KINGDOM HEARTS: Chains of Hearts di _Capucine (/viewuser.php?uid=63656)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nota introduttiva ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo I ***
Capitolo 4: *** Il risveglio del XIV membro ***
Capitolo 5: *** Capitolo III ***
Capitolo 6: *** *AVVISO* ***
Capitolo 1 *** Nota introduttiva ***
Questa è la mia prima vera e, soprattutto, seria ,
fanfiction su KINGDOM HEARTS, questo fantastico videogioco che ho
conosciuto giocando prima al II e poi al I. E per fortuna: se avessi
dovuto giocare con quel pirla di Sora già dall'inizio avrei
spezzato il cd in due.
Come avrete capito, non amo il protagonista, il perchè vi
sarà chiaro leggendo la fanfiction. Spero commenterete in
tanto e se avete dubbi non esitate a chiedere.
Non amo nessuno dei protagonisti in realtà, tranne forse
Kairi perchè non fa nulla. Uno dei tanti personaggi
femminili inutili e deboli di KH. Per questo amo tanto Larxen, l'unica
donna che si fa valere, è un vero peccato che non abbia
molto spazio...
Comunque, per una volta ho deciso di riportare la storia di quelli che
i protagonisti definiscono i cattivi,
cioè dell'Organizzazione, rielaborata a modo mio,
introducendo un nuovo personaggio nel gruppo dei tredici e qualche
altro.
Cercherò di riportare i luoghi, i tempi e i caratteri dei
personaggi più fedelmente possibile al gioco. Quelli delle
fanfiction non li posso proprio soffrire: Demyx lo dipingono
solitamente come un pucciosissimo orsacchiotto, Zexion un ragazzino emo
depresso e Marluxia come un effemminato se non peggio. Meglio che torni
a introdurre la storia.
Spero vi piaccia veramente e che commentiate in tanti^_^
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Capitolo 2 *** Prologo ***
Prologo_chains of Hearts
Prologo
Fin da
piccola mi sono sempre chiesta come mai mia madre avesse deciso di
darmi un nome del genere: “Ikari”.
Ma che
cazzo di nome è, mi chiedo?!
Ora non
fraintendetemi.
Non ho
certo intenzione di parlare di quell’alcolizzata tossicomane
di mia
madre, ne tanto meno di quel violento del mio patrigno.
No, non
voglio parlare dei miei genitori, perché loro, per quel che
mi
riguarda, non sono mai stati degni di essere chiamati così.
Eppure
dovrò farlo, se voglio che voi ci capiate qualcosa di quel
che sto
per narrare…
Tutto cominciò
con la mia triste infanzia,
della quale ricordo solamente mia madre che, una volta presa la sua
dose quotidiana si buttava sul divano e non la si svegliava
più.
Infanzia...non ne ho mai avuta una.
Non ricordo neanche di
essere stata piccola.
I ricordi cominciano quando già avevo dodici anni.
Ero sola. A scuola,
insegnanti e compagni mi
evitavano, mi schernivano, mi facevano i dispetti. Ma a chi non
è
mai capitato?
Cosa mi rende diversa da
tutti quelli che
hanno subito le stesse cose?
Le mie origini, mia madre.
Mia madre era una
tossicomane incallita, per
giunta alcolizzata. Vivevo con lei in uno squallido appartamento in
periferia, insieme al mio patrigno. Non l'ho mai considerato tale.
L'ho sempre chiamato
"bestia" per
quello che faceva, a me e alle persone. Era uno spacciatore che di
secondo lavoro faceva l'avvocato; era molto temuto e rispettato,
anche se in pochissimi sapevano come arrotondava la già
salatissima
parcella. E, naturalmente, era il pusher di mia madre. La manteneva,
provvedeva che lei avesse le sue dosi e che il frigo fosse pieno quel
minimo che basta.
Non l'amava, naturalmente.
Era solo una
cliente. Anche per lei, lui era un cliente.
Di lui non ricordo niente.
Nè la faccia che
avesse, nè la voce, nemmeno il più piccolo
dettaglio...
Di lei
però mi ricordo, e mi ricordo molto bene...
Ricordo
una volta, che sono tornata da scuola al primo anno delle medie
avvilita perché tutti mi prendevano in giro, mia madre ha
pensato
che il modo migliore di consolarmi fosse tirarmi due ceffoni e
sbraitarmi addosso con il suo alito di whisky.
Stronza.
Certe
donne dovrebbero comprare un manuale, prima di farsi mettere la
pagnotta nel forno e sfornare una vita, creando un essere vivente di
cui dovrebbero prendersi cura e capire i bisogni e a cui dovrebbero
essere vicine. Ma prova a spiegarle quanto avessi bisogno di una
parola coerente, o almeno di uno sguardo vagamente materno, mentre
lei è imbevuta di alcol e fatta di eroina.
Prova a
dirle quanto è difficile ammettere che gli sguardi di quelle
stronzette figlie di papà ti feriscano ogni giorno, mentre
si sta
dedicando a vomitare anche lo stomaco chinata sul cesso.
Prova a
raccontarle degli insegnanti che ormai ti considerano solo una spina
nel fianco, quando non riesce ad alzarsi dal letto perché la
bestia
di mio padre le ha slogato un ginocchio con la sua mazza da
baseball…
Prova a urlarle in faccia quanto questa VITA, che lei ti ha DONATO,
ti stia lentamente UCCIDENDO!
lla fine
gliele ho urlate tutte queste cose, per davvero. E ho provato una
tale soddisfazione… tanto che non riesco neanche a trovare
le
parole per descriverla…. Ma è stato di
più il momento.
Il
secondo esatto in cui le ho conficcato quel punteruolo
d’acciaio
nel ventre, nello stesso ventre che mi ha partorito…
Non
pensate che sia una pazza omicida, è avvenuto tutto per
legittima
difesa! Lei ha cominciato con la solita sgridata, le solite parole
pesanti e, una volta tanto, mi sono permessa di rispondere a tono.
Eravamo
in un posto terribile: ci avevano rapite e rinchiuse chissà
dove;
entro un certo limite di tempo, dovevamo trovare la chiave che
avrebbe aperto la “maschera della morte” che
altrimenti ci
avrebbe divorato la faccia. La chiave era dietro l’occhio
sinistro
sia di mia madre, ed una copia di essa era dietro al mio.
Allora,
avevo solo quindici anni…
Mia madre
stava uscendo di senno e, poi, ad un certo punto, ha afferrato il
bisturi e si è diretta verso di me, con uno sguardo folle.
Sapevo
cosa voleva fare… e, quasi senza sapere ciò che
stavo facendo, le
bloccai le braccia e le assestai un calcio al ventre, flettendo il
corpo. Ella cadde all’indietro, a qualche metro da me. Si
stava
giusto rialzando, quando vidi una sbarra di metallo appoggiata alla
parete alle mie spalle; il mio istinto mi disse di afferrarla e io lo
feci, tornando a guardare la donna che avevo davanti.
Era mia
madre… e voleva uccidermi.
“O lei
o io” riflettei nella mia mente e, nel momento esatto in cui
questa
tornava alla carica, le conficcai il rozzo punteruolo nello stomaco.
Non morì
subito. Agonizzò per qualche minuto. E io rimasi
lì a guardarla,
perfettamente immobile, e le urlai tutto ciò che
mi ero tenuta
dentro per anni.
Ero
tremendamente soddisfatta.
Dopo che
esalò l’ultimo respiro gettai
un’occhiata al timer: avevo ancora
dieci minuti prima che la mia faccia fosse ridotta a un colabrodo.
Esitai
qualche momento, poi mi gettai sul volto di mia madre, con il bisturi
che la sua mano ancora calda, stringeva. Rimossi malamente
l’occhio,
nella ricerca disperata della minuscola chiave della salvezza.
La trovai
e, appena in tempo, riuscii a togliermi la maschera.
Mi fermai
a riprendere il fiato che avevo trattenuto sino a quel momento.
Ero viva.
Il cuore
mi straziava il petto da quanto batteva, furibondo, dopo essere stato
ad un passo dalla morte.
E con
quest’ultimo pensiero svenni, accasciandomi poi sul pavimento
umido
e sporco.
Mi
risvegliai parecchie ore dopo in un lettino da laboratorio, molto
intontita, tanto che non riuscivo a muovermi.
Un uomo
con un camice bianco e dei capelli lunghi argentei si fece avanti e
mi disse che stavo bene e che una volta finita l’operazione,
sarei
stata ancora meglio. Mi disse che ero stata messa alla prova, ero
sopravvissuta, che ero speciale, destinata a qualcosa di più
della
semplice vita mortale…
Tutto
ciò, però, ebbi tempo di comprenderlo quando,
parecchi giorni dopo,
mi svegliai nuovamente, ma quella volta qualcosa era cambiato.
Io ero
cambiata. Il mio DNA e le mie cellule erano state modificate.
Ero
diventata un’arma letale, capace di cambiare
l’aspetto e la forma
di alcune delle mie parti del corpo, capace di sconfiggere un
esercito armato in pochi colpi… ero un’arma
vivente creata dal
professore, del quale ho scoperto successivamente il nome, Xehanort.
Ma ero
un’arma molto speciale, diversa da tutte le altre macchine o
robot
che avevano inventato: io avevo un cuore, capace di amare e
odiare…
di provare sentimenti.
Il mio
corpo, nonostante la modificazione genetica, continuava a crescere e
a svilupparsi, cosa che mi incuriosì e mi impaurì
allo stesso
tempo.
Così
Xehanort mi sottopose ad un’ulteriore operazione.
L’ultima.
Rivenni
parecchi giorni dopo, anche se questo lo seppi in seguito.
Però sin
da quando aprii gli occhi notai che qualcos’altro era
cambiato; io
non ero più io.
Era nata
un’altra me.
Da quel
che diceva Xehanort, quest’altra me era il mio Nobody.
Egli le
spiegò, insieme ai suoi cinque colleghi (uno biologo, un
fisico, un
ragazzo prodigio psicologo e neurologo insieme, un
biotecnologo, e un tecnico) che quando ad una persona dalla
volontà
forte viene sottratto il Cuore essa si scinde in due esseri: la
psiche inconscia elabora un’immagine di sé e
plasma le Forze e la
Materia al fine di ottenere un Corpo, il quale sarà
più o meno
somigliante all’essere originario, ma ciò dipende
dalla più o
meno dettagliata percezione del sé.
L’essere
originario, da parte sua perde l’attività
cerebrale, quindi il
corpo; perciò, ciò che ne rimane attinge
dall’Oscurità (perchè
affine alla Vita) ciò che gli manca per poter rimanere in
vita, e
prende il nome di Heartless, un essere costituito per la maggior
parte da Oscurità, privo di Cuore e, apparentemente, anche
della
benchè minima complessità cerebrale. Questi
agiscono sulla base del
puro istinto e si nutrono di Cuori; sono in grado di viaggiare nello
spazio e raggiungere gli altri Mondi, sfruttando le serrature che
collegano i pianeti l’uno all’altro. Per studiare
questi esseri,
le narrò Xehanort, lui e i suoi colleghi avevano creato una
specie
di “fabbrica” che produceva Heartless a grandi
quantità, e
questi si differenziavano dagli originali da un simbolo a forma di
cuore nero allungato, circondato da un filo spinato rosso, sono
chiamato perciò Emblemi.
I Nobody,
sono creature ancora differenti. Intanto sono diversi persino tra
loro e di dividono in gradi: quelli di rango inferiore in quanto ad
intelligenza sono poco più intelligenti degli Heartless, e
hanno la
forma di un guscio bianco; quelli di grado superiore invece, hanno
sembianze umane, ma differiscono da questi ultimi per molti aspetti:
fisicamente, il colore dei capelli e degli occhi hanno dei pigmenti
più forti, e sono dotati di un quoziente intellettivo di
gran lunga
maggiore a quello di qualunque razza esistente, ognuno è
padrone di
un particolare elemento che può distruggere un intero
Universo da
solo. Tuttavia, sono privi di Cuore, quindi non provano emozioni,
anche se quest’ultimo concetto era stato tramandato loro da
Ansem
il Saggio, Re di quel Regno e loro maestro.
Grazie a
lui, i sei scienziati (suoi apprendisti) non disponevano solo di
immensi laboratori e macchinari sofisticati, ma anche di vitto e
alloggio; godevano di una certa fama nel Regno, la gente li amava e
li rispettava tanto quanto il loro Re.
Il mio
Nobody però non poteva uscire dal Castello. Era un Nessuno,
e la
gente l’avrebbe distrutta a vista; ciononostante il mio
Nobody
aveva un Cuore: il mio. Xehanort, conscio del fatto che io non ero
immortale, tantomeno indistruttibile, aveva optato per una via di
mezzo.
Con il
passare degli anni, Xehanort era diventato il suo maestro, il suo
mentore e, cominciava a volergli bene… la lodava,
l’allenava e
delle volte le daceva anche dei piccoli regali.
Con il
passare dei anni, la percezione di me andava affievolirsi,
così come
la mia coscienza; la mia personalità si stava perdendo in
quella del
mio Nobody. Il Corpo di lei stava lentamente cominciando ad inglobare
del tutto il Cuore, dove risiedeva l’ultimo frammento della
mia
anima.
Iniziai
così a scomparire, a venire cancellata.
In fondo
però ero contenta. Dopotutto quello che mi era successo
nella mia
vita, non avevo più voglia di andare avanti…
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Non sembra proprio una
fanfiction su Kingdom Hearts, vero? Sembra più un incrocio
tra cenerentola e Saw...
Questo è il prologo, ladies and gentlemen. ^__^
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Capitolo 3 *** Capitolo I ***
(*)
Capitolo
I^
A STRANGE DREAM
[ Dive into the heart-Destati]
Ancora. Era ancora là. Quando sarebbe
finito quel tormento?
Era sempre su quella maledetta vetrata…
Era argentea, e vi erano raffigurati due ragazzi: uno biondo, con
grandi occhi azzurri, l’altro era castano, ma con i medesimi
occhi,
soltanto che sembravano più… innocenti, sinceri.
C’era poi, il volto di un ragazzo dai capelli argentati e una
benda
sugl’occhi…infine, una ragazza coi capelli
rossi… le sembrava di averla
già vista… ma dove?
All’improvviso, una luce molto forte quasi
l’accecò.
<< Che diavolo succede?! -
pensò la ragazza esasperata- Un momento, stavolta
è diverso >>
C’erano tre piedistalli. Sopra c’erano
rispettivamente uno scettro, una spada e uno scudo.
<< Il mio cuore… o quello che ne
è rimasto… mi chiede di scegliere… >>
Li osservò per un po’, pensierosa, poi si diresse
verso la spada. La prese in mano e subito questa sparì.
Improvvisamente sentì un peso enorme al cuore…
<< Devo alleggerirlo rinunciando a
qualcosa… >>
Osservò lo scettro e lo scudo. Lo scudo… la
capacità di
difendersi...poteva essere utile. Rivolse il suo sguardo allo scettro.
Ricordava molto i sonagli dei neonati.
Il
sapere del Saggio, il potere del Mistico... la magia non l'affascinava,
non l'aveva mai usata molto... se non i poteri legati a quelli della
sua razza.
Sacrificò lo scettro-sonaglio e si guardò intorno.
<< E adesso? >>
Uno
scricchiolio e un rumore che ricordava il cristallo infranto si
propagò nel silenzio di quel luogo strano ed inquietante.
Se
non ci fosse stata quell'esplosione di suoni, non si sarebbe accorta di
esser dotata di udito.
Abbassò
lo sguardo e vide che sotto di lei la vetrata si stava disintegrando.
Cercò di urlare ma qualcosa glielo impediva: la sensazione
che tutto
ciò fosse già accaduto.
Atterrò su un’altra vetrata.
Quando si rialzò, le comparve tra le mani la stessa spada di
prima.
- Dovrai combattere…- disse una voce.
<< Eh?! >>
- … per proteggere la tua oscurità dalla luce, e
il tuo cuore da esseri che lo bramano ogni volta sempre
più…
All’improvviso, dalla vetrata sbucarono degli esseri neri,
con degli orrendi occhi gialli.
Li aveva già visti quando Xehanort….
<< Ma che cazzo vogliono?!
>> pensò, agitata.
- … il tuo cuore…
<< Ok, vogliono la guerra!? E che guerra sia! >>
Cercò di attivare le sue nanomacchine, ma non
funzionò. Aveva solo quella spada in mano.
Ne fece fuori uno, due, tre, quattro, cinque… ne sbucarono
altri, ma
non si arrendeva. Riuscì a farli fuori tutti. Cadde a terra,
sfinita.
<< Mai combattuto così! Per quanto
ho potuto
combattere, certo. Non è che ho avuto la
possibilità di fare stragi… E
adesso che cazzo succede? Una scala… devo salire? E va
bene…mettere una
scala mobile no, è?!... C’è un'altra
vetrata qui…un cerchio di luce
viola e nera…>>
- Più ti avvicini
all’Oscurità…
Si avvicinò, sentendo nuovamente la voce.
-…più piccola diventa la tua luce… ma
persiste ancora.
<< La mia… luce?
>>
Si girò di botto. Si guardò il petto, e subito
avvertì un piccolo
vuoto... poi vide un’ombra di luce accecante staccarsi da
lei. Era
strano… aveva la sua stessa sagoma, ma non aveva volto.
Dove avrebbe dovuto avere gl’occhi, stavano due fessure
bianche.
<< Possibile che questa sia la mia ombra?
Tutta questa luce nel mio cuore…?!…
Però, non l’avrei mai detto!
>>
Questa assunse le sue sembianze, e, improvvisamente, le braccia della
figura divennero due lame giganti piuttosto affilate.
La ragazza non ci pensò di due volte ad attaccare:
bloccò i suoi
attacchi e la colpì ripetutamente alle braccia e alla testa,
ma non
bastava.
La sagoma di luce immerse un braccio nella vetrata, e cominciarono a
correre per la vetrata scariche elettriche bianche e oro.
<< Oh, merda! >>
pensò la ragazza, cominciando a evitare, grazie ai suoi
riflessi particolarmente sviluppati, i fulmini bicolori.
Si concentrò sulla sagoma: non poteva mollare, non
così!!
Evitò l’ultima scarica e, con una serie di
acrobazie, riuscì ad
avvicinarsi nuovamente alla sagoma splendente e la squarciò
in due,
diagonalmente.
Atterrò un po’più in là, a
debita distanza. Si voltò di scatto, pronta
a colpire nuovamente, ma la sagoma non sembrava voler attaccare.
La fissò intensamente negl’occhi, e
urlò.
L’urlo acuto si diffuse nell’aria e invase le
orecchie della ragazza.
La sagoma si voltò verso di lei.
La ragazza la guardò intensamente.
Dove c’erano le fessure bianche (gli occhi), parve scendere,
lenta, una lacrima.
La ragazza la guardò stupita ed esterrefatta.
La lacrima raggiunse il mento dell’ombra di luce e
precipitò verso il pavimento vetrato.
Mentre si buttava a capofitto verso la vetrata, la lacrima prese
consistenza, forma, e quando si schiantò contro il suolo, un
rumore di
cristallo che rotolava si dilatò nello spazio intorno a loro.
La sagoma scomparì nel nulla, dissolvendosi in luccichii
più piccoli che andarono verso l’alto.
La ragazza abbassò la guardia, e si avvicinò
all’oggetto che era caduto.
Era una goccia di cristallo, non molto grande, di un colore
azzurro-trasparente.
Vide poi, nuovamente, un’altra luce: proveniva dalla spada.
Stava cambiando.
Scintille scure si unirono sino a formare una sottospecie di spada a
forma di chiave. Era color bianco sporco, con due
“lacci” , uno bianco
e uno nero, che s’attorcigliavano intorno ad essa. Come elsa,
due lame
bianche affilate e un’impugnatura altrettanto tagliente,
tanto che si
procurò un lungo squarcio sulla mano.
Le comparve qualcosa anche nell’altra mano. Era
anch’essa una chiave
gigante, con una grande pietra rosso sangue in cima, e
l’impugnatura
ricordava molto una colonna vertebrale umana. Un brivido le corse lungo
la schiena.
Un rumore improvviso la fece sobbalzare, e il suo stomaco fece un bel
paio di capriole.
- No! Porca di quella…!- imprecò a gran voce. Ora
riusciva a parlare. Aveva un suono strano, basso.
Sotto di lei si era aperta una voragine. Non vedeva nulla. Non ce la
poteva fare…
Oramai era davvero finita, davvero finita…
<< No, col cazzo! Inventati qualcosa! >>
le ordinò il cervello.
- Rixika…- una voce, interruppe i suoi tentativi di mettere
insieme un piano. Era diversa da quella precedente…
<< Che? >>
- Rixika! Il tuo nome è Rixika!
<< INSOMMA CHI SEI!? LASCIAMI ALMENO PENSARE,
E CHE CAZZO!>>
+++
[ Organization XIII ]
Un Mondo lontano, lontano da qualunque altro Mondo
e lontano da qualunque Sole.
Un Mondo fatto di altissimi grattacieli scuri, che
sfidavano il cielo minaccioso, perennemente coperto da fitte nubi color
pece.
Un
Mondo freddo, a causa della grandissima distanza dal Sole, un pianeta
inadatto alla vita; infatti, in quel Mondo l'esistenza era stata
cancellata, ma non dalla natura. Gli unici segni di una passata vita
umanoide era, appunto la città di grattacieli, che occupava
buoba parte
del pianeta, mentre l'altra metà era divisa tra distese di
sabbia nera
e spiaggie scure.
Le
insegne con scritte aliene al neon sostituivano le stelle ed erano
l'unica fonte d'illuminazione del pianeta, a parte il Castello, una
costruzione simile ad un'enorme aereonave (un mezzo di trasporto in
grado di varcare le barriere che dividono i diversi Mondi e
raggiungerli) bianca, residenza dell'Organizzazione XIII.
L’Organizzazione XIII era un gruppo di individui composto da
tredici Nobody.
Ma di lì a poco tutto sarebbe cambiato.
Xemnas, il capo dell’Organizzazione, camminava
tranquillamente per uno
dei sotterranei del palazzo, accompagnato dal numero quattro, Vexen.
- Xemnas, con tutto il rispetto, che cosa ci facciano
nell’ultimo dei
sotterranei? Ne avevi vietato l’ingresso a tutti…-
domandò quest’ultimo.
- Mio caro Vexen… devo presentarti una persona- rispose
pacato l’uomo.
- Chi, se posso chiedere?
- Ora vedrai.
Arrivarono alla fine del corridoio, dove vi era un’unica,
singola porta.
Xemnas la aprì e la varcarono.
Era una stanza immensa, completamente bianca e spoglia(che fantasia
N.d.A). Pareva abbandonata da tempo…
L’unica cosa che c’era dentro, era al centro della
stanza.
Era un bozzolo bianco, un ovetto come quelli che c'erano nella sede di
Diz.
Quel bozzolo sembrava molto vecchio, era stato lì per molto
tempo, notò Vexen.
- Avviciniamoci, Vexen- disse Xemnas.
Vexen si avvicinò all’ovetto e guardò
cosa vi stava dentro.
Non credette ai suoi occhi.
Guardò il suo capo, scioccato, e domandò: - Ma
chi…?
- E’, o meglio, sarà presto, il quattordicesimo
membro
dell’Organizzazione- spiegò Xemnas, tranquillo,
quasi divertito dalla
reazione dell’altro.
- Ma… è soltanto….!-
balbettò confuso Vexen, spostando il suo sguardo
dall’ovetto al capo..
- Hai più anni di quanto pensi… anche se non
può dimostrarli, è chiaro- disse il Boss.
- Come?
Vexen non ci capiva davvero un accidente. Che volevano dire tutte
quelle parole senza senso? Che creatura è, quella che non
può
dimostrare i suoi anni effettivi?
- A dir la verità, Vexen, non so nemmeno io cosa sia
veramente- rispose
Xemnas, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del
mondo, mentre
gl’occhi di Vexen schizzavano fuori dalle orbite per lo
stupore, -
Xehanort, dopo aver rapito una ragazza e messa alla prova per vedere se
la sua era una volontà forte, poiché solo
così sarebbe nato un Nobody,
tramite operazione le ha rimosso il cuore per poi immetterlo nel Nobody
della ragazza. Come se non bastasse, ha ricostruito il suo intero DNA,
introdotto delle nanomacchine che le permettono di far assumere ai suoi
arti forme diverse, più specificamente…
- Quindi, è un robot- concluse Vexen, cercando di nascondere
il suo stupore.
- No, è un’arma letale vivente. Ti ho detto che
è stata ricostruita per
metà. E’ ancora una persona, un nobody…
Lei ha qualcosa che noi
bramiamo da sempre, Vexen. Possiede un Cuore, perfettamente funzionante
e perfettamente in grado di provare sentimenti- aggiunse Xemnas.
- Perché è stata addormentata?-
domandò allora lo scienziato. Lo intrigava la storia di quel
nobody-cyborg.
- Perché Xehanorth non voleva che il Re la
trovasse… lei era il suo primo esperimento riuscito con un
Nobody.
- E come hai intenzione di usarla, Xemnas?- domandò
l’altro.
Aveva capito che il Superiore avrebbe svegliato quella sottospecie di
macchina… ma per quale motivo?
- Desidero fare un esperimento, che so per certo che
funzionerà. E poi, è un sicario
perfetto…
- Che genere di esperimento?
- Più avanti te ne parlerò. Ma
c’è un motivo per cui ho deciso di
fartela vedere. Dovrai essere il suo medico-meccanico quando ci saranno
dei problemi.
- Certamente Xemnas- disse, inchinandosi, Vexen - Quando hai intenzione
di destarla?
- Presto, molto presto. E’ necessaria al mio esperimento e
poi, deve
sbrigare una certa faccenda per me…- rispose Xemnas, pensoso.
+++
[
Kairi ]
In un altro luogo, mondi e mondi più in là, su
una spiaggia bianca, di
un mondo chiamato Destiny Islands, un mondo composto da un arcipelago
di isole dal clima tropicale, una ragazza dai capelli rossi, lunghi
fino alle spalle, con due grandi occhi blu, era in piedi, sulla sabbia,
intenta a fissare il mare dalle acque trasparenti e cristalline che si
stagliava davanti ai sui occhi. In realtà non lo vedeva
davvero.
Cercava, nella sua memoria un volto familiare, che però le
sfuggiva…
Il volto di una persona che per lei era importante, a cui teneva
davvero molto… ma non riusciva a ricordarsene il
volto… è strano,
direte, ma non è così strano, dato che le avevano
cancellato una parte
della memoria a sua insaputa.
- KAIRI!!- la chiamò una voce alle sue spalle.
La rossa si voltò e vide una ragazza dai grandi occhi verdi
correrle incontro.
- Selphie- disse, non appena questa le fu vicina.
- Kairi, che ne dici se domani pomeriggio andiamo
all’Isolotto? Ci
saranno tutti e si farà un grande festa in spiaggia-
domandò la
ragazzina, con il fiatone.
- No, lo sai che non ci tornerò…- rispose la
rossa.
- … fin quando non avrai ricordato il volto del ragazzo
misterioso del
quale eri innamorata e che stava sempre insieme con te e
Riku… ma
perché sei così ostinata?- chiese, esasperata la
ragazzina all’amica.
- Perché sì. E’ importante, davvero,
Selphie! Non mi darò pace, finchè
non ricorderò il suo volto!- fece caparbia la ragazza,
guardando prima
la sua amica, poi voltandosi a guardare il mare.
Selphie guardò triste l’amica. Povera Kairi! Si
dava tanto tormento per un ragazzo del quale nemmeno si ricordava!
Kairi era carina, vivace, spontanea e divertente, avrebbe potuto avere
tutti i ragazzi ai suoi piedi, con un solo schiocco di dita…
ma lei non
voleva, non gli interessavano. A lei interessava quel tipo…
quello che
stava sempre con lei e Riku un anno fa… non le veniva il
nome… ecco,
Sora, si chiamava!
- Vai pure tu, Selphie. Ci tieni, no? Ma io non verrò,
grazie per
l’invito, comunque- affermò poi Kairi, tornando a
guardare la ragazza
dagl’occhi verdi.
- Sei sicura?
La rossa annuì, con un sorriso: - Vai e divertiti, non
pensare a me! Guai a te, se non ti dichiarerai al tuo amato Tidus!
Improvvisamente Selphie arrossì e disse, evitando lo sguardo
dell’altra: - Ma cosa dici?! Io… a me non
piace… Tidus!!
- Nooo….- fece sarcastica Kairi- … inciampi
sempre sui tuoi piedi
quando ti passa vicino, arrossisci e abbassi lo sguardo ogni volta che
ti parla, e fai un sacco di figuracce quando è nei dintorni!
No, non ti
piace!!!
- Ok, forse un pochino…
- Un pochino tanto, direi!
- Hai vinto, mi piace!- si rassegnò Selphie.
- Ma perché non ti dichiari?
- Perché…. Mi vergogno, Kai… e poi io
a lui non piaccio, quindi…!-
fece, melodrammatica la ragazza (tipica preoccupazione di ragazza
innamorata => eterno problema N.d.A)
- E tu cosa ne sai? Magari gli piaci e anche lui non sa come
dirtelo…- (tipica risposta da amica N.d.A.)
- E, seee!!
- Beh, almeno tu ce l’hai a portata di mano…-
aggiunse malinconica Kairi.
- Già… allora… ci vediamo domani, a
scuola?
- Sì, purtroppo. A domani Selphie.
- A domani Kai, notte!- la salutò Selphie, poi le diede un
bacio veloce
sulla guancia e disse, in un sussurro: - Un giorno lo incontrerai.
E schizzò via, a casa a prepararsi per la gran serata che
l’attendeva….
Kairi la osservò mentre s’allontanava, poi decise
di tornare a casa anche lei.
Lasciò la spiaggia e si avviò per le stradine del
paesino.
Il sole ormai stava tramontando, e il cielo si dipingeva di tutte le
sfumature del rosa e dell’arancione, dando al paesino
un’atmosfera
tenue e delicata.
<< Chissà dove sei…
chissà se tornerai mai…>>
Kairi arrivò a casa di Riku all’ora di cena.
Abitava lì da quando era arrivata a Destiny Islands e sua
nonna era morta…
Lei non aveva il papà e la mamma, quindi, i genitori del suo
migliore
amico, Riku, si erano offerto di ospitarla, ben felici di avere una
“figlia adottiva”.
Erano sempre stati gentili con lei, anche dopo la fuga da casa di
Riku… erano due anni ormai che mancava da casa…
- Ciao Kairi, com’è andata a scuola? -
domandò suo padre adottivo,
seduto comodamente sulla sua poltrona in salotto, mentre la ragazza
richiudeva dietro di sé la porta di casa.
- Tutto bene, papy- rispose sorridente la rossa, salendo le scale,
diretta in camera sua.
- Ah, la mamma?- domandò poi, tornando sui suoi passi.
- E’ uscita a far la spesa, tornerà tra un
po’- rispose l’uomo, prendendo il giornale dal
tavolino.
Kairi finì di salire le scale e si chiuse in camera sua.
Poggiò la borsa sulla sedia lì vicino, si
buttò sul letto e tirò fuori il suo mp3 rosa
acceso.
<< Dove sei, Sora?
Ti sei già scordato di me?
Ti sei già scordato della promessa che mi feci?
>>pensò, triste.
[ Il mio pensiero_Ligabue ]
Una canzone le riempì la testa, e lei
si lasciò cullare dalla sua melodia e dalle parole di essa.
“Cosa c’entra questo cielo lucido
Che non è mai stato così blu
E chi se ne frega delle nuvole
Mentre qui manchi tu
Pomeriggio spompo di domenica
Come fanno gli altri a stare su
Non arriva neanche un po’ di musica
Quando qui manchi tu
E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere
Cosa c’entra quel tramonto inutile
Non ha l’aria di finire più
E ci tiene a dare il suo spettacolo
Mentre qui manchi tu”
Kairi non voleva il solito ragazzo super carino, il super popolare
della scuola, voleva un ragazzo semplice, senza troppi fronzoli per la
testa, che ricambiasse sinceramente il suo amore, e che, magari, la
trattasse seriamente, e questo qualcuno, era proprio il ragazzo del
quale non riusciva a rammentare il volto…
- Sora- sussurrò debolmente, mentre una lacrima le nasceva
dietro gli occhi.
“Così solo da provare panico
E c’è qualcun\'altra qui con me
Devo avere proprio un aria stupida
Sai come è manchi te
E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere
E adesso che sei dovunque sei
Ridammelo indietro il mio pensiero
Deve esserci un modo per lasciarmi andare ”
Il sole tramontava del tutto, scompariva tra le
onde agitate del mare.
“Cosa c’entra
questa notte giovane
Non mi cambia niente la tv
E che tristezza che mi fa quel comico
Quando qui manchi tu
E adesso che sei dovunque sei
Chissà se ti arriva il mio pensiero
Chissà se ne ridi o se ti fa piacere”
Kairi sapeva che, anche se lui non l’aveva mai detto
apertamente, era
ricambiata. Ma non ne era davvero così sicura, dentro di
sé.
Sapeva solo che era pazza di lui, di quel suo modo di fare buffo e
divertente, quel modo di affrontare i problemi, quel suo modo di
tirarti su facendoti ridere a crepapelle. I suoi occhi color zaffiro,
nel quale si perdeva ogni volta che lo fissava intensamente negli occhi.
Le dolci e malinconiche lacrime di nostalgia cominciarono a scenderle
lungo le gote rosee, bagnando leggermente le lenzuola e la camicetta
bianca.
“E adesso che sei dovunque sei
Ridammelo indietro il mio pensiero
Deve esserci un modo per lasciarmi andare”
La ragazza dopo un po’ si addormentò, lasciandosi
alle spalle il mondo
reale per entrare in quello dolce e consolatorio dei sogni, che poteva
darle ciò che la realtà, il mondo reale, le
negava: il suo amore.
+++
A
quanto pareva avevano finalmente smesso con le vetrate e
l’atmosfera
angosciante… stavolta si trovava in un posto ancora
più angosciante!
Era un ampia piazza dalla quale si poteva ammirare il tramonto. Il
punto era che tutto sembrava… morto, irreale.
- Tu devi essere quella che lui ha scelto…-disse una voce
profonda.
- Dipende… chi sei tu?
- Il mio nome adesso non ha importanza. Voglio che mi parli di
te… sarai degna del grande potere?
- Del gran…cosa?
C’erano delle persone: alcune non le aveva mai viste, altre
erano familiari e le conosceva bene.
Il primo era Xehanorth.
- Cosa desideri dalla vita, Rixika?- le domandò.
- Possibilmente viaggiare per i mondi, dato che i soli due che ho visto
ho dovuto trucidare tutta la popolazione locale…
Le venne in contro un ragazzino bruno dagli immenso occhi verde scuro:
- Cos’è più importante per te?
- Me stessa, al momento. Ma che te frega?
La ragazza diede le spalle allo scienziato e al ragazzino, e il suo
sguardo cadde su una bambina di appena quattro anni seduta in cima alla
scalinata dell’edificio che aveva di fronte.
Le si avvicinò cautamente. Dove l’aveva
già vista?
Questa la vide e sorrise: - Di cosa hai più paura, Rixika?
<< Ah,
brutta questa domanda!
>>commentò, prima di rispondere: - La mia
più grande paura è… invecchiare.
Sapeva che era stupido, dato che godeva dell’eterna
giovinezza, però…
quella paura c’era sempre. Sarà stato un ricordo
dell’altra lei…
- Beh, sei particolare, devo ammetterlo… - ammise la voce, e
le tre persone sparirono.
- Modestamente sono unica e inimitabile…-
ironizzò lei.
- Capisco ora perché ti ha scelta…
- Allora, me lo vuoi dire il tuo nome?
+++
Il sole splendeva sull’arcipelago di
Destiny Islands.
I suoi raggi caldi inondavano di luce metà della camera da
letto di Kairi.
La ragazza indossava ancora la divisa della scuola, le cuffiette ancora
nelle orecchie: l’Mp3 aveva continuato a funzionare tutta la
notte, ma
la ragazza non aveva potuto udire tutte le tracce che conteneva.
Kairi ancora dormiva, con quella serenità velata dalla
malinconia che
troppe volte aveva attraversato quel volto gentile e delicato.
Le palpebre tremarono: si stava svegliando.
La sua ragione era ancora incosciente quando, improvvisamente, ricordi
assopiti le invasero il cervello.
Tutto d’un colpo, ricordò tutti gli eventi
dell’anno prima: gli
Heartless, Riku, Ansem, Paperino, Pippo… e un volto le
espose davanti
agli occhi della mente.
Un viso dolce, buffo, solare. Due grandi ed espressivi occhi blu
oltremare, un piccolo naso all'insù e labbra sottili e rosee.
Capelli castani, ribelli, folti... un po' basso.
Una faccia sorridente.
Il volto di un ragazzo.
- SORA!!!!- urlò, svegliandosi del tutto.
Ancora sotto shock, si alzò in piedi e si diresse verso la
finestra, per prendere un po' d'aria.
Una piccola ventata le scompigliò i capelli e la ragazza
respirò a fondo.
L'aveva ricordato: il volto di Sora.
Sorrise.
Ora doveva solamente trovarlo, perchè sapeva... sentiva che
era vivo e vegeto, da qualche parte, disperso nell'Universo.
Una serie di confuse sensazioni la invasero.
Decise di andare all'Isolotto. Qualcosa la spingeva a dirigersi verso
l'isola: lì avrebbe trovato il modo di raggiungere Sora.
Durante il breve viaggio non riuscì a pensare ad altro che a
quel volto ridente.
Non appena mise un piede sulla morbida e calda sabbia
avvertì un
presentimento: sarebbe successo qualcosa... non avrebbe saputo dire se
era positivo o negativo. Ma sarebbe successo.
I suoi passi la portarono nel Luogo segreto.
[ Treasured Memories_ KH(1) ]
La ragazza si guardava intorno, malinconica e nostalgica. Tutti i loro
“graffiti”… il suo sguardo cadde poi su
un’apertura un po’ nascosta
dalle radici. Strano… non se la ricordava!
Con un po’ di difficoltà,
s’infilò nella crepa e vide che c’erano
altri
disegni. Dei “graffiti” che tuttavia non ricordava
di aver mai fatto:
nemmeno Sora, né Riku potevano esserne gli autori. Non
disegnavano così
bene! (XDXD N.d.a.).
Il più bello era quello al centro: due bambine che si
tenevano per
mano. C’erano anche altri tre ragazzi, ma erano fatti piccoli
piccoli.
- Ma chi li ha fatti questi?- chiese a se stessa, stupita.
Un rombo di motori la distrasse dai suoi pensieri. Stava accadendo
qualcosa fuori. Uscì di corsa, per ritrovarsi sulla spiaggia.
Un forte vento cominciò a soffiare dall'alto. Le palme si
piegarono, le
rare nuvole che c'erano scomparirono e la sabbia si alzò.
Kairi si portò le mani al volto per ripararsi dai granelli
di sabbia, e
avvertì un rumore strano. Come di un qualcosa di metallico
che
atterrava sulla spiaggia dietro di lei.
Si voltò e ciò che vide le fece schizzare gli
occhi fuori dalle orbite:
era una sottospecie di nave spaziale gigantesca, tutta rossa e
illuminata.
Uno sportello si aprì ed esso diventò un ponte
tra la porta della nave e la spiaggia.
Un’ombra comparì alla porta.
Kairi sforzò gli occhi.
La figura era notevolmente bassa, alta al massimo un metro, e aveva
un’ampia gonna viola e azzurra piena di merletti e trine.
Un brillante diadema sulla testolina.
- Sei tu Kairi, la settima principessa?- domandò.
- E tu chi sei?
- Sua Maestà desidera vederla con urgenza, principessa-
rispose l’altra, facendole segno di salire.
Kairi non esitò un momento e quando salì sulla
nave spaziale la ragazza si trovò al cospetto di una Regina.
Aveva due orecchie tonde in cima alla testa, due grandi occhi neri,
vestita come una regina del Medioevo.
- Kairi, settima principessa del Cuore- s’inchinò
quella.
Kairi fu colta alla sprovvista. Una regina che si chinava di fronte a
lei. Lei… una principessa?
Come doveva comportarsi?
- Sua Maestà…?- s’inchinò a
sua volta, indecisa.
- Regina Minnie- si presentò la reale- Principessa, io e lei
dobbiamo
parlare di cose di vitale importanza- le annunciò dopo,
facendola
accomodare nel salottino della nave spaziale, mentre questa ripartiva.
Si sedettero l’una di fronte all’altra. Un esile
tavolino rosso le divideva.
La regina aveva un espressione seria, un po’ triste e davvero
preoccupata.
La principessa, era ancora un po’ sotto shock, ma
negl’occhi brillava
una luce di determinazione che la caratterizzava da sempre.
- Il Prescelto del Keyblade è in serio pericolo,
principessa- cominciò
Minnie, ma la ragazza la interruppe dicendo: - Mi chiami pure Kairi,
regina.
- Ho ricevuto un importante lettera da mio marito, il Re. Nuovi
pericoli sono in agguato. Un gruppo di Nobody e… il pericolo
più
grande. Si dice che nei sotterranei del Castello nel mondo dei Nobody
vi sia il combattente più potente di tutto
l’Universo. Racchiude in sé
un grandissimo potere. Un potere terribile, che potrebbe andare oltre a
quello del Prescelto. Questo guerriero, verrà sicuramente
usato ai fini
dei Nobody e non possiamo permettere che ciò accada,
perché ha già
fatto una strage terribile, in passato: quella volta decimò
l’intero
pianeta…
- E’ terribile- commentò Kairi, seria.
La regina annuì e venne al punto: - Il problema è
che non so come
avvertire il Prescelto. Inoltre, è molto pericolosa questa
missione,
Sora deve avere tutto l’aiuto
possibile…è per questo che sono venuta
proprio da te. Non sei obbligata ad accettare se non te la senti,
naturalmente. Vorresti portare queste informazioni al Prescelto e
dargli man forte in questa missione?
+++
Nel Mondo che Non Esiste, Vexen era al cospetto del numero I
dell’Organizzazione. Sembrava soddisfatto e ghignava
malevolo: - Il
contatto con la sua mente ha funzionato: il suo cervello risponde agli
stimoli e non è stato danneggiato dopo l’ultima
operazione, mio signore.
- Perfetto, Vexen. Ora passa alla terza fase. Tra quanto potremmo
destarla?- domandò Xemnas.
- Giorni, credo.
- Cerca di affrettare i tempi, non posso aspettare così
tanto.
L’esperimento deve essere concluso prima che il Re si metta
in mezzo!
- E riguardo al Custode del Keyblade?
- Non mi preoccupo di sciocchezze… non darà alcun
fastidio.
- Ma… ha sconfitto Xehanorth…
- Vexen, Xehanorth si trovava nel corpo di un ragazzino. Io godo di un
corpo mio, e del mio potere oscuro… e presto anche di un
cuore, anche
se Kingdom Hearts fallisse- dichiarò convinto, per poi
aggiungere –
ovviamente anche tu e gli altri sarete ricompensati come si deve!
- Non lo mettevo in dubbio, mio sire.
- Bene, bravo, ora va’- lo congedò Xemnas.
Vexen uscì dalla sala e si diresse nuovamente al laboratorio
sotterraneo.
Xemnas fissò la finestra che dava al mondo sottostante. Buio
e oscuro, come la sua anima.
Il Nobody guardò gli innumerevoli fogli sulla scrivania al
quale era seduto.
Prese un foglio in particolare e se la avvicinò
agl’occhi. Era una
fotografia. Ritraeva una sorridente bambina con i capelli rosa,
raccolti in due code, con i boccoli, gli occhi verde scuro sorridevano
sereni; era abbracciata ad un ragazzino con i capelli castani. Lo
sguardo di Xemnas si soffermò sulla bimba.
Rise maliziosamente e sussurrò piano: - Presto
sarò completo.
---------
(*)Allura, le scritte in grassetto
sono le canzoni che accompagnano i vari "momenti". Lo so sono complicata.^_^"
Comunque
spero di esser riuscita a spiegar bene la faccenda del Mondo che Non
Esiste e dell'Organizzazione, ho spiegato poco ma più in
là sarà tutto
più chiaro^w^
|
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Capitolo 4 *** Il risveglio del XIV membro ***
cap II
Capitolo
II
IL RISVEGLIO DEL XIV^ MEMBRO
<<
Quanto tempo avrò passato chiusa qui dentro?
Chissà cos’è
successo lì fuori, nel mondo, intanto…
chissà quante cose sono
cambiate! Ma porco cane, mi sono proprio rotta di essere in
coma….
O di dormire…. Non so nemmeno questo!! Sono viva e sto
dormendo, o
sono morta e sono nell’aldilà? Beh, se fossi
morta… questo
dovrebbe essere l’inferno, teoricamente, dato che non si
può dire
che sia una persona poi così innocente!
… MA CHE DIAMINE DI
INFERNO E’?!!! Non ci sono fiamme, non ci sono tormenti,
niente
forconi, nulla!
Appunto, ecco che c’è, il Nulla più
assoluto…
a parte quando sono sopra quelle vetrate azzurre… ma
è sempre la
solita tiritera…
Ma mi sono proprio stufata di stare qui!
Un
attimo!
Che cavolo è? >>
Si trovò
improvvisamente in un… buco. Sentiva su di sé le
gelide gocce
della pioggia.
Si guardò intorno: era molto buio. Tese una mano
davanti a sé: terra. Era in una buca.
Un lampo squarciò il
cielo, e la ragazza ne approfittò per vedere meglio in che
razza di
luogo si trovava.
Aveva una forma rettangolare, e la superficie
stava parecchi metri sopra di lei.
Capì: si trovava in una tomba
scavata da poco, senza però la bara.
Una voce le riempì la
mente: era pesante, strascicata. Era diversa da quella che aveva
sempre sentito.
- Tu ti chiami Rixika, sei il progetto numero
21 del dott. Xehanorth. Creato da egli stesso per distruggere ed
eliminare tutti gli esseri umani che il tuo padrone ti
ordinerà.
Qualunque cosa lui ti chiederà, tu dovrai compierla senza
indugi…
-
Basta, chi sei? Cosa vuoi da me?- esclamò.
Cominciò a
piovere, o meglio, a diluviare.
Grosse
gocce di fredda pioggia scendevano dal cielo tetro.
La
bagnavano, ma lei non sentiva freddo.
Era
insensibile al freddo, avrebbe anche potuto vivere al polo nord
completamente nuda e sarebbe campata tutta la vita.
Una figura
si materializzò davanti a lei: era un uomo, aveva lunghi e
lisci
capelli bianchi, pur essendo piuttosto giovane, la pelle scura, e due
occhi arancione acceso.
Indossava un camice bianco, da
dottore.
- Xehanorth!- disse la ragazza, mentre rabbia e
stupore si scatenavano dentro di lei.
- Rixika, da quanto
tempo… contenta di vedermi? - disse questo.
La ragazza lo
guardò storto, e disse: - cosa dovrei fare? Correrti
incontro e
abbracciarti come nei film?
- Mi accontento di un
abbraccio…
- L’altra spalancò gl’occhi: - Ti
è caduta
una trave in testa?!
- No, ma sono morto. Mentre tu dormivi…-
rispose demoralizzato il dottore.
- Ecco, a proposito, perché
cavolo mi hai addormentato?!
- Per salvarti dal Re e da
Ansem(quello vero s'intende).
- Che Re? Esiste un Re? Come sei
morto?
- Sì. Viene da un mondo chiamato Disney e…
tramite
Ansem, aveva scoperto che cos'eri, sei, che ti avevo creata io, e che
ti avevo mandata io in giro per i mondi e che compivo studi sui
Cuori. E ovviamente, volle distruggerti. Perciò io ti ho
nascosta –
rispose semplicemente Xehanorth.
- E come sei morto?- chiese
la ragazza, divertita.
- ….
- E' stato questo Re
alieno? O Ansem ti ha condannato a morte?
Xehanorth le
lanciò un’occhiataccia: - No. Io e gli altri non
siamo più
riusciti a contenere gli Heartless, i quali ci hanno attaccato, ed
invaso il Mondo. Ho ceduto all’Oscurità, ma sono
rimasto
intrappolato in uno spazio di mezzo: tra l’esistenza e la non
esistenza. Sono riuscito a incarnarmi in un ragazzino, ma il suo
amichetto, il custode del Keyblade mi ha ucciso.
La ragazza
rimase a guardarlo impressionata per qualche minuto. Poi le sue
labbra si incrinarono verso l’alto e scoppiò a
ridere.
Xehanorth
la guardò sdegnato e sconvolto dalla reazione
dell’altra.
-
NON C’E’ NIENTE DA RIDERE!!!
La ragazza, che cercava di
trattenersi, incrociò il suo sguardo quasi ferito e si
sganasciò
ancora di più.
- Tu…in……un...
ragazzino……e… il
suo amichetto…….!- balbettò tra le
risate.
Quando riuscì
a smettere, commentò, tenendosi ancora la pancia: - Forse
era più
dignitosa la storia del Re, Xe’. Tu, il grande studioso
dell'Oscurità, il Re degli Heartless…sconfitto da
un ragazzino…
questa poi….
- Sentimi un po’ ragazzina, tu non sai nulla!
E vedi di portare rispetto, dato che ti ho dato un motivo per
esistere, un Cuore…ti ho resa diversa da tutti gli altri-
ribattè
l’uomo arrabbiato.
- Hai ragione- disse la ragazza, con tono
scocciato: Xehanorth era suo padre, in fondo. Aggiunse:- Ma ora,
grazie a questo tuo rendermi “diversa” non riesco a
svegliarmi.
Non riesco a liberarmi dei ricordi!
- Non ti libererai mai dei
ricordi. Quelli della tua razza non dimenticano: è questo
che vi
rende speciali.
- FINISCILA! Tu e le tue ricerche! Io voglio
uscire di qui!- urlò la ragazza, mentre una delle sue
braccia si
trasformava in una lama tagliente.
- Non hai nessuno che ti
rimpianga… nessuno a cui dispiaccia il tuo
coma…Questo è il
posto adatto per te. Più di quanto tu stessa creda-
ribattè il
dottore.
La lama passò da parte a parte l’uomo, che
scomparì in una nuvola di fumo.
Rixika guardò verso l’alto: la
superficie.
Era stanca di fare sogni assurdi.
Era
stanca di dormire.
Doveva raggiungere la superficie: la
libertà!
Cominciò ad arrampicarsi per la parete di
terra, ma quasi subito, scivolò.
Strinse i denti, e ricominciò
la scalata.
Avvertiva la melma che le si attaccava ai vestiti, le
unghie che affondavano nel terreno e si rompevano a causa delle
rocce.
Il temporale infuriava, e la pioggia la bagnava, senza
però levare il sangue e il fango dai vestiti.
Una mano
afferrò saldamente l’erba bagnata del prato.
Seguì un’altra
mano, poi un braccio, una testa, busto e gambe.
La ragazza si
alzò in piedi. Era fradicia, intrisa di sangue e di fango.
Si levò
con gesto deciso i capelli sporchi dal viso. Solo allora
sentì che
le sue unghie pendevano dalle dita insanguinate: facevano male. Il
dolore era troppo reale per essere soltanto un sogno…
Eppure
l’aveva fatta: era riuscita a uscire da quella tomba.
Respirò
l’aria gelida e pungente che correva nel cimitero buio.
Si
voltò. I suoi occhi incrociarono le lettere
d’ottone che erano
stampate sulla lapide, alle sue spalle.
“KIIRA”
Volse
la faccia al cielo scuro.
Un grido raggelante le proruppe dalla
bocca.
Urlò.
Urlò come mai aveva fatto in vita sua.
La
gola le bruciava, e gli occhi erano tartassati dalle gocce di
pioggia.
Ma non riusciva a smettere.
IMMISSIONE
DEI FRAMMENTI DEI DATI – EFFETTUATA
VALORI
OTTIMALI – STABILIZZATI
INIZIO
EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN :3
INIZIO
EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN : 2
INIZIO
EMERSIONE SINAPTICA IN RETE IN : 1
EMERSIONE
SINAPTICA - EFFETTUATA
La
ragazza aprì debolmente gli occhi e una luce accecante la
investì.
Era assonnata, e non sentiva il proprio corpo.
Nelle
orecchie sentiva un rumore assordante e vide, anche se sfocato, una
stanza bianca, di un bianco accecante, con dei computer e strani
macchinari intorno…
Non
respirava.
Cercò di fare un passo avanti, in cerca di aria,
di ossigeno, ma si accorse di avere un vetro davanti a sé.
Finalmente
riuscì a percepire le mani, e con esse tastò la
parete di cristallo
e l’ansia la attraversò come una scarica
elettrica. L'adrenalina
tornò a scorrere neòòe vene, facendola
sentire viva dopo anni di
coma.
Tuttavia,
ciò che realizzò la scioccò: era
dentro una gabbia di
cristallo.
Gridò.
Gridò
dalla rabbia.
Gridò, con quanto più fiato aveva in gola.
Le
pareti dell’ovetto s’incrinarono e la ragazza,
buttandosi in
avanti, con le mani che coprivano la testa, sfondò il vetro.
Una
cascata di schegge di vetro volarono per la stanza e la ragazza
atterrò sul pavimento in ginocchio, con un tonfo che
risuonò a
lungo all’interno delle pareti, insieme al rumore del vetro
che si
frantumava per terra.
Ritrovò l’aria e respirò
affannosamente, disperatamente, premendosi il petto.
Si portò
le mani davanti agli occhi e vide che erano insanguinate. Alcune
schegge le avevano dilaniato la carne. Eppure non avvertiva dolore.
Il
sonno e la prolungata inattività doveva averla resa
temporaneamente
insensibile al dolore fisico. Respirò profondamente,
sollevata:
niente unghie spenzolanti.
- Io… sono… viva.
Un
sussurro debole, un lieve suono morbido e rauco insieme, eppure
melodioso, le giunse all'orecchio: la sua voce; da quanto non la
sentiva.
Era
come una mamma che sente la voce del suo bambino la prima volta.
Era
riuscita a risorgere dal sonno che l’aveva avvolta per
quanto?
Mesi? Anni?
Si alzò e si guardò intorno, e un ricordo le
affiorò dai meandri della mente: quella stanza era diversa
da quella
dove Xehanorth l’aveva portata prima di addormentarla.
L’ovetto
spaccato al centro della stanza, con dei fili che lo collegavano a
strani database…quello era uguale, ma il luogo...dov'era?
Non
doveva restare lì.
Doveva andarsene.
Doveva fuggire,
se non voleva essere riaddormentata.
Tentò
di mettersi in piedi, ma non ci riuscì: aveva le gambe
addormentate,
erano inattive da troppo tempo.
<<
No, non abbandonatemi adesso! >>
pensò, esasperata. Con un notevole sforzo si tirò
in piedi e mosse
qualche passo incerto: le gambe si mossero, se pur lentamente. Si
mosse, cercando di farle andare più veloce, ancora
più veloce.
Poteva
correre.
Le
sue sviluppate capacità di ripresa avevano un
perchè
dopotutto.
Non appena le gambe glielo consentirono, si
precipitò fuori dalla stanza.
Corse lungo i sotterranei, senza
sapere dove andare, andando alla cieca.
Trovò dei passaggi, ci
s’infilò e si ritrovò improvvisamente
in uno dei 13 piani del
castello.
Ansante, si guardò a destra e a sinistra.
Perfetto,
non c’era nessuno. Ma da che parte andare?
Decise per la
sinistra, e ricominciò a correre.
Avvertì un rumore alle proprie
spalle e si voltò per controllare, pur continuando a correre.
Senza
alcun preavviso, andò a cozzare contro qualcosa, e si
ritrovò senza
accorgersene, stesa sopra l’oggetto, o meglio, il
“soggetto”,
che aveva interrotto la sua fuga.
Era un ragazzo con una cresta
bionda con due ciuffi più lunghi che ricadevano sulla
fronte, e
incredibili e sottili occhi smeraldini. Era più frastornato
di lei,
e visibilmente scioccato.
- L’uscita?- domandò la ragazza,
velocemente, senza neanche pensarci.
Lui la guardò, poi
indicò un corridoio laterale con il braccio.
- Grazie -
rispose la ragazza, e schizzò verso il corridoio per poi
svanire
nelle tenebre, davanti agli occhi sconcertati del biondo, che giaceva
ancora lì per terra.
La ragazza corse come se non ci fosse
stato un domani, e finalmente, giunse all’ingresso del vasto
Castello.
Spalancò le porte a suon di calci e, quando queste
s’aprirono, guardò giù.
- Porc…!- esclamò.
Il
Castello fluttuava sopra una gola. Solo qualche metro più in
là
c’era la terra ferma, la strada che portava al resto di quel
mondo
apparentemente desolato e scuro.
Per fuggire da quel
stramaledetto castello sarebbe bastato raggiungere la terra, e
ovviamente continuare a correre… il problema era arrivarci,
a
terra.
Saltare era impensabile, sarebbe precipitata di sotto
di sicuro…
L’unica cosa era volare.
<<Certo
volare, come no!>>
Si concentrò al massimo. Doveva
riuscire a riprendere il controllo di tutte le sue nanomacchine, dopo
tutto quel tempo s’erano un po’
irrigidite…
Un varco per
l’Oscurità comparve sulla parete opposta, alle sue
spalle, e un
rumore di passi portò la ragazza a voltarsi.
Un uomo alto,
con lunghi capelli biondi, sporchi, lunghi fino alla vita e una pelle
olivastra, avvolto in un cappotto lungo fino ai piedi, nero.
-
Rixika, faresti meglio a non provare ad andartene. Non intendiamo
farti del male. Vieni- disse questo, con voce suadente,
avvicinandosi. Gli occhi di giada dell'uomo le parvero tremendamente
familiari, ma non c'era tempo per pensare.
Il suo nome era
Vexen, ma se la ragazza non lo sapeva.
Probabilmente aveva sentito
dalla sua stanza un fracasso terribile e aveva capito, dalle
condizioni del laboratorio, che la ragazzina s’era
risvegliata.
Questa lo guardava diffidente.
L’uomo le si
avvicinò, prudente; la ragazza lo fissava, ostile.
Egli si
protese per afferrare la ragazza, ma questa, fulminea, lo
evitò.
La
cascata dei lunghissimi capelli della ragazza si divise in due parti,
e le ciocche di una di esse si unirono tra loro e assunsero la forma
di un braccio gigante, che scaraventò violentemente Vexen
contro la
parete opposta, provocando una lunga crepa nel muro.
La ragazza
vide, in un angolo dell’atrio, un telone beige che copriva
qualcosa. Ne riconobbe la forma, e decise di fare una pazzia.
Corse
rapida verso l’angolo, gettò il telo e
montò al volo su una moto
rossa. Una fiammante Honda civic.
<< Perfetto, è da
corsa. Ci sono pure le chiavi… che botta di culo! >>pensò
la ragazza.
Sperò che si mettesse in moto immediatamente:
aveva i minuti contati. Non aveva neanche il tempo di fare una
piccola magia per confondere il suo inseguitore, che si stava
rialzando.
VROOM. VROOOOM....
<< Dai, forza!
>>
VROOOOOM…
<< Si dai! Ancora un
po'... >>
Vexen stava invocando il suo scudo
gigante, ed avvertì dei passi che si avvicinavano dalla
scalinata.
VROOOOOOOOOOM!
La ragazza partì di botto,
come una saetta.
Quasi
non vide che sfiorò un ragazzo dagli accesi capelli rossi
che aveva
appena sceso le scale, in tutta tranquillità.
Prese la rincorsa e
sfrecciò verso l’uscita.
L’uomo con lunghi capelli biondo
sporco cercò di fermarla, mettendosi in mezzo, ma la ragazza
non
indugiò e tirò dritto.
Vexen, vedendosi arrivare addosso una
pazza in moto, frenò il suo istinto kamikaze e si
buttò di lato,
per evitare di essere travolto.
Aveva le tempie che le
pulsavano, ma quella che provava non era paura.
Non aveva mai
avuto paura di nessuno nella sua intera esistenza.
Erano gli altri
a dover avere il terrore di lei, Ansem gliel’aveva insegnato.
E
ora doveva saltare quel maledetto precipizio.
Stava andando al
massimo: la freccetta che indicava la velocità sarebbe
potuta
schizzare via da un momento all’altro.
Stava raggiungendo il
bordo.
Trattenne il respiro e impennò.
La moto si staccò
dal pavimento del castello e dopo un volo, che la ragazza vide a
rallentatore, e atterrò anche se con una piccola sbandata.
Riprese
il controllo della moto, e continuò a sfrecciare, senza
guardarsi
indietro.
Vexen e Axel la guardarono allontanarsi, inoltrarsi
nella città buia, illuminata solamente dalle luci al neon
degli alti
palazzi.
- La… mia… moto…!- balbettò
traumatizzato il
rosso.
+++
Nella Gummiship reale, nel
frattempo, la Regina Minnie guardava perplessa e ansiosa la giovane
di fronte a lei.
- Qual è la sua decisione, principessa
Kairi?- domandò grave- Accetterà la missione
o…?
Kairi
sembrava ancora persa nelle sue riflessioni, quando la regina le
rivolse la parola dopo parecchie ore. Gli occhi non si staccavano dal
tavolino che la divideva dalla Regina, senza però vederlo
davvero.
- Questa volta, non resterò a guardare la battaglia.
Non starò in disparte… questa volta.
Combatterò.- disse
determinata, alzando finalmente lo sguardo per incontrare quello
della Regina.
La reale vide in quegli occhi una determinazione
a lei sconosciuta, un carattere forte, un coraggio che non aveva
pari.
Vide la fermezza che poteva infondere l’amore nel
cuore delle persone.
- Sono lieta di questa sua decisione,
principessa.- disse la Regina Minnie- Ma non andrà via a
mani vuote.
Potrà scegliere l’arma che più la
soddisfa, l’abbigliamento più
comodo…
Con un semplice schiocco di dita, dei bauli fecero
la loro comparsa sul tavolo tra le due.
- In quelli rosa, vi
troverà tutte le armi migliori della nostra armeria. In
quelli
viola, degli abiti di prima mano. A lei la scelta- indicò
Minnie,
allontanandosi dalla saletta, per dirigersi verso la porta alle sue
spalle.
Kairi afferrò i bauli contenenti le armi e
cominciò
a frugarvi dentro.
Vi erano scettri, ma non sapeva niente di
magia…
Trovò delle asce, ma erano troppo pesanti per
lei…
Estrasse due pugnali gemelli.
Erano
a forma di tribale: le lame erano d’argento e i manici neri.
Pugnali… per un confronto diretto col nemico.
No,
non facevano per lei…
Afferrò tre paia di shuriken, e
scelse come arma una lunga e scattante frusta. La arrotolò e
la
poggiò sul tavolo, affianco agli shuriken e ai vari Etere ed
Elisir
che aveva trovato.
Passò poi alla parte più difficile e
complessa: scegliere l’abbigliamento adatto a
combattere…
+++
Dopo un paio d’ore che
girava per le strade, la ragazza in moto, trovò un
magazzino,
dall’aria disabitata e decadente: il posto perfetto per
nascondersi.
Era stanca, ormai poteva anche rilassarsi, non la
seguivano più da quando l'avevano vista in sella alla moto.
Decise
che se mai avesse incontrato quel pirla che aveva lasciato le chiavi
dentro, lo avrebbe ringraziato.
Almeno per qualche giorno
sarebbe stata tranquilla.
Sgretolò, semplicemente
stringendola in mano, la serratura della saracinesca in acciaio e la
tirò su.
Ci infilò la moto e ci si chiuse dentro, facendo
scorrere velocemente la serranda.
Si girò.
Era umido, freddo,
e buio.
Una lampadina elettrica pendeva dal soffitto basso.
La
ragazza afferrò la catenella e la accese.
Era abbastanza spazioso
e piuttosto spoglio. Le tubature erano rotte e dei rigagnoli
d’acqua
uscivano da esse.
<< Che merda di posto!-
pensò
la ragazza – ma sarà adatto a
nascondermi per un po’
>>
Vide una porta dall’altra parte della parete, e la
sua curiosità si riaccese dopo tanto tempo.
Decise di andare in
avanscoperta.
Attraversò a passi sicuri il magazzino e varcò la
porta: dava ad un negozio. Un negozio di abbigliamento fallito,
eppure molti vestiti erano ancora là, sugli scaffali
impolverati.
La ragazza guardò i vestiti che aveva addosso:
erano sporchi di sangue e lacerati.
Si tolse alcuni frammenti di
vetro che le erano rimasti sulle braccia.
Si levò di dosso i
vestiti sporchi, e cominciò a scegliere qualche vestito
lì
esposto.
Ma non appena si tolse di dosso i jeans, sentì che
qualcosa cadeva a terra.
Guardò il pavimento e vide lì una
catenina d’argento, fina. Si chinò, la prese e la
esaminò
attentamente.
Era un ciondolo, sembrava la metà di un cuore…
era carino, tutto sommato. Lo avvolse intorno al polso, indossandolo
come braccialetto.
Lo mise sul bancone lì vicino.
L’ultima
sorpresa fu un braccialetto. Un braccialetto che portava alla
caviglia, a dir la verità: era d’oro, come quella
dei neonati, con
la targhetta, e su quest’ultima c’era scritto
qualcosa, ma non
era leggibile: una macchia di sangue copriva la parola. Si poteva
leggere solamente “k…i….”.
Si specchiò, parecchi
minuti più tardi, davanti ad uno specchio
anch’esso impolverato e
sporco, alto quanto lei.
Una ragazza dai lisci capelli biondo
miele (lunghi fino al ginocchio) ricambiò il suo sguardo
soddisfatto.
Non era molto alta: circa un metro e sessanta, dalla
carnagione leggermente abbronzata di natura.
I tratti del viso
erano morbidi, aveva delle belle labbra soffici non troppo carnose,
delle curve generose e ben disegnate.
Sulle braccia solcate da
profonde cicatrici, che però non avevano niente a che fare
con i
frammenti di vetro, vi erano dei guanti a rete nera, che partivano da
metà dita e arrivavano fino all’avambraccio.
La cosa più
curiosa e che colpiva di più chi la guardava per la prima
volta,
erano gli occhi.
Erano grandi e avevano lo stesso,
inquietante, colore del sangue.
Indossava una canottiera nera,
aderente, scollata, e sopra un giubotto in jeans scuro; dei jeans
aderenti neri e un paio di anfibi.
Un pensiero allarmante, le
attraversò la mente, non appena distolse lo sguardo dallo
specchio.
Tornò a guardare il proprio riflesso, stavolta con
più
intensità e incredulità.
Sussultò.
Non ricordava nulla che
la riguardasse.
- Io… chi sono?- si chiese, stranita.
Poi,
le tornò in mente come l'aveva chiamata l'uomo di poco prima.
-
Rixika…mi chiamo… Rixika- si ripetè,
ma…
Tanto,
uno valeva l’altro. Poteva avere tutti i nomi che voleva, ma
rimase
per Rixika. Un nome era solo un nome, in fin dei conti… per
quelli
come lei, non poteva contare granchè.
Cercò di ricordare
qualcosa della sua vita passata.
Quella prima di
addormentarsi.
Immagini veloci e scorrevoli le invasero la
mente.
Ora tutto stava andando, dolorosamente, al posto giusto:
Xehanorth, lo scienziato che l’aveva rapita… la
madre di Kiira…
l’operazione… tutto.
Sì… Kiira stava litigando con sua
madre per strada, quando alcuni Heartless le attaccarono e fecero
perdere loro i sensi. L’omicidio di “sua
madre”, il risveglio
nel laboratorio… la sua creazione, il cuore… le
stragi nei mondi
per mano sua…
Non provò alcun senso di colpa.
Mai
l’ombra del risentimento le aveva attraversato il cuore,
nemmeno
per un secondo, da quando aveva cominciato ad uccidere.
Eppure
sapeva di avercelo, il Cuore.
Xehanorth gliel’aveva assicurato:
era un Nobody con un Cuore.
Per
quanto fosse un controsenso, era così. Un nessuno con il
cuore del
proprio “io originale”, ma con il corpo e
volontà del Nobody.
Ulteriormente
modificata: DNA alterato e particelle di un metallo indistruttibile
proveniente da un pianeta al confine della galassia.
Un carro
armato con sembianze umane.
“Un’assassina
assetata di sangue e sadica” l’aveva definita
qualcuno, ma non
ricordava esattamente chi. Forse uno degli aiutanti di
Xehanorth…
<<
Sarà come dice lui- pensò
allora la bionda- sono portata
per uccidere. E uccidere senza avere risentimenti, non è una
cosa
che riescono a fare tutti.
Perché
io non ho mai ucciso se non per una buona ragione… poi, ho
cominciato a prenderci gusto, è vero. Perché
tento di nascondere
questo mia caratteristica? Vergogna?
No, non credo…
Basta
tentare di autopsicanalizzarmi: io sono così, punto.
Bene, ora
pensiamo a capire dove mi trovo e in che epoca sono…
chissà quanto
ho dormito?
Che voleva quello di prima da me?
Perché mi
trovavo in quel… Castello-labirinto?
Una cosa è sicura: devo
trovare il modo di andarmene da qui.
Devo trovare una Gummiship, a
ogni costo, e un posto più tranquillo!
Domattina, darò
un’occhiata nei dintorni… devo stare attenta,
però… qualcosa
mi dice che quell’uomo non mi darà tregua.
Perché era così
interessato a me?
Non penso dovrei fidarmi.. e se mi facesse
addormentare di nuovo? No, non posso rischiare
>>
+++
In
un mondo distrutto dall’Oscurità, in un mondo dove
la serenità
era stata turbata da due individui senza pietà e senza
scrupoli,
solo qualche tempo prima…
Un boschetto, molto distante dalla
città in ricostruzione, dove le piante crescevano
indisturbate e
dove la crudeltà dell’uomo non era ancora
conosciuta….
Nel
centro di esso, vi stava una grande cascata. L’acqua
cristallina,
trasparente e pura, correva ininterrottamente. Alla fine di essa,
sulle rive di un delizioso laghetto, sedeva un uomo, a gambe
incrociate.
Aveva lunghissimi capelli bianchi, occhi chiari
come l’acqua, anche se in quel momento erano chiusi, e
un’espressione seria sul volto affascinante e misterioso.
Di
fianco a lui, stava appoggiata una lunghissima, affilatissima e
sottilissima spada argentata.
Sembrava che dormisse, tanto era
perfettamente immobile, come se facesse parte di quel paesaggio
bello, ma pieno di pericoli.
Stava semplicemente riflettendo…
quando, improvvisamente, captò un’aura oscura e
potente. Nulla di
che, se non fosse stato che la persona che possiedeva
quell’aura si
trovava a milioni di anni luce da quel pianeta, chiamato Hollon
Bastion.
L’uomo come avvertì
quell’Oscurità, aprì gli
occhi di scatto, ma la sua espressione rimase imperturbabile come
sempre.
- Chains- sussurrò, con voce fredda e distaccata.
Un
ghigno comparve sulle labbra pallide e sottili.
<<Ora
ci sarà da divertirsi…>>
+++
Nello
studio di Xemnas, la situazione cominciava seriamente a spaventare
Vexen.
- Come ha potuto destarsi prima del previsto?!- chiese
con voce alterata il Superiore. Una cosa curiosa di Xemnas era che
lui non urlava mai, mai. Parlava sempre con voce pacata e tranquilla,
anche se le sue parole erano tutt'altro che tranquille.
- M-me
lo chiedo anch’io… è stato del tutto
inaspettato che dopo tanto
tempo, si sia risvegliata così improvvisamente…
senza alcuno
stimolo- rispose Vexen.
- … E l'hai lasciata fuggire?!
-
Xemnas, ha preso la moto di Axel e non ho potuto fermarla-
cercò di
giustificarsi il biondo.
- Sei un membro dell’Organizzazione,
dovevi usare la magia!
- Mi dispiace.
- Le tue scuse
non la riporteranno di certo indietro.- concluse il Capo
dell’Organizzazione- Voglio quella ragazzina, Vexen. E al
più
presto. Mettiti immediatamente sulle sue tracce, non può
essere
andata lontano, non rammenta ancora come viaggiare tra i mondi.
-
Posso chiedere l’aiuto di Xaldin?- domandò Vexen.
- Portati
dietro chi vuoi, ma portami Rixika o sai cosa aspetta chi mi
delude...- concluse Xemnas, avvicinandosi all’enorme finestra
che
dava sulla città.
L'alternativa di essere trasformato in un
Simile non allettava di certo il numero quattro, Il Freddo
Accademico.
Vexen uscì, chiudendosi dietro la porta, e si
ritrovò davanti Axel.
- Che vuoi tu?- fece ostile Vexen,
arrabbiato.
- Voglio indietro la mia moto!- rispose il rosso,
furibondo.
- Cosa vuoi che me ne importi della tua stupida
moto? Devo fare altro, quindi togliti dai piedi!
- Chi era
quella ragazza?- chiese invece Axel.
- Nessuno di
importante.
- Non per te forse, ma per Xemmy a quanto pare,
sì… allora chi era?
- Chiedilo a lui. Anzi, avrai in modo
di chiederlo direttamente a lei, dato che entro domani sarà
dietro
alle sbarre- disse Vexen, ponendo fine al discorso, e andò
in cerca
di Xaldin.
- Fottiti- borbottò Axel, dirigendosi in camera
sua.
<< E così Xemnas s'intestardisce su
una
ragazzina che gli scappa da sotto il naso. >>
Gli
venne spontaneo porsi delle domande, oltre che a ghignare:
<<
1. Da dove sbuca fuori quella ragazzina?
2. Che ci faceva
qui?
3. Come mai fuggiva?
4. Perché Xemnas ci teneva così
tanto?
5. Che c’entra Vexen? >>
C’era
qualcosa che Xemnas voleva tener nascosto, era ovvio.
E lui era
deciso a scoprirlo.
Non tanto perché gliene fregasse davvero
qualcosa: era per la sua moto!
La prima cosa da fare era mettersi
sulle tracce di quella ragazzina.
Il problema era che quel mondo
era molto vasto. La città al di fuori del castello era
enorme, per
non contare poi, la spiaggia e i vari buchi neri che ogni tanto
comparivano qua e là.
<< Forse Roxas ne sa
qualcosa…- pensò il rosso -…
ah, no… è in missione, il
biondino! >>.
Si lasciò cadere sul letto
matrimoniale della sua camera.
<< Come mi manca!!
Chissà Xemnas dove diammine l’ha mandato, lui non
mi dice mai dove
va’ in missione. Sono giorni ormai che è via, e mi
chiedo se non
sia finito nei casini…>>
I suoi pensieri furono
interrotti da Xaldin, che abbattè la porta, urlando, in
preda alla
rabbia:
- AXEL, HAI FATTO TU LA LAVATRICE?
Il rosso lo
guardò stranito: - Sì, l’ho fatta io
Xal, che cazzo mi vieni a
rompere i coglioni?
- FIGLIO DI BUONA DONNA, RAZZA DI FROCIO
PERVERTITO, NINFOMANE!- sbraitò ancora di più
l’altro.
Per
Axel era troppo: scattò in piedi e fece comparire i Chrakam
(anelli
di fuoco).
Xaldin invocò le sue sei lance e disse: - Me la
pagherai!
- SI PUO’ SAPERE CHE MINCHIA TI HO FATTO, PEZZO DI
IDIOTA?!- domandò Axel, lì lì per
sbranarlo.
- Guarda come
hai ridotto la mia roba, frocio!- rispose l’uomo,
lanciandogli i
boxer.
Erano diventati rosa. Così come il resto della
biancheria intima e la sua uniforme.
Axel rimase un attimo ad
osservarli, poi scoppiò in una risata isterica e sguaiata.
-
Devo... aver messo... Il maglione di Natale... per sbaglio!-
balbettò
tra una risata e l’altra.
- Laviamo questa offesa con il
sangue!- disse irato l’altro.
- Sì, certo… confettino!
-
COME MI HAI CHIAMATO?!- ruggì Xaldin.
- Confettino. Got it
memorized?
Ma prima che Xaldin potesse attaccarlo, alle sue
spalle dell’uomo comparve Vexen.
- Che diammine vuoi tu?!-
grugnì in preda agli spasmi l’uomo.
- Abbiamo una missione,
muoviti, che ti spiego- tagliò corto Vexen.
Xaldin annuì, ma
prima di lasciare la camera di Axel, disse, rivolto al rosso, che
ancora si sganasciava: - Avrò la mia vendetta, Axel!
- Se sé…
Ciao ciao Confettino!- lo salutò stupidamente Axel,
sghignazzando
ancora.
+++
Un’ora
più tardi la principessa raggiunse la Regina Minnie nel
“garage”
della Gummiship Reale.
Minnie la guardò soddisfatta e Kairi
ricambiò con un sorriso.
- Questa, principessa, sarà la sua
Gummiship- le mostrò una piccola Gummiship, tutta rosa e
gialla.
-
E’ facile da manovrare, veloce e leggera. Anche se non ne ha
mai
guidata una, imparerà in un minuto, con questa-
continuò la
reale.
- La ringrazio.
- Oh, non lo pensi nemmeno. Lei
sta andando a salvare i mondi! E’ il minimo che possa fare!-
ribattè Minnie.
- Bene, allora… addio- la salutò Kairi,
con un inchino.
- Faccia molta attenzione, Kairi.
La
settima principessa, salì, allora, sulla sua Gummiship. La
regina
tornò nella saletta.
La porta del garage si aprì e la piccola
Gummiship si librò nello spazio.
Kairi accese tutti i motori e
partì a tutta velocità verso l’infinito.
- Ora non si può
più tornare indietro- si disse, e cominciò il suo
viaggio.
Prima
destinazione: Hollon Bastion.
+++
Xaldin
guardava Vexen piuttosto furioso.
- Tutto questo casino per
una bambina?- sbottò, contrariato.
- E’ furba, Xaldin. E
anche molto forte- ribattè semplicemente Vexen, mentre stava
seduto
al computer.
Stava cercando di rintracciare le onde
elettromagnetiche emesse dalle nanomacchine che la ragazza aveva in
corpo. Era l’unico modo per rintracciarla. Fortunatamente la
ragazza non sapeva aprire varchi per l’Oscurità,
sennò sarebbero
stati cavoli per lo scienziato dell’Organizzazione. Il
computer non
avrebbe saputo rintracciarla.
- Ti sei fatto battere da una
ragazzina. E’ assurdo…
- Taci. Tutto ciò che devi fare è
andarla a prendere e portarla da Xemnas, non è poi
così complicato,
non capisco di cosa tu ti possa preoccupare…
- E’ che è
troppo facile e banale per me, Vexen. Io, al contrario di te, ho di
meglio da fare che andare in cerca di ragazzine!
- Sì, certo…
masturbarti tutto il giorno nella tua camera…!-
ribattè acido lo
scienziato.
- Non l’avesse mai detto: Xaldin quasi gli ficcò
una delle sue sei lance su per il di dietro.
Rixika
era seduta in un angolo con un mal di testa pazzesco. I ricordi le
stavano riemergendo, lentamente e dolorosamente dalla parte
più
incognita della sua mente.
Le immagini scorrevano veloci, così
anche i suoni, e le emozioni, come in un film…
###
Era
nella cucina del palazzo di Xehanorth. Aveva dodici anni. Era ancora
Kiira. Lo sguardo perso e un po’ triste fisso sulla ciotola
di
cereali che aveva davanti. Non aveva fame, non voleva fare
colazione.
Un uomo dai lunghi capelli bianchi e la carnagione
scura la guardava preoccupato.
- Perché non mangi?- le
chiese, gentilmente.
- Non ho fame- rispose seccamente la
ragazzina.
- C’è qualcosa che non va?
- No
-
Dai, Rixika, sai che a me puoi dire tutto. Sono tuo padre,
dopotutto…
La ragazzina lo guardò un po’ diffidente, ma
poi parlò:
- Beh… io, ecco… mi sento un
po’…. Sola,
ecco. Non ho nessuno con cui giocare, nessuno con cui…- si
interruppe improvvisamente, imbarazzata, vergognosa dei suoi
desideri.
- Capisco. E’ normale, Rixika.
- I-io…
non so… voglio… amare. Che
cos’è l’amore? Come si fa? Non
ricordo di aver mai… amato…
Xehanorth la guardò quasi
come se fosse intenerito. La ragazzina si arricciava nervosa una
ciocca di capelli biondo miele.
- E’ un sentimento molto
bello, Rixika. L’amore è forse la cosa
più bella in questo mondo.
Però, non arriverai a nulla, provandolo… anzi, ti
faresti del
male. L’amore va a braccetto con la sofferenza. Danneggia la
tua
felicità e non ti dà pace. Se vuoi
autodistruggerti fai pure, ma se
vuoi essere davvero serena, sarebbe meglio che eviti di cercare
ciò
che ti può recare solo sofferenza- rispose pacato
l’uomo.
La
ragazzina lo guardò delusa e Xehanorth aggiunse:
-
Lo so che non è bello da sentire, soprattutto alla tua
età però è
la verità. E poi tu non hai bisogno di una cosa tanto
futile. Il tuo
futuro sarà senza preoccupazioni, una volta che ti
avrò resa
completa, dovrai solamente fare ciò che ti piace
più fare: uccidere
e combattere. E ti pagheranno pure per farlo… vivrai
viaggiando per
i mondi, come hai sempre voluto, cosa vorresti di più?
###
L’immagine
sfocò e un’altra prese il suo posto.
###
Rixika
(da tre anni) stava trasportando un cadavere e trascinava un
Heartless (uno shadow) per le antenne.
Varcò la soglia del
laboratorio del palazzo di Xehanorth.
- Ehi, Ansem. Te li ho
portati… ma si può sapere che ci devi fare?-
domandò la ragazza,
poggiando il cadavere di una sua coetanea sul tavolo da
laboratorio.
Lo studioso non rispose, e le chiese: - L’hai
semplicemente strangolata, vero?
Rixika alzò gl’occhi al
soffitto e disse: - Certo, esattamente come mi hai detto tu. Non vedi
i segni sul collo?
- Sì, sì va bene. Esci ora, Rixika. E’
una cosa di assoluta importanza…
Rixika lo vide mentre già
si fiondava con il bisturi sul giovane corpo morto, e, disgustata,
uscì.###
Le immagini s’interruppero
di botto, per lasciar spazio all’ultima.
###
Xehanorth,
ansioso e impaurito cercava Rixika per i corridoi del castello.
Non
appena la trovò (sulla terrazza che guardava malinconica il
mare),
urlò: - Muoviti, forza. Dobbiamo correre prima che ci
trovino!
La
ragazza lo guardò sconvolta e confusa, e mentre lo
scienziato la
trascinava verso i sotterranei per un braccio, chiese: - Ma che cazzo
succede?!
- Dai, sbrigati, o ci trovano subito- diceva
concitato l’uomo, senza ascoltarla.
La portò nell’ultimo
sotterraneo.
- Dovrai sparire per un po’, Rixika- le disse,
mettendosi al computer.
- Cosa? Che cazzo stai dicendo?- gli
fece, stranita, lei.
- Non ti preoccupare, non appena tutto
sarà finito, andrà tutto bene. Ti sveglierai
e…
- ANSEM,
CHE CAZZO SUCCEDE?!!- urlò stavolta seria, la bionda, che
cominciava
seriamente a preoccuparsi.
Lo scienziato non rispose e dopo un
po’, le si avvicinò e le disse, indicandole un
ovetto bianco
aperto:
- Entra…
La ragazza lo fissò incredula: -
Come puoi….?
Lui ce la scaraventò dentro, senza tanti
complimenti, e si rimise velocemente al computer.
L’ovetto
si chiuse prima che la ragazza potesse capire che cos’era
successo.
Battè sulla parete di cristallo e urlò: - Fammi
uscire! ANSEM!!
Un
senso di orrore le attanagliava la mente e lo stomaco. Rixika ebbe
come la sensazione che non sarebbe più uscita da
lì. La stava
imprigionando.
- Noooo!###
Tutto
si fece buio e le immagini svanirono del tutto.
Il
mal di testa se ne andò così com’era
venuto.
Il
flusso di ricordi smise di scorrere.
Rixika aprì gli occhi e
finalmente trovò un po’ di sollievo.
Sospirò e inspirò
profondamente.
I flashback della sua memoria che poco a poco
tornavano erano dolorosi e sfaticanti.
Sapeva che sarebbe
stato rischioso, ma uscì dal magazzino: aveva bisogno di
cambiare
aria. Non appena si alzò un senso di nausea la travolse, ma
lei
marciò decisa fino all’uscita del garage. La moto
avrebbe attirato
troppo l’attenzione e così
s’incamminò a piedi.
Era
passato un giorno, da quando si era svegliata nel Castello e il suo
cervello stava riprendendo a funzionare. Eppure, ancora non aveva
scoperto come diammine era finita in quel mondo.
Era notte, ma
nessuna stella splendeva in cielo, poiché c’erano
troppe nuvole
scure a coprirle.
I nuvoloni, inoltre, annunciavano pioggia.
Ma
in quel momento non gliene importò nulla.
Aveva bisogno di farsi
un giretto per sgranchirsi.
Si avviò per le strade buie e
fredde di quel mondo desolato.
Non incrociò nessuno durante la
sua ronda.
Quella città sembrava disabitata. Le luci dei palazzi
erano tutte accese, ma sembrava che nessuno ci abitasse.
Rixika
si guardava intorno, ma ciò che vedeva era sempre lo stesso,
deprimente, scenario.
Vide, in fondo ad un’ampia strada, un
parco giochi abbandonato.
Decise di dargli un’occhiata, e ci
andò.
Il cancello era stato sfondato e piegato. Alcune
fontanelle fatte a pezzi, alcune panchine spezzate in due. Le uniche
cose che sembravano essersi salvate sembravano essere un paio di
altalene, di fronte ad un boschetto inquietante.
Rixika passò
davanti a scivoli pieni di fango, a giostrine distrutte, e
scavalcò
un paio di bidoni della spazzatura rovesciati.
Si sedette su
una delle altalene e appoggiò il capo contro la catena che
la
sosteneva alla trave.
Era difficile riprendere in mano una vita
dopo tre anni e mezzo di coma in una prigione di cristallo. Forse,
“riprendere in mano” era un po’ troppo
forte come termine. Lei
non stava riprendendo in mano le redini della sua esistenza, ma stava
aspettando di ricordare tutto ciò che le era successo nella
sua vita
per capire meglio chi era e cosa doveva fare; ma una cosa era sicura:
doveva andarsene da quel luogo. Non la convinceva. Soprattutto
l’uomo
che aveva tentato di fermarla.
Cosa avrebbe dovuto fare per
andarsene? Trovare una Gummiship? Certo, e dove? Nell’uovo di
Pasqua?!
Un modo per andarsene l’avrebbe comunque trovato,
alla fine. Le occorreva solo del tempo. Tempo per ricordare, tempo
per schiarirsi le idee, tempo per trovare una soluzione…
tutto
tempo che non aveva, e che non poteva avere. Il tizio, probabilmente
era già sulle sue tracce, e non ci avrebbe messo molto a
capire dove
si trovava…
Un rumore la fece sobbalzare, distogliendola dai
suoi problemi.
Un tizio vestito di nero si era accasciato
pesantemente sull’altalena di fianco alla sua.
Scusa, non
volevo spaventarti- disse. Aveva la voce di un ragazzo: bella e
calda, in netto contrasto con l’atmosfera e
l’ambiente che li
circondava.
La ragazza lo guardò. La debole luce di uno dei
pochi lampioni ancora funzionanti lo illuminava. Non gli si vedeva il
volto, poiché aveva il cappuccio che gli copriva
metà faccia. Le
uniche cose che vedeva era il suo naso, piccolo, perfetto, che si
alzava presuntuoso verso il cielo, la bella bocca morbida e una
frangia bionda, un po’ lunga.
- Pensieri profondi?- le
chiese, dopo, lui.
- Più o meno… sì decisamente- rispose
lei, diffidente.
- Anch’io vengo qui per pensare. Non ti ho
mai vista, prima, però...
- …
- Non sei un tipo
loquace…
- Più che altro, non mi fido degli sconosciuti-
disse Rixika, freddamente.
- La mamma ti ha insegnato
bene…
Rixika rise di gusto. Ma era una risata senza alcuna
traccia di gioia. Suonava più come una presa per il culo.
-
Mia madre mi ha insegnato unicamente che sopravvive solo il
più
forte.- disse, scettica- Per il resto, non ha avuto né modo,
nè
tempo da dedicarmi… non le è mai importato
qualcosa di me.
-
Perchè? Che le è successo?
- Semplicemente... si è
scontrata con il più forte. Contro una spranga di ferro, ad
essere
precisi... è morta.
- Mi dispiace.
- A me no.
Il
ragazzo la guardò: si dava deboli spinte con il piede
destro, il suo
sguardo era fisso davanti a sé. Non riusciva a vederla bene,
perché
lei era in ombra, solo il colore dei capelli. Avevano dei riflessi
dorati ma i capelli erano troppo lunghi.
La sua voce era…
indescrivibile. Mistica, quasi fosse uscita da un sogno…
-
Beh, almeno l’hai conosciuta.
- Avrei preferito crescere in
un orfanotrofio, e vivere nella solitudine piuttosto che crescere con
una persona così… ma, in fondo, sono sempre stata
sola. Ho sempre
dovuto provvedere a me stessa, perché a nessuno fregava
qualcosa di
me. E penso che continuerò così, fino alla
fine…
- Non hai
amici? Fratelli? Un padre?
La ragazza rise nuovamente. Fredda
e penetrante, come una lama di ghiaccio:
- Non ho mai saputo
chi era mio padre. Mai visto, nemmeno una volta in vita mia…
e
sinceramente, non me n’è mai fregato di vederlo:
“a te non te ne
frega di me? Bene, io me ne sbatto di te!” questa,
è la mia
politica. Gli amici… non so nemmeno cosa siano!
Fratelli…- la
ragazza avvertì una dolorosa fitta alla testa. Si
portò una mano
alla fronte, abbassando un poco il capo.
- Ehi, è tutto ok?-
chiese il ragazzo.
- Fratelli, sorelle… non credo- rispose
la ragazza, mentre la fitta passava. Era stato un attimo di intenso
dolore, ma solamente un attimo.
- Come… non credo?
-
Senti, non farmi domande così. Sono cazzi miei- rispose
scazzata
lei.
Rimasero qualche secondo in silenzio. Il fruscio
minaccioso dei cespugli segnalava l’arrivo del mal tempo. Un
colpo
d’aria gelida attraversò il piccolo parco giochi.
Il
ragazzo si strinse nel suo spolverino, e si tenne il cappuccio sul
volto. La ragazza lo osservò curiosa: perché
tutta quell’ansia
per nascondersi il volto?
- Perché ti tieni il
cappuccio?- gli domandò, cambiando registro.
- Sono cazzi
miei.
- Anche lui aveva cambiato registro. Sembrava che non
volesse parlare di sè.
- Sai per caso dove posso trovare una
Gummiship?- fece lei, allora, più distaccata.
- Perché
questa domanda?
- Perché me ne voglio andare, e l’unico
mezzo è una Gummiship, no?
- Beh, ce n’è un altro… ma
non penso che…
- Che modo?
- No, non puoi. Sei troppo
debole per sopportarlo- riflettè lui.
- Ma una stramaledetta
Gummiship ci sarà no?!- la ragazza si stava di nuovo
scazzando.
-
No.
Rixika si rassegnò: sarebbe dovuta rimanere in quel
luogo.
<<
Merdamerdamerda. >>
- Senti, perchè hai tutta
questa voglia di andartene?
- Perchè sono metereopatica... e
qui piove sempre, perciò...
Il ragazzo rise.
Un lampo
tagliò in due il cielo. Un tuono fece sobbalzare la ragazza,
che per
poco non cadde dall'altalena. Un lampo accecante lo seguì, e
il
ragazzo fissò la sua coetanea.
Subito dopo, lei alzò lo
sguardo al cielo, e una goccia di pioggia le cadde sulla guancia,
proprio sotto l'occhio, come fosse una lacrima.
- Merda-
disse, tirandosi velocemente in piedi.
- Che c'è? Hai paura?-
la derise, divertito, lui.
- Me ne devo andare. Ora.
Adesso.
Rixika non lo ascoltò, e cominciò a camminare
verso
il cancello del parchetto, senza degnare di uno sguardo il ragazzo
ancora seduto sull'altalena.
Lui la guardò
allontanarsi e sparire nelle ombre della notte. Sorrise tra se e
sè.
Chissà chi diammine era quella ragazza. Aveva davvero un bel
caratterino lunatico.
Non l'aveva mai vista
prima.
Probabilmente, doveva aver perso il suo mondo e si era
trovata sola in questo. Strano, però che sapesse come
viaggiare tra
i mondi; era davvero curioso anche la sua voce: non sembrava
appartenesse ad un essere umano, eppure aveva un aspetto normale, per
quanto aveva potuto vedere.
Il ragazzo si alzò, e la pioggia
cominciò a farsi, pian piano, sempre più fitta.
S’incamminò a
sua volta per le strade bagnate e spogliate, abbandonate, sotto la
pioggia torrenziale.
Il volto ancora coperto, le ciocche
bionde che coprivano gli occhi e metà volto, la pioggia che
scivolava sull’impermeabile.
Passi decisi e sguardo fisso: i
suoi piedi lo costrinsero a dirigersi verso casa.
Casa…
una parola strana.
Eppure
non avrebbe saputo come altro spiegare quella gradevole sensazione
che lo invadeva quando tornava al castello dell’oblio.
Il senso
di calore che provava quando rivedeva alcune persone a lui care.
In
teoria non avrebbe dovuto provare alcun sentimento, lui (teoria
vivamente sostenuta dai membri anziani).
Non
era altro che un guscio vuoto, un errore, uno scherzo della natura,
innaturale.
Si addentrò per stradine strette e buie, ed
arrivò ad un enorme precipizio. Alzò lo sguardo e
spostò la
frangia da un lato; il Castello splendeva di una spettrale luce
bianca, perennemente sospeso sulla voragine. Tutto ciò che
circondava l’abisso erano i grattaceli, i palazzi scuri,
illuminati
dalle luci al neon. Il mondo dei Nobody. Un mondo meschino, buio,
impenetrabile.
Il
suo mondo.
Il ragazzo si teletrasportò nell’ampio atrio
del palazzo. Si guardò intorno e notò che
c’era qualcosa che non
andava: era come se mancasse qualcosa.
Scacciò il pensiero: era
troppo stanco per soffermarsi su quelle cose. L’unico suo
pensiero,
in quel momento era andare a buttarsi su un materasso e non alzarsi
per almeno 24’ore.
Salì i gradini lentamente, con il capo
chino, sino al tredicesimo piano, l’ultimo prima della
terrazza che
fungeva da tetto al castello.
Era giusto arrivato davanti alla
porta della sua stanza, che sentì un sibilo dietro di lui.
Si buttò
di lato e finì lungo disteso sul pavimento bianco splendente.
Due
anelli infuocati si conficcarono sulla parete, avvertì
qualcuno
avvicinarsi, e una voce familiare dire:
- Bentornato,
biondino. Non si usa salutare?
Il ragazzo sospirò un po’
spazientito, e rispose: - … e ti sembra il modo di salutare,
questo, Axel?
Un ragazzo dai capelli rossi, molto alto e
magro, gli si avvicinò, e gli porse una mano, dicendo:
-
Sempre a lamentarti, tu!
- Ci credo! Hai attentato alla mia
vita!- ribattè l’altro, alzandosi.
- Vedi? Seempre a
lamentarti…! Sempre, sempre.
- Dai, sono stanco, lasciami
andare a dormire- sbottò il biondo.
- Va bene, per stasera
avrò pietà di te, ma domani dovrai raccontarmi
tutto, got it
memorized?- disse allora il rosso, girando su i tacchi.
- Sì,
sì… - annuì il biondo, entrando
finalmente in camera sua.
La
sua stanza aveva pareti bianche con una sfumatura di azzurro,
così
come il pavimento. Era molto ampia, con pochi e semplici mobili.
In
fondo, vicino alle ampie finestre, stava un grande, per non dire
enorme, letto a baldacchino con le lenzuola in seta bianche, e le
tendine trasparenti.
Il ragazzo quasi si commosse, nel vedere
quel letto caldo caldo, soffice soffice, pronto ad accoglierlo.
Si
sfilò il cappuccio nero, e si passò una mano
guantata tra i capelli
bagnati.
Qualcuno si materializzò a pochi centimetri da lui,
e il biondino venne colto da un principio di attacco cardiaco.
Un
uomo sulla quarantina (???????... sono stata gentile >_<
N.d.A.), con lunghi capelli biondo scuro, sporchi e occhi marroni lo
guardò, severo.
- Sei tornato, numero XIII. Devi fare
rapporto.
- Vexen… mi hai fatto fare un infarto!- sbottò il
ragazzo, cercando di riprendersi.
- Non hai un Cuore per farti
venire degli infarti!- ribattè l’altro, e il
ragazzo abbassò lo
sguardo, e Vexen riprese: - Hai visto qualcosa di strano mentre
tornavi, per caso?
Il ragazzo lo guardò stranito: perché
quella domanda?
- No. Avrei dovuto?
- E la moto di Axel
l’hai vista?
- No… ma non è in atrio?
- No,
gliel’hanno rubata.
Il ragazzo si fece interessato: - E chi
gliel’ha rubata?
- Una ragazzina. Capelli biondo scuro,
molto lunghi… l’hai vista?
Il biondino ci riflettè: - Una
ragazza l’ho vista…
- Dove?
- Vicino al parco, non
molto distante dal Vicolo che Non C’è.
- Bene numero XIII,
ora…
- IO-HO-UN-NOME!- esclamò alterato il ragazzo.
Roxas,
domani devi andare da Xemnas che vuole un rapporto dettagliato e
completo sulla missione- finì Vexen, prima di sparire
così com’era
apparso.
Il biondino, rimasto finalmente solo, si tolse di
dosso i vestiti bagnati. Si infilò sotto le coperte del suo
larghissimo letto e si raggomitolò su se stesso.
Perché Vexen
gli aveva chiesto della ragazza?
E come aveva fatto quella a
rubare la moto di Axel, che era sempre tenuta all’interno del
castello?
Doveva essere dentro il castello, allora.
Ma come
c’era arrivata?
Il ragazzo di nome Roxas si addormentò tra
mille dubbi e domande, mentre il temporale ancora infuriava nel Mondo
dei Nessuno.
Una voce talmente bassa e melodica da
sembrare un sibilo…
Completamente buio attorno a lui…
Un
senso di pace e serenità lo avvolgeva, e si sentiva al
sicuro,
protetto…
Era come essere sospesi tra l’essere e il non
essere.
Poi la voce gli invase la mente, cullandolo quasi: era
una specie di ninna nanna, malinconica, melodiosa.
Una
spiaggia assolata, due piccole figure sulla riva, accarezzate
dall'acqua. Corse verso di loro, e più si avvicinava ad
esse, più
queste prendevano forma, più si definivano: due bambine, due
piccole
bambine dai capelli rossi.
Parevano
svenute, forse morte.
Improvvisamente,
però, una di loro le afferrò un braccio: era
scheletriva, si poteva
percorrere con lo sguardo la matassa di vene e capillari che
attraversava la sua mano. Questa alzò di scatto la testa, ma
il
volto non si riusciva a vederlo, poiché coperto dai capelli
bagnati.
Spaventato
si tirò indietro, ma la bambina teneva forte la stretta al
suo
braccio. La guardò con il cuore che batteva a mille.
-
A...iut...tac..ci.- singhiozzò, prima di lasciar cadere il
viso nella sabbia.
Lui urlò di spavento.
Roxas
si girava e rigirava nel letto. Il bel volto contratto da una smorfia
di sofferenza.
La
fronte era imperlata di sudore. La testa gli scoppiava, le voci si
facevano sempre più forti e lo assordavano.
- ALIENI!
Il
ragazzo si svegliò urlando, con le mani sulla faccia.
Perché si
era svegliato?
Che aveva urlato?
Non
se lo ricordava.
Sapeva solo che aveva un pazzesco mal di
testa.
Il Kingdom Hearts era coperto da fitte nubi grigie che mai
lasciavano il cielo del Mondo Che Non Esiste.
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Capitolo 5 *** Capitolo III ***
CAPITOLO
III^
VECCHIE CONOSCENZE
La
vetrina di un palazzo esplose verso l’esterno, quando un
nobody di
tipo Dragone la ruppe in una pioggia di frammenti di vetro.
Il
nobody rotolò
sull’asfalto bagnato, fermandosi pochi metri dopo, mentre
dalla
vetrina distrutta saltò fuori una figura dalle sembianze
umane.
Vicino alla vetrina frantumata, stava un uomo di
costituzione molto robusta, con lunghi capelli neri intrecciati in
rasta, e due glaciali occhi blu scuro. Egli assisteva alla scena con
sguardo indifferente, come se vedesse cose come quelle tutti i
giorni.
La figura raggiunse l’essere a terra, mentre i suoi
sensi erano tesi a percepire qualunque altra cosa ci fosse stata nei
dintorni. Tra le dita sottili faceva rotolare una lancia bianca e
porpora. Le labbra si schiusero per emettere una breve risata di
scherno.
Trafisse, con mano ferma e occhi freddi,
l’essere.
La lancia, che sarebbe dovuta essere tra gli
artigli del Nobody, trapassò la fronte di quest'ultimo, e
subito
dopo questo scomparve in volute luminescenti di Luce ed
Oscurità,
insieme alla sua lancia.
L’uomo con i rasta, applaudì
pacatamente:
- Sei brava. Ora però mi hai stufato. O vieni
con le buone o con le cattive…
La ragazza cominciò a
correre verso la moto rossa dall’altra parte della strada, ma
l’uomo le si parò davanti.
Indietreggiò.
- E’
inutile, non hai possibilità contro di me. Arrenditi.
-
Questo è quel che credi tu- ribattè la ragazza.
Gli
avambracci della ragazza cominciarono a muoversi debolmente per conto
loro. La pelle si allungava, s’induriva e cambiava colore. Le
ossa
stesse si assodavano, cambiavano la loro natura, il materiale di cui
erano composte. La loro forma si fece più acuminata,
più regolare,
senza curve. Infine, diventarono lame di metallo, un metallo
resistente e molto tagliente.
L’uomo era stupito: non aveva
mai visto nulla del genere… o sì?
Fece
comparire
attorno a sé le sei lance accuminate che caratterizzavano il
Feroce
Lanciere.
- Non farmi perdere tempo, ragazzina.
- Non
ti preoccupare, ci metterò solo un momento… a far
rotolare la tua
testa per terra.
La bionda si lanciò all’attacco.
Xaldin
parò a fatica le due lame della ragazza, che aveva mirato
alla
gola.
<< Questa non è una ragazzina come
le altre…
- pensò - … mi chiedo cosa
sia realmente. Non devo
ucciderla, Xemnas la vuole viva. Cercherò di non farle
troppo male,
allora…eppure, mi sembra di averla già vista.
>>
La
respinse, e le mandò contro tre lance.
La ragazza le deviò,
e Xaldin le saltò addosso con le altre tre.
Lei lo evitò,
facendo una capriola all’indietro e, poggiando i piedi contro
la
parete del palazzo alle sue spalle, si diede la spinta, per
scagliarsi a sua volta contro l’uomo.
Questo, che non se
l’aspettava, riuscì a fermare all’ultimo
secondo l’attacco
della bionda, incrociando le due lance che teneva in mano.
La
ragazza però, gli sferrò un calcio in bocca,
rompendogli la
mascella.
Xaldin le buttò allora le altre quattro lance,
contemporaneamente.
Lei indietreggiò, mentre tentava di
parare tutti i colpi.
Una lancia però non riuscì ad
evitarla: la colpì a tradimento e le trapassò, da
parte a parte, la
coscia destra; questo la distraè
Finì con le spalle al
muro, in tutti i sensi.
Il
sangue sgorgava a
fiotti e le macchiava i pantaloni.
Bruciava.
La afferrò con
entrambe le mani, la estraè, e gemendo, la
scagliò per
terra.
Xaldin la guardò, carico di odio, e nel momento in cui
stava per gettarsi sulla ragazza, un fulmine squarciò il
cielo, e
colpì il palazzo alle spalle di quest’ultima.
Il
grattacielo si sgretolò, e un buco nero si aprì.
Era grande
quanto una voragine.
Xaldin ficcò una delle lance che teneva
in mano nel muro del palazzo alle sue spalle e ci si
aggrappò con
tutte le sue forze.
<< Merda, merda, merda!!
>>
imprecava mentalmente, mentre sentiva sollevarsi da terra.
La
voragine inghiottiva tutto ciò che aveva intorno.
Fortunatamente,
non durò molto, e il varco nero si richiuse.
Xaldin tornò con i
piedi per terra e si voltò per guardare il palazzo che fino
a poco
prima gli stava di fronte: ora il vicolo pullulava di Heartless.
La
ragazzina era sparita, probabilmente risucchiata dal portale aperto
dalle ombre.
Il Feroce Lancere si guardò intorno,
allarmato.
- Che sfiga del cazzo!- disse - Xemnas mi
ucciderà…
+++
Rixika
viaggiava alla velocità della luce.
Era spinta da un vento che
sembrava quello di un aspirapolvere.
Intorno a sé non vedeva
altro che flebili luci lontane, tutto il resto era Oscurità:
ne
sentiva l'odore impregnante e assuefante.
Poi vide una luce
più forte, quasi accecante in fondo a quella specie di
“corridoio
spaziale”.
SBAM!!
Avvertì un dolore accecante alla
faccia e al petto. Era caduta sul il terreno cementato da
un’altezza
spaventosa.
- ORCO…, PORCA...- inveì la ragazza, mentre si
rotolava per terra dal dolore.
- Una ragazzina come te non
dovrebbero usare questi paroloni- la rimproverò una voce
poco
distante da lei.
- FATTI I CAZZI TUOI, COGLIONE!… CHE
MALE!!- sbraitò la ragazza, senza neanche guardare il suo
interlocutore, asciugandosi il sangue che aveva sulla bocca.
-
Alzati- le ordinò la voce, ora leggermente alterata.
-
FOTTITI!- ribattè la ragazza.
Una mano le afferrò un braccio
(le braccia le erano tornate normali), e la sollevò di peso.
La
ragazza, mentre si dimenava freneticamente, guardò tra lo
stupito e
l’infuriato il ragazzo che aveva osato toccarla senza il suo
consenso.
Era biondo e aveva due glaciali occhi azzurri; i
lineamenti del viso praticamente perfetti. Aveva un’aria
misteriosa, cosa che lo rendeva ancora più seducente.
Era
decisamente più alto di lei.
- Chi sei?- domandò lui- Non ti
ho mai vista da queste parti.
- Non sono affari tuoi- rispose
seccata lei.
- Senti, ragazzina, dimmi da dove sei sbucata
fuori e basta, se proprio non vuoi dirmi chi sei.
Il ragazzo
si stava decisamente irritando.
- Il problema è che non lo so
nemmeno io…- disse la ragazza, sorridendo sarcastica
– E ora, ti
dispiacerebbe mollarmi? Mi si sta addormentando il braccio…!
Il
biondo la mise giù e la guardò, un po’
stranito: - Come, non lo
sai?
- No, non lo so. Che posto è questo?
- Hollow
Bastion.
- Mhm… gran bel nome… e tu chi diavolo sei?
-
Tu non mi dici il tuo nome, io non ti dico il mio- rispose a tono il
biondino.
- Ok, non importa, mister Freddezza- rispose con
altrettanta ironia la biondina, aggiungendo poi:- Senti, sai dove
posso trovare una Gummiship?
- Certo… se ti fidi a seguirmi,
allora ti porto da uno che le fabbrica…- disse il ragazzo,
scettico.
Le voltò le spalle e cominciò a camminare in
direzione di una scalinata.
Lei fece per seguirlo, ma la gamba
ferita cedette, non sopportando più il peso del corpo, e si
ritrovò
di nuovo in ginocchio sull’asfalto.
Lui tornò sui suoi passi e
si chinò su di lei: - Sei ferita…
- Mannò, come hai fatto
a capirlo?- esclamò la ragazza, scettica, trattenendo
un’altra
serie di bestemmie.
Il ragazzo sospirò, rassegnato. La
tentazione di tirarle un pugno era davvero forte e dovette fare uno
sforzo per trattenersi. La guardò ancora e la prese in
braccio.
-
Che diavolo stai facendo?! Mettimi giù, subito,
immediatamente!-
cominciò a strillare lei, e allora lui ribattè:
- La finisci
di muoverti?! Ti sto facendo un favore, o preferisci andare a piedi,
eh?
Lei non rispose, si limitò a sbuffare e a distogliere lo
sguardo.
Cominciarono a percorrere tutto il borgo, facendosi
largo fra la gente.
Cloud, di tanto in tanto le lanciava
un’occhiata ben attento dal farsi vedere: fra le braccia
aveva una
ragazzina dagli inquietanti occhi rosso sangue, e fini e lunghissimi
capelli biondo scuro, stretti in un alta coda da cavallo. La sua
temperatura corporea era di parecchi gradi sotto lo zero, anche se
era primavera. Il suo volto aveva un carnagione era abbronzata. Aveva
degli abiti strani, ma infondo, tutti quelli che venivano da altri
pianeti sembravano strani; tuttavia assomigliavano molto a quelli che
utilizzava la sua gente, dall'altra parte di quello stesso pianeta,
nella città di Midgar.
Aveva
un che di
strano, eppure non avrebbe saputo dire cos’era…
La
condusse per strade, stradine e vicoli, per arrivare poi in una
stretta piazzetta, che faceva da cortile alle case che vi si
affacciavano. Si fermò davanti ad un portone in legno
massiccio.
Lei cercò lo sguardo freddo e distaccato di lui: -
Qui?
Cloud non le rispose, con un calcio aprì la porta, e la
varcò.
Nella casa di Merlino vi trovò Yuffie, Aeris, e
Merlino.
- Cloud!- lo salutò una sorridente Aeris; poi lo
sguardo della bruna calò sulla ragazzina che il biondo aveva
in
braccio.
- E lei chi è?
- E’ ferita, ha bisogno di
cure.- disse Cloud.
- Portala nel mio appartemento, di sopra.
Yuffie, va’ cercarmi una granpozione e delle bende- chiese
cortesemente la donna alla moretta ninja.
Il ragazzo biondo
salì le scale, seguito da Aeris, trovò la camera
da letto e distese
la ragazza sul letto a baldacchino.
Questa aveva gli occhi
semiaperti. Era stanca, Cloud lo intuì.
- Mi vuoi dire il tuo
nome o no?- le chiese, quasi più gentilmente, fissandola
negl’occhi
sanguigni.
Lei ricambiò lo sguardo e disse: - Certo che no…
Hai degli occhi strani...
Poi chiuse i suoi, di occhi, e precipitò
nel mondo dei sogni.
Il ragazzo la guardò, ed avvertì una specie
di familiarità con la ragazza, eppure era la prima volta che
la
vedeva.
- Chi è, Cloud?- ripetè Aeris, avvicinandosi al
letto con bende e disinfettante.
Il ragazzo scosse la testa,
continuando a guardare il volto della ragazzina.
- Ha un’aura
strana… dov’è che l’hai
trovata?
- In mezzo alla
piazza. Era per terra che urlava, con la gamba ferita…
Chiama
Yuffie, dille di tenerla d’occhio…
+++
Un
ampio giardino fiorito e selvaggio, con delle vecchie mura ricoperte
da edera verde. Era immersa nella natura: sentiva il fruscio dolce
del vento tra le foglie e l'odore dolciastro dei fiori lì
intorno.
Una fontana dalle acque cristalline, delle statue
antiche, un sole caldo ed accecante. Sembrava essere in
primavera…
Tutt’intorno, le mura di un palazzo di marmo.
Tutto le era così familiare…
- Dove sono?
- A casa-
rispose una voce.
Si voltò.
Xehanort, di nuovo.
-
Quante volte devo ucciderti ancora?- sbuffò.
- Ho già un
piede nella fossa, Rixika.
- Quanto ho dormito?
- Sei
anni, se contiamo nei termini temporali del Mondo adesso occupato dai
Nobody di alto rango. Molte cose sono cambiate nei mondi…
-
Dove sono?
- A Radiant Garden, dove ti ho creata ed
addestrata, ricordi? Venivi sempre qui quando volevi stare
sola…
-
Già…
- Ora veniamo alle cose serie: devi sapere cos’è
successo mentre dormivi.
- Oh, bello.- la Nobody roteò gli
occhi verso l'alto.
-
La farò breve: c'è stata un'invasione di
Heartless. Io e gli altri
siamo stati presi tutti, uno dopo l'altro e il nostro pianeta
è
stato occupato interamente dalle ombre. Si sono salvati pochi della
nostra gente, tramite le navi. Tuttavia, noi sei siamo stati presi
dagli Heartless...
-
Quindi
siete diventati
Heartless?
- Sì, ma
data il nostro temperamento, abbiamo generato dei Nobody. Questi Nobody
ora si sono uniti per formare un'Organizzazione, e continuano ad
arruolare nuovi membri...
- E quindi?
- Quindi verranno
anche da te, ti recluteranno. Lo hanno già fatto?
- Scusa, ma come
fai a sapere queste cose se sei...morto?
- No, non sono
proprio morto. Mi sono impossessato del corpo di un ragazzo...ma non
del tutto...
- Sei un fallito
come Heartless, Xehanort....- rise Rixika.
- Rixika, portami
rispetto!- esclamò spazientito l'Heartless, per poi
riprendere, abbassando il tono ed i modi: - Ascoltami, tu dovrai
eliminare il Re ed i suoi seguaci, compresi tutti i possessori del
keyblade che stanno dalla sua parte...
- E
perchè mai?
- Perchè
ti uccideranno. Uccideranno te e tutti gli altri Nobody ed Heartless...
- Va
bene...ma...come fai a parlarmi se sei in un altro corpo?
- Questo
è uno dei pochi misteri che non saprei spiegarti...
+++
- La Fortezza Oscura!!- annunciò Paperino.
- Finalmente! Chissà come se la passano Leon e gli altri?-
fece, tutto contento Sora.
- Andiamo subito da loro!!
Sora, Paperino e Pippo atterrarono a Hollon Bastion.
Si guardarono intorno.
- Stanno ricostruendo la città!- esclamò Pippo.
- Guardate lì: Heartless!- indicò, Paperino, il
centro della Piazza, dove Qui, Quo e Qua cercavano di respingere dei
Soldati.
- Le cose non sono molto cambiate, però…-
constatò Sora, lanciandosi in mezzo alla mischia, con Catena
Regale sfoderata.
Finito lo scontro, una voce disse: - Ehi, custode del Keyblade, sei
sempre in forma, eh?
Il bruno si voltò, per trovarsi di fronte Cid.
- Ehi, Cid!- lo salutò Sora, andandogli incontro.
- Gli Heartless sono tornati… e Leon aveva intuito che
saresti tornato anche tu. Ti aspetta a casa sua… se vuoi ti
accompagno, anch’io dovevo andare da lui.
Iniziarono ad incamminarsi, con Paperino e Pippo al seguito.
- Sai, ho progettato un nuovo tipo di Gummiship. E’
più grande: ha tre stanze, più quella di
pilotaggio, è più veloce, ha più
munizioni ed è più leggera!
- Whoa, grande!- commentò Sora- e ce la farai provare, vero?
- Ci devo pensare… è preziosa, quella Gummiship,
è delicata…- rispose vago, Cid, frugando in un
sacchetto- e ti volevo dare questo.
Tirò fuori un’I-pod nano, nero, a colori (eh,
sì. Anche alla Fortezza Oscura hanno gli I-pod! XD).
- Un’ I-pod!! Grazie Cid, sei un grande!!- lo
ringraziò, saltandogli addosso.
-Ehi, calmo ragazzino! Ci sono già alcune canzoni, per le
altre vieni pure da me, quando vuoi qualche canzone nuova.
Sora sciolse l’abbraccio e disse: - Novità? Oltre
agli heartless?
- Una ragazza: si chiama Tifa e sembra avere un debole per
Cloud…
- Eh, l’eterno rubacuori!- scherzò il bruno.
- … Sai se Kairi si è trovata un altro ragazzo?-
ipotizzò Pippo.
Sora lo fissò inorridito e traumatizzato.
- Basta con i pettegolezzi adesso, andiamo da Leon.
Yuffie spostò il suo sguardo dalla ragazza esanime sul
letto, ad Aeris, che le stava bendando la gamba.
- Beh, niente? Non si sa chi sia, da dove venga o altro?
- No, nulla…- sollevò l’arto ferito, e
dalla tasca dei jeans scivolarono fuori alcuni oggetti, che
rimbalzarono sul tappeto.
Yuffie raccolse quello a lei più vicino e se lo mise davanti
agli occhi, e chiese, studiandolo: - Che cos’è,
secondo te?
Aeris osservò incuriosita il ciondolo che la mora teneva in
mano: - Non saprei dirti…
- Mettilo qui. Non sta bene che guardiamo le sue cose!!
Yuffie sbuffò e poggiò il ciondolo sul mobile.
- Ora la gamba dovrebbe essere a posto. Yuffie, potresti controllarla
tu?
- Certo! Mi occuperò io di lei!- disse frizzante, la giovane
ninjia.
Aeris sorrise e lasciò la stanza; Yuffie si
accomodò su un lato del letto.
<< Che strana sta’ tipa!!>>
pensò, scrutandola attentamente.
Passarono diversi minuti, e Yuffie cominciava davvero ad annoiarsi,
quando la bionda cominciò ad agitarsi nel sonno.
Aveva un’espressione sofferente sul volto, sudava sudar
freddo, e a mormorare frasi incomprensibili…
- No…NO!!! Perché devo farlo?!! Non VOGLIO!!!
La ragazzina le si avvicinò un po’.
- Fratellone- la sua voce si fece spezzata, e il suo petto
sobbalzò per i singhiozzi- …mi
dispiace……… devo andare… un
giorno
tornerò…………non
mi dimenticare……
Yuffie fece un salto indietro, inorridita e spaventata.
La ragazza bionda stava piangendo… o sanguinando: piangeva
lacrime di sangue.
- …. Ti ucciderò. Te, e tutto quello che
è rimasto della famiglia!!- urlò ad un certo
punto.
Quest’ultima balzò a sedere, e
puntò contro Yuffie il braccio destro. Dalle dita
scaturì un potente fulmine.
-Io ti detesto, fottuta troia!! Mi hai rovinato la vita!!!-
gridò, lacrimando.
La ragazzina mora venne colpita in pieno dal fulmine, e venne scagliata
con forza all’indietro. Andò a cozzare contro
l’armadio e ricadde sul pavimento, svenuta.
La bionda, invece, si svegliò improvvisamente.
Ansimante e disorientata, si guardò intorno. Si
alzò in piedi, e fece qualche passo incerto: la gamba era
miracolosamente guarita. Si pulì il viso con la manica del
giubotto, raccattò le sue cose sul comodino, poi
cercò una via d’uscita. C’era una
finestra che dava sul borgo, dall’altra parte del letto; ci
si avvicinò, e il suo sguardo cadde, inevitabilmente, sulla
moretta.
<< Succede…>>pensò,
con un’alzata di spalle. Si chinò su di lei e le
frugò nelle tasche, dove vi trovò una Pozione.
Poi spalancò la finestra e guardò sotto: era un
po’ altino… ma per lei le altezze non erano un
problema.
Saltò sul bordo della finestra e saltò
giù. Atterrò senza rumore sull’asfalto,
e s’incamminò alla scoperta di quel mondo.
Camminava fra la gente, quando un’ antica brama le
attraversò il corpo come un soffio d’aria gelida.
Le prudevano le mani, la sua lingua chiedeva il sapore ferroso del
sangue, e i suoi occhi rimpiangevano i bei tempi in cui vedeva solo
corpi senza vita sul suo cammino.
Sentiva il bisogno di uccidere.
La gente intorno a lei era tranquilla. Chiacchierava serena. Chi mai
avrebbe potuto pensare che quella ragazzina un po’ trasandata
stesse pensando a centomila modi di sterminarli l’uno dopo
l’altro?
La ragazza vide un negozio d’armi. Notò i vari
armamenti in esposizione e non seppe resistere: entrò, con
una strana luce negli occhi.
Varcò la soglia della bottega, e ne studiò
l’interno. C’erano solamente lei e il negoziante.
Perfetto.
Chiuse la porta col lucchetto senza farsi vedere, e si
avvicinò al bancone. Il commerciante l’accolse con
un sorriso ironico e sbottò: - I ragazzini non sono ammessi!
Fuori di qui!
La bionda non l’ascoltò nemmeno. Si
accostò ad un contenitore di vetro dove vi erano pugnali di
ogni tipo. Aveva uno sguardo ambiguo, notò il bottegaio.
Senza preavviso, la giovane diede una forte gomitata al vetro sopra e
afferrò uno dei coltelli, stando attenta ai vetri rotti.
- Ma che fai, razza di stupida?!- urlò il mercante,
avvicinandosele, furente.
La ragazza non rispose, ma si voltò verso di lui,
infastidita.
- Mi dovrai pagare i danni, ragazzina! Guarda che hai fatto?! Ora tu
vieni con me e- il negoziante l’afferrò
brutalmente per un braccio, quello che teneva il coltello.
La cosa più stupida che avesse mai potuto fare.
La giovane si liberò velocemente dalla stretta
dell’uomo, gli trafisse il ventre, e trascinò la
lama nella carne viva fino al petto.
Il sangue macchiò gli abiti del mercante e si sparse sul
pavimento e sul muro. La ragazza lo lasciò cadere con un
tonfo sul pavimento, con una smorfia.
Si voltò nuovamente sulla vetrina, intascandosi tutto
ciò che poteva. Si diresse poi alla cassa, che ruppe con un
pugno, e arraffò il denaro.
Uscì dalla bottega, chiudendo dietro di sé la
porta, con un ghigno.
Sora, Cid, Paperino e Pippo raggiunsero la casa di Leon. Sora
entrò, seguendo Cid, e fu molto sorpreso di vedere una donna
dai lunghi capelli neri urlare contro Leon; la cosa più
sconvolgente era che Leon non reagiva: si limitava a borbottare cose
incomprensibili.
- SOLO PERCHE’ SONO UNA DONNA, NON SIGNIFICA CHE LO DEBBA
FARE IO!!- sbraitava la donna- Anzi, perché non lo fai tu?
VOI UOMINI DOVETE IMPARARE AD ARRANGIARVI!
- Ehi, che succede?- chiese Cid.
Sia la donna che Leon si voltarono verso di loro.
- Sora!!- lo salutò Aeris, correndogli incontro- Che piacere
rivederti!
Lo abbracciò, e poi toccò anche a Paperino e
Pippo.
- Dove ci sono gli heartless, ci sei tu!- fu il saluto di Squall.
- Ciao Leon!!- disse Sora sorridendo, non cogliendo il sarcasmo.
- E voi…?
- Sono Sora, Paperino e Pippo- li presentò il gunblander-
lei è Tifa.
- Piacere!- le porse la mano il keyblader, ma la donna non la prese;
disse invece: - Vado a farmi un giro.
E detto ciò, uscì, sbattendo la porta.
I tre la seguirono con lo sguardo, poi si rivolsero a Leon: - Come mai
litigavate?
L’uomo sospirò e rispose: - Niente, lascia stare.
Piuttosto, bentornati alla Fortezza oscura.
- Leon, ormai è Radiant Garden!- lo corresse Aeris.
- Non mi abituerò mai a quel nome…-
sospirò l’altro.
- Cloud? E Yuffie? Che fine hanno fatto?
- Cloud sparisce sempre, lo sai… e Yuffie è di
sopra.- rispose la donna bruna- Allora, come vanno le cose?
Prima che il ragazzo potesse rispondere, si avvertì un tonfo
provenire dal tetto, che rimbombò per tutta la casa.
- Che diammine è stato?- chiese allarmato, Sora.
- Vado a dare un’occhiata- disse Leon, ma prima che potesse
avvicinarsi alla porta, questa si spalancò, lasciando
entrare Cloud.
- E’ vostra?- chiese, alludendo ad una piccola furia che
teneva sollevata per il cappuccio.
- Lasciami! Mettimi giù immediatamente, o io…!-
urlava una ragazza dai lisci capelli rossi, dimenandosi freneticamente.
Sora la guardò attentamente.
Le sue pupille si allargarono per lo stupore, e dal mare dei suoi occhi
trapelarono lacrime.
- KAIRI!
Lei riconobbe subito quella voce: aveva popolato così spesso
i suoi sogni!!
Cloud la mise giù, e questa corse verso il ragazzo, mentre
lacrime di felicità le rigavano il volto delicato.
Sora l’accolse fra le sue braccia, e la strinse forte forte a
sè. Gli sembravano secoli dall’ultima volta che
l’aveva fatto…
- Dimmi che non è un sogno…-singhiozzò
appena Kairi, al di là della sua spalla.
- Se è così, allora non
voglio svegliarmi mai più…
I presenti si sciolsero, salvo, ovviamente, Cloud, che se ne
andò, sbattendosi la porta alle spalle.
- Finalmente ti ho ritrovato…- sospirò Kairi.
Sora sciolse l’abbraccio, e si asciugò le lacrime.
- Come hai fatto ad arrivare qui? E Riku? L’hai visto?
Prima ancora che la ragazza potesse rispondere, si sentì uno
scoppiare di urla e pianti.
I presenti rimasero paralizzati per qualche secondo.
Un urlo di bambino riecheggiava nella casa. Un urlo tra il terrorizzato
e il disperato.
Il primo a reagire fu Leon, che per poco non scardinò la
porta; venne seguito a ruota da Sora e Aeris.
- Che è…?!- le parole gli morirono in gola,
mentre fissava lo scenario che gli si presentava davanti.
Urla terrorizzate e grida agghiaccianti si levavano dalla folla
impazzita che correva a destra e a manca per le strade ed i vicoli.
Sora ne rimase sconcertato: era impensabile che, fino a qualche minuto
prima, quelle persone camminavano serene, come la solita, tranquilla,
giornata di mercato.
Un improvviso odore di sangue impregnò le narici dei
presenti.
Leon e Sora si lanciarono subito alla ricerca della
fonte, con le armi sguainate.
Percorsero in contro corrente i vicoli retrostanti
la casa, fino ad arrivare ad una piazzetta deserta.
Semi deserta.
I cadaveri di dodici uomini si specchiarono nelle
iridi blu del Keyblader.
- Mio dio…-Sora sentì la voce di Kairi flebile,
alle sue spalle.
- Non guardare, Kai…
C'erano pezzi umani sparsi ovunque e il sangue sporcava le mattonelle
blu opaco della piazza.
Non pareva opera degli heartless…nemmeno
dei nobody… ma allora chi aveva potuto compiere quello
scempio?
Aeris si avvicinò ad un uomo senza entrambe braccia, ancora
agonizzante, prestandogli le prime cure.
- Chi…?
- E’ stato il demonio…- gemette quello- un demone
dagli occhi rossi!!!
- Dov’è andato?- chiese Sora.
- A-alla… Fortez…za.
Leon e Sora cominciarono a correre in direzione della costruzione che
si ergeva al centro del borgo.
+++
La gente correva, scappava, urlava impaurita. Leon
e la sua cricca di sfigati raggiunsero i cancelli della Fortezza.
Rixika riusciva a vederlo correre, seguito da due ragazzini che non
aveva mai visto. Si trovava su un’ampia terrazza sugli ultimi
piani.
Forse aveva fatto fuori troppa gente.
Spostò il suo sguardo sul borgo: ci saranno stati
sì e no, una dozzina di cadaveri appena fuori dai
cancelli… ma non era riuscita a resistere: uccidere le
faceva salire l’adrenalina a mille, le dava alla testa, per
lei era come una droga.
Sospirò. Aveva notato, tuttavia, che aveva perso il
controllo quando aveva cominciato a mutilare le persone, poi il suo
istinto o qualcosa di molto più profondo e oscuro l'aveva
portata alla Fortezza Oscura, anche se quel nome aveva un che di
sbagliato.
Aveva sentito l'Oscurità pervaderle i
nervi, i capillari e le vene, mescolandosi con il suo sangue,
infettandolo.
Il suo sguardo si posò sulle sue mani: non le aveva ancora
lavate, erano ancora intrise di sangue. Scuro, sporco, maleodorante
sangue.
Il sole fece capolino fra le nubi, e la illuminò con i suoi
raggi. Rixika sentì come se la pelle le stesse andando a
fuoco, le bruciavano gli occhi lacrimanti; cercò
disperatamente di nascondersi nelle ombre per evitarle, e
rientrò immediatamente nella stanza della Fortezza.
- La luce….- ecco cosa temeva, l’unica cosa in
grado di procurarle una paura folle: la luce. Dopo sei anni di buio,
era un trauma per lei ed i suoi occhi tutta quella luce.
Sospirò nuovamente.
Beh, almeno aveva vestiti nuovi. Si guardò: <<
ma vaffanculo>>.
Numerosi schizzi di sangue le insozzavano i vestiti scuri.
- Ma vaffanculo.- ripetè ad alta voce, sentendola
riecheggiare nelle mura del Bastione.
Avrebbe cercato vestiti decenti in un altro Mondo… tanto,
ormai la Gummiship l’aveva trovata. Le bastava solo mettere
k.o. Leon e gli altri sfigati e poi, via, verso lo spazio infinito.
Avvertì una presenza alle sue spalle. Ne riconobbe subito
l’aura.
- A che devo l’onore?- chiese, con tono calmo.
- L’onore è tutto mio, puoi credermi…-
disse una voce fredda e glaciale.
La ragazza si voltò. Si trovò a faccia a faccia
con un uomo giovane, dai capelli argentei lunghi quasi quanto i suoi,
gli occhi erano due lastre di ghiaccio puro. L’espressione di
marmo: non traspariva alcuna emozione. Ma la cosa strana era che aveva
un’ala simile a quella di un angelo, blu.
Era così estraneo, eppure
così familiare...sapeva di averlo visto più e
più volte, ma non sembrava nemmeno lui.
- Ti ricordi di me?- continuò lui, facendo un cenno elegante
col capo.
- Mi sei familiare... Cosa vuoi da me?- domandò
l’altra, a bruciapelo.
L’uomo accennò un sorriso, e ignorò la
domanda.
Le si avvicinò, lei lo lasciò fare: aveva come la
sensazione che non aveva intenzione di farle niente, ma si
preparò comunque per ricevere un possibile attacco a
sorpresa.
Si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra.
Lui alzò una mano, e lei scattò, fece per dargli
un pugno, ma Sephiroth la bloccò:
- Calma, non voglio farti nulla. Pensavo l’avessi
capito…
Le mise una mano su una guancia. Rixika lo guardò diffidente
e curiosa.
- Tutta questa Oscurità… posso sentirtela
scorrere nelle vene, posso fiutarne l’odore… in
una ragazza così piccola… quanti anni hai? Non
sono mai riuscito a chiedertelo, in passato...
- Che te frega?
Il problema era che non lo sapeva nemmeno lei. Quanto tempo aveva
passato in quel loto? E quando aveva conosciuto SguardoDiGhiaccio?
- Non sei molto gentile- notò lui- però sei
forte. Dentro di te si cela il potere delle tenebre. Domalo: e sarai
invincibile, ma non abbandonarti ad esse, o ti distruggeranno. Devi
stare attenta a non abusare dei tuoi immensi poteri, Rixika.
Lei non ribattè. Quell’uomo la inquietava, e la
faceva sentire inoffensiva… era disarmante il suo mezzo
sorriso, pietrificante il suo sguardo, e raggelanti le sue parole.
Avvertì repentinamente la presenza di altre persone
avvicinarsi sempre di più.
All'improvviso, le si rovesciarono gli occhi all’indietro, le
venne la nausea e barcollò.
- NO...!
La prese una dolorosa, ma ormai familiare, fitta alla testa;
sentì come se il suo cranio stesse per spaccarsi a
metà, le orecchie vennero invase da un suono sordo,
metallico che sentiva solo lei.
Si portò le mani alle tempie, ma la fitta non
cessò.
Sephiroth la guardò curioso, mentre sentiva a sua volta i
passi di Sora e i suoi fidi compagni che s’avvicinavano.
La ragazzina gemeva di dolore, con gli occhi chiusi e si reggeva la
testa con le mani, sorretta dal muro di pietra alle sue spalle.
Prima che se ne accorgesse, un varco oscuro si aprì e un
paio di mani afferrarono la ragazzina per la vita e le coprirono la
bocca.
Non appena il passaggio si richiuse, Squall Leonheart, seguito da Sora,
Paperino, Pippo e Kairi.
Sephiroth posò il suo sguardo su quest’ultima e
disse, esaminandola: - La settima principessa, nonché quarta
detentrice del Keyblade… la luce.
Sora lo fissò malissimo, ed esclamò: - Ehi, chi
sei tu!? Hai ucciso tu tutte quelle persone?!
Sephiroth sbuffò: - Anche se fosse? Le mie mani sono lorde
di sangue, ma ammetto che a compiere quel capolavoro di cadaveri
urlanti non è stata opera mia…
Paperino lo guardò con attenzione ed esclamò:
- Sora, lui è Sephiroth! La parte oscura
di Cloud!
L’uomo sbuffò: -
Tsk… ve l’ha detto lui?
- Se non sei stato tu a fare quella strage, allora
chi è stato?- lo sfidò Leon.
Sephiroth lo ignorò completamente, e
disse:
- Ditegli che Sephiroth è in
città e che lo aspetta…- detto ciò
scomparì nel nulla, lasciando due piume nere, che
fluttuarono nell’aria fresca della sera.
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Salve a tutti!
Chiedo scusa per il terribile ritardo ma la scuola
mi perseguita TAT
Spero che potrò aggiornare
più spesso!
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Capitolo 6 *** *AVVISO* ***
Devo
chiedere scusa a tutti quei (pochi^^") lettori che seguivano questa mia
scuola, ma a causa di demotivazione, scuola, ed anche perchè
mi si è resettato tutto nel computer perchè un
simpaticone di mia conoscenza mi ha bruciato l'hard-disk, ho perso
tutti i capitoli successivi che avevo scritto.
Ho
deciso quindi di non continuare questa storia, e di toglierla.
Tuttavia,
posso garantirvi che ne scriverò una nuova e prometto che mi
metterò veramente d'impegno, in quest'ultima.
Spero
la seguirete,
Grazie
mille
Rixika91
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