The Countdown of the New Generation

di Ilhem_Rowling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Albus Potter e la sindrome C.U.A.: Complessi da Ultimo Anno ***
Capitolo 2: *** La lettera ***
Capitolo 3: *** Nostalgia di Compleanno ***
Capitolo 4: *** Prometeo Incatenato ***
Capitolo 5: *** Comitati e raffreddori ***



Capitolo 1
*** Albus Potter e la sindrome C.U.A.: Complessi da Ultimo Anno ***


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Capitolo 1:
Albus Potter e la sindrome C.U.A.: Complessi da Ultimo Anno


Quella sera un’intera famiglia di teste dai colori ben assortiti era riunita sotto un manto addobbato di stelle estive, di quelle che illuminano tutta la volta celeste e che formano uno spettacolo mozzafiato, che nessuna magia potrebbe mai eguagliare.
Era il 31 Agosto, e di lì a poche ore due dei più rilevanti studenti di Hogwarts dell’ultimo mezzo secolo avrebbero cominciato il loro ultimo anno.
Se da Rose Weasley tutti si aspettavano che riportasse il massimo dei voti nei M.A.G.O., e che venisse coronata del titolo di ‘Seconda Migliore Studentessa di Tutta la Storia di Hogwarts’ – acquisito da sua madre al termine dei suoi studi dopo la Seconda Guerra Magica –, allo stesso modo, da Albus Severus Potter ci si aspettava un’ultima grandiosa annata e la vittoria per i Serpeverde della Coppa di Quidditch, strappatagli negli ultimi quattro anni dai Grifondoro, capitanati da James Sirius Potter.
Tutti scommettevano su di lui, soprattutto ora che il fratello aveva ultimato gli studi e aveva iniziato una carriera approssimativa come Cacciatore nei Cannoni di Chudley, anche se aspirava al ruolo di Cercatore. Quell’anno avrebbe avuto campo libero, senza alcun intralcio, perciò avrebbe strappato ai Grifondoro la Coppa senza troppa fatica. O almeno credeva.
Hugo Weasley e Lily Potter, infatti, avevano deciso di candidarsi entrambi come capitani, come successori di James, ma non in rivalità tra di loro, bensì insieme; erano tutti e due capitani. Una qualunque persona normale penserebbe: ‘Dovrei aver paura di due quindicenni che capitanano assieme una squadra?’, be’, con questi due precisi individui sì.
Lily era una furia rossa di un metro e sessant’otto, con grinta sufficiente a mobilitare due eserciti e un carro armato delle truppe americane d’assalto. Chi la provocava poteva benissimo rimetterci un occhio, o dire addio ad un arto, perché in quanto a mira, e ad incantesimi ben assestati non sbagliava un colpo. Non per niente era la miglior Cacciatrice dei Grifondoro da tre anni, e ora sarebbe entrata al suo quarto anno in squadra, assieme a Hugo, il suo immancabile braccio destro. Dove c’era Lily, c’era anche Hugo, e dove c’era Hugo, c’era Lily. Non li si staccava mai, ed era impossibile vederli separati per più di qualche minuto, a meno che non si trattasse di dormire, e in quel caso dovevano rimanere nei propri Dormitori.
Poi c’erano Molly e Roxanne, alla vigilia del loro sesto anno. Frequentavano le stesse lezioni e gli stessi corsi, ma non si sarebbero mai potute vedere persone più differenti; Molly era la fotocopia sputata e imbrattata di DNA del padre Percy. Un po’ presuntuosa, sempre scettica, a volte indelicata, e dotata di una schiettezza snervante. Per chi non la conosceva bene, risultava orribilmente antipatica e insopportabile e, a volte, anche la sua famiglia lo riconosceva, soprattutto quando si ostinava a criticare James e Fred e il loro ‘assurdo modo di sistemare i coltelli accanto alle forchette’, al che loro le urlavano un ‘MACHISSENEFREGA!’, mandandola in ebollizione e facendola borbottare come nonna Molly quando uno di loro non finiva le portate durante i cenoni WeasleyPotter.
Roxanne, invece, era la spina nel fianco dell’intera prole Weasley. Era disobbediente, totalmente irresponsabile e inaffidabile, e aveva l’assurda dote di distruggere tutto ciò che toccava, come suo fratello Fred. Preferiva passare il suo tempo alla Tana a creare trappole per i troll che infestavano il giardino, o a creare fuochi d’artificio con il dentifricio e i fiammiferi SuperScintilla del Mago Scintilla per l’Amore della Vostra Casa. Odiava passare il tempo con gli altri, perché non riusciva a concentrarsi per escogitare nuovi piani che prevedessero l’esplosione dell’intero guardaroba di Victoire che, ogni volta, tornando dalla settimana di vacanze in Francia dai nonni materni, riportava bikini, top, gonne, camicie, prendisole, abiti senza spalline, sandali, ciabatte, e altri indumenti di tutti i tipi, che venivano riposti nella stanza dove dormivano lei, Molly e Lucy, e occupavano il suo spazio. Era impossibile per lei vivere con le sue cugine più grandi.
Dopo Lily e Hugo, anche Lucy e Louis dovevano iniziare il loro quinto anno, ed entrambi erano terrorizzati all’idea di affrontare i G.U.F.O.
Sia Lucy che Louis erano molto timidi e introversi, e passavano tutto il loro tempo libero a studiare, o a leggere, infatti erano gli unici due della famiglia ad essere stati smistati in Corvonero (con grande disappunto di Rose, che avrebbe sempre voluto far parte della Casa della Sapienza, anche se il Cappello l’aveva riposta ingiustamente in Grifondoro, solo per le sue origini), come l’eccezione che costituiva Albus quando fu smistato in Serpeverde.
Erano probabilmente i ragazzi più silenziosi sulla faccia della terra, il che era incredibilmente raro nella famiglia: infatti, Victoire e Dominique ritenevano buono ogni momento della giornata per litigare tra di loro su chi avesse rubato un paio di scarpe all’altra; Rose non faceva altro che rimproverare Albus dei suoi continui piagnistei su quanto fosse ingiusto che ogni anno venivano battuti dai Grifondoro, e lei gli rispondeva puntualmente che nella vita non esisteva solo il Quidditch, e così partiva la lite sul Quidditch; James e Fred rendevano la vita degli altri impossibile con i loro continui scherzi e le esplosioni che facevano crepare le galline di infarto, e stecchivano i poveri conigli, mandando nonna Molly all’esaurimento; Lily e Hugo trovavano un capro espiatorio per litigare in ogni argomento di cui discutevano, per poi riappacificarsi sempre dopo pochi minuti, e poter ricominciare liberamente; Molly rimproverava sempre Roxanne di quanto fosse disordinata e di quanto odiasse dover trovare la sua biancheria dappertutto.
Insomma, bisognava ammettere che la famiglia WeasleyPotter non venerava molto il silenzio. Avevano finito una lunga cena di nove portate, esclusi il dolce e la frutta, che tutti avevano rifiutato, ritenendosi sazi, ma che nonna Molly aveva comunque sentito di dover portare in tavola, per suscitare un’acquolina in bocca di cui si sarebbero tutti pentiti.
L’unico che riuscì ad accettare la fetta enorme che gli veniva porta fu Ron Weasley, che venne rimproverato immediatamente dalla moglie. «Oh, Ron, per l’amor del cielo. Hai mangiato tre ciotole di zuppa di cipolle, cinque costolette, due pezzi di rustico al prosciutto e uno di focaccia ripiena di ricotta, credo che per stasera possa bastare!» borbottò, a braccia incrociate, fissandolo con una smorfia di disgusto, mentre addentava la prima forchettata.
«Hermione, quando vorrai imparare che, per quanto io possa rimpinzarmi, rimarrò sempre sottile come un ramo? E poi, me lo merito dopo aver lavorato così tanto, e dopo tutto quello che ho fatto per il paese» rispose, finendo in altre due forchettate il dolce, al che nonna Molly gliene passò un’altra fetta, che Hermione risospinse verso di lei con un sorriso. Ron fu indignato da ciò, «Non è così che dovrei essere ripagato. Mi merito tutte le fette di torta che riesco a mangiare!» «Ron, piantala. Usi sempre questa storia come scusa per ingozzarti come un maiale, ma non funziona più, e a dirla tutta io meriterei anche più di te questa torta» ribatté Hermione, «Ho contribuito molto di più a salvare il Mondo Magico, Ronald Weasley» e serrò le braccia e le labbra, segno che la discussione era chiusa e archiviata. Ron rimase in silenzio, e sprofondò sulla panca, sbuffando.
«Qualcuno ha visto Albus?» fece Ginny, mentre passava la torta a Louis, che la passava a Lily, che la passava a Hugo.
Rose si alzò dalla panca, «Probabilmente sarà dentro» disse «Gliela porto io» e prese due fette di torta.
A grandi falcate percorse la distanza che la separava dall’ingresso della Tana, e con il piede aprì la porta. Dentro erano accatastati i bagagli di tutti i ragazzi, pronti a partire la mattina dopo. Rose aveva ricontrollato nove volte che ci fosse tutto, perché si sarebbe sentita a disagio nel partire verso il suo ultimo anno ad Hogwarts senza qualcosa, e non sarebbe di certo stato di buon auspicio, e poi, non le andava di dover scrivere una lettera ai genitori per farsi rispedire ciò che mancava all’appello. Lei era impeccabile, non poteva dimenticarsi nulla.
Salì le scale, con i due piatti in perfetto equilibrio sulle mani, e arrivò davanti alla porta della camera che un tempo apparteneva a suo padre, e che ora ospitava Albus, James e Fred, durante la permanenza alla Tana. Bussò con la punta del piede, e senza aspettare un ‘Avanti!’, entrò.
«È la prima ed ultima volta che ti faccio da cameriera» disse alla chioma corvina che spuntava da dietro il letto con la trapunta verde. Si sedette sul letto, e posò i due piatti, poi scompigliò i capelli del cugino, e si allungò. «Allora, Al. Perché sei salito qui?» cominciò, come una vera analista con un paziente.
«Non si riesce a pensare, giù di sotto» rispose a mezza bocca il ragazzo, «C’è troppa confusione» «Credevo adorassi il rumore che proviene dalla nostra numerosa famiglia» fece Rose, posizionando il palmo della mano sotto la sua guancia.
Albus rimase in silenzio e non diede segni di vita per interi secondi, tenendo rivolto lo sguardo sul pavimento, o sulle sue scarpe di tela, difficile a dirsi.
Rose osservava attentamente il suo profilo, cercando di cogliere il benché minimo movimento, o quantomeno per essere sicura che respirasse ancora, ma il ragazzo sembrava avere la mente occupata da qualcosa di molto importante, che lo stava rendendo incapace di concentrarsi su altro, come la torta di nonna Molly. Era strano vedere Albus concentrato su un pensiero così tanto, visto che non gli capitava mai di rimanere bloccato completamente per rimuginare su un qualcosa… era così poco inusuale che ora, così immobile, sembrava fin troppo concentrato, e Rose pensò che dovesse essere davvero importante, per renderlo così zitto.
«Senti, Albus, se non mi parli io non riesco a capire cos’hai, e di conseguenza, non posso mettere in atto le mie doti da psicologa mancata» disse la ragazza, scrollando il cugino dalle spalle. Era come scrollare un cadavere. Si muoveva mollemente e senza peso.
«Non devo parlare di niente, Rose» rispose questi, muovendosi appena. Si voltò verso la cugina, con gli occhi spalancati, quasi fosse posseduto da un demonio, «Non devo di certo parlarti di quanto io sia terrorizzato di tornare a scuola, e iniziare il mio ultimo ma obbligatoriamente indimenticabile anno. Non devo parlarti di quanto i M.A.G.O. mi tormentino anche quando dormo. Non devo parlarti di quanto abbia paura di non dimostrare all’intera scuola che sono migliore di James, e che sarò in grado di portare i Serpeverde alla vittoria, quest’anno. Non devo parlarti del nulla assoluto che vedo di fronte a me, una volta che la scuola sarà finita. Non devo parlarti della paura che ho di deludere mio padre che spera io diventi un’Auror come lui. Non devo parlarti di come tutti si aspettino che io lasci un segno indelebile in quella dannatissima scuola! E di certo non devo parlarti di quanto ho paura di non essere in grado di fare qualsiasi cosa, Rose!» sputò tutto d’un fiato, facendo quasi sorridere Rose, perché sapeva che Albus era affetto dalla sindrome che lo visitava puntualmente ogni anno, prima del rientro ad Hogwarts; la C.N.A., ovvero Complessi del Nuovo Anno.
Quell’anno però sarebbe stato diverso: era l’ultimo anno per Rose e Albus, ed entrambi erano terrorizzati all’idea di entrare nel mondo reale.
Nella loro famiglia erano tutti cresciuti secondo vari principi, che loro seguivano da sempre alla lettera. I loro genitori gli avevano insegnato cos’era importante, e cosa c’era di giusto da fare, che non bisognava mai scegliere la via più semplice. Il duro lavoro ricompensava sempre, e Rose sapeva che tutto il suo studio l’avrebbe ricompensata non solo con i voti, ma anche in futuro. Era sempre stata una grande appassionata del sapere, della cultura, delle arti, e di qualsiasi branca della magia conosciuta, e della propria storia. Aveva imparato a leggere all’età di quattro anni, stanca di dover aspettare ancora per sapere, per conoscere. Era sempre stata una ragazza matura per la sua età, e agiva di conseguenza; sapeva sempre che doveva riflettere prima di agire e parlare, e non era impulsiva, come molti suoi coetanei. Rose Weasley non aveva mai corso rischi durante tutta la sua esistenza, e avrebbe preferito continuare su quella strada. Aveva sempre avuto obbiettivi premeditati, Rose Weasley, e non aveva mai avuto dubbi su cosa fare di sé stessa, in un ormai prossimo futuro. Da sempre avrebbe voluto intraprendere la carriera di insegnante, e lavorare ad Hogwarts, perché sapeva che quella era la sua casa, e non l’avrebbe mai lasciata.
Questa idea le era balenata in testa al suo secondo anno di studi, quando, in un pomeriggio burrascoso di Aprile, ritrovandosi in Biblioteca con una delle sue migliori amiche, Alexandra, aveva guardato d’istinto fuori dalla finestra, e una coltre di nebbia le aveva ostruito la vista, così aveva realizzato che il futuro era così incerto, e che presto – molto più di quanto avesse mai potuto pensare – avrebbe dovuto costruirsi una vita, che non prevedeva percorsi già scritti, come gli orari delle giornate scolastiche. Poi si era resa conto che Hogwarts era l’unico posto in cui avrebbe voluto passare il resto della sua vita, qualsiasi cosa avesse comportato, e aveva preso la decisione: «Voglio insegnare qui, ad Hogwarts!» aveva detto alla sua amica, al che lei l’aveva guardata un po’ di traverso, non avendo capito da dove le fosse venuta l’idea, e perché in quel momento.
Doveva ammettere però, che come scelta per il futuro, seppure fosse sempre stata buona, e l’avesse sempre usata come punto di riferimento, era un po’ azzardata, visto che proveniva dalla Rose dodicenne, che anche se matura, era comunque una bambina. Con il passare degli anni, Rose non aveva mai cambiato orientamento in merito alla sua carriera, e ne aveva anche parlato abbondantemente con il responsabile della sua Casa, il professor Paciock, o meglio zio Neville, che insegnava Erbologia ad Hogwarts, e lui aveva sempre mostrato il suo pieno appoggio a tale scelta, visto che era stata anche la sua, e convenendo che Rose sarebbe stata un’insegnante davvero perfetta.
Albus, invece, era sempre stato un indeciso patologico, nella sua breve esistenza: per lui era difficile persino scegliere se indossare una camicia bianca, o una nera. Di certo, non mancava di talenti; era uno dei migliori giocatori di Quidditch di tutta Hogwarts, e non era niente male nemmeno scolasticamente, in quanto si alternava in una media discretoalta. Eppure aveva sempre l’impressione di stare sbagliando qualcosa, anche se a vederlo, tutti credevano avesse sempre il controllo di ogni situazione, e infatti molti lo prendevano d’esempio come leader, e non solo per il Quidditch.
Per quanto gli altri lo ritenessero pacato, distaccato e sciolto, Albus era tutto l’opposto, e tendeva a far uscire questa indole soltanto con la cugina, perché mai si sarebbe sognato di mostrarsi così ai fratelli, che sicuramente gli volevano un gran bene, ma che sapevano essere due carogne di prima categoria. Perciò Rose sapeva che avrebbe avuto con lei quell’eccesso d’ira dovuto allo stress, e sapeva già da prima che si trattava della sindrome C.N.A., anche se le parve che ci fosse qualcosa in più. Consumò qualche minuto in silenzio, in modo che Albus si riprendesse da quella fuoriuscita di pensieri, e che tornasse in sé, avendo ormai liberato la mente da ciò che lo molestava, poi snocciolò la diagnosi: «Capisco di cosa si tratta, ma questa volta credo proprio che possiamo parlare di sindrome C.U.A., ma non spaventarti, non la ritengo più grave delle precedenti»
«Sindrome C.U.A.? Ma di che diavolo parli?» fece questo, inarcando un sopracciglio fino a farlo scomparire sotto la coltre di capelli neri.
«Semplice, mio caro. Complessi da Ultimo Anno, ecco di cosa parlo» ribatté spiccia, come se non esistesse un qualcosa di più facile da comprendere. La faccia di Albus si contrasse ancora di più, e Rose si mise a sedere sul letto, con le gambe incrociate, e raccolte tra le braccia «Non è una malattia, Albus, sei solo preoccupato per le aspettative che tutti ripongono in te, per quest’anno» spiegò, con il tono più dolce che potesse ottenere, «Hai paura del tuo futuro, e di quello che vuole tuo padre, tua madre, di non essere all’altezza di tuo fratello, o di Fred… Sei solo spaventato, e non c’è nulla di sbagliato» «Io non sono spaventato» la interruppe Albus, prendendo la difensiva, come se lo stesse accusando di essere un fifone che nasconde la testa sotto terra alla minima scossa.
«Avere paura non significa che tu sia stupido, o un fifone, Al. Significa solo che ci tieni. Crescere comporta cambiamenti, comporta distacchi, e comporta anche avere paura, ma è una delle paure più coraggiose che esistano, Albus… è la paura dell’ignoto»
«È l’ignoto che temiamo, quando guardiamo la morte e il buio, nient’altro*» recitò Albus, come un mantra, e Rose sorrise «Portare il nome di Silente ti implica alcuni benefici, a quanto vedo. Parli come lui» anche Albus sorrise, e prese il piatto con la torta, che si era mezza sciolta.
«Sarà anche vero che un anno passa in fretta, ma non permettere al tempo di portarti via ciò che ti resta del tuo ultimo anno. Non rimuginare troppo sulle tue scelte, e vedrai che, al momento opportuno, capirai» fece Rose «Ma guarda un po’ chi dà consigli a chi sul non rimuginare troppo. Dì un po’, sei Rose Weasley, o James Potter?» la schernì, Albus. Rose si finse indignata, e Albus cominciò a ridere, al che la ragazza prese la sua fetta di torta, e intinse un dito nella melassa; quando Albus si accorse di ciò che voleva fare la cugina, fu troppo tardi, perché Rose già aveva spalmato il suo dito sulla faccia del ragazzo.
«Sei sicura di voler imboccare questa strada, Weasley? E va bene, ma non supplicarmi poi» e con queste parole, tirò indietro la forchetta, con sopra un pezzo generoso di torta e prima che Rose riuscisse a dire “Non ci provare”, aveva il naso e la bocca ricoperta di melassa.
«Ah, è così» e raccolse in una mano tutto il pezzo rimasto nel piatto, cosa che fece anche Albus, e portatisi entrambi al cospetto dell’altro, contarono fino a tre, e poi, contemporaneamente… SPLAT!, avevano entrambi una torta al posto del viso.
Scoppiarono a ridere così fragorosamente che in un attimo si ritrovarono a terra, a rotolare come due individui in fiamme che cercano di spegnersi, tenendosi la pancia con tutt’e due le braccia.
Si sentì un miagolio, e sulla soglia comparve Milla, la gatta di nonna Molly. Si avvicinò ai due ragazzi per terra, e salì sulla pancia di Rose, fino ad arrivare alla faccia, e dopo aver sentito l’odore inconfondibile di uno dei piatti più famosi di nonna Molly, iniziò a mangiare la torta, direttamente dalla faccia della ragazza, che iniziò a ridere ancora di più, seguita da Albus. Quando la faccia di Rose fu completamente priva di melassa, la gatta passò ad Albus, che rimase immobile sotto lo sguardo del felino, per paura che scambiasse un brano della sua pelle come torta.
Rose si ridiede una pulita al viso con la bacchetta, «Ah, ehm… Rose, potresti togliermi questa palla di peli di dosso, prima che rovini l’ottava meraviglia del mondo?» «Uh, ma come siamo sopratono, non pare anche a te, Milla?» lo schernì la ragazza, dopo aver impedito al gatto di rovinare l’ottava meraviglia, prendendola in braccio «E pensare che fino a poco fa si sarebbe messo a piangere, il gradasso qui» disse, grattandola dietro le orecchie, mentre Milla esprimeva il suo assenso con una serie di fusa. Albus si alzò dal pavimento, e fece Evanescere una pezzolina umidificata, con cui rimosse ogni traccia di torta e di DNA felino dal suo viso, «Non sei divertente» le fece il verso, con una smorfia.
«Oh, invece sono molto divertente» rispose Rose, poi si alzò dal pavimento «Forza, torniamo giù. Altrimenti tua madre chiamerà una squadra di soccorso per venirti a cercare» disse, prendendo i piatti sporchi, e uscendo dalla camera. Albus la seguì.






Quella notte, Rose sognò il suo arrivo del primo anno ad Hogwarts.
Da quando era salita sull’Hogwarts Express, le si erano avvicinati i personaggi più assurdi e i più svariati, a presentarsi a lei, e al secondogenito del Prescelto, di cui si era parlato tanto soprattutto perché tutti dicevano che fosse la fotocopia sputata di Harry Potter. Di lei invece si diceva soltanto di quanto dovesse essere la fusione perfetta tra due personaggi così discordi tali Ronald Weasley ed Hermione Granger; ovviamente, tutti erano straconvinti che la ragazzina fosse intelligente perlomeno quanto la madre, e che avesse almeno il minimo talento nel Quidditch o la passione, come il padre. Sul cervello, nulla da controbattere, perché Rose si dimostrò sempre una studentessa eccellente, al di là dell’immaginario collettivo, venendo continuamente elogiata da tutti i professori, dagli studenti più grandi, e anche da tutta la famiglia, di cui aveva il continuo supporto. Sul fronte del padre, però, molti dovettero ricredersi, dopo che Rose si rifiutò categoricamente di partecipare ai provini per entrare a far parte della squadra dei Grifondoro, al secondo anno. Ammise lei stessa di odiare il Quidditch, e di non ritenerlo parte dei suoi interessi. Ovviamente tutto ciò deluse parecchio Ron, che aveva tanto sperato che entrambi i suoi figli acquisissero anche il suo corredo genetico, e non solo quello della madre, per quanto riguardava il carattere e il talento, perché per l’aspetto fisico, avevano entrambi il loro bel paio di occhi azzurri, e la foresta di capelli rossi, anche se di due toni un po’ differenti tra loro.
Tuttavia, Ron non fu completamente deluso, visto che, più tardi, Hugo si dimostrò un grande appassionato, e anche un grande giocatore di Quidditch, investendo il ruolo di Portiere a tredici anni, grazie a uno slancio di fiducia – e qualche lettera di supplica da parte di Ron – di James, che aveva deciso di farlo tentare almeno per un mese, e non ne era rimasto affatto deluso. Hugo era un prodigio del Quidditch. Anche se aveva qualche carenza in ambito scolastico; non era di certo un asino, ma nemmeno un secchione come la sorella. Studiava solo ciò che riteneva necessario, tagliando qualche volta ciò che era davvero necessario, ma riusciva comunque a cavarsela con una media piuttosto buona.
Quando varcò la soglia del castello per la prima volta, fu investita da un calore che non era quello proveniente dalle cucine di Hogwarts. Era un calore mai provato prima, nemmeno alla Tana, nemmeno durante la mattina di Natale, quando si trovavano tutti a scartare i regali assieme, nel salotto di nonna Molly e nonno Arthur. Un calore diverso, che sembrava sussurrarti nelle orecchie: “Sei a casa”. Quella sensazione, Rose non l’avrebbe mai scordata, e ogni volta che varcava la soglia del castello, all’inizio dell’anno, sentiva sempre un’aria differente, che le accendeva una lampadina nel cervello, e le annunciava che un altro anno era passato, e che lei era cresciuta, che le difficoltà erano altre, e avrebbe imparato di più.
Il castello di Hogwarts sembrava vivo, e non solo per via dei quadri chiacchieroni, dei fantasmi impiccioni, degli elfi, dei professori, e della miriade di studenti che vi abitava. Era vivo perché faceva sentire coloro che vivevano lì vivi. Era un posto che significava futuro, libertà, famiglia, amicizia, e magia. Era l’unico posto in cui Rose si sentiva la persona più speciale del mondo, sentiva che non le mancava nulla. E in un certo senso, era davvero così.
Quando la McGranitt aveva chiamato il suo nome, si era sentita mancare, e aveva guardato Albus; era lui il suo punto di riferimento, da sempre. Sapeva che poteva fidarsi di Albus, e che avrebbe potuto affrontare qualunque cosa, se avesse avuto il suo migliore amico con sé. Nelle situazioni più ardue, aveva sempre avuto Albus al suo fianco, e in qualche modo, ne era sempre uscita.
Le aveva sorriso, e detto: «Vai, stendili tutti»
Così Rose era salita, con la testa alta, fiera di sé. Ricordava che la Sala era improvvisamente scesa nel silenzio più profondo, al che si era sentito solo il lieve grattare dello sgabello alla seduta della ragazzina, e il fruscio della stoffa sgualcita del Cappello Parlante, mentre veniva adagiato sul suo capo. Furono minuti di grande attesa, e piuttosto lunghi, in realtà, infatti, più tardi, la McGranitt informò Rose che era stata una Testurbante, dopo quasi trentadue anni. Le disse anche che gli ultimi due Quasi-Testurbanti erano stati Neville Paciock, e sua madre, per via dei quattro minuti impiegati nella scelta.
Il Cappello Parlante aveva valutato con molta pazienza tra Grifondoro e Corvonero, anche se Rose ometteva sempre la parte in cui quel pezzo di stoffa l’aveva vista bene in Serpeverde. Quando aveva sentito le parole del Cappello, era impallidita – infatti Albus le aveva poi domandato se stava bene, e perché sembrava sul punto di svenire su quello sgabello – e aveva rivolto il suo pensiero alla sua famiglia, e all’infarto che avrebbe colto suo padre e suo nonno, una volta appreso che la dolce Rose era finita in Serpeverde. Forse era stato quello a salvarla dal suo destino verde-argento.
Il Cappello Parlante annunciò la sua scelta: «Mmh, mi auguro che non deluderà le vostre aspettative in…» «ROXANNE, RESTITUISCIMI LE SCARPE!» e si svegliò battendo la testa sulla mensola che sovrastava il suo letto, «Ouch».
La casa era in fermento, e i suoi residenti erano tutti operativi e urlanti.
«Rose, muoviti!» disse Dominique, entrando nella stanza, e togliendole il cuscino da sotto il viso, «Sono le nove e mezza, e non credo che riuscirai a smaltire la fila che c’è di fronte al bagno prima di un’ora»
A quelle parole, Rose balzò dal letto come una scimmia su un ramo, e iniziò a saltellare da un piede all’altro, raccattando i vestiti della sera prima e correndo verso il bagno al piano di sopra.
Purtroppo, Lucy e Lily avevano avuto la sua stessa idea prima di lei.
«Ma non è possibile» sbuffò, trascinandosi verso la porta con i vestiti che le ciondolavano tra le braccia. Intanto dal piano di sotto provenne un rumore di vetro che va in frantumi, e di una ragazza che sta per frantumarne un’altra, seguita da uno strillo da circa diecimila decibel. «Hai trovato comodo il letto, stamattina?» chiese Lily, voltandosi verso la cugina, che intanto sbadigliava ripensando a quanto stava dormendo bene. «Sai, ti sei svegliata davvero tardi, per i tuoi soliti standard» fece Lucy «Spero che James e Fred ti abbiano lasciato qualcosa da mangiare. Quando siamo saliti per andare in bagno, avevano già finito tutte le frittelle, e di ciambelle con il burro ne erano rimaste davvero ben poche»
«Ma si può sapere quanto ci vuole?» sbottò Lily, battendo un piede a terra «MAMMA! Non sei tu quella che deve prendere un treno alle undici! ESCI DA QUESTO BENEDETTO BAGNO!» gridò, picchiando mani e piedi sulla superficie di legno della porta.
«Ti consiglio di riprovare al bagno di sotto. Prima c’erano Roxanne e Molly in fila…» dalla cucina arrivò un altro urlo, e un coro di scimmie urlanti, che dovevano essere sicuramente James e Fred che incoraggiavano le due cugine a prendersi a botte. Insomma, Molly era tranquilla, pacata e tutto il resto, ma con Roxanne perdeva tutte queste qualità.
«Be’, credo che avranno ancora molto di cui, ehm, discutere» disse, mentre zia Ginny usciva dal bagno, rimproverando la figlia per le sue urla da scaricatore di porto, e lei la ignorava, chiudendosi dietro la porta.
Rose fece un cenno di ringraziamento a Lucy, e poi corse al piano di sotto per raggiungere il bagno prima che la lotta tra le due ragazze finisse.
Percorse la scalinata rischiando di precipitare di testa almeno tre volte, e quando finalmente arrivò al bagno, Hugo stava per avvicinarsi al pomello.
«No no no no!» fece Rose, prendendo la rincorsa. Impuntò i piedi per scivolare dolcemente sul pavimento, e invece… planò in maniera brusca a terra, cadendo su un fianco.
«Ah» gemette, e si tirò su un gomito. «Rose! Ma che stai facendo?» proruppe suo padre, appena sveglio «Oh, ma non è ovvio? Stavo contando i granelli di polvere che atterrano sul pavimento» rispose la ragazza, sbuffando ancora per la sua rovinosa caduta, e per la sottrazione del bagno da parte del fratello.
Finalmente si sentì provenire dal bagno il rumore dello scarico, e Hugo uscì dalla porta, strofinandosi una mano sul viso stravolto dal sonno. «Spero tu abbia finito, ma in caso contrario, mi dispiace; ho bisogno del bagno» disse Rose, e si lanciò direttamente nel bagno, chiudendo a chiave la porta.
Aprì il getto della doccia, e si tolse i vestiti. Si infilò sotto l’acqua, e si strofinò lo shampoo nei capelli.
«Meglio che mi lavi i denti ora» mise la mano fuori dalla tenda della vasca da bagno, e tastò il piano del lavandino per prendere il dentifricio e il suo spazzolino. Fortuna che non l’aveva lasciato in camera.
Ora che era sola, e completamente isolata dalla sua rumorosa famiglia, si fermò un attimo a rimettere a posto le idee, e a pensare che il giorno che temeva arrivasse da una vita, difatti era già lì, pronto a confonderla e a metterla in difficoltà per tutto l’anno.
Non le piaceva che qualcuno pensasse che Rose si sentiva in difficoltà con la prospettiva del suo ultimo anno, e fortunatamente, durante l’estate non aveva mostrato alcun segno di inquietudine o di timore in merito. Sapeva che quell’anno sarebbe cambiato tutto, perché era così, e doveva esserlo per forza. Lei stava crescendo. Tutti stavano crescendo. Bisognava affrontare tanti cambiamenti, tante situazioni, di differenti modalità, difficili e meno difficili.
Rose aveva sempre mostrato un certo timore ad affrontare la vita, anche se non in modo patologico, cioè di una paura dovuta forse all’ambiente famigliare iperprotettivo che l’aveva sempre ‘soffocata’, in un certo senso.
Si era sempre sentita protetta da tutto e tutti, e per questo si riteneva praticamente invincibile e intoccabile, ma molte di queste certezze erano già svanite con il tempo.
Sua mamma le ricordava sempre la difficoltà e le condizioni che comportavano crescere. Per una donna era anche più stressante e delicato. Quando sei una donna, ti viene chiesto molto, e spesso ti viene chiesto di sacrificare delle parti di te nel diventarlo. Sua madre era una donna così forte, così intelligente, così testarda e sicura di sé. Lei non aveva avuto necessità di dirottare la sua strada. Ne aveva intrapreso una, ed aveva continuato a seguirla, e lo faceva tutt’ora. Lei non stava al gioco.*
Nonostante avesse preso parte alla guerra, e a tutti gli orrori che la accompagnavano, tutte le cose che aveva visto, la sofferenza nel perdere i suoi genitori e Ron, lei era sempre stata la più forte, e aveva avuto anche il coraggio di tornare ad Hogwarts per finire gli studi, aiutando anche a rimettere insieme le macerie che erano rimaste della sua casa.
E invece Rose non le assomigliava per niente. Sapeva di non assomigliarle. L’unica cosa che avevano in comune era il cervello, perché, francamente, i capelli e gli occhi erano di suo padre. Forse il suo naso era della madre.
Rose avrebbe voluto essere una donna forte e indipendente. Non sapeva se ci sarebbe riuscita, ma ce l’avrebbe messa tutta, per imparare a crescere, e a conoscere la sua vera essenza. È difficile imparare a conoscere sé stessi, ma non impossibile. Insomma, se si convive con sé stessi, si dovrà pur imparare a conoscersi.
E Rose l’avrebbe fatto.




«Ho preparato a tutti dei panini per il viaggio, in caso vi venisse fame sul treno» fece nonna Molly, agitando tra le mani delle buste di plastica contenenti degli ammassi disgustosi di carne.
Albus deglutì, «Non ce n’era bisogno, nonna. C’è il carrello» «Oh, non dire sciocchezze, caro» ribatté nonna Molly con un gesto della mano «Non posso permettere che i miei nipotini mangino tutte quelle schifezze». Roxanne avrebbe avuto qualcosa da ridire sul termine ‘schifezze’ a proposito delle leccornie di Hogwarts e di Mielandia. Nonna Molly sapeva cucinare davvero bene, ma i panini con pasticcio di carne a sorpresa… be’, diciamo solo che erano perfetti come lassativi ad effetto istantaneo.
«Oh, per l’amor del cielo. I vostri genitori portavano sempre i miei panini in treno, e non si sono mai lamentati» disse. Tutte le teste rosse Weasley sbiancarono, soprattutto la faccia di Ron. «Giusto, cari?» fece Molly, aspettandosi una risposta pronta «Andiamo, cara, non vorremmo star qui a far perdere tempo ai ragazzi. Devono prendere il treno, per la miseria, faranno tardi» intervenne nonno Arthur, mettendo un braccio attorno alle spalle della consorte, salvando la pellaccia a figli e nipoti, che lo ringraziarono in silenzio.
«Certo, certo, è vero. Avete ragione» si scusò nonna Molly, avvicinandosi ai suoi ragazzi, e stritolandoli uno alla volta in un abbraccio spacca-costole. «Prometto di scrivervi ogni settimana» «Ci fidiamo sulla parola, nonna» intervenne Hugo. Nonna Molly era troppo affezionata ad ognuno dei suoi nipotini, e dal primo anno di ognuno di loro, ogni settimana aveva scritto una lettera ciascuno, perché erano la cosa più importante che aveva, quasi più dei suoi figli. Passava sempre il suo tempo con loro, e durante l’estate si faceva aiutare nei lavori domestici, nelle faccende, nell’orto, e nel pulire il giardino dagli gnomi (attività preferita di James e Fred).
Pur non avendolo mai ammesso nemmeno a sé stessa, Molly, dopo venticinque anni dalla morte del figlio, soffriva ancora troppo e amaramente come se fosse accaduto solo quel giorno. Sapeva che tenere corpo e mente impegnati l’aiutava a non pensare al figlio, e a quanto sentisse la sua mancanza. Lo faceva non per sé, ma per i suoi figli, per suo marito, per i suoi nipoti. Il cuore di Molly Weasley aveva perso un pezzo tanto tempo fa, e non sarebbe mai stato ritrovato.
I ragazzi lo sapevano benissimo, per questo odiavano portare dispiaceri alla loro nonna, che riponeva in loro qualunque cosa, e loro facevano in modo di renderla sempre fiera e felice.
Nonna Molly sorrise, e si asciugò una lacrima sfuggita al suo controllo.
«Oh, nonna, non fare così» fece Lucy, abbracciandola «Ci sentiremo ogni settimana, e potremmo vederci con la Metropolvere» «Sì, e Natale arriverà in un attimo» aggiunse Roxanne, mettendole un braccio attorno alle spalle. Era incredibile quanto fossero alti tutti i suoi nipoti. La superavano nettamente di svariati centimetri.
Molly sorrise di nuovo, e accarezzò la mano di Roxanne, e il viso di Lucy «Lo so, lo so. Non posso farne a meno»
«Su, ragazzi, salite in macchina» fece Harry. Si era fatto davvero tardi. «Buona fortuna a tutti» disse nonna Molly, mentre nonno Arthur salutava energicamente con la mano. Con un ultimo saluto, i ragazzi si infilarono a gruppi nelle macchine lungo il vialetto, e partirono.
«Oh, be’, sarà meglio iniziare a preparare il pranzo» annunciò dopo qualche secondo Molly, sfregandosi le mani, e rientrando in casa. Arthur guardò in cielo, e rise «Non cambierà mai»






«La prossima volta perché non indossa una maschera?» si lamentò Albus, guardando disgustato la scena di suo fratello circondato da una quantità assurda di ragazze, metà con la divisa già indosso, e l’altra vestita normalmente. Quell’idiota di James si divertiva ad affondare con un gesto innaturalmente naturale la mano nei capelli, facendo esplodere il gruppo in un coro di sonori sospiri. Continuavano a fargli domande su come fosse giocare nei Cannoni di Chudley, e lui, con nonchalance, rispondeva «Oh, sapete com’è: lo stress di dover apparire sempre come gli altri si aspettano, la pressione dei tifosi, e delle classifiche» «Mio Dio, come deve essere stressante» commentò una ragazzina di più o meno quattordici anni, con la divisa di Grifondoro, «Be’, ormai ci sono abituato» fece James, aggiustandosi il colletto della giacca. «E dimmi, James» proruppe una ragazza che apparteneva alla Casa di Albus, Octavia Greyster «Ce l’hai la ragazza?» chiese, con espressione speranzosa, «Mi sto ancora guardando attorno» disse, facendole l’occhiolino, al che mancò poco che la ragazza svenisse dall’emozione. Poi James alzò lo sguardo e si concentrò su una figura che si avvicinava a passo deciso e con la testa alta in direzione di sua cugina Rose.
«Ehi, Alexandra» si sbracciò, sferrando una gomitata ad una tredicenne, che ululò dal dolore. Si fece largo tra le ragazze del gruppetto di ammiratrici, e si avvicinò svelto alla ragazza, che lo salutò con un freddo «Ciao, James»
«Allora, come va?» disse, sfoggiando la sua mossa infallibile della mano nei capelli. Alexandra non lo degnò di uno sguardo, e si limitò a rispondere «Non c’è da lamentarsi. Grazie» senza nemmeno ricambiare la domanda, cosa che avrebbe fatto buttare James sotto al binario dallo sconforto.
Albus guardò la scena, e iniziò a colorirsi il volto di un rosso sempre più scuro, man mano che il colore si dilagava lungo tutta la faccia.
«Fortuna che ha finito l’anno scorso» disse a denti stretti, «Si ostina ancora a provarci con la mia ragazza!» esclamò, scrollando violentemente Rose per le spalle, che rimase con una smorfia in viso, e gli pestò un piede per farlo fermare. «Albus, lei non è la tua ragazza, e lo sai. È la ragazza del tuo migliore amico» lo rimproverò, «Lo so benissimo, Rose. Grazie per la precisazione indispensabile» e poi tornò a guardare quel cretino di suo fratello provarci con la ragazza più bella di tutta Hogwarts. O almeno secondo Albus. Oh, be’, insomma, non poteva esistere una ragazza più bella di Alexandra Nott. Aveva dei capelli lunghissimi e setosi, con la strana tendenza a cambiare acconciatura, in base a… in realtà Albus non sapeva in base a cosa diventassero lisci, e subito dopo mossi. Poi aveva degli occhi meravigliosi: non erano blu, non erano azzurro chiaro, non erano grigi, non erano indaco, non erano ciano. Erano di tutti questi colori mischiati in modo così armonioso da spaventare chiunque la guardasse negli occhi. Non erano in molti a saper sostenere quello sguardo così temporalesco. Ad Albus dava proprio l’idea di un cielo tormentato da pioggia e uragani.
Oltre questo, aveva un viso perfetto, e un fisico… un fisico da sballo, anche se Albus avrebbe voluto usare ben altri aggettivi.
«È incredibile che ti piaccia ancora, dopo tutti questi anni» continuò Rose, e Albus si accorse che, mentre lui si dilettava a descrivere la bellezza di quella ragazza, la cugina aveva continuato a rimproverarlo «Dov’è finito il rispetto per te stesso? Non pensi a Lorcan? Lui non sa che sei innamorato di Alexandra dal terzo anno, e…» «Innanzitutto, abbassa quella voce» esclamò «E poi non sono innamorato di lei. Apprezzo solo le sue qualità fisiche e intellettuali» si giustificò, «E ora piantala che sta venendo verso di te»
E infatti Alexandra si era avvicinata a Rose, con James che le stava col fiato sul collo, e a cui mancava poco che iniziasse a sbavare. Abbracciò Rose, che la strinse forte «Ti trovo un incanto» le disse, «Grazie, ma anche tu non scherzi!» rispose la rossa, facendosi un po’ indietro per guardare l’amica in tutto il suo splendore «Cosa diavolo hai fatto? Facevi colazione con il siero della bellezza? Credo di odiarti adesso» rise, e Alexandra si unì a lei.
Finalmente, dopo quelli che parvero un’infinità di minuti, Alexandra degnò Albus della sua attenzione «Potter» disse seccamente, e Albus rispose con un cenno ed un mezzo sorriso. Dietro di lei, James rideva in silenzio, spanciandosi per il saluto freddo che aveva ricevuto il fratello, come se a lui non fosse toccata la stessa sorte.
«Se volete scusarci» fece Albus, con ultimo cenno, afferrando James dalla maglia e trascinandoselo dietro.
James rideva ancora di gusto, e dovette appoggiarsi al muro della stazione, per non cadere lungo la banchina, «“Potter”» fece il verso al fratello, tenendosi la pancia per evitare che potesse sputare la milza o un polmone. «Fratello, spero che tu abbia rinunciato a quella ragazza, perché anche se io non sarò più tra i piedi, non starà mai con te» disse, appoggiando una mano sulla spalla di Albus, in segno di compassione. Albus serrò la mascella, e lo fulminò con lo sguardo, «Non avrai mai successo con lei, James. Ficcatelo nella zucca. Lei non è una delle tue ragazze che vengono a letto con te solo perché sei ‘James Sirius Potter, il Grande’. Lei ha la testa sulle spalle, e, oltretutto, è fidanzata con Lorcan, e lo sai benissimo» James scacciò l’informazione con un gesto della mano «Pfft! Lorcan Scamandro! Andiamo, non regge il confronto con me. Vedrai, fratello» disse, poi si voltò in direzione della cugina e di Alexandra, mentre loro si stavano allontanando lungo il binario. Sospirò, «Oh, sì. Vuole portarmi a letto, fidati» decretò, come se non fosse possibile nessun’altra opzione. Batté la mano sulla spalla di Albus, e lo guardò con un ghigno idiota stampato sul volto. Albus avrebbe volentieri voluto tirargli un pugno sui denti, almeno non avrebbe avuto più il suo sorriso accattivante e seducente come arma. Sarebbe stato fantastico.
«Zuccone» mormorò Albus tra i denti, mentre James continuava imperterrito a seguire Alexandra con lo sguardo, rivolto soprattutto alla zona fondoschiena. «Come?» mugugnò, ancora concentrato sulla vista, «Niente» rispose subito Albus, tirandoselo poi dietro, e allontanandolo dalla posizione strategica.
«Non dovresti andare a salutare Lily?» gli chiese, e James sembrò riprendere totalmente la coscienza, balzando di colpo «Giusto! Lascerò la squadra in mano a quelle due teste rosse!» esclamò battendosi il palmo sulla fronte. Avrebbe voluto farlo Albus. James aveva detenuto il titolo di Capitano dei Grifondoro dal suo terzo anno ad Hogwarts, dopo che aveva dato sfoggio del suo innato talento per il Quidditch al suo secondo anno (anche se era il figlio di Harry Potter, la McGranitt non aveva battuto ciglio sul fatto che gli studenti del primo anno non potessero partecipare, e così era stato per Albus e per Lily, e per tutti i ragazzi della famiglia Weasley). Ora stava per lasciare il comando a Lily e Hugo, che avevano deciso di capitanare insieme la squadra, essendo due dei migliori giocatori di Hogwarts, grazie anche al loro DNA. Ginny e Harry avevano sempre tenuto a cuore quello sport, che li aveva avvicinati tantissimo durante il sesto anno del ragazzo, e il quinto della ragazza. Avevano insegnato questo sport ai loro figli, quasi prima che imparassero a camminare, e loro prendevano il Quidditch con assoluta serietà e con la massima importanza, anche se Ginny teneva molto che avessero una media buona a scuola, e non come quella di Harry.
Hugo, invece, era l’unico amante di Quidditch insieme al padre, nella sua famiglia. Sia Rose che Hermione trovavano difficile anche solo tollerare quello sport idiota, e Rose era costretta a sorbirsi le partite a scuola solo perché altrimenti avrebbe avuto tre persone pronte ad ucciderla. E quando si tenevano le partite alla Tana, durante i pomeriggi freschi d’estate, visto che lei non giocava, si limitava a sedersi in fondo al giardino e a leggere, anche se avrebbe dovuto sorvegliare la partita e tenere il conteggio dei punti, visto che la nominavano arbitro.
James sapeva di potersi fidare della sorella e del cugino, ma era terribilmente preoccupato per la prima. Non in campo sportivo, ma in campo sentimentale; Lily riscuoteva fin troppo successo nel popolo maschile di Hogwarts, e lui era l’unico in grado di tenere lontani gli aggressori. Certo, c’era anche Albus, ma lui era a sette piani di distanza per quasi l’intera giornata scolastica e non, perciò non sarebbe mai stato in grado di tenerla costantemente sotto sorveglianza. James aveva condiviso la stessa Casa di Lily, e l’aveva controllata ventiquattr’ore su ventiquattro, be’, a parte le ore di sonno, s’intende, e quelle di lezione, e quelle in cui James si intratteneva con… insomma, la controllava abbastanza.
Ogni volta che un ragazzo si avvicinava a Lily, anche solo per chiederle l’orario, spuntava James dal nulla, e scacciava il maniaco di turno, spaventandolo a morte, in modo da avere un effetto di allontanamento duraturo.
«Mi stava solo chiedendo che ora era» si lamentava Lily, al che James le metteva un braccio sopra le spalle, e con un gesto teatrale, indicava l’orizzonte davanti a sé «Il mondo, mia cara, piccola e innocente sorellina, è pieno di maniaci pronti ad aggredire una povera e indifesa ragazzina come te» diceva. Lily odiava che i fratelli la credessero una povera e indifesa ragazzina, e soprattutto odiava che le stessero sempre fra i piedi pronti a interferire con le sue “relazioni”. Di questo passo avrebbe fatto la stessa fine di sua zia Muriel, oppure si sarebbe sposata a ottant’anni, quando i suoi fratelli sarebbero morti, se fossero morti.
«Torno subito» disse, e scattò verso sua sorella e il cugino.


Dieci minuti più tardi, la famiglia WeasleyPotter era posizionata lungo tutta la banchina, e come una grande catena meccanica, si passavano tutti saluti, baci, auguri per il nuovo anno e ultime raccomandazioni. Finalmente i ragazzi salirono sul treno, e una volta posizionati negli scompartimenti, con ultimo saluto ai genitori e ai fratelli di alcuni, il treno iniziò a fumare, e dopo qualche secondo cominciò ad allontanarsi lungo il binario, sempre di più, finché il tunnel non inghiottì la visuale dei ragazzi, e iniziò a portarli verso un nuovo inizio.

«Come mai sei voluta rimanere con me?» chiese Albus a Rose, mentre lei frugava nella borsa in cerca di un libro per ingannare l’attesa e l’ansia del viaggio.
«Tranquillo, appena arriverà il resto della tua banda mi sarò volatilizzata. Non ho alcuna voglia di sentirvi parlare di… qualsiasi cosa voi parliate» rispose questa, infilando quasi tutta la testa nella borsa, apparentemente troppo piccola per disperdere un libro al proprio interno.
«Fammi indovinare: Incantesimo Estensibile Irriconoscibile, eh?» ghignò Albus, guardando la cugina che spariva letteralmente nella borsa. «Già, ma mi dà ancora un paio di problemi. Tutti gli oggetti che metto dentro, dal modo ordinato in cui li ho riposti, si spostano in modo autonomo, creando un caos assurdo. E io non riesco a ritrovare le mie cose» disse, «La settimana scorsa Milla ci è finita dentro per sbaglio, mentre giocava con Lucy, e ho dovuto mandarla completamente dentro per recuperarla. È stato uno sbaglio madornale» e rabbrividì al pensiero di quella brutta esperienza.
Albus ridacchiò al pensiero di Lucy che tentava di salvare la gatta di nonna Molly, all’interno di una borsa, e di Rose che piagnucolava al pensiero dell’errore che aveva commesso con l’incantesimo.
«Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda, Rose» «L’ho dimenticata» disse, cacciando due pacchi di penne d’oca dalla borsa, e cinque quaderni di appunti, «Ti ho chiesto come mai sei rimasta con me. Tu odi stare qui in presenza degli altri» «Oh, credo che lo scoprirai presto, Al» rispose semplicemente Rose, mentre finalmente era riuscita ad afferrare il libro che cercava «Ti dispiace darmi una mano?» chiese, con la voce ovattata per via del busto di Rose infilato nella bocca della borsa. Albus afferrò la vita della cugina, e la cacciò dalla borsagrotta delle meraviglie, mentre lei, con i capelli elettrizzati per via del tessuto e il libro stretto al petto, boccheggiava per l’assenza di aria che l’era mancata dentro quella trappola per maghi.
Mimò un ‘grazie’, e tornò a sedersi, raccogliendo gli oggetti che aveva cacciato. «Che intendi?» domandò Albus, incuriosendosi della faccenda, «In realtà, non dovrei essere io a dirtelo» rispose Rose, poggiandosi allo schienale del sedile, e aprendo il libro «E non pensare chissà a cosa» continuò. Poi affondò il volto nelle pagine, e si isolò alla lettura.
Albus era ormai troppo curioso per non pensarci, e lasciare che Rose leggesse in santa pace, perciò si sedette accanto a lei e poggiò la testa sulla sua spalla, che si abbassò subito, avvertita la minaccia alla sua pace. Rose sbuffò, «Sai che se non me lo dici rimarrò qui a tartassarti senza lasciarti un solo secondo in pace, vero?» le fece Albus. Rose inspirò fortemente dalle narici, sbattendo in modo strano le palpebre, quindi chiuse controvoglia il libro.
«Non dovrei essere io a dirtelo, perché non sono affari tuoi» disse, ma Albus aveva capito che gliel’avrebbe detto comunque «Be’, forse saranno affari tuoi, in un certo senso, anche perché lo verrai a sapere comunque da uno dei due diretti interessati fra poco, quindi non so se devo dirtelo» «Ma me lo dirai perché mi vuoi tanto tanto bene, e perché sono il tuo cuginetto preferito nonché migliore amico da quando eravamo due pupi che finivano sui giornali al minimo starnuto», Rose scosse la testa sorridendo «Sì» disse «Ma prometti che quando te lo racconteranno, tu fingerai di non sapere un’accidenti, okay?» Albus annuì vigorosamente.
«Alexandra e Lorcan si sono lasciati» asserì Rose, e poi si preparò alla detonazione della bomba che aveva appena sganciato con quella notizia. Ad Albus si illuminò il viso, e gridò «COSAAA?» e Rose si fiondò su di lui a tappargli la bocca con la sua felpa, «Shh! ‘Sta zitto, Albus, per l’amor del cielo» lo supplicò, mentre Albus mugugnava esclamazioni di felicità e giubilo a quella meravigliosa (per lui) notizia.
Quando finalmente i suoi festeggiamenti cessarono, disse «Te l’ha detto Alexandra?» chiese, «Già. Era abbastanza triste» constatò Rose, pensando alla sua migliore amica.
«Cioè, mi stai dicendo che quel babbeo l’ha lasciata prima di partire per il nostro ultimo anno ad Hogwarts? Non ha un briciolo di umanità, quello zuccone. Aspetta che lo acchiappo: gli gonfierò la testa come una mongolfiera e gli farò prendere il volo. Ma tu guarda…» «No, Albus! Fermo un attimo. Sei il solito, non mi lasci mai finire» lo sgridò la ragazza, tirandogli una manata in testa «È successo un paio di settimane fa, dopo il compleanno di Alexandra. L’hanno deciso insieme. Nessuno ha lasciato nessuno. Si sono lasciati. In modo reciproco» spiegò Rose, gesticolando con le dita in modo che il ragazzo afferrasse completamente il concetto. Albus annuì lentamente.
Rose ritenne di aver soddisfatto la curiosità del cugino, e riprese il libro, accartocciando il corpo come una lumaca nel guscio, con le gambe contro il petto, e le braccia strette sul busto, con il libro a pochi centimetri dal suo naso, incastonato nello spazio che rimaneva tra le ginocchia e il viso.
Ma Albus aveva altre domande; «Credi che io debba fare qualcosa?» la domanda rimase per qualche secondo a fluttuare indiscreta nell’aria, come se Rose non avesse sentito, e magari era stato così, in un primo momento, perché poi la ragazza saltò sul posto, disgregando la sua posizione «Dì, ma sei pazzo?» esclamò, «Uno dei tuoi migliori amici si molla con la sua ragazza, e tu che fai? Vuoi subito provarci con lei? Fortuna che siete sempre stati leali tra di voi» disse, alzandosi in preda ad una crisi isterica.
«Non posso credere che l’unico pensiero che ti passi per la testa, prima di ‘Oh, uno dei miei amici sta male, forse dovrei aiutarlo’» asserì sconvolta, cercando di imitare la voce di Albus «invece sia, ‘Oh, adesso ho una possibilità con la ragazza del mio migliore amico’! Dio, Albus, ma ti rendi conto? Vuoi davvero finire nei guai con i tuoi amici?» si agitava e muoveva lungo tutto lo scompartimento, mentre Albus la seguiva con lo sguardo e a bocca aperta, «Oh, certo! Perché no, Rose! Magari faccio loro da Cupido e li faccio tornare insieme, no? È questo che suggerisci?» ribatté il ragazzo, alzandosi a sua volta, e agitando le braccia. Rose sbuffò, e si sfregò la mano sul viso.
«Credi che non sappia che lei è la ragazza di uno dei miei migliori amici? Credi che io voglia recargli dispiaceri? Rubargli la ragazza? Anche se Alexandra è stata con Lorcan, ciò non mi impedisce di avere la mia possibilità con lei! Lo sai che ho sempre avuto interesse per lei, e non voglio arrendermi così. È il mio ultimo anno, per Merlino! Voglio anche io costruirmi bei momenti, capire cosa fare di me stesso! Tu più di tutti dovresti capirlo, Rose» Albus era sempre stato frustrato all’idea del suo ultimo anno ad Hogwarts. Si lamentava spesso di voler trovare il suo posto nella comunità magica, e di non essere ricordato soltanto come ‘Il Secondogenito del Prescelto’ o come ‘Il ragazzo con gli occhi di Lily’. Voleva essere ricordato con un suo titolo, che non avesse niente a che fare con la sua famiglia. Dalla sua nascita era sempre stato in prima pagina, sui giornali del Mondo Magico, per qualsiasi stupidaggine; dal suo primo dentino, al suo primo bagnetto, alla prima volta su una scopa. Era stanco di tutte quelle attenzioni dovute solo al suo cognome.
Persino suo fratello era riuscito a distinguersi dal suo cognome, anche se era pur sempre legato ad un talento di famiglia, ma almeno aveva il suo futuro, lo stava costruendo, per quanto fosse un completo cretino.
Lui invece non riusciva mai ad avere abbastanza per far capire agli altri che non era solo Albus Severus Potter, figlio di Harry Potter, ma qualcuno che era bravo in qualcosa.
Rose, Molly, Lucy e Louis, erano gli studenti migliori di Hogwarts dopo sua zia Hermione. James era diventato campione nazionale di Quidditch. Victoire e Dominique avevano aperto una sua boutique insieme a Diagon Alley, partendo da un passatempo che avevano dall’età di dieci e cinque anni, che ora esportava anche in Francia e in Italia. Fred aveva creato una nuova linea di fuochi d’artificio spara-caramelle, e lavorava al negozio del padre. Roxanne ne faceva perfettamente le veci, dando il tormento alla McGranitt e persino a Pix. Lily e Hugo erano i gemelli teste rosse, bravissimi a Quidditch, e praticamente gli studenti più in gamba di Hogwarts. Chiunque passava due minuti con loro, voleva essergli amico, attiravano le persone.
E lui? Lui era il primo Serpeverde della famiglia. Cosa che, all’epoca, sconvolse l’intera comunità magica. Era sempre stato visto di traverso, Albus, come se avessero tutti paura che Voldemort potesse ritornare tramite lui. Erano girate moltissime storie su come Albus potesse essere finito in quella Casa purtroppo ancora inquinata di pregiudizi, malgrado gli sforzi dei suoi componenti per estirparli. Tutti avevano pensato che in realtà dentro di Harry fosse rimasto almeno un briciolo dell’anima di Voldemort, e così avevano tutti ipotizzato che Albus fosse la parte dell’Horcrux che risiedeva in Harry, e che probabilmente la fine di tutto sarebbe venuta per colpa sua. In fondo, “Com’è possibile che il ragazzo sia l’unico ad avere gli occhi del padre? Sarà un evidente segno della sua indole malvagia?” ribadiva sempre Rita Skeeter.
«Io non dico che tu non debba avere possibilità con lei, Albus» riprese dopo un po’ di silenzio Rose, «Dico solo che non mi sembra appropriato che tu ti faccia avanti ora che lei e Lorcan si sono appena lasciati. È meschino. E tu non sei un ragazzo meschino, Al. Tu sei la persona più gentile e adorabile che io conosca, e questo devi dimostrarlo anche ad Alexandra, se vorrai conquistarla come si deve» «Ma… Rose, io…» «Fammi finire» lo bloccò con un gesto della mano «So che aspetti da anni la possibilità di farti avanti, ma queste cose richiedono tempo, okay? Dalle il suo tempo, lo apprezzerà. Fai un passo alla volta, Albus. Promettimelo»
«Va bene. Lo prometto» rispose Albus, poi si risedette, e con sguardo triste osservò il finestrino.
Rose si rigettò sul sedile, riacquistò la sua posa e riprese in mano il libro, ma subito dopo le venne da imprecare contro tutti i maghi e le streghe di quella terra, anche se non lo fece, essendo una ragazza pacata e tranquilla, perché qualcuno bussò sulla porta dello scompartimento. Lanciò un’occhiata ad Albus, che era troppo occupato a seguire il tracciato delle montagne, e poi si alzò sbuffando.
Sulla soglia si stagliava la figura più irritante del popolo maschile di Hogwarts: Marcus McLaggen, un cafone di Grifondoro che le faceva la corte da tempo immemore, senza mai afferrare il concetto di rifiuto. Aveva la stazza di uno scimmione alto un metro e ottanta, con due spalle enormi, e la testa a pera, che lo facevano sembrare anche più stupido di quello che davvero era.
All’altezza del petto, portava una spilla terribilmente simile a quella che Rose aveva ricevuto insieme alla raccomandata che l’aveva informata del suo titolo di Caposcuola.
Alla ragazza venne praticamente da piangere. Un anno intero a pattugliare i corridoi con McLaggen. Non poteva esserci nulla di peggio. Anzi, no. Qualcosa di peggio c’era sicuramente.
«McLaggen» lo salutò freddamente. «Ehi, Rosellina. Come ti va la vita? Ti ho scritto svariate lettere quest’estate, ma non ho mai ricevuto una risposta. Hai avuto problemi?» fece Marcus, tutto d’un fiato, «Ehm, probabilmente non le ho ricevute perché ero alla Tana, dai miei nonni. Sai, passiamo sempre l’estate lì» rispose Rose «Io sapevo che ci passassi solo il mese di Luglio» ribatté McLaggen. Rose sgranò gli occhi. Come diavolo faceva a sapere una cosa del genere? Merlino, quel ragazzo era davvero una piaga.
«Oh, allora non saprei, magari il tuo gufo era ubriaco. Troppo idromele» e fece una smorfia simile ad un sorriso, poi fece per chiudere la porta dello scompartimento, ma McLaggen la fermò con un piede, «Dovevo dirti che tra un quarto d’ora ci troviamo alla Carrozza dei Prefetti per conoscere gli orari di ronda notturna, e quindi devi sbrigarti a mettere la divisa»
«Ti ringrazio molto dell’informazione, mi vado subito a preparare» rispose Rose, e spinse la porta per cercare di far spostare quel colosso che impediva la sua chiusura, ma McLaggen stava guardando all’interno dello scompartimento, «Sei da sola?» chiese.
«No, c’è Albus con me. Senti, ci vediamo alla Carrozza» disse la ragazza, spingendo di più la porta. Il ragazzo non si mosse, «Se vuoi posso rimanere con te» propose, «No, grazie. Devo cambiarmi» ribatté Rose a tono, «Per me non è un problema» rispose questi con un ghigno.
«Oh, ma lo è per me. Ciao» fece Rose, e riuscì finalmente a richiudere la porta dello scompartimento.
Rose si passò una mano sulla fronte, poi prese la valigia da sopra la reticella porta-bagagli, prendendo la divisa ben piegata e stirata. Si girò verso Albus, ancora profondamente concentrato sulla vista fuori dal finestrino, battendo un piede a terra. Il ragazzo si girò lentamente verso la cugina, e mugugno un: «Mh?»
«Devo cambiarmi. Vai fuori» disse semplicemente. Albus si alzò di malavoglia, e si trascinò verso la porta, la aprì, e uscì in corridoio.
«Fai la guardia», in risposta Albus batté la testa contro il vetro, facendolo traballare leggermente.
Rose si svestì in fretta, e si mise le calze e la gonna. Abbottonò la camicia, e la infilò nella gonna. Mise il maglioncino, e si fece il nodo alla cravatta, riponendola accuratamente dentro il colletto del maglione. Poi si infilò le scarpe, e appuntò sul petto la spilla da Caposcuola. Infine legò i capelli in una coda alta, cercando di riporre il suo ciuffo, che puntualmente ricadde sulla fronte della ragazza. «Ho fatto» decretò poi, e Albus rientrò. «Fortuna che sei veloce» fu il suo ultimo commento prima di ricadere in trance.
Anche Rose tornò alla sua postazione, riuscendo ad ottenere cinque minuti buoni di lettura, prima che la porta dello scompartimento si riaprisse di nuovo, facendo scattare in piedi la ragazza dalla frustrazione, e dopo che il disturbatore entrò nello scompartimento, la sua rabbia fu ancora di più.
«Ma cos’è, una maledizione?» esclamò verso il cielo, o meglio verso il soffitto.
Scorpius Malfoy era entrato con la divisa indosso, anche se non la portava di certo in maniera appropriata: non portava il maglione, aveva i risvolti alle maniche della camicia, che ora era praticamente una t-shirt a manica corta, la cravatta slacciata e penzolante, e i capelli completamente in disordine. Sembrava un maledetto barbone!
«Anche io sono contento di rivederti, Weasley. Non vieni a salutarmi?» fece Scorpius, aprendo le braccia, come ad accoglierla.
«Sono Rose Weasley, non Aberforth Silente. Io non parlo con le capre, Malfoy» rispose Rose, sputando sul cognome del ragazzo. Rose non aveva mai avuto pregiudizi, ma Scorpius Malfoy era il ritratto perfetto dell’arroganza, della meschinità e cattiveria della Casa Serpeverde, e non riusciva a capire come Albus potesse considerarlo il suo migliore amico.
Scorpius, in un gesto plateale, finse di prendere una freccia al cuore, mimando il dolore sul viso contratto in una finta smorfia, «Le tue parole feriscono più della spada, Weasley» disse «Ma, sfortunatamente, questa spada è smussata»
Rose ignorò le sue parole, «Sai che non è quello il modo di indossare la nostra divisa?» disse invece, incrociando le braccia, e squadrando il ragazzo con una smorfia di disgusto.
«Oh, ma se è la nostra divisa, ho tutto il diritto di indossarla come piace a me» ribatté con arroganza, tirando in su il colletto della camicia, ghignando «E poi, ho appena finito di chiacchierare con Martha Rogen, quindi» e il suo ghigno si aprì ancora di più alla faccia sconvolta di Rose, che esplose esclamando «Sul treno? Malfoy non hai il minimo del pudore! Sei l’essere più disgustoso dell’intero sistema solare» ed uscì dallo scompartimento, con i pugni serrati dalla frustrazione, e le orecchie rosse dalla rabbia.
Camminò a passo svelto, e si trovò a sbattere contro i gemelli Scamandro, che di sicuro stavano andando a raggiungere il resto della banda.
«Ehi, Rose, che hai?» fece Lysander, fermandola «Sembri furiosa» completò Lorcan.
«Io non sono furiosa, sono solo irritata! Oh, se sono irritata!» gridò, agitando le braccia, e proseguendo la sua avanzata, borbottando tra sé e sé.
I gemelli si guardarono sconvolti, e poi scrollarono le spalle, pensando che potesse essere facilmente giustificabile il perché dell’isteria di Rose.
Si diressero verso lo scompartimento di Albus, dove trovarono lui e Scorpius, e sembrava che il primo stesse rimproverando il secondo.
«Abbiamo visto Rose per il corridoio, sembrava una furia» incalzò Lysander, entrando e mettendosi a sedere di fronte ad Albus, sul sedile un tempo occupato dalla rossa. «Cosa è successo?» fece Lorcan, guardando Scorpius con le braccia incrociate, sedendosi di fronte a lui. «Ha cominciato lui» rispose Albus per il ragazzo, che saltò sul posto, boccheggiando come un pesce rosso, con le mani rivolte verso l’amico, «Ma cosa? È stata lei che ha cominciato ad urlare e a criticare il mio modo di portare la divisa» si difese questi.
«In effetti, è questo il suo compito» rispose Lorcan, «È una Caposcuola, ed è stata Prefetto. Deve far notare queste cose» «E anche tu sei un Caposcuola, idiota» intervenne Albus, incrociando le braccia, e appoggiandosi allo schienale.
«Ero con la Rogen! Quella ragazza è una belva!» tentò di giustificarsi, cercando supporto in almeno uno dei tre, ma tutti si dimostrarono impassibili, «Non sono cavoli suoi se sono con una ragazza, sul treno» «Non è il fatto che eri con una ragazza sul treno!» spiegò Albus, allargando le braccia «Ma quello che facevate! Te lo ripeto: è una Caposcuola, tu sei un Caposcuola. Non dovete permettere cose del genere, e tu in primis non puoi infrangere le regole, Scorpius» proseguì. Gli altri due annuirono.
Scorpius sbuffò sonoramente, e sprofondò nel sedile, con praticamente solo la schiena e la testa sopra.
«Ora che abbiamo chiuso il fascicolo di Scorpius, apriamo quello di Lorcan» annunciò Lysander dopo un po’.
Era arrivato il momento, e Albus si ricordò di fingersi più sorpreso e sconvolto possibile. Scorpius, con il mento e il collo che ormai erano un tutt’uno, inarcò le sopracciglia, e Lysander lanciò un’occhiata di incoraggiamento al fratello, che teneva lo sguardo basso e fisso sulle mani incrociate. Si scostò una ciocca di capelli dal viso, «Io e Alexandra ci siamo lasciati» disse, senza guardare in faccia nessuno. La frase rimase a fluttuare per un po’ sopra le loro teste, poi Scorpius rizzò la schiena, ed esclamò «Scherzi, vero?». Lorcan scosse la testa.
«Non è stato esattamente brutto. È stato solo… amaro» proseguì il ragazzo. Albus rimase completamente immobile, come se avesse paura che il minimo respiro l’avrebbe tradito, e la sua gioia per la notizia sarebbe evasa.
Però si rese conto che rimanere completamente in silenzio sarebbe stato peggio, «Che è successo?» chiese. Fortunatamente, nessuno lo guardò male, e rimasero tutti concentrati su Lorcan.
«Oh, niente di strano. Insomma, l’abbiamo deciso insieme. Non funzionava più» rispose, con una scrollata di spalle «Probabilmente non ha mai funzionato» sorrise mestamente.
«Non dire stronzate, Lorcan» intervenne Scorpius, «Stavate insieme dal quarto anno. È evidente che non funziona più per colpa sua»
Albus lo guardò fermo, pensando che avrebbe voluto ribattere che non era di certo colpa di Alexandra, se Lorcan non riusciva a soddisfarla, ma poi si rese conto di quanto quel pensiero fosse cattivo e sbagliato da parte sua, rivolto all’amico. Tornò a concentrarsi sul racconto di Lorcan.
«Non significa necessariamente che lei fosse contenta. A dirla tutta, nemmeno io lo ero. Insomma, la nostra relazione è sempre stata una situazione di convenienza. Non passavamo tempo insieme se non per studiare, e diciamo che era davvero l’unica cosa che facevamo» ammise mestamente. Scorpius parve sconvolto, «Non-non avete… mai? Mai sul serio?» domandò a bocca aperta. Lorcan, imbarazzato, annuì. Scorpius rimase di stucco, e poggiò la testa sullo schienale, «Ora capisco» rise «Ma tu guarda che stronza» «Scorpius, vacci piano» lo riprese Lysander «È anche tua amica» fece Albus, tentando di reprimere il desiderio di voler strozzare Scorpius per come aveva definito Alexandra, «Siccome sono cresciuto con lei, non significa che devo necessariamente essere il suo amico del cuore. È cinica e antipatica, e non la sopporto, mi dispiace» rispose Scorpius, alzando le mani per rendere inattaccabile la sua giustifica.
«È incredibile sul serio quanto le ragazze siano assatanate e dipendenti del contatto fisico. E voi che rimproverate me!» esclamò Scorpius, scuotendo la testa. «Ma che diavolo stai dicendo?» fece Lysander, con le sopracciglia inarcate. Scorpius sbuffò, pensando a quanto fossero stupidi a non aver capito le sue parole, «Ma insomma, non avete capito? Alexandra ti ha lasciato perché tu non te la sei fatta!» e fu il più schietto possibile. I ragazzi lo guardarono in un misto di sconvolgimento e confusione. «Non è il tipo» decretò Lysander, «Sono d’accordo» asserì Albus, senza aggiungere nient’altro che potesse metterlo nei guai. Lorcan rimaneva in silenzio, probabilmente valutando la questione.
«Se solo aveste idea di cosa farebbero le ragazze per un po’ di sesso, rimarreste più scioccati di quanto lo siete adesso. Poveri bambini» fece Scorpius, «Avreste dovuto vedere cosa mi ha fatto la Rogen. Quella ragazza è incredibile» disse, ripensando alla ragazza con aria trasognata. Gli altri tre fecero una smorfia, «Non vogliamo nemmeno lontanamente immaginarlo» rispose Lorcan, «Il fatto è, amico mio, che tu hai sbagliato. Dovevi fartela, e avresti risolto tutto. Non dovevi parlare. Dovevi solo agire. Ma, mio caro sprovveduto, zio Scorpius ha la risposta per te…» disse Scorpius, incrociando le braccia dietro la testa «Vai da lei, e sbattila al muro» fu la sua soluzione.
Probabilmente si aspettò degli applausi, ma quello che ricevette fu un pugno sul braccio da parte di Albus, che troppo tardi si accorse che così avrebbe destato sospetti, anche se invece, ricevette solo un «Grazie, Al» da Lorcan, e un lamento da Scorpius.
«Ti conviene non parlare più, Scorpius» gli consigliò Lysander, «Comunque» riprese Lorcan «Non potrei mai rimettermi con lei. Non voglio che sia infelice ancora. Quindi, ora, ognuno per la sua strada» concluse.
Albus lo guardò intensamente, aspettando quasi che cambiasse subito idea e si alzasse dal sedile per andare a eseguire la strategia di Scorpius. Rabbrividì al pensiero, ma Lorcan rimase lì, in silenzio.
«Bah, ma allora io a cosa servo?» proruppe Scorpius, alzandosi «Dove vai?» chiese Albus, «Ho la riunione con i Prefetti e i Caposcuola per l’assegnazione delle ore di ronda. Poi magari ripasserò dalla Rogen» disse, facendo l’occhiolino ai compagni, che però non ricambiarono.
All’ennesimo segno di incomprensione, Scorpius uscì dallo scompartimento, borbottando su quanto fossero idioti e su come non capissero niente dei piaceri della vita, e del sesso.
«Non irritare Rose» gli raccomandò dietro Albus, mentre Scorpius spariva dietro un gruppo di ragazzi che passava di lì in quel momento.



Dopo la riunione con i Prefetti e i Caposcuola, Rose era tornata nella carrozza insieme a Lily, non volendo assolutamente sopportare un minuto di più l’Albus silenzioso e arrabbiato, o peggio, un Malfoy cafone e arrogante che si vanta delle sue opere a bordo dell’Hogwarts Express. Ora se ne stava seduta in fondo allo scomparto che Lily condivideva con Hugo, Lucy e Roxanne, che giocavano a Spara Schiocco, senza nemmeno la possibilità di leggere il suo benedetto libro, visto che l’aveva lasciato dall’altra parte del treno.
Inoltre, aveva ricevuto parecchie notizie orribili riguardo quell’anno, che a quel punto, si avviava ad essere il più stressante della sua vita scolastica: i turni di ronda notturni per i Caposcuola erano stati organizzati in modo che due Case – quindi quattro Caposcuola – girassero a zonzo per il castello a controllare che non ci fossero scappatelle fuori orario, e studenti fuori dal letto. Quando Rose, sconvolta dalla notizia, aveva chiesto perché, Lucas Macmillan, che era stato il responsabile della cura degli orari, le aveva risposto che Gazza aveva chiesto alla McGranitt di poter intervenire direttamente con punizioni fisiche, in caso di studenti in giro dopo il coprifuoco, senza commissione della Preside, e lei aveva proposto di raddoppiare le guardie a sua disposizione, per coprire una parte della notte più avanzata.
“Certo” aveva pensato Rose, “così oltre a passare una notte con McLaggen, potrei avere la sfortuna di sopportare anche Malfoy”. Sbuffò sonoramente, ripensando alla sua entrata trionfale nella Carrozza dei Prefetti, dove si era intrattenuto nell’arte del fare l’occhiolino alle ragazze abbastanza stupide da cascarci o, come lo definiva Rose, l’epilessia della capra. Sul serio, sbatteva le palpebre come un individuo in preda ad una forte epilessia, infatti sembrava che tutto il corpo si muovesse insieme a lui in modo convulso, tanto da sembrare una scimmia che tenta di grattarsi le pulci. Rose rise del suo paragone, attirando l’attenzione del fratello, che inarcò la fronte, vedendo la sorella ridere da sola, senza un’apparente motivazione.
«Ridi anche da sola, fantastico» disse Hugo, facendo voltare le cugine per capire a cosa si riferisse. Rose arrossì un poco, colta nel fatto, e agitò le mani per far capire di lasciar perdere, «Ridevo per conto mio. Continuate pure» «L’ho notato, e mi preoccupi» ribatté il rosso, poi si concentrò di nuovo sul gioco.
«Indovinate cos’ho sentito in corridoio, prima» proruppe agitata Roxanne ad un tratto, scuotendo le braccia sopra la sua testa, come un mulino a vento in mezzo ad una tempesta «Chrystal Doyle si è ritirata»
«Cosa?»
«Fai sul serio?»
«Ma non è possibile, Roxanne!» scattarono le voci da tutti i presenti nello scomparto. Roxanne annuì, con l’aria di chi la sapeva lunga su tutto e tutti. «I genitori non l’hanno iscritta per il settimo anno»
Chrystal Doyle era una ragazza di Corvonero, che aveva il vanto di detenere un record di venti relazioni sessuali in un anno solo, il precedente. Nonostante ciò, nessuno si azzardava a soprannominarla ‘troia’, o ‘poco di buono’, perché ai ragazzi andava benissimo intrattenersi con lei, e in qualche modo, questo le procurava una buona dose di rispetto da parte di tutto il popolo maschile di Hogwarts, e l’odio profondo da parte di quello femminile. E non era nemmeno la parte più assurda della sua carriera, perché questa era iniziata praticamente come un business personale, avviato dal primo rapporto della ragazza, e stranamente, chi poteva essere stato a infonderle questa voglia irrefrenabile di avere rapporti? Scorpius Malfoy.
Dopo che il ragazzo l’aveva, come da protocollo, respinta dopo la loro notte passata insieme, lei aveva pensato bene di vendicarsi su di lui, facendosi tutto il resto degli studenti, come se a Malfoy fregasse qualcosa, come se gli fosse mai fregato qualcosa di qualcuno.
«Oh, ma non è ancora arrivata la parte più scioccante, perché… rullo di tamburi» fece, mimando le bacchette sulla batteria «È rimasta incinta!» e qui anche Rose saltò dal sedile, sconvolta.
«Non ci credo» boccheggiò Lily, mentre Roxanne annuiva con le sopracciglia alzate in segno di vittoria.
«Probabilmente è stato Malfoy a metterla incinta» intervenne aspramente Rose, «Non penso proprio, Rose» rispose Roxanne «Se l’era già fatta una volta. Malfoy non si ripassa mai le sue vittime. Per lui è come…» «Spolpare un osso senza carne» completò Lily, facendo poi una smorfia disgustata. Diciamo che Malfoy non era particolarmente simpatico a nessuna delle Weasley. Lily si limitava a tollerarlo e ad evitare di dire cattiverie in suo conto solo perché era il miglior amico di suo fratello, e perché suo padre riteneva che dovesse imparare a superare quei pregiudizi vecchi di un ventennio, e provare ad apprezzare certi cognomi. La verità era che Lily trovava Malfoy idiota, maschilista, narcisista, superficiale, meschino e tantissimi altri dispregiativi che non erano legati esattamente al suo cognome.
«In realtà pare che sia stato un ragazzo babbano, mentre era in vacanza con la sua famiglia in Spagna, quest’estate. Assurdo, no?» fece Roxanne, ridacchiando. Aveva sempre odiato quell’ochetta da strapazzo, e ora forse era la ragazza più felice sulla faccia della terra.
Chiuso l’argomento, i ragazzi ripresero a chiacchierare del più e del meno, mentre la partita di Spara Schiocco era stata abbandonata.
Dopo un quarto d’ora, quando ormai il cielo si era tinto di un blu che man mano diventava più intenso, Lucy indicò il finestrino, da cui finalmente si scorgevano le forme e le ombre del castello in lontananza, e la stazione di Hogsmeade si avvicinava.
Poco dopo entrarono in stazione, e con un ultimo movimento dei pistoni, e il fischio della locomotiva, le porte dell’espresso si aprirono, rivoltando all’esterno centinaia di studenti, tutti in divisa. Hagrid si stagliava in tutta la sua stazza sugli alunni del primo anno, e quando vide uscire varie teste rosse, cominciò ad agitare la sua manona per salutarli, spaventando i bambini, che tentavano di ripararsi sotto i mantelli dei compagni, per evitare che il mezzo gigante li sparasse sul binario. Rose, Lily, Roxanne e Lucy gli andarono incontro e lo abbracciarono, mentre Hugo, da bravo Prefetto, si assicurava che i novellini non fossero stati traumatizzati.
«Oh, eccovi qua! Vi aspettavo da parecchio, volevo essere il primo a vedervi. Per Diana, quanto siete cresciuti!» disse, allontanandosi di qualche passo per guardare bene i ragazzi, «E dov’è il resto della banda?» «Credo stiano scendendo… oh, ecco Albus. Ehi, Al!» chiamò Lily, vedendo il fratello uscire dalla carrozza, ma a questo non serviva di certo qualcuno che gli rivelasse la loro posizione: Hagrid era l’unica cosa visibile in mezzo a tutto quell’ammasso di teste e divise, di gufi, rospi, gatti e bagagli.
Al suo seguito c’erano i suoi compari: Lysander, Lorcan e Malfoy, con l’aggiunta delle guest star Avery, Mulciber e Mason.
Si avvicinò spintonando tra la folla, e corse ad abbracciare Hagrid, che lo stritolò, facendolo scomparire per metà corpo in mezzo alla barba. Poi salutò anche i gemelli e Scorpius, gli altri tre si mantennero a distanza: non trovavano Hagrid per niente degno di loro, e la cosa era reciproca.
Rose si guardò attorno, poi salutò velocemente Hagrid, e baciò sulla guancia Lily e il fratello, augurando loro in bocca al lupo con i piccoletti, poi si allontanò per recuperare Alexandra che di certo non si sarebbe avvicinata a lei con Lorcan affianco, ma non prima di sentire Malfoy dire: «E a noi non dai un bacino, Weasley?» scoppiando a ridere un secondo dopo, stroncato poi da una gomitata in pieno petto da parte di Albus.
«Finiscila» lo rimproverò, poi andarono anche loro a raggiungere le carrozze, dopo che anche Albus ebbe augurato buona fortuna alla sorella e al cugino.






Albus atterrò sull’ultimo scalino dell’entrata di Hogwarts, poggiandosi allo stipite del portone di quercia, «Io. Odio. Quelle. Carrozze» mormorò, scandendo a fatica le parole.
«Mamma mia, quanto sei melodrammatico, Albus» fece Lorcan, con un gesto della mano, «Ma io vi giuro che ‘stavolta li ho sentiti sul serio!» protestò il ragazzo, rialzandosi per raggiungere gli amici, che si apprestavano a fare la loro entrata trionfale senza di lui. Si posizionò al fianco di Scorpius «Ne ho sentito uno respirare sul mio collo!» fece, toccandosi il collo, e le clavicole attraverso la camicia, come se una forza oscura lo stesse opprimendo, togliendogli il fiato. Scorpius gli tirò una manata dietro la nuca, e Albus decise di lasciar perdere i Thestral. Da quando suo fratello James aveva iniziato a terrorizzarlo su queste innocue ma inquietanti creature, non era mai riuscito a superare la sua fobia, perché avvertire la loro presenza era come avvertire la morte che ti sfiora ma non ti tocca, e questo era un incubo. Quando Albus tornava ad Hogwarts, aveva i Complessi da Nuovo Anno, e tra questi era incluso il viaggio insieme ai Cavalli della Morte, che era forse la parte peggiore del tornare a scuola. Aveva provato tante volte a dire agli altri che gli sembrava di sentire i loro respiri, e visto che loro non tolleravano il discorso – che era diventato irritante – Albus pensava non riuscissero ad avvertirlo come lui, e che quindi, in qualche modo, fosse strettamente collegato alla morte.
I tre ragazzi sembrarono più concentrati sulla struttura che avevano davanti agli occhi, e guardarono intensamente la cima del portone, probabilmente pensando che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbero entrati il primo settembre ad Hogwarts. L’anno successivo sarebbero stati… be’, sicuramente altrove, visto che per molti era un’interrogativa assidua e irrisolta, quella sul futuro di ognuno di loro.
«Oh, be’, a questo punto, ci stanno superando tutti» fu Lysander a rompere il silenzio gravoso che era calato su di loro, che li avvolgeva nei loro pensieri «Meglio entrare prima che inizino senza di noi» «Non potrebbero mai» rise Scorpius. Ed entrarono con il cuore in mano.


La Hogwarts che avevano conosciuto loro, purtroppo, non era la stessa di quasi trent’anni prima: dopo la Guerra era stata ricostruita dal niente e in pratica non c’era nemmeno un mattone perfettamente uguale al suo antenato. A volte era brutto pensare che in realtà, Hogwarts era di per sé un surrogato di Hogwarts. Bruciava il cuore a pensarci.
Loro però non si erano mai fatti troppi problemi in merito, in quanto adorassero quella scuola, di trenta o di migliaia di anni che fosse. Era Hogwarts, non cambiava poi tanto. Certo, non potevano dire cose del tipo “Qui sedeva mia mamma trent’anni fa!” o “Probabilmente il mio letto apparteneva al mio stesso nonno”, ma insomma, faceva lo stesso.
Appena entrati, i ragazzi furono investiti dal chiacchiericcio frenetico ed eccitato degli studenti, ansiosi di cominciare un nuovo anno, e dall’odore inconfondibile delle cucine di Hogwarts a lavoro. In giro si vedevano anche alcuni gufi che sorvolavano le teste dei padroni, o si appollaiavano sulle colonne alte, «Spero non sentano alcun bisogno di espurgare, mentre sono in traiettoria delle nostre teste» commentò Lorcan, riparandosi con il lembo del mantello.
I quattro ragazzi si avviarono verso la Sala Grande, già occupata per tre quarti. In fondo alla Sala, la McGranitt sedeva sul trono che un tempo era appartenuto a Silente, e parlava animatamente con il professor Vitious, che in altezza le toccava la spalla da seduto, ma solo perché sul suo posto sistemavano sempre tre o quattro cuscini che lo rialzassero quel che bastava per non farlo rimanere con il naso che toccava la superficie del tavolo. Tutti i professori erano seduti e pronti ad accogliere i nuovi ed i vecchi studenti. Persino la Cooman si era degnata di far loro la grazia della propria presenza.
Albus individuò le cugine al tavolo dei Grifondoro, e mandò loro un cenno di saluto. Hugo e Lily probabilmente non avevano ancora finito di occuparsi dei novellini. Si concesse anche uno sguardo al tavolo dei Corvonero, con la scusa di salutare Lucy e Louis, ma in realtà cercava Alexandra: la ragazza però era occupata a chiacchierare con due ragazze – probabilmente sue amiche –, e oltretutto era girata di spalle. Lorcan li salutò, e si andò a sedere al tavolo dei Corvonero, e Albus pregò che non gli venisse in mente di mettersi accanto ad Alexandra. Fortunatamente non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello.
I tre presero posto accanto a Mulciber, Avery e Mason.
«Ci avete messo parecchio» constatò Mulciber, «Stavamo progettando un’entrata degna dell’ultimo anno» rispose Lysander, «Già, non puoi entrare e basta, al tuo ultimo anno. Deve esserci almeno una commemorazione» fece Albus.
Le porte della Sala si aprirono, e Hagrid fece il suo ingresso portandosi dietro una marmaglia di undicenni spaventati, che guardavano il soffitto, e che si lanciavano sguardi attorno, attenti a non incrociare gli occhi di nessuno, come per paura di dar inizio ad una battaglia corpo a corpo. Altri invece – più che altro i Purosangue di nascita – si vantavano con i compagni sulle loro conoscenze, e sul passato di Hogwarts, e alcuni salutavano amici o parenti seduti ai tavoli, e in risposta ricevevano dei pollici in su di incoraggiamento. Nel frattempo, il Cappello Parlante era stato portato davanti al tavolo dei professori, sopra il suo sgabello, e iniziava a fremere dalla voglia di cominciare la sua nuova canzone.
La McGranitt si levò in piedi, e la Sala calò in un religioso ed eccitato silenzio. L’anziana preside, ancora con il suo chignon – stavolta di capelli bianchi – ben in alto, e il cappello dritto sulla testa, avanzò a schiena dritta, per quanto la sua età lo permettesse, fiera come sempre.
Prese la pergamena con l’elenco di studenti nuovi che un Prefetto di Tassorosso le porse, e la McGranitt la spiegò. Il Prefetto tornò davanti al suo tavolo, insieme alla compagna: tutti i Prefetti da un po’ di anni a quella parte, venivano posti davanti ai tavoli delle loro rispettive Case, per accogliere meglio i ragazzini.
Il Cappello cantò la sua canzone, e la McGranitt chiamò «Aderly, Stephanie», dando inizio allo Smistamento.

«Miei cari studenti» esordì la McGranitt, dopo lo Smistamento, tornata al suo posto «Ci accingiamo a cominciare un nuovo meraviglioso e pieno anno, qui ad Hogwarts. Come sempre, le solite raccomandazioni valgono per tutti, e il mastro Gazza mi ricorda di informarvi che quest’anno, per motivi di sicurezza, i Caposcuola svolgeranno le loro ronde notturne, insieme ad un’altra Casa. Saranno quattro Caposcuola per ogni ronda, e a turno saranno girate le combinazioni delle Case. L’attraversamento della Foresta Proibita è severamente vietato e precluso a tutti gli studenti, anche i più adulti» disse, guardando tutta la Sala con sguardo truce «Come sapete, le lezioni riprenderanno Lunedì 4 settembre, per il finesettimana che abbiamo di mezzo, perciò siate liberi di considerarlo un allungamento delle vacanze estive, ma non ne approfittate troppo.
«Bene. Non voglio trattenervi oltre, facendovi desiderare troppo le nostre pietanze, quindi auguro a tutti un nuovo splendido anno, pieno di successi e gioie, e buon appetito a tutti» concluse, allargando le braccia come ad abbracciare tutti gli studenti, e risedette al suo posto. Da qui seguì uno scroscio di applausi da parte degli studenti.
I tavoli vennero ingombrati di ogni tipo di cibo, e i ragazzi iniziarono a servirsi, riempiendo i piatti fino a scoppiare.
Rose si concesse una manciata di minuti ad osservare i nuovi acquisti di Grifondoro di quell’anno, pensando amaramente che quello a cui aveva assistito sarebbe stato il suo ultimo Smistamento. Per lei sarebbe stato difficile godersi appieno quell’anno, senza avere il pensiero fisso che ogni suo sguardo, ogni suo respiro, ogni sua risata, ogni sua parola sarebbe stata l’ultima in quel luogo magico che l’aveva cresciuta proteggendola dal mondo di fuori dentro le sue calde mura. Rose aveva tantissimi ricordi, ed era convinta che quell’anno ne avrebbe dovuti costruire altri, un po’ più importanti dei precedenti, per non sprecare il suo tempo.
«Rose, lo sformato si fredda» la richiamò Lily, facendo un cenno verso il piatto della cugina, ancora intoccato, «Giusto. Stavo solo pensando che questo è stato il mio ultimo Smistamento» rispose, sorridendo amareggiata, abbassando lo sguardo verso il suo cibo. Lily e Hugo si scambiarono un’occhiata, «Oh, andiamo, Rose» intervenne il fratello «Sarà l’ultima volta da studentessa. Tra qualche anno tornerai qui ad insegnare a questi nanerottoli Trasfigurazione!»
«Hugo!»
«Be’, è vero, sono minuscoli…»
«Lo so, ma non puoi chiamarli nanerottoli!*» ribatté Lily, tirandogli il tovagliolo sul braccio.
Rose sorrise ai due ragazzi, contenta che l’avessero sviata da quel pensiero. Non poteva permettersi di amareggiarsi ogni qual volta le capitava un momento unico dell’anno scolastico, che sarebbe stato l’ultimo. L’avrebbe consumata.
La cena proseguì senza intoppi o eccessivi attimi di tristezza, fino a quando l’intero corpo scolastico non fu a pancia piena, e con il sonno che chiudeva loro gli occhi non si mosse con un sonoro grattare delle panche di legno, e gli studenti cominciarono a riversarsi fuori dalla Sala con una tremenda confusione, mentre i Prefetti cercavano di raggruppare i novellini.
«Ehi, primo anno! Qui!» gridavano i Serpeverde, che imposero i bambini in una riga perfetta.
«Forza, ragazzi, seguiteci» facevano amorevolmente i Tassorosso.
«Corvonero, primo anno» dissero semplicemente i Prefetti Corvonero, e gli studenti li seguirono a testa alta ma passo un po’ incerto.
Invece, i Grifondoro avevano avuto qualche difficoltà, «Voi, venite qui!» gridò Hugo a tre studenti che cercavano di sgattaiolare per conto loro «Credete di poter trovare la strada da soli? Be’, impossibile! Persino io che sono qui da più tempo di voi continuo a perdermi» fece, non scaturendo esattamente l’effetto voluto, perché i bambini al posto di prenderlo sul serio, cominciarono a deriderlo. A quel punto intervenne Lily, «Ascoltate un po’, è il vostro primissimo giorno del vostro primo anno, e io posso togliervi più punti di quanti mai riuscirete a far guadagnare alla vostra Casa nei sette anni che vi ritroverete qui. La Casa di Godric Grifondoro è una delle più rispettate degli ultimi due secoli, perciò se non volete essere la causa della sua rovina, state buoni, e ascoltate quello che diciamo io e il mio compagno. Sono stata chiara?» fece la ragazza, spaventando persino Hugo. I bambini si rannicchiarono terrorizzati.
«Sì» annunciarono in coro.
«Sì, cosa?» incalzò Lily, con perfetta aria da dittatrice.
«Sì, signorina…» i bambini non sapevano ancora il nome né tantomeno il cognome di Lily, perciò Hugo venne in loro soccorso, «Lily!» sussurrò loro.
«Sì, signorina Lily!» ripeterono all’unisono. Lily sorrise soddisfatta, poi salirono fino al settimo piano del castello, dove i Prefetti mostrarono la Sala Comune di Grifondoro agli studenti, indicando poi loro i Dormitori dove avrebbero alloggiato per il resto della loro carriera scolastica. Con un ultima minacciaconsiglio da parte di Lily, e l’invito di Hugo di rispettare il coprifuoco e andare a letto, i novellini si dispersero nelle camere da letto.
Hugo e Lily si rovesciarono accanto alle cugine, sedute di fronte al camino spento della Sala Comune.
«Non credo di voler passare il resto dell’anno a voler controllare questi marmocchi» si lamentò Lily, «Menomale che non dovevamo chiamarli marmocchi» la riprese Hugo, guardandola storto.
«Ho detto che non devi chiamarli nanerottoli, non marmocchi» si difese Lily, e Hugo le tirò il cuscino addosso, ma prima che la ragazza potesse ucciderlo, Molly fermò entrambi.
«No!» si lamentò Roxanne, «Volevo vedere uno sgozzamento di inizio anno! Sei una guastafeste, Molly» la cugina la liquidò con una smorfia, poi si risedette.
Trascorsero un’altra oretta buona a chiacchierare del più e del meno, dei progetti per il nuovo anno, del Quidditch, della Coppa delle Case, dei G.U.F.O., dei nuovi obbiettivi che si erano prefissi. Tutte cose che Rose avrebbe fatto per l’ultima volta, così la ragazza pensò di non voler rovinare l’entusiasmo delle sue cugine e di suo fratello, decidendo di togliere il disturbo.
«Sono stanca, andrò a dormire» annunciò, «Ma dai, Rose! È ancora presto» si oppose Lily, «Già. E poi stavamo arrivando all’argomento gossip» fece Roxanne, con un ghigno malizioso sul volto.
«No, sul serio. Ho sonno. Tanto abbiamo tutta domani per spettegolare» sorrise, poi salutò con un gesto della mano, e salì le scale diretta al Dormitorio.
Quanti momenti le sarebbero mancati, una volta finito giugno. Sapeva già cosa voler fare della sua vita, ma era come se ci fosse un presentimento sbagliato dentro di lei, come se avesse commesso un passo falso, senza accorgersene. Come se un tassello si fosse incastrato male, e lei, imperterrita, stesse continuando a premere su di esso per forzarlo a sistemarsi nel posto sbagliato.



*la citazione di Albus Silente è stata ripresa dagli scritti di J.K. Rowling, idem con la ripresa di uno dei dialoghi tra Ron e Hermione nell'Ordine della Fenice (edizione 2012, pagina 226), riadattata per Lily Luna Potter e Hugo Weasley.









Note di Ilhem: Ecco come promesso il riadattamento (anzi, la rivisitazione completa) del primo capitolo di 'The Countdown of the New Generation'. Il capitolo, come avete letto, è molto diverso da quello dell'altra versione, perché alcuni capitoli saranno riscritti da zero. Come avevo già detto nel messaggio di cancellazione dell'altro format (che a questo punto non ci sarà più), terrò alcune idee, ma ciò non implica che riscriverò interi capitoli. Sono ripartita da zero, diciamo.
Bene, ora passiamo al punto di presentazione per coloro che sono approdati solo ora su questa storia, mi ripresento: Sono Ilhem Rowling, una delle tante autrici di questo forum che raccoglie scritti di personaggi sconosciuti ed esordienti, che lo fanno per puro divertimento e per migliorare il proprio talento.
La storia qui presente era già stata pubblicata (con lo stesso titolo, s'intende) nel 2013, ma per ragioni di discordanza dalla trama originale, errori di distrazione e di inappetenza da parte mia, verrà riscritta, oserei dire, da capo.
Con il vostro aiuto spero di ritrovare i lettori di sempre, che mi hanno sopportata in questi due anni, e trovarne di nuovi che sapranno darmi i giusti consigli e si appassioneranno alla storia, così come io ci tengo tanto, spero anche voi vi affezionerete a questi personaggi ristrutturati, e alla trama riguardata.
Non vedo l'ora di affrontare di nuovo questo viaggio, con più passione e dedizione di prima.
Vorrei spendere due parole per scusarmi, e poi dare il giusto saluto alla vecchia storia: Innanzitutto, mi scuso per aver fatto aspettare, alle volte, mesi per gli aggiornamenti, ma purtroppo, lungi dalla mia volontà, non potrò mai tenermi troppo ai tempi, per via degli impegni scolastici che torneranno più numerosi a settembre prossimo (visto che la scuola sta per concludersi), e di tutto ciò che comportano. Lo stesso è capitato per la stesura di questo capitolo di inaugurazione, che doveva uscire la settimana dopo di Pasqua, e invece è qui a Maggio, perché nonostante i professori si ostinino a rifilarci (permettetemi la parola) la cazzata del mese di Maggio libero da ogni impegno scolastico, è tutta una bufala, perché non ricordo di aver fatto più compiti e interrogazioni in tutto un anno che nei mesi di Aprile/Maggio. Perciò, eccomi qui, chiedo perdono.
Vorrei comunicare che, probabilmente, alcuni volti dei personaggi saranno cambiati, ma non è un dato certo.
Per i vecchi amici, spero gradirete questa nuova versione (sicuramente più ordinata), e per i nuovi: Benvenuti, spero rimarrete con me, (cito la Rowling) fino alla fine.
Non dovrebbe esserci altro per questo capitolo, solo non preoccupatevi per i prossimi, perché le vacanze sono alle porte, perciò avremo la possibilità di vederci (mi auguro) più spesso.
Spero di ricominciare con tantissimi nuovi lettorilettrici, e tante nuove recensioni da parte vostra. Un'opinione per me è sempre importantissima.
A presto,
Un bacione a tutti.
Ilhem.



P.S.:
ovviamente, le immagini già pubblicate della storia sono ancora presenti sul sito, le trovate ancora QUI

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Capitolo 2
*** La lettera ***


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Capitolo 2:
La lettera


Quell’anno, gli studenti avevano avuto la fantastica opportunità di iniziare le lezioni due giorni dopo il rientro del primo settembre. Era uso ad Hogwarts, in caso il rientro del primo settembre cadesse di venerdì o di sabato, ricominciare l’anno appena entrata la settimana, e anche quell’anno era andata così. La maggior parte degli studenti aveva usufruito dei due giorni che dovevano essere di vacanza, per finire i compiti che erano stati accantonati durante l’estate per causa di forza maggiore, o meglio per affannarsi a scopiazzare qualcosa dai compagni che avevano finito tutto da un bel pezzo, o per cercare di salvarsi la pelle per miracolo. Proprio per questo motivo Rose, che ovviamente aveva svolto tutti i suoi compiti durante il mese di giugno, non aveva trovato nemmeno un posto in Biblioteca, stracolma di idioti che cercavano di finire il lavoro di tre mesi in due giorni. Ovviamente era rimasta molto irritata dalla mancanza di responsabilità da parte degli alunni, ma conoscendo anche i suoi cugini, sapeva che era normale. Era stata costretta a rimanere in Sala Comune entrambi i giorni, perché Lily doveva aiutare Hugo a finire i compiti, e lo stesso Molly con Roxanne, mentre Alexandra… be’, aveva deciso di lasciarle un po’ di tempo per sbollire la rabbia e la tristezza del momento. Era convinta che non passasse tutto il suo tempo a piangere nella sua camera, come avrebbe fatto la maggior parte delle ragazze sul pianeta Terra, dopo aver rotto con il proprio ragazzo, ma Alexandra era più il tipo da sofferenza silenziata. Aveva bisogno solo di tempo per riflettere su come affrontare il nuovo anno senza creare troppo scompiglio nella sua vita quotidiana a causa di quell’imprevisto. Insomma, lei e Lorcan appartenevano anche alla stessa Casa! Era ovvio che non potessero ignorarsi; sarebbe stato da immaturi, e loro non erano di certo due bambini. Rose sapeva che si sarebbero chiariti e sarebbero scesi a compromessi per continuare a convivere in pace tra di loro e con loro.
Comunque, durante tutta la mattinata del loro primo giorno effettivo di scuola, Alexandra non mostrò mai segni di turbamento, e Rose non sapeva se dovesse interpretarlo come un “non voglio parlarne”, o un “sto bene, non c’è bisogno”. Conosceva quella ragazza da molto tempo, ma era troppo difficile interpretarla.
Dopo il pranzo di quel primo giorno, si erano date un quarto d’ora di pace prima di riprendere con le lezioni pomeridiane, che sarebbero cominciate alle due. Erano sedute sulle scale che davano sul Salone d’Ingresso, appena fuori dalla Sala Grande, e osservavano i ragazzini che correvano da ogni parte, impauriti all’idea di fare tardi, o peggio di non trovare l’aula della prossima lezione, e qua e là qualche Prefetto che cercava di riprenderne alcuni per aiutarli e indicare loro le direzioni, anche se questi non ascoltavano una lettera.
«Ti ricordi quando c’eravamo noi al loro posto? È assurdo che sia già finita» disse Rose, che li osservava attentamente, con una punta di amaro sulla bocca. Alexandra si voltò verso di lei, «Rose, non ci devi pensare così tanto» la rimproverò «Finirai per sprecare il tuo ultimo anno» «Non so più ormai quanta gente mi abbia detto questa frase» rispose Rose, «Non sei l’unica»
Alexandra si rigirò i pollici tra le dita, «Mia madre vuole che io faccia il mio debutto in società, come figlia di una delle ultime famiglie Purosangue in circolazione. È ancora estremamente convinta che io debba continuare la tradizione, ma sinceramente, ho solo diciassette anni. Non mi pare il caso di pensarci ora» disse, «I miei fratelli hanno cercato di convincerla a regalargli qualche anno per… insomma, trovare il loro posto nel mondo, da soli senza il loro cognome. Be’, gliene ha dati a sufficienza, in realtà. Tra qualche mese Michael compirà vent’anni, e a quel punto non avrà più scelta» rimase a fissare il corridoio febbricitante, con un riflesso di angoscia incastonato nello sguardo «E anche Cadmo è agli sgoccioli, da troppo tempo, anzi»
«Purtroppo ci sono ancora tradizioni che, per quanto sia diverso ora il nostro mondo, e tutte le sue istituzioni, rimangono e assillano le persone che appartengono alle famiglie di antico stampo. Non possiamo farci praticamente nulla» ribatté Rose, mettendo una mano sulla spalla di Alexandra, che piegò l’angolo della bocca in un mezzo sorriso, «Già, è vero. Comunque, puoi chiedermelo»
Rose la guardò con un sopracciglio inarcato, non capendo a cosa alludesse. Fece per chiedere, ma Alexandra specificò da sé, «Su Lorcan» e Rose rimase sorpresa del fatto che avesse avuto addirittura il coraggio di cacciare personalmente il discorso «Rose, è meglio chiamare le cose con il proprio nome, non trovi? Chiedimi quello che vuoi»
La ragazza rifletté un momento, considerando che forse non stesse dicendo sul serio, poi le venne in mente una domanda che le premeva in petto, che riportava al discorso iniziale della Corvonero. Probabilmente aveva introdotto quella questione proprio per spingere Rose a fare quella domanda che Alexandra temeva così tanto da riuscire a trasmettere il proprio terrore anche a lei.
«Prima hai detto che i tuoi fratelli avevano chiesto degli anni a tua madre. Fino a quando sei stata con Lorcan, avevi anche tu una riserva di anni a disposizione… ma ora… che farai?» chiese Rose, e poté giurare di aver quasi sentito il cuore di Alexandra battere lento e scandito, come se il tempo si fosse fermato, «Fin quando mia madre non verrà a saperlo, non dovrò risponderne» rispose la ragazza dopo un po’.
«Che cosa? Stai scherzando? Lei non lo sa?» si agitò Rose sul gradino delle scale, cercando di non pensare a cosa avrebbe fatto la madre di Alexandra, dopo aver scoperto che la figlia poteva essere presa e modellata a sua immagine e somiglianza.
Ad Alexandra venne da ridere, pensando alla situazione disastrosa in cui prima o poi si sarebbe dovuta trovare, infatti rise leggermente, soprattutto per cercare di tranquillizzare Rose, che era diventata più bianca di quanto non fosse dalla nascita.
«Troverò una soluzione. Magari chiederò anche io un prestito di anni dalla banca Nott» sorrise di nuovo, ma Rose non si sentì di ricambiare, avvertendo lo sconforto della sua amica.
«Non fare quella faccia, e andiamo a lezione, altrimenti chi lo sente Vitious»



«Bene, ragazzi, cominciamo in fretta la lezione. Oggi affrontiamo un incantesimo abbastanza semplice per iniziare il programma per i M.A.G.O. di quest’anno. Non voglio caricarvi già dal primo giorno. Quest’anno dovrà essere indimenticabile, giusto? Avrete tutti fatto dei progetti, come immagino, perciò su, su, cominciamo» esordì Vitious, ruotando e muovendo freneticamente le braccia, come per accelerare il movimento degli studenti che si riversavano nella sua aula. Quando tutti presero finalmente posto, andò a prendere posizione sulla pila di libri dietro la sua scrivania. Ci volle un po’ per arrampicarcisi – e un aiuto da parte di qualche studente –, ma quando salì, un po’ rosso in viso, la lezione poté cominciare.
Vitious si aggiustò la veste, e si schiarì la voce: «Ehm-ehm… finalmente possiamo iniziare. Prendete le bacchette. Ottimo»
Prese anche lui la bacchetta, e la puntò in direzione degli studenti che, non avendo idea dell’incantesimo che il professore avesse intenzione di insegnare loro, si accucciarono sotto i loro banchi. Vitious ridacchiò, «State calmi» fece «Non vi farò del male»
Poi si schiarì di nuovo la voce e disse: «Carpe Retractum» puntando la bacchetta contro un libro, che subito si fiondò sul piccolo professore, che con un salto, fece atterrare il libro assieme alla pila su cui era seduto.
I ragazzi lo guardarono sconvolti e confusi. «Ma è soltanto un incantesimo di Appello!» si lamentò qualcuno di loro. Vitious non rispose, e si limitò ad appellare non verbalmente altri tre libri.
Ora era un po’ troppo in alto, visto che si teneva in equilibro su sette tomi, a loro volta posizionati sulla cattedra, che era rialzata rispetto ai banchi degli studenti. I ragazzi pensarono che il professore fosse impazzito, e rimasero in silenzio, aspettando che desse prova della sua scelleratezza.
«Mi raccomando, state fermi al vostro posto»
I ragazzi annuirono in trance.
Poi Vitious saltò dalla pila di libri.
Seguirono le urla di alcune ragazze, e alcuni ragazzi partirono per andare a raccogliere il professore prima che cadesse a terra, ma in tutto questo Vitious aveva già riformulato l’incantesimo, chiamando a sé la sedia – che lui non poteva chiaramente usare – dietro la scrivania, che si era prontamente posizionata sotto il suo corpicino, ancorandolo saldamente alla seduta, per riscendere dolcemente di fronte agli alunni ancora terrorizzati dal tentato suicidio di Vitious.
I ragazzi rimanevano immobili, come in un fermo immagine, bloccati sul pensiero di cosa poteva succedere, ma che in realtà non era fattibile accadesse.
«Oh, forza, non fate quelle facce. È magia, non dovreste sorprendervi. Nemmeno gli studenti del primo anno avrebbero reagito così» ridacchiò il professore, toccandosi la pancia.
«Bene, ora tocca a voi»
«Ma è pazzo?» sussurrò Albus a Scorpius, che stava a braccia conserte, con gli occhi fissi su Vitious, come se la lezione l’avesse interessato davvero, cosa che non era mai accaduta in tutta la sua carriera scolastica. «Io non mi vado a buttare dalla scrivania» commentò Lysander.
«Neanche io» fece Albus, constatato che Scorpius non lo stava calcolando di striscio.
Poi Vitious riprese gli studenti, battendo le mani per attirare la loro attenzione: «Non perdiamo tempo, ragazzi. Ognuno di voi si sistemi in un punto per sé, e cominci a provare l’incantesimo. Forza»
I ragazzi rimasero per qualche secondo ad indugiare ai propri posti, poi iniziarono a sparpagliarsi, inquieti. Rose e Alexandra si sistemarono a poca distanza l’una dall’altra, anche per intervenire in caso di cadute libere, o qualsiasi altro possibile incidente causato dall’incantesimo. Albus e Lysander si sistemarono in fondo all’aula, e lo stesso fecero Scorpius e Lorcan, ben attento a stare il più lontano possibile dalla sua ex ragazza.
«Molto bene, molto bene» fece Vitious, girando tra le gambe degli studenti, e sistemando qua e là alcune delle posizioni in cui erano «Al mio via, eseguite l’incantesimo»
Rose pensò in fretta ad un appoggio saldo che poteva usare, cercando di non pensare all’eventualità in cui avesse scelto lo stesso supporto di un altro studente creando il disastro. Alla fine trovò perfetta, per l’uso che doveva farne lei, un’asse di legno che era appoggiata accanto alla libreria in fondo all’aula, proprio di fronte a lei.
Vitious contò uno. Rose si sistemò in pugno la bacchetta. Vitious contò due. Rose chiuse un attimo gli occhi, e pensò all’incantesimo, provando la pronuncia a fior di labbra.
«Tre!»
«Carpe Retractum» l’intera aula scoppiò in queste due parole, pronunciate a tempi diversi, con toni diversi, e con diversa enfasi. Diversi oggetti cominciarono a volare per la stanza, cercando coloro che li stavano chiamando in aiuto.
Rose saltò un attimo prima che la tavola arrivasse, posizionandosi sopra di essa, in equilibrio perfetto. «Bravissima» le disse Alexandra, che intanto aveva trovato atterraggio su una lavagna.
Rose, però, compiaciuta del risultato, non si accorse di un orribile scricchiolio che proveniva da sotto i suoi piedi, e subito dopo si ritrovò schiantata al suolo, dando via ad uno scroscio insopportabile di risate.
Si mise subito a sedere, massaggiandosi la nuca. Alexandra scese dal suo appoggio, e le andò incontro «Tutto bene?». Rose annuì, cercando di ignorare le continue risate. L’occhio le cadde in fondo all’aula, dove Albus la guardava preoccupato, un po’ per via della caduta, e un po’ per la reazione cha avrebbe avuto poi riguardo il suo fallimento. Rose non sopportava l’idea di fallire. Accanto a lui c’era l’idiota di Malfoy, che rideva come un completo cretino, cadendo addirittura a terra per l’ilarità della situazione. Chissà per quanto tempo gliel’avrebbe rinfacciato.
«Signorina Weasley, niente di rotto, mi auguro» arrivò il professor Vitious, «No, io sto bene, professore. Non si preoccupi» rispose Rose, conservando la sua dignità professionale da strega di diciassette anni, che è sicuramente molto più matura di un gradasso idiota come Malfoy, che ride degli insuccessi altrui, non pensando ai propri, e soprattutto ignorando contro chi si stia mettendo.
«Bene, bene. Riproviamo tutti ancora una volta» fece poi, distogliendo l’attenzione degli alunni dall’errore commesso da Rose.
E la lezione riprese abbastanza tranquillamente.






Albus si era concesso solo un’ora di studio, perché sosteneva di non poter cominciare con orari impossibili già dal primo pomeriggio ad Hogwarts. Non esisteva per niente al mondo.
Perciò aveva deciso di uscire per un paio di orette, per rilassarsi nel parco, prima dell’ora di cena. Ovviamente non era riuscito a trovare nessun accompagnatore che rendesse il suo pomeriggio meno noioso di come si era rivelato nei suoi primi tre quarti d’ora: Rose era rimasta a studiare nel suo Dormitorio dalle cinque e mezza del pomeriggio, Scorpius aveva dato una rapida occhiata ai libri, e poi era andato a imboscarsi con la Rogen, Lysander era stato costretto da Lorcan a chiudersi con lui in Biblioteca per la promessa che aveva fatto a sua madre prima del rientro a scuola. Visto che l’anno precedente si era salvato per il rotto della cuffia, e solo grazie all’aiuto e ai sacrifici che gli erano stati imposti di fare da Rose, Lorcan e Alexandra, a metà agosto, Lysander si era visto costretto a promettere a Luna che non si sarebbe verificato nulla di simile in quel suo ultimo anno. Doveva essere impeccabile, altrimenti sua madre l’avrebbe reso impiccabile.
E quindi eccolo lì, tutto solo a girovagare per il Campo di Quidditch, tirando calci al terreno, dopo aver fatto visita ad Hagrid, di cui aveva potuto godere la compagnia per una scarsa mezz’ora, visto che il guardacaccia era impegnato con qualsiasi cosa fosse di cui Albus non voleva sapere nulla.
Per un po’ si era messo a pensare a cosa avrebbe fatto quell’anno per la squadra dei Serpeverde, alle tattiche, alle formazioni di gioco, alle nuove reclute… Pensava costantemente a cosa dovesse fare per lasciare un’impronta indelebile nella storia di Hogwarts, ma più ci pensava, più non vedeva come potesse essere possibile una cosa del genere senza dover abbattere un troll, scoprire una camera segreta con l’accesso nel bagno, disdire una credenza di vent’anni su una casa maledetta, assistere al ritorno del più malvagio mago oscuro mai esistito, creare un esercito di maghi, o peggio ancora, dover salvare l’intera comunità Magica.
Ad Albus venne da imprecare pensando che, di quel passo, sarebbe impazzito letteralmente per trovare una via che lo portasse alla gloria personale e universale, ma si trattenne e si mise le mani nei capelli, emettendo un mugugno strozzato, che fosse un surrogato del suo urlo, constatando poi che aveva un anno intero davanti a sé per valutare, tentare, scartare e scegliere varie possibilità.
Non poteva immaginarsi di essere sempre e costantemente all’ombra di suo fratello, non poteva e non voleva rimanere solo ‘il secondogenito di Potter’. James si era sempre distinto di gran lunga dagli altri, dimostrando di sapersela cavare, pur facendo la figura del tronfio idiota in più di una circostanza. Ma almeno di lui si ricordavano a dispetto del suo cognome. Lui era sempre il ragazzo più ambito, il più simpatico, il più affabile, il più popolare, il più – secondo le ragazze – sexy, il più furbo. Non era nemmeno poi tanto stupido, in quanto a medie scolastiche. Se l’era sempre cavata con voti abbastanza sopra la media, e poi sapeva davvero il fatto suo. Era un bravo giocatore di Quidditch, come molte riviste sportive nel Mondo Magico accennavano, facendogli anche una discreta pubblicità, infatti era stato scelto per le selezioni della nuova formazione dei Cannoni di Chudley. E, ammettiamolo, aveva avuto molte più avventure sentimentali di Albus, però egli sosteneva che fosse solo perché James non era ancora stato colpito dalla persona giusta, e perciò vedeva tutte quelle faccende amorose soltanto come un passatempo.
Albus era stato semplicemente attratto da alcune ragazze, e ci era uscito, al massimo una pomiciata e se andava, andava, ma se non andava lo diceva chiaro e tondo, perché non gli piaceva per niente fare la parte del ragazzo bastardo e brucia cuori, che pensa solo alla relazione fisica, ignorando bellamente cosa poi potrebbe provare una ragazza.
Aveva provato a spiegarlo tante volte a Scorpius, ma lui si divertiva troppo per poter smettere. Scorpius trovava la sensazione migliore, quella di dominare e squarciare la propria vittima (in senso metaforico, ovviamente), e lasciarla poi agonizzante al suolo.
Ma, per quanto gli costasse ammetterlo, Malfoy aveva avuto una cotta seria per una ragazza, circa cinque anni prima, ed era rimasto davvero affranto quando si era sentito rifiutato.
In realtà c’era una storia molto buffa, legata dietro a questo episodio, ma Albus era stato praticamente minacciato di morte affinché non ne facesse mai parola con nessuno, e per nessuna ragione. Era sul serio imbarazzante.
A ricordarlo solamente, Albus ridacchiò tra sé, pensando a quando Malfoy non era altro che il figlio di Draco Malfoy, e basta: niente fama da gigolò, ruba cuori, consuma carne a tradimento, e chi più ne ha, più ne metta. Probabilmente nessuno si ricordava del periodo oscuro di Scorpius Malfoy, come se tutti l’avessero conosciuto a partire dal gennaio del 2021.
Comunque Albus non aveva le capacità di seduzione che aveva il suo amico, o forse le aveva ma trovava ingiusto abusarne come era solito fare Scorpius. In quanto a numeri, Albus era decisamente in svantaggio rispetto a Scorpius, che probabilmente aveva perso il conto di ragazze con cui era andato a letto dopo la metà del loro sesto anno. Lui, invece, probabilmente aveva avuto si e no quindici ragazze, anche se la quota di quelle che gli sbavavano dietro era praticamente equiparabile a quella del suo migliore amico, o almeno sperava fosse così.
Quell’anno non sapeva cosa avrebbe fatto, in campo sentimentale; non sapeva se andare avanti e magari innamorarsi di un’altra ragazza, anche fuori dalla scuola (magari Dominique poteva presentargli una delle sue amiche, durante le vacanze di Natale), oppure continuare imperterrito con il suo obbiettivo proibito.
Ammetteva che l’idea di conquistare una ragazza che gli si era sempre rifiutato, e che soprattutto piaceva anche a James ma non in modo corrisposto, sarebbe stata una vittoria assoluta in tutti i campi, in primis per l’immagine della faccia di suo fratello nel vedere lui e Alexandra insieme. Sarebbe stato come vincere all’estrazione del ‘Super Galeone’*.
Albus continuò a camminare, sorridendo di tanto in tanto per l’assiduo pensiero di James e delle sue reazioni e domande in caso una cosa del genere fosse mai accaduta, tirando di tanto in tanto qualche calcio alla terra del campo di Quidditch.
Qualcosa però, attirò la sua attenzione: accanto agli spalti, anche se il ragazzo non riusciva a riconoscere chi fosse, c’era la figurina minuta di una ragazza (o bambina, non si poteva dire) che camminava spedita verso il punto più alto delle gradinate, con una specie di pacchetto in mano, e la testa china, e i capelli lunghi fino alla base della schiena che sbatacchiavano di qua e di là.
Se Albus non fosse riuscito a individuare l’unica persona di sua conoscenza che aveva capelli del genere, e una camminata così furibonda, avrebbe detto di stare invecchiando prematuramente.
Si domandò seriamente se fosse davvero il caso di andare da lei, perché Molly Weasley era facilmente inquadrabile sul suo stato d’animo attraverso la sua camminata, e tutti loro in famiglia, avevano imparato cosa volesse dire ogni suo singolo movimento: se era triste, il piede destro barcollava in modo visibile, se era preoccupata, camminava agitando il braccio sinistro, e grattandosi le unghie, se era contenta o serena, ciondolava leggermente con la testa.
Molly aveva diverse sfumature di camminata, una più strana dell’altra, ma i cugini, che avevano imparato ad interpretarla in ogni secondo della giornata, sapevano quando era il momento di intervenire o no.
Quello era decisamente un momento no. La camminata veloce, e i capelli che volano di qua e di là non erano un buon segno, mai. Indicavano senza dubbio rabbia e ferocia.
Purtroppo, Albus Potter non era un ragazzo altamente giudizioso, e raggiunse la cugina, scalando tutte le gradinate.
Quando fu abbastanza a portata d’orecchie la sentì borbottare alcune parole incomprensibili, che il ragazzo riuscì a distinguere dopo alcuni passi: morte, lenta, e dolorosa.
Ripeteva queste parole di continuo, come un mantra, o un’invocazione coinvolta in un rito voodoo, o qualcos’altro del genere. Pregò con tutta l’anima di non doversi pentire un giorno della scelta di aiutare Molly schizofrenica Weasley.
«Ehi» sussurrò cauto, per evitare che la ragazza saltasse a più di un metro di altezza per lo spavento di trovarsi qualcuno alle spalle. Inutile dirlo, Molly saltò anche più in alto; Albus avrebbe detto un metro e sessanta. Il ragazzo indietreggiò al sussulto della cugina che, appena riconosciuto il suo aggressore, trillò «Albus Severus, vuoi farmi morire di infarto?» «Ho fatto piano apposta!» protestò lui, sedendosi accanto alla ragazza, che prontamente lo fece rialzare, «No, no. Quante volte dovrò ripetertelo, Albus? Quando ti siedi vicino ad una ragazza senza il suo permesso, passi per maleducato e anche abbastanza sfacciato» lo rimproverò.
Questa qua è tutta matta”, pensò e prese in considerazione l’idea della fuga, ma poi si limitò a dirle: «Ma se siamo cugini!» «Oh, quindi stai effettivamente ammettendo che sei uno sfacciato anche di fronte alla famiglia, e per questo io, essendo tua parente, lo sappia già di mio» fece, al che Albus si mise le mani sulle tempie per cercare di tradurre la frase «Ti capisco» fece poi la ragazza, prendendo il libro al suo fianco, e posandolo sulle ginocchia, cominciando a leggere.
«Che cosa?» mormorò Albus, più rivolto a sé stesso che alla cugina.
Molly, dal canto suo, era impegnata a seguire il filo narrativo del suo libro, e sembrava dal suo sguardo che fosse davvero divertente. «Che leggi?» le chiese Albus, che evidentemente non aveva imparato, dopo i mille rimproveri da parte di Rose, che non si deve mai interrompere qualcuno che sta leggendo, soprattutto non chiedendogli cosa stesse leggendo. La ragazza chiuse il libro di scatto, e si voltò per fulminare Albus con lo sguardo, «Un saggio sull’occupazione di Hogsmeade durante la rivolta dei goblin del ‘612. Comunque, di cosa hai bisogno, Albus Severus? Un aiuto per i compiti? Ripetizioni? Che ti scriva dieci centimetri di qualche tema? Non ho tempo da perdere» fece, parlando così in fretta che il ragazzo faticò un po’ a seguirla.
«Quando perderai il vizio di chiamarmi con il mio primo e il mio secondo nome, Molly? E no, non sono venuto per questioni scolastiche» disse Albus, «Volevo solo sapere come è andata oggi. E non guardarmi così, lo sai che tengo anche a te, persino quando sei una scassa pluffe senza pari!» la riprese quando vide che stava per ribattere, «Ti ho vista prima, mentre salivi le gradinate. Non mi sembravi molto… tranquilla». Molly aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo, chinando il capo, e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Albus la scrutò preoccupato, «Molly, è successo qualcosa?» chiese dolcemente, mettendole una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Lo sai che puoi dirmelo. Forza, sono tutt’orecchi» e sorrise per incoraggiarla a confidarsi con lui. Se Albus sapeva fare qualcosa, quello era di certo l’ascoltatore di problemi; magari avrebbe trovato una carica al Ministero che implicasse ascoltare i problemi delle persone e tentare di aiutarli a superarli, come uno psicologo di quelli babbani. Forse era quella la sua vera vocazione.
Molly però non sembrava molto propensa alla parola, o alla confessione. Rimaneva in silenzio, come se sperasse che Albus si stancasse e la lasciasse sola, in modo che non le toccasse raccontare nulla. Evidentemente non aveva afferrato le intenzioni del cugino, che per niente al mondo avrebbe lasciato lì Molly, in quello stato.
Albus le picchiettò un dito sul braccio, per spingerla a girarsi verso di lui, almeno per gridargli un “Piantala, idiota” che era già qualcosa.
«Ti prego, non costringermi a parlarne» disse la ragazza, scostandosi «E tu non costringermi a ricorrere alle maniere forti, altrimenti ti faccio stramazzare a terra per il solletico» ribatté invece Albus, «Conterò fino a tre» «Albus, dai» si lamentò la ragazza, per niente intimorita dalla minaccia.
«Uno…» cominciò Albus, portando le mani davanti alla cugina.
«Non ne voglio parlare»
«Due…»
«Non provarci, Albus»
«TRE!» gridò il ragazzo, afferrando la cugina e cominciando a farle il solletico su tutto il busto, mentre Molly saltava di qua e di là, cercando di liberarsi dalla presa, con i capelli che sbattevano sul viso di Albus.
«Ti supplico, smettila!» esclamò in preda alle lacrime, cercando di spostare le mani del ragazzo, anche se aveva dimenticato che Albus aveva delle mani fortissime, che non lasciavano mai la presa, a meno che non lo volessero. Non per niente era uno dei migliori Cercatori che i Serpeverde avessero mai avuto in tutta la storia del Quidditch ad Hogwarts.
«La smetto solo se mi spieghi cosa è successo» rispose Albus, continuando a farle il solletico, mentre Molly si divincolava come un pesce sull’asfalto. «Va bene, va bene, va bene» accettò, ancora con le lacrime che fuoriuscivano a getti dagli occhi. Molly era il soggetto più sensibile al solletico nell’intero sistema solare. Iniziava a dimenarsi anche solo se qualcuno le sfiorava per sbaglio una ciocca di capelli.
Quando si fu calmata, si mise le mani in grembo e cominciò ad accarezzarsi le dita «Oh, Albus, ho creato un casino» cominciò, guardando in cielo, come se avesse commesso chissà quale peccato e cercasse redenzione da parte di Dio. Albus decise di non interrompere, e di non fare domande, sperando che continuasse a spiegare senza essere incalzata troppo.
«Ho commesso un errore madornale, e probabilmente non avrò più il coraggio di far vedere la mia faccia in giro» fece poi, e si voltò a guardare il cugino, aspettandosi quasi che stesse per fuggire da quella svergognata che era ora. Prese un respiro così profondo che pareva si stesse preparando ad una gara di apnea, «HO BACIATO UN RAGAZZO!» esclamò, iniziando a piangere con il volto tra le mani.
Albus spalancò la bocca, e gli venne quasi da dire “Ah, ma allora anche lei è un po’ normale”, ma poi optò per gettare indietro la testa e scoppiare a ridere, tenendosi la pancia per paura che qualche organo decidesse di abbandonare la sua solita ubicazione. Molly, invece, continuava a piagnucolare e, quando vide che la reazione di Albus era stata tutta l’opposto di ciò che lei aveva pensato, si infuriò.
«Ma come, non mi dici nulla? Capisco che tu non abbia una dignità a cui badare, che tutti pensano che ti piaccia spezzare il cuore alle ragazze, e tutto il resto, ma io non sono come te!» pianse gridando, con Albus che invece stava starnazzando come una gallina che ha ingoiato un topo per sbaglio. Probabilmente sarebbe anche potuto cadere dagli spalti, di lì a poco.
«Prima di tutto; io non faccio il ruba-cuori. Mi confondi con Scorpius. Secondo; Molly, è solo un bacio. Anzi, è una fortuna che tu abbia baciato un ragazzo, cominciavamo a pensare che avessi scelto la via del Signore» fece, unendo le mani in preghiera e guardando al cielo.
Molly, in risposta, gli sferrò un pugno sul braccio. «Ahia! Vi prego, non cominciate così l’anno, perché altrimenti ne uscirò senza braccia» piagnucolò il ragazzo, massaggiandosi le spalle. «Comunque volevo solo dire che non hai fatto nulla di sbagliato, e sono felice per te»
«Sei felice della mia rovina? AH, grazie tante!» saltò su Molly, spalancando le braccia sopra la testa.
Albus fece davvero di tutto per non prenderla per i capelli e farle battere la testa sulle assi delle sedute sugli spalti. Fortuna che aveva una pazienza infinita, lui.
«Ma non sei rovinata, Molly!»
«E invece sì! Tu non sai cosa ha fatto, quando l’ho baciato» rispose questa, iniziando a grattarsi le unghie, come quando era inquieta. “Oh, santo cielo, ma perché non me ne sto mai buono, e non mi immischio in queste faccende?” pensò disperato Albus, alzando per una frazione di secondo gli occhi al cielo.
«Sentiamo, cosa avrà fatto di tanto ignobile?» chiese, «Ha ricambiato il bacio, Albus!» fece Molly, sbuffando poi per la mancanza di comprensione per una questione così estremamente delicata «E… con la lingua» disse poi, ritraendosi quasi spaventata che quel ragazzo potesse ricomparire, e iniziare a prenderla a linguate. Davvero disgustoso.
Albus si schiaffò una mano in fronte per lo sconforto, «Molly» iniziò con pazienza «Evidentemente significa che, come presumo lui piaccia a te, anche tu piaccia a lui, e parecchio viste le circostanze. Perché ti costa tanto ammetterlo?»
«Perché io non sono come te! Non sono come voi!» esclamò questa, quasi scoppiando a piangere.
«Molly, adesso smettila di esaltare il tuo ego. Andava bene quando avevi undici… dodici anni, ma adesso è il momento di capire che la tua è solo arroganza, quando sopravvaluti il tuo potenziale. Non devi continuare a credere di essere migliore degli altri, perché siamo tutti uguali, e non devi disprezzare chi fa cose diverse da quelle che fai tu!» sbottò Albus, sinceramente stanco di tutte le volte in cui Molly li definiva una banda di babbuini saltellanti senza sufficiente materia grigia per capire come funziona lo sciacquone di un gabinetto. Era una ragazza davvero intelligente, sì, ma non doveva andarsene in giro vantandosene e disprezzando al contempo gli altri, perché li riteneva inferiori.
«Ma…» protestò questa, e Albus la interruppe subito «No, fammi finire. Non pensare che, siccome io sono a volte apprezzato fisicamente da qualche ragazza, sia un gigolò strappa cuori. O che Roxanne sia idiota solo perché le piace scherzare. O che Victoire sia superficiale solo perché ha la passione per la moda, e quelle altre cose lì. O che tutto il genere maschile non ti apprezzi abbastanza perché troppo cerebrolesi da comprendere i tuoi punti di vista…»
«Albus, io…»
«Perché, a quanto pare, c’è qualcuno che ti apprezza per come sei, nonostante i tuoi difetti»
«Io stav-…»
«E, soprattutto, smettila di pensare che l’amore sia solo per i deboli e per le persone con mentalità sottosviluppata, e che chi ami è un perfetto idiota, D’ACCORDO?» concluse tutto d’un fiato Albus, con la faccia rossa per la rabbia, e per aver parlato senza sosta e troppo velocemente.
«Hai finito?» chiese Molly, apparentemente per nulla toccata dalla strigliata del cugino. Questi si limitò ad annuire, deluso di aver sprecato tutto quel fiato per senza motivo.
«Quando ho detto di non essere come voi, intendevo dire che voi siete più interessanti di me…» cominciò la ragazza, portandosi di nuovo le mani in grembo «Come hai detto tu. Ognuno di voi ha qualche talento speciale, una dote, la bellezza, la simpatia… io ho solo la mia arroganza, Albus. Io non so perché ho baciato Sean, so solo che c’è stato qualcosa che è scattato: come una molla che mi ha spinta a darmi una mossa e agire, senza doverci pensare troppo. Quando mi sono interessata a lui, l’anno scorso, pensavo di essere diventata una completa idiota, come dici tu» abbozzò un sorrisetto amaro «Ma ero convinta che non mi avrebbe mai notata, visto che io, tra i tanti Weasley, sono la meno riconosciuta» «Molly, non dire stupidaggini» la corresse Albus, sentendosi in colpa per le cose che le aveva detto un momento prima. In fondo, Molly si era sentita solo a disagio, come qualsiasi altra ragazzina che ha appena dato il suo primo bacio, e non sa come comportarsi.
«Invece è così: Victoire e Dominique sono le ragazze più belle che abbiano mai frequentato Hogwarts. Rose è bellissima, intelligente e forte. Lily è indipendente, e piace un sacco ai ragazzi, Roxanne è idolatrata da chiunque conosca le sue malefatte, ed ha una capacità di strategia da far spavento agli dei greci della guerra. E mia sorella è la ragazza più dolce del pianeta» fece, «Io, invece, sono solo un’isterica egocentrica con manie di protagonismo» e sospirò mestamente.
Albus la guardò, poi si avvicinò e la strinse in un breve abbraccio, «Non devi pensare, nemmeno per un momento, a tutte queste assurdità che hai detto, Molly» le disse, accarezzandole i capelli.
«Tu sei una ragazza bellissima, e lo sai bene. Non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno, sei forte, intelligente, e quando vuoi sai essere simpatica e anche dolce. Scegli solo quali sono le persone più adatte a meritarsi questo da te, tutto qua. Questo è solo un vantaggio in più» Albus le asciugò una lacrima che le era sfuggita, «Ora però, dimmi chi è questo tizio, perché se prova a fare qualcosa che non mi va a genio, se la vedrà con me… ah, ovviamente poi rischierà di vedersela anche con James, Fred, Hugo, Louis…» «Va bene, va bene, ho capito» rise leggermente la ragazza, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. «È Sean Finnigan» rispose, piegando istintivamente un angolo della bocca all’insù. Ad Albus non sfuggì questo dettaglio, «Ti piace proprio tanto, eh?» fece, punzecchiandola con il gomito «Ragionevolmente» rispose questa, rimanendo il più vaga possibile.
«Ma come sarebbe ‘ragionevolmente’?» protestò Albus, «Se ti fosse piaciuto ragionevolmente, non l’avresti baciato! Non costringermi a farti il solletico per cacciarti le prove» disse, preparando le mani. Molly lo allontanò con una spinta, ridendo «Non ci provare, Albus! Ti Pietrifico, se ci provi» fece, mentre Albus cercava di rialzarsi «Allora ti conviene parlare» rispose questi, «Sì, mi piace un sacco. Contento?». Il ragazzo annuì, poi, nonostante avesse detto il contrario, cominciò a fare il solletico alla cugina, che si dimenava come in preda ad una crisi epilettica.
Dopo una buona manciata di minuti, Albus la lasciò andare. «Grazie» fece Molly, abbracciandolo. Dapprima, Albus rimase di sasso: Molly non ringraziava, né tantomeno abbracciava. Poi, però, ricambiò l’abbraccio, «Non dirlo neanche. Io ci sono sempre» e anche se suonò come una frase già detta e già ripetuta innumerevoli volte da chissà quanti personaggi, Molly si sentì di crederci davvero, e si ritenne così fortunata di avere avuto una persona con cui parlare di quella storia, senza sentirsi in colpa, o giudicata.
Quando si sciolse l’abbraccio, Albus disse «Forza, andiamo. La Sala Grande sarà già piena, a quest’ora» e insieme si diressero verso il castello.






La settimana seguente arrivò in un lampo, e lo scorrere borioso della routine cominciava ad asfissiare il popolo di Hogwarts, che non aveva alcuna intenzione di sentirsi già in piena stagione scolastica. Le giornate erano ancora meteorologicamente vivibili, anche se le prime pioggerelle si erano già fatte maledire durante il secondo weekend dopo il rientro ad Hogwarts. Gli insegnanti avevano evidentemente ritenuto di poter cominciare a caricare di compiti e verifiche i ragazzi, soprattutto quelli del quinto e del settimo anno, che avevano già iniziato ad escogitare piani di fuga, o a pensare di tentare il suicidio di massa, così che, magari, constatando le condizioni che si erano venute a creare per colpa degli impegni scolastici già così carichi soltanto alla prima metà di settembre, avrebbero accordato una soluzione che potesse prevedere il rientro nella scuola il primo gennaio, magari.
Ovviamente, il talento degli studenti di ingigantire sempre le situazioni aveva diversi stadi da seguire, in base agli anni in cui erano: alcuni dei novellini avevano già cominciato a farsi prendere dal panico, o spedire lettere ai genitori per farsi venire a riprendere; quelli del secondo anno erano tutti convinti che la loro vita sarebbe finita durante quell’anno; i ragazzi del terzo e del quarto erano gli unici abbastanza controllati, che riuscivano a rimanere sereni, nonostante la mole dei compiti che iniziava a crescere; i quinti erano i più preoccupati, perché sapevano di dover iniziare a pianificarsi una strada, un futuro, si sarebbero costruiti una vita di lì in poi; gli alunni del sesto cercavano di mantenere la calma, per riprendersi dall’anno precedente, e prepararsi con adeguata premura a quello successivo; quelli del settimo si erano divisi in quattro categorie, tra cui gli agitati, gli entusiasti, i nostalgici, e i disperati.
Lily Potter, invece, aveva deciso di dividersi l’organizzazione mentale in due parti perfettamente identiche: una per lo studio, e l’altra per lo sport. Si era già prefissa che non avrebbe mai tolto nemmeno un minuto ad una parte a causa dell’altra. Quell’anno sarebbe cambiata ogni cosa. Avrebbe dovuto scrivere la sua storia, e l’avrebbe fatto responsabilmente, se l’era giurato.
Ovviamente era spaventata, ma aveva già cominciato ad optare per la carriera sportiva, dopo la scuola, come sua madre. Probabilmente lei non l’avrebbe gradito molto, visto che considerava che la figlia potesse ottenere di più di quel che si proponeva per sé, ma quella sarebbe stata un’altra sfida per Lily, ovvero dimostrare la sua capacità nel prendere decisioni.
Anche Hugo aveva pensato alla carriera sportiva, a prescindere da qualsiasi circostanza si fosse parata davanti a lui. Dopotutto, rimanendo in tema, con il suo talento da Portiere, sarebbe stato in grado di parare qualsiasi difficoltà, rigirandola a suo favore.
Non era mai stato molto bravo nelle scelte, Hugo Weasley, ma pensava che fosse ormai il momento di cominciare a costruirsi un castello mentale in cui organizzare il suo futuro.
Sapeva che suo padre avrebbe scelto per lui la carriera da Auror, perché ne avevano parlato per parecchio tempo, durante quell’estate. Se c’era una cosa, però, che il ragazzo non sapeva fare, era imporre la propria opinione, soprattutto davanti al padre e alla madre, ma non perché avesse paura di esprimere la sua davanti a loro; Ron e Hermione avevano sempre insegnato ai loro figli che il dialogo e lo scambio di pareri era una delle cose più importanti in un qualunque tipo di rapporto, ma Hugo non era quel tipo di ragazzo che riesce a parlare e contrastare un’ideale del proprio genitore. Aveva quasi paura di poterli deludere, dicendo che la strada che si era scelto per sé, era diversa da quella che loro avevano prescelto per lui.
Hugo credeva che non ci fosse bisogno di spiegare ai genitori cosa volesse fare lui realmente, credeva che, non rispondendo mai alle domande del padre riguardo all’intraprendere la carriera da Auror, e accettando senza batter ciglio le ammiccate che gli faceva sull’argomento, potessero avvertire che non era quella la sua aspirazione. Però Hugo non conosceva il detto babbano che sventrava la sua teoria del silenzio, ovvero che “Chi tace, acconsente”.
Parlava di queste sue titubanze solo con Lily, perché probabilmente la riteneva l’essere umano più simile a lui, e non solo fisicamente. Lily, da parte sua, sapeva che se Hugo non si fosse mai deciso a prendere la parola con i suoi genitori, spiegandogli tutto, sarebbe stato inutile continuare a fantasticare sul loro futuro nel mondo del Quidditch.
Probabilmente, se Hugo fosse arrivato, tra qualche anno, al Ministero insieme al padre per il suo primo giorno di lavoro, avrebbe continuato a rimanere in silenzio e ad accettare la sua condizione, e il suo futuro già scritto. Niente togliendo al lavoro dell’Auror, che era senza dubbio uno dei migliori che si potesse mai desiderare di fare, però Hugo non si sarebbe mai sentito a suo agio: Hugo si sentiva sé stesso solo sul Campo, a cavallo della sua scopa, con la pioggia battente e il cappuccio tirato fin sopra alla fronte, o con il sole cocente e in canottiera e mutande. Lily questo lo sapeva perfettamente, ma il punto non era che lo capisse lei, ma che Hugo lo dicesse ai genitori.
Ovviamente il ragazzo tergiversava sempre, e si limitava a bofonchiare: «Ho tutto il tempo. Ho ancora due anni!», mentre sapeva che anche quei due anni si sarebbero consumati senza lasciare un dito di cenere.
Però Lily aveva cominciato a capire che quell’argomento stava diventando un po’ più delicato di quanto pensasse, ma era ovvio che fosse così, dopo tutta la pressione che lei gli aveva fatto durante l’estate.
Comunque era convinta che ne avrebbero riparlato, prima o poi, forse settembre era ancora troppo presto per ricominciare ad affrontare il discorso, ma probabilmente sarebbe riuscito fuori circa durante le vacanze di Natale, quando tutti iniziavano ad essere in defibrillazione per la fine del primo quadrimestre, e l’inizio del secondo. Per ora si sarebbero limitati ad aggirare le domande sul loro futuro, dopotutto, da una parte Hugo aveva ragione: c’era tempo.
«Stamattina abbiamo un’ora di Babbanologia»
«Sì»
«Poi una di Artimanzia»
«Mh-mh»
«E un’ora di Antiche Rune prima di pranzo» fece Lily, portando il conto sulla mano, e dopo aver finito, sorrise soddisfatta, saltellando intorno ad Hugo, che la guardava incredulo con il foglio degli orari in mano. Lily lo guardava con un ghigno di sfida, per vedere se il ragazzo osasse controbattere o smentirla. Incrociò le braccia dietro la schiena, «Allora?» lo incalzò «Ho ragione, no?» «Mi spieghi qual è l’utilità di imparare a memoria l’orario scolastico, se ci danno questi foglietti apposta?» ribatté Hugo, sventolando l’orario in faccia a Lily, che lo riprese dalle mani del cugino.
«Mi serve per allenare la memoria» si giustificò, «E anche perché non vorrei mai che mi capiti di dimenticare il foglio in camera, e perdere qualche lezione. Se imparo gli orari, non corro il rischio; semplice. Dovresti farlo anche tu» fece, con un cipiglio da so-tutto-io.
«Ascolta, Lily, ho già parecchie spine nel fianco in famiglia, almeno tu non abbandonarmi» disse disperato il ragazzo, inginocchiandosi e facendo finta di asciugarsi le lacrime sull’orlo della gonna di Lily.
Lily alzò gli occhi al cielo, e scosse la testa «Merlino, come sei melodrammatico» fece, scostandosi e di conseguenza far atterrare Hugo sui gomiti prima che cadesse a terra. Fortuna che aveva dei riflessi perfetti. Si alzò con un balzo, e raggiunse la cugina che, nel frattempo, era andata avanti.
«Ho imparato dalla regina delle melodrammatiche» rispose questi, allargando le braccia. Lily lo fulminò con lo sguardo, «Dai, muoviti. Siamo in ritardo»
«Ehi, non è colpa mia se non riuscivi a decidere che “tonalità di lucidalabbra mettere”» si lamentò, rifacendole il verso «Nessuno ti stava obbligando ad aspettarmi, se è per questo. E poi, alla fine non l’ho neanche messo!» esclamò Lily.
«Come se fosse indispensabile» commentò Hugo, roteando gli occhi, e superando la cugina giù per le scale.
«Ah!» sbottò questa, «Nemmeno mi aspetti ora! Quando ti servirà un favore ne riparleremo, bello» «Bello?» partì il ragazzo dal Salone d’Ingresso, «Fantastico, adesso mi chiama pure bello»
«Senti, Hugo, anche io sono una ragazza, e devi smetterla di prendermi in giro se faccio qualche minuto di ritardo la mattina, perché sono indecisa su un qualcosa» continuò Lily, raggiungendo il rosso davanti alla porta della Sala Grande.
«Oh, ma sentiti, Lily! Ne fai una questione di importanza vitale» bofonchiò Hugo.
Dall’altra parte della Sala, Roxanne annunciò alle sue cugine, che già stavano mangiando da parecchio, l’arrivo dei due rossi «Uh, chissà di cosa staranno discutendo ‘stamattina» e si fregò le mani.
«Roxanne!» la richiamò Molly, guardandola male.
«Che c’è? Lily e Hugo litigano sempre per le cose più assurde. Mi diverte sentirli argomentare le loro parti mentre Rose fa’ da giudice delle cause perse» rispose, «Si dice avvocato delle cause perse, Roxanne» ribatté Rose, con il cucchiaio a mezz’aria.
«Non sarà qualcosa di serio, mi auguro» intervenne Natalie Miller, una delle migliori amiche di Rose fin dal primo anno. Condividevano lo stesso Dormitorio, e per i ragazzi Weasley era diventata una presenza di famiglia, come Alexandra. Era una ragazza troppo dolce e affabile, per non farci subito amicizia.
Lei e Rose si erano scambiate solo qualche parola, durante la loro prima settimana ad Hogwarts, anche se si vedevano tutto il loro tempo, per via del fatto che erano parte della stessa Casa, ma erano diventate amiche solo dopo che Rose aveva consolato Natalie, per via di quell’idiota di Malfoy che, ancora evidentemente troppo piccolo per capire – anche se adesso non faceva poi tanta differenza –, le aveva dato della Nata Babbana ladra di magia perché, secondo vecchissime, anzi preistoriche credenze, i maghi credevano che i Nati Babbani rubassero la magia a chi la possedeva per nascita e per legittimità soprattutto. Infatti, i genitori di Natalie erano babbani, e abitavano in Irlanda. Rose li aveva conosciuti, ed erano delle persone semplicemente meravigliose, ed entrambi professori: la madre di Natalie era professoressa di letteratura, e il padre di storia.
Ovviamente però, Malfoy non poteva capire una cosa così semplice, e soprattutto, a quei tempi, era fermamente convinto che la feccia della magia fossero i Nati Babbani, i Mezzosangue e i Maghinò, essendo cresciuto secondo la filosofia di vita del nonno paterno.
Comunque, anche se a Rose costava ammetterlo più di ogni altra cosa, era grazie a Scorpius Malfoy, se lei aveva trovato un’amica. Subito dopo si era iniziata a sentire più sicura di sé, e a fare amicizia più in fretta.
Hugo e Lily, nel frattempo, erano arrivati alla zona del tavolo dove erano sedute le cugine e Natalie, dopo aver percorso metà tavolo continuando a discutere, l’uno ad un capo e l’altra all’opposto, mentre la gente tra di loro li fissava contrariati.
«Ehi, ehi, ehi!» li divise Rose, visto che cominciavano ad alzare troppo la voce. Si alzò anche lei, «Seduti» ordinò «Ma…» si opposero questi all’unisono, «Subito!» fece invece la ragazza. Hugo si sedette accanto alla sorella, e Lily vicina a Roxanne.
Anche Rose si risedette, «Bene, cosa c’è questa mattina?» «C’è che Lily è una ritardataria!» spiegò Hugo, «E che Hugo è un’idiota» ribatté invece Lily.
«Be’, buongiorno anche a voi» commentò Roxanne, mordendo un panino, per poi risputarlo nel piatto, dopo che Molly le sferrò un calcio da sotto al tavolo.
«Ahio!» si lamentò a bocca piena, «Finisci di masticare» la rimbeccò invece la cugina.
«Potete essere più espliciti, per l’amor di Morgana?» sbottò Rose, stanca di dover sempre scongiurare le liti tra quei due bambini troppo cresciuti. Era incredibile come riuscissero a trovare il capro espiatorio per iniziare una lite sempre e comunque. Erano sfiancanti e insopportabili.
«Tuo fratello trova stupido che io possa essere in ritardo perché scelgo di truccarmi, una volta tanto, la mattina» cominciò Lily, «No, io trovo ridicolo che voi ragazze dobbiate impiegare mezz’ora per scegliere la matita, l’ombretto, la cipria, il fard, il rossetto, lo smalto…» fece Hugo tutto d’un fiato, rimanendo quasi secco per la velocità con cui aveva esposto l’elenco «Va bene, va bene, va bene! S’è capito» disse Rose. Poi prese un limone dalla ciotola della frutta, e lo tagliò con il coltello, poi spremendolo mescolò il succo con l’acqua nel suo calice. Lo faceva ogni mattina, da chissà ormai quanto tempo. Era stata abituata da piccola a bere acqua e succo di limone.
«D’accordo» ribatté Lily, «Quando dovrò truccarmi mi farò accompagnare da Rose, e tu non dovrai patire questa sofferenza d’animo» e fece il verso a Hugo, che incrociò le braccia, e la guardò con una smorfia scocciata.
E così si chiuse la questione.
Continuarono a fare colazione tutti assieme, e in pace tra di loro, tanto che, dieci minuti dopo l’accaduto, Hugo e Lily avevano già lasciato perdere la discussione, e avevano ricominciato a chiacchierare per conto loro.
Un fruscio d’ali annunciò l’arrivo tempestivo dei gufi con la posta del mattino. «Io mi auguro che non decidano mai di defecare mentre sono in volo, una di queste mattine» commentò Hugo, mettendosi la testa al riparo. Al secondo anno era stato traumatizzato per via di un gufo che si era andato a schiantare sulla sua testa, impiumando i suoi toast e rendendoli immangiabili. Rose ricordava che aveva pianto per una buona mezz’ora, prima che fosse riuscita a calmarlo. Hugo era sempre stato un bambino timoroso.
Subito si sentì un urlo di panico da qualche parte lungo la tavolata, avviso che Leotordo II aveva colpito ancora: Leotordo II era un gufo Elfo, che Ron aveva regalato a Hugo per il suo undicesimo compleanno. Ovviamente, il bambino non aveva pensato che il nome avrebbe destabilizzato totalmente la capacità intellettiva dell’animale, rendendolo idiota e maldestro come il primo padrone di quel nome. Infatti, Leotordo era il nome del gufo che Sirius Black, padrino di Harry, aveva ceduto a Ron, alla fine del loro terzo anno, dopo che il suo “topo” si era rivelato essere Peter Minus. Quando Ron aveva raccontato ad Hugo la storia di quel gufo iperattivo, il bambino si era subito innamorato di quell’animaletto che sembrava così simpatico e gioioso, e così aveva deciso di onorarlo cedendo il suo nome al suo primo gufo. Grande sbaglio.
Qualche attimo dopo, il gufo arrivò zampettando accanto alla ciotola di pane, dove si appollaiò, facendola rovesciare subito dopo.
Hugo si passò una mano sulla fronte, poi prese il gufo e slegò la busta dalla zampa, poi l’animaletto si strofinò contro la mano del ragazzo, e afferrò un pezzo di pane dal suo piatto, «Ehi!» si lamentò quest’ultimo, ma Leotordo aveva già ripreso il volo.
Il ragazzo sbuffò, e poi ricominciò a mangiare. Subito dopo arrivò Peleo, il gufo di Albus, che passava prima da Lily, e poi andava dal suo proprietario.
Teneva attaccate alla zampa sinistra due buste, e alla destra una sola: due erano rosa, come quella di Hugo, e l’altra rigida e beige. Lily la voltò, e lesse l’inconfondibile calligrafia di…
«James…» mormorò, aprendo subito la busta, e trovandovi una foto che raffigurava un campo da Quidditch che Lily era riuscita a vedere soltanto in poster e fotografie di giornali. L’altezza da cui era stata fatta la foto doveva essere davvero assurda, perché quel campo era di per sé enorme, e si vedeva interamente, perciò James doveva averla fatta a cavallo della scopa, e da una distanza da capogiro.
Lily voltò la foto:

Sono sicuro che mi stai strangolando con il pensiero.
Spero mi vorrai ancora bene lo stesso.
Dì ad Albus di controllarti, altrimenti tornerò io e stanerò tutti quelli che si avvicinano a te.

Ti voglio bene,
James

«Fa’ un po’ vedere» fece Roxanne, prendendo la foto dalle mani di Lily. Poi spalancò gli occhi e iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, «Que-questo… è…» «Dai qua» intervenne Hugo, strappandogliela dalle mani. Ebbe lo stesso effetto anche su di lui, «Non ci credo!»
«Ma è uno stupido campo di Quidditch» constatò Rose, prendendo a sua volta l’immagine. Si beccò tre occhiatacce dal fratello e le due cugine.
«Non è uno stupido campo di Quidditch» la corresse Hugo, «È il campo di Quidditch» «Il campo dove si allena il Puddlemere United!» diede manforte Roxanne.
Rose girò la foto, «Ma non stava facendo le selezioni per entrare nei Cannoni di Chudley?»
«Ha ricevuto offerte anche dal Puddlemere, dai Tornados, e dai Kenmare Kestrels**» spiegò Lily, «Un bel jackpot» commentò Hugo, con una punta di amaro in bocca.
Rose restituì la foto a Lily, che la ripose nella borsa, dentro un quaderno, in modo che non si rovinasse, e aprì la lettera settimanale di nonna Molly, quella nella busta rosa. Molly e Roxanne avevano già letto le loro.
Ovviamente, per nonna Molly non era stato facile trovare il modo di scrivere a tutti i suoi nipoti, soprattutto dopo che anche i più piccoli erano entrati. Una volta, convinta di aver scritto già a Lucy, avendo confuso la lettera di Louis con quella della bambina, non gliel’aveva spedita, e la povera Lucy aveva pensato si fosse dimenticata di lei. Ci aveva pianto per giorni, fino a quando la nonna non si era accorta della svista.
Duerre, il barbagianni di Hermione, arrivò sul tavolo, e Rose le diede un buffetto sulla testa, prendendo la sua busta rosa, e un volantino giallo.
«Hugo, deve essere tuo» fece la ragazza, porgendo il foglio al fratello, che si rivelò essere una brochure del Ministero «Te lo manda papà. Se ha ben pensato di non affidarlo a Leotordo, significa che è abbastanza importante»
Hugo non rispose, e si limitò a fissare il volantino, per poi aprirlo e chiudersi in un religioso silenzio, che le altre interpretarono come concentrazione adeguata ad una lettura di quel calibro, ma che Lily avvertì come panico totale. Duerre, intanto, aveva ricevuto la sua razione di cibo mattutino, e aveva ripreso il volo per tornare a Londra, nell’ufficio di Hermione.
Cinque minuti più tardi suonò la campana che segnalava l’inizio delle lezioni mattutine. Rose saltò in piedi di colpo, come se le avessero messo dei cubetti di ghiaccio nel mantello «Accidenti!» imprecò, raccattando subito le sue cose, il più in fretta possibile, e cacciandosi in bocca il panino che stava finendo di mangiare. All’altro capo del tavolo era comparsa Alexandra, che stava facendo cenno a Rose di muoversi.
«Ohi, quanta fretta» commentò Roxanne, che ovviamente non aveva intenzione di alzarsi dal tavolo molto presto, «Non posso fare un secondo di ritardo» spiegò Rose, salutando le cugine e il fratello – ancora preso dalla lettura – con un bacio, «Ho Antiche Rune alla prima. Stiamo studiando l’Ordine dei Druidi di Stonehenge; sapete che è uno dei più importanti religiosi del Mondo Magico? E che i loro rituali…» «ROSE!» scattarono all’unisono le cugine, il fratello e le amiche, «Siamo in ritardo» la rimbeccò Alexandra.
«Giusto, giusto! Eccomi» e cominciò a correre attraverso la Sala, seguita da Natalie ed Alexandra.
«Non corra, signorina Weasley» la rimproverò il professor Paciock, che aveva scampato per un pelo di essere investito dalla furia rossa che era la ragazza.
«Mi scusi, professore. Siamo in ritardo» si giustificò di rimando questa, anche se sapeva che quello di Neville non era un rimprovero vero e proprio.
«Dovremmo muoverci anche noi» fece Lily, guardando Hugo, ancora completamente risucchiato da quella lettura, e quando il ragazzo non diede segni di aver capito, o di avere almeno sentito, la ragazza gli tirò un calcio da sotto il tavolo, «Ohi, ehi! Che c’è?» si riprese subito questi, «Siamo in ritardo, Hugo»
«Ah, sì!» e saltò su immediatamente, riponendo con cura il volantino nella borsa, come se temesse che il padre lo potesse vedere in qualche modo, e prenderla a male se l’avesse semplicemente gettato nella borsa senza cura.
Molly e Roxanne si erano già incamminate, con disappunto della seconda che non voleva passare due ore a sentire Rüf che analizzava il culto magico mondiale.

Avevano passato la prima mezz’ora a sentire la loro professoressa di Babbanologia, Costance Proust, introdurre il concetto di Elettricità Babbana, spiegando che si trattava della più alta manifestazione dell’ingegno dei babbani e, in sé, che fosse una forma diversa di magia.
La professoressa Proust era arrivata ad Hogwarts nel 2012, carica di una vitalità e un tenore di vita pari a quella di un bambino di cinque anni. Era una donna molto affabile e disponibile con gli alunni, ogni qual volta c’era da aiutare uno studente in difficoltà con la sua materia. L’importante per lei non erano i voti, e le valutazioni, ma che i ragazzi imparassero in un perfetto ambiente scolastico, e a loro agio, senza avere il fiato sul collo.
Molte volte, infatti, si era battuta nella sua causa di abolire i voti scolastici, e mantenerli solo durante gli esami finali, con sommo disappunto da parte della McGranitt, e anche di alcuni studenti e genitori.
Costance Proust era nata da due Maghinò, e durante il periodo di Guerra si era trasferita in America, trovando lavoro come professoressa di storia in un’università babbana. Hippy convinta, e femminista perfetta, sembrava la caricatura di una di quelle donne degli anni ’70, con i fiori nei capelli e le ascelle colorate. Proprio per il suo aspetto buffo, ma incoraggiante, era una delle professoresse più acclamate dagli studenti, semplicemente perché sembrava l’unica umana, in quella scuola.
«I babbani non creano, ma trasformano! Difatti l'energia elettrica viene generata all'interno di costruzioni chiamate “centrali” in cui l'energia reperibile in natura viene riutilizzata come energia elettrica» aveva detto la professoressa, disegnando poi uno schema che mostrava come tutto potesse partire addirittura da un fulmine che tocca terra.
Ovviamente il concetto non era nulla di troppo nuovo per Lily e Hugo che, da quando erano bambini, avevano sempre passato miliardi di giornate assieme al nonno che spiegava loro tutto ciò che sapeva sui babbani, e soprattutto sulla loro misteriosa magia chiamata ‘elettricità’. Poi, c’era anche da tener presente che entrambi i bambini avevano avuto a che fare con il mondo babbano innumerevoli volte, essendo Harry cresciuto per i primi undici anni della sua vita senza essere a conoscenza della sua natura da mago, ed Hermione altrettanto essendo una Nata Babbana.
Hugo era completamente assente, e si limitava a fissare la Proust dal fondo dell’aula, con occhi vitrei, mentre Lily si impegnava nel prendere almeno qualche appunto, giusto per impiegare un po’ della lezione facendo qualcosa.
«Vi sono varie forme di energia naturale» fece la donna, cerchiando la parola ‘energia’ scritta in stampatello sulla lavagna, e tracciando, a partire da questa, due frecce «Fonti rinnovabili, e fonti non rinnovabili» e Lily scrisse.
«Ora, chi sa dirmi un esempio di fonte rinnovabile? Forza, ne conoscerete almeno uno!» esclamò la professoressa, alzando le braccia sopra la testa e invitando i ragazzi a farsi avanti.
Lily tentò di nascondersi dietro la schiena di un suo compagno, scivolando piano piano sulla sedia. Ovviamente non servì a nulla.
«Signorina Potter, vuoi dirlo tu?»
Lily si grattò la nuca, risalendo dal suo nascondiglio, «Ehm, non so se…» «Oh, non preoccuparti, fiorellino» fece la professoressa con la sua solita voce mielosa, «Avanti»
«La principale dovrebbe essere l’energia solare, che proviene appunto dal sole» cominciò, un po’ titubante. Suo nonno le aveva spiegato quali fossero, in realtà, ma grazie alla sua esperienza, Lily aveva imparato che era meglio non fidarsi troppo delle informazioni sul mondo babbano da parte di nonno Arthur.
La Proust invece annuì.
«Poi mi sembra ci sia quella eolica» disse la rossa, tirando una gomitata ad Hugo per chiedergli aiuto, ma il ragazzo si limitò a urlare – piuttosto forte –, «Che c’è?»
«Qualche problema, signor Weasley?» si informò la professoressa, avvertendo il trambusto, «No, no. Ehm, nessun problema» rispose Hugo, imporporandosi le orecchie, e guardando in cagnesco Lily.
«Qual è la fonte naturale dell’energia eolica, signor Weasley?»
«L’aria» rispose prontamente Hugo, saltando quasi dalla sedia, come un soldato che riceve un ordine dal suo comandante.
«Bene, bene» commentò la professoressa, impressionata dalla prontezza del ragazzo, «Signorina Potter, la terza fonte rinnovabile?» «Energia idrica» risposero all’unisono sia Lily che Hugo, evidentemente convinto che la domanda fosse rivolta a lui, ignorando che la professoressa avesse specificato che era per Potter, e non per Weasley.
«Davvero fantastico» si complimentò la professoressa con entrambi, «Chi vi ha già insegnato queste cose?» «Mio nonno» risposero di nuovo insieme.
La professoressa sorrise, «Oh, è adorabile la vostra sincronia, fanciulli. Quindici punti a Grifondoro» e dopo qualche esultanza da parte dei compagni Grifondoro, e lamenti e brusii da compagni di altre case, e continuarono la lezione.






«Non ce la farò mai»
«Oh, avanti. Non dire sciocchezze. Il giorno in cui non ce la farai tu, sarà il nostro ultimo sulla terra»
«Ma se ti dico che non ce la faccio, non ce la faccio»
«E se ti diciamo noi che ce la fai, ce la fai»
Rose gettò il capo a peso morto sul libro di Trasfigurazione che aveva davanti a sé.
Era tutto il pomeriggio, ormai, che le tre ragazze si trovavano in Biblioteca attorno ad un tavolino a studiare quell’ardua materia, dopo che la McGranitt aveva richiesto, per il giorno successivo, un tema di cinquanta centimetri di pergamena sulla Trasfigurazione Umana, elencando, se possibile, esempi di metamorfosi uscite male.
Rose era andata in crisi dopo aver scoperto di non riuscire ad andare oltre i trentadue centimetri di pergamena, e da più di un’ora stava piagnucolando, mentre valutava l’idea di lasciare la scuola prima che fosse troppo tardi, per evitare la vergogna, o magari inscenare la sua morte, e cambiare nome, per poi trasferirsi in Alabama, dove nessuno avrebbe mai riconosciuto Rose Weasley.
«Scommetto che fallirò i M.A.G.O., e che verrò bocciata, e che dopo essermi rifatta tutto il settimo anno, verrò bocciata di nuovo, e ancora, e ancora, fino a quando non avrò cinquanta anni, e sarò la donna più stupida del pianeta» disse, alzandosi dal tavolo e iniziando a camminare per il reparto in cui si erano rifugiati da Madame Mel, la bibliotecaria.
«Ma io non capisco: perché ho ereditato solo una parte del cervello di mia madre? A quanto pare deluderò tutti, non sono così intelligente» proseguì, poi si mise di colpo le mani nei capelli e si gettò in ginocchio sul pavimento. Le ragazze si guardarono attorno, sperando che Madame Mel non fosse nei paraggi, altrimenti le avrebbe cacciate ed esiliate per il resto della loro vita.
«I miei ne moriranno. Vedo già Duerre portare la lettera che testimonia la mia bocciatura a mia madre, in ufficio. La apre» e simulò Hermione che apriva la busta, mentre dava un buffetto al gufo, «E comincia a leggere, incredula. Ad un tratto, un urlo agghiacciante. La gente accorre a vedere cosa è successo: Hermione Granger è svenuta. È a terra, priva di sensi. C’è una lettera accanto a lei: Rose Weasley. Sua figlia. Bocciata al settimo anno, non ammessa ai M.A.G.O.» Rose si spiaccicò la mano sulla fronte, e si accasciò sulla sedia «Alcuni colleghi di mia madre corrono nell’ufficio di mio padre per avvertirlo del malore che ha colto la moglie. Ron Weasley diventa bianco come un cencio. Stava discutendo alcune pratiche su un caso insieme ad Harry Potter – che delusione, lo sapranno entrambi! –»
«Mio padre si precipita sulla scena. Gli porgono la lettera. E poi… sviene anche lui» disse Rose, gettandosi a terra.
«Wow» commentò alla fine Alexandra, «La drammaturgia deve essere proprio un talento di famiglia, a quanto sembra» «Oh, Rose, alzati» fece Natalie, aiutando l’amica a rimettersi sulla sedia.
«Capite ora che cosa accadrà?» insisté la rossa, mentre le altre due riprendevano il loro lavoro, «Certo, Rose, i tuoi ne sarebbero distrutti. Ma non accadrà mai tutto ciò. Voglio dire, tu sei una delle migliori studentesse che Hogwarts abbia mai avuto. Non devi perderti d’animo per diciotto centimetri di pergamena» fece Natalie, prendendo una mano di Rose tra le sue e sorridendole per confortarla.
Rose inspirò profondamente, e da lì parve riacquistare tutta la lucidità persa in quei pochi minuti. «Grazie» mormorò rivolta a Natalie, «Mi dispiace esservi così di peso quando ho questi acciacchi» si giustificò «Rose, sai che per noi è normale vederti nei peggiori stati di confusione mentale» rispose Alexandra, ridendo. A lei si unirono anche le due ragazze.
«Ricordatevi che avete il permesso di prendermi a sberle, in caso arrivi a questo punto» fece Rose, «Allora non vedo l’ora che ricapiti» ribatté Alexandra. Rose spalancò la bocca in una teatrale interpretazione del suo sconcerto. Alexandra rise della sua espressione.
«Questa la paghi» la minacciò Rose, «Quando vuoi» disse invece Alexandra.
«D’accordo, d’accordo» intervenne Natalie, prima che iniziassero la lotta con il solletico, o la lanciata di gavettoni d’inchiostro, così da rischiare l’espulsione sul serio, «Ora rimettiamoci al lavoro, così poi andremo a sgraffignare qualcosa dalle cucine prima di cena» le altre due annuirono, poi si rimisero tutte e tre al lavoro.
Ovviamente però, doveva esserci per forza un altro intoppo.
«Non possiamo stare qui» arrivò dalla parte opposta dello scaffale di fronte a loro una voce femminile che dava l’idea di trovarsi in una situazione piuttosto inusuale per una Biblioteca.
Le tre ragazze si guardarono. Rose mimò con la bocca: «Chi è?»
Alexandra scrollò le spalle. Natalie prestò più attenzione, e si mise un dito sulle labbra per indicare alle due di non emettere il minimo fiato.
A quella voce seguì un rumore come di un lavandino che si stappa di colpo, e un gemito davvero poco casto. “Oh, fantastico. Adesso pomiciano anche in Biblioteca. C’è un posto che non sia ancora stato destinato ad ospitare tale atto?”, pensò Rose, ruotando gli occhi, e guardando le amiche per accertarsi che avessero capito cosa stesse accadendo dall’altro lato. Evidentemente dalle loro facce, sì: Natalie aveva una smorfia disgustata stampata in viso, mentre Alexandra sembrava sul punto di alzarsi e avventarsi con una ramanzina su quei due che stavano disturbando la quiete pubblica della Biblioteca. Speravano soltanto che potesse arrivare Madame Mel per cacciarli e far tenere presente alla preside l’idea dell’espulsione con effetto immediato, come minimo.
Poi si sentì un tonfo sordo, di qualcosa che va a cozzare contro un muro di pietra, e a seguire altri baci.
«Sul serio, Scorpius, troviamo un altro posto» si lamentò la ragazza. Natalie, Rose e Alexandra si guardarono furibonde. “Ovviamente” fece Rose “Chi poteva essere se non lui? Chi poteva farsi una ragazza in Biblioteca se non Scorpius Malfoy?”
«Cos’è, dolcezza, hai paura che quella megera all’ingresso ci scopra? Credevo ti piacesse infrangere le regole» ed ecco la voce arcigna, fredda e serpentina del ragazzo che Rose odiava di più in tutto il sistema solare. Non poteva esserci ragazzo più ignobile, sconsiderato, attaccabrighe, insensibile, arrogante, maschilista, ninfomane e idiota di lui. Nessuno.
Per qualche secondo susseguirono solo rumori di baci che potevano sembrare innocui baci sulle labbra, ma che Rose sapeva andassero in tutt’altre direzioni, e che si confermavano tali per via dei gemiti che uscivano dalla bocca della ragazza. Probabilmente altri pochi secondi, e Rose avrebbe vomitato sul pavimento.
Ad un certo punto, si sentirono dei passi, e qualche attimo dopo, Scorpius Malfoy e Martha Rogen si rivelarono sull’entrata del reparto in cui si trovavano le tre ragazze. Martha era attaccata alle labbra e ai capelli di Malfoy, con la gonna molto più alta di come in realtà dovrebbe essere portata, e i capelli scombinati, e Scorpius, rivolto con il viso verso di loro, con la camicia tutta aperta, se non per l’ultimo bottone – il che era praticamente ridicolo, pensò Rose –, appena le vide, sorrise.
Si staccò dalla ragazza, «Oh, ma guarda qui» fece, e si girò anche Martha, contrariata che qualcuno avesse interrotto il loro scambio di saliva, «Che coincidenza» sorrise Scorpius a trentadue denti, guardando Rose.
«Ti ostini a rimanere una secchioncella, Weasley? Ammirevole» disse, riattaccandosi i bottoni della camicia, con grande disappunto della Rogen, che rimase in disparte. Anche lei aveva la camicia sbottonata, lasciando in bella vista il reggiseno.
«È, più che altro, cercare di crearmi un futuro che non dipenda dal mio cognome, e dalla mia famiglia, ma solo dalle mie capacità intellettive, Malfoy. Non so se comprendi» ribatté Rose, toccandosi la tempia con due dita, e con una smorfia in viso che sembrava indicare uno sforzo immane per tentare di ricordarsi qualcosa che le sfuggiva, «Ah, già. Tu preferisci fare l’ereditiera viziata che vive come un parassita sulle spalle dei genitori» «E poi ti ostini a dire di non conoscermi bene» rise Scorpius, spalancando le braccia. La Rogen sembrava sul punto di andarsene, scocciata della situazione.
Alexandra e Natalie si guardavano preoccupate, pregando in cuor loro che i due non cominciassero a litigare.
Scorpius prese la sedia vuota affianco a Rose, e si sedette.
«A proposito, non ho avuto occasione di chiedertelo prima: come stai? Insomma, dopo la caduta che hai fatto la settimana scorsa, non mi stupirei se fossi ancora incapace di muoverti, o fare incantesimi che ti riescano» fece il ragazzo, rigirandosi la piuma di Rose tra le dita.
«Oh, certo, Malfoy. Visto che durante tutta la settimana scorsa non mi hai fatto la stessa domanda abbastanza, è giusto continuare» rispose Rose, riprendendo la penna dalle mani di Scorpius.
Il ragazzo assunse uno sguardo di ammirazione, «Bella presa» commentò, «Ovviamente non direi la stessa cosa per come prendi la bacchetta, ma va bene comunque, no? Si va avanti a piccoli traguardi» le sorrise sarcastico, come si fa ad una bambina che non può arrivare a capire più di tanto, e le diede un buffetto sulla guancia.
Rose spalancò gli occhi, sconcertata dalla briga che si era preso Malfoy di toccarla, «Come osi?» saltò irata dalla sedia, mentre Scorpius sorrideva soddisfatto dal limite che aveva varcato ancora una volta. Si posizionò di fronte a Rose, con le braccia conserte.
Alexandra e Natalie rimanevano immobili, attente a captare le minime intenzioni di Rose, per fermarle seduta stante.
Infatti, la ragazza sguainò di scatto la bacchetta, mentre Malfoy la sfidava con lo sguardo ad agire, ma le amiche la presero subito dalle spalle, «Rose, lascialo perdere» le fece Alexandra, mentre Scorpius rideva, «Sì, Rose. È solo un pallone gonfiato. Tu sei troppo matura per vedertela con lui» approvò Natalie.
«Certo, Rose» fece Malfoy, imitando la voce di Natalie, «Lasciami stare. Non puoi tenermi testa»
Rose si sradicò senza preavviso dalla presa delle due ragazze, che rimasero sconcertate dalla sua liberazione, e pregarono che non si avventasse su Malfoy, ma invece la rossa si ricompose, e raccattò la sua roba, non degnando il ragazzo nemmeno di uno sguardo. Le altre due fecero altrettanto.
«Meglio anticipare la nostra pausa» disse loro, per poi uscire dal reparto, e poi dalla Biblioteca.

Le ragazze erano rimaste in silenzio per tutto il tragitto che le aveva portate dalla Biblioteca alle cucine, e in quel momento erano sedute a piluccare qualche panino al tacchino donato loro dagli elfi e ogni tanto a scambiarsi sguardi incerti. Alexandra e Natalie preferivano rimanere zitte e non cominciare alcun discorso, viste le circostanze, e soprattutto dato lo sguardo vitreo ma infuriato di Rose, che rimaneva a fissare gli scalini, come nella speranza di incenerirli con il solo sguardo.
Le due ragazze non volevano che iniziasse a parlare male di Malfoy con il solo risultato che potesse poi venirle un attacco nervoso, e cominciasse ad urlare, e magari che le venisse in mente di piombare nella Sala Comune dei Serpeverde e prenderlo a randellate sulla faccia.
Sapevano ovviamente che stava architettando, come minimo, un modo di fargliela pagare, o addirittura gli stesse progettando una lenta e dolorosa morte, magari un volo inaspettato dalla Torre di Astronomia.
Scorpius Malfoy aveva iniziato a tormentare Rose Weasley più o meno dal loro terzo anno. Prima erano abbastanza tolleranti, quando si trovavano nella stessa stanza, perché nessuno aveva nulla contro l’altro. Per quanto Rose non volesse ammetterlo, però, tutt’ora lei non aveva nulla contro il ragazzo, era solo Malfoy ad avercela con Rose, e nessuno aveva mai capito perché, in tutta la scuola, quei due litigassero così tanto e perché non si potessero vedere in faccia, senza dare il via ad una guerra senza esclusioni di colpi subito dopo.
Era impossibile capire che cosa prendesse ad entrambi, quando si vedevano. Scattava una specie di interruttore nei loro cervelli, che dava il via alla sparatoria, macchinando al loro interno gli insulti più pesanti, e le battute più disprezzanti che avessero nel proprio arsenale.
Dopo quattro anni passati così, era assurdo che nessuno dei due si fosse ancora stancato di quella situazione a dir poco insostenibile e sfiancante. Persino per i loro amici era un dolore vederli continuamente l’uno contro l’altra, sempre a lanciarsi frecciatine e commenti pungenti.
Era impossibile per loro conciliarli, e viste le circostanze che li doveva vedere per forza insieme, quando si stava tra amici, contando il fatto che frequentavano le stesse persone, per gli altri stava arrivando il momento di rottura, in cui probabilmente avrebbero dato un ultimatum definitivo ai due ragazzi.
Purtroppo quell’anno la situazione era molto spinosa, soprattutto dopo la rottura di Alexandra e Lorcan, anche se magari questo avrebbe significato un distacco tra tutti loro, e quindi una riduzione notevole di morti e feriti, che secondo il calcolo delle probabilità, si erano rivelate numerose.
Dopo quelle che parvero ore, Rose si riprese dalla sua trance, e ripose in un fazzoletto il panino che non aveva fatto altro che rigirare tra le mani per tutto il tempo in cui erano rimaste lì sedute, e si alzò, «Credo sia meglio che io ritorni a studiare, mi mancano ancora quei diciotto centimetri» annunciò, battendosi le mani sulla gonna per togliersi la polvere del pavimento di dosso.
Anche Natalie si alzò, e si diede una sistemata ai vestiti, «Giusto, è vero» fece.
Rose la guardò, «Non c’è bisogno che tu mi accompagni»
«Oh, no, tranquilla. Tanto devo finire anche io di studiare»
«No, sul serio. Io non vado in Sala Comune» ribatté Rose.
«Va bene comunque, ti accompagno solo per un pezzo di strada» insisté Natalie, agitando una mano a mezz’aria.
«Davvero, vado da sola»
«Ma no! Ci facciamo compagnia per un tratto» fece la ragazza, avvicinandosi a Rose, «Ti ho detto di no!» esclamò questa, facendo fermare l’amica sul posto, spaventata dalla voce di Rose, che non si era mai rivolta a lei in quel modo.
Alexandra si alzò per intervenire, «Uhm, ehi, ti va di accompagnarmi un secondo a controllare una cosa nella mia Sala Comune?»
Natalie sembrava sul punto di piangere, così Alexandra la prese e la portò via, «Ci vediamo a cena, Rose» disse alla rossa, e poi salirono le scale fino a rimuoversi dalla vista della loro amica.
Quando furono a un piano di distanza dalla furia Rose, Natalie disse «Non posso credere che si sia rivolta a me con tale accanimento. Cosa credeva, che fossi io Malfoy?»
«Ma certo che no» rispose Alexandra, «È che Malfoy stavolta l’ha fatta sul serio ardere di rabbia, perciò è normale che se la sia presa con la prima persona che ha avuto davanti. Tu non c’entri nulla, Natalie. Rose ti vuole un bene dell’anima, e appena si calmerà verrà subito a chiederti scusa per come si è rivolta a te, e in maniera così brusca»
Natalie annuì, un po’ diffidente. «Andiamo, ti pare che la nostra Rose si rivolgerebbe ad una di noi due in questo modo? Non sta né in cielo, né in terra» continuò imperterrita Alexandra, prendendo l’amica per un braccio, «Forza, fammi un sorriso» le disse, allargando le braccia. Natalie la guardò supplicante, e Alexandra lasciò perdere.
«D’accordo»
«Apprezzo che tu voglia tirarmi su, ma adesso sono veramente dispiaciuta di questo, quindi me ne andrò in Biblioteca a finire quello che Malfoy ha interrotto» disse con rabbia, girando i tacchi e andando dalla parte opposta di quella dove erano dirette.
«Va bene, allora anche a te: ci si vede a cena!» le urlò dietro Alexandra, «Mamma mia, qui un po’ di persone hanno bisogno di una bella tazza di camomilla» mormorò poi tra sé.
Visto che non le rimaneva nient’altro da fare, tanto valeva tornare in Sala Comune e completare i suoi cinque centimetri mancanti di tema.
Arrivò al batacchio a forma d’aquila posizionato sulla superficie nera che era l’accesso alla Sala Comune di Corvonero, nella torre ovest del castello di Hogwarts.
Diversamente dalle altre Sale Comuni, il guardiano dell’accesso alla loro Sala non richiedeva una parola d’ordine, ma la risposta ad un indovinello, che differiva ogni volta dal suo precedente. In tutta la storia di Hogwarts, il batacchio-aquila non aveva mai proposto lo stesso indovinello due volte.
Alexandra se l’era sempre cavata bene negli indovinelli, ma sicuramente c’era un individuo molto più bravo di lei, in questo, e lei doveva proprio ammetterlo. Lorcan era imbattibile in campo. Impiegava pochissimi secondi a risolvere un qualsiasi enigma, di una qualunque difficoltà.
“Come se tu avessi bisogno di un cavaliere che ti apra la porta” la schernì una voce maligna nella sua testa, “In effetti non mi serve. Sono abbastanza intelligente per risolvere indovinelli, non credi?” si rispose a tono. L’altra voce non ribatté, o perché sapeva che Alexandra aveva ragione, o semplicemente perché voleva vedere cosa fosse capace di fare.
La ragazza si mise davanti al batacchio, e allungò la mano verso il becco di bronzo. Bussò, e immediatamente il becco si aprì, lasciando uscire una dolce voce musicale che le recitò: «Radici invisibili ha, più in alto degli alberi sta, lassù fra le nuvole va e mai tuttavia crescerà»
Alexandra rimase un attimo a pensare a cosa potesse esserci con radici nascoste, che fosse più alto degli alberi, e stesse fra le nuvole, ma che non crescesse.
«Più in alto degli alberi, ma lassù fra le nuvole… mh» mormorò la ragazza. Intanto l’aquila rimaneva ferma e immobile, come se nessuno l’avesse mai svegliata dal suo sonno catatonico.
«Ah! Ce l’ho, ho capito!» esclamò ad un tratto, «È la montagna! Vero?»
Ma il batacchio non rispose, e si limitò a farla entrare. La Corvonero varcò la soglia soddisfatta di sé stessa.
La sala era gremita di studenti, vista soprattutto l’ora: i ragazzi di Corvonero, dopo le lezioni pomeridiane, impiegavano tutta la sera, prima della cena, nello studio per il giorno dopo. La loro sala era molto ampia, circolare come la Sala dei Grifondoro, – contando anche il fatto che fosse su una delle torri – e dava l’idea di trovarsi praticamente a un dito dal cielo. Lungo i tre quarti delle pareti circolari si aprivano delle finestre ad arco, a cui erano appesi dei drappi blu e bronzo, di seta. Dalle finestre, gli studenti godevano di una vista meravigliosa sulle montagne circostanti, e durante la giornata la luce che irrompeva nella stanza era impagabile. C’era sempre un’aria così serena e pacifica, così rilassante e quasi asettica nella torre di Corvonero. Gli studenti si riunivano lì a studiare, anche se, a volte, essendo troppo piena di persone, alcuni dovevano rinunciare alla loro bellissima Sala e andare in Biblioteca. Molti studenti di anni più avanzati aiutavano i più piccoli nei compiti da fare, o organizzavano gruppi di studi per ripassare le materie. Insomma, era verissimo che la Casa di Corvonero era la più accogliente. Non c’era distinzione tra chi fosse più intelligente e chi meno, chi fosse più grande e chi più piccolo, chi fosse più capace e chi non. Ognuno dava il meglio che poteva, e chi poteva di più, dava anche agli altri.
In ogni centimetro di spazio che non fosse occupato dalle finestre, vi era una libreria, o un gran numero di scaffali stracolmi di libri e qualsiasi oggetto che fosse utile nello studio delle materie di Hogwarts, come telescopi, mappe stellari, calderoni, fialette per ingredienti e chi più ne ha, più ne metta.
Dall’altro lato della stanza erano posizionati tavoli in legno di ogni forma e dimensione, in grado di accogliere vari numeri di studenti, e di fronte a questi, incastonato tra le due librerie più grandi della Sala, vi era un caminetto di marmo bianco, di fronte al quale vi era un divano di velluto blu (logoro in più punti), e due divanetti ai suoi lati, blu anch’essi, con un tavolino da caffè nel mezzo.
Al posto delle comuni sedie, ad accogliere gli studenti, e a renderli più comodi nello studio c’erano delle comode bergère rigorosamente blu, poltroncine che si usavano nelle corti reali come quelle della Francia nel 1700.
Il soffitto e il pavimento erano identici, come se si riflettessero l’un l’altro: una cupola trapuntata di stelle dipinte si specchiava sulla moquette blu notte, con le stelle ripetute anche in essa.
Proprio di fronte alla porta, invece, vi era il busto di Priscilla Corvonero, in marmo bianco. Chiunque vedesse quella statua provava un senso di paura, con un solo sguardo la donna di pietra incuteva timore e un moto di inadeguatezza, come se nessuno fosse in grado di reggere la sua saggezza, che sembrava aleggiare dal busto per tutta la torre.
I bambini avevano paura di guardare quella statua, e quando dovevano recarsi in Dormitorio, la cui porta era situata affianco alla statua, abbassavano la testa e si mettevano una mano a parare gli occhi.
Il volto di quella donna, vissuta secoli prima, metteva a disagio anche Alexandra, che era ormai di casa lì. Non perché Priscilla fosse brutta, o di sguardo cattivo, ma perché il suo viso così distinto emanava un’aura di potenza che era ineguagliabile per qualunque altro mago famoso. Era minacciosamente bella, e sembrava potesse sfidare chiunque ad un gioco di logica pur sotto forma di statua.
Sulla testa della fondatrice vi era scolpito un cerchietto incastonato tra i capelli di marmo. Era una tiara con un’aquila posta al di sopra del cerchio, e nello stomaco di questa una gemma. Incise sul cerchio vi erano queste parole: «‘Un ingegno smisurato per il mago è dono grato’» il motto della loro Casa.
«Ehi, Alexandra!» la chiamò qualcuno, appena la ragazza fece il suo ingresso. La Sala era in pieno fermento. Le poltrone erano tutte occupate da ragazzi curvi su tomi più grandi delle loro teste e, sulla moquette, accanto al tavolino vi erano tre ragazzine che stavano provando degli incantesimi – probabilmente di Trasfigurazione – su un topolino che mangiava ignaro un biscotto. I tavoli erano stati presi da cinque gruppi di studio: due con dei ragazzi di Corvonero degli stessi anni, un tavolo si occupava di Pozioni (Alexandra lo capì dai due calderoni sul tavolo, e da tutte le provette sparse sulla superficie) e un altro di Artimanzia, e gli altri tre gruppi erano formati da bambini del primo e del secondo anno, guidati da tre tutor. Uno di questi aveva chiamato Alexandra, e le stava facendo cenno di avvicinarsi.
La ragazza gli sorrise, «Ciao, John» salutò arrivata al tavolo. Diede un’occhiata ai libri che il ragazzo aveva davanti, e salutò i bambini del secondo anno a cui il ragazzo faceva da tutor.
«Incantesimi, mh? Non è un tantino confusionario farlo qui?» gli chiese, «Oh, no. È solo teoria, per oggi. Avevano bisogno di una mano con le pronunce in latino dei nuovi incantesimi che ha spiegato loro Vitious» rispose John, agitando una mano a mezz’aria. John Meridian era da sempre stato il ragazzo più bravo nel corso di Incantesimi da quando erano arrivati ad Hogwarts al loro primo anno, e manteneva la carica di migliore da quasi sette anni. Era ovvio il perché i bambini lo volessero come aiuto per i compiti di Incantesimi.
«Cinque minuti di pausa» fece ai ragazzini, che si dispersero in un lampo.
«Allora» fece Alexandra, sedendosi «Hai finito i cinquanta centimetri di pergamena per Trasfigurazione?» «Oh, sì» rispose John, «Ho fatto i primi venticinque durante il pranzo, visto che non avevo tanta fame, e poi dopo la fine delle lezioni di questo pomeriggio. È stato abbastanza pesante» disse, riponendo un paio di libri che non gli servivano più nella borsa.
«E a te com’è andata?»
«Oh, mi mancano ancora cinque centimetri. Ci sono stati degli intoppi inaspettati, perciò andrò a finirli in camera, adesso. Magari salterò la cena per ripassare meglio. Dopotutto, mi è passato l’appetito» fece Alexandra, giocherellando con una matita sul tavolo, appoggiando la guancia sul palmo della mano.
«Cos’è successo? Se posso chiedere» s’informò John, ma Alexandra non fece in tempo a rispondere e a raccontare gli sviluppi di quel pomeriggio in Biblioteca, che una voce femminile spaccò i timpani dei due ragazzi.
«Alexandra!» gridò una ragazza, Margaret Cristall, per tutti Maggie. Frequentava la stessa classe di John e Alexandra, ed era la ragazza più vivace e attiva in tutto il castello. Aveva un talento innato per Pozioni, anche se la maggior parte delle volte disubbidiva alle istruzioni dei libri per mescolare vari ingredienti di testa sua, creando filtri che fossero letali per qualsiasi specie, umana e non. Lumacorno, infatti, le sequestrava sempre le boccette, per evitare che radesse al suolo più della metà della popolazione di Hogwarts, e quando le ricreava in Sala Comune, o in Dormitorio, ci pensavano i suoi compagni, sia i grandi che i piccoli, a cui era stata data l’istruzione precisa di chiamare un Prefetto o un Caposcuola, in caso la ragazza venisse vista con in mano una fiala, o davanti ad un calderone. Comunque riusciva a creare filtri di ogni genere con qualsiasi cosa. Era il non plus ultra dei pozionisti.
Lei e Alexandra condividevano la stanza da quando erano al primo anno, e c’era tra di loro una simpatia e un rispetto reciproco, anche perché nessuno al mondo era in grado di odiare quel caschetto castano iperattivo. Si muoveva come una gazzella, e al posto di camminare saltava, e ogni passo suo corrispondeva a cinque passi di un normale essere umano.
In due balzi arrivò alla postazione dei due ragazzi, «Alexandra, ti stavo cercando dalla fine delle lezioni, ma visto che non ti trovavo ho preferito aspettare che tornassi in Sala Comune, avevo chiesto in giro ma nessuno ti aveva visto, pensavo fossi in Biblioteca, ma siccome dovevo fare i cinquanta centimetri di pergamena sulla Trasfigurazione Umana ho cercato tutto il pomeriggio informazioni su metamorfosi uscite male durante l’ultimo secolo, quindi sono rimasta in Sala Comune, perché, come dice sempre mia madre: “prima il dovere, poi il piacere”» disse tutto questo senza prendere nemmeno un respiro, e alla fine la ragazza dovette fermarla, per paura che altrimenti potesse iniziare a fumarle il cervello, e che le scoppiasse la testa.
«Ehi, ehi, ehi! Respira, Maggie, respira» le fece. John la guardava ad occhi sbarrati, e aveva paura che ricominciasse a parlare per non fermarsi più, «Credo che tu non debba più bere caffè a colazione. Ha un effetto a lungo termine, su di te» mormorò «Siediti e prendi fiato»
«No, non ho tempo! Ero venuta solo a cercare Alexandra» esclamò la ragazza, saltando sul posto, «Cosa c’è, allora? Se non me lo dici non posso indovinare» rispose Alexandra.
«Me lo sono dimenticata!» gridò questa, facendo voltare quasi tutta la Sala Comune in sua direzione. I ragazzi la guardarono in cagnesco.
«Scusate» fece Alexandra al posto di Maggie, «Comunque, se l’hai dimenticato magari non era importante, Maggie. Ora, mi scuserete, ma devo andare a finire il mio rotolo di pergamena, quindi mi devo ritirare in camera mia» «GIUSTO! In camera tua! Cioè, nostra. Cioè, insomma, il Dormitorio» esclamò di nuovo la ragazza, poi assunse un atteggiamento serioso, e smise di saltellare, «Sì, ehm. Oggi pomeriggio sono rientrata dopo le lezioni, e mi sono stesa un po’ sul letto per riposare. Di solito non lo faccio, ma oggi ero davvero stanca e…» «Ti prego, arriva al dunque, Maggie» la interruppe Alexandra.
«Oh, sì. Scusa» ridacchiò Maggie, un po’ in imbarazzo «Comunque, ho sentito un fruscio d’ali alla finestra, così mi sono affacciata, perché mi piace vedere i gufi che fanno avanti e indietro dalla guferia, lo sai…» «Maggie!» «Perdonami, sì. In pratica, fuori c’era Cànace» disse, e Alexandra sbiancò di colpo. Cànace era il gufo reale che apparteneva a suo padre, Theodore Nott. Quell’animale non si era mai fatto vedere ad Hogwarts, in sette anni che Alexandra era lì. Era incaricato solo ed esclusivamente di recapitare le missive del Ministero a suo padre, o le lettere per sua nonna, una delle donne più influenti nella comunità magica. Non aveva mai avuto l’ordine di portare le lettere dei suoi ad Alexandra, e poi, la ragazza ne era certa, quel gufo la odiava.
Comunque, Maggie l’aveva visto solo una volta, quando il signor Nott era venuto l’anno precedente a tenere un seminario per i ragazzi del settimo anno di allora, presenziando come capo dell’Ufficio per la Cooperazione Internazionale Magica, e visto che Alexandra aveva voluto assistere, l’aveva portata con sé. Lì con suo padre c’era Cànace, il gufo più odioso della storia, ed avendo Maggie una potente memoria fotografica, aveva impresso per tutta la vita l’aspetto dell’animale, e sarebbe stata capace di riconoscerlo anche se si fosse trovato in uno stormo di cinquanta gufi, con la pioggia battente e lei avesse avuto un occhio nero.
Alexandra rimaneva in silenzio, preoccupata per la ragione che aveva visto Cànace arrivare fin lì, per recapitarle chissà cosa.
«Aveva una lettera legata alla zampa, e mi ha permessa di prenderla, quando ho aperto la finestra per farlo entrare» continuò Maggie, preoccupata per l’espressione della ragazza, «L’hai aperta?» chiese accalorandosi Alexandra, facendo indietreggiare la compagna di qualche passo. Anche John la guardava ansioso.
«Ma no, che non l’ho aperta! Non mi permetterei mai. Te l’ho lasciata sul letto. Non c’è scritto il mittente, sulla busta» ma non fece in tempo a completare la frase, che Alexandra corse alla velocità della luce su nel suo Dormitorio.
Il suo letto si trovava proprio di fronte all’ingresso, quindi si fiondò con un balzo sul materasso con la trapunta blu notte, e vi scoprì sopra la fatidica lettera.
Era chiusa in una busta verde smeraldo, il che rese Alexandra inquieta e tranquilla al medesimo modo. Sapeva chi le aveva spedito la lettera e, fortunatamente, il mittente non era suo padre, né tantomeno sua madre. A confermare la sua teoria, c’era il profumo sulla carta da lettere che le investì il volto quando prese il foglio: vaniglia e gelsomino. C’erano solo due persone che profumavano così le proprie lettere, ed erano lei e il suo mittente.
Il foglio era piegato a metà, e sulla sua superficie vi era lo stemma dei Nott, un dannatissimo gufo reale con le ali spiegate in volo, su uno sfondo di rovi grigi che lo tenevano intrappolato.
Strano che il suo mittente avesse usato lo stemma che nemmeno gli apparteneva. Odiava usare la carta della famiglia.
Alexandra aprì la lettera con mani tremanti, ma poi pensò che si sentiva troppo a disagio nel leggerla con tutte le persone che vi erano giù di sotto, come se potessero salire tutte in camera sua per sbirciare la sua lettera.
Ripose il foglio nella busta, e si allacciò il mantello. Poi prese a correre fuori dal Dormitorio, giù in Sala Comune, dove John aveva ripreso la lezioni con i bambini del secondo anno, e Maggie era tornata al suo studio. Non appena videro Alexandra correre sbatacchiando il mantello da tutte le parti, cercarono di richiamarla, «Alexandra!» fece John, «Ma che è successo?» esclamò invece Maggie, ma la ragazza si era già precipitata fuori dalla Sala, e si era richiusa la porta alle spalle. I due si guardarono scrollando le spalle, e scuotendo la testa, poi si rimisero a lavoro.
Alexandra sapeva che l’unico posto in cui poteva rimanere tranquilla, era la Guferia. Quello schifoso buco con il pavimento pieno di sporcizia, cacche di gufo e scheletri di topi era il posto più odiato da quasi tutto il popolo di Hogwarts, perciò la maggior parte evitava di salirci il meno possibile, se non in casi urgenti ed eccezionali. Proprio per questo Alexandra lo “adorava”. Nessuno la disturbava lì. Oh, be’, a meno che un gufo le defecasse in testa, a quel punto avrebbe sporto denuncia contro la scuola, probabilmente.
La Guferia si trovava sempre sulla torre ovest del castello, proprio in cima a quella di Corvonero, perciò era molto più semplice e veloce sgattaiolare lì. Il bello è che nessuno aveva mai pensato di cercarla lì, quando non era nei paraggi, ma probabilmente, per il cinquantacinque percento delle volte in cui non si trovava, doveva essere lì.
Salì la breve rampa a chiocciola che portava alla stanza, poi si nascose nell’unico pezzo di pavimento pulito di tutta la Guferia, dietro alla colonna dell’entrata. La stanza era, come al solito, fredda e umida, conseguenza logica della mancanza di finestre. Ovviamente il pavimento era sempre lo stesso, infatti nessuno passava mai a pulire quella torre, soprattutto Gazza, che ormai non arrivava a pulire più oltre del terzo piano. Era piuttosto anziano e decrepito, e i ragazzi sapevano che non si sarebbe mai licenziato di sua spontanea volontà, perché aspettava ancora il giorno in cui la McGranitt gli avesse dato il permesso di punire i ragazzi rinchiudendoli nelle segrete del castello, appesi per i pollici. La cosa che il custode puliva di più di tutto il castello, erano le sue amate catene cigolanti. Probabilmente quelle erano la cosa più pulita in tutta Hogwarts.
La torre era ingombra lungo tutte le pareti, fino su in cima, di trespoli, che ospitavano per periodi brevi o lunghi gufi di ogni genere, specie, colore, dimensione, età, tutti appartenenti a studenti, professori, o qualsiasi altro elemento della scuola. La maggior parte erano degli alunni, per il resto erano normali gufi al servizio della scuola, che venivano usati liberamente dagli studenti, o dal corpo docenti.
Alexandra aprì la lettera, dando uno sguardo ai gufi sopra di lei, che ormai si erano abituati alla presenza costante della ragazza, e non vi facevano più nemmeno caso. Se ne stava semplicemente lì, a pensare, e ogni tanto scambiava qualche breve parola con loro.
Loro non disturbavano lei, lei non disturbava loro. Era un tacito accordo preso molti anni prima.
Alla vista della lettera, la ragazza sospirò profondamente, chiuse gli occhi per un paio di secondi e poi cominciò a leggere:


Mia cara bambina,

spero vivamente di non averti spaventata con l’arrivo di Cànace, e tutte queste cerimonie da quattro soldi, ma non volevo destare sospetti in tua madre e tuo padre, perché sai come sono contrari al fatto che io mi occupi della tua educazione. Non me l’hanno mai permesso, e in un momento così delicato della tua vita come questo, sta’ pur certa che non mi permetteranno nemmeno di parlarti, quando farai ritorno a Dicembre.
Sono davvero mortificata, per la notizia che, purtroppo, devo darti. Se non lo facessi così in anticipo mi odierei per il resto dei miei giorni (che dopotutto, non saranno poi molti ancora), e spero solo di non allarmarti in maniera eccessiva o quant’altro, nell’apprendere ciò che seguirà:
Per quanto detesti ammetterlo a me stessa, Alexandra, tu sei una donna ormai. Troppo bella, purtroppo. In una condizione normale, sarei orgogliosa di ciò che sei, delle doti che possiedi da… be’, da sempre, bambina. Nella nostra, invece, mi vedo costretta a rammaricarmi per la tua bellezza, intelligenza, grazia, fascino, classe. Doti che non sfuggono a persone di cui tu non vorresti mai che io parlassi.
Lo so che tu ti fidi di me, e io proprio per questa ragione sono qui a scriverti questa lettera, anche se non credo riuscirò ad arrivare al punto. Non voglio che questo foglio si imbratti delle tue lacrime, come sto facendo io con le mie.
Ti prego di stringere i denti, e leggere con quanto sangue freddo possibile.
Due sere fa, io, tuo nonno Cenred, tuo padre e tua madre e i tuoi fratelli, eravamo a cena, come al solito. Purtroppo è sorto un argomento molto spigoloso per tutta la famiglia, e a questo punto, per la tua perspicacia, sono certa tu abbia già afferrato di cosa io stia parlando.
Tua madre ha riferito a tuo padre di aver ricevuto già alcune proposte da alcuni figli di famiglie Purosangue che chiedono della tua mano.
La lettera qui parve un po’ fradicia, e l’inchiostro era leggermente rovinato nel tratto.
Lo sai che io non ho mai desiderato per voi il destino che di solito tocca ai figli dei Purosangue, perché l’amore per voi giovani, è l’unica cosa che dovrebbe contare. Voi dovete credere nell’amore, continuare a sperarci, ad affidarvi a esso, a cercarlo.
Io so che tu speravi un amore più platonico – come si suol dire – di quello che hai avuto fin ora, bambina mia, ma so che lo troverai, perché sei giovane, bellissima, e così intelligente.
So che sarai forte. Non buttarti d’animo. Mi sentirei mancare se sapessi che in qualche modo, avvertirti in anticipo di ciò che ti aspetta una volta tornata a casa, ti possa nuocere in maniera così terribile da farti passare mesi di inferno e sconforto. Ti prego di continuare con la tua vita di diciassettenne spensierata, che rende orgogliosa la propria nonna.
Sentiti libera di scrivermi ogni volta che credi di non riuscire a superare la giornata. Ti prego, fallo. Affronteremo la questione insieme.
Non pensarci ora, bambina mia. Non pensarci.
Voglio solo che tu sia felice e, ti supplico, non odiarmi per questa lettera. L’ho fatto solo per il tuo bene. Sei la cosa a cui tengo di più della mia vita.

Un abbraccio, Nonna.

Galatea Burke


Alexandra, finito di leggere la lettera, si strinse le ginocchia al petto, e poggiò la testa sulla lettera.
Rimase così, in silenzio. Non le veniva da piangere, o qualcos’altro del genere, perché quella lettera aveva solo confermato una realtà già insinuata nel cervello della diciassettenne: quando lei e Lorcan si erano lasciati, lei sapeva a cosa sarebbe andata incontro poi, e aveva giustamente deciso di non farne parola nemmeno con il ragazzo. L’alternativa era sposare un Purosangue scelto dalla famiglia, o sposare Lorcan, una volta usciti da Hogwarts, ed essere infelici entrambi per il resto della loro vita, portandosi come zavorra l’un l’altro.
Era assurdo che alcune famiglie Purosangue fossero ancora fermamente convinte di dover portare avanti la tradizione del sangue, costringendo i propri figli a sposare persone sconosciute, e ad essere infelici.
Sapeva che la stessa sua sorte era toccata, e sarebbe toccata, anche a molti dei suoi coetanei, ed era triste pensare che nella loro vita potesse essere permesso di innamorarsi solo fino ad una certa età, per essere poi destinati a sposare qualcuno, in età giovanissima, di cui non si era innamorati.
Le ragazze dovevano sposarsi appena finiti gli studi, mentre gli uomini potevano aspettare fino ai vent’anni.
Alexandra aveva due fratelli più grandi, Michael e Cadmo, rispettivamente di diciannove e ventitré anni, la cui madre aveva già dato un ultimatum ad entrambi: Cadmo era in età di scelta da tre anni, ormai, e dopo il suo debutto come primo erede della famiglia Nott, la madre aveva insistito più e più volte che iniziasse a scegliere una donna di una famiglia Purosangue da sposare. Michael, invece, dopo il suo debutto come secondo erede aveva iniziato a viaggiare per il mondo, e a visitare luoghi babbani che erano indicati come storici. Dopo aver lasciato la scuola, aveva visitato tutti i luoghi storici dell’Inghilterra, con l’approvazione del padre. Poi, l’anno dopo aveva visitato tutta la Francia, e quell’anno, invece, la madre lo aveva costretto con delle stupide scuse, che non reggevano certamente, a farlo rimanere a casa, dicendo soprattutto che quello sarebbe stato l’anno del debutto di Alexandra, e che voleva lui fosse presente per accompagnare, insieme al fratello più grande, la ragazza.
Solo all’idea di tutte quelle cerimonie che avrebbe dovuto svolgere soltanto fra quattro mesi, le si incrinava il respiro e le mancava l’aria nei polmoni. Era terribile il fatto che il suo tempo stesse per scadere, e lei non potesse fare niente per fermare tutto ciò. Nemmeno sua nonna aveva potuto. L’unica cosa che era stata in suo potere era scrivere una lettera bagnata di lacrime, e mandarla di nascosto alla sua bambina.
E lei aveva potuto solo leggere l’orrore di quella realtà.
Accucciò la testa sulle ginocchia, in silenzio, dimentica persino del rotolo di pergamena per Trasfigurazione, e di quei dannati cinque centimetri. Dimentica di Rose infuriata dopo la litigata con Malfoy, di Natalie rimasta ferita dal comportamento dell’amica. Dimentica della lettera. Dimentica della nonna.
Clang!, un rumore di metallo che viene urtato fece riprendere immediatamente la ragazza dal suo assopimento di disperazione. «Maledizione, chi ha messo qui questo secchio!» sbraitò una voce maschile lì accanto al pavimento. Alexandra alzò subito la testa, spaventata e curiosa allo stesso tempo sull’identità di quella persona che, come lei, sceglieva la Guferia come luogo di ritiro. Non l’avesse mai pensato.
Albus Potter stava a terra, probabilmente seduto su qualche escremento di gufo, a massaggiarsi una chiappa per il contraccolpo subito con il pavimento di pietra.
«Ma che cavolo…» mormorò Alexandra, che fissava il ragazzo con le sopracciglia inarcate. Il ragazzo, al suono di una seconda voce si mise a gridare come una donnicciola spaventata, per ritirarsi contro il muro, ovviamente molto meno pulito della parte del pavimento su cui era atterrato. La ragazza spalancò la bocca, e poi se la tappò con la mano, mentre il ragazzo imprecava contro i gufi e il sistema scolastico, cercando di rialzarsi senza finir di far danno.
«Ma è mai possibile!» esclamò, alzando lo sguardo al soffitto, e guardando male i gufi, che invece rimanevano lì, appollaiati sui trespoli, non capendo perché quel babbeo umano se la prendesse con loro, innocenti creature.
Alexandra rimase lì, a guardarlo, con la mano ancora sulla bocca, indecisa se ridere per la sua incredibile goffaggine, o insultarlo per aver disturbato il suo momento così personale e intimo.
Non si ricordava più della lettera, che ora giaceva riversa sulla fredda pietra, accanto alla ragazza. Albus, invece, si stava guardando le mani disgustato, e sembrava sul punto di mettersi a piangere, «Se vuoi, ho un fazzoletto» disse Alexandra, in uno slancio di commiserazione e collaborazione.
Il ragazzo si accorse completamente della sua presenza, che prima era passata in secondo piano, per via dei gufi. Rimase a fissarla per un paio di secondi, mentre la ragazza si frugava nelle tasche del mantello, e ne estraeva un fazzoletto immacolato. Albus continuò a fissarla anche dopo che Alexandra gli aveva cacciato il quadratino di stoffa bianca, e quella lo guardò con una smorfia di impazienza, «Allora, ti serve, o no?» gli fece, agitando il fazzoletto a mezz’aria. Albus scosse la testa, sia per riprendersi che per rifiutare l’offerta, «No, grazie. Devo togliere completamente la macchia. Non posso farmi sette piani con il sedere… uhm, fa niente» rispose, lasciando poi correre l’ultima frase, che sembrava terribilmente equivoca.
Sfilò la bacchetta dalla tasca, e se la puntò ai pantaloni «Tergeo!» e le macchie su di essi vennero assorbite completamente, se non per una leggera traccia che era la forma rimasta. Eseguì lo stesso incantesimo anche sulla giacca, e sulle mani, per quanto quell’incantesimo fosse applicabile sulla pelle nuda.
Albus rialzò lo sguardo, pensando che la ragazza avesse approfittato della smacchiatura in atto per andarsene senza domande, ma invece la trovò ancora seduta lì. Si rigirò la bacchetta tra le mani.
«Ehm…» fece, voltandosi verso la finestra, e poi girandosi di nuovo in direzione di Alexandra «Credevo di essere l’unico pazzo che viene qui, a quest’ora» disse, poi spalancò gli occhi, «Cioè, non che tu sia pazza!» mise le mani davanti a sé, come per chiedere perdono «Intendevo per me. Cioè, io sono un’idiota, e vengo qui a quest’ora della sera. Sono due cose completamente scollegate tra loro, non fraintendere»
«Ma io non ti ho detto nulla» ribatté fredda Alexandra, «Giusto» annuì Albus, leggermente in imbarazzo, guardandosi le scarpe.
Rimase un po’ in silenzio, poi la guardò di nuovo, «Tu… insomma… non che siano affari miei, per carità… ma, tutto bene, sì? Insomma, sei qui, da sola. Niente di grave, spero» le chiese, massaggiandosi la nuca, e distogliendo lo sguardo.
Era incredibile: sei anni che veniva lì sopra, senza incontrare mai nessuno, e adesso aveva avuto addirittura la fortuna di trovarci Alexandra Nott! Era assurdo. Sembrava che il loro incontro fosse stato scritto dal destino, e magari da lì sarebbe cominciato qualcosa, e… SMETTILA, ALBUS, pensò schiaffeggiandosi mentalmente. “È la ragazza del tuo migliore amico” fece il suo buon senso, “Ex” rispose invece Albus.
“Potrebbero tornare insieme”
“Ne dubito fortemente. Lorcan non ha niente da offrirle, in quanto a sentimenti”
“È il tuo migliore amico, non dovresti dire così”
“La smetti di ripeterlo?”
“Sono la tua coscienza, è il mio compito mantenerti sulla retta via”
“Oh, ma va’ al diavolo”
E chiusero la discussione.
«Niente di importante» rispose Alexandra, «Come?» fece Albus, per un attimo dimentico della domanda che aveva fatto alla ragazza, e soprattutto in che situazione fosse. Alexandra lo guardò preoccupata della sua sanità mentale, «Stavo rispondendo alla tua domanda» fece.
«Oh, certo» ribatté Albus, «Sì, scusa»
«Figurati»
Albus notò la lettera rivolta a terra, e la indicò con un cenno del capo, «Brutte notizie?»
Alexandra si sentì montare il sangue al cervello per la rabbia. Non erano affari suoi! Come si permetteva di chiederle una cosa del genere, pretendeva sul serio che lei gli rispondesse? Era pazzo a pensarci. Non erano amici, perché mai avrebbe dovuto rispondere ad una domanda così personale? Fece per aizzarsi contro il ragazzo, ma questo parve precederla, battendosi il palmo della mano sulla fronte con una violenza non nella norma, «Oddio, no. Scusa, sul serio» esclamò, poi mormorò tra sé «Ma perché devo sempre fare macelli?»
«Forse vuoi rimanere solo» fece Alexandra, alzandosi dal pavimento. Albus iniziava non solo a preoccuparla seriamente, ma anche a spaventarla: sembrava affetto da qualche strano disturbo della doppia personalità, che lo stava dividendo in due parti contrastanti, che stavano lottando come in un ring dentro la testa del ragazzo.
Albus alzò le mani davanti a sé, «No!» esclamò, facendo saltare Alexandra di una decina di centimetri per lo spavento. La ragazza rimase a fissarlo ad occhi sgranati. «Merlino, scusa. Davvero, scusami tanto. Non intendevo dire che non te ne devi andare. Ovviamente, tu sei libera di andartene quando ti pare… io non ti trattengo» si mise le mani sulla faccia, «Che figura da idiota» Alexandra rimase lì a guardarlo inquieta, come se avesse paura che il ragazzo potesse avere una crisi epilettica da un momento all’altro.
«Quindi, posso andarmene?»
Albus si ridestò, «Ma certo, scusa»
«L’hai già detto»
«È vero, scusa»
«D’accordo, ne ho abbastanza» disse la ragazza, alzando le braccia in segno di resa. Albus si voltò dall’altra parte, quando Alexandra fece per uscire. Non voleva vedere come era stato bravo a mandarla via in così poco tempo. Era un completo idiota.
«Bravissimo, Albus» si disse, dopo che Alexandra si fu volatilizzata. «Probabilmente hai bruciato l’unica possibilità di instaurare un qualsiasi tipo di rapporto con lei. Sei da premiare» mormorò, camminando per la stanza, mentre i gufi lo guardarono con lo stesso pensiero di Alexandra in testa: quello era pazzo.
Albus rimase lì per un bel po’, con un pensiero fisso che lo tormentava: James non avrebbe mai fatto una gaffe del genere.



*parodia del Lotto Babbano. Completamente inventato.
**Tutte squadre di Quidditch Britanniche. Certificate dalla Rowling.









Note di Ilhem: Sono di nuovo qui, vi sono mancata? Non penso proprio. Innanzitutto, buone vacanze a tutti!
Finalmente l'ostacolo della scuola è scomparso, e ne avremo di pace per tre mesi (due e mezzo, forse). Spero vi sia andata bene in quanto a risultati, e in caso contrario, pensate: "In realtà dovrei essere ad Hogwarts"
Comunque, evitiamo di fare premesse troppo lunghe e\o inutili, come sono solita. Colpa mia, perdono.
Una cosa che mi dà fastidio è che, quando scrivo i capitoli, mi vengono in mente punti su cui farvi soffermare, o spiegazioni da fare, ma quando arrivo a scrivere le Note dell'Autore, sono più vuota di un palloncino sgonfio.
Partiamo dall'inizio, che magari non sbaglio: allora, ho deciso di iniziare dal principio a spiegarvi la continuità di Sangue Puro attraverso i matrimoni dei pargoli. Nonostante la Guerra sia finita, ci troviamo comunque in un mondo reale nel nostro immaginario, diciamo pure così, e perciò sappiamo bene che non esiste il lieto fine, e che la storia continua, seppur con i suoi difettucci.
Alcune famiglie Purosangue (più che altro, gli eredi degli ex-Mangiamorte), nonostante non vi sia più l'obbligo di portare avanti le antiche tradizioni, continuano imperterrite sulla loro via, come, ad esempio, la famiglia Nott.
Ovviamente, man mano che la storia proseguirà, spiegherò sempre più le dinamiche e i dettagli. Ho iniziato a spiegarlo adesso per non fare metà del lavoro, e non farvi trovare spaesati al punto clou, in cui potreste pensare "E adesso cosa si è inventata questa?".
Sappiamo tutti che c'è un fondo storico in questo, infatti allo stesso Draco è toccato il matrimonio combinato. Che sia un matrimonio felice, o sereno, questo noi non lo sappiamo. Io immagino di sì, perché mi piace davvero molto la coppia Draco\Astoria (o Asteria), anche se non è mai stata spiegata in nessun modo. Peccato.
Come alcuni potrebbero ricordare, ho inserito di nuovo la crisi di panico di Molly dovuta al suo primo bacio con Sean Finnigan (sì, dovrebbe essere il figlio di Seamus). All'inizio, pensavo di lasciar perdere la loro piccola parentesi, ma poi una persona sinceramente scassa pluffe con il titolo famigliare di 'mia cugina', mi ha chiesto (e richiesto, e richiesto) fino all'esaurimento nervoso (sono una ragazza poco paziente) di re-inserire gli approfondimenti su Molly, e di farli anche su Lucy, Louis e Roxanne, che sembra solo la spalla comica, fino ad ora. Spero siate anche voi del suo stesso avviso, perché altrimenti la strangolo.
Ah, un punto importante su cui vi volevo far cadere l'occhio: Albus inizia il suo P.o.V. con il pensiero di non essere all'altezza del fratello, e l'argomento continua a cadere nella sua testa, come se ogni suo gesto dovesse venir sovrapposto al 'come si sarebbe comportato James?'. Allo stesso modo, chiude l'intero capitolo, concentrandosi su questa assidua; James non avrebbe fatto così.
Poi, il momento tra lui e Alexandra è stato breve, giusto per iniziare ad allacciare una situazione tra di loro in modo logico e per gradi, senza affannarsi troppo ad arrivare al sodo. Lo stesso per Rose e Scorpius, che continuano soltanto una reciproca punzecchiatura.
Devo dire che mi sono divertita molto a descrivere nel dettaglio la Sala Comune di Corvonero, perché l'ho sempre adorata, mi ha sempre dato un'idea di aria, pace e serenità. Sarebbe la mia camera ideale, direi. Ovvio non è una camera, ma il concetto è chiaro, no?
Ringraziamo un'altra volta Yates per aver eliminato l'unica volta, in sette libri, che la Sala Comune di Corvonero è stata anche solo menzionata, e di non aver nemmeno registrato la scena di Harry e Luna. *tutti in coro* Grazie, Yates!
Aspetto una vostra recensione!
Approfitto un attimo per salutare definitivamente la vecchia storia! E ringrazio tutti quelli che hanno recensito in passato (sappiate che vi tengo nel cuore, e nel mio hard-disk, visto che ho salvato tutte le vostre recensioni). Grazie di cuore.
Un bacio a tutti,
Ilhem.
(nel banner Alexandra Nott aka Alexandra Daddario)

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Capitolo 3
*** Nostalgia di Compleanno ***


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Capitolo 3:
Nostalgia di Compleanno


19 Settembre 2016
Lei aveva diverse fasi del sonno e della pre-veglia, quando era a letto. Prima di svegliarsi completamente attraversava diverse stazioni mentali, prima che il suo cervello si attivasse in tutto e per tutto, e la sveglia nella sua testa gridasse “SVEGLIATI! PREPARA LA COLAZIONE! VESTITI! SVEGLIA I TUOI FIGLI! SVEGLIA TUO MARITO! MANGIA! PORTA I BAMBINI A SCUOLA! VAI A LAVORO!”, e iniziasse a sentire Hugo gridare, Rose iniziare a ripetere il paragrafo di storia studiato insieme la sera prima, Ron mugugnare nel sonno disturbato dal rumore che facevano i bambini, e il fruscio di ali di Duerre fuori dalla finestra della loro camera da letto.
Quella mattina sentì gli stessi rumori, la stessa confusione, ma qualcosa le impediva di alzarsi dal letto, di svegliare la sua mente e prepararsi alla giornata. Qualcosa le diceva che si stava ancora godendo il sonno, e lei stava obbedendo.
Una parte della sua testa si concentrò sull’ambiente circostante, e i rumori che aveva sentito fino a prima, di colpo non c’erano più: era come se il tempo e lo spazio fossero stati risucchiati da un buco nero irrotto nella loro abitazione, per la gioia di Hermione.
Magari era ancora troppo presto per averli sentiti davvero, e forse se li era solo immaginati per qualche brutto scherzo giocatole dal suo subconscio. Forse non aveva più sonno, e i suoi sensi si erano svegliati prima del solito, e lei aveva semplicemente riprodotto la situazione di ogni mattina post-risveglio.
Si disse di potersi concedere un’altra manciata di minuti, giusto perché era meglio goderseli fino a che ancora poteva.
Ovviamente, doveva per forza esserci un ostacolo di intralcio, altrimenti non sarebbe stata mattina. Infatti, la sveglia suonò le sette in punto, e Hermione sbuffò scostandosi le coperte dal viso, visto che ogni volta che cercava di riaddormentarsi le veniva spontaneo tirarsi le coperte fin sopra il naso. Liberò un braccio dal suo bozzolo per spostarlo dal lato sinistro del letto, dove giaceva Ron, ancora profondamente addormentato. O meglio, dove doveva giacere Ron, ancora profondamente addormentato.
Al contatto con il nudo lenzuolo bianco, Hermione drizzò a sedere, per un attimo pensando di esser diventata pazza: Ron non si svegliava MAI prima di lei, né tantomeno si alzava appena sveglio.
La sua scusa più usuale era perché diceva di adorare vedere Hermione dormire, quando si svegliava per primo, quelle rare volte che accadeva. Era la scusa più idiota che potesse mai adottare, perché Hermione dormiva sempre sul lato destro del letto, immobile per tutta la notte in una sola posizione. Era impossibile che Ron potesse vederla dormire, a meno che non gli piacesse vedere solo il cespuglio di capelli che usciva dal bozzolo che era sua moglie.
Si voltò per accertarsi della mancanza effettiva del marito, e si alzò dal letto come una furia, infilandosi la vestaglia appesa sull’attaccapanni accanto al tavolo della toilette di fronte al letto.Corse verso la porta opposta a quella della loro stanza, dove c’erano le due camere dei bambini.
«Maledizione, sarà uscito» bofonchiò, mentre entrava nella camera da letto di Rose, per andare a svegliarla in modo che potesse prepararle almeno un toast e farle bere un bicchiere di succo d’arancia.
«Dannato Ronald» inveì, mentre prendeva dalla cassettiera gli abiti da scuola per la bambina, «Non mi ha svegliata. Ora non posso nemmeno preparare la colazione, lavarli e vestirli in tempo. Morgana, farò tardi a lavoro» esclamò, mettendosi le mani nei capelli dalla frustrazione.
«Quando lo prendo, e può star certo che lo prendo, lo uccido a mani nude! Rose, tesoro, svegliati. È tardi» fece poi, rivolgendosi all’altro lato della stanza, dove era posto il letto della bambina. Ma la bambina, come poté notare anche Hermione una volta avvicinatasi all’involucro di lenzuola a fiorellini, non era nel suo letto.
Hermione non si mise nemmeno un secondo a pensare che magari poteva esser scesa per conto suo, visto che sua madre non era ancora in piedi. Oppure non poteva di certo pensare che potesse essere stato Ron a svegliare la figlia per far riposare qualche minuto in più la madre.
Si precipitò immediatamente nell’altra stanza, quella del piccolo Hugo, e non indugiò nemmeno un secondo per preparare i vestiti del figlio, andò subito in direzione del letto, e lo scoprì vuoto anch’esso.
Ad Hermione stava per venire una crisi isterica. Dove diavolo era suo marito? Dove diavolo erano i suoi figli?
Ovviamente, in un momento come quello non le venne mai in mente, nemmeno per un secondo, che si fossero potuti alzare prima di lei, e che fossero giù di sotto già vestiti e pronti per uscire.
Perciò, l’unica cosa da fare fu di correre a casa di Harry e Ginny, e chiedere loro se avessero visto Ron, o Rose, o Hugo. Altrimenti, avrebbe chiamato la polizia.
Si fiondò al piano di sotto, afferrando il telefono di casa. Lei e Ron – o meglio lei, visto che Ron non aveva mai avuto buoni approcci con i telefoni babbani – avevano deciso di comune accordo di installare un piano telefonico famigliare, quando avevano comprato casa a Godric’sHollow, sia per facilitare i contatti con il mondo babbano in caso di necessità, sia per permettere ad Hermione di sentirsi in modo normale con i genitori, visto che non era l’idea più giusta quella di irrompere nel loro salotto, o di far spuntare il proprio viso in mezzo alla cenere del camino. Avevano pur sempre una certa età, e gli infarti potevano essere facilitati da situazioni del genere.
In sala da pranzo, all’arrivo di Hermione, che ormai sembrava una fuggitiva di Azkaban, con i capelli sparati da ogni direzione, da sotto il tavolo spuntarono in contemporanea Ron, Rose e Hugo, urlandole: «Sorpresa!», davanti ad un vero e proprio banchetto di compleanno, con i piatti stracarichi di omelette, pancakes, waffles, biscotti di ogni tipo, e persino una torta alle fragole.
Hermione, chiaramente presa dalla preoccupazione e tensione del momento, parve non rendersi conto della presenza di tutti gli individui di cui stava per denunciare la scomparsa, e spalancò la porta, senza richiudersela alle spalle, uscendo nel vialetto.
I bambini rivolsero un’occhiata preoccupata al padre, «Non le è piaciuta la sorpresa?» mormorò Hugo, mettendo su un bel broncio. Ron scostò la tenda per osservare il comportamento bizzarro della moglie pazza, e la vide arrivare al cancello, per poi fermarsi di colpo, senza un motivo apparente. Girò sui tacchi, e corse verso casa. In un attimo fu di nuovo dentro, e si precipitò ad abbracciare i suoi bambini, e a dare loro un bacio sulla fronte, «Oh, Merlino! Grazie al cielo, state bene! Mi ero preoccupata così tanto non trovando nessuno di voi! Credevo mi stesse venendo un infarto» disse, mettendosi una mano sul cuore, che stava per scoppiarle in petto.
Poi lanciò un’occhiata truce al marito, che seppur più alto e più robusto di statura, sobbalzò e fece un passo indietro, urtando una sedia.
«Sei per caso impazzito, Ronald Weasley?» gli urlò contro. Hugo sobbalzò a sua volta, spaventato dall’urlo demoniaco della madre. Rose gli mise una manina sulla spalla, per assicurargli che non sarebbe successo nulla.
Fortunatamente, durante gli anni, e la convivenza con Hermione, Ron aveva imparato a non rimanere zitto e inerme quando la moglie si accaniva contro di lui, per ragioni a volte idiote, e aveva capito che non era una soluzione starsene buono buono, ma che doveva anche lui parlare, e reagire.
«Hermione, li ho svegliati presto per farli preparare, e per farti una sorpresa!» disse, allargando le braccia verso la tavola. La donna parve accorgersi solo allora del banchetto preparatole dai figli e dal marito, e si mise una mano sulla fronte, improvvisamente in colpa per la sua scenata isterica.
Rose e Hugo sembravano trattenere il fiato, per paura che la madre potesse avventarsi anche contro di loro.
«Volevamo renderti la mattina del tuo compleanno un po’ meno stressante di come lo è di solito» fece Ron, cauto. Hermione si sentiva sempre più in colpa.
«Tanti auguri, mamma!» fecero in coro Rose e Hugo. La donna si commosse, e abbracciò entrambi i figli, stritolandoli. «Mamma, ti prego, mi stai soffocando» supplicò Rose, e Hermione si scollò dai bambini.
Si asciugò una lacrima che le era sfuggita, e diede un buffetto a Hugo, probabilmente ancora un po’ spaventato dalla reazione iniziale della madre. Poi si girò verso Ron, che le sorrise leggermente imbarazzato, pensando quasi che volesse prendersela di nuovo con lui per averla fatta preoccupare così tanto, ma invece Hermione gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
«Tanti auguri, Hermione» le sussurrò il rosso a fior di labbra, «Grazie» rispose Hermione, sorridendo di nuovo. I bambini, nel frattempo, avevano dato voce ai cori di protesta riguardo quella scena mielosa di fronte a loro.
«Andiamo, non dovreste far vedere certe cose a Hugo» si lamentò Rose, «È ancora troppo piccolo per capire» e mise le mani sugli occhi del fratellino, che si divincolò «Ehi! Io non sono piccolo!» bofonchiò questi contrariato.
«Se è per questo, anche tu sei troppo piccola per capire certe cose» fece Ron, guardandola con un sopracciglio inarcato, «Oh, ma per favore, papà! Non sono cose che mi interessano» si giustificò la bambina, andando a sedersi al suo posto.
Ron, in un gesto di galanteria, spostò la sedia alla moglie, per farla sedere, e poi andò al suo posto.
Ebbero giusto il tempo di mangiare qualcosa di rapido, poi Hermione corse a fare la doccia, e Ron uscì di casa con i figli, diretto a chiamare Harry per accompagnare insieme i bambinia scuola, ma non prima di aver salutato la moglie con un tenero bacio, che mise sotto sopra lo stomaco di Rose e Hugo, la prima aggiunse anche: «Avevo appena mangiato», poi Ron richiuse la porta di casa, e i tre si incamminarono nel vialetto.



19 Settembre 2023
Rose si era svegliata fin troppo presto, quella mattina, perché aveva ben trovato inutile rimanere a letto a poltrire, se poteva avvantaggiarsi con il programma mattutino. Non aveva dormito granché bene durante la notte, e probabilmente il motivo era il solito che ricorreva tutti gli anni.
Quando si era svegliata alle sei, aveva deciso che per non dover scendere in Sala Comune, o in Sala Grande, e magari essere costretta ad intrattenersi con qualche altro mattiniero di turno, avrebbe fatto un bel bagno prima delle lezioni.
Rimase un’ora a mollo nella vasca, riprendendo anche dieci, forse quindici minuti di sonno, e fu svegliata bruscamente dalle compagne che battevano sulla superficie della porta che separava il bagno dal Dormitorio. Evidentemente Rose non aveva pensato di dover tenere d’occhio il tempo.Uscì dalla vasca con i capelli gocciolanti, e si imbacuccò in un telo abbastanza grande da coprirle tutto il corpo. Raccolse il suo pigiama da terra, e si mise la biancheria pulita, poi aprì la porta del bagno, trovandosi davanti tre ragazze in tenuta da notte, ancora mezze addormentate, che si stagliavano su di lei, comunemente note come “Le Compagne di Stanza”.
«Allora? Quanto tempo avevi intenzione di rimanere chiusa lì?» le inveì contro una delle tre, Tiana Sloper, battendo il piede a terra, palesemente scocciata, poi scansò le altre due, e si infilò di corsa nel bagno, evidentemente non molto interessata alla risposta di Rose.
Le due ragazze che erano rimaste fuori per la seconda volta, Joanne Cartwright e Katherine Scott, iniziarono a battere i pugni sulla porta, pregando la loro compagna di fare più in fretta possibile, visti anche i loro bisogni.
Per quanto riguardava Natalie, lei era ancora nel suo letto, con il cuscino sulle orecchie, dopo che le altre si erano svegliate e avevano cominciato ad urlare contro la porta del bagno. Rose si andò a sedere sul bordo del letto dell’amica, con la spazzola in mano.
Natalie aveva il sonno molto leggero, e al minimo avviso di contatto di qualunque genere durante il suo stato di dormi-veglia, lei scattava sull’attenti, e così fece appena la rossa le si parò nel proprio campo sensoriale.
«Me li asciughi?» fece Rose, porgendole la spazzola e guardandola con un’espressione da cucciolo che aveva sempre avuto la fantastica dote di farle ottenere parecchi vantaggi. Natalie roteò gli occhi al soffitto, con un mezzo sorrisetto mal celato, poi afferrò la spazzola, e prese la sua bacchetta dal comodino, mentre Rose le dava le spalle per permetterle di lavorare più comodamente, sorridendo soddisfatta. «Ti adoro» disse la rossa, con un fare ruffiano «Sì, sì. Certo» ribatté l’altra, scuotendo la testa e ridendo. Con un paio di colpi di spazzola e bacchetta, i capelli di Rose furono asciutti e lisci.
Si alzò dal letto di Natalie, e lo stesso fece lei, oscillando verso il bagno e soffiando il posto alle povere due ragazze che avevano ricevuto già due porte in faccia, arrivando a tre. Rose cominciò a vestirsi, poi prese l’orario della mattina, sperando vanamente che fosse cambiato nel corso della notte, ma purtroppo, il sonno non le aveva permesso di sorpassare quella giornata incolume, perché era martedì, e martedì significava “due ore mattutine di Pozioni”.
Ovviamente lei era Rose Weasley, e ovviamente non peccava in nessunissima materia, perciò, ovviamente, ogni giorno per lei era una passeggiata ma, ovviamente, tutti gli esseri umani, persino Rose Weasley, hanno lacune vacanti. Non che lei fosse un disastro in pozioni, ma non era nemmeno una pozionista provetta come Maggie Cristall, era solo un po’ in difficoltà, la minor parte delle volte, certo, ma comunque provava sempre un moto d’ansia ogni volta che c’erano le due ore di Pozioni.
E la cosa peggiore per lei, era che quella era l’unica materia in cui non era riuscita a battere, come aveva promesso a suo padre al primo anno, Scorpius Malfoy, e quella era in assoluto la cosa peggiore.
Ultimata la preparazione alla giornata scolastica, non si attardò ad aspettare le sue compagne, né tantomeno Natalie, e si diresse al piano di sotto per arrivare in anticipo in Sala Grande, consumare in fretta la colazione e intrufolarsi nell’aula di Pozioni, prima che le lezioni cominciassero.
Arrivata in Sala Comune fu sorpresa di trovarvi il fratello, in piedi e con l’uniforme addosso, con le braccia incrociate come in attesa di qualcuno. «Che stai facendo sveglio?» gli chiese la sorella, facendo scattare Hugo sull’attenti «Pensavo che avessi un’ora buca, stamattina» «Oh, sì. Però non avevo sonno e, siccome Lily mi ha minacciato di uccidermi se l’avessi svegliata prima delle nove e mezza, ho deciso che mi sarei preso un po’ di tempo da solo» rispose il ragazzo, «Ti va di andare a fare colazione?» «Certo» sorrise Rose, e insieme si incamminarono fuori dal buco del ritratto, nella fragranza di una bella giornata di sole, che per loro era una delle peggiori.
«Allora» lo incalzò Rose dopo qualche minuto, «Come ti sembra finora il programma?» Hugo si mise le mani in tasca, «Sicuramente non quella tragedia che figuravi tu, Rose. Ovvio che io non ti abbia mai dato retta in pieno, conoscendo le tue tendenze a fare un dramma per qualsiasi cosa, però ‘stavolta avevo riposto qualche speranza nelle tue doti mancate di chiaroveggente… sai, tu e la Cooman potreste fondare un club: Le Profetiche Mancate» fece, beccandosi una botta sulla schiena dalla sorella.
«Non ti azzardare ad accostarmi a quella befana» lo rimproverò Rose, puntandogli un dito contro il viso, ma Hugo ribatté puntandole il dito a sua volta «Ehi, ti ricordo che sono un Prefetto. Dovrei toglierti dieci punti per aver offeso in pubblico una professoressa»
«Pfft, come se almeno i tre quarti della scuola non la pensassero allo stesso modo, compresi gli altri insegnanti! E comunque, ci terrei a ricordarti che io sono una Caposcuola, grado maggiore di un Prefetto qualsiasi, e perciò potrei benissimo auto-assegnarmi punti in più, anche se tu me li togliessi, Hugo» rispose Rose, incrociando le braccia al petto, convinta di averlo messo in scacco.
«E io vorrei ricordarti che potrei fare rapporto alla Preside, in caso tu mettessi in atto una vera e propria truffa scolastica» disse il ragazzo, «Oh, andiamo, come se non anticipassi semplicemente un dato di fatto. Lo sappiamo benissimo entrambi che la mia media di punti giornaliera è di quaranta o quarantacinque, e sessanta quando ho Trasfigurazione e Difesa Contro le Arti Oscure» fece, soddisfatta di sé stessa.
«Questo, ovviamente, quando non hai Pozioni. In tal caso chi prende più punti di te è sempre Malfoy» mormorò tra sé Hugo, cercando lo stesso di farsi sentire dalla sorella, che prese a picchiarlo sulla testa con la borsa per l’affronto subito, e il ragazzo si diede alla fuga.
«È inutile che scappi, Hugo Weasley! Vedrai che ti prendo» diceva Rose, mentre si apprestava ad inseguire il ragazzino con la borsa caricata sulla testa, in assetto da combattimento. Hugo intanto stava rischiando di rotolare giù per le scale, per via delle risate. Adorava prendere in giro la sorella, per poi assistere alle sue reazioni teatrali. Se a qualcuno fosse mai venuto in mente di scrivere un’opera teatrale sulla sorella – e Hugo, a questo punto, ci stava pensando seriamente – l’avrebbero di sicuro intitolata la ‘Bisbetica Rossa’, e sarebbe stata un’enorme successo.
Rose, stremata dall’inseguimento, si fermò in cima all’ultima rampa di scale che la separavano dal fratello, e decise di ricorrere alla sua arma più letale: la parola. O, in questo caso, la minaccia.
«Va bene, Hugo. Corri pure. Ma sappi che io posso fare dietrofront, e andare a consegnare una certa lettera d’amore ad una certa ragazza di tua conoscenza» fece Rose, posizionando il corpo a tre quarti, come se stesse per fare retromarcia, e attuare il suo piano. Hugo diventò bianco in volto, ma rimase impassibile, per non darla vinta alla ragazza «Io non scrivo lettere d’amore» si difese, incrociando le braccia, «E non ho idea di quale sia questacerta ragazza di cui stai parlando»
«Allora non ti dispiacerà se lo faccio io, giusto?» controbatté Rose, «Fare cosa?» si strozzò Hugo, «Scriverle una lettera da parte tua, ovvio» e frugò nella borsa, probabilmente per cercare le armi del delitto che si sarebbe compiuto, una pergamena e una penna.
Hugo rimase ancora impassibile per pochi secondi, poi si precipitò su per le scale ad inseguire la sorella, che, non appena si trovò a portata del fratello, lo colpì con la borsa più e più volte, mentre lui supplicava sconfitto e amareggiato.
«Così» un colpo «Impari» un colpo «A» un altro colpo «Prendermi in giro» tre colpi assestati l’uno dopo l’altro.
Arresosi alla sua sorte, disse «Non scriverai nessuna lettera… Vero?»
«Oh, Hugo»
«Vero, Rose?» s’infervorò il ragazzo, «Mmm, dipende da come ti comporterai» rispose Rose, scendendo le scale, e dirigendosi verso il portone della Sala Grande.
«Rose, andiamo» si lamentò Hugo, buttando le braccia lungo il corpo a peso morto.
«Muoviti, o finiranno le ciambelle e ti toccherà l’avena» lo incalzò la ragazza, che nel frattempo era già entrata, con il fratello al seguito.
Andarono a sistemarsi all’inizio del tavolo, proprio vicino al palchetto dei professori. A quell’ora non erano molti gli insegnanti rimasti, visto che loro erano sempre i primi a svegliarsi – anche prima di Gazza, o dei fantasmi del castello – e a recarsi in Sala Grande per la colazione, perché poi si precipitavano di corsa a sistemare gli ultimi ritocchi di qualunque diavoleria avessero architettato per gli studenti.
Di Molly e Roxanne non c’era ancora traccia, e mentre per la prima avrebbero potuto benissimo pensare che fosse già entrata in classe, per la seconda era praticamente impossibile che accadesse.
Decisero di non farsi domande, e si servirono la colazione, solo loro due, fratello e sorella, come non accadeva da quando erano arrivati ad Hogwarts.
Rose, come al solito, si versò dell’acqua e prese una fetta di limone dal cesto della frutta, che schiacciò nel calice fino ad estrarne completamente ogni traccia di succo. Bevve l’intruglio tutto d’un fiato, poi si servì la colazione.
Hugo la guardò con una smorfia di disgusto, «Ci vuole stomaco per bere tutto quel succo di limone alle otto e mezza della mattina» disse, versandosi della cioccolata calda, e bevendola per mascherare il senso di disturbo allo stomaco che gli era venuto guardando la sorella spremere il limone nel bicchiere. Ci si strozzò quasi.
Dopo qualche minuto, il quadretto famigliare si allargò grazie alla presenza di una figura verde-argento, che si annunciò ai fratelli con un sofferto ‘buongiorno’.
«Al» lo salutò Hugo, ritornando subito dopo a dedicarsi alla sua colazione.
«Ehi» gli sorrise Rose, e lo invitò a sedersi accanto a lei, poi lo baciò sulla guancia. «Cos’hai?» Albus non rispose, e afferrò una tazza per riempirla di caffè nero fino all’orlo e, senza aggiungere nemmeno un po’ di zucchero, iniziò a bere, sovrappensiero.
Rose si preoccupò non poco, per quella strana noncuranza. E soprattutto perché Albus odiava il caffè nero. Anzi, odiava il caffè e basta. Il fatto che lo stesse bevendo anche amarissimo, la scioccò.
«Okay» mormorò la ragazza, e poi tornò a mangiare, sapendo bene che sarebbe scoppiato nel giro di tre… «Ho bisogno di parlarti» esclamò infatti subito dopo, bloccando la forchetta di Rose dalla sua traiettoria verso la bocca.
«Certamente» sorrise lei, «Ma temo dovremmo parlarne a pranzo, perché adesso devo lasciarvi» fece dopo aver guardato l’orologio, afferrando la cintola della borsa, e chinandosi per baciare Albus, e poi Hugo.
«Ma dove vai? Le lezioni non sono ancora cominciate» la richiamò Albus, «Appunto. Devo arrivare prima per avvantaggiarmi con la preparazione della pozione di oggi» «Ma scusa, come fai a sapere che pozione dovrete preparare?» le chiese Hugo, dubbioso che la sorella potesse anticipare le mosse di Lumacorno, «Oh, Hugo. Conosco a memoria tutto il programma del settimo anno di ogni materia presente a Hogwarts» ribatté Rose, «E oggi dovrò affermare il mio primato su quell’acetato di Malfoy» «Acetato?» boccheggiò Hugo ad Albus, che gli rispose indicandosi i capelli. In effetti, il colore dei capelli di Malfoy sembrava essere stato schiarito dall’aceto.
«Ci si vede a pranzo» fece Rose, rivolta a Hugo «Non fare tardi a Pozioni» si rivolse invece ad Albus, che la richiamò di nuovo «Rose, aspetta un secondo»
«Non posso» rispose lei, allontanandosi dal tavolo dei Grifondoro.
«No, sul serio, è meglio se non vai…» ma Rose aveva già alzato la mano e la stava sventolando in loro direzione, mentre era di spalle, «In aula di Pozioni» concluse Albus, troppo tardi.


«Pozione AguzzaIngegno, Pozione Antifurto… no, non sono queste» Rose stava cercando la pozione che sapeva Lumacorno avrebbe assegnato loro quel giorno. Doveva assolutamente anticiparla. Continuò a sfogliare febbrilmente la sua copia immacolata di Pozioni Avanzate. «Pozione Bellosguardo… AH! L’ho trovata! Sono sicura, è questa! Pozione Cambiapersonalità… vediamo un po’» mormorò, entrando nell’aula di Pozioni.
«Permette a chiunque l’assuma di invertire la propria personalità nell’esatto opposto della propria… interessante» «Interessante davvero» approvò una seconda voce nella stanza. Rose sobbalzò per un attimo, poi si impegnò ad assumere l’espressione più scocciata che potesse riuscirle.
«Potrebbe servirti» inveì di nuovo la seconda voce, «Magari ti aiuterà a risultare un po’ più gradevole per almeno una giornata» «O magari servirebbe più a te» ribatté tagliente Rose «Chissà che magari non ti venga di essere più educato, e che impari ad impicciarti solo ed esclusivamente degli affari tuoi».
Il ghigno di Malfoy si fece largo attraverso la penombra della stanza, e la sua posizione si rivelò alla ragazza. Era chino anche lui su qualcosa. Probabilmente aveva avuto la stessa idea di Rose, e forse anche lui era stato capace di anticipare le mosse dell’insegnante di Pozioni.
«Ci sono persone che si troverebbero in pesante disaccordo con ciò che dici, Weasley» fece Scorpius, continuando a tenere lo sguardo fisso sul suo libro, «Molte persone, quando mi conoscono, mi trovano terribilmente adorabile» «E questo chi lo dice? Le ragazze che ti porti a letto ogni settimana?» ribatté fredda Rose, andandosi a posizionare al suo solito banco, e sistemando la borsa sul ripiano, in modo da cacciare tutto l’occorrente.
«Sempre dritta al punto. Tagliente come una spada» fece Scorpius, rivolgendo il capo verso di lei «Mi commuovi»
Rose, per una volta, decise di ignorarlo, lasciandogli addirittura l’ultima parola. Ma il ragazzo, ovviamente, non voleva privarsi del suo solito divertimento da routine, e decise di riprendere lui il lavoro «Che c’è? Sei sprovvista di simpatiche battute da sfottò?» la provocò, fissandola beffardo, mentre la ragazza non lo degnò di uno sguardo.
Passò una buona manciata di minuti prima che Rose perdesse la forza di volontà e ribattesse contro Malfoy, «Non è proprio aria, oggi. E se non vuoi che ti inverta un braccio con una gamba, meglio se chiudi il becco» fece, accavallando le gambe, e alzando il mento in segno di superiorità.
«Uh, qui qualcuno è nervosetto. Cos’è, è di nuovo il periodo del passaggio del Mar Rosso?» ridacchiò Malfoy, divertito dalla genialità della sua metafora.
Rose spalancò la bocca indignata «Ma come ti permetti? Sei la persona più indelicata che si sia mai vista sulla faccia della Terra! E comunque, anche se non sono affari tuoi, NON È QUEL PERIODO!» esclamò, facendo scoppiare a ridere Scorpius.
«Anzi, ritieniti fortunato che non lo sia, altrimenti ti avrei già steso con uno Schiantesimo… anche se questo non vuol dire che sono restia dal farlo» disse, «Oh, certo. Non lo faresti mai in classe, a pochi minuti dall’arrivo di Lumacorno» constatò logicamente Scorpius, e Rose non trovò modo di controbattere, anche se concluse la discussione con un «Sarei comunque giustificabile, avendo agito per legittima difesa»
«Non mi pare di averti aggredita, né altro» continuò Scorpius. Se Rose era ostinata ad ottenere l’ultima parola in capitolo, Scorpius lo era due volte di più.
La ragazza aprì la bocca per ribattere per l’ennesima volta, ma, finalmente, nella stanza fecero capolino Alexandra e Natalie, che non appena videro i due ragazzi non poterono non rimanere leggermente sorprese che la stanza fosse ancora intera.
Subito dopo le due ragazze, comparirono Albus e Lysander, e man mano la stanza fu gremita di studenti.
Quando anche Lumacorno si aggregò a loro, la lezione ebbe inizio, e, con somma gioia di Rose, la pozione che assegnò ai ragazzi fu la Pozione Cambiapersonalità.

Quando le lezioni della mattina si conclusero, i ragazzi del settimo anno si recarono in Sala Grande, accompagnati dal solito chiacchiericcio riguardo i compiti in eccesso già alla terza settimana di settembre, i professori ritenuti ormai troppo ammaccati per insegnare – piccolo riferimento a quello squinternato di Lumacorno –, e dalle dichiarazioni di suicidi di massa degli alunni.
«Non mi troveranno impreparata, quest’anno» annunciò Tiana Sloper agitando il pugno in aria, mentre lei, Natalie, Joanne e Katherine uscivano dall’aula di Artimanzia, seguite da Rose e Alexandra, dopo un brillante monologo di un quarto d’ora preparato appositamente per colpire la professoressa Charcoal, e aver fatto guadagnare dieci punti per i Grifondoro.
«Sinceramente, ad un certo punto ho avuto voglia di Pietrificarti. Stavi diventando noiosa» la prese in giro Rose, con aria di superiorità. La Sloper si voltò di scatto, «HA! Perché invece i tuoi sproloqui sui Parassiti, i Licheni e i Funghi durante le ore di Erbologia sono un vero spasso» «Io li trovo disgustosi» commentò Katherine, e Joanne annuì partecipe, con una smorfia in volto.
Rose parve indignata, «Ma io non parlo di parassiti e licheni» si difese «Si tratta di un termine specifico che indica la morte della pianta e lo stato di decomposizione. Solo alcuni funghi e licheni sono definiti saprofiti, ma solo quando sono formati da cianobatteri e…» ma la bocca le venne richiusa prontamente dall’agilità di Alexandra, che la fermò prima che l’enciclopedia che albergava nel corpo di Rose si ridestasse completamente dal torpore di quella mattina, e le perseguitasse nelle ore a venire. Già quella giornata prometteva spossatezza senza l’intervento di Wiki-Rose.
«Va bene, ho capito. Non ne volete sapere» si liberò dall’impotenza vocale e alzò le mani in gesto di resa, «No!» confermarono tutte le ragazze all’unisono.
«Resta il fatto che era un argomento piuttosto interessante, soprattutto per via del…» cercò di riprendere il discorso una volta percorso il Salone d’Ingresso, fino alla Sala Grande, ma venne ripresa immediatamente dall’occhiataccia che le rivolsero Natalie e Tiana. La rossa si zittì, lasciandosi scivolare sulla panca al tavolo dei Grifondoro, livida in volto per la sommossa che stavano mettendo in atto contro le sue doti di sforna-informazioni-che-non-interessano-ai-normali-esseri-umani.
Si sedettero accanto a Lily, Roxanne e Molly: le prime due stavano parlottando fitto fitto di un qualcosa che, evidentemente, non piaceva a Molly… no, anzi, sembrava che si trattasse di un argomento che addirittura la irritasse. Non ci fu il tempo di chiedersi di cosa parlassero che, non appena entrarono tutte e sei nel campo visivo di Roxanne, la ragazza le accolse dicendo «Molly si è fidanzata!» e batté le mani sopra la testa, adottando subito dopo un’espressione che diceva “ho avuto l’effetto desiderato”, perché infatti le sei ragazze spalancarono la bocca in simbiosi, mentre Lily faceva vagare lo sguardo divertita da Roxanne a Molly, sicura che quest’ultima avrebbe dato inizio ad una delle sue sfuriate degne di nome. Molly da parte sua, era arrossita e aveva tirato un calcio da sotto il tavolo a Roxanne, che, probabilmente presa alla sprovvista, si piegò fin troppo su sé stessa e andò a sbattere la testa sulla superficie del tavolo di legno, facendo sputare il succo di zucca a Lily, che aveva avuto la brillante idea di bere proprio in quel momento.
Mentre Roxanne agonizzava, Molly si affrettò a dare spiegazioni «Roxanne non sa quello che dice» fece, ma nessuna poté crederle, viste le sfumature di rosso che si facevano largo sulle gote della sedicenne.
Natalie e Tiana le si sedettero ai lati, e la guardarono con un cipiglio curioso, mentre la ragazza si copriva mezzo viso con le mani, ridendo appena per la situazione ridicola in cui era incappata.
Rose e Alexandra presero posto alla sinistra di Lily, e Tiana e Joanne alla destra di Roxanne, che stava ancora cercando di riprendersi.
«Se continuiamo così, quest’anno dovranno fondare un’associazione per la salvaguardia di Roxanne Weasley» fece «Già vedo lo slogan: “Il tuo aiuto sarà fondamentale per preservare questa specie in via – ristrettissima, aggiungerei – d’estinzione”» e accompagnò la frase con un gesto delle mani, finendo per guardare in cielo e richiudere la mano sul cuore, con la testa china.
Rose contò cinque secondi, poi Roxanne scattò di nuovo sull’attenti, puntando un dito su Molly, che rialzò lo sguardo «Tu! Saresti da Arkham!» la minacciò, anche se nessuno – nemmeno la minacciata – colse la gravità di quanto aveva detto Roxanne. Lily alzò gli occhi al cielo, e, affranta, affondò la sua forchetta nel purè di patate e carciofi che aveva nel piatto.
«Ehm…» intervenne Katherine, «di cosa stai parlando?» «Non chiedere» la scongiurò Lily, scattata in piedi per quelle parole. Non poteva permettere che Roxanne le desse spiegazioni, ma… «Per i mutandoni lerci e infangati di Flamel, ma voi in che mondo e in che epoca vivete?» esordì, «In effetti, Roxanne cara, siamo usciti dagli anni ’40 da parecchio, ormai» la rimbeccò Rose, che aveva già capito di cosa si trattasse.
Le ragazze, invece, continuavano a non capire, così Rose bloccò Roxanne da una delle sue approssimative, sviate e incoerenti spiegazioni, facendo luce sull’argomento. Ovviamente.
«L’Arkham Asylum era un manicomio, esistente solo ed esclusivamente in un universo creato dalla DC Comics, ovvero Gotham, la città del Cavaliere Nero, o qualcosa del genere» «Oscuro!» la corresse Roxanne, indignata. Le ragazze non avevano la benché minima idea di ciò che stessero dicendo, e Rose si affrettò a concludere minimizzando con «È un fumetto babbano del ‘39» e si procurò una bella porzione di pasticcio di rognone, mangiando di gusto, mentre si apprestava a ripassare per la lezione di Trasfigurazione che avrebbero avuto quel pomeriggio.
«Roxanne sta passando una fase… aspetta, com’è che la definisci?» fece Lily, servendosi delle costolette di maiale, e spargendoci sopra un bel po’ di salsa barbecue.
«Lily, puoi passarla anche a me?»
«Certo»
«Gothamita» rispose Roxanne, indignata dalla mancanza di interesse alla sua nuova ossessione, «E tu non sei in grado di capire la profondità della storia di Bruce Wayne» «E sinceramente non mi interessa» la liquidò Lily, e Roxanne mise un broncio nello stile di un bambino di cinque anni.
«Senti un po’, Lily» fece Rose dopo qualche minuto «Dov’è Hugo? Avremmo da fare insieme, oggi pomeriggio dopo le lezioni, ma se non è con te…» «Oh, abbiamo giocato a ‘Vedo, Vedo’ alle nove, poi siamo andati a Erbologia, abbiamo avuto due ore di Storia della Magia – o meglio Pisolino –, e lui ha detto che tornava in Sala Comune, prima di pranzo… quindi non so» spiegò la ragazza, ingollando del succo di zucca.
«Aspetta, aspetta» la fermò Alexandra, «Avete giocato a ‘Vedo, Vedo’? Ma è il gioco babbano più idiota che esista!» «Ehi, non riuscivo più a dormire, e sono scesa da Hugo. Ci annoiavamo e abbiamo giocato alla prima stronzata che ci è passata per la testa» si giustificò la rossa.
«Avreste fatto meglio a giocare a nascondino, allora»
«Abbiamo fatto una partita, ma in due non era divertente»
Le ragazze si sganasciarono dalle risate, «Siete sempre i soliti bambini cresciuti» si lamentò Rose, infastidita dallo scroscio di risa che le stava impedendo il ripasso dell’ora di pranzo.
«Guarda che non è passato chissà quanto, da quando avevo cinque/sei anni» borbottò Lily, «No, per carità, sono passati solo dieci anni, Lily» la rimbeccò Tiana.
In quel momento però, qualcos’altro catturò l’attenzione delle commensali, o meglio, di alcune di loro.
Rose individuò Albus all’ingresso, ed era sul punto di salutarlo e di invitarlo ad unirsi a loro, quando nel suo campo visivo fece capolino Malfoy, parandosi praticamente davanti alla visuale che Rose poteva avere del cugino, rendendoglielo invisibile.
“Sta sempre in mezzo ai piedi” bofonchiò tra sé, tornando al suo libro di Trasfigurazione, piuttosto amareggiata. Certe volte le veniva da pensare che forse Malfoy lo faceva apposta, a stare sempre con Albus, solo perché sapeva che Rose teneva a lui, e che si indispettiva di più, non potendo stare con lui. Lo faceva per puro dispetto!
Poi, la parte un po’ più razionale del suo cervello le suggeriva che invece era solo perché quei due erano attaccati con la colla, ovunque andassero… oddio, forse non quando erano in bagno, sperava Rose.
La rossa si accorse in quel momento dello sguardo intenso che Tiana stava puntando sul biondaccio, e vide che quello sguardo era lo stesso stampato in faccia a Katherine.
Natalie scuoteva la testa, contrariata, mentre Joanne, per una qualche ragione, teneva lo sguardo puntato sulle melanzane grigliate che aveva nel piatto, senza nemmeno un accenno a volerle mangiare, assorta.
«Certo che è proprio un gran bel pezzo di carne» commentò Tiana dopo un po’, con forse troppa enfasi, perché le ragazze ridacchiarono sommessamente, e lei distolse lo sguardo.
«Ma per favore» mormorò Rose, convinta che nessuno l’avesse sentita, «Oh, andiamo, Rose, non si può negare che Scorpius Malfoy sia un bel ragazzo» disse Katherine, con quella sua voce un po’ nasale. La rossa alzò lo sguardo dal libro, chiudendolo con un tonfo «Io non nego, Kat. Io dissento» fece, e nascose la testa sotto la panca, per riporre il tomo nella borsa.
Tiana scosse la testa, «Non vedo il motivo per cui tu debba odiarlo così tanto» constatò, dedicandosi distrattamente al suo sformato di pasta «E io non voglio star qui ad elencare, per l’ennesima volta, i trilioni di motivi per cui io odio Scorpius Malfoy» si scaldò Rose, beccandosi gli sguardi allarmati di Alexandra, Lily e Roxanne, che la osservavano immobili come si fa con una bomba che potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Fortunatamente, Rose lasciò stare l’esplosione, e si rivolse con tutto il suo interesse al pranzo, prendendo il cibo a violente forchettate.
«Se proprio vogliamo parlare di ‘gran bei pezzi di carne’, allora dovremmo tutte rivolgere l’attenzione al ragazzo più bello di tutta la scuola» fece dopo un po’ Natalie, con voce melensa e sognante da tredicenne sbandata.
«Sarebbe?» fece Roxanne, con una smorfia. «Sarebbe Taran Callaghan, mia cara Roxanne» le rispose Natalie, con aria svenevole, rivolgendo il suo sguardo ad un punto della tavolata dei Serpeverde abbastanza vicino ad Albus, Scorpius, Lysander e la loro crecchia.
Anche Lily scattò su, a sentire quel nome, «Quello sì, che può essere definito un pezzo di manzo!» e Molly la guardò ad occhi spalancati, come se avesse appena bestemmiato.
Rose alzò lo sguardo, rivolgendolo a Taran Callaghan; aveva la sua età, faceva parte del settimo anno, ed era un Serpeverde. Era stato insignito, dall’età di tredici anni, della carica di ‘Purosangue più ambito ad Hogwarts’, al secondo posto dopo Malfoy, ma se proprio si doveva dirla tutta, tra i due non c’era competizione.
Taran non era quel tipo di ragazzo arrogante e vanitoso – come Malfoy –, ma era semplicemente sicuro di sé e intraprendente. Anche lui aveva la sua bella fama di ruba cuori, e il suo fisico che sembrava essere stato scolpito da Michelangelo, e la sua mascella dannatamente e perfettamente squadrata, gli conferivano un certo interesse da parte del popolo femminile di Hogwarts, quasi alla pari con Malfoy.
Era intelligente, bellissimo, e simpatico. E anche un grande giocatore di Quidditch, grazie alla sua benedetta croce di spalle. Sicuramente c’erano un sacco di ragazze curiose di vedere cosa si nascondesse sotto l’uniforme scolastica di Taran, ma quasi nessuna poteva vantarsi di un tale onore, perché il ragazzo era sempre stato insieme alla sua secolare fidanzata, una ragazza di Beauxbatons, che aveva conosciuto durante le sue estati in Francia, perché sua madre aveva frequentato anche lei Beauxbatons, e insegnava lì.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti ad un pubblico umano, Rose era tra quelle ragazze. Taran le piaceva un sacco, ma non avrebbe mai avuto la minima possibilità con lui. Soprattutto perché lui era innamorato pazzo della sua fidanzata.
«Di lui si può dire che è carino» osò distrattamente, poi cercò di fare finta di non aver fiatato. Ovviamente, però, non c’è niente che non si possa dire ad alta voce ad Hogwarts senza che venga ascoltato. Natalie la guardò a bocca aperta, senza dire una parola, e passò lo sguardo a Katherine, che aveva afferrato le parole della rossa. «Senti, senti» incalzò, appoggiando la guancia sulla sua mano, e guardando Rose con un sopracciglio inarcato e un ghigno accusatorio sulla bocca.
«Sono io, oppure è stato il purè di patate e carciofi andato a male? La frigida regina delle montagne che esprime un apprezzamento su un ragazzo? Qualcuno deve avermi corretto il succo di zucca» constatò, guardando il calice – ormai vuoto – e infilandoci dentro praticamente tutto il naso per sentire tracce eventuali di Whisky Incendiario.
Lily e Roxanne risero, guardando Rose di sottecchi, e Alexandra la puntellò con il gomito, ridacchiando.
«Non puoi negare quello che hai appena ammesso, frigida» Natalie la punzecchiò con un dito, «Ti piace Taran» decretò Alexandra, incrociando le braccia con aria risoluta, e le altre annuirono con vigore.
Rose, da parte sua, continuava a fissare sconvolta prima l’una e poi l’altra amica, temporeggiando nel frattempo che riuscisse a trovare un modo brillante per sviare i sospetti contro di lei.
«A nessuno piace nessuno» disse semplicemente, afferrando qualche panino farcito e chiudendolo in un fagottino improvvisato con i tovaglioli.
«E ora, mi vorrete scusare, ma ho delle faccende da sbrigare» fece, alzandosi prima che qualcuna potesse incastrarla di nuovo, e ficcarla in qualche spiacevole e imbarazzante situazione.
«Allora non ti interesserà sapere che è di nuovo sul mercato» intervenne di colpo Lily, con un finto tono indifferente, giocherellando con la forchetta. Il tempo si fermò in quel momento. Tutte le ragazze assunsero un’espressione sbigottita e scioccata, compresa Rose, e rimasero immobili, in attesa che Lily proferisse.
«Oh» ricadde fintamente dalle nuvole, gioendo della situazione «Non lo sapevate?» e le guardò una ad una, «La sua secolare e bellissima ragazza francese gli ha messo le corna» «Non ci credo» commentò Tiana, «Ma quei due stavano insieme da una vita!»
«Quando è successo?»
«Scommetto che l’ha tradito quest’estate»
«Certo che ne sono successe di cose, durante le vacanze»
«Poverino, è un così bravo ragazzo»
«Non se lo meritava proprio»
«Ti prego, quella era una tale troia»
«Ma se nemmeno l’hai mai vista!»
«Ragazze, ragazze, ragazze!» le richiamò Lily dalla confusione che avevano creato con tutte quelle domande, «Avete preso un granchio. Lei ha sempre avuto un altro ragazzo. Una ragazza così bella non poteva certo sprecare il suo tempo, e darla solo l’estate» «Lily!» la riprese Molly, per via della sua espressione così volgare.
«Ad ogni modo, non era nemmeno pentita. Ha detto che lui era solo il suo passatempo estivo» concluse semplicemente, con un gesto delle mani.
«Non avete idea di quanto mi dispiaccia» fece Joanne, osservando la povera vittima di adulterio, seduta al tavolo di Serpeverde, apparentemente per nulla toccato dalla tragedia, «A me no» ribatté invece Tiana, rivolgendo anche lei uno sguardo al tavolo di Serpeverde.
«Tia!» esclamò Joanne, indispettita dalla mancanza di tatto, «Che c’è? Davvero non capite? Una di noi avrà finalmente la possibilità di provarci con Taran Callaghan! E non so se comprendete cosa c’è in ballo» disse in sua difesa, poi con la mano indicò il ragazzo «Non si può sprecare tutto quel ben di Dio»
Le ragazze scoppiarono in un coro di proteste e prese in giro contro la sete di carne maschile che aveva quella ragazza. Diciamo che era la versione femminile di Scorpius Malfoy, quando si parlava di ragazzi. Per lei erano solo “gran bei pezzi di carne”. Era piuttosto inquietante sentirla parlare del genere maschile, ma ormai erano abituate.
«Oh, certo, come se non lo voleste anche voi» ribatté tagliente, riprendendo a mangiare il pasticcio di carne e verdure.
«Aspetta, Lily, ma tu sei certa che le informazioni siano vere?» chiese tutt’a un tratto Natalie, «Infatti. Da chi sei venuta a saperlo?» le fece eco Rose, assolutamente diffidente. Si beccò un’altra serie di occhiate incuriosite e maliziose per quella indiscreta domanda.
«Ma tu non avevi delle faccende urgenti da sbrigare?» ribatté Lily, guardandola malignamente. Rose le rivolse una linguaccia.
«Comunque mi è stato certificato anche il più minimo dettaglio. Me l’ha raccontato Camren James, una Serpeverde del mio anno, è nel mio corso di Antiche Rune» spiegò, lasciando in pace Rose «Ma ne sei sicura?» intervenne Roxanne.
«Vi ho detto di sì. Tutta la casata sa che Taran Callaghan non sta più con la francesina. Potete chiedere a chiunque, anche a mio fratello» «Perciò, a questo punto, Malfoy si sentirà altamente minacciato» constatò Rose con un tono di perfidia nella voce.
«Credo proprio di sì» rispose Lily, sorseggiando il suo succo di zucca, «Fino a quando Callaghan era impegnato, Malfoy aveva campo libero e briglia sciolta… ma adesso… be’, staremo a vedere» .
«D’accordo, mi sono trattenuta fin troppo» annunciò a quel punto Rose, e si chinò su ognuna delle ragazze per stampare loro un bacio sulla guancia, poi girò sui tacchi e si incamminò verso l’uscita della Sala Grande, agitando la mano in aria e dicendo «Ci vediamo dopo a lezione»
Era arrivata praticamente alle scale, quando una voce familiare – e affannata – la richiamò sull’attenti. «Rose!» e si sentì una mano sulla spalla «È da stamattina che cerco un minuto per parlarti, Rose» disse Albus, piegato in due per riprendere fiato dall’inseguimento, con l’altra mano premuta sulla gamba sinistra. Le fece cenno di aspettare che riprendesse quel minimo di fiato che gli occorresse per proferir verbo.
«Fortuna che giochi a Quidditch» commentò Rose, beccandosi un’occhiataccia.
Appena si fu ripreso sufficientemente saltò in piedi, con un sorriso beota sul volto. Anche Rose sorrise, scuotendo la testa. «Hai un momento?»
«In teoria, no. Devo andare a portare il pranzo a mio fratello, che è rimasto in Sala Comune a sistemare un progetto su cui stiamo lavorando, e devo sbrigarmi così gli do il cambio prima delle lezioni del pomeriggio» rispose Rose, e vedendo l’espressione dispiaciuta che si era dipinta sul volto del ragazzo, si affrettò ad aggiungere «Ma, se vuoi, appena terminate le lezioni possiamo andare a parlare in giardino, prima di cena… certo, dovrei anche studiare» mormorò poi, «Però, per te, questo ed altro»
Albus le sorrise grato, poi la stritolò in un abbraccio, sollevandola a mezzo metro da terra, con disappunto della ragazza, che, ridendo, gli sferrò una pacca sulla testa.
Il ragazzo la rimise giù. «D’accordo, da quanto vedo, è una faccenda piuttosto importante» «Abbastanza, in effetti» rispose Albus, strofinandosi una mano sulla nuca, con il capo chino, come se fosse in imbarazzo. Rose lo squadrò attentamente, con un mezzo sorrisetto inquisitorio, ma non fece domande e si limitò a dargli un bacio sulla guancia, «A dopo, Al»
«A più tardi» lo salutò questi, a sua volta.


«Hugo Weasley, a rapporto!» Rose precipitò nella quiete della Sala Comune, trillando come uno di quegli allarmi antifurto babbani, più spacca timpani di un Incanto Gnaulante. Hugo saltò dalla poltrona per la sorpresa, cozzando contro il pavimento e probabilmente frantumandosi qualche osso. La Sala era deserta da più di un’ora, visto che tutti erano andati a pranzo, e preferivano intrattenersi ancora un po’ fuori, prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane, fintanto che potevano godere degli ultimi sprazzi di sole dell’ora di pranzo.
Hugo era salito subito alla torre di Grifondoro, per cercare di ultimare il progetto escogitato da entrambi per il compleanno della madre, prima che… be’, che il compleanno finisse.
Avevano chiesto alla McGranitt di incaricare il suo personale gufo per quella particolare missione, che sicuramente era il più veloce tra tutto l’arsenale di volatili che viveva ad Hogwarts e dintorni; infatti, quando la preside doveva comunicare qualsiasi cosa che fosse – soprattutto le punizioni o le espulsioni esemplari degli studenti ai genitori – quel gufo andava e tornava nel giro di otto minuti e trenta secondi cronometrati personalmente da Hagrid.
Perciò, anche se il lavoro fosse stato pronto per mezzanotte meno un quarto, il gufo Gaspard avrebbe svolto in tempo massimo la consegna.
Ovviamente, la preside aveva sollevato non poche proteste, all’inizio, ma viste le più che valide motivazioni, e considerato il suo affetto per la sua ex-alunna più dotata in assoluto, aveva acconsentito, premurandosi anche lei di mandare i suoi auguri a Hermione.
«A che punto sei?» Rose si sedette sul divano accanto alla poltrona occupata dal fratello, si districò della borsa e posò il fagottino di panini ripieni sul tavolo di fronte a sé.
Entrambi si sentivano sempre un po’ avviliti, quando arrivavano i compleanni dei loro genitori, da quando erano partiti per Hogwarts. Sicuramente sapevano che né Hermione, né Ron dovevano esserne troppo rammaricati per ovvie ragioni, ma i ragazzi non riuscivano a fare a meno di sentirsi in colpa, addirittura.
L’ultimo compleanno che Rose aveva passato con sua madre risaliva a sette anni fa, e più il numero di quegli anni aumentava, più Rose si sentiva quasi in dovere di fare sempre qualcosa di eclatante, e ciò valeva sia per sua madre che per suo padre. Quando lei era al suo primo anno, per il compleanno del padre si accordò con Hagrid per mandargli una torta fatta in casa dalla ragazzina e dal gigante, che alla fine risultò immangiabile persino per Ron, che aveva lo stomaco di un toro da corrida, procurandogli un’indigestione con una prognosi di due settimane di ricovero al San Mungo per il suo coraggioso tentativo di assaggiare quell’ammasso di glassa e carta da forno magica.
Entrambi i fratelli erano fin troppo legati ai loro genitori – come i loro cugini con i propri – e si sentivano rammaricati quando giungevano i loro compleanni.
Così, da quando anche Hugo entrò ad Hogwarts, decisero di fare con le proprie mani, ogni anno, un regalo speciale per entrambi.
Per tutta la giornata però, Rose non poteva fare a meno di sentirsi leggermente sulle spine e molto più stressata del suo solito, perciò tentava di tenersi lontana da possibili attacchi di rabbia, o nervosismo. Ergo, in quel giorno niente Malfoy.
Quella mattina quando l’aveva trovato in aula di Pozioni, aveva mantenuto la calma per amor proprio, perché se fosse successo l’indomani, non avrebbe esitato ad eseguire su quella sua stupida faccia una fattura Furnunculus. Sarebbe stato esilarante vederlo ricoperto di pustole e brufoli pulsanti. Così magari avrebbe smesso di girare per la scuola come un tronfio Adone, e si sarebbe nascosto in qualche posto lontano dal mondo… magari in una fogna!
Probabilmente avrebbe dovuto farlo davvero, così avrebbe sistemato quel cretino per sempre. Ma i dettagli del suo piano malvagio avrebbero atteso. Ora era più importante sua madre. Infatti, non si era accorta che erano passati cinque minuti esatti da quando Hugo le aveva risposto, ed ora stava cercando di richiamarla.
«Vof!» la chiamò, con la voce impastata dal panino che aveva cacciato intero in bocca, e le schioccò due dita davanti agli occhi. «Che c’è? Sono qui, ti sento» disse, guardandolo disgustata mentre il fratello sputava briciole di pane sul tovagliolo «Sei disgustoso» commentò, scuotendo la testa per non assistere più a quello scempio di spettacolo.
Hugo inghiottì con un sonoro gulp da far accapponare la pelle, poi parlò «Dicevo che manca solo l’ultima foto, e quella dobbiamo scattarla noi, ma… c’è un piccolo problema» fece, alzando il dito indice «Sarebbe?» borbottò Rose, con le mani congiunte e appoggiate alla fronte, «Sarebbe che io non ho idea di come si animano le foto. Io so fare solo quelle babbane!» Hugo si fece scivolare sulla poltrona, e proprio in quel momento la campana delle due trillò sonoramente.
«D’accordo» fece Rose, notando lo sguardo in preda al panico del fratello «Adesso andiamo a lezione, e io trovo qualcuno che ci scatti la foto, prima che faccia buio, così possiamo ultimare il lavoro, e farlo recapitare a mamma, va bene? Hugo, rispondimi, non andare in panico» «Sì» scattò disorientato il ragazzo, investito improvvisamente dalla snervante sensazione che forse non sarebbero stati in grado di finire e consegnare il regalo in tempo.
«Conosci qualcuno che sappia animare le foto?»
«Puoi fidarti della tua sorellina, fungo» gli fece, scompigliandogli i capelli e mettendogli un braccio attorno alle spalle, anche se Hugo era decisamente più alto di Rose, e lei si trovò un po’ scomoda.
“E dovrò anche trovare il tempo di stare con Al, e di studiare per domani, consegnare il regalo a mamma, e impedire il crollo nervoso a mio fratello” si elencò in testa, sperando di non mancare nulla, e che nessuno le avrebbe messo qualche bastone fra le ruote. Pregava in cuor suo che, almeno in quel giorno, l’avrebbero lasciata in pace.






«Mi rammarica comunicarvelo, ma purtroppo è uno dei doveri di un insegnante, quindi preparatevi per la verifica che faremo domani» alle parole del professor Telmar, i ragazzi si accasciarono sulle sedie in cori di disappunto e disperazione pura, e alcuni addirittura scoppiarono in singhiozzi isterici.
«Calma, calma» li riprese, agitando le mani per cercare di ristabilire un contesto dignitoso. Davvero gli studenti credevano che quel momento non sarebbe arrivato? Anzi, erano stati anche piuttosto graziati che si fosse aspettata praticamente la fine di settembre per stabilire un giorno di verifica. Era inevitabile che quella notizia sarebbe giunta, prima o poi.
Lily stava masticando convulsamente il gommino – già ridotto all’osso – della matita, picchiettando nervosamente le lunghe dita sul banco, sotto lo sguardo assente di Hugo. Loro due erano gli unici rimasti seduti e in silenzio, alla notizia della verifica di Antiche Rune, al contrario dei loro compagni.
La campanella suonò, e gli studenti si riversarono affranti fuori dall’aula, dopo quell’ultima ora di lezione pomeridiana, chi correndo in Biblioteca, e chi in Sala Comune per affannarsi a ripassare per la verifica imminente. Lily se la prese con tutta calma, mentre Hugo – ridestatosi dalla sua trance momentanea – batteva un piede a terra, intimandole di sbrigarsi.
«Tu vai avanti» gli fece la rossa con un tono alterato, allacciando una cinghia della borsa.
«Lily, devo andare a cercare Rose» la richiamò lui, evidentemente non avendo ascoltato ciò che la cugina gli aveva appena detto.
Roteò gli occhi al cielo, e uscì dall’aula, seguita a ruota dal cugino, che camminava a passi piccoli e veloci, avvantaggiandosi di due metri, prima che si voltasse e notasse la sua lentezza. Hugo scrollò le braccia, e sbuffò tornando indietro e prendendo Lily per le spalle, ma questa puntò i piedi, e si rivolse al cugino «Ascolta, tu vai e fai quello che devi fare… Io devo assolutamente ripassare, e spero che Godric me la mandi buona e faccia sì che trovi posto in Biblioteca, altrimenti sono spacciata» gli disse, passandosi una mano sui capelli, scombinando così la sua frangia, che ora era un ammasso di ciuffi alzati sulla testa.
Hugo annuì, passandole una mano sui capelli, scompigliandoli di più, al che Lily sorrise, e amaramente si divisero, diretti verso mete differenti.
La notizia della verifica l’aveva completamente mandata in tilt, perché, dicendola tutta, non è che Lily si fosse dedicata tutti i giorni, e con l’adeguato impegno ad Antiche Rune. L’aveva sfogliata ogni tanto, in quei pochi attimi che riuscì a ritagliarsi di tempo tra una materia e l’altra, spulciando le pagine distrattamente e con la presunzione di sapere già che l’argomento trattato in questa o quella pagina fosse terribilmente facile.
Solo ora cominciava a pensare a quanto fosse stata in errore con la sua superficialità, e si disperò al pensiero del pomeriggio che l’attendeva. Aveva sperato di riuscire a cavarsela con due ore – che poi sarebbe stata un’ora e mezza con mezz’ora supplementare di spuntino – di studio, per poi andare a cena e schiacciare un pisolino pre-dormita, poi scendere a giocare a Spara Schiocco con Hugo, e prendersi qualche minuto per mandare gli auguri a zia Hermione, per concludere in bellezza con lei che si coricava beatamente a letto. Ovviamente, il suo programma era stato completamente sconvolto dall’intervento del professor Telmar, con la sua stupida verifica della sua stupida materia.
Lily era così arrabbiata e così impegnata a inveire mentalmente con il suo professore, che quasi non si accorse di dove stava andando, e si ritrovò a cozzare contro un qualcuno di indefinito, cui, ovviamente, rivolse le peggiori maledizioni che potessero venirle in mente.
Era finita con il fondoschiena a terra, sul duro e freddo pavimento di pietra, e sentiva nelle ossa il rimbombare della caduta come il suono delle campane di una cattedrale in festa. Si portò le mani alle tempie per cercare di ristabilire dove fosse la terra e dove il soffitto. Di sicuro su uno dei due era seduta.
Una voce maschile le arrivò, mortificata, alle orecchie «Merlino!» gridò il ragazzo in questione, accorrendo a soccorrerla. «Lily, maledizione… mi dispiace» continuò, afferrandola di peso per le braccia, e sollevandola come se pesasse meno di un libro di Trasfigurazione.
«Porco Salazar, e tutti i suoi discendenti Serpeverde» mormorò la ragazza, passandosi freneticamente una mano sulla schiena. «Andiamo, Lily, così offendi anche me» fece il ragazzo corrucciato, e un po’ offeso dalle parole di Lily.
In tutto questo, Lily non ancora aveva avuto il tempo di rimettere a fuoco la vista per guardare in faccia l’ostacolo contro cui aveva cozzato, e continuò a massaggiarsi la testa, cercando di trattenersi dall’urlare a pieni polmoni al ragazzo quanto fosse idiota, cieco e maldestro.
Intanto, quest’ultimo teneva una mano dietro la schiena di lei – a debita distanza, s’intende – e un’altra a pochi centimetri dalla sua fronte, pronto per ogni evenienza. Fu terrorizzato al pensiero che la ragazzina avrebbe potuto subire danni permanenti per colpa sua, e della sua stazza. Anche se avrebbe giurato di non essere così grosso, e nemmeno così maldestro. Era lei che gli era venuta addosso. Era lei che non si vedeva quasi, mentre camminava, minuta com’era, a suo confronto. Okay, non che lui fosse un gigante, comunque.
Finalmente, Lily aprì gli occhi, pronta a scaraventare a terra con un pugno l’armadio contro cui aveva sbattuto, anche se non si rese conto di quanto fosse improbabile che lei avrebbe potuto metterlo a tappeto con un solo pugno, visto che le era bastato sbatterci contro per rimanere fuori gioco una buona manciata di minuti.
Quando riuscì a identificarlo, quasi le venne da ridere. «Te l’hanno mai detto che bisogna camminare con la testa sul collo, e non tra le nuvole, Lysander?»
«Sia lodato il cielo, è cosciente» esclamò invece il ragazzo, alzando le mani al soffitto «Temevo di doverti portare da Madama Chips per i danni cerebrali subiti… Modestamente» e con un gesto plateale indicò il suo corpo, ammiccando come un babbeo.
«Complimenti, ti vanti di aver incidentato una povera ragazzina ignara. Sai che posso togliere punti a- …» ma Lysander la interruppe prontamente, tappandole la bocca con la mano, «No, per carità, risparmiami… anzi, risparmiaci. Fallo per tuo fratello» la supplicò, piagnucolando come un ragazzino che prega la mamma di non assegnargli una punizione per qualche marachella che ha combinato. Lily ridacchiò sulla sua mano, stranamente per nulla infastidita dalla confidenza che le aveva rivolto Lysander. Gli scostò le dita per parlare, anche se non riusciva a darsi un tono per le risate.
«Stavo dicendo che posso togliere punti a Serp- …» riprese Lily, ma fu di nuovo interrotta da Lysander che iniziò a canticchiare per sovrastare la voce della rossa, tenendosi i palmi della mani sulle orecchie, «Tanto non ti sento, tanto non ti sento!» gridava il ragazzo, saltellando sul posto come un bambino capriccioso.
Lily si piegò in due dalle risate, tenendosi la pancia per il dolore – piacevole, s’intende – che lo attanagliava. Cadde sul pavimento sgraziatamente con un tonfo da cascatrice professionista, ridendo ancora più forte.
A quel punto, Lysander tornò in sé, e la guardò stranito, come se fino a quel momento lui non avesse fatto nulla, e la pazza lì attorno fosse solo Lily. Si girò in qualunque direzione, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi si allontanò di soppiatto mentre la ragazza giaceva a terra, piangendo dalle risate, completamente impossibilitata per qualunque movimento.
Quando smise di ridere – e ovviamente smise presto, visto che il motivo per cui stava ridendo si era dileguato – arrossì di botto per la vergogna, pensando alla figuraccia madornale che aveva fatto di fronte a Lysander, che era anche più grande di lei. Dopotutto, non è che avesse fatto chissà quali brillanti battute da farla stremare a terra per il riso convulso, e lei si diede mentalmente dell’idiota e dell’oca da quattro soldi per quella gran bella impressione che aveva fatto sul ragazzo.
“Complimenti, Lily Luna” fece la voce nella sua testa, che assomigliava maledettamente a quella della madre e interveniva ogni volta nelle situazioni più spiacevoli e imbarazzanti.
“L’hai fatto fuggire a gambe levate” continuò, mentre Lily raccoglieva la borsa da terra – caduta durante la sua seconda buttata a terra –e si riponeva una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sperando vivamente che nessuno avesse visto quello che era appena successo, perché non avrebbe potuto reggere un’umiliazione pubblica.
D’un tratto, mentre si apprestava a riprendere la sua precedente direzione verso la Biblioteca, due mani estranee la premettero da dietro, provocandole spasmi e risa incontrollabili, e lei tentava invano di divincolarsi, mentre il suo aggressore scoppiava in una risata fragorosa che alimentò quella di Lily.
«Ti ho fregata alla grande, non ci posso credere» continuò a ridere, mentre la ragazza cercava di liberarsi delle mani di Lysander che premevano sul suo torace, ridendo anche lei.
Solo più tardi si rese conto che il ragazzo la stava toccando in un modo in cui lei non aveva mai permesso di toccarla a nessuno.
Alla fine della tortura, però, Lily riuscì a liberarsi – con un piccolo moto di riluttanza, che si affrettò a negare a sé stessa – di Lysander, che dovette appoggiarsi alla parete per non rovinare a terra come Lily aveva già fatto due volte, nel giro di mezz’ora.
«Pezzo di idiota» bofonchiò lei, non resistendo però ad una risata che esplose subito dopo. «È stato lo scherzo improvvisato all’ultimo secondo migliore della storia» decretò con fare teatrale il ragazzo, massaggiandosi la pancia ed espirando lentamente, attento a non ricadere preda delle risate.
«Io non l’ho trovato per nulla divertente» borbottò dopo un po’ la ragazza, con le braccia strette al petto e un’aria da puzza sotto il naso, che mandò l’autocontrollo di Lysander in pappa, facendolo esplodere in un’altra sonora risata, tanto forte da fare svegliare tutti gli spiriti che dimoravano nel castello.
«Infatti» annuì sarcastico Lysander, dopo essersi dato un minimo contegno, imitando la posa di Lily alla perfezione, «Soprattutto quando stavi per sputare un polmone per colpa del solletico».
Lily parve indignata e spalancò la bocca, «Io non soffro il solletico!» esclamò, beccandosi un’occhiata in tralice da Lysander, che scosse la testa, ridacchiando sommessamente.
«Ma certo, Lily» ribatté, tranquillo «Sei solo estremamente sensibile al tocco umano» scrollò le spalle.
Però, in fin dei conti, la frase di Lysander non era totalmente errata. Infatti Lily era estremamente sensibile al tocco umano. Odiava la gente che la toccava, in qualunque modo, soprattutto se non erano parte del nucleo famigliare. Ma quando Lysander le aveva fatto il solletico – toccandola, ovviamente – non si era sentita né a disagio, né aveva voluto picchiarlo a sangue, fino a fargli sputare il pancreas. Anzi, si era sentita bene. Era stato un tocco… piacevole.
Ah, ma certo!, si schiaffeggiò mentalmente. Come poteva darle fastidio, Lysander? Insomma, in fin dei conti anche lui era parte della sua famiglia. Era uno dei migliori amici di suo fratello, passava quasi tutta l’estate con loro, alla Tana, visto che suo nonno materno abitava poco distante dai suoi nonni, e, ovviamente, era anche il figlio di una delle più care amiche dei suoi genitori, nonché sua madrina di battesimo, da cui aveva anche preso il suo secondo nome.
Era perfettamente logico che non si fosse sentita infastidita dal tocco del ragazzo. Era stupida anche ad avere dubbi. Lui era praticamente suo cugino acquisito. Era come Teddy, in fondo.
Un cugino\fratello acquisito.
Lily scosse la testa, ridacchiando, poi si portò le mani ai capelli, terrorizzata, e guardò l’orologio che aveva al polso.
«Per la barba di Merlino» imprecò sottovoce, sistemandosi freneticamente i capelli dietro le orecchie.
«Che ti prende?» le fece incuriosito Lysander, «Domani ho una verifica e non ho ancora ripass- … oh, ma chi voglio prendere in giro! Non ho ancora studiato nulla! Sono spacciata» fece lei, incamminandosi verso la sua antica meta.
Lysander la seguì a ruota.
«Se ti occorre una mano, posso aiutarti io» si offrì gentilmente, sorridendo. Lily ponderò attentamente la proposta, e rise «Quanto ne sai di Antiche Rune?»
«Oh, be’» disse pomposo, gonfiando il petto «Se proprio devo dirla tutta… Niente di niente».
Lily rise di nuovo, e le sfuggì qualche lacrima, che asciugò prontamente con la manica del maglioncino.
«Continuo a chiedermi come diavolo tu abbia fatto a prendere i G.U.F.O.» disse, scuotendo la testa, «Ehi, dovresti sentirti sollevata al pensiero!» protestò questo, allargando le braccia.
«Ah, sì? E perché, sentiamo?» ribatté Lily, imboccando finalmente il corridoio che portava direttamente alla Biblioteca, con Lysander al seguito.
«Be’» rispose lui, «Ma è ovvio. Dovresti considerare i G.U.F.O. una passeggiata, se pensi che uno come me ce l’ha fatta» si appoggiò alla parete con un sorriso da ebete stampato in faccia, come se quello fosse un motivo per vantarsi. Lily lo fissò, con un labbro che tremolava, cercando di resistere alla tentazione di scoppiargli a ridere in faccia, ma alla fine fu più forte di lei, ed esplose in una rumorosissima risata.
Lysander parve dispiaciuto, ma poi si unì alla rossa. Si poteva dire che i due avessero avuto davvero una brillante conversazione, durante il tempo che avevano trascorso insieme.
«Comunque seriamente» fece poi Lysander, smettendo di ridere e dandosi un contegno «Se ce l’ho fatta io, Lily, tu puoi farlo ad occhi chiusi» le disse, e la sua sincerità fu così disarmante che Lily, per un motivo che fosse un altro, arrossì fino alla frangia, e abbassò il viso per guardare il quadrante dell’orologio, così che i capelli le coprissero il viso, ma sfortunatamente sbagliò braccio, e imprecò sottovoce per la sua stupidità. Lysander non se ne accorse – o magari fece solo finta.
Comunque, la ragazza tornò quasi immediatamente del suo normale colorito, e si schiarì la voce, «Grazie mille per la tua compagnia, e… anche della tua gentile offerta» rise leggermente, accompagnata dallo stesso ragazzo, «Ma adesso devo proprio mettermi a studiare, perché se prendo un brutto voto già all’inizio dell’anno, chi la sente mia madre» fece, roteando gli occhi al soffitto. E già poté figurarsi la scena di lei al tavolo di Grifondoro, beata e intenta a fare colazione, mentre un gufo plana su di lei con in bocca la Strillettera da parte di sua madre. Lysander annuì partecipe, perché capiva benissimo cosa significasse avere una madre pronta a scuoiarti in caso di fallimento scolastico.
«Figurati, non c’è di che. Anche se non sono stato davvero d’aiuto» ribatté, passandosi una mano sulla nuca. «Be’, allora io vado» disse dopo qualche istante di silenzio ingombrante «Ciao, piccola Potter» le sorrise, affondando le mani nelle tasche e girando i tacchi. Lily contraccambiò il sorriso, e nella sua testa risuonarono amare le parole di Lysander. Piccola Potter.
Magari era sbagliato considerarlo uno di famiglia. Magari avrebbe semplicemente dovuto considerarlo il migliore amico di suo fratello. O forse nemmeno quello. Era troppo chiedere di non essere considerata soltanto la sorellina minore di James Sirius Potter e Albus Severus Potter?
Probabilmente era la cosa più sbagliata, considerare chiunque parte della sua famiglia.
Probabilmente non avrebbe dovuto considerare Lysander come il suo cugino\fratello acquisito.






Mai, mai nella sua intera carriera scolastica, Rose Weasley aveva desiderato tanto ardentemente che la campana che portava con sé l’annuncio del termine delle lezioni del pomeriggio suonasse al più presto. Non era quel tipo di studentessa che lanciava sguardi frequenti e impazienti all’orologio facendo addirittura in modo che il tempo si bloccasse momentaneamente. No, lei era quel tipo di studentessa – anche se probabilmente la sua categoria comprendeva solo ed esclusivamente lei – che, al posto di esultare al suono dolce e confortante della campana, sbuffava scocciata del fatto che un’altra lezione fosse stata interrotta proprio nel momento meno propizio, quando magari si entrava nel vivo della questione.
In quel momento però, purtroppo, cause di forza maggiore la costringevano a desiderare il trillo assordante della campana. E lo desiderò così tanto che iniziò a diventare quasi isterica ed impaziente, e prese a picchiettare con foga la matita sul banco, arrestandosi dal prendere appunti. Si grattò la nuca, lanciando un’altra occhiata al grande orologio posto sopra la cattedra del professor Rüf, assorto nella lettura quasi sussurrata di un capitolo riguardante la caccia alle streghe nel Medioevo, di cui Rose, per la prima volta nella sua vita, aveva fatto a meno di ascoltare, considerato il fatto che quell’argomento appartenesse al programma del terzo anno, e che lo avessero già “ripassato” altre sette volte, negli ultimi due anni.
All’improvviso iniziò a comprendere gli istinti omicidi dei suoi compagni durante le lezioni di Storia della Magia, perché Rüf era davvero soporifero, e l’unica cosa che spingeva Rose a continuare lo studio di quella materia era la voglia di conoscere ogni singolo dettaglio, ogni singolo anfratto nascosto nella storia dei maghi, e di tutto il suo mondo. Quel particolare pomeriggio, comunque, non era molto in vena di essere accomodante e di giustificare l’inettitudine del suo professore fantasma.
Si chiese come mai né la McGranitt, né il professor Silente, durante la loro carica da Preside, non avessero mai preso in considerazione l’idea di… insomma, lasciarlo “riposare in pace”, per restare in tema. Nemmeno lei sapeva da quanti anni ormai Rüf si era svegliato morto dal suo pisolino, ma comunque dovevano esserne parecchi. Forse non sarebbe stato male per gli studenti – e per la materia – che il fantasma fosse andato una buona volta in pensione.
Rose, all’ennesima occhiata all’orologio, constatò che non era passato nemmeno un misero e dannato minuto, e batté la testa sul bordo del banco, beccando invece il libro di testo, aperto sul capitolo di cui stavano trattando. Il segno delle pagine le si ritrattò in fronte.
Alexandra, di fianco a lei, la guardò in tralice, mentre era curva sulla pergamena ordinatamente scritta e ricoperta di appunti nella sua impeccabile grafia.
La rossa ritentò il suicidio, e stavolta si premurò di chiudere il libro e allontanarlo dalla zona di schianto, così da ottenere la buona riuscita, ma Alexandra, con uno sbuffò contrariato, interpose la sua mano tra il bordo del banco e la testa dell’amica, appena in tempo per evitare la tragedia.
«Ma che diavolo ti prende?» le bisbigliò, mentre la ragazza borbottava qualche lamentela in merito al suo intervento intempestivo e fuori luogo.
«Non è giornata, d’accordo?» sbottò la rossa, con un gesto delle mani, facendo crollare dalla sua crocchia improvvisata qualche ciuffo di capelli. Quell’aula era soffocante, e Rose non aveva resistito alla tentazione di raccogliersi i capelli, rovinando così l’opera di acconcio di Natalie di quella mattina. Alexandra sbuffò e rise insieme, sapendo che Rose era sempre molto irascibile, quando arrivava il compleanno dei suoi genitori, perché conosceva il profondo legame che la ragazza aveva con loro, e sapeva che odiava passare momenti importanti come i compleanni lontano da casa, e dalla famiglia.
«Oh, dai, non fare la scorbutica» disse Alexandra, pungolandole il braccio con la piuma. Rose si scansò un po’, mal celando un sorrisetto.
«Non ci credi nemmeno tu» sentenziò, rivolgendosi un attimo solo ad appuntare chissà cosa sulla sua pergamena, «E poi, pensa a quanto impazzirà di gioia tua madre, quando vedrà il vostro regalo» aggiunse poi, alzando leggermente le spalle.
Rose la guardò, poi annuì «Hai ragione» sorrise, «È solo che… lo sai quanto non mi sia mai piaciuto passare il compleanno di mia madre, o di mio padre lontano da loro… Mi rende nervosa per tutto il giorno». «Oh, sì» ribatté Alexandra, ridendo «L’hanno notato tutti… Da sette anni, ormai» e si beccò un pugnetto indignato sul braccio, «Cosa vorresti insinuare?» fece Rose, con un finto tono da acida.
«Quello che hai capito» rispose Alexandra, guardandola con una smorfia in viso. Non ressero i loro sguardi per più di qualche secondo, e scoppiarono in una fragorosa risata.
«Signorina Whistle, signorina Night? C’è qualche problema?» bofonchiò Rüf con voce strascicata e sibilante. Rose si nascose la bocca con la manica del mantello per non ridere del cognome che aveva reinventato per Alexandra, che, da parte sua, divenne rossa sulle orecchie, segno che il suo nuovo nome l’aveva infastidita non poco.
Rose tentò di ingoiare le risate che le premevano sulle labbra, e si costrinse a giustificare entrambe, «Oh, ci perdoni, professore, ma era sorto un dibattito sul capitolo che stiamo affrontando… sa, è davvero appassionante» disse, e il professore si limitò a guardarla con gli occhi strabici e vacui, e tornò a spulciare il suo libro, con una lentezza snervante.
Dal lato opposto dell’aula, Scorpius Malfoy ghignava divertito per la scena appena vista. Rose, fortunatamente non lo notò.
«Quando è morto, anche il suo cervello è andato completamente a farsi benedire» borbottò Alexandra, affondando le dita nei capelli scuri e prendendo a picchiettare le dita sul banco, palesemente frustrata. Odiava quando Rüf storpiava il suo cognome.
Rose ridacchiò sotto i baffi, «Signorina Night, le sembra questo il modo di parlare di un suo professore così venerando?» la rimproverò, con un pizzico di tono autoritario mal celato dal sorriso che premeva sulle sue labbra «Dovrei sottrarle almeno un centinaio di punti, per questo affronto» e scoppiò a ridere in silenzio un attimo dopo, seguita da Alexandra, che prima però si era premurata di rivolgerle un’occhiataccia.
All’improvviso, come se Rose avesse appena ricevuto un’illuminazione, spalancò la bocca e si batté con forza una mano sulla fronte.
L’amica la guardò preoccupata, «Ho ragione di credere che tu stia seriamente tentando il suicidio, oggi» mormorò, poggiando la guancia sul palmo della mano, ignorando quella squilibrata che le sedeva accanto.
«No, sul serio, ho dimenticato di occuparmi di una cosa» fece Rose, e poi imprecò sottovoce, strappando un pezzetto di pergamena e cominciando a scarabocchiarci sopra. Alexandra la guardò di sottecchi, «Ma che fai?»
«Mi ero completamente dimenticata di chiedere a Joanne la sua macchina fotografica» bofonchiò, irritata dalla sua dimenticanza che le avrebbe fatto perdere del tempo preziosissimo, che sicuramente quel giorno le serviva più del solito. «La macchina-…? Ma a cosa ti serve? Rose!» la richiamò poi, quando la ragazza aveva estratto la bacchetta, puntandola verso il biglietto che aveva appena ripiegato per la terza volta, «Cosa?» le disse distrattamente, per poi borbottare un incantesimo sottovoce per fare in modo che il bigliettino volasse fino al suo destinatario.
Si voltò verso Alexandra, che la stava guardando con le sopracciglia inarcate e un’espressione che diceva “fai sul serio?”. «Cosa?» ripeté Rose, un po’ infastidita per essersi dovuta ripetere, e quando vide che Alexandra non accennava a far crollare la sua espressione, sbuffò infervorata, «Se vuoi parlare, bene, altrimenti io non sono ancora in grado di definirmi una buona Legilimens» e incrociò le braccia al petto, appoggiandosi sgraziatamente allo schienale della sedia.
«Ci terrei a ricordarti che io possiedo una macchina fotografica… Non so fino a che punto possa interessarti, comunque» fece, guardandola in tralice, dopo che si fu girata di nuovo in direzione della cattedra. Rose, per la seconda volta, si batté il palmo della mano sulla fronte, e guardò l’amica sorridendo, «Giusto. Scusa, sono un po’ distratta, oggi» «Ho notato» fece Alexandra, con un tono di voce irritato, che si rivelò finto quasi immediatamente, dopo che la ragazza iniziò a ridere, seguita poi da Rose.
Quasi non si accorsero che la campanella era suonata, complici le loro risate e la dimenticanza di Rose verso l’orologio, e gli impegni che richiedevano la sua presenza assoluta.
«Merlino, devo scappare» esclamò Rose, rovesciando disordinatamente il libro di testo, la pergamena inutilizzata e la piuma dentro la borsa di cuoio, che si gettò sulle spalle, iniziando a correre verso la porta.
«Ohi, ehi» la richiamò Alexandra, cercando di farla fermare, e visto che Rose non accennava nemmeno l’intenzione di volersi fermare, afferrò sotto braccio il testo e buttò la piuma e la pergamena dentro la sua borsa, dirigendosi a grandi falcate verso l’uscita. Al contrario di Rose, lei era molto più aggraziata e composta, e non correva come una forsennata, rischiando magari di arrovellarsi per le scale, o andare a schiantarsi contro un muro. Rose, da parte sua, aveva già urtato quattro studenti, due del primo anno che si dirigevano verso l’Aula di Trasfigurazione, una ragazzina del quarto a cui venne un mini infarto, essendosi vista arrivare addosso una furia rossa, e infine, un ragazzo del sesto anno che le rivolse un’occhiataccia, imprecando.
Quando finalmente Alexandra riuscì a raggiungere l’amica, la trovò piegata in due accanto ad un muro del secondo piano, dietro un’armatura di Sir Lancillotto, o forse qualche altro cavaliere, che si inchinò non appena vide arrivare la ragazza.
Alexandra, da ragazza di classe quale era, rispose con una breve riverenza. Poi si premette le mani sui fianchi, serrando le labbra, in una perfetta imitazione di nonna Molly in assetto di guerra.
Ad accompagnare tutta la scena ci fu anche il battere del piede contro il pavimento.
«Ebbene?»
Rose alzò una mano, sempre piegata in due, mentre l’altra era premuta contro la sua caviglia. «Me la sono slegata scivolando su Mister Piedi Lunghi qui presente» spiegò, indicando con una smorfia l’armatura al suo fianco, che si voltò verso di lei, probabilmente indignato.
«È anche vero che tu corri zigzagando, Rose» fece la ragazza, ridacchiando e avvicinandosi a lei per passarle un braccio attorno alle spalle, e aiutarla a rimettersi dritta.
«Come diavolo pensi che riusciremo a fare altri cinque piani?» borbottò Rose, arrancando a fatica, e sperando che il dolore alla caviglia le passasse subito, così da poter raggiungere Hugo in Sala Grande, e far fare la foto ad Alexandra, che poi avrebbe sviluppato con la pozione per animare le foto, per poi andare da Albus per ascoltare ciò che aveva cercato di dirle da quella mattina… ah, e ovviamente doveva studiare per il giorno dopo.
Era sicura che non ce l’avrebbe fatta. Probabilmente le sarebbe toccato di studiare fino alle tre del mattino, e ritrovarsi l’indomani con due borse sotto gli occhi grandi come il testone di Hagrid. Per poco non le venne da sospirare per lo sconforto, non sapendo che in realtà stava solo esagerando, come il suo solito.
Verso il quarto piano, il dolore alla caviglia le era completamente passato, quindi doveva essersi trattata di una semplice botta, e si rimise dritta, iniziando ad accelerare il passo, sotto lo sguardo incredulo di Alexandra, che fino a poco prima l’aveva vista praticamente camminare in orizzontale. «Non correre, o ‘stavolta ti farai male sul serio» la rimproverò, mentre Rose l’aveva già preceduta di qualche metro lungo il corridoio.
Si voltò verso l’amica, e agitò una mano a mezz’aria, «Tranquilla, non ci sono dei Lancillotti, qui» rispose, sempre mantenendo lo sguardo in direzione di Alexandra. Inutile dire quanto fosse stata idiota nel camminare guardando nella direzione opposta. Fece in tempo a sentire Alexandra richiamarla a gran voce con un «Attenta, Rose!», prima di ruzzolare indietro, e sarebbe finita a terra, se una mano non l’avesse prontamente afferrata da un polso.
Avrebbe imprecato contro tutti i maghi della storia, se non si fosse mentalmente appuntata che non era una saggia decisione, perché la persona contro la quale aveva cozzato era niente dopo di meno che Taran Callaghan. Non poteva ritenersi più idiota, e più sfortunata di così.
Tra tutti gli individui che potevano capitarle, proprio Taran Callaghan, lo stesso ragazzo di cui avevano parlato quella mattina le sue amiche. Lo stesso che Rose trovava incredibilmente degno di essere definito ‘un bel pezzo di carne’, citando ovviamente Tiana.
«Oh, Merlino» bofonchiò imbarazzata, allontanandosi da lui quel tanto che bastava per non farla diventare dello stesso colore dei suoi capelli. Si scostò una ciocca dietro l’orecchio, più e più volte, senza guardarlo in faccia. «Ti prego, scusami. Sono… troppo distratta, oggi» borbottò imbarazzata, senza riuscire ad alzare lo sguardo. Era impossibile che si sentisse così a disagio davanti ad un ragazzo. Non le era mai capitato. Si trovava sempre molto a suo agio, a parlare con esponenti del genere maschile, complice anche il fatto che i suoi migliori amici erano maschi, e che condivideva un mese intero della sua vita (escludendo i nove mesi di scuola, in cui bene o male riusciva a separarsene più spesso) con i suoi rumorosi cugini.
«Sul serio, ho troppe cose per la testa, tanti piani da percorrere… Pensa che devo arrivare nella mia Sala Comune, e poi ritornare in giardino» fece, ridacchiando nervosamente, e si decise a guardare Taran, che nel frattempo la scrutava ad occhi sgranati, pensando magari che Rose fosse una squilibrata. In effetti, la ragazza si accorse troppo tardi della figuraccia appena fatta, e divenne rossa fino alla punta dei capelli, pensando a quanto fosse stata imbranata e idiota nel suo solito modo di straparlare durante le situazioni di imbarazzo. Probabilmente, Taran non si sarebbe mai più nemmeno avvicinato a lei.
«Maledetto Salazar» imprecò sottovoce, con i denti stretti, e a quel punto il ragazzo fu davvero raggelato sul posto, preoccupato per la sua incolumità.
«Ehm, non-… non preoccuparti, non c’è problema» balbettò nervoso, con una mano sulla nuca, cercando di sorriderle, con il risultato di una smorfia un po’ sbilenca. «Ci vediamo» la salutò, affrettandosi per porre quanta più distanza fosse possibile tra loro.
Rose lo vide allontanarsi in fretta, e si batté di nuovo la mano sulla fronte. Alexandra la raggiunse con un sorrisetto inquisitorio sul volto, «Ottime capacità seduttrici, Rose, i miei complimenti» fece, a braccia conserte, mentre anche lei si rivolgeva con lo sguardo sul punto in cui era appena sparito il nuovo scapolo d’oro di Hogwarts, appositamente fatto fuggire da Rose Weasley versione squilibrata.
Rose la guardò con una smorfia scocciata, e poi la prese per un braccio, «Non infierire, ti prego» fu tutto quello che disse.
Arrivate al settimo piano, le due ragazze si separarono, una diretta alla Torre di Corvonero per prendere la macchina fotografica che avrebbe salvato la vita di Rose e Hugo, e l’altra diretta alla Torre di Grifondoro per cercare il fratello, sperando che fosse già tornato dall’ora di Incantesimi. Imboccò l’ultimo corridoio che la separava dal ritratto della Signora Grassa, ripensando inevitabilmente alla figuraccia appena fatta con Taran, sperando che magari lui non l’avesse riconosciuta e che la prossima volta, se mai ci fosse stata, lei non sarebbe andata totalmente nel pallone.
«Parola d’ordine?» stava chiedendo la Signora Grassa, dopo quella che fu la terza volta, visto che Rose non l’aveva sentita, persa com’era nei suoi pensieri. «Ah, certo, giusto… Mokessino» e con uno sguardo irritato per la perdita di tempo, la donna diede in un breve cenno e la lasciò entrare nella calda Sala Comune.
Tutti gli studenti erano praticamente lì dentro, cosa normale a quell’ora del pomeriggio, quando tutti si ritrovavano nella Torre per discutere delle loro giornate con i fratelli, con gli amici, o semplicemente per riposarsi un po’ prima di dedicarsi ai compiti del giorno dopo.
Si fece largo in mezzo alla calca di studenti, e si imbatté in una feroce lite tra due bambini di poco più di dodici anni, che si urlavano tra di loro. Decise di intervenire, pensando che, se Lily e Hugo fossero stati in quella stanza, li avrebbe presi a sberle, per la loro inettitudine riguardo il controllo dei bambini. In quanto Prefetti, avevano il compito di vigilare sui loro compagni, piccoli o grandi che fossero.
«Ehi, ehi, ehi» li richiamò la ragazza, assumendo la posa ‘Nonna Molly’, serrando le labbra «Che succede qui, ragazzi?» fece. I bambini sembrarono terrorizzati alla vista della Caposcuola, e divennero rossi dalla vergogna.
«Ehm, stavamo litigando» fu il bambino con i capelli biondi a parlare, mentre con un piede disegnava cerchi immaginari sul pavimento, mortificato dall’intervento di Rose, «E perché mai?» chiese questa, guardandoli a turno.
Il bambino che aveva parlato per primo non fu tanto coraggioso da rispondere una seconda volta, e lanciò un’occhiata al compagno, che invece sosteneva con tranquillità lo sguardo autoritario di Rose. «Ha barato a Scacchi Magici, lui!» sbottò infatti, indicando il bambino biondo con il dito, mentre questo spalancava la bocca e lo guardava sconvolto, «Non è vero! Sei tu che non sai perdere! E quindi inventi le scuse!» sbraitò, stringendo le braccia corte al petto, e voltando le spalle all’amico, che guardò invece Rose, supplichevole.
«Mm, d’accordo» annunciò infine, dopo un’attenta analisi della questione, fregandosi le mani, e passandosi la punta della lingua sulle labbra «Innanzitutto, se siete amici, dovete essere sinceri l’uno con l’altro, perché non è una buona cosa innalzare barriere, anche se si tratta di un gioco» disse, posando una mano sulla spalla del ragazzino biondo, che abbassò lo sguardo «Perciò non bisogna barare, nemmeno se si tratta degli Scacchi dei Maghi… altrimenti possiamo interpellare direttamente i pezzi» aggiunse poi, prendendo la scacchiera dal tavolino su cui stavano giocando i bambini, e afferrando un alfiere che iniziò a divincolarsi tra le mani di Rose.
Il bambino biondo la guardò allarmato, mentre la ragazza si frugava nelle tasche del mantello, evidentemente in cerca della bacchetta, e la fermò alzando una mano «No, non c’è bisogno» esclamò, rivolgendosi poi al suo amico, «Ho barato, è vero. Ti chiedo scusa. È solo che tu vinci sempre, e per una volta volevo vincere io» disse, mortificato, arrossendo leggermente sulle gote. L’altro bambino lo guardò, poi sorrise «Non fa niente» fece, «Se vuoi ti insegno qualche tecnica. Sai, mio padre mi ha svelato tutti i suoi trucchi. Da giovane stracciava tutti i suoi compagni di Casa, nessuno riusciva a batterlo! Credo sia una cosa ereditaria» e si risedettero alle loro precedenti postazioni, pronti a ricominciare un’altra partita, più leale della precedente.
Rose sorrise, e poi si allontanò in cerca dei suoi parenti. Ovviamente, non ci volle molto a trovarli: Molly e Roxanne erano impegnate in una conversazione piuttosto accesa, e mentre la prima parlava (o rimproverava) animatamente e con gesti delle mani, l’altra si limitava a ficcarsi in bocca quanti più biscotti riuscisse. D’altra parte, invece, vi erano Hugo e Lily, appesi a testa in giù sui divani di velluto, con le fronti arrossate per via del sangue alla testa.
Appena fu a portata d’orecchi, Rose li sentì parlare: «Vedo, vedo… un ammasso di marmo» stava dicendo Lily, la voce un po’ alterata per via della sua scomoda posizione. «Il camino» borbottò Hugo, alzando l’indice in direzione appunto del camino «Fai schifo a questo gioco» le fece, e poi Rose lo sentì gridare un sonoro «Ahio!», segno che Lily l’aveva colpito in un qualche punto.
Appena fu a vista, Roxanne trovò la scusa perfetta per liberarsi dalla cugina «Ehi, guardate chi c’è! La mia salvatrice! Ti amerò a vita» la salutò, avvicinandosi e inchinandosi a Rose con profonda gratitudine, poi si allontanò in tutt’altra direzione, purché fosse lontana dalla voce di Molly, che da parte sua rimase sconvolta da tanta maleducazione da parte di Roxanne. Incrociò le braccia al petto e si raggomitolò sulla poltrona spiumata, con un bel broncio in viso.
Rose si portò davanti a Hugo e Lily, «Ciao» fecero in coro, alzando una mano, che prontamente ricadde loro sul viso. Sembravano sincronizzati in una maniera spaventosa.
«Tra poco Alexandra sarà qui per farci la fotografia che ci serve per l’album, chiaro? Quindi rimettiti in ordine, non vogliamo far pensare a mamma che vivi come un barbone, fuori dal suo tetto» si rivolse al fratello, battendo un piede a terra, e facendo un cenno alla cravatta allentata, i risvolti alle maniche della camicia, e, ovviamente, la mancanza del maglioncino, gettato chissà dove. Hugo, da parte sua, sbuffò, e si esibì in una capriola all’indietro per rimettersi in piedi, anche se rischiò di rompersi l’osso del collo, e atterrò sul sedere sopra il tappeto della Sala Comune, con la camicia tutta stropicciata.
Rose alzò gli occhi al cielo, e si accomodò al posto che era occupato in precedenza dal fratello, portandosi la borsa sulle gambe e aprendola per cercare chissà cosa al suo interno. La frugò per qualche secondo, poi cacciò una spazzola azzurra, e iniziò a spazzolarsi i capelli, liberati dalla crocchia disordinata. Ovviamente però, non poteva pretendere che questi fossero ancora lisci dopo l’operato di quella mattina, perché infatti risultarono piegati e impossibili da rimettere in sesto.
Rose sbuffò sonoramente, rovesciando la borsa a terra, che cadde con un sonoro tonfo.
Lily la guardò, poi agitò una mano a mezz’aria «Ah! È per questo che io ho sempre i capelli legati» borbottò, riacciuffando la borsa della cugina, e sguainando la bacchetta.
«Da’ qua, te li sistemo io» le fece, quando Rose aprì bocca per ribattere, poi la lasciò fare. Con qualche rapido scatto, Lily portò tutti i capelli di Rose a raccogliersi in un elegante crocchia, molto più accurata ed esteticamente accettabile di quella che aveva prima. Le lasciò solo qualche ciuffo a danzarle sulla fronte.
La ragazza si tastò lentamente la nuova acconciatura, e sorrise «Meglio. Grazie, Lily»disse, scoccandole un rumoroso bacio sulla guancia, che fece ridere la cugina.
Poi Rose sgranò gli occhi, senza un apparente motivo, e si voltò verso le cugine «Che ore sono?» fece, accalorata, e le due scrollarono le spalle. Si alzò dal divano, e si precipitò verso l’entrata della Sala Comune, aprendola e trovandovi Alexandra di fronte, che stava animatamente litigando con la Signora Grassa fino a quel momento, prima che venissero interrotte dall’arrivo dell’amica.
«Perdonami, avrei dovuto dirti la parola d’ordine» si scusò, e lasciò che entrasse nella loro Sala Comune. «Ah» sbraitò questa, «Ma perché diavolo una parola d’ordine? Si è tanto più comodi con gli indovinelli»
«Oh, be’, non è che qui abbondi di geni ed enigmisti provetti, non so se mi spiego» ribatté Rose, un po’ amara, pensando che anche lei avrebbe preferito gli indovinelli. Le era sempre piaciuta, la Casata di Corvonero. Era così particolare.
«Comunque, l’hai portata?» fece poi, battendo le mani entusiasta, ma si bloccò non appena vide il volto di Alexandra, che si era improvvisamente fatto sconvolto. «Oddio, dannazione! Me ne sono dimenticata!» esclamò, battendosi la mano sulla fronte, ma non con la stessa potenza che di solito impiegava Rose.
«Scusami, non me lo sono ricordata» fece, amareggiata, e a Rose sembrò che le fossero appena cadute entrambe le braccia dallo sconforto. Non era possibile.
Ma un attimo dopo, Alexandra scoppiò a ridere, e si piegò sulle ginocchia, «Dovresti vedere la tua faccia» biascicò tra le risate, e indicò la borsa che portava a tracolla, «Secondo te cosa porto qui dentro? Un calderone?» continuò a prenderla in giro e a ridere allo stesso tempo, fino a quando Rose non le riservò un pugno sul braccio. «Stupida» mormorò, «Non abbiamo tempo per questi inutili scherzetti» fece, incrociando le braccia al petto, e assumendo il broncio.
Alexandra le pose una mano sulla spalla, e si asciugò una lacrima sfuggitale dall’occhio sinistro per colpa delle risate. «Va bene, va bene» fece, alzando le mani in segno di resa.
Hugo, intanto, era tornato dal suo Dormitorio, e si era rimesso il maglioncino, sistemato i capelli e il cravattino.
Lily si sporse dallo schienale del divano, «Vuoi anche il mio rossetto, Hugo?» lo stuzzicò, rotolandosi giù sul pavimento un attimo dopo. Il ragazzo le rivolse una smorfia.
Intanto, la folla di studenti era scemata, chi in Biblioteca o in giardino per studiare, chi in Dormitorio, o chi semplicemente da tutt’altra parte.
C’erano loro, e forse un’altra decina di ragazzi.
Rose si posizionò accanto alla finestra, e fece cenno ad Hugo di raggiungerla, e il ragazzo si trascinò un po’ di malavoglia vicino alla sorella, che gli circondò il collo con un braccio.
«Forza, sorridete» ordinò la fotografa improvvisata, strizzando l’occhio per osservare meglio il campo dall’obbiettivo. Rose e Hugo si esibirono in due ampi sorrisi, poi il ragazzo scoccò un bacio sulla guancia della sorella, il che la lasciò piacevolmente sorpresa, e gli scompigliò affettuosamente i capelli. Alexandra aveva immortalato tutto. Sarebbe stata una foto stupenda.
Hugo si avvicinò a lei, «Ci vorrà molto per svilupparla?» le chiese, massaggiandosi la nuca, e allentandosi finalmente il cravattino. Alexandra scosse il capo, «Un’oretta, massimo due» poi posò una mano sulla spalla di Hugo, che aveva un’espressione sconsolata, «Tranquillo, farete in tempo» e gli sorrise.
Lily, nel frattempo era riemersa dal pavimento, e si rivolse a Rose, «Ora che ricordo» esordì, grattandosi il mento con la punta delle dita «Mentre tornavamo qui, Albus mi ha chiesto di ricordarti che ti aspetta sotto il solito faggio… parole sue». Rose si morse una guancia, «Accidenti, è vero. Devo vedere Albus» fece, afferrando la tracolla.
«Bene, io allora vi lascio, sono richiesta in Biblioteca» annunciò a quel punto Alexandra, riponendo con cura la sua macchina dentro la borsa, «Per cena la foto sarà pronta» si rivolse poi ai due fratelli, e sventolando una mano in gesto di saluto si arrampicò nel buco del ritratto e sparì.
Rose invece, si precipitò su in Dormitorio per raccogliere i libri che le sarebbero serviti per svolgere i suoi compiti e andare almeno a darsi una rinfrescata, mentre Hugo si sfilò il maglione, quasi soffocandosi, e si appollaiò nella stessa posizione in cui Rose aveva trovato sia lui che Lily, e ricominciarono la loro manche di ‘Vedo, Vedo’.



Se Rose aveva dimenticato del suo incontro di quel pomeriggio con Albus per circa un quarto d’ora, lui non era stato da meno. Infatti, al contrario di Rose, lui, dopo aver chiesto a sua sorella di ricordarlo alla ragazza, aveva completamente dimenticato di avere quell’impegno.
Purtroppo, il ragazzo non era famoso per la sua buona memoria, o per il suo continuo onorare i propri impegni. Diciamo semplicemente che Albus era sempre stato un gran distratto.
Complici le tante botte in testa che aveva preso da piccolo per mano di quel bulletto in miniatura di suo fratello, il ragazzo aveva riportato danni permanenti al lobo temporale del suo cervello, che quindi gli aveva procurato una buonissima memoria a breve termine.
Ovviamente Albus aveva sempre negato di essere un fuoriclasse del ritardo e delle dimenticanze, convinto che se una cosa era importante si sarebbe impressa nel suo cervello senza alcun aiuto da parte sua, e che quindi se dimenticava le cose – che poi erano la maggior parte –, allora queste non erano così importanti e di rilievo. Se avesse dato una spiegazione del genere alla cugina, per giustificarsi del suo ritardo, lei gli avrebbe senz’altro negato la parola e il saluto per il resto dei loro giorni.
Perciò, in sintesi, Albus era tornato dall’ora di Storia della Magia ricordando di avere un impegno, ma che doveva aspettare circa un’oretta prima di incontrare Rose, e così era tornato in Sala Comune con Scorpius e Lysander. Non aveva messo in calcolo la sua stanchezza, che lo stava perseguitando come un’ombra da quando si era alzato – infatti, alzato, non svegliato – quella mattina dal letto, lasciando la sua mente ancora profondamente addormentata e legata al cuscino, che quel giorno era parso più comodo di quanto non lo fosse mai stato in sette anni.
Perciò, convinto che sarebbe stato un sacrilegio ignorare la comodità certamente temporanea di quel cuscino, appena messo piede nel suo Dormitorio, aveva gettato il cervello in pasto all’assoluto e piacevole oblio che era il sonno, buttandosi a peso morto sul suo comodo letto a baldacchino, che lo reclamava a gran voce.
Stava dormendo beato da più di un’ora, russando anche abbastanza rumorosamente, mentre Scorpius cercava disperatamente di studiare almeno un paragrafo del capitolo – eccessivamente lungo ed esplicativo – sulle Cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi, che avrebbero dovuto studiare per la verifica che la McGranitt aveva fissato loro per la settimana successiva. Di solito Scorpius non aveva l’abitudine di studiare durante il pomeriggio, perché sosteneva fermamente che le ore scolastiche bastassero a imprimere gli argomenti nelle menti brillanti come la sua, a cui serviva solo una misera lettura, che poteva svolgere anche a cavallo di una scopa, durante una partita di Quidditch. Quell’anno, purtroppo, avrebbe dovuto abbandonare le sue acrobazie dello studio, e costringersi qualche ora in più nel Dormitorio, o in Biblioteca.
Probabilmente, quel particolare giorno sarebbe stato più saggio scegliere la Biblioteca.
Albus continuava a russare come una locomotiva che sbuffa incessantemente vapore, e Scorpius fu tentato più e più volte di zittirlo con un qualunque incantesimo, ma al momento non era abbastanza concentrato.
«Il cibo rappresenta una delle eccezioni alla legge di Gamp. Infatti, maghi e streghe possono cucinare e preparare il cibo usando la magia…» Albus diede improvvisamente in un singulto così rumoroso che Scorpius sobbalzò dal letto, e lo guardò rigirarsi dall’altra parte con una luce assassina negli occhi.
Maledetto bastardo, pensò, facendo scorrere il dito lungo la pagina del manuale di Trasfigurazione, per ritrovare il punto in cui si era fermato.
«… ma non possono crearlo dal nulla» bofonchiò, passandosi una mano fra i capelli biondi «In alcuni casi, la legge di Gamp permette invece la moltiplicazione di cibo che sia già esistente, o trasportato da un posto di cui si conosce l’esistenza… ALBUS!» sbottò di colpo, all’ennesimo rumoraccio proveniente dalla bocca del ragazzo, al che questo si alzò di scatto, non accorgendosi di essere ad un pelo dal cadere dal letto, per cui cadde rovinosamente a terra, e il dolore ripercorse tutta la spina dorsale. Si massaggiò la schiena, e guardò furioso Scorpius, che cercava di riprendere il discorso sulla Legge di Gamp.
«Dì la verità, quand’eri piccolo i pavoni di tuo nonno ti hanno beccato il cervello fino a ridurlo in pappa» borbottò, alzandosi con una mano aggrappata alla sua trapunta. Scorpius parve ignorarlo inizialmente, «Insulto davvero eccellente, Al. Lo inserirò nel mio repertorio, grazie» lo sbeffeggiò, girando una pagina del libro che aveva tra le gambe.
«Piuttosto, dimmi che ore sono, testa di troll» gli fece Albus, con un gesto della mano. L’amico gettò indietro il capo e scoppiò a ridere di gusto, buttandosi il libro sul viso, «Dio, questa era geniale!» esclamò «La userò contro quel babbeo di Jacobsen, nella prima partita contro i Tassorosso» e continuò a ridacchiare per un bel po’, finché un cuscino di Albus non gli sfiorò l’orecchio.
«Fortuna che non sei un Cacciatore, mio prode lanciatore» lo sfotté di nuovo, rilanciandogli il cuscino. «Ad ogni modo, tu non avevi un impegno con la tua adorabile cuginetta dai capelli rossi?» dicendo questo si esibì in una smorfia idiota che doveva sembrare un sorriso amabile, che stonava maledettamente sulla faccia di Scorpius.
Albus, però, sgranò gli occhi, all’improvviso riportato alla realtà. ‘Sta volta, Rose non avrebbe avuto pietà. L’avrebbe ammazzato, senza alcun dubbio.
Dopotutto, era stato lui a pregarla per un appuntamento sotto il vecchio faggio. Le aveva sicuramente sottratto ore preziose di studio, che, seppur con la buona volontà, avrebbe cercato di colmare durante il tempo che avrebbe passato con Albus, costringendolo ad un soliloquio patetico e ascoltato di tanto in tanto.
«Sono io la testa di troll!» gridò in preda al panico, ficcandosi le dita nei capelli, e controllando l’orologio al polso. Era davvero tardi.
«Questa è una cosa su cui entrambi siamo d’accordo, fratello» disse Scorpius, alzando l’indice in sua direzione, «Comunque ti consiglio di sbrigarti. Non vorrai fare tardi con la Furia Weasley» ridacchiò come un povero psicopatico nella sua cella di contenimento.
Albus si stava nel frattempo infilando le calze e le scarpe, «Spero che tu abbia iniziato a ficcarti in testa come proposito per l’ultimo anno di lasciarla in pace, Scorpius» fece, saltellando da un letto ad un altro, in un duro e arduo combattimento che vedeva la calza in vantaggio sul ragazzo.
Scorpius allargò teatralmente le braccia, per poi lasciarle ricadere a peso morto sul corpo, «Vedremo cosa ci riserverà quest’anno, amico» proferì con tono solenne, le palpebre socchiuse. Albus lo guardò con aria truce e un sopracciglio inarcato, poi si congedò con un «Fai il bravo, mentre non ci sono», e si chiuse la porta dietro le spalle, non prima di sentire l’amico ribattere «Non sono il tuo cucciolo da compagnia!»
Mentre percorreva la Sala Comune un paio di ragazzini del secondo anno si fermarono a chiedergli informazioni sulla data delle selezioni per la formazione di Quidditch di quell’anno, e una biondina del sesto anno, seduta su una delle poltrone di pelle nera con un libro in mano, gli mandò un occhiolino malizioso, a cui Albus rispose con un semplice sorriso stirato. Ci fosse stato Scorpius al suo posto, sarebbe sicuramente andato da lei a flirtare in modo da procurarsi una ragazza per il Weekend dei Goliardi.
Ah, giusto. Il Weekend dei Goliardi era una ricorrenza che era stata fondata nella Casata dei Serpeverde circa una quindicina di anni prima, in cui, in ogni Dormitorio maschile dal quinto anno in su, i compagni di stanza dovevano dividersi un weekend a testa in cui portare una ragazza qualunque, o la propria fidanzata, in base ai contesti, per passare una… come si dice? Nottata di fuoco, più o meno.
Il Weekend dei Goliardi cominciava dalla metà di settembre, giusto il tempo per organizzare le divisioni tra i compagni. Quel venerdì si sarebbe tenuto il primo weekend. Ovviamente, nessuna ragazza, che fosse della Casata o meno, era a conoscenza di questa tradizione, né tantomeno i componenti delle altre Case, che non avrebbero certamente approvato una tale ricorrenza così immorale e che violava l’etica sotto ogni aspetto. Ovviamente, solo perché questa tradizione aveva un nome, ciò non doveva necessariamente renderla una cosa barbara, o altro; in qualunque Casa, i compagni di stanza nei Dormitori maschili si dividevano le stanze per passare del tempo con le ragazze, in tutta privacy. Non c’era nulla di eticamente scorretto. Solo che i Serpeverde erano stati abbastanza sinceri nell’assegnargli un nome.
Quel primo weekend sarebbe toccato a Mulciber, e quello dopo a Scorpius, come aveva decretato l’estrazione di quel mese. Per ottobre la sorte avrebbe provveduto in seguito.
Probabilmente anche Albus avrebbe dovuto iniziare a pensare a qualcosa per approcciare una ragazza, ma doveva trovare qualcuna a cui potersi interessare anche dopo la sua notte goliardica, perché per lui era sempre stato così: non aveva mai frequentato una ragazza per puro intrattenimento sessuale, o quant’altro. Doveva impegnarsi nel trovare una ragazza che gli andasse bene, che fosse gradevole, che fosse simpatica, e perché no, anche bella.
Ovviamente sapeva che Scorpius non avrebbe mai accettato una strategia del genere, perché non l’aveva mai fatto da quando, all’inizio del quinto anno, i ragazzi più grandi avevano confidato loro della tradizione dei Goliardi. Ma Albus non aveva mai desistito dalle sue intenzioni, perché non trovava nulla di più ignobile che passare solo una notte con una ragazza, e poi essere libero di dimenticarsi persino il suo nome. Per Scorpius era quanto di più potesse desiderare, per Albus nemmeno lontanamente.
Però, anche se il suo turno non era ancora giunto, e probabilmente poteva toccargli anche a ottobre inoltrato, Albus non poteva fare a meno di pensare che non gli sarebbe venuto per niente naturale approcciarsi a qualcuna, in quel momento. Da quando aveva ricevuto la notizia della rottura tra Lorcan e Alexandra, non faceva altro che pensare a quanto tutto ciò avrebbe influenzato ogni sua mossa con le ragazze. In realtà, non è che si sentisse tanto in vena di trovare qualcuna per il Weekend dei Goliardi. Sperò solo che il suo turno tardasse il quanto più possibile. Gli serviva tempo per organizzarsi le mosse.
Per un attimo, pensò anche che avrebbe potuto parlarne con Rose, perché l’avrebbe sicuramente riportato sulla retta via dei pensieri, ma questo avrebbe anche significato rompere il segreto e perdere la fiducia di tutta la Casata. Scosse la testa. No, non gliel’avrebbe detto.
Dopotutto, lui era anche il Capitano. Non poteva deludere la sua Casa.
Non si accorse nemmeno di essere arrivato fino a quando non si trovò punzecchiato dall’arietta settembrina che premeva contro il suo maglione. Arricciò il naso, e si diresse nel parco, camminando verso il faggio che era stato dimora di mille e mille riunioni tra lui e Rose, o della famiglia Weasley\Potter al completo, quando ancora c’erano persino Dominique, Fred, James e Victoire, anche se per solo il primo anno di Albus.
Da dietro la corteccia, svolazzavano ciuffi rossi che Albus riconobbe come i capelli di Rose. Sperò che non fosse lì da troppo tempo, altrimenti l’avrebbe ucciso.
Non appena fu abbastanza vicino la sentì borbottare qualcosa: «Alla legge di Gamp sulla Trasfigurazione Elementale fanno eccezione cinque precetti che non possono essere generati dalla magia…» stava ripetendo, giocherellando distrattamente con le dita, «Le eccezioni corrispondono al cibo, all’amore, alla vita, alle informazioni e al denaro… Peccato, comincio ad avere fame» commentò poi, lanciando un’occhiata di sbieco al libro di testo per controllare che le informazioni appena dette fossero giuste.
«Ah, be’, potremmo appellare qualche muffin dalle cucine» intervenne una voce alle sue spalle, Albus. La ragazza trillò dallo spavento, e si voltò così di scatto che i capelli ricadendo sul viso riprodussero il rumore dello schiocco di una frusta.
Lo guardò fulminandolo da capo a piedi, e il ragazzo cercò di non guardarla negli occhi per paura che lo uccidesse con un battito di ciglia.
Rose si limitò a rivolgere di nuovo lo sguardo sul libro che aveva poggiato sulle gambe, e ad incrociare le braccia, «Sei in ritardo» fece, sbuffando e passandosi una mano sui capelli, senza sfasciare la crocchia in cui erano raccolti.
Albus stese le braccia dietro la testa e si appoggiò alla corteccia del faggio, agitandosi un po’ sul posto. Non sapeva che scusa accampare per la sua dimenticanza, perché di certo non poteva dire a Rose di aver completamente rimosso dell’incontro che lui stesso le aveva pregato di concederle quel pomeriggio, sottraendola alla pace della Biblioteca.
«Ehm, mh» bofonchiò, mordendosi l’interno della guancia «Ho dovuto dare una mano a Lysander» risolse infine, convinto che Rose non avrebbe fatto domande di nessun genere.
La ragazza si voltò a fissarlo, con un sopracciglio leggermente inarcato «L’ho incontrato dieci minuti fa venendo qui, e mi ha detto che è rimasto una buona mezz’ora nell’ufficio di Lumacorno, che gli ha assegnato la punizione per lo scherzo della Pallottola Puzzola nella sua preziosissima confezione di ananas candito, Albus» fece, e iniziò a picchiettarsi la punta delle dita sulle braccia, ancora strette tra loro.
Albus si guardò intorno, sperando che un miracolo accorresse tempestivamente in suo aiuto, ma così non fu, e alla fine, emettendo un sonoro sospiro sconsolato disse «Mi ero addormentato». Fortunatamente, la reazione di Rose non fu quella che si era aspettato, perché dopo averlo soppesato per un minuto intero con lo sguardo, era poi esplosa in una fragorosa risata, a cui aveva finito per unirsi anche lui, contento di aver scampato per l’ennesima volta il giorno della sua fustigazione.
«Mi sorprende che tu ti sia svegliato così presto» riuscì a dire Rose dopo un po’, continuando però a ridere e tenendosi la pancia, «Oh, in effetti non è che io mi sia alzato dal letto di mia assoluta volontà, ecco» spiegò, passandosi una mano fra i capelli nerissimi.
Rose lo guardò ridendo, e scosse la testa alzando gli occhi al cielo, in un espressione di finta esasperazione. «Scorpius stava studiando, e io, be’… evidentemente stavo russando… forse anche un po’ troppo forte» mormorò, grattandosi la nuca, mentre Rose spalancava la bocca e lo fissava sconcertata.
«Malfoy che studia? Cioè, dici quel Malfoy? Oppure ce n’è un altro, in questa maledetta scuola?» esclamò sempre più sconvolta. Albus non capì cosa avesse trovato di così eclatante in quell’informazione, e la guardò interrogativo. Rose rispose al suo sguardo con un’occhiataccia, «Scorpius Malfoy non studia da quando avevamo dodici anni, Al. Non fingere che non sia così» asserì lei, rivolgendo poi l’attenzione al libro di Trasfigurazione. Dopo un paio di minuti di totale silenzio, Rose chiuse il libro con uno schianto, e afferrò la cinghia della borsa abbandonata al suo fianco, riponendolo con cura, e cacciandone fuori un altro che recava a lettere grandi e scure ‘Sillabario degli Incantesimi’. Albus guardò la cugina a bocca aperta.
«Non vorrai sul serio metterti a fare Antiche Rune, spero» fece sconcertato, non staccandole un attimo gli occhi di dosso, mentre lei stava ricercando qualcosa dentro la borsa.
«Albus, solo perché tu non segui la maggior parte delle materie che io seguo, non significa che io non debba fare i compiti che mi assegnano, chiaro?» rispose atona Rose, stappando la boccetta d’inchiostro e posandola sulla borsa che aveva messo in orizzontale, in modo che non si rovesciasse a terra. Poi si chinò sul libro che riportava il testo da tradurre per il giorno dopo, e cominciò a scribacchiare sulla pergamena, arrecando in cima ad essa il titolo del testo.
«Io però ero venuto qui a parlarti, Rose» borbottò affranto il ragazzo, sbuffando sonoramente tanto da far svolazzare un ciuffo di capelli che gli occupava la fronte.
«Ti ascolto» bofonchiò in risposta Rose, avvicinandosi il Sillabario agli occhi, in modo da leggere bene. Albus non vide motivo per astenersi da quell’invito, e si girò con tutto il corpo in direzione di Rose, che continuava la sua traduzione.
«La settimana scorsa…» cominciò un po’ titubante, agitandosi sul posto e guardandosi intorno per accertarsi che nessun paio di orecchie indiscrete potesse ascoltarli, «Ho… insomma, come posso dirlo? Io, ecco… ho, diciamo, scambiato qualche parola con Alexandra» fece, strappando qualche ciuffo d’erba dal terreno.
La frase appena pronunciata bastò a catturare l’attenzione di Rose, che lo guardò con le sopracciglia così vicine da arrivare quasi a formare un’unica linea retta, «Dici sul serio?» fece, mantenendo lo sguardo interrogativo, che stava quasi per far dubitare anche ad Albus di quel breve scambio di battute avvenuto giorni prima con la Nott.
Infatti, il ragazzo si passò una mano sulla nuca scoperta, e alzò le spalle «Be’, sì… a meno che non me lo sia sognato». Rose annuì lentamente, poi lanciò un’occhiata al suo Sillabario.
«Allora, che vi siete detti?» gli domandò, e Albus si ritrovò a sforzarsi di ricordare la conversazione, o quanto meno l’argomento. All’improvviso si sentiva totalmente idiota.
«L’ho trovata su alla Guferia» cominciò a raccontare, «Ovviamente, ho fatto una delle mie solite figure da pseudo-imbranato» sbuffò poi, guardando a terra. Rose ridacchiò sotto i baffi, appuntando qualcosa sul margine della pergamena riempita per meno della metà.
«Sono caduto su uno stupido secchio che qualche imbecille aveva lasciato in mezzo all’ingresso» spiegò, «Probabilmente è stato Pix» «Mh, io non credo che Pix abbia il coraggio di entrare nella Guferia, dopo che l’anno scorso è stato rincorso per tutto il castello da quello stormo di gufi che Hagrid aveva in custodia» ribatté Rose, ridendo al ricordo delle urla agghiaccianti e terrorizzate del poltergeist durante quell’inseguimento senza precedenti. Albus ridacchiò leggermente insieme a lei, poi riprese il suo racconto, «Tralasciando questo, non abbiamo parlato granché. Io sembravo solo un grosso e imbranato Camuflone. Sul serio, non riuscivo a mettere insieme un passo senza far danno, e non ero in grado di sostenere una conversazione degna di un essere umano senza gravi danni cerebrali!» fece, mentre Rose scoppiava a ridere di gusto e senza ritegno. Conosceva l’imbranataggine sovrumana del cugino, ma addirittura compararsi ad un grosso scimmione, era davvero esagerato, viste anche le fattezze reali di Albus.
«Non offendere i Camufloni, Albus» lo rimproverò Rose, sempre ridendo, e Albus con lei, passandosi una mano fra i capelli.
«Però, tornando seri» e qui Rose si arrestò dal flusso di risate, aspettando in silenzio, «Mi è sembrata davvero… non saprei, era strana» disse, fermandosi a pensare e a rovistare nella propria mente alla ricerca di un qualche dettaglio che gli avrebbe facilitato il compito di capire bene il turbamento di Alexandra di quella sera. C’era qualcosa che gli sfuggiva.
Rose continuava a fissarlo, senza osar proferir verbo, con le labbra strette, e la piuma in mano ad un centimetro dal foglio.
Si riscosse un attimo prima che Albus rialzasse lo sguardo su di lei, «Strana, dici?» scosse la testa, «Magari ti sarà sembrata così solo perché si è trovata a disagio nello stare in tua compagnia, Al. Non credo che-…» «AH! Mi sono appena ricordato, accidenti!» la interruppe, battendosi il palmo della mano sulla fronte, «Aveva una lettera accanto a sé… non doveva essere nulla di particolarmente felice» constatò poi, grattandosi la guancia e mettendosi a fissare un punto imprecisato dietro la spalla di Rose.
La ragazza non mosse un muscolo. Sapeva perfettamente cosa aveva potuto turbare l’amica, perché ne avevano parlato solo una settimana prima. Non è che fosse particolarmente felice quando arrivavano lettere dalla sua famiglia. A meno che non si trattasse dei fratelli o di sua nonna.
La voce di Albus la raggiunse da molto lontano, «Tu ne sai niente?» stava dicendo. Le ci volle un po’ per riprendere coscienza della situazione, e assimilare la domanda. Non aveva contato che per una domanda del genere non necessitava di chissà quanto tempo per rispondere. «Ehm… no, io non ne so nulla. Assolutamente nulla. Non sarà niente di che» rispose, scrollando le spalle per liquidare la faccenda.
Albus la fissò per un po’, mentre Rose riprendeva la sua traduzione, ignorando lo sguardo del cugino che sapeva essere puntato su di lei, ansioso di conoscere.
«Non farne una questione di stato, Al» fece dopo qualche minuto di silenzio, «Probabilmente si sarà ritrovata lì per leggere una lettera ricevuta da casa, e voleva farlo in completo silenzio. Sai, la sera non è che la Torre di Corvonero sia deserta, ecco» e liquidò il tutto con un gesto della mano. Albus annuì, passandosi una mano fra i capelli. «Giusto» disse «Sì, sarà sicuramente come dici tu. E poi» aggiunse, sorridendo amaramente «Anche se ci fosse stato qualcosa che non andava, figurati se lo veniva a raccontare a me» «Al» Rose gli toccò il braccio, e fece scorrere le dita gentilmente, cercando di infondergli un po’ di conforto.
«Lo so che lei ti piace un sacco… e da parecchio tempo, anche. Ma devi darle del tempo. In pratica non vi conoscete! Non puoi pretendere che lei si butti immediatamente tra le tue braccia, fidati di me, io la conosco abbastanza bene» gli disse, e fu così sincera che per poco Albus non si affidò completamente alle sue parole. Appunto, per poco. Albus era fermamente convinto che Alexandra Nott provasse addirittura una forte repulsione nel solo vederlo camminare. Sapeva che lei lo detestava, che lo trovava superficiale, idiota e cafone, come considerava tutti gli amici del suo – ormai – ex ragazzo. Tante volte aveva sentito Lorcan raccontare delle liti che aveva con la ragazza per via delle compagnie che frequentava. Era disposta ad accettare Lysander, perché, insomma, era il suo gemello, ma Albus e Scorpius rappresentavano la più grande sfida per la pazienza della ragazza. I genitori di Scorpius e di Alexandra si conoscevano dai tempi di Hogwarts, infatti Draco Malfoy e Theodore Nott erano stati compagni di Casa, perciò i due bambini erano cresciuti a contatto l’uno con l’altra. In realtà però, l’antipatia era reciproca, e ugualmente ricambiata. Scorpius aveva sempre trovato la ragazza arrogante, vanitosa e viziata come poche aveva mai incontrato, ma niente poteva essere più lontano dalla verità, e chi conosceva bene Alexandra Nott, come Rose o Lorcan, sapeva che non corrispondeva per niente al profilo che Malfoy le disegnava da quando avevano poco più che tre anni.
Albus soppesò a lungo le parole di Rose, e lei, da parte sua, gli donò tutto il tempo che occorreva, pensando a quanto il ragazzo si sentisse frustrato dal non poter muovere nemmeno un passo, senza un tacito consenso da parte di Alexandra, perché era così, difatti. Se Alexandra non avesse iniziato a mettere da parte il suo, per così dire, pregiudizio sull’indole di Albus, non avrebbero mai trovato modo di parlare, di conoscersi, e di instaurare anche un semplice rapporto di cordialità reciproca. A Rose si spezzava il cuore al pensiero di non poter assolutamente influire nella decisione eventuale di Alexandra nel dare una chance a suo cugino, perché non poteva nemmeno avere l’arroganza di servirle la questione, come se già il pensiero del debutto in società di quell’anno non la rendesse già nervosa di per sé. Probabilmente, infatti, Alexandra aveva preso la rottura con Lorcan come un segno divino, che le stava impartendo l’obbligo di rispettare nella maniera più assoluta il suo destino di Purosangue. Da quando Rose aveva saputo di questo fantomatico obbligo che le antiche famiglie Purosangue avevano verso la propria discendenza di sangue, al loro sesto anno, non aveva potuto far altro che ringraziare di essere nata sotto la sua buona stella, con una punta di innocente egoismo, ritenendosi fortunata che in una famiglia come la sua non vi fossero vincoli stupidi di quel genere. Per Alexandra, purtroppo, non era lo stesso. Sua madre l’aveva avvertita da quando la ragazza si era lasciata sfuggire di avere un ragazzo, all’età di quattordici anni, che prima o poi i suoi doveri di erede si sarebbero fatti avanti, e lei non avrebbe potuto sfuggirvi in nessun modo.
Tutto questo, però, Albus non lo sapeva. E Rose, di certo, non era la persona più adatta a spiegarglielo. Non ne aveva alcun diritto.
Albus prese una mano di Rose, e la guardò negli occhi, sorridendo appena «Vorrei poterti credere, Rose. Lo vorrei davvero». Passarono minuti interi, in cui Rose aveva ripreso la sua traduzione, che sicuramente faceva acqua in più punti, a causa dei suoi pensieri. Albus, dopo un buon quarto d’ora, decise di levare le tende, «Andrò a studiare qualcosa» fece ripulendosi i pantaloni «Già, dovrei proprio rivedermi qualcosa di Artimanzia» e si affrettò ad allontanarsi dopo aver rivolto un brevissimo saluto alla cugina, che preferì non ricordargli che lui, in realtà, non seguiva Artimanzia.






«Buon Merlino, ma è meravigliosa
«Santo cielo, siete così dolci»
«Già, non sembrate nemmeno voi. Zia Hermione non ci crederà mai»
«Roxanne!»
«Molly, lasciala stare, su’»
«È… davvero perfetta, sul serio. Non so come ringraziarti»
Alexandra agitò una mano a mezz’aria, in segno di modestia, bofonchiando un imbarazzato «Oh, non c’è voluto niente», per poi ritrovarsi soffocata dall’abbraccio di Rose.
Hugo, seduto con Lily di fronte alle due ragazze, si sporse per sgraffignare la fotografia dalle mani della sorella. «Ah» bofonchiò, «Sembro grasso!» e indicò la figura che lo guardava dalla foto, e che aveva appena scoccato un bacio sulla guancia della sorella. Lily scosse la testa e rise, «Meno male che si lamenta del mio atteggiamento troppo femminile! Puah!» disse, dando il via ad uno scroscio di risate lungo tutta la tavolata.
Tutti gli studenti erano riuniti in Sala Grande per la cena, e la tavolata dei Grifondoro era particolarmente rumorosa e ridanciana, quella sera. Infatti, Alexandra aveva fatto irruzione tra i Grifoni per portare a Rose la foto che avrebbe completato in bellezza l’album che era il regalo di compleanno di Hermione. La foto ritraeva una sorridente Rose abbracciata al suo fratellino Hugo – che per la cronaca era più alto della ragazza di parecchi centimetri, complice la genetica del padre –, che la stringeva a sé, e la baciava su una guancia, in un gesto spontaneo, che poco si sarebbe visto tra due fratelli, o almeno non tra i babbani, o almeno all’infuori della famiglia Weasley\Potter.
Quasi mezza Casa si era ritrovata a discutere su quella fotografia, infatti il solito gruppetto dei pasti, composto essenzialmente da Rose, Lily, Molly, Hugo, Roxanne, e Natalie, era stato nutrito di circa altri dieci Grifondoro, compagni dei già citati.
«Dai, andiamo! Sembro lo zio Charlie dopo il cenone di Natale!» si lamentò Hugo, frustrato dalla poca partecipazione alla sua autocommiserazione. Roxanne gli sfilò la fotografia dalle mani con eccessiva furia, «Mmm» fece inclinando il capo prima a sinistra e poi a destra, osservando l’immagine con l’aria di una che se ne intende, «Be’, almeno sappiamo che i suoi geni non sono andati tutti sprecati» commentò dopo un’attenta analisi, dando il via ad un altro scroscio di risa, che fece guadagnare loro un bel po’ di occhiatacce da parte del tavolo dei Tassorosso, per cui il momento dei pasti era sacrosanto.
Hugo parve sinceramente offeso, e posò la forchetta sul piatto, incrociando poi le braccia al petto, «Da oggi mi darò allo sciopero della fame» decretò, e gli altri scoppiarono di nuovo a ridere, convinti che la sua fosse una barzelletta particolarmente esilarante. E in effetti un po’ era così. Hugo non rinunciava al cibo. Era contro natura.
«Il giorno in cui tu non mangerai più» intervenne Edmund Kirke, un amico di Lily e Hugo, del loro stesso anno, poi abbassò un po’ il tono di voce «Sarà anche il giorno in cui i Tassorosso vinceranno la Coppa di Quidditch» e qui tutti scoppiarono a ridere, consapevoli della veridicità del paragone.
Lily si sporse sul tavolo, brandendo il pugno verso Edmund, che prontamente glielo batté, tra le risate incessanti.
Hugo, intanto, nel momento di distrazione, aveva svuotato il piatto un tempo occupato da una generosa porzione di pollo piccante, il suo preferito. Probabilmente avrebbe davvero scioperato quando il pollo piccante fosse stato abolito per sempre.
«A proposito di Quidditch» fece Roxanne, puntando la forchetta contro Lily, che la fissò con un sopracciglio inarcato «Avete già deciso quando si terranno i provini?» «Hai intenzione di concorrere per qualche ruolo, Rox?» le domandò una sua compagna, Melinda Coote, battitore in carica da ben quattro anni.
«Scherzi? Non sarei in grado nemmeno di reggermi sulla scopa» sbottò, spalancando le braccia, «Io mi limito semplicemente a tifare» disse, cacciandosi in bocca un pezzo di carne ricoperto di salsa. Lily cercò di ignorare il modo di masticare della cugina, «Probabilmente dovrò fissare le selezioni per l’ultima settimana di settembre… Questa settimana non ho nemmeno avuto il coraggio di presentare la richiesta alla McGranitt, visto il fermento della prima settimana di selezioni» rispose, giocherellando con le carote che aveva nel piatto, «Comunque dovremmo affidarci ai vecchi acquisti» aggiunse poi, e lanciò un’occhiata ai veterani della squadra, che sorrisero sotto i baffi. «Dobbiamo assolutamente stracciare i Serpeverde, a novembre» diede manforte Tiana, battendo un pugno sul tavolo, e facendo sussultare la povera Joanne, che le sedeva accanto.
«Però mi dispiace un po’ per Albus e Lysander» commentò Natalie, prendendo un sorso di succo di zucca dal suo calice. Rose sorrise e scosse la testa, accortasi del fatto che Natalie aveva accuratamente scelto di non usare il condizionale. Erano sicuramente convinti del fatto che avrebbero vinto il primo match contro i Serpeverde. Dopotutto, non per niente avevano vinto la Coppa di Quidditch dell’anno precedente, grazie anche al capitanaggio di James.
«Oh» scattò su Hugo, d’improvviso «Rose, dobbiamo muoverci e andare a prendere l’album nel mio Dormitorio, se vogliamo far arrivare alla mamma il regalo in tempo!». Rose sgranò gli occhi, incredula di aver dimenticato un dettaglio di tale importanza, e si affrettò ad alzarsi dalla panca, cacciandosi in bocca gli ultimi bocconi di purè che aveva nel piatto.
Salutò con un rapido gesto i commensali, e così fece Hugo, poi si affrettarono su per le scale, diretti al settimo piano.






Quella sera si disegnava tranquilla attraverso la volta stellata e il colore intenso del cielo. Nessuno avrebbe mai scommesso in un improvviso cambio di clima, guardandolo. Nemmeno in Inghilterra poteva essere possibile rovinare completamente un tale spettacolo serale. Dopotutto, nonostante fosse già tornato il clima autunnale per le strade, e il vento frizzante ma più freddo, era comunque estate. O meglio, lo sarebbe stata per altri due giorni. L’entrata dell’autunno era prossima.
Comunque, per quanto riguardava due particolari – e assai noti al Mondo Magico – individui avrebbe anche potuto nevicare, e il cielo avrebbe potuto spaccarsi sopra le loro teste, ma niente li avrebbe distolti dal ricordo di quella piacevole e intima serata che avevano appena passato come due ventenni innamorati.
Passeggiavano per le strade semideserte di Godric’sHollow, stretti nelle loro giacche e abbracciati l’uno all’altra. La donna teneva saldamente il marito per un braccio, mentre questo le stringeva una mano, e ogni tanto senza un valido motivo che fosse, si guardavano e sorridevano, come se fosse stata la prima volta. Probabilmente a molti sarebbero sembrate assurde tutte quelle smancerie e rossori da adolescenti, ma come si fa a perdere un’abitudine per un qualcosa di così profondo e così naturale? Come si può non guardare la persona al proprio fianco senza ricordare di ciò che era? Come si fa ad ignorare il passato, quando questo è stato così duro, così sfiancante, ma allo stesso tempo così meraviglioso?
Era vero che Ron e Hermione ne avevano passate tante nella loro vita, indipendentemente dalla Guerra Magica, che era venuta solo dopo l’inizio delle loro storie, che, inevitabilmente, erano andate ad intrecciarsi, senza nemmeno un perché.
In quella trama che era stata la loro vita, si erano trovati su fronti opposti per litigi idioti, che potevano solo suscitare il riso, una volta riportati alla luce da quello scrigno dove erano i ricordi, si erano ritrovati ad aspettarsi senza un’apparente motivo, sperando solo che qualcuno muovesse un passo prima che toccasse all’altro, perché il coraggio per altro non si era mai fatto richiedere, mentre per quel semplice movimento aveva atteso fin troppo.
A distanza di anni, sicuramente i sentimenti che avevano maturato l’uno per l’altra con una lentezza a volte sfiancante non erano scemati, anzi si erano trovati a infittirsi, e avevano trovato assurdo e completamente differente il percorso che avevano fatto fino a quel momento, da quello che si apprestavano a compiere insieme. Vivere per sé stessi è un conto, ma vivere per un’altra persona, be’, quello è completamente differente.
C’erano stati giorni, dopo la guerra, in cui ancora uno di loro si svegliava urlando, spaventato da qualche incubo che rappresentava ciò che avrebbe potuto essere, una pseudo-realtà in cui uno dei due periva, lasciando l’altro, ritrovandosi a cercare al proprio brutale risveglio la persona che dormiva al loro fianco, con un sollievo da togliere il fiato, una volta distinta la realtà dal sogno. C’erano poi voluti anni perché entrambi si convincessero a sposarsi, dopo aver convissuto per tanto tempo. Nessuno dei due aveva avuto il coraggio per questo per molto tempo. C’era una paura che li frenava da quel passo, qualcosa che nemmeno loro si erano mai spiegati, e mai l’avrebbero fatto, probabilmente.
Quando poi era nata la loro prima figlia non avrebbero potuto essere più amareggiati, oltre che felici come non mai, perché da un lato, il loro desiderio di formare una famiglia si stava avviando verso acque sicure, e dall’altro, la consapevolezza che avrebbero avuto una cosa ancora più preziosa da proteggere oltre che l’uno per l’altra. Era stata una paura disarmante, che aveva portato anche più incubi dei primi anni del dopo-guerra. Nessuno era stato in grado di dimenticare, di sotterrare, di ricominciare per lungo tempo. Ma a distanza di otto anni da quel due Maggio in cui tutto era ricominciato, avevano capito che continuare a vivere in un passato così brutale li avrebbe solo logorati fino alla pazzia, e si erano promessi di non far mai vivere, per nessuna ragione al mondo, la loro figlia in quel mondo di desolazione e morte. Lei non vi avrebbe dovuto appartenere, e non l’avrebbe fatto.
Dopo addirittura venticinque anni, quelle promesse si erano mantenute come pilastri portanti della loro famiglie, convincendoli che il loro lavoro stava dando i suoi frutti; avevano due figli meravigliosi, cresciuti in un ambiente di amore che a loro alcune volte era mancato, avevano una casa dove albergavano i loro ricordi più felici, pronti a svoltare da dietro ogni angolo, che fosse una fotografia, o un graffio sul muro, o un disegno appeso al frigo. Tutto della loro vita che solo venticinque anni prima sembrava più lontano che mai, era impresso in tutto ciò che li circondava. E non potevano essere più fieri di quei due bambini che si erano squadrati con tanta diffidenza sul treno per Hogwarts, in quel lontano primo settembre del ’91.
«Avanti, ammettilo» la pungolò d’un tratto Ron, guardandola con un sorrisetto sornione che gli incurvava le labbra, «Ti ho lasciata senza parole con questa trovata, eh?»
«Io direi piuttosto bravata, Ronald, visto che mi hai praticamente sequestrata» ribatté Hermione, leggermente indignata, stringendo le labbra. Ron la liquidò con un gesto della mano, e sbuffò «Ah, come se non ti fosse piaciuto… Sei sempre la solita ipocrita» «Ipocrita?» scattò subito Hermione, strattonando il braccio da quello del marito, che rimase stranamente tranquillo. Probabilmente qualche anno addietro si sarebbe subito scusato in ginocchio, ma col tempo aveva capito come prendere Hermione. In fondo, dopo una vita insieme, qualcosa si dovrà pur imparare. Ron ridacchiò sottovoce, e Hermione parve sempre più indignata dal suo comportamento infantile e decisamente poco consono per un uomo di quarantatre anni. Non erano più quindicenni.
Si strinse nelle braccia, e affondò le mani nelle tasche della sua giacca beige, con un espressione corrucciata in viso.
«Devi sempre rovinare tutto» borbottò irritata, lanciando uno sguardo all’uomo, che sorrise «Be’, a volte si fatica a perdere certe abitudini» rispose questi, e Hermione si abbandonò ad una risata impregnata di tutta la serenità che avesse mai potuto provare accanto al suo uomo, al suo amante, a suo marito, al suo migliore amico.
Si accucciò di nuovo accanto a lui, che la accolse cingendole la vita con un braccio, e lei si sistemò con la testa sulla sua spalla. Rimasero così abbracciati per un bel po’, continuando a camminare in quella tranquilla serata di settembre.
«Certo che avresti anche potuto evitare di ordinare al cameriere del Whisky Incendiario» fece dopo un po’ la donna, ripensando alla faccia stranita e preoccupata del cameriere quando aveva sentito quella richiesta da piromani seriali, al ristorante. Infatti Ron, per festeggiare il compleanno della moglie, l’aveva rapita – a detta di Hermione – dal lavoro e trascinata ad occhi bendati (letteralmente) fino alla destinazione segreta, in cui avrebbero festeggiato come una coppietta felice.
Ovviamente, non era la prima volta che Ron organizzava bravate di questo tipo per la moglie, in occasione del suo compleanno: infatti, da quando entrambi i loro figli erano partiti per Hogwarts, l’uomo aveva deciso di intraprendere questa tradizione da coppia senza figli, e portarla sempre in posti diversi. Purtroppo, il primo anno non era andata molto bene, vista la geniale idea di Ron nel portare Hermione al Paiolo Magico. La moglie non gli aveva rivolto la parola per i tre giorni successivi, troppo offesa da tale affronto.
Più avanti, aveva imparato la lezione, scegliendo sempre di più posti di maggior classe. C’era però il problema della sbadataggine di Ron dentro i ristoranti babbani, dove la maggior parte delle volte si trovava a domandare ai camerieri cosa fosse la pizza, o altre idiozie simili. Questo per Hermione era comunque adorabile. Vedere Ron in difficoltà davanti agli elaborati cibi babbani che servivano nei ristoranti a cinque stelle la facevano spanciare dalle risate. Quella sera, invece, il cameriere, a fine cena, aveva chiesto loro se poteva portare loro qualche bevanda alcolica, o un amaro, e Ron, eccitato all’idea e leggermente dimentico di non trovarsi da Madama Rosmerta, o al Paiolo, aveva ordinato un Whisky Incendiario, al che il ragazzo l’aveva guardato malissimo, e con il panico dipinto in volto, totalmente in difficoltà, e Hermione, tremendamente divertita dalla scena, era intervenuta per non far precipitare la situazione.
«Certo che avresti potuto avvertirmi che non servivano Whisky Incendiario, al posto di rimanere seduta a ridere» ribatté a tono Ron, guardandola offeso, mentre Hermione rideva. Ron non resistette a lungo, e smontò immediatamente il suo broncio per accodarsi alle risate della moglie. Finalmente imboccarono il vialetto che portava alla via in cui abitavano.
«Povero ragazzo» rifletté Ron, dopo un po’, stringendo il braccio della moglie «Deve aver pensato che volessi dar fuoco al locale» e rise di nuovo, seguito a ruota da Hermione.
«Se avessi voluto davvero avrei usato la bacchetta!» fece, ridendo ancora di più. Entrambi erano piegati in due dalle risate.
Arrivarono di fronte al cancello che separava la strada dall’ingresso della loro abitazione. Ron frugò nelle tasche della giacca, tastando il tessuto con le mani, sotto lo sguardo stranamente divertito della moglie.
«Ronald»
«Un momento»
«Ehm, Ron»
«Hermione, sto cercando le chiavi»
«Ron!»
«Cosa?» sbottò ad un punto l’uomo, guardando Hermione, che aveva un sopracciglio inarcato e indicava la sua borsa dello stesso colore della giacca. Ron si batté una mano sulla fronte, e cacciò la bacchetta dalla tasca dei pantaloni, puntandola sulla borsa di Hermione «Accio chiavi», e subito queste balzarono nella mano della donna.
Aprirono il cancelletto ed entrarono nel giardino di casa, perfettamente curato grazie alle sessioni di giardinaggio che i due gli dedicavano ogni settimana.
Ron si trattenne per qualche minuto in più, il tempo di chiudere il cancello, mentre Hermione rientrava dentro casa. Ad un tratto, l’urlo della donna gelò l’aria, e le orecchie del marito, che si precipitò in casa, col cuore in gola.
Hermione era ancora nell’ingresso, con le mani sulla bocca, immobile. Aveva lo sguardo fisso sulla scrivania che c’era nel salone. Un enorme gufo grigio era posato lì, fermo come se fosse stato impagliato.
Ron capì immediatamente la preoccupazione della moglie: il gufo apparteneva alla McGranitt, ed era incaricato di recare notizie da parte sua solo ed esclusivamente in casi estremi o eccezionali.
«Ron…» bisbigliò Hermione, con un filo di voce spezzato. Chissà qual’era il motivo che l’aveva spinto a trovarsi lì.
L’uomo posò una mano sulla spalla della moglie, e rimase a fissare l’animale, poi notò un pacco lì accanto. «C’è qualcosa» mormorò Ron, toccandole la spalla.
In effetti, accanto al gufo era posato un pacco della grandezza di un libro, forse di poco più grande. Hermione parve riprendere un po’ più di colore. Almeno non si trattava di una lettera che le annunciava l’espulsione o la sospensione di uno dei suoi figli. Se solo fosse stato così, avrebbe ucciso entrambi, incondizionatamente. Tutti e due dovevano essere responsabili dell’altro, sempre e comunque.
Ron si era già avvicinato alla scrivania, ben attento a non avvicinarsi all’animale, che non sembrava nutrire molta simpatia per lui. Afferrò lentamente il pacchetto, avvolto in una semplice carta bordeaux.
Non poté non spuntargli un sorriso, quando vide cosa c’era scritto – con una disordinata e ampia scrittura – sul pacco, con inchiostro giallo oro: Per Mamma.
Guardò la moglie, che era rimasta ferma al suo posto, a fissarlo in attesa, ed era rimasta sinceramente confusa nel veder mutare l’espressione dell’uomo, per chissà quale ragione.
Ron le porse il pacchetto.
Hermione non chiese nulla, e senza pensarci scartò immediatamente il regalo dei suoi figli.
Appena la carta bordeaux fu finalmente tolta dai piedi, rivelò un libro rettangolare, con la copertina rigida, di pelle: un album.
Sul fronte recava la scritta: Rose & Hugo.
Hermione lo aprì nemmeno un secondo dopo. Sulla prima pagina c’era una bambina sorridente che subito dopo si esibiva in una smorfia buffissima, e scoppiava di nuovo a ridere. La donna rise, e il marito si avvicinò a lei, curioso di vedere la fonte di tale felicità che le era chiaramente stampata in volto senza alcun velo. Dalla sua spalla vide un bambino imbronciato e con le braccia conserte, il labbro inferiore fuori, in un’espressione allo stesso tempo dolce e ridicola. Anche lui non poté fare a meno di ridere. Si ricordava benissimo di quando era stata scattata quella foto: la sera prima, Hugo aveva perso il suo primo dentino, e aveva aspettato tutta la notte con ansia l’arrivo della Fatina dei Denti – be’, in realtà, aveva resistito solo dieci minuti, prima di crollare, ma comunque era un risultato –, e il mattino dopo aveva tenuto il broncio per un bel paio d’ore, tant’è che Hermione era stata costretta da Ron ad immortalare quel suo stupendo visino rimodellato da quell’espressione delusa.
Si sedettero sul divano, e iniziarono a sfogliare con ardente curiosità quelle pagine della loro storia, dei loro figli. Man mano le pagine li rendevano di un anno più grande. I loro figli crescevano in quell’album, rimanendo comunque sorridenti, sereni e, cosa più importante, insieme.
Rose e Hugo stavano crescendo, e non solo in quelle pagine accuratamente ingiallite da Rose, ma anche nella vita reale, ad Hogwarts, lontani da casa.
Hermione dovette posare per un attimo l’album fotografico, e rivolse il suo sguardo al marito, rimasto per un attimo interdetto da quel gesto, e la guardò a sua volta. La donna si lasciò scappare una lacrima, che Ron prontamente asciugò passandole un dito sulla guancia. Aveva sempre avuto un tocco estremamente delicato e opportuno, da quando Hermione lo conosceva.
Riuscì a sorridere, e lo ringraziò in silenzio. Poi appoggiò il capo sulla sua spalla, e ripresero il libro tra le mani. Era rimasta un’ultima pagina: c’erano Rose e Hugo. Hugo teneva la sorella abbracciata a sé, e il momento dopo si muoveva per darle un bacio sulla guancia, con lo sguardo di Rose, sorpreso e compiaciuto insieme, che si addolciva e si distendeva in un sorriso ancora più ampio di quello che aveva già.
Entrambi i genitori diedero in una risata quasi triste, ma che conteneva tutte quelle emozioni più belle che solo un genitore può provare guardando il proprio figlio crescere in poche pagine, così come in pochi anni; felicità, orgoglio, amore…
Non avrebbero potuto essere più fieri.
Dietro la fotografia vi era una breve dedica, scritta dalla minuziosa e stretta calligrafia di Rose, che recitava:
A mamma, ma anche a papà
Tutto questo è merito vostro
Non sapremo mai come ringraziarvi di tutto l’amore che ci avete dato e insegnato
Dal profondo del nostro cuore,
Rose e Hugo

Nel frattempo, a Hogwarts, Rose e Hugo non avrebbero mai immaginato i sorrisi che furono in grado di far spuntare sui volti dei loro genitori, quella sera. Andarono a dormire con mille pensieri che non ne erano uno, mentre Hermione, accanto a Ron, stava chiudendo gli occhi sorridendo e piangendo contemporaneamente.








Note di Ilhem: Io sul serio non posso credere di essere arrivata addirittura a Novembre. Chiedo a qualsiasi persona che sia ancora rimasta di perdonarmi per il disastroso ritardo, ma, a mia discolpa, questo stupido computer mi ha abbandonata per ben tre volte soltanto questo mese, e ho dovuto rimandarlo addirittura al centro di fabbricazione. Stupidi gingilli babbani!
Il capitolo doveva essere inizialmente pubblicato il diciannove di settembre (ovvero l'effettivo compleanno di Hermione), ma vuoi per questo motivo, vuoi per quell'altro, le mie intenzioni se ne sono andate nel dimenticatoio!
Comunque, passiamo alle cose importanti, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto scriverlo. Credo (sempre con modestia) di aver fatto un lavoro discreto, e mi auguro che anche voi la possiate pensare così.
I caratteri dei personaggi stanno cominciando a venir fuori, in maniera costante ed omogenea. Inoltre, in questo capitolo, ho inoltrato meglio la figura di Lysander e del suo pseudo-rapporto con Lily Luna.
Diciamo che lo vedo come un bambinone affettuoso, che però ha sempre i suoi lati da bravo Serpeverde.
Forse sarete rimasti delusi dal mini-momento RosexScorpius, ma, ehi, abbiamo una trama qui! E la stessa cosa vale per Alexandra e Albus.
Portate pazienza.
Poi vorrei farvi notare come il capitolo sia finito esattamente da dove è iniziato, a Godric's Hollow, con i nostri eroi preferiti, e allo stesso tempo la coppia più storica della letteratura fantasy. Insomma, chi non ama Ron e Hermione? (I Dramione, gli Harmione e i Fremione shipper, ovvio)
Ci tenevo ad aprire una parentesi su di loro, diversa da come li abbiamo sempre visti. Nelle storie che mi è capitato di leggere durante questi anni, i due hanno sempre rivestito un ruolo marginale, e non si avvertiva mai quell'alone del loro amore, che io considero onnipresente. Sono sicura che abbiano trasmesso i valori dell'amore anche ai loro figli, e ci tenevo ad approfondire questa parentesi della loro vita, ventisei anni dopo.
E poi, mi auguro che qualcuno abbia condiviso l'accenno a Batman fatto da Roxanne durante il pranzo, perché, da fanatica quale sono, ho voluto rendere Roxanne una babbanofila di prima categoria.
Ah, e non dimenticate di tenere sott'occhio il nostro nuovo personaggio, che sono sicura vi interesserà parecchio!
Per concludere, voglio solo dare una spiegazione alla tradizione che ho apportato nella Casa Verde-Argento: il Weekend dei Goliardi. In realtà, non devo spiegare niente di più che non abbia già esplicato il capitolo, ma sono sicura che troverete il tutto estremamente divertente.
Ovviamente, il termine è stato ripreso dai Goliardi dell'età medievale, e tutta la pappardella della leggenda di Golia, che era considerato il diavolo e quindi tentatore per gli esseri umani.
Non ho altro da dire, quindi spero che il capitolo vi sia piaciuto, e alla prossima (prometto che non farò tardi)
Un bacio,
Ilhem.

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Capitolo 4
*** Prometeo Incatenato ***


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Capitolo 4:
Prometeo Incatenato


«Questa volta me la paga davvero, quel cane di un Malfoy»
Dalle sette di quella mattina, orario in cui i ragazzi del Dormitorio del settimo anno di Serpeverde erano stati costretti ad abbandonare le loro brande improvvisate nella Sala Comune la sera prima, Albus Severus non faceva altro che ripetere questa frase, e contando il fatto che erano le dieci e mezza, i suoi compagni stavano pensando seriamente di architettare una sommossa contro il ragazzo.
«Sì, ti ringraziamo di avercelo fatto presente per la ventunesima volta, Al…» fece Mulciber, «Io ne ho contate ventitré» intervenne invece Avery.
«Comunque, cosa pretendevi? È Scorpius, Albus. Sapevamo benissimo che sarebbe andata come al solito, quindi, ti prego, ti supplico, chiudi il becco!» sbottò Lysander, che quella sera non aveva chiuso occhio nemmeno per cinque minuti, tormentato dal continuo russare di Mulciber, che quella notte era stato particolarmente rumoroso, complice il raffreddore che lo aveva colpito durante l’ultimo allenamento di Quidditch, e il riverbero che l’ampio soffitto della Sala produceva.
Il ragazzo rimase inutilmente in silenzio durante l’ultimo tratto fino alla Sala Grande, perché appena varcata la soglia della Sala furono investiti tutti e quattro dal chiacchiericcio infernale di tutto il popolo – o almeno la maggior parte – di Hogwarts. Quella era senza dubbio una di quelle mattine da poter, anzi dover, definire ‘no’. Tutti e quattro erano terribilmente irritabili e soprattutto esausti, e la causa di tale malessere aveva un nome e un cognome, a dirla tutta anche un secondo nome: Scorpius Hyperion Malfoy.
La sera prima era toccato a lui il turno del Weekend dei Goliardi, e quando era il turno di Scorpius, i suoi compagni di stanza si assicuravano circa dieci minuti di sonno complessivi durante tutta la notte – tra l’altro sui duri divani di pelle nera della loro Sala Comune –, nervosismo e alterigia allo stato più barbaro, per non parlare del modo in cui si erano presentati vestiti a colazione. Non potendo usufruire nella maniera più assoluta della loro stanza, ciò includeva non solo il letto e il bagno, ma anche i vestiti e qualsiasi altro effetto personale. Albus, che aveva dormito a braccia conserte sul suo solito divano, era sceso con la tuta che aveva indosso dalla sera prima, e la stessa cosa aveva fatto Lysander, mentre Mulciber si era addirittura addormentato con i jeans della sera prima.
E tutto questo per rispettare il turno di effusioni carnali che toccava a Scorpius con una ragazza di cui, i suoi amici ne erano certi, avrebbe dimenticato il nome entro un paio d’ore, se la serata era stata abbastanza soddisfacente.
«Lo sto odiando» bofonchiò Lysander, mentre si sedeva e poggiava una guancia sul palmo della mano. Cinque minuti dopo, si sentì un sordo clangore metallico: Lysander era caduto addormentato sul piatto vuoto. Gli amici non vi badarono e lo lasciarono lì. Gli avrebbero solo fatto un favore.
Mentre cominciavano a mangiucchiare qualcosa, seppur mischiando distrattamente il salato con il dolce, una figurina snella e dalla chioma rossa si avvicinò al tavolo, circondando suo fratello con un abbraccio davvero inusuale per Lily Luna. Albus, infatti, girò appena la testa con un espressione diffidente rivolta alla sorella, e borbottò un: «Cosa ti serve, Lily?»
La ragazza spalancò teatralmente la bocca, e si scostò un po’ dal fratello, ma sempre tenendo le braccia attorno al suo collo, «Ah, credi che io non sia in grado di dimostrare affetto senza un mio tornaconto come motivazione?» fece, portandosi una mano sul cuore. Albus le rivolse un’occhiataccia, e la ragazzina si sedette, cambiando espressione, «D’accordo».
«Ho bisogno del campo di Quidditch, oggi pomeriggio. Lascialo libero, o dico a mamma che mi bullizzi solo perché sei del settimo anno» proferì in maniera seria, stretta e coincisa, con il tono che usava per le trattative a senso unico, cioè quelle trattative che in realtà erano ordini, perché Lily Luna non ammetteva repliche. Era una dittatrice in miniatura, anche con i fratelli maggiori.
Albus, complice il fatto che non aveva né la voglia, né la forza di discutere con la sorella, annuì scocciato da una parte, ma sollevato dall’altra, perché almeno avrebbe potuto riposare quel pomeriggio, e la sorella, con un ultimo abbraccio da perfetta ruffiana, si congedò dai ragazzi e andò a riunirsi al resto della sua banda. Albus aveva avuto la brillantissima idea di prenotare il campo per tre ore di allenamento, per quel sabato, dimentico che non avrebbe potuto dormire come al solito, a causa di Scorpius e della sua ragazza di turno, e a causa di quella stupida e maledetta tradizione che lo stava mandando in tilt da alcune settimane. Non voleva farne parola con nessuno, ovviamente, men che meno con Rose, o anche con Scorpius, che non avrebbe fatto altro che liquidare e sminuire la faccenda con il suo credo personale: “È solo sesso”.
Fino a poco tempo prima lo credeva benissimo anche lui, non si era fatto problemi durante il Weekend dei Goliardi. Al quinto anno, ovviamente, aveva deciso che non avrebbe fatto proprio nulla, e si sarebbe limitato a qualche bacio, perché per lui quindici anni erano troppo pochi, e aveva aspettato fino al Novembre dell’anno prima, quando aveva iniziato a frequentare Gwyneth Blake, una ragazza di un anno più piccola di lui, della Casa dei Grifondoro. Si erano messi insieme dopo una settimana di conoscenza, e lei era davvero una ragazza piacevole, simpatica, e a dirla tutta anche molto bella e molto intelligente. Durante la loro relazione si erano intesi alla grande, ed erano stati davvero bene; molti avevano pensato che sarebbe durata almeno fino alla fine del settimo anno di Albus, ma non tutti: infatti, Rose (e da una piccola parte anche Lily) era convinta che Albus non potesse innamorarsi per davvero di Gwyneth, perché, anche se a quel tempo non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura carnale, a lui interessava in quel modo solo e soltanto una ragazza, e ciò non sarebbe cambiato fino a che non avessero intrapreso un percorso insieme. Ovviamente, come pensiero da parte di Rose era egoistico, considerare il cugino incapace di provare sentimenti forti per una ragazza che non fosse Alexandra Nott, e da una parte lo era, e Rose lo sapeva, ma non avrebbe rimangiato la propria opinione, perché sapeva che le cose stavano così, e se Rose Weasley era famosa per la sua cocciutaggine impermeabile a qualsiasi altro pensiero, un motivo c’era. Comunque, per fortuna o per sfortuna, la ragazza non l’aveva mai fatto presente ad Albus, e lui era andato avanti con la sua storia, inconscio del fatto che il tutto, una volta finito, avrebbe fatto più male a lui, che alla ragazza, e che si sarebbe ritrovato a sbattere inevitabilmente contro il muro della fredda consapevolezza. Stava di fatto che però, dopo circa tre mesi di frequentazione, il loro rapporto aveva raggiunto la vetta carnale, l’obbiettivo di ogni sedicenne durante una relazione. All’inizio, Albus aveva deciso che avrebbe rivelato a Gwyneth del Weekend dei Goliardi, e che le avrebbe giurato che non era quello il fine della loro relazione, ma poi, grazie all’intervento di Lysander, e ad una lavata di testa da parte di Scorpius, aveva deciso di desistere da questo proposito, orientando la faccenda su una via moralmente più giusta, pensando che forse, per la prima volta, Scorpius avesse ragione: era solo sesso.
Così Albus aveva varcato la soglia del rapporto sessuale, e fino alla fine del sesto anno (o comunque qualche settimana prima), l’unica ragazza con cui aveva voluto trascorrere il suo Weekend da Goliardo era stata Gwyneth Blake. Dopo che i due si erano lasciati, c’era stata solo un’altra ragazza con cui Albus l’aveva fatto, prima della partenza da Hogwarts. Durante l’ultima festa in Sala Comune, il ragazzo si era lasciato molto andare all’alcool babbano, per via di un altro muro contro il quale si era scontrato dopo la rottura; quello dello sconforto. Aveva bevuto davvero tanto, superando di gran lunga anche Scorpius, che dal suo canto, si era preoccupato non poco di quel comportamento bizzarro e così non da Albus. Incurante del resto, aveva pomiciato con tre o quattro ragazze, durante la serata, e alla fine era andato più a fondo con una di loro: una Serpeverde del settimo anno, che lui definì, dopo i postumi della sbronza, la mattina dopo, “davvero soddisfacente”. Ecco, quella era stata la sua unica serata in stile “Scorpius Malfoy”, con tanto di morale alla fine del gioco da parte del più insospettabile degli arbitri; Scorpius stesso.
Al solo pensiero di quel comportamento così sconsiderato, gli tornava la nausea.
Fu Avery a risvegliarlo da quel torpore mentale, schioccandogli due dita davanti al viso, «Alb, tutto okay?». Albus sollevò il viso, preso un attimo alla sprovvista, e si passò distrattamente una mano tra i capelli, «Sì, io… si, si, è tutto a posto. Mh, perché?» rispose, stiracchiandosi.
Avery si scambiò un’occhiata con Mulciber, che stava masticando di gusto un croissant, «Be’, sono dieci minuti che continui a tracciare cerchi con il cucchiaio nel piatto» fece il ragazzo, lanciandogli un’ultima occhiata di sbieco prima di tornare a dedicarsi al suo budino.
Albus rimase impassibile, e cominciò ad imburrarsi un panino, e a gustarselo. Senza un motivo preciso, alzò lo sguardo sulla tavolata dei Corvonero, e, per una fortuita coincidenza, o magari un aiuto del destino, incrociò quello di Alexandra, impegnata poco prima in una conversazione con una ragazza che doveva essere una sua compagna, e si fermò a guardarlo per qualche secondo, in cui il lasso di tempo si dilatò in ore, in giorni, poi quell’idillio fu bruscamente spezzato dal passaggio di alcuni studenti che si erano alzati ed erano passati di fronte ai due, e dalla mano di una ragazza con il caschetto che aveva richiamato Alexandra all’attenzione.
Nessuno dei due ragazzi sapeva, né voleva interpretare lo sguardo dell’altro, forse per paura di ciò che era, del disprezzo che lei aveva per lui, dell’interesse che lui aveva per lei. Andarono avanti con la loro giornata, cancellando l’ennesimo insignificante dettaglio che invece doveva essere considerato.




Dopo colazione, Lily, Hugo, e il resto della banda Weasley eccetto qualche membro, si erano recati al Campo di Quidditch, per effettuare le selezioni di Grifondoro per la nuova stagione di gioco.
I due ‘rossi inseparabili’, entrambi capitani come veci di James, avevano già stilato una lista di pretendenti per i vari ruoli, anche se, per alcuni che già dall’anno prima giocavano in maniera più che eccellente, era solo una formalità. Dopotutto, a chiunque doveva esser concessa la possibilità di provarci. Lily e Hugo si posizionarono al centro del campo, la prima con un fischietto al collo e un piede sulla cassa contenente le palle del gioco, il secondo con l’elenco dei candidati e il suo immancabile caschetto da Portiere sottobraccio. C’era una grande affluenza, quell’anno, complice il fatto che durante la sua carica, James non lasciava partecipare molti, quindi con la sua assenza anche coloro che non avevano nemmeno la minima chance di alzarsi in volo sulla scopa, si erano presentati. Il vociare tra gli studenti cresceva senza posa, al che Lily pensò di iniziare ad agitare le mazze dei Battitori per calmare un po’ i bollenti spiriti. Poi optò per il fischietto.
«SILENZIO!» esplose la sua voce amplificata dalla bacchetta, che ripose in tasca non appena i ragazzi si girarono spaventati da quel suono disumano.
«Innanzitutto, buongiorno a tutti, e grazie per esservi presentati così numerosi!» esordì Hugo, allargando le braccia. «Stiamo a vedere quanti ne dovremo eliminare al primo giro di campo» mugugnò Lily con i denti stretti, beccandosi un’occhiataccia di Hugo. Infatti, Lily sapeva per esperienza che, molti dei ragazzi e delle ragazze che si presentavano alle selezioni, non avevano la più pallida idea di cosa fosse la Pluffa, o a che cosa servisse la mazza ai Battitori. Alcune ragazze usufruivano delle selezioni di Quidditch come espediente per farsi notare dai giocatori maschi: quando James era in carica, la maggioranza di partecipanti era principalmente femminile, ma il ragazzo, che sapeva benissimo come funzionava quel meccanismo, e di certo non aveva tempo da perdere con le ragazzine starnazzanti (almeno per quanto riguardava il Quidditch, che era sacrosanto), le rispediva subito al castello senza preoccuparsi di suonare sgarbato. Anche quell’anno i fan club non mancavano. C’era un folto gruppo alla sinistra di Lily che scrutava Hugo con occhiatine melense e svenevoli. Non c’era niente di peggio.
Le selezioni cominciarono: per il ruolo di Portiere nessuno aveva osato anche solo presentarsi, visto che Hugo manteneva costantemente quella carica dal suo secondo anno (dopo che aveva pregato il padre di comprargli una scopa). Aveva ereditato sicuramente il talento del padre, tralasciando il nervosismo, che era l’unica pecca di Ron (più o meno). Ovviamente Hugo, con il suo carattere sempre sereno e tranquillo, anche nei momenti più critici, aveva sbaragliato la timidezza, e quando scendeva in campo si sentiva a proprio agio. Infatti, aveva assunto il diminutivo di ‘Re’ che affibbiavano al padre quando giocava, che all’inizio era un soprannome dispregiativo affibbiatogli al quinto anno dai Serpeverde, perché, al suo primo anno di Quidditch, Ron non era esattamente in grado di reggere la pressione. Con il tempo, però, era diventato un vero e proprio ruolo nella scuola per il ragazzo, ed ora il figlio riportava questo onore, fin dalla sua prima vittoria contro Serpeverde, quando aveva sbaragliato tre dei più forti giocatori della scuola: suo cugino Albus, Lysander e Scorpius Malfoy.
Lo stesso valeva per il ruolo di prima Cacciatrice, che apparteneva a Lily da altrettanti anni di Hugo. Come la madre e il padre, Lily era la perfetta giocatrice di Quidditch: agile, scattante e con i riflessi pronti, come tutta la famiglia. Quando James era il Capitano, aveva espressamente vietato di far provare la sorella, perché sosteneva che avrebbe potuto farsi male, e vista l’insistenza e l’ostinazione di Lily, aveva scritto una lettera ai genitori, dicendo categoricamente che non l’avrebbe mai lasciata giocare, con il risultato che la mattina seguente ricevette una bella Strillettera con una sfuriata da parte della madre, degna di Molly Weasley (che forse aveva messo lo zampino anche in quella faccenda). Rassegnato e umiliato, era stato costretto a far giocare la sorella, che si era poi rivelata un ottimo acquisto, anche se James e Albus temevano fortemente che attirasse troppa attenzione con la divisa da Quidditch.
Annabeth Finnigan e Natalie Miller provavano per il ruolo di Cacciatrici, insieme ad un altro paio di ragazze e a tre ragazzi che Lily e Hugo conoscevano solo di vista, probabilmente frequentavano il terzo o il quarto anno.
Per il ruolo dei Battitori c’erano ben otto ragazzi tra cui Melinda Coote e, con enorme imbarazzo di Molly, Sean Finnigan, che non appena la vide le lanciò un occhiolino, così che lei arrossì violentemente e distolse lo sguardo dal campo per più di dieci minuti.
Per il ruolo di Cercatore c’erano più di dieci ragazzi, ma, con la presenza di Emmeline Kirke e Edmund Peakes, non avrebbero avuto molte speranze di surclassarli.
«Allora» esordì Lily, alzando la voce per farsi sentire attraverso il chiacchiericcio «Faremo prima delle preselezioni per ogni ruolo, così da evitare che si intasi il campo. Chiaro?» tutti i ragazzi annuirono, poi Lily fece un passo indietro e diede la parola a Hugo, «Bene, iniziamo con dei semplici giri di pista. Poi, e mi rivolgo a chi prova per il ruolo di Cacciatore, vi faremo provare dei tiri per vedere come ve la cavate. Per gli altri ruoli dirò in seguito. Se siete pronti, al fischio di Lily, vi alzerete sulla scopa e farete cinque giri di campo. È assolutamente vietato tentare di disarcionare di proposito qualcuno per svantaggiarlo, altrimenti verrà squalificato seduta stante» aggiunse severo, tant’e che alcuni si intimorirono. Per avere quindici anni era un ragazzo davvero in gamba, che prendeva molto sul serio il suo ruolo.
«Sulle scope» esclamò Lily imboccando il fischietto che portava al collo. Fischiò e tutti si alzarono in volo. All’inizio filava tutto liscio, fino a quando una ragazzina che provava per il ruolo di Cacciatrice sembrò svenire sulla scopa e perse il controllo, rovinando a terra. Fortunatamente, sentendosi mancare, aveva preceduto l’atterraggio, e così era caduta solo a distanza di due metri da terra e sul morbido prato. Hugo era intervenuto e aveva incaricato Louis e Roxanne di accompagnare la ragazza in Infermeria. Evidentemente non era una veterana del volo.
Finiti i giri prova, il gruppo per i Cacciatori fu sottoposto alla prima sessione di tiri, che per i meno bravi fu piuttosto dura, visto che Hugo sembrava un muro. Impenetrabile. A ogni parata, con somma irritazione di Lily, un gruppo composto da una ventina di ragazzine ridacchiava e gli mandava bacini. Alcune sembravano persino più grandi di Hugo, che però non le degnava di uno sguardo. Questo era un altro fatto che riguardava Hugo: era davvero molto richiesto dalle ragazze, di tutte le età, anche perché dimostrava più di quindici anni, alto e slanciato com’era. D’altra parte, però, lui non ricambiava questo interesse.
Avevano a disposizione tre tiri ciascuno per velocizzare i tempi, e dopo neanche cinque minuti le due ragazze che Lily non conosceva furono eliminate. Fu il turno di Natalie che riuscì a strappare due goal su tre ad Hugo, guadagnandosi il ruolo di seconda Cacciatrice. Lo stesso non si poté dire per Annabeth, che mandò a segno solamente un goal, e alla fine il posto di terzo Cacciatore venne assegnato a Benjamin Murray.
Per i Battitori fu una scelta abbastanza ardua, dato il fatto che erano tutti molto bravi. Hugo decise di lanciare a ognuno tre Pluffe e vedere quante riuscivano a disarcionare, più o meno lo stesso approccio usato per i Cacciatori. Alla fine si aggiudicarono i ruoli Sean Finnigan (Molly applaudì così sonoramente che a Lucy non sfuggì l’esaltazione della sorella e sorrise sotto i baffi) e Melinda Coote.
Alla fine rimasero solo i Cercatori. Lily aveva deciso di fargli fare delle prove di scatto sulle scope. Si sarebbero dovuti librare in volo e ad ogni suo fischio avrebbero cambiato direzione, velocemente. Ne avrebbero scelti cinque, visto che ne erano dieci, e per evitare che il Boccino si perdesse in mezzo a tutto quel caos di gente, avrebbero fatto le prove successivamente, alla seconda sessione. Però riuscirono a dimostrarsi degni di questo ruolo solo quattro ragazzi, tra cui Edmund Peakes, e Emmeline Kirke.
«Bene» annunciò dopo quelle tre ore sfiancanti Hugo, sudato e stanco. «Siete stati tutti bravissimi, complimenti. Ovviamente non tutti possono vincere, perciò, potrete sempre riprovarci l’anno prossimo, magari allenandovi un po’ di più. Ancora complimenti a tutti» concluse accompagnato da un applauso. «Per quanto riguarda la seconda sessione, destinata solo ed esclusivamente alla scelta del Cercatore, i quattro candidati dovranno presentarsi al Campo mercoledì pomeriggio, alle quattro in punto. Per i primi allenamenti, invece, affiggeremo un avviso in bacheca. Per ora non c’è altro» disse Lily, «Ora alle docce!».






Non sapeva che ore fossero, né francamente se ne faceva un problema. Avrebbe potuto anche cancellare il resto della giornata e rimanere a letto fino a che avesse voluto. Certo, c’era il problema del cibo, visto che mai e poi mai i suoi amici gli avrebbero fatto la cortesia di servirlo come le cameriere della sua magione, soprattutto perché sicuramente non avevano dormito bene, e quando i suoi amici non dormivano bene erano come delle iene, pronte ad azzannarlo al minimo movimento di ciglia, ma comunque, in quel momento, il cibo era l’ultima delle sue preoccupazioni.
Si decise ad aprire gli occhi, e con il braccio libero – visto che l’altro si trovava sotto la testa della sua piacevolissima compagnia di quella notte – cercò a tentoni l’orologio da polso che aveva sul comodino. Undici e trentatré.
Normalmente non gli sarebbe importato granché, dal momento che erano in pieno weekend, ma Albus lo aveva espressamente minacciato di morte attraverso le più indicibili e illegali torture del mondo magico e non, se non fosse stato pronto entro mezzogiorno, visto che anche loro avevano assoluto bisogno del bagno, e di vestiti che non puzzassero di sonno e di disperazione.
Non che Scorpius avesse esattamente paura di Albus e delle sue ormai innumerevoli minacce di morte, ma la sua etica gli impediva di fare un torto così grande ai suoi amici, anche perché non tutti avevano la fortuna – come lui – di essere impeccabili anche di mattina.
Si passò una mano sugli occhi e si strofinò le tempie con la punta di due dita, noncurante di poter svegliare la sua compagnia, anzi, sperava si svegliasse al più presto così che potesse finalmente prepararsi e raggiungere gli amici in Sala Grande almeno per il pranzo, perché ormai non poteva più contare sulla colazione.
Riuscì a sfilare il braccio con un leggero strattone da sotto il capo della ragazza, in modo che si svegliasse definitivamente, ma questa, quando Scorpius si mise a sedere, si rigirò dall’altro lato, tirando tutta la coperta verso di sé, e lasciando il ragazzo in boxer.
«D’accordo, tempo scaduto» mormorò irritato Scorpius, alzandosi dal letto con un balzo. Afferrò i pantaloni da terra e ficcò le mani nel cassetto delle felpe, estraendone una senza cerniera e con il cappuccio, poi prese della biancheria pulita e si chiuse in bagno, cercando di fare rumore il più possibile sbattendo la porta dietro di sé, sperando di svegliare la ragazza che rimaneva indisturbata nel suo letto.
Aprì l’acqua della doccia, e ci si infilò dentro, iniziando a strofinarsi i capelli in maniera forsennata, grattandosi la cute con le unghie. Di solito le ragazze erano le prime a svegliarsi, la mattina dopo, e sentendosi in colpa sette volte su dieci, se ne andavano lasciando Scorpius felicemente solo e senza nessun tipo di vincolo, come piaceva a lui. Erano questi i vantaggi del sesso di una notte, soprattutto con le ragazze che erano già fidanzate: non si facevano troppi scrupoli a mettere le corna ai loro ragazzi, perché la curiosità di testare le fantomatiche e rinomate capacità di Scorpius prendeva sempre il sopravvento.
Questa volta però, in qualche modo sentiva di essere inevitabilmente finito nei guai.
La ragazza non era fidanzata, e questo era sicuramente un rischio, ma aveva deciso di provare, visto che durante la settimana non si era tanto impegnato a cercare e corteggiare qualcuna che fosse abbastanza interessante, ma anche carina. Ovviamente l’anno precedente non gli sarebbe fregato nulla del carattere o dei pensieri di una ragazza, se il suo fine era una notte decente per il Weekend dei Goliardi, ma dopo la discussione che aveva avuto con Albus il mercoledì sera precedente, aveva deciso che era giunto il momento di crescere un po’.
«Lo sai benissimo anche tu di avere un’etica piuttosto discutibile, Scorpius» gli aveva detto, guardandolo fisso negli occhi, perché se c’era una cosa che riusciva a mettere Scorpius Malfoy alle strette era senz’altro venir rimproverato da Albus, perché non era mai stato capace, in sette anni di amicizia, di contrastarlo o di mentirgli quando lo guardava fisso negli occhi. E non era l’unico. Chiunque conoscesse Albus almeno un po’ sapeva che il suo sguardo era micidiale: inquisitorio, minaccioso, intimidatorio, fermo, e sincero come pochi. Riusciva ad incanalare emozioni discordanti in una sola occhiata e ad amalgamarli come nessun’altro era in grado di fare sul pianeta terra. Magari, chissà, Albus era un marziano, per questo l’unico essere capace di inchiodare chiunque con il suo sguardo tinto di verde. Per questo Albus poteva vantarsi di essere l’unica persona in assoluto a conoscere ogni antro dell’anima di Scorpius Hyperion. Era l’unico davanti a cui quel ragazzo diveniva incapace di mentire, o di essere sarcastico, o spaccone. Scorpius Malfoy era Scorpius Malfoy davanti ad Albus Potter. Forse, in realtà, c’era una spiegazione molto più semplice per spiegare questo fenomeno. Forse Scorpius aveva deciso semplicemente di permettere ad Albus di leggere, di conoscere, di intaccare la sua anima e la sua mente. Forse aveva sempre avuto bisogno, in realtà, di qualcuno capace di sostenerlo, di comprenderlo, di qualcuno che potesse leggergli con uno sguardo tutti i pensieri che gli si annidavano in testa, senza bisogno di quelle stupide parole che si ammassano sulle bocche degli ipocriti. Scorpius sapeva che non avrebbe mai mentito di fronte ad Albus, lo sapeva da quando aveva deciso di raccontargli della sua paura di non finire in Serpeverde, e delle conseguenze che avrebbe portato, quel lontano primo settembre di sette anni prima, in uno scompartimento isolato, in cui c’erano solo due bambini, due bambini che avevano creato un paradosso, solo perché il biondo era un Malfoy, e il corvino era un Potter.
Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma Albus era stato la salvezza di Scorpius durante tutti quegli anni, e non smetteva mai di ringraziare il fato, il destino, Dio, qualsiasi entità a capo dell’andamento di quei fatti, per aver permesso che si incontrassero.
«Non mi pare comunque di dover rispondere a qualcuno della mia etica, se è per questo. Insomma, a chi frega se mi comporto da donnaiolo sbruffone?» aveva risposto lui, ed era stato in grado di dire ciò, solamente dopo aver distolto lo sguardo dall’amico, per fare finta di cercare un calzino finito sotto il letto. «Frega a me, Scorpius. E anche a tutte le altre ragazze che continui ad ingannare. Non capisci che così ferisci solo la gente? Non puoi comportarti come un ragazzino viziato che vuole avere tutto senza conseguenze! Non puoi continuare a fregartene di ciò che provano le ragazze dopo che ti sei dimenticato persino i loro nomi! Dici di non voler assomigliare a tuo padre, o a tuo nonno… Dici che erano dei codardi, e forse lo sono ancora. Dici che vuoi essere qualcuno, indipendentemente dal tuo cognome, e dalla fama che ti porti dietro, ma, Scorpius, possibile che tu non te ne renda conto? Stai soltanto alimentando ciò che gli altri pensano di te»
«E CHE COSA PENSANO DI ME, EH? COSA VOGLIONO CHE FACCIA? COSA VUOLE IL MONDO MAGICO CHE IO FACCIA? Credi sul serio che io non sappia cosa succede, quando me la spasso con una ragazza e poi la lascio a piangere in un cantuccio, eh? Credi che non lo sappia, Albus?»
. Non avevano mai urlato così tanto. Fortuna che gli altri erano tutti a cena in quel momento. Per la rabbia Scorpius aveva anche scaraventato una sedia contro il muro, mandandola in frantumi.
«E allora perché non la pianti, Scorpius? Non devi dimostrare nulla a nessuno, sfoggiando la lista di ragazze che ti sei portato a letto da quando avevi quindici anni. Possibile che tu non capisca che non ci sarà più niente di quello in cui tu credi, una volta usciti da qui? Riflettici. Perché lo fai?»
«È solo questa stupida smania di voler avere il controllo su tutto e tutti! La follia di avere il potere su qualcuno, di potere controllare qualcuno. So anch’io di essere identico a mio padre, in questo. Un codardo. So di essere un codardo. Un grosso verme che continua a parassitare sui sentimenti altrui… Non so cosa mi spinge a continuare… Continuo ad interrogarmi, a sondare il mio cervello, ma alla fine torno sempre allo stesso punto…»

Si era seduto sul pavimento, con la schiena poggiata contro il letto a baldacchino, con le braccia morte lungo i fianchi, e la testa che pendeva da un lato. Avrebbe potuto addirittura piangere dallo sconforto, in quel momento. Ma non l’avrebbe mai fatto. Nemmeno di fronte ad Albus.
Albus si era messo al suo fianco, in silenzio per un po’. Il silenzio tra di loro era stato tante volte fonte di salvezza delle loro discussioni, il punto di rottura, dopo cui tutto tornava sul piano giusto, e le discussioni venivano sigillate negli antri delle loro menti, come fascicoli pronti a riaprirsi come guide per i due ragazzi. Quei silenzi erano balsami per le loro voci che diventavano rauche, e stanche di tutti quegli sconforti che ogni tanto rannuvolavano le loro felici e spensierate giornate di diciassettenni.
«Tu non sei un codardo. Non lo sei mai stato»
Dopo quella sera, i risultati della discussione erano venuti per conto loro, come succedeva sempre. Toccava al beneficiario di interpretare le parole non dette.
Ma comunque, come lui stesso aveva detto, adesso era tornato allo stesso punto.
Sperava almeno di liberarsi in fretta della ragazza, ma stavolta non per cattiveria, più per rimorso: sentiva di avere deluso di nuovo Albus, e voleva in qualche modo rimediare. Le avrebbe parlato, magari anche lei avrebbe capito. Forse questa volta non sarebbe stato un verme schifoso.
Chiuse l’acqua, e tese l’orecchio per ascoltare eventuali segni di vita da parte della ragazza. Strano a dirsi, ma la sentì canticchiare, ed era davvero strano perché non gli era mai capitata una situazione del genere: una ragazza che canticchiava in camera sua. Era una cosa insolitamente stupida.
Mentre si infilava i jeans, sentì bussare alla porta del bagno: «Scorpius, ti dispiace se uso la vostra doccia? Da noi non c’è nemmeno l’acqua calda» fece la ragazza, con la voce suadente e ammaliante che lo aveva tanto appagato, durante la notte. Non poté fare altro che rispondere «Sì, come vuoi», e aprì la porta del bagno, facendo cadere l’asciugamano sul pavimento per ciò che si ritrovò davanti. La ragazza era completamente nuda di fronte a lui, e giocava distrattamente con una ciocca dei suoi capelli. Di fronte alla faccia sconvolta e basita di Scorpius scoppiò a ridere divertita, passando i capelli sull’altra spalla.
«Non mi far credere che vedere una ragazza nuda di fronte alla porta del tuo bagno ti sconvolge, Scorp» disse, passando una delle sue dita affilate lungo il profilo del ragazzo, che cercava di rimanere impassibile alla situazione, e soprattutto di non fissarsi a guardare qualche punto in particolare. «Perché non ci credo neanche un po’» poi scivolò nel bagno con una grazia incredibile, muovendo sinuosamente i fianchi stretti, a ritmo con la sua lunga chioma nera.
Scorpius rimase con gli occhi incollati a lei, fino a quando non s’infilò sotto la doccia e si rivolse a lui da dietro la tendina, «Ti chiederei di unirti a me, se non ti fossi già fatto la doccia. Peccato» si lamentò, mentre con molta lentezza lasciava che l’acqua scivolasse sul suo viso e poi su tutto il corpo.
A Scorpius sembrò durare un’eternità, quello strazio, in cui rimase fermo sulla porta del bagno, sempre con gli occhi fissi su quella sorta di creatura divina che stava facendo la doccia nel suo bagno, senza muovere un pensiero verso di lei, e rimpiangendo la promessa che si era fatto da solo. Probabilmente quella mattina, quando si era alzato, si era dimenticato di quanto fosse sexy la ragazza che si era portato a letto.
Comunque, in realtà, la ragazza-dea uscì dopo tre minuti esatti, e si avvolse il corpo in un telo, e la trance di Scorpius si concluse in quell’esatto momento.
La ragazza si fermò di fronte a lui, appoggiata allo stipite della porta, e incrociò le braccia. Si guardarono un attimo, poi lei abbassò leggermente il capo e rise piano, una ciocca di capelli bagnati le si parò sulla fronte, «Devo ricredermi, Scorpius Malfoy. Le mie compagne dicevano che non eri famoso di certo per il tuo auto controllo, e la tua impassibilità di fronte ad una donna bella, ma... be’, complimenti» e rise di nuovo.
«Non è detto che io non possa farti ricredere di nuovo» fece Scorpius, riacquistando il suo zelo e la sua voce bassa da ammaliatore professionista, e poggiò una mano sullo stipite contro cui era appoggiata la ragazza, avvicinando il viso al suo.
La ragazza, dal canto suo, non si mostrò intimorita, né presa da un qualsivoglia bruciore di passione ad una vicinanza così ristretta da Scorpius Malfoy, piuttosto gli passò una mano sul viso, e si scostò da lui, lasciandolo fermo come un povero idiota. Quella ragazza non era di certo una sprovveduta, questo si capiva.
Ma d’improvviso Scorpius capì che non gli avrebbe dato alcun tipo di problema o preoccupazione, e non seppe se esserne sollevato o dispiaciuto.
In fretta, l’idillio sotto al quale era stato sedotto sembrò svanire per sempre, e la ragazza raccolse i suoi abiti, si rivestì e si asciugò i lunghi capelli.
«Devo dire che sei stato… appagante» disse, fingendo di pensarci su, mentre si allacciava le scarpe, e si riabbottonava la camicia, sotto lo sguardo attento di Scorpius, che rimaneva a braccia conserte di fronte a lei, come in attesa (o nella speranza) di un’imboscata per coglierlo di sorpresa.
«È stato divertente ieri sera, ma ora è tempo di tornare alla vita reale, Scorpius Malfoy. Giusto?» fece, guardandolo e sorridendo. Scorpius, non seppe nemmeno lui perché, ma annuì.
La ragazza si alzò dal letto, ed estrasse di nuovo la bacchetta dai jeans, e con un rapido colpo risistemò il letto di Scorpius. «Non c’era bisogno» riuscì a boccheggiare lui, stranito da quel suo particolare comportamento. Iniziò a chiedersi se in realtà quella ragazza fosse reale o solo frutto della sua immaginazione, o magari una delle cugine Veela di Victoire o Dominque Weasley, ingaggiate da Albus per dargli una lezione, anche perché era impossibile non pensare, a quel punto, che quella ragazza non avesse geni Veela nel sangue.
Di nuovo, questa si voltò verso di lui, e gli sorrise «Forza dell’abitudine»
Poi, con grande sorpresa di Scorpius, gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra. Il ragazzo, preso dal trasporto, le poggiò una mano sulla schiena, e fece per andare di nuovo verso il letto, ma, come se l’avesse anticipato, la ragazza si scostò, e sorrise di nuovo. Ma cosa aveva da sorridere? Lo stava prendendo in giro?
Finalmente girò sui tacchi, e se ne andò. Si volatilizzò, perché quando Scorpius corse in Sala Comune un minuto dopo che era uscita dalla sua stanza, già non c’era più. Che avesse sognato tutto?






L’unica persona che stava passando una mattinata piuttosto tranquilla in tutto il castello era senza dubbio Rose Weasley. Nessuno l’aveva reclamata per i compiti, per le confessioni del fine settimana, per fare una passeggiata lungo il perimetro del Lago Nero, niente di niente. Solo lei, una mela quasi ridotta al torsolo, e la sua copia de ‘Le Fiabe di Beda il Bardo’. Non avrebbe mai potuto chiedere nulla di meglio.
Erano davvero pochi i momenti in cui poteva rimanere sola con sé stessa, e magari con un buon libro, perché tutti i suoi amici, parenti e conoscenti avevano come un sensore nella testa che squillava non appena la ragazza manifestava l’intenzione di prendersi del tempo da sola e trovavano il modo di rovinarle il suo quarto d’ora di pace, per bisogni impellenti e improrogabili che richiedevano espressamente l’intervento di Rose Weasley.
Quando era a casa, riusciva a riposarsi solo quando sua madre e suo padre erano al lavoro, o durante i pisolini di suo padre della domenica pomeriggio. Per il resto, gettava la spugna alla situazione e prendeva un bel respiro profondo.
Quando era alla Tana era praticamente impossibile trovare un qualsiasi angoletto in cui stare soli. Persino la stalla dei maiali era sempre occupata, soprattutto quando i ragazzi dovevano ripulire le stalle insieme a nonna Molly, ormai troppo vecchia per gestire da sola la baracca.
Da bambina riusciva a stare più tranquilla: i più piccoli di solito, verso le tre del pomeriggio, venivano spediti subito nelle camere da letto (rigorosamente separati per evitare che facessero confusione) per il riposino pomeridiano, quindi lei poteva rimanere in santa pace fino ad almeno le cinque. Ovvio, doveva tenere sempre conto di eventuali sabotatori di quiete come James Sirius, Fred, Dominique, Victoire, Roxanne, e – la maggior parte delle volte – Albus.
Poteva benissimo rifiutarsi di partecipare alle loro attività, mandarli al diavolo e continuare le sue letture, ma i suoi cugini (specialmente i più grandi) sapevano essere molto persuasivi, quando vi era bisogno.
Quella mattina si era svegliata da sola in camera. Non che lei fosse mai stata una di quelle che dorme fino a tardi, ma quel sabato aveva fatto uno strappo alla regola, probabilmente non avrebbe dovuto restare alzata con Lily e Roxanne fino a tardi, la sera prima. Comunque, aveva approfittato per prendersela molto comoda nella vasca da bagno, poi si era infilata un paio di pantaloni e un maglioncino non troppo pesante, ed era scivolata fuori dalla Sala Comune, nel silenzio dei corridoi deserti. Quel silenzio l’aveva attratta così tanto che si era immediatamente arrestata sul posto, e aveva pensato che se nessuno l’aveva reclamata fino a quell’ora, probabilmente quella mattina avevano rinunciato alla sua presenza, e quindi, quale occasione migliore per svignarsela?
Si era guardata attorno, un sorriso malandrino stampato sulle labbra, ed era corsa indietro, fino al suo Dormitorio. Aveva frugato velocemente il suo baule, e ne aveva estratto la sua copia di Beda il Bardo, poi aveva cominciato a pensare ad un luogo dove nascondersi dal chiasso di Hogwarts, almeno per un paio d’ore, quando un brontolio allo stomaco le aveva fastidiosamente ricordato di non aver fatto colazione, e che non poteva certo aspettare fino al pranzo, e si era subito arresa alla disfatta dei suoi progetti. Stupidamente, non appena arrivata nel Salone d’Ingresso, si era ricordata che esistevano le cucine. Dieci minuti più tardi, una mela in mano, il libro nell’altra, ed era completamente sola, nascosta in un passaggio segreto che portava ad Hogsmeade, dietro ad un’armatura dell’antipatico Sir Lancillotto – o come lo chiamava lei, Sir PiedeLungo –.
Non poteva credere di essere riuscita a trovare un posto in cui leggere da sola, e senza l’intervento di molestatori che portassero il cognome Weasley o Potter. Certo, lo spazio angusto non era dei migliori, ma almeno sarebbe stata fisicamente lontana da Hogwarts, più o meno.
Diede un morso alla mela. Gli elfi le avevano offerto ogni tipo di bomba di zucchero, dalle brioches ai muffin ripieni di cioccolato fondente, dalla torta di zucca al budino alla vaniglia, ma lei aveva gentilmente rifiutato attraverso giri di parole molto elaborati, in modo che non li offendesse, e aveva sgraffignato una mela dal cesto di frutta che si trovava su uno dei quattro tavoli che facevano le veci di quelli della Sala Grande, non sapendo di aver appena fatto sparire il frutto sotto gli occhi di un Corvonero che stava afferrando la stessa mela in quell’esatto momento.
Con ulteriori cerimonie era riuscita a congedarsi dalle creaturine, e aveva intrapreso un’accorata ricerca del suo nascondiglio, finendo per caso nella trappola di Sir PiedeLungo, contro cui stava per ruzzolare per l’ennesima volta, riprendendosi all’ultimo.
Afferrò il suo libro di fiabe. Andava fiera di quel libro. Sua madre non aveva voluto cederle il suo, diceva che ci teneva troppo, e in effetti, anche lei ne avrebbe tenuto così tanta cura, visto che la copia apparteneva originariamente allo stesso Silente, e che lui l’aveva lasciata a Hermione nel suo testamento, per aiutare suo zio Harry nella caccia agli Horcrux, durante la Seconda Guerra Magica.
La sua copia le andava bene. Ovvio, non aveva nulla di paragonabile a quella di Silente, però ci era comunque affezionata.
Sua madre l’aveva aiutata a tradurre la sua fiaba preferita: “La storia dei tre fratelli”.
In seguito le avevano raccontato che suo zio Harry discendeva alla lontana da Ignotus Peverell, primo possessore del Mantello dell’Invisibilità, e quindi uno dei tre fratelli della storia, insieme a Cadmus e Antioch.
Ogni volta che leggeva quella storia le venivano i brividi. C’era qualcosa di così macabro, di così arcano e potente in quelle parole, in quei versi, che non riusciva a non pensare alla Guerra, alla Morte, al Dolore, leggendola.
Era una favola scomodamente reale, per una bambina. Era come la parte più oscura dell’infanzia di un bambino. Chiunque leggeva, imparava la più dura delle lezioni.
Suo padre non voleva leggergliela, perché preferiva che crescesse senza troppi pesi sul cuore, e quella storia era legata troppo strettamente a quella guerra maledetta.
Ma sua madre era di tutt’altro parere: non voleva turbarla, certo, ma voleva che sapesse, che crescesse con la consapevolezza, con il senno dalla parte giusta. Che fosse davvero intelligente, e non solo studiosa, perché c’è differenza tra sapere e imparare, tra intelligenza e conoscenza.
Questa era un’altra cosa che aveva imparato bene dai genitori, anche se ognuno di loro impartiva le proprie lezioni con metodi diversi, a seconda della situazione e del modo di fare.
Ron tendeva a nuotare nelle parole e nelle spiegazioni, Hermione partiva dal nocciolo, risalendo fino alla buccia.
Aveva provato a tradurre anche le altre, ma era arrivata sempre e solo al terzo paragrafo, poi si fermava. Ovviamente prima che iniziasse, al terzo anno, il corso di Antiche Rune. Con una storia aveva avuto fortuna, però. Si intitolava: “La fonte della Buona Sorte”.
Era in assoluto la sua preferita, o forse lo era soltanto perché era l’unica che era riuscita a tradurre completamente e da sola. L’unica che sembrava darle un senso, che le insegnava davvero qualcosa di profondo, di importante, di difficile da spiegare, e gliene era grata.
Iniziava così:

In un giardino incantato chiuso da alte mura e protetto da potenti magie, in cima a un colle scorreva la Fonte della Buona Sorte.
Una volta all'anno, tra l'alba e il tramonto del giorno più lungo, un solo infelice aveva il privilegio di intraprendere il viaggio alla Fonte, bagnarvisi e ricevere Buona Sorte per il resto della vita.
In quel giorno, centinaia di persone giungevano da ogni parte del regno per essere davanti alle mura del giardino prima dell'alba. Maschi e femmine, ricchi e poveri, giovani e vecchi, con poteri magici e senza, si ammassavano nella notte, ognuno con la speranza di essere l'eletto a entrare nel giardino.
Tre streghe, ognuna col proprio fardello di pene, s'incontrarono ai margini della folla e aspettando l'alba si raccontarono a vicenda le proprie disgrazie.
La prima, di nome Asha, era malata di un morbo che nessun Guaritore sapeva curare. Sperava che la Fonte la risanasse e le garantisse una vita lunga e felice.
La seconda, di nome Altheda, era stata derubata da un mago malvagio della casa, dell'oro e della bacchetta. Sperava che la Fonte la liberasse dall'impotenza e dalla povertà.
La terza, di nome Amata, era stata abbandonata da un uomo che amava caramente e pensava che il suo cuore non ne sarebbe mai guarito. Sperava che la Fonte la sollevasse dal dolore e dalla nostalgia.
Le tre donne ebbero pietà l'una dell'altra e decisero che, se la fortuna le avesse scelte, si sarebbero unite e avrebbero cercato di arrivare alla Fonte insieme.
Il cielo fu squarciato dai primi raggi del sole e nel muro si aprì una fessura. La folla si accalcò, e ognuno gridava il proprio diritto alla benedizione della Fonte. Dal giardino uscirono dei rampicanti, serpeggiarono tra la gente e si attorcigliarono alla prima strega, Asha, che afferrò il polso della seconda strega, Altheda, che si strinse alla veste della terza, Amata.
E Amata s'impigliò nell'armatura di un cavaliere dall'aspetto lugubre, in groppa a un cavallo magro fino all'osso.*


Anche se quella era una favola, il senso ipercritico di Rose non si risparmiò comunque, e cominciò, per l’ennesima volta, a biasimare il personaggio che odiava di più di quel racconto. Fosse stato per lei, non avrebbe mai cercato l’aiuto della Fonte della Buona Sorte solo per un cuore infranto.
Odiava Amata con tutto il suo corpo, la odiava fin da quando aveva sette anni. Non capiva come una persona potesse essere così egoista, di fronte all’evidenza che c’era qualcuno in condizioni peggiori. Insomma, bastava prendere la strega Asha, il cui malessere era fisico e incurabile.
L’amore non è un malessere, né fisico, né incurabile. Non si muore di amore. Si muore di vecchiaia, di malattia, di guerra, ma non d’amore.
La strega Amata era senz’altro l’emblema dei giovani malati d’amore, di tutti coloro che si struggono di fronte ad un sentimento non ricambiato, di fronte all’abbandono, alla solitudine, all’amore di lontananza, ai sentimenti celati. Rose disprezzava chiunque adottasse atteggiamenti di sconforto eccessivo per un cuore spezzato. Non è incurabile. Non è mortale. È psicologico.
L’amore, per come la vedeva lei, non era malattia. Era ossessione. Per questo ne stava alla larga da sei anni.
Certo, una cotta non nuoceva alla sua parte razionale, né l’aveva mai fatto. Anche lei era un essere umano, anche lei provava sentimenti. Aveva avuto delle cotte, ma non era mai andata oltre. Non aveva mai potuto, né voluto, definirsi innamorata. Per lei l’amore vero era devozione, rispetto reciproco, e un senso di protezione l’uno verso l’altra. Per questo era l’unica che, in fondo in fondo, pensava sarebbe stato meglio uno di quei matrimoni combinati, secondo le tradizioni dei Purosangue.
Non avrebbe avuto problemi ad accettare chiunque che fosse, e sarebbe stata al sicuro da quello stupido morbo psicologico che era l’Amore.
«Ma per favore» sputò all’aria, con il tono di voce simile al sibilo della serpe quando si trova di fronte ad un potenziale pericolo e il suo unico obbiettivo è scacciarlo, per mettersi in salvo. Così era l’amore per lei. Ci spargeva sopra veleno, così che potesse appassire e non avvicinarsi a lei. E lei sarebbe stata al sicuro, e sarebbe tornata a nascondersi nell’erba alta.
Riprese la sua lettura, ‘stavolta a voce alta, come le piaceva fare quando era completamente sola: l’aiutava ad immedesimarsi nella storia, e a sentirsi parte viva e pulsante di essa, come se la sua voce si alzasse e abbassasse al ritmo delle parole impregnate con l’inchiostro sulla pagina.
« I rampicanti tirarono dentro le tre streghe attraverso la fessura e il cavaliere venne disarcionato e trascinato insieme a loro. Le urla furiose della folla delusa si levarono nell'aria del mattino, poi tacquero quando le mura del giardino si richiusero. Asha e Altheda si arrabbiarono con Amata, che si era inavvertitamente portata dietro il cavaliere.
“Solo uno può bagnarsi nella Fonte! Sarà già difficile decidere chi sarà tra noi, ci mancava anche un altro!”*
». Rose rise, scuotendo la testa, pensando a quanto potesse essere stupida quella donna.
«Ora, Messer Senzafortuna, come il cavaliere era conosciuto nelle terre fuori dalle mura, si avvide che quelle erano streghe e, poiché egli non possedeva alcun potere magico, né particolare abilità a giostrare o a tirar di scherma, né alcunché che lo distinguesse, era certo di non aver speranza di battere le tre donne nella corsa alla Fontana. Dichiarò pertanto la propria intenzione di tornare fuori dalle mura. Questa volta fu Amata ad arrabbiarsi*»
Certo che deve avere sul serio qualche menomazione cerebrale, questa donna, pensò Rose, strappando un morso alla sua mela, e continuando a scuotere la testa, incredula.
«“Cuore pavido!” lo rimbeccò. “Sfodera la tua spada, Cavaliere, e aiutaci a raggiungere la meta!”. E così le tre streghe e il misero cavaliere si inoltrarono per il giardino incantato, dove erbe rare, frutta e fiori crescevano in abbondanza ai lati di sentieri assolati. Non incontrarono ostacoli finché giunsero ai piedi del colle in cima al quale stava la Fonte. Lì, però, trovarono una mostruosa Serpe bianca, gonfia e cieca, attorcigliata alla base del colle. Al loro arrivo, essa voltò l'orrenda faccia su di loro e pronunciò le seguenti parole: Datemi la prova del vostro dolore*»
Credimi, serpentone, fece Rose, nessuno qui sta soffrendo più di me nel leggere l’idiozia di questa donna.
«Messer Senzafortuna sfoderò la spada e cercò di uccidere la bestia, ma la lama si spezzò. Allora Altheda le tirò delle pietre e Asha e Amata provarono ogni incantesimo che potesse domarla o stordirla, ma il potere delle loro bacchette non ebbe più efficacia delle pietre dell'amica né della lama del cavaliere: la Serpe non li lasciava passare» E vorrei ben vedere!, fu l’ennesimo commento nella testa di Rose. L’idea delle pietre ha spodestato Amata dal podio di strega più stupida nel Mondo Magico.
«Il sole si levò sempre più alto nel cielo e Asha, disperata, cominciò a piangere. Allora la grande Serpe posò il muso sul suo volto e bevve le sue lacrime. Placata la propria sete, la Serpe scivolò via e svanì in una buca del terreno*». Diede un altro morso alla mela, e si passò un dito sulle labbra per asciugarne il succo.
Continuò a leggere ad alta voce, alternandosi agli ultimi morsi della mela, e ai suoi commenti sugli atti più stupidi che i personaggi potessero compiere, scoprendo ma non ammettendo, con rammarico, di essere divenuta troppo critica persino per leggere una delle sue favole preferite, quindi appoggiò la testa al muro, e abbandonò il torsolo della mela sul pavimento (ricordandosi di buttarlo dopo), con l’indice in mezzo alla pagina su cui si era fermata. Rimase così per un paio di minuti, poi diede il termine a quel momento di pace, che era stato in grado solo di amareggiarla.
Si alzò di poco e si mise in ginocchio, visto che il passaggio era troppo basso perché riuscisse ad uscirne in piedi, e sgattaiolò fuori, con il libro in una mano e un fazzoletto che avvolgeva il torsolo di mela nell’altra. Scostò l’armatura di Lancillotto, ed eccola lì, di nuovo tra i corridoi di Hogwarts.
Riaccostò l’armatura nella posizione in cui l’aveva trovata, assicurandosi che riuscisse a nascondere il passaggio, e si spazzolò i pantaloni pieni di polvere.
«Ne hai un po’ anche sui capelli» una voce la fece saltare dallo spavento, e Rose lanciò inavvertitamente il libro in aria, che atterrò con un tonfo secco ai piedi del suo aggressore. Dal suo canto, questi lo raccolse e riprese la lettura dal punto esatto in cui Rose si era fermata:
«Nelle profondità dell'acqua limpida una pietra liscia recava le seguenti parole: Datemi il tesoro del vostro passato. Messer Senzafortuna cercò di attraversare il ruscello a bordo del proprio scudo, ma lo scudo affondò. Le tre streghe lo tirarono fuori dall'acqua, poi tentarono a loro volta di superare il torrente con un balzo, ma il torrente non le lasciava passare, e intanto il sole scendeva sempre più basso nel cielo. Perciò si misero a riflettere sul significato del messaggio sulla pietra. Amata fu la prima a comprendere: con la bacchetta estrasse dalla propria mente tutte le memorie dei giorni felici passati con l'amante fuggito e le lasciò cadere nell'acqua. Il torrente le portò via e un passaggio di pietre affiorò. Le tre streghe e il cavaliere finalmente raggiunsero la vetta*» poi guardò Rose, con un cipiglio altezzoso e sbruffone. Il sole che entrava dal finestrone del corridoio aveva disegnato un’ombra lungo il profilo del ragazzo.
Rose rimase interdetta e incapace di spiccicare verbo, non seppe se per la sorpresa di essere stata scoperta, o se per la capacità del ragazzo di essere stato in grado di ritrovare non solo la favola che lei stava leggendo, ma anche l’esatto punto in cui lei si era interrotta.
«È inutile che mi guardi così, Weasley» fece lui, invece, lanciandole il libro «Ti si sentiva delirare ad almeno un paio di metri di distanza. La prossima volta, se non vuoi essere trovata, e soprattutto beccata, almeno cerca di leggere a bassa voce» asserì tagliente, ficcandosi le mani in tasca, e iniziando a camminare con il mento all’insù, come un pavone sorprendentemente bello che aveva tutta l’aria di esser consapevole della sua bellezza. Ovvio, non che Scorpius potesse essere definito bello, ma comunque si atteggiava come un dannato pavone.
«Ah, e sono almeno venti punti in meno a Grifondoro. Ci si vede, Weasley» aggiunse poi, continuando comunque a camminare, e rivolgendo un saluto con la mano a Rose, che divenne rossa di rabbia. Anche più dei suoi capelli.
«FERMO LÌ, MALFOY! NON OSARE MUOVERE UN MUSCOLO!» gridò Rose, a pieni polmoni, completamente incurante di poter incappare nel passaggio di un professore in quel momento, e di beccarsi anche una punizione.
Scorpius si voltò, in viso aveva un’espressione tremendamente scocciata e insofferente al tono di voce della ragazza, «Cosa vuoi?»
Con quattro falcate, Rose raggiunse il ragazzo e, sebbene fosse molto più bassa di lui, gli puntò addosso uno sguardo che sarebbe stato in grado di far scomparire anche il più temerario dei maghi.
«Quale sarebbe il tuo ragionevole motivo per il quale hai tolto punti alla mia Casa, sentiamo?» fece, ancorando le mani ai fianchi, e battendo il piede a terra, spazientita e in attesa di ricevere una risposta perlomeno soddisfacente da quel verme schifoso. Scorpius si arrestò un momento, e si girò verso la ragazza, «Innanzitutto, ti trovavi fuori dal perimetro ufficiale del castello. Fuori dal castello, senza permesso. A meno che tu non voglia far magicamente spuntare un permesso firmato dalla Preside che ti autorizzava ad essere dov’eri… allora?» la incalzò. Rose non si mosse, e strinse le labbra, quindi Scorpius riprese «Secondo, ti trovavi in un luogo non registrato, e normalmente non accessibile al corpo studentesco. Dovresti avere a disposizione oggetti di magia nera per conoscere passaggi del genere, e così, se anche fosse, sarebbero altri dieci punti in meno, Weasley!» esclamò, quasi entusiasta. Maledetto idiota, pensò Rose, sapeva benissimo che quel passaggio era segnato sulla Mappa del Malandrino! Anzi, non l’avrebbe nemmeno mai trovata, se non fosse stato a conoscenza del passaggio.
«Ultimo, ma non per forza ultimo» concluse Malfoy, puntando in aria un indice inquisitore, «Stavi disturbando la quiete pubblica del castello!» «Andiamo, Malfoy! Ma ti stai almeno sentendo? Nemmeno a te frega di tutte queste stronzate…» sputò fuori Rose. Scorpius, per tutta risposta, disse «Altri dieci punti per uso di parole volgarmente inappropriate» e non riuscì a non tradire una risata.
«TU, non hai alcun diritto… Non hai alcun potere per togliere punti a me! Sono stata chiara? RESTITUISCI I PUNTI! Questa è insubordinazione, maledetta testa di troll! Abuso di potere! Potrei fare rapporto alla McGranitt…» ma intanto Scorpius aveva ripreso a camminare indisturbato e incurante della sua probabile sorte, di nuovo con le mani in tasca.
Rose batté un piede a terra, e le orecchie le si tinsero di un rosso fuoco, segno incontrastato che era stato raggiunto il punto di rottura.
Con la mente stipata di pensieri che alternavano la morte istantanea di Scorpius Malfoy ad una più sana ed efficace tortura, sfoderò la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans, e la puntò contro la schiena del ragazzo. «Everte Statim!»
Malfoy volò a diversi metri di distanza, andando inevitabilmente a cozzare contro il muro che segnava la fine del corridoio. Rose realizzò solo dopo la gravità della sua sconsiderata e impulsiva azione, quando Malfoy non si rialzò dopo almeno un minuto dall’incantesimo.
Rose si coprì la bocca con le mani, un’espressione di orrore sul volto. Morgana, finirò in grossi guai, fu il suo pensiero, Altro che sottrazione dei punti, qui parliamo di espulsione diretta!
Corse verso il corpo inerme del ragazzo, e pensò all’eventualità di modificargli la memoria e scappare per discolparsi totalmente, ma prima che riuscisse persino a concretizzare quell’idea malsana, si ritrovò delle corde comparire dal nulla e andare a stringerla in una morsa d’acciaio, rendendola totalmente inerme, tanto da farla cadere a terra. Mentre lei si dimenava come un bruco intrappolato nel suo bozzolo che non ne può più della sua prigione, Scorpius si rialzò, e con un sorriso enigmatico la guardò come un cacciatore che ha appena intrappolato un cervo, e sa che da quel momento sarà padrone del suo destino. Sorrise, «Andiamo, Weasley! Non siamo più quindicenni! Dovresti avere imparato che non puoi vincere contro di me»
Ma la risposta di Rose arrivò attraverso l’intervento di tante piccole creaturine evocate da Rose che attaccarono Scorpius, prima mordendogli le gambe e le braccia, e poi aggrappandosi al viso e ai capelli.
Il ragazzo cominciò ad urlare in preda al panico, mentre tentava di liberarsi da quei sadici esserini dalle unghie affilate come rasoi che gli stavano mortificando la pelle, e cercò di arrivare alla bacchetta per rispondere all’incantesimo di Rose, deciso a dare il meglio della sua cattiveria, anche se si trovava di fronte ad una ragazza. Gliel’avrebbe fatta pagare.
Rose, nel frattempo, eseguì il contro incantesimo di Incarceramus, e si rialzò dal pavimento freddo, sorridendo beffarda al suo avversario, non accorgendosi che, mentre lei abbassava la guardia e già aveva pregustato la vittoria, Malfoy aveva raggiunto l’impugnatura della bacchetta e in un attimo, grazie ad un incantesimo ben assestato, Trasfigurò i mostriciattoli in tante piccole margherite che finirono innocentemente ai suoi piedi. Rose rimase per un momento sconcertata, poi afferrò saldamente la sua bacchetta, pronta a dover rispondere agli incantesimi di Scorpius. Ma il ragazzo non si mosse.
«Vuoi perdere altri punti, Weasley? Non so fino a che punto ti conviene. Sei già abbastanza nei casini. Siamo due colpi a uno per te, rossa» le annunciò, con il tono di voce che ostentava il piacere che stava provando nell’aver messo Rose nel sacco. Era vero, lei era in netto svantaggio per le circostanze in cui galleggiava. Se solo Malfoy avesse fatto la spia – e probabilmente l’avrebbe fatta, vista la sua etica inesistente – lei si sarebbe trovata contro tutte le possibili prove, perché non poteva in alcun modo dimostrare il contro-attacco di Scorpius, e lui, a dimostrare il suo vittimismo, aveva il volto ricoperto di piccoli morsi e graffietti qua e là, opera delle creaturine mandate da Rose.
Poi però Rose, che non aveva mostrato alcun segno di squilibrio dopo la minaccia di Malfoy, sorrise appena, disintegrando il ghigno dal volto del ragazzo. «Cos’hai da sorridere?» mormorò burbero, la faccia divenuta una maschera di ansia malcelata. Quella ragazza non si lasciava prendere in contropiede, mai.
«Posso pur sempre giustificare il vantaggio di colpi grazie ad una scusante che è inattaccabile, considerando la tua… mm, personalità esuberante, Malfoy» fece Rose, scandendo bene le sillabe del cognome del ragazzo. Si passò lentamente la lingua sulle labbra, poi riprese la parola.
«Sai perfettamente di non godere di una reputazione da… come posso definirlo?» finse di ponderare attentamente le opzioni di appellativi che aveva a disposizione, puntandosi l’indice sul mento «Bravo ragazzo. Tu sai benissimo dove voglio arrivare, Malfoy»
Il ragazzo, infatti, aveva capito le intenzioni di Rose, ma preferì rimanere in silenzio, a squadrarla scettico da capo a piedi, come se non potesse costituire tutta quella minaccia di cui si stava vantando lei. Incrociò le braccia al petto.
«No. Non so dove tu voglia arrivare, Weasley» ribatté lui, facendole il verso e schernendola con una smorfia che diede l’impulso a Rose di prenderlo a schiaffi.
Si prese un minuto per rispondere, raccogliendo la poca pazienza rimastale, e respirando a fondo, senza accennare alla sua esasperazione imminente. «D’accordo, allora» asserì infine la ragazza, alzando le mani davanti a sé, «Facciamo così: tu prova a denunciarmi alla McGranitt, o a qualsiasi altro professore, o figura autoritaria scolastica, compresi i fantasmi, Madama Chips, Madame Mel, e sì, anche Gazza, e io ti giuro, Malfoy, che andrò subito a giustificarmi raccontando a tutti che tu hai cercato di abusare di me, e che io, come è giusto che sia, ho agito per legittima difesa» disse tutto ciò con una calma ed una fermezza impressionante per una ragazza della sua età. Sembrava quasi una donna di politica che lavora al Ministero, mentre fornisce le direttive per qualche disegno di legge Magica da applicare. I suoi occhi erano incollati a quelli di Malfoy, e lui pensò che nessuno aveva mai avuto il coraggio di affrontarlo così direttamente. Nessuno. Eccetto forse Albus.
Nessuno era mai riuscito a farlo sentire così in difficoltà, come Rose in quel momento. Si sentì così indifeso, così spoglio di fronte a quegli occhi, che provò l’impulso di scappare.
Scappare… Da quanto tempo scappava dalle persone.
Nessuno riusciva mai a raggiungerlo, quando scappava. Ma, in realtà, nessuno provava mai abbastanza a cercare di raggiungerlo. Era come la gazzella più veloce della savana, costantemente inseguita, per tutta la sua esistenza, dal più inferocito e affamato dei leoni.
La verità era che Scorpius Malfoy agiva sempre, o meglio si atteggiava, da leone, ma pochi erano riusciti a tirargli giù il travestimento e a scoprire che era la più debole delle creature, la più timorosa di fronte ai pericoli, o davanti a due occhi che hanno la capacità di spaccare un’anima e tirarla via dal corpo, di trapassarla da parte a parte in fondo a tutti i propri meandri, persino quelli che nemmeno lui conosceva.
Rose stava ancora parlando, e i suoi occhi non si muovevano né si allontanavano mai dall’obbiettivo. Scorpius sentì ripetuti tonfi dentro la gabbia toracica, più e più volte, ma non ebbe mai il coraggio di interrompere il contatto con gli occhi della ragazza. Abbassare gli occhi era peggio che gettare a terra una spada durante un duello; significa sconfitta, viltà, codardia. Resa.
«Perciò, sei in catene, Malfoy» stava dicendo Rose, quando Scorpius si ridestò con difficoltà dai propri pensieri, «Ma puoi facilmente rimediare: restituisci alla mia casa i punti sottratti oppure, come ulteriore bonus dopo la mia confessione, sottrarrò cinquanta punti a Serpeverde» disse, schiaffando un punto fermo dopo la sua ultima frase, decretando la fine della contrattazione a senso unico che aveva diretto da sola.
Scorpius la guardò con un paio di occhi ridotti a fessure, uno sguardo di pietra, come una statua dall’espressione rabbiosa, di un guerriero sconfitto. L’aveva messo nel sacco. Era vero. Lui non poteva più ribattere. Doveva accettare le condizioni e poteva solo sperare che il tempo gli fosse benevolo e che presto avrebbe potuto architettare la più crudele e vile delle vendette.
Non aveva mai odiato Rose Weasley così tanto in vita sua, e mai pensò che l’avrebbe odiata più di allora. L’avrebbe frantumata, poteva starne certa.
Il volto di Rose, al silenzio accondiscendente di Malfoy, si allargò in un sorriso di pura cattiveria e godimento di fronte alla sconfitta di un avversario. Nessuno le aveva mai visto in faccia un’espressione del genere.
«Sono contenta che tu sia abbastanza intelligente da rimanere in silenzio, Malfoy» fece, sorridendo beffarda e meschina, come un felino che ha appena intrappolato la sua preda, e sa che questa non ha più vie di scampo. «Nessun rancore, eh?» e girò sui tacchi per andarsene, «Cerca solo di non dimenticare contro chi ti metti, e vedrai che non ti succederà niente»
Scorpius, che fino a quel momento era riuscito a trattenersi stringendo i pugni e ancorandosi alla pelle con le unghie, raggiunse la figura della ragazza in poche rabbiose e pesanti falcate, come un toro che carica alla vista del torero che sventola il mantello rosso. Gli mancava solo il fumo dalle orecchie.
L’afferrò malamente per un braccio, ancorando i polpastrelli alle carni della ragazza, e con uno strattone la costrinse a voltarsi. Il viso di Rose passò dal sorriso tronfio e consapevole della vittoria, ad un’espressione attonita e sconvolta dall’azione avventata e improvvisa. Non avrebbe mai potuto mettere in calcolo una reazione simile.
La faccia di Malfoy troneggiava prepotentemente sulla sua, i muscoli del viso annodati tra di loro come in una tela di ragno particolarmente elaborata. Le vene del collo tradivano la collera pulsante e ormai impellente, come il colorito arrossato sulla fronte e sparso sul viso del ragazzo. I graffi delle creature di prima risaltavano sulla sua pelle rossastra, e lo rendevano ancora più spaventoso.
Guardò Rose come si fa con un assassino crudele che ha appena strappato via la vita della persona più amata. Con l’odio di un uomo che si è visto portare via ciò che ha di più caro: la propria integrità.
Rose lo aveva messo al tappeto, e non con i suoi incantesimi, la cui potenza non faceva altro che esclamare il rifiuto della ragazza nell’usare la magia in tutta la sua essenza, e in tutta la sua devastazione, ma con le parole. PAROLE! AH!
Cos’erano le parole, di fronte agli effetti di una bacchetta manovrata da un mago quantomeno potente? Parole! Cos’erano davanti alla sua figura ben piazzata e al timore che sapeva incutere alle persone? Parole! Cos’erano, se paragonate ai suoi rigidi sguardi penetranti, e ai suoi occhi del colore del mercurio puro? Parole! Cos’erano in confronto alle sue parole?
«Cercherò di ricordarmi contro chi mi metto» sputò fuori attraverso i pochi spiragli che trovavano posto nella muraglia che aveva eretto serrando i denti e che ora digrignava come una spada che cozza contro una roccia, «Ma tu, Weasley, devi ricordare di non metterti mai contro di me. Sono stato chiaro?» e con un ultimo sguardo, strattonò di nuovo il braccio della ragazza, ormai immobile e senza più alcuna intenzione di ribattere. La lasciò andare, liberandola dalla sua stretta d’acciaio, e poi si allontanò a grandi passi, ma senza fretta.
La statua del guerriero ferito e sconfitto si era tramutata nella statua del dio Prometeo. Un dio potente, immortale, ma debole. Un dio in catene. Il ragazzo poteva essere potente quanto voleva. Incutere timore, rendersi invincibile, ma la sua corazza perdeva pezzi.
Scorpius non poteva fare nulla per cambiare, come gli era stato suggerito da Albus. Lui era Scorpius Malfoy. Lui era una persona intimidatoria, fredda, distaccata, egoista, prepotente. Lui non poteva che essere l’ombra di chi era prima di lui. Era bloccato in un limbo. Non c’era modo di sovvertire al suo destino, alla sua persona.
Non c’era modo di rompere le sue catene.






How dare you say that my behavior is unacceptable
So condescending unnecessary critical
I have the tendency of getting very physical
So watch your step cause if I do you’ll need a miracle


*frammenti tratti dalla fiaba raccolta nel libro "Le Fiabe di Beda il Bardo", appartenenti a J.K. Rowling.









Note di Ilhem: Anche se è passato del tempo quantomeno ragionevole e accettabile, mi scuso di nuovo per la scarsa presenza. Mi auguro almeno che ci sia qualcuno rimasto a leggere questa storia di bassa lega, su questa piattaforma.
Oggi sarò veramente breve. Sono consapevole che magari qualcuno si aspettasse di più da questo capitolo, visto anche il titolo altisonante, ma il mio senso ipercritico mi ha imposto di togliere il superfluo, e renderlo un capitolo di "approfondimento", come il secondo capitolo per quanto riguardava il personaggio di Alexandra. Per la struttura della storia mi capiterà spesso di alternare quei lunghi papiri a inserzioni più piccole e più focalizzate su un personaggio in particolare.
Vi supplico di lasciar passare il piccolo excursus delle selezioni dei Grifondoro, ma ho pensato "Prima le inserisco e meglio è".
Non posso promettere che la prossima volta sarà vicina, perché maggio è alle porte, e le valutazioni finali mi stanno con il fiato sul collo. Spero lo stesso che attenderete i nuovi sviluppi con pazienza, sempre che qualcuno sia rimasto ancora.
Come ultima cosa, ho deciso di inserire un pezzo da "Harder to Breathe" dei Maroon 5, alla fine del capitolo, perché mi riporta tantissimo al comportamento e al carattere in generale di Scorpius Malfoy.
Dopo ciò, alla prossima!
Ilhem.

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Capitolo 5
*** Comitati e raffreddori ***


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Capitolo 5:
Comitati e raffreddori


C’è un momento e un luogo adatto per qualsiasi attività. Una stagione perfetta, un mese perfetto, una settimana perfetta, un’ora perfetta. Quello che di più facilitava le attività di Rose Weasley era il clima. Si poteva dire che lei fosse l’unica adolescente inglese che benediva ogni singolo giorno di pioggia su quella benedetta terra. Quindi, a calcoli fatti, aveva parecchi giorni da benedire.
Il fatto era che, durante l’autunno, i posti di quiete ad Hogwarts scarseggiavano, per via dei primi match di Quidditch. I giocatori non si lasciavano certo abbattere dal clima sfavorevole, e si allenavano insistentemente anche sotto la pioggia battente (per non parlare della neve). Ciò, ovviamente, comprendeva anche le infinite e chiassose riunioni di squadra – che molto poco avevano di riunione – che si tenevano solitamente nelle Sale Comuni, e alle ore più spropositate e assurde. Forse per i giocatori di Quidditch, in quel particolare periodo dell’anno (e nei seguenti periodi pre-partita), lo studio poteva passare in secondo piano, ma Rose non poteva di certo accomodare le sue esigenze a quelle di sette esaltati. Comunque, quando ormai settembre era solo un ricordo, e ottobre prendeva posto tra i banchi delle aule oscurate dai milioni di fumi colorati, e dagli scaffali colmi di libri pronti a essere spulciati da migliaia di studenti, le giornate di pioggia divenivano le compagne di studio migliori, se poi si aggiungeva anche quel tavolo isolato nel reparto di Demonologia del XVII secolo della Biblioteca, accanto alla finestra su cui il leggero ticchettio della pioggia sembrava la musica più dolce di tutte, allora il pomeriggio di studio sarebbe stato il più piacevole in assoluto.
Rose si poteva dire quasi dispiaciuta che quel clima così fausto per i compiti si fosse presentato di giovedì, perché i compiti che doveva svolgere per il venerdì non meritavano la sua attenzione per non più di un’ora e mezza, minuto più, minuto meno.
Il fatto che le lezioni del venerdì non comprendessero né Difesa Contro le Arti Oscure, né Trasfigurazione, rendeva il tutto oltremodo deprimente, perché nella prima mezz’ora di quel pomeriggio dal clima ideale per lo studio aveva già accantonato la traduzione ultimata di Antiche Rune, ed era già al decimo dei trentacinque centimetri del suo tema per Cura delle Creature Magiche. In quel momento, l’unica sua preoccupazione era l’eventualità che alla lezione dell’indomani Hagrid potesse avere la brillante idea di portarli nella Foresta ad impantanarsi fin sopra le punte dei capelli.
Dopo un’ora passata a raccogliere quante più informazioni che non risultassero mortalmente noiose possibili in modo da rendere una grazia a quel tema penoso sulle dinastie dei centauri di cui Rose era la sventurata autrice, intervallata da innumerevoli momenti dedicati a scarabocchi che vedevano per soggetto dei rampicanti che attraversavano l’intero margine delle pagine, la ragazza si decise a congedarsi da quell’occasione sprecata, pregando che in un giorno più adatto si sarebbe ripresentato un clima del genere.
Il pomeriggio era ancora piuttosto giovane, e lei si era ritrovata a corto di letture, perché quell’anno aveva deciso di evitare di ficcare nel baule quelle decine di titoli che aveva letto e riletto senza mai capire quando era ormai giunto il momento di lasciarli a casa, ad aspettare il suo ritorno. Il reparto in cui si trovava era uno dei più interessanti che la Biblioteca di Hogwarts avesse, e oltre agli innumerevoli tomi provenienti da menti magiche, vi era una sezione completamente dedicata agli autori Babbani che si erano dilettati nella Demonologia, che fosse antica, medievale, o rinascimentale. Ogni volta non poteva fare a meno di stupirsi di quanti pochi libri babbani dell’epoca antica avesse letto; aveva letto l’Iliade, l’Odissea, e anche un’opera di quelle meno conosciute tra i maghi, che però era la trasposizione di una commedia di un certo Plauto, un autore latino dalla forte tragicomicità.
Andò davanti ad uno di quegli scaffali, e chiuse gli occhi, lasciando che fosse il suo istinto da esperta lettrice con anni di esperienza alle spalle a guidarla nella ricerca di un libro interessante. Il suo indice si scontrò con la copertina rigida di un tomo dalla cospicua ampiezza. Rose aprì gli occhi, e lasciando correre il dito sulla superficie blu del libro, lesse il titolo a lettere d’oro: Metamorfosi.
Non avrebbe potuto trovare nulla di più adatto alla sua situazione attuale di cambiamento continuo. Anche lei era la vittima di una metamorfosi.
Sfilò il libro dal suo antro, e se lo mise sottobraccio. Quel libro le avrebbe svelato molto più di quanto la sua mente potesse anche lontanamente immaginare.





Il Campo era un ammasso informe e disgustoso di fango ed erba smossa, e la pioggia veniva giù carica e sferzante, che qualunque persona avrebbe potuto dire che l’onnipotente Zeus era così furioso da lanciare dardi d’acqua capaci di spaccare le rocce in due parti uguali. I sette ragazzi che imperterriti scorrazzavano da una parte del campo all’altra avevano come unica protezione le mantelle impermeabili delle loro uniformi, che con tutta l’acqua venuta giù erano più utili di un ombrello bucato sotto una grandinata estiva.
Inutile dire che ai loro Capitani tutto ciò non poteva importare di meno. I due ragazzi continuavano a sputare ordini contro i loro compagni, sfidando le correnti e il rombare altisonante dei dardi di Zeus. Non avrebbero mai permesso che delle leggere precipitazioni intralciassero i loro allenamenti. «Se mai dovesse capitare un tempo peggiore di questo, durante la partita? Come vi giustifichereste?» aveva detto la ragazza, rimproverando aspramente la mancanza di spirito guerriero da parte dei compagni, di fronte alle loro proteste sull’uscire con quel tempo maledetto.
Ovviamente nessuno aveva avuto abbastanza fegato da ribattere, perché probabilmente avrebbero soltanto fatto la figura degli idioti visto che Lily non aveva tutti i torti: un tempo del genere avrebbe potuto ripetersi anche durante il loro match di novembre.
Comunque, nonostante fosse stata lei la prima a spronare il resto della squadra a giocare con quelle condizioni, in quel momento stava maledicendo chiunque fosse a capo dell’organizzazione meteo lassù. Era già al quinto starnuto nel giro di sette minuti cronometrati.
Ma non avrebbe mai interrotto l’allenamento, nemmeno se in quel momento un fulmine le avesse colpito la testa. Si fermò per l’ottavo starnuto, e subito dopo si rigettò di peso sulla scopa, pronta ad afferrare la pluffa che le stava venendo incontro in quel momento. Mentre con la sinistra manteneva la presa sul manico, la destra scattò sopra il capo, e fermò il lancio della palla rossa, ficcandosela sotto il braccio e partendo alla carica, ma non prima del nono e del decimo starnuto, arrivati in coppia.
Durante il suo tragitto verso la porta, scansò il suo compagno Murray, che si era affiancato a lei per prendere la pluffa, lasciandolo basito per una tale sconsideratezza nel gioco, e si fermò sulla scopa, lanciando un’occhiata di sbieco a Hugo, che stava osservando i movimenti della ragazzina dalla sua postazione, di fronte all’anello centrale. I due Battitori si fermarono non appena Lily rifiutò l’aiuto da parte dell’altra Cacciatrice, Finnigan. Ora tutta la squadra si era fermata, leggermente sconvolta dalla nuova strategia solitaria di Lily, che in quella sua dimostrazione aveva starnutito ripetutamente altre cinque volte.
Con tutta la forza e l’adrenalina che la ragazza aveva in corpo, in quell’istante, piombò come una furia sull’anello centrale di cui era a guardia Hugo, che la lasciò segnare senza nemmeno preoccuparsi di provare a parare il suo tiro. La guardò sconvolto mentre la rossa si cimentava in una frenetica danza della vittoria a cavallo della scopa, che era accompagnata da decine e decine di starnuti in serie.
I compagni si raccolsero attorno agli anelli, e Hugo urlò sovrastando la pioggia, che non aveva cessato di battere nemmeno per un secondo: «Per oggi può bastare!»
I ragazzi si affrettarono verso gli spogliatoi, rabbrividendo da capo a piedi, una volta scesi dalle scope e messo piede nel caldo tepore che emanavano le cabine delle docce, pronte a dare sollievo a quei corpi sudati e infreddoliti. Lily entrò per ultima, accompagnata dagli starnuti continui che ora sembravano più insistenti che mai. Si sedette sulla panca di fronte al suo armadietto, e cacciò indietro il cappuccio zuppo della divisa; inutile dire che la sua utilità si era rivelata nulla viste le condizioni dei capelli di Lily, fradici fino alla cute. Qualcosa di morbido le atterrò in testa, che le sue dita identificarono come un asciugamano caldo ancora impregnato dell’odore di bucato fresco.
«Idiota» furono le parole del suo salvatore, che le si sedette accanto. Anche Hugo era zuppo, una percentuale di acqua piovana che superava di gran lunga quella corporea ma, al contrario di Lily, lui aveva già asciugato i capelli con un colpo di bacchetta, per evitare di contrarre un malanno.
«Cosa vuoi che ti faccia un po’ d’acqua? Disse colei che grondava pioggia anche dalle dita dei piedi» «È colpa delle scarpe… troppo leggere» si giustificò Lily, scuotendosi l’asciugamano sulla testa.
Il ragazzo scosse la testa, sorridendo, e girò l’angolo, diretto alle docce maschili. «Fatti una doccia, Lils»
Lily divenne rossa più dei suoi capelli, «NON CHIAMARMI LILS!». Da Hugo ricevette in risposta semplicemente una risata fragorosa delle sue.
Entrò in una delle cabine gettando la divisa da Quidditch sulla sedia di fronte alla doccia, maledicendo quel ciarlatano che aveva assicurato l’impermeabilità di questa, anche di fronte alla più violenta delle intemperie. Gli augurò di non trovarsi mai in un vicolo buio in sua compagnia, altrimenti avrebbe avuto dei bei problemi.
Da una delle docce provenne il suono della voce di Melinda Coote, «Lily, tutto bene? Continui a starnutire ininterrottamente da almeno mezz’ora»
«Sì, sì… io – etciù! sto – etciù!... benissimo» rispose a sua volta la ragazza, passandosi un dito sotto il naso. «Tesoro, credo sia meglio se passassi da Madama Chips per farti dare un po’ di Pozione Peperina… ti fa sudare un po’, ma questo raffreddore se ne andrà nel giro di mezz’ora» intervenne Natalie, dalla cabina di fianco alla sua «Ne avevo un po’ nel mio baule – sai com’è, per ogni evenienza –, ma non sono sicura di averne ancora dopo la settimana in cui Joanne ha avuto l’influenza… oh, e Annabeth, credo che tuo fratello me ne abbia fregata un po’ per quel festino per il compleanno di Murray, sabato scorso» aggiunse poi, sovrappensiero.
La voce di Annabeth rimbombò per tutto lo spogliatoio, complice l’eco delle cabine, e la sua posizione, lontana dalle altre ragazze: «L’unico idiota convinto di potersi sballare con una bottiglia di Pozione contro il raffreddore. Pensavo che dopo aver avuto quella bella lezione, avesse imparato che le pozioni medicinali possono avere grossi effetti collaterali… Alla festa per i miei diciassette anni ha ben pensato di creare un nuovo tipo di punch con la Burrobirra e la pozione contro il mal di testa: ha continuato a vomitare per dieci giorni, quel babbeo» lo spogliatoio si riempì di risate, in mezzo ai vapori delle docce. Una ad una, le ragazze uscirono dagli spogliatoi, con i mantelli ben allacciati sopra i menti, e Lily continuò a starnutire fino alla Torre di Grifondoro, senza nemmeno una pausa che non durasse più di trenta secondi.
Fu un sollievo per la sua povera gola varcare il ritratto della Signora Grassa, e immergersi nel tepore della Sala, gentilmente fornito e assicurato dal grosso camino in pietra, al centro della stanza. Salutò le sue compagne e si avviò in direzione dei divani di velluto rosso, ai piedi dei quali il pavimento era occupato da una fomentata partita di scacchi detenuta da una Grifondoro e da un Serpeverde di sua conoscenza. Si annunciò con un «Potter, Weasley» e si gettò sul divano di peso, ricevendo immediatamente in risposta un «Potter» in coro.
Rose lanciò uno sguardo truce ad Albus, che la fissava con aria di sfida e un sorriso beffardo stampato in volto, dato l’evento straordinario che stava per compiersi per la prima volta in assoluto nella storia della Magia: Rose Weasley stava per essere messa in scacco da Albus Potter. Nemmeno i testimoni riuscivano a credere ad una tale circostanza. Rose, nella sua testa, continuava a ripetersi “è solo un colpo di fortuna” oppure “Albus non potrebbe mai batterti a Scacchi Magici!”, negando i fatti davanti a lei.
Lily osservava incredula la scena, pensando di stare contraendo un qualche tipo di malanno dovuto alla pioggia acida che aveva raccolto durante quelle due ore di allenamento di Quidditch, i cui effetti si ripercuotevano sul corpo e sulla mente accompagnati da tremende allucinazioni.
Albus rimase in attesa della mossa di Rose, e sgranò gli occhi all’improvvisa presa di coscienza che… «HO VINTO!» esclamò infatti, saltando in piedi e rovesciando la scacchiera addosso a Rose per la foga. Iniziò a ululare con le mani a coppa sulla bocca, compiendo un giro completo intorno a sé stesso, ed esibendosi in un ballo della vittoria improvvisato sul momento. Rose rimase seduta, con il solito tic all’occhio che le veniva ogni volta che era eccessivamente irritata. Si alzò di colpo, sbraitando contro Albus, e il suo non saper vincere, elencandogli tutte le volte in cui aveva esagerato nelle manifestazioni eccessive di gioia post-vittoria, urlandogli contro che le persone che gli stavano intorno (in special modo lei) venivano irritate dai suoi comportamenti infantili. D’altra parte, Albus non la stava nemmeno lontanamente calcolando, e continuava a crogiolarsi nella gioia della vittoria, soprattutto per il fatto che aveva battuto Rose in qualcosa che richiedeva l’uso del cervello.
Lily, che, per via dei continui starnuti, aveva un mal di testa martellante, continuava a sfregarsi le tempie con le punte delle dita, mentre i due non rendevano la sua situazione migliore per via dei loro schiamazzi. Sentiva che la sua pazienza veniva meno ogni secondo di più. Non aveva mai odiato tanto suo fratello da quella volta in cui le aveva rotto il Boccino giocattolo che suo padre le aveva regalato al suo decimo compleanno. Gli avrebbe volentieri spaccato la sua Black Arrow sulla testa, anche se quella scopa valeva più della stessa vita di Albus.
Rose si era arresa alla perenne infantilità del cugino, ed era sprofondata in una poltrona di velluto strappato, afferrando il libro che aveva lasciato sul pavimento dopo che Albus si era presentato in Sala Comune, lamentandosi di quanto fosse barboso vedere Scorpius e Lysander in camera a “fare finta di fare i compiti solo per non sorbirsi la sua presenza”. Non era la prima volta che una cosa del genere accadeva. Albus sapeva essere molto petulante e morboso, quando si impegnava, e, mentre Lysander era un martire assicurato alla beatificazione subito dopo la sua dipartita, Scorpius sarebbe stato perfettamente in grado di appendere il suo migliore amico per una caviglia e tenerlo sospeso a testa in giù sul soffitto del loro Dormitorio per ore intere, se non per giorni.
L’unica brillante idea che poteva venire ad Albus per scampare al suo infausto destino era quella di scassare le pluffe all’unica persona sulla crosta terrestre che riusciva a tenerlo buono per almeno un paio d’ore. Ovviamente, nessuno aveva calcolato l’eventualità di una sua vincita contro Rose Weasley, e per giunta nel gioco degli Scacchi Magici.
A Lily, in quel momento, apparve nella mente la meravigliosa immagine della testa di Albus che prendeva fuoco all’improvviso.
«Sto per ammazzarti, Albus»
Benedetto quell’essere umano che aveva fatto tacere seduta stante il ragazzo!
Lily alzò lo sguardo, e vide Lysander e Scorpius Malfoy davanti ad Albus, che aveva perso almeno dieci anni di vita per lo spavento, e Hugo appena dietro di loro, che si richiudeva alle spalle il ritratto della Signora Grassa.
Rose alzò appena lo sguardo dal suo libro per concedere un cenno di saluto a Lysander, che ricambiò con un sorriso, mentre Scorpius voltò lo sguardo, rivolgendolo allo stipite del camino, su cui si appoggiò con una sfrontata nonchalance. Lysander intercettò lo sguardo di Lily, e le sorrise avvicinandosi al divano su cui era spaparanzata. «Che razza di egoista, fai un po’ di posto ai senior della scuola, Potter» fece, sedendosi affianco alla ragazza, che si era concessa ad una posizione un po’ più decorosa di quella in cui era fino a quel momento. Sorrise di rimando al ragazzo, poi cercò di concentrarsi su altro, che non fosse l’imbarazzo che provava nello stare a così poca distanza da Lysander. Ovvio che ti renda nervosa, Lily. Lui è molto più grande di te, è solo soggezione.
Ma che diavolo stai dicendo? Comandi a bacchetta chiunque che abbia anche il doppio della tua età, e ti fai intimorire da Lysander?

«Che ci fate qui?» domandò Albus, passando lo sguardo da Lysander a Scorpius, e poi appoggiandosi di spalle al caminetto, «Ti cercavamo» rispose secco Scorpius, sicuramente irritato da una presenza sgradita. Chi è quella persona che si mette a leggere in Sala Comune a quell’ora del pomeriggio, con tutta quella gente che stipava la Torre?
L’occhio del ragazzo si andò a posare inevitabilmente sulle parole stampate sulla copertina del libro che la ragazza teneva ostentatamente al livello del viso, così che non fosse in nessun modo costretta a concedergli anche il minimo sguardo. Riuscì a leggere solo l’autore: Ovidio. Quel nome l’aveva già sentito, se non letto, da qualche parte. Era un poeta latino, se non andava errato. Probabilmente aveva qualche sua opera in casa, o forse l’aveva letto di sfuggita in Biblioteca. Sicuramente non faceva parte della libreria di suo padre, né tantomeno di suo nonno. Forse apparteneva a sua madre, lei adorava i classici. Oppure poteva anche darsi che avesse avuto lui qualche libro di quel tizio? Sì, ricordava bene un titolo… Metamorfosi.
Lo colse l’improvviso dubbio che potesse trattarsi dello stesso libro che stava leggendo – o con cui si stava nascondendo – la rossa. Ma non le avrebbe concesso un altro sguardo.
«Volevamo sottoporti un’idea» stava dicendo Lysander, che si era tirato con la schiena in avanti e guardava fisso Albus. Poi voltò la testa in direzione di Lily, Rose, e Hugo «Anzi, sottoporvi»
«Spara» lo incalzò Hugo, con le braccia conserte dietro la poltrona su cui era seduta la sorella. L’attenzione di tutti si concentrò su Lysander; persino Rose scostò di qualche centimetro il suo libro dal viso, così da poter vedere il ragazzo.
Questi si fregò le mani, e le batté, esagitato alla sua stessa proposta. Guardò ad uno ad uno i suoi compagni, poi, con fare ammiccante disse semplicemente: «Halloween» e si preparò all’entusiasmo generale, che però non arrivò.
«Grandioso, Scamandro. Peccato che Halloween si festeggi addirittura da secoli prima del giorno in cui eri solo uno spermatozoo, pensa un po’» fu il commento sarcastico di Albus, che si beccò una cuscinata in faccia, e un bel «Cretino» da parte di Lysander, che, appurata l’incomprensione generale, si decise a intavolare un discorso esauriente.
«Il fatto è che è passato un bel po’ dall’ultimo festino di Halloween che si è tenuto qui, a scuola» «Da quando ci siamo noi, non ce n’è mai stato uno» intervenne Hugo «A meno che non fosse rientrato in una di quelle feste cui ci vietavate di partecipare con qualche scusa tipo “I troll di guardia nei corridoi mangiano solo i bambini dai dodici anni in giù”» aggiunse poi, ricordando amaramente quanto spesso i più piccoli erano stati gabbati ed esclusi dal divertimento con scuse di quel genere.
«Nemmeno da quando ci siamo noi, in realtà» disse Scorpius, «Sono almeno sette anni che nessuno organizza una festa in privato, come quelle per le partite di Quidditch, in occasione di Halloween. Ci si limita a partecipare al solito e palloso banchetto in Sala Grande, e basta»
«Quindi?» domandò Rose, rivolgendosi esclusivamente a Lysander. Ora aveva richiuso il libro e lo teneva sul bracciolo della poltrona. La sua attenzione era stata completamente catturata dalla discussione.
«Quindi» proseguì Lysander, «Visto che si tratta del nostro ultimo anno» e si rivolse ad Albus, Rose e Scorpius, «Perché non organizzare qualcosa? Potremmo usare la nostra Sala Comune, che si trova più lontana dalle stanze e dall’aula professori, quindi rischieremmo di meno, ed è anche più grande della vostra» fece, allargando le braccia. Gli altri accolsero la proposta con grande entusiasmo, iniziando a discutere e a pensare a varie proposte per la serata, e anche rivolgere la loro attenzione alle piccole accortezze che c’erano da prendere per evitare casini.
L’unica che non si rese partecipe del discorso fu Rose, che rimase per qualche minuto a ponderare privatamente con il suo cervello la questione, che le sembrava fare acqua in più punti. Si morse il labbro, e si risistemò sulla poltrona «Non lo so» borbottò, tormentandosi le calze di nylon.
Lily sbuffò sonoramente, mentre Albus e Hugo si pronunciarono in un lungo «Eddai» di lamento. Lysander scosse la testa, sorridendo, e le tirò un pugnetto sul ginocchio, «Ci avrei scommesso che saresti stata la prima ad opporti, ma se ci aiuterai non rischierai nella maniera più assoluta di finire nei guai, Rose. Te lo giuro sul mio onore» fece, mettendosi la mano destra sul cuore, e poi tracciando una ‘x’ immaginaria sul petto.
«Andiamo, Rose! È anche il tuo ultimo anno, non vorrai rinunciare alla possibilità di goderti ogni singolo evento, legale e non!» intervenne Lily, sporgendosi sul divano per guardare in faccia la cugina. «Fossi in te non mi perderei nemmeno una festa, d’ora in poi» fu il commento di Hugo, che le appoggiò una mano sulla spalla «Non fare sempre il sergente».
«Forza, faccia di bronzo» diede manforte Albus, «Ora che ti è stata anche strappata la carica di campionessa imbattuta negli Scacchi Magici, hai di sicuro molto più tempo libero» e iniziò a ridere, beccandosi subito dopo uno sguardo ghiacciante da parte della ragazza, che lo congelò sul posto.
Rose sbuffò sonoramente, e si prese qualche minuto per pensare; avevano tutti ragione – tranne Albus, ovviamente –, e lei si era ripromessa che avrebbe goduto di ogni singolo istante che le rimaneva da vivere in quel castello. Si era ripromessa che non si sarebbe lasciata sfuggire nemmeno la più piccola delle occasioni, che si sarebbe divertita. Probabilmente, in quel suo ultimo anno, il sergente sarebbe andato in pensione.
Si batté le mani sulle gambe, «Oh, e va bene!» esclamò, in un applauso generale, accompagnato dai fischi di Lysander. La ragazza scosse la testa, e sorrise «Sono sicura che me ne pentirò» fu il suo ultimo commento.
«Ah, cerca di convertire anche Nott al nostro piccolo progetto» aggiunse Lysander, ammiccando in direzione di Rose «I vostri sei anni di clausura terminano qui, signore» e batté le mani, convinto della riuscita della sua missione. Poi si alzò dal divano, e disse «Domattina ci vediamo tutti in Sala Grande, al tavolo dei Grifondoro, e ne discutiamo tutti insieme», tutti annuirono in risposta. «Per il momento non facciamo circolare troppo la voce, mi raccomando» e si congedò assieme ai due compagni Serpeverde, salutando i ragazzi con la mano.
«Donna della pioggia» la voce di Hugo riprese bruscamente Lily dai secondi di troppo in cui aveva indugiato sul ritratto della Signora Grassa chiusosi alle spalle dell’allegra combriccola delle Serpi, e la ragazza si rivolse di scatto al cugino. «Che c’è?» rispose Lily, un po’ brusca «Sei andata da Madama Chips?» le chiese, sapendo benissimo che non le era passato nemmeno per l’anticamera del cervello.
«Perché deve andare da Madama Chips?» intervenne Rose, guardando interrogativa il fratello. Lily stava per ribattere, scuotendo la testa per liquidare la questione, quando Hugo riprese la parola: «Il genio dalla testa rossa, qui presente, si è presa un fantastico – e aggiungerei meritato – raffreddore, sul Campo da Quidditch. E siccome il suo cervelletto» e le bussò sulla testa con le nocche «è più duro della pietra, non vuole andare a chiedere a Madama Chips di farsi dare una controllata». Lily, da dietro la schiena di Hugo, mimava i movimenti del ragazzo, prendendolo in giro letteralmente alle sue spalle, esibendosi in smorfie e pernacchie silenziose. Rose ridacchiò sotto i baffi, e Hugo si voltò immediatamente verso Lily, che però tornò ad un’espressione normale appena in tempo.
«Prendimi in giro, se vuoi, Lily. Ma se ti ammali prima del match, e salti anche un singolo allenamento, ti do in pasto alle sirene del Lago Nero» la rimbeccò puntandole un dito contro.
Lily incrociò le braccia al petto, «Certe volte sei più rompipluffe di James».







Erano almeno due ore che era accovacciata sopra il davanzale della finestra della sua stanza, nel Dormitorio femminile. Si stringeva le ginocchia al petto, per tentare di combattere gli spifferi che si infiltravano nella Torre di Corvonero e le punzecchiavano le punte dei piedi. Non aveva intenzione di prendere un paio di calzini da uno dei suoi cassetti. Avrebbe preferito rimanere lì, immobile, per un periodo piuttosto lungo. Erano giorni che non faceva altro che pensare a cosa le sarebbe toccato di lì a due mesi circa. Dopo che sua nonna si era illegalmente fatta sentire via lettera per confermare ciò che era nei sospetti della ragazza da molto tempo, si era istituito un vero e proprio silenzio epistolare, che non faceva altro che accrescere e nutrire quell’entità che covava da un po’ nel petto di Alexandra chiamata ‘ansia’.
Sapeva che continuare a crogiolarsi nel pensiero di ciò che le sarebbe inevitabilmente toccato le avrebbe nuociuto a livello psicologico e probabilmente anche fisico. A lei non piaceva che la sua mente fosse stipata da quell’unico pensiero. Ma come poteva invertire la direzione dei suoi pensieri con la pioggia che picchiava senza sosta sulla finestra, congelando il vetro che separava il calore del Dormitorio dall’aria sferzante e gelida che soffiava fuori di lì? Era impossibile. Ed era anche inutile.
I problemi non sarebbero scomparsi così come fa il fango dopo un temporale. Anche se fosse uscito il sole in quell’esatto momento, nulla avrebbe cambiato il corso degli eventi. Nulla avrebbe impedito che sua madre e suo padre cambiassero idea sui matrimoni combinati che avevano in programma per lei e i suoi fratelli. Nulla, nemmeno sua nonna, avrebbe impedito che la cerimonia di debutto in suo onore si fosse tenuta appena lei fosse tornata da Hogwarts per le vacanze invernali. Nulla le avrebbe impedito di passare un’intera serata con uomini spaventosamente sconosciuti e privi del suo giovane spirito, che pregava e picchiava contro le sbarre della sua metaforica prigionia di uscire fuori, e supplicava di non essere sottoposto ad una tale tortura.
Conosceva tantissimi altri Purosangue, lì a scuola, ma meno della metà di loro erano costretti al supplizio a cui lei era infaustamente destinata. Per alcuni Purosangue, il desiderio di mantenere intatta la linea di sangue era troppo forte.
La parte razionale del suo cervello la stava pregando di smetterla con i tormenti, e di prendere finalmente coscienza che le cose dovevano andare così e basta. E poi, chissà, magari non le sarebbe andata troppo male. Dopotutto, per quanto antiquati i suoi genitori certe volte fossero, anche loro non avrebbero mai permesso che si sposasse appena finita la scuola. Probabilmente si sarebbe parlato di un possibile matrimonio soltanto molti anni più in là.
Quindi perché continuare a tormentarsi? Lei non aveva nessun diritto di lamentarsi. Forse i suoi genitori le avrebbero fatto solamente un favore, nell’occuparsi della sua vita privata. Lei non aveva mai creduto nell’amore, forse anche per l’idea dell’amore che le era stata impartita. L’uomo e la donna che le avevano dato la vita non potevano certo definirsi un buon esempio di amore nel suo essere più completo. Anche i suoi genitori, dopotutto, si erano sposati per volere delle proprie famiglie, come i loro avi, secondo tradizioni ben più vecchie di loro, e che non avevano mai nuociuto così tanto a qualcuno da provocare danni irreparabili. Chiunque dei suoi famigliari aveva optato per i matrimoni combinati tra Purosangue. Ovviamente, dopo la fine della Seconda Guerra Magica, nessuno faceva troppo caso ormai alle dinastie del sangue. Praticamente nella società erano quasi tutti Mezzosangue. I Purosangue conservatori rimasti erano coloro che un tempo erano stati definiti Mangiamorte, o anche coloro che semplicemente avevano creduto nell’integrità della purezza di sangue e avevano appoggiato la “battaglia” per mantenerla integra, senza davvero prendere parte ad una delle fazioni della Guerra, negli anni novanta. Tra questi, alcuni dei componenti della famiglia di sua madre, i Burke; anche se persino tra loro c’era qualche filo-Mangiamorte, come suo nonno materno, o il suo bisnonno, o alcuni dei fratelli di sua nonna, che lei, fortunatamente, non aveva avuto il privilegio di conoscere, perché alcuni furono uccisi e altri semplicemente si diedero alla clandestinità dopo la fine della Guerra. Suo padre – come aveva scoperto da sé Alexandra – aveva avuto un passato ad Hogwarts piuttosto inclinato in direzione della Magia Oscura, complice anche la sua amicizia con il padre di Scorpius, Draco Malfoy, con cui però aveva interrotto i rapporti prima che venisse trascinato anche lui nel baratro del Lato Oscuro senza speranza di redenzione, per poi riprenderli molto dopo la fine della guerra. Suo nonno paterno, del resto, era un Mangiamorte, e dal poco che riusciva a ricordare di lui, quello che le era rimasto più impresso erano le storie che raccontava ai suoi due fratelli, lontano dalle orecchie di sua madre o di suo padre, su quel letto di morte che l’aveva tenuto al caldo per i due mesi successivi al rilascio da Azkaban, che raccontavano di Babbani catturati e uccisi in maniere indescrivibili e atroci, di streghe e maghi macchiatisi di reati contro la purezza del sangue, che venivano processati e resi alla giustizia «Nel modo giusto in cui avrebbero dovuto marcire per sempre tutti i Traditori del proprio Sangue!». Ricordava la sua voce roca e maligna, come lo stridio del metallo contro una roccia, quel marchio sbiadito che sembrava semplicemente una malattia cutanea, che era stata in grado semplicemente di rovinarlo e portarlo a coprirsi il volto con le sue enormi pellicce nere come la notte che indossava convinto che fossero simbolo di eleganza e di classe, simbolo della ricchezza di un uomo che era stato corroso da una Guerra vana, e ne era uscito sconfitto e come un cane con la rogna, ai margini di una nuova società che non gli avrebbe mai permesso di tornare. Costretto a vagabondare in una ricchezza che era il paradosso più crudele per un uomo che di sano aveva ormai poco e niente. Dopo la fine della Seconda Guerra Magica, suo nonno era stato catturato di nuovo grazie alla collaborazione di Lucius Malfoy, che fornì i nomi e le ubicazioni dei suoi ex compagni datisi alla macchia dopo la caduta del loro Signore. Fu rinchiuso e tenuto ad Azkaban fino al duemiladodici, quando fu spedito nella sua casa natale assieme al figlio per consumare i suoi ultimi due mesi di vita; infatti, gli era stato diagnosticato un comunissimo cancro ai polmoni, scoperto allo stadio terminale. Una fine comune per un uomo che aveva sempre disprezzato coloro che gli erano inferiori. Erano stati fin troppo clementi con lui, nel decidere di concedergli i suoi ultimi giorni da vivere con la sua “famiglia”. Per quanto la riguardava, quell’uomo fu semplicemente una presenza oscura e sinistra nella loro casa. A lei non era permesso nemmeno di guardare in faccia colui che in un altro mondo avrebbe chiamato ‘nonno’. Lei era solo una femmina, lei non era in grado di capire le grandi gesta dei soldati del passato, che erano stati sconfitti per via di una società troppo cieca ed ingenua per comprendere fino in fondo.
Quante di queste stronzate aveva sentito, Alexandra, durante gli anni di prigionia che aveva sorbito tra le mura della sua casa. Fino al momento in cui mise piede ad Hogwarts, a lei e ai suoi fratelli era stata impartita una rigida istruzione in casa. Le uniche persone che vedeva – oltre i componenti della sua famiglia – erano le domestiche della sua casa, che entravano e uscivano liberamente, senza nessun tipo di vincolo a quelle mura maledette, e i numerosi precettori che andavano e venivano per le lezioni. Durante le loro lezioni, lei e i suoi fratelli erano tenuti separati, in antri della magione lontani l’uno dall’altro, senza nemmeno la possibilità di pranzare insieme. L’educazione maschile era diversa da quella femminile. Questo, invece, era il volere di suo nonno materno. Era lui che, in un certo senso, aveva controllato e manipolato suo padre e sua madre per tutti quegli anni.
Inutile dire che fu un sollievo per ognuno di loro ricevere la lettera per Hogwarts, ed uscire da quel penitenziario di cui erano prigionieri.
Ovviamente, quando lei non era ancora in età da Hogwarts, il periodo in cui i suoi fratelli erano lontani era quanto di più desolante e opprimente ci fosse in assoluto. La sola idea di essere sola in quell’ala della loro residenza che era da sempre destinata alle stanze da letto dei bambini la faceva piangere disperata nel sonno, e al solo ricordo di tutte le notti da incubo che aveva passato raggomitolata nel letto, con le lenzuola fin sopra la testa come unico scudo contro ciò che avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare non appena il sole fosse sorto, il senso opprimente di quella stanza e di quel periodo le piombò nel cuore assieme alla fredda consapevolezza che, una volta finiti gli studi, quelle notti sarebbero tornate, forse più corte di quanto erano prima.
La punizione più crudele per lei era senz’altro quella di tornare a casa propria, se così poteva definire quel luogo che era stato il nido di un’infelice ragazzina per molti anni, e che sarebbe tornato presto tale, pronto a ingoiare nel suo lurido e buio ventre la donna che lei si accingeva a diventare. Sapeva che sperare di non dover tornare a casa a Dicembre era come sperare in una nevicata nel mese di agosto, ma non le era permesso nient’altro.
E intanto la pioggia continuava a tormentarla, facendola desiderare che il suo cadere non finisse mai se solo il suo battere incessante avesse evitato di rimandarla a casa, e di affrontare ciò che l’aspettava appena fuori dalle mura del castello.
«È permesso?»
Alexandra si voltò di scatto al richiamo che provenne dalla porta della stanza, e si trovò a sospirare nell’istante in cui riconobbe la chioma rossa e i colori della divisa che non c’entravano nulla con quelli dell’intera Torre. «Ehi» la sua voce risultò paradossalmente pacata, dopo il turbinio di pensieri che le aveva stipato la mente in quel lasso di tempo. Si sgarbugliò dalla sua posizione, e sobbalzò leggermente al contatto con il pavimento gelato, pensando che sì, probabilmente era il caso di indossare un paio di calze. Odiava i collant della divisa, ma forse, ripensandoci, non era stata una grande idea quella di toglierseli. Rindossò questi, e anche le calze di lana.
«Non è già ora di cena, vero?» domandò Alexandra, che sicuramente non si era presa la briga di controllare che ore fossero. «No, no. Sono venuta qui perché non ti ho vista tutto il pomeriggio, e… mi è stato assegnato un incarico» rispose Rose, sbuffando dopo le sue ultime parole. Alexandra fece una smorfia interrogativa.
«Prima Lysander ha proposto ad alcuni di noi – visto che è il nostro ultimo anno qui, e che nessuno organizza mai un festino di Halloween da quando ne abbiamo memoria – di organizzare qualcosa per la notte del trentuno» spiegò in maniera spiccia, con il tono di una persona che è stata semplicemente incastrata nella faccenda.
Guardò Alexandra, mordendosi un labbro, e poi disse «Lo so, nemmeno a me piace, ma la questione è: se non ora, mai più. Perciò, tanto vale farcelo piacere, e cercare di goderci ogni istante che ci rimane da passare in questo maledettissimo castello!» sbottò, allargando le braccia e poi incrociandole al petto.
«Ma sì, perché no» rispose dopo un po’ Alexandra, chinandosi sotto al letto per raccogliere le scarpe che aveva buttato lì, «In effetti, mi dispiacerebbe andarmene come una persona che non ha fatto altro che partecipare passivamente alla vita di Hogwarts» bofonchiò con la voce intrappolata nello spazio angusto tra il pavimento e la base del suo letto a baldacchino.
«… E poi, Lysander mi ha detto di dirti che per lui e per il bene di Hogwarts – e cito testuali parole –: il nostro periodo di clausura si conclude qui! Aspetta, hai detto sì?» s’interruppe Rose, che, conscia della posizione che solitamente prendeva l’amica, riguardo le feste, si era cimentata in un discorso su quanto poco avessero partecipato alla vita mondana della piccola comunità che era il corpo studentesco di Hogwarts, escludendo le feste post-vittoria, i compleanni degli amici più stretti, e le feste di Natale di Lumacorno.
Sorrise all’amica, che finalmente riemerse da sotto il letto, con le scarpe in mano, «Woah, non pensavo che ti avrei convinta così facilmente» fece. Alexandra ridacchiò di rimando, e alzò le spalle, «Sai com’è… chiunque può cambiare idea» e le rivolse un occhiolino complice, a cui Rose reagì con una risata. «Tieni a mente queste tue parole, perché un giorno potrebbero tornarci utili» commentò, beccandosi una cuscinata in pieno petto.
«Invece di tirare cuscinate, perché non ti dai una mossa con quelle scarpe, e scendiamo in Sala Grande per la cena, prima che mio fratello insieme alla sua compare finiscano tutti i viveri della tavolata rosso-oro? Io ho bisogno di nutrimento, cara» mugugnò Rose, «E devo anche raccogliere una buona dose di pazienza per la ronda di stasera» aggiunse poi, d’un tratto sottotono per la presa di coscienza che quella sera avrebbe avuto una ronda con McLaggen. Alexandra le posò una mano sulla spalla, «Ti sono vicina» le fece con una mano sul cuore, scoppiando a ridere non appena Rose le rivolse un’occhiataccia delle sue. La ragazza poi le passò un braccio sulle spalle, e se la trascinò in direzione della Sala Grande, tra le proteste di Rose, che bofonchiava e vaneggiava sulla possibilità di farsi attaccare il raffreddore da Lily, così da saltare la ronda.
«Non puoi avere il raffreddore per il resto dell’anno, idiota»
«Oh, sì che posso. Potrei anche prendermi il vaiolo di drago, se mi assicurasse di stare lontana da McLaggen» continuò imperterrita Rose.
«Mi spiace dirlo, ma credo che anche se tu avessi la peste bubbonica, McLaggen non demorderebbe»




«Io dico di sì»
«E io ti ripeto che è impossibile»
«Allora perché non lo sperimentiamo?»
«Perché è una cazzata, Roxanne; ecco perché»
«Non vuoi verificare la mia tesi, solo perché sai che riuscirei a dimostrare che ho ragione, e quindi faresti la figura del fesso»
«Mi auguro che tu stia scherzando»
«Sei sempre stato geloso del mio estro creativo»
Hugo alzò le mani sulla testa, convinto di non riuscire ad andare avanti ulteriormente con quella discussione che lei e Roxanne stavano avendo dal momento in cui avevano messo piede in Sala Grande. C’era il pollo, a cena, e Hugo non era riuscito a goderselo per colpa della sua stupida cugina.
Roxanne si cacciò una mano nel taschino del maglione, e ne estrasse un pezzettino di carta appallottolato delle misure di una pallina da ping-pong. Lo spiegò, e lo spinse con la mano sotto il naso di Hugo, che la stava fissando a bocca aperta. «Okay, spiegami quando hai trovato il tempo di mettere questo schifo di idea su carta»
«Mi è venuto il lampo di genio mentre scendevo le scale» rispose Roxanne, incrociando le braccia al petto, fiera di se stessa e del suo progetto. «No» Hugo afferrò il pezzettino di carta, e lo riappallottolò con rabbia «Tu sei completamente andata» esclamò, lanciando la pallina in direzione dell’ingresso.
«MA CHI È STATO?» gridò il destinatario di quel lancio, che si accorse subito della situazione che si stava verificando al tavolo, e si fiondò sul colpevole. «Hugo!» la pallina volò per due metri, fino a prendere in pieno il lungo naso del ragazzo, che se lo coprì con la mano.
La tavolata dei Grifondoro scoppiò in una serie di sonore risate, accompagnata a tempo dal battere delle mani sulla superficie del tavolo. Rose si unì alle risate, anche se un po’ in colpa per aver messo k.o. il Re dei Grifondoro con una semplice pallina di carta.
Gli diede un buffetto affettuoso sulla guancia, e si sedette accanto a lui. Da parte sua, Hugo s’imbronciò ancora di più. Come si suol dire: oltre al danno anche la beffa.
«Allora, siamo tornati alla fase in cui ci si lanciavano palline di carta? Ragazzi, pensavo foste maturati» li rimproverò con il suo finto tono altezzoso, e un dito inquisitorio puntato contro i commensali. Si servì del pane imburrato e un paio di polpette di carne, e si unì ai discorsi che erano stati intavolati prima che iniziasse il diverbio verbale tra Roxanne e Hugo Weasley.
Lui e Lily avevano spiegato al resto della combriccola l’argomento che si era trattato durante quella riunione improvvisata in Sala Comune, quel pomeriggio, e la proposta era stata accolta con grande successo, e l’unica che sollevò qualche protesta – subito repressa – fu, ovviamente, Molly, che si era poi convertita all’idea, quando Sean le aveva assicurato che non sarebbe stato male. Poi le aveva messo un braccio attorno alle spalle, e la ragazza aveva subito taciuto, arrossendo però in maniera vistosa. Roxanne provava un insano senso di goduria nel vedere la mansuetudine di Molly quando era in compagnia di quel ragazzo. Avrebbero dovuto farlo santo, per lei.
Lupus in fabula, poi, era arrivato Lysander: si era seduto affianco a Lily, ed aveva appoggiato i gomiti sul tavolo, incrociando le mani davanti a sé.
«Piccolo cambio di programma» aveva annunciato, guardando ad uno ad uno i compagni. «Niente riunione domani mattina» e si era susseguito un coro di innumerevoli domande e lamentele, quali “Ma perché?” oppure “Che diavolo” o anche “Come mai?”, e addirittura “Porco Godric, la mia idea è andata a farsi benedire” – di cui si può tranquillamente intuire l’autore.
«Ehi, ehi! Con calma» esclamò Lysander, per farsi sentire nel frastuono generale, «Non intendevo dire che salta tutto. Dio mio, quanto affrettate le cose» e si passò una mano fra i capelli biondo cenere, sbuffando.
«Spiega, allora» fece Lily, puntellandolo con il gomito.
«Volevo dirvi che abbiamo pensato di spostare la riunione…» e qui abbassò la voce, facendo avvicinare gli altri a lui per sentirlo meglio «… a stasera, nella Sala Comune dei Grifondoro»
«E io lo sapevo che era una brutta storia, questa» si lamentò Molly, beccandosi un’occhiata da Roxanne, che invece disse «Se dobbiamo farla nella nostra Sala Comune ci conviene aspettare dopo che si svuoti dei mocciosi del primo e del secondo anno, altrimenti sarà impossibile non farli impicciare». Lysander annuì, con uno sguardo serio che nessuno gli aveva mai visto in faccia prima d’allora. Diciamo pure che Lysander era uno di quei tipi che prendono con serietà solo ciò che interessa loro davvero; organizzare un party all’oscuro degli insegnanti e degli studenti più piccoli rientrava di certo nella categoria delle cose che interessavano Lysander.
«Se non sbaglio, ‘stasera la ronda tocca a voi, Rose, dico bene?» fece poi rivolto alla rossa, riflettendoci un po’ su. Rose alzò gli occhi al cielo, un po’ riluttante nel rispondere perché aveva già anticipato le intenzioni dell’amico. «Senza che tu vada avanti, Lysander. Dovremmo essere di ritorno per mezzanotte, o giù di lì. Francamente spero non più tardi di quell’ora» rispose, «Non ho alcuna voglia di passare più di tre ore con McLaggen» aggiunse poi amareggiata, giocherellando con la forchetta fra le dita, e poggiando il mento sul palmo della mano.
«Quindi potremmo incontrarci per mezzanotte e mezza» propose Hugo. «Il tempo che anche McLaggen si levi dai piedi» aggiunse Roxanne, battendo le mani entusiasta del loro programma. Lysander annuì di nuovo, «Va bene, vado ad avvertire gli altri, allora» e fece per alzarsi, ma Rose lo afferrò per la manica del maglione, trascinandolo di nuovo giù. «Ho convinto Alexandra a collaborare a quest’assurda cosa. Che ne dici di truccare un po’ le carte, Scamandro?» gli sussurrò ad un palmo dal naso, strizzandogli un occhio. Lysander rise, piegando la testa da un lato «Fai tanto la santa, ma mi sa proprio che qui sei la peggiore tra tutti noi, Weasley» mormorò, lanciandole di rimando un occhiolino, e sfregandole una mano fra i capelli. Poi se ne andò salutando gli altri. Lily non aveva potuto fare a meno di osservare quella breve scena, e quello scambio di occhiate un po’ sospette. Spinse via il piatto; non aveva più fame.




«Be’?» Lysander era tornato al tavolo dei Serpeverde, dopo che si era intrattenuto una buona ventina di minuti con i Grifondoro. Albus non aveva smesso un attimo di trepidare e di sforzarsi di leggere le labbra di almeno uno di loro. Inutile dire che non ne era stato capace. Il risultato delle sue osservazioni, se raccontato, sarebbe risultato piuttosto inverosimile e assolutamente non pertinente all’argomento di cui stavano trattando. Lo osservò prendere posto con molta calma. Probabilmente stava godendo della brama di sapere di Albus, e lo stava facendo rodere come un cane a cui viene negato un osso.
«Per le mutande di Merlino, Scamandro, ci vuole così tanto per posare il tuo culo su quella benedetta panca!» urlò, fuori di sé dall’impazienza, facendo voltare verso di lui tutta la tavolata dei Serpeverde e anche dei Corvonero. Scorpius colpì uno stinco di Albus da sotto il tavolo, facendolo inchinare per il dolore. «Bastardo» bofonchiò la vittima, agonizzante e con il naso stampato sulla superficie di legno.
«Via, via Albus, più garbato» lo rimproverò Lysander, agitando una mano a mezz’aria. Gli posò una mano fra i capelli, e glieli accarezzò, così da infastidirlo più di come già era. Infatti il ragazzo, che non sopportava lo stato già disastroso dei suoi capelli, odiava che qualcuno li scompigliasse più di quanto non fossero per conto loro. Si scostò con un brusco movimento della testa, e si sottrasse a quel supplizio. Sia Lysander che Scorpius si diedero a qualche risata sotto i baffi.
Scorpius si rivolse con un cenno del capo a Lysander, «Allora, cosa avete risolto?»
«Ci vediamo nella loro Sala Comune per mezzanotte e mezza circa. Dopo che Rose e McLaggen saranno tornati dalla ronda notturna…» «Dio, che sfiga per quella povera ragazza» brontolò Albus. Lysander fu distratto un secondo dalla reazione di Scorpius, che rivolse lo sguardo al suo piatto per cercare di nascondere quella piccola ma evidente smorfia che gli aveva sfiorato il viso per qualche istante. Si riscosse, e proseguì, riferendo tutto ciò che era stato accordato. «Quindi, appena saranno tutti fuori dai piedi, ci troveremo lì. Albus» scattò su d’un tratto, attirando l’attenzione del ragazzo «È ora di tirar fuori l’armamentario, fratello»
Non c’era bisogno di spiegazioni. Ovviamente Lysander si stava riferendo al Mantello dell’Invisibilità e alla Mappa del Malandrino che appartenevano al padre di Albus, dai tempi in cui i loro genitori frequentavano Hogwarts. In teoria, Albus non avrebbe dovuto essere in possesso di quelle reliquie magiche, e suo padre aveva sempre categoricamente proibito ai figli di farne uso, in qualsiasi luogo, e in qualsiasi momento. Ma loro erano ragazzi, ed Harry lo sapeva bene, e sapeva bene quanto Ginny in particolare disapprovasse l’idea che i suoi figli usassero oggetti magici che potevano tornare utili per spiare le ragazze negli spogliatoi femminili, o fare irruzione nei bagni e nei Dormitori impunemente. Ma, anche se tutto questo era al livello massimo dell’immoralità, loro erano ragazzi, ragazzi in cerca delle loro esperienze, perciò aveva concesso loro di usufruirne in modo consono e nei limiti della decenza. Senza il bisogno di rendere partecipe Ginny di questa sua presa di posizione.
No, né James né Albus avevano mai ricorso all’uso del Mantello o della Mappa per spiare chiunque che fosse, tranne Gazza, o la McGranitt quando erano in giro per il castello in un orario che nessuno dei due avrebbe definito giustificabile. Certo, diciamo che una controllatina alla Mappa in casi estremi, magari per essere sicuro che un qualche suo amico non facesse troppo tardi la sera con la sua ragazza, Albus l’aveva data. Ma solo per l’incolumità di Lorcan… cioè, di quel suo amico.
Prima che Albus ripartisse per la scuola, quell’anno, James aveva dedicato un appassionato e toccante discorso su quanto quei due oggetti fossero una manna del cielo per un ragazzo al suo ultimo anno ad Hogwarts, e non aveva fatto altro che raccomandarlo di usarli come si deve.
Albus gli strizzò l’occhio, e alzò il pollice verso di lui. Lysander sorrise quasi beffardo o con l’aria di chi sa qualcosa in più di qualcun altro: il sorriso di qualcuno che sta tramando qualcosa. Quella sua espressione inusuale confuse Albus, che abbassò la mano, e guardò Scorpius, in cerca di qualche risposta, ma anche il ragazzo stava osservando l’amico leggermente disorientato, e offeso per l’esclusione da quel presunto piano diabolico che Lysander aveva probabilmente intenzione di mettere in atto, senza di lui.
Lysander continuò a sorridere, con lo sguardo in basso, scuotendo leggermente la testa, come uno di quei criminali psicotici che si vedevano spesso nei film babbani degli anni ’80.
Scorpius si sporse sopra il tavolo e gli toccò una spalla, «Amico, tutto bene?». In realtà sperava ancora che il ragazzo cambiasse idea e che lo rendesse partecipe dei suoi pensieri e delle sue macchinazioni, perché ora era convinto che stesse macchinando qualcosa, e sicuramente il suo soggetto era Albus.
Lysander scosse di nuovo la testa, e poi guardò Albus «Ehi, Al!» fece, battendogli una mano sulla spalla «Ho bisogno che tu mi faccia un favore»
Albus lo guardò, un po’ indeciso se stare al suo gioco oppure tirarsi indietro prima di ritrovarsi invischiato in qualcosa che non gli sarebbe piaciuto, ma poi annuì. «Di che si tratta?»
«Vedi, io ho avvertito solo i Grifondoro» rispose enigmatico Lysander, intrecciando le dita davanti a sé, «Ma sarebbe di grande aiuto se anche tu mi aiutassi ad avvertire il resto dei partecipanti al comitato, Al» le ultime parole furono pronunciate molto lentamente, poi il ragazzo appoggiò il mento sulle mani intrecciate, in attesa della risposta di Albus.
Questi scrollò le spalle con una smorfia di indifferenza, «Come ti pare» e fece per alzarsi, ma Lysander lo tirò giù sulla panca. «Ma dove vai?» «Ad avvertire Lorcan» rispose in fretta Albus indicando il punto in cui era seduto il loro amico, chiedendosi dov’è che avesse sbagliato nell’interpretare la frase. «Non hai detto che dovevo avvertire gli altri? Visto che tutti quelli di Grifondoro li hai avvertiti tu, non credo che ci sia qualche Tassorosso che faccia parte del comitato organizzativo, che io sappia… quindi mancano i Corvonero» spiegò, convinto di aver colto le istruzioni dell’amico.
A quel punto, Scorpius guardò Lysander e poi lanciò un’occhiata lungo il tavolo di Corvonero, afferrando immediatamente il concetto. Trattenne l’impulso di scoppiare a ridere in faccia ad Albus per ciò che avrebbe dovuto affrontare, ma si contenne per non rovinare il progetto di Lysander.
«Oh, no» Lysander scrollò una mano «A mio fratello ci penso io»
«Allora non vedo perché ti serva il mio aiuto, amico» sentenziò infine Albus, incrociando le braccia sul tavolo, e sporgendosi sopra di esso. Lysander imitò il ragazzo, sporgendosi a sua volta sul tavolo, portandosi ad un palmo di naso da Albus. «Non c’è solo mio fratello in Corvonero» e pare che quell’unica frase bastò a far comprendere la dinamica della faccenda ad Albus, che indietreggiò inorridito e cereo in volto.
«NO» fu l’unica sillaba che Albus riuscì a pronunciare, perché se se ne fosse concesso un’altra avrebbe probabilmente vomitato. Lo stomaco gli si era rivoltato, e le viscere si erano annodate tra di loro come un gomitolo di lana che viene fatto cadere e subito dopo viene arrotolato alla meno peggio per cercare di nascondere il misfatto.
Lysander non vedeva il problema, «Scusa, ma se non ti piace più lei, che problema c’è? Devi solo avvertirla dell’orario e del luogo della riunione, tutto qui» disse, scrollando le spalle.
«Allora perché non l’avverti tu, visto che devi comunque parlare con tuo fratello?»
Il ragazzo alzò le braccia al cielo, come se la risposta fosse ovvia «Lorcan non sa ancora della festa, del comitato organizzativo, e della riunione, perciò devo parlargliene in privato, e con calma. La Nott, invece, è stata già ben informata da Rose, quindi non sarà una faccenda lunga» rispose «E poi, sono ancora in pessimi rapporti, quei due. Non mi sembra il caso. Perciò rilassati, bello. Sarà più veloce di una punturina, vedrai» e gli sferrò un pugno amichevole sulla spalla.
Albus, seppur ancora non del tutto convinto, si decise ad accettare, con grande giubilo di Lysander, che continuò a battergli dei pugnetti sulle braccia.
«E va bene, e va bene, VA BENE! BASTA!» esclamò Albus, scacciandolo via.
Scorpius, invece, si alzò all’improvviso e scavalcò la panca, «Dove stai andando?» lo richiamò Albus, per un attimo sconcertato da questo suo improvviso desiderio di fuga mistica. Scorpius, soprattutto se di cattivo umore, era solito alzarsi o congedarsi di colpo da un luogo o da una qualsiasi situazione all’improvviso, e certe volte senza guardare in faccia a niente e a nessuno.
Ci voleva davvero un enorme vagonata di pazienza con lui, e fortuna per Scorpius che Albus ne aveva per entrambi.
Scorpius non si voltò, e continuò a camminare, dando le spalle agli amici, rigido come durante una tempesta di neve, e bofonchiò «Faccio un giro, ci vediamo dopo»
Albus e Lysander si guardarono per un attimo, ma entrambi erano consapevoli che quel “ci vediamo dopo” probabilmente avrebbe costituito un bel po’ di tempo.
Poi Lysander si voltò verso il tavolo dei Corvonero, a cui dava le spalle, e proprio in quel momento notò che Alexandra Nott era in piedi e stava congedandosi dalle sue compagne, iniziando ad allontanarsi subito dopo.
Guardò di nuovo Albus, e gli tirò un pizzico sulla mano, facendolo saltare urlando per la sorpresa e per il dolore. «AHIO! Dì, ma sei scemo?»
«Muoviti! Sta uscendo dalla Sala!»
«Cos-»
«E sparisci, Albus!» fece, sporgendosi sul tavolo e spingendo con la mano l’amico, così che si muovesse. Meno male che c’era lui a spronarlo.
Albus si fiondò fuori dalla Sala Grande, fermandosi nel Salone d’Ingresso per ridarsi un contegno, e non sembrare un povero maniaco che rincorre una povera fanciulla, braccandola in una sala vuota per aggredirla. Se si fosse presentato con il fiatone, avrebbe fatto quest’impressione.
Già la ragazza lo credeva un povero scemo, e dopo il loro incontro in Guferia ne aveva avuto la conferma. Bastava un altro passo falso come quello ad etichettarlo come ‘maniaco seriale’ e sbatterlo ad Azkaban. Okay, forse stava un tantino esagerando.
La ragazza stava salendo le scale. Con molta calma, lui fece lo stesso, così che il loro incontro sembrasse del tutto ordinario e casuale, come due studenti qualunque che si trovano in un corridoio dopo le lezioni, in mezzo a tutti gli altri studenti, e si salutano, intrattenendosi a chiacchierare amichevolmente.
Peccato che erano nel Salone d’Ingresso, completamente deserto, nel bel mezzo della cena, loro due soli che non avevano mai intrattenuto alcun tipo di conversazione né amichevole, né di cortesia, mai.
Usa l’immaginazione, Albus.
«Ehi… Nott» usare il suo nome gli parve troppo confidenziale. Fortuna che c’erano i cognomi, che forse erano stati inventati esattamente per questo scomodo tipo di conversazione senza categoria.
La ragazza si fermò all’istante, sobbalzando leggermente. Era convinta che fossero tutti a cena.
Si voltò verso la persona che l’aveva chiamata, e rimase un po’ sorpresa che si trattasse di Albus Potter, visto che loro due non si erano mai frequentati, né tantomeno passavano del tempo insieme, se non durante i compleanni o altre occasioni di quel tipo. Forse era venuto a cercarla per quella specie di festa che stavano organizzando in occasione di Halloween. Sì, era senza dubbio per quella specifica ragione. Ma perché era venuto proprio lui? Poteva benissimo informarla Rose di qualunque cosa che fosse.
«Potter» rispose lei, inchiodando gli occhi su di lui. Le avevano sempre insegnato che in una conversazione non bisognava mai staccare gli occhi dal viso del proprio interlocutore. Era un segno di debolezza e disagio. Mai mostrare quando ci si sente a disagio. Ovvio che si trattasse di un momento del genere.
«Hai bisogno di qualcosa?» lo incalzò, incrociando le braccia al petto e arricciando impulsivamente il naso. Le capitava spesso quando parlava con qualcuno. Era una specie di tic.
«No, non esattamente, ehm…» borbottò Albus, un po’ a disagio anche lui, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni, giusto per aggrapparsi a qualcosa che gli mantenesse i nervi saldi. Impulsivamente gli veniva di abbassare lo sguardo. Quello della ragazza era così immobile che metteva i brividi.
Prese fiato per un secondo, «Sono venuto per avvisarti che ci troviamo tutti nella Sala Comune di Grifondoro, alle dodici e trenta di stasera, per iniziare a parlare della festa» spiegò, con un tono da araldo di corte, che gli sembrò così distruttivamente formale.
«Capisco» fu tutto ciò che la ragazza commentò, così Albus pensò che la discussione fosse già finita e, riluttante, decise di congedarsi. Scrollò un attimo le spalle, poi arricciò le labbra «Be’, allora…» «Credevo che ci saremmo incontrati domattina» lo interruppe Alexandra, riprendendo la questione. Forse non voleva concludere così in fretta la loro piccola chiacchierata.
Albus, ora più rilassato, si appoggiò alla ringhiera della scalinata, «In effetti, l’idea era quella» annuì, senza aggiungere altro, così che ci fosse un ulteriore possibilità di prolungare la loro chiacchierata. «Quindi?» chiese infatti lei, rimanendo immobile al suo posto, ma con gli occhi incollati su Albus, che sembrava aver già preso confidenza con la situazione. Beato lui, pensò.
«Nulla» scrollò le spalle, «Abbiamo solo deciso di anticipare a stasera, quando non avremo nessun seccatore fra i piedi, no?»
Alexandra annuì, pienamente d’accordo «Ma certo, capisco» fece una breve pausa, e Albus pensò che la discussione fosse veramente terminata, ma di nuovo la ragazza riprese la parola «In fondo, un conto è fare questa riunione alla luce del giorno, magari in un luogo affollato come la Biblioteca, con chiunque a portata d’orecchi, tra studenti, insegnanti e fantasmi. Un conto, invece, è farlo in una Sala Comune, o in un Dormitorio isolati e ad un’ora improbabile della notte» ponderò, e in uno slancio di coraggio, si portò anche lei vicino alla ringhiera, accostandosi di fianco per vedere Albus, anche se di profilo. Mai staccare il contatto visivo.
«L’unico problema che sorge è quanto tempo ci metteremo» disse Albus, anche lui mettendosi su un fianco, così da guardare in faccia la sua interlocutrice. Fortuna che lei si era messa a debita distanza da lui. Rimasero qualche imbarazzante secondo di troppo in silenzio.
«Già» convenne poi Alexandra, sempre restia dall’abbandonare il contatto visivo, che però Albus aveva interrotto più di una volta per rivolgere la sua attenzione agli scalini di marmo. «Speriamo di non perdere troppo tempo in chiacchiere, e risolvere davvero qualcosa» aggiunse Albus, «Insomma, non vorrei arrivare domani dalla McGranitt con due occhi gonfi e rossi come due pluffe» bofonchiò poi, e per la prima volta, nemmeno lui seppe come, Alexandra rise. E con lui. Non avrebbe mai immaginato di riuscire a raggiungere qualcosa di così lontano e, invece, eccola lì, che rideva, e gli stava di fronte. Rideva per un qualcosa che aveva detto lui. Non era una risata forzata, né troppo prolungata, né inequivocabilmente di pura educazione. Ma una risata. Leggera e breve, anche se non troppo. Una giusta via di mezzo.
«Idem per me. Non credo di voler passare due ore di Incantesimi stesa sul banco, con Vitious sopra la sua pila di libri che spiega gli Incantesimi Non Verbali» commentò a sua volta Alexandra, poggiando una mano sulla ringhiera, «Insomma, per quello c’è Storia della Magia»
Albus parve sconvolto. «È inutile che fai quella faccia» lo rimbeccò lei, notando la sua espressione, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio. Il ragazzo rise. Non l’avrebbe mai detto. «No, scusa, è che non credevo che anche tu fossi una ragazza normale» fece, sottolineando ironicamente l’ultima parola.
«Che vuoi dire?»
«Oh, non prenderla come un’offesa, è che… intendevo che non credevo anche tu potessi odiare, o trovare noiosa una materia qui» spiegò immediatamente Albus, alzando il mento al soffitto, come a voler indicare il castello.
«Io credo che Rüf costituisca l’eccezione che conferma la regola» sentenziò Alexandra, ridendo seguita da Albus.
«Be’, è carino sapere che ci sono altre persone come noi, in questa scuola… Magari dovremmo organizzare una petizione per mandare in pensione quel vecchio cumulo di ectoplasma una volta per tutte» fece Albus, continuando a ridere assieme alla ragazza. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così facile farla ridere e riuscire a intavolare una discussione civile e non da completo imbranato. «Non credo che il Ministero abbia un reparto per fantasmi pensionati, e non credo ci sia nessun tipo di contributo per loro… anche se Rüf riceverebbe una somma davvero ingente, per tutti gli anni di “lavoro” accumulati. Credo di invidiarlo» commentò invece Alexandra, e si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Albus ebbe l’impulso di stringere il pugno per un istante, poi si rilassò.
«Oh, sul serio tu invidi un tizio che è morto addormentandosi davanti ad un caminetto? Ma fai sul serio?» scherzò, cominciando poi a ridere come un pazzo all’immagine del povero vecchietto che si addormenta da vivo e si risveglia da morto. La sua era una storia davvero divertente, anche se tremendamente triste, dall’altra parte.
Alexandra rise di nuovo, «Poverino»
Poi si voltarono entrambi verso il portone della Sala Grande, da cui iniziava a riversarsi la folla degli studenti «Allora» fece Albus, rivolgendosi di nuovo a lei, «Ci vediamo dopo, sì» lo precedette Alexandra, sorridendogli appena e voltandosi per riprendere la sua precedente meta. Il ragazzo le fece un cenno con la mano, «A più tardi» e sorrise anche lui. Poi un gruppo di studenti lo sorpassò e lui tornò alla realtà.




Rose era rimasta a guardare la porta della Sala Grande, dopo che Albus l’aveva varcata per raggiungere Alexandra, anche lei appena uscita. Le costava ammetterlo, ma Lysander aveva maniere più efficaci, per convincere Albus, delle sue. Anche se non voleva sapere quali fossero. Tutto ciò che succede tra i Serpeverde, resta tra i Serpeverde.
Dovevano essere passati ormai almeno venti minuti, e si chiese se durante questo tempo incredibilmente lungo per gli standard di Albus, fosse successo qualcosa di spiacevole. Sperò che Albus non combinasse nulla per far infastidire o arrabbiare l’amica, perché poi sarebbe stato praticamente impossibile convincerla a continuare con quel progetto della festa, in presenza del ragazzo.
Non riusciva a formulare nemmeno uno scenario positivo e piacevole della loro chiacchierata. Sapeva che Albus andava completamente in panne, quando si trovava a parlare con qualcuno con cui non aveva esattamente rapporti di familiarità. Nessuno avrebbe mai detto che Albus fosse un ragazzo timido, per la maniera in cui, in un certo senso, si atteggiava nei corridoi assieme a Lysander, Scorpius, e il resto della banda. Chiunque non lo conoscesse l’avrebbe inquadrato a prescindere nella categoria degli estroversi. Ma chi invece lo conosceva da tutto quel tempo, come Rose, sapeva bene che in alcuni casi era capace di rivoltarsi in sé stesso come una chiocciola. Bastava pensare a tutti i complessi che ritornavano puntualmente a stuzzicare la sua mente alla vigilia dell’inizio di ogni benedetto anno scolastico. Forse Albus era il ragazzo più insicuro che lei avesse mai conosciuto.
Qualcuno le toccò una spalla. Lei si voltò immediatamente, ritrovandosi di fronte Roxanne. «Allora, vuoi alzarti oppure no? Se ne vanno tutti» fece, andando poi a raggiungere Molly. Anche Rose si alzò.
«Rose» Lily la stava osservando da un po’ di tempo, e continuava a mantenere il viso serio, come se qualcuno le avesse appena comunicato che era stata cacciata dalla sua squadra. Un’espressione dura e indecifrabile, resa ancora più paradossale per via del naso arrossato e gli occhi leggermente lucidi di chi sta per prendersi una bella influenza.
«Dimmi» Rose si incamminò, con Lily al fianco, e insieme uscirono dalla Sala. Di certo Lily sapeva di poter dire qualunque cosa a Rose. Tra di loro c’era una sincerità alle volte quasi scomoda, ma pur sempre necessaria. Lily sapeva che, qualunque fosse la situazione, avrebbe potuto chiedere senza problema alla ragazza ciò che voleva sapere, certa che la risposta sarebbe stata sincera.
«Tu… prima…» Rose si voltò a guardarla dritta negli occhi, con la testa inclinata leggermente di lato ed un sopracciglio alzato «Prima hai detto qualcosa a Lysander. Cos’era?» domandò la ragazza, cercando di assumere un tono indifferente, come di chi butta lì una domanda, giusto per accendere una conversazione. Rose la guardò di nuovo, poi puntò lo sguardo davanti a sé. «Nulla di importante»
Di certo non poteva mettere al corrente di quella situazione tra Albus e Alexandra anche Lily, perché di certo avrebbe infastidito il ragazzo, che non aveva dato a nessuno il permesso di divulgare in giro la cosa, anche se in realtà lui non aveva detto assolutamente nulla a nessuno in merito a tutta la faccenda, ostinato com’era a negare qualunque cosa riguardante l’argomento.
Non ne aveva parlato con Lily, e anche se era sua sorella, e quindi aveva un qualche diritto di sapere, sarebbe stato solo Albus a decidere quando, se, e come dirglielo.
Ergo, questo non era il suo compito. Non toccava a lei informare Lily. Per ora, avrebbe dovuto tenerlo per sé. Avrebbe dovuto escluderla dalla faccenda. Era una cosa tra lei e Lysander. Anche se questo non l’avrebbe mai detto a Lily.
Lily annuì, abbassando lo sguardo sui gradini che stavano salendo, e rimasero in silenzio lungo tutto il resto del tragitto.
Arrivate in Sala Comune si congedarono gli uni dagli altri: Lily, Hugo e Roxanne si sedettero ad uno dei tavolini della sala per una partita di Spara Schiocco, mentre Molly e Sean si accomodarono sul divano a parlare amorevolmente come una di quelle coppie novelle, con esclusione di effusioni in pubblico (che Molly odiava), Rose, invece, salì con aria grave in Dormitorio a prepararsi psicologicamente per ciò che l’attendeva nel giro di un’ora.
Si stese sul letto con un braccio sugli occhi, e una mano sul torace. Natalie la guardava dal suo letto, alzando gli occhi dalla rivista che aveva in grembo, poi sorrise scuotendo la testa. Cambiò pagina, «Dovresti cercare di prenderla più alla leggera» mormorò, mantenendo gli occhi sulla rivista. «Insomma, va bene che un anno passa in fretta, ma se ogni volta che hai una ronda notturna fai tutta questa scena, be’, tesoro mio, quest’anno non passerà mai», Rose si alzò di scatto, mettendosi a sedere sul letto con le gambe incrociate «Ti farei passare tre ore intere con McLaggen, così capiresti il mio dilemma» si lamentò. Poi si gettò di nuovo sul letto.
«È noioso, presuntuoso, viscido, idiota, un pallone gonfiato e…»
«Aspetta, non stavamo parlando di McLaggen? A me sembra che questa sia la stessa descrizione che fai di Scorpius Malfoy» la interruppe Natalie, staccando gli occhi dalla rivista. Si passò una mano fra i capelli e posò la rivista sul comodino.
Rose agitò una mano a mezz’aria, «Fa’ lo stesso: sono fatti della stessa pasta, quei due vermi». Natalie rise, scuotendo la testa, poi si alzò.
«Eh, no! Non puoi riciclare le tue descrizioni» riprese poi, mentre cercava un cardigan nel baule «Nessuno di noi è fatto allo stesso modo»
«Ecco che ci risiamo con i tuoi momenti da filosofo mancato» bofonchiò Rose. Un maglione color malva le si andò a schiantare sulla faccia. «Grazie»
Natalie si avvolse nel cardigan più brutto che Rose le avesse mai visto indosso: era di un color fango così osceno che persino dei vermi avrebbero disdegnato un colore così assurdo per il loro habitat. L’espressione di Rose fu talmente esplicativa del suo disgusto, che Natalie la guardò supplichevole e si strinse nelle spalle, con aria afflitta. «Senti, è un regalo di mia nonna» fece, poi si sfilò i collant e li sostituì con delle lunghe calze di lana rosse.
«Stai cercando di vincere un premio per il guardaroba più osceno dell’anno? No, perché stai vincendo» disse Rose, osservando le calze rosse, che di per sé non erano brutte, ma insieme a quel cardigan costituivano un vero e proprio affronto alla decenza umana. Natalie scrollò la testa, «Non c’è nessuno in questa stanza oltre me e te, e io non mi faccio problemi nel sembrare un rigattiere nella mia camera. Sto solo cercando di scaldarmi» rispose. Si mise davanti alla stufetta che si trovava al centro della stanza, in cui un fuocherello gettava sprizzi bollenti e rossi, e disegnava ombre sul viso e sulla veste di Natalie.
«Diciamo che oggi non c’era il tempo ideale per un allenamento di Quidditch» spiegò la ragazza, girandosi di lato verso Rose «Sono sicura di essermi fatta un abbonamento per un’ipotermia annuale, con l’allenamento di oggi» e si portò le mani giunte a coppa alla bocca per soffiarci dentro. «O, più semplicemente, ti stai prendendo un’influenza» ribatté Rose, alzandosi dal letto e avvicinandosi all’amica. «Certo. Se mi ammalassi, Lily mi sventrerebbe. Non posso perdere gli allenamenti di Quidditch, Rose» protestò Natalie, guardando l’amica, che le stava posando una mano sulla fronte. La ritrasse dopo qualche secondo, «Sono convinta che Lily ti sventrerebbe se tu le svenissi dalla scopa al prossimo allenamento, al posto di sventrarti ora perché sei andata da Madama Chips, cosa che farai adesso!» le ordinò Rose, afferrandola per le braccia e costringendola ad alzarsi.
«Non vorrai infettare l’intero Dormitorio, mi auguro. No, perché io ho da fare» poi ci rifletté su, e aggiunse «Anche se mi piacerebbe rimanere al letto stasera, al posto di sorbirmi quel supplizio». Natalie le lanciò un’occhiataccia, e Rose si strinse nelle spalle «Che c’è? Nessuno verrebbe a controllare se sto davvero male! Potrebbe funzionare» fece, «Certo, e per il resto dell’anno continuerai a saltare le tue ronde notturne, sorvolando sui tuoi doveri da Caposcuola, e questo influenzerebbe molto negativamente sulla tua condotta, ne sei consapevole?» ribatté Natalie, incrociando le braccia.
Rose la guardò interdetta per un attimo, poi le puntò l’indice contro «Hai ragione» e abbassò lo sguardo. Senza poterne fare a meno si costrinse a guardare la sveglia sul comodino di Natalie: erano le nove meno un quarto. Entro quindici minuti avrebbe avuto inizio una delle più atroci torture della sua vita.
Si avviò verso il bagno, si lavò i denti e spazzolò i capelli. Si riallacciò il cinturino dell’orologio da polso; almeno avrebbe potuto tenere sotto controllo il tempo che le restava da passare con McLaggen. «Ti consiglio di andare immediatamente a letto, e anche di prenderti due coperte in più dall’armadio. Oh, e togliti quel cardigan» fece Rose, con solo la testa ancora dentro la stanza e il resto del corpo fuori. Riuscì appena in tempo a ritirare la testa, e a chiudere la porta prima che il cuscino che Natalie le aveva lanciato contro la raggiungesse.
Di sotto era ancora leggermente affollato, ma erano per lo più studenti dal terzo anno in poi. Quasi tutti i mocciosi erano andati nei loro Dormitori, probabilmente a dormire, oppure ad organizzare piccoli pigiama party che si sarebbero conclusi nel giro di un’ora, massimo due.
Eh sì, Rose parlava per esperienza personale: quando si presentava il venerdì sera, lei e le sue compagne saccheggiavano le cucine e rimanevano braccate nella loro stanza a divorare dolciumi e a raccontarsi storie dell’orrore – che di orrore avevano davvero ben poco –, in vista del weekend che le attendeva. Per quasi tutto il primo anno, queste riunioni si concludevano verso le dieci e mezza circa, dopodiché una ad una crollavano sul pavimento imbottito di coperte della camera. Dal secondo anno fino al quinto, le loro festicciole avevano gradualmente acquisito delle ore di durata in più: una volta, al quarto anno, Natalie, Rose e Katherine erano arrivate alle quattro del mattino, ma solo perché Katherine stava raccontando loro del “meraviglioso e affascinante” ragazzo babbano che aveva conosciuto durante le sue vacanze natalizie di quell’anno.
Tutto questo, ovviamente, escludendo le feste di compleanno delle ragazze. Era severamente proibito non organizzare un pigiama party in perfetto stile Grifondoro in un’occasione del genere.
Dal sesto anno, però, pur mantenendo la tradizione dei compleanni, queste feste notturne erano diventate sempre più rare. In un certo senso, le ragazze avevano perso interesse per cose di quel tipo: poteva essere elettrizzante a dodici anni, ma non più a sedici.
Anche se Rose era riluttante nell’ammetterlo, c’era anche un altro fattore da considerare: la loro amicizia si era molto trasformata, durante la loro convivenza ad Hogwarts. Rose, soprattutto, aveva iniziato a selezionare di più se, quando e di che cosa parlare e non parlare con chi che fosse. Persino Natalie, per un bel periodo, poté pensare di non conoscere affatto Rose Weasley, che aveva sempre ritenuto la propria migliore amica. Poi la ragazza aveva iniziato ad approfondire la sua conoscenza e il suo rapporto con Alexandra Nott in maniera più adulta, se così si può dire.
Al loro quinto anno, Alexandra, in uno slancio di coraggio nell’abbattere quelle barriere che separavano la sua vita personale e quella scolastica, aveva invitato Rose per le vacanze di Natale da lei. Inutile dire che dopo quell’esperienza vissuta assieme, grazie anche ad una notte in cui si verificò una tremenda tempesta di neve, e ad un pianto rivelatorio, le ragazze compresero che forse c’era qualcuno di simile a loro con cui rapportarsi.
Dopo di ciò erano cambiate molte cose. Ovviamente lei e Natalie continuavano a frequentarsi e a parlarsi con la stessa assiduità di prima (dopotutto, erano anche compagne di Casa e di Dormitorio), ma con le altre divenne tutto un po’ più pacato rispetto a come era cominciata.
Anche se a volte le dispiaceva ammetterlo doveva dire che erano di più le cose di cui non erano a conoscenza sul conto di Rose Weasley che le cose di cui erano a conoscenza. Un po’ triste, ma effettivo.
Suo fratello e le sue cugine erano ancora al tavolo da gioco, in fondo alla Sala, ma le carte erano state accantonate ad un angolo, sostituite da tre tazze fumanti di denso liquido scuro.
«Cioccolata, Rose?» le chiese Roxanne, accennando ad un piccolo bollitore di rame che doveva contenere quel nettare proibito. Anche Hugo e Lily si accorsero della sua presenza.
Rose prese posto al capo del tavolo, di fronte a Roxanne. Scosse la testa e agitò una mano a mezz’aria, «No, grazie. Magari dopo» rispose.
Lily starnutì due volte, e si passò un dito sotto il naso «Così lo irriterai, Lily» la rimbeccò Hugo, facendo Evanescere un fazzoletto nella sua mano e porgendolo alla ragazza. La rossa lo ringraziò con un cenno della testa, e starnutì di nuovo.
«Aspetti McLaggen?» Hugo si rivolse alla sorella, prendendo un sorso della cioccolata dalla sua tazza. Rose sbuffò e annuì, «Purtroppo il mio è un destino infausto, miei cari giovani» rispose. Si portò il polso all’altezza degli occhi, e sbuffò di nuovo: erano le nove e cinque. Se McLaggen fosse stato in ritardo, sarebbe stato di più il tempo da passare con lui.
Questo lei non poteva accettarlo assolutamente.
Rose guardò Lily, che aveva il naso ancora più arrossato di quanto ricordasse; ed era passata solo un’ora da quando si erano lasciate.
Le posò una mano sul braccio, «Lily, forse è meglio se vai a letto». In uno scatto che poteva sembrare un riflesso involontario, ma che a Rose non passò inosservato, Lily ritrasse il braccio. «Sto bene» rispose, poi starnutì di nuovo «Poi abbiamo la riunione del comitato, non posso mancare». Rose guardò un istante Hugo, poi si rivolse di nuovo a Lily «Ne faremo un’altra sicuramente anche sabato mattina, Lily. Almeno starai meglio. Così ti affaticherai soltanto e peggiorerai la situazione, credimi» le spiegò, con la voce lenta e calma di una mamma che cerca di dire al proprio figlio che non potrà partecipare ad una festa di compleanno perché è malato.
Lily non le diede retta, e si alzò dalla sedia, posando con un tonfo la tazza piena di cioccolata calda, che rovesciò qualche goccia fuori dal bordo. Si affrettò a raggiungere le scale per il suo Dormitorio. Prima di scomparire di sopra, si rivolse di nuovo ad Hugo e Roxanne «Svegliatemi per mezzanotte, vado a riposare un po’» poi si sentirono solo i passi della ragazza e una porta che sbatte.
«Ma che ha?» fece Roxanne, sbigottita per quel comportamento da bambina capricciosa. Lily odiava le bambine capricciose, quindi comportarsi come una di loro per lei era impensabile. «Forse è solo il delirio pre-influenza» constatò Hugo, fissando ancora per qualche secondo le scale. Appurato che Lily non sarebbe scesa molto presto, si concentrò di nuovo sulla sua cioccolata.
«A proposito, anche Natalie credo si stia ammalando» rifletté Rose, picchiando le dita sul tavolo, «Questa è la punizione di Lily» ribatté Hugo.
Rose lo guardò interrogativa, poi rivolse lo stesso sguardo a Roxanne. «Quella testa calda ha voluto continuare gli allenamenti di Quidditch di oggi pomeriggio nonostante il tempo: punizione divina» spiegò lei con una scrollata di spalle, e afferrò con tutte e due le mani la sua tazza, prendendone un sorso piuttosto lungo. Hugo annuì gravemente.
«Tu stai bene, vero?» chiese poi Rose al fratello, «Mi sento offeso nel solo ricevere questa domanda» rispose questi, lanciando un’occhiataccia alla sorella, che rise.
In effetti, Hugo aveva degli anticorpi fuori dal comune. Non si ammalava praticamente mai, un po’ per sua fortuna, un po’ per sua sfortuna. Le uniche volte in cui era stato portato o ricoverato in Infermeria, la causa era sempre e solo il Quidditch.
Oh, tranne quando al secondo anno ebbe un attacco di appendicite, e fu spedito in un comunissimo ospedale babbano di Londra (ovviamente la McGranitt dovette fare uno strappo alla regola sulla Smaterializzazione entro i confini di Hogwarts) per rimuoverla.
Oltre questo, mai un raffreddore, un attacco allergico, un’influenza, un’eruzione cutanea, acne, mal di testa, vescica gonfia… nulla. Forse solo la varicella a due anni.
Lui diceva che era tutto merito del Quidditch, e lo disse anche quando si ruppe un braccio cadendo dalla scopa durante uno dei suoi primi allenamenti; «Ti fortifica» aveva detto.
Improvvisamente le facce di Hugo e Roxanne divennero mostruosamente serie e scioccate, e rivolsero la loro attenzione alle spalle di Rose, che però non fece in tempo a voltarsi perché qualcuno le mise due grosse mani sugli occhi.
«McLaggen!» si divincolò da quelle due padelle da bistecca, e si alzò dalla sedia, inorridita. McLaggen parve deluso, e si imbronciò «Così non vale, Rosie. Dovevi aspettare che io dicessi: ‘Indovina chi sono’, e poi avresti dovuto indovinare» fece, scrollando le braccia lungo il busto.
Rose scosse la testa, e si rivolse a Hugo e Roxanne con uno sguardo che diceva “Ma avete capito con chi ho a che fare?”. I due preferirono concentrarsi sulla cioccolata calda.
«Allora, andiamo?» si riprese poi, con un sorriso smagliante stampato in volto. Rose annuì, sospirando «Certo».
«Con voi ci vediamo dopo» salutò il fratello e la cugina, e si incamminò verso l’uscita della Sala Comune, a debita distanza da quel viscido di Marcus McLaggen.
Uscirono in corridoio, e McLaggen fermò Rose per un braccio, che si voltò con gli occhi al cielo, «Ti ho portato una cosa, Rose» fece il ragazzo, cacciando la bacchetta dalla tasca e puntandola contro la sua mano chiusa a pugno.
Con un leggero e rapido movimento della bacchetta, nella mano di McLaggen comparve uno stelo di un bel verde scuro con in cima uno stretto cesto di petali rossi come il sangue: una rosa.
Che originale, fu il primo pensiero che le venne in testa.
Con un sorriso ancora più grande del precedente, le porse il fiore. Si può dire che Rose tentò di sorridere, ma il pensiero di ciò che avrebbe detto McLaggen l’esatto minuto dopo sulla scelta di quel fiore in particolare, mutò drasticamente il suo tentativo di sorridere in una smorfia indefinita.
Prese la rosa, e si voltò, impugnando la bacchetta.
«Un regalo più che azzeccato, no?» investigò McLaggen, seguendo Rose al piano di sotto con le mani dietro la schiena. «Insomma, una rosa per Rose!» fece poi, quasi aspettandosi un applauso.
Chissà quante altre volte la ragazza si era sorbita questa frase idiota e priva di senso. Analogamente, era come se qualcuno regalasse uno scorpione a Scorpius Malfoy e gli dicesse: «Uno scorpione per Scorpius» il che sarebbe stato sgradevole e offensivo, d’altra parte. Aspetta, ma perché prendere proprio Malfoy come esempio?
«Credo invece che non avresti potuto scegliere regalo più sbagliato, McLaggen» ribatté Rose, pungente.
Girarono l’angolo, e Rose fece cenno a McLaggen di fare silenzio. Sfoderò la bacchetta e puntò la luce contro la colonna che stava loro di fronte. Aveva sentito un rumore attutito di passi. Sperò che non si trattasse di Albus o di Lysander, in giro a combinare qualche danno a Gazza. Sperò che non si trattasse nemmeno di Gazza.
Anche McLaggen sfoderò la bacchetta.
«Okay, al tre lo Immobilizziamo» sussurrò Rose, poi alzò tre dita con la mano sinistra e ordinò «Nox» alla bacchetta. Ne abbassò uno, e mimò il conto con le labbra. McLaggen annuì e puntò la bacchetta, spenta.
Rose abbassò il secondo dito, e mimò di nuovo. Strinse l’elsa della bacchetta, e la puntò lentamente contro il presunto fuggiasco, sperando di nuovo che non si trattasse di Albus, o di nessun altro che non avesse legami di sangue con lei.
Abbassò il terzo dito. «Ora» mormorò McLaggen. Entrambi pronunciarono «IMMOBILUS!» e due sprazzi di luce volarono attraverso il corridoio, e rimbalzarono sulla colonna alla fine di questo, rispedendo l’incantesimo al mittente con varie scintille.
«Giù!» esclamò McLaggen, tirando Rose sotto di sé e coprendola con un braccio. La ragazza si rialzò quasi immediatamente, «Ma sei impazzito?» esplose, alzando le braccia in aria.
«Vuoi svegliare il castello?»
«Ti stavo salvando» si difese questi, sorridendo di nuovo. Rose batté un piede a terra, poi riaccese la luce sulla bacchetta e si avviò verso la fine del corridoio. Osservò alla sua destra e alla sua sinistra, ma non c’era nessuno. Il corridoio era deserto.
«Non c’è nessuno» borbottò, «Me lo sarò immaginato» e scrollò le spalle. Virò a sinistra, e continuò a camminare, senza aspettare McLaggen, che la supplicò di fermarsi e iniziò a implorare perdono per “averla spaventata”. Anche se ciò che aveva infastidito Rose non riguardava l’attentato alla sua vita, ma il fatto che McLaggen l’aveva praticamente atterrata con una gomitata.
Continuarono a camminare per un bel po’, probabilmente per un’ora (magari anche di più, sperava Rose). McLaggen continuava a tentare di spiegare perché era così convinto che la rosa fosse il fiore perfetto in sé, e perché fosse più che adatto ad essere donato a lei.
Si esibì in un lungo e filosofico monologo di quindici minuti almeno su quanto il nome di Rose le calzasse a pennello, e non solo per via dei suoi capelli rossi e il suo temperamento spinoso, ma anche per la passionalità nascosta che McLaggen era convinto avesse.
Sosteneva che servisse solo la persona giusta per farla uscire allo scoperto, e maturarla ogni giorno di più. Era sicuro che Rose sarebbe diventata la donna più bella e più focosa dell’intero pianeta, anche se le serviva un piccolo aiuto.
«Io credo che tu debba solo aspettare di trovare la persona adatta» questa frase la inseriva alla fine di ogni sua spiegazione sul perché, sul come, sul quando, sul dove, sul chi che riguardava tutta la faccenda.
Dire che Rose era stanca di lui era dire poco. L’idea di poterlo Schiantare e andarsene fu così tentatrice che, per ben più di un paio di volte, la ragazza si era voltata con la bacchetta alla mano. Ovviamente poi aveva pensato a tutto il resto, e l’idea le era passata. Bastava continuare a ignorarlo.
In fondo, aveva resistito per due ore intere, poteva ancora farcela senza stenderlo con una fattura o simili. Stavano controllando la zona della Sala Grande da almeno venti minuti, poi arrivarono ai corridoi che davano sul cortile.
Rose controllò l’orologio: le undici e trentacinque. Era quasi finita, poteva farcela.
Si accorse che il tempo le era a favore, perché le balenò in testa un’idea geniale per levarselo di torno forse per il resto della serata. Oh, sì, stava per liberarsene del tutto. E con mezz’ora di anticipo.
Rose e McLaggen arrivarono al bivio in cui il corridoio si separa in due sbocchi e porta ai due cortili esterni, quello del lato est e quello del lato ovest, e alla ragazza parve di non aver mai sentito un odore più piacevole di quello dell’erba appena tagliata proveniente dal cortile ovest, che stava per diventare la culla della sua pace.
Guardò McLaggen, «Ascoltami, Marcus, ho un’idea!» esclamò con fin troppo entusiasmo. Comunque McLaggen rimase con il sorriso stampato in faccia, e un’espressione incantata.
«Visto che il nostro turno è quasi finito» e qui il ragazzo parve aver ricevuto un sonoro ceffone in pieno viso, «Io direi di dividerci e finire con i due cortili esterni, così copriremo più terreno in meno tempo» fece Rose, sprizzando gioia da tutti i pori.
«Io credo sia meglio se li facciamo insieme. Male che vada, passeremo più tempo insieme, io e te» rispose invece lui, strizzandole l’occhio. Rose cercò di mantenere la calma, «Passeremmo un mucchio di guai, se non dovessimo finire a mezzanotte!» ribatté, con un tono ammonitore e severo. «Non credo che tu voglia essere appeso nei sotterranei per i polsi da Gazza» aggiunse poi, riuscendo a provocare l’effetto desiderato: McLaggen sbiancò in volto, poi annuì.
«Per te rischierei qualsiasi cosa, mia dolce Rose. Ma non potrei mai permettere che questi polsi vengano cinti da delle sudice catene» fece, prendendo le mani di Rose, e portandosele al petto. La ragazza si ritrasse di scatto, con una smorfia.
Poi si costrinse di sorridere di nuovo, «Allora siamo d’accordo» disse, poi si ricordò della cosa più importante «Oh, mi raccomando, una volta finito il tuo giro torna immediatamente in Sala Comune. Non vorrei che tu finissi nei guai per causa mia e della mia lentezza! Non aspettarmi, okay?». McLaggen, un po’ riluttante, rispose «D’accordo, Rose. Come desideri tu, ma se ti dovessi trovare in pericolo, grida e io accorrerò subito»
Rose si costrinse a sorridere. Perché ovviamente riusciresti a sentire qualcuno che grida da una distanza di sette piani, circondato da pareti spesse un metro l’una, pensò tra sé e sé.
«Mi sono divertito davvero tanto stasera, Rose» fece McLaggen, prendendole la mano, e stampandoci sopra un bacio. Rose sgranò gli occhi e si allontanò con un cenno della mano. «Ci si vede in giro, McLaggen»
Imboccò il corridoio con la velocità di un corridore che ha appena visto il traguardo, e iniziò a correre davvero non appena vide il cambio di direzione a sinistra del corridoio. Non appena fu certa di essere arrivata all’estremo opposto da dove lei e McLaggen si erano divisi, si fermò, e nonostante l’aria fredda e l’odore della pioggia che era caduta durante l’intera giornata, prese una lunga boccata d’aria, spalancando le braccia, e chiudendo gli occhi. Fu sopraffatta dalla tranquillità di quel posto, a quell’ora. Nessuno studente in giro, né professore, né rospo o gatto di nessun tipo che gironzola fuori dai Dormitori. Nessuna corsa per raggiungere la Sala Grande o una delle aule per le lezioni mattutine e pomeridiane. Nessuna coppietta nascosta dietro una colonna a pomiciare. Nessuna zuffa tra compagni. Nessuno schiamazzo. Nessuna voce. Nessuno. Solo il vento che stuzzicava le foglie della quercia al centro del cortile interno, e il respiro di Rose che andava a tempo con il battito leggermente accelerato del suo cuore. Si sentiva al di là del tempo, come se questo si fosse fermato, cristallizzato in quel momento così prezioso perché era un momento solitario, uno di quei momenti che noi non riusciremmo mai a ricordare se non ce lo godessimo da soli. Soli con noi stessi, e con le gambe che cedono per l’emozione di essere soli.
È così facile sentirsi soli in mezzo ad una folla, ad una festa, durante il pranzo, in famiglia, in classe, passeggiando per la strada, ma quante volte possiamo davvero avere la fortuna di dire che siamo soli?
Non è quel tipo di solitudine che ci fa pizzicare gli occhi e ci attenta la bocca dello stomaco, è quella solitudine che ci fa capire chi siamo, che ci rivela, nel silenzio del momento, un piccolo segreto di noi stessi che nemmeno noi, fino a quel momento, conoscevamo.
Magari è il momento perfetto per una rivelazione interiore. All’improvviso hai un compito da svolgere, qualcuno da incontrare, qualcosa di cui parlare.
Il momento in cui sei solo può durare anche solo un istante, ma in quel preciso momento, quell’intimo momento, avrai la rivelazione che ti spingerà a tornare dove la solitudine non è contemplata, ma sai che potrai ritrovare quel posto, non quando vorrai, ma quando ne avrai bisogno.
Non possiamo cercare noi stessi il posto in cui stare soli. È lui, invece, che viene a cercare noi, quando avverte che è il momento.
E bisogna cogliere quel momento.
Perché c’è sempre qualcosa che può rovinarlo. Come l’odore del fumo di una sigaretta.
Il vento s’impregnò di un acre odore di fumo, un odore sgradevole e pungente.
Rose si guardò intorno, e si chiese se, invece che di una sigaretta, quell’odore non fosse qualcosa di più grande. E se stesse bruciando qualcosa? Forse Hagrid aveva allestito un fuoco per riscaldare gli Ippogrifi, e questo aveva preso volume!
Qualcosa, nell’oscurità, attirò la sua attenzione. Era stato per un secondo, e se Rose non si fosse guardata attorno, probabilmente non l’avrebbe mai notato. Un piccolo cerchietto di brace lampeggiò per un istante nel buio del corridoio, poi fu inghiottito, così com’era venuto. Al suo posto si formò una voluta di vapore. No, non vapore; fumo.
Era senz’altro una sigaretta. Qualcuno stava fumando nei confini di Hogwarts.
Ovvio, molti ragazzi lo facevano, ma quando non c’era il coprifuoco, alla luce del sole. Chi era quel pazzo che poteva avere voglia di uscire con quel freddo, e solo per fumarsi una sigaretta? Sicuramente qualche fuori di testa.
Rose, per un attimo dimentica di essere la Caposcuola e di essere ancora in turno di ronda, si avvicinò senza nemmeno puntare la bacchetta contro il colpevole.
In un’altra situazione, probabilmente, sarebbe rimasta sconcertata nell’appurare di chi si trattasse, ma in quel preciso momento non aveva alcun dubbio di chi si stesse nascondendo a quell’ora in quell’ala isolata del castello, nell’oscurità della penombra.
La ragazza alzò lo sguardo verso il punto in cui il plenilunio gettava ombre bianche sui capelli di quella persona, ma sapeva che il riflesso della luce non aveva alterato nemmeno di una gradazione il colorito “naturale” (per quanto Rose continuasse a considerare quel colore finto) di quella chioma. In un altro momento, Rose si sarebbe annunciata con una delle sue battute, ma rimase in silenzio e immobile, come se l’aura del ragazzo l’avesse istantaneamente congelata sul posto. Nemmeno lui si mosse, sembrava addirittura che non l’avesse notata. Prese un’altra boccata di fumo, accompagnata da un lungo sospiro. Evidentemente quel momento lo stava rilassando. Forse sarebbe stato scortese interromperlo. In fondo anche lei aveva cercato un po’ di pace in quella fredda notte di luna piena.
Il ragazzo aveva le gambe incrociate e la schiena incurvata come a formare un arco: l’effetto che la luce provocava sulla schiena e sul capo la stava incantando in una maniera che lei non avrebbe mai saputo provocare con nessuna magia, nemmeno con condizioni temporali come quelle. Tutti i lineamenti delle spalle e della schiena erano come ricalcati in un disegno ben studiato.
Se non fosse stato chi era, Rose sarebbe rimasta a guadare quella scena anche per sempre.
Rimase dietro la colonna. Ora era certa che lui non l’avesse vista.
Le sarebbe dispiaciuto rompere quell’incantesimo del tempo, in cui la sua figura era cristallizzata in uno scenario di pace e silenzio.
Sapeva che erano pochi quei momenti in cui una persona riesce a stare sola. E sapeva bene che ogni momento, dopo la sua conclusione, poteva non tornare tanto presto e tanto facilmente. Sapeva bene quanto le piacesse stare sola, e sapeva bene quanto poco ci riuscisse. Sapeva bene che lei stessa non avrebbe mai voluto che qualcuno interferisse nel suo attimo di solitudine. La figura appoggiò due dita sul muretto a cui era poggiata, e spense la sigaretta con un lento e calcolato gesto. Della cartina era rimasto poco più che niente, e quell’attimo di pace consumato insieme al tabacco si dissolse nel momento in cui il filtro della sigaretta cozzò contro la superficie di pietra del muretto, sprigionando le ultime ceneri rimaste.
«Evanesco» una timida luce di bacchetta illuminò per un secondo ciò che rimaneva di quell’attimo di solitudine, poi portò via con sé il filtro schiacciato e le ceneri.
La figura si mosse, e ripose la bacchetta all’interno delle tasche. Rose si voltò di schiena, appoggiandosi alla colonna dietro la quale era nascosta, e chiuse gli occhi.
Un ultimo sospiro, di quelli che non si possono trattenere quando si sa che il proprio attimo di solitudine è giunto al termine e che l’attesa del prossimo potrebbe essere straziante, poi, un rumore di passi annunciò a Rose che Scorpius Malfoy se n’era andato.






Era l’una del mattino, ormai, quando la Sala Comune dei Grifondoro si era schierata in due fronti opposti. Più di una volta, nell’arco di quella mezz’ora, si era sfiorata la tragedia, tra gli schiamazzi e i richiami dei partecipanti al comitato organizzativo della festa di Halloween. Fortuna che la riunione avrebbe dovuto essere tranquilla e nel limite della decenza e nel rispetto per i loro compagni assopiti. Da una parte c’erano Lorcan, Roxanne e Albus, che avevano avuto l’idea di dare un tema alla festa, e soprattutto di farne una in costume. Dall’altra c’erano Molly, Hugo, Alexandra Nott e anche Lucy e Louis Weasley, che erano stati informati del loro proposito dopo la cena di quella sera, che sostenevano fosse scontato e ridicolo organizzare una festa in costume, soprattutto visto che loro erano maghi e streghe, e i costumi più diffusi ad Halloween tra i Babbani trattavano interamente del loro mondo, perciò era semplicemente una trovata idiota. «Ci vestiremmo come ci vestiamo tutti i giorni» aveva detto Alexandra, incrociando le braccia sulla faccenda. Lei e Lorcan si erano a malapena salutati, però cercavano di far finta di nulla, e ignorare la spiacevole situazione che si era venuta a creare fra di loro. Albus vigilava su di loro.
Diciamo pure che, in quel caso, il discorso avrebbe potuto concludersi molto facilmente, vista la maggioranza della controparte ma, visto che ancora quattro dei membri ufficiali del comitato non avevano ancora votato, Albus e Roxanne continuavano a non demordere nella maniera più assoluta. Infatti, Lily e Lysander avevano intavolato una loro discussione sul Quidditch, continuando con una serie di frasi del tipo «Il match di novembre sarà dei Grifondoro!» oppure «Noi Serpeverde siamo molto più allenati, prenderemo il Boccino d’Oro dopo i primi dieci minuti!», e così via. Ovviamente erano stati richiamati più volte all’attenzione (soprattutto da Albus), ma quelli li avevano sempre gentilmente invitati ad avviarsi verso quel paese.
Invece, altri due membri mancavano proprio dalla stanza: Hugo aveva incontrato McLaggen in Sala Comune, pochi minuti dopo mezzanotte, di ritorno dalla ronda notturna, e gli aveva riferito che Rose sarebbe tornata da sola, e che non occorreva andarla a cercare. Scorpius aveva comunicato ai ragazzi che sarebbe andato a farsi una sigaretta e poi sarebbe tornato in camera, perché non aveva voglia di rimanere sveglio fino alle tre per sentirli discutere, sapendo che non avrebbero concluso nulla.
«Etciù!»
«È il tuo sesto starnuto nel giro di dieci minuti. Sicura di sentirti bene?» chiese Lysander, porgendo a Lily un fazzoletto. «Non serve che li conti. È imbarazzante» rispose invece la ragazza, prendendo il pezzo di carta e soffiandosi il naso. Si strofinò gli occhi. Aveva davvero una gran voglia di andare a dormire, per dimenticarsi di quel suo continuo starnutire durato quasi tutto il giorno, ma si trovava troppo bene a parlare con Lysander, in quel momento, che avrebbe potuto resistere anche tutta la notte. Sperando di non crollare addormentata prima.
«LILY!» Albus la richiamò di nuovo, e la ragazza si voltò a fulminarlo con lo sguardo. A denti stretti, rispose «COSA CAVOLO C’È?»
«Vorremmo anche la vostra opinione» intervenne Lorcan, in aiuto di Albus, che rimase come immobilizzato dopo la “risposta” della sorella. Quella ragazzina era davvero pericolosa.
Lysander scrollò le spalle, «Ah, non lo so, fratello… quello che volete» fece, agitando una mano a mezz’aria. Roxanne spalancò la bocca indignata «Ti ricordo che è stata una tua idea, quella della festa, Lysander» lo rimbeccò, alzandosi dal suo posto e andandogli a puntare un dito ad un centimetro dal naso.
Il ragazzo indietreggiò, preso in contropiede, poi si scompigliò i capelli con una mano, e diede in una piccola risata «Avete ragione» si scusò, «Comunque ho prestato attenzione, e mi trovo ad essere d’accordo con i contro alla festa in maschera». I pro alla festa, d’altra parte, si diedero ad un coro infinito e lamentoso di «Oooh» prolungati, e per un po’ agli altri sembrò di stare assistendo ad uno di quei canti liturgici che si fanno in chiesa.
Hugo si mise a ridere, e puntò contro Roxanne un indice «Un’altra tua idea bocciata, Rox». La ragazza, d’altra parte, si alzò e spinse il cugino giù dal bracciolo del divano su cui stava appollaiato come un gufo sul suo trespolo. Precipitò a terra con un tonfo, atterrando con le gambe all’aria.
«Così impari» mormorò Roxanne tra i denti, tornando a sedersi.
«Lily?» fece poi Alexandra, girandosi a guardarla. La ragazza ci pensò su per un po’, poi disse «Non sono sicura di poter dare una risposta ora» e starnutì, poi aggiunse «Io non boccerei immediatamente l’idea, ma magari opterei esclusivamente per la maschera».
I ragazzi parvero rifletterci su, «Potremmo prendere una decisione definitiva domani pomeriggio» propose Albus, e Alexandra – con sommo compiacimento da parte del primo – lo appoggiò, «Potremmo incontrarci in Biblioteca» disse.
«Non credo sia una buona idea, in Biblioteca» constatò Roxanne, «E perché?» ribatté Albus, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Se Madame Mel si trovasse quindici ragazzini a creare scompiglio in uno dei suoi preziosissimi reparti, ci affatturerebbe» spiegò Hugo, «Peccato che sia una Magonò» bofonchiò Molly, «Sai cosa volevo dire». Molly agitò una mano a mezz’aria come risposta, poi lo ignorò.
«Potremmo anche non andare tutti» disse Lorcan, «Non credo ci sia bisogno della presenza di ognuno di noi». Gli altri annuirono, «Ma chi va?» fece Lucy.
Tutti si scambiarono un’occhiata, poi la loro attenzione fu catturata dal buco del ritratto della Signora Grassa che si stava aprendo, e balzarono in piedi allarmati, alcuni con le bacchette sguainate.
Poi una chioma rossa fece capolino nella Sala, alzando le braccia in segno di resa, sconvolta da quell’accoglienza così brusca, e gli animi si calmarono.
Alexandra si avvicinò a salutare l’amica, sussurrandole di nascosto nell’orecchio «Ma che fine avevi fatto?», ma Rose si limitò a scrollare le spalle, e salutò gli altri. Si andò a sedere vicino a Lorcan, scompigliandogli i capelli con la mano, «Non ci si vede da un po’» gli sorrise, venendo poi ricambiata sia del gesto che del sorriso.
«Allora, aggiornatemi»
«Avevamo in mente di fare una festa in maschera…» cominciò a spiegare Lorcan, passando lo sguardo ad Albus e a Roxanne, «Oh, no dai! È un’idea ridicola per noi maghi!» lo interruppe immediatamente Rose, con una smorfia inorridita. Alexandra rise.
Lorcan incrociò le braccia al petto, e rimase zitto, indispettito sia dalla presa di posizione immediata di Rose, sia dal fatto che era stato interrotto ancora prima di cominciare a parlare. Alexandra riprese a spiegare, «Così, Lily ha proposto una festa in maschera. Quindi non dei costumi, ma solo una maschera» disse. Rose parve convinta dell’idea, e annuì partecipe.
«Comunque dovremmo decidere ufficialmente domani pomeriggio, in Biblioteca, ma ovviamente non tutti» spiegò poi Albus, e Roxanne aggiunse «Sia, ovviamente, per non destare sospetti, sia per non dare un pretesto a Madame Mel di scassar-…» «ROXANNE!» Molly la fermò in tempo, e la ragazza si zittì.
Tutti si scambiarono un’occhiata, poi Hugo disse: «Allora, chi va?»
La mano di Albus scattò immediatamente, assieme a quella di Lysander. Albus sperò che subito dopo si alzasse anche la mano di Alexandra, visto che la proposta della Biblioteca era stata sua, ma lei rimase ferma, con lo sguardo puntato su Rose. Sperava che fosse su Rose, ma poteva anche essere puntato su Lorcan.
La mano di questo si alzò in aria, e anche quelle di Rose e di Lily. Gli altri si astennero.
«Okay, andrete voi» decretò alla fine Roxanne, fregandosi le mani, «Adesso vado a dormire» annunciò poi, alzandosi dalla poltrona e salutando tutti con la mano. Anche Molly le si accodò, augurando la buonanotte a tutti.
Lorcan si alzò insieme ad Albus che disse: «Be’, direi che la riunione è ufficialmente conclusa», poi si diresse verso Lysander e gli batté una mano sulla spalla, «Che dici, amico?» e il ragazzo, seppur riluttante nell’andare via, salutò velocemente Lily, e poi gli altri, dirigendosi fuori dal buco del ritratto assieme a Lorcan e ad Albus. Anche Hugo uscì di scena.
Alexandra rimase ferma sul posto per un po’. «Vuoi che ti accompagni?» si propose Rose, toccandole un braccio, «Capisco che tu non voglia tornare in Sala Comune da sola con Lorcan»
La ragazza la guardò, e sorrise debolmente «Non è necessario che tu mi accompagni, tranquilla. Solo preferirei avere cinque minuti di vantaggio».
«Alexandra, torni con noi alla Torre?» intervenne all’improvviso Lucy, avvicinandosi a Rose per salutarla. Alexandra, in risposta, annuì e sorrise grata a Lucy, poi abbracciò velocemente l’amica, salutò Lily e si avviò con Lucy e Louis attraverso l’uscita.
Rimaste sole, Rose guardò Lily, che però non ricambiò lo sguardo. Era seduta ad un tavolino vicino ai divani, di fronte alla sedia che per tutta la riunione era stata occupata da Lysander. Si guardava le mani, e continuava a inspirare rumorosamente con il naso, evidente sintomo di un’influenza imminente.
Rose si sedette di fronte a lei, «Come va il raffreddore? Natalie mi ha detto che vi siete inzuppati fin dentro il midollo, oggi pomeriggio, giù al Campo» disse «Credo si sia presa l’influenza»
Lily però non rispose, continuò a far finta di nulla. «Si era addirittura messa un cardigan color fango e delle calze pesanti rosse! Insomma, lei odia i cardigan, e non sopporta le calze pesanti… dice che le danno prurito» continuò a raccontare Rose, pensando che a Lily servisse solo un modo per distrarsi dal malanno che, se non aveva già contratto, stava contraendo, «Perciò a quel punto ero sicurissima che stesse male, altrimenti l’avrei fatta internare per stato di infermità mentale e atti osceni in luogo pubblico» e rise, convinta che anche la cugina si sarebbe unita a lei, ma questa continuava a rimanere in un religioso silenzio, in contemplazione delle sue mani intrecciate.
Rose la guardò intensamente. «Lily, ma che hai?»
D’improvviso, Lily si alzò dalla sedia, con lo sguardo ostentatamente rivolto verso il basso, «Vado a dormire» fu tutto ciò che disse, lasciando Rose nella penombra della Sala Comune di Grifondoro, sola, alle due e un quarto di venerdì mattina.






Solo quattro ore dopo, comunque, vuoi un po’ per i chiari segni premonitori, vuoi un po’ per i malocchi che le avevano lanciato, Lily Potter fu portata urgentemente in Infermeria con una bella influenza e una temperatura di trentanove gradi centigradi, in stato di momentanea incoscienza.
Qualche ora dopo il suo ricovero, la stessa sorte (tranne per lo stato di incoscienza) toccò a Natalie Miller, che svegliò Rose in preda al panico per via dei suoi brividi di freddo, poco prima che la loro sveglia suonasse. Ovviamente, anche il resto delle loro compagne si alzò allarmato.
E finalmente, alle dieci di quella mattina, dopo che Lily ebbe ingollato una tazza di tè fumante, e la sua temperatura fu scesa ad un trentasette e mezzo più stabile, si prese una bella strigliata da Madama Chips per via della sua incoscienza nel volersi allenare senza sentir ragione per tutto il pomeriggio sotto una pioggia torrenziale e gelata. Le disse che conseguenze per azioni del genere non si erano ripercosse solo su di lei, ma anche sul resto della squadra, per Natalie soprattutto, ma anche per gli altri, che avrebbero dovuto rinunciare ai prossimi allenamenti, o perlomeno farli senza di loro.
La stessa ramanzina fu rimessa in scena da parte di Hugo, quel pomeriggio, quando andò ad accertarsi assieme a Lucy, Louis, Roxanne e Molly delle condizioni della cugina.
Lily, che non voleva ascoltare ulteriori rimproveri, aveva mandato giù tutto d’un fiato la Pozione Soporifera che Madama Chips le aveva messo sul comodino in caso avesse voluto riposare ma non ci fosse riuscita.
Si addormentò quasi subito, facendo indignare Hugo, che uscì dall’Infermeria imprecando amaramente contro Salazar.








Note di Ilhem: Giuro che stavolta sarò davvero breve, perché, onestamente, non ho nulla da dire che valga la pena di essere aggiunto. Perdonate il tempo che ho impiegato per scrivere, ma la lunghezza e l'introspezione del capitolo richiedevano molta più attenzione di quanta io ne abbia messa precedentemente. Mi auguro che questo capitolo piacerà a voi, come a me. Il tema centrale (al di là del titolo, che può introdurre un qualcosa di banale) è la solitudine; non quella intesa nel suo essere negativo, ma in quello positivo, come spero abbiate capito. Non so cosa ne pensiate voi, a proposito di quei momenti in cui ogni individuo conserva sé stesso nella propria integrità, né quante volte vi capiti di restare soli in quel modo, né se vi piaccia o vi sia di aiuto, ma per me sono quei momenti in cui riesco a sentirmi parte di qualcosa (spero di non suonare troppo come una moralista).
Comunque, questi momenti torneranno ad essere molto importanti per la storia, e per i suoi personaggi, man mano che il tutto proseguirà. Lascio a voi eventuali commenti, o, perché no, anche domande, se ne avrete.
Alla prossima,

l'autrice.

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