KINGDOM HEARTS: Chains of Hearts

di _Capucine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nota introduttiva ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo I ***
Capitolo 4: *** Il risveglio del XIV membro ***
Capitolo 5: *** Capitolo III ***
Capitolo 6: *** *AVVISO* ***



Capitolo 1
*** Nota introduttiva ***


Questa è la mia prima vera e, soprattutto, seria , fanfiction su KINGDOM HEARTS, questo fantastico videogioco che ho conosciuto giocando prima al II e poi al I. E per fortuna: se avessi dovuto giocare con quel pirla di Sora già dall'inizio avrei spezzato il cd in due.
Come avrete capito, non amo il protagonista, il perchè vi sarà chiaro leggendo la fanfiction. Spero commenterete in tanto e se avete dubbi non esitate a chiedere.
Non amo nessuno dei protagonisti in realtà, tranne forse Kairi perchè non fa nulla. Uno dei tanti personaggi femminili inutili e deboli di KH. Per questo amo tanto Larxen, l'unica donna che si fa valere, è un vero peccato che non abbia molto spazio...

Comunque, per una volta ho deciso di riportare la storia di quelli che i protagonisti definiscono i cattivi, cioè dell'Organizzazione, rielaborata a modo mio, introducendo un nuovo personaggio nel gruppo dei tredici e qualche altro.
Cercherò di riportare i luoghi, i tempi e i caratteri dei personaggi più fedelmente possibile al gioco. Quelli delle fanfiction non li posso proprio soffrire: Demyx lo dipingono solitamente come un pucciosissimo orsacchiotto, Zexion un ragazzino emo depresso e Marluxia come un effemminato se non peggio. Meglio che torni a introdurre la storia.
Spero vi piaccia veramente e che commentiate in tanti^_^

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo_chains of Hearts

Prologo

 

 

Fin da piccola mi sono sempre chiesta come mai mia madre avesse deciso di darmi un nome del genere: “Ikari”.

Ma che cazzo di nome è, mi chiedo?!

Ora non fraintendetemi.

Non ho certo intenzione di parlare di quell’alcolizzata tossicomane di mia madre, ne tanto meno di quel violento del mio patrigno.

No, non voglio parlare dei miei genitori, perché loro, per quel che mi riguarda, non sono mai stati degni di essere chiamati così. Eppure dovrò farlo, se voglio che voi ci capiate qualcosa di quel che sto per narrare…

Tutto cominciò con la mia triste infanzia, della quale ricordo solamente mia madre che, una volta presa la sua dose quotidiana si buttava sul divano e non la si svegliava più. Infanzia...non ne ho mai avuta una. 

Non ricordo neanche di essere stata piccola. I ricordi cominciano quando già avevo dodici anni. 

Ero sola. A scuola, insegnanti e compagni mi evitavano, mi schernivano, mi facevano i dispetti. Ma a chi non è mai capitato? 

Cosa mi rende diversa da tutti quelli che hanno subito le stesse cose?

Le mie origini, mia madre.

Mia madre era una tossicomane incallita, per giunta alcolizzata. Vivevo con lei in uno squallido appartamento in periferia, insieme al mio patrigno. Non l'ho mai considerato tale.

L'ho sempre chiamato "bestia" per quello che faceva, a me e alle persone. Era uno spacciatore che di secondo lavoro faceva l'avvocato; era molto temuto e rispettato, anche se in pochissimi sapevano come arrotondava la già salatissima parcella. E, naturalmente, era il pusher di mia madre. La manteneva, provvedeva che lei avesse le sue dosi e che il frigo fosse pieno quel minimo che basta.

Non l'amava, naturalmente. Era solo una cliente. Anche per lei, lui era un cliente. 

Di lui non ricordo niente. Nè la faccia che avesse, nè la voce, nemmeno il più piccolo dettaglio...
Di lei però mi ricordo, e mi ricordo molto bene...

Ricordo una volta, che sono tornata da scuola al primo anno delle medie avvilita perché tutti mi prendevano in giro, mia madre ha pensato che il modo migliore di consolarmi fosse tirarmi due ceffoni e sbraitarmi addosso con il suo alito di whisky.

Stronza.

Certe donne dovrebbero comprare un manuale, prima di farsi mettere la pagnotta nel forno e sfornare una vita, creando un essere vivente di cui dovrebbero prendersi cura e capire i bisogni e a cui dovrebbero essere vicine. Ma prova a spiegarle quanto avessi bisogno di una parola coerente, o almeno di uno sguardo vagamente materno, mentre lei è imbevuta di alcol e fatta di eroina.

Prova a dirle quanto è difficile ammettere che gli sguardi di quelle stronzette figlie di papà ti feriscano ogni giorno, mentre si sta dedicando a vomitare anche lo stomaco chinata sul cesso.

Prova a raccontarle degli insegnanti che ormai ti considerano solo una spina nel fianco, quando non riesce ad alzarsi dal letto perché la bestia di mio padre le ha slogato un ginocchio con la sua mazza da baseball… Prova a urlarle in faccia quanto questa VITA, che lei ti ha DONATO, ti stia lentamente UCCIDENDO!

lla fine gliele ho urlate tutte queste cose, per davvero. E ho provato una tale soddisfazione… tanto che non riesco neanche a trovare le parole per descriverla…. Ma è stato di più il momento.

Il secondo esatto in cui le ho conficcato quel punteruolo d’acciaio nel ventre, nello stesso ventre che mi ha partorito…

Non pensate che sia una pazza omicida, è avvenuto tutto per legittima difesa! Lei ha cominciato con la solita sgridata, le solite parole pesanti e, una volta tanto, mi sono permessa di rispondere a tono.

Eravamo in un posto terribile: ci avevano rapite e rinchiuse chissà dove; entro un certo limite di tempo, dovevamo trovare la chiave che avrebbe aperto la “maschera della morte” che altrimenti ci avrebbe divorato la faccia. La chiave era dietro l’occhio sinistro sia di mia madre, ed una copia di essa era dietro al mio.

Allora, avevo solo quindici anni…

Mia madre stava uscendo di senno e, poi, ad un certo punto, ha afferrato il bisturi e si è diretta verso di me, con uno sguardo folle.

Sapevo cosa voleva fare… e, quasi senza sapere ciò che stavo facendo, le bloccai le braccia e le assestai un calcio al ventre, flettendo il corpo. Ella cadde all’indietro, a qualche metro da me. Si stava giusto rialzando, quando vidi una sbarra di metallo appoggiata alla parete alle mie spalle; il mio istinto mi disse di afferrarla e io lo feci, tornando a guardare la donna che avevo davanti.

Era mia madre… e voleva uccidermi.

O lei o io” riflettei nella mia mente e, nel momento esatto in cui questa tornava alla carica, le conficcai il rozzo punteruolo nello stomaco.

Non morì subito. Agonizzò per qualche minuto. E io rimasi lì a guardarla, perfettamente immobile,  e le urlai tutto ciò che mi ero tenuta dentro per anni.

Ero tremendamente soddisfatta.

 

Dopo che esalò l’ultimo respiro gettai un’occhiata al timer: avevo ancora dieci minuti prima che la mia faccia fosse ridotta a un colabrodo.

Esitai qualche momento, poi mi gettai sul volto di mia madre, con il bisturi che la sua mano ancora calda, stringeva. Rimossi malamente l’occhio, nella ricerca disperata della minuscola chiave della salvezza.

La trovai e, appena in tempo, riuscii a togliermi la maschera.

Mi fermai a riprendere il fiato che avevo trattenuto sino a quel momento.

 

Ero viva.

Il cuore mi straziava il petto da quanto batteva, furibondo, dopo essere stato ad un passo dalla morte.

E con quest’ultimo pensiero svenni, accasciandomi poi sul pavimento umido e sporco.

 

 

Mi risvegliai parecchie ore dopo in un lettino da laboratorio, molto intontita, tanto che non riuscivo a muovermi.

Un uomo con un camice bianco e dei capelli lunghi argentei si fece avanti e mi disse che stavo bene e che una volta finita l’operazione, sarei stata ancora meglio. Mi disse che ero stata messa alla prova, ero sopravvissuta, che ero speciale, destinata a qualcosa di più della semplice vita mortale…

Tutto ciò, però, ebbi tempo di comprenderlo quando, parecchi giorni dopo, mi svegliai nuovamente, ma quella volta qualcosa era cambiato.

Io ero cambiata. Il mio DNA e le mie cellule erano state modificate.

 

 

Ero diventata un’arma letale, capace di cambiare l’aspetto e la forma di alcune delle mie parti del corpo, capace di sconfiggere un esercito armato in pochi colpi… ero un’arma vivente creata dal professore, del quale ho scoperto successivamente il nome, Xehanort.

Ma ero un’arma molto speciale, diversa da tutte le altre macchine o robot che avevano inventato: io avevo un cuore, capace di amare e odiare… di provare sentimenti.

 

Il mio corpo, nonostante la modificazione genetica, continuava a crescere e a svilupparsi, cosa che mi incuriosì e mi impaurì allo stesso tempo.

Così Xehanort mi sottopose ad un’ulteriore operazione.

 

L’ultima.

 

Rivenni parecchi giorni dopo, anche se questo lo seppi in seguito.

Però sin da quando aprii gli occhi notai che qualcos’altro era cambiato; io non ero più io.

Era nata un’altra me.

 

Da quel che diceva Xehanort, quest’altra me era il mio Nobody.

Egli le spiegò, insieme ai suoi cinque colleghi (uno biologo, un fisico, un ragazzo prodigio psicologo e  neurologo insieme, un biotecnologo, e un tecnico) che quando ad una persona dalla volontà forte viene sottratto il Cuore essa si scinde in due esseri: la psiche inconscia elabora un’immagine di sé e plasma le Forze e la Materia al fine di ottenere un Corpo, il quale sarà più o meno somigliante all’essere originario, ma ciò dipende dalla più o meno dettagliata percezione del sé.

L’essere originario, da parte sua perde l’attività cerebrale, quindi il corpo; perciò, ciò che ne rimane attinge dall’Oscurità (perchè affine alla Vita) ciò che gli manca per poter rimanere in vita, e prende il nome di Heartless, un essere costituito per la maggior parte da Oscurità, privo di Cuore e, apparentemente, anche della benchè minima complessità cerebrale. Questi agiscono sulla base del puro istinto e si nutrono di Cuori; sono in grado di viaggiare nello spazio e raggiungere gli altri Mondi, sfruttando le serrature che collegano i pianeti l’uno all’altro. Per studiare questi esseri, le narrò Xehanort, lui e i suoi colleghi avevano creato una specie di “fabbrica” che produceva Heartless a grandi quantità, e questi si differenziavano dagli originali da un simbolo a forma di cuore nero allungato, circondato da un filo spinato rosso, sono chiamato perciò Emblemi.

I Nobody, sono creature ancora differenti. Intanto sono diversi persino tra loro e di dividono in gradi: quelli di rango inferiore in quanto ad intelligenza sono poco più intelligenti degli Heartless, e hanno la forma di un guscio bianco; quelli di grado superiore invece, hanno sembianze umane, ma differiscono da questi ultimi per molti aspetti: fisicamente, il colore dei capelli e degli occhi hanno dei pigmenti più forti, e sono dotati di un quoziente intellettivo di gran lunga maggiore a quello di qualunque razza esistente, ognuno è padrone di un particolare elemento che può distruggere un intero Universo da solo. Tuttavia, sono privi di Cuore, quindi non provano emozioni, anche se quest’ultimo concetto era stato tramandato loro da Ansem il Saggio, Re di quel Regno e loro maestro.

 

Grazie a lui, i sei scienziati (suoi apprendisti) non disponevano solo di immensi laboratori e macchinari sofisticati, ma anche di vitto e alloggio; godevano di una certa fama nel Regno, la gente li amava e li rispettava tanto quanto il loro Re.

Il mio Nobody però non poteva uscire dal Castello. Era un Nessuno, e la gente l’avrebbe distrutta a vista; ciononostante il mio Nobody aveva un Cuore: il mio. Xehanort, conscio del fatto che io non ero immortale, tantomeno indistruttibile, aveva optato per una via di mezzo.

 

Con il passare degli anni, Xehanort era diventato il suo maestro, il suo mentore e, cominciava a volergli bene… la lodava, l’allenava e delle volte le daceva anche dei piccoli regali.

 

Con il passare dei anni, la percezione di me andava affievolirsi, così come la mia coscienza; la mia personalità si stava perdendo in quella del mio Nobody. Il Corpo di lei stava lentamente cominciando ad inglobare del tutto il Cuore, dove risiedeva l’ultimo frammento della mia anima.

 

Iniziai così a scomparire, a venire cancellata.

In fondo però ero contenta. Dopotutto quello che mi era successo nella mia vita, non avevo più voglia di andare avanti…



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Non sembra proprio una fanfiction su Kingdom Hearts, vero? Sembra più un incrocio tra cenerentola e Saw...
Questo è il prologo, ladies and gentlemen. ^__^

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Capitolo 3
*** Capitolo I ***


(*)

Capitolo I^
A STRANGE DREAM

 

[ Dive into the heart-Destati]

 

Ancora. Era ancora là. Quando sarebbe finito quel tormento?
Era sempre su quella maledetta vetrata…
Era argentea, e vi erano raffigurati due ragazzi: uno biondo, con grandi occhi azzurri, l’altro era castano, ma con i medesimi occhi, soltanto che sembravano più… innocenti, sinceri.
C’era poi, il volto di un ragazzo dai capelli argentati e una benda sugl’occhi…infine, una ragazza coi capelli rossi… le sembrava di averla già vista… ma dove?

All’improvviso, una luce molto forte quasi l’accecò.

<< Che diavolo succede?! - pensò la ragazza esasperata- Un momento, stavolta è diverso >>

C’erano tre piedistalli. Sopra c’erano rispettivamente uno scettro, una spada e uno scudo.

<< Il mio cuore… o quello che ne è rimasto… mi chiede di scegliere… >>

Li osservò per un po’, pensierosa, poi si diresse verso la spada. La prese in mano e subito questa sparì.
Improvvisamente sentì un peso enorme al cuore…

<< Devo alleggerirlo rinunciando a qualcosa… >>

Osservò lo scettro e lo scudo. Lo scudo… la capacità di difendersi...poteva essere utile. Rivolse il suo sguardo allo scettro. Ricordava molto i sonagli dei neonati.

Il sapere del Saggio, il potere del Mistico... la magia non l'affascinava, non l'aveva mai usata molto... se non i poteri legati a quelli della sua razza.

Sacrificò lo scettro-sonaglio e si guardò intorno.

<< E adesso? >>

Uno scricchiolio e un rumore che ricordava il cristallo infranto si propagò nel silenzio di quel luogo strano ed inquietante.

Se non ci fosse stata quell'esplosione di suoni, non si sarebbe accorta di esser dotata di udito.

Abbassò lo sguardo e vide che sotto di lei la vetrata si stava disintegrando. Cercò di urlare ma qualcosa glielo impediva: la sensazione che tutto ciò fosse già accaduto.
Atterrò su un’altra vetrata.


Quando si rialzò, le comparve tra le mani la stessa spada di prima.

- Dovrai combattere…- disse una voce.

<< Eh?! >>

- … per proteggere la tua oscurità dalla luce, e il tuo cuore da esseri che lo bramano ogni volta sempre più…

All’improvviso, dalla vetrata sbucarono degli esseri neri, con degli orrendi occhi gialli.

Li aveva già visti quando Xehanort….

<< Ma che cazzo vogliono?! >> pensò, agitata.

- … il tuo cuore…

<< Ok, vogliono la guerra!? E che guerra sia! >>

Cercò di attivare le sue nanomacchine, ma non funzionò. Aveva solo quella spada in mano.

Ne fece fuori uno, due, tre, quattro, cinque… ne sbucarono altri, ma non si arrendeva. Riuscì a farli fuori tutti. Cadde a terra, sfinita.

<< Mai combattuto così! Per quanto ho potuto combattere, certo. Non è che ho avuto la possibilità di fare stragi… E adesso che cazzo succede? Una scala… devo salire? E va bene…mettere una scala mobile no, è?!... C’è un'altra vetrata qui…un cerchio di luce viola e nera…>>

- Più ti avvicini all’Oscurità…

Si avvicinò, sentendo nuovamente la voce.

-…più piccola diventa la tua luce… ma persiste ancora.

<< La mia… luce? >>

Si girò di botto. Si guardò il petto, e subito avvertì un piccolo vuoto... poi vide un’ombra di luce accecante staccarsi da lei. Era strano… aveva la sua stessa sagoma, ma non aveva volto.

Dove avrebbe dovuto avere gl’occhi, stavano due fessure bianche.

<< Possibile che questa sia la mia ombra? Tutta questa luce nel mio cuore…?!… Però, non l’avrei mai detto! >>

Questa assunse le sue sembianze, e, improvvisamente, le braccia della figura divennero due lame giganti piuttosto affilate.

La ragazza non ci pensò di due volte ad attaccare: bloccò i suoi attacchi e la colpì ripetutamente alle braccia e alla testa, ma non bastava.

La sagoma di luce immerse un braccio nella vetrata, e cominciarono a correre per la vetrata scariche elettriche bianche e oro.

<< Oh, merda! >> pensò la ragazza, cominciando a evitare, grazie ai suoi riflessi particolarmente sviluppati, i fulmini bicolori.

Si concentrò sulla sagoma: non poteva mollare, non così!!

Evitò l’ultima scarica e, con una serie di acrobazie, riuscì ad avvicinarsi nuovamente alla sagoma splendente e la squarciò in due, diagonalmente.

Atterrò un po’più in là, a debita distanza. Si voltò di scatto, pronta a colpire nuovamente, ma la sagoma non sembrava voler attaccare.

La fissò intensamente negl’occhi, e urlò.
L’urlo acuto si diffuse nell’aria e invase le orecchie della ragazza.
La sagoma si voltò verso di lei.
La ragazza la guardò intensamente.
Dove c’erano le fessure bianche (gli occhi), parve scendere, lenta, una lacrima.
La ragazza la guardò stupita ed esterrefatta.
La lacrima raggiunse il mento dell’ombra di luce e precipitò verso il pavimento vetrato.
Mentre si buttava a capofitto verso la vetrata, la lacrima prese consistenza, forma, e quando si schiantò contro il suolo, un rumore di cristallo che rotolava si dilatò nello spazio intorno a loro.
La sagoma scomparì nel nulla, dissolvendosi in luccichii più piccoli che andarono verso l’alto.

La ragazza abbassò la guardia, e si avvicinò all’oggetto che era caduto.
Era una goccia di cristallo, non molto grande, di un colore azzurro-trasparente.

Vide poi, nuovamente, un’altra luce: proveniva dalla spada. Stava cambiando.

Scintille scure si unirono sino a formare una sottospecie di spada a forma di chiave. Era color bianco sporco, con due “lacci” , uno bianco e uno nero, che s’attorcigliavano intorno ad essa. Come elsa, due lame bianche affilate e un’impugnatura altrettanto tagliente, tanto che si procurò un lungo squarcio sulla mano.

Le comparve qualcosa anche nell’altra mano. Era anch’essa una chiave gigante, con una grande pietra rosso sangue in cima, e l’impugnatura ricordava molto una colonna vertebrale umana. Un brivido le corse lungo la schiena.

Un rumore improvviso la fece sobbalzare, e il suo stomaco fece un bel paio di capriole.

- No! Porca di quella…!- imprecò a gran voce. Ora riusciva a parlare. Aveva un suono strano, basso.

Sotto di lei si era aperta una voragine. Non vedeva nulla. Non ce la poteva fare…

Oramai era davvero finita, davvero finita…

<< No, col cazzo! Inventati qualcosa! >> le ordinò il cervello.

- Rixika…- una voce, interruppe i suoi tentativi di mettere insieme un piano. Era diversa da quella precedente…

<< Che? >>

- Rixika! Il tuo nome è Rixika!

<< INSOMMA CHI SEI!? LASCIAMI ALMENO PENSARE, E CHE CAZZO!>>



+++

[ Organization XIII ]

Un Mondo lontano, lontano da qualunque altro Mondo e lontano da qualunque Sole.

Un Mondo fatto di altissimi grattacieli scuri, che sfidavano il cielo minaccioso, perennemente coperto da fitte nubi color pece.

Un Mondo freddo, a causa della grandissima distanza dal Sole, un pianeta inadatto alla vita; infatti, in quel Mondo l'esistenza era stata cancellata, ma non dalla natura. Gli unici segni di una passata vita umanoide era, appunto la città di grattacieli, che occupava buoba parte del pianeta, mentre l'altra metà era divisa tra distese di sabbia nera e spiaggie scure.

Le insegne con scritte aliene al neon sostituivano le stelle ed erano l'unica fonte d'illuminazione del pianeta, a parte il Castello, una costruzione simile ad un'enorme aereonave (un mezzo di trasporto in grado di varcare le barriere che dividono i diversi Mondi e raggiungerli) bianca, residenza dell'Organizzazione XIII.

L’Organizzazione XIII era un gruppo di individui composto da tredici Nobody.


Ma di lì a poco tutto sarebbe cambiato.

Xemnas, il capo dell’Organizzazione, camminava tranquillamente per uno dei sotterranei del palazzo, accompagnato dal numero quattro, Vexen.

- Xemnas, con tutto il rispetto, che cosa ci facciano nell’ultimo dei sotterranei? Ne avevi vietato l’ingresso a tutti…- domandò quest’ultimo.

- Mio caro Vexen… devo presentarti una persona- rispose pacato l’uomo.

- Chi, se posso chiedere?

- Ora vedrai.

Arrivarono alla fine del corridoio, dove vi era un’unica, singola porta.
Xemnas la aprì e la varcarono.

Era una stanza immensa, completamente bianca e spoglia(che fantasia N.d.A). Pareva abbandonata da tempo…
L’unica cosa che c’era dentro, era al centro della stanza.
Era un bozzolo bianco, un ovetto come quelli che c'erano nella sede di Diz.
Quel bozzolo sembrava molto vecchio, era stato lì per molto tempo, notò Vexen.

- Avviciniamoci, Vexen- disse Xemnas.

Vexen si avvicinò all’ovetto e guardò cosa vi stava dentro.
Non credette ai suoi occhi.
Guardò il suo capo, scioccato, e domandò: - Ma chi…?

- E’, o meglio, sarà presto, il quattordicesimo membro dell’Organizzazione- spiegò Xemnas, tranquillo, quasi divertito dalla reazione dell’altro.

- Ma… è soltanto….!- balbettò confuso Vexen, spostando il suo sguardo dall’ovetto al capo..

- Hai più anni di quanto pensi… anche se non può dimostrarli, è chiaro- disse il Boss.

- Come?

Vexen non ci capiva davvero un accidente. Che volevano dire tutte quelle parole senza senso? Che creatura è, quella che non può dimostrare i suoi anni effettivi?

- A dir la verità, Vexen, non so nemmeno io cosa sia veramente- rispose Xemnas, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, mentre gl’occhi di Vexen schizzavano fuori dalle orbite per lo stupore, - Xehanort, dopo aver rapito una ragazza e messa alla prova per vedere se la sua era una volontà forte, poiché solo così sarebbe nato un Nobody, tramite operazione le ha rimosso il cuore per poi immetterlo nel Nobody della ragazza. Come se non bastasse, ha ricostruito il suo intero DNA, introdotto delle nanomacchine che le permettono di far assumere ai suoi arti forme diverse, più specificamente…

- Quindi, è un robot- concluse Vexen, cercando di nascondere il suo stupore.

- No, è un’arma letale vivente. Ti ho detto che è stata ricostruita per metà. E’ ancora una persona, un nobody… Lei ha qualcosa che noi bramiamo da sempre, Vexen. Possiede un Cuore, perfettamente funzionante e perfettamente in grado di provare sentimenti- aggiunse Xemnas.

- Perché è stata addormentata?- domandò allora lo scienziato. Lo intrigava la storia di quel nobody-cyborg.

- Perché Xehanorth non voleva che il Re la trovasse… lei era il suo primo esperimento riuscito con un Nobody.

- E come hai intenzione di usarla, Xemnas?- domandò l’altro.

Aveva capito che il Superiore avrebbe svegliato quella sottospecie di macchina… ma per quale motivo?

- Desidero fare un esperimento, che so per certo che funzionerà. E poi, è un sicario perfetto…

- Che genere di esperimento?

- Più avanti te ne parlerò. Ma c’è un motivo per cui ho deciso di fartela vedere. Dovrai essere il suo medico-meccanico quando ci saranno dei problemi.

- Certamente Xemnas- disse, inchinandosi, Vexen - Quando hai intenzione di destarla?

- Presto, molto presto. E’ necessaria al mio esperimento e poi, deve sbrigare una certa faccenda per me…- rispose Xemnas, pensoso.



+++

 

[ Kairi ]


In un altro luogo, mondi e mondi più in là, su una spiaggia bianca, di un mondo chiamato Destiny Islands, un mondo composto da un arcipelago di isole dal clima tropicale, una ragazza dai capelli rossi, lunghi fino alle spalle, con due grandi occhi blu, era in piedi, sulla sabbia, intenta a fissare il mare dalle acque trasparenti e cristalline che si stagliava davanti ai sui occhi. In realtà non lo vedeva davvero.
Cercava, nella sua memoria un volto familiare, che però le sfuggiva…
Il volto di una persona che per lei era importante, a cui teneva davvero molto… ma non riusciva a ricordarsene il volto… è strano, direte, ma non è così strano, dato che le avevano cancellato una parte della memoria a sua insaputa.

- KAIRI!!- la chiamò una voce alle sue spalle.

La rossa si voltò e vide una ragazza dai grandi occhi verdi correrle incontro.

- Selphie- disse, non appena questa le fu vicina.

- Kairi, che ne dici se domani pomeriggio andiamo all’Isolotto? Ci saranno tutti e si farà un grande festa in spiaggia- domandò la ragazzina, con il fiatone.

- No, lo sai che non ci tornerò…- rispose la rossa.

- … fin quando non avrai ricordato il volto del ragazzo misterioso del quale eri innamorata e che stava sempre insieme con te e Riku… ma perché sei così ostinata?- chiese, esasperata la ragazzina all’amica.

- Perché sì. E’ importante, davvero, Selphie! Non mi darò pace, finchè non ricorderò il suo volto!- fece caparbia la ragazza, guardando prima la sua amica, poi voltandosi a guardare il mare.


Selphie guardò triste l’amica. Povera Kairi! Si dava tanto tormento per un ragazzo del quale nemmeno si ricordava!
Kairi era carina, vivace, spontanea e divertente, avrebbe potuto avere tutti i ragazzi ai suoi piedi, con un solo schiocco di dita… ma lei non voleva, non gli interessavano. A lei interessava quel tipo… quello che stava sempre con lei e Riku un anno fa… non le veniva il nome… ecco, Sora, si chiamava!

- Vai pure tu, Selphie. Ci tieni, no? Ma io non verrò, grazie per l’invito, comunque- affermò poi Kairi, tornando a guardare la ragazza dagl’occhi verdi.

- Sei sicura?

La rossa annuì, con un sorriso: - Vai e divertiti, non pensare a me! Guai a te, se non ti dichiarerai al tuo amato Tidus!

Improvvisamente Selphie arrossì e disse, evitando lo sguardo dell’altra: - Ma cosa dici?! Io… a me non piace… Tidus!!

- Nooo….- fece sarcastica Kairi- … inciampi sempre sui tuoi piedi quando ti passa vicino, arrossisci e abbassi lo sguardo ogni volta che ti parla, e fai un sacco di figuracce quando è nei dintorni! No, non ti piace!!!

- Ok, forse un pochino…

- Un pochino tanto, direi!

- Hai vinto, mi piace!- si rassegnò Selphie.

- Ma perché non ti dichiari?

- Perché…. Mi vergogno, Kai… e poi io a lui non piaccio, quindi…!- fece, melodrammatica la ragazza (tipica preoccupazione di ragazza innamorata => eterno problema N.d.A)

- E tu cosa ne sai? Magari gli piaci e anche lui non sa come dirtelo…- (tipica risposta da amica N.d.A.)

- E, seee!!

- Beh, almeno tu ce l’hai a portata di mano…- aggiunse malinconica Kairi.

- Già… allora… ci vediamo domani, a scuola?

- Sì, purtroppo. A domani Selphie.

- A domani Kai, notte!- la salutò Selphie, poi le diede un bacio veloce sulla guancia e disse, in un sussurro: - Un giorno lo incontrerai.

E schizzò via, a casa a prepararsi per la gran serata che l’attendeva….

Kairi la osservò mentre s’allontanava, poi decise di tornare a casa anche lei.
Lasciò la spiaggia e si avviò per le stradine del paesino.
Il sole ormai stava tramontando, e il cielo si dipingeva di tutte le sfumature del rosa e dell’arancione, dando al paesino un’atmosfera tenue e delicata.

<< Chissà dove sei… chissà se tornerai mai…>>

Kairi arrivò a casa di Riku all’ora di cena.
Abitava lì da quando era arrivata a Destiny Islands e sua nonna era morta…
Lei non aveva il papà e la mamma, quindi, i genitori del suo migliore amico, Riku, si erano offerto di ospitarla, ben felici di avere una “figlia adottiva”.
Erano sempre stati gentili con lei, anche dopo la fuga da casa di Riku… erano due anni ormai che mancava da casa…

- Ciao Kairi, com’è andata a scuola? - domandò suo padre adottivo, seduto comodamente sulla sua poltrona in salotto, mentre la ragazza richiudeva dietro di sé la porta di casa.

- Tutto bene, papy- rispose sorridente la rossa, salendo le scale, diretta in camera sua.

- Ah, la mamma?- domandò poi, tornando sui suoi passi.

- E’ uscita a far la spesa, tornerà tra un po’- rispose l’uomo, prendendo il giornale dal tavolino.

Kairi finì di salire le scale e si chiuse in camera sua.
Poggiò la borsa sulla sedia lì vicino, si buttò sul letto e tirò fuori il suo mp3 rosa acceso.

<< Dove sei, Sora?
Ti sei già scordato di me?
Ti sei già scordato della promessa che mi feci?
>>pensò, triste.

 

[ Il mio pensiero_Ligabue ]

Una canzone le riempì la testa, e lei si lasciò cullare dalla sua melodia e dalle parole di essa.

Cosa c’entra questo cielo lucido
Che non è mai stato così blu
E chi se ne frega delle nuvole
Mentre qui manchi tu

Pomeriggio spompo di domenica
Come fanno gli altri a stare su
Non arriva neanche un po’ di musica
Quando qui manchi tu

E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere

Cosa c’entra quel tramonto inutile
Non ha l’aria di finire più
E ci tiene a dare il suo spettacolo
Mentre qui manchi tu”



Kairi non voleva il solito ragazzo super carino, il super popolare della scuola, voleva un ragazzo semplice, senza troppi fronzoli per la testa, che ricambiasse sinceramente il suo amore, e che, magari, la trattasse seriamente, e questo qualcuno, era proprio il ragazzo del quale non riusciva a rammentare il volto…

- Sora- sussurrò debolmente, mentre una lacrima le nasceva dietro gli occhi.



Così solo da provare panico
E c’è qualcun\'altra qui con me
Devo avere proprio un aria stupida
Sai come è manchi te

E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere

E adesso che sei dovunque sei
Ridammelo indietro il mio pensiero
Deve esserci un modo per lasciarmi andare



Il sole tramontava del tutto, scompariva tra le onde agitate del mare.

Cosa c’entra questa notte giovane
Non mi cambia niente la tv
E che tristezza che mi fa quel comico
Quando qui manchi tu

E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere”



Kairi sapeva che, anche se lui non l’aveva mai detto apertamente, era ricambiata. Ma non ne era davvero così sicura, dentro di sé.
Sapeva solo che era pazza di lui, di quel suo modo di fare buffo e divertente, quel modo di affrontare i problemi, quel suo modo di tirarti su facendoti ridere a crepapelle. I suoi occhi color zaffiro, nel quale si perdeva ogni volta che lo fissava intensamente negli occhi.

Le dolci e malinconiche lacrime di nostalgia cominciarono a scenderle lungo le gote rosee, bagnando leggermente le lenzuola e la camicetta bianca.


E adesso che sei dovunque sei
Ridammelo indietro il mio pensiero
Deve esserci un modo per lasciarmi andare



La ragazza dopo un po’ si addormentò, lasciandosi alle spalle il mondo reale per entrare in quello dolce e consolatorio dei sogni, che poteva darle ciò che la realtà, il mondo reale, le negava: il suo amore.



+++



A quanto pareva avevano finalmente smesso con le vetrate e l’atmosfera angosciante… stavolta si trovava in un posto ancora più angosciante!

Era un ampia piazza dalla quale si poteva ammirare il tramonto. Il punto era che tutto sembrava… morto, irreale.

- Tu devi essere quella che lui ha scelto…-disse una voce profonda.

- Dipende… chi sei tu?

- Il mio nome adesso non ha importanza. Voglio che mi parli di te… sarai degna del grande potere?

- Del gran…cosa?

C’erano delle persone: alcune non le aveva mai viste, altre erano familiari e le conosceva bene.

Il primo era Xehanorth.

- Cosa desideri dalla vita, Rixika?- le domandò.

- Possibilmente viaggiare per i mondi, dato che i soli due che ho visto ho dovuto trucidare tutta la popolazione locale…

Le venne in contro un ragazzino bruno dagli immenso occhi verde scuro: - Cos’è più importante per te?

- Me stessa, al momento. Ma che te frega?

La ragazza diede le spalle allo scienziato e al ragazzino, e il suo sguardo cadde su una bambina di appena quattro anni seduta in cima alla scalinata dell’edificio che aveva di fronte.

Le si avvicinò cautamente. Dove l’aveva già vista?

Questa la vide e sorrise: - Di cosa hai più paura, Rixika?

<<
Ah, brutta questa domanda! >>commentò, prima di rispondere: - La mia più grande paura è… invecchiare.

Sapeva che era stupido, dato che godeva dell’eterna giovinezza, però… quella paura c’era sempre. Sarà stato un ricordo dell’altra lei…

- Beh, sei particolare, devo ammetterlo… - ammise la voce, e le tre persone sparirono.

- Modestamente sono unica e inimitabile…- ironizzò lei.

- Capisco ora perché ti ha scelta…

- Allora, me lo vuoi dire il tuo nome?


+++


Il sole splendeva sull’arcipelago di Destiny Islands.
I suoi raggi caldi inondavano di luce metà della camera da letto di Kairi.
La ragazza indossava ancora la divisa della scuola, le cuffiette ancora nelle orecchie: l’Mp3 aveva continuato a funzionare tutta la notte, ma la ragazza non aveva potuto udire tutte le tracce che conteneva.
Kairi ancora dormiva, con quella serenità velata dalla malinconia che troppe volte aveva attraversato quel volto gentile e delicato.
Le palpebre tremarono: si stava svegliando.

La sua ragione era ancora incosciente quando, improvvisamente, ricordi assopiti le invasero il cervello.
Tutto d’un colpo, ricordò tutti gli eventi dell’anno prima: gli Heartless, Riku, Ansem, Paperino, Pippo… e un volto le espose davanti agli occhi della mente.

Un viso dolce, buffo, solare. Due grandi ed espressivi occhi blu oltremare, un piccolo naso all'insù e labbra sottili e rosee.
Capelli castani, ribelli, folti... un po' basso.
Una faccia sorridente.

Il volto di un ragazzo.

- SORA!!!!- urlò, svegliandosi del tutto.

Ancora sotto shock, si alzò in piedi e si diresse verso la finestra, per prendere un po' d'aria.
Una piccola ventata le scompigliò i capelli e la ragazza respirò a fondo.

L'aveva ricordato: il volto di Sora.

Sorrise.

Ora doveva solamente trovarlo, perchè sapeva... sentiva che era vivo e vegeto, da qualche parte, disperso nell'Universo.

Una serie di confuse sensazioni la invasero.

Decise di andare all'Isolotto. Qualcosa la spingeva a dirigersi verso l'isola: lì avrebbe trovato il modo di raggiungere Sora.

Durante il breve viaggio non riuscì a pensare ad altro che a quel volto ridente.

Non appena mise un piede sulla morbida e calda sabbia avvertì un presentimento: sarebbe successo qualcosa... non avrebbe saputo dire se era positivo o negativo. Ma sarebbe successo.

I suoi passi la portarono nel Luogo segreto.

[ Treasured Memories_ KH(1) ]

La ragazza si guardava intorno, malinconica e nostalgica. Tutti i loro “graffiti”… il suo sguardo cadde poi su un’apertura un po’ nascosta dalle radici. Strano… non se la ricordava!

Con un po’ di difficoltà, s’infilò nella crepa e vide che c’erano altri disegni. Dei “graffiti” che tuttavia non ricordava di aver mai fatto: nemmeno Sora, né Riku potevano esserne gli autori. Non disegnavano così bene! (XDXD N.d.a.).

Il più bello era quello al centro: due bambine che si tenevano per mano. C’erano anche altri tre ragazzi, ma erano fatti piccoli piccoli.

- Ma chi li ha fatti questi?- chiese a se stessa, stupita.

Un rombo di motori la distrasse dai suoi pensieri. Stava accadendo qualcosa fuori. Uscì di corsa, per ritrovarsi sulla spiaggia.

Un forte vento cominciò a soffiare dall'alto. Le palme si piegarono, le rare nuvole che c'erano scomparirono e la sabbia si alzò.

Kairi si portò le mani al volto per ripararsi dai granelli di sabbia, e avvertì un rumore strano. Come di un qualcosa di metallico che atterrava sulla spiaggia dietro di lei.

Si voltò e ciò che vide le fece schizzare gli occhi fuori dalle orbite: era una sottospecie di nave spaziale gigantesca, tutta rossa e illuminata.

Uno sportello si aprì ed esso diventò un ponte tra la porta della nave e la spiaggia.
Un’ombra comparì alla porta.
Kairi sforzò gli occhi.

La figura era notevolmente bassa, alta al massimo un metro, e aveva un’ampia gonna viola e azzurra piena di merletti e trine.
Un brillante diadema sulla testolina.

- Sei tu Kairi, la settima principessa?- domandò.

- E tu chi sei?

- Sua Maestà desidera vederla con urgenza, principessa- rispose l’altra, facendole segno di salire.

Kairi non esitò un momento e quando salì sulla nave spaziale la ragazza si trovò al cospetto di una Regina.
Aveva due orecchie tonde in cima alla testa, due grandi occhi neri, vestita come una regina del Medioevo.

- Kairi, settima principessa del Cuore- s’inchinò quella.

Kairi fu colta alla sprovvista. Una regina che si chinava di fronte a lei. Lei… una principessa?
Come doveva comportarsi?

- Sua Maestà…?- s’inchinò a sua volta, indecisa.

- Regina Minnie- si presentò la reale- Principessa, io e lei dobbiamo parlare di cose di vitale importanza- le annunciò dopo, facendola accomodare nel salottino della nave spaziale, mentre questa ripartiva.

Si sedettero l’una di fronte all’altra. Un esile tavolino rosso le divideva.
La regina aveva un espressione seria, un po’ triste e davvero preoccupata.
La principessa, era ancora un po’ sotto shock, ma negl’occhi brillava una luce di determinazione che la caratterizzava da sempre.

- Il Prescelto del Keyblade è in serio pericolo, principessa- cominciò Minnie, ma la ragazza la interruppe dicendo: - Mi chiami pure Kairi, regina.

- Ho ricevuto un importante lettera da mio marito, il Re. Nuovi pericoli sono in agguato. Un gruppo di Nobody e… il pericolo più grande. Si dice che nei sotterranei del Castello nel mondo dei Nobody vi sia il combattente più potente di tutto l’Universo. Racchiude in sé un grandissimo potere. Un potere terribile, che potrebbe andare oltre a quello del Prescelto. Questo guerriero, verrà sicuramente usato ai fini dei Nobody e non possiamo permettere che ciò accada, perché ha già fatto una strage terribile, in passato: quella volta decimò l’intero pianeta…

- E’ terribile- commentò Kairi, seria.

La regina annuì e venne al punto: - Il problema è che non so come avvertire il Prescelto. Inoltre, è molto pericolosa questa missione, Sora deve avere tutto l’aiuto possibile…è per questo che sono venuta proprio da te. Non sei obbligata ad accettare se non te la senti, naturalmente. Vorresti portare queste informazioni al Prescelto e dargli man forte in questa missione?



+++



Nel Mondo che Non Esiste, Vexen era al cospetto del numero I dell’Organizzazione. Sembrava soddisfatto e ghignava malevolo: - Il contatto con la sua mente ha funzionato: il suo cervello risponde agli stimoli e non è stato danneggiato dopo l’ultima operazione, mio signore.

- Perfetto, Vexen. Ora passa alla terza fase. Tra quanto potremmo destarla?- domandò Xemnas.

- Giorni, credo.

- Cerca di affrettare i tempi, non posso aspettare così tanto. L’esperimento deve essere concluso prima che il Re si metta in mezzo!

- E riguardo al Custode del Keyblade?

- Non mi preoccupo di sciocchezze… non darà alcun fastidio.

- Ma… ha sconfitto Xehanorth…

- Vexen, Xehanorth si trovava nel corpo di un ragazzino. Io godo di un corpo mio, e del mio potere oscuro… e presto anche di un cuore, anche se Kingdom Hearts fallisse- dichiarò convinto, per poi aggiungere – ovviamente anche tu e gli altri sarete ricompensati come si deve!

- Non lo mettevo in dubbio, mio sire.

- Bene, bravo, ora va’- lo congedò Xemnas.

Vexen uscì dalla sala e si diresse nuovamente al laboratorio sotterraneo.

Xemnas fissò la finestra che dava al mondo sottostante. Buio e oscuro, come la sua anima.
Il Nobody guardò gli innumerevoli fogli sulla scrivania al quale era seduto.
Prese un foglio in particolare e se la avvicinò agl’occhi. Era una fotografia. Ritraeva una sorridente bambina con i capelli rosa, raccolti in due code, con i boccoli, gli occhi verde scuro sorridevano sereni; era abbracciata ad un ragazzino con i capelli castani. Lo sguardo di Xemnas si soffermò sulla bimba.
Rise maliziosamente e sussurrò piano: - Presto sarò completo.

---------

(*)Allura, le scritte in grassetto sono le canzoni che accompagnano i vari "momenti". Lo so sono complicata.^_^"

Comunque spero di esser riuscita a spiegar bene la faccenda del Mondo che Non Esiste e dell'Organizzazione, ho spiegato poco ma più in là sarà tutto più chiaro^w^

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Capitolo 4
*** Il risveglio del XIV membro ***


cap II

Capitolo II
IL RISVEGLIO DEL XIV^ MEMBRO





<< Quanto tempo avrò passato chiusa qui dentro? Chissà cos’è successo lì fuori, nel mondo, intanto… chissà quante cose sono cambiate! Ma porco cane, mi sono proprio rotta di essere in coma…. O di dormire…. Non so nemmeno questo!! Sono viva e sto dormendo, o sono morta e sono nell’aldilà? Beh, se fossi morta… questo dovrebbe essere l’inferno, teoricamente, dato che non si può dire che sia una persona poi così innocente!
… MA CHE DIAMINE DI INFERNO E’?!!! Non ci sono fiamme, non ci sono tormenti, niente forconi, nulla!
Appunto, ecco che c’è, il Nulla più assoluto… a parte quando sono sopra quelle vetrate azzurre… ma è sempre la solita tiritera…
Ma mi sono proprio stufata di stare qui!
Un attimo!
Che cavolo è?
>>

Si trovò improvvisamente in un… buco. Sentiva su di sé le gelide gocce della pioggia.
Si guardò intorno: era molto buio. Tese una mano davanti a sé: terra. Era in una buca.
Un lampo squarciò il cielo, e la ragazza ne approfittò per vedere meglio in che razza di luogo si trovava.
Aveva una forma rettangolare, e la superficie stava parecchi metri sopra di lei.
Capì: si trovava in una tomba scavata da poco, senza però la bara.

Una voce le riempì la mente: era pesante, strascicata. Era diversa da quella che aveva sempre sentito.

- Tu ti chiami Rixika, sei il progetto numero 21 del dott. Xehanorth. Creato da egli stesso per distruggere ed eliminare tutti gli esseri umani che il tuo padrone ti ordinerà. Qualunque cosa lui ti chiederà, tu dovrai compierla senza indugi…

- Basta, chi sei? Cosa vuoi da me?- esclamò.

Cominciò a piovere, o meglio, a diluviare.

Grosse gocce di fredda pioggia scendevano dal cielo tetro.

La bagnavano, ma lei non sentiva freddo.

Era insensibile al freddo, avrebbe anche potuto vivere al polo nord completamente nuda e sarebbe campata tutta la vita.

Una figura si materializzò davanti a lei: era un uomo, aveva lunghi e lisci capelli bianchi, pur essendo piuttosto giovane, la pelle scura, e due occhi arancione acceso.

Indossava un camice bianco, da dottore.

- Xehanorth!- disse la ragazza, mentre rabbia e stupore si scatenavano dentro di lei.

- Rixika, da quanto tempo… contenta di vedermi? - disse questo.

La ragazza lo guardò storto, e disse: - cosa dovrei fare? Correrti incontro e abbracciarti come nei film?

- Mi accontento di un abbraccio…

- L’altra spalancò gl’occhi: - Ti è caduta una trave in testa?!

- No, ma sono morto. Mentre tu dormivi…- rispose demoralizzato il dottore.

- Ecco, a proposito, perché cavolo mi hai addormentato?!

- Per salvarti dal Re e da Ansem(quello vero s'intende).

- Che Re? Esiste un Re? Come sei morto?

- Sì. Viene da un mondo chiamato Disney e… tramite Ansem, aveva scoperto che cos'eri, sei, che ti avevo creata io, e che ti avevo mandata io in giro per i mondi e che compivo studi sui Cuori. E ovviamente, volle distruggerti. Perciò io ti ho nascosta – rispose semplicemente Xehanorth.

- E come sei morto?- chiese la ragazza, divertita.

- ….

- E' stato questo Re alieno? O Ansem ti ha condannato a morte?


Xehanorth le lanciò un’occhiataccia: - No. Io e gli altri non siamo più riusciti a contenere gli Heartless, i quali ci hanno attaccato, ed invaso il Mondo. Ho ceduto all’Oscurità, ma sono rimasto intrappolato in uno spazio di mezzo: tra l’esistenza e la non esistenza. Sono riuscito a incarnarmi in un ragazzino, ma il suo amichetto, il custode del Keyblade mi ha ucciso.

La ragazza rimase a guardarlo impressionata per qualche minuto. Poi le sue labbra si incrinarono verso l’alto e scoppiò a ridere.

Xehanorth la guardò sdegnato e sconvolto dalla reazione dell’altra.

- NON C’E’ NIENTE DA RIDERE!!!

La ragazza, che cercava di trattenersi, incrociò il suo sguardo quasi ferito e si sganasciò ancora di più.

- Tu…in……un... ragazzino……e… il suo amichetto…….!- balbettò tra le risate.

Quando riuscì a smettere, commentò, tenendosi ancora la pancia: - Forse era più dignitosa la storia del Re, Xe’. Tu, il grande studioso dell'Oscurità, il Re degli Heartless…sconfitto da un ragazzino… questa poi….

- Sentimi un po’ ragazzina, tu non sai nulla! E vedi di portare rispetto, dato che ti ho dato un motivo per esistere, un Cuore…ti ho resa diversa da tutti gli altri- ribattè l’uomo arrabbiato.

- Hai ragione- disse la ragazza, con tono scocciato: Xehanorth era suo padre, in fondo. Aggiunse:- Ma ora, grazie a questo tuo rendermi “diversa” non riesco a svegliarmi. Non riesco a liberarmi dei ricordi!

- Non ti libererai mai dei ricordi. Quelli della tua razza non dimenticano: è questo che vi rende speciali.

- FINISCILA! Tu e le tue ricerche! Io voglio uscire di qui!- urlò la ragazza, mentre una delle sue braccia si trasformava in una lama tagliente.

- Non hai nessuno che ti rimpianga… nessuno a cui dispiaccia il tuo coma…Questo è il posto adatto per te. Più di quanto tu stessa creda- ribattè il dottore.

La lama passò da parte a parte l’uomo, che scomparì in una nuvola di fumo.
Rixika guardò verso l’alto: la superficie.

Era stanca di fare sogni assurdi.

Era stanca di dormire.

Doveva raggiungere la superficie: la libertà!


Cominciò ad arrampicarsi per la parete di terra, ma quasi subito, scivolò.
Strinse i denti, e ricominciò la scalata.
Avvertiva la melma che le si attaccava ai vestiti, le unghie che affondavano nel terreno e si rompevano a causa delle rocce.

Il temporale infuriava, e la pioggia la bagnava, senza però levare il sangue e il fango dai vestiti.

Una mano afferrò saldamente l’erba bagnata del prato.
Seguì un’altra mano, poi un braccio, una testa, busto e gambe.

La ragazza si alzò in piedi. Era fradicia, intrisa di sangue e di fango. Si levò con gesto deciso i capelli sporchi dal viso. Solo allora sentì che le sue unghie pendevano dalle dita insanguinate: facevano male. Il dolore era troppo reale per essere soltanto un sogno…

Eppure l’aveva fatta: era riuscita a uscire da quella tomba.

Respirò l’aria gelida e pungente che correva nel cimitero buio.

Si voltò. I suoi occhi incrociarono le lettere d’ottone che erano stampate sulla lapide, alle sue spalle.


“KIIRA”


Volse la faccia al cielo scuro.
Un grido raggelante le proruppe dalla bocca.
Urlò.
Urlò come mai aveva fatto in vita sua.
La gola le bruciava, e gli occhi erano tartassati dalle gocce di pioggia.
Ma non riusciva a smettere.










IMMISSIONE DEI FRAMMENTI DEI DATI – EFFETTUATA


VALORI OTTIMALI – STABILIZZATI


INIZIO EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN :3


INIZIO EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN : 2


INIZIO EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN : 1


EMERSIONE SINAPTICA - EFFETTUATA




La ragazza aprì debolmente gli occhi e una luce accecante la investì.
Era assonnata, e non sentiva il proprio corpo.

Nelle orecchie sentiva un rumore assordante e vide, anche se sfocato, una stanza bianca, di un bianco accecante, con dei computer e strani macchinari intorno…

Non respirava.

Cercò di fare un passo avanti, in cerca di aria, di ossigeno, ma si accorse di avere un vetro davanti a sé.

Finalmente riuscì a percepire le mani, e con esse tastò la parete di cristallo e l’ansia la attraversò come una scarica elettrica. L'adrenalina tornò a scorrere neòòe vene, facendola sentire viva dopo anni di coma.

Tuttavia, ciò che realizzò la scioccò: era dentro una gabbia di cristallo.
Gridò.

Gridò dalla rabbia.
Gridò, con quanto più fiato aveva in gola.

Le pareti dell’ovetto s’incrinarono e la ragazza, buttandosi in avanti, con le mani che coprivano la testa, sfondò il vetro.
Una cascata di schegge di vetro volarono per la stanza e la ragazza atterrò sul pavimento in ginocchio, con un tonfo che risuonò a lungo all’interno delle pareti, insieme al rumore del vetro che si frantumava per terra.

Ritrovò l’aria e respirò affannosamente, disperatamente, premendosi il petto.

Si portò le mani davanti agli occhi e vide che erano insanguinate. Alcune schegge le avevano dilaniato la carne. Eppure non avvertiva dolore.

Il sonno e la prolungata inattività doveva averla resa temporaneamente insensibile al dolore fisico. Respirò profondamente, sollevata: niente unghie spenzolanti.

- Io… sono… viva.



Un sussurro debole, un lieve suono morbido e rauco insieme, eppure melodioso, le giunse all'orecchio: la sua voce; da quanto non la sentiva.

Era come una mamma che sente la voce del suo bambino la prima volta.


Era riuscita a risorgere dal sonno che l’aveva avvolta per quanto? Mesi? Anni?

Si alzò e si guardò intorno, e un ricordo le affiorò dai meandri della mente: quella stanza era diversa da quella dove Xehanorth l’aveva portata prima di addormentarla. L’ovetto spaccato al centro della stanza, con dei fili che lo collegavano a strani database…quello era uguale, ma il luogo...dov'era?

Non doveva restare lì.

Doveva andarsene.

Doveva fuggire, se non voleva essere riaddormentata.


Tentò di mettersi in piedi, ma non ci riuscì: aveva le gambe addormentate, erano inattive da troppo tempo.


  • Merda...-sbottò, torcendo il viso in un'espressione di concentrazione.

<< No, non abbandonatemi adesso! >> pensò, esasperata. Con un notevole sforzo si tirò in piedi e mosse qualche passo incerto: le gambe si mossero, se pur lentamente. Si mosse, cercando di farle andare più veloce, ancora più veloce.


Poteva correre.

Le sue sviluppate capacità di ripresa avevano un perchè dopotutto.

Non appena le gambe glielo consentirono, si precipitò fuori dalla stanza.
Corse lungo i sotterranei, senza sapere dove andare, andando alla cieca.
Trovò dei passaggi, ci s’infilò e si ritrovò improvvisamente in uno dei 13 piani del castello.

Ansante, si guardò a destra e a sinistra.

Perfetto, non c’era nessuno. Ma da che parte andare?
Decise per la sinistra, e ricominciò a correre.
Avvertì un rumore alle proprie spalle e si voltò per controllare, pur continuando a correre.

Senza alcun preavviso, andò a cozzare contro qualcosa, e si ritrovò senza accorgersene, stesa sopra l’oggetto, o meglio, il “soggetto”, che aveva interrotto la sua fuga.
Era un ragazzo con una cresta bionda con due ciuffi più lunghi che ricadevano sulla fronte, e incredibili e sottili occhi smeraldini. Era più frastornato di lei, e visibilmente scioccato.

- L’uscita?- domandò la ragazza, velocemente, senza neanche pensarci.

Lui la guardò, poi indicò un corridoio laterale con il braccio.

- Grazie - rispose la ragazza, e schizzò verso il corridoio per poi svanire nelle tenebre, davanti agli occhi sconcertati del biondo, che giaceva ancora lì per terra.

La ragazza corse come se non ci fosse stato un domani, e finalmente, giunse all’ingresso del vasto Castello.

Spalancò le porte a suon di calci e, quando queste s’aprirono, guardò giù.

- Porc…!- esclamò.

Il Castello fluttuava sopra una gola. Solo qualche metro più in là c’era la terra ferma, la strada che portava al resto di quel mondo apparentemente desolato e scuro.

Per fuggire da quel stramaledetto castello sarebbe bastato raggiungere la terra, e ovviamente continuare a correre… il problema era arrivarci, a terra.

Saltare era impensabile, sarebbe precipitata di sotto di sicuro…
L’unica cosa era volare.


<<Certo volare, come no!>>

Si concentrò al massimo. Doveva riuscire a riprendere il controllo di tutte le sue nanomacchine, dopo tutto quel tempo s’erano un po’ irrigidite…
Un varco per l’Oscurità comparve sulla parete opposta, alle sue spalle, e un rumore di passi portò la ragazza a voltarsi.

Un uomo alto, con lunghi capelli biondi, sporchi, lunghi fino alla vita e una pelle olivastra, avvolto in un cappotto lungo fino ai piedi, nero.

- Rixika, faresti meglio a non provare ad andartene. Non intendiamo farti del male. Vieni- disse questo, con voce suadente, avvicinandosi. Gli occhi di giada dell'uomo le parvero tremendamente familiari, ma non c'era tempo per pensare.

Il suo nome era Vexen, ma se la ragazza non lo sapeva.
Probabilmente aveva sentito dalla sua stanza un fracasso terribile e aveva capito, dalle condizioni del laboratorio, che la ragazzina s’era risvegliata.

Questa lo guardava diffidente.
L’uomo le si avvicinò, prudente; la ragazza lo fissava, ostile.
Egli si protese per afferrare la ragazza, ma questa, fulminea, lo evitò.
La cascata dei lunghissimi capelli della ragazza si divise in due parti, e le ciocche di una di esse si unirono tra loro e assunsero la forma di un braccio gigante, che scaraventò violentemente Vexen contro la parete opposta, provocando una lunga crepa nel muro.
La ragazza vide, in un angolo dell’atrio, un telone beige che copriva qualcosa. Ne riconobbe la forma, e decise di fare una pazzia.

Corse rapida verso l’angolo, gettò il telo e montò al volo su una moto rossa. Una fiammante Honda civic.

<< Perfetto, è da corsa. Ci sono pure le chiavi… che botta di culo! >>pensò la ragazza.


Sperò che si mettesse in moto immediatamente: aveva i minuti contati. Non aveva neanche il tempo di fare una piccola magia per confondere il suo inseguitore, che si stava rialzando.

VROOM. VROOOOM....

<< Dai, forza! >>

VROOOOOM…

<< Si dai! Ancora un po'... >>

Vexen stava invocando il suo scudo gigante, ed avvertì dei passi che si avvicinavano dalla scalinata.

VROOOOOOOOOOM!

La ragazza partì di botto, come una saetta.

Quasi non vide che sfiorò un ragazzo dagli accesi capelli rossi che aveva appena sceso le scale, in tutta tranquillità.
Prese la rincorsa e sfrecciò verso l’uscita.
L’uomo con lunghi capelli biondo sporco cercò di fermarla, mettendosi in mezzo, ma la ragazza non indugiò e tirò dritto.
Vexen, vedendosi arrivare addosso una pazza in moto, frenò il suo istinto kamikaze e si buttò di lato, per evitare di essere travolto.

Aveva le tempie che le pulsavano, ma quella che provava non era paura.
Non aveva mai avuto paura di nessuno nella sua intera esistenza.
Erano gli altri a dover avere il terrore di lei, Ansem gliel’aveva insegnato.

E ora doveva saltare quel maledetto precipizio.
Stava andando al massimo: la freccetta che indicava la velocità sarebbe potuta schizzare via da un momento all’altro.
Stava raggiungendo il bordo.
Trattenne il respiro e impennò.

La moto si staccò dal pavimento del castello e dopo un volo, che la ragazza vide a rallentatore, e atterrò anche se con una piccola sbandata.

Riprese il controllo della moto, e continuò a sfrecciare, senza guardarsi indietro.

Vexen e Axel la guardarono allontanarsi, inoltrarsi nella città buia, illuminata solamente dalle luci al neon degli alti palazzi.

- La… mia… moto…!- balbettò traumatizzato il rosso.


+++




Nella Gummiship reale, nel frattempo, la Regina Minnie guardava perplessa e ansiosa la giovane di fronte a lei.

- Qual è la sua decisione, principessa Kairi?- domandò grave- Accetterà la missione o…?

Kairi sembrava ancora persa nelle sue riflessioni, quando la regina le rivolse la parola dopo parecchie ore. Gli occhi non si staccavano dal tavolino che la divideva dalla Regina, senza però vederlo davvero.

- Questa volta, non resterò a guardare la battaglia. Non starò in disparte… questa volta. Combatterò.- disse determinata, alzando finalmente lo sguardo per incontrare quello della Regina.

La reale vide in quegli occhi una determinazione a lei sconosciuta, un carattere forte, un coraggio che non aveva pari.

Vide la fermezza che poteva infondere l’amore nel cuore delle persone.

- Sono lieta di questa sua decisione, principessa.- disse la Regina Minnie- Ma non andrà via a mani vuote. Potrà scegliere l’arma che più la soddisfa, l’abbigliamento più comodo…

Con un semplice schiocco di dita, dei bauli fecero la loro comparsa sul tavolo tra le due.

- In quelli rosa, vi troverà tutte le armi migliori della nostra armeria. In quelli viola, degli abiti di prima mano. A lei la scelta- indicò Minnie, allontanandosi dalla saletta, per dirigersi verso la porta alle sue spalle.

Kairi afferrò i bauli contenenti le armi e cominciò a frugarvi dentro.
Vi erano scettri, ma non sapeva niente di magia…
Trovò delle asce, ma erano troppo pesanti per lei…
Estrasse due pugnali gemelli.

Erano a forma di tribale: le lame erano d’argento e i manici neri. Pugnali… per un confronto diretto col nemico.

No, non facevano per lei…

Afferrò tre paia di shuriken, e scelse come arma una lunga e scattante frusta. La arrotolò e la poggiò sul tavolo, affianco agli shuriken e ai vari Etere ed Elisir che aveva trovato.

Passò poi alla parte più difficile e complessa: scegliere l’abbigliamento adatto a combattere…


+++


Dopo un paio d’ore che girava per le strade, la ragazza in moto, trovò un magazzino, dall’aria disabitata e decadente: il posto perfetto per nascondersi.
Era stanca, ormai poteva anche rilassarsi, non la seguivano più da quando l'avevano vista in sella alla moto.
Decise che se mai avesse incontrato quel pirla che aveva lasciato le chiavi dentro, lo avrebbe ringraziato.

Almeno per qualche giorno sarebbe stata tranquilla.

Sgretolò, semplicemente stringendola in mano, la serratura della saracinesca in acciaio e la tirò su.
Ci infilò la moto e ci si chiuse dentro, facendo scorrere velocemente la serranda.
Si girò.
Era umido, freddo, e buio.
Una lampadina elettrica pendeva dal soffitto basso.
La ragazza afferrò la catenella e la accese.
Era abbastanza spazioso e piuttosto spoglio. Le tubature erano rotte e dei rigagnoli d’acqua uscivano da esse.

<< Che merda di posto!- pensò la ragazza – ma sarà adatto a nascondermi per un po’ >>

Vide una porta dall’altra parte della parete, e la sua curiosità si riaccese dopo tanto tempo.
Decise di andare in avanscoperta.
Attraversò a passi sicuri il magazzino e varcò la porta: dava ad un negozio. Un negozio di abbigliamento fallito, eppure molti vestiti erano ancora là, sugli scaffali impolverati.

La ragazza guardò i vestiti che aveva addosso: erano sporchi di sangue e lacerati.
Si tolse alcuni frammenti di vetro che le erano rimasti sulle braccia.

Si levò di dosso i vestiti sporchi, e cominciò a scegliere qualche vestito lì esposto.
Ma non appena si tolse di dosso i jeans, sentì che qualcosa cadeva a terra.
Guardò il pavimento e vide lì una catenina d’argento, fina. Si chinò, la prese e la esaminò attentamente.
Era un ciondolo, sembrava la metà di un cuore… era carino, tutto sommato. Lo avvolse intorno al polso, indossandolo come braccialetto.
Lo mise sul bancone lì vicino.
L’ultima sorpresa fu un braccialetto. Un braccialetto che portava alla caviglia, a dir la verità: era d’oro, come quella dei neonati, con la targhetta, e su quest’ultima c’era scritto qualcosa, ma non era leggibile: una macchia di sangue copriva la parola. Si poteva leggere solamente “k…i….”.

Si specchiò, parecchi minuti più tardi, davanti ad uno specchio anch’esso impolverato e sporco, alto quanto lei.

Una ragazza dai lisci capelli biondo miele (lunghi fino al ginocchio) ricambiò il suo sguardo soddisfatto.
Non era molto alta: circa un metro e sessanta, dalla carnagione leggermente abbronzata di natura.
I tratti del viso erano morbidi, aveva delle belle labbra soffici non troppo carnose, delle curve generose e ben disegnate.
Sulle braccia solcate da profonde cicatrici, che però non avevano niente a che fare con i frammenti di vetro, vi erano dei guanti a rete nera, che partivano da metà dita e arrivavano fino all’avambraccio.
La cosa più curiosa e che colpiva di più chi la guardava per la prima volta, erano gli occhi.

Erano grandi e avevano lo stesso, inquietante, colore del sangue.

Indossava una canottiera nera, aderente, scollata, e sopra un giubotto in jeans scuro; dei jeans aderenti neri e un paio di anfibi.

Un pensiero allarmante, le attraversò la mente, non appena distolse lo sguardo dallo specchio.
Tornò a guardare il proprio riflesso, stavolta con più intensità e incredulità.
Sussultò.
Non ricordava nulla che la riguardasse.

- Io… chi sono?- si chiese, stranita.

Poi, le tornò in mente come l'aveva chiamata l'uomo di poco prima.

- Rixika…mi chiamo… Rixika- si ripetè, ma…

Tanto, uno valeva l’altro. Poteva avere tutti i nomi che voleva, ma rimase per Rixika. Un nome era solo un nome, in fin dei conti… per quelli come lei, non poteva contare granchè.

Cercò di ricordare qualcosa della sua vita passata.
Quella prima di addormentarsi.
Immagini veloci e scorrevoli le invasero la mente.
Ora tutto stava andando, dolorosamente, al posto giusto: Xehanorth, lo scienziato che l’aveva rapita… la madre di Kiira… l’operazione… tutto.
Sì… Kiira stava litigando con sua madre per strada, quando alcuni Heartless le attaccarono e fecero perdere loro i sensi. L’omicidio di “sua madre”, il risveglio nel laboratorio… la sua creazione, il cuore… le stragi nei mondi per mano sua…

Non provò alcun senso di colpa.

Mai l’ombra del risentimento le aveva attraversato il cuore, nemmeno per un secondo, da quando aveva cominciato ad uccidere.
Eppure sapeva di avercelo, il Cuore.
Xehanorth gliel’aveva assicurato: era un Nobody con un Cuore.

Per quanto fosse un controsenso, era così. Un nessuno con il cuore del proprio “io originale”, ma con il corpo e volontà del Nobody.

Ulteriormente modificata: DNA alterato e particelle di un metallo indistruttibile proveniente da un pianeta al confine della galassia.
Un carro armato con sembianze umane.

Un’assassina assetata di sangue e sadica” l’aveva definita qualcuno, ma non ricordava esattamente chi. Forse uno degli aiutanti di Xehanorth…

<< Sarà come dice lui- pensò allora la bionda- sono portata per uccidere. E uccidere senza avere risentimenti, non è una cosa che riescono a fare tutti.

Perché io non ho mai ucciso se non per una buona ragione… poi, ho cominciato a prenderci gusto, è vero. Perché tento di nascondere questo mia caratteristica? Vergogna?
No, non credo…
Basta tentare di autopsicanalizzarmi: io sono così, punto.
Bene, ora pensiamo a capire dove mi trovo e in che epoca sono… chissà quanto ho dormito?
Che voleva quello di prima da me?
Perché mi trovavo in quel… Castello-labirinto?
Una cosa è sicura: devo trovare il modo di andarmene da qui.
Devo trovare una Gummiship, a ogni costo, e un posto più tranquillo!
Domattina, darò un’occhiata nei dintorni… devo stare attenta, però… qualcosa mi dice che quell’uomo non mi darà tregua. Perché era così interessato a me?
Non penso dovrei fidarmi.. e se mi facesse addormentare di nuovo? No, non posso rischiare
>>



+++


In un mondo distrutto dall’Oscurità, in un mondo dove la serenità era stata turbata da due individui senza pietà e senza scrupoli, solo qualche tempo prima…

Un boschetto, molto distante dalla città in ricostruzione, dove le piante crescevano indisturbate e dove la crudeltà dell’uomo non era ancora conosciuta….
Nel centro di esso, vi stava una grande cascata. L’acqua cristallina, trasparente e pura, correva ininterrottamente. Alla fine di essa, sulle rive di un delizioso laghetto, sedeva un uomo, a gambe incrociate.

Aveva lunghissimi capelli bianchi, occhi chiari come l’acqua, anche se in quel momento erano chiusi, e un’espressione seria sul volto affascinante e misterioso.

Di fianco a lui, stava appoggiata una lunghissima, affilatissima e sottilissima spada argentata.

Sembrava che dormisse, tanto era perfettamente immobile, come se facesse parte di quel paesaggio bello, ma pieno di pericoli.

Stava semplicemente riflettendo… quando, improvvisamente, captò un’aura oscura e potente. Nulla di che, se non fosse stato che la persona che possiedeva quell’aura si trovava a milioni di anni luce da quel pianeta, chiamato Hollon Bastion.

L’uomo come avvertì quell’Oscurità, aprì gli occhi di scatto, ma la sua espressione rimase imperturbabile come sempre.

- Chains- sussurrò, con voce fredda e distaccata.

Un ghigno comparve sulle labbra pallide e sottili.

<<Ora ci sarà da divertirsi…>>




+++



Nello studio di Xemnas, la situazione cominciava seriamente a spaventare Vexen.

- Come ha potuto destarsi prima del previsto?!- chiese con voce alterata il Superiore. Una cosa curiosa di Xemnas era che lui non urlava mai, mai. Parlava sempre con voce pacata e tranquilla, anche se le sue parole erano tutt'altro che tranquille.

- M-me lo chiedo anch’io… è stato del tutto inaspettato che dopo tanto tempo, si sia risvegliata così improvvisamente… senza alcuno stimolo- rispose Vexen.

- … E l'hai lasciata fuggire?!

- Xemnas, ha preso la moto di Axel e non ho potuto fermarla- cercò di giustificarsi il biondo.

- Sei un membro dell’Organizzazione, dovevi usare la magia!

- Mi dispiace.

- Le tue scuse non la riporteranno di certo indietro.- concluse il Capo dell’Organizzazione- Voglio quella ragazzina, Vexen. E al più presto. Mettiti immediatamente sulle sue tracce, non può essere andata lontano, non rammenta ancora come viaggiare tra i mondi.

- Posso chiedere l’aiuto di Xaldin?- domandò Vexen.

- Portati dietro chi vuoi, ma portami Rixika o sai cosa aspetta chi mi delude...- concluse Xemnas, avvicinandosi all’enorme finestra che dava sulla città.

L'alternativa di essere trasformato in un Simile non allettava di certo il numero quattro, Il Freddo Accademico.

Vexen uscì, chiudendosi dietro la porta, e si ritrovò davanti Axel.

- Che vuoi tu?- fece ostile Vexen, arrabbiato.

- Voglio indietro la mia moto!- rispose il rosso, furibondo.

- Cosa vuoi che me ne importi della tua stupida moto? Devo fare altro, quindi togliti dai piedi!

- Chi era quella ragazza?- chiese invece Axel.

- Nessuno di importante.

- Non per te forse, ma per Xemmy a quanto pare, sì… allora chi era?

- Chiedilo a lui. Anzi, avrai in modo di chiederlo direttamente a lei, dato che entro domani sarà dietro alle sbarre- disse Vexen, ponendo fine al discorso, e andò in cerca di Xaldin.

- Fottiti- borbottò Axel, dirigendosi in camera sua.

<< E così Xemnas s'intestardisce su una ragazzina che gli scappa da sotto il naso. >>

Gli venne spontaneo porsi delle domande, oltre che a ghignare:

<< 1. Da dove sbuca fuori quella ragazzina?
2. Che ci faceva qui?
3. Come mai fuggiva?
4. Perché Xemnas ci teneva così tanto?
5. Che c’entra Vexen?
>>

C’era qualcosa che Xemnas voleva tener nascosto, era ovvio.
E lui era deciso a scoprirlo.
Non tanto perché gliene fregasse davvero qualcosa: era per la sua moto!
La prima cosa da fare era mettersi sulle tracce di quella ragazzina.
Il problema era che quel mondo era molto vasto. La città al di fuori del castello era enorme, per non contare poi, la spiaggia e i vari buchi neri che ogni tanto comparivano qua e là.

<< Forse Roxas ne sa qualcosa…- pensò il rosso -… ah, no… è in missione, il biondino! >>.

Si lasciò cadere sul letto matrimoniale della sua camera.

<< Come mi manca!! Chissà Xemnas dove diammine l’ha mandato, lui non mi dice mai dove va’ in missione. Sono giorni ormai che è via, e mi chiedo se non sia finito nei casini…>>

I suoi pensieri furono interrotti da Xaldin, che abbattè la porta, urlando, in preda alla rabbia:

- AXEL, HAI FATTO TU LA LAVATRICE?

Il rosso lo guardò stranito: - Sì, l’ho fatta io Xal, che cazzo mi vieni a rompere i coglioni?

- FIGLIO DI BUONA DONNA, RAZZA DI FROCIO PERVERTITO, NINFOMANE!- sbraitò ancora di più l’altro.

Per Axel era troppo: scattò in piedi e fece comparire i Chrakam (anelli di fuoco).
Xaldin invocò le sue sei lance e disse: - Me la pagherai!

- SI PUO’ SAPERE CHE MINCHIA TI HO FATTO, PEZZO DI IDIOTA?!- domandò Axel, lì lì per sbranarlo.

- Guarda come hai ridotto la mia roba, frocio!- rispose l’uomo, lanciandogli i boxer.

Erano diventati rosa. Così come il resto della biancheria intima e la sua uniforme.
Axel rimase un attimo ad osservarli, poi scoppiò in una risata isterica e sguaiata.

- Devo... aver messo... Il maglione di Natale... per sbaglio!- balbettò tra una risata e l’altra.

- Laviamo questa offesa con il sangue!- disse irato l’altro.

- Sì, certo… confettino!

- COME MI HAI CHIAMATO?!- ruggì Xaldin.

- Confettino. Got it memorized?

Ma prima che Xaldin potesse attaccarlo, alle sue spalle dell’uomo comparve Vexen.

- Che diammine vuoi tu?!- grugnì in preda agli spasmi l’uomo.

- Abbiamo una missione, muoviti, che ti spiego- tagliò corto Vexen.

Xaldin annuì, ma prima di lasciare la camera di Axel, disse, rivolto al rosso, che ancora si sganasciava: - Avrò la mia vendetta, Axel!

- Se sé… Ciao ciao Confettino!- lo salutò stupidamente Axel, sghignazzando ancora.



+++




Un’ora più tardi la principessa raggiunse la Regina Minnie nel “garage” della Gummiship Reale.

Minnie la guardò soddisfatta e Kairi ricambiò con un sorriso.

- Questa, principessa, sarà la sua Gummiship- le mostrò una piccola Gummiship, tutta rosa e gialla.

- E’ facile da manovrare, veloce e leggera. Anche se non ne ha mai guidata una, imparerà in un minuto, con questa- continuò la reale.

- La ringrazio.

- Oh, non lo pensi nemmeno. Lei sta andando a salvare i mondi! E’ il minimo che possa fare!- ribattè Minnie.

- Bene, allora… addio- la salutò Kairi, con un inchino.

- Faccia molta attenzione, Kairi.

La settima principessa, salì, allora, sulla sua Gummiship. La regina tornò nella saletta.
La porta del garage si aprì e la piccola Gummiship si librò nello spazio.
Kairi accese tutti i motori e partì a tutta velocità verso l’infinito.

- Ora non si può più tornare indietro- si disse, e cominciò il suo viaggio.

Prima destinazione: Hollon Bastion.


+++



Xaldin guardava Vexen piuttosto furioso.

- Tutto questo casino per una bambina?- sbottò, contrariato.

- E’ furba, Xaldin. E anche molto forte- ribattè semplicemente Vexen, mentre stava seduto al computer.

Stava cercando di rintracciare le onde elettromagnetiche emesse dalle nanomacchine che la ragazza aveva in corpo. Era l’unico modo per rintracciarla. Fortunatamente la ragazza non sapeva aprire varchi per l’Oscurità, sennò sarebbero stati cavoli per lo scienziato dell’Organizzazione. Il computer non avrebbe saputo rintracciarla.

- Ti sei fatto battere da una ragazzina. E’ assurdo…

- Taci. Tutto ciò che devi fare è andarla a prendere e portarla da Xemnas, non è poi così complicato, non capisco di cosa tu ti possa preoccupare…

- E’ che è troppo facile e banale per me, Vexen. Io, al contrario di te, ho di meglio da fare che andare in cerca di ragazzine!

- Sì, certo… masturbarti tutto il giorno nella tua camera…!- ribattè acido lo scienziato.

- Non l’avesse mai detto: Xaldin quasi gli ficcò una delle sue sei lance su per il di dietro.





Rixika era seduta in un angolo con un mal di testa pazzesco. I ricordi le stavano riemergendo, lentamente e dolorosamente dalla parte più incognita della sua mente.

Le immagini scorrevano veloci, così anche i suoni, e le emozioni, come in un film…



### Era nella cucina del palazzo di Xehanorth. Aveva dodici anni. Era ancora Kiira. Lo sguardo perso e un po’ triste fisso sulla ciotola di cereali che aveva davanti. Non aveva fame, non voleva fare colazione.

Un uomo dai lunghi capelli bianchi e la carnagione scura la guardava preoccupato.

- Perché non mangi?- le chiese, gentilmente.

- Non ho fame- rispose seccamente la ragazzina.

- C’è qualcosa che non va?

- No

- Dai, Rixika, sai che a me puoi dire tutto. Sono tuo padre, dopotutto…

La ragazzina lo guardò un po’ diffidente, ma poi parlò:

- Beh… io, ecco… mi sento un po’…. Sola, ecco. Non ho nessuno con cui giocare, nessuno con cui…- si interruppe improvvisamente, imbarazzata, vergognosa dei suoi desideri.

- Capisco. E’ normale, Rixika.

- I-io… non so… voglio… amare. Che cos’è l’amore? Come si fa? Non ricordo di aver mai… amato…

Xehanorth la guardò quasi come se fosse intenerito. La ragazzina si arricciava nervosa una ciocca di capelli biondo miele.

- E’ un sentimento molto bello, Rixika. L’amore è forse la cosa più bella in questo mondo. Però, non arriverai a nulla, provandolo… anzi, ti faresti del male. L’amore va a braccetto con la sofferenza. Danneggia la tua felicità e non ti dà pace. Se vuoi autodistruggerti fai pure, ma se vuoi essere davvero serena, sarebbe meglio che eviti di cercare ciò che ti può recare solo sofferenza- rispose pacato l’uomo.

La ragazzina lo guardò delusa e Xehanorth aggiunse:


- Lo so che non è bello da sentire, soprattutto alla tua età però è la verità. E poi tu non hai bisogno di una cosa tanto futile. Il tuo futuro sarà senza preoccupazioni, una volta che ti avrò resa completa, dovrai solamente fare ciò che ti piace più fare: uccidere e combattere. E ti pagheranno pure per farlo… vivrai viaggiando per i mondi, come hai sempre voluto, cosa vorresti di più?

###


L’immagine sfocò e un’altra prese il suo posto.

###
Rixika (da tre anni) stava trasportando un cadavere e trascinava un Heartless (uno shadow) per le antenne.

Varcò la soglia del laboratorio del palazzo di Xehanorth.

- Ehi, Ansem. Te li ho portati… ma si può sapere che ci devi fare?- domandò la ragazza, poggiando il cadavere di una sua coetanea sul tavolo da laboratorio.

Lo studioso non rispose, e le chiese: - L’hai semplicemente strangolata, vero?

Rixika alzò gl’occhi al soffitto e disse: - Certo, esattamente come mi hai detto tu. Non vedi i segni sul collo?

- Sì, sì va bene. Esci ora, Rixika. E’ una cosa di assoluta importanza…

Rixika lo vide mentre già si fiondava con il bisturi sul giovane corpo morto, e, disgustata, uscì
.###



Le immagini s’interruppero di botto, per lasciar spazio all’ultima.



### Xehanorth, ansioso e impaurito cercava Rixika per i corridoi del castello.
Non appena la trovò (sulla terrazza che guardava malinconica il mare), urlò: - Muoviti, forza. Dobbiamo correre prima che ci trovino!

La ragazza lo guardò sconvolta e confusa, e mentre lo scienziato la trascinava verso i sotterranei per un braccio, chiese: - Ma che cazzo succede?!

- Dai, sbrigati, o ci trovano subito- diceva concitato l’uomo, senza ascoltarla.

La portò nell’ultimo sotterraneo.

- Dovrai sparire per un po’, Rixika- le disse, mettendosi al computer.

- Cosa? Che cazzo stai dicendo?- gli fece, stranita, lei.

- Non ti preoccupare, non appena tutto sarà finito, andrà tutto bene. Ti sveglierai e…

- ANSEM, CHE CAZZO SUCCEDE?!!- urlò stavolta seria, la bionda, che cominciava seriamente a preoccuparsi.

Lo scienziato non rispose e dopo un po’, le si avvicinò e le disse, indicandole un ovetto bianco aperto:

- Entra…

La ragazza lo fissò incredula: - Come puoi….?

Lui ce la scaraventò dentro, senza tanti complimenti, e si rimise velocemente al computer.

L’ovetto si chiuse prima che la ragazza potesse capire che cos’era successo. Battè sulla parete di cristallo e urlò: - Fammi uscire! ANSEM!!

Un senso di orrore le attanagliava la mente e lo stomaco. Rixika ebbe come la sensazione che non sarebbe più uscita da lì. La stava imprigionando.

- Noooo!
###



Tutto si fece buio e le immagini svanirono del tutto.

Il mal di testa se ne andò così com’era venuto.

Il flusso di ricordi smise di scorrere.

Rixika aprì gli occhi e finalmente trovò un po’ di sollievo.
Sospirò e inspirò profondamente.
I flashback della sua memoria che poco a poco tornavano erano dolorosi e sfaticanti.

Sapeva che sarebbe stato rischioso, ma uscì dal magazzino: aveva bisogno di cambiare aria. Non appena si alzò un senso di nausea la travolse, ma lei marciò decisa fino all’uscita del garage. La moto avrebbe attirato troppo l’attenzione e così s’incamminò a piedi.

Era passato un giorno, da quando si era svegliata nel Castello e il suo cervello stava riprendendo a funzionare. Eppure, ancora non aveva scoperto come diammine era finita in quel mondo.
Era notte, ma nessuna stella splendeva in cielo, poiché c’erano troppe nuvole scure a coprirle.
I nuvoloni, inoltre, annunciavano pioggia.
Ma in quel momento non gliene importò nulla.
Aveva bisogno di farsi un giretto per sgranchirsi.

Si avviò per le strade buie e fredde di quel mondo desolato.
Non incrociò nessuno durante la sua ronda.
Quella città sembrava disabitata. Le luci dei palazzi erano tutte accese, ma sembrava che nessuno ci abitasse.

Rixika si guardava intorno, ma ciò che vedeva era sempre lo stesso, deprimente, scenario.

Vide, in fondo ad un’ampia strada, un parco giochi abbandonato.

Decise di dargli un’occhiata, e ci andò.

Il cancello era stato sfondato e piegato. Alcune fontanelle fatte a pezzi, alcune panchine spezzate in due. Le uniche cose che sembravano essersi salvate sembravano essere un paio di altalene, di fronte ad un boschetto inquietante.

Rixika passò davanti a scivoli pieni di fango, a giostrine distrutte, e scavalcò un paio di bidoni della spazzatura rovesciati.

Si sedette su una delle altalene e appoggiò il capo contro la catena che la sosteneva alla trave.
Era difficile riprendere in mano una vita dopo tre anni e mezzo di coma in una prigione di cristallo. Forse, “riprendere in mano” era un po’ troppo forte come termine. Lei non stava riprendendo in mano le redini della sua esistenza, ma stava aspettando di ricordare tutto ciò che le era successo nella sua vita per capire meglio chi era e cosa doveva fare; ma una cosa era sicura: doveva andarsene da quel luogo. Non la convinceva. Soprattutto l’uomo che aveva tentato di fermarla.

Cosa avrebbe dovuto fare per andarsene? Trovare una Gummiship? Certo, e dove? Nell’uovo di Pasqua?!

Un modo per andarsene l’avrebbe comunque trovato, alla fine. Le occorreva solo del tempo. Tempo per ricordare, tempo per schiarirsi le idee, tempo per trovare una soluzione… tutto tempo che non aveva, e che non poteva avere. Il tizio, probabilmente era già sulle sue tracce, e non ci avrebbe messo molto a capire dove si trovava…

Un rumore la fece sobbalzare, distogliendola dai suoi problemi.

Un tizio vestito di nero si era accasciato pesantemente sull’altalena di fianco alla sua.

Scusa, non volevo spaventarti- disse. Aveva la voce di un ragazzo: bella e calda, in netto contrasto con l’atmosfera e l’ambiente che li circondava.

La ragazza lo guardò. La debole luce di uno dei pochi lampioni ancora funzionanti lo illuminava. Non gli si vedeva il volto, poiché aveva il cappuccio che gli copriva metà faccia. Le uniche cose che vedeva era il suo naso, piccolo, perfetto, che si alzava presuntuoso verso il cielo, la bella bocca morbida e una frangia bionda, un po’ lunga.

- Pensieri profondi?- le chiese, dopo, lui.

- Più o meno… sì decisamente- rispose lei, diffidente.

- Anch’io vengo qui per pensare. Non ti ho mai vista, prima, però...

- …

- Non sei un tipo loquace…

- Più che altro, non mi fido degli sconosciuti- disse Rixika, freddamente.

- La mamma ti ha insegnato bene…

Rixika rise di gusto. Ma era una risata senza alcuna traccia di gioia. Suonava più come una presa per il culo.

- Mia madre mi ha insegnato unicamente che sopravvive solo il più forte.- disse, scettica- Per il resto, non ha avuto né modo, nè tempo da dedicarmi… non le è mai importato qualcosa di me.

- Perchè? Che le è successo?

- Semplicemente... si è scontrata con il più forte. Contro una spranga di ferro, ad essere precisi... è morta.

- Mi dispiace.

- A me no.

Il ragazzo la guardò: si dava deboli spinte con il piede destro, il suo sguardo era fisso davanti a sé. Non riusciva a vederla bene, perché lei era in ombra, solo il colore dei capelli. Avevano dei riflessi dorati ma i capelli erano troppo lunghi.
La sua voce era… indescrivibile. Mistica, quasi fosse uscita da un sogno…

- Beh, almeno l’hai conosciuta.

- Avrei preferito crescere in un orfanotrofio, e vivere nella solitudine piuttosto che crescere con una persona così… ma, in fondo, sono sempre stata sola. Ho sempre dovuto provvedere a me stessa, perché a nessuno fregava qualcosa di me. E penso che continuerò così, fino alla fine…

- Non hai amici? Fratelli? Un padre?

La ragazza rise nuovamente. Fredda e penetrante, come una lama di ghiaccio:

- Non ho mai saputo chi era mio padre. Mai visto, nemmeno una volta in vita mia… e sinceramente, non me n’è mai fregato di vederlo: “a te non te ne frega di me? Bene, io me ne sbatto di te!” questa, è la mia politica. Gli amici… non so nemmeno cosa siano! Fratelli…- la ragazza avvertì una dolorosa fitta alla testa. Si portò una mano alla fronte, abbassando un poco il capo.

- Ehi, è tutto ok?- chiese il ragazzo.

- Fratelli, sorelle… non credo- rispose la ragazza, mentre la fitta passava. Era stato un attimo di intenso dolore, ma solamente un attimo.

- Come… non credo?

- Senti, non farmi domande così. Sono cazzi miei- rispose scazzata lei.


Rimasero qualche secondo in silenzio. Il fruscio minaccioso dei cespugli segnalava l’arrivo del mal tempo. Un colpo d’aria gelida attraversò il piccolo parco giochi.

Il ragazzo si strinse nel suo spolverino, e si tenne il cappuccio sul volto. La ragazza lo osservò curiosa: perché tutta quell’ansia per nascondersi il volto?


- Perché ti tieni il cappuccio?- gli domandò, cambiando registro.

- Sono cazzi miei.

- Anche lui aveva cambiato registro. Sembrava che non volesse parlare di sè.

- Sai per caso dove posso trovare una Gummiship?- fece lei, allora, più distaccata.

- Perché questa domanda?

- Perché me ne voglio andare, e l’unico mezzo è una Gummiship, no?

- Beh, ce n’è un altro… ma non penso che…

- Che modo?

- No, non puoi. Sei troppo debole per sopportarlo- riflettè lui.

- Ma una stramaledetta Gummiship ci sarà no?!- la ragazza si stava di nuovo scazzando.

- No.

Rixika si rassegnò: sarebbe dovuta rimanere in quel luogo.

<< Merdamerdamerda. >>

- Senti, perchè hai tutta questa voglia di andartene?

- Perchè sono metereopatica... e qui piove sempre, perciò...

Il ragazzo rise.

Un lampo tagliò in due il cielo. Un tuono fece sobbalzare la ragazza, che per poco non cadde dall'altalena. Un lampo accecante lo seguì, e il ragazzo fissò la sua coetanea.

Subito dopo, lei alzò lo sguardo al cielo, e una goccia di pioggia le cadde sulla guancia, proprio sotto l'occhio, come fosse una lacrima.

- Merda- disse, tirandosi velocemente in piedi.

- Che c'è? Hai paura?- la derise, divertito, lui.

- Me ne devo andare. Ora. Adesso.

Rixika non lo ascoltò, e cominciò a camminare verso il cancello del parchetto, senza degnare di uno sguardo il ragazzo ancora seduto sull'altalena.




Lui la guardò allontanarsi e sparire nelle ombre della notte. Sorrise tra se e sè. Chissà chi diammine era quella ragazza. Aveva davvero un bel caratterino lunatico.

Non l'aveva mai vista prima.

Probabilmente, doveva aver perso il suo mondo e si era trovata sola in questo. Strano, però che sapesse come viaggiare tra i mondi; era davvero curioso anche la sua voce: non sembrava appartenesse ad un essere umano, eppure aveva un aspetto normale, per quanto aveva potuto vedere.

Il ragazzo si alzò, e la pioggia cominciò a farsi, pian piano, sempre più fitta. S’incamminò a sua volta per le strade bagnate e spogliate, abbandonate, sotto la pioggia torrenziale.

Il volto ancora coperto, le ciocche bionde che coprivano gli occhi e metà volto, la pioggia che scivolava sull’impermeabile.
Passi decisi e sguardo fisso: i suoi piedi lo costrinsero a dirigersi verso casa.

Casa… una parola strana.

Eppure non avrebbe saputo come altro spiegare quella gradevole sensazione che lo invadeva quando tornava al castello dell’oblio.
Il senso di calore che provava quando rivedeva alcune persone a lui care.

In teoria non avrebbe dovuto provare alcun sentimento, lui (teoria vivamente sostenuta dai membri anziani).

Non era altro che un guscio vuoto, un errore, uno scherzo della natura, innaturale.

Si addentrò per stradine strette e buie, ed arrivò ad un enorme precipizio. Alzò lo sguardo e spostò la frangia da un lato; il Castello splendeva di una spettrale luce bianca, perennemente sospeso sulla voragine. Tutto ciò che circondava l’abisso erano i grattaceli, i palazzi scuri, illuminati dalle luci al neon. Il mondo dei Nobody. Un mondo meschino, buio, impenetrabile.

Il suo mondo.


Il ragazzo si teletrasportò nell’ampio atrio del palazzo. Si guardò intorno e notò che c’era qualcosa che non andava: era come se mancasse qualcosa.
Scacciò il pensiero: era troppo stanco per soffermarsi su quelle cose. L’unico suo pensiero, in quel momento era andare a buttarsi su un materasso e non alzarsi per almeno 24’ore.

Salì i gradini lentamente, con il capo chino, sino al tredicesimo piano, l’ultimo prima della terrazza che fungeva da tetto al castello.

Era giusto arrivato davanti alla porta della sua stanza, che sentì un sibilo dietro di lui. Si buttò di lato e finì lungo disteso sul pavimento bianco splendente.

Due anelli infuocati si conficcarono sulla parete, avvertì qualcuno avvicinarsi, e una voce familiare dire:

- Bentornato, biondino. Non si usa salutare?

Il ragazzo sospirò un po’ spazientito, e rispose: - … e ti sembra il modo di salutare, questo, Axel?

Un ragazzo dai capelli rossi, molto alto e magro, gli si avvicinò, e gli porse una mano, dicendo:

- Sempre a lamentarti, tu!

- Ci credo! Hai attentato alla mia vita!- ribattè l’altro, alzandosi.

- Vedi? Seempre a lamentarti…! Sempre, sempre.

- Dai, sono stanco, lasciami andare a dormire- sbottò il biondo.

- Va bene, per stasera avrò pietà di te, ma domani dovrai raccontarmi tutto, got it memorized?- disse allora il rosso, girando su i tacchi.

- Sì, sì… - annuì il biondo, entrando finalmente in camera sua.

La sua stanza aveva pareti bianche con una sfumatura di azzurro, così come il pavimento. Era molto ampia, con pochi e semplici mobili.
In fondo, vicino alle ampie finestre, stava un grande, per non dire enorme, letto a baldacchino con le lenzuola in seta bianche, e le tendine trasparenti.

Il ragazzo quasi si commosse, nel vedere quel letto caldo caldo, soffice soffice, pronto ad accoglierlo.

Si sfilò il cappuccio nero, e si passò una mano guantata tra i capelli bagnati.

Qualcuno si materializzò a pochi centimetri da lui, e il biondino venne colto da un principio di attacco cardiaco.

Un uomo sulla quarantina (???????... sono stata gentile >_< N.d.A.), con lunghi capelli biondo scuro, sporchi e occhi marroni lo guardò, severo.

- Sei tornato, numero XIII. Devi fare rapporto.

- Vexen… mi hai fatto fare un infarto!- sbottò il ragazzo, cercando di riprendersi.

- Non hai un Cuore per farti venire degli infarti!- ribattè l’altro, e il ragazzo abbassò lo sguardo, e Vexen riprese: - Hai visto qualcosa di strano mentre tornavi, per caso?

Il ragazzo lo guardò stranito: perché quella domanda?

- No. Avrei dovuto?

- E la moto di Axel l’hai vista?

- No… ma non è in atrio?

- No, gliel’hanno rubata.

Il ragazzo si fece interessato: - E chi gliel’ha rubata?

- Una ragazzina. Capelli biondo scuro, molto lunghi… l’hai vista?

Il biondino ci riflettè: - Una ragazza l’ho vista…

- Dove?

- Vicino al parco, non molto distante dal Vicolo che Non C’è.

- Bene numero XIII, ora…

- IO-HO-UN-NOME!- esclamò alterato il ragazzo.

Roxas, domani devi andare da Xemnas che vuole un rapporto dettagliato e completo sulla missione- finì Vexen, prima di sparire così com’era apparso.

Il biondino, rimasto finalmente solo, si tolse di dosso i vestiti bagnati. Si infilò sotto le coperte del suo larghissimo letto e si raggomitolò su se stesso.
Perché Vexen gli aveva chiesto della ragazza?
E come aveva fatto quella a rubare la moto di Axel, che era sempre tenuta all’interno del castello?
Doveva essere dentro il castello, allora.
Ma come c’era arrivata?

Il ragazzo di nome Roxas si addormentò tra mille dubbi e domande, mentre il temporale ancora infuriava nel Mondo dei Nessuno.


Una voce talmente bassa e melodica da sembrare un sibilo…
Completamente buio attorno a lui…
Un senso di pace e serenità lo avvolgeva, e si sentiva al sicuro, protetto…

Era come essere sospesi tra l’essere e il non essere.

Poi la voce gli invase la mente, cullandolo quasi: era una specie di ninna nanna, malinconica, melodiosa.


Una spiaggia assolata, due piccole figure sulla riva, accarezzate dall'acqua. Corse verso di loro, e più si avvicinava ad esse, più queste prendevano forma, più si definivano: due bambine, due piccole bambine dai capelli rossi.

Parevano svenute, forse morte.

Improvvisamente, però, una di loro le afferrò un braccio: era scheletriva, si poteva percorrere con lo sguardo la matassa di vene e capillari che attraversava la sua mano. Questa alzò di scatto la testa, ma il volto non si riusciva a vederlo, poiché coperto dai capelli bagnati.

Spaventato si tirò indietro, ma la bambina teneva forte la stretta al suo braccio. La guardò con il cuore che batteva a mille.


- A...iut...tac..ci.- singhiozzò, prima di lasciar cadere il viso nella sabbia.

Lui urlò di spavento.

Roxas si girava e rigirava nel letto. Il bel volto contratto da una smorfia di sofferenza.

La fronte era imperlata di sudore. La testa gli scoppiava, le voci si facevano sempre più forti e lo assordavano.


- ALIENI!

Il ragazzo si svegliò urlando, con le mani sulla faccia.
Perché si era svegliato?
Che aveva urlato?


Non se lo ricordava.
Sapeva solo che aveva un pazzesco mal di testa.
Il Kingdom Hearts era coperto da fitte nubi grigie che mai lasciavano il cielo del Mondo Che Non Esiste.

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Capitolo 5
*** Capitolo III ***


CAPITOLO III^
VECCHIE CONOSCENZE




La vetrina di un palazzo esplose verso l’esterno, quando un nobody di tipo Dragone la ruppe in una pioggia di frammenti di vetro.

Il nobody rotolò sull’asfalto bagnato, fermandosi pochi metri dopo, mentre dalla vetrina distrutta saltò fuori una figura dalle sembianze umane.

Vicino alla vetrina frantumata, stava un uomo di costituzione molto robusta, con lunghi capelli neri intrecciati in rasta, e due glaciali occhi blu scuro. Egli assisteva alla scena con sguardo indifferente, come se vedesse cose come quelle tutti i giorni.

La figura raggiunse l’essere a terra, mentre i suoi sensi erano tesi a percepire qualunque altra cosa ci fosse stata nei dintorni. Tra le dita sottili faceva rotolare una lancia bianca e porpora. Le labbra si schiusero per emettere una breve risata di scherno.

Trafisse, con mano ferma e occhi freddi, l’essere.

La lancia, che sarebbe dovuta essere tra gli artigli del Nobody, trapassò la fronte di quest'ultimo, e subito dopo questo scomparve in volute luminescenti di Luce ed Oscurità, insieme alla sua lancia.

L’uomo con i rasta, applaudì pacatamente:

- Sei brava. Ora però mi hai stufato. O vieni con le buone o con le cattive…

La ragazza cominciò a correre verso la moto rossa dall’altra parte della strada, ma l’uomo le si parò davanti.

Indietreggiò.

- E’ inutile, non hai possibilità contro di me. Arrenditi.

- Questo è quel che credi tu- ribattè la ragazza.

Gli avambracci della ragazza cominciarono a muoversi debolmente per conto loro. La pelle si allungava, s’induriva e cambiava colore. Le ossa stesse si assodavano, cambiavano la loro natura, il materiale di cui erano composte. La loro forma si fece più acuminata, più regolare, senza curve. Infine, diventarono lame di metallo, un metallo resistente e molto tagliente.

L’uomo era stupito: non aveva mai visto nulla del genere… o sì?

Fece comparire attorno a sé le sei lance accuminate che caratterizzavano il Feroce Lanciere.

- Non farmi perdere tempo, ragazzina.

- Non ti preoccupare, ci metterò solo un momento… a far rotolare la tua testa per terra.

La bionda si lanciò all’attacco.
Xaldin parò a fatica le due lame della ragazza, che aveva mirato alla gola.

<< Questa non è una ragazzina come le altre… - pensò - … mi chiedo cosa sia realmente. Non devo ucciderla, Xemnas la vuole viva. Cercherò di non farle troppo male, allora…eppure, mi sembra di averla già vista. >>

La respinse, e le mandò contro tre lance.

La ragazza le deviò, e Xaldin le saltò addosso con le altre tre.

Lei lo evitò, facendo una capriola all’indietro e, poggiando i piedi contro la parete del palazzo alle sue spalle, si diede la spinta, per scagliarsi a sua volta contro l’uomo.

Questo, che non se l’aspettava, riuscì a fermare all’ultimo secondo l’attacco della bionda, incrociando le due lance che teneva in mano.

La ragazza però, gli sferrò un calcio in bocca, rompendogli la mascella.

Xaldin le buttò allora le altre quattro lance, contemporaneamente.

Lei indietreggiò, mentre tentava di parare tutti i colpi.

Una lancia però non riuscì ad evitarla: la colpì a tradimento e le trapassò, da parte a parte, la coscia destra; questo la distraè

Finì con le spalle al muro, in tutti i sensi.

Il sangue sgorgava a fiotti e le macchiava i pantaloni.
Bruciava.
La afferrò con entrambe le mani, la estraè, e gemendo, la scagliò per terra.

Xaldin la guardò, carico di odio, e nel momento in cui stava per gettarsi sulla ragazza, un fulmine squarciò il cielo, e colpì il palazzo alle spalle di quest’ultima.

Il grattacielo si sgretolò, e un buco nero si aprì.
Era grande quanto una voragine.

Xaldin ficcò una delle lance che teneva in mano nel muro del palazzo alle sue spalle e ci si aggrappò con tutte le sue forze.

<< Merda, merda, merda!! >> imprecava mentalmente, mentre sentiva sollevarsi da terra.

La voragine inghiottiva tutto ciò che aveva intorno.
Fortunatamente, non durò molto, e il varco nero si richiuse.
Xaldin tornò con i piedi per terra e si voltò per guardare il palazzo che fino a poco prima gli stava di fronte: ora il vicolo pullulava di Heartless.

La ragazzina era sparita, probabilmente risucchiata dal portale aperto dalle ombre.

Il Feroce Lancere si guardò intorno, allarmato.

- Che sfiga del cazzo!- disse - Xemnas mi ucciderà…



+++


Rixika viaggiava alla velocità della luce.
Era spinta da un vento che sembrava quello di un aspirapolvere.
Intorno a sé non vedeva altro che flebili luci lontane, tutto il resto era Oscurità: ne sentiva l'odore impregnante e assuefante.

Poi vide una luce più forte, quasi accecante in fondo a quella specie di “corridoio spaziale”.

SBAM!!

Avvertì un dolore accecante alla faccia e al petto. Era caduta sul il terreno cementato da un’altezza spaventosa.

- ORCO…, PORCA...- inveì la ragazza, mentre si rotolava per terra dal dolore.

- Una ragazzina come te non dovrebbero usare questi paroloni- la rimproverò una voce poco distante da lei.

- FATTI I CAZZI TUOI, COGLIONE!… CHE MALE!!- sbraitò la ragazza, senza neanche guardare il suo interlocutore, asciugandosi il sangue che aveva sulla bocca.

- Alzati- le ordinò la voce, ora leggermente alterata.

- FOTTITI!- ribattè la ragazza.

Una mano le afferrò un braccio (le braccia le erano tornate normali), e la sollevò di peso.
La ragazza, mentre si dimenava freneticamente, guardò tra lo stupito e l’infuriato il ragazzo che aveva osato toccarla senza il suo consenso.

Era biondo e aveva due glaciali occhi azzurri; i lineamenti del viso praticamente perfetti. Aveva un’aria misteriosa, cosa che lo rendeva ancora più seducente.
Era decisamente più alto di lei.

- Chi sei?- domandò lui- Non ti ho mai vista da queste parti.

- Non sono affari tuoi- rispose seccata lei.

- Senti, ragazzina, dimmi da dove sei sbucata fuori e basta, se proprio non vuoi dirmi chi sei.

Il ragazzo si stava decisamente irritando.

- Il problema è che non lo so nemmeno io…- disse la ragazza, sorridendo sarcastica – E ora, ti dispiacerebbe mollarmi? Mi si sta addormentando il braccio…!

Il biondo la mise giù e la guardò, un po’ stranito: - Come, non lo sai?

- No, non lo so. Che posto è questo?

- Hollow Bastion.

- Mhm… gran bel nome… e tu chi diavolo sei?

- Tu non mi dici il tuo nome, io non ti dico il mio- rispose a tono il biondino.

- Ok, non importa, mister Freddezza- rispose con altrettanta ironia la biondina, aggiungendo poi:- Senti, sai dove posso trovare una Gummiship?

- Certo… se ti fidi a seguirmi, allora ti porto da uno che le fabbrica…- disse il ragazzo, scettico.

Le voltò le spalle e cominciò a camminare in direzione di una scalinata.

Lei fece per seguirlo, ma la gamba ferita cedette, non sopportando più il peso del corpo, e si ritrovò di nuovo in ginocchio sull’asfalto.
Lui tornò sui suoi passi e si chinò su di lei: - Sei ferita…

- Mannò, come hai fatto a capirlo?- esclamò la ragazza, scettica, trattenendo un’altra serie di bestemmie.

Il ragazzo sospirò, rassegnato. La tentazione di tirarle un pugno era davvero forte e dovette fare uno sforzo per trattenersi. La guardò ancora e la prese in braccio.

- Che diavolo stai facendo?! Mettimi giù, subito, immediatamente!- cominciò a strillare lei, e allora lui ribattè:

- La finisci di muoverti?! Ti sto facendo un favore, o preferisci andare a piedi, eh?

Lei non rispose, si limitò a sbuffare e a distogliere lo sguardo.

Cominciarono a percorrere tutto il borgo, facendosi largo fra la gente.
Cloud, di tanto in tanto le lanciava un’occhiata ben attento dal farsi vedere: fra le braccia aveva una ragazzina dagli inquietanti occhi rosso sangue, e fini e lunghissimi capelli biondo scuro, stretti in un alta coda da cavallo. La sua temperatura corporea era di parecchi gradi sotto lo zero, anche se era primavera. Il suo volto aveva un carnagione era abbronzata. Aveva degli abiti strani, ma infondo, tutti quelli che venivano da altri pianeti sembravano strani; tuttavia assomigliavano molto a quelli che utilizzava la sua gente, dall'altra parte di quello stesso pianeta, nella città di Midgar.

Aveva un che di strano, eppure non avrebbe saputo dire cos’era…

La condusse per strade, stradine e vicoli, per arrivare poi in una stretta piazzetta, che faceva da cortile alle case che vi si affacciavano. Si fermò davanti ad un portone in legno massiccio.

Lei cercò lo sguardo freddo e distaccato di lui: - Qui?

Cloud non le rispose, con un calcio aprì la porta, e la varcò.
Nella casa di Merlino vi trovò Yuffie, Aeris, e Merlino.

- Cloud!- lo salutò una sorridente Aeris; poi lo sguardo della bruna calò sulla ragazzina che il biondo aveva in braccio.

- E lei chi è?

- E’ ferita, ha bisogno di cure.- disse Cloud.

- Portala nel mio appartemento, di sopra. Yuffie, va’ cercarmi una granpozione e delle bende- chiese cortesemente la donna alla moretta ninja.

Il ragazzo biondo salì le scale, seguito da Aeris, trovò la camera da letto e distese la ragazza sul letto a baldacchino.
Questa aveva gli occhi semiaperti. Era stanca, Cloud lo intuì.

- Mi vuoi dire il tuo nome o no?- le chiese, quasi più gentilmente, fissandola negl’occhi sanguigni.

Lei ricambiò lo sguardo e disse: - Certo che no… Hai degli occhi strani...
Poi chiuse i suoi, di occhi, e precipitò nel mondo dei sogni.
Il ragazzo la guardò, ed avvertì una specie di familiarità con la ragazza, eppure era la prima volta che la vedeva.

- Chi è, Cloud?- ripetè Aeris, avvicinandosi al letto con bende e disinfettante.

Il ragazzo scosse la testa, continuando a guardare il volto della ragazzina.

- Ha un’aura strana… dov’è che l’hai trovata?

- In mezzo alla piazza. Era per terra che urlava, con la gamba ferita… Chiama Yuffie, dille di tenerla d’occhio…


+++


Un ampio giardino fiorito e selvaggio, con delle vecchie mura ricoperte da edera verde. Era immersa nella natura: sentiva il fruscio dolce del vento tra le foglie e l'odore dolciastro dei fiori lì intorno.
Una fontana dalle acque cristalline, delle statue antiche, un sole caldo ed accecante. Sembrava essere in primavera…

Tutt’intorno, le mura di un palazzo di marmo. Tutto le era così familiare…

- Dove sono?

- A casa- rispose una voce.

Si voltò.
Xehanort, di nuovo.

- Quante volte devo ucciderti ancora?- sbuffò.

- Ho già un piede nella fossa, Rixika.

- Quanto ho dormito?

- Sei anni, se contiamo nei termini temporali del Mondo adesso occupato dai Nobody di alto rango. Molte cose sono cambiate nei mondi…

- Dove sono?

- A Radiant Garden, dove ti ho creata ed addestrata, ricordi? Venivi sempre qui quando volevi stare sola…

- Già…

- Ora veniamo alle cose serie: devi sapere cos’è successo mentre dormivi.

- Oh, bello.- la Nobody roteò gli occhi verso l'alto.

- La farò breve: c'è stata un'invasione di Heartless. Io e gli altri siamo stati presi tutti, uno dopo l'altro e il nostro pianeta è stato occupato interamente dalle ombre. Si sono salvati pochi della nostra gente, tramite le navi. Tuttavia, noi sei siamo stati presi dagli Heartless...

- Quindi siete diventati Heartless?

    - Sì, ma data il nostro temperamento, abbiamo generato dei Nobody. Questi Nobody ora si sono uniti per formare un'Organizzazione, e continuano ad arruolare nuovi membri...

    - E quindi?

    - Quindi verranno anche da te, ti recluteranno. Lo hanno già fatto?

    - Scusa, ma come fai a sapere queste cose se sei...morto?

    - No, non sono proprio morto. Mi sono impossessato del corpo di un ragazzo...ma non del tutto...

    - Sei un fallito come Heartless, Xehanort....- rise Rixika.

    - Rixika, portami rispetto!- esclamò spazientito l'Heartless, per poi riprendere, abbassando il tono ed i modi: - Ascoltami, tu dovrai eliminare il Re ed i suoi seguaci, compresi tutti i possessori del keyblade che stanno dalla sua parte...

    - E perchè mai?

    - Perchè ti uccideranno. Uccideranno te e tutti gli altri Nobody ed Heartless...

    - Va bene...ma...come fai a parlarmi se sei in un altro corpo?

    - Questo è uno dei pochi misteri che non saprei spiegarti...




+++




    - La Fortezza Oscura!!- annunciò Paperino.

    - Finalmente! Chissà come se la passano Leon e gli altri?- fece, tutto contento Sora.

    - Andiamo subito da loro!!

    Sora, Paperino e Pippo atterrarono a Hollon Bastion.
    Si guardarono intorno.

    - Stanno ricostruendo la città!- esclamò Pippo.

    - Guardate lì: Heartless!- indicò, Paperino, il centro della Piazza, dove Qui, Quo e Qua cercavano di respingere dei Soldati.

    - Le cose non sono molto cambiate, però…- constatò Sora, lanciandosi in mezzo alla mischia, con Catena Regale sfoderata.

    Finito lo scontro, una voce disse: - Ehi, custode del Keyblade, sei sempre in forma, eh?

    Il bruno si voltò, per trovarsi di fronte Cid.

    - Ehi, Cid!- lo salutò Sora, andandogli incontro.

    - Gli Heartless sono tornati… e Leon aveva intuito che saresti tornato anche tu. Ti aspetta a casa sua… se vuoi ti accompagno, anch’io dovevo andare da lui.

    Iniziarono ad incamminarsi, con Paperino e Pippo al seguito.

    - Sai, ho progettato un nuovo tipo di Gummiship. E’ più grande: ha tre stanze, più quella di pilotaggio, è più veloce, ha più munizioni ed è più leggera!

    - Whoa, grande!- commentò Sora- e ce la farai provare, vero?

    - Ci devo pensare… è preziosa, quella Gummiship, è delicata…- rispose vago, Cid, frugando in un sacchetto- e ti volevo dare questo.

    Tirò fuori un’I-pod nano, nero, a colori (eh, sì. Anche alla Fortezza Oscura hanno gli I-pod! XD).

    - Un’ I-pod!! Grazie Cid, sei un grande!!- lo ringraziò, saltandogli addosso.

    -Ehi, calmo ragazzino! Ci sono già alcune canzoni, per le altre vieni pure da me, quando vuoi qualche canzone nuova.

    Sora sciolse l’abbraccio e disse: - Novità? Oltre agli heartless?

    - Una ragazza: si chiama Tifa e sembra avere un debole per Cloud…

    - Eh, l’eterno rubacuori!- scherzò il bruno.

    - … Sai se Kairi si è trovata un altro ragazzo?- ipotizzò Pippo.

    Sora lo fissò inorridito e traumatizzato.

    - Basta con i pettegolezzi adesso, andiamo da Leon.



    Yuffie spostò il suo sguardo dalla ragazza esanime sul letto, ad Aeris, che le stava bendando la gamba.

    - Beh, niente? Non si sa chi sia, da dove venga o altro?

    - No, nulla…- sollevò l’arto ferito, e dalla tasca dei jeans scivolarono fuori alcuni oggetti, che rimbalzarono sul tappeto.

    Yuffie raccolse quello a lei più vicino e se lo mise davanti agli occhi, e chiese, studiandolo: - Che cos’è, secondo te?

    Aeris osservò incuriosita il ciondolo che la mora teneva in mano: - Non saprei dirti…

    - Mettilo qui. Non sta bene che guardiamo le sue cose!!

    Yuffie sbuffò e poggiò il ciondolo sul mobile.

    - Ora la gamba dovrebbe essere a posto. Yuffie, potresti controllarla tu?

    - Certo! Mi occuperò io di lei!- disse frizzante, la giovane ninjia.

    Aeris sorrise e lasciò la stanza; Yuffie si accomodò su un lato del letto.

    << Che strana sta’ tipa!!>> pensò, scrutandola attentamente.

    Passarono diversi minuti, e Yuffie cominciava davvero ad annoiarsi, quando la bionda cominciò ad agitarsi nel sonno.

    Aveva un’espressione sofferente sul volto, sudava sudar freddo, e a mormorare frasi incomprensibili…

    - No…NO!!! Perché devo farlo?!! Non VOGLIO!!!

    La ragazzina le si avvicinò un po’.

    - Fratellone- la sua voce si fece spezzata, e il suo petto sobbalzò per i singhiozzi- …mi dispiace……… devo andare… un giorno tornerò…………non mi dimenticare……

    Yuffie fece un salto indietro, inorridita e spaventata.

    La ragazza bionda stava piangendo… o sanguinando: piangeva lacrime di sangue.

    - …. Ti ucciderò. Te, e tutto quello che è rimasto della famiglia!!- urlò ad un certo punto.

    Quest’ultima balzò a sedere, e puntò contro Yuffie il braccio destro. Dalle dita scaturì un potente fulmine.

    -Io ti detesto, fottuta troia!! Mi hai rovinato la vita!!!- gridò, lacrimando.

    La ragazzina mora venne colpita in pieno dal fulmine, e venne scagliata con forza all’indietro. Andò a cozzare contro l’armadio e ricadde sul pavimento, svenuta.

    La bionda, invece, si svegliò improvvisamente.
    Ansimante e disorientata, si guardò intorno. Si alzò in piedi, e fece qualche passo incerto: la gamba era miracolosamente guarita. Si pulì il viso con la manica del giubotto, raccattò le sue cose sul comodino, poi cercò una via d’uscita. C’era una finestra che dava sul borgo, dall’altra parte del letto; ci si avvicinò, e il suo sguardo cadde, inevitabilmente, sulla moretta.

    << Succede…>>pensò, con un’alzata di spalle. Si chinò su di lei e le frugò nelle tasche, dove vi trovò una Pozione.

    Poi spalancò la finestra e guardò sotto: era un po’ altino… ma per lei le altezze non erano un problema.

    Saltò sul bordo della finestra e saltò giù. Atterrò senza rumore sull’asfalto, e s’incamminò alla scoperta di quel mondo.

    Camminava fra la gente, quando un’ antica brama le attraversò il corpo come un soffio d’aria gelida.
    Le prudevano le mani, la sua lingua chiedeva il sapore ferroso del sangue, e i suoi occhi rimpiangevano i bei tempi in cui vedeva solo corpi senza vita sul suo cammino.

    Sentiva il bisogno di uccidere.

    La gente intorno a lei era tranquilla. Chiacchierava serena. Chi mai avrebbe potuto pensare che quella ragazzina un po’ trasandata stesse pensando a centomila modi di sterminarli l’uno dopo l’altro?

    La ragazza vide un negozio d’armi. Notò i vari armamenti in esposizione e non seppe resistere: entrò, con una strana luce negli occhi.

    Varcò la soglia della bottega, e ne studiò l’interno. C’erano solamente lei e il negoziante.
    Perfetto.
    Chiuse la porta col lucchetto senza farsi vedere, e si avvicinò al bancone. Il commerciante l’accolse con un sorriso ironico e sbottò: - I ragazzini non sono ammessi! Fuori di qui!

    La bionda non l’ascoltò nemmeno. Si accostò ad un contenitore di vetro dove vi erano pugnali di ogni tipo. Aveva uno sguardo ambiguo, notò il bottegaio. Senza preavviso, la giovane diede una forte gomitata al vetro sopra e afferrò uno dei coltelli, stando attenta ai vetri rotti.

    - Ma che fai, razza di stupida?!- urlò il mercante, avvicinandosele, furente.

    La ragazza non rispose, ma si voltò verso di lui, infastidita.

    - Mi dovrai pagare i danni, ragazzina! Guarda che hai fatto?! Ora tu vieni con me e- il negoziante l’afferrò brutalmente per un braccio, quello che teneva il coltello.

    La cosa più stupida che avesse mai potuto fare.
    La giovane si liberò velocemente dalla stretta dell’uomo, gli trafisse il ventre, e trascinò la lama nella carne viva fino al petto.
    Il sangue macchiò gli abiti del mercante e si sparse sul pavimento e sul muro. La ragazza lo lasciò cadere con un tonfo sul pavimento, con una smorfia.

    Si voltò nuovamente sulla vetrina, intascandosi tutto ciò che poteva. Si diresse poi alla cassa, che ruppe con un pugno, e arraffò il denaro.
    Uscì dalla bottega, chiudendo dietro di sé la porta, con un ghigno.




    Sora, Cid, Paperino e Pippo raggiunsero la casa di Leon. Sora entrò, seguendo Cid, e fu molto sorpreso di vedere una donna dai lunghi capelli neri urlare contro Leon; la cosa più sconvolgente era che Leon non reagiva: si limitava a borbottare cose incomprensibili.

    - SOLO PERCHE’ SONO UNA DONNA, NON SIGNIFICA CHE LO DEBBA FARE IO!!- sbraitava la donna- Anzi, perché non lo fai tu? VOI UOMINI DOVETE IMPARARE AD ARRANGIARVI!

    - Ehi, che succede?- chiese Cid.

    Sia la donna che Leon si voltarono verso di loro.

    - Sora!!- lo salutò Aeris, correndogli incontro- Che piacere rivederti!

    Lo abbracciò, e poi toccò anche a Paperino e Pippo.

    - Dove ci sono gli heartless, ci sei tu!- fu il saluto di Squall.

    - Ciao Leon!!- disse Sora sorridendo, non cogliendo il sarcasmo.

    - E voi…?

    - Sono Sora, Paperino e Pippo- li presentò il gunblander- lei è Tifa.

    - Piacere!- le porse la mano il keyblader, ma la donna non la prese; disse invece: - Vado a farmi un giro.

    E detto ciò, uscì, sbattendo la porta.
    I tre la seguirono con lo sguardo, poi si rivolsero a Leon: - Come mai litigavate?

    L’uomo sospirò e rispose: - Niente, lascia stare. Piuttosto, bentornati alla Fortezza oscura.

    - Leon, ormai è Radiant Garden!- lo corresse Aeris.

    - Non mi abituerò mai a quel nome…- sospirò l’altro.

    - Cloud? E Yuffie? Che fine hanno fatto?

    - Cloud sparisce sempre, lo sai… e Yuffie è di sopra.- rispose la donna bruna- Allora, come vanno le cose?

    Prima che il ragazzo potesse rispondere, si avvertì un tonfo provenire dal tetto, che rimbombò per tutta la casa.

    - Che diammine è stato?- chiese allarmato, Sora.

    - Vado a dare un’occhiata- disse Leon, ma prima che potesse avvicinarsi alla porta, questa si spalancò, lasciando entrare Cloud.

    - E’ vostra?- chiese, alludendo ad una piccola furia che teneva sollevata per il cappuccio.


    - Lasciami! Mettimi giù immediatamente, o io…!- urlava una ragazza dai lisci capelli rossi, dimenandosi freneticamente.

    Sora la guardò attentamente.
    Le sue pupille si allargarono per lo stupore, e dal mare dei suoi occhi trapelarono lacrime.

    - KAIRI!

    Lei riconobbe subito quella voce: aveva popolato così spesso i suoi sogni!!
    Cloud la mise giù, e questa corse verso il ragazzo, mentre lacrime di felicità le rigavano il volto delicato.

    Sora l’accolse fra le sue braccia, e la strinse forte forte a sè. Gli sembravano secoli dall’ultima volta che l’aveva fatto…

    - Dimmi che non è un sogno…-singhiozzò appena Kairi, al di là della sua spalla.


    - Se è così, allora non voglio svegliarmi mai più…

    I presenti si sciolsero, salvo, ovviamente, Cloud, che se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle.

    - Finalmente ti ho ritrovato…- sospirò Kairi.

    Sora sciolse l’abbraccio, e si asciugò le lacrime.

    - Come hai fatto ad arrivare qui? E Riku? L’hai visto?

    Prima ancora che la ragazza potesse rispondere, si sentì uno scoppiare di urla e pianti.

    I presenti rimasero paralizzati per qualche secondo.

    Un urlo di bambino riecheggiava nella casa. Un urlo tra il terrorizzato e il disperato.

    Il primo a reagire fu Leon, che per poco non scardinò la porta; venne seguito a ruota da Sora e Aeris.

    - Che è…?!- le parole gli morirono in gola, mentre fissava lo scenario che gli si presentava davanti.

    Urla terrorizzate e grida agghiaccianti si levavano dalla folla impazzita che correva a destra e a manca per le strade ed i vicoli.

    Sora ne rimase sconcertato: era impensabile che, fino a qualche minuto prima, quelle persone camminavano serene, come la solita, tranquilla, giornata di mercato.

    Un improvviso odore di sangue impregnò le narici dei presenti.

    Leon e Sora si lanciarono subito alla ricerca della fonte, con le armi sguainate.

    Percorsero in contro corrente i vicoli retrostanti la casa, fino ad arrivare ad una piazzetta deserta.

    Semi deserta.

    I cadaveri di dodici uomini si specchiarono nelle iridi blu del Keyblader.

    - Mio dio…-Sora sentì la voce di Kairi flebile, alle sue spalle.

    - Non guardare, Kai…

    C'erano pezzi umani sparsi ovunque e il sangue sporcava le mattonelle blu opaco della piazza.

    Non pareva opera degli heartless…nemmeno dei nobody… ma allora chi aveva potuto compiere quello scempio?
    Aeris si avvicinò ad un uomo senza entrambe braccia, ancora agonizzante, prestandogli le prime cure.

    - Chi…?

    - E’ stato il demonio…- gemette quello- un demone dagli occhi rossi!!!

    - Dov’è andato?- chiese Sora.

    - A-alla… Fortez…za.

    Leon e Sora cominciarono a correre in direzione della costruzione che si ergeva al centro del borgo.


+++



    La gente correva, scappava, urlava impaurita. Leon e la sua cricca di sfigati raggiunsero i cancelli della Fortezza.

    Rixika riusciva a vederlo correre, seguito da due ragazzini che non aveva mai visto. Si trovava su un’ampia terrazza sugli ultimi piani.

    Forse aveva fatto fuori troppa gente. Spostò il suo sguardo sul borgo: ci saranno stati sì e no, una dozzina di cadaveri appena fuori dai cancelli… ma non era riuscita a resistere: uccidere le faceva salire l’adrenalina a mille, le dava alla testa, per lei era come una droga.

    Sospirò. Aveva notato, tuttavia, che aveva perso il controllo quando aveva cominciato a mutilare le persone, poi il suo istinto o qualcosa di molto più profondo e oscuro l'aveva portata alla Fortezza Oscura, anche se quel nome aveva un che di sbagliato.

    Aveva sentito l'Oscurità pervaderle i nervi, i capillari e le vene, mescolandosi con il suo sangue, infettandolo.

    Il suo sguardo si posò sulle sue mani: non le aveva ancora lavate, erano ancora intrise di sangue. Scuro, sporco, maleodorante sangue.

    Il sole fece capolino fra le nubi, e la illuminò con i suoi raggi. Rixika sentì come se la pelle le stesse andando a fuoco, le bruciavano gli occhi lacrimanti; cercò disperatamente di nascondersi nelle ombre per evitarle, e rientrò immediatamente nella stanza della Fortezza.

    - La luce….- ecco cosa temeva, l’unica cosa in grado di procurarle una paura folle: la luce. Dopo sei anni di buio, era un trauma per lei ed i suoi occhi tutta quella luce.

    Sospirò nuovamente.

    Beh, almeno aveva vestiti nuovi. Si guardò: << ma vaffanculo>>.
    Numerosi schizzi di sangue le insozzavano i vestiti scuri.

    - Ma vaffanculo.- ripetè ad alta voce, sentendola riecheggiare nelle mura del Bastione.

    Avrebbe cercato vestiti decenti in un altro Mondo… tanto, ormai la Gummiship l’aveva trovata. Le bastava solo mettere k.o. Leon e gli altri sfigati e poi, via, verso lo spazio infinito.

    Avvertì una presenza alle sue spalle. Ne riconobbe subito l’aura.

    - A che devo l’onore?- chiese, con tono calmo.

    - L’onore è tutto mio, puoi credermi…- disse una voce fredda e glaciale.

    La ragazza si voltò. Si trovò a faccia a faccia con un uomo giovane, dai capelli argentei lunghi quasi quanto i suoi, gli occhi erano due lastre di ghiaccio puro. L’espressione di marmo: non traspariva alcuna emozione. Ma la cosa strana era che aveva un’ala simile a quella di un angelo, blu.

    Era così estraneo, eppure così familiare...sapeva di averlo visto più e più volte, ma non sembrava nemmeno lui.

    - Ti ricordi di me?- continuò lui, facendo un cenno elegante col capo.

    - Mi sei familiare... Cosa vuoi da me?- domandò l’altra, a bruciapelo.

    L’uomo accennò un sorriso, e ignorò la domanda.
    Le si avvicinò, lei lo lasciò fare: aveva come la sensazione che non aveva intenzione di farle niente, ma si preparò comunque per ricevere un possibile attacco a sorpresa.

    Si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra.

    Lui alzò una mano, e lei scattò, fece per dargli un pugno, ma Sephiroth la bloccò:

    - Calma, non voglio farti nulla. Pensavo l’avessi capito…

    Le mise una mano su una guancia. Rixika lo guardò diffidente e curiosa.

    - Tutta questa Oscurità… posso sentirtela scorrere nelle vene, posso fiutarne l’odore… in una ragazza così piccola… quanti anni hai? Non sono mai riuscito a chiedertelo, in passato...

    - Che te frega?

    Il problema era che non lo sapeva nemmeno lei. Quanto tempo aveva passato in quel loto? E quando aveva conosciuto SguardoDiGhiaccio?

    - Non sei molto gentile- notò lui- però sei forte. Dentro di te si cela il potere delle tenebre. Domalo: e sarai invincibile, ma non abbandonarti ad esse, o ti distruggeranno. Devi stare attenta a non abusare dei tuoi immensi poteri, Rixika.

    Lei non ribattè. Quell’uomo la inquietava, e la faceva sentire inoffensiva… era disarmante il suo mezzo sorriso, pietrificante il suo sguardo, e raggelanti le sue parole.

    Avvertì repentinamente la presenza di altre persone avvicinarsi sempre di più.

    All'improvviso, le si rovesciarono gli occhi all’indietro, le venne la nausea e barcollò.

    - NO...!


    La prese una dolorosa, ma ormai familiare, fitta alla testa; sentì come se il suo cranio stesse per spaccarsi a metà, le orecchie vennero invase da un suono sordo, metallico che sentiva solo lei.
    Si portò le mani alle tempie, ma la fitta non cessò.
    Sephiroth la guardò curioso, mentre sentiva a sua volta i passi di Sora e i suoi fidi compagni che s’avvicinavano.
    La ragazzina gemeva di dolore, con gli occhi chiusi e si reggeva la testa con le mani, sorretta dal muro di pietra alle sue spalle.


    Prima che se ne accorgesse, un varco oscuro si aprì e un paio di mani afferrarono la ragazzina per la vita e le coprirono la bocca.
    Non appena il passaggio si richiuse, Squall Leonheart, seguito da Sora, Paperino, Pippo e Kairi.
    Sephiroth posò il suo sguardo su quest’ultima e disse, esaminandola: - La settima principessa, nonché quarta detentrice del Keyblade… la luce.
    Sora lo fissò malissimo, ed esclamò: - Ehi, chi sei tu!? Hai ucciso tu tutte quelle persone?!
    Sephiroth sbuffò: - Anche se fosse? Le mie mani sono lorde di sangue, ma ammetto che a compiere quel capolavoro di cadaveri urlanti non è stata opera mia…
    Paperino lo guardò con attenzione ed esclamò:

    - Sora, lui è Sephiroth! La parte oscura di Cloud!

    L’uomo sbuffò: - Tsk… ve l’ha detto lui?

    - Se non sei stato tu a fare quella strage, allora chi è stato?- lo sfidò Leon.

    Sephiroth lo ignorò completamente, e disse:

    - Ditegli che Sephiroth è in città e che lo aspetta…- detto ciò scomparì nel nulla, lasciando due piume nere, che fluttuarono nell’aria fresca della sera.

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    Salve a tutti!

    Chiedo scusa per il terribile ritardo ma la scuola mi perseguita TAT

    Spero che potrò aggiornare più spesso!

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Capitolo 6
*** *AVVISO* ***


Devo chiedere scusa a tutti quei (pochi^^") lettori che seguivano questa mia scuola, ma a causa di demotivazione, scuola, ed anche perchè mi si è resettato tutto nel computer perchè un simpaticone di mia conoscenza mi ha bruciato l'hard-disk, ho perso tutti i capitoli successivi che avevo scritto.
Ho deciso quindi di non continuare questa storia, e di toglierla.
Tuttavia, posso garantirvi che ne scriverò una nuova e prometto che mi metterò veramente d'impegno, in quest'ultima.
Spero la seguirete,

Grazie mille
Rixika91 

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