quel fottuto amore

di ciccina_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** presentazioni ***
Capitolo 2: *** curiosità ***
Capitolo 3: *** incidente bagnato ***
Capitolo 4: *** battibecchi ***
Capitolo 5: *** scontri ***
Capitolo 6: *** voglia di sapere ***
Capitolo 7: *** la quiete prima della tempesta ***
Capitolo 8: *** fastidio ***
Capitolo 9: *** acqua ***



Capitolo 1
*** presentazioni ***


~~AKANE
“Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai.
Quelli persi, andati, spiritati, fottuti.
Quelli con l’anima in fiamme.”
-Charles Bukowski
La prima volta che l'avevo visto, gli avevo sorriso solo per cortesia.

Avevo deciso di non avere più niente a che fare con i ragazzi di età compresa tra i 16 e per sempre anni. Puro istinto di conservazione.

Ma non avevo fatto i conti con il suo caratteraccio e il suo fisico estremamente sexy. Piano piano quindi iniziai a notarlo: gli occhi azzurri e profondi, che ogni volta che si posavano fissi su di me mi portavano all'ebollizione, cosa che non avrei mai ammesso.

Quel sorriso bianco, maledettamente bello e sincero.
La curva del suo collo, in cui adoravo allacciare le mani. Le sue mani, forti e ruvide, capaci di fare del male, che però con me erano solo tenere e gentili e che più di una volta mi avevano trattenuto imploranti.

Le sue braccia muscolose, che quando mi stringevano sembravano non voler più lasciarmi, come se avesse paura di vedermi sparire per sempre.
Notai l'ingenuità nei suoi occhi, la sua insicurezza, ma anche la sua rabbia e l'immensa determinazione. Molte volte vidi la sua tristezza, e desiderai poter eliminare tutti i suoi problemi, magari facendo sparire anche i miei.

Iniziai ad adorare la sua compagnia, nonostante fosse solo un timido, insicuro, ma estremamente sincero e malizioso ragazzo.

Iniziai a voler uccidere ogni gallina che gli appoggiava le mani addosso e cominciai ad arrabbiarmi per cose minimi, ma che mi ferivano a morte.
Ma questo lo notai dopo, in seguito, quando tutto questo venne a mancare.

Quando me ne andai, e lui mi lasciò andare, lasciandomi un vuoto nello stomaco.
Quando capii di essermi follemente innamorata di lui.
 

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Capitolo 2
*** curiosità ***


~~RANMA
"La verità può confondere. Può essere necessaria una lotta corpo a corpo per comprenderla.
Può essere controintuitiva.
 Può contraddire pregiudizi radicati nel profondo.
 Può non accordarsi a ciò che vorremmo disperatamente fosse vero.
Ma le nostre preferenze non determinano ciò che è vero"
- Carl Sagan
La prima sera fu stuzzicante. Totalmente ed estremamente stuzzicante, se questo termine può essere utilizzato.
Non mi ero ancora preparato psicologicamente a condividere la mia casa, la mia vita privata, con altre persone, soprattutto con due ragazze, una delle quali girava per casa in pantaloncini cortissimi e magliette attillate

Appena arrivate si fiondarono nelle loro stanze, mettendosi a sistemare le valigie. La stanza di Akane era dal lato opposto del corridoio, esattamente dall'altro lato e due stanze prima della mia.
Quando scese dalle scale aveva una felpa enorme e un paio di jeans. Non aveva intenzione di provarci. Messaggio ricevuto.<.
< Ranma, accompagna le nostre nuove coinquiline a fare un giro > disse mio padre. Quell'uomo era stressante, non gli era venuto in mente che avessi qualcosa da fare?
< Papà non rompere >
< Non osare rispondere così a tuo padre! Ora ti muovi e >
< Non si preoccupi, sappiamo cavarcela da sole > Akane era intervenuta voltandosi verso Nabiki che, vestita con un paio di jeans attillati e una maglietta scollata (ovviamente), aveva annuito inforcando gli occhiali da sole.
Erano così diverse, lo capii subito. Ma in seguito avrei notato la loro somiglianza: erano forti, determinate, estremamente sexy.

Comunque, non so cosa accadde, ma il tono di Akane fece scattare qualcosa in me. Quella frase mi sembrò un po' una sfida, credo. O forse volevo solo farmi vedere in giro con due strafighe. Mmm.
< Okay okay, le accompagno > dissi, seguendole
< Sai, non abbiamo bisogno di un accompagnatore > aveva osservato Akane mentre rispondeva ad un messaggio sul telefono.
Promemoria: cercare il suo profilo facebook.
< Lo so, ma di una guida si > risposi tranquillo, cercando di evitare di osservare la scollatura di Nabiki. Non ero quel genere di ragazzo, ma era impossibile non notarlo... Infondo ero un ragazzo.
< Okay, cosa c'è da vedere in questo buco? > Nabiki aveva una voce distaccata, scocciata ma conciliante
< Mmm... niente di che. Abbiamo un parco, enorme, i cui angoli sono popolati da fattoni di ogni genere, ma che tutto sommato è carino. Scuola. Il muretto dei ragazzi. Palazzetto con la pista da pattinaggio e una palestra. Piscina. Biblioteca. Basta, direi che abbiamo finito > contai con le dita i luoghi elencati, rendendomi conto di quanto potesse sembrare noioso un posto del genere per due ragazze provenienti dalla città. Lo era per me, figurarsi per loro.

< Ah, dovrò riiniziare tutto… > aveva sospirato la sorella maggiore, beccandosi un'occhiataccia dall'altra
< Nabiki, non iniziare ancora. Ci siamo appena uscite cazzo >
Rimasi stupito da come il tono di Akane potesse essere autoritario e irritato e, allo stesso tempo, i suoi occhi potessero essere spalancati dalla paura
< Co? >
< C'è una palestra in questo posto? > mi aveva interrotto la ragazza, invitandomi con lo sguardo a non fare domande.
Con quello sguardo da cui stava facendo sparire il timore.
< Si, è abbastanza vicina al muretto. Venite, vi faccio vedere > dissi, conducendole per quelle strade familiari.
Lì non mi ero mai sentito propriamente a casa. Avevo molto viaggiato in passato, prima che mia mamma...
< Uh una ragazza da palestra quindi... fammi indovinare: spinning?> avevo interrotto i miei pensieri e quel silenzio imbarazzante tra noi
< Ah no. Boxe... una volta Judo e Karate... ma boxe è più mm utile > aveva detto, stringendo un attimo la mano a pugno
< Sono un campione di entrambe sai? Soprattutto arti marziali > perché non vantarsi un pochino? Un po' di effetto non faceva male
< Dubito potresti mai battermi > ribatté sicura, mentre una luce accendeva il suo sguardo.
Credevo fosse solo interesse, ma poi avrei capito come il suo grande animo competitivo l’accendesse alla proposta di ogni sfida.
Lei era nata per andare verso l’alto, sempre.
< Vogliamo scommettere? > ero certo di poter vincere.
< Okay. Cosa vuoi? > quello sguardo era così… sexy. Determinato, di sfida, estremamente sicuro.
< Allora, arti marziali e boxe. Se vinco potrò chiederti di fare qualsiasi cosa, e tu dovrai farla >
A quel punto qualsiasi ragazza con un briciolo di autoconservazione avrebbe rinunciato (valutando la mia stazza e la mia richiesta) e invece lei non lo fece.
Mi porse invece la mano convinta < Se vinco io, uguale: farai qualsiasi cosa ti chiederò >
< Affare fatto > non feci in tempo a godermi il pensiero di quello che avrei potuto farle fare, che una voce maschile mi raggiunse alle spalle

< Ranma! Oh hai compagnia > Ryoga, il mio migliore amico, si era fermato a pochi passi da me, squadrando le ragazze. Eravamo amici da… sempre a quanto ricordo. Spesso litigavamo, ci picchiavamo o insultavamo nei luoghi e modi più assurdi, ma alla fine era lui che c'era sempre e che mi conosceva più di chiunque altro.
< Ehi smettila di sbavare. Si, vivranno con me per un po'. Akane, Nabiki, lui è Ryoga > dissi facendo le presentazioni, mentre Ry le guardava, soffermandosi su Akane. Merda, aveva buon occhio.

All’inizio non capii come mai quei due insieme mi dessero così tanto fastidio.
All’inizio non era proprio Akane che mi piaceva, ma l’idea di lei.
Poi iniziai a conoscerla e andai nei casini.
Iniziai a litigare con lei, per lei, con gli altri.
Non avrei mai creduto che qualcosa avrebbe potuto prendermi più delle arti marziali ma, a quanto pare, l’avrei trovata, e anche in breve tempo..

< Cosa volevi? > chiesi leggermente irritato
< Niente, ti abbiamo visto da lontano con due ragazze mai viste e ti sono venuto in contro. Tutti gli altri si aspettano che le porti là e le presenti >
< Rimarranno a bocca asciutta, andiamo ragazze > non avevo voglia di buttarle in pasto a piovre appiccicose o, peggio ancora, a leoni affamati.
< E perché? Io voglio conoscerli. Tutti > Nabiki si era avvicinata poggiandomi una mano sulla spalla e parlando suadente. In quel momento capii che aveva già provato quella parte e già usato quel tono, con ottimo successo. Purtroppo la sua vicinanza, o meglio, il suo seno scoperto a pochi centimetri dal viso, mi costrinse ad annuire e a seguire un Ryoga contento.
< Non cambia mai > aveva sussurrato Akane, più a se stessa che ad altri, alzando gli occhi al cielo
< Ho sentito > aveva esclamato l'interpellata con voce cantilenante
< Lo so. Torno subito > ribatté l'altra afferrando il telefono vibrante

Venni accolto dai soliti saluti, tutto un sovrapporsi di "Ehi", " Boss", " Bella", e cose del genere, subito diretti verso Nabiki. Lei si era sistemata meglio sui tacchi, sporgendo leggermente le anche indietro, e alzando il mento, tenendo però gli occhiali
< Ciao ragazzi > aveva detto semplicemente, e potei sentire gli ormoni di ciascuno ribollire nelle vene. Fece un sorrisetto soddisfatto.
Poi arrivò Akane, e tutti rimasero a bocca aperta. Lei aveva una bellezza particolare, che ti catturava
< Ehi > aveva esclamato sollevando una mano con un piccolo sorriso. I capelli corti le accarezzavano il viso, una sottile riga di matita le circondava i grandi occhi, e le belle gambe erano messe in risalto dai jeans nonostante fossero coperte fino a sotto il sedere dalla felpa. Potei sentire (per la seconda volta) gli ormoni di ogni ragazzo presente fare un salto.
< Uau Ranma, ti sei dato da fare>
< Non è giusto, tutte tu! > una serie di insulti misti a complimenti si era riversato su di me, insieme a occhiate di tutti i tipi.
Guardai le due sorelle, che cercavano di trattenere le risate: ogni tanto si guardavano, per poi scostare lo sguardo altrove, per evitare di ridere.
< Okay, andiamo a vedere la palestra? > chiesi, per evitare altre situazioni imbarazzanti. Certo, complimenti alla mamma, ma quei rimbambiti potevano evitare di sbavare in modo così evidente
< Voi andate, io resto qui ancora un po' > disse Nabiki. Akane le sussurrò qualcosa all'orecchio. Risero, mantenendo però gli sguardi seri.
Sembrava uno di quei filmati per pubblicizzare un profumo o qualche nuovo vestito: erano da copertina.
< Andiamo > disse poi Akane, salutando
< Okay, è stato totalmente imbarazzante > dichiarai
< Ma no… okay, totalmente > esclamò lei, sorridendo
Aveva un bel sorriso, dolce. Notai che non l’avevo ancora sentita ridere, una bella e forte risata.
In seguito, quando l’avrei sentita, ne sarei rimasto affascinato, e avrei capito più cose di lei di quanto lei, o io, avremmo potuto immaginare.
< Di solito non... Si, sono così > ammisi, ridendo a mia volta
Scherzando arrivammo alla palestra. Prese ogni sorta di volantino, arrossendo quando si accorse che la stavo fissando
< Cosa c'è? > chiese, cercando di nascondere l'imbarazzo
< Vuoi anche l'etichetta delle mie mutande? Stai prendendo ogni pezzo di carta presente nel raggio di dieci metri > osservai sorridendo
< Eh? Ah sì, lo so... è che mi piace poter contemplare tutte le scelte possibili > il rossore persisteva sulle sue guance
< Non avevo mai conosciuto nessun volantino - maniaco. Mmm >
< Mi stai dicendo che sono strana? > aveva esclamato sorridendo
< Io non l'ho mai detto > affermai, voltandomi e aprendole la porta, che lei attraversò facendomi la linguaccia.

A cena non parlammo molto, si sentivano solo la mia voce e quella di mio padre che litigavano per il cibo e lui e Soun che parlavano del viaggio o di altre cose noiose.
L'unica cosa che attirò la mia attenzione avvenne quando Soun nominò Tokyo, la città da dove arrivavano.
Entrambe le ragazze si fermarono un momento, soprattutto Akane.
Interruppe qualsiasi attività, anche quella di respirare.
Tutto questo durò meno di un minuto, ma fece aumentare la curiosità che provavo per quella famiglia ancora di più.

E si sa, se sei curioso, non sai mai in che guaio ti puoi cacciare.

Bene, il mio lo avevo appena trovato.
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piccola nota piè pagina: nulla contro lo spinning, sia chiaro, anzi, lo faccio anche io quindi :)

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Capitolo 3
*** incidente bagnato ***


~~AKANE

“E forse quel che cerco neanche c’è”
                                                                       - Anonimo

Il giorno seguente mi alzai presto: non volevo farmi vedere in giro per la casa da due sconosciuti in pigiama. Soprattutto se il pigiama in questione era giallo con nuvolette e rotelline. Imbarazzante.
Dopo la doccia indossai l'uniforme della scuola. Non l'avevo ancora provata, lasciandola nella confezione di plastica con il simbolo dell’Istituto. Nonostante l’impazienza di cominciare una vita lontano da quella città, una parte di me la rifiutava, e si esprimeva trascurando un povero vestito.
Lo infilai e lo trovai carino: verde, con sotto una camicetta bianca a maniche lunghe e larghe. Guardandomi allo specchio, toccai il vuoto all’altezza della spalla, sulla quale qualche settimana prima si trovavano i miei lunghissimi capelli. Morbidi e lucidi, sapevo che molte ragazze della mia vecchia scuola me li invidiavano, e sapevo che lui adorava sistemarmeli dietro al collo affondandoci le mani, per potermi baciare meglio.

Un flash e quello che era accaduto mi travolse, lasciandomi a fissare spaventata il mio riflesso.
Feci un respiro profondo e mi staccai dalla scrivania, che le mie mani stringevano con forza.
Una nuova realtà.
Ce l’avrei fatta.

Vedere la faccia imbronciata di Nabiki mentre andavamo a scuola non aveva prezzo: era abituata a girare per la scuola scollata e con pantaloni aderenti e questa uniforme be’, rovinava tutto.
< Una uniforme?! Dio pensavo fossero meglio! Questo è un sacco della spazzatura > continuava a ripetere, mandando occhiate distratte al telefono.
Notai che Ranma la guardava, sorridendo, e ci scambiammo un’occhiata complice mentre lui la imitava in silenzio.

Appena entrati a scuola, tutti gli occhi presenti nella stanza si rivolsero verso di noi. Giusto, era un paese, tutti si conoscevano, eravamo estranee. Ottimo, davvero.
Tenendo lo sguardo basso mi feci guidare in presidenza, cercando di far sì che l’attenzione fosse proiettata su Nabiki. Odiavo quando qualcuno mi fissava, mi sentivo a disagio, a lei invece piaceva, essere al centro dell’attenzione, era pane per i suoi denti.

< Saotome, vai pure in classe > un uomo abbronzato con un paio di occhiali da sole in testa ci fece accomodare in una stanza. “Rettore” diceva il cartellino; possibile che quello fosse il rettore?
< Ma non c’è bisogno di qualcuno che accompagni le ragazze nelle classi? > il tono speranzoso di Ranma mi fece capire che a scuola non era un granché
< Saotome, quante volte devo dirti di andare in classe? È più il tempo che passi in punizione che quello che passi a studiare >
Beccato.
< Okay okay, ci vediamo dopo > e se n’era andato, confondendosi con gli atri ragazzi.          
Notai solo in quel momento che non indossava la divisa maschile, ma un paio di pantaloni della tuta e una maglietta sbracciata alla cinese. Particolare.

Mi vennero consegnati un miliardo di fogli, e raccattai tutti i volantini possibili. Si, ero proprio una volantino – maniaca. Sorrisi. E mi accorsi meravigliata che era uno dei pochi sorrisi spontanei che facevo da sola da un po’ di tempo.
< Sorellina cos’hai da sorridere come un’ebete? Dai andiamo in classe uhm… io sono al piano terra, tu al primo. Ci vediamo dopo > aveva detto, per poi allontanarsi sicura.
Quanto invidiavo la sua sicurezza, la scioltezza dei suoi movimenti, il suo fare sempre noncurante ma attento. Mia sorella era forse la persona più insopportabile e intrigante che avessi conosciuto.
O così pensavo, prima di conoscere meglio Ranma e le sue sfaccettature.
Presa da questi pensieri andai a sbattere contro un ragazzo
< Scusami non ti avevo visto... >
< Oh fanciulla, sei la ragazza nuova giusto? Piacere, io sono Tatewaki Kuno > disse baciandomi una mano
< Uh io, sì. Scusa devo cercare la mia classe > avevo detto un po’ stranita, cercando di superarlo
< Non c’è problema, ti ci accompagno io, questo è il mio regno, in che classe sei? >
< Uhm... 3^ B > dissi ancora titubante
Lui mi afferrò per una mano e mi trascinò su per una rampa di scale, continuando a blaterare cose insensate del tipo “Oh tenera come un fiore” o “il viso di un angelo e lo sguardo di uno smarrito agnellino” ... spero non si riferisse a me, perché l’agnellino lo avrebbe steso velocemente.
Mi divincolai dalla sua stretta e mi limitai a seguirlo, fingendo di non notare il suo broncio.
< Ecco la sue classe oh dolce dea > disse, cercando di prendermi una mano, ma sgusciai via velocemente con un “ciao”.

Ventitré occhi si puntarono su di me mentre consegnavo la mia scheda al professore     
< Signorina Tendo, vuole presentarsi? >
< Uhm > odiavo le presentazioni: mi costringevano a selezionare informazioni importanti, che non mi facessero sembrare noiosa ma che non dicessero nulla di veramente importante < Mi chiamo Akane e ho sedici anni e vengo da Tokyo… uhm be’ cosa dire > merda mi stavo bloccando.
< Dove abiti? >
< Perché ti sei trasferita? >
< Numero di telefono? >
< Hai facebook? >
< È vero che i ragazzi della città sono meglio? >
Sorrisi accondiscendente e risposi evitando accuratamente le prime domande
< A che ti serve? Hahah sì e non ho visto tanto di qua, però si, in città ci sono un sacco di ragazzi interessanti > e scambiai un’occhiata con l’unica ragazza che aveva posto una domanda.
< Va bene, si sieda pure accanto a Yukimura >

Sorridendo alla mia nuova compagna di banco mi ero seduta accavallando le gambe
< Ehi Akane, piacere, sono Sayuri > aveva una voce dolce, e il sorriso sulle sue labbra era altrettanto zuccheroso
< Piacere > sorrisi al suo sorriso raggiante
< Allora, lui è il prof d’italiano, ama discorsi filosofici e psicanalizzare gli studenti, ma è bravo. A proposito, hai visto il rettore? > aveva sussurrato con un tono beffardo
< Bene… chi, il tizio con gli occhiale da sole e la camicia a maniche corte? Davvero è lui il rettore? >
< Essì, è arrivato un annetto fa da non so quale isola, rivendicando il suo posto come preside, e da lì è rimasto. Vedi quel ragazzo lì? > disse indicando Ranma, che stava scarabocchiando qualcosa su un foglio < Be’, è l’unico ragazzo della scuola che esprime apertamente il suo disappunto verso il preside... ormai non viene neanche più punito. Il rettore è un bonaccione, ma si sono urlati contro un paio di volte > aveva continuato, guardando Ranma.
Un cattivo ragazzo insomma, Nabiki ne sarebbe stata entusiasta.
< Tendo, Yukimura, smettetela di parlare > il professore ci fulminò con lo sguardo, noi ci scusammo e iniziammo a prendere appunti.
Durante l’intervallo per il pranzo Sayuri mi aveva afferrato per un braccio, trascinandomi nel corridoio.

Era una ragazza simpatica e diligente, un po’ troppo entusiasta per i miei gusti.
Poi sarebbe però diventata un’ottima amica. Mi avrebbe spalleggiato in momenti importanti, sostenendomi nei momenti di bisogno.

< Allora allora cosa posso farti vedere… Ah sì, ecco, quello è Ryoga Hibiki, il migliore amico di Ranma Saotome > e additò il ragazzo che avevo visto venirmi incontro il giorno precedente.
Era carino, notai: aveva un viso vagamente appuntito ma ben curato, e un sorriso dalla quale spuntava un paio di canini un po’ più lunghi del normale. Era alto, più o meno come Ranma, e ora che guardavo meglio, si assomigliavano molto: entrambi atletici, muscolosi, un enorme ciuffo e senza uniforme scolastica. Erano particolari, entrambi.
Avevano un fascino che richiamava l’oriente, luoghi sperduti, avventure.
< Quando scoppia una zuffa, sono sempre coinvolti. Sono considerati un po’ come i due “massimi” della scuola. Entrambi praticano arti marziali e altre tecniche varie. Sono arrivati qui un paio di anni fa, prima Ranma, poi Ryoga. Quasi tutte le ragazze sbavano dietro a uno dei due, ma le pretendenti di Ranma sono scoraggiate da tre pazze che se lo contendo. Entrambi però sono estremamente timidi e riservati, e innamorati solo delle loro arti marziali > aveva concluso
< Come sei informata > avevo insinuato con un sorrisetto. Un’amica infondo non avrebbe fatto male.
< Nono, non fanno per me, non mi avvicinerei mai ai loro livelli. Io ho uhm altri interessi… > e sorrise ancora, dolcemente.
< E sarebb? > ma non feci in tempo a finire che qualcuno mi tirò una spallata, ponendosi davanti a me.

< Tu, che cosa ci facevi con il mio Lanma questa mattina? > una cinesina mi si era parata davanti puntando un dito contro il mio petto, ma non la guardai nemmeno.
< Io con il tuo Ranma non facevo proprio nulla, e ora scusami > avevo risposto, prendendo Sayuri per un braccio e andandomene
< Tu plova a toccallo e giulo io ti... Oh Lanma amole mio! > l’avevo sentita esclamare, per vederla poi con la coda dell’occhio mentre si attaccava al ragazzo chiamato in causa, che però aveva lo sguardo rivolto verso di me. Ma davvero se la faceva con quella?

Quando fummo in giardino, sedute a mangiare il nostro pranzo, notai lo sguardo sognante di Sayuri < Ehi, perché quella faccia? >
< Davvero non lo sai? No logico, tu sei appena arrivata. Allora, lei è Shampoo e non frequenta il Furinkan, ma lavora nel ristorante della nonna, qui in paese. È una delle pazze di cui ti parlavo, tutti qui lo pensano, compresi i ragazzi quando riescono a riprendersi dalla vista del suo fisico pazzesco. Comunque nessuna ragazza le avrebbe mai risposto così, sei una delle pochissime che ha avuto il coraggio di farlo >
< E perché scusa? Chiunque avrebbe risposto così > okay, magari qualcun altro sarebbe stato più gentile, ma io ero stanca di essere trattata male, avevo imparato a trattare gli altri come trattano te, se non peggio. Insomma, spesso avevo il carattere di una ragazza con il mestruo che deve fare motoria. Spaventoso.
< Non scherziamo. È una esperta di arti marziali e chissà che altri stili di combattimento. Nessuno vuole sfidarla e quindi tutte le ragazze hanno rinunciato a provarci con Ranma, come già ho detto >
< Ma davvero? Bene, molto bene > avevo sussurrato, mentre la mia compagna di banco mi guardava dubbiosa, ma non fece domande sull’argomento.
Quella ragazza mi piaceva sempre di più.

La giornata continuò così, senza movimenti particolari, questo fino a dopo cena, quando mi feci un bagno.   
Il bagno di casa Saotome non aveva mobili sulla quale appoggiare i vestiti, che dovevano essere lasciati nella piccola stanza che lo precedeva. Questo era comodo per una casa abitata solo da due maschi, ma, per una ragazza, poteva essere estremamente imbarazzante, insomma, se qualcuno fosse entrato nell’anticamera, ovviamente priva di una porta dotata di chiave, mentre questa usciva dalla porta?
Quindi sgusciai in fretta nella vasca da bagno, guardandomi costantemente attorno.
Il vapore caldo poi mi avvolse, e non pensai più all’ipotetico guardone della stanza accanto.

Iniziai a giocherellare con la schiuma, guardandola a poco a poco diluirsi.
 Cercava di resistere, ma una specie di moto contrario la portava verso l’acqua, contro la sua stessa incolumità.
Insomma, ciò che era successo a me. Sapevo di dovermi allontanare, sapevo di non dover stargli vicino, ma il suo fascino era troppo grande, e mi aveva portato ad avvicinarmi sempre di più, fino all’incidente, che mi aveva cambiata, radicalmente, totalmente.

Mi alzai di scatto, cercando di scappare dai miei stessi pensieri, e sentendo il solito nervosismo riprendere il suo posto.

Camminai sulle piastrelle a piedi scalzi, lasciando piccole impronte scure.
Mi avvolsi in un asciugamano e spalancai la porta, andando a sbattere contro un altro corpo.

Solido, forte, muscoloso. Questi furono i miei primi pensieri, subito seguiti dalla coscienza di avere un asciugamano troppo piccolo, che lasciava ben poco all’immaginazione.
< A – Akane (?) >
< O mio dio che ci fai qui? Esci subito Ranma! > avevo urlato, stringendo con una mano l’asciugamano e facendo un passo indietro.
Un passo che mi portò a scivolare su una mia precedente piccola e malefica impronta e, di conseguenza, allo stretto contatto con il torace di Ranma. Ancora.
< S – Senti, lasciami > avevo detto, appena ripresa dallo spavento.
Lui mi aveva lasciato il polso, continuando a tenere gli occhi su di me < Non ti preoccupare. Ho visto di meglio > aveva solo detto, lasciandomi di stucco.
Certo, non ero una diva del cinema, ma ero consapevole di avere delle uhm doti ecco, e la sua affermazione mi ferì nell’orgoglio.
Reagii quindi poco delicatamente, d’impulso, come mio solito.
< Che stronzo maniaco > avevo esclamato, per poi uscire afferrando un accappatoio e il pigiama, sbattendo la porta.
Ma come si permetteva quello?

Iniziavo a ricredermi sul suo rapporto con la cinesina, insomma, a livello di modi erano molto vicini.

E con questi pensieri mi buttai sul letto, addormentandomi subito.
Ma non sapevo quanto mi stessi sbagliando.
Non sapevo che in quel momento Ranma, rosso dall’imbarazzo, fosse sotto una doccia fredda, appoggiato con la schiena al muro.
Non sapevo quanto lui e la cinesina fossero diversi, quanto lui non la sopportasse e quanto lei fosse smorfiosa.
Non sapevo come entrambi avrebbero movimentato la mia vita, come l’avrebbero cambiata.

 

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Capitolo 4
*** battibecchi ***


~~RANMA

“Toglimi ‘sta maschera
Fallo con le tue mani
Poi guardami dentro agli occhi
E dimmi se te lo aspettavi”
- Mostro & Low Low

Il mattino seguente ero rimasto più del dovuto nel mio letto.
Sentivo ancora l’imbarazzo del giorno precedente frullarmi nello stomaco. Cosa mi era venuto in mente?
Ero stato uno sbruffone, ma in quel momento la vista del suo corpo mi aveva mandato totalmente in confusione.
La pelle leggermente arrossata, le gocce d’acqua intrappolate tra i suoi capelli.
Avevo mentito e non riuscivo a capirne il perché. Era bella, molto.
Avevo visto ben poche ragazze meglio di lei. Anche se meglio forse “meglio” non era il termine giusto. Sarebbe stato difficile essere meglio di così.

< Ranma, figlio scansafatiche! Cosa ci fai ancora a letto? Alzati! > mio padre che urlava. Quanto era irritante quell’uomo.
Non mi ero degnato di rispondere, solo per avere la piccola soddisfazione di immaginare l’espressione di disappunto che avrebbe preso posto sul suo viso. Insomma, le piccole ripicche dei figli.

Una volta in sala da pranzo, in boxer e canottiera come mio solito, avevo visto tutti riuniti intorno al tavolo a fare colazione. Tutti tranne la piccola mora.
Avevo quindi iniziato a immaginarmi scene, milioni di film mentali, nella quale lei non si era presentata a causa di ciò che era successo la sera prima, pensieri che mi portarono a lanciare frequenti e rapide occhiate verso la porta.
< Hei Ranma… Akane arriva tra poco. Al mattino, da fissata com’è, va sempre a correre. Ora che ci penso, l’ha sempre fatto da quando ha iniziato il liceo… comunque non dovrebbe metterci molto > aveva detto Nabiki con un sorriso sornione
< E – E quindi? Perché dovrebbe interessarmi? > avevo ribattuto, arrossendo all’istante. Ma cosa stavo dicendo? Ranma Saotome non arrossiva, prendeva solo colore a causa del calore esterno. Si, sicuramente era così.

< Eccomi > un’Akane in divisa era entrata nella stanza sorridendo a mo’ di scusa
< Sorellina, Ranma temeva ti fossi persa > ancora Nabiki, con il suo tono malizioso
< Ma così? > stavo per ribattere, subito interrotto dalla ragazza piuttosto scocciata
< Dubito che a Ranma interessi. Insomma, lui ha…vedute migliori. Giusto? > il suo sguardo mi fece saltare i nervi, uno a uno.
< Ah certamente > io.
< Ottimo > aveva detto lei, per poi dedicarsi al suo riso.
Merda, lo avevo fatto ancora. Avevo reagito d’istinto, senza pensare a quanto potessi essere antipatico.

E lei odiava questa cosa, profondamente. In seguito avrei quindi cercato di eliminarla, di riflettere, nonostante fosse una cosa pressoché impossibile, ma lei lo avrebbe apprezzato, definendomi un “idiota che cerca di redimersi”.
Il tragitto verso scuola fu stressante, o perlomeno, lo fu per me.

Akane, appena partiti, si era attaccata al telefono, parlando con un certo Andy, mentre Nabiki scorreva svogliatamente la Home di facebook, con le cuffie nelle orecchie.
Insomma, io mi trovavo lì, costretto a camminare in silenzio. Questo mi portò ad ascoltare la conversazione di Akane. 
Che sia chiaro, non mi importava con chi stesse parlando o di cosa stesse parlando, ero semplicemente annoiato.
< Oh An, si, ci sono ragazzi carini qui > aveva detto, ridendo a qualche battuta dell’altro. Ragazzi carini eh? Ora ero interessato.
“Ah no, quando verrai a trovarmi li vedrai. … Inizio domani. … Okay ce ne sono un paio e sì, con tutti i criteri. … il ragazzo con cui divido la casa? Ah, un idiota “
Questo fu quello che sentii della conversazione prima di notare lo sguardo traverso di Akane. Lì quindi mi voltai, accelerando il passo. Un idiota? Era questo che pensava di me? Bene.

< Ranma! > una voce femminile mi aveva raggiunto alle spalle appena ero entrato a scuola, facendomi voltare: Ukyo Kuonji, la mia più cara amica. Era una bella ragazza e sarebbe piaciuta a chiunque, ma si era fissata a un caso disperato come me.
< Ucchan > avevo risposto con un piccolo sorriso
< Allora? Chi sono le due ragazze con cui sei venuto a scuola? > aveva detto, alzando lo sguardo verso Akane e Nabiki, che stavano entrando in quel momento. Non potei non guardarle e, soprattutto, non potei non notare gli sguardi di gran parte dei ragazzi puntati sulla minore.
< Nessuno > e mi ero voltato spazientito, entrando in classe
< M – Ma come? > aveva riprovato la mora, non ottenendo risposta.
Non sapevo il perché, ma pensare ad Akane in quel momento, tantomeno parlare di lei, mi irritava, e molto. 
In effetti, aveva tutte le motivazioni per definirmi un idiota: ero stato sgarbato, cretino e sbruffone. Insomma, un vero e proprio idiota. Avevo iniziato quindi a pensare a come chiederle scusa, sapendo bene che farlo sarebbe stato impossibile: non sarei mai riuscito a scusarmi con nessuno. Il mio orgoglio smisurato me lo avrebbe impedito

< Blutta vipela togligli le mani di dosso! > un urlo e Shampoo mi si era fiondata contro, allontanando Ukyo con un calcio.
< Ma Shampoo! Tutte le volte la stessa storia! >
< Lasciamii > le nostre urla riempirono la classe, creando il solito baccano.
Tutti si voltarono, osservando la scena incuriositi, come al solito.

Solo Akane, quando era entrata, non ci aveva degnato neanche di uno sguardo.                                                                                                                       
Si era seduta, mettendo i libri sul banco. Pareva chiusa in una bolla di sapone, disinteressata a qualsiasi cosa le stesse intorno.
Si era accorta di noi solo quando aveva notato di avere due pranzi. Allora aveva alzato distratta lo sguardo, posandolo su di me e guardando contrita Shampoo.
< Tu... ehm scusami, devo dargli il pranzo > aveva detto una volta alzata, posandolo sul mio banco, ma Shampoo non si fece sfuggire l’occasione < E pelché avevi il suo planzo? >
< Stamattina li ho presi entrambi > aveva risposto semplicemente, tornando al suo posto. Se c’era una cosa che Shampoo odiava più delle ragazze che mi stavano vicino, era il fatto di essere ignorata, e Akane l’aveva appena fatto, e in grande stile.
< Tu, piccola lagazzina della città, vedi di stale lontana dal mio Lanma >
< Oh, non c’è problema >
< Tu… tu >
< Hai finito? Dovrei ripassare per la prima lezione > aveva cercato di concludere Akane, aprendo un libro e cercando la pagina da leggere.
Pessima mossa.
< Come osi ?! Io… ti sfido! Domani, nello spiazzo del palco, alti malziali miste > aveva urlato la cinesina, chiudendo con uno scatto il libro di Akane.
< Va bene > aveva solo risposto l’altra, per poi riaprire con uno strattone il libro.

Sotto la sua indifferenza, vidi però tanta rabbia, e competizione, la stessa che avevo visto il giorno prima, anche se in misura minore, nei suoi occhi.
E mi fece paura: non sapevo quanto Akane potesse essere forte, ma stava sottovalutando Shampoo. 
La cinesina era la ragazza più forte e abile nelle arti marziali che avessi mai incontrato, e, soprattutto, era molto, molto pericolosa.
Intervenni quindi, per cercare di salvare Akane dalle grinfie di quell’arpia
< Hei ragazze, calmatevi. Non mi sembra il caso di arrivare ad uno scontro >
Shampoo mi guardò invaghita mentre Akane continuò a guardare il suo libro, reagendo con uno svogliato
“E perché?” , totalmente fuori luogo. Non mi era parsa stupida, avrebbe potuto fare due più due.
< Perché esiste la parola >
< Le arti marziali sono un linguaggio che, guarda caso, è un insieme di parole > ancora non mi guardava
< Io intendo parole, vere parole! > avevo alzato la voce, sentendo la mia pazienza svanire
< Ma insomma, mi spieghi cosa vuoi?! > aveva esclamato irritata voltandosi verso di me
< Voglio salvarti il culo! > le avevo urlato a mia volta.
Lei aveva spalancato i grandi occhi, nella quale avevo visto un turbine di emozioni: incertezza, voglia di competere, indignazione. E credo che l’ultima aveva prevalso su tutte le altre, perché mi aveva guardato fredda, liquidandomi con un < Non c’è n’è bisogno. So difendermi da sola, non ho bisogno della tua preoccupazione > tenendo gli occhi fissi nei miei, per sfidarmi a ribattere
< Bene, prendile allora > avevo concluso, ferito. Io cercavo di aiutarla e lei reagiva così. Poteva stare da sola nella sua crisi premestruale.

Non ci eravamo guardati per tutto il giorno e non eravamo tornati a casa insieme.
Non l'avevo vista fino al tardo pomeriggio, mentre stavo uscendo per andare in palestra.                                                              
Era nel giardino, sul retro della casa, con una tuta bianca. Ansimava leggermente, concentrata a colpire un avversario invisibile.
I suoi colpi erano secchi, forti e precisi. Il corpo si muoveva sinuoso, veloce.
I capelli le sfioravano il collo, mentre cercava di sferrare un calcio complicato, avvitandosi su se stessa e scattando rapida.
Lo sguardo concentrato, i muscoli in tensione. Potenza, rabbia e meraviglia in un’unica figura.
Quell’immagine mi sarebbe rimasta impressa a lungo.
Non ero intervenuto, nonostante il mio corpo si sentisse richiamato dal suo elemento.
Ero rimasto fermo, ad osservarla, fino al tramonto, saltando per la prima volta un allenamento.
Ma non mi importava: si capisce com’è fatta una persona dal modo in cui questa combatte.
E io volevo capire come fosse fatta lei, anche se quella scelta mi avrebbe costretto a stare rannicchiato per ore dietro ad uno scomodo muretto.

 

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Capitolo 5
*** scontri ***


~~AKANE
“Sii come i fulmini
che pur creando crepe nel cielo
qualcuno si volta sempre
per ammirare lo spettacolo luminoso.
Domina tu la tempesta”
- Maria Auriemma
Il giorno dopo, a scuola, avevo gli sguardi di tutti puntati addosso. Ma perché dico io? Insomma, avrei dovuto fare il culo ad una psicopatica quel pomeriggio, non mi sembrava qualcosa di così eccezionale.
Avevo passato quindi la giornata a evitare i corridoi affollati, con una Sayuri agitatissima al mio fianco.
Una volta a casa, avevo cercato con lo sguardo Ranma, non trovandolo. Non mi importava di lui, vero, ma, non so, vederlo mi avrebbe tranquillizzato: lui era un amico di Shampoo, a quanto pareva, quindi avrebbe potuto darmi qualche consiglio. Ma non c’era.
Uscendo mi ero imbattuta in Ryoga. Nonostante iniziasse a fare freddo, indossava una maglia senza maniche e non mostrava nessun fastidio per il leggero vento che invece mi faceva rabbrividire.
< Hei, Akane giusto? > mi aveva salutato, avvicinandosi
< Ciao Ryoga > avevo risposto, sorridendo. Lui non era quello sgarbato del suo amico.
< Allora, pronta per lo scontro? >
< Ah lo sai anche tu? Comunque si >
< Be’ da ieri Ranma è intrattabile, e a scuola non si parla d’altro che “della ragazza nuova che viene a scuola con Ranma Saotome, sfidata da Shampoo” > aveva detto, con un piccolo sorriso preoccupato
< Sei sicuro che Ranma non abbia il ciclo? Ah, e io che volevo mantenere un basso profilo > e avevo finto una espressione tragica, facendolo scoppiare in una grossa risata.
< Probabilmente Ranma ha il ciclo da quando l’ho conosciuto e, mi spiace, ma qua a Nerima è impossibile mantenere un basso profilo, soprattutto se si abita in casa Saotome > aveva detto, furbo
< Ryoga! > una ragazza ci era corsa in contro, appoggiandosi al braccio muscoloso del ragazzo. Era mora, abbastanza alta e snella, con due enormi occhi grigi e dei lunghi capelli castani. Possibile che in quella città le ragazze fossero tutte da copertina?
< Ciao, tu sei Akane giusto? Piacere, sono Ukyo > aveva detto porgendomi una mano che avevo stretto
< Piacere >
< Allora, vuoi due accompagnatori che ti portino al punto x? > aveva chiesto Ryoga, beccandosi un’occhiata dalla mora
< Be’ perché no, anche perché non saprei dove andare > avevo risposto, cercando di capire cosa ci fosse tra quei due.
E così percorremmo la strada chiacchierando del più e del meno.
Ogni tanto sentivo lo sguardo di Ukyo che mi squadrava e allora cercavo di ignorarlo, continuando a parlare. Quella ragazza aveva uno sguardo penetrante, sicuro e furbo. In un certo senso mi ricordava Nabiki, anche se non credo potesse arrivare a tali livelli.

< Eccoci qua, ecco “l’arena” > aveva esclamato Ryoga, aprendo le braccia e indicando uno spiazzo davanti a me: una piccola collina rialzata, dalla curiosa forma pianeggiante, si stagliava di fronte a me. Notai che c’erano ragazzi intorno, curiosi di osservare lo scontro.
Avevo fatto un respiro profondo, ringraziando i miei accompagnatori e salendo sulla collinetta. Era abbastanza grande, un po’ più di un normale ring, innalzata dal prato pianeggiante del parco di circa di un metro.
Mi ero seduta, chiudendo gli occhi, per trovare la concentrazione. La gente mi agitava, sempre. Ma la lotta era da sempre il mio modo di esprimermi. Non solo la lotta, in realtà, ma tutti gli sport. A eccezione del nuoto, odiavo l’acqua: quando ero piccola, Nabiki, per scherzo, mi aveva convinto che per stare a galla avrei dovuto ingoiare l’acqua mentre nuotavo. Da quel giorno l’unica acqua nella quale ero riuscita ad entrare era stata quella della vasca da bagno.
< Allora ti sei plesentata, Be’ almeno sei colaggiosa > una vocina piena di sé aveva interrotto i miei pensieri, portando la mia attenzione sulla ragazza con le mani sui fianchi davanti a me. Aveva un completino rosa, i capelli sciolti ed era ben truccata. Mi chiedevo come potesse combattere così.
< Si, ci sono, quindi? Regole? > avevo detto rialzandomi, un po’ scocciata. Ma chi si credeva?
< Chi viene buttato fuoli dal campo o chi non liesce a lialzalsi, pelde >
< Okay > semplice, veloce, forse un pochino brutale… ma non importava, era quello che mi serviva per scaricarmi.
< Al mio tre > Ranma si era materializzato a un lato del “ring”, alzando una mano in aria.
< Oh tesolo! > aveva esclamato Shampoo, mentre io alzavo gli occhi al cielo.
< Uno > la cinesina si era tirata su le maniche
< Due > iniziavo a sentire l’adrenalina
< Tre! > terzo dito alzato.
La ragazza mi si era scagliata contro, veloce. Probabilmente credeva fossi una lumaca, o che avessi scarsi riflessi. Be’, si sbagliava.
Avevo scartato di lato, colpendola alla schiena con un calcio, e facendola cadere a terra.
Uno sbuffo e si era rialzata, un’espressione sorpresa sul viso.
Non avevo potuto impedirmi di sorridere compiaciuta. Boom baby.
Ci aveva quindi riprovato, facendo un salto e attaccandomi da dietro. Ma ero riuscita a schivare anche questo, abbassandomi.
Mi ero rialzata velocemente, tirandole un calcio alla caviglia, facendola cadere a terra.
Si era alzata velocemente, una smorfia sulle labbra.
Avevamo iniziato a girare in tondo, squadrandoci. Lei si muoveva felina, sinuosa. Si vedeva che era portata per quello, per combattere.
Questa volta mi ero fiondata io verso di lei, saltando all’ultimo momento verso l’alto, colpendola sulla fronte.
Si era inginocchiata, stordita dalla botta, mentr mi avvicinavo a lei, pronta a finirla.
Ma lei non era della stessa idea: era rotolata su un fianco, rialzandosi e buttandosi contro di me, colpendomi con un pugno in pancia. Ero rimasta senza fiato, capace solo di indietreggiare. Era forte, più di quanto pensassi.
< Allola calina, già stanca? > aveva chiesto beffarda, ma vedevo bene come stringeva gli occhi, come se fosse un po’ confusa. Allora avevo deciso di puntare sulla velocità.
Avevo fatto un sorrisetto per poi correre e fare una scivolata all’ultimo secondo, prendendola ancora una volta di sorpresa, colpendo una seconda volta la caviglia. Probabilmente ero un po’ crudele, ma in questo modo avrebbe dovuto capire che avrebbe dovuto lasciarmi in pace. O almeno, così avevo pensato. Quanto mi ero sbagliata.
Lei si era voltata di scatto, zoppicando appena, e mi aveva colpito con una rapida sequenza di pugni. Avevo cercato di schivarli, ma uno mi aveva colpito allo zigomo, irradiando un’ondata di dolore a tutto il viso. Merda.
Mi ero adoperata in un calcio laterale, subito seguito da un pugno sinistro. Li aveva schivati entrambi, agile.
Ci avevo riprovato, questa volta caricando un destro, deviato all’ultimo istante. Lei si era spostata, evitandolo, ma ero riuscita comunque a toccarla su un fianco. Non il dolore previsto ma una botta assicurata.
L’avevo allora vista saltare in aria e comparire un secondo dopo al mio fianco, un pugno pronto.
Non ero sicura di poterlo schivare, ma mi ero abbassata comunque.
Avevo sentito un colpo secco.
Nessun dolore, impatto su di me.
Avevo aperto gli occhi, serrati, notando un ragazzo a terra. Aveva le mani strette intorno a una gamba della mia avversaria, che urlava innervosita.
< Mousse! Che diavolo vuoi? Levati! >
< Ma mio amore! > urlava l’altro di risposta, stringendo ancora di più la presa.
Io li fissavo stupita, senza saper cosa dire. Lui aveva una enorme casacca bianca e degli occhiali dalla montatura spessa. I lunghi capelli neri erano cosparsi di piccoli fiorellini azzurri, che, avevo notato, coprivano tutto il terreno.
< Torna a casa con me! > aveva urlato ancora, implorante.
< Lasciami in pace! > aveva risposto Shampoo, guardandolo infuriata.
Ranma era allora salito sulla collinetta, avvicinandosi
< Conoscendo la situazione, non finirà molto presto. Il combattimento è finito >
Avevo visto gli occhi di Shampoo ridursi a due fessure e fissarsi su di me, mentre scrollava la gamba per cercare di levarsi di dosso il ragazzo
< Non finisce qui Akane Tendo > mi aveva minacciato.
Mi ero allora voltata, seguita a ruota da Ranma. Avevo afferrato il borsone, sentendo ancora tutti gli sguardi su di me. Sayuri mi era corsa incontro, abbracciandomi
< Oddio Akane ma sei brava! Cioè davvero tanto brava! Gliele hai date di santa ragione a quella! Ma stai bene? Dolori? Qualcosa di slogato? Oddio è stato fantastico > aveva iniziato a blaterare mentre mi squadrava il viso, le mani che mi voltavano il mento per guardare meglio
< E questa botta? Okay, ho il necessario > aveva continuato annuendo, tirando fuori dalla borsa una crema
< Crema per ematomi… direi che va bene > e me l’aveva spalmata sul viso, mettendomela tra le mani con un sorriso
< Grazie > avevo solo detto riconoscente, sorridendo. Quella ragazza non aveva bisogno di tante parole, un semplice sorriso le bastava.
< Tu, portamela a casa senza altre ammaccature, okay? > aveva detto poi, puntando un indice verso Ranma
< Oh, certo > lui aveva risposto, alzando le mani come in segno di resa.
Poi si era voltato, avvicinandosi e toccandomi un braccio. Io mi ero scostata, come una perfetta acida asociale. Allora aveva alzato gli occhi al cielo, prendendo la mia borsa e tirandomi un’occhiataccia.
Ci eravamo incamminati verso casa, senza spiaccicare parola. Sentivo la guancia pulsare e un po’ di mal di stomaco.
< Senti, la borsa, posso anche portarla io > avevo provato, nonostante gliene fossi grata
< No > aveva solo detto, senza voltarsi verso di me
< Perché? >
< Si chiama gentilezza > aveva detto, scandendo l’ultima parola, come se non potessi capirla
< So cos’è sai? >
< Ne dubito > aveva ribattuto, entrando in casa.
Non ci avevo parlato per tutta la serata. Non ero una ragazza particolarmente loquace, anzi si, lo ero, ma solo con chi conoscevo bene. E in quel periodo non stavo dando a nessuno la possibilità di conoscermi, né a me di conoscere qualcuno.
Dopo cena mi ero chiusa in camera mia, la musica a tutto volume.
Avevo optato per Mostro, adatto all’occasione.
“Ascoltami bambina, spesso mi chiedo dove sei, con ci sei, ma soprattutto chi sei “
La voce combattuta del cantante mi aveva preso, come sempre.
Avevo sentito qualcuno bussare alla porta. L’avevo ignorato.
Una seconda volta. Avevo mugugnato.
Una terza. Avevo aperto svogliata la porta a un Ranma impacciato.
< Posso? >
Gli avevo fatto segno di entrare, fermando la canzone.
< Te l’eri dimenticata giù > aveva detto con un piccolo sorriso, porgendomi la crema di Sayuri
< Grazie > avevo risposto, sorridendo a mio volta. Un sorriso piccolo, ma comunque un sorriso.
< Allora come mai qui? > avevo chiesto, notando come si stesse torturando le mani
< Be’ ecco… > aveva iniziato, timido < Io… Tu… Noi… non abbiamo iniziato con il piede giusto. Quindi sono venuto a proporti un armistizio. Iniziamo una tregua. Se poi scopriremo di odiarci, potremmo continuare come ora. Se invece impariamo a convivere meglio… be’, ben venga >
Mi aveva guardato speranzoso, e non avrei potuto, neanche volendo, rifiutare la richiesta, totalmente ragionevole, davanti a quello sguardo.
< Okay, ci sto > avevo detto, sedendomi sul letto
< Ah comunque, sei brava. Nessuna ragazza aveva mai tenuto testa a Shampoo per così tanto tempo > mi aveva confidato
< Ah sì? Be’, io sono forte > avevo detto, alzando il braccio come per far vedere il muscolo
< Okay, in onore del nostro armistizio, non lo metterò in dubbio > una risata < Posso ascoltare un po’ con te? > mi aveva poi chiesto, indicando le cuffie.
All’inizio avrei voluto rispondergli negativamente, ma avevo impedito a me stessa di respingere quel ragazzo.
Purtroppo o per fortuna, ancora non lo so.
< Ti avverto, questa sera sono abbastanza uhm > avevo detto con un sorriso storto, porgendogli un auricolare
< Non c’è problema > aveva risposto, sdraiandosi sul letto. Mi ero sdraiata anche io, ponendo la mia testa esattamente alla fine della sua, in modo da sentir combaciare solo le radici dei capelli.
Avevo fatto ripartire Mostro, le note che scorrevano nelle orecchie.
“Non ti amavo da impazzire so’ impazzito per amarti”
Non sapevo quante volte avremmo rifatto quella cosa. Io, lui, la musica. Sarebbe stato un po’ come un appuntamento, il nostro appuntamento segreto, privato.
Ma, soprattutto, non sapevo come quella canzone sarebbe rimasta sospesa tra di noi, perennemente ricordata come il nostro primo vero incontro.
E lo era stato, davvero.

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Capitolo 6
*** voglia di sapere ***


~~RANMA

“Non mi posso fermare, non posso mollare”
-Coez

Non so come avevo fatto, ma ci ero riuscito.
Le avevo chiesto scusa, più o meno. Insomma, eravamo scesi a patti civili.
Dopo quel giorno iniziammo a salutarci con un sorriso assonnato ogni mattino. Quando sorrideva era bellissima: una piccola fossetta appariva sulla sua guancia destra, gli occhi si socchiudevano, mentre le ciglia le sfioravano le guance e le labbra si tendevano, rosee.
Durante il tragitto verso scuola parlavamo e
< Saotome! Ha capito la mia domanda? >
Ovviamente, perso nei miei pensieri, non stavo ascoltando la lezione e, quindi, ovviamente non avevo capito la domanda; perciò non risposi, aspettando la ripetizione
< Ah, cosa devo fare con te? Ho appena detto che, a causa di un progetto di quest’anno scolastico, ogni mese farò questa domanda a ogni studente. La domanda è: cos’è, per te, l’amore? >
Rimasi zitto, elaborando una risposta. Io non avevo mai provato l’amore inteso in quel senso. Per me l’amore erano le arti marziali, la mia passione, il ricordo di mia mamma che mi abbracciava, la foto nella quale lei e papà sorridevano felici, insieme. Non avevo mai trovato nessuno che mi facesse provare quell’amore.
< Quindi? > aveva richiesto, spazientito
< Io… quello che provo per la pizza > avevo risposto, aspettando la risata collettiva che non mancò ad arrivare. Sorrisi appena. Io non ero un sentimentale. Certi pensieri li avrei sempre tenuti per me.
Avevo lanciato un’occhiatina ad Akane, che aveva un minuscolo sorriso sulle labbra, mentre guardava fisso verso un punto indefinito. Sembrava quasi spaventata, da qualcosa che nessuno tranne lei poteva vedere.
Il professore era passato all’alunno successivo, ormai ritenendomi un caso perso, chiamando Akane.
< Signorina Tendo, e invece lei che ne pensa? >
Lei si era riscossa dai suoi pensieri e aveva detto mestamente < Sa, credo che l’amore sia un’utopia, un qualcosa che ci rende ciechi, sordi, egoisti, illusi >
Il professore era rimasto colpito dalle sue parole e l’aveva guardata, curioso < E mi dica, lei, a una così giovane età, come può essere convinta di questo? >
< Mi creda, ho le mie buone ragioni > e il suo tono freddo, il suo sguardo, accesero in me una spia luminosa, scintillante, che mi avrebbe portato a cercare di intromettermi in cose passate, che sarebbero dovute rimanere tali.
Inutile dire che tutti rimasero, se possibile, ancora più affascinati dalla “ragazza straniera”, che ora aveva anche un passato triste e misterioso, e notai dal suo sguardo che lei non pareva esserne contenta, affatto. E questo perché, come avrei capito poi, lei era timida, cristallina ma opaca, una ragazza semplice ma estremamente complessa, che odiava stare al centro dell’attenzione. O meglio, al centro dell’attenzione di tutti, non della mia.

All’intervallo l’avevo vista alzarsi e uscire dalla classe insieme a quell’altra ragazza.
Le avevo seguite, senza pensarci due volte. Ragazzo estremamente curioso, lo so.
< Scusate, posso unirmi a voi? > avevo quindi chiesto, raggiungendole
< Certo > aveva risposto Akane, facendomi segno di seguirla. Eravamo saliti sul terrazzo, sedendoci vicino alla ringhiera. La mora si era quindi voltata, guardando meravigliata il paese e i campi che si estendevano fino a dove l’occhio poteva vedere, mentre Sayuri si era seduta su un telo, aprendo la scatola del pranzo < Scusate mangiamo? Sto morendo di fame! > ci aveva richiamato, e solo in quel momento mi ero accorto di essere fermo, un paio di metri dalle due, le mani lungo i fianchi, perso. Da quando Ranma Saotome si distraeva?
< Oh sì, Akane, non è che mi cederesti una tua polpetta di riso? Insomma, devi mantenere la linea > avevo provato, sedendomi. Quelle polpette erano spettacolari
< Mmm > aveva mugugnato lei, sedendosi e addentandone una, guardandomi furba
< Ingorda >
< Oh ho dimenticato una cosa. Torno subito > aveva esclamato Sayuri, facendo l’occhiolino ad Akane e correndo verso le scale
Lei aveva sbuffato un “traditrice”, per poi distogliere lo sguardo oltre la ringhiera
< Senti Akane… > avevo iniziato, parlando molto lentamente. Lei si era voltata, la curiosità negli occhi
< Io… volevo chiederti… si, cosa ti è successo a Tokyo? >
L’avevo vista impallidire, rabbia e paura mescolarsi negli occhi < Niente che possa interessarti >
< Si invece > la mia curiosità pretendeva di essere soddisfatta
< Senti, finiscila, non impicciarti >
< Okay allora, dov’è tua madre? >
Lei non aveva risposto, ostinandosi a tenere lo sguardo verso il paesaggio
< Akane, Dio, non ti ho chiesto granché. Siamo amici, potresti dirmelo! > iniziavo a spazientirmi
< Un amico non me l’avrebbe chiesto > aveva solo risposto, alzandosi e facendo per andarsene. Mi ero alzato di scatto, prendendola per un polso
< Un’amica me l’avrebbe detto >
< Sono venuta in questa fottuta città per dimenticare, per lasciarmi tutto alle spalle! Quindi lasciami andare! > aveva urlato, guardandomi finalmente negli occhi.
Ero indietreggiato, colpito da quello sguardo. Era carico di terrore, puro e semplice, e di rabbia, tanta. Ero un praticante di arti marziali, percepivo i sentimenti, le sensazioni degli altri. Sentimenti che, in quel caso, dominavano la loro proprietaria.
Ero rimasto pietrificato, e anche lei era rimasta ferma un attimo, stupita da quello scoppio.
Ci eravamo guardati per un po’, e poi lei si era voltata, convinta di scendere da quelle scale.

Ma non ci riuscì.
Una cinesina le si era avventata contro, spingendola contro la ringhiera < Tu, non pelmettelti! Il mio Lanma! > aveva urlato, spingendola ancora per le spalle
< Levati > aveva solo detto Akane, cercando di contenersi
< E se non lo facessi? >
Shampoo stava giocando con il fuoco
< Ti avevo avvisata > aveva detto la ragazza, per poi mollarle un gancio destro.
Avevo sentito il gemito di Shampoo e la sua imprecazione.
< Ragazze smettetela! > avevo esclamato, per evitare che quelle due si facessero davvero del male
< E allora tienimela lontano! > Akane.
< Non ti intlomettele, ola ci penso io! > Shampoo.
La cinesina si era poi avventata sull’altra, un calcio sulla gamba.
Akane si era allontanata, una mano sulla coscia e passo zoppicante.
Ma come eravamo arrivati a una situazione simile in una frazione di secondo?
Mi ero posto in mezzo, per fermarle.
< Spostati > Akane aveva davvero un dizionario così limitato?
< No >
< Deve capirlo, deve lasciarmi stare >
< Non lo capirà >
< Glielo farò capire >
< No, andiamocene >
< Non vengo da nessuna parte con te >
< Bene >
Ero allora scattato verso di lei, afferrandola per la vita e caricandomela su una spalla.
Aveva iniziato a dimenarsi, battendomi i pugni sulla schiena, ma sapevo che non sarebbe riuscita a liberarsi.
< Ciao Shampoo > avevo solo detto, ignorando il suo sguardo.
Avevo attraversato i corridoi della scuola con Akane che urlava di lasciarla andare, mentre mi lanciava vari insulti. L’avevo ignorata ogni volta, determinato a portarla a far vedere quella gamba: avevo visto come zoppicava.
< Lasciami brutto idiota! > altre urla, altre occhiate, altra indifferenza.
< Saotome cosa sta? > il preside
< Sto portandola dal dottore e ora, mi scusi > ed ero sgusciato via sotto gli occhi sbigottiti di tutti.
Dopo quello lei si era fermata, magari accorgendosi che un dottore non le avrebbe fatto male e che dimenarsi era inutile.

< Dottor Tofu, buongiorno. Può controllarle la gamba? > avevo chiesto, lasciandola solo una volta entrati nello studio.
< Ranma, ragazzo mio! Ma certo, venite. E tu, chi sei mia cara? > il dottor Tofu era il medico di famiglia da quando ci eravamo stabiliti in città. Credo avesse ottenuto questo ruolo in virtù delle sue grandi conoscenze nel campo delle arti marziali, per la sua indiscrezione e per la perenne gentilezza.
< Io sono Akane… > la voce della ragazza si era ridotta a un sussurro mentre il dottore armeggiava con la sua caviglia.
< Piacere. Una distorsione, nulla di grave… già sei stata inghiottita dal ritmo dei Saotome eh? >
< Mi scusi? > mi aveva guardato, confusa. La ignorai.
< Ah capirai presto > rispose il dottore, alzandosi per prendere una benda.
Ma già lei non lo ascoltava più, persa nei suoi pensieri, che la strappavano dalla realtà.

 

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Capitolo 7
*** la quiete prima della tempesta ***


~~AKANE
“Ho commesso il peggiore dei peccati
che possa commettere un uomo.
Non sono stato felice.”
-Jorge Luis Borges
“Il ritmo dei Saotome”, mi chiedevo cosa volesse dire.
Allora mi ero voltata verso Ranma e l’avevo visto.
Ma visto davvero.
I bottoni della camicetta alla cinese tiravano leggermente, lasciando facilmente intuire cosa ci fosse sotto.                                                                                                         
Le braccia muscolose, che mi avevano immobilizzato in pochi attimi, senza sforzo. Quelle mani forti.
E il viso. Quegli occhi azzurri, chiari, ingenui e provocatori, intelligenti e insicuri.
Quel broncio che aveva disegnato sul viso, le labbra sottili leggermente curvate verso il basso. La luce lo illuminava, creando riflessi violacei tra i capelli corvini.
Lo trovai bello.
Non so cosa mi avesse fatto constatare questo. Forse la sua determinazione nel curarmi, nonostante fossi stata scontrosa.
Mi chiesi come fossi diventata così.
Prima non sarei stata così scontrosa con chi avrebbe voluto conoscere la mia storia.
Potevo raccontare delle mie amicizie, delle mie passioni, delle mie cottarelle, tranquillamente, leggermente imbarazzata.
Ma dopo quell’estate… ero stata costretta a misurare ogni risposta, a bilanciare ogni parere, ogni reazione.

< Ecco Akane. Non esagerare per un paio di giorni >
Ero stata riscossa dalla voce dolce del dottore
< Grazie mille dottore > avevo risposto, sorridendo a quell’uomo affabile
< E tu Ranma, tienila d’occhio >
< Ci proverò > aveva detto con aria di sufficienza, fissando quei due grandi occhi su di me.
Ero avvampata all’istante, imbarazzata per come mi ero comportata.
Avevo aperto la bocca per scusarmi quando lui aveva continuato con un < Se solo fosse più carina >, che ferì il mio orgoglio ipersensibil
< Io sono carina. Arrivederci. > avevo ribattuto stizzita, dirigendomi decisa verso la porta.

Notai solo in quel momento quanto la caviglia mi desse fastidio. E ovviamente lo ignorai.
Ma lei no. Cedette mentre stavo salendo il gradino che precedeva la porta, facendomi inciampare.
Maledetta forza di gravità.
Due braccia forti mi afferrarono per la vita, rimettendomi in piedi
< Vuoi una mano? > Ranma, preoccupato.
< No, grazie > avevo risposto, allontanandomi subito.
Io non dipendevo da nessuno.
Camminammo un po’ in silenzio, causato dalla testardaggine di entrambi.
< Senti… scusami, io non sono così > avevo ceduto, guardandolo di sottecchi
< Non mi è sembrato. Comunque non fa niente > aveva risposto, un po’ scocciato
< Io… non posso dirti quello che tu vuoi sapere >
Si era fermato, fissandomi e aspettando una continuazione
< Vedi, sono successe cose brutte, riguardanti persone che, davvero, non voglio ricordare. Non è perché sei tu. Queste cose… nessuno le sa > avevo sussurrato, ricambiando lo sguardo.
Aveva annuito piano, senza interrompere il contatto dei nostri occhi
< Okay, andiamo a mangiare qualcosa allora? >
Ero rimasta di sasso, non aspettandomi di certo un così veloce cambiamento di argomento
< V-Va bene >
E per la seconda volta in quella giornata, mi stupii.
< Ti porto in un posto gestito da una mia amica… cucina degli Okonomiyaki buonissimi > e si era incamminato.
Camminava sicuro, le spalle larghe dritte, gambe leggermente divaricate, mento alto.
< Allora, vieni? > si era voltato, sguardo interrogativo. Occhi azzurri che brillavano nelle prime luci del pomeriggio
< Si > e lo avevo seguito, non seguendo il filo dei miei pensieri.

Il locale era piccolo, ma accogliente. Un bancone di legno con degli sgabelli bianchi sulla sinistra davanti ai fornelli, dei tavolini sulla destra, occupati da qualche signore impegnato a guastarsi il proprio pranzo. Era carino, ma ciò che catturava lo sguardo era la ragazza dietro al bancone.
Aveva i lunghi capelli marroni legati in una coda di cavallo, un grosso fiocco candido a trattenere i ciuffi ribelli.
Indossava una casacca lunga, blu, le maniche arrotolate fino alle spalle.
Aveva un’enorme paletta dall’aria molto pesante legata alla schiena, di cui non pareva accorgersi minimamente.
Stava lavorando, un’espressione concentrata sul viso.
Un leggero strato di sudore le imperlava la fronte, le sopracciglia corrugate.
La passione che stava impiegando nel fare quel lavoro era evidente, spirava da ogni suo gesto, quasi tangibile nel piccolo locale.

< Ucchan! > aveva esclamato il mio accompagnatore
< Ranma! Oh Akane anche tu qui? Ciao > aveva risposto, sorridendo e facendo volare in aria un Okonomiyaki, riafferrandolo abilmente con una spatola e posandolo su un piatto
< Il solito Ranchan? >
< Per me sì… credo piacerà anche ad Akane, va bene? > aveva chiesto, voltandosi
< Va bene > onestamente non ero un’intenditrice del settore, quindi andai su fiducia
< Allora Akane, ti sei ripresa dallo scontro con Shampoo? > aveva chiesto la cuoca, già preparando l’impasto
< Si > avevo risposto sorridendo. Quella ragazza ispirava simpatia.
< Quella cinesina dei miei stivali > aveva sbuffato, lanciando in aria un Okonomiyaki
< Ah ripresa eh? Da quale dei tanti vostri scontri, se posso chiedere > era intervenuto un sarcastico Ranma
< È lei che cerca in ogni modo di farmi saltare i nervi > avevo sbuffato
< E quindi ogni volta devo ritrovarmi a fare da babysitter? >
< Baka > avevo concluso, alzando gli occhi al cielo e addentando il mio pranzo.
Sentii gli occhi di Ukyo su di me, ma non alzai lo sguardo per affrontarli.
Non sapevo cosa stesse pensando, ma non avevo voglia di parlare, qualunque fosse l’argomento che la incuriosiva e che, sicuramente, avrebbe riguardato il mio rapporto con Ranma.
Rapporto inesistente, per specificare.

< Ucchan! > una voce maschile era risuonata nella stanza dopo un po’, accompagnato da un ragazzo con una bandana in testa e una sacca in mano
< Ranma, Akane, anche voi qui? Non fa bene bigiare la scuola > aveva continuato, con un sorrisetto furbo
< Idiota e tu cosa stai facendo? > Ranma
< Ah, lezione di matematica. La odio, e lei odia me. Ho deciso di troncare ogni rapporto > aveva sbuffato Ryoga, facendo un cenno alla cuoca che sorrideva divertita
< Ti aiuterei io ma faccio abbastanza pena > aveva detto la ragazza, infarinandosi le mani
< Be’, se ti interessa, io sono sempre stata abbastanza brava. Se hai bisogno di una mano ogni tanto... > avevo proposto, intenerita dalla faccia sconsolata del ragazzo
< Davvero? > il suo viso si era illuminato, mettendo in mostra i denti bianchissimi
< Lascia perdere, non riuscirai a insegnare nulla a questa testa dura > aveva detto Ranma, carino come suo solito
< Sta’ zitto idiota > aveva sbuffato Ryoga guardando in cagnesco l’amico
< Comunque, se mi aiutassi, sarebbe una grande cosa > aveva continuato poi, guardandomi con un sorriso
< Quando vuoi > sorrisi a mia volta.

< Dovete smetterla di venire qui così spesso, mi state saccheggiando la cucina > era intervenuta Ukyo.
C’era qualcosa di strano nella sua voce. Era agitata, ansiosa di cambiare discorso.
I suoi occhi saettavano dal viso imbronciato di Ranma a quello contento di Ryoga, al mio. Mi ritrovai a incrociare il suo sguardo, e lo lessi.
Era innamorata di entrambi.
Era preoccupata a causa mia,pensava che potessi essere una sua possibile “rivale”.
Lo leggevo nei suoi occhi lucidi e spalancati, nelle gote rosse, nella risata leggermente forzata, nella bocca contratta.
Feci segno di no con la testa, un piccolo sorriso sulle labbra, e la vidi riappacificarsi, mantenendo comunque una scintilla di quel sentimento negli occhi.
Nessuno dei due ragazzi si accorse di nulla.

< Che ne dite di andare a questo luna park? Ho trovato il volantino qua fuori. No, aspettate > aveva mugugnato Ryoga, iniziando a frugare nella sacca
< Eccolo! Ingresso scontato per le coppie, sabato > aveva letto, assumendo piano piano di una sfumatura rossastra
< Ma non ci sono coppie qua > aveva detto saccente Ranma
< Be’ no, però potremmo sfruttare l’occasione. Siamo in quattro, potremmo spacciarci per due  coppie > Ukyo, furba Ukyo.
Entrambi i ragazzi arrossirono, Ranma leggermente, Ryoga in maniera molto più evidente. Si voltarono tutti e due verso di me, aspettando una mia risposta
< Io... massì, facciamolo > avevo esclamato, rispondendo all’enorme sorriso di Ukyo.
In quel momento ritornò nella mia mente il pensiero di quel “ ritmo Saotome” che mi avrebbe investito.
Se lo avessi saputo in quel momento, mi sarei chiusa in casa a doppia mandata.
E invece no, mi feci travolgere, completamente.

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Capitolo 8
*** fastidio ***


RANMA
“ A volte i fogli leggeri
ti tagliano le dita
e vedi il sangue
ma non la ferita”
(1998)
Il caldo era soffocante.
Avevo tirato il colletto della canottiera in cerca d'aria mentre osservavo la fila.
Era ormai un’ora che osservavo quella coda, aspettando che si accorciasse.
Un paio di bambini urlavano stupiti, indicando le giostre che si stagliavano poco distante, indicando con le dita le montagne russe e lo zucchero filato.
Mamme osserrvavano preoccupate il tutto, selezionando le attrazioni più sicure.
Ragazzi aspettavano scomposti, tenendosi per mano.
Chissà quanti di loro fingevano, solo per quell’ingresso gratis.

< Ranmaa > Ukyo che sventolava la mano davanti al mio naso
< Eccoci > aveva esclamato la voce di Ryoga, frapponendosi tra me e Ukyo con un enorme gelato alla nocciola.
Gli occhi della ragazza si erano illuminati, mentre afferrava il cono felice.
< A te Ranma > aveva detto Akane, porgendomi il mio. Pistacchio e cioccolato. Sin da piccolo erano stati la mia passione, tanto che una volta mio padre, per il mio compleanno, aveva saccheggiato una gelateria, finendo qualsiasi scorta possibile dei due gusti; ne avevo mangiato fino allo sfinimento, per poi restare a letto per giorni con un mal di pancia tremendo.
Avevo mugugnato un ringraziamento senza accorgermi di stare sorridendo, per poi osservare la ragazza accanto a me: aveva una maglietta scollata, che lasciava intravedere il ventre piatto e la schiena, un paio di occhiali da sole tra i capelli scuri e le labbra rosse impegnate a bere un frappè.
Pensai ancora a quanto fosse bella.

< Okay, allora, come ci dividiamo? > aveva chiesto Akane, riscuotendomi dai miei pensieri
< Che? >
< Chi sarà il fidanzato di chi? > aveva ripetuto, fissando eloquente Ukyo.
Lei era arrossita, facendo scorrere lo sguardo su me e Ryoga.
< Ehm io.. proporrei un’estrazione > aveva poi deciso, fissando Akane, che aveva sospirato.
Mi chiedevo cosa di dicessero quelle due con lo sguardo. Un altro segreto da aggiungere alla cartella "Akane".

< Tutti su le mani! Miscela nu – me - ra – taa > aveva esclamato Akane, portandosi una mano sulla testa e poi aprendola a formare un due.
Si mise poi a contare sottovoce, indicandoci con un dito.
La trovai buffa, con quell’espressione concentrata a ricordarsi il numero raggiunto e la fronte leggermente corrugata. Sembrava una bambina, una bambina un po’ triste e cresciuta che cercava in ogni modo di tornare ad essere quella di prima.
< Okay, Ukyo con Ranma, io con Ryoga >
Avevo visto il sorriso di Ryoga allargarsi, un po’ troppo per i miei gusti.
Akane aveva risposto con un piccolo sorriso, affiancandosi a lui.
 
< Il prossimo! > aveva urlato l’uomo dietro al bancone dei biglietti
< Siamo due coppie > aveva detto Ukyo, appesa al mio braccio
L’uomo ci aveva guardato di sfuggita, facendo cenno ad un ragazzo.
Quello ci era venuto incontro, invitandoci a seguirlo.
< Allora, è semplice, questo è un test, sarete messi alla prova e poi riceverete il biglietto omaggio >
Ryoga aveva sgranato gli occhi, mentre Akane si schiariva la voce < In cosa consiste la prova? >
Il ragazzo l’aveva guardata bene, e il suo tono aveva perso tutto il disinteresse
< Bellezza, non posso dirtelo. Se però ti va, potrei aiutarti... in cambio del tuo numero > aveva detto suadente, avvicinandosi a lei con un sorrisetto.
Lei aveva sorriso maliziosa, avvicinandosi < Oh allora lo scoprirò da sola tesoro > e se n’era andata, portandosi dietro Ryoga, lasciando quell’idiota fermo al proprio posto a fissarla.
Sorrisi.
Camminammo per un po’ seguendo un corridoio in penombra
< Ragazzi, stiamo vicini okay? > avevo detto, avvicinandomi di più agli altri.
un urlo e Ukyo era saltata, appendendosi a me < COS’È STATO?! >
Akane si era arrestata, guardandosi intorno.
< Cos? > avevo chiesto
< Shh >

Era scattata in avanti, sparendo nel buio. Un tonfo.
Le sue tennis rosse brillavano mentre tornava verso di noi, con qualcuno.

< Lasciamii >
Riconobbi subito quella voce: Shampoo.
< Ranma tesoro > aveva esclamato la cinesina, tuffandosi su di me
< Che cosa ci fai qui Shampoo? > aveva chiesto irritata Akane, guardandola truce
< Ranma perché sei venuto con lei? > aveva sibilato Shampoo, ignorando la domanda
I viso di Akane si era contratto nel buio
< Ahh, cosa fai qui Shampoo? >  avevo provato
< Mi annoiavo così tanto >  aveva detto con un tono da bambina, iniziando a strusciarsi contro di me.
Aveva un top scollato, la sua pelle era a contatto con la mia. Arrossii, in imbarazzo.
< Andiamo > aveva detto Ukyo, prendendomi per un braccio e portandomi via
< Aspettatemii > aveva detto Shampoo, afferrandomi per l’altro.
Non potevo vedere l'espressione di Akane, ma ne indovinavo l'irritazione.

Poco dopo ci eravamo fermati: due porte si stagliavano davanti a noi, una blu e una rossa.
Ryoga aveva guardato dolcemente Akane, rimettendosi alla sua volontà. Lei aveva sorriso, fissando bene le porte.
Aveva poi aperto quella blu, portando con sè Ryoga.
Non si era nemmeno voltata.
Feci per seguirli, ma le due ragazze mi fermarono  < La rossa! > , < Lasciamoli un po’ soli >
< Ma dovevamo restare uniti.. > avevo tentato
Ma ero stato trascinato dal lato opposto, incapace di impormi.

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Capitolo 9
*** acqua ***


AKANE

"Ma il paradosso è che più vivi, più rischi di morire"
-Sara Cassandra

Oltre alla porta, a circa un paio di metri dai nostri piedi, iniziava una piscina.
Era lunga e larga… pressoché immensa.
Un brivido mi era corso lungo la schiena, scuotendomi come una bambola di pezza.
Ricordate? Odio l’acqua alta.
Una voce registrata aveva iniziato a dare spiegazioni sulla prova da superare, ma non riuscivo ad ascoltare, terrorizzata all’idea di tuffarmi là dentro.
Una mano gentile mi aveva scosso per un braccio, indicandomi una cesta.
Avevo guardato smarrita Ryoga e lui mi aveva fatto segno di togliermi i vestiti, con le guance rosse dall’imbarazzo.
In quel momento ringraziai il Signore di essermi messa un costume quella mattina.
Posai i vestiti e mi avviai a bordo piscina dove c’erano due fascette nere
“Dovrete inserire una delle vostre caviglie in quella fascia posata a bordo vasca, e nell’altra una delle vostre mani, senza mai toglierle; in questo modo verrà testato il vostro affiatamento. Che l’amore sia con voi!”
Il mio sguardo passava dalla vasca a Ryoga, e il mio orgoglio mi impedì di supplicarlo per tornare indietro. Non ero una codarda, non lo ero mai stata, e una innocua, o quasi, piscina non poteva certo vincere contro di me.
< Pronta? > aveva chiesto, prendendomi una mano con il viso rosso per la vicinanza
Avevo annuito, già concentrata sulla respirazione
< Andiamo! > e ci eravamo buttati.

L’acqua fredda, a contatto con la pelle, mi diede una sensazione spiacevole, come se dei tentacoli avessero afferrato ogni lembo del mio corpo, ma respinsi questo pensiero.
Gambata, bracciata, e ancora, gambata, bracciata.
Eravamo a metà vasca quando qualcosa mi aveva afferrato il piede, strattonandolo.
Un terrore sordo mi aveva pervaso.
Era successo una seconda volta, e mi aveva portato sotto il livello dell’acqua. Avevo iniziato a bere.
< Akane! > la voce di Ryoga
Mi aveva preso la vita, cercando ti togliere una delle fascine nere
< No! > avevo urlato, spingendo via la mano < Così perderemo! Andiamo avanti! > avevo esclamato, nonostante volessi solo essere portata fuori il più velocemente possibile da quella maledetta acqua.
Ma qualcosa aveva afferrato lui questa volta, che con il suo peso mi aveva portato sotto.
Avevo scalciato, in cerca di aria.
Lui aveva preso qualcosa, che cercava in ogni modo di fuggire.
Avevo dato un ultimo colpo con le gambe, riuscendo a tornare in superficie
< Aiuto! > ero riuscita ad urlare, prima di essere trascinata ancora sotto.
Iniziai a vedere puntini neri, una miriade di lucine nere e viola, danzare davanti ai miei occhi, mentre cercavo di vedere Ryoga, che in ogni modo cercava di liberarsi da quella cosa che ci teneva sotto.
Chiusi gli occhi, avevo bisogno di aria.
Odiavo l’acqua.
Mamma.

Qualcosa spingeva sul mio addome con colpi secchi e decisi. Tossii.
< Akane, cristo riprenditi > diceva qualcuno, aumentando un po’ la forza.
Avevo tossito, prendendo una lunga boccata d’aria e alzandomi di scatto.
Ranma era di fronte a me, il viso a qualche centimetro dal mio. Aveva un’espressione preoccupata, un sottile terrore negli occhi.
< Grazie a Dio, si è ripresa > il sollievo nella sua voce era evidente.
< Che cos’era? > avevo chiesto, la voce roca
< Un vecchio deficiente > aveva sibilato il ragazzo, girandosi e guardando truce la figura che Ryoga stava trattenendo.
Sembrava un bambino, ma aveva il viso incartapecorito, solcato da tante piccole rughe, e i capelli bianchi.
< Ah tesorino salvami! > aveva urlato, guardandomi con degli occhi davvero troppo grandi per la sua statura
Mi ero alzata di scatto, avvicinandomi a lui, ancora un po’ traballante sulle gambe
< Senta, lei mi tocca un'altra volta, e la affogo io > avevo sibilato, guardandolo truce
Mentre mi voltavo per prendere i vestiti, avevo guardato Ranma, fermo ancora a bordo piscina. Un sorriso soddisfatto e sollevato gli solcava il viso.
Sentii il suo sguardo su di me per tutto il tempo.
< Ah, Ranma, come hai fatto ad arrivare di qua? > avevo chiesto
< Ti ho sentita urlare e ho sfondato la porta > aveva detto tranquillo, come se sfondare porte fosse la cosa più normale del mondo
< E le altre due? >
< Oh hai ragione, be’, penso abbiano superato la sfida >
< In cosa consisteva? >
< Arrampicata. Se hai paura dell’acqua, potevi evitare di tuffarti > ecco il rimprovero
< Io non ho paura dell’acqua >
< Ah no? >
< No >
Aveva fatto un sorrisetto, avvicinandosi
< Mentre eri svenuta, hai parlato, baka > aveva sussurrato, per poi dirigersi verso l’uscita,
lasciandomi con l’orgoglio bruciato.

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