Ningen Monogatari

di Stardust Revolution
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Amefuri Kozo: il bambino della pioggia ***
Capitolo 2: *** Il ciliegio ha un nome ***



Capitolo 1
*** 1. Amefuri Kozo: il bambino della pioggia ***



 
La terra era secca, arida. Chiedevano aiuto gli alberi dai rami torti, braccia secche e annerite rivolte verso il basso, come se implorassero a mani spalancate. Le crepe sul terreno filtravano soltanto la polvere. Il cielo era di un azzurro pallido, il sole era una grossa, immensa palla di fuoco chiara che bruciava ogni cosa. Niente nuvole, nemmeno all’orizzonte. Da chissà quanti giorni.                           
Akio se ne stava seduto all’ombra e guardava fuori, dove proprio l’ombra finiva e dove la luce creava un’unica distesa di desolazione. La sua veste colorata donava alla sua pelle chiara quel poco di fresco che la manteneva ancora viva e non la rendeva secca come tutto il resto. L’aria attorno al tempio era bollente, nulla si muoveva, assente era il vento. Le statue immobili digrignavano i denti nella loro eterna staticità, colpa dello sculture che le aveva costruite con quell’espressione così cattiva chissà quanto tempo prima. Il laghetto era asciutto e non c’erano più pesci al suo interno. L’erba era secca e morta. E Akio piangeva silenziosamente. Si chiedeva perché la pioggia non arrivasse, si chiedeva perché non piovesse da così tanto tempo. Un’estate come quella non l’aveva mai vista, nei suoi trentacinque anni di vita. Viveva in quel tempio da molti anni oramai e i giardini tutt’intorno erano sempre stati rigogliosi e verdi, pieni di fiori e di profumi. Vedere tutto secco e morto gli faceva male al cuore. Forse le divinità hanno abbandonato questo luogo,si chiedeva Akio mentre si alzava e usciva fuori, camminando tra l’erba immobile. Non poteva sprecare quella poca acqua che aveva e quindi non poteva innaffiare tutte le piante, ma quelle stavano morendo e i fiori giacevano al suolo senza vita.                    
Con i piedi sul ponte guardò in basso, guardò il laghetto che prima era colmo di acqua fresca e  ora era prosciugato. Sembrava che il sole stesse risucchiando tutta l’energia vitale presente, lasciando le cose vive prive di ogni energia.                                                                                                                                      
Akio si portò una mano sugli occhi, la luce era troppo intensa e pareva che il sole avesse deciso di non calare più dal cielo. Aveva la gola secca, come ogni essere vivente che lo circondava: ogni filo d’erba chiedeva pietà, ogni centimetro di terra chiedeva acqua. Akio poteva sentire il dolore avvolgere l’aria. Ma fu quando vide il cadavere di un uccellino a terra che trasalì: l’animale era magro fino alle ossa e aveva lo sguardo immobile. Lo sguardo di chi non è più in vita. Le zampe come due rametti, le ali con poche piume, incapaci per sempre di volare.                                                 
Il giovane fece un passo indietro, ma perse l’equilibrio e le gambe gli si fecero molli, perciò si ritrovò ben presto a terra, col cuore in gola. Si chiedeva il perché di tutto quello, ma sembrava non esistere risposta. Quell’estate era la più calda di tutti i tempi. Molti di quelli che conosceva erano morti. Di fame, di sete, di strane malattie. Sembrava che il fatto che non piovesse più da tempo fosse un presagio di sventura. E così era, di certo. Perché tutto quello portava solo morte e dolore.Si portò le mani tra i capelli neri che risplendevano alla luce e restò in quella posizione, per qualche istante. Poi prese il corpicino magro e morto dell’animaletto, e scavò una buca nel terreno, dove lo seppellì.  Giunse le mani e pregò. Pregò per quell’anima ferita, per le anime di tutti. Pregò per l’acqua. Prego per la felicità di tutti. Ma non pregò per la sua. Si dimenticò di se stesso, per tutto il tempo della preghiera.                                                                                                                                
 E fu allora che accadde qualcosa, come in tutte le favole tristi. Dietro di lui apparve un’ombra e il cielo si riempì subito di nuvole scure. Il giovane uomo ebbe un lungo brivido e alzò la testa: nuvole? Da dove venivano così all’improvviso? Fino a qualche istante prima non c’erano.                                 
 “Sei un essere umano molto strano, tu.”, disse una voce, ridendo.                                                                     
Akio si voltò e quello che vide fu la figura di un piccolo bambino che aveva  in testa la parte superiore di un ombrello, usato come copricapo, che gli nascondeva parte del viso. Indossava un kimono colorato e aveva i piedi scalzi. Sotto i suoi piedi Akio vide quella che pareva proprio una pozzanghera d’acqua. Sgranò gli occhi, sorpreso. Il bambino rise di nuovo ,portandosi una mano sugli occhi. Reggeva in una mano una piccola lanterna.                                                                            
“Sei davvero strano. Ma è comprensibile. Il mio Maestro mi aveva avvertito che gli esseri umani sono strani.”, disse di nuovo.                                                                                                                          
“Il tuo maestro?”, balbettò Akio, ancora icredulo.                                                                                                                                 
“Il Maestro della Pioggia. Il mio maestro. Dice sempre che gli esseri umani sono scostanti, strambi e incomprensibili. Però dice anche che ce ne sono alcuni che sono anche molto gentili e che hanno uno spirito buono. Il Maestro mi ha mandato qui da te per dirti che si è commosso.”.                                           
“E … perché?”.                                                                                                                                                                    
 “Perché hai pregato per tutte le creature. Tranne che per te.”, sorrise il bambino con gli occhi nascosti.                                                                                                                                                                     
 “Ah … ma  io non desidero nulla.  Non ho bisogno di niente. Voglio solo che scenda la pioggia. Perché le piante stanno morendo. L’erba è secca, la terra grida, i fiori muoiono, gli animali e gli uomini pure. E anche il tempio soffre. E anche io. Ma non importa della mia sofferenza.”, disse chiudendo gli occhi e stringendo le mani ancora sporche di terra secca. Il bambino gli si avvicinò lentamente e ad ogni passo sotto i suoi piedi si formavano delle pozze d’acqua che Akio guardava affascinato. Poggiò una mano su una guancia dell’uomo, che si sentì invadere da una freschezza meravigliosa.          
  “Qual è il tuo nome? Il Maestro vuole saperlo.”, chiese il bambino
 “Akio Kitamura.”, rispose l’uomo.                                                                                                                                   
 “Akio. E’ un bel nome.”, disse assaporando quel suono. Poi alzò le mani al cielo e le nuvole si addensarono tutte. Si sentì un tuono in lontananza.                                                                             
“Il Maestro della Pioggia ha deciso che salverà ogni cosa dalla calura e dalla siccità. Porterà di nuovo la pioggia sulla terra e darà da bere a tutti gli esseri viventi. Infrangerà le regole per te, Akio. Non doveva piovere ancora per tanto tempo, ma i tuoi occhi lucidi e pieni di gentilezza, le tue mani colme di amore e pietà e la tua anima serena hanno commosso il mio Maestro. Per te, Akio, ora pioverà. Consideralo un regalo.”. Non appena tacque dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce fresche di pioggia che, lentamente, riempirono ogni crepa nel terreno e coprirono ogni foglia seccacon un fresco abbraccio. Akio guardava in cielo esterrefatto, con le labbra aperte, gli occhi spalancati. Le sue mani sporche di terra si lavarono e la pioggia lavò via anche le sue preoccupazioni.               
“Io … io non so come ringraziarti. Non so cosa dire. Ringrazio il tuo Maestro per aver ascoltato le mie preghiere. Ma non deve dire che questo è un regalo per me.”, disse l’uomo tirandosi su, sorridendo, “Perché io non desidero niente.”.                                                                                       
 “Lui lo sa.”, disse il bambino, “Per questo ora farà piovere a lungo. Perché tu hai chiesto il bene per la terra e per chiunque. E, per adesso, è questo il bene di cui tutto e tutti hanno bisogno.”.                          
“Sei un Amefuri Kozo, vero?”, chiese Akio, “Il bambino della pioggia che arriva quando inizia a piovere. Il Maestro della Pioggia è una divinità, giusto?”.                                                                                                    
“Esatto, Akio. Io sono il suo allievo”.  
 “Grazie. Ringrazialo da parte mia. Lo ringrazierò ogni giorno e lascerò offerte per lui ogni giorno.”.           
 “Ne sarà felice.”sorrise l’Amefuri Kozo.                                                                                                                                     
“E io sarò felice nel saperlo felice.”, rise Akio.            
L’Amefuri Kozo si voltò e fece per andarsene, ma si fermò e tornò a guardare l’uomo, ancora una volta.                              
 “Il Maestro aveva ragione nel dire che non tutti gli uomini sono uguali. Sai, molti mi hanno fatto del male, molti altri mi hanno ignorato. Ma tu no, Akio. Tu non ignori, tu credi, tu preghi. Tu sai. Sai che le cose possono sempre cambiare, anche quando sembrano disperate. Mi piaci. E mi piace anche questo tempio e questo luogo. Credo che tornerò ancora.”.                                                                    
“Bene. Ci vediamo quando pioverà la prossima volta, allora.”, sorrise Akio, stringendosi nelle spalle, “Ti farò trovare qualcosa di buono da mangiare.”.                                                                      
“Ah, non vedo l’ora, dunque!”, e ridendo con la sua voce cristallina di bambino corse via, sparendo nella pioggia.


_______________________________

Qualche tempo dopo Akio era impegnato a togliere le erbacce attorno al tempio. La pioggia le aveva fatte crescere e lui le toglieva regolarmente per aiutare i fiori e le altre piante a vivere meglio. Il giardino era rigoglioso, il verde e i colori dei fiori si mescolavano con armonia, gli uccelli sui rami alti cantavano sotto il sole e le farfalle volavano attorno alle piante colme di vita.                                    Mentre strappava l’ennesimo ciuffo di erba troppo cresciuta sentì una goccia di pioggia bagnargli il naso, poi un’altra gli cadde sulla fronte, un’altra sulla mano. Alzò la testa. Stava piovendo.                                
“Ciao.”, disse una dolce voce all’improvviso.                                                                                          
 Akio sorrise tra se e se, smise di raccogliere l’erba e si pulì le mani l’una con l’altra, poi si alzò, incamminandosi verso il tempio.                                                                                                           
 “Vieni. Ho qualcosa di buono per te. Bentornato.”, disse tendendo una mano senza guardare.  
Il bambino della pioggia strinse la mano del giovane uomo e,  insieme, entrarono nel tempio, mentre la pioggia suonava melodie diverse su ogni foglia, ogni sasso, ogni petalo. E tutto era verde, tutto era nuovo. Tutto era vivo.

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Capitolo 2
*** Il ciliegio ha un nome ***


 
Su una collina baciata dal sole si ergeva solitario un vecchio albero di ciliegio. In realtà quanti anni quest’albero avesse nessuno sapeva con certezza, ma sembrava che fosse lì da moltissimo tempo, immobile come un saggio.                                                                                                                                
“Questo albero sembra davvero vecchio.”, disse Kiru sedendosi sotto le sue fronte e sospirando.             
“Shh, non dirlo ad alta voce o potrebbe offendersi.”, rise Kato, portandosi un dito sulle labbra.                
“Che intendi dire con questo?”, Kiru alzò la testa, proteggendosi gli occhi dalla luce del sole del mattino.
 “Questo ciliegio ha un nome e una storia, non è solo un semplice albero vecchio. Non ti ricordi il racconto che nonno ci raccontava quando eravamo bambini, Kiru?”.                                                               
“Cosa? Intendi dire che secondo te questo è il ciliegio di quel racconto?”, Kiru alzò di nuovo la testa. Un petalo rosa si staccò e scese dolcemente fino a posarsi sul suo naso.                                     
“E’ lui.”, sorrise Kato.                      
 “Come fai a dirlo?”.
“Ce lo sta dicendo lui. Non vedi?”. Kato indicò le fronde del ciliegio e Kiru notò solo allora che da quelle scendevano piano piano delle gocce d’acqua limpida che splendevano alla luce.                              
“Ohh. Sta piangendo. Sono lacrime?”, Kiru alzò una mano mentre Kato annuiva.                                                                
“Credo sia felice. Sai, perché è l’alba adesso.”.I due fratelli si sedettero sotto il ciliegio a guardare il sole che sorgeva e che illuminava tutte le cose del creato.
___________

Tanto tempo prima viveva nel villaggio appena sotto quella collina un giovane uomo. Era un abile guerriero e la sua spada era la sua vita e la sua vita era la sua spada. Una mattina, di ritorno da una nottata tra amici, risalendo la collina per poi ridiscenderla e tornare al villaggio incontrò una giovane fanciulla seduta sotto un albero di ciliegio in fiore. Il giovane guerriero si fermò ad osservarla, rapito dalla sua meravigliosa e luminosa bellezza: la fanciulla aveva una pelle liscia e di perla che brillava, due occhi neri come l’inchiostro e profondi come il cosmo, i capelli come l’ebano erano lasciati cadere fino a terra e sfioravano i ciuffi di erba e i fiori e il suo corpo sottile era avvolto in un meraviglioso tessuto morbido dai colori accesi e caldi, con i bordi dorati. L’uomo restò immobile per parecchio tempo, come se una spada lo avesse trafitto in pieno petto. Sentiva il cuore battere dentro di se e capì all’istante cosa volesse dire. La fanciulla, che stava canticchiando mentre guardava il sole sorgere oltre la collina, si accorse di lui e gli sorrise, con le sue labbra rosse. L’uomo ricambiò il saluto con un inchino. Lei lo chiamò con un gesto della mano e con una voce melodiosa, lo invitò a sedersi li con lei ad ammirare
l’alba.                                                                                                          
“Oggi sarà davvero bella.”, disse mentre il cielo si colorava. L’uomo obbedì e si sedette al suo fianco. Pensò che, probabilmente, fosse una donna di alto rango, visto quel gioiello che portava al collo e quell’abito meraviglioso.                                                                                                                                          
“Le piace l’alba, signore?”, chiese lei all’improvviso.                                                                                                    
“Si. Il sole è simbolo di forza e bellezza. Ogni giorno ci ricorda di vivere e illumina e mette fine alle strade buie della notte.”, rispose il giovane guerriero.                                                                                       
“Siete un samurai?”, domandò la fanciulla guardando la spada al suo fianco.                                                        “Si.”.
“Come si chiama? Avete degli occhi davvero belli quando guardate il cielo chiaro dell’alba.”, sorrise lei guardandolo attentamente.
“Hisashi Kawamoto, signora.”, rispose, “Ma, se posso permettermi, sono i vostri occhi ad essere belli. Quando incontrano i raggi del sole, poi, cambiano colore e si accendono.”.                                         
La bella fanciulla sorrise, arrossendo. Un petalo di ciliegio le cadde tra i neri capelli.                                                           
“Che nome portano questi occhi?”, domandò il guerriero.                                          
“Il mio nome non importa. Mi basta che amiate l’alba come me.”.                                                                                                  
“Amerò per sempre le luci dell’alba, se questo vi renderà felice, signora senza nome.”.                                                                                    
Da quel giorno i due iniziarono a vedersi più spesso, ogni giorno, stessa ora, stesso posto. All’alba, sotto il ciliegio. Lei era sempre lì prima di lui, anche se lui faceva di tutto per arrivare prima. Se ne stava sotto l’albero in fiore e lasciava che il sole che sorgeva baciasse il suo viso ogni volta. E quel bacio poi lo trasportava sulle labbra di Hisashi. Le labbra sottili e rosse di lei si appoggiavano su quelle del giovane uomo e a lui sembrava di baciare proprio il sole. Lei era così bella, così lontana quando sorrideva, così vicina e calda quando lo abbracciava. Il profumo dei fiori di ciliegio impregnava ogni cosa, tanto che alla fine i capelli stessi dell’uomo presero lo stesso profumo.                                 
Ma un giorno infausto la guerra attesa da tempo arrivò. Arrivò portando con se battaglie, sangue e morti. Lui era lì, all’alba, come sempre. Davanti c’era lei, le mani giunte sul ciondolo che portava sul collo, negli occhi un velo di angoscia e tristezza.
“Devi andare, vero?”, disse lei con un filo di voce.                                                                                                   “Si.”, fu la risposta di Hisashi.                                                                                                                                                    “Tornerai?”.
  “Mi aspetterai qui?”.                                                                                                                                             
“Se tu tornerai io ti aspetterò qui per sempre. Qui, ad ogni alba.”, sorrise lei tristemente. Lui la abbracciò a se e immerse il viso nei suoi lunghi e lisci capelli, assaporando ancora una volta il calore del sole. “Allora tornerò. Te lo prometto. Per rivedere l’alba insieme.”.                                                                        
La baciò, mentre il sole sorgeva e il ciliegio piangeva petali, alla fine di quella primavera.

*
Hisashi affrontò moltissime battaglie. Quando tornò al suo villaggio lo trovò bruciato, più nessuno vi era rimasto. Era solo. Era stanco. Erano passati anni. Era ferito. Mortalmente ferito. Ma era voluto tornare. Non aveva nessun posto se non quello su quella collina, sotto quel ciliegio. Sorrise debolmente nel vederlo: era in fiore. Non si era accorto che la primavera fosse tornata.                                         
Si sedette sotto l’albero. Non c’era nessuno lì. Eppure lui l’aveva tanto sperato. Aveva tanto sperato di vederla ancora, quella bellissima fanciulla che sapeva di sole della quale non sapeva il nome. Quanto era bella nei suoi ricordi. Era passato del tempo, chissà come si era fatta ancora più bella. Sarebbe morto senza poterla vedere? Nemmeno un’ultima volta? Il sole stava sorgendo e la notte buia e fredda andava via. La guerra era finita e con quella anche la sua vita stava per spegnersi.                            
“E’ un’alba bellissima, vero?”, disse all’improvviso una voce.
Il giovane si voltò e vide la bella fanciulla avvolta in un bellissimo abito dorato. Non era cambiata affatto in tutto quel tempo, era sempre giovane e bella e leggiadra e splendente.                                              
“Sei stata qui ad aspettarmi?”, le chiese con un sorriso.                                                                                                       
“Si. Non ho mai mancato un’alba.”.
“Mi dispiace. Ci ho messo tanto tempo per tornare. E questa è l’ultima volta che possiamo vederci. Come vedi sono ferito a morte. La morte sta venendo a prendermi. La notte eterna sta scendendo. Non vedrò più nessuna alba. Ma tutte quelle che ho visto al tuo fianco mi bastano. Illumineranno per sempre il mio spirito e lo guideranno.”. Lei gli si avvicinò, si inginocchiò e lui poggiò la sua testa sulle sue ginocchia. Lei prese ad accarezzargli i capelli, con gli occhi colmi di lacrime.                                
“Non piangere, mia signora. Sei così bella quando sorridi. Sei così bella. Sei bella come quest’alba magnifica. Sei stata come il sole per me. Sei il sole.”, le disse allungando una mano e accarezzandogli una guancia, “Ma ora inizio ad avere paura della notte eterna, così fredda.”, aggiunse iniziando a tremare.                                                                                                                          
“Non devi averne paura. Perché io potrò illuminarla in eterno.”, disse e da lei arrivò una luce accecante. L’uomo la guardò esterrefatto. Lei gli sorrise.                                                                     
“Chi sei, bella fanciulla che non invecchia? Chi sei, bella fanciulla che è calda come il sole?”.                                            
“Io sono il Sole. Io, sono Amaterasu. E tu mi hai amata come nessuno aveva mai fatto, senza sapere chi fossi, semplicemente perché mi trovavi bella.”.                                                                                                 
 “ Sei bella. Bellissima. Non mi importa se sei una divinità o una semplice fanciulla. Per me sei stata davvero il sole. Vorrei poterti ammirare per sempre.”.                                                                                                        
 “Potrai farlo. Vivrai per sempre e ogni mattina mi ammirerai come hai sempre fatto. Per l’eternità. Legherò il tuo spirito a questo ciliegio in fiore e tu vivrai per sempre su questa collina. E ad ogni alba io ti sorriderò.”.
“E io ti bacerò. Mia dea. Ti bacerò ad ogni alba.”.                                                                                                              
Si diedero un ultimo bacio e gli occhi dell’uomo si chiusero.
____________

“Quindi quel giovane vive da allora dentro a questo ciliegio.”, disse Kiru.
 “Lui è il ciliegio. Hisashi è il ciliegio.”, annuì Kato mentre i petali rosa cadevano sull’erba, “ E ogni mattina, all’alba lui e Amaterasu si incontrano qui e si baciano.”.                                                                                       
“Hisashi è un bel nome, non trovi, fratello?”, sorrise Kiru ammirando l’alba.                                                                            
 “Già. Significa ‘che vive a lungo’. Proprio un bel nome.”, rispose Kato mentre il sole sorgeva.
 
 
 
 
 

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