Non lo permetterò!".
"Mel, non mi piace quella faccia: di solito è
sinonimo di pericolo. Che hai in mente?".
"Semplicissimo: ora finisci la colazione, te
ne vai di sopra, ti infili un bel vestito caldo e poi, volente o nolente, verrai
con me a Londra a divertirti".
"Mel" cercò di opporsi Lily, ben sapendo
quale fosse l’idea dell’amica di divertimento, "non ho voglia di darmi allo
shopping sfrenato. Non mi sono ancora ripresa dall’ultima volta…".
"Sciocchezze" la interruppe stizzita l’altra.
"Alla tua età è questo che bisogna fare. Vedrai che ti farà bene dedicare una
giornata a te stessa…".
"… E a prosciugare il mio conto in banca. Sul
serio, Mel, non mi va".
"Non accetto obiezioni" si intestardì la
ragazza. "A fine giornata mi ringrazierai…".
Lily fece una smorfia non del tutto
convinta.
*****
James Potter aprì silenziosamente la porta di
casa. Si guardò intorno per assicurarsi che la moglie non fosse nei
paraggi.
"Ehi, c’è nessuno?" chiamò tanto per
sicurezza. Nessuno rispose.
Il giovane tirò un sospiro di sollievo.
Brava Melanie!, approvò tra sé, poi si voltò e
tirò casa il passeggino del figlio.
"Via libera, Padfoot" disse poi.
"Era ora" brontolò una voce alle sue spalle,
subito seguita dal suo proprietario, carico di borse come un mulo.
"Non ho ancora capito perché le devo portare
tutte io queste cose" borbottò poi, richiudendosi la porta alle spalle con un
calcio.
"Perché io avevo il passeggino da tenere
d’occhio" rispose James, che nel frattempo aveva preso in braccio Harry. "O
volevi essere tu a spiegare a Lily come, quando e perché ho perso di vista il
suo prezioso pargolo".
Sirius si schermì subito. "Per carità, voglio
arrivare vivo alla fine dell’anno, grazie tante. E la scusa di Remus quale
sarebbe?".
"Lui è andato a prendere la
torta".
"E non potevo andarci io?".
"No".
"Perché?".
"Perché" rispose James, impaziente, "senza
offesa, Padfoot, ma non mi fido a lasciarti nella stessa stanza con un dolce più
di dieci secondi. Se ti avessi mandato fino a Mielandia e ritorno, di quella
torta non sarebbero arrivate neppure le briciole!".
"Ehi, guarda che potrei offendermi e
piantarti qui da solo" lo minacciò Sirius, tirandogli un festone, che James fu
abile a evitare.
"Ehi, fa attenzione" lo rimbeccò. "Ho tra le
braccia un creatura innocente…".
"Oh, non tirare in ballo tuo figlio, adesso,
Prongs. Solo per il fatto di avere in comune metà dei tuoi geni non è più un
essere innocente!".
"Vuoi forse dire che avresti il coraggio di
fargli del male. Harry, fai la tua faccia da cerbiatto ferito,
forza!".
Il bimbo guardò il padre senza capire, ma
ridacchiò quando quest’ultimo esibì il suo miglior sguardo da "Bambi che ha
appena perso la mamma".
Sirius sbuffò, con espressione disgustata sul
volto. "Lo stai rovinando quel povero bambino, James. E sia, ma sappi che lo
faccio solo per amor di Lily".
"O perché ne hai paura" ribatté
imperturbabile l’amico.
"Anche quello" ammise Sirius.
James ridacchiò: sua moglie era fantastica,
l’amava più della sua vita, ma di tanto in tanto sapeva essere davvero
demoniaca, specie se le si minacciava anche solo accidentalmente il
pupo.
Depositò Harry nel suo box, scompigliandogli
il ciuffetto di capelli neri. "Ora noi faremo una bella sorpresa alla mamma. Che
ne dici, sei nostro complice?".
Harry gli sorrise, tendendo le manine verso
di lui. "Lo prendo per un sì, piccolo" gli sussurrò ancora James.
In quel momento fu centrato in piena testa da
qualcosa.
"Forza, principe delle fate" lo richiamò
Sirius. "Viene ad aiutarmi o rischiamo che le ragazze tornino prima di aver
finito".
James sospirò. "Resti tra noi Harry: il tuo
padrino è un gran rompiscatole!".
"Guarda che ti ho sentito. Muovi il tuo
sederone: la moglie è tua!".
*****
Il Big Ben batteva in lontananza le cinque,
quando infine Melanie acconsentì a tornare a Godric’s Hollow.
"Dai, ammetti che ti sei divertita"
punzecchiò l’amica, mentre raccoglieva le sue buste e si avviavano in cerca di
un punto sicuro per Smaterializzarsi.
Lily sbuffò: Melanie l’aveva trascinata da un
capo all’altro di Londra, senza darle un minuto di tregua e spingendola a
comprare un mucchio di cose di cui non aveva assolutamente bisogno. Ma era
questo che accadeva quando uscivi a fare shopping con Melanie Griffith: entravi
in un negozio e senza sapere come o perché lo lasciavi sempre con una busta in
più e un po’ di soldi in meno. Era come cercare di fermare un uragano:
impossibile. Come era stato impossibile convincerla a rientrare prima: si era
opposta strenuamente a ogni lamentela di Lily, tanto che la ragazza aveva temuto
che volesse visitare ogni singolo negozio della capitale.
Eppure, si era effettivamente divertita. Non
ricordava nemmeno più quand’era stata l’ultima volta che si era lasciata andare
in quel modo: per un pomeriggio non c’era stato nessun Voldemort, nessuna
guerra, nessuna minaccia di morte sulla sua testa, era stata solo una normale
ragazza di ventuno anni.
"Ok, mi sono divertita" ammise perciò. "Ma ho
comprato troppa roba".
"Che sciocchezze" la rimbeccò Melanie. "Una
ragazza di tanto in tanto può permettersi di coccolarsi un po’".
"Sì, ma non di andare in banca rotta" ribatté
secca Lily. "Devo ancora capire a cosa mi servirà nella vita la statuetta porta
uova a forma di regina Elisabetta".
"Beh" disse Melanie, dopo averci riflettuto
un attimo, "poi cominciare una collezione. Porta uova a forma di personaggi
politici, che ne dici?".
"Dico che sei matta" rispose ridendo Lily e
prendendola a braccetto. "Ma d’altronde parlo con quella che ha comprato una
lampada a forma di scimmia…".
"È artistica" si difese Melanie.
"È orribile. Non riesco proprio a capire come
tu possa averla comprata… Il commesso deve averti ipnotizzata, aveva un sguardo
strano".
"L’hai notato anche tu, eh?" osservò Melanie.
"Per me cercava di valutare le nostre misure attraverso i cappotti…".
"Bleah, che immagine orribile".
Le due si fermarono davanti a un vicoletto
laterale, deserto e buio.
"Qui andrà bene" disse Melanie. Lily annuì,
nervosa. Automaticamente strinse la mano alla bacchetta nascosta nella tasca
interna della giacca. Precauzione inutile, visto che la Smaterializzazione si
svolse senza problemi e dopo alcuni istanti entrambe le donne si trovavano nel
giardino innevato dei Potter a Godric’s Hollow.
Lily notò che le luci dentro erano tutte
spente e fu invasa da un vago senso di inquietudine. Possibile che James non
fosse ancora tornato?
Melanie parve leggerle nel pensiero e le
sorrise rassicurante. "Dai, entriamo. Sono sicura che è ancora con Sirius e non
si è accorto che si è fatto tardi".
Lily si morse un labbro e annuì, seguendo
l’amica all’interno della casa buia.
Giunta in cucina, depositò i vari sacchetti e
buste in un angolo e poi cercò con una mano l’interruttore della
corrente.
Ma prima di trovarlo, le arrivò la voce di
Melanie dall’altra stanza. "Lily, vieni qui un secondo!".
"Che c’è, ti sei fatta male?" domandò Lily,
in preda all’ansia: quel buio non le piaceva per niente.
"Vieni e basta" la chiamò ancora
Melanie.
Lily ubbidì. Aveva appena varcato la soglia
del salotto che le luci si accesero all’improvviso, accecandola, mentre almeno
una ventina di voci gridava: "SORPRESA!".
La ragazza rimase attonita sul posto: il suo
salotto era decorato a festa, con tanto di striscione con la scritta "Buon
compleanno, Lily"; in un angolo una torta enorme capeggiava circondata da altre
leccornie; ma più di tutto attirò la sua attenzione la folla di gente che le
sorrideva, con i calici levati. Fra tutti, spiccava, quasi fosse stato
illuminato da un faro, James, con in braccio un piuttosto perplesso
Harry.
"Oh, mio dio!" fu tutto quello che riuscì a
dire, ancora troppo stupita.
James si fece avanti. "Ehi, buon compleanno,
amore" le disse, dandole un bacio sulla guancia. "Stavolta te l’ho fatto, hai
visto?".
"Tu… tu…" balbettò la giovane. "Sei… tu sei…
sei un… oh, grazie, James!" e gli saltò praticamente in braccio, mentre sentiva
le prime lacrime pungerle gli angoli degli occhi.
"Ehi, ho collaborato anch’io" protestò una
voce alle sue spalle. Lily si voltò: Melanie si era fatta avanti, con un largo
sorriso.
"Era…era tutto organizzato?" chiese Lily
incredula. "La lite con Sirius? Lo shopping sfrenato?".
"Shopping sfrenato?" fece James
allarmato.
Melanie rise. "No, quella è stata un’idea
mia. Dovevo solo trascinarti fuori di casa per lasciare agli altri modo di
organizzare tutto…".
Lily le sorrise, abbracciandola. "Grazie,
Mel. Grazie, grazie, grazie. E grazie anche a tutti voi" aggiunse rivolta agli
altri ospiti.
"Tanti auguri, Rossa!" esclamò Sirius,
levando il calice.
"E cento di questi giorni" aggiunse Remus, al
suo fianco.
"E cento di questi giorni" gli fecero coro
gli altri.
Lily sorrise a tutti con calore, per poi
rivolgere la sua attenzione al marito ancora al suo fianco con Harry tra le
braccia.
"Grazie James. Mi hai regalato una giornata
stupenda".
James le sorrise, mentre le passava il
bambino. "Prego. Non è stato niente di che. Per il prossimo anno, organizzo un
viaggio a Parigi, che te ne pare?".
La giovane sorrise. "Sarebbe assolutamente
perfetto".
"Ehi voi due!" li richiamò Sirius, in tono
quasi urgente. "Smettetela di fare comunella. Ho fame e lì c’è una bella torta
che aspetta solo la festeggiata!".
LYRAPOTTER’S CORNER
Uff, ce l’ho fatta! Avere una data di
scadenza è proprio stressante: temevo di non riuscire a finire in tempo per il
trenta e invece ci sono riuscita, anche se per un pelo. Spero vi piaccia, e di
aver messo insieme una cosa decente, perché questo shot l’ho scritta sotto i
postumi da influenza, perciò abbiate pazienza. Spero comunque che vi piaccia,
Lily è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, mi auguro di averle reso
giustizia.
Piccola nota, per il personaggio di Melanie
mi sono auto plagiata: l’ho tratto in tutto e per tutto dalla mia
fanfiction Babysitter per caso, perciò se qualcuno la trovasse
famigliare, è perché l’ho presa da lì.
Uno speciale ringraziamento ai miei
recensori
Deidara
Lyan
alida
Grazie infinite per il vostro
sostegno
Prossimo appuntamento, tra una settimana
tonda, il 06/02, per
il compleanno di Arthur.
A presto, commentate numerosi,
bacibaci!!!!!
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Capitolo 4 *** Arthur Weasley ***
SPECIAL DAYS
ARTHUR WEASLEY
6 febbraio 1970
la Tana,
Ottery St Catchpole.
8.00
Il giorno del suo ventesimo compleanno,
Arthur Weasley non fu svegliato dalla sveglia, diligentemente puntata alle 8.15
per permettergli di arrivare puntuale in ufficio. E non fu svegliato nemmeno
della sua dolce mogliettina che gli portava la colazione a letto, cosa che
certamente l’avrebbe reso molto felice. Avrebbe perfino accettato di essere
svegliato dal bussare sommesso di un gufo alla finestra.
Ma no, la mattina del suo ventesimo
compleanno non accadde nulla di tutto questo, ma qualcosa di decisamente più
spiacevole.
Un tonfo e un rimbombo provenienti da qualche
punto sopra la sua testa, talmente forti da far pensare che il soffitto stesse
per crollare. Arthur saltò per aria e cascò dal letto, bruscamente richiamato
alla realtà da un sogno in cui un cacciavite e un martello lo invitavano a
prendere il the.
Imprecando e massaggiandosi il fondoschiena,
il giovane si tirò in piedi. "Quel dannato spettro!" borbottò tra sé. "È tornato
di nuovo".
Inforcò gli occhiali, passandosi una mano tra
i capelli rosso fiamma, domandandosi vagamente cosa avesse fatto di male per
meritarsi un simile risvegliò una mattina sì e una no. Era da quando si era
sposato e si era trasferito alla Tana che cercava un modo per sbarazzarsi di
quell’essere infernale il cui unico scopo nella vita sembrava quello di fare più
rumore possibile. Sfortunatamente, ogni suo tentativo di allontanarlo si era
rivelato vano, anzi, ogni volta che lo spettro tornava, era più rumoroso di
prima.
Ah, presto o tardi mi libererò di te, fosse
l’ultima cosa che faccio!
Sfortunatamente, il povero Arthur ancora non
sapeva che quello spettro sarebbe risultato inamovibile. Anzi, avrebbe impiegato
altri cinque anni di inutili tentativi prima di rinunciare una volta per
tutte.
Ma questo non c’entra con la nostra storia,
perciò torniamo a quella fredda mattina di febbraio.
Ripresosi dal brusco risveglio, Arthur lasciò
vagare per un po’ lo sguardo intorno a sé. Si rese conto che Molly si era già
alzata, ma la cosa non lo allarmò più di tanto: per abitudine, la moglie si
svegliava prima di lui per preparagli la colazione e iniziare a sbrigare le
faccende.
Si preoccupò di più, quando, andando in
bagno, udì distintamente qualcuno vomitare dall’altra parte della porta
sbarrata.
"Molly, cara" chiamò, bussando piano. "Non ti
senti bene?".
Alcuni istanti di silenzio, poi la serratura
che girava e la porta che si apriva, rivelando una Molly Weasley pallida come un
lenzuolo con una mano posata sullo stomaco.
Arthur si fece ancora più allarmato. "Molly,
che hai?" chiese trepidante.
"Non ne sono certa" balbettò la giovane.
"Potrei aver mangiato qualcosa di avariato…".
Arthur la prese per le spalle. "Forse
dovresti tornare a letto e riposare…".
Molly esitò alcuni istante, ma poi scosse il
capo. "Ora mi passa, non preoccuparti" lo rassicurò. "Piuttosto, buon
compleanno!".
Arthur la guardò stranito: preoccupato
come’era, il pensiero del suo compleanno era finito in un angolo remoto del suo
cervello. Le sorrise dolcemente. "Grazie, tesoro". Esitò un momento, poi
aggiunse: "Sei sicura di non voler tornare a letto: non hai una bella
faccia!".
"Oh, mille grazie, Arthur!" replicò Molly,
fingendosi offesa. "Beh, ti conviene abituartici, visto che dovrai vedere questa
faccia per il resto dei tuoi giorni da sposato!".
"Hai capito cosa intendevo" ribatté Arthur
con un sorriso. "Dovresti tornare a letto…".
Molly si liberò risoluta della sua presa.
"Stupidaggini. Sto benone. Non permetterò che mio marito si prepari la colazione
da solo il giorno del suo compleanno!".
"Come se me ne importasse…" mormorò l’uomo,
ma Molly era già partita in quarta verso le scale, con cipiglio deciso e
dimentica del malessere.
Quando Arthur, dopo essersi vestito per il
lavoro, giunse nella piccola cucina, la donna stava già scodellando un porzione
gigantesca di uova e bacon, apparentemente ristabilita.
Tuttavia ad Arthur non sfuggì che la moglie
si muoveva con meno decisione del solito e che di tanto in tanto assumeva una
delicata tinta verdognola.
"Molly, per me dovresti tornare a letto…"
tentò di nuovo, ma lei lo zittì con un brusco cenno della mano.
"Non è niente di grave, Arthur" lo rassicurò.
"Non se è quello che penso…".
"E cosa pensi?" chiese l’altro, ansioso di
scoprire la causa del malore.
Ma Molly restò sul vago. "Prima voglio
esserne sicura: andrò a fare un controllo all’ospedale. E no" aggiunse vedendo
che il marito stava aprendo la bocca per dire qualcosa, "tu non mi
accompagnerai. Posso andare benissimo da sola".
"Ma…" tentò di protestare Arthur.
"Niente ma. Oggi devi andare a lavorare, lo
sai tu e lo so anch’io. E stasera, ti preparerò una cenetta coi fiocchi per
festeggiare. Vuoi che inviti qualcuno? A parte i tuoi, ovvio".
Arthur si strinse nelle spalle, scuotendo il
capo. "Direi di no. Non voglio farne una questione di stato, Molly. La famiglia
basta e avanza".
"Già, specie considerando che i tuoi
famigliari sono metà di mille" considerò la giovane. "Ok, facciamo alle
sette?".
"Nessun problema" confermò Arthur. "Sei
sicura di non volere che rimanga?".
"Sì, Arthur, sono sicura. Tu va in ufficio.
Noi ci vediamo stasera alle sette".
Ministero della magia,
Londra.
20.30
Era tardi. Incredibilmente, irrimediabilmente
tardi. Arthur sospirò pesantemente, finendo di leggere la pratica che in teoria
avrebbe dovuto archiviare già da mezz’ora. Dannata
burocrazia, pensò con rabbia mentre il pensiero di
quello che lo attendeva una volta arrivato a casa lo faceva rabbrividire.
Molly l’avrebbe ucciso. E se non lei, ci
avrebbe pensato sua madre. Insomma, un’ora e mezza di ritardo, e per di più era
lui il festeggiato!
Beh, risparmieranno nell’iscrizione per la
lapide, si disse in tono funereo, controllando per
l’ennesima volta l’orologio.
Ma in fondo mica era colpa sua se alle sei e
trenta, quando, finito il suo turno, il suo capoufficio l’aveva intercettato con
una pila di documenti da archiviare prima delle otto. Impresa impossibile,
specie considerato che quel giorno il suo compagno d’ufficio s’era dato malato e
lui era da solo. Ma prova ad andare a spiegarlo a una moglie furente, che di
certo aveva lavorato tutto il giorno per preparargli una festicciola coi fiocchi
nonostante il suo malore.
Oh, sì, questa volta Molly mi uccide sul
serio!
Sospirò pesantemente, prendendo l’ennesima
cartellina: la pila invece di diminuire sembrava aumentare,
dannazione!
Oltretutto, gli toccava pure smaltire parte
delle scartoffie degli altri Uffici: da alcuni mesi ormai, il Ministero era
sovraccarico di lavoro, da quando erano cominciate quelle strane sparizioni,
quelle morti apparentemente senza colpevole…
Il Primo Ministro si ostinava a dire che
andava tutto bene, che presto sarebbero venuti a capo della situazione, ma ormai
erano ben pochi quegli che gli davano retta, e Arthur non era tra questi. Se le
cose andavano bene, lui era una bertuccia pelata! La situazione stava
precipitando, Arthur ne era certo, le cose si sarebbero presto messe male, che
il Ministro lo volesse o no.
E, sfortunatamente, il giovane Weasley non
aveva ancora idea di quanto avesse ragione: sarebbero occorsi solo pochi mesi
ancora prima che il nome di Voldemort cominciasse a serpeggiare con timore sulla
bocca della gente…
Arthur scacciò quei pensieri cupi, guardando
di nuovo l’orologio. Segnava le nove. Oh, al
diavolo!, si disse. Domani tutta ‘sta roba sarà
ancora qui in fondo. Non ho proprio intenzione di passare il resto della notte
qui, quando Molly a casa mi aspetta.
Con fare deciso, si allontanò dalla
scrivania, afferrò mantello e cappello e si allontanò rapidamente, diretto verso
l’Atrium. Nessuno lo fermò (il suo capo se ne era andato circa un’ora prima),
così poté tranquillamente Smaterializzarsi alla Tana.
La casa era silenziosa: i suoi parenti
dovevano essersene andati, rassegnati all’idea che non sarebbe tornato a breve.
Il che significava che non c’era nulla a fermare la furia omicida di
Molly.
Esitante, Arthur entrò in casa: in cucina
c’era una luce accesa; si recò da quella parte, ben deciso a non rimandare il
peggio. Tuttavia ricevette una sorpresa: su una sedia, accanto alla tavola
riccamente imbandita, stava Molly che fissava con sguardo perso un punto non
precisato della parete di fronte a lei. Tra le mani, stringeva un foglio di
pergamena accartocciato.
Arthur tossicchiò piano per annunciare la sua
presenza. "Molly, cara…".
La giovane si voltò; un sorriso si allargò
sul suo volto. "Arthur, sei tornato, finalmente…".
"Lo so, sono in ritardo" si scusò Arthur. "Mi
dispiace, non sono riuscito proprio a liberarmi prima".
Molly annuì con fare comprensivo. "Sì, certo
capisco. I tuoi genitori ti mandano i loro auguri; forse domani dovresti passare
da loro, non credi?".
"Come, non sei arrabbiata?" fece Arthur,
spiazzato.
"Perché dovrei?".
"Beh, devi aver lavorato sodo tutto il
pomeriggio per preparare questo ben di dio per me e io non sono
venuto…".
"Oh, non preoccuparti" fece Molly, liquidando
con un gesto la questione. "Capisco che il lavoro ti ha tenuto impegnato e lo
accetto. Può capitare".
"Sicura?".
"Al cento per cento. Vieni a mangiare un po’
di torta. Ho fatto la tua preferita, quella con le fragole e la
panna…".
Arthur non se lo fece ripetere due volte: se
Molly non era infuriata, non sarebbe stato certo lui ad aizzare il leone. Si
sedette e attaccò con voracità l’enorme fetta di torta che la moglie gli mise
davanti.
Passarono alcuni minuti di silenzio, rotto
solo dal tintinnare delle posate contro il piatto, poi Molly esordì: "Arthur,
devo dirti una cosa. Una cosa importante…".
"Di che si tratta, tesoro?" chiese Arthur,
notando l’espressione seria della moglie.
"Beh, sia il malessere di stamattina? Sono
andata al S. Mungo a fare un controllo e loro hanno confermato i miei
sospetti…".
"Mi devo preoccupare?" domandò ancora Arthur,
ansioso. "È qualcosa di grave?".
"No, no, non è nulla di serio" lo rassicurò
Molly. Poi parve rifletterci un istante e aggiunse: "Beh, relativamente
parlando".
"Non capisco. Ti puoi spiegare, per
favore?".
Molly prese un respiro profondo e poi disse,
tutto d’un fiato: "Sono incinta".
La rivelazione fu accolta dal silenzio più
assoluto, mentre il cervello di Arthur andava in standby e l’uomo cercava di
digerire la notizia che di lì a nove mesi sarebbe diventato padre.
Molly attese alcuni istanti, poi vedendo che
il marito sembrava in stato catatonico, lo scosse per il braccio, chiamandolo:
"Arthur! Arthur! Stai bene? rispondi!".
"I-i-incinta?" fu infine in grado di
balbettare, intimamente grato di essere stato già seduto quando Molly aveva
fatto l’annuncio altrimenti a quell’ora sarebbe finito lungo disteso in
terra.
Molly annuì. "Aspetto un bambino" disse, come
a voler rimarcare il concetto. "Aspettiamo un bambino".
"È…È stupendo!" esclamò infine Arthur, che,
superato lo shock iniziale, si era allargato in un ampio e più che sincero
sorriso.
Anche Molly lo imitò. "Dici sul
serio?".
"Ma certo che dico sul serio!" la rassicurò
l’uomo. "Non sono mai stato più serio in vita mia. È assolutamente
meraviglioso".
Arthur era certo di non essersi mai sentito
così felice, euforico e anche un po’ spaventato tutto in una volta, tranne forse
al suo matrimonio. Sarebbe diventato padre: di lì a nove mesi avrebbe avuto in
braccio suo figlio. Non riusciva a crederci, sembrava quasi troppo bello per
essere vero.
Chissà come si sentiva Molly? Le bastò
incontrare i suoi occhi e il suo sorriso per capire che provava esattamente
quello che provava lui: timore, entusiasmo e tanta, tanta gioia.
Poco importava in quel momento che fossero
tanto giovani, che non avessero tanti soldi, nulla aveva importanza in quel
momento tranne la consapevolezza dell’esistenza di quella piccola
creatura.
"Sei felice, Arthur?" chiese
Molly.
"Felice non riesce a esprimere nemmeno
lontanamente come mi sento in questo momento" le rispose Arthur, mentre quasi
automaticamente la sua mano andava a posarsi sul ventre della donna. "Non potevi
farmi un regalo più bello, amore mio".
LYRAPOTTER’S CORNER
Ecco qua, nuovo capitolo, nuova storia, nuovi
personaggi. Questa shot è stata un po’ un parto (visto che siamo in argomento),
non sono certa di quanto sia accettabile il risultato, però penso che almeno
l’idea di base sia carina.
Per chiarezza, ho fatto i conti e la faccenda
tornava: Bill è nato nel novembre 1970 (data tratta dal Lexicon), perciò in
linea puramente teorica Molly potrebbe sul serio aver scoperto di essere incinta
il giorno del compleanno di Arthur, anche se forse ci sta dentro un po’
stiracchiata.
Anche i riferimenti a Voldemort rientrano nel
canon: nel primo capitolo della Pietra Filosofale, Silente dice che sono passati
undici anni dall’inizio della guerra. Essendo che siamo nel 1981, togliendo
undici, finiamo proprio nel 1970.
Vabbè, basta con questi sproloqui, di cui
probabilmente non vi importa nulla, passiamo a ringraziare
Deidara
alida
per le loro recensioni.
Un’ultima cosa, dedico questo capitolo, anche
se non lo leggerà mai, a mia mamma, che ieri ha compiuto gli anni.
Prossimo appuntamento, al 14/02, per S. Valentino, con
un capitolo un po’ speciale.
A presto, commentate numerosi,
bacibaci!!!!!
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Capitolo 5 *** San Valentino ***
SPECIAL DAYS
SAN VALENTINO
HARRY E GINNY
(missing moment da HP6, dopo il bacio in sala
comune)
maggio 1997
Parco di Hogwarts
16.00
Erano seduti in silenzio sulla riva del lago
da almeno dieci minuti. Harry non aveva ancora aperto bocca, perciò alla fine
Ginny si decise a rompere il ghiaccio.
"Allora?" chiese, fissandolo con fare
interrogativo.
"Allora?" ripeté lui, voltandosi finalmente
verso di lei.
Ginny sbuffò. "Che cos’era quello? Prima, in
Sala Comune?".
Harry inarcò le sopraciglia, sorridendo.
"Devo farti un disegnino? O preferisci un diagramma a frecce?".
Ginny gli diede uno spintone. "Scemo. Per
forza sei amico di mio fratello: siete due idioti!".
"Grazie. Cerco solo di alleggerire
l’atmosfera…".
"Perché non mi rispondi, invece?" suggerì
Ginny. "Perché mi hai baciato prima?".
Harry esitò, distolse lo sguardo e tornò a
puntarlo verso il lago: ora, a mente fredda, si rendeva conto dell’enorme
cretinata che aveva fatto.
"Harry?" lo chiamò Ginny.
"Guardami".
Il ragazzo ubbidì.
"Perché mi hai baciato?" ripeté.
"Perché credo di essermi innamorato di te"
riuscì infine a dire Harry. Visto che la ragazza non dava segni di vita
aggiunse: "Ok, se vuoi, puoi ridere…".
"Vuoi stare zitto un secondo?" lo rimproverò
Ginny. Gli si parò davanti, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a
guardarla negli occhi. "Stai dicendo sul serio?".
"Mai stato più serio in vita mia" rispose
Harry in tono sicuro.
"Bene. Perché credo anch’io di essere
innamorata di te…". E prima che Harry potesse comprendere appieno il significato
di quella frase, Ginny si chinò su di lui e lo strinse in un bacio
mozzafiato.
RON E HERMIONE
25 Dicembre 1994
Sala grande,
Hogwarts
21.00
Non riesco a toglierti gli occhi di dosso,
malgrado sappia che sia sbagliato. Ti guardo ballare, divertirti, ridere… con
Lui.
Perché sei venuta a questo stupido Ballo con
Lui, Hermione? Perché ti stai divertendo con Lui, mentre io sono qua come un
idiota, con una ragazza di cui non mi importa assolutamente nulla?
È con Me che dovresti ballare, Hermione… No,
un momento, che diavolo sto pensando?
È Hermione, Hermione Granger, ripigliati Ron,
non fare l’idiota.
Ma, più ti guardo con Lui, più mi sale la
voglia di spaccargli la faccia.
No, non posso essere…sono sul serio…GELOSO?
Come faccio a essere geloso? Noi siamo solo amici, anzi spesso e volentieri a
malapena ci sopportiamo.
Ecco, ti ha stretto per la vita. Tieni a
posto quelle manacce, scimmione! Lei è mia! Mia, hai capito?
Ehi, ma che cavolo sto pensando? Oddio, sono
geloso sul serio! Oppure mi sto esaurendo. O magari è qualche contorto desiderio
di protezione: in fondo Hermione è ormai una specie di sorella, come
Ginny.
No, non è questo: Ginny balla tête à tête con
Neville, ma non provo il malsano desiderio di staccargli la testa a morsi, come
invece vorrei fare con Lui.
Ma come facevo ad ammirarlo tanto? Ora vorrei
solo ucciderlo nel peggiore dei modi per aver osato toccarti… e ci risiamo, con
questi pensieri: smettila Ron, è Hermione, la conosci da anni, è tua amica, non
puoi sul serio essere geloso di lei.
Pensa a qualcos’altro, pensa a qualcos’altro.
Mi immagino di avvicinarmi, prendere Krum a calci nel sedere e cominciare a
ballare con te, stringerti, come lui sta facendo adesso… No, alt, stop,
cancella, annulla!
Ma che diavolo mi è preso?
No, perché vieni verso di me? Mi si legge in
faccia quello che sto pensando?
Respiro più tranquillo quando mi rendo conto
che vuoi solo parlare con me e Harry.
Ma poi nomini Lui e una rabbia cieca mi
prende. Senza che me ne accorga conto cominciamo a litigare furiosamente:
nemmeno mi rendo conto delle parole che ti sputo contro.
Ti volti e ti allontani furiosa. Harry mi
guarda come se fossi un extra-terrestre: sono proprio idiota! Idiota!
idiota!
Ma perché me la sono presa con te? Perché
abbiamo litigato? Perché sono così dannatamente geloso? Da quanto mi piaci così
tanto, Hermione?
LUCIUS E NARCISSA
Luglio 1973
Casa Black,
Grimmauld Place n° 12, Londra.
15.30
La mia vita scorre su binari già
prestabiliti, lo so e lo sempre saputo. Ultimogenita di una delle più antiche
casate Purosangue d’Inghilterra, il mio destino è sempre stato quello di
sposarmi con un buon partito, Purosangue ovviamente, e mettere al mondo figli
Purosangue, maschi preferibilmente. Per portare avanti il nome della
famiglia.
Oggi, il mio destino si è compiuto. Oggi ho
pronunciato il giuramento che mi ha legato indissolubilmente a te, Lucius
Malfoy. Oggi ho intrecciato per sempre la mia vita alla tua.
Una ragazza dovrebbe essere felice il giorno
del suo matrimonio, giusto?
Io non sono certa di quello che provo: non
certo felicità. Come posso essere felice di fronte a qualcuno che mi è stato
imposto da altri?
È più una sorta di vago stordimento: forse
non ho ancora pienamente focalizzato ciò che è accaduto…
Ti guardo, non ti perdo di vista un istante,
anche ora che parli con i tuoi genitori e penso che poteva anche andarmi
peggio.
Guarda come è finita Bellatrix, sposata con
quel buzzurro troglodita di Rodolphus Lestrange. O Andromeda, rinnegata per la
sua relazione con uno schifoso Sanguesporco. Anche se un po’ mi dispiace che non
sia presente.
A me, la più piccola delle sorelle Black, il
fato ha probabilmente riservato il destino migliore: tu sarai un bravo marito,
Lucius, ne sono sicura. Chissà, magari potrei anche innamorarmi di te alla
fine.
Ti liberi infine dei tuoi genitori, torni da
me, con quel sorriso asciutto che ho imparato a conoscere, mi prendi per mano,
mi inviti a ballare.
"Te l’ho già detto che sei bellissima con
questo vestito?" mi sussurri all’orecchio.
Il cuore mi balza in petto, mentre il tuo
complimento mi fa arrossire leggermente.
Un dubbio mi si affaccia alla mente: forse ho
già cominciato ad amarti, Lucius Malfoy.
ARTHUR E MOLLY
Novembre 1966
Hogwarts
4.30
Ad Hogwarts regnavano la calma e il silenzio,
i corridoi che davano a sud erano illuminati da una fulgente
mezzaluna.
Ed erano proprio questi ultimi corridoi che
due studenti cercavano di evitare: il buio è il migliore compagno per coloro che
violano il coprifuoco, soprattutto quando il vecchio custode è in caccia di
eventuali trasgressori.
Ma ai nostri giovani Grifondoro importava ben
poco, anche se si fossero presi una punizione: una notte come quella era
decisamente troppo bella per sprecarla al chiuso.
E quando si è innamorati, certi rischi
passano in secondo piano.
Giunsero infine al settimo piano, si
fermarono dietro un angolo, in vista del ritratto della Signora
Grassa.
Il ragazzo si voltò, sorridendo dolcemente
alla sua compagna di avventura. "Vado prima io: tu seguimi tra due
minuti".
La ragazza annuì. "Mi sono davvero divertita
stasera, Arthur".
"Anch’io". Il suo sorriso si allargò
ulteriormente, mentre si chinava su di lei e le stampava un ultimo, rapido
bacio.
"Buonanotte, Molly".
"’Notte, Arthur" disse lei, dopodiché lui si
allontanò.
Alcuni istanti dopo, lo sentì dare la parola
d’ordine e il ritratto aprirsi. Contò fino a dieci, poi lo imitò.
Ma quando vi si trovò davanti, la Signora
Grassa le rivolse uno sguardo di rimprovero, dicendo: "Facciamo le ore piccole,
eh, signorina Prewett?".
Molly arrossì, ma non rispose, dando invece
la parola d’ordine: più tempo passava, più aumentava il rischio che qualcuno la
vedesse, ora che Arthur se n’era andato si sentiva molto meno sicura.
Ma il dipinto non si mosse. "Sai" proseguì,
ridacchiando, "ai miei tempi si sarebbe giudicato molto sconveniente che un
ragazzo e una ragazza vagabondassero per il castello di notte, da soli. Dovresti
osservare più prudenza…".
"Non ho bisogno dei tuoi rimproveri o dei
tuoi giudizi" ribatté Molly, piccata. "Ci amiamo e tanto basta".
"Certo, vi amate. Ma a quest’ora si dovrebbe
dormire, signorinella. Non scorazzare da un capo all’altro del castello: quello
si può fare tranquillamente alla luce del sole".
"Certo, certo" acconsentì Molly, ansiosa.
"Ora puoi lasciarmi entrare?".
"Come vuoi. Ma sappi che se tu e il signor
Weasley mi sveglierete di nuovo per le vostre scorribande, vi lascerò a dormire
in corridoio".
Detto questo, finalmente il ritratto si
spostò e Molly poté entrare, con suo sommo sollievo.
La Signora Grassa ancora non lo sapeva, ma
quella non sarebbe stata l’ultima volta che Molly Prewett e Arthur Weasley
disturbavano il suo sonno per le loro "scorribande".
TED E ANDROMEDA
Febbraio 1971
Sala Grande
Hogwarts.
19.30
È sbagliato, lo so. Quando mai una Black è
stata con un Sanguesporco?
Quando mai ha amato un
Sanguesporco?
Non ti dovrei nemmeno guardare, Ted Tonks,
seduto là al tavolo di Tassorosso, a scherzare con i tuoi amici. Eppure non
posso farne a meno.
È sbagliato, lo so. Non dovrei osservarti di
sottecchi.
Ma non posso evitarlo.
Non dovrei pensare a te in ogni momento, alle
tue carezze, ai nostri baci rubati.
Ma non desidero altro.
Non dovrei amarti, Ted Tonks.
Ma voglio farlo.
Vorrei gridarlo al mondo intero, ma già mi
immagino cosa direbbero gli altri, i miei genitori, le mie sorelle se sapessero
che io, Andromeda Black, frequento un Sanguesporco.
Ecco, ti stai alzando, ti dirigi verso
l’uscita. Io aspetto un paio di minuti, poi sotto lo sguardo sbalordito di
Narcissa ti seguo.
È sbagliato, lo so. Questo penso mentre mi
afferri per un braccio, appena fuori dalla Sala grande, e mi trascini dietro una
statua, baciandomi come solo tu sai fare.
Ma se sto sbagliando, allora spero di
continuare a sbagliare per il resto della mia vita.
JAMES E LILY
Giugno 1976
Hogwarts
17.00
Lily camminava tranquillamente per il
corridoio, pensando alle vacanze ormai imminenti, quando la voce dell’essere a
suo avviso più sgradito di tutta Hogwarts la raggiunse alle sue
spalle.
"Evans, ehi Evans!".
Lily si voltò, dipingendosi in volto un
sorriso falso quanto una banconota da cinque galeoni.
"Che vuoi Potter?" chiese in tono frustrato e
rassegnato.
James le si fermò di fronte, ansimando dopo
la corsa per raggiungerla. "Chiederti di venire con me ad Hogsmeade sabato"
disse infine, sicuro e spavaldo.
"Mmmm, fammici pensare: no!". Lily si voltò e
fece per andarsene, ma James la trattene per il polso.
"Ti prego, è l’ultima gita dell’anno. Cosa
devo fare per farmi dire di sì?" la implorò.
Lily finse di pensarci. "Non essere James
Potter. Diventa l’opposto di ciò che sei adesso e allora io uscirò con
te".
"Dici sul serio?" chiese James, illuminandosi
di nuova speranza.
"Sicuro" confermò Lily, sarcastica. Voglio proprio vedere…
"Allora fammi capire: io devo diventare
l’opposto di quello che sono ora?".
Lily annuì.
"E allora tu uscirai con me?".
Altro segno di assenso.
"Allora, Lily Evans, ti giuro che dovessi
morire, diventerò esattamente l’opposto di quello che sono ora e ti
conquisterò".
"Sì, d’accordo" acconsentì Lily, liberandosi
il polso. "Ci si vede, Potter".
"A settembre sarò un uomo nuovo" le promise
James, mentre lei si allontanava. "E allora nemmeno tu potrai dirmi di
no".
L’importante è crederci,
Potter. Questo pensiero scettico attraversò la
mente di Lily, mentre svoltava l’angolo. Solo un miracolo
potrebbe convincermi a dirti di sì…
Non sapeva, la giovane Grifondoro, che quel
miracolo era già cominciato…
REMUS E NINFADORA
(NdA: in questa flash, ho inserito un termine piuttosto
volgare. Chiedo scusa se a qualcuno darà fastidio, ma non ho trovato una parola
migliore)
Novembre 1997
Casa Tonks
18.00
"Mi dispiace".
Come se bastasse per rimettere le cose a
posto, dopo quello che ho fatto. E dal modo in cui mi guardi, capisco che stai
pensando la stessa cosa.
"Mi dispiace" ripeto. Merlino santo, che
parole stupide e prive di senso: non comunicano nemmeno metà di quello che provo
in questo momento.
Mi squadri con freddezza. Tutto sommato è
strano che non mi hai ancora buttato fuori a calci: non mi merito nulla di
meglio.
"Per cosa?" chiedi infine.
"Come?".
"Per cosa ti dispiace, Remus?" specifichi.
"Per aver lasciato me e nostro figlio? O perché sei il più grande, emerito
stronzo mai apparso sul pianeta?".
"Per tutto, Dora" rispondo in tono
mortificato, fissando le piastrelle del pavimento. "Sono stato un
imbecille".
"E dici poco" ribatti in tono asciutto. "Che
cosa sei venuto a fare qui? Io non voglio né vederti né parlarti".
Le tue parole mi feriscono peggio di una
frustata: ti ho persa sul serio questa volta? Alla fine, tutti i miei complessi
e le mie nevrosi ti hanno allontanata da me, proprio quando mi sono reso conto
di voler stare con te?
Bel lavoro, Lupin: hai vinto il nobel per la
stupidità.
Decido di giocare il tutto e per tutto: ormai
sei troppo importante per me.
"Ti prego, Dora, ti supplico, perdonami. Sono
stato uno stupido, codardo egoista. Lo so che non me lo merito, ma ti prego,
perdonami".
Alzo lo sguardo e incontro i tuoi occhi,
fissandoti supplice, mandando al diavolo quel poco di dignità che mi resta: se
sarà necessario, mi metterò anche in ginocchio.
E scorgo il dubbio, mischiato alle lacrime
che stanno per affiorare. "Come faccio a fidarmi?" mormori con un filo di voce.
"Come faccio a sapere che non te ne andrai un’altra volta?".
"Te lo giuro, Dora" prometto, mentre anche i
miei occhi si riempiono di lacrime che nemmeno sapevo più di avere. "Ti amo,
Dora. Dammi l’opportunità di dimostrartelo".
"Pensi sul serio di meritartela, questa
opportunità?".
"No" rispondo sinceramente. "Ma te la chiedo
ugualmente, nella speranza di potermi far perdonare".
Ti mordi il labbro, indecisa: non sai nemmeno
tu cosa fare. Io resto in silenzio, attendendo il tuo giudizio
finale.
Alla fine, dopo il minuto più lungo della mia
vita, sospiri. E poi sorridi, uno di quei sorriso luminosi che tanto
amo.
"E sia" acconsenti. "Anche sforzandomi, non
ce la farei a stare senza di te. Ma sarà la tua ultima occasione".
Rilascio il respiro che ho trattenuto
inconsciamente fino a quel momento e sorrido a mia volta. "Grazie, Dora. Grazie:
ti giuro che stavolta sarò degno del tuo amore".
Il tuo sorriso si fa ancora più largo. "Tu lo
sei sempre stato. Solo, eri troppo zuccone per accorgertene".
BILL E FLEUR
Giugno 1997
Infermiera di Hogwarts
9.00
Madama Chips lo stava decisamente viziando.
Ma d’altronde quella donna era sempre stata così, naturalmente premurosa con
qualunque cosa fosse ferita e/o sofferente.
Questo pensava Bill Weasley quella mattina di
fine giugno, mentre sdraiato sopra un mucchio di cuscini, sfogliava l’ultima
edizione della Gazzetta Del Profeta, che era già infarcita di commenti e frasi
retoriche sulla morte del Preside di Hogwarts.
Con un gesto stizzito, Bill chiuse il
giornale e lo posò sul comodino. I suoi occhi a quel punto caddero sullo
specchietto circolare che Madama Chips doveva aver lasciato lì la sera prima.
Allungò la mano, esitando indeciso un attimo, ma alla fine lo afferrò e se lo
portò davanti al volto. In fondo presto o tardi dovrò
abituarmi alla mia nuova faccia, si disse, studiando il proprio
riflesso. Madama Chips garantiva che le ferite stavano guarendo bene, che nel
giro di pochi giorni sarebbe stato dimesso. Ovvio, non poteva fare nulla per le
cicatrici: nessun incantesimo poteva cancellare le tracce che i Licantropi
lasciano sulle loro vittime. Anche il termine "vittima" suonava un po’ retorico:
in fondo non era diventato un vero lupo mannaro. Anche se nemmeno Remus aveva
saputo dire in che forma si sarebbe manifestato il contagio.
La porta si aprì in quel momento. Bill si
affrettò a posare lo specchietto, mentre Fleur entrava nella stanza, portando un
vassoio con la colazione: l’immagine della moglie perfetta. Si meriterebbe il marito perfetto.
"Comme va-tu?" gli chiese la giovane. "Come
stai? Ti ho portato la colasion".
Bill le sorrise. "Grazie, Fleur, sei molto
gentile".
La francese si sedette sul letto, a fianco a
lui, e rimase a osservarlo mentre cominciava a mangiare. "Come stai?" domandò di
nuovo, dopo qualche istante di silenzio.
"Inizio a mal sopportare la degenza. Non sono
fatto per stare a letto".
"Sci vorranno solo un paio di jorni, encore"
lo rassicurò Fleur. "Sai, ponso di aver finalmente scelto il vestito
perfetto".
"Vestito?".
"Mais oui, pour il matrimonio, no?" disse la
ragazza, ridendo.
Ah, già, il matrimonio. Perché adesso ogni
volta che ci pensava gli si chiudeva lo stomaco per l’angoscia?
"Fleur" cominciò, esitante, "sei sul serio
sicura di quello che stai facendo?".
Le rimase interdetta. "Ma scerto. Il vestito
est absolument…". Poi su bloccò. "Tu non stai parlando del vestito, n’est-ce
pas?".
"No" confermò Bill. "Non parlo del vestito.
Non voglio che tu ti senta costretta a sposarmi…".
"Come puoi ponsarlo?".
Bill si indicò il volto sfigurato con fare
allusivo. "Tu ti meriti di meglio".
Fleur balzò in piedi, stringendo i pugni e
osservandolo furiosa. "Ora, ascoltami bene, Bill Weasley. Non saranno scerto
alcune scicatrisci a impedirmi di sposarti, a-tu compris? Je t’aime. E questo
non potrà combiarlo nulla. Chiaro?".
Bill rimase un attimo spiazzato da quel
discorso infervorato. "Scusami. Pensavo che…".
"Ponsavi male" lo interruppe secca Fleur.
"Ora manjia. Devi rimetterti in forse".
Bill si affrettò a ubbidire, ma dentro di sé
sorrideva.
LYRAPOTTER’S CORNER
Lo so, sono in ritardo, ma per cause estranee
alla mia volontà (leggete influenza dilagante!!!!!). Ora mi sto ripigliando, e
perciò a un giorno dal San Valentino ufficiale, giungo con il mio personale
tributo a tutte le coppie principali della saga. Coppie canon, ovviamente: ero
tentata di inserirne anche alcune fanon (la Severus/Lily e la Dean/Luna mi hanno
sfiorato non poco), ma alla fine ho deciso di attenermi a quanto la Rowling
aveva stabilito. Spero comunque di non aver scontentato nessuno: su otto
flashfic, di certo ce n’è una buona per tutti voi lettori!
So anche che non sono ambientate a San
Valentino, ma ho preferito così, piuttosto che privilegiare una coppia sola,
così siamo tutti contenti (spero!).
Ringrazio Deidara e Pan_Tere94 per le loro recensioni, ovviamente.
Prossimo appuntamento, 01/03, per il compleanno di
Ron.
Buon San Valentino (o buon Faustino se siete
single come la sottoscritta!)!
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Capitolo 6 *** Ron Weasley ***
SPECIAL DAYS
RON WEASLEY
1 marzo 1986
La Tana
11.30
Ronald Weasley adorava il suo compleanno: era
praticamente l’unico giorno dell’anno che fosse tutto dedicato a lui. E detto
tra noi, avendo altri cinque fratelli più grandi e una sorella più piccola,
probabilmente aveva pure ragione. Non è facile essere praticamente l’ultimo
della famiglia.
Per questo, Ron si godeva quel giorno, in cui
si sentiva quasi il re del castello, anche perché sua madre non lo lesinava
certo in attenzioni, anzi, a volte era quasi troppo soffocante: ma a sei anni
sono ben pochi i bambini che si lamentano per questo e Ron non era tra
questi…
Quel particolare compleanno, si era svegliato
quasi al cantar del gallo, era perfino riuscito a salutare suo padre prima che
andasse al lavoro, cosa che non accadeva quasi mai, visto che di solito Arthur
andava in ufficio ben prima che i suoi figli si alzassero.
Molly lo aveva bonariamente rimproverato sul
fatto di essersi svegliato così presto, poi gli aveva preparato una colazione da
re.
Piano, piano poi era stato raggiunto anche
dagli altri ragazzi Weasley. In realtà i due fratelli più grandi erano assenti
Bill e Charlie, infatti, frequentavano già Hogwarts, con un certo sollievo di
Molly Weasley in realtà, che ora che il carico di figli perennemente a casa
stava lentamente diminuendo, poteva ricominciare a respirare. Sarebbe stato
diverso quando anche l’ultimo dei suoi pulcini se ne fosse andato, ma quel
giorno era ancora molto lontano.
Dopo una colazione relativamente tranquilla,
tutti i bambini si erano poi sparsi per la casa, a far qualche danno,
probabilmente.
"Allora, Ron" chiese Molly al figlio, quando
arrivò l’ora di preparare da mangiare, "Che cosa vuoi oggi per
pranzo?".
Il bambino si illuminò. "Arrosto con le
patate" rispose subito. "E la torta di panna e fragole".
"E arrosto sia" approvò Molly. "La torta però
la preparo per la cena, così ci sarà anche tuo padre".
"Ma a noi non piace la torta alle fragole"
protestò Fred.
"Già" gli fece eco George. "Noi vogliamo
quella al cioccolato".
Molly guardò seccata i gemelli. "Ma oggi non
è il vostro compleanno, o sbaglio?".
I due scossero il capo.
"Perciò" continuò decisa Molly. "Oggi decide
Ron cosa mangiare. Tra un mese, quando sarà il vostro compleanno, deciderete
voi".
Ron sorrise compiaciuto, mentre i gemelli
fissarono con astio il fratello più piccolo. Se c’era una cosa che i gemelli non
sopportavano, era lasciare a Ron lo scettro del comando: loro erano più grandi e
come tali avevano diritto di precedenza. Era ora di ricordarlo anche alla
piccola canaglia…
*****
Consumato l’ottimo pranzo di Molly, Ron era
tornato nella sua camera, una delle poche cose che fossero sue e basta, visto
che non la divideva con nessuno. Certo, c’era il piccolo inconveniente di
dormire sotto la soffitta, il regno di un rumoroso e fastidioso spettro, ma a
parte quello, era perfetta.
Si era appena messo comoda e aveva cominciato
a riordinare la sua collezione di figurine di cioccorane, quando sulla soglia
comparvero Fred e George, con dipinto sul volto due identici ghigni, chiaro
segnale di pericolo.
"Allora, Ronnie" esordì Fred.
"Dunque, dunque" fece George.
Ron li fissò guardingo. "Che volete voi
due?". Aveva imparato da tempo a non fidarsi dei gemelli: sapevano essere più
infidi di un cobra, quando volevano. E lui era il loro bersaglio
preferito.
"Oh, ma senti che tono sfacciato,
Fred".
"Già. Dovresti portarci un po’ di rispetto in
più, sai. Siamo i tuoi fratelli maggiori, in fondo".
"Solo di due anni" obiettò Ron.
"Sempre due anni sono. Pensavo l’avessi
capito…".
"Tu qua sei l’ultima ruota del
carro…".
"Se noi decidiamo che qualcosa non va bene,
tu ti adegui. Punto e basta".
"Chiaro il concetto?".
Ron li guardò storto. "Che volete?" ripeté,
deciso a non farsi mettere i piedi in testa.
"Una cosa semplice, semplice" lo rassicurò
Fred.
"Facile, facile" gli fece eco George. "Devi
solo andare di sotto…".
"… E dire alla mamma che hai cambiato idea e
vuoi la torta al cioccolato".
"Ma io voglio la torta con la panna e le
fragole" protestò Ron, balzando in piedi.
Fred e George si scambiarono un’occhiata
accondiscende, sospirarono, poi dissero: "Certo, lo sappiamo. Ma a noi non ci
piace. Noi preferiamo quella al cioccolato".
"E tu ora andrai a dire alla mamma che la
vuoi anche tu".
"Ma non è giusto!".
"Dal tuo punto di vista".
"Dal nostro, è giustissimo. Forza,
muoviti".
Ron strinse i pugni e disse, in tono più
deciso di quanto in realtà si sentisse: "No".
I gemelli fecero una faccia stralunata.
"Prego?".
"Che hai detto?".
"Ho detto no" ripeté Ron in tono più sicuro.
"Oggi è il mio compleanno, decido io. E io voglio la torta alle
fragole".
Per alcuni minuti i gemelli furono troppo
sorpresi per dire alcunché. Non si erano aspettati una forma di resistenza.
Comunque si ripresero in fretta: i loro malvagi cervellini si stavano già
mettendo in moto per raggiungere l’obiettivo per vie trasverse.
"Benissimo" disse Fred.
"Perfetto" concordò George. "In tal caso, ci
costringi a usare le maniere forti".
"Che cosa volete fare?" chiede Ron, di nuovo
intimorito.
"Beh, vediamo". I gemelli si guardarono
intorno e infine posarono il loro sguardo su un vecchio orsacchiotto di peluche.
Veloce come un gatto, Fred lo agguantò, mentre George teneva indietro Ron, che
era scattato in avanti per difendere la sua proprietà.
"Lasciatelo stare" strillò, cercando di
divincolarsi.
"Allora Ronnie" disse Fred, ridacchiando
soddisfatto. "Tu fai quello che ti abbiamo detto e a questa adorabile palla di
pelo non accadrà nulla di spiacevole".
"Come ad esempio, un cambio di colore. A me è
sempre piaciuto il fucsia".
"A pallini gialli".
"Nooo!" protestò Ron. "Non potete
farlo".
"Ma certo che possiamo" gli assicurò
Fred.
"Possiamo e lo faremo. A meno che
tu…".
I due minuti successivi furono davvero
affascinanti per i gemelli: potevano quasi vedere le rotelle nella testa di Ron
girare a doppia velocità, mentre quest’ultimo si affannava in cerca di una
soluzione che gli permettesse di avere sia l’orso che la torta alle fragole.
Evidentemente non ne trovò, perché alla fine abbassò il capo sconfitto,
mormorando: "Vi odio".
"Non sei il solo" disse George, ghignando
soddisfatto.
"Ora muoviti, prima che mamma comincia a
preparare" aggiunse Fred.
Ron si avviò fuori dalla stanza: in quel
momento, se gli sguardi avessero potuto uccidere, di certo Fred e George
sarebbero caduti entrambi stecchiti. Invece i due si limitarono a ridacchiare
tra loro, convinti di aver ristabilito il loro equilibrio. Purtroppo per loro,
si sbagliavano.
*****
Ron aveva deciso di sfogare tutta la sua
frustrazione su un cuscino, immaginandosi che avesse la faccia di Fred e George.
Li odiava, accidenti, se li odiava. Riuscivano sempre ad averla vinta, in
qualche modo. Non era giusto: perché doveva finire sempre secondo? Avrebbe tanto
voluto cancellare dalle loro facce quegli odiosi sorrisetti soddisfatti. Ma
come? Come?
"Ron?". La vocina timida di Ginny interruppe
il suo sfogo rabbioso.
Il bambino si voltò verso la sorellina, che
lo osservava perplessa sulla porta.
"Che c’è?" chiese, più brusco di quanto non
volesse essere: in fondo Ginny non aveva colpe in tutta quella
storia.
"Stai bene?" gli chiese lei, per nulla
intimorita.
"No, non sto bene per niente" sbottò Ron,
dopo alcuni minuti di esitazione.
"Fred e George?" indovinò Ginny con
sagacia.
"Come lo sai?".
"Li ho visti di sotto piuttosto gongolanti"
rispose lei. "E quando loro sono contenti, di solito tu non lo sei. Che cosa
hanno fatto?".
Sospirando, Ron raccontò alla sorellina
quello che era successo. Ginny ascoltò con attenzione e alla fine del resoconto
disse: "Perché non dici tutto alla mamma?".
"Quando mai quei due hanno avuto paura della
mamma?" obiettò Ron.
"Non puoi dargliela sempre vinta" obiettò
Ginny. "Altrimenti non la smetteranno mai!".
"E cosa suggerisci di fare?".
Ginny assunse un’aria cospiratrice. "Di
fargliela pagare".
"Fargliela pagare?" ripeté Ron,
perplesso.
"E cara, anche".
Ron ci pensò sopra: l’idea di Ginny era tanto
pazza da poter perfino funzionare. E dopo tanto tempo, la prospettiva di
vendicarsi di Fred e George lo stuzzicava non poco.
Dal nulla, o così gli parve, un piano
cominciò a germogliare nella sua testa. Oh sì, gliela avrebbe fatta pagare cara,
stavolta!
Tornò a posare lo sguardo Ginny, che lo
fissava a sua volta in attesa di qualche reazione. "Ginny, mi è appena venuta
un’idea".
La bambina sorrise. "Allora sei capace di
pensare. I miracoli accadono!".
Ron le tirò dietro un cuscino. "Spiritosa.
Davvero spiritosa. Comunque, ho bisogno anche del tuo aiuto".
Da divertita, l’espressione di Ginny si fece
improvvisamente attenta.
*****
Era notte fonda, ormai, tutto taceva alla
Tana. Dopo i festeggiamenti, la tradizionale apertura dei regali e una fetta di
squisita, deliziosa torta al cioccolato, i bambini erano crollati addormentati
come mosche, uno dietro l’altro. O almeno così sembrava
Infatti, un paio di birbanti di nostra
conoscenza avevano solo aspettato che i genitori andassero a letto a loro volta
per sgusciare fuori dalle coperte e sgattaiolare di sotto. Il loro scopo,
inutile dirlo, era mangiarsi anche il resto della torta, che era avanzata per un
buon quarto. In fondo aveva faticato parecchio per quel dolce, volevano
goderselo fino in fondo. Ed era consolidata tradizione di casa Weasley che
qualcuno, solitamente proprio i gemelli, consumasse nottetempo gli avanzi dei
dolci preparati con tanto amore da Molly.
Mentre scendevano le scale, Fred incespicò
piuttosto rumorosamente, finendo per terra.
"Shhh" lo rimproverò il fratello sottovoce.
"Vuoi svegliare tutti quanti?".
"Sono inciampato in uno degli stupidissimi
libri di Percy" si giustificò Fred, rialzandosi. "E comunque non mi
preoccuperei: mamma e papà hanno il sonno più pesante di un orso in letargo. E
non è che gli altri mi preoccupino più di tanto…".
"Già" concordò George. "Al massimo possiamo
chiuderlo nel armadio delle scope…".
Fred ridacchiò e fece cenno al fratello di
andare avanti.
Giunsero in cucina senza ulteriori incidenti.
Avanzando a tentoni nel buio, aiutandosi con una sedia, presero la tortiera dove
Molly aveva riposto il dolce, sperando ingenuamente di tenerlo lontano dalle
mani di eventuali ladruncoli.
"Prendi le forchette" ordinò
George.
Mentre Fred obbediva, il bambino scoperchiò
la tortiera e annusò l’invitante profumo di cioccolato che il dolce
emanava.
"Mi sa che non riusciamo a finirla tutta"
osservò Fred, tornando con le forchette. "Stavolta la mamma si è
superata…".
"Io dico che se ci impegniamo, ce la possiamo
fare" garantì George, portandosi alla bocca il primo boccone. "Alla nostra"
aggiunse, a mo’ di brindisi.
"Alla nostra" gli fece eco Fred.
Cominciarono letteralmente a divorare la
povera torta con delle maniere che avrebbero fatto inorridire un gorilla,
cosicché erano oltre la metà quando si resero conto che c’era qualcosa che non
andava.
"Non hai sete?" domandò Fred,
perplesso.
"Stavo per farti la stessa domanda… Non fa
caldo?" chiese ancora George, sventolandosi con la mano e contemporaneamente
ingoiando un altro morso.
"In effetti…". Fred rimase bloccato per mezzo
secondo, prima di balzare in piedi: "Devo bere qualcosa!".
Si precipitò al lavello, mandando giù un
bicchiere d’acqua, poi un secondo, poi un terzo, ma la sete non passava, anzi
sembrava aumentare. Oltretutto, anche la sensazione di calore era ormai
diventata impossibile da ignorare: in verità, entrambi i gemelli aveva
l’impressione che un incendio si stesse propagando della loro bocche al resto
del corpo.
"Oh, Merlino!" esclamò George, nel panico.
"Che ci sta succedendo?".
"La torta deve avere qualcosa di
strano".
"Ma non è possibile. Ne abbiamo mangiato
anche dopo cena. Mamma mia, sto bruciando!".
"Anch’io. Ho questa sete
pazzesca".
"Forse stiamo morendo…".
"Ah, ah, ve l’ho fatta!" esclamò una voce
nell’oscurità.
Subito dopo la luce si accese, lasciando i
gemelli accecati per alcuni istanti. Si voltarono nella direzione da cui
proveniva la voce e videro Ron che lo osservava con un sorriso gongolante, e
dietro di lui Ginny, non meno soddisfatta.
"VOI?!" gridarono in coro i gemelli. "Che
cosa avete fatto?".
"Abbiamo truccato la torta" rispose Ron,
ridacchiando. "Sapevamo che sareste scesi a mangiarla. Così, l’abbiamo spruzzata
con la vostra salsa piccante".
"E dove l’avete presa?" domandò Fred, al
colmo dello stupore.
"Io sapevo dove la tenevate" rispose Ginny,
tranquilla. "Così, ho aspettato di che voi scendevate per la cena e l’ho presa.
Dopo mangiato, io e Ron siamo tornati di sotto e… bim, bum, bam, scherzo pronto
e servito".
"Ma perché?".
"Ve la siete cercata" protestò Ron. "Volevate
la torta al cioccolato, no? Così imparate!". Sottolineò le parole con un deciso
movimento d’assenso.
I gemelli si rivolsero verso al sorellina,
increduli che anche Ginny fosse complice dello scherzo.
Lei si limitò a fare spallucce. "Era giusto
che ricevevate una lezione, finalmente".
Prima che Fred o George potesse dire
qualcosa, un’assonnata e piuttosto adirata Molly comparve in cucina in
vestaglia, tallonata dal marito e da Percy.
"Ma si può sapere che diavolo combinate voi
quattro a quest’ora di notte, in nome di Morgana?" sbraitò.
I gemelli misero subito su un’espressione da
cucciolo ferito. "Mammina" trillarono. "Ginny e Ron ci hanno fatto un
scherzo.
"Sul serio?" esclamò Molly, non riuscendo del
tutto a nascondere la sorpresa, per non dire l’esultanza. Subito dopo riassunse
un contegno severo: "Volevo dire, sul serio? Cosa avete combinato?".
Fred e George raccontarono con dovizia di
particolari l’incidenti, interiormente soddisfati che i fratelli ricevessero una
punizione direttamente dalle alte sfere. Dal canto loro, Ron e Ginny si
limitarono a fissare il pavimento.
"È la verità?" domandò infine Molly, rivolta
ai suoi ultimogeniti. "Perché lo avete fatto?".
"Se lo sono meritato!" gridò Ron, senza
potersi contenere. "Mi hanno costretto a dirti che volevo la torta al
cioccolato!".
"È vero?".
I gemelli scossero energicamente la testa, ma
Ginny intervenne: "Bugiardi! Non gli credere, mamma!".
"Voi siete i bugiardi!" strillò
Fred.
"Bugiardi e cattivi!" fece eco
George.
Ron balzò in avanti e sicuramente se Arthur
non avesse avuto la prontezza in riflessi di bloccarlo, la cosa sarebbe finita
nel sangue. "Cosa facciamo, Molly?" domandò.
"Mamma?" fecero i gemelli in tono
innocente.
"Mamma?" disse Ron supplichevole.
"Mamma?" chiese Ginny, quasi
arrabbiata.
"Mamma?" concluse Percy, curioso.
"Zitti tutti!" gridò la diretta interessata.
"Ginny, Ron, non potete comportarvi in questo modo: siete entrambi in castigo
per una settimana".
I due abbassarono la testa, sconfitti e
delusi, mentre i gemelli esultavano.
"E quanto a voi due" proseguì Molly. "Non ho
prove che quello di cui ci accusano i vostri fratelli sia vero. Ma vi avverto,
un altro incidente del genere…".
"Non accadrà più" giurarono Fred e
George.
"Bene. Adesso a letto, forza!".
Tutti si affrettarono a ubbidire, Ron e Ginny
a capo chino, amareggiati per come si era conclusa quella storia. Non era
giusto: perché erano stati puniti solo loro? La colpa era anche e soprattutto di
Fred e George, perché a loro doveva andare bene anche questa volta.
Tuttavia nelle scale, Molly li bloccò e
sussurrò, in modo che solo loro sentissero: "State tranquilli, troverò qualcosa
da far fare anche a loro. E domani ti preparerò quella torta alle
fragole…".
Sorridendo, li sorpassò, per tornare in
camera.
Ginny e Ron si guardarono, perplessi, poi i
loro volti si distesero in simultanea in un identico ghigno.
"Ottimo lavoro, socia".
"Tutto merito mio, ovviamente" osservò Ginny,
ridacchiando con superiorità.
"Presuntuosa".
"Tonto".
"Antipatica".
"Pesce lesso".
"Vipera".
Ginny gli fece una linguaccia. "’Notte,
fratello".
"’Notte, sorella".
Quella notte, Ron si mise a letto sentendosi
realizzato: una vittoria a metà è pur sempre meglio di nulla, o no?
LYRAPOTTER’S CORNER
Eccoci qua, nuovo personaggio, nuova corsa.
In tutta onestà non era sicura di cosa sarebbe venuta fuori, ma alla fine mi
ritengo abbastanza soddisfatta del risultato ottenuto: mi piace l’idea che una
volta tanto anche Fred e George ricevano una lezione da Ron.
In secondo luogo, una nota importante: prima
che qualcuno mi faccia notare certi errori di grammatica che ho infilato qua e
là, ci tengo a precisare che sono voluti, in fondo sono bambini dagli otto anni
in già, sono giustificati. Perciò non agitatevi, lo so che "a noi non ci piace"
non si dovrebbe dire.
E ora spazio ai ringraziamenti:
Pan_Tere94, prima di tutto
grazie per il tuo commento, mi ha fatto molto piacer. Per quanto riguarda la tua
richiesta, le date di compleanno a cui faccio riferimento le ho salvate su un
documento Word secoli fa, per non rischiare di perderle. Comunque, la maggior
parte le puoi trovare a questo link. In aggiunta a quelle, ci sono
ovviamente le due o tre citate direttamente dei libri, quella di Silente e
quella di Voldemort, che ho preso dal Lexicon. Spero di averti
aiutata.
Alida, grazie
infinite anche a te. Concordo in pieno con quanto hai detto su Lucius e
Narcissa.
Deidara, mio
fedelissimo, dal mio punto di vista te ne sono piaciute cinque su otto, posso
ritenermi soddisfatta. Visto che odi Ron, però non so quanto possa esserti
piaciuta questa shot… No, non puoi essere milanista, io sono interista, anche se
solo per adozione. A presto!!!!!!
Ora vi saluto, ci risentiamo al 10/03 per il
compleanno di Remus.
A presto,
bacibaci!!!!!!!
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Capitolo 7 *** Remus Lupin ***
SPECIAL DAYS
REMUS LUPIN
10 marzo 1997
Grimmauld Place n° 12
20.30
Remus aveva imparato da tempo a odiare il
giorno del suo compleanno. Era dal lontano 1981 che non festeggiava il suo
compleanno in modo felice o anche solo decente. Da quando Lily e James erano
morti, Sirius finito in carcere con le peggiori accuse e i Malandrini erano
morti: dopo di allora era rimasto solo, o perlomeno senza nulla che lo potesse
spingere a festeggiare sul serio. Ormai considerava il 10 marzo alla stregua di
qualunque altro giorno: era di un anno più vecchio e di un passo più vicino alla
tomba, punto. Discorso decisamente cupo per un uomo di nemmeno quarant’anni, ma
la vita gli aveva tolto troppo perché lui non la guardasse in modo tanto cinico.
Si rendeva perfettamente conto di essere
diventato così, freddo e scostante, soprattutto dopo la morte di Sirius, ma
francamente non gliene importava più di tanto. Forse era per questo che aveva
risposto con niente più che grugniti e monosillabi ai vari "Auguri" e "Buon
compleanno" fattigli dai membri dell’Ordine quel giorno.
Sospirò pesantemente, stiracchiandosi sulla
sedia, la testa piena di ricordi: quel giorno spesso era peggio degli altri, era
dura ricordare che un tempo lo aspettava con ansia e ripensare a tutto quello
che aveva perso…
10 marzo 1973
Dormitorio di Grifondoro
Hogwarts
2.30
"AUGURI, REMUS!!!!!!!!".
Remus strillò, aprendo gli occhi di scatto,
quando una valanga umana di circa quaranta chili gli balzò addosso
gridando.
"Ma che ti sei rincretinito del tutto,
Sirius?!" esclamò, arrabbiato all’indirizzo della scimmia ghignante che gli
balzellava sullo sterno. Si passò una mano sulla faccia, cercando di svegliarsi
e in quel momento realizzò che era ancora notte fonda. "Ma che ore
sono?"
"Le due e mezza" rispose Sirius tranquillo,
come se fosse la cosa più naturale del mondo saltare addosso a qualcuno nel bel
mezzo della notte.
"Le due e mezzo? Di notte?!" ripeté Remus,
incredulo. "Che cavolo ci fai sveglio a quest’ora?".
"Volevo essere il primo a farti gli auguri,
no?".
"Gli auguri?".
Sirius lo guardò incredulo. "Ma dai, è il tuo
compleanno, testa di rapa. Da due ore e mezza".
Remus fece un rapido calcolo mentale e si
rese conto che era vero: era già il suo compleanno. Sbuffò. "E non potevi
aspettare un orario più decente per dirmelo?" chiese, lasciando ricadere la
testa sul cuscino.
"Era appunto quello che mi stavo chiedendo
anch’io, Sirius…" fece la voce assonnata e piuttosto irritata di James Potter.
"Solo perché tu soffri d’insonnia, non significa che devi svegliarci
tutti…".
"Sei solo geloso perché non sono saltato
addosso a te" ridacchiò Sirius. "Non preoccuparti, il tuo compleanno è a fine
mese, no?".
"Sì" confermò il ragazzino. "E ti sarei grato
se non mi svegliassi nello stesso modo, altrimenti per il tuo compleanno ti
risveglierai in mezzo al lago".
"Io compio gli anni ad agosto" obiettò
Sirius. "Come conti di fare?".
"In tal caso, basterà tua madre a rovinare la
festa…".
"Sirius, ti spiacerebbe levarti?" intervenne
Remus. "Non per l’altro, il tuo ginocchio ossuto è infilzato nel mio
fegato…".
"Oh, scusami" fece Sirius, in tono per nulla
dispiaciuto, scostandosi, per poi ricadere pesantemente di lato a lui,
sull’angolo di materasso libero.
"Non era esattamente questo che avevo in
mente… No, no, cosa stai facendo?" obiettò il giovane licantropo, vedendo che
l’altro stava infilandosi sotto le coperte.
"Rassegnati" gli consigliò James. "Per oggi,
non te lo levi più di torno".
Remus sbuffò, incontrando il ghigno della
scimmia malefica che dal canto suo stava mettendosi comodo.
"E va bene" sospirò. "Basta che non tiri
calci".
"Auguri, lupacchiotto".
"Sirius" lo avvertì Remus, "se mi chiami
un’altra volta "lupacchiotto", giuro che ti uccido".
In risposta ottenne solo un quieto
russare.
1976
Infermeria
Hogwarts
14.00
Merlino, se hai un po’ di pietà uccidimi!
Remus non ricordava di essere mai stato così male
come quel giorno: a quanto pareva quel mese la sua maledizione aveva deciso di
farlo penare più del solito, era dalla mattina presto che se ne stava in
infermeria sentendosi quasi febbricitante. Non osava nemmeno immaginare come si
sarebbe sentito l’indomani, dopo la trasformazione.
Bel modo di passare il compleanno,
considerò tetro, mentre con la mente correva già a
quella sera quando la luna piena sarebbe stata alta nel cielo.
Fu in quel momento che lo sentì: un cane che
abbaiava.
Sì, certo!, pensò subito dopo. Un cane che abbaia in
un’infermeria! Sono proprio fuso; sveglia,
Remus, che la guerra è finita!
Poi lo udì di nuovo. Beh, non poteva
esserselo immaginato due volte. Sollevò la testa ed eccolo lì: un grosso cane
nero, appollaiato sulla testiera ai piedi del letto, che lo fissava in modo
sorprendentemente… umano.
Prima ancora che il licantropo potesse
registrare appieno quello che aveva davanti, l’animale balzò sul letto, latrando
con fare gioioso e cominciando a leccargli la faccia.
Tutto questo ha qualcosa di orrendamente
famigliare…
"Sirius?" domandò incredulo, fissando il cane
negli occhi. Per un attimo quello sembrò ghignare, poi al posto dell’animale
comparve il suo migliore amico, alias Sirius Black, in tutto il suo
splendore.
Sempre sogghignando, il ragazzo si spostò,
mettendosi in una posizione più dignitosa per le sue nuove sembianze. "Volevo
vedere quanto ci mettevi a capirlo…".
"Ce l’avete fatta?" domandò Remus, senza
ancora riuscire a credere ai proprio occhi. "Ci siete riusciti sul
serio?".
"Beh, mi pare ovvio, no?" ridacchiò Sirius.
"James sta cercando di farsi sparire le corna, ma non dovrebbe essere una cosa
lunga…".
"Le corna?".
"Eh già, il nostro amico fa le cose in
grande: si trasforma in niente po’ po’ di meno che un cervo. Io perlomeno sono
un animale un tantino più discreto…".
"E Peter?".
"Peter ha ancora qualche problemuccio. Nulla
di irrisolvibile. Comunque sospettiamo che lui si trasformi in un
topo…".
Remus rimase alcuni istanti in silenzio,
riflettendo su quanto aveva appena scoperto. Non riusciva a crederci: ci avevano
messo quasi quattro anni, ma alla fine erano riusciti a diventare Animagi sul
serio!
Da sorpreso che era fu fulmineamente preso da
rabbia e timore. "Ma come ti è saltato in mente di andartene in giro in quel
modo? E se ti vedeva qualcuno? Madama Chips è di là nel suo
ufficio…".
Sirius fece un gesto non curante con la mano.
"Oh, non preoccuparti, Remus: ti verranno le rughe a stressarti in questo modo.
Sono stato attento. Piuttosto, hai capito che cosa significa?".
"Sì, che sei uno stramaledetto incosciente…"
cominciò Remus, ma Sirius lo bloccò subito.
"Ma no, il fatto che siamo riusciti a
trasformarci. Certo che per essere un Prefetto secchione a volte sei proprio
lento! Non capisci: ora che ci sappiamo trasformarci, possiamo stare con te
durante la trasformazione. Non è fantastico?".
Lungo silenzio, mentre il sorriso moriva
sulle labbra di Remus. "Sirius" cominciò esitante, "non so se è una buona idea.
Ci avete riflettuto bene? Potrebbe essere pericoloso, potrei farvi del
male…".
"Ah no, non ricominciare" lo bloccò l’altro,
in tono ammonitore. "Non ho passato gli ultimi quattro anni a studiare come un
dannato per nulla. Ne abbiamo già discusso fino allo sfinimento: i Lupi Mannari
non sono pericolosi per gli animali. Ora non possiamo trasformarci in animali,
perciò ti accompagneremo. Punto!".
"Ma…".
"Niente ma, Remus. Dove va un malandrino,
vanno tutti, capito?".
Remus sospirò sconfitto. "Voi siete
matti…".
"E fieri di esserlo" ribadì Sirius. "Ok, ora
è meglio che torni dagli altri. Ci vediamo stasera, ok?".
Remus si limitò ad annuire, per nulla
entusiasta. "Siete sicuri di volerlo fare?".
"Oh, quanto sei noioso. Sì, siamo sicuri e
niente di quello che dirai ci farà cambiare idea. Ah, a proposito, James crede
che dobbiamo trovarci dei soprannomi…".
"Dei soprannomi?".
"Sì. Per i nostri alter ego pelosi. Ma ci
penseremo poi tutti insieme…".
Remus fece un ultimo cenno con la mano prima
di uscire.
Pazzi. Sono tre pazzi. Ma tre pazzi che, gli costava un po’ ammetterlo, gli avevano
appena fatto il regalo più bello del mondo.
1978
Biblioteca
Hogwarts
17.00
Odio Pozioni, pensò Remus in un sospiro frustato. Odio Pozioni, Lumacorno e qualunque cosa che sia connessa a una
delle due!
Fissò di nuovo il libro che aveva davanti,
poi la pergamena ancora tristemente vuota lì a fianco, sperando che gli venisse
un’illuminazione improvvisa su come riempirla, ovviamente senza risultati di
sorta. Avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il muro se questo non avesse
comportato l’istantanea espulsione dalla biblioteca da parte dell’arcigna Madama
Pince per "rumori molesti". Senza contare che dubitava seriamente che sbattere
la testa al muro potesse in qualche modo aiutarlo a finire, o meglio a
cominciare, quel dannatissimo tema.
Odio Pozioni. Le odio, le odio, le
odio!
Tornò senza troppa convinzione a sfogliare il
libro di testo: ormai l’aveva rivoltato da cima a fondo senza trovare nulla che
potesse essergli utile per quanto Lumacorno aveva richiesto.
Ah, è inutile! Prenderò una D e buonanotte!
Chiuse il libro, con un violento schiocco secco
che fece ballare il tavolo e gli guadagnò uno sguardo truce dalla
bibliotecaria.
"Oh, va’ al diavolo, dannata pipistrella!"
borbottò iroso Remus, mentre cominciava a infilare le cose in borsa.
Stava avviandosi verso la porta, quando
qualcuno lo chiamò da dietro. "Ehi, Remus!".
Il ragazzo si voltò. "Che c’è?" chiese in
tono sgarbato: quello stupido tema l’aveva messo proprio di pessimo umore. Ok,
non era mai stato una cima in Pozioni, ma se l’era sempre cavata, a volte per il
rotto della cuffia, ma meglio di niente.
Quando però vide chi l’aveva chiamato si
pentì del tono che aveva usato: Lily Evans lo osservava con espressione stupita,
gli occhi sgranati.
"Ti era caduta la penna…" disse la ragazza,
porgendogli l’oggetto.
"Oh" fece Remus, arrossendo.
"Grazie…".
"Di nulla. A proposito: buon compleanno.
Scusa il ritardo, me ne ero completamente dimenticata…".
"Non fa niente" disse Remus, alzando le
spalle. "I ragazzi se lo dimenticano praticamente ogni anno…".
Lily ridacchiò. "Sì, vabbè, francamente penso
di avere un po’ di cervello in più di quelle due zucche vuote…".
"Non farti sentire da James" si raccomandò il
ragazzo. "Da quando hai cominciato a uscire con lui, se ne va in giro contento
come una pasqua. Non voglio che gli si guasti l’umore…".
"Allora sarà il nostro piccolo segreto"
osservò Lily. "In fondo sono o non sono la tua migliore amica? Se non mi sfogo
con te…".
"Ok, allora lo terrò per me. Ma che non
diventi un’abitudine: non mi piace tenere nascoste le cose agli
altri…".
Lily annuì, poi disse: "Stai bene, Remus? Mi
sembravi piuttosto teso poco fa…".
"Teso mi sembra un eufemismo. Sono stato
maleducato e perciò di chiedo scusa. Comunque, sì sto bene. O meglio, non tanto,
ma non è importante…".
"Lo decido io se è importante o no. Comincia
col dirmi qual è il problema, sì?".
"Solo quello stupido tema di Lumacorno.
Diciamo che non so da che parte girarmi…".
Lily scoppiò a ridere. "Tutto qui? Dal tuo
tono mi aspettavo chissà cosa… Questo lo possiamo risolvere facilmente: a che
serve un’amica brava in Pozione se non la sfrutti nei momenti
giusti?".
"Lily" tentò di obiettare Remus. "Non voglio
approfittarne…".
"Se mi offro io, mica ti approfitti,
no?".
"James non ne sarebbe contento…".
"Se James è geloso come una scimmia non è
colpa nostra. Siamo amici e gli amici si aiutano nel momento del bisogno. James
lo rimetto io al suo posto se solo prova a dirci qualcosa! Dai, andiamo in Sala
Comune".
Lo prese per mano, mentre con fare deciso si
dirigeva fuori. Al contatto, Remus si sentì nuovamente avvampare…
10 marzo 1997
Grimmauld Place n° 12
20.45
"Remus?".
Una voce timida lo richiamò bruscamente dai
suoi ricordi. Lentamente si voltò verso la porta della cucina, trovando
Ninfadora Tonks che lo osservava esitante appoggiata allo stipite.
Come sempre negli ultimi mesi, vedere la
giovane gli provocò una fitta la cuore: i capelli grigio topo, quell’aria triste
e sbattuta… Gli mancava la vecchia Tonks e sapeva bene che era colpa sua se la
ragazza era ridotta in quello stato.
Vecchio, stupido licantropo testone!,
lo rimbeccò una voce nella sua testa, una strana
sovrapposizione di quelle di Sirius e James. Ma
quando la smetterai di farti tutte queste paranoie? Guarda che amare non è mica
un peccato!
Starà meglio senza di me… si disse per auto convincersi.
Sì, si vede proprio quanto sta bene senza di
te!, gli fecero eco le voci.
Perfetto, ora si metteva pure a litigare con
la sua stessa testa, era proprio pronto per il manicomio!
"Ciao, Ninfadora" salutò, ricordandosi della
ragazza ancora piantata sulla porta.
"Tonks, Remus" lo corresse stancamente lei.
"Solo Tonks. Quante volte te lo devo ripetere?".
"Non puoi insegnare a un vecchio cane un
nuovo trucco. Chiamo per nome pure Severus, con cui non ho quello che
propriamente si dice un rapporto idilliaco, non mi sembra giusto usare il
cognome con te…".
Ahi, parole sbagliate, vecchio
scemo!
Comunque, se l’ultima osservazione colpì
Tonks in qualche modo, lei si guardò bene dal darlo a vedere.
"Che fai ancora qui?" domandò Remus, per
sciogliere il silenzio che era piombato all’improvviso. "La riunione è finita da
quasi mezz’ora. Non hai di meglio da fare che stare in questo posto
orribile?".
Tonks si strinse nelle spalle. "Non molto in
verità. Dovrei tornare ad Hogsmeade, ma non ho voglia di litigare con Dawlish su
dove fossi e cosa stessi facendo stasera invece di stare di ronda. Tu piuttosto?
Non dirmi che non hai trovato nessuno migliore della cara prozia Walburga con
cui passare il compleanno?".
Remus sorrise tetro. "Che tu ci creda o no, è
così". Si strinse nelle spalle. "Non che faccia molta differenza, in ogni caso.
Non mi interessa più di tanto…".
"Non ti interessa del tuo compleanno o con
chi lo passi?".
"Entrambe. Anzi, la compagnia di Walburga è
quasi una piacevole differenza rispetto alla solitudine a cui sono
abituato…".
"L’anno scorso non era così cupo, mi pare di
ricordare…" osservò Tonks, sedendosi di fronte a lui.
Remus si rabbuiò. "L’anno scorso…" ripeté,
soprapensiero. L’anno prima, Sirius gli aveva organizzato una sottospecie di
festino: per una sera gli era quasi parso di essere tornato adolescente,
soprattutto quando la mattina successiva aveva dovuto fare da infermiera
all’amico che aveva alzato un po’ troppo il gomito. Ma la lista degli invitati
si era distinta soprattutto per gli assenti quel giorno.
"L’anno scorso era diverso" borbottò a mezza
voce a capo chino. "Era stato Sirius a fare tutto…". Pensare a Sirius era ancora
peggio di una pugnalata in mezzo al cuore.
Tonks assunse un’espressione mortificata.
"Scusa. Non avrei dovuto. Sono stata indelicata. Io sono sempre indelicata.
Indelicata e inappropriata. Lo dovrò far scrivere sul mio
epitaffio…".
Remus sorrise, o almeno ci provò, relegando
il pensiero di Sirius in un angolo della sua mente. "Non devi scusarti. Sono io
a essere troppo sensibile su questo argomento. Non ci badare: sono uno stupido
vecchio sentimentale…".
"Tu non sei vecchio" obiettò Tonks. "Hai solo
37 anni, per Merlino!".
"Fidati, me ne sento addosso molti di più,
fisicamente e psicologicamente…".
"Suppongo che ripeterti che dal mio punto di
vista non è vero non cambia nulla, giusto?".
Remus avvertì subito l’implicito discorso
nascosto dietro quella frase e sospirò frustato: perché ogni volta che era da
solo con lei finivano a quel punto?
"No, non cambia nulla, Tonks" disse a capo
chino.
La ragazza rimase zitta un paio di secondi,
come a voler assimilare quel nuovo rifiuto, poi esclamò: "Ma perché? Perché sei
così dannatamente testardo?".
"Tonks…" tentò di dire Remus, ma lei lo zittì
subito. Era balzata in piedi e lo fissava piena di rabbia e frustrazione.
"Quando lo vorrai capire che a me non importa niente di quello che sei? Quando
capirai che ti amo e che non mi interessa se sei un Lupo Mannaro, un Vampiro,
una Manticora o chissà cos’altro?".
"Tonks, ti ho già detto che…" cominciò Remus
alzandosi a sua volta, ma di nuovo la ragazza lo interruppe.
"Storie!" gridò. "Sono solo storie. Scuse.
Fandonie. Ti stai nascondendo dietro una parete di cristallo, Remus. Lo sai tu e
lo so anch’io. Io ti amo. E so che tu ami me!".
"Ninfadora…".
"Avanti!" lo sfidò lei. "Dimmelo in faccia
che non mi ami. Dimmelo guardandomi negli occhi e giuro che lascerò in
pace".
Quand’è che si era avvicinata così tanto?
Erano troppo vicini, la sua presenza non lo lasciava pensare
liberamente.
"Dora…" cominciò, ma si interruppe subito:
che poteva dirle? Qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca sarebbe stata solo
una misera menzogna. Non era mai stato un granché come bugiardo e quegli occhi
bruciavano come tizzoni ardenti. Distolse lo sguardo, ma riuscì comunque a
vedere con la coda dell’occhio il sorriso soddisfatto e insieme triste di
Tonks.
"Ne ero sicura". Tutto la rabbia sembrava
averla abbandonata veloce come era montata, sostituita dalla famigliare, cupa
rassegnazione. "Perché non accetti i tuoi sentimenti, Remus? Così fai solo del
male a tutti e due…".
"Tonks, io non posso" sospirò lui, senza
guardarla. "Non posso. Ti farei solo del male. Ti meriti qualcuno migliore di
me, qualcuno che possa renderti felice".
"Ma io non voglio uno squallido rimpiazzo.
Sarò felice solo con te…".
"Io non sono l’uomo giusto per te, Dora"
ripeté ostinatamente Remus, stringendo convulsamente i pugni. Non credeva
nemmeno lui a quello che stava dicendo, come poteva crederci lei?
"Ti sbagli" disse infatti. "Ti sbagli e io te
lo dimostrerò, dovessi anche metterci cent’anni".
Detto questo si voltò e uscì rapidamente
dalla stanza. Poco dopo, si udì la porta d’ingresso sbattere con violenza.
Nuovamente solo, Remus si lasciò ricadere sulla sedia, prendendosi la testa tra
le mani. Perché doveva essere così difficile? Perché doveva innamorarsi proprio
di lei? E perché lei non riusciva a capire le sue ragione? Lui voleva solo
proteggerla… Ma come poteva farlo se una parte di lui non desiderava altro che
correre dietro a quella piccola strega e gridarle che aveva
ragione?
Amare non è un peccato, osservarono di nuovo la voce di Sirius e James nella sua
testa.
Nel mio caso sì. Non è giusto condannarla a
una vita di pericoli e rinunce per puro egoismo.
Moony, sei senza speranza! Basta seghe
mentali: corrile dietro e dille la verità, idiota!
Non posso!
Remus scosse il capo. Non poteva e non
l’avrebbe fatto. Era meglio così…
Amare non è peccato, ripeté la voce per la terza volta. Presto o tardi qualcuno riuscirà a fartelo capire!
LYRAPOTTER’S CORNER
Eccomi di nuovo qua, con uno dei personaggi
che più adoro della saga di HP. Dubito che avrò altre occasioni per farlo nel
prossimo futuro, così ho dato sfogo alla mio amore sviscerale per le Remus/Tonks
qui, spero che vi piaccia. Avrei voluto metterci anche un happy ending, ma
purtroppo i tempi non sarebbero collimati con quelli stabiliti dalla Rowling,
mannaggia! Ma ovviamente non potevano mancare i miei adorati malandrini o Lily.
A proposito, ho inserito un velatissimo riferimento a una possibile Remus/Lily
nel terzo flashback, spero non dia fastidio a nessuno, ma non sono riuscita a
farne a meno: pur adorando le Lily/James e le Remus/Tonks, non mi dispiace quel
pairing (sì lo so, sono la coerenza fatta persona!).
Ah, magari qualcuno non lo sa, Walburga è il
nome della madre di Sirius.
Grazie a chi ha commentato lo scorso
capitolo, ovvero:
Deidara
Pan_Tere94
Le vostre recensioni mi illuminano la
giornata!
Prossimo appuntamento, 19/03, festa del papà con
altra serie di flashfic.
See you soon, kiss!
J
|
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Capitolo 8 *** Festa del papà ***
SPECIAL
DAYS
FESTA DEL PAPÀ
E' davvero un buon padre quello che conosce
suo figlio.
William Shakespeare
LUCIUS MALFOY
Agosto 1986
Malfoy Manor
16.00
Lucius Malfoy sedeva nel suo studio
sfogliando distrattamente un libro quando sentì grida adirate provenire da
qualche parte nel giardino della villa.
"Draco, in nome di Merlino, dove diamine ti
sei cacciato?".
Lucius si affacciò alla finestra e riconobbe
la loro tata che si aggirava con fare disperato per il parco, in evidente
ricerca di qualcosa. E a giudicare dai suoi strilli, quel qualcosa doveva essere
il rampollo ed erede della Casata dei Malfoy.
Per un attimo Lucius fu tentato di tornarsene
ai suoi affari e lasciare che se la sbrigassero le donne, poi realizzò che con
quel baccano non sarebbe riuscito a combinare nulla, così si alzò e si diresse
fuori.
Giunto nel enorme giardino della villa, si
rivolse alla tata, piuttosto seccato. "Si può sapere cos’è tutto questo chiasso,
signorina?".
La giovane arrossì, vistosamente a disagio in
presenza di Lucius. Del resto da che era in servizio presso di loro, Malfoy
senior le aveva rivolto sì e no tre parole: era Narcissa a occuparsi di quelle
faccende.
"Perdonatemi, signor Malfoy" balbettò a capo
chino. "Mi sono distratta un attimo e Draco è scappato. Deve essersi nascosto
qui in giro". Tornò a guardarsi intorno, quasi aspettandosi che il bambino
sbucasse fuori all’improvviso. "Sono desolata di avervi disturbato,
signore…".
"Sì, ho capito" la interruppe secco Lucius.
"Torni dentro, me ne occupo io".
La tata parve ancora più spiazzata da quel
nuovo dispiegarsi di eventi: per alcuni istanti rimase paralizzata sul posto,
mentre Lucius la fissava interrogativo, poi si affrettò a chinare il capo e
filare in casa.
Lucius si guardò intorno. Dove diavolo si era
andato a nascondere quel piccolo birbante? E già che c’era, perché aveva
congedato la tata ed aveva deciso di cercarlo lui stesso? Non era da lui. E non
era nemmeno molto decoroso che un uomo della sua levatura si mettesse a
scorazzare nel parco a cercare un bambino di sei anni, a dirla
tutta…
Prima c’è la sbrighiamo, prima tornò nel mio
studio. Estrasse la bacchetta e con pochi semplici
incantesimi rintracciò il piccolo Draco, rannicchiato dietro un grosso cespuglio
di ortensie.
Sarebbe dovuto andare dalla tata e dirle di
averlo trovato, e invece si diresse lui stesso a stanare la piccola
peste.
Draco sembrò ancora più sorpreso della balia
quando si trovò davanti il volto severo del padre.
"Padre!" esclamò il bambino, balzando in
piedi come se si fosse scottato.
"Allora Draco?" esordì Lucius. "Che stai
facendo?".
"Io… io…" balbettò il bambino, preoccupato.
"Mi nascondevo, padre".
"E perché lo facevi?".
Draco sembrava in preda a un grande conflitto
interiore: lo guardava come se non sapesse decidere se poteva parlare o no,
conscio che alla fine avrebbe dovuto comunque rispondere. Lucius lo osservava
con fare interrogativo.
"Io… io mi annoiavo, padre" esalò infine.
"Non c’è mai nulla da fare…".
Quelle parole colpirono Lucius più di quanto
si aspettasse. In un flash, ricordò di un altro bambino di sei anni che si
annoiava terribilmente da solo tutto il giorno in una grande casa
vuota.
"Draco" esordì, mentre il bambino abbassava
il capo, pronto a un rimprovero. "Ti andrebbe di andare giù al campo da
Quidditch e fare un voletto?".
"Sul serio, padre?". Gli occhi di Draco si
era accessi di gioia mal celata.
"Certamente. Credo che per oggi ne ho avuto
abbastanza di lavorare".
XENOFILIUS LOVEGOOD
28 dicembre 1997
Casa Lovegood
Ottery St Catchpole.
15.00
Luna. La sua piccola Luna. Sparita, forse per
sempre. Chissà cosa le avrebbero fatto quei Mangiamorte. O cosa le avevano già
fatto…
Gliela avevano portata via. Via, chissà dove,
per quello che aveva scritto. Gliela avevano fatta pagare per aver supportato
Harry Potter nella sua rivista. E ora rischiava di perdere la sua unica
figlia…
Che cosa poteva fare? Doveva esserci un modo
per riavere Luna indietro. Trovarlo sarebbe stato un altro paio di maniche
però…
Xeno osservò la vecchia e sgangherata
macchina da stampa che lavorava in mezzo alla stanza, sputando l’ultima edizione
del Cavillo, sui cui spiccava il titolo Indesiderato N° 1. Non era
molto, ma poteva essere un inizio. I Mangiamorte che erano venuti a fargli
visita erano stati chiari su questo punto: doveva cambiare velocemente i toni,
se non voleva che a sua figlia succedesse qualcosa di "spiacevole", così avevano
detto.
Il messaggio era stato anche troppo
chiaro.
In quel momento si era sentito attanagliare
il cuore dal puro terrore: non poteva perdere Luna come aveva perso sua moglie.
Non poteva lasciarla morire così: avrebbe fatto tutto quello che era necessario
per salvarla. Per Merlino, avrebbe perfino fatto un patto col diavolo se fosse
servito.
Ma lui non aveva nulla, nulla con cui
contrattare la liberazione della sua bambina. Poteva solo mantenere un profilo
basso, attenersi a quanto gli veniva ordinato e sperare che fosse
sufficiente…
In quel momento suonarono al campanello.
Quando andò ad aprire, quasi gli venne un colpo: Harry Potter se ne stava sulla
soglia di casa sua, gli chiedeva di parlare con lui.
Un’idea ignobile, vergognosa gli si affacciò
alla mente. Si sentì disgustato con sé stesso, mentre lasciava che Harry e i
suoi due amici entrassero in casa: voleva sul serio venderlo al suo peggior
nemico? Al loro peggior nemico? Come poteva farlo?
Ma poi l’immagine di Luna sola, indifesa,
prigioniera da qualche parte fece capolino nella sua mente.
Qualunque cosa pur di salvarla. Tutto quello
che era necessario, anche il più vile dei tradimenti…
JAMES POTTER
Ottobre 1979
Godric’s Hollow
18.00
Sono incinta.
James Potter non aveva mai creduto che due
semplici parole potessero avere il potere di sconvolgerlo fino a quel punto.
Fatto sta che quando sua moglie gli aveva comunicato che di lì a nove mesi
sarebbe diventato padre, aveva seriamente creduto che gli sarebbe venuto un
ictus. Buon Merlino, non aveva nemmeno vent’anni, era sposato da neanche tre
mesi e già stava per avere un figlio. Questo era stato in linee generali quello
che aveva pensato, poi il suo salotto gli sembrato troppo piccolo e soffocante e
praticamente era scappato fuori come se lo inseguisse il diavolo in persona. Si
era poi precipitato a casa del suo migliore amico e gli aveva raccontato tutto.
Ora si stava rendendo velocemente conto che probabilmente Sirius Black era la
persona più sbagliata a cui chiedere consiglio in quel frangente…
"Allora, Prongs" esordì il giovane, porgendo
all’amico una bottiglia di Whisky Incendiario, "e poi che è
successo?".
"Che è successo? Sono scappato".
"SEI SCAPPATO?!". Sirius lo guardò senza
osare credere a quelle parole. "Senza dire niente a quella povera disgraziata
che ha avuto la malaugurata idea di sposarti?".
"Guarda che ha pure un nome,
Padfoot".
"Sì, lo so. Allora?".
James scosse tristemente il capo. "Ero nel
panico…" borbottò, rendendosi conto della cavolata che aveva
fatto.
Lily starà già preparando una bambolina vodoo
con la mia faccia…
"Hai fatto una cagata, James, lasciatelo
dire…" osservò Sirius bevendo un sorso di whisky.
"Ti riferisci al fatto che ho messo Lily
incinta o al fatto che sono scappato?".
"Ma come faccio a essere amico di un tale
deficiente! Ma al fatto che sei scappato, testa di pigna!".
"Beh, considerato che sei tu…" brontolò
James. Tacque un secondo, poi chiese: "Che faccio adesso, Sirius?".
"Bene, ascolta, mio giovane apprendista, ti
dico io cosa fare. Ma siccome sei lento, ti ci faccio arrivare per gradi. Tu ami
Lily?".
"Più della mia stessa vita".
"Vuoi stare con lei?".
"Idem come sopra".
"Allora torna a casa strisciando sulle
ginocchia, chiedi scusa per la tua orribile reazione e preparati
psicologicamente a diventare responsabile di un’altra creatura
vivente".
"La fai facile tu".
"È facile, Prongs. È la cosa più facile di
questo mondo. Scommetto che di qui a dieci mesi, verrai da me urlando di amare
tuo figlio più dell’aria che respiri".
James guardò il suo migliore amico sbalordito
da tanta profondità. Lui ridacchiò. "Oh, sì, da me non te l’aspettavi, vero? Che
ci fai ancora qui? Fila da Lily, di corsa!".
"Grazie, Sirius" mormorò James, mentre si
affrettava verso la porta.
"Ah, Prongs!" urlò l’Animagus, quando l’amico
fu già sulla soglia. "Congratulazioni, eh!".
James gli rivolse il più luminoso dei
sorrisi.
REMUS LUPIN
Maggio 1998
Casa Tonks
15.00
Non lo volevi neppure quel bambino, ti
ricordi Remus?
Era per lui che te ne sei andato, per lui che
hai lasciato tua moglie, per lui che hai quasi mandato all’aria la cosa più
bella della tua vita. Incredibile quanto può sconvolgere l’animo di un uomo un
semplice bambino. Nel male e nel bene. Perché adesso quello stesso bambino è
diventato la ragione stessa della tua vita, Remus. Non credevi nemmeno fosse
possibile amare tanto un altro essere umano…
Tutto questo pensi mentre osservi tuo figlio
dormire placido nella sua culla, senza riuscire ad allontanarti… Te ne stai per
andare Remus, stai andando ad Hogwarts, sai che è lì il tuo posto, ma allo
stesso tempo non vorresti andartene, non vuoi di nuovo mettere in gioco la tua
vita proprio ora che sta prendendo una direzione giusta. Ma andrai ugualmente,
perché non ti sentiresti a posto con la coscienza sapendo che i tuoi amici
stanno combattendo, che Harry sta combattendo…
Ti allontani dalla culla, Dora ti osserva
sulla soglia, ti implora con lo sguardo di non andare, anche se non lo dice
apertamente: anche lei sa che non sarebbe giusto…
"Tornerò presto" prometti, abbracciandola.
Bugiardo dicono i suoi occhi. "Stai
attento".
"Sempre".
"Prendi questa" ti dice, porgendoti una foto
di vostro figlio. Gliela scattata proprio tu due giorni prima. "Così ti
ricorderai perché devi tornare".
La prendi senza fiatare e la infili in tasca.
Non avete altro da dirvi: sai che lei resterà lì, al sicuro, con il vostro
piccolo Teddy. Le dai un ultimo bacio, che speri possa durare in eterno. Sulla
soglia ti volti un’ultima volta, osservando di nuovo il bambino addormentato,
ignaro di tutto… Ignaro che una battaglia quella notte avrebbe deciso il destino
suo e dei suoi genitori… Ignaro che la mattina successiva non avrebbe più avuto
un uomo da chiamare papà…
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora, questo capitolo lo dedico ovviamente
a tutti i papà del mondo, con un particolare riguardo al mio, anche se non sa
nemmeno dell’esistenza di questa fanfiction e non leggerà mai questa dedica:
papà, ti voglio bene!
Detto questo, lo so, sono un po’ pochine e lo
so, manca vistosamente Arthur, il padre per antonomasia di tutta la saga: mi
sono scervellata per giorni in cerca di un tema adatto per lui e, incredibile a
dirsi, non mi è venuta in mente una beneamata mazza! Perciò, per il momento vi
lascio con Lucius, Xeno, James e Remus, se in futuro mi verrà in mente qualcosa,
modificherò il testo e vi avviserò.
Ovviamente grazie di cuore a:
Pan_Tere94
Deidara
Mizar
per i loro commenti: siete
dolcissimi!
Vi lascio con il prossimo appuntamento,
27/03, compleanno di James. A proposito, siccome non ho ancora la più pallida
idea su cosa scriverlo, i suggerimenti sarebbero beneaccetti e
graditi.
See you soon!
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Capitolo 9 *** James Potter ***
SPECIAL
DAYS
JAMES POTTER
27 marzo 1972
Hogwarts
16.00
James Potter si aggirava per un corridoio del
terzo piano, in evidente cerca di qualcosa. O meglio qualcuno: per essere più
esatti, cercava un’adorabile ragazzina di dodici anni, dai brillanti occhi verdi
e i capelli rosso fiamma, una creatura tanto meravigliosa quanto insopportabile.
E James traeva un certo perverso piacere nel renderle la vita impossibile. Quasi
quanto a lei piaceva mandarlo a quel paese.
Infine la individuò, che camminava
tranquilla, i libri sotto braccio: sola e indifesa, la vittima
perfetta.
"Ehi, Evans" strillò James, per attirare la
sua attenzione.
Lily si voltò per vedere che l’avesse
chiamata: appena riconobbe James, affrettò il passo per allontanarsi.
Puoi scappare, Evans, ma non puoi
sfuggirmi.
Infatti tre secondi netti dopo, le si parò
davanti, bloccandole la strada. "Ciao, Evans, non mi hai sentito?" chiese, in
tono scanzonato, con un ghigno divertito.
Lei gli rivolse un’occhiata che avrebbe
piegato una statua. "Sì che ti ho sentito, Potter. Ed è per questo che me stavo
andando il più lontano possibile da te…".
"Oh, Evans, così ferisci i miei sentimenti.
Oggi è pure il mio compleanno, non vuoi farmi gli auguri?".
"Certo che no. Anzi, spero sul serio che ti
strozzi con la torta!".
James le rivolse un’occhiata triste,
fingendosi dispiaciuto. "Sei cattiva, Evans, cattiva e crudele. Guarda che se
vai avanti così, diventerai una vecchia acida zitella amante di
gatti…".
Lily lo incenerì. "Ma è mai possibile che tu
non abbia nulla di meglio che dare fastidio a me?".
"Sinceramente no. Non c’è nulla di più
divertente che farti arrabbiare…".
"Ti odio, Potter" gridò Lily, con rabbia.
"Perché non mi fai un favore e mi stai alla larga per i prossimo sei anni e
mezzo?".
"Non posso, Evans" rispose James. "Vedi, noi
de siamo come le due parti di un magnete: ci attraiamo a vicenda".
"Te lo sogni che io possa mai essere attratta
da te, Potter…".
"Perché non mi dai un bacio?".
Lily lo fissò stranita e sorpresa. "E questo
che diamine c’entra, scusa?".
"Un bacio di compleanno, no? A Remus l’hai
dato…".
"Remus è amico mio. Tu invece… beh, diciamo
che preferirei baciare Thor piuttosto che te…".
"Avanti, Evans, uno solo!".
"Scordatelo, Potter. Non ti bacerei nemmeno
se fossi l’ultimo uomo su un’isola deserta. E ora se non ti dispiace…" e lo
sorpassò, procedendo veloce sul corridoio, ma non abbastanza per non udire le
ultime parole di James: "Te lo strapperò un bacio, Evans. Anche a costo di
chiedertelo ogni compleanno da qui all’eternità!".
1974
Hogwarts
13.30
"Avanti, Evans".
"No".
"Uno solo".
"Ti ho detto di no!".
"Ti scongiuro".
"NO! NO! NO! In quante lingue te lo devo
dire?". Lily si voltò verso quello che ormai considerava la sua pena infernale
personale, che la osservava con gli occhi luccicanti e il solito, irritante
sorriso sornione.
"Puoi ripetermelo anche all’infinito" le
rispose James. "Ma io continuerei a chiedertelo comunque… non sono bravo a
recepire i messaggi…".
"L’ho notato, visto che sono due anni che me
lo chiedi e io ti rispondo di no!".
"Ma in fondo che ti costa: è solo un
minuscolo, insignificante bacetto per il mio compleanno, uffa!".
"Leggi attentamente il labiale, Potter"
sillabò Lily. "Io non ti bacerò mai. MAI, comprendi. Perciò smettila di
tormentarmi!".
Si allontanò, in uno sventolio di capelli
ramati, per andare ad accostarsi a Severus Piton, che l’aspettava
all’angolo.
La bocca di James si storse in una smorfia di
rabbia, nel vederli allontanarsi insieme, mentre il suo stomaco si contraeva.
Che diavolo ha Mocciosus che io non
ho?
Una mano gli si posò sulla spalla. "Due di
picche?" chiese, con una flessione leggermente ironica, la voce di Sirius
Black.
James annuì, con fare tetro. "Ma presto o
tardi la convincerò… o la prenderò per sfinimento: a me andrebbe bene lo
stesso!"
Sirius ridacchiò. "Lo sai, devo ancora
capirlo: perché ti incaponisci tanto con la Evans? Nemmeno ti
piace…".
"Non lo so, ormai è diventata una questione
di principio, non so se mi spiego".
"Forse ha ragione Remus a dire che combatti
una battaglia persa…".
"Forse…". James rifletté un istante, poi
disse: "Penso che andrò a cercare Piton e lo trasfigurerò in un rospo
verrucoso…".
Non sapeva perché, ma la vista di Piton e
Lily insieme gli aveva dato molto fastidio, una strana stretta allo stomaco.
Subito dopo gli era montata la voglia di fare a Mocciosus più male possibile.
Beh, in fondo oggi non gli ho ancora fatto nulla,
si disse. Ma non ci credeva molto nemmeno lui…
1975
Dormitorio di Grifondoro
Hogwarts
11.00
James osservava il parco tiepidamente
illuminato da un timido sole primaverile. Stranamente il suo solito sorriso non
balenava sul suo volto, anzi la sua espressione era insolitamente seria e
pensierosa: osservava le fronde lontane della Foresta Proibita, quasi sperasse
che gli dessero la risposta di qualche arcano quesito.
Non si era mai sentito così prima di allora,
meno che mai il giorno del suo compleanno. Era confuso, e tutto per colpa di una
ragazza… Una bellissima, stupenda ragazza,
aggiunse una voce nella sua testa. Una ragazza che mi
considera alla stregua di un lumacone delle paludi, pensò subito
dopo.
Come se l’avesse evocata con la forza del
pensiero, Lily Evans comparve improvvisamente nel suo raggio visivo: passeggiava
nel parco con alcune sue amiche. Anche a quella distanza, la sua chioma rossa
era inconfondibile per James. Il ragazzo rispose a un impulso più forte di lui.
Si levò in piedi e gridò, con la voce amplificata da un incantesimo:
"EVANS!!!!!".
Lily si guardò in giro per alcuni minuti,
prima di individuare la fonte dell’urlo. La vide alzare le braccia al cielo, in
un gesto di disperato sconforto. "Ehi, Evans, tu mi devi ancora un bacio!"
continuò James.
Lily lo ignorò, gli fece un gesto con la mano
che voleva dire "va all’inferno, Potter" e si incamminò quasi di corsa in
direzione del lago, seguita dalle sue amiche.
James si riabbandonò sulla sedia con un
sospiro depresso.
"Ehi, amico!". La voce, gioviale come sempre,
di Sirius, annunciò il suo ingresso nel dormitorio. "Ho preso accordi con gli
Elfi: ci porteranno la supertorta tra un paio d’ore. Stasera sarà baldoria
grande… Ma che hai da fare quella faccia da funerale?".
"Sirius" cominciò James, in tono depresso.
"Credo di avere un problema. Un problema bello grosso".
Sirius lo osservò in silenzio un paio di
secondi, poi disse: "Aspetta qui, vado a prendere lo specialista…".
James rimase immobile senza capire, almeno
finché l’amico non ricomparve, con Remus caricato in spalla modello sacco di
patate. "Sirius, si può sapere che diamine stai facendo?" strillava il
licantropo, scalciando.
Senza troppo cerimonie, Sirius lo scaricò a
terra di sedere, davanti a uno sbalordito James. "Lui ha un problema. Io di
queste cose non sono pratico: pensaci tu!".
Remus si rialzò, borbottando qualcosa come "e
non potevi dirlo subito?", poi si rivolse all’amico in difficoltà: "Che
succede?".
"Credo di essermi innamorato…" mormorò James
in un sussurro appena udibile.
La reazione dei due Malandrini fu impagabile:
Remus aprì la bocca talmente tanto che la mascella quasi gli si staccò dal resto
della faccia, mentre Sirius cascò a terra, rischiando di soffocarsi con la sua
stessa saliva.
"Ecco, lo sapevo che facevo meglio a stare
zitto!" si lamentò James, incrociando le braccia e mettendosi a fissare il
pavimento.
Dopo alcuni istanti, Remus si riprese e
chiese: "E, ehm, di chi saresti innamorato?".
"Riderete".
"Non che non lo faremo" gli garantì
Remus.
"Tu no. Ma quella sottospecie di iena lo farà
di certo…".
Sirius lo fissò offeso. "Ma per chi mi hai
preso? Sono tuo amico, non potrei mai ridere delle tue sofferenze!".
James gli rivolse un’occhiata scettica, poi
disse, in un mormorio appena udibile: "Lily Evans".
"Non scusa, puoi ripetere?" chiese Sirius,
sturandosi un orecchio. "Perché devo aver capito male: hai detto sul serio Lily
Evans?".
"Sì, l’ho fatto".
Il volto di Sirius si contrasse in una
smorfia, il ragazzo resistette tre secondi, poi scoppiò a ridere senza
ritegno.
"Sirius, hai la stessa sensibilità di un
paracarro da 25 tonnellate" lo rimproverò Remus, scandalizzato.
"Ma andiamo, Rem" biascicò Sirius, tra le
risate, tenendosi la pancia. "Riflettici un secondo: James si è innamorato
del’unica ragazza di tutta la scuola che non gliela darà nemmeno ubriaca e sotto
tortura. È una cosa troppo assurda!" e tornò a ridere.
"Grazie, Sirius. Il tuo intervento è stato
davvero confortante" disse James sarcastico. Vatti a
fidare degli amici!
1977
Hogwarts
15.00
"POTTER!!!!".
La delicata, soave voce di Lily Evans risuonò
per tutto il castello, rischiando di farne crollare le millenarie pareti. La
ragazza si aggirava per il corridoio, simile a una tigre infuriata e pericolosa
quasi altrettanto, se non addirittura di più. E difatti ogni singolo studente
che avesse incrociato il suo cammino quel pomeriggio aveva fatto rapidamente
dietrofront per allontanarsi da lei il più possibile. Tutti, tranne l’oggetto
della sua furia assassina.
James Potter si girò con il suo solito
sorrisetto sornione e un po’ arrogante, che faceva sciogliere le ragazze.
"Evans, mio dolce e imperituro amore" la salutò, in tono vagamente canzonatorio.
"Cosa posso fare per te in questa splendida giornata?".
"Che la peste ti colga, Potter! E che tu
possa morire tra i più atroci tormenti!".
"Oh, non sei molto gentile" considerò James,
con espressione ferita. "Cosa posso averti fatto per meritare questo
trattamento, mia adorata colombella?".
"Allora, primo" lo aggredì Lily, contando con
le dita. "Smettila di chiamarmi con quegli stupidi diminutivi: io non sono il
tuo amore, né tanto meno la tua colombella. Secondo, togliti quell’espressione
ebete dalla faccia. Terzo, hai pure il coraggio di chiedermi cosa hai fatto?
Quei ragazzi dovranno stare in infermeria per tre giorni a causa del tuo scherzo
idiota!".
"Andiamo, era solo uno scherzetto innocente…"
si difese James.
Lily lo incenerì con lo sguardo. "È proprio
questo il tuo problema, Potter: per te è sempre tutto innocente! Ma quando ti
deciderai a crescere e a non comportarti più come un bambino di quattro anni!
Hai diciassette anni, Merlino santissimo: non credi sia ora di comportarsi di
conseguenza?".
James aprì e chiuse la bocca un paio di
volte, simile a un pesce, senza sapere cosa dire. Poi la sua indole ebbe di
nuovo la meglio e ben consapevole che si sarebbe guadagnato solo un’altra dose
di insulti, disse: "Parlando di anni, lo sai che giorno è oggi? Io aspetto
ancora il mio bacio di compleanno…".
Fu il turno di Lily di apparire stupita. "Ma
hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto, Potter?". Scosse il
capo, con aria rassegnata. "Non capirai mai, vero? Hai la testa più dura del
marmo, ecco la verità. Ascolta il mio consiglio: matura un po’,
Potter".
Fece per andarsene, ma James l’apostrofò di
nuovo: "Non mi hai risposto…".
"La vuoi sul serio la mia risposta, Potter?".
E si allontanò senza dire altro.
James rimase a guardarla sparire dietro un
angolo, con le sue parole che gli rimbombavano in testa. Matura un po’,
Potter… Matura un po’, Potter… Matura un po’, Potter…
1979
Casa Potter
Godric’s Hollow
Un raggio di sole filtrò attraverso la tenda,
centrando in pieno il viso del giovane addormentato, che si svegliò con una
smorfia infastidita e uno sbadiglio.
Buon compleanno a me, si disse James, tirandosi e sedere e stiracchiandosi, rivolgendo
una fugace occhiata alla sveglia. Le 9.00, ora di alzarsi.
Piuttosto di malavoglia, in realtà, James
sgusciò fuori dal letto, inforcò gli occhiali, si infilò le pantofole e in
maniche di camicia si avviò al piano di sotto, mentre ogni singolo neurone del
suo cervello invocava a gran voce un super concentrato di caffeina.
Era talmente concentrato su questo desiderio
che in un primo momento credette di immaginarsi il buon profumo che proveniva
dalla cucina: profumo di caffè appena fatto, biscotti e uova e pancetta, una
cosa praticamente sconosciuta nella casa di un diciannovenne scapolo.
Quando giunse sulla soglia, però dovette
ricredersi o per meglio dire, credere di essere approdato direttamente in
paradiso: una bella e giovane donna spignattava ai fornelli, i lunghi capelli
rossi raccolti in una coda alta e un grembiule stretto intorno ai
fianchi.
"Sogno o son desto?" domandò, incredulo. "A
cosa devo questa celestiale visione?".
Lily si voltò verso di lui con un luminoso
sorriso. "Buongiorno, amore!" lo accolse. "Stavo cominciando a temere che non ti
saresti mai svegliato…".
"Ehi, ho bisogno di dormire per mantenere
intatta la mia bellezza".
"Già. Credo che lo scopo sarebbe raggiunto
più facilmente con una dieta più equilibrata di takeaway e hamburger. Perciò ti
ho preparato la colazione" e indicò con fare allusivo i fornelli e la tavola già
apparecchiata.
"Lily, credo seriamente di essermi innamorato
di te".
La ragazza rise. "E dove sarebbe la
novità?".
"Stavolta te lo dico con il
cuore…".
"O con lo stomaco. Avanti siediti: le uova
saranno pronte tra poco".
James ubbidì. Mentre aspettava che Lily
finisse di cuocere la colazione, si incantò a fissare con fare pensoso il
cartone del succo di mela, come se quest’ultimo gli stesse suggerendo la
risposta a tutti i suoi dilemmi. Poi senza il minimo preavviso, disse: "Lily,
vuoi sposarmi?".
SGLANK!
La padella con tutte le uova sfuggì delle
mani di Lily e finì dritta sul pavimento. "Cosa hai detto?" esalò la ragazza, in
un sussurro strozzato, fissando stralunata il fidanzato.
"Vuoi sposarmi?" ripeté senza indugio
James.
"Ma… ma sei sicuro?".
"Sai, mi sono appena reso conto di quanto sia
bello averti per casa già di prima mattina e vederti spignattare ai fornelli. E
voglio poter avere questa celestiale visione ogni singolo giorno della mia vita,
ho già perso anche troppo tempo. Allora, vuoi sposarmi?".
Lily rimase in silenzio ancora alcuni minuti,
poi gli saltò letteralmente tra le braccia, ridendo e piangendo allo stesso
tempo.
"Posso prenderlo per un sì?".
"Certo. Sì, sì, sì che ti sposo!" gridò
Lily.
I due rimasero per alcuni istanti immobili.
Quando si separarono, James fissò la sua futura moglie negli occhi e le chiese:
"Ora posso farti un’ultima domanda? Me lo dai quel bacio di
compleanno?".
Lily rise, prendendogli il volto tra le mani,
baciandolo con passione.
LYRAPOTTER’S CORNER
Alla fine l’ispirazione mi è venuta, visto?
Spero che i miei sforzi non siano stati vani e che questo capitolo vi sia
piaciuto. Io da parte mia, sono sinceramente contenta che con James abbiamo
finalmente archiviato l’era dei Malandrini, almeno per un po’: per carità mi
piacciono molto, ma ormai era davvero a corto di idee per loro, contando anche
il fatto che erano uno dietro l’altro. Fortuna che il compleanno di Sirius non
ci è concesso di conoscerlo…
Grazie infinite a
Pan_Tere94
Dogma
Deidara
HermioneForever92
Sono davvero felice che le mie flashfic
abbiano successo.
Ora passiamo alla nota dolente, in linea di
principio il prossimo aggiornamento dovrebbe essere per il compleanno di Fred e
George, il 01/04. Purtroppo in quei giorni sarò in
gita a Weimar, perciò non so se riuscirò ad aggiornare. Se riesco a finirlo in
tempo e a corrompere mia sorella perché lo pubblichi al mio posto, bene, in caso
contrario ci si sente quando torno, al 05/04 o al
06/04 .
Commentate numerosi,
bacibaci!!!!!!
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Capitolo 10 *** Fred e George Weasley ***
SPECIAL
DAYS
FRED E GEORGE WEASLEY
1 aprile 1995
Hogwarts
14.00
"Questo sarà il migliore scherzo nella storia
di Hogwarts!".
"Oh, no, Fred, sarà perfino meglio: il
migliore scherzo della storia dei migliori scherzi!".
Due ghigni identici si allargarono sui volti
di Fred e George Weasley, neo maggiorenni da quattordici ore giuste e che,
nonostante ciò, tutto avevano in mente tranne cominciare a comportarsi di
conseguenza. Come del resto dimostrava la conversazione appena conclusa in un
solitario e, almeno per il momento, silenzioso corridoio del
castello.
Come è facile da intuire, il progetto dei due
gemelli era quello di tirare l’ennesimo scherzo al custode, Argus Gazza… Del
resto, per quel povero disgraziato non c’era più stato un giorno di pace da
quando Fred e George Weasley avevano messo piede ad Hogwarts, perché mai
quest’ultimi avrebbero dovuto risparmiarlo proprio il giorno del loro
compleanno, quando a maggior ragione avevano diritto a divertirsi un
po’?
"Ma quando arriva?" si lamentò Fred,
rannicchiato in una posizione piuttosto scomoda dietro una statua.
"Ma quanto sei noioso!" esclamò George.
"Possibile che tu non faccia altro che lamentarti?".
"Vorrei vedere te, se avessi un paio di
ossute rotule conficcate nella schiena…".
E in effetti, George era appollaiato sul
dorso del fratello per poter vedere il corridoio oltre il loro
nascondiglio.
"Taci!" lo ammonì il ragazzo, scattando
all’indietro, sentendo un rumore di passi venire nella loro direzione. "Arriva
qualcuno".
Pochi istanti dopo, Angelina Johnson
attraversò il corridoio, con alcuni libri sotto braccio, senza minimamente
accorgersi dei due ragazzi Weasley, che silenziosamente ammirarono il suo
passaggio.
"George, che schifo, stai sbavando!" sobbalzò
Fred, dopo alcuni minuti d’imbambolamento, con espressione
disgustata.
"E tu, allora? Sembravi un pesce lesso con
gli occhi fuori dalle orbite! Guarda che ad Angelina piaccio io!".
"Che illuso che sei! Se non ricordo male, è
venuta al Ballo del Ceppo con me, non con te!".
"Solo perché tu glielo hai chiesto per primo!
Chi vuoi che ti guardi se ci sono in giro io? Lo sanno tutti che sono IO il
gemello bello!".
"E come fai a stabilirlo? Siamo
uguali!".
"Certo, te lo concedo, c’è una certa
somiglianza, ma io resto comunque il più bello tra i due".
Fred lo guardò con gli occhi fuori dalle
orbite. "Una certa somi-! Di certo non sei il gemello più
intelligente!".
"Fred, ma va a…".
Fred non seppe mai in che posto dovesse
andare, visto che in quel momento nuovi passi ammutolirono entrambi,
interrompendo la lite. E questa volta, a svoltare l’angolo fu la loro designata
e ancora ignara vittima: Gazza camminava trascinandosi dietro un vecchio
spazzolone, bofonchiando strane maledizioni contro "i sucidi ragazzini che
infangavano le sue preziose scale con ogni sorta d’immondizia". Dietro di lui,
silenziosa come un fantasma, veniva la fedele Mrs. Purr.
Ok, qualunque discussione può essere
rimandata a un secondo momento: questo si dissero silenziosamente i gemelli,
fissandosi un istante negli occhi, con un ghigno quasi diabolico di nuovo
dipinto in volto.
I due attesero che il custode passasse,
dopodiché George scattò fuori dal nascondiglio, si posizionò al centro del
corridoio, estrasse una Caccabomba dalla tasca dei pantaloni e gridò: "Ehi,
vecchio rimbambito!".
Gazza si voltò nello stesso istante in cui il
ragazzo lanciava la Caccabomba, centrando in pieno Mrs. Purr, che si scostò
soffiando, mentre un decisamente spiacevole lezzo si spandeva
nell’aria.
Gazza strabuzzò gli occhi, furioso. "TU,
RAZZA DI DELINQUENTE! VIENI IMMEDIATAMENTE QUI!".
"Prendimi se ci riesci!" lo incalzò invece
George, partendo nella direzione opposta.
Se Gazza si fosse fermato un instante a
riflettere, avrebbe probabilmente capito che l’incoraggiamento di George
conduceva dritto in una trappola. Sfortunatamente (per lui), da arrabbiati è
difficile ragionare con lucidità e in quel momento il custode era talmente
furioso che avrebbe rincorso la sua nemesi anche all’inferno. Cosicché partì di
corsa all’inseguimento, tallonato dalla sua gatta. Proprio come voleva il
piano…
Nel frattempo, anche Fred Weasley sgusciava
fuori da dietro la statua e si avviava nella direzione opposta.
Esattamente dieci minuti dopo, tre piani più
sotto nel bel mezzo della Sala d’Ingresso, risuonò l’urlo, a metà tra il
terrorizzato e il furibondo, di Argus Gazza, il quale volteggiava a mezz’aria
completamente ricoperto di piume e con una cresta in testa. Sopra di lui
lampeggiava a colori sgargianti la scritta "Alunni scappate, il piccione vi vuol
beccare!", mentre Fred e George Weasley se la ridevano di gusto, coi piedi
saldamente ancorati a terra, circondati dagli altri studenti.
Sala Comune di Grifondoro
14.45
"Presto o tardi vi caccerete nei guai…"
osservò Ron all’indice dei due fratelli più grandi.
"Oh, non essere sciocco, Ronnie" si schermì
Fred, con un’alzata di spalle. "Non abbiamo fatto nulla più del
solito…".
"…E tu sei l’ultimo a poter criticare"
aggiunse George. "Le tue risate sguaiate le hanno sentite perfino ad
Hogsmeade!".
Ron arrossì fino alla punta delle orecchie,
quando intervene Hermione, con un cipiglio severo che ricordava in modo
inquietante la signora Weasley. "Ron ha ragione: dovreste fare più attenzione a
quello che fate. Presto o tardi passerete il segno e allora saranno problemi
vostri".
"Non farci la morale, Hermione. Sappiamo bene
qual è il limite. E non lo superiamo mai…".
"Infatti non ci hanno ancora espulso,
no?".
Fred e George scoppiarono a ridere insieme,
mentre Hermione borbottava qualcosa del tipo "parlare con voi è come parlare a
un muro".
"Ciao, ragazzi". Angelina Johnson passò in
quel momento, sorridendo e facendo un cenno di saluto con la mano. "Bello lo
scherzo a Gazza, molto divertente".
Fred e George le sorrisero come ebeti,
salutandola finché non fu scomparsa su per il dormitorio femminile. Poi si
guardarono e all’unisono esclamarono: "Salutava me!".
"No, me!".
"TE?! Tu sei fuori!".
"È chiaro come il sole che parlava a me"
osservò Fred.
"Ma se per tutto il tempo non faceva che
fissare me!" obiettò George in tono convinto.
"Ma se non ti si può guardare!".
"Ti ricordo che sono IO il gemello
bello".
"Al più tu sei quello stupido! Sono IO il
gemello bello!".
Ron e Hermione, lì vicino, si scambiarono
un’occhiata perplessa. "Ragazzi" intervenne Ron, esitante. "Vi ricordo che siete
gemelli…".
"E allora?".
"E allora" proseguì Hermione. "Siete uguali.
Non ha senso discutere su chi sia più bello se siete uguali".
"Tu ci vedi uguali, Hermione" spiegò Fred con
aria da vecchio saggio. "In realtà siamo molto diversi. E Angelina l’ha capito
benissimo, visto che guardava me!".
"Non esiste: è lampante che ha una cotta per
me!".
"Non si metteranno mai d’accordo, vero?"
chiese Hermione, in tono sconsolato.
"Temo proprio di no" confermò Ron. "A volte
litigano ancora su chi avrebbe dovuto mettere per primo il pigiama a righe blu,
invece che quello a righe verdi".
"E questa lite risale a…?".
"Credo avessero più o meno sei anni. Il guaio
è che si somigliano troppo: a entrambi piacciono sempre le stesse cose. Il che
va bene finché ci sono doppioni. Altrimenti, litigi epici che durano decenni.
Scommetto quello che vuoi che fra vent’anni, quando saranno entrambi sposati e
con figli, discuteranno ancora su quale dei due Angelina stava
salutando…".
"Che cosa assurda" considerò
Hermione.
Ron si strinse nelle spalle. "Sono Fred e
George: sono fatti così. Due metà indivisibili: non potrebbero vivere uno senza
l’altro…".
Hermione si voltò a guardare i gemelli ancora
immersi nella loro discussione. Ron ha ragione,
concluse dopo alcuni istanti di riflessione. È impossibile
pensare a quei due separati: sono troppo… beh, troppo!
1 aprile 2003
Diagon Alley
10.30
George Weasley non teneva specchi in casa.
Nemmeno uno piccolo: anche la sua fidanzata, per ragioni di cheto vivere, aveva
imparato a non lasciarne in giro quando andava a trovarlo. Nei primi tempi,
aveva fatto di quelle urlate perché Angelina aveva dimenticato lo specchietto
della cipria sul tavolo o cose simili…
Erano quasi cinque anni che George Weasley
non si guardava allo specchio: aveva imparato a conviverci senza. Si pettinava
alla meglio, si radeva con un colpo di bacchetta, non ne aveva bisogno. O per
meglio dire, desiderava di non averne bisogno, per il resto della sua
vita.
Questo perché George Weasley odiava il suo
riflesso: odiava quel volto, quegli occhi, quella bocca, quei capelli, quel
aspetto che in ogni istante gli rammentava LUI.
Odiava quel riflesso che ogni momento pareva
ricordargli che LUI non c’era più, che se n’era andato, per sempre, e non
sarebbe tornato.
Era sciocco, perché sapeva perfettamente che
non era LUI quello dall’altro lato dello specchio, ma semplicemente il suo
riflesso. Ma erano identici, fino all’ultimo dettaglio, a parte quel orecchio
mancante.
Prima questo gli piaceva, era divertente e
poteva anche tornare utile. Ora era tutto diverso: perché LUI non c’era più, non
potevano più far imbestialire la loro madre spacciandosi l’uno per l’altro,
c’era solo lui, George.
Solo una cosa odiava più del suo riflesso: il
primo aprile, il giorno del suo compleanno, del loro compleanno. Più di ogni
altro quel giorno gli ricordava che Fred era morto: da che aveva memoria il
primo aprile c’erano sempre state due torte (mai che Molly facesse un unico
dolce solo perché erano gemelli), due pile di regali, due serie di auguri, un
anno che avevano litigato di brutto, avevano fatto perfino due feste. Ora non
più: ora c’era solo lui, un gemello senza la sua metà.
Per questo, George non voleva più festeggiare
quel giorno. Quando tre anni prima, i suoi avevano voluto fare l’esperimento di
una festicciola informale, aveva dato quasi di matto. Per fortuna si era
contenuto fino a casa: in quel periodo Molly aveva ancora la lacrima facile,
malgrado fosse passato un anno da quando…
Primo e ultimo esperimento, nei tre anni
successivi gli avevano risparmiato anche gli auguri e contava di proseguire
sulla stessa linea d’onda…
"George, sei a casa?".
La porta che si chiudeva accompagnò la voce
di Angelina, quando la ragazza entrò nell’appartamento. Il ragazzo non rispose,
ma rimase disteso nel letto a fissare il soffitto: la voglia di alzarsi quella
mattina era decisamente sotto i tacchi. Con il resto del mondo poteva anche
fingere che quel giorno, e più in generale sempre, andasse tutto bene, ma non
poteva certo ingannare sé stesso.
"Ah, allora ci sei!" esclamò la sua
fidanzata, comparendo sulla soglia della camera con sorriso. "Non sarebbe il
caso di alzarsi, pigrone? Sono le dieci e mezza passate…".
George alzò la testa, ghignando appena. "Ora
mi sembri mia madre…".
"Lo prenderò per un complimento, Weasley.
Forza in piedi. Devi renderti presentabile se vogliamo essere alla Tana per
pranzo…".
Giusto, il maledetto invito a pranzo. Ovvero,
il modo ufficioso con cui Molly sperava di convincere il figlio a festeggiare il
compleanno in famiglia
"Oh, ma ci dobbiamo proprio andare? Non posso
inventarmi qualche impellente affare di lavoro?".
"Certo che potresti" rispose Angelina,
avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto. "C’è solo un piccolo problema: il
tuo socio è anche tuo fratello. E siccome Ron presumibilmente sarà a pranzo,
temo che tua madre capirebbe che è una menzogna!".
"Non se prima chiudo ‘accidentalmente’ Ron
nello sgabuzzino delle scope…".
Angelina ridacchiò. "Sarebbe la volta buona
che si licenzia. Resta per farti un favore, lo sai. E ora che sta anche
studiando per diventare Auror, non so se ti conviene tirare troppo la
corda…".
"Ok, ok, ho capito, niente sgabuzzino delle
scope. Guastafeste…".
La ragazza gli rivolse un sorriso indulgente.
"Dai, sono solo un paio d’ore. Per tua madre. Se poi vuoi tornare qui a
deprimerti non te lo impedirò!".
"Deprimermi? Io non mi sto deprimendo: sto
benone. Anzi, ora mi alzo, faccio una doccia veloce e poi via, a far felice
mamma!".
Ma discapito delle sue parole, non si mosse
di un millimetro. Angelina lo fissò con un sopraciglio inarcato. "Il bagno è di
là, amore" osservò.
Gli diede una leggera spinta di
incoraggiamento. Brontolando, George scalciò le coperte e andò a farsi la
doccia.
Quando ricomparve in cucina, Angelina aveva
preparato il caffè e gliene stava versando una tazza. Ma non fu certo questo a
farlo bloccare sulla soglia: Angelina spesso e volentieri sembrava più ala sua
babysitter che la sua fidanzata. A paralizzarlo fu la vista di quello che c’era
sul tavolo: un piccolo pacchetto regalo con un bel fiocco azzurro.
"Cos’è quello?" chiese in tono atono,
fissando il pacchetto come se fosse una belva feroce.
Angelina seguì il suo sguardo e sorrise, a
metà tra il colpevole e il comprensivo. "È un regalo, George" rispose poi in
tono tranquillo.
"Pensavo di essere stato chiaro: non li
voglio i vostri regali. O vostri auguri. voglio solo fari finta che questo sia
un giorno come tutti gli altri. È così difficile da capire?".
"No. Ma pensavo…".
"NO!". George si rese conto di urlare e
abbassò il tono: non era giusto prendersela con Angelina. "NON voglio regali.
Non voglio niente. O per meglio dire, quello che vorrei non si può mettere in un
pacchetto".
Sulle ultime parole la voce gli si incrinò;
George distolse lo sguardo, mentre gli occhi gli si riempivano di
lacrime.
Poco dopo, sentì le calde mani di Angelina
posarsi sulle sue spalle. "George, devi andare avanti" gli mormorò in tono
dolce. "Sono passati cinque anni…".
"Il tempo non basta a guarire una ferita come
questa".
"Lo so, lo so. Ma come puoi esserne certo se
nemmeno ci provi?".
"Io…". George aprì la bocca e subito la
richiuse, senza sapere cosa dire.
"Fred non vorrebbe che ti comportassi così"
proseguì la ragazza. "Ti vorrebbe vedere felice…".
"Pare facile. Non credo di ricordare cosa
voglia dire essere felice…".
"No, non sarà facile. Ma so che puoi farcela.
Insieme, possiamo farcela".
George incontrò lo sguardo di Angelina e le
sorrise. No, non era semplice risalire quella china scivolosa, ma non
impossibile.
"Grazie, Angelina".
Lei gli sorrise, si allontanò e gli porse la
tazza di caffè, dandogli un bacio sulla guancia. "Forza, bevi e poi va’ a
vestirti: siamo già in ritardo".
George bevve un lungo sorso, sedendosi al
tavolo: il pacchetto era sparito.
Visto, Fred? Te lo avevo detto che guardava
me…
LYRAPOTTER’S CORNER
All right, ci ho messo più tempo di quanto
pensassi, ma ce l’ho fatto! Il fatto è che speravo di scrivere un po’ a mano
anche in gita e poi battere a macchina al mio ritorno. Ma secondo voi l’ho
trovato il tempo? Anche avendolo, ero troppo sfinita per potermi mettere
seriamente a lavorare. Però ho scoperto che l’aria tedesca fa bene alla mia
forza ispiratrice, sono tornata ristorata (insomma, devo ancora recuperare tutte
le ore di sonno arretrato) e piena di idee (oddio, non so quanto sia una buona
cosa, considerato che ce la faccio a malapena così).
Scusate per l’alto contenuto depressogeno
della seconda parte: sarà che ho visitato un campo di concentramento e ne sono
uscita abbastanza sconvolta, ma mi è venuto così.
E scusate anche se è un po’ cortino, ma
considerato che sono già in ritardo, non mi pare il caso di infarinarlo ancora
di più!
Grazie a
Deidara, allora
posso considerarmi fiera di me! Per la tua gioia, ora mi dedicherò al nuovo
capitolo di MW, perciò in settimana, complici le vacanze, dovrei
aggiornare.
HermioneForever92, oddio, mille grazie, per i tuoi complimenti: sono diventata rossa
come un pomodoro
Finleyna
4 Ever, prima di tutto grazie mille per i complimenti. In secondo
luogo, devo essere sincera, sul sito della Rowling bazzico poco perché non mi
piace molto, perciò non so se lì ci siano altri compleanni oltre a quelli che ho
io. Ho cercato parecchio sul web e le date che ho trovato le ho segnate: sono
quelle che segnala anche il Lexicon (mia fonte di informazione primaria) e tra
queste, quella di Sirius (e molti altri) non c’era. Poi non so, errare è umano,
sé possibile che qualcosa mi è sfuggito…
Bon, detto questo, il mese di fuoco è
ufficialmente finito, ora i tempi si dilateranno un po’. Infatti ci si risente a
maggio, per la precisione il 02/05, data ufficiale della Battaglia di
Hogwarts.
Buone vacanze di pasqua a
tutti!!!!!!!
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Capitolo 11 *** Battaglia di Hogwarts ***
SPECIAL
DAYS
BATTAGLIA DI HOGWARTS
2 maggio 2005
Grimmauld Place n° 12
9.00
"Harry James Potter, ti decidi ad alzare le
tue riverite chiappe o hai intenzione di passare la giornata a
poltrire?!".
La sua Ginny, sempre così dolce, gentile e
delicata… la gravidanza le faceva decisamente male da quel punto di vista! In
quei giorni, poi, con l’insolito caldo che imperversava a Londra, era ancora più
irascibile del normale.
Per questo, Harry ritenne poco opportuno
irritare ulteriormente la moglie e si autoconvinse a sgusciare fuori dalle
coperte, per quanto ci stesse tanto bene là sotto, a far finta che il resto del
mondo non esistesse. Odiava quel giorno, con ogni fibra del suo corpo. Il che
era ironico, considerato che per il mondo magico quello era un giorno dei più
felici…
"Harry!" gridò ancora Ginny, non ottenendo
risposta. "Non costringermi a fare le scale e a venire a stanarti…".
"Ok, ok, ho capito, sto arrivando" le
urlò.
Dopo essersi vestito in fretta, scese al
piano di sotto, in cucina, dove trovò la moglie, fornita di ingombrante pancione
da otto mesi abbondanti, che preparava la colazione.
"Quale parte del concetto ‘giornata libera’
non ti è chiaro, tesoro?" le domandò, prendendo posto al tavolo. "Non sono
andato al lavoro apposta per dormire un po’ di più…".
"Le nove passate non mi sembra proprio un
orario inaccettabile per alzarsi" ribatté Ginny. "E, in ogni caso, diamo a
Cesare quel che è di Cesare, tu non sei andato al lavoro per evitare i tuoi
colleghi, amore …".
"Perché sei ai fornelli?" domandò Harry, per
cambiare argomento. "Dov’è Kreacher?".
Alla faccia della sua età, il vecchio Elfo
Domestico, infatti, era più attivo che mai e più che felice di continuare a
lavorare per "padron Harry", come lo chiamava sempre.
"In giro, da qualche parte" rispose vaga la
donna. "Non ti preoccupare, non sono ancora così invalida da non poterti
preparare una tazza di the, sai? Te lo ripeto di nuovo, sono incinta, non
moribonda!".
"Non intendevo dire questo, Ginny" si scusò
Harry, appuntandosi mentalmente di rifletterci sopra due volte prima di fare
qualunque commento futuro sulle attività motorie della consorte. Le farebbe decisamente bene tornare a volare, si disse.
Almeno se la prenderebbe con le sue compagne di squadra
invece che con me!
"Non importa. Scusa anche tu: in questi
giorni mi sento piuttosto irritabile…".
Harry si morse la lingua per trattenere il
commento sarcastico che gli stava volando alle labbra. Certo, le donne potevano
anche dire di dover fare tutto il lavoro, ma anche gli uomini non avevano vita
facile: Harry nemmeno si ricordava cosa volesse dire dormire una notte tutta
filata, tra emergenze di lavoro e voglie. Beh, almeno sono
già allenato per quando il bambino nascerà!
"Comunque, non ti ho chiamato solo perché è
sufficientemente tardi" riprese Ginny, mettendogli davanti la colazione. "Ti è
arrivata una lettera, da Andromeda…".
Harry gemette tra sé, mentre la moglie gli
porgeva una busta chiusa: poteva immaginarsi cosa volesse Andromeda da
lui.
E infatti…
"Vuole che porti fuori Teddy" comunicò quando
ebbe finito di leggere. "Per svagarlo un po’…".
"Comprensibile" commentò Ginny. "Ricordati
però che devi tornare presto per prepararti…".
Gli indicò con fare allusivo la porta del
frigo, dove, tra le altre cose, era affissò anche un foglio di pergamena, la
lettera che, puntuale come un orologio svizzero, un gufo consegnava ogni anno a
casa Potter.
"Non me lo ricordare…" borbottò Harry,
fissando con intensità il piatto di fronte a lui.
Ginny gli sorrise comprensiva. "Lo so che lo
odi, ma non puoi tirarti indietro: in un certo senso, è te che festeggiano oggi,
e lo sai".
"Parli così perché quest’anno non sei
costretta a venire, dato il tuo stato…".
"Tu mi hai detto che dato il ‘mio stato’ era
meglio se non venivo. Se vuoi, sono dispostissima ad accompagnarti…".
Harry scosse il capo. "Lascia stare. Dovrò
solo stringere i denti, come ogni anno. Mi consolerò pensando che dopo ci
saranno altri 365 giorni prima della prossima commemorazione".
"Lo so che non è facile, Harry. Non è facile
nemmeno per me…".
Harry le strinse la mano, guadagnandosi un
sorriso grato dalla moglie. Malgrado fossero passati sette anni, la perdita di
Fred era ancora una ferita aperta, una ferita che probabilmente non si sarebbe
mai chiusa del tutto.
"Basta con questi pensieri tristi " disse
Ginny, dopo alcuni minuti di silenzio. "Cambiando argomento, prova a vedere se
riesci a passare dalla Tana verso l’una - le due: oggi è anche il compleanno di
Victoire…".
"Ah, giusto. Ehm, il re-".
"Il regalo l’ho preso io, salvatore del Mondo
Magico, tranquillo".
"Brava, amore, se non ci fossi
tu…".
"…Saresti già annegato nella tua sporcizia"
completò la frase Ginny, sorridendo.
Casa Tonks
9.30
"Zio Harry!".
Prima ancora di rendersene conto, Harry fu
travolto da un piccolo tornado di sette anni dai vivaci capelli azzurro
elettrico, che lo arpionò per le gambe, rischiando di mandarlo con la faccia sul
vialetto di casa Tonks.
"Teddy Lupin!" lo richiamò una voce severa
dall’interno della villetta. "Quante volte ti ho detto di non farlo? Un giorno o
l’altro farai cadere qualcuno!".
Teddy ridacchiò. "Oggi la nonna sembra più
irritabile del solito" considerò il bambino, per nulla preoccupato. Non è la sola…, pensò Harry, sorridendo al figlioccio.
Doveva ancora trovare la cosa che poteva far sparire il sorriso dal volto di
Teddy Lupin per più di cinque minuti, sempre che esistesse: malgrado le premesse
con cui era cresciuto, il piccolo Lupin era un bambino fin troppo vivace,
soprattutto per i gusti di sua nonna Andromeda. Di certo non aveva preso dal
padre…
"Dovresti ubbidire a tua nonna, tanto per
cambiare" lo rimproverò. "Chissà, magari ti piacerebbe…".
Teddy gli rivolse un espressione dubbiosa.
"Nah, non credo: è più divertente farla arrabbiare!".
Harry rise. "Sei tremendo, te l’ha mai detto
nessuno?".
Il bambino parve rifletterci sopra. "Tu"
cominciò dopo alcuni minuti, contando con il dito. "La nonna, la zia Narcissa,
la zia Ginny, la signora Weasley, il corriere del latte…".
"Ok, ok, afferrato" lo interruppe l’Auror,
ben consapevole che la lista sarebbe sicuramente stata ancora lunga. "Vai a
giocare, io parlo un attimo con la nonna, poi andiamo".
"Dove andiamo? Dove, dove?" chiese il
bambino, eccitato.
"Ah, non lo so. Lascio decidere a te,
navigatore!".
Teddy rise, assunse un’espressione
concentrata e poi schizzò via.
Harry trovò Andromeda in cucina, che finiva
di preparare il pranzo al sacco per il nipote.
"L’avrei portato al Paiolo…" esordì Harry,
dopo averla salutata. "Non c’era bisogno che ti disturbassi".
"Oh, nessun disturbo" gli assicurò Andromeda,
scostandosi una ciocca di capelli dal volto. Malgrado gli anni e soprattutto
malgrado si preoccupasse poco o nulla del suo aspetto, la signora Tonks restava
ancora una bella donna. "So quanto poco ti piaccia farti vedere in pubblico.
Oggi, poi, saranno tutti allegri come se fosse natale… Ho preparato qualcosa
anche per te" aggiunse, tendendogli due sacchetti identici.
"Non era…" cominciò Harry, ma la donna lo
interruppe. "Lo faccio con piacere, Harry. Mi fai un favore a occuparti del
piccolo criminale, oggi".
"Non mi pesa stare con Teddy" garantì Harry,
osservandolo dalla finestra. "Ormai ho imparato a gestirlo… Più o
meno!".
"Già… Assomiglia sempre di più a Dora"
osservò Andromeda, quasi più a sé stessa che a Harry. Per alcuni istanti rimase
immersa in chissà quali pensieri, poi si riscosse all’improvviso e disse:
"Allora, puoi tenerlo fino a…".
"Le cinque" rispose Harry. "Non più tardi,
perché la commemorazione comincia alle sei e mezzo e per quell’ora devo essere a
Hogwarts".
"Ah, giusto, la commemorazione…".
"Hai intenzione di venirci?" chiese Harry,
pur conoscendo già la risposta.
Infatti la donna gli rivolse un sorrisetto
ironico. "Ho gettato l’invito prima ancora di aprirlo. Ho comunque la scusa
pronta, almeno finché Teddy non comincerà la scuola, poi mi inventerò
qualcos’altro".
"Non è così male…" disse Harry, in tono
tutt’altro che convincente.
"Pinocchio" lo rimproverò difatti Andromeda.
"Il tuo naso ha quasi bucato il muro, tanto si è allungato. No" disse poi in
tono deciso. "Non ho la minima voglia di andare alla commemorazione, né oggi né
probabilmente per il resto della mia vita: ho perso troppo sette anni fa per
volerlo ricordare…".
"Ti capisco, Andromeda. Allora, te lo riporto
per le cinque?".
La donna annuì. "Perfetto. Ci vediamo questo
pomeriggio".
Parco giochi,
12.30
"Non mi va di andare alla Tana!" protestò
Teddy a gran voce, ingoiando l’ultimo pezzo del suo panino.
I due erano seduti su un panchina in un parco
giochi Babbano (ragione per cui i capelli di Teddy erano di una più anonima
tonalità castana) a consumare il pranzo amorevolmente preparato da Andromeda e
Harry aveva appena illustrato al figlioccio il piano per il pomeriggio, che
prevedeva una visita a casa Weasley per il compleanno della primogenita di Bill
e Fleur.
"Oh, andiamo" cercò di blandirlo Harry.
"Potrai giocare con Victoire…".
"Appunto!" gridò il bambino con una faccia
schifata. "Quella è così NOIOSA…".
"Ha solo due anni meno di te…".
"Ma è una pizza. Mi si attacca come un cozza
e non riesco più a levarmela di torno. E non fa mai nulla di
interessante…".
"Anche tu a cinque anni eri come lei" gli
garantì Harry.
"Io a cinque anni non giocavo mica con le
bambole!" protestò Teddy. "Lei invece non sa fare altro… Quello e attaccarsi a
me come una pianta rampicante: è asfissiante".
"Vuole un po’ di compagnia. Sua sorella è
ancora troppo piccola per giocare con lei" tentò di giustificarla Harry,
pensando a Dominique, che avrebbe compiuto un anno di lì a un mese.
Teddy rimise su al sua espressione
disgustata. "Le femmine sono noiose" affermò in tono sicuro. "Vorrei tanto
qualcuno con cui giocare… qualcuno di interessante!".
Si imbambolò a fissare alcuni bambini che
giocavano; Harry nel frattempo si lambiccava il cervello per trovare un
argomento che convincesse il figlioccio a soprassedere alla presenza di Victoire
Weasley e lo convincesse ad andare alla Tana.
"Zio Harry" fece Teddy, dopo alcuni minuti di
silenzio. "A te sarebbe piaciuto avere un fratello?".
"Eh, cosa?" sobbalzò Harry, preso
completamente alla sprovvista dalla domanda, abbassando gli occhi fino a
incontrare quelli del bambino. "Ah, non lo so" rispose, dopo aver riordinato un
po’ le idee. "Non ci ho mai riflettuto più di tanto, sinceramente. Immagino di
sì, che mi sarebbe piaciuto…".
Teddy annuì. "Anche a me piacerebbe… un
fratello, però, non una sorella". Tacque un attimo poi domandò ancora: "I miei
genitori l’avrebbero voluto un fratellino?".
Di nuovo, Harry si ritrovò incapace di
rispondere: in tutta onestà, non aveva idea di quali potessero essere i progetti
di Remus e Tonks, se fossero vissuti. Capì però qual era la risposta di cui
Teddy aveva bisogno. "Sicuramente".
Di nuovo calò il silenzio e di nuovo fu il
bambino a romperlo. "Io lo so che giorno è oggi" mormorò a bassa
voce.
"Come?".
"Io lo so che giorno è oggi" ripeté il
bambino, a voce più alta. "Anche se né tu né la nonna mi dite mai niente, io lo
so".
"Certo che lo sai: è giusto che tu lo
sappia".
"Mi mancano, zio Harry" disse fissando l’erba
sotto i suoi piedi. Parve rifletterci un attimo, poi domandò: "Si può sentire la
mancanza di qualcosa che non hai mai conosciuto?".
Harry gli sorrise, attirandolo a sé. "Certo
che si può, piccolo, si può eccome". Glielo poteva dire per esperienza
personale.
Teddy tirò su con il naso, e di nuovo
tacque.
Harry sospirò. Quel bambino stava crescendo
troppo in fretta: a volte era talmente solare che ci si poteva quasi dimenticare
di tutto quello che aveva perso. Invece, la conversazione degli ultimi minuti
aveva dimostrato quanto effettivamente sentisse la mancanza dei suoi genitori.
Harry meno di tutti avrebbe dovuto sorprendersi: aveva una famiglia sua, ormai,
ma ciò non toglieva che i suoi gli mancassero ancora, certe volte…
Dopo un po’, l’Auror chiese, col chiaro
intento di distrarlo: "Senti, sei sicuro di non volere andare alla Tana? Sono
sicuro che la signora Weasley ha una fetta di dolce con il tuo nome sopra,
pronta per essere mangiata. Non vorrai che se la prenda Victoire?".
Teddy ci rifletté sopra. "Ok. Ma lo faccio
solo per la torta. E appena Victoire si avvicina…".
"… Ce la filiamo di corsa.
Promesso!".
La Tana
13.15
"Harry, ce l’hai fatta!" lo accolse Ron,
quando vide il suo migliore amico materializzarsi nel cortile della
Tana.
"Trattative diplomatiche" spiegò. "Ho
incontrato un piccolo ostacolo sulla strada, ma abbiamo raggiunto un
compromesso, vero Teddy?".
Quest’ultimo fece un verso che poteva solo
voler dire "se lo dici tu: io non sono per niente soddisfatto".
Ron rivolse un’occhiata perplessa al bambino.
"Non capisco…".
"Che novità!" lo schernì Hermione, comparendo
al suo fianco. "Quando mai ha capito qualcosa, Ronald?!".
"Grazie infinite, moglie adorata" ribatté
Ron. "È bello sapere che hai una così alta opinione di me. Quasi, quasi ti
meriteresti che facessi i bagagli e me ne andassi…".
"Sì, e per andare dove, se non sono
indiscreta?".
"Ho tanti parenti a cui chiedere asilo, nel
caso te lo fossi scordato" osservò Ron, indicando allusivo il resto della Tana,
traboccante di Weasley con relative famiglie.
"Tanto lo so che non potresti mai andartene.
Senza di me sei perduto…".
"Senza di te, me la cavo
benissimo".
Hermione gli rivolse un’occhiata educatamente
scettica, prima di sorridere a Harry e Teddy. "Ciao, Harry, ciao Teddy. Credo
che Molly vi abbia tenuto un paio di fette di torta da parte. Vado a
vedere".
"Grazie, Hermione. Veniamo anche noi: credo
che salutare i suoceri sia d’obbligo a questo punto".
I quattro si avviarono dentro, dove i
festeggiamenti erano ancora in corso: gli adulti erano tutti riuniti in cucina,
mentre Victoire e alcuni cugini francesi di Fleur giocavano in
salotto.
"Harry" lo accolse la signora Weasley,
stritolandolo in un abbraccio. "E c’è anche il piccolo Teddy. Ciao,
tesoro!".
"Salve, signora Weasley" la salutò il
bambino.
"Mamma" intervenne Ginny, piazzata su una
sedia con le gambe distese e comodamente appoggiate sopra a quelle di George,
"te lo avevo detto che ci sarebbe stato anche Teddy. Non c’è bisogno di tutte
queste scene".
Ma la signora Weasley non parve nemmeno
sentirla: non poteva farci nulla, era il suo vecchio istinto materno che
riemergeva. E poi, considerava Teddy praticamente uno di famiglia…
Harry fece un saluto collettivo e poi andò a
sedersi accanto alla moglie: "Ciao amore, come va?".
"Ho vomitato la torta, sono stanca, ho mal di
schiena e le caviglie gonfie. Tutto grazie a te, tesoro!".
Già, certo, perché sono stato io a dire
‘Amore, voglio fare un bambino, che ne pensi?’ nove mesi fa…
"Sì" intervenne George. "E ha anche scambiato
le mie cosce per un cuscino…".
"Facciamo così, George" disse Ginny. "Quando
sarai tu incinto, potrai usare le mie cosce come cuscino. Contento?".
"Temo ci sia qualche impedimento a livello
biologico per mettere in atto questo brillante piano, sorellina" protestò
George, mentre i presenti ridevano.
"Già. Questo perché la natura è stata fin
troppo generosa con voi maschi, mentre tutte le sfortune toccano a noi
donne…".
"Intanto voi donne vivete di più, avete meno
probabilità di morire di infarto…".
"Parli così perché non hai mai avuto le
mestruazioni in vita tua" protestò Ginny, mentre le altre donne annuivano con
convinzione. "Se avessi sperimentato quello, non saresti così veloce a dire che
noi donne viviamo di più eccetera. Senza dimenticare la cosa più
importante…".
"…Voi potete farla in piedi!" conclusero in
coro lei, Hermione, Fleur e Angelina, occhieggiando i presenti di sesso maschile
come a sfidarli a replicare.
"Ok, mi arrendo" capitolò George, alzando le
mani in segno di resa. "Ti autorizzo a usarmi come cuscino per tutte le
gravidanze a venire".
"Ti ringrazio" disse Ginny, accavallando le
gambe.
"In mancanza del tuo caro maritino,
ovviamente. Harry, penso proprio che queste caviglie gonfie siano di tua
competenza…".
"Oh, tu te la stai cavando benissimo, George.
Non vorrei sminuire la tua autostima…".
"La mia autostima starà benissimo,
tranquillo. Vieni qua, ora…".
Fece per alzarsi, ma Ginny lo bloccò. "Fermò
lì, tu!".
"E perché?".
"Semplice: non ho voglia di piegare le gambe.
Starai di corvè finché non dovrò andare in bagno. Tanto, a Harry toccherà
stasera".
George si rimise seduto, sbuffando e mettendo
il broncio, suscitando in questo modo le risatine dei presenti.
"Ecco qua" annunciò la signora Weasley,
mettendo due piatti di torta di fronte a Harry e Teddy. "Buon
appetito!".
"Grazie, signora Weasley".
Teddy si accomodò accanto al padrino e prese
la forchetta, ma prima di cominciare a mangiare, chiese, con tutta l’innocenza
dei bambini: "Zio Harry, cosa sono le mestruazioni?".
Harry, che dal canto suo aveva già portato in
bocca il primo boccone, rischiò seriamente di strozzarsi di fronte a quella
domanda. Probabilmente, solo il pronto intervento di Bill, che gli diede qualche
vigorosa pacca in mezzo alle spalle, lo salvò dal soffocamento.
"Harry, stai bene?" chiese Hermione ansiosa,
porgendogli un bicchiere d’acqua.
Harry le fece cenno d’attendere, afferrando
il calice e ingoiando tutto il contenuto. Poi prese un respiro profondo e annuì.
"Credo di sì. Però, tutto d’un tratto la torta mi pare meno
invitante…".
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, mentre
Teddy, dal canto suo, lo guardava in attesa di risposta, senza capire il perché
della sua reazione esagerata.
"Oh…beh… vedi" balbettò Harry, in evidente
difficoltà, cercando un qualunque aiuto.
"Teddy!".
La vocina acuta ed entusiasta di Victoire
interruppe sul nascere l’incerta risposta dell’Auror.
"Mi sembrava di aver sentito la tua voce"
continuò la bambina, mentre Teddy sembrava quasi sgonfiarsi. "Oh, no, lei
no".
"Teddy" disse Harry, a voce leggermente
troppo alta. "Perché non vai di là a giocare con Victoire?".
Il bambino gli rivolse un’occhiata delusa e
arrabbiata. Avevi promesso, dicevano quegli occhi, mentre con il piatto
della torta se ne andava sulla scia dell’entusiasta Victoire. Harry, tuttavia,
al momento era troppo sollevato per sentirsi in colpa. Salvato in corner, pensò.
"Ginny" disse poi ad alta voce, rivolto alla
moglie. "Per questo, ricordami di ucciderti".
La donna ebbe il buon gusto di mettere su
un’espressione colpevole.
Hogwarts
18.30
Dopo la Battaglia di Hogwarts, era stato
necessario oltre un anno per ricostruire il castello e riparare a tutti i danni
causati dai Mangiamorte. E anche così, era diventata opinione comune che
qualcosa della vecchia magia di Hogwarts si fosse persa per sempre quel giorno:
non era un cambiamento empirico (il maniero era tornato al suo originale
splendore, come se la battaglia nono fosse mai avvenuta), quanto piuttosto una
certa atmosfera che si respirava, come se in un certo senso anche quelle
millenarie mura ricordassero che quel giorno si era combattuto, che quel giorno
si aveva vinto e si aveva perso…
Una sola era cambiata della Hogwarts, che
Harry aveva conosciuto: su desiderio del Ministero e con il beneplacito della
professoressa McGranitt, la nuova preside, sulla riva del lago era stato eretto
un monumento ai morti durante la Battaglia, a ricordo per le future generazioni.
. Era molto semplice, in realtà: una fenice pronta a librarsi in volo, sostenuta
da un ceppo d’albero sotto cui erano incisi i nomi dei 62 caduti per la libertà.
A Harry, quella fenice aveva sempre ricordato Fanny, anche se forse era semplice
suggestione…
Harry, spinto da chissà quale masochistico
impulso, ogni volta che per qualche motivo faceva visita a Hogwarts si fermava a
osservare quel monumento e a leggere i nomi di quelle persone che erano morte
per aiutare lui…
"Pensieroso, Potter?".
Harry sobbalzò, spaventato, voltandosi e
trovando Minerva McGranitt a osservarlo alcuni metri più in là.
"Professoressa" la salutò. "Non l’avevo
sentita arrivare…".
"Sì, l’avevo intuito, Harry, scusami" sorrise
lei. "E ti ho già detto mille volte di chiamarmi Minerva: non sono tua
insegnante da un po’, ormai".
"Lo so" ribatté Harry. "Ma mi sembrerebbe,
non saprei, irrispettoso. È una questione di abitudine, professoressa: per me,
lei resterà sempre l’insegnante di Trasfigurazione che mi ha dato una nota di
ritardo il primo giorno di scuola!".
La McGranitt sorrise al ricordo. "Mi hai
fatto mangiare un bel po’ di fegato, Potter, lo devo ammettere…".
"Questione di famiglia, suppongo…" ridacchiò
Harry, pensando ai Malandrini.
"Vero" concordò la donna. "Come sta tua
moglie, a proposito?".
"Tutto in regola, grazie" rispose Harry. "Il
termine è previsto per la fine del mese…".
"E dopo ci sarà un altro piccolo Potter in
questo mondo…".
"Fra undici anni se lo vedrà qui, pronto per
lo Smistamento…".
"Ah, mio caro, per allora farò in modo di
essere già andata in pensione: non credo che i miei nervi potrebbero reggere
un'altra generazione di Potter…".
Harry rise, per poi tornare a rivolgere lo
sguardo al monumento, sentendosi gli occhi della McGranitt puntati addosso:
improvvisamente si sentì di nuovo un giovane studente.
"Dovresti smettere di crucciarti in questo
modo, Harry" gli disse l’insegnante. "Non è stata colpa tua…".
"Lo so. A livello razionale, lo so benissimo…
ma non posso evitare di pensare che sono morti per aiutare me, tutti
loro".
"Sono morti combattendo per ciò che credevano
giusto: nessuno li costrinse a combattere, fecero una scelta… Una scelta
coraggiosa, ma pur sempre una scelta, come hai fatto tu, come ho fatto io, come
hanno fatto tutti quelli che erano qui quel giorno o prima ancora…".
"Già…". Harry tacque, non sapendo cos’altro
dire.
Minerva gli rivolse un sorriso gentile. "Ah,
ora che mi viene in mente… Mentre eravamo qui a chiacchierare, mi stavo
dimenticando che gli altri ci aspettano dentro, per cominciare… A distanza di 14
anni, Potter, ti fai ancora aspettare…".
"La puntualità non è il mio forte" osservò
Harry. "Ma stavolta non potrà togliermi punti…".
"Vedremo, vedremo. Forza, andiamo, prima
comincia, prima finisce".
Giusto, via il dente, via il dolore!
Mentre seguiva l’insegnante verso il castello, si voltò un’ultima volta
verso la statua della Fenice. Questo è per tutti
voi: grazie!
LYRAPOTTER’S CORNER
Capitolo dedicato, nell’ordine, a Regulus
Black, Lily e James Potter, Cedric Diggory, Sirius Black, Albus Silente, Edvige,
Alastor Malocchio Moody, Ted Tonks, Dobby, Fred Weasley, Severus Piton, Remus
Lupin, Ninfadora Tonks, Colin Canon e tutti quei personaggi più o meno
importanti che la falce della Rowling ha colpito e che sono entrati nei nostri
cuori… (spero di non aver dimenticato nessuno!!!!!!).
Una piccola nota, girando senza perchè sul
Lexicon ho scoperto che il 2 maggio è sul serio il compleanno di Victoire, non è
una mia invenzione, mentre l'anno di nascita, così come quello di
James II e di Dominique sono una mia licenza poetica. Giusto per
chiarire!
Non sono sicurissima di cosa pensare di
questo capitolo, ho tentato di equilibrare momento leggeri a quelli un po’ più
riflessivi, spero di esserci riuscita…Temo più che altro di cominciare a
diventare monotematica, visto che alla fine gira a rigira sempre stessi
personaggi e stesse situazioni sono… Se vi stufo, non esitate a dirlo, tornerò
nel mio cantuccio a riflettere suoi miei errori!!!!!
Grazie a
Finleyna 4 Ever
Alida
per il loro commenti
Prossimo appuntamento, 10/05, festa della mamma, con
una nuova raccolta di flashfic (l’ultima, giuro!). See you
soon!!!!
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Capitolo 12 *** Festa della mamma ***
SPECIAL
DAYS
FESTA DELLA MAMMA
Essere mamma non è un dovere; non è nemmeno un
mestiere: è solo un diritto tra tanti diritti.
Oriana Fallaci
MOLLY WEASLEY
10 maggio 1981
La Tana
9.30
"Buona festa della mamma!".
Il suono di sei vocine squillanti mi strappò
piuttosto bruscamente dalle braccia di Morfeo. Aprì lentamente gli occhi e
trovai tutti e sei i miei figli che mi osservavano sulla soglia: Bill, con tra
le mani un vassoio carico di cibo, Charlie, che teneva in braccio meglio che
poteva il piccolo Ron, subito dietro di lui Percy e in ultimo Fred e
George.
"Ragazzi" li salutai, mettendomi a sedere.
"Buon giorno…".
Come fosse stato un segnale, tutti e cinque
si precipitarono dentro, saltando sul letto e rischiando di rovesciare il
vassoio o peggio far cadere Ron. Per questo, la prima cosa che feci fu levarlo
dalle braccia di Charlie e metterlo seduto al mio fianco, dove rimase a fissarmi
sorridente.
"Ti abbiamo preparato la colazione" annunciò
Percy, mentre Bill mi metteva davanti vassoio. Fissai con sospetto il cibo che
avevo davanti: l’aspetto era buono, ma aveva da tempo imparato a diffidare delle
apparenze.
"Ehm" balbettai, incerta, non volendo
ferirli. "Chi l’ha preparato?".
"Papà" rispose Charlie. "Subito prima di
andare a lavoro".
"Ci ha raccomandato di portartelo con calma…"
proseguì Fred.
"… di non rovesciarlo…" continuò
George.
"… di dirti che gli dispiaceva di non
salutarti…" aggiunse Percy.
"… di fare i bravi…" fece Bill.
"… e di fatti gli aguri, mami!" concluse Ron,
con aria di importanza.
"Auguri!" esclamarono poi tutti
insieme.
Io sorrisi, commossa e ringraziandoli uno per
uno. "Siete stati dolcissimi, bambini". Osservai poi la mia colazione. "Ha un
aspetto squisito. Però… avete dimenticato le posate…".
"Vado io a prenderle".
"No, io!".
"No, io!".
In breve ci fu un fuggifuggi generale, mentre
tutti si accalcavano verso la porta, per arrivare primi in cucina. Li sentì
litigare mentre scendevano a precipizio le scale. "Fate attenzione" li
richiamai, mentre Ron, l’unico rimasto perché ancora troppo piccolo, metteva su
il broncio per essere stato lasciato indietro.
Mi portai una mano al pancione: di lì a un
paio di mesi ci sarebbe stato un altro piccolo criminale a popolare la casa. Con
quello, avremmo raggiunto quota sette. Sette, un numero che faceva davvero
paura: erano talmente tanti, a volte sembravano perfino troppi, troppi e troppo
indisciplinati da gestire…
In quel momento, i cinque ricomparvero,
ognuno con il suo coltello e la sua forchetta: ci fu una nuova calca intorno al
letto, siccome tutti erano determinati a portarmi le posate per primi. Sorrisi
ai miei bambini: erano tanti, forse troppi, ma riflettendoci non avrei voluto
cambiare per tutto l’oro del mondo!
NINFADORA TONKS
30 luglio 1997
Casa Tonks
14.00
Negativo…negativo…negativo, quello
stupidissimo test di gravidanza doveva assolutamente essere negativo…
Dora si era barricata in bagno da dieci
minuti buoni, ormai: probabilmente Remus e i suoi stavano cominciando a pensare
che fosse affogata o qualcosa del genere… Il fatto è che ci aveva messo un po’ a
racimolare il coraggio necessario a fare quello stupido test. Ora aspettava il
responso, che doveva assolutamente essere negativo. La scatola diceva di
aspettare cinque minuti: per Tonks quelli erano senza dubbio i cinque minuti più
lunghi della sua vita. Aveva fatto praticamente di tutto, tranne un balletto
propiziatorio.
Non lo voglio un figlio, non lo voglio. Non
con la guerra, non adesso che tra me e Remus le cose cominciano ad andare per il
verso giusto. Ti prego, accenderò ceri alla Madonna da qui all’eternità, farò
beneficenza, comincerò a dar retta a mia madre, qualunque cosa, basta che non
sia sul serio incinta! Non voglio un figlio, non lo voglio…
Stava giusto pensando di tentare con il
balletto, quando i cinque minuti passarono: il rettangolino sul test era
diventato blu. Positivo.
Dora si lasciò piuttosto sgraziatamente
cadere sul pavimento, mentre una mano volava quasi automaticamente alla pancia.
Oh, Merlino, Merlino santissimo, e ora che faccio? Che
cavolo faccio? Non è possibile, non è possibile…
Si ritrovò a fissare il test con occhi
storti, quasi come se questo potesse essere sufficiente a cambiare il responso.
Un bambino… sto sul serio per
avere un bambino?
Qualcuno bussò alla porta, facendola
sobbalzare. Sciocca, non è che sei qui a uccidere
qualcuno. Era Remus. "Dora, stai bene?".
Istintivamente si nascose il test dietro la
schiena, per poi ricordarsi che ovviamente tra lei e il marito c’era una porta
chiusa a chiave. "Sì, tutto bene" rispose, con voce che nemmeno riconobbe come
sua.
"Sicura?". Sembrava parecchio preoccupato.
Beh, che ti aspetti? Sei chiusa in bagno da un
quarto d’ora, è logico che si preoccupi…
"Sicura. Ora
arrivo". Ma non si mosse di un millimetro. Non poteva. O forse non voleva.
Cosa gli dico? Cosa gli dico? Non posso dirgli una cosa
del genere… Eppure sapeva bene di non poter restare in quel bagno per
sempre. Presto o tardi sarebbe dovuta uscire e affrontare la realtà, ovvero che
di lì a nove mesi avrebbe avuto un bambino. E avrebbe dovuto affrontare
Remus…
Si sorprese a constatare che le faceva molta
più paura il dover parlare con il marito, piuttosto che la prospettiva di
diventare madre. Fissò di nuovo il test e poi la sua mano destra, realizzando
che per tutto il tempo era rimasta posata sulla sua pancia. Forse, tutto
sommato, non si era mai sul serio aspettata che quel test fosse negativo… Forse
andava bene comunque… Forse lo voleva quel bambino… Forse.
NARCISSA MALFOY
2 maggio 1998
Foresta Proibita
4.30
"Avada kedavra".
Immobile come una statua di marmo, guardai
Harry Potter cadere a terra, colpito in pieno petto dall’Anatema che Uccide
dell’Oscuro Signore, senza in realtà vederlo davvero: in quel momento, la mia
mente vagava in tutt’altro luogo, rivolta a tutt’altra persona. In seguito
ricordai di essermi vagamente stupita del fatto che il ragazzo si fosse arreso
senza nemmeno provare a lottare… Forse già in quel momento avrei dovuto capire
che doveva esserci qualcos’altro.
Ma non me ne curai minimamente, come non mi
curai di vedere il mio signore incespicare e cadere come colpito a sua volta e
di sentire la voce allarmata di Bellatrix: quanto poco senso aveva per me tutto
questo, in confronto alla consapevolezza che Draco, mio figlio, il mio bambino,
fosse chissà dove, ad Hogwarts, forse prigioniero, forse qualcosa di
peggiore…
Incrociai un istante lo sguardo di Lucius, al
mio fianco, e capii che provava la stessa cosa: la guerra, la battaglia, la
morte di Potter, perfino il Signore Oscuro stesso, nulla aveva più un senso…
Dovevo salvare Draco: ma come? Come?
"Tu, controlla. Dimmi se è morto!*". Stava
parlando con me? Non vede che ho altro pensieri, che di lui non mi importa più
nulla?
Avrei quasi voluto dirglielo, ma sapevo di
non potermi rifiutare, perciò mi accostai al corpo di Potter, cercando i segni
della morte su di lui.
Ma il suo cuore batteva, batteva ancora!
Impossibile! Eppure è così…
Feci per aprire la bocca e annunciare la mia
scoperta, ma all’ultimo mi frenai: Potter era la mia chiave di accesso ad
Hogwarts! Se lui viveva, avrei potuto raggiungere il castello e, se Draco fosse
stato ancora lì…
"Draco è vivo? È nel castello?*" sussurrai,
nascondendo il volto coi capelli perché gli altri non vedessero.
La sua risposta fu un impercettibile "sì":
forse anche lui aveva capito…
Cosa dovevo fare: tradire Potter e lasciare
che il Signore Oscuro lo uccidesse o proteggerlo,decretando probabilmente la
nostra sconfitta. Impiegai pochi secondi per decidere: la mia priorità non era
più la guerra, o il signore oscuro, ma Draco. Era l’unica cosa da fare, l’unico
mezzo che avevo per trovarlo prima che fosse troppo tardi…
"È morto!*" annunciai con voce ferma, senza
provare il minimo rimorso: ero prima di tutto una madre, non una
Mangiamorte!
LILY POTTER
31 ottobre 1981
Godric’s Hollow
21.00
Aveva uno strano presentimento quel giorno:
quella mattina si era svegliata con uno stranissimo nodo allo stomaco, una vaga
ansia che non aveva fatto che crescere nel corso della giornata. Come se dentro
di lei, Lily avesse già percepito che qualcosa di terribile stava per accadere…
Ma la donna non ci aveva dato peso: era una sciocchezza, si era detta, il frutto
di tante notti insonni e delle mille preoccupazioni degli ultimi mesi…
Eppure, per quanto se lo ripetesse, non
riusciva a scacciare quella sensazione quasi opprimente, quell’angoscia, quel
pensiero che le diceva di prendere Harry e James e scappare il più lontano
possibile…
Cercò di pensare ad altro, osservando il
marito divertire Harry sparando sbuffi di fumo con la bacchetta. Lily sorrise:
era una sciocca, tutto andava bene, erano al sicuro…
Harry sbadigliò, comprensibilmente stanco
data l’ora.
"Andiamo a letto, tesoro" sussurrò Lily,
prendendo il piccolo dalle braccia di James e avviandosi al piano di
sopra.
Era quasi alle scale, quando tutto finì:
un’esplosione, la porta che veniva scardinata e la voce di James, intrisa di
panico e terrore.
"Lily, prendi Harry e corri! È lui! Vai!
scappa! Io lo trattengo…"*.
Si diresse in modo quasi automatico al piano
superiore, il cuore lacerato in due, tra suo marito e suo figlio. Ma aveva Harry
tra le braccia, doveva salvarlo, doveva…
Si precipitò nella cameretta di Harry,
chiudendosi la porta alle spalle. Dov’era la sua bacchetta? Dove diavolo era?
perché non l’aveva portata con sé?
Sentì dei passi: qualcuno saliva le scale. E
Lily sapeva che non era James. Cercò di barricare la porta, ben consapevole di
quanto inutile e patetico fosse il suo tentativo, ma qualcosa doveva fare: c’era
la vita di suo figlio in gioco…
Un’altra esplosione e un'altra porta
scardinata: lui entrò nella stanza, fissandola sprezzante, puntando la bacchetta
contro il suo bambino. Istintivamente, Lily si frappose tra loro: non poteva
finire così… perché doveva finire in quel modo?
"Spostati, stupida… Spostati…".
"Non Harry, ti prego. Per favore… lui no! Per
favore, farò qualunque cosa…*".
La disperazione ormai parlava per lei, la
consapevolezza di essere al capolinea. Non aveva più speranze, lo sapeva. Ma
prima di prendere suo figlio, sarebbe dovuto passare sul suo cadavere.
"È il mio ultimo avvertimento…*".
Alzò minaccioso la bacchetta, ma Lily non si
mosse di un millimetro. Non avrai mio figlio, maledetto.
Non lo avrai, non te lo permetterò, pensò, quando una luce verde
cominciò a brillare di fronte a lei.
* Le frasi segnate da asterisco sono tratte direttamente
dai libri della Rowling
LYRAPOTTER’S CORNER
Scusate il ritardo, ma ieri sono stata
talmente incasinata che del computer non ho potuto vedere nemmeno l’ombra,
figurati sedermi e aggiornare!!!!!!
In ogni casi, capitolo dedicato ovviamente a
tutte le mamme di questo mondo, e in particolare alla mia: grazie di tutto,
mamma, sei grande (anche se non te lo dico spesso).
Che altro dire, come sempre ho cercato al
meglio di equilibrare momenti leggeri ad alcuni più tragici, il risultato dovete
dirmelo voi, io queste flashfic le ho scritte con il cuore.
Come sempre grazie a chi commenta
Finleyna 4 Ever
Deidara
HermioneForever92
Pan_Tere94
Il prossimo appuntamento sarà un po’ in là,
al 04/06, per il
compleanno di Draco. A questo proposito, se c’è qualche fan del suddetto al
ascolto mi dia un suggerimento: il personaggio mi piace poco e non ho la più
pallida idea di cosa scriverci sopra!!!!
Grazie in anticipo, see you
soon!!!!!!
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Capitolo 13 *** Draco Malfoy ***
SPECIAL DAYS
DRACO MALFOY
4 giugno 2006
Malfoy Manor
10.00
Draco ricordava con vivida chiarezza i compleanni della sua
infanzia: li aveva tutti scolpiti in mente, in una sorta di ripetitiva tiritera.
Infatti si poteva dire che, a parte il numero di candeline sulla torta
(candeline su cui tra parentesi, lui non aveva mai soffiato: era un Malfoy, mica
un mezzo Babbano qualunque, aveva sempre avuto un elfo domestico a farlo al
posto suo!), ed eventualmente quello dei regali, le sue feste di compleanno
erano state tutte pressoché identiche: lunghe feste barbose, organizzate più per
suo padre che per lui, visto che i tre quarti degli invitati erano personaggi
politici più o meno influenti coi loro pargoli e lui di norma veniva portato a
letto dalla tata di turno subito dopo l’apertura dei regali.
Ma quella era una delle tante cose che doveva sopportare per
avere nel sangue i geni di due delle famiglie purosangue d’Inghilterra: i Black
e i Malfoy, la crême de la crême! Così gli diceva sempre sua madre, quando lui
si lamentava della noia di quelle feste. Quanto a suo padre, fino agli
undici/dodici anni poteva dire di non averci quasi mai parlato, perciò il
problema di lagnarsi con lui non si poneva!
Nemmeno dopo il suo ingresso ad Hogwarts le cose erano cambiate
molto. I lunghi ricevimenti barbosi erano solo slittati di un mese, alla fine
della scuola, pur con una significativa differenza: ora era considerato
abbastanza maturo per parteciparvi sul serio, cosa che non gli era mai piaciuta
affatto. Ma essere un Malfoy comportava anche quello, così aveva stretto i denti
e tirato avanti.
C’era da dire che di solito equilibrava con dei festini ad
Hogwarts, quelli che lui considerava la sua vera festa di compleanno, a cui in
pratica erano invitati tutti i Serpeverde e che di anno in anno, man mano che la
sua vena di innocenza (sempre ammesso che ne avesse avuto una) era andata
affievolendosi, era diventata più distruttiva e simile a una guerra
nucleare!
Con i suoi sedici anni, le cose erano cambiate di nuovo: c’era
sempre stato il festino distruttivo e la compunta lettera d’auguri dei suoi, ma
quando era tornato a casa non c’era stata nessuna festa elegante e noiosa. Lord
Voldemort era tornato (ufficialmente tornato), suo padre finito in prigione, sua
madre devastata, la reputazione della sua famiglia distrutta…
Così, tanto per complicare le cose, aveva preso il marchio nero:
l’idea più stupida della sua vita. E dire che a quel tempo ne era tanto fiero:
subito dopo il fatto, se ne andava in giro per casa impettito come un pavone,
senza vedere (o meglio fingendo di non farlo) il dolore di sua madre per
questo.
I diciassette anni erano andati perfino meglio: non era più
tronfio e pieno di sé, ma un ragazzo che aveva capito in ritardo di essersi
infilato in una situazione troppo grande per lui. Non c’era stato nessun
festino, quell’anno, perché era semplicemente troppo terrorizzato per poter
anche solo pensare di festeggiare: era fermamente convinto che quello sarebbe
stato il suo ultimo compleanno e l’aveva festeggiato rintanato in un bagno delle
femmine, con l’unica improbabile compagnia di Mirtilla Malcontenta!
Esattamente due settimane dopo, Albus Silente, l’uomo che
avrebbe dovuto uccidere, era morto, ma non per mano sua. E a quel punto era
cominciato l’inferno, quello vero!
Perché non si dà le dimissioni da Mangiamorte e lui aveva capito
troppo tardi di essere troppo giovane, troppo debole, troppo tutto per poter
essere un Mangiamorte. Si era imposto di stringere i denti e tirare avanti,
anche se dubitava di potercela fare: era più che certo che la guerra l’avrebbe
distrutto. Oppure ci avrebbe pensato Voldemort nel momento in cui non ce
l’avesse più fatta e fosse scoppiato. Ma non poteva permetterlo, se non altro
per i suoi genitori, che in ogni caso ne avrebbero fatto le spese.
Ma non era accaduto. Contro le sue stesse previsioni, era giunto
al suo diciottesimo compleanno. Era stato un compleanno orribile, che aveva
sperato con tutto il cuore di poter cancellare: aveva ancora davanti agli occhi
gli orrori a cui poco più di un mese prima aveva assistito, la Battaglia di
Hogwarts, che aveva segnato la fine della guerra, ma anche la morte di decine di
persone. Persone che Draco avrebbe dovuto considerare avversarie, ma a cui
avrebbe voluto somigliare: mai come nel momento in cui Harry Potter l’aveva
salvato dall’inferno dell’Ardemonio aveva capito di aver scelto la parte
sbagliata della barricata. Uno qualunque dei Mangiamorte non avrebbe mai fatto
quello che Potter aveva fatto per lui.
Forse era per questo che si era rifiutato di andare al funerale
di sua zia Bellatrix, malgrado il dissenso di sua madre, mentre si era imbucato
di nascosto a quello del gemello Weasley, quale dei due non ricordava, e poi a
quello della cugina mezzosangue che non aveva mai conosciuto e di suo marito, il
Licantropo.
Aveva appena compiuto diciotto anni quando sia lui che suo padre
furono prosciolti da tutte le accuse grazie alla testimonianza di Harry Potter:
Merlino solo sapeva perché l’avesse fatto. Draco non glielo aveva mai chiesto. A
dirla tutta, non ci aveva nemmeno più parlato, dopo la battaglia: aveva saputo
poi dalla Gazzetta che era diventato Auror, si era sposato con la ragazza
Weasley e aveva avuto un figlio. Si scambiavano giusto un "buon giorno" molto
civile se si incrociavano per caso da qualche parte…
Non gliene era più importato nulla: aveva solo voluto
dimenticare, cercare di fare qualcosa di diverso.
Dopo il proscioglimento, era partito, spezzando il cuore di
Narcissa, che sperava di avere tutta la famiglia unita, finalmente: aveva
vagabondato per l’Europa, desideroso di gettarsi il passato alle spalle.
Qualunque cosa cercasse, non sapeva nemmeno lui cosa, non l’aveva trovata… Aveva
appena fatto vent’anni quando era tornato a casa, rassegnato.
Due anni dopo, suo padre era morto, stroncato anzitempo dal
vaiolo di drago come già Abraxas Malfoy prima di lui, e Draco aveva ereditato
tutta la loro fortuna. O meglio quanto ne era rimasto dopo le confische del
Ministero: metà del patrimonio originale, più o meno, il che comunque era più
che sufficiente per vivere di rendita un paio di generazioni.
Al che sua madre aveva cominciato a fare serie pressioni perché
si sposasse: era lui l’ultimo Malfoy, era suo compito preservare il nome del
casato, fare dei bei figli purosangue, bla, bla, bla… Certe idee erano dure a
morire, se te le instillano nella testa fin nel pancione e Narcissa faceva fede
alle tradizioni famigliari: una bella moglie purosangue, una famiglia
rispettabile e al momento giusto un bel erede. O forse la sua era semplice
smania di diventare nonna: d’altronde si era innamorata del nipote di sua
sorella Andromeda ben al di là di quanto chiunque si sarebbe aspettato!
Così, le feste di compleanno erano diventate l’ennesima scusa
per la caccia alla moglie ideale, se possibile una tortura peggiore dei party a
fine politico della sua infanzia!
Ma Draco era refrattario all’idea del matrimonio: non ci si
sentiva portato, senza contare che di tutte le ragazze purosangue di origini più
o meno nobili che conosceva, non una attizzava minimamente il suo interesse. Il
più delle volte, le sembrava false, piene di doppi fini, come del resto
probabilmente appariva anche lui agli occhi degli altri. C’era stato un periodo
particolarmente buio in cui si era paventata l’ipotesi di un fidanzamento con
Pansy Parkinson, ma Draco aveva detto a chiare lettere a sua madre che piuttosto
che sposare quella, sarebbe entrato in monastero e si sarebbe dedicato a una
vita di ascetismo e preghiera. La minaccia era stata recepita forte e chiara e
per un po’ Narcissa aveva ammorbidito i toni, smettendo di presentargli ogni
singola ragazza che le passasse a meno di due metri di distanza.
Era stato proprio a quel punto, quando si erano tutti più o meno
rasseganti che Draco sarebbe rimasto scapolo, che lui aveva incontrato la donna
giusta.
Per una strana coincidenza del destino, Draco la conobbe alla
festa per i suoi ventiquattro anni, la prima organizzata senza il minimo fine
recondito: anche Narcissa aveva ormai rinunciato all’idea di avere dei nipotini
a breve termine e si accontentava di spupazzarsi Teddy ogni volta che ne aveva
occasione… A volte Draco ne era perfino un po’ geloso: quando lui era piccolo,
Narcissa non aveva mai dimostrato tanto calore verso di lui. Ma del resto, dopo
la morte di Bellatrix e soprattutto di Lucius e il riavvicinamento con Andromeda
era molto cambiata…
Comunque, si era lasciato persuadere a fare la festa, benché non
ne avesse minimamente voglia. Infatti quando l’aveva vista per la prima volta,
era seduto in poltrona con un bicchiere di Whisky in mani, ad annoiarsi a
morte.
In un primo momento non l’aveva nemmeno riconosciuta, solo
quando aveva visto sua sorella Daphne, che era stata sua compagna di scuola,
aveva capito che quel piccolo angelo era Astoria, la sorellina di quattro anni
più piccola, il ranocchio che ad Hogwarts si attaccava a Daphne come una
cozza…
Di quel ranocchio era rimasto ben poco, si era detto, ammirando
la giovane donna dai lunghi capelli castano ramati e gli occhi blu.
Il resto non seppe chiarirselo bene nemmeno lui: forse fu
Narcissa, che per certe cose aveva l’occhio più acuto di un falco, a combinare
tutto, forse fu semplicemente il destino, fatto sta che a un certo punto si
ritrovarono soli a parlare. Da lì al fidanzamento il passo era stato
sorprendentemente breve. E ancora più breve fu il passo verso il matrimonio: sia
Narcissa che la signora Greengrass sembravano non vedere l’ora di vederli
sposati. La cosa più incredibile, specie nel loro ambiente, fu che il loro fu un
matrimonio per amore: Astoria si era sinceramente innamorata di Draco, che dal
canto suo non vedeva più nessuna donna oltre lei.
Detto fatto: in campo a otto mesi erano felicemente sposati e
Astoria si trasferiva a Malfoy Manor, mentre Narcissa lasciava molto
discretamente il campo libero, traslocando dalla sorella.
Col senno di poi, fu la scelta migliore della sua vita: Astoria
riuscì a riscuoterlo dall’immobilità in cui era piombato dopo la fine della
guerra, riuscì a fargli amare di nuovo la vita.
Ora, a distanza di un anno e mezzo, poteva dire di sentirsi
l’uomo più felice del mondo. Per la prima volta da non sapeva più quanto tempo,
era davvero felice di festeggiare il suo compleanno.
Astoria entrò in quel momento nella stanza, trovando il marito a
fissare rapito fuori il soffitto. Trascinandosi dietro il pancione fin troppo
traditore, la giovane donna andò a sedersi al suo fianco, sorridendo.
"Ti vedo pensieroso…" esordì, poggiandogli una mano sulla
spalla.
Draco si riscosse dai suoi pensieri, quasi sobbalzando: non
l’aveva sentita arrivare, tanto era assorto.
"Scusa, non volevo spaventarti…".
"No, non mi hai spaventato. Stavo solo pensando…".
"Posso sapere a cosa?".
Draco si strinse nelle spalle. "A tante cose. I compleanni fanno
uno strano effetto: ti ritrovi a ricordare le cose più disparate. C’è un che di
malinconico: ogni anno hai qualcosa in più a cui ripensare…".
"Non sei un po’ troppo fatalista?" lo prese in giro Astoria. "Se
ti senti così a ventisette anni, come sarai a cinquantasette?".
"Ah, non lo so. Forse sarò già sotto due metri di terra: mio
padre aveva solo 48 anni, in fondo… Pensavo anche a lui, ora che mi ci fai
pensare".
Astoria lo fissò truce. "Niente discorsi lugubri, per favore.
Non mi piace pensarti in quel modo. Mi auguro sinceramente che non prenderai
anche tu il Vaiolo di drago… E che se dovesse accadere, che tu sia molto più
vecchio: non credo che 23 anni di matrimonio mi possano bastare".
Draco le sorrise. "Allora, mi impegnerò per vivere almeno fino a
150 anni: pensi sia sufficiente?".
Lei mise su un’espressione meditabonda. "Forse… Come inizio non
c’è male!".
Scoppiò a ridere, subito imitata dal marito. Era così diversa
dalle altre donne che aveva conosciuto, così vitale: era una Purosangue,
rampolla di una famiglia antica quasi quanto la sua, eppure sembrava una
creatura completamente diversa da lui, che per qualche strano scherzo del
destino gli era stata concessa.
"Ti amo" le sussurrò, cingendole le spalle.
"Oh, sei proprio smielato e sdolcinato stamattina" mormorò lei,
con un sorrise dolce. "Anch’io ti amo. AHI!".
L’espressione felice fu sostituita un attimo da una smorfia di
dolore, mentre si portava una mano alla pancia.
"Che succede?" si preoccupò subito Draco, balzando in piedi.
"Stai male? Dobbiamo andare in ospedale?".
Stava già partendo in quarta, quando Astoria lo trattene per il
braccio. "Tranquillo, tranquillo: era solo un calcio molto forte al fegato. Tuo
figlio è particolarmente attivo oggi".
"Sei sicura?".
"Mancano ancora due mesi, Draco" gli ricordò lei dolcemente.
"Siediti e rilassati: è tutto a posto".
Lui ubbidì, pur sempre squadrandola con apprensione; Astoria
finse di non farci caso e gli chiese: "A che altro pensavi? Oltre a tuo padre,
intendo: ti manca molto, non è vero?".
"Non lo so con precisione" rispose sinceramente Draco. "Mi
manca, ovvio, ma non sono sicuro nella misura in cui sarebbe giusto che mi
mancasse. Non abbiamo mai avuto questo gran rapporto: lui era legato alle
vecchie tradizioni, e quando sono diventato grande abbastanza da poter destare
il suo interesse è scoppiata la guerra. Poi non abbiamo più avuto occasioni per
legare. Forse stavamo rimediando negli ultimi tempi, prima che morisse, non lo
so…".
"Sono certa che ti voleva molto bene".
"Immagino non lo sapremo mai. Spero solo di poter essere un
padre migliore di quanto non lo sia stato lui…".
"Tu sarai un padre eccezionale" lo rassicurò Astoria. "Ne sono
certa!".
Draco non rispose: lui non ne era poi tanto sicuro. Che ne
sapeva di come si faceva il genitore? Non aveva mai avuto un modello di
rifermento. E non voleva essere come era stato suo padre, un fantasma di cui
ricercare continuamente l’approvazione…
"Immagino ce lo dirà solo il tempo".
"IO non ho bisogno di aspettare" ribatté Astoria. "Lo so già che
sarai un papà fantastico".
"E come? Come lo sai?".
"Lo so e basta. Tu sei diverso".
Draco si chiese se fosse una cosa positiva o negativa: dalla
faccia di lei, era ovvio che lo considerasse un bene.
"Ma come fai a sopportarmi?" le chiese.
"I complessi fanno parte del tuo fascino. In effetti, credo
siano quelli ad avermi fatto innamorare di te!".
"Ah, buona a sapersi! Vedrò di conservarne un po’ per il
futuro!".
"Bravo, amore!".
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Astoria intervenne
di nuovo. "Ah, quasi mi dimenticavo: ti ha scritto tua madre".
"E che voleva? Lasciami indovinare: farmi gli auguri?".
La donna rise. "Sì. E invitarci cortesemente per una cenetta
informale a casa sua stasera".
"L’avevo già messo in conto. A te non dispiace, vero?".
"Ma no, scherzi. Mi piace tua madre. E anche tua zia e tuo
cugino…".
Ah, già, la zia Andromeda e il piccolo Teddy, anche se ormai, a
dieci anni compiuti, non si poteva più dire tanto piccolo: non sapeva mai come
comportarsi con loro. Non è che ci avesse mai costruito un vero rapporto.
Soprattutto il bambino lo metteva a disagio: non tanto per la sua ascendenza
paterna, di cui gli importava alla fine ben poco, quanto piuttosto per il fatto
che le poche volte in cui ci aveva parlato, Teddy aveva passato metà del tempo a
tessere le lodi di Harry, il padrino per cui stravedeva. E Draco non parlava
volentieri di certi argomenti. Ma sapeva anche che Teddy non lo faceva apposta:
probabilmente nemmeno sapeva che lui e lo "zio Harry" erano stati compagni di
scuola.
"D’accordo, allora più tardi le scriverò per dirle che saremo da
lei per le sei".
"Nessun problema. Tanto non ho nulla da fare. A parte
festeggiare il mio maritino perfetto".
"Guarda che così mi farai diventare vanitoso…".
"Se lo sei, non possiamo mica negare l’evidenza, ti pare?".
Draco le sorrise, dandogliela vinta.
Forse non si meritava tutta la fortuna che aveva avuto nel
trovarla, ma mai come in quei momenti si sentiva l’uomo più felice del
mondo!
LYRAPOTTER’S CORNER
Lo so non è molto lunga, ma più di così non riuscivo proprio a
fare. In realtà una mezza ideuzza l’avevo, inserendo anche la cena da Andromeda,
ma avrebbe guastato l’atmosfera, così ho lasciato perdere. Anche perché, tutto
sommato, considerando che Draco è un personaggio che mi ispira poco, sono
ragionevolmente soddisfatta del risultato ottenuto: credo che alla fine mi sia
venuta fuori una cosina carina. Poi a voi l’ardua sentenza! Ci tengo a
precisare, a parte poca roba (i riferimenti a Harry, Astoria, il fatto che i
Malfoy siano stati scagionati grazie a Harry), tutti i riferimenti a eventi post
saga sono frutto del mio cervellino malato. La data di ambientazione l’ho
desunta basandomi su quella di Albus Potter dal Lexicon: siccome lui e Scorpius
frequentano lo stesso anno, ho dato per scontato fossero coscritti. Ultima cosa,
in questi giorni mi sento davvero sotto terra, forse il mio Draco si fa un po’
troppe seghe mentali rispetto a quello canonico, ma mi è venuto così.
Grazie a
Deidara, per avermi suggerito
l’idea
Hermioneforever92
dirkfelpy89
per i loro commenti meravigliosi. Mi auguro apprezzerete.
Il prossimo appuntamento sarà una shot su gentile richiesta di
HermioneForever92, il 17/06, per l’anniversario della morte di Sirius.
Non so però se potrò aggiornare puntualmente, perché in cui giorni sarò in
ritiro da studio per la maturità. Penso però di poter corrompere mia sorella
perché pubblichi al mio posto.
A presto, bacibaci!!!!
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Capitolo 14 *** Battaglia dell'Ufficio Misteri ***
SPECIAL
DAYS
BATTAGLIA DELL’UFFICIO MISTERI
17 giugno 1996
Grimmauld Place n°12
Londra,
16.00
Mentre scendeva le scale di Grimmauld Place
diretto in cucina, Sirius Black non poteva fare a meno di pensare che quella
fosse davvero una pessima giornata: quella mattina non aveva potuto fare la
doccia perché ovviamente l’acqua calda sembrava sparita e aveva scoperto di non
avere più vestiti puliti, dato che Kreacher si era guardato bene dal lavarli; a
pranzo aveva litigato per l’ennesima volta con Molly su dove Harry avrebbe
trascorso le vacanze imminenti, tirando nella disputa pure Remus, che aveva
cercato di fare da paciere e aveva finito con l’andarsene arrabbiato sbattendo
la porta. Sirius si era già riproposto di sistemare le cose quanto
prima…
Dulcis in fundo, per completare quel giorno
perfetto aveva appena finito di occuparsi Fierobecco, che in qualche modo ignoto
si era ferito in modo piuttosto serio a una zampa.
Bel bilancio, non c’è che dire! Sono solo le
quattro e già vorrei andarmene a letto!
E non poteva sapere che il peggio doveva
ancora arrivare….
Entrò in cucina, gettando sul tavolo le bende
sanguinanti con cui aveva medicato l’Ippogrifo, e trovò Kreacher accucciato di
fronte al camino, come se stesse parlando con qualcuno. Sirius allungò il collo,
ma non vide nulla di sospetto, solo un mucchio di cenere.
"Che stai facendo, Elfo scansafatiche?" gli
abbaiò dietro, in tono perfino più rude del solito.
"Kreacher pulisce, padrone" rispose
quest’ultimo. "Kreacher vive per servire la nobile casa dei Black…".
"Sì, certo, come no. Vedi di andare a fare un
giro e a ‘pulire’ da qualche altra parte…".
"Come il padrone desidera" rispose Kreacher,
inchinandosi e avviandosi, borbottando nel contempo indistinte minacce di morte
ai danni del "indegno figlio traditore del suo sangue".
Sirius non vi diede peso: e perché avrebbe
dovuto? Kreacher ripeteva quella solfa da quando era tornato a Grimmauld Place,
che motivo aveva per pensare che quella volta l’Elfo stesse parlando con
cognizione di causa?
Stava giusto pensando di mettere su una tazza
di the, quando dall’ingresso gli giunse l’inequivocabile rumore di qualcuno che
inciampava, seguito da una colorita imprecazione e dalle urla adirate della
Signora Black.
"Luridi Sanguesporco infestatori della casa
dei miei padri…".
"Oh, chiudi quel forno, vecchia
ciabatta!".
Poco dopo tornò il silenzio e Ninfadora Tonks
fece il suo trionfale ingresso nell’angusta cucina del Quartier
Generale.
"Mia cara cugina" la salutò Sirius, con un
sorrisetto ironico. "Lasciati dire che come annunci tu la tua presenza, non lo
fa nessuno!".
"Va al diavolo Sirius!" lo rimbeccò Tonks,
lasciandosi cadere su una sedia libera. "È colpa di quel dannato portaombrelli:
è sempre in mezzo ai piedi!".
"Curioso, visto che sei l’unica a inciamparci
con la regolarità di un orologio svizzero".
Dora gli fece un gestaccio, intimandogli di
chiudere il becco.
"Nervosette, eh?" ridacchiò Sirius. "Cos’è,
ci siamo alzate con la luna storta, Ninfadora?".
"Azzardati di nuovo a chiamarmi in quel modo,
Black" lo minacciò Tonks, "e pregherai per essere di nuovo rinchiuso ad Azkaban,
parola mia!".
"Va bene, seppelliamo l’ascia di guerra. Vuoi
un the?".
"Oh, sì grazie" rispose la ragazza,
stiracchiandosi. L’occhio le cadde poi sulle bende insanguinate abbandonate sul
tavolo. "Sirius, quello è… sangue?!".
"Eh, cosa?" fece lui, voltandosi. Poi annuì:
"Oh, sì, ho compiuto un paio di sacrifici umani mentre ero solo… Sai, non avevo
niente da fare…".
"Non sei divertente, Sirius. Sei
ferito?".
"Sono sano come un pesce, non preoccuparti,
cugina. Il sangue è di Fierobecco: chissà come si è ferito a una
zampa…".
"Sarà stanco di restarsene sempre chiuso in
quella stanzetta" suggerì Dora.
"Già… Se è per questo, non è il solo…" sbuffò
Sirius. "Se resterò qua dentro ancora per molto, diventerò matto, ne sono
sicuro!".
Tonks gli sorrise, comprensiva. "Posso
immaginare… Senti, vuoi che provi a parlare con Silente? Magari si può trovare
un’altra soluzione…".
"Sei gentile, Tonks" la ringraziò l’Animagus.
"Ma non è necessario. In qualche modo mi adatterò: non è che abbia molte
alternative…".
"Presto o tardi il Ministero dovrà ammettere
la verità, Sirius" cercò di consolarlo la ragazza. "E quel giorno ci prenderemo
la soddisfazione di sbattere in faccia a quei burocrati un bel ‘io ve l’avevo
detto’!".
Sirius rise. "Già: è quel tardi che mi fa
paura. Se andiamo avanti così, sarò morto prima di vedere quel
giorno…".
"Non dirlo nemmeno per scherzo, Sirius! Non è
divertente!".
"E chi ha detto che lo sia?". Sirius si
sedette, porgendole una tazza piena di the fumante. "Passando ad argomenti più
lieti, cosa ti porta da queste parti?".
La presa di Tonks tremò leggermente e la
ragazza abbassò lo sguardo. "Deve per forza esserci una ragione? Non potrei
semplicemente aver avuto voglia di vedere il mio cugina preferito?".
"Per quanto quello potesse essere un valido
motivo" ribatté Sirius, "sono più che certo che non ti saresti fatta tutta
questa strada da casa tua solo per vedere me…".
"E sentiamo, quale dovrebbe essere il
motivo?".
"Ah, beh, tanto per cominciare un
affascinante licantropo dai magnetici occhi ambrati e il sorriso gentile… Ci
sono andato vicino?".
La reazione della cugina fu una risposta più
che sufficiente: la ragazza avvampò, arrossendo letteralmente fino alla punta
dei capelli e rischiando di far cadere la tazza. "Non so di cosa tu stia
parlando…" riuscì a balbettare.
"Ah no? I tuoi capelli dicono il
contrario".
Dora si prese una ciocca di capelli e sbuffò
nel vedere che era diventata color pomodoro. Tornò alla sua abituale tinta rosa
e poi guardò il cugino, che esibiva un sorrisetto a trentadue denti.
"Piantala di guardarmi in quel modo Sirius!".
Poi buttò lì, in tono apparentemente casuale: "Dov’è comunque?".
"Fuori a fare qualcosa con Kingsley: non ho
capito bene" rispose secco Sirius, pensando che quando fosse tornato, avrebbe
dovuto parlargli e chiedergli scusa.
Dora annuì, poi parve riflettere un attimo e
improvvisamente allarmata domandò: "È tanto evidente?".
"Che ti sei presa una bella cotta per Remus?
Per me sì, probabilmente anche per una buona metà dell’Ordine e del mobilio, con
particolare enfasi a tutte le tazze che hai distrutto ogni volta che lui entrava
nella stanza… Senza dimenticare un piccolo dettaglio: tutte le volte che ti si
avvicina, il livello di ferormoni nell’aria salga vertiginosamente!".
Dora arrossì ulteriormente. "E lui se ne è
accorto, immagino?".
"Ah, non credo… Fortuna vuole che quasi
certamente il diretto interessato sia l’unico a non essersi accorto di niente:
Remus sarà anche intelligente, ma su certe cose è più tardo di una scimmia
handicappata!".
"Non mi consola più di tanto sapere che sono
innamorata senza speranza…".
"Oh, su questo non ci metterei la mano sul
fuoco" la rassicurò Sirius. "Credo che anche Remus provi qualcosa per
te…".
Alla ragazza si accesero gli occhi. "Come fai
a dirlo?".
"Oh, perché lo conosco: lo conosco come le
mie tasche, quasi meglio di quanto non si conosca lui. Riconosco certi segnali…
Per non citare il tasso di ferormoni di cui parlavo poco fa…".
"Ma…".
"Ma, appunto perché lo conosco, so anche come
ragiona: di certo si sarà già fatto un milione di seghe mentali per
autoconvincersi che una vostra relazione sarebbe sbagliata, immorale e senza
futuro. Vedi, come ho già detto, su certe cose, Remus è molto lento: sono più o
meno vent’anni che ha deciso di non meritarsi l’amore di una donna per via della
sua maledizione…".
"Ma a me non importa nulla se lui è un Lupo
Mannaro!".
"Tanti auguri se riuscirai a farglielo
capire: è più testardo di un mulo!".
I due tacquero alcuni istanti: Dora fissava
la tazza di the, quasi sperando che potesse fornirle una risposta ai suoi
problemi, mentre Sirius fissava la cugina.
"Però" constatò alla fine, "ti piace proprio
tanto, non è vero?".
Dora avvampò di nuovo. "Io… io… credo di
esserne innamorata" mormorò in un borbottio appena distinguibile.
Sirius sgranò gli occhi. "Accidenti, non
credevo che la cosa fosse tanto seria…".
"Già, sì… Ormai credo di essere senza
speranza!".
"Ah, non dire così: finché c’è vita, c’è
speranza!".
Dora rise, bevendo poi un sorso di the. Dopo
un po’ domandò: "Che cosa posso fare adesso?".
"E lo chiedi a me, Dora?" ribatté Sirius.
"Senza offesa, ma non ti sembro la persona meno indicata?".
"Forse, ma ho bisogno di un
consiglio…".
"Ok, ti vedo proprio disperata… Il mio
consiglio è: buttati!".
"Buttati?" ripeté Tonks, incredula. "Che
razza di risposta è ‘buttati’?".
"Io la vedo così: finché non provi, non
potrai mai sapere cosa succederà. Non vorrai tenerti dentro questo tarlo per
sempre?".
"No, certo…".
"Allora, raggranella il coraggio, prendi un
bel respiro e buttati: alla peggio ti dirà di no… Ma sono certo che non accadrà:
chi potrebbe resisterti?".
Dora sorrise. "Grazie, Sirius".
"Dovere".
In quel momento sentirono la porta d’ingresso
aprirsi di nuovo, annunciando l’arrivo, stavolta più discreto, di Malocchio
Moody.
"Ah, the, bene" grugnì, sedendosi senza
nemmeno salutare. "Fa qualcosa di utile, Sirius, portamene una
tazza".
Mentre Sirius ubbidiva, Tonks si girò verso
il suo vecchio mentore. "Ma buon giorno, Malocchio! Io sto bene, grazie, molto
gentile da parte tua chiederlo; e tu come stai?".
Moody la incenerì con lo sguardo. "Meno
spirito, recluta: non sei divertente!".
"Oh, e io che pensavo di avere un futuro nel
cabaret: come hai potuto distruggere così il mio sogno, Malocchio?!".
Moody la guardava come se avesse voluto
ridurla in cenere, mentre Sirius, dal canto suo, stava seriamente cercando di
non soffocarsi nel piuttosto fallimentare tentativo di non scoppiare a
ridere.
"Te la mai detto nessuno" riprese il vecchio
Auror, "che se fossi tanto brava nei duelli come lo sei a usare la lingua, a
quest’ora saresti a capo di un Dipartimento?".
Tonks gli sorrise amabile. "Grazie,
Malocchio, anch’io ti voglio bene" trillò, guadagnandosi un’altra occhiata
inceneritrice.
Sirius stavolta non riuscì a trattenersi e
scoppiò in una sonora risata proprio in faccia a Moody, il quale rivolse anche a
lui il suo miglior sguardo raggelante. "Ti avviso, Black, stai marcando molto
male oggi…".
Sirius alzò le mani in segno di resa,
cercando di controllarsi. "Scusa, scusa, Malocchio, non rido più,
giuro!".
"Sarà meglio per te! E dove diamine è il mio
the?".
Sirius si affrettò a portare una tazza
fumante all’ex-Auror, per poi domandargli. "Che ci fai qui, comunque, Malocchio?
Non mi risulta che ci fosse una riunione dell’Ordine…".
"Sto aspettando Remus e Kingsley, se proprio
vuoi saperlo: devono dirmi come è andata la loro missione".
"Cos’è che dovevano fare, Malocchio" domandò
Dora, interessata.
"Se invece di startene perennemente tra le
nuvole, ascoltassi cosa diciamo alle riunioni, lo sapresti, recluta" la
rimproverò Moody. "Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, dovevano
andare…".
Ma Dora non seppe mai cosa erano andati a
fare Kingsley e Remus: in quel momento, nella stanza comparve un argenteo
Patronus a forma di cerva, che subito dopo prese a parlare con la voce di Piton.
"Black, se come penso sei a Grimmauld Place, per favore rispondi IMMEDIATAMENTE
a questo messaggio. Nel caso, ti interesserà anche sapere che Potter deve essere
stato di nuovo posseduto dal Signore Oscuro: è convinto che i Mangiamorte ti
abbiano catturato. Quindi, te lo ripeto: rispondi subito, non ho tempo da
perdere".
La cerva si dissolse, lasciando cadere un
silenzio di tomba: tutti i sorrisi e l’allegria sembravano essere spariti
insieme al Patronus.
Moody fu il primo a riprendersi. "Che stai
aspettando, Sirius. Manda quello stupido Patronus!".
Sirius si riscosse e ubbidì, guardando un
cane argenteo sparire attraverso la parete.
"Che cosa vuol dire tutto questo, Alastor?"
domandò Tonks.
"Non ne ho idea". Malocchio scosse la testa
con fare sconsolato. "Non ne ho idea: ma di certo non sarà nulla di
buono".
Sirius rifletteva: non riusciva a immaginare
un motivo, il piano di Voldemort dietro a quella storia… A meno che…
"Crede che sono nell’Ufficio Misteri"
mormorò, capendo nel contempo che poteva essere l’unica spiegazione possibile.
"Voldemort sa che Harry si precipiterà a salvarmi: gli ha fatto credere di
avermi portato giù all’Ufficio Misteri…".
"Non è possibile" obiettò Tonks. "Come può
averlo fatto?".
"È Voldemort, Dora: sarebbe capace di
qualunque cosa…".
Nessuno poté obiettare a quell’affermazione:
non potevano fare altro che aspettare e sperare che tutto si risolvesse per il
meglio. Non potevano ancora sapere che il peggio doveva ancora venire
Grimmauld Place N°12
00.30
Sirius era più che convinto che sarebbe
impazzito di lì a pochi minuti: erano passate ore da quando Piton si era messo
in contatto con loro e da allora non avevano più saputo nulla. Dov’è era Harry?
Stava bene? Nessuno si era degnato di contattarli, il che faceva temere a Sirius
il peggio: Piton sarà pure stato tutto quello che era, ma nei momenti di crisi
era capace di mettere da parte il suo rancore. O almeno, Sirius lo
sperava…
Guardò un attimo gli altri presenti nella
cucina: quando Remus e Kingsley erano tornati ed erano stati informati, si erano
subito uniti agli altri nell’attesa. Non avevano fatto praticamente altro: tutti
i fiacchi tentativi di portare avanti una qualunque conversazione di erano
presto risolti nel nulla, a nessuno era nemmeno passato per l’anticamera del
cervello di mangiare, perciò erano rimasti lì in silenzio a fissare il tavolo.
Maledizione, perché è dovuta succedere una
cosa del genere? Se avessimo detto a Harry la verità quando era il
momento…
Ma ormai piangere sul latte versato non
serviva a nulla… Giuro che se Piton non si mette in
contatto con noi entro i prossimi cinque minuti, vado ad Hogwarts a fare una
strage!
Eppure gli sembrava che qualcosa in tutta
quella storia non tornasse: se Harry era stato davvero posseduto e credeva che
lui fosse nelle mani dei Mangiamorte, perché non aveva prima provato a mettersi
in contatto con lui, invece di gettarsi allo sbaraglio? Certo, sarebbe stato
tipico del suo figlioccio partire come un treno, ma di certo si era confidato
con Ron e Hermione e loro avevano cercato di farlo ragionare… Avrebbe potuto
cercarlo con lo specchio a doppio senso o via camino, come aveva fatto alcuni
mesi prima…
All’improvviso gli venne un orribile dubbio:
rivolse un’occhiata perplessa al camino, pieno di cenere e assolutamente
innocente… Aveva visto Kreacher chino come se stesse parlando con qualcuno solo
poche ore prima, poco prima che arrivasse quel Patronus maledetto… No, non è possibile: se avesse parlato con Harry, me lo avrebbe
detto!
Eppure il dubbio continuava a roderlo.
D’altronde cosa altro ho da fare? Sarà sempre meglio di
stare qui a fare nulla…
Si stava appunto alzando, con l’idea di
andare a stanare Kreacher e fargli passare un brutto quarto d’ora, quando un
turbinio di fiamme verdi annunciò l’arrivo di Severus Piton, che se possibile
era perfino più pallido del solito.
"Severus" lo salutò Remus, alzandosi in
piedi. "Cosa sta succedendo? Harry sta bene?".
"Non ne ho idea" fu la tetra risposta.
"Potter e i suoi amici sono spariti nella Foresta Proibita con la nostra
beneamata preside ore fa… Mi sono messo in contatto con alcuni Mangiamorte:
scenderanno nell’Ufficio Misteri stanotte".
"Cosa vuol dire che sono spariti nella
Foresta?" intervenne Sirius. "Chi altro c’è con Harry".
"Da quello che ricordo, i due Weasley, la
Granger, Paciock e la giovane Lovegood: li ho visti addentrarsi nella foresta
poco dopo avervi contattato e non li ho più visti… Certo, è possibile che siano
finiti in pasto alle Acromantule…".
Remus scosse il capo. "I ragazzi sono già
stati nella Foresta Proibita, sanno come muoversi là dentro".
"Allora, l’unica possibilità che ci resta è
che siano andati in branco a Londra e siano scesi nella Stanza delle Profezie
insieme a Potter…".
"Che cosa facciamo?" domandò Dora.
"Mi pare ovvio" esclamò Moody. "Li andiamo a
recuperare prima che le cose finiscano male!".
Balzarono tutti verso la porta, Sirius in
coda, che si sentì strattonare per un braccio e tirare indietro.
"Frena i motori, Black" lo bloccò Piton. "Tu
non vai da nessuna parte…".
Eh no, quando è troppo è
troppo!
"Scordatelo, Piton" ruggì, divincolandosi.
"Me ne sono stato buono da parte fino ad adesso, chinando il capo e ingoiando
insulti, ma non c’è nulla al mondo che potrai dire o fare che mi impedirà di
andare a salvare il mio figlioccio stanotte!".
"Silente sta venendo qui" obiettò Piton,
glaciale come suo solito. "Qualcuno deve restare per riferirgli cosa sta
succedendo…".
"E perché non lo fai tu, Mocciosus? Cos’altro
hai da fare, visto che come ho inteso tu non verrai con noi?".
"IO torno ad Hogwarts: primo, perché c’è
sempre la possibilità che Potter e la sua combriccola siano davvero finiti nella
bocca delle Acromantule; secondo, perché non voglio che la Umbridge, o chi per
lei, possa avere qualcosa da recriminarmi… Ergo, io non posso restare, ergo
dovrai farlo tu!".
"Allora dovrai incatenarmi, drogarmi e
chiudermi in uno sgabuzzino, perché io vado al Ministero!".
"Black, per quanto l’idea di avere una scusa
per metterti le mani addosso mi faccia immensamente piacere, stiamo perdendo
tempo prezioso…".
"Severus ha ragione, Sirius" intervenne
Remus, fermo sulla soglia. "Non c’è tempo per queste cose…".
Lo so, lo so…
In quel momento, Kreacher fece la sua
comparsa, attirato probabilmente dal trambusto, borbottando come suo
solito.
"Perfetto" esclamò Sirius, colto da
un’improvvisa illuminazione. "Resterà Kreacher a riferire a Silente: problema
risolto".
Piton aveva tutta l’aria di voler obiettare,
ma Sirius non gliene diede il tempo. "Ascoltami bene, Kreacher: tra poco
arriverà il Professor Silente. Devi dirgli che siamo corsi all’Ufficio Misteri,
che Harry Potter è in pericolo e abbiamo bisogno di aiuto, hai
capito?".
Kreacher si esibì in un ossequioso inchino.
"Certamente, padrone: Kreacher è sempre lieto di eseguire gli ordini del
padrone".
"Bene, allora possiamo andare".
E senza aspettare ulteriori obiezioni, si
precipitò fuori dalla stanza, seguito dal resto dell’Ordine.
Rimasto solo, nessuno sentì le parole del
vecchio Elfo Domestico. "Il padrone se ne è andato, per sempre: il padrone non
ritorna più dal Ministero. Kreacher e la sua padrona sono di nuovo
soli…".
Non molto lontano da lì, le parole di
Kreacher stavano già diventando realtà….
S. Mungo
Londra
7.30
Bianco. Ninfadora Tonks si sentiva circondata
dal bianco: letto bianco, lenzuola bianche, pareti bianche, pavimento
bianco…
Ci mise alcuni secondi per riconoscere una
delle linde, asettiche stanze del S. Mungo e altrettanti secondi per rammentare
come ci era finita: Harry, la profezia, l’Ufficio Misteri, Bellatrix… Merda!
Mi sono fatta mettere fuori gioco come una dilettante, pensò, mentre il
ricordo della maledizione di Bellatrix che la centrava in pieno ritornava con
prepotenza a galla nella sua mente.
Balzò di scatto a sedere e subito se ne
pentì, perché il suo costato mandò una lancinante, dolorosa fitta di protesta.
Con un gemito di dolore, Tonks si lasciò ricadere sul letto: com’è finita la
battaglia? Come stanno gli altri? Cosa è successo?
Si accorse solo in quel momento della
presenza di un’altra persona nella stanza: un uomo, appollaiato su una sedia,
che stava risvegliandosi in quel momento, probabilmente disturbato dal movimento
improvviso di poco prima. Un uomo che avrebbe riconosciuto tra mille…
"Dora?" mormorò con voce assonnata,
passandosi una mano sugli occhi e girandosi verso di lei.
"Remus…". Perfino lei i sorprese di quanto
fioca fosse la sua voce e di quanto parlare le facesse male al petto: certo
Bellatrix l’aveva conciata per bene!
"Dora!" esclamò lui, balzando in piedi
sollevato. "Grazie a Merlino, stai bene! Cominciavamo a temere…".
Sorrise, ma Dora notò che il sorriso era in
qualche modo forzato e che non si estendeva al resto del volto.
"Cosa è successo dopo che sono svenuta?"
domandò, desiderosa di notizie. "Gli altri stanno bene, vero? E i
Mangiamorte?".
"Bene, i ragazzi stanno tutti bene" rispose
Remus, risedendosi. "Silente li ha fatti riportare ad Hogwarts: alcuni se la
sono vista brutta, ma presto staranno benone. E i Mangiamorte marciscono dietro
le sbarre di Azkaban… Solo Bellatrix è riuscita a scappare".
Per un attimo, Tonks si sentì pervadere dal
sollievo: aveva fatto una figuraccia, ma era finito tutto bene… Ma poi notò
l’espressione di Remus: sembrava affranto, no, distrutto…. Aveva gli occhi
arrossati di chi ha dormito poco e ha… pianto? Ed erano lacrime quelle che gli
aveva segnato il viso? Realizzò che l’uomo aveva parlato solo dei ragazzi, non
dei membri dell’Ordine e un orribile sospetto la invase.
"Remus" cominciò esitante, "gli altri stanno
bene, vero? Ti prego dimmi che stanno bene…".
Remus la guardò senza rispondere, come se non
avesse temuto altro che quel momento e non avesse la forza di affrontarlo. E
Dora comprese: solo per una persona Remus avrebbe potuto essere così
disperato.
"No" mormorò, mentre quel dubbio diventava
certezza di fronte al muto assenso dell’altro. "No, no, Remus, non lui, ti
prego, non lui…".
Remus si limitò ad annuire, come se le parole
non gli venissero. "Sirius… è successo tutto così in fretta: non abbiamo potuto
fare nulla"
Ma a Tonks bastò: si sentì invadere da un
dolore quasi fisico, mentre le lacrime cominciavano a scorrere irrefrenabili e
lei scoppiava in singhiozzi disperati.
"No! No! Non è vero! Per favore, dimmi che
non è vero!".
Remus l’abbracciò, stringendola a sé, mentre
lei singhiozzava sulla sua spalla come una bambina, incapace di accettare
quell’orribile verità: Sirius era morto, andato per sempre, non l’avrebbe più
presa in giro per la sua goffaggine, non avrebbe più riso con lei delle paranoie
di Malocchio…
Non seppe dire quanto tempo restò aggrappata
alle spalle di Remus, piangendo: un angolo della sua mente registrò che quello
era il loro primo intimo contatto da che si conoscevano e il suo cuore accelerò
appena i battiti, ma durò solo pochi secondi.
Quando alla fine si separarono, i singhiozzi
si erano calmati, lasciandola se possibile più dolorante di prima. Remus le
porse un fazzoletto, che lei prese con gratitudine. Dovrei essere io a
consolare lui, pensò. Era il suo migliore amico, lo conosceva da tutta la
vita…
"Come?" domandò. "Come è
successo?".
Remus esitò, incerto se rivelarglielo o no,
ma alla fine sospirò e disse: "Bellatrix… l’ha colpito con uno Schiantesimo in
pieno petto e l’ha sbalzato oltre il Velo della Stanza della Morte…".
Ma Tonks aveva sentito solo parte delle
parole dell’uomo: il suo cervello si era fermato a ‘Bellatrix’. "Bellatrix?"
ripeté, in tono vagamente isterico. "Bellatrix ha ucciso Sirius? È stata
lei?".
Remus annuì confuso. "Sì… Dopo che Silente è
arrivato…".
Ma Dora non lo udiva più: si era annullato
tutto sotto una fredda cappa di soverchiante senso di colpa. "È colpa mia!"
esclamò, con voce che nemmeno riconobbe come sua. "È stata colpa
mia!".
"NO!". Remus protestò con forza, stringendole
la mano. "Come può essere colpa tua?".
"Se non mi fossi fatta mettere fuori gioco da
Bellatrix come un’idiota…"
"NO! Non dirlo nemmeno per scherzo, Dora, hai
capito? NON è stata colpa tua…".
"Ma se io…".
"No" la interruppe Remus, in tono deciso,
afferrandole ancora più forte la mano. "Non devi nemmeno pensare queste cose,
Dora, ok? Se c’è un responsabile, è Bellatrix e nessun altro. Tu non c’entri
assolutamente nulla…".
Tonks non aggiunse altro, anche se non si
sentiva del tutto convinta: restava comunque il fatto che Bellatrix aveva ucciso
Sirius dopo aver messo K.O. lei…
Sirius… Sentiva già la sua mancanza come se
fossero passati anni e non poche ore dall’ultima volta che l’aveva visto,
pensare che non avrebbe mai più udito al sua voce le era intollerabile… Le tornò
alla mente la loro ultima discussione, quando lui le aveva estorto la verità sui
suoi sentimenti per Remus…
Che cosa posso fare adesso?
E lo chiedi a me, Dora? Senza offesa, ma non
ti sembro la persona meno indicata?
Forse, ma ho bisogno di un
consiglio…
Ok, ti vedo proprio disperata… Il mio
consiglio è: buttati!
Buttati? Che razza di risposta è
‘buttati’?
Io la vedo così: finché non provi, non potrai
mai sapere cosa succederà. Non vorrai tenerti dentro questo tarlo per
sempre?
No, certo…
Allora, raggranella il coraggio, prendi un
bel respiro e buttati: alla peggio ti dirà di no… Ma sono certo che non accadrà:
chi potrebbe resisterti?
Buttati, le aveva detto Sirius… Il suo ultimo
consiglio…
Dora cercò lo sguardo di Remus e capì che
Sirius aveva ragione: doveva trovare il coraggio… Ma non oggi: oggi non è
tempo di dichiarazioni d’amore…
La porta si aprì e Malocchio Moody entrò
nella stanza.
"Ah, bene, recluta, ti sei svegliata,
finalmente: non ti avevo insegnato a evitare le maledizioni degli
avversari?".
Tonks avrebbe voluto quasi ridere, ma le
costole doloranti glielo impedirono: sotto il tono burbero, aveva sentito il
sincero sollievo del vecchio Auror. Cosa provava in quel momento? Il suo volto
era una maschera impassibile: forse i lunghi anni di lotta passati a vedere
morire persone più giovani di lui l’aveva anestetizzato dal dolore… O più
probabilmente, gli avevano insegnato a nasconderlo molto bene…
"Remus, Silente ci vuole parlare" proseguì
Malocchio.
"Non può aspettare?" sbuffò il licantropo.
"Non ho voglia di stare a sentire chi che sia in questo momento…".
"Aveva l’aria di essere importante" spiegò
Malocchio. "Tanto lo sappiamo entrambi che alla fine verrai…".
Remus sospirò, alzandosi in piedi. "Torno
presto, Ninfadora…".
"Non chiamarmi in quel modo, Remus, quante
volte te lo devo ripetere?".
"Ancora una volta, Ninfadora" sorrise
tristemente lui. "Come al solito". Si chinò e le diede un leggero bacio sulla
fronte. "Riposati". Poi si avviò dietro a Moody.
Dora si sfiorò la sommità del capo,
arrossendo: dal corridoio le giunse la voce di Remus. "Di cosa vuole parlarci
Silente?".
E la risposta di Malocchio: "Non lo so di
preciso, credo qualcosa che riguardi stanotte…".
Grimmauld Place n°12
Londra,
8.10
Ira, rabbia, pura e semplice furia cieca:
Remus non sapeva bene come definire l’emozione con cui spalancò con un calcio la
soglia di Grimmauld Place e irruppe nella casa. Forse il concetto furia omicida
esprimeva meglio come si sentiva: sì, furia omicida e disperata, perché mai come
in quel momento aveva desiderato la vita un altro essere vivente. E lo avrebbe
avuta, oh, se lo avrebbe avuta: avrebbe tirato il collo di quel piccolo
traditore doppiogiochista con le sue mani.
"Dove sei?" urlò all’aria. "Dove sei,
schifoso topo di fogna? Puoi nasconderti, ma non mi sfuggirai in
eterno!".
Già il lupo dentro di lui ululava di piacere
nel sentirlo così assettato di sangue: stava diventato proprio quello che aveva
sempre temuto, una bestia assassina priva di raziocinio. E il lato comico era
che non gliene importava assolutamente nulla! Niente aveva importanza, tranne il
fatto che il complice dell’assassinio del suo migliore amico era ancora vivo, a
pochi passi da lui. Beh, non lo sarebbe stato per molto!
"Nasconditi, nasconditi pure: ti stanerò
anche a costo di rivoltare la casa dalle fondamenta!".
Alle sue urla si erano intanto sommate quelle
della signora Black, risvegliata dal frastuono. "Sudici ibridi, insozzatori
della mia casa…".
Remus non ci badò nemmeno, sordo a quegli
strepiti, sordo a qualunque cosa, dominato solo da desiderio di
uccidere.
Mosse i primi passi nell’atrio, diretto verso
la cucina, dove sapeva che il traditore dormiva, quando si sentì tirare per un
braccio.
"Remus, fermati!".
Kingsley gli era andato dietro. Quando aveva
lasciato l’ufficio di Silente, arrabbiato come non lo era mai stato in vita sua,
l’Auror doveva aver intuito cosa voleva fare e gli era corso dietro. Beh, aveva
poca importanza, non l’avrebbe fermato!
"Lasciami, Kingsley" sibilò minaccioso,
divincolandosi.
"Remus, non sei in te in questo momento"
cercò di bloccarlo lui. "Fermati un attimo, calmati e torna a
ragionare…".
"Non c’è nulla su cui ragionare" gridò il
licantropo, voltandosi verso di lui. "L’Elfo ha venduto Sirius ai Mangiamorte… e
per questo ho intenzione di ucciderlo con le mie mani".
"Remus, rifletti…".
"Non voglio riflettere: sono stanco di
riflettere. Ora voglio agire e prendermi la testa di quel traditore fedifrago!
Scegli tu: o ti fai da parte o ti costringo io!".
Senza attendere risposta si voltò, facendo di
nuovo per avviarsi; dopo pochi passi però fu di nuovo bloccato, stavolta da un
Incantesimo
"Kingsley, ti ho detto…".
"Riprova, sarai più fortunato, Remus" lo
interruppe la voce di Malocchio.
Una forza invisibile lo fece girare e si
trovò Moody a pochi metri con la bacchetta puntata contro di lui: anche l’Auror
l’aveva rincorso, solo che ovvi motivi fisici l’aveva rallentato nella
corsa.
"Lasciami andare, Malocchio!".
"Non credo proprio, Remus. Non finché non
riprendi a pensare con il tuo considerevole cervello invece che con
qualcos’altro!".
"IO non voglio pensare" ruggì il licantropo.
"Voglio solo trovare quel dannato Elfo e farlo a pezzetti".
"Remus, il ruolo che l’Elfo ha avuto in tutta
questa faccenda è decisamente marginale…".
"Non mi importa. Ci ha traditi tutti. E per
colpa del suo tradimento, Sirius è morto! Non lo lascerò andare in giro
impunito, quando di Sirius non ci è rimasto nemmeno un cadavere su cui
piangere!".
"Bene, vuoi ucciderlo?" domandò Moody in tono
retorico. "Allora vai" e ruppe l’incantesimo.
Remus stava già avviandosi, quando le parole
di Malocchio lo frenarono. "Ma se pensi che questo di farà stare meglio, Remus,
ti sbagli di grosso!".
"Che ne sai, Alastor" abbaiò questi. "Che ne
sai tu di come mi sento?".
"Lo so perché ti conosco, Remus. Meglio di
quanto tu possa immaginare: conosco l’uomo che c’è sotto la corazza che ti sei
costruito, sotto il lupo. E so per certo che quell’uomo non può trarre il minimo
giovamento dall’assassinio di una creatura vivente, anche un essere come
Kreacher!".
"Tu, tu non puoi saperlo…
l’Elfo…".
"L’Elfo è un capro espiatorio, e lo sai. Se
anche lo uccidessi, non ti sentiresti meglio: saresti solo più disperato di
prima!".
Remus tacque, mentre le parole di Moody
cominciavano a fare breccia nella nebbia dell’ira e della
disperazione.
"Io non posso lasciarlo vivere" mormorò.
"Nono dopo quello che è successo… Non dopo che Sirius…".
"La morte di Kreacher non riporterà indietro
Sirius" insistette Malocchio. "Capisco quello che provi e lo condivido, ma altro
sangue non risolverà la faccenda!".
"Remus" intervenne Kingsley, poggiandoli una
mano sulla spalla, "Alastor ha ragione, lo sai: la morte dell’Elfo non cambierà
le cose".
Remus si sentì all’improvviso svuotato: la
furia si era dileguata, scomparsa come se non fosse mai esistita, lasciando solo
quel senso di vuoto che gli stava dilaniando il cuore: Sirius se ne era andato e
stavolta non sarebbe tornato, come Lily e James prima di lui. Era di nuovo solo,
come tanti anni prima…
Le gambe gli cedettero e se non fosse stato
per Kingsley sarebbe certo caduto di schianto a terra, mentre scoppiava in
lacrime irrefrenabili.
"Perché? Perché è dovuto
succedere?".
"Non lo so" rispose Malocchio, poggiandogli
una mano sulla spalle. "Nessuno può saperlo…".
"Avevamo litigato" mormorò Remus. "Le ultime
parole che ci siamo detti sono state urlate!".
"Sirius sapeva quanto era importante la
vostra amicizia, Remus" cercò di rincuorarlo Kingsley. "Un litigio non può
cancellare anni di amicizia…".
Remus non trovò la forza di ribattere:
inconsciamente, sapeva che Kingsley aveva ragione, ma aveva anche chiaro che si
sarebbe portato dentro quel senso di colpa per il resto della sua
vita.
Così tacque, scosso dai singhiozzi; e
tacquero anche gli altri due uomini.
L’unico rumore che ancora si udiva erano le
urla adirate della signora Black, ma nessuno dei tre si prese la briga di
metterla a tacere.
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Capitolo 15 *** Dobby ***
SPECIAL
DAYS
DOBBY
27 giugno 1992
Malfoy Manor
Inghilterra,
11.30
È dura la vita di un Elfo Domestico: alcuni
lo sapevano meglio di altri. E malgrado questo a nessun Elfo Domestico sarebbe
mai passato anche solo per l’anticamera del cervello di lamentarsi: gli Elfi non
devono lamentarsi finché c’è da lavorare, anzi devono solo esserne felici.
C’erano poche cose che doveva fare un Elfo Domestico: tenere la bocca chiusa,
ubbidire, mantenere i segreti di famiglia e lavorare, lavorare, lavorare… Chi
non rispondeva a questi requisiti non era nemmeno degno di essere considerato un
Elfo Domestico e veniva guardato in malo modo dagli altri membri della sua
specie.
Ma del resto, quale Elfo avrebbe dovuto
lamentarsi? Da tempo, avevano raggiunto livelli di vita più che accettabili,
molti padroni li trattavano se non proprio con rispetto con qualcosa di molto
simile. E finché c’era qualcosa da fare, nessun elfo aveva diritto di
lagnarsi!
Forse era per questo che Dobby si era sempre
sentito un pesce fuor d’acqua tra gli altri Elfi Domestici, la classica pecora
nera, l’anormale…
Ma c’era anche da dire che la vita di Dobby
era stata irta di sofferenze e priva di qualunque piacere: vincolato a Malfoy
Manor, da quando aveva memoria aveva sempre servito la famiglia Malfoy, che
tutto poteva essere tranne gentile con i suoi servitori! Dobby si era sempre
sentito meno che un verme in quella casa, dove bastonate e punizioni erano
praticamente all’ordine del giorno. Perfino quel giorno, quello che gli umani
chiamavano compleanno, non gli era risparmiato nulla: Dobby sapeva che in certe
famiglie, gli Elfi ottenevano una licenza per quel giorno, ma a lui non era mai
successo. Del resto, dubitava che i Malfoy sapessero perfino che aveva un
compleanno, figurati permettergli di festeggiarlo!
Per questo, da tanto tempo aveva smesso di
considerare i Malfoy come i suoi padroni: oh, ubbidiva perché i vincoli della
sua specie glielo imponevano, ma li detestava, anche se non avrebbe mai avuto
anche solo il coraggio di pensare una cosa del genere. E desiderava la libertà…
ecco, quello era senza dubbio la cosa che rendeva Dobby un Elfo fuori dal
comune: quale Elfo poteva desiderare la libertà? Essere vestiti era il massimo
disonore che quelli come lui potessero ricevere: era il segno che non avevi
fatto bene il tuo dovere.
Ma Dobby l’avrebbe accolta con gioia, la
libertà: sognava il giorno in cui avrebbe potuto lasciare Malfoy Manor per non
farvi più ritorno. Ma era un sogno senza fondamento: i Malfoy non gli avrebbero
mai concesso la libertà, sapeva troppe cose di quella famiglia…
Perciò quel 27 giugno, Dobby se ne stava come
al solito in cucina a organizzare il pranzo, uno dei compiti meno gravosi che
gli toccassero: aveva il considerevole vantaggio che i padroni si abbassavano di
rado a scendere in cucina…
Stava appunto pensando cosa preparare quel
giorno, quando Lucius Malfoy lo chiamò nel suo studio. Che
vorrà adesso il padrone?, pensò Dobby, mentre si dirigeva al piano
superiore.
Bussò una volta alla porta dello studio al
primo piano e ottenuta risposta, entrò con un inchino.
"Il padrone mi ha chiamato?" domandò in tono
ossequioso. "Dobby sarà lieto di eseguire qualunque ordine del
padrone…".
"E vorrei vedere" borbottò Lucius Malfoy,
senza nemmeno guardarlo. "Ascoltami bene: devi scendere botola. Proprio di
fronte alla scala c’è un piccolo baule: dentro c’è un libro dalla copertina
nera. Portamelo. E non toccare nient’altro. Muoviti!".
Dobby fece un altro inchino e uscì. Detestava
scendere nella botola, ovvero quella piccola cantina che Malfoy teneva nascosta
sotto il pavimento del salotto. Al di là del fatto che era tetra, buia e
claustrofobica, era talmente piena di manufatti oscuri che perfino lui, nella
sua limitata esperienza si sentiva accapponare la pelle ogni volta che scendeva
la sotto: gli ricordava i tempi della Guerra, quando il suo padrone serviva
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e la villa era piena di Mangiamorte da
mattina a sera.
Ma gli ordini non si discutono, soprattutto
se a impartirli è Lucius Malfoy; perciò Dobby ridiscese al pianto terra, andò in
salotto, spostò sbuffando il prezioso tappeto e individuò la botola nascosta,
praticamente invisibile, mimetizzata con il resto del pavimento.
Come sempre, il personale nascondiglio della
famiglia Malfoy era buio, dato che l’unica luce proveniva dalle finestre della
casa e stracolmo di tutti quegli oggetti che Lucius aveva considerato
compromettenti all’epoca della Caduta di
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Dobby non riusciva nemmeno a immaginare la
funzione di più di meta delle cose accatastate lì sotto e nemmeno voleva
saperla: voleva solo eseguire l’ordine del padrone il più in fretta possibile e
poi tornarsene ai suoi fornelli.
Il baule di fronte alla scala, ha detto il
padrone
Dobby si diresse verso il liso baule indicato
e lo aprì: dentro, appoggiato sopra un cuscino, quasi alla stregua di una
reliquia, stava un libricino nero, dall’aspetto apparentemente innocuo. Ma Dobby
sapeva che in quella casa non ci si poteva mai fermare alle
apparenze.
Non ha importanza, si disse. Dobby non deve immischiarsi negli
affari del padrone: deve ubbidire e basta!
Così, prese il libro, chiuse il baule e, dopo
aver richiuso e nascosto la botola, tornò da Lucius, che lo aspettava
impaziente.
"Finalmente!" lo rimbrottò, strappandogli
praticamente il libro dalle mani. "Ce ne hai messo di tempo!".
"Dobby si scusa se ha fatto aspettare il
padrone" chinò il capo l’Elfo. "Il padrone desidera qualcos’altro".
Lucius parve sentirlo con un orecchio solo,
tanto era preso a rimirare l’oggetto richiesto. "Eh, come? No, no, va’ pure a
fare qualunque cosa tu debba fare. Di corsa!".
Dobby si inchinò e uscì. Sulle scale, Draco
lo bloccò. "Quando si mangia Dobby? Sono affamato!".
"Dobby sta andando a preparare adesso,
padroncino" fu la risposta. "Sarà pronto presto".
"Beh, vedi di spicciarti: ogni giorno diventi
più lento!".
"Certo, padroncino: Dobby va
subito".
Malfoy Manor
22.15
Dobby si sarebbe certo dimenticato del libro,
della richiesta di Lucius e di tutto il resto se quella sera stessa non avesse
udito per caso una conversazione che non avrebbe dovuto udire.
Le cose andarono così: Dobby stava finendo di
pulire un corridoio al secondo piano, l’ultima incombenza della giornata,
pregustando già il momento in cui avrebbe potuto riposare nel suo cantuccio in
cucina, quando passò davanti alla stanza da letto dei coniugi Malfoy. I due
avevano lasciato per sbaglio la porta leggermente aperta e casualmente Dobby udì
parte della loro conversazione: i due sembravano nel bel mezzo di un litigio.
Dobby sapeva che se l’avessero beccato a origliare si sarebbe messo in un sacco
di guai, ma man mano che il colloquio proseguiva non riuscì a imporsi di
andarsene.
"È uno sbaglio, Lucius" stava dicendo Lady
Narcissa. "Ti metterai nei guai…".
"Perché pensi questo?" la interruppe Malfoy.
"Spiegami come potrebbero risalire a me…".
"Silente capirà che ci sei tu dietro: ha
intuito per queste cose. Lo sai anche tu".
"Il vecchio lascialo al suo posto, Narcissa:
anche se sospetterà qualcosa, non avrà prove da imputarmi contro…".
"Dunque, fammi capire bene: tu vorresti
scatenare chissà quale orrida bestia contro i Figli di Babbani di tutta
Hogwarts, costringere Silente alle dimissioni, discreditare Arthur Weasley,
magari uccidere il Bambino-Che-È-Sopravvissuto lungo il percorso, e sperare sul
serio di farla franca?".
"Perché no? Ascolta Narcissa, è perfetto:
eliminiamo qualche schifoso Sanguesporco dalla faccia del pianeta, mettiamo al
bando quel rimbambito di Silente, costringiamo Weasley a nascondere la testa
sotto la sabbia per le prossime dieci generazioni e contemporaneamente ci
liberiamo di un oggetto potenzialmente incriminante. Non c’è bisogno che ti
ricordi che cosa succederebbe se il Ministero trovasse quel libro e capisse
cos’è…".
"E cosa mi dici di Harry Potter? Credi sul
serio di poter attentare alla sua vita quando Silente e mezzo mondo lo tengono
sul palmo della mano?".
"Ti ho già spiegato che non ho intenzione di
torcere un capello a Potter… Certo, c’è la considerevole possibilità che si
metta in mezzo. Da quello che mi ha detto Draco, è più che probabile. Ma se se
le andrà a cercare, non sarà certo colpa mia. Anche se non piangerei una sua
prematura dipartititi…".
"E Lui?" insistette Narcissa, in tono
progressivamente più disperato. "Lui ti ha affidato quel diario… Se
scoprisse…".
"È morto, Narcissa: non tornerà più. E io non
ho intenzione di rischiare la galera proteggendo un Signore che non tornerà
mai…".
"È una pazzia, Lucius. Ti supplico, di
ripensarci: quel libro è stato nel nostro scantinato al sicuro per undici anni,
perché non dovrebbe restarci per altri undici o venti o trenta?".
"Mi dispiace Narcissa, ma ho preso la mia
decisione e niente di quello che dirai mi farà cambiare idea".
"È folle, folle e stupido. Sappi che non
approvo minimamente la tua decisione…".
"E tu sappi che la cosa non mi tocca per
niente. Farò quello che mi pare, con o senza il tuo consenso. E ora vieni a
letto: la discussione è finita!".
Dobby sentì Narcissa emettere uno sbuffo
rassegnato e capì che era il momento di ritirarsi: aveva sentito anche
troppo!
Sfortunatamente, indietreggiando, inciampò in
un tappeto traditore, investendo nella caduta una lampada e causando un gran
fracasso.
Pochi secondi dopo, prima ancora di avere il
tempo di rialzarsi, Dobby si trovò la faccia furiosa di Malfoy a pochi
centimetri dal viso, mentre dietro di lui Narcissa tratteneva il
fiato.
"Tradimento!" ululò Lucius, avventandosi
contro di lui. "Spiare in casa mia, piccolo essere insignificante? Ma come osi?
Ti farò pentire del giorno in cui sei nato!".
E di certo l’avrebbe fatto, se non fosse
intervenuta Lady Malfoy, che lo trattene per un braccio.
"Fermati, Lucius".
"Tu non ti impicciare, donna, questa faccenda
non ti riguarda!".
"Rifletti, Lucius: se lo uccidi, sporcherai
il tappeto e noi dovremo trovarci un nuovo Elfo Domestico. Non ne vale la
fatica".
Lucius si bloccò, continuando a fissare con
astio l’Elfo tremante.
"Ascoltami bene, Dobby" proseguì Narcissa.
"Tu non riferirai mai a nessuno quello che hai sentito stasera; non una sola
parola a nessuno, mi hai capito?".
"C-c-certo, padrona" assentì Dobby,
rimettendosi lentamente in piedi.
"Bene. Ora vai dormire: non voglio più
vederti qui!".
Dobby si inchinò e si allontanò alla massima
velocità consentitagli. Ma una volta arrivato nel suo letto in cucina, non
dormì: aveva la testa talmente piena di pensieri che sembrava un
vespaio.
Il padrone voleva uccidere decine di persone
e l’avrebbe fatto usando quel libro che lui, Dobby, gli aveva consegnato quella
mattina. Come un simile maleficio fosse possibile, Dobby non ne aveva idea, ma
la cosa lo annichiliva: cosa progettava di fare il padrone a Hogwarts di così
orribile?
Nel mezzo dei suoi pensieri, ricordò che la
padrona aveva nominato più di una volta Harry Potter, il
Bambino-Che-È-Sopravvissuto: Malfoy aveva intenzione di uccidere anche
lui.
Dobby si sentì invadere dall’angoscia: non
aveva mai visto Harry Potter, ma come tutti sapeva quello che aveva fatto,
sapeva che undici anni aveva scacciato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e
aveva riportato la pace nella comunità magica. Harry Potter era il baluardo di
speranza per tutti quelli che come lui erano ancora oppressi e perennemente
umiliati. Harry Potter non poteva morire, Dobby non poteva permettere che
succedesse. Ma cosa poteva fare? Era vincolato agli incantesimi della sua specie
e la padrona gli aveva espressamente ordinato di non riferire a nessuno quanto
aveva udito. Era bloccato: Harry Potter stava forse per incorrere in un pericolo
mortale e lui non poteva fare nulla per salvarlo.
Mai come in quel momento, aveva desiderato di
essere libero: se fosse stato liberato, avrebbe potuto dimenticare gli ordini e
fare quello che voleva. Ma non era così, non poteva fare nulla…
A meno che… Dobby fu folgorato da
un’illuminazione improvvisa: certo, Narcissa gli aveva proibito di rivelare ciò
che aveva udito, ma non di andare da Harry Potter e metterlo in guardia, dirgli
di non tornare ad Hogwarts, di restare al sicuro… certo era un po’ tirata per i
capelli e avrebbe probabilmente dovuto punirsi severamente, ma quello poteva
farlo. Sì, lui avrebbe salvato Harry Potter perché Harry Potter non poteva
morire, era troppo importante.
Quella notte, in quel cantuccio buio, mentre
rifletteva su tutto questo, Dobby compiva, seppur inconsapevolmente, il suo
primo, fondamentale passo verso l’agognata libertà…
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora per prima cosa, se qualcuno non
l’avesse visto, vi segnalo che oggi è giornata di doppio aggiornamento:
finalmente posto le due fanfiction che avevo promesso, quella su Sirius e questa
su Dobby. Secondo, mi scuso per questo incredibile, incommensurabile ritardo, ma
ci tengo a specificare che per una volta non è assolutamente colpa mia: io i
miei compiti a casa me li ero fatti, avevo già le due shot finite prima degli
esami per poterle pubblicare puntualmente come avevo promesso… E invece, il mio
caro paparino ha pensato bene di spedire il computer in vacanza e formattarlo.
Quando l’ho riavuto, si era misteriosamente mangiato tutte le mie aggiunte più
recenti, diversi capitoli delle log-fic e ovviamente queste due shot. Quando
l’ho visto, mi è venuta voglia di piangere. Mi sono messa di buona lena per
riscriverli, ma gli esami hanno assorbito tutto il mio tempo, senza contare che
la voglia ce l’avevo davvero sotto i tacchi, ma ogni promessa è debito e perciò
eccoci qua: oggi ho finalmente dato l’orale, ho riguadagnato la mia libertà e
perciò posso dichiarare in tutta serenità che sono tornata. Per cui, se tra voi
ce anche qualche lettore delle mie fanfiction, sappia che gli aggiornamenti non
si faranno attendere: avrò un sacco di tempo libero d’ora in poi!
Detto questo, spero mi scuserete per il
ritardo, ho fatto quello che ho potuto prima che ho potuto. E mi auguro che
apprezzerete il risultato: non so perché, ho l’impressione che entrambe mi
fossero venute meglio la prima volta, ma tant’è!
Grazie alle anime pie che un mese or sono
commentarono la mia shot su Draco, ovvero
HermioneCH
Pan_Tere94
HermioneForever92
Deidara
Prossimo appuntamento, che stavolta giuro di
non mancare, al 30/07, per il compleanno di Neville.
Ora scusatemi, ho le dita che fremono dalla
voglia di tornare a dedicarsi alle long-fic, a presto e mi raccomando,
commentate numerosi!!!!!!!
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Capitolo 16 *** Neville Paciock ***
SPECIAL
DAYS
NEVILLE PACIOCK
30 luglio 1991
Casa Paciock
9.30
Augusta Paciock era sempre stata molto fiera
di suo figlio: fin da piccolo, Frank si era sempre distinto per le sue capacità
magiche, a scuola era stato uno degli studenti più brillanti e dopo un Auror tra
i migliori. Avrebbe potuto arrivare lontano, Augusta ne era certa, se non avesse
incontrato sul suo cammino Bellatrix Lestrange e lui e sua moglie non avessero
fatto la fine che avevano fatto: non aveva pianto quando glielo avevano detto,
non era nella sua natura. E in ogni caso, a cosa avrebbe portato disperarsi?
Frank sarebbe stato peggio che morto comunque e lei aveva altre responsabilità:
il suo unico nipote, Neville, che all’epoca aveva appena un anno e aveva
cresciuto come fosse stato figlio suo.
Ma i sentimenti di Augusta verso il nipote
erano molto diversi rispetto a quelli per Frank. Neville sembrava l’antitesi del
padre sotto praticamente qualunque aspetto: meno brillante, meno bravo, meno
portato per le arti magiche, con un futuro meno sfolgorante, praticamente meno
in qualunque cosa, come Augusta non mancava di sottolineare anche troppo spesso.
Neville era il depositario di tutte le
speranze della famiglia: era l’ultimo nato, la nuova generazione e tutti si
aspettavano grandi cose da lui. Ma il bambino non sembrava destinato a
rispondere a queste aspettative: per anni non aveva manifestato il minimo potere
magico, tanto che molti si erano convinti che fosse un Magonò e le riunioni di
famiglia erano diventate più scuse per sollecitare la sua magia che altro… Anche
quando alla fine essa era comparsa, Neville non era comunque sembrato destinato
a essere il grande erede che i Paciock desideravano: era goffo e impacciato, ben
al di sotto dell’abilità paterna.
Non era stato facile crescere per Neville in
un simile ambiente, sentendosi costantemente sotto esame e sempre incapace di
soddisfare le speranze di sua nonna e dei suoi parenti: era un fardello pesante
per un bambino.
Ma con il tempo ci aveva fatto l’abitudine,
come si era abituato anche all’idea probabilmente non sarebbe mai riuscito a
rendere sua nonna orgogliosa come lo era di suo padre: goffo e smemorato
com’era, non c’erano davvero possibilità che potesse diventare come
Frank.
Per molto tempo, aveva anche temuto che non
sarebbe nemmeno stato ammesso ad Hogwarts: perché qualcuno avrebbe dovuto
volerlo lì? Probabilmente non sarebbe stato capace di trasfigurare nemmeno una
tazzina da the…
In preda a questa paura, in parte
probabilmente fomentata dalle ansie di Augusta, aveva trascorso tutta l’estate
del suo undicesimo compleanno in fremente attesa della posta, attesa che fino a
quel momento si era rivelata infruttuosa e che diventava più disperata man mano
che il tempo passava.
La mattina del trenta luglio si svegliò con
una spiacevole morsa allo stomaco: quel giorno compiva undici anni e della
lettera da Hogwarts nemmeno l’ombra! Forse dopotutto, sono un Magonò sul
serio: magari gli scoppi ecc. che sono capitati qualche volta erano solo
incidenti…
Non sarebbe mai andato ad Hogwarts, non
avrebbe mai imparato a usare la magia e non sarebbe mai stato all’altezza delle
aspettative di sua nonna e della memoria di sua padre, il grande Auror, il
grande mago, il grande tutto. A volte, era quasi arrivato a odiarlo, sentendosi
sempre messo in secondo piano rispetto a lui: non avrebbe mai potuto competere,
anche se avrebbe dato qualunque cosa perché i suoi genitori fossero fieri di
lui…
Questo e molto altro attraversava la sua
mente mentre sgusciava fuori dal letto e si vestiva in silenzio.
Quando scese, sua nonna si era già alzata e
stava già bevendo il the, con un copia della Gazzetta del Profeta davanti. "Buon
giorno, nonna" la salutò.
Augusta alzò appena lo sguardo quando lo
vide. "Buon giorno, Neville: la colazione sarà pronta tra pochi
minuti…".
"È già arrivata la posta?" domandò ancora il
bambino in tono ansioso, senza per altro essere sicuro di volere ricevere
risposta: se fosse stata un sì, voleva dire che la sua lettera non c’era
(bastava guardare la faccia intrisa di malcelata insoddisfazione di Augusta), se
fosse stata un no, avrebbe dovuto mettersi ad aspettare, solo probabilmente per
restare deluso un’altra volta.
"No" rispose la nonna, guardando fuori dalla
finestra per vedere se c’erano gufi in avvicinamento. "Arriverà a momenti, però…
Siediti, ragazzo: non restare lì immobile come un palo!".
Neville si affrettò a ubbidire: era meglio
non contrariare sua nonna quando era di quell’umore. Augusta non menzionò la
lettera che non arrivava, mentre si alzava e con qualche abile colpo di
bacchetta finiva di preparare la colazione, anche se non ce n’era bisogno:
Neville non aveva bisogno di una sfera di cristallo per sapere perché sua nonna
stesse diventando ogni giorno più irritata e scontenta.
Che razza di bel compleanno, pensò, mentre sentiva l’umore sprofondargli di un altro paio di
tacche. E di certo quel pomeriggio avrebbe dovuto sopportare anche gli sguardi e
i commenti di tutti i suoi parenti.
"Preferisci il the o il succo di zucca?" si
informò Augusta.
Neville aprì la bocca per rispondere, ma in
quel momento vide una sagoma scura comparire all’orizzonte, una sagoma scura in
rapido avvicinamento: un gufo postino… il loro gufo postino!
Augusta non sembrava averlo visto e attendeva
ancora una risposta, ma Neville si era scordato perfino della domanda, mentre il
panico ripiombava su di lui: e se non ci fosse stata nemmeno quel giorno? Cosa
avrebbe fatto? Sarebbe diventato la pecora nera di tutta la famiglia…
con lo stomaco stretto in una morsa, il cuore
che batteva all’impazzata e sempre senza parlare, Neville si alzò, aprendo la
finestra proprio nel momento in cui il gufo atterrava con un ultimo stanco
batter d’ali.
Con mano tremante, il ragazzino prese il
plico di lettere e cominciò a scartarle una a una: biglietto d’auguri, biglietto
d’auguri, biglietto d’auguri, un’amica di sua nonna, biglietto d’auguri, una
lettera del Ministero, biglietto d’auguri…
Arrivò all’ultima busta con terrore
crescente: non c’era, la lettera non c’era, non sarebbe mai andato ad Hogwarts…
In un certo senso rassegnato a quel destino, guardò quell’ultima busta,
aspettandosi l’ennesimo biglietto d’auguri. Invece… La pergamene, l’ordinata
scrittura in inchiostro verde, in ultimo l’emblema: la lettera di
Hogwarts!
Il cuore di Neville mancò un paio di battiti:
non poteva crederci, non osava crederci, non poteva essere vero… Ma era
indirizzata proprio a lui, perciò…
"Allora, mi vuoi rispondere o no, Neville?"
fece Augusta in tono irritato, voltandosi: la donna non si era accorta di
nulla.
Aveva già di sicuro un altro rimprovero
pronto sulle labbra, ma si bloccò quando vide il nipote e soprattutto cosa
teneva in mano.
"Neville, è quello che penso che
sia?".
Il ragazzino aprì la bocca per rispondere, ma
non ne uscì nulla, tanto era ancora stordito dalla sua sorpresa. Così si limitò
a un cenno d’assenso.
Un grande sorriso si allargò sul volto
dell’anziana donna. "Beh, che stai aspettando? Aprila!" lo
incoraggiò.
Neville eseguì, grato che qualcuno gli
dicesse cosa fare. Era proprio la lettera da Hogwarts, la sua lettera per
Hogwarts: iniziava con Caro Signor Paciock…
Non ci poteva credere: sarebbe andato alla
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! Allora non era proprio un Magonò alla
fine… Una vaga, confusa felicità lo invase.
Fece appena in tempo a leggerla una volta che
già Augusta gliela strappò di mano, per guardarla a sua volta.
"Oh, era anche ora!" esclamò alla fine.
"Avrebbero dovuto inviartela settimane fa… Ma non importa: è stupendo! Pensa
cosa diranno gli altri questo pomeriggio: devo informarli subito…".
E partì in quarta per andare ad armarsi di
carta e penna. Neville quasi non la sentiva: in quel momento era troppo felice
per preoccuparsi di sua nonna e dei suoi parenti. Solo una cosa gli importava:
che forse adesso, avrebbe potuto rendere i suoi genitori fieri di
lui…
30 luglio 1998
Hogwarts
14.00
Erano già passati tre mesi… Beh, quasi,
sarebbero stati tre mesi di lì a tre giorni.
Insegnanti, impiegati del Ministero e un
numero cospicuo di volontari aveva lavorati solerti come formiche in quel breve
lasso di tempo: Hogwarts era già stata risanata della maggior parte dei danni
inferti dalle maledizioni scagliate durante la battaglia, per settembre, quando,
a Merlino piacendo, sarebbero ricominciate le lezioni non ne sarebbe più rimasta
traccia… non visibile almeno: per cancellare i ricordi di quei momenti,
probabilmente non sarebbero bastate una decina di vite. Senza contare che il
Ministro Shacklebolt
aveva già deciso che in riva al
lago, proprio accanto alla tomba di Silente, sarebbe stato eretto un monumento
ai caduti, simile a quello che già decorava l’Atrium del Ministero.
Neville Paciock si smaterializzò appena fuori
dalle mura e rimase diversi minuti immobile a osservare il parco e il castello
in lontananza. Era la prima volta che tornava lì dalla battaglia: dopo i
funerali, tutto il suo tempo lo aveva impiegato dando la caccia ai Mangiamorte
fuggiaschi insieme a Harry, Ron e le squadre di Auror, in parte per desiderio di
fare qualcosa di utile, in parte perché tenersi in movimento continuo era il
modo migliore per impedirsi di pensare. La fortuna era che, nonostante Voldemort
fosse morto, di cose da fare ce n’erano ancora molte prima che si potesse
tornare alla normalità.
Non era particolarmente entusiasta di essere
lì: fosse dipeso da lui, sarebbe stato a stanare qualche Mangiamorte negli
angoli più remoti del paese. Ma alla persona che gli aveva chiesto
quell’incontro, Neville non era davvero in grado di dire no, non dopo tutto
quello che aveva fatto per lui, soprattutto nel corso dell’ultimo anno: non
riusciva nemmeno a contare tutte le volte che l’aveva protetto meglio che poteva
dalle punizioni dei Carrow. Così era venuto, se non altro per sentire cosa aveva
da dire.
Si sforzò di scacciare le spiacevoli immagine
che presero a scorrergli davanti agli occhi. Pensa positivo, Neville, si
disse, mentre si avviava lentamente verso il portone. Pensa che questa è
stata la tua casa per sei anni, pensa a tutti i bei ricordi che hai di questo
posto…
Pareva facile…
Fortunatamente, non doveva entrare nel
castello: la persona che gli aveva dato appuntamento preferiva l’aria aperta.
Non era ancora pronto a ripercorrere quei corridoi dove tanti suoi amici avevano
perso la vita. Ancora adesso non poteva quasi credere di essere stato tanto
fortunato da sopravvivere… E pensare che la gente lo considerava una specie di
eroe, quasi alla stregua di Harry e gli altri: lui non ci sentiva per niente
tagliato in quel ruolo, sarebbe stato tanto più felice se tutti si fossero
dimenticati il suo nome e l’avessero lasciato in pace.
Immerso nei suoi pensieri, era frattanto
giunto fino alle Serre: entrò nella n°1 e cominciò a guardarsi
intorno.
"Professoressa!" chiamò a voce alta, cercando
tra le piante la persone che doveva incontrare.
"Neville!" gli giunse in risposta, da un
punto non meglio precisabile. "Di qua, vicino ai Bulbi Balzellanti…".
Il ragazzo seguì le indicazioni e poco dopo
si trovò di fronte la professoressa Sprite, impegnata nel travaso di alcuni
piante dall’aria ben poco collaborativa.
Appena lo vide, la donna gli rivolse un
luminoso sorriso, abbandonando temporaneamente il suo lavoro. "Neville, è un
vero piacere rivederti!".
"Anche per me, professoressa… Ha bisogno di
aiuto?".
La Sprite scosse il capo, sempre sorridendo.
"Non grazie, me la posso cavare anche da sola… Ma chiamami pure Pomona: ormai
non sono più una tua insegnante, non c’è bisogno di queste
formalità".
"Come preferisce, prof-… Pomona" si corresse
all’ultimo Neville.
"Bene. Forza, vieni: dovrei avere delle tazze
di the nascoste qui da qualche parte. Ci sediamo e parliamo un po’ con calma,
che ne dici?".
Neville si limitò a un cenno d’assenso e
seguì l’insegnante fino a un tavolo posizionato vicino alla porta. Pochi istanti
dopo, i due avevano di fronte due tazze di the fumanti e un vassoio di
biscotti.
"Li ho fatti portare qui dagli Elfi" spiegò
la Sprite. "In previsione del tuo arrivo… Allora, dimmi, che cosa combini di
bello?".
Neville ridacchiò sommessamente. "Di bello,
proprio nulla in verità… Visto e considerato tutti i Mangiamorte che ci sono
ancora in circolazione, sto dando una mano al Ministero a catturarne il più
possibile. Il Ministro mi ha dato praticamente gli stessi poteri di un
Auror…".
La Sprite annuì piano. "Sì, l’avevo sentito…
Conosco di fama Kingsley Shacklebolt: spero vivamente che lo confermino ministro
in modo permanente, c’è bisogno di gente come lui al governo dopo il pasticcio
dell’anno passato… So che anche Potter e Weasley stanno facendo qualcosa del
genere… Ma non credevo che tu avresti scelto questa strada, Neville: non mi è
mai parso che volessi diventare un Auror…".
"Non lo volevo infatti" confermò Neville.
"Non mi ci sentivo tagliato, anche considerati i miei risultati scolastici… E a
dirla tutta, nemmeno ora ne sono particolarmente entusiasta. Ma faccio quello
che posso per rendermi utile: prima renderemo le strade sicure, meglio sarà per
tutti…".
"Certo, sono d’accordo. Ma non voglio che
questo vada a discapito della tua felicità, Neville: credo che dopo tutto quello
che hai passato, ti sia guadagnato un po’ di pace…".
"Forse… Ma per il momento preferisco tenermi
occupato… E fare felice mia nonna".
La Sprite lo zittì con un cenno della mano.
"Lascia perdere tua nonna: Augusta presto o tardi dovrà accettare il fatto che
tu non sei tuo padre e apprezzarti per quello che sei. Io voglio sapere cosa
vuoi fare tu: mi sta bene che ti dedichi alla caccia al mago oscuro, ma questa
non è la vita che fa per te!".
Neville si guardò i piedi. "Io non lo so cosa
voglio fare" ammise. "Perché ha voluto incontrarmi? Solo per sapere cosa
facevo?".
"Volevo vedere come stavi" rispose la donna.
"E anche parlarti di una faccenda importante…".
"Di che si tratta?".
"Sto prendendo in seria considerazione l’idea
di ritirarmi: ho voglia di godermi qualche anno di tranquillità e comincio a
diventare troppo vecchia per correre dietro ad adolescenti scalmanati… No, non
interrompermi, Neville: è la verità. Gli eventi dell’ultimo anno mi hanno
sfiancata: anche altri miei colleghi la pensano allo stesso modo… Perfino
Minerva non è sicura di quanto tempo siederà dietro la sedia del preside…
Comunque, credo terrò la cattedra ancora qualche anno, almeno finché non avrò
trovato un sostituto degno di questo nome: non vogliamo un altro Allock o una
Umbridge, giusto?".
"Perché mi sta dicendo tutto questo, prof-…
Pomona? Non capisco…".
"Negli ultimi anni, Neville, non ho mai visto
uno studente portato per questa materia quanto te: hai sempre mostrato una
dedizione e un impegno davvero encomiabili, senza dubbio sei stato uno dei miei
allievi migliori. Per questo ti ho chiamato: vuoi diventare il mio
assistente?".
"Assistente?" ripeté Neville, al colmo dello
stupore: questa non se l’era aspettata. "Lei mi vuole come suo
assistente?".
"Esattamente… Sono sicura che ti dimostrerai
perfettamente all’altezza di questo compito. In questo modo potrei istruirti
personalmente, se un domani diventerai ereditare il mio posto…".
"Un momento… Lei vorrebbe che io diventassi
il nuovo professore di Erbologia?".
"Beh, mi pare ovvio… Come mio assistente,
saresti il candidato naturale quando andrò in pensione… Allora, che ne
pensi?".
Neville tacque. Già, che ne pensava? Non ne
era certo: da un lato l’idea lo stuzzicava, Erbologia era sempre stata la sua
materia preferita e sarebbe stato bello poter tornare ad Hogwarts come
insegnante; dall’altro, aveva una paura matta, non si sentiva tagliato per un
compito e una responsabilità del genere.
"Io non sono sicuro" balbettò infine. "Non
credo che sarei in grado…".
"Oh, questa è una sciocchezza" lo interruppe
la sprite con un cenno stizzito della mano. "Secondo me, invece è proprio il
lavoro che fa per te: hai la capacità di farti amare dalla gente e giovane come
sei, non avresti difficoltà a entrare in sintonia con i ragazzi. Senza contare
ovviamente, la tua passione per la materia… Credimi, Neville, non potrei pensare
a un candidato migliore di te…".
Neville abbassò lo sguardo, imbarazzato da
tutti quei complimenti. "Non so, professoressa: non avevo mai pensato di poter
fare una cosa del genere…".
"Ascolta, non voglio una risposta subito… Ma
promettimi che almeno ci rifletterai sopra…".
"Certo" garantì il ragazzo. "Ci penserò e poi
le farò sapere…".
"Beh, un forse è sempre meglio che un no"
commentò la Sprite, finendo di bere il suo the.
Neville guardò l’orologio: se non fosse
andato subito, avrebbe fatto tardi al lavoro. "Mi dispiace, ma ora devo andare:
il mio turno comincia tra poco…".
"Certo, capisco, vai pure. Ma pensa a quello
che ti ho detto. Promesso?".
"Promesso: le farò sapere".
"Bene. E salutami Potter e Weasley, quando li
vedi".
Neville annuì e fece per avviarsi. Aveva già
la mano sulla maniglia quando la Sprite lo richiamò. "Ah, quasi mi dimenticavo,
buon compleanno".
"Grazie, Pomona".
Ministero della Magia
14.45
Neville entrò trafelato nel suo ufficio al
ministero: malgrado la corsa, era riuscito comunque ad arrivare in
ritardo.
"Primo, auguri. Secondo, sei in ritardo" fu
infatti il saluto che gli rivolse Ron Weasley, seduto ad una delle altre
scrivanie a sfogliare un fascicolo.
"Grazie e sì, lo so. Che mi sono
perso?".
"Visto che ti stavamo aspettando,
assolutamente nulla" rispose Harry, comparendo alle sue spalle con una tazza di
caffè. "Buon compleanno, a proposito" aggiunse subito dopo.
Neville si era spesso chiesto se qualche
volta il giovane andasse a casa: tutte le volte che lui arrivava, Harry era
sempre già lì. E pensare che lui più di tutti si sarebbe meritato di fermarsi un
po’ e godersi la fine della guerra. Nemmeno Ron, che da quando Fred era morto,
si fermava giusto il tempo necessario per vedersi con Hermione, salutare la
famiglia e mangiare (spesso facendo le tre cose in contemporanea) era così
stacanovista. Neville sospettava che anche Harry si tenesse il più possibile in
movimento per non doversi soffermare troppo su tutto quello che era
accaduto.
"Ok, allora riformulo la domanda" rispose.
"Che cosa facciamo oggi?".
"Dolohov" rispose il Prescelto. "L’hanno
avvistato in Cornovaglia: si stava divertendo a far saltare per aria delle case
babbane...".
"Che idiota" commentò Ron, stiracchiandosi.
"Uno penserebbe che dopo la morte di Tu-Sai-Chi i Mangiamorte si dessero una
calmata, anche considerato che li stiamo sbattendo tutti dietro le sbarre…
Invece fanno ancora di queste scene plateali…".
"Sono disperati" disse Neville. "Non hanno
niente da perdere. Immagino facciano un ragionamento del tipo ‘divertiamoci
finché ancora possiamo perché presto saremo rinchiusi in una cella tre metri per
tre’".
"Se fossero furbi, si rintanerebbero in
qualche buco nel terreno aspettando che le acque si calmino per poter espatriare
con calma…".
"Quando mai i Mangiamorte sono stati furbi?"
osservò Harry. "Almeno, così ci rendono il lavoro più facile… Comunque, dovremo
muoverci: Dolohov ha già sgominato una squadra di Auror e se l’è
filata…".
Ron sbuffò. "Ok, allora andiamo: se non ci
fossimo noi, chissà a che punto starebbe il Ministero…".
I tre si avviarono verso gli ascensori e
mentre aspettavano Ron domandò a Neville: "A proposito, che voleva la
Sprite?".
"Oh, già… Beh, mi ha offerto un
lavoro…".
"Che cosa?!" quasi urlò Ron, facendo girare
parecchia gente nella loro direzione.
"Che lavoro?" domandò invece Harry, in tono
decisamente più pacato.
"Mi ha proposto di diventare suo assistente"
spiegò Neville. "A dirla tutta, le vorrebbe che la sostituissi come insegnante
di Erbologia in un futuro non proprio remoto…".
Ron fischiò. "Però" commentò. "E tu che vuoi
fare?".
"Accetterai, immagino" disse Harry.
"Erbologia è sempre stata la tua materia…".
"Beh, veramente non ho ancora deciso: non
sono sicuro che la carriera da insegnante faccia per me…".
"Ma che, scherzi?" esclamò Ron. "Se fossi in
te, accetterei di corsa: è il lavoro fatto apposta per te, Neville…".
"Già, lo credo anch’io" concordò Harry.
"Anche la Sprite ha detto più o meno lo
stesso…".
"Dacci retta: sarebbe la scelta migliore. O
vuoi diventare un Auror in pianta stabile come i tuoi?".
Erano nel frattempo arrivati nell’Atrium. Per
raggiungere le stanze adibite alla Smaterializzazione, passarono davanti al
monumento ai caduti che capeggiava al posto della Fontana dei Magici Fratelli:
Neville lo guardò un attimo. Anche se da quella distanza non poteva leggere i
nomi, sapeva che tra le vittime della Prima Guerra erano stati inclusi anche i
suoi genitori, anche se tecnicamente non erano ancora morti.
Cosa avrebbero voluto loro per lui? Che fosse
felice, fu l’ovvia risposta che si diede. E cosa l’avrebbe reso felice? Non fare
l’Auror: per quanto sua nonna l’avesse sempre desiderato, non credeva che
seguire le orme di Frank e Alice fosse la strada giusta per lui. E allora che
cosa voleva? Si immaginò nei panni di insegnante,a spiegare a una classe le
proprietà delle Mandragole. Non sembra così male…
"Ehi, terra chiama Neville!".
Si riscosse dai suoi pensieri, trovando Ron e
Harry a fissarlo con le sopraciglia inarcate: probabilmente stavano aspettando
solo lui per potersi smaterializzare.
"Tutto ok?" domandò Ron.
"Sì, sì, scusate, mi ero perso nei miei
pensieri…".
"Trovato qualcosa di illuminante?" chiese
Harry, mentre estraeva la bacchetta, già pronto a eventuali attacchi.
"Può darsi… Può darsi…". Neville rifletté
alcuni istanti, poi esclamò: "Ma non avevamo un Mangiamorte a cui dare la
caccia?".
"Aspettavamo solo te…".
"Beh, allora andiamo, no?".
Questa sera, dovrò andare a parlare con la
Sprite… si disse mentre si smaterializzava, subito
imitato dagli altri due.
LYRAPOTTER’S CORNER
Ok, eccomi di nuovo con un nuovo capitolo.
Lasciatemi dire che scriverlo è stato un autentico parto: non avevo la minima
ispirazione, ho messo insieme le poche idee che avevo e ne è uscita questa cosa,
che non mi lascia completamente soddisfatta, ma pazienza. Spero che voi
l’apprezziate comunque.
Un piccolo appunto, il fatto che Harry, Ron e
Neville lavorassero per il Ministero subito dopo la fine della guerra per
catturare i Mangiamorte non me lo sono inventato: lo trovato sul mio solito,
fedele Lexicon, che a sua volta deve averlo saputo in qualche intervista della
signora Rowling.
Come sempre grazie a chi ha
commentato
HermioneForever92
dirkfelpy89
Deidara
Devo anche dirvi quando è il prossimo
appuntamento? Credo sia fin troppo scontato che è domani, 31/07, per il
compleanno di Harry… Ma di certo lo sapevate già tutti!
A domani,
bacibaci!!!!!!
|
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Capitolo 17 *** Harry Potter ***
Questa one-shot ha partecipato al contest
Give it a
Second Chance! Indetto da Fabi_ sul forum di EFP,
classificandosi al secondo posto. Grazie alla giudice per il suo giudizio
preciso e dettagliato.
SPECIAL DAYS
HARRY POTTER
31 luglio 1988
Little Whinging
Surrey
14.00
Ogni estate, la scuola elementare di Little
Whinging organizzava dei campi estivi aperti a tutti i bambini: la direzione lo
riteneva un metodo ottimale per spingere i bambini a socializzare tra loro in un
ambiente più libero di quello scolastico. L’intero sistema era gestito da quelle
poche maestre che non avevano di meglio da fare durante le vacanze e ogni anno
registrava delle buone partecipazioni: infatti, essendo l’intero progetto
finanziato dal comune, il costo di partecipazione era quasi nullo e soprattutto
molti genitori erano più che lieti che i loro pargoli sfogassero la loro energia
fuori casa sotto la sorveglianza di persone fidate e tornassero a casa stanchi
la sera.
C’era poi una particolare coppia di genitori
che partecipava semplicemente per levarsi di torno più tempo possibile uno dei
bambini che vivevano sotto il loro tetto. Per la precisione questi genitori
erano Vernon e Petunia Dursley e il bambino in questione era il loro nipote,
Harry Potter.
Quando avevano saputo dell’esistenza di quei
campi, i signori Dursley l’avevano interpretato come una risposta alle loro
preghiere: nulla infatti rendeva i due più felici che levarsi dai piedi il
piccolo Harry per più tempo possibile.
Ovviamente, il discorso non valeva per il
figlio dei Dursley, Dudley, coetaneo di Harry e venerato alla stregua di un
principe: probabilmente non esisteva al mondo un altro bambino tanto viziato
quanto Dudley Dursley, che dall’alto dei suoi otto anni appena compiuti era a
tutti gli effetti il padrone di casa. Qualunque cosa chiedesse, i genitori erano
celeri a dargliela: aveva imparato in fretta che un po’ di capricci erano la
chiave per ottenere praticamente qualunque cosa ed era diventato molto bravo a
sfruttare quel potere.
Nel caso specifico, quando Vernon e Petunia
avevano deciso che Harry avrebbe partecipato a qualunque campo estivo
organizzato dalla scuola di lì all’eternità, Dudley si era impuntato di volerlo
fare anche lui: perché l’odiato cugino sì e lui no? Se Harry aveva qualcosa, lui
doveva averne una migliore, questa era la sua filosofia. Così, malgrado le
reticenze dei Dursley, aveva fatto presto ad essere accontentato. Dudley si era
sentito incredibilmente soddisfatto: un’occasione per stare con gli amici
lontano dai genitori e poter tormentare Harry in santa pace.
Quello era senza dubbio il passatempo
preferito di Dudley: poche cose erano altrettanto appaganti quanto rendere la
vita del cugino un vero inferno.
Il 31 luglio di quella particolare estate,
Harry sedeva su un’altalena nel parco giochi dietro alla scuola, fissando con
aria sconsolata gli altri bambini che giocavano a palla prigioniera: indossava
abiti decisamente troppo larghi per lui, considerato che gli erano stati passati
da Dudley, grosso almeno il triplo di lui e appena abbassava la testa gli
occhiali tondi troppo larghi gli scivolavano sul naso, rischiando di cadere a
terra.
C’erano voluti tre mesi e quattro richiami
della scuola per convincere i zii che aveva bisogno degli occhiali: i Dursley si
erano arresi solo quando la maestra aveva detto loro chiaramente che Harry
riusciva a malapena a vedere la lavagna dal primo banco. Ben lungi dal voler
spendere più dello stretto indispensabile per il piccolo ‘mangiapane a ufo’,
avevano comprato il paio di occhiali più economico che c’era, senza preoccuparsi
minimamente se erano troppo larghi per il nipote. Il risultato era che Harry
doveva fare costantemente attenzione a non perderseli per strada, anche perché
dubitava seriamente che nel caso gliene avrebbero comprati di nuovi.
Sospirando, si diede una leggere spinta,
prendendo a dondolare lentamente avanti e indietro, cercando di ignorare il
dolore al ginocchio: se lo era sbucciato poco prima, quando Dudley lo aveva
spinto a terra senza troppi complimenti. Abituato a quel genere di trattamenti,
Harry non aveva protestato e se l’era filata alla chetichella, rinunciando alla
partita a palla prigioniera…
In ogni caso, non era particolarmente bravo
in quello sport (o in qualunque altro sport) e nessuno l’avrebbe voluto nella
sua squadra perché Dudley e la sua ghenga gliel’avrebbero fatta pagare. Nessuno
si metteva contro Dudley e la sua banda: questo era il motivo principale per cui
Harry non aveva amici.
Non che gli importasse più di tanto: ormai ci
aveva fatto l’abitudine a stare sempre da solo. Come aveva fatto l’abitudine al
trattamento che gli era riservato a casa, dove era niente di più e niente di
meno che un ospite indesiderato che non si può scacciare. Non ricordava che i
suoi zii gli avessero mai rivolto una sola parola gentile o gli avessero
riservato un decimo delle attenzioni che avevano per Dudley.
Tanto per fare un esempio, quando il mese
prima Dudley aveva compiuto gli anni, gli avevano fatto una torta grande quanto
la ruota di una macchina, lo avevano riempito di regali e portato al parco
divertimenti, mentre lui ovviamente era stato parcheggiato dalla loro matta
vicina, la signora Figg.
Quel giorno, invece, era il suo compleanno e
i Dursley gli avevano a malapena fatto gli auguri: niente torta, niente regali,
niente parco divertimenti, niente, come del resto era successo per i suoi
precedenti sei compleanni.
Non poteva evitare di sentirsi un po’ geloso
pensando a tutto il ben di dio che aveva ricevuto invece Dudley, che non aveva
saputo fare nulla di più che lamentarsi di non aver ricevuto quello che voleva e
ne aveva distrutto la metà in meno di dieci giorni.
Stanco di dondolare sull’altalena, Harry si
fermò, pensando a cosa poteva fare per passare il resto del pomeriggio. Alla
fine decise di andare a prendere una palla nella rimessa e giocarci per un po’.
Tenendosi più alla larga possibile dagli altri bambini, tra cui c’era anche
Dudley, cominciò a calciarla e a rincorrerla. Non avendo mai potuto godere della
compagnia dei suoi coetanei, non gli pesava nemmeno più di tanto dover giocare
da solo: certo, in compagnia sarebbe stato meglio, ma tanto lui non poteva
sapere cosa si perdeva.
A un certo punto, colpì la palla troppo
forte, spedendola quasi fino al recinto del parco in mezzo a una macchia di
cespugli. Sbuffando, Harry si avviò in quella direzione, ma prima che potesse
cominciare a cercarla, la sua attenzione fu attirata da
qualcos’altro.
O meglio qualcun altro: un uomo sedeva su una
panchina ai margini del parchetto e stava guardando proprio verso di lui. Tra le
mani, aveva la palla fuggiasca.
Harry lo studiò attentamente, mentre si
avvicinava esitante: indossava abiti piuttosto laceri e consunti e non sembrava
molto vecchio, anche se il volto era incorniciato da rughe precoci e tra i
capelli castano chiaro si distingueva qualche ciocca grigia. Tuttavia, il
sorriso che gli rivolse era caldo e amichevole.
"Ehi, ciao, piccolo" lo salutò. "Che cosa fai
tutto da solo?".
Harry esitò: gli era stato ripetuto decine di
volte che non doveva parlare con gli sconosciuti, ma quello straniero sembrava
davvero gentile.
"Volevo la mia palla, signore" rispose, in
tono incerto, forse perché non era molto abituato a sentirsi rivolgere in modo
tanto dolce.
"Ah, ecco qua, allora" ribatté l’uomo,
porgendogliela, sorridendo.
"Grazie, signore" rispose Harry, prendendola
e guardandolo attentamente: c’era qualcosa di strano in lui, nel suo sguardo, lo
fissava come se lo conoscesse… O piuttosto, come qualcuno guarderebbe un amico
incontrato dopo tanto tempo. E la cosa non lo metteva nemmeno a disagio, anzi,
in un certo senso, quello sconosciuto gli trasmetteva un senso di
sicurezza.
"Prego" gli sorrise lui. "Allora, che facevi
di bello?".
"Giocavo".
"Da solo?".
Harry si guardò un attimo alle spalle, verso
i suoi compagni: era comparsa una delle maestre che li stava richiamando. "Gli
altri bambini non vogliono mai giocare con me" rispose poi.
L’uomo corrugò la fronte, perplesso. "E
perché no?".
Harry si strinse nelle spalle. "Mio cugino
non vuole: hanno tutti paura di lui" spiegò.
"Capisco". Lo sconosciuto annuì, chinandosi
verso di lui. "Perché tuo cugino si comporta in questo modo?".
"Non lo so: l’ha sempre fatto. E i miei zii
non gli dicono mai niente: a loro non importa se Dudley mi tratta male. A loro
non importa niente di me".
L’altro aprì la bocca per dire qualcosa, ma
fu interrotto la sopraggiungere della giovane maestra.
"Harry!" gridò la donna, avvicinandosi ad
ampie falcate. "Che cosa fai? Con chi parli?".
L’uomo si alzò in piedi, mentre l’insegnante
li raggiungeva e prendeva per mano Harry, squadrandolo con sospetto. "Lei chi
è?" domandò con fare inquisitore. "Che cosa vuole dal bambino? Non l’ho mai
vista da queste parti…".
"Mi chiamo Remus Lupin" si presentò l’uomo,
in tono tranquillo. "Stia tranquilla, signorina, non avevo cattive intenzioni:
il piccolo aveva perso il pallone…".
La donna continuò a osservarlo sospettosa.
"Sì, beh, è meglio che se ne vada, signor Lupin… E l’avviso che se la rivedrò da
queste parti a parlare con i bambini chiamerò la polizia…".
"Non è assolutamente necessario" commentò
Lupin, per nulla toccato dalla minaccia. "Me ne vado immediatamente, non si
preoccupi. Ciao, Harry".
Harry gli fece un veloce cenno con la mano,
prima che la maestra lo conducesse via. "Non dovresti parlare con gli estranei,
Harry" lo rimproverò.
"Ma sembrava simpatico" obiettò il
bambino.
La giovane si voltò a controllare se Lupin se
ne fosse andato, come stava effettivamente facendo, e poi sospirò. "Già, di
solito è proprio di quelli simpatici che bisogna fare attenzione,
Harry".
Harry corrugò la fronte, senza
capire.
******
Più tardi, nel tardo pomeriggio, Harry
osservava con una punta d’invidia i genitori venuti a prendere gli altri
bambini… Quanto gli sarebbe piaciuto che anche la sua mamma e il suo papà
fossero stati vivi per poterlo portare a casa.
Dudley se n’era già andato: il padre di uno
dei suoi amici gli aveva dato un passaggio fino a casa, senza minimamente
preoccuparsi per lui. A Harry non importava più di tanto: Privet Drive non era
molto lontana dal parco giochi e non era comunque la prima volta che gli toccava
farsela a piedi (i suoi zii avevano la tendenza a dimenticarsi di lui). E almeno
aveva guadagnato qualche minuto di solitudine e pace, per potersi godere meglio
che poteva il suo magro compleanno; certo, una volta a casa, avrebbe sicuramente
dovuto subire una lavata di capo con i contrafiocchi, ma tutto sommato ne valeva
la pena per stare un po’ senza Dudley.
Così, si avviò a passo volutamente lento
verso casa, immaginando di avere soldi per potersi comprare un gelato… Non che i
suoi zii gliene avessero mai preso uno, ma giudicando da come Dudley ci si
ingozzava, doveva essere davvero buono. Anche se, a pensarci bene, forse Dudley
non faceva molto testo: lui si ingozzava praticamente con qualunque cosa che non
fosse verde e non sapesse di verdura.
"Ehi, ciao, piccolo".
Riscuotendosi dalle sue fantasie, il bambino
si voltò in direzione della voce: era di nuovo lo sconosciuto, Remus Lupin,
appoggiato contro un muro all’angolo della strada.
"Ehm, ciao" lo salutò, incerto su cosa
dovesse fare. Probabilmente avrebbe fatto meglio ad andarsene alla svelta, come
aveva detto la sua maestra. Eppure il sorriso dell’uomo era davvero
gentile.
"Stai tranquillo: non ti mangio mica" scherzò
Lupin, ridendo, avvicinandosi.
"La maestra mi ha detto che non dovrei
parlare con gli estranei…".
Lupin approvò con un cenno del capo. "La tua
maestra ha perfettamente ragione: non bisogna mai dare confidenza agli estranei.
Perciò, piacere, io sono Remus" e gli tese la mano.
Mano che Harry strinse ancora un po’
titubante. "Io mi chiamo Harry" si presentò dopo, ricordando le buone
maniere.
"Ecco, adesso non siamo più due estranei,
no?" osservò Lupin.
Harry lo guardò dubbioso. "Non sono
sicuro…".
"Non ti fidi di me?".
Il bambino non rispose subito, riflettendo.
Basandosi su quello che gli avevano sempre detto, avrebbe dovuto imboccare la
prima via disponibile e filarsela alla velocità della luce; eppure non riusciva
proprio a diffidare di quell’uomo: qualcosa gli diceva di potersi
fidare.
"No, credo di no" rispose perciò. "Però gli
zii si arrabbieranno se non torno a casa in fretta…".
"Allora sarà meglio non farli aspettare… Dove
abiti?".
"Poco lontano, in Privet Drive".
"Ah, sì, lo conosco: ci abita una mia vecchia
amica…".
"Veramente?" fece Harry stupito.
"Eh, sì… Sai, magari sarebbe il caso che le
facessi visita… Che dici, facciamo la strada insieme? Un bambino della tua età
non dovrebbe andarsene in giro da solo a quest’ora".
Harry acconsentì, non vedendoci nulla di male
e così i due si avviarono. "Non è un problema, comunque, andare a casa da solo"
spiegò Harry. "Lo faccio sempre".
"E tuoi zii non si preoccupano?".
Harry alzò le spalle, con aria distaccata:
ormai aveva fatto l’abitudine all’indifferenza tendente al disprezzo dei
Dursley, anche se a volte ci stava ancora male. "Zio Vernon e zia Petunia non si
preoccupano mai per me".
"Capisco" fu tutto ciò che riuscì a dire
Lupin, anche se in realtà non capiva affatto. Era tutto sbagliato…
"Ti va un gelato?" domandò all’improvviso,
notando che Harry osservava con malcelato desiderio i coni che si stavano
gustando altri bambini lungo la strada.
Harry arrossì. "Io veramente… Non posso
accettare…".
"Io dico di sì, invece" insistette Lupin. "In
una giornata come questa, ci vuole proprio un bel gelato, non credi? Prendilo
come un regalo da parte mia".
Harry gli rivolse un’occhiata perplessa: era
strano, Lupin parlava quasi come se sapesse che quel giorno era il suo
compleanno. Chi era davvero quel uomo misterioso e così gentile?
"Io non posso…".
"E io non posso accettare il tuo rifiuto.
Potrei anche offendermi, sai? Forza, vieni".
Mettendo a tacere sul nascere tutte le
proteste di Harry, Lupin lo condusse fino a una gelateria poco
lontano.
"Scegli il gusto che preferisci, forza" lo
incoraggiò.
A quel punto, la tentazione era davvero
troppo forte per continuare a rifiutare, così prese un cono al cioccolato con
granella. Al momento di pagare, Lupin dovette frugarsi in un numero spropositato
di tasche per mettere insieme la cifra richiesta, ma non abbandonò un istante il
sorriso.
"Allora, ti piace?" domandò, quando ebbero
lasciato la gelateria.
"Oh, sì, molto" rispose Harry, felice come
non lo era mai stato in vita sua: quella era senza dubbio la cosa più buona che
avesse mai mangiato. "Adoro il cioccolato" decise lì sul momento.
Lupin ridacchiò. "Piace molto anche a me…
Attento a non farlo cadere…".
E Harry si guardò bene dal farlo: si gustò
quella manna dal cielo fino all’ultima briciola, con un sorriso che gli andava
da un orecchio all’altro.
Quando arrivarono davanti al numero 4 di
Privet Drive, del gelato non era rimasta neppure l’ombra, a parte diverse
macchie di cioccolato che gli decoravano la faccia.
Lupin lo guardò ridendo. "Accidenti, sei un
vero disastro! Aspetta che ti pulisco…".
Si chinò su di lui, pulendogli il volto con
un fazzoletto. "Ecco fatto, come nuovo".
"Grazie, signor Remus". Harry gli rivolse
un’occhiata perplessa, poi domandò: "Ma perché è così gentile con me? Nemmeno mi
conosce…".
C’era un velo di tristezza nel suo sorriso o
se l’era solo sognato? Gli calò gli occhiali sul naso, accarezzandogli i capelli
scompigliandoglieli ancora di più. "Già, beh, mi ricordi molto una persona che
conoscevo, un mio vecchio amico: vi somigliate molto…".
Harry abbassò gli occhi, a disagio. "Grazie
per il gelato. Ora però devo andare o i miei zii si arrabbieranno
davvero…".
"Certo" assentì Lupin, sorridendo. "Sì, è
meglio se vai. Mi raccomando, fai il bravo e non preoccuparti: le cose presto o
tardi si aggiusteranno, ne sono sicuro".
Si alzò, spolverandosi distrattamente i
pantaloni.
"Tornerà?" domandò Harry, speranzoso: dopo
tutto, era stato il primo a essere davvero gentile con lui da che aveva memoria
e gli aveva anche offerto il gelato.
L’uomo gli rivolse un sorriso triste. "Non
credo, Harry. Ma non ti preoccupare: sono sicuro che un giorno ci rivedremo…
Quando sarai abbastanza grande…".
Harry non capì cosa intendesse Lupin con
quella frase, ma non glielo chiese: forse perché sentiva che l’uomo non gli
avrebbe risposto. Così, si limitò a salutarlo con la mano e andare alla porta di
casa. Non gli importava nemmeno di ricevere una ramanzina: aveva ancora il bocca
il sapore del cioccolato
Decisamente, quello era il compleanno
migliore della sua vita! E lo sarebbe stato ancora per diversi anni… fino al
giorno in cui Rubeus Hagrid non venne a bussare alla sua
porta.
LYRAPOTTER’S CORNER
Lo so, probabilmente stavolta sono cascata un
po’ nel what if, ma in tutta sincerità mi rifiuto di credere che Remus per
dodici anni non si sia mai preoccupato di sapere che ne fosse stato del figlio
di Lily e James… Certo quello che ha visto non deve essergli piaciuto più di
tanto…
Scusate se ci ho messo un po’ oggi, ma il mio
computer ha fatto un po’ di capricci (dannata tecnologia!!!!!!)
Non credo di avere altro di dire, a parte
ringraziare le anime pie che sono riuscite a commentate nei tempi stretti,
cioè
Deidara
dirkfelpy89
e darvi ovviamente il prossimo appuntamento
al 11/08, per il compleanno di Ginny.
A presto, bacibaci!!!!!!
Giudizio di Fabi_Fabi
Seconda Classificata: Lyrapotter - Special
Days -
Testo nascosto - clicca qui
Grammatica e sintassi: 3.4/5
Stile: 9/10
Originalità: 15/15
Caratterizzazione dei personaggi:
15/15
Sviluppo della trama: 15/15
Gradimento personale: 10/ 10
Totale: 67.4/70
Bellissima, scritti tutti i giudizi, posso
integrare dicendo che questa in assoluto è la mia preferita. Nonostante gli
errori grammaticali e a volte anche sintattici, non ho trovato un punto della
storia che non mi sia piaciuto, neppure una frase.
Per quanto riguarda la grammatica, c’è
qualche errore, ti faccio qualche esempio: ‘gliela avrebbero fatto pagare’,
probabilmente è solo distrazione, ‘abituato a sentirsi rivolgere in modo tanto
dolce’, si dice ‘sentirsi rivolgere la parola’, ho cercato ma non ho trovato
l’espressione senza il complemento oggetto per quel verbo. ‘proprio di quelli
simpatici che bisogna fare attenzione’, a quelli simpatici, ‘quel uomo’,
quell’uomo, ‘qualcun’altro’, va scritto senza apostrofo.
Ti ho dato il punteggio pieno in originalità
perché non avevo mai letto né considerato una storia del genere, e sinceramente
l’ho trovata molto originale.
Credo che questa sia uno dei missing moments
più belli che io abbia mai letto. Poetico, dolcissimo e struggente, hai scelto
di raccontare una storia che non avevo mai considerato, ma che ora so avrei
sempre voluto leggere.
I personaggi ci sono completamente, Lupin è
così dimesso, serio, mi piace l’idea di Harry al campo scuola e di Lupin che lo
va a trovare, ho trovato magnifica l’immagine del gelato, di Remus che si fruga
nelle tasche in cerca del denaro ‘senza mai perdere il sorriso’, di Harry che
gusta per la prima volta un dolce, regalato da un uomo che non conosce, ma di
cui si fida senza capire bene il motivo.
Lo stile è lineare, non hai curato troppo la
sceneggiatura ma hai saputo gestire perfettamente le descrizioni delle persone,
dei piccoli gesti che formano le emozioni.
La trama è ben gestita, non ci sono certo
colpi di scena, ma l’attenzione e il coinvolgimento sono sicuramente pieni.
Bravissima, peccato per tutti quegli errori senza i quali saresti stata di
sicuro a punteggio pieno. Altro appunto: non ho avuto problemi con i puntini di
sospensione^^.
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Capitolo 18 *** Ginny Weasley ***
SPECIAL
DAYS
GINNY WEASLEY
11 agosto 1992
la Tana
13.00
Non vedevo l’ora di compiere undici anni:
all’epoca, mi sembravano tantissimi, una meta quasi irraggiungibile che
aspettavo con ansia. Beh, era normale no? Come la piccola di casa, ho visto
tutti e sei i miei fratelli arrivare a quell’età e poi andarsene ad Hogwarts a
studiare la magia, dove anch’io morivo dalla voglia di andare. Ogni anno, fin da
quando Bill aveva cominciato, io rimanevo sulla banchina del binario nove e tre
quarti a guardare uno a uno i miei fratelli recarsi in quel posto che immaginavo
meraviglioso e che non vedevo l’ora di vedere con i miei occhi. Il peggio era
stato quando un anno fa, anche Ron se n’era andato, lasciandomi da sola con
mamma e papà: avevo messo il muso per settimane.
E ora, finalmente, è arrivato il mio turno:
undici anni tondi, tondi e meno di un mese al momento in cui sarei approdata ad
Hogwarts. Già non sto più nella pelle dall’eccitazione.
Come era prevedibile, mamma l’ha trasformato
in un vero e proprio evento, neanche stessi per partire per la guerra invece che
compiere semplicemente gli anni. E come era altrettanto prevedibile, Fred e
George hanno colto al volo l’occasione per fare l’idioti: nello specifico,
eravamo riusciti a salvare la torta un attimo prima che i gemelli la facessero
saltare in aria.
In quel momento, mentre io mangio in relativa
tranquillità la mia fetta di dolce, quei due stanno cercando di fare indossare a
Erroll un tutù rosa, con risultati abbastanza esilaranti: ho già rischiato
diverse volte di strozzarmi con un boccone andato di traverso, visto che non
riesco a trattenere le risate.
"Disturbo?".
Il mio cuore manca un battito, per poi
saltare da qualche parte sotto le mie corde vocali e prendere a battere a tripla
velocità.
Mi volto, cercando di stamparmi in volto un
sorriso e sperando che non mi esca invece una smorfia. Harry, detto altresì il
migliore amico di mio fratello, detto altresì il ragazzo più carino del mondo,
mi guarda con un sopracciglio inarcato.
"No… no…" riesco alla fine a balbettare, dopo
averlo fissato come un ebete per due minuti buoni. "Prego, siediti".
Mi faccio goffamente di lato, offrendogli il
posto accanto a me sullo scalino su cui sono appollaiata… Offerta che lui
accetta prontamente con un sorriso, provocandomi un mezzo scompenso cardiaco.
La parte ancora senziente del mio cervello mi
invita caldamente a dire qualcosa, qualunque cosa, prima che lui cominci
seriamente a pensare che sono un’idiota completa, ma il resto (e al momento è la
parte predominante) è impegnata a pensare quanto sia carino con indosso la
maglietta dei Cannoni di Chudley che Ron gli ha prestato (per quanto
quell’arancione sgargiante non starebbe bene a nessuno). Ma credo che a questa
parte del mio cervello Harry piacerebbe anche se indossasse il tutù rosa dei
gemelli.
Oltretutto, con lui così vicino, comincio ad
avere serie difficoltà a ricordare come si respira, perciò direi che parlare è
fuori discussione.
"Ma fanno sempre così?".
Ci metto diversi secondi a capire che si sta
rivolgendo a me (e a chi se no, scema?, mi rimbrotta la mia parte senziente),
altrettanti per capire a chi si sta riferendo e anche di più per formulare un
risposta semi coerente. A questo punto, probabilmente lui nemmeno si ricorda più
la domanda che mi ha posto e penserà che sono una ritardata mentale.
Apro comunque la bocca, nella speranza che ne
esca qualcosa di intelligente (speranza vana).
"Oh, beh sì, quasi sempre" farfuglio,
torturando con la forchetta i resti della mia fetta di torta (la fame mi è ormai
completamente passata). "Vogliono sempre essere la centro dell’attenzione… Sì,
cioè, ecco… Fred e George sono fatti così, non è che la cosa mi dia fastidio…
Nel senso, ci sono abituata…".
A questo punto, la parte senziente mi
suggerisce di chiudere la mia farneticazione senza né capo né coda: così
ammutolisco, divento rossa come un papavero e abbasso bruscamente lo sguardo
sulla mia torta martoriata. Non arrossire, non arrossire, non arrossire… Ma che
me lo ripeto a fare, visto che mi sento già le guance in fiamme? Di certo
potrebbero fare concorrenza ai miei capelli… Il suo sguardo, che mi sento
puntato addosso, non mi aiuta certo a calmarmi: sono più che sicura che mi
consideri un’idiota fatta e finita. Ora che ci rifletto, questo è probabilmente
il discorso più lungo che gli abbia mai rivolto da quando è arrivato alla Tana…
Il che non depone a mio favore.
"Ehi Harry, vieni un attimo?".
Ron lo chiama e io mentalmente lo ringrazio
perché mi salva dal fare ulteriori figuracce. Harry si alza, facendomi un veloce
cenno con la testa e guardandomi decisamente perplesso, e si dirige verso il suo
amico.
A questo punto, mi viene voglia di prendermi a calci da
sola. Ma perché non posso istaurare una conversazione coerente con lui? Perché
tutte le volte che mi parla non riesco a formulare un solo pensiero razionale?
Sono proprio cretina…La parte senziente è pienamente d’accordo su questo punto,
anzi mi suggerisce di alzarmi e andare a parlargli: un discorso vero, stavolta.
Fortunatamente, decido di aver già fatto il pieno d’umiliazioni per oggi e di
non darle retta: molto meglio continuare ad ammirare da lontano… Chissà, magari
dopo potrei sfogarmi un po’ su quel diario bianco che ho trovato in uno dei
libri di scuola…
11 agosto 1995
Grimmauld Place n°12
15.00
Sono una cretina, è ufficiale. Come se a
qualcuno fosse rimasto qualche dubbio…, ridacchia la metà senziente, che da
quando la mia cotta per Harry ha raggiunto livelli che rasentano l’ossessione
vive praticamente di vita propria.
Sì, ma stavolta non c’erano dubbi che avessi
superato tutti i record… Insomma, lui mi voleva solo fare gli auguri, in fondo è
il mio compleanno, è normale, no? Me li aveva già fatti praticamente tutto
l’Ordine, parecchi con tanto di regalo. E io avevo ringraziato e sorriso…
Sarebbe stato tanto difficile farlo anche con lui? Evidentemente sì, visto che
appena Harry mi aveva rivolto la parola, il mio cervello aveva pensato bene di
chiudere bottega e partire per le Barbados (grazie mille, eh!) e mi ero così
ridotta al solito esserino patetico e balbettante e non ero praticamente
riuscita a spiccicare parola.
Finché ovviamente, per preservare quel
briciolo di dignità che ancora mi restava, la metà senziente (o i quei pochi
neuroni ancora funzionanti di essa) mi avevano suggerito di filarmela più veloce
della luce.
Ed così eccomi qua, rintanata in un allegro bagno che è
più probabilmente un ricettacolo di malattie infettive e batteri, con una voglia
matta di prendere a testate il muro. O magari affogarmi nella vasca: o mi uccide
quello o la poco rassicurante muffa nerastra che prolifera vicino allo scarico…
Ma lo userà qualcuno questo bagno? Spero vivamente di no…Sii ragionevole, cerca
di farmi ragionare la parte senziente. Pensi sul serio che prenderti qualche
orrenda infezione mortale sia la soluzione ai tuoi problemi?Probabilmente no: se
proprio devo morire, preferisco qualcosa di meglio della peste nera o qualcosa
del genere…
"Ginny, sei lì dentro?". Hermione bussa
discretamente alla porta, chiedendomi il permesso di entrare.
"Vieni pure, Hermione" le
rispondo.
"Ginny, stai bene?" mi domanda, dopo essersi
chiusa la porta alle spalle e aver dato un’occhiata vagamente disgustata
all’ambiente. "Di sotto, sono tutti preoccupati…".
"Certo che sto bene, mai stata meglio. Perché
non dovrei stare bene? Sto benissimo, grazie, al massimo della
forma…".
Hermione mi guarda con tanto d’occhi mentre
la mia bocca ingrana il pilota automatico e comincia a sparare parole a raffica.
"Ok, ok, hai reso il concetto" mi interrompe alla fine. "Prendi fiato: stai
diventando blu".
Seguo subito l’ottimo consiglio,
accontentando il miei polmoni affamati d’aria.
"E ora, seriamente" torna all’attacco
Hermione. "Vogliamo parlarne?".
"Di che?".
"Di te e della tua cotta per Harry, ovvio"
sbuffa lei, seccata.
Ahi, beccata. "Non gli dirai niente, vero?"
balbetto, preoccupata, mentre divento rossa (ormai, è un abitudine consolidata
per me).
"Dire cosa a chi?" fa Hermione, ridacchiando.
"Ginny, Harry su queste cose è abbastanza lento, ma nemmeno lui è così lento da
non essersene accorto…".
Già, proprio le parole che temevo di sentire:
ormai manca giusto un’inserzione sulla Gazzetta del Profeta per pubblicizzare la
cosa a tutto il mondo. Ma del resto, perfino i mobili e i sassi devono averlo
capito da un pezzo… Grande!
"Crederà che sono una povera stupida, vero?"
domando, rassegnata, lasciandomi cadere sul pavimento, prendendomi la testa tra
le mani e fregandomene altamente dei germi.
"Chi, Harry?". Hermione ride, mentre si siede
al mio fianco. "Ginny, non ti ha mai quasi sentito pronunciare una parola: come
può pensare che sei stupida?".
"Appunto perché quando c’è lui nella stanza,
io ammutolisco e tendo a cacciarmi in situazioni che mi fanno desiderare di
sprofondare… Perché deve farmi questo effetto?".
"Immagino perché sei cotta come una pera… Di
solito, succedono di queste cose parlando con il ragazzo che ti
piace…".
"Che gran fregatura!" borbotto. "In altre
parole, io e Harry abbiamo più o meno le stesse probabilità di mettersi insieme
di Sirius e Piton…".
La mia amica mi guarda accigliata. "Io non
sarei così drastica al posto tuo…".
"Hermione, se non riesco a parlarci, non in
modo civile, mi spieghi come potremmo mai metterci insieme? Senza contare che
non sono poi così sicura che lui non mi consideri un’idiota totale…".
"Harry nemmeno ti conosce: non ne ha mai
avuto la possibilità, visto che fra vuoi c’è poco o zero dialogo, più che altro
per colpa tua…".
"Ehi, grazie" protesto, pur sapendo
perfettamente che è la verità: se tra me e Harry non c’è un futuro, è solo e
soltanto colpa mia e della mia timidezza nei suoi confronti. "Secondo te, che
dovrei fare?" domando, nella speranza di ricevere un consiglio più utile di
quelli della parte senziente, che non si sono mai rivelati particolarmente
efficaci.
Hermione ci pensa su un attimo. "Dovresti
cercare di fargli conoscere la vera Ginny… Il che implica cominciare a parlare
in sua presenza…".
"Tanti auguri allora: non ci riuscirò
mai…".
"Sì, invece… Prova a concentrarti su qualcun
altro: esci con altri ragazzi, dimenticati di Harry per un po’, lascialo proprio
perdere. Vedrai che così riuscirai a vincere la timidezza…".
Ci rifletto sopra: come suggerimento non è
male. Come si dice, l’oceano è pieno di pesci: forse mi avrebbe fatto bene
guardarmi un po’ intorno. Di certo non mi avrebbe fatto male pensare a qualcuno
che non fosse Harry… E chissà, magari così, lui si accorgerà di me.
"Grazie, Hermione: penso che seguirò il tuo
consiglio".
"Non c’è di che. Ora possiamo uscire? Sento
la mia vita accorciarsi per ogni secondi che passo seduta su questo
pavimento!".
Sì, tutto sommato ha ragione, penso,
scattando in piedi schifata. E poi mi attraversa un altro pensiero: in fondo, se
siamo in vena di confidenze…
"Ma cambiando argomento, che mi dici di te e
Ron?".
La vedo arrossire e per poco non inciampa in
una piastrella sconnessa. "Io e Ron?" ripete, con voce un po’ troppo acuta.
"Cosa c’entriamo io e Ron adesso?".
"Oh, nulla" ridacchio, mentre la seguo in
corridoio. "Pensavo solo…".
"Beh, qualunque cosa tu pensassi, è
sbagliata" mi zittisce lei con forza. "Ora torniamo di sotto, prima che ci diano
per disperse…".
Annuisco e mi avvio dietro di lui, in modo
che non veda il mio sorrisetto compiaciuto: a quanto pare, non sono l’unica ad
avere problemi di cuore…
11 agosto 1997
la Tana
11.00
Questo è sicuramente il compleanno peggiore
della mia vita! Ma compio davvero sedici anni oggi? In tutta sincerità, non me
ne frega proprio nulla: tra quindici e sedici non c’è poi questa grande
differenza e io resto depressa in entrambi i casi… Depressa? No, depressa non
rende decisamente l’idea del mio stato d’animo: sono preoccupata a morte,
terrorizzata, sull’orlo della pazzia… ecco, questo sì che descrive come mi sento
oggi: decisamente non i tipici sentimenti che accompagnano il tipico sedicesimo
compleanno di una tipica adolescente.
Ma credo che ormai quella parvenza di
normalità che la mia famiglia conservava sia andata definitivamente a farsi
benedire, più o meno nel momento in cui i Mangiamorte hanno seminato il terrore
al ricevimento di nozze di mio fratello e un altro fratello è sparito dalla
circolazione, accompagnato dai suoi migliori amici: niente saluti, niente
biglietti, niente messaggi, niente di niente… Ovvio visto che ci sorvegliano:
non posso rischiare di farsi rintracciare, ovunque siano…
Ciò non toglie che mamma si stia
letteralmente consumando nella preoccupazione al pensiero che Ron possa essere
chissà dove, magari morto o ferito, come Harry e Hermione… Viva la positività! È
talmente preoccupata che a malapena oggi mi ha fatto gli auguri… Non che me ne
importi: ho ben altri pensieri per la testa, è già tanto se io mi sono ricordata
che oggi è il mio compleanno…
Come faccio a concentrarmi su quisquilie del genere quando
uno dei miei fratelli è disperso chissà dove e con lui due dei miei migliori
amici…Ma a chi vuoi darla a bere, Ginevra Weasley?, mi apostrofa la parte
senziente. Quanto vorrei scoprire come liberarmene: ormai le manca giusto il
nome per essere un’entità a sé stante… il che probabilmente la dice lunga sulla
mia sanità mentale! Harry è ben più di un amico per te… Vi siete sbaciucchiati
accanto a quel letto non meno di dieci giorni fa!Già, grazie per avermelo
ricordato. È davvero incredibile, sto più male adesso che Harry ricambia i miei
sentimenti che quando non riusciva a spiccicare parola in sua presenza… Forse
perché al momento il mio ex fidanzato è impegnato a salvare il mondo magico e
non ho idea di se, quando e come tornerà da me… Non sono nemmeno riuscita a
salutarlo come si deve: dopo il "piccolo incidente al suo compleanno, non ci
siamo più parlati e il giorno dopo ha preso il volo insieme a Ron e Hermione,
per andare a compiere la loro segretissima missione che mamma ha cercato in
tutti i modi di ostacolare…
Sospiro pesantemente, mentre nella solitudine
della mia stanza, osservo l’andirivieni degli gnomi in giardino: sono gli unici
nei dintorni a non essere stati minimamente toccati dai recenti avvenimenti,
perfino i gemelli sono più taciturni del solito in questi giorni.
Chissà che sta facendo Harry in questo
momento?, mi domando, trattenendomi a stento dal pensare "il mio Harry". Che non
fosse morto ne ero sicura: la Gazzetta del Profeta l’avrebbe annunciato con le
trombe nel caso… Ma tra morto e vivo e felice c’è un ampia gamma di inquietanti
possibilità. Mannaggia a me, ma proprio del salvatore del mondo dovevo
innamorarmi?
"Ehi sorellina, guarda che così consumi il
paesaggio…".
Mi volto, trovando Fred e George ai due lati
della porta, con un ghigno identico stampato sul viso.
"Come mai quella faccetta triste?" mi domanda
Fred.
"Il giorno del proprio compleanno nessuno
dovrebbe essere triste…" aggiunge George.
"Non mi pare ci sia granché da festeggiare…"
sbuffo, cupa. Forse erano più taciturni, ma erano sempre i soliti…
"Finché c’è vita c’è speranza,
Ginny".
"Sei troppo giovane per essere così cinica,
sorellina".
"Di questi tempi, non si è mai troppo giovani
per essere cinici, con tutto quello che succede là fuori…".
Fred e George inarcano con perfetto
sincronismo il sopracciglio sinistro. "Lasciaci indovinare…" comincia
George.
"… ti riferisci per caso a un certo ragazzo
dagli occhi verdi che…".
"… in questo momento sta rischiando la vita
chissà dove, accompagnato solo da due giovani da un’aggraziata fanciulla e un
giovane dalla dubbia utilità?".
Ecco, lo sapevo, adesso arrossisco: ma perché
il mio corpo mi deve tradire nei momenti meno indicati? Decido rapidamente di
svicolare la domanda nella speranza che perdano d’interesse. "Questa cosa di
finirvi le frasi a vicenda è molto irritante, lo sapete?".
"Certo, per questo ci diverte
tanto!".
"Ma tu hai evitato la domanda,
Ginny!".
Sarebbe stato troppo facile. Ma pensavo sul
serio di poterla fare a questi due? "Io non mi riferivo affatto a Harry: parlavo
della situazione in generale…".
"Già, già, sicuro…".
"… Perché non sei affatto preoccupata per il
tuo fidanzato, vero?".
"Io e Harry ci siamo lasciati, nel caso ve lo
foste dimenticato… Non è bello infierire…".
Per una volta, mi guardano con espressione
seria, raggiungendomi al davanzale della finestra. "Sorellina, tu e Harry vi
siete lasciati per colpa di circostanze concomitanti…" osserva
George.
"Appena la guerra sarà finita, tornerà da te
implorandoti di riprenderlo…".
Nel caso, non dovrà implorare tanto:
dipendesse da me, tornerei con lui anche seduta stante. Ma ovviamente, non posso
fare a meno di fare l’avvocato del diavolo.
"E se non tornasse? Se non tornasse
proprio?".
"Allora Tu-Sai-Chi avrebbe vinto, e questo
sarebbe l’ultimo dei tuoi problemi… Ma non accadrà…".
"Non può accadere…" afferma Fred.
Bastassero le buone intenzioni, avremmo già
vinto questa guerra da un pezzo. "Secondo voi stanno bene? Harry, Ron e
Hermione?" domando, guardando fuori dalla finestra come se sperassi di ricevere
una risposta dagli alberi.
"Ma certo che stanno bene!" esclama George
con forza.
"Quei tre sono dei duri: non si fanno mica
mettere K.O. dai Mangiamorte in nove giorni… Saranno da qualche parte a
elaborare la prossima mossa…".
"Quando sentiremo in giro di qualche
disordine o casino, sta tranquilla che ci sarà il loro zampino!".
"Vorrei avere la vostra fiducia…"
sospiro.
A quel punto, mi prendono per le spalle, una
ciascuno. "Devi aver fiducia, Ginny…".
"È difficile, ma non possiamo fare altro che
stringere i denti e andare avanti comunque…".
"Vedrai che tra un anno a quest’ora sarà
tutto finito e rideremo insieme di queste paranoie: immagina…".
"… Tu e Harry seduti di fronte a un tramonto
a bere
"… Con noi dietro che vi tiriamo un paio di
gavettoni ad acqua!".
Impossibile trattenersi, l’allegria dei
gemelli è contagiosa: scoppio in una sonora risata di cuore. Mi rendo
rapidamente conto che era proprio quello di cui avevo bisogno per pensare
positivo: Fred e George hanno ragione, tutto si risolverà per il meglio, presto
andrà tutto a posto…
"Grazie ragazzi" mormoro, stringendoli in un
abbraccio che loro ricambiano con un sorriso.
LYRAPOTTER’S
CORNER
E voilà, seghe
mentali a gogo, devo dirlo, questo capitolo è stato facile e divertente da
scrivere. Ho cercato di pescare i momenti salienti del modo in cui Ginny vede la
sua relazione con Harry, spero di aver fatto un buon lavoro. Ovviamente a voi,
l’ardua sentenza.
Grazie per i loro
commenti a
hermy101
erigre, per rispondere alla
tua domanda, le date a cui faccio riferimento le ho trovate a questo
link: i curatori del sito le hanno a loro
volta riprese dal sito ufficiale della Rowling, perciò sono canon. Quella della
battaglia di Hogwarts invece, l’ho scovata sul HP-lexicon, praticamente la mia bibbia di
potteriano, davvero utile e ben fatto.
salkmania22
Deidara
Bon, vi saluto, ci sentiamo al prossimo appuntamento, il
22/08, per il
compleanno di un altro Weasley, Percy.
A presto,
bacibaci!!!!!!
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Capitolo 19 *** Percy Weasley ***
SPECIAL
DAYS
PERCY WEASLEY
22 agosto 1991
La Tana
Inghilterra
15.00
"Ridatemela, piccoli mostri!".
Al grido carico di rabbia fecero eco soltanto
delle sonore, divertite risate.
Da un punto imprecisato della casa giunse una
voce carica di scherno in risposta. "Vientela a prendere, se ci riesci!". E giù
altre risate.
Percy imprecò sonoramente, maledicendo i
fratelli minori: più Fred e George crescevano, più peggioravano, cosa che Percy
aveva sempre ritenuto impossibile. Già da bambini, i gemelli erano delle pesti
senza il minimo freno, ma diventando adolescenti avevano perso qualunque senso
della misura: sembravano considerare sprecato ogni secondo che non trascorrevano
a mettere in pratica qualche scherzo o in alternativa a tramare l'ennesima
scorribanda.
Nemmeno quel giorno avevano voluto lasciarlo
in pace: poco c'era mancato che la sua torta di compleanno saltasse in aria (uno
scherzo particolarmente gettonato, visto che la settimana prima quella di Ginny
aveva rischiato di fare la stessa fine), salvo essere salvata in extremis da
Molly; e ora gli avevano rubato la sua nuova, fiammante spilla da prefetto:
erano un puro concentrato di perfidia, quei due!
Che il diavolo se il porti, quei due!,
pensò, mentre irritato usciva dalla sua camera
sbattendo la porta e si lanciava all'inseguimento dei gemelli, i quali, dal
canto loro, parevano spariti nel nulla.
"Fred, George, dove diamine vi siete
cacciati?".
Un tetro silenzio fu la risposta,
probabilmente la peggiore di tutte: se i gemelli tacevano, di lì a poco sarebbe
scoppiato il finimondo.
In compenso, mentre ribolliva come una
teiera, la faccia di Ron sbucò dalle scale. "Che hai da urlare? Fai tremare
tutta la casa!".
"Hai visto i gemelli?" domandò Percy, invece
di rispondere alla provocazione.
Il ragazzino si strinse nelle spalle. "Boh,
forse sono scesi... Qui non sono! Chiedi a Ginny o a mamma o a
Charlie".
Detto questo si ritirò di nuovo nella sua
camera: Percy non poteva esserne certo, ma avrebbe giurato che Ron stava
ridacchiando.
A volte si sentiva davvero un estraneo in
quella casa!
Mentre scendeva le scale diretto al piano
terra, incrociò Ginny che veniva dalla direzione opposta, con un bicchiere di
succo di zucca in mano.
"Ginny, hai...".
"No" lo interruppe secca la bambina, in tono
irritato. Non era un mistero il perchè fosse di così cattivo umore: di lì a
pochi giorni sarebbe cominciato un nuovo anno ad Hogwarts e lei, con i suoi
dieci anni appena compiuti, era ancora troppo piccola per seguire i
fratelli.
"Come fai a sapere cosa volevo chiederti?" la
rimbeccò Percy, scocciato.
"Volevi sapere dove stanno Fred e George"
sghignazzò le, lasciandolo spiazzato. "Si sentono le tue urla in tutta la casa"
spiegò. "Comunque, non lo so davvero dove sono...".
"Ne sei sicura? è importante".
Ginny inarcò un sopracciglio, con aria
curiosa. "Che ti hanno fregato per scatenare questa reazione, eh,
Perce?".
"La mia spilla nuova".
Ginny trattenne a stento un risolino, mentre
il suo viso si illuminava di comprensione: tipico di Fred e George, considerato
che Percy teneva a quella spilla più che alla sua stessa vita!
"Ah, capisco... Credo di averli scorti in
giardino: fuori hai guardato?".
"Grazie, Ginny" le disse Percy riconoscente,
facendo per avviarsi.
Ginny lo richiamò indietro. "Se vuoi un
consiglio, evita la cucina: mamma e Charlie litigano di nuovo...".
Percy fece una smorfia: a quanto pareva Molly
era decisa a perorare quella causa persa fino in fondo. Infatti, quando passò
davanti alla porta della cucina, sentì le voci di sua madre e suo fratello,
impegnati nell'ennesima disputa.
"Ma è così lontano..." stava dicendo
Molly.
Charlie sbuffò di esasperazione: era almeno
la milionesima volta che sosteneva quella conversazione e ormai era davvero
stufo marcio. "Mamma, Bill si è trasferito addirittura su un altro continente
quando è stato assunto dalla Gringott come Spezzaincantesimi... Io mi sto
limitando all'Europa dell'Est!".
"Bill non andava mica a fare il domatore di
draghi!" stridette Molly. "E non è che fossi proprio entusiasta quando lui è
partito per l'Egitto... Ma perchè non puoi andare a lavorare al Ministero come
tuo padre? All'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature
Magiche?".
Percy avrebbe potuto scommettere che la
faccia di Charlie a questa proposta fosse non meno che disgustata: Charlie, a
lavorare al Ministero, questa poi, lui che amava tanto l'aria pura e stare
all'aperto.
"Non voglio ammuffire dietro una scrivania,
mamma!" protestò infatti con forza il ragazzo. "Non è quella la vita che fa per
me, anche se tu lo vorresti. Voglio un lavoro attivo, che mi faccia sudare
all'aria aperta...".
"Ma perchè proprio con i draghi?" quasi
piagnucolò Molly con voce tremula. "Con tutte le creature magiche che ci sono al
mondo...".
"Perchè mi hanno offerto questa opportunità,
mamma! Sai a quanti maghi appena diplomati hanno mai presentato un'occasione del
genere? Con tutto quello che il professor Kettleburn ha fatto per me, non potrei
mai rinunciare...".
"Ti farai uccidere! Ti farai arrostire da uno
di quei mostri alati che ti ostini a vedere come cucciolotti troppo
cresciuti!".
"Io non ho la minima intenzione di cambiare
idea, mamma, checché tu ne dica" dichiarò Charlie in tono freddo. "Papà mi ha
già dato la sua benedizione, vorrei avere anche la tua, ma in ogni caso la
prossima settimana partirò per la Romania".
"Charlie…" cominciò a dire Molly, ma il suo
secondogenito la interruppe. "No, mamma, ora basta: ho ascoltato le tue ragioni
per tutta l’estate, ora sono stanco. Sono cresciuto e posso decidere da solo per
la mia vita".
Detto questo, si alzò e uscì dalla cucina,
andando quasi a sbattere contro Percy, ancora dietro la porta ad ascoltare il
litigio.
Charlie lo guardò ridacchiando, con un
sopracciglio inarcato. "Che fai, ti metti a origliare come i gemelli? Credevo
fossi uno che rispetta le regole!".
Percy avvampò di rabbia e indignazione. "Io
non origliavo: passavo di qui per caso… Hai visto Fred e George?".
"Sono andati fuori una decina di minuti fa:
credo che fossero diretti alla rimessa delle scope… Ehi, dove vai?".
Perché Percy, al sentire le parole fuori e
scope, era già partito in quarta: che volevano fare quei due decerebrati con la
sua spilla?
Gli bastò uscire in giardino per scoprirlo.
All’inizio pensò che i gemelli avessero preso le scope fossero volati chissà
dove, poi sentì le loro risate provenire da qualche parte sopra di lui. Alzò lo
sguardo ed eccoli lì tutti e due, appollaiati sul tetto, che ridevano di gusto
esibendo la spilla come fosse stata un trofeo.
"Ridatemela!" gridò Percy, furibondo,
agitando un pugno nella loro direzione.
"Vieni a prenderla se la vuoi" gli intimò
Fred, sventolandola davanti a lui.
"È mia e la rivoglio!" insistette ancora il
neo prefetto.
"Noi non ci muoviamo da qui" gli assicurò
George. "Se rivuoi indietro la tua preziosa spilla, tutto quello che devi fare e
prendere una scopa e venire qua su a prenderla".
Percy si sentì ribollire di rabbia: i gemelli
l’avevano fatto apposta ovvio. Sapevano che lui non era un granché a volare,
anzi soffriva pure un po’ di vertigini, perciò erano certi che non avrebbe mai
avuto il coraggio di andare fin lassù. E anche se l’avesse fatto, niente gli
garantiva che quelli non sarebbero scappati: erano molto più bravi di lui a
cavallo di una scopa. E Percy non dubitava che sarebbero potuti rimanere lì
anche tutto il giorno, forse addirittura di più, se la mamma non li costringeva
a scendere.
Doveva andare a chiedere aiuto a Molly? Ma
poi Fred e George l’avrebbero preso in giro perché andava a nascondersi come un
poppante dietro le sottane di mammina. E avrebbero pure avuto ragione: a
quindici anni compiuti doveva essere capace di cavarsela anche da
solo.
Ma come poteva fare?
"Allora, Perce?" lo schernì Fred. "Hai
cambiato idea?".
"Ci sta crescendo la barba mentre
aspettiamo!".
Percy stava appunto considerando l’idea di
tirargli contro un sasso o qualcosa del genere, anche se con la sua fortuna come
minimo avrebbe rotto una finestra, quando intervenne una voce alle sue spalle.
"Che sta succedendo qui?".
Percy si voltò, trovandosi di fronte Charlie,
che lo fissava genuinamente incuriosito. "Mi hanno rubato la spilla!" esclamò il
ragazzo, senza riuscire a trattenersi. "Quella da Prefetto… E non vogliono
ridarmela!".
Charlie rivolse la sua attenzione ai gemelli
sul tetta. "Ragazzi, cos’è questa storia?".
"Oh, andiamo Charlie: è solo uno scherzo,
Percy la butta già troppo tragica!".
"Noi gliela ridiamo quando verrà a
prendersela!".
"Lo sapete che soffre di vertigini" obiettò
Charlie. "Avanti, restituitegli quella spilla!".
"Col cavolo, mica sei il nostro
capo!".
"Se la vuole così tanto, può benissimo
prendere una scopa dalla rimessa e venire quassù".
Percy rivolse loro un’occhiata infuocata,
preparandosi a rispondere a tono, ma Charlie, con uno sbuffo irritato, lo
precedette. "D’accordo, volete giocare così? Volete che venga io sul tetto a
risolvere la faccenda? Tanto lo sapete che vi batto: volo più veloce di voi due
messi insieme!".
"Sentilo, come si vanta" ridacchiò George.
"Solo perché ha vinto qualche coppa di Quidditch…".
"Ed era capitano della squadra…".
Ma entrambi adesso erano più dubbiosi: per
quanto non volessero ammetterlo a parole, sapevano che Charlie era davvero più
bravo di loro a volare.
"Dai" continuò a blandirli il ragazzo. "Lo
scherzo è bello quando dura poco: buttate giù quella spilla da Prefetto: tanto
voi che potete farci? Oggi è pure il suo compleanno…".
I gemelli si scambiarono un’occhiata
indecisa.
"Avete tre secondi" proseguì Charlie,
implacabile. "Poi vengo su io a risolvere le cose… Oppure, potrei scrivere a
Baston per dirgli che in fondo non meritate di restare Battitori della
squadra…".
Stavolta colpì nel segno: Fred e George
adoravano giocare nella squadra di Quidditch di grifondoro. Anche se non
potevano vederlo chiaramente per via della distanza, Percy era pronto a
scommettere che le loro facce erano no n meno che orripilate alla prospettiva.
"Non oseresti" sibilò Fred.
"E nemmeno Baston…".
"Io e Oliver abbiamo giocato insieme tre
anni" cinguettò Charlie, divertito. "Sono pronto a scommettere che sarebbe più
pronto a seguire il mio consiglio piuttosto che il vostro…".
Passarono alcuni minuti, mentre i gemelli
parlottavano tra loro, mentre Percy aspettava con ansia il responso.
Alla fine Fred, con una smorfia di
insoddisfazione, disse: "Giochi sporco, Charlie!".
"Mi adeguo alle circostanze" fu la calma
risposta dell’altro.
Poi George lanciò la famosa spilla di sotto:
Charlie, con i suoi riflessi da Cercatore, la prese al volo senza sforzo, per
poi porgerla al fratello minore al suo fianco.
"Grazie Charlie".
"No problem… Non dovresti dare tanta
importanza a quello che fanno quei due: vederti sbraitare è metà del
divertimento".
"Ma è la mia spilla!" protestò Percy,
battendo il piede in terra: possibile che nemmeno lui capisse? "È mia e loro me
l’hanno rubata!".
"È solo una spilla" obiettò Charlie. "Resti
un prefetto anche se quei due la spediscono sulla luna… Sai quante volte hanno
rubato la mia spilla da Capitano? Le scenate isteriche non servono a
nulla!".
"Lascia perdere: tu non capisci!" sbuffò
Percy per poi girarsi e correre di nuovo in casa.
Che c’era di così difficile? Era la sua
spilla e Fred e George gliela avevano rubata! Non aveva forse il diritto di
riaverla indietro? Di pretendere di averla indietro? Erano i gemelli quelli
dalla parte del torto, eppure Charlie sembrava quasi aver rimproverato
lui!
Perché nessuno in quella casa sembrava mai
capirlo?
22 agosto 1996
Londra
18.15
Percy Weasley rientrò a casa con uno sbuffo,
stanco morto. Quella giornata era sembrata durare in eterno, con tutto quello
che era successo in ufficio.
Che giornata infernale, pensò, mentre si sfilava il mantello e lo gettava senza troppi
complimenti sul divano: tanto viveva da solo, a chi poteva dar fastidio? A
Hermes?
Percy si guardò in girò in cerca del suo
gufo, ma il trespolo dell’animale era vuoto: doveva già essere uscito a caccia,
malgrado fosse ancora abbastanza presto.
Tuttavia, andando in cucina, pensando a cosa
potesse mangiare per cena, trovò una lettera ad aspettarlo sul tavolo. Doveva
essere arrivata durante la giornata, perché quella mattina non c’era.
Prima ancora di aprirla, Percy seppe di chi
era, riconoscendo la calligrafia sulla busta. A quanto pareva, nonostante tutto,
sua madre gli aveva comunque voluto scrivere per il suo compleanno.
Percy se ne sentì un po’ stupito: dopo il
natale dell’anno prima, quando aveva rispedito indietro il maglione alla Weasley
che Molly gli aveva mandato (poi se ne era in parte pentito: in fondo su madre
c’entrava in minima parte nel litigo che l’aveva allontanato dalla famiglia),
non aveva più avuto la minima notizia da uno qualunque dei suoi parenti. L’unico
contatto che aveva avuto erano gli incontri casuali con suo padre al Ministero,
quando entrambi fingeva freddamente di non conoscersi.
Ma a quanto pareva, quel giorno la buona
Molly non poteva passarlo sotto silenzio.
Percy sospirò, indeciso se aprire la busta o
no: era il secondo compleanno che passava da solo, senza la sua famiglia, senza
gli abituali festeggiamenti targati Molly Weasley, senza torta fatta in
casa…
L’anno prima, la rottura con i suoi era
ancora talmente fresca che non gliene era importato nulla. Oltretutto, allora
credeva di essere dalla parte del giusto, che fossero i suoi genitori a
sbagliare…
Ma adesso, a un anno di distanza, le cose
erano cambiate: aveva scoperto di essere stato lui nel torto, quando non aveva
voluto credere a Harry Potter e Silente e si era affidato alla versione del
Ministero sul ritorno di Tu-Sai-Chi. Eppure non aveva voluto fare il primo passo
per riavvicinarsi, sapendo bene che probabilmente Molly avrebbe avuto bisogno di
tutta la famiglia vicino con i tempo che correvano.
Ma non aveva voluto, non aveva potuto andare
a chiedere perdono e fare come se nulla fosse successo: troppo orgoglio, anche
se nemmeno lui lo voleva ammettere con sé stesso. Preferiva continuare a
ripetersi che tanto non sentiva la mancanza dei suoi genitori e dei suoi
fratelli, anche se quella era una mezza bugia. Ma di certo lui a loro non
mancava, tranne forse a Molly: i suoi fratelli non l’avevano mai potuto
sopportare, di certo stavano meglio senza di lui tra i piedi. Al massimo, Fred e
George potevano sentire la mancanza del loro bersaglio preferito!
Riposò la lettera sul tavolo, decidendo di
rimandare l’apertura a dopo cena… Tanto, era solo un biglietto d’auguri, cosa
poteva esserci scritto di tanto importante?
Stava appunto stappandosi una bottiglia di
Burrobirra quando bussarono alla porta.
Chiedendosi chi diavolo potesse essere a
quell’ora, Percy andò ad aprire, rischiando di inciampare nel tappeto
nell’ingresso. Si stava risistemando gli occhiali di corno sul naso quando
spalancò l’uscio e si trovò davanti, con sua enorme sorpresa, suo fratello
maggiore, Bill.
Era più di un anno che non lo vedeva, eppure
non era cambiato di una virgola: stessi capelli lunghi che faceva imbestialire
sua madre, stesso look che Percy aveva sempre giudicato come minimo orribile.
I due fratelli restarono a fissarsi sulla
porta per diversi minuti di imbarazzato silenzio (cosa dici al fratello con cui
non parli da così tanto tempo?), poi Bill, con un sorriso stiracchiato, esordì
titubante: "Ciao, Percy: posso entrare?".
Senza sapere cosa dire, Percy si limitò a
farsi da parte, lasciandolo entrare. "Bella casa" commentò Bill, guardandosi
intorno, mentre Percy lo pilotava verso il salotto.
"Grazie" disse asciutto Percy, lambiccandosi
il cervello in cerca di qualcosa di intelligente da dire. Poi decise di fingere
che quello fosse un ospite come un altro: come si sarebbe comportato nel caso?
"Prego, siediti" riprese, indicandogli il divano color crema. "Vuoi qualcosa da
bere? Posso fare un po’ di the, se vuoi…".
Bill scosse il capo, senza nemmeno sedersi o
togliersi il mantello. "No, grazie, Percy: sarà una cosa di pochi minuti, a casa
mi aspettano per cena".
"Che cosa sei venuto a fare allora, Bill?"
domandò Percy, in tono più rude di quanto non intendesse: in fondo, una parte di
lui, era davvero felice di rivedere suo fratello.
Lo sguardo di Bill si indurì, interpretando
le parole brusche come un segno di ostilità. "Non preoccuparti, non ti
disturberò a lungo… In effetti, forse avrei fatto meglio a mandarti una lettera
piuttosto che piombarti in casa così, ma non ero certo che l’avresti
letta…".
"Cosa devi dirmi di così importante,
Bill?".
"Mi sposo" comunicò il ragazzo, con lo stesso
tono con cui gli avrebbe chiesto di passargli il sale a tavola.
Percy sgranò gli occhi per la sorpresa.
"Sposarti?" ripeté. "Non ne sapevo niente…".
Bill ridacchiò, con aria ironica. "Già,
chissà come mai…". Poi lasciò cadere le spalle, scuotendo la testa con fare
sconfortato. Si frugò in una tasca interna del mantello e ne cavò fuori una
busta, che appoggiò sul tavolino che aveva di fronte. "Il matrimonio sarà
l’estate prossima" comunicò. "Questo è l’invito".
Percy guardava quella busta chiusa come se
potesse morderlo: di tutto quello che si aspettava, quella possibilità non era
nemmeno ventilata. "Bill, io…".
"Non sei obbligato a venire" lo interruppe
Bill. "Però almeno pensaci prima di gettare quella busta nel camino". Esitò un
istante, come se stesse cercando di dar voce a un concetto particolarmente
difficile. "Perché non torni a casa, Percy?" chiese infine. "Manchi a
tutti".
Percy emise uno sbuffo di puro scetticismo.
"Sì, certo, come no… Forse manco alla mamma, ma non riuscirai mai a convincermi
che manco ai gemelli!".
Scoraggiato, la voce di Bill tornò a farsi
dura e fredda. "Come ti pare… Nessuno sa che sono venuto, perciò nessuno si
dispiacerà se alla fine non verrai: perché tu hai già deciso che non verrai,
vero, Percy?".
"Bill, io…".
"Oh, no, capisco: non c’è bisogno che ti
giustifichi con me. Vivi la tua vita, Percy, e sii felice, se è questo che vuoi.
Spero per te che quando ti deciderai a tornare ci sia ancora qualcuno pronto ad
aprirti la porta… Non disturbarti ad accompagnarmi: troverò la strada anche da
solo!".
Detto questo, girò sui tacchi e se ne andò.
Come un automa Percy lo seguì sulla porta. Prima di uscire, Bill parve quasi
ripensarci, esitò un istante, si voltò e disse: "A proposito, buon compleanno,
Perce".
Con questo, chiuse la porta: in meno di
cinque secondi, fu come se non ci fosse mai stato. Non fosse stato per quella
busta chiusa sul tavolino del salotto.
Percy la squadrò come si squadrerebbe una
bestia pronta ad azzannarti alla gola. Ma cosa voleva Bill da lui? Non poteva
mica presentarsi alla Tana come se nulla fosse successo e mettersi a tavola con
tutta la famiglia! Non dopo tutto quel tempo!
Ormai tra lui e il resto del clan Weasley
correva un abisso: Percy sapeva, almeno incosciamente, che spettava a lui il
primo passo per richiuderlo, ma dubitava che sarebbe mai riuscito a
compierlo…
No, la sua famiglia era perduta.
Prese la busta ancora sigillata e la sbatté
in fondo all’ultimo cassetto del mobile più vicino, sperando di dimenticarsi
della sua esistenza. La stessa sorte toccò alla lettera d’auguri che gli aveva
spedito sua madre.
Poi tornò a pensare alla sua cena, relegando
in un angolo della sua mente la confusione e il turbamento che il colloquio con
Bill gli aveva portato.
LYRAPOTTER’S CORNER
Eccoci qua, miei fedeli. Scusate il ritardo,
ma sono rientrata solo ora da una rilassante settimana in montagan. Premetto che
il personaggio di Percy mi piace poco assai, come quasi a tutti del resto,
credo: per superare l’ostacolo ho cercato di equilibrare cacciandoci dentro gli
altri sei Weasley, di cui mi risulta più facile scrivere. Questo per dirvi che
non sono sicura del risultato: io ho cercato al meglio di rendere i pensieri e
le emozioni di Percy nelle due situazioni descritte, poi a voi l’ardua sentenza
come sempre.
Grazie per i loro commenti a
Deidara
dirkfelpy89
erigre
prossimo appuntamento tra quasi un mese,
19/09, per l’ultimo componente del magico trio, Hermione.
Commentate numerosi, see you
soon!!!!!
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Capitolo 20 *** Hermione Granger ***
SPECIAL
DAYS
HERMIONE GRANGER
19 settembre 2004
Ministero della Magia
12.00
Hermione sfogliò con aria depressa il
fascicolo che aveva davanti. Avrebbe dovuto essere felice, lo sapeva bene: dopo
mesi di dura lotta, finalmente il nuovo decreto per la tutela dei diritti degli
Elfi stava per passare. Praticamente era il culmine di tutta la sua carriera
lavorativa, visto e considerato che da quando era stata assunta all’ Ufficio
Regolazione e Controllo delle Creature Magiche non aveva fatto altro che
lavorare per raggiungere quel risultato: il nuovo decreto l’aveva vergato lei da
cima a fondo. In teoria avrebbe dovuto esserne immensamente soddisfatta: avere
alla sua età la firma su un documento di questa portata era un successo non da
molti.
E in altre circostanze ne sarebbe stata
sicuramente più che eccitata, per non dire euforica… Ma non ce la faceva proprio
a gioire per il suo salto di carriera (il ministro Shacklebolt le aveva fatto
chiaramente intendere che se tutto andava a buon fine avrebbe ricevuto una
promozione di lì a breve) quando la sua vita privata stava andando allegramente
a rotoli!
O per essere più precisi, la sua vita
sentimentale stava andando a rotoli: sì, perché Hermione era più che convinta
che Ron, il suo fidanzato, stesse solo aspettando il momento buono per mollarla.
Erano giorni che Ron a malapena le parlava, ogni volta che si vedevano era
perennemente distratto e con la testa altrove. E i loro appuntamenti avevano
raggiunto una brevità che aveva del vergognoso!
Non si era nemmeno degnato di farle gli
auguri per il suo compleanno… anzi, non si era nemmeno degnato di passarla a
salutare: di solito facevano colazione o pranzavano insieme. Chissà, magari se
n’era pure dimenticato…
Sì, Ron la voleva scaricare e stava solo
cercando di raggranellare il coraggio necessario per dirglielo.
Stupido Weasley!, pensò, mentre chiudeva il fascicolo e lo sbatteva con un gesto
stizzito in un angolo della scrivania. Riesci sempre a complicarmi la vita!
Le mie preoccupazioni per te mi stanno pure rovinando questo
giorno!
Si passò una mano sugli occhi: per compensare
la sua relazione al tracollo si era buttata a capofitto nel lavoro, cercando,
senza troppo successo, di scacciare il pensiero di Ron dalla sua mente. Fosse
facile: lei la amava, quella testaccia di legno, stavano insieme da cinque anni
e mezzo, ormai, non riusciva a immaginare la sua vita senza di
lui.
Forse dovrei parlarne con Harry,
si disse. Di certo lui saprà che passa per la
testa del suo migliore amico.
Sì, certo… Ma non era nemmeno sicuro che
Harry glielo avrebbe detto, nel caso: patti tra uomini, reciproca alleanza e
Merlino solo sa cos’altro. Poco importava se lei era la sua migliore amica: se
Ron gli aveva fatto una confidenza, se la sarebbe portata nella
tomba.
Beh, del resto anch’io, se Ginny mi rivelasse
qualche sporco segreto non andrei a dirlo ad Harry… Ecco! Hermione si batté una mano sulla fronte, dandosi mentalmente della
stupida. Posso chiedere a Ginny: se anche non lo sa, potrà sempre estorcerlo
a Harry o Ron!
Non aveva nemmeno finito di pensarlo che
qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Senza nemmeno aspettare la risposta,
Ginny Weasley in Potter entrò, con un radioso sorriso a trentadue
denti.
"Buon dì, festeggiata!" la salutò, prendendo
posto alla scrivania. "Ti senti un po’ più vecchia?".
"Per il momento no: tecnicamente sono nata
alle sei e mezzo di sera, perciò ho ancora ventiquattro anni per…". Hermione
guardò l’orologio. "… Cinque ore e mezza. Accidenti, ma è già mezzogiorno
passato?!".
Ginny annuì. "E secondo te perché sono qui,
se no? Vieni, ti offro il pranzo".
Era un invito che non ammetteva repliche e in
fondo la sua pausa pranzo iniziava tra un quarto d’ora, così Hermione si alzò
prese borsa e soprabito e si avviò al seguito dell’amica.
Venti minuti dopo erano comodamente sedute in
un bar babbano nel centro di Londra e consumavano i loro panini caldi con due
bibite davanti.
"Ma non hai gli allenamenti oggi?" chiese
Hermione, sbalordita dal fatto che Ginny stesse spiluccando il suo sandwich
abbastanza controvoglia: di solito quando doveva allenarsi con la sua squadra di
Quidditch, Ginny mangiava come un leone per essere in forze. "Oggi è martedì,
no?".
Ginny annuì con una smorfia di disappunto.
"Sì, ma oggi salto, ho già mandato a dire che non ce la faccio: non mi sento un
granché e in queste condizioni preferisco non volare. Devo aver mangiato qualche
schifezza: sono un paio di giorni che ho una nausea tremenda e mi sento fiacca.
Ma del resto l’altra sera ho avuto la malaugurata idea di lasciar cucinare
Harry: probabilmente è il karma che mi dice ‘così impari!’".
Hermione annuì, con un sorriso comprensivo:
Harry poteva anche essere un grande Auror, il salvatore del mondo magico ecc.,
ma la sua cucina faceva davvero piangere, oltre a essere una potenziale arma di
distruzione di massa. "La prossima volta lascia fare a Kreacher" le consigliò.
"Vedrai che ti passa: sarà un malessere passeggero…".
"Sì, di sicuro" concordò Ginny. "Ma stasera
Harry me la pagherà cara per avermi costretto a rinunciare all’allenamento… E tu
che mi racconti di bello? Com’è che il mio indegno fratello non è qui a
festeggiare come si conviene la sua fidanzata?".
Hermione sospirò, bevendo un lungo sorso
della sua aranciata, rimpiangendo che non fosse qualcosa di più forte:
disprezzava l’alcool, ma in certe occasioni un bel bicchiere di Whisky
Incendiario è il mezzo più efficace per soffocare le ansie.
"Il tuo indegno fratello, come lo chiami tu"
rispose poi, "mi ha fatto sapere che doveva lavorare al negozio: lui e George
stavano facendo l’inventario o qualcosa del genere…".
Ginny quasi si strozzò con il panino,
avvampando d’indignazione. "Mi stai dicendo che quel verme ti ha scaricato il
giorno del tuo compleanno per fare la conta di quanti petardi ha in magazzino?
Stavolta lo picchio sul serio! Lui e pure George che si presta a fare queste
cose: ma che razza di fratelli mi ritrovo!".
"Ginny, calmati" cerò di rabbonirla Hermione,
prendendola per il polso. "Stai attirando l’attenzione della gente. E poi non è
così importante".
"Non è importante?" quasi strillò Ginny, per
poi arrossire di botto quando tutti i presenti nel locale si girarono verso di
lei. Moderando i toni, riprese: "Hermione, è il tuo compleanno: è praticamente
l’unico giorno all’anno in cui Ron è obbligato per legge a baciare la terra su
cui cammini!".
"Sì, beh, le cose sono un po’
complicate…".
"In che senso?".
Sospirando, Hermione raccontò all’amica tutto
quello che stava succedendo in quei giorni tra lei e Ron: di come lui la
evitasse, di come si vedessero e parlassero sempre meno. "Sono tre giorni che
quasi non si fa vivo" concluse con fare sconsolato. "Ma tanto l’ho capito il
perché: mi vuole lasciare e non sa come dirmelo!".
Ginny, che si era bevuta ogni parola, la
zittì con un cenno stizzito della mano: "Non essere sciocca, Hermione: Ron è più
innamorato di una pera cotta, non ci penserebbe mai a lasciarti".
"E allora perché si comporta in questo
modo?".
Ginny ci pensò su un momento. "Non lo so… Di
certo c’è qualcosa che bolle in pentola, qualcosa di bello grosso a giudicare da
come si comporta, anche se non so cosa… Ma lo scoprirò in fretta, non ti
preoccupare".
"Che cosa vuoi fare?" domandò Hermione,
vagamente intimorita dalla luce pericolosa che vedeva negli occhi di
Ginny.
Ginny ridacchiò. "Beh, è molto semplice: si
dà il caso che mio caro marito sia il migliore amico del tuo fidanzato, no? Se
Harry non vuole dormire sul tetto nelle notti a venire gli converrà di gran
lunga dirmi cosa sta confabulando Ron".
"Ginny, non voglio spargimenti di
sangue…".
"Non ce ne saranno" le garantì la giovane.
"Ovvio, a meno che non salti fuori che Ron vuole lasciarti sul serio: in tal
caso, probabilmente mi scapperà la mano… E a lui scapperà
qualcos’altro".
Hermione non poté evitare di sentirsi un po’
intimidita e preoccupata: quando Ginny si caricava in quel modo, poteva
diventare davvero pericolosa. Una difesa forgiata da un’infanzia passata a
difendersi dalle angherie di sei fratelli maggiori.
"Ginny, per favore, promettimi che non farai
del male a nessuno".
Lei sbuffò spazientita. "Ok, ok, sta
tranquilla: ma lasciati dire che sei troppo buona!".
Tiri Vispi Weasley,
Diagon Alley,
Londra
13.30
"Come sarebbe a dire che le hai dato due di
picche?".
Harry fissava al di sopra del panino che non
aveva ancora nemmeno addentato il suo migliore amico come se volesse mangiarlo.
E in effetti, i pensieri del Bambino-Che-È-Sopravvissuto in quel momento
vertevano principalmente sul modo migliore di uccidere Ron Weasley e farlo
passare per un incidente.
Ron si guardò i piedi, rischiando così di
perdere l’equilibrio e farsi un volo giù dalla scala dove era salito per
sistemare un paio di scatole di Sognisvegli Brevettati. "Sarebbe a dire che le
ho detto che dovevo fare l’inventario… Il che in effetti è vero!".
Harry sbuffò con aria esasperata. "Ron, non
accampare scuse che non stanno né in cielo né in terra: l’inventario potevi
farlo in qualunque momento, no George?".
Quest’ultimo annuì, finendo di contare le
scatole di Pasticche Vomitose. "Harry ha ragione, Ron: sono stato io il primo a
dirti di prenderti anche tutta la giornata. Perché non dici le cose come stanno
e non ammetti che sei solo un gran coniglio?".
"Io non sono un coniglio!" s’indignò Ron,
balzando giù dalla scala.
"Ah no?" fece George, con aria ironica. "E
come definiresti uno che dopo una settimana e più da quando ha deciso, non ha
ancora trovato il coraggio di dire alla sua ragazza che…".
"Ok, ok, sono un coniglio!" ammise Ron,
tirando verso il fratello una bacchetta finta. "Contento adesso?".
"Non direi, no" rispose il fratello,
rilanciandogli la bacchetta, che lui aveva prontamente schivato.
"Il punto è" intervenne Harry, bloccando Ron
prima che l’amico scagliasse di nuovo l’oggetto, "che non puoi andare avanti
così, Ron: non puoi continuare a evitare Hermione in eterno o presto o tardi lei
comincerà a chiedersi che diavolo sta succedendo. Avevi giurato che glielo
avresti detto oggi a pranzo: ti eri risolto ad aspettare oggi perché sarebbe
stato, parole tue, ‘più romantico’ e alla fine ti tiri indietro? Non sai quanto
vorrei picchiarti in questo momento".
"Lo so, lo so" sbuffò Ron. "Non c’è bisogno
che me lo ricordi, Harry: lo so bene cosa avevo detto. Ma mi è mancato il
coraggio…".
"È sempre stato questo il tuo problema"
ridacchiò George, finendo di contare i Torroni Sanguinolenti. "Fin dai tempi
della scuola: ricordi i drammi per invitare una ragazza al Ballo del Ceppo? O la
buia parentesi a nome Lavanda Brown? Ti ci vorrebbe un po’ di faccia tosta in
più…".
"Già, voglio proprio vedere quando dovrai
farlo con Angelina questo discorso!" lo punzecchiò Ron. "Allora vedremo se farai
ancora il duro come adesso…".
George rise apertamente. "Te lo ricordi con
chi stai parlando, vero fratellino? Tuo fratello George, quello che ha detto in
faccia a mamma che il suo vestito nuovo faceva schifo? Che al matrimonio di Bill
aveva impunemente corteggiato tutte le parenti francesi della sposa che gli
capitavano a tiro? Che per chiedere ad Angelina di uscire l’ha strillato in
mezzo a una piazza? Fidati, IO non avrei il minimo problema a chiedere ad
Angelina quello che TU vuoi chiedere ad Hermione… Per Diana, neppure Harry è
rammollito come te!".
"Ehi!" protestò quest’ultimo, offeso. "Guarda
che io sono ancora qui!".
"Non mi distrarre, cognato" lo zittì George.
"Se proprio devi parlare, almeno di’ che ho ragione".
"Ron, George ha ragione" concordò l’Auror.
"L’unica cosa che devi fare in questa situazione è prendere il toro per le
corna: vai da Hermione, fa quello che devi fare e pace! Dopo starai
meglio".
"E se fossi in te mi spiccerei" aggiunse
George. "Prima che quella poveretta si convinca che tu vuoi lasciarla o qualcosa
del genere…".
"Perché dovrebbe pensare una cosa del
genere?". Ron era atterrito: amava Hermione come la sua stessa vita, come poteva
la ragazza dubitarne?
"Ron" cominciò Harry, con il tono di chi
parla a un bambino particolarmente cocciuto, "da quanto non fai una
conversazione degna di questo nome con Hermione? Una settimana? Tu al suo posto
che penseresti?".
"Ok, avete ragione: devo parlarle e lo farò
subito!". Guardò l’orologio e soffocò un’imprecazione.
"Sboccato!" lo rimproverò George,
divertito.
"Che c’è adesso?" domandò invece
Harry.
"C’è che la sua pausa pranzo è finita: non
potrò parlarle prima di sera".
"E per allora avrai già perso di nuovo il
coraggio" commentò in tono tetro il fratello. "Harry, accetto scommesse: dieci
galeoni che non glielo chiede prima di sabato".
"Ok, ci sto".
Ron aprì la bocca per protestare, non sapeva
bene nemmeno lui per dire cosa, quando la porta del negozio di aprì.
"Spiacente, siamo chiusi" esordì George,
assumendo la sua voce professionale. "Ripassi alle… Ginny!".
Al grido di George, Harry e Ron si volsero
insieme. Harry provò una gran brutta fitta allo stomaco nel vedere l’espressione
della moglie: espressione che prometteva tempeste. Ho idea che il pranzo sia
finito, pensò il giovane con aria sconsolata, poggiando il panino lasciato a
metà e stampandosi poi in faccia un sorriso. "Amore, che bella
sorpresa!".
"Buon giorno a tutti" salutò Ginny, passando
in rassegna i tre uomini, per poi mettersi a fissare truce Ron. "Allora
fratellino, me lo dici tu o passiamo direttamente alle minacce
corporali?".
Ron fece la sua migliore faccia perplessa.
"Dirti cosa?".
"Lo sai bene cosa, cerebro leso!" strillò
Ginny afferrando la prima cosa che gli capitava a tiro e scagliandogliela
contro.
"Ehi, ehi!" intervenne George. "Per favore se
dovete far rissa andate di fuori: non voglio dover pulire i vostri
casini!".
"Io non voglio far rissa!" protestò Ron,
tirandosi rapidamente fuori dalla traiettoria di Ginny. "Ginny, mi vuoi dire che
ti è preso?".
"Che mi è preso? Che mi è preso?". Prima che
la donna potesse tirare qualcos’altro, Harry si mise in mezzo, bloccando il più
gentilmente possibile la moglie. "Credo che tu abbia parlato con Hermione,
vero?".
"Eccome se l’ho fatto" rispose Ginny,
liberandosi con uno strattone. "E ora pretendo che uno di voi tre mi dica che
diavolo sta succedendo! Allora?".
I tre si scambiarono uno sguardo indeciso,
poi vedendo che Ron non accennava a voler parlare, George prese il gioco la
palla in mano. "Allora, Ronnie, parli tu o lo faccio io?".
"Non sono affari tuoi!" sibilò Ron in
risposta.
"Sì che lo sono: lo sono diventanti nel
momenti in cui si è messa a rischio l’incolumità di questo negozio e di ciò che
contiene. E visto e considerato che se non parli, questa dolce creatura
distruggerà tutto, torniamo al dilemma iniziale: lo fai tu o lo faccio
io?".
"Harry, dammi una mano" lo implorò
Ron.
Harry passò lo sguardo da lui alla moglie e
non ebbe dubbi nel decretare quale fosse il più pericoloso. "In fondo Ron, che
male c’è a dirlo a Ginny?".
"Grazie tante: ma che razza di amico
sei?".
"L’amico che stanotte dorme sul divano se non
mi aiuta" dichiarò Ginny con un sorriso serafico. "Allora Ron, quale sarebbe
questo oscuro e misterioso segreto?".
"Io… Devo parlarne con Hermione
prima".
"E perché non hai avuto problemi a parlarne
con questi due?".
"Harry è il mio migliore amico e George… beh,
George l’ha scoperto per sbaglio".
"E Bill, Charlie, Percy e papà che scusa
hanno?" domandò George, curioso. "Così, per amore di conversazione…".
"Ma l’hai detto a tutto il mondo?" fece
Harry. "A chi l’hai detto ancora? Neville e Kingsley? A Nick-Quasi-Senza-Testa
hai chiesto consiglio? Ormai giusto la diretta interessata ti
manca!".
"Solo quelli che ha detto George" borbottò
Ron. "Volevo un secondo parere…".
"E un terzo e un quarto…" contò George,
sghignazzando. "E un quinto…".
"Ok, ok, ho capito: te l’ha mai detto nessuno
che sei mostruosamente irritante?".
"Faccio quello che posso".
"Qui si sta evitando il fulcro della
conversazione!" intervenne Ginny irritata. "L’ha detto a tutta la famiglia,
quindi non avrai problemi a dirlo anche a me, no?".
Ron sbuffò con aria sconfitta. "Ok, va bene:
però giurami che non ne parlerai con Hermione".
"Prima voglio sapere cos’è, poi
giuro".
"Se non giuri, non apro bocca".
"Ma dove siamo, all’asilo?" sbottò Harry.
"Facciamo così: Ginny, tu giuri di non dire nulla e tu, Ron, giuri di parlare
con Hermione stasera stessa".
"Ma io…" fece per protestare Ron, solo per
essere bloccato da un Harry con la faccia vagamente spiritata. "Ascoltami bene,
testa di rapa: se non vuoti il sacco con quella poveretta entro stasera, prendo
e vado a dirglielo io! E sai che lo farei!".
"Ma si può sapere cosa c’è di tanto
terribile?" fece Ginny, sempre più perplessa. "Cos’è, sei incinto?".
"Probabilmente sarebbe stato più semplice se
fosse stato incinto sul serio!" scherzò George.
"Vuoi chiudere il becco?" lo rimproverò
Harry. "Allora, che mi dici Ron?".
Ron fissò a lungo il suo migliore amico:
quando aveva quell’aria decisa avrebbe potuto smuovere le montagne. Sì, avrebbe
messo in pratica la sua minaccia e l’avrebbe fatto senza il minimo indugio. E
lui non poteva permetterlo. "Ok, ok: le parlo stasera".
"Bene" approvò Ginny. "E ora parli con me. E
sì, giuro di non dirle nulla: di che si tratta?".
E così, con aria leggermente imbarazzata, Ron
cominciò a spiegare.
Ministero della Magia
17.30
Sì, questo è decisamente il compleanno più
deprimente della mia vita.
Questa fu la sconsolante conclusione che
Hermione raggiunse quella sera, alla fine del suo turno di lavoro, mentre si
apprestava a tornare a casa e farsi una doccia abbastanza lunga da consumare
tutta l’acqua calda, nella speranza di scacciare Ronald Weasley dai suoi
pensieri. Per colpa delle sue preoccupazioni verso il suddetto non era più
riuscita a combinare nulla tutta la giornata, col risultato che una mole
preoccupante di pratiche si era accumulata per il giorno
successivo.
Ci penseremo domani, si disse, cercando di ignorare la pila pericolante che ingombrava
la sua scrivania. Avrebbe dovuto portarne a casa un po’, lo sapeva, ma si
rifiutava di fare lavoro extra anche il giorno del suo compleanno. Me ne
pentirò, ma chi se ne frega…
A questo pensiero si aggiunse una punta di
malinconia pensando che se Ron l’avesse vista in quel momento l’avrebbe presa in
giro fino alla morte. Riusciva perfino a sentire la sua voce. Ammirate, Miss So-Tutto-Io che bigia i suoi compiti: questo giorno
entrerà negli annali!
Oh, chiudi il becco, Ronald! Dopo alcuni secondi, mentre si dirigeva all’ascensore, si rese
conto dell’assurdità della situazione: stava litigando con il suo fidanzato
nella sua testa! Bene, ora ho proprio toccato il fondo!
Forse invece di lavarsi, avrebbe finito con
l’affogarcisi, nella doccia! Ma lo so già come finirà: mi laverò, mi infilerò
in un maglione extra large e consumerò un barattolo di gelato al cioccolato di
mezzo chilo guardando film strappalacrime!
A meno che Ginny non venisse a prelevarla per
portarla fuori. E parlando di Ginny, chissà che fine aveva fatto? L’ultima volta
che l’aveva vista marciava a passo di carica verso l’ufficio di Harry al Secondo
Livello, con la promessa di contattarla appena avesse scoperto qualcosa. Ma non
l’aveva fatto: Hermione aveva aspettato tutto il pomeriggio notizie dell’amica,
senza risultato. Forse alla fine nemmeno lei aveva capito che stava succedendo.
O magari erano notizie talmente brutte che non aveva il cuore di venirgliele a
dire…
Ma che cavolo mi prende? Non è da me fare
tutti questi drammi! Alla fine è solo un ragazzo: il mondo è pieno di single che
vivono felicemente la loro vita. Ma in fondo lei
non voleva essere una single che vive felicemente la sua vita: lei voleva essere
la ragazza di Ron Weasley! Stavano insieme da così tanto tempo che non riusciva
a immaginarsi senza di lui. E sapeva che se si fossero lasciati, non sarebbero
mai riusciti a essere amici come prima: l’imbarazzo sarebbe stato
troppo.
Forse arrivati a questo punto, meriterebbe
che lo lasciassi io!
Scacciando quel pensiero e altri simili, era
nel frattempo arrivata nell’Atrium; si infilò in una delle salette predisposte
per la Smaterializzazione e scomparve con un sonoro CRACK per ricomparire nel
vicolo a pochi passi da casa sua, dall’altra parte di Londra.
Cinque minuti dopo annullava gli Incantesimi
di Protezione che aveva messo sulla porta (più per abitudine che per veri motivi
di sicurezza) ed entrava in casa con uno stanco sospiro.
"Grattastinchi" chiamò, cercando il gatto
tutto intorno. "Vieni qui, micio".
Non ottenne risposta. Strano, perché di
solito l’animale si fiondava da lei appena sentiva la porta aprirsi.
"Grattastinchi" ripeté ancora, a voce più
alta, mentre si liberava del mantello. Cominciò poi a cercarlo, diretta verso la
sua camera da letto: di solito gli piaceva stare a ronfare sul cuscino.
"Grattastinchi, dove ti sei…".
Aprì la porta e rimase letteralmente di sale:
la stanza era stata riempita di candele (alcune galleggiavano addirittura a
mezz’aria) tanto da essere quasi illuminata giorno. Grattastinchi osservava
affascinato la fiamma di quelle più vicine alla sua postazione sul cuscino e Ron
aspettava nel centro della stanza, ballando sui talloni dal nervosismo, con in
mano una rosa rossa.
"… cacciato?" riuscì a esalare la giovane
completando la frase di prima. "Ma cosa?".
"Sorpresa" esordì Ron, con un sorriso
incerto, avvicinandosi e porgendole la rosa. "Direi che ha funzionato: dalla tua
faccia, oserei affermare che è l’ultima cosa che ti aspettavi…".
Hermione annuì con fare meccanico. "Che cosa
significa tutto questo?" domandò, girando su sé stessa, sorpresa.
"Beh, non sapevo bene come fare" cercò di
spiegare Ron. "È una settimana e più che cerco di trovare il modo migliore per
affrontare questo discorso… Lo sai che non sono bravo in queste
cose".
"Ron, non ti seguo più" lo interruppe
Hermione, scuotendo la testa e continuando a guardarsi intorno come se non
potesse credere ai suoi occhi: da quando Ron era così romantico? "Cosa volevi
chiedermi?".
"Oh, sì, meglio fare con ordine" balbettò
Ron, cominciando a frugarsi nelle tasche. "Oh, non è possibile, non posso averlo
perso… Ah, eccolo qui!".
Si fece avanti, stringendo tra le mani una
scatoletta di velluto nero. Quando si mise in ginocchio di fronte a lei,
Hermione ebbe l’assoluta certezza che il cuore le stesse per scoppiare dalla
gioia: non stava accadendo davvero, non poteva essere…
Ma quando Ron parlò di nuovo, fugò anche il
più piccolo dubbio che potesse essere sorto nella sua mente. "Hermione Jean
Granger" esordì, aprendo la scatolina e rivelando un anello di diamanti, "mi
vuoi sposare?".
Difficile dire quale dei due cuori in quel
momento battesse più forte, se quello di Hermione, che era a un passo dallo
saltare fuori dal petto, o quello di Ron, irrazionalmente spaventato da un
rifiuto.
Per dieci lunghi secondi il cervello di cui
Hermione era sempre stata fiera non riuscì ad articolare una risposta, tanto che
Ron cominciò seriamente a rischiare l’iperventilazione da panico. "Ehm, dovresti
dire qualcosa… Ti fa schifo, vero? Ho combinato un casino, lo so, sono un
impedito totale, un buono a nulla…Quando mai ho dato retta a Ginny: lei e le sue
idee romantiche del cavolo…".
Al che Hermione comprese due cose: la prima,
che avrebbe dovuto costruire una statua per la sua migliore amica e le sue "idee
romantiche del cavolo"; la seconda, che la cosa che più voleva al mondo era
passare il resto della sua vita con il bamboccione, balbettante babbuino* che
aveva di fronte.
Si chinò a sua volta, prendendogli il viso
tra le mani. "Vuoi stare zitto un secondo, sciocco? Riesci sempre a rovinare
l’atmosfera… Ora, richiedimelo come si deve".
Ron ubbidì. "Hermione Jean Granger, mi vuoi
sposare?".
Hermione sorrise, felice come non lo era mai
stata in vita sua. "Sì, sì, diecimila volte sì!".
E Ron non seppe trovare nulla di meglio da
dire che: "Ah, bene". Poi si ricordò dell’anello. "Questo è per te" disse
infilandoglielo al dito. "Buon compleanno, amore mio".
Hermione non sapeva nemmeno dire se stesse
ridendo o piangendo mentre lo abbracciava. "E pensare che credevo che mi volessi
lasciarmi…" mormorò.
"Mai, Hermione, non ti lascerò
mai".
Il compleanno più deprimente della sua vita?
Semmai il più bello ed emozionante: un compleanno che non avrebbe scordato mai
più nella vita.
*Citazione da Harry Potter e il calice di
fuoco (il film, non il libro)
PICCOLO DISCLAIMER : l’idea della stanza piena di candele non è farina
del mio sacco, ma è liberamente tratta dall’episodio finale della sesta stagione
della sit-com Friends e qui usata senza scopo di lucro
LYRAPOTTER’S CORNER
Questo capitolo lo dedica a Laura, la
santissima sorella che sopporta le mie sclerate e spesso e volentieri mi dà pure
l’ispirazione, ma soprattutto perché lei adora Ron e Hermione e di certo mi
avrebbe fatto del male se non li inserivo almeno una volta!
Allora, cosa mi dite? Sono stata troppo
sdolcinata? Ma questa storia l’avevo in testa davvero da troppo tempo, non avrei
potuto scriverla diversamente da così: spero sul serio di non aver fatto venire
carie per l’eccesso di zuccheri a nessuno.
Come sempre grazie ai miei fedeli
commentatori
dirkfelpy89
Gaea
Moony3
Prossimo appuntamento al 04/10, per il
compleanno della sola, unica ed inimitabile Minerva McGranitt.
See you soon!!!!!!
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Capitolo 21 *** Minerva McGranitt ***
SPECIAL
DAYS
MINERVA MCGRANITT
4 ottobre 1941
Biblioteca,
Hogwarts
17.00
Che pace, che quiete.
Minerva amava la biblioteca di Hogwarts
proprio per questo motivo: non si sentiva mai volare una mosca. Merito
soprattutto della nuova arcigna bibliotecaria, Madama Pince: era arrivata
all’inizio di quell’anno scolastico e praticamente la biblioteca era il suo
regno. Minerva aveva sentito non pochi studenti giurare che quella donna ci
dormiva pure, in biblioteca, circondata dai suoi preziosi volumi. Una cosa era
certa: preferiva di gran lunga i libri alle persone.
Ma a Minerva la cosa non dava minimamente
fastidio, anzi: con la vecchia bibliotecaria, quel posto assomigliava più a
un’aula giochi che a una biblioteca, studiarci era praticamente
impossibile.
Ora invece… Ah, per la ragazza era un
paradiso: potersi ritirare qualche ora nel silenzio, magari anche solo per
leggere in santa pace, che bellezza! O fare i compiti in tranquillità, lontano
dal chiasso della Sala Comune: era semplicemente meraviglioso!
Stava appunto cercando un libro che potesse
aiutarla a finire il tema di Trasfigurazione per il professor Silente… Beh,
diciamo pure perfezionare, perché il tema era già finito e perfino troppo lungo
rispetto alla consegna, ma Minerva non ci poteva fare nulla: Trasfigurazione era
la sua materia, su questo non ci pioveva. Era la prima della sua classe e in un
certo senso la pupilla di Silente, ma non è che lo facesse apposta, come altri
suoi compagni sostenevano: a lei Trasfigurazione piaceva sul serio.
Dicevamo, Minerva cercava quel famoso libro
per perfezionare il tema, beandosi della tranquillità e del silenzio quasi
totali: si sentiva giusto il grattare delle piume sulla pergamena. Oh, sì quello
era il suo paradiso personale…
"Ehi, Minnie, ti ho trovato
finalmente!".
Crack, fine dell’idillio.
La voce baritonale spezzò il silenzio,
facendo guadagnare al suo proprietario tutta una serie di sguardi
torvi.
"Insomma, ma che modi sono?" lo apostrofò
Madama Pince, indignata.
Minerva si voltò, sbuffando. "Al, te l’ha
mai detto che hai la grazia di un elefante in una cristalleria?" fece, quasi
altrettanto irritata all’indirizzo del suo quasi ex migliore amico.
"Ma che ho fatto?" protestò Alastor Moody,
sinceramente perplesso, sempre a voce troppo alta.
"Abbassa il volume!" gli intimò stizzita
Minerva. "È una biblioteca, mica lo stadio di Quidditch!".
"Oh, è per questo?" rise Alastor, senza
accennare a moderare i toni. Quando la ragazza lo fulminò truce di nuovo, alzò
le mani in segno di resa. "Va bene, va bene, abbasso la voce: non rizzare il
pelo, Minnie!".
Chiunque li avesse visti insieme, avrebbe
pensato che fossero la coppia più mal assortita di tutta Hogwarts: Minerva
McGranitt, sempre seria e composta, tutta dedita allo studio e alla scuola, neo
prefetto, e Alastor Moody, che magari un buon studente lo era pure, non fosse
che sprecava la maggior parte del tempo barcamenandosi da una punizione
all’altra, prestando ben poca attenzione a quello che i professori cercavano di
insegnare.
Eppure, i due erano amici fin dal Primo
Anno, anzi, non poche volte Minerva si era vista costretta a tirar fuori il
ragazzo dai pasticci in cui andava a cacciarsi. Chi Minerva proprio non riusciva
a sopportare per contro era John Potter, la peste del primo anno con cui Alastor
faceva comunella dall’inizio dell’anno: quel ragazzino sembrava considerare la
sua missione personale il farla ammattire prima delle vacanze natalizie. E
Alastor, invece di prendere le sue difese, gli dava man forte! Era talmente
preso dal suo nuovo amichetto che passava sempre meno tempo con lei. Si era
perfino dimenticato del suo compleanno, quel giorno: nemmeno uno straccio di
biglietto d’auguri. E doveva essere il suo migliore amico?
"Che cosa vuoi, Al?" chiese, riprendendo al
ricerca del suo libro. "Credevo che nemmeno sapessi dove fosse, la
biblioteca…".
"Ti cercavo, Minnie" rispose Alastor.
"Credevo l’avessi capito…".
Minerva alzò gli occhi al cielo: certe volte
era così irritante! "E perché mi cercavi, Al, se non sono indiscreta? Avrei da
fare".
Il ragazzo la guardò di sottecchi, perplesso
dal suo comportamento ostile. "Ma che, ce l’hai con me? Solo perché ho alzato un
po’ la voce?".
"Io non ce l’ho con te per questo: lo so
bene che hai le corde vocali di un pescivendolo in licenza…" ribatté Minerva,
aprendo un libro a caso nella speranza di scoraggiare l’altro a continuare la
conversazione.
Ma non ci si può liberare di Alastor Moody
così facilmente. "E allora che hai da fare la micina stizzita?".
La ragazza chiuse di scatto il volume,
sollevando una nuvola di polvere. "Primo, non darmi della micina stizzita.
Secondo, se non sai perché sono arrabbiata con te, non mi sprecherò io a
spiegartelo, Alastor: arrivaci da solo!".
A quel punto, Alastor capì di essere davvero
nei guai: Minerva non usava mai il suo nome completo, tranne quando era davvero
arrabbiata.
"Oh, andiamo Minnie, qualunque cosa sia, mi
dispiace" cercò di blandirla.
"Non accetterò delle scuse, se nemmeno sai
cosa hai fatto o per meglio cosa dire cosa non hai fatto! Ora scusami, ma
devo finire un compito…".
Gli voltò le spalle, tornando a immergersi
nella lettura di un altro libro. Quella volta non avrebbe ceduto: Alastor doveva
arrivarci da solo, e che cavolo!
Il ragazzo rimase a guardarla, inebetito,
spremendosi le meningi per cercare di capire quale fosse il problema. Qualcosa
che non aveva fatto… Ma cos’era?
"Va bene" si arrese alla fine. "Vorrà dire
che ti aspetterò qua finché non avrai finito: ho giusto qua la Gazzetta del
Profeta".
Ignorando le proteste dell’amica, si sedette
sulla prima sedia libera che gli capitò a tiro e sfilò il giornale dalla borsa.
Ma non andò molto lontano nella lettura: si bloccò sulla prima pagina, quando il
suo occhi cadde sulla data. Quattro ottobre? Perché quel giorno gli diceva
qualcosa?
"Al, sul serio, torna in Sala Comune: io ne
avrò ancora per parecchio…" stava dicendo Minerva in quel momento.
Minerva, quattro ottobre… Oh, per le
dorate chiappe di Merlino, che razza di imbecille che sono!
Quel giorno era il compleanno della sua
cosiddetta migliore amica e lui se n’era completamente dimenticato. L’aveva
avuto in testa per giorni e al momento giusto se l’era dimenticato! Ma John
l’aveva distratto con uno scherzo ai danni dei Prefetti Serpeverde e gli era
passato di mente. Che idiota, idiota, idiota! Ci credo che è così
arrabbiata!
"Minnie…" iniziò in tono mortificato. E si
considerava il suo migliore amico?
"Che c’è?".
"Buon compleanno".
Minerva accettò l’augurio con un freddo
cenno del capo. "Grazie. Ora puoi anche andare, no? Il tuo amichetto Potter si
sentirà solo senza di te…". E si voltò di nuovo.
"Oh, andiamo Minnie, mi dispiace di
essermene dimenticato: ti ho anche preso il regalo, sai? Solo che mi è proprio
passato di mente…".
"Già, perché eri impegnato a tirare
gavettoni di vernice ai Prefetti di Serpeverde con Potter, vero? Oh, non fare
quale faccia sbalordita: sì, so cosa avete fatto. E no, non intendo perdonarti
con questa scusa patetica!".
Capendo che non avrebbe più concluso nulla,
raccolse velocemente le sue cose e lasciò la biblioteca, ovviamente tallonata da
Alastor, che non cessò un secondo di blandirla e implorarla.
"Su, non fare la micina stizzita. Ti ho
detto che mi dispiace… Vuoi che lo gridi ad alta voce in modo che sentano tutti?
Sai che ti darò il tormento finché non cedi e sai che alla fine cederai: perché
non ci risparmi la fatica? Per favore, Minnie: lo sai che sono dispiaciuto,
tanto, tanto dispiaciuto…". L’afferrò per il braccio, costringendola a fermarsi.
"Guarda, se non mi perdoni, mi metto in ginocchio, qui nel bel mezzo del
corridoio e non ti lascio andare finché non accetti le mie scuse. E guarda che
lo faccio: aspetta…".
Minerva sbuffò: Alastor sapeva essere più
asfissiante di una pianta rampicante. Ma lei gli voleva bene anche per quello:
non riusciva proprio a tenergli il muso più di tanto. "Va bene, va bene, ti
scuso. Ma non metterti in ginocchio!".
Alastor le rivolse un luminoso sorriso. "Lo
sapevo che non potevi resistere al mio fascino, micina…".
"E piantala di chiamarmi micina!" protestò
Minerva. "Lo sai che non lo sopporto!".
"E secondo te perché mi diverte tanto
usarlo?" scherzò Alastor.
"Bene, se la metti così, Malocchio…"
dichiarò Minerva, calcando sull’ultima parola e guadagnandosi un’occhiata
irritata dell’altro. Detestava quel ridicolo soprannome che la scolaresca gli
aveva affibbiato: solo perché era appena un po’ strabico da un
occhio…
"D’accordo, niente più ‘micina’.
Contenta?".
"Come una pasqua. Che cosa volevi da me,
comunque?".
"Da te?" ripeté Alastor,
perplesso.
"No, dal Barone Sanguinario, Al! Se sei
venuto a cercarmi fino in biblioteca a interrompere il mio pomeriggio di
studio…".
"Minnie, per te è sempre pomeriggio di
studio" puntualizzò il ragazzo. "Secondo me, alla nascita ti hanno programmata
male: dovresti scioglierti un po’ qualche volta…".
"Che cosa volevi da me, Al?" domandò di
nuovo Minerva, ignorando l’ultimo commento: a suo modesto parere, Alastor era
già abbastanza "sciolto" per tutti e due.
"Ah, sì: avrei bisogno di aiuto per il tema
di Trasfigurazione".
"Che tipo di aiuto?".
"Beh, diciamo, sì, insomma, scriverlo…".
Alastor abbassò istantaneamente lo sguardo, mentre Minerva diventava rossa di
collera.
"CHE COSA?" tuonò. "Ma è per domani,
Al!".
"Per questo mi serve il tuo aiuto, no?"
protestò Alastor con una notevole, faccia tosta. "Andiamo, tanto tu l’avrai già
finito da un pezzo, ne sono sicuro".
"Non è questo il punto, Al…" cominciò a dire
la ragazza, svoltando l’angolo.
Ma si interruppe alla vista dello spettacolo
che le si parò davanti: due studenti del Primo Anno se le stavano dando di santa
ragione, sotto lo sguardo impietrito di un altro studente, decisamente più
grande.
Minerva non ebbe difficoltà a riconoscere
uno dei due litiganti. "Potter!" gridò scandalizzata, sguainando la bacchetta
per separarli.
Ma Alastor fu più veloce: un paio di rapide
stoccate e i due ragazzini si trovarono scaraventati ai lati opposti del
corridoio, dove rimasero a fissarsi in cagnesco. John esibiva un occhio nero, ma
all’altro ragazzino, un Serpeverde, era andata peggio: labbro spaccato, lividi
su mezza faccia e pure un dente in meno, da quello che poteva vedere Minerva.
Non c’erano dubbi su chi era stato a cominciare.
"Potter, che cosa significa tutto
questo?".
John ignorò il Prefetto e strillò
all’indirizzo del suo avversario. "Rimangiatelo!".
"Impiccati, Potter!" gli sibilò dietro il
Serpeverde.
"Rimangiatelo o te lo farò rimangiare io,
Black!".
"Ho detto solo la verità".
Al che John scattò di nuovo in avanti: solo
il provvidenziale intervento di Alastor impedì che saltasse di nuovo addosso al
ragazzino. "John, smettila" lo ammonì. "Che diavolo stai
combinando?".
"John, lascia stare" intervenne il terzo
ragazzo, rimasto fino a quel momento in silenzio.
Minerva, che non aveva badato molto a lui,
impegnata com’era ad assicurarsi che i due ragazzini non si sbranassero tra
loro, gli rivolse la sua attenzione e lo riconobbe subito: era un Grifondoro,
Rubeus Hagrid, l’anno prima gli aveva dato qualche ripetizione in Incantesimi.
Era simpatico, malgrado la mole che lasciava decisamente spiazzati e i modi un
po’ rudi.
"No che non lascio stare!" protestò John,
cercando di svincolarsi dalla ferrea presa di Alastor. "Non finché lui non si
rimangia quello che ti ha detto! E lasciami, Al!".
"Se ti lascio, poi tu riprendi a picchiare
quel ragazzino" obiettò Alastor. "Non credo proprio".
"Io non mi rimangio proprio nulla,
Babbanofilo dei miei stivali!" ribatté il Serpeverde con aria strafottente, per
nulla intimorito dalla minaccia.
"Io ti faccio a pezzi con le mie mani,
Black!" continuò imperterrito a strillare John. "Rimangiati quello che hai
detto!".
"Oh, insomma, adesso basta!" strillò
Minerva, puntando la bacchetta alternativamente da uno all’altro dei due
litiganti. "O la smettete subito o andrete a spiegare al preside cosa sta
succedendo!".
Nessuno dei due doveva essere
particolarmente ansioso di fare un giro in presidenza, perché Black ingoiò la
pungente risposta che aveva già pronta e John smise di agitarsi. Black si
sistemò con noncuranza la divisa sgualcita e poi disse: "È stato lui a
cominciare, signorina Prefetto: io non stavo facendo assolutamente
nulla".
"Ah, ah". Minerva annuì, non credendo a una
sola parola: Potter magari era scavezzacollo e incurante delle regole, ma non
attaccava briga senza motivo. "E tu saresti?".
"Orion Black, per servirla" rispose con
ostentata eleganza il ragazzino.
Alastor fece uno strano verso, mentre
Minerva pensava: Ma tu guarda questo piccolo arrogante…
Dedicò la sua attenzione ai due Grifondoro
incriminati, John e Hagrid. "Hai qualcosa da dire in proposito,
Potter?".
"È una sporca bugia!" fu la sonora protesta.
"È stato lui a cominciare!".
"Bene. Hagrid, tu hai visto tutto: chi ha
cominciato?".
Quest’ultimo sembrò decisamente a disagio
all’idea di essere messo in mezzo: fece saettare lo sguardo da Orion a John un
paio di volte e alla fine disse: "Beh, tecnicamente è stato John a cominciare a
picchiare l’altro…".
Minerva annuì, mascherando alla meglio lo
stupore. "Perfetto. Venti punti in meno sia Grifondoro che a Serpeverde e una
punizione per te, Potter!".
"Ma non è giusto: è stato Black ha
cominciare!".
"Io passavo innocentemente di qua, Potter"
ribatté Orion con aria sicura. "Sei tu che mi sei saltato addosso!".
"John, è vero?" chiese Alastor.
"Beh, tecnicamente sì, ma…".
"Allora non c’è altro da dire" lo interruppe
Minerva, con tutta l’autorità che riusciva a mettere insieme.
"Ma Minnie…".
"Niente ma, Potter, o ti tolgo altri punti.
E per te sono il prefetto McGranitt…".
"Ma…".
"Che sta succedendo qui?" intervenne una
voce maschile alle loro spalle.
Perfetto: altri Serpeverde. L’unica cosa che
mi mancava.
Minerva osservò attentamente i nuovi venuti,
un ragazzo e una ragazza. Riconobbe soltanto lei: era Walburga Black,
frequentava il suo stesso anno ed era assolutamente insopportabile. Non aveva
idea di chi fosse il bel ragazzo che l’accompagnava. Ma Alastor sì. "Riddle"
grugnì, in saluto.
"Moody" ribatté quello, con un freddo
sorriso.
"Orion, che cosa hai fatto alla faccia?"
stridette nello stesso istante Walburga. "Ti hanno picchiato? McGranitt, cosa
hai fatto a mio cugino?".
Ah, ecco sono parenti: mi sembrava
famigliare quell’aria snob… "Non ho fatto un bel
niente a tuo cugino, Black, rinfodera gli artigli: siamo stati io e Al a
impedire che si sbranassero".
Indicò Potter e Walburga lo incenerì con lo
sguardo. "E tu chi saresti, moccioso".
"John Potter, il fratello del marito della
sorella di tuo padre" tubò il ragazzino. "Come va?".
Walburga gli si fece avanti, fumando come
una ciminiera. "Potter, avrei dovuto immaginarlo: siete tutti uguali voi Potter,
feccia babbanofila… Sta alla larga dalla mia famiglia, hai capito? O te la farò
pagare!".
"Oh, sono terrorizzato a morte. Piuttosto,
di’ al tuo cuginetto di tenere tappata la bocca in futuro: nessuno insulta i
miei amici e la passa liscia!".
Walburga stava per rispondere, ma intervenne
Riddle, con un sorrise conciliante, falso quanto una moneta da due galeoni. "Su,
su, non mi pare il caso di metterci a sbranarci: si è sicuramente trattato di un
malinteso. Sono certo che il nostro Prefetto ha risolto felicemente la
questione…".
Minerva scrutò il ragazzo con perplessità:
non c’era traccia d’ironia nella sua voce, eppure si sentiva comunque presa in
giro.
"Tom ha ragione, Wally" intervenne Orion,
tirando per un braccio la cugina. "Lascia stare: io sto benissimo!".
Walburga parve rifletterci alcuni istanti,
poi sorrise con espressione maligna: "Ma sì, non ne vale la pena. E tu, Orion"
apostrofò il cugino con uno scappellotto, "non dovresti mischiarti con questa
feccia: babbanofili, Mezzosangue o peggio…". Ammiccò ad Hagrid, che arrossì. Poi
afferrò Orion per un braccio e lo trascinò via senza complimenti. "Che non ti
veda mai più a parlare con loro! Ora filiamo in Infermeria!".
"Moody" salutò Riddle, con un cenno del
capo, prima di voltarsi e seguire i due Black.
"Riddle" ribatté Alastor.
Il gruppetto di Grifondoro rimase a in
silenzio finché anche l’ultimo svolazzo di vesti non fu sparito dietro l’angolo.
"Che diavolo ti è preso, John?" sbottò a quel punto Alastor, lasciando andare il
piccolo Potter.
"Se l’è andata a cercare: ha chiamato Hagrid
‘schifoso ibrido’".
Minerva inarcò il sopracciglio. "E perché
l’avrebbe fatto?" chiese, rivolta ad Hagrid. Non sapeva molto del compagno, solo
che viveva con suo padre, mentre di sua madre non aveva notizie.
"Non è importante" rispose Hagrid, a
disagio. "John, ti avevo detto di lasciar stare".
"Nessuno insulta i miei amici e la passa
liscia" ripeté il ragazzino, gonfiando il petto. "E tu, Minnie, era proprio
necessaria la punizione? È stato Black a cominciare!".
"No, sei stato tu, Potter" obiettò Minerva.
"Non cercare di farmi sentire in colpa: Black voleva provocarti e ci è riuscito.
La prossima volta basta che lo ignori. E ti ho già detto di non chiamarmi
‘Minnie’!".
"Al lo fa".
"Al è mio amico, al contrario di te"
puntualizzò Minerva. "Tu sei solo la mia spina nel fianco!".
"Oh, ecco, ora capisco: mi punisci per
vendicarti di qualche innocente scherzetto. Ti credevo superiore".
La ragazza avvampò d’indignazione. "Io ti
punisco perché te lo meriti. E ora sparisci, se non vuoi che ti aumenti la
punizione".
John le fece un buffo saluto militare. "Oui, mon capitaine! Andiamo, Hagrid. Ciao, Al".
E se ne andò saltellando, seguito da Hagrid.
"Non riesco proprio a capire come fai a
essere suo amico, Al: è così irritante!".
Alastor ridacchiò. "Mi permette di dare
sfogo al lato più sbarazzino della mia anima. Ma tu resti la mia preferita,
tranquilla!".
"Oh, beh, se la metti su questo piano…"
sorrise Minerva, compiaciuta.
"E poi, in questo modo lo tengo sotto
controllo: chissà che accadrà quando mi diplomerò… Come minimo, farà crollare il
castello…". Si accigliò, fissando l‘angolo dietro cui era sparito il clan di
Serpeverde. "Non dovrebbe mischiarsi con quella gentaglia".
"Chi? I Black?" domandò Minerva, perplessa.
"Sono innocui, Al: conosci Walburga, le piace fare una tempesta in un bicchiere
d’acqua. E il cugino è uguale: sono tutti uguali, i Black" puntualizzò,
ricordandosi che c’erano altri tre o quattro Black che giravano per la
scuola.
"Non mi riferivo ai Black" rispose Alastor.
"Ma a Riddle…".
"Credo di non averlo mai visto prima d’oggi:
ma mi sembrava il solito Serpeverde un po’ montato…".
"No, Riddle è diverso: ha qualcosa di
strano, sospetto, ambiguo… È malvagio, ne sono sicuro! E ora perché
ridi?".
Minerva non aveva potuto resistere,
soprattutto davanti alla faccia offesa dell’amico. "Oh, Al non ricomincerai con
la storia dell’oscuro complotto".
"Io sto parlando seriamente, Minnie!"
protestò Alastor. "Quel ragazzo ha qualcosa di strano: è il mio istinto Auror
che me lo dice…".
"Al, tu non sei un Auror… E con il carattere
che ti ritrovi, saresti l’Auror peggiore della storia!".
"Io diventerò il migliore Auror del mondo,
gattina schizzinosa! E ti dico che Riddle ha qualcosa di sbagliato!".
"Sì, sì, certo, Al". Minerva annuì con aria
accondiscendente: era troppo abituata alle paranoie di Alastor, che vedeva un
complotto diverso ogni settimana, per prenderlo sul serio. "E ti ho già detto di
smetterla con questa storia della gattina!".
"Tecnicamente prima parlavamo di micina,
mica di gattina" precisò Alastor. "E io parlo seriamente,
professoressa!".
"Perché professoressa?" fece Minerva,
perplessa.
"Perché quando ti metti tutta seria a
leggere o fai qualcun’altra delle cose barbose che tanto ti piacciono, hai
proprio l’aria da professoressa. Mai pensato di diventare
insegnante?".
"Certo, come no" sbuffò la ragazza. "Per
bestemmiare tutta la vita dietro a tutti i John Potter di questo pianeta?
Grazie, salto il giro, mister Auror dei miei stivali!".
"Io dico che saresti un’ottima
professoressa" ribatté in tono deciso Alastor. "Hai già l’aria e l’atteggiamento
da professoressa: a volte, fai paura pure a me! E non mi piace quel tono
accondiscendete che usi tutte le volte che parliamo del mio futuro
professionale: io diventerò un Auror!".
"Ci crederò quando lo vedrò, Al! E manderò
le mie più sentite condoglianze a quel povero sventurato che sarà il tuo
superiore!".
"Te la farò vedere: diventerò il migliore
Auror della storia del Ministero solo per avere la soddisfazione di dirti ‘te
l’avevo detto’!".
Immersi in questa discussione, erano
arrivati nella loro Sala Comune. Nello stesso istante in cui vi misero piede,
furono quasi assordati da un grido carico di collera. "POTTEEEEEER!".
Elizabeth Cyrus, Beth per gli amici, primo
anno, avanzava a passo di marcia verso l’oggetto della sua collera, sotto lo
sguardo stupito dei presenti, abituati a considerarla una ragazzina timida e a
modo.
John Potter le rivolse un sorriso
straffotente. "Ehilà, Beth, carissima, come va la vita?".
Lei lo avrebbe probabilmente incenerito sul
posto molto volentieri. "Cos’è questa storia che IO e TE ci saremmo fidanzati?
Come ti sei permesso di inventare una fandonia del genere?".
"Ma piccola" cinguettò tranquillo John, "non
dovresti reprimere in questo modo i tuoi sentimenti: fa male alla salute. Non
sei tu che hai detto a Amy McDonald che sei cotta di me?".
Beth diventò di una marcata tinta scarlatta,
difficile dire se per la collera o per l’imbarazzo. "Chi te l’ha detto?" domandò
esitante.
"Amy McDonald, mi pareva ovvio. E visti i
tuoi sentimenti, mi è sembrato giusto facilitarti le cose…".
"Ma come ti sei permesso?" sbraitò Beth,
furente. "Almeno prima potevi venire a chiedermelo…".
"Ok. Vuoi essere la mia fidanzata,
Beth?".
La ragazzina lo guardò, come a voler
stabilire se John scherzasse o no. Il sorrisetto divertito stampato sul suo
volto fu un indizio a suo avviso sufficiente. "Quando pioveranno asini, Potter!"
dichiarò, prima di voltarsi e salire a passo di marcia le scale del dormitorio
femminile.
"È pazza di me!" dichiarò con tranquillità
John, suscitando le risate di tutti i presenti, compreso Alastor.
"E dai, di’ che non è una forza quel
ragazzino!" punzecchiò Minerva.
"È fortunato che Beth non l’abbia
defenestrato, se vuoi il mio parere… Io lo avrei incenerito!".
Alastor scosse il capo. "Sei troppo seriosa,
ecco il tuo problema. Per questo ti ridico che saresti una grande
professoressa". Affermò, prendendo posto su una poltrona libera.
Minerva si sedette accanto a lui,
occhieggiando in direzione di John Potter, che ora stava chiacchierando
animatamente con altri ragazzini del primo anno. "Io professoressa di soggetti
del genere? Li strozzerei dopo una settimana!".
"E di’ che non sarebbe divertente?" continuò
imperterrito Alastor. "E tornando a quel compito di
Trasfigurazione…".
"Mio caro signor Moody, se vuoi diventare il
miglior Auror del mondo, i compirti dovresti proprio farteli da
solo…".
Alastor sbuffò, con aria scontenta.
"Professoressa" brontolò, mentre tirava fuori i libri.
Minerva scosse il capo: lei, insegnante?
Magari proprio di Trasfigurazione… Ok, doveva ammettere che l’idea non le
dispiaceva tanto: un pochino, ma giusto un pochino ci si poteva quasi vedere, a
spiegare alle nuove generazioni di Hogwarts gli Incantesimi Evanescenti… Tutto
sommato, era un’idea niente male, specie se si pensava che veniva da Al…
Ovviamente, preferì non dirlo ad alta voce: se non poi chi lo reggeva più,
quello!
In fondo, si
disse, quanti John Potter potranno esistere a questo mondo?
Minerva non lo sapeva ancora, ma la sera del
suo sedicesimo compleanno il futuro tanto suo quanto di Alastor veniva deciso.
Non poteva sapere che proprio grazie alle sue prese in giro, Alastor Moody era
destinato a diventare uno dei più grandi Auror della sua generazione. E non
poteva nemmeno sapere che circa trenta anni dopo, il figlio di John e Beth
Potter sarebbe approdato ad Hogwarts, in felice compagnia di altri tre ragazzi,
tali Malandrini, che le avrebbero fatto letteralmente dannare l’anima, e più
tardi ancora avrebbe guidato il nipote di John Potter verso la sconfitta di un
Lord Oscuro ancora sconosciuto…
E per fortuna ne era beatamente ignara,
perché di certo se avesse saputo che in futuro avrebbe dovuto vedersela con
altre due generazioni di Potter, avrebbe velocemente scartato l’opzione
insegnamento dalla sua lista di possibili carriere!
LYRAPOTTER’S CORNER
Ok, con questo capitolo mi sono lasciata
decisamente prendere la mano, considerato che nella mia idea originale c’era
pure uno sketch dedicato ai Malandrini… Ma visto che già così mi è venuto uno
dei capitoli più lunghi della raccolta, ho lasciato perdere!
Mi sono pure dannata l’anima nello
scriverlo, visto che con la mia precisione maniacale sono stata lì tre ore a
fare i conti con le date per essere sicura che tornasse tutto. A norma, è
regola, è quasi tutto canon, almeno stando alla mia bibbia personale, ossia il
Hp-Lexicon, che mette Minerva nata nel 1925, perciò quasi coetanea di Tom Riddle
(di un anno più giovane) e Hagrid (di tre anni più giovane). Le date di nascita
di Orion e Walburga Black (i genitori si Sirius, tanto per chiarezza) le ho
prese dall’albero genealogico della famiglia Black. Di fatto, mi sono inventata
soltanto il fatto che anche Alastor fosse coetaneo di Minerva (no so se la cosa
è credibile, ma datemela buona, ci stava bene e non volevo inventare un
personaggio apposta) e John e Beth Potter, che come avrete intuito sono i
genitori di James e i nonni di Harry: probabilmente li ho fatti troppo giovani,
ma datemi buona anche questa, mi piaceva l’idea che Minerva fosse stata
tormentata anche da Potter senior senior. Ah, la contorta parentela che John
dice di avere con Walburga non è inventata, non del tutto almeno: sempre
sull’albero genealogico dei Black, c’è tale Charlus Potter (di cui John è il
fratello) sposato con tale Dorea Black, sorella di Pollux, padre di
Walburga.
Ok a questo punto mi riterrete tutti una
pazza maniaca, perciò è meglio chiudere con le spiegazioni cervellotiche e
passare ai ringraziamenti
Deidara
Gaea
Prossimo appuntamento al 30/10 per il
compleanno di Molly Weasley: ci stiamo pericolosamente avviando verso la fine,
lettori.
A presto, bacibaci!!!!!!
Diciassettesima Classificata: Lyrapotter
"Special Days"
Grammatica 9.3/10
Lessico e stile 14/15
Caratterizzazione 12/15
Sviluppo della trama 9.7/10
Originalità 9.8/10
Gradimento Personale 9.2/10
totale 64/70
Giudizio di Fabi:
La storia mi è decisamente piaciuta, l’ho
trovata divertente.
Anche se ammetto di avervi trovato qualche
cliché di troppo. I personaggi risultano leggeri e comici, in particolare
Alastor. In effetti, entrambi mi hanno ricordato Hermione e Ron, per
l’attaccamento di Minerva alla biblioteca e allo studio e per le richieste di
Alastor, che vorrebbe che lei gli facesse i compiti. In più, trovo che, per
l’epoca, i personaggi siano abbastanza strani. Per tutti questi motivi, l’IC non
è al massimo, ammetto comunque di aver trovato, soprattutto in Minerva, la
professoressa della Rowling, stessa cosa non posso dire per Alastor. Non metto
in dubbio il fatto che possa essere cambiato.
Il tuo stile è fresco, semplice e
divertente, sai rendere le storie avvincenti e mantieni alta l’attenzione,
nonostante la storia sia abbastanza lunga, risulta piacevole.
Ho trovato la storia originale, e mi
congratulo con te soprattutto per la scelta dei personaggi, credevo di essere
l'unica del fandom a scrivere sulla McGranitt da giovane, ora mi sento meno
sola.
Una storia che mi è piaciuta moltissimo, e
che è davvero divertente.
Giudizio di LoveChild:
Non ci sono errori molto gravi in questa fan
fiction, se si esclude una ‘a’ preposizione con l’h ma le distrazioni capitano a
tutti. La narrazione è fluida e piacevole, hai uno stile, a mio parere,
strutturato in maniera simile a quello dei libri fantasy, con un pizzico di
discorso diretto in più che non guasta. La caratterizzazione è ottima, forse
l’unico difetto che ho trovato nella tua Minerva è che mi ricorda troppo
Hermione Granger, ma nonostante questo la somiglianza non risulta sgradevole e
comunque non rende la professoressa un personaggio ‘posticcio’.
Lo sviluppo della trama è preciso e
accurato, hai sviluppato la storia attentamente in tutti i suoi spunti. La trovo
un lavoro assolutamente originale, nonostante le date coincidano io non avrei
mai pensato di amalgamare questi personaggi!
Mi è piaciuta un sacco questa storia! E’
stato un piacere leggerla dall’inizio alla fine!
Finalmente qualcuno che sviluppa personaggi
particolari e non si limita alla solita decina di PG su cui ormai si potrebbe
scrivere un trattato! I miei più sentiti complimenti!
Giudizio di Vogue:
Allora, per quanto riguarda la grammatica è
abbastanza precisa. L’unico errore è stato il troncamento di ‘dici’ verso la
fine della storia, lì dove sarebbe stato corretto lasciarlo così com’era (mi ha
fatto storcere il naso anche l’espressione ‘un pescivendolo in licenza’, anziché
marinaio, ma chiaramente non l’ho considerato errore).
Lo stile, così come il lessico, è lineare,
non presenta particolari difficoltà di lettura. Non eccelso, ma sicuramente
piacevole.
La caratterizzazione mi ha creato qualche
serio problema. Perché è assolutamente vero che si parla di Minerva ed Alastor
in un periodo in cui avrebbero potuto essere in qualsiasi modo, tuttavia non mi
hanno convinta particolarmente. Malocchio mi sembra troppo esuberante, quasi
eccessivo, e difficilmente riesco a ricondurre questo suo carattere a quello che
poi sappiamo essere diventato. Mi è piaciuta sicuramente di più la
caratterizzazione di Minerva, sebbene mi aspettassi qualcuna delle sue uscite
sarcastiche, che le sono assolutamente tipiche.
Una storia senz’altro originale, è
assolutamente apprezzabile l’idea di questo scorcio ambientato quando i due
erano a scuola, e lo sviluppo della vicenda è assolutamente interessante.
Ammetto che, proprio per le sfumature dei
caratteri, la storia non mi ha fatta impazzire. Ma mi è piaciuta, è piacevole da
leggere e inoltre va certamente premiata la scelta di scrivere su un momento
tanto atipico.
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Capitolo 22 *** Molly Weasley ***
SPECIAL DAYS
MOLLY WEASLEY
30 ottobre 1965
Hogwarts
11.00
Molly si stiracchiò sulla poltrona per sgranchirsi le braccia,
fissando con aria accigliata la pergamena che aveva davanti. Ci era rimasta
sopra tutta la santa mattina e le mancava ancora più di metà tema. Detestava
Pozioni, le detestava con tutto il cuore: non vedeva l’ora di dare quel G.U.F.O.
solo per potersi liberare di quella materia l’anno successivo. Anche se a
pensarci bene, probabilmente i suoi genitori l’avrebbero costretta a continuare
a studiarla. Le pareva quasi di sentire la voce di suo padre: "Le Pozioni sono
un elemento fondamentale nel bagaglio culturale di un mago, signorinella: in
futuro potresti rimpiangere di non averle studiate in modo più
approfondito".
Bah, a Molly sembrava una stupidaggine: le basi le aveva ed
erano più che sufficienti, a suo avviso. Non ambiva mica a diventare una
pozionista di fama mondiale o roba simile. Per quello che si aspettavano da lei,
sia sua madre che suo padre sarebbero stati più che felici se si fosse trovata
un buon marito con cui fare dei bei bambini. E francamente, anche a lei quel
futuro non dispiaceva: quindi, a che diavolo le sarebbe servito un M.A.G.O. in
Pozioni?
Ti stai fasciando la testa prima ancora di essertela rotta,
Molly Prewett: prima di pensare ai M.A.G.O., pensa a sopravvivere a quest’anno e
prendere i G.U.F.O.…
Si grattò il mento con la punta della piuma, alla vana ricerca
di una qualche ispirazione che le permettesse di allungare un po’ il tema: in
teoria Lumacorno voleva due rotoli per il giorno successivo, ma per quanto si
sforzasse dopo un foglio scarso le pareva di aver detto tutto quello che sapeva
sulle proprietà dei Bezoar.
Stupidi Bezoar, stupide Pozioni e stupido Lumacorno: pure il mio
compleanno dovevano rovinarmi!
Le sembrava inaudito dover passare tutto il suo compleanno con
il naso incollato ai libri, ma visto l’andazzo non avrebbe avuto molte altre
alternative. Oltretutto era pure domenica: tutta la giornata a disposizione e
lei doveva sprecarla così, quando avrebbe potuto impiegarla in ben più
dilettevoli occupazioni… Così imparo a rimandare i compiti detestabili
all’ultimo minuto: che mi sia di lezione per la volta prossima!
Si stava distraendo troppo, realizzò. Troppo e con troppa
facilità: invece di pensare a quanto sarebbe stato meglio essere con il suo
ragazzo, avrebbe dovuto concentrarsi su quel benedetto tema. Forza, posso
farcela.
Tornò a fissare la pergamena, poi il libro di Pozioni, le cui
informazioni erano già state sfruttate fino all’osso, e lasciò cadere le spalle
in un gesto sconfortato. No, non posso farcela: questo tema è
impossibile!
Ma possibile o impossibile che fosse, quel tema andava comunque
finito per il girono successivo, a meno di non voler prendere un’insufficienza,
cosa assolutamente inconcepibile…
Carica di nuova determinazione, Molly stava per riprendere il
suo lavoro, quando un sommesso picchiettio le fece alzare gli occhi: un gufo
reale era appollaiato alla finestra e sbatteva le ali per attirare la sua
attenzione. Molly lo riconobbe subito: era Elica, il gufo di Arthur Weasley, un
ragazzo del sesto anno, nonché suo fidanzato più o meno ufficiale. Fissò
accigliata l’animale: Arthur una volta le aveva spiegato che le ‘eliche’ erano
un pezzo dell’aeroplano, quell’aggeggio Babbano tutto ferraglia e rumore che
volava, ma non per questo Molly aveva trovato meno strano il nome che aveva
appioppato a quell’animale. Quale persona chiamava il suo gufo con il nome di un
marchingegno Babbano? Una persona affascinata, per non dire ossessionata, dai
Babbani, ovviamente, come Arthur, appunto…
Molly si alzò, andò ad aprire la finestra, rabbrividendo quando
una folata d’aria gelata la colpì: quell’anno, l’inverno stava arrivando
decisamente in anticipo. Lasciò entrare Elica, che andò ad appollaiarsi sullo
schienale della sua poltrona, prese il biglietto attaccato alla sua zampa e lo
aprì, cominciando a leggere mentre si risedeva.
Ciao, Lolly Molly,
buon compleanno! Lo so di avertelo già detto stamattina, ma tra
tutti e due, io con gli allenamenti di Quidditch e tu con i tuoi compiti,
eravamo talmente di fretta che non ci siamo nemmeno salutati come si deve…
Comunque, io per mezzogiorno dovrei riuscire a liberarmi, che dici? Facciamo
qualcosa insieme? In fondo non varrai di certo passare tutto il tuo compleanno
sui libri, no?
E poi se non ci vediamo, come te lo do il tuo regalo? E non fare
quella faccia stupita, certo che mi sono ricordato di farti un regalo! Anzi,
sono certo che ti piacerà tantissimo… Ma non ti dico altro, prima che rovini la
sorpresa da bravo scemo quale sono!
Ma sto divagando, ho idea… Allora, ci vediamo per pranzo e poi…
boh, lascio a te la decisione, in fondo sei tu la festeggiata… Rimanda pure la
risposta con Elica, a quel vecchio pigrone farà bene muovere un po’ le ali…
A dopo, tuo Arthur.
Molly rilesse la lettera un paio di volte, mentre un sorriso di
sciocca beatitudine le si dipingeva in volto… Il suo Arthur, ah, che
bell’accostamento di parole… Chissà che potevano fare quel pomeriggio? Se il
tempo fosse stato un pochino migliore, avrebbero potuto fare un giro nel parco e
starsene un po’ per conto loro… Guardò fuori dalla finestra, con aria
accigliata: forse stava sbucando un timido sole autunnale, magari avrebbe
riscaldato un po’ l’aria… beh, al massimo possiamo sempre andare a fare una
passeggiata per il castello: è talmente grande che potremmo girare tutto il
giorno senza problemi… Che bello, un intero pomeriggio solo per noi…
Poi il suo occhio cadde sull’incompiuto tema di Pozioni,
cancellando in un istante tutte le sue fantasie: altro che bighellonare con
Arthur senza metà, doveva prima finire quel compito malefico se non voleva
prendere un’insufficienza. E non osava immaginare come avrebbero reagito i suoi
nel caso… Uff, non è giusto! Non è proprio giusto per niente…
Tornò a guardare la lettera di Arthur, mentre il cuore quasi
automaticamente accelerava i battiti: Merlino, era proprio cotta se si eccitava
così tanto per una lettera! E Arthur le aveva pure preso un regalo…
Sconfortata, stava appunto meditando su cosa rispondergli,
rileggendola per l’ennesima volta, quando una mano estranea si inserì nel suo
campo visivo e praticamente gliela strappo di mano.
"Ehi, che leggi di bello, MoMo?".
Molly si voltò di scatto, con le guance rosse di rabbia, mentre
i suoi due fratelli maggiori, nonché sue personali spine nel fianco, si
accalcavano intorno a quel pezzo di carta come avvoltoi. "Gideon! Fabian!
Ridatemela subito: non sono fatti vostri!".
Due identici e sardonici ghigni si dipinsero sul volto dei due
gemelli: Gideon, che teneva la lettera in mano, gliela sventolò davanti al naso
con aria divertita. "Ci scriviamo con il fidanzato, MoMo?" domandò, visto che
ovviamente il nome di Arthur era stata la prima cosa a saltargli all’occhio.
"Ma che cosa caaarina!" tubò Fabian.
Molly arrossì ancora di più, furente. Due cose odiava dei suoi
fratelli: primo, che si completassero le frasi a vicenda, cosa che la mandava al
manicomio perché finiva sempre con il perdere il filo della discussione;
secondo, che si impicciassero dei fatti suoi, cosa che la mandava semplicemente
in bestia. Ok che era la piccola di casa, ma aveva pure lei il diritto a avere
una vita sua, no? Purtroppo, Gideon e Fabian aveva il non irrilevante vantaggio
di essere sempre in due contro uno: i gemelli si spalleggiavano sempre e
comunque, com’era logico, e perciò lei si ritrovava sempre in una situazione di
sfavore.
"Ridatemela subito!" protestò, cercando di riappropriarsi della
lettera, senza successo visto che i fratelli la sovrastavano di una ventina di
centimetri buoni: a Gideon bastò alzare il braccio per portare l’oggetto fuori
dalla sua portata.
"Che razza di nomignolo sarebbe ‘Lolly Molly’?" domandò con aria
interessata Fabian, allungando il collo per leggere la prima riga.
Stavolta le guance della ragazza si imporporano anche per
l’imbarazzo. "Ma voi non avete niente di meglio da fare che farvi i fatti miei?
Perché non pensate ai vostri affari, tanto per cambiare?"
I due finsero di pensarci sopra un attimo, poi all’unisono
esplosero in un convinto "Naaah!".
"Molto meglio…" spiegò Fabian.
"… Farci i tuoi" continuò Gideon.
"È molto più divertente…".
"… e appagante!".
Molly fece saettare da uno all’altro la testa, cercando di stare
dietro al discorso: perché diamine dovevano fare quel giochetto stupido quando
sapevano benissimo che lo odiava? Le stava già venendo il mal di testa!
"Siete dei gran rompiscatole, ecco cosa siete! Io mica mi
impiccio delle vostre faccende sentimentali!".
"Perché tu sei troppo buona, MoMo!" ridacchiò Gideon.
"Noi, invece, siamo dei sadici insensibili…".
"Degli inguaribili ficcanaso!".
Molly gonfiò le guance con aria indispettita. "Me la ridate o
no, la lettera di Arthur?".
I gemelli si scambiarono un’occhiata e dopo alcuni secondi di
riflessione, parvero giungere alla stessa conclusione: sorrisero, poi Gideon
porse l’agognata lettera alla sua proprietaria. "Giusto perché il braccio, a
furia di tenerlo alzato, mi si stava addormento…".
"… E perché il tuo compleanno, MoMo!" aggiunse Fabian.
"Ah, allora ve lo ricordate…" sbuffò con aria sarcastica Molly,
risedendosi in poltrona, non prima di aver accuratamente nascosto la lettera di
Arthur in una tasca. "Non credevo di essere così importante…".
"Oh, così ci ferisci…" asserì Fabian, portandosi una mano sul
cuore.
"Noi, che siamo così dolci, carini ed adorabili…".
Molly alzò gli occhi al cielo. "Sì, certo come no… Conosco
manticore più dolci, gentili ed adorabili di voi due messi insieme!".
"Ma la senti, Fab? Ci sta insultando!" sbottò Gideon con aria
indignata. "Non oso crederci…".
"Già… Come puoi anche solo pensare di sostenere che esiste
qualcosa di più dolce, carino e adorabile dei tuoi amati fratelli, MoMo? È un
vero colpo al cuore…".
"Siete incorreggibili!" ridacchiò Molly, sorridendo. "Io affermo
che una manticora sarebbe meglio di voi come sorella e voi vi preoccupate del
fatto che io abbia negato che siate dolci, carini o adorabili? Non ho davvero
parole…".
"Ma perché tu non puoi negare che lo siamo!".
"È quanto meno blasfemo!" rincarò la dose Fabian. "Un po’ come
dire che non ti piace il cioccolato: una di quelle cose che nessuna persona sana
di mente potrebbe mai pensare…".
"E se vi dicessi che io detesto io cioccolato con tutta me
stessa, voi che fareste?".
"Improvviseremmo un esorcismo qui sul momento" rispose
prontamente Gideon.
"Perché sarebbe ovvio che o sei posseduta da qualche oscura
divinità infernale o sei completamente ammattita!".
"In caso, se l’esorcismo non funziona, chiameremo i guaritori
del S. Mungo per farti internare".
Molly annuì, come se stesse riflettendo su qualcosa. "Allora è
una vera fortuna che mi piaccia da matti il cioccolato, anche se non fa tanto
bene alla linea: non mi andava proprio di essere rinchiusa in una camera
imbottita o di fare il bagno nell’acqua santa!".
Gideon e Fabian risero, stravaccandosi infine su un divano
accanto alla sorella. "Allora, non rispondi al tuo principe azzurro?".
"Con voi qui? Neanche tra un milione di anni!".
"E perché?" tubarono in coro i gemelli, mettendo su una smorfia
offesa.
"Fatemici pensare… Forse perché siete due insopportabili
ficcanaso rompipluffe?".
"Tu dici così…".
"Ma in fondo sappiamo che ci vuoi bene, MoMo!".
"Sì" asserì Molly in tono sarcastico. "Sarei persa senza di voi…
E non potreste piantarla di chiamarmi MoMo? Andava bene quando avevo tre anni,
non quindici!".
"Oh, ma tu sarai sempre la nostra piccola MoMo, sorellina!"
ridacchiò Fabian.
"Anche quando avremmo settant’anni e saremo tre vecchietti
rugosi e inaciditi!" aggiunse Gideon.
"Merlino me ne scampi!" esclamò Molly fingendo un’espressione
orripilata. "Non ci resisto così a lungo, avendovi sempre tra i piedi… No, no,
signori, dopo che mi sarò sposata, non mi vedrete mai più!".
"Uh, la nostra MoMo pensa già al matrimonio, Gid!" fece Fabian.
"Che tenera… E chi sarebbe il fortunato?".
Molly diventò rossa come un pomodoro. "Io parlavo in via
ipotetica…" borbottò imbarazzata.
Gideon e Fabian, da bravi infami quali erano, si scambiarono uno
sguardo eloquente, prima di riprendere a tormentarla. "Già, in via ipotetica…"
chiocciò Gideon.
"Ma a chi vuoi darla a bere!" gli fece eco Fabian.
"Come minimo avrai già deciso giorno, ora, luogo e
vivande!".
"Senza dimenticare lo sposo… Che mi dici del tuo fidanzato
Babbano-maniaco?".
"Ne parli come se fosse una brutta cosa: ognuno ha i suoi
hobby…" si lamentò Molly, senza risultare del tutto convincente: perfino a lei,
talvolta, la passione di Arthur per i Babbani era sembrata parecchio strana.
Tuttavia i due fratelli alzarono le mani in identico gesto di
difesa. "Abbiamo forse detto qualcosa?".
"Arthur è un po’ stravagante, ma è un bravo ragazzo…".
"Altrimenti, secondo te, te l’avremmo lasciato
frequentare?".
"Impiccioni" borbottò Molly, benché sapere che i suoi fratelli
si preoccupavano tanto per lei le avesse scaldato il cuore.
"E allora, che ci dici del fidanzato?" riprese implacabile
Fabian, accettando con un cenno del capo il commento della sorella.
"Che vi devo dire?".
"Beh, mi par di capire che il buon Arthur vuole passare la
giornata a baciare la terra su cui cammini, per chissà quale motivo…".
"… Quindi, quale stuzzicante programmino hai in serbo per la
giornata?".
"Stuzzicante programmino?" ripeté Molly in una risata amara. "Ma
non farmi ridere!".
"Perché?".
"Cosa c’è che non va?".
"C’è che devo finire lo stupido tema di lumacorno, per domani"
sbottò Molly indicando con odio la pergamena piena di cancellature. "E ci
metterò come minimo tutto il giorno! Perciò, mi spiace, ragazzi, ma niente
programmino stuzzicanti: solo noia, studio e noia di nuovo!".
Gideon e Fabian si scambiarono uno sguardo, a metà tra lo
shockato e l’orripilato. "Cioè, tu ci stai dicendo…".
"… Che il giorno del tuo compleanno…".
"… L’unico giorno all’anno in cui può comportarti a buon diritto
come una regina…".
"… Invece di stare con il tuo fidanzato a divertiti come è
giusto che sia…".
"… Te ne starai qui in solitudine come una monaca a fare i
COMPITI?".
"Ehm… Non è che ho molte alternative" cercò di spiegare Molly, a
cui iniziava a girare la testa per i continui passaggi di battuta dei gemelli.
"Il tema è per domani, sono in alto mare e se non lo finisco prenderò
un’insufficienza…".
"Ma tu non puoi passare…".
"… Il tuo compleanno facendo i compiti!". Gideon e Fabian erano
quanto meno indignati: quella non era una decisione salutare, proprio per
nulla!
"Ma che altro posso fare? Non voglio prendere un brutto voto e
di conseguenza una ramanzina da parte di mamma e papà!".
I gemelli annuirono, seri, mettendo in moto i loro allenati
cervelli: era davvero un bel problema, ma Molly non poteva passare così il
giorno del suo quindicesimo compleanno, no, no, era una questione di principio…
Ma come fare senza che rischiasse di incorrere nelle ire di Lumacorno? Ed ecco
l’illuminazione! I due si guardarono un attimo e come sempre lessero negli occhi
che uno aveva avuto la stessa idea dell’altro.
"MoMo" esordì Gideon con aria seria. "Va’ a farti bella".
"Per fare i compiti? No, grazie, è già abbastanza deprimente
così…".
"Non per fare i compiti, sciocchina" sbuffò Fabian, scuotendo il
capo. "Per andare a tubare allegramente con Arthur, no!".
"Non siete divertenti, ragazzi" sbuffò Molly con aria scocciata,
che in quel momento non era proprio in vena degli scherzi dei suoi fratelli. "Vi
ho appena finito di dire che non posso…".
"Ora poi, ora poi" la rassicurò Gideon.
"E come?".
"Perché io e Gid, da bravi fratelli maggiori quali siamo, ti
daremo una mano…".
"E come?" ripeté di nuovo Molly.
"Fai troppe domande, MoMo: non ti basta sapere che vogliamo
aiutarti?".
"No, voglio anche essere sicura che non farete nulla di
illegale, tipo un ‘insegnanticidio’!".
I gemelli risero. "Non proprio illegale, no…".
"Piuttosto, forse, solo un po’ immorale… Se poi non ti morderà
la coscienza".
"Che cosa state tramando, me lo volete dire o no?" sbottò Molly
al limite della sopportazione.
"Semplice: tu vai con Arthur, passi la giornata con lui, vi
divertite, vi baciate, passeggiate, fate quello che vi pare…".
"… E intanto noi facciamo il compito al posto tuo".
Molly sgranò gli occhi, incredula: aveva sul serio sentito
quello che credeva di aver sentito? "Ma dite sul serio?".
"Ti pare che potremmo…".
"… Scherzare su una cosa del genere?".
"Ma io non posso lasciarvelo fare!" protestò la ragazza. "Non
sarebbe giusto!".
"Oh, andiamo, sappiamo che muori dalla voglia di accettare".
"Non farti pregare".
Molly esitò, mentre la sua mente elaborava velocemente i nuovi
possibili scenari: la possibilità di stare con Arthur tutto il giorno e
allontanarsi da quella materia malefica… "Non mi sembra corretto" obiettò la
ragazza, se pur con meno convinzione di prima: la prospettiva era davvero troppo
allettante. "Non è giusto che voi fatichiate al mio posto…".
"Consideralo il nostro regalo di compleanno, no?".
"E poi, dai, per noi del settimo anno i tuoi compiti saranno uno
scherzo!".
"Ma ne siete sicuri?".
I gemelli sbuffarono esasperati. "Senti, smettila di remarci
contro…".
"O finisce che cambiamo idea!".
Molly esitò ancora un solo istante, poi balzò in piedi, battendo
le mani felice come una pasqua. "Grazie, ragazzi!" strillò. "Grazie, grazie,
grazie!".
"Oserei dire che l’abbiamo fatta felice, vero, Fab?".
"E tu che volevi regalarle uno scialbissimo vestito nuovo"
sbuffò quest’ultimo ridacchiando. "Questo è molto più utile e molto meno
dispendioso…".
"Grazie, grazie, grazie" continuò a trillare Molly, che non
pareva aver sentito una sola parola. "Siete i fratelli migliori del mondo!".
"Io e Gideon ne siamo consapevoli".
"E tu sai che ci sarai debitrice in eterno, vero?".
Molly non sembrò particolarmente preoccupata da quest’ultima
affermazione: tutta la sua attenzione era già rivolta al meraviglioso pomeriggio
che adesso l’aspettava. "Grazie, grazie, grazie!".
"Ma ancora qui sei?".
"Fila a prepararti per il tuo principe azzurro!".
Molly non se lo fece ripetere e in meno di tre secondi sparì nel
suo dormitorio, seguita dal gufo Elica che aveva seguito in paziente attesa
tutta la discussione tra i tre fratelli Prewett. Sapeva già cosa fare: avrebbe
mandato una risposta ad Arthur con il gufo, poi si sarebbe cambiata e alla fine
avrebbe raggiunto il fidanzato. Piena di gioia e di aspettativa per quello che
l’attendeva, si mise alla scrivania per scrivere la risposta, ritrovandosi a
pensare che in fondo Gideon e Fabian non erano poi così male quando si
impegnavano.
LYRAPOTTER’S CORNER
Grazie al cielo alla fine l’ispirazione è arrivata! Rimanda che
rimanda, mi sono ridotta a scriverla in questi due giorni questa storia: avevo
una paura di non farcela in tempo, invece sono stata colta da un raptus di
scrittura compulsiva e ho scritto tutto in due giorni. Beh, tanto meglio!
Immagino ormai sarete stufi di sentirmelo ripetere, ma io sono
una tipa scrupolosa e probabilmente rompiscatole, a parte la data molto
arrotondata e i rapporti d’età, è tutto canon. Ok, saltate pure questa
precisazione, ormai lo sanno perfino le pietre che io sono maniaca della
precisione!
Ringrazio molto
NinfaDellaTerra
Gaea
dirkfelpy89
Deidara
Per le loro recensioni: non immaginavo davvero che la mia shot
su Minerva potesse riscuotere tanto successo. grazie, grazie, grazie (per citare
Molly!).
Prossimo capitolo, vicino-vicino, domani, 31/10 per
Halloween: preparatevi, perché non sarà una cosa particolarmente allegra.
See you soon!!!!!!!!
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Capitolo 23 *** Halloween ***
SPECIAL
DAYS
HALLOWEEN
„Per dieci anni hanno spartito lo stesso
cammino, per dieci anni sono stati legati da un’amicizia che credevano
indistruttibile, per dieci anni hanno diviso segreti e architettato malefatte,
si sono supportati nel momenti bui e rallegrati in quelli belli… E in una sola
notte, il tradimento spazzò via tutto quanto…"
WORMTAIL
Il traditore
31 ottobre 1981
Inghilterra
21.00
Sei senza un minimo di spina dorsale,
Wormtail.
Mi sembra quasi di sentire la voce di Sirius,
James e Remus rimproverarmi in testa, mentre in forma di topo sgattaiolo tra i
cunicoli, diretto al suo covo.
Ci fidavamo di te, eri nostro amico e tu ci
hai traditi tutti!
Sì, sono un codardo senza spina dorsale,
concludo. James e Lily hanno messo la loro vita nelle mie mani e io sto andando
a venderli al loro peggior nemico. Che bravo, Peter, complimenti.
Forse, tutto sommato, non è troppo tardi,
forse potrei ancora fare la cosa giusta. La prospettiva sembra quasi allettante:
andare da Silente, dirgli tutto, gettare la maschera, mettere Lily e James
davvero al sicuro, non ho ancora fatto niente di male, i miei amici capirebbero…
Poi ricordo i McKinnon: io li ho venduti ai Mangiamorte meno di tre mesi
fa.
No, i miei amici non capirebbero: vedrebbero
soltanto uno schifoso traditore. Ma in fondo sono questo, no? Com’è che dicono,
quando la nave affonda, il topo è il primo a darsela a gambe.
Io in questo sono sempre stato maledettamente
bravo: non ho esitato un istante quando il Signore Oscuro mi ha offerto di
diventare un Mangiamorte, una spia, in cambio della vita. E anche se il senso di
colpa è cresciuti ogni giorno di più, la paura è sempre stata più grande, paura
di quello che Lui mi avrebbe fatto se mi fosse tirato indietro.
In fondo, cosa c’entravo io con i Malandrini?
Non ero bello come Sirius o carismatico come James o intelligente come Remus,
non ero niente, solo il piccolo e imbranato Peter: cosa avevo fatto per meritare
l’accesso a quel circolo di eletti? Mi ero solo trovato nel dormitorio giusto al
momento giusto: loro non avrebbero sentito la mia mancanza, non si erano mai
curati di me, ero talmente insignificante che nessuno di loro aveva minimamente
pensato che potessi essere il la spia. Remus sospettava di Sirius, Sirius
sospettava di Remus e James semplicemente brancolava nel buio, incapace di
diffidare dei suoi compagni, i suoi amici, i suoi fratelli. Nessuno si ricordava
mai di me, né nell’Ordine, né tra i Mangiamorte, dove ero poco più che una
nullità. Ma io sono Peter Minus, sono stato invisibile tutta la vita: solo con i
Malandrini mi ero illuso per un attimo, ma era niente più di un
illusione…
Me lo sono ripetuto talmente tante volte in
questi mesi, mentre facevo il doppio gioco, che ormai ci credo sul serio, che a
James, Sirius e Remus non sia mai importato un fico secco di me…
Ma ora, ah, ora sto per diventare il
prediletto del Signore Oscuro, il suo Mangiamorte più fedele: proprio io gli
avrei consegnato l’oggetto di mesi di ricerca su un piatto d’argento. Domani, i
Potter saranno morti e io sarò il più importante tra i suoi servitori, più dei
Malfoy, dei Lestrange, perché io, Peter Minus, gli avrò dato ciò che desidera
più di ogni altra cosa: la vita del piccolo Harry Potter.
Immerso nei miei pensieri, sono infine
arrivato. Giunto di fronte a Lui, una volta assicuratami che sia solo, riprendo
la mia forma umana.
"Ah, Wormtail" mi accoglie con un gelido
sorriso. "Hai buone notizie per me, mi auguro".
Schifoso, infame traditore, sibila la voce dei Malandrini. Così ripaghi la nostra
amicizia?
Per un attimo esito. Sei ancora in tempo
per fare la cosa giusta, una volta nella vita Wormtail. Potrei anche farlo,
tacere e decretare la mia condanna a morte, ma la paura è una compagna di vita
infida: vedo già la sua bacchetta puntata contro di me, l’Anatema-Che-Uccide è
già sulle sue labbra e inconsapevolmente mi strappa un brivido. Sì, sono un
traditore infame. Sì, sono solo un codardo. Ma non si può andare contro la
proprio natura.
Noi l’avremmo fatto per te, Wormtail,
rincarano la dose le loro voci. Noi per te
saremmo morti, avremmo rinunciato a tutto.
Ma io non sono come voi: non sono né forte,
né intelligente, né coraggioso, sono solo Peter l’inutile. Ma questo cambierà
quando avrò dato all’Oscuro Signore ciò che vuole: mi vedo già coperto dagli
onori che Lui mi tributerà al suo ritorno, quando i Potter saranno
morti.
E così sento la mia voce dire: "Ottime
notizie, mie signore: so dove si nascondo i Potter".
E subito dopo, le loro voci, un’altra volta.
Perché l’hai fatto, Wormtail? Perché?
Ma ormai sono diventato bravo a non
ascoltarle.
PRONGS
L’amico perduto
Godric’s Hollow
21.30
Mi stiracchio sul divano, più annoiato che
davvero insonnolito. Merlino santo, se questa storia durerà ancora a lungo, mi
sa che imploderò! Siamo confinati in casa in via permanente da poco più di una
settimana e mi sembra già di aver dimenticato com’è il mondo là
fuori.
Un luogo orribile, brutto e cattivo, dove un
pazzo psicopatico uccide per il puro gusto di farlo!, mi ricorda saggiamente il mio grillo parlante, dalla voce
straordinariamente simile a quella di Remus.
Buon vecchio Remus, chissà che stai facendo
in questo momento? Sarà un mese buono che non lo vedo ormai…
Almeno i Malandrini potessero venire a
trovarmi di tanto in tanto, scaccerebbero la noia per qualche ora… Ma no,
Silente è stato chiaro: niente visite, niente sortite, niente di niente, fino a
che non si trovava un’altra soluzione. Tutti nei loro nascondigli e via!
E poi a pensarci bene non sarebbe una buona
idea mettere Moony e Padfoot nella stessa stanza: sono mesi che la loro amicizia
è appesa a un filo, che quando si incontrano alle riunioni dell’Ordine o si
saltano alla gola o al più si ignorano. Ma io lo so che nessuno di loro è la
spia: mi rifiuto di crederlo…
Chissà che sta facendo Sirius: probabilmente
è impegnato a schivare i Mangiamorte che gli abbiamo messo involontariamente
alle calcagna. Ma non sono preoccupato: Sirius se la caverà, Sirius se la cava
sempre…
Mamma mia, che barba! Cosa non darei per
andare a fare una bella trottata al chiaro di luna! Il mio lato irresponsabile
mi suggerisce a gran voce di farlo, giusto un’oretta per sgranchirmi le gambe (o
le zampe!), ma so che Lily ne morirebbe: la paura e la preoccupazione non la
fanno dormire la notte. Sta diventando un po’ paranoica negli ultimi tempi: oggi
è stata tesa come una corda di violino tutto il santo giorno, sembra convinta
che una qualche disgrazia ci stia per piovere addosso… Finirà con il farsi
venire un aneurisma, dovrò dirle di calmarsi un po’…
Harry comincia ad agitarsi nel suo box,
reclamando la mia attenzione, visto che Lily sta in cucina a finire di lavare i
piatti.
"E va bene, piccolo mostriciattolo viziato"
ridacchiò, prendendolo in braccio e mettendomelo sulle ginocchia. "Tu lo sai che
per colpa tua il tuo papà sta lentamente diventando matto e tua madre isterica…
Beh, è sempre stata un po’ isterica, a ben pensarci…".
Harry ridacchia: probabilmente non ha capito
una parola di quello che gli ho detto. "Papa!" ripeté con un moto d’orgoglio,
come se fosse il fulcro di tutto il discorso.
"No, ovviamente non lo sai" affermo io
sorridendo. "Sei fortunato a essere piccolo, Harry: la vita è molto più
semplice".
Allungo la mano per prendere la bacchetta dal
tavolino dove l’ho lasciata e comincio a evocare sbuffi di fumo colorati. Come
previsto, Harry va in brodo di giuggiole: batte le mani eccitato cercando di
afferrarli.
"Chissà per quanto tempo riuscirò a fregarti
con questi trucchetti da salotto…" ridacchio, facendo prendere la fumo la forma
in un piccolo cerbiatto.
Un colpo secco della mano di Harry e il
cerbiatto gli svanisce tra le dita. Per compensare la delusione, evoco un in
rapida sequenza un lupo, un cane e un topo: del resto, gli abbiamo fatto pure i
peluche, dei nostri alter ego. Sirius continua imperterrito ad affermare che il
cane sia il suo preferito, anche se ovviamente è palese che è il cervo il suo
preferito…
Harry sbadiglia: è tardi, tra un po’ mi
crollerà addormentato tra le braccia, come ogni sera.
Lily fa la sua entrata: ma è il mio cervello
o è bellissima perfino con l’acconciatura sfatta nel maglione sformato che
indossa per stare più comoda?
Sorride intenerita alla scena. "Credo proprio
che qualcuno abbia bisogno di una farsi una bella dormita…" dice, avvicinandosi
e facendo per prendere Harry.
Io le rivolgo il mio miglior sorriso
malandrino, uno di quelli che la mandano sempre in bestia. "No grazie, credo di
poter stare in piedi ancora un po’" ridacchiò, passandole il bambino.
"Stupido" sibila lei, scuotendo il capo. "Io
parlavo di Harry…".
"Oh, ora capisco". Annuisco, gettando con
noncuranza la bacchetta sul divano. "E tu? Anche tu vuoi farti una bella
dormita?".
Lily mi squadra sospettosa. "Che cosa vai
tramando adesso, Potter?".
"Vieni in camera da letto che te lo spiego"
rispondo con un sorriso malizioso.
Lily ridacchia come una bambina. "Aspettami
di sopra: metto a letto il piccolo e ti raggiungo…".
Bum, James Potter si fa sotto e fa centro!
Dopotutto sono ancora un gran conquistatore…
Notiamo entrambi che Harry non riesce a
tenere gli occhi aperti, il che significa che non ci disturberà. Molto bene,
molto, molto bene.
Mi stiracchio di nuovo, mentre Lily si avvia
di sopra: ma sta ancheggiando apposta per provocarmi? Se non la conoscessi,
direi proprio di sì! La serata sta migliorando velocemente…
Ed è a quel punto, mentre mi sto alzando,
pregustandomi ciò che avverrà quando Lily mi raggiungerà in camera, che il mondo
va in pezzi.
La porta d’ingresso esplode sotto il mio
sguardo scioccato: l’onda d’urto mi sballotta all’indietro. Ma non ho tempo per
essere stordito: solo una persona può aver fatto questo. Lui. Ci ha trovato. Il
che significa che Peter ci ha traditi: mi sento come se un frammento del mio
cuore fosse esploso insieme alla porta. Era sempre stato lui la spia: noi ci
fidavamo e lui ci ha traditi, ha tradito me, Lily, Harry, i Malandrini,
l’Ordine, ma soprattutto la nostra amicizia.
Tutto questo mi attraversa la mente in meno
di un secondo, il tempo necessario perché Lord Voldemort sorpassi i resti della
porta: è venuto per mio figlio, quel mostro. Lascio da parte tutto il resto e
grido: "Lily, prendi Harry e corri! È lui! vai! Scappa! Io lo
trattengo…"*
E lo fa, sento i suoi passi frenetici salire
al piano di sopra: devo solo darle il tempo di Smaterializzarsi, solo pochi
minuti. Mi frugo nei pantaloni, pronto a vendere cara la pelle, ma la bacchetta
non c’è: è sul divano, dimenticata e inutile. E non posso andare a prenderla,
perché se lo faccio, lui andrà di sopra, dietro a Lily e Harry. Che idiota che
sono! Com’è che dice sempre Malocchio? Vigilanza costante. Io me ne sono
scordato e pagherò con la vita. Ma non importa, purché loro riescano a
fuggire.
Mi frappongo senza esitazione tra lui e le
scale: ho appena vergato la mia condanna a morta, ma questo darà a Lily il tempo
sufficiente per fuggire con Harry. Vai amore mio, proteggi nostro figlio e
crescilo per tutti e due. "Dovrai passare sul mio cadavere, maledetto
bastardo!".
"Molto bene, se proprio insisti" sghignazza
quella maschera bianca di crudeltà. Leva la bacchetta e i miei occhi sono
illuminati da un bagliore verde. Ma io non ho paura della morte.
I miei ultimi pensieri sono per i miei cari:
la moglie che non potrò più baciare, il figlio che non vedrò crescere, gli amici
con cui non scherzerò mai più… E per Peter Minus, l’uomo in cui avevo riposto la
mia fiducia e l’ha gettata nello scarico del cesso, insieme a dieci anni di
amicizia.
Poi il buio.
PADFOOT
Il colpevole innocente
Godric’s Hollow
22.15
Ho sempre pensato che indovini, veggenti e
gentaglia simile fossero solo ciarlatani. Che tutte quelle storie delle
connessioni spirituali, il sesto senso, le premonizioni, i dejà vu fossero solo
boiate per i creduloni e gli ignoranti. Sono sempre stato un tipo troppo
concreto per perdere tempo con cose del genere: i fatti tangibili erano il mio
pane quotidiano. Sirius Black non si scomoda per delle semplici
‘sensazioni’.
Ma quella notte, quella dannata notte, molte
cose erano destinate a cambiare.
Mi ero svegliato con quel senso d’oppressione
nel petto, quello strano crampo allo stomaco che non mi aveva abbandonato per
tutta la giornata: mi sentivo come sull’orlo di un precipizio in mezzo alla
nebbia, pronto a cadere da un momento all’altro. Non vi avevo dato peso,
attribuendolo a qualche malessere vagante: la tensione di quei giorni, lo
stress, la preoccupazione, il poco sonno non erano certo una combinazione
vincente per la salute.
Ma verso sera, la morsa si era trasformata in
un vero e proprio senso di panico: qualcosa di terribile stava per accadere o
magari era già accaduto. Qualcosa che riguardava le persone a me più
care.
Riuscì a malapena a spiluccare la mia cena
precotta, dopodichè fui preso da una tale frenesia da non riuscire a stare fermo
più di due secondi. Spostai tutti i mobili, riordinai i cassetti, bonificai la
mia dispensa da tutto ciò che il tempo aveva reso immangiabile o tossico,
arrivai perfino a sistemare i vestiti in ordine di colore, ma niente serviva a
calmarmi.
Accarezzai l’idea di andare da Remus a
parlare, ma probabilmente mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Cinque giorni
prima avevamo litigato furiosamente, di nuovo: ci eravamo urlati addosso di
tutto, ci eravamo dati dei traditori a vicenda e alla fine ognuno se n’era
tornato a casa sua sbattendo la porta. Non c’era più James a fare da mediatore e
non eravamo più a scuola, quando nella peggiore delle ipotesi andavi a letto
imbronciato e facevi pace la mattina dopo. Ormai facevamo ognuno la nostra vita
e potevamo anche evitarci in eterno.
E del resto io non mi fidavo di lui, come lui
non si fidava di me: sì, andare da Remus era decisamente una pessima idea,
avremmo finito solo con il litigare di nuovo.
Provai a leggere dei fumetti, ma non riuscivo
a concentrarmi sulle parole: quell’orribile presentimento di disgrazia imminente
continuava a perseguitarmi. Qualcosa non andava, qualcosa non andava… Chissà, se
mi fossi deciso prima, forse avrei potuto evitare il disastro. Me lo sono
chiesto spesso, negli anni successivi, mentre i Dissennatori mi succhiavano
l’anima: se fosse uscito solo cinque minuti prima, magari…
Erano da poco passate le nove quando non ne
potei più: mi infilai il giubbotto di pelle e saltai sulla mia moto. Giusto
un salto da Peter, mi dissi. Tanto per essere sicuro che sia tutto in
ordine…
Me niente era in ordine. Arrivai al
nascondiglio di Peter e lo trovai vuoto. Nessun segno di resistenza o
effrazione, niente bruciature da Incantesimi sulle pareti: era tutto
perfettamente in ordine, tranne ovviamente il fatto che Peter non
c’era.
E non era possibile: l’avevamo concordato,
sarebbe rimasto nascosto finché il caos non si fosse sgonfiato. Mi rifiutavo di
accettare l’evidenza che Peter da lì se n’era andato di sua spontanea volontà,
non ci volevo credere…
E il senso di terrore tornò a farsi più acuto
che mai: stava andando tutto male, tutto male, mi diceva il mio sesto
senso.
In preda al panico, tornai alla moto,
partendo a tutta birra verso Godric’s Hollow. Ci sarà sicuramente una
spiegazione razionale: magari Peter è stato scoperto ed è scappato. Si sarà
infilato in qualche buco. Sarà tutto a posto, sì, tutto a posto…
Mi affannavo nel cercare una spiegazione
razionale, qualcosa che spiegasse tutto e non includesse il disastro che sentivo
in petto, all’altezza del cuore. Ero sopra Bristol quando ebbi l’impressione che
una parte di quel cuore mi venisse strappata via, crudelmente e senza pietà: se
avessi guardato l’orologio avrei saputo che erano le nove e tre quarti mentre la
vita del mio migliore amico si spegneva come una candela.
Ma ancora non lo sapevo in quel momento,
ancora mi illudevo che tutto andasse bene e attribuì quella sensazione a un
insano senso di suggestione. Non può essere, non può essere: ci deve essere
un’altra spiegazione, qualunque altra…
Tutte illusioni che andarono spietatamente in
pezzi quando finalmente arrivai alla mia metà e trovai casa Potter mezzo
distrutta.
"No, no, no, no" cominciai a balbettare,
mentre con gesti da sonnambulo scendevo dalla moto e mi avvicinavo alla casa.
"No, no, non è vero, non è possibile…".
Superai il cancelletto e mi bloccai sulla
porta scardinata: bruciature da Incantesimo. E a quel punto vidi il suo corpo:
James giaceva riverso ai piedi delle scale, in una posizione decisamente troppo
poco naturale per essere quella di un vivo.
L’orrore mi ghiacciò le viscere: non era
possibile, semplicemente non era possibile. Quello era senza dubbio un brutto
sogno, un incubo di quelli che ti fa svegliare urlando, perché James non poteva
essere…
"James!" gridai, precipitandomi verso di lui.
"James!".
Lo rivoltai, prendendolo tra le braccia:
aveva perso gli occhiali, Merlino solo sapeva dov’erano finiti in quel macello e
gli occhi nocciola, che tante volte avevo visto brillare di una luce Malandrina,
fissavano vuoti il cielo.
"No, no! James, James!". La mia testa si
rifiutava categoricamente di accettare quello che stavo vedendo: James non
poteva essere morto, era semplicemente impossibile.
Non saprei nemmeno dire quando cominciai a
piangere come un bambino, stringendo quel corpo esanime e indifferente tra le
braccia, mentre mi costringevo ad accettare la dura realtà: James, il mio amico,
il compagno di tante avventure, l’uomo che amavo come e più di un fratello, era
andato, morto, scomparso per sempre. Non avrei più sentito la sua risata, non
avremo tramato ai danni di Moony, non avremo più riso insieme come hai vecchi
tempi…
"Brutto idiota!" gridai, pieno di rabbia e
disperazione, scuotendolo invano. "Come ti sei permesso di morire? Come hai
potuto pensare che potessi andare avanti senza di te? Tu non dovevi morire, non
dovevi, cazzo!".
Un altro pensiero si stava facendo lentamente
strada nella tenebra del dolore: era tutta colpa mia! IO avevo rifiutato di
diventare il custode segreto dei Potter, IO avevo suggerito di prendere Peter al
mio posto, IO non avevo capito prima chi era la spia, IO avevo ingiustamente
sospettato di Remus per mesi, IO avevo dato al traditore il mezzo e l’occasione
di assassinare il mio migliore amico… Era colpa mia se James giaceva privo di
vita, se a soli ventuno anni si era visto strappare l’esistenza, se non avrebbe
mai visto Harry crescere…
Fu in quel momento che mi ricordai di Harry e
Lily e mi diedi dell’egoista per non averci pensato prima. Era irrazionale
credere che fossero ancora vivi, ma la disperazione fa sperare anche cose
peggiori. Ma prima che potessi decidermi ad alzarmi e lasciare James, un rumore
alle mie spalle mi fece sobbalzare. Fu il mio istinto di sopravvivenza che mi
fece balzare in piede e voltare, armandomi al contempo della
bacchetta.
Ma non lanciai nessun incantesimo,
riconoscendo l’inconfondibile sagoma di Hagrid farsi strada tra le macerie: la
sua faccia era lo specchio della mia, ne ero sicuro. Tra le braccia stringeva
qualcosa.
"Hagrid!"gridai, senza nemmeno sapere da dove
mi venisse la voce.
"Sirius!" ribatté lui sorpreso. "Non mi
aspettavo di vederti…".
"Potrei dirti lo stesso. Hai visto
Lily?".
La sua espressione fu una risposta più che
eloquente: un altro frammento del mio cuore prese il volo. "Sta là dietro" disse
Hagrid con voce rotta. "Mi dispiace Sirius, so che per te deve essere
difficile…".
Annuì distrattamente: James e Lily erano
morti, tutti i miei pensieri erano focalizzati su…
Il fagotto che Hagrid stringeva prese ad
agitarsi: riconobbi la zazzera nera di Harry. Non potevo vedere chiaramente a
causa del buio e delle lacrime, ma mi sembrava miracolosamente incolume, tranne
per una brutta ferita alla fronte.
"Sta bene?" chiesi: non osavo quasi crederci.
Perché Voldemort aveva risparmiato l’oggetto della sua furia? Mi resi conto che
c’era anche qualcos’altro che non andava: perché la casa era semidistrutta?
L’Avada Kedavra non lascia tracce di sorta… Cos’era successo in quella
casa?
"Cosa è successo qui?".
"Tu-Sai-Chi… lui è morto, credo" disse Hagrid
esitante.
"Morto?" ripetei. Non era possibile: come
poteva Voldemort essere morto, chi l’aveva sconfitto? "Come?".
"È stato Harry" spiegò Hagrid. "Me l’ha detto
Silente: quando Tu-Sai-Chi ha cercato di uccidere Harry, dopo James e Lily, la
maledizione gli è rimbalzata contro…".
"Rimbalzata?" ripetei ancora. Scossi il capo,
senza capire. Ma in fondo che importanza aveva? Harry era vivo, l’ultimo
frammento di Lily e James su questa terra era lì a tre passi da me ed era mio
compito prendermene cura.
"Dammi il bambino, Hagrid" sentì la mia voce
dire. "Sono il suo padrino, avrò io cura di lui…".
Hagrid mi fissò imbarazzato. "Non posso
Sirius, Silente mi ha mandato qui a prenderlo: mi ha detto che devo portarlo nel
Surrey, dai parenti Babbani…".
Harry tra i Babbani? Che assurdità. Perché
affidarlo a gente che senza dubbio l’odiava quando potevo occuparmene io? Che
gioco faceva Silente?
E la verità, l’ultima e la peggiore, mi
crollò addosso con la violenza di una valanga: Silente credeva che fosse colpa
mia! Tutto il mondo avrebbe presto creduto che fosse colpa mia! Perché tutti
credevano che fossi io il custode segreto di Lily e James. Se Hagrid non mi si
era ancora rivoltato contro, era solo perché ancora non sapeva. Il mio brillante
piano mi si era ritorto contro. E Minus sarebbe fuggito indisturbato, come il
ratto di fogna che era.
Il dolore fu rimpiazzato all’istante da
rabbia e odio: Minus mi aveva tolto le due persone più care che avevo, l’avevo
chiamato amico e ci aveva raggirati tutti. Da quanto tempo si era venduto a
Voldemort? E non avrebbe nemmeno pagato per il suo tradimento! Non l’avrei
permesso: l’assassino di Lily e James non se ne sarebbe andato impunito. L’avrei
scovato e fatto a pezzi con le mie stesse mani, il piccolo sorcio
voltagabbana.
Notai appena l’occhiata ansiosa di Hagrid.
"Sirius, sei certo di star bene?".
Annuì meccanicamente e mi voltai. "Prendi la
mia moto, Hagrid: farai prima. Devi tenere Harry al sicuro".
Tornerò a prenderti, piccolo. Ma prima Minus
deve pagare per quello che ha fatto, pensai,
avviandomi senza nemmeno ascoltare le proteste di Hagrid.
Non avevo un piano, era animato da un
semplice miscuglio di dolore, rabbia e vendetta. Ero certo che nulla potesse
fermarmi: avrei ucciso Minus e poi sarei andato a spiegare tutto al preside,
questo era il mio piano.
Ma il piano è fallito. Fisso con aria vuota
la voragine che tu, piccolo lurido ratto di fogna, hai aperto per fuggire, fisso
i corpi senza vita di quei passanti innocenti falciati dalla tua codardia mentre
gli Auror sopraggiunti a frotte mi trascinano via.
Non cerco nemmeno di opporre resistenza: dopo
questa strage, a che servirebbe? Tutti mi crederanno colpevole e le mie
giustificazioni passeranno per gli sproloqui di un folle disperato.
Non mi rendo nemmeno conto di scoppiare a
ridere. E rido, rido, rido senza riuscire a fermarmi. Complimenti, Minus, alla fine hai avuto abbastanza cervello per
riuscire a fregarmi!
MOONY
L’ultimo
1 novembre 1981
Londra
10.00
Malgrado l’autunno inoltrato, il sole splende
alto nel cielo. I suoi raggi sono piacevolmente tiepidi, ma io non riesco a
sentirne il calore, dalla logora poltrona su cui seduto immobile da quasi
mezz’ora, ormai.
Mi era svegliato con il cuore leggero,
convinto che tutto andasse bene, neanche un’ora prima. Dov’è finita quella
spensieratezza?
Come ogni mattina, mi sono preparato una
cioccolata calda, ho preso alcuni biscotti non troppo stantii dalla dispensa e
mi ero seduto su quella poltrona per leggere l’edizione mattutina della
Gazzetta del Profeta. Ma la cioccolata stava ancora sul tavolino, ormai
fredda, con accanto i biscotti non mangiati.
L’appetito era sparito nello stesso istante
in cui avevo visto la prima pagina e avevo riconosciuto con orrore quella strada
familiare, che tante volte avevo percorso, e quella casa distrutta, dove tante
volte ero entrato. Non avevo quasi avuto bisogno di leggere il titolo per capire
cosa era successo.
Godric’s Hollow attaccata.
Lily e James morti.
Voldemort sparito.
Il piccolo Harry vivo per
miracolo.
Sirius ricercato.
Ma il mio cervello si era fermato alla
seconda: Lily e James morti. Due giovani vite spezzate senza un perché, per il
puro capriccio di un folle. Due amici scomparsi per sempre, in pochi,
insignificanti istanti.
E il momento che attendevo con ansia da anni,
la sconfitta di Voldemort, la fine di quella stupida guerra, mi era totalmente
indifferente. Là fuori la gente festeggia la morte di
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, ma io non sono partecipe di quella gioia,
non posso: l’avevo sognato per anni e ora non riusciva a suscitarmi nemmeno una
scintilla di felicità.
Non è così che doveva accadere: quando la
guerra fosse finita, avremmo dovuto essere qui, tutti insieme, a festeggiare.
Io, James e Lily, Peter, Sirius, il piccolo Harry…
Che ne sarebbe stato di lui? Il giornale non
lo diceva: di certo c’era lo zampino di Silente… A chi sarebbe stato affidato
quel povero bambino che in pochi minuti si era visto strappare entrambi i
genitori?
Perché siete morti? Non dovevate morire: chi
crescerà vostro figlio adesso?
Mi sembra passata un’eternità dall’ultima
volta che ho sentito James ridere, ho visto il dolce viso di Lily e ogni secondo
mi allontana sempre di più da loro, loro che erano morti, mentre io sono vivo.
Che razza di giustizia è questa? Si amavano, aveva tutta la vita davanti,
avevano un figlio… Io cos’ho? Nulla.
Forse questo dolore sarebbe più sopportabile
se non sapessi chi è il responsabile.
Sirius.
Quando l’avevo letto, non avevo osato
crederci, all’inizio. Ma era lui il loro custode segreto, l’unico che avrebbe
potuto dire a Voldemort dove si nascondevano, che avrebbe potuto indirizzarlo a
Godric’s Hollow.
Non posso crederci. In fondo, fino a quel
momento, non avevo mai seriamente sospettato che fosse davvero lui la spia
nell’Ordine: conoscevo Sirius troppo bene per poterlo pensare, credevo che il
suo legame con James fosse troppo forte, se lo accusavo era più per difendere me
stesso…
Ma evidentemente l’avevo sottovalutato: alla
fine, si era rivelato un Black come tutti gli altri. No, peggio di tutti gli
altri, perché si era mascherato da amico, si era infiltrato come una serpe solo
per tradirci tutti.
Ma aveva fatto male i suoi conti: con
Voldemort scomparso, si era rivelato nel momento peggiore possibile. Mi auguro
che gli Auror lo prendano presto: Malocchio certo non gli avrebbe dato tregua e
nemmeno Frank.
Forse mi dovrei unire anch’io alla caccia
all’uomo. Scaccio subito il pensiero: non avrei mai la forza di guardarlo negli
occhi dopo quello che ha fatto, dopo tutto il veleno che ha sparso.
Avrei sfruttato meglio il mio tempo andando
da Peter: di certo anche lui doveva aver visto la notizia ed era sconvolto
quanto me. Rimanevamo solo noi: ci saremmo consolati a vicenda, magari davanti a
una bottiglia di Whisky Incendiario.
Avere qualcosa da fare è più confortante che
stare immobile, perciò mi alzo e mi vesto alla meglio. Ma prima che possa uscire
e Smaterializzarmi da Peter, il camino si illumina di fiamme verdi e sputa fuori
l’alta figura di Albus Silente: forse per la prima volta da che lo conosco, non
c’è nessun scintillio divertito nei suoi occhi, il suo volto è una maschera
insondabile ancora più del solito.
"Professore" lo saluto, sorpreso, cercando di
controllare il tono della voce. "Che cosa ci fa lei qui?".
Silente fa saettare lo sguardo da me al
giornale sul tavolino. "Hai già saputo, allora. Speravo di poterti avvisare di
persona, per alleggerire la notizia…".
Faccio un sorriso, o quella che più
probabilmente è la parodia di un sorriso. "È stato un pensiero gentile,
professore: avrebbe dovuto immaginare che sono un tipo mattiniero…".
"Oh, lo so. Purtroppo però mi sono liberato
solo adesso. E temo di non avere molto tempo per te: al Ministero richiedono la
mia presenza con assoluta urgenza. Come puoi immaginare, gli eventi delle ultime
ore hanno gettato tutti in subbuglio…".
Annuisco. "È stato gentile a passare, ma come
vede non è necessario: so già quello che c’è da sapere. Può tornare ai suoi
affari".
Non vorrei essere sgarbato, ma ho fretta di
uscire: l’aria dell’appartamento squallido dove vivo comincia a essere
soffocante. Voglio trovare Peter e leccarmi le ferite insieme a lui. Ma Silente
non si muove di un millimetro. "Stavi uscendo?". Non sembra offeso dal mio tono,
anzi mi fissa comprensivo.
Annuisco. "Ho voglia di una boccata
d’aria".
"Remus, prima di andare, ho un’altra notizia
da darti".
Non mi piace il tono che usa: è lo stesso di
un dottore che deve comunicare al paziente che gli restano due mesi di vita.
Qualunque cosa dirà, so che non mi piacerà.
"Di che si tratta?" domando, certo che ormai
nulla potrà farmi star peggio di così. Quanto mi sbaglio…
"Black è stato catturato venti minuti fa" mi
comunica Silente. "Barty Crouch ha già dato ordine di scortarlo ad
Azkaban…".
Per un attimo, mi sento sollevato. Tutto qui?
Aveva paura che la notizia dell’arresto di Sirius mi avrebbe sconvolto? Se non
fossi tanto coinvolto emotivamente, gli avrei dato la caccia di persona, è un
sollievo e quasi una gioia saperlo a marcire ad Azkaban.
Ma Silente non ha ancora finito. "C’è
dell’altro, Remus. Prima di essere arrestato, è corso in piazza, in una
cittadina non lontano da Godric’s Hollow: probabilmente lo shock di trovarsi
senza protettore proprio ora, gli ha annebbiato il cervello…".
"Che cosa ha fatto?" chiedo.
"Ha fatto esplodere la piazza, fino alle
fognature. Tredici persone sono morte: dodici passanti babbani e un mago che era
intervenuto per fermare Black…".
Ecco di nuovo quel tono: Silente sembra
perfino incapace di guardarmi negli occhi. Tredici morti, di cui un mago… Un
mago che voleva fermare Sirius… No, non è possibile, non può essere.
"Chi era il mago?" chiedo, senza nemmeno
riconoscere la mia voce.
"Remus…" sussurra Silente: non ha il cuore di
dirmelo. E io capisco.
"Chi era il mago?" chiedo comunque. "Me lo
dica professore: devo sentirmelo dire o non potrò crederci".
Silente sospira addolorato e dice: "Peter
Minus".
Con quelle due semplici parole, l’ultimo
brandello del mio mondo ancora in piedi viene miseramente distrutto. Abbasso il
capo, lascio cadere le spalle, mi mordo le labbra per non mettermi a urlare.
Pensavo che nessuno potesse sopravvivere provando un dolore del genere, ma
evidentemente sbagliavo, perché vivo e respiro, anche se mi hanno appena
strappato il cuore dal petto e l’hanno fatto a pezzi senza pietà.
"Remus, stai bene?" mi domanda Silente,
preoccupato dal mio mutismo.
"Sì, bene" mento, sorprendendomi di quanto
ferma sia la mia voce. "Ora, vorrei stare da solo, per favore…".
Sembra sul punto di protestare, ma alla fine
annuisce. "Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, sai dove
trovarmi…".
Dieci secondi dopo è sparito tra guizzi di
fiamme verdi e io sono di nuovo su questa sgangherata poltrona, solo con il mio
dolore. Non c’è più ragione di uscire: nessuno si chiederà che fine ho fatto,
nessuno si preoccuperà non vedendomi arrivare, nessuno mi aspetterà… Sono
completamente solo.
Tutti i miei amici sono morti, traditi e
uccisi da un uomo che marcirà per la vita in una cella di Azkaban.
"PERCHÉ L’HAI FATTO, SIRIUS?" grido, pieno di
rabbia e dolore. "PERCHÉ CI HAI TRADITI TUTTI? JAMES SI FIDAVA DI TE, IO MI
FIDAVO DI TE! ERA PROPRIO NECESSARIO UCCIDERE IL POVERO PETER?".
Non ottengo ovviamente risposta, tranne
un’attutita eco delle mie stesse parole. Sarà questa la mia vita d’ora in poi?
Una fredda stanza vuota e una testa piena di ricordi felici e dolorosi insieme
che ogni secondo mi ricorderanno cosa ho perduto?
Mi prendo il capo tra le mani, lasciando
libero sfogo alle lacrime che da tempo non aspettavano altro che
scendere.
Ti odio, Sirius Black! Ti odio! Perché me li
hai portati via? Perché siete morti? Non posso farcela da solo! Non
posso!
Vorrei urlare, ma mi manca la voce. Non c’è
più nessuno che possa venire a consolarmi. E così piango, piango fino a finire
le lacrime, fino a restare senza fiato. Piango per Lily, per James, per Harry,
per Peter, per Sirius e anche per me.
„Erano quattro e pensavano di essere in cima
al mondo. Erano quattro ed erano convinti che niente e nessuno li avrebbe mai
divisi. Erano quattro e insieme si credevano invincibili. Ma una sola tragica
notte rovinò tutto e ne rimase solo uno, abbandonato e sperduto. Morte,
tradimento e vendetta li separarono e dopo di allora nulla sarebbe più tornato
come prima…"
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora, allora, questa deve essere senza
dubbio l’apoteosi della mia vena angst: penso che una shot più triste di questa
non l’ho proprio mai scritta, quasi veniva il magone a me mentre la
scrivevo.
Ma proprio non potevo evitarlo: avevo in
testa questa storia da gennaio, più o meno, quando ho cominciato a pubblicare
questa raccolta, non mi sembra quasi vero di averla pubblicata, finalmente.
Questo è un mio personale tributo ai mitici Malandrini, nel caso qualcuno non
avesse capito che gli adoro: una visione in chiave diversa di quel dannato 31
ottobre. Perché a mio avviso, quella notte, insieme a tutto quello che accaduto,
sono morti anche i Malandrini. Certo, Sirius e Remus poi si sono ritrovati, ma
di certo non era più come prima della morte di James e il tradimento di
Peter.
Vabbè, ringraziamo che è meglio: grazie
a
erigre
dirkfelpy89
per le loro recensioni
Prossimo appuntamento, il 28/11 per il
compleanno di Bill, nella speranza che in questo mese mi venga l’ispirazione,
ben inteso!
A voi la parola, see you
soon!!!!!!
|
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Capitolo 24 *** Bill Weasley ***
SPECIAL
DAYS
BILL WEASLEY
29 novembre 1990
Hogsmeade
12.30
Bill si Smaterializzò direttamente ad
Hogsmeade dalla Gringott, la mente ridotta a un allegro vespaio di pensieri
inconcludenti per il colloquio appena sostenuto.
Charlie gli aveva fatto sapere che quel
giorno ci sarebbe stata un’uscita ad Hogsmeade e avevano deciso di pranzare
insieme ai Tre Manici di Scopa in modo che il fratello potesse fargli gli auguri
di persona: in fondo quante possibilità c’erano che il suo compleanno
coincidesse proprio con una libera uscita degli studenti di Hogwarts? Sua madre
non ne era stata proprio entusiasta, visto che il pranzo di compleanno era una
specie di rito a casa Weasley, ma era stata facilmente ricondotta a più miti
consigli ricordandole che c’era comunque la cena di compleanno (e se proprio
voleva esagerare, pure la merenda di compleanno).
Chissà come avrebbe reagito quando avesse
saputo l’esito del suo colloquio, rifletté Bill, mentre si avviava lentamente
verso il pub di Madama Rosmerta. Scacciò immediatamente il pensiero per nulla
attraente: conosceva bene sua madre e non faticava per nulla a immaginare la sua
reazione alla notizia.
La scusa del pranzo con Charlie era stata
quanto mai provvidenziale per ritardare un po’ il momento del confronto con
Molly… Non che non fosse felice di vedere Charlie, anzi, ma il non dover tornare
subito alla Tana era un ulteriore incentivo.
Stringendosi nel mantello per contrastare il
vento gelido che soffiava quel giorno, sbucò in High Street proprio nel momento
in cui Charlie spuntava dal capo opposto della via, tallonato stretto da un
ragazzino di qualche anno più giovane.
Bill lo riconobbe quasi subito come Oliver
Baston, un Grifondoro dello stesso anno di Percy, nonché grande ammiratore delle
prodezze sportive di Charlie, da quello che ricordava. E a giudicare
dall’espressione vagamente esasperata del fratello, Bill suppose che Oliver lo
stesse ammorbando con qualche lungo discorso tattico di Quidditch.
Trattenendo a stento una risatina, alzò il
braccio in segno di saluto; Charlie lo individuò subito e gli sorrise di
rimando.
"Ehi, vecchiaccio!" lo salutò quando lo
raggiunse, dandogli un’allegra pacca sulla spalle. "Come ci si sente con due
decadi sul groppone?".
"Mi fai sentire molto più vecchio usando
questi termini altisonanti" rise Bill. "Due decadi, eh? Dire vent’anni era
troppo semplice? Cominci a parlare come Percy…".
Charlie assunse un’espressione esageratamente
orripilata. "Oh, per le mutande di Merlino, stare troppo tempo con lui mi sta
rovinando!".
Bill finse di pensarci sopra un attimo, poi
ridacchiò e disse: "Nah, ti puoi ancora salvare: Percy non direbbe mai ‘per le
mutande di Merlino’!".
"Fiuuu, mi sento sollevato… Comunque non hai
risposto…".
"Quasi pronto per la rottamazione" dichiarò
allora Bill. "Ciao, Oliver" aggiunse poi, ricordandosi del ragazzino ancora
fedelmente al fianco del fratello.
"Ciao, Bill" rispose Oliver, vagamente
intimidito dalla presenza di quello che ricordava come un integerrimo Prefetto e
Caposcuola.
"Ah, sì!" esclamò Charlie, rivolgendosi al
compagno. "Senti, Oliver, che ne dici se rimandiamo a dopo la nostra
discussione: io e Bill volevamo pranzare insieme… Sai, riunione famigliare e
cose simili".
Oliver parve un po’ deluso all’idea di essere
scaricato a quel modo, ma annuì. "Ci vediamo dopo, allora".
"Certamente" gli assicurò il Cercatore,
salutandolo con la mano mentre si allontanava, cercando di non mostrarsi troppo
sollevato. "Andiamo dentro? Prima che decida che deve parlarmi di qualcosa di
assolutamente improrogabile…".
Bill rise. "Che ti ha fatto di tanto tremendo
quel ragazzino?" domandò, mentre entravano ai Tre Manici di Scopa, grati di
sottrarsi al gelo.
Charlie scrollò le spalle con aria non
curante. "Ma nulla: Oliver è a posto. Credo che il mio errore sia stato
prenderlo in squadra come Portiere…".
"Perché? Non è bravo?".
"No, no, anzi: ha la stoffa per diventare un
giocatore professionista… Ma è quasi ossessionato dal Quidditch: da quando è
cominciato il campionato, non mi ha lasciato in pace un momento, ha elaborato
certi schemi di gioco che ci vorrebbe un veggente per capirci qualcosa… Poi,
figurati, alla sua prima partita, un Bolide l’ha spedito nel mondo dei sogni
dopo i primi cinque minuti: ha passato giorni a darsi dell’incapace,
dell’inetto, eccetera, malgrado avessimo vinto…".
"In altre parole, ti darà il tormento fino
alla fine dell’anno, giusto?" riassunse in breve Bill, mentre individuavano un
tavolo vuoto e lo occupavano in fretta: a quell’ora, il pub era un autentico
caos e i tavoli liberi non restavano mai tali molto a lungo.
Charlie si strinse nelle spalle. "Te l’ho
detto: dovrebbe solo darsi una calmata, per il resto non è male. Ce ne sono di
peggiori, tipo i TUOI fratelli minori".
Bill ridacchiò. Non aveva certo bisogno di
chiedere per sapere a chi Charlie si stesse riferendo. "Ci tengo a specificare
che sono anche fratelli tuoi: cosa hanno fatto ancora le due piccole
canaglie?".
"Vivono: non ti pare sufficiente?" sbuffò
Charlie, suscitando l’ilarità del fratello maggiore. "Fred e George sono capaci
di far danni semplicemente respirando: basta la loro presenza…".
"Oh andiamo, non sono così male…".
"Non lo diresti se li avessi tra i piedi
tutti i santi giorni a tutte le sante ore: io e Percy stiamo facendo a gara a
chi sclererà per primo…".
"Li hai presi tu come Battitori, no? Come
dice il proverbio ‘Hai voluto la bicicletta, ora pedala’!".
"Oh, non è solo il Quidditch" affermò
convinto Charlie. "Hai presente com’erano l’anno scorso, no? Ecco, moltiplicalo
all’ennesima potenza…".
"Hanno dodici anni" protestò Bill, incredulo.
"Non ci credo che nemmeno la McGranitt riesce a tenerli a freno!".
"Te lo giuro! Io non so come fanno, ma sembra
abbiano il dono dell’ubiquità, dell’invisibilità o che so io: un minuto prima se
ne stanno buoni, buoni a fare colazione in Sala Grande e quello dopo infilano
Mrs. Purr in un gabinetto del terzo piano!".
Bill scoppiò a ridere suo malgrado: a volte
quasi si dimenticava con chi aveva a che fare. "Sono Fred e George" fu l’unico
commento che riuscì a fare.
"Già… L’unica consolazione è che dall’anno
prossimo, non saranno più un mio problema…".
"Se ci arrivi, all’anno prossimo" ridacchiò
Bill, guadagnandosi un gestaccio da parte di Charlie.
In quel momento comparve Madama Rosmerta, con
un sorriso a trentadue denti. "Oh, oh, i miei due Weasley preferiti: ritorno
alle origine, Bill?".
"Mi mancava la tua cucina" scherzò Bill. "Due
Burrobirre…".
"… e il piatto del giorno per entrambi"
completò Charlie.
Rosmerta prese nota e sparì, tornando pochi
minuti dopo con le bevande.
"Allora, fratellone" disse Charlie, bevendo
un sorso. "Com’è andato il colloquio alla Gringott? Era stamattina, no?".
"Ah, te lo sei ricordato".
"Naturale. E che pensavi, che me ne
dimenticassi? Allora?".
Bill sbuffò: sapeva che presto o tardi
sarebbero caduti su quell’argomento. "Bene, bene, il colloquio è andato bene: mi
hanno preso".
Charlie sorrise, entusiasta. "Grandioso!
Finalmente ce l’hai fatta a trovare il lavoro per te!".
Infatti, dopo essersi diplomato la primavera
precedente, Bill aveva avuto qualche problema a trovare un lavoro, non tanto
perché non aveva i requisiti (i suoi risultati ai M.A.G.O. erano stati tanto
perfetti da sembrare quasi irreali), quanto piuttosto perché non c’era
un’occupazione che riuscisse a catturare sul serio il suo interesse, almeno
finché la Gringott non aveva annunciato di cercare nuovi
Spezzaincantesimi.
L’entusiasmo di Charlie si affievolì un po’
notando che Bill non sembrava in vena. "Beh, che hai, non sei contento? Da come
ne parlavi, sembravi aver trovato la tua vocazione…".
"Mi vogliono mandare in Egitto".
"Ah" fu tutto ciò che l’altro riuscì a dire,
mentre Rosmerta rispuntava e scodellava loro davanti due piatti fumanti. "Buon
appetito, ragazzi".
Charlie prese la forchetta soprapensiero,
mentre la vera natura del problema si affacciava nella sua mente chiara come il
sole.
"Già, ah" commentò Bill. "Ora
capisci?".
"Sì. Il problema non è il lavoro, ma la
mamma, vero?".
"Esatto: non credo che sarà tanto felice di
sapere che mi trasferisco su un altro continente a tempo
indeterminato…".
"Non è così lontano" cercò di incoraggiarlo
Charlie.
"Come se per la mamma facesse differenza se
le miglia sono cento o mille: a lei basterà sapere che lascio il suolo inglese
per dare di matto…".
Charlie ci pensò sopra un attimo. "Tu che hai
detto in banca?".
"Che ci pensavo… Ma vogliono una risposta
entro un paio di giorni al massimo, altrimenti daranno il posto a un altro:
l’avidità non aspetta!".
"E tu cosa vuoi fare?".
"Sinceramente? Se non fosse per mamma e papà,
avrei accettato lì su due piedi… Vabbè, fai solo per mamma: non credo che papà
farà troppo storie…".
"Allora, se fossi in te, ecco che farei"
continuò Charlie, indicandolo con la forchetta. "Andrei a casa, spiegherei per
bene tutto ai nostri genitori, ascolterei con calma le loro opinioni e la
mattina dopo, fregandomene alla grande di tutto quello che mamma ha detto per
cercare di dissuadermi, andrei alla Gringott e accetterei il posto!".
"La fai facile!" sbuffò Bill. "Mica sei tu
quello che deve fare le valigie in capo a una settimana, se la cosa va in
porto!".
"Senti, hai vent’anni, anche volendo, mamma
non potrà tenerti sotto la sua ala in eterno… E siccome al momento, la tua
alternativa sarebbe farti assumere da Rosmerta come lavapiatti…".
"Uh, che prospettiva attraente" commentò
Bill. "Aspetta che quasi, quasi chiedo un modulo d’assunzione…".
"Contento te: ma saresti appena un filino
sprecato, Mister-Dieci-Eccezionale dei miei stivali…".
"Veramente, gli Eccezionale erano solo tre"
puntualizzò Bill, un po’ imbarazzato. "Non li ho mai nemmeno seguiti dieci
corsi…".
Charlie lo liquidò con un gesto non curante
della mano. "Sì, va bene, ma da quel che ricordo in sette anni di scuola non hai
mai preso un voto che andasse sotto la A, perciò…".
"Ne parli nemmeno avessi ucciso qualcuno: non
ho corrotto nessuno per avere quei voti, te l’assicuro…".
"No?" fece Charlie, ridacchiando con aria
cospiratrice. "Ne sei proprio sicuro? Nemmeno Piton? Non ci credo che sei
riuscito a prendere un M.A.G.O. così alto in Pozioni con le tue sole forze! Cosa
hai dovuto fare per convincere il vecchio pipistrello?".
"Non è mica Piton a dare i voti ai M.A.G.O.:
c’è una commissione esterna come ai G.U.F.O…" spiegò Bill.
"Sì, ma intanto sei riuscito ad arrivarci,
cosa decisamente straordinaria, se mi permetti: quanti eravate nella sua
classe?".
Bill ci pensò sopra un attimo, facendo mente
locale. "Otto, mi pare: due Grifondoro, tre Serpeverde, un Tassorosso e due
Corvonero…".
"Appunto… E tu devi essere probabilmente il
primo Grifondoro che è riuscito a uscire con un voto così alto… Perciò,
ritorniamo alla domanda iniziale: quanto l’hai dovuto pagare Piton?".
"Senti, se pure quell’imbranata cronica di
Ninfadora Tonks è riuscita a farsi ammettere ai corsi del sesto anno di Piton,
se permetti, credo che possa farcela praticamente chiunque, con un po’
d’impegno…".
Charlie ridacchiò, pensando all’allegra e
goffa Tassorosso del suo anno e alla sua incapacità congenita di preparare una
pozione senza rischiare di far saltare per aria mezzo castello. "Effettivamente…
Io, in tutta onestà, non potrò mai dimenticare la faccia di Piton quando se l’è
ritrovata di nuovo in classe l’anno scorso: sembrava lì, lì per morire di un
attacco di cirrosi epatica fulminante!".
"Beh, fermo restando che Piton è ben lontano
dall’essere il mio insegnante preferito, non mi sento mica di biasimarlo: quella
piccoletta gli avrà fatto esplodere il calderone in faccia una decina di volte
come minimo…".
Charlie rise, perdendosi nei ricordi: una
cosa era certa, se avevi Tonks in classe, non ti potevi annoiare. "Ma lo sai che
è pure diventata bravina, quest’anno: penso voglia provare ad entrare
all’Accademia Auror l’anno prossimo…".
"Tanti auguri, allora. E ricordami di mandare
le mie condoglianze al poveretto che dovrà gestirla…".
"Oh, non essere cattivo: sta simpatica pure a
te…".
"L’ho forse negato? Solo, con il carattere
che ha, non ce la vedo granché come Auror…".
Charlie dovette ammettere che Bill non aveva
poi tutti i torti: Tonks era una persona fantastica, ma pareva l’antitesi di
tutto quello che doveva essere un buon Auror. "Parlando di carriere future, noi
non stavamo discutendo sul TUO futuro professionale?".
"Stavamo cercando di decidere come aggirare
l’ostacolo Molly, se non ricordo male…".
I due avevano nel frattempo finito di
mangiare. Charlie bevette l’ultimo sorso di burrobirra, prima di stiracchiarsi e
dire: "Che ne dici se, mentre ci pensiamo, paghiamo e andiamo a fare due
passi?".
"Affrontiamo il gelo del mondo esterno? Ok:
chissà, magari l’aria fresca ci farà bene…".
Così, un paio di minuti dopo i due Weasley
uscirono dal locale, stringendosi nei mantelli e avviandosi lentamente in
direzione di Zonko.
"Comunque" riprese Charlie, riprendendo il
filo di discussione principale, "potresti sempre fare le valigie e andartene
senza dire niente a nessuno…".
"Sì, bravo, così altro che crisi isterica:
spedisco mamma direttamente nella tomba!".
"Non esagerare: al massimo, si prosciugherà
gli occhi piangendo tutte le sue lacrime".
"Siamo seri un paio di minuti, Charlie, che
ne dici?".
L’altro annuì. "Ti ho già detto come la
penso: mamma non potrà tenerti alla Tana per sempre, falle capire che in ogni
caso non cambierai idea e non farà neanche troppe storie… Alla fine, con il
tempo si abituerà all’idea…".
"Già, probabilmente hai ragione…". Bill
tacque un attimo, immerso nei suoi pensieri, poi sbottò: "E che diamine, a
vent’anni suonati, non è ammissibile che abbia ancora paura di mia
madre!".
Charlie rise. "Beh, a tua difesa, penso che
mamma faccia paura un po’ a tutti, quando ci si mette… Tranne forse ai gemelli,
ma il loro istinto di autoconservazione non è mai stato un gran-".
Charlie si bloccò a metà parola, fermandosi
di botto in mezzo a strada e fissando un punto avanti a sé.
Bill tornò sui suoi passi quando si accorse
di averlo lasciato indietro. "Ehi, che ti prende ora?".
Charlie puntò l’indice tra la folla. "Dimmi
che quei due sono solo dei cloni di chi penso io…".
Perplesso, Bill rivolse l’attenzione in
quella direzione e, quando capì cosa aveva causato la reazione di Charlie,
rimase a sua volta congelato sul posto dall’incredulità… Perché non era
possibile che quei due fossero lì, la sua testa gli stava di certo giocando un
brutto tiro. "Non ci posso credere…".
"Come diamine hanno fatto a evitare Gazza?"
gli fece eco Charlie.
Bill si strinse nelle spalle, scuotendo il
capo. "Non ne ho idea…". Lo stupore nel frattempo si era un po’ affievolito,
lasciando il campo libero alla sua vecchia anima di Caposcuola. "Ora mi sentono…
FRED! GEORGE!" gridò sopra la folla, facendo sobbalzare pure Charlie e voltare i
due incriminati.
Mentre li individuavano e riconoscevano, i
gemelli ebbero il buon gusto di mettere su un’espressione vagamente allarmata,
mentre nascondevano frettolosamente delle buste dall’aria compromettente dietro
la schiena. Perlomeno, non provarono a filarsela quando i due fratelli maggiori
si avvicinarono a passo di carica: erano abbastanza svegli da capire che
qualunque cosa potessero dire o fare Bill e Charlie, non sarebbe mai stato tanto
tremenda come ciò che avrebbero potuto fare la McGranitt o peggio Molly
Weasley!
"Ehi" li salutò George quando se li trovò di
fronte.
"Che ci fate qua?".
Bill dovette lottare contro l’impulso di
mollare loro un paio di ceffoni: stavano diventando troppo spudorati… "Che ci
facciamo noi? Voi che ci fate qua?! Non sono molto aggiornato sulle ultime
novità in termini di regolamento, ma se non ricordo male devi essere al terzo
anno e avere un permesso firmato per visitare il villaggio, requisiti di cui
siete sprovvisti…".
"Ah beh, niente è perfetto a questo mondo!"
scherzò Fred con un sorriso.
"Non dovresti ancorarti tanto a certe
pratiche obsolete: bisognerebbe sempre rinnovarsi! A proposito…".
"Buon compleanno!" chiocciarono in
coro.
Un attimo dopo, Bill si trovò tra le mani una
monumentale confezione di Api Frizzole. "Non voglio nemmeno sapere con che soldi
l’avete pagato, ‘sto coso…".
"Così in Egitto non morirai di fame" commentò
George.
"E ti ricorderai dei tuoi poveri fratellini
che sentiranno tanto la tua mancanza…".
"Certo, non ho dubbi in prop-… Frena, frena e
voi due come sapete dell’Egitto?".
I gemelli alzarono le spalle come se la cosa
non avesse importanza. "Te ne stavi a parlare dei fatti tuoi in quel
locale…".
"… pieno di gente che poteva
ascoltare…".
"… e ti chiedi pure come facciamo a saperlo
noi?
"Noi vediamo, sentiamo e possiamo tutto"
dichiarò Fred gonfiando il petto con aria d’importanza.
"E potremmo aggiungere altro!".
Charlie e Bill si scambiarono un’occhiata.
"Ok, preferisco non saperlo…".
"Come avete fatto a non farvi beccare da
Gazza?" domandò Charlie, sinceramente incuriosito: da quel che ne sapeva lui,
era praticamente impossibile farla in barba all’arcigno custode.
Fred e George fecero spallucce. "Non è così
difficile…".
"… Se sai dove andare".
Bill capì che non avrebbero cavato altro
dalla bocca dei gemelli, così, per quanto desideroso di sapere decise di lasciar
perdere. "Immagino che non ci direte nemmeno cosa nascondente con tanta premura
dietro la schiena, giusto?".
"Scherzi di Zonko, perlopiù" rispose George
ostentando innocenza, cosa che fece ulteriormente insospettire Bill.
"Cose con cui avete intenzione di demolire la
scuola, presumo" commentò Charlie. "Vi è tanto difficile stare fuori dai
guai?".
"Ma è così nooooooioso!" protestarono in coro
i gemelli.
"Ti ravviviamo un po’ la vita…" aggiunse
Fred.
"… A te e quella mummia di
Percy!".
"E parlando di mummie, è proprio vero che vai
in Egitto?".
"Non ho ancora deciso…" rispose Bill,
restando sul vago.
"Ma tu vorresti andarci?" lo incalzò
George.
"Beh, sì…".
"Allora fregatene di quello che pensa la
mamma e va a fare i bagagli" dichiarò Fred.
"Anche se un po’ mi dispiace: tu sei il più
sopportabile…".
"Ehi!" protestò Charlie. "Grazie mille,
eh!".
"Oh, già hai ragione".
"Ci stavamo quasi dimenticando di
Ginny!".
Con quest’ultima battuta, saltellarono via
prima che Charlie potesse formulare una risposta a tono.
"Quei due piccoli… Meriterebbero di essere
denunciati alla McGranitt!".
Bill ridacchiò. "Ma tanto lo sappiamo che non
lo farai: per una cosa del genere rischierebbero come minimo una
sospensione…".
"Come se a loro importasse qualcosa" sbuffò
Charlie. "Vengono ad Hogwarts per il puro gusto di fare casino!".
"No, io credo che sappiano esattamente qual è
il limite del consentito: forse sono incontrollabili, ma non faranno mai
qualcosa di così grave da meritare l’espulsione… Almeno finché non crederanno
che Hogwarts non può più offrire loro nulla".
"Vabbè" dichiarò charlie non una scrollata di
spalle. "Dall’anno prossimo non saranno più un problema mio… Certo, c’è da dire
che l’anno prossimo comincerà anche Ron, perciò probabilmente l’interesse dei
gemelli sarà meno concentrato sulla distruzione della scuola e più sulla
distruzione della sua autostima!".
Bill fece un breve cenno d’assenso col capo.
"Mi mancava questo posto…" mormorò, ammirando con aria nostalgica il profilo del
castello che sovrastava il villaggio.
Charlie sorrise. "Già, immagino faccia questo
effetto a tutti… E allora, che mi dici, Mister-Dieci-Eccezionale? Vai a
preparare le valigie?".
Bill ci pensò sopra un attimo: era pronto a
mollare tutto e trasferirsi in un luogo completamente diverso? Voleva affrontare
quella nuova avventura?
Sì, lo voleva.
"Sarà molto interessante vedere la reazione
di mamma" rispose.
Charlie ridacchiò. "Falle una foto, mi
raccomando…".
LYRAPOTTER’S CORNER
Allora, rieccomi qua, più o meno puntuale
come sempre… Che ne pensate? A me non convince completamente, se devo essere
sincera, nella mia testa si era costruita in modo diverso, ma siccome mi sono
ridotta a finirla tre minuti fa, a furia di procrastinare, non avevo proprio il
tempo di cambiare…
Pace, spero che vi piaccia anche così,
intanto ringrazio
Half Blood
Deidara
pometina94
dirkfelpy89
per le loro recensioni;
LadyMorgan
Per la sua e-mail;
Julia Weasley
Per aver cominciato a leggere la mia
raccolta.
Vi lascio con il prossimo appuntamento, al
12/12 per il compleanno di Charlie Weasley, e vi annuncio che mancano tre
one shot alla fine.
A presto,
bacibaci!!!!!!
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Capitolo 25 *** Charlie Weasley ***
SPECIAL
DAYS
CHARLIE WEASLEY
12 dicembre 1990
Hogwarts
16.00
Charlie chiuse il recinto degli Ippogrifi con
uno sbuffo. Malgrado i guanti, il berretto di lana e il giaccone pesante che
indossava, si sentiva congelato fino al midollo. Battè le mani e prese a
flettere le dita nella speranza di risvegliarle un po’ dall’intorpidimento,
senza scarso successo.
Prendersi cura dell’allevamento di Ippogrifi
di Kettleburn era un compito ingrato già di per sé, ma quando lo si doveva fare
con la neve alta fino alle ginocchia lo era ancora di più. Stupida neve,
stupido inverno e stupido freddo: odio l’inverno! Perché non è già
estate?!
E pensare che la stagione fredda era appena
cominciata…
"Beati voi che avete piume e pelo a tenervi
caldi" disse, rivolgendosi all’animale più vicino, uno splendido esemplare
grigio ferro di nome Fierobecco.
Quello gli rivolse un’occhiata di altera
superiorità, neanche fosse pienamente consapevole della sua fortuna e se ne
stesse vantando. Raspò in terra un paio di volte, con aria scontenta, facendo
ridacchiare il ragazzo. "Eh, lo so che vuoi da me: vorresti uscire, vero?
Purtroppo, servite al prof per le lezioni di quelli del quarto anno,
ragazzi".
E con tutta la fatica che ho fatto a
radunarvi, non vi lascio mica scappare… pensò
subito dopo, considerato che aveva passato le ultime tre ore abbondanti correndo
su e giù ai margini della foresta per attirare gli Ippogrifi e chiuderli nel
recinto. Hagrid gli aveva dato una mano, entusiasta come sempre quando si
parlava di creature magiche e mostri, ma era stato comunque un lavoro infernale.
In linea puramente teorica avrebbe dovuto aiutarlo anche l’altra studentessa che
frequentava con lui il corso di Cura delle Creature Magiche, ma la ragazza non
si era fatta vedere. Figurati, con la testa che si ritrova, se ne sarà
dimenticata: come minimo è spanciata davanti al fuoco della sala comune di
Tassorosso, pensò con un pizzico di stizza Charlie.
Ovviamente, di solito quel compito avrebbe
dovuto essere assolto dal professor Kettleburn, ma durante l’ultima lezione un
Thestral gli aveva azzannato e quasi staccato la gamba buona, così adesso era
bloccato a letto, con suo sommo disappunto. L’aver quasi perso un arto non
l’aveva comunque fatto desistere dal continuare imperterrito a lavorare, tant’è
che si faceva portare a braccia fino in classe. Ma non potendo camminare, il
compito di fare in modo che le sue lezioni si potessero svolgere senza problemi
era stato affidato ai due studenti del settimo anno che si stavano preparando
per i M.A.G.O., ossia Charlie e Ninfadora Tonks, anche se la seconda lo faceva
più per spirito di solidarietà verso il suo amico che per reale passione.
Charlie, al contrario, era più che felice di passare giornate all’aria aperta in
quel modo, ma non quando c’erano quattro gradi e si gelava.
Maledetta Tonks, giuro che questa me la
paghi!
"Fatto tutto, Charlie?" gli chiese Hagrid,
comparendo alle sue spalle e facendogli fare un salto di mezzo metro.
"Hagrid" esalò. "Non farlo mai
più…".
Prima che il guardiacaccia potesse anche solo
pensare di scusarsi, Charlie finì quasi con la testa nella neve quando Thor
cercò di saltargli addosso con aria festante. Per sua fortuna, era abituato agli
assalti giocosi di quel cane. "Ma eccolo qua il mio bel cagnone" lo salutò
cominciando ad accarezzarlo. "Eccolo qua, il cane più bello del mon-… Bleah, che
schifo, Thor!" protestò quando l’animale praticamente gli lavò la faccia con una
bella leccata. "Senza dubbio, sei il cane più bavoso del mondo!".
Hagrid rise. "A volte mi viene il dubbio che
ci vuole più bene a te che a me, quel cane, sai…".
"Ma no, cosa dici!" si schermì Charlie. "Thor
lo sa che il suo padrone… Vero, Thor? Vero?".
Il cane abbaiò in risposta, continuando a
scodinzolando. "Cosa c’è? Cosa c’è? Vuoi giocare, eh… Allora
giochiamo!".
Charlie si chinò, prese una manciata di neve
e la compattò in una palla. Dopodiché cominciò a sventolarla davanti al naso di
Thor, che cominciò ad agitarsi in modo ancora più frenetico. "Ok, Thor, segui la
palla, non ti distrarre… Prendila, forza!". Lanciò la palla di neve più forte
che poté e Thor partì alla velocità del fulmine.
"Ci sai fare, l’ho sempre detto…" commentò
Hagrid. "Quello stupidotto non si è mai affezionato a nessuno studente quanto a
te…".
Charlie si strinse nelle spalle. "Sarà perché
sono l’unico studente che viene a trovarti con cadenza quasi settimanale… A
proposito, ho controllato in biblioteca: le uova di Dorsorugoso di Norvegia sono
nere, non marroni…".
"Ah, te l’avevo detto, no?" ridacchiò Hagrid
con aria soddisfatta. "Sono i Lungocorni Rumeni a fare uova
marroni…".
"Sai che ho letto che in Romania hanno creato
una riserva per studiare il Lungocorno e le altre specie di drago" disse Charlie
con gli occhi che brillavano. "Parlavano di decine di esemplari… Te lo immagini:
quaranta o cinquanta draghi tutti nello stesso posto!".
Hagrid simulò un’espressione sofferente. "Oh,
non dovresti dirmi queste cose, Charlie… Sai che dopo sarei tentato di andare a
fare i bagagli su due piedi!".
Charlie rise. "Già, non me lo
dire…".
Hagrid scrutò attentamente il ragazzo,
aggrottando le sopracciglia. "Senti, io lo so perché non ci posso andare, ma
tu…".
"Oh, su Hagrid, ho malapena diciotto anni:
non prendono mica il primo sbarbatello che passa a fare quel lavoro! E a mia
madre verrebbe un colpo: ancora non ha digerito la faccenda di Bill, figurati
cosa farebbe se le dicessi che vado a fare il domatore di draghi!".
"Bah, forse c’hai ragione tu… Ma io dico che
tentar non nuoce!".
"Ma dov’è finito Thor?" esclamò Charlie
guardandosi intorno in cerca del cane.
In quel momento sentirono una ragazza
strillare e subito dopo l’abbaiare eccitato di Thor.
I due si scambiarono un’occhiata prima di
precipitarsi di corsa nella direzione da cui provenivano i latrati e trovarsi
davanti una scena talmente comica che Charlie non poté proprio trattenere una
risata: una ragazza dagli inconfondibili capelli rosa cicca che si rotolava
nella neve cercando di sfuggire a Thor, che le annusava il cappotto con vivo
interesse, a sua volta inseguito da un ragazzo di qualche anno più
piccolo.
"Che cosa ridi!?" sbottò Tonks, nel vederlo.
"Aiutami!".
Charlie cercò di darsi un contegno, senza
troppi risultati, visto che la faccia scandalizzata di lei scatenò un altro
accesso di risate.
"Thor, vieni qua, stupido cane!" lo richiamò
Hagrid.
Quando l’animale lo ignorò bellamente, il
guardiacaccia si fece avanti con quattro lunghe falcate, lo agguantò per la
collottola e lo trascinò via. "Fila a cuccia, vecchio rimbambito!".
Thor abbassò le orecchie con aria ferita,
prima di accucciarsi ai piedi del padrone uggiolando. Hagrid lo ignorò e si
rivolse a Tonks. "Tutto ok, sì?".
Senza nemmeno aspettare risposta, la prese
per la spalla e la ritirò in piedi. "Sì, sto beeee- Etciu!".
"Mmmm, meglio che torni dentro prima di
buscarti un raffreddore…".
Tonks scosse il capo, fece per dire qualcosa
e starnutì di nuovo.
Charlie, finalmente riacquistato un po’ di
autocontrollo, si fece avanti e cominciò a pulirle dalla neve il cappotto. "Ti
pare il caso di andare a rotolarti nella neve con questo tempo, Ninfadora?" la
rimproverò.
"Primo, non chiamarmi Ninfadora o ti spedisco
a cantare in un coro di voci bianche" lo minacciò piccata Tonks, scostandosi.
"Secondo, non usare quel tono da paparino con me, Weasley: non è stata colpa
mia!".
"Già, certo" acconsentì Charlie con aria
accondiscendente. "Non è mai colpa tua, vero Tonks? ‘Il pavimento era
scivoloso’, ‘Chi ha avuto l’idea di mettere un gradino in quel punto?’, ‘La
sedia si è spostata da sola’, ‘L’aria mi ha fatto lo sgambetto’…".
Tonks gli diede uno spintone con aria
stizzita. "Ti odio, Weasley! Stavolta non è davvero colpa mia!".
"È vero" intervenne il ragazzino che
l’accompagnava. "È stato il cane a saltarle addosso!".
"Grazie, Oliver" disse Tonks, rivolgendogli
un sorriso riconoscente. "Visto?".
"E tu cosa hai addosso che possa aver indotto
Thor ad assalirti?" chiese con aria interessata Charlie.
"Ma nulla!" cerco di protestare la ragazza.
"Secondo me quel cane ha semplicemente la rabbia: forse dovremmo
abbatterlo…".
Thor uggiolò più forte, nemmeno avesse capito
che stavano parlando di lui in tono non proprio gentili.
"Thor sta benissimo" sbuffò Charlie. "E tu
non fare la gnorri: dimmi che ti porti appresso o vado a dire a Piton che hai
una cotta per lui e che è per questo che non hai voluto lasciare Pozioni l’anno
scorso!".
"Ma che schifo!" protestò Tonks con aria
orripilata e disgustata. "Piton è così… così… vecchio!".
"Non penso che sia così vecchio" obiettò
Oliver divertito. "Non credo che vada oltre i trenta-quaranta anni…".
"Sì vabbè che c’entra, è vecchio comunque!"
protestò Tonks. "Potrebbe essere mio padre!".
"Veramente" ci tenne a puntualizzare Charlie,
"se prendiamo per buono che ha, che ne so, trentacinque anni, ne avete diciotto
di differenza, perciò…".
"MA CHI SE NE FREGA, WEASLEY!" esplose Tonks,
rossa in viso per il freddo e la rabbia. "Il mio era un modo di dire per dire
che è troppo vecchio per me e troppo viscido e unto e, e, e… Senza contare che
la tua sarebbe una balla bella e buona!".
"Sì, ma questo Piton mica lo saprebbe…"
insinuò Charlie con un ghignetto malvagio. "Allora, che cosa stai
nascondendo?".
Tonks lo guardò un attimo negli occhi, come a
decidere se l’amico avrebbe sul serio messo in pratica la sua minaccia: lo
conosceva abbastanza bene da poter dire senza esitazione, che sì, l’avrebbe
potuto fare senza pensarci due volte… "E va bene, volevo dartelo dopo cena, ma
tanto vale: sarebbe il tuo regalo di compleanno…".
"Credevo non volessi farmelo il regalo"
obiettò Charlie.
"Oh, ma il mio era un abile
depistaggio…".
"Veramente è da parte di entrambi" intervenne
Oliver.
"Già, giusto" annuì Tonks.
"Tieni".
Gli mise in mano quello che sembrava una di
quelle confezioni promozionali di Cioccorane. "Ehm, grazie…" disse incerto il
ragazzo. Certo, non è che si fosse sforzata un granché…
"Va bene" intervenne Hagrid. "Se è tutto in
ordine, io andrei…".
"Certo. Ci vediamo, Hagrid. Ciao, Thor" li
salutò Charlie mentre si allontanavano.
"Aprilo, forza!" lo incalzò Dora,
saltellando.
"Non mi va il cioccolato adesso" protestò il
ragazzo. "In verità, sto ancora cercando di scongelarmi dopo che
qualcuno" ammiccò con aria allusiva a Tonks, "mi ha mollato nel freddo
siberiano a radunare gli Ippogrifi per Kettleburn da solo…".
Si aspettava che la ragazza assumesse
perlomeno un’espressione pentita, invece lo fissò confusa. "Avevi detto di
trovarci per le quattro: sono in ritardo solo di un quarto d’ora e sarei stata
puntuale se quello stupido cane non avesse cercato di mangiarmi!".
"Le quattro?!" ripeté Charlie, basito. "Ma se
tra poco farà buio! Quando mai ho detto una cosa simile?".
"Oggi in Sala Grande" ribatté Tonks pronta.
"Subito prima che Ollie qui ti sequestrasse per parlare di Quidditch come vostro
solito!".
"Subito prima…". Charlie riandò con la mente
a quella conversazione, tenuta mentre tornavano dall’incontro con Kettleburn,
dove tra un’offesa all’insegnante e l’altra, si erano dati appuntamento: quando
capì l’equivoco, si ritrovò indeciso tra il prendere a testate un albero e
scoppiare di nuovo a ridere. "Doretta, io ti stavo raccomandando di non fare
tardi e ho detto ‘non voglio ridurmi a dover cominciare alle
quattro’…".
"Ah" commentò Tonks, arrossendo fino alla
punta dei capelli. "Ops".
"Già, ops" le fece eco Charlie, in tono più
acido di quanto non volesse. "E intanto io ho passato il mio compleanno a
congelarmi il sedere solo come un idiota!".
"Senti, mi dispiace: ho capito male, ma non
volevo mica piantarti o roba simile, stavo venendo a darti una
mano!".
"Dai, Charlie" intervenne Oliver. "Non l’ha
fatto apposta…".
"Mi perdoni vero, Charlie-Boy?" aggiunse
Tonks, sfoderando al contempo il suo broncio da cucciolo maltrattato,
un’espressione che una volta era riuscita perfino a risparmiarle una punizione
con Piton, perciò che possibilità aveva Charlie di resistere?
"Oh, sì, sì, va bene!" sbuffò, con aria
scocciata. "Giochi con armi sleali, Tonks!".
"Sììììì!!!!!". Tutta contenta, Tonks gli
saltò al collo, rischiando di spedire entrambi in terra: fortunatamente Charlie
era abituato anche a questo e l’afferrò al volo, lasciando cadere la scatola di
Cioccorane. "Non ti pare un po’ eccessivo? Eravamo in lite da nemmeno un
minuto…".
"Io sono una che esprime al massimo le sue
emozione" ridacchiò la ragazza. "E di che ti lamenti, Weasley? Un normale
ragazzo di diciasette anni sarebbe solo contento se una bellissima fanciulla gli
saltasse addosso!".
"Bellissima? Quale modestia, signorina! Cosa
vorresti insinuare, che non sono normale?".
"Beh, io non definisco proprio normale un
ragazzo che ha come passatempo il farsi quasi sbranare da Ippogrifi, Thestral e
Lupi Mannari, sai…".
"Non ho mai incontrato un Lupo Mannaro,
veramente" puntualizzò Charlie, cambiando posizione delle braccia per migliorare
la presa. "E nemmeno ci tengo… E comunque, ti pare saggio dare dell’anormale a
qualcuno che ti tiene a mezzo metro da un cumulo di neve e potrebbe
‘accidentalmente’ lasciarti cadere in ogni momento?".
"Devi solo provarci!" lo minacciò Tonks. "Sai
che dopo ti farei pentire di essere nato!".
"Mmmm, sono terrorizzato…". Ammiccò a Oliver
e riprese: "Che dici, Ollie, la buttiamo nel lago per punirla del
ritardo?".
"Mmmm, non saprei, forse come castigo è
troppo poco…".
"Non ti azzardare, Weasley!" esclamò Tonks,
aggrappandosi con più forza al collo di Charlie. "Se io cado, tu verrai giù con
me!".
Charlie finse di pensarci sopra un attimo,
poi sospirò enfaticamente e dichiarò: "Sai, Oliver, se poi le viene la
polmonite, mi toccherebbe pure andare a trovarla ogni santo giorno in Infermeria
per portarle i compiti: sarebbe una gran bella scocciatura, non credo che ne
valga la pena…".
"Niente bagno nell’acqua gelata?" fece Tonks,
timorosa.
"Niente bagno nell’acqua gelata" confermò
Charlie.
Tranquillizzata, la ragazza si rilassò tra le
sua braccia, allentando la presa sul collo. Fu a quel punto, che senza il minimo
preavviso, Charlie la lascò cadere: Tonks atterrò con un tonfo in un grosso
cumulo di neve e lì rimase a fissarlo scandalizzata. "Ma, ma…".
"Oh, scusa, le braccia mi hanno ceduto
all’improvviso…".
"WEASLEY, TU SEI MORTO!" urlò la ragazza,
facendo per saltargli di nuovo alla gola, senza intenzioni benevole stavolta.
Purtroppo per lei, prese troppo slancio, Charlie, forte dei suoi riflessi
allenati, la schivò senza problemi e lei finì di faccia in un altro cumulo di
neve.
"Sei crudele, Charlie!" rise
Oliver.
"Che dovevo fare, lasciare che mi
strozzasse?".
"No, ma mai sentito il detto ‘non si spara
sulla croce rossa’?".
"INFAMI!" strillò Tonks, riemergendo
sputacchiando neve. "SCHIFOSI MALEDETTI INFAMI! GRIFONTONTI DEI MIEI
STIVALI!".
Charlie e Oliver si scambiarono un’occhiata.
"Ma l’hai sentita? Ci ha chiamato ‘Grifontonti dei suoi stivali’" disse Charlie,
simulando una faccia mortalmente offesa.
"Piccola Tassofesso permalosa" ridacchiò
Oliver, abbassandosi giusto in tempo per evitare una palla di neve lanciata
dalla suddetta. "Charlie, siamo bombardati!".
"Non so quanto ti conviene, Ninfadora"
obiettò Charlie in tono ragionevole, scansandosi a sua volta. "Siamo
numericamente superiori e in posizione vantaggiosa…".
"NON. CHIAMARMI. NINFADORA" articolò la
ragazza, sottolineando ogni parola con un proiettile bianco sempre tristemente
lontano dal suo presunto bersaglio.
"Accidenti, certo che hai una mira pessima!"
la prese in giro Oliver. "Tassofesso".
Tonks lo guardò talmente infuriata che
sembrava a un passo dal ringhiare. "Se ti prendo, Baston, giuro sulla testa di
mio padre che ti faccio pentire di essere venuto al mondo: non chiamarmi
‘Tassofesso’".
"Non possiamo chiamarti Ninfadora, non
possiamo chiamarti Tassofesso…" elencò Charlie. "Allora, come dobbiamo
chiamarti, stellina?".
"Non stellina, Weasley" sibilò Tonks,
lanciandogli l’ennesima palla di neve a vuoto. "Io non sono la stellina di
nessuno, tanto meno di due infami come vuoi!".
"Lo sai che con questo atteggiamento non
troverai mai un povero diavolo disposto a sposarti, vero?".
Tonks si bloccò a metà lancio, scioccata.
"Questa era cattiva, Weasley…" mormorò, voltandogli le spalle.
Oliver e Charlie si scambiarono un’occhiata,
sorpresi: mai si sarebbero aspettati che Tonks potesse prendersela così tanto
per una cosa simile. Insomma, era la stessa ragazza che aveva mollato un calcio
nelle parti basse a un Serpeverde tre volte lei che aveva fatto commenti poco
gentili sulle sue curve!
"Ehi, Tonks" la chiamò Charlie, cauto.
La ragazza lo ignorò, restando girata e
rifiutando di guardarlo.
"Doretta" riprovò Charlie, sperando di farla
arrabbiare. "Stellina… Ninfadora!".
Ancora nessuna risposta.
"Accidenti, ho idea che se l’è presa sul
serio, stavolta" commentò Oliver, guadandola preoccupato. "Che
facciamo?".
Già, che facevano? Non potevano lasciarla lì,
avrebbe rischiato di morire assiderata, ma se lei nemmeno li guardava in
faccia…
Si avvicinò a passi lenti. "Dai, Tonks, non
volevo farti arrabbiare…".
"Ah no?" fece la ragazza, in tono
piagnucoloso.
Merlino, ma stava piangendo? In sette anni
che la conosceva, non l’aveva mai vista versare mezza lacrima, considerato che
era più il tipo da reazioni violente, e adesso era bastato così poco per
offenderla così tanto? Gliene aveva dette di molto peggiori: non riusciva a
credere che la minaccia di rimanere zitella potesse toccarla tanto.
"Ma certo che no! Non credevo che potessi
prendertela tanto… Mi dispiace".
"Ah, gli dispiace" sbuffò Tonks. "Pensi che
mi basti il tuo dispiacere?".
"Andiamo, stavo solo scherzando" cercò di
ammansirla Charlie.
Nel frattempo le era arrivato alle spalle,
fece per appoggiarle una mano sulla spalle, ma prima che potesse anche solo
sfiorarla, Tonks si voltò con un gesto fulmineo e lo ribaltò, facendolo cadere a
sua volta.
Prima che Charlie riuscisse a capire come
avesse fatto il mondo a rivoltarsi, si ritrovò una soddisfatta Dora seduta
comodamente sul suo sterno che se la rideva di gusto. "Oh, non posso credere che
tu ci sia cascato!" rise, infarinandogli la faccia di neve. "Voi uomini siete
proprio dei boccaloni: alla prima finta lacrima che vedete, vi sciogliete come
burro al sole!".
"Tu, piccola befana!" le inveì contro
Charlie, cercando di liberarsi senza successo. Piccola, ma pesante, la
creatura!
"Oh, vai sempre meglio, Weasley" ridacchiò
Tonks. "Prima mi da della zitella, poi della befana: sai proprio come far cadere
ai tuoi piedi una donna!".
"Beh, non lo sei, forse? Una befana, intendo,
non zitella!".
"Chi, moi?" fece la ragazza indicandosi con
aria angelica, per poi modificare repentinamente i suoi connotati in quelli di
una vecchia strega da fiaba. "Forse solo un pochino…".
"Solo un pochino? Tu sei la quint’essenza di
una befana" dichiarò Charlie, indispettito cercando di scacciarsi la neve dagli
occhi. "Riconfermo la mia prima ipotesi: tu morirai sola con ventisette
gatti!".
"Sai, Charlie-Boy" osservò Tonks, in tono
meditabondo, riprendendo il suo aspetto abituale, "non so quanto sia furbo
mettersi a insultare qualcuno che ti sta seduto sul torace impedendoti i
movimenti e con a portata di mano particolari zone del tuo corpo… Quanti
fratelli hai, esattamente?".
"Cinque fratelli e una sorella" rispose
Charlie, fissandola con aria inquisitoria. "Perché?".
"Oh, mera garanzia: non volevo privare tua
madre della possibilità di diventare nonna, in futuro…".
"Non oseresti…" disse senza troppo
convinzione Charlie.
"Chi, la befana zitella innamorata di Piton?
Io dico che oserebbe…".
"Oliver, aiutami!".
Oliver fece per muovere un esitante passo
nella sua direzione, ma Tonks lo fermò ammonendolo con il dito. "Non ti
avvicinare, Oliver, o sarai il prossimo, giuro!".
"Ma mi abbandoni così?!" gridò Charlie,
vedendo che il ragazzino si fermava di botto. "Che razza di amico
sei?".
"Uno che ci tiene a restare tutto
intero".
Charlie lo guardò con aria offesa, mentre
Tonks ridacchiava malefica. "Allora, Weasley…" disse, mentre con le mani
cominciava a mettere insieme una grosso palla di neve.
"Allora, Tonks…" le fece il verso Charlie,
seguendo ogni suo movimento come se fosse stata una tigre famelica. "Hai
intenzione di stare lì finché non ci trasformeremo in pupazzi di
neve?".
"Beh, può darsi: sei comodo" dichiarò lei,
finendo di compattare la palla per poi farla levitare sopra il naso di
Charlie.
"Che vuoi fare?".
"Chi sarebbe la befana?" cinguettò Tonks
invece di rispondere. "E bada a come rispondi o ti ritroverai neve perfino nelle
mutande!".
"Non tu" rispose subito Charlie, ben conscio
che la ragazza non avrebbe esitato due volte a mettere in pratica le sue
minacce. Pochi metri più in là, Oliver se la rideva di gusto. "Tu sei la persona
più dolce, gentile e amabile che abbia mai conosciuto".
"Ne ero convinta… E chi dovrebbe morire sola
con ventisette gatti?".
"Ma che scherzi? Qualunque uomo sarebbe più
che fortunato a diventare tuo marito!".
"Ah, bene… E com’è che NON mi devi chiamare
per nessuna ragione al mondo?".
"Ehm, Doretta, stellina o
Ninfadora".
"Soprattutto Ninfadora!".
"Soprattutto Ninfadora" le fece subito eco
Charlie.
Tonks si stiracchiò con aria soddisfatta,
schiacciando ancora di più il ragazzo sotto di sé. "Ah, voi uomini siete come
cuccioli duri di comprendonio, ma basta qualche minaccia alla vostra virilità
per trasformarvi in docili agnellini… Bravo, Charlie, bravo!" approvò, dandogli
un buffetto sulla guancia.
"Potresti togliere quella cosa da sopra il
mio naso, per favore" domandò Charlie, indicando la palla di neve che ancora
volteggiava sopra la sua testa.
"Beh, dipende…".
"Da cosa?" sbuffò Charlie esasperato. "Mi sto
congelando qua sotto…".
"Quando mi sposerò (perché, in un futuro
molto, molto lontano, quando mi sentirò professionalmente realizzata e mi
riterrò pronta a condividere ogni cosa con un altro essere umano, io mi
sposerò), mi farai da testimone?".
Per un attimo, Charlie non rispose, troppo
spiazzato dalla proposta. Soltanto Tonks poteva chiedergli una cosa simile
appollaiata sul suo sterno mentre entrambi stavano affondando nella neve e
rischiando una polmonite. "Se sarò ancora vivo perché il tuo fondoschiena non mi
ha spiaccicato organi vitali e se mi assicuri che dopo ti levi dalle scatole,
sì, ti farò da testimone".
"Giuri?".
"Che cosa vuoi, un giuramento di sangue?!"
sbottò Charlie. "Sì, te lo giuro, prometto, che mi possano cadere tutti i
capelli se non ti farò da testimone, quando ti sposerai in un futuro molto,
molto lontano quando ti sentirai professionalmente realizzata eccetera,
eccetera… Ora, per cortesia, potresti gentilmente toglierti? Mi sto ghiacciando
e il tuo didietro mi sta distruggendo il costato!".
"Ok, ok, mi alzo" lo accontentò Tonks,
balzando in piedi e poi aiutando lui a fare lo stesso.
"Devo trovarmi nuovi amici" sbuffò il ragazzo
massaggiandosi il petto. "Sei troppo violenta per i miei gusti!".
"Che ci vuoi fare… Da parte di mamma, si
sposavano tra cugini, è normale che ci sia qualche tara genetica vagante… Oppure
è quello che succede mischiando il sangue Black con quello di un Nato
Babbano".
"Cioè la prova vivente che i Purosangue
dovrebbero accasarsi solo con altri Purosangue, se questo è il risultato! Ahio!"
protestò, quando Tonks lo colpì con uno scappellotto. "Tu puoi prenderti in giro
e io no, scusa? Ehi, Ollie, grazie mille per il tuo non-aiuto, eh!".
Oliver arrossì leggermente, avvicinandosi.
"Vuoi forse insinuare che se le situazioni fossero state invertite, tu non
avresti fatto esattamente come me?".
Charlie ci pensò sopra un attimo e alla fine
dovette concordare. "Già, è vero… Merlino, Ollie, ci facciamo manovrare come
burattini da questa pazza psicopatica!".
"Alla faccia di chi dice che le donne sono il
sesso debole!" rise Tonks, dando delle condiscendenti pacchette sulle teste dei
due amici. "I miei piccoli, fedeli schiavetti…".
"Ok, ora basta o giuro che farò scappare lo
sposo quando sarà il momento" la minacciò Charlie.
Prima che Tonks potesse rispondere a tono,
intervenne Oliver. "Ah, Charlie, hai fatto cadere questo" disse porgendogli la
scatola di Cioccorane, il suo regalo di compleanno.
"Avanti, aprilo!" lo incitò Tonks con gli
occhi luccicanti.
Charlie la guardò di sbieco, non capendo il
motivo di tanto entusiasmo: in fondo erano solo Cioccorane. "Veramente, adesso
non mi va…".
"Ti ho detto di aprirlo!" lo interruppe la
ragazza, virando su una preoccupante tinta scarlatta che fece capire a Charlie
che eventuali repliche avrebbero potuto avere conseguenze dolorose… Per
lui!
Sbuffando e prendendo mentalmente nota di
cercarsi amici dal carattere più stabile, Charlie litigò per qualche minuto con
la chiusura della scatola a causa dei guanti che gli impacciavano i movimenti e
quando infine riuscì ad aprirla, rimase abbastanza sorpreso nel constatare che
insieme ai dolciumi c’erano anche un foglio di pergamena ripiegato.
"Che roba sarebbe?" domandò, tirandolo fuori
per poi guardare interrogativo Oliver e Tonks che ridacchiavano sotto i
baffi.
"Avanti, leggi" lo spronò la ragazza. "Ma ti
devo dire tutto io?!".
Charlie ubbidì: erano poche righe,
scribacchiate nella disarticolata calligrafia di Tonks che lo lasciarono
incredulo a fissare il foglio.
"Mi sa che l’abbiamo scioccato troppo…"
osservò Oliver.
"Andiamo, Charlie-Boy, respira!" lo
incoraggiò Tonks, preoccupata.
"Che… che roba è? Cosa significa?" riuscì
alla fine ad articolare il ragazzo.
"Il tuo regalo" chiocciò con aria ovvia la
ragazza.
"Mi avete regalato un viaggio in Romania?"
soffiò Charlie, allibito.
"Per le vacanze di natale" confermò
Oliver.
"Così potrai andare a vedere dal vivo quelle
bestie sputa fuoco, dentute e squamose che tanto ti piacciono!" aggiunse
Tonks.
"Ragazzi…". Charlie scosse il capo, cercando
di schiarirsi i pensieri, inutilmente: all’improvviso la sua mente era stata
invasa da immagini di grandi, immensi, magnifici draghi e dalla possibilità di
poterli vedere da vicino. Si costrinse a tornare coi piedi per terra. "Ragazzi,
non posso accettare".
"COSA?!" esclamarono sbigottiti gli altri
due. "Cosa vuol dire che non puoi accettare?!".
"È un pensiero bellissimo, sul serio, ma non
posso accettare" ribadì Charlie, per quanto fosse ben poco entusiasta di dire
quelle parole. "È troppo: vi sarà costato un patrimonio!".
"Oh, ma mica abbiamo pagato solo noi" lo
rassicurò Oliver. "L’idea l’ha avuta Tonks, è vero…".
"Però per i soldi hanno collaborato anche
altri, sennò col cavolo che riuscivamo a mettere insieme abbstanza!".
"Altri? Quali altri? Non ne avrete parlato ai
miei, spero?".
"Ti pare che ho tatuato ‘cretina’ in fronte?
Lo so come reagirebbe tua madre…".
"E allora quali altri?".
Tonks alzò le spalle. "Boh, un po’ di gente…
In mezzo alle Cioccorane, ci dovrebbe essere, oltre ai dettagli del viaggio,
anche la raccolta firme: hanno collaborato in tanti, sai…".
Oliver annuì. "Tutta la squadra di Quidditch,
tanto per cominciare, buona parte dei Grifondoro del tuo anno, Fred e George
(non chiedermi dove hanno trovato i soldi, non lo so), Hagrid, Bill, perfino
Silente…".
"Siete andati a elemosinare soldi da
SILENTE?!" quasi strillò Charlie, rischiando di strozzarsi con la sua stessa
saliva: d’accordo che Tonks era nota per la sua faccia tosta, ma quello era
troppo anche per lei!
"Beh, veramente ci ha sentiti mentre ne
parlavamo in corridoio" spiegò Tonks. "Praticamente mi ha messo i soldi in mano
quando ha capito a cosa servivano: che potevo fare, buttarli via?".
Charlie scosse il capo, sempre più basito:
tutti quanti si erano mobilitati a quel punto per lui? "Sì, ma non posso
comunque…".
Cercò di rimettere la scatola in mano a
Tonks, che lo respinse. "Tu puoi, vuoi e devi andare! Altrimenti ti ci trascino
io! Forza, te lo leggo in faccia che muori dalla voglia di
accettare…".
Charlie guardò prima lei, poi la scatola di
Cioccorane nei cui meandri si celava la possibilità di realizzare uno dei suoi
più grandi sogni: solo due settimane prima, aveva consigliato a Bill di
accettare il lavoro come Spezzaincatesimi e di partire per l’Egitto e ora non
voleva seguire il suo stesso suggerimento? D’accordo che la sua era una vacanza
ed sarebbe stato solo per qualche giorno, ma sarebbe stato ipocrita fingere che
la proposta non gli facesse gola… In verità, moriva dalla voglia di poter
verificare dal vivo se l’Ungaro Spinato era così impressionante come lasciavano
trasparire le illustrazioni dei libri che aveva letto.
"Io non so cosa dire".
"Un semplice grazie basterà" rispose
Oliver.
"E la promessa di tornare tutto intero"
aggiunse Tonks. "Non vorrei che qualche drago ti mangiasse un arto…".
"Prometto di tornare integro… Sarebbe
complicato farti da testimone senza una gamba!".
"Beh, farò in modo di scegliermi un marito
gobbo, così non si noterà!".
"Equo compromesso… Ma penso sia più facile se
ritorno con gambe e braccia al loro posto".
"Sì, probabile…".
Charlie esitò un attimo, poi il viso si
distese in un’espressione di autentica gioia. Con la mente era già volato in
Romania: probabilmente non li avrebbe nemmeno potuti avvicinare i draghi, ma
sarebbe stata un’esperienza fantastica comunque. "Grazie, ragazzi: non potevate
farmi un regalo più bello!".
LYRAPOTTER’S CORNER
Eccomi qua, nuovo capitolo, nuovo
personaggio, nuova corsa: questa shot, anche se non era nei piani originari,
forma una specie di dittico con quella precedente, visto che siamo nello stesso
periodo e c’è affinità di toni e argomenti. Spero che nessuno trovi improbabile
l’amicizia tra Charlie e Tonks: il Lexicon li mette coetanei e nella mia mente,
anche se sono in case separate, li ho sempre immaginati molto amici. Il buon
rapporto con Hagrid invece si rifà direttamente alle affermazioni di
quest’ultimo nei libri.
Grazie a
Deidara, spero
che anche questo capitolo ti abbia divertito… Adesso mancano solo quella di
Natale e quella del compleanno di Voldemort, il 31
Julia Weasley, benvenuta a bordo, sappi che non è mai troppo tardi, nuovi lettori
sono sempre i benvenuti… Guarda, quella sulla McGranitt ha riscosso un successo
di cui nemmeno io mi capacito, mai più avrei pensato che ricevesse tanti
consensi, tanto che nella mia testolina si sta pure formando l’ideuzza di
inaugurare una raccolta tutta in argomento, una volta archiviata questa… Ma per
il momento, è solo un castello in aria… Felice che il piccolo Orion ti abbia
fatto ridere, decisamente un effetto migliore di quello che mi fa il
tuo!!!!!!
nefertari83, prima di tutto, ringraziamento obbligatorio per essertela letta
tutta di fila: grazie, grazie, grazie!!!! Su Ted Tonks, non sei tu che ricordi
male, è la traduzione italiana che fa schifo: pure io per molto tempo sono stata
convinta che Ted fosse Babbano e basta, poi quando ho letto HP7 in inglese ho
scoperto (o meglio ho capito) che in realtà Ted è un Muggle-Born, ovvero un mago figlio di
Babbani, in parole povere è come Hermione. Il problema di fondo per questo
malinteso è la maldestra traduzione del termine di cui sopra, che avranno reso
in almeno dieci modi diversi… Morale della favola, comunque, Ted è un
mago.
Half Blood, spero di non aver deluso le tue aspettative, allora!
pometina94, secondo fratello Weasley semi sconosciuto, questo anche più di
Bill, visto che appare in due libri e parla solo in uno (povero Charlie, non se
lo fila mai nessuno, autrice in primis!). I gemelli sono due miti, questo è
assolutamente innegabile. Alla prossima!
LadyMorgan, mia
carissima Silvia Beta, come ho già detto, i tuoi complimenti fanno involare il
mio ego nell’olimpo dei piccolo scrittori felici… Grazie, grazie,
grazie!!!!!!!!
Bon, con questo ho finito, vi lascio al
prossimo appuntamento, il 25/12 per natale,
ovviamente, sperando di riuscire ad aggiornare puntualmente!
See you soon!!!!!
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Capitolo 26 *** Natale ***
SPECIAL DAYS
Natale
25 dicembre 2007
Grimmauld Place n° 12
11.30
Caos, disordine e case sovraffollate: se
qualcuno avesse chiesto a Harry Potter di descrivere il suo natale tipo in tre
parole, sarebbero state probabilmente queste.
Il natale nella famiglia Weasley non era mai
stata una ricorrenza tranquilla, soprattutto quando i sette figli erano piccoli…
E come poteva esserlo, se ogni anno, sistematicamente, ognuno dei sette ragazzi
riteneva di non aver ricevuto quello che voleva ed in compenso preferiva di gran
lunga un regalo degli altri? Molly e Arthur ricordavano certe guerre
mondiali…
Ora, la Tana invece era un continuo viavai di
nipotini di varie età, in un numeroso clan che per certi versi poteva risultare
anche più litigioso del precedente.
Non che non ci fosse amore, anzi, ma provate
a mettere nella stessa stanza una decina di bambini di età compresa fra l’uno e
i nove anni, con i rispettivi genitori che in clima di feste tendevano a
regredire all’età infantile e probabilmente capirete…
"Ginny, sei pronta?".
Harry chiamò la moglie per la quarta volta,
guardando contemporaneamente l’orologio. Come d’abitudine, avrebbero finito con
l’essere i soliti ritardatari.
"Harry, vieni a prendere i tuoi figli!" gli
gridò di rimando Ginny dalla loro stanza.
Harry sbuffò: meno male che quando, dieci
minuti prima, si era offerto di portare giù James e Al, lei avesse detto "Ma no,
figurati, non mi danno nessuno fastidio…".
Ma tant’è: alla terza gravidanza, Harry aveva
ormai imparato che contraddire Ginny per qualunque motivo, poteva essere molto
pericoloso. "Eccomi, arrivo" disse perciò, facendo le scale tre gradini alla
volta.
"Che succede?" domandò una volta arrivato
nella loro camera da letto, dove James era intento a testare la resistenza della
sua mini Pluffa nuova lanciandola contro ogni oggetto che gli capitava a tiro,
inclusa (da quello che Harry poteva intuire) la testa di suo fratello, che Ginny
ancora in vestaglia stava cercando di consolare.
"Succede che il tuo primogenito è un piccolo
criminale!" sbuffò la donna, prima di mettergli tra le braccia un piangente Al
che esibiva un principio di bernoccolo sulla fronte. "E succede che non mi entra
più niente!" aggiunse subito dopo, indicando la montagna di vestiti che
affollava il loro letto.
Harry corrugò la fronte, sistemandosi meglio
il bambino in braccio. "Hai comprato dei vestiti nuovi nemmeno una settimana fa"
protestò. "Non ci credo che non ti entrano nemmeno quelli!".
"Ti dico che non mi entrano" ribadì risoluta
Ginny, fissando con aria corrucciata allo specchio il proprio profilo da donna
al settimo mese di gravidanza. "Sono stati i primi che ho provato: non riuscivo
a chiudere la lampo!".
"Mamma è grossa come balena" si intromise
James, molto a sproposito.
Harry trattenne a stento la tentazione di
ridacchiare e solo davanti all’occhiata di fuoco che Ginny lanciò al
figlioletto. "Che cosa hai detto, piccolo maleducato?".
"Tio Ron lo dice" disse il bambino con
candore, guardando la madre un po’ spaventato. "Insieme a papi".
Ecco, lo sapevo che arrivava anche il mio
turno…
"Che cosa direste tu e Ron alle mie
spalle?".
"Ma nulla" cercò di difendersi l’uomo,
indietreggiando istintivamente e frapponendo abbastanza vigliaccamente il
piccolo Albus tra lui e la moglie arrabbiata. "Lo sai com’è fatto Ron: parla
sempre a sproposito… Non credevo che James ci stesse ascoltando…".
"Primo, dovresti saperlo che James assorbe
tutto quello che ci sente dire come una spugna" cominciò a elencargli Ginny.
"Secondo, quando diavolo Ron avrebbe detto una cosa del genere di fronte al
bambino?".
Harry ci pensò sopra un attimo. "La scorsa
settimana, penso, quando tu e le ragazze siete andate a fare
shopping…".
"Ah, ecco cosa succede a lasciarti solo con i
nostri figli per un paio d’ore…" commentò a mezza voce la donna. "Mi dai una
mano?".
"Cosa devo fare, cucirti un vestito qui sul
momento?" domandò ironicamente Harry. Mise Albus, finalmente acquietato, nel suo
box, e poi prese a frugare nel mucchio di vestiti.
"È inutile" gli disse Ginny con una smorfia
frustata. "Li ho già controllati tutti: o sono stretti o non sono adatti o hanno
qualche altro problema…".
"Oh, su amore, non stiamo andando a una cena
di gala" cercò di farla ragionare Harry. "Andiamo da tua madre per il pranzo di
natale: è una cosa informale, anche se non ti metti un abito da cerimonia non si
scandalizzerà nessuno…".
"Lo so, lo so" sbuffò la donna. "È solo
che…".
"Sì?".
"Penserai che sia una
stupidaggine".
"Tesoro, ti conosco da quando avevi dieci
anni, ci siamo fidanzati quando ne avevi quindici e siamo sposati da quando ne
avevi venti… Non mi permetterei mai di dire che quello che fai è una
stupidaggine…".
Ginny alzò gli occhi al cielo. "Ok, ok… Non
voglio sfigurare con Fleur".
Harry sgranò gli occhi così tanto che per
poco non gli schizzarono fuori dalle orbite. "Scusa, come?". Doveva aver capito
male: insomma, non poteva essere sul serio per quello. Perfino James e Albus
sembravano aver smesso di fare quello che facevano per ascoltare, tesi come
corde di violino.
"Quando Fleur era incinta di Louis, il suo
terzo figlio, era a dir poco sfolgorante; io invece assomiglio ogni giorno di
più ad una balena arenata sulla spiaggia, come ha giustamente sottolineato anche
quel cafone di mio fratello: per una volta, non voglio sfigurare con
lei!".
"Ok". Harry annuì, cercando di mantenere
un’espressione neutra. Ma trattenersi del tutto era impossibile. "Questa è una
stupidaggine".
"NON è una stupidaggine!" sbraitò Ginny,
battendo un piede in terra. "È una questione di principio: quella è riuscita a
rubarmi la scena perfino il giorno del nostro matrimonio!".
"Ginny, Fleur è una bella donna" osservò
Harry, con il tono di chi asserisce un fatto incontestabile.
Ginny gonfiò subito il petto, pronta a
rispondere per le rime, ma Harry fu più veloce. "E anche tu sei una bella donna…
Anzi, bellissima, la più bella del mondo e l’unica che mi sognerei mai di
guardare. Ma non puoi farne una questione di stato se Fleur è bella e la gente,
ehm, tende a notarla… A dirla tutta, credevo che aveste sepolto l’ascia di
guerra da un pezzo…".
"Uff, lo credevo anch’io". Ginny incrociò le
braccia, lasciandosi cadere sul letto. "È solo che a volte mi fa sentire così…
così maledettamente inferiore: dopo tre figli, ha ancora un fisico da far
invidia a una ventenne ed è sempre così gentile e tutto… Io invece ho sempre più
l'aspetto del mostro di Loch Ness e in questi giorni ho il carattere di un
Ungaro Spinato incavolato: francamente, non so come tu faccia a
sopportarmi".
"Ascolta, Ginny" disse Harry, sedendosi di
fianco a lei e poggiandole una mano sulla spalle, "ti amo come un pazzo e penso
che continuerei ad amarti anche se cominciassi a comportarti come un Ungaro
Spinato anche quando non sei incinta. Per quel che può valere, a mio giudizio,
sei diecimila volte più bella di Fleur Delacour Weasley o di qualunque altra
donna, ok?".
"Mamma bellissima!" s’intromise James, che li
aveva raggiunti e ora si attaccava alla gamba del padre per non perdere
l’equilibrio.
"Grazie, James" gli sorrise Harry,
prendendolo sulle ginocchia. "E di certo Al ti direbbe lo stesso se sapesse
parlare".
"E io dico che voi Potter siete tutti dei
grandi adulatori, nonché sviolinatori opportunisti" ridacchiò Ginny, dando un
buffetto al figlio.
"Credo che a due anni e mezzo, il concetto di
ruffianata non sia ancora stato assimilato, tesoro" obiettò Harry.
"E a ventisette?" domandò la donna con un
sopracciglio inarcato, prima di allungarsi verso di lui e dargli un bacio veloce
sulle labbra.
Harry le rivolse un sorriso sornione. "Ok, lo
confesso, miravo a ottenere un po’ di coccole dalla mia bellissima, dolcissima e
per nulla fuori forma moglie…".
"Mmmm, sviolinatore opportunista" ribadì di
nuovo Ginny. "Mi dai una mano ad alzarmi, così poi cerco qualcosa da
mettermi?".
Harry riposò in terra James e, mentre la
donna riprendeva la ricerca nel mucchio di abiti abbandonati sul letto, guardò
di nuovo l’orologio. "Senti" disse, rendendosi conto che si stava facendo tardi
sul serio, "ti spiace se mi avvio? Avevo promesso ad Andromeda che passavo a
prendere Teddy e sono già in ritardo…".
"Oh, certo, va pure" disse distrattamente
Ginny, mentre studiava un maglioncino verde. "Ci vediamo direttamente alla
Tana?".
Harry annuì e le diede un bacio veloce sulla
guancia. "Vedi di non metterci delle ore: dubito che tua madre potrà tenere
sotto controllo lo stomaco dei tuoi fratelli più di tanto…".
"Non ti preoccupare… Salutami Andromeda e
vedi se riesci a farle cambiare idea: mamma ne sarebbe felice…".
Harry fece per avviarsi quando qualcuno lo
tirò per la gamba dei pantaloni. "Papi, voio venire…" lo implorò James sgranando
gli occhi castani.
Harry sospirò: forse, dopotutto, James aveva
afferrato anche troppo bene il concetto di ruffianata, visto che riusciva
immancabilmente a rigirarsi i genitori come voleva. "E va bene, piccolo
Malandrino" gli concesse, prendendolo in braccio. "Ginny, rapisco il tuo
primogenito se non è un problema…".
"Coprilo bene" gli raccomando la donna con
una nota d’ansia nella voce. "Fa freddo fuori".
"Sì, mamma" la salutò Harry con un cenno
della mano. "Ciao, mamma".
"Ciao, mamma" gli fece eco James.
Casa Weasley
11.30
Ron osservava con aria perplessa la porta
chiusa del suo bagno. "Hermione, ma ti vuoi muovere?" chiamò, bussando per la
quinta volta in una decina di minuti. "Faremo tardi…".
Era una situazione quasi irreale: era forse
la prima volta da quando conosceva sua moglie che non era lui quello in ritardo.
Dall’interno non giunse risposta se non un
indistinto brontolio.
"Ok, ho capito…" borbottò Ron, anche se in
realtà non aveva capito proprio nulla.
Tornò nella sua camera, dove Rose, già tutta
vestita e agghindata, lo stava aspettando paziente in quella trappola Babbana
per bambini che Hermione chiamava box.
Con un sorriso, Ron la prese in braccio.
"Eccola qua, la mia bambolina… La mamma ci sta facendo fare tardi, sai, Rosie? E
per una volta potrò dire alla nonna che non è colpa mia!".
"Gah!" dichiarò Rose con un sorriso mezzo
sdentato.
Ron non era certo di come interpretare quel
suono, visto che Rose al momento diceva tre parole: mama, pipi e gah, e
quest’ultima non aveva nessun apparente significato. Decise perciò di
considerarlo un cenno d’assenso per la sua causa. "Brava, tesoro, ricordati di
darmi sempre ragione anche in futuro…".
"Gah!".
"Ho idea che la mamma sia in un periodo
critico del mese, sai Rosie…" continuò l’uomo, pur conscio che la bambina non
stava probabilmente capendo una parola, ma pareva felice di ricevere tante
attenzioni. "Promettimi che non diventerai mai come tua madre, bambolina,
promettimelo!".
"Mama!" disse lei, battendo le manine,
estasiata.
Il sorriso di Ron si afflosciò un pochino.
"Risposta sbagliata, Rose… Da brava, dì ‘sì, papà, non diventerò mai come la
mamma’".
Rose lo guardò un attimo con aria vagamente
perplessa prima di dire: "Papa!", causando al povero Ron un mezzo scompenso
cardiaco.
Per poco, infatti, l’uomo non la fece cadere
per l’emozione. "Che hai detto? Puoi ripetere?".
"Papa!" ripeté ubbidiente la bambina,
fissando con un sorriso il genitore.
"Oh, per le mutande di Mer-… Hermione!"
gridò, tornando alla porta del bagno e prendendo a tempestarla di pugni, con
Rose che lo fissava perplessa. "Hermione, apri questa dannata porta sì o
no?".
La porta si aprì davvero, questa volta,
prendendo Ron talmente alla sprovvista che per poco non centrò la moglie sul
naso.
"Ronald, che diamine vuoi fare? Demolire la
casa?" lo rimbeccò la donna.
"Rose mi ha chiamato papà!" esultò Ron,
troppo felice per prestare attenzione ai suoi rimproveri. "Mi ha chiamato papà,
capisci?!".
"Beh, sei suo padre, no?" osservò Hermione,
sorpassandolo per tornare in camera.
L’entusiasmo di Ron si sgonfiò un pochino,
mentre seguiva la moglie. "Sì… Ma è la prima volta… Non ti capisco, Hermione:
quando ti ha chiamato mamma per la prima volta, ancora poco e ti organizzavo una
parata". Si bloccò un attimo, scrutando il viso pallido si lei. "È successo
qualcosa? Sei bianca come un lenzuolo…".
"Ron, metti giù Rose…".
Al che Ron si preoccupò sul serio e per
contro si strinse la bambina contro il petto con ancora più forza. "Perché?"
domandò guardingo.
"Perché non voglio che tu la faccia cadere
per sbaglio… Metti la bambina nel box e siediti!".
C’era un che di magico nel modo in cui
Hermione dava ordini: anche a distanza di anni, quando usava quel tono, Ron si
sentiva sempre spinto a ubbidire senza sollevare la minima obiezione. Infatti,
stava già posando la figlia nel box quando saltò su all’improvviso, sbraitando:
"Eh no! Non mi rigiri in questo modo, cara: non sono più un bambino! Dimmi che
diavolo sta succedendo e basta! Sei stata chiusa in bagno venti
minuti!".
Hermione sospirò con aria rassegnata. "Sono
incinta… Di nuovo".
Ron non fece cadere Rose, no… In compenso
rischiò seriamente di cadere lui in prima persona, portandosi dietro per
estensione anche la bambina, se non che grazie ai suoi riflessi pronti, Hermione
fece apparire una poltrona che parò il tracollo dell’uomo.
"Incinta?" ripeté Ron, senza essere
consapevole nemmeno del fatto di essere seduta. "Ma incinta,
incinta?".
Hermione lo guardò con un sopracciglio
inarcato. "Quanti modi di essere incinta ci sono, Ronald?".
"Ma… ma…".
Con un sospiro, Hermione si avvicinò al
marito, chinandosi su di lei. "Andiamo Ron, non vorrai ripetere le stesse scene
dell’altra volta, vero? Ci siamo già passati…".
Già, entrambi ricordavano quando Hermione
aveva annunciato di aspettare Rose: Ron era prima caduto in una sottospecie di
stato catatonico, continuando a balbettare frasi sconnesse prima di svenire; per
i successivi nove mesi, lei e Harry erano stati poi impegnati a cercare di
convincerlo che sarebbe stato un buon padre. La donna non era certa di poter
sopportare tutto un’altra volta. "Ron? Ron, dimmi qualcosa…".
Ron la guardò come se la vedesse per la prima
volta, sbatté le palpebre un paio di volte, poi un sorriso ebete gli si dipinse
in volto. "Amore, è stupendo!".
L’avrebbe abbracciata seduta stante, ma per
fortuna era tornato in sé quanto bastava per ricordarsi di avere ancora Rose tra
le braccia. Così si limitò a baciarla stringendola con un braccio. "È il miglior
regalo di natale che potessi farmi!".
"Avevo paura che stessi per svenire di
nuovo…" mormorò Hermione, sorridendo.
"Già, anch’io l’ho pensato…" confermò Ron.
"Rosie, hai sentito, stai per avere un fratellino…".
"Gah?".
"O una sorellina" precisò
Hermione.
"Papa!" dichiarò Rose.
La donna sorrise alla figlia. "Brava la mia
bimba… Forza, Ronald, dobbiamo andare o faremo tardi sul serio!".
Ron annuì, alzandosi e rendendosi conto solo
in quel omento di dove fosse stato seduto. Fissò accigliato la poltrona. "Da
quando abbiamo una poltrona in mezzo alla camera da letto?".
Casa Tonks
12.00
"Teddy, hai intenzione di fare la posta a
quella finestra ancora per molto?".
Il ragazzino si voltò con una smorfia
infastidita verso la nonna che lo squadrava corrucciata. "Harry è in
ritardo".
"Lo vedo anch’io" disse Andromeda. "Ma non è
stando appollaiato su quel davanzale che lo farai arrivare prima… Scendi o
finirai con il farti male…".
Sbuffando con aria scocciata, Teddy saltò giù
dal davanzale in cucina dove si era sistemato per vedere se Harry stava
arrivando. "Nonna, mi arrampico lì sopra da quando avevo cinque
anni…".
"E sei caduto almeno un migliaio di volte,
Teddy: non ti sei mai fatto male solo perché hai la testa più dura del
marmo!".
"Il che significa che non mi farei male in
ogni caso, no, nonna?" obiettò il bambino.
"C’è sempre una prima volta per tutto" lo
rimbrottò Andromeda. "Lo sai che non mi è mai piaciuto vederti l’ha sopra…
Quando aveva la tua età, tua madre si è rotta due denti cadendo di faccia da
lì…".
"Io non sono mica come la mamma!".
Andromeda sorrise tristemente,
scompigliandogli i capelli quel giorno di un allegro verde smeraldo, per
conformarsi al clima festivo. "Hai perfettamente ragione: tu sei molto
peggio!".
"Non è vero!" protestò Teddy, infiammandosi
subito.
"Per quel che mi ricordo, non ho mai dovuto
portare tua madre al S. Mungo per una frattura multipla PRIMA dei sette
anni…".
"È stato un incidente" protestò il ragazzino.
"Che ne sapevo io che quel particolare tratto di strada fosse così
scivoloso…".
"Forse avresti dovuto immaginare che uscire
con la bici in gennaio e con le strade ghiacciate non era una buona
idea…".
Teddy incassò la critica con un sorrisetto.
"Ma io lo so… ora lo so".
Andromeda sospirò, rassegnata: più cresceva,
più diventava incontrollabile… Proprio come sua madre, pensò tristemente:
Dora le avrebbe risposto esattamente allo stesso modo, aggiungendo pure un "sei
troppo apprensiva, mamma: lasciami vivere la mia vita!". "Benissimo,
mostriciattolo… Ma non puoi salire sul davanzale comunque!".
Teddy emise un verso di protesta, ma si
astenne dal sollevare ulteriori obiezioni di fronte all’occhiata di fuoco che
gli lanciò Andromeda. "Posso prendere un biscotto?".
"Stai andando dai Weasley per pranzare: non
voglio che ti guasti l’appetito…".
"Uno solo" la implorò Teddy. "Un solo
biscotto al cioccolato e giuro che non salirò mai più su quel
davanzale".
"Già, certo, perché secondo te io ci credo,
vero Teddy? Come se non ti conoscessi…".
"Non ti fidi di me, nonnina? Con questo
adorabile faccino…" aggiunse il ragazzino, esibendo la sua migliore espressione
da cucciolo innocente.
Andromeda aprì la bocca per rispondere, ma
qualcuno la precedette. "Certo che non si fida di te… E fa pure
bene!".
Riconoscendo quella voce, Teddy si voltò con
un largo sorriso. "Harry! Sei in ritardo!". Fece per correre ad abbracciarlo ma
si bloccò vedendo che aveva le braccia occupate a reggere il piccolo
James.
"Già, mi spiace" si scusò Harry. "Problemi di
vestiario…".
"Eh?".
"Oh, nulla, ho dovuto aiutare Ginny a trovare
qualcosa da mettersi…".
Mentre James si sbracciava per salutarlo con
un largo sorriso, Teddy fece una smorfia. "Le femmine sono strane" affermò
deciso.
Harry ridacchiò. "Continua pure a mantenere
questo atteggiamento: non credo che tua nonna scalpiti dalla voglia di vederti
fidanzato…".
"Bleah, che schifo!".
Anche Andromeda rise. "Victoire non sarebbe
tanto contenta di sentirtelo dire" osservò con una luce divertita negli
occhi.
Lo sdegno di Teddy sembrò ulteriormente
amplificarsi a quelle parole. "Io non la voglio proprio una fidanzata, tanto
meno una appiccicosa come Victoire!".
"Sì, sì, va bene, fila a prendere il capotto,
piccolo criminale". Andromeda lo guardò filare via, prima di aggiungere, con un
ghignetto divertito. "Gli do cinque, massimo sei anni, prima di cominciare a
baciare la terra su cui Vicky cammina…".
"Io anche meno" concordò Harry. "Il tempo di
entrare nella pubertà…".
"Teddy bum" dichiarò James, sorridendo.
Per qualche oscura ragione, James aveva preso
l’abitudine di associare il nome di Teddy al verso ‘bum’: nessuno era ancora
riuscito a trovare un qualche motivo logico che potesse
giustificarlo.
"Già, Teddy bum" concordò Andromeda,
sorridendo al piccolo. "Goditelo finché poi: ho idea che questo piccolo
diventerà una peste come c’è ne sono state poche…".
"Ho quest’impressione anch’io: figurati che
ha cercato di uccidere suo fratello colpendolo in testa con la mini pluffa che
gli ha regalato George…".
"Bambini" commentò la donna.
Quasi a conferma delle sue parole, in quel
momento dal soggiorno giunse il fragoroso rumore di qualcosa che cadeva
distruggendo qualche oggetto fragile, subito seguito da un piuttosto eloquente:
"Non è colpa mia!".
"Ted Remus Lupin!" ruggì Andromeda. "Che cosa
hai distrutto questa volta?".
"Non è colpa mia" si difese il ragazzino
ricomparendo, vestito di tutto punto. "Non del tutto, almeno" si affrettò a
rettificare davanti allo sguardo scettico della nonna.
"Va bene, qualunque cosa sia, di certo non
l’hai fatto apposta" lo appoggiò velocemente Harry. "Dai, Andromeda, è pure
natale, per una volta lascia correre…".
Teddy annuì con vigore, sfoggiando di nuovo
la faccia da cucciolo pentito.
Lo sguardo di Andromeda saettò da uno
all’altro un paio di volte, poi chinò il capo con un sospiro esasperato.
"Sparite tutti e tre, prima che cambi idea e vi assegni un castigo
collettivo!".
Harry sorrise. "Andiamo, ragazzino, per oggi
l’hai scampata…".
Teddy non se lo fece ripetere e sfrecciò
fuori dalla porta alla velocità del fulmine.
"Sei sicura di non voler venire, Dromeda?"
domandò Harry sulla soglia.
La donna scosse il capo. "Quest’anno no,
grazie: non credo di poter sopportare tutto il caso weasley… E poi devo
sistemare il danno del piccolo uragano".
"Teddy bum!" disse di nuovo James, battendo
le mani.
"Già, Teddy ha decisamente fatto ‘bum’"
assentì Harry: forse aveva risolto l’arcano mistero. "Te lo riporto per
cena".
"Ma anche no" rise Andromeda salutandoli con
la mano.
La Tana
12.30
Teddy non fece nemmeno in tempo a varcare la
soglia della Tana che si ritrovò Victoire davanti. "Ciao, Teddy" lo salutò la
bambina, con un sorrisone.
"Oh, ciao, Vicky" la salutò il ragazzino con
aria molto meno entusiasta.
"Vieni a giocare?" gli propose, cominciando
nel contempo a trascinarlo per un braccio.
Teddy cercò il sguardo del padrino in cerca
di supporto, ma Harry si limitò a stringersi nelle spalle. "Sii gentile" gli
raccomandò.
Teddy sospirò, come se tutta la faccenda gli
richiedesse un immenso sacrificio, poi si lasciò trainare da Victoire. "Ok… Ma
niente bambole…".
Harry sorrise prima di seguirli in soggiorno
dove tutto il clan Weasley era riunito. "Buon natale a tutti".
"Oh, Harry caro, ben arrivato" lo salutò
Molly con un sorriso. "Aspetta, dammi i cappotti".
Harry la ringraziò, porgendole la sua giacca,
quella di Teddy e quella di James, prima di andare a sedersi tra Ginny e Ron sul
divano. "Ehi, Ron, che faccia che hai…" lo salutò. "Che ti è
successo?".
"Nulla, nulla" lo tranquillizzò Ron, pur
senza riuscire a cancellare il sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
"Te lo dico un’altra volta…".
Harry corrugò la fronte e cercò lo sguardo di
Ginny per delucidazioni, ma la donna si limitò a scrollare le spalle. "Nemmeno
Hermione mi ha detto nulla… Andromeda non è voluta venire alla
fine?".
Harry scosse il capo, con aria dispiaciuta.
"Ha detto di voler stare da sola…".
Ginny si morse il labbro, con aria un po’
preoccupata. "Sola con dei vecchi album di foto, scommetto…".
"Non potevo mica obbligarla a
venire".
"Harry ha ragione, sorellina" intervenne Ron.
"Andromeda è grande abbastanza per decidere come gestire la sua
vita…".
"Ehi, ecco qua il mio nipote
preferito".
George comparve a sorpresa alle loro spalle e
sollevò James prima che qualcuno potesse fermarlo. "Diventi più Weasley ogni
giorno che passa" disse con sguardo d’approvazione. James ridacchiò quando gli
passò la mano tra i capelli rossi. "Ottimo lavoro, Gin".
"Perchè ha fatto tutto da sola, vero?"
obiettò Harry.
"Tu ti sei riservato la parte divertente,
tesoro" lo rimbrottò Ginny, dandogli una leggera manata alla spalla. "Il lavoro
duro l’ho fatto io, perciò me ne prendo il merito… E poi George ha ragione a
dire che è tutto un Weasley: se vuoi, ti cedo Albus, che sembra la tua copia
carbone…".
"Molto gentile, amore".
"Ehi, dobbiamo portare avanti la tradizione
Weasley" gli ricordò George con aria d’importanza. "Finora, solo James, Rose e
Louis hanno mantenuto la chioma rosso fiamma targata Weasley e solo Louis
porterà avanti il cognome… È una questione di principio: volete perdere il
nostro marchio di fabbrica in matrimoni misti?".
"Se sei tanto ansioso di portare avanti il
nostro ‘marchio di fabbrica’" osservò Ron, ridacchiando, "quand’è che tu e
Angelina vi deciderete?".
"Deciderci a fare cosa?" si intromise la
suddetta, sbucando alle spalle del marito e sorridendo dolcemente a James.
"Ciao, cucciolo, ma quando sei carino…".
"George ci stava arringando sull’importanza
di perpetuare il gene Weasley nelle prossime generazioni" rispose Ginny,
accarezzandosi la pancia.
"E io stavo appunto chiedendogli quando voi
due avreste dato il vostro contributo" aggiunse Ron, ridacchiando senza
ritegno.
"Ah" fu il commento di Angelina, che abbassò
lo sguardo a disagio.
"Andiamo, Ron" disse George, sorridendo.
"Praticamente siamo ancora in luna di miele…".
"Siete sposati da quasi due anni" puntualizzò
Ron con fare polemico
"Appunto, praticamente in luna di miele… Mica
siamo tutti come te e Harry…".
"Dovrei sentirmi offeso da questa
affermazione?" fece quest’ultimo, corrugando la fronte. Ginny scosse il capo,
accarezzandogli la testa. "Annuisci e basta, tesoro… È l’unico modo per rimanere
sani di mente certe volte… E tu Ron, smettila: la vita sessuale di George e
Angelina non è affar tuo…".
"Andiamo, se pure Percy ha avuto il coraggio
di riprodursi…".
"Percy ha fatto che?".
Ron si voltò per trovarsi il viso corrucciato
del fratello maggiore a un centimetro dal suo. "Di che state
parlando?".
"Ron si impicciava della vita altrui" rispose
Ginny. "Niente di nuovo…".
"Veramente è stato George a
cominciare…".
"E tu hai continuato…" ribatté
quest’ultimo.
"Qui la cosa comincia a degenerare, mi pare"
si intromise Harry, senza essere ascoltato più di tanto.
"Ho solo fatto una semplice domanda… Domanda
a cui tu non hai ancora risposto".
"Che domanda?" fece Percy.
"Parlavano di figli" gli rispose Ginny. "Ron
da’ a George il tormento perché non vuole ancora avere figli…".
"Scusa, ma il figlio lo deve fare con
te?".
"No".
"E allora che diamine ti frega se non vuole
ancora avere figli? Saranno poi fatti suoi e di Angelina… E non ho capito bene
perché hai tirato in ballo me…".
In quel momento anche Bill fece la sua
comparsa, con un largo sorriso. "Ehi, pulcini, vi state già scannando? Mamma non
ha nemmeno servito il primo…".
"Non ci stiamo scannando" protestò
George.
"Stiamo avendo una sana e civile discussione"
lo corresse Ron.
"A toni un po’ animati" concluse
Ginny.
"A che proposito?".
Sentendosi decisamente di troppo e con la
vaga impressione che la discussione avrebbe tirato per le lunghe, Harry decise
che il divano non era decisamente il posto migliore dove trovarsi in quel
momento, perciò si defilò con una scusa… Non che qualcuno stesse badando a lui,
beninteso.
"Serve una mano?" domandò una volta approdato
in cucina, dove la signora Weasley, Fleur, Hermione e Audrey stavano dando gli
ultimi ritocchi al pranzo e nel contempo coccolando la piccola Molly sotto lo
sguardo geloso di Dominique.
"Ehi, che succede di là?" domandò Hermione,
perplessa.
"Discussione tra fratelli" fu la spiccia
risposta. "Inutile dire che quando anche pure Bill si è infilato dentro, mi sono
sentito di troppo…".
Le donne gli sorrisero comprensive. "Ti
offriamo asilo nel nostro regno, allora" disse Audrey. "Tra Weasley acquisiti,
questo e altro…".
Fleur gli allungò uno sgabello, sorridendo.
"Tieni, Arrì".
"E questa" aggiunse Hermione, passandogli una
burrobirra. "Di che discutono i bambini troppo cresciuti di là?".
"Perpetuazione della specie".
"CHE COSA?!". Le quattro donne lo guardarono
con tanto d’occhi.
"Che cosa intendi dire, Harry
caro?".
Harry corrugò la fronte. "Non ne sono sicuro…
È cominciata con George che diceva che James assomiglia tutto a sua madre e
quando me ne sono andato stava proseguendo sui toni ‘se pure Percy ha fatto un
figlio, può farlo chiunque!".
"Chi è che avrebbe detto questo?" domandò
Audrey, con aria un po’ inviperita.
"Mmmm, Ron, mi pare…".
Hermione scosse il capo con aria sconsolata.
"Chissà perché ci avrei scommesso che era stata quella mano delicata di mio
marito…".
In quel momento la porta si aprì ed entrò
Angelina, che teneva in braccio un James dall’aria un po’ confusa. "Harry, credo
che questo sia tuo…" gli disse porgendogli il bambino.
"Grazie".
"Di nulla". Anche Angelina prese posto,
facendosi servire un altro bicchiere. "Quando Ron ha cominciato a sbandierarlo a
sostegno delle sue tesi, ho creduto fosse il caso di salvarlo…".
"Te ne saremo eternamente grati" ribatté
Harry, preferendo non interrogarsi sul perché non fosse stata Ginny a mettere in
salvo il loro primogenito.
"Ma di cosa stanno discutendo ancora?"
domandò Hermione, curiosa suo malgrado.
"In parole povere, George è convinto che in
un paio di generazioni non ci saranno più Weasley coi capelli rossi, Percy è
offeso perché gli altri trovano ancora stupefacente che qualcuno l’abbia
sposato, Ginny gioca alla svizzera e non prende posizione precisa, Bill cerca di
sedare gli animi e Ron, chissà perché, sembra convinto che sia di vitale
importanza che mi faccia mettere incinta questa sera stessa… Qualcuno mi passa
un biscotto?" concluse con semplicità.
"In altre parole, la solita riunione di
famiglia…" commentò la signora Weasley, in tono rassegnato. "E io che mi
illudevo che con l’età sarebbero maturati un po’… Invece, hanno semplicemente
cambiato oggetto di dispute… Qualcuno mi aiuta a portare il cibo in
tavola?".
Più o meno tutti i presenti si offrirono e
cominciarono a fare la spola tra la cucina e la salotto preventivamente
magicamente allargato per farci entrare il lungo tavolo da pranzo per le
ricorrenze famigliari. Nel farlo, le rispettive mogli interruppero l’edificante
dibattito e convinsero i mariti a fare qualcosa di utile.
"Chi ha vinto il dibattito?" si informo
Harry, mentre aiutava Ginny ad alzarsi dal divano.
La donna scrollò le spalle. "Boh, ci avete
interrotti sul più bello…".
"La faccenda stava giusto cominciando ad
entrare nel vivo" aggiunse Ron, raggiungendoli in quel momento con un vassoio
carico di patate arrosto. "Per la precisione, ero sul punto di farmi dire da
George perché non vuole ancora avere figli…".
"Oh, ma ti ci sei incaponito su questa
storia, eh, Ronald?!" sbottò Hermione. "Pensa ai tuoi di figli,
piuttosto…".
"Tuoi?" fece Ginny, con aria sospettosa.
"Perché hai usato il plurale?".
Hermione arrossì all’istante, rendendosi
conto della gaffe fatta. "Oh, cavolo… Avevamo deciso di aspettare un altro po’
prima di dirvelo…".
"Dirci che?" domandò Harry.
Ginny roteò gli occhi con aria esasperata. "A
volte hai lo spirito d’osservazione di una patata, Harry… Ma che aspetta un
bambino, no?".
"Tu aspetti…". Harry restò un attimo senza
parole, mentre Hermione annuiva sorridendo. "Ma è bellissimo!".
I due amici si abbracciarono, poi Harry
guardò Ron ridacchiando. "Adesso capisco il perché della faccia sconvolta di
prima… Sei svenuto anche stavolta?".
"Ehi!" protestò Ron, mentre Hermione diceva:
"Quasi…".
"E io ridico: ehi!".
"Ronald, se non c’ero io, ti saresti
spiaccicato sulla moquette di camera nostra!" sbuffò la donna. "E non provare a
negarlo…".
"Ok, ok, non negherò…".
"Comunque, congratulazioni" disse Ginny. "A
tutti e due…".
"Grazie".
In quel momento, un piccolo terremoto dai
vivaci capelli verdi si infilò nel gruppetto, nascondendosi dietro la schiena di
Harry. "Harry, mi devi salvare!".
Quest’ultimo guardò il figlioccio con un
sopracciglio inarcato. "Teddy, che cosa fai? Non stavi giocando con
Victoire?".
"Appunto! Oh, no…".
Victoire era appena sbucata nel salotto e si
guardava perplessa intorno nel chiaro intento di trovare il compagno di giochi.
Harry fece per attirare la sua attenzione, ma Teddy gli strattonò la giacca. "Ma
che razza di padrino sei? Aiutami!".
"Teddy, non possiamo restare qua tutto il
giorno" obiettò l’uomo. "Presto o tardi qualcuno potrebbe notare qualcosa di
strano… Ti avevo detto di essere gentile…".
"Ma sono stato gentile… Ma ora vuole che ci
sposiamo: io non voglio diventare suo marito!".
"Che cosa vorrebbe?" quasi gridò
Harry.
"Credo giocare a moglie e marito o qualcosa
di simile" gli venne in aiuto Ginny. "Giusto, tesoro?".
"Sì, sì, quella roba lì… Ma io non voglio
essere suo marito, grazie tante! Oh no, eccola che arriva…".
"Papà, hai visto Teddy?" stava infatti
domandando Victoire. "Diceva di voler andare in bagno, ma non è ancora
tornato…".
Bill si guardò intorno e non tardò ad
individuare il ragazzino, che continuava strenuamente a cercare di nascondersi
dietro la schiena del padrino.
"Harry, fa qualcosa…" gli sibilò, mentre su
indicazione del padre, Victoire si dirigeva nella loro direzione.
"Che cosa?" domandò questi, sentendosi preso
tra due fuochi.
"Non lo so, improvvisa…".
Mentre il povero Harry si lambiccava il
cervello in cerca di una soluzione che potesse salvare il figlioccio, la porta
d’ingresso si aprì. "Ehilà, c’è posto per un Weasley in più?".
"Charlie!" eslcamò Molly, correndo ad
abbracciare il secondogenito senza nemmeno dargli il tempo di entrare in casa.
"Ma che magnifica sorpresa!".
"Piano, mamma, così mi strangoli" la
rimproverò l’uomo, ricambiando l’abbraccio.
Salutò allo stesso modo il padre e poi
rivolse un saluto collettivo a tutti i fratelli, mentre si sfilava il cappotto.
"Mamma mia, che freddo che fa!".
"Zio Charlie!". Felice come una pasqua,
Victoire si precipitò verso lo zio, subito imitata da Teddy, già dimentico dei
propositi matrimoniali della bambina: per quanto vedessero Charlie di rado,
preso com’era dal suo lavoro in Romania, riusciva a farsi adorare dai più
piccoli. Anzi, proprio le sue visite sporadiche lo rendevano un ospite ancora
più gradito.
"Aiuto, un attacco di scimmie mutanti!" li
salutò Charlie, prendendone uno per braccio. "Accidenti Teddy, ma ti annaffiano
con il fertilizzante? Ormai non riesco più a tirarti su… E guardala qua, la mia
bambolina: diventi ogni giorno più carina, sai?".
"Ehi, fratellino, non ti aspettavamo…" lo
salutò Bill, arrivando a riprendersi la figlia.
"Come mai questa improvvisata?" aggiunse
Percy.
Charlie scrollò le spalle. "Ho qualche giorno
libero e ho pensato di passarlo a casa… Ma se vi do fastidio, posso sempre
andarmene…".
"Assolutamente no!" dichiarò Molly,
comparendo al suo fianco e arpionandolo per un braccio. "Tu non andrai proprio
da nessuna parte, Charles Weasley, capito? Sono mesi che non ti fai
vedere…".
"Per favore, mamma, puoi aspettare almeno il
dessert prima di farmi montare i sensi di colpa per essere un figlio
degenere?".
"Ha ragione, Molly cara" intervenne Arthur in
soccorso del figlio. "Lascialo respirare…".
"Oh beh, l’importante è che adesso tu sia
qui" dichiarò Molly.
"Appurato questo" dichiarò George, battendo
le mani, "io proporrei di metterci a tavola e pranzare: sto morendo di
fame…".
"George" sbuffò Angelina.
"Cosa?".
"Sei sempre il solito…".
"Ma se ho fame…".
"Pure io non disdegnerei mettermi a tavola…"
aggiunse Ron.
"Ronald!".
"Eh?".
"Potresti almeno salutare decentemente tuo
fratello prima…".
"Ciao, Charlie… Ora mangiamo?".
Hermione si massaggiò le tempie, abbassando
gli occhi in una specie di muta preghiera.
"Sì, Ron e George, ora mangiamo" assentì
Molly. "Bill, prendi un’altra sedia, per favore?".
Nello stesso istante, tutti cominciarono a
litigare per i posti a sedere, ma anche quello faceva parte del
rituale.
Sì, il natale nella famiglia Weasley era
fatto soprattutto di caos, disordine e case sovraffollate, rifletté Harry mentre
riusciva a occupare un posto centrale per sé e Ginny. Ma era un natale che non
avrebbe scambiato con nulla al mondo.
LYRAPOTTER’S CORNER
Della serie, sfaticati si nasce, non si
diventa, ho finito questo capitolo giusto adesso, a furia di procrastinare…
Spero che non risulti troppo sconclusionata, l’ho scritta un po’ a spizzichi e
bocconi in questi giorni e non è che mi convinca al cento per cento, diciamo che
sono convinta al novanta per cento, il resto lo giudicherò dai vostri
commenti…
In pratica, con questa storia vorrei chiudere
il cerchio ideale cominciato quasi un anno or sono con la shot di capodanno,
dedicata alla old generation e ai Malandrini, così ho voluto fare un saltino nel
buco dei famosi 19 anni per vedere come se la passava il clan allargato dei
Weasley. Sono perfino riuscita a dare un po’ di spazio ai baby personaggi della
next generation, cosa abbastanza eccezionale per me, visto che a parte Teddy
Lupin non mi piacciono più di tanto…
Grazie a
Half Blood
Deidara
Julia Weasley
nefertari83
per le loro recensioni.
A questo punto, non mi resta che darvi
appuntamento al 31/12 per l’ultima storia dedicata a Tom Riddle/Voldemort
e ovviamente fare a tutti gli auguri
BUON
NATALE!!!!!!!!!
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Capitolo 27 *** Tom Riddle ***
SPECIAL
DAYS
Tom Riddle
31 dicembre 1937
Orfanotrofio
15.30
Di norma e regola, non c’erano grandi
festeggiamenti quando un bambino dell’orfanotrofio compiva gli anni: i soldi non
bastavano mai e perciò la signora Cole di rado si sentiva disposta a spendere
per le cose futili che avrebbero reso divertente una festa di compleanno. Al
più, se la situazione era favorevole, c’era una bella ed economica torta che i
bambini facevano sparire nell’arco di dieci minuti netti.
Per questo motivo, la maggior parte degli
orfani riteneva che Tom Riddle fosse incredibilmente fortunato: non solo il suo
compleanno cadeva pochi giorni dopo natale, periodo in cui in genere tutto lo
staff dell’orfanotrofio era più allegro e incline a concessioni di vario tipo,
ma risultava essere proprio un giorno festivo, l’ultimo dell’anno, per cui la
possibilità di festeggiare in qualche modo era comunque assicurata.
L’unico che la pensava diversamente a tal
proposito, in effetti, era proprio il piccolo Tom. A lui questa cosa del
compleanno/ultimo dell’anno non andava proprio giù, perché, in fondo, era vero
che all’orfanotrofio si faceva festa e i bambini potevano stare svegli fino a
mezzanotte e tutto il resto, ma non era mica per festeggiare lui! Tutte quelle
concessioni derivavano dal fatto che con il 31 dicembre, per ironia del destino,
terminava un anno e cominciava quello nuovo…
Gli altri bambini non se ne rendevano
evidentemente conto, troppo presi dal considerare i lati positivi, ma Tom invece
sì:
tutti gli altri, ma proprio tutti, avevano un
loro giorno speciale che potevano dire solo loro, in cui potevano sentirsi a
buon diritto dei piccoli re (poco importava se magari veniva celebrato
miseramente), lui, invece, il suo giorno speciale doveva di fatto dividerlo con
il resto del mondo!
Ancor peggio, per aggiungere beffa al danno,
spesso e volentieri, il caos e la confusione che accompagnavano la notte di San
Silvestro mettevano il suo compleanno in secondo piano… Tom ricordava ancora con
rabbia quando aveva compiuto otto anni: quella volta, con la scusa dell’epidemia
di orecchioni, perfino la signora Cole si era dimenticata di lui!
Questo era in sostanza il motivo per cui, il
freddo pomeriggio del suo undicesimo compleanno, se ne stava da solo nella sua
stanza, a fissare con aria ingrugnata la neve ammantare Londra di
bianco.
Non che fosse una novità, per lui, stare da
solo: la maggior parte dei bambini tendeva ad evitarlo, specie dall’incidente
della caverna, l’estate precedente. Tom ridacchiò quasi involontariamente al
ricordo: certo che alcuni bambini erano proprio impressionabili, si lasciavano
spaventare dal nulla!
O forse sono io troppo poco impressionabile?
Questo fastidioso pensiero fece contrarre il bel
viso di Tom in una smorfia di riflessione, ma fu subito scacciato. Questo
avrebbe implicato che era lui ad avere qualcosa di sbagliato rispetto
agli altri bambini e lui non aveva proprio nulla di sbagliato…
Vabbè, c’erano quei giochetti che sapeva fare
a volte, ma Tom non li considerava affatto una cosa sbagliata, al contrario,
potevano davvero tornare utili qualche volta, come quando pochi giorni prima
Eric Whalley gli aveva ‘regalato’ il suo yo-yo nuovo… Ok, diciamo pure
sgraffignato, ma in fondo a Eric non serviva, lui ce l’aveva già, uno yo-yo, che
se ne faceva di due? Proprio nulla!
In fondo si poteva quasi considerare un
regalo di compleanno anticipato, giusto? Tom non aveva mai ricevuto un regalo di
compleanno: l’orfanotrofio non se lo poteva permettere e Tom non aveva amici tra
gli altri bambini che volessero fargliene. Non che Tom volesse degli amici, in
fondo erano soltanto un peso… E lui, lo yo-yo di Eric nemmeno lo voleva, in
realtà, non l’aveva più tirato fuori dall’armadio: l’aveva preso solo per far
dispetto al ragazzino, che la sera prima gli aveva rovesciato addosso il puré di
patate.
Forse glielo dovrei restituire a pezzi, un
po’ alla volta… Così imparerebbe a tenersi il cibo nel piatto…, pensò con stizza, picchiettando annoiato il dito contro il
vetro.
Forse avrebbe dovuto andare a farsi un giro,
per svagarsi un po’… In fondo, ora che aveva undici anni, poteva andare e venire
dall’orfanotrofio come e quando voleva, più o meno: bastava rientrare prima che
facesse buio. E molti dei più grandi se ne fregavano anche di quella regola e
stavano fuori finché volevano, Tom li aveva sentiti con le sue orecchie…
L’idea stava diventando sempre più attraente,
lo attirava l’idea di girare un po’ per Londra per i fatti suoi, di solito c’era
sempre la signora Cole a sorvegliarli come un falco, le rare volte che li
portavano da qualche parte, senza contare che di certo, con tutta la gente che
ci sarebbe stata in giro, nessuno avrebbe fatto molto caso a lui, un undicenne
da solo per le strade della capitale…
Sarà sempre meglio che stare qui ad
ammazzarsi di noia.
Si decise infine a distogliere lo sguardo
dalla finestra per andare a prendere cappotto e sciarpa nell’armadio, quando
notò che nella stanza c’era un secondo, non invitato e assolutamente non gradito
ospite: per la precisione il coniglietto bianco e nero di Billy Stubbs stava
allegramente zampettando in direzione della sua sedia, con un’audacia
decisamente impropria per l’animale fifone per antonomasia.
Tomo fissò con odio la bestiola: detestava
quello stupido coniglio, lo detestava proprio. Prima di tutto, Billy se lo
perdeva in continuazione, perciò erano più le volte che lo si trovava nelle
camere degli altri che in quella del suo padrone; secondo, aveva la pessima
abitudine di camminare tra i piedi della gente facendola così inciampare (Lizzie
Cartwright si era rotta un braccio cadendo dalle scale proprio per quel motivo);
terzo e più importante, nemmeno due settimane dopo che Billy l’aveva preso,
l’animale aveva avuto la bella idea di nascondersi e farsi il nido nell’armadio
di Tom (nessuno aveva idea di come ci fosse arrivato), così non solo Tom era
stato ingiustamente accusato di averlo rubato, ma aveva dovuto pure buttare via
parte della sua roba, che il coniglio si era mangiucchiato in assenza di
carote.
Tom fissò accigliato il coniglio che a passo
sicuro si dirigeva verso di lui annusando l’aria. "Il tuo padrone ti ha perso di
nuovo, eh? Certo che Billy è anche più stupido di quanto pensassi se si fa
fregare perfino da te, muso peloso…".
Si inginocchiò sul pavimento, gattonando fino
all’animale che lo guardò senza timore, troppo abituato ad avere intorno bambini
schiamazzanti per avere paura.
"Sei coraggioso, eh?" ghignò Tom. "Lo sai che
i conigli coraggiosi sono i primi a finire in pentola? Coraggio è sinonimo di
stupidità… BUH!" strillò, battendo contemporaneamente le mani quanto più forte
gli riuscì.
Al rumore improvviso, il coniglio trasalì e
corse a rintanarsi sotto il letto, suscitando la risata divertita di Tom. "Forse
sei più furbo di quanto sembri, muso peloso" commentò. "Almeno sai riconoscere
un nemico da evitare".
Con noncuranza, saltò sul letto, facendo
scricchiolare la rete del materasso e saltellandoci sopra, creando quello che si
poteva considerare un terremoto in miniatura.
Infine si sporse per sbirciare sotto di esso
e notò con piacere che il coniglio tremava in un angolo. Rise di nuovo. "Bravo,
muso peloso: la spavalderia è meglio perderla che trovarla, fidati di me, vivrai
più a lungo".
Pensò vagamente che si stava proprio
annoiando se distruggere l’autostima di un coniglio gli forniva un così
piacevole diversivo.
Stava appunto considerando l’idea di tirarlo
fuori da là sotto per divertirsi un altro po’, quando la porta socchiusa si aprì
completamente rivelando un Billy Stubbs decisamente agitato.
"Ehi, Tom" la salutò. "Hai visto il mio
coniglio?".
"Perché dovrei aver visto il tuo coniglio?"
domandò l’altro, invece di rispondere.
Billy sembrò spiazzato dal quesito. "Non lo
so, nella mia camera non c’è… Pensavo…".
"Pensavi che te l’avessi rubato?" continuò
stizzito Tom. "Perché dovrei sapere dov’è il tuo stupido coniglio?".
"Io non ti stavo accusando proprio di nulla"
protestò Billy. "Semplicemente stavo cercando il mio coniglio e volevo sapere se
per caso l’avevi visto…".
"Ah, ho capito… Ci sono seduto
sopra".
"Eh?". Questa dichiarazione lasciò Billy
ancora più perplesso di quanto non fosse. "Che vuol dire che ci sei seduto
sopra?".
Tom sbuffò, alzando gli occhi al cielo come a
volerlo implorare. "Dio, quanto sei lento, Billy…".
Scese dal letto, si inginocchiò e con mala
grazia stanò il coniglio tirandolo per le zampe. Dopodichè si risedette,
sistemandoselo in grembo e cominciando ad accarezzarlo piuttosto rudemente. Il
coniglio non sembrò particolarmente contento del trattamento: infatti cercò
immediatamente di sfuggire alla presa di Tom e andare a rifugiarsi dal suo
padrone. Ma Tom lo strinse più forte, impedendogli di scappare.
"Che cosa gli hai fatto?" esclamò Billy,
scandalizzato al vedere l’espressione spaventata della sua bestiola.
"Chi? Io?" fece Riddle, sgranando gli occhi
con aria innocente.
"C’è qualcun altro nella stanza, Riddle? Che
cosa gli hai fatto? È terrorizzato…".
Tom scrollò le spalle come se le turbe
psichiche del coniglio non gli importassero… e in effetti era vero. "Solo una
piccola lezione di vita: dovrebbe ringraziarmi". Ridacchiò come se avesse detto
qualcosa di molto divertente. "Ovvio, lo farebbe se potesse parlare… O se uno di
noi sapessi il conigliese… Tu sai il conigliese, Billy?".
Billy sbatté gli occhi, confuso: Tom gli
aveva fatto quella richiesta assurda in tono talmente serio che era impossibile
pensare che stesse scherzando, ma non capiva davvero dove volesse andare a
parare con quel discorso.
Davanti allo smarrimento dell’altro, Tom
ridacchiò ancora più spudoratamente. "No, ovvio che non parli il conigliese, a
malapena conosci la nostra lingua…".
Afferrò il povero coniglio per la collottola,
sollevandolo a livello del proprio viso. "Eh, muso peloso, dovresti trovarti un
padrone un po’ più intelligente" commentò. "Altrimenti la mia piccola
dimostrazione non ti servirà a nulla nella tua breve, inutile e patetica
vita…".
"Così gli fai male! Smettila!" protestò
Billy.
Tom si voltò verso di lui come se si fosse
ricordato solo in quel momento che lui era ancora lì. Sbuffò con indolenza.
"Tieni la tua stupida bestiaccia, Billy, e prega che non rientri mai più in
questa stanza!".
Detto ciò lo lasciò cadere in malo modo:
provato dal pessimo trattamento, il povero coniglio schizzò fuori dalla stanza
alla velocità della luce, ignorando completamente il padroncino e suscitando
l’ilarità di Tom. "Quella è la porta, Billy" lo invitò, facendo per tornare alla
finestra.
Ma Billy non si mosse: rimase esattamente
nello stesso punto, fissando Tom con qualcosa di molto simile all’odio,
mischiato a confusione e incredulità. "Ma qual è il tuo problema,
Riddle?".
Tom si voltò di scatto come se Billy l’avesse
colpito. "Problema?" sibilò. "Io non ho nessunissimo problema…".
"Ah no? Che ti aveva fatto di male il mio
coniglio? O io? O gli altri bambini? Perché fai sempre così?".
"Attento, Billy, non ti conviene farmi
arrabbiare…" lo minacciò Tom con voce rabbiosa.
"Non mi fai paura, Riddle!" dichiarò Billy
con un notevole sfoggio di coraggio. "Sei solo un piccolo presuntuoso pieno di
sé! L’unico modo che hai per sentirti grande è svilire e terrorizzare gli altri!
In realtà sei solo patetico!".
Billy si ritrovò in terra prima ancora di
rendersene conto: Tom l’aveva spinto con tanta forza da mandarlo con le spalle
al muro e ora lo sovrastava, fissandolo con occhi lampeggianti di collera.
"Ritira quello che hai detto, Billy, o te ne pentirai!".
"NO!". Billy scosse con fermezza il capo, non
retrocedendo di un passo dalla sua posizione malgrado si trovasse in svantaggio.
"È la verità, la pura e semplice verità! Sei una nullità, Riddle, una nullità
che se ne va in giro impettita nemmeno fosse il figlio del re!".
Tom sentì una furia cieca sommergerlo,
obnubilando la sua capacità di giudizio: per alcuni, lunghi secondi l’unica cosa
che desiderò fare fu prendere la testa di Billy e sbatterla con ferocia contro
il muro fino a costringerlo a rimangiarsi ogni singola parola. Non gli importava
delle conseguenze, voleva solo fare a Billy più male possibile…
Il vetro della finestra alle loro spalle si
frantumò all’improvviso, senza ragione apparente: il rumore e l’improvvisa
ventata di gelo che lo colpì ricondussero Tom alla ragione.
Si allontanò di scatto da Billy, che lo
guardava spaventato: aveva visto sul serio un bagliore rosso negli occhi di Tom
mentre lo sovrastava oppure era stata tutta suggestione?
Nello stesso istante arrivò la signora Cole,
tallonata da Martha e almeno una quindicina di bambini, tutti attirati dal
chiasso. "In nome del cielo, che cosa è successo alla finestra?".
"Non lo so, signora Cole" rispose Tom in tono
neutro.
La direttrice andò a studiare il vetro rotto
e dopo un’attenta analisi poté solo concludere che non poteva essere stata
davvero colpa dei bambini, visto che non erano feriti in nessuno punto e non
erano certo abbastanza forti da poter spaccare a quel modo una finestra. "Che
cosa stavate facendo voi due?" li interrogò, guardando alternativamente Billy e
Tom.
"Stavo aiutando Billy a trovare il suo
coniglio, signora" rispose prontamente Tom.
La signora Cole fissò Billy per chiedergli
conferma e questi si limitò ad annuire.
"D’accordo… Immagino che dovrai spostarti in
un’altra stanza finché non aggiusteremo questo vetro, Tom… Non sia mai che ti
buschi un’influenza! Martha, va’ a preparare un’altra stanza".
Con pochi gesti perentori, disperse la folla
di curiosi, Martha se ne andò per fare quanto ordinato e per un istante Billy e
Tom si ritrovarono di nuovo soli.
Tom scrutò Billy pieno d’odio. "Questa me la
pagherai, Billy… L’ho già spiegato al tuo coniglio: il coraggio porta solo ad
una morte stupida!".
Lo superò e uscì dalla camera, imponendosi la
calma, anche se dentro si sentiva ancora ribollire di rabbia e indignazione.
Patetico? Una nullità? Gliela avrebbe fatta vedere: Billy avrebbe pagato cara
quell’umiliazione.
Lui non era una nullità, era speciale, ne era
sicuro: aveva qualcosa che gli altri bambini non avevano, che nessun altro
aveva. Sarebbe arrivato il giorno in cui l’avrebbe dimostrato a tutti, avrebbe
fatto vedere a Billy Stubbs di cosa era capace… Un giorno… Ma si sarebbe
comunque preso la sua vendetta, oh sì: aveva già il piano perfetto. Avrebbe
punito Billy per il suo coraggio sfrontato. Coraggio è sinonimo di
stupidità…
La mattina successiva, Billy si svegliò
trovando il suo amato coniglio a pendere impiccato alle travi del soffitto.
Nessuno poté provare nulla, ma in fondo al cuore Billy era più che certo di
sapere che fosse il responsabile, il quale, per contro, prima di addormentarsi
si consolò pensando che, alla fine, almeno il coniglio la lezione l’avesse
imparata: prima di farsi acchiappare, infatti, aveva strenuamente cercato di
scappare.
31 dicembre 1943
Sotterranei
Hogwarts
22.45
Essere uno studente modello, nonché favorito
del preside e di quasi tutti i professori, poteva avere i suoi svantaggi. Nel
caso specifico di Tom Riddle, quella sera stava pensando che essere un prefetto
poteva essere davvero una gran rottura di scatole, al di là di tutti i possibili
e non trascurabili vantaggi.
Tanto per fare un esempio, quella sera si era
ritrovato costretto a fare la ronda, malgrado con le vacanze natalizie ancora in
corso il castello fosse pressoché disabitato. Ma il preside Dippet riteneva che
con la scusa del capodanno, alcuni studenti potessero farsi prendere la mano nei
festeggiamenti, così aveva reclutato i Prefetti e i Caposcuola rimasti per fare
dei giri extra.
Il che aveva implicato per Tom, alcuni
lunghe, tediose ore a vagabondare su e giù per il castello con la saltuaria
compagnia di Minerva McGranitt, l’intransigente Caposcuola di Grifondoro, o
peggio ancora di un prefetto di Tassorosso di cui nemmeno ricordava il nome:
infatti, di tutti i prefetti, solo loro tre erano rimasti ad Hogwarts per le
feste.
Non erano decisamente il genere di compagnia
che Tom prediligeva: i Tassorosso tendeva a evitarli in partenza, quanto a
Minerva, come se non bastasse il fatto che fosse Grifondoro, estremamente ligia
alle regole e con uno straordinario fiuto per stanare chi le trasgrediva, era
pure la cocca di Silente: un insieme di qualità che faceva sì che Tom
desiderasse starle il più alla larga possibile.
Per questo era lieto di tornare, finalmente,
nel suo dormitorio: forse era stata solo un’impressione, ma aveva avuto
l’impressione che la ragazza non avesse fatto altro che tenerlo sotto esame
tutte le volte che si erano incrociati. Probabilmente, è solo paranoia,
si disse con una scrollata di spalle. Perché dovrebbe avere qualcosa
contro di me? Sono uno studente modello e non ho mai fatto nulla di male… Mi
lascio influenzare dal fatto che è l’ombra di Silente e la migliore amica di
quel mezzo tocco di Moody.
Stava proprio diventando paranoico: era
l’effetto che faceva avere la coscienza sporca? Ma lui non si sentiva affatto la
coscienza sporca: tutto quello che aveva fatto, l’aveva fatto per un buon motivo
e animato dalle giuste intenzioni… Ok, forse la morte dell’altro Riddle
era stata più una gratifica personale, ma di certo non l’apertura della Camera
l’anno precedente… Anche se dubitava che Silente o chiunque altro l’avrebbe
vista allo stesso modo.
Bah, perché togliermi il sonno con questi
pensieri molesti? Silente può anche andare a farsi benedire coi suoi sospetti,
per quanto sia mostruosamente irritante…
Svoltò l’angolo, felice di essere quasi
arrivato, ma si bloccò nello scoprire che il corridoio non era deserto: John
Potter dondolava i piedi con aria indolente, appollaiato sulla statua di un
vecchio gargoyle.
"Che cosa fai qua giù, Potter?" gli domandò
accigliato. "Il coprifuoco è scattato da un pezzo".
"Veramente?". John mise su un’espressione
esterrefatta, guardando l’orologio. "E sì, hai ragione, Tom: è proprio
tardi…"
"Che cosa stai facendo?".
John saltò giù dalla statua con un movimento
fluido, sistemandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso,
rassettandosi i vestiti e poi rivolgendogli il suo miglior sorriso strafottente.
"Stavo studiando la qualità di questa statua" spiegò. "Volevo vedere se era in
grado di reggere il mio peso…".
Tom lo squadrò scettico, ben consapevole che
di solito John Potter portava guai: se non aveva ancora demolito il castello era
solo perché non aveva ancora trovato qualcosa di abbastanza grosso per farlo. Se
stava così lontano dal suo dormitorio a quell’ora, di certo c’era qualcosa di
molto sospetto sotto. "Bene, intanto venti punti in meno a Grifondoro… E poi
vedremo cosa ne penserà la tua caposcuola…".
John sbadigliò come se la prospettiva lo
annoiasse. "Oh, non c’è da preoccuparsi: io e Minnie siamo così
ormai!".
"Sì, certo… Smamma, Potter, non ho proprio
voglia di perdere tempo con te…".
Fece per superarlo, ma John gli si mise
davanti. "In realtà, Tom, stavo aspettando te…".
"Non mi pare di averti dato il permesso di
chiamarmi per nome, Potter… E perché non potevi aspettare domani?".
"Perché volevo averti tutto per me, signor
Riddle" rispose il ragazzo, calcando ironicamente sull’ultima parte. "Sai, è
piuttosto difficile beccarti senza qualcuno dei tuoi cagnolini al seguito e
volevo parlarti in privato… Sai, tête à tête, solo noi due…".
"E quale sarebbe motivo, per la grazia di
Morgana?".
"Beh, non volevo che uno dei tuoi fidi
compari mi spaccasse la faccia…".
"No, perché volevi parlare con me" specificò
Tom con aria stizzita, desideroso solo di liberarsi di quel moccioso irritante e
andarsene a finalmente a dormire.
"Ah… Volevo parlarti di quello che è successo
la primavera scorsa…".
"La primavera scorsa?" ripeté Tom incredulo.
"Sai, gli attentati, il mostro, la morte di
Mirtilla, l’espulsione di Hagrid… Ti dice nulla?".
"Sono passati quasi sei mesi…".
"Già, te l’ho detto: è difficile beccarti da
solo" commentò John senza smettere di fissarlo con quel cipiglio irritante molto
da Grifondoro.
"Che cosa volevi sapere?" domandò ancora Tom,
cercando di non far trasparire il suo disagio: non gli andava di parlare di
quelle cose, soprattutto con il paladino dei Nati Babbani John
Potter.
"Solo sapere perché hai incastrato
Hagrid".
Per un attimo, il Serpeverde fu troppo
sorpreso per dire alcunché: come diavolo faceva John a saperlo? Tuttavia,
riacquistò in fretta il suo sangue freddo: erano solo sospetti, non poteva avere
prove concrete. Ridacchiò. "Senti, so che Hagrid era tuo amico, ma…".
"Già, esatto" lo interruppe John con voce
ferma. "Hagrid è mio amico… E infatti so per certo che lui non avrebbe mai fatto
quello di cui è stato accusato".
"Ci sono le prove: ho visto il mostro
personalmente…".
"Non me ne frega nulla di quello che hai
visto!" gridò John. "Hai visto male: Hagrid non farebbe male a una mosca e lui
meno di tutti avrebbe avuto motivo di uccidere Mirtilla o aggredire i Figli di
Babbani… Perciò, voglio sapere per quale motivo l’hai incastrato…".
Tom scosse il capo, in una magistrale
manifestazione di condiscendenza. "Senti, Potter, non dubito che il tuo amico
non volesse fare del male, ma tutti qua conoscevano la sua passione per i
mostri: di certo, avrà perso il controllo della creatura, che così si è messa a
scorazzare per il castello aggredendo la gente…".
John per un attimo tacque, mentre il suo
cervello rielaborava le informazioni: aveva già sentito quella storia, quando
Hagrid era stato accusato ed espulso, e ogni volta che la risentiva gli pareva
sempre più costruita a tavolino per i ben pensanti che volevano un colpevole
brutto e cattivo da additare. "Puoi ripetere questa solfa finché vuoi, non
significa che ti crederò: Hagrid è innocente, ci metto non una, due mani sul
fuoco!".
"E allora perché gli attentati sono cessati
dopo la sua espulsione?" chiocciò soavemente Tom: quella conversazione
cominciava a irritarlo sul serio. John Potter non poteva provare nulla, tutta
quella situazione era inutile e tediosa.
"Forse perché si sarebbe capito che non era
lui il colpevole? Il vero responsabile non poteva certo rischiare di perdere il
suo capro espiatorio, ti pare? Perché hai incastrato Hagrid?".
"Così non andiamo da nessuna parte, Potter:
tu non vuoi credere all’evidenza e io non posso dirti una menzogna consolatoria…
Perciò, se non ti dispiace, è tardi e voglio andare a letto: ti conviene fare lo
stesso se non vuoi che faccia rapporto al preside…".
John lo scrutò alcuni istanti in silenzio,
come a volerlo sondare, infine sospirò profondamente, gli occhi luccicanti di
disprezzo. "Che bravo, te la sei studiata bene, eh, la parte del buon
samaritano! In realtà, sei più falso tu di una moneta da due galeoni! Alastor ha
sempre avuto ragione su di te…".
"Non mi importa un accidente di quello che
pensate tu e quello svitato di Moody!" ribatté Tom, stizzito. "Vogliamo andare
da Dippet per vedere a chi vorrà credere?".
"Quanto sei patetico: subito a nasconderti
dietro la sottana di Dippet, eh? Te lo sei lisciato per bene, il preside, non
avevo dubbi, ma io non ci casco: potrai anche brillare in superficie, ma la tua
anima è più nera della pece!".
"Mi hai stufato, Potter, non ho voglia di
stare qua a sentire i tuoi discorsi deliranti!".
Lo superò con tutta l’intenzione di
proseguire dritto fino al suo dormitorio e dimenticarsi di quella conversazione,
ma la risposta di John lo raggiunse comunque: "Scappa, scappa pure, piccolo
codardo!".
"Come mi hai chiamato!?" soffiò Tom,
voltandosi.
"Codardo" ripeté senza esitazioni John. "E
potrei aggiungere altro, ma non importa: credo tu sappia già cosa penso
esattamente di te, Riddle…".
"Attento Potter, potrei farti pentire
amaramente di queste parole…".
"Non mi fanno paura le tue minacce, Riddle"
lo liquidò John con una scrollata di spalle. "Ma ascoltami bene: non potrai
indossare in eterno quella bella maschera dorata che ti sei costruito e il
giorno che in cui farai un passo falso, io sarò là ad aspettarti. Scoprirò la
verità sul tuo conto, anche a costo di metterci cinquanta anni, e quel giorno
sarò io a ridere!".
"Pagherai la tua sfrontatezza,
Potter".
"Aspetterò con impazienza quel momento,
Riddle" ribatté John. Fece per andarsene, ma all’ultimo sembrò ripensarci e si
voltò di nuovo. "Ah, quasi mi dimenticavo: buon compleanno, Tom".
Gli rivolse un’ultima volta il suo
sorrisetto, prima di svoltare l’angolo e sparire alla vista.
Tom non seppe dire quanto ancora rimase in
quel corridoio: si sentiva ribollire di rabbia come raramente gli era capitato
in passato. Quel piccolo moccioso arrogante… Una parte di lui bramava più
di ogni altra cosa andare ad acciuffarlo, trascinarlo fino nella Camera dei
Segreti e darlo in pasto la Basilisco: il suono delle sue urla di dolore e
terrore gli avrebbe di certo calmato i nervi.
Ma non era tempo di essere impulsivi: nessuno
avrebbe gradito se uno studente fosse sparito nel nulla. Ci sarebbe stato anche
il momento per John Potter di pagare, si disse.
Lord Voldemort non dimentica,
si ripromise, riferendosi a sé stesso con il suo
nuovo nome. Il coraggio porta solo a una morte
stupida: quando verrà il tempo giusto, sarà un vero piacere insegnarlo anche a
te, Potter!
LYRAPOTTER’S CORNER
Ebbene, eccomi qua, ultimo capitolo, ultima
corsa… So che non è il massimo dell’allegria (avevo pure considerato l’idea di
scrivere un’altra shot per capodanno, ma ho lasciato perdere per assenza di
tempo), ma considerato che mi sono dovuta calare nei panni di Tom Riddle (e vi
assicuro, non è stato facile, considerato che per tutto tempo avrei voluto
prendere il bambino malefico a mazzate!), non poteva uscirne nulla di allegro…
Spero che nessuno si aspettasse di vedere Voldemort in versione adulta: già è
stata tosta così, voi sinceramente ce l’ho vedete Voldemort che festeggia il suo
compleanno? Piuttosto, spero di non essere uscita di personaggio, a me il
risultato finale piace abbastanza… Poi, come sempre a voi la parola!
E ora tempo di tirare le somme, sperando di
non scordare nessuno (mettetevi comodi, ci vorrà un po’):
Grazie a Agnese_san,
BlackFra92, Christy 94, Clady, Dafny, DANINO, Deidara, Dogma, erigre,
fairy_lullaby, Finleyna 4 Ever, Gaea, genny 63, Half Blood, HermioneCH,
HermioneForever92, hp4e, jadina94, Joey Potter, Julia Weasley, kla, leloale,
Lily Evans 93, lucia_hp, Lunastortalupin, mielina, millyray, nayla, niettolina,
NinfaDellaTerra, Nymphy Lupin, Pan_Tere94, pometina94, PrincessMarauders,
riddikulus, Simphony, SkAnNeRiZzAtA, sweeteri, tanna, whatsername84
e zmarz per aver inserito questa raccolta
tra le preferite.
Grazie a Anthymea,
BlackFra92, Clady, Deidara, domaris72, giuliabaron, glumbumble, HelenaDB,
Hermy4ever, HoneyBlack90, Jayne, kamy, kiry95, LadyMorgan, lally88, mar, nayla,
nefertari83, Piccola_Ginevra, ron84, sbadata93, scarlet witch, shiratori_chan,
Stabuck e _Lety_ per averla
inserita tra le seguite.
Grazie a Lyan,
HermioneForever92, alida, Lady Patfood, Deidara, Pan_Tere94, nefertari83, Mizar,
Moony3, Dogma, Finleyna 4 Ever, hermy101, dirkfelpy89, HermioneCH,
erigre, salkmania22, Gaea,
NinfaDellaTerra, pometina94, Half
Blood, Julia Weasley e LadyMorgan per aver
commentato.
Infine, grazie a chi ha recensito l’ultimo
capitolo, ossia:
dirkfelpy89,
non ti preoccupare, pure io in questi giorni mi sto dannando l’anima per un
esame, perciò so che vuol dire… Grazie per il tuo fedele
sostegno!!!!!!
Deidara, povero
Ron, chissà perché ce l’hanno sempre tutti con lui!!!!!! Buon anno anche a te e
anche a te grazie per sostegno che mi hai regalato nel corso dell’ultimo
anno!
Erigre, in
effetti, tutti i vostri commenti entusiastici mi hanno fatto ricredere:
evidentemente dovrei avere più autostima!!!!!! Per quanto mi piaccia la
generazione di Harry, io invece per assurdo preferisco la old generation! Grazie
per il commento!!!!!!!!!
Half Blood, James, Albus e la pluffa hanno riscosso successo e pensare che
l’avevo scritta tanto per… Lieta che ti sia piaciuta la comparsata di Charlie,
anche a me piace come personaggio (sarà che tengo a farmi piacere tutti i
personaggi che l’autrice non si fila!). James è diventato rosso perché mi
serviva per intavolare la conversazione, in realtà, quanto a Teddy, avrei voluto
inserire dei riferimento a Remus, ma proprio non mi è riuscito (sarà che non
volevo intristire la cosa!). A presto!
nefertari83,
beh, il canon è il canon, anch’io le preferisco di gran lunga alle coppie fanon
(poi per carità, dipende molto da coppia e storia…). Grazie per i tuoi
commenti!!!!!!!!!
Julia Weasley, in fondo ci siamo persi il pranzo, che ne sai che dopo la filippica
non è continuata coinvolgendo anche Charlie (non ce li vedi Harry e le brave
consorti che scuotono il capo rassegnati sopra il dolce di Molly?)? A me, in
tutta onestà, non è che non piaccia la next generation o che la trovi troppo
quotata, semplicemente sono tutti personaggi che mi dicono poco o nulla: Teddy è
l’unica eccezione e anche così non credo che riuscirei a scrivere una fanfiction
incentrata totalmente su di lui… Beh, immagino ci sia gente che fa lo stesso
discorso sulla generazione dei malandrini, il mondo è bello perché è
vario!!!!!
LadyMorgan, no,
Silvia Beta, non ti devi intristire, non ti devi intristire! Devo essere
sincera, io ho evitato, non dico di proposito ma quasi, di inserire troppi
riferimenti ai tre grandi assenti (Fred, Remus e Dora) appunto perché avrei
finito con l’intristire me e tutto il pubblico, mentre a natale si deve essere
allegri! Grazie per la mail, risponderò quanto prima, ma solo dopo aver finito
il dannatissimo capitolo di BxC: anche a costo di mettermi a piangere in
giapponese lo voglio pubblicare prima della befana! In ogni caso, a presto,
Silvia Alfa // la speranza è l’ultima a morire!
E in ultimo, un grazie di cuore a chi ha
semplicemente letto!!!!!!
BUON 2010 A
TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!
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