L'estate che ha cambiato la mia vita.

di BecauseOfMusic_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizia l'estate ***
Capitolo 2: *** Il primo concerto si avvicina ***
Capitolo 3: *** Rispettiamo le tradizioni ***
Capitolo 4: *** Elisa fa la turista ***
Capitolo 5: *** Fin dietro le quinte ***
Capitolo 6: *** Primo concerto e nuovi problemi ***
Capitolo 7: *** La mattina sulla spiaggia ***
Capitolo 8: *** Andiamo nel Queens ***
Capitolo 9: *** I problemi non sono finiti ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Tira e molla ***
Capitolo 12: *** Dubbi ***
Capitolo 13: *** Gelosie ***
Capitolo 14: *** Punto di rottura? ***
Capitolo 15: *** Non lasciarmi andare ***
Capitolo 16: *** Anche se c'è la luce le ombre non spariscono ***
Capitolo 17: *** Nuovi guai ***
Capitolo 18: *** Partire o restare? ***
Capitolo 19: *** Chi di bugia ferisce di bugia perisce. ***



Capitolo 1
*** Inizia l'estate ***


Ciao a tutti! (: sono BecauseOfMusic_ e questa è la prima ff sui Jonas Brothers che pubblico.
Spero che l'introduzione vi abbia incuriosito, e che il capitolo vi piaccia.
Vi lascio, buona lettura! (:



-Dai, muoviti stupido, non vedi che è verde?- imprecai contro l’autista del suv nero dietro il quale mi trovavo in colonna al semaforo.
Zona industriale di Roma, nell’ora di punta, solo per andare a prendere la borsa che avevo dimenticato in azienda: sei grande Elisa, una gran cretina; la borsa non era così importante, ma il suo contenuto si: dovevo assolutamente riprendere il cellulare e le chiavi dell’appartamento di Paul.
<< ma come diavolo hai fatto a dimenticare la borsa lo sai solo tu >> mi rimproverai mentalmente.
Svoltai a destra e parcheggiai la mia misera utilitaria davanti al cancello principale. Scesi dall’auto a tempo record e corsi alla portineria, che il custode stava per chiudere:
-Giacomo, ti prego aspetta un attimo!- dissi con il fiato mozzo.
-Cos’hai dimenticato oggi?- mi chiese ridendo, mentre mi consegnava le chiavi dell’ufficio.
-La borsa- sbuffai.
-Com’è possibile? Ma scusa le chiavi dell’auto dove le avevi?- rispose sbalordito.
-Le chiavi dell’auto le avevo nella tasca del giubbotto, ma tutto il resto è rimasto in borsa. Grazie per le chiavi!- gli gridai salendo a perdifiato le scale.
 
Tornai a casa, esausta per la lunga giornata e la folle corsa: Giacomo ormai era abituato al fatto che piombassi li dopo l’orario di chiusura perché avevo dimenticato qualcosa, così aveva preso l’abitudine di aspettare circa mezz’ora prima di andarsene a casa, anche il venerdì sera; benché avessi cominciato da poco a lavorare in quella piccola azienda di filati mi sentivo già una di famiglia.
Controllai il telefono, per vedere se vi fossero chiamate perse, ma nulla. In fondo il fatto che non mi avessero ancora chiamato non era poi un brutto segno, voleva dire che non mi avevano scartato a priori, ma l’attesa mi avrebbe ucciso: optai per una doccia rilassante, anche se lasciai il telefono sul ripiano del bagno.
Aprii l’acqua e mi fissai nello specchio mentre aspettavo che si riscaldasse: i miei capelli facevano proprio spavento. Li raccolsi in una coda stretta e mi passai una salviettina struccante sulla faccia per rimuovere il mascara colato, poi entrai nel box doccia e cominciai a canticchiare sotto il getto d’acqua.
All’improvviso il cellulare cominciò a squillare: feci un balzo. Chiusi l’acqua della doccia e cercai di uscire in fretta, prima che la suoneria terminasse: il risultato fu che scivolai sulle piastrelle bagnate, picchiando la testa sul bordo del lavandino.
-Merda!- imprecai tastandomi il livido con una mano.
Finalmente riuscii ad afferrare l’aggeggio elettronico ed accettare la chiamata.
-La signorina Elisa Baschi?- chiese una voce di donna anziana.
-Sono io, chi parla?- dissi, tentando di simulare una calma che in quel momento mi era del tutto estranea.
-La chiamo dal centro colloqui. Ricorda di essere venuta qui due settimane fa?-
-SI, mi ricordo perfettamente, il termine di scadenza per la confermata partecipazione doveva essere oggi, giusto?-
-Giusto, signorina.- mi rispose cordiale la donna –volevo informarla che dovrebbe presentarsi domani qui alle ore 16:00 per incontrare i suoi datori di lavoro, mi ha capito?-
-Ho capito, perfetto. Posso sapere chi..?- cercai di domandare, ma lei mi aveva già chiuso il telefono in faccia.
 
Il giorno dopo mi presentai al centro colloqui in perfetto orario; mi fecero accomodare in un lungo corridoio, e dopo un’attesa di mezz’ora fui introdotta in una saletta con una scrivania: un uomo sulla cinquantina, dalla carnagione olivastra e il sorriso sghembo era seduto proprio li dietro e armeggiava con ben due telefonini contemporaneamente.
-Elisa Baschi?- chiese con una cadenza piuttosto singolare.
-Si- gli risposi restando in piedi.
-Have a seat*.- mi disse indicando la sedia di fronte a lui.
Mi accomodai, ascoltandolo parlare per i successivi dieci minuti, senza credere ad una sola parola di ciò che mi diceva.
Avevo fatto domanda per un posto da corista in una band durante l’estate, ma mai avrei creduto di essere contattata da qualcuno di così famoso; certo non avrei potuto dire di essere una loro grande fan, ma erano famosi in tutto il mondo per la loro musica, artisti largamente riconosciuti.
Chiesi, incredula, il motivo per cui avessero scelto me tra milioni di ragazze che avevano spedito i loro curriculum direttamente ai manager; mi disse che era successo tutto per caso. L’accademia di musica americana a cui avevo inviato la domanda di iscrizione trimestrale era tra le più rinomate dello stato, e loro erano andati a richiedere talenti per supportare la band principale, così alla fine, non compresi bene come neppure io, avevo ottenuto il posto da corista dei Jonas Brothers.
-Prima che ti monti la testa- mi interruppe in un italiano stentato –sappi che dovrai comunque fare un altro paio di colloqui per assicurarci di aver fatto la scelta giusta.-
Annui felice e tornai a casa con il cuore in tumulto nella calura di fine maggio.
 
 
Mi richiamarono effettivamente un altro paio di volte prima di ufficializzare, alla fine ottenni definitivamente il lavoro, e la prima settimana di giugno partii per Los Angeles, prima tappa del tour estivo, insieme al mio ragazzo Paul.
Alcuni giorni dopo il mio arrivo venne organizzato dal tour manager il primo incontro della crew, star comprese; trovai che fossero tutti molto simpatici, cordiali e disponibili, diversamente dall’idea che mi ero fatta di loro sentendone parlare da bambine con gli ormoni impazziti.
 Kevin, naturalmente, era il più simpatico, Nick il più gentile e Joe il più carino, ma anche quello più estroverso: attaccava bottone con tutti. Quando mi vide la prima cosa che disse fu:
-Credo che tu abbia sbagliato sala, la presentazione delle modelle é la porta accanto-
-Che galante- risposi ridendo -grazie ma sono più interessata alla musica-
-Uh questa é nuova: niente shopping o cagnolini o altre cosa da femmine?- esclamò fingendosi sorpreso.
-Chi ha detto che la musica sia una cosa da maschi?- ribadii piccata. Sorrise.
-Touché... Se ti chiedessi il numero di telefono?- lo fissai, molto infastidita da tutta la confidenza che si era preso dopo neanche cinque minuti di conversazione.
-Sono fidanzata sai?-
 Kevin, che si era fermato poco più in la ad ascoltare, rise di gusto:
-Battuto su tutti i fronti fratello-  Joe fece una smorfia e finse di dover rispondere al telefono per uscire da quella situazione imbarazzante.
-Fa sempre così?- chiesi irritata al fratello, lui mi fissò con un aria da pesce lesso -Oh scusa, ho parlato in italiano: si comporta sempre così?-
 Kevin annuì.
-Ah, si abituati, se lo conosco tornerà all'attacco- poi si allontanò per salutare gli altri presenti.
< < non importa >> pensai << io sto con Paul, lo amo e non avrò alcun ripensamento a causa di un ragazzo viziato con cui lavorerò per una sola estate >>
Non immaginavo neppure lontanamente quanto mi sbagliassi.
 
*si sieda.

-ANGOLO AUTRICE-
Rieccomi! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto venire voglia di sapere come prosegue la storia.
Recensite, e ditemi i vostri pareri, anche negativi, sono dell'idea che si può sempre migliorare. (:

a presto
     BecauseOfMusic_ 

 

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Capitolo 2
*** Il primo concerto si avvicina ***


Eccomi di ritorno! :)
Mi spiace avervi fatto aspettare per l'aggiornamento ma la scuola mi ha tenuto moolto impegnata xD
Vi lascio leggere il capitolo, ci rivediamo alla fine. ;)




Al termine della serata di presentazione rientrai subito in albergo, volevo parlare un po’ con Paul. Ultimamente le cose tra noi non andavano molto bene, alcuni mesi prima ci eravamo presi una pausa, perché entrambi pensavamo di amare altre due persone; il ragazzo a cui mi ero avvicinata si era però rivelato un grandissimo bastardo: una sera in discoteca aveva cominciato a corteggiarmi seriamente ed io, complice l’alcol, mi ero lasciata prendere un po’ la mano. Quando mi aveva chiesto di andare in bagno insieme a lui avevo capito che stavo superando il limite: la mia parte istintiva diceva << perché no? Non avevamo detto che ormai Paul fa parte del passato?’>> mentre il mio cuore sapeva benissimo che avrei preferito che a chiedermelo fosse stato il mio ragazzo. Come se qualcuno lo avesse chiamato era apparso dal nulla e mi aveva salvata da quella situazione assolutamente imbarazzante.
Non aveva mai voluto dirmi come era andata davvero con la sua improvvisa fiamma, aveva liquidato la faccenda dichiarandola una ragazza poco seria, tutto il contrario di me.
Ripensando a quella sera aprii la porta della stanza e vidi la sua valigia chiusa nel corridoio: davvero strano; pensai che stesse facendo una doccia, ma non era neppure in bagno.
Lo trovai che parlava al telefono sul balcone:
-Anche tu mi manchi…si, te lo prometto, prima possibile.-
-Chi è?- chiesi. Lui fece un balzo quando gli fui accanto.
-Mamma ora ti devo lasciare, un bacio.- chiuse la chiamata in tutta fretta. –è solo mia madre, voleva sapere come stiamo e insisteva perché le dicessi quanto ci fermeremo qui perché vuole venire a trovarci.
Sorrisi intenerita: sua mamma era la persona più dolce che avessi mai conosciuto; mi aveva sempre trattata come una figlia e mi aveva sempre viziata con regali, dolci e facendo tanti piccoli gesti che mi facevano sentire sempre la benvenuta a casa loro.
Agganciai le braccia al collo di Paul:
-Il tour manager ha detto che resteremo in città per circa due settimane, quindi potresti dirle di prenotare un volo già per questo weekend.-
-Ottima idea- disse dandomi un rapido bacio e allontanandomi –le parlerò domani quando mi chiamerà; scusa amore, adesso voglio fare una doccia e domani disferò la valigia. Buonanotte.-
Rimasi interdetta:
-Ma se la valigia non è sfatta allora cos’hai combinato tutto il pomeriggio?-
-Ho fatto un giro per la città- rispose in un’alzata di spalle.
Il modo in cui mi aveva risposto non mi convinceva neppure un po’, ma pensai che fosse tutto dovuto alla mia stanchezza, così non ci badai e mi infilai rapidamente sotto le lenzuola. Dal bagno arrivava attutito il rumore dell’acqua che scorre.
 
Kevin aveva ragione riguardo suo fratello Joe, durante le pause delle prove veniva a cercarmi solo per il gusto di stuzzicarmi, sperando che io cedessi, se non ero interessata almeno perché mi aveva esasperata; continuava a insistere dicendo:
-Sei davvero fidanzata o vuoi fare la preziosa? Se é così confesso, mi interessi. Il tuo numero allora..?-
Grazie al cielo i loro manager o la madre arrivavano sempre al momento giusto, salvandomi.
La prima settimana di prova fu intensissima: avevamo solo dieci minuti di pausa per trangugiare il panino a metà giornata e finivamo alle dieci di sera, cantando le stesse canzoni anche per cinque volte di fila.
La sera andavamo a mangiare la pizza tutti insieme in un ristorante dietro il teatro: eravamo una grande compagnia.
Sostanzialmente vedevo il mio ragazzo la mattina quando uscivo e la sera tardi quando rientravo: sembrava sempre meno contento di stare in albergo da solo, ovviamente, così gli dissi che se voleva poteva venire alle prove, in modo da non essere rinchiuso tra quattro mura. Riusciva a farmi sentire in colpa.
-Non capisco davvero come hai fatto a convincermi a venire qui con te; speravo di riuscire a cucire lo strappo che si è creato tra di noi, ma non sembri intenzionata a fare altrettanto- mi aveva detto una sera, dopo il mio solito rientro a tarda notte.
-Non è vero, non dire così! Io ti ho voluto qui con me perché è uno dei momenti più importanti della mia vita, ho bisogno di te!- avevo replicato, sperando di convincerlo a non tornare in Italia.
 Parlare in inglese era faticoso a fine giornata, riuscivo a bofonchiare solo qualcosa del tipo:
- I'm tired, I should go to bed*-  e poi la zona del mio cervello relativa alle lingue mi permetteva di usare solo l'italiano, così era difficile chiacchierare con qualcuno.
Dopo la nostra piccola discussione avevo convinto il mio ragazzo a venire alle prove:  si sedeva in platea e aspettava la pausa pranzo per stare con me. Mi riempiva sempre di attenzioni e lo adoravo per questo, ma dopo avergli raccontato delle battute di Joe era diventato un po' scostante con tutto il gruppo: era sempre stato piuttosto possessivo.
L'ultimo venerdì di prove all'uscita dal teatro che avrebbe ospitato il primo concerto del tour Paul disse che non voleva tornare a casa subito, preferiva vedere la città di notte: mi invitò ad andare con lui, ma ero esausta.
Quando si fu allontanato mi incamminai verso l’albergo, e mi ritrovai Joe al fianco.
-Joe cosa vuoi?- sbottai.
 -Elisa che ti ho fatto di male?- esclamò afferrandomi il braccio
-Ti stai comportando da sfrontato! Voglio dire, ci siamo conosciuti due settimane fa e già ti comporti come se fossimo grandi amici!- dissi cercando di calmare i nervi: dare contro a uno dei membri della band per cui lavoravo sarebbe stata una pessima mossa.
-Con Kevin non ti fai tutti questi problemi- rispose imbronciato.
 Alzai gli occhi al cielo:  -Kevin, per quanto ne so', non chiede in giro il mio numero di telefono.-
-Allora é questo il punto..!-
-Si, no. Joe, cosa vuoi?- replicai esasperata.
Sorrise e mi prese per mano: -Dai, ti faccio vedere una cosa; ti fidi di me?-
-Neanche un po’- rise: almeno avevo un futuro come comica; tornammo verso il teatro ed entrammo da una porta di servizio: mi portò nella sala più grande e accese tutte le luci.
Il palco, illuminato a giorno, aveva già tutti gli strumenti montati: era enorme, e sullo sfondo c'era una foto di gruppo che Nick aveva scattato la settimana prima.
-Wow- riuscii a biascicare
-Lo so- fece lui di rimando -fa sempre un certo effetto, la prima volta-
-Perché mi hai portato qui?- indagai
-Perché ho capito esattamente che idea ti sei fatta di me, e non mi piace: non sono come mi dipingi nella tua testa-
-E che idea dovrei essermi fatta di te?- chiesi divertita.
Lui fece finta di pensarci un po’ su:
-Piccolo stupido bambino viziato- mi rispose guardandomi.
-Gran cafone viziato- lo corressi ridendo –ma ci sei andato vicino.-
Rise anche lui.
-Sai ho una tradizione da rispettare, prima di ogni concerto.-
-Ah si, e quale sarebbe?-
-Ricordare com’è stata la prima volta che sono salito su un palcoscenico con i miei fratelli. Vorrei raccontartelo- mi disse indicando una sedia della platea.
Scossi la testa -Joe non é necessario, e poi sono davvero stanca-
Non ci fu modo di rifiutarmi di ascoltare, dopo tutte le sue suppliche mi abbandonai allo schienale della sedia e lui cominciò il racconto. 




ANGOLO AUTRICE
Allora: che ne pensate? Joe è davvero come se lo immagina Elisa, o questo suo racconto riuscirà a farle cambiare idea?
Aspetto le vostre recensioni e vi prometto che, grazie all'arrivo dell'estate aggiornerò molto più velocemente.
Buon finesettimana e buon inizio delle vacanze!!!

BecauseOfMusic_

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Capitolo 3
*** Rispettiamo le tradizioni ***


Lo so, lo so che sono una persona terribile, perchè avevo promesso di aggiornare in fretta, ma sono andata in vacanza in un posto senza wifi (sopravvivere è stato quasi impossibile, vi assicuro) e quindi non ho potuto pubblicare.
In compenso sono riuscita ad andare molto avanti con la revisione della storia e da adesso pubblicherò un capitolo a settimana: eravamo rimasti con Joe che voleva raccontare qualcosa ad Elisa; cosa sarà mai?
Mi scuso se il capitolo è breve, ma man mano che ci addentriamo nella storia diventeranno più lunghi.

Buona lettura!

BecauseOfMusic_


-...era come se non fossi io la persona che tutti stavano acclamando, insieme ai miei fratelli chiaro, era come se fosse un'altra dimensione.- i suoi occhi brillarono di commozione; aveva ragione, era una storia molto bella, valeva la pena di essere raccontata, ma stavo morendo di sonno e faceva freddo
-Joe, mi fa piacere che tu me lo abbia voluto raccontare, ma io ho davvero tanto sonno- gli dissi battendo i denti.
Fece per cedermi la sua giacca ma rifiutai
-Potresti accompagnarmi a casa? É molto tardi...-
Spense le luci e mentre passeggiavamo per strada mi chiese
-Come mai hai fatto domanda per questo lavoro?-
-In realtà non ho fatto domanda per questo tipo di lavoro, volevo solo dedicarmi alla musica nell’accademia del New Jersey, poi i vostri manager mi hanno scelta, ancora non ho capito bene per quale motivo. E’ stato un caso-
-No, non è stato il caso, ma il destino.- mi rispose sorridendo, anche se continuava a fissare l’asfalto davanti ai suoi piedi -e perché non hai provato la carriera da solista?- proseguì.
-Perché prima di buttarsi in una carriera così impegnativa é meglio fare un po' di esperienza-
-Comunque sei brava, hai una bella voce-
-Caspita, quante lusinghe: Paul deve cominciare a preoccuparsi?- ironizzai.
Mi fissò negli occhi -Solo se sei tu a deciderlo-
Non riuscii a capire se avesse tentato di fare una battuta e gli fosse riuscita male.
Rimanemmo a fissarci in silenzio per un tempo che mi parve infinito, poi decisi di muovermi, altrimenti sarei morta congelata
-Io devo proprio andare, ma mi ha fatto piacere che tu abbia voluto raccontarmi la tua storia.- mi sorrise e si diresse verso la sua auto, parcheggiata poco più avanti.
Fui sorpresa di non trovare Paul a casa, ma ero troppo stanca per chiamarlo al cellulare << e poi >> mi dissi << arriverà a momenti >> mi appisolai sul divano davanti alla tv in attesa che rientrasse. Il mio telefonino vibrò; mi chiesi se fosse il caso di rispondere, data l’ora: alla fine prevalse la curiosità di sapere chi potesse essere.
-Ehi, pensavo dormissi!-
-Tu!- quasi gridai –chi diavolo ti ha dato il mio numero?-
-L’ho chiesto ieri pomeriggio ad una delle altre coriste- mi rispose Joe ridendo – domani abbiamo la giornata libera ed è il tuo turno.-
-Il mio turno per cosa?- chiesi sorpresa.
-Oggi io ti ho raccontato un po’ di me: domani tu mi dirai qualcosa di te. Fatti trovare pronta alle nove in punto. Buonanotte.- chiuse la chiamata senza darmi ulteriori spiegazioni.
Sbadigliai << non ti arrendi eh? >> decisi che non sarei andata: chi credeva di essere per darmi appuntamento a quel modo, come se fossi a sua completa disposizione? << non ha neppure pensato che potrei avere programmato qualcosa con Paul >> pensai irritata mentre il sonno prendeva il sopravvento.
Durante la notte feci un incubo, dal quale mi svegliai in un lago di sudore; Paul non era a letto, così pensai che si fosse diretto in bagno, ma quando bussai alla porta non mi rispose nessuno.
Davanti alla porta d’ingresso non c’erano neppure le sue scarpe: sbadigliando controllai l’ora, forse mi ero addormentata da poco. La sveglia segnava le due del mattino: dove diavolo era finito? Non potevo credere che fosse rimasto fuori così a lungo.
Accesi la luce del mio comodino e estrassi dalla mia valigia uno dei tanti libri che mi ero portata dall’Italia per riempire i momenti di noia, se mai ce ne fossero stati, e decisi di aspettare il rientro del mio ragazzo: non appena avesse varcato la soglia avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni più che esaurienti!
Non volevo litigare, ci eravamo già allontanati troppo in passato, ma non volevo dovermi svegliare nel cuore della notte per scoprire che lui non era accanto a me. Mi ero chiesta molte volte se quando ci eravamo presi quel periodo di pausa fosse stata colpa mia, come continuava a sostenere lui, però non ne ero convinta; avevo voluto che lui fosse con me in quell’estate così particolare perché speravo di colorire di nuovo la nostra storia, che negli ultimi mesi si era trasformata in gesti automatici e senza sentimento. Riuscii a leggere soltanto un paio di capitoli, poi la stanchezza ebbe nuovamente il sopravvento e piombai nel sonno.

 

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Capitolo 4
*** Elisa fa la turista ***


Eccomi di ritorno, come promesso, con il nuovo capitolo!
Buona lettura gente!

BecauseOfMusic_



Sabato mattina trovai un biglietto sul cuscino
 ~ho trovato un lavoro ieri sera, tornerò tardi, non aspettarmi alzata. Ti amo~
 Ero felice che avesse trovato un modo di impiegare il tempo, guadagnandoci anche qualche soldo, però mi infastidiva il fatto che in questo modo ci saremmo visti sempre meno.
Sospirai e decisi che, se lui aveva impegni, io potevo tranquillamente andare all'appuntamento con Joe.
Arrossii<< ma quale appuntamento, scema? >> mi disse la mia testa << sei fidanzata! Dovresti rifiutare e andare a cercare il tuo ragazzo >> l'istinto mi spinse a fare l'esatto contrario. Misi dei jeans  e una felpa a caso, presi il telefono, le chiavi di casa e uscii facendo scattare la serratura. Mi chiesi perché mai Joe fosse stato così vago la sera prima, senza specificare dove saremmo andati ne cosa avremmo fatto.
Uscii in strada e lo vidi che mi aspettava accanto alla sua macchina, telefonino alla mano mentre guardava lo schermo con la fronte corrugata.
-Buongiorno, tutto bene?- chiesi.
-Ciao!- mi rispose alzando lo sguardo dal telefono e sorridendo –pronta per rivelarmi tutti i tuoi segreti?-
-Non ci sperare, sono molto brava a mantenere i segreti- gli risposi mentre mi apriva la portiera dal lato del passeggero.
-Vedremo-  disse con fare misterioso, mentre azionava il motore.
-Dove hai intenzione di portarmi?- domandai sempre più curiosa.
-Oggi signorina Baschi sarò la sua guida turistica personale e le mostrerò il meglio della città.-
 
Girammo quasi  tutta Los Angeles quel mattino, mi raccontò quanto gli piacesse la città, quanto amasse la musica, quanto fosse bello essere una star, poi mi chiese di me ed  io gli dissi che ero una ragazza di provincia, che amava l'aria aperta e i piccoli paesini dove tutti si conoscono e sono gentili, anche se mi ero trasferita a Roma da diverso tempo per  questioni lavorative dei miei genitori, gli parlai del mio amore per gli animali, per l'equitazione e per la musica
-Per me cantare è un modo per sfogarmi, per farmi capire, la musica mi piace perché sa arrivare dritta al cuore-
-Capisco perfettamente cosa intendi- mi disse serio.
Quando fu ora di pranzo ci fermammo in un locale di sua conoscenza, dove comprò due hamburger e una vaschetta di patatine fritte.
-Il cibo americano- dissi ridendo.
Consumammo il nostro pasto seduti su una panchina in uno dei tanti parchi, all’ombra di alberi altissimi, mentre i bambini intorno a noi strillavano e si rincorrevano nel prato.
Ad un tratto mi guardò e mi chiese -Hai mai abbracciato qualcuno?-
Aggrottai le sopracciglia -Ma che domanda é? Certo che si!-
Si avvicinò al mio viso e sorrise -E come si fa?-
-Beh- dissi cercando di rimanere concentrata su quello che stavo dicendo -Prendi una persona e la stringi tra le braccia...-
In men che non si dica mi ritrovai stritolata nel suo goffo abbraccio. Lo abbracciai anch’io, ma quando cercò di baciarmi mi ritrassi.
-Joe, ti prego, è stata una bella giornata, non rovinare tutto-
Sembrava ferito -Rovinare cosa?-
Sospirai -Ti conosco da solo due settimane e sono fidanzata, non puoi pensare di potermi baciare quando ti va.-
-E se ti dicessi che da quando ti conosco mi sento diverso?-
A quel punto persi l’appetito e la pazienza -Una frase fatta, copiata da un film o da un libro non cambia niente. Le relazioni hanno bisogno di tempo per formarsi, e non puoi dire di provare qualcosa per una persona se la conosci da così poco tempo. Inoltre mi sembra di essere stata piuttosto chiara, io sono fidanzata e non sono una ragazza di quelle che sei abituato a frequentare, una di quelle che per un quarto d’ora di fama sono disposte a vendere anche la loro dignità!-
Mi accorsi di averlo ferito, ma a quel punto non sapevo come rimediare.
-Forse ho sbagliato a chiederti di uscire oggi.- disse dopo alcuni istanti di silenzio
-Forse- ammisi.
Ritornammo verso l’auto senza parlare, ognuno immerso nei propri pensieri.
 



 

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Capitolo 5
*** Fin dietro le quinte ***


Eccoci qui con il nuovo capitolo; mi scuso se è un po' corto, ma vi prometto che dal prossimo inizieranno ad allungarsi!
Fatemi sapere che ne pensate!! ;)

un bacio, BecauseOfMusic_


 
Mentre mi riaccompagnava a casa gli squillò il telefono: guardò chi fosse ma non rispose.
-Perché non rispondi?-
-Non mi va-
-Potrebbe essere importante...guarda che non mi disturba se parli al telefono-
-Aspetteranno-
-Joe- ripresi irritata -cosa c'é? Sei deluso perché non sei riuscito a baciarmi? Sei ferito perché sono stata brusca?-
-Si, sono ferito! Credevo che raccontarti la mia esperienza sul palco sarebbe servita a farti capire che sono una persona normale, esattamente come te, invece continui a considerarmi uno stupido, un viziato, abituato ad ottenere tutto quello che vuole solo schioccando le dita! Inoltre il pensiero che io potessi essere sincero non ti ha mai neppure sfiorato!-
Mi paralizzai, avevo solo peggiorato la situazione.
-Mi dispiace davvero se ti ho offeso, non era mia intenzione; ma a mio parere é sempre bene essere chiari fin da subito con una persona! Preferivi che mentissi al mio ragazzo e a te?- pigiò sull'acceleratore e non rispose.
Frenò poi bruscamente davanti al portone d'ingresso del mio palazzo; controllai di avere tutto in borsa e scesi: prima di chiudere la portiera cercai di smorzare i toni.
-Joe, grazie del pensiero, comunque, sei stato molto carino-
Accennò un mezzo sorriso e disse -Scusa per prima, non volevo darti l'impressione sbagliata...-
Scossi la testa –Non ti preoccupare . Ci vediamo domani al primo concerto allora?-
-Si, a domani-
Chiusi la portiera e agitai la mano finché non sparì oltre la curva.
Rientrai a casa, mi feci una doccia e mi accoccolai sul divano facendo zapping;  avevo bisogno di sentir parlare per un po' la mia lingua: non trovai alcun canale italiano, così mi rassegnai.
 La mia mente però rimaneva fissa sulla frase che Joe mi aveva detto mentre tornavamo indietro dalla spiaggia <> riflettei <> ero molto confusa a causa delle sue parole, ciò che mi preoccupava era che non ero sicura di non provare niente per lui.

L'indomani spedii Paul a zonzo per la città e passai la giornata chiusa in casa a ripassare tutti i brani che avremmo eseguito quella sera; mangiai poco o niente e mi costrinsi a dormire un paio d'ore nel primo pomeriggio, per non crollare come un sacco di patate sul palco durante un'esibizione: era la mia paura più grande.

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Capitolo 6
*** Primo concerto e nuovi problemi ***


Eccomi qui! Scusate se il capitolo esce con un giorno di ritardo, ma ieri sono stata impegnatissima.
Comunque sono tornata: spero che vi piaccia, ricordatevi di recensire e...buona lettura!

BecauseOfMusic_


Alle sette fummo tutti convocati per il trucco e la prova costumi.
Alle nove il teatro cominciò a riempirsi: spiai da dietro il sipario e vidi il mio ragazzo in prima fila, insieme ai miei genitori. Scoppiavo dalla gioia: erano riusciti a venire a vedermi! Era molto importante per me averli vicino in quel contesto. Desiderai poter uscire e correre ad abbracciarli, ma rimasi dov'ero sperando che fossero fieri di me; poco prima di andare in scena Joe venne a cercarmi, mi afferrò la mano e mormorò:
-Buona fortuna-
In risposta strinsi la sua con forza -Anche a te-
Il boato del pubblico che accolse la band fu una vera e propria scarica di adrenalina.
Fu una serata fantastica: andò tutto alla grande, le canzoni erano perfette e tutto era nei tempi della scaletta.
Non avrei mai creduto che si potesse cantare così a lungo, non pensavo ne sarei mai stata in grado.
La fine del concerto fu un momento emozionante, perché i Jonas ringraziarono ad uno ad uno tutti i collaboratori, me compresa.
Dopo essermi cambiata pensai di andare a congratularmi con Joe, lo cercai fuori dal teatro, ma vidi che era piuttosto impegnato in una conversazione non verbale con una bella ragazza bionda, e provai uno strano nodo allo stomaco.
 La parte più cinica della mia mente disse <> non avevo voglia di pensare a lui, così mi rifugiai tra le braccia dei miei genitori; mamma e papà avevano preso un volo low coast per Los Angeles, per vedere il mio primo concerto, e ne avevano già prenotato un'altro per l'una del mattino di ritorno a Roma.
-Sono felicissima che siate venuti, ne avevo davvero bisogno.- Mamma mi sembrò un po’ pallida, ma sorrideva, mentre mio padre non riusciva a nascondere la sua preoccupazione, per quanti sforzi stesse facendo.
-Cosa succede?- chiesi preoccupata.
-Tesoro, c’è un posto in cui possiamo parlare con calma?- mi disse papà prendendomi sottobraccio.
-Si, certo, l’appartamento che abbiamo in affitto è proprio qui dietro.- risposi. Non mi piaceva il suo tono di voce.
 
Rientrai a casa con i miei genitori, mentre Paul ci lasciò da soli perché potessimo parlare.
-Vi state comportando in modo molto strano, e mi state spaventando, vi prego ditemi cosa sta succedendo- dissi loro appena ebbi chiuso la porta d’ingresso.
-Ricordi quando sono andata a fare il controllo in ospedale il mese scorso?- cominciò mia madre.
-Si- non capivo dove volesse arrivare, o forse lo sapevo e speravo di sbagliarmi.
-Il tumore è ricomparso.-
Mi parve che un macigno mi avesse schiacciato il petto.
Tre anni prima avevano diagnosticato a mia madre un tumore al seno, per il quale aveva fatto tutte le terapie necessarie ed era stata operata. I medici le avevano detto che era possibile che si ripresentasse, quindi avrebbe dovuto fare controlli continui.
Non era comunque servito.
-Datemi dieci minuti per fare la valigia e poi torniamo tutti a casa .- dissi cercando di alzarmi dalla sedia.
-Assolutamente no, Elisa, questo è il tuo sogno, non ti chiederei mai di rinunciare a causa della mia malattia!-
-Mamma pensi davvero che riuscirei a stare qui tranquilla sapendo quello che stai passando?-
-La mamma ha ragione.- sentenziò mio padre –anche io all’inizio pensavo che fosse meglio averti di nuovo a casa, ma questa è un’occasione che può capitare solo una volta nella vita, non devi fartela scappare.-
Dopo circa un’ora di discussioni decidemmo che sarei rimasta se i medici avessero detto alla mamma che anche in questo caso il tumore era operabile, altrimenti sarei salita sul primo aereo di ritorno a casa.
Li accompagnai poi all'imbarco; mentre mamma regolava tutti i documenti papà mi prese in disparte
-Sei sicura che qui vada tutto bene?-
Feci un sorriso mesto –Non è niente di importante,passerà-
Mi guardò attentamente: lui a differenza della mamma sapeva molto bene cosa era successo tra me e Paul
-Tesoro, se non sei felice devi essere sincera: sia con te stessa, che con Paul-  rimasi incredula: come poteva aver capito la mia confusione in quei pochi attimi di conversazione?
Dopo aver visto l'aereo partire tornai a casa; vidi che avevo diverse chiamate perse di Joe, ma non avevo voglia di parlargli, ne di ascoltarlo, così le cancellai dalla memoria del telefono. 
Ripensai al concerto e a quello che era successo solo pochi minuti dopo: non riuscii a trattenere le lacrime.
Il mio ragazzo mi raggiunse e mi cinse le spalle -Dai vieni a fare la doccia con me-
Mi voltai asciugandomi le guance e lo baciai -Scusa, ma devo finire di fare la valigia, domani partiamo e mi mancano ancora un sacco di cose da sistemare, magari la prossima volta- mi sembrò ingiusto respingerlo in quel modo, ma avevo altre cose per la testa.
Per tutta risposta mi rivolse un sospiro scocciato e andò in bagno sbattendo la porta. Scossi la testa e continuai a fare l'inventario delle cose da portare via.

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Capitolo 7
*** La mattina sulla spiaggia ***


Ed eccoci di nuovo qui come ogni lunedì!
Il nuovo capitolo è arrivato e, come sempre, invito tutti quelli che lo leggono a scrivermi cosa ne pensate. accetto anche critiche negative, purchè siano costruttive. :)
Buona lettura!

 BecauseOfMusic_


Il mattino dopo mi alzai presto, perché dovevo saldare l'affitto dell'appartamento, e volevo sedermi in riva al mare ancora una volta prima di andare via.
Paul dormiva ancora della grossa quando uscii.
Arrivata alla spiaggia vidi che non ero la sola ad essere andata li, c'erano anche i Jonas, con le chitarre in mano a suonare un nuovo pezzo.
 Kevin si accorse di me smise di suonare:
-Disturbo?- chiesi
-No affatto. É la melodia per una nuova canzone, che ne pensi?-
-Mi piace, ha un ritmo più veloce di altre, una bella carica di energia-
Sorrise soddisfatto –Proprio quello che volevamo trasmettere.-
Evitai volutamente di guardare Joe: mi sentivo presa in giro.
-Come mai qui?- chiese  Nick
-Volevo solo sedermi un po' in riva al mare e gustarmi il silenzio. Ma vado più avanti, così voi potete continuare a suonare in tutta tranquillità- gli risposi sorridendo.
Mi allontanai e sentii dei passi che mi seguivano <> pensai, non avevo la forza di sostenere una conversazione con lui. 
Quando mi sedetti, invece, mi accorsi che era proprio Joe, che si sedette accanto a me
-Il mare la mattina é splendido, e questa spiaggia é sempre deserta, perché i surfisti preferiscono quella di malibu...- rimasi in silenzio –Elisa, quella ragazza con cui mi hai visto...-
Ah, era li che voleva arrivare.
Alzai una mano per farlo zittire:
-Tu non devi giustificarti con me in alcun modo, Joe. É la tua vita, e noi non stiamo insieme. Non mi devi alcuna spiegazione-
Sorrise -Possiamo almeno essere amici?-
Scoppiai a ridere -Non siamo mica all'asilo Joe, non si chiede se si vuole essere amici, lo si diventa.-
 Mi feci incantare dai suoi occhi.
-Beh, se te lo chiedo ha un'aria più ufficiale no?-
Annuii: mi si era ingarbugliata la lingua.
Lui si voltò verso i fratelli urlando -Ehi ragazzi! Da oggi io ed Elisa siamo amici!-
Kevin smise di suonare nuovamente per commentare:
-Perché le ragazze non vogliono mai essere mie amiche? Non é giusto tutte le fortune vanno a Joe...- il mio nuovo amico mi abbracciò, ridendo per la sua battuta. Vidi avvicinarsi la bionda del giorno prima e mi staccai bruscamente; al suo sguardo interrogativo risposi indicandola
-Credo ci sia qualcuno per te-
La fissò irritato -Torno subito, non muoverti-
Mentre lo guardavo allontanarsi mi accorsi che era tardissimo: dovevo ancora svegliare Paul e avvisare il proprietario della casa nel Queens che saremmo arrivati con un giorno di anticipo.
Intanto che tornavo a casa mi squillò il telefono: quando vidi il numero risposi in tutta fretta.
-Bellissima! Che tempo fa ne ‘a città degli angeli o come se chiama?-
-Ciao Nando- gli dissi ridendo –si chiama Los Angeles e c’è un bel sole. Com’è il tempo a Roma?-
-Mah, diciamo che potrebbe essere più bello, ma nun ce posso fa’ niente!-
Realizzai che oltre ai miei genitori la persona che mi mancava di più in America era senza ombra di dubbio il mio migliore amico, un ragazzone enorme con un cuore grande. Più che un amico per me era un fratello, la metà delle cose che avevo fatto nella mia vita non le avrei mai fatte senza il suo sostegno e la sua insistenza: credeva in me molto più di quanto lo facessi io.
Ci eravamo conosciuti da piccoli, non ricordo se a scuola o all’oratorio, e avevamo stretto un’alleanza contro i ragazzi più grandi che cercavano di rubarci la merenda, che poi si era rafforzata nel tempo. Nando conosceva ogni mio segreto, ogni mia paura e ogni mio difetto, eppure non mi aveva mai giudicato.
Quando avevamo compiuto sedici anni mi aveva detto di essersi innamorato di me, ma io avevo in testa un ragazzo più grande, così lo avevo respinto ed avevamo litigato in modo molto serio.
Ci eravamo riavvicinati solo un paio di anni dopo, quando io avevo conosciuto Paul e lui Alessia.
-Come ti vanno le cose?-
-Potrebbero annà mejo, ancora nun ho trovato uno straccio de lavoro, tra du ore c’ho il colloquio con uno che c’ha una pizzeria, vemo se me può fa’ fare qualche cosa, altrimenti non c’ho idea de come pijare il regalo di compleanno alla mia donna.-
-Mi dispiace, vorrei poterti aiutare ma direi che la distanza è troppa, comunque se non riesci a trovare nulla posso sentire se i miei datori di lavoro hanno qualcosa da farti fare qui, tutto sommato tu te ne intendi di elettronica, potresti essere utile.- cercai di consolarlo
-Nun te preoccupà, un modo per faje el regalo a Alessia o’ trovo. Te come stai messa?-
-Eh…se hai un po’ di tempo nei prossimi giorni ti chiamo, ho bisogno di una lunga chiacchierata.-
-Vabbene va’ salutami er ciuffone ok?-
Risi –Ok Nando, ti saluto Paul, a presto-
-A presto bellissima.-

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Capitolo 8
*** Andiamo nel Queens ***


Nuovo capitolo!! Buona lettura!! (:

BecauseOfMusic_


Tornai a casa di buon umore e trovai il mio ragazzo già sveglio e vestito
-Dove cazzo sei stata?-
-Alla spiaggia- risposi, dispiaciuta del suo tono -per vedere il mare prima di partire-
Lui coprì in breve la distanza che c'era tra noi e mi baciò, in modo molto diverso dal solito.
Sembrava arrabbiato e possessivo, ma non lo era mai stato prima; mi buttò sul letto, deciso a rifarsi dalla sera prima e cominciò a slacciarmi la camicetta. Lo spinsi via, mandandolo a gambe all'aria sul tappeto.
-Amore ti sei fatto male? Scusa, mi dispiace tanto- mi diede uno spintone, afferrò la giacca e uscì dalla porta imprecando. Mi raggomitolai su me stessa e cominciai a piangere: perché era così tanto arrabbiato? Sapeva che non era il momento per quelle cose. Ipotizzai che dovesse essersi fermato in qualche bar la sera prima e fosse ancora un po' brillo. Nel momento più nero della giornata sentii la voce di Joe mentre apriva la porta
-Ehi Elisa! Hai dimenticato in spiaggia il foulard..- quando mi vide accovacciata a terra in lacrime il sorriso gli morì sulle labbra.
-E’ successo qualcosa con Paul? Avete litigato?- annuii, non riuscivo a parlare. -Stai bene? Vuoi che resti?-
Una parte di me volevo che restasse con me, voleva abbracciarlo e rimanere così fino a quando non mi fosse passato il magone, invece ricacciai indietro le lacrime -Si sto meglio grazie, e credo che tu debba tornare dai tuoi fratelli ti staranno sicuramente cercando-
Mi prese il mento tra il pollice e l'indice e cercò di farmi voltare -Sicura che posso lasciarti sola?-
Mi costrinsi a sorridere –Sicura-
-Allora ci vediamo tra poco all'aeroporto?-
-Si tranquillo- mi mise il foulard intorno al collo e mi sorrise prima di andarsene chiudendo la porta alle sue spalle.
Rifeci il letto, lavai i vetri e poi chiamai il proprietario dell'appartamento che avevo affittato nel Queens per dirgli l'orario a cui sarebbe atterrato il volo;  provai a chiamare anche Paul, ma il suo telefono era staccato: chiusi la porta a chiave e consegnai il mazzo alla vicina perché lo restituisse a mio nome al proprietario, poi presi un taxi.
Arrivata al check in notai che c'era solo Joe -Sono tutti sull'aereo, ma mi sono offerto di aspettarti perché altrimenti avresti pensato di essere in anticipo- disse cercando di incrociare il mio sguardo.
-Ok grazie- consegnai le valigie e il passaporto per i vari controlli; lui mi chiese sottovoce:
-Come mai hai litigato con il tuo ragazzo?-
-Sinceramente sono un po' imbarazzata, preferirei non parlarne-
-A parte gli scherzi sugli amici: se hai bisogno di un consiglio o di supporto devi solo chiedere, ok?-
-Lo terrò presente, grazie-
Sull'aereo scoprii che Paul mi aveva preceduta, riservandomi un posto accanto a lui. Decisi che ignorarlo e sedermi vicino a Joe non avrebbe migliorato le cose, così mi accomodai e sperai che durante il volo avremmo chiarito il litigio di prima, invece lui si limitò a dormire dandomi le spalle.

 

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Capitolo 9
*** I problemi non sono finiti ***


Sono tornataaaa!! Lo so che sono in ritardo, scusatemi.
Come sempre vi invito a recensire, e vi ricordo che accetto anche critiche negative. ;)
Buona lettura, un beso :*


L'appartamento che avevo prenotato era di discrete dimensioni, e vicino ad un fastfood, posizione perfetta.
La situazione con Paul non era affatto migliorata, anzi, sembrava scocciato dal fatto che chiamavo mia madre ogni sera, anche se lui passava ore al telefono, e chiudeva immediatamente la chiamata se si accorgeva che ero nei paraggi.
Ogni volta che cercavo di coinvolgerlo in una conversazione mi guardava in modo freddo e distante, senza parlare.
Una sera decisi che era troppo:
-Paul, non ti obbligo a stare qui, soprattutto se mi devi guardare come se fossi la peggiore cosa che ti potesse capitare al mondo. Ti ho già chiesto scusa mille volte per quello che è successo a Los Angeles, di più non posso fare.-
Lui si alzò dal divano, fece la sua valigia e uscendo dalla porta disse:
-Vado in albergo per un paio di giorni, devo pensare.-
Avrei dovuto fermarlo, ma non lo feci, non volevo che restasse un minuto di più in quella casa, non se voleva andare avanti così; durante la notte piansi ininterrottamente: oltre alla paura di perdere mia madre si aggiungeva quella di perdere anche lui. Ultimamente avevamo litigato molto, ma questo non significava che io non lo amassi.
Ricordavo ancora com’erano i primi tempi, quando lui mi passava a prendere sotto casa con il motorino e andavamo a trascorrere la giornata a Ostia, sotto il sole cocente, ricordavo perfettamente le carezze, i baci, i sussurri, gli abbracci e i sospiri. In quei momenti pensavo che non sarei mai potuta essere felice con nessun’altro.
La mattina dopo, lui si presentò alle prove durante la pausa pranzo: sperai che volesse scusarsi.
Mentre gli andavo incontro fui intercettata dal tour manager che mi consegnò un altro testo da imparare nei successivi dieci minuti, così chiesi a Paul di aiutarmi: prima la imparavo, prima potevamo parlare d’altro e chiarire le cose tra noi.
 
-Forza, il ritornello.-
-It’s you and me right now... no ho sbagliato, forever, o forse no…now and forever.- gli dissi, cercando di sembrare convincente.
-No, no, no! Elisa non stai nemmeno tentando di ricordare!- urlò irritato. Il gruppo delle altre coriste si voltò a guardare cosa stava succedendo.
-Ero convinta che fosse così, scusami.- dissi mortificata.
-Vedi è proprio questo il tuo problema, che pensi sempre di sapere tutto! Sei un’insopportabile saccente!- mi gridò addosso.
-Ora basta Paul! Non sono la tua pezza da piedi, non puoi trattarmi così!- cercai di protestare.
Lui mi afferrò per i polsi e cominciò a scuotermi. –Lasciami andare!-
Sembrava indemoniato, non sentiva nessun’altro se non se stesso.
-Tu sei solo una stupida, non riesci a vedere più in la del tuo naso! La nostra storia è finita da un pezzo, ma tu mi hai trascinato in questa buffonata, come se fossi il tuo fedele cagnolino!- sembrava che sputasse ogni parola –non voglio vederti mai più Elisa, mai più in tutta la mia vita!-
Mi spinse per terra e si allontanò di corsa, mentre Joe si materializzava accanto a me insieme a uno dei bodyguard.
-Elisa! Oddio stai bene?- chiese preoccupato, mentre mi aiutava a rialzarmi.
-Io…credo di si, sto bene. Abbiamo solo litigato.- dissi cercando di fermare le lacrime che mi scendevano copiose sulle guance.
Cercai di nascondere i polsi, che avevano già dei vistosi segni rossi, ma lui li aveva notati subito.
-Dovresti denunciarlo.- disse con voce dura.
-No!- cercai di difendere il mio ragazzo –lui deve essere frustrato per la situazione, non era mai stato così…io…-
Non riuscivo a formulare un pensiero che avesse un senso logico, ero spaventata per quello che era appena successo: non sapevo neppure se volevo stare da sola o avere qualcuno che mi consolasse.
Cominciai a pensare improvvisamente a mia madre, al fatto che mi mancava e che forse non stava davvero così bene come diceva al telefono. Emisi un verso strozzato: avevo bisogno d’aria.
Respingendo le mani di Chuck, il bodyguard, che cercava di portarmi verso una sedia, corsi fuori dal teatro e mi sedetti proprio accanto all’entrata, appoggiando le spalle al muro.
Joe mi venne dietro: lo guardai per pochi istanti, che mi sembrarono eterni. Credevo che avrebbe cercato di convincermi a chiamare la polizia, che si sarebbe offerto di picchiare Paul con una mazza da baseball(francamente lo speravo), invece si limitò ad abbracciarmi.
Appoggiai la fronte nell'incavo del suo collo, cercando di calmare il respiro e di asciugarmi le lacrime: mi sentivo così bene tra le sue braccia, che per un attimo scordai dove fossi. 
Kevin arrivò a spezzare l'incanto
-Elisa, ti cercano per le prove di when you look me in the eyes; a dire il vero cercano anche mio fratello, ma pensavamo che si fosse nascosto in camerino ad abbuffassi con i cestini omaggio.-
Scoppiai a ridere e lo guardai negli occhi allontanandomi:
-Lo fai davvero?-
Si morse il labbro inferiore e rispose maliziosamente -Sono tante le cose che non sai di me, te l’ho già detto.-
Quella sera decisi ugualmente di rientrare a casa: davanti alla porta emisi un gran sospiro, sperando che la casa almeno fosse vuota, che non si fosse fermato li ad aspettarmi.
Quando entrai vidi  tantissime candele accese, lo stereo con della musica molto romantica in sottofondo e la tavola imbandita con il mio piatto preferito: spaghetti al pesto.
Paul mi aspettava vestito in modo elegante:
-Io ti devo chiedere mille volte scusa. Oggi non so cosa mi è preso, io sono…..-
Non gli diedi tempo per terminare: corsi tra le sue braccia e lo baciai.
-Avevo tanta paura di averti perso.-
Mi sorrise: -Non succederà mai, te lo giuro.-
Mi fece accomodare a tavola, mangiammo e poi ci accoccolammo sul divano.
-Dovrei sparecchiare.- dissi
-Farò io domani mattina, quando uscirai. Voglio scusarmi di nuovo per come mi sono comportato, non ho giustificazioni.- Lo baciai: -E’tutto a posto.-
-Domani ho intenzione di trovare un altro lavoro, per non esserti di peso. Quanto tempo resteremo qui?-
-Circa un mese, dobbiamo fare tre concerti in diversi teatri, ma ce la faremo di sicuro.-
Mi abbracciò forte e a me tornò in mente Joe.
<< Smettila! >> mi dissi. Non volevo pensare ad un altro mentre ero a casa con il mio fidanzato, ma Joe si era infilato nei miei pensieri, e sembrava che non riuscissi a farlo uscire.
Prima che tornassi a casa, a prove terminate, mi aveva chiesto se avessi avuto impegni il giorno dopo: al momento non gli avevo risposto, così decisi di chiamarlo.
-Devo fare una cosa prima di dormire.-
-Ok.- accese la tv mentre io andavo in camera da letto.
Presi il cellulare e lasciai squillare diverse volte.
Mi rispose una voce assonnata:
-Pronto?-
-Joe sono Elisa, scusa se ti disturbo ma non pensavo che stessi già dormendo.- iniziai.
-Eh, Elisa? Scusa puoi chiamare domani, sono stato in giro tutto il pomeriggio con un gruppo di modelle per fare pubblicità alla loro agenzia e sono distrutto.- mi rispose.
Rimasi di sale, e la bocca del mio stomaco tornò ad attorcigliarsi come la sera del concerto.
Non riuscivo a capire il motivo, ma la voce non sembrava quella di Joe…
-Ehi – insistei, cercando di vederci chiaro –ti sei preso il raffreddore?-
Dall’altro capo sentii qualcuno urlare:
-Mollalo, molla immediatamente il mio telefono o giuro che ti uccido!-
<< ma cosa diavolo sta succedendo? >> pensai allarmata.
Seguirono una serie di tonfi e altre imprecazioni; proprio quando pensavo di chiudere definitivamente la chiamata sentii la voce di Joe:
-Elisa, mi senti?-
-Si, ti sento, ma cos’è successo?- chiesi.
-Ero in bagno quando mi hai chiamato, e Kevin ha risposto senza dirmi nulla, appena ho capito che stava parlando con te mi sono precipitato a strappargli il cellulare di mano…-
In sottofondo sentii Kevin brontolare qualcosa sul fatto che Joe gli aveva rovinato il suo profilo migliore.
-Di cosa avevi bisogno comunque?-
Cercai di riprendere il controllo del mio stomaco e risposi:
-Speravo che, se non hai nulla da fare domani, potessi farmi visitare la città, visto che è il nostro giorno libero…-
-Certo, non c’è alcun problema.- mi rispose allegro.
-Grazie allora, e buonanotte!.-
-Buonanotte.-
Mi pentii della telefonata subito dopo averla terminata: cosa avrebbe pensato Paul, vedendomi andare in giro da sola con Joe? Dopo la sua reazione di poche ore prima avevo paura di scoprirlo.
D’altro canto però la compagnia del cantante mi piaceva, mi sentivo molto in sintonia con lui, mi piaceva scambiare battute e ridere con lui << anche troppo. >> si intromise la mia testa.
Arrossii.
Alla fine mi dissi che io e Joe eravamo solo amici: lui non avrebbe frainteso ed io non gli avrei lasciato modo di farlo, ma mi piaceva passare il tempo con lui e non ci avrei rinunciato. << Chi altro ha la possibilità di passare del tempo con uno dei Jonas?! >> mi dissi << Ci sono tante fan che ucciderebbero per essere al tuo posto, smettila di torturarti il cervello e goditi il tempo che hai a disposizione. >>

 

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***


Sono in ritardo di un giorno, lo so e chiedo umilmente perdono, ma ho avuto un sacco di cose da fare. 
comunque la nostra storia è ben lontana dalla fine, quindi proseguiamo!
Come sempre invito tutti a recensire, e vi ricordo che le critiche sono accettate, purchè costruttive.

A preso
  un beso
          BecauseOfMusic_



Il giorno dopo mi svegliai più presto del solito, e notai che Paul non era nella sua stanza.
In questo appartamento avevamo deciso di dormire separati, perché due brandine vicine avrebbero occupato troppo spazio, così lui aveva montato la sua in soggiorno.
Inizialmente avevo sofferto un po’ la sua mancanza accanto a me, però, sotto sotto, ero contenta che si fosse allontanato un po’.
Non persi neppure tempo a domandarmi dove fosse, afferrai il telefonino e meditai di chiamare Nando: avevo davvero bisogno del suo aiuto;  mi ricordai però del fuso orario.
Probabilmente dormiva a quell’ora.
Prima di fare la doccia tentai di rintracciare il mio ragazzo, ma aveva il telefono staccato: sospirando mi infilai sotto il getto d’acqua.
Preparai la borsa infilandoci il mazzo di chiavi di casa, i miei occhiali da sole, il telefonino e il portafogli, poi infilai i miei jeans preferiti e una T-shirt abbinata alle scarpe da ginnastica; rifeci il mio letto e misi un po’ in ordine la casa, dopo mi sbafai un grosso cornetto al cioccolato che avevo comprato la sera prima e mi sedetti sul divano facendo zapping mentre aspettavo il mio accompagnatore.
Joe arrivò mezz’ora dopo con una cartina della città
-Dove vuoi andare?- mi chiese sorridendo.
-Voglio visitare tutta la città, se riusciamo.-
-Ai suoi ordini, signorina! Ma si ricordi che domani bisognerà presentarsi alle prove un’ora prima per imparare le nuove canzoni.-
-Le nuove canzoni?- chiesi corrugando la fronte.
-Quelle che appartengono al nuovo album.- mi rispose aprendo la portiera -Ma non voglio parlare di lavoro, cominciamo dai monumenti: ti va?-
Di monumenti non ce n’erano molti, a dispetto delle mie aspettative, ma i luoghi di interesse erano diversi: edifici storici, teatri, musei e gallerie…
C’era anche un bel parco, attrezzato per i cani e con diversi percorsi da fare in bici, correndo o semplicemente passeggiando; ci sedemmo in un’area picnic adombrata da grossi pini e chiacchierammo un po’.
-Ti piace l’America?-
-Si e no.- risposi, ridendo di gusto alla sua faccia incredula.
-Si perché insomma, è la grande America, mentre no perché non è casa mia: mi mancano i miei genitori, i miei amici: niente qui è familiare per me.-
Annuì: -Come sarebbe per me in Italia.-
-Esatto.-
-Come va con quel ragazzo…Paul si chiama?- chiese fingendosi totalmente disinteressato.
Mi irrigidii leggermente: -Perché questa domanda?-
-Solo per sapere, mi è dispiaciuto che ti abbia fatto quella scenata.- rispose stringendosi nelle spalle.
-Va bene grazie, abbiamo fatto pace e ora è tutto sistemato.-
Sorrise, ma vedevo chiaramente che non era quello che si aspettava.
-La tua amica bionda invece?- chiesi io, decisa a stuzzicarlo un po’.
-Anne- disse con un sospiro sconsolato –la mia quasi fidanzata.-
Fu come se avessi ingoiato un macigno.
Lui proseguì: -Ci siamo frequentati per quasi un anno, l’ho conosciuta alla festa di compleanno di un amico comune; per un po’ ho anche pensato che fosse quella giusta, che magari l’avrei sposata, ma mi sono reso conto che non le interesso davvero. Lei cerca la fama ed io non sono disposto a farmi ridurre il cuore in pezzi da una così.-
I sassi nel mio stomaco continuavano ad aumentare.
-Quando si è accorta che cercavo di scaricarla ha ricominciato a scrivermi costantemente, dopo il nostro primo concerto mi è praticamente saltata addosso dietro le quinte.- mi informò arrossendo.
Ecco spiegato tutto quell’impiego di lingua nel backstage, quando avevo cercato di parlare con lui a Los Angeles.
-Beh- dissi cercando di riempire il silenzio che si era creato dopo le sue rivelazioni –se la vedo gironzolare alle prove chiamerò subito Chuck, va bene?-
Rise annuendo.
-Vieni, compriamo qualcosa da mangiare e poi finiamo il tour.-
 
 
 
Due ore più tardi eravamo seduti in una galleria d'arte a fissare un quadro che ritraeva una spiaggia nera come il carbone, in contrasto con un mare cristallino
-A casa mia, a Roma, mia mamma ha una copia di questo quadro!- esclamai
-Davvero?- mi domandò.
-Si! Sono sicurissima, ricordo che mi diceva sempre:” un giorno andrò su questa spiaggia, e ne metterò un po’ in una bottiglia, così potrò conservarla come ricordo”-
Improvvisamente la mia testa fu invasa dai ricordi: Roma,i miei genitori che mi aspettavano a casa, mia madre e la sua lunga battaglia, che ancora non era finita. Per l’ennesima volta mi pentii di non essere tornata a casa con loro quando ne avevo avuto l’occasione.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime; Joe se ne accorse e mi chiese spaventato:
-Che succede, stai male?-
Scossi la testa: non avevo ancora detto a nessuno quanto stava male mamma, perche se ne avessi parlato con Paul avevo la certezza che avrebbe insistito per tornare immediatamente a casa. Anche se era la cosa giusta da fare non ero sicura di volerlo e questo mi faceva sentire tremendamente egoista; escluso il mio ragazzo, però, chi avrebbe capito?
-Riguarda i tuoi? Hai nostalgia di casa?- Joe continuava a bersagliarmi di domande, e stava entrando nel panico perché non rispondevo.
Decisi che potevo fidarmi di lui: avevo bisogno di credere che fosse così.
-Mia madre sta male, davvero tanto. Tre anni fa le hanno diagnosticato un cancro al seno: ha fatto tutte le terapie necessarie ed è stata operata: sembrava tutto a posto ma durante uno degli ultimi controlli hanno scoperto che non sono riusciti a debellarlo.-
Mi circondò le spalle con un braccio: -Mi dispiace, Elisa, mi spiace davvero tanto.-
-Ora devono dirle se è operabile oppure no, e in base a quello io deciderò se proseguire il tour o lasciare.- terminai asciugandomi le lacrime.
-Fammi una promessa, anzi, facciamo un patto.-
Lo guardai insospettita.
-Comunque vada tu tenterai la carriera da solista: sia che tu finisca il tour, sia che tu torni a casa. Io, in cambio ti rivelerò un segreto.-
Accettai, incuriosita.
Lui mi sorrise, e per un attimo temetti che il mio cuore si fosse fermato.
Mentre tornavamo a casa parlammo di un po' di tutto, ridendo come matti: era bravo con le battute, non quanto Kevin, ma se la cavava bene; mi sentivo davvero di buon umore in quei momenti, sentivo di poter dire qualunque cosa senza essere giudicata, e poi pareva esserci una forza invisibile che mi spingeva continuamente verso di lui. Parcheggiò l'auto sotto casa, ed io aprii la portiera per scendere, ma lui mi trattenne
-Mi sono divertito oggi, dovremmo ripetere più spesso-
Mi sporsi e lo baciai sulla guancia: -Sono perfettamente d'accordo-
Rimase a guardarmi imbambolato, sfiorandosi la guancia, mentre salivo le scale ed entravo in casa.

 

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Capitolo 11
*** Tira e molla ***


Sono in ritardo e il capitolo è breve, ma vi prego di non odiarmi, perchè ho tantissime cose da fare in questi giorni ):
Come sempre: recensite! Vi aspetto per sapere cosa pensate della storia :)

Un abbraccio

BecauseOfMusic_


Le settimane che seguirono furono frenetiche: tre concerti in tre città diverse, poi i manager annunciarono che avremmo fatto un concerto ogni due giorni per tutta la durata di luglio, mentre agosto l'avremmo passato tutto in Europa; per me fu un sogno sentir pronunciare quella parola, perché significava anche Italia, dove io mi sarei fermata, mentre loro sarebbero tornati a casa e tutto sarebbe finito...
Non potevo fare a meno di essere triste, perché avevo fatto nuove amicizie, e lasciarle mi sarebbe costato non poco << ma >> mi dissi << perché preoccuparsi adesso di quello che succederà tra due mesi? Sii felice e divertiti, visto che ne hai la possibilità >> Dato che Paul aveva ripreso a venire alle prove cercai di stare lontana da Joe: non volevo farlo ingelosire inutilmente, e cominciai a frequentare Sophia, un'altra ragazza del coro: era poco più alta di me, portava i capelli biondi a caschetto e si truccava molto.
Scoprii che conosceva i Jonas da molto prima di me, quasi da una vita, e scherzava e rideva con loro come se fosse una sorella acquisita. Non mi nascose che le interessava Nick, ma lui sembrava non considerarla affatto in quel modo e lei se ne era fatta una ragione. Andavamo in giro per le città a fare shopping e chiacchieravamo tanto. Ben presto diventammo grandi amiche: non mettevo un vestito senza chiederle un parere, passavamo la pausa pranzo insieme quando Paul non era presente, uscivamo nei locali la sera insieme a tutte le altre, e trascorrevamo i giorni liberi dal canto a sistemare unghie e capelli. Può sembrare un po’ infantile, ma avevo assoluto bisogno di un’amica femmina, e finalmente ne avevo trovata una. Il mio ragazzo continuava a cambiare lavoro mano a mano che cambiavamo città: non capivo come fosse possibile, visto il poco tempo che trascorrevamo nelle varie località, ma era lui ad insistere: sosteneva che altrimenti si sarebbe annoiato troppo. Mi disse che era stato assunto come fattorino da una catena di fastfood piuttosto grande e aveva sistemato tutto anche con i vari trasferimenti, per cui non avrebbe più dovuto licenziarsi; fui davvero felice per questo suo traguardo e speravo di festeggiare in modo adeguato, ma mi disse che aveva programmato di uscire con i colleghi la prima sera per conoscerli meglio. Era una scusa bella e buona, ma non avevo alcuna voglia di litigare, così lasciai correre. Non ostante mi fossi allontanata Joe mi cercava spesso, e in ogni città che visitavamo riusciva a trovare il modo di mostrarmi una foto della spiaggia e a ricordarmi il nostro patto; era una delle cose che non capivo di lui: aveva paura che non mi buttassi nella carriera da solista? Oppure voleva che non dimenticassi che in cambio mi avrebbe detto un segreto? Una sera tornai a casa e quando aprii la porta trovai Paul con un cucciolo di cane in braccio, un bovaro.
-Per te.- mi disse semplicemente, mentre io andavo in brodo di giuggiole per il cucciolo -l'ho visto nella vetrina del negozio e ho pensato a te, così l'ho preso- gli diedi un bacio appassionato come ringraziamento, e lui mi chiese:
-Come lo vuoi chiamare? Devo farlo scrivere sulla targhetta del collare...-
Ci pensai su un po', poi decisi che avrebbe dovuto essere originale
-Cheesecake- decisi -il suo nome é Cheesecake-
Paul mi sorrise, prese il collare e uscì dalla porta mentre io mi affrettavo a chiamare Sophia e informarla della novità.

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Capitolo 12
*** Dubbi ***


Questa volta sono davvero in un ritardo vergognoso, ma non avete idea di quanto la scuola sia impegnativa quest'anno! Speriamo che le vacanze di Natale arrivino presto :D
Sono comunque sicurissima che mi perdonerete per il ritardo dopo aver letto il capitolo ;)

Besitos muchachos!! :**
BecauseOfMusic_



I giorni estivi correvano, ed eravamo già a metà luglio; a causa delle prove vedevo sempre meno Paul e molto più spesso Joe.
Capivo bene che il mio fidanzato fosse geloso, quindi se lui veniva alle prove mi tenevo a distanza dai Jonas, e stavo con lui più tempo possibile, ma notai comunque che aveva un che di strano: quando mi baciava sembrava distante, e mentre parlavamo lo vedevo annoiarsi facilmente.
Cominciai a insospettirmi quando decisi di chiamare il locale dove lavorava: mi dissero che forse avevo sbagliato numero, perché lì non lavorava nessun Paul, e men che meno italiano: perché mai avrebbe dovuto mentirmi? Quella sera entrai nella nostra stanza d'albergo e lo affrontai
-Oggi ti ho cercato al locale dove dicevi che ti avessero assunto: dicono che non lavori li...- lo vidi impallidire e accasciassi sul letto
-Io..non ne voglio parlare.-
-Io invece voglio parlarne: sono giorni che ti comporti in modo strano, mi eviti e quando vieni a vedermi alle prove sei sempre nervoso…-
-Sono nervoso perché tu fai gli occhi dolci a quella specie di cantante da quattro soldi.-
Il tono freddo con cui lo disse mi fece scattare: anche perché in parte era vero, Joe mi piaceva, e detestavo l’idea che si vedesse così chiaramente, che lui lo vedesse così chiaramente.
Ci urlammo addosso per un tempo che a me parve infinito, Cheesecake si nascose guaendo sotto il letto.
Credevo che la discussione fosse finita e abbassai la guardia: fu allora che arrivò lo schiaffo.
Ero talmente sorpresa che non ebbi il tempo di reagire. Lui corse fuori ed io rimasi da sola a calmare il cane.
Sophia si presentò poco dopo.
Fece finta di non notare il segno rosso sulla mia guancia.
-Noi andiamo in discoteca, vuoi venire?-
All’inizio pensai di rifiutare, se Paul non mi avesse trovato a casa magari si sarebbe infuriato ancora di più, poi decisi che, dopo quello che aveva fatto e detto, poteva anche andare a fanculo.
-Mi cambio e arrivo.-
Lei sorrise: -Ci speravo.-
 
Il locale era piuttosto capiente, ma l’aria era comunque soffocante a causa delle tante persone stipate dentro: ragazzi e ragazze più o meno della mia età che si strusciavano gli uni sugli altri, mi pentii di essere andata: ormai però ero lì, tanto valeva prendere un drink e guardare gli altri scatenarsi sulla pista.
Ordinai al barista un bicchiere di vodka e cominciai a gustarlo.
-Ma guarda, sei venuta anche tu.- mi disse Joe appoggiandomi una mano sulla spalla.
Mi girai e sorrisi.
-Dov’è il tuo ragazzo? In pista?- mi chiese.
Scossi la testa: -Non è venuto, non ho idea di dove sia.-
Sophia si intromise:
-Avete litigato?-
-Si- risposi –spero di trovarlo a casa quando torno.-
Nick arrivò di corsa a chiamare Joe e si allontanarono insieme dopo averci salutato.
Sophia si sedette nel posto prima occupato dal cantante.
-Senti, prima non ho detto nulla della tua guancia perche non sapevo se potevo…-
-Va tutto bene, non ti preoccupare, stavamo litigando e si è fatto prendere la mano.- la fermai.
-Ma è la prima volta che lo fa?-
-Che intendi?- corrugai la fronte.
-Mio fratello picchiava la moglie, perché era sempre ubriaco o Dio sa sotto l’effetto di quale droga, e lei non ha trovato il coraggio di denunciarlo fino a quando non siamo stati noi a dirle che doveva farlo.-
Mi accorsi che si agitava sulla sedia.
-Non ti preoccupare, è la prima e l’ultima volta che alza le mani: la prossima volta che ci prova gli rifilo un calcio nelle palle e lo trasformo in Paula.- le dissi strizzando l’occhio.
Rise e ordinò due scioltini.
-Butta giù e dimentica un po’ quel cretino del tuo ragazzo.- mi disse mentre brindavamo.
Un’ora dopo avevo ingollato almeno dieci scioltini, e mi ritrovai in pista a ballare insieme alle altre coriste.
Un ragazzo mi aveva puntato e aveva cominciato a ballarmi vicino, imitato da alcuni suoi amici che si erano avvicinati alle altre ragazze.
Ero decisamente ubriaca: continuavo a ridere di cose senza senso, sguaiatamente, e invece di camminare barcollavo.
Il mio compagno di ballo aveva cominciato ad alitarmi sul collo quando una mano mi strattonò via; pensavo si trattasse di Paul, così mi girai, pronta a gridargli addosso con tutta la rabbia che avevo in corpo, invece mi accorsi che era Joe, ed era furioso.
Mi portò fuori dalla discoteca, inalare aria fresca fu come trafiggere il cervello con una lama: mi dovette sostenere perché non cadessi rovinosamente per terra.
Ci appoggiammo al muro di cinta di una casa lì vicino.
-Cosa diavolo stavi combinando là dentro?-  sibilò lui.
-Che ti importa?- sbottai –non sei mica il mio ragazzo!- risi.
-No, ma tu un ragazzo ce l’hai, e stavi facendo la stupida con uno sconosciuto.- disse. Il suo tono era sempre calmo ma la voce aveva un che di minaccioso, che cresceva di parola in parola.
-Chi ti dice che non lo conosco?- risi di nuovo.
Tentai di allontanarmi, ma persi l’equilibrio e mi ritrovai per terra.
Joe mi aiutò a rialzarmi.
-Perché hai bevuto così tanto?-
-Per dimenticare- borbottai
-Dimenticare cosa?-
-Ho litigato con Paul.- ridacchiai –litighiamo sempre adesso.-
-Dovevi dimenticare di aver litigato con Paul e ti sei buttata sull’alcol? Non sei un po’ eccessiva?- chiese irritato.
-Non dovevo dimenticare la litigata.- balbettai –Paul mi ha dato uno schiaffo, forte, proprio qui.- indicai la guancia ridendo sguaiatamente.
Cominciavo ad avvertire lo stomaco contrarsi in modo spaventoso.
Biascicavo in italiano e Joe non riusciva più a capire cosa stessi dicendo, ma mi afferrò il viso tra le mani, preoccupato, e osservò il segno sulla guancia alla luce di un lampione.
Quando si avvicinò lo baciai, senza pensarci.
Lui rimase interdetto, ma non mi respinse.
Mi allontanai sorridendo e lui alzò gli occhi al cielo: -Si, sei davvero ubriaca. Forza, ti riaccompagno in albergo.-
Quando entrammo nella stanza Paul non era ancora tornato, Joe cercò di dirigermi verso il letto, dove Cheesecake si era già addormentato, ma il mio stomaco mandò segnali impossibili da fraintendere, così mi precipitai in bagno.
Joe aspettò che i conati terminassero, poi mi fece ingollare un’aspirina per il mal di testa e mi mise sotto le coperte.
Fece per andarsene, ma lo trattenni.
-Aspetta che mi addormenti, per favore.- piagnucolai.
-Va bene, ma tu pensa a riposare.- mi rispose sottovoce sorridendo.
 
La mattina dopo mi risvegliai accanto a Paul con dei ricordi piuttosto confusi della serata precedente.
La testa mi doleva spaventosamente, così presi un’altra aspirina.
Paul uscì dal bagno dopo aver fatto la doccia e si sedette accanto a me sul letto:
-Ieri sera mi sono comportato da idiota, amore, mi spiace tanto. Sono nervoso perché mi hanno licenziato, ma non volevo dirtelo perché mi vergogno, lo so che tu sei una ragazza seria e non staresti mai con quel cantante, ma vedo come ti guarda e sono geloso, non posso farci nulla.-
Quando disse così mi tornò in mente il bacio che avevo dato a Joe e mi sentii malissimo.
Tentai di scacciare la sensazione e lo abbracciai:  -Paul non c'é niente di cui vergognarsi, capita a tutti di essere licenziati, non te ne farei mai una colpa. Siamo una coppia e come coppia troveremo la soluzione ok?-
mi sorrise e poi si mise a coccolare il cane.
Mezz’ora dopo chiamai Joe e gli chiesi se potevamo vederci qualche minuto prima delle prove
-Wow- disse con la voce impastata dal sonno -un appuntamento segreto... dopo ieri sera continui a stupirmi.-
Cercai inutilmente di nascondere l’imbarazzo -Devo chiederti un favore...-
-Passo a prenderti tra dieci minuti-
-Grazie-
Mentre andavamo alle prove gli spiegai che Paul era stato licenziato ed io sapevo che c'era bisogno di una mano per montare e smontare l'attrezzatura musicale sul palco: dato che erano i suoi manager a assumere i ragazzi gli chiesi di mettere una buona parola per lui.
Accettò ma mi chiese se sapessi da quanto tempo avevano licenziato Paul
-Non ne ho idea: due, tre giorni al massimo....- risposi.
-Strano-  riprese aggrottando le sopracciglia -ieri sera l'ho visto entrare lì mentre ti accompagnavo in albergo.-
-Potresti esserti confuso con qualcun altro-
-Eppure sembrava proprio lui…-
-Smettila!- esclamai irritata –ti sei confuso, capita!-
-D’accordo, Elisa, non ti scaldare.-
-Hai ragione, scusa, e grazie ancora per ieri sera.-
-Ma figurati.-
Facemmo il resto del viaggio in silenzio.
 
Joe mantenne la parola e Paul fu assunto come aiutante per trasportare gli strumenti; ero felice, perché potevo vederlo più spesso di prima, ma lui non sembrò tanto entusiasta, primo perché avevo chiesto quel favore a Joe e in secondo luogo perché si era accorto che tra me e lui c'erano parecchi abbracci.
Tentavo di rassicurarlo, spiegandogli che eravamo solo amici, e quando lui era in giro mi tenevo a debita distanza, ma non sembrava funzionare.
Lo vidi diventare ogni giorno più geloso: alle prove dell'ultimo concerto di luglio, mentre cantavamo “Fly with Me”, Joe venne vicino a me cantando e mi strinse la mano; vidi Paul salire sul palco incazzato nero e mollargli un cazzotto in pieno volto.
La musica si interruppe subito e due bodyguard afferrarono il mio ragazzo per le spalle:
-Paul sei impazzito?!- strillai -Joe, o mio dio stai bene?- chiesi aiutandolo a rimettersi in piedi.
Lui mi sorrise massaggiandosi la mascella; -Si, sono solo un po' dolorante-
I manager mi congedarono dalle prove perché potessi portare a casa Paul, facendomi capire che non sarebbe più stato il benvenuto.
Cominciavo seriamente a preoccuparmi, perché ultimamente scolava anche sei birre al giorno; quando provai a farglielo notare ebbe uno scatto d'ira che mai avrei immaginato.
-Fatti i cazzi tuoi! Vedo bene che hai altre cose per la testa adesso, come ad esempio vedere quel cantante da quattro soldi di nascosto da me!-
-Ma cosa cavolo stai dicendo? Sei tu quello che sparisce per giornate intere, ed io non ti ho mai chiesto niente!- urlai tra le lacrime: si avvicinò e sentii che il suo alito puzzava di alcol. Afferrò la giacca e uscì dalla stanza sbattendo la porta. Io presi Cheesecake tra le braccia e cominciai a chiedermi come avevo fatto ad innamorarmi di lui.

 

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Capitolo 13
*** Gelosie ***


RULLO DI TAMBURI!!
Sono stata puntuale nel pubblicare il capitolo! (segnatevi la data sul calendario perchè questo evento mistico potrebbe non ripetersi mai più ;)
Allora, allora, ci eravamo fermati ai dubbi che Elisa comincia ad avere su quel simpaticone del suo fidanzato, moolto geloso: cosa succederà questa volta?
Leggete e lo saprete! xP
come sempre vi ricordo che le recensioni sono gradite, anche negative, si può sempre migliorare! :D

un bacio enorme per tutti voi che leggete la fic :*
                BecauseOfMusic_






La sera successiva, dopo le prove Kevin mi prese in disparte e mi disse che gli avevano chiesto di comunicarmi il licenziamento di Paul.
-Lo immaginavo- dissi sconsolata -mi vergogno tanto per quello che ha fatto-
-Non dovresti essere tu a vergognarti, ma lui.-
Vidi che esitava : -Qualcosa non va?-
Sospirò: -Non vorrei sembrare indiscreto, ma pare che il tuo fidanzato abbia un problema con le bottiglie di birra...faresti meglio a portarlo in un centro di recupero, o a tenerlo lontano dal mobile bar.-
-Si, ammesso che mi dia ascolto-
-Onestamente credo che ti farebbe bene staccare un po’ da lui: stiamo andando tutti in un locale a un isolato da qui, fanno il karaoke e il cibo è commestibile. Ti unisci a noi?-
Non avevo alcuna voglia di tornare in hotel, così accettai.
Fuori dal bar ci aspettavano Nick e le altre coriste, ma Joe non c’era.
Al mio sguardo interrogativo Sophia mi rispose: -E’ fuori a cena con Anne, la biondina svampita.-
Mi sembrò di sentire lo stomaco che andava in fiamme, ma decisi di scacciare immediatamente quella sensazione: che diritto avevo di essere gelosa?
La serata fu divertente: Kevin e Nick erano un duo fantastico, credo che se non avessero scelto la carriera musicale avrebbero comunque sfondato nel mondo dei comici; le canzoni del karaoke erano piuttosto datate, ma comunque orecchiabili. Ne cantai qualcuna anche io insieme a Sophia e Lacy, un’altra corista.
Qualche minuto dopo che io e le altre ragazze ci eravamo lanciate in un remake di “Hot Stuff” Joe comparve al nostro tavolo, con la faccia più corrucciata di questo universo; cercai di parlargli all’inizio, poi vidi che non era dell’umore e si era rifugiato in un angolo a parlare con Sophia.
La mia gelosia ricomparve immediatamente, spingendomi a strappare tutti i capelli alla mia amica e cacciarla fuori a calci, ma decisi che non avevo alcun diritto di interferire, così continuai a chiacchierare con Nick e Kevin.
Il maggiore dei fratelli si era bevuto un bel boccale di birra, e andava in giro abbracciando tutti i presenti, un po’ alticcio; abbracciò anche me, ridendo, ma quando si accorse dello sguardo assassino negli occhi di suo fratello mi lasciò andare, facendo una battuta.
-Oh, scusa Elisa, tu sei proprietà privata!-
-A quanto pare.- sibilai afferrando Joe per un braccio e trascinandolo in un angolo.
-Chiariamoci- dissi, prima che potesse protestare –le cose tra me e il mio fidanzato non vanno bene, ma questo non significa che ci siamo lasciati, né che lui abbia un motivo fondato per essere geloso: io e te siamo solo amici, quindi io posso trascorrere la serata con chi voglio e abbracciare chi mi pare e piace senza che tu abbia da lamentarti, chiaro?-
-Non sembrava importarti così tanto di Paul quando mi hai baciato fuori dalla discoteca.- rispose con aria di sfida.
-Santo cielo, ero ubriaca! E oltretutto ero incazzata con lui!- protestai.
-Mi hai baciato, comunque, e se tu ed io fossimo solo amici non ti importerebbe delle occhiatacce che lancio a  mio fratello.- proseguì lui imperterrito.
-Sei stato lontano tutta la sera, hai parlato solo con Sophia ignorandomi completamente..-
Lui mi interruppe: -Allora è questo il problema, non ti ho dato abbastanza attenzione, scusa.-
Rimasi in silenzio per un attimo e decisi che era troppo.
-Sai che ti dico? Litigo già abbastanza con Paul, senza che ti ci metta anche tu.- raccolsi le mie cose, mentre sentivo le lacrime salire agli occhi –grazie per avermi rovinato la serata.-
-Dovere.- mi rispose, tagliente, con un inchino.
Me ne andai sbattendo la porta
 
Mentre entravo in camera Sophia mi chiamò, alzai la cornetta infuriata:
-Scusa, non ho voglia di parlare adesso Soph, pensa a quel simpaticone del tuo migliore amico adesso. Dopotutto sembra che abbia molta voglia di parlare con te.-
Non le permisi di rispondere e chiusi la comunicazione.
Mi abbandonai sul letto, coccolando Cheesecake, cercando di impedire al groppo che avevo in gola di sopraffarmi; mi stavo rendendo conto che potevo sopportare l’idea di litigare con Paul ma non con Joe, e questo mi faceva sentire uno schifo. Non volevo avere quei dubbi, non potevo mentire al mio ragazzo, non potevo essere gelosa di Joe perché preferiva stare con Sophia piuttosto che con me: ecco che sentivo la rabbia montare dentro di nuovo.
Decisi che per cercare di calmarmi ci voleva una bella doccia; quando mi diressi in bagno il telefono squillò ancora.
Risposi senza nemmeno guardare chi fosse: -Ti ho già detto di lasciarmi in pace!- urlai irritata in inglese.
-Scusa, tesoro, è un brutto momento? Ti posso richiamare più tardi?-
Rimasi paralizzata.
-Mamma.-
-Si, Elisa, sono la mamma. Se sei occupata ti richiamo dopo.-
-No, no scusami, credevo che tu fossi un’altra persona. Per te ho tutto il tempo del mondo.- le risposi sedendomi su una poltrona.
-Come sta andando li?-
-Bene.- mentii.
-Paul è lì con te? C’è qui sua madre che vorrebbe salutarlo.-
Aggrottai la fronte: -Mi spiace, non è in camera. Non avevano parlato già ieri?-
-No, tesoro, Serena dice che non lo sente da quando siete partiti all’inizio di giugno.-
Feci mentalmente i conti: com’era possibile che Paul non chiamasse sua madre da più di due mesi?
Con chi faceva allora tutte quelle chiamate intercontinentali?
-Elisa, sei ancora li?- la voce di mamma mi riportò al presente.
-Si, mamma. Tu come stai?-
-Bene, tesoro. Sono stata a parlare con i medici in ospedale…-
Il mio cuore accelerò i battiti: quello era il momento in cui si sarebbe deciso il resto della mia estate.
-Il tumore non si è diffuso, per fortuna, ed è operabile! Lo rimuoveranno qui al policlinico e poi mi trasporteranno a Pavia per delle trasfusioni. Ti ho chiamata proprio per questo.-
Il peso che avevo nel petto da quando era cominciato il tour finalmente si dissolse: mamma avrebbe subito un’altra operazione, tutto sarebbe andato per il meglio.
-Quando ti operano?- chiesi piangendo per la felicità.
-La lista d’attesa non è lunga, sarò di nuovo in sesto per quando verrai a Roma a cantare.- mi disse lei. La immaginavo raggiante, e in quel momento avrei voluto stringerla forte a me: mi mancava quasi come l’aria.
Parlammo ancora per qualche minuto, poi la salutai e mi segnai la data ipotetica dell’operazione sull’agenda.
Guardando l’orologio mi accorsi che erano solo le dieci, credevo di aver trascorso molto più tempo in quel locale con Kevin e Nick.
Il mio telefono vibrò e mi accorsi di aver ricevuto un messaggio da Sophia:
*Ti prego, devo assolutamente parlarti e chiarire questa situazione imbarazzante. Ti aspetto nella hall*
Pensai che avesse ragione, ero stata stupida a prendermela con lei.
 Mi feci la doccia, mi cambiai e prima di uscire lasciai un biglietto a Paul:
 ~ sono fuori con Sophia, quando torno dobbiamo parlare ~
Ero stufa delle sue scuse: doveva raccontarmi tutta la verità.


Nella hall Sophia mi aspettava in compagnia di Joe.
-Non credevo che avremmo avuto compagnia.- le dissi avvicinandomi.
-Non ne avrete infatti.- mi rispose lei con un sorriso.
Scossi la testa decisa: - Non voglio assolutamente parlare con lui, mi ha già detto più che chiaramente quello che pensa.-
Girai sui tacchi e mi diressi verso l’ascensore per tornare nella mia camera, ma lei mi inseguì, fermandomi a metà del corridoio.
-Oggi si è comportato male, ma ha davvero bisogno di parlare con te.- cercò di convincermi.
-Allora perché ti ha usato come tramite? Non poteva chiedermi lui direttamente di parlare?- protestai.
-Saresti venuta lo stesso? Sii sincera.-
-No.- ammisi con un sospiro.
Lei mi diede un rapido bacio sulla guancia e mi spinse di nuovo nella hall:
-Buona serata.-
Raggiunsi Joe, poi ci dirigemmo in silenzio alla sua macchina, parcheggiata fuori.
Per un po’ nessuno dei due parlò, mentre lui guidava io mi limitavo a guardare fuori dal finestrino.
-Mi dispiace per quello che ho detto prima.- disse, rompendo il silenzio nell’abitacolo –ero nervoso per via di una cosa che avevo fatto prima di raggiungervi e dopo la tua reazione non…. ho detto cose che non penso davvero. Scusami.-
-Qualunque cosa fosse successa prima non avevi alcun diritto di comportarti in quel modo.- risposi cercando di rimanere calma.
-Io avevo bisogno di parlare con te di persona, da soli.-
Avevo paura di quello che avrebbe detto, così cercai di fermarlo, ma non me ne diede il tempo.
-Ho lasciato Anne stasera, a cena, perché mi sono innamorato di te e non volevo più mentire, né a lei né a me stesso.
Non so se tu senti la stessa cosa, non ti sto chiedendo di rispondermi adesso, ma se sei certa che non ti interesso in quel modo, ti prego devi dirmelo. Non prenderti gioco di me.-
Rimasi in silenzio per due minuti buoni, durante i quali lui accostò al ciglio della strada.
-Joe, mi dispiace, ma non so cosa risponderti. Io sono troppo confusa in questo momento…-
Mi afferrò una mano e la strinse forte: -Quando capirai quello che provi dovrai essere sincera, ti chiedo solo questo.-
Annuii, mentre cercavo di rallentare i battiti del cuore dopo quel contatto improvviso.
-Beh, è inutile buttare via la serata, vuoi mangiare ancora qualcosa?-
Sorrisi: -Perché no?-
Parcheggiò davanti ad un piccolo locale nelle vie del centro e mi aiutò a scendere dall’auto, poi entrammo e il mondo mi crollò addosso.


* lo so, lo so che sono una personcina cattiva che vi vuole far soffrire fino all'ultimo. (muahahah) ci vediamo settimana prossima :3

 

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Capitolo 14
*** Punto di rottura? ***


Anche quest'oggi sono puntuale!! *applausi*
Dato che sono una persona molto cattiva vi avevo lasciato in sospeso sulla porta del locale con Joe ed Elisa: cosa succederà?
Vi avviso: forse alla fine di questo capitolo mi odierete ancora di più, ma a me piace farvi soffrire, con tanto amore s'intende.
Ricordo come sempre che le recensioni sono graditissime: positive  e negative, come dico sempre si può migliorare.

Un beso grande :*
                                               BecauseOfMusic_





Seduto ad uno dei tavoli, assieme ad un'altra ragazza c'era Paul.
 Non si accorse della mia presenza: la baciò una volta, un'altra e poi ancora e ancora.
Sentii le mie gambe farsi molli e desiderai essere inghiottita dalla terra; Joe, al mio fianco, capì immediatamente che se non mi avesse fermata Paul sarebbe morto nel giro di qualche istante.
Mi afferrò il polso e lo strinse piano:
-Elisa, usciamo, possiamo andare da un'altra parte. Non dobbiamo per forza stare qui...-
Respirai a fondo e lo guardai, con la mente terribilmente lucida:
-Devo solo capire da quanto va avanti così, poi ce ne andiamo: lo prometto.-
Mi lasciò libera, esitante, e rimase vicino per trascinarmi via in caso di emergenza; mi avvicinai al tavolo con il sorriso più gentile che riuscii a trovare e dissi con fare amabile:
-Paul, ma che sorpresa trovarti qui.- lui alzò lo sguardo e diventò di un bianco quasi cadaverico.
Sentii che stavo digrignando i denti dalla rabbia, cominciai ad urlare in italiano:
-Razza di schifoso ipocrita! Sei tu il bugiardo, sei tu quello che mentiva! Non avrei dovuto fidarmi di te, avrei dovuto seguirti e vedere dove andavi, invece come una stupida mi sono fatta abbindolare dalle tue bugie e dai tuoi regali!- Improvvisamente era calato il silenzio nella stanza: la ragazza al suo fianco, una brunetta con le tette completamente esposte al pubblico, si alzò.
Non credevo che avesse capito una sola parola del mio discorso, invece scoprii che era italiana, come noi.
Mi disse con molta tranquillità:
-Credo che tu abbia confuso due persone simili tesoro: lui é il mio ragazzo Paul, italiano, ed è qui per lavorare e imparare la lingua.-
Risi sguaiatamente, ero fuori di me:
-Prima di tutto tesoro lo dici a tua sorella, secondo questo grand’uomo ti ha mentito, esattamente come ha fatto con me:  lui è anche il mio ragazzo italiano, Paul, che mi ha accompagnata qui perché io dovevo lavorare, e lui avrebbe dovuto essere di supporto!-
Lei si sporse in avanti, con aria di sfida:
-Stiamo insieme da un anno noi: non so chi tu sia, ma mi stai rovinando la serata di festeggiamento.-
 
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: ecco chi era la ragazza con cui diceva di essersi preso una pausa da me qualche tempo prima, la ragazza con cui faceva tutte quelle telefonate che io pensavo fossero con sua madre, era sua la responsabilità del naufragio della nostra relazione.
Afferrai il bicchiere pieno di succo d'arancia sul tavolo e glielo gettai in faccia:
-Oh, ma allora felice anniversario cara! Noi stavamo insieme da due anni, ma sono sicura che con te andrà meglio. Vi auguro tanta felicità!-
Prima che perdessi di nuovo il controllo mi affrettai ad uscire dal locale, con Joe alle calcagna, poi entrai nell'auto e la chiusi dall'interno lasciandomi andare ad un magnifico e liberatorio pianto.

-Apri la macchina Elisa! Subito!-
 Joe era furioso, continuava a pestare le mani sul finestrino; mi guardai nello specchietto retrovisore: avevo tutto il trucco colato, il naso arrossato e gli occhi gonfi.
Non potevo ancora credere a quello che era successo: stavo con Paul da due anni, gli avevo confidato ogni più piccolo segreto, e anche lui diceva di aver fatto lo stesso, ma a questo punto non credevo più neppure ad una sola parola. Intanto il mio amico riuscì ad aprire la macchina con la chiave di riserva: si sedette al posto di guida e mise in moto l'auto; io non riuscivo più a parlare: non credevo di poter essere stata così stupida.
Come potevo non essermi accorta di tutti quei segnali?
Compresi che probabilmente era perché credevo ancora di poter rimettere insieme i cocci del nostro fidanzamento, e forse lo credeva anche lui all’inizio. Oppure no?
Aveva deciso di dirmi che mi lasciava quella sera? No, probabilmente non me lo avrebbe mai detto, sarebbe andato avanti a mentire per il resto della vita.
Quando Joe si fermò tre ore dopo eravamo nel parcheggio dell'albergo.
-Non hai detto una sola parola per tre ore di fila.- puntualizzò -è un record-
Mi lasciai andare ad una risata isterica e acquosa: -Lo considererò un complimento.-
-Vieni qui.- mi disse.
Mi circondò le spalle, ed io appoggiai la testa sul suo petto.
Mise una mano tra i miei capelli e mi accarezzò la testa, dolcemente, senza aggiungere altro.
-Potrei baciarti in questo momento.- piagnucolai.
-No.- rispose scuotendo la testa -non saresti tu. Ed io voglio te, non un'altra persona.-
Il mio cuore riprese a battere forte: la mia parte più irrazionale voleva disperatamente baciarlo e affogare il dolore in qualunque modo possibile, ma sapevo che non era giusto nei suoi confronti.
Mi strinse a sé più forte.
-Devo tornare in camera e dormire un po', altrimenti domani non avrò la forza necessaria per venire alle prove.- sussurrai.
-Sicura che non vuoi che ti accompagni?-
Annuii.
-Starò bene.-
<< bugia, bugia, bugia >> cantilenò la mia mente.
 
Quando entrai in camera mi accorsi subito che c'era qualcosa di strano: la stanza puzzava di vomito; pensai di aver sbagliato piano, ma allora la chiave non avrebbe aperto la porta, poi Paul uscì dal bagno, asciugandosi gli angoli della bocca con un fazzoletto di carta.
Per terra accanto al letto c’era una cassa di lattine di birra, quasi vuota: mi ero scordata che aveva ancora la chiave.
Rimpiansi di non aver chiesto a Joe di salire con me.
-Cosa vuoi?- lo apostrofai
-Sono venuto qui per....per...sono venuto per chiarire con te.-
Mi venne incontro cercando di non inciampare nei suoi passi.
 In una situazione normale non avrei sottovalutato i suoi attacchi di rabbia, ma non ero in me neppure io:
-Non c'è niente da chiarire Paul, é finita perché tu sei un lurido bastardo che mi ha messo le corna per un anno intero, mentre io tentavo disperatamente di non buttare alle ortiche la nostra relazione.-
-Ma io ti amo tanto.-
-Non é vero, altrimenti non mi avresti tradito.- affermai funerea.
 -Sei tu che mi hai tradito per prima!- urlò spingendomi con violenza contro il muro -tu hai rovinato tutto stronza! Tu, tu e solo tu! Per colpa tua ho perso anche Lucia!-
Ero paralizzata dalla paura: lui era due volte più forte di me, e oltretutto era ubriaco.
-Se vuoi davvero chiarire lo faremo quando sarai sobrio.- dissi cercando di calmarlo.
A quel punto perse le staffe: -IO NON SONO UBRIACO!- gridò lanciandomi sul letto.
Cercò di strapparmi i vestiti di dosso, ed io resistetti come potevo.
Riuscii a divincolarmi e cercai di raggiungere il telefono, ma lui mi afferrò per i capelli e si sedette su di me, impedendomi i movimenti e ricominciò a spogliarmi.
Ero talmente spaventata che non riuscivo neppure a gridare per chiamare aiuto.
Cheesecake si avventò ringhiando contro di lui, e questo non fece che peggiorare le cose: Paul lo scagliò oltre il letto con un calcio e poi se la prese anche con lui.
Io ero debole, e lo sapevo, ma quando cominciò a picchiare il cane mi gettai addosso a lui come una furia e lo allontanai dal povero corpicino inerme. Lui tornò all'attacco ed io feci scudo a Cheesecake con il mio corpo. Paul continuò a tempestarmi la schiena di calci e pugni per circa dieci minuti,rifilandomi i peggiori epiteti che riusciva a ricordare con il cervello annebbiato.
Poi l'alcol fece effetto del tutto e lui crollò addormentato sul tappeto. 
Il mio cagnolino era ancora privo di sensi, ed io non avevo idea del mio stato di salute. Non sapevo chi altro chiamare, così mi allungai fino al telefono e feci l'unico numero che ricordavo ormai a memoria.


zanzaaaaaaaaaan: chi avrà chiamato Elisa? eheh ve lo dirò Lunedì prossimo (io l'avevo detto che sono cattiva).
ancora un bacio grande :*

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Capitolo 15
*** Non lasciarmi andare ***


Abbiate pieta di un'autrice esausta dopo la giornata del lunedì, che si ricorda solo all'alba delle 22.24 di dover aggiornare la fanfiction.
Niente introduzioni lunghe e noiose come al solito:
godetevi il capitolo e ci ritroviamo a fine lettura.

                                                                        a dopo
                                                                                     BecauseOfMusic_



-Tu sei pazza a non volerlo denunciare Elisa!- sibilò Sophia mentre prendeva le cose dal mio cassetto –avrebbe potuto farti del male seriamente!-
Scossi la testa, mentre un paramedico mi visitava.
Due minuti dopo che l’avevo chiamata, la mia amica si era presentata nella mia camera con un dottore e un agente della sicurezza dell’albergo, che aveva prelevato Paul insieme ad un collega per metterlo in una camera sorvegliata in attesa che io decidessi se denunciarlo o meno.
-Era ubriaco, non aveva idea di quello che stava facendo.-
Lei mi fulminò con lo sguardo: -Non é una scusante! E non pensare minimamente a paragonare questa cosa al tuo bacio con Joe in discoteca perché giuro che ti faccio dormire sul pianerottolo!-
Arrossii, sorpresa che sapesse quello che avevo combinato da ubriaca.
Pensai che avesse ragione, dopotutto io avevo “solo” baciato Joe, non lo avevo picchiato quasi a sangue.
Quando il ragazzo ebbe finito con il bendaggio mi disse con fare sbrigativo:
-Allora, io ho controllato: ad una prima analisi non dovrebbero esserci fratture, ma le conviene andare a farsi visitare domattina al pronto soccorso, dove le faranno le lastre per accertarsene. E a mio parere- concluse chiudendo la borsa dei medicinali -ha ragione la sua amica: lo fermi prima che faccia del male a qualcun altro oltre che a sé stesso.-
Lo ringraziai e poi uscii dalla stanza insieme a Sophia. Avrei dormito da lei per le due sere rimanenti prima del concerto, poi saremmo andati in Italia, per le ultime tappe del tour, ma ancora non avevo il coraggio di chiamare i miei per avvisarli di ciò che era successo. 
Cheesecake ci seguì zoppicando un po’: non ostante il volo che Paul gli aveva fatto fare se l’era cavata solo con una storta a una zampa, che sarebbe guarita grazie al bendaggio.
Misi il pigiama e mi infilai a letto, ma mi resi conto che non potevo stare sdraiata sulla schiena, faceva troppo male: la mia amica mi aiutò a sistemarmi meglio, poi disse:
-Domani ti alzi e come prima cosa corri al pronto soccorso, ti fai visitare e poi vai anche al commissariato dove sporgi denuncia contro quel simpaticone.-
-Non posso! Domani è il penultimo giorno prima del concerto, non ho alcuna intenzione di saltare le prove.- dissi.
-Stai tranquilla, ci penso io ad avvisare i manager. Voglio proprio vedere come reagirà Joe.- commentò lei.
-Frena subito l’entusiasmo, Soph, tu non dirai proprio niente a nessuno, men che meno a Joe, chiaro?-
-Ti rendi conto di cosa stai dicendo Elisa? Paul ti ha picchiato e tu non vuoi che si sappia!- protestò.
-Non voglio che lui si senta in colpa per non avermi accompagnato in camera, non poteva saperlo!-
-Ma…-
-Niente ma. Non dovrai giustificarmi con nessuno perché domani io sarò alle prove, fine della discussione.-
Decise di darmela vinta per il momento e spense le luci.

Il mattino dopo a teatro nessuno sembrava sapere quello che era successo, ma avevo l’impressione che ogni persona che incontravo mi guardasse con un misto di pietà e commiserazione, così camminai tutto il giorno a testa bassa.
Sophia veniva da me ogni dieci minuti per cercare di convincermi ad andare in ospedale, anche se io rifiutavo continuamente.
Le prove non andarono bene, facevo fatica a respirare e sbagliavo continuamente tonalità.
Joe aveva notato le occhiate preoccupate che mi lanciava Sophia, così durante una pausa mi venne vicino:
-E’ successo qualcos'altro ieri?-
Scossi la testa e sospirai, mi fece male tutto il torace -No, non devi preoccuparti, ho solo dormito poco per via di Paul. Qualche giorno e tornerò in forma.- In fondo non era una bugia.
Sorrise raggiante -Bene, perché ho un sacco di cose da mostrarti quando faremo tappa a Parigi.-
Nel dirlo mi diede una pacca tra le scapole.
Il dolore fu troppo forte perché riuscissi a trattenere un grido, e lui arretrò spaventato: Sophia accorse subito e lo guardò malissimo:
-Cosa le hai fatto?-
-Le ho solo dato una pacca sulle spalle.-
La mia amica mi venne vicino cercando di calmarmi, mentre continuava a sbraitare contro Joe.
-Ma sei scemo? Dopo quello che é successo?-
Piangevo dal dolore, non riuscivo a controllare le lacrime, ma intanto cercavo di impedirle di parlare, continuando a scuotere la testa.
Arrivarono anche altre persone a vedere cosa stava succedendo.
-Di cosa parli?-
Sophia si girò verso Kevin.
-Non gli hai detto niente.-
-Pensavo che volesse parlargliene lei...- si giustificò in un’alzata di spalle.
-Qualcuno vuole spiegarsi?!- urlò Joe, sempre più confuso.
 Sophia mi portò in uno dei camerini, lui ci venne dietro.
-Adesso tu gli racconti tutto, perché lui merita di sapere, mi hai capito?- disse mentre mi aiutava a sedermi con delicatezza.
Io continuavo a scuotere la testa, cercando di asciugarmi le lacrime.
-Non ti devi vergognare se il tuo ragazzo era uno stronzo schifoso, non dipendeva da te.- disse con voce amara.
Non ne ero del tutto convinta ma appena cercai di parlare il mio torace si infiammò di nuovo, come se cercasse di comprimermi i polmoni, così rinunciai.
Quando fu uscita Joe mi fissò negli occhi, spaventato e arrabbiato insieme:
-Di cosa stava parlando?-
Scossi la testa: -Niente di davvero importante.-
-Devo chiederlo a Sophia allora?-
-No.- mormorai.
-Cos'hai fatto alla schiena? Cos’altro è successo ieri sera?-
Provai a parlare, ma avevo difficoltà a respirare.
-Ieri, quando sono rientrata in camera, Paul mi aspettava, era ubriaco: diceva di voler chiarire la situazione, di amarmi tanto...- Joe rimase fermo in piedi, ma serrò i pugni –io non sono riuscita a controllarmi, ero troppo arrabbiata, l’ho insultato. Lui mi ha spinto contro il muro e allora ho cercato di calmarlo, dicendogli che avremmo parlato solo quando fosse stato sobrio. Credo che questo lo abbia fatto infuriare ancora di più: lui..-
Non riuscii a continuare: era troppo umiliante e faticoso.
Joe mi si sedette accanto mi sollevò delicatamente la maglietta, fino a scoprire le fasciature.
-Ti ha picchiata- commentò con voce atona.
Sentivo le sue mani tremare mentre scorrevano sulle bende.
 -Quel lurido bastardo ti ha picchiata!- imprecò.
Ricominciai a piangere, spaventata: non volevo che si arrabbiasse.
-Scusami, Elisa.- mi disse lui abbassando nuovamente la maglietta e abbracciandomi con delicatezza: le sue braccia mi calmarono istantaneamente.
-Sei già stata in ospedale a farti controllare?-
Scossi di nuovo la testa, parlare era troppo faticoso.
-Cosa? Allora ci andiamo immediatamente.-
-Ma, le hai le prove, non puoi mancare…- balbettai.
-Possono aspettare: vieni prima tu per me.-
Arrossii.
 
Al pronto soccorso il medico mi fece tutti gli esami necessari e mi informò che avevo due costole incrinate ma niente di rotto, per fortuna, e mi prescrisse una terapia di antidolorifici di circa un mese.
Gli chiesi se erano prodotti anche in Italia e poi lo ringraziai per il suo aiuto.
Anche se Joe era contrario decisi di non denunciare Paul: non volevo vederlo mai più.
Mentre tornavamo in albergo mi chiese, sospettoso, come mai avessi chiesto se il farmaco che mi avevano prescritto ci fosse anche in Italia.
-Beh, terminato il tour non tornerò in America e mi chiedevo se dovessi prendere qualche altro farmaco o se posso proseguire con quelli che ho comperato qui.-
Lui mi fissò dispiaciuto: -E la promessa che mi hai fatto?-
-La manterrò, ma in Italia Joe, non voglio più stare lontana dai miei genitori, soprattutto in un momento come questo.-
Lui annuì mentre parcheggiava.
Senza preavviso mi circondò con le sue braccia e posò la fronte nell’incavo del mio collo.
-Grazie per ieri sera, e per oggi...insomma per tutto quanto.- dissi.
Joe mi diede un bacio sulla fronte e mi strinse a sé
-Non mi importa se vuoi tornare in Italia, non ti lascerò andare tanto facilmente.-
Sorrisi, contenta che lo avesse detto: -Non voglio che tu lo faccia.-




*Capitolo piaciuto? spero che me lo diciate con una bella recensione! Lo ripeto sempre: anche le critiche sono bene accette, mi servono a migliorare: vi aspetto :D

BecauseOfMusic_

 

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Capitolo 16
*** Anche se c'è la luce le ombre non spariscono ***


HERE I AM BABE!! Nuovo capitolo, puntuale anche questa settimana (oh wow, ci sono riuscita anche questo lunedì!).
Spero di avere nuove recensioni, ricordo che anche le critiche sono accette purchè costruttive: ci rivediamo lunedì prossimo, besitosss :*

BecauseOfMusic_


Nei giorni successivi Joe divenne la mia ombra: tentai di convincerlo che non c’era bisogno che mi accompagnasse ogni sera fino alla porta della camera d’albergo, ma non ci fu verso di convincerlo, e alla fine non mi dispiaceva il fatto che fosse protettivo con me.
Passavo ormai così tanto tempo con lui che era diventato una presenza fissa nella mia giornata: il primo pensiero al mattino e l’ultimo messaggio prima di dormire la sera, di qualunque ora si trattasse; dove andavo io c’era lui, cercava di non allontanarsi mai troppo, e durante le pause sedevamo sempre vicini.
-Dovreste finirla con questo tira e molla e mettervi insieme.- mi disse Sophia mentre ci cambiavamo in camerino dopo le prove. Quasi caddi per terra, sorpresa da quanto fosse stata diretta.
Al mio sguardo stupito rispose con un sospiro:
-Non so cosa vi siate detti la sera in cui poi Paul ti ha usato come sacco da boxe, però so questo: Joe è un bravo ragazzo, ha sofferto tanto per via di Anne, che si è rivelata una stronza mondiale, non merita di stare male di nuovo. Se ti ha messo il suo cuore tra le mani, come sospetto che abbia fatto, non giocarci. Se consideri Joe come un grande amico diglielo ora, se invece pensi che tra voi ci sia davvero qualcosa di speciale…-
-Vorrei che fosse così facile, ma io poi tornerò in Italia, comincerò l’ultimo anno di università, e non so cosa siamo noi adesso.-
Lei si avvicinò, posandomi una mano sulla spalla:
-Devi decidere se è qualcosa per cui vale la pena rimanere.-
Feci un sorriso mesto e uscii in fretta, scappando non da lei, ma da una decisione che avevo paura di prendere.
Joe mi aspettava fuori dal palazzetto in cui avremmo fatto il concerto, e sembrava molto nervoso.
-Come mai quella faccia?- gli chiesi cercando di apparire allegra –dobbiamo solo andare a mangiare qualcosa, non è un appuntamento!-
Non rispose alla mia battuta: -Andiamo a fare un giro, ti va? Devo parlarti.-
Accettai, preoccupata dal suo tono di voce.
-Cosa succede?- gli chiesi mentre ci incamminavamo verso il centro.
-Nick si è ammalato, è uscito sudato dalla palestra dell’albergo e l’aria condizionata in camera gli ha fatto venire il mal di gola. Stasera non canterà, ci accompagnerà semplicemente con gli strumenti, canterò da solo.- rispose.
-Non capisco dove sia il problema.- ribattei perplessa –in fondo non è la prima volta che canti davanti a tante persone.-
-Ma cantare senza Nick in concerto…potrei fare brutta figura, e per la band sarebbe una pessima pubblicità!- disse in tono sconsolato.
Mi fermai di botto in mezzo alla strada e scoppiai a ridere.
-Questa è la più grossa stupidaggine che io ti abbia mai sentito dire e, per inciso, ne dici tante.-
-Ma grazie Elisa, tu si che mi sei di aiuto. Mi sento davvero molto meglio.- mi rispose sarcastico.
Mi avvicinai di nuovo a lui e gli afferrai le mani, abbandonate lungo i fianchi:
-Joe tu non puoi avere paura di cantare! Pensi che a qualcuna delle persone che saranno li a vederci domani sera importerà se sbagli a prendere qualche nota?-
I suoi occhi fissavano l’asfalto senza vederlo:
-Ehi!- lo scossi –andrà alla grande.-
Mi sorrise mesto e mi abbracciò stretta, mentre il mio cuore accelerava i battiti.
Tornammo all’albergo dopo le prove e ci salutammo sulla soglia della mia stanza, ci saremmo rivisti più tardi a cena, insieme a tutti gli altri.
Mi stesi sul letto a guardare un po’ di tv e il mio cellulare squillò; risposi senza controllare di chi fosse il numero.
-Ciao, sono io.- mi si gelò il sangue nelle vene.
-Paul, cosa vuoi?- chiesi cercando di non andare nel panico.
-Solo parlare, ti prego, non spaventarti. Lo so che non vuoi vedermi, né sentirmi, ma ho bisogno di parlare con te. Devo scusarmi per tutti i casini che ho combinato e non ho scuse per….per quello che è successo l’ultima sera: mi vergogno tanto.-
-Onestamente Paul, voglio lasciarmi tutto alle spalle.- risposi.
-Lo capisco, solo che non voglio perderti per un mio errore: Elisa prima di tutto questo io e te stavamo bene insieme, ci amavamo. Io ancora non ti ho dimenticata e nel profondo anche tu sai di non avermi dimenticato.-
-No, ti sbagli. Ormai noi siamo storia passata, devi capirlo e andare avanti.-
Chiusi la telefonata senza dargli tempo di replicare, perché avevo paura; tuttavia decisi di non dirlo a nessuno per il momento.
< è andato via. > mi dissi < non può più farti del male. >
 
Più tardi mentre mangiavamo al ristorante dell’albergo Joe tornò alla carica, cercando di convincermi a tornare con lui negli states, disturbato dal mio telefono che continuava a squillare; decisa ad ignorare Paul lo spensi.
-Mancherebbero ancora due settimane prima dell’inizio dei corsi! Ci sono ancora tante cose che voglio mostrarti!-
-Non so Joe, mi piacerebbe venire, ma voglio anche stare vicino a mia madre.-
-Io lo capisco, ma la promessa che mi hai fatto?-
-La manterrò: una promessa è una promessa, ma tenterò di sfondare come solista qui in Italia.-
-Se tu non vuoi venire allora resterò io!- disse deciso.
-No, non posso chiederti una cosa simile: tu hai la tua vita, i tuoi amici… non sarebbe giusto chiederti di rinunciare a tutte quelle cose.-
-Ma anche tu fai parte della mia vita, Elisa.-
Lo abbracciai per far sì che smettesse di parlare.
 
La sera successiva, mi cercò prima dell'inizio del concerto: sembrava un cerbiatto abbagliato dai fari dell'auto che sta per investirlo, non lo avevo mai visto così.
-Stai tremando, sei sicuro di stare bene?-
-No, non sto affatto bene. Lo so che andrà tutto malissimo, mi rideranno dietro per il resto della mia carriera.- continuava a guardare verso il palco, agitandosi ogni volta di più quando la folla chiamava il suo nome.
Lo costrinsi a guardarmi prendendo il suo viso tra le mani
-Tu sei bravissimo a cantare, lo fai da tanto tempo, e non hai mai avuto attacchi di panico. Non permettere alle tue paure di vincere, Joe.-
Lui poggiò le labbra sulla mia fronte, inspirando a fondo.
Mi vennero i brividi al contatto.
Lui si allontanò dicendomi:
-Grazie, senza di te adesso sarei in bagno a vomitare.-
Colmai la distanza che c’era tra noi, lo baciai, cogliendolo di sorpresa.
Un angolino della mia mente esultava, felice di averlo potuto avvicinare ancora così, dall’altra parte mi sentivo malissimo, perché lo stavo baciando solo per dargli abbastanza coraggio da salire sul palco e cantare senza Nick.
< Elisa senza cuore, Elisa senza cuore > cantilenava la mia parte più cinica.
Di colpo mi lasciò andare:
-Questo….questo cosa significa?- chiese scuotendo la testa, confuso.
Pensai che l’arma migliore fosse la verità in quel caso, o almeno una mezza verità:
-Non mi importa niente del resto del mondo: questa sera ci siamo solo tu ed io. Sei quello di cui ho bisogno per stare bene: non lo so se è amore, non voglio mentirti, ma per una sera, questa soltanto voglio essere felice.-
Si avvicinò di nuovo, ma Kevin lo interruppe, qualunque cosa avesse intenzione di fare, afferrandolo per un braccio e trascinandolo sul palco.
-Dopo parliamo!- mi gridò.
Annuii seguendo le altre coriste.
Alla fine del concerto mi sarebbe venuto a cercare, e avrei dovuto spiegargli il perché di quel bacio; forse mi stavo innamorando sul serio, e cominciavo a credere che fosse possibile stare insieme a lui.
Glielo avrei detto, insieme avremmo deciso cosa fare, e magari ci sarebbero stati altri baci, dei progetti insieme; sapevo che lui aveva bisogno di quel bacio per dare il massimo sul palco, ed io avevo bisogno di lui quella sera per essere felice, solo una volta.
Ero quasi sicura di amarlo, come ero altrettanto sicura che non glielo avrei lasciato capire, se questo significava allontanarlo dalla sua carriera, dalla sua vita.
Ero felice e triste allo stesso tempo perché tutti i miei dubbi e le mie paure se ne erano andati.

 

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Capitolo 17
*** Nuovi guai ***


SALVE GENTE!! Lo so che sono imperdonabile perchè non ho pubblicato settimana scorsa ma il capitolo non era pronto, e non volevo scriverlo in fretta per farlo male.
Non aggiungo niente e ci rivediamo a fine capitolo, come sempre ricordo che le recensioni sono gradite, anche quelle negative sono beneaccette.
Buona lettura muchachos!! :*
BecauseOfMusic_

Joe se la cavò egregiamente sul palco: sapevo che le sue paure erano assurde, e cominciavo a pentirmi di averlo baciato, mi tornavano in mente le parole di Sophia: “se ti ha messo il suo cuore tra le mani non giocarci.”
Ero stata una stupida, ingiusta con lui che mi aveva detto apertamente di amarmi.
Dopo il solito ringraziamento al termine del concerto lo vidi venire verso di me: guadagnai rapidamente la porta, decisa a evitarlo fino a che non avessi avuto le idee più chiare sul da farsi.
Sophia mi chiamò diverse volte, mentre erano tutti fuori a festeggiare, mentre io mi ero chiusa nella camera d’albergo:
-Sicura che non vuoi venire qui? E’ davvero un bel posto, Elisa, ti piacerebbe.-
Le dissi che ero stanca. Non ci credeva, lo intuivo dal suo tono di voce, ma non insistette.
Anche Paul continuava a tempestarmi di chiamate e messaggi, ma seguitavo ignorandolo.
 
Il giorno successivo Joe venne a bussare alla mia porta.
Gli aprii mentre il telefono squillava incessantemente, abbandonato nella borsa.
-Cos’è successo ieri sera? Sei scappata via…-
-Onestamente non sapevo cosa fare, io…-
Mi interruppe: -Ti prego non farlo, Elisa, non tirarti indietro adesso.-
Cercai di sostenere il suo sguardo, ma non ne ero in grado:
-Non mi sto tirando indietro, solo che mi sento male per quello che è successo ieri: non avrei dovuto baciarti.-
-E’ stato così brutto?- mi domandò stupito. Percepivo una nota di disperazione nella sua voce.
-No: ma onestamente ho paura.-
-Paura di cosa? Di quello che tu ed io potremmo essere se tu la smettessi di giocare con me?- era esasperato, ma quello che disse mi fece male.
-Io non sto giocando! Me lo hai chiesto tu di essere sicura!-
Mentre discutevamo il telefono non aveva smesso neppure un istante di squillare, così lui lo ripescò dalla borsa dicendomi:
-Vuoi rispondere, una buona volta?-
Poi vide il nome sul display e la sua espressione mutò.
-Lo senti ancora?-
-No. Assolutamente no, è stato lui a chiamarmi ieri pomeriggio.-
-Perché non me lo hai detto? Cosa vuole ancora da te?- vedevo che si sforzava di restare calmo.
-Ho pensato che non fosse importante, insomma, gli ho già detto chiaramente che non voglio rivederlo più…credevo avesse capito…- risposi.
-E’ questo che vuole? Vederti ancora?Dopo tutto quello che ti ha fatto?-
Mi sedetti sul letto:
-Si.-
Si sedette accanto a me, e mentre spegneva il telefono mi disse:
-Non andare. Lo so che ci stai pensando: ti conosco abbastanza da sapere che lo perdonerai per quello che ti ha fatto, ma ti prego: non andare da lui, mai più.-
Si voltò a guardarmi, troppo vicino perché riuscissi a fermarlo se avesse deciso di colmare la piccola distanza tra noi, forse non lo volevo nemmeno:
-Mai più.- promisi.
 
Qualche ora più tardi un impiegato dell’hotel chiamò in camera avvisandomi che avevo una visita.
La band era andata a fare un servizio fotografico, quindi non poteva trattarsi di Joe o dei suoi fratelli, nemmeno di Sophia perché sapeva quale fosse la mia stanza; continuando a fare ipotesi su chi potesse essere mi diressi nella hall.
Ad aspettarmi, seduta su un divanetto rosso c’era una ragazza bionda: indossava un vestito estivo molto leggero e largo, dai colori pastello, che faceva risaltare la sua carnagione abbronzata. Quando mi vide arrivare si alzò in piedi ed io rimasi di sasso: non l’avevo riconosciuta da lontano, ma era indubbiamente Anne, e sotto il vestito si intravedeva benissimo la forma di un pancione.
-Cosa….tu…perché sei qui?- dissi tentando di resistere alla tentazione di fuggire via.
-So che non mi conosci, ma ho bisogno di aiuto, e tu sei l’unica in grado di darmi una mano.- rispose sbrigativa –possiamo parlare in un posto tranquillo?-
-C’è un caffè dietro l’angolo…- balbettai.
-Andrà benissimo.-
Pochi minuti dopo eravamo sedute ad un tavolino: lei sorseggiava un milkshake mentre io guardavo a terra sperando che fosse un incubo.
-Joe lo sa che sei…-
-Incinta? Si, gliel’ho detto la sera in cui poi ha deciso di lasciarmi. Eravamo al ristorante ed è scappato via.-
Mi tornò alla mente la sua faccia scura al locale: si era isolato in un angolo a parlare con Sophia.
<< lei lo sapeva! >> compresi << lo sapeva e non me lo ha detto! >>
Mi sentii tradita da quella che consideravo ormai un’amica fidata e anche da Joe: come poteva aver abbandonato una donna che sapeva aspettare un figlio suo?
-So che Joe mi ha lasciato a causa tua. A te darà ascolto: voglio che mio figlio cresca con suo padre.-
-Non posso parlare con lui di questo, Anne, non me ne ha mai fatto cenno.- balbettai.
Mi afferrò una mano e cominciò a implorarmi:
-Lui darà ascolto solo a te, lo so. Ho visto come ti guardava quel giorno sulla spiaggia, esattamente come guardava me all’inizio della nostra storia.-
Qualcuno aveva afferrato il mio cuore e lo aveva stretto in una morsa gelida; non volevo rovinare il futuro di quel piccolo esserino che ancora non era venuto al mondo.
-Non posso prometterti niente, ma ci proverò, se può servire a qualcosa.-
Mi sorrise: -Ti ringrazio. Sapevo che non mi avresti abbandonato come ha fatto lui.-
Mi alzai e feci per andarmene, ma mi fermò:
-Ci rivediamo qui tra due giorni?-
Annuii, con il cuore che sprofondava.
 
Rientrata in albergo corsi in camera e mi infilai sotto il getto d’acqua calda della doccia, sperando di schiarirmi un po’ le idee; in un certo senso riuscivo a capire che Joe non me ne avesse parlato, in fondo non stavamo certo insieme, non era obbligato a dirmelo, ma Sophia, che mi aveva fatto sentire male nei confronti di Joe, che mi aveva detto di non giocare con i suoi sentimenti…
Lei sapeva che Joe aspettava un bambino da un’altra e non me ne aveva mai parlato!
Finita la doccia mi cambiai e mi truccai: avevo bisogno di pensare ad altro, uscire e svagarmi un po’, da sola o in compagnia non faceva differenza.
Mentre aspettavo davanti all’ascensore fui raggiunta da Sophia:
-Ehi, ti ho chiamato tutto il giorno! Si può sapere dove sei sparita?-
-Ho il cellulare spento.- replicai gelida.
<< se non volevi farle capire che c’era qualcosa che non andava ci sei proprio riuscita, complimenti! >> mi dissi.
Mi guardò preoccupata e si avvicinò:
-Che succede?-
In quell’istante si aprirono le porte dell’ascensore e ne emerse Joe.
-Bene, oggi è la giornata delle coincidenze allora!- esclamai  in italiano.
Sia lui che Sophia avevano una faccia alquanto perplessa, ma prima che potessero anche solo provare a calmarmi li afferrai entrambi per un braccio e li trascinai nella mia camera.
-Ma cosa succede?- chiese Joe, una volta che mi fui chiusa la porta alle spalle.
-Oggi ho visto Anne e….-
-Sicura che fosse lei? Ci sono tante ragazze bionde che le somigliano.- mi interruppe Sophia.
-Si. Era lei.- risposi acida- Ci siamo sedute al tavolino di un bar a chiacchierare: indossava un vestito molto carino, dalla forma molto interessante: riusciva a nascondere benissimo la gravidanza!- il tono della mia voce era salito di un quasi un ottava ad ogni parola.
Nessuno dei due osava più guardarmi.
-Elisa io…- cominciò Joe.
-Ti prego non dire niente, è molto meglio se taci. Dopo tutto quello che mi è successo quest’estate con Paul, l’ultima cosa di cui avevo bisogno erano altre bugie. Posso capire perché tu non me lo abbia detto, in fondo non sono affari miei, ma la tua intenzione era davvero quella di cominciare qualcosa di nuovo con me? Chi mi garantisce che non fosse per dimenticare lei e la gravidanza?- lo interruppi.
-Non ti farei mai una cosa del genere.- rispose.
La mia attenzione si spostò su Sophia:
-Tu invece sei un’ipocrita fatta e finita: mi hai detto che non dovevo giocare con i sentimenti di Joe, mi hai fatto sentire una merda ogni volta che l’ho baciato! Tu conoscevi un segreto che avrebbe potuto aiutarmi a scegliere tra restare e andarmene ma hai preferito rimanere in silenzio e guardarmi stare male: che schifo di amica sei?-
Stava per rispondere quando Joe si alzò in piedi e le chiese di lasciarci soli.
-Non te ne ha parlato solo perché gliel’ho chiesto io. Voleva che te lo dicessi fin dalla sera in cui lo avevo saputo da Anne; le avevo già confidato quello che provavo per te: mi ha quasi convinto, ma poi ho visto Kevin abbracciarti e ho pensato a come sarebbe stato se te lo avessi raccontato: ti saresti allontanata per permettermi di fare il papà. Non volevo che quel bambino si mettesse tra noi.-
-Non so se c’è più un noi Joe. Ho bisogno di capire cosa voglio fare: ho visto cosa succede alle relazioni finite per via di una terza persona; nel tuo quadretto familiare l’intrusa sono io.-
Si avviò alla porta, e con la mano sulla maniglia mi disse:
-Prenditi tutto il tempo che ti serve. Ad ogni modo mi sembra di avertelo già detto: non ho intenzione di lasciarti andare tanto facilmente. Non voglio rimpiangere di non aver tentato tutto per tenerti con me.-
Se lo avessi sentito dire quelle parole poche ore prima gli avrei detto che non c’era nessun’altro al mondo con cui volevo stare, sarei rimasta con lui in America; invece lasciai che uscisse dalla stanza, poi mi accasciai sul letto e osservai il soffitto in silenzio fino a quando fui troppo stanca per tenere gli occhi aperti.



* rieccoci! Ho preso i vostri cuoricini gentili che palpitavano già di contentezza per la coppia JoexElisa e li ho frantumati in mille pezzettini piccoli piccoli?
muahahah bene, volevo fare proprio quello!! A settimana prossima :* 

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Capitolo 18
*** Partire o restare? ***


Salve lettori!!
Lo so, ho saltato un appuntamento lunedì, ma le cose che devo fare sono tante, e ho un po' dimenticato questa ff ):
Anyway sono di nuovo qui e ho il nuovo capitolo!
So che rispetto ad altri pubblicati vi sembrerà un po' più breve, ma spero vi piacerà lo stesso.

           Ci vediamo in fondo, a fine capitolo: BUONA LETTURA!

                                        BecauseOfMusic_



Il mattino successivo chiamai il tour manager e gli dissi che mi sentivo male, quindi non sarei andata alle prove, poi mi infilai sotto il getto della doccia, misi una tuta da ginnastica e ordinai la colazione in camera.
Joe mi chiamò sul cellulare diverse volte, ma non volevo rispondergli: sapevo che se lo avessi lasciato parlare lui mi avrebbe convinto a restare.
Una parte di me sperava davvero che fosse solo un brutto sogno, che mi sarei svegliata e mi sarei accorta che Anne non era assolutamente incinta emi sarei data della stupida per averci anche solo pensato; d’altro canto sapevo che, invece, non era affatto un sogno, ed io non avevo alcun diritto di negare a quel bambino di avere una famiglia felice.
<< magari non l’amerà >> mi dissi pensando a Joe e Anne << ma è giusto che lui faccia il padre, non può lasciarla da sola >>
Passai la mattinata a fare zapping, continuando a pensare a come fare per salvare allo stesso tempo la futura famiglia di Joe e il mio cuore, già ridotto in mille piccoli pezzi.
Verso mezzogiorno Sophia venne a bussare alla mia porta:
-Elisa, lo so che non stai dormendo, ti prego apri, devo parlarti.-
Non le aprii, ma non si arrese.
-Mi dispiace non averti detto prima di Anne, ma Joe non era nemmeno sicuro che fosse vero: la stava lasciando per te, ha pensato che fosse una scusa per convincerlo a non andarsene, anche i suoi fratelli erano d’accordo con lui, nessuno di noi aveva idea che stesse dicendo la verità! Apri Elisa, andiamo!-
Rimase sulla soglia altri cinque minuti, poi se ne andò.
Nel primo pomeriggio, poi, chiamai Anne e le dissi che avevo parlato con Joe:
-Grazie, sei stata gentilissima. Ora però avrei un ultimo, grande favore da chiederti.-
-Dimmi.-
-Se tu rimanessi per me e Joe non ci sarebbe speranza di riavvicinarci. So che è brutto sentirselo dire, e non vorrei sembrare una carogna, ma dovresti andartene.- rimasi in silenzio, pietrificata.
-E’ il tuo modo carino per dirmi che devo levarmi dai piedi?- dissi, infastidita.
-No, è il mio modo per chiederti di dare la possibilità a mio figlio di crescere con un padre.-
Aveva ragione. Chiusi la chiamata e cominciai a fare le valigie.
 
Circa mezz’ora dopo, mentre ero in taxi il mio cellulare squillò.
-Dove sei? Alla reception c’era la tua lettera di dimissioni. Dove stai andando?-
-Torno a casa Joe, è l’unico modo in cui tu e Anne avrete una possibilità.-
-Ma Elisa io non voglio una possibilità con Anne! La voglio con te!- il mio cuore prese a battere all’impazzata.
-La vorrei anche io, ma sembra che il destino abbia altri piani. Non potrei vivere sapendo di averti portato via a quel bambino.-
-Fermati, ti prego, aspettami: possiamo trovare una soluzione insieme.-
Stavo cominciando a vacillare, lo sentivo: l’idea di fermarmi e di aspettarlo era allettante. Mi avrebbe convinta che restare era la cosa migliore, e non era la realtà.
-Non esiste un’altra soluzione.-
 
All’aeroporto comprai un biglietto per un volo last minute diretto a New York, da li sarei ripartita il mattino dopo per tornare a casa.
Dato che l’aereo partiva solo un’ora più tardi decisi di fare il check-in e aspettare l’imbarco in un piccolo bar vicino al gate.
Mentre sorseggiavo il caffè che avevo appena ordinato sentii una voce maschile alle mie spalle:
-Macchiato senza zucchero? E’ coraggioso da parte sua!-
Mi voltai: -Ci conosciamo?-
L’uomo che mi aveva rivolto la parola era di poco più alto di me, capelli castani e occhi chiari; aveva un accenno di barba sul volto ed era vestito in modo molto curato; scosse la testa:
-No, mi scusi, ma io detesto il caffè amaro, mi lascia un fastidioso saporaccio in bocca e mia moglie rifiuta di baciarmi.- concluse ridacchiando.
Lo osservai perplessa: non doveva avere più di trent’anni.
-Così giovane già sposato?-
Sorrise: -Lei era già l’amore della mia vita al liceo: che senso aveva aspettare? Dopo il college ci siamo sposati.-
-Beati voi.- risposi di rimando.
-Problemi di cuore?- domandò mentre gli facevo spazio al mio tavolino.
-Troppi a dire il vero.-
-Ha bisogno di un compagno di bevuta di caffè?-
Risi: -No, grazie, preferisco non parlarne affatto.- diedi uno sguardo all’orologio –e poi adesso devo imbarcarmi, mancano solo dieci minuti al decollo.-
-Aspetti sta partendo? Credevo che fosse appena arrivata, come me.-
Scossi la testa: -Mi spiace deluderla, ma sono in partenza per New York, anzi sto per perdere l’aereo.-
-Un momento solo per favore!- mi implorò afferrando il braccio –
Estrasse una foto dalla tasca del giubbotto, dicendo: -C’è stato un momento in cui io e mia moglie abbiamo scoperto che non avremmo potuto avere figli, ed abbiamo deciso di provare a cercare una madre in affitto.-
-Oh, mi spiace per voi ma..-
-Ancora un istante! Abbiamo incontrato questa ragazza a Detroit che si è detta disposta ad aiutarci, in cambio di denaro, ma al sesto mese di gravidanza è scomparsa con i nostri soldi e nostro figlio; ci aveva detto che era originaria di qui, che sarebbe venuta a trovare i genitori e sarebbe rientrata nel giro di una settimana, ma  non è più tornata.- Aveva uno sguardo disperato.
La mia valigia era già imbarcata, per me in America non restava più niente, ma se anche fossi rimasta qualche giorno in più per aiutarlo a ritrovare quella ragazza non sarebbe cambiato nulla della mia situazione: Joe avrebbe pensato che me ne fossi andata per sempre. Impedii ai miei pensieri di deviare in zona Joe e chiesi al mio interlocutore:
-Come si chiama?-
-Sally, ha detto di chiamarsi Sally, ma non ricordo il suo cognome…-
-Se sa solo il nome sarà quasi impossibile ritrovarla. Posso vedere la foto?-
Quando vidi la ragazza il mio cuore si fermò.
-Non è possibile!-
-La conosce?- mi chiese speranzoso.
-Sì, ma ora non ha più i capelli mori, è bionda.-
-Ha idea di dove possa essere?-
Sorrisi: -Ci conviene sbrigarci.-




*Ma chi c'è nella foto? Lo scoprirete (forse) nel prossimo capitolo! A presto e besitossss :*

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Capitolo 19
*** Chi di bugia ferisce di bugia perisce. ***


SALVE A TUTTI!
Lo so, lo so sono assolutamente imperdonabile perchè ho praticamente lasciato la storia sospesa, e mi dispiace da morire per questo, però ho davvero una marea di cose da fare, per consolarvi vi lascio il nuovo capitolo.
Un bacio grandissimo e buona lettura! 
BecauseOfMusic_


Corsi al banco del check-in e chiesi che il mio bagaglio non venisse imbarcato sull’aereo, poi, con il mio nuovo amico alle calcagna, ci dirigemmo verso l’uscita dell’aeroporto.
-Non mi sono presentato comunque: Jason.- mi disse trafelato.
-Elisa.-
Mentre stavamo per guadagnare l’uscita qualcuno mi afferrò il braccio, rischiando di farmi andare a sbattere contro le porte a vetri:
-Ehi, ma che diavolo..?-
Sophia non mi fece terminare la frase, serrandomi in un abbraccio.
-Non andare, ti prego.- continuava a ripetere –mi dispiace non avertelo detto subito, sono una cretina, lo so.-
-Elisa!- mi chiamò Jason –Ma che fai?-
Cercai di liberarmi dalla stretta ma non ci riuscivo:
-Lui chi è?- disse lei con cipiglio irritato
-Soph ti presento Jason, Jason lei è Sophia.-
Finalmente mi lasciò andare per stringere la mano al ragazzo che le avevo presentato.
-Perché stavate correndo verso l’uscita?- mi chiese ancora più perplessa.
-Vieni con noi – le risposi riprendendo a camminare –Jason ti mostrerà la foto intanto.
 
Il taxi che aveva portato Sophia all’aeroporto era ancora lì in attesa, così riuscimmo ad arrivare all’hotel molto prima di quanto avrei mai sperato: raggiungemmo in fretta il ristorante adiacente alla hall, dove la mia amica era sicura di trovare Kevin e Nick.
I due ascoltarono molto attentamente la storia di Jason e chiesero di vedere la foto.
-Beh, allora è davvero stronza come pensavo!- fu il commento del maggiore –adesso è in camera con Joe, lui ha deciso di fare la cosa giusta, proprio come gli avevi detto tu…-
<< la prossima volta che ti viene un’idea così geniale morditi la lingua, cretina!>> mi insultai mentalmente.
-Allora saliamo e la smascheriamo tutti insieme.- disse Sophia.
Il cuore mi batteva all’impazzata, se lei davvero mentiva Joe era ancora libero, e forse c’era una possibilità per noi; Jason si rivolse a me:
-Tu sei sicura che sia lei?-
Ero stanca di combattere con me stessa: se anche non fosse stata davvero lei ma solo una ragazza che le assomigliava particolarmente non mi sarebbe davvero importato, volevo Joe.
-Puoi dormire da me stanotte, se sei ancora decisa a ripartire domani mattina.-
Non volevo ancora dirle che forse sarei rimasta; annuii ma aggiunsi anche:
-Non penso che l’idea di Soph sia buona, perché così mancherebbe l’elemento sorpresa e Anne potrebbe negare perfino l’evidenza. Dobbiamo studiare un piano che le impedisca di uscirne pulita.- quasi ringhiai
-La tua espressione mi fa paura El.- mi rispose Kevin.
-Io ho l’impressione che sarà Anne a dover avere paura.- concluse Nick facendomi l’occhiolino.
 
Dieci minuti dopo bussavo alla camera di Jo insieme a Jason.
Gli dissi di attendere nell’ingresso mentre io mi addentravo nella stanza: i due all’interno non mi avevano sicuramente sentito, perché stavano urlando uno contro l’altra:
-Non hai nessuna prova che sia figlio mio! E’ colpa tua se ho perso l’unica persona che davvero contava per me!- gridò lui.
Mi fermai soltanto un istante per godermi quella frase.
-Mi fai schifo, sai Joe? Molli la tua ragazza famosa e il tuo meraviglioso bambino per correre dietro a un’italiana provincialotta: come sei caduto in basso!- fu la risposta velenosa di Anne.
Dovetti resistere alla tentazione di saltarle addosso e strozzarla.
Quando finalmente riuscii a calmarmi misi su il mio miglior sorriso innocente e entrai nel loro campo visivo.
-Scusatemi, ho bussato e non mi ha aperto nessuno ma sentivo le voci…-
-Elisa!- le loro reazioni furono, ovviamente, all’opposto: Anne pareva aver appena ingoiato panna acida, mentre Joe sembrava aver vinto la lotteria.
-Come mai sei ancora qui?- mi chiese lei nel modo più scostante che riuscì a trovare –ti sei già dimenticata quello che ti ho chiesto?-
-Sai Anne mentre ero all’aeroporto ho incontrato un fan della band, che mi ha detto si sarebbe fermato qui solo pochi giorni e voleva assolutamente incontrarli perché sono il suo gruppo preferito, e dato che li conosco ho pensato di accompagnarlo all’albergo: tanto il mio volo parte domani mattina…- cominciai.
L’entusiasmo sul volto di lui scomparve come era apparso pochi istanti prima.
-Ha già conosciuto Kevin e Nick, che lo stanno accompagnando su per incontrare Joe: dopo che hanno fatto la foto se ne andranno. Spero che per te vada bene.
Il suo sorriso forzato fu proprio la risposta che mi aspettavo.
-Entrate pure ragazzi! Joe è nella sua stanza come avevamo pensato.- dissi rivolta all’anticamera alle mie spalle.
Apparvero i due fratelli che avevo appena nominato, insieme a Jason e due agenti di polizia.
-Anne, che ti prende?- chiesi preoccupata –sei impallidita all’improvviso!-
Anche Joe era piuttosto confuso.
-Fratello- disse Kevin richiamando la sua attenzione –loro sono l’agente Sanson e l’agente Polter, sono qui per accompagnare la tua bella al commissariato.-
Chiamati in causa, i due si sfiorarono il berretto quando vennero nominati, poi l’agente Polter, sistemandosi gli occhiali in bilico sul naso chiese a Jason:
-E’ questa la signorina di cui abbiamo parlato poco fa, signore?-
Lui per tutta risposta annuì, serrando la mascella e guardandola con uno sguardo carico di odio.
-E’ proprio lei.-
-Prego, si volti.- intervenne l’altro agente rivolto a Anne. Poi le lesse i suoi diritti mentre la portavano via.
 
-Ragazzi non capisco: che succede?- chiese Joe sempre più confuso.
-Adesso te lo spiego, fratello.- fu la risposta di Kevin – come al solito ti abbiamo salvato.-
Nick e Sophia ridacchiarono davanti alla sua faccia stupita.
Mentre i miei amici spiegavano l’accaduto io compresi che era il momento giusto per dileguarsi: volevo qualche minuto da sola per riflettere: ero quasi decisa a tornare a Roma; una parte di me sperava che lui avrebbe notato la mia assenza, l’altra invece sapeva che andarsene così sarebbe stato più facile: cercai di convincermi che tornare a casa dai miei genitori era la cosa giusta da fare, loro avevano bisogno di me, specialmente mia madre.
Controllai la data del suo intervento e mi accorsi che era di lì a qualche giorno: non c’era occasione migliore per tornare a casa.
Sulla porta della stanza di Sophia sentii che qualcuno mi afferrava il polso: quando vidi che era Joe arrossii violentemente.
Non sapevo se voleva che dicessi qualcosa, o si aspettasse da me qualcosa,  ero stanca di combattere una battaglia persa con me stessa: << prima ti amo, poi non sono sicura, poi invece lo sono ma c’è sempre qualcuno che riesce a incasinarmi le idee. >> pensai, ma non mi mossi. Volevo che fosse lui a fare il primo passo.
-Torni davvero a Roma domani mattina?- mi chiese.
Annuii, tentando di calmare i battiti del cuore e la vocina nella mia testa che strillava << bacialo, bacialo, bacialo! >>: -Mia madre deve essere operata tra due giorni: voglio essere lì per lei, le devo questo ed altro.-
Mi sorrise, distendendo l’espressione corrucciata che aveva sul viso e mi strinse a sé, quasi bloccandomi il respiro.
-Vengo con te.-
Scossi la testa: -Non esiste, devi assolutamente restare per l’ultimo concerto. Mi raggiungerai dopo.-
Era dispiaciuto, glielo leggevo negli occhi; cercai di consolarlo allacciando le braccia intorno al suo collo e stringendolo di nuovo: lui a quel punto semplicemente mi baciò.
Era come se tutte le cose in quel momento avessero un senso; io volevo lui, lui voleva me: al diavolo la distanza, la sua fama, Anne, Paul, tutto il resto.  
       
 

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