Special days

di lyrapotter
(/viewuser.php?uid=34170)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capodanno ***
Capitolo 2: *** Severus Piton ***
Capitolo 3: *** Lily Potter ***
Capitolo 4: *** Arthur Weasley ***
Capitolo 5: *** San Valentino ***
Capitolo 6: *** Ron Weasley ***
Capitolo 7: *** Remus Lupin ***
Capitolo 8: *** Festa del papà ***
Capitolo 9: *** James Potter ***
Capitolo 10: *** Fred e George Weasley ***
Capitolo 11: *** Battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 12: *** Festa della mamma ***
Capitolo 13: *** Draco Malfoy ***
Capitolo 14: *** Battaglia dell'Ufficio Misteri ***
Capitolo 15: *** Dobby ***
Capitolo 16: *** Neville Paciock ***
Capitolo 17: *** Harry Potter ***
Capitolo 18: *** Ginny Weasley ***
Capitolo 19: *** Percy Weasley ***
Capitolo 20: *** Hermione Granger ***
Capitolo 21: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 22: *** Molly Weasley ***
Capitolo 23: *** Halloween ***
Capitolo 24: *** Bill Weasley ***
Capitolo 25: *** Charlie Weasley ***
Capitolo 26: *** Natale ***
Capitolo 27: *** Tom Riddle ***



Capitolo 1
*** Capodanno ***


DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

N.B. Le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi

SPECIAL DAYS

CAPODANNO

31 dicembre 1977

Dormitorio di Grifondoro

Hogwarts

Ore 18.00

"Sei sicuro che non farà storie?".

"Se ne fa, lo possiamo sempre chiudere nell’armadio fino a domani, no?".

"Non sarebbe molto carino… è pure l’ultimo dell’anno…".

"Appunto. Perciò si deve festeggiare degnamente: il 1978 comincerà una volta sola…".

"Moony* potrebbe non vederla in questo modo".

"E a quel punto torniamo al mio piano iniziale: lo chiudiamo nell’armadio!".

James Potter osservò il cipiglio deciso del suo compagno di scorribande, nonché migliore amico, Sirius Black e capì che parlava sul serio: nulla gli avrebbe impedito di mettere in atto il suo piano di gozzovigliare fino a mattina per celebrare Capodanno, neppure le rimostranze di Remus Lupin, loro amico e coscienza il più delle volte inascoltata.

"Che mi dici della tua fidanzata?" chiese Sirius, passando all’amico due bottiglie di Whisky Incendiario di prima qualità, appena trafugate dalle cucine, per nasconderle sotto il letto.

James si stampò un sorriso ebete sulla faccia. Fidanzata, che bella parola, soprattutto se abbinata all’immagine di Lily Evans, a parere di James la ragazza più bella del pianeta, che da tre settimane (accidenti, erano già tre settimane!) era ufficialmente la sua ragazza. Sirius continuava imperterrito a chiedergli che razza d’incantesimo le avesse lanciato per convincerla, ma assurdamente nemmeno James sapeva esattamente come fosse accaduto, né gli importava di saperlo!

"Con Lily me la vedo io, non preoccuparti. Piuttosto dov’è ha messo i tu-sai-cosa?".

Sirius lo guardò con sguardo vacuo un paio di secondi, poi balzò in piedi. "Porco merlino, li ho dimenticati!".

James lo guardò come se desiderasse incenerirlo. "Tu che cosa?!".

Si avvicinò minaccioso.

"Ok, ok, non agitarti, Prongs*. Ora rimedio". Detto questo, schizzò fuori dalla stanza.

Non andò molto lontano comunque: James stava finendo di nascondere le provviste per quella sera quando lo raggiunse l’inequivocabile suono di qualcuno che cadeva e subito dopo la voce adirata di Remus.

"Sirius, razza d’imbecille! Guarda dove vai".

Ma evidentemente il ragazzo era già corso via, perché alcuni istanti dopo, il proprietario della celestiale voce entrò nella camera.

James si affrettò a nascondere le ultime cose e poi, assumendo un’aria innocente, chiese: "Problemi, Moony?".

"Solo un amico idiota che non guarda dove va" rispose Remus, massaggiandosi un ginocchio. Il ragazzo scrutò James da capo a piedi, si soffermò sulla sua espressione ed esclamò: "Che cosa avete combinato?".

"Chi, noi?" ribatté James, in tono innocente.

"Non mi incanti, James. La conosco quella faccia. È quella da "Stiamo per fare qualcosa e tu non lo sai". Che avete in mente?".

James si piegò davanti all’evidenza. Negare sarebbe stato inutile.

"Ok, te lo dico. Tu però non arrabbiarti…".

"Questo incipit non mi piace per niente. Allora?".

"La verità è che io e Sirius avremmo intenzione, questa sera, sì, sai visto che è l’ultimo dell’anno e tutto, di fare…una festicciola… sì una festicciola. Niente di che, eh, una cosa tranquilla…".

"Sì, certo le conosco le vostre feste tranquille! Quanti alcoolici avete già fregato nelle cucine?".

"Alcoolici? Chi noi? Nooo, per chi ci hai preso?" tentò di difendersi James, ma vedendo lo sguardo scettico di Remus si arrese. "Solo una decina di bottiglie, tanto per sicurezza… allora, che ne dici?".

Remus sbuffò, massaggiandosi le tempie con le dita. "Tanto protestare sarebbe inutile" disse infine. "Fate pure, ma non esagerate: non voglio inaugurare l’anno nuovo con una bella punizione… E state attenti a Lily".

James, preparato a tutto meno che a una resa così fulminea, aveva già aperto la bocca con una supplica accorata sulla lingua, quando capì di aver ricevuto la benedizione di Remus e sorrise trionfante. "Grazie, Moony, sei il migliore!".

"Io avrei in mente un altro aggettivo per definirmi, ma pazienza".

Prima che se ne rendesse conto, James gli saltò sulle spalle gridando "grazie, grazie, grazie".

Fu in quelle condizioni che Sirius li trovò tre minuti dopo, quando tornò con un grosso pacco tra le mani e l’aria cospiratrice.

31 dicembre 1977

Dormitorio di Grifondoro

Hogwarts

Ore 23.45

"Accidenti, se mangio qualcos’altro, credo proprio che scoppierò…".

"Come, come? Ho appena sentito Sirius Black, la fogna di Hogwarts, dire di essere pieno. Preparatevi, gente la fine del mondo è vicina!".

"James Potter, se non fossi pieno come un uovo e mezzo sbronzo, ti avrei già strangolato!"

"Uuuuh, che paura!".

James si abbassò appena in tempo per schivare la bottiglia di Burrobirra vuota che saettò verso la sua testa.

"Mancato!".

STONCK!

La seconda bottiglia raggiunse il bersaglio e andò a sommarsi alla devastazione generale che regnava nella stanza. Carte di caramelle, bocconi mezzo mangiati e poi abbandonati, vassoio coperti di briciole, bottiglie mezze vuote, perfino vestiti, visto che verso le undici Sirius aveva avuto la brillante idea di fare una partita di strip-poker, ingombravano ogni centimetro del pavimento del dormitorio. Remus aveva cercato di arginare il disastro, ma dopo un paio d’ore aveva rinunciato, si era unito al generale clima festaiolo e si era piegato ai desideri della maggioranza. Sì, perché come previsto, la festicciola tranquilla promessa da James si era trasformata in una serata di bagordi che aveva coinvolto la maggior parte dei Grifondoro che non erano tornati a casa per le vacanze. L’unica a non essere stata invitata, in realtà, era Lily Evans, che non avrebbe di certo approvato e avrebbe proibito la festa.

In quel momento, il dormitorio ospitava più persone di quante chiunque pensasse ne potesse contenere, la maggior parti delle quali già troppo ubriachi per riuscire a mettere insieme due parole.

Tuttavia la festa non accennava a finire troppo presto, anzi Remus stava cominciano a prendere in considerazione l’idea di trasferirsi in sala comune per dormire: il gene festaiolo non rientrava decisamente nel suo DNA!

Lo tratteneva la convinzione che James e Sirius stessero architettando qualcosa: nessuno dei due aveva bevuto molto e per di più il misterioso pacco che Sirius aveva portato quel pomeriggio era misteriosamente scomparso. Remus aveva forse dato il suo beneplacito per quella follia collettiva, ma era più che intenzionato a impedire qualunque cosa i due malandrini stavano tramando all’altro capo della stanza.

"Cavolo, Padfoot*, mi hai fatto male!".

"Oh, scusa" fece Sirius, per niente pentito.

"Questa te la farò pagare, è una promessa" lo minacciò James.

"Sì, come vuoi. Piuttosto, hai visto l’ora?".

James guardò l’orologio. Mezzanotte meno dieci. "È meglio andare, che ne dici?".

"Per la prima volta questa sera hai detto qualcosa di intelligente, Prongs. Ce li hai?".

"Rimpiccioliti in tasca. E la scopa nell’altra".

"Bene, allora vai. Io mi occupo di scaldare gli animi…".

"E che mi dici di Capitan Occhio-di-Falco?" domandò James ansioso, indicando Remus, che li scrutava dal suo letto.

"Non ti agitare. Del lupacchiotto mi occupo io. Tu va!".

I due Malandrini si dispersero: James si diresse verso la porta, zigzagando tra le persone che lo fermavano per complimentarsi della festa, mentre Sirius si diresse a passo sicuro verso Remus, che stava già preparandosi a rincorrere James.

"Ehi, Moony, dove vai?" lo bloccò Sirius, circondandogli la spalla con il braccio e porgendogli una bottiglia. "To’, resta qui e bevi qualcosa con il tuo amico Padfoot".

"Non è alcoolica, vero?" chiese Remus, occhieggiando preoccupato la bevanda. "Lo sai che non reggo l’alcool…".

"Lo so, lo so" lo rassicurò Sirius. "È solo Burrobirra".

Rassicurato, Remus bevve un sorso. E questo fu il suo errore. Subito fece una smorfia strana.

"Sicuro che sia Burrobirra? Ha un sapore strano…".

"Sicuro, sicuro" garantì Sirius, sorridendo. "È solo un’impressione, dai bevi…".

Seppur scettico, Remus ubbidì. Neanche cinque minuti dopo, grazie a quel Whisky Incendiario astutamente mascherato da Burrobirra, il ragazzo era già ubriaco perso. Senza obiettare prese la seconda bottiglia che Sirius gli porgeva con il suo miglior sorriso diabolico e si buttò nella mischia della festa.

Sciogliersi un po’ non gli farà certo male, pensò Sirius, guardando l’orologio. Mezzanotte meno cinque. Bene, lo spettacolo va a incominciare.

Saltò sul baule di Peter, che era crollato quasi un ora prima e ora russava della grossa sotto il letto, fermò la musica con un colpo di bacchetta e attirò su di sé l’attenzione di tutti i presenti.

"Miei cari compagni Grifondoro, prima di tutto grazie per essere convenuti alla nostra umile festicciola" esordì e subito fu sommerso da una valanga di applausi. "Grazie, grazie, vorrei ringraziarvi uno per uno, ma al momento sono troppo ubriaco per ricordarmi i vostro nomi. Anzi a breve non ricorderò più nemmeno il mio!". Risate e altri applausi. "Un altro anno si appresta alla fine, un anno che ha portato gioie, piaceri e la gloria di vincere la Coppa delle case per quarta volta consecutiva, oltre ovviamente la Coppa del Quidditch, grazie anche alle mirabolanti imprese del nostro cercatore, nonché mio migliore amico, James Potter!". Un’altra ovazione. "Ora se James fosse qui, gli chiederei di raggiungermi. Ma il prode Potter al momento è impegnato: sta dando gli ultimi ritocchi alla nostra ultima sorpresa per questo 1977 e per aprire in modo degno un nuovo anno, che sarà l’ultimo per noi Malandrini qui ad Hogwarts e ci auguriamo migliore del precedente. Ora prego avvicinatevi tutti alle finestre e aspettate con me la mezzanotte".

Mancava meno di un minuto. In preda alla curiosità, tutti si accalcarono alle finestre. Alcuni per avere una visuale migliore uscirono dalla stanza per andare ad affacciarsi nelle altre stanze. Tutti attendevano con ansia la mezzanotte per vedere quale spettacolo avessero architettato i Malandrini.

50…49…48…

Arrivati al meno dieci, cominciarono a contare tutti insieme ad alta voce.

10…9…8…7…6…5…4…3…2…1…

All’improvviso il cielo sembrò illuminarsi a giorno, rischiarando l’intero parco sottostante. Tutti gridarono quando sfavillanti fuochi d’artificio, i più belli che il castello avesse mai visto, cominciarono a esplodere nel cielo notturno, colorandolo di tutte le possibile sfumature dell’arcobaleno, in uno spettacolo senza precedenti. I Grifondoro gridarono di stupore e gioia, quando le scintille andarono a formare nel cielo le seguenti parole:
BUON 1978 HOGWARTS

DAI TUOI FEDELI MALANDRINI

E subito sotto, un’aggiunta personale dell’autore dello spettacolo, James, che in quel momento planava tra gli applausi generali verso la finestra del suo dormitorio: LILY EVANS, TI AMO, che scatenò l’ilarità dei Grifondoro.

Quando il clamore si fu calmato, la musica riprese e tutti furono tornati a rivolgere la loro attenzione alla festa ancora in pieno corso, James vide venire verso di lui Sirius, con in mano due bicchieri. L’Animagus ne porse una all’amico, dicendo: "Ottimo lavoro con quei fuochi, Prongs".

"Grazie, Padfoot. Ma dove li hai presi, così all’ultimo minuto?".

"Nella Stanza delle Necessità, dove sennò? Mi sono limitato a chiedere i migliori fuochi d’artificio che Hogwarts avesse mai visto…".

"Beh, ha funzionato alla perfezione. Ma che ne hai fatto di Remus?".

Sirius ridacchiò e indicò un gruppetto di ragazzi più che ubriachi che cantavano una versione piuttosto stonata di Jingle Bell Rock. "Il terzo da sinistra".

E guardando attentamente, James riconobbe l’amico, impegnato in quel momento in un improbabile assolo, che avrebbe con tutta probabilità spaccato qualche vetro, una bottiglia di Whisky mezza vuota in mano. James cominciò a ridere senza ritegno. "Sei un mostro crudele, Padfoot!".

Anche Sirius rise, nella sua risata simile a un latrato. Poi levò il calice. "Buon anno, Prongs".

"Buon anno, Padfoot".

Brindarono e bevvero alla salute del nuovo anno, poi si ributtarono nella festa.

1 gennaio 1978

Sala comune di Grifondoro

Hogwarts

Ore 10.30

Lily Evans entrò nella sua Sala Comune piuttosto preoccupata. In tutta la mattina non aveva visto né James, né gli altri Malandrini. Anzi, nessun Grifondoro da che ne sapeva lei aveva ancora lasciato il suo letto. Con fare deciso si diresse verso la scala a chiocciola che conduceva ai dormitori maschili: avrebbe tirato giù dal letto quei pigroni a pedate!

Si fermò davanti alla porta dei Malandrini e bussò.

"James, apri. Sono Lily". Non ottenne risposta, se non forse un grugnito.

Seccata, Lily abbassò al maniglia e aprì la porta, dicendo: "James, insomma, è ora di alz-…".

Ma la frase le morì in gola davanti al desolante spettacolo che si trovò di fronte: la stanza sembrava essere stata attraversata da un ciclone tanto era in disordine. Per terra c’era di tutto: pezzi di cibo, cartacce, rifiuti, bottiglie vuote, abiti. Uno dei bauli era stato rovesciato, disperdendo ovunque il suo contenuto; un letto era stato spostato al centro della stanza, tutte le coperte e le lenzuola ammassate in un angolo. Ma ciò che sconvolse Lily più di tutto il resto, fu trovare tutti i Grifondoro profondamente addormentati sul pavimenti, la maggior parte in condizioni ben poco dignitose.

Per alcuni istanti, la ragazza fu troppo stupefatta per dire alcunché, poi gridò, in tono molto simile a quello di un’aquila: "POOOOOOOOOTTEEEEEEEEER!!!!!!!!!!!".

Lo strillò avrebbe resuscitato anche un morto e infatti, un James scarmigliato, con le occhiaie e la faccia stravolta emerse da un angolo della stanza, si guardò intorno un paio di volte per capire cosa fosse successo e poi vide la furia assassina che era la sua fidanzata che lo guardava dalla porta, gli occhi dilatati e le narici frementi.

"Ah, Lily, ciao" articolò il ragazzo, assumendo una posa preoccupata.

"Ciao? CIAO?!" gridò la ragazza. "È tutto quello che hai da dire per giustificare questa devastazione?".

"Quando mi saranno passati i postumi da sbornia, saprò dirti qualcosa di meglio…".

"Che cosa è successo qui?" continuò imperterrita a strillare Lily.

In quel momento, da un groviglio di corpi non meglio identificabili, emerse Sirius, se possibile ancora più stravolto di James. "Evans, abbassa il volume" la supplicò con voce impastata. "Ho mal di testa".

"Che cosa avete combinato?" ripeté Lily, in tono più moderato, ma che lasciava comunque trasparire la sua furia.

"Soltanto una festa" rispose James, troppo stanco per pensare a qualunque scusa. "Sai, per festeggiare capodanno…".

"E l’avete trasformato in un’orgia di gruppo?" chiese ancora Lily, indugiando sugli altri Grifondoro, tutti mezzo spogliati.

"Ma, no" si difese James. "Abbiamo solo fatto una monumentale partita a strip-poker. Nessuno ha fatto sesso…".

"Parla per te" grugnì Sirius dall’altro capo della stanza, prima di ricadere addormentato.

"E Remus ha permesso tutto questo?" domandò ancora Lily, sconvolta.

"Chi mi chiama?".

Dal groviglio di coperte e lenzuola nell’angolo emerse il viso, poi il busto di Remus: aveva la faccia di uno che è appena stato investito da un treno, coi capelli tutti arruffati e gli occhi rossi. La sua voce era impastata e incerta, come se non fosse ben sicuro di come articolare le parole. E da quel che poteva vedere Lily, indossava soltanto una cravatta di Grifondoro sul petto nudo.

La ragazza cercò James in cerca di delucidazioni.

"Ha perso la partita"spiegò il ragazzo. "Era l’anima della festa: incredibile cosa non fa un po’ d’alcool…".

Remus parve decidere di essersi sognato tutto e si riaccasciò al suolo, addormentandosi di botto. Lily pareva troppo sconvolta per parlare.

"Beh, buon anno, amore" le disse James.

La ragazza si limitò ad annuire, dopodiché richiuse la porta, lasciando che anche James ripiombasse nel sonno.

*Per miei gusti personali, uso la versione inglese dei soprannomi dei Malandrini, in quanto la traduzione italiana non mi piace per niente: se non lo sapete Moony è Lunastorta, Prongs Ramoso e Padfoot Felpato

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora, che ve ne pare di questa mia piccola follia? Spero sul serio che vi piaccia, tanto quanto a me è piaciuto scriverla. Allora, se tutto va bene, questa storia inaugura una raccolta, dedicata ovviamente al mondo di Harry Potter. Il filo conduttore sarà appunto la narrazione di giorni speciali, quali ricorrenze o compleanni (le date di questi ultimi saranno rigorosamente canon, secondo le dichiarazioni della Rowling), che pubblicherò puntualmente quel giorno (esempio, oggi è capodanno e perciò questa storia sul capodanno dei Malandrini) o il più vicino possibile in caso di imprevisti. Contorto? Spero di no. E spero sul serio che vi piacciano queste mie shot. Il mio piano è di coprire un anno solare, perciò di concludere il 31 dicembre: spero sul serio di mantenerlo.

Come potrete immaginare, gli aggiornamenti dipendono non da me, ma dalle date, perciò saranno piuttosto distanziati tra loro. Ah, se tra voi ci sono lettori delle altre mie fiction, vi giuro che questo ulteriore impegno non mi porterà via troppo tempo (mi auguro). Vabbè, vi ho detto tutto, il prossimo appuntamento è per l’Epifania, se mi giunge l’ispirazione, altrimenti più probabilmente al 9/01 per il compleanno di Severus.

Commentate numerosi, bacibaci!!!!!!!

BUON ANNO A TUTTI!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Severus Piton ***


SPECIAL DAYS

SEVERUS PITON

9 gennaio 1972

Dormitorio di Serpeverde,

ore 7.45

La sveglia cominciò a suonare, puntuale e implacabile come la morte. Per alcuni istanti il suo proprietario fu tentato di ignorarla e girarsi dall’altra parte; purtroppo le sveglie sono molto difficile da ignorare, soprattutto quelle magiche: dopo un circa un minuto, l’oggetto incantato aveva preso a saltellare sul comodino, trillando talmente forte da spaccare i vetri e contemporaneamente gridando "Alzati, scansafatiche!". Al che il ragazzo capì che era davvero ora di alzarsi, allungò una mano e mise a tacere l’arnese infernale, maledicendo mentalmente il nome di sua madre per averlo convinto a comprarla.

Il silenzio regnava sovrano: gli altri studenti del dormitorio continuavano imperterriti a russare. Il ragazzo non se ne stupì: era sempre il primo a svegliarsi la mattina e in quei primi mesi a Hogwarts aveva imparato che nemmeno le bombe avrebbero costretto i suoi compagni ad alzarsi un minuto prima dello stretto necessario.

Il giovane Serpeverde, pallido e piuttosto magrolino, aveva capelli neri piuttosto unti e un lungo naso aquilino e di nome faceva Severus Piton. Il ragazzo si era già vestito, lavato e aveva già infilato i libri in borsa, pronto per lasciare silenziosamente il dormitorio e andare a colazione, quando l’occhio gli cadde sul calendario appeso vicino alla porta.

9 gennaio, recitava sotto la data di quel giorno. Lo stomaco di Severus si strinse in una morsa. Buffo, aveva dodici anni già da quasi otto ore e se ne era completamente dimenticato. Non che sia particolarmente importante, rifletté, mentre scendeva la scala a chiocciola e lasciava la sala comune. Un anno in più o un anno in meno, che differenza vuoi che faccia?

Era strana la scarsa considerazione che aveva per il suo compleanno: per quel che si ricordava non l’aveva mai festeggiato in nessun modo particolare. Certo, sua madre gli faceva gli auguri e tutto, ma la cosa finiva lì. Da suo padre non aveva mai ricevuto nemmeno un sorriso, figurati un biglietto d’auguri o un regalo. E tutto sommato, Severus preferiva così: suo padre lo odiava, o meglio odiava quello che era. E quello che era sua madre. Maghi. Per il ragazzo era un vero mistero come i suoi genitori si fossero potuti sposare, visto che ormai erano al punto che Tobias Piton non poteva nemmeno più guardare la moglie senza cominciare a urlarle contro. E quello era il motivo principale per cui era felice di essere di nuovo al castello, dopo un natale più che mai deprimente a casa, culminato con i suoi genitori che litigavano sopra il cenone della vigilia.

Per questo non si aspettava assolutamente nulla da quel compleanno: probabilmente una lettera di auguri di Eileen era già in viaggio, ma quello era la massima aspettativa.

Chi non si aspetta molto, non subisce grandi delusioni, si disse, sedendosi al tavolo di Serpeverde ancora semideserto, vista l’ora. Severus si guardò intorno guardingo, ma non c’erano nemmeno loro. Evidentemente era ancora troppo presto per i loro delicati corpicini per uscire dal letto.

Un lato positivo della giornata, considerò, servendosi di porridge. Niente lezioni coi Grifondoro. Poi ci pensò meglio e si rese conto che quello era anche un aspetto negativo, perché significava che non avrebbe visto nemmeno Lily. Il solo pensare alla rossa grifoncina gli fece accelerare il battito del cuore e contrarre lo stomaco. Perché dovevano essere in case diverse? Era l’unica persona che fosse davvero felice di frequentare di quel posto. E ansioso di vedere.

Forse con un po’ di fortuna, ci vedremo dopo le lezioni, si disse: questo bastò a fargli aleggiare un sorriso sul volto pallido.

Terzo piano,

Hogwarts,

ore 16.00

L’ultima lezione della giornata, Incantesimi, era appena finita. Severus, come tutti gli altri alunni, raccolse le sue cose, ficcandole in borsa, captando comunque le ultime accorate raccomandazioni dell’insegnante di ripassare quanto studiato in classe.

Severus si cacciò la borsa in spalle e si eclissò, intenzionato ad andare in dormitorio e poi a cercare Lily. Aveva deciso di voler rendere il giorno del suo compleanno perlomeno decente e vedere l’amica era probabilmente l’unica cosa che poteva realizzare questo proposito. Fino a quel momento, la giornata si era svolta senza particolari avvenimenti. A colazione, il gufo di famiglia gli aveva portato, come previsto, un biglietto di sua madre; per il resto, quel giorno era trascorso esattamente come tutti gli altri: nessun "buon compleanno", nessun regalo, niente. Tutto come da copione. Del resto, dubitava che qualcuno dei suoi compagni di Casa sapesse quando era il suo compleanno: alcuni poteva anche definirli amici e considerarsi parte del gruppo, ma non si sentiva legato a nessuno. Tranne Lily. Per questo, voleva trovarla e passare con lei qualche ora prima di cena, a chiacchierare come facevano sempre.

Fu lei a trovare lui.

Mentre si dirigeva a tutta velocità verso la sua sala comune, qualcuno lo chiamò da dietro.

"Sev! Ehi, Sev!".

Severus si fermò e si voltò: solo una persona lo chiamava in quel modo. E infatti, una graziosa ragazzina con brillanti occhi verdi e lunghi capelli rossi raccolti in una treccia gli stava venendo incontro, un gran sorriso stampato in faccia e le mani nascoste dietro la schiena.

Il cuore di Severus, come sempre quando vedeva Lily, cominciò a galoppare e il suo stomaco si attorcigliò.

Lily lo raggiunse, sempre sorridendo. "Ciao, Sev!" trillò.

Anche Severus sorrise. "Ciao, Lily. Tutto ok?".

"Oh, sì tutto ok" rispose lei, allegra. "Sono davvero felice di averti trovato".

"Davvero?" chiese Severus, sorpreso. "Perché?".

"Ti devo dare una cosa" fu l’enigmatica risposta. "Chiudi gli occhi".

"Che cosa?" domandò il ragazzo, ancora più stupito. Che cosa stava tramando?

"Sì, sì, chiudi gli occhi" ripeté Lily. "Forza, ho una sorpresa per te".

E fece un cenno col capo, indicando le proprie spalle.

Severus cercò di allungare lo sguardo, per capire cosa stesse nascondendo l’amica.

"Ehi, non sbirciare!" lo rimproverò Lily, scostandosi. "Allora, li vuoi chiudere o no gli occhi?".

Rassegnato, Severus ubbidì.

Dopo alcuni istanti, Lily gli disse: "Ok, aprili".

Il ragazzo riaprì gli occhi. La sorpresa lo lasciò congelato sul posto. Lily tendeva verso di lui un pacchetto regalo, con un bel fiocco rosso in un angolo, corredato dal più splendente dei sorrisi.

"Sorpresa!" cinguettò la ragazza. "Buon compleanno, Sev!".

Severus era troppo stupito per fare alcunché: parlare, muoversi, pensare…respirare! Osservava il regalo come se temesse potesse aggredirlo, senza sapere cosa fare.

Il vederlo in difficoltà non sembrò scoraggiare troppo Lily, che gli cacciò quasi a forza il pacchetto in mano. "Forza, aprilo!" lo spronò.

Severus fu grato di ricevere un ordine diretto: come un automa, cominciò a scartare il pacchetto. A operazione conclusa, si trovò tra le mani una bella cornice d’argento, decorata con l’immagine di un leone in alto a destra e di un serpente all’angolo opposto. All’interno, c’era una foto magica di lui e Lily, scattata durante il loro primo viaggio a Hogwarts il primo settembre precedente. Come un idiota, ben consapevole di comportarsi come un idiota, Severus non riusciva a far altro che fissare la fotografia, ancora paralizzato.

Vedendo che non reagiva, l’entusiasmo di Lily si spense come una candela al primo sbuffo di vento. Il sorriso le morì sulle labbra, mentre osservava accigliata l’amico.

"Perché non dici niente?" chiese, evidentemente delusa. "Non ti piace? Pensavo ti sarebbe piaciuta…".

L’espressione dispiaciuta che le si dipinse in volto fu sufficiente a sbloccare il cervello di Severus.

"È bellissima" mormorò. "Mi piace un sacco, Lily".

Il sorriso ricomparve all’istante sul volto della ragazza. "Sul serio? Non lo dici solo per farmi contenta? Puoi anche dirlo che non ti piace, non mi offendo…".

"No, no" la interruppe Severus, di nuovo in grado di parlare. "Mi piace davvero. Tanto. Mi hai un po’ colto di sorpresa, tutto qua: non mi aspettavo mi facessi un regalo".

Lily sorrise ancora più apertamente. "Tu sei mio amico, no, Sev? E io faccio un regalo per il compleanno dei miei amici".

Detto da lei, sembrava la cosa più naturale del mondo. Come faceva a spiegarle quanto quella semplice cornice significasse per lui? Era il primo genuino gesto d’affetto che riceveva da qualcuno che non fosse sua madre: non c’erano parole per dire quanto fosse importante.

"Grazie" disse semplicemente, non sapendo cos’altro aggiungere. "Grazie davvero, Lily".

"Non mi devi ringraziare" si schermì lei. "È stato un piacere".

A sorpresa, si lanciò verso di lui, abbracciandolo stretto. Dopo qualche esitazione, Severus ricambiò la stretta. E, ancora più inatteso, quando si separarono Lily gli diede un bacio. Un semplice e castissimo bacio sulla guancia, che fu più che sufficiente per fargli andare il volto in fiamme e accelerare a dismisura i battiti del cuore.

"Cosa…?" cominciò, ma Lily lo interruppe. "Un bacio di compleanno" scherzò. "Ancora auguri, Sev".

"Grazie" fu di nuovo l’unica cosa che Severus fu in grado di dire.

"Prego" rise Lily. "Ora scusa, devo andare, le mie amiche mi aspettano. Ci vediamo dopo".

E si allontanò con un ultimo sorriso e un cenno della mano. Severus rimase a guardarla allontanarsi, finché non sparì dietro un angolo. Si portò una mano sulla guancia, nel punto esatto dove poco prima le labbra di Lily l’avevano sfiorato. Poi posò gli occhi sulla cornice e la foto in essa contenuta e sorrise.

Quel compleanno non l’avrebbe mai dimenticato.

9 gennaio 1992

Ufficio di Severus Piton,

Hogwarts

Ore 2.00

L’ufficio era immerso nell’oscurità più totale: solo una solitaria candela bruciava sulla scrivania, dietro al qual sedeva l’insegnante di Pozioni. Una bottiglia piena e un bicchiere inusato stavano proprio di fronte a lui: li aveva fatti portare lì alcune ore prima da un Elfo Domestico, ma non li aveva toccati. Non sapeva nemmeno perché li avesse richiesti: ogni anno lo faceva e ogni anno la bottiglia restava chiusa, il calice vuoto.

Ma forse quell’anno era diverso. Perché quel anno il rimpianto per certi versi era ancora più forte dei precedenti, perché quello era il primo anno che festeggiava il suo compleanno davanti alla conseguenza diretta del suo più grande errore. Solo quattro mesi prima Harry Potter era giunto ad Hogwarts: solo quattro mesi prima il figlio del suo più acerrimo nemico e dell’unica donna che avrebbe mai amato si era seduto per la prima volta di fronte a lui in aula. E incontrando quegli occhi verdi, identici a quelli di lei, rimorso e senso di perdita in lui si erano acuiti più di quanto potesse credere possibile.

Sospirò pesantemente: quel giorno compiva trentadue anni. Un giorno come un altro: qualche formale formula di auguri dai suoi colleghi e la festa si era conclusa lì, esattamente come ogni anno. E non gli importava. Non gli importava di essere di un anno più vecchio. O meglio gli importava, ma per tutt’altro motivo: perché adesso un altro anno lo separava da quel compleanno, quello più felice della sua vita, l’unico che avesse davvero meritato di essere vissuto…

Sospirò, tirando fuori dal primo cassetto una cornice capovolta. Un tempo era d’argento, ma gli anni l’avevano ossidata in diversi punti; tuttavia il leone e il serpente ai due angoli opposti della cornice erano ancora in condizione perfette. Lo sguardo di Severus si posò sulla foto: due ragazzini di undici anni che ridevano all’obiettivo, spintonandosi, ricambiarono il suo sguardo.

Vent’anni lo separavano ora dal giorno in cui la piccola, dolce Lily Evans gli aveva donato quella cornice. Vent’anni da quando gli aveva dato un semplice bacio sulla guancia, un bacio innocente, senza nessuna malizia. Un bacio di compleanno, l’aveva chiamato.

E mentre osservava il volto sorridente di Lily nella foto gli sembrò di sentir risuonare la sua risata cristallina e la sua voce infantile.

Buon compleanno, Sev!

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora, che ne dite? Spero che vi piaccia, è la prima volta che parlo di Severus e soprattutto dal suo punto di vista, spero di averlo fatto bene e di non aver deluso i fan di Severus. A me il risultato finale modestamente piace molto, un gentile omaggio alla coppia Severus/Lily, che non è la mia preferita, ma che mi ha comunque commosso leggendo il capitolo 33 de "I Doni della Morte".

E ora grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo:

HermioneForever92

Alida

Lady Patfood

Prossimo appuntamento il 30/01 per il compleanno di Lily.

A presto e bacibaci!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Lily Potter ***


SPECIAL DAYS

LILY POTTER

30 gennaio 1981

Casa Potter,

Godric’s Hollow.

9.30

La giovane donna si svegliò di scatto, balzando a sedere, con gli occhi spalancati e il respiro affannoso. Il ricordo dell’incubo che l’aveva destata così bruscamente si fece lentamente strada nella sua mente: Lily chiuse gli occhi, respirando profondamente e cercando di calmarsi. Era solo un sogno, si disse. Solo uno stupido sogno. Ma sapeva perfettamente che quel sogno sarebbe potuto diventare realtà in ogni istante: anche in quel preciso momento Lord Voldemort poteva davvero comparite a Godric’s Hollow e uccidere lei, suo marito e il loro bambino.

Non accadrà, pensò, decisa. Voldemort non metterà mai le mani su Harry, non lo permetterò!

Rinfrancata e più tranquilla, si decise a riaprire gli occhi e solo in quel momento realizzò che l’altra metà del letto era vuota: James doveva essersi alzato mentre lei dormiva. Forse Harry piangeva, si disse, mentre tuttavia lampi di irrazionale terrore le offuscavano la mente, facendo affiorare pensieri ben più cupi e pessimistici. Piantala, Lily. Non essere così negativa: James sta benissimo.

Come se fosse stato facile pensare positivo coi tempi che correvano, man mano che quella guerra senza senso progrediva, mentre i suoi amici e compagni morivano intorno a lei come mosche e la minaccia di Voldemort si faceva sempre più vicina…

Lily sospirò. Non era questa la vita che avrebbe dovuto avere una donna di vent’anni, una vita fatta di angosce continue per sé stessa e i suoi cari, una vita in cui ogni giorno poteva essere l’ultimo.

La giovane si impose di smettere di pensarci e sgusciò fuori dal letto, rabbrividendo involontariamente. Quel inverno si stava rivelando straordinariamente rigido: da metà novembre la neve aveva continuato a cadere quasi incessantemente e, nonostante fossero quasi a febbraio, il tempo non dava segni di miglioramento. Da un certo punto di vista era perfino meglio così, perlomeno era più facile sopportare la prigionia forzata, soprattutto per James, che da quando erano confinati in casa accoglieva con gioia la minima scusa per uscire, fosse anche solo per andare a prendere il latte.

Lily si infilò la vestaglia sopra la camicia da notte e andò ad aprire le tende: un pallido sole invernale illuminava il paesaggio innevato. Lily sorrise: le piaceva la neve, le era sempre piaciuta, fin da quando suo padre da bambina la portava a fare lo slittino. Con quel tempo, sarebbe stato l’ideale per passare dei bei pomeriggi all’aria aperta. Se avessero potuto…

Distolse lo sguardo, cercando qualche indizio su dove James fosse andato. Si era già vestito, dato che il pigiama giaceva in disordine su una sedia. Sempre il solito, pensò con tenerezza, raccogliendolo per ripiegarlo meglio. Nel farlo, un biglietto cadde per terra; perplessa Lily lo raccolse e lo aprì: riconobbe subito la calligrafia del marito.

Buon compleanno, amore!

Lo so, scommetto che non ti aspettavi che me lo sarei ricordato…che vuoi farci, forse fra una decina d’anni ci riuscirò senza ricevere imbeccate da Remus. Santo Moony, se non ci fosse lui…

Comunque, non ti preoccupare se non ci trovi quando ti svegli: io e tuo figlio abbiamo deciso di fuggire a Cuba. Per quando leggerai, starò già chiacchierando a tu per tu con qualche bella ballerina latina… Non scherzo, lo sai che per me sei la sola e l’unica (puah, quanto sono sdolcinato!). Però ero serio raccomandandoti di stare tranquilla: siamo andati da Sirius a tirarlo su di morale, ha litigato con Melanie e sai come diventa quando litiga con Melanie! Così gli porto il suo dolce e amato figlioccio per distrarlo un po’. Non so quando torno, potrebbe essere una cosa lunga, ma ti prometto che appena posso, mi fiondo da te per festeggiare degnamente il tuo compleanno… dopotutto 21 anni non si compiono tutti i giorni, no?

Non preoccuparti, ancora auguri e a più tardi,

il tuo bellissimo e perfetto marito.

Lily rilesse il messaggio di James due volte, prima di focalizzare appieno il significato delle parole. Non ci poteva credere: spaventata com’era da quell’incubo, si era completamente dimenticata che era il suo compleanno. E James l’aveva ricordato: uno coro d’angeli doveva aver messo le ali!

Sì, e l’aveva pure lasciata sola per correre dal suo migliore amico. Rifletté: se Sirius aveva sul serio litigato con Melanie, era probabile che la sua amica piombasse lì da un momento all’altro in cerca di conforto.

Beh, perlomeno non passerò la mattinata da sola: sarebbe proprio deprimente. E James si è pure portato via Harry…

Si infilò il biglietto in tasca e si avviò di sotto, con l’idea di prepararsi la colazione. Tuttavia, quando entrò in cucina, trovò una seconda sorpresa, più gradita: il tavolo era apparecchio con ogni ben di dio, perfino una rosa rossa in un vaso. Accanto a quest’ultimo, spiccava un nuovo biglietto, sempre di James.

Non sia mai che ti faccia cucinare oggi, tesoro. Oggi sei la regina della casa e come tale non dovrai muovere un dito tutto il giorno. Spero sul serio che la colazione non sia velenosa, per ogni evenienza tieni pronto l’essenziale per una lavanda gastrica d’urgenza. Un bacio, James.

P.S. nella remota possibilità che tu non abbia visto il primo biglietto, io e Harry siamo da Sirius, perciò non preoccuparti!

A quel punto Lily rivolse di nuovo l’attenzione alla tavola riccamente imbandita. James, sei il solito esagerato, pensò, occhieggiando la pila di frittelle ancora calde, le file di toast giù imburrati, i vasetti di marmellata di almeno cinque gusti diversi e l’ampia scelta di bevande. In poche parole, tutta quella roba sarebbe bastata a sfamare un esercito intero!

Vabbè, almeno una volta all’anno lasciamoci coccolare, si disse, sedendosi e allungando la mano verso la marmellata alle fragole, la sua preferita. Aveva appena cominciato a mangiare, che una ragazza alta e slanciata, con lunghi capelli corvini e occhi color cielo, contornati da occhiali, entrò dalla porta sul retro, sorridendo radiosa.

"Ecco qua la festeggiata" esordì. "Buon compleanno, Lily. Ma non hai ancora finito?".

Lily ricambiò il sorriso della sua migliore amica, Melanie Griffith, e rispose: "Mi sono appena alzata. Grazie, in ogni caso… Ma che ci fai qui?".

"Che razza di amica sono se il giorno del tuo compleanno non posso venirti a rompere le scatole, scusa?" ribatté l’altra, ridendo. "Ma che ci fai qui tutta sola? Il tuo sciagurato marito ha osato lasciarti sola il giorno del tuo compleanno? Ah, questa gliela faccio pagare!".

"Il mio sciagurato marito, come lo chiami tu" si difese Lily, "è andato a consolare il tuo fidanzato, perché a quanto sembra avete litigato. Che è successo?".

Melanie fece un gesto adirato con la mano. "Non mi va di parlare di Sirius Black o di qualunque cosa lo riguardi in questo momento: ti basti sapere che il mio quasi ex-fidanzato è un imbecille".

Lily sgranò gli occhi davanti al tono secco dell’amica: era successo qualcosa di così grave? Tuttavia non fece ulteriori domande, rispettando il desiderio dell’amica e sapendo che presto o tardi si sarebbe confidata in ogni caso.

"Ok, non ne parliamo" acconsentì perciò. "Vuoi qualcosa? James ha preparato da mangiare per cinquanta: dubito di poter finire tutto…".

"Beh, se proprio insisti…" disse Melanie, senza farsi pregare troppo e cominciando ad attaccare le frittelle.

"Allora" chiese poi, mentre si serviva del succo di mela. "Che vuoi fare di bello oggi, festeggiata?".

Lily si strinse nelle spalle, addentando un toast. "Non lo so. Immagino me ne starò qui ad aspettare che James e Harry tornino… Che hai da fare quella faccia?".

Melanie infatti aveva messo su un’espressione scandalizzata. "Lily Evans Potter, mi stai forse dicendo che il giorno del tuo ventunesimo compleanno, e sottolineo ventunesimo, vuoi startene tappata in casa come una nonna a fare la calza? Non lo permetterò!".

"Mel, non mi piace quella faccia: di solito è sinonimo di pericolo. Che hai in mente?".

"Semplicissimo: ora finisci la colazione, te ne vai di sopra, ti infili un bel vestito caldo e poi, volente o nolente, verrai con me a Londra a divertirti".

"Mel" cercò di opporsi Lily, ben sapendo quale fosse l’idea dell’amica di divertimento, "non ho voglia di darmi allo shopping sfrenato. Non mi sono ancora ripresa dall’ultima volta…".

"Sciocchezze" la interruppe stizzita l’altra. "Alla tua età è questo che bisogna fare. Vedrai che ti farà bene dedicare una giornata a te stessa…".

"… E a prosciugare il mio conto in banca. Sul serio, Mel, non mi va".

"Non accetto obiezioni" si intestardì la ragazza. "A fine giornata mi ringrazierai…".

Lily fece una smorfia non del tutto convinta.

*****

James Potter aprì silenziosamente la porta di casa. Si guardò intorno per assicurarsi che la moglie non fosse nei paraggi.

"Ehi, c’è nessuno?" chiamò tanto per sicurezza. Nessuno rispose.

Il giovane tirò un sospiro di sollievo. Brava Melanie!, approvò tra sé, poi si voltò e tirò casa il passeggino del figlio.

"Via libera, Padfoot" disse poi.

"Era ora" brontolò una voce alle sue spalle, subito seguita dal suo proprietario, carico di borse come un mulo.

"Non ho ancora capito perché le devo portare tutte io queste cose" borbottò poi, richiudendosi la porta alle spalle con un calcio.

"Perché io avevo il passeggino da tenere d’occhio" rispose James, che nel frattempo aveva preso in braccio Harry. "O volevi essere tu a spiegare a Lily come, quando e perché ho perso di vista il suo prezioso pargolo".

Sirius si schermì subito. "Per carità, voglio arrivare vivo alla fine dell’anno, grazie tante. E la scusa di Remus quale sarebbe?".

"Lui è andato a prendere la torta".

"E non potevo andarci io?".

"No".

"Perché?".

"Perché" rispose James, impaziente, "senza offesa, Padfoot, ma non mi fido a lasciarti nella stessa stanza con un dolce più di dieci secondi. Se ti avessi mandato fino a Mielandia e ritorno, di quella torta non sarebbero arrivate neppure le briciole!".

"Ehi, guarda che potrei offendermi e piantarti qui da solo" lo minacciò Sirius, tirandogli un festone, che James fu abile a evitare.

"Ehi, fa attenzione" lo rimbeccò. "Ho tra le braccia un creatura innocente…".

"Oh, non tirare in ballo tuo figlio, adesso, Prongs. Solo per il fatto di avere in comune metà dei tuoi geni non è più un essere innocente!".

"Vuoi forse dire che avresti il coraggio di fargli del male. Harry, fai la tua faccia da cerbiatto ferito, forza!".

Il bimbo guardò il padre senza capire, ma ridacchiò quando quest’ultimo esibì il suo miglior sguardo da "Bambi che ha appena perso la mamma".

Sirius sbuffò, con espressione disgustata sul volto. "Lo stai rovinando quel povero bambino, James. E sia, ma sappi che lo faccio solo per amor di Lily".

"O perché ne hai paura" ribatté imperturbabile l’amico.

"Anche quello" ammise Sirius.

James ridacchiò: sua moglie era fantastica, l’amava più della sua vita, ma di tanto in tanto sapeva essere davvero demoniaca, specie se le si minacciava anche solo accidentalmente il pupo.

Depositò Harry nel suo box, scompigliandogli il ciuffetto di capelli neri. "Ora noi faremo una bella sorpresa alla mamma. Che ne dici, sei nostro complice?".

Harry gli sorrise, tendendo le manine verso di lui. "Lo prendo per un sì, piccolo" gli sussurrò ancora James.

In quel momento fu centrato in piena testa da qualcosa.

"Forza, principe delle fate" lo richiamò Sirius. "Viene ad aiutarmi o rischiamo che le ragazze tornino prima di aver finito".

James sospirò. "Resti tra noi Harry: il tuo padrino è un gran rompiscatole!".

"Guarda che ti ho sentito. Muovi il tuo sederone: la moglie è tua!".

*****

Il Big Ben batteva in lontananza le cinque, quando infine Melanie acconsentì a tornare a Godric’s Hollow.

"Dai, ammetti che ti sei divertita" punzecchiò l’amica, mentre raccoglieva le sue buste e si avviavano in cerca di un punto sicuro per Smaterializzarsi.

Lily sbuffò: Melanie l’aveva trascinata da un capo all’altro di Londra, senza darle un minuto di tregua e spingendola a comprare un mucchio di cose di cui non aveva assolutamente bisogno. Ma era questo che accadeva quando uscivi a fare shopping con Melanie Griffith: entravi in un negozio e senza sapere come o perché lo lasciavi sempre con una busta in più e un po’ di soldi in meno. Era come cercare di fermare un uragano: impossibile. Come era stato impossibile convincerla a rientrare prima: si era opposta strenuamente a ogni lamentela di Lily, tanto che la ragazza aveva temuto che volesse visitare ogni singolo negozio della capitale.

Eppure, si era effettivamente divertita. Non ricordava nemmeno più quand’era stata l’ultima volta che si era lasciata andare in quel modo: per un pomeriggio non c’era stato nessun Voldemort, nessuna guerra, nessuna minaccia di morte sulla sua testa, era stata solo una normale ragazza di ventuno anni.

"Ok, mi sono divertita" ammise perciò. "Ma ho comprato troppa roba".

"Che sciocchezze" la rimbeccò Melanie. "Una ragazza di tanto in tanto può permettersi di coccolarsi un po’".

"Sì, ma non di andare in banca rotta" ribatté secca Lily. "Devo ancora capire a cosa mi servirà nella vita la statuetta porta uova a forma di regina Elisabetta".

"Beh" disse Melanie, dopo averci riflettuto un attimo, "poi cominciare una collezione. Porta uova a forma di personaggi politici, che ne dici?".

"Dico che sei matta" rispose ridendo Lily e prendendola a braccetto. "Ma d’altronde parlo con quella che ha comprato una lampada a forma di scimmia…".

"È artistica" si difese Melanie.

"È orribile. Non riesco proprio a capire come tu possa averla comprata… Il commesso deve averti ipnotizzata, aveva un sguardo strano".

"L’hai notato anche tu, eh?" osservò Melanie. "Per me cercava di valutare le nostre misure attraverso i cappotti…".

"Bleah, che immagine orribile".

Le due si fermarono davanti a un vicoletto laterale, deserto e buio.

"Qui andrà bene" disse Melanie. Lily annuì, nervosa. Automaticamente strinse la mano alla bacchetta nascosta nella tasca interna della giacca. Precauzione inutile, visto che la Smaterializzazione si svolse senza problemi e dopo alcuni istanti entrambe le donne si trovavano nel giardino innevato dei Potter a Godric’s Hollow.

Lily notò che le luci dentro erano tutte spente e fu invasa da un vago senso di inquietudine. Possibile che James non fosse ancora tornato?

Melanie parve leggerle nel pensiero e le sorrise rassicurante. "Dai, entriamo. Sono sicura che è ancora con Sirius e non si è accorto che si è fatto tardi".

Lily si morse un labbro e annuì, seguendo l’amica all’interno della casa buia.

Giunta in cucina, depositò i vari sacchetti e buste in un angolo e poi cercò con una mano l’interruttore della corrente.

Ma prima di trovarlo, le arrivò la voce di Melanie dall’altra stanza. "Lily, vieni qui un secondo!".

"Che c’è, ti sei fatta male?" domandò Lily, in preda all’ansia: quel buio non le piaceva per niente.

"Vieni e basta" la chiamò ancora Melanie.

Lily ubbidì. Aveva appena varcato la soglia del salotto che le luci si accesero all’improvviso, accecandola, mentre almeno una ventina di voci gridava: "SORPRESA!".

La ragazza rimase attonita sul posto: il suo salotto era decorato a festa, con tanto di striscione con la scritta "Buon compleanno, Lily"; in un angolo una torta enorme capeggiava circondata da altre leccornie; ma più di tutto attirò la sua attenzione la folla di gente che le sorrideva, con i calici levati. Fra tutti, spiccava, quasi fosse stato illuminato da un faro, James, con in braccio un piuttosto perplesso Harry.

"Oh, mio dio!" fu tutto quello che riuscì a dire, ancora troppo stupita.

James si fece avanti. "Ehi, buon compleanno, amore" le disse, dandole un bacio sulla guancia. "Stavolta te l’ho fatto, hai visto?".

"Tu… tu…" balbettò la giovane. "Sei… tu sei… sei un… oh, grazie, James!" e gli saltò praticamente in braccio, mentre sentiva le prime lacrime pungerle gli angoli degli occhi.

"Ehi, ho collaborato anch’io" protestò una voce alle sue spalle. Lily si voltò: Melanie si era fatta avanti, con un largo sorriso.

"Era…era tutto organizzato?" chiese Lily incredula. "La lite con Sirius? Lo shopping sfrenato?".

"Shopping sfrenato?" fece James allarmato.

Melanie rise. "No, quella è stata un’idea mia. Dovevo solo trascinarti fuori di casa per lasciare agli altri modo di organizzare tutto…".

Lily le sorrise, abbracciandola. "Grazie, Mel. Grazie, grazie, grazie. E grazie anche a tutti voi" aggiunse rivolta agli altri ospiti.

"Tanti auguri, Rossa!" esclamò Sirius, levando il calice.

"E cento di questi giorni" aggiunse Remus, al suo fianco.

"E cento di questi giorni" gli fecero coro gli altri.

Lily sorrise a tutti con calore, per poi rivolgere la sua attenzione al marito ancora al suo fianco con Harry tra le braccia.

"Grazie James. Mi hai regalato una giornata stupenda".

James le sorrise, mentre le passava il bambino. "Prego. Non è stato niente di che. Per il prossimo anno, organizzo un viaggio a Parigi, che te ne pare?".

La giovane sorrise. "Sarebbe assolutamente perfetto".

"Ehi voi due!" li richiamò Sirius, in tono quasi urgente. "Smettetela di fare comunella. Ho fame e lì c’è una bella torta che aspetta solo la festeggiata!".

LYRAPOTTER’S CORNER

Uff, ce l’ho fatta! Avere una data di scadenza è proprio stressante: temevo di non riuscire a finire in tempo per il trenta e invece ci sono riuscita, anche se per un pelo. Spero vi piaccia, e di aver messo insieme una cosa decente, perché questo shot l’ho scritta sotto i postumi da influenza, perciò abbiate pazienza. Spero comunque che vi piaccia, Lily è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, mi auguro di averle reso giustizia.

Piccola nota, per il personaggio di Melanie mi sono auto plagiata: l’ho tratto in tutto e per tutto dalla mia fanfiction Babysitter per caso, perciò se qualcuno la trovasse famigliare, è perché l’ho presa da lì.

Uno speciale ringraziamento ai miei recensori

Deidara

Lyan

alida

Grazie infinite per il vostro sostegno

Prossimo appuntamento, tra una settimana tonda, il 06/02, per il compleanno di Arthur.

A presto, commentate numerosi, bacibaci!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Arthur Weasley ***


SPECIAL DAYS

ARTHUR WEASLEY

6 febbraio 1970

la Tana,

Ottery St Catchpole.

8.00

Il giorno del suo ventesimo compleanno, Arthur Weasley non fu svegliato dalla sveglia, diligentemente puntata alle 8.15 per permettergli di arrivare puntuale in ufficio. E non fu svegliato nemmeno della sua dolce mogliettina che gli portava la colazione a letto, cosa che certamente l’avrebbe reso molto felice. Avrebbe perfino accettato di essere svegliato dal bussare sommesso di un gufo alla finestra.

Ma no, la mattina del suo ventesimo compleanno non accadde nulla di tutto questo, ma qualcosa di decisamente più spiacevole.

Un tonfo e un rimbombo provenienti da qualche punto sopra la sua testa, talmente forti da far pensare che il soffitto stesse per crollare. Arthur saltò per aria e cascò dal letto, bruscamente richiamato alla realtà da un sogno in cui un cacciavite e un martello lo invitavano a prendere il the.

Imprecando e massaggiandosi il fondoschiena, il giovane si tirò in piedi. "Quel dannato spettro!" borbottò tra sé. "È tornato di nuovo".

Inforcò gli occhiali, passandosi una mano tra i capelli rosso fiamma, domandandosi vagamente cosa avesse fatto di male per meritarsi un simile risvegliò una mattina sì e una no. Era da quando si era sposato e si era trasferito alla Tana che cercava un modo per sbarazzarsi di quell’essere infernale il cui unico scopo nella vita sembrava quello di fare più rumore possibile. Sfortunatamente, ogni suo tentativo di allontanarlo si era rivelato vano, anzi, ogni volta che lo spettro tornava, era più rumoroso di prima.

Ah, presto o tardi mi libererò di te, fosse l’ultima cosa che faccio!

Sfortunatamente, il povero Arthur ancora non sapeva che quello spettro sarebbe risultato inamovibile. Anzi, avrebbe impiegato altri cinque anni di inutili tentativi prima di rinunciare una volta per tutte.

Ma questo non c’entra con la nostra storia, perciò torniamo a quella fredda mattina di febbraio.

Ripresosi dal brusco risveglio, Arthur lasciò vagare per un po’ lo sguardo intorno a sé. Si rese conto che Molly si era già alzata, ma la cosa non lo allarmò più di tanto: per abitudine, la moglie si svegliava prima di lui per preparagli la colazione e iniziare a sbrigare le faccende.

Si preoccupò di più, quando, andando in bagno, udì distintamente qualcuno vomitare dall’altra parte della porta sbarrata.

"Molly, cara" chiamò, bussando piano. "Non ti senti bene?".

Alcuni istanti di silenzio, poi la serratura che girava e la porta che si apriva, rivelando una Molly Weasley pallida come un lenzuolo con una mano posata sullo stomaco.

Arthur si fece ancora più allarmato. "Molly, che hai?" chiese trepidante.

"Non ne sono certa" balbettò la giovane. "Potrei aver mangiato qualcosa di avariato…".

Arthur la prese per le spalle. "Forse dovresti tornare a letto e riposare…".

Molly esitò alcuni istante, ma poi scosse il capo. "Ora mi passa, non preoccuparti" lo rassicurò. "Piuttosto, buon compleanno!".

Arthur la guardò stranito: preoccupato come’era, il pensiero del suo compleanno era finito in un angolo remoto del suo cervello. Le sorrise dolcemente. "Grazie, tesoro". Esitò un momento, poi aggiunse: "Sei sicura di non voler tornare a letto: non hai una bella faccia!".

"Oh, mille grazie, Arthur!" replicò Molly, fingendosi offesa. "Beh, ti conviene abituartici, visto che dovrai vedere questa faccia per il resto dei tuoi giorni da sposato!".

"Hai capito cosa intendevo" ribatté Arthur con un sorriso. "Dovresti tornare a letto…".

Molly si liberò risoluta della sua presa. "Stupidaggini. Sto benone. Non permetterò che mio marito si prepari la colazione da solo il giorno del suo compleanno!".

"Come se me ne importasse…" mormorò l’uomo, ma Molly era già partita in quarta verso le scale, con cipiglio deciso e dimentica del malessere.

Quando Arthur, dopo essersi vestito per il lavoro, giunse nella piccola cucina, la donna stava già scodellando un porzione gigantesca di uova e bacon, apparentemente ristabilita.

Tuttavia ad Arthur non sfuggì che la moglie si muoveva con meno decisione del solito e che di tanto in tanto assumeva una delicata tinta verdognola.

"Molly, per me dovresti tornare a letto…" tentò di nuovo, ma lei lo zittì con un brusco cenno della mano.

"Non è niente di grave, Arthur" lo rassicurò. "Non se è quello che penso…".

"E cosa pensi?" chiese l’altro, ansioso di scoprire la causa del malore.

Ma Molly restò sul vago. "Prima voglio esserne sicura: andrò a fare un controllo all’ospedale. E no" aggiunse vedendo che il marito stava aprendo la bocca per dire qualcosa, "tu non mi accompagnerai. Posso andare benissimo da sola".

"Ma…" tentò di protestare Arthur.

"Niente ma. Oggi devi andare a lavorare, lo sai tu e lo so anch’io. E stasera, ti preparerò una cenetta coi fiocchi per festeggiare. Vuoi che inviti qualcuno? A parte i tuoi, ovvio".

Arthur si strinse nelle spalle, scuotendo il capo. "Direi di no. Non voglio farne una questione di stato, Molly. La famiglia basta e avanza".

"Già, specie considerando che i tuoi famigliari sono metà di mille" considerò la giovane. "Ok, facciamo alle sette?".

"Nessun problema" confermò Arthur. "Sei sicura di non volere che rimanga?".

"Sì, Arthur, sono sicura. Tu va in ufficio. Noi ci vediamo stasera alle sette".

Ministero della magia,

Londra.

20.30

Era tardi. Incredibilmente, irrimediabilmente tardi. Arthur sospirò pesantemente, finendo di leggere la pratica che in teoria avrebbe dovuto archiviare già da mezz’ora. Dannata burocrazia, pensò con rabbia mentre il pensiero di quello che lo attendeva una volta arrivato a casa lo faceva rabbrividire.

Molly l’avrebbe ucciso. E se non lei, ci avrebbe pensato sua madre. Insomma, un’ora e mezza di ritardo, e per di più era lui il festeggiato!

Beh, risparmieranno nell’iscrizione per la lapide, si disse in tono funereo, controllando per l’ennesima volta l’orologio.

Ma in fondo mica era colpa sua se alle sei e trenta, quando, finito il suo turno, il suo capoufficio l’aveva intercettato con una pila di documenti da archiviare prima delle otto. Impresa impossibile, specie considerato che quel giorno il suo compagno d’ufficio s’era dato malato e lui era da solo. Ma prova ad andare a spiegarlo a una moglie furente, che di certo aveva lavorato tutto il giorno per preparargli una festicciola coi fiocchi nonostante il suo malore.

Oh, sì, questa volta Molly mi uccide sul serio!

Sospirò pesantemente, prendendo l’ennesima cartellina: la pila invece di diminuire sembrava aumentare, dannazione!

Oltretutto, gli toccava pure smaltire parte delle scartoffie degli altri Uffici: da alcuni mesi ormai, il Ministero era sovraccarico di lavoro, da quando erano cominciate quelle strane sparizioni, quelle morti apparentemente senza colpevole…

Il Primo Ministro si ostinava a dire che andava tutto bene, che presto sarebbero venuti a capo della situazione, ma ormai erano ben pochi quegli che gli davano retta, e Arthur non era tra questi. Se le cose andavano bene, lui era una bertuccia pelata! La situazione stava precipitando, Arthur ne era certo, le cose si sarebbero presto messe male, che il Ministro lo volesse o no.

E, sfortunatamente, il giovane Weasley non aveva ancora idea di quanto avesse ragione: sarebbero occorsi solo pochi mesi ancora prima che il nome di Voldemort cominciasse a serpeggiare con timore sulla bocca della gente…

Arthur scacciò quei pensieri cupi, guardando di nuovo l’orologio. Segnava le nove. Oh, al diavolo!, si disse. Domani tutta ‘sta roba sarà ancora qui in fondo. Non ho proprio intenzione di passare il resto della notte qui, quando Molly a casa mi aspetta.

Con fare deciso, si allontanò dalla scrivania, afferrò mantello e cappello e si allontanò rapidamente, diretto verso l’Atrium. Nessuno lo fermò (il suo capo se ne era andato circa un’ora prima), così poté tranquillamente Smaterializzarsi alla Tana.

La casa era silenziosa: i suoi parenti dovevano essersene andati, rassegnati all’idea che non sarebbe tornato a breve. Il che significava che non c’era nulla a fermare la furia omicida di Molly.

Esitante, Arthur entrò in casa: in cucina c’era una luce accesa; si recò da quella parte, ben deciso a non rimandare il peggio. Tuttavia ricevette una sorpresa: su una sedia, accanto alla tavola riccamente imbandita, stava Molly che fissava con sguardo perso un punto non precisato della parete di fronte a lei. Tra le mani, stringeva un foglio di pergamena accartocciato.

Arthur tossicchiò piano per annunciare la sua presenza. "Molly, cara…".

La giovane si voltò; un sorriso si allargò sul suo volto. "Arthur, sei tornato, finalmente…".

"Lo so, sono in ritardo" si scusò Arthur. "Mi dispiace, non sono riuscito proprio a liberarmi prima".

Molly annuì con fare comprensivo. "Sì, certo capisco. I tuoi genitori ti mandano i loro auguri; forse domani dovresti passare da loro, non credi?".

"Come, non sei arrabbiata?" fece Arthur, spiazzato.

"Perché dovrei?".

"Beh, devi aver lavorato sodo tutto il pomeriggio per preparare questo ben di dio per me e io non sono venuto…".

"Oh, non preoccuparti" fece Molly, liquidando con un gesto la questione. "Capisco che il lavoro ti ha tenuto impegnato e lo accetto. Può capitare".

"Sicura?".

"Al cento per cento. Vieni a mangiare un po’ di torta. Ho fatto la tua preferita, quella con le fragole e la panna…".

Arthur non se lo fece ripetere due volte: se Molly non era infuriata, non sarebbe stato certo lui ad aizzare il leone. Si sedette e attaccò con voracità l’enorme fetta di torta che la moglie gli mise davanti.

Passarono alcuni minuti di silenzio, rotto solo dal tintinnare delle posate contro il piatto, poi Molly esordì: "Arthur, devo dirti una cosa. Una cosa importante…".

"Di che si tratta, tesoro?" chiese Arthur, notando l’espressione seria della moglie.

"Beh, sia il malessere di stamattina? Sono andata al S. Mungo a fare un controllo e loro hanno confermato i miei sospetti…".

"Mi devo preoccupare?" domandò ancora Arthur, ansioso. "È qualcosa di grave?".

"No, no, non è nulla di serio" lo rassicurò Molly. Poi parve rifletterci un istante e aggiunse: "Beh, relativamente parlando".

"Non capisco. Ti puoi spiegare, per favore?".

Molly prese un respiro profondo e poi disse, tutto d’un fiato: "Sono incinta".

La rivelazione fu accolta dal silenzio più assoluto, mentre il cervello di Arthur andava in standby e l’uomo cercava di digerire la notizia che di lì a nove mesi sarebbe diventato padre.

Molly attese alcuni istanti, poi vedendo che il marito sembrava in stato catatonico, lo scosse per il braccio, chiamandolo: "Arthur! Arthur! Stai bene? rispondi!".

"I-i-incinta?" fu infine in grado di balbettare, intimamente grato di essere stato già seduto quando Molly aveva fatto l’annuncio altrimenti a quell’ora sarebbe finito lungo disteso in terra.

Molly annuì. "Aspetto un bambino" disse, come a voler rimarcare il concetto. "Aspettiamo un bambino".

"È…È stupendo!" esclamò infine Arthur, che, superato lo shock iniziale, si era allargato in un ampio e più che sincero sorriso.

Anche Molly lo imitò. "Dici sul serio?".

"Ma certo che dico sul serio!" la rassicurò l’uomo. "Non sono mai stato più serio in vita mia. È assolutamente meraviglioso".

Arthur era certo di non essersi mai sentito così felice, euforico e anche un po’ spaventato tutto in una volta, tranne forse al suo matrimonio. Sarebbe diventato padre: di lì a nove mesi avrebbe avuto in braccio suo figlio. Non riusciva a crederci, sembrava quasi troppo bello per essere vero.

Chissà come si sentiva Molly? Le bastò incontrare i suoi occhi e il suo sorriso per capire che provava esattamente quello che provava lui: timore, entusiasmo e tanta, tanta gioia.

Poco importava in quel momento che fossero tanto giovani, che non avessero tanti soldi, nulla aveva importanza in quel momento tranne la consapevolezza dell’esistenza di quella piccola creatura.

"Sei felice, Arthur?" chiese Molly.

"Felice non riesce a esprimere nemmeno lontanamente come mi sento in questo momento" le rispose Arthur, mentre quasi automaticamente la sua mano andava a posarsi sul ventre della donna. "Non potevi farmi un regalo più bello, amore mio".

LYRAPOTTER’S CORNER

Ecco qua, nuovo capitolo, nuova storia, nuovi personaggi. Questa shot è stata un po’ un parto (visto che siamo in argomento), non sono certa di quanto sia accettabile il risultato, però penso che almeno l’idea di base sia carina.

Per chiarezza, ho fatto i conti e la faccenda tornava: Bill è nato nel novembre 1970 (data tratta dal Lexicon), perciò in linea puramente teorica Molly potrebbe sul serio aver scoperto di essere incinta il giorno del compleanno di Arthur, anche se forse ci sta dentro un po’ stiracchiata.

Anche i riferimenti a Voldemort rientrano nel canon: nel primo capitolo della Pietra Filosofale, Silente dice che sono passati undici anni dall’inizio della guerra. Essendo che siamo nel 1981, togliendo undici, finiamo proprio nel 1970.

Vabbè, basta con questi sproloqui, di cui probabilmente non vi importa nulla, passiamo a ringraziare

Deidara

alida

per le loro recensioni.

Un’ultima cosa, dedico questo capitolo, anche se non lo leggerà mai, a mia mamma, che ieri ha compiuto gli anni.

Prossimo appuntamento, al 14/02, per S. Valentino, con un capitolo un po’ speciale.

A presto, commentate numerosi, bacibaci!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** San Valentino ***


SPECIAL DAYS

SAN VALENTINO

 

HARRY E GINNY

(missing moment da HP6, dopo il bacio in sala comune)

maggio 1997

Parco di Hogwarts

16.00

Erano seduti in silenzio sulla riva del lago da almeno dieci minuti. Harry non aveva ancora aperto bocca, perciò alla fine Ginny si decise a rompere il ghiaccio.

"Allora?" chiese, fissandolo con fare interrogativo.

"Allora?" ripeté lui, voltandosi finalmente verso di lei.

Ginny sbuffò. "Che cos’era quello? Prima, in Sala Comune?".

Harry inarcò le sopraciglia, sorridendo. "Devo farti un disegnino? O preferisci un diagramma a frecce?".

Ginny gli diede uno spintone. "Scemo. Per forza sei amico di mio fratello: siete due idioti!".

"Grazie. Cerco solo di alleggerire l’atmosfera…".

"Perché non mi rispondi, invece?" suggerì Ginny. "Perché mi hai baciato prima?".

Harry esitò, distolse lo sguardo e tornò a puntarlo verso il lago: ora, a mente fredda, si rendeva conto dell’enorme cretinata che aveva fatto.

"Harry?" lo chiamò Ginny. "Guardami".

Il ragazzo ubbidì.

"Perché mi hai baciato?" ripeté.

"Perché credo di essermi innamorato di te" riuscì infine a dire Harry. Visto che la ragazza non dava segni di vita aggiunse: "Ok, se vuoi, puoi ridere…".

"Vuoi stare zitto un secondo?" lo rimproverò Ginny. Gli si parò davanti, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarla negli occhi. "Stai dicendo sul serio?".

"Mai stato più serio in vita mia" rispose Harry in tono sicuro.

"Bene. Perché credo anch’io di essere innamorata di te…". E prima che Harry potesse comprendere appieno il significato di quella frase, Ginny si chinò su di lui e lo strinse in un bacio mozzafiato.

RON E HERMIONE

25 Dicembre 1994

Sala grande,

Hogwarts

21.00

Non riesco a toglierti gli occhi di dosso, malgrado sappia che sia sbagliato. Ti guardo ballare, divertirti, ridere… con Lui.

Perché sei venuta a questo stupido Ballo con Lui, Hermione? Perché ti stai divertendo con Lui, mentre io sono qua come un idiota, con una ragazza di cui non mi importa assolutamente nulla?

È con Me che dovresti ballare, Hermione… No, un momento, che diavolo sto pensando?

È Hermione, Hermione Granger, ripigliati Ron, non fare l’idiota.

Ma, più ti guardo con Lui, più mi sale la voglia di spaccargli la faccia.

No, non posso essere…sono sul serio…GELOSO? Come faccio a essere geloso? Noi siamo solo amici, anzi spesso e volentieri a malapena ci sopportiamo.

Ecco, ti ha stretto per la vita. Tieni a posto quelle manacce, scimmione! Lei è mia! Mia, hai capito?

Ehi, ma che cavolo sto pensando? Oddio, sono geloso sul serio! Oppure mi sto esaurendo. O magari è qualche contorto desiderio di protezione: in fondo Hermione è ormai una specie di sorella, come Ginny.

No, non è questo: Ginny balla tête à tête con Neville, ma non provo il malsano desiderio di staccargli la testa a morsi, come invece vorrei fare con Lui.

Ma come facevo ad ammirarlo tanto? Ora vorrei solo ucciderlo nel peggiore dei modi per aver osato toccarti… e ci risiamo, con questi pensieri: smettila Ron, è Hermione, la conosci da anni, è tua amica, non puoi sul serio essere geloso di lei.

Pensa a qualcos’altro, pensa a qualcos’altro. Mi immagino di avvicinarmi, prendere Krum a calci nel sedere e cominciare a ballare con te, stringerti, come lui sta facendo adesso… No, alt, stop, cancella, annulla!

Ma che diavolo mi è preso?

No, perché vieni verso di me? Mi si legge in faccia quello che sto pensando?

Respiro più tranquillo quando mi rendo conto che vuoi solo parlare con me e Harry.

Ma poi nomini Lui e una rabbia cieca mi prende. Senza che me ne accorga conto cominciamo a litigare furiosamente: nemmeno mi rendo conto delle parole che ti sputo contro.

Ti volti e ti allontani furiosa. Harry mi guarda come se fossi un extra-terrestre: sono proprio idiota! Idiota! idiota!

Ma perché me la sono presa con te? Perché abbiamo litigato? Perché sono così dannatamente geloso? Da quanto mi piaci così tanto, Hermione?

LUCIUS E NARCISSA

Luglio 1973

Casa Black,

Grimmauld Place n° 12, Londra.

15.30

La mia vita scorre su binari già prestabiliti, lo so e lo sempre saputo. Ultimogenita di una delle più antiche casate Purosangue d’Inghilterra, il mio destino è sempre stato quello di sposarmi con un buon partito, Purosangue ovviamente, e mettere al mondo figli Purosangue, maschi preferibilmente. Per portare avanti il nome della famiglia.

Oggi, il mio destino si è compiuto. Oggi ho pronunciato il giuramento che mi ha legato indissolubilmente a te, Lucius Malfoy. Oggi ho intrecciato per sempre la mia vita alla tua.

Una ragazza dovrebbe essere felice il giorno del suo matrimonio, giusto?

Io non sono certa di quello che provo: non certo felicità. Come posso essere felice di fronte a qualcuno che mi è stato imposto da altri?

È più una sorta di vago stordimento: forse non ho ancora pienamente focalizzato ciò che è accaduto…

Ti guardo, non ti perdo di vista un istante, anche ora che parli con i tuoi genitori e penso che poteva anche andarmi peggio.

Guarda come è finita Bellatrix, sposata con quel buzzurro troglodita di Rodolphus Lestrange. O Andromeda, rinnegata per la sua relazione con uno schifoso Sanguesporco. Anche se un po’ mi dispiace che non sia presente.

A me, la più piccola delle sorelle Black, il fato ha probabilmente riservato il destino migliore: tu sarai un bravo marito, Lucius, ne sono sicura. Chissà, magari potrei anche innamorarmi di te alla fine.

Ti liberi infine dei tuoi genitori, torni da me, con quel sorriso asciutto che ho imparato a conoscere, mi prendi per mano, mi inviti a ballare.

"Te l’ho già detto che sei bellissima con questo vestito?" mi sussurri all’orecchio.

Il cuore mi balza in petto, mentre il tuo complimento mi fa arrossire leggermente.

Un dubbio mi si affaccia alla mente: forse ho già cominciato ad amarti, Lucius Malfoy.

ARTHUR E MOLLY

Novembre 1966

Hogwarts

4.30

Ad Hogwarts regnavano la calma e il silenzio, i corridoi che davano a sud erano illuminati da una fulgente mezzaluna.

Ed erano proprio questi ultimi corridoi che due studenti cercavano di evitare: il buio è il migliore compagno per coloro che violano il coprifuoco, soprattutto quando il vecchio custode è in caccia di eventuali trasgressori.

Ma ai nostri giovani Grifondoro importava ben poco, anche se si fossero presi una punizione: una notte come quella era decisamente troppo bella per sprecarla al chiuso.

E quando si è innamorati, certi rischi passano in secondo piano.

Giunsero infine al settimo piano, si fermarono dietro un angolo, in vista del ritratto della Signora Grassa.

Il ragazzo si voltò, sorridendo dolcemente alla sua compagna di avventura. "Vado prima io: tu seguimi tra due minuti".

La ragazza annuì. "Mi sono davvero divertita stasera, Arthur".

"Anch’io". Il suo sorriso si allargò ulteriormente, mentre si chinava su di lei e le stampava un ultimo, rapido bacio.

"Buonanotte, Molly".

"’Notte, Arthur" disse lei, dopodiché lui si allontanò.

Alcuni istanti dopo, lo sentì dare la parola d’ordine e il ritratto aprirsi. Contò fino a dieci, poi lo imitò.

Ma quando vi si trovò davanti, la Signora Grassa le rivolse uno sguardo di rimprovero, dicendo: "Facciamo le ore piccole, eh, signorina Prewett?".

Molly arrossì, ma non rispose, dando invece la parola d’ordine: più tempo passava, più aumentava il rischio che qualcuno la vedesse, ora che Arthur se n’era andato si sentiva molto meno sicura.

Ma il dipinto non si mosse. "Sai" proseguì, ridacchiando, "ai miei tempi si sarebbe giudicato molto sconveniente che un ragazzo e una ragazza vagabondassero per il castello di notte, da soli. Dovresti osservare più prudenza…".

"Non ho bisogno dei tuoi rimproveri o dei tuoi giudizi" ribatté Molly, piccata. "Ci amiamo e tanto basta".

"Certo, vi amate. Ma a quest’ora si dovrebbe dormire, signorinella. Non scorazzare da un capo all’altro del castello: quello si può fare tranquillamente alla luce del sole".

"Certo, certo" acconsentì Molly, ansiosa. "Ora puoi lasciarmi entrare?".

"Come vuoi. Ma sappi che se tu e il signor Weasley mi sveglierete di nuovo per le vostre scorribande, vi lascerò a dormire in corridoio".

Detto questo, finalmente il ritratto si spostò e Molly poté entrare, con suo sommo sollievo.

La Signora Grassa ancora non lo sapeva, ma quella non sarebbe stata l’ultima volta che Molly Prewett e Arthur Weasley disturbavano il suo sonno per le loro "scorribande".

TED E ANDROMEDA

Febbraio 1971

Sala Grande

Hogwarts.

19.30

È sbagliato, lo so. Quando mai una Black è stata con un Sanguesporco?

Quando mai ha amato un Sanguesporco?

Non ti dovrei nemmeno guardare, Ted Tonks, seduto là al tavolo di Tassorosso, a scherzare con i tuoi amici. Eppure non posso farne a meno.

È sbagliato, lo so. Non dovrei osservarti di sottecchi.

Ma non posso evitarlo.

Non dovrei pensare a te in ogni momento, alle tue carezze, ai nostri baci rubati.

Ma non desidero altro.

Non dovrei amarti, Ted Tonks.

Ma voglio farlo.

Vorrei gridarlo al mondo intero, ma già mi immagino cosa direbbero gli altri, i miei genitori, le mie sorelle se sapessero che io, Andromeda Black, frequento un Sanguesporco.

Ecco, ti stai alzando, ti dirigi verso l’uscita. Io aspetto un paio di minuti, poi sotto lo sguardo sbalordito di Narcissa ti seguo.

È sbagliato, lo so. Questo penso mentre mi afferri per un braccio, appena fuori dalla Sala grande, e mi trascini dietro una statua, baciandomi come solo tu sai fare.

Ma se sto sbagliando, allora spero di continuare a sbagliare per il resto della mia vita.

JAMES E LILY

Giugno 1976

Hogwarts

17.00

Lily camminava tranquillamente per il corridoio, pensando alle vacanze ormai imminenti, quando la voce dell’essere a suo avviso più sgradito di tutta Hogwarts la raggiunse alle sue spalle.

"Evans, ehi Evans!".

Lily si voltò, dipingendosi in volto un sorriso falso quanto una banconota da cinque galeoni.

"Che vuoi Potter?" chiese in tono frustrato e rassegnato.

James le si fermò di fronte, ansimando dopo la corsa per raggiungerla. "Chiederti di venire con me ad Hogsmeade sabato" disse infine, sicuro e spavaldo.

"Mmmm, fammici pensare: no!". Lily si voltò e fece per andarsene, ma James la trattene per il polso.

"Ti prego, è l’ultima gita dell’anno. Cosa devo fare per farmi dire di sì?" la implorò.

Lily finse di pensarci. "Non essere James Potter. Diventa l’opposto di ciò che sei adesso e allora io uscirò con te".

"Dici sul serio?" chiese James, illuminandosi di nuova speranza.

"Sicuro" confermò Lily, sarcastica. Voglio proprio vedere

"Allora fammi capire: io devo diventare l’opposto di quello che sono ora?".

Lily annuì.

"E allora tu uscirai con me?".

Altro segno di assenso.

"Allora, Lily Evans, ti giuro che dovessi morire, diventerò esattamente l’opposto di quello che sono ora e ti conquisterò".

"Sì, d’accordo" acconsentì Lily, liberandosi il polso. "Ci si vede, Potter".

"A settembre sarò un uomo nuovo" le promise James, mentre lei si allontanava. "E allora nemmeno tu potrai dirmi di no".

L’importante è crederci, Potter. Questo pensiero scettico attraversò la mente di Lily, mentre svoltava l’angolo. Solo un miracolo potrebbe convincermi a dirti di sì

Non sapeva, la giovane Grifondoro, che quel miracolo era già cominciato…

REMUS E NINFADORA

(NdA: in questa flash, ho inserito un termine piuttosto volgare. Chiedo scusa se a qualcuno darà fastidio, ma non ho trovato una parola migliore)

Novembre 1997

Casa Tonks

18.00

"Mi dispiace".

Come se bastasse per rimettere le cose a posto, dopo quello che ho fatto. E dal modo in cui mi guardi, capisco che stai pensando la stessa cosa.

"Mi dispiace" ripeto. Merlino santo, che parole stupide e prive di senso: non comunicano nemmeno metà di quello che provo in questo momento.

Mi squadri con freddezza. Tutto sommato è strano che non mi hai ancora buttato fuori a calci: non mi merito nulla di meglio.

"Per cosa?" chiedi infine.

"Come?".

"Per cosa ti dispiace, Remus?" specifichi. "Per aver lasciato me e nostro figlio? O perché sei il più grande, emerito stronzo mai apparso sul pianeta?".

"Per tutto, Dora" rispondo in tono mortificato, fissando le piastrelle del pavimento. "Sono stato un imbecille".

"E dici poco" ribatti in tono asciutto. "Che cosa sei venuto a fare qui? Io non voglio né vederti né parlarti".

Le tue parole mi feriscono peggio di una frustata: ti ho persa sul serio questa volta? Alla fine, tutti i miei complessi e le mie nevrosi ti hanno allontanata da me, proprio quando mi sono reso conto di voler stare con te?

Bel lavoro, Lupin: hai vinto il nobel per la stupidità.

Decido di giocare il tutto e per tutto: ormai sei troppo importante per me.

"Ti prego, Dora, ti supplico, perdonami. Sono stato uno stupido, codardo egoista. Lo so che non me lo merito, ma ti prego, perdonami".

Alzo lo sguardo e incontro i tuoi occhi, fissandoti supplice, mandando al diavolo quel poco di dignità che mi resta: se sarà necessario, mi metterò anche in ginocchio.

E scorgo il dubbio, mischiato alle lacrime che stanno per affiorare. "Come faccio a fidarmi?" mormori con un filo di voce. "Come faccio a sapere che non te ne andrai un’altra volta?".

"Te lo giuro, Dora" prometto, mentre anche i miei occhi si riempiono di lacrime che nemmeno sapevo più di avere. "Ti amo, Dora. Dammi l’opportunità di dimostrartelo".

"Pensi sul serio di meritartela, questa opportunità?".

"No" rispondo sinceramente. "Ma te la chiedo ugualmente, nella speranza di potermi far perdonare".

Ti mordi il labbro, indecisa: non sai nemmeno tu cosa fare. Io resto in silenzio, attendendo il tuo giudizio finale.

Alla fine, dopo il minuto più lungo della mia vita, sospiri. E poi sorridi, uno di quei sorriso luminosi che tanto amo.

"E sia" acconsenti. "Anche sforzandomi, non ce la farei a stare senza di te. Ma sarà la tua ultima occasione".

Rilascio il respiro che ho trattenuto inconsciamente fino a quel momento e sorrido a mia volta. "Grazie, Dora. Grazie: ti giuro che stavolta sarò degno del tuo amore".

Il tuo sorriso si fa ancora più largo. "Tu lo sei sempre stato. Solo, eri troppo zuccone per accorgertene".

BILL E FLEUR

Giugno 1997

Infermiera di Hogwarts

9.00

Madama Chips lo stava decisamente viziando. Ma d’altronde quella donna era sempre stata così, naturalmente premurosa con qualunque cosa fosse ferita e/o sofferente.

Questo pensava Bill Weasley quella mattina di fine giugno, mentre sdraiato sopra un mucchio di cuscini, sfogliava l’ultima edizione della Gazzetta Del Profeta, che era già infarcita di commenti e frasi retoriche sulla morte del Preside di Hogwarts.

Con un gesto stizzito, Bill chiuse il giornale e lo posò sul comodino. I suoi occhi a quel punto caddero sullo specchietto circolare che Madama Chips doveva aver lasciato lì la sera prima. Allungò la mano, esitando indeciso un attimo, ma alla fine lo afferrò e se lo portò davanti al volto. In fondo presto o tardi dovrò abituarmi alla mia nuova faccia, si disse, studiando il proprio riflesso. Madama Chips garantiva che le ferite stavano guarendo bene, che nel giro di pochi giorni sarebbe stato dimesso. Ovvio, non poteva fare nulla per le cicatrici: nessun incantesimo poteva cancellare le tracce che i Licantropi lasciano sulle loro vittime. Anche il termine "vittima" suonava un po’ retorico: in fondo non era diventato un vero lupo mannaro. Anche se nemmeno Remus aveva saputo dire in che forma si sarebbe manifestato il contagio.

La porta si aprì in quel momento. Bill si affrettò a posare lo specchietto, mentre Fleur entrava nella stanza, portando un vassoio con la colazione: l’immagine della moglie perfetta. Si meriterebbe il marito perfetto.

"Comme va-tu?" gli chiese la giovane. "Come stai? Ti ho portato la colasion".

Bill le sorrise. "Grazie, Fleur, sei molto gentile".

La francese si sedette sul letto, a fianco a lui, e rimase a osservarlo mentre cominciava a mangiare. "Come stai?" domandò di nuovo, dopo qualche istante di silenzio.

"Inizio a mal sopportare la degenza. Non sono fatto per stare a letto".

"Sci vorranno solo un paio di jorni, encore" lo rassicurò Fleur. "Sai, ponso di aver finalmente scelto il vestito perfetto".

"Vestito?".

"Mais oui, pour il matrimonio, no?" disse la ragazza, ridendo.

Ah, già, il matrimonio. Perché adesso ogni volta che ci pensava gli si chiudeva lo stomaco per l’angoscia?

"Fleur" cominciò, esitante, "sei sul serio sicura di quello che stai facendo?".

Le rimase interdetta. "Ma scerto. Il vestito est absolument…". Poi su bloccò. "Tu non stai parlando del vestito, n’est-ce pas?".

"No" confermò Bill. "Non parlo del vestito. Non voglio che tu ti senta costretta a sposarmi…".

"Come puoi ponsarlo?".

Bill si indicò il volto sfigurato con fare allusivo. "Tu ti meriti di meglio".

Fleur balzò in piedi, stringendo i pugni e osservandolo furiosa. "Ora, ascoltami bene, Bill Weasley. Non saranno scerto alcune scicatrisci a impedirmi di sposarti, a-tu compris? Je t’aime. E questo non potrà combiarlo nulla. Chiaro?".

Bill rimase un attimo spiazzato da quel discorso infervorato. "Scusami. Pensavo che…".

"Ponsavi male" lo interruppe secca Fleur. "Ora manjia. Devi rimetterti in forse".

Bill si affrettò a ubbidire, ma dentro di sé sorrideva.

LYRAPOTTER’S CORNER

Lo so, sono in ritardo, ma per cause estranee alla mia volontà (leggete influenza dilagante!!!!!). Ora mi sto ripigliando, e perciò a un giorno dal San Valentino ufficiale, giungo con il mio personale tributo a tutte le coppie principali della saga. Coppie canon, ovviamente: ero tentata di inserirne anche alcune fanon (la Severus/Lily e la Dean/Luna mi hanno sfiorato non poco), ma alla fine ho deciso di attenermi a quanto la Rowling aveva stabilito. Spero comunque di non aver scontentato nessuno: su otto flashfic, di certo ce n’è una buona per tutti voi lettori!

So anche che non sono ambientate a San Valentino, ma ho preferito così, piuttosto che privilegiare una coppia sola, così siamo tutti contenti (spero!).

Ringrazio Deidara e Pan_Tere94 per le loro recensioni, ovviamente.

Prossimo appuntamento, 01/03, per il compleanno di Ron.

Buon San Valentino (o buon Faustino se siete single come la sottoscritta!)!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ron Weasley ***


SPECIAL DAYS

RON WEASLEY

1 marzo 1986

La Tana

11.30

Ronald Weasley adorava il suo compleanno: era praticamente l’unico giorno dell’anno che fosse tutto dedicato a lui. E detto tra noi, avendo altri cinque fratelli più grandi e una sorella più piccola, probabilmente aveva pure ragione. Non è facile essere praticamente l’ultimo della famiglia.

Per questo, Ron si godeva quel giorno, in cui si sentiva quasi il re del castello, anche perché sua madre non lo lesinava certo in attenzioni, anzi, a volte era quasi troppo soffocante: ma a sei anni sono ben pochi i bambini che si lamentano per questo e Ron non era tra questi…

Quel particolare compleanno, si era svegliato quasi al cantar del gallo, era perfino riuscito a salutare suo padre prima che andasse al lavoro, cosa che non accadeva quasi mai, visto che di solito Arthur andava in ufficio ben prima che i suoi figli si alzassero.

Molly lo aveva bonariamente rimproverato sul fatto di essersi svegliato così presto, poi gli aveva preparato una colazione da re.

Piano, piano poi era stato raggiunto anche dagli altri ragazzi Weasley. In realtà i due fratelli più grandi erano assenti Bill e Charlie, infatti, frequentavano già Hogwarts, con un certo sollievo di Molly Weasley in realtà, che ora che il carico di figli perennemente a casa stava lentamente diminuendo, poteva ricominciare a respirare. Sarebbe stato diverso quando anche l’ultimo dei suoi pulcini se ne fosse andato, ma quel giorno era ancora molto lontano.

Dopo una colazione relativamente tranquilla, tutti i bambini si erano poi sparsi per la casa, a far qualche danno, probabilmente.

"Allora, Ron" chiese Molly al figlio, quando arrivò l’ora di preparare da mangiare, "Che cosa vuoi oggi per pranzo?".

Il bambino si illuminò. "Arrosto con le patate" rispose subito. "E la torta di panna e fragole".

"E arrosto sia" approvò Molly. "La torta però la preparo per la cena, così ci sarà anche tuo padre".

"Ma a noi non piace la torta alle fragole" protestò Fred.

"Già" gli fece eco George. "Noi vogliamo quella al cioccolato".

Molly guardò seccata i gemelli. "Ma oggi non è il vostro compleanno, o sbaglio?".

I due scossero il capo.

"Perciò" continuò decisa Molly. "Oggi decide Ron cosa mangiare. Tra un mese, quando sarà il vostro compleanno, deciderete voi".

Ron sorrise compiaciuto, mentre i gemelli fissarono con astio il fratello più piccolo. Se c’era una cosa che i gemelli non sopportavano, era lasciare a Ron lo scettro del comando: loro erano più grandi e come tali avevano diritto di precedenza. Era ora di ricordarlo anche alla piccola canaglia…

*****

Consumato l’ottimo pranzo di Molly, Ron era tornato nella sua camera, una delle poche cose che fossero sue e basta, visto che non la divideva con nessuno. Certo, c’era il piccolo inconveniente di dormire sotto la soffitta, il regno di un rumoroso e fastidioso spettro, ma a parte quello, era perfetta.

Si era appena messo comoda e aveva cominciato a riordinare la sua collezione di figurine di cioccorane, quando sulla soglia comparvero Fred e George, con dipinto sul volto due identici ghigni, chiaro segnale di pericolo.

"Allora, Ronnie" esordì Fred.

"Dunque, dunque" fece George.

Ron li fissò guardingo. "Che volete voi due?". Aveva imparato da tempo a non fidarsi dei gemelli: sapevano essere più infidi di un cobra, quando volevano. E lui era il loro bersaglio preferito.

"Oh, ma senti che tono sfacciato, Fred".

"Già. Dovresti portarci un po’ di rispetto in più, sai. Siamo i tuoi fratelli maggiori, in fondo".

"Solo di due anni" obiettò Ron.

"Sempre due anni sono. Pensavo l’avessi capito…".

"Tu qua sei l’ultima ruota del carro…".

"Se noi decidiamo che qualcosa non va bene, tu ti adegui. Punto e basta".

"Chiaro il concetto?".

Ron li guardò storto. "Che volete?" ripeté, deciso a non farsi mettere i piedi in testa.

"Una cosa semplice, semplice" lo rassicurò Fred.

"Facile, facile" gli fece eco George. "Devi solo andare di sotto…".

"… E dire alla mamma che hai cambiato idea e vuoi la torta al cioccolato".

"Ma io voglio la torta con la panna e le fragole" protestò Ron, balzando in piedi.

Fred e George si scambiarono un’occhiata accondiscende, sospirarono, poi dissero: "Certo, lo sappiamo. Ma a noi non ci piace. Noi preferiamo quella al cioccolato".

"E tu ora andrai a dire alla mamma che la vuoi anche tu".

"Ma non è giusto!".

"Dal tuo punto di vista".

"Dal nostro, è giustissimo. Forza, muoviti".

Ron strinse i pugni e disse, in tono più deciso di quanto in realtà si sentisse: "No".

I gemelli fecero una faccia stralunata. "Prego?".

"Che hai detto?".

"Ho detto no" ripeté Ron in tono più sicuro. "Oggi è il mio compleanno, decido io. E io voglio la torta alle fragole".

Per alcuni minuti i gemelli furono troppo sorpresi per dire alcunché. Non si erano aspettati una forma di resistenza. Comunque si ripresero in fretta: i loro malvagi cervellini si stavano già mettendo in moto per raggiungere l’obiettivo per vie trasverse.

"Benissimo" disse Fred.

"Perfetto" concordò George. "In tal caso, ci costringi a usare le maniere forti".

"Che cosa volete fare?" chiede Ron, di nuovo intimorito.

"Beh, vediamo". I gemelli si guardarono intorno e infine posarono il loro sguardo su un vecchio orsacchiotto di peluche. Veloce come un gatto, Fred lo agguantò, mentre George teneva indietro Ron, che era scattato in avanti per difendere la sua proprietà.

"Lasciatelo stare" strillò, cercando di divincolarsi.

"Allora Ronnie" disse Fred, ridacchiando soddisfatto. "Tu fai quello che ti abbiamo detto e a questa adorabile palla di pelo non accadrà nulla di spiacevole".

"Come ad esempio, un cambio di colore. A me è sempre piaciuto il fucsia".

"A pallini gialli".

"Nooo!" protestò Ron. "Non potete farlo".

"Ma certo che possiamo" gli assicurò Fred.

"Possiamo e lo faremo. A meno che tu…".

I due minuti successivi furono davvero affascinanti per i gemelli: potevano quasi vedere le rotelle nella testa di Ron girare a doppia velocità, mentre quest’ultimo si affannava in cerca di una soluzione che gli permettesse di avere sia l’orso che la torta alle fragole. Evidentemente non ne trovò, perché alla fine abbassò il capo sconfitto, mormorando: "Vi odio".

"Non sei il solo" disse George, ghignando soddisfatto.

"Ora muoviti, prima che mamma comincia a preparare" aggiunse Fred.

Ron si avviò fuori dalla stanza: in quel momento, se gli sguardi avessero potuto uccidere, di certo Fred e George sarebbero caduti entrambi stecchiti. Invece i due si limitarono a ridacchiare tra loro, convinti di aver ristabilito il loro equilibrio. Purtroppo per loro, si sbagliavano.

*****

Ron aveva deciso di sfogare tutta la sua frustrazione su un cuscino, immaginandosi che avesse la faccia di Fred e George. Li odiava, accidenti, se li odiava. Riuscivano sempre ad averla vinta, in qualche modo. Non era giusto: perché doveva finire sempre secondo? Avrebbe tanto voluto cancellare dalle loro facce quegli odiosi sorrisetti soddisfatti. Ma come? Come?

"Ron?". La vocina timida di Ginny interruppe il suo sfogo rabbioso.

Il bambino si voltò verso la sorellina, che lo osservava perplessa sulla porta.

"Che c’è?" chiese, più brusco di quanto non volesse essere: in fondo Ginny non aveva colpe in tutta quella storia.

"Stai bene?" gli chiese lei, per nulla intimorita.

"No, non sto bene per niente" sbottò Ron, dopo alcuni minuti di esitazione.

"Fred e George?" indovinò Ginny con sagacia.

"Come lo sai?".

"Li ho visti di sotto piuttosto gongolanti" rispose lei. "E quando loro sono contenti, di solito tu non lo sei. Che cosa hanno fatto?".

Sospirando, Ron raccontò alla sorellina quello che era successo. Ginny ascoltò con attenzione e alla fine del resoconto disse: "Perché non dici tutto alla mamma?".

"Quando mai quei due hanno avuto paura della mamma?" obiettò Ron.

"Non puoi dargliela sempre vinta" obiettò Ginny. "Altrimenti non la smetteranno mai!".

"E cosa suggerisci di fare?".

Ginny assunse un’aria cospiratrice. "Di fargliela pagare".

"Fargliela pagare?" ripeté Ron, perplesso.

"E cara, anche".

Ron ci pensò sopra: l’idea di Ginny era tanto pazza da poter perfino funzionare. E dopo tanto tempo, la prospettiva di vendicarsi di Fred e George lo stuzzicava non poco.

Dal nulla, o così gli parve, un piano cominciò a germogliare nella sua testa. Oh sì, gliela avrebbe fatta pagare cara, stavolta!

Tornò a posare lo sguardo Ginny, che lo fissava a sua volta in attesa di qualche reazione. "Ginny, mi è appena venuta un’idea".

La bambina sorrise. "Allora sei capace di pensare. I miracoli accadono!".

Ron le tirò dietro un cuscino. "Spiritosa. Davvero spiritosa. Comunque, ho bisogno anche del tuo aiuto".

Da divertita, l’espressione di Ginny si fece improvvisamente attenta.

*****

Era notte fonda, ormai, tutto taceva alla Tana. Dopo i festeggiamenti, la tradizionale apertura dei regali e una fetta di squisita, deliziosa torta al cioccolato, i bambini erano crollati addormentati come mosche, uno dietro l’altro. O almeno così sembrava

Infatti, un paio di birbanti di nostra conoscenza avevano solo aspettato che i genitori andassero a letto a loro volta per sgusciare fuori dalle coperte e sgattaiolare di sotto. Il loro scopo, inutile dirlo, era mangiarsi anche il resto della torta, che era avanzata per un buon quarto. In fondo aveva faticato parecchio per quel dolce, volevano goderselo fino in fondo. Ed era consolidata tradizione di casa Weasley che qualcuno, solitamente proprio i gemelli, consumasse nottetempo gli avanzi dei dolci preparati con tanto amore da Molly.

Mentre scendevano le scale, Fred incespicò piuttosto rumorosamente, finendo per terra.

"Shhh" lo rimproverò il fratello sottovoce. "Vuoi svegliare tutti quanti?".

"Sono inciampato in uno degli stupidissimi libri di Percy" si giustificò Fred, rialzandosi. "E comunque non mi preoccuperei: mamma e papà hanno il sonno più pesante di un orso in letargo. E non è che gli altri mi preoccupino più di tanto…".

"Già" concordò George. "Al massimo possiamo chiuderlo nel armadio delle scope…".

Fred ridacchiò e fece cenno al fratello di andare avanti.

Giunsero in cucina senza ulteriori incidenti. Avanzando a tentoni nel buio, aiutandosi con una sedia, presero la tortiera dove Molly aveva riposto il dolce, sperando ingenuamente di tenerlo lontano dalle mani di eventuali ladruncoli.

"Prendi le forchette" ordinò George.

Mentre Fred obbediva, il bambino scoperchiò la tortiera e annusò l’invitante profumo di cioccolato che il dolce emanava.

"Mi sa che non riusciamo a finirla tutta" osservò Fred, tornando con le forchette. "Stavolta la mamma si è superata…".

"Io dico che se ci impegniamo, ce la possiamo fare" garantì George, portandosi alla bocca il primo boccone. "Alla nostra" aggiunse, a mo’ di brindisi.

"Alla nostra" gli fece eco Fred.

Cominciarono letteralmente a divorare la povera torta con delle maniere che avrebbero fatto inorridire un gorilla, cosicché erano oltre la metà quando si resero conto che c’era qualcosa che non andava.

"Non hai sete?" domandò Fred, perplesso.

"Stavo per farti la stessa domanda… Non fa caldo?" chiese ancora George, sventolandosi con la mano e contemporaneamente ingoiando un altro morso.

"In effetti…". Fred rimase bloccato per mezzo secondo, prima di balzare in piedi: "Devo bere qualcosa!".

Si precipitò al lavello, mandando giù un bicchiere d’acqua, poi un secondo, poi un terzo, ma la sete non passava, anzi sembrava aumentare. Oltretutto, anche la sensazione di calore era ormai diventata impossibile da ignorare: in verità, entrambi i gemelli aveva l’impressione che un incendio si stesse propagando della loro bocche al resto del corpo.

"Oh, Merlino!" esclamò George, nel panico. "Che ci sta succedendo?".

"La torta deve avere qualcosa di strano".

"Ma non è possibile. Ne abbiamo mangiato anche dopo cena. Mamma mia, sto bruciando!".

"Anch’io. Ho questa sete pazzesca".

"Forse stiamo morendo…".

"Ah, ah, ve l’ho fatta!" esclamò una voce nell’oscurità.

Subito dopo la luce si accese, lasciando i gemelli accecati per alcuni istanti. Si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce e videro Ron che lo osservava con un sorriso gongolante, e dietro di lui Ginny, non meno soddisfatta.

"VOI?!" gridarono in coro i gemelli. "Che cosa avete fatto?".

"Abbiamo truccato la torta" rispose Ron, ridacchiando. "Sapevamo che sareste scesi a mangiarla. Così, l’abbiamo spruzzata con la vostra salsa piccante".

"E dove l’avete presa?" domandò Fred, al colmo dello stupore.

"Io sapevo dove la tenevate" rispose Ginny, tranquilla. "Così, ho aspettato di che voi scendevate per la cena e l’ho presa. Dopo mangiato, io e Ron siamo tornati di sotto e… bim, bum, bam, scherzo pronto e servito".

"Ma perché?".

"Ve la siete cercata" protestò Ron. "Volevate la torta al cioccolato, no? Così imparate!". Sottolineò le parole con un deciso movimento d’assenso.

I gemelli si rivolsero verso al sorellina, increduli che anche Ginny fosse complice dello scherzo.

Lei si limitò a fare spallucce. "Era giusto che ricevevate una lezione, finalmente".

Prima che Fred o George potesse dire qualcosa, un’assonnata e piuttosto adirata Molly comparve in cucina in vestaglia, tallonata dal marito e da Percy.

"Ma si può sapere che diavolo combinate voi quattro a quest’ora di notte, in nome di Morgana?" sbraitò.

I gemelli misero subito su un’espressione da cucciolo ferito. "Mammina" trillarono. "Ginny e Ron ci hanno fatto un scherzo.

"Sul serio?" esclamò Molly, non riuscendo del tutto a nascondere la sorpresa, per non dire l’esultanza. Subito dopo riassunse un contegno severo: "Volevo dire, sul serio? Cosa avete combinato?".

Fred e George raccontarono con dovizia di particolari l’incidenti, interiormente soddisfati che i fratelli ricevessero una punizione direttamente dalle alte sfere. Dal canto loro, Ron e Ginny si limitarono a fissare il pavimento.

"È la verità?" domandò infine Molly, rivolta ai suoi ultimogeniti. "Perché lo avete fatto?".

"Se lo sono meritato!" gridò Ron, senza potersi contenere. "Mi hanno costretto a dirti che volevo la torta al cioccolato!".

"È vero?".

I gemelli scossero energicamente la testa, ma Ginny intervenne: "Bugiardi! Non gli credere, mamma!".

"Voi siete i bugiardi!" strillò Fred.

"Bugiardi e cattivi!" fece eco George.

Ron balzò in avanti e sicuramente se Arthur non avesse avuto la prontezza in riflessi di bloccarlo, la cosa sarebbe finita nel sangue. "Cosa facciamo, Molly?" domandò.

"Mamma?" fecero i gemelli in tono innocente.

"Mamma?" disse Ron supplichevole.

"Mamma?" chiese Ginny, quasi arrabbiata.

"Mamma?" concluse Percy, curioso.

"Zitti tutti!" gridò la diretta interessata. "Ginny, Ron, non potete comportarvi in questo modo: siete entrambi in castigo per una settimana".

I due abbassarono la testa, sconfitti e delusi, mentre i gemelli esultavano.

"E quanto a voi due" proseguì Molly. "Non ho prove che quello di cui ci accusano i vostri fratelli sia vero. Ma vi avverto, un altro incidente del genere…".

"Non accadrà più" giurarono Fred e George.

"Bene. Adesso a letto, forza!".

Tutti si affrettarono a ubbidire, Ron e Ginny a capo chino, amareggiati per come si era conclusa quella storia. Non era giusto: perché erano stati puniti solo loro? La colpa era anche e soprattutto di Fred e George, perché a loro doveva andare bene anche questa volta.

Tuttavia nelle scale, Molly li bloccò e sussurrò, in modo che solo loro sentissero: "State tranquilli, troverò qualcosa da far fare anche a loro. E domani ti preparerò quella torta alle fragole…".

Sorridendo, li sorpassò, per tornare in camera.

Ginny e Ron si guardarono, perplessi, poi i loro volti si distesero in simultanea in un identico ghigno.

"Ottimo lavoro, socia".

"Tutto merito mio, ovviamente" osservò Ginny, ridacchiando con superiorità.

"Presuntuosa".

"Tonto".

"Antipatica".

"Pesce lesso".

"Vipera".

Ginny gli fece una linguaccia. "’Notte, fratello".

"’Notte, sorella".

Quella notte, Ron si mise a letto sentendosi realizzato: una vittoria a metà è pur sempre meglio di nulla, o no?

LYRAPOTTER’S CORNER

Eccoci qua, nuovo personaggio, nuova corsa. In tutta onestà non era sicura di cosa sarebbe venuta fuori, ma alla fine mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato ottenuto: mi piace l’idea che una volta tanto anche Fred e George ricevano una lezione da Ron.

In secondo luogo, una nota importante: prima che qualcuno mi faccia notare certi errori di grammatica che ho infilato qua e là, ci tengo a precisare che sono voluti, in fondo sono bambini dagli otto anni in già, sono giustificati. Perciò non agitatevi, lo so che "a noi non ci piace" non si dovrebbe dire.

E ora spazio ai ringraziamenti:

Pan_Tere94, prima di tutto grazie per il tuo commento, mi ha fatto molto piacer. Per quanto riguarda la tua richiesta, le date di compleanno a cui faccio riferimento le ho salvate su un documento Word secoli fa, per non rischiare di perderle. Comunque, la maggior parte le puoi trovare a questo link. In aggiunta a quelle, ci sono ovviamente le due o tre citate direttamente dei libri, quella di Silente e quella di Voldemort, che ho preso dal Lexicon. Spero di averti aiutata.

Alida, grazie infinite anche a te. Concordo in pieno con quanto hai detto su Lucius e Narcissa.

Deidara, mio fedelissimo, dal mio punto di vista te ne sono piaciute cinque su otto, posso ritenermi soddisfatta. Visto che odi Ron, però non so quanto possa esserti piaciuta questa shot… No, non puoi essere milanista, io sono interista, anche se solo per adozione. A presto!!!!!!

Ora vi saluto, ci risentiamo al 10/03 per il compleanno di Remus.

A presto, bacibaci!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Remus Lupin ***


SPECIAL DAYS

 

REMUS LUPIN

10 marzo 1997

Grimmauld Place n° 12

20.30

Remus aveva imparato da tempo a odiare il giorno del suo compleanno. Era dal lontano 1981 che non festeggiava il suo compleanno in modo felice o anche solo decente. Da quando Lily e James erano morti, Sirius finito in carcere con le peggiori accuse e i Malandrini erano morti: dopo di allora era rimasto solo, o perlomeno senza nulla che lo potesse spingere a festeggiare sul serio. Ormai considerava il 10 marzo alla stregua di qualunque altro giorno: era di un anno più vecchio e di un passo più vicino alla tomba, punto. Discorso decisamente cupo per un uomo di nemmeno quarant’anni, ma la vita gli aveva tolto troppo perché lui non la guardasse in modo tanto cinico.

Si rendeva perfettamente conto di essere diventato così, freddo e scostante, soprattutto dopo la morte di Sirius, ma francamente non gliene importava più di tanto. Forse era per questo che aveva risposto con niente più che grugniti e monosillabi ai vari "Auguri" e "Buon compleanno" fattigli dai membri dell’Ordine quel giorno.

Sospirò pesantemente, stiracchiandosi sulla sedia, la testa piena di ricordi: quel giorno spesso era peggio degli altri, era dura ricordare che un tempo lo aspettava con ansia e ripensare a tutto quello che aveva perso…

10 marzo 1973

Dormitorio di Grifondoro

Hogwarts

2.30

"AUGURI, REMUS!!!!!!!!".

Remus strillò, aprendo gli occhi di scatto, quando una valanga umana di circa quaranta chili gli balzò addosso gridando.

"Ma che ti sei rincretinito del tutto, Sirius?!" esclamò, arrabbiato all’indirizzo della scimmia ghignante che gli balzellava sullo sterno. Si passò una mano sulla faccia, cercando di svegliarsi e in quel momento realizzò che era ancora notte fonda. "Ma che ore sono?"

"Le due e mezza" rispose Sirius tranquillo, come se fosse la cosa più naturale del mondo saltare addosso a qualcuno nel bel mezzo della notte.

"Le due e mezzo? Di notte?!" ripeté Remus, incredulo. "Che cavolo ci fai sveglio a quest’ora?".

"Volevo essere il primo a farti gli auguri, no?".

"Gli auguri?".

Sirius lo guardò incredulo. "Ma dai, è il tuo compleanno, testa di rapa. Da due ore e mezza".

Remus fece un rapido calcolo mentale e si rese conto che era vero: era già il suo compleanno. Sbuffò. "E non potevi aspettare un orario più decente per dirmelo?" chiese, lasciando ricadere la testa sul cuscino.

"Era appunto quello che mi stavo chiedendo anch’io, Sirius…" fece la voce assonnata e piuttosto irritata di James Potter. "Solo perché tu soffri d’insonnia, non significa che devi svegliarci tutti…".

"Sei solo geloso perché non sono saltato addosso a te" ridacchiò Sirius. "Non preoccuparti, il tuo compleanno è a fine mese, no?".

"Sì" confermò il ragazzino. "E ti sarei grato se non mi svegliassi nello stesso modo, altrimenti per il tuo compleanno ti risveglierai in mezzo al lago".

"Io compio gli anni ad agosto" obiettò Sirius. "Come conti di fare?".

"In tal caso, basterà tua madre a rovinare la festa…".

"Sirius, ti spiacerebbe levarti?" intervenne Remus. "Non per l’altro, il tuo ginocchio ossuto è infilzato nel mio fegato…".

"Oh, scusami" fece Sirius, in tono per nulla dispiaciuto, scostandosi, per poi ricadere pesantemente di lato a lui, sull’angolo di materasso libero.

"Non era esattamente questo che avevo in mente… No, no, cosa stai facendo?" obiettò il giovane licantropo, vedendo che l’altro stava infilandosi sotto le coperte.

"Rassegnati" gli consigliò James. "Per oggi, non te lo levi più di torno".

Remus sbuffò, incontrando il ghigno della scimmia malefica che dal canto suo stava mettendosi comodo.

"E va bene" sospirò. "Basta che non tiri calci".

"Auguri, lupacchiotto".

"Sirius" lo avvertì Remus, "se mi chiami un’altra volta "lupacchiotto", giuro che ti uccido".

In risposta ottenne solo un quieto russare.

1976

Infermeria

Hogwarts

14.00

Merlino, se hai un po’ di pietà uccidimi! Remus non ricordava di essere mai stato così male come quel giorno: a quanto pareva quel mese la sua maledizione aveva deciso di farlo penare più del solito, era dalla mattina presto che se ne stava in infermeria sentendosi quasi febbricitante. Non osava nemmeno immaginare come si sarebbe sentito l’indomani, dopo la trasformazione.

Bel modo di passare il compleanno, considerò tetro, mentre con la mente correva già a quella sera quando la luna piena sarebbe stata alta nel cielo.

Fu in quel momento che lo sentì: un cane che abbaiava.

Sì, certo!, pensò subito dopo. Un cane che abbaia in un’infermeria! Sono proprio fuso; sveglia, Remus, che la guerra è finita!

Poi lo udì di nuovo. Beh, non poteva esserselo immaginato due volte. Sollevò la testa ed eccolo lì: un grosso cane nero, appollaiato sulla testiera ai piedi del letto, che lo fissava in modo sorprendentemente… umano.

Prima ancora che il licantropo potesse registrare appieno quello che aveva davanti, l’animale balzò sul letto, latrando con fare gioioso e cominciando a leccargli la faccia.

Tutto questo ha qualcosa di orrendamente famigliare…

"Sirius?" domandò incredulo, fissando il cane negli occhi. Per un attimo quello sembrò ghignare, poi al posto dell’animale comparve il suo migliore amico, alias Sirius Black, in tutto il suo splendore.

Sempre sogghignando, il ragazzo si spostò, mettendosi in una posizione più dignitosa per le sue nuove sembianze. "Volevo vedere quanto ci mettevi a capirlo…".

"Ce l’avete fatta?" domandò Remus, senza ancora riuscire a credere ai proprio occhi. "Ci siete riusciti sul serio?".

"Beh, mi pare ovvio, no?" ridacchiò Sirius. "James sta cercando di farsi sparire le corna, ma non dovrebbe essere una cosa lunga…".

"Le corna?".

"Eh già, il nostro amico fa le cose in grande: si trasforma in niente po’ po’ di meno che un cervo. Io perlomeno sono un animale un tantino più discreto…".

"E Peter?".

"Peter ha ancora qualche problemuccio. Nulla di irrisolvibile. Comunque sospettiamo che lui si trasformi in un topo…".

Remus rimase alcuni istanti in silenzio, riflettendo su quanto aveva appena scoperto. Non riusciva a crederci: ci avevano messo quasi quattro anni, ma alla fine erano riusciti a diventare Animagi sul serio!

Da sorpreso che era fu fulmineamente preso da rabbia e timore. "Ma come ti è saltato in mente di andartene in giro in quel modo? E se ti vedeva qualcuno? Madama Chips è di là nel suo ufficio…".

Sirius fece un gesto non curante con la mano. "Oh, non preoccuparti, Remus: ti verranno le rughe a stressarti in questo modo. Sono stato attento. Piuttosto, hai capito che cosa significa?".

"Sì, che sei uno stramaledetto incosciente…" cominciò Remus, ma Sirius lo bloccò subito.

"Ma no, il fatto che siamo riusciti a trasformarci. Certo che per essere un Prefetto secchione a volte sei proprio lento! Non capisci: ora che ci sappiamo trasformarci, possiamo stare con te durante la trasformazione. Non è fantastico?".

Lungo silenzio, mentre il sorriso moriva sulle labbra di Remus. "Sirius" cominciò esitante, "non so se è una buona idea. Ci avete riflettuto bene? Potrebbe essere pericoloso, potrei farvi del male…".

"Ah no, non ricominciare" lo bloccò l’altro, in tono ammonitore. "Non ho passato gli ultimi quattro anni a studiare come un dannato per nulla. Ne abbiamo già discusso fino allo sfinimento: i Lupi Mannari non sono pericolosi per gli animali. Ora non possiamo trasformarci in animali, perciò ti accompagneremo. Punto!".

"Ma…".

"Niente ma, Remus. Dove va un malandrino, vanno tutti, capito?".

Remus sospirò sconfitto. "Voi siete matti…".

"E fieri di esserlo" ribadì Sirius. "Ok, ora è meglio che torni dagli altri. Ci vediamo stasera, ok?".

Remus si limitò ad annuire, per nulla entusiasta. "Siete sicuri di volerlo fare?".

"Oh, quanto sei noioso. Sì, siamo sicuri e niente di quello che dirai ci farà cambiare idea. Ah, a proposito, James crede che dobbiamo trovarci dei soprannomi…".

"Dei soprannomi?".

"Sì. Per i nostri alter ego pelosi. Ma ci penseremo poi tutti insieme…".

Remus fece un ultimo cenno con la mano prima di uscire.

Pazzi. Sono tre pazzi. Ma tre pazzi che, gli costava un po’ ammetterlo, gli avevano appena fatto il regalo più bello del mondo.

1978

Biblioteca

Hogwarts

17.00

Odio Pozioni, pensò Remus in un sospiro frustato. Odio Pozioni, Lumacorno e qualunque cosa che sia connessa a una delle due!

Fissò di nuovo il libro che aveva davanti, poi la pergamena ancora tristemente vuota lì a fianco, sperando che gli venisse un’illuminazione improvvisa su come riempirla, ovviamente senza risultati di sorta. Avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il muro se questo non avesse comportato l’istantanea espulsione dalla biblioteca da parte dell’arcigna Madama Pince per "rumori molesti". Senza contare che dubitava seriamente che sbattere la testa al muro potesse in qualche modo aiutarlo a finire, o meglio a cominciare, quel dannatissimo tema.

Odio Pozioni. Le odio, le odio, le odio!

Tornò senza troppa convinzione a sfogliare il libro di testo: ormai l’aveva rivoltato da cima a fondo senza trovare nulla che potesse essergli utile per quanto Lumacorno aveva richiesto.

Ah, è inutile! Prenderò una D e buonanotte! Chiuse il libro, con un violento schiocco secco che fece ballare il tavolo e gli guadagnò uno sguardo truce dalla bibliotecaria.

"Oh, va’ al diavolo, dannata pipistrella!" borbottò iroso Remus, mentre cominciava a infilare le cose in borsa.

Stava avviandosi verso la porta, quando qualcuno lo chiamò da dietro. "Ehi, Remus!".

Il ragazzo si voltò. "Che c’è?" chiese in tono sgarbato: quello stupido tema l’aveva messo proprio di pessimo umore. Ok, non era mai stato una cima in Pozioni, ma se l’era sempre cavata, a volte per il rotto della cuffia, ma meglio di niente.

Quando però vide chi l’aveva chiamato si pentì del tono che aveva usato: Lily Evans lo osservava con espressione stupita, gli occhi sgranati.

"Ti era caduta la penna…" disse la ragazza, porgendogli l’oggetto.

"Oh" fece Remus, arrossendo. "Grazie…".

"Di nulla. A proposito: buon compleanno. Scusa il ritardo, me ne ero completamente dimenticata…".

"Non fa niente" disse Remus, alzando le spalle. "I ragazzi se lo dimenticano praticamente ogni anno…".

Lily ridacchiò. "Sì, vabbè, francamente penso di avere un po’ di cervello in più di quelle due zucche vuote…".

"Non farti sentire da James" si raccomandò il ragazzo. "Da quando hai cominciato a uscire con lui, se ne va in giro contento come una pasqua. Non voglio che gli si guasti l’umore…".

"Allora sarà il nostro piccolo segreto" osservò Lily. "In fondo sono o non sono la tua migliore amica? Se non mi sfogo con te…".

"Ok, allora lo terrò per me. Ma che non diventi un’abitudine: non mi piace tenere nascoste le cose agli altri…".

Lily annuì, poi disse: "Stai bene, Remus? Mi sembravi piuttosto teso poco fa…".

"Teso mi sembra un eufemismo. Sono stato maleducato e perciò di chiedo scusa. Comunque, sì sto bene. O meglio, non tanto, ma non è importante…".

"Lo decido io se è importante o no. Comincia col dirmi qual è il problema, sì?".

"Solo quello stupido tema di Lumacorno. Diciamo che non so da che parte girarmi…".

Lily scoppiò a ridere. "Tutto qui? Dal tuo tono mi aspettavo chissà cosa… Questo lo possiamo risolvere facilmente: a che serve un’amica brava in Pozione se non la sfrutti nei momenti giusti?".

"Lily" tentò di obiettare Remus. "Non voglio approfittarne…".

"Se mi offro io, mica ti approfitti, no?".

"James non ne sarebbe contento…".

"Se James è geloso come una scimmia non è colpa nostra. Siamo amici e gli amici si aiutano nel momento del bisogno. James lo rimetto io al suo posto se solo prova a dirci qualcosa! Dai, andiamo in Sala Comune".

Lo prese per mano, mentre con fare deciso si dirigeva fuori. Al contatto, Remus si sentì nuovamente avvampare…

10 marzo 1997

Grimmauld Place n° 12

20.45

"Remus?".

Una voce timida lo richiamò bruscamente dai suoi ricordi. Lentamente si voltò verso la porta della cucina, trovando Ninfadora Tonks che lo osservava esitante appoggiata allo stipite.

Come sempre negli ultimi mesi, vedere la giovane gli provocò una fitta la cuore: i capelli grigio topo, quell’aria triste e sbattuta… Gli mancava la vecchia Tonks e sapeva bene che era colpa sua se la ragazza era ridotta in quello stato.

Vecchio, stupido licantropo testone!, lo rimbeccò una voce nella sua testa, una strana sovrapposizione di quelle di Sirius e James. Ma quando la smetterai di farti tutte queste paranoie? Guarda che amare non è mica un peccato!

Starà meglio senza di me… si disse per auto convincersi.

Sì, si vede proprio quanto sta bene senza di te!, gli fecero eco le voci.

Perfetto, ora si metteva pure a litigare con la sua stessa testa, era proprio pronto per il manicomio!

"Ciao, Ninfadora" salutò, ricordandosi della ragazza ancora piantata sulla porta.

"Tonks, Remus" lo corresse stancamente lei. "Solo Tonks. Quante volte te lo devo ripetere?".

"Non puoi insegnare a un vecchio cane un nuovo trucco. Chiamo per nome pure Severus, con cui non ho quello che propriamente si dice un rapporto idilliaco, non mi sembra giusto usare il cognome con te…".

Ahi, parole sbagliate, vecchio scemo!

Comunque, se l’ultima osservazione colpì Tonks in qualche modo, lei si guardò bene dal darlo a vedere.

"Che fai ancora qui?" domandò Remus, per sciogliere il silenzio che era piombato all’improvviso. "La riunione è finita da quasi mezz’ora. Non hai di meglio da fare che stare in questo posto orribile?".

Tonks si strinse nelle spalle. "Non molto in verità. Dovrei tornare ad Hogsmeade, ma non ho voglia di litigare con Dawlish su dove fossi e cosa stessi facendo stasera invece di stare di ronda. Tu piuttosto? Non dirmi che non hai trovato nessuno migliore della cara prozia Walburga con cui passare il compleanno?".

Remus sorrise tetro. "Che tu ci creda o no, è così". Si strinse nelle spalle. "Non che faccia molta differenza, in ogni caso. Non mi interessa più di tanto…".

"Non ti interessa del tuo compleanno o con chi lo passi?".

"Entrambe. Anzi, la compagnia di Walburga è quasi una piacevole differenza rispetto alla solitudine a cui sono abituato…".

"L’anno scorso non era così cupo, mi pare di ricordare…" osservò Tonks, sedendosi di fronte a lui.

Remus si rabbuiò. "L’anno scorso…" ripeté, soprapensiero. L’anno prima, Sirius gli aveva organizzato una sottospecie di festino: per una sera gli era quasi parso di essere tornato adolescente, soprattutto quando la mattina successiva aveva dovuto fare da infermiera all’amico che aveva alzato un po’ troppo il gomito. Ma la lista degli invitati si era distinta soprattutto per gli assenti quel giorno.

"L’anno scorso era diverso" borbottò a mezza voce a capo chino. "Era stato Sirius a fare tutto…". Pensare a Sirius era ancora peggio di una pugnalata in mezzo al cuore.

Tonks assunse un’espressione mortificata. "Scusa. Non avrei dovuto. Sono stata indelicata. Io sono sempre indelicata. Indelicata e inappropriata. Lo dovrò far scrivere sul mio epitaffio…".

Remus sorrise, o almeno ci provò, relegando il pensiero di Sirius in un angolo della sua mente. "Non devi scusarti. Sono io a essere troppo sensibile su questo argomento. Non ci badare: sono uno stupido vecchio sentimentale…".

"Tu non sei vecchio" obiettò Tonks. "Hai solo 37 anni, per Merlino!".

"Fidati, me ne sento addosso molti di più, fisicamente e psicologicamente…".

"Suppongo che ripeterti che dal mio punto di vista non è vero non cambia nulla, giusto?".

Remus avvertì subito l’implicito discorso nascosto dietro quella frase e sospirò frustato: perché ogni volta che era da solo con lei finivano a quel punto?

"No, non cambia nulla, Tonks" disse a capo chino.

La ragazza rimase zitta un paio di secondi, come a voler assimilare quel nuovo rifiuto, poi esclamò: "Ma perché? Perché sei così dannatamente testardo?".

"Tonks…" tentò di dire Remus, ma lei lo zittì subito. Era balzata in piedi e lo fissava piena di rabbia e frustrazione. "Quando lo vorrai capire che a me non importa niente di quello che sei? Quando capirai che ti amo e che non mi interessa se sei un Lupo Mannaro, un Vampiro, una Manticora o chissà cos’altro?".

"Tonks, ti ho già detto che…" cominciò Remus alzandosi a sua volta, ma di nuovo la ragazza lo interruppe.

"Storie!" gridò. "Sono solo storie. Scuse. Fandonie. Ti stai nascondendo dietro una parete di cristallo, Remus. Lo sai tu e lo so anch’io. Io ti amo. E so che tu ami me!".

"Ninfadora…".

"Avanti!" lo sfidò lei. "Dimmelo in faccia che non mi ami. Dimmelo guardandomi negli occhi e giuro che lascerò in pace".

Quand’è che si era avvicinata così tanto? Erano troppo vicini, la sua presenza non lo lasciava pensare liberamente.

"Dora…" cominciò, ma si interruppe subito: che poteva dirle? Qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca sarebbe stata solo una misera menzogna. Non era mai stato un granché come bugiardo e quegli occhi bruciavano come tizzoni ardenti. Distolse lo sguardo, ma riuscì comunque a vedere con la coda dell’occhio il sorriso soddisfatto e insieme triste di Tonks.

"Ne ero sicura". Tutto la rabbia sembrava averla abbandonata veloce come era montata, sostituita dalla famigliare, cupa rassegnazione. "Perché non accetti i tuoi sentimenti, Remus? Così fai solo del male a tutti e due…".

"Tonks, io non posso" sospirò lui, senza guardarla. "Non posso. Ti farei solo del male. Ti meriti qualcuno migliore di me, qualcuno che possa renderti felice".

"Ma io non voglio uno squallido rimpiazzo. Sarò felice solo con te…".

"Io non sono l’uomo giusto per te, Dora" ripeté ostinatamente Remus, stringendo convulsamente i pugni. Non credeva nemmeno lui a quello che stava dicendo, come poteva crederci lei?

"Ti sbagli" disse infatti. "Ti sbagli e io te lo dimostrerò, dovessi anche metterci cent’anni".

Detto questo si voltò e uscì rapidamente dalla stanza. Poco dopo, si udì la porta d’ingresso sbattere con violenza. Nuovamente solo, Remus si lasciò ricadere sulla sedia, prendendosi la testa tra le mani. Perché doveva essere così difficile? Perché doveva innamorarsi proprio di lei? E perché lei non riusciva a capire le sue ragione? Lui voleva solo proteggerla… Ma come poteva farlo se una parte di lui non desiderava altro che correre dietro a quella piccola strega e gridarle che aveva ragione?

Amare non è un peccato, osservarono di nuovo la voce di Sirius e James nella sua testa.

Nel mio caso sì. Non è giusto condannarla a una vita di pericoli e rinunce per puro egoismo.

Moony, sei senza speranza! Basta seghe mentali: corrile dietro e dille la verità, idiota!

Non posso!

Remus scosse il capo. Non poteva e non l’avrebbe fatto. Era meglio così…

Amare non è peccato, ripeté la voce per la terza volta. Presto o tardi qualcuno riuscirà a fartelo capire!

LYRAPOTTER’S CORNER

Eccomi di nuovo qua, con uno dei personaggi che più adoro della saga di HP. Dubito che avrò altre occasioni per farlo nel prossimo futuro, così ho dato sfogo alla mio amore sviscerale per le Remus/Tonks qui, spero che vi piaccia. Avrei voluto metterci anche un happy ending, ma purtroppo i tempi non sarebbero collimati con quelli stabiliti dalla Rowling, mannaggia! Ma ovviamente non potevano mancare i miei adorati malandrini o Lily. A proposito, ho inserito un velatissimo riferimento a una possibile Remus/Lily nel terzo flashback, spero non dia fastidio a nessuno, ma non sono riuscita a farne a meno: pur adorando le Lily/James e le Remus/Tonks, non mi dispiace quel pairing (sì lo so, sono la coerenza fatta persona!).

Ah, magari qualcuno non lo sa, Walburga è il nome della madre di Sirius.

Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo, ovvero:

Deidara

Pan_Tere94

Le vostre recensioni mi illuminano la giornata!

Prossimo appuntamento, 19/03, festa del papà con altra serie di flashfic.

See you soon, kiss! J

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Festa del papà ***


SPECIAL DAYS

FESTA DEL PAPÀ

E' davvero un buon padre quello che conosce suo figlio.

William Shakespeare

LUCIUS MALFOY

Agosto 1986

Malfoy Manor

16.00

Lucius Malfoy sedeva nel suo studio sfogliando distrattamente un libro quando sentì grida adirate provenire da qualche parte nel giardino della villa.

"Draco, in nome di Merlino, dove diamine ti sei cacciato?".

Lucius si affacciò alla finestra e riconobbe la loro tata che si aggirava con fare disperato per il parco, in evidente ricerca di qualcosa. E a giudicare dai suoi strilli, quel qualcosa doveva essere il rampollo ed erede della Casata dei Malfoy.

Per un attimo Lucius fu tentato di tornarsene ai suoi affari e lasciare che se la sbrigassero le donne, poi realizzò che con quel baccano non sarebbe riuscito a combinare nulla, così si alzò e si diresse fuori.

Giunto nel enorme giardino della villa, si rivolse alla tata, piuttosto seccato. "Si può sapere cos’è tutto questo chiasso, signorina?".

La giovane arrossì, vistosamente a disagio in presenza di Lucius. Del resto da che era in servizio presso di loro, Malfoy senior le aveva rivolto sì e no tre parole: era Narcissa a occuparsi di quelle faccende.

"Perdonatemi, signor Malfoy" balbettò a capo chino. "Mi sono distratta un attimo e Draco è scappato. Deve essersi nascosto qui in giro". Tornò a guardarsi intorno, quasi aspettandosi che il bambino sbucasse fuori all’improvviso. "Sono desolata di avervi disturbato, signore…".

"Sì, ho capito" la interruppe secco Lucius. "Torni dentro, me ne occupo io".

La tata parve ancora più spiazzata da quel nuovo dispiegarsi di eventi: per alcuni istanti rimase paralizzata sul posto, mentre Lucius la fissava interrogativo, poi si affrettò a chinare il capo e filare in casa.

Lucius si guardò intorno. Dove diavolo si era andato a nascondere quel piccolo birbante? E già che c’era, perché aveva congedato la tata ed aveva deciso di cercarlo lui stesso? Non era da lui. E non era nemmeno molto decoroso che un uomo della sua levatura si mettesse a scorazzare nel parco a cercare un bambino di sei anni, a dirla tutta…

Prima c’è la sbrighiamo, prima tornò nel mio studio. Estrasse la bacchetta e con pochi semplici incantesimi rintracciò il piccolo Draco, rannicchiato dietro un grosso cespuglio di ortensie.

Sarebbe dovuto andare dalla tata e dirle di averlo trovato, e invece si diresse lui stesso a stanare la piccola peste.

Draco sembrò ancora più sorpreso della balia quando si trovò davanti il volto severo del padre.

"Padre!" esclamò il bambino, balzando in piedi come se si fosse scottato.

"Allora Draco?" esordì Lucius. "Che stai facendo?".

"Io… io…" balbettò il bambino, preoccupato. "Mi nascondevo, padre".

"E perché lo facevi?".

Draco sembrava in preda a un grande conflitto interiore: lo guardava come se non sapesse decidere se poteva parlare o no, conscio che alla fine avrebbe dovuto comunque rispondere. Lucius lo osservava con fare interrogativo.

"Io… io mi annoiavo, padre" esalò infine. "Non c’è mai nulla da fare…".

Quelle parole colpirono Lucius più di quanto si aspettasse. In un flash, ricordò di un altro bambino di sei anni che si annoiava terribilmente da solo tutto il giorno in una grande casa vuota.

"Draco" esordì, mentre il bambino abbassava il capo, pronto a un rimprovero. "Ti andrebbe di andare giù al campo da Quidditch e fare un voletto?".

"Sul serio, padre?". Gli occhi di Draco si era accessi di gioia mal celata.

"Certamente. Credo che per oggi ne ho avuto abbastanza di lavorare".

XENOFILIUS LOVEGOOD

28 dicembre 1997

Casa Lovegood

Ottery St Catchpole.

15.00

Luna. La sua piccola Luna. Sparita, forse per sempre. Chissà cosa le avrebbero fatto quei Mangiamorte. O cosa le avevano già fatto…

Gliela avevano portata via. Via, chissà dove, per quello che aveva scritto. Gliela avevano fatta pagare per aver supportato Harry Potter nella sua rivista. E ora rischiava di perdere la sua unica figlia…

Che cosa poteva fare? Doveva esserci un modo per riavere Luna indietro. Trovarlo sarebbe stato un altro paio di maniche però…

Xeno osservò la vecchia e sgangherata macchina da stampa che lavorava in mezzo alla stanza, sputando l’ultima edizione del Cavillo, sui cui spiccava il titolo Indesiderato N° 1. Non era molto, ma poteva essere un inizio. I Mangiamorte che erano venuti a fargli visita erano stati chiari su questo punto: doveva cambiare velocemente i toni, se non voleva che a sua figlia succedesse qualcosa di "spiacevole", così avevano detto.

Il messaggio era stato anche troppo chiaro.

In quel momento si era sentito attanagliare il cuore dal puro terrore: non poteva perdere Luna come aveva perso sua moglie. Non poteva lasciarla morire così: avrebbe fatto tutto quello che era necessario per salvarla. Per Merlino, avrebbe perfino fatto un patto col diavolo se fosse servito.

Ma lui non aveva nulla, nulla con cui contrattare la liberazione della sua bambina. Poteva solo mantenere un profilo basso, attenersi a quanto gli veniva ordinato e sperare che fosse sufficiente…

In quel momento suonarono al campanello. Quando andò ad aprire, quasi gli venne un colpo: Harry Potter se ne stava sulla soglia di casa sua, gli chiedeva di parlare con lui.

Un’idea ignobile, vergognosa gli si affacciò alla mente. Si sentì disgustato con sé stesso, mentre lasciava che Harry e i suoi due amici entrassero in casa: voleva sul serio venderlo al suo peggior nemico? Al loro peggior nemico? Come poteva farlo?

Ma poi l’immagine di Luna sola, indifesa, prigioniera da qualche parte fece capolino nella sua mente.

Qualunque cosa pur di salvarla. Tutto quello che era necessario, anche il più vile dei tradimenti…

JAMES POTTER

Ottobre 1979

Godric’s Hollow

18.00

Sono incinta.

James Potter non aveva mai creduto che due semplici parole potessero avere il potere di sconvolgerlo fino a quel punto. Fatto sta che quando sua moglie gli aveva comunicato che di lì a nove mesi sarebbe diventato padre, aveva seriamente creduto che gli sarebbe venuto un ictus. Buon Merlino, non aveva nemmeno vent’anni, era sposato da neanche tre mesi e già stava per avere un figlio. Questo era stato in linee generali quello che aveva pensato, poi il suo salotto gli sembrato troppo piccolo e soffocante e praticamente era scappato fuori come se lo inseguisse il diavolo in persona. Si era poi precipitato a casa del suo migliore amico e gli aveva raccontato tutto. Ora si stava rendendo velocemente conto che probabilmente Sirius Black era la persona più sbagliata a cui chiedere consiglio in quel frangente…

"Allora, Prongs" esordì il giovane, porgendo all’amico una bottiglia di Whisky Incendiario, "e poi che è successo?".

"Che è successo? Sono scappato".

"SEI SCAPPATO?!". Sirius lo guardò senza osare credere a quelle parole. "Senza dire niente a quella povera disgraziata che ha avuto la malaugurata idea di sposarti?".

"Guarda che ha pure un nome, Padfoot".

"Sì, lo so. Allora?".

James scosse tristemente il capo. "Ero nel panico…" borbottò, rendendosi conto della cavolata che aveva fatto.

Lily starà già preparando una bambolina vodoo con la mia faccia…

"Hai fatto una cagata, James, lasciatelo dire…" osservò Sirius bevendo un sorso di whisky.

"Ti riferisci al fatto che ho messo Lily incinta o al fatto che sono scappato?".

"Ma come faccio a essere amico di un tale deficiente! Ma al fatto che sei scappato, testa di pigna!".

"Beh, considerato che sei tu…" brontolò James. Tacque un secondo, poi chiese: "Che faccio adesso, Sirius?".

"Bene, ascolta, mio giovane apprendista, ti dico io cosa fare. Ma siccome sei lento, ti ci faccio arrivare per gradi. Tu ami Lily?".

"Più della mia stessa vita".

"Vuoi stare con lei?".

"Idem come sopra".

"Allora torna a casa strisciando sulle ginocchia, chiedi scusa per la tua orribile reazione e preparati psicologicamente a diventare responsabile di un’altra creatura vivente".

"La fai facile tu".

"È facile, Prongs. È la cosa più facile di questo mondo. Scommetto che di qui a dieci mesi, verrai da me urlando di amare tuo figlio più dell’aria che respiri".

James guardò il suo migliore amico sbalordito da tanta profondità. Lui ridacchiò. "Oh, sì, da me non te l’aspettavi, vero? Che ci fai ancora qui? Fila da Lily, di corsa!".

"Grazie, Sirius" mormorò James, mentre si affrettava verso la porta.

"Ah, Prongs!" urlò l’Animagus, quando l’amico fu già sulla soglia. "Congratulazioni, eh!".

James gli rivolse il più luminoso dei sorrisi.

REMUS LUPIN

Maggio 1998

Casa Tonks

15.00

Non lo volevi neppure quel bambino, ti ricordi Remus?

Era per lui che te ne sei andato, per lui che hai lasciato tua moglie, per lui che hai quasi mandato all’aria la cosa più bella della tua vita. Incredibile quanto può sconvolgere l’animo di un uomo un semplice bambino. Nel male e nel bene. Perché adesso quello stesso bambino è diventato la ragione stessa della tua vita, Remus. Non credevi nemmeno fosse possibile amare tanto un altro essere umano…

Tutto questo pensi mentre osservi tuo figlio dormire placido nella sua culla, senza riuscire ad allontanarti… Te ne stai per andare Remus, stai andando ad Hogwarts, sai che è lì il tuo posto, ma allo stesso tempo non vorresti andartene, non vuoi di nuovo mettere in gioco la tua vita proprio ora che sta prendendo una direzione giusta. Ma andrai ugualmente, perché non ti sentiresti a posto con la coscienza sapendo che i tuoi amici stanno combattendo, che Harry sta combattendo…

Ti allontani dalla culla, Dora ti osserva sulla soglia, ti implora con lo sguardo di non andare, anche se non lo dice apertamente: anche lei sa che non sarebbe giusto…

"Tornerò presto" prometti, abbracciandola.

Bugiardo dicono i suoi occhi. "Stai attento".

"Sempre".

"Prendi questa" ti dice, porgendoti una foto di vostro figlio. Gliela scattata proprio tu due giorni prima. "Così ti ricorderai perché devi tornare".

La prendi senza fiatare e la infili in tasca. Non avete altro da dirvi: sai che lei resterà lì, al sicuro, con il vostro piccolo Teddy. Le dai un ultimo bacio, che speri possa durare in eterno. Sulla soglia ti volti un’ultima volta, osservando di nuovo il bambino addormentato, ignaro di tutto… Ignaro che una battaglia quella notte avrebbe deciso il destino suo e dei suoi genitori… Ignaro che la mattina successiva non avrebbe più avuto un uomo da chiamare papà…

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora, questo capitolo lo dedico ovviamente a tutti i papà del mondo, con un particolare riguardo al mio, anche se non sa nemmeno dell’esistenza di questa fanfiction e non leggerà mai questa dedica: papà, ti voglio bene!

Detto questo, lo so, sono un po’ pochine e lo so, manca vistosamente Arthur, il padre per antonomasia di tutta la saga: mi sono scervellata per giorni in cerca di un tema adatto per lui e, incredibile a dirsi, non mi è venuta in mente una beneamata mazza! Perciò, per il momento vi lascio con Lucius, Xeno, James e Remus, se in futuro mi verrà in mente qualcosa, modificherò il testo e vi avviserò.

Ovviamente grazie di cuore a:

Pan_Tere94

Deidara

Mizar

per i loro commenti: siete dolcissimi!

Vi lascio con il prossimo appuntamento, 27/03, compleanno di James. A proposito, siccome non ho ancora la più pallida idea su cosa scriverlo, i suggerimenti sarebbero beneaccetti e graditi.

See you soon!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** James Potter ***


SPECIAL DAYS

JAMES POTTER

27 marzo 1972

Hogwarts

16.00

James Potter si aggirava per un corridoio del terzo piano, in evidente cerca di qualcosa. O meglio qualcuno: per essere più esatti, cercava un’adorabile ragazzina di dodici anni, dai brillanti occhi verdi e i capelli rosso fiamma, una creatura tanto meravigliosa quanto insopportabile. E James traeva un certo perverso piacere nel renderle la vita impossibile. Quasi quanto a lei piaceva mandarlo a quel paese.

Infine la individuò, che camminava tranquilla, i libri sotto braccio: sola e indifesa, la vittima perfetta.

"Ehi, Evans" strillò James, per attirare la sua attenzione.

Lily si voltò per vedere che l’avesse chiamata: appena riconobbe James, affrettò il passo per allontanarsi.

Puoi scappare, Evans, ma non puoi sfuggirmi.

Infatti tre secondi netti dopo, le si parò davanti, bloccandole la strada. "Ciao, Evans, non mi hai sentito?" chiese, in tono scanzonato, con un ghigno divertito.

Lei gli rivolse un’occhiata che avrebbe piegato una statua. "Sì che ti ho sentito, Potter. Ed è per questo che me stavo andando il più lontano possibile da te…".

"Oh, Evans, così ferisci i miei sentimenti. Oggi è pure il mio compleanno, non vuoi farmi gli auguri?".

"Certo che no. Anzi, spero sul serio che ti strozzi con la torta!".

James le rivolse un’occhiata triste, fingendosi dispiaciuto. "Sei cattiva, Evans, cattiva e crudele. Guarda che se vai avanti così, diventerai una vecchia acida zitella amante di gatti…".

Lily lo incenerì. "Ma è mai possibile che tu non abbia nulla di meglio che dare fastidio a me?".

"Sinceramente no. Non c’è nulla di più divertente che farti arrabbiare…".

"Ti odio, Potter" gridò Lily, con rabbia. "Perché non mi fai un favore e mi stai alla larga per i prossimo sei anni e mezzo?".

"Non posso, Evans" rispose James. "Vedi, noi de siamo come le due parti di un magnete: ci attraiamo a vicenda".

"Te lo sogni che io possa mai essere attratta da te, Potter…".

"Perché non mi dai un bacio?".

Lily lo fissò stranita e sorpresa. "E questo che diamine c’entra, scusa?".

"Un bacio di compleanno, no? A Remus l’hai dato…".

"Remus è amico mio. Tu invece… beh, diciamo che preferirei baciare Thor piuttosto che te…".

"Avanti, Evans, uno solo!".

"Scordatelo, Potter. Non ti bacerei nemmeno se fossi l’ultimo uomo su un’isola deserta. E ora se non ti dispiace…" e lo sorpassò, procedendo veloce sul corridoio, ma non abbastanza per non udire le ultime parole di James: "Te lo strapperò un bacio, Evans. Anche a costo di chiedertelo ogni compleanno da qui all’eternità!".

1974

Hogwarts

13.30

"Avanti, Evans".

"No".

"Uno solo".

"Ti ho detto di no!".

"Ti scongiuro".

"NO! NO! NO! In quante lingue te lo devo dire?". Lily si voltò verso quello che ormai considerava la sua pena infernale personale, che la osservava con gli occhi luccicanti e il solito, irritante sorriso sornione.

"Puoi ripetermelo anche all’infinito" le rispose James. "Ma io continuerei a chiedertelo comunque… non sono bravo a recepire i messaggi…".

"L’ho notato, visto che sono due anni che me lo chiedi e io ti rispondo di no!".

"Ma in fondo che ti costa: è solo un minuscolo, insignificante bacetto per il mio compleanno, uffa!".

"Leggi attentamente il labiale, Potter" sillabò Lily. "Io non ti bacerò mai. MAI, comprendi. Perciò smettila di tormentarmi!".

Si allontanò, in uno sventolio di capelli ramati, per andare ad accostarsi a Severus Piton, che l’aspettava all’angolo.

La bocca di James si storse in una smorfia di rabbia, nel vederli allontanarsi insieme, mentre il suo stomaco si contraeva. Che diavolo ha Mocciosus che io non ho?

Una mano gli si posò sulla spalla. "Due di picche?" chiese, con una flessione leggermente ironica, la voce di Sirius Black.

James annuì, con fare tetro. "Ma presto o tardi la convincerò… o la prenderò per sfinimento: a me andrebbe bene lo stesso!"

Sirius ridacchiò. "Lo sai, devo ancora capirlo: perché ti incaponisci tanto con la Evans? Nemmeno ti piace…".

"Non lo so, ormai è diventata una questione di principio, non so se mi spiego".

"Forse ha ragione Remus a dire che combatti una battaglia persa…".

"Forse…". James rifletté un istante, poi disse: "Penso che andrò a cercare Piton e lo trasfigurerò in un rospo verrucoso…".

Non sapeva perché, ma la vista di Piton e Lily insieme gli aveva dato molto fastidio, una strana stretta allo stomaco. Subito dopo gli era montata la voglia di fare a Mocciosus più male possibile. Beh, in fondo oggi non gli ho ancora fatto nulla, si disse. Ma non ci credeva molto nemmeno lui…

1975

Dormitorio di Grifondoro

Hogwarts

11.00

James osservava il parco tiepidamente illuminato da un timido sole primaverile. Stranamente il suo solito sorriso non balenava sul suo volto, anzi la sua espressione era insolitamente seria e pensierosa: osservava le fronde lontane della Foresta Proibita, quasi sperasse che gli dessero la risposta di qualche arcano quesito.

Non si era mai sentito così prima di allora, meno che mai il giorno del suo compleanno. Era confuso, e tutto per colpa di una ragazza… Una bellissima, stupenda ragazza, aggiunse una voce nella sua testa. Una ragazza che mi considera alla stregua di un lumacone delle paludi, pensò subito dopo.

Come se l’avesse evocata con la forza del pensiero, Lily Evans comparve improvvisamente nel suo raggio visivo: passeggiava nel parco con alcune sue amiche. Anche a quella distanza, la sua chioma rossa era inconfondibile per James. Il ragazzo rispose a un impulso più forte di lui. Si levò in piedi e gridò, con la voce amplificata da un incantesimo: "EVANS!!!!!".

Lily si guardò in giro per alcuni minuti, prima di individuare la fonte dell’urlo. La vide alzare le braccia al cielo, in un gesto di disperato sconforto. "Ehi, Evans, tu mi devi ancora un bacio!" continuò James.

Lily lo ignorò, gli fece un gesto con la mano che voleva dire "va all’inferno, Potter" e si incamminò quasi di corsa in direzione del lago, seguita dalle sue amiche.

James si riabbandonò sulla sedia con un sospiro depresso.

"Ehi, amico!". La voce, gioviale come sempre, di Sirius, annunciò il suo ingresso nel dormitorio. "Ho preso accordi con gli Elfi: ci porteranno la supertorta tra un paio d’ore. Stasera sarà baldoria grande… Ma che hai da fare quella faccia da funerale?".

"Sirius" cominciò James, in tono depresso. "Credo di avere un problema. Un problema bello grosso".

Sirius lo osservò in silenzio un paio di secondi, poi disse: "Aspetta qui, vado a prendere lo specialista…".

James rimase immobile senza capire, almeno finché l’amico non ricomparve, con Remus caricato in spalla modello sacco di patate. "Sirius, si può sapere che diamine stai facendo?" strillava il licantropo, scalciando.

Senza troppo cerimonie, Sirius lo scaricò a terra di sedere, davanti a uno sbalordito James. "Lui ha un problema. Io di queste cose non sono pratico: pensaci tu!".

Remus si rialzò, borbottando qualcosa come "e non potevi dirlo subito?", poi si rivolse all’amico in difficoltà: "Che succede?".

"Credo di essermi innamorato…" mormorò James in un sussurro appena udibile.

La reazione dei due Malandrini fu impagabile: Remus aprì la bocca talmente tanto che la mascella quasi gli si staccò dal resto della faccia, mentre Sirius cascò a terra, rischiando di soffocarsi con la sua stessa saliva.

"Ecco, lo sapevo che facevo meglio a stare zitto!" si lamentò James, incrociando le braccia e mettendosi a fissare il pavimento.

Dopo alcuni istanti, Remus si riprese e chiese: "E, ehm, di chi saresti innamorato?".

"Riderete".

"Non che non lo faremo" gli garantì Remus.

"Tu no. Ma quella sottospecie di iena lo farà di certo…".

Sirius lo fissò offeso. "Ma per chi mi hai preso? Sono tuo amico, non potrei mai ridere delle tue sofferenze!".

James gli rivolse un’occhiata scettica, poi disse, in un mormorio appena udibile: "Lily Evans".

"Non scusa, puoi ripetere?" chiese Sirius, sturandosi un orecchio. "Perché devo aver capito male: hai detto sul serio Lily Evans?".

"Sì, l’ho fatto".

Il volto di Sirius si contrasse in una smorfia, il ragazzo resistette tre secondi, poi scoppiò a ridere senza ritegno.

"Sirius, hai la stessa sensibilità di un paracarro da 25 tonnellate" lo rimproverò Remus, scandalizzato.

"Ma andiamo, Rem" biascicò Sirius, tra le risate, tenendosi la pancia. "Riflettici un secondo: James si è innamorato del’unica ragazza di tutta la scuola che non gliela darà nemmeno ubriaca e sotto tortura. È una cosa troppo assurda!" e tornò a ridere.

"Grazie, Sirius. Il tuo intervento è stato davvero confortante" disse James sarcastico. Vatti a fidare degli amici!

1977

Hogwarts

15.00

"POTTER!!!!".

La delicata, soave voce di Lily Evans risuonò per tutto il castello, rischiando di farne crollare le millenarie pareti. La ragazza si aggirava per il corridoio, simile a una tigre infuriata e pericolosa quasi altrettanto, se non addirittura di più. E difatti ogni singolo studente che avesse incrociato il suo cammino quel pomeriggio aveva fatto rapidamente dietrofront per allontanarsi da lei il più possibile. Tutti, tranne l’oggetto della sua furia assassina.

James Potter si girò con il suo solito sorrisetto sornione e un po’ arrogante, che faceva sciogliere le ragazze. "Evans, mio dolce e imperituro amore" la salutò, in tono vagamente canzonatorio. "Cosa posso fare per te in questa splendida giornata?".

"Che la peste ti colga, Potter! E che tu possa morire tra i più atroci tormenti!".

"Oh, non sei molto gentile" considerò James, con espressione ferita. "Cosa posso averti fatto per meritare questo trattamento, mia adorata colombella?".

"Allora, primo" lo aggredì Lily, contando con le dita. "Smettila di chiamarmi con quegli stupidi diminutivi: io non sono il tuo amore, né tanto meno la tua colombella. Secondo, togliti quell’espressione ebete dalla faccia. Terzo, hai pure il coraggio di chiedermi cosa hai fatto? Quei ragazzi dovranno stare in infermeria per tre giorni a causa del tuo scherzo idiota!".

"Andiamo, era solo uno scherzetto innocente…" si difese James.

Lily lo incenerì con lo sguardo. "È proprio questo il tuo problema, Potter: per te è sempre tutto innocente! Ma quando ti deciderai a crescere e a non comportarti più come un bambino di quattro anni! Hai diciassette anni, Merlino santissimo: non credi sia ora di comportarsi di conseguenza?".

James aprì e chiuse la bocca un paio di volte, simile a un pesce, senza sapere cosa dire. Poi la sua indole ebbe di nuovo la meglio e ben consapevole che si sarebbe guadagnato solo un’altra dose di insulti, disse: "Parlando di anni, lo sai che giorno è oggi? Io aspetto ancora il mio bacio di compleanno…".

Fu il turno di Lily di apparire stupita. "Ma hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto, Potter?". Scosse il capo, con aria rassegnata. "Non capirai mai, vero? Hai la testa più dura del marmo, ecco la verità. Ascolta il mio consiglio: matura un po’, Potter".

Fece per andarsene, ma James l’apostrofò di nuovo: "Non mi hai risposto…".

"La vuoi sul serio la mia risposta, Potter?". E si allontanò senza dire altro.

James rimase a guardarla sparire dietro un angolo, con le sue parole che gli rimbombavano in testa. Matura un po’, Potter… Matura un po’, PotterMatura un po’, Potter

1979

Casa Potter

Godric’s Hollow

Un raggio di sole filtrò attraverso la tenda, centrando in pieno il viso del giovane addormentato, che si svegliò con una smorfia infastidita e uno sbadiglio.

Buon compleanno a me, si disse James, tirandosi e sedere e stiracchiandosi, rivolgendo una fugace occhiata alla sveglia. Le 9.00, ora di alzarsi.

Piuttosto di malavoglia, in realtà, James sgusciò fuori dal letto, inforcò gli occhiali, si infilò le pantofole e in maniche di camicia si avviò al piano di sotto, mentre ogni singolo neurone del suo cervello invocava a gran voce un super concentrato di caffeina.

Era talmente concentrato su questo desiderio che in un primo momento credette di immaginarsi il buon profumo che proveniva dalla cucina: profumo di caffè appena fatto, biscotti e uova e pancetta, una cosa praticamente sconosciuta nella casa di un diciannovenne scapolo.

Quando giunse sulla soglia, però dovette ricredersi o per meglio dire, credere di essere approdato direttamente in paradiso: una bella e giovane donna spignattava ai fornelli, i lunghi capelli rossi raccolti in una coda alta e un grembiule stretto intorno ai fianchi.

"Sogno o son desto?" domandò, incredulo. "A cosa devo questa celestiale visione?".

Lily si voltò verso di lui con un luminoso sorriso. "Buongiorno, amore!" lo accolse. "Stavo cominciando a temere che non ti saresti mai svegliato…".

"Ehi, ho bisogno di dormire per mantenere intatta la mia bellezza".

"Già. Credo che lo scopo sarebbe raggiunto più facilmente con una dieta più equilibrata di takeaway e hamburger. Perciò ti ho preparato la colazione" e indicò con fare allusivo i fornelli e la tavola già apparecchiata.

"Lily, credo seriamente di essermi innamorato di te".

La ragazza rise. "E dove sarebbe la novità?".

"Stavolta te lo dico con il cuore…".

"O con lo stomaco. Avanti siediti: le uova saranno pronte tra poco".

James ubbidì. Mentre aspettava che Lily finisse di cuocere la colazione, si incantò a fissare con fare pensoso il cartone del succo di mela, come se quest’ultimo gli stesse suggerendo la risposta a tutti i suoi dilemmi. Poi senza il minimo preavviso, disse: "Lily, vuoi sposarmi?".

SGLANK!

La padella con tutte le uova sfuggì delle mani di Lily e finì dritta sul pavimento. "Cosa hai detto?" esalò la ragazza, in un sussurro strozzato, fissando stralunata il fidanzato.

"Vuoi sposarmi?" ripeté senza indugio James.

"Ma… ma sei sicuro?".

"Sai, mi sono appena reso conto di quanto sia bello averti per casa già di prima mattina e vederti spignattare ai fornelli. E voglio poter avere questa celestiale visione ogni singolo giorno della mia vita, ho già perso anche troppo tempo. Allora, vuoi sposarmi?".

Lily rimase in silenzio ancora alcuni minuti, poi gli saltò letteralmente tra le braccia, ridendo e piangendo allo stesso tempo.

"Posso prenderlo per un sì?".

"Certo. Sì, sì, sì che ti sposo!" gridò Lily.

I due rimasero per alcuni istanti immobili. Quando si separarono, James fissò la sua futura moglie negli occhi e le chiese: "Ora posso farti un’ultima domanda? Me lo dai quel bacio di compleanno?".

Lily rise, prendendogli il volto tra le mani, baciandolo con passione.

LYRAPOTTER’S CORNER

Alla fine l’ispirazione mi è venuta, visto? Spero che i miei sforzi non siano stati vani e che questo capitolo vi sia piaciuto. Io da parte mia, sono sinceramente contenta che con James abbiamo finalmente archiviato l’era dei Malandrini, almeno per un po’: per carità mi piacciono molto, ma ormai era davvero a corto di idee per loro, contando anche il fatto che erano uno dietro l’altro. Fortuna che il compleanno di Sirius non ci è concesso di conoscerlo…

Grazie infinite a

Pan_Tere94

Dogma

Deidara

HermioneForever92

Sono davvero felice che le mie flashfic abbiano successo.

Ora passiamo alla nota dolente, in linea di principio il prossimo aggiornamento dovrebbe essere per il compleanno di Fred e George, il 01/04. Purtroppo in quei giorni sarò in gita a Weimar, perciò non so se riuscirò ad aggiornare. Se riesco a finirlo in tempo e a corrompere mia sorella perché lo pubblichi al mio posto, bene, in caso contrario ci si sente quando torno, al 05/04 o al 06/04.

Commentate numerosi, bacibaci!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Fred e George Weasley ***


SPECIAL DAYS

FRED E GEORGE WEASLEY

1 aprile 1995

Hogwarts

14.00

"Questo sarà il migliore scherzo nella storia di Hogwarts!".

"Oh, no, Fred, sarà perfino meglio: il migliore scherzo della storia dei migliori scherzi!".

Due ghigni identici si allargarono sui volti di Fred e George Weasley, neo maggiorenni da quattordici ore giuste e che, nonostante ciò, tutto avevano in mente tranne cominciare a comportarsi di conseguenza. Come del resto dimostrava la conversazione appena conclusa in un solitario e, almeno per il momento, silenzioso corridoio del castello.

Come è facile da intuire, il progetto dei due gemelli era quello di tirare l’ennesimo scherzo al custode, Argus Gazza… Del resto, per quel povero disgraziato non c’era più stato un giorno di pace da quando Fred e George Weasley avevano messo piede ad Hogwarts, perché mai quest’ultimi avrebbero dovuto risparmiarlo proprio il giorno del loro compleanno, quando a maggior ragione avevano diritto a divertirsi un po’?

"Ma quando arriva?" si lamentò Fred, rannicchiato in una posizione piuttosto scomoda dietro una statua.

"Ma quanto sei noioso!" esclamò George. "Possibile che tu non faccia altro che lamentarti?".

"Vorrei vedere te, se avessi un paio di ossute rotule conficcate nella schiena…".

E in effetti, George era appollaiato sul dorso del fratello per poter vedere il corridoio oltre il loro nascondiglio.

"Taci!" lo ammonì il ragazzo, scattando all’indietro, sentendo un rumore di passi venire nella loro direzione. "Arriva qualcuno".

Pochi istanti dopo, Angelina Johnson attraversò il corridoio, con alcuni libri sotto braccio, senza minimamente accorgersi dei due ragazzi Weasley, che silenziosamente ammirarono il suo passaggio.

"George, che schifo, stai sbavando!" sobbalzò Fred, dopo alcuni minuti d’imbambolamento, con espressione disgustata.

"E tu, allora? Sembravi un pesce lesso con gli occhi fuori dalle orbite! Guarda che ad Angelina piaccio io!".

"Che illuso che sei! Se non ricordo male, è venuta al Ballo del Ceppo con me, non con te!".

"Solo perché tu glielo hai chiesto per primo! Chi vuoi che ti guardi se ci sono in giro io? Lo sanno tutti che sono IO il gemello bello!".

"E come fai a stabilirlo? Siamo uguali!".

"Certo, te lo concedo, c’è una certa somiglianza, ma io resto comunque il più bello tra i due".

Fred lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite. "Una certa somi-! Di certo non sei il gemello più intelligente!".

"Fred, ma va a…".

Fred non seppe mai in che posto dovesse andare, visto che in quel momento nuovi passi ammutolirono entrambi, interrompendo la lite. E questa volta, a svoltare l’angolo fu la loro designata e ancora ignara vittima: Gazza camminava trascinandosi dietro un vecchio spazzolone, bofonchiando strane maledizioni contro "i sucidi ragazzini che infangavano le sue preziose scale con ogni sorta d’immondizia". Dietro di lui, silenziosa come un fantasma, veniva la fedele Mrs. Purr.

Ok, qualunque discussione può essere rimandata a un secondo momento: questo si dissero silenziosamente i gemelli, fissandosi un istante negli occhi, con un ghigno quasi diabolico di nuovo dipinto in volto.

I due attesero che il custode passasse, dopodiché George scattò fuori dal nascondiglio, si posizionò al centro del corridoio, estrasse una Caccabomba dalla tasca dei pantaloni e gridò: "Ehi, vecchio rimbambito!".

Gazza si voltò nello stesso istante in cui il ragazzo lanciava la Caccabomba, centrando in pieno Mrs. Purr, che si scostò soffiando, mentre un decisamente spiacevole lezzo si spandeva nell’aria.

Gazza strabuzzò gli occhi, furioso. "TU, RAZZA DI DELINQUENTE! VIENI IMMEDIATAMENTE QUI!".

"Prendimi se ci riesci!" lo incalzò invece George, partendo nella direzione opposta.

Se Gazza si fosse fermato un instante a riflettere, avrebbe probabilmente capito che l’incoraggiamento di George conduceva dritto in una trappola. Sfortunatamente (per lui), da arrabbiati è difficile ragionare con lucidità e in quel momento il custode era talmente furioso che avrebbe rincorso la sua nemesi anche all’inferno. Cosicché partì di corsa all’inseguimento, tallonato dalla sua gatta. Proprio come voleva il piano…

Nel frattempo, anche Fred Weasley sgusciava fuori da dietro la statua e si avviava nella direzione opposta.

Esattamente dieci minuti dopo, tre piani più sotto nel bel mezzo della Sala d’Ingresso, risuonò l’urlo, a metà tra il terrorizzato e il furibondo, di Argus Gazza, il quale volteggiava a mezz’aria completamente ricoperto di piume e con una cresta in testa. Sopra di lui lampeggiava a colori sgargianti la scritta "Alunni scappate, il piccione vi vuol beccare!", mentre Fred e George Weasley se la ridevano di gusto, coi piedi saldamente ancorati a terra, circondati dagli altri studenti.

Sala Comune di Grifondoro

14.45

"Presto o tardi vi caccerete nei guai…" osservò Ron all’indice dei due fratelli più grandi.

"Oh, non essere sciocco, Ronnie" si schermì Fred, con un’alzata di spalle. "Non abbiamo fatto nulla più del solito…".

"…E tu sei l’ultimo a poter criticare" aggiunse George. "Le tue risate sguaiate le hanno sentite perfino ad Hogsmeade!".

Ron arrossì fino alla punta delle orecchie, quando intervene Hermione, con un cipiglio severo che ricordava in modo inquietante la signora Weasley. "Ron ha ragione: dovreste fare più attenzione a quello che fate. Presto o tardi passerete il segno e allora saranno problemi vostri".

"Non farci la morale, Hermione. Sappiamo bene qual è il limite. E non lo superiamo mai…".

"Infatti non ci hanno ancora espulso, no?".

Fred e George scoppiarono a ridere insieme, mentre Hermione borbottava qualcosa del tipo "parlare con voi è come parlare a un muro".

"Ciao, ragazzi". Angelina Johnson passò in quel momento, sorridendo e facendo un cenno di saluto con la mano. "Bello lo scherzo a Gazza, molto divertente".

Fred e George le sorrisero come ebeti, salutandola finché non fu scomparsa su per il dormitorio femminile. Poi si guardarono e all’unisono esclamarono: "Salutava me!".

"No, me!".

"TE?! Tu sei fuori!".

"È chiaro come il sole che parlava a me" osservò Fred.

"Ma se per tutto il tempo non faceva che fissare me!" obiettò George in tono convinto.

"Ma se non ti si può guardare!".

"Ti ricordo che sono IO il gemello bello".

"Al più tu sei quello stupido! Sono IO il gemello bello!".

Ron e Hermione, lì vicino, si scambiarono un’occhiata perplessa. "Ragazzi" intervenne Ron, esitante. "Vi ricordo che siete gemelli…".

"E allora?".

"E allora" proseguì Hermione. "Siete uguali. Non ha senso discutere su chi sia più bello se siete uguali".

"Tu ci vedi uguali, Hermione" spiegò Fred con aria da vecchio saggio. "In realtà siamo molto diversi. E Angelina l’ha capito benissimo, visto che guardava me!".

"Non esiste: è lampante che ha una cotta per me!".

"Non si metteranno mai d’accordo, vero?" chiese Hermione, in tono sconsolato.

"Temo proprio di no" confermò Ron. "A volte litigano ancora su chi avrebbe dovuto mettere per primo il pigiama a righe blu, invece che quello a righe verdi".

"E questa lite risale a…?".

"Credo avessero più o meno sei anni. Il guaio è che si somigliano troppo: a entrambi piacciono sempre le stesse cose. Il che va bene finché ci sono doppioni. Altrimenti, litigi epici che durano decenni. Scommetto quello che vuoi che fra vent’anni, quando saranno entrambi sposati e con figli, discuteranno ancora su quale dei due Angelina stava salutando…".

"Che cosa assurda" considerò Hermione.

Ron si strinse nelle spalle. "Sono Fred e George: sono fatti così. Due metà indivisibili: non potrebbero vivere uno senza l’altro…".

Hermione si voltò a guardare i gemelli ancora immersi nella loro discussione. Ron ha ragione, concluse dopo alcuni istanti di riflessione. È impossibile pensare a quei due separati: sono troppobeh, troppo!

1 aprile 2003

Diagon Alley

10.30

George Weasley non teneva specchi in casa. Nemmeno uno piccolo: anche la sua fidanzata, per ragioni di cheto vivere, aveva imparato a non lasciarne in giro quando andava a trovarlo. Nei primi tempi, aveva fatto di quelle urlate perché Angelina aveva dimenticato lo specchietto della cipria sul tavolo o cose simili…

Erano quasi cinque anni che George Weasley non si guardava allo specchio: aveva imparato a conviverci senza. Si pettinava alla meglio, si radeva con un colpo di bacchetta, non ne aveva bisogno. O per meglio dire, desiderava di non averne bisogno, per il resto della sua vita.

Questo perché George Weasley odiava il suo riflesso: odiava quel volto, quegli occhi, quella bocca, quei capelli, quel aspetto che in ogni istante gli rammentava LUI.

Odiava quel riflesso che ogni momento pareva ricordargli che LUI non c’era più, che se n’era andato, per sempre, e non sarebbe tornato.

Era sciocco, perché sapeva perfettamente che non era LUI quello dall’altro lato dello specchio, ma semplicemente il suo riflesso. Ma erano identici, fino all’ultimo dettaglio, a parte quel orecchio mancante.

Prima questo gli piaceva, era divertente e poteva anche tornare utile. Ora era tutto diverso: perché LUI non c’era più, non potevano più far imbestialire la loro madre spacciandosi l’uno per l’altro, c’era solo lui, George.

Solo una cosa odiava più del suo riflesso: il primo aprile, il giorno del suo compleanno, del loro compleanno. Più di ogni altro quel giorno gli ricordava che Fred era morto: da che aveva memoria il primo aprile c’erano sempre state due torte (mai che Molly facesse un unico dolce solo perché erano gemelli), due pile di regali, due serie di auguri, un anno che avevano litigato di brutto, avevano fatto perfino due feste. Ora non più: ora c’era solo lui, un gemello senza la sua metà.

Per questo, George non voleva più festeggiare quel giorno. Quando tre anni prima, i suoi avevano voluto fare l’esperimento di una festicciola informale, aveva dato quasi di matto. Per fortuna si era contenuto fino a casa: in quel periodo Molly aveva ancora la lacrima facile, malgrado fosse passato un anno da quando…

Primo e ultimo esperimento, nei tre anni successivi gli avevano risparmiato anche gli auguri e contava di proseguire sulla stessa linea d’onda…

"George, sei a casa?".

La porta che si chiudeva accompagnò la voce di Angelina, quando la ragazza entrò nell’appartamento. Il ragazzo non rispose, ma rimase disteso nel letto a fissare il soffitto: la voglia di alzarsi quella mattina era decisamente sotto i tacchi. Con il resto del mondo poteva anche fingere che quel giorno, e più in generale sempre, andasse tutto bene, ma non poteva certo ingannare sé stesso.

"Ah, allora ci sei!" esclamò la sua fidanzata, comparendo sulla soglia della camera con sorriso. "Non sarebbe il caso di alzarsi, pigrone? Sono le dieci e mezza passate…".

George alzò la testa, ghignando appena. "Ora mi sembri mia madre…".

"Lo prenderò per un complimento, Weasley. Forza in piedi. Devi renderti presentabile se vogliamo essere alla Tana per pranzo…".

Giusto, il maledetto invito a pranzo. Ovvero, il modo ufficioso con cui Molly sperava di convincere il figlio a festeggiare il compleanno in famiglia

"Oh, ma ci dobbiamo proprio andare? Non posso inventarmi qualche impellente affare di lavoro?".

"Certo che potresti" rispose Angelina, avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto. "C’è solo un piccolo problema: il tuo socio è anche tuo fratello. E siccome Ron presumibilmente sarà a pranzo, temo che tua madre capirebbe che è una menzogna!".

"Non se prima chiudo ‘accidentalmente’ Ron nello sgabuzzino delle scope…".

Angelina ridacchiò. "Sarebbe la volta buona che si licenzia. Resta per farti un favore, lo sai. E ora che sta anche studiando per diventare Auror, non so se ti conviene tirare troppo la corda…".

"Ok, ok, ho capito, niente sgabuzzino delle scope. Guastafeste…".

La ragazza gli rivolse un sorriso indulgente. "Dai, sono solo un paio d’ore. Per tua madre. Se poi vuoi tornare qui a deprimerti non te lo impedirò!".

"Deprimermi? Io non mi sto deprimendo: sto benone. Anzi, ora mi alzo, faccio una doccia veloce e poi via, a far felice mamma!".

Ma discapito delle sue parole, non si mosse di un millimetro. Angelina lo fissò con un sopraciglio inarcato. "Il bagno è di là, amore" osservò.

Gli diede una leggera spinta di incoraggiamento. Brontolando, George scalciò le coperte e andò a farsi la doccia.

Quando ricomparve in cucina, Angelina aveva preparato il caffè e gliene stava versando una tazza. Ma non fu certo questo a farlo bloccare sulla soglia: Angelina spesso e volentieri sembrava più ala sua babysitter che la sua fidanzata. A paralizzarlo fu la vista di quello che c’era sul tavolo: un piccolo pacchetto regalo con un bel fiocco azzurro.

"Cos’è quello?" chiese in tono atono, fissando il pacchetto come se fosse una belva feroce.

Angelina seguì il suo sguardo e sorrise, a metà tra il colpevole e il comprensivo. "È un regalo, George" rispose poi in tono tranquillo.

"Pensavo di essere stato chiaro: non li voglio i vostri regali. O vostri auguri. voglio solo fari finta che questo sia un giorno come tutti gli altri. È così difficile da capire?".

"No. Ma pensavo…".

"NO!". George si rese conto di urlare e abbassò il tono: non era giusto prendersela con Angelina. "NON voglio regali. Non voglio niente. O per meglio dire, quello che vorrei non si può mettere in un pacchetto".

Sulle ultime parole la voce gli si incrinò; George distolse lo sguardo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.

Poco dopo, sentì le calde mani di Angelina posarsi sulle sue spalle. "George, devi andare avanti" gli mormorò in tono dolce. "Sono passati cinque anni…".

"Il tempo non basta a guarire una ferita come questa".

"Lo so, lo so. Ma come puoi esserne certo se nemmeno ci provi?".

"Io…". George aprì la bocca e subito la richiuse, senza sapere cosa dire.

"Fred non vorrebbe che ti comportassi così" proseguì la ragazza. "Ti vorrebbe vedere felice…".

"Pare facile. Non credo di ricordare cosa voglia dire essere felice…".

"No, non sarà facile. Ma so che puoi farcela. Insieme, possiamo farcela".

George incontrò lo sguardo di Angelina e le sorrise. No, non era semplice risalire quella china scivolosa, ma non impossibile.

"Grazie, Angelina".

Lei gli sorrise, si allontanò e gli porse la tazza di caffè, dandogli un bacio sulla guancia. "Forza, bevi e poi va’ a vestirti: siamo già in ritardo".

George bevve un lungo sorso, sedendosi al tavolo: il pacchetto era sparito.

Visto, Fred? Te lo avevo detto che guardava me…

LYRAPOTTER’S CORNER

All right, ci ho messo più tempo di quanto pensassi, ma ce l’ho fatto! Il fatto è che speravo di scrivere un po’ a mano anche in gita e poi battere a macchina al mio ritorno. Ma secondo voi l’ho trovato il tempo? Anche avendolo, ero troppo sfinita per potermi mettere seriamente a lavorare. Però ho scoperto che l’aria tedesca fa bene alla mia forza ispiratrice, sono tornata ristorata (insomma, devo ancora recuperare tutte le ore di sonno arretrato) e piena di idee (oddio, non so quanto sia una buona cosa, considerato che ce la faccio a malapena così).

Scusate per l’alto contenuto depressogeno della seconda parte: sarà che ho visitato un campo di concentramento e ne sono uscita abbastanza sconvolta, ma mi è venuto così.

E scusate anche se è un po’ cortino, ma considerato che sono già in ritardo, non mi pare il caso di infarinarlo ancora di più!

Grazie a

Deidara, allora posso considerarmi fiera di me! Per la tua gioia, ora mi dedicherò al nuovo capitolo di MW, perciò in settimana, complici le vacanze, dovrei aggiornare.

HermioneForever92, oddio, mille grazie, per i tuoi complimenti: sono diventata rossa come un pomodoro

Finleyna 4 Ever, prima di tutto grazie mille per i complimenti. In secondo luogo, devo essere sincera, sul sito della Rowling bazzico poco perché non mi piace molto, perciò non so se lì ci siano altri compleanni oltre a quelli che ho io. Ho cercato parecchio sul web e le date che ho trovato le ho segnate: sono quelle che segnala anche il Lexicon (mia fonte di informazione primaria) e tra queste, quella di Sirius (e molti altri) non c’era. Poi non so, errare è umano, sé possibile che qualcosa mi è sfuggito…

Bon, detto questo, il mese di fuoco è ufficialmente finito, ora i tempi si dilateranno un po’. Infatti ci si risente a maggio, per la precisione il 02/05, data ufficiale della Battaglia di Hogwarts.

Buone vacanze di pasqua a tutti!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Battaglia di Hogwarts ***


SPECIAL DAYS

BATTAGLIA DI HOGWARTS

2 maggio 2005

Grimmauld Place n° 12

9.00

"Harry James Potter, ti decidi ad alzare le tue riverite chiappe o hai intenzione di passare la giornata a poltrire?!".

La sua Ginny, sempre così dolce, gentile e delicata… la gravidanza le faceva decisamente male da quel punto di vista! In quei giorni, poi, con l’insolito caldo che imperversava a Londra, era ancora più irascibile del normale.

Per questo, Harry ritenne poco opportuno irritare ulteriormente la moglie e si autoconvinse a sgusciare fuori dalle coperte, per quanto ci stesse tanto bene là sotto, a far finta che il resto del mondo non esistesse. Odiava quel giorno, con ogni fibra del suo corpo. Il che era ironico, considerato che per il mondo magico quello era un giorno dei più felici…

"Harry!" gridò ancora Ginny, non ottenendo risposta. "Non costringermi a fare le scale e a venire a stanarti…".

"Ok, ok, ho capito, sto arrivando" le urlò.

Dopo essersi vestito in fretta, scese al piano di sotto, in cucina, dove trovò la moglie, fornita di ingombrante pancione da otto mesi abbondanti, che preparava la colazione.

"Quale parte del concetto ‘giornata libera’ non ti è chiaro, tesoro?" le domandò, prendendo posto al tavolo. "Non sono andato al lavoro apposta per dormire un po’ di più…".

"Le nove passate non mi sembra proprio un orario inaccettabile per alzarsi" ribatté Ginny. "E, in ogni caso, diamo a Cesare quel che è di Cesare, tu non sei andato al lavoro per evitare i tuoi colleghi, amore …".

"Perché sei ai fornelli?" domandò Harry, per cambiare argomento. "Dov’è Kreacher?".

Alla faccia della sua età, il vecchio Elfo Domestico, infatti, era più attivo che mai e più che felice di continuare a lavorare per "padron Harry", come lo chiamava sempre.

"In giro, da qualche parte" rispose vaga la donna. "Non ti preoccupare, non sono ancora così invalida da non poterti preparare una tazza di the, sai? Te lo ripeto di nuovo, sono incinta, non moribonda!".

"Non intendevo dire questo, Ginny" si scusò Harry, appuntandosi mentalmente di rifletterci sopra due volte prima di fare qualunque commento futuro sulle attività motorie della consorte. Le farebbe decisamente bene tornare a volare, si disse. Almeno se la prenderebbe con le sue compagne di squadra invece che con me!

"Non importa. Scusa anche tu: in questi giorni mi sento piuttosto irritabile…".

Harry si morse la lingua per trattenere il commento sarcastico che gli stava volando alle labbra. Certo, le donne potevano anche dire di dover fare tutto il lavoro, ma anche gli uomini non avevano vita facile: Harry nemmeno si ricordava cosa volesse dire dormire una notte tutta filata, tra emergenze di lavoro e voglie. Beh, almeno sono già allenato per quando il bambino nascerà!

"Comunque, non ti ho chiamato solo perché è sufficientemente tardi" riprese Ginny, mettendogli davanti la colazione. "Ti è arrivata una lettera, da Andromeda…".

Harry gemette tra sé, mentre la moglie gli porgeva una busta chiusa: poteva immaginarsi cosa volesse Andromeda da lui.

E infatti…

"Vuole che porti fuori Teddy" comunicò quando ebbe finito di leggere. "Per svagarlo un po’…".

"Comprensibile" commentò Ginny. "Ricordati però che devi tornare presto per prepararti…".

Gli indicò con fare allusivo la porta del frigo, dove, tra le altre cose, era affissò anche un foglio di pergamena, la lettera che, puntuale come un orologio svizzero, un gufo consegnava ogni anno a casa Potter.

"Non me lo ricordare…" borbottò Harry, fissando con intensità il piatto di fronte a lui.

Ginny gli sorrise comprensiva. "Lo so che lo odi, ma non puoi tirarti indietro: in un certo senso, è te che festeggiano oggi, e lo sai".

"Parli così perché quest’anno non sei costretta a venire, dato il tuo stato…".

"Tu mi hai detto che dato il ‘mio stato’ era meglio se non venivo. Se vuoi, sono dispostissima ad accompagnarti…".

Harry scosse il capo. "Lascia stare. Dovrò solo stringere i denti, come ogni anno. Mi consolerò pensando che dopo ci saranno altri 365 giorni prima della prossima commemorazione".

"Lo so che non è facile, Harry. Non è facile nemmeno per me…".

Harry le strinse la mano, guadagnandosi un sorriso grato dalla moglie. Malgrado fossero passati sette anni, la perdita di Fred era ancora una ferita aperta, una ferita che probabilmente non si sarebbe mai chiusa del tutto.

"Basta con questi pensieri tristi " disse Ginny, dopo alcuni minuti di silenzio. "Cambiando argomento, prova a vedere se riesci a passare dalla Tana verso l’una - le due: oggi è anche il compleanno di Victoire…".

"Ah, giusto. Ehm, il re-".

"Il regalo l’ho preso io, salvatore del Mondo Magico, tranquillo".

"Brava, amore, se non ci fossi tu…".

"…Saresti già annegato nella tua sporcizia" completò la frase Ginny, sorridendo.

Casa Tonks

9.30

"Zio Harry!".

Prima ancora di rendersene conto, Harry fu travolto da un piccolo tornado di sette anni dai vivaci capelli azzurro elettrico, che lo arpionò per le gambe, rischiando di mandarlo con la faccia sul vialetto di casa Tonks.

"Teddy Lupin!" lo richiamò una voce severa dall’interno della villetta. "Quante volte ti ho detto di non farlo? Un giorno o l’altro farai cadere qualcuno!".

Teddy ridacchiò. "Oggi la nonna sembra più irritabile del solito" considerò il bambino, per nulla preoccupato. Non è la sola…, pensò Harry, sorridendo al figlioccio. Doveva ancora trovare la cosa che poteva far sparire il sorriso dal volto di Teddy Lupin per più di cinque minuti, sempre che esistesse: malgrado le premesse con cui era cresciuto, il piccolo Lupin era un bambino fin troppo vivace, soprattutto per i gusti di sua nonna Andromeda. Di certo non aveva preso dal padre…

"Dovresti ubbidire a tua nonna, tanto per cambiare" lo rimproverò. "Chissà, magari ti piacerebbe…".

Teddy gli rivolse un espressione dubbiosa. "Nah, non credo: è più divertente farla arrabbiare!".

Harry rise. "Sei tremendo, te l’ha mai detto nessuno?".

Il bambino parve rifletterci sopra. "Tu" cominciò dopo alcuni minuti, contando con il dito. "La nonna, la zia Narcissa, la zia Ginny, la signora Weasley, il corriere del latte…".

"Ok, ok, afferrato" lo interruppe l’Auror, ben consapevole che la lista sarebbe sicuramente stata ancora lunga. "Vai a giocare, io parlo un attimo con la nonna, poi andiamo".

"Dove andiamo? Dove, dove?" chiese il bambino, eccitato.

"Ah, non lo so. Lascio decidere a te, navigatore!".

Teddy rise, assunse un’espressione concentrata e poi schizzò via.

Harry trovò Andromeda in cucina, che finiva di preparare il pranzo al sacco per il nipote.

"L’avrei portato al Paiolo…" esordì Harry, dopo averla salutata. "Non c’era bisogno che ti disturbassi".

"Oh, nessun disturbo" gli assicurò Andromeda, scostandosi una ciocca di capelli dal volto. Malgrado gli anni e soprattutto malgrado si preoccupasse poco o nulla del suo aspetto, la signora Tonks restava ancora una bella donna. "So quanto poco ti piaccia farti vedere in pubblico. Oggi, poi, saranno tutti allegri come se fosse natale… Ho preparato qualcosa anche per te" aggiunse, tendendogli due sacchetti identici.

"Non era…" cominciò Harry, ma la donna lo interruppe. "Lo faccio con piacere, Harry. Mi fai un favore a occuparti del piccolo criminale, oggi".

"Non mi pesa stare con Teddy" garantì Harry, osservandolo dalla finestra. "Ormai ho imparato a gestirlo… Più o meno!".

"Già… Assomiglia sempre di più a Dora" osservò Andromeda, quasi più a sé stessa che a Harry. Per alcuni istanti rimase immersa in chissà quali pensieri, poi si riscosse all’improvviso e disse: "Allora, puoi tenerlo fino a…".

"Le cinque" rispose Harry. "Non più tardi, perché la commemorazione comincia alle sei e mezzo e per quell’ora devo essere a Hogwarts".

"Ah, giusto, la commemorazione…".

"Hai intenzione di venirci?" chiese Harry, pur conoscendo già la risposta.

Infatti la donna gli rivolse un sorrisetto ironico. "Ho gettato l’invito prima ancora di aprirlo. Ho comunque la scusa pronta, almeno finché Teddy non comincerà la scuola, poi mi inventerò qualcos’altro".

"Non è così male…" disse Harry, in tono tutt’altro che convincente.

"Pinocchio" lo rimproverò difatti Andromeda. "Il tuo naso ha quasi bucato il muro, tanto si è allungato. No" disse poi in tono deciso. "Non ho la minima voglia di andare alla commemorazione, né oggi né probabilmente per il resto della mia vita: ho perso troppo sette anni fa per volerlo ricordare…".

"Ti capisco, Andromeda. Allora, te lo riporto per le cinque?".

La donna annuì. "Perfetto. Ci vediamo questo pomeriggio".

Parco giochi,

12.30

"Non mi va di andare alla Tana!" protestò Teddy a gran voce, ingoiando l’ultimo pezzo del suo panino.

I due erano seduti su un panchina in un parco giochi Babbano (ragione per cui i capelli di Teddy erano di una più anonima tonalità castana) a consumare il pranzo amorevolmente preparato da Andromeda e Harry aveva appena illustrato al figlioccio il piano per il pomeriggio, che prevedeva una visita a casa Weasley per il compleanno della primogenita di Bill e Fleur.

"Oh, andiamo" cercò di blandirlo Harry. "Potrai giocare con Victoire…".

"Appunto!" gridò il bambino con una faccia schifata. "Quella è così NOIOSA…".

"Ha solo due anni meno di te…".

"Ma è una pizza. Mi si attacca come un cozza e non riesco più a levarmela di torno. E non fa mai nulla di interessante…".

"Anche tu a cinque anni eri come lei" gli garantì Harry.

"Io a cinque anni non giocavo mica con le bambole!" protestò Teddy. "Lei invece non sa fare altro… Quello e attaccarsi a me come una pianta rampicante: è asfissiante".

"Vuole un po’ di compagnia. Sua sorella è ancora troppo piccola per giocare con lei" tentò di giustificarla Harry, pensando a Dominique, che avrebbe compiuto un anno di lì a un mese.

Teddy rimise su al sua espressione disgustata. "Le femmine sono noiose" affermò in tono sicuro. "Vorrei tanto qualcuno con cui giocare… qualcuno di interessante!".

Si imbambolò a fissare alcuni bambini che giocavano; Harry nel frattempo si lambiccava il cervello per trovare un argomento che convincesse il figlioccio a soprassedere alla presenza di Victoire Weasley e lo convincesse ad andare alla Tana.

"Zio Harry" fece Teddy, dopo alcuni minuti di silenzio. "A te sarebbe piaciuto avere un fratello?".

"Eh, cosa?" sobbalzò Harry, preso completamente alla sprovvista dalla domanda, abbassando gli occhi fino a incontrare quelli del bambino. "Ah, non lo so" rispose, dopo aver riordinato un po’ le idee. "Non ci ho mai riflettuto più di tanto, sinceramente. Immagino di sì, che mi sarebbe piaciuto…".

Teddy annuì. "Anche a me piacerebbe… un fratello, però, non una sorella". Tacque un attimo poi domandò ancora: "I miei genitori l’avrebbero voluto un fratellino?".

Di nuovo, Harry si ritrovò incapace di rispondere: in tutta onestà, non aveva idea di quali potessero essere i progetti di Remus e Tonks, se fossero vissuti. Capì però qual era la risposta di cui Teddy aveva bisogno. "Sicuramente".

Di nuovo calò il silenzio e di nuovo fu il bambino a romperlo. "Io lo so che giorno è oggi" mormorò a bassa voce.

"Come?".

"Io lo so che giorno è oggi" ripeté il bambino, a voce più alta. "Anche se né tu né la nonna mi dite mai niente, io lo so".

"Certo che lo sai: è giusto che tu lo sappia".

"Mi mancano, zio Harry" disse fissando l’erba sotto i suoi piedi. Parve rifletterci un attimo, poi domandò: "Si può sentire la mancanza di qualcosa che non hai mai conosciuto?".

Harry gli sorrise, attirandolo a sé. "Certo che si può, piccolo, si può eccome". Glielo poteva dire per esperienza personale.

Teddy tirò su con il naso, e di nuovo tacque.

Harry sospirò. Quel bambino stava crescendo troppo in fretta: a volte era talmente solare che ci si poteva quasi dimenticare di tutto quello che aveva perso. Invece, la conversazione degli ultimi minuti aveva dimostrato quanto effettivamente sentisse la mancanza dei suoi genitori. Harry meno di tutti avrebbe dovuto sorprendersi: aveva una famiglia sua, ormai, ma ciò non toglieva che i suoi gli mancassero ancora, certe volte…

Dopo un po’, l’Auror chiese, col chiaro intento di distrarlo: "Senti, sei sicuro di non volere andare alla Tana? Sono sicuro che la signora Weasley ha una fetta di dolce con il tuo nome sopra, pronta per essere mangiata. Non vorrai che se la prenda Victoire?".

Teddy ci rifletté sopra. "Ok. Ma lo faccio solo per la torta. E appena Victoire si avvicina…".

"… Ce la filiamo di corsa. Promesso!".

La Tana

13.15

"Harry, ce l’hai fatta!" lo accolse Ron, quando vide il suo migliore amico materializzarsi nel cortile della Tana.

"Trattative diplomatiche" spiegò. "Ho incontrato un piccolo ostacolo sulla strada, ma abbiamo raggiunto un compromesso, vero Teddy?".

Quest’ultimo fece un verso che poteva solo voler dire "se lo dici tu: io non sono per niente soddisfatto".

Ron rivolse un’occhiata perplessa al bambino. "Non capisco…".

"Che novità!" lo schernì Hermione, comparendo al suo fianco. "Quando mai ha capito qualcosa, Ronald?!".

"Grazie infinite, moglie adorata" ribatté Ron. "È bello sapere che hai una così alta opinione di me. Quasi, quasi ti meriteresti che facessi i bagagli e me ne andassi…".

"Sì, e per andare dove, se non sono indiscreta?".

"Ho tanti parenti a cui chiedere asilo, nel caso te lo fossi scordato" osservò Ron, indicando allusivo il resto della Tana, traboccante di Weasley con relative famiglie.

"Tanto lo so che non potresti mai andartene. Senza di me sei perduto…".

"Senza di te, me la cavo benissimo".

Hermione gli rivolse un’occhiata educatamente scettica, prima di sorridere a Harry e Teddy. "Ciao, Harry, ciao Teddy. Credo che Molly vi abbia tenuto un paio di fette di torta da parte. Vado a vedere".

"Grazie, Hermione. Veniamo anche noi: credo che salutare i suoceri sia d’obbligo a questo punto".

I quattro si avviarono dentro, dove i festeggiamenti erano ancora in corso: gli adulti erano tutti riuniti in cucina, mentre Victoire e alcuni cugini francesi di Fleur giocavano in salotto.

"Harry" lo accolse la signora Weasley, stritolandolo in un abbraccio. "E c’è anche il piccolo Teddy. Ciao, tesoro!".

"Salve, signora Weasley" la salutò il bambino.

"Mamma" intervenne Ginny, piazzata su una sedia con le gambe distese e comodamente appoggiate sopra a quelle di George, "te lo avevo detto che ci sarebbe stato anche Teddy. Non c’è bisogno di tutte queste scene".

Ma la signora Weasley non parve nemmeno sentirla: non poteva farci nulla, era il suo vecchio istinto materno che riemergeva. E poi, considerava Teddy praticamente uno di famiglia…

Harry fece un saluto collettivo e poi andò a sedersi accanto alla moglie: "Ciao amore, come va?".

"Ho vomitato la torta, sono stanca, ho mal di schiena e le caviglie gonfie. Tutto grazie a te, tesoro!".

Già, certo, perché sono stato io a dire ‘Amore, voglio fare un bambino, che ne pensi?’ nove mesi fa…

"Sì" intervenne George. "E ha anche scambiato le mie cosce per un cuscino…".

"Facciamo così, George" disse Ginny. "Quando sarai tu incinto, potrai usare le mie cosce come cuscino. Contento?".

"Temo ci sia qualche impedimento a livello biologico per mettere in atto questo brillante piano, sorellina" protestò George, mentre i presenti ridevano.

"Già. Questo perché la natura è stata fin troppo generosa con voi maschi, mentre tutte le sfortune toccano a noi donne…".

"Intanto voi donne vivete di più, avete meno probabilità di morire di infarto…".

"Parli così perché non hai mai avuto le mestruazioni in vita tua" protestò Ginny, mentre le altre donne annuivano con convinzione. "Se avessi sperimentato quello, non saresti così veloce a dire che noi donne viviamo di più eccetera. Senza dimenticare la cosa più importante…".

"…Voi potete farla in piedi!" conclusero in coro lei, Hermione, Fleur e Angelina, occhieggiando i presenti di sesso maschile come a sfidarli a replicare.

"Ok, mi arrendo" capitolò George, alzando le mani in segno di resa. "Ti autorizzo a usarmi come cuscino per tutte le gravidanze a venire".

"Ti ringrazio" disse Ginny, accavallando le gambe.

"In mancanza del tuo caro maritino, ovviamente. Harry, penso proprio che queste caviglie gonfie siano di tua competenza…".

"Oh, tu te la stai cavando benissimo, George. Non vorrei sminuire la tua autostima…".

"La mia autostima starà benissimo, tranquillo. Vieni qua, ora…".

Fece per alzarsi, ma Ginny lo bloccò. "Fermò lì, tu!".

"E perché?".

"Semplice: non ho voglia di piegare le gambe. Starai di corvè finché non dovrò andare in bagno. Tanto, a Harry toccherà stasera".

George si rimise seduto, sbuffando e mettendo il broncio, suscitando in questo modo le risatine dei presenti.

"Ecco qua" annunciò la signora Weasley, mettendo due piatti di torta di fronte a Harry e Teddy. "Buon appetito!".

"Grazie, signora Weasley".

Teddy si accomodò accanto al padrino e prese la forchetta, ma prima di cominciare a mangiare, chiese, con tutta l’innocenza dei bambini: "Zio Harry, cosa sono le mestruazioni?".

Harry, che dal canto suo aveva già portato in bocca il primo boccone, rischiò seriamente di strozzarsi di fronte a quella domanda. Probabilmente, solo il pronto intervento di Bill, che gli diede qualche vigorosa pacca in mezzo alle spalle, lo salvò dal soffocamento.

"Harry, stai bene?" chiese Hermione ansiosa, porgendogli un bicchiere d’acqua.

Harry le fece cenno d’attendere, afferrando il calice e ingoiando tutto il contenuto. Poi prese un respiro profondo e annuì. "Credo di sì. Però, tutto d’un tratto la torta mi pare meno invitante…".

Tutti tirarono un sospiro di sollievo, mentre Teddy, dal canto suo, lo guardava in attesa di risposta, senza capire il perché della sua reazione esagerata.

"Oh…beh… vedi" balbettò Harry, in evidente difficoltà, cercando un qualunque aiuto.

"Teddy!".

La vocina acuta ed entusiasta di Victoire interruppe sul nascere l’incerta risposta dell’Auror.

"Mi sembrava di aver sentito la tua voce" continuò la bambina, mentre Teddy sembrava quasi sgonfiarsi. "Oh, no, lei no".

"Teddy" disse Harry, a voce leggermente troppo alta. "Perché non vai di là a giocare con Victoire?".

Il bambino gli rivolse un’occhiata delusa e arrabbiata. Avevi promesso, dicevano quegli occhi, mentre con il piatto della torta se ne andava sulla scia dell’entusiasta Victoire. Harry, tuttavia, al momento era troppo sollevato per sentirsi in colpa. Salvato in corner, pensò.

"Ginny" disse poi ad alta voce, rivolto alla moglie. "Per questo, ricordami di ucciderti".

La donna ebbe il buon gusto di mettere su un’espressione colpevole.

Hogwarts

18.30

Dopo la Battaglia di Hogwarts, era stato necessario oltre un anno per ricostruire il castello e riparare a tutti i danni causati dai Mangiamorte. E anche così, era diventata opinione comune che qualcosa della vecchia magia di Hogwarts si fosse persa per sempre quel giorno: non era un cambiamento empirico (il maniero era tornato al suo originale splendore, come se la battaglia nono fosse mai avvenuta), quanto piuttosto una certa atmosfera che si respirava, come se in un certo senso anche quelle millenarie mura ricordassero che quel giorno si era combattuto, che quel giorno si aveva vinto e si aveva perso…

Una sola era cambiata della Hogwarts, che Harry aveva conosciuto: su desiderio del Ministero e con il beneplacito della professoressa McGranitt, la nuova preside, sulla riva del lago era stato eretto un monumento ai morti durante la Battaglia, a ricordo per le future generazioni. . Era molto semplice, in realtà: una fenice pronta a librarsi in volo, sostenuta da un ceppo d’albero sotto cui erano incisi i nomi dei 62 caduti per la libertà. A Harry, quella fenice aveva sempre ricordato Fanny, anche se forse era semplice suggestione…

Harry, spinto da chissà quale masochistico impulso, ogni volta che per qualche motivo faceva visita a Hogwarts si fermava a osservare quel monumento e a leggere i nomi di quelle persone che erano morte per aiutare lui…

"Pensieroso, Potter?".

Harry sobbalzò, spaventato, voltandosi e trovando Minerva McGranitt a osservarlo alcuni metri più in là.

"Professoressa" la salutò. "Non l’avevo sentita arrivare…".

"Sì, l’avevo intuito, Harry, scusami" sorrise lei. "E ti ho già detto mille volte di chiamarmi Minerva: non sono tua insegnante da un po’, ormai".

"Lo so" ribatté Harry. "Ma mi sembrerebbe, non saprei, irrispettoso. È una questione di abitudine, professoressa: per me, lei resterà sempre l’insegnante di Trasfigurazione che mi ha dato una nota di ritardo il primo giorno di scuola!".

La McGranitt sorrise al ricordo. "Mi hai fatto mangiare un bel po’ di fegato, Potter, lo devo ammettere…".

"Questione di famiglia, suppongo…" ridacchiò Harry, pensando ai Malandrini.

"Vero" concordò la donna. "Come sta tua moglie, a proposito?".

"Tutto in regola, grazie" rispose Harry. "Il termine è previsto per la fine del mese…".

"E dopo ci sarà un altro piccolo Potter in questo mondo…".

"Fra undici anni se lo vedrà qui, pronto per lo Smistamento…".

"Ah, mio caro, per allora farò in modo di essere già andata in pensione: non credo che i miei nervi potrebbero reggere un'altra generazione di Potter…".

Harry rise, per poi tornare a rivolgere lo sguardo al monumento, sentendosi gli occhi della McGranitt puntati addosso: improvvisamente si sentì di nuovo un giovane studente.

"Dovresti smettere di crucciarti in questo modo, Harry" gli disse l’insegnante. "Non è stata colpa tua…".

"Lo so. A livello razionale, lo so benissimo… ma non posso evitare di pensare che sono morti per aiutare me, tutti loro".

"Sono morti combattendo per ciò che credevano giusto: nessuno li costrinse a combattere, fecero una scelta… Una scelta coraggiosa, ma pur sempre una scelta, come hai fatto tu, come ho fatto io, come hanno fatto tutti quelli che erano qui quel giorno o prima ancora…".

"Già…". Harry tacque, non sapendo cos’altro dire.

Minerva gli rivolse un sorriso gentile. "Ah, ora che mi viene in mente… Mentre eravamo qui a chiacchierare, mi stavo dimenticando che gli altri ci aspettano dentro, per cominciare… A distanza di 14 anni, Potter, ti fai ancora aspettare…".

"La puntualità non è il mio forte" osservò Harry. "Ma stavolta non potrà togliermi punti…".

"Vedremo, vedremo. Forza, andiamo, prima comincia, prima finisce".

Giusto, via il dente, via il dolore! Mentre seguiva l’insegnante verso il castello, si voltò un’ultima volta verso la statua della Fenice. Questo è per tutti voi: grazie!

LYRAPOTTER’S CORNER

Capitolo dedicato, nell’ordine, a Regulus Black, Lily e James Potter, Cedric Diggory, Sirius Black, Albus Silente, Edvige, Alastor Malocchio Moody, Ted Tonks, Dobby, Fred Weasley, Severus Piton, Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Colin Canon e tutti quei personaggi più o meno importanti che la falce della Rowling ha colpito e che sono entrati nei nostri cuori… (spero di non aver dimenticato nessuno!!!!!!).

Una piccola nota, girando senza perchè sul Lexicon ho scoperto che il 2 maggio è sul serio il compleanno di Victoire, non è una mia invenzione, mentre l'anno di nascita, così come quello di James II e di Dominique sono una mia licenza poetica. Giusto per chiarire!

Non sono sicurissima di cosa pensare di questo capitolo, ho tentato di equilibrare momento leggeri a quelli un po’ più riflessivi, spero di esserci riuscita…Temo più che altro di cominciare a diventare monotematica, visto che alla fine gira a rigira sempre stessi personaggi e stesse situazioni sono… Se vi stufo, non esitate a dirlo, tornerò nel mio cantuccio a riflettere suoi miei errori!!!!!

Grazie a

Finleyna 4 Ever

Alida

per il loro commenti

Prossimo appuntamento, 10/05, festa della mamma, con una nuova raccolta di flashfic (l’ultima, giuro!). See you soon!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Festa della mamma ***


SPECIAL DAYS

FESTA DELLA MAMMA

Essere mamma non è un dovere; non è nemmeno un mestiere: è solo un diritto tra tanti diritti.

Oriana Fallaci

MOLLY WEASLEY

10 maggio 1981

La Tana

9.30

"Buona festa della mamma!".

Il suono di sei vocine squillanti mi strappò piuttosto bruscamente dalle braccia di Morfeo. Aprì lentamente gli occhi e trovai tutti e sei i miei figli che mi osservavano sulla soglia: Bill, con tra le mani un vassoio carico di cibo, Charlie, che teneva in braccio meglio che poteva il piccolo Ron, subito dietro di lui Percy e in ultimo Fred e George.

"Ragazzi" li salutai, mettendomi a sedere. "Buon giorno…".

Come fosse stato un segnale, tutti e cinque si precipitarono dentro, saltando sul letto e rischiando di rovesciare il vassoio o peggio far cadere Ron. Per questo, la prima cosa che feci fu levarlo dalle braccia di Charlie e metterlo seduto al mio fianco, dove rimase a fissarmi sorridente.

"Ti abbiamo preparato la colazione" annunciò Percy, mentre Bill mi metteva davanti vassoio. Fissai con sospetto il cibo che avevo davanti: l’aspetto era buono, ma aveva da tempo imparato a diffidare delle apparenze.

"Ehm" balbettai, incerta, non volendo ferirli. "Chi l’ha preparato?".

"Papà" rispose Charlie. "Subito prima di andare a lavoro".

"Ci ha raccomandato di portartelo con calma…" proseguì Fred.

"… di non rovesciarlo…" continuò George.

"… di dirti che gli dispiaceva di non salutarti…" aggiunse Percy.

"… di fare i bravi…" fece Bill.

"… e di fatti gli aguri, mami!" concluse Ron, con aria di importanza.

"Auguri!" esclamarono poi tutti insieme.

Io sorrisi, commossa e ringraziandoli uno per uno. "Siete stati dolcissimi, bambini". Osservai poi la mia colazione. "Ha un aspetto squisito. Però… avete dimenticato le posate…".

"Vado io a prenderle".

"No, io!".

"No, io!".

In breve ci fu un fuggifuggi generale, mentre tutti si accalcavano verso la porta, per arrivare primi in cucina. Li sentì litigare mentre scendevano a precipizio le scale. "Fate attenzione" li richiamai, mentre Ron, l’unico rimasto perché ancora troppo piccolo, metteva su il broncio per essere stato lasciato indietro.

Mi portai una mano al pancione: di lì a un paio di mesi ci sarebbe stato un altro piccolo criminale a popolare la casa. Con quello, avremmo raggiunto quota sette. Sette, un numero che faceva davvero paura: erano talmente tanti, a volte sembravano perfino troppi, troppi e troppo indisciplinati da gestire…

In quel momento, i cinque ricomparvero, ognuno con il suo coltello e la sua forchetta: ci fu una nuova calca intorno al letto, siccome tutti erano determinati a portarmi le posate per primi. Sorrisi ai miei bambini: erano tanti, forse troppi, ma riflettendoci non avrei voluto cambiare per tutto l’oro del mondo!

NINFADORA TONKS

30 luglio 1997

Casa Tonks

14.00

Negativo…negativo…negativo, quello stupidissimo test di gravidanza doveva assolutamente essere negativo…

Dora si era barricata in bagno da dieci minuti buoni, ormai: probabilmente Remus e i suoi stavano cominciando a pensare che fosse affogata o qualcosa del genere… Il fatto è che ci aveva messo un po’ a racimolare il coraggio necessario a fare quello stupido test. Ora aspettava il responso, che doveva assolutamente essere negativo. La scatola diceva di aspettare cinque minuti: per Tonks quelli erano senza dubbio i cinque minuti più lunghi della sua vita. Aveva fatto praticamente di tutto, tranne un balletto propiziatorio.

Non lo voglio un figlio, non lo voglio. Non con la guerra, non adesso che tra me e Remus le cose cominciano ad andare per il verso giusto. Ti prego, accenderò ceri alla Madonna da qui all’eternità, farò beneficenza, comincerò a dar retta a mia madre, qualunque cosa, basta che non sia sul serio incinta! Non voglio un figlio, non lo voglio…

Stava giusto pensando di tentare con il balletto, quando i cinque minuti passarono: il rettangolino sul test era diventato blu. Positivo.

Dora si lasciò piuttosto sgraziatamente cadere sul pavimento, mentre una mano volava quasi automaticamente alla pancia. Oh, Merlino, Merlino santissimo, e ora che faccio? Che cavolo faccio? Non è possibile, non è possibile

Si ritrovò a fissare il test con occhi storti, quasi come se questo potesse essere sufficiente a cambiare il responso. Un bambinosto sul serio per avere un bambino?

Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare. Sciocca, non è che sei qui a uccidere qualcuno. Era Remus. "Dora, stai bene?".

Istintivamente si nascose il test dietro la schiena, per poi ricordarsi che ovviamente tra lei e il marito c’era una porta chiusa a chiave. "Sì, tutto bene" rispose, con voce che nemmeno riconobbe come sua.

"Sicura?". Sembrava parecchio preoccupato. Beh, che ti aspetti? Sei chiusa in bagno da un quarto d’ora, è logico che si preoccupi…

"Sicura. Ora arrivo". Ma non si mosse di un millimetro. Non poteva. O forse non voleva. Cosa gli dico? Cosa gli dico? Non posso dirgli una cosa del genereEppure sapeva bene di non poter restare in quel bagno per sempre. Presto o tardi sarebbe dovuta uscire e affrontare la realtà, ovvero che di lì a nove mesi avrebbe avuto un bambino. E avrebbe dovuto affrontare Remus…

Si sorprese a constatare che le faceva molta più paura il dover parlare con il marito, piuttosto che la prospettiva di diventare madre. Fissò di nuovo il test e poi la sua mano destra, realizzando che per tutto il tempo era rimasta posata sulla sua pancia. Forse, tutto sommato, non si era mai sul serio aspettata che quel test fosse negativo… Forse andava bene comunque… Forse lo voleva quel bambino… Forse.

NARCISSA MALFOY

2 maggio 1998

Foresta Proibita

4.30

"Avada kedavra".

Immobile come una statua di marmo, guardai Harry Potter cadere a terra, colpito in pieno petto dall’Anatema che Uccide dell’Oscuro Signore, senza in realtà vederlo davvero: in quel momento, la mia mente vagava in tutt’altro luogo, rivolta a tutt’altra persona. In seguito ricordai di essermi vagamente stupita del fatto che il ragazzo si fosse arreso senza nemmeno provare a lottare… Forse già in quel momento avrei dovuto capire che doveva esserci qualcos’altro.

Ma non me ne curai minimamente, come non mi curai di vedere il mio signore incespicare e cadere come colpito a sua volta e di sentire la voce allarmata di Bellatrix: quanto poco senso aveva per me tutto questo, in confronto alla consapevolezza che Draco, mio figlio, il mio bambino, fosse chissà dove, ad Hogwarts, forse prigioniero, forse qualcosa di peggiore…

Incrociai un istante lo sguardo di Lucius, al mio fianco, e capii che provava la stessa cosa: la guerra, la battaglia, la morte di Potter, perfino il Signore Oscuro stesso, nulla aveva più un senso… Dovevo salvare Draco: ma come? Come?

"Tu, controlla. Dimmi se è morto!*". Stava parlando con me? Non vede che ho altro pensieri, che di lui non mi importa più nulla?

Avrei quasi voluto dirglielo, ma sapevo di non potermi rifiutare, perciò mi accostai al corpo di Potter, cercando i segni della morte su di lui.

Ma il suo cuore batteva, batteva ancora! Impossibile! Eppure è così…

Feci per aprire la bocca e annunciare la mia scoperta, ma all’ultimo mi frenai: Potter era la mia chiave di accesso ad Hogwarts! Se lui viveva, avrei potuto raggiungere il castello e, se Draco fosse stato ancora lì…

"Draco è vivo? È nel castello?*" sussurrai, nascondendo il volto coi capelli perché gli altri non vedessero.

La sua risposta fu un impercettibile "sì": forse anche lui aveva capito…

Cosa dovevo fare: tradire Potter e lasciare che il Signore Oscuro lo uccidesse o proteggerlo,decretando probabilmente la nostra sconfitta. Impiegai pochi secondi per decidere: la mia priorità non era più la guerra, o il signore oscuro, ma Draco. Era l’unica cosa da fare, l’unico mezzo che avevo per trovarlo prima che fosse troppo tardi…

"È morto!*" annunciai con voce ferma, senza provare il minimo rimorso: ero prima di tutto una madre, non una Mangiamorte!

LILY POTTER

31 ottobre 1981

Godric’s Hollow

21.00

Aveva uno strano presentimento quel giorno: quella mattina si era svegliata con uno stranissimo nodo allo stomaco, una vaga ansia che non aveva fatto che crescere nel corso della giornata. Come se dentro di lei, Lily avesse già percepito che qualcosa di terribile stava per accadere… Ma la donna non ci aveva dato peso: era una sciocchezza, si era detta, il frutto di tante notti insonni e delle mille preoccupazioni degli ultimi mesi…

Eppure, per quanto se lo ripetesse, non riusciva a scacciare quella sensazione quasi opprimente, quell’angoscia, quel pensiero che le diceva di prendere Harry e James e scappare il più lontano possibile…

Cercò di pensare ad altro, osservando il marito divertire Harry sparando sbuffi di fumo con la bacchetta. Lily sorrise: era una sciocca, tutto andava bene, erano al sicuro…

Harry sbadigliò, comprensibilmente stanco data l’ora.

"Andiamo a letto, tesoro" sussurrò Lily, prendendo il piccolo dalle braccia di James e avviandosi al piano di sopra.

Era quasi alle scale, quando tutto finì: un’esplosione, la porta che veniva scardinata e la voce di James, intrisa di panico e terrore.

"Lily, prendi Harry e corri! È lui! Vai! scappa! Io lo trattengo…"*.

Si diresse in modo quasi automatico al piano superiore, il cuore lacerato in due, tra suo marito e suo figlio. Ma aveva Harry tra le braccia, doveva salvarlo, doveva…

Si precipitò nella cameretta di Harry, chiudendosi la porta alle spalle. Dov’era la sua bacchetta? Dove diavolo era? perché non l’aveva portata con sé?

Sentì dei passi: qualcuno saliva le scale. E Lily sapeva che non era James. Cercò di barricare la porta, ben consapevole di quanto inutile e patetico fosse il suo tentativo, ma qualcosa doveva fare: c’era la vita di suo figlio in gioco…

Un’altra esplosione e un'altra porta scardinata: lui entrò nella stanza, fissandola sprezzante, puntando la bacchetta contro il suo bambino. Istintivamente, Lily si frappose tra loro: non poteva finire così… perché doveva finire in quel modo?

"Spostati, stupida… Spostati…".

"Non Harry, ti prego. Per favore… lui no! Per favore, farò qualunque cosa…*".

La disperazione ormai parlava per lei, la consapevolezza di essere al capolinea. Non aveva più speranze, lo sapeva. Ma prima di prendere suo figlio, sarebbe dovuto passare sul suo cadavere.

"È il mio ultimo avvertimento…*".

Alzò minaccioso la bacchetta, ma Lily non si mosse di un millimetro. Non avrai mio figlio, maledetto. Non lo avrai, non te lo permetterò, pensò, quando una luce verde cominciò a brillare di fronte a lei.

* Le frasi segnate da asterisco sono tratte direttamente dai libri della Rowling

LYRAPOTTER’S CORNER

Scusate il ritardo, ma ieri sono stata talmente incasinata che del computer non ho potuto vedere nemmeno l’ombra, figurati sedermi e aggiornare!!!!!!

In ogni casi, capitolo dedicato ovviamente a tutte le mamme di questo mondo, e in particolare alla mia: grazie di tutto, mamma, sei grande (anche se non te lo dico spesso).

Che altro dire, come sempre ho cercato al meglio di equilibrare momenti leggeri ad alcuni più tragici, il risultato dovete dirmelo voi, io queste flashfic le ho scritte con il cuore.

Come sempre grazie a chi commenta

Finleyna 4 Ever

Deidara

HermioneForever92

Pan_Tere94

Il prossimo appuntamento sarà un po’ in là, al 04/06, per il compleanno di Draco. A questo proposito, se c’è qualche fan del suddetto al ascolto mi dia un suggerimento: il personaggio mi piace poco e non ho la più pallida idea di cosa scriverci sopra!!!!

Grazie in anticipo, see you soon!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Draco Malfoy ***


SPECIAL DAYS

DRACO MALFOY

4 giugno 2006

Malfoy Manor

10.00

Draco ricordava con vivida chiarezza i compleanni della sua infanzia: li aveva tutti scolpiti in mente, in una sorta di ripetitiva tiritera. Infatti si poteva dire che, a parte il numero di candeline sulla torta (candeline su cui tra parentesi, lui non aveva mai soffiato: era un Malfoy, mica un mezzo Babbano qualunque, aveva sempre avuto un elfo domestico a farlo al posto suo!), ed eventualmente quello dei regali, le sue feste di compleanno erano state tutte pressoché identiche: lunghe feste barbose, organizzate più per suo padre che per lui, visto che i tre quarti degli invitati erano personaggi politici più o meno influenti coi loro pargoli e lui di norma veniva portato a letto dalla tata di turno subito dopo l’apertura dei regali.

Ma quella era una delle tante cose che doveva sopportare per avere nel sangue i geni di due delle famiglie purosangue d’Inghilterra: i Black e i Malfoy, la crême de la crême! Così gli diceva sempre sua madre, quando lui si lamentava della noia di quelle feste. Quanto a suo padre, fino agli undici/dodici anni poteva dire di non averci quasi mai parlato, perciò il problema di lagnarsi con lui non si poneva!

Nemmeno dopo il suo ingresso ad Hogwarts le cose erano cambiate molto. I lunghi ricevimenti barbosi erano solo slittati di un mese, alla fine della scuola, pur con una significativa differenza: ora era considerato abbastanza maturo per parteciparvi sul serio, cosa che non gli era mai piaciuta affatto. Ma essere un Malfoy comportava anche quello, così aveva stretto i denti e tirato avanti.

C’era da dire che di solito equilibrava con dei festini ad Hogwarts, quelli che lui considerava la sua vera festa di compleanno, a cui in pratica erano invitati tutti i Serpeverde e che di anno in anno, man mano che la sua vena di innocenza (sempre ammesso che ne avesse avuto una) era andata affievolendosi, era diventata più distruttiva e simile a una guerra nucleare!

Con i suoi sedici anni, le cose erano cambiate di nuovo: c’era sempre stato il festino distruttivo e la compunta lettera d’auguri dei suoi, ma quando era tornato a casa non c’era stata nessuna festa elegante e noiosa. Lord Voldemort era tornato (ufficialmente tornato), suo padre finito in prigione, sua madre devastata, la reputazione della sua famiglia distrutta…

Così, tanto per complicare le cose, aveva preso il marchio nero: l’idea più stupida della sua vita. E dire che a quel tempo ne era tanto fiero: subito dopo il fatto, se ne andava in giro per casa impettito come un pavone, senza vedere (o meglio fingendo di non farlo) il dolore di sua madre per questo.

I diciassette anni erano andati perfino meglio: non era più tronfio e pieno di sé, ma un ragazzo che aveva capito in ritardo di essersi infilato in una situazione troppo grande per lui. Non c’era stato nessun festino, quell’anno, perché era semplicemente troppo terrorizzato per poter anche solo pensare di festeggiare: era fermamente convinto che quello sarebbe stato il suo ultimo compleanno e l’aveva festeggiato rintanato in un bagno delle femmine, con l’unica improbabile compagnia di Mirtilla Malcontenta!

Esattamente due settimane dopo, Albus Silente, l’uomo che avrebbe dovuto uccidere, era morto, ma non per mano sua. E a quel punto era cominciato l’inferno, quello vero!

Perché non si dà le dimissioni da Mangiamorte e lui aveva capito troppo tardi di essere troppo giovane, troppo debole, troppo tutto per poter essere un Mangiamorte. Si era imposto di stringere i denti e tirare avanti, anche se dubitava di potercela fare: era più che certo che la guerra l’avrebbe distrutto. Oppure ci avrebbe pensato Voldemort nel momento in cui non ce l’avesse più fatta e fosse scoppiato. Ma non poteva permetterlo, se non altro per i suoi genitori, che in ogni caso ne avrebbero fatto le spese.

Ma non era accaduto. Contro le sue stesse previsioni, era giunto al suo diciottesimo compleanno. Era stato un compleanno orribile, che aveva sperato con tutto il cuore di poter cancellare: aveva ancora davanti agli occhi gli orrori a cui poco più di un mese prima aveva assistito, la Battaglia di Hogwarts, che aveva segnato la fine della guerra, ma anche la morte di decine di persone. Persone che Draco avrebbe dovuto considerare avversarie, ma a cui avrebbe voluto somigliare: mai come nel momento in cui Harry Potter l’aveva salvato dall’inferno dell’Ardemonio aveva capito di aver scelto la parte sbagliata della barricata. Uno qualunque dei Mangiamorte non avrebbe mai fatto quello che Potter aveva fatto per lui.

Forse era per questo che si era rifiutato di andare al funerale di sua zia Bellatrix, malgrado il dissenso di sua madre, mentre si era imbucato di nascosto a quello del gemello Weasley, quale dei due non ricordava, e poi a quello della cugina mezzosangue che non aveva mai conosciuto e di suo marito, il Licantropo.

Aveva appena compiuto diciotto anni quando sia lui che suo padre furono prosciolti da tutte le accuse grazie alla testimonianza di Harry Potter: Merlino solo sapeva perché l’avesse fatto. Draco non glielo aveva mai chiesto. A dirla tutta, non ci aveva nemmeno più parlato, dopo la battaglia: aveva saputo poi dalla Gazzetta che era diventato Auror, si era sposato con la ragazza Weasley e aveva avuto un figlio. Si scambiavano giusto un "buon giorno" molto civile se si incrociavano per caso da qualche parte…

Non gliene era più importato nulla: aveva solo voluto dimenticare, cercare di fare qualcosa di diverso.

Dopo il proscioglimento, era partito, spezzando il cuore di Narcissa, che sperava di avere tutta la famiglia unita, finalmente: aveva vagabondato per l’Europa, desideroso di gettarsi il passato alle spalle. Qualunque cosa cercasse, non sapeva nemmeno lui cosa, non l’aveva trovata… Aveva appena fatto vent’anni quando era tornato a casa, rassegnato.

Due anni dopo, suo padre era morto, stroncato anzitempo dal vaiolo di drago come già Abraxas Malfoy prima di lui, e Draco aveva ereditato tutta la loro fortuna. O meglio quanto ne era rimasto dopo le confische del Ministero: metà del patrimonio originale, più o meno, il che comunque era più che sufficiente per vivere di rendita un paio di generazioni.

Al che sua madre aveva cominciato a fare serie pressioni perché si sposasse: era lui l’ultimo Malfoy, era suo compito preservare il nome del casato, fare dei bei figli purosangue, bla, bla, bla… Certe idee erano dure a morire, se te le instillano nella testa fin nel pancione e Narcissa faceva fede alle tradizioni famigliari: una bella moglie purosangue, una famiglia rispettabile e al momento giusto un bel erede. O forse la sua era semplice smania di diventare nonna: d’altronde si era innamorata del nipote di sua sorella Andromeda ben al di là di quanto chiunque si sarebbe aspettato!

Così, le feste di compleanno erano diventate l’ennesima scusa per la caccia alla moglie ideale, se possibile una tortura peggiore dei party a fine politico della sua infanzia!

Ma Draco era refrattario all’idea del matrimonio: non ci si sentiva portato, senza contare che di tutte le ragazze purosangue di origini più o meno nobili che conosceva, non una attizzava minimamente il suo interesse. Il più delle volte, le sembrava false, piene di doppi fini, come del resto probabilmente appariva anche lui agli occhi degli altri. C’era stato un periodo particolarmente buio in cui si era paventata l’ipotesi di un fidanzamento con Pansy Parkinson, ma Draco aveva detto a chiare lettere a sua madre che piuttosto che sposare quella, sarebbe entrato in monastero e si sarebbe dedicato a una vita di ascetismo e preghiera. La minaccia era stata recepita forte e chiara e per un po’ Narcissa aveva ammorbidito i toni, smettendo di presentargli ogni singola ragazza che le passasse a meno di due metri di distanza.

Era stato proprio a quel punto, quando si erano tutti più o meno rasseganti che Draco sarebbe rimasto scapolo, che lui aveva incontrato la donna giusta.

Per una strana coincidenza del destino, Draco la conobbe alla festa per i suoi ventiquattro anni, la prima organizzata senza il minimo fine recondito: anche Narcissa aveva ormai rinunciato all’idea di avere dei nipotini a breve termine e si accontentava di spupazzarsi Teddy ogni volta che ne aveva occasione… A volte Draco ne era perfino un po’ geloso: quando lui era piccolo, Narcissa non aveva mai dimostrato tanto calore verso di lui. Ma del resto, dopo la morte di Bellatrix e soprattutto di Lucius e il riavvicinamento con Andromeda era molto cambiata…

Comunque, si era lasciato persuadere a fare la festa, benché non ne avesse minimamente voglia. Infatti quando l’aveva vista per la prima volta, era seduto in poltrona con un bicchiere di Whisky in mani, ad annoiarsi a morte.

In un primo momento non l’aveva nemmeno riconosciuta, solo quando aveva visto sua sorella Daphne, che era stata sua compagna di scuola, aveva capito che quel piccolo angelo era Astoria, la sorellina di quattro anni più piccola, il ranocchio che ad Hogwarts si attaccava a Daphne come una cozza…

Di quel ranocchio era rimasto ben poco, si era detto, ammirando la giovane donna dai lunghi capelli castano ramati e gli occhi blu.

Il resto non seppe chiarirselo bene nemmeno lui: forse fu Narcissa, che per certe cose aveva l’occhio più acuto di un falco, a combinare tutto, forse fu semplicemente il destino, fatto sta che a un certo punto si ritrovarono soli a parlare. Da lì al fidanzamento il passo era stato sorprendentemente breve. E ancora più breve fu il passo verso il matrimonio: sia Narcissa che la signora Greengrass sembravano non vedere l’ora di vederli sposati. La cosa più incredibile, specie nel loro ambiente, fu che il loro fu un matrimonio per amore: Astoria si era sinceramente innamorata di Draco, che dal canto suo non vedeva più nessuna donna oltre lei.

Detto fatto: in campo a otto mesi erano felicemente sposati e Astoria si trasferiva a Malfoy Manor, mentre Narcissa lasciava molto discretamente il campo libero, traslocando dalla sorella.

Col senno di poi, fu la scelta migliore della sua vita: Astoria riuscì a riscuoterlo dall’immobilità in cui era piombato dopo la fine della guerra, riuscì a fargli amare di nuovo la vita.

Ora, a distanza di un anno e mezzo, poteva dire di sentirsi l’uomo più felice del mondo. Per la prima volta da non sapeva più quanto tempo, era davvero felice di festeggiare il suo compleanno.

Astoria entrò in quel momento nella stanza, trovando il marito a fissare rapito fuori il soffitto. Trascinandosi dietro il pancione fin troppo traditore, la giovane donna andò a sedersi al suo fianco, sorridendo.

"Ti vedo pensieroso…" esordì, poggiandogli una mano sulla spalla.

Draco si riscosse dai suoi pensieri, quasi sobbalzando: non l’aveva sentita arrivare, tanto era assorto.

"Scusa, non volevo spaventarti…".

"No, non mi hai spaventato. Stavo solo pensando…".

"Posso sapere a cosa?".

Draco si strinse nelle spalle. "A tante cose. I compleanni fanno uno strano effetto: ti ritrovi a ricordare le cose più disparate. C’è un che di malinconico: ogni anno hai qualcosa in più a cui ripensare…".

"Non sei un po’ troppo fatalista?" lo prese in giro Astoria. "Se ti senti così a ventisette anni, come sarai a cinquantasette?".

"Ah, non lo so. Forse sarò già sotto due metri di terra: mio padre aveva solo 48 anni, in fondo… Pensavo anche a lui, ora che mi ci fai pensare".

Astoria lo fissò truce. "Niente discorsi lugubri, per favore. Non mi piace pensarti in quel modo. Mi auguro sinceramente che non prenderai anche tu il Vaiolo di drago… E che se dovesse accadere, che tu sia molto più vecchio: non credo che 23 anni di matrimonio mi possano bastare".

Draco le sorrise. "Allora, mi impegnerò per vivere almeno fino a 150 anni: pensi sia sufficiente?".

Lei mise su un’espressione meditabonda. "Forse… Come inizio non c’è male!".

Scoppiò a ridere, subito imitata dal marito. Era così diversa dalle altre donne che aveva conosciuto, così vitale: era una Purosangue, rampolla di una famiglia antica quasi quanto la sua, eppure sembrava una creatura completamente diversa da lui, che per qualche strano scherzo del destino gli era stata concessa.

"Ti amo" le sussurrò, cingendole le spalle.

"Oh, sei proprio smielato e sdolcinato stamattina" mormorò lei, con un sorrise dolce. "Anch’io ti amo. AHI!".

L’espressione felice fu sostituita un attimo da una smorfia di dolore, mentre si portava una mano alla pancia.

"Che succede?" si preoccupò subito Draco, balzando in piedi. "Stai male? Dobbiamo andare in ospedale?".

Stava già partendo in quarta, quando Astoria lo trattene per il braccio. "Tranquillo, tranquillo: era solo un calcio molto forte al fegato. Tuo figlio è particolarmente attivo oggi".

"Sei sicura?".

"Mancano ancora due mesi, Draco" gli ricordò lei dolcemente. "Siediti e rilassati: è tutto a posto".

Lui ubbidì, pur sempre squadrandola con apprensione; Astoria finse di non farci caso e gli chiese: "A che altro pensavi? Oltre a tuo padre, intendo: ti manca molto, non è vero?".

"Non lo so con precisione" rispose sinceramente Draco. "Mi manca, ovvio, ma non sono sicuro nella misura in cui sarebbe giusto che mi mancasse. Non abbiamo mai avuto questo gran rapporto: lui era legato alle vecchie tradizioni, e quando sono diventato grande abbastanza da poter destare il suo interesse è scoppiata la guerra. Poi non abbiamo più avuto occasioni per legare. Forse stavamo rimediando negli ultimi tempi, prima che morisse, non lo so…".

"Sono certa che ti voleva molto bene".

"Immagino non lo sapremo mai. Spero solo di poter essere un padre migliore di quanto non lo sia stato lui…".

"Tu sarai un padre eccezionale" lo rassicurò Astoria. "Ne sono certa!".

Draco non rispose: lui non ne era poi tanto sicuro. Che ne sapeva di come si faceva il genitore? Non aveva mai avuto un modello di rifermento. E non voleva essere come era stato suo padre, un fantasma di cui ricercare continuamente l’approvazione…

"Immagino ce lo dirà solo il tempo".

"IO non ho bisogno di aspettare" ribatté Astoria. "Lo so già che sarai un papà fantastico".

"E come? Come lo sai?".

"Lo so e basta. Tu sei diverso".

Draco si chiese se fosse una cosa positiva o negativa: dalla faccia di lei, era ovvio che lo considerasse un bene.

"Ma come fai a sopportarmi?" le chiese.

"I complessi fanno parte del tuo fascino. In effetti, credo siano quelli ad avermi fatto innamorare di te!".

"Ah, buona a sapersi! Vedrò di conservarne un po’ per il futuro!".

"Bravo, amore!".

Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Astoria intervenne di nuovo. "Ah, quasi mi dimenticavo: ti ha scritto tua madre".

"E che voleva? Lasciami indovinare: farmi gli auguri?".

La donna rise. "Sì. E invitarci cortesemente per una cenetta informale a casa sua stasera".

"L’avevo già messo in conto. A te non dispiace, vero?".

"Ma no, scherzi. Mi piace tua madre. E anche tua zia e tuo cugino…".

Ah, già, la zia Andromeda e il piccolo Teddy, anche se ormai, a dieci anni compiuti, non si poteva più dire tanto piccolo: non sapeva mai come comportarsi con loro. Non è che ci avesse mai costruito un vero rapporto. Soprattutto il bambino lo metteva a disagio: non tanto per la sua ascendenza paterna, di cui gli importava alla fine ben poco, quanto piuttosto per il fatto che le poche volte in cui ci aveva parlato, Teddy aveva passato metà del tempo a tessere le lodi di Harry, il padrino per cui stravedeva. E Draco non parlava volentieri di certi argomenti. Ma sapeva anche che Teddy non lo faceva apposta: probabilmente nemmeno sapeva che lui e lo "zio Harry" erano stati compagni di scuola.

"D’accordo, allora più tardi le scriverò per dirle che saremo da lei per le sei".

"Nessun problema. Tanto non ho nulla da fare. A parte festeggiare il mio maritino perfetto".

"Guarda che così mi farai diventare vanitoso…".

"Se lo sei, non possiamo mica negare l’evidenza, ti pare?".

Draco le sorrise, dandogliela vinta.

Forse non si meritava tutta la fortuna che aveva avuto nel trovarla, ma mai come in quei momenti si sentiva l’uomo più felice del mondo!

LYRAPOTTER’S CORNER

Lo so non è molto lunga, ma più di così non riuscivo proprio a fare. In realtà una mezza ideuzza l’avevo, inserendo anche la cena da Andromeda, ma avrebbe guastato l’atmosfera, così ho lasciato perdere. Anche perché, tutto sommato, considerando che Draco è un personaggio che mi ispira poco, sono ragionevolmente soddisfatta del risultato ottenuto: credo che alla fine mi sia venuta fuori una cosina carina. Poi a voi l’ardua sentenza! Ci tengo a precisare, a parte poca roba (i riferimenti a Harry, Astoria, il fatto che i Malfoy siano stati scagionati grazie a Harry), tutti i riferimenti a eventi post saga sono frutto del mio cervellino malato. La data di ambientazione l’ho desunta basandomi su quella di Albus Potter dal Lexicon: siccome lui e Scorpius frequentano lo stesso anno, ho dato per scontato fossero coscritti. Ultima cosa, in questi giorni mi sento davvero sotto terra, forse il mio Draco si fa un po’ troppe seghe mentali rispetto a quello canonico, ma mi è venuto così.

Grazie a

Deidara, per avermi suggerito l’idea

Hermioneforever92

dirkfelpy89

per i loro commenti meravigliosi. Mi auguro apprezzerete.

Il prossimo appuntamento sarà una shot su gentile richiesta di HermioneForever92, il 17/06, per l’anniversario della morte di Sirius. Non so però se potrò aggiornare puntualmente, perché in cui giorni sarò in ritiro da studio per la maturità. Penso però di poter corrompere mia sorella perché pubblichi al mio posto.

A presto, bacibaci!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Battaglia dell'Ufficio Misteri ***


SPECIAL DAYS

BATTAGLIA DELL’UFFICIO MISTERI

17 giugno 1996

Grimmauld Place n°12

Londra,

16.00

Mentre scendeva le scale di Grimmauld Place diretto in cucina, Sirius Black non poteva fare a meno di pensare che quella fosse davvero una pessima giornata: quella mattina non aveva potuto fare la doccia perché ovviamente l’acqua calda sembrava sparita e aveva scoperto di non avere più vestiti puliti, dato che Kreacher si era guardato bene dal lavarli; a pranzo aveva litigato per l’ennesima volta con Molly su dove Harry avrebbe trascorso le vacanze imminenti, tirando nella disputa pure Remus, che aveva cercato di fare da paciere e aveva finito con l’andarsene arrabbiato sbattendo la porta. Sirius si era già riproposto di sistemare le cose quanto prima…

Dulcis in fundo, per completare quel giorno perfetto aveva appena finito di occuparsi Fierobecco, che in qualche modo ignoto si era ferito in modo piuttosto serio a una zampa.

Bel bilancio, non c’è che dire! Sono solo le quattro e già vorrei andarmene a letto!

E non poteva sapere che il peggio doveva ancora arrivare….

Entrò in cucina, gettando sul tavolo le bende sanguinanti con cui aveva medicato l’Ippogrifo, e trovò Kreacher accucciato di fronte al camino, come se stesse parlando con qualcuno. Sirius allungò il collo, ma non vide nulla di sospetto, solo un mucchio di cenere.

"Che stai facendo, Elfo scansafatiche?" gli abbaiò dietro, in tono perfino più rude del solito.

"Kreacher pulisce, padrone" rispose quest’ultimo. "Kreacher vive per servire la nobile casa dei Black…".

"Sì, certo, come no. Vedi di andare a fare un giro e a ‘pulire’ da qualche altra parte…".

"Come il padrone desidera" rispose Kreacher, inchinandosi e avviandosi, borbottando nel contempo indistinte minacce di morte ai danni del "indegno figlio traditore del suo sangue".

Sirius non vi diede peso: e perché avrebbe dovuto? Kreacher ripeteva quella solfa da quando era tornato a Grimmauld Place, che motivo aveva per pensare che quella volta l’Elfo stesse parlando con cognizione di causa?

Stava giusto pensando di mettere su una tazza di the, quando dall’ingresso gli giunse l’inequivocabile rumore di qualcuno che inciampava, seguito da una colorita imprecazione e dalle urla adirate della Signora Black.

"Luridi Sanguesporco infestatori della casa dei miei padri…".

"Oh, chiudi quel forno, vecchia ciabatta!".

Poco dopo tornò il silenzio e Ninfadora Tonks fece il suo trionfale ingresso nell’angusta cucina del Quartier Generale.

"Mia cara cugina" la salutò Sirius, con un sorrisetto ironico. "Lasciati dire che come annunci tu la tua presenza, non lo fa nessuno!".

"Va al diavolo Sirius!" lo rimbeccò Tonks, lasciandosi cadere su una sedia libera. "È colpa di quel dannato portaombrelli: è sempre in mezzo ai piedi!".

"Curioso, visto che sei l’unica a inciamparci con la regolarità di un orologio svizzero".

Dora gli fece un gestaccio, intimandogli di chiudere il becco.

"Nervosette, eh?" ridacchiò Sirius. "Cos’è, ci siamo alzate con la luna storta, Ninfadora?".

"Azzardati di nuovo a chiamarmi in quel modo, Black" lo minacciò Tonks, "e pregherai per essere di nuovo rinchiuso ad Azkaban, parola mia!".

"Va bene, seppelliamo l’ascia di guerra. Vuoi un the?".

"Oh, sì grazie" rispose la ragazza, stiracchiandosi. L’occhio le cadde poi sulle bende insanguinate abbandonate sul tavolo. "Sirius, quello è… sangue?!".

"Eh, cosa?" fece lui, voltandosi. Poi annuì: "Oh, sì, ho compiuto un paio di sacrifici umani mentre ero solo… Sai, non avevo niente da fare…".

"Non sei divertente, Sirius. Sei ferito?".

"Sono sano come un pesce, non preoccuparti, cugina. Il sangue è di Fierobecco: chissà come si è ferito a una zampa…".

"Sarà stanco di restarsene sempre chiuso in quella stanzetta" suggerì Dora.

"Già… Se è per questo, non è il solo…" sbuffò Sirius. "Se resterò qua dentro ancora per molto, diventerò matto, ne sono sicuro!".

Tonks gli sorrise, comprensiva. "Posso immaginare… Senti, vuoi che provi a parlare con Silente? Magari si può trovare un’altra soluzione…".

"Sei gentile, Tonks" la ringraziò l’Animagus. "Ma non è necessario. In qualche modo mi adatterò: non è che abbia molte alternative…".

"Presto o tardi il Ministero dovrà ammettere la verità, Sirius" cercò di consolarlo la ragazza. "E quel giorno ci prenderemo la soddisfazione di sbattere in faccia a quei burocrati un bel ‘io ve l’avevo detto’!".

Sirius rise. "Già: è quel tardi che mi fa paura. Se andiamo avanti così, sarò morto prima di vedere quel giorno…".

"Non dirlo nemmeno per scherzo, Sirius! Non è divertente!".

"E chi ha detto che lo sia?". Sirius si sedette, porgendole una tazza piena di the fumante. "Passando ad argomenti più lieti, cosa ti porta da queste parti?".

La presa di Tonks tremò leggermente e la ragazza abbassò lo sguardo. "Deve per forza esserci una ragione? Non potrei semplicemente aver avuto voglia di vedere il mio cugina preferito?".

"Per quanto quello potesse essere un valido motivo" ribatté Sirius, "sono più che certo che non ti saresti fatta tutta questa strada da casa tua solo per vedere me…".

"E sentiamo, quale dovrebbe essere il motivo?".

"Ah, beh, tanto per cominciare un affascinante licantropo dai magnetici occhi ambrati e il sorriso gentile… Ci sono andato vicino?".

La reazione della cugina fu una risposta più che sufficiente: la ragazza avvampò, arrossendo letteralmente fino alla punta dei capelli e rischiando di far cadere la tazza. "Non so di cosa tu stia parlando…" riuscì a balbettare.

"Ah no? I tuoi capelli dicono il contrario".

Dora si prese una ciocca di capelli e sbuffò nel vedere che era diventata color pomodoro. Tornò alla sua abituale tinta rosa e poi guardò il cugino, che esibiva un sorrisetto a trentadue denti.

"Piantala di guardarmi in quel modo Sirius!". Poi buttò lì, in tono apparentemente casuale: "Dov’è comunque?".

"Fuori a fare qualcosa con Kingsley: non ho capito bene" rispose secco Sirius, pensando che quando fosse tornato, avrebbe dovuto parlargli e chiedergli scusa.

Dora annuì, poi parve riflettere un attimo e improvvisamente allarmata domandò: "È tanto evidente?".

"Che ti sei presa una bella cotta per Remus? Per me sì, probabilmente anche per una buona metà dell’Ordine e del mobilio, con particolare enfasi a tutte le tazze che hai distrutto ogni volta che lui entrava nella stanza… Senza dimenticare un piccolo dettaglio: tutte le volte che ti si avvicina, il livello di ferormoni nell’aria salga vertiginosamente!".

Dora arrossì ulteriormente. "E lui se ne è accorto, immagino?".

"Ah, non credo… Fortuna vuole che quasi certamente il diretto interessato sia l’unico a non essersi accorto di niente: Remus sarà anche intelligente, ma su certe cose è più tardo di una scimmia handicappata!".

"Non mi consola più di tanto sapere che sono innamorata senza speranza…".

"Oh, su questo non ci metterei la mano sul fuoco" la rassicurò Sirius. "Credo che anche Remus provi qualcosa per te…".

Alla ragazza si accesero gli occhi. "Come fai a dirlo?".

"Oh, perché lo conosco: lo conosco come le mie tasche, quasi meglio di quanto non si conosca lui. Riconosco certi segnali… Per non citare il tasso di ferormoni di cui parlavo poco fa…".

"Ma…".

"Ma, appunto perché lo conosco, so anche come ragiona: di certo si sarà già fatto un milione di seghe mentali per autoconvincersi che una vostra relazione sarebbe sbagliata, immorale e senza futuro. Vedi, come ho già detto, su certe cose, Remus è molto lento: sono più o meno vent’anni che ha deciso di non meritarsi l’amore di una donna per via della sua maledizione…".

"Ma a me non importa nulla se lui è un Lupo Mannaro!".

"Tanti auguri se riuscirai a farglielo capire: è più testardo di un mulo!".

I due tacquero alcuni istanti: Dora fissava la tazza di the, quasi sperando che potesse fornirle una risposta ai suoi problemi, mentre Sirius fissava la cugina.

"Però" constatò alla fine, "ti piace proprio tanto, non è vero?".

Dora avvampò di nuovo. "Io… io… credo di esserne innamorata" mormorò in un borbottio appena distinguibile.

Sirius sgranò gli occhi. "Accidenti, non credevo che la cosa fosse tanto seria…".

"Già, sì… Ormai credo di essere senza speranza!".

"Ah, non dire così: finché c’è vita, c’è speranza!".

Dora rise, bevendo poi un sorso di the. Dopo un po’ domandò: "Che cosa posso fare adesso?".

"E lo chiedi a me, Dora?" ribatté Sirius. "Senza offesa, ma non ti sembro la persona meno indicata?".

"Forse, ma ho bisogno di un consiglio…".

"Ok, ti vedo proprio disperata… Il mio consiglio è: buttati!".

"Buttati?" ripeté Tonks, incredula. "Che razza di risposta è ‘buttati’?".

"Io la vedo così: finché non provi, non potrai mai sapere cosa succederà. Non vorrai tenerti dentro questo tarlo per sempre?".

"No, certo…".

"Allora, raggranella il coraggio, prendi un bel respiro e buttati: alla peggio ti dirà di no… Ma sono certo che non accadrà: chi potrebbe resisterti?".

Dora sorrise. "Grazie, Sirius".

"Dovere".

In quel momento sentirono la porta d’ingresso aprirsi di nuovo, annunciando l’arrivo, stavolta più discreto, di Malocchio Moody.

"Ah, the, bene" grugnì, sedendosi senza nemmeno salutare. "Fa qualcosa di utile, Sirius, portamene una tazza".

Mentre Sirius ubbidiva, Tonks si girò verso il suo vecchio mentore. "Ma buon giorno, Malocchio! Io sto bene, grazie, molto gentile da parte tua chiederlo; e tu come stai?".

Moody la incenerì con lo sguardo. "Meno spirito, recluta: non sei divertente!".

"Oh, e io che pensavo di avere un futuro nel cabaret: come hai potuto distruggere così il mio sogno, Malocchio?!".

Moody la guardava come se avesse voluto ridurla in cenere, mentre Sirius, dal canto suo, stava seriamente cercando di non soffocarsi nel piuttosto fallimentare tentativo di non scoppiare a ridere.

"Te la mai detto nessuno" riprese il vecchio Auror, "che se fossi tanto brava nei duelli come lo sei a usare la lingua, a quest’ora saresti a capo di un Dipartimento?".

Tonks gli sorrise amabile. "Grazie, Malocchio, anch’io ti voglio bene" trillò, guadagnandosi un’altra occhiata inceneritrice.

Sirius stavolta non riuscì a trattenersi e scoppiò in una sonora risata proprio in faccia a Moody, il quale rivolse anche a lui il suo miglior sguardo raggelante. "Ti avviso, Black, stai marcando molto male oggi…".

Sirius alzò le mani in segno di resa, cercando di controllarsi. "Scusa, scusa, Malocchio, non rido più, giuro!".

"Sarà meglio per te! E dove diamine è il mio the?".

Sirius si affrettò a portare una tazza fumante all’ex-Auror, per poi domandargli. "Che ci fai qui, comunque, Malocchio? Non mi risulta che ci fosse una riunione dell’Ordine…".

"Sto aspettando Remus e Kingsley, se proprio vuoi saperlo: devono dirmi come è andata la loro missione".

"Cos’è che dovevano fare, Malocchio" domandò Dora, interessata.

"Se invece di startene perennemente tra le nuvole, ascoltassi cosa diciamo alle riunioni, lo sapresti, recluta" la rimproverò Moody. "Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, dovevano andare…".

Ma Dora non seppe mai cosa erano andati a fare Kingsley e Remus: in quel momento, nella stanza comparve un argenteo Patronus a forma di cerva, che subito dopo prese a parlare con la voce di Piton. "Black, se come penso sei a Grimmauld Place, per favore rispondi IMMEDIATAMENTE a questo messaggio. Nel caso, ti interesserà anche sapere che Potter deve essere stato di nuovo posseduto dal Signore Oscuro: è convinto che i Mangiamorte ti abbiano catturato. Quindi, te lo ripeto: rispondi subito, non ho tempo da perdere".

La cerva si dissolse, lasciando cadere un silenzio di tomba: tutti i sorrisi e l’allegria sembravano essere spariti insieme al Patronus.

Moody fu il primo a riprendersi. "Che stai aspettando, Sirius. Manda quello stupido Patronus!".

Sirius si riscosse e ubbidì, guardando un cane argenteo sparire attraverso la parete.

"Che cosa vuol dire tutto questo, Alastor?" domandò Tonks.

"Non ne ho idea". Malocchio scosse la testa con fare sconsolato. "Non ne ho idea: ma di certo non sarà nulla di buono".

Sirius rifletteva: non riusciva a immaginare un motivo, il piano di Voldemort dietro a quella storia… A meno che…

"Crede che sono nell’Ufficio Misteri" mormorò, capendo nel contempo che poteva essere l’unica spiegazione possibile. "Voldemort sa che Harry si precipiterà a salvarmi: gli ha fatto credere di avermi portato giù all’Ufficio Misteri…".

"Non è possibile" obiettò Tonks. "Come può averlo fatto?".

"È Voldemort, Dora: sarebbe capace di qualunque cosa…".

Nessuno poté obiettare a quell’affermazione: non potevano fare altro che aspettare e sperare che tutto si risolvesse per il meglio. Non potevano ancora sapere che il peggio doveva ancora venire

Grimmauld Place N°12

00.30

Sirius era più che convinto che sarebbe impazzito di lì a pochi minuti: erano passate ore da quando Piton si era messo in contatto con loro e da allora non avevano più saputo nulla. Dov’è era Harry? Stava bene? Nessuno si era degnato di contattarli, il che faceva temere a Sirius il peggio: Piton sarà pure stato tutto quello che era, ma nei momenti di crisi era capace di mettere da parte il suo rancore. O almeno, Sirius lo sperava…

Guardò un attimo gli altri presenti nella cucina: quando Remus e Kingsley erano tornati ed erano stati informati, si erano subito uniti agli altri nell’attesa. Non avevano fatto praticamente altro: tutti i fiacchi tentativi di portare avanti una qualunque conversazione di erano presto risolti nel nulla, a nessuno era nemmeno passato per l’anticamera del cervello di mangiare, perciò erano rimasti lì in silenzio a fissare il tavolo.

Maledizione, perché è dovuta succedere una cosa del genere? Se avessimo detto a Harry la verità quando era il momento…

Ma ormai piangere sul latte versato non serviva a nulla… Giuro che se Piton non si mette in contatto con noi entro i prossimi cinque minuti, vado ad Hogwarts a fare una strage!

Eppure gli sembrava che qualcosa in tutta quella storia non tornasse: se Harry era stato davvero posseduto e credeva che lui fosse nelle mani dei Mangiamorte, perché non aveva prima provato a mettersi in contatto con lui, invece di gettarsi allo sbaraglio? Certo, sarebbe stato tipico del suo figlioccio partire come un treno, ma di certo si era confidato con Ron e Hermione e loro avevano cercato di farlo ragionare… Avrebbe potuto cercarlo con lo specchio a doppio senso o via camino, come aveva fatto alcuni mesi prima…

All’improvviso gli venne un orribile dubbio: rivolse un’occhiata perplessa al camino, pieno di cenere e assolutamente innocente… Aveva visto Kreacher chino come se stesse parlando con qualcuno solo poche ore prima, poco prima che arrivasse quel Patronus maledetto… No, non è possibile: se avesse parlato con Harry, me lo avrebbe detto!

Eppure il dubbio continuava a roderlo. D’altronde cosa altro ho da fare? Sarà sempre meglio di stare qui a fare nulla

Si stava appunto alzando, con l’idea di andare a stanare Kreacher e fargli passare un brutto quarto d’ora, quando un turbinio di fiamme verdi annunciò l’arrivo di Severus Piton, che se possibile era perfino più pallido del solito.

"Severus" lo salutò Remus, alzandosi in piedi. "Cosa sta succedendo? Harry sta bene?".

"Non ne ho idea" fu la tetra risposta. "Potter e i suoi amici sono spariti nella Foresta Proibita con la nostra beneamata preside ore fa… Mi sono messo in contatto con alcuni Mangiamorte: scenderanno nell’Ufficio Misteri stanotte".

"Cosa vuol dire che sono spariti nella Foresta?" intervenne Sirius. "Chi altro c’è con Harry".

"Da quello che ricordo, i due Weasley, la Granger, Paciock e la giovane Lovegood: li ho visti addentrarsi nella foresta poco dopo avervi contattato e non li ho più visti… Certo, è possibile che siano finiti in pasto alle Acromantule…".

Remus scosse il capo. "I ragazzi sono già stati nella Foresta Proibita, sanno come muoversi là dentro".

"Allora, l’unica possibilità che ci resta è che siano andati in branco a Londra e siano scesi nella Stanza delle Profezie insieme a Potter…".

"Che cosa facciamo?" domandò Dora.

"Mi pare ovvio" esclamò Moody. "Li andiamo a recuperare prima che le cose finiscano male!".

Balzarono tutti verso la porta, Sirius in coda, che si sentì strattonare per un braccio e tirare indietro.

"Frena i motori, Black" lo bloccò Piton. "Tu non vai da nessuna parte…".

Eh no, quando è troppo è troppo!

"Scordatelo, Piton" ruggì, divincolandosi. "Me ne sono stato buono da parte fino ad adesso, chinando il capo e ingoiando insulti, ma non c’è nulla al mondo che potrai dire o fare che mi impedirà di andare a salvare il mio figlioccio stanotte!".

"Silente sta venendo qui" obiettò Piton, glaciale come suo solito. "Qualcuno deve restare per riferirgli cosa sta succedendo…".

"E perché non lo fai tu, Mocciosus? Cos’altro hai da fare, visto che come ho inteso tu non verrai con noi?".

"IO torno ad Hogwarts: primo, perché c’è sempre la possibilità che Potter e la sua combriccola siano davvero finiti nella bocca delle Acromantule; secondo, perché non voglio che la Umbridge, o chi per lei, possa avere qualcosa da recriminarmi… Ergo, io non posso restare, ergo dovrai farlo tu!".

"Allora dovrai incatenarmi, drogarmi e chiudermi in uno sgabuzzino, perché io vado al Ministero!".

"Black, per quanto l’idea di avere una scusa per metterti le mani addosso mi faccia immensamente piacere, stiamo perdendo tempo prezioso…".

"Severus ha ragione, Sirius" intervenne Remus, fermo sulla soglia. "Non c’è tempo per queste cose…".

Lo so, lo so…

In quel momento, Kreacher fece la sua comparsa, attirato probabilmente dal trambusto, borbottando come suo solito.

"Perfetto" esclamò Sirius, colto da un’improvvisa illuminazione. "Resterà Kreacher a riferire a Silente: problema risolto".

Piton aveva tutta l’aria di voler obiettare, ma Sirius non gliene diede il tempo. "Ascoltami bene, Kreacher: tra poco arriverà il Professor Silente. Devi dirgli che siamo corsi all’Ufficio Misteri, che Harry Potter è in pericolo e abbiamo bisogno di aiuto, hai capito?".

Kreacher si esibì in un ossequioso inchino. "Certamente, padrone: Kreacher è sempre lieto di eseguire gli ordini del padrone".

"Bene, allora possiamo andare".

E senza aspettare ulteriori obiezioni, si precipitò fuori dalla stanza, seguito dal resto dell’Ordine.

Rimasto solo, nessuno sentì le parole del vecchio Elfo Domestico. "Il padrone se ne è andato, per sempre: il padrone non ritorna più dal Ministero. Kreacher e la sua padrona sono di nuovo soli…".

Non molto lontano da lì, le parole di Kreacher stavano già diventando realtà….

S. Mungo

Londra

7.30

Bianco. Ninfadora Tonks si sentiva circondata dal bianco: letto bianco, lenzuola bianche, pareti bianche, pavimento bianco…

Ci mise alcuni secondi per riconoscere una delle linde, asettiche stanze del S. Mungo e altrettanti secondi per rammentare come ci era finita: Harry, la profezia, l’Ufficio Misteri, Bellatrix… Merda! Mi sono fatta mettere fuori gioco come una dilettante, pensò, mentre il ricordo della maledizione di Bellatrix che la centrava in pieno ritornava con prepotenza a galla nella sua mente.

Balzò di scatto a sedere e subito se ne pentì, perché il suo costato mandò una lancinante, dolorosa fitta di protesta. Con un gemito di dolore, Tonks si lasciò ricadere sul letto: com’è finita la battaglia? Come stanno gli altri? Cosa è successo?

Si accorse solo in quel momento della presenza di un’altra persona nella stanza: un uomo, appollaiato su una sedia, che stava risvegliandosi in quel momento, probabilmente disturbato dal movimento improvviso di poco prima. Un uomo che avrebbe riconosciuto tra mille…

"Dora?" mormorò con voce assonnata, passandosi una mano sugli occhi e girandosi verso di lei.

"Remus…". Perfino lei i sorprese di quanto fioca fosse la sua voce e di quanto parlare le facesse male al petto: certo Bellatrix l’aveva conciata per bene!

"Dora!" esclamò lui, balzando in piedi sollevato. "Grazie a Merlino, stai bene! Cominciavamo a temere…".

Sorrise, ma Dora notò che il sorriso era in qualche modo forzato e che non si estendeva al resto del volto.

"Cosa è successo dopo che sono svenuta?" domandò, desiderosa di notizie. "Gli altri stanno bene, vero? E i Mangiamorte?".

"Bene, i ragazzi stanno tutti bene" rispose Remus, risedendosi. "Silente li ha fatti riportare ad Hogwarts: alcuni se la sono vista brutta, ma presto staranno benone. E i Mangiamorte marciscono dietro le sbarre di Azkaban… Solo Bellatrix è riuscita a scappare".

Per un attimo, Tonks si sentì pervadere dal sollievo: aveva fatto una figuraccia, ma era finito tutto bene… Ma poi notò l’espressione di Remus: sembrava affranto, no, distrutto…. Aveva gli occhi arrossati di chi ha dormito poco e ha… pianto? Ed erano lacrime quelle che gli aveva segnato il viso? Realizzò che l’uomo aveva parlato solo dei ragazzi, non dei membri dell’Ordine e un orribile sospetto la invase.

"Remus" cominciò esitante, "gli altri stanno bene, vero? Ti prego dimmi che stanno bene…".

Remus la guardò senza rispondere, come se non avesse temuto altro che quel momento e non avesse la forza di affrontarlo. E Dora comprese: solo per una persona Remus avrebbe potuto essere così disperato.

"No" mormorò, mentre quel dubbio diventava certezza di fronte al muto assenso dell’altro. "No, no, Remus, non lui, ti prego, non lui…".

Remus si limitò ad annuire, come se le parole non gli venissero. "Sirius… è successo tutto così in fretta: non abbiamo potuto fare nulla"

Ma a Tonks bastò: si sentì invadere da un dolore quasi fisico, mentre le lacrime cominciavano a scorrere irrefrenabili e lei scoppiava in singhiozzi disperati.

"No! No! Non è vero! Per favore, dimmi che non è vero!".

Remus l’abbracciò, stringendola a sé, mentre lei singhiozzava sulla sua spalla come una bambina, incapace di accettare quell’orribile verità: Sirius era morto, andato per sempre, non l’avrebbe più presa in giro per la sua goffaggine, non avrebbe più riso con lei delle paranoie di Malocchio…

Non seppe dire quanto tempo restò aggrappata alle spalle di Remus, piangendo: un angolo della sua mente registrò che quello era il loro primo intimo contatto da che si conoscevano e il suo cuore accelerò appena i battiti, ma durò solo pochi secondi.

Quando alla fine si separarono, i singhiozzi si erano calmati, lasciandola se possibile più dolorante di prima. Remus le porse un fazzoletto, che lei prese con gratitudine. Dovrei essere io a consolare lui, pensò. Era il suo migliore amico, lo conosceva da tutta la vita…

"Come?" domandò. "Come è successo?".

Remus esitò, incerto se rivelarglielo o no, ma alla fine sospirò e disse: "Bellatrix… l’ha colpito con uno Schiantesimo in pieno petto e l’ha sbalzato oltre il Velo della Stanza della Morte…".

Ma Tonks aveva sentito solo parte delle parole dell’uomo: il suo cervello si era fermato a ‘Bellatrix’. "Bellatrix?" ripeté, in tono vagamente isterico. "Bellatrix ha ucciso Sirius? È stata lei?".

Remus annuì confuso. "Sì… Dopo che Silente è arrivato…".

Ma Dora non lo udiva più: si era annullato tutto sotto una fredda cappa di soverchiante senso di colpa. "È colpa mia!" esclamò, con voce che nemmeno riconobbe come sua. "È stata colpa mia!".

"NO!". Remus protestò con forza, stringendole la mano. "Come può essere colpa tua?".

"Se non mi fossi fatta mettere fuori gioco da Bellatrix come un’idiota…"

"NO! Non dirlo nemmeno per scherzo, Dora, hai capito? NON è stata colpa tua…".

"Ma se io…".

"No" la interruppe Remus, in tono deciso, afferrandole ancora più forte la mano. "Non devi nemmeno pensare queste cose, Dora, ok? Se c’è un responsabile, è Bellatrix e nessun altro. Tu non c’entri assolutamente nulla…".

Tonks non aggiunse altro, anche se non si sentiva del tutto convinta: restava comunque il fatto che Bellatrix aveva ucciso Sirius dopo aver messo K.O. lei…

Sirius… Sentiva già la sua mancanza come se fossero passati anni e non poche ore dall’ultima volta che l’aveva visto, pensare che non avrebbe mai più udito al sua voce le era intollerabile… Le tornò alla mente la loro ultima discussione, quando lui le aveva estorto la verità sui suoi sentimenti per Remus…

Che cosa posso fare adesso?

E lo chiedi a me, Dora? Senza offesa, ma non ti sembro la persona meno indicata?

Forse, ma ho bisogno di un consiglio…

Ok, ti vedo proprio disperata… Il mio consiglio è: buttati!

Buttati? Che razza di risposta è ‘buttati’?

Io la vedo così: finché non provi, non potrai mai sapere cosa succederà. Non vorrai tenerti dentro questo tarlo per sempre?

No, certo…

Allora, raggranella il coraggio, prendi un bel respiro e buttati: alla peggio ti dirà di no… Ma sono certo che non accadrà: chi potrebbe resisterti?

Buttati, le aveva detto Sirius… Il suo ultimo consiglio…

Dora cercò lo sguardo di Remus e capì che Sirius aveva ragione: doveva trovare il coraggio… Ma non oggi: oggi non è tempo di dichiarazioni d’amore…

La porta si aprì e Malocchio Moody entrò nella stanza.

"Ah, bene, recluta, ti sei svegliata, finalmente: non ti avevo insegnato a evitare le maledizioni degli avversari?".

Tonks avrebbe voluto quasi ridere, ma le costole doloranti glielo impedirono: sotto il tono burbero, aveva sentito il sincero sollievo del vecchio Auror. Cosa provava in quel momento? Il suo volto era una maschera impassibile: forse i lunghi anni di lotta passati a vedere morire persone più giovani di lui l’aveva anestetizzato dal dolore… O più probabilmente, gli avevano insegnato a nasconderlo molto bene…

"Remus, Silente ci vuole parlare" proseguì Malocchio.

"Non può aspettare?" sbuffò il licantropo. "Non ho voglia di stare a sentire chi che sia in questo momento…".

"Aveva l’aria di essere importante" spiegò Malocchio. "Tanto lo sappiamo entrambi che alla fine verrai…".

Remus sospirò, alzandosi in piedi. "Torno presto, Ninfadora…".

"Non chiamarmi in quel modo, Remus, quante volte te lo devo ripetere?".

"Ancora una volta, Ninfadora" sorrise tristemente lui. "Come al solito". Si chinò e le diede un leggero bacio sulla fronte. "Riposati". Poi si avviò dietro a Moody.

Dora si sfiorò la sommità del capo, arrossendo: dal corridoio le giunse la voce di Remus. "Di cosa vuole parlarci Silente?".

E la risposta di Malocchio: "Non lo so di preciso, credo qualcosa che riguardi stanotte…".

Grimmauld Place n°12

Londra,

8.10

Ira, rabbia, pura e semplice furia cieca: Remus non sapeva bene come definire l’emozione con cui spalancò con un calcio la soglia di Grimmauld Place e irruppe nella casa. Forse il concetto furia omicida esprimeva meglio come si sentiva: sì, furia omicida e disperata, perché mai come in quel momento aveva desiderato la vita un altro essere vivente. E lo avrebbe avuta, oh, se lo avrebbe avuta: avrebbe tirato il collo di quel piccolo traditore doppiogiochista con le sue mani.

"Dove sei?" urlò all’aria. "Dove sei, schifoso topo di fogna? Puoi nasconderti, ma non mi sfuggirai in eterno!".

Già il lupo dentro di lui ululava di piacere nel sentirlo così assettato di sangue: stava diventato proprio quello che aveva sempre temuto, una bestia assassina priva di raziocinio. E il lato comico era che non gliene importava assolutamente nulla! Niente aveva importanza, tranne il fatto che il complice dell’assassinio del suo migliore amico era ancora vivo, a pochi passi da lui. Beh, non lo sarebbe stato per molto!

"Nasconditi, nasconditi pure: ti stanerò anche a costo di rivoltare la casa dalle fondamenta!".

Alle sue urla si erano intanto sommate quelle della signora Black, risvegliata dal frastuono. "Sudici ibridi, insozzatori della mia casa…".

Remus non ci badò nemmeno, sordo a quegli strepiti, sordo a qualunque cosa, dominato solo da desiderio di uccidere.

Mosse i primi passi nell’atrio, diretto verso la cucina, dove sapeva che il traditore dormiva, quando si sentì tirare per un braccio.

"Remus, fermati!".

Kingsley gli era andato dietro. Quando aveva lasciato l’ufficio di Silente, arrabbiato come non lo era mai stato in vita sua, l’Auror doveva aver intuito cosa voleva fare e gli era corso dietro. Beh, aveva poca importanza, non l’avrebbe fermato!

"Lasciami, Kingsley" sibilò minaccioso, divincolandosi.

"Remus, non sei in te in questo momento" cercò di bloccarlo lui. "Fermati un attimo, calmati e torna a ragionare…".

"Non c’è nulla su cui ragionare" gridò il licantropo, voltandosi verso di lui. "L’Elfo ha venduto Sirius ai Mangiamorte… e per questo ho intenzione di ucciderlo con le mie mani".

"Remus, rifletti…".

"Non voglio riflettere: sono stanco di riflettere. Ora voglio agire e prendermi la testa di quel traditore fedifrago! Scegli tu: o ti fai da parte o ti costringo io!".

Senza attendere risposta si voltò, facendo di nuovo per avviarsi; dopo pochi passi però fu di nuovo bloccato, stavolta da un Incantesimo

"Kingsley, ti ho detto…".

"Riprova, sarai più fortunato, Remus" lo interruppe la voce di Malocchio.

Una forza invisibile lo fece girare e si trovò Moody a pochi metri con la bacchetta puntata contro di lui: anche l’Auror l’aveva rincorso, solo che ovvi motivi fisici l’aveva rallentato nella corsa.

"Lasciami andare, Malocchio!".

"Non credo proprio, Remus. Non finché non riprendi a pensare con il tuo considerevole cervello invece che con qualcos’altro!".

"IO non voglio pensare" ruggì il licantropo. "Voglio solo trovare quel dannato Elfo e farlo a pezzetti".

"Remus, il ruolo che l’Elfo ha avuto in tutta questa faccenda è decisamente marginale…".

"Non mi importa. Ci ha traditi tutti. E per colpa del suo tradimento, Sirius è morto! Non lo lascerò andare in giro impunito, quando di Sirius non ci è rimasto nemmeno un cadavere su cui piangere!".

"Bene, vuoi ucciderlo?" domandò Moody in tono retorico. "Allora vai" e ruppe l’incantesimo.

Remus stava già avviandosi, quando le parole di Malocchio lo frenarono. "Ma se pensi che questo di farà stare meglio, Remus, ti sbagli di grosso!".

"Che ne sai, Alastor" abbaiò questi. "Che ne sai tu di come mi sento?".

"Lo so perché ti conosco, Remus. Meglio di quanto tu possa immaginare: conosco l’uomo che c’è sotto la corazza che ti sei costruito, sotto il lupo. E so per certo che quell’uomo non può trarre il minimo giovamento dall’assassinio di una creatura vivente, anche un essere come Kreacher!".

"Tu, tu non puoi saperlo… l’Elfo…".

"L’Elfo è un capro espiatorio, e lo sai. Se anche lo uccidessi, non ti sentiresti meglio: saresti solo più disperato di prima!".

Remus tacque, mentre le parole di Moody cominciavano a fare breccia nella nebbia dell’ira e della disperazione.

"Io non posso lasciarlo vivere" mormorò. "Nono dopo quello che è successo… Non dopo che Sirius…".

"La morte di Kreacher non riporterà indietro Sirius" insistette Malocchio. "Capisco quello che provi e lo condivido, ma altro sangue non risolverà la faccenda!".

"Remus" intervenne Kingsley, poggiandoli una mano sulla spalla, "Alastor ha ragione, lo sai: la morte dell’Elfo non cambierà le cose".

Remus si sentì all’improvviso svuotato: la furia si era dileguata, scomparsa come se non fosse mai esistita, lasciando solo quel senso di vuoto che gli stava dilaniando il cuore: Sirius se ne era andato e stavolta non sarebbe tornato, come Lily e James prima di lui. Era di nuovo solo, come tanti anni prima…

Le gambe gli cedettero e se non fosse stato per Kingsley sarebbe certo caduto di schianto a terra, mentre scoppiava in lacrime irrefrenabili.

"Perché? Perché è dovuto succedere?".

"Non lo so" rispose Malocchio, poggiandogli una mano sulla spalle. "Nessuno può saperlo…".

"Avevamo litigato" mormorò Remus. "Le ultime parole che ci siamo detti sono state urlate!".

"Sirius sapeva quanto era importante la vostra amicizia, Remus" cercò di rincuorarlo Kingsley. "Un litigio non può cancellare anni di amicizia…".

Remus non trovò la forza di ribattere: inconsciamente, sapeva che Kingsley aveva ragione, ma aveva anche chiaro che si sarebbe portato dentro quel senso di colpa per il resto della sua vita.

Così tacque, scosso dai singhiozzi; e tacquero anche gli altri due uomini.

L’unico rumore che ancora si udiva erano le urla adirate della signora Black, ma nessuno dei tre si prese la briga di metterla a tacere.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Dobby ***


SPECIAL DAYS

DOBBY

27 giugno 1992

Malfoy Manor

Inghilterra,

11.30

È dura la vita di un Elfo Domestico: alcuni lo sapevano meglio di altri. E malgrado questo a nessun Elfo Domestico sarebbe mai passato anche solo per l’anticamera del cervello di lamentarsi: gli Elfi non devono lamentarsi finché c’è da lavorare, anzi devono solo esserne felici. C’erano poche cose che doveva fare un Elfo Domestico: tenere la bocca chiusa, ubbidire, mantenere i segreti di famiglia e lavorare, lavorare, lavorare… Chi non rispondeva a questi requisiti non era nemmeno degno di essere considerato un Elfo Domestico e veniva guardato in malo modo dagli altri membri della sua specie.

Ma del resto, quale Elfo avrebbe dovuto lamentarsi? Da tempo, avevano raggiunto livelli di vita più che accettabili, molti padroni li trattavano se non proprio con rispetto con qualcosa di molto simile. E finché c’era qualcosa da fare, nessun elfo aveva diritto di lagnarsi!

Forse era per questo che Dobby si era sempre sentito un pesce fuor d’acqua tra gli altri Elfi Domestici, la classica pecora nera, l’anormale…

Ma c’era anche da dire che la vita di Dobby era stata irta di sofferenze e priva di qualunque piacere: vincolato a Malfoy Manor, da quando aveva memoria aveva sempre servito la famiglia Malfoy, che tutto poteva essere tranne gentile con i suoi servitori! Dobby si era sempre sentito meno che un verme in quella casa, dove bastonate e punizioni erano praticamente all’ordine del giorno. Perfino quel giorno, quello che gli umani chiamavano compleanno, non gli era risparmiato nulla: Dobby sapeva che in certe famiglie, gli Elfi ottenevano una licenza per quel giorno, ma a lui non era mai successo. Del resto, dubitava che i Malfoy sapessero perfino che aveva un compleanno, figurati permettergli di festeggiarlo!

Per questo, da tanto tempo aveva smesso di considerare i Malfoy come i suoi padroni: oh, ubbidiva perché i vincoli della sua specie glielo imponevano, ma li detestava, anche se non avrebbe mai avuto anche solo il coraggio di pensare una cosa del genere. E desiderava la libertà… ecco, quello era senza dubbio la cosa che rendeva Dobby un Elfo fuori dal comune: quale Elfo poteva desiderare la libertà? Essere vestiti era il massimo disonore che quelli come lui potessero ricevere: era il segno che non avevi fatto bene il tuo dovere.

Ma Dobby l’avrebbe accolta con gioia, la libertà: sognava il giorno in cui avrebbe potuto lasciare Malfoy Manor per non farvi più ritorno. Ma era un sogno senza fondamento: i Malfoy non gli avrebbero mai concesso la libertà, sapeva troppe cose di quella famiglia…

Perciò quel 27 giugno, Dobby se ne stava come al solito in cucina a organizzare il pranzo, uno dei compiti meno gravosi che gli toccassero: aveva il considerevole vantaggio che i padroni si abbassavano di rado a scendere in cucina…

Stava appunto pensando cosa preparare quel giorno, quando Lucius Malfoy lo chiamò nel suo studio. Che vorrà adesso il padrone?, pensò Dobby, mentre si dirigeva al piano superiore.

Bussò una volta alla porta dello studio al primo piano e ottenuta risposta, entrò con un inchino.

"Il padrone mi ha chiamato?" domandò in tono ossequioso. "Dobby sarà lieto di eseguire qualunque ordine del padrone…".

"E vorrei vedere" borbottò Lucius Malfoy, senza nemmeno guardarlo. "Ascoltami bene: devi scendere botola. Proprio di fronte alla scala c’è un piccolo baule: dentro c’è un libro dalla copertina nera. Portamelo. E non toccare nient’altro. Muoviti!".

Dobby fece un altro inchino e uscì. Detestava scendere nella botola, ovvero quella piccola cantina che Malfoy teneva nascosta sotto il pavimento del salotto. Al di là del fatto che era tetra, buia e claustrofobica, era talmente piena di manufatti oscuri che perfino lui, nella sua limitata esperienza si sentiva accapponare la pelle ogni volta che scendeva la sotto: gli ricordava i tempi della Guerra, quando il suo padrone serviva Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e la villa era piena di Mangiamorte da mattina a sera.

Ma gli ordini non si discutono, soprattutto se a impartirli è Lucius Malfoy; perciò Dobby ridiscese al pianto terra, andò in salotto, spostò sbuffando il prezioso tappeto e individuò la botola nascosta, praticamente invisibile, mimetizzata con il resto del pavimento.

Come sempre, il personale nascondiglio della famiglia Malfoy era buio, dato che l’unica luce proveniva dalle finestre della casa e stracolmo di tutti quegli oggetti che Lucius aveva considerato compromettenti all’epoca della Caduta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.

Dobby non riusciva nemmeno a immaginare la funzione di più di meta delle cose accatastate lì sotto e nemmeno voleva saperla: voleva solo eseguire l’ordine del padrone il più in fretta possibile e poi tornarsene ai suoi fornelli.

Il baule di fronte alla scala, ha detto il padrone

Dobby si diresse verso il liso baule indicato e lo aprì: dentro, appoggiato sopra un cuscino, quasi alla stregua di una reliquia, stava un libricino nero, dall’aspetto apparentemente innocuo. Ma Dobby sapeva che in quella casa non ci si poteva mai fermare alle apparenze.

Non ha importanza, si disse. Dobby non deve immischiarsi negli affari del padrone: deve ubbidire e basta!

Così, prese il libro, chiuse il baule e, dopo aver richiuso e nascosto la botola, tornò da Lucius, che lo aspettava impaziente.

"Finalmente!" lo rimbrottò, strappandogli praticamente il libro dalle mani. "Ce ne hai messo di tempo!".

"Dobby si scusa se ha fatto aspettare il padrone" chinò il capo l’Elfo. "Il padrone desidera qualcos’altro".

Lucius parve sentirlo con un orecchio solo, tanto era preso a rimirare l’oggetto richiesto. "Eh, come? No, no, va’ pure a fare qualunque cosa tu debba fare. Di corsa!".

Dobby si inchinò e uscì. Sulle scale, Draco lo bloccò. "Quando si mangia Dobby? Sono affamato!".

"Dobby sta andando a preparare adesso, padroncino" fu la risposta. "Sarà pronto presto".

"Beh, vedi di spicciarti: ogni giorno diventi più lento!".

"Certo, padroncino: Dobby va subito".

Malfoy Manor

22.15

Dobby si sarebbe certo dimenticato del libro, della richiesta di Lucius e di tutto il resto se quella sera stessa non avesse udito per caso una conversazione che non avrebbe dovuto udire.

Le cose andarono così: Dobby stava finendo di pulire un corridoio al secondo piano, l’ultima incombenza della giornata, pregustando già il momento in cui avrebbe potuto riposare nel suo cantuccio in cucina, quando passò davanti alla stanza da letto dei coniugi Malfoy. I due avevano lasciato per sbaglio la porta leggermente aperta e casualmente Dobby udì parte della loro conversazione: i due sembravano nel bel mezzo di un litigio. Dobby sapeva che se l’avessero beccato a origliare si sarebbe messo in un sacco di guai, ma man mano che il colloquio proseguiva non riuscì a imporsi di andarsene.

"È uno sbaglio, Lucius" stava dicendo Lady Narcissa. "Ti metterai nei guai…".

"Perché pensi questo?" la interruppe Malfoy. "Spiegami come potrebbero risalire a me…".

"Silente capirà che ci sei tu dietro: ha intuito per queste cose. Lo sai anche tu".

"Il vecchio lascialo al suo posto, Narcissa: anche se sospetterà qualcosa, non avrà prove da imputarmi contro…".

"Dunque, fammi capire bene: tu vorresti scatenare chissà quale orrida bestia contro i Figli di Babbani di tutta Hogwarts, costringere Silente alle dimissioni, discreditare Arthur Weasley, magari uccidere il Bambino-Che-È-Sopravvissuto lungo il percorso, e sperare sul serio di farla franca?".

"Perché no? Ascolta Narcissa, è perfetto: eliminiamo qualche schifoso Sanguesporco dalla faccia del pianeta, mettiamo al bando quel rimbambito di Silente, costringiamo Weasley a nascondere la testa sotto la sabbia per le prossime dieci generazioni e contemporaneamente ci liberiamo di un oggetto potenzialmente incriminante. Non c’è bisogno che ti ricordi che cosa succederebbe se il Ministero trovasse quel libro e capisse cos’è…".

"E cosa mi dici di Harry Potter? Credi sul serio di poter attentare alla sua vita quando Silente e mezzo mondo lo tengono sul palmo della mano?".

"Ti ho già spiegato che non ho intenzione di torcere un capello a Potter… Certo, c’è la considerevole possibilità che si metta in mezzo. Da quello che mi ha detto Draco, è più che probabile. Ma se se le andrà a cercare, non sarà certo colpa mia. Anche se non piangerei una sua prematura dipartititi…".

"E Lui?" insistette Narcissa, in tono progressivamente più disperato. "Lui ti ha affidato quel diario… Se scoprisse…".

"È morto, Narcissa: non tornerà più. E io non ho intenzione di rischiare la galera proteggendo un Signore che non tornerà mai…".

"È una pazzia, Lucius. Ti supplico, di ripensarci: quel libro è stato nel nostro scantinato al sicuro per undici anni, perché non dovrebbe restarci per altri undici o venti o trenta?".

"Mi dispiace Narcissa, ma ho preso la mia decisione e niente di quello che dirai mi farà cambiare idea".

"È folle, folle e stupido. Sappi che non approvo minimamente la tua decisione…".

"E tu sappi che la cosa non mi tocca per niente. Farò quello che mi pare, con o senza il tuo consenso. E ora vieni a letto: la discussione è finita!".

Dobby sentì Narcissa emettere uno sbuffo rassegnato e capì che era il momento di ritirarsi: aveva sentito anche troppo!

Sfortunatamente, indietreggiando, inciampò in un tappeto traditore, investendo nella caduta una lampada e causando un gran fracasso.

Pochi secondi dopo, prima ancora di avere il tempo di rialzarsi, Dobby si trovò la faccia furiosa di Malfoy a pochi centimetri dal viso, mentre dietro di lui Narcissa tratteneva il fiato.

"Tradimento!" ululò Lucius, avventandosi contro di lui. "Spiare in casa mia, piccolo essere insignificante? Ma come osi? Ti farò pentire del giorno in cui sei nato!".

E di certo l’avrebbe fatto, se non fosse intervenuta Lady Malfoy, che lo trattene per un braccio.

"Fermati, Lucius".

"Tu non ti impicciare, donna, questa faccenda non ti riguarda!".

"Rifletti, Lucius: se lo uccidi, sporcherai il tappeto e noi dovremo trovarci un nuovo Elfo Domestico. Non ne vale la fatica".

Lucius si bloccò, continuando a fissare con astio l’Elfo tremante.

"Ascoltami bene, Dobby" proseguì Narcissa. "Tu non riferirai mai a nessuno quello che hai sentito stasera; non una sola parola a nessuno, mi hai capito?".

"C-c-certo, padrona" assentì Dobby, rimettendosi lentamente in piedi.

"Bene. Ora vai dormire: non voglio più vederti qui!".

Dobby si inchinò e si allontanò alla massima velocità consentitagli. Ma una volta arrivato nel suo letto in cucina, non dormì: aveva la testa talmente piena di pensieri che sembrava un vespaio.

Il padrone voleva uccidere decine di persone e l’avrebbe fatto usando quel libro che lui, Dobby, gli aveva consegnato quella mattina. Come un simile maleficio fosse possibile, Dobby non ne aveva idea, ma la cosa lo annichiliva: cosa progettava di fare il padrone a Hogwarts di così orribile?

Nel mezzo dei suoi pensieri, ricordò che la padrona aveva nominato più di una volta Harry Potter, il Bambino-Che-È-Sopravvissuto: Malfoy aveva intenzione di uccidere anche lui.

Dobby si sentì invadere dall’angoscia: non aveva mai visto Harry Potter, ma come tutti sapeva quello che aveva fatto, sapeva che undici anni aveva scacciato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e aveva riportato la pace nella comunità magica. Harry Potter era il baluardo di speranza per tutti quelli che come lui erano ancora oppressi e perennemente umiliati. Harry Potter non poteva morire, Dobby non poteva permettere che succedesse. Ma cosa poteva fare? Era vincolato agli incantesimi della sua specie e la padrona gli aveva espressamente ordinato di non riferire a nessuno quanto aveva udito. Era bloccato: Harry Potter stava forse per incorrere in un pericolo mortale e lui non poteva fare nulla per salvarlo.

Mai come in quel momento, aveva desiderato di essere libero: se fosse stato liberato, avrebbe potuto dimenticare gli ordini e fare quello che voleva. Ma non era così, non poteva fare nulla…

A meno che… Dobby fu folgorato da un’illuminazione improvvisa: certo, Narcissa gli aveva proibito di rivelare ciò che aveva udito, ma non di andare da Harry Potter e metterlo in guardia, dirgli di non tornare ad Hogwarts, di restare al sicuro… certo era un po’ tirata per i capelli e avrebbe probabilmente dovuto punirsi severamente, ma quello poteva farlo. Sì, lui avrebbe salvato Harry Potter perché Harry Potter non poteva morire, era troppo importante.

Quella notte, in quel cantuccio buio, mentre rifletteva su tutto questo, Dobby compiva, seppur inconsapevolmente, il suo primo, fondamentale passo verso l’agognata libertà…

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora per prima cosa, se qualcuno non l’avesse visto, vi segnalo che oggi è giornata di doppio aggiornamento: finalmente posto le due fanfiction che avevo promesso, quella su Sirius e questa su Dobby. Secondo, mi scuso per questo incredibile, incommensurabile ritardo, ma ci tengo a specificare che per una volta non è assolutamente colpa mia: io i miei compiti a casa me li ero fatti, avevo già le due shot finite prima degli esami per poterle pubblicare puntualmente come avevo promesso… E invece, il mio caro paparino ha pensato bene di spedire il computer in vacanza e formattarlo. Quando l’ho riavuto, si era misteriosamente mangiato tutte le mie aggiunte più recenti, diversi capitoli delle log-fic e ovviamente queste due shot. Quando l’ho visto, mi è venuta voglia di piangere. Mi sono messa di buona lena per riscriverli, ma gli esami hanno assorbito tutto il mio tempo, senza contare che la voglia ce l’avevo davvero sotto i tacchi, ma ogni promessa è debito e perciò eccoci qua: oggi ho finalmente dato l’orale, ho riguadagnato la mia libertà e perciò posso dichiarare in tutta serenità che sono tornata. Per cui, se tra voi ce anche qualche lettore delle mie fanfiction, sappia che gli aggiornamenti non si faranno attendere: avrò un sacco di tempo libero d’ora in poi!

Detto questo, spero mi scuserete per il ritardo, ho fatto quello che ho potuto prima che ho potuto. E mi auguro che apprezzerete il risultato: non so perché, ho l’impressione che entrambe mi fossero venute meglio la prima volta, ma tant’è!

Grazie alle anime pie che un mese or sono commentarono la mia shot su Draco, ovvero

HermioneCH

Pan_Tere94

HermioneForever92

Deidara

Prossimo appuntamento, che stavolta giuro di non mancare, al 30/07, per il compleanno di Neville.

Ora scusatemi, ho le dita che fremono dalla voglia di tornare a dedicarsi alle long-fic, a presto e mi raccomando, commentate numerosi!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Neville Paciock ***


SPECIAL DAYS

NEVILLE PACIOCK

30 luglio 1991

Casa Paciock

9.30

Augusta Paciock era sempre stata molto fiera di suo figlio: fin da piccolo, Frank si era sempre distinto per le sue capacità magiche, a scuola era stato uno degli studenti più brillanti e dopo un Auror tra i migliori. Avrebbe potuto arrivare lontano, Augusta ne era certa, se non avesse incontrato sul suo cammino Bellatrix Lestrange e lui e sua moglie non avessero fatto la fine che avevano fatto: non aveva pianto quando glielo avevano detto, non era nella sua natura. E in ogni caso, a cosa avrebbe portato disperarsi? Frank sarebbe stato peggio che morto comunque e lei aveva altre responsabilità: il suo unico nipote, Neville, che all’epoca aveva appena un anno e aveva cresciuto come fosse stato figlio suo.

Ma i sentimenti di Augusta verso il nipote erano molto diversi rispetto a quelli per Frank. Neville sembrava l’antitesi del padre sotto praticamente qualunque aspetto: meno brillante, meno bravo, meno portato per le arti magiche, con un futuro meno sfolgorante, praticamente meno in qualunque cosa, come Augusta non mancava di sottolineare anche troppo spesso.

Neville era il depositario di tutte le speranze della famiglia: era l’ultimo nato, la nuova generazione e tutti si aspettavano grandi cose da lui. Ma il bambino non sembrava destinato a rispondere a queste aspettative: per anni non aveva manifestato il minimo potere magico, tanto che molti si erano convinti che fosse un Magonò e le riunioni di famiglia erano diventate più scuse per sollecitare la sua magia che altro… Anche quando alla fine essa era comparsa, Neville non era comunque sembrato destinato a essere il grande erede che i Paciock desideravano: era goffo e impacciato, ben al di sotto dell’abilità paterna.

Non era stato facile crescere per Neville in un simile ambiente, sentendosi costantemente sotto esame e sempre incapace di soddisfare le speranze di sua nonna e dei suoi parenti: era un fardello pesante per un bambino.

Ma con il tempo ci aveva fatto l’abitudine, come si era abituato anche all’idea probabilmente non sarebbe mai riuscito a rendere sua nonna orgogliosa come lo era di suo padre: goffo e smemorato com’era, non c’erano davvero possibilità che potesse diventare come Frank.

Per molto tempo, aveva anche temuto che non sarebbe nemmeno stato ammesso ad Hogwarts: perché qualcuno avrebbe dovuto volerlo lì? Probabilmente non sarebbe stato capace di trasfigurare nemmeno una tazzina da the…

In preda a questa paura, in parte probabilmente fomentata dalle ansie di Augusta, aveva trascorso tutta l’estate del suo undicesimo compleanno in fremente attesa della posta, attesa che fino a quel momento si era rivelata infruttuosa e che diventava più disperata man mano che il tempo passava.

La mattina del trenta luglio si svegliò con una spiacevole morsa allo stomaco: quel giorno compiva undici anni e della lettera da Hogwarts nemmeno l’ombra! Forse dopotutto, sono un Magonò sul serio: magari gli scoppi ecc. che sono capitati qualche volta erano solo incidenti…

Non sarebbe mai andato ad Hogwarts, non avrebbe mai imparato a usare la magia e non sarebbe mai stato all’altezza delle aspettative di sua nonna e della memoria di sua padre, il grande Auror, il grande mago, il grande tutto. A volte, era quasi arrivato a odiarlo, sentendosi sempre messo in secondo piano rispetto a lui: non avrebbe mai potuto competere, anche se avrebbe dato qualunque cosa perché i suoi genitori fossero fieri di lui…

Questo e molto altro attraversava la sua mente mentre sgusciava fuori dal letto e si vestiva in silenzio.

Quando scese, sua nonna si era già alzata e stava già bevendo il the, con un copia della Gazzetta del Profeta davanti. "Buon giorno, nonna" la salutò.

Augusta alzò appena lo sguardo quando lo vide. "Buon giorno, Neville: la colazione sarà pronta tra pochi minuti…".

"È già arrivata la posta?" domandò ancora il bambino in tono ansioso, senza per altro essere sicuro di volere ricevere risposta: se fosse stata un sì, voleva dire che la sua lettera non c’era (bastava guardare la faccia intrisa di malcelata insoddisfazione di Augusta), se fosse stata un no, avrebbe dovuto mettersi ad aspettare, solo probabilmente per restare deluso un’altra volta.

"No" rispose la nonna, guardando fuori dalla finestra per vedere se c’erano gufi in avvicinamento. "Arriverà a momenti, però… Siediti, ragazzo: non restare lì immobile come un palo!".

Neville si affrettò a ubbidire: era meglio non contrariare sua nonna quando era di quell’umore. Augusta non menzionò la lettera che non arrivava, mentre si alzava e con qualche abile colpo di bacchetta finiva di preparare la colazione, anche se non ce n’era bisogno: Neville non aveva bisogno di una sfera di cristallo per sapere perché sua nonna stesse diventando ogni giorno più irritata e scontenta.

Che razza di bel compleanno, pensò, mentre sentiva l’umore sprofondargli di un altro paio di tacche. E di certo quel pomeriggio avrebbe dovuto sopportare anche gli sguardi e i commenti di tutti i suoi parenti.

"Preferisci il the o il succo di zucca?" si informò Augusta.

Neville aprì la bocca per rispondere, ma in quel momento vide una sagoma scura comparire all’orizzonte, una sagoma scura in rapido avvicinamento: un gufo postino… il loro gufo postino!

Augusta non sembrava averlo visto e attendeva ancora una risposta, ma Neville si era scordato perfino della domanda, mentre il panico ripiombava su di lui: e se non ci fosse stata nemmeno quel giorno? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe diventato la pecora nera di tutta la famiglia…

con lo stomaco stretto in una morsa, il cuore che batteva all’impazzata e sempre senza parlare, Neville si alzò, aprendo la finestra proprio nel momento in cui il gufo atterrava con un ultimo stanco batter d’ali.

Con mano tremante, il ragazzino prese il plico di lettere e cominciò a scartarle una a una: biglietto d’auguri, biglietto d’auguri, biglietto d’auguri, un’amica di sua nonna, biglietto d’auguri, una lettera del Ministero, biglietto d’auguri…

Arrivò all’ultima busta con terrore crescente: non c’era, la lettera non c’era, non sarebbe mai andato ad Hogwarts… In un certo senso rassegnato a quel destino, guardò quell’ultima busta, aspettandosi l’ennesimo biglietto d’auguri. Invece… La pergamene, l’ordinata scrittura in inchiostro verde, in ultimo l’emblema: la lettera di Hogwarts!

Il cuore di Neville mancò un paio di battiti: non poteva crederci, non osava crederci, non poteva essere vero… Ma era indirizzata proprio a lui, perciò…

"Allora, mi vuoi rispondere o no, Neville?" fece Augusta in tono irritato, voltandosi: la donna non si era accorta di nulla.

Aveva già di sicuro un altro rimprovero pronto sulle labbra, ma si bloccò quando vide il nipote e soprattutto cosa teneva in mano.

"Neville, è quello che penso che sia?".

Il ragazzino aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì nulla, tanto era ancora stordito dalla sua sorpresa. Così si limitò a un cenno d’assenso.

Un grande sorriso si allargò sul volto dell’anziana donna. "Beh, che stai aspettando? Aprila!" lo incoraggiò.

Neville eseguì, grato che qualcuno gli dicesse cosa fare. Era proprio la lettera da Hogwarts, la sua lettera per Hogwarts: iniziava con Caro Signor Paciock…

Non ci poteva credere: sarebbe andato alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! Allora non era proprio un Magonò alla fine… Una vaga, confusa felicità lo invase.

Fece appena in tempo a leggerla una volta che già Augusta gliela strappò di mano, per guardarla a sua volta.

"Oh, era anche ora!" esclamò alla fine. "Avrebbero dovuto inviartela settimane fa… Ma non importa: è stupendo! Pensa cosa diranno gli altri questo pomeriggio: devo informarli subito…".

E partì in quarta per andare ad armarsi di carta e penna. Neville quasi non la sentiva: in quel momento era troppo felice per preoccuparsi di sua nonna e dei suoi parenti. Solo una cosa gli importava: che forse adesso, avrebbe potuto rendere i suoi genitori fieri di lui…

30 luglio 1998

Hogwarts

14.00

Erano già passati tre mesi… Beh, quasi, sarebbero stati tre mesi di lì a tre giorni.

Insegnanti, impiegati del Ministero e un numero cospicuo di volontari aveva lavorati solerti come formiche in quel breve lasso di tempo: Hogwarts era già stata risanata della maggior parte dei danni inferti dalle maledizioni scagliate durante la battaglia, per settembre, quando, a Merlino piacendo, sarebbero ricominciate le lezioni non ne sarebbe più rimasta traccia… non visibile almeno: per cancellare i ricordi di quei momenti, probabilmente non sarebbero bastate una decina di vite. Senza contare che il Ministro Shacklebolt aveva già deciso che in riva al lago, proprio accanto alla tomba di Silente, sarebbe stato eretto un monumento ai caduti, simile a quello che già decorava l’Atrium del Ministero.

Neville Paciock si smaterializzò appena fuori dalle mura e rimase diversi minuti immobile a osservare il parco e il castello in lontananza. Era la prima volta che tornava lì dalla battaglia: dopo i funerali, tutto il suo tempo lo aveva impiegato dando la caccia ai Mangiamorte fuggiaschi insieme a Harry, Ron e le squadre di Auror, in parte per desiderio di fare qualcosa di utile, in parte perché tenersi in movimento continuo era il modo migliore per impedirsi di pensare. La fortuna era che, nonostante Voldemort fosse morto, di cose da fare ce n’erano ancora molte prima che si potesse tornare alla normalità.

Non era particolarmente entusiasta di essere lì: fosse dipeso da lui, sarebbe stato a stanare qualche Mangiamorte negli angoli più remoti del paese. Ma alla persona che gli aveva chiesto quell’incontro, Neville non era davvero in grado di dire no, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui, soprattutto nel corso dell’ultimo anno: non riusciva nemmeno a contare tutte le volte che l’aveva protetto meglio che poteva dalle punizioni dei Carrow. Così era venuto, se non altro per sentire cosa aveva da dire.

Si sforzò di scacciare le spiacevoli immagine che presero a scorrergli davanti agli occhi. Pensa positivo, Neville, si disse, mentre si avviava lentamente verso il portone. Pensa che questa è stata la tua casa per sei anni, pensa a tutti i bei ricordi che hai di questo posto…

Pareva facile…

Fortunatamente, non doveva entrare nel castello: la persona che gli aveva dato appuntamento preferiva l’aria aperta. Non era ancora pronto a ripercorrere quei corridoi dove tanti suoi amici avevano perso la vita. Ancora adesso non poteva quasi credere di essere stato tanto fortunato da sopravvivere… E pensare che la gente lo considerava una specie di eroe, quasi alla stregua di Harry e gli altri: lui non ci sentiva per niente tagliato in quel ruolo, sarebbe stato tanto più felice se tutti si fossero dimenticati il suo nome e l’avessero lasciato in pace.

Immerso nei suoi pensieri, era frattanto giunto fino alle Serre: entrò nella n°1 e cominciò a guardarsi intorno.

"Professoressa!" chiamò a voce alta, cercando tra le piante la persone che doveva incontrare.

"Neville!" gli giunse in risposta, da un punto non meglio precisabile. "Di qua, vicino ai Bulbi Balzellanti…".

Il ragazzo seguì le indicazioni e poco dopo si trovò di fronte la professoressa Sprite, impegnata nel travaso di alcuni piante dall’aria ben poco collaborativa.

Appena lo vide, la donna gli rivolse un luminoso sorriso, abbandonando temporaneamente il suo lavoro. "Neville, è un vero piacere rivederti!".

"Anche per me, professoressa… Ha bisogno di aiuto?".

La Sprite scosse il capo, sempre sorridendo. "Non grazie, me la posso cavare anche da sola… Ma chiamami pure Pomona: ormai non sono più una tua insegnante, non c’è bisogno di queste formalità".

"Come preferisce, prof-… Pomona" si corresse all’ultimo Neville.

"Bene. Forza, vieni: dovrei avere delle tazze di the nascoste qui da qualche parte. Ci sediamo e parliamo un po’ con calma, che ne dici?".

Neville si limitò a un cenno d’assenso e seguì l’insegnante fino a un tavolo posizionato vicino alla porta. Pochi istanti dopo, i due avevano di fronte due tazze di the fumanti e un vassoio di biscotti.

"Li ho fatti portare qui dagli Elfi" spiegò la Sprite. "In previsione del tuo arrivo… Allora, dimmi, che cosa combini di bello?".

Neville ridacchiò sommessamente. "Di bello, proprio nulla in verità… Visto e considerato tutti i Mangiamorte che ci sono ancora in circolazione, sto dando una mano al Ministero a catturarne il più possibile. Il Ministro mi ha dato praticamente gli stessi poteri di un Auror…".

La Sprite annuì piano. "Sì, l’avevo sentito… Conosco di fama Kingsley Shacklebolt: spero vivamente che lo confermino ministro in modo permanente, c’è bisogno di gente come lui al governo dopo il pasticcio dell’anno passato… So che anche Potter e Weasley stanno facendo qualcosa del genere… Ma non credevo che tu avresti scelto questa strada, Neville: non mi è mai parso che volessi diventare un Auror…".

"Non lo volevo infatti" confermò Neville. "Non mi ci sentivo tagliato, anche considerati i miei risultati scolastici… E a dirla tutta, nemmeno ora ne sono particolarmente entusiasta. Ma faccio quello che posso per rendermi utile: prima renderemo le strade sicure, meglio sarà per tutti…".

"Certo, sono d’accordo. Ma non voglio che questo vada a discapito della tua felicità, Neville: credo che dopo tutto quello che hai passato, ti sia guadagnato un po’ di pace…".

"Forse… Ma per il momento preferisco tenermi occupato… E fare felice mia nonna".

La Sprite lo zittì con un cenno della mano. "Lascia perdere tua nonna: Augusta presto o tardi dovrà accettare il fatto che tu non sei tuo padre e apprezzarti per quello che sei. Io voglio sapere cosa vuoi fare tu: mi sta bene che ti dedichi alla caccia al mago oscuro, ma questa non è la vita che fa per te!".

Neville si guardò i piedi. "Io non lo so cosa voglio fare" ammise. "Perché ha voluto incontrarmi? Solo per sapere cosa facevo?".

"Volevo vedere come stavi" rispose la donna. "E anche parlarti di una faccenda importante…".

"Di che si tratta?".

"Sto prendendo in seria considerazione l’idea di ritirarmi: ho voglia di godermi qualche anno di tranquillità e comincio a diventare troppo vecchia per correre dietro ad adolescenti scalmanati… No, non interrompermi, Neville: è la verità. Gli eventi dell’ultimo anno mi hanno sfiancata: anche altri miei colleghi la pensano allo stesso modo… Perfino Minerva non è sicura di quanto tempo siederà dietro la sedia del preside… Comunque, credo terrò la cattedra ancora qualche anno, almeno finché non avrò trovato un sostituto degno di questo nome: non vogliamo un altro Allock o una Umbridge, giusto?".

"Perché mi sta dicendo tutto questo, prof-… Pomona? Non capisco…".

"Negli ultimi anni, Neville, non ho mai visto uno studente portato per questa materia quanto te: hai sempre mostrato una dedizione e un impegno davvero encomiabili, senza dubbio sei stato uno dei miei allievi migliori. Per questo ti ho chiamato: vuoi diventare il mio assistente?".

"Assistente?" ripeté Neville, al colmo dello stupore: questa non se l’era aspettata. "Lei mi vuole come suo assistente?".

"Esattamente… Sono sicura che ti dimostrerai perfettamente all’altezza di questo compito. In questo modo potrei istruirti personalmente, se un domani diventerai ereditare il mio posto…".

"Un momento… Lei vorrebbe che io diventassi il nuovo professore di Erbologia?".

"Beh, mi pare ovvio… Come mio assistente, saresti il candidato naturale quando andrò in pensione… Allora, che ne pensi?".

Neville tacque. Già, che ne pensava? Non ne era certo: da un lato l’idea lo stuzzicava, Erbologia era sempre stata la sua materia preferita e sarebbe stato bello poter tornare ad Hogwarts come insegnante; dall’altro, aveva una paura matta, non si sentiva tagliato per un compito e una responsabilità del genere.

"Io non sono sicuro" balbettò infine. "Non credo che sarei in grado…".

"Oh, questa è una sciocchezza" lo interruppe la sprite con un cenno stizzito della mano. "Secondo me, invece è proprio il lavoro che fa per te: hai la capacità di farti amare dalla gente e giovane come sei, non avresti difficoltà a entrare in sintonia con i ragazzi. Senza contare ovviamente, la tua passione per la materia… Credimi, Neville, non potrei pensare a un candidato migliore di te…".

Neville abbassò lo sguardo, imbarazzato da tutti quei complimenti. "Non so, professoressa: non avevo mai pensato di poter fare una cosa del genere…".

"Ascolta, non voglio una risposta subito… Ma promettimi che almeno ci rifletterai sopra…".

"Certo" garantì il ragazzo. "Ci penserò e poi le farò sapere…".

"Beh, un forse è sempre meglio che un no" commentò la Sprite, finendo di bere il suo the.

Neville guardò l’orologio: se non fosse andato subito, avrebbe fatto tardi al lavoro. "Mi dispiace, ma ora devo andare: il mio turno comincia tra poco…".

"Certo, capisco, vai pure. Ma pensa a quello che ti ho detto. Promesso?".

"Promesso: le farò sapere".

"Bene. E salutami Potter e Weasley, quando li vedi".

Neville annuì e fece per avviarsi. Aveva già la mano sulla maniglia quando la Sprite lo richiamò. "Ah, quasi mi dimenticavo, buon compleanno".

"Grazie, Pomona".

Ministero della Magia

14.45

Neville entrò trafelato nel suo ufficio al ministero: malgrado la corsa, era riuscito comunque ad arrivare in ritardo.

"Primo, auguri. Secondo, sei in ritardo" fu infatti il saluto che gli rivolse Ron Weasley, seduto ad una delle altre scrivanie a sfogliare un fascicolo.

"Grazie e sì, lo so. Che mi sono perso?".

"Visto che ti stavamo aspettando, assolutamente nulla" rispose Harry, comparendo alle sue spalle con una tazza di caffè. "Buon compleanno, a proposito" aggiunse subito dopo.

Neville si era spesso chiesto se qualche volta il giovane andasse a casa: tutte le volte che lui arrivava, Harry era sempre già lì. E pensare che lui più di tutti si sarebbe meritato di fermarsi un po’ e godersi la fine della guerra. Nemmeno Ron, che da quando Fred era morto, si fermava giusto il tempo necessario per vedersi con Hermione, salutare la famiglia e mangiare (spesso facendo le tre cose in contemporanea) era così stacanovista. Neville sospettava che anche Harry si tenesse il più possibile in movimento per non doversi soffermare troppo su tutto quello che era accaduto.

"Ok, allora riformulo la domanda" rispose. "Che cosa facciamo oggi?".

"Dolohov" rispose il Prescelto. "L’hanno avvistato in Cornovaglia: si stava divertendo a far saltare per aria delle case babbane...".

"Che idiota" commentò Ron, stiracchiandosi. "Uno penserebbe che dopo la morte di Tu-Sai-Chi i Mangiamorte si dessero una calmata, anche considerato che li stiamo sbattendo tutti dietro le sbarre… Invece fanno ancora di queste scene plateali…".

"Sono disperati" disse Neville. "Non hanno niente da perdere. Immagino facciano un ragionamento del tipo ‘divertiamoci finché ancora possiamo perché presto saremo rinchiusi in una cella tre metri per tre’".

"Se fossero furbi, si rintanerebbero in qualche buco nel terreno aspettando che le acque si calmino per poter espatriare con calma…".

"Quando mai i Mangiamorte sono stati furbi?" osservò Harry. "Almeno, così ci rendono il lavoro più facile… Comunque, dovremo muoverci: Dolohov ha già sgominato una squadra di Auror e se l’è filata…".

Ron sbuffò. "Ok, allora andiamo: se non ci fossimo noi, chissà a che punto starebbe il Ministero…".

I tre si avviarono verso gli ascensori e mentre aspettavano Ron domandò a Neville: "A proposito, che voleva la Sprite?".

"Oh, già… Beh, mi ha offerto un lavoro…".

"Che cosa?!" quasi urlò Ron, facendo girare parecchia gente nella loro direzione.

"Che lavoro?" domandò invece Harry, in tono decisamente più pacato.

"Mi ha proposto di diventare suo assistente" spiegò Neville. "A dirla tutta, le vorrebbe che la sostituissi come insegnante di Erbologia in un futuro non proprio remoto…".

Ron fischiò. "Però" commentò. "E tu che vuoi fare?".

"Accetterai, immagino" disse Harry. "Erbologia è sempre stata la tua materia…".

"Beh, veramente non ho ancora deciso: non sono sicuro che la carriera da insegnante faccia per me…".

"Ma che, scherzi?" esclamò Ron. "Se fossi in te, accetterei di corsa: è il lavoro fatto apposta per te, Neville…".

"Già, lo credo anch’io" concordò Harry.

"Anche la Sprite ha detto più o meno lo stesso…".

"Dacci retta: sarebbe la scelta migliore. O vuoi diventare un Auror in pianta stabile come i tuoi?".

Erano nel frattempo arrivati nell’Atrium. Per raggiungere le stanze adibite alla Smaterializzazione, passarono davanti al monumento ai caduti che capeggiava al posto della Fontana dei Magici Fratelli: Neville lo guardò un attimo. Anche se da quella distanza non poteva leggere i nomi, sapeva che tra le vittime della Prima Guerra erano stati inclusi anche i suoi genitori, anche se tecnicamente non erano ancora morti.

Cosa avrebbero voluto loro per lui? Che fosse felice, fu l’ovvia risposta che si diede. E cosa l’avrebbe reso felice? Non fare l’Auror: per quanto sua nonna l’avesse sempre desiderato, non credeva che seguire le orme di Frank e Alice fosse la strada giusta per lui. E allora che cosa voleva? Si immaginò nei panni di insegnante,a spiegare a una classe le proprietà delle Mandragole. Non sembra così male…

"Ehi, terra chiama Neville!".

Si riscosse dai suoi pensieri, trovando Ron e Harry a fissarlo con le sopraciglia inarcate: probabilmente stavano aspettando solo lui per potersi smaterializzare.

"Tutto ok?" domandò Ron.

"Sì, sì, scusate, mi ero perso nei miei pensieri…".

"Trovato qualcosa di illuminante?" chiese Harry, mentre estraeva la bacchetta, già pronto a eventuali attacchi.

"Può darsi… Può darsi…". Neville rifletté alcuni istanti, poi esclamò: "Ma non avevamo un Mangiamorte a cui dare la caccia?".

"Aspettavamo solo te…".

"Beh, allora andiamo, no?".

Questa sera, dovrò andare a parlare con la Sprite… si disse mentre si smaterializzava, subito imitato dagli altri due.

LYRAPOTTER’S CORNER

Ok, eccomi di nuovo con un nuovo capitolo. Lasciatemi dire che scriverlo è stato un autentico parto: non avevo la minima ispirazione, ho messo insieme le poche idee che avevo e ne è uscita questa cosa, che non mi lascia completamente soddisfatta, ma pazienza. Spero che voi l’apprezziate comunque.

Un piccolo appunto, il fatto che Harry, Ron e Neville lavorassero per il Ministero subito dopo la fine della guerra per catturare i Mangiamorte non me lo sono inventato: lo trovato sul mio solito, fedele Lexicon, che a sua volta deve averlo saputo in qualche intervista della signora Rowling.

Come sempre grazie a chi ha commentato

HermioneForever92

dirkfelpy89

Deidara

Devo anche dirvi quando è il prossimo appuntamento? Credo sia fin troppo scontato che è domani, 31/07, per il compleanno di Harry… Ma di certo lo sapevate già tutti!

A domani, bacibaci!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Harry Potter ***


Questa one-shot ha partecipato al contest Give it a Second Chance! Indetto da Fabi_ sul forum di EFP, classificandosi al secondo posto. Grazie alla giudice per il suo giudizio preciso e dettagliato.

SPECIAL DAYS

HARRY POTTER

31 luglio 1988

Little Whinging

Surrey

14.00

Ogni estate, la scuola elementare di Little Whinging organizzava dei campi estivi aperti a tutti i bambini: la direzione lo riteneva un metodo ottimale per spingere i bambini a socializzare tra loro in un ambiente più libero di quello scolastico. L’intero sistema era gestito da quelle poche maestre che non avevano di meglio da fare durante le vacanze e ogni anno registrava delle buone partecipazioni: infatti, essendo l’intero progetto finanziato dal comune, il costo di partecipazione era quasi nullo e soprattutto molti genitori erano più che lieti che i loro pargoli sfogassero la loro energia fuori casa sotto la sorveglianza di persone fidate e tornassero a casa stanchi la sera.

C’era poi una particolare coppia di genitori che partecipava semplicemente per levarsi di torno più tempo possibile uno dei bambini che vivevano sotto il loro tetto. Per la precisione questi genitori erano Vernon e Petunia Dursley e il bambino in questione era il loro nipote, Harry Potter.

Quando avevano saputo dell’esistenza di quei campi, i signori Dursley l’avevano interpretato come una risposta alle loro preghiere: nulla infatti rendeva i due più felici che levarsi dai piedi il piccolo Harry per più tempo possibile.

Ovviamente, il discorso non valeva per il figlio dei Dursley, Dudley, coetaneo di Harry e venerato alla stregua di un principe: probabilmente non esisteva al mondo un altro bambino tanto viziato quanto Dudley Dursley, che dall’alto dei suoi otto anni appena compiuti era a tutti gli effetti il padrone di casa. Qualunque cosa chiedesse, i genitori erano celeri a dargliela: aveva imparato in fretta che un po’ di capricci erano la chiave per ottenere praticamente qualunque cosa ed era diventato molto bravo a sfruttare quel potere.

Nel caso specifico, quando Vernon e Petunia avevano deciso che Harry avrebbe partecipato a qualunque campo estivo organizzato dalla scuola di lì all’eternità, Dudley si era impuntato di volerlo fare anche lui: perché l’odiato cugino sì e lui no? Se Harry aveva qualcosa, lui doveva averne una migliore, questa era la sua filosofia. Così, malgrado le reticenze dei Dursley, aveva fatto presto ad essere accontentato. Dudley si era sentito incredibilmente soddisfatto: un’occasione per stare con gli amici lontano dai genitori e poter tormentare Harry in santa pace.

Quello era senza dubbio il passatempo preferito di Dudley: poche cose erano altrettanto appaganti quanto rendere la vita del cugino un vero inferno.

Il 31 luglio di quella particolare estate, Harry sedeva su un’altalena nel parco giochi dietro alla scuola, fissando con aria sconsolata gli altri bambini che giocavano a palla prigioniera: indossava abiti decisamente troppo larghi per lui, considerato che gli erano stati passati da Dudley, grosso almeno il triplo di lui e appena abbassava la testa gli occhiali tondi troppo larghi gli scivolavano sul naso, rischiando di cadere a terra.

C’erano voluti tre mesi e quattro richiami della scuola per convincere i zii che aveva bisogno degli occhiali: i Dursley si erano arresi solo quando la maestra aveva detto loro chiaramente che Harry riusciva a malapena a vedere la lavagna dal primo banco. Ben lungi dal voler spendere più dello stretto indispensabile per il piccolo ‘mangiapane a ufo’, avevano comprato il paio di occhiali più economico che c’era, senza preoccuparsi minimamente se erano troppo larghi per il nipote. Il risultato era che Harry doveva fare costantemente attenzione a non perderseli per strada, anche perché dubitava seriamente che nel caso gliene avrebbero comprati di nuovi.

Sospirando, si diede una leggere spinta, prendendo a dondolare lentamente avanti e indietro, cercando di ignorare il dolore al ginocchio: se lo era sbucciato poco prima, quando Dudley lo aveva spinto a terra senza troppi complimenti. Abituato a quel genere di trattamenti, Harry non aveva protestato e se l’era filata alla chetichella, rinunciando alla partita a palla prigioniera…

In ogni caso, non era particolarmente bravo in quello sport (o in qualunque altro sport) e nessuno l’avrebbe voluto nella sua squadra perché Dudley e la sua ghenga gliel’avrebbero fatta pagare. Nessuno si metteva contro Dudley e la sua banda: questo era il motivo principale per cui Harry non aveva amici.

Non che gli importasse più di tanto: ormai ci aveva fatto l’abitudine a stare sempre da solo. Come aveva fatto l’abitudine al trattamento che gli era riservato a casa, dove era niente di più e niente di meno che un ospite indesiderato che non si può scacciare. Non ricordava che i suoi zii gli avessero mai rivolto una sola parola gentile o gli avessero riservato un decimo delle attenzioni che avevano per Dudley.

Tanto per fare un esempio, quando il mese prima Dudley aveva compiuto gli anni, gli avevano fatto una torta grande quanto la ruota di una macchina, lo avevano riempito di regali e portato al parco divertimenti, mentre lui ovviamente era stato parcheggiato dalla loro matta vicina, la signora Figg.

Quel giorno, invece, era il suo compleanno e i Dursley gli avevano a malapena fatto gli auguri: niente torta, niente regali, niente parco divertimenti, niente, come del resto era successo per i suoi precedenti sei compleanni.

Non poteva evitare di sentirsi un po’ geloso pensando a tutto il ben di dio che aveva ricevuto invece Dudley, che non aveva saputo fare nulla di più che lamentarsi di non aver ricevuto quello che voleva e ne aveva distrutto la metà in meno di dieci giorni.

Stanco di dondolare sull’altalena, Harry si fermò, pensando a cosa poteva fare per passare il resto del pomeriggio. Alla fine decise di andare a prendere una palla nella rimessa e giocarci per un po’. Tenendosi più alla larga possibile dagli altri bambini, tra cui c’era anche Dudley, cominciò a calciarla e a rincorrerla. Non avendo mai potuto godere della compagnia dei suoi coetanei, non gli pesava nemmeno più di tanto dover giocare da solo: certo, in compagnia sarebbe stato meglio, ma tanto lui non poteva sapere cosa si perdeva.

A un certo punto, colpì la palla troppo forte, spedendola quasi fino al recinto del parco in mezzo a una macchia di cespugli. Sbuffando, Harry si avviò in quella direzione, ma prima che potesse cominciare a cercarla, la sua attenzione fu attirata da qualcos’altro.

O meglio qualcun altro: un uomo sedeva su una panchina ai margini del parchetto e stava guardando proprio verso di lui. Tra le mani, aveva la palla fuggiasca.

Harry lo studiò attentamente, mentre si avvicinava esitante: indossava abiti piuttosto laceri e consunti e non sembrava molto vecchio, anche se il volto era incorniciato da rughe precoci e tra i capelli castano chiaro si distingueva qualche ciocca grigia. Tuttavia, il sorriso che gli rivolse era caldo e amichevole.

"Ehi, ciao, piccolo" lo salutò. "Che cosa fai tutto da solo?".

Harry esitò: gli era stato ripetuto decine di volte che non doveva parlare con gli sconosciuti, ma quello straniero sembrava davvero gentile.

"Volevo la mia palla, signore" rispose, in tono incerto, forse perché non era molto abituato a sentirsi rivolgere in modo tanto dolce.

"Ah, ecco qua, allora" ribatté l’uomo, porgendogliela, sorridendo.

"Grazie, signore" rispose Harry, prendendola e guardandolo attentamente: c’era qualcosa di strano in lui, nel suo sguardo, lo fissava come se lo conoscesse… O piuttosto, come qualcuno guarderebbe un amico incontrato dopo tanto tempo. E la cosa non lo metteva nemmeno a disagio, anzi, in un certo senso, quello sconosciuto gli trasmetteva un senso di sicurezza.

"Prego" gli sorrise lui. "Allora, che facevi di bello?".

"Giocavo".

"Da solo?".

Harry si guardò un attimo alle spalle, verso i suoi compagni: era comparsa una delle maestre che li stava richiamando. "Gli altri bambini non vogliono mai giocare con me" rispose poi.

L’uomo corrugò la fronte, perplesso. "E perché no?".

Harry si strinse nelle spalle. "Mio cugino non vuole: hanno tutti paura di lui" spiegò.

"Capisco". Lo sconosciuto annuì, chinandosi verso di lui. "Perché tuo cugino si comporta in questo modo?".

"Non lo so: l’ha sempre fatto. E i miei zii non gli dicono mai niente: a loro non importa se Dudley mi tratta male. A loro non importa niente di me".

L’altro aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto la sopraggiungere della giovane maestra.

"Harry!" gridò la donna, avvicinandosi ad ampie falcate. "Che cosa fai? Con chi parli?".

L’uomo si alzò in piedi, mentre l’insegnante li raggiungeva e prendeva per mano Harry, squadrandolo con sospetto. "Lei chi è?" domandò con fare inquisitore. "Che cosa vuole dal bambino? Non l’ho mai vista da queste parti…".

"Mi chiamo Remus Lupin" si presentò l’uomo, in tono tranquillo. "Stia tranquilla, signorina, non avevo cattive intenzioni: il piccolo aveva perso il pallone…".

La donna continuò a osservarlo sospettosa. "Sì, beh, è meglio che se ne vada, signor Lupin… E l’avviso che se la rivedrò da queste parti a parlare con i bambini chiamerò la polizia…".

"Non è assolutamente necessario" commentò Lupin, per nulla toccato dalla minaccia. "Me ne vado immediatamente, non si preoccupi. Ciao, Harry".

Harry gli fece un veloce cenno con la mano, prima che la maestra lo conducesse via. "Non dovresti parlare con gli estranei, Harry" lo rimproverò.

"Ma sembrava simpatico" obiettò il bambino.

La giovane si voltò a controllare se Lupin se ne fosse andato, come stava effettivamente facendo, e poi sospirò. "Già, di solito è proprio di quelli simpatici che bisogna fare attenzione, Harry".

Harry corrugò la fronte, senza capire.

******

Più tardi, nel tardo pomeriggio, Harry osservava con una punta d’invidia i genitori venuti a prendere gli altri bambini… Quanto gli sarebbe piaciuto che anche la sua mamma e il suo papà fossero stati vivi per poterlo portare a casa.

Dudley se n’era già andato: il padre di uno dei suoi amici gli aveva dato un passaggio fino a casa, senza minimamente preoccuparsi per lui. A Harry non importava più di tanto: Privet Drive non era molto lontana dal parco giochi e non era comunque la prima volta che gli toccava farsela a piedi (i suoi zii avevano la tendenza a dimenticarsi di lui). E almeno aveva guadagnato qualche minuto di solitudine e pace, per potersi godere meglio che poteva il suo magro compleanno; certo, una volta a casa, avrebbe sicuramente dovuto subire una lavata di capo con i contrafiocchi, ma tutto sommato ne valeva la pena per stare un po’ senza Dudley.

Così, si avviò a passo volutamente lento verso casa, immaginando di avere soldi per potersi comprare un gelato… Non che i suoi zii gliene avessero mai preso uno, ma giudicando da come Dudley ci si ingozzava, doveva essere davvero buono. Anche se, a pensarci bene, forse Dudley non faceva molto testo: lui si ingozzava praticamente con qualunque cosa che non fosse verde e non sapesse di verdura.

"Ehi, ciao, piccolo".

Riscuotendosi dalle sue fantasie, il bambino si voltò in direzione della voce: era di nuovo lo sconosciuto, Remus Lupin, appoggiato contro un muro all’angolo della strada.

"Ehm, ciao" lo salutò, incerto su cosa dovesse fare. Probabilmente avrebbe fatto meglio ad andarsene alla svelta, come aveva detto la sua maestra. Eppure il sorriso dell’uomo era davvero gentile.

"Stai tranquillo: non ti mangio mica" scherzò Lupin, ridendo, avvicinandosi.

"La maestra mi ha detto che non dovrei parlare con gli estranei…".

Lupin approvò con un cenno del capo. "La tua maestra ha perfettamente ragione: non bisogna mai dare confidenza agli estranei. Perciò, piacere, io sono Remus" e gli tese la mano.

Mano che Harry strinse ancora un po’ titubante. "Io mi chiamo Harry" si presentò dopo, ricordando le buone maniere.

"Ecco, adesso non siamo più due estranei, no?" osservò Lupin.

Harry lo guardò dubbioso. "Non sono sicuro…".

"Non ti fidi di me?".

Il bambino non rispose subito, riflettendo. Basandosi su quello che gli avevano sempre detto, avrebbe dovuto imboccare la prima via disponibile e filarsela alla velocità della luce; eppure non riusciva proprio a diffidare di quell’uomo: qualcosa gli diceva di potersi fidare.

"No, credo di no" rispose perciò. "Però gli zii si arrabbieranno se non torno a casa in fretta…".

"Allora sarà meglio non farli aspettare… Dove abiti?".

"Poco lontano, in Privet Drive".

"Ah, sì, lo conosco: ci abita una mia vecchia amica…".

"Veramente?" fece Harry stupito.

"Eh, sì… Sai, magari sarebbe il caso che le facessi visita… Che dici, facciamo la strada insieme? Un bambino della tua età non dovrebbe andarsene in giro da solo a quest’ora".

Harry acconsentì, non vedendoci nulla di male e così i due si avviarono. "Non è un problema, comunque, andare a casa da solo" spiegò Harry. "Lo faccio sempre".

"E tuoi zii non si preoccupano?".

Harry alzò le spalle, con aria distaccata: ormai aveva fatto l’abitudine all’indifferenza tendente al disprezzo dei Dursley, anche se a volte ci stava ancora male. "Zio Vernon e zia Petunia non si preoccupano mai per me".

"Capisco" fu tutto ciò che riuscì a dire Lupin, anche se in realtà non capiva affatto. Era tutto sbagliato…

"Ti va un gelato?" domandò all’improvviso, notando che Harry osservava con malcelato desiderio i coni che si stavano gustando altri bambini lungo la strada.

Harry arrossì. "Io veramente… Non posso accettare…".

"Io dico di sì, invece" insistette Lupin. "In una giornata come questa, ci vuole proprio un bel gelato, non credi? Prendilo come un regalo da parte mia".

Harry gli rivolse un’occhiata perplessa: era strano, Lupin parlava quasi come se sapesse che quel giorno era il suo compleanno. Chi era davvero quel uomo misterioso e così gentile?

"Io non posso…".

"E io non posso accettare il tuo rifiuto. Potrei anche offendermi, sai? Forza, vieni".

Mettendo a tacere sul nascere tutte le proteste di Harry, Lupin lo condusse fino a una gelateria poco lontano.

"Scegli il gusto che preferisci, forza" lo incoraggiò.

A quel punto, la tentazione era davvero troppo forte per continuare a rifiutare, così prese un cono al cioccolato con granella. Al momento di pagare, Lupin dovette frugarsi in un numero spropositato di tasche per mettere insieme la cifra richiesta, ma non abbandonò un istante il sorriso.

"Allora, ti piace?" domandò, quando ebbero lasciato la gelateria.

"Oh, sì, molto" rispose Harry, felice come non lo era mai stato in vita sua: quella era senza dubbio la cosa più buona che avesse mai mangiato. "Adoro il cioccolato" decise lì sul momento.

Lupin ridacchiò. "Piace molto anche a me… Attento a non farlo cadere…".

E Harry si guardò bene dal farlo: si gustò quella manna dal cielo fino all’ultima briciola, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

Quando arrivarono davanti al numero 4 di Privet Drive, del gelato non era rimasta neppure l’ombra, a parte diverse macchie di cioccolato che gli decoravano la faccia.

Lupin lo guardò ridendo. "Accidenti, sei un vero disastro! Aspetta che ti pulisco…".

Si chinò su di lui, pulendogli il volto con un fazzoletto. "Ecco fatto, come nuovo".

"Grazie, signor Remus". Harry gli rivolse un’occhiata perplessa, poi domandò: "Ma perché è così gentile con me? Nemmeno mi conosce…".

C’era un velo di tristezza nel suo sorriso o se l’era solo sognato? Gli calò gli occhiali sul naso, accarezzandogli i capelli scompigliandoglieli ancora di più. "Già, beh, mi ricordi molto una persona che conoscevo, un mio vecchio amico: vi somigliate molto…".

Harry abbassò gli occhi, a disagio. "Grazie per il gelato. Ora però devo andare o i miei zii si arrabbieranno davvero…".

"Certo" assentì Lupin, sorridendo. "Sì, è meglio se vai. Mi raccomando, fai il bravo e non preoccuparti: le cose presto o tardi si aggiusteranno, ne sono sicuro".

Si alzò, spolverandosi distrattamente i pantaloni.

"Tornerà?" domandò Harry, speranzoso: dopo tutto, era stato il primo a essere davvero gentile con lui da che aveva memoria e gli aveva anche offerto il gelato.

L’uomo gli rivolse un sorriso triste. "Non credo, Harry. Ma non ti preoccupare: sono sicuro che un giorno ci rivedremo… Quando sarai abbastanza grande…".

Harry non capì cosa intendesse Lupin con quella frase, ma non glielo chiese: forse perché sentiva che l’uomo non gli avrebbe risposto. Così, si limitò a salutarlo con la mano e andare alla porta di casa. Non gli importava nemmeno di ricevere una ramanzina: aveva ancora il bocca il sapore del cioccolato

Decisamente, quello era il compleanno migliore della sua vita! E lo sarebbe stato ancora per diversi anni… fino al giorno in cui Rubeus Hagrid non venne a bussare alla sua porta.

LYRAPOTTER’S CORNER

Lo so, probabilmente stavolta sono cascata un po’ nel what if, ma in tutta sincerità mi rifiuto di credere che Remus per dodici anni non si sia mai preoccupato di sapere che ne fosse stato del figlio di Lily e James… Certo quello che ha visto non deve essergli piaciuto più di tanto…

Scusate se ci ho messo un po’ oggi, ma il mio computer ha fatto un po’ di capricci (dannata tecnologia!!!!!!)

Non credo di avere altro di dire, a parte ringraziare le anime pie che sono riuscite a commentate nei tempi stretti, cioè

Deidara

dirkfelpy89

e darvi ovviamente il prossimo appuntamento al 11/08, per il compleanno di Ginny.

A presto, bacibaci!!!!!!

Giudizio di Fabi_Fabi

Seconda Classificata: Lyrapotter - Special Days -

Testo nascosto - clicca qui

Grammatica e sintassi: 3.4/5

Stile: 9/10

Originalità: 15/15

Caratterizzazione dei personaggi: 15/15

Sviluppo della trama: 15/15

Gradimento personale: 10/ 10

Totale: 67.4/70

Bellissima, scritti tutti i giudizi, posso integrare dicendo che questa in assoluto è la mia preferita. Nonostante gli errori grammaticali e a volte anche sintattici, non ho trovato un punto della storia che non mi sia piaciuto, neppure una frase.

Per quanto riguarda la grammatica, c’è qualche errore, ti faccio qualche esempio: ‘gliela avrebbero fatto pagare’, probabilmente è solo distrazione, ‘abituato a sentirsi rivolgere in modo tanto dolce’, si dice ‘sentirsi rivolgere la parola’, ho cercato ma non ho trovato l’espressione senza il complemento oggetto per quel verbo. ‘proprio di quelli simpatici che bisogna fare attenzione’, a quelli simpatici, ‘quel uomo’, quell’uomo, ‘qualcun’altro’, va scritto senza apostrofo.

Ti ho dato il punteggio pieno in originalità perché non avevo mai letto né considerato una storia del genere, e sinceramente l’ho trovata molto originale.

Credo che questa sia uno dei missing moments più belli che io abbia mai letto. Poetico, dolcissimo e struggente, hai scelto di raccontare una storia che non avevo mai considerato, ma che ora so avrei sempre voluto leggere.

I personaggi ci sono completamente, Lupin è così dimesso, serio, mi piace l’idea di Harry al campo scuola e di Lupin che lo va a trovare, ho trovato magnifica l’immagine del gelato, di Remus che si fruga nelle tasche in cerca del denaro ‘senza mai perdere il sorriso’, di Harry che gusta per la prima volta un dolce, regalato da un uomo che non conosce, ma di cui si fida senza capire bene il motivo.

Lo stile è lineare, non hai curato troppo la sceneggiatura ma hai saputo gestire perfettamente le descrizioni delle persone, dei piccoli gesti che formano le emozioni.

La trama è ben gestita, non ci sono certo colpi di scena, ma l’attenzione e il coinvolgimento sono sicuramente pieni. Bravissima, peccato per tutti quegli errori senza i quali saresti stata di sicuro a punteggio pieno. Altro appunto: non ho avuto problemi con i puntini di sospensione^^.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Ginny Weasley ***


SPECIAL DAYS

GINNY WEASLEY

11 agosto 1992

la Tana

13.00

Non vedevo l’ora di compiere undici anni: all’epoca, mi sembravano tantissimi, una meta quasi irraggiungibile che aspettavo con ansia. Beh, era normale no? Come la piccola di casa, ho visto tutti e sei i miei fratelli arrivare a quell’età e poi andarsene ad Hogwarts a studiare la magia, dove anch’io morivo dalla voglia di andare. Ogni anno, fin da quando Bill aveva cominciato, io rimanevo sulla banchina del binario nove e tre quarti a guardare uno a uno i miei fratelli recarsi in quel posto che immaginavo meraviglioso e che non vedevo l’ora di vedere con i miei occhi. Il peggio era stato quando un anno fa, anche Ron se n’era andato, lasciandomi da sola con mamma e papà: avevo messo il muso per settimane.

E ora, finalmente, è arrivato il mio turno: undici anni tondi, tondi e meno di un mese al momento in cui sarei approdata ad Hogwarts. Già non sto più nella pelle dall’eccitazione.

Come era prevedibile, mamma l’ha trasformato in un vero e proprio evento, neanche stessi per partire per la guerra invece che compiere semplicemente gli anni. E come era altrettanto prevedibile, Fred e George hanno colto al volo l’occasione per fare l’idioti: nello specifico, eravamo riusciti a salvare la torta un attimo prima che i gemelli la facessero saltare in aria.

In quel momento, mentre io mangio in relativa tranquillità la mia fetta di dolce, quei due stanno cercando di fare indossare a Erroll un tutù rosa, con risultati abbastanza esilaranti: ho già rischiato diverse volte di strozzarmi con un boccone andato di traverso, visto che non riesco a trattenere le risate.

"Disturbo?".

Il mio cuore manca un battito, per poi saltare da qualche parte sotto le mie corde vocali e prendere a battere a tripla velocità.

Mi volto, cercando di stamparmi in volto un sorriso e sperando che non mi esca invece una smorfia. Harry, detto altresì il migliore amico di mio fratello, detto altresì il ragazzo più carino del mondo, mi guarda con un sopracciglio inarcato.

"No… no…" riesco alla fine a balbettare, dopo averlo fissato come un ebete per due minuti buoni. "Prego, siediti".

Mi faccio goffamente di lato, offrendogli il posto accanto a me sullo scalino su cui sono appollaiata… Offerta che lui accetta prontamente con un sorriso, provocandomi un mezzo scompenso cardiaco.

La parte ancora senziente del mio cervello mi invita caldamente a dire qualcosa, qualunque cosa, prima che lui cominci seriamente a pensare che sono un’idiota completa, ma il resto (e al momento è la parte predominante) è impegnata a pensare quanto sia carino con indosso la maglietta dei Cannoni di Chudley che Ron gli ha prestato (per quanto quell’arancione sgargiante non starebbe bene a nessuno). Ma credo che a questa parte del mio cervello Harry piacerebbe anche se indossasse il tutù rosa dei gemelli.

Oltretutto, con lui così vicino, comincio ad avere serie difficoltà a ricordare come si respira, perciò direi che parlare è fuori discussione.

"Ma fanno sempre così?".

Ci metto diversi secondi a capire che si sta rivolgendo a me (e a chi se no, scema?, mi rimbrotta la mia parte senziente), altrettanti per capire a chi si sta riferendo e anche di più per formulare un risposta semi coerente. A questo punto, probabilmente lui nemmeno si ricorda più la domanda che mi ha posto e penserà che sono una ritardata mentale.

Apro comunque la bocca, nella speranza che ne esca qualcosa di intelligente (speranza vana).

"Oh, beh sì, quasi sempre" farfuglio, torturando con la forchetta i resti della mia fetta di torta (la fame mi è ormai completamente passata). "Vogliono sempre essere la centro dell’attenzione… Sì, cioè, ecco… Fred e George sono fatti così, non è che la cosa mi dia fastidio… Nel senso, ci sono abituata…".

A questo punto, la parte senziente mi suggerisce di chiudere la mia farneticazione senza né capo né coda: così ammutolisco, divento rossa come un papavero e abbasso bruscamente lo sguardo sulla mia torta martoriata. Non arrossire, non arrossire, non arrossire… Ma che me lo ripeto a fare, visto che mi sento già le guance in fiamme? Di certo potrebbero fare concorrenza ai miei capelli… Il suo sguardo, che mi sento puntato addosso, non mi aiuta certo a calmarmi: sono più che sicura che mi consideri un’idiota fatta e finita. Ora che ci rifletto, questo è probabilmente il discorso più lungo che gli abbia mai rivolto da quando è arrivato alla Tana… Il che non depone a mio favore.

"Ehi Harry, vieni un attimo?".

Ron lo chiama e io mentalmente lo ringrazio perché mi salva dal fare ulteriori figuracce. Harry si alza, facendomi un veloce cenno con la testa e guardandomi decisamente perplesso, e si dirige verso il suo amico.

A questo punto, mi viene voglia di prendermi a calci da sola. Ma perché non posso istaurare una conversazione coerente con lui? Perché tutte le volte che mi parla non riesco a formulare un solo pensiero razionale? Sono proprio cretina…La parte senziente è pienamente d’accordo su questo punto, anzi mi suggerisce di alzarmi e andare a parlargli: un discorso vero, stavolta. Fortunatamente, decido di aver già fatto il pieno d’umiliazioni per oggi e di non darle retta: molto meglio continuare ad ammirare da lontano… Chissà, magari dopo potrei sfogarmi un po’ su quel diario bianco che ho trovato in uno dei libri di scuola…

11 agosto 1995

Grimmauld Place n°12

15.00

Sono una cretina, è ufficiale. Come se a qualcuno fosse rimasto qualche dubbio…, ridacchia la metà senziente, che da quando la mia cotta per Harry ha raggiunto livelli che rasentano l’ossessione vive praticamente di vita propria.

Sì, ma stavolta non c’erano dubbi che avessi superato tutti i record… Insomma, lui mi voleva solo fare gli auguri, in fondo è il mio compleanno, è normale, no? Me li aveva già fatti praticamente tutto l’Ordine, parecchi con tanto di regalo. E io avevo ringraziato e sorriso… Sarebbe stato tanto difficile farlo anche con lui? Evidentemente sì, visto che appena Harry mi aveva rivolto la parola, il mio cervello aveva pensato bene di chiudere bottega e partire per le Barbados (grazie mille, eh!) e mi ero così ridotta al solito esserino patetico e balbettante e non ero praticamente riuscita a spiccicare parola.

Finché ovviamente, per preservare quel briciolo di dignità che ancora mi restava, la metà senziente (o i quei pochi neuroni ancora funzionanti di essa) mi avevano suggerito di filarmela più veloce della luce.

Ed così eccomi qua, rintanata in un allegro bagno che è più probabilmente un ricettacolo di malattie infettive e batteri, con una voglia matta di prendere a testate il muro. O magari affogarmi nella vasca: o mi uccide quello o la poco rassicurante muffa nerastra che prolifera vicino allo scarico… Ma lo userà qualcuno questo bagno? Spero vivamente di no…Sii ragionevole, cerca di farmi ragionare la parte senziente. Pensi sul serio che prenderti qualche orrenda infezione mortale sia la soluzione ai tuoi problemi?Probabilmente no: se proprio devo morire, preferisco qualcosa di meglio della peste nera o qualcosa del genere…

"Ginny, sei lì dentro?". Hermione bussa discretamente alla porta, chiedendomi il permesso di entrare.

"Vieni pure, Hermione" le rispondo.

"Ginny, stai bene?" mi domanda, dopo essersi chiusa la porta alle spalle e aver dato un’occhiata vagamente disgustata all’ambiente. "Di sotto, sono tutti preoccupati…".

"Certo che sto bene, mai stata meglio. Perché non dovrei stare bene? Sto benissimo, grazie, al massimo della forma…".

Hermione mi guarda con tanto d’occhi mentre la mia bocca ingrana il pilota automatico e comincia a sparare parole a raffica. "Ok, ok, hai reso il concetto" mi interrompe alla fine. "Prendi fiato: stai diventando blu".

Seguo subito l’ottimo consiglio, accontentando il miei polmoni affamati d’aria.

"E ora, seriamente" torna all’attacco Hermione. "Vogliamo parlarne?".

"Di che?".

"Di te e della tua cotta per Harry, ovvio" sbuffa lei, seccata.

Ahi, beccata. "Non gli dirai niente, vero?" balbetto, preoccupata, mentre divento rossa (ormai, è un abitudine consolidata per me).

"Dire cosa a chi?" fa Hermione, ridacchiando. "Ginny, Harry su queste cose è abbastanza lento, ma nemmeno lui è così lento da non essersene accorto…".

Già, proprio le parole che temevo di sentire: ormai manca giusto un’inserzione sulla Gazzetta del Profeta per pubblicizzare la cosa a tutto il mondo. Ma del resto, perfino i mobili e i sassi devono averlo capito da un pezzo… Grande!

"Crederà che sono una povera stupida, vero?" domando, rassegnata, lasciandomi cadere sul pavimento, prendendomi la testa tra le mani e fregandomene altamente dei germi.

"Chi, Harry?". Hermione ride, mentre si siede al mio fianco. "Ginny, non ti ha mai quasi sentito pronunciare una parola: come può pensare che sei stupida?".

"Appunto perché quando c’è lui nella stanza, io ammutolisco e tendo a cacciarmi in situazioni che mi fanno desiderare di sprofondare… Perché deve farmi questo effetto?".

"Immagino perché sei cotta come una pera… Di solito, succedono di queste cose parlando con il ragazzo che ti piace…".

"Che gran fregatura!" borbotto. "In altre parole, io e Harry abbiamo più o meno le stesse probabilità di mettersi insieme di Sirius e Piton…".

La mia amica mi guarda accigliata. "Io non sarei così drastica al posto tuo…".

"Hermione, se non riesco a parlarci, non in modo civile, mi spieghi come potremmo mai metterci insieme? Senza contare che non sono poi così sicura che lui non mi consideri un’idiota totale…".

"Harry nemmeno ti conosce: non ne ha mai avuto la possibilità, visto che fra vuoi c’è poco o zero dialogo, più che altro per colpa tua…".

"Ehi, grazie" protesto, pur sapendo perfettamente che è la verità: se tra me e Harry non c’è un futuro, è solo e soltanto colpa mia e della mia timidezza nei suoi confronti. "Secondo te, che dovrei fare?" domando, nella speranza di ricevere un consiglio più utile di quelli della parte senziente, che non si sono mai rivelati particolarmente efficaci.

Hermione ci pensa su un attimo. "Dovresti cercare di fargli conoscere la vera Ginny… Il che implica cominciare a parlare in sua presenza…".

"Tanti auguri allora: non ci riuscirò mai…".

"Sì, invece… Prova a concentrarti su qualcun altro: esci con altri ragazzi, dimenticati di Harry per un po’, lascialo proprio perdere. Vedrai che così riuscirai a vincere la timidezza…".

Ci rifletto sopra: come suggerimento non è male. Come si dice, l’oceano è pieno di pesci: forse mi avrebbe fatto bene guardarmi un po’ intorno. Di certo non mi avrebbe fatto male pensare a qualcuno che non fosse Harry… E chissà, magari così, lui si accorgerà di me.

"Grazie, Hermione: penso che seguirò il tuo consiglio".

"Non c’è di che. Ora possiamo uscire? Sento la mia vita accorciarsi per ogni secondi che passo seduta su questo pavimento!".

Sì, tutto sommato ha ragione, penso, scattando in piedi schifata. E poi mi attraversa un altro pensiero: in fondo, se siamo in vena di confidenze…

"Ma cambiando argomento, che mi dici di te e Ron?".

La vedo arrossire e per poco non inciampa in una piastrella sconnessa. "Io e Ron?" ripete, con voce un po’ troppo acuta. "Cosa c’entriamo io e Ron adesso?".

"Oh, nulla" ridacchio, mentre la seguo in corridoio. "Pensavo solo…".

"Beh, qualunque cosa tu pensassi, è sbagliata" mi zittisce lei con forza. "Ora torniamo di sotto, prima che ci diano per disperse…".

Annuisco e mi avvio dietro di lui, in modo che non veda il mio sorrisetto compiaciuto: a quanto pare, non sono l’unica ad avere problemi di cuore…

11 agosto 1997

la Tana

11.00

Questo è sicuramente il compleanno peggiore della mia vita! Ma compio davvero sedici anni oggi? In tutta sincerità, non me ne frega proprio nulla: tra quindici e sedici non c’è poi questa grande differenza e io resto depressa in entrambi i casi… Depressa? No, depressa non rende decisamente l’idea del mio stato d’animo: sono preoccupata a morte, terrorizzata, sull’orlo della pazzia… ecco, questo sì che descrive come mi sento oggi: decisamente non i tipici sentimenti che accompagnano il tipico sedicesimo compleanno di una tipica adolescente.

Ma credo che ormai quella parvenza di normalità che la mia famiglia conservava sia andata definitivamente a farsi benedire, più o meno nel momento in cui i Mangiamorte hanno seminato il terrore al ricevimento di nozze di mio fratello e un altro fratello è sparito dalla circolazione, accompagnato dai suoi migliori amici: niente saluti, niente biglietti, niente messaggi, niente di niente… Ovvio visto che ci sorvegliano: non posso rischiare di farsi rintracciare, ovunque siano…

Ciò non toglie che mamma si stia letteralmente consumando nella preoccupazione al pensiero che Ron possa essere chissà dove, magari morto o ferito, come Harry e Hermione… Viva la positività! È talmente preoccupata che a malapena oggi mi ha fatto gli auguri… Non che me ne importi: ho ben altri pensieri per la testa, è già tanto se io mi sono ricordata che oggi è il mio compleanno…

Come faccio a concentrarmi su quisquilie del genere quando uno dei miei fratelli è disperso chissà dove e con lui due dei miei migliori amici…Ma a chi vuoi darla a bere, Ginevra Weasley?, mi apostrofa la parte senziente. Quanto vorrei scoprire come liberarmene: ormai le manca giusto il nome per essere un’entità a sé stante… il che probabilmente la dice lunga sulla mia sanità mentale! Harry è ben più di un amico per te… Vi siete sbaciucchiati accanto a quel letto non meno di dieci giorni fa!Già, grazie per avermelo ricordato. È davvero incredibile, sto più male adesso che Harry ricambia i miei sentimenti che quando non riusciva a spiccicare parola in sua presenza… Forse perché al momento il mio ex fidanzato è impegnato a salvare il mondo magico e non ho idea di se, quando e come tornerà da me… Non sono nemmeno riuscita a salutarlo come si deve: dopo il "piccolo incidente al suo compleanno, non ci siamo più parlati e il giorno dopo ha preso il volo insieme a Ron e Hermione, per andare a compiere la loro segretissima missione che mamma ha cercato in tutti i modi di ostacolare…

Sospiro pesantemente, mentre nella solitudine della mia stanza, osservo l’andirivieni degli gnomi in giardino: sono gli unici nei dintorni a non essere stati minimamente toccati dai recenti avvenimenti, perfino i gemelli sono più taciturni del solito in questi giorni.

Chissà che sta facendo Harry in questo momento?, mi domando, trattenendomi a stento dal pensare "il mio Harry". Che non fosse morto ne ero sicura: la Gazzetta del Profeta l’avrebbe annunciato con le trombe nel caso… Ma tra morto e vivo e felice c’è un ampia gamma di inquietanti possibilità. Mannaggia a me, ma proprio del salvatore del mondo dovevo innamorarmi?

"Ehi sorellina, guarda che così consumi il paesaggio…".

Mi volto, trovando Fred e George ai due lati della porta, con un ghigno identico stampato sul viso.

"Come mai quella faccetta triste?" mi domanda Fred.

"Il giorno del proprio compleanno nessuno dovrebbe essere triste…" aggiunge George.

"Non mi pare ci sia granché da festeggiare…" sbuffo, cupa. Forse erano più taciturni, ma erano sempre i soliti…

"Finché c’è vita c’è speranza, Ginny".

"Sei troppo giovane per essere così cinica, sorellina".

"Di questi tempi, non si è mai troppo giovani per essere cinici, con tutto quello che succede là fuori…".

Fred e George inarcano con perfetto sincronismo il sopracciglio sinistro. "Lasciaci indovinare…" comincia George.

"… ti riferisci per caso a un certo ragazzo dagli occhi verdi che…".

"… in questo momento sta rischiando la vita chissà dove, accompagnato solo da due giovani da un’aggraziata fanciulla e un giovane dalla dubbia utilità?".

Ecco, lo sapevo, adesso arrossisco: ma perché il mio corpo mi deve tradire nei momenti meno indicati? Decido rapidamente di svicolare la domanda nella speranza che perdano d’interesse. "Questa cosa di finirvi le frasi a vicenda è molto irritante, lo sapete?".

"Certo, per questo ci diverte tanto!".

"Ma tu hai evitato la domanda, Ginny!".

Sarebbe stato troppo facile. Ma pensavo sul serio di poterla fare a questi due? "Io non mi riferivo affatto a Harry: parlavo della situazione in generale…".

"Già, già, sicuro…".

"… Perché non sei affatto preoccupata per il tuo fidanzato, vero?".

"Io e Harry ci siamo lasciati, nel caso ve lo foste dimenticato… Non è bello infierire…".

Per una volta, mi guardano con espressione seria, raggiungendomi al davanzale della finestra. "Sorellina, tu e Harry vi siete lasciati per colpa di circostanze concomitanti…" osserva George.

"Appena la guerra sarà finita, tornerà da te implorandoti di riprenderlo…".

Nel caso, non dovrà implorare tanto: dipendesse da me, tornerei con lui anche seduta stante. Ma ovviamente, non posso fare a meno di fare l’avvocato del diavolo.

"E se non tornasse? Se non tornasse proprio?".

"Allora Tu-Sai-Chi avrebbe vinto, e questo sarebbe l’ultimo dei tuoi problemi… Ma non accadrà…".

"Non può accadere…" afferma Fred.

Bastassero le buone intenzioni, avremmo già vinto questa guerra da un pezzo. "Secondo voi stanno bene? Harry, Ron e Hermione?" domando, guardando fuori dalla finestra come se sperassi di ricevere una risposta dagli alberi.

"Ma certo che stanno bene!" esclama George con forza.

"Quei tre sono dei duri: non si fanno mica mettere K.O. dai Mangiamorte in nove giorni… Saranno da qualche parte a elaborare la prossima mossa…".

"Quando sentiremo in giro di qualche disordine o casino, sta tranquilla che ci sarà il loro zampino!".

"Vorrei avere la vostra fiducia…" sospiro.

A quel punto, mi prendono per le spalle, una ciascuno. "Devi aver fiducia, Ginny…".

"È difficile, ma non possiamo fare altro che stringere i denti e andare avanti comunque…".

"Vedrai che tra un anno a quest’ora sarà tutto finito e rideremo insieme di queste paranoie: immagina…".

"… Tu e Harry seduti di fronte a un tramonto a bere

"… Con noi dietro che vi tiriamo un paio di gavettoni ad acqua!".

Impossibile trattenersi, l’allegria dei gemelli è contagiosa: scoppio in una sonora risata di cuore. Mi rendo rapidamente conto che era proprio quello di cui avevo bisogno per pensare positivo: Fred e George hanno ragione, tutto si risolverà per il meglio, presto andrà tutto a posto…

"Grazie ragazzi" mormoro, stringendoli in un abbraccio che loro ricambiano con un sorriso.

LYRAPOTTER’S CORNER

E voilà, seghe mentali a gogo, devo dirlo, questo capitolo è stato facile e divertente da scrivere. Ho cercato di pescare i momenti salienti del modo in cui Ginny vede la sua relazione con Harry, spero di aver fatto un buon lavoro. Ovviamente a voi, l’ardua sentenza.

Grazie per i loro commenti a

hermy101

erigre, per rispondere alla tua domanda, le date a cui faccio riferimento le ho trovate a questo link: i curatori del sito le hanno a loro volta riprese dal sito ufficiale della Rowling, perciò sono canon. Quella della battaglia di Hogwarts invece, l’ho scovata sul HP-lexicon, praticamente la mia bibbia di potteriano, davvero utile e ben fatto.

salkmania22

Deidara

Bon, vi saluto, ci sentiamo al prossimo appuntamento, il 22/08, per il compleanno di un altro Weasley, Percy.

 A presto, bacibaci!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Percy Weasley ***


SPECIAL DAYS

PERCY WEASLEY

22 agosto 1991

La Tana

Inghilterra

15.00

"Ridatemela, piccoli mostri!".

Al grido carico di rabbia fecero eco soltanto delle sonore, divertite risate.

Da un punto imprecisato della casa giunse una voce carica di scherno in risposta. "Vientela a prendere, se ci riesci!". E giù altre risate.

Percy imprecò sonoramente, maledicendo i fratelli minori: più Fred e George crescevano, più peggioravano, cosa che Percy aveva sempre ritenuto impossibile. Già da bambini, i gemelli erano delle pesti senza il minimo freno, ma diventando adolescenti avevano perso qualunque senso della misura: sembravano considerare sprecato ogni secondo che non trascorrevano a mettere in pratica qualche scherzo o in alternativa a tramare l'ennesima scorribanda.

Nemmeno quel giorno avevano voluto lasciarlo in pace: poco c'era mancato che la sua torta di compleanno saltasse in aria (uno scherzo particolarmente gettonato, visto che la settimana prima quella di Ginny aveva rischiato di fare la stessa fine), salvo essere salvata in extremis da Molly; e ora gli avevano rubato la sua nuova, fiammante spilla da prefetto: erano un puro concentrato di perfidia, quei due!

Che il diavolo se il porti, quei due!, pensò, mentre irritato usciva dalla sua camera sbattendo la porta e si lanciava all'inseguimento dei gemelli, i quali, dal canto loro, parevano spariti nel nulla.

"Fred, George, dove diamine vi siete cacciati?".

Un tetro silenzio fu la risposta, probabilmente la peggiore di tutte: se i gemelli tacevano, di lì a poco sarebbe scoppiato il finimondo.

In compenso, mentre ribolliva come una teiera, la faccia di Ron sbucò dalle scale. "Che hai da urlare? Fai tremare tutta la casa!".

"Hai visto i gemelli?" domandò Percy, invece di rispondere alla provocazione.

Il ragazzino si strinse nelle spalle. "Boh, forse sono scesi... Qui non sono! Chiedi a Ginny o a mamma o a Charlie".

Detto questo si ritirò di nuovo nella sua camera: Percy non poteva esserne certo, ma avrebbe giurato che Ron stava ridacchiando.

A volte si sentiva davvero un estraneo in quella casa!

Mentre scendeva le scale diretto al piano terra, incrociò Ginny che veniva dalla direzione opposta, con un bicchiere di succo di zucca in mano.

"Ginny, hai...".

"No" lo interruppe secca la bambina, in tono irritato. Non era un mistero il perchè fosse di così cattivo umore: di lì a pochi giorni sarebbe cominciato un nuovo anno ad Hogwarts e lei, con i suoi dieci anni appena compiuti, era ancora troppo piccola per seguire i fratelli.

"Come fai a sapere cosa volevo chiederti?" la rimbeccò Percy, scocciato.

"Volevi sapere dove stanno Fred e George" sghignazzò le, lasciandolo spiazzato. "Si sentono le tue urla in tutta la casa" spiegò. "Comunque, non lo so davvero dove sono...".

"Ne sei sicura? è importante".

Ginny inarcò un sopracciglio, con aria curiosa. "Che ti hanno fregato per scatenare questa reazione, eh, Perce?".

"La mia spilla nuova".

Ginny trattenne a stento un risolino, mentre il suo viso si illuminava di comprensione: tipico di Fred e George, considerato che Percy teneva a quella spilla più che alla sua stessa vita!

"Ah, capisco... Credo di averli scorti in giardino: fuori hai guardato?".

"Grazie, Ginny" le disse Percy riconoscente, facendo per avviarsi.

Ginny lo richiamò indietro. "Se vuoi un consiglio, evita la cucina: mamma e Charlie litigano di nuovo...".

Percy fece una smorfia: a quanto pareva Molly era decisa a perorare quella causa persa fino in fondo. Infatti, quando passò davanti alla porta della cucina, sentì le voci di sua madre e suo fratello, impegnati nell'ennesima disputa.

"Ma è così lontano..." stava dicendo Molly.

Charlie sbuffò di esasperazione: era almeno la milionesima volta che sosteneva quella conversazione e ormai era davvero stufo marcio. "Mamma, Bill si è trasferito addirittura su un altro continente quando è stato assunto dalla Gringott come Spezzaincantesimi... Io mi sto limitando all'Europa dell'Est!".

"Bill non andava mica a fare il domatore di draghi!" stridette Molly. "E non è che fossi proprio entusiasta quando lui è partito per l'Egitto... Ma perchè non puoi andare a lavorare al Ministero come tuo padre? All'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche?".

Percy avrebbe potuto scommettere che la faccia di Charlie a questa proposta fosse non meno che disgustata: Charlie, a lavorare al Ministero, questa poi, lui che amava tanto l'aria pura e stare all'aperto.

"Non voglio ammuffire dietro una scrivania, mamma!" protestò infatti con forza il ragazzo. "Non è quella la vita che fa per me, anche se tu lo vorresti. Voglio un lavoro attivo, che mi faccia sudare all'aria aperta...".

"Ma perchè proprio con i draghi?" quasi piagnucolò Molly con voce tremula. "Con tutte le creature magiche che ci sono al mondo...".

"Perchè mi hanno offerto questa opportunità, mamma! Sai a quanti maghi appena diplomati hanno mai presentato un'occasione del genere? Con tutto quello che il professor Kettleburn ha fatto per me, non potrei mai rinunciare...".

"Ti farai uccidere! Ti farai arrostire da uno di quei mostri alati che ti ostini a vedere come cucciolotti troppo cresciuti!".

"Io non ho la minima intenzione di cambiare idea, mamma, checché tu ne dica" dichiarò Charlie in tono freddo. "Papà mi ha già dato la sua benedizione, vorrei avere anche la tua, ma in ogni caso la prossima settimana partirò per la Romania".

"Charlie…" cominciò a dire Molly, ma il suo secondogenito la interruppe. "No, mamma, ora basta: ho ascoltato le tue ragioni per tutta l’estate, ora sono stanco. Sono cresciuto e posso decidere da solo per la mia vita".

Detto questo, si alzò e uscì dalla cucina, andando quasi a sbattere contro Percy, ancora dietro la porta ad ascoltare il litigio.

Charlie lo guardò ridacchiando, con un sopracciglio inarcato. "Che fai, ti metti a origliare come i gemelli? Credevo fossi uno che rispetta le regole!".

Percy avvampò di rabbia e indignazione. "Io non origliavo: passavo di qui per caso… Hai visto Fred e George?".

"Sono andati fuori una decina di minuti fa: credo che fossero diretti alla rimessa delle scope… Ehi, dove vai?".

Perché Percy, al sentire le parole fuori e scope, era già partito in quarta: che volevano fare quei due decerebrati con la sua spilla?

Gli bastò uscire in giardino per scoprirlo. All’inizio pensò che i gemelli avessero preso le scope fossero volati chissà dove, poi sentì le loro risate provenire da qualche parte sopra di lui. Alzò lo sguardo ed eccoli lì tutti e due, appollaiati sul tetto, che ridevano di gusto esibendo la spilla come fosse stata un trofeo.

"Ridatemela!" gridò Percy, furibondo, agitando un pugno nella loro direzione.

"Vieni a prenderla se la vuoi" gli intimò Fred, sventolandola davanti a lui.

"È mia e la rivoglio!" insistette ancora il neo prefetto.

"Noi non ci muoviamo da qui" gli assicurò George. "Se rivuoi indietro la tua preziosa spilla, tutto quello che devi fare e prendere una scopa e venire qua su a prenderla".

Percy si sentì ribollire di rabbia: i gemelli l’avevano fatto apposta ovvio. Sapevano che lui non era un granché a volare, anzi soffriva pure un po’ di vertigini, perciò erano certi che non avrebbe mai avuto il coraggio di andare fin lassù. E anche se l’avesse fatto, niente gli garantiva che quelli non sarebbero scappati: erano molto più bravi di lui a cavallo di una scopa. E Percy non dubitava che sarebbero potuti rimanere lì anche tutto il giorno, forse addirittura di più, se la mamma non li costringeva a scendere.

Doveva andare a chiedere aiuto a Molly? Ma poi Fred e George l’avrebbero preso in giro perché andava a nascondersi come un poppante dietro le sottane di mammina. E avrebbero pure avuto ragione: a quindici anni compiuti doveva essere capace di cavarsela anche da solo.

Ma come poteva fare?

"Allora, Perce?" lo schernì Fred. "Hai cambiato idea?".

"Ci sta crescendo la barba mentre aspettiamo!".

Percy stava appunto considerando l’idea di tirargli contro un sasso o qualcosa del genere, anche se con la sua fortuna come minimo avrebbe rotto una finestra, quando intervenne una voce alle sue spalle. "Che sta succedendo qui?".

Percy si voltò, trovandosi di fronte Charlie, che lo fissava genuinamente incuriosito. "Mi hanno rubato la spilla!" esclamò il ragazzo, senza riuscire a trattenersi. "Quella da Prefetto… E non vogliono ridarmela!".

Charlie rivolse la sua attenzione ai gemelli sul tetta. "Ragazzi, cos’è questa storia?".

"Oh, andiamo Charlie: è solo uno scherzo, Percy la butta già troppo tragica!".

"Noi gliela ridiamo quando verrà a prendersela!".

"Lo sapete che soffre di vertigini" obiettò Charlie. "Avanti, restituitegli quella spilla!".

"Col cavolo, mica sei il nostro capo!".

"Se la vuole così tanto, può benissimo prendere una scopa dalla rimessa e venire quassù".

Percy rivolse loro un’occhiata infuocata, preparandosi a rispondere a tono, ma Charlie, con uno sbuffo irritato, lo precedette. "D’accordo, volete giocare così? Volete che venga io sul tetto a risolvere la faccenda? Tanto lo sapete che vi batto: volo più veloce di voi due messi insieme!".

"Sentilo, come si vanta" ridacchiò George. "Solo perché ha vinto qualche coppa di Quidditch…".

"Ed era capitano della squadra…".

Ma entrambi adesso erano più dubbiosi: per quanto non volessero ammetterlo a parole, sapevano che Charlie era davvero più bravo di loro a volare.

"Dai" continuò a blandirli il ragazzo. "Lo scherzo è bello quando dura poco: buttate giù quella spilla da Prefetto: tanto voi che potete farci? Oggi è pure il suo compleanno…".

I gemelli si scambiarono un’occhiata indecisa.

"Avete tre secondi" proseguì Charlie, implacabile. "Poi vengo su io a risolvere le cose… Oppure, potrei scrivere a Baston per dirgli che in fondo non meritate di restare Battitori della squadra…".

Stavolta colpì nel segno: Fred e George adoravano giocare nella squadra di Quidditch di grifondoro. Anche se non potevano vederlo chiaramente per via della distanza, Percy era pronto a scommettere che le loro facce erano no n meno che orripilate alla prospettiva. "Non oseresti" sibilò Fred.

"E nemmeno Baston…".

"Io e Oliver abbiamo giocato insieme tre anni" cinguettò Charlie, divertito. "Sono pronto a scommettere che sarebbe più pronto a seguire il mio consiglio piuttosto che il vostro…".

Passarono alcuni minuti, mentre i gemelli parlottavano tra loro, mentre Percy aspettava con ansia il responso.

Alla fine Fred, con una smorfia di insoddisfazione, disse: "Giochi sporco, Charlie!".

"Mi adeguo alle circostanze" fu la calma risposta dell’altro.

Poi George lanciò la famosa spilla di sotto: Charlie, con i suoi riflessi da Cercatore, la prese al volo senza sforzo, per poi porgerla al fratello minore al suo fianco.

"Grazie Charlie".

"No problem… Non dovresti dare tanta importanza a quello che fanno quei due: vederti sbraitare è metà del divertimento".

"Ma è la mia spilla!" protestò Percy, battendo il piede in terra: possibile che nemmeno lui capisse? "È mia e loro me l’hanno rubata!".

"È solo una spilla" obiettò Charlie. "Resti un prefetto anche se quei due la spediscono sulla luna… Sai quante volte hanno rubato la mia spilla da Capitano? Le scenate isteriche non servono a nulla!".

"Lascia perdere: tu non capisci!" sbuffò Percy per poi girarsi e correre di nuovo in casa.

Che c’era di così difficile? Era la sua spilla e Fred e George gliela avevano rubata! Non aveva forse il diritto di riaverla indietro? Di pretendere di averla indietro? Erano i gemelli quelli dalla parte del torto, eppure Charlie sembrava quasi aver rimproverato lui!

Perché nessuno in quella casa sembrava mai capirlo?

22 agosto 1996

Londra

18.15

Percy Weasley rientrò a casa con uno sbuffo, stanco morto. Quella giornata era sembrata durare in eterno, con tutto quello che era successo in ufficio.

Che giornata infernale, pensò, mentre si sfilava il mantello e lo gettava senza troppi complimenti sul divano: tanto viveva da solo, a chi poteva dar fastidio? A Hermes?

Percy si guardò in girò in cerca del suo gufo, ma il trespolo dell’animale era vuoto: doveva già essere uscito a caccia, malgrado fosse ancora abbastanza presto.

Tuttavia, andando in cucina, pensando a cosa potesse mangiare per cena, trovò una lettera ad aspettarlo sul tavolo. Doveva essere arrivata durante la giornata, perché quella mattina non c’era.

Prima ancora di aprirla, Percy seppe di chi era, riconoscendo la calligrafia sulla busta. A quanto pareva, nonostante tutto, sua madre gli aveva comunque voluto scrivere per il suo compleanno.

Percy se ne sentì un po’ stupito: dopo il natale dell’anno prima, quando aveva rispedito indietro il maglione alla Weasley che Molly gli aveva mandato (poi se ne era in parte pentito: in fondo su madre c’entrava in minima parte nel litigo che l’aveva allontanato dalla famiglia), non aveva più avuto la minima notizia da uno qualunque dei suoi parenti. L’unico contatto che aveva avuto erano gli incontri casuali con suo padre al Ministero, quando entrambi fingeva freddamente di non conoscersi.

Ma a quanto pareva, quel giorno la buona Molly non poteva passarlo sotto silenzio.

Percy sospirò, indeciso se aprire la busta o no: era il secondo compleanno che passava da solo, senza la sua famiglia, senza gli abituali festeggiamenti targati Molly Weasley, senza torta fatta in casa…

L’anno prima, la rottura con i suoi era ancora talmente fresca che non gliene era importato nulla. Oltretutto, allora credeva di essere dalla parte del giusto, che fossero i suoi genitori a sbagliare…

Ma adesso, a un anno di distanza, le cose erano cambiate: aveva scoperto di essere stato lui nel torto, quando non aveva voluto credere a Harry Potter e Silente e si era affidato alla versione del Ministero sul ritorno di Tu-Sai-Chi. Eppure non aveva voluto fare il primo passo per riavvicinarsi, sapendo bene che probabilmente Molly avrebbe avuto bisogno di tutta la famiglia vicino con i tempo che correvano.

Ma non aveva voluto, non aveva potuto andare a chiedere perdono e fare come se nulla fosse successo: troppo orgoglio, anche se nemmeno lui lo voleva ammettere con sé stesso. Preferiva continuare a ripetersi che tanto non sentiva la mancanza dei suoi genitori e dei suoi fratelli, anche se quella era una mezza bugia. Ma di certo lui a loro non mancava, tranne forse a Molly: i suoi fratelli non l’avevano mai potuto sopportare, di certo stavano meglio senza di lui tra i piedi. Al massimo, Fred e George potevano sentire la mancanza del loro bersaglio preferito!

Riposò la lettera sul tavolo, decidendo di rimandare l’apertura a dopo cena… Tanto, era solo un biglietto d’auguri, cosa poteva esserci scritto di tanto importante?

Stava appunto stappandosi una bottiglia di Burrobirra quando bussarono alla porta.

Chiedendosi chi diavolo potesse essere a quell’ora, Percy andò ad aprire, rischiando di inciampare nel tappeto nell’ingresso. Si stava risistemando gli occhiali di corno sul naso quando spalancò l’uscio e si trovò davanti, con sua enorme sorpresa, suo fratello maggiore, Bill.

Era più di un anno che non lo vedeva, eppure non era cambiato di una virgola: stessi capelli lunghi che faceva imbestialire sua madre, stesso look che Percy aveva sempre giudicato come minimo orribile.

I due fratelli restarono a fissarsi sulla porta per diversi minuti di imbarazzato silenzio (cosa dici al fratello con cui non parli da così tanto tempo?), poi Bill, con un sorriso stiracchiato, esordì titubante: "Ciao, Percy: posso entrare?".

Senza sapere cosa dire, Percy si limitò a farsi da parte, lasciandolo entrare. "Bella casa" commentò Bill, guardandosi intorno, mentre Percy lo pilotava verso il salotto.

"Grazie" disse asciutto Percy, lambiccandosi il cervello in cerca di qualcosa di intelligente da dire. Poi decise di fingere che quello fosse un ospite come un altro: come si sarebbe comportato nel caso? "Prego, siediti" riprese, indicandogli il divano color crema. "Vuoi qualcosa da bere? Posso fare un po’ di the, se vuoi…".

Bill scosse il capo, senza nemmeno sedersi o togliersi il mantello. "No, grazie, Percy: sarà una cosa di pochi minuti, a casa mi aspettano per cena".

"Che cosa sei venuto a fare allora, Bill?" domandò Percy, in tono più rude di quanto non intendesse: in fondo, una parte di lui, era davvero felice di rivedere suo fratello.

Lo sguardo di Bill si indurì, interpretando le parole brusche come un segno di ostilità. "Non preoccuparti, non ti disturberò a lungo… In effetti, forse avrei fatto meglio a mandarti una lettera piuttosto che piombarti in casa così, ma non ero certo che l’avresti letta…".

"Cosa devi dirmi di così importante, Bill?".

"Mi sposo" comunicò il ragazzo, con lo stesso tono con cui gli avrebbe chiesto di passargli il sale a tavola.

Percy sgranò gli occhi per la sorpresa. "Sposarti?" ripeté. "Non ne sapevo niente…".

Bill ridacchiò, con aria ironica. "Già, chissà come mai…". Poi lasciò cadere le spalle, scuotendo la testa con fare sconfortato. Si frugò in una tasca interna del mantello e ne cavò fuori una busta, che appoggiò sul tavolino che aveva di fronte. "Il matrimonio sarà l’estate prossima" comunicò. "Questo è l’invito".

Percy guardava quella busta chiusa come se potesse morderlo: di tutto quello che si aspettava, quella possibilità non era nemmeno ventilata. "Bill, io…".

"Non sei obbligato a venire" lo interruppe Bill. "Però almeno pensaci prima di gettare quella busta nel camino". Esitò un istante, come se stesse cercando di dar voce a un concetto particolarmente difficile. "Perché non torni a casa, Percy?" chiese infine. "Manchi a tutti".

Percy emise uno sbuffo di puro scetticismo. "Sì, certo, come no… Forse manco alla mamma, ma non riuscirai mai a convincermi che manco ai gemelli!".

Scoraggiato, la voce di Bill tornò a farsi dura e fredda. "Come ti pare… Nessuno sa che sono venuto, perciò nessuno si dispiacerà se alla fine non verrai: perché tu hai già deciso che non verrai, vero, Percy?".

"Bill, io…".

"Oh, no, capisco: non c’è bisogno che ti giustifichi con me. Vivi la tua vita, Percy, e sii felice, se è questo che vuoi. Spero per te che quando ti deciderai a tornare ci sia ancora qualcuno pronto ad aprirti la porta… Non disturbarti ad accompagnarmi: troverò la strada anche da solo!".

Detto questo, girò sui tacchi e se ne andò. Come un automa Percy lo seguì sulla porta. Prima di uscire, Bill parve quasi ripensarci, esitò un istante, si voltò e disse: "A proposito, buon compleanno, Perce".

Con questo, chiuse la porta: in meno di cinque secondi, fu come se non ci fosse mai stato. Non fosse stato per quella busta chiusa sul tavolino del salotto.

Percy la squadrò come si squadrerebbe una bestia pronta ad azzannarti alla gola. Ma cosa voleva Bill da lui? Non poteva mica presentarsi alla Tana come se nulla fosse successo e mettersi a tavola con tutta la famiglia! Non dopo tutto quel tempo!

Ormai tra lui e il resto del clan Weasley correva un abisso: Percy sapeva, almeno incosciamente, che spettava a lui il primo passo per richiuderlo, ma dubitava che sarebbe mai riuscito a compierlo…

No, la sua famiglia era perduta.

Prese la busta ancora sigillata e la sbatté in fondo all’ultimo cassetto del mobile più vicino, sperando di dimenticarsi della sua esistenza. La stessa sorte toccò alla lettera d’auguri che gli aveva spedito sua madre.

Poi tornò a pensare alla sua cena, relegando in un angolo della sua mente la confusione e il turbamento che il colloquio con Bill gli aveva portato.

LYRAPOTTER’S CORNER

Eccoci qua, miei fedeli. Scusate il ritardo, ma sono rientrata solo ora da una rilassante settimana in montagan. Premetto che il personaggio di Percy mi piace poco assai, come quasi a tutti del resto, credo: per superare l’ostacolo ho cercato di equilibrare cacciandoci dentro gli altri sei Weasley, di cui mi risulta più facile scrivere. Questo per dirvi che non sono sicura del risultato: io ho cercato al meglio di rendere i pensieri e le emozioni di Percy nelle due situazioni descritte, poi a voi l’ardua sentenza come sempre.

Grazie per i loro commenti a

Deidara

dirkfelpy89

erigre

prossimo appuntamento tra quasi un mese, 19/09, per l’ultimo componente del magico trio, Hermione.

Commentate numerosi, see you soon!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Hermione Granger ***


SPECIAL DAYS

HERMIONE GRANGER

19 settembre 2004

Ministero della Magia

12.00

Hermione sfogliò con aria depressa il fascicolo che aveva davanti. Avrebbe dovuto essere felice, lo sapeva bene: dopo mesi di dura lotta, finalmente il nuovo decreto per la tutela dei diritti degli Elfi stava per passare. Praticamente era il culmine di tutta la sua carriera lavorativa, visto e considerato che da quando era stata assunta all’ Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche non aveva fatto altro che lavorare per raggiungere quel risultato: il nuovo decreto l’aveva vergato lei da cima a fondo. In teoria avrebbe dovuto esserne immensamente soddisfatta: avere alla sua età la firma su un documento di questa portata era un successo non da molti.

E in altre circostanze ne sarebbe stata sicuramente più che eccitata, per non dire euforica… Ma non ce la faceva proprio a gioire per il suo salto di carriera (il ministro Shacklebolt le aveva fatto chiaramente intendere che se tutto andava a buon fine avrebbe ricevuto una promozione di lì a breve) quando la sua vita privata stava andando allegramente a rotoli!

O per essere più precisi, la sua vita sentimentale stava andando a rotoli: sì, perché Hermione era più che convinta che Ron, il suo fidanzato, stesse solo aspettando il momento buono per mollarla. Erano giorni che Ron a malapena le parlava, ogni volta che si vedevano era perennemente distratto e con la testa altrove. E i loro appuntamenti avevano raggiunto una brevità che aveva del vergognoso!

Non si era nemmeno degnato di farle gli auguri per il suo compleanno… anzi, non si era nemmeno degnato di passarla a salutare: di solito facevano colazione o pranzavano insieme. Chissà, magari se n’era pure dimenticato…

Sì, Ron la voleva scaricare e stava solo cercando di raggranellare il coraggio necessario per dirglielo.

Stupido Weasley!, pensò, mentre chiudeva il fascicolo e lo sbatteva con un gesto stizzito in un angolo della scrivania. Riesci sempre a complicarmi la vita! Le mie preoccupazioni per te mi stanno pure rovinando questo giorno!

Si passò una mano sugli occhi: per compensare la sua relazione al tracollo si era buttata a capofitto nel lavoro, cercando, senza troppo successo, di scacciare il pensiero di Ron dalla sua mente. Fosse facile: lei la amava, quella testaccia di legno, stavano insieme da cinque anni e mezzo, ormai, non riusciva a immaginare la sua vita senza di lui.

Forse dovrei parlarne con Harry, si disse. Di certo lui saprà che passa per la testa del suo migliore amico.

Sì, certo… Ma non era nemmeno sicuro che Harry glielo avrebbe detto, nel caso: patti tra uomini, reciproca alleanza e Merlino solo sa cos’altro. Poco importava se lei era la sua migliore amica: se Ron gli aveva fatto una confidenza, se la sarebbe portata nella tomba.

Beh, del resto anch’io, se Ginny mi rivelasse qualche sporco segreto non andrei a dirlo ad Harry… Ecco! Hermione si batté una mano sulla fronte, dandosi mentalmente della stupida. Posso chiedere a Ginny: se anche non lo sa, potrà sempre estorcerlo a Harry o Ron!

Non aveva nemmeno finito di pensarlo che qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Senza nemmeno aspettare la risposta, Ginny Weasley in Potter entrò, con un radioso sorriso a trentadue denti.

"Buon dì, festeggiata!" la salutò, prendendo posto alla scrivania. "Ti senti un po’ più vecchia?".

"Per il momento no: tecnicamente sono nata alle sei e mezzo di sera, perciò ho ancora ventiquattro anni per…". Hermione guardò l’orologio. "… Cinque ore e mezza. Accidenti, ma è già mezzogiorno passato?!".

Ginny annuì. "E secondo te perché sono qui, se no? Vieni, ti offro il pranzo".

Era un invito che non ammetteva repliche e in fondo la sua pausa pranzo iniziava tra un quarto d’ora, così Hermione si alzò prese borsa e soprabito e si avviò al seguito dell’amica.

Venti minuti dopo erano comodamente sedute in un bar babbano nel centro di Londra e consumavano i loro panini caldi con due bibite davanti.

"Ma non hai gli allenamenti oggi?" chiese Hermione, sbalordita dal fatto che Ginny stesse spiluccando il suo sandwich abbastanza controvoglia: di solito quando doveva allenarsi con la sua squadra di Quidditch, Ginny mangiava come un leone per essere in forze. "Oggi è martedì, no?".

Ginny annuì con una smorfia di disappunto. "Sì, ma oggi salto, ho già mandato a dire che non ce la faccio: non mi sento un granché e in queste condizioni preferisco non volare. Devo aver mangiato qualche schifezza: sono un paio di giorni che ho una nausea tremenda e mi sento fiacca. Ma del resto l’altra sera ho avuto la malaugurata idea di lasciar cucinare Harry: probabilmente è il karma che mi dice ‘così impari!’".

Hermione annuì, con un sorriso comprensivo: Harry poteva anche essere un grande Auror, il salvatore del mondo magico ecc., ma la sua cucina faceva davvero piangere, oltre a essere una potenziale arma di distruzione di massa. "La prossima volta lascia fare a Kreacher" le consigliò. "Vedrai che ti passa: sarà un malessere passeggero…".

"Sì, di sicuro" concordò Ginny. "Ma stasera Harry me la pagherà cara per avermi costretto a rinunciare all’allenamento… E tu che mi racconti di bello? Com’è che il mio indegno fratello non è qui a festeggiare come si conviene la sua fidanzata?".

Hermione sospirò, bevendo un lungo sorso della sua aranciata, rimpiangendo che non fosse qualcosa di più forte: disprezzava l’alcool, ma in certe occasioni un bel bicchiere di Whisky Incendiario è il mezzo più efficace per soffocare le ansie.

"Il tuo indegno fratello, come lo chiami tu" rispose poi, "mi ha fatto sapere che doveva lavorare al negozio: lui e George stavano facendo l’inventario o qualcosa del genere…".

Ginny quasi si strozzò con il panino, avvampando d’indignazione. "Mi stai dicendo che quel verme ti ha scaricato il giorno del tuo compleanno per fare la conta di quanti petardi ha in magazzino? Stavolta lo picchio sul serio! Lui e pure George che si presta a fare queste cose: ma che razza di fratelli mi ritrovo!".

"Ginny, calmati" cerò di rabbonirla Hermione, prendendola per il polso. "Stai attirando l’attenzione della gente. E poi non è così importante".

"Non è importante?" quasi strillò Ginny, per poi arrossire di botto quando tutti i presenti nel locale si girarono verso di lei. Moderando i toni, riprese: "Hermione, è il tuo compleanno: è praticamente l’unico giorno all’anno in cui Ron è obbligato per legge a baciare la terra su cui cammini!".

"Sì, beh, le cose sono un po’ complicate…".

"In che senso?".

Sospirando, Hermione raccontò all’amica tutto quello che stava succedendo in quei giorni tra lei e Ron: di come lui la evitasse, di come si vedessero e parlassero sempre meno. "Sono tre giorni che quasi non si fa vivo" concluse con fare sconsolato. "Ma tanto l’ho capito il perché: mi vuole lasciare e non sa come dirmelo!".

Ginny, che si era bevuta ogni parola, la zittì con un cenno stizzito della mano: "Non essere sciocca, Hermione: Ron è più innamorato di una pera cotta, non ci penserebbe mai a lasciarti".

"E allora perché si comporta in questo modo?".

Ginny ci pensò su un momento. "Non lo so… Di certo c’è qualcosa che bolle in pentola, qualcosa di bello grosso a giudicare da come si comporta, anche se non so cosa… Ma lo scoprirò in fretta, non ti preoccupare".

"Che cosa vuoi fare?" domandò Hermione, vagamente intimorita dalla luce pericolosa che vedeva negli occhi di Ginny.

Ginny ridacchiò. "Beh, è molto semplice: si dà il caso che mio caro marito sia il migliore amico del tuo fidanzato, no? Se Harry non vuole dormire sul tetto nelle notti a venire gli converrà di gran lunga dirmi cosa sta confabulando Ron".

"Ginny, non voglio spargimenti di sangue…".

"Non ce ne saranno" le garantì la giovane. "Ovvio, a meno che non salti fuori che Ron vuole lasciarti sul serio: in tal caso, probabilmente mi scapperà la mano… E a lui scapperà qualcos’altro".

Hermione non poté evitare di sentirsi un po’ intimidita e preoccupata: quando Ginny si caricava in quel modo, poteva diventare davvero pericolosa. Una difesa forgiata da un’infanzia passata a difendersi dalle angherie di sei fratelli maggiori.

"Ginny, per favore, promettimi che non farai del male a nessuno".

Lei sbuffò spazientita. "Ok, ok, sta tranquilla: ma lasciati dire che sei troppo buona!".

Tiri Vispi Weasley,

Diagon Alley,

Londra

13.30

"Come sarebbe a dire che le hai dato due di picche?".

Harry fissava al di sopra del panino che non aveva ancora nemmeno addentato il suo migliore amico come se volesse mangiarlo. E in effetti, i pensieri del Bambino-Che-È-Sopravvissuto in quel momento vertevano principalmente sul modo migliore di uccidere Ron Weasley e farlo passare per un incidente.

Ron si guardò i piedi, rischiando così di perdere l’equilibrio e farsi un volo giù dalla scala dove era salito per sistemare un paio di scatole di Sognisvegli Brevettati. "Sarebbe a dire che le ho detto che dovevo fare l’inventario… Il che in effetti è vero!".

Harry sbuffò con aria esasperata. "Ron, non accampare scuse che non stanno né in cielo né in terra: l’inventario potevi farlo in qualunque momento, no George?".

Quest’ultimo annuì, finendo di contare le scatole di Pasticche Vomitose. "Harry ha ragione, Ron: sono stato io il primo a dirti di prenderti anche tutta la giornata. Perché non dici le cose come stanno e non ammetti che sei solo un gran coniglio?".

"Io non sono un coniglio!" s’indignò Ron, balzando giù dalla scala.

"Ah no?" fece George, con aria ironica. "E come definiresti uno che dopo una settimana e più da quando ha deciso, non ha ancora trovato il coraggio di dire alla sua ragazza che…".

"Ok, ok, sono un coniglio!" ammise Ron, tirando verso il fratello una bacchetta finta. "Contento adesso?".

"Non direi, no" rispose il fratello, rilanciandogli la bacchetta, che lui aveva prontamente schivato.

"Il punto è" intervenne Harry, bloccando Ron prima che l’amico scagliasse di nuovo l’oggetto, "che non puoi andare avanti così, Ron: non puoi continuare a evitare Hermione in eterno o presto o tardi lei comincerà a chiedersi che diavolo sta succedendo. Avevi giurato che glielo avresti detto oggi a pranzo: ti eri risolto ad aspettare oggi perché sarebbe stato, parole tue, ‘più romantico’ e alla fine ti tiri indietro? Non sai quanto vorrei picchiarti in questo momento".

"Lo so, lo so" sbuffò Ron. "Non c’è bisogno che me lo ricordi, Harry: lo so bene cosa avevo detto. Ma mi è mancato il coraggio…".

"È sempre stato questo il tuo problema" ridacchiò George, finendo di contare i Torroni Sanguinolenti. "Fin dai tempi della scuola: ricordi i drammi per invitare una ragazza al Ballo del Ceppo? O la buia parentesi a nome Lavanda Brown? Ti ci vorrebbe un po’ di faccia tosta in più…".

"Già, voglio proprio vedere quando dovrai farlo con Angelina questo discorso!" lo punzecchiò Ron. "Allora vedremo se farai ancora il duro come adesso…".

George rise apertamente. "Te lo ricordi con chi stai parlando, vero fratellino? Tuo fratello George, quello che ha detto in faccia a mamma che il suo vestito nuovo faceva schifo? Che al matrimonio di Bill aveva impunemente corteggiato tutte le parenti francesi della sposa che gli capitavano a tiro? Che per chiedere ad Angelina di uscire l’ha strillato in mezzo a una piazza? Fidati, IO non avrei il minimo problema a chiedere ad Angelina quello che TU vuoi chiedere ad Hermione… Per Diana, neppure Harry è rammollito come te!".

"Ehi!" protestò quest’ultimo, offeso. "Guarda che io sono ancora qui!".

"Non mi distrarre, cognato" lo zittì George. "Se proprio devi parlare, almeno di’ che ho ragione".

"Ron, George ha ragione" concordò l’Auror. "L’unica cosa che devi fare in questa situazione è prendere il toro per le corna: vai da Hermione, fa quello che devi fare e pace! Dopo starai meglio".

"E se fossi in te mi spiccerei" aggiunse George. "Prima che quella poveretta si convinca che tu vuoi lasciarla o qualcosa del genere…".

"Perché dovrebbe pensare una cosa del genere?". Ron era atterrito: amava Hermione come la sua stessa vita, come poteva la ragazza dubitarne?

"Ron" cominciò Harry, con il tono di chi parla a un bambino particolarmente cocciuto, "da quanto non fai una conversazione degna di questo nome con Hermione? Una settimana? Tu al suo posto che penseresti?".

"Ok, avete ragione: devo parlarle e lo farò subito!". Guardò l’orologio e soffocò un’imprecazione.

"Sboccato!" lo rimproverò George, divertito.

"Che c’è adesso?" domandò invece Harry.

"C’è che la sua pausa pranzo è finita: non potrò parlarle prima di sera".

"E per allora avrai già perso di nuovo il coraggio" commentò in tono tetro il fratello. "Harry, accetto scommesse: dieci galeoni che non glielo chiede prima di sabato".

"Ok, ci sto".

Ron aprì la bocca per protestare, non sapeva bene nemmeno lui per dire cosa, quando la porta del negozio di aprì.

"Spiacente, siamo chiusi" esordì George, assumendo la sua voce professionale. "Ripassi alle… Ginny!".

Al grido di George, Harry e Ron si volsero insieme. Harry provò una gran brutta fitta allo stomaco nel vedere l’espressione della moglie: espressione che prometteva tempeste. Ho idea che il pranzo sia finito, pensò il giovane con aria sconsolata, poggiando il panino lasciato a metà e stampandosi poi in faccia un sorriso. "Amore, che bella sorpresa!".

"Buon giorno a tutti" salutò Ginny, passando in rassegna i tre uomini, per poi mettersi a fissare truce Ron. "Allora fratellino, me lo dici tu o passiamo direttamente alle minacce corporali?".

Ron fece la sua migliore faccia perplessa. "Dirti cosa?".

"Lo sai bene cosa, cerebro leso!" strillò Ginny afferrando la prima cosa che gli capitava a tiro e scagliandogliela contro.

"Ehi, ehi!" intervenne George. "Per favore se dovete far rissa andate di fuori: non voglio dover pulire i vostri casini!".

"Io non voglio far rissa!" protestò Ron, tirandosi rapidamente fuori dalla traiettoria di Ginny. "Ginny, mi vuoi dire che ti è preso?".

"Che mi è preso? Che mi è preso?". Prima che la donna potesse tirare qualcos’altro, Harry si mise in mezzo, bloccando il più gentilmente possibile la moglie. "Credo che tu abbia parlato con Hermione, vero?".

"Eccome se l’ho fatto" rispose Ginny, liberandosi con uno strattone. "E ora pretendo che uno di voi tre mi dica che diavolo sta succedendo! Allora?".

I tre si scambiarono uno sguardo indeciso, poi vedendo che Ron non accennava a voler parlare, George prese il gioco la palla in mano. "Allora, Ronnie, parli tu o lo faccio io?".

"Non sono affari tuoi!" sibilò Ron in risposta.

"Sì che lo sono: lo sono diventanti nel momenti in cui si è messa a rischio l’incolumità di questo negozio e di ciò che contiene. E visto e considerato che se non parli, questa dolce creatura distruggerà tutto, torniamo al dilemma iniziale: lo fai tu o lo faccio io?".

"Harry, dammi una mano" lo implorò Ron.

Harry passò lo sguardo da lui alla moglie e non ebbe dubbi nel decretare quale fosse il più pericoloso. "In fondo Ron, che male c’è a dirlo a Ginny?".

"Grazie tante: ma che razza di amico sei?".

"L’amico che stanotte dorme sul divano se non mi aiuta" dichiarò Ginny con un sorriso serafico. "Allora Ron, quale sarebbe questo oscuro e misterioso segreto?".

"Io… Devo parlarne con Hermione prima".

"E perché non hai avuto problemi a parlarne con questi due?".

"Harry è il mio migliore amico e George… beh, George l’ha scoperto per sbaglio".

"E Bill, Charlie, Percy e papà che scusa hanno?" domandò George, curioso. "Così, per amore di conversazione…".

"Ma l’hai detto a tutto il mondo?" fece Harry. "A chi l’hai detto ancora? Neville e Kingsley? A Nick-Quasi-Senza-Testa hai chiesto consiglio? Ormai giusto la diretta interessata ti manca!".

"Solo quelli che ha detto George" borbottò Ron. "Volevo un secondo parere…".

"E un terzo e un quarto…" contò George, sghignazzando. "E un quinto…".

"Ok, ok, ho capito: te l’ha mai detto nessuno che sei mostruosamente irritante?".

"Faccio quello che posso".

"Qui si sta evitando il fulcro della conversazione!" intervenne Ginny irritata. "L’ha detto a tutta la famiglia, quindi non avrai problemi a dirlo anche a me, no?".

Ron sbuffò con aria sconfitta. "Ok, va bene: però giurami che non ne parlerai con Hermione".

"Prima voglio sapere cos’è, poi giuro".

"Se non giuri, non apro bocca".

"Ma dove siamo, all’asilo?" sbottò Harry. "Facciamo così: Ginny, tu giuri di non dire nulla e tu, Ron, giuri di parlare con Hermione stasera stessa".

"Ma io…" fece per protestare Ron, solo per essere bloccato da un Harry con la faccia vagamente spiritata. "Ascoltami bene, testa di rapa: se non vuoti il sacco con quella poveretta entro stasera, prendo e vado a dirglielo io! E sai che lo farei!".

"Ma si può sapere cosa c’è di tanto terribile?" fece Ginny, sempre più perplessa. "Cos’è, sei incinto?".

"Probabilmente sarebbe stato più semplice se fosse stato incinto sul serio!" scherzò George.

"Vuoi chiudere il becco?" lo rimproverò Harry. "Allora, che mi dici Ron?".

Ron fissò a lungo il suo migliore amico: quando aveva quell’aria decisa avrebbe potuto smuovere le montagne. Sì, avrebbe messo in pratica la sua minaccia e l’avrebbe fatto senza il minimo indugio. E lui non poteva permetterlo. "Ok, ok: le parlo stasera".

"Bene" approvò Ginny. "E ora parli con me. E sì, giuro di non dirle nulla: di che si tratta?".

E così, con aria leggermente imbarazzata, Ron cominciò a spiegare.

Ministero della Magia

17.30

Sì, questo è decisamente il compleanno più deprimente della mia vita.

Questa fu la sconsolante conclusione che Hermione raggiunse quella sera, alla fine del suo turno di lavoro, mentre si apprestava a tornare a casa e farsi una doccia abbastanza lunga da consumare tutta l’acqua calda, nella speranza di scacciare Ronald Weasley dai suoi pensieri. Per colpa delle sue preoccupazioni verso il suddetto non era più riuscita a combinare nulla tutta la giornata, col risultato che una mole preoccupante di pratiche si era accumulata per il giorno successivo.

Ci penseremo domani, si disse, cercando di ignorare la pila pericolante che ingombrava la sua scrivania. Avrebbe dovuto portarne a casa un po’, lo sapeva, ma si rifiutava di fare lavoro extra anche il giorno del suo compleanno. Me ne pentirò, ma chi se ne frega…

A questo pensiero si aggiunse una punta di malinconia pensando che se Ron l’avesse vista in quel momento l’avrebbe presa in giro fino alla morte. Riusciva perfino a sentire la sua voce. Ammirate, Miss So-Tutto-Io che bigia i suoi compiti: questo giorno entrerà negli annali!

Oh, chiudi il becco, Ronald! Dopo alcuni secondi, mentre si dirigeva all’ascensore, si rese conto dell’assurdità della situazione: stava litigando con il suo fidanzato nella sua testa! Bene, ora ho proprio toccato il fondo!

Forse invece di lavarsi, avrebbe finito con l’affogarcisi, nella doccia! Ma lo so già come finirà: mi laverò, mi infilerò in un maglione extra large e consumerò un barattolo di gelato al cioccolato di mezzo chilo guardando film strappalacrime!

A meno che Ginny non venisse a prelevarla per portarla fuori. E parlando di Ginny, chissà che fine aveva fatto? L’ultima volta che l’aveva vista marciava a passo di carica verso l’ufficio di Harry al Secondo Livello, con la promessa di contattarla appena avesse scoperto qualcosa. Ma non l’aveva fatto: Hermione aveva aspettato tutto il pomeriggio notizie dell’amica, senza risultato. Forse alla fine nemmeno lei aveva capito che stava succedendo. O magari erano notizie talmente brutte che non aveva il cuore di venirgliele a dire…

Ma che cavolo mi prende? Non è da me fare tutti questi drammi! Alla fine è solo un ragazzo: il mondo è pieno di single che vivono felicemente la loro vita. Ma in fondo lei non voleva essere una single che vive felicemente la sua vita: lei voleva essere la ragazza di Ron Weasley! Stavano insieme da così tanto tempo che non riusciva a immaginarsi senza di lui. E sapeva che se si fossero lasciati, non sarebbero mai riusciti a essere amici come prima: l’imbarazzo sarebbe stato troppo.

Forse arrivati a questo punto, meriterebbe che lo lasciassi io!

Scacciando quel pensiero e altri simili, era nel frattempo arrivata nell’Atrium; si infilò in una delle salette predisposte per la Smaterializzazione e scomparve con un sonoro CRACK per ricomparire nel vicolo a pochi passi da casa sua, dall’altra parte di Londra.

Cinque minuti dopo annullava gli Incantesimi di Protezione che aveva messo sulla porta (più per abitudine che per veri motivi di sicurezza) ed entrava in casa con uno stanco sospiro.

"Grattastinchi" chiamò, cercando il gatto tutto intorno. "Vieni qui, micio".

Non ottenne risposta. Strano, perché di solito l’animale si fiondava da lei appena sentiva la porta aprirsi.

"Grattastinchi" ripeté ancora, a voce più alta, mentre si liberava del mantello. Cominciò poi a cercarlo, diretta verso la sua camera da letto: di solito gli piaceva stare a ronfare sul cuscino. "Grattastinchi, dove ti sei…".

Aprì la porta e rimase letteralmente di sale: la stanza era stata riempita di candele (alcune galleggiavano addirittura a mezz’aria) tanto da essere quasi illuminata giorno. Grattastinchi osservava affascinato la fiamma di quelle più vicine alla sua postazione sul cuscino e Ron aspettava nel centro della stanza, ballando sui talloni dal nervosismo, con in mano una rosa rossa.

"… cacciato?" riuscì a esalare la giovane completando la frase di prima. "Ma cosa?".

"Sorpresa" esordì Ron, con un sorriso incerto, avvicinandosi e porgendole la rosa. "Direi che ha funzionato: dalla tua faccia, oserei affermare che è l’ultima cosa che ti aspettavi…".

Hermione annuì con fare meccanico. "Che cosa significa tutto questo?" domandò, girando su sé stessa, sorpresa.

"Beh, non sapevo bene come fare" cercò di spiegare Ron. "È una settimana e più che cerco di trovare il modo migliore per affrontare questo discorso… Lo sai che non sono bravo in queste cose".

"Ron, non ti seguo più" lo interruppe Hermione, scuotendo la testa e continuando a guardarsi intorno come se non potesse credere ai suoi occhi: da quando Ron era così romantico? "Cosa volevi chiedermi?".

"Oh, sì, meglio fare con ordine" balbettò Ron, cominciando a frugarsi nelle tasche. "Oh, non è possibile, non posso averlo perso… Ah, eccolo qui!".

Si fece avanti, stringendo tra le mani una scatoletta di velluto nero. Quando si mise in ginocchio di fronte a lei, Hermione ebbe l’assoluta certezza che il cuore le stesse per scoppiare dalla gioia: non stava accadendo davvero, non poteva essere…

Ma quando Ron parlò di nuovo, fugò anche il più piccolo dubbio che potesse essere sorto nella sua mente. "Hermione Jean Granger" esordì, aprendo la scatolina e rivelando un anello di diamanti, "mi vuoi sposare?".

Difficile dire quale dei due cuori in quel momento battesse più forte, se quello di Hermione, che era a un passo dallo saltare fuori dal petto, o quello di Ron, irrazionalmente spaventato da un rifiuto.

Per dieci lunghi secondi il cervello di cui Hermione era sempre stata fiera non riuscì ad articolare una risposta, tanto che Ron cominciò seriamente a rischiare l’iperventilazione da panico. "Ehm, dovresti dire qualcosa… Ti fa schifo, vero? Ho combinato un casino, lo so, sono un impedito totale, un buono a nulla…Quando mai ho dato retta a Ginny: lei e le sue idee romantiche del cavolo…".

Al che Hermione comprese due cose: la prima, che avrebbe dovuto costruire una statua per la sua migliore amica e le sue "idee romantiche del cavolo"; la seconda, che la cosa che più voleva al mondo era passare il resto della sua vita con il bamboccione, balbettante babbuino* che aveva di fronte.

Si chinò a sua volta, prendendogli il viso tra le mani. "Vuoi stare zitto un secondo, sciocco? Riesci sempre a rovinare l’atmosfera… Ora, richiedimelo come si deve".

Ron ubbidì. "Hermione Jean Granger, mi vuoi sposare?".

Hermione sorrise, felice come non lo era mai stata in vita sua. "Sì, sì, diecimila volte sì!".

E Ron non seppe trovare nulla di meglio da dire che: "Ah, bene". Poi si ricordò dell’anello. "Questo è per te" disse infilandoglielo al dito. "Buon compleanno, amore mio".

Hermione non sapeva nemmeno dire se stesse ridendo o piangendo mentre lo abbracciava. "E pensare che credevo che mi volessi lasciarmi…" mormorò.

"Mai, Hermione, non ti lascerò mai".

Il compleanno più deprimente della sua vita? Semmai il più bello ed emozionante: un compleanno che non avrebbe scordato mai più nella vita.

*Citazione da Harry Potter e il calice di fuoco (il film, non il libro)

PICCOLO DISCLAIMER: l’idea della stanza piena di candele non è farina del mio sacco, ma è liberamente tratta dall’episodio finale della sesta stagione della sit-com Friends e qui usata senza scopo di lucro

LYRAPOTTER’S CORNER

Questo capitolo lo dedica a Laura, la santissima sorella che sopporta le mie sclerate e spesso e volentieri mi dà pure l’ispirazione, ma soprattutto perché lei adora Ron e Hermione e di certo mi avrebbe fatto del male se non li inserivo almeno una volta!

Allora, cosa mi dite? Sono stata troppo sdolcinata? Ma questa storia l’avevo in testa davvero da troppo tempo, non avrei potuto scriverla diversamente da così: spero sul serio di non aver fatto venire carie per l’eccesso di zuccheri a nessuno.

Come sempre grazie ai miei fedeli commentatori

dirkfelpy89

Gaea

Moony3

Prossimo appuntamento al 04/10, per il compleanno della sola, unica ed inimitabile Minerva McGranitt.

See you soon!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Minerva McGranitt ***


SPECIAL DAYS

MINERVA MCGRANITT

4 ottobre 1941

Biblioteca,

Hogwarts

17.00

Che pace, che quiete.

Minerva amava la biblioteca di Hogwarts proprio per questo motivo: non si sentiva mai volare una mosca. Merito soprattutto della nuova arcigna bibliotecaria, Madama Pince: era arrivata all’inizio di quell’anno scolastico e praticamente la biblioteca era il suo regno. Minerva aveva sentito non pochi studenti giurare che quella donna ci dormiva pure, in biblioteca, circondata dai suoi preziosi volumi. Una cosa era certa: preferiva di gran lunga i libri alle persone.

Ma a Minerva la cosa non dava minimamente fastidio, anzi: con la vecchia bibliotecaria, quel posto assomigliava più a un’aula giochi che a una biblioteca, studiarci era praticamente impossibile.

Ora invece… Ah, per la ragazza era un paradiso: potersi ritirare qualche ora nel silenzio, magari anche solo per leggere in santa pace, che bellezza! O fare i compiti in tranquillità, lontano dal chiasso della Sala Comune: era semplicemente meraviglioso!

Stava appunto cercando un libro che potesse aiutarla a finire il tema di Trasfigurazione per il professor Silente… Beh, diciamo pure perfezionare, perché il tema era già finito e perfino troppo lungo rispetto alla consegna, ma Minerva non ci poteva fare nulla: Trasfigurazione era la sua materia, su questo non ci pioveva. Era la prima della sua classe e in un certo senso la pupilla di Silente, ma non è che lo facesse apposta, come altri suoi compagni sostenevano: a lei Trasfigurazione piaceva sul serio.

Dicevamo, Minerva cercava quel famoso libro per perfezionare il tema, beandosi della tranquillità e del silenzio quasi totali: si sentiva giusto il grattare delle piume sulla pergamena. Oh, sì quello era il suo paradiso personale…

"Ehi, Minnie, ti ho trovato finalmente!".

Crack, fine dell’idillio.

La voce baritonale spezzò il silenzio, facendo guadagnare al suo proprietario tutta una serie di sguardi torvi.

"Insomma, ma che modi sono?" lo apostrofò Madama Pince, indignata.

Minerva si voltò, sbuffando. "Al, te l’ha mai detto che hai la grazia di un elefante in una cristalleria?" fece, quasi altrettanto irritata all’indirizzo del suo quasi ex migliore amico.

"Ma che ho fatto?" protestò Alastor Moody, sinceramente perplesso, sempre a voce troppo alta.

"Abbassa il volume!" gli intimò stizzita Minerva. "È una biblioteca, mica lo stadio di Quidditch!".

"Oh, è per questo?" rise Alastor, senza accennare a moderare i toni. Quando la ragazza lo fulminò truce di nuovo, alzò le mani in segno di resa. "Va bene, va bene, abbasso la voce: non rizzare il pelo, Minnie!".

Chiunque li avesse visti insieme, avrebbe pensato che fossero la coppia più mal assortita di tutta Hogwarts: Minerva McGranitt, sempre seria e composta, tutta dedita allo studio e alla scuola, neo prefetto, e Alastor Moody, che magari un buon studente lo era pure, non fosse che sprecava la maggior parte del tempo barcamenandosi da una punizione all’altra, prestando ben poca attenzione a quello che i professori cercavano di insegnare.

Eppure, i due erano amici fin dal Primo Anno, anzi, non poche volte Minerva si era vista costretta a tirar fuori il ragazzo dai pasticci in cui andava a cacciarsi. Chi Minerva proprio non riusciva a sopportare per contro era John Potter, la peste del primo anno con cui Alastor faceva comunella dall’inizio dell’anno: quel ragazzino sembrava considerare la sua missione personale il farla ammattire prima delle vacanze natalizie. E Alastor, invece di prendere le sue difese, gli dava man forte! Era talmente preso dal suo nuovo amichetto che passava sempre meno tempo con lei. Si era perfino dimenticato del suo compleanno, quel giorno: nemmeno uno straccio di biglietto d’auguri. E doveva essere il suo migliore amico?

"Che cosa vuoi, Al?" chiese, riprendendo al ricerca del suo libro. "Credevo che nemmeno sapessi dove fosse, la biblioteca…".

"Ti cercavo, Minnie" rispose Alastor. "Credevo l’avessi capito…".

Minerva alzò gli occhi al cielo: certe volte era così irritante! "E perché mi cercavi, Al, se non sono indiscreta? Avrei da fare".

Il ragazzo la guardò di sottecchi, perplesso dal suo comportamento ostile. "Ma che, ce l’hai con me? Solo perché ho alzato un po’ la voce?".

"Io non ce l’ho con te per questo: lo so bene che hai le corde vocali di un pescivendolo in licenza…" ribatté Minerva, aprendo un libro a caso nella speranza di scoraggiare l’altro a continuare la conversazione.

Ma non ci si può liberare di Alastor Moody così facilmente. "E allora che hai da fare la micina stizzita?".

La ragazza chiuse di scatto il volume, sollevando una nuvola di polvere. "Primo, non darmi della micina stizzita. Secondo, se non sai perché sono arrabbiata con te, non mi sprecherò io a spiegartelo, Alastor: arrivaci da solo!".

A quel punto, Alastor capì di essere davvero nei guai: Minerva non usava mai il suo nome completo, tranne quando era davvero arrabbiata.

"Oh, andiamo Minnie, qualunque cosa sia, mi dispiace" cercò di blandirla.

"Non accetterò delle scuse, se nemmeno sai cosa hai fatto o per meglio cosa dire cosa non hai fatto! Ora scusami, ma devo finire un compito…".

Gli voltò le spalle, tornando a immergersi nella lettura di un altro libro. Quella volta non avrebbe ceduto: Alastor doveva arrivarci da solo, e che cavolo!

Il ragazzo rimase a guardarla, inebetito, spremendosi le meningi per cercare di capire quale fosse il problema. Qualcosa che non aveva fatto… Ma cos’era?

"Va bene" si arrese alla fine. "Vorrà dire che ti aspetterò qua finché non avrai finito: ho giusto qua la Gazzetta del Profeta".

Ignorando le proteste dell’amica, si sedette sulla prima sedia libera che gli capitò a tiro e sfilò il giornale dalla borsa. Ma non andò molto lontano nella lettura: si bloccò sulla prima pagina, quando il suo occhi cadde sulla data. Quattro ottobre? Perché quel giorno gli diceva qualcosa?

"Al, sul serio, torna in Sala Comune: io ne avrò ancora per parecchio…" stava dicendo Minerva in quel momento.

Minerva, quattro ottobre… Oh, per le dorate chiappe di Merlino, che razza di imbecille che sono!

Quel giorno era il compleanno della sua cosiddetta migliore amica e lui se n’era completamente dimenticato. L’aveva avuto in testa per giorni e al momento giusto se l’era dimenticato! Ma John l’aveva distratto con uno scherzo ai danni dei Prefetti Serpeverde e gli era passato di mente. Che idiota, idiota, idiota! Ci credo che è così arrabbiata!

"Minnie…" iniziò in tono mortificato. E si considerava il suo migliore amico?

"Che c’è?".

"Buon compleanno".

Minerva accettò l’augurio con un freddo cenno del capo. "Grazie. Ora puoi anche andare, no? Il tuo amichetto Potter si sentirà solo senza di te…". E si voltò di nuovo.

"Oh, andiamo Minnie, mi dispiace di essermene dimenticato: ti ho anche preso il regalo, sai? Solo che mi è proprio passato di mente…".

"Già, perché eri impegnato a tirare gavettoni di vernice ai Prefetti di Serpeverde con Potter, vero? Oh, non fare quale faccia sbalordita: sì, so cosa avete fatto. E no, non intendo perdonarti con questa scusa patetica!".

Capendo che non avrebbe più concluso nulla, raccolse velocemente le sue cose e lasciò la biblioteca, ovviamente tallonata da Alastor, che non cessò un secondo di blandirla e implorarla.

"Su, non fare la micina stizzita. Ti ho detto che mi dispiace… Vuoi che lo gridi ad alta voce in modo che sentano tutti? Sai che ti darò il tormento finché non cedi e sai che alla fine cederai: perché non ci risparmi la fatica? Per favore, Minnie: lo sai che sono dispiaciuto, tanto, tanto dispiaciuto…". L’afferrò per il braccio, costringendola a fermarsi. "Guarda, se non mi perdoni, mi metto in ginocchio, qui nel bel mezzo del corridoio e non ti lascio andare finché non accetti le mie scuse. E guarda che lo faccio: aspetta…".

Minerva sbuffò: Alastor sapeva essere più asfissiante di una pianta rampicante. Ma lei gli voleva bene anche per quello: non riusciva proprio a tenergli il muso più di tanto. "Va bene, va bene, ti scuso. Ma non metterti in ginocchio!".

Alastor le rivolse un luminoso sorriso. "Lo sapevo che non potevi resistere al mio fascino, micina…".

"E piantala di chiamarmi micina!" protestò Minerva. "Lo sai che non lo sopporto!".

"E secondo te perché mi diverte tanto usarlo?" scherzò Alastor.

"Bene, se la metti così, Malocchio…" dichiarò Minerva, calcando sull’ultima parola e guadagnandosi un’occhiata irritata dell’altro. Detestava quel ridicolo soprannome che la scolaresca gli aveva affibbiato: solo perché era appena un po’ strabico da un occhio…

"D’accordo, niente più ‘micina’. Contenta?".

"Come una pasqua. Che cosa volevi da me, comunque?".

"Da te?" ripeté Alastor, perplesso.

"No, dal Barone Sanguinario, Al! Se sei venuto a cercarmi fino in biblioteca a interrompere il mio pomeriggio di studio…".

"Minnie, per te è sempre pomeriggio di studio" puntualizzò il ragazzo. "Secondo me, alla nascita ti hanno programmata male: dovresti scioglierti un po’ qualche volta…".

"Che cosa volevi da me, Al?" domandò di nuovo Minerva, ignorando l’ultimo commento: a suo modesto parere, Alastor era già abbastanza "sciolto" per tutti e due.

"Ah, sì: avrei bisogno di aiuto per il tema di Trasfigurazione".

"Che tipo di aiuto?".

"Beh, diciamo, sì, insomma, scriverlo…". Alastor abbassò istantaneamente lo sguardo, mentre Minerva diventava rossa di collera.

"CHE COSA?" tuonò. "Ma è per domani, Al!".

"Per questo mi serve il tuo aiuto, no?" protestò Alastor con una notevole, faccia tosta. "Andiamo, tanto tu l’avrai già finito da un pezzo, ne sono sicuro".

"Non è questo il punto, Al…" cominciò a dire la ragazza, svoltando l’angolo.

Ma si interruppe alla vista dello spettacolo che le si parò davanti: due studenti del Primo Anno se le stavano dando di santa ragione, sotto lo sguardo impietrito di un altro studente, decisamente più grande.

Minerva non ebbe difficoltà a riconoscere uno dei due litiganti. "Potter!" gridò scandalizzata, sguainando la bacchetta per separarli.

Ma Alastor fu più veloce: un paio di rapide stoccate e i due ragazzini si trovarono scaraventati ai lati opposti del corridoio, dove rimasero a fissarsi in cagnesco. John esibiva un occhio nero, ma all’altro ragazzino, un Serpeverde, era andata peggio: labbro spaccato, lividi su mezza faccia e pure un dente in meno, da quello che poteva vedere Minerva. Non c’erano dubbi su chi era stato a cominciare.

"Potter, che cosa significa tutto questo?".

John ignorò il Prefetto e strillò all’indirizzo del suo avversario. "Rimangiatelo!".

"Impiccati, Potter!" gli sibilò dietro il Serpeverde.

"Rimangiatelo o te lo farò rimangiare io, Black!".

"Ho detto solo la verità".

Al che John scattò di nuovo in avanti: solo il provvidenziale intervento di Alastor impedì che saltasse di nuovo addosso al ragazzino. "John, smettila" lo ammonì. "Che diavolo stai combinando?".

"John, lascia stare" intervenne il terzo ragazzo, rimasto fino a quel momento in silenzio.

Minerva, che non aveva badato molto a lui, impegnata com’era ad assicurarsi che i due ragazzini non si sbranassero tra loro, gli rivolse la sua attenzione e lo riconobbe subito: era un Grifondoro, Rubeus Hagrid, l’anno prima gli aveva dato qualche ripetizione in Incantesimi. Era simpatico, malgrado la mole che lasciava decisamente spiazzati e i modi un po’ rudi.

"No che non lascio stare!" protestò John, cercando di svincolarsi dalla ferrea presa di Alastor. "Non finché lui non si rimangia quello che ti ha detto! E lasciami, Al!".

"Se ti lascio, poi tu riprendi a picchiare quel ragazzino" obiettò Alastor. "Non credo proprio".

"Io non mi rimangio proprio nulla, Babbanofilo dei miei stivali!" ribatté il Serpeverde con aria strafottente, per nulla intimorito dalla minaccia.

"Io ti faccio a pezzi con le mie mani, Black!" continuò imperterrito a strillare John. "Rimangiati quello che hai detto!".

"Oh, insomma, adesso basta!" strillò Minerva, puntando la bacchetta alternativamente da uno all’altro dei due litiganti. "O la smettete subito o andrete a spiegare al preside cosa sta succedendo!".

Nessuno dei due doveva essere particolarmente ansioso di fare un giro in presidenza, perché Black ingoiò la pungente risposta che aveva già pronta e John smise di agitarsi. Black si sistemò con noncuranza la divisa sgualcita e poi disse: "È stato lui a cominciare, signorina Prefetto: io non stavo facendo assolutamente nulla".

"Ah, ah". Minerva annuì, non credendo a una sola parola: Potter magari era scavezzacollo e incurante delle regole, ma non attaccava briga senza motivo. "E tu saresti?".

"Orion Black, per servirla" rispose con ostentata eleganza il ragazzino.

Alastor fece uno strano verso, mentre Minerva pensava: Ma tu guarda questo piccolo arrogante…

Dedicò la sua attenzione ai due Grifondoro incriminati, John e Hagrid. "Hai qualcosa da dire in proposito, Potter?".

"È una sporca bugia!" fu la sonora protesta. "È stato lui a cominciare!".

"Bene. Hagrid, tu hai visto tutto: chi ha cominciato?".

Quest’ultimo sembrò decisamente a disagio all’idea di essere messo in mezzo: fece saettare lo sguardo da Orion a John un paio di volte e alla fine disse: "Beh, tecnicamente è stato John a cominciare a picchiare l’altro…".

Minerva annuì, mascherando alla meglio lo stupore. "Perfetto. Venti punti in meno sia Grifondoro che a Serpeverde e una punizione per te, Potter!".

"Ma non è giusto: è stato Black ha cominciare!".

"Io passavo innocentemente di qua, Potter" ribatté Orion con aria sicura. "Sei tu che mi sei saltato addosso!".

"John, è vero?" chiese Alastor.

"Beh, tecnicamente sì, ma…".

"Allora non c’è altro da dire" lo interruppe Minerva, con tutta l’autorità che riusciva a mettere insieme.

"Ma Minnie…".

"Niente ma, Potter, o ti tolgo altri punti. E per te sono il prefetto McGranitt…".

"Ma…".

"Che sta succedendo qui?" intervenne una voce maschile alle loro spalle.

Perfetto: altri Serpeverde. L’unica cosa che mi mancava.

Minerva osservò attentamente i nuovi venuti, un ragazzo e una ragazza. Riconobbe soltanto lei: era Walburga Black, frequentava il suo stesso anno ed era assolutamente insopportabile. Non aveva idea di chi fosse il bel ragazzo che l’accompagnava. Ma Alastor sì. "Riddle" grugnì, in saluto.

"Moody" ribatté quello, con un freddo sorriso.

"Orion, che cosa hai fatto alla faccia?" stridette nello stesso istante Walburga. "Ti hanno picchiato? McGranitt, cosa hai fatto a mio cugino?".

Ah, ecco sono parenti: mi sembrava famigliare quell’aria snob… "Non ho fatto un bel niente a tuo cugino, Black, rinfodera gli artigli: siamo stati io e Al a impedire che si sbranassero".

Indicò Potter e Walburga lo incenerì con lo sguardo. "E tu chi saresti, moccioso".

"John Potter, il fratello del marito della sorella di tuo padre" tubò il ragazzino. "Come va?".

Walburga gli si fece avanti, fumando come una ciminiera. "Potter, avrei dovuto immaginarlo: siete tutti uguali voi Potter, feccia babbanofila… Sta alla larga dalla mia famiglia, hai capito? O te la farò pagare!".

"Oh, sono terrorizzato a morte. Piuttosto, di’ al tuo cuginetto di tenere tappata la bocca in futuro: nessuno insulta i miei amici e la passa liscia!".

Walburga stava per rispondere, ma intervenne Riddle, con un sorrise conciliante, falso quanto una moneta da due galeoni. "Su, su, non mi pare il caso di metterci a sbranarci: si è sicuramente trattato di un malinteso. Sono certo che il nostro Prefetto ha risolto felicemente la questione…".

Minerva scrutò il ragazzo con perplessità: non c’era traccia d’ironia nella sua voce, eppure si sentiva comunque presa in giro.

"Tom ha ragione, Wally" intervenne Orion, tirando per un braccio la cugina. "Lascia stare: io sto benissimo!".

Walburga parve rifletterci alcuni istanti, poi sorrise con espressione maligna: "Ma sì, non ne vale la pena. E tu, Orion" apostrofò il cugino con uno scappellotto, "non dovresti mischiarti con questa feccia: babbanofili, Mezzosangue o peggio…". Ammiccò ad Hagrid, che arrossì. Poi afferrò Orion per un braccio e lo trascinò via senza complimenti. "Che non ti veda mai più a parlare con loro! Ora filiamo in Infermeria!".

"Moody" salutò Riddle, con un cenno del capo, prima di voltarsi e seguire i due Black.

"Riddle" ribatté Alastor.

Il gruppetto di Grifondoro rimase a in silenzio finché anche l’ultimo svolazzo di vesti non fu sparito dietro l’angolo. "Che diavolo ti è preso, John?" sbottò a quel punto Alastor, lasciando andare il piccolo Potter.

"Se l’è andata a cercare: ha chiamato Hagrid ‘schifoso ibrido’".

Minerva inarcò il sopracciglio. "E perché l’avrebbe fatto?" chiese, rivolta ad Hagrid. Non sapeva molto del compagno, solo che viveva con suo padre, mentre di sua madre non aveva notizie.

"Non è importante" rispose Hagrid, a disagio. "John, ti avevo detto di lasciar stare".

"Nessuno insulta i miei amici e la passa liscia" ripeté il ragazzino, gonfiando il petto. "E tu, Minnie, era proprio necessaria la punizione? È stato Black a cominciare!".

"No, sei stato tu, Potter" obiettò Minerva. "Non cercare di farmi sentire in colpa: Black voleva provocarti e ci è riuscito. La prossima volta basta che lo ignori. E ti ho già detto di non chiamarmi ‘Minnie’!".

"Al lo fa".

"Al è mio amico, al contrario di te" puntualizzò Minerva. "Tu sei solo la mia spina nel fianco!".

"Oh, ecco, ora capisco: mi punisci per vendicarti di qualche innocente scherzetto. Ti credevo superiore".

La ragazza avvampò d’indignazione. "Io ti punisco perché te lo meriti. E ora sparisci, se non vuoi che ti aumenti la punizione".

John le fece un buffo saluto militare. "Oui, mon capitaine! Andiamo, Hagrid. Ciao, Al".

E se ne andò saltellando, seguito da Hagrid.

"Non riesco proprio a capire come fai a essere suo amico, Al: è così irritante!".

Alastor ridacchiò. "Mi permette di dare sfogo al lato più sbarazzino della mia anima. Ma tu resti la mia preferita, tranquilla!".

"Oh, beh, se la metti su questo piano…" sorrise Minerva, compiaciuta.

"E poi, in questo modo lo tengo sotto controllo: chissà che accadrà quando mi diplomerò… Come minimo, farà crollare il castello…". Si accigliò, fissando l‘angolo dietro cui era sparito il clan di Serpeverde. "Non dovrebbe mischiarsi con quella gentaglia".

"Chi? I Black?" domandò Minerva, perplessa. "Sono innocui, Al: conosci Walburga, le piace fare una tempesta in un bicchiere d’acqua. E il cugino è uguale: sono tutti uguali, i Black" puntualizzò, ricordandosi che c’erano altri tre o quattro Black che giravano per la scuola.

"Non mi riferivo ai Black" rispose Alastor. "Ma a Riddle…".

"Credo di non averlo mai visto prima d’oggi: ma mi sembrava il solito Serpeverde un po’ montato…".

"No, Riddle è diverso: ha qualcosa di strano, sospetto, ambiguo… È malvagio, ne sono sicuro! E ora perché ridi?".

Minerva non aveva potuto resistere, soprattutto davanti alla faccia offesa dell’amico. "Oh, Al non ricomincerai con la storia dell’oscuro complotto".

"Io sto parlando seriamente, Minnie!" protestò Alastor. "Quel ragazzo ha qualcosa di strano: è il mio istinto Auror che me lo dice…".

"Al, tu non sei un Auror… E con il carattere che ti ritrovi, saresti l’Auror peggiore della storia!".

"Io diventerò il migliore Auror del mondo, gattina schizzinosa! E ti dico che Riddle ha qualcosa di sbagliato!".

"Sì, sì, certo, Al". Minerva annuì con aria accondiscendente: era troppo abituata alle paranoie di Alastor, che vedeva un complotto diverso ogni settimana, per prenderlo sul serio. "E ti ho già detto di smetterla con questa storia della gattina!".

"Tecnicamente prima parlavamo di micina, mica di gattina" precisò Alastor. "E io parlo seriamente, professoressa!".

"Perché professoressa?" fece Minerva, perplessa.

"Perché quando ti metti tutta seria a leggere o fai qualcun’altra delle cose barbose che tanto ti piacciono, hai proprio l’aria da professoressa. Mai pensato di diventare insegnante?".

"Certo, come no" sbuffò la ragazza. "Per bestemmiare tutta la vita dietro a tutti i John Potter di questo pianeta? Grazie, salto il giro, mister Auror dei miei stivali!".

"Io dico che saresti un’ottima professoressa" ribatté in tono deciso Alastor. "Hai già l’aria e l’atteggiamento da professoressa: a volte, fai paura pure a me! E non mi piace quel tono accondiscendete che usi tutte le volte che parliamo del mio futuro professionale: io diventerò un Auror!".

"Ci crederò quando lo vedrò, Al! E manderò le mie più sentite condoglianze a quel povero sventurato che sarà il tuo superiore!".

"Te la farò vedere: diventerò il migliore Auror della storia del Ministero solo per avere la soddisfazione di dirti ‘te l’avevo detto’!".

Immersi in questa discussione, erano arrivati nella loro Sala Comune. Nello stesso istante in cui vi misero piede, furono quasi assordati da un grido carico di collera. "POTTEEEEEER!".

Elizabeth Cyrus, Beth per gli amici, primo anno, avanzava a passo di marcia verso l’oggetto della sua collera, sotto lo sguardo stupito dei presenti, abituati a considerarla una ragazzina timida e a modo.

John Potter le rivolse un sorriso straffotente. "Ehilà, Beth, carissima, come va la vita?".

Lei lo avrebbe probabilmente incenerito sul posto molto volentieri. "Cos’è questa storia che IO e TE ci saremmo fidanzati? Come ti sei permesso di inventare una fandonia del genere?".

"Ma piccola" cinguettò tranquillo John, "non dovresti reprimere in questo modo i tuoi sentimenti: fa male alla salute. Non sei tu che hai detto a Amy McDonald che sei cotta di me?".

Beth diventò di una marcata tinta scarlatta, difficile dire se per la collera o per l’imbarazzo. "Chi te l’ha detto?" domandò esitante.

"Amy McDonald, mi pareva ovvio. E visti i tuoi sentimenti, mi è sembrato giusto facilitarti le cose…".

"Ma come ti sei permesso?" sbraitò Beth, furente. "Almeno prima potevi venire a chiedermelo…".

"Ok. Vuoi essere la mia fidanzata, Beth?".

La ragazzina lo guardò, come a voler stabilire se John scherzasse o no. Il sorrisetto divertito stampato sul suo volto fu un indizio a suo avviso sufficiente. "Quando pioveranno asini, Potter!" dichiarò, prima di voltarsi e salire a passo di marcia le scale del dormitorio femminile.

"È pazza di me!" dichiarò con tranquillità John, suscitando le risate di tutti i presenti, compreso Alastor.

"E dai, di’ che non è una forza quel ragazzino!" punzecchiò Minerva.

"È fortunato che Beth non l’abbia defenestrato, se vuoi il mio parere… Io lo avrei incenerito!".

Alastor scosse il capo. "Sei troppo seriosa, ecco il tuo problema. Per questo ti ridico che saresti una grande professoressa". Affermò, prendendo posto su una poltrona libera.

Minerva si sedette accanto a lui, occhieggiando in direzione di John Potter, che ora stava chiacchierando animatamente con altri ragazzini del primo anno. "Io professoressa di soggetti del genere? Li strozzerei dopo una settimana!".

"E di’ che non sarebbe divertente?" continuò imperterrito Alastor. "E tornando a quel compito di Trasfigurazione…".

"Mio caro signor Moody, se vuoi diventare il miglior Auror del mondo, i compirti dovresti proprio farteli da solo…".

Alastor sbuffò, con aria scontenta. "Professoressa" brontolò, mentre tirava fuori i libri.

Minerva scosse il capo: lei, insegnante? Magari proprio di Trasfigurazione… Ok, doveva ammettere che l’idea non le dispiaceva tanto: un pochino, ma giusto un pochino ci si poteva quasi vedere, a spiegare alle nuove generazioni di Hogwarts gli Incantesimi Evanescenti… Tutto sommato, era un’idea niente male, specie se si pensava che veniva da Al… Ovviamente, preferì non dirlo ad alta voce: se non poi chi lo reggeva più, quello!

In fondo, si disse, quanti John Potter potranno esistere a questo mondo?

Minerva non lo sapeva ancora, ma la sera del suo sedicesimo compleanno il futuro tanto suo quanto di Alastor veniva deciso. Non poteva sapere che proprio grazie alle sue prese in giro, Alastor Moody era destinato a diventare uno dei più grandi Auror della sua generazione. E non poteva nemmeno sapere che circa trenta anni dopo, il figlio di John e Beth Potter sarebbe approdato ad Hogwarts, in felice compagnia di altri tre ragazzi, tali Malandrini, che le avrebbero fatto letteralmente dannare l’anima, e più tardi ancora avrebbe guidato il nipote di John Potter verso la sconfitta di un Lord Oscuro ancora sconosciuto…

E per fortuna ne era beatamente ignara, perché di certo se avesse saputo che in futuro avrebbe dovuto vedersela con altre due generazioni di Potter, avrebbe velocemente scartato l’opzione insegnamento dalla sua lista di possibili carriere!

LYRAPOTTER’S CORNER

Ok, con questo capitolo mi sono lasciata decisamente prendere la mano, considerato che nella mia idea originale c’era pure uno sketch dedicato ai Malandrini… Ma visto che già così mi è venuto uno dei capitoli più lunghi della raccolta, ho lasciato perdere!

Mi sono pure dannata l’anima nello scriverlo, visto che con la mia precisione maniacale sono stata lì tre ore a fare i conti con le date per essere sicura che tornasse tutto. A norma, è regola, è quasi tutto canon, almeno stando alla mia bibbia personale, ossia il Hp-Lexicon, che mette Minerva nata nel 1925, perciò quasi coetanea di Tom Riddle (di un anno più giovane) e Hagrid (di tre anni più giovane). Le date di nascita di Orion e Walburga Black (i genitori si Sirius, tanto per chiarezza) le ho prese dall’albero genealogico della famiglia Black. Di fatto, mi sono inventata soltanto il fatto che anche Alastor fosse coetaneo di Minerva (no so se la cosa è credibile, ma datemela buona, ci stava bene e non volevo inventare un personaggio apposta) e John e Beth Potter, che come avrete intuito sono i genitori di James e i nonni di Harry: probabilmente li ho fatti troppo giovani, ma datemi buona anche questa, mi piaceva l’idea che Minerva fosse stata tormentata anche da Potter senior senior. Ah, la contorta parentela che John dice di avere con Walburga non è inventata, non del tutto almeno: sempre sull’albero genealogico dei Black, c’è tale Charlus Potter (di cui John è il fratello) sposato con tale Dorea Black, sorella di Pollux, padre di Walburga.

Ok a questo punto mi riterrete tutti una pazza maniaca, perciò è meglio chiudere con le spiegazioni cervellotiche e passare ai ringraziamenti

Deidara

Gaea

Prossimo appuntamento al 30/10 per il compleanno di Molly Weasley: ci stiamo pericolosamente avviando verso la fine, lettori.

A presto, bacibaci!!!!!!

Diciassettesima Classificata: Lyrapotter "Special Days"

Grammatica 9.3/10

Lessico e stile 14/15

Caratterizzazione 12/15

Sviluppo della trama 9.7/10

Originalità 9.8/10

Gradimento Personale 9.2/10

totale 64/70

Giudizio di Fabi:

La storia mi è decisamente piaciuta, l’ho trovata divertente.

Anche se ammetto di avervi trovato qualche cliché di troppo. I personaggi risultano leggeri e comici, in particolare Alastor. In effetti, entrambi mi hanno ricordato Hermione e Ron, per l’attaccamento di Minerva alla biblioteca e allo studio e per le richieste di Alastor, che vorrebbe che lei gli facesse i compiti. In più, trovo che, per l’epoca, i personaggi siano abbastanza strani. Per tutti questi motivi, l’IC non è al massimo, ammetto comunque di aver trovato, soprattutto in Minerva, la professoressa della Rowling, stessa cosa non posso dire per Alastor. Non metto in dubbio il fatto che possa essere cambiato.

Il tuo stile è fresco, semplice e divertente, sai rendere le storie avvincenti e mantieni alta l’attenzione, nonostante la storia sia abbastanza lunga, risulta piacevole.

Ho trovato la storia originale, e mi congratulo con te soprattutto per la scelta dei personaggi, credevo di essere l'unica del fandom a scrivere sulla McGranitt da giovane, ora mi sento meno sola.

Una storia che mi è piaciuta moltissimo, e che è davvero divertente.

Giudizio di LoveChild:

Non ci sono errori molto gravi in questa fan fiction, se si esclude una ‘a’ preposizione con l’h ma le distrazioni capitano a tutti. La narrazione è fluida e piacevole, hai uno stile, a mio parere, strutturato in maniera simile a quello dei libri fantasy, con un pizzico di discorso diretto in più che non guasta. La caratterizzazione è ottima, forse l’unico difetto che ho trovato nella tua Minerva è che mi ricorda troppo Hermione Granger, ma nonostante questo la somiglianza non risulta sgradevole e comunque non rende la professoressa un personaggio ‘posticcio’.

Lo sviluppo della trama è preciso e accurato, hai sviluppato la storia attentamente in tutti i suoi spunti. La trovo un lavoro assolutamente originale, nonostante le date coincidano io non avrei mai pensato di amalgamare questi personaggi!

Mi è piaciuta un sacco questa storia! E’ stato un piacere leggerla dall’inizio alla fine!

Finalmente qualcuno che sviluppa personaggi particolari e non si limita alla solita decina di PG su cui ormai si potrebbe scrivere un trattato! I miei più sentiti complimenti!

Giudizio di Vogue:

Allora, per quanto riguarda la grammatica è abbastanza precisa. L’unico errore è stato il troncamento di ‘dici’ verso la fine della storia, lì dove sarebbe stato corretto lasciarlo così com’era (mi ha fatto storcere il naso anche l’espressione ‘un pescivendolo in licenza’, anziché marinaio, ma chiaramente non l’ho considerato errore).

Lo stile, così come il lessico, è lineare, non presenta particolari difficoltà di lettura. Non eccelso, ma sicuramente piacevole.

La caratterizzazione mi ha creato qualche serio problema. Perché è assolutamente vero che si parla di Minerva ed Alastor in un periodo in cui avrebbero potuto essere in qualsiasi modo, tuttavia non mi hanno convinta particolarmente. Malocchio mi sembra troppo esuberante, quasi eccessivo, e difficilmente riesco a ricondurre questo suo carattere a quello che poi sappiamo essere diventato. Mi è piaciuta sicuramente di più la caratterizzazione di Minerva, sebbene mi aspettassi qualcuna delle sue uscite sarcastiche, che le sono assolutamente tipiche.

Una storia senz’altro originale, è assolutamente apprezzabile l’idea di questo scorcio ambientato quando i due erano a scuola, e lo sviluppo della vicenda è assolutamente interessante.

Ammetto che, proprio per le sfumature dei caratteri, la storia non mi ha fatta impazzire. Ma mi è piaciuta, è piacevole da leggere e inoltre va certamente premiata la scelta di scrivere su un momento tanto atipico.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Molly Weasley ***


SPECIAL DAYS

MOLLY WEASLEY

30 ottobre 1965

Hogwarts

11.00

Molly si stiracchiò sulla poltrona per sgranchirsi le braccia, fissando con aria accigliata la pergamena che aveva davanti. Ci era rimasta sopra tutta la santa mattina e le mancava ancora più di metà tema. Detestava Pozioni, le detestava con tutto il cuore: non vedeva l’ora di dare quel G.U.F.O. solo per potersi liberare di quella materia l’anno successivo. Anche se a pensarci bene, probabilmente i suoi genitori l’avrebbero costretta a continuare a studiarla. Le pareva quasi di sentire la voce di suo padre: "Le Pozioni sono un elemento fondamentale nel bagaglio culturale di un mago, signorinella: in futuro potresti rimpiangere di non averle studiate in modo più approfondito".

Bah, a Molly sembrava una stupidaggine: le basi le aveva ed erano più che sufficienti, a suo avviso. Non ambiva mica a diventare una pozionista di fama mondiale o roba simile. Per quello che si aspettavano da lei, sia sua madre che suo padre sarebbero stati più che felici se si fosse trovata un buon marito con cui fare dei bei bambini. E francamente, anche a lei quel futuro non dispiaceva: quindi, a che diavolo le sarebbe servito un M.A.G.O. in Pozioni?

Ti stai fasciando la testa prima ancora di essertela rotta, Molly Prewett: prima di pensare ai M.A.G.O., pensa a sopravvivere a quest’anno e prendere i G.U.F.O.…

Si grattò il mento con la punta della piuma, alla vana ricerca di una qualche ispirazione che le permettesse di allungare un po’ il tema: in teoria Lumacorno voleva due rotoli per il giorno successivo, ma per quanto si sforzasse dopo un foglio scarso le pareva di aver detto tutto quello che sapeva sulle proprietà dei Bezoar.

Stupidi Bezoar, stupide Pozioni e stupido Lumacorno: pure il mio compleanno dovevano rovinarmi!

Le sembrava inaudito dover passare tutto il suo compleanno con il naso incollato ai libri, ma visto l’andazzo non avrebbe avuto molte altre alternative. Oltretutto era pure domenica: tutta la giornata a disposizione e lei doveva sprecarla così, quando avrebbe potuto impiegarla in ben più dilettevoli occupazioni… Così imparo a rimandare i compiti detestabili all’ultimo minuto: che mi sia di lezione per la volta prossima!

Si stava distraendo troppo, realizzò. Troppo e con troppa facilità: invece di pensare a quanto sarebbe stato meglio essere con il suo ragazzo, avrebbe dovuto concentrarsi su quel benedetto tema. Forza, posso farcela.

Tornò a fissare la pergamena, poi il libro di Pozioni, le cui informazioni erano già state sfruttate fino all’osso, e lasciò cadere le spalle in un gesto sconfortato. No, non posso farcela: questo tema è impossibile!

Ma possibile o impossibile che fosse, quel tema andava comunque finito per il girono successivo, a meno di non voler prendere un’insufficienza, cosa assolutamente inconcepibile…

Carica di nuova determinazione, Molly stava per riprendere il suo lavoro, quando un sommesso picchiettio le fece alzare gli occhi: un gufo reale era appollaiato alla finestra e sbatteva le ali per attirare la sua attenzione. Molly lo riconobbe subito: era Elica, il gufo di Arthur Weasley, un ragazzo del sesto anno, nonché suo fidanzato più o meno ufficiale. Fissò accigliata l’animale: Arthur una volta le aveva spiegato che le ‘eliche’ erano un pezzo dell’aeroplano, quell’aggeggio Babbano tutto ferraglia e rumore che volava, ma non per questo Molly aveva trovato meno strano il nome che aveva appioppato a quell’animale. Quale persona chiamava il suo gufo con il nome di un marchingegno Babbano? Una persona affascinata, per non dire ossessionata, dai Babbani, ovviamente, come Arthur, appunto…

Molly si alzò, andò ad aprire la finestra, rabbrividendo quando una folata d’aria gelata la colpì: quell’anno, l’inverno stava arrivando decisamente in anticipo. Lasciò entrare Elica, che andò ad appollaiarsi sullo schienale della sua poltrona, prese il biglietto attaccato alla sua zampa e lo aprì, cominciando a leggere mentre si risedeva.

Ciao, Lolly Molly,

buon compleanno! Lo so di avertelo già detto stamattina, ma tra tutti e due, io con gli allenamenti di Quidditch e tu con i tuoi compiti, eravamo talmente di fretta che non ci siamo nemmeno salutati come si deve… Comunque, io per mezzogiorno dovrei riuscire a liberarmi, che dici? Facciamo qualcosa insieme? In fondo non varrai di certo passare tutto il tuo compleanno sui libri, no?

E poi se non ci vediamo, come te lo do il tuo regalo? E non fare quella faccia stupita, certo che mi sono ricordato di farti un regalo! Anzi, sono certo che ti piacerà tantissimo… Ma non ti dico altro, prima che rovini la sorpresa da bravo scemo quale sono!

Ma sto divagando, ho idea… Allora, ci vediamo per pranzo e poi… boh, lascio a te la decisione, in fondo sei tu la festeggiata… Rimanda pure la risposta con Elica, a quel vecchio pigrone farà bene muovere un po’ le ali…

A dopo, tuo Arthur.

Molly rilesse la lettera un paio di volte, mentre un sorriso di sciocca beatitudine le si dipingeva in volto… Il suo Arthur, ah, che bell’accostamento di parole… Chissà che potevano fare quel pomeriggio? Se il tempo fosse stato un pochino migliore, avrebbero potuto fare un giro nel parco e starsene un po’ per conto loro… Guardò fuori dalla finestra, con aria accigliata: forse stava sbucando un timido sole autunnale, magari avrebbe riscaldato un po’ l’aria… beh, al massimo possiamo sempre andare a fare una passeggiata per il castello: è talmente grande che potremmo girare tutto il giorno senza problemi… Che bello, un intero pomeriggio solo per noi…

Poi il suo occhio cadde sull’incompiuto tema di Pozioni, cancellando in un istante tutte le sue fantasie: altro che bighellonare con Arthur senza metà, doveva prima finire quel compito malefico se non voleva prendere un’insufficienza. E non osava immaginare come avrebbero reagito i suoi nel caso… Uff, non è giusto! Non è proprio giusto per niente…

Tornò a guardare la lettera di Arthur, mentre il cuore quasi automaticamente accelerava i battiti: Merlino, era proprio cotta se si eccitava così tanto per una lettera! E Arthur le aveva pure preso un regalo…

Sconfortata, stava appunto meditando su cosa rispondergli, rileggendola per l’ennesima volta, quando una mano estranea si inserì nel suo campo visivo e praticamente gliela strappo di mano.

"Ehi, che leggi di bello, MoMo?".

Molly si voltò di scatto, con le guance rosse di rabbia, mentre i suoi due fratelli maggiori, nonché sue personali spine nel fianco, si accalcavano intorno a quel pezzo di carta come avvoltoi. "Gideon! Fabian! Ridatemela subito: non sono fatti vostri!".

Due identici e sardonici ghigni si dipinsero sul volto dei due gemelli: Gideon, che teneva la lettera in mano, gliela sventolò davanti al naso con aria divertita. "Ci scriviamo con il fidanzato, MoMo?" domandò, visto che ovviamente il nome di Arthur era stata la prima cosa a saltargli all’occhio.

"Ma che cosa caaarina!" tubò Fabian.

Molly arrossì ancora di più, furente. Due cose odiava dei suoi fratelli: primo, che si completassero le frasi a vicenda, cosa che la mandava al manicomio perché finiva sempre con il perdere il filo della discussione; secondo, che si impicciassero dei fatti suoi, cosa che la mandava semplicemente in bestia. Ok che era la piccola di casa, ma aveva pure lei il diritto a avere una vita sua, no? Purtroppo, Gideon e Fabian aveva il non irrilevante vantaggio di essere sempre in due contro uno: i gemelli si spalleggiavano sempre e comunque, com’era logico, e perciò lei si ritrovava sempre in una situazione di sfavore.

"Ridatemela subito!" protestò, cercando di riappropriarsi della lettera, senza successo visto che i fratelli la sovrastavano di una ventina di centimetri buoni: a Gideon bastò alzare il braccio per portare l’oggetto fuori dalla sua portata.

"Che razza di nomignolo sarebbe ‘Lolly Molly’?" domandò con aria interessata Fabian, allungando il collo per leggere la prima riga.

Stavolta le guance della ragazza si imporporano anche per l’imbarazzo. "Ma voi non avete niente di meglio da fare che farvi i fatti miei? Perché non pensate ai vostri affari, tanto per cambiare?"

I due finsero di pensarci sopra un attimo, poi all’unisono esplosero in un convinto "Naaah!".

"Molto meglio…" spiegò Fabian.

"… Farci i tuoi" continuò Gideon.

"È molto più divertente…".

"… e appagante!".

Molly fece saettare da uno all’altro la testa, cercando di stare dietro al discorso: perché diamine dovevano fare quel giochetto stupido quando sapevano benissimo che lo odiava? Le stava già venendo il mal di testa!

"Siete dei gran rompiscatole, ecco cosa siete! Io mica mi impiccio delle vostre faccende sentimentali!".

"Perché tu sei troppo buona, MoMo!" ridacchiò Gideon.

"Noi, invece, siamo dei sadici insensibili…".

"Degli inguaribili ficcanaso!".

Molly gonfiò le guance con aria indispettita. "Me la ridate o no, la lettera di Arthur?".

I gemelli si scambiarono un’occhiata e dopo alcuni secondi di riflessione, parvero giungere alla stessa conclusione: sorrisero, poi Gideon porse l’agognata lettera alla sua proprietaria. "Giusto perché il braccio, a furia di tenerlo alzato, mi si stava addormento…".

"… E perché il tuo compleanno, MoMo!" aggiunse Fabian.

"Ah, allora ve lo ricordate…" sbuffò con aria sarcastica Molly, risedendosi in poltrona, non prima di aver accuratamente nascosto la lettera di Arthur in una tasca. "Non credevo di essere così importante…".

"Oh, così ci ferisci…" asserì Fabian, portandosi una mano sul cuore.

"Noi, che siamo così dolci, carini ed adorabili…".

Molly alzò gli occhi al cielo. "Sì, certo come no… Conosco manticore più dolci, gentili ed adorabili di voi due messi insieme!".

"Ma la senti, Fab? Ci sta insultando!" sbottò Gideon con aria indignata. "Non oso crederci…".

"Già… Come puoi anche solo pensare di sostenere che esiste qualcosa di più dolce, carino e adorabile dei tuoi amati fratelli, MoMo? È un vero colpo al cuore…".

"Siete incorreggibili!" ridacchiò Molly, sorridendo. "Io affermo che una manticora sarebbe meglio di voi come sorella e voi vi preoccupate del fatto che io abbia negato che siate dolci, carini o adorabili? Non ho davvero parole…".

"Ma perché tu non puoi negare che lo siamo!".

"È quanto meno blasfemo!" rincarò la dose Fabian. "Un po’ come dire che non ti piace il cioccolato: una di quelle cose che nessuna persona sana di mente potrebbe mai pensare…".

"E se vi dicessi che io detesto io cioccolato con tutta me stessa, voi che fareste?".

"Improvviseremmo un esorcismo qui sul momento" rispose prontamente Gideon.

"Perché sarebbe ovvio che o sei posseduta da qualche oscura divinità infernale o sei completamente ammattita!".

"In caso, se l’esorcismo non funziona, chiameremo i guaritori del S. Mungo per farti internare".

Molly annuì, come se stesse riflettendo su qualcosa. "Allora è una vera fortuna che mi piaccia da matti il cioccolato, anche se non fa tanto bene alla linea: non mi andava proprio di essere rinchiusa in una camera imbottita o di fare il bagno nell’acqua santa!".

Gideon e Fabian risero, stravaccandosi infine su un divano accanto alla sorella. "Allora, non rispondi al tuo principe azzurro?".

"Con voi qui? Neanche tra un milione di anni!".

"E perché?" tubarono in coro i gemelli, mettendo su una smorfia offesa.

"Fatemici pensare… Forse perché siete due insopportabili ficcanaso rompipluffe?".

"Tu dici così…".

"Ma in fondo sappiamo che ci vuoi bene, MoMo!".

"Sì" asserì Molly in tono sarcastico. "Sarei persa senza di voi… E non potreste piantarla di chiamarmi MoMo? Andava bene quando avevo tre anni, non quindici!".

"Oh, ma tu sarai sempre la nostra piccola MoMo, sorellina!" ridacchiò Fabian.

"Anche quando avremmo settant’anni e saremo tre vecchietti rugosi e inaciditi!" aggiunse Gideon.

"Merlino me ne scampi!" esclamò Molly fingendo un’espressione orripilata. "Non ci resisto così a lungo, avendovi sempre tra i piedi… No, no, signori, dopo che mi sarò sposata, non mi vedrete mai più!".

"Uh, la nostra MoMo pensa già al matrimonio, Gid!" fece Fabian.

"Che tenera… E chi sarebbe il fortunato?".

Molly diventò rossa come un pomodoro. "Io parlavo in via ipotetica…" borbottò imbarazzata.

Gideon e Fabian, da bravi infami quali erano, si scambiarono uno sguardo eloquente, prima di riprendere a tormentarla. "Già, in via ipotetica…" chiocciò Gideon.

"Ma a chi vuoi darla a bere!" gli fece eco Fabian.

"Come minimo avrai già deciso giorno, ora, luogo e vivande!".

"Senza dimenticare lo sposo… Che mi dici del tuo fidanzato Babbano-maniaco?".

"Ne parli come se fosse una brutta cosa: ognuno ha i suoi hobby…" si lamentò Molly, senza risultare del tutto convincente: perfino a lei, talvolta, la passione di Arthur per i Babbani era sembrata parecchio strana.

Tuttavia i due fratelli alzarono le mani in identico gesto di difesa. "Abbiamo forse detto qualcosa?".

"Arthur è un po’ stravagante, ma è un bravo ragazzo…".

"Altrimenti, secondo te, te l’avremmo lasciato frequentare?".

"Impiccioni" borbottò Molly, benché sapere che i suoi fratelli si preoccupavano tanto per lei le avesse scaldato il cuore.

"E allora, che ci dici del fidanzato?" riprese implacabile Fabian, accettando con un cenno del capo il commento della sorella.

"Che vi devo dire?".

"Beh, mi par di capire che il buon Arthur vuole passare la giornata a baciare la terra su cui cammini, per chissà quale motivo…".

"… Quindi, quale stuzzicante programmino hai in serbo per la giornata?".

"Stuzzicante programmino?" ripeté Molly in una risata amara. "Ma non farmi ridere!".

"Perché?".

"Cosa c’è che non va?".

"C’è che devo finire lo stupido tema di lumacorno, per domani" sbottò Molly indicando con odio la pergamena piena di cancellature. "E ci metterò come minimo tutto il giorno! Perciò, mi spiace, ragazzi, ma niente programmino stuzzicanti: solo noia, studio e noia di nuovo!".

Gideon e Fabian si scambiarono uno sguardo, a metà tra lo shockato e l’orripilato. "Cioè, tu ci stai dicendo…".

"… Che il giorno del tuo compleanno…".

"… L’unico giorno all’anno in cui può comportarti a buon diritto come una regina…".

"… Invece di stare con il tuo fidanzato a divertiti come è giusto che sia…".

"… Te ne starai qui in solitudine come una monaca a fare i COMPITI?".

"Ehm… Non è che ho molte alternative" cercò di spiegare Molly, a cui iniziava a girare la testa per i continui passaggi di battuta dei gemelli. "Il tema è per domani, sono in alto mare e se non lo finisco prenderò un’insufficienza…".

"Ma tu non puoi passare…".

"… Il tuo compleanno facendo i compiti!". Gideon e Fabian erano quanto meno indignati: quella non era una decisione salutare, proprio per nulla!

"Ma che altro posso fare? Non voglio prendere un brutto voto e di conseguenza una ramanzina da parte di mamma e papà!".

I gemelli annuirono, seri, mettendo in moto i loro allenati cervelli: era davvero un bel problema, ma Molly non poteva passare così il giorno del suo quindicesimo compleanno, no, no, era una questione di principio… Ma come fare senza che rischiasse di incorrere nelle ire di Lumacorno? Ed ecco l’illuminazione! I due si guardarono un attimo e come sempre lessero negli occhi che uno aveva avuto la stessa idea dell’altro.

"MoMo" esordì Gideon con aria seria. "Va’ a farti bella".

"Per fare i compiti? No, grazie, è già abbastanza deprimente così…".

"Non per fare i compiti, sciocchina" sbuffò Fabian, scuotendo il capo. "Per andare a tubare allegramente con Arthur, no!".

"Non siete divertenti, ragazzi" sbuffò Molly con aria scocciata, che in quel momento non era proprio in vena degli scherzi dei suoi fratelli. "Vi ho appena finito di dire che non posso…".

"Ora poi, ora poi" la rassicurò Gideon.

"E come?".

"Perché io e Gid, da bravi fratelli maggiori quali siamo, ti daremo una mano…".

"E come?" ripeté di nuovo Molly.

"Fai troppe domande, MoMo: non ti basta sapere che vogliamo aiutarti?".

"No, voglio anche essere sicura che non farete nulla di illegale, tipo un ‘insegnanticidio’!".

I gemelli risero. "Non proprio illegale, no…".

"Piuttosto, forse, solo un po’ immorale… Se poi non ti morderà la coscienza".

"Che cosa state tramando, me lo volete dire o no?" sbottò Molly al limite della sopportazione.

"Semplice: tu vai con Arthur, passi la giornata con lui, vi divertite, vi baciate, passeggiate, fate quello che vi pare…".

"… E intanto noi facciamo il compito al posto tuo".

Molly sgranò gli occhi, incredula: aveva sul serio sentito quello che credeva di aver sentito? "Ma dite sul serio?".

"Ti pare che potremmo…".

"… Scherzare su una cosa del genere?".

"Ma io non posso lasciarvelo fare!" protestò la ragazza. "Non sarebbe giusto!".

"Oh, andiamo, sappiamo che muori dalla voglia di accettare".

"Non farti pregare".

Molly esitò, mentre la sua mente elaborava velocemente i nuovi possibili scenari: la possibilità di stare con Arthur tutto il giorno e allontanarsi da quella materia malefica… "Non mi sembra corretto" obiettò la ragazza, se pur con meno convinzione di prima: la prospettiva era davvero troppo allettante. "Non è giusto che voi fatichiate al mio posto…".

"Consideralo il nostro regalo di compleanno, no?".

"E poi, dai, per noi del settimo anno i tuoi compiti saranno uno scherzo!".

"Ma ne siete sicuri?".

I gemelli sbuffarono esasperati. "Senti, smettila di remarci contro…".

"O finisce che cambiamo idea!".

Molly esitò ancora un solo istante, poi balzò in piedi, battendo le mani felice come una pasqua. "Grazie, ragazzi!" strillò. "Grazie, grazie, grazie!".

"Oserei dire che l’abbiamo fatta felice, vero, Fab?".

"E tu che volevi regalarle uno scialbissimo vestito nuovo" sbuffò quest’ultimo ridacchiando. "Questo è molto più utile e molto meno dispendioso…".

"Grazie, grazie, grazie" continuò a trillare Molly, che non pareva aver sentito una sola parola. "Siete i fratelli migliori del mondo!".

"Io e Gideon ne siamo consapevoli".

"E tu sai che ci sarai debitrice in eterno, vero?".

Molly non sembrò particolarmente preoccupata da quest’ultima affermazione: tutta la sua attenzione era già rivolta al meraviglioso pomeriggio che adesso l’aspettava. "Grazie, grazie, grazie!".

"Ma ancora qui sei?".

"Fila a prepararti per il tuo principe azzurro!".

Molly non se lo fece ripetere e in meno di tre secondi sparì nel suo dormitorio, seguita dal gufo Elica che aveva seguito in paziente attesa tutta la discussione tra i tre fratelli Prewett. Sapeva già cosa fare: avrebbe mandato una risposta ad Arthur con il gufo, poi si sarebbe cambiata e alla fine avrebbe raggiunto il fidanzato. Piena di gioia e di aspettativa per quello che l’attendeva, si mise alla scrivania per scrivere la risposta, ritrovandosi a pensare che in fondo Gideon e Fabian non erano poi così male quando si impegnavano.

LYRAPOTTER’S CORNER

Grazie al cielo alla fine l’ispirazione è arrivata! Rimanda che rimanda, mi sono ridotta a scriverla in questi due giorni questa storia: avevo una paura di non farcela in tempo, invece sono stata colta da un raptus di scrittura compulsiva e ho scritto tutto in due giorni. Beh, tanto meglio!

Immagino ormai sarete stufi di sentirmelo ripetere, ma io sono una tipa scrupolosa e probabilmente rompiscatole, a parte la data molto arrotondata e i rapporti d’età, è tutto canon. Ok, saltate pure questa precisazione, ormai lo sanno perfino le pietre che io sono maniaca della precisione!

Ringrazio molto

NinfaDellaTerra

Gaea

dirkfelpy89

Deidara

Per le loro recensioni: non immaginavo davvero che la mia shot su Minerva potesse riscuotere tanto successo. grazie, grazie, grazie (per citare Molly!).

Prossimo capitolo, vicino-vicino, domani, 31/10 per Halloween: preparatevi, perché non sarà una cosa particolarmente allegra.

See you soon!!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Halloween ***


SPECIAL DAYS

HALLOWEEN

„Per dieci anni hanno spartito lo stesso cammino, per dieci anni sono stati legati da un’amicizia che credevano indistruttibile, per dieci anni hanno diviso segreti e architettato malefatte, si sono supportati nel momenti bui e rallegrati in quelli belli… E in una sola notte, il tradimento spazzò via tutto quanto…"

WORMTAIL

Il traditore

31 ottobre 1981

Inghilterra

21.00

Sei senza un minimo di spina dorsale, Wormtail.

Mi sembra quasi di sentire la voce di Sirius, James e Remus rimproverarmi in testa, mentre in forma di topo sgattaiolo tra i cunicoli, diretto al suo covo.

Ci fidavamo di te, eri nostro amico e tu ci hai traditi tutti!

Sì, sono un codardo senza spina dorsale, concludo. James e Lily hanno messo la loro vita nelle mie mani e io sto andando a venderli al loro peggior nemico. Che bravo, Peter, complimenti.

Forse, tutto sommato, non è troppo tardi, forse potrei ancora fare la cosa giusta. La prospettiva sembra quasi allettante: andare da Silente, dirgli tutto, gettare la maschera, mettere Lily e James davvero al sicuro, non ho ancora fatto niente di male, i miei amici capirebbero… Poi ricordo i McKinnon: io li ho venduti ai Mangiamorte meno di tre mesi fa.

No, i miei amici non capirebbero: vedrebbero soltanto uno schifoso traditore. Ma in fondo sono questo, no? Com’è che dicono, quando la nave affonda, il topo è il primo a darsela a gambe.

Io in questo sono sempre stato maledettamente bravo: non ho esitato un istante quando il Signore Oscuro mi ha offerto di diventare un Mangiamorte, una spia, in cambio della vita. E anche se il senso di colpa è cresciuti ogni giorno di più, la paura è sempre stata più grande, paura di quello che Lui mi avrebbe fatto se mi fosse tirato indietro.

In fondo, cosa c’entravo io con i Malandrini? Non ero bello come Sirius o carismatico come James o intelligente come Remus, non ero niente, solo il piccolo e imbranato Peter: cosa avevo fatto per meritare l’accesso a quel circolo di eletti? Mi ero solo trovato nel dormitorio giusto al momento giusto: loro non avrebbero sentito la mia mancanza, non si erano mai curati di me, ero talmente insignificante che nessuno di loro aveva minimamente pensato che potessi essere il la spia. Remus sospettava di Sirius, Sirius sospettava di Remus e James semplicemente brancolava nel buio, incapace di diffidare dei suoi compagni, i suoi amici, i suoi fratelli. Nessuno si ricordava mai di me, né nell’Ordine, né tra i Mangiamorte, dove ero poco più che una nullità. Ma io sono Peter Minus, sono stato invisibile tutta la vita: solo con i Malandrini mi ero illuso per un attimo, ma era niente più di un illusione…

Me lo sono ripetuto talmente tante volte in questi mesi, mentre facevo il doppio gioco, che ormai ci credo sul serio, che a James, Sirius e Remus non sia mai importato un fico secco di me…

Ma ora, ah, ora sto per diventare il prediletto del Signore Oscuro, il suo Mangiamorte più fedele: proprio io gli avrei consegnato l’oggetto di mesi di ricerca su un piatto d’argento. Domani, i Potter saranno morti e io sarò il più importante tra i suoi servitori, più dei Malfoy, dei Lestrange, perché io, Peter Minus, gli avrò dato ciò che desidera più di ogni altra cosa: la vita del piccolo Harry Potter.

Immerso nei miei pensieri, sono infine arrivato. Giunto di fronte a Lui, una volta assicuratami che sia solo, riprendo la mia forma umana.

"Ah, Wormtail" mi accoglie con un gelido sorriso. "Hai buone notizie per me, mi auguro".

Schifoso, infame traditore, sibila la voce dei Malandrini. Così ripaghi la nostra amicizia?

Per un attimo esito. Sei ancora in tempo per fare la cosa giusta, una volta nella vita Wormtail. Potrei anche farlo, tacere e decretare la mia condanna a morte, ma la paura è una compagna di vita infida: vedo già la sua bacchetta puntata contro di me, l’Anatema-Che-Uccide è già sulle sue labbra e inconsapevolmente mi strappa un brivido. Sì, sono un traditore infame. Sì, sono solo un codardo. Ma non si può andare contro la proprio natura.

Noi l’avremmo fatto per te, Wormtail, rincarano la dose le loro voci. Noi per te saremmo morti, avremmo rinunciato a tutto.

Ma io non sono come voi: non sono né forte, né intelligente, né coraggioso, sono solo Peter l’inutile. Ma questo cambierà quando avrò dato all’Oscuro Signore ciò che vuole: mi vedo già coperto dagli onori che Lui mi tributerà al suo ritorno, quando i Potter saranno morti.

E così sento la mia voce dire: "Ottime notizie, mie signore: so dove si nascondo i Potter".

E subito dopo, le loro voci, un’altra volta. Perché l’hai fatto, Wormtail? Perché?

Ma ormai sono diventato bravo a non ascoltarle.

PRONGS

L’amico perduto

Godric’s Hollow

21.30

Mi stiracchio sul divano, più annoiato che davvero insonnolito. Merlino santo, se questa storia durerà ancora a lungo, mi sa che imploderò! Siamo confinati in casa in via permanente da poco più di una settimana e mi sembra già di aver dimenticato com’è il mondo là fuori.

Un luogo orribile, brutto e cattivo, dove un pazzo psicopatico uccide per il puro gusto di farlo!, mi ricorda saggiamente il mio grillo parlante, dalla voce straordinariamente simile a quella di Remus.

Buon vecchio Remus, chissà che stai facendo in questo momento? Sarà un mese buono che non lo vedo ormai…

Almeno i Malandrini potessero venire a trovarmi di tanto in tanto, scaccerebbero la noia per qualche ora… Ma no, Silente è stato chiaro: niente visite, niente sortite, niente di niente, fino a che non si trovava un’altra soluzione. Tutti nei loro nascondigli e via!

E poi a pensarci bene non sarebbe una buona idea mettere Moony e Padfoot nella stessa stanza: sono mesi che la loro amicizia è appesa a un filo, che quando si incontrano alle riunioni dell’Ordine o si saltano alla gola o al più si ignorano. Ma io lo so che nessuno di loro è la spia: mi rifiuto di crederlo…

Chissà che sta facendo Sirius: probabilmente è impegnato a schivare i Mangiamorte che gli abbiamo messo involontariamente alle calcagna. Ma non sono preoccupato: Sirius se la caverà, Sirius se la cava sempre…

Mamma mia, che barba! Cosa non darei per andare a fare una bella trottata al chiaro di luna! Il mio lato irresponsabile mi suggerisce a gran voce di farlo, giusto un’oretta per sgranchirmi le gambe (o le zampe!), ma so che Lily ne morirebbe: la paura e la preoccupazione non la fanno dormire la notte. Sta diventando un po’ paranoica negli ultimi tempi: oggi è stata tesa come una corda di violino tutto il santo giorno, sembra convinta che una qualche disgrazia ci stia per piovere addosso… Finirà con il farsi venire un aneurisma, dovrò dirle di calmarsi un po’…

Harry comincia ad agitarsi nel suo box, reclamando la mia attenzione, visto che Lily sta in cucina a finire di lavare i piatti.

"E va bene, piccolo mostriciattolo viziato" ridacchiò, prendendolo in braccio e mettendomelo sulle ginocchia. "Tu lo sai che per colpa tua il tuo papà sta lentamente diventando matto e tua madre isterica… Beh, è sempre stata un po’ isterica, a ben pensarci…".

Harry ridacchia: probabilmente non ha capito una parola di quello che gli ho detto. "Papa!" ripeté con un moto d’orgoglio, come se fosse il fulcro di tutto il discorso.

"No, ovviamente non lo sai" affermo io sorridendo. "Sei fortunato a essere piccolo, Harry: la vita è molto più semplice".

Allungo la mano per prendere la bacchetta dal tavolino dove l’ho lasciata e comincio a evocare sbuffi di fumo colorati. Come previsto, Harry va in brodo di giuggiole: batte le mani eccitato cercando di afferrarli.

"Chissà per quanto tempo riuscirò a fregarti con questi trucchetti da salotto…" ridacchio, facendo prendere la fumo la forma in un piccolo cerbiatto.

Un colpo secco della mano di Harry e il cerbiatto gli svanisce tra le dita. Per compensare la delusione, evoco un in rapida sequenza un lupo, un cane e un topo: del resto, gli abbiamo fatto pure i peluche, dei nostri alter ego. Sirius continua imperterrito ad affermare che il cane sia il suo preferito, anche se ovviamente è palese che è il cervo il suo preferito…

Harry sbadiglia: è tardi, tra un po’ mi crollerà addormentato tra le braccia, come ogni sera.

Lily fa la sua entrata: ma è il mio cervello o è bellissima perfino con l’acconciatura sfatta nel maglione sformato che indossa per stare più comoda?

Sorride intenerita alla scena. "Credo proprio che qualcuno abbia bisogno di una farsi una bella dormita…" dice, avvicinandosi e facendo per prendere Harry.

Io le rivolgo il mio miglior sorriso malandrino, uno di quelli che la mandano sempre in bestia. "No grazie, credo di poter stare in piedi ancora un po’" ridacchiò, passandole il bambino.

"Stupido" sibila lei, scuotendo il capo. "Io parlavo di Harry…".

"Oh, ora capisco". Annuisco, gettando con noncuranza la bacchetta sul divano. "E tu? Anche tu vuoi farti una bella dormita?".

Lily mi squadra sospettosa. "Che cosa vai tramando adesso, Potter?".

"Vieni in camera da letto che te lo spiego" rispondo con un sorriso malizioso.

Lily ridacchia come una bambina. "Aspettami di sopra: metto a letto il piccolo e ti raggiungo…".

Bum, James Potter si fa sotto e fa centro! Dopotutto sono ancora un gran conquistatore…

Notiamo entrambi che Harry non riesce a tenere gli occhi aperti, il che significa che non ci disturberà. Molto bene, molto, molto bene.

Mi stiracchio di nuovo, mentre Lily si avvia di sopra: ma sta ancheggiando apposta per provocarmi? Se non la conoscessi, direi proprio di sì! La serata sta migliorando velocemente…

Ed è a quel punto, mentre mi sto alzando, pregustandomi ciò che avverrà quando Lily mi raggiungerà in camera, che il mondo va in pezzi.

La porta d’ingresso esplode sotto il mio sguardo scioccato: l’onda d’urto mi sballotta all’indietro. Ma non ho tempo per essere stordito: solo una persona può aver fatto questo. Lui. Ci ha trovato. Il che significa che Peter ci ha traditi: mi sento come se un frammento del mio cuore fosse esploso insieme alla porta. Era sempre stato lui la spia: noi ci fidavamo e lui ci ha traditi, ha tradito me, Lily, Harry, i Malandrini, l’Ordine, ma soprattutto la nostra amicizia.

Tutto questo mi attraversa la mente in meno di un secondo, il tempo necessario perché Lord Voldemort sorpassi i resti della porta: è venuto per mio figlio, quel mostro. Lascio da parte tutto il resto e grido: "Lily, prendi Harry e corri! È lui! vai! Scappa! Io lo trattengo…"*

E lo fa, sento i suoi passi frenetici salire al piano di sopra: devo solo darle il tempo di Smaterializzarsi, solo pochi minuti. Mi frugo nei pantaloni, pronto a vendere cara la pelle, ma la bacchetta non c’è: è sul divano, dimenticata e inutile. E non posso andare a prenderla, perché se lo faccio, lui andrà di sopra, dietro a Lily e Harry. Che idiota che sono! Com’è che dice sempre Malocchio? Vigilanza costante. Io me ne sono scordato e pagherò con la vita. Ma non importa, purché loro riescano a fuggire.

Mi frappongo senza esitazione tra lui e le scale: ho appena vergato la mia condanna a morta, ma questo darà a Lily il tempo sufficiente per fuggire con Harry. Vai amore mio, proteggi nostro figlio e crescilo per tutti e due. "Dovrai passare sul mio cadavere, maledetto bastardo!".

"Molto bene, se proprio insisti" sghignazza quella maschera bianca di crudeltà. Leva la bacchetta e i miei occhi sono illuminati da un bagliore verde. Ma io non ho paura della morte.

I miei ultimi pensieri sono per i miei cari: la moglie che non potrò più baciare, il figlio che non vedrò crescere, gli amici con cui non scherzerò mai più… E per Peter Minus, l’uomo in cui avevo riposto la mia fiducia e l’ha gettata nello scarico del cesso, insieme a dieci anni di amicizia.

Poi il buio.

PADFOOT

Il colpevole innocente

Godric’s Hollow

22.15

Ho sempre pensato che indovini, veggenti e gentaglia simile fossero solo ciarlatani. Che tutte quelle storie delle connessioni spirituali, il sesto senso, le premonizioni, i dejà vu fossero solo boiate per i creduloni e gli ignoranti. Sono sempre stato un tipo troppo concreto per perdere tempo con cose del genere: i fatti tangibili erano il mio pane quotidiano. Sirius Black non si scomoda per delle semplici ‘sensazioni’.

Ma quella notte, quella dannata notte, molte cose erano destinate a cambiare.

Mi ero svegliato con quel senso d’oppressione nel petto, quello strano crampo allo stomaco che non mi aveva abbandonato per tutta la giornata: mi sentivo come sull’orlo di un precipizio in mezzo alla nebbia, pronto a cadere da un momento all’altro. Non vi avevo dato peso, attribuendolo a qualche malessere vagante: la tensione di quei giorni, lo stress, la preoccupazione, il poco sonno non erano certo una combinazione vincente per la salute.

Ma verso sera, la morsa si era trasformata in un vero e proprio senso di panico: qualcosa di terribile stava per accadere o magari era già accaduto. Qualcosa che riguardava le persone a me più care.

Riuscì a malapena a spiluccare la mia cena precotta, dopodichè fui preso da una tale frenesia da non riuscire a stare fermo più di due secondi. Spostai tutti i mobili, riordinai i cassetti, bonificai la mia dispensa da tutto ciò che il tempo aveva reso immangiabile o tossico, arrivai perfino a sistemare i vestiti in ordine di colore, ma niente serviva a calmarmi.

Accarezzai l’idea di andare da Remus a parlare, ma probabilmente mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Cinque giorni prima avevamo litigato furiosamente, di nuovo: ci eravamo urlati addosso di tutto, ci eravamo dati dei traditori a vicenda e alla fine ognuno se n’era tornato a casa sua sbattendo la porta. Non c’era più James a fare da mediatore e non eravamo più a scuola, quando nella peggiore delle ipotesi andavi a letto imbronciato e facevi pace la mattina dopo. Ormai facevamo ognuno la nostra vita e potevamo anche evitarci in eterno.

E del resto io non mi fidavo di lui, come lui non si fidava di me: sì, andare da Remus era decisamente una pessima idea, avremmo finito solo con il litigare di nuovo.

Provai a leggere dei fumetti, ma non riuscivo a concentrarmi sulle parole: quell’orribile presentimento di disgrazia imminente continuava a perseguitarmi. Qualcosa non andava, qualcosa non andava… Chissà, se mi fossi deciso prima, forse avrei potuto evitare il disastro. Me lo sono chiesto spesso, negli anni successivi, mentre i Dissennatori mi succhiavano l’anima: se fosse uscito solo cinque minuti prima, magari…

Erano da poco passate le nove quando non ne potei più: mi infilai il giubbotto di pelle e saltai sulla mia moto. Giusto un salto da Peter, mi dissi. Tanto per essere sicuro che sia tutto in ordine…

Me niente era in ordine. Arrivai al nascondiglio di Peter e lo trovai vuoto. Nessun segno di resistenza o effrazione, niente bruciature da Incantesimi sulle pareti: era tutto perfettamente in ordine, tranne ovviamente il fatto che Peter non c’era.

E non era possibile: l’avevamo concordato, sarebbe rimasto nascosto finché il caos non si fosse sgonfiato. Mi rifiutavo di accettare l’evidenza che Peter da lì se n’era andato di sua spontanea volontà, non ci volevo credere…

E il senso di terrore tornò a farsi più acuto che mai: stava andando tutto male, tutto male, mi diceva il mio sesto senso.

In preda al panico, tornai alla moto, partendo a tutta birra verso Godric’s Hollow. Ci sarà sicuramente una spiegazione razionale: magari Peter è stato scoperto ed è scappato. Si sarà infilato in qualche buco. Sarà tutto a posto, sì, tutto a posto…

Mi affannavo nel cercare una spiegazione razionale, qualcosa che spiegasse tutto e non includesse il disastro che sentivo in petto, all’altezza del cuore. Ero sopra Bristol quando ebbi l’impressione che una parte di quel cuore mi venisse strappata via, crudelmente e senza pietà: se avessi guardato l’orologio avrei saputo che erano le nove e tre quarti mentre la vita del mio migliore amico si spegneva come una candela.

Ma ancora non lo sapevo in quel momento, ancora mi illudevo che tutto andasse bene e attribuì quella sensazione a un insano senso di suggestione. Non può essere, non può essere: ci deve essere un’altra spiegazione, qualunque altra…

Tutte illusioni che andarono spietatamente in pezzi quando finalmente arrivai alla mia metà e trovai casa Potter mezzo distrutta.

"No, no, no, no" cominciai a balbettare, mentre con gesti da sonnambulo scendevo dalla moto e mi avvicinavo alla casa. "No, no, non è vero, non è possibile…".

Superai il cancelletto e mi bloccai sulla porta scardinata: bruciature da Incantesimo. E a quel punto vidi il suo corpo: James giaceva riverso ai piedi delle scale, in una posizione decisamente troppo poco naturale per essere quella di un vivo.

L’orrore mi ghiacciò le viscere: non era possibile, semplicemente non era possibile. Quello era senza dubbio un brutto sogno, un incubo di quelli che ti fa svegliare urlando, perché James non poteva essere…

"James!" gridai, precipitandomi verso di lui. "James!".

Lo rivoltai, prendendolo tra le braccia: aveva perso gli occhiali, Merlino solo sapeva dov’erano finiti in quel macello e gli occhi nocciola, che tante volte avevo visto brillare di una luce Malandrina, fissavano vuoti il cielo.

"No, no! James, James!". La mia testa si rifiutava categoricamente di accettare quello che stavo vedendo: James non poteva essere morto, era semplicemente impossibile.

Non saprei nemmeno dire quando cominciai a piangere come un bambino, stringendo quel corpo esanime e indifferente tra le braccia, mentre mi costringevo ad accettare la dura realtà: James, il mio amico, il compagno di tante avventure, l’uomo che amavo come e più di un fratello, era andato, morto, scomparso per sempre. Non avrei più sentito la sua risata, non avremo tramato ai danni di Moony, non avremo più riso insieme come hai vecchi tempi…

"Brutto idiota!" gridai, pieno di rabbia e disperazione, scuotendolo invano. "Come ti sei permesso di morire? Come hai potuto pensare che potessi andare avanti senza di te? Tu non dovevi morire, non dovevi, cazzo!".

Un altro pensiero si stava facendo lentamente strada nella tenebra del dolore: era tutta colpa mia! IO avevo rifiutato di diventare il custode segreto dei Potter, IO avevo suggerito di prendere Peter al mio posto, IO non avevo capito prima chi era la spia, IO avevo ingiustamente sospettato di Remus per mesi, IO avevo dato al traditore il mezzo e l’occasione di assassinare il mio migliore amico… Era colpa mia se James giaceva privo di vita, se a soli ventuno anni si era visto strappare l’esistenza, se non avrebbe mai visto Harry crescere…

Fu in quel momento che mi ricordai di Harry e Lily e mi diedi dell’egoista per non averci pensato prima. Era irrazionale credere che fossero ancora vivi, ma la disperazione fa sperare anche cose peggiori. Ma prima che potessi decidermi ad alzarmi e lasciare James, un rumore alle mie spalle mi fece sobbalzare. Fu il mio istinto di sopravvivenza che mi fece balzare in piede e voltare, armandomi al contempo della bacchetta.

Ma non lanciai nessun incantesimo, riconoscendo l’inconfondibile sagoma di Hagrid farsi strada tra le macerie: la sua faccia era lo specchio della mia, ne ero sicuro. Tra le braccia stringeva qualcosa.

"Hagrid!"gridai, senza nemmeno sapere da dove mi venisse la voce.

"Sirius!" ribatté lui sorpreso. "Non mi aspettavo di vederti…".

"Potrei dirti lo stesso. Hai visto Lily?".

La sua espressione fu una risposta più che eloquente: un altro frammento del mio cuore prese il volo. "Sta là dietro" disse Hagrid con voce rotta. "Mi dispiace Sirius, so che per te deve essere difficile…".

Annuì distrattamente: James e Lily erano morti, tutti i miei pensieri erano focalizzati su…

Il fagotto che Hagrid stringeva prese ad agitarsi: riconobbi la zazzera nera di Harry. Non potevo vedere chiaramente a causa del buio e delle lacrime, ma mi sembrava miracolosamente incolume, tranne per una brutta ferita alla fronte.

"Sta bene?" chiesi: non osavo quasi crederci. Perché Voldemort aveva risparmiato l’oggetto della sua furia? Mi resi conto che c’era anche qualcos’altro che non andava: perché la casa era semidistrutta? L’Avada Kedavra non lascia tracce di sorta… Cos’era successo in quella casa?

"Cosa è successo qui?".

"Tu-Sai-Chi… lui è morto, credo" disse Hagrid esitante.

"Morto?" ripetei. Non era possibile: come poteva Voldemort essere morto, chi l’aveva sconfitto? "Come?".

"È stato Harry" spiegò Hagrid. "Me l’ha detto Silente: quando Tu-Sai-Chi ha cercato di uccidere Harry, dopo James e Lily, la maledizione gli è rimbalzata contro…".

"Rimbalzata?" ripetei ancora. Scossi il capo, senza capire. Ma in fondo che importanza aveva? Harry era vivo, l’ultimo frammento di Lily e James su questa terra era lì a tre passi da me ed era mio compito prendermene cura.

"Dammi il bambino, Hagrid" sentì la mia voce dire. "Sono il suo padrino, avrò io cura di lui…".

Hagrid mi fissò imbarazzato. "Non posso Sirius, Silente mi ha mandato qui a prenderlo: mi ha detto che devo portarlo nel Surrey, dai parenti Babbani…".

Harry tra i Babbani? Che assurdità. Perché affidarlo a gente che senza dubbio l’odiava quando potevo occuparmene io? Che gioco faceva Silente?

E la verità, l’ultima e la peggiore, mi crollò addosso con la violenza di una valanga: Silente credeva che fosse colpa mia! Tutto il mondo avrebbe presto creduto che fosse colpa mia! Perché tutti credevano che fossi io il custode segreto di Lily e James. Se Hagrid non mi si era ancora rivoltato contro, era solo perché ancora non sapeva. Il mio brillante piano mi si era ritorto contro. E Minus sarebbe fuggito indisturbato, come il ratto di fogna che era.

Il dolore fu rimpiazzato all’istante da rabbia e odio: Minus mi aveva tolto le due persone più care che avevo, l’avevo chiamato amico e ci aveva raggirati tutti. Da quanto tempo si era venduto a Voldemort? E non avrebbe nemmeno pagato per il suo tradimento! Non l’avrei permesso: l’assassino di Lily e James non se ne sarebbe andato impunito. L’avrei scovato e fatto a pezzi con le mie stesse mani, il piccolo sorcio voltagabbana.

Notai appena l’occhiata ansiosa di Hagrid. "Sirius, sei certo di star bene?".

Annuì meccanicamente e mi voltai. "Prendi la mia moto, Hagrid: farai prima. Devi tenere Harry al sicuro".

Tornerò a prenderti, piccolo. Ma prima Minus deve pagare per quello che ha fatto, pensai, avviandomi senza nemmeno ascoltare le proteste di Hagrid.

Non avevo un piano, era animato da un semplice miscuglio di dolore, rabbia e vendetta. Ero certo che nulla potesse fermarmi: avrei ucciso Minus e poi sarei andato a spiegare tutto al preside, questo era il mio piano.

Ma il piano è fallito. Fisso con aria vuota la voragine che tu, piccolo lurido ratto di fogna, hai aperto per fuggire, fisso i corpi senza vita di quei passanti innocenti falciati dalla tua codardia mentre gli Auror sopraggiunti a frotte mi trascinano via.

Non cerco nemmeno di opporre resistenza: dopo questa strage, a che servirebbe? Tutti mi crederanno colpevole e le mie giustificazioni passeranno per gli sproloqui di un folle disperato.

Non mi rendo nemmeno conto di scoppiare a ridere. E rido, rido, rido senza riuscire a fermarmi. Complimenti, Minus, alla fine hai avuto abbastanza cervello per riuscire a fregarmi!

MOONY

L’ultimo

1 novembre 1981

Londra

10.00

Malgrado l’autunno inoltrato, il sole splende alto nel cielo. I suoi raggi sono piacevolmente tiepidi, ma io non riesco a sentirne il calore, dalla logora poltrona su cui seduto immobile da quasi mezz’ora, ormai.

Mi era svegliato con il cuore leggero, convinto che tutto andasse bene, neanche un’ora prima. Dov’è finita quella spensieratezza?

Come ogni mattina, mi sono preparato una cioccolata calda, ho preso alcuni biscotti non troppo stantii dalla dispensa e mi ero seduto su quella poltrona per leggere l’edizione mattutina della Gazzetta del Profeta. Ma la cioccolata stava ancora sul tavolino, ormai fredda, con accanto i biscotti non mangiati.

L’appetito era sparito nello stesso istante in cui avevo visto la prima pagina e avevo riconosciuto con orrore quella strada familiare, che tante volte avevo percorso, e quella casa distrutta, dove tante volte ero entrato. Non avevo quasi avuto bisogno di leggere il titolo per capire cosa era successo.

Godric’s Hollow attaccata.

Lily e James morti.

Voldemort sparito.

Il piccolo Harry vivo per miracolo.

Sirius ricercato.

Ma il mio cervello si era fermato alla seconda: Lily e James morti. Due giovani vite spezzate senza un perché, per il puro capriccio di un folle. Due amici scomparsi per sempre, in pochi, insignificanti istanti.

E il momento che attendevo con ansia da anni, la sconfitta di Voldemort, la fine di quella stupida guerra, mi era totalmente indifferente. Là fuori la gente festeggia la morte di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, ma io non sono partecipe di quella gioia, non posso: l’avevo sognato per anni e ora non riusciva a suscitarmi nemmeno una scintilla di felicità.

Non è così che doveva accadere: quando la guerra fosse finita, avremmo dovuto essere qui, tutti insieme, a festeggiare. Io, James e Lily, Peter, Sirius, il piccolo Harry…

Che ne sarebbe stato di lui? Il giornale non lo diceva: di certo c’era lo zampino di Silente… A chi sarebbe stato affidato quel povero bambino che in pochi minuti si era visto strappare entrambi i genitori?

Perché siete morti? Non dovevate morire: chi crescerà vostro figlio adesso?

Mi sembra passata un’eternità dall’ultima volta che ho sentito James ridere, ho visto il dolce viso di Lily e ogni secondo mi allontana sempre di più da loro, loro che erano morti, mentre io sono vivo. Che razza di giustizia è questa? Si amavano, aveva tutta la vita davanti, avevano un figlio… Io cos’ho? Nulla.

Forse questo dolore sarebbe più sopportabile se non sapessi chi è il responsabile.

Sirius.

Quando l’avevo letto, non avevo osato crederci, all’inizio. Ma era lui il loro custode segreto, l’unico che avrebbe potuto dire a Voldemort dove si nascondevano, che avrebbe potuto indirizzarlo a Godric’s Hollow.

Non posso crederci. In fondo, fino a quel momento, non avevo mai seriamente sospettato che fosse davvero lui la spia nell’Ordine: conoscevo Sirius troppo bene per poterlo pensare, credevo che il suo legame con James fosse troppo forte, se lo accusavo era più per difendere me stesso…

Ma evidentemente l’avevo sottovalutato: alla fine, si era rivelato un Black come tutti gli altri. No, peggio di tutti gli altri, perché si era mascherato da amico, si era infiltrato come una serpe solo per tradirci tutti.

Ma aveva fatto male i suoi conti: con Voldemort scomparso, si era rivelato nel momento peggiore possibile. Mi auguro che gli Auror lo prendano presto: Malocchio certo non gli avrebbe dato tregua e nemmeno Frank.

Forse mi dovrei unire anch’io alla caccia all’uomo. Scaccio subito il pensiero: non avrei mai la forza di guardarlo negli occhi dopo quello che ha fatto, dopo tutto il veleno che ha sparso.

Avrei sfruttato meglio il mio tempo andando da Peter: di certo anche lui doveva aver visto la notizia ed era sconvolto quanto me. Rimanevamo solo noi: ci saremmo consolati a vicenda, magari davanti a una bottiglia di Whisky Incendiario.

Avere qualcosa da fare è più confortante che stare immobile, perciò mi alzo e mi vesto alla meglio. Ma prima che possa uscire e Smaterializzarmi da Peter, il camino si illumina di fiamme verdi e sputa fuori l’alta figura di Albus Silente: forse per la prima volta da che lo conosco, non c’è nessun scintillio divertito nei suoi occhi, il suo volto è una maschera insondabile ancora più del solito.

"Professore" lo saluto, sorpreso, cercando di controllare il tono della voce. "Che cosa ci fa lei qui?".

Silente fa saettare lo sguardo da me al giornale sul tavolino. "Hai già saputo, allora. Speravo di poterti avvisare di persona, per alleggerire la notizia…".

Faccio un sorriso, o quella che più probabilmente è la parodia di un sorriso. "È stato un pensiero gentile, professore: avrebbe dovuto immaginare che sono un tipo mattiniero…".

"Oh, lo so. Purtroppo però mi sono liberato solo adesso. E temo di non avere molto tempo per te: al Ministero richiedono la mia presenza con assoluta urgenza. Come puoi immaginare, gli eventi delle ultime ore hanno gettato tutti in subbuglio…".

Annuisco. "È stato gentile a passare, ma come vede non è necessario: so già quello che c’è da sapere. Può tornare ai suoi affari".

Non vorrei essere sgarbato, ma ho fretta di uscire: l’aria dell’appartamento squallido dove vivo comincia a essere soffocante. Voglio trovare Peter e leccarmi le ferite insieme a lui. Ma Silente non si muove di un millimetro. "Stavi uscendo?". Non sembra offeso dal mio tono, anzi mi fissa comprensivo.

Annuisco. "Ho voglia di una boccata d’aria".

"Remus, prima di andare, ho un’altra notizia da darti".

Non mi piace il tono che usa: è lo stesso di un dottore che deve comunicare al paziente che gli restano due mesi di vita. Qualunque cosa dirà, so che non mi piacerà.

"Di che si tratta?" domando, certo che ormai nulla potrà farmi star peggio di così. Quanto mi sbaglio…

"Black è stato catturato venti minuti fa" mi comunica Silente. "Barty Crouch ha già dato ordine di scortarlo ad Azkaban…".

Per un attimo, mi sento sollevato. Tutto qui? Aveva paura che la notizia dell’arresto di Sirius mi avrebbe sconvolto? Se non fossi tanto coinvolto emotivamente, gli avrei dato la caccia di persona, è un sollievo e quasi una gioia saperlo a marcire ad Azkaban.

Ma Silente non ha ancora finito. "C’è dell’altro, Remus. Prima di essere arrestato, è corso in piazza, in una cittadina non lontano da Godric’s Hollow: probabilmente lo shock di trovarsi senza protettore proprio ora, gli ha annebbiato il cervello…".

"Che cosa ha fatto?" chiedo.

"Ha fatto esplodere la piazza, fino alle fognature. Tredici persone sono morte: dodici passanti babbani e un mago che era intervenuto per fermare Black…".

Ecco di nuovo quel tono: Silente sembra perfino incapace di guardarmi negli occhi. Tredici morti, di cui un mago… Un mago che voleva fermare Sirius… No, non è possibile, non può essere.

"Chi era il mago?" chiedo, senza nemmeno riconoscere la mia voce.

"Remus…" sussurra Silente: non ha il cuore di dirmelo. E io capisco.

"Chi era il mago?" chiedo comunque. "Me lo dica professore: devo sentirmelo dire o non potrò crederci".

Silente sospira addolorato e dice: "Peter Minus".

Con quelle due semplici parole, l’ultimo brandello del mio mondo ancora in piedi viene miseramente distrutto. Abbasso il capo, lascio cadere le spalle, mi mordo le labbra per non mettermi a urlare. Pensavo che nessuno potesse sopravvivere provando un dolore del genere, ma evidentemente sbagliavo, perché vivo e respiro, anche se mi hanno appena strappato il cuore dal petto e l’hanno fatto a pezzi senza pietà.

"Remus, stai bene?" mi domanda Silente, preoccupato dal mio mutismo.

"Sì, bene" mento, sorprendendomi di quanto ferma sia la mia voce. "Ora, vorrei stare da solo, per favore…".

Sembra sul punto di protestare, ma alla fine annuisce. "Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, sai dove trovarmi…".

Dieci secondi dopo è sparito tra guizzi di fiamme verdi e io sono di nuovo su questa sgangherata poltrona, solo con il mio dolore. Non c’è più ragione di uscire: nessuno si chiederà che fine ho fatto, nessuno si preoccuperà non vedendomi arrivare, nessuno mi aspetterà… Sono completamente solo.

Tutti i miei amici sono morti, traditi e uccisi da un uomo che marcirà per la vita in una cella di Azkaban.

"PERCHÉ L’HAI FATTO, SIRIUS?" grido, pieno di rabbia e dolore. "PERCHÉ CI HAI TRADITI TUTTI? JAMES SI FIDAVA DI TE, IO MI FIDAVO DI TE! ERA PROPRIO NECESSARIO UCCIDERE IL POVERO PETER?".

Non ottengo ovviamente risposta, tranne un’attutita eco delle mie stesse parole. Sarà questa la mia vita d’ora in poi? Una fredda stanza vuota e una testa piena di ricordi felici e dolorosi insieme che ogni secondo mi ricorderanno cosa ho perduto?

Mi prendo il capo tra le mani, lasciando libero sfogo alle lacrime che da tempo non aspettavano altro che scendere.

Ti odio, Sirius Black! Ti odio! Perché me li hai portati via? Perché siete morti? Non posso farcela da solo! Non posso!

Vorrei urlare, ma mi manca la voce. Non c’è più nessuno che possa venire a consolarmi. E così piango, piango fino a finire le lacrime, fino a restare senza fiato. Piango per Lily, per James, per Harry, per Peter, per Sirius e anche per me.

„Erano quattro e pensavano di essere in cima al mondo. Erano quattro ed erano convinti che niente e nessuno li avrebbe mai divisi. Erano quattro e insieme si credevano invincibili. Ma una sola tragica notte rovinò tutto e ne rimase solo uno, abbandonato e sperduto. Morte, tradimento e vendetta li separarono e dopo di allora nulla sarebbe più tornato come prima…"

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora, allora, questa deve essere senza dubbio l’apoteosi della mia vena angst: penso che una shot più triste di questa non l’ho proprio mai scritta, quasi veniva il magone a me mentre la scrivevo.

Ma proprio non potevo evitarlo: avevo in testa questa storia da gennaio, più o meno, quando ho cominciato a pubblicare questa raccolta, non mi sembra quasi vero di averla pubblicata, finalmente. Questo è un mio personale tributo ai mitici Malandrini, nel caso qualcuno non avesse capito che gli adoro: una visione in chiave diversa di quel dannato 31 ottobre. Perché a mio avviso, quella notte, insieme a tutto quello che accaduto, sono morti anche i Malandrini. Certo, Sirius e Remus poi si sono ritrovati, ma di certo non era più come prima della morte di James e il tradimento di Peter.

Vabbè, ringraziamo che è meglio: grazie a

erigre

dirkfelpy89

per le loro recensioni

Prossimo appuntamento, il 28/11 per il compleanno di Bill, nella speranza che in questo mese mi venga l’ispirazione, ben inteso!

A voi la parola, see you soon!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Bill Weasley ***


SPECIAL DAYS

BILL WEASLEY

29 novembre 1990

Hogsmeade

12.30

Bill si Smaterializzò direttamente ad Hogsmeade dalla Gringott, la mente ridotta a un allegro vespaio di pensieri inconcludenti per il colloquio appena sostenuto.

Charlie gli aveva fatto sapere che quel giorno ci sarebbe stata un’uscita ad Hogsmeade e avevano deciso di pranzare insieme ai Tre Manici di Scopa in modo che il fratello potesse fargli gli auguri di persona: in fondo quante possibilità c’erano che il suo compleanno coincidesse proprio con una libera uscita degli studenti di Hogwarts? Sua madre non ne era stata proprio entusiasta, visto che il pranzo di compleanno era una specie di rito a casa Weasley, ma era stata facilmente ricondotta a più miti consigli ricordandole che c’era comunque la cena di compleanno (e se proprio voleva esagerare, pure la merenda di compleanno).

Chissà come avrebbe reagito quando avesse saputo l’esito del suo colloquio, rifletté Bill, mentre si avviava lentamente verso il pub di Madama Rosmerta. Scacciò immediatamente il pensiero per nulla attraente: conosceva bene sua madre e non faticava per nulla a immaginare la sua reazione alla notizia.

La scusa del pranzo con Charlie era stata quanto mai provvidenziale per ritardare un po’ il momento del confronto con Molly… Non che non fosse felice di vedere Charlie, anzi, ma il non dover tornare subito alla Tana era un ulteriore incentivo.

Stringendosi nel mantello per contrastare il vento gelido che soffiava quel giorno, sbucò in High Street proprio nel momento in cui Charlie spuntava dal capo opposto della via, tallonato stretto da un ragazzino di qualche anno più giovane.

Bill lo riconobbe quasi subito come Oliver Baston, un Grifondoro dello stesso anno di Percy, nonché grande ammiratore delle prodezze sportive di Charlie, da quello che ricordava. E a giudicare dall’espressione vagamente esasperata del fratello, Bill suppose che Oliver lo stesse ammorbando con qualche lungo discorso tattico di Quidditch.

Trattenendo a stento una risatina, alzò il braccio in segno di saluto; Charlie lo individuò subito e gli sorrise di rimando.

"Ehi, vecchiaccio!" lo salutò quando lo raggiunse, dandogli un’allegra pacca sulla spalle. "Come ci si sente con due decadi sul groppone?".

"Mi fai sentire molto più vecchio usando questi termini altisonanti" rise Bill. "Due decadi, eh? Dire vent’anni era troppo semplice? Cominci a parlare come Percy…".

Charlie assunse un’espressione esageratamente orripilata. "Oh, per le mutande di Merlino, stare troppo tempo con lui mi sta rovinando!".

Bill finse di pensarci sopra un attimo, poi ridacchiò e disse: "Nah, ti puoi ancora salvare: Percy non direbbe mai ‘per le mutande di Merlino’!".

"Fiuuu, mi sento sollevato… Comunque non hai risposto…".

"Quasi pronto per la rottamazione" dichiarò allora Bill. "Ciao, Oliver" aggiunse poi, ricordandosi del ragazzino ancora fedelmente al fianco del fratello.

"Ciao, Bill" rispose Oliver, vagamente intimidito dalla presenza di quello che ricordava come un integerrimo Prefetto e Caposcuola.

"Ah, sì!" esclamò Charlie, rivolgendosi al compagno. "Senti, Oliver, che ne dici se rimandiamo a dopo la nostra discussione: io e Bill volevamo pranzare insieme… Sai, riunione famigliare e cose simili".

Oliver parve un po’ deluso all’idea di essere scaricato a quel modo, ma annuì. "Ci vediamo dopo, allora".

"Certamente" gli assicurò il Cercatore, salutandolo con la mano mentre si allontanava, cercando di non mostrarsi troppo sollevato. "Andiamo dentro? Prima che decida che deve parlarmi di qualcosa di assolutamente improrogabile…".

Bill rise. "Che ti ha fatto di tanto tremendo quel ragazzino?" domandò, mentre entravano ai Tre Manici di Scopa, grati di sottrarsi al gelo.

Charlie scrollò le spalle con aria non curante. "Ma nulla: Oliver è a posto. Credo che il mio errore sia stato prenderlo in squadra come Portiere…".

"Perché? Non è bravo?".

"No, no, anzi: ha la stoffa per diventare un giocatore professionista… Ma è quasi ossessionato dal Quidditch: da quando è cominciato il campionato, non mi ha lasciato in pace un momento, ha elaborato certi schemi di gioco che ci vorrebbe un veggente per capirci qualcosa… Poi, figurati, alla sua prima partita, un Bolide l’ha spedito nel mondo dei sogni dopo i primi cinque minuti: ha passato giorni a darsi dell’incapace, dell’inetto, eccetera, malgrado avessimo vinto…".

"In altre parole, ti darà il tormento fino alla fine dell’anno, giusto?" riassunse in breve Bill, mentre individuavano un tavolo vuoto e lo occupavano in fretta: a quell’ora, il pub era un autentico caos e i tavoli liberi non restavano mai tali molto a lungo.

Charlie si strinse nelle spalle. "Te l’ho detto: dovrebbe solo darsi una calmata, per il resto non è male. Ce ne sono di peggiori, tipo i TUOI fratelli minori".

Bill ridacchiò. Non aveva certo bisogno di chiedere per sapere a chi Charlie si stesse riferendo. "Ci tengo a specificare che sono anche fratelli tuoi: cosa hanno fatto ancora le due piccole canaglie?".

"Vivono: non ti pare sufficiente?" sbuffò Charlie, suscitando l’ilarità del fratello maggiore. "Fred e George sono capaci di far danni semplicemente respirando: basta la loro presenza…".

"Oh andiamo, non sono così male…".

"Non lo diresti se li avessi tra i piedi tutti i santi giorni a tutte le sante ore: io e Percy stiamo facendo a gara a chi sclererà per primo…".

"Li hai presi tu come Battitori, no? Come dice il proverbio ‘Hai voluto la bicicletta, ora pedala’!".

"Oh, non è solo il Quidditch" affermò convinto Charlie. "Hai presente com’erano l’anno scorso, no? Ecco, moltiplicalo all’ennesima potenza…".

"Hanno dodici anni" protestò Bill, incredulo. "Non ci credo che nemmeno la McGranitt riesce a tenerli a freno!".

"Te lo giuro! Io non so come fanno, ma sembra abbiano il dono dell’ubiquità, dell’invisibilità o che so io: un minuto prima se ne stanno buoni, buoni a fare colazione in Sala Grande e quello dopo infilano Mrs. Purr in un gabinetto del terzo piano!".

Bill scoppiò a ridere suo malgrado: a volte quasi si dimenticava con chi aveva a che fare. "Sono Fred e George" fu l’unico commento che riuscì a fare.

"Già… L’unica consolazione è che dall’anno prossimo, non saranno più un mio problema…".

"Se ci arrivi, all’anno prossimo" ridacchiò Bill, guadagnandosi un gestaccio da parte di Charlie.

In quel momento comparve Madama Rosmerta, con un sorriso a trentadue denti. "Oh, oh, i miei due Weasley preferiti: ritorno alle origine, Bill?".

"Mi mancava la tua cucina" scherzò Bill. "Due Burrobirre…".

"… e il piatto del giorno per entrambi" completò Charlie.

Rosmerta prese nota e sparì, tornando pochi minuti dopo con le bevande.

"Allora, fratellone" disse Charlie, bevendo un sorso. "Com’è andato il colloquio alla Gringott? Era stamattina, no?".

"Ah, te lo sei ricordato".

"Naturale. E che pensavi, che me ne dimenticassi? Allora?".

Bill sbuffò: sapeva che presto o tardi sarebbero caduti su quell’argomento. "Bene, bene, il colloquio è andato bene: mi hanno preso".

Charlie sorrise, entusiasta. "Grandioso! Finalmente ce l’hai fatta a trovare il lavoro per te!".

Infatti, dopo essersi diplomato la primavera precedente, Bill aveva avuto qualche problema a trovare un lavoro, non tanto perché non aveva i requisiti (i suoi risultati ai M.A.G.O. erano stati tanto perfetti da sembrare quasi irreali), quanto piuttosto perché non c’era un’occupazione che riuscisse a catturare sul serio il suo interesse, almeno finché la Gringott non aveva annunciato di cercare nuovi Spezzaincantesimi.

L’entusiasmo di Charlie si affievolì un po’ notando che Bill non sembrava in vena. "Beh, che hai, non sei contento? Da come ne parlavi, sembravi aver trovato la tua vocazione…".

"Mi vogliono mandare in Egitto".

"Ah" fu tutto ciò che l’altro riuscì a dire, mentre Rosmerta rispuntava e scodellava loro davanti due piatti fumanti. "Buon appetito, ragazzi".

Charlie prese la forchetta soprapensiero, mentre la vera natura del problema si affacciava nella sua mente chiara come il sole.

"Già, ah" commentò Bill. "Ora capisci?".

"Sì. Il problema non è il lavoro, ma la mamma, vero?".

"Esatto: non credo che sarà tanto felice di sapere che mi trasferisco su un altro continente a tempo indeterminato…".

"Non è così lontano" cercò di incoraggiarlo Charlie.

"Come se per la mamma facesse differenza se le miglia sono cento o mille: a lei basterà sapere che lascio il suolo inglese per dare di matto…".

Charlie ci pensò sopra un attimo. "Tu che hai detto in banca?".

"Che ci pensavo… Ma vogliono una risposta entro un paio di giorni al massimo, altrimenti daranno il posto a un altro: l’avidità non aspetta!".

"E tu cosa vuoi fare?".

"Sinceramente? Se non fosse per mamma e papà, avrei accettato lì su due piedi… Vabbè, fai solo per mamma: non credo che papà farà troppo storie…".

"Allora, se fossi in te, ecco che farei" continuò Charlie, indicandolo con la forchetta. "Andrei a casa, spiegherei per bene tutto ai nostri genitori, ascolterei con calma le loro opinioni e la mattina dopo, fregandomene alla grande di tutto quello che mamma ha detto per cercare di dissuadermi, andrei alla Gringott e accetterei il posto!".

"La fai facile!" sbuffò Bill. "Mica sei tu quello che deve fare le valigie in capo a una settimana, se la cosa va in porto!".

"Senti, hai vent’anni, anche volendo, mamma non potrà tenerti sotto la sua ala in eterno… E siccome al momento, la tua alternativa sarebbe farti assumere da Rosmerta come lavapiatti…".

"Uh, che prospettiva attraente" commentò Bill. "Aspetta che quasi, quasi chiedo un modulo d’assunzione…".

"Contento te: ma saresti appena un filino sprecato, Mister-Dieci-Eccezionale dei miei stivali…".

"Veramente, gli Eccezionale erano solo tre" puntualizzò Bill, un po’ imbarazzato. "Non li ho mai nemmeno seguiti dieci corsi…".

Charlie lo liquidò con un gesto non curante della mano. "Sì, va bene, ma da quel che ricordo in sette anni di scuola non hai mai preso un voto che andasse sotto la A, perciò…".

"Ne parli nemmeno avessi ucciso qualcuno: non ho corrotto nessuno per avere quei voti, te l’assicuro…".

"No?" fece Charlie, ridacchiando con aria cospiratrice. "Ne sei proprio sicuro? Nemmeno Piton? Non ci credo che sei riuscito a prendere un M.A.G.O. così alto in Pozioni con le tue sole forze! Cosa hai dovuto fare per convincere il vecchio pipistrello?".

"Non è mica Piton a dare i voti ai M.A.G.O.: c’è una commissione esterna come ai G.U.F.O…" spiegò Bill.

"Sì, ma intanto sei riuscito ad arrivarci, cosa decisamente straordinaria, se mi permetti: quanti eravate nella sua classe?".

Bill ci pensò sopra un attimo, facendo mente locale. "Otto, mi pare: due Grifondoro, tre Serpeverde, un Tassorosso e due Corvonero…".

"Appunto… E tu devi essere probabilmente il primo Grifondoro che è riuscito a uscire con un voto così alto… Perciò, ritorniamo alla domanda iniziale: quanto l’hai dovuto pagare Piton?".

"Senti, se pure quell’imbranata cronica di Ninfadora Tonks è riuscita a farsi ammettere ai corsi del sesto anno di Piton, se permetti, credo che possa farcela praticamente chiunque, con un po’ d’impegno…".

Charlie ridacchiò, pensando all’allegra e goffa Tassorosso del suo anno e alla sua incapacità congenita di preparare una pozione senza rischiare di far saltare per aria mezzo castello. "Effettivamente… Io, in tutta onestà, non potrò mai dimenticare la faccia di Piton quando se l’è ritrovata di nuovo in classe l’anno scorso: sembrava lì, lì per morire di un attacco di cirrosi epatica fulminante!".

"Beh, fermo restando che Piton è ben lontano dall’essere il mio insegnante preferito, non mi sento mica di biasimarlo: quella piccoletta gli avrà fatto esplodere il calderone in faccia una decina di volte come minimo…".

Charlie rise, perdendosi nei ricordi: una cosa era certa, se avevi Tonks in classe, non ti potevi annoiare. "Ma lo sai che è pure diventata bravina, quest’anno: penso voglia provare ad entrare all’Accademia Auror l’anno prossimo…".

"Tanti auguri, allora. E ricordami di mandare le mie condoglianze al poveretto che dovrà gestirla…".

"Oh, non essere cattivo: sta simpatica pure a te…".

"L’ho forse negato? Solo, con il carattere che ha, non ce la vedo granché come Auror…".

Charlie dovette ammettere che Bill non aveva poi tutti i torti: Tonks era una persona fantastica, ma pareva l’antitesi di tutto quello che doveva essere un buon Auror. "Parlando di carriere future, noi non stavamo discutendo sul TUO futuro professionale?".

"Stavamo cercando di decidere come aggirare l’ostacolo Molly, se non ricordo male…".

I due avevano nel frattempo finito di mangiare. Charlie bevette l’ultimo sorso di burrobirra, prima di stiracchiarsi e dire: "Che ne dici se, mentre ci pensiamo, paghiamo e andiamo a fare due passi?".

"Affrontiamo il gelo del mondo esterno? Ok: chissà, magari l’aria fresca ci farà bene…".

Così, un paio di minuti dopo i due Weasley uscirono dal locale, stringendosi nei mantelli e avviandosi lentamente in direzione di Zonko.

"Comunque" riprese Charlie, riprendendo il filo di discussione principale, "potresti sempre fare le valigie e andartene senza dire niente a nessuno…".

"Sì, bravo, così altro che crisi isterica: spedisco mamma direttamente nella tomba!".

"Non esagerare: al massimo, si prosciugherà gli occhi piangendo tutte le sue lacrime".

"Siamo seri un paio di minuti, Charlie, che ne dici?".

L’altro annuì. "Ti ho già detto come la penso: mamma non potrà tenerti alla Tana per sempre, falle capire che in ogni caso non cambierai idea e non farà neanche troppe storie… Alla fine, con il tempo si abituerà all’idea…".

"Già, probabilmente hai ragione…". Bill tacque un attimo, immerso nei suoi pensieri, poi sbottò: "E che diamine, a vent’anni suonati, non è ammissibile che abbia ancora paura di mia madre!".

Charlie rise. "Beh, a tua difesa, penso che mamma faccia paura un po’ a tutti, quando ci si mette… Tranne forse ai gemelli, ma il loro istinto di autoconservazione non è mai stato un gran-".

Charlie si bloccò a metà parola, fermandosi di botto in mezzo a strada e fissando un punto avanti a sé.

Bill tornò sui suoi passi quando si accorse di averlo lasciato indietro. "Ehi, che ti prende ora?".

Charlie puntò l’indice tra la folla. "Dimmi che quei due sono solo dei cloni di chi penso io…".

Perplesso, Bill rivolse l’attenzione in quella direzione e, quando capì cosa aveva causato la reazione di Charlie, rimase a sua volta congelato sul posto dall’incredulità… Perché non era possibile che quei due fossero lì, la sua testa gli stava di certo giocando un brutto tiro. "Non ci posso credere…".

"Come diamine hanno fatto a evitare Gazza?" gli fece eco Charlie.

Bill si strinse nelle spalle, scuotendo il capo. "Non ne ho idea…". Lo stupore nel frattempo si era un po’ affievolito, lasciando il campo libero alla sua vecchia anima di Caposcuola. "Ora mi sentono… FRED! GEORGE!" gridò sopra la folla, facendo sobbalzare pure Charlie e voltare i due incriminati.

Mentre li individuavano e riconoscevano, i gemelli ebbero il buon gusto di mettere su un’espressione vagamente allarmata, mentre nascondevano frettolosamente delle buste dall’aria compromettente dietro la schiena. Perlomeno, non provarono a filarsela quando i due fratelli maggiori si avvicinarono a passo di carica: erano abbastanza svegli da capire che qualunque cosa potessero dire o fare Bill e Charlie, non sarebbe mai stato tanto tremenda come ciò che avrebbero potuto fare la McGranitt o peggio Molly Weasley!

"Ehi" li salutò George quando se li trovò di fronte.

"Che ci fate qua?".

Bill dovette lottare contro l’impulso di mollare loro un paio di ceffoni: stavano diventando troppo spudorati… "Che ci facciamo noi? Voi che ci fate qua?! Non sono molto aggiornato sulle ultime novità in termini di regolamento, ma se non ricordo male devi essere al terzo anno e avere un permesso firmato per visitare il villaggio, requisiti di cui siete sprovvisti…".

"Ah beh, niente è perfetto a questo mondo!" scherzò Fred con un sorriso.

"Non dovresti ancorarti tanto a certe pratiche obsolete: bisognerebbe sempre rinnovarsi! A proposito…".

"Buon compleanno!" chiocciarono in coro.

Un attimo dopo, Bill si trovò tra le mani una monumentale confezione di Api Frizzole. "Non voglio nemmeno sapere con che soldi l’avete pagato, ‘sto coso…".

"Così in Egitto non morirai di fame" commentò George.

"E ti ricorderai dei tuoi poveri fratellini che sentiranno tanto la tua mancanza…".

"Certo, non ho dubbi in prop-… Frena, frena e voi due come sapete dell’Egitto?".

I gemelli alzarono le spalle come se la cosa non avesse importanza. "Te ne stavi a parlare dei fatti tuoi in quel locale…".

"… pieno di gente che poteva ascoltare…".

"… e ti chiedi pure come facciamo a saperlo noi?

"Noi vediamo, sentiamo e possiamo tutto" dichiarò Fred gonfiando il petto con aria d’importanza.

"E potremmo aggiungere altro!".

Charlie e Bill si scambiarono un’occhiata. "Ok, preferisco non saperlo…".

"Come avete fatto a non farvi beccare da Gazza?" domandò Charlie, sinceramente incuriosito: da quel che ne sapeva lui, era praticamente impossibile farla in barba all’arcigno custode.

Fred e George fecero spallucce. "Non è così difficile…".

"… Se sai dove andare".

Bill capì che non avrebbero cavato altro dalla bocca dei gemelli, così, per quanto desideroso di sapere decise di lasciar perdere. "Immagino che non ci direte nemmeno cosa nascondente con tanta premura dietro la schiena, giusto?".

"Scherzi di Zonko, perlopiù" rispose George ostentando innocenza, cosa che fece ulteriormente insospettire Bill.

"Cose con cui avete intenzione di demolire la scuola, presumo" commentò Charlie. "Vi è tanto difficile stare fuori dai guai?".

"Ma è così nooooooioso!" protestarono in coro i gemelli.

"Ti ravviviamo un po’ la vita…" aggiunse Fred.

"… A te e quella mummia di Percy!".

"E parlando di mummie, è proprio vero che vai in Egitto?".

"Non ho ancora deciso…" rispose Bill, restando sul vago.

"Ma tu vorresti andarci?" lo incalzò George.

"Beh, sì…".

"Allora fregatene di quello che pensa la mamma e va a fare i bagagli" dichiarò Fred.

"Anche se un po’ mi dispiace: tu sei il più sopportabile…".

"Ehi!" protestò Charlie. "Grazie mille, eh!".

"Oh, già hai ragione".

"Ci stavamo quasi dimenticando di Ginny!".

Con quest’ultima battuta, saltellarono via prima che Charlie potesse formulare una risposta a tono.

"Quei due piccoli… Meriterebbero di essere denunciati alla McGranitt!".

Bill ridacchiò. "Ma tanto lo sappiamo che non lo farai: per una cosa del genere rischierebbero come minimo una sospensione…".

"Come se a loro importasse qualcosa" sbuffò Charlie. "Vengono ad Hogwarts per il puro gusto di fare casino!".

"No, io credo che sappiano esattamente qual è il limite del consentito: forse sono incontrollabili, ma non faranno mai qualcosa di così grave da meritare l’espulsione… Almeno finché non crederanno che Hogwarts non può più offrire loro nulla".

"Vabbè" dichiarò charlie non una scrollata di spalle. "Dall’anno prossimo non saranno più un problema mio… Certo, c’è da dire che l’anno prossimo comincerà anche Ron, perciò probabilmente l’interesse dei gemelli sarà meno concentrato sulla distruzione della scuola e più sulla distruzione della sua autostima!".

Bill fece un breve cenno d’assenso col capo. "Mi mancava questo posto…" mormorò, ammirando con aria nostalgica il profilo del castello che sovrastava il villaggio.

Charlie sorrise. "Già, immagino faccia questo effetto a tutti… E allora, che mi dici, Mister-Dieci-Eccezionale? Vai a preparare le valigie?".

Bill ci pensò sopra un attimo: era pronto a mollare tutto e trasferirsi in un luogo completamente diverso? Voleva affrontare quella nuova avventura?

Sì, lo voleva.

"Sarà molto interessante vedere la reazione di mamma" rispose.

Charlie ridacchiò. "Falle una foto, mi raccomando…".

LYRAPOTTER’S CORNER

Allora, rieccomi qua, più o meno puntuale come sempre… Che ne pensate? A me non convince completamente, se devo essere sincera, nella mia testa si era costruita in modo diverso, ma siccome mi sono ridotta a finirla tre minuti fa, a furia di procrastinare, non avevo proprio il tempo di cambiare…

Pace, spero che vi piaccia anche così, intanto ringrazio

Half Blood

Deidara

pometina94

dirkfelpy89

per le loro recensioni;

LadyMorgan

Per la sua e-mail;

Julia Weasley

Per aver cominciato a leggere la mia raccolta.

Vi lascio con il prossimo appuntamento, al 12/12 per il compleanno di Charlie Weasley, e vi annuncio che mancano tre one shot alla fine.

A presto, bacibaci!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Charlie Weasley ***


SPECIAL DAYS

CHARLIE WEASLEY

12 dicembre 1990

Hogwarts

16.00

Charlie chiuse il recinto degli Ippogrifi con uno sbuffo. Malgrado i guanti, il berretto di lana e il giaccone pesante che indossava, si sentiva congelato fino al midollo. Battè le mani e prese a flettere le dita nella speranza di risvegliarle un po’ dall’intorpidimento, senza scarso successo.

Prendersi cura dell’allevamento di Ippogrifi di Kettleburn era un compito ingrato già di per sé, ma quando lo si doveva fare con la neve alta fino alle ginocchia lo era ancora di più. Stupida neve, stupido inverno e stupido freddo: odio l’inverno! Perché non è già estate?!

E pensare che la stagione fredda era appena cominciata…

"Beati voi che avete piume e pelo a tenervi caldi" disse, rivolgendosi all’animale più vicino, uno splendido esemplare grigio ferro di nome Fierobecco.

Quello gli rivolse un’occhiata di altera superiorità, neanche fosse pienamente consapevole della sua fortuna e se ne stesse vantando. Raspò in terra un paio di volte, con aria scontenta, facendo ridacchiare il ragazzo. "Eh, lo so che vuoi da me: vorresti uscire, vero? Purtroppo, servite al prof per le lezioni di quelli del quarto anno, ragazzi".

E con tutta la fatica che ho fatto a radunarvi, non vi lascio mica scappare… pensò subito dopo, considerato che aveva passato le ultime tre ore abbondanti correndo su e giù ai margini della foresta per attirare gli Ippogrifi e chiuderli nel recinto. Hagrid gli aveva dato una mano, entusiasta come sempre quando si parlava di creature magiche e mostri, ma era stato comunque un lavoro infernale. In linea puramente teorica avrebbe dovuto aiutarlo anche l’altra studentessa che frequentava con lui il corso di Cura delle Creature Magiche, ma la ragazza non si era fatta vedere. Figurati, con la testa che si ritrova, se ne sarà dimenticata: come minimo è spanciata davanti al fuoco della sala comune di Tassorosso, pensò con un pizzico di stizza Charlie.

Ovviamente, di solito quel compito avrebbe dovuto essere assolto dal professor Kettleburn, ma durante l’ultima lezione un Thestral gli aveva azzannato e quasi staccato la gamba buona, così adesso era bloccato a letto, con suo sommo disappunto. L’aver quasi perso un arto non l’aveva comunque fatto desistere dal continuare imperterrito a lavorare, tant’è che si faceva portare a braccia fino in classe. Ma non potendo camminare, il compito di fare in modo che le sue lezioni si potessero svolgere senza problemi era stato affidato ai due studenti del settimo anno che si stavano preparando per i M.A.G.O., ossia Charlie e Ninfadora Tonks, anche se la seconda lo faceva più per spirito di solidarietà verso il suo amico che per reale passione. Charlie, al contrario, era più che felice di passare giornate all’aria aperta in quel modo, ma non quando c’erano quattro gradi e si gelava.

Maledetta Tonks, giuro che questa me la paghi!

"Fatto tutto, Charlie?" gli chiese Hagrid, comparendo alle sue spalle e facendogli fare un salto di mezzo metro.

"Hagrid" esalò. "Non farlo mai più…".

Prima che il guardiacaccia potesse anche solo pensare di scusarsi, Charlie finì quasi con la testa nella neve quando Thor cercò di saltargli addosso con aria festante. Per sua fortuna, era abituato agli assalti giocosi di quel cane. "Ma eccolo qua il mio bel cagnone" lo salutò cominciando ad accarezzarlo. "Eccolo qua, il cane più bello del mon-… Bleah, che schifo, Thor!" protestò quando l’animale praticamente gli lavò la faccia con una bella leccata. "Senza dubbio, sei il cane più bavoso del mondo!".

Hagrid rise. "A volte mi viene il dubbio che ci vuole più bene a te che a me, quel cane, sai…".

"Ma no, cosa dici!" si schermì Charlie. "Thor lo sa che il suo padrone… Vero, Thor? Vero?".

Il cane abbaiò in risposta, continuando a scodinzolando. "Cosa c’è? Cosa c’è? Vuoi giocare, eh… Allora giochiamo!".

Charlie si chinò, prese una manciata di neve e la compattò in una palla. Dopodiché cominciò a sventolarla davanti al naso di Thor, che cominciò ad agitarsi in modo ancora più frenetico. "Ok, Thor, segui la palla, non ti distrarre… Prendila, forza!". Lanciò la palla di neve più forte che poté e Thor partì alla velocità del fulmine.

"Ci sai fare, l’ho sempre detto…" commentò Hagrid. "Quello stupidotto non si è mai affezionato a nessuno studente quanto a te…".

Charlie si strinse nelle spalle. "Sarà perché sono l’unico studente che viene a trovarti con cadenza quasi settimanale… A proposito, ho controllato in biblioteca: le uova di Dorsorugoso di Norvegia sono nere, non marroni…".

"Ah, te l’avevo detto, no?" ridacchiò Hagrid con aria soddisfatta. "Sono i Lungocorni Rumeni a fare uova marroni…".

"Sai che ho letto che in Romania hanno creato una riserva per studiare il Lungocorno e le altre specie di drago" disse Charlie con gli occhi che brillavano. "Parlavano di decine di esemplari… Te lo immagini: quaranta o cinquanta draghi tutti nello stesso posto!".

Hagrid simulò un’espressione sofferente. "Oh, non dovresti dirmi queste cose, Charlie… Sai che dopo sarei tentato di andare a fare i bagagli su due piedi!".

Charlie rise. "Già, non me lo dire…".

Hagrid scrutò attentamente il ragazzo, aggrottando le sopracciglia. "Senti, io lo so perché non ci posso andare, ma tu…".

"Oh, su Hagrid, ho malapena diciotto anni: non prendono mica il primo sbarbatello che passa a fare quel lavoro! E a mia madre verrebbe un colpo: ancora non ha digerito la faccenda di Bill, figurati cosa farebbe se le dicessi che vado a fare il domatore di draghi!".

"Bah, forse c’hai ragione tu… Ma io dico che tentar non nuoce!".

"Ma dov’è finito Thor?" esclamò Charlie guardandosi intorno in cerca del cane.

In quel momento sentirono una ragazza strillare e subito dopo l’abbaiare eccitato di Thor.

I due si scambiarono un’occhiata prima di precipitarsi di corsa nella direzione da cui provenivano i latrati e trovarsi davanti una scena talmente comica che Charlie non poté proprio trattenere una risata: una ragazza dagli inconfondibili capelli rosa cicca che si rotolava nella neve cercando di sfuggire a Thor, che le annusava il cappotto con vivo interesse, a sua volta inseguito da un ragazzo di qualche anno più piccolo.

"Che cosa ridi!?" sbottò Tonks, nel vederlo. "Aiutami!".

Charlie cercò di darsi un contegno, senza troppi risultati, visto che la faccia scandalizzata di lei scatenò un altro accesso di risate.

"Thor, vieni qua, stupido cane!" lo richiamò Hagrid.

Quando l’animale lo ignorò bellamente, il guardiacaccia si fece avanti con quattro lunghe falcate, lo agguantò per la collottola e lo trascinò via. "Fila a cuccia, vecchio rimbambito!".

Thor abbassò le orecchie con aria ferita, prima di accucciarsi ai piedi del padrone uggiolando. Hagrid lo ignorò e si rivolse a Tonks. "Tutto ok, sì?".

Senza nemmeno aspettare risposta, la prese per la spalla e la ritirò in piedi. "Sì, sto beeee- Etciu!".

"Mmmm, meglio che torni dentro prima di buscarti un raffreddore…".

Tonks scosse il capo, fece per dire qualcosa e starnutì di nuovo.

Charlie, finalmente riacquistato un po’ di autocontrollo, si fece avanti e cominciò a pulirle dalla neve il cappotto. "Ti pare il caso di andare a rotolarti nella neve con questo tempo, Ninfadora?" la rimproverò.

"Primo, non chiamarmi Ninfadora o ti spedisco a cantare in un coro di voci bianche" lo minacciò piccata Tonks, scostandosi. "Secondo, non usare quel tono da paparino con me, Weasley: non è stata colpa mia!".

"Già, certo" acconsentì Charlie con aria accondiscendente. "Non è mai colpa tua, vero Tonks? ‘Il pavimento era scivoloso’, ‘Chi ha avuto l’idea di mettere un gradino in quel punto?’, ‘La sedia si è spostata da sola’, ‘L’aria mi ha fatto lo sgambetto’…".

Tonks gli diede uno spintone con aria stizzita. "Ti odio, Weasley! Stavolta non è davvero colpa mia!".

"È vero" intervenne il ragazzino che l’accompagnava. "È stato il cane a saltarle addosso!".

"Grazie, Oliver" disse Tonks, rivolgendogli un sorriso riconoscente. "Visto?".

"E tu cosa hai addosso che possa aver indotto Thor ad assalirti?" chiese con aria interessata Charlie.

"Ma nulla!" cerco di protestare la ragazza. "Secondo me quel cane ha semplicemente la rabbia: forse dovremmo abbatterlo…".

Thor uggiolò più forte, nemmeno avesse capito che stavano parlando di lui in tono non proprio gentili.

"Thor sta benissimo" sbuffò Charlie. "E tu non fare la gnorri: dimmi che ti porti appresso o vado a dire a Piton che hai una cotta per lui e che è per questo che non hai voluto lasciare Pozioni l’anno scorso!".

"Ma che schifo!" protestò Tonks con aria orripilata e disgustata. "Piton è così… così… vecchio!".

"Non penso che sia così vecchio" obiettò Oliver divertito. "Non credo che vada oltre i trenta-quaranta anni…".

"Sì vabbè che c’entra, è vecchio comunque!" protestò Tonks. "Potrebbe essere mio padre!".

"Veramente" ci tenne a puntualizzare Charlie, "se prendiamo per buono che ha, che ne so, trentacinque anni, ne avete diciotto di differenza, perciò…".

"MA CHI SE NE FREGA, WEASLEY!" esplose Tonks, rossa in viso per il freddo e la rabbia. "Il mio era un modo di dire per dire che è troppo vecchio per me e troppo viscido e unto e, e, e… Senza contare che la tua sarebbe una balla bella e buona!".

"Sì, ma questo Piton mica lo saprebbe…" insinuò Charlie con un ghignetto malvagio. "Allora, che cosa stai nascondendo?".

Tonks lo guardò un attimo negli occhi, come a decidere se l’amico avrebbe sul serio messo in pratica la sua minaccia: lo conosceva abbastanza bene da poter dire senza esitazione, che sì, l’avrebbe potuto fare senza pensarci due volte… "E va bene, volevo dartelo dopo cena, ma tanto vale: sarebbe il tuo regalo di compleanno…".

"Credevo non volessi farmelo il regalo" obiettò Charlie.

"Oh, ma il mio era un abile depistaggio…".

"Veramente è da parte di entrambi" intervenne Oliver.

"Già, giusto" annuì Tonks. "Tieni".

Gli mise in mano quello che sembrava una di quelle confezioni promozionali di Cioccorane. "Ehm, grazie…" disse incerto il ragazzo. Certo, non è che si fosse sforzata un granché…

"Va bene" intervenne Hagrid. "Se è tutto in ordine, io andrei…".

"Certo. Ci vediamo, Hagrid. Ciao, Thor" li salutò Charlie mentre si allontanavano.

"Aprilo, forza!" lo incalzò Dora, saltellando.

"Non mi va il cioccolato adesso" protestò il ragazzo. "In verità, sto ancora cercando di scongelarmi dopo che qualcuno" ammiccò con aria allusiva a Tonks, "mi ha mollato nel freddo siberiano a radunare gli Ippogrifi per Kettleburn da solo…".

Si aspettava che la ragazza assumesse perlomeno un’espressione pentita, invece lo fissò confusa. "Avevi detto di trovarci per le quattro: sono in ritardo solo di un quarto d’ora e sarei stata puntuale se quello stupido cane non avesse cercato di mangiarmi!".

"Le quattro?!" ripeté Charlie, basito. "Ma se tra poco farà buio! Quando mai ho detto una cosa simile?".

"Oggi in Sala Grande" ribatté Tonks pronta. "Subito prima che Ollie qui ti sequestrasse per parlare di Quidditch come vostro solito!".

"Subito prima…". Charlie riandò con la mente a quella conversazione, tenuta mentre tornavano dall’incontro con Kettleburn, dove tra un’offesa all’insegnante e l’altra, si erano dati appuntamento: quando capì l’equivoco, si ritrovò indeciso tra il prendere a testate un albero e scoppiare di nuovo a ridere. "Doretta, io ti stavo raccomandando di non fare tardi e ho detto ‘non voglio ridurmi a dover cominciare alle quattro’…".

"Ah" commentò Tonks, arrossendo fino alla punta dei capelli. "Ops".

"Già, ops" le fece eco Charlie, in tono più acido di quanto non volesse. "E intanto io ho passato il mio compleanno a congelarmi il sedere solo come un idiota!".

"Senti, mi dispiace: ho capito male, ma non volevo mica piantarti o roba simile, stavo venendo a darti una mano!".

"Dai, Charlie" intervenne Oliver. "Non l’ha fatto apposta…".

"Mi perdoni vero, Charlie-Boy?" aggiunse Tonks, sfoderando al contempo il suo broncio da cucciolo maltrattato, un’espressione che una volta era riuscita perfino a risparmiarle una punizione con Piton, perciò che possibilità aveva Charlie di resistere?

"Oh, sì, sì, va bene!" sbuffò, con aria scocciata. "Giochi con armi sleali, Tonks!".

"Sììììì!!!!!". Tutta contenta, Tonks gli saltò al collo, rischiando di spedire entrambi in terra: fortunatamente Charlie era abituato anche a questo e l’afferrò al volo, lasciando cadere la scatola di Cioccorane. "Non ti pare un po’ eccessivo? Eravamo in lite da nemmeno un minuto…".

"Io sono una che esprime al massimo le sue emozione" ridacchiò la ragazza. "E di che ti lamenti, Weasley? Un normale ragazzo di diciasette anni sarebbe solo contento se una bellissima fanciulla gli saltasse addosso!".

"Bellissima? Quale modestia, signorina! Cosa vorresti insinuare, che non sono normale?".

"Beh, io non definisco proprio normale un ragazzo che ha come passatempo il farsi quasi sbranare da Ippogrifi, Thestral e Lupi Mannari, sai…".

"Non ho mai incontrato un Lupo Mannaro, veramente" puntualizzò Charlie, cambiando posizione delle braccia per migliorare la presa. "E nemmeno ci tengo… E comunque, ti pare saggio dare dell’anormale a qualcuno che ti tiene a mezzo metro da un cumulo di neve e potrebbe ‘accidentalmente’ lasciarti cadere in ogni momento?".

"Devi solo provarci!" lo minacciò Tonks. "Sai che dopo ti farei pentire di essere nato!".

"Mmmm, sono terrorizzato…". Ammiccò a Oliver e riprese: "Che dici, Ollie, la buttiamo nel lago per punirla del ritardo?".

"Mmmm, non saprei, forse come castigo è troppo poco…".

"Non ti azzardare, Weasley!" esclamò Tonks, aggrappandosi con più forza al collo di Charlie. "Se io cado, tu verrai giù con me!".

Charlie finse di pensarci sopra un attimo, poi sospirò enfaticamente e dichiarò: "Sai, Oliver, se poi le viene la polmonite, mi toccherebbe pure andare a trovarla ogni santo giorno in Infermeria per portarle i compiti: sarebbe una gran bella scocciatura, non credo che ne valga la pena…".

"Niente bagno nell’acqua gelata?" fece Tonks, timorosa.

"Niente bagno nell’acqua gelata" confermò Charlie.

Tranquillizzata, la ragazza si rilassò tra le sua braccia, allentando la presa sul collo. Fu a quel punto, che senza il minimo preavviso, Charlie la lascò cadere: Tonks atterrò con un tonfo in un grosso cumulo di neve e lì rimase a fissarlo scandalizzata. "Ma, ma…".

"Oh, scusa, le braccia mi hanno ceduto all’improvviso…".

"WEASLEY, TU SEI MORTO!" urlò la ragazza, facendo per saltargli di nuovo alla gola, senza intenzioni benevole stavolta. Purtroppo per lei, prese troppo slancio, Charlie, forte dei suoi riflessi allenati, la schivò senza problemi e lei finì di faccia in un altro cumulo di neve.

"Sei crudele, Charlie!" rise Oliver.

"Che dovevo fare, lasciare che mi strozzasse?".

"No, ma mai sentito il detto ‘non si spara sulla croce rossa’?".

"INFAMI!" strillò Tonks, riemergendo sputacchiando neve. "SCHIFOSI MALEDETTI INFAMI! GRIFONTONTI DEI MIEI STIVALI!".

Charlie e Oliver si scambiarono un’occhiata. "Ma l’hai sentita? Ci ha chiamato ‘Grifontonti dei suoi stivali’" disse Charlie, simulando una faccia mortalmente offesa.

"Piccola Tassofesso permalosa" ridacchiò Oliver, abbassandosi giusto in tempo per evitare una palla di neve lanciata dalla suddetta. "Charlie, siamo bombardati!".

"Non so quanto ti conviene, Ninfadora" obiettò Charlie in tono ragionevole, scansandosi a sua volta. "Siamo numericamente superiori e in posizione vantaggiosa…".

"NON. CHIAMARMI. NINFADORA" articolò la ragazza, sottolineando ogni parola con un proiettile bianco sempre tristemente lontano dal suo presunto bersaglio.

"Accidenti, certo che hai una mira pessima!" la prese in giro Oliver. "Tassofesso".

Tonks lo guardò talmente infuriata che sembrava a un passo dal ringhiare. "Se ti prendo, Baston, giuro sulla testa di mio padre che ti faccio pentire di essere venuto al mondo: non chiamarmi ‘Tassofesso’".

"Non possiamo chiamarti Ninfadora, non possiamo chiamarti Tassofesso…" elencò Charlie. "Allora, come dobbiamo chiamarti, stellina?".

"Non stellina, Weasley" sibilò Tonks, lanciandogli l’ennesima palla di neve a vuoto. "Io non sono la stellina di nessuno, tanto meno di due infami come vuoi!".

"Lo sai che con questo atteggiamento non troverai mai un povero diavolo disposto a sposarti, vero?".

Tonks si bloccò a metà lancio, scioccata. "Questa era cattiva, Weasley…" mormorò, voltandogli le spalle.

Oliver e Charlie si scambiarono un’occhiata, sorpresi: mai si sarebbero aspettati che Tonks potesse prendersela così tanto per una cosa simile. Insomma, era la stessa ragazza che aveva mollato un calcio nelle parti basse a un Serpeverde tre volte lei che aveva fatto commenti poco gentili sulle sue curve!

"Ehi, Tonks" la chiamò Charlie, cauto.

La ragazza lo ignorò, restando girata e rifiutando di guardarlo.

"Doretta" riprovò Charlie, sperando di farla arrabbiare. "Stellina… Ninfadora!".

Ancora nessuna risposta.

"Accidenti, ho idea che se l’è presa sul serio, stavolta" commentò Oliver, guadandola preoccupato. "Che facciamo?".

Già, che facevano? Non potevano lasciarla lì, avrebbe rischiato di morire assiderata, ma se lei nemmeno li guardava in faccia…

Si avvicinò a passi lenti. "Dai, Tonks, non volevo farti arrabbiare…".

"Ah no?" fece la ragazza, in tono piagnucoloso.

Merlino, ma stava piangendo? In sette anni che la conosceva, non l’aveva mai vista versare mezza lacrima, considerato che era più il tipo da reazioni violente, e adesso era bastato così poco per offenderla così tanto? Gliene aveva dette di molto peggiori: non riusciva a credere che la minaccia di rimanere zitella potesse toccarla tanto.

"Ma certo che no! Non credevo che potessi prendertela tanto… Mi dispiace".

"Ah, gli dispiace" sbuffò Tonks. "Pensi che mi basti il tuo dispiacere?".

"Andiamo, stavo solo scherzando" cercò di ammansirla Charlie.

Nel frattempo le era arrivato alle spalle, fece per appoggiarle una mano sulla spalle, ma prima che potesse anche solo sfiorarla, Tonks si voltò con un gesto fulmineo e lo ribaltò, facendolo cadere a sua volta.

Prima che Charlie riuscisse a capire come avesse fatto il mondo a rivoltarsi, si ritrovò una soddisfatta Dora seduta comodamente sul suo sterno che se la rideva di gusto. "Oh, non posso credere che tu ci sia cascato!" rise, infarinandogli la faccia di neve. "Voi uomini siete proprio dei boccaloni: alla prima finta lacrima che vedete, vi sciogliete come burro al sole!".

"Tu, piccola befana!" le inveì contro Charlie, cercando di liberarsi senza successo. Piccola, ma pesante, la creatura!

"Oh, vai sempre meglio, Weasley" ridacchiò Tonks. "Prima mi da della zitella, poi della befana: sai proprio come far cadere ai tuoi piedi una donna!".

"Beh, non lo sei, forse? Una befana, intendo, non zitella!".

"Chi, moi?" fece la ragazza indicandosi con aria angelica, per poi modificare repentinamente i suoi connotati in quelli di una vecchia strega da fiaba. "Forse solo un pochino…".

"Solo un pochino? Tu sei la quint’essenza di una befana" dichiarò Charlie, indispettito cercando di scacciarsi la neve dagli occhi. "Riconfermo la mia prima ipotesi: tu morirai sola con ventisette gatti!".

"Sai, Charlie-Boy" osservò Tonks, in tono meditabondo, riprendendo il suo aspetto abituale, "non so quanto sia furbo mettersi a insultare qualcuno che ti sta seduto sul torace impedendoti i movimenti e con a portata di mano particolari zone del tuo corpo… Quanti fratelli hai, esattamente?".

"Cinque fratelli e una sorella" rispose Charlie, fissandola con aria inquisitoria. "Perché?".

"Oh, mera garanzia: non volevo privare tua madre della possibilità di diventare nonna, in futuro…".

"Non oseresti…" disse senza troppo convinzione Charlie.

"Chi, la befana zitella innamorata di Piton? Io dico che oserebbe…".

"Oliver, aiutami!".

Oliver fece per muovere un esitante passo nella sua direzione, ma Tonks lo fermò ammonendolo con il dito. "Non ti avvicinare, Oliver, o sarai il prossimo, giuro!".

"Ma mi abbandoni così?!" gridò Charlie, vedendo che il ragazzino si fermava di botto. "Che razza di amico sei?".

"Uno che ci tiene a restare tutto intero".

Charlie lo guardò con aria offesa, mentre Tonks ridacchiava malefica. "Allora, Weasley…" disse, mentre con le mani cominciava a mettere insieme una grosso palla di neve.

"Allora, Tonks…" le fece il verso Charlie, seguendo ogni suo movimento come se fosse stata una tigre famelica. "Hai intenzione di stare lì finché non ci trasformeremo in pupazzi di neve?".

"Beh, può darsi: sei comodo" dichiarò lei, finendo di compattare la palla per poi farla levitare sopra il naso di Charlie.

"Che vuoi fare?".

"Chi sarebbe la befana?" cinguettò Tonks invece di rispondere. "E bada a come rispondi o ti ritroverai neve perfino nelle mutande!".

"Non tu" rispose subito Charlie, ben conscio che la ragazza non avrebbe esitato due volte a mettere in pratica le sue minacce. Pochi metri più in là, Oliver se la rideva di gusto. "Tu sei la persona più dolce, gentile e amabile che abbia mai conosciuto".

"Ne ero convinta… E chi dovrebbe morire sola con ventisette gatti?".

"Ma che scherzi? Qualunque uomo sarebbe più che fortunato a diventare tuo marito!".

"Ah, bene… E com’è che NON mi devi chiamare per nessuna ragione al mondo?".

"Ehm, Doretta, stellina o Ninfadora".

"Soprattutto Ninfadora!".

"Soprattutto Ninfadora" le fece subito eco Charlie.

Tonks si stiracchiò con aria soddisfatta, schiacciando ancora di più il ragazzo sotto di sé. "Ah, voi uomini siete come cuccioli duri di comprendonio, ma basta qualche minaccia alla vostra virilità per trasformarvi in docili agnellini… Bravo, Charlie, bravo!" approvò, dandogli un buffetto sulla guancia.

"Potresti togliere quella cosa da sopra il mio naso, per favore" domandò Charlie, indicando la palla di neve che ancora volteggiava sopra la sua testa.

"Beh, dipende…".

"Da cosa?" sbuffò Charlie esasperato. "Mi sto congelando qua sotto…".

"Quando mi sposerò (perché, in un futuro molto, molto lontano, quando mi sentirò professionalmente realizzata e mi riterrò pronta a condividere ogni cosa con un altro essere umano, io mi sposerò), mi farai da testimone?".

Per un attimo, Charlie non rispose, troppo spiazzato dalla proposta. Soltanto Tonks poteva chiedergli una cosa simile appollaiata sul suo sterno mentre entrambi stavano affondando nella neve e rischiando una polmonite. "Se sarò ancora vivo perché il tuo fondoschiena non mi ha spiaccicato organi vitali e se mi assicuri che dopo ti levi dalle scatole, sì, ti farò da testimone".

"Giuri?".

"Che cosa vuoi, un giuramento di sangue?!" sbottò Charlie. "Sì, te lo giuro, prometto, che mi possano cadere tutti i capelli se non ti farò da testimone, quando ti sposerai in un futuro molto, molto lontano quando ti sentirai professionalmente realizzata eccetera, eccetera… Ora, per cortesia, potresti gentilmente toglierti? Mi sto ghiacciando e il tuo didietro mi sta distruggendo il costato!".

"Ok, ok, mi alzo" lo accontentò Tonks, balzando in piedi e poi aiutando lui a fare lo stesso.

"Devo trovarmi nuovi amici" sbuffò il ragazzo massaggiandosi il petto. "Sei troppo violenta per i miei gusti!".

"Che ci vuoi fare… Da parte di mamma, si sposavano tra cugini, è normale che ci sia qualche tara genetica vagante… Oppure è quello che succede mischiando il sangue Black con quello di un Nato Babbano".

"Cioè la prova vivente che i Purosangue dovrebbero accasarsi solo con altri Purosangue, se questo è il risultato! Ahio!" protestò, quando Tonks lo colpì con uno scappellotto. "Tu puoi prenderti in giro e io no, scusa? Ehi, Ollie, grazie mille per il tuo non-aiuto, eh!".

Oliver arrossì leggermente, avvicinandosi. "Vuoi forse insinuare che se le situazioni fossero state invertite, tu non avresti fatto esattamente come me?".

Charlie ci pensò sopra un attimo e alla fine dovette concordare. "Già, è vero… Merlino, Ollie, ci facciamo manovrare come burattini da questa pazza psicopatica!".

"Alla faccia di chi dice che le donne sono il sesso debole!" rise Tonks, dando delle condiscendenti pacchette sulle teste dei due amici. "I miei piccoli, fedeli schiavetti…".

"Ok, ora basta o giuro che farò scappare lo sposo quando sarà il momento" la minacciò Charlie.

Prima che Tonks potesse rispondere a tono, intervenne Oliver. "Ah, Charlie, hai fatto cadere questo" disse porgendogli la scatola di Cioccorane, il suo regalo di compleanno.

"Avanti, aprilo!" lo incitò Tonks con gli occhi luccicanti.

Charlie la guardò di sbieco, non capendo il motivo di tanto entusiasmo: in fondo erano solo Cioccorane. "Veramente, adesso non mi va…".

"Ti ho detto di aprirlo!" lo interruppe la ragazza, virando su una preoccupante tinta scarlatta che fece capire a Charlie che eventuali repliche avrebbero potuto avere conseguenze dolorose… Per lui!

Sbuffando e prendendo mentalmente nota di cercarsi amici dal carattere più stabile, Charlie litigò per qualche minuto con la chiusura della scatola a causa dei guanti che gli impacciavano i movimenti e quando infine riuscì ad aprirla, rimase abbastanza sorpreso nel constatare che insieme ai dolciumi c’erano anche un foglio di pergamena ripiegato.

"Che roba sarebbe?" domandò, tirandolo fuori per poi guardare interrogativo Oliver e Tonks che ridacchiavano sotto i baffi.

"Avanti, leggi" lo spronò la ragazza. "Ma ti devo dire tutto io?!".

Charlie ubbidì: erano poche righe, scribacchiate nella disarticolata calligrafia di Tonks che lo lasciarono incredulo a fissare il foglio.

"Mi sa che l’abbiamo scioccato troppo…" osservò Oliver.

"Andiamo, Charlie-Boy, respira!" lo incoraggiò Tonks, preoccupata.

"Che… che roba è? Cosa significa?" riuscì alla fine ad articolare il ragazzo.

"Il tuo regalo" chiocciò con aria ovvia la ragazza.

"Mi avete regalato un viaggio in Romania?" soffiò Charlie, allibito.

"Per le vacanze di natale" confermò Oliver.

"Così potrai andare a vedere dal vivo quelle bestie sputa fuoco, dentute e squamose che tanto ti piacciono!" aggiunse Tonks.

"Ragazzi…". Charlie scosse il capo, cercando di schiarirsi i pensieri, inutilmente: all’improvviso la sua mente era stata invasa da immagini di grandi, immensi, magnifici draghi e dalla possibilità di poterli vedere da vicino. Si costrinse a tornare coi piedi per terra. "Ragazzi, non posso accettare".

"COSA?!" esclamarono sbigottiti gli altri due. "Cosa vuol dire che non puoi accettare?!".

"È un pensiero bellissimo, sul serio, ma non posso accettare" ribadì Charlie, per quanto fosse ben poco entusiasta di dire quelle parole. "È troppo: vi sarà costato un patrimonio!".

"Oh, ma mica abbiamo pagato solo noi" lo rassicurò Oliver. "L’idea l’ha avuta Tonks, è vero…".

"Però per i soldi hanno collaborato anche altri, sennò col cavolo che riuscivamo a mettere insieme abbstanza!".

"Altri? Quali altri? Non ne avrete parlato ai miei, spero?".

"Ti pare che ho tatuato ‘cretina’ in fronte? Lo so come reagirebbe tua madre…".

"E allora quali altri?".

Tonks alzò le spalle. "Boh, un po’ di gente… In mezzo alle Cioccorane, ci dovrebbe essere, oltre ai dettagli del viaggio, anche la raccolta firme: hanno collaborato in tanti, sai…".

Oliver annuì. "Tutta la squadra di Quidditch, tanto per cominciare, buona parte dei Grifondoro del tuo anno, Fred e George (non chiedermi dove hanno trovato i soldi, non lo so), Hagrid, Bill, perfino Silente…".

"Siete andati a elemosinare soldi da SILENTE?!" quasi strillò Charlie, rischiando di strozzarsi con la sua stessa saliva: d’accordo che Tonks era nota per la sua faccia tosta, ma quello era troppo anche per lei!

"Beh, veramente ci ha sentiti mentre ne parlavamo in corridoio" spiegò Tonks. "Praticamente mi ha messo i soldi in mano quando ha capito a cosa servivano: che potevo fare, buttarli via?".

Charlie scosse il capo, sempre più basito: tutti quanti si erano mobilitati a quel punto per lui? "Sì, ma non posso comunque…".

Cercò di rimettere la scatola in mano a Tonks, che lo respinse. "Tu puoi, vuoi e devi andare! Altrimenti ti ci trascino io! Forza, te lo leggo in faccia che muori dalla voglia di accettare…".

Charlie guardò prima lei, poi la scatola di Cioccorane nei cui meandri si celava la possibilità di realizzare uno dei suoi più grandi sogni: solo due settimane prima, aveva consigliato a Bill di accettare il lavoro come Spezzaincatesimi e di partire per l’Egitto e ora non voleva seguire il suo stesso suggerimento? D’accordo che la sua era una vacanza ed sarebbe stato solo per qualche giorno, ma sarebbe stato ipocrita fingere che la proposta non gli facesse gola… In verità, moriva dalla voglia di poter verificare dal vivo se l’Ungaro Spinato era così impressionante come lasciavano trasparire le illustrazioni dei libri che aveva letto.

"Io non so cosa dire".

"Un semplice grazie basterà" rispose Oliver.

"E la promessa di tornare tutto intero" aggiunse Tonks. "Non vorrei che qualche drago ti mangiasse un arto…".

"Prometto di tornare integro… Sarebbe complicato farti da testimone senza una gamba!".

"Beh, farò in modo di scegliermi un marito gobbo, così non si noterà!".

"Equo compromesso… Ma penso sia più facile se ritorno con gambe e braccia al loro posto".

"Sì, probabile…".

Charlie esitò un attimo, poi il viso si distese in un’espressione di autentica gioia. Con la mente era già volato in Romania: probabilmente non li avrebbe nemmeno potuti avvicinare i draghi, ma sarebbe stata un’esperienza fantastica comunque. "Grazie, ragazzi: non potevate farmi un regalo più bello!".

LYRAPOTTER’S CORNER

Eccomi qua, nuovo capitolo, nuovo personaggio, nuova corsa: questa shot, anche se non era nei piani originari, forma una specie di dittico con quella precedente, visto che siamo nello stesso periodo e c’è affinità di toni e argomenti. Spero che nessuno trovi improbabile l’amicizia tra Charlie e Tonks: il Lexicon li mette coetanei e nella mia mente, anche se sono in case separate, li ho sempre immaginati molto amici. Il buon rapporto con Hagrid invece si rifà direttamente alle affermazioni di quest’ultimo nei libri.

Grazie a

Deidara, spero che anche questo capitolo ti abbia divertito… Adesso mancano solo quella di Natale e quella del compleanno di Voldemort, il 31

Julia Weasley, benvenuta a bordo, sappi che non è mai troppo tardi, nuovi lettori sono sempre i benvenuti… Guarda, quella sulla McGranitt ha riscosso un successo di cui nemmeno io mi capacito, mai più avrei pensato che ricevesse tanti consensi, tanto che nella mia testolina si sta pure formando l’ideuzza di inaugurare una raccolta tutta in argomento, una volta archiviata questa… Ma per il momento, è solo un castello in aria… Felice che il piccolo Orion ti abbia fatto ridere, decisamente un effetto migliore di quello che mi fa il tuo!!!!!!

nefertari83, prima di tutto, ringraziamento obbligatorio per essertela letta tutta di fila: grazie, grazie, grazie!!!! Su Ted Tonks, non sei tu che ricordi male, è la traduzione italiana che fa schifo: pure io per molto tempo sono stata convinta che Ted fosse Babbano e basta, poi quando ho letto HP7 in inglese ho scoperto (o meglio ho capito) che in realtà Ted è un Muggle-Born, ovvero un mago figlio di Babbani, in parole povere è come Hermione. Il problema di fondo per questo malinteso è la maldestra traduzione del termine di cui sopra, che avranno reso in almeno dieci modi diversi… Morale della favola, comunque, Ted è un mago.

Half Blood, spero di non aver deluso le tue aspettative, allora!

pometina94, secondo fratello Weasley semi sconosciuto, questo anche più di Bill, visto che appare in due libri e parla solo in uno (povero Charlie, non se lo fila mai nessuno, autrice in primis!). I gemelli sono due miti, questo è assolutamente innegabile. Alla prossima!

LadyMorgan, mia carissima Silvia Beta, come ho già detto, i tuoi complimenti fanno involare il mio ego nell’olimpo dei piccolo scrittori felici… Grazie, grazie, grazie!!!!!!!!

Bon, con questo ho finito, vi lascio al prossimo appuntamento, il 25/12 per natale, ovviamente, sperando di riuscire ad aggiornare puntualmente!

See you soon!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Natale ***


SPECIAL DAYS

Natale

25 dicembre 2007

Grimmauld Place n° 12

11.30

Caos, disordine e case sovraffollate: se qualcuno avesse chiesto a Harry Potter di descrivere il suo natale tipo in tre parole, sarebbero state probabilmente queste.

Il natale nella famiglia Weasley non era mai stata una ricorrenza tranquilla, soprattutto quando i sette figli erano piccoli… E come poteva esserlo, se ogni anno, sistematicamente, ognuno dei sette ragazzi riteneva di non aver ricevuto quello che voleva ed in compenso preferiva di gran lunga un regalo degli altri? Molly e Arthur ricordavano certe guerre mondiali…

Ora, la Tana invece era un continuo viavai di nipotini di varie età, in un numeroso clan che per certi versi poteva risultare anche più litigioso del precedente.

Non che non ci fosse amore, anzi, ma provate a mettere nella stessa stanza una decina di bambini di età compresa fra l’uno e i nove anni, con i rispettivi genitori che in clima di feste tendevano a regredire all’età infantile e probabilmente capirete…

"Ginny, sei pronta?".

Harry chiamò la moglie per la quarta volta, guardando contemporaneamente l’orologio. Come d’abitudine, avrebbero finito con l’essere i soliti ritardatari.

"Harry, vieni a prendere i tuoi figli!" gli gridò di rimando Ginny dalla loro stanza.

Harry sbuffò: meno male che quando, dieci minuti prima, si era offerto di portare giù James e Al, lei avesse detto "Ma no, figurati, non mi danno nessuno fastidio…".

Ma tant’è: alla terza gravidanza, Harry aveva ormai imparato che contraddire Ginny per qualunque motivo, poteva essere molto pericoloso. "Eccomi, arrivo" disse perciò, facendo le scale tre gradini alla volta.

"Che succede?" domandò una volta arrivato nella loro camera da letto, dove James era intento a testare la resistenza della sua mini Pluffa nuova lanciandola contro ogni oggetto che gli capitava a tiro, inclusa (da quello che Harry poteva intuire) la testa di suo fratello, che Ginny ancora in vestaglia stava cercando di consolare.

"Succede che il tuo primogenito è un piccolo criminale!" sbuffò la donna, prima di mettergli tra le braccia un piangente Al che esibiva un principio di bernoccolo sulla fronte. "E succede che non mi entra più niente!" aggiunse subito dopo, indicando la montagna di vestiti che affollava il loro letto.

Harry corrugò la fronte, sistemandosi meglio il bambino in braccio. "Hai comprato dei vestiti nuovi nemmeno una settimana fa" protestò. "Non ci credo che non ti entrano nemmeno quelli!".

"Ti dico che non mi entrano" ribadì risoluta Ginny, fissando con aria corrucciata allo specchio il proprio profilo da donna al settimo mese di gravidanza. "Sono stati i primi che ho provato: non riuscivo a chiudere la lampo!".

"Mamma è grossa come balena" si intromise James, molto a sproposito.

Harry trattenne a stento la tentazione di ridacchiare e solo davanti all’occhiata di fuoco che Ginny lanciò al figlioletto. "Che cosa hai detto, piccolo maleducato?".

"Tio Ron lo dice" disse il bambino con candore, guardando la madre un po’ spaventato. "Insieme a papi".

Ecco, lo sapevo che arrivava anche il mio turno…

"Che cosa direste tu e Ron alle mie spalle?".

"Ma nulla" cercò di difendersi l’uomo, indietreggiando istintivamente e frapponendo abbastanza vigliaccamente il piccolo Albus tra lui e la moglie arrabbiata. "Lo sai com’è fatto Ron: parla sempre a sproposito… Non credevo che James ci stesse ascoltando…".

"Primo, dovresti saperlo che James assorbe tutto quello che ci sente dire come una spugna" cominciò a elencargli Ginny. "Secondo, quando diavolo Ron avrebbe detto una cosa del genere di fronte al bambino?".

Harry ci pensò sopra un attimo. "La scorsa settimana, penso, quando tu e le ragazze siete andate a fare shopping…".

"Ah, ecco cosa succede a lasciarti solo con i nostri figli per un paio d’ore…" commentò a mezza voce la donna. "Mi dai una mano?".

"Cosa devo fare, cucirti un vestito qui sul momento?" domandò ironicamente Harry. Mise Albus, finalmente acquietato, nel suo box, e poi prese a frugare nel mucchio di vestiti.

"È inutile" gli disse Ginny con una smorfia frustata. "Li ho già controllati tutti: o sono stretti o non sono adatti o hanno qualche altro problema…".

"Oh, su amore, non stiamo andando a una cena di gala" cercò di farla ragionare Harry. "Andiamo da tua madre per il pranzo di natale: è una cosa informale, anche se non ti metti un abito da cerimonia non si scandalizzerà nessuno…".

"Lo so, lo so" sbuffò la donna. "È solo che…".

"Sì?".

"Penserai che sia una stupidaggine".

"Tesoro, ti conosco da quando avevi dieci anni, ci siamo fidanzati quando ne avevi quindici e siamo sposati da quando ne avevi venti… Non mi permetterei mai di dire che quello che fai è una stupidaggine…".

Ginny alzò gli occhi al cielo. "Ok, ok… Non voglio sfigurare con Fleur".

Harry sgranò gli occhi così tanto che per poco non gli schizzarono fuori dalle orbite. "Scusa, come?". Doveva aver capito male: insomma, non poteva essere sul serio per quello. Perfino James e Albus sembravano aver smesso di fare quello che facevano per ascoltare, tesi come corde di violino.

"Quando Fleur era incinta di Louis, il suo terzo figlio, era a dir poco sfolgorante; io invece assomiglio ogni giorno di più ad una balena arenata sulla spiaggia, come ha giustamente sottolineato anche quel cafone di mio fratello: per una volta, non voglio sfigurare con lei!".

"Ok". Harry annuì, cercando di mantenere un’espressione neutra. Ma trattenersi del tutto era impossibile. "Questa è una stupidaggine".

"NON è una stupidaggine!" sbraitò Ginny, battendo un piede in terra. "È una questione di principio: quella è riuscita a rubarmi la scena perfino il giorno del nostro matrimonio!".

"Ginny, Fleur è una bella donna" osservò Harry, con il tono di chi asserisce un fatto incontestabile.

Ginny gonfiò subito il petto, pronta a rispondere per le rime, ma Harry fu più veloce. "E anche tu sei una bella donna… Anzi, bellissima, la più bella del mondo e l’unica che mi sognerei mai di guardare. Ma non puoi farne una questione di stato se Fleur è bella e la gente, ehm, tende a notarla… A dirla tutta, credevo che aveste sepolto l’ascia di guerra da un pezzo…".

"Uff, lo credevo anch’io". Ginny incrociò le braccia, lasciandosi cadere sul letto. "È solo che a volte mi fa sentire così… così maledettamente inferiore: dopo tre figli, ha ancora un fisico da far invidia a una ventenne ed è sempre così gentile e tutto… Io invece ho sempre più l'aspetto del mostro di Loch Ness e in questi giorni ho il carattere di un Ungaro Spinato incavolato: francamente, non so come tu faccia a sopportarmi".

"Ascolta, Ginny" disse Harry, sedendosi di fianco a lei e poggiandole una mano sulla spalle, "ti amo come un pazzo e penso che continuerei ad amarti anche se cominciassi a comportarti come un Ungaro Spinato anche quando non sei incinta. Per quel che può valere, a mio giudizio, sei diecimila volte più bella di Fleur Delacour Weasley o di qualunque altra donna, ok?".

"Mamma bellissima!" s’intromise James, che li aveva raggiunti e ora si attaccava alla gamba del padre per non perdere l’equilibrio.

"Grazie, James" gli sorrise Harry, prendendolo sulle ginocchia. "E di certo Al ti direbbe lo stesso se sapesse parlare".

"E io dico che voi Potter siete tutti dei grandi adulatori, nonché sviolinatori opportunisti" ridacchiò Ginny, dando un buffetto al figlio.

"Credo che a due anni e mezzo, il concetto di ruffianata non sia ancora stato assimilato, tesoro" obiettò Harry.

"E a ventisette?" domandò la donna con un sopracciglio inarcato, prima di allungarsi verso di lui e dargli un bacio veloce sulle labbra.

Harry le rivolse un sorriso sornione. "Ok, lo confesso, miravo a ottenere un po’ di coccole dalla mia bellissima, dolcissima e per nulla fuori forma moglie…".

"Mmmm, sviolinatore opportunista" ribadì di nuovo Ginny. "Mi dai una mano ad alzarmi, così poi cerco qualcosa da mettermi?".

Harry riposò in terra James e, mentre la donna riprendeva la ricerca nel mucchio di abiti abbandonati sul letto, guardò di nuovo l’orologio. "Senti" disse, rendendosi conto che si stava facendo tardi sul serio, "ti spiace se mi avvio? Avevo promesso ad Andromeda che passavo a prendere Teddy e sono già in ritardo…".

"Oh, certo, va pure" disse distrattamente Ginny, mentre studiava un maglioncino verde. "Ci vediamo direttamente alla Tana?".

Harry annuì e le diede un bacio veloce sulla guancia. "Vedi di non metterci delle ore: dubito che tua madre potrà tenere sotto controllo lo stomaco dei tuoi fratelli più di tanto…".

"Non ti preoccupare… Salutami Andromeda e vedi se riesci a farle cambiare idea: mamma ne sarebbe felice…".

Harry fece per avviarsi quando qualcuno lo tirò per la gamba dei pantaloni. "Papi, voio venire…" lo implorò James sgranando gli occhi castani.

Harry sospirò: forse, dopotutto, James aveva afferrato anche troppo bene il concetto di ruffianata, visto che riusciva immancabilmente a rigirarsi i genitori come voleva. "E va bene, piccolo Malandrino" gli concesse, prendendolo in braccio. "Ginny, rapisco il tuo primogenito se non è un problema…".

"Coprilo bene" gli raccomando la donna con una nota d’ansia nella voce. "Fa freddo fuori".

"Sì, mamma" la salutò Harry con un cenno della mano. "Ciao, mamma".

"Ciao, mamma" gli fece eco James.

Casa Weasley

11.30

Ron osservava con aria perplessa la porta chiusa del suo bagno. "Hermione, ma ti vuoi muovere?" chiamò, bussando per la quinta volta in una decina di minuti. "Faremo tardi…".

Era una situazione quasi irreale: era forse la prima volta da quando conosceva sua moglie che non era lui quello in ritardo.

Dall’interno non giunse risposta se non un indistinto brontolio.

"Ok, ho capito…" borbottò Ron, anche se in realtà non aveva capito proprio nulla.

Tornò nella sua camera, dove Rose, già tutta vestita e agghindata, lo stava aspettando paziente in quella trappola Babbana per bambini che Hermione chiamava box.

Con un sorriso, Ron la prese in braccio. "Eccola qua, la mia bambolina… La mamma ci sta facendo fare tardi, sai, Rosie? E per una volta potrò dire alla nonna che non è colpa mia!".

"Gah!" dichiarò Rose con un sorriso mezzo sdentato.

Ron non era certo di come interpretare quel suono, visto che Rose al momento diceva tre parole: mama, pipi e gah, e quest’ultima non aveva nessun apparente significato. Decise perciò di considerarlo un cenno d’assenso per la sua causa. "Brava, tesoro, ricordati di darmi sempre ragione anche in futuro…".

"Gah!".

"Ho idea che la mamma sia in un periodo critico del mese, sai Rosie…" continuò l’uomo, pur conscio che la bambina non stava probabilmente capendo una parola, ma pareva felice di ricevere tante attenzioni. "Promettimi che non diventerai mai come tua madre, bambolina, promettimelo!".

"Mama!" disse lei, battendo le manine, estasiata.

Il sorriso di Ron si afflosciò un pochino. "Risposta sbagliata, Rose… Da brava, dì ‘sì, papà, non diventerò mai come la mamma’".

Rose lo guardò un attimo con aria vagamente perplessa prima di dire: "Papa!", causando al povero Ron un mezzo scompenso cardiaco.

Per poco, infatti, l’uomo non la fece cadere per l’emozione. "Che hai detto? Puoi ripetere?".

"Papa!" ripeté ubbidiente la bambina, fissando con un sorriso il genitore.

"Oh, per le mutande di Mer-… Hermione!" gridò, tornando alla porta del bagno e prendendo a tempestarla di pugni, con Rose che lo fissava perplessa. "Hermione, apri questa dannata porta sì o no?".

La porta si aprì davvero, questa volta, prendendo Ron talmente alla sprovvista che per poco non centrò la moglie sul naso.

"Ronald, che diamine vuoi fare? Demolire la casa?" lo rimbeccò la donna.

"Rose mi ha chiamato papà!" esultò Ron, troppo felice per prestare attenzione ai suoi rimproveri. "Mi ha chiamato papà, capisci?!".

"Beh, sei suo padre, no?" osservò Hermione, sorpassandolo per tornare in camera.

L’entusiasmo di Ron si sgonfiò un pochino, mentre seguiva la moglie. "Sì… Ma è la prima volta… Non ti capisco, Hermione: quando ti ha chiamato mamma per la prima volta, ancora poco e ti organizzavo una parata". Si bloccò un attimo, scrutando il viso pallido si lei. "È successo qualcosa? Sei bianca come un lenzuolo…".

"Ron, metti giù Rose…".

Al che Ron si preoccupò sul serio e per contro si strinse la bambina contro il petto con ancora più forza. "Perché?" domandò guardingo.

"Perché non voglio che tu la faccia cadere per sbaglio… Metti la bambina nel box e siediti!".

C’era un che di magico nel modo in cui Hermione dava ordini: anche a distanza di anni, quando usava quel tono, Ron si sentiva sempre spinto a ubbidire senza sollevare la minima obiezione. Infatti, stava già posando la figlia nel box quando saltò su all’improvviso, sbraitando: "Eh no! Non mi rigiri in questo modo, cara: non sono più un bambino! Dimmi che diavolo sta succedendo e basta! Sei stata chiusa in bagno venti minuti!".

Hermione sospirò con aria rassegnata. "Sono incinta… Di nuovo".

Ron non fece cadere Rose, no… In compenso rischiò seriamente di cadere lui in prima persona, portandosi dietro per estensione anche la bambina, se non che grazie ai suoi riflessi pronti, Hermione fece apparire una poltrona che parò il tracollo dell’uomo.

"Incinta?" ripeté Ron, senza essere consapevole nemmeno del fatto di essere seduta. "Ma incinta, incinta?".

Hermione lo guardò con un sopracciglio inarcato. "Quanti modi di essere incinta ci sono, Ronald?".

"Ma… ma…".

Con un sospiro, Hermione si avvicinò al marito, chinandosi su di lei. "Andiamo Ron, non vorrai ripetere le stesse scene dell’altra volta, vero? Ci siamo già passati…".

Già, entrambi ricordavano quando Hermione aveva annunciato di aspettare Rose: Ron era prima caduto in una sottospecie di stato catatonico, continuando a balbettare frasi sconnesse prima di svenire; per i successivi nove mesi, lei e Harry erano stati poi impegnati a cercare di convincerlo che sarebbe stato un buon padre. La donna non era certa di poter sopportare tutto un’altra volta. "Ron? Ron, dimmi qualcosa…".

Ron la guardò come se la vedesse per la prima volta, sbatté le palpebre un paio di volte, poi un sorriso ebete gli si dipinse in volto. "Amore, è stupendo!".

L’avrebbe abbracciata seduta stante, ma per fortuna era tornato in sé quanto bastava per ricordarsi di avere ancora Rose tra le braccia. Così si limitò a baciarla stringendola con un braccio. "È il miglior regalo di natale che potessi farmi!".

"Avevo paura che stessi per svenire di nuovo…" mormorò Hermione, sorridendo.

"Già, anch’io l’ho pensato…" confermò Ron. "Rosie, hai sentito, stai per avere un fratellino…".

"Gah?".

"O una sorellina" precisò Hermione.

"Papa!" dichiarò Rose.

La donna sorrise alla figlia. "Brava la mia bimba… Forza, Ronald, dobbiamo andare o faremo tardi sul serio!".

Ron annuì, alzandosi e rendendosi conto solo in quel omento di dove fosse stato seduto. Fissò accigliato la poltrona. "Da quando abbiamo una poltrona in mezzo alla camera da letto?".

Casa Tonks

12.00

"Teddy, hai intenzione di fare la posta a quella finestra ancora per molto?".

Il ragazzino si voltò con una smorfia infastidita verso la nonna che lo squadrava corrucciata. "Harry è in ritardo".

"Lo vedo anch’io" disse Andromeda. "Ma non è stando appollaiato su quel davanzale che lo farai arrivare prima… Scendi o finirai con il farti male…".

Sbuffando con aria scocciata, Teddy saltò giù dal davanzale in cucina dove si era sistemato per vedere se Harry stava arrivando. "Nonna, mi arrampico lì sopra da quando avevo cinque anni…".

"E sei caduto almeno un migliaio di volte, Teddy: non ti sei mai fatto male solo perché hai la testa più dura del marmo!".

"Il che significa che non mi farei male in ogni caso, no, nonna?" obiettò il bambino.

"C’è sempre una prima volta per tutto" lo rimbrottò Andromeda. "Lo sai che non mi è mai piaciuto vederti l’ha sopra… Quando aveva la tua età, tua madre si è rotta due denti cadendo di faccia da lì…".

"Io non sono mica come la mamma!".

Andromeda sorrise tristemente, scompigliandogli i capelli quel giorno di un allegro verde smeraldo, per conformarsi al clima festivo. "Hai perfettamente ragione: tu sei molto peggio!".

"Non è vero!" protestò Teddy, infiammandosi subito.

"Per quel che mi ricordo, non ho mai dovuto portare tua madre al S. Mungo per una frattura multipla PRIMA dei sette anni…".

"È stato un incidente" protestò il ragazzino. "Che ne sapevo io che quel particolare tratto di strada fosse così scivoloso…".

"Forse avresti dovuto immaginare che uscire con la bici in gennaio e con le strade ghiacciate non era una buona idea…".

Teddy incassò la critica con un sorrisetto. "Ma io lo so… ora lo so".

Andromeda sospirò, rassegnata: più cresceva, più diventava incontrollabile… Proprio come sua madre, pensò tristemente: Dora le avrebbe risposto esattamente allo stesso modo, aggiungendo pure un "sei troppo apprensiva, mamma: lasciami vivere la mia vita!". "Benissimo, mostriciattolo… Ma non puoi salire sul davanzale comunque!".

Teddy emise un verso di protesta, ma si astenne dal sollevare ulteriori obiezioni di fronte all’occhiata di fuoco che gli lanciò Andromeda. "Posso prendere un biscotto?".

"Stai andando dai Weasley per pranzare: non voglio che ti guasti l’appetito…".

"Uno solo" la implorò Teddy. "Un solo biscotto al cioccolato e giuro che non salirò mai più su quel davanzale".

"Già, certo, perché secondo te io ci credo, vero Teddy? Come se non ti conoscessi…".

"Non ti fidi di me, nonnina? Con questo adorabile faccino…" aggiunse il ragazzino, esibendo la sua migliore espressione da cucciolo innocente.

Andromeda aprì la bocca per rispondere, ma qualcuno la precedette. "Certo che non si fida di te… E fa pure bene!".

Riconoscendo quella voce, Teddy si voltò con un largo sorriso. "Harry! Sei in ritardo!". Fece per correre ad abbracciarlo ma si bloccò vedendo che aveva le braccia occupate a reggere il piccolo James.

"Già, mi spiace" si scusò Harry. "Problemi di vestiario…".

"Eh?".

"Oh, nulla, ho dovuto aiutare Ginny a trovare qualcosa da mettersi…".

Mentre James si sbracciava per salutarlo con un largo sorriso, Teddy fece una smorfia. "Le femmine sono strane" affermò deciso.

Harry ridacchiò. "Continua pure a mantenere questo atteggiamento: non credo che tua nonna scalpiti dalla voglia di vederti fidanzato…".

"Bleah, che schifo!".

Anche Andromeda rise. "Victoire non sarebbe tanto contenta di sentirtelo dire" osservò con una luce divertita negli occhi.

Lo sdegno di Teddy sembrò ulteriormente amplificarsi a quelle parole. "Io non la voglio proprio una fidanzata, tanto meno una appiccicosa come Victoire!".

"Sì, sì, va bene, fila a prendere il capotto, piccolo criminale". Andromeda lo guardò filare via, prima di aggiungere, con un ghignetto divertito. "Gli do cinque, massimo sei anni, prima di cominciare a baciare la terra su cui Vicky cammina…".

"Io anche meno" concordò Harry. "Il tempo di entrare nella pubertà…".

"Teddy bum" dichiarò James, sorridendo.

Per qualche oscura ragione, James aveva preso l’abitudine di associare il nome di Teddy al verso ‘bum’: nessuno era ancora riuscito a trovare un qualche motivo logico che potesse giustificarlo.

"Già, Teddy bum" concordò Andromeda, sorridendo al piccolo. "Goditelo finché poi: ho idea che questo piccolo diventerà una peste come c’è ne sono state poche…".

"Ho quest’impressione anch’io: figurati che ha cercato di uccidere suo fratello colpendolo in testa con la mini pluffa che gli ha regalato George…".

"Bambini" commentò la donna.

Quasi a conferma delle sue parole, in quel momento dal soggiorno giunse il fragoroso rumore di qualcosa che cadeva distruggendo qualche oggetto fragile, subito seguito da un piuttosto eloquente: "Non è colpa mia!".

"Ted Remus Lupin!" ruggì Andromeda. "Che cosa hai distrutto questa volta?".

"Non è colpa mia" si difese il ragazzino ricomparendo, vestito di tutto punto. "Non del tutto, almeno" si affrettò a rettificare davanti allo sguardo scettico della nonna.

"Va bene, qualunque cosa sia, di certo non l’hai fatto apposta" lo appoggiò velocemente Harry. "Dai, Andromeda, è pure natale, per una volta lascia correre…".

Teddy annuì con vigore, sfoggiando di nuovo la faccia da cucciolo pentito.

Lo sguardo di Andromeda saettò da uno all’altro un paio di volte, poi chinò il capo con un sospiro esasperato. "Sparite tutti e tre, prima che cambi idea e vi assegni un castigo collettivo!".

Harry sorrise. "Andiamo, ragazzino, per oggi l’hai scampata…".

Teddy non se lo fece ripetere e sfrecciò fuori dalla porta alla velocità del fulmine.

"Sei sicura di non voler venire, Dromeda?" domandò Harry sulla soglia.

La donna scosse il capo. "Quest’anno no, grazie: non credo di poter sopportare tutto il caso weasley… E poi devo sistemare il danno del piccolo uragano".

"Teddy bum!" disse di nuovo James, battendo le mani.

"Già, Teddy ha decisamente fatto ‘bum’" assentì Harry: forse aveva risolto l’arcano mistero. "Te lo riporto per cena".

"Ma anche no" rise Andromeda salutandoli con la mano.

La Tana

12.30

Teddy non fece nemmeno in tempo a varcare la soglia della Tana che si ritrovò Victoire davanti. "Ciao, Teddy" lo salutò la bambina, con un sorrisone.

"Oh, ciao, Vicky" la salutò il ragazzino con aria molto meno entusiasta.

"Vieni a giocare?" gli propose, cominciando nel contempo a trascinarlo per un braccio.

Teddy cercò il sguardo del padrino in cerca di supporto, ma Harry si limitò a stringersi nelle spalle. "Sii gentile" gli raccomandò.

Teddy sospirò, come se tutta la faccenda gli richiedesse un immenso sacrificio, poi si lasciò trainare da Victoire. "Ok… Ma niente bambole…".

Harry sorrise prima di seguirli in soggiorno dove tutto il clan Weasley era riunito. "Buon natale a tutti".

"Oh, Harry caro, ben arrivato" lo salutò Molly con un sorriso. "Aspetta, dammi i cappotti".

Harry la ringraziò, porgendole la sua giacca, quella di Teddy e quella di James, prima di andare a sedersi tra Ginny e Ron sul divano. "Ehi, Ron, che faccia che hai…" lo salutò. "Che ti è successo?".

"Nulla, nulla" lo tranquillizzò Ron, pur senza riuscire a cancellare il sorriso che gli andava da un orecchio all’altro. "Te lo dico un’altra volta…".

Harry corrugò la fronte e cercò lo sguardo di Ginny per delucidazioni, ma la donna si limitò a scrollare le spalle. "Nemmeno Hermione mi ha detto nulla… Andromeda non è voluta venire alla fine?".

Harry scosse il capo, con aria dispiaciuta. "Ha detto di voler stare da sola…".

Ginny si morse il labbro, con aria un po’ preoccupata. "Sola con dei vecchi album di foto, scommetto…".

"Non potevo mica obbligarla a venire".

"Harry ha ragione, sorellina" intervenne Ron. "Andromeda è grande abbastanza per decidere come gestire la sua vita…".

"Ehi, ecco qua il mio nipote preferito".

George comparve a sorpresa alle loro spalle e sollevò James prima che qualcuno potesse fermarlo. "Diventi più Weasley ogni giorno che passa" disse con sguardo d’approvazione. James ridacchiò quando gli passò la mano tra i capelli rossi. "Ottimo lavoro, Gin".

"Perchè ha fatto tutto da sola, vero?" obiettò Harry.

"Tu ti sei riservato la parte divertente, tesoro" lo rimbrottò Ginny, dandogli una leggera manata alla spalla. "Il lavoro duro l’ho fatto io, perciò me ne prendo il merito… E poi George ha ragione a dire che è tutto un Weasley: se vuoi, ti cedo Albus, che sembra la tua copia carbone…".

"Molto gentile, amore".

"Ehi, dobbiamo portare avanti la tradizione Weasley" gli ricordò George con aria d’importanza. "Finora, solo James, Rose e Louis hanno mantenuto la chioma rosso fiamma targata Weasley e solo Louis porterà avanti il cognome… È una questione di principio: volete perdere il nostro marchio di fabbrica in matrimoni misti?".

"Se sei tanto ansioso di portare avanti il nostro ‘marchio di fabbrica’" osservò Ron, ridacchiando, "quand’è che tu e Angelina vi deciderete?".

"Deciderci a fare cosa?" si intromise la suddetta, sbucando alle spalle del marito e sorridendo dolcemente a James. "Ciao, cucciolo, ma quando sei carino…".

"George ci stava arringando sull’importanza di perpetuare il gene Weasley nelle prossime generazioni" rispose Ginny, accarezzandosi la pancia.

"E io stavo appunto chiedendogli quando voi due avreste dato il vostro contributo" aggiunse Ron, ridacchiando senza ritegno.

"Ah" fu il commento di Angelina, che abbassò lo sguardo a disagio.

"Andiamo, Ron" disse George, sorridendo. "Praticamente siamo ancora in luna di miele…".

"Siete sposati da quasi due anni" puntualizzò Ron con fare polemico

"Appunto, praticamente in luna di miele… Mica siamo tutti come te e Harry…".

"Dovrei sentirmi offeso da questa affermazione?" fece quest’ultimo, corrugando la fronte. Ginny scosse il capo, accarezzandogli la testa. "Annuisci e basta, tesoro… È l’unico modo per rimanere sani di mente certe volte… E tu Ron, smettila: la vita sessuale di George e Angelina non è affar tuo…".

"Andiamo, se pure Percy ha avuto il coraggio di riprodursi…".

"Percy ha fatto che?".

Ron si voltò per trovarsi il viso corrucciato del fratello maggiore a un centimetro dal suo. "Di che state parlando?".

"Ron si impicciava della vita altrui" rispose Ginny. "Niente di nuovo…".

"Veramente è stato George a cominciare…".

"E tu hai continuato…" ribatté quest’ultimo.

"Qui la cosa comincia a degenerare, mi pare" si intromise Harry, senza essere ascoltato più di tanto.

"Ho solo fatto una semplice domanda… Domanda a cui tu non hai ancora risposto".

"Che domanda?" fece Percy.

"Parlavano di figli" gli rispose Ginny. "Ron da’ a George il tormento perché non vuole ancora avere figli…".

"Scusa, ma il figlio lo deve fare con te?".

"No".

"E allora che diamine ti frega se non vuole ancora avere figli? Saranno poi fatti suoi e di Angelina… E non ho capito bene perché hai tirato in ballo me…".

In quel momento anche Bill fece la sua comparsa, con un largo sorriso. "Ehi, pulcini, vi state già scannando? Mamma non ha nemmeno servito il primo…".

"Non ci stiamo scannando" protestò George.

"Stiamo avendo una sana e civile discussione" lo corresse Ron.

"A toni un po’ animati" concluse Ginny.

"A che proposito?".

Sentendosi decisamente di troppo e con la vaga impressione che la discussione avrebbe tirato per le lunghe, Harry decise che il divano non era decisamente il posto migliore dove trovarsi in quel momento, perciò si defilò con una scusa… Non che qualcuno stesse badando a lui, beninteso.

"Serve una mano?" domandò una volta approdato in cucina, dove la signora Weasley, Fleur, Hermione e Audrey stavano dando gli ultimi ritocchi al pranzo e nel contempo coccolando la piccola Molly sotto lo sguardo geloso di Dominique.

"Ehi, che succede di là?" domandò Hermione, perplessa.

"Discussione tra fratelli" fu la spiccia risposta. "Inutile dire che quando anche pure Bill si è infilato dentro, mi sono sentito di troppo…".

Le donne gli sorrisero comprensive. "Ti offriamo asilo nel nostro regno, allora" disse Audrey. "Tra Weasley acquisiti, questo e altro…".

Fleur gli allungò uno sgabello, sorridendo. "Tieni, Arrì".

"E questa" aggiunse Hermione, passandogli una burrobirra. "Di che discutono i bambini troppo cresciuti di là?".

"Perpetuazione della specie".

"CHE COSA?!". Le quattro donne lo guardarono con tanto d’occhi.

"Che cosa intendi dire, Harry caro?".

Harry corrugò la fronte. "Non ne sono sicuro… È cominciata con George che diceva che James assomiglia tutto a sua madre e quando me ne sono andato stava proseguendo sui toni ‘se pure Percy ha fatto un figlio, può farlo chiunque!".

"Chi è che avrebbe detto questo?" domandò Audrey, con aria un po’ inviperita.

"Mmmm, Ron, mi pare…".

Hermione scosse il capo con aria sconsolata. "Chissà perché ci avrei scommesso che era stata quella mano delicata di mio marito…".

In quel momento la porta si aprì ed entrò Angelina, che teneva in braccio un James dall’aria un po’ confusa. "Harry, credo che questo sia tuo…" gli disse porgendogli il bambino.

"Grazie".

"Di nulla". Anche Angelina prese posto, facendosi servire un altro bicchiere. "Quando Ron ha cominciato a sbandierarlo a sostegno delle sue tesi, ho creduto fosse il caso di salvarlo…".

"Te ne saremo eternamente grati" ribatté Harry, preferendo non interrogarsi sul perché non fosse stata Ginny a mettere in salvo il loro primogenito.

"Ma di cosa stanno discutendo ancora?" domandò Hermione, curiosa suo malgrado.

"In parole povere, George è convinto che in un paio di generazioni non ci saranno più Weasley coi capelli rossi, Percy è offeso perché gli altri trovano ancora stupefacente che qualcuno l’abbia sposato, Ginny gioca alla svizzera e non prende posizione precisa, Bill cerca di sedare gli animi e Ron, chissà perché, sembra convinto che sia di vitale importanza che mi faccia mettere incinta questa sera stessa… Qualcuno mi passa un biscotto?" concluse con semplicità.

"In altre parole, la solita riunione di famiglia…" commentò la signora Weasley, in tono rassegnato. "E io che mi illudevo che con l’età sarebbero maturati un po’… Invece, hanno semplicemente cambiato oggetto di dispute… Qualcuno mi aiuta a portare il cibo in tavola?".

Più o meno tutti i presenti si offrirono e cominciarono a fare la spola tra la cucina e la salotto preventivamente magicamente allargato per farci entrare il lungo tavolo da pranzo per le ricorrenze famigliari. Nel farlo, le rispettive mogli interruppero l’edificante dibattito e convinsero i mariti a fare qualcosa di utile.

"Chi ha vinto il dibattito?" si informo Harry, mentre aiutava Ginny ad alzarsi dal divano.

La donna scrollò le spalle. "Boh, ci avete interrotti sul più bello…".

"La faccenda stava giusto cominciando ad entrare nel vivo" aggiunse Ron, raggiungendoli in quel momento con un vassoio carico di patate arrosto. "Per la precisione, ero sul punto di farmi dire da George perché non vuole ancora avere figli…".

"Oh, ma ti ci sei incaponito su questa storia, eh, Ronald?!" sbottò Hermione. "Pensa ai tuoi di figli, piuttosto…".

"Tuoi?" fece Ginny, con aria sospettosa. "Perché hai usato il plurale?".

Hermione arrossì all’istante, rendendosi conto della gaffe fatta. "Oh, cavolo… Avevamo deciso di aspettare un altro po’ prima di dirvelo…".

"Dirci che?" domandò Harry.

Ginny roteò gli occhi con aria esasperata. "A volte hai lo spirito d’osservazione di una patata, Harry… Ma che aspetta un bambino, no?".

"Tu aspetti…". Harry restò un attimo senza parole, mentre Hermione annuiva sorridendo. "Ma è bellissimo!".

I due amici si abbracciarono, poi Harry guardò Ron ridacchiando. "Adesso capisco il perché della faccia sconvolta di prima… Sei svenuto anche stavolta?".

"Ehi!" protestò Ron, mentre Hermione diceva: "Quasi…".

"E io ridico: ehi!".

"Ronald, se non c’ero io, ti saresti spiaccicato sulla moquette di camera nostra!" sbuffò la donna. "E non provare a negarlo…".

"Ok, ok, non negherò…".

"Comunque, congratulazioni" disse Ginny. "A tutti e due…".

"Grazie".

In quel momento, un piccolo terremoto dai vivaci capelli verdi si infilò nel gruppetto, nascondendosi dietro la schiena di Harry. "Harry, mi devi salvare!".

Quest’ultimo guardò il figlioccio con un sopracciglio inarcato. "Teddy, che cosa fai? Non stavi giocando con Victoire?".

"Appunto! Oh, no…".

Victoire era appena sbucata nel salotto e si guardava perplessa intorno nel chiaro intento di trovare il compagno di giochi. Harry fece per attirare la sua attenzione, ma Teddy gli strattonò la giacca. "Ma che razza di padrino sei? Aiutami!".

"Teddy, non possiamo restare qua tutto il giorno" obiettò l’uomo. "Presto o tardi qualcuno potrebbe notare qualcosa di strano… Ti avevo detto di essere gentile…".

"Ma sono stato gentile… Ma ora vuole che ci sposiamo: io non voglio diventare suo marito!".

"Che cosa vorrebbe?" quasi gridò Harry.

"Credo giocare a moglie e marito o qualcosa di simile" gli venne in aiuto Ginny. "Giusto, tesoro?".

"Sì, sì, quella roba lì… Ma io non voglio essere suo marito, grazie tante! Oh no, eccola che arriva…".

"Papà, hai visto Teddy?" stava infatti domandando Victoire. "Diceva di voler andare in bagno, ma non è ancora tornato…".

Bill si guardò intorno e non tardò ad individuare il ragazzino, che continuava strenuamente a cercare di nascondersi dietro la schiena del padrino.

"Harry, fa qualcosa…" gli sibilò, mentre su indicazione del padre, Victoire si dirigeva nella loro direzione.

"Che cosa?" domandò questi, sentendosi preso tra due fuochi.

"Non lo so, improvvisa…".

Mentre il povero Harry si lambiccava il cervello in cerca di una soluzione che potesse salvare il figlioccio, la porta d’ingresso si aprì. "Ehilà, c’è posto per un Weasley in più?".

"Charlie!" eslcamò Molly, correndo ad abbracciare il secondogenito senza nemmeno dargli il tempo di entrare in casa. "Ma che magnifica sorpresa!".

"Piano, mamma, così mi strangoli" la rimproverò l’uomo, ricambiando l’abbraccio.

Salutò allo stesso modo il padre e poi rivolse un saluto collettivo a tutti i fratelli, mentre si sfilava il cappotto. "Mamma mia, che freddo che fa!".

"Zio Charlie!". Felice come una pasqua, Victoire si precipitò verso lo zio, subito imitata da Teddy, già dimentico dei propositi matrimoniali della bambina: per quanto vedessero Charlie di rado, preso com’era dal suo lavoro in Romania, riusciva a farsi adorare dai più piccoli. Anzi, proprio le sue visite sporadiche lo rendevano un ospite ancora più gradito.

"Aiuto, un attacco di scimmie mutanti!" li salutò Charlie, prendendone uno per braccio. "Accidenti Teddy, ma ti annaffiano con il fertilizzante? Ormai non riesco più a tirarti su… E guardala qua, la mia bambolina: diventi ogni giorno più carina, sai?".

"Ehi, fratellino, non ti aspettavamo…" lo salutò Bill, arrivando a riprendersi la figlia.

"Come mai questa improvvisata?" aggiunse Percy.

Charlie scrollò le spalle. "Ho qualche giorno libero e ho pensato di passarlo a casa… Ma se vi do fastidio, posso sempre andarmene…".

"Assolutamente no!" dichiarò Molly, comparendo al suo fianco e arpionandolo per un braccio. "Tu non andrai proprio da nessuna parte, Charles Weasley, capito? Sono mesi che non ti fai vedere…".

"Per favore, mamma, puoi aspettare almeno il dessert prima di farmi montare i sensi di colpa per essere un figlio degenere?".

"Ha ragione, Molly cara" intervenne Arthur in soccorso del figlio. "Lascialo respirare…".

"Oh beh, l’importante è che adesso tu sia qui" dichiarò Molly.

"Appurato questo" dichiarò George, battendo le mani, "io proporrei di metterci a tavola e pranzare: sto morendo di fame…".

"George" sbuffò Angelina.

"Cosa?".

"Sei sempre il solito…".

"Ma se ho fame…".

"Pure io non disdegnerei mettermi a tavola…" aggiunse Ron.

"Ronald!".

"Eh?".

"Potresti almeno salutare decentemente tuo fratello prima…".

"Ciao, Charlie… Ora mangiamo?".

Hermione si massaggiò le tempie, abbassando gli occhi in una specie di muta preghiera.

"Sì, Ron e George, ora mangiamo" assentì Molly. "Bill, prendi un’altra sedia, per favore?".

Nello stesso istante, tutti cominciarono a litigare per i posti a sedere, ma anche quello faceva parte del rituale.

Sì, il natale nella famiglia Weasley era fatto soprattutto di caos, disordine e case sovraffollate, rifletté Harry mentre riusciva a occupare un posto centrale per sé e Ginny. Ma era un natale che non avrebbe scambiato con nulla al mondo.

LYRAPOTTER’S CORNER

Della serie, sfaticati si nasce, non si diventa, ho finito questo capitolo giusto adesso, a furia di procrastinare… Spero che non risulti troppo sconclusionata, l’ho scritta un po’ a spizzichi e bocconi in questi giorni e non è che mi convinca al cento per cento, diciamo che sono convinta al novanta per cento, il resto lo giudicherò dai vostri commenti…

In pratica, con questa storia vorrei chiudere il cerchio ideale cominciato quasi un anno or sono con la shot di capodanno, dedicata alla old generation e ai Malandrini, così ho voluto fare un saltino nel buco dei famosi 19 anni per vedere come se la passava il clan allargato dei Weasley. Sono perfino riuscita a dare un po’ di spazio ai baby personaggi della next generation, cosa abbastanza eccezionale per me, visto che a parte Teddy Lupin non mi piacciono più di tanto…

Grazie a

Half Blood

Deidara

Julia Weasley

nefertari83

per le loro recensioni.

A questo punto, non mi resta che darvi appuntamento al 31/12 per l’ultima storia dedicata a Tom Riddle/Voldemort e ovviamente fare a tutti gli auguri

BUON NATALE!!!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Tom Riddle ***


SPECIAL DAYS

Tom Riddle

31 dicembre 1937

Orfanotrofio

15.30

Di norma e regola, non c’erano grandi festeggiamenti quando un bambino dell’orfanotrofio compiva gli anni: i soldi non bastavano mai e perciò la signora Cole di rado si sentiva disposta a spendere per le cose futili che avrebbero reso divertente una festa di compleanno. Al più, se la situazione era favorevole, c’era una bella ed economica torta che i bambini facevano sparire nell’arco di dieci minuti netti.

Per questo motivo, la maggior parte degli orfani riteneva che Tom Riddle fosse incredibilmente fortunato: non solo il suo compleanno cadeva pochi giorni dopo natale, periodo in cui in genere tutto lo staff dell’orfanotrofio era più allegro e incline a concessioni di vario tipo, ma risultava essere proprio un giorno festivo, l’ultimo dell’anno, per cui la possibilità di festeggiare in qualche modo era comunque assicurata.

L’unico che la pensava diversamente a tal proposito, in effetti, era proprio il piccolo Tom. A lui questa cosa del compleanno/ultimo dell’anno non andava proprio giù, perché, in fondo, era vero che all’orfanotrofio si faceva festa e i bambini potevano stare svegli fino a mezzanotte e tutto il resto, ma non era mica per festeggiare lui! Tutte quelle concessioni derivavano dal fatto che con il 31 dicembre, per ironia del destino, terminava un anno e cominciava quello nuovo…

Gli altri bambini non se ne rendevano evidentemente conto, troppo presi dal considerare i lati positivi, ma Tom invece sì:

tutti gli altri, ma proprio tutti, avevano un loro giorno speciale che potevano dire solo loro, in cui potevano sentirsi a buon diritto dei piccoli re (poco importava se magari veniva celebrato miseramente), lui, invece, il suo giorno speciale doveva di fatto dividerlo con il resto del mondo!

Ancor peggio, per aggiungere beffa al danno, spesso e volentieri, il caos e la confusione che accompagnavano la notte di San Silvestro mettevano il suo compleanno in secondo piano… Tom ricordava ancora con rabbia quando aveva compiuto otto anni: quella volta, con la scusa dell’epidemia di orecchioni, perfino la signora Cole si era dimenticata di lui!

Questo era in sostanza il motivo per cui, il freddo pomeriggio del suo undicesimo compleanno, se ne stava da solo nella sua stanza, a fissare con aria ingrugnata la neve ammantare Londra di bianco.

Non che fosse una novità, per lui, stare da solo: la maggior parte dei bambini tendeva ad evitarlo, specie dall’incidente della caverna, l’estate precedente. Tom ridacchiò quasi involontariamente al ricordo: certo che alcuni bambini erano proprio impressionabili, si lasciavano spaventare dal nulla!

O forse sono io troppo poco impressionabile? Questo fastidioso pensiero fece contrarre il bel viso di Tom in una smorfia di riflessione, ma fu subito scacciato. Questo avrebbe implicato che era lui ad avere qualcosa di sbagliato rispetto agli altri bambini e lui non aveva proprio nulla di sbagliato…

Vabbè, c’erano quei giochetti che sapeva fare a volte, ma Tom non li considerava affatto una cosa sbagliata, al contrario, potevano davvero tornare utili qualche volta, come quando pochi giorni prima Eric Whalley gli aveva ‘regalato’ il suo yo-yo nuovo… Ok, diciamo pure sgraffignato, ma in fondo a Eric non serviva, lui ce l’aveva già, uno yo-yo, che se ne faceva di due? Proprio nulla!

In fondo si poteva quasi considerare un regalo di compleanno anticipato, giusto? Tom non aveva mai ricevuto un regalo di compleanno: l’orfanotrofio non se lo poteva permettere e Tom non aveva amici tra gli altri bambini che volessero fargliene. Non che Tom volesse degli amici, in fondo erano soltanto un peso… E lui, lo yo-yo di Eric nemmeno lo voleva, in realtà, non l’aveva più tirato fuori dall’armadio: l’aveva preso solo per far dispetto al ragazzino, che la sera prima gli aveva rovesciato addosso il puré di patate.

Forse glielo dovrei restituire a pezzi, un po’ alla volta… Così imparerebbe a tenersi il cibo nel piatto…, pensò con stizza, picchiettando annoiato il dito contro il vetro.

Forse avrebbe dovuto andare a farsi un giro, per svagarsi un po’… In fondo, ora che aveva undici anni, poteva andare e venire dall’orfanotrofio come e quando voleva, più o meno: bastava rientrare prima che facesse buio. E molti dei più grandi se ne fregavano anche di quella regola e stavano fuori finché volevano, Tom li aveva sentiti con le sue orecchie…

L’idea stava diventando sempre più attraente, lo attirava l’idea di girare un po’ per Londra per i fatti suoi, di solito c’era sempre la signora Cole a sorvegliarli come un falco, le rare volte che li portavano da qualche parte, senza contare che di certo, con tutta la gente che ci sarebbe stata in giro, nessuno avrebbe fatto molto caso a lui, un undicenne da solo per le strade della capitale…

Sarà sempre meglio che stare qui ad ammazzarsi di noia.

Si decise infine a distogliere lo sguardo dalla finestra per andare a prendere cappotto e sciarpa nell’armadio, quando notò che nella stanza c’era un secondo, non invitato e assolutamente non gradito ospite: per la precisione il coniglietto bianco e nero di Billy Stubbs stava allegramente zampettando in direzione della sua sedia, con un’audacia decisamente impropria per l’animale fifone per antonomasia.

Tomo fissò con odio la bestiola: detestava quello stupido coniglio, lo detestava proprio. Prima di tutto, Billy se lo perdeva in continuazione, perciò erano più le volte che lo si trovava nelle camere degli altri che in quella del suo padrone; secondo, aveva la pessima abitudine di camminare tra i piedi della gente facendola così inciampare (Lizzie Cartwright si era rotta un braccio cadendo dalle scale proprio per quel motivo); terzo e più importante, nemmeno due settimane dopo che Billy l’aveva preso, l’animale aveva avuto la bella idea di nascondersi e farsi il nido nell’armadio di Tom (nessuno aveva idea di come ci fosse arrivato), così non solo Tom era stato ingiustamente accusato di averlo rubato, ma aveva dovuto pure buttare via parte della sua roba, che il coniglio si era mangiucchiato in assenza di carote.

Tom fissò accigliato il coniglio che a passo sicuro si dirigeva verso di lui annusando l’aria. "Il tuo padrone ti ha perso di nuovo, eh? Certo che Billy è anche più stupido di quanto pensassi se si fa fregare perfino da te, muso peloso…".

Si inginocchiò sul pavimento, gattonando fino all’animale che lo guardò senza timore, troppo abituato ad avere intorno bambini schiamazzanti per avere paura.

"Sei coraggioso, eh?" ghignò Tom. "Lo sai che i conigli coraggiosi sono i primi a finire in pentola? Coraggio è sinonimo di stupidità… BUH!" strillò, battendo contemporaneamente le mani quanto più forte gli riuscì.

Al rumore improvviso, il coniglio trasalì e corse a rintanarsi sotto il letto, suscitando la risata divertita di Tom. "Forse sei più furbo di quanto sembri, muso peloso" commentò. "Almeno sai riconoscere un nemico da evitare".

Con noncuranza, saltò sul letto, facendo scricchiolare la rete del materasso e saltellandoci sopra, creando quello che si poteva considerare un terremoto in miniatura.

Infine si sporse per sbirciare sotto di esso e notò con piacere che il coniglio tremava in un angolo. Rise di nuovo. "Bravo, muso peloso: la spavalderia è meglio perderla che trovarla, fidati di me, vivrai più a lungo".

Pensò vagamente che si stava proprio annoiando se distruggere l’autostima di un coniglio gli forniva un così piacevole diversivo.

Stava appunto considerando l’idea di tirarlo fuori da là sotto per divertirsi un altro po’, quando la porta socchiusa si aprì completamente rivelando un Billy Stubbs decisamente agitato.

"Ehi, Tom" la salutò. "Hai visto il mio coniglio?".

"Perché dovrei aver visto il tuo coniglio?" domandò l’altro, invece di rispondere.

Billy sembrò spiazzato dal quesito. "Non lo so, nella mia camera non c’è… Pensavo…".

"Pensavi che te l’avessi rubato?" continuò stizzito Tom. "Perché dovrei sapere dov’è il tuo stupido coniglio?".

"Io non ti stavo accusando proprio di nulla" protestò Billy. "Semplicemente stavo cercando il mio coniglio e volevo sapere se per caso l’avevi visto…".

"Ah, ho capito… Ci sono seduto sopra".

"Eh?". Questa dichiarazione lasciò Billy ancora più perplesso di quanto non fosse. "Che vuol dire che ci sei seduto sopra?".

Tom sbuffò, alzando gli occhi al cielo come a volerlo implorare. "Dio, quanto sei lento, Billy…".

Scese dal letto, si inginocchiò e con mala grazia stanò il coniglio tirandolo per le zampe. Dopodichè si risedette, sistemandoselo in grembo e cominciando ad accarezzarlo piuttosto rudemente. Il coniglio non sembrò particolarmente contento del trattamento: infatti cercò immediatamente di sfuggire alla presa di Tom e andare a rifugiarsi dal suo padrone. Ma Tom lo strinse più forte, impedendogli di scappare.

"Che cosa gli hai fatto?" esclamò Billy, scandalizzato al vedere l’espressione spaventata della sua bestiola.

"Chi? Io?" fece Riddle, sgranando gli occhi con aria innocente.

"C’è qualcun altro nella stanza, Riddle? Che cosa gli hai fatto? È terrorizzato…".

Tom scrollò le spalle come se le turbe psichiche del coniglio non gli importassero… e in effetti era vero. "Solo una piccola lezione di vita: dovrebbe ringraziarmi". Ridacchiò come se avesse detto qualcosa di molto divertente. "Ovvio, lo farebbe se potesse parlare… O se uno di noi sapessi il conigliese… Tu sai il conigliese, Billy?".

Billy sbatté gli occhi, confuso: Tom gli aveva fatto quella richiesta assurda in tono talmente serio che era impossibile pensare che stesse scherzando, ma non capiva davvero dove volesse andare a parare con quel discorso.

Davanti allo smarrimento dell’altro, Tom ridacchiò ancora più spudoratamente. "No, ovvio che non parli il conigliese, a malapena conosci la nostra lingua…".

Afferrò il povero coniglio per la collottola, sollevandolo a livello del proprio viso. "Eh, muso peloso, dovresti trovarti un padrone un po’ più intelligente" commentò. "Altrimenti la mia piccola dimostrazione non ti servirà a nulla nella tua breve, inutile e patetica vita…".

"Così gli fai male! Smettila!" protestò Billy.

Tom si voltò verso di lui come se si fosse ricordato solo in quel momento che lui era ancora lì. Sbuffò con indolenza. "Tieni la tua stupida bestiaccia, Billy, e prega che non rientri mai più in questa stanza!".

Detto ciò lo lasciò cadere in malo modo: provato dal pessimo trattamento, il povero coniglio schizzò fuori dalla stanza alla velocità della luce, ignorando completamente il padroncino e suscitando l’ilarità di Tom. "Quella è la porta, Billy" lo invitò, facendo per tornare alla finestra.

Ma Billy non si mosse: rimase esattamente nello stesso punto, fissando Tom con qualcosa di molto simile all’odio, mischiato a confusione e incredulità. "Ma qual è il tuo problema, Riddle?".

Tom si voltò di scatto come se Billy l’avesse colpito. "Problema?" sibilò. "Io non ho nessunissimo problema…".

"Ah no? Che ti aveva fatto di male il mio coniglio? O io? O gli altri bambini? Perché fai sempre così?".

"Attento, Billy, non ti conviene farmi arrabbiare…" lo minacciò Tom con voce rabbiosa.

"Non mi fai paura, Riddle!" dichiarò Billy con un notevole sfoggio di coraggio. "Sei solo un piccolo presuntuoso pieno di sé! L’unico modo che hai per sentirti grande è svilire e terrorizzare gli altri! In realtà sei solo patetico!".

Billy si ritrovò in terra prima ancora di rendersene conto: Tom l’aveva spinto con tanta forza da mandarlo con le spalle al muro e ora lo sovrastava, fissandolo con occhi lampeggianti di collera. "Ritira quello che hai detto, Billy, o te ne pentirai!".

"NO!". Billy scosse con fermezza il capo, non retrocedendo di un passo dalla sua posizione malgrado si trovasse in svantaggio. "È la verità, la pura e semplice verità! Sei una nullità, Riddle, una nullità che se ne va in giro impettita nemmeno fosse il figlio del re!".

Tom sentì una furia cieca sommergerlo, obnubilando la sua capacità di giudizio: per alcuni, lunghi secondi l’unica cosa che desiderò fare fu prendere la testa di Billy e sbatterla con ferocia contro il muro fino a costringerlo a rimangiarsi ogni singola parola. Non gli importava delle conseguenze, voleva solo fare a Billy più male possibile…

Il vetro della finestra alle loro spalle si frantumò all’improvviso, senza ragione apparente: il rumore e l’improvvisa ventata di gelo che lo colpì ricondussero Tom alla ragione.

Si allontanò di scatto da Billy, che lo guardava spaventato: aveva visto sul serio un bagliore rosso negli occhi di Tom mentre lo sovrastava oppure era stata tutta suggestione?

Nello stesso istante arrivò la signora Cole, tallonata da Martha e almeno una quindicina di bambini, tutti attirati dal chiasso. "In nome del cielo, che cosa è successo alla finestra?".

"Non lo so, signora Cole" rispose Tom in tono neutro.

La direttrice andò a studiare il vetro rotto e dopo un’attenta analisi poté solo concludere che non poteva essere stata davvero colpa dei bambini, visto che non erano feriti in nessuno punto e non erano certo abbastanza forti da poter spaccare a quel modo una finestra. "Che cosa stavate facendo voi due?" li interrogò, guardando alternativamente Billy e Tom.

"Stavo aiutando Billy a trovare il suo coniglio, signora" rispose prontamente Tom.

La signora Cole fissò Billy per chiedergli conferma e questi si limitò ad annuire.

"D’accordo… Immagino che dovrai spostarti in un’altra stanza finché non aggiusteremo questo vetro, Tom… Non sia mai che ti buschi un’influenza! Martha, va’ a preparare un’altra stanza".

Con pochi gesti perentori, disperse la folla di curiosi, Martha se ne andò per fare quanto ordinato e per un istante Billy e Tom si ritrovarono di nuovo soli.

Tom scrutò Billy pieno d’odio. "Questa me la pagherai, Billy… L’ho già spiegato al tuo coniglio: il coraggio porta solo ad una morte stupida!".

Lo superò e uscì dalla camera, imponendosi la calma, anche se dentro si sentiva ancora ribollire di rabbia e indignazione. Patetico? Una nullità? Gliela avrebbe fatta vedere: Billy avrebbe pagato cara quell’umiliazione.

Lui non era una nullità, era speciale, ne era sicuro: aveva qualcosa che gli altri bambini non avevano, che nessun altro aveva. Sarebbe arrivato il giorno in cui l’avrebbe dimostrato a tutti, avrebbe fatto vedere a Billy Stubbs di cosa era capace… Un giorno… Ma si sarebbe comunque preso la sua vendetta, oh sì: aveva già il piano perfetto. Avrebbe punito Billy per il suo coraggio sfrontato. Coraggio è sinonimo di stupidità…

La mattina successiva, Billy si svegliò trovando il suo amato coniglio a pendere impiccato alle travi del soffitto. Nessuno poté provare nulla, ma in fondo al cuore Billy era più che certo di sapere che fosse il responsabile, il quale, per contro, prima di addormentarsi si consolò pensando che, alla fine, almeno il coniglio la lezione l’avesse imparata: prima di farsi acchiappare, infatti, aveva strenuamente cercato di scappare.

31 dicembre 1943

Sotterranei

Hogwarts

22.45

Essere uno studente modello, nonché favorito del preside e di quasi tutti i professori, poteva avere i suoi svantaggi. Nel caso specifico di Tom Riddle, quella sera stava pensando che essere un prefetto poteva essere davvero una gran rottura di scatole, al di là di tutti i possibili e non trascurabili vantaggi.

Tanto per fare un esempio, quella sera si era ritrovato costretto a fare la ronda, malgrado con le vacanze natalizie ancora in corso il castello fosse pressoché disabitato. Ma il preside Dippet riteneva che con la scusa del capodanno, alcuni studenti potessero farsi prendere la mano nei festeggiamenti, così aveva reclutato i Prefetti e i Caposcuola rimasti per fare dei giri extra.

Il che aveva implicato per Tom, alcuni lunghe, tediose ore a vagabondare su e giù per il castello con la saltuaria compagnia di Minerva McGranitt, l’intransigente Caposcuola di Grifondoro, o peggio ancora di un prefetto di Tassorosso di cui nemmeno ricordava il nome: infatti, di tutti i prefetti, solo loro tre erano rimasti ad Hogwarts per le feste.

Non erano decisamente il genere di compagnia che Tom prediligeva: i Tassorosso tendeva a evitarli in partenza, quanto a Minerva, come se non bastasse il fatto che fosse Grifondoro, estremamente ligia alle regole e con uno straordinario fiuto per stanare chi le trasgrediva, era pure la cocca di Silente: un insieme di qualità che faceva sì che Tom desiderasse starle il più alla larga possibile.

Per questo era lieto di tornare, finalmente, nel suo dormitorio: forse era stata solo un’impressione, ma aveva avuto l’impressione che la ragazza non avesse fatto altro che tenerlo sotto esame tutte le volte che si erano incrociati. Probabilmente, è solo paranoia, si disse con una scrollata di spalle. Perché dovrebbe avere qualcosa contro di me? Sono uno studente modello e non ho mai fatto nulla di male… Mi lascio influenzare dal fatto che è l’ombra di Silente e la migliore amica di quel mezzo tocco di Moody.

Stava proprio diventando paranoico: era l’effetto che faceva avere la coscienza sporca? Ma lui non si sentiva affatto la coscienza sporca: tutto quello che aveva fatto, l’aveva fatto per un buon motivo e animato dalle giuste intenzioni… Ok, forse la morte dell’altro Riddle era stata più una gratifica personale, ma di certo non l’apertura della Camera l’anno precedente… Anche se dubitava che Silente o chiunque altro l’avrebbe vista allo stesso modo.

Bah, perché togliermi il sonno con questi pensieri molesti? Silente può anche andare a farsi benedire coi suoi sospetti, per quanto sia mostruosamente irritante…

Svoltò l’angolo, felice di essere quasi arrivato, ma si bloccò nello scoprire che il corridoio non era deserto: John Potter dondolava i piedi con aria indolente, appollaiato sulla statua di un vecchio gargoyle.

"Che cosa fai qua giù, Potter?" gli domandò accigliato. "Il coprifuoco è scattato da un pezzo".

"Veramente?". John mise su un’espressione esterrefatta, guardando l’orologio. "E sì, hai ragione, Tom: è proprio tardi…"

"Che cosa stai facendo?".

John saltò giù dalla statua con un movimento fluido, sistemandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso, rassettandosi i vestiti e poi rivolgendogli il suo miglior sorriso strafottente. "Stavo studiando la qualità di questa statua" spiegò. "Volevo vedere se era in grado di reggere il mio peso…".

Tom lo squadrò scettico, ben consapevole che di solito John Potter portava guai: se non aveva ancora demolito il castello era solo perché non aveva ancora trovato qualcosa di abbastanza grosso per farlo. Se stava così lontano dal suo dormitorio a quell’ora, di certo c’era qualcosa di molto sospetto sotto. "Bene, intanto venti punti in meno a Grifondoro… E poi vedremo cosa ne penserà la tua caposcuola…".

John sbadigliò come se la prospettiva lo annoiasse. "Oh, non c’è da preoccuparsi: io e Minnie siamo così ormai!".

"Sì, certo… Smamma, Potter, non ho proprio voglia di perdere tempo con te…".

Fece per superarlo, ma John gli si mise davanti. "In realtà, Tom, stavo aspettando te…".

"Non mi pare di averti dato il permesso di chiamarmi per nome, Potter… E perché non potevi aspettare domani?".

"Perché volevo averti tutto per me, signor Riddle" rispose il ragazzo, calcando ironicamente sull’ultima parte. "Sai, è piuttosto difficile beccarti senza qualcuno dei tuoi cagnolini al seguito e volevo parlarti in privato… Sai, tête à tête, solo noi due…".

"E quale sarebbe motivo, per la grazia di Morgana?".

"Beh, non volevo che uno dei tuoi fidi compari mi spaccasse la faccia…".

"No, perché volevi parlare con me" specificò Tom con aria stizzita, desideroso solo di liberarsi di quel moccioso irritante e andarsene a finalmente a dormire.

"Ah… Volevo parlarti di quello che è successo la primavera scorsa…".

"La primavera scorsa?" ripeté Tom incredulo.

"Sai, gli attentati, il mostro, la morte di Mirtilla, l’espulsione di Hagrid… Ti dice nulla?".

"Sono passati quasi sei mesi…".

"Già, te l’ho detto: è difficile beccarti da solo" commentò John senza smettere di fissarlo con quel cipiglio irritante molto da Grifondoro.

"Che cosa volevi sapere?" domandò ancora Tom, cercando di non far trasparire il suo disagio: non gli andava di parlare di quelle cose, soprattutto con il paladino dei Nati Babbani John Potter.

"Solo sapere perché hai incastrato Hagrid".

Per un attimo, il Serpeverde fu troppo sorpreso per dire alcunché: come diavolo faceva John a saperlo? Tuttavia, riacquistò in fretta il suo sangue freddo: erano solo sospetti, non poteva avere prove concrete. Ridacchiò. "Senti, so che Hagrid era tuo amico, ma…".

"Già, esatto" lo interruppe John con voce ferma. "Hagrid è mio amico… E infatti so per certo che lui non avrebbe mai fatto quello di cui è stato accusato".

"Ci sono le prove: ho visto il mostro personalmente…".

"Non me ne frega nulla di quello che hai visto!" gridò John. "Hai visto male: Hagrid non farebbe male a una mosca e lui meno di tutti avrebbe avuto motivo di uccidere Mirtilla o aggredire i Figli di Babbani… Perciò, voglio sapere per quale motivo l’hai incastrato…".

Tom scosse il capo, in una magistrale manifestazione di condiscendenza. "Senti, Potter, non dubito che il tuo amico non volesse fare del male, ma tutti qua conoscevano la sua passione per i mostri: di certo, avrà perso il controllo della creatura, che così si è messa a scorazzare per il castello aggredendo la gente…".

John per un attimo tacque, mentre il suo cervello rielaborava le informazioni: aveva già sentito quella storia, quando Hagrid era stato accusato ed espulso, e ogni volta che la risentiva gli pareva sempre più costruita a tavolino per i ben pensanti che volevano un colpevole brutto e cattivo da additare. "Puoi ripetere questa solfa finché vuoi, non significa che ti crederò: Hagrid è innocente, ci metto non una, due mani sul fuoco!".

"E allora perché gli attentati sono cessati dopo la sua espulsione?" chiocciò soavemente Tom: quella conversazione cominciava a irritarlo sul serio. John Potter non poteva provare nulla, tutta quella situazione era inutile e tediosa.

"Forse perché si sarebbe capito che non era lui il colpevole? Il vero responsabile non poteva certo rischiare di perdere il suo capro espiatorio, ti pare? Perché hai incastrato Hagrid?".

"Così non andiamo da nessuna parte, Potter: tu non vuoi credere all’evidenza e io non posso dirti una menzogna consolatoria… Perciò, se non ti dispiace, è tardi e voglio andare a letto: ti conviene fare lo stesso se non vuoi che faccia rapporto al preside…".

John lo scrutò alcuni istanti in silenzio, come a volerlo sondare, infine sospirò profondamente, gli occhi luccicanti di disprezzo. "Che bravo, te la sei studiata bene, eh, la parte del buon samaritano! In realtà, sei più falso tu di una moneta da due galeoni! Alastor ha sempre avuto ragione su di te…".

"Non mi importa un accidente di quello che pensate tu e quello svitato di Moody!" ribatté Tom, stizzito. "Vogliamo andare da Dippet per vedere a chi vorrà credere?".

"Quanto sei patetico: subito a nasconderti dietro la sottana di Dippet, eh? Te lo sei lisciato per bene, il preside, non avevo dubbi, ma io non ci casco: potrai anche brillare in superficie, ma la tua anima è più nera della pece!".

"Mi hai stufato, Potter, non ho voglia di stare qua a sentire i tuoi discorsi deliranti!".

Lo superò con tutta l’intenzione di proseguire dritto fino al suo dormitorio e dimenticarsi di quella conversazione, ma la risposta di John lo raggiunse comunque: "Scappa, scappa pure, piccolo codardo!".

"Come mi hai chiamato!?" soffiò Tom, voltandosi.

"Codardo" ripeté senza esitazioni John. "E potrei aggiungere altro, ma non importa: credo tu sappia già cosa penso esattamente di te, Riddle…".

"Attento Potter, potrei farti pentire amaramente di queste parole…".

"Non mi fanno paura le tue minacce, Riddle" lo liquidò John con una scrollata di spalle. "Ma ascoltami bene: non potrai indossare in eterno quella bella maschera dorata che ti sei costruito e il giorno che in cui farai un passo falso, io sarò là ad aspettarti. Scoprirò la verità sul tuo conto, anche a costo di metterci cinquanta anni, e quel giorno sarò io a ridere!".

"Pagherai la tua sfrontatezza, Potter".

"Aspetterò con impazienza quel momento, Riddle" ribatté John. Fece per andarsene, ma all’ultimo sembrò ripensarci e si voltò di nuovo. "Ah, quasi mi dimenticavo: buon compleanno, Tom".

Gli rivolse un’ultima volta il suo sorrisetto, prima di svoltare l’angolo e sparire alla vista.

Tom non seppe dire quanto ancora rimase in quel corridoio: si sentiva ribollire di rabbia come raramente gli era capitato in passato. Quel piccolo moccioso arrogante… Una parte di lui bramava più di ogni altra cosa andare ad acciuffarlo, trascinarlo fino nella Camera dei Segreti e darlo in pasto la Basilisco: il suono delle sue urla di dolore e terrore gli avrebbe di certo calmato i nervi.

Ma non era tempo di essere impulsivi: nessuno avrebbe gradito se uno studente fosse sparito nel nulla. Ci sarebbe stato anche il momento per John Potter di pagare, si disse.

Lord Voldemort non dimentica, si ripromise, riferendosi a sé stesso con il suo nuovo nome. Il coraggio porta solo a una morte stupida: quando verrà il tempo giusto, sarà un vero piacere insegnarlo anche a te, Potter!

LYRAPOTTER’S CORNER

Ebbene, eccomi qua, ultimo capitolo, ultima corsa… So che non è il massimo dell’allegria (avevo pure considerato l’idea di scrivere un’altra shot per capodanno, ma ho lasciato perdere per assenza di tempo), ma considerato che mi sono dovuta calare nei panni di Tom Riddle (e vi assicuro, non è stato facile, considerato che per tutto tempo avrei voluto prendere il bambino malefico a mazzate!), non poteva uscirne nulla di allegro… Spero che nessuno si aspettasse di vedere Voldemort in versione adulta: già è stata tosta così, voi sinceramente ce l’ho vedete Voldemort che festeggia il suo compleanno? Piuttosto, spero di non essere uscita di personaggio, a me il risultato finale piace abbastanza… Poi, come sempre a voi la parola!

E ora tempo di tirare le somme, sperando di non scordare nessuno (mettetevi comodi, ci vorrà un po’):

Grazie a Agnese_san, BlackFra92, Christy 94, Clady, Dafny, DANINO, Deidara, Dogma, erigre, fairy_lullaby, Finleyna 4 Ever, Gaea, genny 63, Half Blood, HermioneCH, HermioneForever92, hp4e, jadina94, Joey Potter, Julia Weasley, kla, leloale, Lily Evans 93, lucia_hp, Lunastortalupin, mielina, millyray, nayla, niettolina, NinfaDellaTerra, Nymphy Lupin, Pan_Tere94, pometina94, PrincessMarauders, riddikulus, Simphony, SkAnNeRiZzAtA, sweeteri, tanna, whatsername84 e zmarz per aver inserito questa raccolta tra le preferite.

Grazie a Anthymea, BlackFra92, Clady, Deidara, domaris72, giuliabaron, glumbumble, HelenaDB, Hermy4ever, HoneyBlack90, Jayne, kamy, kiry95, LadyMorgan, lally88, mar, nayla, nefertari83, Piccola_Ginevra, ron84, sbadata93, scarlet witch, shiratori_chan, Stabuck e _Lety_  per averla inserita tra le seguite.

Grazie a Lyan, HermioneForever92, alida, Lady Patfood, Deidara, Pan_Tere94, nefertari83, Mizar, Moony3, Dogma, Finleyna 4 Ever, hermy101, dirkfelpy89, HermioneCH, erigre, salkmania22, Gaea, NinfaDellaTerra, pometina94, Half Blood, Julia Weasley e LadyMorgan per aver commentato.

Infine, grazie a chi ha recensito l’ultimo capitolo, ossia:

dirkfelpy89, non ti preoccupare, pure io in questi giorni mi sto dannando l’anima per un esame, perciò so che vuol dire… Grazie per il tuo fedele sostegno!!!!!!

Deidara, povero Ron, chissà perché ce l’hanno sempre tutti con lui!!!!!! Buon anno anche a te e anche a te grazie per sostegno che mi hai regalato nel corso dell’ultimo anno!

Erigre, in effetti, tutti i vostri commenti entusiastici mi hanno fatto ricredere: evidentemente dovrei avere più autostima!!!!!! Per quanto mi piaccia la generazione di Harry, io invece per assurdo preferisco la old generation! Grazie per il commento!!!!!!!!!

Half Blood, James, Albus e la pluffa hanno riscosso successo e pensare che l’avevo scritta tanto per… Lieta che ti sia piaciuta la comparsata di Charlie, anche a me piace come personaggio (sarà che tengo a farmi piacere tutti i personaggi che l’autrice non si fila!). James è diventato rosso perché mi serviva per intavolare la conversazione, in realtà, quanto a Teddy, avrei voluto inserire dei riferimento a Remus, ma proprio non mi è riuscito (sarà che non volevo intristire la cosa!). A presto!

nefertari83, beh, il canon è il canon, anch’io le preferisco di gran lunga alle coppie fanon (poi per carità, dipende molto da coppia e storia…). Grazie per i tuoi commenti!!!!!!!!!

Julia Weasley, in fondo ci siamo persi il pranzo, che ne sai che dopo la filippica non è continuata coinvolgendo anche Charlie (non ce li vedi Harry e le brave consorti che scuotono il capo rassegnati sopra il dolce di Molly?)? A me, in tutta onestà, non è che non piaccia la next generation o che la trovi troppo quotata, semplicemente sono tutti personaggi che mi dicono poco o nulla: Teddy è l’unica eccezione e anche così non credo che riuscirei a scrivere una fanfiction incentrata totalmente su di lui… Beh, immagino ci sia gente che fa lo stesso discorso sulla generazione dei malandrini, il mondo è bello perché è vario!!!!!

LadyMorgan, no, Silvia Beta, non ti devi intristire, non ti devi intristire! Devo essere sincera, io ho evitato, non dico di proposito ma quasi, di inserire troppi riferimenti ai tre grandi assenti (Fred, Remus e Dora) appunto perché avrei finito con l’intristire me e tutto il pubblico, mentre a natale si deve essere allegri! Grazie per la mail, risponderò quanto prima, ma solo dopo aver finito il dannatissimo capitolo di BxC: anche a costo di mettermi a piangere in giapponese lo voglio pubblicare prima della befana! In ogni caso, a presto, Silvia Alfa // la speranza è l’ultima a morire!

E in ultimo, un grazie di cuore a chi ha semplicemente letto!!!!!!

BUON 2010 A TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=311913