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di frejhejt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ordinary girl. ***
Capitolo 2: *** Meet William. ***



Capitolo 1
*** Ordinary girl. ***


                                                                                                                

Era notte fonda, le tre inoltrate. Le nuvole coprivano le stelle e l'unica fonte di luce proveniva dalla luna piena, ma persino quella era coperta dalle nuvole. Quella notte era insolitamente buia persino per gli standard del minuscolo paesino nascosto dalle nuvole nella parte più dispersa del Minnesota, Big Falls. Quella notte Kessidy stava tornando a casa da sola, neanche la musica a farle da compagnia come faceva di solito. Il telefono le era morto a metà serata, suo padre infatti doveva aver già chiamato il Poligono a quest'ora alla ricerca della sua figliola dispersa. Da quando sua madre era misteriosamente scomparsa, il padre era diventato praticamente ossessionato dalla sicurezza della figlia. Il fatto della preoccupazione eccessiva del padre dava parecchio fastidio a Kessidy ma era comunque suo padre, sua moglie era scomparsa e mai più ritrovata, quindi era più che comprensibile e Kessidy cercava di non dare al padre occasioni per guadagnarsi un infarto. Era completamente consapevole del fatto che si sarebbe dovuta sorbire una ramanzina appena varcata la soglia di casa, magari il padre le avrebbe anche proibito di uscire per un giorno o due, ma insomma, era abituata. 
Il fresco venticello scompigliava i capelli biondi e lunghi di Kessidy rinfrescando la sua nuca imperlata di sudore e la ragazza rallentò il passo, godendo di quel silenzio rilassante che concludeva benissimo quella serata. La strada era deserta, neanche una macchina in vista, ma la cosa non era tanto strana per Big Falls. Era praticamente un villaggio, più che una città. Poteva infatti vantare di una cifra spaventosa della popolazione, 236 persone abitavano quel piccolo pezzo di terra dimenticato. L'unica cosa per la quale era famosa era il panorama, le numerose cascate (da qui il nome della città), e i campi sconfinati. La città era appunto sommersa dall'acqua, dal verde e dalle nuvole. In quella città non sarebbe mai cambiato nulla, era così all'epoca del nonno di Kessidy ed era la stessa adesso. Non c'era mai nulla di nuovo. Si conoscevano tutti, quelli che abitavano lì erano persone che avevano generazioni di antenati vissuti lì. Si cresceva in comunità, il che non era mai dispiaciuto a Kessidy. Non era come tutte le sue coetanee che sognavano di darsela a gambe e lasciare Big Falls appena ne avrebbero avuto l'occasione. A lei non dispiaceva affatto quel villaggio, lo amava, in effetti. Non si immaginava una vita fuori da quel posto. La sua vita era già programmata. Probabilmente avrebbe sposato William, quel ragazzo con cui era amica da piccola, avevano un mese di differenza, e pian piano la loro amicizia si era evoluta in qualcosa di più, nonostante i due non avessero mai mostrato all'altro più affetto del dovuto, più affetto di quanto dovrebbe esserci tra due semplici migliori amici. Bene ecco, un bel giorno uno dei due si sarebbe dichiarato e dopo qualche mese si sarebbero sposati e poco dopo sarebbero arrivati i figli, un maschio seguito da una femmina. Magari avrebbero anche comprato quella casa al confine della città che Kessidy amava tanto. La sua vita sarebbe andata bene, era felice di quel piano. Era felice di pensare che avrebbe visto gli occhi verdi di William ogni mattina prima di andare al lavoro, era felice anche se sapeva che la sua vita era già stabilita, non trovava niente di male nella stabilità e sicurezza nel suo futuro. Svoltò l'angolo e si ritrovò a cento metri da casa proprio mentre pensava agli occhi verdi di William che conosceva come le proprio tasche. Quegli occhi famigliari che le davano quel senso di sicurezza e protezione che tanto le mancava. Fu quasi arrivata a casa quando sentì degli schiamazzi nel vicolo sulla sua destra e subito dopo dei passi che si avvicinavano. Per un motivo ancora sconosciuto a Kessidy, affrettò il passo. In teoria non succedeva mai nulla in quel paesino, in pratica non sarebbe mai successo nulla. Quel posto era tutt'altro che pericoloso. Ma i campanelli d'allarme scattarono comunque, facendole aizzare le orecchie per qualsiasi suono che potessero caprate. Passato qualche secondo sentì una voce famigliare chiamare il suo nome. Si girò e a pochi passi di distanza vide il volto di Jake illuminato da un lampione, il suo "ex". Si reggeva a malapena in piedi e la puzza di alcol riempiva l'aria che c'era tra di loro. 

-Kessy, piccola, dove vai così tardi da sola? - la sua voce era schifosa e il disgusto era scritto chiaramente sul viso di Kessidy. 

-Non credo siano affari tuoi, torna pure dagli amici tuoi. - disse girando sui tacchi e accelerando il passo verso casa sua. La compagnia di Jake non era una delle più gradevoli. 

-Hey hey hey, dove pensi di andare? - Jake le fu subito dietro e la afferrò per un braccio, più per mantenere l'equilibrio e non cadere a terra che per trattenerla ma la sua stretta era comunque salda e forte. 

-Lasciami andare, Jake. - Kessidy sputò il suo nome come se fosse una bestemmia, ci mise dentro tutto l'odio e il disgusto che provava per quella creatura sgradevole. 

-Secondo me, mi devi qualcosa dall'ultima volta che siamo stati così vicini. - dichiarò Jake e sul suo volto comparve un sorriso malizioso. 

-Io non ti devo un bel niente! Levati o sarò costretta a... 

-A cosa? Cosa vorresti fare, sentiamo? - la interruppe lui e lei rimase zitta mentre lui godeva della situazione che si era creata e quasi scoppiava di ilarità. In effetti, cosa sarebbe stata capace di fare? Il panico si impadronì di lei e la immobilizzò completamente. 

-Per esempio chiamare il suo ragazzo e lui si che potrebbe farti pentire di averla toccata anche solo con un dito. - esordì una voce sconosciuta e sicura di sé alle loro spalle. Entrambi si girarono nella direzione da dove proveniva la voce ma non c'era che buio. 

-Chi cazzo sei? - urlò Jake al nulla. Si udirono dei passi e alla luce del lampione uscì un ragazzo. Era alto e i suoi capelli neri come la notte. Era vestito di nero e portava occhiali da sole totalmente neri. Si sarebbe mimetizzato perfettamente con la notte se non fosse stato per la carnagione. Quella era bianca, sembrava quasi si illuminasse alla luce del lampione e saltava subito agli occhi. Sembrava essere uscito da uno di quei film vecchi in bianco e nero che tanto amava Kessidy. Jake assottigliò gli occhi e ripeté: - Ho detto, chi cazzo sei? 

-Stai toccando la mia ragazza, vorrei davvero tanto saperne il motivo. - disse il ragazzo ignorando del tutto la domanda di Jake. 

-La tua ragazza? - ripeté incredulo con la voce impastata dall'alcol. Si girò verso Kessidy con la sorpresa dipinta sul volto, sembrava quasi più sobrio ora. La ragazza si strinse nelle spalle non sapendo cosa dire. Era la prima volta in vita sua che vedeva quel ragazzo ma decise di fidarsi di lui, in fondo, cos'altro le rimaneva? 

-Beh? Sto aspettando una risposta. E ti avverto che odio aspettare. - la voce dello sconosciuto spaventò persino Kessidy, inutile dire che Jake era praticamente terrorizzato. Lasciò all'istante il braccio della ragazza e senza dire una parola se la diede a gambe, tornando di corsa nel vicolo dal quale era venuto. Kessidy restò immobile a fissare lo sconosciuto, quasi in trance. Quest'ultimo si mosse verso di lei con tanta eleganza che parve quasi volare. Quando fu a due passi da lei la guardò negli occhi e sul suo volto spuntò un sorriso che ispirava tutt'altro che simpatia. Non era quel genere di sorriso che ti fa sciogliere tutte le ossa che hai nel corpo e trasformarti in un mucchio di cuoricini. Era quel genere di sorriso che ti fa accapponare la pelle, quel genere di sorriso che quando lo vedi la prima cosa che pensi di fare è scappare. Ma Kessidy non lo fece. Rimase immobile e fissarlo, ancora in trance. 

-Beh, la mia ragazza ha un nome? - la sua voce non era una voce da bravo ragazzo. Era quella di un ragazzo sicuro di sé, un ragazzo che sa di poterti rubare e spezzare il cuore già al primo appuntamento. Kessidy rimase zitta. Lui alzò un sopracciglio che spuntò al di sopra degli occhiali neri. Anche il sopracciglio era nero come le piume del corvo, contro la sua pelle immacolata sembrava una macchia d'inchiostro ben definita su un foglio di carta. In effetti sembrava una macchia d'inchiostro, si, ma appena disegnata da un'artista che ci sapeva davvero fare. 

- Okaaay allora facciamo così. - il ragazzo porse il braccio a Kessidy - io mi chiamo Aaron. - la ragazza gli strinse il braccio automaticamente e appena la sua pelle venne a contatto con la sua, sentì come se una scarica elettrica le percorresse tutto il corpo risvegliandola dal trance in cui sembrava trovarsi. 

-Kessidy. - disse lei prima di rendersi conto dello sbaglio che aveva fatto. Dopo avergli lasciato la mano girò suo tacchi a scappò verso casa sua. Fece il giro della casa ed entrò dal retro. Si sentì al sicuro solo quando sentì il clic famigliare che produsse la porta una volta chiusa alle sue spalle. Non fece in tempo a far uscire un sospiro di sollievo che vide la luce accendersi nel corridoio e suo padre apparire all'uscita dal salone con un espressione rabbiosa sul volto. La serata non era ancora finita. 

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Capitolo 2
*** Meet William. ***


                                                                                                                               

Era la sera del quinto e ultimo giorno della sua "punizione" e Kessidy sedeva sul davanzale della finestra di camera sua. Il davanzale era abbastanza grande, non che ci volesse tanto spazio per Kessidy, la statura della quale era come quella di una bambina di 13/14 anni massimo. Era bassina e magrolina quindi riusciva a stare nei posti più incredibili. Beh insomma, quel davanzale era il suo posto preferito, da lì vedeva i campi sconfinati che terminavano con le cascate e infine si confondevano con l'orizzonte, al di là della città. Capitava che passasse ore intere seduta lì sopra a guardare l'orizzonte senza accorgersene e senza guardare nulla in particolare. In quei momenti nella sua testa avveniva un via vai di pensieri di qualsiasi tipo. Non sapeva ben definire i suoi pensieri, per lei quelli erano i momenti di pace totale. Pensava alla sua vita, alla vita degli altri, a tutto ciò che la circondava. Lasciava vagare la sua mente senza una meta precisa. Spesso le venivano in mente gli occhi verdi di William, così familiari e così piacevoli al ricordo. Spesso quando si perdeva dentro di se, quando stava male, visualizzare quegli occhi era come una carezza per la sua mente. Solo che, pensandoci in quel momento, c'era qualcosa che non andava in quegli occhi. Le sembravano aver perso la loro intensità. Solo dopo capì che nella sua mente quegli occhi stavano diventando piano piano neri. Fino a diventare neri come la notte stessa. Come quelle notti senza luna ad illuminare la piccola e silenziosa cittadina di Big Falls. Sulle prime non capì di chi fossero quegli occhi, ma poi si ricordò. Aveva passato cinque giorni a cercare di scacciare dalla mente il ricordo del ragazzo spaventoso che l'aveva salvata dal suo ex. C'era qualcosa in quel ricordo. Qualcosa di inquietante sì, ma invitante e intrigante allo stesso tempo. Quel ragazzo era uno sconosciuto. E già di per sé era una cosa praticamente impensabile a Big Falls. Non c'erano forestieri in quella cittadina. Tutti i 236 abitanti si conoscevano e si vedevano ogni giorno sin dalla loro nascita. Kessidy aveva passato le prime due notti senza trovare pace. Appena si addormentava aveva l'immagine del ragazzo dipinta all'interno delle palpebre come se fosse stampata lì a fuoco e appena apriva gli occhi aveva l'impressione di non essere da sola nella stanza. La terza notte fece un incubo: si trovava in una specie di grotta, era totalmente buia, senza nemmeno un raggio di luce qualsiasi che filtrasse da qualche parte. Girandosi, però, intravide un'ombra che si muoveva nel buio e subito dopo una luce fioca come di un fiammifero illuminare debolmente la figura che prima si era mossa. Abituandosi al buio, gli occhi di Kessidy riuscirono a distinguere la figura slanciata di quel che sembrava un ragazzo. Ma c'era qualcos'altro, sembrava che una parte del ragazzo si fondesse con il buio dietro di lui. Si accese una candela e la ragazza ebbe la conferma dei suoi dubbi. La parte che si fondeva con il buio erano un paio d'ali, le ali erano più nere del buio stesso e le piume grondavano di sangue. Kessidy trattenne il respiro e fissò il viso del ragazzo. Era senza dubbio il ragazzo di quella sera, solo che il suo viso era il ritratto della disperazione. Infatti un pianto di dolore sordo distorceva il bel viso dello sconosciuto. Lo spettacolo di per sé era più che raccapricciante. La bocca del ragazzo, Aaron (da quel che Kessidy ricordava), si aprì ma non ne uscì alcun suono. Un singhiozzo però squarciò il silenzio intorno a loro.
- Scappa Kess, scappa. Non ti far ingannare dal mio viso e un paio d'ali. Non sono un angelo. O meglio sì, lo sono. Ma sono l'angelo del male. Il guerriero del diavolo. Non porto che male, per quanto io possa desiderare di fare del bene. Il male è ciò che sono. Dal male sono nato e il male porto. - detto ciò Aaron cadde in ginocchio e Kessidy si svegliò di soprassalto. L'impressione di non essere sola nella stanza era svanita, ma il sogno l'aveva turbata tanto da toglierle ogni briciola di sonno che avesse mai avuto.
In quei giorni aveva chiesto alle sue amiche se qualcuno avesse visto quel ragazzo ma nessuno sembrava sapere di chi parlasse. Strano. Era assolutamente impossibile che a Big Falls nessuno notasse un ragazzo nuovo e neanche ne avesse mai sentito parlare.
Sei diventata completamente fuori di testa. Pensò. Forse è solo frutto della tua immaginazione. Ha sempre avuto una mente un po' contorta, non sarebbe strano.
"Kessy sto arrivando" - il messaggio di Will la distolse dai suoi pensieri. Scese dal davanzale e andò al piano di sotto ad aprire la porta. Will aveva proposto di venire da lei per farle compagnia. Un film, popcorn e Will: era ciò che ci voleva per distrarsi e smettere di pensarci definitivamente.
La serata trascorse tranquillamente, come Kessidy si aspettava che andasse fino a quando Will non si girò verso Kessidy con una strana espressione sul volto.

- Kess... volevo chiederti una cosa. – esordì con la voce titubante. Oh oh, brutto segno.

- Dimmi. –

- Gira voce… - si fermò, trovandosi chiaramente a disagio. Ma Will non era mai a disagio. Non con lei, per lo meno. Inspirò profondamente e continuò il suo discorso. – Jake ha detto a Violet di averti incontrato con il tuo nuovo ragazzo giorni fa. La sera in cui ti si beccata la punizione, per precisione. Non che gli abbia creduto, come tutti gli altri d’altronde. Ma volevo comunque chiedertelo, visto che non mi hai neanche accennato a un incontro con Jake. Kessidy spalancò gli occhi e sentì formarglisi un nodo alla gola grosso quanto un pugno. Certo che non gliel'aveva detto. Come avrebbe spiegato il fatto che era uscita indenne da uno scontro con il suo ex ubriaco senza nominare il ragazzo misterioso?

- Si, l’ho incontrato. Ma non è successo nulla, sai che preferisco non parlare di lui. E per il fatto del ragazzo… Pensi che potrei mai tenere segreta una relazione qui, a Big Falls? – far vedere quanto fosse ridicola quella voce apparve a Kessidy la soluzione migliore e l’adoperò sperando che Will se la sarebbe bevuta.

- È solo che… davvero non capisco che cosa ne ricavi Jake dicendo certe cose. – disse lui quasi sovrappensiero. – Beh, non importa. – aggiunse dopo e la conversazione finì lì, visto che Kessidy non sapeva cos'altro aggiungere. Il film giunse alla conclusione e Will si alzò stiracchiandosi dal divano, liberandosi dal abbraccio di Kessidy nel modo più dolce possibile.

- Non vuoi rimanere? – gli chiese lei, con la voce assonnata.

- No, domani mattina ho gli allenamenti di basket per il campionato regionale, è meglio se torno a casa. –

- Come vuoi. Ti accompagno al cancello. – si alzò anche lei e i due si avviarono verso la porta. Percorsero il vialetto di casa sua uno di fianco all'altra in silenzio e solo quando furono fuori dal cancello del recinto di casa Will si girò verso Kessidy e abbassò la testa per guardarla dritta negli occhi. Da fuori la visione di loro due poteva sembrare abbastanza comica. Lei sembrava una bambina a tutti gli effetti di fronte a lui con la sua statura imponente da giocatore di basket.

- Hey Kess, sai quanto tengo a te, no? – le prese le mani tra le sue e quel contatto scaldò Kessidy pervadendo il suo cuore di una strana tranquillità, come le acque calme del mare dopo un maremoto. Quelle parole erano cariche di significato quanto di promesse, per lei. Sapeva cosa intendeva. Entrambi sapevano.

- Tanto quanto io tengo a te. – fu la sua risposta pronta. Dopodiché rimasero lì, fermi a guardarsi negli occhi. Per un momento nella mente di Kessidy balenò l’idea di avvicinarsi a lui e finalmente baciarlo, ponendo fine alla loro comune paura, quella di rovinare l’amicizia andando troppo in là. Sapeva che lui stava pensando alla stessa cosa e fu allora sicura che il momento era giunto. Erano pronti entrambi. Ma nessuno dei due osava ancora a muoversi. Gli occhi verdi di William iniziarono a guizzare nervosamente ora sugli occhi di Kessidy ora sulle sue labbra. Ed eccolo, finalmente Will iniziò ad avvicinarsi a lei con una lentezza esasperante. Le sue labbra furono quasi su quelle di Kessidy quando sentirono la terra tremare leggermente sotto i loro piedi e, come se si fossero appena risvegliati da una trance, si allontanarono di scatto l’uno dall’altra come se avessero appena commesso un peccato imperdonabile. I terremoti erano abbastanza abituali, dalle loro parti quindi nessuno dei due ci badò granché.

- Beh, ci vediamo domani, presumo. – disse di fretta Will, come se gli ultimi cinque minuti non fossero mai passati.

- Sì. – gli sorrise Kessidy di ritorno, imbarazzata quanto lui. Will le lasciò un bacio sbrigativo sulla guancia destra e si allontanò quasi correndo. Kessidy rimase lì, ferma sul marciapiede a guardare il punto dove poco fa davanti a lei c’era Will, cercando di fare mente locale su ciò che era appena accaduto. Ma qualcosa in lontananza attirò la sua attenzione. Era la sagoma di un uomo, dall’altra parte della strada a qualche metro da lei.Lo riconobbe subito. Vestiti neri, capelli neri e gli occhiali da sole neri nonostante fosse ormai buio. La pelle pallida quanto le prime luci dell’alba era esattamente come se la ricordava. Il ragazzo se ne stava lì, immobile, a fissarla. Le ginocchia di Kessidy iniziarono a tremare e prima che il ragazzo potesse fare anche solo un passo, lei girò sui tacchi e corse dentro casa, chiudendo la porta a chiave dietro di sé. 

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